C'eral'acca

di HappyCloud
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Make a bet. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. 21 Samtury Breakdown. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Let Me Live. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Sex And The Bici. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Ballad Of The Girl In The Red Shoes. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Complicated. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Sameteries Of London. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Drive My Car. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Bitter/Sweet Harmony. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. What Goes Around Comes Around. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Vertigo. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. What's My Age Again? ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Light My Fire. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Rolling In The Deep. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Lies. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. Blame It On The Boy. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. It Takes A Fool To Remain Sane. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. Escape. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. Cat Man. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. If It's Magic. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. Misunderstanding. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. Pleasure And Pain. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. Photograph. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. Secret. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. If It Makes You Happy. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. Time To Say Goodbye -Part I. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. Time To Say Good Life -Part II. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. Fleetwood Mac-Cord. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. You Give Love A Bad Name. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. Crazy, Pink Christmas. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. You Learn. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. Suspicious Minds. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. Sweet About Me. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. Fire With Fire. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. Behind The Mask. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. Somewhere Only We Know. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. State Of Love And Trust. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Make a bet. ***


1.
Make a bet.


 
Ero esterrefatta. Non potevo credere alla scena che avevo davanti a me: uomo, 1.95, bello, muscoloso, corpo nudo scoperto fino alla vita. E poi sguardo ammaliatore, sicurezza di sé percepibile a chilometri di distanza e… lacrime agli occhi.
Che cosa?
Il ragazzo sapeva decisamente come spegnere il desiderio di una donna. O meglio, sapeva come ucciderlo, farlo a pezzi e gettarlo dalla finestra.
Non sapevo che dire, mentre mi appoggiavo con la schiena alla testiera del letto del suo appartamento a Chelsea, tra i migliori quartieri di Londra, cercando di recuperare il lenzuolo per coprirmi il seno.
Non era di certo la situazione a cui mi aspettavo di assistere dopo una notte di sesso folle con Ralph J, uno dei più famosi rapper nello scenario europeo degli ultimi cinque anni. Un tipo tutto palestra, tatuaggi, parolacce e dischi di successo. I testi delle sue canzoni erano così pieni di rabbia e violenti che avrebbero fatto apparire il più spietato dei dittatori come un misero bulletto ruba merendine.
E ora stava piangendo. Lo guardai perplessa e lui sembrò percepire il mio stupore, misto ad imbarazzo.
- Scusa, Sam - mi disse. - Ma era tanto tempo che non facevo l’amore.
Alt! Come? Sperai ardentemente di aver sentito male, perché la sera prima mi era sembrato di essere stata piuttosto chiara a riguardo.
L’avevo intercettato dopo il suo concerto al centro di Londra, in un club privato dove avevo avuto accesso al backstage grazie al mio lavoro di giornalista per Music Magazine, un mensile nato da una decina di anni. Adoravo scrivere per quella rivista, anche se relativamente nuova, soprattutto dal momento che mi aveva fornito l’occasione perfetta per conciliare le mie due più grandi passioni: la musica e la carta stampata.
Dopo gli anni del college, in cui avevo lavorato sodo per conquistarmi la laurea in giornalismo e comunicazione, con grande sforzo economico anche dei miei, ero riuscita a farmi assumere nella redazione di un importante giornale della mia città natale, Glasgow. All’inizio era stato piuttosto difficile riuscire a farsi assegnare qualche pezzo da scrivere che non fosse l’ordinazione del pranzo di uno dei capi; poi, però, grazie a Dio - e alla nascente amicizia tra me e Valerie Dupont, una delle caporedattrici -, avevano cominciato a pubblicare qualche mio pezzo, finché mi avevano affidato una rubrica settimanale tutta mia, di modesto successo, sui musicisti locali, dal titolo Aprite le orecchie!. Potevo ritenermi abbastanza soddisfatta, ma quello stronzo del signor Larson, l‘editore, mi trattava ancora come fossi l‘ultima ruota del carro.
Poi un giorno Valerie era uscita dall’ufficio del direttore, sbattendo la porta e gridando che mai più avrebbe messo piede “in una redazione in cui puoi far carriera solo se hai il pisello”. Soltanto un paio di settimane più tardi, quando l’avevo dichiarata ormai dispersa, mi aveva contattata scusandosi per non aver mai risposto alle chiamate e offrendomi un posto per il magazine di cui era diventata socia, MM appunto. Era stata in vacanza per dieci giorni in Tibet in completa solitudine, isolata dal mondo e, a giudicare dal brio della sua voce, le aveva fatto proprio bene.
Naturalmente avevo accettato: fuggire dai miei capi e dalla mia triste città era esattamente quello di cui avevo più bisogno. Glasgow per certi aspetti era tutto per me: famiglia, amici e ricordi vi avrebbero vissuto per sempre. Però non mi bastava. L’avevo sempre trovata così piccola e fuori posto. Cioè, pensi alla Scozia e ti vengono in mente Sean Connery, il kilt, paesaggi mozzafiato… e Glasgow non ha nulla di tutto questo, se non un immenso grigiore che pervade tutti gli edifici e che finisce, inevitabilmente, col macchiarti anche l‘umore.
Certo, nemmeno Londra è esattamente un tripudio di colori, ma tutti quei turisti, tutti quei monumenti di epoche lontane, la fanno sembrare sempre viva. E poi i cieli dell’Inghilterra, che ritrovavo nelle tele del pittore Constable, avevano sempre avuto su di me un certo effetto; sin da piccina quando venivo nella capitale con i miei o a trovare i nonni a Manchester, mi bastava guardare all’insù, verso le nuvole e le stelle, verso quello spazio infinito che mi sovrastava in tutte le tonalità di blu, per sentirmi bene, libera.
Perciò non era stato un gran trauma trasferirmi, lasciandomi alle spalle la mia infanzia e quanto ad essa era allegato.
Da due anni vivevo in un appartamento ben curato, a Mayfair, con il mio gatto Romeo, un bel micione tutto nero. Al diavolo la superstizione! Lui c’era sempre per me, mi ascoltava e in cambio chiedeva solo qualche coccola.
Ero felice della mia vita e soprattutto del mio lavoro, che costituiva la fonte delle mie maggiori soddisfazioni, oltre, chiaramente, alle avventure sessuali - e non romantiche - che talvolta mi allietavano nelle serate in cui non ero impegnata a scrivere. Poi, però, alle volte capitano situazioni come quelle con Ralph che ti costringono a riflettere e inizi a capire che forse non è stata la scelta migliore lasciare che un gioco sconvolgesse la tua esistenza. Stupida, stupida Sam! Tutto è cominciato esattamente quattro mesi fa, qualche giorno prima del matrimonio di Valerie con Jonathan, un affascinante e simpatico cardiochirurgo irlandese. Per rispettare la tradizione, le colleghe dell’ufficio e la sottoscritta avevano organizzato un addio al nubilato degno di questo nome: giro di bevute in alcuni bar e pub e gran finale in uno strip club a Soho, il Pumping Pumpkin. Dio solo sa cosa non vedemmo quella sera! Credo che Amanda, la direttrice delle pubbliche relazioni di MM non dimenticherà facilmente quel body shot da parte di José, un cubano da far girare la testa che avrà avuto quindici anni e due figli in meno di lei.
Come dimenticare poi Ronald con quegli addominali su cui avresti potuto giocare a biglie, o i bicipiti forti di Sean, o… Nicholas. Nick è esattamente la ragione per cui il mio mondo è cominciato a girare al contrario.
Ricordo che quella sera si era avvicinato a noi con fare sicuro, vestito, per così dire, da vigile del fuoco. Più che altro sembrava un pompiere appena scampato ad un incendio in cui doveva essersi bruciata la parte superiore della tuta. Rimanevano soltanto le bretelle sul petto nudo, i pantaloni leggermente abbassati in vita, tanto da mostrare l’elastico dei boxer, e un inutile berretto in testa.
Era alto, fisico scolpito, occhi di un azzurro chiarissimo che mi ricordava il ghiaccio e capelli castano chiaro mossi; per farla breve, quello che si definisce un bel ragazzo, tutto cosparso di olio, come d’altro canto anche gli altri, neanche fossimo ad una gara di body building o su di una spiaggia ai tropici.
Le prime parole che ci rivolse potevano essere state tranquillamente prese da un film porno della più bassa lega esistente.
- Devo forse spegnere un incendio qui? O volete che lo accenda? - aveva detto, ondeggiando il bacino verso Val, indicata da tutte come la festeggiata.
Oddio. Squallido e banale. Ero quasi disgustata, ma dopo qualche secondo mi resi conto che il mio corpo e la mia mente non andavano di pari passo: stavo ridendo come una pazza seguita a ruota da Val, Amanda, Jade e Katy. Tutto si spiegava molto semplicemente con i litri di alcool che avevamo in circolo: tequila, vodka, rum… non c’eravamo fatte mancare nulla. Nick si destreggiava tra noi cinque, dispensando sorrisi, ammiccamenti e conducendo le nostre mani vicino al suo corpo, per sfiorarlo appena, - cosa di cui Jade fu molto irritata.
Sembravamo delle ragazzine al concerto dell’idolo di turno e dovevamo apparire parecchio eccitate perché, ben presto, arrivarono rinforzi da bere e da guardare. Rimanemmo fino alla chiusura, completamente sbronze e fu solo per miracolo se riuscimmo ad infilarci in due taxi per tornare ciascuna alla propria abitazione.
Il giorno seguente mi svegliai a mezzogiorno ancora mezza vestita, mezza truccata, ma con un cerchio alla testa completo. Mi alzai barcollante per specchiarmi; sarebbe stata una tortura, ma sapevo che era necessario per controllare i danni.
Oh cazzo! Era pure peggio di quello per cui ero preparata: i capelli arruffati, il mascara colato, il rossetto sbavato, la camicetta esageratamente aperta con ampia vista sul davanzale e la cerniera della gonna davanti invece che dietro. Guardandomi in faccia pensai che assomigliavo al Joker di Heath Ledger. Mi consolai vedendo che le mie Manolo Blahnik erano sane e salve accanto al letto. Se avessero riportato dei danni, non avrei risposto di me stessa. Tutto ma non le mie scarpe! Avevo persino un armadio tutto dedicato a loro, per preservarle da polvere e sguardi indiscreti.
Mi svestii con noncuranza, con l’intenzione di ficcarmi sotto il getto rilassante della doccia che mi avrebbe fatto dimenticare la nottata; ma fu mentre mi apprestavo a togliermi il reggiseno che notai un piccolo biglietto ripiegato più volte su se stesso infilato tra lo spallino e la coppa. Lo aprii velocemente e ne lessi il contenuto con attenzione: un numero di cellulare e la frase: Mi raccomando quando sarai lucida chiamami. C’è una scommessa in ballo e io odio perderle. P.S: bel seno comunque! N.
Istintivamente mi coprii il petto, dal momento che indossavo solo gli slip. Poi, però, mi ricordai che ero sola in casa e la vergogna lasciò il posto alla rabbia. Chi cavolo si era permesso di nascondere un biglietto tra le mie tette? Chi era questo N.? La sera prima, al momento, era una nebulosa dai contorni troppo indefiniti per fornirmi qualche indizio valido a ricostruire il susseguirsi degli eventi. Mi serviva il cellulare per chiamare le altre e raccogliere informazioni. Già, ma dove cavolo era? Ricordavo solo di averlo messo nella borsa; il problema era che anche quella pareva essersi volatilizzata.
Dopo dieci minuti di estenuanti ricerche, mi arresi pensando che l’unica soluzione fosse quella di chiamare il mio cellulare dal telefono fisso. Agguantai il cordless, composi il numero e mi misi in allerta, pronta a captare qualsiasi rumore provenisse da qualche angolo recondito del mio appartamento. Mi stavo già rilassando al pensiero di ascoltare Wish you were here dei Pink Floyd - sì, d’accordo non era molto adatta come suoneria, ma l’adoravo e mi faceva sempre pensare che fosse qualcuno di piacevole a cercarmi - quando, improvvisamente, realizzai che non solo David Gilmour non stava cantando per me, ma non c’era alcun suono nell’aria. Zero. Oh merda! fu l’unica espressione che la mia mente partorì e la mia mano, in automatico, si portò sulla fronte, sfregandola energicamente. Contattai tutte le ragazze, non riuscendo, però, a cavare un ragno dal buco. Non erano di certo messe meglio di me e Katy aveva persino perso una scarpa da qualche parte nel tragitto di ritorno. Sconsolata decisi che tanto valeva godersi in santa pace la doccia, lasciando i problemi fuori dal bagno per non meno di un quarto d’ora. Fu quando mi stavo sciacquando il balsamo dai capelli che un dubbio mi assalii: come potevo essere rientrata in casa se le chiavi erano nella borsa?! Finii di prepararmi e mi precipitai dal vicino, il signor Hansen, un vecchietto vedovo che abitava da solo proprio di fronte a me che si era offerto di dar da mangiare a Romeo nelle mie lunghe giornate al lavoro; aveva, quindi, un paio di chiavi di riserva.
- Salve, Samantha! - mi disse aprendo la porta. - Sei venuta a riportami le chiavi?
Mistero numero uno risolto.
- No, signor Hansen. Mi servono anche per oggi. Volevo ringraziarla per aver portato Romeo in giardino - mentii, arrossendo.
- D’accordo. Ma guarda che mi hai molto spaventato stanotte. Mica ti puoi attaccare al campanello di una persona anziana come me a quelle ore!
Il suo tono era un poco severo e mi vergognai terribilmente per la figura barbina che avevo fatto. Poi lui proseguì.
- E per Romeo sai che non ci sono problemi - si chinò, guardando un punto dietro di me. - E lo sai anche tu, vero bel micione? - Mi girai e notai che il mio gatto stava per arrivare sul pianerottolo, dove si lasciò accarezzare dal vecchietto che gli porse anche qualche crocchetta.
- Mi scusi, davvero, E’ stata una serata… particolare, diciamo, e ho perso la borsa.
La fronte del signor Hansen si corrugò, lasciando però presto il posto ad un ampio sorriso.
- Ti capisco, Sam. Sono stato giovane anche io. Solo, non ho mai dimenticato le chiavi!
Bene, e via con la figura di merda pure con il vicino. Sorrisi imbarazzata e lui rise, mentre mi congedava, chiudendo la porta. Tornai in cucina per chiamare la società dei taxi, nella vana speranza che avessero ritrovato la mia borsa. Niente di niente. Ma nel frattempo chiesi che mandassero un’auto al mio indirizzo. Aprii il finto barattolo dei biscotti in cui tenevo qualche decina di sterline per le emergenze e scesi in strada ad aspettare che il taxi arrivasse.
 
Il Pumping Pumpkin di giorno faceva tutto un altro effetto: sarebbe sembrato quasi un locale serio, se non fosse stato per quella stupida insegna color arancione che non lasciava di certo dubbi in merito al tipo di attività svolta all‘interno. Mi domandai seriamente a chi fosse venuta l’idea assurda di chiamarlo in quel modo.  Misi da parte le mie perplessità e, vergognandomi come una ladra, entrai nel locale. Era deserto - e certo che ti aspettavi, è pomeriggio! - tranne che per un uomo completamente calvo sulla cinquantina, intento a leggere delle carte sul bancone.
Ebbi la sensazione di essere finita in un’arancia. Tutto era di quel colore: pareti, soffitto, tavoli, sedie e persino le cornici degli specchi. L’arredamento, visto alla luce del sole che filtrava dalle finestre, era tutt’altro che spartano: un lungo palco, ora spento, che la sera si accendeva di mille colori, e corpi, dei lampadari arzigogolati che pendevano dal soffitto e alle pareti innumerevoli quadri ritraenti scene del Moulin Rouge.
Che bello quel film… Sam! Concentrati! Mi ricomposi e mi schiarii la gola, giusto per segnalare la mia presenza al pelato che, nel frattempo, non mi aveva degnato di uno sguardo.
Lui alzò appena lo sguardo dalle scartoffie e mi disse.
 - Che c’è? Sei qui per i provini? Perché, in tal caso, sei in ritardo e quello non è l’abbigliamento adatto. Scoprii di essere più indignata per l’offesa al mio vestiario che per essere stata scambiata praticamente per una cubista; indossavo una normale maglietta, una felpa con la zip aperta, un paio di comodi jeans e uno di Converse. Dovevo andare in uno strip-club, non a Buckingham Palace!
- Veramente, non è niente di tutto questo. Sono stata qui ieri sera con delle amiche - abbassai lo sguardo imbarazzata. - E credo di aver dimenticato la borsa. Le risulta?
L’uomo mi guardò con aria scocciata.
- Ti sembro l’addetto al guardaroba? - ghignò.
Ma vaffanculo! Ero sul punto di sbranarlo a parole e fisicamente, quando sentii i passi di qualcuno provenire dal retro del locale.
- Finalmente sei arrivata, Samantha Grayson.
 Mi voltai di scatto e notai due occhi color ghiaccio puntati su di me. Dove li avevo già visti? Uno, due tre… flashback! Dai, cavolo… uno, due, tre! Sembravo Tobey Maguire nei panni di Spiderman, quando tentava disperatamente di capire come funzionassero i suoi superpoteri. Ma il lampo di genio non arrivò e lui dovette intuire il mio smarrimento perché continuò.
- Non mi dire che non ti ricordi di me! - Cielo, faceva pure il finto offeso. - Eppure mi pareva che ieri sera lo sapessi bene il mio nome, quando mi infilavi i bigliettoni da venti nei boxer.
Perciò i soldi e, quindi la borsa, ce li avevo. La goffa risata del pelato mi riportò alla realtà. Quella specie di adone che avevo davanti mi aveva appena umiliato di fronte ad un altro essere umano. Brutto per giunta… Sam! Cosa c’entra questo? Mi distolsi dai miei pensieri e feci per parlare, paonazza in volto, ma il ragazzo mi precedette.
- Sono Nicholas, comunque. Nick.
Tese la sua mano verso di me, ma io la ignorai.
- Senti, senza tante cerimonie, dammi la borsa che ho fretta.
La voce mi uscì dalla bocca con una durezza non voluta. Anche il mio interlocutore sembrò sorpreso dal mio tono trovando, però, subito una risposta da darmi.
- Calma Sammy, rilassati! La tua borsa è qui.
La prese da dietro il bancone e me la porse.
- Grazie - dissi con un sorriso più falso di una dentiera, strappandola letteralmente dalle sue mani.
Non controllai nemmeno che ci fosse tutto all’interno. Volevo solo andarmene da quel posto e da quei due cafoni. Feci per indirizzarmi verso la porta ma lui mi costrinse a fermarmi.
- Ehi, ehi. Dove pensi di andare? Non dimentichi qualcosa? Dobbiamo discutere meglio i termini della nostra scommessa.
Mi voltai di scatto verso di lui, gli occhi sgranati.
- Tu? – dissi, quasi urlando.
Nicholas annuì, compiaciuto, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
- Sai – cominciò. - Ieri sera sei stata il festival dell’incoerenza. Prima ti sei guardata lo spettacolo con la bava alla bocca e poi ti sei prodigata in mille discorsi sulla morale. Sul perché se un uomo fa questo lavoro - ed indicò il palco alle sue spalle. – È un figo e, invece, se lo fa una donna è una sgualdrina di poco conto. Che filosofia spicciola, Sammy. Niente che non sia già stato sentito e risentito almeno un trilione di volte. Com’è che funzioni? L’originalità la usi solo quando scrivi in quella sottospecie di giornale?.
Lo guardai sorpresa; sulla morale di bassa lega non aveva tutti i torti ma, purtroppo, quella era stata la miglior cosa che il mio cervello ubriaco fosse stato in grado di produrre. Riguardo al resto, però, non potevo starmene zitta, il mio orgoglio dalle dimensioni del Canada ne avrebbe risentito troppo.
- Sarà pure tutto banale... ciò non toglie che io abbia ragione. E, a proposito del mio lavoro, direi che richiede molta più fantasia del tuo. Nel caso in cui tu non te ne sia accorto, - e dicendo questo mi sporsi verso di lui, abbassando il tono della voce, quasi per non farmi sentire dal pelato. - Tutti siamo in grado di agitare un po’ il culo e mostrarci in pubblico in intimo.
Era esattamente in situazioni come queste che adoravo la mia acidità, sfoderabile nei momenti più adatti. E nella mia mente partì una standing ovation per me stessa. Nick, per niente turbato, mi rispose subito. Che palle! Odiavo gli uomini che sapevo come ribattere alle mie frecciatine.
- Ci vuole molta più originalità di quanto tu possa credere. E ieri te ne ho data ampia dimostrazione, quando cercavi di agguantare il mio sedere con quelle manacce.
Azz, colpita e affondata.
Il pelato cominciò a ridere a crepapelle; gli lanciai un’occhiata fulminante che lo indusse a rifugiarsi nel retro, borbottando qualcosa d’incomprensibile. Dovevo dire qualcosa.
- Pensala come vuoi - fu l’unica cosa che la mia bocca riuscì a dire. Tutto qua? La frase più banale del mondo.
 - Banale come sempre, Sammy.
 Fantastico, sapeva pure leggere nel pensiero. Decisi di metterla su un altro piano, stava per cacciarmi all’angolo.
- Nessuno mi chiama più così da quando avevo otto anni e non vedo perché dovrei permettere a uno stripper di farlo.
Nick rise di gusto e mi si avvicinò piano. Per la prima volta, notai quel bel sorriso. I denti perfetti, bianchi, che mi sovrastavano quasi del tutto dall’alto di quel metro e ottantacinque che doveva essere in confronto al mio metro e settanta scarso. In automatico, indietreggiai.
- Non ho bisogno del tuo permesso, Sammy.
Ero sull’orlo di una crisi isterica e lui parve accorgersene. Stavo per ribattere, ma lui non me lo permise.
- In ogni caso non è questo di cui voglio discutere con te. C’è una somma di 2500 sterline in gioco e odio perdere soldi in una scommessa.
Deglutii e probabilmente le mie pupille si dilatarono. 2500 sterline? Erano più o meno il mio stipendio mensile. Già, il mio. Lui quella cifra poteva guadagnarla in due o tre serate: solo noi, la sera precedente avevamo speso una somma vicina alle 500 sterline.
- Non so di cosa tu stia parlando  - dissi.
- Eh no, Sammy. Pensi di cavartela così? Mi hai dato la tua parola e…
- La parola di un’ubriaca quanto conta per te esattamente? - sbottai, interrompendolo.
Mi guardò severo e proseguì.
 - Se mi avessi lasciato finire - mi apostrofò. - Ti avrei detto che sono un gentiluomo e che quindi non ti avrei mai imbrogliato. Per questo sono in possesso anche di un documento con la tua firma.
Okay, mi sta prendendo in giro, vero? VERO?
Nick tirò fuori un foglietto dalla tasca e mi mostrò il punto esatto in cui doveva esserci la mia firma e… cavolo! Eccola lì. Certo, un po’ tremolante, ma era pur sempre la mia.
Fu allora che decisi che era il momento di adottare la tecnica che mia sorella maggiore Lily mi aveva insegnato ancora ai tempi dell’asilo: negare anche di fronte all’evidenza. Poco etica, senza dubbio, pure un po’ rischiosa, ma successo garantito al 99%. Cominciai la pantomima con una risata degna di Ursula, la cattiva de La Sirenetta.
- Tesoro, - Sam, non strafare! - Questa non assomiglia neanche lontanamente alla mia firma.
E ora datemi l’Oscar.
Fu allora che accadde l’imprevisto: lui sorrise, come se si fosse aspettato la mia reazione, sparì per pochi secondi nel retro e tornò con un oggetto in mano. Si avvicinò a grandi passi a me e me lo porse. Una macchina fotografica che stava riproducendo un video.
“Sammy fai ciao con la mano al tuo Nick”. Riconobbi immediatamente i suoi occhi di ghiaccio e la mia mano che salutava l’obbiettivo.
“Nick… - risate infinite. - Come sei bello… ”. Dio, ma come mi riduco quando bevo? D’ora in poi tequila lungi da me.
“Sammy, cucciola, cosa stai facendo? Dillo al tuo amico Nick. Cosa stai firmando?”. Subdolo. Ancora risa. E la mano di Katy davanti alla bocca prima di correre in bagno a vomitare.
“Sto firmando la nostra scommessa”.  La mia risposta era uscita così spontanea e naturale dalla mia bocca che persino io, nel video, sembravo essermene stupita.
Seguiva un primo piano di me che firmavo il foglio.
Porca. Miseria. Ora come mi tiro fuori da questa situazione?
Non solo ero ricaduta nell’1% di probabilità d’insuccesso della teoria di Lily, ma ero stata battuta per KO tecnico.
- Vuoi anche lo zoom per verificare che sia veramente tu quella che scrive? - mi chiese sghignazzando.
E quella risata cristallina mi fece capire che non sarebbe stato così facile liberarsi di una scommessa fatta da ubriaca ad un ballerino sconosciuto di uno strip-club.
 
 
Let’s make a bet 
We'll make a bargain and call this truce 
Let's make a bet 
I'm in loss and win or lose with you. 
   
Il titolo di ogni capitolo fa e farà riferimento ad una canzone di vari autori, modificata o meno a seconda della necessità. Anche alla fine del capitolo c’è una strofa della stessa canzone.
Per questa prima parte della storia ho scelto una canzone dei Foo Fighters, dall’omonimo titolo.
S. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. 21 Samtury Breakdown. ***


2.
21 Samtury Breakdown.
 


Da quando Nick aveva iniziato a raccontarmi su cosa esattamente vertesse la nostra scommessa, ero rimasta senza parole, incapace di credere che la mia stupidità - oltre alla mia indiscutibile sbronza - mi avesse portato ad accettarne i termini e le condizioni.
- E quindi in sostanza vincerà chi tra noi due riuscirà a portarsi a letto per primo, portando delle prove, un appartenente per ogni categoria professionale da noi stabilita. Ieri eravamo arrivati a quota… - consultò brevemente il foglio che teneva in mano e su cui era apposta la mia firma tremolante. - Dieci”.
Che cosa?
- Ti prego dimmi che è un incubo! -  mugolai, portando le mani sulla faccia, quasi a nascondermi da quella realtà assurda.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio rise di gusto e si appoggiò con un gomito al bancone.
- Io non sono una sgualdrina. Non puoi pretendere che, per gioco, vada a letto con dieci uomini, per di più solo per il loro mestiere! - mi lamentai.
- “Sammy non disperarti; - mi consolò lui avvicinandosi. - Forse ne troverai qualcuno che ha un doppio impiego. Due in uno. Metà lavoro.
Ah. Ah. Ah. Davvero divertente.
- E poi, scusami tanto, - aggiunsi. - Che razza di prove vorresti? Un filmino hard?
Nick parve pensarci, con mia profonda indignazione. La prossima volta, Sam, ricordati d’indossare un cartello con scritto ‘STO SCHERZANDO!’ quando vuoi fare dell’ironia con un uomo. È pur sempre un maschio; certe cose proprio non le può capire.
- Non ci avevo pensato, effettivamente. Ma suppongo di potermi accontentare di un oggetto, diciamo, molto personale del soggetto in questione. Qualcosa a contatto diretto con la sua intimità… - concluse.
- Tutto questo giro di parole per dire…?
Non ero assolutamente in vena di indovinelli.
- I boxer, Sammy, i boxer! - mi rispose spazientito. - Io, invece, ti porterò le mutandine. Ed è chiaro che sarà necessaria anche una foto che testimoni il momento di divertimento trascorso insieme.
- Secondo te io mi metto a fare una foto in quel momento? E allora tanto vale nascondere una telecamera e fare un video!
Lui mi guardò incuriosito.
Cavolo, il cartello!
- Io non ho alcun problema a procurarti un filmino per ogni ragazza con cui starò. Sai, le donne tendono a voler immortalare i momenti passati con uno come me – ammiccò.
L’ego di quell’uomo era talmente grande che quasi riempiva la stanza.
- Non ho nessuna intenzione, e con questo non dico che accetto, di guardare ore e ore di filmati in cui tu fai sesso… non dispongo di tutto quel tempo. A meno che, chiaramente, non si tratti di qualche minuto in totale. Vai, Sam! La durata dell’amplesso è sempre un tasto dolente per i maschietti.
Nick ignorò la mia battuta e proseguì.
- Allora siamo d’accordo. Vada per i video.
Nononononononononono!
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- Sammy, tu hai già accettato -  mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia dannata firma con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Maledetta me e maledetta Katy che aveva scelto quel posto per l’addio al nubilato di Valerie!
Tutt’ad un tratto mi sentii debole e mi sedetti sul primo sgabello che trovai, frizionandomi le tempie con lo sguardo rivolto verso il basso. Non poteva essere vera tutta questa situazione. Doveva essere un sogno. No, ma che dico, una candid camera! Dai, dove sono le telecamere?
La voce del mio interlocutore mi riportò con la mente al Pumping Pumpkin. Aveva persino assunto un’espressione seria, lontana anni luce da quell’aria canzonatoria che non aveva, dall'inizio del nostro incontro, mai abbandonato.
- Ascolta, non posso forzarti a fare qualcosa se non te la senti.
Ma allora un briciolo di umanità ce l’hai! I miei occhi scuri si risvegliarono come da un lungo sonno, un letargo di mesi. Un sorriso si fece posto sul mio volto e io iniziai a sentirmi come Hulk: invincibile.
- Sì, esatto – dissi. – Proprio non me la sento.
La mimica facciale da bimba orfana, con la casa bruciata e senza lavoro non so proprio da dove la presi. L’unica cosa che contava era che sortisse effetto sulla coscienza di Nick.
- È chiaro che se una puritana del ventunesimo secolo come te trova offensivo tutto il contesto, mica la puoi costringere ad andare contro la sua morale, per quanto scadente essa possa essere. D’altra parte, non è da tutti avere le palle per tener fede alla parola data quando si tratta di uscire un po’ dai soliti schemi.
Nick, definisci un po’.
Ora non mi guardava più in viso, ma fingeva di scartabellare i fogli lasciati su di una sedia dal signore pelato prima di sparire nel retro. Sentii la bile risalire dallo stomaco e una crescente rabbia pervadere tutto il mio corpo, fino alla punta delle dita, che si chiusero in un pugno. Il mio orgoglio era appena stato abbattuto da un missile terra-aria.
Calma, Sam, calma. Fatti due calcoli prima di spaccargli quegli zigomi spigolosi e… così belli! Come quei capelli spettinati in cui vorresti tanto infilare le mani e… ACCIDENTI!, devi distruggerlo, non pensare a quanto perfettamente si incastrerebbero i vostri corpi appiccicati l’uno all’altro… UDG. Urge. Doccia. Gelata.
Dopo un attimo di esitazione, pensai che tanto valeva dimenticare il mio ego, se questo avesse significato risparmiare soldi e sbarazzarmi una volta per tutte di quel bellimbusto presuntuoso. Ingoiai il rospo che avevo in gola e mi decisi a rispondergli.
- Già, la puritana in questione ha una reputazione a cui tiene e che gradirebbe resistesse almeno ancora per qualche decina d’anni. Ma mi rendo conto che l’onore è un lusso per pochi.
Avevo cercato di contenere la rabbia, ma mica potevo fare miracoli!
Nick parve incassare il colpo.
- D’accordo. Come preferisci. Scommessa annullata - si limitò a dire, scuotendo le spalle e agitando la mano in aria ad indicare che per lui la cosa finiva lì.
Soddisfatta per aver risolto la situazione, mi rialzai dallo sgabello con l’intenzione di salutarlo velocemente e andarmene a casa.
- Beh, allora ciao.
- Ciao Sammy, stammi bene. L’assegno da 3000 sterline portamelo pure qui quando vuoi - mi disse, trattenendo a stento un risolino e tornando velocemente con lo sguardo rivolto ai documenti che aveva in mano.
Risolto la situazione, un corno.
- Temo di non aver capito bene; - cominciai. - La scommessa è annullata. Perché dovrei darti del denaro?
Lui si finse sorpreso della mia reazione e proseguì tranquillo:
- Oh, Katy non te l’ha detto? -  Katy? E ora che c’entrava la consulente legale di Music Magazine, nonché co-fondatrice? La mia faccia sorpresa lo divertì e lo spronò a continuare. - Sai, temevo che potesse succedere una cosa del genere. E lei mi ha consigliato di farti firmare anche questo. Estrasse un foglio dal plico che c’era sulla sedia e me lo porse.
Un attimo: come poteva essere Katy stata in grado di connettere il cervello quando la sua materia grigia stava nuotando nella tequila? All'improvviso, nei meandri della mia scatola cranica, si accese una lampadina: il video che mi aveva mostrato Nick. Io che firmavo e lei che stava per vomitare. Quella tappa in bagno doveva averle restituito un barlume di lucidità. E la stronza l’aveva usato contro di me.
Non capivo il motivo che l’avesse spinta a farlo. Certo, non c’era mai stata grande empatia tra di noi, ma questo non la giustificava affatto. E, comunque, non poteva essere di sicuro perché ero uscita con Christian, l’opinionista più pagato di MM per cui lei aveva una cotta colossale da un paio d’anni. No, voglio dire, era già passata… una settimana. Sette lunghissimi giorni. Okay, era probabile lo avesse fatto per questo.
D’un tratto, tutto fu molto più chiaro: quella volta che mi aveva acciuffato il collo da dietro, stringendo sulla carotide, non mi stava esattamente facendo un nuovo massaggio thailandese come aveva detto a me e a Val, nel momento in cui era entrata nel mio ufficio per consegnarmi delle carte. E immagino che neanche quando ero accidentalmente inciampata nel suo piede, finendo con la testa a una manciata di centimetri dallo spigolo della sua scrivania, fosse stata tutta una casualità.
Brutta vipera finta bionda: me la pagherai.
Ma al momento avevo altro a cui pensare; dovevo pensare a Nick e… perché i suoi occhi mi stanno fissando come se fossi una pazza? Cacchio! Mi ero persa nei miei pensieri e probabilmente erano parecchi minuti che attendeva che io afferrassi il foglio che mi aveva porto. Glielo strappai dalle mani e cominciai a leggerlo.
Io, Samantha Eleanor Grayson, nata a Glasgow il 13/03/86, - il gruppo sanguigno non gliel’hai dato? - mi impegno a mantenere gli accordi presi con il signor Nicholas John MacCord, nato a Londra il 17/10/85, in base al contratto stipulato in data 13 agosto 2010 presso il Pumping Pumpkin di Londra. Nel caso in cui, però, dovessero insorgere circostanze tali per cui fossi impossibilitata a rispettare i nostri patti, a quest’ultimo spetterà l’intero valore della scommessa, ammontante a sterline 1500, più un bonus di sterline 500 a titolo di risarcimento.
Mancava un post scriptum: “Questo Nicholas John MacCord ti sta fregando alla grande. E io, Katy, ci godo”. Lei e la sua stupida laurea in legge.
E poi risarcimento di cosa? Per non essersi portato a letto dieci donne in più? Il capitolo sesso non doveva essere un grande problema per mister So-come-agitare-il-culo; se non lo avesse fatto per la nostra scommessa, avrebbe sicuramente trovato un altro pretesto, e altre dieci ragazze, per divertirsi sotto le lenzuola.
- Non ho intenzione di darti nemmeno un centesimo! - sbottai.
Lui tirò un sospiro.
- Sammy, Sammy, Sammy… quei soldi mi spettano perché tu non hai rispettato gli accordi. Punto. Non vedo cosa ci sia da discutere.
- Ah sì? Portami in tribunale allora.
Appunto mentale: basta repliche di Ally MacBeal.
Nick esplose in una risata fragorosa.
- Vedo che sei una tipa tosta. Ma non quanto me. Vedi, voi donne siete quanto di più prevedibile in certe cose. Come le scommesse, ad esempio. Prima, tutte spavalde ed arroganti e poi tornate ad implorarci di annullare tutto, con la coda fra le gambe.
Il tuo tono era derisorio ed irritante.
- Non mi importa granché delle tue considerazioni sull'universo femminile - gli dissi, infastidita.
Lui si avvicinò con l’intenzione di puntare i suoi occhi direttamente nei miei.
- Ma forse t’importa del tuo lavoro. E si dà il caso che il sottoscritto sia in possesso di un video, girato ieri sera, in cui qualcuno parla in termini molto poco lusinghieri di un certo signor Larson, augurandogli, tra le altre cose, - e strizzò gli occhi, come per ricordare meglio. - Che “la sua nuova moglie pseudo-minorenne lo tradisca con quel fallito di suo figlio e che un fulmine gli colpisca quella specie di vecchio muscolo bavoso che ha nelle mutande.” Il deserto del Sahara doveva essersi trasferito nel mio cervello. Come avevo potuto sparare a zero sul mio ex capo in un video?! Non che non fossero vere, o che non le pensassi, tutte quelle cose che avevo detto. Si sa, in tequila veritas.
Ma ora le cose mi mettevano male per me e il mio futuro lavorativo. Optai per il silenzio.
- Ho fatto una ricerca su Google – proseguì. - E pare proprio che questo Larson sia al vertice dell’élite internazionale degli editori. Sai, basta che il video finisca nelle mani sbagliate e la tua promettente carriera di giornalista è finita. Certo, potresti sempre trasferirti in Antartide; forse ai pinguini serve una cronista”.
E mentre mi parlava, mi sorrise. Sapeva di avermi in pugno. Tanto valeva giocarsi l’ultima cartuccia.
- D’accordo, d’accordo. Ti pagherò. Ma non 3000 sterline! Sono un sacco di soldi. Dove pensi che li trovi? Semplice, Sam, sul tuo conto corrente. Però lui non lo sapeva. Almeno questo!
Nick spostò di lato la testa, verso la spalla, e inarcò le sopracciglia.
- Non prendiamoci in giro, Sammy. So perfettamente che in quei giornaletti come quello per cui lavori, si guadagna bene.
Va bene, okay, non ero proprio una morta di fame, al contrario di quello che volevo fargli credere, e non mi potevo certo lamentare del mio stipendio. Però quelle sterline mi servivano: cibo, bollette, libri, qualche cenetta fuori con gli amici, la nuova pochette di Dolce&Gabbana… quella blu, bellissima, con il fiocco e il logo in basso, piccolo e discreto. Ogni volta che passavo vicino a Piccadilly, potevo sentire forte e chiaro il suo richiamo provenire dal negozio in Old Bond Street: comprami!
Con quale coraggio mi avrebbe chiesto di rinunciare a comprare, come ogni mese, una borsa? Uomo senza cuore. Uomo senza cuore a cui corrispondeva Sam senza pochette. Inaccettabile!
O forse voleva che facessi a meno del cibo o, ancora, farmi finire dietro le sbarre per evasione fiscale come Al Capone?
- A me servono quei soldi! – gridai. - Sai, vivo sola e mi devo mantenere in qualche modo.
Cercai di ammorbidirlo fingendomi cordiale e sbattendo le ciglia come fossi una gattamorta.
Mi ero avvicinata a lui e gli avevo toccato un braccio, per enfatizzare il finto pathos che stavo cercando di creare. Sam Grayson, la novella Piccola Fiammiferaia.
Da sotto la manica della felpa col cappuccio che indossava, potevo sentire i muscoli forti, anche se non erano in trazione. Nick, per tutta risposta a quel contatto, guardò prima curioso la mia mano su di lui e poi dritto nelle mie pupille.
Mi sentii lievemente a disagio; i suoi occhi erano così profondi che per un secondo rimasi imbambolata a fissarli, come ipnotizzata. Lui finse di non accorgersene e distolse lo sguardo, a sua volta imbarazzato. Gli ero grata per il fatto di non aver commentato il mio rimbambim…
- Ehi, Bella Addormentata! Mi stai immaginando ancora vestito da pompiere? – disse, ridendo come un pazzo. Dicevo?
Arrossii nella frazione di un secondo, togliendo immediatamente la mia mano dal suo braccio, arrabbiata più con me stessa che con lui.
- Stavo solo pensando! - mi difesi, cercando di ostentare una sicurezza che non mi apparteneva.
- Sì, stavi pensando a me, nudo.
 Non riusciva a trattenere le risa e il mio viso si contrasse in una smorfia d’irritazione.
Mmm, Sam, quanto sconveniente sarebbe per te, per la tua carriera e per la tua vita la voce omicidio sulla tua fedina penale?
- La tua autostima raggiunge livelli inesplorati - lo schernii. - E poi, se vogliamo proprio dirla tutta, Manuel era molto più attraente di te, vestito da poliziotto.
Bugiarda. Ma, in qualche modo, dovevo pure graffiare il suo ego di maschietto pieno di sé.
- De gustibus non disputandum est. Pensava forse d’impressionarmi citando una frase in perfetto latino? Beh, un po’ c’era riuscito. Un pochino solo.
Non sapevo cosa rispondere, così fu lui a riprendere la parola:
- Anche se, ripensandoci, è a me, e non a Manuel, che hai fatto vedere il contenuto del tuo reggiseno nero con i cuoricini rosa.
Gli occhi mi balzarono fuori dalle orbite; i suoi ammiccamenti mi stavano procurando strane sensazioni che non ero in grado di decifrare. Più continuava la nostra conversazione, più emergevano dettagli poco edificanti che riguardavano la mia persona. O, meglio, la mia doppia personalità: Sam la puritana sobria contro Sammy l’arrapata ubriaca. Due mondi paralleli destinati a non incontrarsi mai. Decisi che era arrivato il momento di stabilire la tecnica più adatta per passare al contrattacco.
La mia mente elaborò due possibili alternative: la prima era prendere uno degli sgabelli del Pumping Pumpkin e scaraventarlo in testa a Nick. Trauma cranico assicurato e, con un po’ di fortuna, memoria in stand-by per almeno un paio di giorni. Tempo, sì, limitato, ma sufficiente ad espatriare e dimenticarmi per sempre di quel bel faccino e di questa scommessa.
La seconda opzione era sicuramente meno divertente: dargli ragione, fargli due moine e poco più e così convincerlo ad abbandonare l’idea di continuare il gioco. Stabilii che il punto di partenza fosse quest’ultima alternativa. Mi avvicinai a lui, a passi lenti, e cercai direttamente il contatto fisico con il suo corpo.
- Senti, Nick - dissi, giocherellando con i lacci del cappuccio della sua felpa. - Forse siamo partiti col piede sbagliato, io e te.
Mi guardò stupito e curioso, con un mezzo sorriso sulle labbra socchiuse, dandomi un tacito consenso a flirtare con lui. Ebbi un sussulto. Quegli occhi puntati su di me erano color ghiaccio eppure mi stavano bruciando. Che succede? Nessuna risposta. Terra chiama Sam! Sam?
Distolsi lo guardo per qualche secondo per riprendere il controllo della situazione, senza però rinunciare a stargli così vicino. Mi feci coraggio per continuare e, con mia grande sorpresa, lui posò le sue mani sui miei fianchi, racchiudendomi completamente nelle sue spalle larghe e tirandomi a sé.
Ce l’ho fatta!
- Hai ragione; - mi anticipò. - Forse potremmo risolvere la questione in un altro modo”.
E via con gli occhi da cerbiatta - grazie Lily, i tuoi insegnamenti tornano sempre utili!
Lui piegò la testa di lato e mi sorrise, riducendo ulteriormente la distanza tra le nostre labbra a qualche centimetro. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Doveva essere l’adrenalina; dopotutto, stavo per usare contro di lui l’arma più efficace che le donne hanno a disposizione per creare e distruggere un uomo: sé stesse.
- Mi piacerebbe molto trovare un compromesso con te, per venirci incontro… -  esclamò con voce sensuale.
Sentivo le ginocchia molli. Oddio, cos’è? Un calo di zuccheri?
- E allora proviamoci.
Lasciai che il doppio senso venisse percepito anche da lui. Nick ci impiegò esattamente mezzo secondo a coglierlo. E figurati! Quando si tratta di sesso, gli uomini hanno sempre le antenne drizzate. Tutte le antenne, nel migliore dei casi.
Chiuse gli occhi e io feci altrettanto, mentre si avvicinava ancora più alla mia bocca.
- Sammy? chiese suadente.
- “Sì?” mi uscì una voce che sembrava il rantolo di un gatto a cui è stata pestata la coda. Che figura! Socchiusi le palpebre e lo vidi ancora lì, a distanza ravvicinatissima da me.
- Questo trucco l’ho inventato io.
 Il suo tono era completamente cambiato: era normale. Non più sexy, seducente o invitante… solo normale. E derisorio.
Spalancai gli occhi e mi sentii umiliata come mai mi era capitato in vita mia. Potevo sentire le rotelle del mio cervello girare vorticosamente e giurai di aver visto uscire del fumo dalle mie orecchie. Ero furiosa; e lui, l’imbecille-idiota-stronzo, rideva di me.
D’un tratto, l’opzione dello sgabello in testa non mi sembrò più così impraticabile.Non feci nulla per mantenere la calma:
- Idiota! - gli dissi, rifilandogli una serie di sberle sulle braccia che lui cercava di parare in tutti i modi.
- Oh oh, tranquilla Rocky. Guarda che mi stavi quasi per convincere prima. Però hai dimenticato un particolare: è il mio lavoro sedurre le persone, non il tuo.
Bla bla bla… ma sentilo! E di nuovo quello sguardo che avrebbe ammaliato anche un cieco.
- Sei solo un pallone gonfiato! - gli urlai in faccia. Nick mi guardò perplesso, ma era chiaro che la situazione lo stuzzicava. - Ti diverti ad ingannare la gente?
Da che pulpito, Sam.
- Io? Io inganno la gente? - era sbigottito. - Sbaglio o eri tu quella che tre secondi fa ha cercato di svendersi, pur di liberarsi di una scommessa?
Svendermi… che esagerato. Avevo solo cercato di fargli due moine per addolcirlo un po’. Non era svendersi quello, no?
- Con me il vittimismo non funziona, mio caro; l’aria da santarellino non ti si addice per niente.
- A te la faccia da frigida sì, però!
Frigida a chi?
D’accordo erano cinque o sei mesi che non facevo sesso e non ne sentivo molto la mancanza. Mi capitava di pensarci quelle due, tre o trenta volte al giorno. Sam, notizie per te: hai bisogno di un uomo. Christian era stato un vero flop: mi aveva portato fuori a cena in un ristorante elegante e mi erano bastati un paio di minuti per capire che non sarebbe finito in camera da letto, almeno non con me. In effetti, sembrava molto più interessato al cameriere. Forse avrei dovuto dirlo a Katy; mi sarei risparmiata qualche tentato omicidio ai miei danni e molti altri potenziali tentativi di sabotaggio.
- Non credo proprio. La mia vita sessuale va a meraviglia.
Come no? Chiamatemi Sasha Grey d’ora in poi.
Nick mi squadrò da capo a piedi con l’espressione di chi non pare convinto di ciò che sta ascoltando.
- Sammy, dì la verità. Da quant’è che non ti diverti un po’ in orizzontale?
Sperai che la frase che mi era appena stata rivolta fosse frutto della mia fervida immaginazione. L’ultima volta che l’avevo sentita era stata probabilmente al terzo anno di liceo, nel retro della monovolume del playmaker della squadra di basket della scuola: Paul Kingsley.
 “Giochiamo un po’ in orizzontale? Rabbrividii al pensiero. Ero stata tutto il tempo in attesa che la cosa finisse. Lui pensò di essere uno stallone e io glielo lasciai credere.
Gli uomini credono a tutto ciò che le donne vogliono far loro credere. Ed io voglio che tu, Nick, pensi esattamente di me quello che non sono: una ragazza che passa di letto in letto.
- Non che siano affari tuoi, comunque due giorni.
In fondo non era proprio una balla gigantesca; era solo l’omissione di due zeri.
- Non ci credo - mi rispose lui, incrociando le braccia sul petto.
- E perché scusa? Non ti sembra possibile che un uomo voglia fare sesso con me? - chiesi senza riuscire a fermare il tremolio alla gamba, che fremeva per la risposta.
- Assolutamente no. Con un paio di tappi nelle orecchie per non sentirti, saresti un bocconcino - mi strizzò l’occhio.
- Lo so che è difficile per te confrontarsi con una donna dotata di un qualcosa chiamato cervello. È situato nel cranio, sai, una zona ad una ventina di centimetri sopra le tette. Capisci? – dissi, trattandolo come un bambino che deve imparare l’alfabeto.
- Sei acida e questo può voler dire solo una cosa: calma piatta tra le lenzuola da almeno, diciamo… un paio di mesi.
Sì, ottimista.
- Ti ho detto due giorni! - Mi stavo spazientendo.
- E io ti ho detto che non ci credo.
- È un problema tuo.
Sgrrr. Il rumore degli specchi su cui mi stavo arrampicando.
- Cosa c’è? Non sei in grado di tenerti un uomo?
- Io sono perfettamente in grado di tenermi un uomo!
Sicura?
- E allora perché non sei fidanzata? - mi incalzò. Esattamente cosa non gli avevo detto la sera prima?
- Perché non esiste un ragazzo che sia alla mia altezza.
 Questa potevi risparmiartela, Sam; sono le stesse identiche parole che ti diceva tua madre quando avevi tredici anni e i brufoli si erano impossessati della tua faccia, impedendoti di trovare uno straccio di fidanzato.
Nick alzò un sopracciglio.
- Hai solo paura.
- Paura? E di cosa, sentiamo.
Risata isterica.
- Di metterti in gioco, di divertirti un po’. Sei talmente inquadrata nei tuoi stupidi limiti che se solo pensi di infrangerli, ti senti in colpa - si avvicinò a me, abbassando il tono di voce. - Accetta la scommessa, Sammy”.
Gli voltai le spalle e presi la borsa, pronta ad andarmene.
- Non farmi perdere tempo - sussurrai. Mi bloccò il braccio.
- Codarda.
- Lasciami stare e mollami il braccio - gli intimai.
- Vigliacca.
 Il suo tono era freddo e distaccato. Per un attimo ebbi quasi paura di lui, ma il nervosismo prese il sopravvento.
-  Non sono vigliacca. Sono molto più coraggiosa di quanto credi.
- Accetta la scommessa.
Ormai stavamo gridando.
- Ho detto no! Sono una persona seria, io.
Non mi stava nemmeno ascoltando.
- Balle. Sei solo una ragazzina.
La sua espressione disgustata mi fece trasalire.
- Come ti permetti? Neanche mi conosci e...
- Provami che non è così!
Il pelato si affacciò dalla porta del retro; le nostre urla dovevano averlo messo in allerta. Appurato, poi, che eravamo solo io e Nick che stavamo discutendo, ritornò nel retro, disinteressato.
- Io non… - mi liberai dalla sua presa, incapace, però, di muovere le gambe per uscire dal locale.
- Tira fuori le palle, Sammy.
- Tu… - non riuscii a terminare la frase.
Codarda. Vigliacca. Ragazzina.
Le parole di Nick mi riecheggiavano continuamente in testa.
Codarda.
- Sammy, accetta la scommessa.
Vigliacca.
- Hai solo paura.
Ragazzina.
- Dimostrami che sai metterti in gioco.
Sentii che non avrei retto a lungo tutta quella pressione: il cuore correva follemente e la mente non riusciva a stargli dietro.
- Sammy, provami che mi sono sbagliato su di te - gli uscì dalla bocca quasi come una supplica.
- Ma… - continuava a non lasciarmi parlare e ciò non faceva altro che accrescere il mio rancore.
- Accetta.
- Smettila - cacciai indietro le lacrime; non volevo mostrarmi fragile ai suoi occhi.
- Smettila tu di fare la bambina!
- Non lo sono!
Stavo per esplodere dalla rabbia e lui lo aveva capito dal tono della mia voce.
- Sammy, dimmi di sì.
- No!
- Sì.
- No!
- Accetta!
- D’accordo! - urlai, paonazza in volto.
Nick mi guardò con un sorriso malefico cucito sulla faccia: aveva raggiunto il suo scopo.
Cazzo! Ero entrata al Pumping Pumpkin con un’intenzione ben precisa e ora l’avevo appena stravolta; ma avrei fatto di tutto per levare da quegli occhi di ghiaccio la convinzione di avere la vittoria in tasca.
Mi allungò la mano per sigillare l’accordo e io gliela strinsi più forte che potei. Naturalmente lui neanche se ne accorse.
- Bene Sammy. Ora che tutto è stato chiarito, direi di non indugiare oltre.
Estrasse da dietro il bancone una boccia come quella per i pesci rossi. All’interno c’erano dei foglietti piegati su se stessi.
- Pesca! - mi disse, ma io non mi mossi d’un millimetro e la mia faccia a punto interrogativo lo costrinse a spiegarsi.
- Qui dentro ci sono dieci bigliettini, ciascuno con una professione. Scegline uno e quello sarà il nostro compito per la settimana.
Che stronzo! Se li aveva preparati, significava che sapeva già che, in un modo o nell’altro, mi avrebbe convinta.
Infilai la mano nel contenitore e presi un bigliettino. Lo tirai fuori e lessi: cantante.
Cantante? Mi aspettavo macellaio, cameriere, postino… lavori normali. E ora dove lo trovavo un cantante?
- Lo fai vedere anche a me?
Mi voltai verso Nick e gli porsi il foglietto, che lui sbirciò brevemente.
- Bene, – continuò. - Ora ti lascio, devo fare qualche chiamata  -Mi voltò le spalle, incamminandosi verso il retro del locale e aggiunse. - E non provare a rifilarmene uno da piano bar; voglio qualcuno di famoso. Tu lavori per Music Magazine, non ti sarà così difficile. Comunque mi faccio vivo io. Ciao Sammy.
Sparì dietro la porta, salutandomi con la mano senza nemmeno voltarsi. Non risposi.
Okay, non è facile come credevi, Sam; ma puoi farcela, devi farcela per sbattere la tua vittoria in faccia a Nick.
Era ora di raggiungere l’infinito: far incontrare i due mondi paralleli di Sam la puritana sobria con Sammy l’arrapata ubriaca.
Stava per nascere Sam l’arrapata sobria.
 
 
21st Century Breakdown
I once was lost but never was found
I think I am losing
What's left of my mind
To the 21st century deadline
 
 
Innanzitutto grazie a chi ha impiegato un po’ del suo tempo a leggere questa storia!
Quest’oggi la canzone del titolo è, chiaramente, “21 Century Breakdown” dei Green Day.
Un particolare ringraziamento va a:
 
Rose in Winter : non so che dire… GRAZIE! Per i complimenti e per la pubblicità, per tutto! Spero solo di non aver deluso le tue aspettative! Inconsciamente, mi avete fatto venire l’ansia da prestazione!Ahahahah… baci!
 
Emily Doyle : anche io adoro l’Inghilterra ed effettivamente ciò che ho scritto sulla Scozia e su Glasgow è un pensiero mio! Sono contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto e spero che questo secondo e i prossimi non ti deludano! Un bacio.
 
SunshinePol : siamo talmente tanto amiche che, anche se non ti avevo detto nulla e avevo cambiato account, mi hai sgamato tipo dopo 3 secondi :D grazie tesoro!
 
Wingedangel : grazie anche a te! Fa sempre piacere sapere che il tempo impiegato a scrivere (rubato giustamente allo studio) è ricompensato dalle critiche positive dei lettori. MI auguro ti piaccia anche il secondo capito (e il resto, eventualmente)! Baci.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Let Me Live. ***


Capitolo treLet me live. 
 
[- Buongiorno Londra! Sono le 6.45 di questo splendido lunedì mattina. C’è il sole e sono sicuro che avrete una magnifica giornata! Chiamateci e raccontateci i vostri programmi per quest’oggi. Qui che vi parla c‘è Peter Grells, direttamente dalla vostra radio preferita, K-100].
Stai zitto, pezzo d’idiota! E’ lunedì mattina, chi diavolo vuoi che ti chiami a quest’ora?
Allungai la mano per spegnere la radio sveglia e mi rigirai nel letto. Avevo sempre avuto problemi ad abbandonare le braccia di Morfeo e a comunicare serenamente con il resto del mondo per la prima mezzora. 
Romeo dormiva pacificamente in fondo al letto, pur sapendo che non approvavo che spargesse i suoi peli sulla trapunta. Gli avevo persino comprato una cuccia da interni tutta imbottita che avrebbe fatto invidia a qualunque gatto, ma non a lui. Non c’era nulla da fare: se si metteva in testa qualcosa, non c’era verso di fargli cambiare idea.
Mi alzai a tentoni e per poco non scivolai su un maglione che doveva essere caduto dall’attaccapanni.Cominciamo bene.
Filai diritta in bagno per farmi una doccia bollente e rilassante, prima di affrontare la lunga mattinata in ufficio, e mi preparai, da buona inglese, una bella tazza di tè. 
Il telefono di casa cominciò a squillare; afferrai la cornetta con rabbia e risposi sgarbatamente.
- “Pronto?”.
- “Buongiorno tesoro”.
- “Ciao mamma. Lo sai che è illegale chiamare la gente a quest’ora?”.
- “Smettila di dire stupidaggini, Sam”. La sua voce sempre così piena di brio ed entusiasmo era nauseante di prima mattina.
- “Che c’è? E’ morto qualcuno?”. Wow, umorismo nero già all’alba. Mia madre non sembrò gradire e, per mia fortuna, il suo tono si abbassò di qualche decibel.
- “Non sei per niente simpatica,sai? - recuperò in breve la sua allegria - Comunque ti ho chiamata per informarti che il prossimo fine settimana io e tuo padre verremo a Londra”.
Traduzione: prossimo weekend rovinato.
Grace e Philip Grayson, i miei, non erano esattamente l’ideale universale di divertimento. Sam, mi pare che tu debba stare zitta: pensavi di essertela spassata al Pumping Pumpkin e sappiamo tutti com’è andata a finire.
- “E’ fantastico.- dissi senza entusiasmo - E come mai?”. Dimmi che non venite per me.
- “Innanzitutto per te tesoro! - Tac - E poi dobbiamo sbrigare qualche faccenda con la zia Annie, sai quella vecchia megera che abita in una casa di riposo poco distante da te”.
- “Mamma!” la rimproverai. Ma, dopotutto, come darle torto? Quella donna era davvero una befana. Era la sorella di mio nonno paterno e, per qualche strana ragione, odiava tutte le rappresentanti del gentil sesso della parentela. In famiglia, era meglio conosciuta come la zia C-Annie-vora, perché quando una di noi osava rivolgerle la parola, - oltretutto per cortesia, visto che se ne stava sempre in disparte -, lei rispondeva con una specie di grugno animalesco, che somigliava tanto al verso del cinghiale a caccia.
Era stata lei stessa a decidere di andarsene da Glasgow, dove viveva sola, per approdare nella caotica capitale in una residenza per anziani, nel momento in cui aveva capito che, a seguito di un malore, non sarebbe più stata autosufficiente. E, a onor del vero, nessuno dei familiari si era opposto, perché nessuno voleva rischiare di trascinarsela in casa e prendersi cura di lei ventiquattro ore su ventiquattro.
- “Sam, andiamo, sappiamo tutte due che razza di persona sia quella donna. Ad ogni modo, sbrigheremo due o tre cose all’ospizio e poi ci dedicheremo completamente a te”. Che fortuna!
- “A venerdì prossimo allora. Vi preparerò la stanza degli ospiti” le dissi con la chiara intenzione di chiudere in fretta la conversazione.
- “Grazie tesoro. Stammi bene!”.
Riattaccai, già annoiata al pensiero di come si sarebbe evoluta la settimana successiva con l’arrivo dei miei, e cominciai a vestirmi: una camicia bianca con i volant sotto un cardigan blu leggero e una gonna sopra al ginocchio. Era agosto, ma il tempo dell’Inghilterra non era mai una certezza; meglio portarsi qualcosa con cui coprirsi.
Mi lavai i denti e scelsi una borsa blu con scarpe coordinate. Ne possedevo talmente tante che non avevo mai problemi ad abbinarle con ciò che indossavo. Erano state, praticamente, un investimento.Perché lasciare i soldi sotto il materasso quando puoi indossarli ai piedi?
Uscii dal portone e osservai il cielo: sembrava limpido e, così, abbandonai l’idea del taxi in favore di una bella camminata di una decina di minuti fino all’ufficio. Una volta arrivata, salii con l’ascensore fino al settimo piano e mi diressi diretta alla scrivania di Val; era già all’opera, sommersa di documenti, e stava impartendo istruzioni alla sua assistente.
- “Allora chiama il manager di quel gruppo irlandese di Cork e dì loro che Jake andrà ad intervistarli venerdì nel tardo pomeriggio al bar del loro hotel. Spedisci queste carte al signor Johnson per lo spazio pubblicitario che ha richiesto e portami un cappuccino decente. Muoviti, dai!”.
Ahia. Val in versione Miranda Priestley de Il diavolo veste Prada. Doveva essere parecchio nervosa per via del matrimonio, visto che mancavano poco meno di tre giorni. Non aveva, però, assolutamente voluto prendersi le ferie almeno fino a mercoledì.
- “Valerie, calmati” le dissi, mentre la sua povera assistente cercava di destreggiarsi tra i mille compiti che le erano stati dettati. Lanciai a quest’ultima un’occhiata comprensiva e le feci cenno di uscire.
- “Calmarmi? Samantha lavoriamo in una rivista di incompetenti e tu mi dici di non agitarmi?”. Era tesa come una corda di violino.
- “Lo sai che non è vero. Sei solo stressata perché tra qualche giorno ti sposi e non ti sei presa neanche una giornata di pausa. Dammi retta, vai a casa!” le ordinai, con tono pacato.
Lei bevve un sorso della tisana che aveva davanti a sé.
- “Hai ragione, sarà meglio che mi concentri solo sulle nozze. La verità è che ho ancora del sonno arretrato dalla sera dell’addio al nubilato”. Mi lanciò un sorriso malizioso che mi fece tornare in mente l’obiettivo primario per cui ero andata nel suo ufficio: trovare un cantante.
- “Già, a chi lo dici! Comunque, Val… parlando di lavoro, che concerti dobbiamo seguire per il numero di settembre?”. Brava Sam, dritta al punto.
Lei ci pensò su un attimo, impreparata alla mia domanda.
- “Dunque; stasera c’è Rihanna, venerdì Elton John e domenica prossima Lady Gaga”.
Cavolo, no! Donna, gay, donna.
- “Non c’è nessun altro?” chiesi delusa e lei se ne sorprese.
- “Sam, lo sai che facciamo una cernita. Siamo un mensile e mica possiamo piazzare in tutte le pagine articoli sulle performance live dei cantanti!”. Certo che lo sapevo, ma ora come cavolo potevo fare per la scommessa?
- “Aspetta, però, c’è il concerto di Ralph J tra due martedì”. Il lumicino di speranza che si era appena insinuato in me, morì sul nascere. Tra due martedì sarebbe stato troppo tardi, me ne serviva uno entro quella domenica!
- “Tutto bene, Sam?” mi chiese, vedendo la mia faccia dubbiosa.
- “Sì, sì, non ti preoccupare. Chiedevo solo”. Finsi un sorriso. Scusa Val, ma raccontarti ora del guaio in mi sono cacciata sarebbe troppo imbarazzante.
Le chiesi comunque se avesse potuto assegnarmi il pezzo sul rapper e lei mi disse che non c’erano problemi e che, anzi, in molti l’avevano implorata di non essere i prescelti. La salutai in fretta e furia e andai alla mia scrivania; accesi il computer e iniziai a sfogliare il taccuino con la bozza dell’articolo su una coppia di artisti locali che avevo intervistato la settimana precedente, con l’intenzione di sistemarla un po’. Dopo un tempo indefinibile, qualcuno mi scosse una spalla.
- “Ehi, Sam, svegliati! Certo che tu o dormi o hai la testa fra le nuvole, eh!”. Amanda rise e io arrossii dall’imbarazzo. Lavoravo da poco tempo per MM e già tutti, dai proprietari alle signore delle pulizie mi conoscevano come quella strana per via della mia stupida abitudine di fissare il vuoto, immersa nei miei stupidi pensieri.
- “Noi andiamo a pranzo. Vuoi venire?”. Pranzo? Guardai l’orologio e notai che erano le 12.30. Avevo dormito per quattro ore e il pc era ormai in stand-by da chissà quanto.
- “Ehm… no grazie. Non ho fame” risposi, ancora intontita e con la vista vagamente annebbiata.
- “Capisco. Ci vediamo dopo allora. E guarda che ha detto Valerie di riferirti che anche tu dovresti andartene a casa perché hai confuso la tastiera del computer con la testiera del letto”. Lei ridacchiò e io mi sentii ancora più sciocca.
Tonta di una Sam!
- “Ops!” fu l’unica parola che mi uscì. Amanda mi salutò sorridente e si aggregò a Jade per andare a mangiare.
E meno male che non mi aveva trovato Katy, altrimenti a quell’ora sarei stata impegnata a trattare con San Pietro su quante cialde dargli per la sua macchina del caffè in cambio del mio ritorno sulla Terra. Troppa tv.
Corsi in bagno a darmi una sistemata, anche se l’ufficio era ormai deserto, e mi fissai allo specchio: che occhiaie!, ma, per fortuna, il trucco non era sbavato, né sugli occhi, né sulle labbra.
Labbra. Un ricordo. Le mie e le sue. Vicine.
- "Sammy, accetta!".
- "D’accordo!".

Nick… avevo bisogno di lui. Cioè, avevo bisogno di lui per una proroga del compito settimanale. Ralph J era la mia unica occasione di pareggiare la scommessa; infatti, non avevo dubbi che lui avrebbe rispettato la sua parte di accordo.
Dovevo contattarlo. Tornai alla mia scrivania e cercai nella mia borsa il foglietto che avevo rinvenuto nel mio reggiseno e sul quale c’era scritto il suo numero.
Dannato biglietto, dove ti sei cacciato?
Finalmente lo trovai in una delle mille tasche e lo aprii con frenesia. Presi il mio cellulare. Non era il caso di usare il telefono dell’ufficio per fini personali; avevo già dormito sulla scrivania tutta la mattina!
- “Pronto?” la sua inconfondibile voce.
- “Ciao Nick, sono Sam”.
- “Chi?”.
- “Grayson”. Nessuna risposta.
- “Sammy” mi arresi, ticchettando nervosamente la matita sul bordo del mio tavolo.
- “Ah, sei tu. Che c’è, ti manco?”. Lo immaginai sorridere.
Ma perché, perché, perché l’ho chiamato!
- “No. Vorrei parlarti; ti disturbo?” chiesi. 
- “Tu? Disturbare? Sempre”. Diplomatica, dovevo essere diplomatica.
- “Posso richiamarti più tardi?”.
- “Veramente no”. Sin dall‘asilo, di preciso da quando avevo tirato una bambola in testa ad una bambina che mi aveva rubato un pennarello, il mondo aveva conosciuto la mia impulsività e, in quel momento, feci quello che per primo mi passò nella mente: riagganciai, maledicendolo in tutte le lingue conosciute sul globo e lanciandogli, purtroppo solo metaforicamente, pugnali e sciabole, invece che bambole.
Brutto imbecille!
Attesi invano tutta la giornata che l’idiota mi richiamasse per scusarsi o, almeno, per giustificarsi, ma nulla di tutto ciò accadde.
Tornai a casa verso le 22.30 dopo aver passato la serata con alcuni colleghi all‘Irish pub proprio sotto il nostro ufficio, del quale, ormai, eravamo assidui frequentatori.
Stavo per girare la chiave nella serratura della porta di casa mia, quando una voce alle mie spalle mi sorprese.
- “E’ tuo questo gatto?”. Mi girai di scatto, un po’ impaurita e notai un bel ragazzo, occhi e capelli scuri, alto, che teneva in braccio Romeo.
- “Scusa, non volevo spaventarti!” mi disse cortesemente con un forte accento americano.
- “No, scusa a te, mi hai colto alla sprovvista. Comunque sì, questo ficcanaso è mio. Spero non ti abbia disturbato” gli risposi sorridendo e prendendo Romeo tra le mie di braccia.
- “No, no, per niente. Solo che l’ho trovato che miagolava sullo zerbino di mio nonno”.
Lo guardai confusa e lui capì di doversi spiegare meglio.
- “Ah, giusto, mio nonno è il signor Hansen. Mi ha lasciato in custodia il suo appartamento finché resterà dai miei a Portland, in Oregon”.
- “A Portland? Non mi aveva detto che sarebbe partito. Lo avrei salutato volentieri”. Ero sinceramente dispiaciuta e anche Romeo lo sarebbe stato.
- “Lo ha deciso in quattro e quattr’otto quando ha saputo che sarei venuto a Londra per lavoro per un paio di mesi. Però ha lasciato questa per te. Samantha, giusto?”. Mi porse una piccola busta che riportava il mio nome.
- “Si, scusa. Sam, chiamami pure Sam” gli sorrisi e presi la lettera che avrei letto una volta rimasta sola.
- “E io sono Will. Ti stringerei la mano, ma vedo che sono un po’ occupate”. Effettivamente, tra Romeo e il biglietto, non avrei saputo come ricambiare la stretta. Ci scambiammo un’occhiata complice e, dopo tanto tempo, sentii la risata calda di un uomo, e non quella umiliante di Nick che mi prendeva in giro.
- “Ti va di entrare a bere qualcosa?” gli chiesi di getto, sull‘onda dell’entusiasmo.
- “Perché no? Sei la prima persona che conosco qui a Londra, a parte il tuo gatto, s’intende”. Mi si avvicino e cominciò ad accarezzare Romeo, fissandomi dritto negli occhi.
Erano talmente scuri che non riuscivo a distinguere i contorni della pupilla, che formava un tutt’uno con l’iride. Lo invitai ad entrare soprattutto per uscire da quella situazione d’imbarazzo.
- “Fai pure come se fossi a casa tua. Romeo, smettila di grattare sulla porta!” ammonii il mio micione che, offeso, se ne andò sul tappeto, davanti al caminetto spento.
- “Romeo? Sei un’amante di Shakespeare?” mi chiese Will curioso.
Arrossii preventivamente per la risposta che avrei dato.
- “Ehm… veramente no. Cioè, sì, mi piace Shakespeare - Sam, ti stai incartando da sola -, ma non è per quello che l’ho chiamato così. E’ per via del bambino di cui ero innamorata alle elementari”. E ora mi sotterrerò.
- “Dici sul serio?”. Dì di no, dì di no.
- “Ebbene sì. E’ stato l’unico fidanzato che non mi abbia deluso e, quindi, l’ho voluto onorare in qualche modo”. Patetica. Ridemmo entrambi.
- “Capisco. Posso avere quel drink che mi hai promesso?” mi chiese con un sorriso appena accennato.
Mi alzai velocemente dal divano, dov’ero seduta accanto a lui, diretta in cucina.
- “Certo, cosa bevi?”.
- “Del vino magari. Rosso, se ce l’hai”.
Ringraziai mio padre e la sua passione per le enoteche. Ogni volta che andava all’estero con mia madre, mi portava delle bottiglie che io, in realtà, non bevevo mai e che lasciavo godere agli amici durante le serate di festa. Preparai due calici e vi versai del vino francese di cui non sapevo nulla. Stavo per portarli in salotto, quando il campanello suonò. Guardai l’orologio: erano ormai quasi le ventitré, chi poteva cercarmi a quell’ora? 
Appoggiai uno dei calici sul mobile della sala e passai dietro al divano su cui Will era seduto e da dove mi seguì con lo sguardo fino alla porta. Dallo spioncino vidi la sua faccia: Nick. Ma come faceva a sapere dove abitavo? Doveva aver analizzato bene la mia borsa. Cavolo, no! Proprio stasera no! Vattene via! Sam, ignoralo, fingi di non essere a casa. Certo, Will penserà che sei un po’ strana, ma sarà sempre meglio della figura che ti farà fare quell’altro se lo fai entrare.
Rimasi nell’incertezza su come procedere per alcuni secondi, che risultarono essermi fatali.
- “Sammy, aprimi. Vedo la luce da sotto la porta”. 
Non osai voltarmi per vedere la faccia di Will.
- “Sammy, se non mi apri, citofono a tutti i tuoi vicini e racconto della nostra scom…”.
Spalancai la porta in mezzo secondo, salvo poi richiuderla quasi del tutto, infilandovi dentro soltanto la testa. Non volevo che vedesse che ero con un uomo.
- “… messa” terminò.
Sorrise a trentadue denti e io mi resi conto che, con lui, mi bastava davvero poco per farmi uscire dai gangheri.
- “Beh? Non mi inviti ad entrare?” chiese sorpreso.
- “Prima di tutto abbassa la voce, secondo non mi sembra il caso” bisbigliai. Lui alzò la testa per guardare dietro di me e io cercai in tutti i modi di impedirglielo, alzandomi sulle punte dei piedi per disturbargli la visuale. Sam, pensi di sopperire ai venti centimetri della differenza di altezza così? Non avrei dovuto togliermi le scarpe.
- “Hai compagnia?”. Dio, quant’era noiosa la sua espressione maliziosa. Per di più, aveva alzato la voce, in modo da farsi sentire anche da chi, eventualmente, fosse stato nel mio salotto. Cogliendomi alla sprovvista, spalancò la porta con facilità ed entrò in casa, togliendomi dalle mani anche il calice di vino che avevo preparato per me e Will.
- “Nick, non… ” m’interruppi perché sapevo che tanto non mi stava nemmeno ascoltando.
Prese dal mobile anche il secondo bicchiere e lo tese al mio ospite.
- “Gra-grazie” disse Will confuso.
Si presentarono e per l’ora successiva non tacquero nemmeno per un minuto. Sembravano vecchi amici che non si vedevano da parecchio tempo e che, pertanto, avevano un sacco di cose di cui parlare. Ed io, non rientravano in quel sacco.
Nel frattempo, feci una lavatrice, spolverai camera mia, cambiai la lettiera di Romeo, gli diedi da mangiare e preparai la lista della spesa. Mi chiamarono solo una volta e fu per chiedermi di portar loro la bottiglia di vino che avevo stappato. Dopo di che, continuarono a sghignazzare, e a ignorarmi, per il resto della serata. Meno male che ero stanca, perché, altrimenti, li avrei sbranati.
Maleducaticafonichenonsietealtro!
Ad un certo punto, però, intercettai uno stralcio di conversazione che mi interessò parecchio, visto che il punto focale dell’argomento ero io. Spensi la luce del corridoio in cui stavo transitando per evitare che mi vedessero. Era Nick che parlava.
- “… perciò ci conosciamo da molto tempo e posso dirti che credo che sia lesbica. - Eh? Non c’era nemmeno una parola vera in tutta la frase! - Sai, per non essere ancora venuta con a letto con me, questa è l’unica spiegazione”.
Sentii i due cretini ridere come degli adolescenti, e ringraziai tutti gli dei dell’olimpo per non aver sbagliato a darmi organo genitale al momento della nascita: la patata batte il pisello su ogni fronte, diceva sempre Lily e non c’era legge né dell’uomo né della natura che potesse provare il contrario.
- “A me sembra una brava ragazza” disse Will e lo ringraziai per il tentativo di difesa.
- “Nah, non mi convince per niente. Fa tanto la gattina timida, ma, credimi, quando vuole, tira fuori gli artigli”. Non seppi come interpretare quella frase; però, decisi che, tutto sommato, fosse veritiera: riservata in generale, aggressiva all’occorrenza.
- “Non mi sembra una cosa negativa”. Will, vuoi sposarmi?
- “Io le preferisco quando sanno graffiare solo tra le lenzuola”. Ma quest’uomo non conosce un altro argomento?
Risero entrambi in modo sguaiato. Che tristezza.
- “Accidenti, è tardissimo. Sarà meglio che vada a dormire, domani è il mio primo giorno qui e non vorrei fare subito una brutta impressione. Ti saluto, Nick, grazie della serata”.
- “Quando vuoi, Will”. Il bacino della buona notte non ve lo date?
- “Sam?”. Qualcuno si era ricordato di me. Assunsi un’aria disinvolta, mi sistemai un po’ i capelli e tornai nel soggiorno, sorridente e frizzante.
- “Sì?”.
- “Volevo ringraziarti per l’ospitalità e scusarmi per essere stato così poco con te; - si era avvicinato a me, dribblando le gambe di Nick-  mi farò perdonare, promesso”. Mi strizzò l’occhio e io lo accompagnai alla porta.
- “Buonanotte” dissi e lui mi stampò un bacio sulla guancia.
- “Notte, Sam”. Scomparve dietro la porta, lasciandomi un’espressione da ebete sul viso. Rientrai in casa mia ed immediatamente la faccia dell’unico ospite che restava mi fece venire il voltastomaco. Aveva appoggiato un braccio sullo schienale del divano e mi fissava con aria divertita.
- “Cos’è questa storia della lesbica?” gli chiesi con le braccia conserte sul petto.
Lui scosse la testa e in un baleno mi fu davanti. Non gli permisi, comunque, di parlare.
- “E in che modalità sono ora? Gattina calma e tranquilla o pantera che graffia?”.
- “Tu parli troppo, Sammy. E origli ancora di più”. Si fece ancora più vicino, facendomi indietreggiare fino ad avere le spalle contro il muro. Il mio cuore si fermò per alcuni secondi. Le mie narici erano inondate dal suo profumo, così forte da farmi perdere la concentrazione. Recuperai un briciolo di lucidità e lo spinsi indietro con chissà quale forza.
- “Perché sei venuto qui?” gli chiesi.
- “Mi hai cercato tu oggi”. Già, cavolo, la proroga!
- “E’ per la scommessa. Vedi, ci sareb… ”.
La sua voce sovrastò la mia.
- “Smettila di blaterare, Sammy. Oggi dev’essere il tuo giorno fortunato. Devo stare fuori città per un po’ di tempo”.
Non riuscii a trattenere una risata.
- “Cosa c’è? Un corso di aggiornamento su come migliorare la tecnica di ancheggiamento?”. 
- “Smettila” mi rispose.
- “Di fare cosa?” non riuscivo proprio a capire dove volesse andare a parare.
- “Di sottovalutarmi, Sammy”.
- “Era solo una battuta, Nick. Non volevo ferire il tuo orgoglio da macho, sono sicura che vali molto” dissi sarcastica. Permaloso.
- “Perché non lasci che ti provi il mio valore… ” mi spinse nuovamente nell’angolo, stavolta senza possibilità di fuga.
- “Non sono interessata a te da quel punto di vista”. Non avevo appena ammesso di essere interessata a lui in un qualunque modo, vero?
Sperai invano che gli fosse sfuggito questo passaggio.
- “E allora da che punto di vista?”. Dannazione, ora che mi invento??D
- “Beh, non lo so… - la mia indecisione lo divertiva - come, co-come amico”. Oddio mio, fa che questo momento finisca con me che piombo nelle cavità infinite della Terra per non riaffiorare mai più.
- “Amico?! Non sono abituato ad essere amico delle donne. Sono sempre tentate a chiedermi qualcosa di più”.
- “Presuntuoso”.
- “E’ la verità. - si difese - E vedrai che tra non molto anche tu pretenderai qualcosa di più da me”.
Sam, parti a raffica con delle domande e vedrai che non baderai più al fatto che Nick sia così vicino. Cambiai completamente argomento all’improvviso e questo sembrò spiazzarlo.
- “Dove vai?” chiesi. 
- “Come sei curiosa… ”. Il suo sguardo mi stava facendo arrossire.
- “Quando torni?”.
- “Non lo so ancora”.
- “E’ impossibile che tu non lo sappia.”
- “Dipende”. Rispondi!
- “Da cosa?”.
- “Quante domande, Sammy. Cos’è, un terzo grado?”.
- “Sto solo curando i miei interessi. Per la scommessa, intendo”. Balle, balle, balle.
Non so più da quanto stessi trattenendo il respiro, rinchiusa dal muro alle mie spalle e dalle sue braccia forti ai lati. Mi era del tutto impossibile riuscire a rilassarmi. Mi stampò un bacio sulla guancia, nello stesso punto in cui me lo aveva dato Will. Per un attimo sperai che si spostasse sulla mia bocca, che non indugiasse oltre, che mettesse fine a quell’attesa snervante. Ma lui si allontanò, piano piano, facendomi vergognare del pensiero molto poco casto che avevo fatto su di lui.
- “Comincia a vivere davvero in mia assenza. Buona notte Sammy, so che ti mancherò”.
Si richiuse la porta dietro le spalle, lasciandomi sola con il mio profondo senso d’insoddisfazione e d’imbarazzo. Lo conoscevo da appena un paio di giorni ed era già stato in grado di farmi provare un turbine di emozioni diverse, in mille sfaccettature. Mi lanciai sul divano e invitai Romeo ad accoccolarsi sulle mie gambe, giusto per trovare un po’ di contatto umano. Umano-felino più che altro.
E di nuovo il campanello. E’ tornato?
Spostai il gatto sul tappeto ed andai, speranzosa, a vedere chi c’era dietro l’uscio di casa.
- “Will?” esclamai sorpresa.
- “Se n’è andato?” mi chiese, spiando in tutti gli angoli della casa. Annuii. Mi spinse contro la porta e mi baciò con trasporto, facendomi barcollare indietro. All’inizio, credo che i miei occhi fossero sbarrati, ma alla fine decisi di partecipare attivamente, giusto quando lui pensò bene che lo scambio di effusioni potesse finire.
- “Era tutta sera che volevo farlo. Poi è arrivato Nick e rovinato tutto. Buona notte, Sam”. Rientrò nell’appartamento del signor Hansen senza che io spiccicassi parola.
E’ una congiura! Era destino che io rimanessi con l’ormone in subbuglio sola come un cane. O, meglio, sola con un gatto.
Quanto aveva ragione Shakespeare: Romeo, perché sei tu Romeo! Non un bel micione nero, ma un uomo, di carne.
Mi feci una doccia per smaltire la tensione, soprattutto sessuale, accumulata durante la giornata e nel giro degli ultimi dieci minuti e aprii le finestre: l’aria era impregnata di feromoni e di testosterone, praticamente veleno per una che non batteva chiodo da un numero indefinito di mesi.
Mi lanciai sul letto e presi il biglietto che il signor Hansen mi aveva scritto:


Cara Samantha,
Mi spiace molto non essere riuscito a salutare né te né Romeo, ma ho                               
deciso all’improvviso di partire per Portland per stare un po’ con mia   
figlia e i miei nipoti, sfruttando il fatto che a Will servisse un punto di 
appoggio a Londra. Se hai ricevuto questo biglietto, significa che lo hai 
conosciuto.                              
Spero si sia comportato bene e che tu possa dargli delle dritte e delle 
istruzioni per muoversi in città. A presto! F. J. Hansen.

Bene, pure i vecchietti vedovi mi evitavano come la peste! Non solo Nick e Will, ma pure il mio vicino settantenne scappava dalla sottoscritta. Mi addormentai solo mezzora più tardi, quando finalmente le voglie cessarono e Romeo si appollaiò, come al solito, sulla trapunta. Non ero nelle migliori condizioni psicofisiche per intavolare una discussione, per di più con un gatto. Perciò lo lasciai fare senza obiezioni e, anzi, gli feci anche una dose extra di coccole, visto che mi sentivo sola e lui c’era sempre.
 
I giorni e le due settimane successive procedettero veloci, tra il matrimonio di Val, dove mi concedetti solo un bicchiere di champagne per il brindisi, onde evitare ulteriori grattacapi e la visita dei miei. Ogni volta che venivano a Londra mi costringevano a fare loro da cicerone per musei, palazzi e monumenti finché non tornavamo a casa mia completamente distrutti dalla fatica di aver scorrazzato per tutta la città. British Museum, National Gallery, il cambio della guardia a Buckingham Palace, Big Ben e l’Abbazia di Westminster erano le tappe obbligatorie che non si volevano mai far mancare. La gita finiva poi sempre con mia madre in lacrime per il fatto di dover lasciare la sua bambina da sola in una città tanto grande. Era da molto che non ero più una bimba e se solo lei avesse saputo di quello che mi ero preposta di fare con la scommessa fatta con Nick, le sarebbero diventati i capelli grigi in un istante e le sarebbe preso un colpo. Mi avevano cresciuto come la più tradizionale delle famiglie e, di certo, non sarebbero stati fieri della piega che stavo prendendo.
Nel frattempo la mia vita affettiva aveva subito dei cambiamenti; Will era diventato una costante delle mie serate libere, dal momento che trascorrere del tempo con lui era estremamente piacevole; alternavamo serate con gli amici a tete-à-tete privati, con la convinzione che non sarebbe stata la Storia della nostra vita, quella con la S maiuscola, ma solo un’avventura di un paio di mesi, destinata a finire in coincidenza col suo ritorno a Portland. Ci divertivamo. E molto anche.
Nick era sparito, in quel periodo, mi sarei dimenticata del tutto di lui - no, non credo proprio, Sam -, se non avessi avuto il chiodo fisso della scommessa. La verità era che non avevo idea di quando sarebbe tornato e, per quanto ne sapessi, sarebbe potuto comparire davanti alla mia porta in qualsiasi istante.
Aspettai con ansia che arrivasse il martedì in cui avrei conosciuto Ralph J; aveva fama di essere un latin lover, di passare di fiore in fiore, e ciò mi sembrava semplicemente perfetto. Bello da vedere, spregiudicato e, soprattutto, senza complicazioni. Una notte e via. Senza pensieri, in perfetto stile Akuna Matata
Will non costituiva un problema; non eravamo esclusivi e ciascuno era libero di vivere la propria vita come meglio credeva. Era la prima volta che avevo una relazione così aperta con un uomo e, talvolta, mi capitava di credere che forse Nick avesse davvero ragione a dirmi che dovevo smetterla di prendermi così sul serio. Ero sempre stata troppo condizionata dal giudizio della gente ed era arrivato il momento di godermi appieno la vita, senza riflettere troppo sulle conseguenze.
La trasformazione in Sam l’arrapata sobria era già in corso e io manco me n’ero accorta.
Ad essere sincera, la cosa non è che mi convincesse molto; sesso libero, niente legami, relazioni aperte… forse non erano roba per me. Ma tanto valeva tentare, almeno con uno, cioè Ralph. 
Le parole che Nick mi aveva detto prima di partire mi si erano scolpite nella mente: Sammy comincia a vivere davvero.
Perciò, quel martedì mi agghindai come se stessi andando alla cerimonia dell’Oscar e mi promisi che avrei dato il cento percento di me stessa per superare i confini mentali che mi ero autoimposta.
Okay, forse non proprio tutta me, ma almeno la parte a sud dell’addome, quella di sicuro. 
 
Let me live, oh baby 
And make a brand new start.

 
 
 
 
E’ ufficiale:non ve lo dirò mai il significato del titolo! Scherzo :D è solo che avevo un’idea iniziale, ma questa settimana, studiando diritto costituzionale ho avuto una folgorazione e ho deciso di cambiare il motivo che sta dietro al titolo. Perciò non farò più promesse e vi dico soltanto che a tempo debito tutto quanto sarà svelato!
Tra poco inizia la sessione d’esami, ma cercherò in tutti i modi di mantenere costante l’aggiornamento, cioè almeno una volta a settimana; sono una lettrice anche io e so perfettamente quant’è snervante l’attesa di un capitolo e quant’è odioso quando non aggiornano! Quindi PROMETTO (e stavolta sul serio) che ci sarà sempre un aggiornamento a settimana.
Il titolo è ripreso dalla canzone omonima dei Queen.
Piccola parentesi; in questo capitolo ci sono due riferimenti ad un telefilm che a me piace molto e che, quindi ho voluto omaggiare: “Life Unexpected”. I riferimenti sono al nome della radio, K-100 e al fatto che Will sia di Portland. 
Come al solito, vi lascio con dei ringraziamenti banali per le recensioni e le visite.
A presto!
HappyCloud
 
Emily Doyle: Povera Sam…anzi, mica tanto povera!Si divertirà parecchio d’ora in poi :D
 
SunshinePol: Ma che babbea? C’ho impiegato un sacco a trovare il titolo, eh!
 
Aryanne: Sono contenta che ti sia piaciuto e spero che la cosa si estenda anche a questo capitolo! baci
 
Rose in Winter: Anche questa settimana tempo rubatissimo allo studio! Ma se non ho passato l’esame di oggi, sarai TU il mio capro espiatorio!! Tu mi induci in tentazione! Ahhahha baci
 
Wingedangel: Parliamoci chiaro… chi non la darebbe una botarella a Nick?! Ma pure a Will, direi… mettiamoci in coda!Aloha!
 
Visto che questo capitolo non mi soddisfa totalmente, spero di riuscire a postarne uno migliore entro la fine del weekend!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Sex And The Bici. ***


Capitolo quattro. Sex And The Bici.

 Il club in cui Ralph J si stava per esibire era gremito di ragazzine urlanti e giovanotti dall’aria poco raccomandabile che sembravano appena usciti da una rissa. Indossavano pantaloni larghissimi con il cavallo che arrivava all’altezza delle ginocchia, delle felpe enormi con il cappuccio e dei cappelli con la tesa completamente piatta. Le femmine invece avevano delle micro magliette che lasciavano scoperto l’ombelico e dei pantaloncini inguinali.
Sam, ma dove cavolo sei capitata, sul set di 8 mile o di Step Up?
Mi sentivo un pesce fuor d’acqua per il mio abbigliamento, così diverso da quello di chiunque si trovasse nella sala. Forse non era stata una grande idea mettere un miniabito blu elettrico con le paillettes e un paio di tacchi alti per assistere al concerto di un rapper. Per fortuna avevo il pass da giornalista per il back stage e quindi mi ci infilai alla velocità della luce, insieme ad altre due colleghe che non capii per che giornali lavorassero.
Provai e riprovai a convincere la guardia del corpo personale di Ralph a farmelo incontrare qualche minuto prima dell’esibizione, ma tutto quello che ottenni fu un Gira i tacchi, nanetta, da parte di quell’omone di colore grande e grosso. Fu un fatto del tutto fortuito il calcio che gli rifilai nello stinco, proprio con quei tacchi su cui mi aveva ordinato di girare.
- “Nanetta sarà tua sorella!”.
 Sentendo le urla del bodyguard che inveiva contro di me, avevo però attirato l’attenzione di Ralph che stava giusto uscendo dal suo camerino, pronto a salire sul palco.
- “Ehi, tu, che succede?”. Cercai di ricompormi alla bell’e meglio per eliminare la faccia da vendicatrice della notte che avevo assunto e mi presentai.
- “Ciao Ralph. Sam Grayson di Music Magazine”. Gli tesi la mano e lui me la strinse.
- “Hai qualche problema con Bob?” mi chiese indicando l’uomo che avevo appena colpito. Guardai l’uomo disinteressata e mi riconcentrai sul mio cantante.
Sam, di' qualcosa 'da ghetto'!
- “Veramente no. Solo che non sopporto la gente che mi da ordini”. Non male, Sam. Rise e mi diede appuntamento a dopo il concerto, nel backstage, dove forse avremmo bevuto qualcosa insieme.
Forse? Dobbiamo fare sesso, mica perderci in questi cavilli, Ralph!
Seguii di malavoglia tutta la performance e iniziai a dubitare delle capacità uditive dei cittadini europei: se quello era cantare, lo avrebbe potuto fare pure anche Romeo!
Finalmente, dopo due ore e tre quarti lo straziò terminò e io iniziai a prepararmi per quanto sarebbe potuto, anzi dovuto, succedere. Ci incontrammo davanti alla porta del suo camerino e lui mi invitò ad entrare, offrendomi una bottiglia costosissima di champagne. Ero indecisa se accettare o no: Sam, se non bevi potresti non trovare il coraggio di fare quello per cui sei venuta; se bevi, però, potresti perdere il controllo della situazione. Ergo, via di mezzo.
Decisi che un solo bicchiere non potesse nuocermi più di tanto e, perciò, accettai.
- “Quindi, Sam Grayson, facciamo subito l’intervista in modo tale che possiamo dedicarci a qualcosa di più piacevole”. Sorrisi imbarazzata ma lo ringrazia mentalmente; non c’erano dubbi che la sua sfacciataggine fosse senza eguali, ma questo mi avrebbe permesso di evitare un sacco di facce sensuali da adescatrice che proprio non mi si addicevano.
Presi il registratore che tenevo sempre in borsa e lo tenni acceso finché non ebbi finito di fargli le prime, stupide domande che mi vennero in mente; in fondo, l’articolo l’avrei dovuto scrivere e, se non altro, non mi ero sorbita il concerto per nulla.
- “Ecco, direi che può bastare” gli dissi, una volta terminata la riserva di richieste d’informazioni che mi servivano per il pezzo su MM.
- “Bene. Parliamo d’altro, allora. Ti piacerebbe fare un giro sul mio giocattolo?”. Prego? Sgranai gli occhi, incapace di produrre una risposta e lui si mise a ridere.
- “Scusa, non pensare male: intendevo la mia auto. Sai è una Ferrari modello…”. Bla bla bla. Continuò a parlare mentre io potevo vedere solo le sue labbra muoversi, visto che non ci avevo mai capito un’acca di auto.
- “… allora ti va?” concluse.
Cacchio, Sam. Inizia a pregare che ti porti a casa perché, okay, non hai mai visto da vicino una macchina del genere, ma a occhio e croce non sembra molto comoda per fare sesso.
- “D’accordo”. Mi indicò la strada con un braccio e uscimmo da una porta sul retro, giusto per evitare quell’orda di paparazzi che stazionava di fronte all’entrata principale. Una voce ci raggiunse dall'interno del club.
- “Ehi, Ralph! - ci girammo entrambi verso l’omone che ci stava seguendo. Di nuovo il bodyguard - dove stai andando? Hanno organizzato una festa per te nel privé”.
- “Lascia perdere, Bob. Ho trovato di meglio da fare” rispose lanciandomi un’occhiata sorridente, seguito a ruota dall’altro che, però, mi squadrò da capo a piedi.
- “Sei sicuro?” domandò.
Ma guarda te questo! Sono un gran pezzo di figliola io, eh!
Ralph annuii e si voltò per aprire l’auto. In una frazione di secondo, mi girai verso la guardia del corpo e gli rifilai una linguaccia degna di un moccioso dell’asilo che gli fece peggiorare l‘opinione già scarsa che aveva su di me. Molto maturo.
Salii sulla Ferrari e, contemporaneamente, mi salii l’ansia.
Sam, siamo giunte al punto di non ritorno; potrebbe essere pericoloso andare in macchina con uno sconosciuto. Però, hai lo spray al pepe e al massimo lo denunci, gli fai fare una figura di merda sui giornali e ti prendi un risarcimento milionario. Il gioco valeva la candela.
Fu il viaggio più breve della mia vita e, in men che non si dica, mi ritrovai sul divano bianco ad angolo della sua immensa casa. Era diversa da come me l’ero prefigurata: colori caldi alle pareti, quadri d’arte moderna, arredamento curato, tende in tinta con l’atmosfera di tranquillità che regnava sovrana su tutto l’appartamento.
Non riuscii a trattenermi.
- “Scusa ma dove sono i graffiti sui muri, il disordine, i vestiti per terra, le macchie sui tappeti?”. La domanda sembrava più intelligente quando era soltanto nella mia testa, ma io mi ero immaginata la roulotte sfasciata della madre di Eminem e invece mi ero ritrovata a casa de Il  Principe di Bel Air.
Arrossii per quanto avevo detto; dovevo essergli parsa piuttosto limitata a livello cerebrale. E meno male che mi ero risparmiata la parte delle prostitute in mutande in giro per le stanze! Colpa di Chuck Bass e delle sue strane abitudini che ora mi facevano pensar male dei ricconi.
Lui ridacchiò e, porgendomi un bicchiere di vino, si accomodò di fianco a me.
- “E’ solo una maschera. Sono un tipo normale, tranne che per il mio charme sopra la media, s’intende. Faccio il duro solo per mestiere”.
Speriamo che qualcosa di duro ci sia anche nella tua vita privata, Ralph, altrimenti le cose si complicano. Oddio, stavo iniziando a parlare come Nick.
- “Capisco. Scusa per il commento idiota”.
- “Non ti preoccupare, è un pensiero di molti, piccola. - mi rispose, con garbo e un briciolo di presunzione - Magari un giorno il mondo conoscerà il vero Ralph”.
Finii in un sorso tutto il vino - dovevo farmi coraggio - e gli tolsi dalle mani il bicchiere, appoggiando entrambi i calici sul tavolino di fronte al divano.
Ora o mai più.
- “Perché non lo mostri, solo a me e solo per stasera?”.
Mi avvicinai a lui e baciai un Ralph decisamente sorpreso dalla mia iniziativa. Non si tirò indietro e, anzi, mi indusse a mettermi cavalcioni su di lui che era seduto, appoggiato allo schienale.
Speriamo non mi si rompa il vestito, con tutto quello che l’ho pagato!
Gli tolsi la maglietta, mentre lui, con dei gesti attenti e veloci, mi tolse il miniabito da sopra, lasciandomi in intimo e ponendo fine alla mia preoccupazione sulle sorti del mio vestiario: era sano e salvo sulla poltrona.
Sei mezza nuda in braccio ad uno sconosciuto e ti preoccupi del vestito? Di sicuro c’è qualcosa che non va in te.
Forse i miei pensieri avevano tanto spazio perché, in fondo, questo rapper non è che fosse così coinvolgente, anche ad un passo dall’amplesso. Non come Nick, o Will, che con un semplice bacio sulla guancia mi avevano dato un’emozione più forte di quella che stavo vivendo con Ralph.
Dio che squallida, Sam! Stai per farlo con uno e ti metti a fantasticare su un altro. Peggio, su due. Cavolo, la mia mente è più pervertita del mio corpo!
Tornai a concentrarmi su quanto stava accadendo nella realtà del momento. Ralph mi aveva sollevato dal divano, le mie gambe allacciate dietro la schiena, diretto, presumibilmente, in camera da letto. Acciuffai la mia borsa con la mano: la macchina fotografica era lì dentro e mi sarebbe servita come prova per la scommessa.
Mi depositò con foga sul letto, liberandosi velocemente dei jeans e, in un atto, mi fu sopra. Nonostante tutto, era un bel vedere: un fascio di muscoli a cui i vestiti larghi e sbrindellati non rendevano giustizia.
Certo, i suoi baci non erano un granché, ma di sicuro sapeva cosa piaceva ad una donna. Le sue mani e la sua bocca erano incontrollabili, spaziavano in ogni mio minimo pezzetto di pelle e aumentavano la voglia che si era insinuata nel mio corpo di sentirlo dentro di me.
Mi rendevo conto che si trattava solo di sesso, del nulla più completo, lontanissimo persino da quel poco che c’era con Will, con il quale almeno c’era un affetto di base. E, seppur con tristezza, mi trovai a constatare che, per ora, mi accontentavo anche di quello. Non ricordavo nemmeno più da l’ultima volta in cui un uomo mi aveva fatta sentire al centro dell’attenzione, soprattutto a letto. Erano tutti troppo occupati a pensare a loro stessi, a raggiungere il piacere anche da soli, e in fretta, dimenticando di avere una partner. Anche il mio bel vicino, mio malgrado, aveva un’indole egoista, mentre Ralph… Ralph era esattamente ed inspiegabilmente l’opposto di tutto ciò. Era dedito al mio piacere e sembrava conoscere il mio corpo da sempre e meglio di me; non mi considerava solo un tramite per giungere all’orgasmo.
Quella notte lo facemmo tre volte e ogni volta fu diversa, se non per il fatto che la situazione rimase sempre nelle sue mani, in tutti i sensi. Dovetti approfittare di un momento di break in cui era andato in bagno, per trarre dalla borsa la macchina fotografica, togliere il flash e metterla sotto il cuscino, nella speranza di trovare l’attimo propizio per scattare quella maledettissima foto.
L’istante perfetto fu quando, tra il secondo e il terzo round, lui si spostò di lato, e si posizionò sopra di me, sovrastandomi con il suo corpo. Aspettai che indugiasse sul mio collo per tirare fuori la macchina fotografica e scattai una foto di lato, nella speranza che lui non si accorgesse del clic.
- “Cos’è stato?”. Si staccò da me, confuso ed eccitato per quanto stava per avvenire. Ancora.
- “Cos’ è stato cosa?”. Fare la gnorri is the way, mi dissi.
- “Mi è sembrato di sentire qualcosa”. Capii di dovermi inventare qualcosa, e anche in fretta, perché altrimenti si sarebbe alzato dal letto alla ricerca del rumore perduto.
Lo afferrai per la canottiera grigia che aveva indossato per andare alla toilette qualche minuto prima e lo attirai verso di me.
- “Poche chiacchiere, Ralph. Non sono venuta qua per parlare”. Accidenti, avevo convinto persino me stessa!
Lui ricominciò ad occuparsi in esclusiva di me e io non potei non esserne contenta.
- “Mi piacciono le donne decise”. S’intrufolò tra le mie gambe con le mani e ricominciò da dove aveva interrotto un lento rituale di corteggiamento delle mie parti intime.
Tutto il resto fu un turbine di nome Ralph che imperversava con la lingua nella mia bocca, sul mio seno e sulla mia pelle.
Quando, però, s’insinuò come una furia dentro di me, ebbi un sussulto. Una proiezione della mia vita nel futuro: no!, non volevo finire come la mia omonima di Sex and The City ad avere rapporti instabili con chiunque sul pianeta, per poi ritrovarsi a cinquant’anni a stare con tutti e con nessuno. Non era un caso se non mi erano mai piaciuti né il telefilm né i film. Insomma, quattro quarantenni arrapate in cerca di un uomo. E che uomini: Big, Harry e Steve non erano esattamente il mio prototipo di compagno, sexy, della vita. Ma su Smith, un pensierino…
Sam, sai qual è l’unica differenza tra te e loro? Vent’anni in meno, mia cara. Solo questo.
- “Oh Santo Dio!” esclamai con gli occhi sbarrati.
- “Anche a me è piaciuto, Sam” disse con aria compiaciuta. Lasciai che il suo ego pensasse che il mio commento fosse riferito alla sua prestazione, anche perché, tranne la terza volta in cui mi ero persa nei miei ragionamenti e non mi ero accorta che lui stava continuando con ritmo regolare l’amplesso, se l’era cavata piuttosto bene.
- “Già. Sono distrutta, ora. Ti scoccia se dormo qui?” gli chiesi sperando che mi rispondesse di no, visto che non avrei avuto la forza di alzarmi, svegliarmi e chiamare un taxi per tornare a casa.
- “Resta pure quanto vuoi. Vado a farmi una doccia; ti unisci a me?”. Samantha Jones.
- “No! - risposi impulsiva. Ralph mi guardo sorpreso e io inventai al volo una scusa da manuale - No, ho bisogno di una tregua. Sai, vorrei saper camminare domani”.
Lui ridacchiò, orgoglioso del lavoro fatto, e mi indicò un secondo bagno in cui avrei trovato anche degli asciugamani puliti. Lasciai che lui se ne andasse per primo, dal momento che doveva scattare la seconda parte del piano: il ratto dei boxer. Frugai tra le lenzuola e li trovai cacciati in fondo, sotto la coperta; li presi con l’indice e il pollice in un angolino - erano pur sempre mutande usate - e li infilai in un sacchetto di plastica che avevo messo in borsa. Notai solo l’etichetta: Ralph J. Dio, aveva persino i boxer personalizzati!
Gettai un occhiata per vedere se aveva intenzione di tornare, ma sentii il getto d’acqua della doccia cominciare a scorrere da dietro la porta in cui si era rifugiato. Lo avvertii perfino canticchiare una canzone nota; stetti ad ascoltare ancora un istante e realizzai che non era una delle sue melodie spacca timpani, ma era un motivo molto più dolce e malinconico. Cazzo! Nel momento stesso in cui realizzai che melodia fosse, non riuscii a trattenere un risolino idiota che si spiegava in due parole: Celine Dion. Se solo fossi stata un po’ più opportunista, e un po’ più stronza, lo avrei registrato e avrei mandato il video alla prima televisione interessata: praticamente avrei decretato la sua umiliazione di fronte al mondo intero. Ma Ralph in fondo mi piaceva e sapevo che la modalità da ragazzaccio di strada era attiva solo sul palco.
Perciò cercai di ignorare l’impulso di fare irruzione nel suo bagno per improvvisare un duetto e mi diressi verso la mia tanto agognata doccia, ballando sulle note della colonna sonora di Titanic.
La mia performance continuò anche sotto il potente dell’acqua, che, nella mia mente, rese ancora di più l’idea del transatlantico che affondava, speronato da un iceberg, nel mezzo di un gelido Oceano Atlantico che, nel mio caso, però, assomigliava molto più ai mari torridi dei Tropici.
Mi asciugai e finalmente mi infilai nel letto, dove c‘era già Ralph appisolato e diedi una sbirciatina all’orologio: le 4:05. Merda, la sveglia sarebbe suonata appena tre ore dopo.
- “Buona notte, Sam”, mi disse sottovoce.
- “Notte”. Lo sentii rotolarsi sul materasso e abbracciarmi da dietro. Lo lasciai fare, pensando che un po’ di calore umano avrebbe potuto riempire il vuoto che sentivo ogni volta dopo aver fatto sesso. E, quella sera, ne avevo ben tre di vuoti.
 
- “Sam, spegni quella maledetta sveglia!”. Avevo la sensazione di avere appena chiuso le palpebre e già il mondo, e Val, pretendevano che mi alzassi per andare a lavoro. Per un attimo pensai di addurre con il mio capo la scusa che, essendo io nello stesso letto del soggetto del quale avrei dovuto scrivere, sarebbe stato molto più proficuo farmici rimanere. Ma poi pensai che sarebbe stato troppo difficoltoso spiegare il perché della mia presenza sotto le lenzuola di Ralph J e, così, cercai di raccogliere le energie per smuovere i muscoli delle gambe ed obbligarli a sorreggermi.
Nada de nada.
Sentii una sorta di singhiozzo provenire dal soggetto vicino a me e, pensando si trattasse di traveggole mattutine, non gli diedi peso e tornai a concentrarmi sulla necessità di muovere il culo fino all’ufficio.
- “Non andartene, ti prego”. Mi girai verso il mio partner e, solo in quel momento, notai le due zampogne che aveva al posto degli occhi, arrossati e gonfi.  Fu un istante di puro panico che mi fece destare completamente.
Che cavolo sta facendo?
Rimasi zitta per qualche minuto, ma la situazione non accennò a migliorare; al contrario, lui sembrò iniziare a piangere a dirotto, lasciandomi sgomenta e con la necessità di dire qualcosa di sensato. Era passato dalla durezza della prima frase circa lo squillo assillante della sveglia, all’isteria del mio possibile abbandono.
- “Dai Ralph, non fare così”.
Ma perché non vengo mai colpita da un fulmine in momenti come questi?
Si ricompose un po’ e poi mi disse:
- “A cosa stai pensando, Sam?”. No, un attimo. C’era qualcosa che non andava: dov’era finita la botta e via senza pensieri né conseguenze? Qualcuno durante la notte, nel sonno, aveva sottratto il mio Rocco Siffredi personale e lo aveva scambiato con una mezza tacca frignante. Oppure dovevano essersi invertiti i poli magnetici della Terra perché lui si stava comportando come una verginella illusa e usata ed io facevo l’uomo menefreghista che se ne vuole andare dopo una bella scopata.
Brava Sam, ora datti una bella frullata al pacco e sarai persino credibile nei panni del macho.
- “A niente, Ralph”. Non piangere, ti prego!
Lui mi guardò stupido e un po’ deluso.
- “Come a niente? Stanotte è stato bellissimo, non puoi essere rimasta indifferente”.
Il problema è che stanotte eri Casanova, stamattina hai la carica sessuale di un’ameba. Morta. Schiacciata da un camion e passata al tritatutto.
- “Sai, Ralph, è che sono molto confusa. E’ stato magnifico con te, ma non credo che ciò sia destinato a durare; hai la fama da latin lover - e io ammazzerò chi ha messo in giro questa voce -  ed io non so se posso sopportarlo. Sento che c’è una forte connessione tra me e te e non voglio che s’interrompa, modificando la situazione. Capisci?”. L’insegnante di recitazione del mio liceo avrebbe dovuto mangiarsi le mani per aver perso un elemento come me.
Mi guardò pensieroso e scosse la testa in modo deciso quando gli profilai l’ipotesi che le nostre strade potessero dividersi.
- “No, non posso permettere che il nostro amore si dissolva così, per colpa delle male lingue. Con te è diverso, lo so”. Tra tutte quelle che si portava a letto, proprio io dovevo fare la differenza? E poi ci conoscevano da trenta secondi e questo già mi parlava di sentimenti.
Appunto mentale: farlo conoscere a Katy. Il suo odio unito all’amore di Ralph si sarebbero compensati a vicenda e avrebbero dato un risultato sensazionale per tutti: tanta felicità per loro e Sam viene lasciata in pace!
- “Devo imparare a convivere le dicerie, ma sarà molto difficile riuscirci”.
Non capii perché, ma il suo viso assunse un‘aria felice.
- “Potresti venire ad abitare qui con me. Io e Bob ti terremmo completamente protetta dal mondo. E’ un’idea fantastica!”. No, no, no, no, no!
Volevo già sbolognarlo dopo una notte insieme, figurarsi a viverci insieme; e poi con quell’idiota antipatico del suo body-guard, per carità divina, manco morta.
Ero capitata nella peggiore delle telenovele sudamericane.
Scusa, Celine, tu hai cercato di avvertirmi e io non ti ho ascoltato.
- “No, tesoro, non credo sia una buona idea. - risposi mentre lui tornava ad assumere un broncio da ragazzino - Per capire se veramente possiamo stare insieme, dobbiamo stare lontani per un po’. Solo il tempo ci dirà se siamo fatti l’uno per l’altra; forse tra uno, due, vent’anni - facciamo mai? - ci rincontreremo e capiremo che è il momento per noi”.
Pensai che avrebbe ripreso a singhiozzare e invece il suo volto si illuminò.
- “Ho capito, Sam. Siamo come Giulietta e Romeo! When you wanna realise it was just that the time was wrong, Juliet?”. Non mi aveva appena cantato, stonato per giunta, un verso della canzone dei Dire Straits, vero?
Rimasi in silenzio e immobile, mentre lui mi correva incontro e mi abbracciava, stritolandomi, con un sorriso a trentadue denti.
- “Vai, Sam, vai a vivere la tua vita là fuori. Ci ritroveremo, vedrai amore”. Mi stampò un bacio a stampo sulla bocca e mi fece rivestire in fretta e furia per cacciarmi letteralmente fuori di casa.
- “Vai, dolce tesoro mio. A presto, amore!”. Mi sbatté la porta in faccia e io rimasi lì, come una babbea, maledicendomi per la mia uscita infelice sulla cazzata del rincontrarsi tra un po’.
Vai a quel paese, Sam, potevi almeno dirla una volta che ti aveva accompagnata a casa!
Scesi in strada, salutando il portiere del palazzo che mi squadrò neanche fossi una barbona. Feci in tempo a specchiarmi nella vetrata all’ingresso e notai, con mia profonda desolazione, che era già tanto se non mi aveva scambiato per una selvaggia, la sorella di Mowgli magari: i capelli scompigliati, i vestiti stropicciati, il viso pallido e struccato.
Per giunta non si fermò neanche un taxi - per via del mio aspetto da amica di Tarzan, immaginai - e quindi fui costretta a noleggiare una di quelle stupide biciclette che il sindaco Johnson aveva voluto in tutta la città. Non ce l’avrei mai fatta ad andare a casa a cambiarmi per poi recarmi in ufficio, ma non vedevo altre opzioni valide al di fuori del teletrasporto.
Cominciai a pedalare, attirando l’attenzione degli automobilisti sul mio fondoschiena che il miniabito non copriva totalmente. Cercai di non pensarci, anche perché erano anni che non usavo una bici ed ero un pochino arrugginita.
- “Ehi tu, bel sedere”. Mi girai furiosa pensando che solo un idiota potesse fare un commento del genere, visto il celeberrimo aplomb degli Inglesi.
- “Imbecille!” dissi, ma notai subito gli occhi color ghiaccio del maleducato che mi fissavano da un fuoristrada scuro. Era tornato, bello come sempre in una maglietta a maniche corte.
Vidi Nick ridere, mentre io rimanevo allibita a fissarlo, non curandomi di guardare la strada davanti a me. Lo vidi anche diventare serio e provare a dirmi qualcosa a parole e gesti, ma il clacson di un’auto gli coprì la voce e, a quel punto, successe l’inevitabile.
La mia bicicletta si schiantò contro un lampione a lato del marciapiede e io venni disarcionata come un sacco di patate sull’asfalto. Una signora cicciottella con un passeggino si fermò ad accertarsi delle mie condizioni; mi toccai la fronte con la mano e mi accorsi che le dita era sporche di sangue, ma constatai che non avevo niente di rotto, se non qualche graffio e ammaccatura qua e là. E il vestito.
No, il vestito no! Avrei potuto illudermi finché volevo, ma quello strappo sulla coscia destra c’era eccome e le paillettes sul cemento ne erano la prova.
- “Sta bene, signorina?” mi chiese la donna.
- “S-sì, grazie, tutto bene” risposi alzandomi a tentoni, afferrando la borsa che era rimasta incastrata nel cestino.
- “Non si preoccupi, ci penso io a lei, è una mia… amica”. Mi voltai verso Nick e vidi che aveva parcheggiato la macchina a una decina di metri dal luogo del misfatto. Brava, Sam, fagli fare pure la parte dell’eroe.
La signora se ne andò sorridendo e io la ringraziai nuovamente per essersi fermata a controllare.
Nick mi aiutò a mettermi in piedi - almeno le scarpe erano salve! - e mi condusse alla sua auto, per poi sistemare la bici, che per fortuna non aveva riportato danni, in uno degli appositi ganci. Tornò da me.
- “Harry Potter, - prese un fazzoletto di carta e me lo posizionò sulla fronte, tamponando la ferita - dove andavi di tutta fretta a quest’ora?”.
- “In ufficio. Sai, la gente normale ha un lavoro normale” dissi acida. In fondo, era colpa sua se avevo fatto un capitombolo di fronte all’universo.
- “Mi sa che il nostro mestiere non è tanto diverso dal tuo, se vai vestita in questo modo”. Come dargli torto, Sam.
- “E’ per quella stupida scommessa. Sono rimasta a dormire da Ralph J” esclamai con una punta di orgoglio, mentre lui metteva in moto la macchina e partiva.
- “Ralph J? Bel colpo, Sammy. O, almeno, spero lo sia stato”. Aprì la bocca in un ghigno malizioso e tutto ciò non fece altro che pungere il mio ego e stimolarlo, come al solito, ad averla vinta.
- “Lo è stato. Tutt’e tre le volte. - Nick non si scompose neanche dinnanzi al mio sorriso beffardo e continuò a guardare fisso la strada. Tirai fuori dalla mia borsa il sacchetto di plastica con dentro i boxer e glielo porsi - A proposito, questa è la prova”.
Lo afferrò un po’ disgustato e lo ispezionò dall'esterno. Chiedimelo, chiedimelo.
- “M-mm, interessante. Ma come faccio a sapere che effettivamente sono i suoi?”. Grazie, Nick.
- “Basterà dare un’occhiata all’etichetta. Sono personalizzati”, dissi raggiante e, anticipandolo, presi la macchina fotografica e gli mostrai la foto, senza nemmeno guardarla.
- “Uh, dev’essere proprio un grande amante, questo rapper, a giudicare dalla tua faccia da lontra arenata sulla spiaggia” mi rispose, serio. Osservai l’immagine e, cavolo!, aveva ragione: sembravo proprio un pesce lesso.
- “Non vuol dire nulla! - mi difesi, arrossendo vistosamente - E, comunque, io la mia parte l’ho fatta. Ora tocca a te. Ma, aspetta, forse ti sei sentito esonerato per il fatto che eri fuori città; se è così, sappi che ti sei sbagliato di grosso”. Sorrisi trionfante e mi godetti il panorama fuori dal finestrino.
Non disse nulla, ma accese la radio e alzò il volume, stringendo le mani al volante.
Ti ho zittito, finalmente.
Trascorremmo il resto del viaggio fino a casa mia in silenzio, io crogiolandomi nella mia convinzione di averlo messo al tappeto e lui senza mai distogliere lo sguardo dalle macchine davanti, guidando in modo sicuro e sportivo.
Accostò la macchina sotto il portone del mio condominio e mi rivolse un’occhiata fugace.
- “Beh, grazie del passaggio. Aspetto tuo notizie, allora”. Stronza fino al midollo.
Richiusi la portiera in fretta, non aspettando nemmeno che rispondesse, e presi l’ascensore fino al mio piano, il terzo. Davanti alla porta notai un piccolo pacchetto color avorio, sigillato con della ceralacca sulla quale era incisa una sola lettera: N.
Lo raccolsi la terra e notai che c’era anche un biglietto sotto.
 
Goditi la visione, Sammy. Ci sono due video perché, sai, ho trovato il tempo di divertirmi un po’ fuori città. Ah, Jamie e Candy Rowell ti hanno lasciato anche un autografo, oltre che i loro slip. N.
 
Jamie e Candy Rowell? Quelle due sorelle oche che agitavano il culo in tutti i loro video, trasmessi in tutte le televisioni, in tutte le nazioni del mondo?
Cazzo, quelle erano talmente famose che, in confronto, Ralph J sembrava un cantante da sagra della salsiccia.
Ennesima figura di merda con lui: mi aveva fatto blaterare a vanvera per poi rinfacciarmi tutto con quello stupido regalino recapitatomi a casa.
No, decisamente Samantha Grayson non sarebbe mai diventata Samantha Jones.
Perché no, Samantha Jones non si sarebbe mai fatta fregare ancora una volta come un pollo.
 
 
 
Sì, sono in ritardo! Ma mi giustificherò dicendo che mi sono portata avanti con i capitoli successivi e che ho in programma una performance artistica di Sam.
La canzone del titolo è “Sex And The City” dei Morgan‘s Project e aggiungerò che non era il titolo che avevo in mente, ma ho cambiato idea perché era un po’ TROPPO TROPPO TROPPO spinto.
Spero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio come sempre per averlo letto!
Alla prossima!
HappyCloud
 
SunshinePol: in attesa della tua storia e del crossover, ti ringrazio per la consultazione sul verbo prima al telefono! Baci cara!
 
Emily Doyle: Sam li incontra fighi sì, ma si è pure beccata un pacco come Ralph e ti assicuro che a quel punto se n’è andata tutta la fantasia :D un bacione
 
Windedangel: bacchettona fino ad un certo punto! Mi scuso per il ritardo di questa settimana e spero che non abbia minato ulteriormente la tua sanità mentale!! Ciao, baci!
 
Rose in Winter: buon pomeriggio, Satana. Non ti chiederò perché ti metti alle 3 di notte a leggere il capitolo, ma ti ringrazierò ugualmente! Mi auguro che il capitolo ti soddisfi e…povero Will! Ma vedrai che Nick ci riserverà un sacco di sorprese! Ciaooo

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Ballad Of The Girl In The Red Shoes. ***


Capitolo cinque. Ballad Of The Girl In Red Shoes.
 
- “Hai incrociato Voldemort stamattina?”. La voce di Valerie mi giunse chiara ed ironica da davanti la mia scrivania. Alzai il volto rassegnata dal computer dell’ufficio e me la trovai dinnanzi, con la solita chioma bionda fluente e uno splendido sorriso sul viso dorato dal sole.
Siete tutti sul libro paga di J.K. Rowling o è pubblicità gratuita?
- “Niente di magico, purtroppo. Solo uno spiacevole tete-à-tete con l’asfalto: sono caduta dalla bici” mi giustificai, notando la sua faccia stupita.
- “Okay, non ti chiederò cosa ci facevi tu su di una bicicletta. Comunque, come è andato il concerto di Ralph J?”.
Ti prego, non me lo nominare nemmeno quell’idiota mammone che è stato eletto all’unanimità dai miei nervi come capro espiatorio di tutti i mali.
- “Una noia mostruosa, dopo cinque minuti ho iniziato a capire perché nessuno volesse andarci” risposi sintetica.
Lei rise e mi ricordò che voleva l’articolo entro il primo pomeriggio, dal momento che il nuovo numero di Music Magazine sarebbe uscito, come di consueto, il terzo giorno del mese successivo.
- “Bene, sposina, ora raccontami del tuo viaggio di nozze alle Bahamas; possibilmente qualcosa di più dell’abbronzatura che mi stai sbattendo in faccia” le dissi con un briciolo d’invidia per via del mio colorito bianco cadaverico che cercavo sempre di celare col make-up.
- “E’ stato fantastico! Ma direi che il tutto è riassumibile in tre parole: mare, spiaggia e camera da letto!” esclamò raggiante.
- “Qualche dettaglio in più?” chiesi maliziosa.
- “Saprai tutto stasera, se accetti la mia proposta. Jonathan è a Manchester per un convegno medico e io sono sola soletta qui a Londra. -fece il broncio- Quindi mi stavo chiedendo se potessimo uscire noi donne”. Soltanto a sentire quel noi mi vennero i brividi, perché sapevo che ciò avrebbe significato che era inclusa anche Katy, oltre a Jade ed Amanda.
Una serata da passare guardandomi alle spalle, insomma.
Però mi mancavano le nostre chiacchierate ed ero davvero curiosa di saperne di più sulla luna di miele di fuoco di Val e, perciò, accettai l’intero pacchetto della serata a scatola chiusa. 
- “Ora che ho detto sì, mi dici cos’hai organizzato?” le domandai, un po’ preoccupata.
- “Non ci penso nemmeno a svelarti i miei piani!”. Mi piantò in asso, divorata dalla curiosità, e si diresse verso il suo ufficio urlandomi di farmi trovare a casa sua per le 8.30.
Fui occupata tutta la mattina con quel dannato articolo su Ralph; il mio commento, in generale, non fu molto positivo. La sua voce non era proprio gradevolissima accostata ad un microfono, ma gli concessi, qua e là nel testo, l’aggettivo dotato che, nella mia mente, nulla aveva a che fare con le sue qualità canore. Dopo averlo letto, riletto, controllato e ricontrollato per la centesima volta, lo lasciai alla segretaria di Valerie per le eventuali correzioni.
Era già ora di pranzo e, così, visto che avevo finito prima del previsto,decisi di tornare a casa, dove avrei completato l’altro pezzo che mi era stato assegnato: le due colonne sugli artisti locali per cui ero stata malamente beccata a dormire in ufficio.
Un grande vantaggio del lavorare nella redazione di MM era che c’era sempre un infinito viavai di persone tra giornalisti, freelance, fotografi, assistenti e segretarie varie e questo permetteva a tutti di sentirsi sempre liberi di sgattaiolare via a qualsiasi orario. Non c’era nemmeno bisogno di farlo di nascosto; ai capi poco importava dove uno scegliesse di stare, l’importante era consegnare un buon articolo e, soprattutto, in tempo.
Presi un taxi - preferivo di gran lunga quattro sicuri pneumatici alle due ruote instabili di una bicicletta - e mi fiondai sulle scale, l’unico allenamento giornaliero che consentivo al mio corpo. In cima all’ultima rampa, sentii la voce di Will che mi chiamava e che mi indusse a fermarmi sul mio pianerottolo.
- “Sam, Sam! Finalmente! Ieri sei sparita” mi disse senza il minimo accenno di fiatone, nonostante avesse dovuto macinare qualche decina di gradini di corsa per raggiungermi.
- “Sì, scusa, sono stata impegnata” gli risposi evasiva.
- “Capisco. - fece spallucce - Ti va di pranzare insieme?”.
Mi scostai svogliata i capelli dalla fronte.
- “Ho del lavoro da fare entro stasera”.
- “Dai, Sam, non farti pregare. - Se però mi sorridi così… - Ma che hai fatto alla fronte?” mi domandò, avvicinandosi e spostandomi la frangia. Indietreggiai e aprii la porta del mio appartamento.
- “Lunga storia, Will. Entra, su. E niente battute su Harry Potter, ti prego” lo ammonii.
Non appena arrivai in cucina, però, mi maledii.
Sam, prima di invitare qualcuno a mangiare a casa tua, dovresti fare in un giro in un certo posto: il supermercato, questo sconosciuto.
Aprii il frigorifero, piano piano, con lo stesso timore di un terremotato che deve verificare i danni che ha riportato la sua abitazione. Trattenni un urlo di gioia quando vidi che mia madre aveva lasciato la sua impronta: lasagne, arrosti, verdura, frutta e dolci.
Brava, mia vecchia Grace!
Lasciai che fosse Will a decidere il menu - meglio tenermi lontana dai fornelli - e mi rifugiai in camera mia, girando e rigirando il pacchetto di Nick tra le mani. Guardarlo o non guardarlo, questo era il mio problema. No, in realtà, il mio problema era che ero una curiosa patologica e morivo dalla voglia di sapere tutto quanto era successo nella sera passata con le due oche.
Possibile che non riuscissi mai a vincere con lui?! Avevo trascorso una notte - a mia detta - molto trasgressiva con un uomo attento, premuroso, e fa niente se poi si era rivelata una fregatura. Però lui, Nick, era riuscito a portarsi a letto due cantanti, sì talmente stupide da far concorrenza ad una capra, ma, purtroppo per me, conosciute tanto quanto Bill Gates.
Era davvero un peccato che certe doti - come la mia intelligenza, la mia arguzia o il mio intuito - soccombessero miseramente, tra le lenzuola, di fronte ad un paio - no, cavolo, due paia - di tette. Finte per giunta.
Mentre mi arrovellavo il cervello sul da farsi, Will fece irruzione.
- “Sam, dov’è il sale?”.
Cercai di mettere il dvd, i due schifosissimi slip e il biglietto sotto il cuscino del letto sul cui ero seduta a gambe incrociate - e che avrei poi disinfettato con l’acido muriatico - però, lui intercettò i miei movimenti maldestri.
- “E’ nel primo armadietto a destra” dissi nel vano tentativo di distrarlo dal mio spostamento fugace di oggetti. Will mi guardò curioso e malizioso allo stesso tempo e mi fece intendere che per nulla al mondo si sarebbe astenuto dal farmi domande riguardo quanto nascondevo dietro la schiena.
- “M-mm. Che combini?” chiese.
- “Niente. - dissi, ordinando a quella goccia di sudore che si era appena formata sulla fronte di non osare schiodarsi da lì - Cos’è questo sguardo insistente?”.
- “Sam, ho conosciuto due persone a Londra finora: tu e Nick. E mi sono bastati pochi minuti per capire che tra voi due c’è qualcosa di strano. Per questo sono convinto che lui centri con quello che tieni sotto il cuscino ora”.
Frate Indovino doveva essersi trasferito nell’appartamento del signor Hansen ed aver assunto le sembianze di suo nipote.
- “No, ma che dici? Non c‘è nulla sotto il cuscino”. Mi ricordavo un po’ più creativa a inventare le balle.
Scossi i capelli leggermente, nella speranza che ne cadessero alcuni sul mio volto per celare il profondo imbarazzo che mi stava imporporando le guance.
- “Va beh, farò finta di niente. Dai, vieni di là che è pronto”.
Grazie a chiunque ci sia lassù!
Mi alzai, contenta di aver superato in modo indolore la situazione che si era creata.
- “Prego” mi disse Will, lasciandomi passare. Non appena attraversai la porta, però, quel disgraziato la sbatté alle mie spalle e sentii il suono netto della chiave che girava nella toppa.
- “Will, apri subito!”. Sam, come hai fatto a cascarci? Lo sanno tutti che la cavalleria è morta!
- “Apri!” continuai ad urlare, colta da un’ondata di ansia.
- “E questo dvd?”. Lo sentii leggere rapido il biglietto di Nick e desiderai morire di vergogna.
- “Cazzo, Will, apri questa cazzo di porta!”.
- “E questi slip? Non ti ho mai visto indosso niente di così sexy” si lamentò.
Fantastico, oltre il danno pure la beffa.
- “Apro solo se mi spieghi cosa significano queste cose. Voglio sapere tutta la storia; niente bugie, niente omissioni. D’accordo?” mi chiese.
- “Non mi lasci molta scelta” esclamai rassegnata.
- “E’ un sì?” domandò.
- “Sì”. La porta finalmente si spalancò, mostrando un Will a braccia conserte e con un ghigno beffardo.
- “La lasagna può aspettare” disse soltanto.
 
Raccontare della scommessa a qualcuno - soprattutto ad un qualcuno che mai mi sarei aspettata - mi fece sentire un po’ più leggera, nonostante lo sguardo di Will fosse più di stupore che di comprensione. 
- “Ti sei cacciata in un bel guaio, Sam”. Non mi dire.
- “Già” dissi afflitta.
- “Li hai già guardati i video?”.
- “Certo che no!” risposi indignata.
Indignata di cosa che stai impazzendo per vedere che diavolo ha combinato Nick con le due capre?
- “Vuoi che li guardi insieme a te?”. La sua richiesta mi fece enormemente piacere; già il solo fatto di condividerne la visione con qualcuno, mi diede un senso di sollievo. Finsi di credere che Will lo avesse proposto per aiutarmi e non per una naturale propensione del genere maschile ad interessarsi a tutto quanto abbia a che fare con il sesso.
Annuii e lui avviò il lettore dvd. La scena che ci si prospettò davanti, che per fortuna era piuttosto sfocata, consisteva nelle due sorelle Rowell mezze nude su di un letto matrimoniale che salutavano con la mano, neanche fossero state alla giornata mondiale della gioventù.
- “Ragazze - che c’è, Nick, non ti ricordi più i loro nomi? - dite ciao a Sammy!”. Dio, che schifo.
Le due galline obbedirono e - non so bene per quale motivo - mi lanciarono, o meglio lanciarono alla videocamera, i loro reggiseni.
- “Wow” disse Will. Gli diedi una gomitata tra le costole che lo zittì.
- “Che c’è? - rispose corrucciato - Mica capita tutti i giorni di vedere due quinte che ti si sventolano davanti!”.
Decisi di lasciar perdere. Perché vestire i panni di Don Chisciotte e lottare contro i mulini a vento? Un uomo è sempre un uomo.
Vidi Nick comparire nell'inquadratura; bello come sempre, torso nudo, jeans slacciati. Ecco qualcosa che non fa così schifo.
Il resto fu un groviglio di corpi che, all’incirca dopo due secondi, mi diede il voltastomaco. Interruppi la riproduzione e mi voltai verso Will.
- “Sto per vomitare, giuro” dissi.
Lui si avvicinò a me, tentando di buttarsi su mio collo a capofitto.
- “Ma che fai, scemo?” gli chiesi ridendo insieme a lui.
- “Mi sono venute certe idee. - mi rubò un bacio sulla bocca, mentre io tentavo di sfuggirgli, alzandomi dal letto-  Torna qui, non puoi farmi vedere queste cose e pretendere che rimanga indifferente!”.
- “ Dai, Will. Ti ho raccontato e ti ho fatto vedere tutto perché mi aiutassi, non perché ti approfittassi di me” lo sgridai. 
Sbuffò e mi tirò per un braccio, finché, dopo aver opposto una certa resistenza, mi convinse a ritornare seduta accanto a lui.
- “Sam, devi vincere, cavolo” mi disse pensieroso.
- “Lo so, ma la vedo dura” aggiunsi, per la prima volta davvero preoccupata per la piega che stava assumendo la scommessa.
- “Anche io” rispose, lanciando un’occhiata allusiva a quanto c’era dietro la zip dei suoi pantaloni.
- “Sei senza speranza, Will. Sei persino peggio di Nick”. Rise come un ragazzino, salvo poi farsi serio.
- “Vincerai, Sam. Hai un’arma in più che lui non ha: sei una donna. L’unica cosa che devi fare è provarci con lui. Provocalo e ce l’avrai in pugno. - fece un sorriso idiota - In tutti i sensi”.
Cominciammo finalmente a mangiare, con Romeo che ci solleticava le gambe con la coda, reclamando la sua razione di cibo. Lo accontentai, mentre Will mi raccontava del suo lavoro, a Portland e a Londra, delle sue ex e della sua famiglia; la verità è che non lo stavo ascoltando, perché non riuscivo a togliermi dalla testa quella stupida parola che mi aveva detto: provocalo.
 Non gli prestai la minima attenzione e riuscii a capire solo che, se ne avesse avuto il tempo, mi avrebbe chiamato in serata per raggiungermi ovunque fossi stata.
Se ne andò verso le tre ed io, seppur di malavoglia, mi misi al portatile per finire quel dannato articolo che avevo continuato a rimandare. Il risultato non fu granché, - ma nemmeno il duo musicale che avevo ascoltato lo era - però lo inviai senza pensarci troppo all‘indirizzo di posta elettronica di Valerie. Mi rispose qualche minuto più tardi con un’altra mail: Articolo ricevuto. Confermo per stasera: alle 8.30 a casa mia. Cena e poi si esce. Vestiti sexy. Val.
Controllai l’ora e notai che erano quasi le cinque. Decisi che potevo cominciare a prepararmi, tanto sapevo che avrei comunque trovato un modo per arrivare in ritardo. Mi immersi nella vasca per un bagno lungo, caldo e rilassante che mi avvolse totalmente per mezz’ora. Asciugai i capelli con cura e attenzione, pur sapendo che avrebbero scelto loro la piega da tenere, come al solito. Entrai nella cabina armadio e feci passare un abito alla volta, finché il mio interesse si rivolse ad un vestito nero senza spallini e con la gonna a palloncino, con uno scaldacuore rosso abbinato sopra che non ricordavo nemmeno di avere. Doveva essere uno dei - tanti - frutti dei saldi estivi appena passati che ogni anno annoveravano me come vittima.
Lo indossai e vidi che tutto sommato non mi stava affatto male; mi diressi con decisione verso l’armadio dove tenevo le scarpe, puntando direttamente quella scatola che conteneva quelle scarpe. Le avevo tenute in serbo per un’occasione speciale e, nel momento stesso in cui sollevai il coperchio, mi immaginai un coro di angeli intonare un canto di giubilo. Erano ancora più belle di come le ricordassi: rosse, di vernice, tacco dodici e un tasso infinito di bellezza ed eleganza.
Cosa se ne fa una donna di un uomo, quando può avere un paio di scarpe?
Mi guardai allo specchio trattenendo un urlo dall’emozione; sì, d’accordo, decisamente infantile e fuori luogo, ma non riuscivo a resistere al fascino di un paio di calzature. E poco importava se mi erano costate uno stipendio!
Optai per un trucco leggero, tranne che per le labbra rosso fuoco, così come la borsa, il braccialetto che mi aveva regalato Lily e lo smalto sulle unghie.
Diamine! Erano già le 20.20 ed io dovevo ancora attraversare metà città per raggiungere Val e le altre nella sua villetta del tardo ‘800, ristrutturata da poco da lei e Jonathan. Presi un taxi al volo, sperando di non beccare il solito vecchio autista in vena di chiacchiere sulla regina e su quanto fosse cambiata la società rispetto agli anni ‘80. E tante grazie! Con che coraggio mi sarei messa le spalline?
Non feci in tempo ad arrivare al cancello, che questo si aprì, mostrandomi Valerie in un tubino giallo che le stava d’incanto, accentuandole le curve. Era adorabile e…
- “Sei in ritardo, Sam! Come al solito!”.
… e ora mi odiava. Le lanciai un’occhiata di scusa da cucciolotta che la fece sciogliere.
- “Mi incanti sempre con quella faccia!”. Mi passò un braccio dietro le spalle e mi condusse nella sala da pranzo dove c’erano Amanda, Jade e Katy-simpatia-portami-via.
- “Finalmente. Sei sempre l‘ultima, eh!” disse quest’ultima, visibilmente scocciata.
- “Scusate” mi limitai a dire, per evitare di saltarle addosso e sbranarla.
Cominciammo a parlare del più e del meno, aspettando che Val si decidesse a servirci la cena. Lei, però, continuava a raccontarci del suo viaggio di nozze e non accennava a portare in tavola alcunché.
Il campanello suonò e lei si precipitò ad aprire la porta, salvo poi ritornare con un’infinità di buste di un ristorante cinese.
- “E’ pronta la cena” urlò raggiante.
- “Dovevo immaginarlo che l‘avresti comprata. Non sei in grado di preparare nemmeno una tazza di latte con i cereali!” la schernii Amanda. Val rispose con una delle sue solite smorfie buffe che ci fecero ridere ancora di più, visto il raviolo al vapore che aveva in bocca. Consumammo il pasto in allegria, divorando qualsiasi cosa la padrona di casa avesse comprato e ascoltando i suoi racconti hot sulla luna di miele. Cercammo in tutti i modi farci dire quale sarebbe stato il seguito della serata, ma lei era muta come un pesce e non volle darci neanche il minimo indizio.
Verso le dieci prese le chiavi della macchina e ci portò in un angolo sperduto di Londra, in un posto dimenticato da dio, chiamato La taverna del grillo. Ora eravamo un po’ tutte scettiche sulla serata; ci eravamo vestite sexy ed eleganti per finire nei bassifondi della città?
- “Val, cara, scusa se te lo chiedo, ma… dove cazzo ci hai portato?” chiese Jade, senza mezzi termini.
Il soggetto in questione si girò di scatto verso di noi, perfino sorpresa che la baracca in cui ci aveva portato non fosse di nostro gradimento.
- “Andiamo ragazze, non date peso all’apparenza”.
- “Come, scusa? Non sei tu quella che ha licenziato la vecchia segretaria perché diceva che i suoi occhi ti mandavano energie negative? - le chiesi ironica, poggiando un braccio dietro la sua schiena - Perché, tesoro, ti informo che anche quello è basarsi sulle apparenze”.
Lei si liberò della mia presa, serissima in volto.
- “No, Sam, quello era basarsi sul fatto che quella - disse con diffidenza - aveva qualcosa di esoterico”.
Lasciai cadere l’argomento con un gesto della mano: su certe cose era proprio fissata.
- “Forza donne, portate il vostro culetto dentro” disse, aprendo la porta.
Entrammo guardandoci intorno e rabbrividii al solo pensiero che sarei potuta uscire da quel postaccio con qualche malattia infettiva. Dio, c’era pure il campanellino sopra la porta. Sembrava di essere in una delle tavole calde americane, solo in una versione più deserta e triste. C’erano soltanto due giovani ragazzi che sorseggiavano due tazze di caffè in fondo al locale e un vecchio signore con un cappello in testa che mangiava qualcosa di vagamente simile ad un’omelette, mentre, dietro al bancone, non c‘era anima viva.
- “Devo aspettarmi di veder entrare Lorelai Gilmore in ogni istante?” domandai a nessuno in particolare.
- “Sam, diamo fiducia a Val” mi rimproverò Amanda, con poca convinzione.
Nel giro di una decina di secondi, notammo che davanti alla vetrina si era radunata un sacco di gente, per di più uomini in giacca e cravatta e donne con il tailleur.
Si fiondarono all'interno della taverna tutti allegri e sorridenti e per un attimo pensai davvero che avessero sbagliato porta d’ingresso.
- “Ehi, Joanne” urlò uno spilungone in completo, rivolto al qualcuno nel retro che comparì all‘improvviso. Era una signora sulla cinquantina, capelli rossi ricci ed arruffati ed un improbabile gilet di jeans.
- “Ciao Al. Sei pronto?” gli chiese, mostrando un sorriso a trentadue denti giallo nicotina.
- “Puoi scommetterci, Jo!” le rispose.
- “E allora gente, che aspettate? Forza, tutti nel seminterrato!” gridò la barista come una pazza.
L’orda umana si affollò sulle scale e Valerie cominciò a spintonare anche noi per seguire la massa di corpi in movimento.
- “Ma dove andiamo?” osò dire Katy. Oh, una domanda intelligente.
- “Ho la bocca cucita. - rispose Val - Sappiate solo che è il momento di scaldare le ugole!” esclamò al settimo cielo.
Rimasi pietrificata pensando a quanto mi sarebbe toccato fare; quella frase poteva dire solo una cosa:
- “KA-RA-O-KE” urlò la trentina di persone che si era radunata al piano inferiore della baracca.
Mi girai verso Amanda, Jade e addirittura Katy per trovare comprensione, ma ciò che vidi fu sola una grande, gigante, immensa eccitazione all’idea di esibirsi di fronte ad una massa di sconosciuti.
- “Fantastico, Val! Sei un genio! - sentii dire dalle mie amiche - Hai già scelto la canzone?”.
- “Certo! Ho pensato a tutto”. Sghignazzarono fra di loro mentre io avrei tanto preferito essermene rimasta a casa. Non avevo mai cantato di fronte a qualcuno che non fosse lo spruzzino della doccia o Romeo mentre facevo le pulizie domestiche e, a giudicare dal miagolio che faceva ogni volta, avrei giurato che non gradisse particolarmente quello che sentiva.
- “Canteremo Give it to me right di Melanie Fiona. Adoro quella canzone!” terminò Valerie, traendo dalla borsa dei fogli con il testo stampato.
Tutte presero il loro foglio - tranne me - e Amanda lanciò un gridolino di approvazione; ci credo, erano due anni che era divorziata ed aveva un serio bisogno che qualcuno give it to her right.
Vidi due ragazze impadronirsi dei microfoni e cominciare ad improvvisare un balletto sexy con tanto di coreografia - provata in ufficio? - di Lady Marmalade. Al si avvicinò a noi, presentandosi perché era la prima volta che ci vedeva in quel posto e ci disse che sarebbe stato il nostro turno un quarto d’ora dopo circa.
- “Ragazze, siete impazzite? Io non voglio farlo!” gridai disperata.
- “Uffa, Sam, sei sempre la solita guastafeste” mi rimproverò Jade, parlando a nome di tutte e facendosi abbindolare da un signore che si era avvicinato a lei per invitarla a ballare.
- “Dai, se la bimba se non la sente, lasciatela in pace” intervenne Katy. Brutta megera. Presi l’ultimo foglio rimasto sul tavolo e, per evitare di sbranarla, decisi che sarebbe stato meglio fare una tappa alla toilette e fare un po’ di training autogeno. 
- “Val, se suona il mio cellulare rispondi. Dovrebbe essere un mio amico; digli dove siamo che ci raggiunge” le urlai per farmi sentire sopra il caos generale che c’era tra la canzone e la gente che si strusciava l’una contro l’altra.
- “E’ una serata per sole donne” disse corrucciata.
- “E’ giovane e sexy” le risposi con aria di sfida. Le due parole magiche di Val.
- “Perché non è già qui?” esclamò elettrizzata. Scossi la testa e andai in bagno, anche per fare pipì, onde evitare di peggiorare la situazione sul palco, facendomela addosso.
Sollevata dalla tavoletta e con il sedere a mezz’aria - come mi aveva insegnato la mamma da piccola - ripassai mentalmente le strofe della canzone che sapevo a memoria, visto che Val la canticchiava ogni volta che le era possibile. 
Mi guardai allo specchio e mi convinsi che in quel locale non mi avrebbe visto nessuno, che ero una sconosciuta agli occhi di tutti, oltre le mie amiche, e che in fondo non avrei fatto nulla di male.
Uscii dal bagno e notai che le ragazze si stavano dando parecchio da fare con i maschietti del posto. Rintracciai Val e le chiesi se Will aveva chiamato.
- “Chi?” mi disse, senza smettere di ballare.
- “Il mio amico” gridai.
- “Ah, sì, sarà qua tra poco. Ciao!” rispose, lanciandosi in uno sfrenato ballo con Katy.
Tornai a sedermi al mio posto e Al mi raggiunse per dirmi che mancava ormai poco alla nostra esibizione. Stavo per mettere il cellulare nella borsa, prima che in quella topaia mi rubassero qualcosa e ormai rassegnata all’infame destino che mi aspettava, notai che stava vibrando: Will. Ha cambiato idea e non viene! Uno in meno che vedrà lo spettacolino!
- “Non vieni?” dissi bruscamente e da perfetta maleducata.
- “Dove?” mi rispose sorpreso con il suo solito accento yankee.
- “Alla Taverna del grillo, genio! Avevi detto che saresti stato qui - consultai l’orologio - ora”.
- “Non so di cosa tu stia parlando” replicò.
- “Quando prima hai chiamato…”.
- “Alt, Sam, è la prima volta che ti chiamo stasera! Comunque la conosco e sono in zona, quindi cerco di raggiungerti. Ciao”.
Riattaccò e io scorsi velocemente il menù del telefonino fino ad arrivare alle chiamate ricevute. Non dirmi che hai parlato con lui, non dirmi che sa che sono qui e che vedrà noi che ci rendiamo ridicole in questo squallidissimo locale.
- “Sam, è il nostro turno” mi disse Jade.
Il suo nome era lì, subito dopo quello di Will. Nick.
Non ebbi il tempo di riflettere che lo vidi scendere le scale della Taverna del grillo e accomodarsi al tavolo numero 7, a pochi metri da palco.
Cazzo!
Riuscii per un pelo a riporre il cellulare nella borsa, prima che un braccio mi strattonasse fino ai microfoni.  Vidi il suo sguardo su di me; era curioso ed impaziente ed io sentii una morsa d’acciaio allo stomaco. Valerie, che tu sia maledetta!
La base musicale partì ed io iniziai a tremare. Mi avevano affidato la prima parte del ritornello, in sostanza il pezzo più compromettente.


I don’t want it all the time,
But when I get it,
I better be satified
So give it to me right,
Or don’t give it to me at all.

Forse è un segno del destino, Sam: il mondo ti vuole sgualdrina!
Arrivò anche Will e si andò a sedere accanto a Nick. Ci mancavano soltanto i miei e il vescovo di Londra e potevo dire che ci fossimo davvero tutti.
Val cominciò a cantare, stonata come una campana, ma c’era da riconoscerle un certo impegno che, infatti, i presenti parvero apprezzare. Fu poi il turno di Katy che si diresse direttamente verso il tavolo sette, puntando Will che sembrava ormai condannato ad essere stretto tra le sue grinfie. Lui stette al gioco, assecondando i movimenti molto poco espliciti di lei. Traditore! Sei mio amico, non di quella scema. Certo, dovevo ammettere che non era proprio una carretta e che aveva una qualche sorta di fascino nascosto sotto lo strato - molto spesso - di cattiveria: trent'anni, capelli scuri, occhi grandi ed azzurri, denti talmente sbiancati che il suo dentista doveva essersi fatto parecchie vacanze con tutti i soldi ricevuti da lei.
Oddio, tocca a me… che faccio? SCAPPA! Lo sguardo intenso di Will mi fece restare incollata dov’ero.
Provocalo, Sam. Sì, facile a dirsi.
- “I don’t want it all the time” dissi timida, guadagnandomi un’occhiata ilare e divertita di Nick. A parte lui, - e Will che cercava di dirmi qualcosa che immaginai avesse a che fare con il discorso del pomeriggio - il pubblico e le mie amiche erano tutti intenti ad incitarmi a sciogliermi e a dimenarsi come ossessi per ogni angolo del locale con grida allusive al testo.
- “But when I want it, I better be satisfied”. Avevo la stessa convinzione di un ateo che recita una preghiera. Per fortuna, Will mi venne incontro nel vero senso della parola; salì sul palco, si posizionò dietro di me e cominciò ad ondeggiare, permettendomi di acquisire una certa sicurezza ed evitare così di apparire come una perfetta idiota. Il volto di Nick sembrò sorpreso nel vedere che ad un essere umano potesse venire anche solo in mente di aiutarne un altro, soprattutto me - sarà poi che il suo passatempo preferito  era quello di mettermi in difficoltà più che darmi una mano.
Cantammo il resto del ritornello tutte insieme, sentendoci delle quindicenni bimbominkiose ma poco c’interessava, visto che ognuno in quel locale aveva il diritto di rinfacciare a chiunque di aver fatto altrettanto. 
Provocalo, Sam. Non capivo più se fosse la mia fantasia o se fossero davvero le parole che Will mi stava bisbigliando all’orecchio.
Concessi a Val di ballare con lui, perché ormai ero cosciente di dover fare una cosa: render pan per focaccia a Nick. Lo puntai quando ancora era seduto al tavolo numero sette - il mio numero fortunato. Un segno? - e presi a cantare a squarciagola la mia parte, attingendo a tutto il sex appeal che trovai nel repertorio dei miei canti da doccia. Mi sentii una spudorata, però, cavolo!, dovevo pur onorare al meglio le mie scarpe rosso fuoco. Brucia all’inferno ora, Nick.
Gli feci una specie di giravolta attorno alla sedia, con la mia gonna a palloncino che svolazzava a destra e manca. Mi sedetti sulle sue gambe e strusciai la mia schiena contro il suo petto. 
La mia coscienza scorse in lontananza un principio di remore; però, quando i miei occhi constatarono che, non solo nessuno mi stava osservando come fossi una ninfomane, ma che, al contrario, tutti si stavano dando piuttosto da fare, continuai a molestare - verbo più che lecito in questa circostanza - Nick. Lo vidi, per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, un po’ a disagio, con le mani alzate che non sapeva dove mettere. Mi girai verso di lui…
- “So give it to me right, or don‘t give it to me at all”.
… e incontrai le sue iridi chiare che, per un attimo, mi fecero perdere la lucidità; sì, perché io non ero come le sorelle Rowell; per fare certe cose dovevo pure concentrarmi!
Mi voltai di scatto, con la sensazione di essere stata scottata: ma non era lui che doveva bruciare nell’inferno delle mie scarpe?!
Tentò di scostarmi con delicatezza, ma io mi aggrappai al suo collo a mo’ di koala e mi piazzai in braccio a lui, sfoggiando un casqué inedito che, con molta probabilità, gli diede un’ampia visuale sul golfo di Napoli che c’era tra le mie gambe.
Fui colta da un impulso della bacchettona che viveva, seppur relegata, in un angolo recondito della mia anima e serrai d’istinto le cosce, quando ancora ero a testa in giù. Pensai di cadere, di procurarmi un trauma cranico e, magari, di finire in coma: era la mia punizione per aver sfidato il dio dello strip-tease.
E, invece, avvertii la sua mano forte afferrarmi la nuca e riportarmi alla posizione originale, i nostri visi ad una distanza millimetrica l’uno dall’altro. Sperai che il gesto fosse passato come una mossa coreografica.
Mi alzai velocemente prima di perdermi di nuovo ad osservare i suoi occhi color ghiaccio, le labbra carnose, il naso diritto e i capelli spettinati. Okay, forse mi ero incantata un attimo.
Andai dietro di lui, lontano da quelle pupille indagatrici che mi leggevano dentro come un libro aperto e cominciai a sfregare le mani contro il suo torace, su e giù, senza, però, mai giungere alla terra di mezzo che sanciva il confine col pube. Lo sentii irrigidirsi sotto il mio tocco, ma non manifestò apertamente di volermi allontanare.
Questa canzone non finisce più! Ero preoccupata sul serio, visto che non sapevo più che inventarmi per apparire seducente. 
Se non finisce entro qualche secondo, sarò costretta a sfoggiare Il ballo del mattone.
Improvvisamente, fu Nick a porre fine ai miei dilemmi; balzò in piedi dalla sedia, turbato in volto, mi afferrò per il polso e mi trascinò, quasi correndo nella confusione, fino ad un atrio stretto e piccolo, dietro ad una porta trasparente, chiusa da un maniglione antipanico. Mi spiaccicò contro la parete e senza alcuna possibilità di fuga.
Ma chi voleva andarsene?!
Non c’era nessun altro a parte noi nello stanzino, dove la musica della sala accanto ci giungeva ovattata. 
Sentivo il suo respiro sul mio volto, il sapore di menta del suo alito mi lambiva la bocca.
- “Che stai facendo?” disse quasi in un sussurro che mi provocò la pelle d’oca.
- “Niente” risposi con una voce flebile, mentre alternavo lo sguardo dalle sue labbra ai suoi occhi.
Sotto pressione, proprio non mi riusciva di dare delle risposte di senso compiuto.
- “Smettila” bisbigliò sottovoce, con un tono sexy non voluto.
Sta giocando con te, Sam. Provocalo e comincia a ripagarlo con la stessa moneta. Gioca!
- “Di fare cosa, Nick?” lo rimbeccai, accennando un sorriso beffardo.
- “Stai giocando con il fuoco, Sammy”.
- “Io non ho paura di scottarmi. - cercai di divincolarmi, ma lui serrò ancora di più la presa sui miei fianchi - E tu, Nick?” lo sfidai, inclinando il viso. Esitò un istante che mi sembrò eterno, mi fissò duro negli occhi e, con foga, mi baciò.
Non fu romantico, né tanto meno tenero; fu brusco, veloce, inaspettato, a tratti violento. E tremendamente breve. Durò giusto qualche secondo, prima che la canzone finisse e si portasse via con sé la magia - quella sì di Harry Potter - nata in un ambiente triste e squallido.
Fu casto, perché non vi fu neanche il tempo di approfondirlo, di esplorarci, di pensare con razionalità a quanto stava succedendo. Si staccò dalle mie labbra con la stessa fugacità con cui vi si era incollato, abbassò lo sguardo - sulle mie scarpe? - allentando la stretta in cui mi aveva rinchiuso e poi se ne andò da dove eravamo arrivati, ma, questa volta, senza di me.
Borbottò solo un devo andare e mi lasciò da sola, scossa e confusa ad osservare il pavimento sotto ai miei piedi, sotto alle mie scarpe.
Io avevo giocato. Lo avevo provocato e avevo vinto. Il quesito era se anche lui avesse fatto altrettanto.
D’un tratto le odiai, odiai quelle stupide scarpe rosse che mi fissavano, che avevo scelto di preservare per un’occasione speciale e che, invece di farmi sentire bella e sicura di me, mi avevano trasformato in una sciocca ragazza dall’aria smarrita.
Accampai una scusa qualsiasi e me tornai a casa insieme a Will, con il quale misi subito in chiaro che non ero in vena di chiacchiere.
Lo salutai frettolosamente e mi rinchiusi in casa. Mi tolsi le scarpe, le riposi nella loro scatola come un automa, promettendo a me stessa che lì sarebbero rimaste per molto tempo. Mi misi a letto, con la testa che mi scoppiava per la lotta in atto tra i miei neuroni e uno stato confusionale che non mi spiegavo, ma con la mini rivincita di averla avuta vinta almeno una volta.
Ma, a giudicare dall’emicrania che mi era venuta, non era nemmeno una magra consolazione. Era proprio anoressica.

 
 
The boy in the red shoes is dancing by my bed 
Put them in a box somehere, put them in a drawer 
Take my red shoes, I can't wear them anymore. 

 
 
Bonsoir! Uffa, ultimamente sono sempre in ritardo, accipigna! Questa settimana ero persino in anticipo, ma ho ben pensato di lasciare il capitolo a Trento (dove studio) prima di tornare a casa. L’ho presa con filosofia, interpretandolo come un segno divino che mi invitava a riscrivere la storia.
Non so se fosse già ora di far avere a Sam e Nick un incontro ravvicinato, ma il momento sembrava propenso. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Il titolo del capitolo fa riferimento a “Ballad of the boy in the red shoes” di Elton John.
Ora scappo, lasciandovi come sempre un GRAZIE grosso quanto un ippopotamo! Baci a tutte!

HappyCloud

 
SunshinePol: cacchio, era Snookie per forza la tizia al concerto di Ralph. Mi scuso con te perché ti avevo detto che avrei aggiornato ieri e invece l’ho fatto solo oggi. Purtroppo ieri mi sono partiti alcuni capillari dell’occhio e mi stavo addormentando sul pc. Aggiorna pure te, zia! 
 
Emily Doyle: stavolta ci è andata vicina al saltargli addosso! Però purtroppo è un po’ troppo razionale… per capirci, io mi sarei scaraventata su di lui! Tutte lo avremmo fatto, ahahhah… un bacione!
 
Aryanne: Sì, Nick è proprio sexy! Purtroppo è talmente perfetto nella mia testa, l’ho talmente idealizzato che fatico a trovare l’immagine di un modello/attore/cantante che sia soddisfacente ai miei occhi. Accetto suggerimenti! :D Baci
 
Rose in Winter: non so come farei senza le tue recensioni!!Sei sempre molto carina e questo non può far altro che farmi estremamente piacere. Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e quasi mi hai fatto commuovere quando hai scritto che questa storia ti ha sollevato il morale. Grazie, cara! *-*
 
Wingedangel: ho dei seri problemi a scrivere il tuo nome ogni volta! Devo rileggerlo due o tre volte per memorizzarlo :D è una specie di sfida! Potrei fare copia e incolla, ma perché privarmi di questo test ogni volta?! Nick è Nick, però anche Will...

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Complicated. ***


Capitolo sei. Complicated.
 
Prendere sonno dopo la cosa che c’era stata tra me e Nick si rivelò un’impresa titanica. Scartai a priori l’ipotesi di contare le pecore - di solito, a quota tremila cominciavo a stufarmi e ad irritarmi con quegli stupidi animali così… lanosi - ed eliminai anche la seconda opzione, che consisteva nell’assunzione di una dose massiccia di valeriana, alla quale ormai ero immune.
Feci cinque minuti di ginnastica facciale antirughe, dieci serie da venti addominali - sì, proprio io, l’antipalestra per eccellenza - e provai un paio di volte con successo la posizione della candela; tutto nel vano tentativo di stancarmi ed insinuare nella mia mente la volontà di concedersi un meritato riposo.
Accesi la tivù, ma constatai che d’interessante facevano solo delle repliche di Nash Bridges, del quale mi ero disintossicata tempo addietro; spensi immediatamente, visto che ci avevo impiegato anni per uscire dal tunnel di 'Naaaaash' che rispondeva al suo cellulare preistorico dal sedile della sua decappottabile.
Fissai un punto indistinto sul soffitto.
Non ho paura di scottarmi. E tu, Nick?
Mi rotolai nel letto, annoiata persino dai miei pensieri e controllai l’ora: le 2.30 ed io presi una decisione.
Il campanello di casa Hansen suonò senza sosta per una decina di secondi, finché Will, assonnato ed arrabbiato, si affacciò alla porta.
- “Sorpresa” gli dissi poco convinta. 
Lui mi guardò con uno sguardo misto tra lo scocciato e il confuso.
- “Che cavolo vuoi, Sam? Non sono neanche le tre del mattino. - si stropicciò gli occhi con il dorso della mano, ma, ad un tratto, fermò l’avambraccio a mezz’aria e si fece serio - Aspetta, vuoi fare sesso?”.
Irrecuperabile. Lo guardai perplessa, spostando il peso su di una gamba.
 “Dio, Will, sei monotematico. - mi lamentai - No, è che non riesco a dormire” sbuffai, emulando alla perfezione una bambina di due anni.
Lui si fece pensieroso e corrugò la fronte, appoggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia sul petto.
- “Mmm… fammi pensare. Quanto mi può interessare il fatto che la mia vicina di casa soffra d’insonnia? - domandò in modo retorico più a sé stesso che alla sottoscritta - Niente. Notte, Sam”.
Fece per chiudere la porta, ma c’infilai la pantofola di Snoopy e l‘uscio tornò a spalancarsi.
- “Willy, ti prego” mugolai, sbattendo le ciglia.
- “Se mi chiami Willy, poi, non ti ascolto neanche” disse duro. In effetti aveva ragione: sembrava il nome di un cane.
Feci il broncio e mi spinsi fino a simulare un pianto isterico, che, evidentemente, lo impietosì. Inclinò il volto e mi fece segno di entrare con la testa.
- “Aspetta, deve venire anche Romeo” esclamai, tornando per qualche secondo nel mio appartamento a recuperare il mio micione nero. Will ci aspettò sul pianerottolo, gli occhi alzati al cielo e ci accompagnò fino alla camera matrimoniale, dove ci distendemmo, mentre il mio gatto si aggirava indagatore nel soggiorno.
- “Bello il pigiama con gli orsetti. Mi fa passare ogni fantasia” esclamò ironico.
- “Vogliamo parlare del tuo che sembra quello del mio trisnonno? - risposi acida - E, a proposito di nonni, non so come ti sia potuto venire in mente di chiedermi di farlo nel letto del signor Hansen”.
- “Ah, che palle voi donne e le vostre paranoie. Un letto è un letto. L‘importante è la compagnia che ti scegli” mi disse.
Mi venne in mente, d’un colpo, l’immagine del mio simpatico vicino con quella odiosa di Katy.
- “E quella cretina-stronza-frigida della mia collega sarebbe una buona partner? Ieri si è spalmata su di te e tu l‘hai lasciata fare!” lo rimproverai, mentre lui ghignava sotto i baffi.
- “Uh, ma senti chi parla! Io ti ho vista con la lingua di Nick ficcata in bocca”. Ne dubitavo fortemente, visto che quel contatto approfondito non c’era stato.
- “Non credo, sai. Niente lingua” sospirai.
Cacchio, Sam, un po’ di contegno! Sembra che quasi ti dispiaccia!
Will mi fissò, sorpreso da quanto avevo detto.
- “Io ti ricordo attaccata al muro e lui incollato a te. E - divenne malizioso - le tue manacce sul suo fondoschiena”.
Io? Io avevo palpeggiato il culo di Nick? Lo avevo avuto tra le zampe e non mi ricordavo neanche come fosse! Accidenti!
Sgranai gli occhi e mi voltai di scatto verso la parte di letto sul quale era sdraiato. Non mi guardava, ma, al contrario, aveva il viso rivolto verso il l‘alto.
- “No, okay, questa me la sono inventata. Volevo solo vedere la faccia che avresti fatto” rise.
Gli lanciai un cuscino sull’addome con una forza pari a quella di un ippopotamo morto: ero stanca, ma il sonno non accennava a farsi largo nel mio corpo.
Era uno strano rapporto, quello che c’era tra me e Will; non lo consideravo un amico - definizione troppo stretta e, per di più, fare sesso era una prerogativa dei trombamici, più che dei semplici amici. Però, non lo consideravo un amante e, nemmeno a dirlo, un fidanzato. Conclusi la mia analisi con la teoria di Dawson’s Creek: eravamo i Jen e Jack della situazione, solo con meno problemi cardiaci mortali da parte mia, - quand'è l‘ultima volta che ho fatto un elettrocardiogramma? - e un po’ più di eterosessualità da parte sua, garantita e provata.
- “Mi racconti cos’è successo, almeno? Sai, giusto per non avere la sensazione di aver passato la notte in bianco per niente” chiese il mio Jack. Romeo balzò sul materasso e si accoccolò accanto al braccio di Will; aveva decisamente una predilezione per lui. 
- “L’ho provocato, come mi hai detto tu” gli risposi d’un fiato.
- “E?” domandò curioso.
- “E mi ha baciata, fine della storia” conclusi, infastidita per aver dovuto ripercorrere con la mente la scena dello stanzino. Quelle labbra morbide, carnose, che avevano dominato le mie per poco.
- “E?” mi incalzò di nuovo.
- “E basta! Melanie Fiona ha ben pensato di far durare la canzone tre minuti e mezzo e, perciò, fine canzone, fine bacio”.
Si mise di fianco nella mia direzione e cominciò ad osservarmi in silenzio.
- “Ti rode” sentenziò trionfante, con un tono che nulla aveva di interrogativo.
Strabuzzai gli occhi e contraccambiai l’occhiata.
- “No!” sbottai.
- “Oh cazzo, Sam! - si portò una mano sulla fronte - Sei pure peggio del previsto”. Tornò supino e prese ad accarezzare Romeo, ridacchiando.
- “Ma si può sapere che cavolo dici?!“ tentai di difendermi, puntellandomi sui gomiti.
- “Santo cielo, ti scoccia un sacco che Nick non sia andato oltre”. Quell’accusa umiliante mi toccò nel vivo, mentre lui continuava a prendermi in giro, picchiettandomi il suo indice sul naso.
- “Mi rode solo il fatto che se fosse successo qualcosa in più lo avrei distrutto completamente ed una volta per tutte” dissi agguerrita e scansai le sue dita dalla mia faccia.
Sicura? Ma sì, diamine!, che ne ero sicura.
- “Voi donne siete così complicate. Non riuscirò mai a capirvi” disse Will, quasi fosse una cantilena. E, difatti, questa storia della difficoltà a comprendere il gentil sesso era proprio una nenia.
- “Non è difficile, tesoro. Uomini: - mi preparai a camuffare la voce e a renderla più roca - faccio ciò che mi dice il pisello e non ho ancora capito come si usi quella strana cosa gommosa che ho nella testa. La chiamano cervello, ma io non l’ho ancora scoperta. E poi è molle. Invece, io sono duro e ce l’ho sempre duro. Donne: - ritornai al mio tono normale - ragiono con il cuore e con il cervello. So cos’è un’emozione e sono in grado di provare sentimenti. Uso la vagina per far credere ad un uomo di essere tale. Capito, Willy?” lo sfidai.
- “Chiamami ancora una volta così e ti sbatto fuori di casa. - mi avvertì - Comunque, lo sai che io sono l’eccezione alla regola”.
- “Spiacente, Will. Non esistono eccezioni” esclamai, fintamente dispiaciuta.
- “Vedremo, Sam, vedremo. Nel frattempo cosa pensi di fare con Nick?” mi chiese, cambiando argomento.
Bella domanda.
- “Non so. Penso che mi chiamerà per via della scommessa settimanale e so già che sarà imbarazzante da morire per entrambi. Staremo zitti tutto il tempo, desiderosi di sprofondare nel pavimento sottostante”.
Will borbottò qualcosa che non riuscii a captare e ridacchiò.
Non so di preciso quando mi addormentai, ma ricordo solo il bacio leggero e delicato che il mio Jack mi depositò sulla guancia, prima di pronunciare un non così delicato 'finalmente!'.
 
La mattina seguente mi svegliai da sola, nel lettone. Non c’era traccia nemmeno di Romeo che, con tutta probabilità, aveva seguito Will fino alla porta per poi lasciarsi andare sul divano. Cominciavo a sospettare che quel gatto provasse qualcosa per il mio vicino: fusa in continuazione, carezze cercate - e sempre ottenute -, strusciamenti di coda in abbondanza...
Pure il gatto gay, ci voleva! E, infatti, non ci fu verso di trascinarlo via dal soggiorno del signor Hansen.
Erano le 9.30: tempo di tornare a casa, prepararsi ed andare in tutta velocità in ufficio per la riunione delle 11. Uscii di soppiatto dall’appartamento di Will e mi infilai nel mio, nella speranza che nessuno mi vedesse e si facesse strane idee. 
Beh, in fondo che mai potevano dire di sbagliato? Che te la fai con il vicino? E’ la verità, tesoro.
La vocina che avevo sempre in testa era davvero irritante, talvolta.
Mi feci una doccia veloce e decisi che non era giornata di tacchi, di abiti, di accessori ricercati. Mi misi un paio di jeans attillati, ma non troppo, una maglietta bianca con una scritta colorata e le converse bianche. Indossai anche il trench, dal momento che eravamo alle porte del mese di settembre e che una pioggerellina insulsa batteva sulle imposte.
Presi pure gli occhiali da sole, utili a coprire le occhiaie e del tutto superflui, visto il tempaccio nuvoloso e uggioso che intravedevo attraverso i vetri delle finestre.
 
L’ufficio era deserto, ma si affollò rapidamente nel giro di qualche minuto, quando la consueta riunione dei collaboratori di MM stava per avere inizio. Mi sedetti alla mia solita poltrona girevole in fondo al tavolo, notando che tutti i colleghi che facevano il loro ingresso nella stanza, mi regalavano occhiate curiose.
Dannazione, di nuovo il dentifricio sui capelli?
Tirai fuori di nascosto dalla borsa uno specchietto e mi analizzai con cura; non avevo scorto nulla di strano nel mio aspetto, ma, dall’alto della mia infinita paranoia nei confronti di terzi, corsi in bagno a verificare di non essermi sporcata i vestiti.
Nell’uscire dalla sala, mi imbattei in Valerie che, come gli altri, mi squadrò da capo a piedi, stupita.
- “Mi dite che diavolo avete tutti da guardare, oggi?” chiesi con un tono di voce maggiore al solito, in modo tale che mi sentisse l’intera redazione. Perfetto, la mattinata era appena cominciata e già mi giravano.
- “Sam, non ti scaldare! - mi disse, mettendo le braccia davanti a sé, come a difendersi - E’ solo che sei… sei… strana” terminò.
- “Cosa vuol dire, strana?” domandai, ancora più confusa di prima.
- “Beh, sei sportiva diciamo. Non siamo abituati a vederti con le scarpe da tennis e senza ninnoli”.
Non sapevo se essere lusingata dal fatto che i dipendenti di MM badassero così tanto al mio abbigliamento o essere adirata perché non potevo nemmeno scegliere di indossare una tenuta più casual senza destare l’attenzione dell’intera rivista su di me. Mi rivolsi a tutti i colleghi.
- “E’ questo il problema? - li vidi abbassare lo sguardo, imbarazzati - Ragazzi, prometto che domani mi metterò l‘abito da gala, d‘accordo?” dissi scherzando.
Feci per tornare al mio posto, ma Val mi trattenne per un braccio.
- “Dove pensi di andare? Ieri mi aspettavo un tuo amico e ne sono arrivati due. Molto sexy. - ammiccò - Uno aveva persino un’aria familiare”.
Per forza, cara, ti ha ballato davanti agli occhi per un’intera serata mezzo nudo. Forse non ricorderai la faccia, ma i pettorali, quelli di sicuro.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma Katy comparì sulla soglia della porta, anticipandomi.
- “Era Nick. Lo spogliarellista del Pumping Pumpkin. - abbassò la voce - Quello a cui volevi mordere il sedere, per intenderci, Val”.
Quest’ultima, invece di arrossire come una palla di fuoco dall’imbarazzo di aver anche solo pensato di affondare i denti nelle natiche di qualcuno, si rivolse verso di me con gli occhi sbarrati.
- “Stai forse uscendo con Chiappe d’oro?” mi domandò e per un attimo temetti davvero che i bulbi oculari le sarebbero balzati fuori dalle orbite.
- “Io… no!” urlai, suscitando l‘interesse dei colleghi.
- “Hanno una scommessa in ballo. Una scommessa molto hot”. Katy, stai zitta!
Valerie continuava a fissarmi con insistenza.
- “Non è vero!” gridai, diventando bordeaux in volto dalla vergogna e dalla rabbia che provavo in quel momento per quella gallina che non aveva resistito alla tentazione di aprire il becco.
C’erano state non poche occasioni, dopo l’addio al nubilato, per tirar fuori la verità e raccontarla ad Amanda, Jade e, soprattutto, a Val. Ma la stronza aveva aspettato questo momento per umiliarmi di fronte all’intera redazione, facendomi passare per la meretrice di turno.
- “Lo conosci o no?”. La mia capa si stava facendo sempre più insistente.
- “No, - mentii - è capitato lì per caso ieri sera”. Il mio castello di balle una volta o l’altra sarebbe caduto.
Il cellulare cominciò a suonare nella borsa. Lo trassi da una tasca con l’intenzione di ringraziare di cuore chiunque mi stesse togliendo dall’impaccio di fornire ulteriori spiegazioni - false -. Val fu più rapida di me e me lo tolse dalle mani.
- “Ma non mi dire. E’ lui. Per fortuna che non lo conoscevi. Non me la racconti giusta, Sam”.
Vidi Katy godere gioiosa dello stato pietoso in cui versavo, prima di andare ad accomodarsi in una delle sedie della sala riunioni, dove sapevo che avrebbe esplicato a tutti il casino in cui ero finita.
Proprio ora deve chiamare?!
Cercai di riagguantare il telefonino, ma Val mi allontanò da lei con le braccia e rispose.
- “Pronto, Nick?” disse.
- “Valerie, ridammelo subito!” mi dimenavo come una pazza e, in questo caso, una camicia di forza non sarebbe sembrata eccessiva.
- “Sì, sono la sposa. Ti ricordi di me? - chiese lusingata e civettuola - A proposito, sei un gran bel vedere: quei muscoli, quegli addominali, e che gran bel cul… ”.
- “Valerie!” urlai in preda a puro panico, totalmente ignorata.
- “Figurati! - okay, lo stava riempiendo di lodi, con il suo solito modo di fare spigliato ed accattivante - D’accordo, contaci. -le ha chiesto un appuntamento?- Certo, glielo dirò. Ciao!”.
Concluse la telefonata, mentre ancora io tentavo di impedirle di continuare la conversazione. 
- “Quanta fretta, Sam. Stavamo solo facendo due chiacchiere. - mi riconsegnò il cellulare e mi puntò l’indice contro - Piuttosto, ritieniti fortunata che la riunione stia per cominciare, perché altrimenti ti avrei sottoposta ad un terzo grado con il quale ti avrei fatta cantare in meno di due minuti”.
Rientrammo nell’ufficio ed io non osai nemmeno fiatare.
- “E ringrazia pure per il fatto che io sia una donna sposata. E’ solo per quello se hai una chance con lui” disse, ridendo.
- “E’ più complicato di quanto tu creda”. Mi liquidò con la sua solita smorfia buffa e con la certezza che avrebbe trovato il modo di vendicarsi del fatto di non averle raccontato dello strano rapporto che mi legava a Nick.
- “Non c‘è nulla di complicato in un uomo, Sam. Comunque, ha detto che ti aspetta al bar all’angolo per le 13.30” mi sussurrò all’orecchio ed andò a sedersi alla poltrona principale.
 
Il monologo di Valerie - sì, perché puntualmente le riunioni di redazione, più che essere dei sani dibattiti, sfociavano in filippiche interminabili da parte dei capi - durò all’incirca due ore.
Come di consueto, si procedette all’assegnazione dei pezzi, delle foto da realizzare, degli articoli da acquistare da freelance.
- “Allora: ho buttato giù un paio di idee per la spartizione del materiale su cui lavorare.  -disse Val, tanto per cambiare - Neal, tu scriverai la recensione degli album in uscita; Holly si occuperà dei nuovi progetti discografici delle band emergenti londinesi e Sam… - finse di controllare il plico di fogli che aveva in mano - Sam farà l’intervista ad Avril Lavigne”. Sussultai.
Eccola la vendetta, puntuale come un orologio svizzero.
La mia cara amica sapeva del mio piccolo problema con la cantante canadese in questione; era l’artista preferita del mio ex ragazzo di qualche anno addietro, tale Colby. Sì, lo so, avrei dovuto diffidare di uno il cui nome sembra quello di un robot per bambini o di un cucciolo di pezza.
Credo che avesse davvero una cotta per la povera Avril; non si perdeva un concerto che si svolgesse all’interno dei confini del Regno Unito e non ascoltava altro: in casa, al lavoro, in macchina, tanto che aveva regalato anche a me tutti gli album - mai ascoltati. Aveva poster di ogni dimensione che tappezzavano tutte le pareti e, perciò, divenne davvero irritante vivere nel suo appartamento. Uno strazio, in poche parole. 
Lo smacco più grande che gli feci fu spezzare davanti ai suoi occhi tutti i cd, quando scoprii della sua piccola - come l'aveva definita lui - infedeltà con un‘altra esaltata con la sua stessa mania. 
Era rimasto paralizzato per parecchi minuti, adirato e sotto shock per l’offesa che gli avevo appena fatto. Me l’ero data gambe, prima che decidesse di farmela pagare per l’onta subita, ma, fortunatamente, non si fece più rivedere. Da allora, avevo qualche problema a sentir anche solo pronunciare il nome di Avril Lavigne e Val lo sapeva bene.
- “Domande?” chiese in modo retorico, ben sapendo che nessuno si sarebbe azzardato a sollevare la minima questione.
Non dissi nulla nemmeno io; in fondo me lo meritavo. Non le avevo mai nascosto nulla da quando la conoscevo e, forse, era stato un errore non raccontarle della scommessa con Nick. A mia discolpa, però, potevo dire che non era certo un argomento facile da affrontare, persino con una persona a me vicina.
- “Ciao Val, tutto bene? Mi piacerebbe restare ma devo andare a letto con dieci uomini. Ciao”. Mmm,no, quello non era sicuramente il modo più appropriato per dirglielo.
Con Will era stato diverso; conosceva Nick, sapeva un po’ com’era fatto - era pur sempre un suo simile - e, pertanto, era stato abbastanza facile, ma non per questo meno imbarazzante, raccontargli del guaio in cui mi ero ficcata.
Cominciai a prepararmi psicologicamente all’incontro con Nick; non osavo immaginare quanto lo avesse potuto cambiare ciò che era successo tra di noi. Insomma, ci eravamo provocati a vicenda - forse io mi ero esposta di più con il ballo da sexy impedita che avevo improvvisato alla Taverna del Grillo - e il risultato era stato un bacio rubato e frettoloso, dopo il quale lui era scappato nel vero senso del termine, rifilandomi un saluto altrettanto veloce.
Uffa… era odioso sapere di dover presentarsi ad un appuntamento in cui il silenzio e la tensione avrebbero fatto da padroni.
Entrai nel locale dove ci saremmo dovuti incontrare e lo scovai in un angolo, intento a leggere un libro. Presi un respiro profondo e mi feci coraggio per raggiungerlo al tavolo.
- “Ciao Nick” gli dissi dolce, sperando che lui percepisse il mio saluto come un invito a non aver timore di mostrarsi imbarazzato.
Abbassò il libro mentre io mi accomodavo sulla sedia di fronte alla sua.
- “Finalmente Sammy. Fossi arrivata tra cinque minuti, mi avresti trovato tra le ragnatele” rispose scocciato.
Dov’è l’uomo indifeso e timido che mi aspettavo?
Rimasi interdetta e tacqui per una manciata di secondi.
- “Hai perso la lingua, Sammy?”.
- “Non l’hai trovata neanche tu, ieri sera”. Chi aveva parlato? Lui non aveva mosso le labbra, perciò… ERO STATA IO? Oddio mio, ho perso il filtro cervello-bocca.
Nick mi guardo con un ghigno, sorpreso da quanto avevo detto, ma non si scompose e riprese subito la parola.
- “Sammy, Sammy, Sammy. Era solo un assaggio. Mica volevi che ti sbattessi contro il muro e che lo facessimo lì?” domandò sarcastico.
Beh, insomma, un pensierino… cosa? No, no!
Una ragazza che avrà avuto qualche anno in più di me, mi salvò in corner, chiedendoci se fossimo pronti con le ordinazioni. Stavo morendo di fame, così presi un’insalata e una bottiglietta di acqua, mentre Nick ordinò un panino e un bicchiere di Coca-Cola.
- “Sto aspettando una risposta” ricominciò.
- “Certo che no. Non ti ho nemmeno chiesto un bacio, se proprio vogliamo dirla tutta” dissi, cercando di mostrarmi fredda e scostante.
- “L’ho fatto per te, cucciola: - mi sfiorò il mento con le dita, prendendosi gioco di me - ti eri tanto impegnata nel mostrarti sensuale e disinvolta, che mi sembrava di fare lo stronzo, lasciandoti a bocca asciutta”.
Scusi, cameriera, mi porta anche un po’ di simpatia per quest’uomo?
Ecco messa in pratica una delle rare capacità che gli uomini possiedono: girare la frittata a proprio piacimento; non era lui che mi aveva trascinata in uno stanzino buio e umido, non lui che mi aveva baciata, non lui che mi aveva piantata in asso cinque secondi dopo. Ero io che lo avevo provocato, ioche l’avevo impietosito al punto che lui si era concesso per compassione.
Scossi la testa e cambiai argomento.
- “Allora, che diavolo vuoi?”. La ragazza tornò con i cibi e le bibite e regalò un sorriso dalle proporzioni epiche a Nick, che contraccambiò con uno sguardo ammaliatore che fece sciogliere persino me che non ne ero la destinataria.
- “Giorno di pesca”. Tirò fuori dalla tasca un sacchetto in plastica con dentro i bigliettini che avevo visto per la prima volta al Pumping Pumpkin. Mi invitò con un cenno del capo a prenderne uno e io eseguii il comando implicito.
- “Fotografo” lessi annoiata la scrittura piccola e nitida.
- “Sarà più facile per te, che per me” commentò.
Due impiegati che avevo visto qualche volta in ufficio entrarono nel bar, mi notarono con Nick e cominciarono a ridere a crepapelle, senza neanche preoccuparsi di non farsi scorgere. Vada per la mia paranoia colossale sul fatto che la gente stia sempre sparlando di me, però quelli stavano decisamente guardando la sottoscritta. D’istinto abbassai lo sguardo; quella bocca larga di Katy aveva senz’altro raccontato qualcosa.
D’ora in poi sarebbe stato un inferno vivere in redazione, dove tutti mi avrebbero additata come una facile. Anche perché - e non avevo dubbi a riguardo - Katy aveva dato una sua personalissima versione dell’intera faccenda, magari omettendo ad hoc dei particolari - tipo il fatto che ero stata praticamente ricattata - e aggiungendone altri, della serie che ero una sesso-dipendente.
Sentii le lacrime agli occhi, ma le asciugai in modo rapido, nel tentativo di ignorarli e di far sì che nessuno si accorgesse di nulla.
Allontanai il piatto d’insalata: mi era passata la fame al solo pensiero di rimettere piede a MM.
- “Qualcosa non va?” mi chiese Nick.
Non ti sfugge niente, eh!
I due imbecilli si erano seduti ad un tavolo nella parte opposta del bar rispetto a noi e sorseggiavano caffè, concedendosi, di tanto in tanto, qualche occhiata nella mia direzione. 
- “Cosa? - risposi timida, cadendo dalle nuvole - Ah, no… solo non ho più appetito”.
- “Centrano quei tizi là in fondo?”.
- “No, no” dissi troppo in fretta per non essere una bugia.
- “Sammy, - il suo tono era di rimprovero - dimmi che succede. Non mi incanti, sai?”.
Era stato così gentile che le parole mi uscirono a fiume quasi inconsciamente.
- “Un po’ di tempo fa sono uscita con un uomo di cui Katy, la consulente legale che ben conosci, è innamorata. Lei non me l’ha perdonata e, da allora, mi odia e fa di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote. E, in questo tutto è compreso anche il racconto della nostra scommessa all‘intera redazione; tu ne esci da figo che passa di letto in letto, io da puttana. Semplice”. Il mio tono era amaro e lui ne sembrò dispiaciuto.
I cretini uscirono dal bar, schiacciandomi persino un occhiolino e continuando a ridacchiare in modo odioso. Non ebbi il tempo di realizzare quanto accadeva che Nick saltò in piedi e li seguì fino all’esterno. Già m’immaginavo di assistere ad una scena degna del far west o, se proprio vogliamo esagerare, un duello medievale con il cavaliere che corre a difendere l’onore della damigella offesa oppure, ancora, una location messicana sulla falsa riga di quella di Zorro.
Insomma, mica vai a pensare ad uno di scambio di chiacchiere amichevole, ad un cordiale saluto virile e ad una pacca sulla spalla prima di congedarsi. Era una risata quella?
Osservai l’incontro tra Nick e i due bambocci attraverso la vetrina del bar, con un sopracciglio alzato dalla sorpresa. Lui rientrò nel locale, si accomodò al tavolo e addentò il panino senza proferire parola, ma con un sorriso a fior di labbra. Terminò il sandwich in pochi bocconi, mentre io lo scrutavo curiosa.
- “Odio la gente che mi guarda mentre mangio” disse infine.
- “Cosa gli hai detto?” arrivai dritta al punto.
Nick bevve un sorso di Coca-Cola e mi guardò.
- “A chi?”. Andiamo, Nick, sai bene di cosa sto parlando.
- “Ai miei colleghi” risposi dura.
- “Ah, a loro.  - il finto disinteressato - Ho chiesto quanto hanno fatto i Knicks ieri sera”. 
- “Interessante, perché, tesoro, nessuna partita di basket ieri in NBA”. Se voleva ottenere una risposta a tono, l’avrebbe ottenuta.
Si pulì le mani nel tovagliolo attentamente e tornò a concentrarsi su di me.
- “D’accordo. - si arrese - Ho detto loro che sei un uragano a letto e che sarebbero fortunati se la loro professione fosse una delle nove rimaste”. Lo fissai inorridita, mentre lui non distoglieva il suo sguardo sexy dai miei occhi: dai, non poteva aver davvero raccontato quelle cose!
- “Sei così credulona da essere perfino irritante, Sammy. Ti basti pensare che non parleranno più di te. - si alzò e posò delle banconote sul tavolo - Offro io. Ci sentiamo”.
- “Grazie - dissi - sia per il pranzo che per l’altra cosa”.
Chiappe d’oro se ne andò, lasciandomi in un limbo di sensazioni diverse; era chiaro che avesse fatto qualcosa di estremamente carino per me, salvandomi da una situazione di totale imbarazzo sul lavoro - c’era comunque da chiarire il metodo con cui li avesse convinti a lasciarmi in pace e se fosse stato efficace. Poi era, però, tornato come sempre, distante e con il pallino di punzecchiarmi.
Gli uomini. E meno male che siamo noi le complicate!
Passai in redazione e constatai che i due del bar, si erano rintanati in un angolino e, non appena si accorsero della mia presenza, vennero di corsa a scusarsi e a promettermi che mai più si sarebbero presi gioco di me.
Che diavolo gli aveva detto? Che ero la figlia di un gangster?
Lasciai che mi leccassero i piedi, riempiendomi di complimenti e adulandomi neanche fossi la regina Rania di Giordania.
Al diavolo, idioti.
 
Tornata a casa - di Romeo ancora nessuna traccia -, cominciai a calarmi nella parte della brava giornalista. Cercai la scatola dove conservavo tutti i regali ricevuti negli anni a Glasgow e trovai tutti i cd di Avril Lavigne che Colby mi aveva regalato. Non avevo mai avuto il coraggio di ascoltarli, ma nemmeno di buttarli. Colpa di mia madre che tendeva a non gettare via nulla, con la scusa che 'un giorno potrebbe servirti". E ancora una volta la mamma aveva avuto ragione.
Scelsi Let go e le note di Complicated si diffusero per tutto l’appartamento.

Why you have to go and make things so complicated? 
I see the way you're acting like you're somebody else gets me frustrated.

Mi girai di scatto verso l’hi-fi: era la canzone perfetta per Nick! Mi aveva baciata e poi aveva fatto finta di niente; mi aveva aiutate e, ancora una volta, aveva fatto finta di niente.
Neanche fossero due persone diverse! Ciò che mi preoccupava era che era chiaro come il sole che ciò avesse degli effetti collaterali su di me e, soprattutto, sul mio equilibro mentale.
A quel punto, mi venne in mente solo una cosa: Avril, dove sei stata tutto questo tempo?
 
 
Ave! Questa settimana un attimino in anticipo, ma è giusto dirvi che con moltissima probabilità la prossima sarò invece in ritardo causa esame.
Poi ho un grosso problema: vorrei mettere un’immagine di questa storia, ma non esiste un uomo in grado di reggere il confronto con l’idea che mi sono fatta di Nick. HELPPP!
Però, penso anche che una persona, quando legge, si crei una propria immagine dei personaggi e, perciò, da questo punto di vista, la foto di quelli che io ho in testa risulterebbe superflua. Boh! Rileggendo, non capisco neanche io quello che ho scritto, purtroppo è un concetto che non riesco ad esplicare! Uffaaaaaa!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, un bacione nella speranza di ritrovarvi qui anche al prossimo! Buona serata!
HappyCloud
 
 
 
SunshinePol: io arrivare in ritardo???Puah…sei chiaramente in errore. Purtroppo è genetica, mia cara! Colpa di mamma Giusi!!! Comunque Sammy ha troppo ragione per le scarpe; sai quanti rompimenti in meno se ci fossero meno uomini e più scarpe nel mondo?! Baci!
 
Emily Doyle: oddio, Will e Val? Effettivamente non ci avevo pensato! Però, povero Johnathan, cornuto dopo poche settimane di matrimonio. In realtà ho già in mente ben altro destino per il buon vecchio Will…:D baci!
 
Aryanne: Will è un ottimo amico! Almeno per ora…la prossima sfida è trovare un fotografo, impresa forse facile per Sam, ma sicuramente non priva di sorprese. Spero che il capitolo ti sia piaciuto! Baci!
 
Wingedangel: innanzitutto, sto ufficialmente imparando a scrivere il tuo nickname! Bando alle ciance, sono contenta che il bacio non sia risultato una forzatura e, come hai detto tu, in realtà, non ha sconvolto molto gli equilibri tra Nick e Sam. Si vedrà! Un bacione!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Sameteries Of London. ***


Capitolo sette. Sameteries of London.
 
Erano passati un paio di giorni dall’incontro con Nick, in cui aveva misteriosamente zittito le dicerie su di me con i due impiegati di MM. 
Era un lunedì sera tranquillo, delle nubi color cenere affollavano il cielo di Londra, lasciando presagire che ben presto un temporale si sarebbe abbattuto sull’intera città. Mi sedetti sul divano, esausta dopo l’intervista di due ore con servizio fotografico incluso ad Avril Lavigne, e cominciai a sgranocchiare dei pop-corn, ancora indecisa sul film da guardare.
Romeo, ormai da diversi minuti, continuava imperterrito a fare delle avances alla porta d’ingresso: quella maledetta che lo separava dal suo amato!
- “Tesoro, datti una calmata. - gli urlai dal sofà - Will è fuori a cena con i colleghi della ditta. Non rientrerà prima di qualche ora”. Il gattaccio non accennava, però, ad attenuare il ritmo con cui stava graffiando l’uscio e, quindi, mi decisi a farlo uscire, dove sapevo con certezza si sarebbe appollaiato sullo zerbino, in attesa del suo principe azzurro.
Quella settimana non ero molto preoccupata per la scommessa; la mia rivista pullulava di fotografi. Il vero problema era che non riuscivo a ricordarne nessuno che potesse essere considerato anche vagamente accettabile o carino. O celibe -d’accordo che ero disposta a tutto pur di vincere la sfida, ma qualche principio morale ce l’avevo ancora!
Mi alzai e spulciai la parte di libreria in cui avevo sistemato in ordine alfabetico tutti i miei dvd -sì, anche quelli di Nick, nascosti, però, in un’apposita scatola anti-intrusi.
Era un rituale che facevo ogni sera che mi trovavo sola in casa in totale nullafacenza, pur sapendo già su quale film sarebbe caduta la mia scelta: Sweet November. Lo avevo visto un migliaio di volte, di cui una decina al cinema, rintanata in un angolino della sala perché nessuno mi vedesse piangere dalla commozione. All’inizio ero sempre eccitata di vederlo di nuovo -in fondo la storia era bellissima-, ma finivo inevitabilmente allo stesso modo, cioè imprecando contro il mio stupido cervello che mi aveva suggerito la malsana idea di sottopormi alla tortura psicologica di un non-lieto fine.
Spensi il cellulare e staccai il telefono fisso - nulla di più odioso di qualcuno che ti disturba mentre tu soffri con gli attori per quanto sta accadendo - e mi premunii di una scatola di Kleenex che avevo comprato per l’occasione. Avviai il film, stringendomi nella coperta che tenevo sulle gambe. Eravamo solo ai titoli di testa e già mi sentivo un accenno di pianto pizzicarmi gli occhi.
L’intera pellicola scivolò viva in un baleno e io mi ritrovai disperata a soffiarmi il naso con l‘ultimo fazzoletto rimasto, implorando Sara di non abbandonare Nelson, di non lasciarselo sfuggire perché lui le sarebbe rimasto accanto fino alla fine.
Sì, divento piuttosto patetica quando mi lascio coinvolgere dalle sceneggiature.
Il campanello suonò, facendomi drizzare in piedi dallo spavento.
- “Sì?” urlai con una nota stonata nella voce.
- “Sono Will. Non riesco a staccarmi di dosso Romeo. Aiuto!” gridò, ridendo.
Aprii la porta in pigiama, spettinata, struccata e con dei lacrimoni che scendevano giù per le guance pallide.
Il mio vicino mi guardò stupito e preoccupato, dismettendo immediatamente i panni dell’amico giocherellone, per indossare quelli del consolatore.
- “Che è successo, Sam?” disse abbracciandomi e io lo lasciai fare.
- “Al-la fi-ne lei lo ha la-scia-to an-da-re” risposi sillabando le parole per via dei singhiozzi che mi spezzavano il respiro.
Will mi guardò confuso.
- “Lei chi?”. Si staccò da me per guardarmi in viso.
Come fa a non capire?
- “Sara ha fatto andare via Nelson” dissi, cercando di calmare gli spasmi.
- “Mi dispiace. - rispose lui, senza nemmeno sapere di cosa stessi parlando - Un attimo, ma chi cavolo sono Sara e Nelson?” rifletté. Gli indicai la custodia del dvd che era appoggiata sul tavolino del salotto.
- “Sei in questo stato per un film? - domandò scettico e io annuii - Tesoro, è bello sapere che anche tu hai un cuore, sotto quegli innumerevoli strati di cinismo, di acidità, di puntigliosità… ”.
Mi asciugai le lacrime e mi accomodai sul divano, invitandolo a fare altrettanto, Romeo permettendo.
- “Sei in vena di complimenti, vedo, oggi” esclamai sarcastica. Si stampò un sorriso sulla faccia che sembrava essere stato appeso da orecchio a orecchio.
- “Lo sai che ti voglio bene. - mi stritolò letteralmente - Te ne sto facendo una scorta per quando sarò via”.
Aguzzai l’udito, sperando in cuor mio di aver capito male.
- “Torni già a Portland?” chiesi, impaurita che la sua risposta potesse essere affermativa. Nonostante fosse poco tempo che lo conoscessi, mi ero affezionata molto a lui e, vederlo sparire dalla mia vita così, senza preavviso, sarebbe stato un grande dispiacere perché instaurare un’amicizia con lui era stato incredibilmente facile ed era divertente passare le serate insieme mangiando tra una chiacchiera e l’altra.
In più, c’era da pensare come avrebbe potuto reagire il mio bel micione innamorato!
- “No, - mi rispose calmo - ma la mia azienda ha organizzato, non so ancora bene quando, una specie di weekend in campeggio per noi dipendenti, per - recitò come se fosse a teatro - rafforzare l’affiatamento tra colleghi affinché si possa offrire un servizio sempre migliore ai clienti” terminò con enfasi.
Scoppiai a ridere e Will si unì a me.
- “Che americanata! - gli dissi, continuando a sghignazzare - Farete i boyscout versione senior?”.
- “Mi fa piacere che il tuo spirito critico non sia annegato nel pianto di prima da Bambi” disse, prendendomi in giro.
Gli feci una smorfia e lui mi rispose a tono, dando inizio ad una battaglia di cuscini che venne stroncata sul nascere dalla netta predominanza fisica del mio vicino che, in quattro e quattr‘otto mi fece fare un capitombolo sul tappeto.
- “Vorrei farti una foto in questa posizione, così ti ricorderesti cosa significa sfidare il sommo Will” disse osservandomi dall’alto.
- “A proposito di foto. - gli porsi la mano perché lui mi aiutasse ad alzarmi da terra - Sono a caccia di un fotografo: è la scommessa settimanale”.
Lui mi afferrò il braccio e io mi misi in piedi.
- “Datti un’occhiata in ufficio e voilà, il gioco è fatto!” disse.
- “Già. Si direbbe facile per me. Il punto è che mi chiedo come farà Nick. E’ un po’ troppo misterioso quell’uomo; voglio dire, è sparito per quasi due settimane e non ha neanche fornito una spiegazione. Torna e scopro che è stato a letto con Jamie e Candy Rowell. Non ti chiedi cosa possa esserci sotto?” chiesi sospettosa.
- “Veramente, mi chiedo che problemi abbia tu. Tu sei quella dell’io voglio scoprire, e lui, quello dell’io voglio scopare. Arcano risolto” mi rispose, poco interessato all’argomento.
Stupida io che mi impuntavo a far ragionare un uomo.
- “Lasciamo perdere. - sospirai - Vai a farti una dormita e medita su quello che ti ho detto” dissi severa.
Ma ti senti? Sembri sua madre!
- “Mi stai buttando fuori di casa?” mi chiese sorpreso.
- “Sì. Notte, Will”.
Girai i tacchi e feci per raggiungere la camera, quando sentii la sua voce ancora nel salotto.
- “Stavo per invitarti a cenare con me e Nick domani sera  per la partita dei Blazers. Va beh, notte”. La mia testa fece di nuovo capolino nel soggiorno, mentre lui di avvicinava alla porta d’ingresso.
- “A che ora?” urlai. Era un’occasione ghiotta per metterli entrambi sotto torchio: non potevo farmela sfuggire.
Lui si girò nella mia direzione e mi sorrise.
- “Alle otto sul pianerottolo. Alle otto Sam, non mezz’ora dopo!”.
- “D’accordo. La vuoi sempre una mano per scrollarti dai piedi Romeo?”. Il mio gatto non si dava per vinto, avvinghiato come una serpe al polpaccio di Will, che annuì disperato.
Chiamai il mio micione un sacco di volte, promettendogli qualsiasi tipo di prelibatezza avessi nella dispensa; alla fine, quando io e il mio vicino eravamo esausti e quasi rassegnati, mi venne in mente l’unica cosa che lo avrebbe dissuaso a mollare la presa dall’oggetto del suo desiderio: il gomitolo di lana verde. Non mi era chiara la ragione per cui adorasse tanto quella matassa ormai logora e disfatta, ma funzionava sempre. Infatti, non appena la vide, i suoi occhi vispi si spalancarono e, lentamente, allentò le grinfie dai jeans di Will, catapultandosi sul nuovo gioco. Il mio vicino si dileguò, prima che l’attenzione che Romeo aveva riposto sul gomitolo scemasse.
Quella sera dormii profondamente e sognai persino: c’era Lui, quello con la L maiuscola, quello che non mi avrebbe delusa né usata, quello che ci sarebbe stato per sempre -come sempre decapitato perché, diamine!, sarebbe stato troppo sapere chi fosse. Colui che puoi trovare solo nel mondo onirico, in sostanza. O nei film, come il povero Nelson.
 
- “Valerie! - urlai mentre lei entrava nel suo ufficio il martedì mattina. Mi ignorò, costringendomi a seguirla con in mano il plico di fogli che avevo trovato sulla scrivania al mio arrivo - La tua segretaria si è di nuovo sbagliata: ha portato a me le buste paga e al ragioniere il materiale che mi serve per gli articoli. Sarà che è un po’ distratta, sarà che è un po’ strana, sarà che forse non è adatta a svolgere un lavoro come quello, dove sei sempre sotto pressione, sarà che… ”.
- “Bel tentativo, Sam. Ma la tua parlantina ininterrotta non mi distoglierà dal farti vuotare il sacco sull’argomento preferito della redazione: la scommessa con Chiappe d’oro”.
Sapevo che il mio piano non avrebbe funzionato. No, un attimo: la redazione parlava di me?
- “Sono ancora al centro dell’attenzione?” domandai con un briciolo di ansia.
Si appoggiò allo schienale della poltroncina girevole.
- “Non so bene per quale ragione, ma due tizi addetti alla stampa hanno cominciato a zittire tutte le voci che circolavano su di te. - I due ceffi del bar, pensai - Purtroppo ci vuole ben altro per smorzare la mia curiosità”.
Lo sapevo bene, così decisi che era arrivato il momento di raccontarle tutto quanto, anche a costo di andare incontro a sguardi stupefatti e, forse, pure delusi.
- “Devi andare a letto con dieci uomini, quando la verità è che è Nick che ti vorresti fare?”.
No, avevo sbagliato: era il mio viso ad essere stupito.
- “Che diavolo stai dicendo? Neanche lo sopporto, figurati se mi sogno di andarci a letto!” gridai indignata.
- “Però non mi pare ti sia tirata indietro quando ti ha baciato alla Taverna del Grillo” mi rimproverò in tono bonario.
- “Non c’è stato nemmeno il tempo di ritrarsi, è durato pochi secondi. E, comunque, non voglio parlare di questo; devo trovare un fotografo entro domani sera, prima della cena con lui e Will. Gli sbatterò in faccia la mia vittoria stavolta e non ammetterò repliche”.
Val mi sorrise.
- “Nel caso in cui tu non ci abbia fatto caso, questo posto pullula di fotografi”.
Mi accomodai sulla sedia di fronte alla sua, gesticolando nervosamente.
- “Dammi qualche nome, ti prego, perché sto passando in rassegna i cassetti della mia memoria, ma non riesco a scorgerne nessuno a cui corrisponda una figura gradevole” esclamai rassegnata.
La mia amica mi guardò perplessa e trasse da una cartelletta quello che aveva l’aria di essere un catalogo.
- “Beh, - esordì, aprendo il libro - ci sarebbero Frank, Danny o Richie”.
- “Che ardua scelta: - risposi ironicamente - un ciccione tarchiato e sposato, uno che ha la stessa età di mio padre o uno che puzza di sudore? E, poi, dimmi perché tu hai un quaderno con le schede di tutti i tuoi impiegati?”
Fece per rispondere, ma la interruppi.
- “Ah, non voglio saperlo. Da' qua”. Le tolsi dalle mani il raccoglitore e cominciai a sfogliarlo.
Daniel “Danny” Pratt.
58 anni, divorziato, tre figli.
Mancava solo: amante delle passeggiate a cavallo e dei cani, cerca donna disponibile per amicizia ed eventuale matrimonio e poi sarebbe stato il perfetto profilo di un’agenzia matrimoniale.
Scartabellai quasi tutti i nominativi, non trovandone, però, nemmeno uno che fosse adatto alla causa. Infine, vidi quel nome e il mio cuore per poco non si incendiò: Nelson.
Alzai di scatto la testa e fissai Valerie.
- “Perché non mi hai detto che c’era un Nelson che lavora qui?” gridai da tanto ero su di giri. L’emozione era così forte che, pur avendo ancora la sua scheda sotto gli occhi, non riuscivo più a distinguere le lettere che componevano le parole. Sbirciai solo se fosse sposato, ma vidi un celibeche mi rese ancora più elettrizzata.
- “Sono un paio di anni che è stato assunto, e guarda che tu lo conosci e… ” neanche ascoltavo quanto stava dicendo.
L’avevo trovato, il mio Lui era stato nei paraggi per tanto tempo e, finalmente, ci saremmo ricongiunti per stare insieme per sempre. Al diavolo Nick, la scommessa. L’amore bussava alla porta ed io ero più che pronta ad accoglierlo.
- “Dov’è ora?”. Solo qualche secondo dopo mi resi conto della domanda idiota che avevo posto a Valerie; mica poteva sapere tutto dei suoi impiegati - anche se, a giudicare dal raccoglitore - conosceva parecchie cose dei suoi collaboratori.
Lei, inaspettatamente, mi rispose, con una risata a fior di labbra che trattenne.
Che hai da ridere? 
- “E’ nell’altra stanza, Sam. Ti basterà chiamare il suo nome e vedrai che capirai subito di chi si tratta”.
Partii a razzo e mi fermai solo quando ebbi raggiunto lo stipite della grande sala che fiancheggiava la nostra.
C’erano tre colleghe che stavano scrivendo a computer, Richie il puzzone, il giovane - e strano - ragazzo che consegnava la posta (era lui?), un redattore di cui non ricordavo il nome sulla quarantina e parecchi del reparto grafica che stavano sorseggiando un caffè davanti alla macchinetta.
Aprii la bocca al culmine della gioia e pronunciai il nome guardando negli occhi il tizio che consegnava le lettere, più nella speranza che fosse lui che per una certezza reale.
- “Nelson” urlai, con il cuore che batteva all’impazzata.
- “Che vuoi?” sentii rispondere da qualcuno che, purtroppo, non era il soggetto sperato.
E’ pure un po’ sgarbato, ma dai, Sam, è l’uomo della tua vita, lascia correre.
Girai lo sguardo, tesissima, e scorsi finalmente colui che si era identificato.
- “Richie? - gridai disgustata - Ho detto Nelson, non Richie”.
Guarda te questo idiota.
- “Sam, - disse un po’ scocciato - io mi chiamo Nelson Richards, da cui Richie”. 
Il castello di carte - e sogni - che la mia mente aveva elaborato crollò in un istante. Niente Keanu Reeves, niente uomo meraviglioso con cui trascorrere la vita, e, cazzo!, niente profumo.
Due cuori e un’ascella pezzata.
Accampai una scusa banale e tornai in ufficio da Valerie: ecco perché stava ridendo sotto i baffi prima e ora.
- “Potevi dirmelo subito!” sbottai.
Lei continuò a sghignazzare, senza riuscire a tornare seria.
- “Non ce l’ho fatta e poi tu non mi stavi nemmeno a sentire. Eri troppo convinta di aver trovato l’uomo ideale, il tuo benedettissimo Nelson. Io ti consiglio di smettere di guardare quel film. Disintossicati!”.
Mi sentii una completa idiota e cominciai a ridere anch’io a crepapelle, perché se quello con Richie fosse stato amore, c’era da scappare a gambe levate senza voltarsi mai indietro.
 
Richie o no, la scommessa non era di certo annullata. La cena con Will e Nick si avvicinava e, con essa, si allontanava la mia speranza di anticipare la tempistica usuale della consegna delle prove di domenica. Avevo escluso categoricamente tutti gli altri fotografi che mi aveva proposto Val - qualsiasi donna con un briciolo di rispetto per sé stessa lo avrebbe fatto - e perciò ero di nuovo punto e a capo.
L’aria fredda che anticipava l’autunno mi pungeva il volto e mi spinse a cercare - e trovare - un taxi alla svelta, per trovare al più presto il calore di casa mia. Non facemmo a tempo a fare un centinaio di metri che ci trovammo imbottigliati un’infinita coda di macchine.
- “C’è stato un incidente, credo” mi disse gentilmente il tassista.
Mi limitai ad annuire con un sorriso che non corrispondeva all’espressione annoiata che avevo stampata in faccia.
Che palle.
Cominciai ad osservare il panorama fuori dal finestrino; la solita frenetica Londra: un viavai interminabile di uomini in completo scuro con la ventiquattrore, turisti giapponesi intenti a fotografare anche il più piccolo granello di polvere e le consuete nubi che minacciavano brutto tempo.
La mia attenzione, però, si concentrò su un grande cartellone pubblicitario di una marca di prodotti per la casa: una ragazza dall’aria ammiccante portava alle mani un paio di guanti in lattice che erano stati sostituiti con due teste di dinosauro.
Percepii che la mia mente stava partorendo un’idea che mi avrebbe risolto per sempre il problema della scommessa settimanale: il magico ed incantato mondo dei foto-ritocchi.
Come potevo non averci pensato prima?
- “Scendo qui. - dissi al conducente con una rinnovata allegria nella voce - Quanto le devo?”.
- “Oh, signorina, lasci stare. Sono solo tre sterline”.
Frugai nel portafoglio e gli allungai una banconota da dieci perché adoravo il tassista, adoravo il taxi, adoravo l’intero universo! Avrei stracciato Nick una volta per tutte con il minimo sforzo. Il piano andava, però, organizzato in ogni minimo dettaglio, i boxer e la foto in primis. Mi fermai in un negozio di intimo e acquistai un paio boxer, abbastanza virili da sembrare credibili, abbastanza sciatti da capire che erano stati scelti da un uomo. Tornata a casa, mi misi al computer e studiai da cima a fondo le tecniche migliori per realizzare un fotomontaggio praticamente perfetto. Scelsi due modelli poco famosi, avvolti in un lenzuolo e dei quali mi sarei sostituita alla donna. Mi feci delle foto in una posa che potesse rendere possibile l’incastro del mio corpo con quello del fantomatico fotografo e colorai i boxer del giovanotto dello stesso colore del paio che avevo acquistato io. Il risultato finale fu più che accettabile e, perciò, mi lasciai sfuggire una risata malefica che fece spaventare il povero Romeo e, di riflesso, pure me stessa. L’operazione di art-attack mi impegnò molto più del previsto: due ore e mezza. Erano già le 19 ed io ero già terribilmente in ritardo.
 
- “Dannazione, Sam, vuoi deciderti ad uscire? Sono già le venti e dieci!”. Will continuava a bussare alla mia porta con una tale forza che pensavo che da un momento all’altro l’avrebbe sfondata.
- “Un attimo!” mentii, saltellando su un piede mentre infilavo i leggins nell’altra gamba, con lo spazzolino in bocca.
Veramente me ne servirebbe una tonnellata, di attimi.
- “Hai detto così anche dieci minuti fa” mi rispose esasperato.
- “Stavolta, davvero!” gridai, cercando di non sputare il dentifricio sul pavimento.
Dovevo finire di vestirmi, indossare le scarpe, truccarmi, cambiare borsa e travasarne il contenuto, scegliere gli orecchini, sistemarmi i capelli, cercare il cellulare disperso nei cuscini del divano. Neanche se avessi utilizzando la modalità velocità della luce di Clark Kent sarei riuscita a fare tutto in un attimo. Will tacque qualche istante in cui sapevo che si stava pentendo di avermi invitato e, poco dopo, sentii il rumore di una chiave far scattare la serratura: il mazzo di riserva del signor Hansen. 
Ecco, Sam, questo dev’essere l’ultimo suono che sentirai prima di morire. Perché Will ti strozzerà non appena ti vedrà ancora mezza nuda.
La porta si aprì e le pupille del mio carnefice diventarono grosse quanto due palle da biliardo. Gli feci un sorrisetto forzato per smorzare la tensione, con la consapevolezza di sembrare un ladro beccato in flagrante.
- “Inizia a correre, Samantha Grayson, perché se ti prendo ti ammazzo” mi disse gelido ed io non dubitai nemmeno un secondo che non stesse facendo sul serio.
- “Romeo” gridai come una pazza, sperando con tutta me stessa che il mio micione si facesse vivo e attaccasse affettuosamente il suo amore impossibile. Ma quel gattaccio nemmeno mi ascoltò e mi costrinse a fare uno scatto verso la sua cuccia per afferrare il gomitolo di lana verde e scagliarlo verso Will, che lo afferrò d’istinto. Passarono pochi secondi e un indefinito ammasso di pelo gli si lanciò addosso, consentendomi di scappare in camera, chiudere a chiave e finire di prepararmi senza reali minacce alla mia vita. Dopo un quarto d’ora, uscii dalla stanza e ritrovai Will e Romeo sul divano, uno esausto e sul punto di uccidere me e il gatto e quest’ultimo felice come una Pasqua di poter godere della presenza in contemporanea del suo principe e del suo gomitolo.
Riuscii a stento a togliere il povero vicino dalle sue grinfie, dopodiché ci precipitammo alla macchina di Will, ormai rassegnato alla mezzora di ritardo.
 
- “Ehi, Will, stavo cominciando a darti per disperso” disse Nick, sorseggiando la sua birra direttamente dalla bottiglia.
Capii che non mi aveva visto, dietro la figura imponente di Will. Quando, però, quest’ultimo si spostò per sedersi, Nick si stampò un sorriso meraviglioso sulla faccia.
- “Tutto molto più chiaro. Con Sammy, il ritardo è assicurato”.
- “Ah ah ah. - risposi ironica - Ma Will non te l’aveva detto che sarei venuta anche io?” gli chiesi.
Se c’era una cosa che proprio mi infastidiva, era essere la sorpresa non annunciata agli appuntamenti degli altri.
- “Perché rovinarmi il divertimento di vedere voi due che battibeccate persino su questo?” disse il caro vicino di casa.
Ordinammo la pizza e io, per precauzione, presi solo una Coca-Cola, mentre gli altri due si concessero due birre. La partita tra i Blazers e i Raptors fu avvincente e mi resi conto, mio malgrado, di essere la più esaltata non solo del gruppo, ma dell’intero locale.
Nick e Will non facevano che ridere ogni volta che aprivo bocca per gridare di tornare in difesa o per esultare dopo una tripla. Avevano un’intesa incredibile, quella speciale connessione che si crea tra uomini e che risulta impenetrabile - e incomprensibile - per qualsiasi essere non munito di pene. Ero persino gelosa del loro affiatamento e mi lasciai sfuggire un commento che avrei voluto e dovuto tenere per me.
- “Ma Will è mio amico, non tuo”. Quattro occhi si puntarono su di me, divertiti e curiosi.
- “Sammy, sei gelosa? Può essere amico di entrambi,sai?”.
- “Certo che non sono gelosa - non hai appena detto il contrario? - Stavo solo scherzando” mi difesi, ma non convinsi nemmeno me stessa.
- “Facciamo una sfida, allora: - disse Nick - vediamo chi dei due lo conosce di più”.
Nick, Nick, Nick. Ti vuoi proprio rovinare da solo; ci hai parlato due volte, non puoi sapere più di quanto sappia io.
Annuii decisa e Will si convinse ad intervenire.
- “D’accordo. Io farò tre domande, chi sa la risposta la dica il più velocemente possibile. Pronti?” ci domandò.
Entrambi rispondemmo affermativamente e il mio amico cominciò.
- “Qual è il mio cognome?”.
Oh cielo, questa non la so. Il signor Hansen è il nonno materno, quindi è la madre di Will che si chiama come lui e…
- “Beckett” rispose sicuro Nick.
- “Un punto per Nick”. Rimasi sbalordita: lui lo sapeva ed io no?
- “Che mestiere faccio?”. Per un istante fui tentata di dire lavori, ma, pensandoci, capii che avrei dovuto spremermi di più.
- “Rappresentante di una multinazionale nel campo farmaceutico”. Li guardai sbigottita, la bocca spalancata con ampio accesso per le mosche.
- “Esatto. - confermò Will - 2-0”.
- “Ultima domanda: il nome della mia ex?”. Sì, America; chiedimi pure la spiegazione della teoria della relatività.
- “Marie, una francesina tutte curve con due tette da urlo. - disse Nick, scambiando un saluto virile con Will - Spiacente, Sam, ti ho annientato”.
- “Che amica pessima, sono?” dissi, sinceramente dispiaciuta.
- “Non dire così, sei solo un po’ troppo concentrata su te stessa per ascoltare gli altri” mi rispose il suo amico.
Bella consolazione.
- “Sammy, tesoruccio, ho idea che questa mania di perdere contro di me si ripeterà anche per la scommessa” mi sfidò Nick, di nuovo.
Era arrivato il momento di sfoderare il mio asso nella manica.
- “Mi spiace, tesoruccio, ma si dà il caso che io abbia già adempiuto alla mia scommessa settimanale. Eccoti i boxer e la foto” gli dissi, non vedendo l’ora di cantare vittoria.
Nick afferrò il tutto e cominciò ad esaminare attentamente la foto e Will si unì a lui.
- “Mi stupisci, Sam. Sono molto sorpreso per la tua preparazione. Non so se il nostro amico concorda con me, ma sono molto più impressionato dal fatto che il tuo fotografo abbia tre piedi, di cui uno con lo smalto rosso. Mmm, audace”.
Stava palesemente bluffando. O no?
Strappai dalle sue mani la foto incriminata e vidi quell’orrendo-stupido-inutile piede della modella che non avevo rimosso.
Cazzo, ora che mi invento?
Optai per un silenzio imbarazzato: come potevo vivere in un perenne stato di goffaggine?!
- “L’ho fatto per testare i tuoi riflessi” dissi all'improvviso.
- “Fingerò di crederci, Sammy. Ma un altro di questi scherzetti e farò razzia del tuo conto in banca” mi rispose con quella adorabile faccia da schiaffi.
- “La lasci impunita?” chiese Will che viene immediatamente fulminato con lo sguardo dalla sottoscritta.
- “No, hai ragione. Battuta e umiliata due volte in una sera; anzi, in cinque minuti. Merita una punizione ed ho già un’idea”.
I Blazers quella sera vinsero e Will, preso dall'entusiasmo, ci offrì la cena.
Quando uscimmo dalla pizzeria, Nick ci disse di salire sulla sua auto e mi bendò gli occhi, arrotolando il suo maglioncino blu che mi cullò col suo profumo finché non fummo arrivati a destinazione. Non volevo nemmeno pensare al modo in cui avrei dovuto espiare il mio tentativo da perfetta imbranata di fregarlo.
Mi aiutarono a scendere, proprio quando un brivido di paura mi attraversava la schiena.
Li sentii sghignazzare e ciò non fece altro che aumentare il brutto presentimento che avvertivo dentro di me.
Nick mi tolse il maglione dagli occhi e ciò che vidi mi gelò il sangue: il campo santo di Brompton, uno dei Parchi Reali di Londra, nonché uno dei sette cimiteri principali della città.
Lo guardai perplessa e con un sentimento di timore assoluto che mi aveva alterato il ritmo regolare del cuore.
- “Visto che sei sempre così brava a fare la morale in difesa delle donne, vai a cercare la tomba di Emmeline Pankhurst, falle una foto e torna qui. Buona ricerca, Sammy, noi ti aspettiamo qui”.
Cosa? Neanche se fossi stata Buffy in persona avrei portato il mio prezioso culetto in un cimitero in piena notte.
- “Lo farò molto volentieri. Domani mattina” ribattei. Feci per ritornare in macchina, ma Will mi bloccò.
- “Andiamo, Sam, dimostragli che non hai paura. Sono tutti morti là dentro, non ti possono far nulla”.
Dannazione a quei due che mi stavano facendo impazzire; da una parte ero terrorizzata, dall’altra avrei dato una gran bella lezione di coraggio ai due che mi attendevano fuori.
Presi un respiro profondo, mi feci consegnare una torcia e la macchina fotografica da Nick e mi diressi verso l’inferno.
Il campo santo di Brompton sorgeva a West Brompton, una zona di Kensington e Chelsea. Era stato aperto nel 1840 e, ad oggi, era usato più come parco pubblico che cimitero. Aveva un ampio prato verde, all’interno del quale molti film erano stati girati, come Sherlock Holmes. Ecco, appunto, dov’è Jude Law? Anzi, rettifico: dov’è chiunque?
Procedevo piano, guardandomi continuamente alle spalle e leggendo il nome su tutte le tombe. Pur essendo poco utilizzato, la quantità di lapidi che vi si trovavano era immensa ed io non avevo la più pallida idea di dove fosse quella della Pankhurst.
L’adrenalina che avevo in circolo era l’unica cosa che mi trattenesse con i piedi ancorati al terreno; la tentazione di scappare era forte, ma la sensazione di giubilo che fosse derivata dalla mia riuscita nell’impresa, sarebbe stata decuplicata.
Dopo una ventina di minuti di ricerca estenuante, finalmente la trovai. Scattai quella stramaledetta fotografia, pronta a correre verso l’uscita.
- “Ehi tu, bellezza”. Mi sentii morire e, d’istinto, mi girai con la torcia verso colui che aveva parlato, con uno sguardo terrorizzato.
Era un clochard, un senzatetto che si era rifugiato - in compagnia di una bella bottiglia di whisky - sulla tomba alle mie spalle. Aveva tutti i vestiti sporchi, un berretto consunto in testa e un alito che avrebbe steso un intero gregge di pecore.
Urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni e presi a correre, sfruttando ogni minima energia avessi in corpo.
Persi la torcia per strada, mentre mi guardavo indietro per vedere che l’uomo non mi seguisse. Non vidi nessuno, ma andai a sbattere contro qualcosa che si era frapposto tra me e la mia via di fuga e che mi fece cadere all’indietro.
Alzai lo sguardo, smarrita e nel panico più completo: non era qualcosa, era qualcuno. Mi alzai nella frazione di un istante e ricominciai ad urlare come un ossessa.
Quel qualcuno mi prese tra le braccia, mentre ancora io mi dimenavo e cercavo di divincolarmi da quella morsa che pensai mi volesse uccidere.
- “Calmati, Sammy, sono Nick”. Mi calmai per una decina di secondi, sull’orlo del pianto, ma poi lo scostai con forza.
- “Sei un idiota. Lo siete entrambi”. Lo piantai in asso, senza diritto di replica e presi di nuovo a correre verso l’uscita, dove cercai disperatamente un taxi e dove ebbi l’occasione di smaltire la tensione, lasciando che le lacrime mi rigassero il viso.
Tornai a casa ancora eccitata ed agitata per il pericolo scampato e mi accomodai sul divano. Sul tavolino c’era ancora Sweet November; solo in quel momento notai che non solo il titolo recava la mia iniziale e quella di Nick - S N - ma che lo stesso valeva anche per Sara e Nelson, i protagonisti.
Piena di rancore, presi il dvd nelle mani e lo spezzai in due, lasciandolo cadere sul pavimento. Io non volevo avere più nulla a che fare con lui e, in quel momento, non riuscivo nemmeno a tollerare il fatto che le nostre iniziali potessero accarezzarsi a vicenda nello stupido titolo di un film. 
 
 
Gunners in the houses and gunners in my head 
And all the cemeteries in London 
I see god come in my garden but I don’t know what he said 
For my heart it wasn’t open 
Not open.
 
 
Tornataaa, finalmente! Nonostante il mondo abbia cospirato contro di me, spostandomi l’esame al giorno successivo, nonostante la neve, nonostante abbia rischiato una spaccata causa ghiaccio con valigia annessa (e relativa figura di cacca), sono riuscita a finire il capitolo!!Yeee…
Per quest’oggi ho scelto una canzone che a me piace moltissimo e che si intitola “Cemeteries of London” dei Coldplay.
Per chi non lo sapesse, i Blazers (o meglio i Trailblazers) sono la squadra di basket NBA di Portland e i Raptors quella di Toronto. Emmeline Pankhurst è stata una fervida femminista che ha diretto il movimento per il suffragio alle donne in Inghilterra.
E’ un capitolo un po’ strano, ma spero vi piaccia! Fatemi sapere! :D
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che seguono la storia e chi ha recensito!Un bacione e alla prossima.
 
HappyCloud
 
 
Emily Doyle:  il vantaggio di scrivere è quello che puoi far fare ai personaggi quello che ti pare: così, magicamente, spesso diventano quello che tu vorrei essere ( vedi “l’invidiabile charme” di cui parlavi). Comunque, ti ringrazio per il consiglio che mi hai dato; alla fine mi sono convinta della non-necessità della foto e così sia! Amen! Ahahaha, baci!
 
SunshinePol: devo lasciar perdere il fatto che hai scritto BEL OMETTO o devo far finta di nulla?! Ops, ormai l’ho detto! Non avevo dubbi che avresti sindacato il fatto che io abbia scelto Avril Lavigne; purtroppo, però, mi è venuto lo sghiribizzo di usare quella canzone e così è stato! Ciau bella tutta!
 
Wingedangel: ma qui Sam non è la sola arrapata!! Cito testualmente dalla tua recensione  “Dai Will, vieni qui, almeno ti garantisco qualche soddisfazione sessuale!!”
Ragazze, diamoci una calmata… ahahah...no no anzi, ci piace l’ormone in circolo :D baci!
 
Rodney: grazie per l’incoraggiamento all’esame…per fortuna è andato bene! Innanzitutto, benvenuta! Fa sempre molto piacere sapere che qualcuno apprezza il lavoro fatto, spesso rubandolo allo studio :D Hai ragione quando dici che Nick e Will sono ciccinosi, ma è meglio chiarire subito che è palese che sono frutto della fantasia, perché due uomini così esistono SOLO nei libri, sono “di carta”, giusto per citare Mirya. Dico questo per evitare che si creino aspettative nella vita reale e mi facciate causa per danni morali in futuro… ahahahah.
Ma, come ho scritto nella recensione precedente a Sara/Wingedangel, l’ormone impazzito qui viene sempre apprezzato! Un bacione!
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Drive My Car. ***


Capitolo otto. Drive My Car.
 
Una volta varcata la soglia di casa non c’era più traccia di lacrime sul mio viso, ma solo una gran voglia di prendere a calci i regali fondoschiena di quelli che mi ostinavo a chiamare amici.
Non ero così ottusa da pensare che fosse soltanto colpa loro - in fondo, avevo accettato la sfida nel momento in cui avevo preso la torcia dalle mani di Nick -, però quei due sapevano perfettamente che non mi sarei tirata indietro per nulla al mondo, trattandosi di porre in pericolo il mio orgoglio. Avevano giocato d’astuzia, facendo leva sulla mia incurabile mania di mettermi sempre in competizione con gli altri ed io c’ero cascata come una principiante. E, dannazione, io non lo ero, non ero una debuttante alle prime armi, ero una professionista, la regina dei professionisti nel campo delle sfide. 
Parliamoci chiaro: senza quel clochard di mezzo, sarei tornata trionfante con la fotografia della tomba di Emmeline Pankhurst e avrei sbandierato la mia vittoria a quei due fifoni che mi aspettavano fuori.
Sbattei la porta con violenza e buttai la borsa sul divano; una crescente rabbia pervadeva il mio intero corpo, dalle punte dei capelli a quelle dei piedi e sentivo il sangue ribollire nelle vene. Camminavo in lungo e in largo nell’appartamento, nervosa ed irritata, mentre Romeo se ne stava accoccolato nella sua cuccetta, la coda ferma e gli occhi vivaci quasi socchiusi. 
Faticavo a rilassarmi completamente, sentendo sulla pelle ancora il fetore alcolico dell’alito del senzatetto con cui mi ero scontrata al cimitero di West Brompton. Il livello di adrenalina nel mio corpo sembrava non calare ed io cominciai a credere che forse solo un po’ di musica e di sport avrebbero potuto aiutarmi a scaricare la tensione accumulata.
Mi misi una comoda t-shirt, un paio di pantaloncini e uno di scarpe da tennis, pronta per cercare nel ripostiglio il vecchio punch-ball - ancora incartato - che mi aveva regalato mio padre qualche anno prima, nel vano tentativo di avvicinarmi al mondo dello sport praticato e non solo visto in televisione. Legai i capelli in una coda di cavallo e mi infilai le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie - accendere lo stereo a quell’ora tarda sarebbe stato percepito dai vicini come una dichiarazione di guerra in piena regola. Mi misi anche i piccoli guantoni che erano allegati al sacco e concessi alla band di turno di intontirmi la mente per evitare di pensare al ben diverso epilogo che avrebbe potuto assumere la serata.
I primi colpi che assestai furono un po’ scoordinati, ma poi iniziai a prenderci gusto. Certo, non ero comunque Mohammed Ali, però il pensiero che l’obiettivo da distruggere fosse la testa di quei cretini di Nick e Will - sì, perché erano evidentemente monocefali e, quindi, condividevano il cervello - favoriva il fluire delle energie negative verso l’esterno, attraverso quei pugni che, probabilmente, avrebbero provocato ben pochi danni su di un ring di veri pugili.
La mia tecnica, pressoché inesistente, consisteva perlopiù nell'abbattimento di quel punch-ball che mi sfidava in continuazione con i suoi rimbalzi in tutte le direzioni, rispetto all’asta centrale che lo teneva fissato a terra.
Cambiai canzone e scelsi l’unica che mi  avrebbe fatto sentire imbattibile, forte, dotata di superpoteri inediti: Eye of the tiger. Ci mancava solo lo speaker ad annunciare: Sammy Balboa! No, Sammy proprio no. Sam, piuttosto.
Quell’altro nome recava con sé una serie di preamboli, d’implicazioni che rappresentavano tutto ciò che, in quel momento, volevo sconfiggere con un sonoro calcio nelle palle. Nessuna pietà.
Con la coda dell’occhio intravidi Romeo destarsi dallo stato di dormiveglia in cui versava e dirigersi verso l‘ingresso. Lo seguii, dapprima solo con lo sguardo - finché mi fu possibile - e poi anche con le gambe sino alla porta, dove cominciò ad attorcigliare la coda in alternanza dal polpaccio di Will a quello di Nick.
Dovrò farmi ridare quel maledetto mazzo di chiavi di riserva. Almeno fino al ritorno del signor Hansen.
I due se ne stavano imbambolati sulla soglia di casa come degli stoccafissi imbalsamati, rossi in viso dall’imbarazzo. Il gatto - e non parlo di Romeo - e la volpe.
Ero arrabbiata con loro, ma, più di tutti, con me stessa perché non ero in grado di darmi dei limiti quando si trattava di provare al resto del mondo il mio valore e, perciò, stabilii che valeva la pena di ascoltarli, prima di un eventuale lancio di oggetti ai loro danni.
Mi tolsi gli auricolari, soffiai sul ciuffo di capelli che si era incastrato tra le ciglia e incrociai le braccia al petto.
- “Ciao” cominciò Will, incerto.
Tirai un sospiro, sperando di evitare l’inutile fase dei convenevoli.
- “Noi, beh… noi ci… ”.
Nick si spazientì dell’indecisione del compare e prese la parola al suo posto.
- “Volevamo scusarci. Siamo stati degli incoscienti - allargò un braccio, evitando il contatto visivo con i miei occhi - e…”.
- “Questo è fuori questione. Sei decisamente un imbecille. E, prima che tu possa dire qualcosa, ho detto apposta sei invece che siete, perché è evidente che sei tu che hai traviato Will; lui ci tiene alla mia vita” dissi, con un insensato istinto di protezione nei confronti del mio vicino.
La sua espressione cambiò: un po’ meno dispiacere e una valanga di irritazione in più.
- “Non ti ho mica costretto, Sammy” reagì risentito e concentrandosi per non esplodere dal rancore; in effetti sembrava proprio che si stesse trattenendo dopo la mia uscita salva-Will.
Possibile che perfino in un litigio trovasse il coraggio di usare quello stupido nome?
- “Te lo dico per l’ultima volta: io mi chiamo Sam” risposi alterata, minacciandolo con l‘indice.
Avanzò verso di me di qualche passo, provocandomi un battito extra del cuore che diagnosticai come la crescente volontà di rompergli quel bel nasino.
- “Ed io te lo dico per l’ultima volta: io ti chiamo come diavolo mi pare, Sammy” ribadì risentito.
Il fulcro della lite si era spostato su di un altro piano, decisamente più futile, ma con Nick qualsiasi argomento era una potenziale fonte di discussione.
- “Sei un idiota, Nick” gli bisbigliai in faccia.
- “Il tuo vocabolario è piuttosto ristretto; è la seconda volta in una serata che mi definisci nello stesso modo”. Di nuovo ecco il suo tono glaciale ed ironico.
- “Io inizierei a pensare che è vero, se continuassero a ripetermelo. Sei talmente presuntuoso, sicuro di te e sbruffone che pensi che tutto debba essere come credi tu. Peccato che non avessi previsto che potevo rimetterci le penne a Brompton”.
Sì, lo so, un tantino melodrammatico, ma il senso di colpa era il sentimento giusto su cui puntare.
- “Sam, quel vagabondo era così ubriaco che a stento di reggeva in piedi. Non avrebbe potuto farti del male!” intervenne Will che venne subito incenerito con lo sguardo da Nick. 
Non capii la ragione di quell’occhiataccia e proseguii.
- “Quel senzatetto aveva in mano una bottiglia e avrebbe potuto tranquillamente spaccarmela in te… ”. La bocca si zittì d’improvviso.
Nick. Occhiataccia. Will.
Mi voltai di scatto verso il mio vicino.
- “Tu che cavolo ne sai del barbone? Sei sparito e, mentre correvo, mi sono imbattuta solo in Nick. Nemmeno lui l’ha visto” esclamai sospettosa come non mai, sentendomi una Poirot in gonnella.
Divenne paonazzo e non osò più staccare gli occhi da terra. Le ipotesi erano due: o le mattonelle del mio soggiorno erano estremamente interessanti oppure, opzione per cui propendevo, il ragazzo aveva qualcosa da nascondere.
- “L’ho intravisto da fuori”. Abitavo di fronte ad un supereroe dalla vista a raggi-x.
Aggrottai un sopracciglio, sempre più perplessa.
- “Mi prendi in giro? C’era buio pesto ed ero almeno a duecento metri da te”. Pretendevo una spiegazione razionale e di senso compiuto dell’intera faccenda.
- “Ecco, io, sì... voglio dire… ehm”.
- “Ho chiesto a Will di seguirti. - disse infine Nick - Volevo assicurarmi che tutto filasse liscio”. 
- “Tu hai fatto cosa? - cercai di dire in modo rude, ma non mi riuscii del tutto: sapevo quanto gli fosse costato ammetterlo - Non ho bisogno della balia”. Ad essere onesti, ero un po’ stizzita. Stizzita perché non voleva dire che era stato in pensiero per me. Prima di mollarmi in un cimitero. I controsensi degli uomini... 
- “Dio, Sammy, possibile che non ti vada mai bene niente? - esclamò esasperato - Se ti lasciamo sola sbagliamo, se ci preoccupiamo idem. Deciditi”.
Forse il segreto stava nel punzecchiarlo un po’ e vedere cosa ne sarebbe venuto fuori.
- “Nick, quello che mi da fastidio è che tu non ammetta che ti stavi preoccupando per me” dissi, gongolando come una ragazzina.
Mi aspettavo di vederlo impallidire dall’imbarazzo, o arrossire dalla vergogna, oppure diventare incazzato nero per quanto avevo appena insinuato, ma la verità è che la colorazione del suo viso non mutò di una virgola, se non altro per quello splendido sorriso bianco smagliante.
- “Ti piacerebbe, Sammy. Semplicemente non volevo averti sulla coscienza. Lo stesso non si può dire di Will, visto che stava facendo pipì mentre tu gridavi come un’oca con la tua solita voce stridula”.
Calma, Sam, sintetizza la situazione: Nick ha chiesto a Will di seguirti al cimitero. 
Will si è distratto per espletare i suoi bisogni fisiologici. 
Nick è venuto a riprenderti mentre stavi per schiattare dallo spavento. 
Ora Nick ti ha insultato dandoti dell‘oca. 
Nick sta per morire.
- “Io oca? Non mi pare che Jamie e Candy Rowell siano delle scienziate nucleari” dissi sprezzante.
- “Che diavolo c’entra questo ora? Non stavamo parlando della mia imperdonabile negligenza che stava per causare la tua morte violenta ad opera del celeberrimo barbone assassino di West Brompton?” esclamò teatralmente. Fu come gettare una tanica di benzina sul fuoco. 
Tranquilla, Sam, cosa ti ha insegnato mamma Grace? Nulla si risolve con la violenza; usa le parole che sanno ferire cento volte di più. Fai la persona civile, matura e perbene.
Contrassi la faccia in una smorfia di tensione e rabbia allo stato puro e feci per balzargli addosso, ma Will fu più veloce di me e mi afferrò da dietro, mentre io scalciavo neanche fossi un mulo, imprecando come uno scaricatore di porto.
Nick scoppiò a ridere.
- “Sammy, in questo modo non fai altro che dimostrarmi che non hai corso alcun pericolo al cimitero; l’avresti steso quel pover’uomo!”. E ancora risa, risa rivolte a me.
Aveva l’innata capacità di urtarmi come solo qualche politico era in grado di fare; tirava fuori sempre il peggio di me, dimostrando di essere perennemente nella ragione, persino quando aveva torto! In sua presenza diventavo una ragazzina maleducata, cafona, selvaggia ed ingestibile, mentre lui passava per il gentleman che mi aveva salvato dalla caduta in bici, dalle grinfie del clochard e addirittura dalla performance al karaoke.
Era una lotta impari: con lui ero destinata alla figura di merda.
Mi calmai e Will allentò la presa, lasciando che i miei piedi toccassero il pavimento; mi ricomposi come potevo e decisi che la strategia migliore fosse tacere, onde evitare ulteriori peggioramenti della situazione e aspettare che fosse lui a riprendere a parlare.
Lui si limitò a scuotere la testa con un ghigno sulle labbra e trasse dalla tasca le chiavi del fuoristrada, evidentemente intenzionato a tornarsene a casa insieme a Will, che aprì la porta.
In un istante un’idea funesta mi attraversò la mente: gli sfilai dalle mani il mazzo e mi precipitai più in fretta che potei giù per le rampe di scale che conducevano alla hall del condominio in cui vivevo. Avevo qualche istante di vantaggio, dal momento che gli altri due erano rimasti sorpresi da quanto successo e si erano fissati a lungo prima di riuscire a realizzare che una pazza isterica si stava dirigendo verso la preziosa automobile. 
Salutai con un cenno frettoloso i coniugi Gringer del primo piano che stavano rientrando dopo la consueta serata mensile all’opera e che involontariamente funsero da ostacolo alla corsa di Nick. Spalancai il portone e schiacciai il pulsante sulle chiavi per aprire la macchina e, soprattutto, per sapere dove fosse parcheggiata.
Salii sulla macchina, serrai in fretta la portiera e aspettai che la chiusura centralizzata scattasse da sé. Tirai un sospiro di sollievo, anche se ormai il legittimo proprietario della vettura mi aveva raggiunta, con un’aria che non lasciava intendere nulla di buono.
- “Scendi subito dalla mia auto!” mi ordinò con gli occhi color ghiaccio sbarrati e provando invano a premere la maniglia dello sportello per salire.
- “Purtroppo non capisco quello che dici; sai, sono un’oca senza cervello. - dissi sarcastica - Hai forse detto: accendi subito la mia auto?!”.
Non attesi la sua risposta e avviai il motore, controllai che fosse inserito il cambio manuale: quello automatico era per uomini - e non donne - pigri ed imbranati. Poggiai le mani sul volante e ingranai la prima.
Mentre Will doveva essere rimasto nel mio appartamento - o essere andato nel suo a dormire, non lasciandosi coinvolgere dalle nostre scaramucce -, Nick si mise le dita nei capelli dalla rabbia, indeciso se uccidermi e salvare l’auto o se invertire l’ordine.
Sollevai il piede dalla frizione e l’auto cominciò a muoversi, pronta ad immettersi nel rado traffico notturno della capitale, ma Nick vi si parò davanti, costringendomi ad inchiodare per evitare di stenderlo sull’asfalto.
- “Ferma! Cosa pensi di fare?” mi urlò, le braccia piegate sul cofano.
- “Levati da lì, la tua auto è sequestrata” ribattei.
- “Vieni giù immediatamente, tu la mia macchina non la guidi neanche se mi paghi!”. 
- “Non mi sembri nella posizione di dettare condizioni” lo schernii.
Purtroppo ero fatta così: un po’ infantile, certo, ma più qualcuno mi diceva di non fare qualcosa, più la tentazione di provarci diveniva forte.
- “D’accordo, Sammy, ragiona; se vuoi fare un giro ti ci porto io, senza alcun problema”. Mi sorrise in modo sexy ed io distolsi lo sguardo in fretta.
No, dico, mi prendeva per scema? Era abituato a trattare per lavoro con le donne, ammaliandole e seducendole al punto che quando era a torso nudo, sarebbe stato in grado di vendere sabbia ai beduini. Ma io dovevo resistere!
- “Me lo faccio da sola un giro, ti ringrazio” risposi, fingendo tranquillità.
- “Dai, cavolo, ti porto dove vuoi, basta che fai guidare me”. Si dimostrava dolce e comprensivo, cose a cui non credevo minimamente.
- “Prima chiedimi scusa. E dì che ho sempre ragione”. Il mio lato naif era sempre pronto ad emergere all’occorrenza.
- “Cosa?! Non ci penso nemmeno” gridò.
- “E allora ho paura che starò qui per molto tempo. Oppure partirò per un bel viaggetto; sì, potrei andare a trovare i miei a Glasgow, o ancora… ”.
- “Okay, okay. Scusa, Sammy, hai sempre ragione”. Come suonavano dolci quelle parole!
- “Molto meglio. Ora togliti che vado a fare un giro per Londra” gli comandai.
- “Non erano questi i patti” mugolò.
Sbuffai rumorosamente.
- “Se ti faccio salire prometti che mi farai guidare?” domandai.
- “Guidare? Non so nemmeno se hai la patente!”. Il ragazzo non aveva capito non chi aveva a che fare.
- “O sali e mi fai guidare o giuro che ti investo” dissi, cercando di apparire il più convincente possibile. 
Si arrese e annuì. Aprii la sua portiera e gli feci cenno di entrare. Imprecò contro di me, ma finalmente si sistemò sul sedile accanto al mio. Accelerai d’improvviso e con troppa forza - non avevo ancora preso confidenza con il mezzo - e sentii il motore ruggire. Uscii dal parcheggio senza nemmeno guardare, sull’onda dell’entusiasmo e, infatti, un SUV che stava arrivando alle nostre spalle si attaccò al clacson per una decina di secondi, guadagnandosi un appellativo poco carino da parte mia. Spaventata da quel rumore inatteso, frenai veloce d’istinto, facendo sbattere la testa di Nick contro il parabrezza. Un risolino mi uscì spontaneo, mentre lui si portava le mani nel punto in cui aveva ricevuto la botta, sulla fronte.
- “Ma cazzo, Sammy. Lo sapevo che non sei capace!” disse arrabbiato.
Lo ignorai del tutto e partii, ritrovando il piacere della guida che avevo perso nel momento stesso in cui avevo messo piede a Londra; ero ormai abituata a girare a piedi, in metropolitana o in taxi, il metodo più efficace per evitare lo stress nelle grandi città. Certo, non ti risparmiava il traffico, ma almeno, sul sedile posteriore, avevo il tempo di truccarmi, mettermi lo smalto e sbrigare tutte quelle piccole faccende che non riuscivo a compiere e a casa se non volevo arrivare in ritardo a lavoro.
Dall’alto del fuoristrada di Nick mi sentivo un po’ la padrona del mondo, libera di andare dove volevo… appunto: dove vado ora?
C’erano tanti fattori da considerare: il mio scarsissimo orientamento, il fatto che fossi conciata come l’attrice di Flashdance - perciò di certo non potevo avvicinarmi a club o discoteche - e il fatto che ogni volta che volevo fermarmi, c’era una splendida canzone alla radio che non mi potevo astenere dal cantare.
Gli occhi indagatori del mio co-pilota guardavano vigili sia me che la strada; Nick era molto teso e sembrava sussultare a qualsiasi manovra facessi. Non ero niente male come guidatrice, ma la sua attenzione spasmodica nei miei confronti ed il suo tacere ingiustificato mi stavano facendo venire l’ansia da prestazione.
Era proprio un pessimo compagno di viaggio: non commentava l’itinerario, non partecipava alla conversazione - che al momento era piuttosto unilaterale - e non reagiva nemmeno ai miei inviti di duettare nei più grandi classici della storia della musica.
Si sfregava in continuazione gli occhi ed io immaginai che fosse la stanchezza che cominciava a farsi sentire. Io ero troppo elettrizzata per aver riscoperto l’ebbrezza delle quattro ruote da anche solo pensare di fare una sosta o, addirittura, cedere il mio posto a Nick.
Imboccai a casaccio una serie di strade principali e secondarie, procedendo verso nord-ovest perché era il percorso che mi piaceva di più. In una stradina di campagna presi in pieno una buca che pareva un cratere a causa della pioggia delle ultime ore e vidi il mio compagno ficcarsi accidentalmente un dito nell’occhio.
- “Porca miseria, Sammy. Sei un disastro!” urlò.
- “Risvegliato dal coma profondo, vedo. Mi spiace, non l’ho vista” dissi distrattamente.
- “Si ma ora ho perso una lente a contatto. - feci per sorridere, godendo dentro di me - E non ridere”.
Finalmente un difetto fisico! E questo spiegava anche la tortura a cui aveva sottoposto i suoi poveri bulbi oculari.
Mi sfuggii uno sbadiglio e mi dovetti avvicinare al cruscotto per leggere l’ora sul display: le tre. Ciò significava che erano già due ore che eravamo in viaggio. Mentre stavo per riappoggiarmi allo schienale notai una spia accesa: quella che indicava la riserva della benzina.
- “Oh-oh” esclamai, impaurita per la strigliata assicurata che avrei ricevuto dal mio compagno.
- “Che c’è?” domandò timoroso.
- “Credo che siamo quasi a secco”.
- “Che cosa?! Non hai controllato prima?”.
Decisi di essere sincera.
- “E’ che non ci arrivavo a vedere fino lì” dissi imbronciata e imbarazzata ed apprezzai molto il buio della notte che celava il mio rossore.
- “Cazzo! - mascherò un sorriso che però percepii almeno in parte - Guardiamo quanti chilometri possiamo ancora fare”.
Non riuscii a finire la frase che la macchina si fermò da sé.
- “Immagino che questo voglia dire zero”.
- “Fantastico!” esclamò irato.
- “E ora che facciamo?” domandai preoccupata.
Si sganciò la cintura di sicurezza e cominciò ad osservare fuori dal finestrino ed io lo imitai: tutt’intorno a noi c’erano solo campi, colline illuminate dalla luna sulle quali spuntavano delle stalle e qualche sporadica casa.
- “Hai il cellulare?” chiese.
Tastai il sedile posteriore alla ricerca della borsa, ma subito mi ricordai che era rimasta a casa mia, dal momento che la mia fuga non era stata premeditata. Scossi la testa e lui emise un respiro pesante; trasse dalla tasca il suo telefonino e, sbuffando, mi comunicò che non c’era campo.
- “Dove siamo?” osai domandare.
- “A me lo chiedi? Sei tu alla guida!”.
- “Cavolo, non ce l’hai una cartina o un navigatore?”. 
- “Sono un uomo: non ho bisogno di tutto questo. - Ed infatti… - In più questa è la macchina di mio padre, me l’ha prestata perché la mia è dal meccanico. Comunque proverò ad arrivare a quella casa laggiù. Tu aspettami qua, chiuditi dentro”.
- “Scherzi? Ci impiegherai almeno mezz’ora e non ho intenzione di stare qui da sola. Vengo con te.” gli proposi.
- “Se tu fossi vestita in modo decente non avrei alcun problema, ma così sembri uscita da un telefilm degli anni ‘80 e non vorrei che spaventassi qualcuno” sghignazzò.
Gli feci una smorfia a cui lui rispose con un sorriso splendido al quale non resistetti, unendomi alla sua risata.
- “In più farà freddo fuori e tu indossi solo una maglietta a mezze maniche. Farò più in fretta che posso, ma tu rimani in macchina. Okay?”
- “No, no che non è okay! Ho paura. Per quanto tu possa sbrigarti ad andare e tornare, un qualsiasi malintenzionato potrebbe uccidermi, squartarmi e gettarmi in un fiume in tutta calma”.
- “Sì, potrebbe tornare il barbone assassino di West Brompton. Uuuh” disse, cercando di incutermi timore.
Gli diedi una manata sul braccio che lui cercò di evitare.
- “Allora che facciamo? Non mi pare che rimangano molte alternative. Non sappiamo nemmeno dove siamo. Provo ad uscire e vedere se spostandomi di qualche decina di metri c’è segnale” riprese, stavolta con un tono serio.
Aprii la portiera e una folata di vento fresco notturno mi investì, facendomi venire la pelle d’oca alle braccia e alle gambe.
Istintivamente mi raggomitolai sul sedile anteriore, mentre Nick si muoveva di qua e di là alla ricerca di una ricezione maggiore. Dopo circa cinque minuti rientrò nell’auto, la faccia cupa che mi fece intendere che non aveva belle notizie.
- “Nulla da fare” disse solo.
Lasciai andare indietro la testa e tirai i lembi della t-shirt affinché mi coprisse la maggior parte di pelle possibile.
- “Hai freddo?” domandò.
- “No, no!” mi affrettai a rispondere, orgogliosa. Mi sentivo solo come una giraffa al Polo!
Non mi ascoltò e si sfilò rapidamente il giubbotto di pelle marrone, rimanendo con un cardigan sbottonato sopra la camicia, e me lo porse.
- “Nel caso in cui ci ripensi, sul morire assiderata” ghignò.
Mormorai un grazie a bassa voce e lo indossai subito. Era intriso del suo profumo e, per una rivolta, ringraziai il fatto che Nick non mi fosse del tutto indifferente a livello fisico - per quello mentale, c’era solo odio reciproco e la nostra collaborazione era solo momentanea - perché mi garantiva un certo calore in tutto il corpo. Scavalcò con una certa difficoltà, dovuta alla sua altezza, il sedile anteriore e giunse a quello posteriore, cominciando a trafficare con delle leve che si trovavano ai lati.
Lo schienale scese completamente e il mio compagno di sventura cercò qualcosa nel baule.
- “Che stai facendo?” chiesi curiosa.
- “Sto allestendo l’alcova, tesoro” disse malizioso.
- “Dormiamo qui? In macchina?”. 
Dì di no!
- “Hai un’idea migliore? - esclamò sarcastico. In effetti non aveva tutti i torti, non avevamo molta altra scelta - Siamo fortunati che ci sia una coperta qui dietro; la usa mio padre quando va a caccia” mi spiegò.
Stavo per impelagarmi in una delle mie arringhe a favore della tutela degli animali e contro la crudeltà dei cacciatori, ma optai per un silenzio che testimoniava tutta la mia stanchezza. E, in fondo, dovevo pure ringraziare il signor MacCord - il padre di Nick, come ricordavo dal testo dell‘accordo stipulato con Katy -, visto che mi stava preservando dal freddo pungente della campagna inglese.
Quando vidi che il letto improvvisato era pronto, mi feci aiutare per lasciare il sedile anteriore e giungere a quello posteriore.
Ci ficcammo sotto la coperta, lui con entrambe le braccia fuori, mentre io avrei avuto bisogno di almeno un’altra trapunta e di un piumino.
- “Puoi abbracciarmi, se vuoi; - mi disse, spingendomi a guardarlo con sguardo interrogativo - per il freddo, intendo, chiaramente” aggiunse con tono suadente.
Questo no! Avrei preferito morire congelata nuda in un igloo piuttosto che avvicinarmi anche di un solo centimetro al suo corpo.
- “Anche no” gli risposi girandomi verso la portiera e o sentii fare altrettanto dalla sua parte.
- “Notte Sammy” disse a bassa voce.
- “Notte” ribattei nella speranza che il sonno mi cogliesse alla svelta, prima che il mio cervello elaborasse la situazione e capisse che il tutto era un tantino imbarazzante.
Mi accorsi che il ritmo del respiro di Nick era rallentato: probabilmente si era addormentato ed io, di riflesso, mi rilassai. 
Sì, in fin dei conti tornare a guidare era stato emozionante, fantastico, adrenalinico… ma sapevo che sarebbe passato molto altro tempo prima di poterlo fare un’altra volta: Nick non me l’avrebbe concesso mai più e, a dirla tutta, non sarei più salita su di un’automobile che non avesse almeno tre quarti di serbatoio pieni di benzina.
 
 
Baby you can drive my car
And yes I’m gonna be a star.
Baby you can drive my car
And maybe I’ll love you.
 
 
Ritardino stavolta dovuta alle feste natalizie e ad un momentaneo blackout dell‘ispirazione! Spero che le abbiate trascorse nel migliore dei modi e che abbiate mangiato (come me!) come dei porcellini :D
La canzone di questo capitolo è straordinaria e direi che è anche un classico dei Beatles: “Drive my car”.
Risposte alle recensioni a breve nella casella di posta!
Au revoir!
 
HappyCloud

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. Bitter/Sweet Harmony. ***


Capitolo nove. Bitter/Sweet Harmony.
 
Nottetempo, la distanza, creatasi tra me e Nick nell’istante in cui ci eravamo arresi al sonno, fu colmata dai movimenti dei nostri corpi; le gambe si sfiorarono e poi aggrovigliarono le une alle altre in modo naturale, portandoci ad un contatto fisico inevitabile all’interno di un ambiente di un paio di metri quadrati.
Ero alla ricerca disperata di calore, il freddo che si infiltrava attraverso le fessure delle portiere non dava tregua e provocava sulla mia pelle dei continui brividi seguiti da piccoli tremolii, sebbene fossi coperta anche dal chiodo di Nick.
Dovevano essere trascorse alcune ore da quando c’eravamo addormentati, lontani e voltati in modo tale da darci le spalle. Ma la situazione era cambiata: lui girato di fianco verso di me, un braccio piegato sotto la testa a mo’ di cuscino ed io distesa supina, a pochi centimetri da lui. D’un tratto, però, mi mossi bruscamente, facendo sbattere il dorso della mano sulla sua spalla. Bastò un attimo e ci destammo entrambi.
Trovarsi gli occhi di Nick, appena aperti, così vicini ai miei quando ancora non ero nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, fu più traumatico del previsto. Nessuno dei due parlava, ciascuno intento a scrutare e studiare le mosse dell’altro prima di effettuare la propria. Ci furono momenti di silenzio totale in cui il tempo era scandito da delle deboli gocce di pioggia che cadevano sul tettuccio e dai movimenti veloci delle mie pupille, nervose almeno quanto lo ero io. Le sue, invece, erano immobili, statiche, concentrate a scandagliare il mio viso, pacifiche come il cielo immerso nell’oscurità al di fuori del finestrino.
La mia mente era in cortocircuito totale; il dubbio era se approfittarne o se aspettare che i pensieri ricominciassero a sgorgare a ritmo regolare.
In un secondo presi la mia decisione: mi attaccai alle sue labbra carnose e socchiuse, mentre la mano sinistra scorreva dal suo collo fino alla nuca. Temetti che non volesse rispondere all’effusione, ma fu lui il primo a dare l’input affinché quel bacio casto si trasformasse in qualcosa di più adulto, maturo.Cercò la mia lingua con passione ed io lo accontentai senza farlo attendere oltre, abbandonandomi al desiderio di averlo, di conoscerlo più intimamente. Sapevamo entrambi di non essere compatibili insieme, cane e gatto, e che l’esperienza di una notte non ci avrebbe travolto l’esistenza. Perciò, fu normale prendere la situazione con leggerezza. Nick mi invitò a sedermi con lui prima di sfilarmi con rapidità il giubbotto di pelle e la t-shirt, costringendoci ad una sosta. Gli sbottonai la camicia con foga tale da strapparne uno, l’ultimo, mentre un risolino ci scappava involontario. Mi lasciai baciare sul collo, sopraffatta dalla più assoluta incapacità di distinguere i brividi causati dalle temperature basse da quelli causati dal mio partner. Mi indusse a sdraiarmi di nuovo sui sedili reclinati, sotto di lui, le cui mani vagavano sul mio corpo con delicatezza e decisione allo stesso tempo.
Imposi al mio cervello, al mio cuore e alla mia coscienza un silenzio stampa per evitare di pensare non soltanto al casino in cui ci stavamo inoltrando, ma anche a quello a cui saremmo andati incontro dopo.
Non potevo non contorcermi dal piacere sotto quelle mani esperte e quei baci bollenti, intervallati dalla fisiologica necessità di riprendere fiato, solo per qualche secondo, come se l’ossigeno puro si trovasse unicamente nel respiro dell’altro.
Forse mi ero arresa con troppa facilità all’attrazione che provavo verso di lui; non ero orgogliosa di quanto stavo facendo, ma, alle volte, fingere di non sapere che si sta commettendo un errore ti fa credere di essere nel giusto e nel lecito. 
Ero assoggettata a lui, ai suoi movimenti mirati e precisi che lo rendevano sempre più sexy. Si mise a giocare con l’orlo dei miei pantaloncini, l’indice infilato all’interno per sondare il pube e si staccò dalla mia bocca con un sorriso malizioso, traboccante di eccitazione e di compiacimento. 
Lo stronzo sa bene l’effetto che fa.
Fece scendere gli spallini del reggiseno, baciandomi il petto e attorno all’ombelico, torturandomi e facendomi irrigidire.
Gli slacciai la cintura, nella speranza di vederlo nudo il prima possibile - mamma Grace e papà Philip non sarebbero stati fieri di questa parte -; volevo abbassargli anche i boxer, ma lui mi fermò.
- “Una cosa alla volta, Sammy”, mi sussurrò all’orecchio con un tono basso e suadente, prima di mordicchiarmi il lobo.
Come una cosa alla volta? Mi vuole forse vedere morta?! Dai, andiamo, togliti tutto e pure alla svelta!
Lo pensai, ma lo tenni per me. Sbottonò i miei shorts con una lentezza da bradipo - solo io ero impaziente? -, mentre la lontananza millimetrica tra di noi veniva in qualche modo colmata dai suoi occhi glaciali puntati su di me che mi bruciavano la pelle.
Dai, cavolo, mica voglio la scopata del secolo! La prima volta con una persona è puro desiderio, autentica passione. Ci sarà tutto il tempo per rifarci… no! Ma quale tempo, quale rifarci? E’ una cosa così, senza senso, da una volta e arrivederci e saluti.
Comandai a me stessa di smetterla di fare congetture, progetti, di staccare la spina e godermi il momento.
Persi la cognizione dei minuti che scorrevano veloci in quella macchina isolata dal mondo, nella solitudine della campagna. Mi stava facendo sentire viva e trattenere i gemiti - da brava puritana li trovavo imbarazzanti - stava divenendo sempre più difficile. Mi sforzai per sollevare la schiena e prendere in mano la situazione, in tutti i sensi possibili; la teoria di quella scapestrata di mia sorella Lily era che mettere sotto torchio lui, levasse dall’imbarazzo la malcapitata di turno.
Nick finalmente mi lasciò fare, togliendosi i boxer, il cui contenuto, tra l’altro, non era niente male.
Dopo un po’, mi fece cenno di fermarmi e mi prese i fianchi, inducendomi a sdraiarmi sotto di lui e rifilandomi un altro dei suoi magnifici baci alla menta. 
Ed ecco giungere il momento tanto atteso e tanto scomodo: assicurarsi che avesse le precauzioni adatte. Mi riusciva difficile pensare che in caso contrario avrei chiuso baracca e burattini, ma potevo almeno dire di averci provato.
Aprii gli occhi quando lo sentii allontanarsi da me e presi tutto il coraggio di cui ero capace per pronunciare quelle maledette parole. Lui però mi precedette, soffiandomi la risposta sulle labbra e stringendomi fino ad aderire al suo corpo.
- “Già fatto, Sammy. Rilassati”.
Già fatto? Quando? Come?
Dimenticai la vergogna in un baleno e mi affrettai a guardare colui che si era insinuato tra noi: sì, il preservativo era già al suo posto. Scivolò dentro di me piano, scatenando in me una strana reazione; era piacevole, ma era… strano. Avevo l’impressione che qualcosa mi pesasse sull’inguine e non era lui, perché si reggeva da sé sulle ginocchia e sulle braccia. Mentre Nick aumentava il ritmo, io non smettevo di pensare a quanto fosse bello stare con lui, nonostante la sensazione che provavo e alla quale non trovavo giustificazione.
Forse è perché non centriamo niente l‘uno con l‘altra…
Ribaltai la posizione, sdraiandomi sul suo corpo. 
Forse è perché ci stiamo comportando come dei ragazzini…
Capii che non avremmo resistito a lungo in quel modo, non con quella velocità nel consumare l’amplesso. 
Forse è perché so che è tutto sbagliato…
Avremmo potuto rallentare, ma la verità è che non ne avevamo voglia. Mancava così poco all’apice per entrambi e…
E… mi svegliai. 
 
Il ritorno alla realtà fu paragonabile ad uno secchio di acqua gelida dritto in faccia quando meno te lo aspetti. Era stato un sogno, no, un incubo, in cui mi ero lasciata trasportare da qualcosa che al di là della sfera onirica non esisteva: un legame con lui. Era indiscutibilmente un bel ragazzo, ma così come lo erano tanti altri. Non era speciale e, al contrario, mi aveva cacciato in una scommessa da cui non riuscivo a liberarmi e che, al momento, costituiva anche il solo punto di contatto tra i nostri mondi così diversi: io ero l’ordinaria giornalista che veniva dalla Scozia in cerca del successo e lui lo spocchioso ballerino di lap-dance senza altre apparenti pretese, nato e cresciuto a Londra.
E poi parliamone: io e uno stripman? Possibile, sì, ma su Krypton o nel Paese delle meraviglie. Non qui. Non ora. Non avrei potuto sopportare di vederlo agitarsi mezzo nudo - anzi, togliamo pure il mezzo - su quel ridicolo palco mentre una mandria di donne con l’ormone a mille lo toccava e gli infilava denaro nelle mutande. A pensarci bene, neanche su Krypton sarebbe stato praticabile. 
Mi girai per guardarlo e vidi che dormiva placido con la pancia all’insù, ancora a distanza di sicurezza da me. Mi passai una mano fra i capelli, ascoltando il silenzio tutt’intorno a me. Avrei dovuto capirlo subito che si trattava di fantasia: non mi ero fatta alcuna paranoia sull’alito mattutino, sui miei slip a pois e poi quando mai un uomo si mette il profilattico senza che non gli venga esplicitamente chiesto? 
Finzione o meno, qualcosa di reale c’era: quella strana sensazione che avevo provato durante l’amplesso persisteva e nulla aveva a che fare con Freud, con la sua Interpretazione dei sogni e la psicanalisi: mi scappava la pipì.
Scostai la coperta e l’occhio mi cadde sull’ultimo bottone della camicia di Nick, emblema della voracità con cui lo avevo denudato: meglio controllare che fosse ben saldato alla stoffa. Giusto per esserne certa! Okay, era ancora lì.
- “E’ un po’ presto per l’alzabandiera”. La sua voce un po’ impastata mi fece sobbalzare.
- “Stavo… stavo cercando un fazzoletto” risposi rapida e seccata. 
- “Nei miei pantaloni?”.
- “No, veramente lo cercavo nei tuoi boxer. Credo che ci sia parecchio posto da occupare lì dentro”.
- “Spiacente, Sammy. Lì, siamo al completo. - mi sorrise malizioso - Puoi provare nel portaoggetti di fianco al cruscotto”.
Seguii il suo consiglio e ne trovai un pacchetto. Aprii lo sportello e cominciai ad ispezionare i campi intorno a noi nel buio per scovare un angolino un po’ nascosto. Ci impiegai un secolo, ma, infine, tornai in macchina soddisfatta, seppur infreddolita.
- “Hai fatto un viaggio in Polinesia nel frattempo? Sei stata fuori un’eternità” commentò.
- “Che c’è? Ti mancavo?” dissi distrattamente mentre mi riaccomodavo sotto la coperta.
- “Stai cominciando a parlare come me?” chiese con un sorriso sulle labbra.
- “E se anche fosse?” lo sfidai, chiudendo gli occhi, pronta a riprendere a dormire, immobile.
Ci pensò su un attimo e poi riprese a parlare.
- “Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda” m’imbeccò. 
- “Ah, no?”.
Mi diede un pizzicotto sul fianco ed io mi lasciai scappare una risata che lo contagiò. Lasciammo che scemasse da sé, dopodiché Nick biascicò un buonanotte a cui risposi allo stesso modo.
Ma non avevo più sonno. Sin da piccola, se mi svegliavo nel cuore della notte per andare in bagno o a prendere da bere, lo facevo ad occhi chiusi, perché sapevo che se avessi osato aprirli non sarei più riuscita ad addormentarmi, una volta tornata a letto. Chiaramente, però, quella sera avevo dovuto fare uno strappo alla regola per non rischiare di finire nello sterco abbandonato di qualche animale o nel fiumiciattolo che costeggiava la strada. Ed ecco che il sonno se n’era andato, lasciando il posto ad una noia mortale.
Ero incerta sullo svegliare Nick; il fatto che io non riuscissi a dormire, non doveva coinvolgere anche lui.
C’erano una marea di domande che avrei voluto sottoporgli, ma c’era ancora un sacco di tempo da trascorrere insieme prima di tornare a casa, così preferii tacere e girarmi nel letto, alla ricerca di una posizione che risultasse più confortevole. Lo feci un’infinità di volte per la mezzora successiva, senza successo.
- “Vuoi stare ferma? Mi stai innervosendo” sbuffò.
- “Scusa” bofonchiai, dispiaciuta di averlo svegliato.
- “Che c’è?”.
- “Non ho più sonno”.
- “E allora che facciamo? - sorrisi, pensando che era stato carino ad includersi nel piano alternativo al sonno - Vuoi parlare?” chiese.
- “E di cosa scusa?”.
- “Ti do l’opportunità di farmi tutte quelle domande che tieni in serbo per me da quando sono andato fuori città”.
Lo guardai sorpresa: mi stava concedendo il privilegio di fargli vuotare il sacco circa la sua vita?
- “Che ci sei andato a fare lontano da Londra?” proseguii.
- “Lavoro, te l’ho già detto questo” rispose.
- “Sii più preciso, scendi nei dettagli; sono pur sempre una giornalista, ho una curiosità innata piuttosto spiccata” ammiccai.
- “Dovevo raccogliere del materiale… ” cominciò.
Scoppiai a ridere, senza nemmeno tentare di trattenermi.
- “Vedi come sei fatta? Con te non si riesce neanche ad intavolare un discorso serio. Il tuo metro di giudizio è limitato” s’imbronciò.
- “Non era mia intenzione offenderti, ma converrai con me che è piuttosto difficile credere che uno che fa la tua professione abbia bisogno di raccogliere del materiale”.
- “Se fossi permaloso, potrei prendermela, ma visto che non sono come te, lascerò correre” rise di gusto ed io mi aggregai. 
Mi divertii moltissimo a parlare con lui, senza, tra l’altro, riuscire a scoprire nulla: il ragazzo non si sbottonava, se non nei miei sogni più sconci.
 
Quando mi svegliai verso mezzogiorno - secondo l’orologio sul cruscotto - il mio compagno di viaggio non era più al suo posto. Guardai fuori dal finestrino e lo scorsi mentre si godeva un po’ di sole sul ciglio della strada.
Scesi dall’auto e lui girò verso di me, sorridendo.
- “Buongiorno, bella addormentata” mi canzonò.
- “’Giorno” risposi, riparandomi gli occhi dalla luce.
- “Buone notizie. Dopo una scarpinata mattutina di 10 km, sono riuscito a trovare segnale per il cellulare. Tra non molto torneremo alla civiltà: ci vengono a prendere!”.
- “Ignorerò il fatto che tu abbia appena detto di avermi lasciato sola in questo posto per tutto quel tempo e mi concentrerò sulla parte più interessante: città stiamo arrivando!” urlai.
Infatti, dopo un quarto d’ora, si scorse all’orizzonte una macchina sportiva che, in quel momento, valeva quanto una scialuppa di salvataggio per i naufraghi del Titanic.
Nel mio inconscio, avevo dato per scontato che l’eroe sarebbe stato Will e non due metri di gambe femminili con una folta criniera color platino ed un seno prosperoso. Mi risultò quasi spontaneo controllare le mie tette e, con tristezza, constatare che sembravano due mozzarelline rinsecchite rispetto a quelle della tizia davanti a me.
- “Harmony! Non so come ringraziarti!” Nick le scoccò un bacio sulla guancia.
- “Questa sono le taniche di gasolio che mi hai chiesto” gli rispose, porgendo i due contenitori.
Mentre lui li vuotava nel serbatoio del fuoristrada, capii che era arrivato il momento di presentarsi alla salvatrice.
- “Sam”.
- “Piacere Sam, sono Harmony. - le strinsi la mano, abbozzando un sorriso - Sei di Londra?”
- “No, di Glasgow” risposi.
- “Allora takk” disse e fece ondeggiare i vaporosi capelli biondi lunghi, il viso rilassato e soddisfatto.
Guardai spaesata sia lei che Nick, il quale rifletteva alla perfezione la mia espressione. 
- “Non parla la nostra lingua? - chiese la nuova arrivata, accennando col capo nella mia direzione - Io Harmony. Amica Nick”.
E’ assodato che questa abbia dei problemi.
- “Tesoro, - tesoro? - Glasgow è in Scozia” intervenne lui, divertito dalla gaffe.
- “Ah, che sbadata. - io direi pure scema! -Devo aver fatto confusione con Oslo, in Svezia”.
- “Norvegia” la corressi prontamente.
Al momento della distribuzione dell’intelligenza, Harmony doveva essere impegnata a farsi la manicure o a farsi ossigenare i capelli dal parrucchiere.
Mi guardò infastidita, ma continuò a lanciarmi sorrisetti finti quanto le sue labbra.
- “Già, Norvegia. Sai takk significa grazie. - disse, cercando di riacquistare punti ai nostri occhi - Me lo ricordo da quando sono andata a farci una sfilata come super modella” concluse e si mise in una posa sexy.
Ed io che pensavo che i centri della moda fossero Milano, Parigi e New York!
- “Sono brava in quello, non in geometria!” rise sguaiata.
Decisi di non infierire sul suo ego: avremmo perso almeno un’altra ora a spiegarle che parlavamo di collocazioni geografiche e non di figure o numeri. In più, avevo una tremenda voglia di tornarmene a casa, buttarmi sotto la doccia e stravaccarmi sul divano con una tazza di tè fumante.
Rievocarono tra loro i vecchi tempi ed io mi sentii esclusa da quell’insieme di ricordi che condividevano e rispolveravano con piacere e gioia. Mi dondolai sulle gambe e guardai l‘asfalto sotto di me, annoiata a stanca; Will me l’avrebbe pagata per non essere venuto lui a prenderci.
Toh, un sasso. E le colline verdi. Una farfalla…
- “… Sammy?” domandò qualcuno.
- “Eh?” risposi un po’ intontita.
- “Stavo raccontando a Harm della nostra nottata quasi in bianco”.
Alla biondona si drizzarono le orecchie in un lampo.
- “E che avete fatto?” domandò astiosa.
Nick si preparò a risponderle normalmente, come se quegli occhi da cerbiatta non mi stessero mentalmente augurando una fine lenta ed infelice.
- “Abbiamo parlato. A Sammy piace fare domande. Tante domande” rise, ammiccando verso di me ed io risposi con uno dei miei migliori sorrisi.
Tutto pur di far friggere le meningi ad Harmony. Lo so, non era carino, ma comunque non stavo producendo nessun grave danno, dal momento che era un caso clinico di morte cerebrale unico, pur essendo il resto del corpo in perfetta salute; in secondo luogo, se c’era un modo per causarle fastidio, non mi sarei di certo tirata indietro, visto la gentilezza con cui mi rivolgeva occhiate assassine. E poi vogliamo parlare del nome stupidissimo che aveva?! Sembrava quello di una bambola.
- “Allora è proprio cretina. - come prego? - Io in una notte con te ne avrei fatte di cose. E ne ho fatte in passato, vero, Nicky?” squittì e l‘interessato abbassò lo sguardo, imbarazzato.
- “Ho tutto un altro stile io. - ribattei - A Glasgow, lo chiamiamo pudore”.
- “Comunque sempre scema rimani”. Sì, scema rimango perché persevero nell’utilizzare un linguaggio che tu non capisci.
Aprii la bocca per replicare, ma Nick intuì la pericolosità dell’argomento e mi bloccò.
- “Alt, ragazze, che ne dite di tornare a casa? Io preferirei non guidare perché ho perso una lente a contatto e l’altra l’ho buttata prima di mettermi a dormire. Quindi voi guiderete e io resterò a guardare, sperando di tornare a casa tutto intero”.
- “Ti aspetto in macchina, tesoro” disse Harmony e si riaccomodò nella sua auto.
Mi aspettavo di sentirlo ribattere che, invece, preferiva fare il viaggio di ritorno con me, perché in fondo non ero tanto male come compagna di avventura e, soprattutto, perché non meritavo di ricevere un trattamento così sgarbato da una gallina fatta e finita che mi conosceva sì e no da qualche minuto.
Ma lui non disse nulla, si limitò ad annuire e a darmi le chiavi della sua auto in mano.
- “Hai davvero intenzione di farmi tornare a casa da sola?” lo accusai con un tono duro, mentre lui si accingeva a raggiungere l’altra vettura.
- “Cosa dovrei fare? Si è fatta duecento chilometri per venire a prenderci, il minimo che possa fare è farle compagnia”.
- “Mi ha trattato come una stupida quando è palese che qui l’unica sottosviluppata è lei e tu non hai mosso un dito per difendermi”.
- “Stavate discutendo voi due, io non c'entravo nulla. E comunque non ne avresti avuto bisogno. Ti sai difendere benissimo da sola” mi sorrise, ma non avevo alcuna intenzione di ricambiare.
- “Questo non vuol dire nulla. Il punto è che non l’hai fatto!”.
- “Sammy non è la fine del mondo. Se l’avessi fatto, a questo punto starei avendo la stessa identica conversazione con lei”.
- “Non credo proprio, visto che non capirebbe la metà delle parole che stiamo usando” dissi acida.
Harmony suonò il clacson.
- “Vedi di darci un taglio con quest’aria da saccente e smettila di giudicare la gente per come la vedi. Non la conosci, è una brava persona”.
Di nuovo il clacson.
- “Non serve conoscerla! Basta guardarla per capire che tipo di persona è! E’… l’unica parola che mi viene in mente è vuota.”
Non ebbi bisogno di girarmi, perché sapevo perfettamente quello che stava succedendo; lo lessi sul viso di Nick che guardava dietro di me: Harmony era alle mie spalle ed aveva sentito tutto.
Ero davvero convinta di quanto avevo detto, ma persino il mio cinico cuore di pietra avvertì un certo senso di colpa nel vedere le lacrime ed il viso corrucciato di colei verso cui l’osservazione era rivolta.
- “Impara a crescere prima di giudicare e scendi dal piedistallo su cui ti sei messa da sola” mi disse lapidario Nick, prima di passarmi accanto con indifferenza e correre ad abbracciare la sua amica.
Che non ero io. Perché, per quanto ci fossimo illusi nella chiacchierata delle ore precedenti, non eravamo amici; io ero il disastro ambulante che non ne azzeccava una giusta ed infilava un errore dietro l’altro. E Harmony poteva essere la persona più insignificante ed insulsa del mondo, ma l’avevo offesa.
Mi passai una mano tra i capelli, racimolando le solite inutili parole di scuse da rivolgerle. Mi voltai; erano abbracciati ed io potevo scorgere solo le spalle di Nick ed il viso di lei incastrato tra le sue braccia. Mentre lui la consolava, sussurrandole chissà quali cattiverie sul mio conto, lei mi sorrise, in segno di sfida e, una volta tanto, mi resi conto che sì, avevo sbagliato a giudicarla, ma non nel modo in cui credevo.
Sciolse la stretta e gli disse di aspettarla in macchina, dal momento che voleva scambiare due parole con me. Nick mi lanciò uno sguardo gelido di rimprovero che mi fece stringere lo stomaco e sparì sul sedile del passeggero dell’auto di lei.
Harmony si avvicinò a grandi passi, un ghigno di astuzia cucito addosso.
- “Credevo che le tue labbra fossero la cosa più finta di te. - le ringhiai in faccia, con i pugni chiusi dalla rabbia - Beh, mi sbagliavo”.
- “Non sei né la prima né sarai l’ultima a metterti tra me e lui. Verrai comunque scartata come tutte le altre, tesoro, non ti preoccupare. Toglierò di mezzo anche te”.
Una minaccia?
- “Nick è un conoscente, nulla di più” mi difesi.
- “Non è questa l’impressione che ho avuto quando vi ho visti”. Un paio di occhiali, no?
- “Puoi pensare quello che ti pare, non mi importa granché, in effetti”.
- “A te forse no. Però ti assicuro che a lui - indicò Nick in macchina - importa eccome quello che penso io”.
- “Ha un’immagine completamente distorta di te. Crede che tu sia un’amica poco intelligente, ma fidata, quando sei l’esatto opposto. Sei squallida ad approfittarti di lui” le dissi schifata.
Lei allargò ancora di più il suo sorriso meschino.
- “Hai un unico problema, Sam. Non ti crederà mai; ti conosce da quanto… un mese? Non puoi competere con la sua amica d’infanzia. Hai perso in partenza”. Mi lasciò da sola, accanto al fuoristrada del padre di Nick e tornò in auto, mise in moto e partì.
La imitai, sbattendo lo sportello più forte che potevo, a dimostrazione di tutta la frustrazione della situazione in cui mi ero finita. Cazzo!
Li seguivo ad una distanza di qualche metro e li vedevo ridere, scherzare e cantare, mentre io ero da sola ad ascoltare un cd di Bruce Springsteen che avevo trovato sul sedile accanto. Fu un viaggio lungo, ma, come tutti, destinato a finire. Man mano le strade cominciarono ad essere familiari, e iniziai a riconoscere vie e palazzi. Sulle note di Born in the USA - che non potevano non ricordarmi quel disgraziato americano di Will - decisi di cambiare percorso ed andare filata a casa mia. 
Ero nauseata da quella Serpe che si stava approfittando dell’affetto sincero di Nick e non riuscivo più a tollerare nemmeno la sua vista. Svoltai verso il mio condominio e parcheggiai l’auto davanti, in modo tale che non intralciasse. Presi l’ascensore e bussai subito alla porta del mio dirimpettaio, ma nessuno venne ad aprire; probabilmente, vista l’ora, era a lavoro.
Grazie al cielo mi aveva lasciato le chiavi di casa sotto lo zerbino e, così, entrai, abbandonandomi sulla poltrona, mentre Romeo ancora dormiva sul tappeto del salotto.
Mi feci una doccia con calma, tranquillità, cioè con tutte quelle caratteristiche che non mi appartenevano, soprattutto in quel momento. Sentii il campanello suonare e fui costretta ad uscire dal bagno in accappatoio e con il turbante per asciugare i capelli in testa.
Speriamo sia Will.
Spalancai la porta e mi trovai davanti Nick, appoggiato con una mano al muro esterno.
- “Ciao” esclamai incerta.
- “Mi servono le chiavi del fuoristrada” disse imperturbabile.
Le presi dal tavolino dove le avevo appoggiate e gliele porsi.
- “Mi spiace per il casino che ho combinato… per l’auto dico” sussurrai, incrociando le dita nervosamente.
A lui scappò uno sbuffo.
- “Sei incredibile. Hai detto una cosa orribile ad un persona importante per me e ti scusi per avermi preso la macchina?!” urlò paonazzo.
Hai perso in partenza.
Aveva ragione Harmony: non avrebbe mai creduto ad una versione della storia in cui lei avesse avuto una doppia faccia, ma non sarei stata in pace con me stessa se non avessi almeno tentato di avvisarlo sulla malafede di lei.
- “Io ho sbagliato. Però lei non è quella che credi. Sei il suo chiodo fisso e non vuole che nessuna si avvicini a te, a costo di farsi passare per un tipo di donna che non corrisponde alla realtà e… ” provai a giustificarmi.
- “Smettila, cazzo, smettila! Sei solo una ragazzina presuntuosa ed io non ho nessuna voglia di ascoltarti”.
- “Non sto mentendo, Nick” gridai.
- “Cresci, Samantha. Cambia atteggiamento o sparisci dalla mia vita, perché non ho alcun interesse ad avere una persona come te attorno.”
Scese le scale in un baleno, senza mai più voltarsi indietro a guardarmi. Non riuscì nemmeno a sentire le mie ultime parole, sebbene fossero quasi urlate.
- “Non sto mentendo!”. E, chiudendo la porta con ira, sperai che anche i problemi rimanessero al di fuori del mio mondo.
 
 
Cause it's a bittersweet symphony, this life
Trying to make ends meet
 

Buona sera :D
Lasciatemi dire subito che sebbene io vi auguri una buona epifania, in realtà la odio, perché vuol dire che finisce tutto il tempo natalizio e devo disfare l’albero…noooo!
Tornando a noi, mi sorge un dubbio: non è che sto infarcendo i capitoli di troppi avvenimenti? In altre parole, non è che sto facendo succedere troppe cose all’interno di ciascun capitolo? Mah, fatemi sapere!
La canzone del titolo è “Bittersweet” dei Verve.
 Un bacione!
 P.S. risposte alle recensioni in posta dopo che ho fatto la doccia! :D
 
 
HappyCloud

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. What Goes Around Comes Around. ***


Capitolo dieci. What Goes Around Comes Around.
 
Due settimane. Questo fu l’esatto periodo di tempo durante il quale io e Nick interrompemmo qualsiasi tipo di contatto: nessuna chiamata, nessun messaggio, nessun pacchetto color avorio sigillato da ceralacca rossa con una N al centro recapitatomi a casa. Solo un unico, grande, assordante silenzio.
Mi sentivo a disagio in quella situazione; ero la classica persona a cui bastava un nonnulla per infervorarsi, ma che altrettanto facilmente smaltiva la rabbia accumulata, nell’auspicio di una più sana volontà di confronto. Appariva, però, cristallino che Nick non fosse della mia stessa opinione e che fosse un maestro nell’arte dell’indifferenza.
Pretendeva le mie scuse - secondo quanto aveva detto a Will -, ma a me non passava nemmeno per l’anticamera del cervello l’ipotesi di domandare perdono per aver cercato di aprirgli gli occhi sulla sua cara amica. Avevo detto la verità e ciò che ne avevo ricavato era l’essere stata tacciata di superficialità ed arroganza nei confronti della tenera e ingenua Harmony.
La persona che forse più soffriva il contesto era il mio vicino; eravamo pur sempre i suoi unici amici londinesi ed ora era costretto a vederci separatamente e, almeno per ciò che concerneva le serate passate in mia compagnia, la conversazione era improntata al 90% su quanto Nick fosse cieco, stronzo, illuso… ma non stentavo a credere che quelle con l’altro fossero l’opposto.
Will, dal canto suo, viveva nel perpetuo tentativo di rimanere super partes, il che mandava su tutte le furie lo stesso Nick che lo accusava di non riuscire a prendere posizione o, meglio, di non assumere la sua posizione, contro la perfida Sam. In realtà, sapevo che l’ago della sua bilancia pendeva dalla mia parte. Anche perché in caso contrario gliel’avrei spaccata in testa, la bilancia. 
 
Mentre viaggiavo in taxi fino a lavoro, quel giovedì mattina, l’agitazione cominciò a farsi sentire. In ufficio c’era un gran trambusto a causa di un nuovo socio in arrivo e ciascun collaboratore di Music Magazine non vedeva l’ora di mettersi in mostra dinnanzi a colui che avrebbe affiancato Valerie e gli altri capi.
Mi sembrava di essere tornata sui banchi dell’università, durante le sessioni di esami che mi facevano trascorrere notti insonni per via dell‘ansia. 
La vibrazione del cellulare mi distolse dal pensiero fisso su MM. Era un messaggio di Will:
Stasera cena da me alle 8. W.
Sospirai; avrei dovuto rimandare l’ormai consueto appuntamento con il fattorino delle consegne a domicilio. Era una settimana che mi cibavo quasi esclusivamente di take away: pizza, cinese, thailandese… tutto pur di non mettermi ai fornelli, dal momento che il lavoro mi teneva occupata 24 ore su 24 per la costruzione del numero di ottobre.
Tornai, così, a pensare all’ufficio. Avevo deciso di indossare qualcosa di non particolarmente appariscente quella mattina: un tailleur scuro con una scarpa alta, giusto per togliermi da quello stato di nanismo di cui mi sentivo affetta ogni volta che ero accanto alle mie colleghe stangone. Nessun monile, solo un paio di sobrie perle alle orecchie, uno chignon a fermare i capelli e un trucco leggero.
Presi l’ascensore e non potei fare a meno di vedere la mia immagine riflessa nello specchio; mi scappò una smorfia nel constatare che sembravo la zia C-Annie-vora negli anni della sua gioventù ai tempi della guerra.
Non appena poggiai la borsa sulla mia scrivania, Amanda mi venne incontro e mi disse che il nuovo arrivato mi stava aspettando nel suo studio, che ricordai essere l’unica stanza vuota dell’intera redazione.
Bussai con delicatezza alla porta e l’aprii soltanto quando una voce profonda mi di farlo. Un uomo alto, bruno, sulla quarantina stava impartendo ordini alla sua segretaria.
- “… perciò Carla fammi avere il preventivo. Vai pure, grazie”. Il suo tono era gentile, per nulla autoritario ed il sorriso con cui aveva condito il tutto era una prova ulteriore della sua cordialità.
- “Prima che lei si presenti, - mi disse, mentre la sua segretaria usciva dall’ufficio - mi piacerebbe ci dessimo del tu. Il lei invecchia, non crede?”. Si appoggiò allo schienale della sua poltrona girevole.
- “Sono d’accordo” gli risposi affabile.
Per fortuna è un tipo simpatico, una vera rarità nel mondo della stampa.
Si alzò in piedi, girò attorno al tavolo e venne a stringermi la mano.
- “Piacere, Sam” esclamò.
Oh, che carino, sa già il mio nome!
Mi limitai a sorridere come un’ebete e lui mi guardò come se stesse aspettando che anche io spiccicassi parola.
Era già ora di discorrere del tempo?
Rimanemmo lì in sospeso e in imbarazzo, finché qualcuno non bussò alla porta ed entrò: Val. 
- “Sam!” urlò ed io mi ritrovai a rispondere sì? insieme all’uomo che avevo dinnanzi. Ci guardammo a vicenda con sorpresa, per poi scoppiare a ridere tutti e tre.
- “Tu… Sam?” chiesi in modo un po’ disconnesso.
- “S-sì, Samuel Banks” si presentò.
- “Samantha Grayson. Immagino che sia sufficiente a spiegare il mio silenzio di prima” dissi.
- “Io lo trovo un vantaggio: d’ora in poi prenderò due piccioni con una fava” rise Valerie.
Non ero poi così contenta che ci fosse un’altra persona ad avere il mio stesso nome. Certo, curioso, ma quest’inflazione di Sam mi avrebbe costretta a girarmi almeno il 50% di volte in più - magari pure inutilmente - in risposta alla pronuncia di quel soprannome.
Il signor Banks parve intuire la mia preoccupazione - e forse anche condividerla - e, perciò, propose subito una soluzione.
- “Io Sam1 tu Sam2?”. 
Sì, mettiamo subito in chiaro che tu sei più importante di me nella scala gerarchica.
Non ebbi altra scelta che accettare ed aggiunsi che avremmo dovuto informare anche tutti i collaboratori dei nuovi appellativi. Mi congedai e li lasciai ai loro discorsi da boss e decisi che fosse arrivato il momento di rispondere all’sms di Will.
Con piacere, tesoro. A dopo, Sam2.
Sapevo che nel leggerlo, lui avrebbe pensato al 2 come un errore di digitazione dovuto all’odioso touchscreen del cellulare, ma per me significava cominciare ad abituarmi a non essere più la numero uno nemmeno sul lavoro.
Lavorai fino a che l’orologio non mi annunciò che erano le sei. Non ricordavo nemmeno il tempo di aver messo il naso fuori di casa se non per recarmi al giornale e, perciò mi godetti il viaggio di ritorno a piedi, osservando finalmente il cielo sulla mia testa e non un asettico soffitto bianco. 
Il buio era già calato sull’intera città e l’autunno aveva creato un manto di foglie sull’asfalto freddo dei marciapiedi. Il traffico - nulla di nuovo - affollava le strade e le mie narici si riempirono dell’odore di pioggia di cui era impregnata l’aria. 
Appena arrivata a casa, cominciai a prepararmi per la cena, visto che la mia intenzione era quella di ripristinare al più presto la mia vita sociale nel migliore dei modi. Romeo si sentiva trascurato e ne aveva tutte le ragioni, ma ero certa che anche solo mostrargli Will in foto, lo avrebbe aiutato a tirarsi su di morale.
Indossai un vestito verde scuro ed un paio di sandali con plateau e tacco alto; dopotutto, avrei dovuto fare soltanto qualche metro per giungere a destinazione. Alle 19.58 suonai alla porta di casa Hansen e l’inquilino venne ad aprire.
- “Ehi, chi si vede! - mi disse, sfiorandomi la guancia con un bacio - Non mi ricordavo di avere una sexy vicina”. Gli sorrisi maliziosa e gli porsi una bottiglia di spumante italiano che mi aveva regalato mio padre, mentre il mio gatto si accomodava sul divano.
- “A cosa brindiamo?” domandò.
- “A Sam2” bofonchiai.
- “Sam2? - gli spiegai la faccenda e lui ridacchiò - Per me rimarrai sempre la Sam numero uno”. 
- “Sei dolce come un cioccolatino! - lo presi in giro - Ti ringrazio, Willy Wonka”.
Cenammo con uno squisito soufflé in tranquillità, senza mai toccare l’argomento scottante, alias Nick; era ormai un tema trito e ritrito e, sinceramente, avevo bisogno di un po’ di divertimento e non di scocciature e questioni irrisolte.
- “Giochiamo a qualcosa?” proposi a fine pasto, pensando a Monopoli, Risiko o Trivial.
- “Strip-poker?” ribatté Will.
- “Sai bene che non sono brava a poker”.
- “Appunto” strizzò l’occhio.
Ridemmo ed io mi lasciai convincere, con la scusa che quel weekend il mio vicino sarebbe dovuto andare in campeggio con i colleghi, come aveva preannunciato da qualche settimana. Mi lasciò le chiavi della sua macchina, dal momento che non gli sarebbe servita.
Cominciammo a dividere le carte ed io confidai nella fortuna del principiante che, infatti, mi sostenne per un paio di mani. 
Il gioco si protrasse per qualche ora e ci venne di nuovo fame; ordinammo una pizza - mi ero sbagliata sul non vedere il fattorino anche quella sera - e, nel frattempo, continuammo a puntare le nostre fiches-biscotti .
Gli sfilai scarpe, calze, camicia e pantaloni, dopodiché, ad un passo - o meglio ad un boxer - dalla vittoria, la dea bendata mi voltò le spalle, lasciandomi letteralmente in mutande e reggiseno.
Suonò il campanello; Will si alzò dal divano ed io ne approfittai per andare in bagno. Quando ne uscii, notai che non era ancora tornato nel salotto, perciò mi diressi verso la cucina, accanto all’ingresso.
- “Ehi, stai tagliando la piz…?”. La voce mi si strozzò in gola. Nick ed un bellissimo golden retriever color caramello erano in piedi vicino al frigorifero.
L’ospite mi squadrò da capo a piedi, stupito, ed io a malincuore realizzai che non erano i suoi occhi a farmi sentire nuda, ma lo ero proprio! Mi coprii il possibile, mentre anche il padrone di casa si metteva le mani nei capelli dall’imbarazzo, dal momento che anche lui indossava solo il famoso paio di boxer.
- “Non è come credi, Nick” si affrettò a dire, però lui non lo calcolò minimamente e si rivolse a me.
- “Aspetta, com’è che lo chiamano? Pudore?” disse sarcastico, parafrasando quanto avevo detto ad Harmony in campagna.
- “Non credo di dovermi giustificare con te” gli risposi.
- “Hai ragione. Ma non parlarmi più di morale, perché non ne hai il diritto”. Lanciò uno sguardo gelido anche nella direzione di Will.
- “Fossi in te rivolgerei la mia attenzione a qualcuno che merita di più” grugnì.
- “Okay, adesso stai esagerando. Capisco che tu sia arrabbiato, però non dire cose di cui ti potresti pentire. Ti consiglio di andartene a casa adesso”. L’altro obbedì senza battere ciglio e il suo splendido cane lo seguì fino a fuori dalla porta. Mi appoggiai allo stipite, mentre Will si avvicinava e mi abbracciava forte a sé.
- “Non dargli ascolto. Lo sai che non lo pensa davvero”.
- “Sì, ma non mi importa ciò che dice. - mentii - Quello che mi dà sui nervi è che lui si fidi ciecamente di Harmony a prescindere da tutto, solo perché sono amici di infanzia”.
- “Trova il modo di provare il contrario, Sam” disse e un sorriso gli spuntò sul viso. Lo ricambiai e, finalmente, quella notte dormii benissimo.
 
Dormii benissimo per un paio d’ore. Infatti, verso le tre, il cellulare squillò facendo sobbalzare nel letto sia me che Romeo.
Tastai il comodino alla ricerca del telefonino e, dopo qualche tentativo, lo scovai. Nick. Che diavolo voleva?
- “Cosa vuoi?” urlai nervosa.
- “Scusi, signorina. La chiamo dal St. Mary Hospital.”
Il mio cuore si fermò.
- “Che è successo?” soffiai.
- “Il signor MacCord ha avuto un incidente, ma nulla di grave. Ho chiamato lei perché è uno dei pochi che abbia il telefono acceso. Spero di non aver sbagliato”.
- “No, non si preoccupi. Arrivo” chiusi la conversazione e mi infilai una felpa, un paio di jeans e le Converse al volo. Presi la macchina di Will, con un peso dentro di me e mi diressi all’ospedale.
Chiesi che mi indicassero la sua stanza, ma i medici non mi vollero far entrare né tanto meno dirmi qualcosa sulle sue condizioni, dal momento che non ero una parente. Mentre ancora scongiuravo un dottore per avere qualche informazione, passai di fronte ad una camera e lo intravidi sdraiato in un letto. Aspettai che tutte le infermiere se ne andassero e mi intrufolai all’interno.
- “Tu che ci fai qui?” si sedette sul materasso con il braccio sinistro ingessato e un cerotto sul sopracciglio destro. Vederlo cosciente e non con un piede nella fossa come me l’ero, invece, prefigurato fece diminuire la mia ansia. In realtà, già solo sentire la sua voce mi tranquillizzò, nonostante ce l’avesse messa tutta per farla apparire dura e disinteressata.
- “Sono venuta a comprare il pesce. - ironizzai - Mi hanno chiamato dal centralino. Come ti senti?” domandai.
- “Come uno che ha appena sentito le ossa del suo avambraccio fare crac”.
- “Poco male, l’importante è che tu abbia ancora quello destro” sorrisi.
In quel momento avvertii dei passi alle mie spalle ed una maggiorata dai capelli ossigenati si accomodò sul letto accanto a Nick. Harmony.
- “Se tu lo conoscessi, sapresti che è mancino, tesoro”.
Mi voltai verso di lei con sguardo sereno; era notte fonda, ero stanca e decisamente non in vena di litigare.
E’ vero, non lo conosco. Fine della discussione.
- “Puoi andartene ora. Ci sto io con lui. Notte Sam”.
Mi girai e feci per uscire dalla stanza, quando l’infermiera si presentò sulla porta. 
- “Signor MacCord, il suo cane ha rincorso l‘ambulanza fino all‘entrata del pronto soccorso, ma purtroppo qui non può rimanere. E non si preoccupi, non si è fatto un graffio”.
Dribblai la donna, ma qualcuno mi afferrò per la manica della maglietta.
- “Dove pensi di andare? La bestiaccia viene con te, Sam. Anche solo guardare quel pelo, mi fa venire l’allergia” starnazzò Harmony.
- “Soltanto se te la senti, - aggiunse Nick - altrimenti troviamo un’altra soluzione. Si chiama Mister, comunque”.
Il musone del cane comparve sull’uscio ed io mi sciolsi come cera al sole; l’avrei portato con me pure di corsa fino a casa, pur di non lasciarlo nelle grinfie di quell’idiota di Harmony.
- “Nessun problema. Starà da me” dissi, uscendo.
Presi il guinzaglio e mi incamminai per raggiungere la macchina.
- “Ehi, Sammy. - mi voltai. Eccolo lì in piedi, dolorante e con la faccia da cucciolo bastonato - Beh, grazie”.
- “Lo sto facendo per Mister, non per te. Non mi piace, anzi mi disgusta la persona che sei quando c’è lei. E se questo è ciò che sei realmente, allora sono io che non voglio avere nulla a che fare con te”.
Mi voltai, uscii dall’ospedale e tornai a casa, cominciando ad analizzare il prossimo problema: far convivere il cane di Nick con il mio gatto.
La prima espressione di Romeo alla vista di Mister, fu puro terrore; balzò sul tavolo e prese a miagolare come non lo avevo mai visto fare. Piano piano, però, vedendo che l’altro non aveva alcuna intenzione di aggredirlo o farlo a fette, si avvicinò e cominciò a studiarlo.
Nonostante la diffidenza iniziale, cominciarono ad annusarsi a vicenda, rimanendo sempre vigili. Si accucciarono sul tappeto del salotto ed io feci ritorno nel letto, dove mi concessi un meritatissimo riposo.
 
- “Oh cazzo!” esclamai al mio risveglio. Il mio salotto, il mio meraviglioso salotto brulicava di peli di animale da cima a fondo: il tappeto, il divano, la poltrona, i cuscini, il pavimento… Dio persino i quadri ne sembravano pieni!
Mister e Romeo si dovevano essere dati davvero da fare; però erano così adorabili insieme! Adorabilmente pelosi.
Mi sdraiai sul divano e loro mi raggiunsero, coccolandomi come due veri amici. Chiamai Valerie e le dissi che per nessuna ragione mi sarei mossa da casa e lei, come previsto, replicò che per conto suo potevo anche andarmene due anni sull’Isola di Pasqua, purché fossi sempre puntuale sulle date di consegna degli articoli.
Iniziai a ripulire tutto quel casino munita di aspirapolvere, strofinacci e olio di gomito, perché ce ne sarebbe voluto un quintale per dare alla stanza di nuovo un’impressione di ordine.
Relegai i due pasticcioni su di una coperta in camera e, dopo due ore, la casa risplendeva.  Avevo riempito due sacchi con tutti i rimasugli lasciati da Mister e Romeo e, di malavoglia, pensai che dovevo pure sbarazzarmene.
O impiegarli in un modo migliore. Trova il modo di provare il contrario, Sam aveva detto Will. Ma ora lui era chissà dove a piantare canadesi lungo un torrente nel nulla più completo.
Sarò pure stata Sam2 in ufficio, però, quando si trattava di vendette, nessuno poteva togliermi lo scettro di mano.
 
- “Nick? Ciao, sono Sam. Stai bene?”.
La sua voce dall’altra parte del telefono, mi giunse sorpresa ed incerta.
- “Be-bene, grazie. Mister si comporta bene?” domandò.
- “Sì, benissimo, è un amore. Però volevo chiederti di chiarire una volta per tutte con Harmony. Ho sbagliato ed è giusto che io le chieda scusa”. Silenzio. 
Abbocca, abbocca, abbocca.
- “Per quanto mi suoni strano detto da te, soprattutto per quanto mi hai detto l’altro giorno, voglio concederti una chance. Le dico di venire da te?”.
- “Sì, dille che l’aspetto” sorrisi malefica.
- “Ti scoccia se vengo anche io? Oggi mi dimettono e lei mi dovrebbe portare a casa”.
No, cavolo! Sam, pensa, pensa a come sistemare la faccenda.
- “Senti, ho un’idea. Vengo io a prenderti, sai ho la macchina di Will e Mister non vede l’ora di vederti. Harmony ci raggiungerà dopo, d’accordo?”.
- “Per conto mio, potrebbe venire anche la slitta di Babbo Natale a prendermi! Non sopporto più di stare qui dentro, con il cibo che fa schifo e l’andare a dormire alle nove” rise.
- “D’accordo, allora. A che ora?”.
- “Mi dimettono nel primo pomeriggio” disse.
- “Perfetto. Solo non dire ad Harmony che ci sarai anche tu, sarà una sorpresa. A dopo” non gli diedi il tempo di rispondere, perché l’eccitazione era diventata massima in quel momento e avevo poco tempo per perfezionare il mio piano sin nel più minuscolo dettaglio.
Scesi in garage e lo allestii nel migliore dei modi, poi salii in auto e guidai fino all’ospedale con il cane sui sedili posteriori.
 
Nick era affascinante come al solito, nonostante la ferita ricucita al sopracciglio ed il braccio ingessato. Era seduto su una poltrona della sala d’aspetto e sfogliava una rivista.
- “Ahiahiahiahi. Non è Music Magazine… marca male signor MacCord. Forse dovrebbe fare altri accertamenti medici perché non mi sembra che i suoi gusti rientrino nei parametri del buon lettore” lo canzonai.
- “Te l’ho già detto, Sammy; - il fatto che avesse ricominciato a chiamarmi in quel modo era un buon segno - il giornale per cui lavori è robaccia”.
Gli feci una smorfia e lo invitai ad alzarsi per raggiungere l’auto e tornarcene a casa. Aveva già firmato tutti i documenti per essere dimesso e, quindi, lo portai nel mio appartamento, mentre Mister continuava a fargli le feste.
Dopo qualche minuto, suonò il campanello: era Harmony.
Che la vendetta sia servita.
Dissi a Nick di scendere nel mio garage dopo qualche minuto, dal momento che avevo bisogno di un po’ di tempo per discutere da sola con lei. Lui non fece troppe domande ed io scesi con Harmony fino alla cantina, separata dal box auto.
Spinsi dentro la simpatica ragazza con la scusa di parlare e feci scendere la saracinesca. All’ultimo secondo mi lanciai sotto ed uscii, dalla fessura rimasta, lasciandola interdetta e incapace di muoversi per la sorpresa.
- “Samantha fammi uscire” grugnì.
- “Si dev’essere rotto il telecomando, perché io schiaccio il pulsante ma non si apre”.
- “Cosa pensi di fare? Uccidermi?”. Finalmente cominciò a starnutire.
- “Tu sei impazzita. Credi che farmi fuori sia l’unica via per avere Nick? Ti sbagli, tesoro. Lui mi appartiene”. Starnuto.
- “Non ho mai detto di volerlo”.
In quel momento l’interessato arrivò, portando con sé Romeo e Mister. 
Perfetto. Se non fosse stato per quest’ultimo che, scodinzolando, abbatté una lattina di vernice, provocando un gran fracasso che rimbombò per tutta la cantina.
- “Chi c’è?” urlò Harmony dall’interno del garage.
- “Che stai combinando?” chiese Nick.
Stava andando tutto a rotoli.
- “C’è qualcuno? Vi prego, aprite questa dannata porta. Quella è una psicopatica” gracchiò la Serpe.
- “Samantha, mi vuoi spiegare?” gridò, arrabbiato. Avevamo abbandonato - di nuovo - il Sammy e ciò non lasciava spazio all’immaginazione: eravamo ancora una volta in guerra.
- “Dammi fiducia. - lo implorai sottovoce - Voglio provarti chi è realmente”. Lui mi guardò dubbioso ed io non seppi come interpretare quell’espressione. D’un tratto, tentò di sfilarmi il telecomando dalla mano.
Istintivamente l‘alzai, salvo poi ricordarmi che lo stavo favorendo in quel modo. L’abbassai, stringendo il pugno più forte che potevo per non mollare la presa.
- “Non fare la bambina, ragioniamo” disse mentre cercava di farmi il solletico sui fianchi. Iniziai a ridere, ma non demorsi, nemmeno quando lui tentò di tirarmi indietro dal palmo un dito alla volta. E meno male che aveva un braccio rotto!
A quel punto lanciai il telecomando lontano, con in mente di sgattaiolare più veloce di lui e rimpossessarmene. Non avevo calcolato che ci fosse Mister nei paraggi; lo annusò, lo leccò e infine se lo mangiò nel più totale stupore generale.
- “Non l’ha fatto sul serio, vero?” mormorai.
Nick annuì, gli occhi sbarrati e immobile da tanto era sbalordito da quanto aveva appena fatto il suo cane. 
Nel frattempo, ci eravamo quasi del tutto dimenticati di Harmony che continuava ad urlare e a starnutire: beh, dovevo ammettere che nel riempire il garage di peli di animale e rinchiudere lei che ne era allergica dentro, avevo fatto un gran lavoro. Ero un po’ preoccupata di aver esagerato; mica volevo che schiattasse!
Doveva essere parecchio che dava sfogo alle corde vocali, perché ad un tratto si arrese.
- “D’accordo, che vuoi per farmi uscire di qui?”.
Zittii Nick che stava per ribattere, mettendogli una mano sulla bocca.
- “Voglio che tu dica la verità a Nick” risposi.
- “Cosa dovrei dirgli, che sono innamorata di lui?”.
Lui mi guardò sorpreso ed io lentamente tolsi le dita dalle sue labbra.
Ci manca solo che adesso li faccia mettere insieme!
- “Tu non sei innamorata. Tu pensi che sia roba tua. Ma lui sta con me” improvvisai e a quel punto pensai che per Nick fosse il colpo di grazia.
- “Cosa?!” sussurrò.
- “Shhh - bisbigliai - poi capirai”.
- “Lui sta con te? Tesoro, durerai al massimo qualche mese, dopodiché troverò un modo di far sparire anche te dalla sua vita. L’ho fatto mille volte in passato e non sarà di certo una stupida ragazza scozzese a cambiare i miei piani. Sono anni che mi fingo un’oca così da farlo sentire in dovere di proteggermi e lui mi vuole bene, quindi mettiti pure l’anima in pace”. Starnutì.
- “D’accordo, credo possa bastare” annunciai trionfante, mentre Nick sembrava sempre più sconvolto.
Presi le chiavi di riserva e aprii la saracinesca del garage con un sorriso di vittoria che mai fu più dolce.
- “Non capisco il senso di tutto questo…” disse Harmony ma subito tacque quando vide il viso duro del suo amico d’infanzia. Lei aveva gli occhi lucidi per via dell’allergia, ma scommettevo che, una volta resasi conto del tranello in cui l’avevo spinta, fossero anche per la vergogna di essersi fatta fregare da una stupida ragazza scozzese.
- “Nick… io…”. Mi ero preparata una risata seguita da degli sfottò, ma li soffocai in gola.
- “Io non ti conosco - rispose -, perciò non stare ad inventare scuse che giustifichino venticinque anni di bugie, perché non mi interessano. Esci di qua e non farti più vedere”.
Mi aspettavo urla, grida, implorazioni di perdono seguite da capelli strappati per la disperazione. Ma lei non disse nulla e se ne andò, non senza avermi regalato un’occhiata gelida prima di uscire.
Diamo il via alle danze? La deliranza, magari. No, c’era ancora una cosa da fare.
- “Dovremmo portare Mister da un veterinario. - esclamai per stemperare la situazione - Non sono sicura che un telecomando sia esattamente il cibo adatto ad un cane” scherzai. Nick, però, era ancora scosso da quanto successo ed era comprensibile, visto che un pezzo della sua vita si era appena sgretolato come una scritta sulla sabbia coperta dal mare.
Annuì e tutta l’allegra combriccola - sì, anche Romeo volle venire con noi - ci recammo dal veterinario di fiducia di Mister che ci rassicurò sulle sue condizioni, dicendo che l’ingordo se l’era mangiato tutto in un boccone e che l’avrebbe smaltito in modo naturale.
Accompagnai cane e padrone fino davanti casa, una deliziosa villetta a schiera, tipica della capitale inglese. Lungo le strade che costeggiavano la città, se ne ammiravano lunghe distese chilometriche, identiche, ma tutte arredate in modo diverso.
- “Così abiti qui” dissi per spezzare il silenzio che si era creato nell’auto.
- “Già. Ti ringrazio comunque” rispose.
- “Ma figurati. Mister è un cucciolone troppo tenero e non me lo sarei perdonato se fosse stato male a causa del mio telecomando”. Accarezzai il cane, accucciato sul sedile posteriore e lui si lasciò coccolare.
- “Non parlavo solo di questo. - abbassò lo sguardo - Ti devo delle scuse; hai cercato di avvisarmi e io ti ho accusata di…”. 
- “Lascia stare. - gli posai una mano sulla gamba - Anche io avrei fatto come te; avrei creduto ad un’amica di vecchia data piuttosto che ad una semi sconosciuta alla quale sono legato per una scommessa”. 
- “A proposito: - disse con un briciolo di malizia e io fui grata che gli fosse tornato il sorriso sulle labbra - ho qualcosa per te”.
Tirò fuori il solito sacchetto con i bigliettini dentro dalla tasca del giubbotto.
- “E la questione del fotografo?” domandai.
- “La tua bravata ti poteva costare cara: vittoria a tavolino per me. - stavo per obiettare, ma lui mi fece cenno di aspettare - Però, visto e considerato cosa hai fatto per me e per Mister, ho deciso che stiamo di nuovo 1-1”.
- “Lo trovo più che equo” esclamai.
- “E ora pesca, su!”.
Estrassi uno dei foglietti e lo aprii.
- “Mi prendi in giro?” urlai una volta letto quanto c’era scritto.
Nick me lo strappò dalle mani, lo lesse e scoppiò a ridere.
- “Ne vedremo delle belle. In bocca al lupo, nemica”. Scese dalla macchina e Mister lo seguii, dopo aver rifilato una bella leccatina alla mia guancia a me e una strusciata a Romeo.
Abbassai il finestrino per salutarlo e per lanciargli l’ennesima sfida.
- “Ho la vittoria in tasca, MacCord”.
- “Vedremo, Sammy” rispose mentre saliva i gradini per entrare in casa. Ed io andai in brodo di giuggiole dalla felicità di vederlo tornare a divertirsi con me e chiamarmi di nuovo Sammy. Continuava a non piacermi, ma quel piccolo momento di dolcezza mi fece dimenticare persino quanto avevo appena letto sul biglietto: ladro.
 
 
 
 
 
Buondì!
Strano ma vero, aggiorno in un orario pomeridiano e non a mezzanotte e dintorni!
Il capitolo di oggi è dedicato ad una persona che da stamattina non c’è più. Di lui ho solo qualche ricordo di quando giocavamo da piccolini e di qualche incontro alla fermata del bus quando ancora facevamo le superiori, però fa impressione sapere che un ragazzo di 19 anni che conosci debba morire a causa della leucemia. Non è giusto. Il mio è un gesto da poco che lascia il tempo che trova, ma non posso fare molto altro.
Vi lascio, ringraziando voi che avete impiegato un po’ di tempo a leggere questa storia!
La canzone del titolo è “What goes around comes around” di Justin Timberlake e direi che sta proprio bene ad Harmony la vendetta di Sam! Ma io sono di parte :P
Vi auguro un buon pomeriggio e un buon weekend!
Risposte alle recensioni in posta, al massimo entro domani!
Baci!
 
HappyCloud

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Vertigo. ***


Capitolo undici. Vertigo.
 
Ci sono giornate in cui il mondo sembra girare per il verso giusto, il buonumore ti scorre nelle vene e ti viene spontaneo rispondere ai sorrisi che i passanti più cortesi ed educati ti regalano.
Quel sabato mattina, invece, avrei preso a calci chiunque avesse osato alzare anche un solo angolo della bocca. Avrei cavato loro i denti uno per uno e annodato la lingua per evitare di sorbirmi pure le loro giustificazioni o lamentele.
Era il tempo di uno di quegli appuntamenti consueti - e sempre critici - per una donna: il ciclo. Non so esattamente per quale ragione me ne fossi del tutto dimenticata quel mese, soprattutto considerato il fatto che non erano mancati i segnali d’avviso; ad esempio, avrei dovuto riflettere sullo sguardo di disgusto che avevo rifilato al portiere del mio condominio, in seguito alla sua orribile barzelletta quotidiana. E anche il rimprovero al barista che mi aveva portato solo una bustina di zucchero anziché due per il tè poteva essere interpretato come un chiaro fattore di stress premestruale. Per non parlare dell’appellativo che avevo affibbiato a Katy dopo un commento poco carino nei miei confronti.
Beh, no. In realtà quello era perfettamente normale.
Avrei dovuto e potuto capirlo prima di ritrovarmi in ufficio, davanti alla schermata del computer, con la testa che scoppiava e un gran mal di schiena. Il tasso di acidità e nervosismo che avevo in circolo avrebbe steso un elefante e non dubitavo affatto che se qualcuno avesse osato rivolgermi la parola, avrei ribattuto con una smorfia in cagnesco.
La miglior medicina in quei casi era qualcosa da mettere sotto i denti; sentivo l’impellente desiderio di sgranocchiare un pacchetto di popcorn o di patatine, o delle caramelle…qualsiasi cibo pur di soffocare l’istinto di mangiare qualcuno. Il che, comunque, non avrebbe risolto il mio problema. Infatti, ora, non solo dovevo trovare un ladro per la scommessa, ma il povero Cristo doveva anche essere in grado di sopportarmi durante i giorni peggiori del mese.
Presi un’aspirina per placare il dolore e cominciai a buttare giù qualche idea per un articolo sui look dei rocker del ventunesimo secolo, ma ogni riga che scrivevo veniva sistematicamente cancellata. Era a dir poco frustrante lavorare in quel modo, improduttivo e snervante.
- “Sam!” gridò qualcuno.
- “Non avete ancora capito che siamo in due adesso con quel nome? Non mi sembra così difficile: Sam1 o Sam2” sbraitai, guadagnandomi un’occhiataccia dall’intera redazione. Invano, per giunta, dal momento che il proprietario della voce era Samuel Banks, alias Sam1 e ciò significava che ero io l’unica possibile destinataria dell’urlo.
- “Scusa, Sam2” sorrise.
- “No, scusami tu. Stamattina sono elettrica”.
- “E intrattabile” aggiunse una collega che passava in quell’istante davanti alla mia scrivania.
Ma che cazz…?
- “Ad ogni modo –proseguì lui- volevo domandarti se hai visto Valerie”.
Proprio non la conosceva.
Da quando era diventata socia della rivista, non si faceva vedere prima delle 10.30, tranne qualche rara eccezione in caso di riunioni mattutine.
- “Qualche ora e arriverà” lo liquidai.
- “Pare che io sia fortunato oggi. Eccola!” la indicò.
Controllai l’orario sul computer: 9.10.
Che diavolo è accaduto per farla alzare così presto?

Indossava un tailleur con longuette nero, tacchi alti e i capelli biondi erano raccolti in una coda. Gli occhiali da sole scuri servivano a celare le poche ore di sonno e il bicchiere della Starbucks in mano doveva essere colmo di caffeina per tenersi attiva.
Valerie era un vero mastino come giornalista e redattrice, ma era piena di fissazioni e manie che esigeva fossero rispettate. Tra queste spiccava quella di non svegliarsi presto; scomodava persino il karma per giustificarla e sosteneva di essere la reincarnazione di un ghiro o di un orso in perenne letargo.
Lasciai perdere Sam1 e mi precipitai da lei.
- “Mi sono persa qualcosa?” chiesi sospettosa.
- “In effetti sì. Penso che chiederò il divorzio”.
- “Tesoro, sei sposata da nemmeno due mesi con l’uomo della tua vita. Niente cazzate” la rimproverai.
- “Un uomo che ti sveglia alle sette perché è agitato per la Spider nuova che gli consegnano oggi non è degno di essere chiamato mio marito dalla sottoscritta”.
- “Esagerata. E, comunque, guarda il vantaggio: quel tipo di auto ha solo due posti, quindi significa che il nostro dolce Jonathan non vuole marmocchi al momento”.
- “Se mai avesse avuto qualche idea, gliel’avrei fatta passare”.
- “Beh, Val… hai una certa età, però, dovresti pensarci.”
- “Io vecchia? Ho trentadue anni e sono fresca di matrimonio! Pensa per te, Sam!
- “Io non bisogno di nessuno” replicai.
- “Sì, certo. Io ti porterò i miei bambini e loro ti vedranno come la vecchia zia sola e inacidita dal tempo e dalla mancanza di sesso”.
Cercai di ridimensionare la questione.
- “Ho solo 24 anni. Non facciamone una tragedia”.
- “Oggi ne hai ventiquattro, domani settanto. - la guardai scettica, ma lei continuò - Non l’hai più visto Chiappe d’oro?”.
- “Mettiti comoda, ho parecchio da raccontarti”. Si appoggiò ad una scrivania a caso ed io le riassunsi tutto quanto era successo, dal “furto” dell’auto di Nick alla sgradevole conoscenza di Harmony e - la parte più interessante - di come l’avessi smascherata. Lei accompagnò tutta la mia narrazione con delle facce da cucciolotta ogni volta che nominavo il povero Nick ed il suo braccio rotto.
- “E per la scommessa?” mi domandò.
- “Giusto, dimenticavo. Dovrò trovarmi un ladro”. Val rimase qualche attimo pensierosa, salvo poi proseguire come se niente fosse. Si mosse verso il suo ufficio, lasciandomi sola al centro della redazione e pronunciando le ultime frasi prima di chiudere la porta con un tono talmente alto che tutti poterono ascoltare.
- “Pensavo di andare a Soho stasera. Con tutti quei locali sexy e trasgressivi, vuoi che non troviamo qualche furfantello?”. Qualche decina di occhi si posarono su di me.
Sam, calma.
E in quel momento, forse nemmeno un camion di popcorn sarebbero valsi a salvare la pelle ai miei colleghi se non mi fossi imposta un po’ di training autogeno.

 
Quella sera, di preciso alle 21.30, qualcuno bussò alla mia porta. Doveva essere Valerie, pronta e in tuta mimetica per scovare un ladruncolo qualsiasi.
Aprii la porta a botta sicura ed, infatti, me la ritrovai davanti, soltanto un po’ troppo differente da come me l’ero immaginata.
- “Come ti sei conciata?” le domandai, sgranando gli occhi.
Lei mi osservò stupita, fasciata in un vestito senza maniche marrone con del tulle, sotto il trench e dall’alto di un tacco dodici.
- “Che c’è? Troppo serio?” chiese.
- “Scherzi, vero? Val non stiamo andando ad un galà. Forza, cambiati!” le ordinai.
- “Vorrei una tutina alla Eva Kant. Tu che ti metti?” esclamò convinta.
- “Direi che un paio di jeans e questo maglione blu andranno più che bene. Io mi vestirò uguale. Prendi le scarpe da tennis nella scarpiera”.
- “Scarpe da che? Eh no. Ho le mie ballerine nella borsa e userò quelle. Non uso quelle cose piene di lacci dall’ultimo anno di liceo e non ho intenzione di tornare a portarle. Io e ginnastica non possiamo stare nella stessa frase”.
Lo sapevo bene e così, optai per rimanere in silenzio.
Meno parlo, meno c’è il rischio di discutere.

Ci vestimmo e prendemmo in prestito la macchina di Will, con la promessa di fare il pieno prima di tornare a casa.

Parcheggiammo non molto distante dal Pumping Pumpkin ed io stupidamente mi domandai se Nick fosse a lavoro, subito prima di ricordare che con il braccio ingessato a quell’ora doveva essere sul divano della sua villetta a schiera, magari pure consolato da qualche sciacquetta con i neuroni fulminati. Inutile preoccuparsi.
- “Dove andiamo?” chiesi per pensare ad altro.
- “Io proverei da quella parte.  - ed indicò un luogo appartato alla fine della via, così buio da non riuscire nemmeno a scorgere la fine della strada - Poca luce, molti ladri”.
Alzai la spalle ed assecondai l’idea folle di Valerie, che, neanche a dirlo, si rivelò più stramba del previsto.
Non appena arrivammo nel mezzo dell’oscurità, sentii qualcuno avvicinarsi di soppiatto, costringendomi a voltarmi di scatto. Era un’ombra più alta di me di una ventina di centimetri, ma talmente sottile e gracile che faticavo a credere che si reggesse in piedi.
Sotto un cappuccio che nascondeva la faccia, quello che mi pareva un uomo cominciò a strattonarmi la borsa.
Sei un povero cretino se pensi che la molli.
Ero pronta a tirar fuori le unghie pur di tenermela e, a giudicare dalla forza che il maldestro scippatore imprimeva alle maniglie della mia splendida Balenciaga, nemmeno lui era troppo convinto di volermela rubare.
Val non perse tempo e, presa la sua pochette, cominciò a picchiargliela in testa. Lui tentò di parare i colpi come meglio poteva, ma non aveva messo in conto che, nel dimenarsi, il cappuccio sarebbe sceso e gli avrebbe scoperto il viso.
Lo guardai negli occhi e vidi che era un ragazzino di circa sedici anni, più impaurito di me e la mia amica messe insieme.
- “Valerie, fermati! - le ordinai e poi mi rivolsi al baby ladro - Molla la borsa e farò finta che questa cosa non sia mai accaduta. Fila”.
Sussurrò uno scusi signora e scappò veloce nella direzione opposta alla nostra.
- “Beh… - esclamò Val, non appena rimanemmo sole - Complimenti Sam, sei una dura”.
- “Ho aspettato tre mesi che arrivassero i saldi e due ore in coda fuori dal negozio per comprarla. Ti avrei venduta a lui piuttosto che farmela rubare”.
- “Che tesoro. Ma hai notato che ti ha chiamata signora? - alzai gli occhi al cielo; ci avrei giurato che avrebbe colto l’occasione per ricordarmi che era ora di trovarsi un fidanzato. - Your time is running out, your time is running out…” cominciò a canticchiare, storpiando il testo dei Muse.
- “Forse avrei dovuto barattarti sul serio con la mia borsa”.
- “Non potresti mai vivere senza di me…” tentò di ammansirmi. Era vero in fondo, per quanto alla volte fosse irritante o originale, rimaneva una delle mie migliori amiche, una persona con cui avevo condiviso il trasferimento da Glasgow a Londra ed era bello, nelle giornate malinconiche, rispolverare insieme i ricordi che ci legavano alla Scozia.
E poi era l’unica in grado di sopportare i miei sbalzi d’umore dovuti al ciclo e già solo questo la rendeva praticamente adorabile.
- “… o senza Chiappe d’oro”.
E ti pareva!
- “Non lo ammetterai mai, ma quel ragazzo ha quel non-so-che che ti fa girare la testa” mi spiegò.
Mi tappai le orecchie e cominciai a parlare a vanvera, pur di non ascoltare per la milionesima volta il discorso su quanto in realtà fossi del tutto inconsapevole di essere ormai persa per Nick.
Il rumore di una macchina in arrivo mi salvò dalla situazione, ma non dal franare a terra a causa di una spinta di Val.
- “Che fai?” le urlai.
- “Conosco quell’auto” disse dopo che il veicolo ci era sfrecciato accanto, senza vederci. La mia amica parlava sottovoce, come se il guidatore dell’auto potesse davvero sentire quello che stavamo dicendo.
Non avevo fatto attenzione a che tipo di modello di vettura fosse e, a dirla tutta, nemmeno se me lo avessero spiegato l’avrei saputa riconoscere.
- “Ma se non l’hai neanche vista!” domandai scettica.
- “Ho letto la targa mentre tu ti imponevi di non ascoltare le mie sagge parole” esclamò, senza un non poi tanto celato rimprovero.
- “E di chi sarebbe?”.
- “Vuoi davvero saperlo?”. Odio le persone che vogliono mantenere la suspense!
- “Valerie dimmelo o ti strozzo!” la minacciai.
- “Samuel Banks” mi rispose.
Stavo per domandarle come diavolo facesse a saperlo, ma mi ricordai in fretta che la mia cara redattrice teneva un catalogo di tutti gli impiegati, dal fattorino al boss dei boss.
- “Non vuol dire nulla il fatto che sia a Soho, alle 23 e 30 di sabato sera…” cominciai.
-“… invece che stare nella sua villa con moglie e due figli” continuò lei.
Ci muovemmo verso il punto in cui l’auto era stata parcheggiata, un centinaio di metri da noi, in un vialetto di una casa a due piani priva di illuminazione.
L’uomo che l’aveva guidata non era ancora entrato nell’abitazione; era in piedi, la portiera aperta che lo separava da una donna. Sarebbe stato più corretto definirla ragazza, visto che, sbirciando da dietro il muretto di recinzione della casa, le avrei dato una ventina d’anni. Fortuna che aveva acceso una piccola luce esterna.
Si scambiarono un bacio frettoloso sulla guancia e lei gli fece strada all’interno della villetta.
- “Non siamo certe che sia lui” commentai.
- “C’è solo un modo per scoprirlo: arrampicarsi su quell’albero”. C’era un piccolo giardino accanto al posto auto nel quale troneggiava una pianta.
- “Val tu non sei in grado di salire su di un albero” le feci notare.
- “Non ho mai detto che l’avrei fatto io” ammiccò verso di me.
- “Tu sei pazza!” urlai.
- “Oh, guarda; - prese qualcosa dalla sua borsa - ho un pacchetto di patatine nella borsa. Forse potremmo fare uno scambio: la mia curiosità per la tua salvezza psichica” disse, sventolando quel concentrato di antistress che avrei divorato in un istante.
- “D’accordo, d’accordo. Ringrazia che i miei nonni abitassero in campagna e che mi facessero salire sugli ulivi a cacciare i merli. Strana la vita: - scherzai - un tempo mandavo via gli uccelli, oggi li cerco!”.
Valerie rise di gusto e io dovetti ricordarle che era il caso che abbassasse il volume di quella ciabatta che lei chiamava bocca, se non voleva che fossimo scoperte.
Ci avvicinammo alla pianta ed io cominciai a cercare dei punti d’appoggio per i piedi sui rami. Riuscii a trovare una posizione stabile che mi permettesse anche di tenere sott’occhio l’interno della casa, ma il problema era che tutto era circondato dal buio ed io a malapena percepivo la voce della ragazza, più acuta di quella di Banks.
- “Sam, che fai lì impalata? Vai sul balcone!” mi ordinò ed io fui costretta a darle retta per non rischiare di perdere quel prezioso sacchetto di patatine.
Scostai a fatica un ramo di foglie che mi era finito negli occhi e mi aggrappai alla ringhiera del terrazzo. La scavalcai e spiai attraverso le imposte semichiuse.
- “Sam! - Cosa vuole ora? Che scatti un servizio fotografico a quei due? - Voglio venire anche io!” brontolò.
Si fece largo tra il fogliame e, in men che non si dica, me la trovai accanto.
Incredibile cosa potesse fare quella donna quando si trattava di curiosare qua e là! Ormai ero giunta alla conclusione che nulla le fosse davvero precluso: odiava l’esercizio fisico e tutto quanto la facesse sudare, ma pur di ficcare il naso nelle vite altrui si era arrampicata su di un albero come se lo facesse tutti i giorni. Era soltanto drammaticamente pigra; infatti, soleva dire che se qualcuno si fosse offerto di scarrozzarla di qua e di là, da piccola si sarebbe persino rifiutata di imparare a camminare.
- “Sarà sua figlia” improvvisai guardando Val, mossa dal mio solito istinto di pensare bene della gente.
- “Girati e dimmi se tu baceresti così tuo figlio. Se la tua risposta è sì, tesoro, abbiamo un problema” mi rispose.
Seguì il suggerimento e vidi Sam1 avvinghiato alla giovane, decisamente non come un buon padre farebbe con la prole.
E quelle mani sul sedere…
- “Che schifo!” dissi quasi isterica e mi concentrai sull’abbigliamento di lei. Indossava un cappottino leggero, sotto il quale spuntavano delle autoreggenti scure e, supposi, un completino sexy per fare non-voglio-sapere-cosa con il nostro caro collega.
- “Pensi che sia…?” azzardai.
- “Sam, è decisamente una prostituta”.
- “Finirà anche questo nel tuo raccoglitore?” chiesi, maliziosa.
- “Puoi scommetterci” sorrise lei.
Come avrei potuto mettere la mano sul fuoco che Valerie non si sarebbe accontentata di quel poco che avevamo visto.
- “Rimaniamo qua finché non succede qualcosa di compromettente” decretò.
Non tentai nemmeno di dissuaderla; il suo tono era stato solenne e questo lasciava ben poco margine per farle cambiare idea.
Concentrata sulla scena all’interno - strusciamenti e palpate per di più -, però, non si accorse di urtare un vaso che franò a terra, spaccandosi in mille pezzi.
- “Ops!” disse.
I due all’interno si staccarono l’uno dall’altra, guardandosi intorno circospetti.
- “Cazzo, Val, dobbiamo andarcene prima che ci scoprano!” sussurrai.
Mi indicò di scendere per prima, visto che avrei dovuto aiutarla con quel suo piccolo problema delle vertigini che, nel salire, aveva accantonato per la foga di curiosare. Avevo sempre sospettato che non fosse poi così reale quel disturbo in lei, dal momento che si manifestava soltanto quando lei ci badava - o forse, si ricordava -, ma mai contraddire Valerie Dupont quando sosteneva di essere affetta da qualche strano incurabile male!
Rischiai di sbucciarmi un ginocchio, ma atterrai discretamente bene e focalizzai la mia attenzione sulla mia amica.
Tremavo all’idea che qualcuno tra Samuel e la ragazza ci cogliesse in flagrante, ma mi calmai un po’, pensando che, in quel caso, nemmeno il caro Banks ci avrebbe fatto una gran figura. Una parola di troppo con la moglie e puff, vita rovinata. Non che fosse mia intenzione spifferare tutta la tresca - squallidissima tra l’altro -, ma era meglio avere il culo parato all’evenienza.
Sentimmo dei passi avvicinarsi al davanzale e Valerie entrò ancora più nel panico.
- “Rilassati, stai calma” le sussurrai.
Abbracciò l’albero, nascosta da rami e foglie, ed io mi nascosi dietro l’auto, quando le imposte del balcone si aprirono e Sam1 si affacciò a controllare che tutto fosse a posto. Se mai avessimo avuto ancora qualche dubbio sul fatto che fosse realmente il nuovo redattore di Music Magazine, in quel momento fummo certe al 100% che avevamo visto giusto.
Lui notò il vaso per terra, imprecò contro gli stupidi uccellacci in cerca di semi che lo cercavano, non sapendo che l’unico uccellaccio con il seme  in quella casa fosse lui.
Ritornò all’interno ed io tornai a respirare.
- “Val ci sei?” chiesi a bassa voce.
- “Sì, tutto ok”. Si lasciò scivolare fino a terra ed io rimasi a bocca aperta: doveva essere affetta da vertigini immaginarie. Era la sua reazione alla paura che, però, quasi ci aveva fatte scoprire.
Cominciò a sghignazzare, pensando al pericolo scampato e mi consegnò le meritatissime patatine che feci fuori in due bocconi. Poi mi sollecitò a tornare al parcheggio dove avevamo la macchina: c’erano già state troppe emozioni quella sera, meglio rimandare ad un’altra nottata la ricerca del ladro.
 
Ad un passo dal Pumping Pumpkin, piegate in due dalle risate per la serata assurda vissuta tra il tentato borseggio e lo stalking a Samuel, fummo costrette a fare una sosta. Valerie era distrutta dai duecento metri percorsi a piedi e, guarda caso, propose di fare una sosta proprio di fronte al locale in cui avevamo festeggiato l’addio al nubilato.
- “Potremmo entrare a vedere se c’è...” disse, trafficando con il cellulare.
- “Fatica sprecata, tesoro. Non credo che Nick abbia ripreso già a lavorare” risposi, convinta che volesse tirare fuori per l’ennesima volta lo stesso argomento.
- “Veramente parlavo di Josè, ma tu hai un chiodo fisso su un altro…” esclamò raggiante per essere riuscita ad ingannarmi.
- “Sammy?”. Il presunto chiodo fisso era appena sceso da un taxi, fermo proprio davanti allo strip-club. Indossava un paio di jeans scuri, una felpa grigia ed un giubbotto nero che lo rendevano incredibilmente sexy, nonostante non avessero nulla di speciale.
Tutta colpa del ciclo e degli sbalzi ormonali, non altro. Un orango tango mi avrebbe fatto lo stesso effetto.
- “… e Valerie, la sposa” si presentò, civettuola come al solito.
- “Certo, mi ricordo. Non dimentico chi mi chiama Chiappe d’oro. Che ci fate qui?” domandò lui.
- “Sam ti cercava” sparò la mia amica.
La fulminai con lo sguardo e non potei fare a meno di diventare bordeaux dall’imbarazzo, visto e considerato che ricordava anche quello stupido soprannome inventato dalla festeggiata.
- “Sai, era preoccupata che tu fossi già tornato a lavorare con il braccio rotto”. Lui si avvicinò a me, tesa come una corda di violino, e mi mise la testa contro il suo petto.
- “Che tesoro, Sammy. Eri preoccupata per me”. Mi divincolai veloce da quale stretta che mi creava uno scompiglio interiore.
- “Non è vero che siamo qui per questo. E’ un… caso” dissi d’un fiato, conscia che come scusa faceva proprio pena, anche se era vera.
Lo vidi ridere sotto i baffi.
- “In ogni caso, sei senza dubbio un gran bel ragazzo a cui è difficile resistere. Io non sono più sul mercato, quindi, dovreste provarci voi due. Certo, Chiappe, non sarà come stare con me, ma Sam è un ottimo surrogato”.
Ma cosa le è successo? Ha preso una botta contro un ramo?
- “Quindi dovrei accontentarmi” disse lui ed io diventai verde dalla rabbia.
Forse non lo aveva fatto apposta, ma quelle parole mi fecero sentire inadeguata. Non ero abbastanza per lui?
Nick non aveva nulla da invidiare ad alcuno: era bello ed intelligente, ma neanche se fosse stato Brad Pitt o Albert Einstein in persona avrebbe avuto il diritto di farmi sentire inferiore a lui.
Sam, respira.
- “Ce ne andiamo?” chiesi a Valerie con un tono duro e lei capì finalmente che stava esagerando.
- “Mi ha mandato un messaggio Jonathan. Sta facendo un giro di collaudo con la nuova Spider e sarà qui a momenti. Ti dispiace?”. Scossi la testa; in quel momento le conveniva non salire in auto con me, perché altrimenti le avrei fatto una miriade di domande su come diamine le fosse venuto in mente di mettermi in una posizione scomoda come quella di prima.
Suo marito non tardò ad arrivare e lei sparì nell’auto con lui, dopo aver salutato me e Nick.
- “Allora io vado a consegnare delle cose” affermò quest’ultimò ed indicò il Pumping Pumpkin.
Io bofonchiai un come ti pare e me ne tornai a casa, rimandando il pieno di benzina al giorno dopo. Il mio rancore accanto a fonti infiammabili costituivano una combinazione da evitare.
 
Non ebbi nemmeno il tempo di togliermi le Converse che il campanello suonò.
Romeo se ne stava tranquillo sul divano, perciò pensai che non fosse Will, altrimenti il mio bel micione si sarebbe già precipitato a graffiare l’uscio.
Aprii la porta ed eccolo lì, di nuovo, la causa del ribollire del sangue nelle mie vene: Nick.
- “Che vuoi?” chiesi in modo brusco.
- “Chiederti scusa. Ti sei offesa prima, ma io non avevo alcuna intenzione di ferirti” mi rispose.
- “Non mi sono offesa. - mentii - Non sei così importante per me da avere il privilegio di ferirmi”.
Decise di cambiare strategia.
- “Allora diciamo che ti ho portato il calumet della pace”.
- “Che peccato, non fumo” esclamai piccata.
Lui sorrise con quegli occhi color ghiaccio dolci e rassicuranti che sapevano come ammorbidire una donna.
- “Possiamo almeno parlare?” domandò.
Declinai l’invito, fingendo persino di esserne dispiaciuta.
- “Forse ho qualcosa che potrebbe farti cambiare idea”.
Agguantò una borsa di carta che aveva tenuto fuori dal mio raggio visivo fino a quell’istante e ne trasse un numero indefinito di pacchetti di caramelle gommose e una busta gigante di popcorn.
Valerie aveva proprio fatto un’attenta descrizione delle cose che preferivo al suo caro Chiappe d’oro.
- “Vuoi comprarmi?” chiesi.
Dovevo resistere ad ogni modo.
- “Ti sto chiedendo solo di chiacchierare un po’”.
Ma quell’orsetto gommoso mi sta forse salutando con la mano?
Stavo pure dando i numeri!
Cedetti alla tentazione e gli spalancai la porta per entrare, evitando accuratamente di parlare.
Dopo aver divorato l’intero pacchetto, il mondo cominciò a sorridermi. Tutto era più bello, più buono, più simpatico… candy power!
Ci sistemammo sul divano e iniziammo a discorrere del più e del meno. Ad un certo punto, però, lui cambiò argomento.
- “Davvero non ti sei offesa prima?”.
Abbassai lo sguardo e mi decisi ad essere onesta.
- “In effetti, sì”
- “Non volevo…”.
- “Lo so. - lo interruppi - Colpa di un elevata percentuale di acidità dovuta alla mancanza di zuccheri”.
- “Dico davvero. Sei una bella ragazza, sei intelligente, fai un lavoro che ti soddisfa… sei in gamba” - gli ero grata per i complimenti, ma ero totalmente incapace di accettarli e lui, forse, se ne accorse - E poi sei attratta da me, il che è un punto a tuo favore” concluse.
- “Qui ti sbagli mio caro. Non provo nulla per te”.
Nulla tranne il batticuore, le gambe molli e le mani sudate. No, no, era impossibile che io stessi covando un’attrazione per lui. Impossibile.
- “Sicura? Perché Valerie…”.
- “Valerie niente. Sta solo cercando di trovarmi un fidanzato” mi difesi.
- “E ha pensato a me”.
- “A te come a chiunque altro”.
- “Quindi non ti interesso”.
- “Mi spiace che il tuo orgoglio debba subire questo affronto”.
- “Non è che il tuo di orgoglio che ti impedisce di ammettere che mi salteresti addosso ora?” insinuò, malizioso.
- “Non ti salterei addosso”.
- “Hai paura di non riuscire a fermarti?”. Mi stava sfidando.
- “No, no…”.
- “Provamelo” mi sfidò.
Lo baciai sulla labbra per qualche secondo, cogliendolo totalmente impreparato. Mi staccai un po’ stordita.
- “Vedi? Nulla” dissi con la voce tremolante.
Lui non fiatò e si limitò a sorridere. Decisi di mettere un film nel lettore dvd, che osannai come salvatore della serata.
Non ricordo nemmeno il titolo della pellicola che guardammo perché passai tutto il tempo a provare a ripristinare il mio autocontrollo, limitando la conversazione con Nick che, impassibile come di consueto, seguiva la trama con attenzione.
Il bacio che gli avevo dato era stato una fotocopia di quello della Taverna del Grillo, quando mi ero umiliata di fronte a tutti esibendomi al karaoke: fin troppo casto, fin troppo breve.
Alla fine dei titoli di coda - e delle provviste che aveva portato - mi informò che era arrivata l’ora di prendere un taxi e tornarsene a casa. Lo accompagnai alla porta e lo ringraziai della compagnia.
- “Notte, Nick”.
Lui si avvicinò e mi inchiodò al muro, fermandomi la testa con la mano destra. Si avventò sulle mie labbra sino a farle schiudere, per avvolgere la mia lingua con la sua. Mi baciò con una passione tale da farmi rimanere quasi inerme e mi ritrovai a desiderare che quel contatto non finisse mai. Persi la cognizione del tempo e dello spazio e mi sentii come in una specie di limbo, un posto isolato da tutti e tutto e dove c’eravamo solo io e lui. Non importava che il mondo al di là del muro continuasse imperturbabile a vivere freneticamente; ero ben contenta di rimanere indietro con lui.
Quando poi lui si ritrasse dal bacio, sentii mancarmi la terra sotto i piedi e pensai di precipitare a terra davvero. Forse anche io, come Valerie, soffrivo di vertigini immaginarie.
- “Questa era la prova del nove. - soffiò sulle mie labbra - Davvero non provi niente per me?”.
Mormorai il no più falso della mia vita e lui non smise di sorridere.
- “Notte Sammy” e se ne andò, lasciandomi in balia di una fiumana di pensieri.
D’accordo, Nick non era un ladro, ma, forse, un pezzettino del mio cuore se l’era rubato.
 
 
Hello hello
I’m at a place called Vertigo
It’s everything I wish I didn’t know
Except you give me something I can feel, feel

 
Buona sera!
Questo capitolo è nato sotto una cattiva stella, ma spero che il risultato non abbia seguito la stessa strada :D
La novella di questa settimana è che mi si è fulminato l’alimentatore del portatile (scarico e con metà del capitolo) e che non esiste un rivenditore in zona in grado di sostituirmelo in tempi utili.
Perciò in due giorni ho riscritto il tutto e spero non sia uscita una schifezza.
Chiedo venia per eventuali errori ma è da oggi pomeriggio che sono al computer e c’ho sonnooooo!(So che comunque c’è qualcuno che vigila anche per me?:P)
La canzone del titolo è “Vertigo” degli U2.
Alle recensioni mi pare di aver risposto, quindi non mi resta che augurarvi buona serata!
Baci!
 
HappyCloud

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. What's My Age Again? ***


Capitolo dodici. What’s My Age Again?
 
- “E tu?” incalzò Valerie.
- “Aspetta, non dire nulla; l’hai arpionato con le gambe e l’avete fatto selvaggiamente sul pianerottolo” ipotizzò Amanda.
- “No, sul tavolo della cucina tra bottiglie di vino e barattoli” fu la versione di Jade. Era senz’altro la più timida del gruppo, ma quando si trattava di fantasie sessuali diveniva impareggiabile.
Solo Katy - grazie a Dio - si astenne dal fare congetture sul prosieguo del bacio tra me e Nick. Una persona in meno da deludere.
Al contrario, sembrava disinteressata all’intero argomento Samantha Grayson; se ne stava rintanata in un angolo del tavolo, mescolando il suo cocktail con la cannuccia e sperando che le altre cambiassero soggetto della discussione.
Il pub nel quale ci eravamo rifugiate dopo lavoro era il punto di ritrovo per molti degli impiegati degli uffici nei dintorni. L’atmosfera tranquilla, le luci soffuse e un volume di musica tale da permettere la conversazione senza diventare un ultra allo stadio erano i fattori alla base del successo del piccolo locale in cui ci fermavamo spesso per una sosta alcolica.
- “No” dissi soltanto.
- “No a cosa?” chiese Val.
- “A tutto”.
Una risata fragorosa si diffuse rapida tra le mie amiche, isolandomi in un alone di disappunto.
- “Per un attimo ci ho quasi creduto che tu fossi stata così scema da lasciartelo scappare” sghignazzò Amanda.
- “La piccola Sam ha fatto faville, donne! La puritana numero uno in Inghilterra si è concessa al giovane stripman sexy ed aitante” urlò Jade.
Ehm… no.
- “Dai, racconta!” mi incitarono.
E ora che mi invento?
- “Ti ha strappato i vestiti con i denti, prima di possederti sul divano di casa tua?”.
E’ ufficiale: stanno degenerando.
Mi schiarii la voce.
- “Ragazze, no-non è successo nulla” osai dire.
- “No, cazzo, ha fatto cilecca?”.
- “L’avresti mai detto di uno stallone come lui?” parlottarono.
- “Dio, che delusione”.
Loro continuarono a confabulare, convinte della scarsa prestazione di Nick. Non riuscivo a trovare le parole ed ogni volta che cercavo di spiegare il nulla che era succeduto al bacio, venivo fraintesa da quel branco di depravate delle mie colleghe.
Okay, dillo chiaro e tondo. Sparalo.
- “Non c’ho fatto sesso” osai dire.
Quattro paia di occhi - sì, persino Katy si degnò di guardarmi - si posarono su di me, sbalordite e improvvisamente zittite.
- “Tu… non…” balbettò Valerie.
Che esagerazione! Neanche avessi bruciato un biglietto vincente della lotteria.
- “E’ pazza, lo sapevo” constatò Amanda.
- “Lui, Nick, un dio greco ti sbatte contro il muro e tu non fai nulla? Sei da ricovero, Sam” gridò Jade.
- “Cosa avrei dovuto fare?” cercai di giustificarmi, rendendomi, però, subito conto della domanda retorica che avevo posto.
- “Vuoi davvero che ti risponda?” fu il commento lapidario di una Katy di nuovo in grado di parlare e - mio malgrado - di esprimere la sua opinione.
No, decisamente non era necessario che qualcuno mi dicesse cosa avrei potuto fare con un ballerino di nightclub tra le grinfie. Non potevo negare nemmeno con me stessa il fatto che, almeno per un secondo, mi fosse passato per l’anticamera del cervello di far sì che ci fosse dell’altro tra me e Nick quella sera. Ma il mio animo freddo, razionale, calcolatore aveva prevalso sull’istinto che, al contrario, mi diceva di fare quello che mi pareva e non quello che era giusto.
Era stato bello, intenso, diverso; non ricordavo di aver mai provato qualcosa di simile. Il solo contatto delle nostre labbra era stato pura elettricità ed era stato difficile ristabilire un ordine mentale, quando si era allontanato.
Era passato qualche giorno da allora, tempo di far terminare la tortura mensile chiamata ciclo mestruale e di regolarizzare il quantitativo di ormoni in circolo.
Quella pausa da Nick era servita per tentare di mettere insieme le idee, per capire come meglio comportarsi la volta seguente che lo avrei incontrato, per trovare le parole giuste per raccontarlo a Will e alle amiche. In realtà, poi, questi propositi erano un po’ mutati in corso d’opera, diventando, più che altro, il pretesto per evitare Nick.
Lui non si era fatto sentire e ciò non faceva altro che confermare quanto io già sospettavo e, a fatica, cercavo di digerire: quel bacio non era stato reale, vero.
Ci eravamo provocati ancora una volta, nella nostra ormai consueta sfida di orgogli in cui nessuno voleva cedere per primo.
Dal canto mio, avrei potuto accantonare il mio ego soltanto per qualcosa  di tangibile, qualcosa per cui valesse la pena negare una parte fondamentale della mia persona. Ma la verità era che Nick voleva solo un nome - il mio -, stampato alla fine della lunga lista di donne cadute ai suoi piedi, ammaliate dal suo savoirfaire e dal suo fisico atletico. Ed io non ero disposta ad annullarmi per essere una delle tante. Mi era già capitato, in passato, di scontrarmi con uomini sbagliati che mi avevano trattato da schifo in nome di un sentimento che si era rivelato inconsistente quanto le loro parole. Ma ora avevo imparato a voler bene a me stessa più che a quella strana specie con un pisello al posto del cervello.
Raccontai per sommi capi l’intero problema alle mie amiche e l’unico commento che ne uscì fu un tutt’altro che profondo: “tu pensi come una vecchia… troppo! La prossima volta scopatelo!”.
 
Tornai a casa e mi misi a dormire, esausta dalle innumerevoli domande che le ragazze mi avevano posto e dai numerosi giri di alcolici che erano passati sul nostro tavolo.
Lo squillo del cellulare mi svegliò da un coma profondo. Era di Will.
Ciao vicina preferita! Torno oggi pomeriggio e non voglio scuse per stasera. Sei con me. A dopo, W.
Mi alzai controvoglia e andai in ufficio con ancora un’ombra di sonno che mi seguiva. Valerie mi placcò non appena mi vide varcare la soglia del piano in cui c’era la redazione.
- “Vieni nel mio ufficio, alla svelta” biascicò sottovoce, stando ben attenta a non farsi sentire dagli altri impiegati.
Mi afferrò per il polso e mi condusse alla sua scrivania.
- “Ho fatto qualche ricerca”.
- “Di che stiamo parlando?” domandai confusa.
Lei sbatté il palmo della mano sulla scrivania, scocciata.
- “Come di che cosa stiamo parlando? Del nostro collega furbetto” sussurrò ed io, finalmente, vidi il soggetto della conversazione prendere una figura ed un nome: Samuel Banks, Sam1 in breve.
Val girò verso di me lo schermo del suo computer e cominciò a farsi un sunto di quanto aveva trovato, bazzicando qua e là in rete.
- “Abitava in un paesino vicino York, dove ora è osannato come una specie di eroe nazionale”.
- “Che cavolo ha fatto per guadagnarsi tanta gloria?” chiesi, sempre più coinvolta dall’indagine.
- “Beh, se vivi in una comunità fac-simile a quella degli Amish e ti laurei oltreoceano, a Yale, con il massimo dei voti, può succederti anche questo” commentò ironica.
Provai ad effettuare una nuova ricerca e altre informazioni vennero a galla.
- “Guarda qui, Val! Sono tutti gli articoli disponibili sul web di e su Sam. Pare fosse un pezzo grosso della stampa di York” esclamai, continuando a leggere.
- “Proverò a estorcergli qualche notizia in più”.
- “Brava, Jessica Fletcher. Anche se avresti dovuto farlo prima di assumerlo” dissi con un accenno di rimprovero nel tono di voce.
- “E’ stata una decisione presa di comune accordo tra tutti i soci. Lo sai anche tu che la concorrenza di internet potrebbe mandarci in bancarotta anche domani; per questo, un po’ di capitale in più, ci garantisce una maggiore sicurezza” si difese.
- “C’è qualcosa che non torna, comunque…”.
- “Forse dovresti provarci con lui; magari si lascia scappare accidentalmente qualche cosa”.
- “Fallo tu! - strillai, alzandomi in piedi e poggiando le mani sulla scrivania - Io sono già incasinata con Nick, lasciamo perdere, ti prego” la supplicai.
- “Non sai quanto mi costi ammetterlo, ma credo che il viscido preferisca carne più fresca. Almeno è quello che sembra da come ti fissa il culo”.
Mi rizzai in piedi e controllai se quanto avevo appena sentito dalla mia amica fosse vero.
Sam1 finse di cascare dalle nuvole e venne nella nostra direzione, mentre Val, in fretta e furia, chiudeva la finestra del computer con le nostre indagini.
- “Ehi, ragazze! Non volevo interrompervi, stavo aspettando che finiste di parlare. - arrossì vistosamente - Sam, volevo chiederti se potevi fermarti un po’ più in redazione stasera”.
Ma anche no.
- “Carpe diem” disse sottovoce Valerie, però lui lo sentì.
- “Come scusa?” domandò.
- “E’ latino. Ha detto scarpe diem, il giorno delle scarpe. - improvvisai, pensando alla aggressione fisica che mi avrebbe fatto la professoressa del liceo se avesse sentito la mia traduzione - Ho da fare oggi, ma Valerie sarà ben lieta di aiutarti. Ora vi saluto, ciao!”. Lasciai la stanza con un sorriso beffardo sul viso e la certezza che la mia amica me l’avrebbe fatta pagare cara.
Sì, avevo ventiquattro anni, ma vivevo di questi piccoli dispetti. Alla faccia dei pensieri da nonna!
 
Prima di andare a casa, mi venne voglia di fare un bel giretto a Covent Garden, tra le bancarelle eclettiche e colorate del mercatino delle pulci. Adoravo in particolare quella di Joe, un abilissimo creatore di bracciali, collane, orecchini ed anelli che mi aveva preso in simpatia e che mi riservava sempre un trattamento speciale.
- “Sam, è un po’ che non ti fai vedere” mi disse, vedendomi arrivare.
- “Hai ragione. Tutta colpa del lavoro”.
- “Splendida come al solito, però” ed io divenni bordeaux per il complimento. Parlare con lui era un po’ come andare dalle nonne, che ogni volta che le vai a trovare, ti vedono più bella, più magra, più tutto.
Una signora lo chiamò per sapere il prezzo di un monile ed io la ringraziai mentalmente per avermi salvato dall’imbarazzo.
Un braccialetto dall’altra parte del banco attirò la mia attenzione; era argento con degli inserti verdi, tra cui troneggiavano dei cuori e una libellula. Mi avvicinai per guardarlo, ma, proprio in quel momento, un uomo sulla quarantina mi si parò davanti. Era ben vestito, curato in ogni minimo dettaglio e il suo completo era per certo un prodotto di alta sartoria. Abbastanza alto, fisico asciutto e occhi scuri, si guardò intorno circospetto, urtandomi senza volerlo.
- “Pardon signorina” mi disse e quasi fece un inchino.
Rimasi sorpresa da tanta gentilezza e lo scusai, volendo a tutti i costi tornare a concentrarmi sul bracciale. Che non c’era più.
Guardai verso l’uomo, all’apparenza un nobile d’altri tempi, e notai un movimento furtivo della sua mano, nella quale stringeva qualcosa… qualcosa che mi parve assomigliare molto al mio oggetto del desiderio.
Decisi di seguirlo, nella speranza di aver trovato finalmente uno straccio - anche se così proprio non si poteva definire - di ladro. Lo raggiunsi e mi accostai a lui.
- “Qualcuno potrebbe ritenere il suo comportamento un po’, come dire… illegale” sussurrai sulla sua spalla.
- “Gente noiosa. - sentenziò, sbuffando, per nulla sorpreso, e si voltò a guardarmi negli occhi - Questo è ciò che pensa anche lei?”.
Riflettei un secondo prima di rispondere.
- “Quello che penso io è che un uomo vestito come lei non ha bisogno di rubare un bracciale da una bancarella” lo rimproverai velatamente.
Mi sorrise, ormai arreso all’idea di essere stato beccato in flagrante.
- “L’abito non fa il monaco” provò a giustificarsi.
- “No, ma quel Rolex lo fa senz’altro” ribattei.
L’uomo si guardò con noncuranza il grosso orologio dorato che indossava al polso, senza riuscire a togliersi dal viso quel ghigno divertito.
- “Già. M’immagino di non poter giocare la carta del giovane squattrinato che si improvvisa ladruncolo per necessità” constatò.
- “No, in effetti non è poi così giovane” scossi il capo e arricciai le labbra.
- “Mi piacciono le donne con il senso dell’umorismo. Cosa devo fare per ottenere il suo silenzio?” domandò.
- “Può iniziare offrendomi un tè” decretai.
Non disse nulla, ma mi lasciò passare e mi indicò un piccolo café all’inizio della strada. Ci sedemmo ad un tavolino vicino alla vetrata, dalla quale si vedeva la folla passeggiare infreddolita a causa del gelo pungente.
- “Sono Henry, comunque. Henry Chambers” si presentò.
HENRY CHAMBERS? Io stavo bevendo un tè con Henry Chambers?!
Sgranai gli occhi, ma cercai di mantenere un certo contegno.
- “Quell’Henry Chambers?” chiesi esterrefatta, ripensando a quante volte mi capitava di scorgere quel nome per le vie di Londra, stampato a caratteri cubitali sui cartelloni pubblicitari dell’omonima catena di gioiellerie.
Lui abbozzò un sorriso, forse abituato a quel tipo di reazione.
- “Beh, non proprio. Quello era mio nonno, il fondatore. Io sono solo l’amministratore delegato”.
Solo? Quella posizione doveva valere per lo meno qualche milioncino e lui me l’aveva detto come se fosse stato l’ultimo sfigato nella catena di montaggio. E, come se non bastasse, si riduceva a rubare alla “concorrenza” bigiotteria da un pugno di sterline.
- “Non mi dica che fa anche spionaggio industriale al mercato settimanale” lo schernii.
- “Devo dire che è piacevole essere canzonato da una bella donna come lei - mi lusingò -, anche se non ho ancora avuto il privilegio di sapere qual è il suo nome”.
- “Samantha” risposi, allegando un leggero sorriso. Normalmente avrei usato l’abbreviativo - Sam -, ma il fatto di aver davanti a me uno che poteva spolverare casa con una pelliccia di visone, mi spinse ad utilizzarlo per intero. Come se otto lettere mi dessero uno spessore maggiore di tre.
La conversazione proseguì e mi interessò parecchio; Henry era intelligente, elegante, raffinato in ogni minimo gesto: dallo scansare la sedia per farmi accomodare al porgermi il braccio affinché io ci posassi il mio per uscire dal bar. Accettai di buon grado l’invito a cenare con lui in un ristorante molto lussuoso nel quartiere di Chelsea, il Tom Aikens; l’avevo sempre ammirato da lontano, pensando che mai e poi mai avrei speso una cifra da capogiro per una cena. Meglio spendere un capitale per un bel paio di sfavillanti Jimmy Choo che ti durano almeno un anno, invece che per uno stupido pasto che diventerà poltiglia nel tuo stomaco, no?
Ma finché pagava un altro - non intaccando il mio conto in banca, vitale per lo shopping -, potevo cenare in tutta tranquillità anche nel luogo più esclusivo del mondo.
Chiaramente ci accompagnò l’autista a bordo di una berlina nera con i vetri oscurati come quelli di una star hollywoodiana da red carpet.
- “La sto annoiando?” mi chiese mentre gustava un piatto talmente elaborato che io mi domandai sul serio da che parte avesse cominciato a mangiarlo.
Non avevamo abbandonato il lei in favore del tu, un po’ perché, in fondo, nemmeno lo conoscevo e un po’ perché era pure intrigante mantenere una certa distanza con il mio interlocutore.
- “Tutt’altro. - risposi, tamponandomi la bocca con il tovagliolo - Piuttosto, mi sto ancora domandando perché si sia dimenticato di pagare quel bracciale”.
- “Vuole la verità? - annuii e lui proseguì - Ogni tanto faccio delle cose così, giusto per fare, per sentirmi vivo e dimostrare a me stesso che non sto incartapecorendo dietro la scrivania”.
Un altro complessato con l’età!
- “La prossima volta lo faccia con un’altra bancarella, quella è la mia preferita e il proprietario è un tesoro, non se lo merita” lo pregai.
- “Lo farò senza alcun dubbio, se me lo chiede con tanta cortesia”.
Mia madre sarebbe impazzita per un uomo così: oltre alla ricchezza - che non guasta mai -, aveva stile nel vestire e nei modi, cortesi ma, al tempo stesso, affabili.
Mi raccontò di essere divorziato da una ex moglie divenuta pian piano insopportabile e di avere una figlia adolescente in fase di ribellione acuta. Io, al contrario, non dissi molto di me; a dire il vero, Henry non seppe mai nemmeno il mio cognome. Il punto era che, dopo l’esperienza con Ralph J, meno informazioni sulla mia persona diffondevo, meno c’era pericolo d’incappare in un amante intenzionato ad approfondire il nostro sentimento sulla porta di casa.
Decidemmo di fare una passeggiata a piedi, non di certo per digerire le mini porzioni di cibo discreto che ci avevano servito, ma per stabilire come concludere la serata. Io un’idea ce l’avevo, eccome, però non potevo gettarmi ai suoi piedi e implorarlo di portarmi a letto!
Mentre il suo autista ci portava alla sua villa, appartenente alla sua famiglia in sostanza dai tempi di Adamo ed Eva, spedii un sms a Will nel quale gli scrissi dove mi poteva trovare nel caso in cui non fossi tornata a casa prima di due ore.
Qualcosa mi diceva che non sarebbe stato male; un quarantenne ben tenuto, brillante, col quale discorrere di argomenti più sostanziosi dei cambiamenti climatici o del nuovo attaccante del Tottenham non poteva essere un fallimento tra le lenzuola se ci fosse stata giustizia su questa Terra.
 
E giustizia non ci fu.
La prestazione di Henry entrò di diritto nel guinness dei primati come la peggiore nell’universo. Persino i cavernicoli - indecisi in qualche buco mettere il loro arnese - avrebbero fatto meglio.
Tanto era bravo a intrigarti a livello mentale con i suoi aneddoti curiosi e la parlantina sciolta e accattivante, quanto era un vero disastro a livello sessuale; impacciato, goffo, mi domandai come diavolo avesse fatto ad avere una figlia, visto che, a giudicare da come si muoveva,  pareva un teenager alle prime armi. Persi ogni speranza di raggiungere l’orgasmo ancor prima che lui cominciasse a trafficare con la mia gonna e mi accarezzò le gambe nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto con sua madre.
Più volte fui sul punto di scoppiare a ridergli in faccia, ma l’idea di perdere la scommessa settimanale dopo la figuraccia con il fotomontaggio del fotografo mi costrinse a stringere i denti e a sottostare a quella che in qualche strana tribù aborigena qualcuno avrebbe chiamato - e non a torto - una vera tortura.
Se voleva tornare ad essere un ragazzino, ci stava sicuramente riuscendo.
Mi ritrovai a pensare a Nick, a come i suoi baci fossero così differenti da quelli del tizio imbranato sopra di me e a che sensazioni avrei provato se ci fosse stato lui al posto di Henry. Un movimento brusco di quest’ultimo mi fece ritornare con la mente - e ahimè con il corpo - nel letto a baldacchino della dimora dei Chambers.
Ma che fa? 
Scattai delle foto col cellulare che avevo tenuto sotto il cuscino, convinta che non se ne sarebbe mai reso conto, indaffarato com’era a raccapezzarsi sul funzionamento di quell’arcano che era il mio organo genitale.
L’amplesso sembrò durare un’eternità, ma, a quanto diceva l’orologio, era durato all’incirca una decina di minuti.
- “Sono un po’ fuori allenamento” ammise, spostandosi di fianco a me e distendendosi.
Emisi un suono che doveva somigliare a un risolino, ma che sembrò più che altro un’espressione di compassione.
- “Però, su… me la cavo ancora piuttosto bene” si compiacque.
Ah. Convinto tu!
Cambiai argomento, cercando disperatamente un campo in cui lui fosse più ferrato; in realtà non fu poi così difficile, visto che qualunque cosa sarebbe andata bene. Non che io fossi la regina del sesso, intendiamoci, però il dolce e simpatico Henry non era proprio portato per l’arte del Kamasutra.
Lui non colse nessuno degli spunti per cominciare una discussione che lo mettesse a suo agio ed io fui costretta a passare al buon vecchio piano B.
- “Diamine, si è fatto tardissimo” esclamai, subito smentita dalla radiosveglia sul comodino che indicava le 21:30.
- “Non è così tardi” rispose lui.
- “Domani mi devo svegliare molto presto” improvvisai.
- “Oh… mi spiace. Vuoi usare il bagno?” domandò in maniera cortese.
- “Sì, ti ringrazio”. Avrei detto qualsiasi cosa pur di rimanere sola.
Mi indicò la toilette, dove mi sciacquai il viso e mi sistemai i capelli, dopo essermi rivestita, ancora con una risata trattenuta per la deludentissima performance del padrone di casa. Ripristinai un’aria seria e tornai in camera.
- “Se hai fatto, vado io” disse e io gli feci un cenno di assenso con il capo.
Ripresi il cellulare da sotto il guanciale e chiusi il paio di boxer che aveva lasciato sul copriletto nella busta di plastica che avevo in borsa, pronta per ogni evenienza. Notai con disgusto il preservativo usato sul cassettone, a mo’ di complemento d’arredo e ingannai il tempo, guardando le foto scattate.
Non potevo ritenerle migliori di quelle scattate con Ralph J, dal momento che, in questo caso, sembravo o addormentata o sull’orlo di una crisi di riso.
- “Sono pronto” mi annunciò sorridente Henry, ricomparendo nella stanza. Era di nuovo impeccabile, in un abito gessato grigio ed una camicia bianca; era tornato come prima: un serio dirigente di una grossa azienda che chiunque avesse incontrato, me compresa, avrebbe pensato un latin lover.
Dio, ce l’aveva scritto in faccia! E invece nulla. D’altronde cosa pretendevo da un ladro di braccialetti?
Lo convinsi che non era importante che mi accompagnasse a casa, sarebbe bastato l’autista. Mi sfiorò la guancia con un bacio, con la promessa di risentirci per qualche serata a teatro.
SOLO per quello, ovvio.
Gli lasciai il numero di casa; in fondo, era un uomo piacevole e mi sarei sentita una stronza a troncare i rapporti con l’unico uomo che conoscevo in grado di utilizzare un vocabolario che andasse oltre a “sport-sesso-auto”.
 
Appena raggiunto il mio pianerottolo, suonai il campanello di Will. A giudicare dal messaggio che mi aveva inviato in mattinata, doveva essere a casa, ma non rispose nessuno.
Composi il suo numero e lo chiamai.
- “Sammy” rispose una voce.
Ma era… era… Nick?
- “Non ho chiamato Will?” gli domandai, stupidamente.
- “Sì, tesoro. E’ qui a casa mia, ti va di raggiungerci?”.
No, Sam, non andare. Non sei pronta ad affrontarlo dopo il bacio; rientra nel tuo appartamento, fatti una doccia e vai a dormire.
- “Tesoro tua sorella. Mezz’ora e arrivo”.
Sapevo di essere un’idiota.
Mi lavai e indossai un vestito grigio scuro, corto e scollato. Presi dall’armadio un paio di scarpe con tacco vertiginoso e mi spruzzai un litro di profumo, dopo una passata di trucco. Mi fissai riflessa nello specchio.
- “Non so cosa tu stia facendo, Sam, ma spero che questa storia non ti porti né in carcere né all’inferno” mi dissi.
Chiamai un taxi e chiesi che mi portasse a casa di Nick, la graziosa villetta a schiera ben tenuta dove l’avevo riportato di ritorno dall’ospedale. Il cancellino era aperto e, così, andai direttamente alla porta d’ingresso e bussai.
Will aprì la porta con in mano un bicchiere di vino bianco che gli rubai dalle mani e scolai tutto d’un sorso.
- “Ciao anche a te, vicina”. Gli sfiorai le labbra con un bacio e osservai l’ampio salone in cui ero appena entrato: pareti azzurre scure, divani in pelle bianca, arredamento moderno e grandi poster di famose città del mondo sui muri. Nick comparve da una stanza attigua che immaginai fosse la cucina e mi sorrise. La maglietta rossa che aveva addosso gli valorizzava i muscoli delle braccia e i pantaloni blu gli stavano d’incanto.
- “Ehi, sei arrivata. Che eleganza!”. Mi squadrò da capo a piedi e mi porse un calice uguale a quello di Will, con l’unica differenza che era - non ancora per molto - pieno.
- “Ti ho portato questo, Nick. - trassi dalla borsa il sacchetto contenente l’unica parte di Henry che mi servisse, i boxer , e glieli misi in mano - Per te, tesoro”.
- “Come mi piaci quando fai la dura… - mi disse, scuotendo la testa - Mi fai venire la pelle d’oca” mi canzonò.
Gli porsi il cellulare con le foto e lui le guardò con attenzione, mentre io bevevo il secondo bicchiere.
- “Non sembra che tu ti stia divertendo molto” commentò.
Mi lasciai cadere sul divano e il mio vicino si sedette accanto a me.
- “E’ stato il peggior sesso della mia vita” ammisi candidamente, per grande merito del vino.
Gli altri due si guardarono tra di loro e si misero a ridere.
- “Lo sai che in noi troverai sempre una spalla su cui piangere” mugolò Will, in una scena di finto melodramma.
- “Sì, e quattro palle per qualcos’altro” ribatté l’altro.
E io che mi preoccupavo di essere o troppo vecchia o troppo giovane! C'è chi sta peggio di me: chi non ha un cervello ad esempio. O, meglio, ce l’ha nel posto sbagliato.
- “Ragazzi, datemi da bere vi prego. Ho bisogno di dimenticare questa serata” piagnucolai.
Will si alzò per prendere un paio di bottiglie in cucina e Nick mi si avvicinò.
- “Io e te abbiamo un discorso in sospeso” mi soffiò sulle labbra.
- “Non mi sembra” risposi, cercando di tenere a freno il batticuore. La salivazione si era azzerata ed io temetti che, in quello stato, non sarei più riuscita a spiccicare parola.
- “Ti sei sciolta come ghiaccio al sole, quando ti ho baciata a casa tua”. Ghiaccio, come i suoi occhi…
Sentimmo il rumore di vetro infrangersi per terra e Will imprecare.
- “Dovremmo andare ad aiutarlo” sussurrai, con la voce spezzata.
Sfregò le sue labbra sulle mie, aride per l’emozione e la tensione di trovarselo a pochi centimetri dal viso.
- “Non finisce qui, Sammy”. Mi sorrise in modo sexy e mi piantò in asso sul divano, mentre lui spariva in cucina, come se nulla fosse.
Come se non ci fosse un’adolescente, sciolta in un brodo di ormoni, da raccogliere col cucchiaio sul divano di casa sua.
 

Buona tarda serata! Torno ad aggiornare ad orari quasi improponibili per pura mancanza di tempo causa esami. Ho fatto una tirata per pubblicare stasera, perché altrimenti avrei potuto farlo solo mercoledì/giovedì e mi scocciava tardare così tanto.
La canzone del titolo è “What’s my age again?” dei Blink 182.
Il “Tom Aikens” è davvero un ristorante lussuoso di Londra e il braccialetto di Covent Garden descritto l’ho comprato sul serio lì :P
Spero che il capitolo non sia uscito una schifezza :D
Risposte alle recensioni a breve in posta e grazie a tutti quelli che seguono la storia!
Buona notte!
 
Happycloud

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Light My Fire. ***


Capitolo tredici. Light My Fire.
 
Respira, Sam. Inspira ed espira, lentamente. Stai tranquilla; Nick è di là. E’ lontano da te.
Lo ripetei a me stessa quasi fosse una formula magica per un migliaio di volte, finché ogni singola fibra del mio essere non lo recepì e si distese.
Mi rimisi seduta sul cuscino del divano, dal quale ero scivolata nel tentativo di sfuggire dalle sue labbra e su cui poi ero rimasta inchiodata, schiacciata dal suo profumo.
Presi un foglio dal tavolino antistante il sofà e me lo sventolai davanti alla faccia. Mi sentivo come nel mezzo di un incendio propagatosi dalle viscere del mio corpo fino alle estremità, soffocante e impossibile da sfuggire; e, considerando che in sostanza nulla era avvenuto tra di noi, era facile sentirsi un’idiota fatta e finita, incapace di analizzare con freddezza la situazione.
Questo mi portò inevitabilmente a pensare a quale sarebbe stata la mia reazione nel caso in cui qualcosa fosse davvero successo, come, ad esempio, andarci a letto. Sarei… morta?
Santo cielo, che morte infelice! Nel caso la mia vita fosse dovuta essere così breve, che almeno mi concedessero di tirare le cuoia con il sorriso sulle labbra! E, forse, del buon sesso con Nick MacCord non era poi una cattiva idea.
Ma perché dovevo proprio morire poi?
Mentre cercavo di tornare ad avere un colorito un po’ meno acceso del rosso peperone che si era impossessato delle mie guance, mi sovvenne l’immagine di lui all’addio al nubilato di Valerie, vestito da pompiere: ecco, quello era il fulcro di tutto, il problema e la soluzione. Lui accendeva qualcosa in me e si proponeva pure di spegnerlo!
Un attentato in pieno stile per qualsiasi rappresentante del genere femminile.
E poi perché proprio il costume da vigile del fuoco! Giuro che se mai avessi avuto una fantasia, era proprio quella: un’uniforme - che non vedevo l’ora di sfilare - che racchiudeva i suoi muscoli definiti, gli occhi algidi, il modo sexy di spettinarsi i capelli e l’uso sempre preciso e calibrato delle parole da dire. Un agglomerato di sensualità a cui non riuscivo mai a dire un netto no ogni volta che mi si parava davanti.
Nell’attesa che Nick e Will ritornassero dalla cucina, soffermai lo sguardo sui dettagli dell’ampio salotto in cui mi trovavo. Ciò che maggiormente mi colpì fu la grande libreria in legno laccato bianco, colma di grandi e piccoli volumi incastrati al millimetro. I classici della letteratura - da Omero a Robert Louis Stevenson, da Jonathan Swift a Charles Dickens - occupavano gli scaffali più alti, mentre le mensole in basso pullulavano di autori contemporanei di ogni genere: romanzi gialli, d’avventura, polizieschi, documentari e quella che mi parve essere l’intera bibliografia di Agatha Christie. Feci per estrarre Dieci piccoli indiani, quando due o tre libri mi franarono addosso.
- “Ci avrei giurato che non avresti resistito” commentò Nick, sporgendosi dalla cucina.
- “Dannazione!” urlò Will, raggiungendolo.
Tirò fuori venti sterline dalla tasca e gliele porse.
- “Grazie” rispose compiaciuto l’altro.
Raccolsi i volumi e cercai, in qualche modo, di risistemarli al loro posto, seppur con scarsi risultati.
- “E’ un vizio quello di scommettere, allora” constatai, senza voltarmi per vederli in faccia.
- “Scommetto quando so di vincere, Sammy”. Strafottente e sicuro di sé.
- “Staremo a vedere. Ad ogni modo, non avevo tenuto in considerazione il fatto che tu avessi così tanto tempo per leggere” constatai, giusto per cambiare argomento.
- “Tra una cosa e l’altra, faccio anche quello”.
Mi rassegnai all’idea che non sarei mai riuscita a sistemare i libri da sola e, perciò, cominciai ad osservarne la copertina. Uno era di Hemingway - decisamente non uno dei miei autori preferiti -, il secondo era di tale Harrison Elliott, la gallina dalle uova d’oro di una delle più importanti case editrici di Londra che sfornava opere in continuazione. L’ultimo scritto era un reportage condotto in prima persona da uno dei più importanti giornalisti della capitale, Ken Hagrol, un uomo schivo ma estremamente meticoloso nel condurre le proprie inchieste, a costo di rimetterci le penne.
- “Vantaggi del lavorare solo di notte, immagino. - dissi, un po’ sprezzante - Così sei fan del giornalismo, chi l’avrebbe mai detto, visto e considerato che insulti sempre il mio lavoro”.
Si avvicinò a me, mi tolse il libro dalle mani e lo rimise al suo posto.
- “Appunto, il tuo lavoro. Quello del giornalista vero mi piace”. Che frecciatina.
- “Ah-ah-ah. Ken Hagrol è un grand’uomo comunque; la sua scoperta dello spaccio di droga tra le starlette della tv ha fatto cadere molte teste”.
- “Qualcuno ha fatto i compiti” disse sarcastico.
Ora lo strozzo.
- “Prima che ti spacchi anche l’altro braccio è meglio se usciamo”. Lo lasciai di fronte alla libreria e mi mossi verso Will.
- “Prendo la macchina” esclamò quest’ultimo.
- “Vuoi uscire così?” domandò stupito Nick, alludendo al mio abbigliamento.
- “Hai qualche problema con il mio vestito?” gli chiesi, pronta ad intraprendere il sentiero di guerra. Che se la prendesse con me, ma con il mio guardaroba no!
Alzò le spalle e ricominciò a parlare. Purtroppo.
- “Dico solo che dovresti scegliere tu a chi far vedere il culo, non permettere a tutti di farlo”.
Stavo per rispondergli a tono, magari contornando il tutto con il lancio del primo oggetto sottomano, quando Will ci interruppe.
- “Okay, stop! Sam, credo che Nick volesse dire che, nonostante il tuo abito sia bellissimo, potresti avere freddo fuori”.
- “Veramente io…” cominciò a dire l’altro, ma venne incenerito con lo sguardo dal mio vicino.
- “E in che modo questa cosa lo riguarda?” domandai con finta aria angelica.
Will capì che era inutile cercare di fare il mediatore tra due capoccioni come me e Nick ed uscì, anticipandoci e bofonchiando qualcosa sottovoce.
Il padrone di casa si assentò un momento per andare a prendere la giacca e poi mi raggiunse sulla porta d’ingresso, senza rinunciare a regalarmi uno dei suoi sorrisi divertiti.
Pezzo di stronzo. Bello, ma pur sempre un pezzo di stronzo.
 
Bastarono pochi attimi sul marciapiede ad aspettare Will, per farmi venire la pelle d’oca lungo tutte le gambe, sebbene il cappotto mi arrivasse alle ginocchia. L’aria notturna di Londra era gelida e una pioggerellina fine mi costrinse ad alzare il bavero.
- “Freddo?” domandò Nick, pronto a prendermi in giro.
Negherò fino alla morte.
- “Per nulla”. Sfoggiai un’espressione sicura e incrociai i piedi, affondando le mani nelle tasche del soprabito.
Il nostro autista ci raggiunse ed io mi vidi soffiare da sotto il naso il posto accanto a quello del guidatore.
- “Che cavaliere” sputai acida, mentre mi accomodavo sul sedile posteriore.
- “Sono infermo, ho il diritto di decidere dove voglio sedermi per primo” si giustificò.
Cominciai seriamente a rimpiangere di non essermi trattenuta a casa di Henry; forse una bella chiacchierata davanti al caminetto - al caldo - sarebbe risultata più piacevole di una serata in discoteca con quell’antipatico cronico di Nick.
- “Dove andiamo?” domandò Will, ancora non molto pratico della città.
- “Chiedi al copilota; è lui l’esperto di night-club” esclamai. Lui mi ignorò e cominciò a fornire indicazioni stradali.
Sprofondai sullo schienale imbottito, mentre gli altri due si prodigavano in discorsi da uomini dai quale preferii estraniarmi. Mi assopii per qualche istante, finché una scrollata poco delicata di Nick mi fece svegliare di soprassalto.
Come ho potuto anche solo pensare di andare a letto con uno così. Per carità!
- “Svegliati, Biancaneve” sogghignò.
- “Sei la persona più irritante che io conosca” dissi, destandomi dalla trance in cui ero caduta.
- “Toh, guarda. Su di una cosa siamo d’accordo; lo penso anche io di te” rispose maligno.
Ci sopportavamo a fatica talvolta e ciò non poteva che giovare al mio sistema ormonale che moriva dalla voglia di rivederlo in tenuta da pompiere.
Parcheggiammo l’auto e ci ritrovammo davanti ad un locale completamente bianco chiamato White Lizard. Ci ero già stata un paio di volte con Valerie e le altre, ma non c’era mai stato il pienone come quella sera; almeno duecento persone erano in fila da chissà quanto tempo per riuscire ad entrare.
Nick si allontanò da me e Will ed andò a parlare nell’orecchio di uno dei buttafuori che si mise a ridere e ci fece saltare la fila chilometrica all’esterno. Mi sarei fatta qualche problema per quei poveracci che stavano aspettando da molto più di noi, ma sentivo il freddo che si era insidiato nelle ossa e così tacqui e seguii gli altri nel locale, mormorando un mi dispiace a qualcuno dei ragazzi in coda che mi aveva rifilato un’occhiata in cagnesco.
Una volta all’interno, lasciammo i cappotti al guardaroba e ci guardammo attorno. Mi resi conto che non era necessario che mi muovessi, dal momento che lo facevo già per inerzia; eravamo pigiati l’uno contro l’altro e ben presto realizzai che non riuscivo a stare al passo dei miei amici. Tempo una decina di secondi e mi ritrovai sola, in mezzo ad una massa di sconosciuti che ballavano e bevevano e per poco una tizia su di giri non mi rovesciò addosso il suo drink.
E ora?
Mi morsi le labbra, nervosa e spaesata, fino a che una mano calda mi afferrò per il polso e mi trascinò verso di lei.
Ecco, ora un pazzo maniaco mi trascinerà nel bagno e mi ucciderà. Sempre la solita vecchia paranoica Sam.
Mi feci tirare il braccio, più perché ero stata colta di sorpresa che per una reale volontà di seguire chiunque mi avesse arpionato.
Scavalcai un paio di persone, tra cui qualcuno che appoggiò, da perfetto gentiluomo, la sua mano sul mio sedere.
- “Ah sei tu?” commentai quasi delusa che fosse soltanto Nick il maniaco.
- “Chi pensavi che fosse, un pervertito?” mi soffiò nell’orecchio, a causa della musica alta che impediva di conversare con un tono di voce normale.
Per cortesia, allontanati. Hai superato il tacito limite che ho stabilito con me stessa per avere il controllo sulle mie azioni.
Ora la pelle d’oca si era estesa a tutto il corpo e temevo non fosse per il freddo, visto che eravamo stipati nella grande sala, premuti gli uni contro agli altri come capi di bestiame.
Aprii la bocca, intenzionata a dire qualcosa, ma non ne uscii nulla.
- “Ti senti bene?” mi guardò lui, preoccupato, con quei due specchi che aveva al posto degli occhi.
- “Ragazzi, vi ho portato qualcosa da bere” ci venne incontro a fatica Will, facendosi largo tra due more che non accennavano a distogliere lo sguardo da lui.
Presi uno dei bicchieri che teneva in equilibrio tra le mani e cominciai a sorseggiarlo, noncurante di cosa fosse quel liquido trasparente che c’era all’interno.
Un mojito, ecco cos’era. Ma anche se fosse stato olio di fegato di merluzzo, l’avrei trangugiato allo stesso modo.
A quel cocktail, ne seguirono molti altri per tutti e tre e, insieme, ci scatenammo in folli danze, accantonando per qualche ora lavoro, responsabilità, screzi personali e pure un po’ di buonsenso.
Non sentivo più i muscoli attorno alla bocca, talmente si erano abituati a tendersi in sorrisi e risate; sarà che forse, essendo una musona di natura, raramente mi capitava di concedere agli altri di vedere i miei denti per un lasso di tempo maggiore ai tre/quattro secondi.
Non riuscivo nemmeno più a fermare le gambe, ma ciò era più dovuto ad un fattore tecnico; infatti, ogni volta che mi fermavo per fare una sosta, un terribile mal di piedi mi assaliva e, perciò, meglio non pensarci e continuare a ballare fino a che non fossi franata sul pavimento dalla stanchezza.
Alla fine, purtroppo, dovetti cedere. La folla si stava diradando e si stava facendo complicato riuscire a reggersi in piedi senza sostegni; l’alcool mi aveva un po’ annebbiato la vista e, di colpo, un sonno profondo mi stava invitando ad abbandonarmi su quel bel letto che c’era vicino al bancone.
C’era anche prima?
- “Va tutto bene, Sam?” chiese Will, notando la mia espressione un po’ frastornata.
- “Se il tizio dietro di te ha due teste e tre braccia, allora sì” dissi, biascicando le parole e vedendo la sala girare vorticosamente davanti a me.
- “D’accordo, sarà meglio andare a casa” decretò infine.
Mi aiutò ad uscire dal White Lizard, evitando, tra le altre cose, che io lasciassi il mio numero di cellulare a due tizi mai visti prima.
- “Andiamo?” domandai impaziente appena fuori.
- “Un attimo, Sam. Nick è andato a prendere le giacche al guardaroba”.
- “Ho freddo” dissi, strofinando le mani sulle braccia. In realtà non sentivo nulla. Mi sedetti su di un muretto lì vicino.
- “Ma se non ti sei neanche accorta che ti mancava il cappotto”. Mi uscì spontaneo un risolino sciocco ed ammisi con un beccata! che aveva ragione.
Nick non tardò ad arrivare e mi sorresse per i fianchi, mentre mi infilavo il cappotto, sbagliando asola dei bottoni.
- “Forza, Sam, andiamo alla macchina” mi sollecitarono, ma i miei piedi non si mossero.
Scossi la testa come una bimba capricciosa e loro furono costretti a fermarsi.
- “Che c’è ora?” chiese Nick spazientito.
- “Ho i piedi rotti”.
- “Immagino tu voglia dire che hai mal di piedi”.
- “Mal di piedi, quello che è, perfettino” gli feci il verso.
Non ebbi il tempo di riflettere - non che ne fossi in grado -, che qualcuno mi afferrò per le gambe e mi issò come un sacco di patate sulla sua spalla.
La prima cosa che riuscii a vedere, dopo, fu un sedere: proporzionato e sodo al tatto. Era senz’altro quello di Will, anche perché Nick aveva un braccio rotto e non aveva ancora riacquisito forza nell’arto.
- “Ho freddo al sedere” mi lamentai.
- “Ci credo, hai tutto al vento. E stai dando spettacolo” mi rimproverò Nick.
Non capii quello che successe e neanche me ne interessai, dal momento che sentii un certo calduccio sia sulle mie amate natiche che sulle gambe e, quindi, mi concessi un meritato riposo.
 
Il giorno dopo, il risveglio fu tutto tranne che soft. Era come se un mammut si fosse piazzato sulla mia testolina fragile e delicata.
Mi girai dall’altro lato come di consueto e volai per terra, finendo sul parquet freddo e scomodo, ancora avvolta nelle coperte.
Mi massaggiai il punto in cui avevo sbattuto senza nemmeno aprire gli occhi - per via del problema che se li avessi aperti, non sarei più riuscita ad addormentarmi. Mi lasciai cadere a peso morto, ma il materasso non reagì come avevo supposto ed io mi ritrovai addosso a… qualcuno?
Spalancai gli occhi - sonno caro, vai a farti friggere!- e ci ritrovai Nick, indolenzito per la botta ricevuta.
- “Che diavolo ci fai nel mio letto?” gracchiai, con una voce alterata che di sensuale aveva ben poco. Lui era ancora intontito.
- “Punto a: non urlare. Punto b: è il mio letto. Punto c: se tu ti fossi messa un po’ più di stoffa addosso, ora non saremmo tutti e due febbricitanti. Sei la solita intelligentona” mi sgridò.
- “Dio che mal di testa che mi fai venire”. Mi portai una mano sulla fronte - rovente -, come se quel gesto potesse alleviare il pulsare delle vene nelle tempie.
- “Questo ci conduce direttamente al punto d: è colpa dell’alcool, non mia” rispose secco.
- “Che palloso che sei. Colpa dell’alcool anche questo?”.
- “Punto e…” tentò di replicare.
- “Prova a dire di nuovo la parola punto e ti ritroverai all’ospedale a chiedere che te ne mettano alcuni al labbro”.
- “Stronza” mi rimbeccò.
- “Idiota”.
- “Oca giuliva”.
- “Imbecille”.
- “Stupido io che ti do ancora retta” si rimproverò.
- “Ecco fai un favore alla comunità: taci”.
- “Stai zitta tu. E’ casa mia, faccio quello che mi pare”.
- “Io non sto zitta solo perché me lo dici tu. Anzi, quasi quasi mi metto a gridare” lo provocai.
- “Non osare” mi minacciò.
Non l’avrei mai fatto, se non altro perché non ero nelle condizioni di utilizzare un tono di voce più alto di quello bassissimo che stavamo usando.
- “Time out! - urlò Will, apparendo dal nulla e provocando una fitta di dolore alla testa, sia a me che a Nick - Bambini vi prego tacete entrambi e mettetevi l’animo in pace; starete qui tutto il giorno e abituatevi alla presenza dell’altro perché dovrete convivere. Vi ho preparato qualcosa di caldo”.
Ci porse una tazza di tè e dei biscotti secchi che snobbammo entrambi: mangiare era decisamente l’ultimo dei nostri pensieri.
- “Tutto il giorno con lui? Voglio morire” mi lamentai, rotolandomi nel letto, dopo aver appoggiato la mia tazzina sul comodino.
- “Dovevi pensarci prima di farci fare tutta quella fatica. - commentò Nick - E se proprio ti do così fastidio, puoi sempre prendere armi e bagagli e tornartene a casa tua”.
Se solo fossi riuscita ad alzarmi…
- “Ma che fatica poi?” chiesi, improvvisamente curiosa.
- “Nick ti spiegherà tutto. - disse Will - Io scappo a lavoro, passerò nel tardo pomeriggio a vedere se state un po’ meglio e, soprattutto, se non vi siete scannati. Ah, se vi serve qualcosa… non chiamate me perché sono da alcuni clienti!” concluse, chiudendosi la porta alle spalle.
Fantastico! Persino il mio vicino ora si metteva a fare dell’ironia.
Bevvi tutto il tè in pochi sorsi - avevo la bocca prosciugata -, ustionandomi la lingua.
Nick rise sotto i baffi, ma io me ne accorsi.
- “Ti fa ridere?”. La mattina sono intrattabile.
- “Giuro che se non parli per quindici secondi non mi offendo” esclamò.
- “Sto zitta se mi fai stare in quella parte del letto. La preferisco, in realtà” bofonchiai.
- “E allora è un peccato che sia occupata da me”.
- “Potremmo fare cambio, sono abituata a stare a destra”.
- “No”, rispose, dichiarando chiusa la discussione. Si voltò e chiuse gli occhi, intenzionato a dormire, mentre io sbuffavo in modo rumoroso, come una locomotiva. All'improvviso, sentimmo una suoneria provenire da qualche stanza più in là ed io non potei fare a meno di constatare che era la mia.
- “Ma dillo, Dio santo, che sei stata creata per rovinarmi la vita!” urlò Nick, nascondendo la testa sotto il cuscino.
Fui costretta ad alzarmi e, in quel momento, mi accorsi che indossavo ancora il vestito della sera prima.
- “Voi siete pazzi!” urlai, ignorando il cerchio alla testa.
- “Che c’è ancora?” gridò esasperato.
- “Non mi avete messo un pigiama, u-una maglietta, qualunque cosa prima di mettermi a letto?” sbraitai, agitata.
- “E’ già tanto che ti abbia tolto le scarpe, Sammy” ammise lui.
- “Potreste scrivere un manuale voi due: Come rovinare il vestiario di una povera ragazza innocente.
Nick si mise a sedere sul letto, rassegnato a non poter più dormire. Le coperte gli scivolarono fino alla vita e lui rimase a torso nudo, lasciandomi in balia di pensieri tutt’altro che casti. Ma stoicamente - o stupidamente, dipende dai punti di vista - continuai a parlare.
-“Parlare con voi due è come parlare dei Puffi a Gargamella, di topi ai cavalli…” blaterai.
Sam, fermati!
Lui mi guardò con gli occhi socchiusi, i capelli arruffati ed il viso stanco.
- “Sei conscia, vero, che quello che stai dicendo non ha alcun senso?” mi chiese.
Risposi con un secco sì! e mi voltai nella direzione opposta alla sua, per non fargli vedere che ero diventata paonazza in volto e raggiunsi il salotto. Trovai la mia borsa ed il cellulare con due chiamate perse: Valerie.
La chiamai subito e, subito, venni investita da una valanga di domande intervallate da un tempo così ridotto da impedirmi di rispondere.
- “Cosa fai? Dove sei? Non vieni in ufficio oggi? Non ti ricordi che c’è la riunione? E, per la cronaca, davvero credi che te la lasci passare liscia per avermi piantato in asso con Banks? Perché non rispondi?”.
- “Perché non so a quale rispondere per prima” riuscii a dire.
- “Ops, scusa, hai ragione. Inizia col dirmi dove diavolo sei”.
- “A casa di Nick”. Al silenzio iniziale si sostituì un risolino eccitato.
- “Beh, allora restaci quanto vuoi, porcellina!” esclamò, maliziosa.
- “Non è come credi. Non è successo nulla, ho solo la febbre” mi affrettai a precisare, sedendomi sul divano.
- “Eh, lo so. E’ l’effetto che fa il nostro Chiappe; che ci vuoi fare, è un uomo caliente” affermò convinta.
Ci mancava solo l’hombre caliente!
- “Ehi, Jade, Amanda, la piccola Sammy si è finalmente concessa a Nick” la avvertii dire dall’altro capo del telefono.
- “Val! - la ammonii - Ti ho appena detto che non c’è stato niente”.
- “Questione di tempo e capitolerai, tesoro. Ora scappo che devo lavorare, tu rimani pure quanto vuoi; mi inventerò una scusa per la tua assenza alla riunione di redazione”. Riattaccò e io mi maledii in tutte le lingue conosciute per aver dimenticato quella riunione. Sicuramente non era il modo migliore per impressionare il neo arrivato Sam1; però, ad essere onesti, nemmeno lui era un uomo modello, soprattutto in quanto a fedeltà ed etica. Rimasi con un leggero senso di ansia, pensando che forse, in quel modo, la tanto agognata promozione si sarebbe allontanata. Ritornai nella camera da letto, tormentata dall’idea che sarei rimasta per sempre una giornalista mediocre, intrappolata nella sua voglia di sfondare e soffocata dalla sua stessa ambizione.
Nick dormiva - o forse fingeva - ed io avrei tanto voluto imitarlo, ma mi scocciava spiegazzare ulteriormente il vestito. Ed era piuttosto ovvio che mai mi sarei ridotta a restare in reggiseno e slip con lui nello stesso letto.
- “Prendi una maglietta dall’armadio” mi disse, girandosi verso di me e leggendomi nel pensiero.
Aprii due delle quattro ante e il suo profumo, misto a quello di pulito, mi investì. Le camicie - miliardi - erano tutte appese e stirate in modo perfetto e i pantaloni erano piegati a dovere.
- “In basso a sinistra” mi suggerì.
Una pila di t-shirt colorate catturò la mia attenzione ed io ne scelsi una blu scura.
- “E’ la mia preferita. - constatò, dandomi un’occhiata fugace - Guai a te se me la sgualcisci” mi avvisò.
Si voltò educatamente dall’altra parte, affinché io mi potessi togliere il vestito ed infilare la sua maglietta.
- “E’ lunga quanto il mio vestito” sorrisi.
Lui si rigirò e mi guardò, annuendo e lasciandomi in uno stato di puro imbarazzo.
- “A proposito, raccontami di come sono finita nel tuo letto” dissi, per stemperare la tensione, mentre mi rimettevo al suo fianco, sotto le coperte.
- “La verità è che eri ubriaca marcia e, come avevo predetto, usciti dal locale, stavi morendo di freddo. In più tutti ti stavano ammirando il sedere, così mi sono sfilato la giacca e ti ho coperta. Poi Will non trovava più le chiavi della macchina, per cui siamo rimasti all’aperto fino a che non le ha trovate al guardaroba del White Lizard. Nel frattempo io e te ci siamo beccati una bella influenza. - stava elencando tutti gli avvenimenti come fosse la lista della spesa - Siamo tornati qui e ti abbiamo messa in quarantena con me in questo letto, mentre Will ha dormito nell’altra camera”.
- “Oh” fu il massimo che riuscii a dire.
- “Già” commentò lui ironico.
- “Grazie” dissi sottovoce.
- “Cos’hai detto, scusa?” mi domandò lui per costringermi a ripeterlo più forte.
- “Grazie!” urlai e Nick si sciolse in una risata compiaciuta.
In quell’istante arrivò un assonnatissimo Mister che saltò sul letto e si accovacciò di fianco a Nick, che, in risposta, gli accarezzò il muso.
- “Ehi, cucciolo” lo salutai, ma lui neanche si accorse della mia presenza.
- “Non si accorgerà di te fino a mezzogiorno. Prima di quell’ora è totalmente in coma”.
- “Dov’è stato finora?” domandai.
- “Nel seminterrato. Poi, quando comincia ad avere freddo, viene qui a cercare un po’ di caldo” mi spiegò.
Sorrisi dentro di me e mi avvicinai un po’ a lui, pensando che Mister non era l’unico che riuscisse a trovare calore soltanto vicino a Nick.
 
 
Buon pomeriggio!
Questa settimana sono stata sull’orlo di cancellare la storia perché ero  terribilmente incazzata con il mondo e, ancor di più, con me stessa. Ma visto che odio lasciare le cose a metà –e soprattutto perché odio le autrici complessate- ecco il nuovo capitolo.
La canzone del titolo è “Light My Fire” dei The Doors.
Risposte alle recensioni tra pochissimo!
Non sono certa di aggiornare settimana prossima causa esami/lezioni, scusatemi!!
 
Happycloud

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. Rolling In The Deep. ***


Capitolo quattordici. Rolling In The Deep.
 
- “Ah!”. L’urlo soffocato di Nick mi riscosse dal dormiveglia. Dopo l’arrivo di Mister, la conversazione si era fatta via via sempre più rada, fino ad estinguersi del tutto, sopraffatta dalla volontà di entrambi di arrendersi al sonno.
Sbattei le palpebre ripetutamente e mi voltai verso l’altra metà del letto.
- “Che fai?” domandai d’istinto, sbadigliando.
- “No, che fai tu!” ribatté.
Un attimo, con ordine perché qui qualcuno ha le idee confuse.
- “Io cosa?”.
- “Togli immediatamente i tuoi piedi congelati dal mio polpaccio!”
Solo allora agitai le gambe, come a verificare che le accuse di Nick fossero fondate; sì, i ghiaccioli erano proprio miei ed erano proprio appoggiati sulla sua pelle caldissima.
- “Ma ho freddo!” mi difesi.
- “E quindi li metti su di me?”.
- “Altrimenti come faccio a scaldarli?” gridai, come se fosse la cosa più logica del mondo.
- “Questo è un problema mio perché…?”.
- “Perché sono tua ospite!”.
- “Non ricordo di averti invitata a restare”. Che antipatico.
- “Bla bla bla. Poco importa. Il fatto è che sono qui”.
- “E questo ti autorizzerebbe ad usarmi come stufetta?” chiese scettico.
- “Certo che no!” esclamai.
- “Grazie badrona” scherzò.
- “Questo mi autorizza a chiederti di fornirmi un altro cuscino, di un’ulteriore coperta e di un paio di calze antiscivolo. Ti ringrazio” terminai.
- “Nient’altro, Sammy?” chiese, ironico.
- “Per il momento basta così” lo rassicurai.
- “Allora: un altro cuscino ti farebbe venire dei dolori alla cervicale, di un’altra coperta non se ne parla proprio, ci saranno 80°C qui sotto! Ed io non ho calze antiscivolo: ho passato l’infanzia da un pezzo”.
- “Oh, Nick, non essere così severo con te stesso. Sono certa che qualcosa del te bambino è rimasto; quell’embrione di cervello, ad esempio, mentre mi auguro che il cannoncino che hai nelle mutande, invece, sia cresciuto nel frattempo”.
Lui sorrise, per nulla turbato o ferito dalle mie parole.
- “Il cannoncino è più che cresciuto, tranquilla. - si voltò verso di me, il gomito puntato sul materasso e la testa appoggiata sul palmo della mano - Dì la verità: un assaggio al mio pasticcino lo daresti” mi sfidò.
Sbarrai gli occhi, sorpresa di quella insinuazione così esplicita ed inaspettata. Nascosi il viso sotto il lenzuolo per una frazione di secondo, raccogliendo le idee e cercando di mettere insieme una risposta adeguata alla provocazione ricevuta.
- “Mi dispiace, non sono un’amante dei dolci”.
Questa la chiami risposta?
- “Credimi, ti piacerebbe, Sammy. Nessuna si è mai lamentata; una volta provato, divento una droga da cui si è totalmente dipendenti”.
- “Cielo, hai la febbre, ma la tua autostima non sembra risentirne”. Meglio tenere la mente occupata su uno dei suoi difetti, piuttosto che pensare a qualche molto-poco-biblico atto impuro.
Nick si avvicinò e mi passò l’indice sulle labbra socchiuse.
- “Tu la chiami autostima, io la chiamo realtà, Sammy” disse a distanza ridotta dal mio viso.
Io drogata di lui? No! Io provare lui? Un uomo sexy e assurdamente bello, mezzo nudo nel mio stesso letto, con delle spalle in cui forse m’incastrerei bene, con delle mani che forse mi toccherebbero come nessun altro mai, con una bocca che di sicuro sa dare emozioni e degli occhi che di sicuro ti solcano l’anima? Pfff, certo che no. Giusto?
- “Piantala! - lo allontanai, premendo il braccio sul suo petto, fino a farlo tornare sdraiato dalla sua parte - Ho davvero bisogno di dormire ora; la testa mi scoppia e sto morendo di caldo, ma ho i piedi freddi e, se ho i piedi freddi, non riesco a dormire”.
- “Allora funziono”.
- “Eh?”.
- “Prima volevi la coperta, ora non più. Sono io che ti faccio questo effetto, è palese. Dio, non mi smentisco mai”. Piegò e poggiò il suo braccio sopra la testa, crogiolandosi nel suo ego.
Che presunzione. Che poi avesse ragione era tutto un altro paio di maniche. Difficile spiegare che cosa avesse di particolare, ma tutto ciò che faceva risultava naturale e sensuale ed eccitante e coinvolgente e… okay, penso si sia capito.
- “Vuoi guardare un film?” domandò, anche se era chiaro che avrebbe preferito continuare a sonnecchiare.
- “Sì! - risposi sognante - Sweet November, ti prego!”.
- “Per carità, niente piagnistei” disse schifato.
- “Armageddon?” proposi.
- “Stai per frignare solo all’idea. Scegli un altro genere”.
- “A pensarci bene, meglio qualcosa che non abbia un filo logico da seguire”. Gli rubai dalle mani il telecomando e cambiai ripetutamente canale, finché non approdai su MTV. Strano, ma vero, c’era il video dell’ennesimo singolo di Rihanna, con l’ennesimo look improbabile formato da cose - non si potevano di certo definire abiti - che nemmeno un cieco avrebbe abbinato così male. Nick la guardò interessato ed il mio orgoglio incassò malamente il colpo. Trucco sfatto, occhiaie a profusione, capelli senza piega: anche io avrei guardato lei, invece che me! La mia autostima mi ricordò che con una squadra di make-up artists e parrucchieri, persino la più cozza delle cozze poteva diventare una diva, ma nulla poté il mio ego di fronte all’evidenza che, comunque, lui stava guardando lei e non me.
Ma che me ne importa, poi?
Grazie al cielo, la canzone - e annesso pseudo balletto - terminò, lasciando posto ad una più formosa Adele.

There’s a fire starting in my heart...

Che fosse a conoscenza pure lei delle fiamme che imperversavano il mio corpo da alcune settimane?

Reaching a fever pitch, it’s bringing me out of the dark.

La cosa si stava facendo inquietante a quel punto.
- “E’ la nostra canzone” disse Nick, girandosi verso di me con un mezzo sorriso sul volto.
Nostra? C’era qualche cosa che si potesse definire nostra?
- “Co-come, scusa?” gli chiesi titubante.
- “L’influenza ti ha resa anche sorda? Ho detto che è la nostra canzone: di febbre qui ce n’è in abbondanza”.
Le sue parole infransero i miei pensieri.
- “Ah” esclamai. Lui vedeva una parola - febbre -, mentre io guardavo oltre: il verso, la strofa, l’intera canzone. L’insieme.
- “Patatine?” mi chiese, aprendone un pacchetto che, per conto mio, poteva essere apparso dal nulla. Controllai il suo comodino e vidi che era pieno zeppo di schifezze. Schifezze buone, però.
- “Passami la cioccolata” gli risposi, allungai la mano e Nick me la riempì con alcuni pezzetti.
- “Tutta la tavoletta”. Lui obbedì ed io mi ritrovai con un piccolo tesoro a portata di bocca; era quella al latte con il riso soffiato, la mia preferita.
Altro che barretta, portatemene un container!
La scartai e cominciai a divorarla, dimenticando il bon-ton a cui tanto mia madre teneva.
- “Non fa venire i brufoli, quella roba?”. Di chi era quella fastidiosa voce?
Nick non peggiorare la tua situazione.
- “Pazienza. Ma fai in modo che nessuno sappia che sono una porcellina”. Solitamente ero priva di malizia, perciò non pensai che la mia frase potesse scatenare una scia di doppi sensi.
- “In realtà, non so fino a che punto tu lo sia”.
- “Nei tuoi sogni, Nick”. Veramente nei miei, ma non importava.
- “Non ho mai detto di volerla”.
- “Sei un cafone” sputai, stizzita.
Abbandonai la cioccolata sul comò, irritata dalla piega che stava assumendo la conversazione.
- “Non ho mai detto neanche di non volerla”.
- “E’ il problema di tutti gli uomini; volete una parte, non l’intero pacchetto. Troppe responsabilità, sia mai!”
- “Mi mancava la Sammy moralista. E’ tornata senza neanche far ricorso all’aspirina. Anche questo è merito mio?”
Proprio non capiva che c’era un tempo per tutto e quello non era il momento di scherzare.
- “Tu leggi febbre, io leggo fuoco che ti porta fuori dall’oscurità. Tu vedi il culo di Rihanna, io vedo la ragazza, tutta intera. Sei superficiale, non vai mai ad indagare un po’ più a fondo” lo accusai.
- “Le ipotesi sono due: o è la febbre che parla o sei gelosa marcia del fatto che stessi guardando il culo di Rihanna e non il tuo”.
- “Come al solito non hai capito nulla. Se non fosse che non mi va di alzarmi, a questo punto farei un’uscita di scena teatrale da donna indignata per quello che hai appena detto”.
Nick si acquattò vicino a me e mi soffiò sull’orecchio.
- “Tesoro, non preoccuparti. È che il tuo lo conosco a memoria, ormai”.
Mi voltai dall’altra parte, indecisa sul come sentirmi. Avrei dovuto essere offesa per le sue insinuazioni o gongolante per il fatto che si fosse studiato il mio fondoschiena? Nel dubbio, optai per bofonchiare qualcosa d’insensato a bassa voce e godermi la sua risata alle mie spalle, prima di riaddormentarmi con ancora le note di Rolling in the deep in sottofondo.
 
- “Ragazzi, il vostro amico è tornato!”. La voce fastidiosa di Will ci giunse di qualche ottava superiore al desiderato e si fece sempre più vicina.
- “Che ci fate ancora nel letto?” disse, entrando nella camera da letto e cogliendoci ancora assonnati e avvolti dalle coperte.
- “Siamo malati. Lasciaci in pace” protestò Nick e, per una volta, non potei che essere d’accordo con lui.
- “Dai su! - ci scostò la trapunta e aprì le finestre - Svegliatevi e andate a mangiare qualcosa di sano. Cosa sono queste schifezze?”. Ci rubò tutto il corredo di patatine, popcorn, cioccolata e caramelle e lo gettò direttamente nel cestino. Spense la tv e ci costrinse ad alzarci e raggiungere la cucina.
- “Vi ho portato qualcosa da mangiare: cibo vero. Minestra di verdure, petto di pollo e, se mangiate tutto, c’è anche una sorpresa”.
- “Ma che ore sono?” chiesi in tono un po’ acido.
- “Sono le otto” mi rispose Will.
- “Le otto?” gridammo quasi all’unisono io e Nick.
- “Già. È tutto il giorno che dormite, è tempo di svegliarvi”.
- “Certo che se avessi scelto un menù più invitante, forse sarebbe più facile” commentai.
- “Io ho fame. - lo difese Nick - Inghiottirei qualunque cosa al momento”.
- “Bene. Sam, lasciati coinvolgere dallo spirito di Nick. Io esco per un’oretta”.
- “Di nuovo?” gli chiesi.
- “Una birra con i colleghi, ma tornerò in tempo per il piatto forte” promise.
- “Sicuro che la bionda che ti concederai non sia in carne ed ossa?” domandai.
- “Sicurissimo. Sei tu l’unica donna nella mia vita al momento, Raviolo” mi abbracciò e mi baciò la testa.
Che uomo da sposare.
Nick ci guardò perplesso; forse davvero ignorava la natura del nostro rapporto e, ad essere del tutto onesta, non era facile capire che eravamo amici, amanti all’occasione - anche se ne era passato di tempo dall’ultima volta - e ci volevamo un sacco di bene.
- "Raviolo?” domandai stupita, tornando alla conversazione.
- “Sì, sei tutta ripiena di germi, tesoro. A dopo”. Salutò Nick con un gesto della mano ed uscì dalla porta.
Il padrone di casa cominciò a trarre da un cassetto due tovagliette americane con due tovaglioli coordinati. Un tenue senso di colpa si fece largo dentro di me e decisi di aiutarlo ad apparecchiare; spostai delle posate, ma subito Nick mi bloccò il braccio, costringendomi a mollare la presa.
- “Il coltello va a destra” mi rimproverò, prima che urtassi la brocca d’acqua sul tavolo che solo grazie ad un suo riflesso, non rovinò a terra in mille pezzi. Venni incenerita da due occhi color ghiaccio.
- “Stai ferma che è meglio. Siediti” mi ordinò.
Obbedii e mi sedetti di fronte a lui. Cominciammo a mangiare in silenzio; lui, che pareva irritato dalla mia sola, goffa presenza, io timorosa di combinare qualche altro pasticcio anche solo respirando. Fu lui a interrompere lo stato di totale imbarazzo con una sonora risata che mi spiazzò.
- “Hai paura a parlare, ora?”.
Colsi la palla al balzo e passai all’attacco.
- “La verità è che ogni volta che apri bocca mi fai venire l’orticaria, perciò meno interagiamo, più diminuisce la probabilità che io debba consultare un dermatologo”.
- “Chissà com’è, ma con te si sbaglia sempre. Avrei fatto meglio a non dire nulla…” cominciò, ma non lo lasciai continuare; ormai mi aveva autorizzato a buttare su di lui ogni frustrazione relativa alla febbre, al dover stare chiusa in casa sua con lui, alla promozione forse mancata, al perché delle mestruazioni alle donne, alle guerre, alla crisi economica… è  bene che il mondo sappia chi è il responsabile di tutto questo: Nick MacCord.
- “Ti rendi conto di avere un problema, vero? Non faccio a tempo a far cadere qualcosa o a stropicciare qualcos’altro che tu lo raccogli o lo sistemi” gli feci notare.
- “Scusa se amo vivere in una casa senza polvere e con ogni oggetto al suo posto” si giustificò.
- “La tua mania per l’ordine e la pulizia è persino irritante”.
- “Sono preciso, Sammy. Immagino sia l’eredità di una nonna tedesca nata sotto il nazismo”.
- “Che bravo nipotino” lo schernii.
- “Vedo che stai guarendo! Il sarcasmo è tornato a livelli normali” constatò, cercando in qualche modo di raccogliere le verdure con il cucchiaio.
- “Effettivamente sono serena”.
- “Dopo avermi usato come capro espiatorio di tutti i tuoi problemi, ti sfido a non esserlo”. Si alzò, prese entrambi i piatti e li posò nel lavandino.
Rimasi zitta. Me la stavo prendendo con lui, giusto per prendermela con qualcuno e sfogarmi.
- “Aaah… ci rinuncio! - esclamò, gettando le posate in mezzo alla tavola, in malo modo - Non riesco nemmeno a mangiare con questo stupido braccio rotto. Sono un imbranato a tenere la forchetta con la destra!”.
- “Ehi, su. Mica è per sempre! Ancora qualche settimana e tornerai come nuovo” tentai di rincuorarlo.
- “E’… frustrante stare a casa a far nulla”.
- “No, aspetta un attimo: esiste una qualche forma di mutua per gli stripers?”. Ero scioccata.
- “Esiste il buon senso. Il mio capo pensa che io non sia abbastanza proficuo al momento” ammise controvoglia.
- “Sei solo stato sfortunato. Armati di pazienza”.
- “Dovrebbe consolarmi quello che stai dicendo?” sembrava davvero abbattuto ed io mi persuasi che forse dargli una mano senza che lui me lo chiedesse espressamente - anche perché non l’avrebbe mai fatto - sarebbe servito a risollevargli il morale. Dopotutto, glielo dovevo, dal momento che gli avevo rovesciato addosso tutte le mie preoccupazioni.
Presi la forchetta che lui aveva gettato in mezzo alla tavola e mi spostai sulla sedia accanto alla sua.
- “Che vuoi fare?” mi domandò, vedendomi avvicinare a lui con quella che doveva aver considerato un’arma impropria.
- “Siamo amici, no?” lo tranquillizzai.
- “Così pare” disse, senza abbassare la guardia.
- “E cosa fanno gli amici? Si aiutano a vicenda”.
Oh, sì, Sam! Vuoi cantare una canzoncina a suggello di questo momento di puro pathos tra due finti amici?
Tagliai il petto di pollo in pezzi e ne inforcai uno, avvicinandolo alla bocca di Nick.
- “Stai scherzando, spero”. si allontanò.
- “Ti voglio solo dare una mano!”.
- “Di solito le donne che mi danno una mano lo fanno in un altro modo” disse malizioso.
- “Per un attimo smetti i panni del macho e apri la bocca. - la socchiuse per parlare, ma io lo precedetti e ci infilai la carne - E risparmiami qualsiasi tipo di battuta del tipo 'di solito sono io che dico alle altre di aprire la bocca'”.
- “Stavo per dirti grazie, ma mi segnerò la tua battuta per un’altra occasione”. Arrossii per essermi spinta tanto oltre con una frecciatina, ma lo vidi rilassato e finsi con me stessa di non aver pronunciato quelle parole.
Continuai ad imboccarlo, evitando di guardarlo negli occhi per non incrociare il suo sguardo da playboy che mi avrebbe fatto cadere da terra, squagliata. Non avevo preventivato che una mia azione, per così dire, caritatevole potesse trasformarsi in qualcosa di così intimo da farmi tremare la mano in cui tenevo stretta la forchetta.
Dio come vorrei essere quel pollo… chiaramente non per la parte della morte violenta, della macellazione, della spartizione in mille pezzi, ma per quella in cui si viene a contatto con la bocca di Nick e la sua lingua.
Era la febbre che parlava, di sicuro! Chi può desiderare di essere un animale che sta per essere mangiato?
Mi serviva un diversivo, qualcosa che mi distraesse dal fare voli pindarici con la mente; e avevo già un’idea. Aprii il frigo e ci trovai quello che Will considerava la sorpresa: un vassoio di pasticcini colmi di creme e frutta. Il padrone di casa osservò con curiosità tutti i miei movimenti, dalla cucina fino, di nuovo, accanto a lui.
- “Non dovremmo aspettare Will prima di mangiarli? Passeremmo da maleducati” constatò.
- “Non sei tu quello che ama infrangere le regole?”.
- “Cosa intendi, di preciso?” chiese confuso.
- “Non so… vediamo: - presi tra le mani uno dei dolcetti e lo analizzai da cima a fondo - non credi che abbia una forma… aerodinamica?” dissi con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono.
Nick sbarrò gli occhi, timoroso che io fossi intenzionata a portare a termine quello che avevo pensato di fare.
- “Non…” iniziò.
Paff. Lo lasciai cadere sul pavimento e, per completare l’opera d’arte moderna, ci misi sopra il piede nudo e lo spalmai sulle piastrelle attorno.
- “Sammy” gridò quasi isterico, ma pietrificato sulla sua sedia.
Ne presi un altro e glielo spiaccicai sul viso, ridendo a crepapelle del suo stupore e dell’ammasso di panna che gli copriva interamente una guancia, il naso e parte della fronte.
- “Non reagisci? - lo provocai - Comincia subito a ripulire, svelto!”. Lo derisi e lui si alzò, elaborando un piano per farmela pagare cara. Molto cara.
Afferrò un pasticcino alla frutta e mi rincorse finché non riuscì a prendermi per un braccio e a contraccambiare lo sgarbo in piena faccia. In pochi minuti finimmo l’intero vassoio, sporcando ogni singolo angolo della cucina e di noi; quasi non riuscivo a vedere, talmente le ciglia erano impregnate di pasta e crema pasticcera. Per finire in grande stile, scivolai sullo stesso dolce che io avevo schiacciato per terra, battezzando il mio sedere con una bella se dolorosa strisciata sulle mattonelle.
- “Ehi! Sono torna…” la voce di Will gli si spense in gola e lui non terminò nemmeno la frase.
- “Ciao” dissi timida da dietro lo schienale della sedia che mi nascondeva quasi del tutto.
- “Ma che è successo? E’ un campo di battaglia!”. Avanzò verso il tavolo, dal quale spuntò Nick con i capelli bianchi a causa della panna.
- “Si chiama uso alternativo delle risorse” azzardò quest’ultimo, improvvisando un sorriso di circostanza.
- “I miei pasticcini! Siete due animali! - ci rimproverò - E ora filate a lavarvi immediatamente”.
Fece due passi e immerse il dito in uno dei rimasugli di dolce che c’erano su di un piatto, mentre noi rimanemmo immobili. Lo assaporò e si lasciò scappare un gemito di piacere.
- “Che spreco… bastardi!” prese il vassoio vuoto e lo picchiò in testa a Nick che lo evitò di un soffio.
Scoppiammo tutti e tre a ridere, trascinando anche Will per terra.
- “E’ stata lei!” mi incolpò il padrone di casa. Il mio vicino mi squadrò con sguardo indagatore.
- “Quoque tu, Raviolo?”.
- “Non puoi credere a lui, Willy. Lo sai che ti adoro! - mi avvicinai e feci per abbracciarlo, ma lui si scansò - Vieni qua, topolino mio” provai ad ammorbidirlo.
- “Forza, è ora di andare a farsi una doccia. Raviolo, con te dopo facciamo i conti! Ma dov’è Mister?”.
- “Nel seminterrato. Credo che ci sia la cagnetta del vicino che gli sta facendo girare la testa. Oggi non ha nemmeno mangiato. L’amore…”.
- “Vado a recuperarlo. Poi vi aspetto in salotto: giocano i Lakers stasera e da quando sono a Londra me ne sono perse troppe di partite. Sbrigatevi, su!” ci sollecitò.
Nick si diresse ciondolante verso il bagno, Will scese in cantina mentre io, al contrario, mi trattenni qualche minuto in più in cucina, giusto per sistemare il grosso del casino che avevo contribuito a creare. Andai verso il secondo bagno, dal momento che l’altro doveva essere occupato da Nick. Entrai, osservandomi la maglietta imbrattata di ogni genere di cibo, sconsolata dal fatto che avrei dovuto trovare il programma giusto per lavarla, data la mia totale incapacità ad usare la lavatrice.
- “La mamma non ti ha insegnato a bussare?” alzai lo sguardo dalla t-shirt, terrorizzata da quello che avrei potuto vedere. C’impiegai qualche istante a rendermi conto di averlo davanti agli occhi, pronto a levarsi i boxer per entrare in doccia, munito di una protezione trasparente per il gesso, sul quale svettavano comunque dei baffi di crema.
Uno. bastò un secondo per farmi diventare viola dall’imbarazzo e tornare in fretta da dov’ero arrivata.
Uno. Sarebbe bastato un secondo in più per beccarlo come mamma l’aveva fatto.
Uno. Se fosse bastato un secondo a cancellare la sua immagine quasi totalmente nuda…
- “Scusa! Pensavo fossi nell‘altro bagno.” gli urlai dall’altra parte della porta.
- “Bella scusa! Usalo tu l’altro; ci troverai accappatoio e asciugamani puliti” mi rispose.
Cielo, che situazione!
Entrai nella seconda toilette: era lilla, profumava di lavanda ed ospitava una grossa vasca nella quale mi immersi, dopo averla riempita di acqua calda colma di schiuma. Appoggiai le braccia sul bordo, come ad assicurarmi di non annegare e mi godetti quel momento di relax e calma dopo la tempesta - ormonale -; anche perché poi non sarei mai più uscita da quel bagno. Piuttosto avrei scavato con un cucchiaino nel muro, come una carcerata, per riuscire a tornare a casa senza incrociare Nick.
- “Ma che bel pesciolino!”. Quella voce mi fece trasalire e slittare sul fondo.
Tutta colpa mia che, da quando vivevo sola, avevo perso l’abitudine di chiudere le porte a chiave.
- “Esci subito!” mi coprii per il possibile con la schiuma, mentre lui avanzava verso di me con addosso un paio di pantaloni ed una canottiera scura.
- “Dovrei? - mi chiese scettico - Perché, sai, ho pensato di pareggiare i conti”.
- “Okay, l’hai fatto! Ora, vattene!” gridai, impaziente che varcasse di nuovo la soglia dell’uscio. Ma lui mi raggiunse, si abbassò e sfiorò leggero con la punta delle dita della mano destra il pelo dell’acqua, paralizzandomi e causandomi un’infinità di brividi lungo la spina dorsale.
- “D’accordo. Penso di aver visto tutto quello che c’era da vedere” si alzò di scatto e fece per uscire.
Rimasi zitta per non rovesciargli addosso le peggiori parolacce che mi stavano intasando i pensieri.
- “Sei proprio un… un…”. Possibile che non mi venga in mente un insulto, che sia uno?
- “Compra una vocale, Sammy. E poi non dire che non vado nel profondo delle cose; ti ho osservata per bene” mi disse e tornò in camera, canticchiando Rolling in the deep.
Come travisare il senso delle parole: aveva messo sul piano fisico un concetto che di fisico non aveva nulla. Gli uomini.
Lasciai che l’acqua mi coprisse fin sopra la testa e mi lavai piano, con il chiaro intento di procrastinare il più possibile l’incontro con Nick. Mi rimisi il vestito e le scarpe della sera precedente e presi un respiro prima di riaffrontare la realtà.
 
- “Piaciuta la sorpresa?” mi chiese sorridente, quando arrivai in camera, sentendo in sottofondo le grida di Will, preso dalla visione dell’NBA.
- “No comment. Sei un pervertito. Un pervertito che, per giunta, non ha capito nulla del mio discorso. Non che sia una novità che tu non capisca una cosa…”.
- “Volevi profondità e la mia analisi del tuo corpo lo è stata. Certo, manca ancora la terza dimensione da sperimentare, ma quella dipende da te”.
- “È la proposta di fare sesso più strana che abbia mai ricevuto e alla quale, con costernazione, rispondo no”.
Non vuoi pensarci?
- “Sono una persona originale. Comunque, passiamo alla scommessa”. Andò alla scrivania e prese il solito sacchetto trasparente pieno di bigliettini.
Ci misi la mano dentro e ne trassi uno.
- “Tecnico del computer” lessi ad alta voce, annoiata.
- “Sarà ora che faccia una telefonata a Lyla”. Sarà ora che faccia una telefonata a Lyla, gnegnegne.
- “Come vuoi. Per me è ora di tornare a casa. Grazie dell’ospitalità, sei un padrone di casa fantastico” scherzai.
- Oh, mi mancherà la tua simpatia” rispose a tono.
Raggiungemmo Will nel soggiorno ed io dovetti letteralmente scollarlo dal divano e costringerlo a ritornare in macchina.
- “Allora ciao”. Ci salutammo frettolosamente ed io salii sull’auto del mio vicino. Lui inserì un cd e, neanche a dirlo, le note della ormai celeberrima canzone di Adele risuonarono nell’abitacolo.
- “Ha ragione Nick. È davvero bella”.
- “Cosa?” domandai, guardando distrattamente le macchine attorno a noi.
- “Questa canzone. Mi ha fatto questo cd prima, mentre tu eri nel bagno”.
Mi scappò un sorriso, indecifrabile persino ai miei occhi; ero certa che quel brano fosse più un messaggio per me che per Will. Sì, era proprio per me.
Che stesse diventando davvero la nostra canzone?
 
 
 
 
Tornata! Finalmente, dopo un pomeriggio di scrittura, riesco a pubblicare :D Mi scuso per il ritardo, ma purtroppo ve lo avevo anticipato che non sarei riuscita a farlo prima! Ringrazio tutte per l’appoggio/supporto fornito e mi auguro di non aver fatto un casino con questo capitolo che è stato un vero parto: l’ho girato e rigirato venti volte prima di trovargli una sistemazione definitiva.
Spero di trovarvi qui anche la prossima volta!
Baci a profusione!
 
Happycloud

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. Lies. ***


Capitolo quindici. Lies.
 
- “Prova, prova… questo coso va? Bene! Che fantastica mattina, redazione! Qui che vi parla c’è la vostra Valerie Dupont che stamani vuole assolutamente parlare con una di voi. E’ donna, è bella e talentuosa: è Sama…”. Arrivai in tempo a spegnere l’altoparlante, prima che il mio nome fosse urlato ai quattro venti. L’avevo capito ancora al primo prova che la destinataria della buffonata sarei stata io.
- “Non potevi usare l’interfono?” le chiesi, con un accenno di disappunto.
- “Naaaah, te lo saresti aspettato. E poi ho speso un mucchio di soldi per questo aggeggio e solo ora realizzo di non averlo mai usato!” rispose, quasi scioccata per la sua stessa mancanza.
- “Prometto di non dire nulla agli sponsor sulla tua efficiente gestione dei loro soldi”.
- “Ti ringrazio. Ma passiamo subito all’argomento Chiappe.” mi sorrise, furba.
- “Non c’è niente da sapere, perché niente è successo” la smontai.
- “Ma non eri a casa sua?” domandò.
- “Sì”.
- “Non hai dormito con lui?”.
- “Sì, però impedisci al tuo cervello malato di partorire strane idee”. Lei mi zittì.
- “Quindi non sai neanche se è ben fornito” commentò delusa, sbuffando sui fogli che aveva sulla scrivania.
- “Per quanto ho visto mentre eravamo in bagno, parrebbe di sì” alzai le spalle, ingenua.
- “Sei andata in bagno con lui?” strillò eccitata.
- “Sì” risposi come se fosse la cosa più normale del mondo infilarsi nel bagno di un amico e fare considerazioni sulle sue doti.
- “Cioè, - mi affrettai ad aggiungere - sono entrata per caso mentre lui stava per fare la doccia. Ma era ancora in boxer, non ho visto nulla”. Ero agitata, farneticavo, troppo presa dal tentativo di fornire spiegazioni valide.
- “Per caso? Si dice così ora?” scherzò.
- “Giuro, Val. È stato imbarazzante, soprattutto quando lui si è vendicato. E…” mi bloccai. La vidi aprire frenetica la sua agenda e cominciare a scrivere qualcosa rapidamente con la sua solita calligrafia illeggibile da gallinaceo.
- “Ti prego, continua” mi esortò, al limite dell’implorazione, senza distogliere lo sguardo da quello che stava scarabocchiando.
- “Che fai?”.
- “Prendo appunti. - rispose, tranquilla. La mia faccia si trasformò in un unico, grande, gigantesco punto interrogativo e lei si sentì in dovere di darmi un’ulteriore spiegazione - Tesoro, sto con Jonathan da anni e siamo entrati nella routine quotidiana ormai da parecchio. Voglio solo tenermi aggiornata sui nuovi giochetti erotici”.
- “Giochetti che?” sbottai.
- “Giochetti che non fanno altro che aumentare la tensione sessuale. Dio, come ho potuto lasciarmi convincere a farmi mettere questo stupido anello nuziale al dito?”.
- “Io lo detesto!” gridai.
- “Ciambellina, ti conosco come le mie tasche, perciò è inutile che cerchi di intortarmi” accusò.
- “Non lo sto facendo, credimi”.
- “Oh, santo cielo! Lo sapevo. Val, diamine hai venticinque anni - disse a sé stessa, facendosi un forte sconto sull’età - e non l’hai capito?!”.
Ero parte di una discussione di cui mi sfuggiva in continuazione l’oggetto principale.
- “Sei nella fase forsemaforseno. Lui ti piace, è un misto tra stronzaggine e tenerezza che ti fa andare in tilt neuroni e ormoni, ma sei convinta che questa cosa non porti da nessuna parte e, così, preferisci fingere che la tua amica lì sotto non ti stia portando dritta da lui”.
- “Veramente mi sembra che la mia amica mi stia portando da un tecnico del computer, ovvero la mia nuova sfida settimanale”.
- “Perché non sono nata dieci anni dopo? Avrei fatto faville con questi giochetti”.
- “La tua teoria fa acqua da tutte le parti, perché se fossimo attratti l’uno dall’altra non ci spingeremmo reciprocamente nelle braccia di altri” le feci notare.
- “Fa tutto parte di un progetto più grande” esclamò convinta. Balle.
- “Come no. - risposi scettica - Comunque, scoperto qualcosa su Sam1?” cambiai argomento.
- “Ci sono delle novità. Stasera rimarrai tu con lui in ufficio” disse, trionfante. Ci avrei scommesso l’osso del collo che non vedeva l’ora di dirmelo da quando mi aveva vista uscire dall’ascensore.
Ecco: questa non era di certo una bugia.
Feci una smorfia di dolore; sì, perché trascorrere una serata in compagnia del mio capo a scartabellare fascicoli, mi avrebbe prodotto un fastidio pari al mal di pancia: qualcosa di fisico.
In quel momento entrò quell’adorabile donnicciola che rispondeva al nome di Katy.
- “Val, - disse ignorandomi del tutto - ho parlato con Sam1 per la questione degli straordinari di Sam2”.
- “Ehi, ti rendi conto che io sono qua, vero?” le domandai.
- “Come se m'importasse…”. Ma non si può strozzare con la sua stessa acidità?
- “Avevi parlato di stasera, se non sbaglio. - disse, chiedendo una conferma a Val, che annuì - Bene, visto che c’è un sacco di roba da sistemare, ho deciso di aggiungerci qualche giorno” ammise tranquilla.
- “Tu cosa?” urlai. Lo scotto da pagare per essere uscita con Christian si stava facendo un po’ troppo alto, considerato poi che il ragazzo era pure gay.
- “Sam1 è sommerso di lavoro e ho pensato che lavorando in due per due settimane, si sarebbe dimezzato”.
Non è un tuo pensiero, cretina. E’ matematica. E quella, ahimè, non mente.
Feci per aprire la bocca ed insultarla, ma Valerie mi fermò.
- “Katy, è un tiro mancino. Se avete problemi personali, vi invito a risolverli al di fuori del giornale”.
La stronza uscì soddisfatta dalla stanza ed io guardai incredula la mia amica.
- “Mi spiace, tesoro. Sarai retribuita, ovviamente. Potresti provare a parlare con Sam1, magari…”.
- “Magari niente. Farò questi benedetti straordinari e utilizzerò quel tempo per sforzarmi di trovare una vendetta adeguata” sentenziai.
Me ne tornai mesta alla mia scrivania, pensando con amarezza alle serate che avrei dovuto sprecare tra le quattro pareti grigie della redazione con quel viscido del capo. Avrei fatto meglio a starmene a casa, sotto le coperte, come avevo fatto la notte precedente a casa di Nick, anche perché non ero ancora tornata in forma al 100% e, soprattutto, nessuno mi aveva imposto di andare in ufficio a lavorare. Guardai il cellulare; una bustina mi indicò un messaggio di Nick che doveva essermi arrivato parecchie ore prima e che io, come al solito, non avevo notato se non in quel momento.
Non ricordavo che il mio letto fosse tanto grande! Sarà che il tuo sedere ne occupava i ¾ ieri :D - no, è inutile che tu mi metta la faccina sorridente, dopo che mi hai dato della culona - Purtroppo devo stare fuori città per un paio di settimane. Ci sentiamo, N.
Ci mancava questa! Non solo dovevo marcire al lavoro, ma dovevo farlo corrosa dalla curiosità di sapere dove diamine fosse quell’altro e con chi e perché. Se glielo avessi chiesto, probabilmente sarebbe stato evasivo, vago e mi avrebbe detto per l’ennesima volta di doversi assentare per raccogliere materiale.
Forse tornava da sua moglie Annie, dai loro sette figli, dal cane Happy e dai suoi parrocchiani di Glen Oak. Okay, quella era la storia di Eric Camden di Settimo Cielo, ma non stava scritto da nessuna parte che non potesse essere anche la sua di vita. Dopotutto, non lo conoscevo molto e perciò non potevo escludere che fosse un killer professionista, un principe, un clandestino, uno sfruttatore di cinesi o anche solo un comunissimo padre di famiglia che faceva lo striper per mantenere consorte e prole. In tal caso sarebbe diventato difficile spiegare la storia della scommessa…
Troppi se, troppi ma che non trovavano risposta.
Mi misi a lavorare al computer e non ci staccai gli occhi finché non vidi i primi colleghi tornarsene a casa. Erano le 14.30, avevo saltato il pranzo e avevo un sonno pazzesco. Presi la borsa ed andai al bar all’angolo, ordinando un panino. Mentre aspettavo di essere servita, mi accomodai ad un tavolo isolato, in fondo alla sala, lontano da scocciatori e da gente che guarda mentre mangi. Il cellulare era lì che mi fissava spavaldo sulla tovaglia. La tentazione di afferrarlo, comporre il numero e chiamare Nick era forte, ma non volevo fare la parte dell’ossessiva molestatrice o della curiosa patologica, qual’ero in realtà.
Cos’hai da guardare, stupido telefono?
Una cameriera sulla trentina mi portò il sandwich ed io la ringraziai per avermi fatto distrarre per un nanosecondo dal pensiero assillante di sapere, sapere, sapere. Alla fine cedetti; tornai ai messaggi ricevuti, soffermandomi sull’ultima frase del suo sms: ci sentiamo. Due parole sull’ambiguità di quest’espressione. Cosa vuol dire? Scrivi ti chiamo o chiamami, non lasciare alla sorte l’arduo compito di decidere chi accantonerà per primo l’orgoglio e digiterà il numero dell’altro!‘Fanculo buoni propositi.
Però non rispondeva. Mi decisi a provare una terza volta - l‘ultima, perché altrimenti avrei varcato la soglia dell‘amica preoccupata e sarei approdata allo status di stalker incallita - e finalmente lui si degnò di premere la cornetta verde.
-“Nick?”. La conversazione era parecchio disturbata e distinguevo a malapena la sua voce dalle interferenze.
- “Sammy, non posso parlare ora. Ti mando una mail in settimana”. Riattaccò.
Complimenti, Samantha! Vedo che il tuo impegno ha dato parecchi frutti.
Mangiai il panino e me ne tornai in ufficio, delusa dalla scarsezza, per non dire inesistenza, delle informazioni ottenute, quando mi ero persino sforzata di chiamarlo. Nick, prega per te che non sia una menzogna.
Mi riaccomodai alla scrivania e cominciai a sistemare un po’ di scartoffie che si erano accumulate sul tavolo e che mi avrebbero tenuto compagnia per un sacco di tempo. Si trattava per lo più di vecchi e nuovi articoli che non avevano trovato una collocazione nei numeri già pubblicati di Music Magazine e dei quali, però, un giorno si sarebbe reso indispensabile l’uso per tappare qualche buco d’impaginazione. Ora si doveva solo fare l’inventario; catalogarli sotto diversi profili: autore, argomento, data… e chiaramente andava verificato che tutti avessero ricevuto il compenso per il lavoro effettuato, sebbene ancora inedito. La catasta ammassata accanto al computer m’impediva quasi di vedere gli altri colleghi; dovevano essere migliaia di pezzi - e migliaia di sterline - che, al momento, si rivelavano a dir poco mal spese.
- “Sam2!” mi gridò Banks dall’altra parte dell’ufficio. Mi girai e lo guardai, sfoderando un sorriso fintissimo.
- “Sì?”.
- “Allora per stasera è confermato. Mangeremo qualcosa prima” urlò e se ne andò. Le facce dei colleghi si concentrarono su di me: bisogna ammettere che non era stata una grande idea far pensare al resto del mondo che io mi facessi il capo, sposato, dopo aver mangiato qualcosa.
- “Gente, si parla di straordinari!” comunicai e la redazione tornò ad occuparsi degli affari propri.
Cinque ore dopo ero ancora appiccicata alla stessa sedia girevole, alla stessa scrivania con gli stessi occhi annoiati e assonnati a scartabellare fogli su fogli. La palpebra sembrava sul punto di cadere da un momento all’altro, ma ero troppo concentrata sul lavoro da fare per anche solo pensare di andare in bagno o mangiare. Sam1 mi raggiunse con il cartone di una pizza gigante.
- “Sono arrivati i rinforzi” annunciò e me ne porse una fetta.
- “Non capisco come hai fatto a farti incastrare con tutta questa roba. Perché la devi fare tu?” gli chiesi con un briciolo di polemica, ma era più che giustificato dal momento che ero diventata un topo di biblioteca.
- “Si chiama gavetta. Sono l’ultimo arrivato e Valerie mi ha convinto che è mio dovere occuparmi di questo genere di cose”.
- “Sarebbe in grado di far convertire Dio all’Islam se questo le comportasse un vantaggio” ridemmo.
Approfittai della pausa-cena e dell’istante di “intimità” per cercare di strappargli di bocca qualche informazione utile su di lui e sulle sue strane abitudini.
- “Così, sei sposato…” buttai lì.
- “Già, felicemente da una decina d’anni e da due bellissimi figli, Mike e Jim”.
Due maschi, quindi nessuna possibilità che lui s’inventi che la giovane prostituta fosse, in realtà, una delle sue figlie.
- “E mi pare di capire che non sei di Londra” dissi, addentando una fetta di pizza con condimento indefinito.
- “Sono di Moffat, un paesino a nord dell‘Isola”.
Game over, Banks. Gioco in casa; non ho passato le vacanze estive della mia infanzia a visitare ogni minimo villaggio della Scozia invano.
- “Oh, anche io sono della zona. Cosa ne pensi dell’haggis?” azzardai. L’haggis era quella cosa tremenda che qualcuno si ostinava a considerare pietanza, tipica scozzese, a base di interiora di pecora, accompagnata da un fondo di patate simil-puré.
Lo vidi impallidire.
- “L-l’haggis? - temporeggiò ed io annuii con il capo - Beh, ho sempre pensato che fosse un bel posto” tentò.
Bip bip. Il rumore del lie-detector di Sam che ha individuato una bugia grande quanto il continente asiatico.
Non sapeva decisamente quello di cui stavamo parlando.
- “Sono d’accordo. - lo assecondai - Direi di accantonare le chiacchiere e di continuare a lavorare” proposi e lui accettò, convinto in quel modo di sfuggire a ulteriori domande di cui non conosceva le risposte.
Lavorammo fino alle 21.30 e Sam1 si comportò bene, nel complesso. Mi fissava in continuazione le tette o il culo, a seconda di come ero girata, pensando di non essere beccato, ma non osò andare oltre. Che fosse viscido era evidente all’umanità, però al momento era accusabile solo di essere un marpione, non uno sfruttatore di giovani donne dai facili costumi.
Lo congedai alla svelta e me ne tornai a casa in taxi, col chiaro intento di farmi una doccia veloce ed infilarmi sotto le coperte. Mi trascinai su per le scale fino alla porta del mio appartamento e mi misi a cercare le chiavi che, naturalmente, erano in fondo alla borsa. Will mi raggiunse sul pianerottolo, sommergendomi di domande.
- “Dove sei stata, Raviolo? E’ tutto il giorno che ti aspetto!” disse con un tono quasi preoccupato.
Fermai la mano e lo guardai.
- “Straordinari”.
- “Devo chiederti solo una cosa”.
- “Sii rapido e conciso” lo pregai.
- “Cosa organizziamo per Nick?”.
- “Non sappiamo nemmeno quando torni!” gridai.
- “Intendo per il suo compleanno” mi ammonì.
- “Compleanno?”. Sentivo che la conversazione sarebbe andata per le lunghe, così lo zittii e lo invitai a passare la notte da me. Si armò di pigiama - il suo solito da trisavolo - e spazzolino e mi raggiunse in bagno.
- “Che fai?” chiese scandalizzato, vedendomi togliere i jeans, mentre lui si lavava i denti.
- “Mi faccio la doccia?” risposi sarcastica.
- “Davanti a me?” sputò un po’ di dentifricio nel lavandino.
- “Siamo amici e non c’è nulla che tu non abbia mai visto”.
- “Sì, ma sono pur sempre un uomo”. Posò lo spazzolino sul lavandino.
- “E allora aspettami nel letto” gli risposi suadente.
- “Ripensandoci…” ammiccò lui, malizioso.
- “Hai perso la tua chance, tesoro”. Mi lavai rapida, desiderosa di sapere cosa fosse questa strana storia del compleanno di Nick, e mi buttai sul letto, accanto a Will. Stava sonnecchiando davanti alla tv accesa sulla quale intravidi la sigla di CSI. Bene, la vittima dell’episodio era appena morta e lui dormiva già! Gli assestai una gomitata tra le costole che lo svegliò bruscamente.
- “Forza, racconta. O ti sei inventato questa storia per infilarti nel mio letto?” scherzai.
- “Stavolta sono serio. Pensavo di organizzare qualcosa per il 17 di ottobre”. Alzai il busto e mi sostenni con le mani puntate sul materasso.
- “Manca un sacco di tempo!” brontolai.
- “Lo so, ma meglio sapere in anticipo cosa vogliamo preparare. Pensavo di fargli una festa a sorpresa noi tre. Ed è per questo che mi sono procurato una copia delle sue chiavi di casa. Possiamo preparare una cenetta e poi inventarci qualcosa per il resto della serata”.
- “Tutto quello che vuoi, Lupin. Ora dormiamo!” ordinai e lui acconsentì, sistemandosi meglio sotto il piumone e spegnendo l’abat-jour sul comodino dalla sua parte. Si addormentò dopo qualche minuto, mentre a me il sonno era svanito, perché non avevo idea di cosa regalare a Nick. Sì, mancava molto tempo, ma per le due settimane successive avrei fatto tardi a lavoro e difficilmente avrei trovato un minuto libero per andare a caccia di un presente adatto a lui. Poi era fuori discussione che delegassi l’arduo compito a Will: non osavo pensare cosa ne sarebbe venuto fuori; roba tipo giochi per la X-Box o un pacchetto di preservativi extra lusso al gusto di uno strano frutto esotico. Qualcosa mi sarei inventata.
 
Non dovetti nemmeno lavorare troppo con la fantasia, campando in aria scuse improbabili per sfuggire da Sam1, perché proprio lui, dopo l’ora di pranzo, mi venne in aiuto. Entrata in ufficio, mi avvicinai alla mia scrivania, scorgendo in lontananza un post-it giallo appiccicato sul mio computer.
Stasera è il mio anniversario di matrimonio, quindi non posso fermarmi. A domani, Sam1.
Balla? Forse l’avevo intimorito la sera prima.
Stavo per improvvisare il balletto della gioia, ma mi trattenni, nonostante la voglia di saltare sulla sedia e mettermi a cantare mi stesse percorrendo l’intero corpo.
Ma allora qualcuno guarda giù ogni tanto!
Decisi che la mia giornata lavorativa sarebbe finita lì e finsi che il pensiero che Sam1 si stesse divertendo con una minorenne invece che con la moglie non mi fosse nemmeno passato per la testa. Uscii immediatamente dal palazzo ed andai per negozi a sperperare quattrini, che tanto avrei reintegrato con gli straordinari. Per prima cosa mi comprai due paia di scarpe, cioè la base essenziale per una seduta di shopping normale; le prime erano delle open toe tacco dodici di Richmond, color bronzo e con un fiocco sulla punta. Le altre erano delle ballerine dal colore impossibile che presumibilmente avrei utilizzato una sola volta nella vita, vista la difficoltà di trovare qualcosa che ci si potesse abbinare. Ma erano troppo carine e, in più, di Marc Jacobs e ciò era più che sufficiente a motivare la spesa; avrei dato fondo a tutti i miei averi per possedere ogni singola sua collezione e - perché no - pure lui. Quest’ultimo, però, sarebbe stato un acquisto assai poco sensato, dal momento che il caro Marc ricadeva nella categoria che le donne etero chiamano spreco immane di carne finito sulla sponda sbagliata.
Uscii adorante dal suo negozio in Mount St., fingendo di non vedere quella splendida e grande borsa nera con due anelli come manici e quell’inserto lucido che neanche mettendo insieme il mio conto corrente e il guadagno ricavato dagli straordinari sarei riuscita a permettermi.
Bene, Sam, ora pensa a qualcosa per Nick. Spremiti le meningi, su…
L’illuminazione giunse dalla vetrina di Ralph Lauren: un polo, ecco cosa gli avrei regalato. Niente di particolarmente originale, è vero, ma è un evergreen che piace sempre, no?  La commessa era sul punto di strozzarmi quando le feci tirare fuori anche l’ultimo modello, arancione, che di certo non avrei mai scelto, ma volevo avere un ampio raggio di azione, prima di prendere la decisione finale. Alla fine optai per quella che mi aveva strappato un sorriso quando l’avevo vista: blu, come quella che mi aveva prestato a casa sua - e che giaceva sulla mia lavatrice in attesa che io trovassi un momento per farla tornare pulita -, ed il logo rosso, come il numero tre cucito sulla manica. Avrebbe fatto la sua figura con quella indosso. Ma anche senza…
 
Passarono due settimane da quel giorno, in un’assoluta carenza di informazioni provenienti da colui per il quale io e Will stavamo organizzando la cena di compleanno. L’unica mail che si degnò di mandarci riportava un semplice:
Torno presto e mi farò perdonare dell’assenza. N.
Si è sprecato.
I preparativi nel frattempo procedevano in pompa magna; il mio vicino ogni sera mi faceva trovare nel frigorifero ricette nuove da testare per il grande evento, incurante del fatto che ormai il festeggiato fosse considerato, almeno da parte mia, alla stregua di un latitante.
Io avevo passato ogni minuto libero a visionare telefilm sulle confraternite, alla ricerca di qualche gioco alcolico o insensato da riproporre ed il risultato era stato piuttosto proficuo: birra pong e kiss or tell erano senz’altro in primo piano. Inoltre, non c’erano da dimenticare le infinite nottate con Sam1 che ormai aveva ufficialmente paura di me e delle mie domande e, per questo, limitava al minimo le conversazioni che non riguardassero il lavoro.
Ero diventata, in sostanza, un’ombra: uscivo di casa la mattina presto e ci tornavo la sera tardi, sgranocchiando di tanto in tanto le prelibatezza che Will cucinava.
Alla fine, arrivò il 16 ottobre. La festa avrebbe avuto luogo quella sera a partire dalla mezzanotte ed io stavo scontando l’ultima sera di straordinari, che tra un impegno del capo e qualche bugia da parte mia, si erano protratti fino ad ottobre inoltrato.
Guardai l’orologio: le dieci passate, tempo di levare le tende e tornarsene a casa, fare una doccia ricostituente ed agghindarsi per andare da Nick.
- “Sono a pezzi, Sam. - confessai - Che ne dici di continuare il lavoro in orari normali?” proposi, augurandomi che il mio capo fosse d’accordo con me.
- “Sì, hai ragione, per oggi basta così” acconsentì. Chiudemmo tutti i documenti sul computer e sulla scrivania, indossammo il cappotto ed entrammo nell’ascensore, stanchi al punto da non riuscire nemmeno a fare le scale.
- “Vuoi un passaggio?” mi chiese, ma rifiutai.
- “Non ti offendere, ma potrei vomitare se ti vedo ancora. Ho un’intossicazione da Sam e devo recuperare la mia identità: questi 1 e 2 mi stanno rincitrullendo”.
- “Non me la prendo assolutamente! - rispose lui, ridendo - Sarà meglio che torni a casa dalla mia famiglia. Ci si vede lunedì!”. Mi lasciò sola sul marciapiede sotto l’ufficio, con un pizzico di invidia per lui che aveva qualcuno che aspettava con trepidazione il suo rincasare dopo il lavoro. Io avevo sempre e solo il mio miciotto Romeo e, nel migliore dei casi, Will.
Osservai il cielo per qualche istante; era stranamente limpido, per cui mi convinsi a percorrere a piedi i pochi isolati che mi separavano dal mio appartamento. M’incamminai verso il mio condominio, facendomi largo tra un gruppo di turisti giapponesi, portati a spasso da una guida locale per vedere la famosa Londra by night. La città era sempre molto affascinante, a prescindere dall’ora e dal quartiere, e ci trovavo sempre qualcosa di divertente nello scrutare le facce estasiate degli stranieri alla vista delle meraviglie che la capitale era in grado di offrire.
Avevo fatto solo poche decine di metri, quando un taxi come tanti altri si fermò sotto un lampione, di fronte ad un bar decisamente molto chic dov’ero stata in un paio di occasioni. Doveva chiamarsi Republic, ma da quella volta che c’ero stata con la mia amica americana Violet, lo avevo registrato come One Republic, in onore ad una band che ascoltavamo in continuazione all’epoca. Era frequentato da un’élite di persone, ma solo perché non era molto conosciuto ai più.
Persa nei ricordi legati a quel locale, misi un piede nell’unico posto che le donne che indossano spesso i tacchi sanno di dover evitare: le grate. Ed, infatti, rimasi incastrata in una di esse, imprecando contro la mia leggendaria sbadataggine. Mi abbassai e cercai di risolvere l’impiccio alla svelta, prima che tutti i passanti cominciassero a domandarsi cosa ci facesse una donna sola, di notte, piegata a novanta gradi su di una griglia, parlando a se stessa. Dopo qualche tentativo finito a vuoto, riuscii ad estrarre il tacco dalla ferrea morsa e potei, finalmente, tornare ad osservare il mondo dall’altezza normale. Alzai lo sguardo e vidi un uomo accanto alla portiera del taxi, intento a riporre il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Si girò di lato, verso il bar, e soltanto allora riconobbi un profilo familiare che era scomparso dalla mia vita per un po’: sembrava in tutto e per tutto Nick. La luce artificiale del lampione parve convalidare la mia ipotesi, ma attesi di sentirlo parlare con il taxista, prima di fare figure barbine, scambiando qualcun altro per lui.
- “Tenga il resto” gli disse.
Era lui. Era senza ombra di dubbio lui. Ed io ero felice; felice di rivederlo, felice che fosse tornato e, allo stesso tempo, un po’ delusa del fatto che non si fosse nemmeno sprecato a farci una telefonata. Un sorriso si stampò involontario sul mio volto ed io mi sbrigai ad uscire dallo stato di contemplazione della sua figura per salutarlo e ridargli il benvenuto a casa.
Feci un passo verso di lui, che distava più o meno dieci metri, ma subito mi bloccai, quando vidi una ragazza dai capelli lunghi ed ondulati scendere dalla stessa auto da cui era sceso lui, ridendo e afferrandogli la mano sinistra. Era lui. Era lui, ma gli avevano tolto il gesso. Ed io non lo sapevo.
L’espressione gaia che avevo sul viso scomparve nell’istante in cui Nick ricambiò la stretta attorno alla mano di lei e la trascinò fin davanti all’entrata del Republic. Li osservai da lontano ed impiegai qualche momento per capire il motivo per cui non avessero già fatto ingresso nel locale. Mi mischiai tra una mandria di ragazzi già mezzi brilli che stavano passando in quel momento e vidi che lei stava fumando una sigaretta.
Presi dalla tasca il cellulare e scorsi la rubrica fino al suo nome. Squillava. Lo vidi prendere a sua volta il telefonino in mano ed esitare qualche istante prima di rispondere, guardando la videata che riportava il mio nome; volevo sapere, non capivo cosa, ma qualcosa volevo sapere.  
- “Ehi” si decise, infine.
Per certi versi, mi sentii sollevata. Anche se era con quella donna, alla fine aveva scelto di premere la cornetta verde, parlando con la sua voce normale, calda e rassicurante che mi fece di nuovo aprire le labbra in una smorfia di contentezza.
- “Ehi… ehm… scusa l’ora. Mi stavo solo chiedendo come stessi” mentii.
- “Non mi posso lamentare. Ho di nuovo la mobilità del braccio sinistro, perciò direi che sto bene” terminò e lo vidi zittire la tizia con lui che stava per cominciare a parlare.
- “Bene, mi fa piacere. - Sam, fai quella dannata domanda - E, senti… sei già tornato?” sparai e d’istinto serrai gli occhi, timorosa della risposta che mi avrebbe dato.
Titubò. Per uno, due, tre secondi. Che nel linguaggio femminile, tutte sanno che equivale al tempo necessario ad un uomo per inventarsi una cazzata da rifilare alla moglie, alla mamma o alla fidanzata. E la cosa mi ferì più del previsto, soprattutto perché io, per lui, non ero niente di tutto questo.
- “No. Sono ancora fuori città. - disse semplicemente ed io scrollai le spalle. Non si era neanche sforzato di inventarsi una scusa; si era solo preoccupato di raccontarmi una balla - Ci sei ancora?” mi chiese, mentre io non riuscivo a smettere di fissarlo, agitato che si torturava la nuca, accanto a quella ragazza.
Avrei potuto smascherarlo in un tempo inferiore a quello che a lui era servito per decidere se mentirmi o meno, però la delusione era tanta, la stanchezza pure e non ero dell’umore adatto per vendette o piazzate.
- “Sì” mi sforzai di dire, ma la voce mi uscì ridotta ad un sibilo.
- “Beh, allora ci sentiamo quando torno”. Sì, bravo, rincara la dose.
La ragazza si fece impaziente e cominciò a tirargli un lembo della giacca, come una bambina, invitandolo a riattaccare e ad entrare nel bar.
- “Certo” soffiai.
- “Ti sento un po’ strana” continuò lui.
- “Sarà la linea un po’ disturbata” improvvisai, desiderosa di chiudere al più presto la telefonata, assillata dal milione di domande scaturite da quell’incontro/non incontro.
Aspettai che fossero entrati nel locale per chiamare con un cenno un taxi e precipitarmi da Will. Non sapevo bene come comportarmi, cosa dire, cosa fare. Bussai alla sua porta, ma non rispose nessuno; lo chiamai al cellulare e squillò a vuoto. Pensai che fosse già a casa di Nick, a cucinare con lo stereo acceso.
Mi feci la doccia e mi asciugai i capelli. Indossai un paio di jeans, una maglia grigia con delle perline ed un cardigan. Afferrai dall’armadio una borsa nera e le ballerine nuove di Marc Jacobs. Marc aiutami tu!
Niente vestitini succinti, niente fronzoli. Non se li meritava.
Presi il regalo impacchettato in un carta da regalo verde e quando scesi in strada, il taxi mi stava già aspettando. Feci il viaggio fino a casa di Nick in uno stato catatonico, con un rancore nascente all’altezza del petto. La domanda che mi ponevo era perché? Perché raccontarci una bugia, perché raccontarla a me? A che scopo?
Suonai il campanello e un Will sospettoso si affacciò alla finestra, salvo poi rilassarsi vedendo che ero io e non il festeggiato in anticipo. Non appena entrai, notai che il grande orologio del salotto segnava le 23.50. Tutto era pronto; il mio vicino aveva preparato stuzzichini e dolcetti a non finire e li aveva sparsi per tutto il soggiorno. Alcolici e superalcolici erano stati messi in ordine sul tavolino di fronte alla televisione, la musica era in sottofondo e mancava solo Nick per completare il quadretto. Abbassai il volume dello stereo con l’intenzione di raccontargli quanto era avvenuto poco prima, davanti al Republic.
- “Senti, Will, devo dirti una cosa…” cominciai, ma lo squillo del suo cellulare ci interruppe.
- “Aspetta. Me lo dirai dopo. La vicina impicciona mi ha appena fatto uno squillo; significa che ha visto il nostro obiettivo passare di fronte alla sua villetta di testa”.
Aveva forse sedotto quelle vecchiaccia per avere la sua collaborazione?
Corse a chiudere la porta a chiave, a spegnere lo stereo e le luci dell’intera casa e mi trascinò con sé in un angolo, vicino all’interruttore per fare la nostra comparsa in grande stile. Non appena la serratura scattò e l’uscio si aprì, Will mi afferrò il braccio con una mano e con l’altra accese la lampada alogena.
- “Sorpresa!” gridò, spaventando Nick e la ragazza che era con lui. Gli occhi del festeggiato cercarono immediatamente i miei, curiosi e preoccupati, mentre la bocca della tizia si aprì in un sorriso spontaneo, guardando tutti gli addobbi e il cibo che ornavano la stanza.
- “Allora? Non dici niente?” incalzò il mio vicino e gli si avvicinò.
Non smetteva di fissarmi.
- “Scusate, è che sono solo… sorpreso” si giustificò.
- “Pensavi che non ci saremmo ricordati, vero?”.
- “Siete stati molto carini. - aggiunse la ragazza - Sono Kay, comunque” si presentò, stringendo la mano a Will e poi anche a me, che ero rimasta impalata nello stesso punto.
- “Sam” le sorrisi e contraccambiai la stretta.
- “Su, Sam, - mi esortò il mio vicino - almeno oggi che è il suo compleanno, dagli un bacetto sulla guancia”.
Per non ammazzare il già labile livello di allegria nell’aria, non dissi nulla e gli sfiorai la guancia con le labbra, rigida e fredda. Quel gesto mi fece innervosire: mi stavo comportando nello stesso modo falso a cui volevo ribellarmi.
- “Allora, diamo il via ai festeggiamenti?” propose Kay.
- “Non mi sento bene, a dire la verità” mentii.
- “Ma come? Mica vorrai andartene!” disse Will.
- “Perché non dovresti” parlò finalmente Nick.
- “Sarà un mal di testa da stress. Sto lavorando molto negli ultimi tempi”.
- “Io non…” iniziò, ma lo interruppi.
- “Non potevi saperlo; non c‘eri”.
E le mie parole assunsero un valore quasi di accusa. Il gelo cadde nella stanza. Io guardavo Nick in cagnesco, lui mi guardava con aria colpevole e gli altri due si fissavano spaesati, non realizzando quale tempesta si stesse abbattendo in quella casa.
- “Comunque - dissi, ripristinando il sorriso - non voglio interrompere le celebrazioni. Will, tienimi una fetta di torta, mi raccomando. E’ stato un piacere conoscerti, Kay”.
Il pendolo nel salotto ci avvertì che la mezzanotte tanto agognata era arrivata. Presi il regalo che avevo comprato e glielo porsi. Dopo un attimo di esitazione, lo afferrò, mormorando un grazie imbarazzato.
- “Buon compleanno, Nick” dissi distaccata.
Premetti la maniglia della porta e me ne andai. Scesi veloce i pochi gradini che portavano al giardino e mi maledissi. Non sapevo spiegarmelo; perché, tra tutte le bugie di quei giorni, la sua fosse quella che faceva più male.
 
 
Buon pomeriggio! Capitolo lungo, ma non me la sentivo di interromperlo a metà. Il riferimento al “Republic” e al soprannome di “One Republic “ è assolutamente vero, tranne per il fatto che non è a Londra, ma a Brescia :D
La Violet che cito è quella di “Firework” ed è una gentile concessione di SunshinePol, che ringrazio. In effetti è con lei che vado al “Republic”.
La canzone del titolo è dei Rolling Stones.

S.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. Blame It On The Boy. ***



Capitolo Sedici. Blame It On The Boy.
 
La prima cosa che feci quando arrivai a casa fu prendere le Pagine Gialle ed individuare tutti i negozi di computer nei paraggi. Mi serviva solo un dannatissimo tecnico informatico. Uno, cazzo, uno, porca miseria! Sfogliai in modo disordinato tutto il tomo, non riuscendo a leggere nemmeno una parola. Lo lanciai per terra e mi lasciai cadere sul divano con il pensiero ricorrente e martellante della bugia che mi era stata rifilata da Nick. Forse ne stavo facendo una questione di stato, ma proprio mi sfuggiva il perché si fosse sentito legittimato a tentare di ingannarmi in quella maniera.
Guardai svogliata un film nel letto e mi addormentai con la tv accesa. Il giorno dopo mi svegliai tutta intontita con Romeo che mi leccava la faccia, sebbene sapesse che era una cosa che odiavo. Lo scansai con poca delicatezza, spensi la televisione e mi preparai per andare in ufficio. Scesi in strada che erano le 9.30 di una bellissima giornata soleggiata, con un leggero venticello freddo che mi scompigliava i capelli. Mentre camminavo, mi fermai a comprare il giornale, giusto per tenermi al passo con le ultime novità, dal momento che nelle settimane precedenti avevo potuto aggiornarmi solo ed esclusivamente sulla vita di Sam1, nonostante lui si fosse dato parecchio da fare per non lasciarsi sfuggire troppe informazioni sulla sua persona. In realtà, non avevo ottenuto molto, ma mi aveva dato l’impressione di nascondere qualcosa ed io ero più che decisa ad arrivare in fondo alla questione. La primissima cosa da fare era recarsi a York e cercare di spremere al meglio le fonti che sapevano qualcosa di Banks; avevo la sensazione che non fosse del tutto sincero, che la sua vita di marito-padre-redattore capo non fosse altro che una facciata. Sembrava sempre si contenesse nel parlare e nel reagire. O, almeno, quella era l’impressione che mi aveva dato, lavorandoci a stretto contatto.
Mi ricordavo di aver sentito da qualche parte che bastano sette secondi per farsi un’idea circa una persona. Lo aveva detto Mrs. Leeds, la maestra delle elementari - ecco chi era stato! -;  non mi era chiaro cosa volesse fare, spiegando psicologia ad un branco di mocciosi dal naso colante. All’epoca il mio unico pensiero era tenermi il più lontano possibile da quegli odiosi esseri con il pisellino che trovavano tanto divertente tirarmi le treccine, ma registrai quella frase ugualmente sulla base della teoria di mia madre che non si sa mai... A quell’età già avevo capito tutto: tieniti lontana dagli uomini! E, invece, poi passi la vita a rincorrerli quei marmocchi che nel frattempo sono cresciuti fuori, ma non dentro e si sentono in diritto di prenderti in giro in modo anche più meschino dello strappare i capelli. Mentre tu diventi una ragazza, lui passa dalla categoria junior alla senior, ma un idiota - grande o piccolo che sia - sempre idiota rimane. Purtroppo quando lo capisci è troppo tardi ed il tuo cuore appartiene a quel bamboccio cresciuto che ti prende, ti lascia, ti vuole, ti rifiuta, ti bacia, ti dice di non essere tornato in città quando, in realtà, è ad un paio di metri da te…
Accantonai i pensieri e guardai rapida il London Express che avevo tra le mani: quel che bastava per leggere che era domenica! No, cavolo!
Feci retro-front e me ne tornai subito a casa, fermandomi soltanto per comprare un cornetto al mio adorato Willy Wonka che, già lo sapevo, mi avrebbe riempito di domande circa la mia fuga della sera precedente da casa di Nick. Presi le chiavi del suo appartamento e vi entrai con cautela; mi avvicinai quatta quatta al suo lettone e, solo all’ultimo istante, mi gettai come un predatore sul groviglio di piumone e coperte sotto il quale si era rintanato. Il mio agguato provocò un urlo che ci fece spaventare tutti. E tre.
Da sotto la trapunta comparve…
- “Kay!” urlai inorridita.
- “Sam!” gridò Will, sudato e sorpreso, ricomparendo dal lenzuolo.
Kay. Will. Kay e Will. Non è che c’è anche Nick sotto il letto?
- “Oh, scusate. N-non lo sapevo. Mi dispiace. Dio, che imbarazzo!” mi volatilizzai in un istante e mi fiondai nel mio appartamento, chiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena, i capelli arruffati e la bocca spalancata.
- “Kay e Will?” ripetei a me stessa. Con un colpo di reni mi spostai dall’uscio e mi sedetti sul pouff.
Ma non stava con Nick?
- “Che stronza!” esclamai ad alta voce ad un Romeo molto poco interessato alle mie esternazioni, per quanto colorite. Ero così presa dalla balla di Nick che mi ero pure dimenticata di questo non-così-trascurabile dettaglio chiamato Kay; lo aveva preso per mano, ergo non mi restava che pensare che fosse la sua ragazza. Però, chi accetterebbe una scommessa - quella scommessa -, sapendo di avere una fidanzata a casa? Domanda stupida: un uomo! Quando si tratta di scopate, ciascuno di loro sarebbe disposto a vendere dignità e parenti pur di averne una in più.
Ma se sta con Nick, come ha fatto a finire con Will? Che il nostro ballerino di nightclub fosse una riproposizione giovane di Henry Chambers, tutto fumo e niente arrosto?
Non ebbi il tempo di indagare oltre perché il mio vicino fece ingresso nel mio appartamento con addosso una maglietta stropicciata ed un paio di pantaloni della tuta.
- “Da quando mi fai gli attentati a letto?” domandò con un ghigno divertito a celare l’imbarazzo di qualche istante prima.
- “Da quando ti fai la fidanzata di un tuo amico?”.
- “Fidanzata di chi?” controbatté.
- “Di mio nonno! - roteai gli occhi all’insù - Di Nick!”. Will rise e si appropinquò verso il divano accanto al quale mi ero seduta.
- “È sua cugina, scema”. Mi passò un braccio attorno al collo e mi frizionò la testa con vigore, ben sapendo che i miei capelli erano zona off-limits per ogni essere umano che non fosse il mio parrucchiere/checca Darren.
- “Ah” fu il massimo che la mia mente riuscì a partorire. Sarà che ero una provincialotta scozzese, ma io mio cugino Herbert - giusto per citare il più carino, che comunque aveva la faccia sotterrata dai brufoli e un alito pestilenziale - non lo avrei preso per mano nemmeno con guanti e pinze!
- “Davvero credevi fossi fidanzata con il mio adorabile cuginetto?” s’intromise Kay, sbucata da casa di Will con una carota in mano che stava sgranocchiando e vestita di una sola t-shirt che riconobbi subito essere del mio vicino. Le gambe erano completamente scoperte, ma lei sembrava del tutto a suo agio a gironzolare in quel modo, sebbene non fossimo nemmeno in confidenza.  Era scalza e non si era fatta molti complimenti ad entrare nel mio salotto senza bussare; di solito mi sarei irritata, e non poco, per quella che consideravo un’invasione dei miei spazi - un furto d’ossigeno in piena regola! - , ma quella ragazza mi stava simpatica a pelle, la vedevo spontanea e senza filtri. Sì, avevo avuto la possibilità di parlarci per pochissimo, ma, con la teoria dei sette secondi avevo tutto il diritto di avere un’impressione su di lei. Ed io, in quel tempo, avevo letto negli occhi di quella ragazza una spontaneità che mi aveva colpito, nonostante fossi totalmente rapita da Nick e dal trattenere tutta la delusione dentro, senza vomitarla addosso a tutti i presenti. Kay era carina, smaliziata e mi piaceva. Certo, era pur sempre andata a letto con il mio migliore amico - cosa di cui ero anche vagamente gelosa - e se si fosse azzardata a fargli del male l’avrei gambizzata senza problemi, ma la sua faccia pulita acqua e sapone era rassicurante.
E, inoltre, si è sempre in tempo a cambiare idea sulle persone.
- “Sai, ho visto che gli prendevi la mano davanti al Republic e ho fatto due più due” mi giustificai.
- “Ah, per quello? L’ho fatto solo perché c’erano le grate per terra e non volevo far figuracce con il tacco incastrato in una di quelle. Ti immagini, Will? - si rivolse verso di lui che ridacchiò - Piegata in due a staccare la scarpa come una cretina?”.
Quaquaquaqua.
Mi uscii un risolino isterico e annuii col capo, mentre gli altri due non facevano nulla per contenere i ghigni divertiti al pensiero di una sfigata piegata a novanta, impigliata in una griglia.
Eh sì, proprio da cretine…
- “Le hai già detto della cena?” chiese Kay, smettendo - grazie al cielo! - di ridere.
Com’è che anche l’ultima arrivata sa le cose prima di me?
Romeo uscì dalla mia camera da letto e prese a spolverare le gambe del suo amato Will.
- “Giusto! Sei invitata a casa mia alle 19. E’ chiaro che tu non possa dirmi di no, dopo ieri sera”.
- “Noi… tre?” buttai lì, pregando che ci fosse qualcun altro: un amico, un vecchio zio, un animale, un puffo, Batman… chiunque, tranne colui il cui nome cominciava con la N.
- “Noi quattro; ci sarà anche Nick”.
Batman non era disponibile? Perché anche Robin va bene, eh!
Non mi lasciarono replicare e se ne tornarono nell’appartamento di fronte, non senza essersi raccomandati di arrivare puntuale. Come se dipendesse da me!
L’orologio segnava le 10 ed io non avevo la più pallida idea di cosa fare per il tutto il giorno. In tv non davano nulla degno di nota, casa era pulita, il mio micione nero era sparito dalla circolazione - con tutta probabilità attaccato ai polpacci del mio vicino -, i negozi erano chiusi, il sonno andato… che altro rimaneva da fare? Continuare la ricerca del tecnico del computer, naturalmente.
Da quando mi ero trasferita a Londra, mi era capitato solo una volta di aver bisogno di assistenza con il pc; Valerie allora mi aveva dato il nome di un ragazzo sulla trentina, un nerd fatto e finito, che era un vero mago di informatica e, come sospettai sin dalla prima occhiata, doveva essere un hacker o poco meno. Però era molto bravo, costava poco e ormai l’avevo scelto come preda. Cercai nella rubrica telefonica il suo numero e lo chiamai.
- “Pronto?” rispose subito.
- “Max?” chiesi per conferma.
- “Sì”.
- “Ciao, sono Samantha Grayson. Sono un’amica di Valerie Dupont e mi servirebbe un aiuto per un problema col computer”.
- “Ah, Valerie, che tesoro. Se posso dare una mano, lo faccio volentieri”.
Veramente una mano credo di dovertela dare io…
- “Il punto è che mi servirebbe con urgenza. Ti spiacerebbe se passassi subito, sempre se hai tempo, è chiaro”.
Ci mettemmo d’accordo per incontrarci a casa sua dopo una mezz’oretta circa. Dovevo solo prepararmi e… cazzo! Avevo bisogno di un pc rotto! Decisi di immolare per la causa un vecchio portatile che non usavo da tempo, ma al quale ero affezionata e da cui non avevo avuto il coraggio di separarmi. Lo capovolsi e gli diedi una martellata non troppo forte all‘altezza della batteria, giusto per spostare qualche filo e far saltare qualche collegamento.
- “Scusami Jimmy!” gli dissi, accarezzandolo. Gli avevo persino dato un nome e ora lo stavo sacrificando per portarmi a letto un tizio. Che personaccia che stavo diventando. Colpa di Nick chiaramente.
 
Arrivai davanti all’appuntamento vestita piuttosto casual; se non aveva subito grossi cambiamenti dal nostro primo e ultimo incontro, Max era un ragazzo tranquillo, interessato più al suo mouse che alle topoline altrui. No, non c’era bisogno di fare la panterona, intrappolata in tutine di pelle improbabili: pantaloni, camicia, maglione e ballerine erano più che sufficienti.
Venne ad aprire la porta ed io mi ritrovai davanti un uomo che non si era accorto di non essere più un ragazzino; indossava una maglietta consunta dei Led Zeppelin, dei jeans larghi, dei grandi occhiali da vista da perfetto secchione privo di vita sociale ed era magro oltre ogni misura.
Sam, non saltargli addosso perché gli rompi almeno un paio di costole.
Ci salutammo e lui mi invitò a sedermi su di un vecchio divano, mentre gli porgevo la borsa a tracolla all’interno del quale si trovava Jimmy - alias il capro espiatorio.
- “Valerie sta bene?” mi domandò, mentre cominciava a smanettare con un cacciavite per aprire il vano sotto la tastiera.
- “Molto bene. Ti saluta” inventai. Da quel punto in poi la conversazione divenne per me totalmente incomprensibile. Max cominciò a sparare a ripetizione un numero infinito di termini informatici dei quali io nemmeno conoscevo l’esistenza ed iniziai a domandarmi se, per caso, stessimo parlando la stessa lingua. Ogni tanto - ma proprio ogni tanto - riuscivo a cogliere qualche sillaba conosciuta.
Ha detto hardware?
- “Penso che sia questa la causa” terminò.
E pensare che io credevo che la causa fosse una martellata ben assestata…
Ci lavorò più o meno per un’ora, tempo per fare un’analisi del luogo in ci viveva. Il mobilio lasciava molto a desiderare, ma gli elettrodomestici erano di ultima generazione, curati e conservati come preziosi. Abitava da solo e immaginai che passasse gran parte della sua vita nel suo piccolo rifugio ovattato, dove la tecnologia la faceva da padrona.
Non era un brutto ragazzo; certo, non era un adone, però era intelligente e simpatico e, se solo si fosse aperto un po’ di più con il mondo - e avesse frequentato una palestra -, le ragazze avrebbero fatto la fila per uscire con lui. Io, ad esempio, ci sarei uscita più che volentieri con un hacker; ci avevo sempre trovato qualcosa di intrigante e pericoloso in quei pirati del web che con una tastiera ed i programmi giusti erano in grado di rivoltare internet a loro piacimento. Proprio come quando i seguaci di Julian Assange avevano mandato in tilt per ore il sito della Mastercard perché quest’ultima aveva osato chiudere il conto corrente del loro beniamino. Giusta o sbagliata che fosse quella reazione, alla fine ciò che era risultato era che gli hacker sono persone con il coltello dalla parte del manico. Sempre.
A proposito di manici, i minuti scorrevano ed io non avevo ancora risolto un bel niente. Jimmy stava ritornando ad essere vecchio e lento come di consueto, ma la sua proprietaria non aveva finito di elaborare un piano d’azione valido abbastanza da finire diretta nel letto del nerd che aveva di fronte.
Il vantaggio era che non avevo l’ansia da prestazione, dal momento che presumibilmente l’ultima vagina che aveva visto era quella di sua madre durante il parto.
Max appoggiò il mio computer sul tavolo e disse che avrebbe preferito tenerlo per un altro giorno per assicurarsi che funzionasse nel modo corretto, altrimenti avrebbe dovuto procurarsi un nuovo nonsoche.
Prima di tornare a sedersi accanto a me sul divano, accese un giradischi e nella stanza si diffuse It’s a man’s, man’s, man’s world di James Brown, una di quelle canzoni con cui ti esibisci davanti allo specchio con la spazzola come microfono e ti lasci trasportare dal ritmo. Cosa che - ça va sans dire- non avrei fatto di fronte ad altre persone, tanto meno di fronte a Max.
- “Ti piace?” mi chiese.
- “La adoro” confessai.
Senza parlare, mi prese la mano e mi alzò, stringendomi a lui e facendomi volteggiare per il suo salotto.
Che succede?
Ero in uno stato di evidente imbarazzo e mi riusciva difficile credere di essermi così tanto sbagliata su di lui. Era un gentiluomo ed io volevo soltanto scopare. Per vincere una scommessa. Dio, da quando ero diventata così cinica? Colpa di Nick, ovvio.
 
Tornai a casa che mi sentivo una merda. Come quando alla fine di una partita di calcio non troppo brillante, il commentatore dice: “Hanno portato a casa il risultato”. Ed io avevo portato a casa il risultato, con una prestazione non indimenticabile e gravata da un immenso peso chiamato senso di colpa. Lui era stato dolce, mi aveva fatto ballare, mi aveva adagiato con premura sul letto prima di… sì, insomma, fare quello che doveva. Aveva slacciato piano i bottoni della mia camicia e quelli dei pantaloni, prima di sfilarmeli rapido e buttarsi su di me. Lo avevo lasciato fare - non ci pensavo nemmeno a stare sopra, credo che lo avrei ucciso! - e tutto sommato non era stato peggio di altre volte e, sicuramente meglio di Chambers. Ma parecchio al di sotto di Ralph.
Il campanello suonò più volte.
- “Sto uscendo, giuro, Will! Sto arrivando”. Ripresi la borsa e aprii la porta. Nick.
- “Che gioia vederti. Penso di riuscire ad attraversare il pianerottolo anche senza scorta. Grazie”.
- “Ciao anche a te, Sammy” si lamentò, mentre Kay, vestita con un abitino rosso che le esaltava gli occhi scuri, spalancava la porta e ci faceva accomodare. Le sorrisi e mi diressi in cucina da Will.
- “Ehi”.
- “Ciao Raviolo” rispose, continuando a preparare gli antipasti. Preparai la guancia per ricevere un bacio che non arrivò mai. Ci rimasi male.
- “Scusa, ma adesso cosa sei, fidanzato?” dissi, non senza un pizzico di cattiveria nel tono di voce.
- “Tesoro, sei gelosa?”. Si voltò e mi guardò sorridente.
- “Sì. - esclamai - La conosci da trenta secondi e già la fai stare qui?”.
- “E’ solo una cena, Sam. E’ arrivata con Nick, comunque, non è stata qui tutto il pomeriggio. E poi stiamo festeggiando un compleanno, mica le ho chiesto di convivere”.
Non mi convinci, Yankee dei miei stivali.
- “Abbiamo fame” si lamentarono dall’altra stanza.
Gli voltai le spalle, ma lui mi afferrò la vita da dietro e mi strinse a sé. Mi stampò un bacio sulla guancia e mi trasportò fino al salotto, mentre le mie gambe penzolavano a destra e sinistra. Gli altri due ospiti ci guardarono sorpresi.
- “Ogni tanto devo ricordarle che è la mia migliore amica e che è insostituibile”. Era la prima volta che me lo diceva apertamente e mi fece un immenso piacere. Mi lasciò e ci fece accomodare a tavola. Mi sedetti accanto a Will, che aveva di fronte a sé Nick, mentre io avevo davanti Kay.
Cercai di evitare di guardare il quarto incomodo, fingendo di essere soltanto in tre. Ciò non fu sempre praticabile, perché gli altri due cercavano sempre di coinvolgere tutti nella conversazione.
- “Kay, perché non mi racconti un po’ di Nick quand’era piccolo?” dissi all’improvviso, sperando che potesse saltar fuori qualche ricordo poco lusinghiero.
Lei non si fece pregare due volte e cominciò a narrare dei piccoli aneddoti sulle prime cotte adolescenziali, di quando portava i fiorellini alla sua fidanzatina o di quando aveva perso entrambi gli incisivi all’asilo, inseguendo una bimba di cui era innamorato sullo scivolo.
- “Smettila Kay! Le stai raccontando un mare di cazzate!” disse Nick, ridendo e cercando di limitare i danni provocati dai racconti della cugina.
- “Già, perché tu hai l’esclusiva… no?” m’intromisi acida.
Avrei potuto evitare, ma mi era stata servita su di un piatto d’argento e non ero riuscita a trattenermi. La ferita era freschissima e avrei sfruttato qualunque occasione per ricordargli quello che mi aveva fatto.
Nick si pulì la bocca con il tovagliolo e tornò a fissare il piatto che aveva davanti a sé. Appoggiai la forchetta al piatto e lo guardai con aria di sfida, mentre tutto intorno a noi la tensione si poteva tagliare con l’affettatrice.
- “D‘accordo, ragazzi, è evidente che ci sia un problema tra voi. - la voce di Will ci ricordò della sua presenza nella stanza, insieme a quella di Kay - Volete risolvere una volta per tutte? Non ho intenzione di farmi rovinare la domenica per questa cosa”.
- “Nessun problema” mi affrettai a dire.
- “Sam, per favore. Quest’atteggiamento non giova a nessuno” mi sgridò il mio vicino.
- “Vuoi sapere la verità?”.
- “Possiamo parlarne in privato?” intervenne Nick.
- “La mia risposta è no.”
- “Andate pure in camera mia” disse Will, d’accordo con Nick, e gli indicò la direzione da seguire.
- “Ho detto no. - urlai, con un cenno di rimprovero al mio vicino - Se dobbiamo chiarire, possiamo farlo tranquillamente davanti a tutti; io non ho niente da nascondere”.
Nick ignorò le mie parole, si alzò e mi trascinò per un braccio fino alla camera di Will, non senza che io cercassi di liberarmi da quella presa. Lasciò che la porta si chiudesse con un tonfo sonoro e mi mollò l’arto.
- “Scusa. - disse infine - Okay? Scusa. Mi dispiace di averti raccontato una balla”.
- “Sai cosa me ne faccio delle tue scuse?”. Preferii non continuare, perché ero una donna e parlare di vari ‘buchi’ del corpo umano dove avrei potuto mettere le sue scuse non sarebbe stato il massimo della finezza.
- “Cosa vuoi che faccia? Che strisci per implorare perdono?”.
- “Voglio sapere perché mi hai detto che non eri tornato”. Si mosse in lungo e in largo nella stanza e ciò contribuì ad accrescere il mio nervosismo. Non rispose.
- “Sto aspettando. Perché non ci hai detto che eri di nuovo a Londra?”.
Attesi ancora qualche minuto, mentre lui continuava a camminare su e giù, senza proferire parola. Il mio limite di sopportazione fu raggiunto.
- “Io me ne vado” esclamai.
- “Aspetta” mi pregò.
- “Allora metti insieme due frasi e spiegati! - sbottai - Ti sto solo chiedendo il motivo che ti ha spinto a mentirci. Porca miseria, Nick, siamo amici! Perché non l’hai detto a me o a Will?”.
- “Will lo sapeva” ammise infine, a denti stretti.
A quel punto ci fu solo confusione nella mia testa. Ma ci fu anche un istante di consapevolezza mista a concentrazione.
Che idiota che sono. Will aveva cucinato a casa di Nick la sera del suo compleanno. Perché avrebbe dovuto farlo, se non per la solida convinzione che il festeggiato avesse già fatto ritorno nella capitale? Decisamente idiota a non averci pensato prima.
- “Will lo sapeva. - gli feci eco - Allora il trattamento da stronzo l’hai riservato solo a me. Gentile da parte tua”.
- “È più complicato di quanto tu creda”.
- “E allora spiegami, dannazione! Parla!”.
- “Volevo passare il compleanno con mia cugina”.
Freud aiutami tu. Non è che era innamorato di Kay?
- “È una tradizione; lei ha due anni in più di me e, compiendo gli anni il giorno dopo di me, ci facciamo sempre un giro di bevute in qualche bar brindando all’anno che se ne andato”.
- “Tutto qua il complicato?” dissi delusa.
- “So che ti saresti fatta strane idee, scomodando la psicanalisi per arrivare all’assurda convinzione che io e lei avessimo una relazione incestuosa o cazzate simili”.
Io? Ma quando mai?!
- “Beh, non è così  assurda come idea”.
- “Lo è, Sammy. È come una sorella per me, il solo pensiero di farlo con lei mi fa contorcere le budella” disse disgustato dal solo pensiero.
- “Se lo dici tu…” risposi poco convinta, non perché non lo fossi davvero, ma giusto per fare un po’ la sostenuta.
- “Siamo a posto ora o mi lancerai frecciatine tutto il giorno?”.
- “Fingerò di credere a questa scusa e per stavolta te la cavi, MacCord”.
Mi sorrise con i suoi occhi chiari e mi aprì la porta per tornare in soggiorno, dove noi credevamo di aver lasciato Will e Kay e dove, invece, ritrovammo due cozze vergognosamente appiccicate l’una all’altra. Nick si schiarì la gola e i due si ricomposero, tornando seduti ciascuno sulla propria sedia.
- “Allora, mangiamo il dolce?” propose Will rosso in volto.
Sparì in cucina per andare a prendere la torta e lo spumante che aveva portato Kay. Presi i calici da dessert, li posizionai sul tavolo e Nick li riempì con il vino.
- “Naturalmente a me stesso per i miei venticinque anni e alla mia cuginetta che oggi ne fa ventisette”.
Ecco cosa mi aveva detto prima Nick! Era il compleanno di Kay ed io non avevo nemmeno uno stupido presente da darle. I ragazzi le porsero i loro regali.
- “Mi dispiace… - mugugnai con lo sguardo basso - Non avevo idea che oggi la festeggiata fossi tu. Non ho comprato nulla”.
- “Ma figurati! - mi rassicurò - Potresti regalarmi quelle bellissime ballerine di Marc Jacobs che indossi”.
Sì, contaci.
- “Non te le darà mai, nemmeno sotto tortura!” rise Nick e non aveva torto; le avrei venduto un rene, piuttosto, o le avrei procurato un criceto siberiano a pois con le zampe da pinguino.
- “Spiacente, - risposi - le mie scarpe non le do neppure in prestito!”. A parte che non avevo nessuno a cui prestarle, perché Lily e Valerie avevo un piede chilometrico e non ero sicura che a Will potessero donare le mie decolleté.
- “E allora mi regalerai un po’ del tuo tempo per fare shopping”. Ecco, quello era decisamente più possibile.
- “Su questo non ho obiezioni”. Will le regalò un libro - su consiglio di Nick - e il caro cugino un bellissimo paio di orecchini etnici che s’intonavano alla perfezione all’aspetto da bohemien della festeggiata.
Ciascuno ebbe la sua fetta di dolce e i brindisi si sprecarono, finché qualcuno propose di giocare a kiss or tell, dal momento che non avevamo potuto metterlo in pratica la sera prima. Il tutto consisteva nel fare una domanda piccante a qualcuno scelto a rotazione; quest’ultima era libero di scegliere tra rispondere o baciare colui che gli aveva rivolto lo scomodo quesito. Ci sedemmo sul tappeto e fu stabilito che fossi io la prima.
- “Domanda per Kay. È mai successo niente con Nick?” chiesi curiosa.
Lei si sporse velocemente verso di me, senza pensarci due volte e mi baciò. Nulla di sconvolgente, mi era già capitato al college di avere sulle labbra quelle di un’altra donna, ma la cosa aveva fatto sempre più piacere agli uomini intorno a noi che ci guardavano con la bava colante dall’eccitazione. Per noi ragazze era uno scherzo per osservare la reazione dei maschietti che, invece, già si immaginavano in mezzo a noi tra le lenzuola. E Nick e Will non furono da meno, con uno stupore evidente stampato in faccia. Io e Kay ridemmo e i ragazzi cercarono di tornare ad assumere un’espressione normale.
- “Andiamo avanti!” decretai.
Inutile dire che Will e la sua nuova amica non fecero altro che scambiarsi effusioni, durante il gioco e non. Nick rispose a tutte le domande che gli furono poste, nonostante alcune - tra cui ovviamente le mie - fossero maliziose e lo mettessero sempre in discussione.
- “Hai mai pensato di farlo con mio cugino?” mi chiese Kay all’improvviso e, per poco, non mi strozzai con lo spumante.
Esitai. Ancora. E ancora.
No, no, la risposta è no! E allora perché stai facendo melina?
Sei paia di occhi si incollarono divertiti su di me.
Sam, parla, Dio santissimo!
- “No!” mentii spudoratamente e con troppa foga per apparire veritiero. Perché sì, ci avevo pensato almeno un migliaio di volte a lui sulla scrivania del mio ufficio o sulla porta di casa mia. Ma così come Jensen Ackles, David Gandy o Noah Mills, giusto?
- “Non ci sarebbe nulla di male, sai? Sono un ragazzo fantastico, simpatico, sexy…” si autoelogiò Nick, scherzando.
- “E soprattutto modesto” terminai.
- “Dai, Nick, scendi dal piedistallo e fai la domanda a Sam” lo incitò Will.
- “D’accordo, d’accordo. Allora, Sammy… cosa potrei chiederti? Ci sono! Perché hai così tanta paura che gli altri possano sapere che sei terribilmente attratta da me?”.
Quella faccia da strafottente impenitente mi irritava come nient’altro era in grado di fare. Decisi per una risposta che fosse il più chiara possibile. Appoggiai sul tavolino davanti al divano il bicchiere di vino - il quarto circa - e mi sporsi in direzione di Nick; afferrai con una mano la sua camicia azzurra e lo tirai verso di me.
- “Io non ho paura di niente!” esclamai in pieno spirito da cowboy di film western.
Lo baciai sulle labbra e gliele feci socchiudere fino a giocare con la sua lingua per una decina di secondi, dopodiché lo spinsi - sempre con la mano puntata sul suo petto - al suo posto. Baciare lui era meglio di fare shopping, mangiare un dolce e ricevere un regalo gradito messi insieme; era stato coinvolgente e bello anche trovare le sue labbra impreparate. Baciare lui era come avere mille ballerine di Marc Jacobs.
Riafferrai il calice in mano e riproposi un brindisi, facendo cadere un po’ di spumante sul tappeto.
- “A me che ho fatto una cosa di cui tra diecio minuti mi pentirò”. Gli altri si unirono a me e continuarono a sghignazzare. Il gioco terminò lì e decidemmo di congedarci. Mi feci una doccia breve, stando attenta a non bagnarmi i capelli e mi infilai sotto le coperte. Il cellulare sul comodino era illuminato. Un messaggio.
E’ strano andare a letto con il suo sapore sulle labbra… notte Sammy, N.
Strano? Cosa vuol dire strano? Era uno strano positivo - tipo mi piacerebbe bissare - o uno strano negativo - tipo bleah che schifo non riprovarci mai più? Mah…
Posai il cellulare sul comodino, spensi la luce dell’abat-jour e guardai il soffitto per la mezz’ora successiva; il sonno si era perso per strada e, ancora una volta, la colpa era sempre e solo di Nick.
 
 
 
 
Buona domenica a tutti!Che finalmente qualcosa si stia muovendo tra la piccola Sammy e Nick? Settimana scorsa mi sono dimenticata di ricordarvi che il compleanno di Nick non era una cosa campata in aria, visto che c’era già un riferimento nel secondo capitolo. Lo preciso giusto perché altrimenti sembrava una cosa buttata lì!
La canzone del titolo è un riadattamento di “Blame it on the girls” di Mika.
Grazie!
S.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. It Takes A Fool To Remain Sane. ***


Capitolo diciassette. It Takes A Fool To Remain Sane.
 
Dormire. Se mi avessero dato un penny per ogni minuto che avrei voluto farlo, a quest'ora starei giocando a poker con Bill Gates sotto una palma in qualche isola tropicale, sorseggiando un cocktail con gli ombrellini dentro e cambiando scarpe ad ogni ora del giorno e della notte. Purtroppo la sveglia non ha mai perdonato nessuno e troppo spesso mi sono ritrovata davanti allo specchio, armata di correttore per coprire antiestetiche borse e occhiaie, prima di scappare in ufficio - in ritardo, ovviamente.
La mattina dopo il bacio con Nick a casa di Will non fece eccezione. Avevo passato la notte a fare sogni erotici su un giovane assistente che avevo incontrato nella mia carriera universitaria a Cambridge, quando, soprattutto i primi tempi, mi ero concentrata molto più sul passare in rassegna la fazione maschile del campus che sullo studio. Non era di certo la prima volta che mi perdevo in fantasie sul professor Bentley; quella in cima alla top tre era di sicuro quando mi ero addormentata a lezione, in fondo all'aula, e mi ero immaginata di farlo con lui in una centrale di polizia, dietro i vetri che ti consentono di vedere all'interno, ma non all'esterno. Megalomane. 
Mi ero svegliata di scatto con il sedere sul pavimento e l'intero corpo studentesco che mi fissava. Quel momento era entrato di diritto anche nella top tre delle cose più imbarazzanti della mia vita. Però almeno Bentley mi aveva notata...
Durante il tragitto sul taxi, tirai fuori dalla borsa la copia del London Express del giorno precedente e lo sfogliai, soffermandomi sull'enorme titolo in seconda pagina: Ralph J in manette. Sgranai gli occhi e presi a leggere velocemente il contenuto dell'articolo.
Il famoso cantante è stato arrestato la notte scorsa per induzione e sfruttamento della prostituzione. Numerose le prove fotografiche a supporto della tesi degli investigatori.
Seguiva un'immagine dei poliziotti che lo spingevano nella volante come un qualunque furfantello, mentre lui aveva la sua solita faccia naif da cucciolotto smarrito che non si rende ben conto di quanto sta accadendo.

No, non è possibile. Esortai il tassista a portarmi a destinazione al più presto. Gli lasciai la mancia e presi l'ascensore fino al piano della redazione di Music Magazine. I colleghi stavano già facendo a gara per accaparrarsi il pezzo sul rapper più chiacchierato del momento e stavano assediando la scrivania di Valerie, implorando di essere i prescelti. Mi feci largo tra la folla e arrivai alla capo redattrice che, in barba alla baraonda che si consumava attorno a lei, si stava diligentemente limando le unghie, appoggiata alla poltrona imbottita.
- "Val!" le gridai, cercando di sovrastare gli schiamazzi degli altri.
- "Sam. Ho bisogno di parlare con te. Ora tutti fuori!" gridò autoritaria e la massa si dileguò piano piano, non senza avermi dato della raccomandata o aver sbuffato rumorosamente.
Le misi davanti agli occhi il giornale che avevo letto e lei ricambiò con la nuova copia del Times, che forniva ulteriori informazioni rispetto alle signorine che si sarebbero intrattenute con Ralph.
- "Tu lo hai conosciuto, vero?" mi chiese sognante.
- "Sì, certo, ma..." risposi.
- "Voglio uno scoop con i controfiocchi, Samantha. Questo è un vero colpo di fortuna per noi e soprattutto per la tua carriera!".
- "Non credo che..." tentai di spiegare.
- "Potrebbe essere il tuo trampolino di lancio. Dovresti ringraziare quelle escort perché saranno loro che ti porteranno dritta nell'élite del giornalismo contemporaneo. Già ti vedo con in mano il Pulitzer! Chi se lo sarebbe mai immaginato che uno pieno di soldi e con le donne che gli cadono ai piedi si sarebbe ridotto a pagare per fare sesso? - disse incredula - In ogni caso dobbiamo trovare il modo per fartelo incontrare in carcere. Sarà meglio che ti tenga informata, potrebbe uscire su cauzione da un momento all'altro. Voglio che tu trovi un escamotage per arrivare dritta a casa sua e farti confessare tutto. Tutto!".
- "Non credo sia stato lui!" riuscì a dire, non appena la macchinetta umana riprese fiato. Val mi guardò sconcertata.
- "Perché mai? Per dieci minuti di intervista?".
O vuoto il sacco o la conversazione girerà intorno alla questione per ore.
- "L'ho conosciuto; per poco, ma l'ho conosciuto".
- "Perché ho come la sensazione che c'entri qualcosa la scommessa con Nick?".
Tombola!
- "Perché è così" ammisi infine. Le pupille di Valerie si dilatarono in un'espressione di incredulità mista a rabbia.
- "Sei stata a letto con un frequentatore di escort?".
- "No, sono stata a letto con Ralph". Non avevo molte informazioni su di lui, ma avevo trascorso la notte con quell'uomo, dannazione! E lui aveva pianto per me, dopo solo qualche ora insieme; era un tenerone, un ingenuo ed io avevo il dovere di credere alla sua innocenza almeno fino a prova contraria. Aveva cantato Celine Dion: se non era una prova della sua innocenza questa...
In quel momento Amanda irruppe nella stanza, facendoci fare un salto sulla sedia.
- "Ciao Sam. Val, è arrivato l'aggiornamento sul sito del Times con le prime foto!". Prendemmo immediatamente il portatile dell'ufficio e arrivammo sulla homepage della concorrenza.
- "E' nuovo questo computer?" chiesi, notando l'inequivocabile grafica della Apple.
- "Sì. - mi rispose, continuando a smanettare con la tastiera - E' il nuovo MacCord Pro". MacCHE?
- "Cos'hai detto, scusa?" domandai allarmata.
- "MacBook Pro" ripeté seccata.
Ah, ho capito male!
Qualche istante dopo, due immagini si caricarono; una ritraeva Ralph in compagnia di due ragazze bionde in quello che sembrava il bagno di una discoteca, nell'altra c'era sempre lui, ma stavolta con una ragazza sui vent'anni che aveva un'aria familiare in un ambiente altrettanto familiare.
- "Lei... - disse Valerie, indicando la stessa giovane oggetto dei miei pensieri - mi sembra di averla già vista da qualche parte".
In quel momento capii chi fosse; guardai la caporedattrice e scandii bene le parole.
- "Preparati. Si va a York".
Le lasciai giusto il tempo di prendere la borsa e di dire alla sua segretaria di posticipare gli appuntamenti e poi la presi per un braccio e la trascinai alla sua auto. 
- "Chi è la ragazza?" mi chiese mentre la strattonavo fino a farla sedere al posto del guidatore.
- "E' la prostituta di Soho". Quella semplice frase servì a zittirla e, forse, anche a farle credere una volta di più che Ralph c'era dentro fino al collo. La giovane era la donna che avevamo visto in compagnia di Sam Banks durante la nostra ricerca di un ladro, subito dopo aver subito quel tragicomico borseggio da parte del sedicenne gracilino ed insicuro che voleva la mia Balenciaga.
Cazzocazzocazzo. 
Ciò provava che Il mio caro rapper aveva avuto rapporti con il mondo della prostituzione. E che rapporti...
Non ero certa che quel viaggio fino a York potesse aiutarci, ma non avevo molta scelta; mi ero messa in testa di aiutare Ralph ad uscire dal pasticcio in cui si era cacciato suo malgrado e Sam1, al momento, era l'unica traccia che potessimo seguire. Non potevo credere il contrario: quell'uomo aveva pianto dopo una notte di sesso con una sconosciuta - io! -, figuriamoci cosa sarebbe diventato se avesse dovuto sprecare lacrime per tutte le sgualdrinelle che lo accusavano di averle portato a letto. Probabilmente, avrebbero creato il lago RJ in suo onore.
 
Dopo quattro ore di viaggio e due soste pipì per Valerie, arrivammo finalmente a York. La città era incantevole come ricordavo, con l'imponente cattedrale gotica e quelle viuzze strette e suggestive. Cominciammo a chiedere un po' in giro se qualcuno conoscesse il nostro Sam1, ma le informazioni scarseggiavano, finché non ci imbattemmo in un ragazzo sui venticinque anni che stava facendo jogging e che, con gli occhi che gli brillavano al solo nominare Banks, ci disse di provare alla biblioteca cittadina, dove un intero reparto era dedicato all'idolo locale.
Lo salutammo, dimenticandoci di essere delle straniere in quella città e che, pertanto, non avevamo la minima idea di dove fosse la biblioteca. Fu del tutto inutile girarsi per riacciuffare il giovane sportivo, dal momento che era già lontano almeno una cinquantina di metri. Dovemmo fermare un altro passante, una coppia anziana a dire il vero, per chiedere informazioni. Il marito si guardò attorno confuso, come se non ricordasse nemmeno dove fosse.
- "Oh, Arthur, sei proprio un vecchio rimbambito! - esclamò la moglie - E' da quella parte e, quando arrivate, chiedete del bibliotecario. Si chiama Mister... Mister... Mister...". Perché tutto ricordava Nick?
Se lo dice un'altra volta le faccio saltare la dentiera. 
Val disse alla donna che non era importante e ci congedammo, pronte a verificare che le indicazioni fossero corrette. Ci impiegammo un quarto d'ora solo per farci notare dal vecchio impiegato alla scrivania principale con gli occhialetti a mezza luna posizionati sul naso. Aveva una targhetta con il proprio nome appuntata sul maglione, ma rimaneva coperta dal suo stesso braccio, impegnato a battere a computer.
- "Scusi?" osai disturbarlo.
- "Che volete?" rispose in modo rude.
E' parente di Katy, per caso?
- "Volevamo sapere dov'è il reparto con gli scritti di Samuel Banks". Il vecchio cominciò a sorridere.
- "Oh, Sam, quel grand'uomo". E via con uno sproloquio di mezz'ora sulle mille ed una qualità del nostro caporedattore; qualcosa ci sfuggiva, era evidente, perché non era possibile che nella sua città natale fosse una star, mentre a Londra e nel resto del Regno Unito non ci fosse anima viva che sapesse chi diavolo fosse.
Il vecchio ci condusse con piacere ai venti scaffali che ospitavano le opere di Sam1 e libri, riviste, documentari che lo vedevano protagonista. Dopo un'attenta analisi dell'intero materiale, l'idea che ci eravamo fatte era una ed inequivocabile: Samuel Banks era il nuovo Messia; praticamente perfetto sotto ogni profilo - da quello personale di padre, a quello professionale di giornalista -, si distingueva dall'intera popolazione del piccolo quartiere in cui era nato per una spiccata intelligenza che lo aveva portato ad ottenere una borsa di studio in uno dei college più prestigiosi e costosi  degli Stati Uniti, dove si era laureato a pieni voti. Era, quindi, tornato a casa ed aveva intrapreso una sfavillante carriera da cronista, salvo poi sospenderla bruscamente e abbandonare York per sbarcare a Londra. Sulle motivazioni circa questo repentino ed inaspettato cambiamento, la stampa locale non sembrava essersi prodigata in molte ricerche e ciò era parecchio strano. 
- "Ehi, Sam, guarda qui". Valerie mi passò un quadretto che riportava l'atto di iscrizione all'anagrafe di Samuel Charles Banks Jr.; era figlio di tale Samuel Sr., un impiegato di umili origini, e di Lady Loretta Francine Cordelia Clarice St.Clair, una nobile originaria di Churchtown, un paesino vicino York praticamente di proprietà della sua famiglia. Quindi, il caro Sam aveva pure la favola di Cenerentola al contrario in casa.
- "Val, su quest'altro documento c'è scritto che la madre era azionaria di un giornale, non specificato però. Questo potrebbe giustificare l'ascesa rapidissima nella carta stampata, ma non la fuga a Londra".
- "Facciamo qualche fotocopia e torniamocene a casa".
Dovemmo prostrarci ai piedi del bibliotecario per ottenere il consenso di avere delle copie dei preziosissimi documenti su Banks, però alla fine gli mostrammo una banconota da cinquanta e qualche sorriso e riuscimmo ad uscire con tutto il materiale.
Lo lasciammo in macchina e passeggiammo tra le vie di York, fermandoci in una deliziosa pasticceria dove una gentilissima ragazza bionda ci servì dei dolcetti ed un tè caldo. Dopotutto eravamo inglesi!
- "E' un sacco di roba quella che abbiamo raccolto. - commentai, sbuffando - Ci vorrà un secolo per leggerla tutta".
- "Vuoi aiutare Ralph o no?" rispose Valerie.
- "Certo. Anche tu ci guadagni in questa storia, bella mia. - Lei si finse sorpresa - Oppure non avevi pensato al successo che MM potrebbe avere se facessimo lo scoop del secolo?".
- "Qualche pensierino l'ho fatto in effetti... - sorrise - Il problema è che non sappiamo quale sia il collegamento, sempre che ci sia, con Sam1 e, soprattutto, come possiamo lavorare in tranquillità se lui fa parte del giornale".
Quella era una questione da non sottovalutare, in quanto prevedeva prove e lavoro occultati e un occhio sempre vigile affinché Banks non ci stesse controllando.
- "Un passo alla volta, Val. Per ora raccogliamo tutto e poi vedremo come riuscire a tirare Ralph fuori dal guaio in cui l'hanno cacciato".
- "A proposito! Come mai questa cieca fiducia nei suoi confronti?". Le spiegai come in realtà non potessi essere certa della sua innocenza fino in fondo, ma aggiunsi anche l'intero resoconto della serata passata a casa di lui, del pianto isterico mattutino e del fatto che fosse un bamboccione nella vita di tutti i giorni, invece del rapper bastardo e menefreghista che si vedeva in tv.
- "Ralph J  piange?" chiese incredula. Passai la mezz'ora successiva a contenere le sue risate.
 
York era una cittadina molto carina, viva, storica, interessante... per i primi sessanta minuti. Dopodiché, era pura noia. 
- "Sam!". La voce di Valerie mi fece riprendere dallo stato di catalessi nel quale ero crollata dopo la merenda, seduta su di una panchina che guardava direttamente sul lato sinistro dell'imponente cattedrale. Non le risposi, limitandomi a voltarmi verso di lei che era in piedi di fronte ad una bacheca piena di volantini.
- "Stasera c'è un pic-Nick!". Mi alzai di scatto come se avessi ricevuto una scossa elettrica.
- "Cosa?" urlai.
- "Un pic-nic. - mi guardò stralunata. Dio, sto impazzendo - E noi ci andiamo!" gridò esaltata.
- "Non credo. Noi andiamo a casa. Ora". 
- "Ma non possiamo perdercelo! E' un pic-nic anni '60, quindi ci vestiremo come delle dive hollywoodiane e poi torniamo a casa. E comunque guido io, quindi non hai molte chance di spuntarla". Mi arresi definitivamente quando pronunciò la parola shopping e mi spinse in una boutique da cui sapevo già saremmo uscite in mutande, visti i prezzi folli. Comprai un vestito da educanda bianco con  fantasia nera, poco scollato e non troppo lungo, mentre Valerie uno al ginocchio con stampa floreale. Le mie scarpe erano alte e stringate e quelle della mia amica rosa confetto, spuntate e con un fiocchetto. Passammo dal parrucchiere che ci preparò come due copie - mai belle quanto l'originale, ovvio - di Audrey Hepburn nella foto più celebre che si ricorda della diva.
Passeggiammo perfettamente fuori tempo tra le vie di York, attirando gli sguardi curiosi della gente, fino ad arrivare al punto di ritrovo dove il pic-Nick - sì, meglio arrendersi all'evidenza che Nick mi aveva invaso il cervello e rivoluzionato i pensieri - avrebbe avuto luogo. Sentimmo in lontananza una musica familiare e ci avvicinammo.
- "E' Gold degli Spandau Ballet!" urlai, elettrizzata. Cominciai a ballare, canticchiando la canzone e Valerie mi segui a ruota.
- "Gold, always believe in your soul; you've got the power to know. You're indestructable!" ci scatenammo, fino a che le porte non si aprirono dall'interno, rivelando un ambiente tutt'altro che chic. C'era una palla stroboscopica, spalline e frisé a tutto spiano. L'intera sala ci guardò come se fossimo due pazze aliene venute da un altro pianeta.
- "Mi sa che ho sbagliato a leggere" disse timidamente Valerie.
- "Ma non mi dire! Hai sbagliato di vent'anni. Scusate il disturbo!" urlai e cominciai a correre dopo aver preso per mano quell'idiota della mia amica.
Raggiungemmo di corsa la sua auto e partimmo di corsa, prima che qualcun altro ci vedesse. Sulla macchina scoppiammo a ridere, ripensando alla figuraccia; altro che star del cinema degli anni '60!Eravamo diventate due discotecare degli squallidi anni '80, il kitsch del kitsch in fatto di gusto.
- "Avremmo dovuto capirlo da Gold. E meno male che lavoriamo per una rivista musicale! Siamo pessime, Val!" risi.
- "Metti su i The Ark, dai". Presi il cd e lo inserii nell'autoradio. Let your body decide.
- "Parlando di corpi... - disse maliziosa - Come stanno le chiappe più belle che conosco?".
- "Nick sta bene. E ieri sera l'ho baciato. Ancora".
Per poco non inchiodò nel mezzo dell'autostrada.
- "Me lo dici così? Sto guidando, ti rendi conto?". Risi.
- "E' stato bello, Val" confessai, quasi senza nemmeno realizzare quello che stavo dicendo. Sentii le guance avvampare e il cuore battere forte.
- "Per me dovresti andarci a letto; con il sesso tutto è molto più chiaro, più limpido, più nitido. E tanto tanto tanto divertente. Lasciati andare e capirai cosa vuoi". Non mi permise di replicare e cambiò canzone. It takes a fool to remain sane.
- "Dovrebbe aiutare?" domandai scettica.
- "Shhh".
- "Avrei preferito Good girls go bad".
- "Shhh" ribadì.
- "L'importante è che poi Nick non diventi Father of a son".
- "Taci!" ordinò ed io smisi di blaterare.

Do, do, do what you wanna do
Don't think twice, do what you have to do
Do, do, do, do let your decide
What you have to do
That's all there is to find

Mettemmo il repeat per le restanti ore di viaggio ed io sfruttai quel tempo per convincermi che sì, dovevo farmi sbattere da Nick, sì! Mi sentivo come un pugile caricato a dovere prima di un'importante gara, forse quella decisiva, quella della vita. 
Ci invertimmo i posti perché Valerie stava per addormentarsi sul volante - era comunque l'una di notte - ed io la portai a casa, da Jonathan che la stava aspettando sulla porta.
- "Ciao Sam-my fa piacere vederti" esclamò lui.
- "Eh?" chiesi.
- "Lascia perdere, tesoro. - disse Valerie al marito - La nostra Sammy è fuori di sé stasera. Vai e colpisci, donna!".
Quel Sammy/non Sammy mi fece cadere tutta la corazza di coraggio che mi ero costruita durante il viaggio. Intanto Val continuava a scalciare e a lanciarmi urla per spronarmi ad andare alla radice - che poi era pure la soluzione - del mio problema.
Jonathan la dovette quasi trascinare in casa e mi disse che c'era già un taxi fuori ad attendermi. Lo ringraziai e mi diressi un po' tentennante verso l'auto, dove un autista di mezza età mi salutò con garbo e non fece caso al mio abbigliamento.
Un sms di mia madre catturò la mia attenzione: Ti chiamo domattina perché ho bisogno di parlarti. Mamma. 
Bene, speriamo che non venga di nuovo a trovarmi. 
Le volevo bene, certo, ma un pizzico di più quando era a 400 km di distanza.

- "Ecco, signorina. Siamo arrivati. Sono 5£". Alzai lo sguardo e rimasi pietrificata: che fine aveva fatto il mio palazzo? Al suo posto c'era una schiera di villette tutte identiche, tra le quale, al numero sette, il campanello citava MacCord.
Che cavolo d'indirizzo ho dato al tassista?
Pagai e scesi: ormai ero lì.Feci un respiro profondo ed arrivai davanti al suo cancello, aperto, incerta se suonare - beep, risposta errata - o se scappare a gambe levate - plin, risposta esatta!
Superai il cancelletto e salii i gradini.
- "'Fanculo, non mi sono mai piaciuti i quiz televisivi" dissi ad alta voce. Suonai ancora, ma nulla accadde.
Segno del destino. Quando mi girai per tornarmene sui miei passi, la porta alle mie spalle si aprì, spingendomi a tornare a guardare verso la casa.
Perché non sono scappata? 
Nick indossava i pantaloni scuri del pigiama ed una canottiera grigia che lasciava in bella mostra i bicipiti che le habituées del Pumping Pumpkin ben conoscevano. Stentava a tenere gli occhi - assonnatissimi - aperti e si stava scompigliando i capelli, già disordinati dal cuscino. Rivederlo mi fece capire perché mi ero precipitata da lui: era sexy, mannaggia, anche e soprattutto quando preso alla sprovvista, come in quel momento o come la sera precedente a casa di Will.

- "Sammy?! - disse con la voce impastata, con un tono a metà tra la domanda e l'affermazione - Arrivi direttamente dagli anni '60 o hai fatto una tappa intermedia?" scherzò, notando il mio vestito.
- "Lunga storia. - liquidai - Dormivi?". 
Che domande fai?

- "No, pettinavo il mio t-rex" ironizzò. Era una velata - e presuntuosa - allusione al suo pene o ero io che volevo parlare del suo pene?
- "Ah. Comunque sono passata solo per questi". Trassi dalla borsa il sacchetto di plastica che conteneva i boxer imbarazzanti di Max che avevo scarrozzato per tutto il giorno. Nick non li prese; al contrario, mi guardò perplesso. Fermò la sua mano che stava torturando la barba corta e mi fissò di traverso, con un occhio semichiuso.
- "Ti sei fatta venti minuti di taxi alle due di notte per darmi un paio di boxer di Star Trek?" commentò, notando i disegni attraverso la busta trasparente.
- "Sì" dissi con un fil di voce.
- "Sì?" chiese di conferma.
- "No" ritrattai.
- "No?".
- "Mi stai facendo troppe domande" conclusi.
- "Troppe domande eh... certo che sei strana forte, Sammy". Ancora con questo strano?
- "Vuoi entrare?". Non me l'aspettavo.
- "Non so" risposi sincera. Perché ero lì, dannazione?
- "Allora facciamo che ti costringo così almeno superiamo questo impasse". Mi accomodai sul divano, composta come una dama dell'800, in un clima di totale disagio da parte mia.
- "Vuoi bere qualcosa? Un tè, un caffè, un cappuccino... " propose.
- "Non disturbarti".
- "Con il bollitore ci vorrà meno di un minuto".
- "Allora un tè, grazie". 
Brava, così ti agiti ancora di più e stanotte non dormi.

Mentre Nick andava in cucina, Mister riaffiorò dal seminterrato con un'andatura ciondolante e, dopo avermi attaccato qualche migliaio di peli sull'abito, cercò la sua ciotola dell'acqua, vuota. Mi guardò con due occhi languidi che imploravano aiuto; capii l'antifona e raggiunsi il suo padrone che, però, uscì proprio in quel momento con due tazze fumanti. Rotearono più volte in aria, prima di rovesciarsi sui nostri vestiti e frantumarsi a terra.
- "Ahhhhh!" urlai, constatando che il liquido bollente mi era finito metà sull'abito, metà sul seno destro in parte scoperto.
Tetta al fuoco! 
Cominciai a farmi aria con la mano, pizzicando la stoffa per scostare il tessuto bagnato dalla pelle.

- "Brucia!" gridai.
- "Perché ti sei alzata?" mi rimproverò Nick e si analizzò la maglietta macchiata.
- "Il tuo cane ha sete". Gli mostrai la ciotola vuota.
- "Vai in bagno ad asciugarti e a mettere un po' d’acqua su quella tetta arrossata. - Mi avviai verso il bagno, ma lui mi fermò sorridente - Aspetta! Tienila così: sembra più grande di quanto non sia!".
- "Cretino" commentai, ridendo.
Lo lasciai nel salotto e mi diressi verso la toilette per rinfrescarmi.
Come cavolo ho fatto ad allacciarmelo prima? Giusto, c'era Val.
Mi fissai nello specchio, rassegnata dopo l'ennesimo tentativo andato a vuoto di togliermi il vestito.
- "Si può sapere che cavolo ci fai qui? Idiota!" mi rimproverai da sola, sbattendomi un palmo sulla fronte.
- "Hai detto qualcosa?". Nick entrò nella stanza e si tolse la maglietta bagnata con nonchalance per poi buttarla nel cesto della biancheria sporca. Lo aveva chiesto senza nemmeno prestarmi molta attenzione, concentrato com'era nel compiere i suoi gesti. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso; lo guardavo muoversi aggraziato, cercando nei cassetti una t-shirt pulita. I muscoli si tendevano e rilassavano armonicamente ed erano perfetti. Lui era perfetto.
- "Vuoi una mano per togliere il vestito?" chiese senza malizia alcuna e si avvicinò, mettendosi alla mie spalle. Non riuscii a rispondere e lui lo dovette interpretare come un assenso. Trattenni il respiro quando iniziò ad abbassare lento la zip; il cuore correva senza sosta ed io avevo una paura folle che lui capisse come mi faceva sentire la sua presenza così vicina. Lesse la mia inquietudine e la sfruttò. I suoi occhi glaciali incontrarono i miei nel grande specchio con la cornice bianca del bagno color lavanda. Sentivo il suo fiato sulla pelle e le punte delle sue dita scorrere leggere dalla nuca fino al bordo degli slip. Inarcai lievemente la schiena e le palpebre cominciarono piano a scendere quando lui iniziò a poggiare le sue labbra umide sul collo. Spostò la manica più giù, lungo il braccio e proseguì ad accarezzarmi le spalle, mentre io appoggiavo la testa sul suo petto e il vestito mi scivolava via dal corpo per atterrare sul tappeto. Ero rimasta in reggiseno e brasiliano blu semi-trasparente, completamente addosso a lui e con una voglia incredibile di lui.
Levò con un gesto rapido il fermaglio che avevo nei capelli e, tenendo questi ultimi stretti nella mano, mi voltò verso di lui. Mi sciolsi sotto il suo sguardo colmo di desiderio ed eccitazione, così intenso da farmi sentire le ginocchia cedere. Nick sembrò capirlo e mi fece sedere sul lavello, dopo essersi levato la maglietta prendendola dal colletto. Lo afferrai per la nuca e lo baciai di slancio, senza pensare troppo alle conseguenze, a quello che sarebbe stato una volta usciti dal turbine della passione. D'istinto lo attirai a me con le gambe e le incrociai dietro la sua schiena, per stare il più vicino possibile a lui. Le sue mani mi cinsero i fianchi e mi spostarono fino a che non mi fecero sbattere sonoramente e senza alcuna delicatezza contro la porta del bagno; Nick mi sollevò una coscia e fece scendere lento gli slip, stando attento a farmi sospirare ad ogni minimo contatto con la sua pelle. 
La situazione mi stava scappando dalle mani, perciò lo allontanai di poco e gli abbassai i pantaloni della tuta, di cui si liberò velocemente. Il fatto che non solo io fossi impaziente di andare oltre era evidente dal rigonfiamento dei suoi boxer che mi premeva sul basso addome e che non mi permetteva di pensare ad altro; lui era eccitato ed era per causa - o merito? - mio e ciò mi riempiva d'orgoglio. 
Mi sganciò esperto il reggiseno e lo lanciò da qualche parte. Riprese a baciarmi il collo, muovendo le mani lungo tutto il mio corpo, mozzandomi il respiro; sembrava conoscesse già ogni centimetro della mia pelle e sapeva quali erano le zone che meglio facevano piacere ad una donna. Dopotutto era pur sempre uno striper...

Mi irrigidii un pochino, tornando alla realtà, e cercai di discostarlo per recuperare lucidità e focalizzare la situazione.
- "N-non possiamo" dissi incerta. Puntò di nuovo i suoi occhi nei miei; non capii mai se davvero si rendesse conto del potere che era in grado di esercitare semplicemente utilizzando il suo sguardo.
Fai quello che vuoi.
Insinuò le dita tra le mie cosce ed io mi lasciai sfuggito un gemito, mentre mi spalmavo sulla porta, trastullandomi nel suo tocco deciso e preciso. Percorse con il labbro inferiore la mia pancia, dall'ombelico fino al seno, dove si soffermò qualche istante, per poi risalire fino all'orecchio.
- "Allora dimmi di smettere" mi soffiò piano nell'orecchio.
Questa è circonvenzione d'incapace!
Mi leccò il lobo e mi cercò la lingua per intrecciarla con la sua e giocarci fino allo sfinimento e staccarsi da me per riprendere fiato. Ci scostammo dall'uscio e raggiungemmo la camera a tentoni, perché in tutto quello io avevo ancora le scarpe ai piedi. Me ne sbarazzai rapida e ci lasciammo cadere sul letto, avvinghiati l'uno all'altra. Gli sfilai di lato e afferrai l'orlo dei boxer, mentre lui si faceva sempre più impaziente di essere liberato da quell'inutile restrizione; lo accarezzai su e giù attraverso la stoffa, con il chiaro intento di continuare a provocarlo e prolungare la dolce tortura finché non mi avesse implorato di procedere. Guidò la mia mano al di sotto del tessuto ed io mi beai dei suoi sospiri, mentre mi muovevo su e giù, vedendolo contorcersi tra le lenzuola.
- "Sammy... " disse soltanto ed io capii. Nick ribaltò le posizioni ed io mi trovai spalle al materasso con lui sopra di me. Prolungò l'attesa, baciandomi nell'interno coscia, pungendomi la pelle con la barba corta di qualche giorno. Lo vidi infilarsi il preservativo con abilità, senza permettermi di distrarmi dal suo corpo scolpito e dai suoi occhi che mi facevano venire brividi lungo la spina dorsale, invadendomi la bocca con il suo sapore di menta. Quando scivolò con foga dentro di me e cominciò a muoversi ritmicamente, uno strano sentimento si fece largo: stavo... bene? Beh, logico. Quando fai sesso stai bene, no? A meno che tu non incontri Henry Chambers & co, chiaro.
Sam, agisci, fai qualcosa.
Forse quella era l'unica opportunità di farlo con lui, quindi perché non sfruttare l'occasione e trarre il meglio da quest'esperienza decisamente piacevole? Lo fermai e lo spinsi con forza lontano, per poi spingerlo sul lenzuolo.
Non ero la dea del sesso ed era probabile che l'intero mondo mi credesse una pazza a prendere le redini della cosa, quando sotto di me c'era uno che sapeva agitare il culo moooolto bene e che non era da escludere che al Pumping Pumpkin avesse fatto qualche lavoretto extra come gigolò.

"It's your right to laugh at me 
and in turn that's my oppurtunity 
to feel brave" cantavano i The Ark ed io mi fidai.

Lo feci spostare fino a sedersi contro la testiera del letto ed io mi misi cavalcioni su di lui, decidendo il ritmo e facendo in modo che il mio corpo fosse appiccicato al suo, così da strusciarmi sul suo petto e sui suoi addominali ogni qual volta mi muovessi su e giù. Mi aggrappai alla sua schiena e ci infilai le unghie cortissime per aiutarmi a mantenere la posizione e Nick parve gradire. Lo sentii stringersi più forte a me e assecondarmi in ogni gesto. Alla fine, quando sentì che per entrambi l'apice stava per giungere, nascose la faccia nell'incavo dei miei seni, senza mai lasciarsi andare completamente a sospiri di piacere, mentre io ero ancora attaccata a lui, al suo collo, come a voler godere di lui fino all'ultimo istante. Poi, come presa da un senso di pudore - del tutto inutile, a quel punto - mi scostai dal suo corpo sudato che sapeva di noi e mi arrotolai nel lenzuolo.
- "Sammy... " iniziò a dire, sottovoce, avvicinandosi dopo aver ripreso fiato.
- "Lo so. - lo anticipai - Domani faremo finta che non sia mai successo". E lui ritornò nella sua metà. 
- "Rimani a dormire, se ti va".
Niente di più sbagliato da dire: cosa stavo diventando? Una sciaquetta a cui veniva concesso di passare la notte nel letto, dopo aver consumato?
Mi voltai verso il comodino e ci trovai due pacchetti avorio con la ceralacca rossa e la grande N al centro. Su di una c'era scritto tecnico pc, l'altro risaliva ancora alla ladra. Una fitta si propagò in tutto il mio stomaco, conducendomi a pensare che forse anche io e la mia prestazione saremmo finite in uno di quei squallidi dvd.
Provai a chiudere gli occhi, ma era come se ci fosse una calamita che mi costringeva a tenerli aperti. Non ce la feci ad attendere domani. Con un groppo in gola aspettai che lui si addormentasse, mi rivestii in silenzio e scappai come una ladra nel buio della notte londinese. 
 
 
 
Sono in ritardo, lo so, ma questo capitolo - infinito - è stato un parto. Poi, tanto per cambiare, l’università mi occupa un sacco di tempo e, in più, c’è un'idea per una nuova storia che mi martella il cervello. Ma non la comincerò finché non avrò finito questa, don't worry :D A tal proposito, metto le mani avanti dicendo che non voglio fare progetti sul numero dei capitoli che ho intenzione di fare. Quando sarà il momento di finirla, la finirò. Non saranno di certo 100, però!
Le canzoni citate in questo capitolo sono 5: It takes a fool to remain sane, Father of a son e Let your body decide che sono dei The Ark, Good girls go bad dei Cobra Starship e Gold degli Spandau Ballet. 
La città di Churchtown è inventatissima e vi avviso che potrebbero esserci errori di battitura. Prometto che li controllerò nei prossimi giorni.
Ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la storia. Grazie davvero! :) 

Ma...non credete che Sam avrebbe fatto meglio ad ascoltare quello che Nick voleva dirle? Alla prossima! Baci! 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. Escape. ***


Capitolo diciotto. Escape.

- "Ho fatto una cazzata" ammisi.
 Non aspettai nemmeno che la porta dell'appartamento di Will fosse completamente aperta per vomitare la mia confessione. I miei capelli si mossero a causa dello spostamento d'aria e lui mi guardò indispettito.
- "Raviolo, non possiamo parlarne domani?" chiese lui, stropicciandosi gli occhi dal sonno. Avevo passato i minuti precedenti a dare pugni alla sua porta, finché non aveva risposto alle implorazioni di farmi entrare. Lo superai agilmente e andai dritta sul divano.
- "Immagino che sia un no" bofonchiò lui.
- "No, no, certo che no! Ho fatto la cazzata delle cazzate. La regina madre delle cazzate".
La fiumana di parole è sempre dietro l'angolo quando sono nervosa.
- "Vieni al punto" si lamentò.
- "Ho fatto sesso con Nick" urlai tutto d'un fiato.
Mi sedetti sul divano in attesa che mi arrivasse il rimprovero del secolo, la ramanzina dell'amico che mi sgridava di essere stata troppo lasciva e di aver ragionato con l'organo sbagliato.
- "Era inevitabile. - fu invece il suo commento - Solo non mi aspettavo che accadesse così presto".
No, un attimo. Non solo non mi aspettava un cazziatone, ma ero pure andata oltre le sue aspettative, anticipando la tabella di marcia. Will era impazzito.
- "Che vuol dire presto?".
- "Significa che pensavo che ci impiegaste di più a mettere da parte l'orgoglio e capire che c'è qualcosa tra di voi".
Ah, no. Will è solo scemo.
- "Smettila di pensare. Perché pensi solo cazzate" dissi acida.
- "Comunque... - mosse la mano in aria, in un gesto che doveva indicare che non era così importante ciò che dicevo - Com'è andata?"
- "Bene. - Bene? - Un disastro".
- "Sam, ti prego. Sono un uomo, non le capisco le stronzate di voi donne".
- "E' stato sesso spicciolo, senza sentimento. Dio, è stato peggio che farlo con Chambers".
- "Chi è Chambers?" domandò curioso.
- "Lascia perdere. E' stato macchinoso... una scopata! Per quanto sia stato bello, la sensazione che ho provato dopo ha cancellato qualsiasi ricordo positivo". In che casino mi ero cacciata?
- "E' stato sesso" affermò lui, tranquillo.
- "Sì, non so cosa mi aspettassi. Perché ho dato retta a Valerie? - Gli spiegai come mi fossi lasciata convincere a presentarmi da Nick perché con il sesso tutto è molto più chiaro, più limpido, più nitido. E tanto tanto tanto divertente. Lasciati andare e capirai cosa vuoi - Forse ho dato troppa importanza ad una cosa che non ne ha mai avuta. Almeno ho capito che la mia stupida attrazione nei suoi confronti non ha futuro".
- "Non essere così drastica" mi ammonì.
- "Will, non voglio più sentirmi in quel modo. E la cosa buffa è che do la colpa di tutto a me. Lui ha fatto quel che doveva fare; e pure bene... - mi lasciai sfuggire - Ah, ma che cavolo mi ha detto il cervello? Ho solo incasinato le cose".
- "Non credo. Se le cose stanno così, non ci saranno grandi sconvolgimenti. Da quanto mi ha detto Kay, lui non è uno da farsi tanti problemi; sono anni che non ha una storia seria. Solo tanto sano sesso".
Mi sentii in parte sollevata, in parte di nuovo gravata di un peso all'altezza del petto: sapere che Nick se la faceva con qualsiasi essere animato femminile, mi faceva sentire quasi ordinaria - era come le mestruazioni: una cosa che accomunava tutte le donne -, però provavo fastidio a saperlo nelle braccia e nelle gambe altrui. Per le malattie che potevo essermi presa, sia chiaro, non per altro. Feci un'espressione non molto convinta, mormorando uno speriamo e Will si mise a ridere rumorosamente, attirandomi a sé con fare fraterno e strizzandomi tra le sue braccia.
- "Raviolo, è la prima volta che sento che una ragazza sperare di essere stata solo una scopata tra le altre e non quella che fa la differenza. Stai tranquilla, dai, è va' a dormire".
Lo salutai e ringraziai, prima di strappargli una coccola veloce di consolazione che terminò sulla porta di casa sua.
- "Se è riuscito a farti prendere le colpe di qualcosa, quell'uomo è il mio nuovo dio!". Solidarietà maschile indesiderata.
Chiusi a chiave la serratura e mi tolsi con cura le scarpe nuove che cominciavano a farmi male. Erano già le 3.30, Romeo non si trovava - probabilmente era da Will - ed i documenti su Sam1 che avevo tenuto io erano ancora nella borsa in attesa di essere letti. Mi sedetti alla scrivania in camera e cominciai ad analizzarne alcuni. Ma la testa si era fatta pesante sul palmo della mano, con il gomito puntato sul legno. Mi addormentai per qualche minuto, cullata da una strana fragranza intrisa nel vestito e sulla pelle.
Feci un movimento brusco che mi destò; era il profumo di Nick quello che sentivo e ciò era abbastanza per privarmi della lucidità necessaria per studiare gli scritti di York. Mi alzai barcollante e mi buttai sotto lo scroscio incessante della doccia che avrebbe lavato via le tracce di Nick e dei momenti passati con lui.
Alle 4.15 finalmente riuscii a dormire, un sonno sereno e, per fortuna, privo di sogni.

La telefonata promessa di mia madre non tardò ad arrivare, nell'arco di tempo che io consideravo ancora come l'alba: le 10.30.
- " 'Onto?" ruggii.
- "Tesoro, sonno la mamma".
- "Sii rapida" gracchiai.
- "Okay: domani devi andare in clinica dalla zia Annie. Ciao". Riattaccò.
Un attimo: cosa dovrei fare? Come guastarsi una giornata. Mi alzai, trascinando i piedi fino alla cucina dove mi sarei concessa un'ingente dose di teina. Per via endovenosa.
Presi un post it, scrissi chiamare mamma e ucciderla e lo appiccicai sul microonde.
- "Romeo?" gridai, ma quel disgraziato non uscì dal suo nascondiglio. Che sapesse che era arrivato il giorno della gita al negozio di animali dove gli avrebbero fatto la toelettatura? Sì, roba da cani, lo so. Ma il mio micione era speciale, meritava un giorno alla spa per gatti, ricco di coccole che spesso non avevo il tempo di dedicargli e di trattamenti antiparassitari per evitare che mi infestasse casa.
- "Guarda che se non vieni oggi, ti ci porto domani". Nulla. Will era già a lavoro ed io non avevo voglia di entrare nel suo appartamento per fare la caccia al gatto. Lo mandai al diavolo e mi preparai per andare in ufficio, da Valerie, per cominciare a lavorare sul materiale raccolto e per gli eventuali aggiornamenti su Ralph.

Riuscii ad entrare nell'ufficio, nonostante le occhiate assassine dei miei colleghi che dovevano aver saputo che il caso dell'anno era finito dritto dritto nelle mie mani.
- "Sam!" strillò Val non appena mi vide.
Mi trascinò per un braccio e chiuse la porta alle mie spalle.
- "Buongiorno" le dissi.
- "Sam1 non c'è per tutta la settimana. Quindi possiamo lavorare tranquillamente senza paura di essere scoperte".
- "Dov'è andato? A York?" domandai.
- "No, ha parlato di Bra-sile, ma potrebbe essere una balla".
- "Perché Bra-sile?".
- "Era un modo elegante per passare da un argomento all'altro, cioè dallo Stato al WonderBra che qualcuno dovrebbe averti sfilato abilmente ieri sera".
- "Non fiatare. - dissi, scandendo bene le parole - Giuro che non seguirò mai più un tuo consiglio". Le spiegai l'andamento, molto sexy, della serata precedente a casa di Nick e delle conseguenze nefaste che sarebbero derivate dalla mia imprudenza. Valerie passò da uno stato - e in questo caso non c'entrava la geografia - di eccitazione, ad uno di confusione e viceversa per qualche decina di volte.
- "Perlomeno ora sai come si muove il ragazzo". Incorreggibile, quella donna era proprio incorreggibile. Di positivo, c'era che era anche una portatrice di buone novelle e se in vista non ce n'erano per il povero Ralph - ancora in carcere, visto che gli avevano negato l'uscita su cauzione - ce n'erano per noi. Sam1 era fuori dalle scatole per un po' ed io avevo tutto il tempo di tornarmene a casa ad analizzare le carte che lo riguardavano.

- "Scusami, Will. sono venuta a riprendere il mio gattaccio. Forza Romeo - urlai, alzandomi sulle punte per parlare sopra la spalla del mio vicino -,porta il tuo sedere peloso di là".
- "Ma non è qui" mi rispose lui.
- "Scherzi, vero? Non lo vedo da ieri sera e ho passato l'ultima ora a ribaltare casa per vedere dove fosse finito. Non è nemmeno nella lavatrice". Ogni tanto capitava di trovarlo dentro al cestello, visto che era perfettamente cosciente che la sottoscritta lo usava una volta a settimana, nella migliore delle ipotesi.
- "Ti assicuro che non c'è". Spinsi indietro Will e mi feci largo nel suo appartamento, dove lui mi seguì come un cagnolino, cercando di sistemare ogni cosa che scombussolavo. Romeo non c'era ed io fui presa dal panico.
- "Forse è andato al piano di sopra o è sceso di sotto" tentò di darmi fiducia. Lo guardai scettica e preoccupata.
- "Will, sai meglio di me che Romeo è così pigro che il massimo movimento che fa è andare avanti e indietro dal pianerottolo. E poi non è mai stato al di fuori di questo condominio. Non può essere scappato... " lasciai la frase in sospeso, cercando di trovare una risposta negli occhi del mio amico che, però, si limitò a guardarmi.
Per quanto talvolta lo ignorassi o preferissi non averlo tra i piedi, quel batuffolone di pelo corvino era l'unica compagnia che avessi rientrando a casa tutte le sere. Ascoltava i miei monologhi/sproloqui, coccolandomi e amandomi senza condizioni.
- "Santo cielo! Se è scappato potrebbe essere finito sotto una macchina, spiaccicato, abbandonato sul ciglio della strada, caduto in qualche buco lasciato incustodito da un sottopagato operaio bengalese, spappolato dalla metropolitana... ".
Nei momenti di sconforto, tendo al melodramma.
- "Okay, Sam, calma. - mi posò le braccia sulle spalle - Lo troveremo. Vivo". Mi prese per mano e mi trascinò giù per le scale. Arrivammo sul marciapiede e chiedemmo a dei passanti che ci guardarono spaesati per la buffa richiesta e poi dissero che no, non avevano visto alcun gatto nero aggirarsi per la strada. Percorremmo la strada in lungo e in largo, domandando ai commercianti la stessa cosa, ma non ottenemmo alcuna informazione.
Un'ora più tardi ci raggiunse anche Kay, che suggerì di provare a cercare ad Hyde Park. In realtà, l'idea era già venuta in mente anche a me e Will, ma l'avevamo accantonata sperando di trovarlo prima. Il motivo era che trecentocinquanta acri da perlustrare non erano certo cosa facile, soprattutto considerato che i Kensington Gardens erano attigui e che se Romeo vi ci fosse addentrato, a quel punto la superficie da controllare aumentava di duecentosettantacinque acri.
Il cellulare nella mia tasca vibrò; guardai il display e per poco non mi venne un colpo. Nick. Senza pensarci due volte, risposi.
- "Nick, non è proprio il momento... ". Ero disposta ad accantonare l'imbarazzo per la sera precedente, pur di rimanere concentrata sulla ricerca in corso.
- "Sono alla statua di Achille" affermò lui sicuro ed io mi zittii per un attimo.
- "La statua di Achille ad Hyde Park Corner?" chiesi stupita.
- "No, quella in Malesia" esclamò ironico.
- "Stai cercando Romeo?". Della serie: ho sempre una scorta di domande idiote per ogni evenienza.
- "No, mi sono precipitato qua direttamente da lavoro per ammirare la foglia che gli nasconde il pisello".
Ma chi cavolo l'aveva chiamato? La faccia tutt'altro che innocente di Kay mi fornì una risposta non verbale che poteva essere interpretata con un ci serviva una mano.
- "Pronto?".
- "Sì, scusa; - mi affrettai a dire - stiamo arrivando". Terminai la chiamata e feci due passi, convinta che il resto della comitiva mi seguisse. Invece, Will e Kay si fermarono e mi dissero che loro sarebbero partiti da Bayswater Road - a nord ovest dei Kensington Gardens - mentre io mi sarei aggregata a Nick - che carini! - a sud est di Hyde Park. Ci saremmo poi trovati tutti e quattro al ponte sul Serpentine, il corso d'acqua che divideva i due parchi.
Loro presero un taxi ed io proseguii a piedi, finché non vidi da lontano la figura del mio compagno di team che si guardava attorno senza prestare davvero attenzione. Lo raggiunsi veloce e lo afferrai per il braccio per fargli notare la mia presenza.
- "Oh, era ora. Gli altri due?" Gli spiegai la divisione del territorio e gli illustrai l'itinerario.
- "Potremmo cominciare da Serpentine Road e poi passare a The Ring...".
- "Ci sono già passato venendo qui. Proviamo ad andare nella parte nord, verso Speakers' Corner". Mi arresi con facilità alla sua idea, anche perché c'era da perdersi in quell'immenso polmone verde ed affidarsi ad un londinese doc sembrava la cosa migliore da fare. Imboccammo una stradina in silenzio, osservando tutt'intorno a noi se ci fosse una palla nera che rispondeva al nome di Romeo.
Qualcosa non tornava, era chiaro; non era mai scappato in vita sua, faceva venti metri al massimo al giorno, figuriamoci se si poteva essere spinto fino alla fine di Mayfair, da solo, zampettando in un mondo che non conosceva. Era un pigro gatto d'appartamento, non di certo un felino in grado di sopravvivere in una città caotica come la capitale. D'altro canto, non riuscivo a raccapezzarmi su come qualcuno lo avesse potuto prendere da casa mia e, soprattutto, perché; non era un gatto di razza da poter rivendere e poi era già adulto: difficile trovargli un nuovo padrone.
Che fosse per la storia di Sam1 e di Ralph? Anche in quell'ipotesi, però, non ero ancora giunta a nessun punto che potesse mettere a repentaglio la posizione del mio caporedattore o migliorare quella del rapper.
Persa nei ragionamenti, mi scappò l'occhio sul nome del sentiero che stavamo percorrendo: Lovers' Walk - La passeggiata degli Amanti. Pure il destino ci si metteva?
- "Romeo!" chiamai, giusto per distogliere l'attenzione dal pensiero del fato avverso. Si girarono un paio di persone curiose, ma poi proseguirono per la loro strada, tranquille.
Arrivati alla Boat House dopo ore di estenuanti ricerche, il mio micione non si era ancora trovato e le speranze cominciavano ad affievolirsi. Erano le 16.30 e poco dopo avrebbe fatto buio; dare la caccia ad un animale nero ad Hyde Park di notte equivaleva a cercare un ago in un pagliaio. Mi sedetti su una panchina e mi arresi.
- "Forse l'ha mangiato un cigno". Nick si sedette accanto a me e mi passò la bottiglietta d'acqua che avevamo acquistato qualche minuto prima al ristorante lungo il Serpentine.
- "Un cigno?" chiese scettico, appoggiandosi allo schienale.
- "Li hai mai visti quelli che ci sono qui? Sono enormi" dissi sconsolata.
- "Il tuo gatto è un ciccione, non ci passerebbe mai lungo il loro collo". In effetti...
- "L'avranno fatto a brandelli". Bevvi e mi passai il dorso della mano sulla bocca per asciugare le gocce che erano sfuggite dalla bottiglia.
- "Sì, con i loro denti aguzzi" esclamò lui con una voce da idiota che mi fece ridere.
Abbandonai la testa all'indietro e aprii le braccia: tanta fatica e il risultato era stato nullo.
Nick mi prese per mano e mi alzò dalla panchina.
- "Dai, andiamo al ponte. Magari Will e Kay avranno qualche informazione". Ne dubitavo fortemente, ma mi lasciai comunque trascinare verso il punto di ritrovo. Non mi accorsi di avere la mano ancora intrecciata con la sua finché una coppia di turisti non gli tese una cartina, chiedendo informazioni. Lui si staccò e sembrò realizzare a sua volta in quel momento di essere legato a me. Sciogliemmo l'incastro subito, improvvisamente super impegnati a prodigarci nella spiegazione su come raggiungere Buckingham Palace; più che altro c'ero io che tentavo di spiegarmi con il mio pessimo senso dell'orientamento e Nick che mediava il tutto, dicendo di non ascoltarmi perché li stavo mandando in Francia e non alla residenza della Regina. I due turisti ci ringraziarono e noi proseguimmo nel costeggiare il fiume fino al punto in cui fu possibile attraversarlo. Avevamo percorso quasi tutto il ponte, quando il cellulare di Nick suonò e lui si distrasse, appoggiandosi sulle grandi arcate del Serpentine Bridge, a fissare l'acqua sottostante, arricchita dei riflessi del tramonto.
Mentre lui conversava con quello che capii fosse Will, io notai una piccola folla radunata vicino al ristorante che stava dal lato opposto rispetto a quello da cui noi provenivamo. Mi ci avvicinai e vidi che ero tutti attorno all'ultimo piloncino bianco del ponte, attorno al quale era stato stretto un guinzaglio. Sgomitai tra la gente e riuscii ad arrivare davanti a tutti: Romeo se ne stava pacifico seduto e scodinzolante, perfettamente a suo agio; davanti alle sue zampe alcuni bambini avevano posato dei pezzetti di cibo che lui stava mangiando con avidità. Lo slegai e lo presi in braccio, rassicurando tutti che quel gatto era mio; mi guardarono storto e mi rimproverarono di averlo lasciato lì un'intera giornata, ma io spiegai come in realtà mi fosse stato sottratto. Inutile dire che non molti ci credettero, visto che era stato sapientemente attaccato ad un guinzaglio e fermato al piloncino.
Lanciai un'occhiata a Nick e vidi che si stava avvicinando, quindi, per evitare domande insidiose a cui non avrei saputo rispondere, mi affrettai a passare tra la folla che si stava diradando.
- "Trovato" annunciai trionfante.
Un sorriso bellissimo si stampò sopra il suo viso e, in quel preciso istante, giustificai quanto era successo la sera prima; la carne è debole. E la mia era proprio liquefatta in sua presenza.

Will tornò da solo. Kay era dovuta correre a comprare delle cose prima che i negozi chiudessero, ma era stata carina nell'informarsi che il mio micione peloso fosse sano e salvo a casa. Nick si offrì di portarci a casa, viste le energie residue scarse e la comodità di avere il suo fuoristrada a poca distanza da Hyde Park.
Lungo il tragitto continuai a coccolare Romeo e a torturarmi nel pensiero che qualcuno fosse riuscito ad entrare in casa mia agilmente, prenderlo e portarlo al parco. Avrebbero potuto anche ucciderlo. O uccidere me. C'era qualcuno che aveva così paura di quello che avrei potuto scoprire da agire di prevenzione, cercando di incutermi timore in modo tale da convincermi a mollare l'indagine intrapresa. Ma non volevo parlarne con nessuno - forse neanche con Valerie - perché ero certa che lei, o Will, o Nick si sarebbero preoccupati e mi avrebbero forzata a mettere da parte i miei istinti da detective.
Il motore dell'auto si spense.
- "Grazie dell'aiuto". Mi voltai verso il guidatore e lo dissi a bassa voce ed in fretta, evitando accuratamente d'incrociare il suo sguardo. Mi voltai e feci per scendere, come aveva già fatto Will.
- "Non credi dovremmo parlare?" mi chiese Nick, incollandomi al sedile. Il mio vicino mi aprì la portiera e mi sfilò il mio gatto dalle braccia.
Salvatore!

Richiuse lo sportello senza grazia né attenzione, regalandomi un sorriso malefico.Come non detto. Altro che salvatore, Lucifero!
- "Parlare di cosa? - domandai nervosa, guadagnandomi un'occhiataccia dal mio interlocutore - Della fame del mondo? Delle fasi lunari? Dell'etimologia della parola supercalifragilistichespiralidoso? Del perché Cristiano Ronaldo si ostina a voler andare a prostitute, quando  io sarei più che disposta a fargli di tutto a gratis?".
Non l'ho appena detto questo, vero?
- "Sammy..." provò a fermami, ma non mi lasciai intimorire.
- "... o del perché proprio mentre comincio ad indagare su di Ralph J, guarda caso, mi sparisce il gatto?". Ripresi fiato, nella speranza che lui non si decidesse di nuovo a fermarmi.
Buoni propositi di tenere la bocca chiusa, addio!
- "Tu cosa?" urlò, stavolta con un tono determinato che mi fece sobbalzare dallo spavento.
- "Non credo sia colpevole" riuscii a dire.
- "E tu staresti indagando?".
- "Non vedo cosa ci sia di strano; sono una giornalista, in fin dei conti" gli ricordai.
- "Ma sei abituata a sentirti un disco o un live e a scriverne un articolo, non sei una giornalista d'assalto!" puntualizzò, aumentando la mia tensione. Poteva anche avere ragione, però nulla al mondo mi avrebbe fermato dall'andare fino in fondo alla questione di Sam1 e Ralph.
- "Era di questo che mi volevi parlare?" cambiai argomento, mentre Nick cominciava a guardarmi spazientito.
- "È inutile che t'incazzi quando uno ti critica".
Io mi incazzo? Io mi incazzo? IO MI INCAZZO?
- "Vai a quel paese, Nick!" esclamai sprezzante e aprii la portiera, ma lui mi passò un braccio davanti e la richiuse con violenza.
- "La smetti di scappare?".
- "Io non scappo!". Volevo solo far circolare un po' d'aria. Gelida. Di ottobre.
- "No, invece, tu scappi. Lo fai ogni volta che ti si dice una cosa che tu non vorresti ti fosse fatta notare o quando succede qualcosa che non hai previsto".
- "Non è vero" replicai stizzita.
- "Ah no? E cosa hai fatto ieri sera?".
Cazzo.
- "... o al cimitero di West Brompton?".
Oh cazzo.
- "... o quando avevamo la febbre a casa mia? L'hai ammesso tu stessa che avresti fatto 'un'uscita teatrale' - mi citò -, se avessi avuto la forza e la voglia di alzarti?".
Doppio-oh cazzo. Ho forse trovato l'unico uomo che mi ascolta quando parlo? Che sfiga, cavolo.
Come potevo uscire da quella situazione?
- "Ho una spiegazione per tutto" mentii. Ecco, di sicuro non così.
- "Ti ascolto" si sistemò meglio sul sedile ed incrociò le braccia al petto, con un sorriso malizioso sulla faccia.
- "Per quanto riguarda l'episodio della febbre, me ne volevo andare perché sei insopportabile, irritante, odioso, detestabile. Comprendi? Al cimitero mi avete davvero fatto spaventare ed ero così arrabbiata che ho preferito tornarmene a casa per non ridurre i vostri genitali a segatura. L'ho fatto per voi".
- "Grazie Sammy" disse in modo finto.
- "Quando vuoi, Nick. - risposi a tono - Bene, cosa rimane?". Come se non lo sapessi.
- "Ieri sera" esclamò prontamente.
- "Ieri sera cosa? Neanche mi ricordo cos'è successo ieri sera. Perché, è successo qualcosa ieri sera?  No, perché se anche fosse successo, io l'ho già rimosso. Adieu, goodbye, ciao ciao. Ieri sera è cancellato, non è mai esistito ieri sera".
- "Scusa non ho capito cos'hai detto: ieri sera forse?" mi schernì. Cielo, ma come faceva a rimanere impassibile, freddo e razionale, mentre io continuavo a farneticare come una pazza isterica?
- "Si può sapere cosa vuoi da me?". Meglio mettersi sulla difensiva.
- "Ehi, rilassati. Voglio solo discutere di ciò che c'è stato".
- "Discutere di che? - Evidentemente il mio discorso di prima non aveva sortito l'effetto previsto: se lo ricordava, e pure bene!,  quello che era successo la notte precedente - Siamo adulti, Nick, ed entrambi siamo in grado di capire che è stata una scopata e che questo non condizionerà le nostre vite. Ci siamo divertiti, una serata e stop. Voltiamo pagina ed andiamo avanti".
- "Ma sei la donna della mia vita!".
Boom. Stecchita. Cos'aveva detto: sei la nonna della mia gita? Oppure sei la gonna della mia Cita?
Un po' ci avevo sperato che lui mi contraddicesse, però quell'affermazione era un po' troppo. Era... forzata.
- "Cosa?" mi limitai a dire tranquilla, nonostante lo squittio che mi era uscito tradisse una certa apprensione.
- "Una che non si fa illusioni dopo il sesso è... è una figata".
Io avrei detto sfigata, ma era questione di punti di vista, evidentemente.
- "Eviterò di commentare la tua espressione da liceale segaiolo per dirti che sono quasi offesa del fatto che tu potessi pensare che io avessi dato peso a quanto è successo la notte scorsa".
- "Volevo solo che fosse tutto chiaro e che non ci fosse imbarazzo. - Imbarazzo? Per aver fatto sesso con te? Pffff, naaaaah - Quindi allora ti ricordi ciò che c'è stato?" rise.
- "No, ho rimosso in blocco le ultime ventiquattro ore. Non ricordo dove fossi, perché, quando. Non so nemmeno chi sia tu!" lo presi in giro.
- "No? Perché ieri mi sembrava che te lo ricordassi bene, quando lo gridavi perché io ti avevo..".
Divenni gialla - mescolanza tra il rosso della rabbia e il verde dalla vergogna - e gli coprii la bocca con la mia mano prima che ne fuoriuscisse qualcosa che non ero pronta a far riaffiorare dal presunto oblio.
- "Ho-ho capito" esclamai. Lui rise di nuovo da dietro le mie dita che non avevo ancora staccato dalle sue labbra. Mugugnò qualcosa che mi costrinse a levarle per comprendere cosa stesse dicendo.
- "Devo andare, ora. Stasera si lavora".
- "Forza, vai a farti sfilare i boxer da qualcun'altra stasera" dissi di getto.
Okay che abbiamo chiarito, okay che ho finto di aver dimenticato l'episodio, ma non è un po' tropo presto per scherzarci su? Che qualcuno m'incenerisca all'istante, grazie.
Nick sorrise giusto per non far scemare - curioso verbo, particolarmente indicato alla sottoscritta al momento - del tutto la conversazione.
- "Ho una sorpresa per te" mi disse e trasse dalla giacca l'ormai famigerato sacchetto di plastica contenente i bigliettini. Immersi la mano, ne pescai uno e lessi ad alta voce:
- "Dottore".
- "Ho sempre amato quel gioco!" scherzò ed io gli tirai una gomitata. Smettemmo di ridere e lui si fece serio.
- "Sono in ritardo. Ci vediamo, Sammy".
Risposi con un frettolosissimo ciao e mi rintanai nel mio appartamento con quella peste di Romeo che aveva rovesciato la ciotola con le crocchette e Will che aveva preparato i pancakes con la crema di cioccolato.
- "Allora, com'è andata?" mi chiese, sedendosi sullo sgabello accanto al mio e appoggiando i piatti sulla penisola della cucina. Mi venne spontaneo sorridere e abbassare lo sguardo.
- "Stavolta è scappato lui" risi, conscia che nessun'altro in tutta Londra avrebbe interpretato nel giusto modo quella frase. Tutti, tranne Lui.


But I'll still take all the blame,
'Cause you and me are both one and the same
And it's driving me mad.



Buon pomeriggio/quasi sera!
Ultimo aggiornamento da 20enne! Questa settimana invecchierò miseramente di un altro anno:)
Cosa dite del capitolo? Meno male il povero Romeo è tornato sano e salvo dalla sua padroncina! Non so se avete notato ma ho linkato la mappa di Hyde Park perché almeno così è più chiaro a tutti. Immagino che può essere che io non sia stato abbastanza precisa da descrivere il posto, quindi potrei aver generato confusione. Con la mappa, magari sarà un po' più chiaro.
La canzone di questo capitolo è "Escape" dei Muse.
un grazie enorme come sempre a chi segue e recensisce!
Baci!
Sandra

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. Cat Man. ***


Capitolo diciannove. Cat Man.

Dopo l'avventura ad Hyde Park con annesso presunto rapimento felino, riuscii a convincere Will a restare a dormire da me. Ero un fascio di nervi pronto a scattare al minimo allarme e la sola idea che qualcuno potesse di nuovo intrufolarsi nel mio appartamento mi faceva venire la pelle d'oca. Dormimmo discretamente, almeno finché la sua sveglia non suonò, interrompendo il sogno in cui stavo per pomiciare con Ryan Reynolds con ai piedi un paio di Louboutin.
Un sogno, appunto.
Infilai la testa sotto il cuscino e sonnecchiai ancora un paio d'ore, mentre in lontananza sentivo il mio vicino armeggiare in cucina, dopo essere andato avanti e indietro da casa sua per un paio di volte. Pensai che fosse dovuto al vuoto cosmico presente nel frigo e nella dispensa, perciò non ci feci molto caso. Quando mi alzai, però, lui se n'era andato, lasciando un piatto colmo di muffins dall'aria e dal profumo invitanti.
Sul microonde c'era ancora il post-it che mi ricordava di chiamare mia madre. Avevo rimandato quel compito troppo a lungo ed ora era arrivato il momento di fare quella benedetta telefonata.
- "Mamma, dimmi esattamente perché dovrei andare io dalla zia Annie".
- "Devi firmare delle carte, niente di che. Un paio di notti fa è stata poco bene e ci hanno chiamati preoccupati. E' per quello che ti ho mandato un sms così tardi".
La mia mente volò a qualche sera prima; York, il taxi, il messaggio e... il misfatto da Nick.
- "Sì, ma perché non ci vai tu?" brontolai.
- "Tesoro, dovrei arrivare fino a Londra per una sciocchezza?". Sbuffai sonoramente, ma non potei che concordare con lei.
- "Che palle, però" mi lamentai come una bambina.
- "Sam, sei sempre la solita pigrona. Muoviti! E vedrai che non te ne pentirai!" canticchiò, neanche fosse una canzoncina di un cartone Disney.
Tagliai corto e la salutai in fretta per prepararmi e sbrigare la faccenda nel modo più indolore e rapido possibile. Indossai un paio di pantaloni marroni, gli stivali rasoterra alti fino al ginocchio, una camicia bianca semplice ed un maglioncino aperto sul davanti; meglio ricordarsi che stavo andando in una casa di riposo, dove la cosa più sexy da rimorchiare era un respiratore.
Forza Samantha, tolto il dente, tolto il dolore.
Presi i dolcetti di Will e li sistemai uno accanto all'altro su di un vassoio di cartone, racchiuso in una carta colorata ed un fiocco dorato. Chiamai un taxi e mi feci portare all'ospizio dove era alloggiata zia Annie, non molto distante dal mio appartamento di Mayfair.
Una signorina gentile mi accolse all'ingresso e mi indirizzò verso la camera della vecchia megera. Voltai lo sguardo verso il corridoio indicatomi e mi ricordai il motivo per cui non ero mai andata a trovarla, oltre al fatto che fosse del tutto insopportabile e che ogni poro della sua pelle rugosa trasudasse antipatia. Gli occhi tristi di una ventina di vecchietti mi fissavano imploranti di essere lì per loro. Fu difficile lasciarli, con un blando sorriso che certamente non sfamò il loro bisogno di affetto e di sapere che qualcuno si ricordava di loro.
Arrivai alla stanza numero quattordici, bussai e una voce roca mi invitò ad entrare. Zia Annie era sdraiata sul letto, sotto le coperte fino al petto.
- "Ciao zia" le dissi piano, attendendo in risposta il solito ringhio incazzoso.
- "Samantha? - chiese, invece, sorpresa ed io annuii - Come sei diventata grande, tesoro. E bella. Vieni, entra". La sua voce era dolce e calda, molto diversa da quanto ricordavo.
Siamo sicuri che sia C-Annie-vora?
- "Ti ho portato dei muffins. - appoggiai il vassoio sul comodino e tornai a concentrarmi su di lei - Ho saputo che non sei stata bene. Ti senti meglio ora?" le chiesi, sedendomi sul fianco del materasso.
Stavolta il ruggito previsto non si fece attendere ed io sussultai, incerta se fosse il caso di scappare o di chiamare un esorcista per risolvere la questione una volta per tutte.
- "E' un tic nervoso, non si preoccupi" disse una voce maschile alle mie spalle. Mi alzai e trovai sulla porta un uomo con il camice, una cartelletta tra le mani ed un cartellino attaccato al taschino, in parte oscurato da un'imponente penna agganciata anch'essa alla stoffa. Riuscii a leggere solo il cognome, Fletcher, mentre l'iniziale rimaneva sapientemente nascosta dietro il tappo della stilografica.
Che cognome banale; ci sono un sacco di Fletcher: dalla mitica Jessica a Darren, calciatore scozzese del Manchester United.
Aveva una fossetta sul mento ed un fisico mingherlino da intellettualoide che mi ricordava qualcuno di Glasgow che non riuscivo, però, ad inquadrare.
- "Buongiorno dottore" disse la zia, tornando ad usare un tono di voce umano.
- "Scusate l'intromissione. Sono solo passato a controllare che la signora stesse bene; non immaginavo avesse visite".
- "Sono Samantha, sua nipote" mi affrettai a tendergli la mano e lui la strinse con vigore.
- "Dottor Fletcher, piacere. - riportò lo sguardo sulla megera - Allora se lei sta bene, io procedo nel mio giro. Posso offrirle un caffè, Samantha?". Declinai l'invito, ma la zia gli propose di assaggiare uno dei dolcetti che le avevo regalato, spacciandoli spudoratamente per fatti in casa da me con le mie abili manine. Ne mangiammo uno ciascuno; gli altri due li divorarono entusiasti e mi ricoprirono d'immeritatissimi complimenti destinati a Will, che si era dato tanto da fare per impastarli. Quando finii il mio muffin, cominciai a grattarmi gli avambracci, lasciandomi sulla pelle delle lunghe righe rosse causate dalle unghie; mi prudeva tutto: la pancia, le gambe, mi sentivo la faccia andare a fuoco dal rossore e delle piccole lacrime cominciarono ad inumidirmi gli occhi.
Dovetti appoggiarmi al letto perché sentivo che il respiro sarebbe diventato pesante: era una reazione allergica.
- "E' uno shock anafilattico" annunciò il medico della zia, che corse a prendere una siringa di adrenalina che avrebbe coadiuvato la reazione naturale dell'organismo alla presenza dell'allergene. Le mie mani erano gelide e sudavo freddo, ma mi imposi di non spaventarmi per non aggravare la situazione.
- "E' allergica alle noci" fece mente locale zia Annie e mi domandai come cappero facesse a ricordarlo.
Dopo l'iniezione sapevo che l'emergenza sarebbe rientrata e che mi sarei sentita meglio e, infatti, così fu, grazie anche all'aiuto di un cortisonico.
La befana e il suo dottore mi fecero stendere su di un letto in un'altra stanza; in quel momento realizzai che nemmeno sotto tortura avrei finito i miei giorni in un ospizio, da sola, a giocare a briscola e farmi imboccare: meglio campare dieci anni di meno e starmene a casa mia.
- "Bentornata. - mi disse Fletcher non appena riaprii gli occhi in seguito ad un bel pisolino - Qualcosa mi dice che non li avessi fatti tu i dolci; oppure mi hai visto e li hai mangiati apposta per farti salvare la vita? Non ho ancora deciso quale preferisco".
Un'infermiera lo chiamò, entrando nella camera, e gli diede un foglio da firmare. Lui tolse la penna dal taschino e cominciò a scarabocchiare la propria firma. Finalmente riuscii a leggere l'iniziale sul cartellino e mi scappò un sorriso, capendo chi avessi davanti e il perché mia madre avesse tanto insistito a mandare proprio me in quel luogo angusto, nonostante non ci fosse una vera ragione, visto che di carte da compilare nessuno mi aveva detto nulla. Il dottore seguì la direzione del mio sguardo e sorrise.
- "Ho dovuto scoprirlo da tua zia che sei Samantha Grayson, quella Samantha Grayson" esclamò.
- "Avevi un aspetto famigliare, ma è passato tanto di quel tempo! Non sei esattamente la prima persona che mi aspettassi di vedere qui". Lui convenne con me e mi spiegò come vivesse a Londra ormai da dieci anni, dell'università di medicina e dell'impiego molto temporaneo nella casa di riposo.
- "Pensi di poterti alzare o preferisci stare qui ancora un po'?" mi chiese con dolcezza. Controllai l'orologio al mio polso e stabilii che fosse arrivato il momento di andare a lavoro, vista anche la figuraccia dei finti dolci fatti in casa.
- "L'ufficio mi attende. Grazie del salvataggio".
- "Non c'è di che, promettimi solo che...". Lo interruppi.
- "Non mangerò altre noci per tutta la mia vita, giuro". Poco, ma sicuro.
- "Veramente stavo per chiederti di uscire con me una sera. - Arrossii - Ma è chiaro che dovresti essere viva per farlo: quindi, niente noci". Accettai elettrizzata come una dodicenne alla prima cotta e gli lasciai il mio numero di telefono.
- "Ti chiamo, allora. Arrivederci, Grayson" mi aiutò ad alzarmi e mi scortò fino alla porta d'uscita.
- "Arrivederci, Romeo Fletcher".

- "Romeo? Quel Romeo?" chiese sconvolta Valerie.
- "Non puoi uscire con uno che ha lo stesso nome del tuo gatto!" intervenne Amanda.
- "Lui è il motivo per cui il mio gatto si chiama così. È il mio fidanzatino delle elementari, non può essere un caso: è destino" sentenziai.
- "Romeo Fletcher?" Val non si capacitava della reunion inaspettata. Inaspettata mica tanto, visto lo zampino di mamma Grace.
Un pranzo con le amiche a base di gossip, una bottiglia di vino, vita salva... cosa volere di più?
- "Chi l'avrebbe mai detto che ti saresti trovata un uomo senza rubarlo ad una di noi?" sputò Katy.
Errata corrige: cosa volere di meno? Lei.
Il cellulare squillò e fui costretta ad interrompere per qualche istante la conversazione.
- "Buongiorno Sammy!" la voce di Nick invase il mio orecchio.
- "Che vuoi? Ho poco tempo" dissi scocciata.
- "Ti volevo solo chiedere una cosa".
- "La mia risposta è no". Riattaccai senza ascoltare la domanda; ero troppo impegnata per stare a sentire anche lui.
- "Katy, rilassati: Christian è gay. - Val la rassicurò - E comunque Sam, smettila di parlare di destino e cazzate del genere; o preferisci che ti ricordi la tua avventura con Nelson il fotografo che doveva essere sicuramente il tuo compagno per l'eternità?".
Beh, a pensarci bene, meglio aspettare un po' prima di avventurarmi di nuovo nel mondo del fato e delle coincidenze.
Cavolo, però era Romeo Fletcher, porca paletta!

Ricevetti la telefonata del mio dottore - Cielo, è emozionante già solo dirlo! - nel pomeriggio, che mi confermò l'appuntamento per quella stessa sera. Chiamai con urgenza la mia estetista, prenotando una ceretta per qualche ora più tardi, passai in un negozio a prendere un vestito di Prada che avevo adocchiato da un po' e che mi fece sentire come su una nuvola: il potere dei soldi ben spesi!
Mi feci una doccia accurata e meritata dopo le torture della depilazione e scelsi con cura l'intimo da indossare, anche se non avevo alcuna intenzione di arrivare in quarta base la prima sera; sarebbe stato un appuntamento serio, nulla a che fare con la scommessa di Nick.
Accesi la televisione per guardare il tg, mentre con un piede appoggiato sulla sedia mi stavo passando la crema idratante sulle gambe.
[- "Finalmente la nuova richiesta di scarcerazione su cauzione avanzata dai legali di Ralph J è stata accettata. La quota richiesta è di due milioni di sterline ed il rapper potrebbe essere già fuori domani mattina.]
Almeno una buona notizia, tranne che per il commercialista di Ralph.
Presi il cellulare e composi il suo numero, conscia che il mio messaggio sarebbe finito in mezzo allo spam, come tutto il resto della stampa. Gli mandai un sms, dicendo di farsi coraggio che avrei trovato il modo di tirarlo fuori dai guai, perché credevo in lui e nella sua innocenza.
La porta del mio appartamento si aprì all'improvviso; guardai sotto le mie gambe e vidi quelle di un uomo.
- "Will, salvatore della patria! Mi serviva giusto un'opinione maschile".
- "Ciao ragazze! - Mi voltai di scatto - Ah, però quella buccia d'arancia non me la ricordavo". Nick mi fissò sorridente, dopo aver salutato le mie natiche.
- "Cosa ci fai qui?".
- "Mi hai detto tu di venire" si lamentò.
- "Io? - ricordai la breve chiamata, senza però capire quando gli avessi fatto una tale concessione - Ma se ti ho detto che la mia risposta alla tua domanda, qualunque essa fosse, sarebbe stata no!"
- "La mia domanda era 'lasceresti mai il tuo amico Nick per strada senza offrirgli ospitalità?' e tu hai detto no".
- "Non è vero! La tua domanda sarebbe stata 'posso venire da te?' ed io ho detto no!".
- "Sì, ma ho pensato di modificarla a mio favore" ammise candido.
- "Non si può fare!" protestai.
- "Tu non mi hai ascoltato, perciò non puoi sapere quello che c'era nella mia testa". Feci per mettergli le mani al collo e strozzarlo, ma mi distrassi sentendo dei rumori alla porta. Nick l'aprì e vidi Mister entrare con un mazzo di tulipani bianchi tra i denti. Arrivò fino a me e non lasciò la presa finché non fu sicuro che io ce li avessi saldamente in mano.
- "Sono i miei preferiti. Che tesoro che sei, cucciolone! - gli accarezzai quel muso da tontolone - L'animale qui è qualcun altro". Mi girai verso di Nick, cui l'allusione era rivolta.
- "Ehi, chi pensi li abbia scelti?" esclamò offeso.
- "Sarà meglio chiarire due questioni: perché sei qui e per quanto hai intenzione di fermarti".
- "Mi stanno tinteggiando casa e rifacendo i pavimenti; ti disturberò solo qualche giorno."
- "E non potevi andare da Will?".
- "Volentieri, se non fosse che sentire strani rumori provenienti dalla sua camera da letto sarebbe alquanto inquietante, soprattutto visto che hanno come protagonista mia cugina". Come dargli torto.
- "E i tuoi?".
- "Tu abiti più vicino al lavoro. - bofonchiò con tono lamentoso - Dai, sembra quasi che io ti dia fastidio".
- "Come puoi anche solo pensarlo!" dissi, sarcastica.
- "Non ti accorgerai nemmeno della mia presenza. Dormo sul divano?".
Meglio cacciarlo in un angolo recondito della casa, piuttosto che farlo piazzare in soggiorno.
- "Alla fine del corridoio c'è la camera degli ospiti."
- "Perfetto. Che prepari per cena?" domandò serio.
- "Io non preparo nulla! Devo uscire stasera: ho un appuntamento con Romeo stasera".
- "Non credo che tecnicamente sia un appuntamento se esci con il tuo gatto".
- "Non è il mio gatto! E' un uomo".
Fornire tutte queste spiegazioni stava diventando irritante.
- "Cioè esci con uno che si chiama come il tuo gatto?". Ci risiamo.
- "Non capisco perché questa cosa ti destabilizzi".
Lui alzò le mani in segno di resa.
- "Contenta tu. Me lo presenti, Catman?" rise.
- "No! E non chiamarlo Catman".
Lasciai perdere e mi diressi in camera per scegliere il vestito da indossare. Ne scelsi uno verde scuro stile impero con le maniche a sbuffo ed una giacca scura come le decolletés in vernice.
Tornai in salotto ma dell'ospite indesiderato nessuna traccia, se non il suo cane stravaccato sul tappeto, accanto a Romeo, il gatto; lo trovai nella stanza che gli avevo indicato, con in mano un paio di asciugamani e delle lenzuola reperite nel grande armadio bianco contro la parete. Lo osservai di nascosto attraverso la porta semichiusa, mentre armeggiava con una coperta da appoggiare sul letto, dopo aver calcolato alla perfezione i centimetri di stoffa da far cadere da ambo i lati. A quel punto bussai ed entrai.
- "Te lo avrei sistemato io" mentii, ma mi sentii in dovere di dirlo in qualità di padrona di casa.
- "Bugiarda" mi beccò lui.
- "Non puoi sapere cosa ci fosse nella testa" mi difesi, facendogli eco.
- "In fondo ti sto facendo un favore a stare qui. - lo guardai scettica e lui continuò - Sostieni che qualcuno ti abbia rubato il gatto, quindi la mia permanenza qui potrà scacciare qualsiasi malintenzionato. Nessuno vorrebbe avere a che fare con loro" disse vanitosamente, indicandosi i bicipiti.
Mi strappò una risata a cui seguì una rotazione a 360 gradi della pupilla; tutto ciò di cui ha bisogno un uomo per sopravvivere è il suo ego.
- "Non ho bisogno di essere protetta, men che meno da te" chiarii.
- "Io sono qui per Romeo. Il gatto, s'intende" scherzò.
- "Come sto? - Lui alzò le spalle annoiato e io scossi la testa - Ore e soldi spesi in shopping, quando poi nessuno apprezza. Sapevo di dover nascere lesbica". Presi le chiavi di casa e le infilai nella borsa, raggiungendo l'ingresso. Mi controllai in fretta nello specchio ed aprii la porta.
- "Chiamami se lo diventi, mi raccomando".
- "Neanche morta, Nick. - mi fermai sull'uscio e gli diedi il regolamento della casa - Ah, dimenticavo. Nessuna donna deve varcare questa soglia; non voglio svegliarmi con le tue amichette che gironzolano mezze nude per casa. E non provare a fregarmi facendole andare via prima che ritorni: riconosco il profumo femminile a chilometri di distanza. Uomo avvisato, mezzo salvato".
- "Sarò un angioletto". Era quello che mi preoccupava; quell'uomo era un disastro ambulante e un rompipalle a livelli stratosferici e ci mancava solo che mi facesse cacciare dai vicini per il rumore.
Quando raggiunsi il piano terra, vidi che Romeo mi stava già aspettando appoggiato alla macchina con in mano un bouquet di rose rosse - primo sbaglio; le odiavo: troppo impegnative e pure un po' scontate. Le accettai ugualmente, ringraziandolo con un bacio leggero sulla guancia.
Indossava  un completo grigio firmato sopra ad una camicia bianca ed aveva un'aria molto più affabile e meno professionale rispetto alla mattina. Mi aprì lo sportello della sua auto da perfetto gentiluomo e mi portò in un ristorante poco conosciuto a gestione famigliare.
- "Non pensavo che ti avrei rivista, soprattutto a Londra. Ti ricordo ancora come la ragazzina dispettosa dalle treccine che mi dava pizzicotti in continuazione per farmi sgridare dalla maestra".
- "Ero già una fidanzatina modello, allora. - risposi al suo sorriso - E, ad essere onesti, il nostro incontro è stato tutto tranne che casuale: mia madre deve aver saputo che lavori lì e mi ha costretto a venire con l'inganno a trovare mia zia. Ha sempre avuto una predilezione per te, sin dai tempi dell'asilo".
Romeo rise di gusto, mentre un cameriere ci portava le nostre ordinazioni.
- "E' vero. Come dimenticare i fantastici biscotti che mi diceva di portare a casa quando facevi la festa di compleanno! Voleva corrompermi a portarti all'altare già a otto anni". Non ero mai stata a conoscenza di questi episodi, però dovevo ammettere che potevo credere alla loro veridicità senza tanti problemi, perché la brava Grace somigliava già durante l'infanzia alla signora Bennett di Orgoglio e Pregiudizio, nel tentativo di accasare le proprie figlie il più presto possibile. Con mia sorella Lily non aveva dovuto faticare molto, dal momento che aveva trovato Byron al primo anno di liceo e da allora non si erano mai separati, coronando il loro sogno d'amore con un matrimonio in grande stile e mettendo al mondo quella peste di Alex.
Io, al contrario, mi ero puntualmente ribellata a queste imposizioni ed ormai vivevo nella convinzione che anche mia madre avesse smesso di pianificarmi la vita, da quando mi ero trasferita da Glasgow ed era nato un bellissimo nipotino a cui dedicare tutte le sue energie. Ma i vizi sono duri a morire e per quanto l'adorata genitrice si fosse chetata  per un po' di tempo, la sua indole era riemersa con prepotenza e lei era tornata alle vecchie manie.
Mangiammo delle specialità della cucina francese - secondo sbaglio: odiavo paté, fois gras e altre specialità elaborate all'ombra della Tour Eiffel - e dovetti adottare la solita tecnica del gonfiare le guance e trattenere il respiro per non sentire il sapore del cibo.
Nonostante i passi falsi di Romeo, la serata fu piacevole e trascorse fin troppo in fretta, tra racconti dei tempi delle elementari, ricordi del nostro breve ma intenso fidanzamento da bambini e aneddoti divertenti alla scuola di medicina. All'una di notte mi riaccompagnò a casa e mi baciò teneramente sulle labbra, senza andare oltre - terzo sbaglio: ormai eravamo adulti, non più marmocchi! E poi sono una donna: prendimi e sbattimi contro la vetrata della portineria, su!
Lo invitai a bere qualcosa a casa mia, dimenticandomi dell'inconveniente Nick. Aprii la porta, accesi le luci spente del soggiorno e gli sfilai il cappotto dalle mani per metterlo sull'attaccapanni all'ingresso. Posai il mazzo di rose rosse sul tavolo e mi misi alla ricerca di un vaso, sperduto in qualche armadietto della cucina. Mi sentii chiamare e mi girai verso Romeo che fissava un punto in fondo alla stanza, la bocca semiaperta e l'indice puntato verso il nulla. Seguii il suo dito e deglutii rumorosamente alla vista di Nick in pantaloncini, apparso da non so dove, con lo sguardo a terra e la consueta abitudine di spettinarsi i capelli.
Oh merda.
Notò la lampada accesa del salotto e si decise ad alzare gli occhi verso di noi; a quel punto l'imbarazzo fu palpabile. E non solo quello, perché una mano sul culo del mio coinquilino...
- "Lui chi sarebbe?" chiese adirato, facendomi tornare a pensieri più consoni ad una brava bambina.
Nick mi guardò e accennò ad un sorriso beffardo, come a dire cazzi tuoi ora.
- "È-è... mio... fratello!". Sì, credibile, Sam: lui gigante, tu due mele e poco più; lui biondo e occhi chiari, tu castana e occhi scuri. In più Romeo avrebbe potuto benissimo ricordarsi che avevo solo una sorella.
Mio fratello mi diede una mano - manata a dire il vero -, sul sedere.
- "La mia sorellina!" sussultai per la botta e mi appuntai mentalmente di uccidere quell'idiota, non appena fossimo rimasti soli.
- "Romeo? - esclamò Nick. L'ospite si girò verso di lui, sorpreso di essere chiamato per nome - Micio-micio, dove sei?". Avrei dovuto immaginarlo che avrebbe attuato una messa in scena del genere.
Mi coprii gli occhi con la mano dalla vergogna, per non incrociare lo sguardo di nessuno.
- "Beh, il gatto Romeo non si trova. - continuò imperterrito - Che cafone che sono; non mi sono nemmeno presentato. Sono Nick" gli tese la mano e il mio accompagnatore la strinse, ancora confuso.
- "Sono Romeo".
- "Oh, bel nome! - sospirò Nick - Buona notte, ragazzi". Lo guardai in tralice mentre si allontanava verso la camera degli ospiti.
- "Scusalo, ma cerca sempre di fare il simpaticone. - cercai di giustificarlo - Non ce l'abbiamo nemmeno un gatto!".
Okay, forse sto un po' esagerando con le balle.
Dopo pochi istanti dalla camera del mio coinquilino arrivò un canzone che per poco non mi fece rizzare tutti i capelli in testa dalla rabbia: Cat Man di Gene Vincent.

Cat Man's a-coming, you better look out.
Cat Man's a-comin', running about.
Cat Man's a-comin', lookin' for a girl.
Better hide your sister, man!

Cercai di coprire il suono, alzando il tono della voce, ma l'udito di Romeo non perdeva un colpo e così la figura di merda fu servita su di un piatto d'argento.
- "Posso parlare un attimo con tuo fratello?" mi chiese, calmissimo.

Cat Man a-lookin' for a woman all day long.
Ah-better watch out 'cause he is in you midst.
Ah-better watch out 'cause or you're gonna be kissed.
Better watch out 'cause he is in you midst.
Cat Man, CAT MAN!
Better watch out 'cause I'm the Cat Man.
CAT MAN!

L'idiota ora cantava pure!
- "No, non mi sembra il caso. E' un cretino, lascialo perdere".
- "Mi permetto di insistere. Solo due parole, promesso". Si metteva male.
Neanche a farlo apposta, Nick ricomparve di nuovo in cucina, sempre mezzo nudo, con in mano un bicchiere vuoto.
- "Prendo solo un po' di acqua e poi non vi disturbo più". Romeo si alzò in piedi e lo seguì fino alla penisola della cucina; io mi alzai a ruota e li raggiunsi.
- "Ti stai divertendo?" chiese a mio fratello. Lui lo guardò tranquillo, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi sarcastici.
- "Veramente sì. C'è qualche problema?" rispose innocente.
- "Mi è sembrato che tu mi stessi sfottendo con quella canzone".
- "Se ti sei sentito offeso è un problema tuo. È solo una canzone, Romeo" scandì bene il suo nome e gli si avvicinò. M'interposi a loro e cercai di farli ragionare, perché il livello di testosterone in casa si stava alzando pericolosamente e la situazione sarebbe potuta sfuggire di mano a tutti e tre.
- "Ragazzi, vi prego. Nick chiedi scusa per la tua poca delicatezza... " lo fulminai.
- "Io la chiamerei sottile ironia" mi corresse.
- "Sottile? - intervenne Romeo - Io dico che sei un buffone".
- "Io un buffone? Abbassa la cresta, sfigato". Nick gli si avvicinò ancora di più.
Il livello si stava abbassando e di molto.
- "Non ti spacco la faccia solo perché sei il fratello di Sam, ma sappi che mi stai già sul cazzo".
- "Stop! - li interruppi - Romeo, ti prego, va' a casa".
- "Sì, bravo. Vattene!" urlò Nick.
- "Nick, per carità: - lo supplicai - stai zitto!".
- "Io dovrei star zitto quando questo coglione mi dà del buffone?".
- "Basta!" lo ripresi di nuovo e lui finalmente mi guardò. Ma Romeo approfittò di quell'istante di distrazione e gli sferrò un pugno dritto sull'occhio destro.
- "Sei pazzo? - strillai, cercando di trattenere la furia di Nick che non vedeva l'ora di ricambiare il favore - Quella è la porta, vattene per cortesia!".
- "Prega di non incontrarmi per strada, Romeo! - lo ammonì, mentre l'altro stava per uscire da casa mia - E non provare mai più ad avvicinarti a lei! A mia sorella!" aggiunse, come a doversi giustificare di quello scatto d'ira.
Fletcher gli fece il dito medio e lui dovette fare di tutto per mantenere un briciolo di autocontrollo per non rincorrerlo e dargliene di santa ragione. La porta si richiuse ed io guardai Nick severa.
- "Era proprio necessario?" dissi dura. Lui prese il mazzo di rose dal tavolo, aprì la finestra e lo lasciò cadere per tre piani, fino alla strada.
- "Queste tienitele; le odia le rose rosse, imbecille! - tornò a rivolgersi a me - Sì, era necessario". Rimasi senza parole in salotto, da sola, mentre lui sbatteva la porta della camera degli ospiti dietro di sé, palesemente alterato.
Non ricordavo di aver mai detto di amare i tulipani bianchi o di odiare le rose rosse, eppure Nick lo sapeva. Certo, non potevo garantire per tutte le volte che ci eravamo visti - dal momento che talvolta ero molto più che brilla -, però di sicuro non erano delle cose che si dicevano tutti i giorni. Mi sfuggii un sorriso, sapendo che Nick era stato attento ai dettagli che riguardavano me.
Aprii il freezer e ne trassi una confezione di piselli surgelati, l'unica cosa sopravvissuta alla carestia regnante in casa mia. Bussai alla porta, ma lui non rispose; entrai ugualmente nella camera e lo trovai seduto sul lato sinistro del letto, i gomiti poggiati sulle cosce, fremente d'ira e con un tremolio nervoso alla gambe.
Mister dormiva sul tappeto e dovetti scavalcarlo per raggiungere il suo padrone e sedermi accanto a lui. Nick mi guardò solo per un istante con la coda dell'occhio. Gonfio e con parecchi capillari rotti.
- "Dovresti toglierti le lenti" gli dissi. Lui obbedì e le gettò nel cestino vicino al bagno.
Mi avvicinai e gli posai il pacchetto freddo sul viso.
- "Piselli, eh?" disse, ridendo.
- "Purtroppo le patatine erano finite. - gli sorrisi - Certo che ti ha dato un bel cazzotto".
- "Non ricordarmelo ti prego, altrimenti finisce sul serio che lo rincorro e gli spezzo quelle braccia da rachitico".
Orgoglio maschile.
- "Non voglio sapere dove tu abbia trovato quella canzone".
- "Ammetti però che era divertente". Scoppiai a ridere, ricordando la faccia sorpresa di Romeo quando l'aveva sentita cantare.
- "C'è rimasto malissimo! Avrà pensato che mio fratello è un tipo molto protettivo" buttai lì.
- "E' solo che aveva la faccia da stronzo e mi andava di prenderlo in giro". Per il momento mi accontentai di quella risposta e gli schiacciai più forte la confezione di piselli sull'occhio malconcio, mentre lui si lamentava per il dolore.
Rimanemmo così a scherzare per qualche minuto o forse per tutta la notte. Romeo non era parte del mio destino, ma, in fondo, era un po' anche merito suo se in quell'istante ero nell'unico luogo in cui mi sentissi di appartenere.



Buonasera!
Questa settimana non ho ancora provveduto a rispondere alle recensioni, ma rimedierò immediatamente :)
La canzone che ho scelto è vecchissima, ma forse qualcuno di voi l'avrà sentita per caso su qualche vinile; comunque, come ho già detto, è "Cat Man" di Gene Vincent.
Finalmente abbiamo conosciuto, anche se poco poco, la zia C-Annie-vora che forse non è così terribile come si pensava. Romeo Fletcher, invece, è stata un po' una delusione, no? Ma sì... tanto a noi interessa Nick! :D
Un po' gelosetto in questo capitolo :)
Spero vi sia piaciuto! Vi mando un bacione e vi ringrazio come sempre perché seguite/preferite/ricordate/recensite questa storia.
Baci!
Firework di  SunshinePol
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=609555&i=1

HappyCloud

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. If It's Magic. ***


Capitolo venti. If it's magic.

Nick MacCord nuoce gravemente alla salute. Soprattutto la mattina, quando esci mezza intontita dalla tua camera e la prima cosa su cui ti cade l'occhio è il suo sedere marmoreo davanti ai fornelli, racchiuso in quei pantaloncini che lo fasciano alla perfezione e ti consentono di immaginarne il contenuto anche da metri e metri di distanza.
Stava preparando la colazione: mescolava un composto in una terrina, controllava la fiamma della padella sul fuoco, rubava una briciola delle frittelle appena impiattate, si girava verso di me per puro caso... Devo ammettere che mi accorsi di quest'ultima cosa solo perché al posto del suo bel didietro, ci ritrovai qualcos'altro.
- "'Giorno" bofonchiai, portando lo sguardo più in alto, verso quell'occhio nero malcelato dietro un paio di occhiali da vista grandi e con la montatura nera.
- "Buongiorno" mi rispose con un sorriso e mi indicò la parte di penisola della cucina apparecchiata e stracolma di biscotti, brioches, succo d'arancia, tè, marmellata e nutella. E piselli.
- "Devo trovare l'intruso?" scherzai.
- "Ieri li abbiamo scongelati e oggi ho dovuto cucinarli per forza. Ma guarda che sono per pranzo".
- "Qualcosa mi dice che sei andato a fare la spesa" suggerii, affondando un cucchiaio nel barattolo della confettura di mele. Nick mi fermò e aggiunse una spolverata di cannella.
- "Assaggia e mi dirai. Sono dovuto andare a fare la spesa: nel tuo frigo c'era l'eco". Assaporai la nuova combinazione e ne rimasi sorpresa.
- "E-è perfetta!" esclamai.
- "Lo so; chiamala pure Macmellata". Eh, la modestia.
Nick aveva comprato anche il giornale e così cominciai a sfogliarlo interessata, alla ricerca di qualche informazione su Ralph J e la sua scarcerazione. A quanto si evinceva dall'articolo di tale Phillis, non ero l'unica intenzionata ad andare a fondo alla questione: anche Ken Hagrol - il famoso e pluripremiato giornalista autore di numerosissime inchieste - aveva fiutato lo scoop e si era subito messo sulle tracce dei gestori del giro di prostituzione della zona incriminata. Guardai con aria di sfida la foto sul London Express del mio avversario, ritratto come sempre di sfuggita, restio com'era a incontrare la stampa e a rilasciare interviste. Era un uomo sui quarant'anni, corporatura robusta e altezza modesta, con un carisma da fare invidia ad un presentatore di televendite.
Avrei dovuto lavorare il triplo per ottenere qualcosa prima di lui; sapevo che non avrebbe mai accettato di collaborare con me e con nessun altro: era un professionista che amava contare solo sulle proprie forze. Gli altri - amava ripetere - non saranno mai affidabili quanto te stesso.
Richiusi il giornale e tagliai con il lato della forchetta un pezzo di frittella cosparso di macmellata. Sarebbe stata una lunghissima giornata.
Il telefono di casa squillò, ma ricordavo di aver inserito la segreteria, perciò non tentai nemmeno di alzarmi. Bip.
- "Ciao Sam, sono Romeo. - io e Nick ci guardammo contemporaneamente di sottecchi e lo vidi stringere più forte il tovagliolo con il quale si stava pulendo la bocca - Volevo chiederti scusa per il mio comportamento di ieri sera perché so che tuo fratello stava solo scherzando ed io me la sono presa. Vorrei rivederti, anche solo per chiederti scusa. Chiamami". Bip.
- "Quindi?" mi chiese Nick.
- "Quindi cosa?" ribattei.
- "Cosa pensi di fare?".
- "A che proposito?" chiesi, riprendendo in mano il giornale. Cavolo, ma quanto è interessante leggere che hanno scoperto un nuovo tipo di ragno?
- "Sammy, - mi rimproverò - parlo di Cat Man".
- "Ah, non so. Forse gli darò una seconda chance". Nick non lasciò trasparire nulla dalla sua faccia da poker. Il boccone di cereali che stavo deglutendo mi rimase incastrato in gola. Non m'importava granché di Romeo, delle sue scuse, della sua maleducazione... avevo detto il contrario solo per vedere la reazione del mio coinquilino.
- "Forse hai ragione. - asserì lui, lasciandomi senza parole - Ieri ho fatto l'idiota, volevo solo divertirmi un po', ma ho esagerato. Scusati da parte mia". Sorrise e mi parve del tutto sincero; poi prese il suo piatto, lo mise nel lavello, e si andò a vestire in camera sua.

Passai la mattina tra le scartoffie trovate a York in compagnia di Valerie, in ufficio. Quando avevo preso in mano per la prima volta le carte riguardanti Banks, non avevo idea di quello che rappresentassero; Val li aveva definiti documenti scottanti, ma la verità era che nessuna delle due aveva previsto che il problema si sarebbe ingigantito a tal punto da far tremare parecchie persone. Stavo diventando sospettosa riguardo tutto quanto ci fosse al di là della porta del mio appartamento, soprattutto dopo l'avventura assai poco gradita ad Hyde Park; mi voltavo centinaia di volte lungo la strada per accertarmi di non essere seguita, limitavo il contatto con gli estranei al minimo indispensabile e perciò confesso che l'idea che ci fosse qualcuno a casa mia oltre Romeo - il gatto - in parte mi tranquillizzava.
Nel frattempo eravamo riuscite a delineare una sorta di scansione temporale della vita di Sam Banks, ma qualcosa mancava. Era come se qualcuno avesse cancellato con la bacchetta magica delle piccole parti della sua biografia; si sapeva dove avesse vissuto, però non c'era menzione di amici o conoscenti. Era sposato, ma la moglie da che parte saltava fuori? Aveva lavorato per anni nella sua città natale per poi trasferirsi a Londra improvvisamente, senza un apparente motivo sufficiente a farlo traslocare a sud dell'Inghilterra. Era arrivata l'ora di rimboccarsi le maniche e cominciare a fare sul serio; stavo sfidando Ken Hagrol e la cosa sarebbe tutta fuorché facile. Sarebbe stato necessario anche fare le valigie ed andare a visitare i luoghi interessati.
Per il momento però mi accontentavo di arrivare in centro e comprarmi qualcosa che mi avrebbe reso fantastica quando sarei stata sbattuta in copertina dopo la mia brillante indagine.

Suonai al citofono, sperando che Nick fosse già a casa e che mi aprisse la porta. Così fu ed io mi infilai nell'ascensore perché dopo ore di shopping le gambe cominciavano a cedere.
- "Sono scarpe nuove quelle?" fu la prima cosa che mi chiese. La borsa di cartone che tenevo tra le mani mi aveva tradito, svelando la mia sveltina tra negozi.
- "Non è come sembra: me le ha regalate la Fata Turchina..." dissi vaga.
- "Sammy non ne hai bisogno!". Ma perché, perché, perché tutti mi facevano sempre la stessa ramanzina? Io ne avevo un disperato bisogno: dove vai nella vita senza un paio di comode calzature giallo limone ai tuoi piedi?!
- "Sì, invece. Cosa metterei altrimenti con un vestito giallo acido?".
- "Ce l'hai almeno un vestito di quel colore assurdo?" sollevò un sopracciglio.
- "No. Vedi? Lo devo comprare!". E' logica questa.
- "E' un circolo vizioso. Dimmi almeno quanto hai speso".
- "Chi sei, mio padre? - il suo sguardò penetrante mi convinse a vuotare il sacco - Ottanta sterline". Okay, diciamo un terzo del sacco. Nick mi guardò incredulo: non se l'era bevuta. Ero certa che avesse letto la scritta Moschino sulla busta del negozio, però, suvvia, era un uomo; gli unici numeri nella vita che avrebbero dovuto interessarlo erano i risultati delle partite di calcio e la lunghezza del suo pene, non il prezzo del mio ultimo acquisto.
Mi tolse la borsa dalle mani e si girò dandomi la schiena, proteggendosi dai miei colpi che non riuscivo comunque ad angolare in modo tale da poterlo seriamente impensierire. Trasse vittorioso lo scontrino e mi guardò con un'aria di rimprovero.
- "Ti sei forse dimenticata il per tre? Duecentoquaranta sterline non credi siano tantine?".
- "Tanti? Tu li guadagni in tre ore di lavoro. E poi sono stressata, Nick, ho bisogno di sfogarmi" mi difesi.
- "Perché non provi a sfogarti al supermercato? Almeno non rischieresti in continuazione di morire di fame".
- "Non ho bisogno di cibarmi, quando ho questo". Lo scavalcai con aria di sufficienza ed arrivai fino all'armadio in cui custodivo gelosamente i miei piccoli tesori. Lo aprii soddisfatta, già pregustando l'appagamento visivo che sarebbe derivato da quelle piccole creature scintillanti. Per poco non mi venne un attacco cardiaco multiplo.
- "Chi cazzo ha messo in ordine cromatico le mie scarpe?" urlai come una pazza isterica.
Non ci siamo, non ci siamo, NON CI SIAMO!
- "Mi annoiavo oggi pomeriggio" ammise.
Mi sedetti sul pavimento perché lo shock avrebbe potuto stroncarmi da un momento all'altro e osservai sconsolata quel fottutissimo ordine logico che aveva assunto il mio adorato armadio.
- "M-ma tu n-non...". Nick si avvicinò a me, ora del tutto sdraiata sul pavimento con braccia e gambe aperte come l'Uomo Vitruviano di Leonardo. Mi guardò dall'alto, mentre frignavo per l'immenso casino ormai defunto.
- "Le ho tolte dai ripiani, pulite una ad una, passate con un panno apposito e tu ora ti lamenti perché ho fatto un ottimo lavoro?".
Protesi le braccia verso di lui col chiaro intento di strozzarlo da lontano, schiudendo un occhio per la troppa luce proveniente dal lampadario di cristallo della mia camera. Afferrò le mie mani e cominciò a trascinarmi sul parquet fino alla cucina, incurante delle mie lamentele pietose sul fatto che il suo stramaledetto ordine stesse invadendo l'unica oasi di pace che mi fossi ritagliata a Londra: il mio santissimo appartamento.
- "Smettila di mugugnare, sta per arrivare Will con la cena". Caddi a peso morto sul pavimento ed attesi che arrivasse il mio vicino per sollevarmi e a farmi sedere sulla sedia accanto alla sua.

- "Amico, sei impazzito? - chiese a Nick, non appena gli venne riferito il macello che aveva combinato nel mio intoccabile armadio - Mai mettere le mani nelle cose di una donna".
 Stavo per inghiottire l'ultimo boccone della mousse al cioccolato preparata da Will, soddisfatta per averlo dalla mia parte, quando intercettai uno sguardo d'intesa tra i due uomini: mi stava prendendo per il culo.
- "Mi date un bacio?" suggerii con voce ingenua. Si guardarono a vicenda, confusi.
Ero seduta a capotavola con loro ai due lati. Presi le loro teste e le avvicinai alla mia, protesa in avanti per far sì che stampassero i due buffetti ciascuno su una guancia. Aspettai che entrambi si rilassassero, interpretando la mia richiesta come quella di una ragazzina capricciosa che pretende un contentino dopo aver assistito alla violazione dell'intimità del proprio vestiario.
Mi tolsi all'ultimo secondo, spingendo i loro crani l'uno contro l'altro fino a cozzare in un rumore sordo.
- "Ahia! Sei scema?" urlò Nick e Will gli fece eco, massaggiandosi la fronte.
- "Così imparate a mettervi d'accordo, stronzi". Provarono ad intortarmi in ogni modo, ma i miei occhi avevano visto bene e non c'era verso di farmi cambiare idea e credere alla loro versione.
- "Per farvi perdonare, stasera sparecchiate, lavate i piatti e il film lo decido io". Li fulminai preventivamente con lo sguardo affinché non tentassero nemmeno di protestare perché ero stata categorica e, in quei casi, ero come la Bibbia per i fedeli: parola di Dio, cioè me.
Lasciai gli sguatteri al loro lavoro, mentre mi facevo la doccia e mi concedevo l'unico momento da sola in tutta la giornata.
Asciugai i capelli con cura e mi misi un pigiama comodo con dei porcellini stampati e le pantofole di Snoopy, pronta a divanare.
Nick e Will erano già stravaccati sul sofà e, insieme a loro, c'era anche Kay, avvinghiata al braccio del mio vicino come una naufraga alla sua unica ancora di salvezza. Era un po' troppo cozza-attaccata-allo-scoglio per i miei gusti, ma Will era più felice nell'ultimo periodo e se anche solo una piccola parte di questa ritrovata gioia era merito suo, tanto valeva chiudere un occhio sulla sua morbosità ed andare oltre.
La salutai e mi accomodai accanto tra i due ragazzi che stavano guardando i riassunti della giornata calcistica. Presi il telecomando, ignorando le - inutili - lamentele e premetti play sul lettore dvd.
Un coro maschile di ancora? si propagò in tutta la stanza quando apparvero i titoli di testa del film, ma nessuno mi avrebbe dissuaso a cambiare.
- "Ottima scelta, Sam. Adoro Sweet November!" esclamò Kay ed io le strizzai l'occhio come segno di approvazione. Avevo spezzato il disco dopo la lite con Nick, ma non avevo resistito a lungo ed ero corsa al negozio per comprarne una copia nuova di zecca. Dopo dieci minuti, Kay allungò i tentacoli su Will e lo imprigionò tra le sue labbra fino alla fine del millennio.
D'accordo chiudere un occhio, però questi stanno per farlo sul mio divano, accanto a me!
Mollai un calcio sulla coscia del mio adorato vicino e finalmente lui capì che poteva tornarsene a casa e fare zozzerie senza che due nolenti spettatori dovessero godersi - mai verbo fu più azzeccato - lo spettacolo. Accamparono una scusa terribile e se andarono.
Mi sdraiai supina con i piedi verso l'unico ospite rimasto e mi apprestai a ripetere mentalmente a memoria i dialoghi, una volta per tutte in santa pace.
- "Sammy?" disse Nick, interrompendo il religioso silenzio che con fatica avevo creato per non perdere più nessuna battuta.
- "Eh" grugnii.
- "C'hai mai fatto caso che i protagonisti hanno le nostre stesse iniziali?" chiese tranquillo, rigirandosi tra le mani il dvd.
Sì, cavolo, sì che l'ho notato.
- "Sara e Nelson. - ribadì - E' curioso, no?".
Iniziavo seriamente ad odiare la sua scelta degli aggettivi da usare: eravamo passati da strano a curioso, era un passo, ma ancora le sue personalissime definizioni di tali parole rimanevano un mistero tutto da scoprire.
 - "Se è per quello, anche le iniziali del titolo coincidono" mi decisi a dire, fingendo indifferenza e insofferenza per il prolungarsi della conversazione che sovrastava le voci degli attori.
- "Vero. Uff... - sbuffò - Non posso guardare quanto sta facendo il Chelsea?".
Santa Maria madre di Dio, ma perché questo continua a parlare?!
- "Se poi taci e mi lasci vedere il film". Prese l'altro telecomando e schiacciò mille tasti per riuscire a vedere il risultato della sua squadra preferita. Nel frattempo afferrai le parole crociate cominciate a metà che c'erano nel portariviste accanto alla poltrona ed una penna abbandonata sul tavolino al centro del salotto. Completai alcune definizioni con facilità, però mi mancava una parola per poter riuscire a terminare lo schema.
La parte anatomica colpita dalla Sindrome di Asherman. Ma che cavolo ne so? Tutto ciò che sapevo era che la parola era di cinque lettere: nulla di più generico.
Giocherellai con la penna, mordendone la parte superiore con i denti; amavo sentire lo scricchiolio della plastica tra i molari, che trovavo quasi rilassante. Ripetei ad alta voce la definizione, in modo da ottenere l'aiuto del pubblico, senza chiederlo esplicitamente.
- "Fammi vedere" rispose lui con un gesto della mano ed io fui costretta a tirarmi su e sedermi con un gamba piegata verso l'interno coscia ed un piede per terra. Prese il giornaletto tra le mani, ma i suoi occhi erano ancora rivolti verso il match in tv che era ormai arrivato agli ultimi dieci minuti di gioco.
 La voce concitata del giornalista annunciò che Lampard aveva appena effettuato un lungo lancio in direzione di Drogba, annullando di fatto l'ultima chance che avevo di essere ascoltata da Nick. Quest'ultimo infatti divenne inquieto e lasciò cadere la penna incastrata tra i fogli della rivista da qualche parte sul sofà. Non se ne accorse e quindi mi misi io alla ricerca dell'oggetto perduto.
Tiro parato per la cronaca, ma il Chelsea insisteva. Tanto valeva concentrarsi sulla partita e rinunciare a qualsiasi pretesa di finire le parole crociate e il film.
- "Dai Anelka, crossa!" urlò Nick. Tastai il divano per trovare la biro persa nei cuscini, lo sguardo incollato allo schermo per la grande occasione che una delle squadre più famose di Londra stava avendo contro il Blackburn. Ivanovic colpì di testa e il goal fu persino troppo facile da realizzare. Ci alzammo quasi in contemporanea e ci abbracciammo, saltando come due idioti e urlando frasi sconnesse. Fui la prima a rendersi conto della situazione imbarazzante e a cercare di liberarmi dalla sue presa stritolante e dal suo profumo intriso nei suoi vestiti. Però non ricordavo quanto fosse bello stare tra le sue braccia, lasciarsi coccolare con la testa appoggiata al tuo torace. Dopotutto, non so se me la sentivo di staccarmi da lui.
- "Sapevo che avresti approfittato di qualsiasi occasione pur di toccacciarmi" rise. Mi staccai di colpo, paonazza in volto e decisa a difendermi con le unghie pur di non passare per l'accattona in cerca di affetto.
- "Ma se sei stato tu ad abbracciarmi!" esclamai, tornando a sedermi sul divano. Lui fece altrettanto e ci trovammo di nuovo uno accanto all'altro, con il giornale di enigmistica necessario per ripristinare la condizione di tranquillità iniziale.
- "Rilassati Sammy. - mi ammonì - Vuoi un massaggino?" si avvicinò pericolosamente alla mia bocca, un mezzo sorriso sulle labbra carnose, da baciare, mangiare, mordere, succhiare... solo guardare!
Lo allontanai e ripresi a cercare quella cavolo di penna che non aveva alcuna intenzione di uscire allo scoperto; tenevo gli occhi fissi sullo schema incompleto, indagando nella mia memoria se potesse esserci la risposta alla definizione mancante. Sentivo il suo sguardo su di me, fastidioso ed incredibilmente eccitante; mancava poco a che le gocce di sudore sulla mia fronte scivolassero sul foglio scandendo i secondi.
Calma, Sam. Tranquilla. Non sapevo neanche più cosa stavo facendo, troppo concentrata ad assicurarmi di non incrociare quelle maledette iridi chiare.
- "Che cerchi?" mi domandò curioso.
Mi uscì un gridolino isterico.
- "La penna!".
- "Tesoro, non per disturbarti o distoglierti da quanto stai facendo, intendiamoci. Però quello che hai trovato assomiglia più ad un portapenne".
In tutto questo, l'unica cosa che pensai fu: eh? Seguii la linea del mio braccio - prima - e della mia mano - dopo -, come se non appartenessero al mio corpo; fissai inorridita le mie dita che si erano fermate in corrispondenza della sua lampo e stavano perlustrando il terreno, nella più profonda convinzione che fosse il tessuto della seduta del divano. La tolsi subito e mi alzai: non mi ero mai vergognata tanto in vita mia.
- "Santissimi numi! Scusa, non volevo... cioè figurati se ti tocco il.. .no! Cercavo la pene... penna, intendevo la penna!". Nick si stava sbellicando dalle risate ed io ero seriamente in difficoltà. Vidi la coda pelosa di Mister uscire dalla camera degli ospiti e mi offrii di portarlo giù a fare la pipì. Gli aprii la porta e afferrai il cellulare, prima di sparire con la sola compagnia canina al mio fianco.
In testa mi rieccheggiavano le risate di Nick che ascoltava le mie patetiche scuse e sentivo... freddo. Cazzo, il cappotto. E le scarpe. E una tenuta più dignitosa di un pigiama da bambina delle elementari.
Chiamai Valerie e le spiegai le molestie di cui ero stata protagonista. Attiva.
- "Fammi capire: gli hai palpeggiato il pacco?".
- "Non ho fatto apposta! E-è capitato". Andavo avanti e indietro sul marciapiede, in attesa che Mister finisse ciò per cui eravamo scesi.
- "Come può capitare che tocchi il pisello a qualcuno? - Sbuffai; in realtà neanch'io sapevo come fosse potuto accadere - E lui che ha fatto?".
- "Lui ha gradito molto. Certo, sarebbe stato meglio se poi avesse avuto un seguito la cosa, ma lui si è accontentato. Per ora". Non ero stata io a parlare, ma Nick che mi aveva raggiunto con una giacca tra le mani e mi aveva sfilato il cellulare. L'ultima frase l'aveva pronunciata guardandomi con il suo solito ghigno malizioso che, inutile dirlo, mi aveva fatto avvampare. La giacca ora non era più necessaria.
- "Senz'altro, Valerie. Glielo dirò, buonanotte. - Riattaccò e si rivolse di nuovo a me - Ti saluta e dice che dovresti mordermi le chiappe al posto suo".
- "Consideralo come fatto".
- "Dai, smettila" mi disse. D'istinto guardai dove avessi appoggiato le mani; sia mai che avessi perso del tutto il controllo sui miei arti superiori, adesso liberi e calamitati dal patrimonio di famiglia dei MacCord.
- "No, tranquilla, i gioielli sono al sicuro. Intendevo: smettila di essere imbarazzata per quello che è successo prima, perché è stato un incidente. Non è accaduto niente - Santo cielo: non è successo niente ed io mi sento andare a fuoco - E comunque la risposta è utero".
Utero era la risposta del cruciverba o la zona del mio corpo in fiamme?
Il cellulare che Nick teneva ancora in mano squillò ed io riuscii a leggere sul display il nome di Romeo. Lui mi porse il telefono ed io mi appartai in un angolo per rispondere. La conversazione fu breve: accettai di vederlo quella sera stessa, subito; avrei chiarito la situazione una volta per tutte e mi sarei tolta da quella scomodissima con Nick al medesimo tempo.

Le sue mani lungo la mia schiena.
Le sue labbra dischiuse sul mio seno.
L'inesorabile lentezza dei suoi movimenti che avevano l'unico scopo di portarmi all'estremo, ad implorarlo di entrare dentro di me. Quelle iridi chiarissime puntate nei miei occhi.
Le mie dita in quei capelli che amava tormentare.
Non era solo questione di pelle o di chimica.
Era magia.

Dicono che il primo passo per risolvere un problema sia quello di ammetterlo. Ecco, io forse non ero ancora arrivata a quel livello.
- "Ho bisogno di te".
- "Accomodati. Che c'è?" mi chiese Will.
Esitai qualche istante, però poi cominciai a raccontare.
- "Stasera verso le 22 mi ha chiamata di nuovo Romeo Fletcher e ho deciso di uscirci. - ignorai la sua espressione di disapprovazione e prosegui i- Abbiamo parlato, si è scusato per il suo comportamento, mi ha offerto un cocktail e tra una cosa e l'altra mi sono trovata in un angolo del pub a baciarlo".
- "Non era mica il primo bacio, no?" scherzò, non afferrando il punto della questione.
- "No, ma era la prima volta che mi capitava di... pensare ad un altro mentre lo facevo".
- "Che hai fatto dopo?". Il mio interlocutore divenne presto interessato alla conversazione.
- "Credevo che se fossimo andati oltre forse avrei spento il cervello e sarei riuscita ad andare oltre il blocco emotivo che avevo. Ma non è stato così e perciò...".
- "Te ne sei tornata a casa" finì per me Will.
- "Veramente ci siamo scolati due bottiglie di champagne, ho aspettato che svenisse stordito dall'alcool, gli ho fatto una foto, gli ho rubato i boxer, gli ho appiccicato un post-it sulla fronte con scritto di non cercarmi mai più e poi me ne sono tornata a casa".
Non trattenete gli applausi, grazie.
- "Come fai ad essere sobria?".
- "Non ho guardato Le ragazze del Coyote Ugly una decina di volte per niente: bevi da una bottiglia, sputi nell'altra". Perle di saggezza direttamente dal mondo del cinema.
- "Astuta! E l'altro è la persona che penso?".
- "Non saprei con certezza assoluta; sai, ha un viso comune, fisico comune, capelli comuni, modo di parlare comune, abbigliamento comune, vocabolario comune...". Sì, sto vaneggiando.
- "Sam".
- "Senza dubbio, Will. Era Nick" gridai disperata.
- "Squilli di tromba, prego! Samantha Grayson ha appena ammesso quello che il mondo si aspettava da mesi ormai: le piace Nick MacCord".
- "No, alt! Mi piace un corno! Deve avermi fatto qualcosa quando l'abbiamo fatto, qualcosa di strano".
- "Un filtro d'amore probabilmente" mi canzonò.
- "Pensavo a qualcosa di più simile al malocchio" affermai convinta. Kay sbucò dal nulla e s'inserì nella conversazione, nonostante la sua opinione non fosse richiesta; quella donna era come il prezzemolo: spuntava fuori dal nulla e molto spesso era indesiderata.
- "Trovi che sia così assurdo essere attratta da lui? È un bel ragazzo, è intelligente, sexy, spiritoso... - Will si chiarì la gola - Anche se non raggiunge i livelli di Will. E poi gli piaci anche tu, vedrai che non avrà neanche cominciato a cercare una dottoressa per la vostra scommessa".
Pronto? E questa che cavolo ne sa della nostra scommessa? Squadrai il mio vicino con una nuova follia omicida.
- "Will posso parlarti un istante? Da soli. - gli afferrai una manica della camicia e lo trascinai vicino a camera sua - Il fatto che lei te la dia non ti autorizza a raccontarle gli affari miei!" sbraitai.
- "Hai ragione, ma mi è scappato". Ah, povero, gli è scappato.
- "Bene. Allora d'ora in poi farò in modo che non mi 'scappi' più nulla della mia vita privata in tua presenza" dissi arrabbiata.
- "Dai, non esagerare, non è così importante".
- "Se non ti spiace decido io cosa è importante e cosa non lo è".
- "Perché ti scaldi tanto?".
- "Mi scaldo perché da quando c'è lei non tieni mai quella ciabatta chiusa. Finora ho taciuto, però ora credo sia arrivato il momento di farti capire che lei non è la donna giusta per te".
- "Cosa c'entra Kay! Sei tu quella che sta perdendo il lume della ragione per una cazzata. Il problema è che tu non consideri quella scommessa un gioco; per te rappresenta l'unico punto in comune con Nick, l'unica cosa che ti lega a lui. Sei talmente vigliacca da non riuscire ad ammettere nemmeno con te stessa che lui ti piace e non hai le palle sufficienti ad affrontare di petto l'intera situazione e quindi riversi tutte le tue ansie, frustrazioni e preoccupazioni su di me e Kay" mi spiegò tutto d'un fiato.
- "Se ti pesa così tanto essermi amico perché continui ad esserlo?" mi difesi.
- "Francamente non lo so, visto che sin dall'inizio è stato chiaro che questa amicizia è a senso unico; io ci sono sempre per te e tu non ti degni neanche di chiedermi come sto. Ho passato notti in bianco ad ascoltarti parlare e l'ho fatto volentieri, perché ti voglio bene e perché volevo esserci per te. Ma sono solo io quello che ascolta, quello che consiglia, quello che è sempre disponibile quando hai bisogno. E adesso c'è Kay che mi capisce, che si ricorda di me non solo quando le servo e tu vorresti che io buttassi via tutto? Comincia a crescere, Sam; nulla ti è dovuto e se vuoi continuare a ricevere, devi abbattere quel muro di egoismo che hai creato e iniziare a dare. - Non l'avevo mai sentito parlare in maniera così schietta e dura, a tratti. Avevo ascoltato il monologo di Will senza fiatare, realizzando solo in quel momento il malessere del mio amico - Parla con Nick, è la cosa giusta da fare, lo sai".
- "Non credo che lo farò, invece; non ho niente da dirgli".
- "Hai baciato un altro e hai immaginato fosse lui. Io credo che tu abbia molto da dirgli" sentenziò.
- "E io credo che tu debba tornare di là. Vedrò di non disturbarti più con le mie paranoie".
- "Fai quel cavolo che ti pare, non mi riguarda. Continua su questa linea che non ti porterà a nulla". Mi guardò quasi con disprezzo e mi lasciò nel piccolo corridoio da sola. Era tornato da Kay ed il mio stato d'animo era un misto tra delusione, rabbia, voglia di spaccargli un piatto in testa e di piangere da sola con una vaschetta di gelato al pistacchio. Passai di fronte alle loro figure felici appoggiate al divano, dal quale presi la giacca e la borsa che avevo appoggiato al mio arrivo. Uscii sbattendo la porta, con la consapevolezza che non avrei rimesso piede in quell'appartamento per un po'.
Che si diverta pure con quella rompipalle ficcanaso.
Entrai in casa mia: era vuota, silenziosa e le luci erano spente, segno che Nick stava lavorando al Pumping Pumpkin, ancheggiando davanti a qualche cinquantenne insoddisfatta dalla noiosa vita sessuale di coppia o a qualche ventenne arrapata. Al solo pensiero mi veniva la nausea; stava ballando mezzo nudo su uno stupido palco come carne da esposizione. Sia chiaro che mi stavo battendo contro la mercificazione del corpo maschile, nulla di più. L'avevo presa proprio sul serio questa storia del salvaguardare l'uomo dall'abuso della sua immagine: avrei salvato Nick dallo spaventoso ed ignobile sfruttamento del suo fisico.
Ingannai la noia provando a mettere per iscritto qualche pensiero sul rapporto con lui: origini, ragioni, storia... più che una riflessione su due persone, sembrava una ricerca di geografia. Non lo sentii rientrare e quando alle sette mi alzai a fare pipì, mi accorsi che lui era già - o ancora - sveglio. Lo raggiunsi in cucina, dove si stava muovendo piano, facendo attenzione a non sbattere contro i mobili e a non far cadere nulla.
- "Nick?" chiesi, accendendo la luce.
- "In carne e muscoli" rispose presuntuoso.
- "Ho deciso che ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro" gli annunciai soddisfatta.
- "Io ce l'ho già un lavoro" commentò ancora un po' stordito dal sonno.
- "Quelli vendono il tuo corpo a delle donne disadattate socialmente" mi prodigai in una spiegazione quasi antropologica del fenomeno.
- "Non mi pare che tu ti sia lamentata quando sei venuta". Quella frase - con ampio doppio senso allegato - mi spiazzò; avevo rimosso quella serata in cui anche io avevo visto e apprezzato lo spettacolino offerto da culi e addominali di rappresentanti di varie etnie presenti sulla Terra.
- "È passato un secolo" mi giustificai.
- "Non è un reato, Sammy: non va in prescrizione ed è come se non fosse mai avvenuto. Di' un po', non è che sei gelosa di tutte quelle donnacce che mi mettono le mani addosso".
Le mani addosso? Se ben ricordo c'era la regola del guardare ma non toccare.
- "Sono offesa da queste tue accuse! Io cerco di aiutarti".
- "Hai aiutato anche Fletcher ieri sera?".
- "Sì, cioè no. - M'indicò il sacchetto dei boxer che avevo appoggiato sul tavolo - È una sfida, dopotutto" aggiunsi. Stavolta fui io ad avvicinarmi a lui.
- "Certo. Solo che non pensavo che avresti compromesso la tua integrità morale per una sfida".
- "Mi prendi in giro? Ho compromesso la mia integrità morale nell'attimo stesso in cui ho valicato la soglia del Pumping Pumpkin e ubriaca marcia ho firmato la scommessa".
- "Ma quello è un idiota!" urlò.
- "Non l'avevi detto tu che avrei dovuto parlarci ancora? Comunque non lo rivedrò mai più, mi auguro" spiegai.
- "Sono contento. Per te, intendo" tenne a precisare.
- "Sei geloso?" insinuai con un sorriso malizioso.
- "Geloso io? E di chi, di Cat Man? Non credo proprio".
- "Siamo amici io e te?". Quella domanda mi era uscita così, a bruciapelo e non avevo fatto nulla per trattenerla tra le labbra. Certe questioni vanno prese di petto, come diceva Will.
- "Non so se siamo amici". Lo interruppi prima di perdere lo slancio.
- "Ti devo dare una cosa".
- "Anche io" aggiunse lui.
Presi dalla tasca la lettera in cui gli spiegavo le strane sensazioni curiose che ultimamente la sua presenza mi provocava, dallo stato di assoluta intolleranza, al fatto di immaginare lui mentre baciavo un altro. Era una scelta molto e poco coraggiosa allo stesso tempo: lo era poco perché non avevo racimolato abbastanza coraggio per parlargliene faccia a faccia, affidando i miei pensieri ad uno scritto; ma lo era anche tanto perché avevo deciso su due piedi di tirar fuori tutto quello che avevo represso per settimane, punta nell'orgoglio da quanto mi aveva urlato Will.
Impiegai un attimo di più a togliere il foglio dalla giacca, incastrato in un angolo della stoffa. Cercai di piegarlo in modo da rendere la fuoriuscita più agevole, ma non servì a nulla se non a farmi apparire ancora più agitata e impaziente. E cretina.
C'era anche una banconota accartocciata che non ricordavo di aver infilato in quel cappotto. Tanto meglio: avrebbe contribuito al finanziamento per una futura giornata di shopping.
Nel frattempo Nick si era girato verso il borsone che aveva preparato prima di tornare alla sua villetta, fresca di tinteggiatura e di pavimenti lucenti. Quando si voltò verso di me mi porse un pacchetto che smorzò tutto l'entusiasmo che avevo faticosamente messo insieme.
- "C-cos'è?". Tentennai di fronte a quel regalo racchiuso con cura in una carta color avorio sigillata da ceralacca rossa.
- "La ragione per cui ci frequentiamo. - Un pugno allo stomaco a confronto mi avrebbe fatto il solletico. Era andato a letto con un'altra. Ancora. - E tu cosa devi darmi?". Mollai quasi inconsapevolmente la presa sulla lettera.
- "Queste, - risposi con un fil di voce, tendendogli quelle che scoprii essere cinquanta sterline - per la spesa". Mi fissò stranito e poi ripose il denaro di nuovo nella mia tasca; tremai al pensiero che potesse scorgere il pezzo di carta, ma lui si concentrò subito su Mister che si stava scambiando degli affettuosi dispetti con Romeo.
- "Considerali come l'affitto. Ti informo che per stavolta ho estratto io il compito settimanale, visto che entrambi abbiamo già assolto ai nostri doveri. Trovati un camionista, non un pirata della strada che basti tu". Tanto ce l'avevo già qualcuno che mi ha investito e ucciso il morale.
Annuii senza convinzione nella speranza che lui non si accorgesse.
- "È ora di andare. Grazie dell'ospitalità, Sammy". Inaspettatamente, mi abbracciò ed io mi ritrovai un po' a disagio a contraccambiare, rigida ma sul punto di sciogliermi da un momento all'altro.
Lo guardai da lontano uscire dal mio appartamento con il suo cane e tirai un sospiro di sollievo ripensando al caos che avrei creato tra noi se mi fossi persuasa a dargli quel foglio. No, era stato tutto sbagliato: una dichiarazione - anzi, una sorta di richiesta di mettere le carte in tavole e parlarsi a cuore aperto - necessitava di una maggiore elaborazione, non poteva essere una decisione istantanea, presa in un attimo di follia per provare a me stessa e a Will che non ero affatto una vigliacca. Infatti, più che altro ero una deficiente.
Quel maledetto pezzo di carta andava bruciato. O forse era meglio conservarlo in qualche angolo nascosto della casa, come monito nel caso in cui mi fosse passato di nuovo per la mente la malsana idea di espormi al mondo esterno. Ad ogni modo quel foglio doveva sparire.
Misi la mano nella tasca e constatai che la lettera non c'era più. Stavolta, però, ero certa che la magia non c'entrasse.

So...
If it's magic...
Why can't we make it everlasting,
Like the lifetime of the sun.


Buonasera!
Lo scorso capitolo mi sono dimenticata di farvi gli auguri di Pasqua, super pessima :( Perciò ve li faccio ora, in ritardo! Teneteli buoni per l'anno prossimo.
Risponderò a breve alle recensioni :D
La canzone di oggi è "If it's magic" di Stevie Wonder e il film che ho citato è "Le ragazze del Coyote Ugly", come già detto. La partita di calcio Blackburn-Chelsea è assolutamente vera.
Chiedo scusa per eventuali errori!
Comunque, Sammy fa progressi, però cacchio con Nick che rema contro questa santissima (?) donna mica può far miracoli :)
Alla prossima spero e grazie a tutti Un bacio!
S.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. Misunderstanding. ***


Capitolo ventuno. Misunderstanding.

Devo recuperare quella lettera. Non importa come, ma quello stramaledetto foglio deve ritornare nelle mie mani, o, perlomeno, allontanarsi di qualche chilometro da quelle di Nick. ,
Indossai il primo cappotto che trovai sull'attaccapanni e scesi veloce le scale fino al piano terra, guardandomi attorno per vedere dove fosse arrivato il mio ex coinquilino. Giunsi fino al marciapiede, ma non potei proseguire oltre dal momento che l'asfalto era bagnato di una leggera pioggerellina mattutina ed io calzavo un paio di pantofole di pezza. In ogni caso, non c'era traccia di Nick che doveva aver chiamato un taxi alla velocità della luce ed esserci salito al volo. Chiesi al portiere che era già in servizio se avesse visto un ragazzo con un cane uscire dal palazzo, però lui mi rispose che era passata una ragazza mora a prenderlo in macchina.
Una ragazza. Mora. Una ragazza. E chi cavolo era questa ora?
Tornai nel mio appartamento e aprii l'armadio in cerca di qualcosa da mettermi; scelsi un paio di pantaloni beige, una camicia chiara ed un cardigan blu. Saltellai fino alla porta mentre mi infilavo gli stivali e la giacca ed arrivai sul pianerottolo; proprio in quel momento stava uscendo anche Will dal suo appartamento, ma non si sprecò nemmeno a guardarmi ed entrò diretto nell'ascensore, evitando di passarmi davanti per raggiungere le scale. Io non mi ero mossa di un centimetro, gli occhi fissi su di lui che mi aveva ignorata completamente prima di sparire dietro le porte scorrevoli.
Scesi ciascun gradino con calma, l'intento di fare in modo che la scena appena vissuta non si ripetesse anche nell'atrio del nostro palazzo, magari davanti al portiere o a qualche condomino di passaggio che di sicuro non si sarebbe fatto scappare l'occasione per domandarci perché non ci stessimo calcolando minimamente, quando eravamo soliti trascorrere moltissimo tempo insieme.
Con un taxi arrivai fino al quartiere di Nick, il cuore che si era fermato all'attimo in cui si era smaterializzato in casa mia con quella lettera che conteneva un segreto che per me assumeva la stessa importanza di quella del Sacro Graal. Non appena lui aprì il cancello mi precipitai sotto il suo piccolo portico.
- "Hai letto la lettera?" gli chiesi come prima cosa.
- "Buongiorno Sammy. Sì, ma non preoccuparti perché ho capito. - Ah, aveva capito. Cosa esattamente non lo sapevo, però aveva capito. Beato lui! Io non avevo la minima idea di quello che stava succedendo - È per Will" concluse con una scrollata di spalle disinteressata.
Okay, a quel punto avevo perso del tutto il filo del discorso; era impossibile - e francamente insperabile - scambiare quelle parole circa il nostro incontro, la scommessa, il Pumping Pumpkin e quant'altro per una specie di dichiarazione destinata a Will, invece che a lui.
- "Will?" ripetei incerta, a metà tra una domanda ed un'affermazione.
- "Ho parlato con Kay - la ragazza mora che era passato a prenderlo - e mi ha detto che stai preparando una sorpresa per lui. Una cosa su noi quattro, sull'amicizia e cazzate varie".
- "Cazzate varie?" mi uscì spontaneo chiedere. In realtà fu un'ottima mossa per guadagnare tempo in previsione della ricerca di una scusa plausibile e soprattutto coerente con quella adottata da Kay.
- "Tutte quelle robe da femmine che credo si collochino tra la ceretta di gruppo e i pigiama parties. A noi basta una birra e una partita di calcio per farci apprezzare la compagnia maschile, mentre voi donnucole avete bisogno di scrivere poemi su quanto vi vogliate bene, per dirvi quando siete importanti le une per le altre".
- "Non commenterò la tua stupidità. Comunque la mamma non ti ha insegnato che non si rubano le cose dalle tasche delle signorine?".
- "Pensavo che ci fosse il mio nome attorniato da cuoricini e un 10+ per la prestazione durante quella famosa notte a casa mia".
- "Intendi quel 5 scarso allora..." lo punsi nell'orgoglio, incrociando le braccia al petto.
Lui scosse la testa e rise mentre mi fissava dritto negli occhi, del tutto indifferente alla battuta che gli avevo appena fatto.
- "Quello del 5 dev'essere Romeo. Io mi sarei dato un 7.5. Avrei potuto fare molto di più se solo tu non fossi stata così frettolosa di concludere e di saltarmi addosso; ti darei la sufficienza comunque".
- "Se tu sei Speedy Gonzales a letto non è colpa mia. E poi... la sufficienza? Io sono un'eccellente amante, razza di maleducato che non sei altro!"
- "Ora non esageriamo..." scherzò lui , descrivendo dei cerchi in aria che significavano che stavo pompando un po' troppo la cosa.
- "Stiamo davvero dando dei voti alle nostre performances sessuali? Perché, cavolo, fa molto teenagers che passano il tempo a coccolarsi il pisello" commentai.
- "Il termine corretto è masturbarsi. Lo puoi dire, non è una parolaccia e ti assicuro che non finirai all'inferno, bella bambina. E non diventerai nemmeno cieca." mi canzonò, avvicinandosi e cercando di lasciarmi un buffetto sulla guancia, ma glielo impedii.
- "So come si dice - dissi imbarazzata -, ti stavo solo dando la versione edulcorata. Ora possiamo cambiare argomento?".
- "Perché ti senti così a disagio a parlare di sesso?".
Mmm...
- "Non sono a disagio! - Nick mi guardò perplesso: non ci credeva nemmeno lui che io potessi discorrere di cosacce senza sentire le guance avvampare - D'accordo sono a disagio a parlare con te di sesso, soprattutto se riguarda quello fatto insieme" ammisi, infine.
- "Non devi preoccupartene, è già finito nel dimenticatoio".
Beh, ora mi sentivo molto meglio.
Io erano giorni e giorni che rimuginavo sui nostri baci, su quella volta nel suo letto dopo essere stata a York e lui aveva già voltato pagina secoli prima, quando si era sbattuto quella dottoressa che mi ero imposta di immaginare come la donna più brutta del mondo. Mi sentii un'autentica idiota, ma non riuscii a frenare la lingua.
- "Grazie. È esattamente quanto una donna desideri sentirsi dire".
- "E allora cosa vorrebbe sentirsi dire? Che lui è stato bene, che è innamorato e non vede l'ora di rifarlo con lei per ore, giorni, mesi, anni?". Più o meno ci siamo. Certo, con qualche pausa qua e là per assicurarsi di poter camminare ancora, ma il concetto di base era quello - Perché io non sono così. Sono un tipo da una volta e addio, avanti la prossima!"
- "Lo so come sei. - mi affrettai a dire, ma la voce mi uscì più malinconica del dovuto - Si è fatto tardi, devo andare a lavoro ora". Presi la lettera e la riposi nella borsa, il che costituì il perfetto alibi per poter distogliere lo sguardo da Nick e concentrarmi per qualche secondo su di un altro soggetto. Gli sorrisi appena mentre recuperavo le mie cose appoggiate sul mobile all'entrata e imboccavo la porta della sua villetta a schiera.
 Dovevo assolutamente ricordarmi di chiamare Kay e ringraziarla per avermi parato il fondoschiena con suo cugino, nonostante non arrivassi a comprendere il motivo per cui lo avesse fatto, dal momento che era manifesta l'opinione negativa che io avevo di lei.
Che palle, mi sarebbe toccato pure dirle grazie.

- "Samantha Grayson?". Ero riuscita a prendere la chiamata in extremis, più o meno al decimo squillo. Mittente anonimo.
- "Sono io. Con chi parlo?".
- "Ralph. Ho ricevuto il tuo messaggio. "
Ralph?

- "Ralph? Quel Ralph? Dio, non ci posso credere. Come stai?" mi affrettai a chiedergli, anche se mi resi subito conto che non era esattamente la domanda più intelligente da fare a uno sospettato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
- "Sono stato meglio; per esempio quando eri tra le mie braccia, accoccolata contro il mio petto nudo, nel mio letto che ora è vuoto senza di te...". Oddio, ecco che era partita la cantilena diabetica che lo rendeva assolutamente insopportabile ai miei occhi.
- "Sì, sì... - tagliai corto - Ma raccontami di come diavolo hai fatto a cacciarti in un guaio del genere".
- "Non lo so, mi hanno incastrato. Ti prego Sam aiutami, non voglio marcire in una prigione federale, in isolamento o, peggio ancora, in mezzo a tutti gli altri detenuti che mirano a possedere il mio sedere".
- "Calmati. Innanzitutto, non siamo in America, perciò nessuna prigione federale. Riguardo il sedere... - beh, riguardo a quello non potevo garantire, quindi meglio tacere - Dicevo, sei agli arresti domiciliari, giusto?".
- "Sì, ma presto scadranno i termini e dubito che per quel momento sarà tutto risolto. Devo andare, ho dovuto supplicare per fare questa chiamata. Aiutami!" riattaccò.
Ero più che certa che quella conversazione fosse stata intercettata e ascoltata da almeno una ventina di persone, tra investigatori e detective vari e la cosa non mi faceva sentire tranquilla. Se l'avesse sentita qualcuno di pericoloso, questa poteva essere la volta che avrebbero fatto di Romeo uno spezzatino di gatto.

Non appena arrivata in ufficio raccontai a Valerie della telefonata a sorpresa di Ralph e dei miei - più che fondati - timori sulle sorti mie e del mio micione. Lei convenne con me e mi fece promettere che avrei prestato attenzione in ogni singolo gesto da compiere, perché non eravamo a conoscenza delle capacità del nostro nemico e, di conseguenza, avremmo potuto trovarci appese come due salami nella cantina di qualche strano individuo, punite per il nostro incauto ficcanasare.
La lasciai un po' abbattuta per gli zero risultati fino ad allora ottenuti e mi sedetti alla mia scrivania tra gli sguardi dei miei colleghi, che ancora non avevano metabolizzato il fatto che il caso dell'anno fosse stato affidato a me; mi voltai di scatto per far intendere loro che non ero dell'umore di discutere e che li avrei azzannati al primo battibecco. Tornarono come se nulla fosse al loro lavoro a computer ed io pensai che avrebbero dovuto farmi una statua perché l'affaire Ralph stava risparmiando all'intera redazione un sacco di stress, che, al contrario, era convogliato in toto nella mia persona.
Abbassai gli occhi sulla tastiera del pc e notai una busta appoggiata sotto, consegnata dal ragazzo della posta di  MM, Jeff. Jefff era un baldo giovincello sulla ventina, con folti riccioli che più che incorniciargli il viso, ne coprivano gran parte; aveva l'abitudine di scuoterli in un tremolio del capo che - era capitato parecchie volte, soprattutto quando era appena stato assunto - veniva interpretato dai miei colleghi come un principio di convulsioni da cui bisognava salvarlo. Ma io ero sempre stata dell'opinione che in realtà stesse dando una scrollata ai due neuroni rimastigli dopo tutti gli spinelli che si fumava.
Perennemente con la testa altrove e le cuffiette dell'mp3 nelle orecchie, capitava di frequente di avere la splendida opportunità di vedere i suoi boxer, visto che indossava dei calzoni col cavallo così basso da sfiorare il suolo. Di positivo, c'era che gli piaceva il suo lavoro e che salutava ogni mattina con un sorriso sincero a fior di labbra.
Presi la busta e il pensiero andò immediatamente a Will; forse aveva intenzione di scusarsi per le parole dure della sera precedente, per il modo in cui mi aveva trattata, per come aveva difeso a spada tratta quell'impicciona di Kay, accusando me di essere una codarda, di nascondermi dietro ad una barricata di egoismo. Mi scoprii delusa quando, nel girare l'involucro bianco, lessi che c'era scritto: Per Scarlett Bilson, la mia collega. Qualcosa di negativo ce l'aveva anche quel maldestro di Jeff: si contavano sulle dita di una mano le volte in cui la corrispondenza da consegnare aveva raggiunto il corretto destinatario; così toccava spesso a noi giornalisti rimedire ai danni. Non capivo proprio come avesse potuto equivocare il mio nome con quello di Scarlett, ma con Jeff meglio non farsi domande: probabilmente aveva visto una S ed aveva dedotto che fossi io.
Mi alzai dalla mia sedia girevole per portare la posta a Scar e passai davanti alla stanza vuota di Banks, che doveva essere ancora con la sabbia tra le dita dei piedi nello splendido e asciutto Brasile, mentre noi inglesi eravamo condannati a vivere in un autunno piovoso. Sbirciai all'intero grazie alla grande vetrata e feci quasi una piroetta su me stessa quando, all'ultimo, vidi con la coda dell'occhio una grande busta gialla. Entrai, la aprii e ci trovai le foto di due ragazzi e di una signora sorridenti in riva ad un mare azzurrissimo, attorniati da un panorama mozzafiato. Rigirai la fotografia e vi trovai una dedica: a te, tesoro, che sei sempre troppo preso dal lavoro per staccare prima, ma che ci pensi sempre. Questa vacanza è stata un sogno, grazie del regalo.
Valerie mi raggiunse alle spalle, senza che me ne accorgessi e mi strappò la busta dalle mani, sfogliando una ad uno le immagini.
- "È la sua famiglia!". Lei annuii ed un'espressione beffarda si posò sul suo viso. La seguii in silenzio fino al suo ufficio, dove aprì il faldone che ormai avevo imparato a conoscere: era quello in cui teneva annotati vita, morte e miracoli dei propri dipendenti. Lo sfogliò rapida e rallentò solo all'ultimo, quando trovo un quadretto famigliare degno di quelle noiose e utopiche pubblicità in cui tutto è perfetto. Presi il raccoglitore e lo girai dalla mia parte: Jill, Jim, Mike e Sam Banks. Altro che Brasile: per il vecchio Sam1 temporali in vista. E non solo perché era rimasto a Londra.

Dopo aver passato l'intera mattina a scrivere un pezzo circa un discutibile gruppo gospel finlandese, mi decisi a passare a trovare zia Annie alla casa di riposo, nella speranza di non incrociare la mia strada con quella di Romeo Fletcher. La trovai stranamente di buon umore, vestita di tutto punto, i capelli cotonati a dovere ed in compagnia di un signore sui settanta vestito elegante con cui stava bevendo un tè nella saletta accanto alla sua camera. Mano sul braccio di lui, sorrisi a non finire, ciglia sbattute con frequenza da record: la mia cara vecchietta stava seguendo il manuale della perfetta civetta.
- "Disturbo?" mi intromisi.
- "Oh, Samantha. Certo che no, ma non mi avevi detto che saresti passata".
- "Volevo farti una sorpresa" le dissi.
- "Me l'hai fatta, tesoro. Posso presentarti il signor Kerry?".
 Ci presentò, l'uomo mi baciò galantemente la mano e mi cedette il suo posto sulla sedia di fronte alla zia. Provai a rifiutare, ma lui disse che se ne stava andando. Rivolse un'ultima occhiata ad Annie e poi se ne andò, promettendo di ritornare il giorno seguente.
- "Allora... - iniziai - Da quant'è che flirti con quest'uomo?" le chiesi maliziosa e per sbaglio diedi un calcetto a qualcosa sotto il tavolo: un pacchetto regalo scartato.
- "Io non flirto! - si difese e si accorse che avevo notato il dono - È solo un piccolo presente che mi ha fatto oggi per aver tenuto compagnia a sua madre in questi mesi, prima che morisse nei giorni scorsi alla veneranda età di centodue anni". Mi porse la busta che avevo urtato ed io dovetti trattenermi dall'urlare quando ne vidi il contenuto.
- "Que-questo è il piccolo presente? - chiesi incredula, gli occhi spalancati. Spostai le tazze dal tavolo e ci appoggiai l'esemplare di borsa più bello ed esageratamente costoso che conoscessi - Zia è una Birkin di Hermès, costa almeno cinquemila sterline!". La osservai sbarrare le palpebre a sua volta e insieme la analizzammo da vicino: di pelle bianca, con i manici e quel laccetto fermato da due placchette; era perfetta.
- "Cinquemila sterline? Oddio, portala a casa tu!". Cosa? Per quanto ambissi entrare in possesso di quel piccolo gioiellino, se l'avessi tenuta anche solo per qualche ora, poi, una volta che mi fosse stato chiesto di restituirla, avrei preferito scappare alla Bahamas con lei piuttosto che affidarla a mani altrui.
- "Scherzi?" esclamai.
- "No, no. Il tuo appartamento è molto più sicuro di questo posto".
Okay, io ho provato a rifiutare, ma l'anziana e fragile zia insiste così tanto...non me la sento di dirle di no. Anche se non avrei proprio definito casa mia un posto sicuro.
- "Va bene, la custodirò per te" dissi poetica.
Chiacchierammo per circa due ore e scoprii una Annie sconosciuta in sostanza a tutta la parentela; era una donna intelligente, acuta, spiritosa che aveva solo bisogno che qualcuno si fermasse a parlare con lei per più di quei tre secondi in cui le usciva quel grugnito nervoso. Mi sentii un po' in colpa per non essere mai restata qualche istante ad ascoltarla, per capire che dietro quella facciata di zitella insopportabile, in realtà ci fosse una donna profondamente sola. Mi disse di provare la Birkin subito e di lasciare la mia vecchia - e aggiungerei dozzinale - borsa nell'armadio in camera sua.
La salutai elettrizzata al pensiero di mostrare al mondo la mia nuova Hermès. Uscendo, presi un taxi per tornare a casa, felice come una bambina; lungo il tragitto, notai un gruppo di camionisti fermo ad una piazzola, intenti a scambiarsi due parole prima di ripartire. Sull'onda dell'entusiasmo, chiesi al tassista di fermarsi e di lasciarmi lì. All'inizio cercò di convincermi che non era una buona idea, ma io non mi lasciai persuadere e mi presentai in mezzo a quel branco di omoni.
- "Salve!" mi intrufolai sorridente.
Bene, Sam, e ora che si fa?
Loro mi guardarono curiosi, poi mi si avvicinarono con un'aria tutto tranne che rassicurante. Indietreggiai il possibile e maledissi la mia cocciutaggine.
- "Bella moretta, ti sei persa? Vuoi che usi il mio bastone per indicarti la strada di casa?". Un tizio grosso con una maglia bianca ed un gilet di jeans cercò di sfiorarmi il viso con le mani sporche.
Cazzo, ma in che cavolo di pasticcio mi sono cacciata?
- "Irving, lasciala in pace" bofonchiò con voce profonda un altro, con dei baffetti stranissimi ed un fisico molto meno possente. Gli altri cominciarono a brontolare, ma alla fine si arresero e se ne andarono coi loro camion, lasciandomi sola con l'unico uomo che mi aveva difeso.
- "Grazie" accennai ad un sorriso. Di tutta risposta, lui mi lasciò di stucco togliendosi i baffi, evidentemente finti, ed iniziò a parlare con un tono molto meno impostato rispetto a prima.
- "Zuccherino, fossi in te non mi aggirerei da queste parti con tutti quei capi firmati e quel pezzo da museo tra le mani; ringrazia il cielo che quei trogloditi non sappiano riconoscere la cacca dal cioccolato perché altrimenti a quest'ora saresti già rimasta in lingerie".
GrAYson radar attivato.
Un uomo aveva riconosciuto una borsa: incredibile.
- "Ma tu sei un uomo..." commentai confusa.
- "Diciamo che ho il corpo di un uomo, ma il pensiero è tutto femminile, bella gioia! - disse, ridendo sguaiatamente - Per il lavoro che faccio meglio che non sappiano che sono una checca isterica, però, per il resto non m'importa che il mondo sappia che sono l'omosessuale più gay che ci sia! Sono Warren" esclamò, porgendomi la sua mano.
- "Samantha... Sam".
- "Bene; ora che le presentazioni sono ufficiali, fammi vedere immediatamente quella Birkin. - me la strappò dalle mani e cominciò ad accarezzarla come fosse un cucciolo di cane - Dio, ucciderei per averne una uguale. Senti la morbidezza della pelle! Tesoro, riprendila perché altrimenti potrei avere un orgasmo qui!". Certo, era un po' strano, ma Warren mi ispirava simpatia e così gli proposi di bere qualcosa insieme.
Dieci minuti dopo, gli avevo raccontato inconsapevolmente tutta la mia vita, scommessa inclusa, di fronte ad un cappuccino. Mi fermai per riprendere fiato e mi resi conto che quell'uomo sapeva ormai tutto. Come diavolo era riuscito a farmi dire tutto?
- "E quindi Nick ha due chiappe di granito che ti fanno girare la testa. - commentò interessato - Voglio conoscerlo!".
- "Auguri!" dissi sarcastica.
- "Comunque non ti devi preoccupare: ci teniamo in contatto e mi farò passare per il tuo focoso camionista super etero. Mi piaceresti un sacco, se solo avessi un grosso e lungo pene, Samantha!". Scoppiammo a ridere entrambi.
- "Mi sto chiedendo perché io ti abbia detto tutto quanto" ammisi.
- "Stellina, non stupirti, tutto merito mio. È una specie di dono: Barbra sa cantare, io so ascoltare e far vuotare il sacco alla gente" disse, senza dissimulare un briciolo di vanità.
Mi scappò un occhio sull'orologio da polso che indossavo e notai che erano già le otto! Erano due ore che stavamo chiacchierando amabilmente all'interno del pub.
- "Diamine, è tardissimo! Devo andare! Non fraintendermi, è stato divertente e devi venire a fare shopping con me un giorno".
- "Dobbiamo anche fare sesso, non dimenticartene". Una signora ci passò accanto e ci guardò schifata, avendo colto l'ultima frase; noi alzammo le spalle, sogghignando come due idioti ed io aiutai Warren a rimettersi i baffetti finti per tornare in modalità camionista-on.

Ripresi di nuovo un taxi e tornai finalmente da Romeo, che mi aspettava in cucina, pronto per ricevere la sua razione di pappa. Lo accontentai e mi tolsi le scarpe ed il cappotto dopo aver staccato il telefono di casa: ero troppo stanca e non avevo voglia di rompiballe. Ordinai una pizza e, in attesa che arrivasse il mio amato pasto, mi sedetti sul divano e poggiai i piedi sul pouff, concentrandomi sulla puntata di CSI che stava andando in onda.
Quando arrivò il fattorino, aprii la borsa e gli allungai dieci sterline. Richiusi la porta e presi in mano il cellulare per mandare un messaggio a Kay. Dieci chiamate senza risposta: Nick.
Gli telefonai subito, perché se aveva insistito così tanto, significava che era davvero importante.
- "Finalmente. Si può sapere dove cazzo sei?" disse, senza neanche salutare.
- "Ciao eh! Sono a casa, non mi sembra che avessimo un appuntamento. O sbaglio?" chiesi dubbiosa.
- "Mi prendi in giro? Sono in aeroporto, a Gatwick".
- "Stai partendo?". Ormai ero sempre più confusa.
- "Sammy, ma ti senti bene? Will sta partendo".
- "Will?". Lo stomaco mi si chiuse d'un colpo.
- "Sì, non era per la sua partenza che hai preparato quella lettera?"
- "Ah, certo. - affermai senza convinzione - Tra quanto parte il volo?
- "Un'ora".
Riattaccai senza aggiungere nulla e mi rivestii in fretta, alla ricerca di un taxi che probabilmente non ce l'avrebbe mai fatta a portarmi in tempo. Ci sarebbero voluti almeno sessanta minuti per arrivare all'aeroporto, ammesso e non concesso di non trovare incidenti o contrattempi lungo il percorso.
Chiamai Kay per avere qualche informazione in più.
- "Perché io non lo sapevo?" la accusai, non appena rispose.
- "Credevo te lo avesse detto lui, prima di litigare" si giustificò.
- "Quanto starà via? Dove va?" chiesi isterica.
- "Non lo sa ancora; gliel'hanno comunicato ieri sera dall'azienda che avrebbe dovuto imbarcarsi stasera. L'unica cosa certa è che torna a Portland".
Portland? Il mio migliore amico stava per tornare dall'altra parte dell'oceano, lontano non so quante migliaia di chilometri e non si era neanche degnato di salutarmi o di avvisarmi che stava per cambiare continente. Deficiente!
Implorai il tassista di andare più forte che poteva, ma man mano che le lancette dell'orologio giravano sul quadrante, l'ansia cresceva esponenzialmente, lasciando posto alla rabbia e alla frustrazione.
Fanculo...
L'aereo sarebbe partito alle 21.20 ed io avevo dovuto promettere decine di sterline in più all'autista per vedere il suo piede ossuto schiacciare la tavoletta dell'acceleratore.
Corsi all'interno di Gatwick come una pazza, congratulandomi con me stessa per aver indossato le Converse, al posto dello scomodissimo paio di stivali con il tacco alto che avevo usato durante la giornata. Richiamai Nick per sapere dove si trovassero e, seguendo le sue istruzioni, li raggiunsi.
Will non c'era, come avevo previsto. Era già su quel fottutissimo volo per quei fottutissimi Stati Uniti in cui viveva prima del suo soggiorno in Inghilterra.
- "Cazzo!" urlai e attirai l'attenzione di qualche viaggiatore nei dintorni. Sbattei un piede per terra con violenza, facendo sobbalzare Kay che aveva il viso rigato dalle lacrime.
- "Potevi arrivare prima" esclamò Nick.
- "No, non potevo arrivare prima. - accantonai un attimo l'orgoglio e mi decisi a fare l'unica domanda di cui mi importasse conoscere la risposta - Non ha chiesto di me?".
- "Era triste di dover lasciare Londra, ma allo stesso tempo anche eccitato all'idea di tornare dalla sua famiglia, dai suoi amici..." cominciò Kay, ma la interruppi.
- "Non è quello che ti ho chiesto. - Si scambiò un'occhiata con Nick, non sapendo bene come indorare la pillola: Will non si era preoccupato del fatto che non ci fossi-  Me ne torno a casa ora. Ciao ragazzi" dissi e mi voltai veloce verso l'uscita, strizzando gli occhi per allontanare il pizzicore che sentivo. Stavo praticamente correndo, in mezzo a una folla di sconosciuti, il dorso della mano destra davanti alla faccia per non mostrare a tutti che stavo piangendo perché Will mi aveva cancellato dalla sua vita. Ero delusa, arrabbiata, ferita. No, ero furiosa: mi aveva dato dalla codarda, quando lui stava tornando in patria senza nemmeno dire arrivederci, non dico da amica, ma da persona civile con cui aveva condiviso gran parte del suo tempo da quando era arrivato in città. Almeno prima che arrivasse quell'arpia di Kay a scalzarmi dalla mia posizione privilegiata di unica donna della sua vita; era colpa sua se non ci vedevamo più così spesso, se mentre eravamo in compagnia, loro preferivano starsene da soli a tubare come due tortore in calore, se i nostri rapporti si erano incrinati fino a sfociare in un litigio. Era colpa sua se Will se ne era andato.
Mi fermai fuori dall'aeroporto e decisi di aspettare che lei e Nick uscissero a loro volta. Arrivo prima lui, dicendo che Kay si era fermata in bagno qualche minuto per sistemare il trucco, colato per le lacrime.
- "Pensavo te ne fossi andata" mi disse lui.
- "Devo dirle una cosa prima di tornarmene a casa".
- "Senti, non so cosa sia successo tra voi due e Will, ma non credo sia il momento di litigare" cercò di farmi ragionare.
- "Non ho detto che voglio litigare con lei; voglio solo farle sapere cosa penso di lei".
- "Capisco che tu sia arrabbiata..." iniziò.
- "No, tu non capisci! Da quando è arrivata lei è cambiato tutto".
- "Sammy, non è colpa sua se lui se n'è andato senza salutare. So che ti farebbe comodo pensare che fosse così, ma non è la verità. State male entrambe per questa situazione e non è giusto accusarvi a vicenda per qualcosa che non è stato causato da nessuna delle due: è stata la sua azienda a dirgli di tornare negli Stati Uniti. Lo sapevamo tutti che, passati i tre mesi, sarebbe dovuto andare a Portland".
Per quanto potesse costarmi ammetterlo, ero perfettamente conscia che lui avesse ragione, ma era nella mia natura trovare un capro espiatorio che mi aiutasse a lavarmi la coscienza.
-  "È assurdo! - esclamai, mentre le prime lacrime cominciavano a scendere piano sulle mie guance - Non posso crederci che se ne sia andato".
In quel momento uscì Kay e mi venne spontaneo raggiungerla e abbracciarla: per quanto potessi sopportarla a fatica e per quanto non saremmo mai diventate amiche, il momento era triste per entrambe e condividere un po' di pianto non poteva che farci bene.
- "Andiamo a casa, forza". Seguimmo Nick senza fiatare fino alla sua macchina, sedendoci entrambe sui sedili posteriori con la consapevolezza di dover chiarire ancora molte cose.
Aspettò che il guidatore accendesse la radio e si mise a parlare sottovoce.
- "Non voglio intromettermi tra te e Will o tra te e mio cugino; - sarebbe la prima volta, no?- ma ho capito che non eri pronta ad affrontare quel discorso con Nick, perciò la mattina dopo il litigio, quando gli ho dato un passaggio, mi sono inventata che l'avevi scritta per la partenza di Will. E, credimi, ero convinta che lui te lo avesse detto".
Sembrava sincera e non avevo motivi per non crederle.
- "Lo so. Grazie comunque per il salvataggio. Ti devo un favore e no, non ti presterò le balerine di Marc Jacobs" la anticipai, scherzando per stemperare la tensione.

Alla fine ci ritrovammo tutti e tre a casa di Nick, affamati come dei lupi e decisi a passare una serata tranquilla, dopo lo sconvolgimento emotivo della giornata, con la partenza di Will ed equivoci vari.
Mister balzò in piedi non appena ci vide e ci venne incontro, praticamente spingendomi a sedere sul divano; gli concessi un'ampia dose di coccole, finché il mio braccialetto non rimase impigliato in qualche cosa attaccato al collare: una placchetta con una scritta.
- "Perché c'è scritto Mr. Hail sulla sua targhetta?" chiesi, dopo averla letta.
- "Perché è il suo nome. - mi rispose Nick - Lo hanno trovato i miei genitori quando erano a casa dei miei nonni in campagna, durante una grandinata(*), mentre si aggirava solo e tutto bagnato; aveva solo qualche mese, poveretto. Così l'hanno preso, asciugato, coccolato e l'hanno chiamato Mr. Hail".
- "È ancora un cucciolotto" esclamai, strapazzandogli il pelo folto.
- "Un cucciolotto di 50 kg però!".
- "È tenero" intervenne Kay, che evidentemente sentiva di aver taciuto troppo a lungo e quindi aveva un bisogno fisiologico di dire la sua. Posò il cartone della pizza e qualche bottiglia di birra sul tavolino, mentre Nick si alzava per cercare qualche dvd nella sua libreria.
- "Avevo pensato di lasciar decidere a voi il film, ma poi ho scoperto di avere questo e ogni idea di galanteria se n'è andata".
Misunderstood del 1984 con Gene Hackman.
- "Guardate ed imparate, donne. Basta equivoci, si deve parlare chiaro d'ora in poi". Si posizionò in mezzo a noi e ci circondò ciascuna con un braccio. Kay era distesa di profilo sulla sinistra, mentre io mi ero raggomitolata accanto a lui dall'altro lato. La mano di Nick scese a peso morto sul mio fianco fino a cadere sul mio sedere.
- "Nick togli la mano dal mio culo, per cortesia". Mi scambiai un'occhiata d'intesa con Kay.
- "Ops, è finita lì da sola. E' un malintes...". Non riuscì a finire la frase perché due cuscinate lo colpirono in pieno volto, tra un mare di risate.



(*)hail=grandine

Buon pomeriggio! Chiedo umilmente perdono per il ritardo madornale, ma è un periodo d'inferno e tra studio, lavoro, sessione d'esame incombente e un weekend passato ai seggi non sono riuscita a postare prima :( Ora aggiorno sperando che non sia tanto male quanto ho scritto. Di positivo c'è che ho avuto tempo per organizzare i prossimi capitoli in modo tale da rendere la storia più fluida e reale.
Ho già risposto alle recensioni e vi ringrazio come sempre perché seguite/preferite/ricordate/recensite CLH. Ringrazio chiaramente chi mi ha inserito tra gli autori preferiti: mi fa un piacere immenso.
Colgo l'occasione per dirvi che ho aperto insieme a SunshinePol una fanpage su fb che al momento è molto work in progress, ma che presto ospiterà spoiler e curiosità di C'eral'acca e credo proprio anche di Firework. Inoltre vi annuncio che finalmente molti dei personaggi di questa storia hanno trovato un volto che però metterò solo su fb, perché voglio che su efp ciascuno sia libero di immaginare Sam, Nick e compagnia bella come meglio crede, senza imposizioni.
La canzone di questo capitolo è "Misunderstanding" dei Genesis.
Bene, mi sembra tutto per ora!
Grazie a tutti e alla prossima!
Sandra

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. Pleasure And Pain. ***


Capitolo ventidue. Pleasure And Pain.

Alla fine del film, nessuno era stato in grado di muovere un muscolo e tutti insieme avevamo optato per dormire ammassati sul divano, piuttosto che spostare anche solo un dito. Eravamo intenti a fare colazione, quando il mio cellulare suonò.
- "Pronto?" chiesi senza particolare garbo.
- "'Giorno, Zuccherino. Dormito bene?".
- "Warren?" domandai stupita.
Il sopracciglio destro di Nick si sollevò per qualche istante, salvo poi riabbassarsi. L'avevo sempre detto che era un tipo strano; cioè, voglio dire... come cavolo fa ad alzare il sopracciglio destro? Mi ritrovai più o meno consapevolmente a provare a mia volta a riuscire nell'impresa di muovere la maledetta arcata, ma non si spostò di un millimetro o, meglio, lo fece in modo sgraziato e innaturale che comunque non si poteva considerare "alzare".
- "Sì, anonima eterosessuale delle sperdute lande scozzesi, sono io".
Boh, forse è perché è mancino e quindi lui riesce a sollevare il sopracciglio destro, ma non quello sinistro...
- "Ci dobbiamo vedere per forza stamattina. - continuò Warren, ignaro del mio dilemma interiore - Ho bisogno di un consulto per una camicia nuova; ho pensato che la vorrei con delle rouches, ma non ne sono convinto. E poi non so la tonalità! Ho questo colorito bianco-pallido-come-un-cencio-inglese che mi fa sembrare un incrocio tra un foglio di carta e un albino. Credi che il blu sbatterebbe su di me? Beh, d'altronde l'arancione è da escludersi a priori, così come il magenta, il giallo, l'avorio, il verde, il marrone...".
O forse è perché gli uomini sanno farlo ed io non l'ho mai saputo...
- "... il rosso, il lilla, l'onice, il bianco. Certo che basterebbe che andassi a farmi una lampada al centro estetico ed estirperei il problema alla radice. Senza contare che sono straordinariamente bello e faccio la mia porca figura anche con un sacco di iuta al posto dei pantaloni e dei copricapezzoli con delle nappine attaccate".
O forse si è allenato per anni e alla fine è riuscito ad ottenere una mobilità completa dell'arcata sopraccigliare...
- "Cielo, vestito in quel modo mi arraperei da solo. Sarà che sono un pezzo di figliolo non indifferente e che ho uno charme naturale che fa voltare tutti quando passo per la strada - persino quelli sposati! -, ma se la mia bellezza dovesse continuare a crescere esponenzialmente come in questi anni, ho paura che presto mi ritroverò ad essere il toy boy più ricercato dell'intera Gran Bretagna. Pensi che sarà difficile reggere tutte quelle aspettative? Non che io non mi ritenga all'altezza, questo no di sicuro. Basta che mi guardi! - sospirò e riprese fiato - Ti adoro Samantha, sappilo: nessuno ha mai sopportato le mie paturnie mattutine senza cercare di intervenire per bloccare lo spontaneo fluire delle mie parole. Vedo che tu hai già capito: io sono da ascoltare, come Barbra, Nostra Signora."
Nel frattempo avevo continuato la mia ginnastica facciale, cercando di specchiarmi nel bicchiere, ormai vuoto, dove prima c'era il succo d'arancia, senza però conseguire alcun risultato degno di nota, se non attirare l'attenzione di Nick.
- "Che stai facendo?" chiese divertito, mentre Kay gustava la sua ennesima fetta biscottata consolatrice, cosparsa di burro e tre strati di macmellata, ignorando tutto quando non fosse commestibile. Tipo noi.
- "Fatti i cazzi tuoi!" urlai in modo fin troppo concitato, arrossendo.
- "Non fare l'egoista, prima fammelo vedere questo Nick; poi potrò decidere se lasciartelo o se cercare in tutti i modi di farmelo io questo caz...".
- "Warren! - gridai, interrompendolo - Tesoro, perché non ne parliamo un'altra volta? Magari davanti ad una bottiglia di vino, io e te, soli..." dissi dolcemente, per fargli capire che non ero libera di parlare.
- "Oh, capisco, l'uomo dalle chiappe di granito è nei paraggi".
Warren aveva ragione quando diceva di essere un maschio con l'animo femminile: se avessi dovuto far capire una situazione del genere a Nick o allo stronzo-che- non deve-essere-nominato, alias il mio ex vicino, avrei dovuto usare schemi, plastici e Barbie o manichini. Ma con il mio nuovo amico bastava una magica cosa chiamata parola. Anche perché altrimenti Warren sarebbe scappato con Ken...
- "Esatto. Ci vediamo più tardi?".
- "Sei a casa sua?" mi chiese.
Feci una risatina ebete, sotto lo sguardo indagatore di Kay che sembrava dire 'mi sono persa qualche passaggio?'.
- "Proprio così".
- "Mandami un sms con il suo indirizzo e tieniti pronta, Zuccherino". Iniziai a preoccuparmi perché non avevo idea di cosa avesse in mente, ma gli scrissi ugualmente il messaggio.

- "Posso aiutarla?" chiese Nick a quello strano individuo vestito di tutto punto e con degli strambi baffi, che si tolse con un gesto secco e teatrale i Ray Ban a specchio che indossava.
- "Sono Warren, sto cercando Samantha" disse con la voce rauca da camionista. Non lasciò il tempo al padrone di casa di formulare altri quesiti ed entrò in casa, lasciando Nick appoggiato con un braccio allo stipite e la bocca aperta.
- "Ha una casa deliziosa, se lo lasci dire. Il parquet chiaro è una chicca. Come lo è la mia passerotta, vero, Zuccherino?". Si avvicinò piano a me e schioccò un bacio leggero sulla guancia, prima di continuare la perlustrazione della villetta.
Nel frattempo Nick si era ripreso dalla paresi e si era avvicinato, ufficializzando le presentazioni anche con Kay e pregando Warren di darsi del tu.
- "E quindi da quanto vi conoscete?".
- "Il tempo è roba per i filosofi. - rispose sicuro il nuovo arrivato - Ciò che conta è che Sam è una donna unica, bella, intelligente, forte e mi vanto della sua amicizia come di un oggetto prezioso. Soprattutto quando si concede" terminò a voce bassa e diede una lieve gomitata al Nick, alla ricerca di una complicità che trovò solo in parte.  Lui lo guardò un po' scettico, rispondendo con un sorriso appena accennato.
- "Io me ne vado gente: il lavoro mi chiama" ci annunciò Kay e tutti la salutammo e personalmente godetti nel vederla uscire dalla mia vita per un po'.
- "Posso usare il bagno, Nick?" chiese all'improvviso Warren.
- "Sì, certo. Vai pure in quello in camera mia, l'altro è un completo disastro". Conoscendo Nick e la sua organizzazione, il completo disastro doveva consistere in un angolo del tappeto sollevato o di una ditata sullo specchio - Sammy, gli mostri tu dov'è?". Presi l'ospite sottobraccio e lo condussi verso la stanza da letto principale. Warren mi fermò poco dopo aver varcato al porta.
- "Ricordi quando prima parlavamo di 'farsi i cazzi propri'? - annuii - Ecco, non aspettarti che io non invada la tua proprietà quando c'è in giro un culo del genere! Voglio dire, l'hai viste quelle due creature incantate dotate di vita propria? Non sono chiappe, sono due demoni che urlano di essere sculacciate! Una meraviglia del genere è totalmente sprecata in un rapporto etero: è per il bene dell'umanità e la salvaguardia del patrimonio mondiale che accetto di prendermene cura con il cuore, l'anima e ogni parte del mio corpo che le aggradi" concluse in fretta, col fiatone da tanto aveva gesticolato e saltellato per la stanza.
Non sei il solo che vorrebbe prendersene cura. Sempre per la scienza, eh!
- "Torno di là. Tanto ormai hai capito qual è la porta giusta".
- "Ferma, ferma, ferma! - m'inchiodò lì dov'ero - Non credi che questo ambiente sia perfetto?" mi chiese, guardandosi attorno.
- "Se hai intenzione di fare una disquisizione di nuovo sul suo culo paragonandolo alla sua camera, dimmelo subito che..." mi zittì con una mano sulla bocca.
- "Perfetta per farci l'amore, sciocchina. E parlo di te e me" rise diabolico.
Certo sarebbe stato uno smacco di dimensioni epiche "farlo" proprio sul suo letto, tra le sue lenzuola, in casa sua; però, ad essere onesti... ad essere onesti non c'erano però: era un'idea semplicemente geniale.
Warren strappò un foglio dal block notes che c'era sul comodino e scrisse alcune frasi; quel giorno feci una cosa che mai avrei creduto possibile capitasse a me: fingere di far sesso con un copione in mano.
- "Hai mai visto Killing me softly? - domandò serio, mentre la sua mente rigurgitava in continuazione progetti da regista. Risposi di sì e lui proseguì con la descrizione dell'idea folgorante che gli era venuta - Voglio riprodurre la scena di fronte al caminetto: lei con attorno al collo uno chiffon di seta legato ad un ancoraggio sulla trave del focolare e lui con le altre estremità della stoffa che tira per comandare l'amplesso e la partner. Questo è ciò che dovrai raccontare di aver fatto con il sottoscritto".
- "Il missionario non va bene?" provai ad obiettare.
- "Zuccherino, non mi capita molto spesso di fingere di farlo con una donna, perciò perdonami se voglio fare le cose in grande stile e illudere la gente che questa sia stata la scopata del secolo. - si giustificò, prima di cominciare, urlando e togliendosi scarpe e calze - Oddio, Sam in questo modo mi farai impazzire! Mmm, continua, brava!".
Trattendendomi a stento dal ridere, mi misi davanti allo specchio e mi spettinai i capelli, sbottonai la camicetta e sbavai il rossetto.
- "A questo punto dovresti gridare anche tu" mi ammonì sottovoce Warren. Abbandonai il copione e decisi che avrei improvvisato.
Gli sfilai la cintura dai pantaloni e gli diedi una scudisciata sul sedere; divenne paonazzo e si mise ad urlare dal dolore: l'importante era che nel salotto Nick pensasse che ci stessimo dando dentro alla grande. Presi a saltare sul letto per far rumore, ma venni afferrata per le caviglie e sbattuta sul tappeto.
- "Ahia, così mi fai male! - urlai in modo teatrale e lui si avvicinò per massaggiarmi il piede sul quale ero caduta male - Oh sì, Warren, ti prego, non fermarti!". Ci sdraiammo sul letto ed io stropicciai le lenzuola, mentre lui picchiava una mano contro la spalliera per dare l'idea di un certo ritmo.
Presi la macchina fotografica di Warren e, in men che non si dica, mi ritrovai con un sacco di immagini di noi in pose compromettenti. Poi lui me la tolse dalle mani e si mise ai piedi del letto, osservandomi.
- "Sam, dimmi come ti piace essere presa. - disse con voce sensuale. Mi voltai verso di lui con il mio profilo migliore, il sinistro - Così?".
- "Sì, bravo, proprio così" gli risposi a tono, mettendomi in posa.
- "Se continui in questo modo presto avrai una ricompensa" scherzò e mi sventolò davanti il sacchetto di plastica con destro un paio di boxer puliti.
Toc toc.
Io e Warren ci guardammo un po' sorpresi, ma non perdemmo né la calma, né la concentrazione: lui s'infilò sotto le coperte a petto nudo ed io controllai di essere in disordine e sbottonata.
- "Sì?" chiesi tranquilla.
- "Posso parlarti Sammy?".
La voce di Nick era leggermente alterata. Aprii la porta e lo trovai a braccia conserte, gli occhi severi che mi squadrarono da capo a piedi, prima di ritornare a fissarmi in viso. Mi trascinò con sè in cucina, ma fummo raggiunti poco dopo da Warren, vestito,  che disse che era doveva andarsene.
- "Ciao passerotta. Sei stata fantastica; questa tienila di ricordo.". Mi baciò a stampo e mi strizzò l'occhio, lasciandomi tra le mani la lunga striscia di chiffon.
- "Sì, sì, ciao. - Nick lo spinse verso la porta e gliela richiuse alle spalle, per poi concentrarsi su di me - Ora mi spieghi qual è il tuo problema e augurati che sia davvero grave perché altrimenti non riuscirò mai a capire cosa cazzo ti sia venuto in mente di scoparti uno nel mio letto".
- "Quando l'amore chiama non conta il posto" dichiarai angelica.
- "Conta se è il mio cazzo di letto".
I suoi occhi erano più glaciali e imperscrutabili del solito.
- "È un letto, Nick. Cambi le lenzuola ed è come nuovo" sbuffai.
- "Io non mi sono permesso di portare qualcuno a casa tua e tu lo fai con uno che è più strano della neve in estate in camera mia!"
- "L'ho fatto per la scommessa, Warren è un camionista. Perciò considerala come una punizione del karma: il male che produci, ti viene reso. E in questo caso, direi proprio che è venuto" arrossii immediatamente per la battuta di grado infimo che mi era appena scivolata dalle labbra.
- "Dopo stamattina, fossi in te mi guarderei le spalle. - mi disse, avvicinandosi alla mia faccia, tanto che potevo sentire il sapore di menta del suo alito - E pure la spalliera del tuo letto perché non si mai che esista anche il karma del karma". Le ultime parole le aveva praticamente soffiate sulla mia bocca, causandomi un collasso psicologico che mi aveva impedito di sentire le parole dopo spalle.
Mi riscossi in tempo per vederlo abbandonare la stanza ed andare in bagno. Mi diressi in camera per rivestirmi e per raccogliere le mie cose prima di tornare nel mio appartamento. Arrivò anche lui con una grossa cesta in cui mise le lenzuola nelle quali io e Warren ci eravamo rotolati; fu uno spasso osservare la sua espressione scocciata e schifata che cambiò radicalmente quando rifece il letto con fodere pulite. Era meticoloso, persino maniacale: non ci dovevano essere grinze o pieghe e temevo che la mattina ci impiegasse secoli per sistemare il tutto. Non resistetti: non appena finì il laborioso mestiere di rassettare le coperte, approfittai di un attimo di distrazione per buttarmi supina sul piumone, sbandierando con la mano destra il sacchetto con i boxer di Warren. Nick mi guardò con aria truce, poi rassegnata. Mi strappò dalle mani la borsina di plastica e bofonchiò:
- "Vai fuori dalle palle Sammy, ti prego".
- "Con piacere. Ciao Nick, ciao letto: alla prossima!".

Giunta nel mio appartamento, mi lavai, mi cambiai e partii alla volta dell'ufficio. Ero talmente di buon umore che decisi di andarci a piedi, per respirare un po' della sana aria colma di smog della capitale. Il tempo era incerto, ma finché reggeva, tanto valeva fare due passi.
Valerie mi mandò un messaggio: Sei ufficialmente invitata a casa mia stasera a cena alle 8. Ho detto 8, non 9.30 come l'ultima volta! Le confermai la mia presenza, aggiungendo che per quanto riguardava il fattore ritardo, non potevo molto contro la genetica. Se mamma Grace era una ritardataria cronica, io, in qualità di figlia che ci tiene alle tradizioni familiari, non potevo essere da meno.
Ero quasi arrivata in ufficio, quando delle piccole goccioline di pioggia cominciarono a scendere con una frequenza sempre maggiore, fino quasi a trasformarsi in un vero e proprio temporale.
- "Chiedo scusa signorina!" una dolce vecchietta dai capelli arruffati e senza ombrello mi fermò per la strada, trattenendomi per il braccio. Ben messa, con un bastone per sorreggerla ed aiutarla a camminare, non si poteva dire di certo che fosse invecchiata bene con quella corporatura mascolina e i duri tratti somatici che cozzavano con la voce stridula, ma simpatica.
- "Potrebbe aiutarmi con la busta della spesa? Abito là, dietro l'angolo, ma sono così malmessa che non posso fare nemmeno venti metri senza rischiare di franare a terra". Non riuscì a mascherare una punta di malinconia e puntò lo sguardo nel vuoto, molto probabilmente tornando con il pensiero ai giorni della gioventù e dell'indipendenza motoria.
- "Certo, signora, si figuri" le sorrisi e raccolsi la borsa, che supposi contenesse un cadavere, visto il peso.
Sì, non è proprio comodo camminare per queste viuzze dimenticate da Dio con questi trampoli, ma Sam è la tua buona azione quotidiana: non pensare al dolore infernale ai piedi e pensa alla tenera nonnina che stai rendendo felice. Certo che poteva farsi accompagnare da un figlio, un nipote, un genero, un bisnipote, un pronipote... da usare come animale da soma.
Percorremmo all'incirca duecento metri - che mi parvero sei chilometri -, poi la vidi trarre le chiavi dalla borsa e finalmente poggiai la busta a terra. Senza quasi rendermene conto, venni colpita all'altezza della nuca da un colpo che scoprii essermi stato sferrato dall'indifesa vecchietta con il suo bastone da passeggio. Mi ritrovai carponi sulla strada, con una mano a terra e una posata nel punto stesso in cui avevo preso la botta.
- "Ma che...?" stavo per dire, ma lei mi parlò sopra.
- "Oh, immagino di non essere così da buttare tutto sommato, non credi Samantha Grayson?".
Sentire pronunciare il mio nome con cattiveria da una voce maschile mi fece accapponare la pelle, già bagnata dalla pioggia insistente che ormai scendeva fitta. L'innocente, tenera, dolce e instabile nonna era in realtà un omone ricurvo su se stesso che pesava almeno centotrenta chili, munito di un valido travestimento. Mi sollevò da terra direttamente dal collo, premendo con la sua mano ruvida e grassoccia contro la mia giugulare.
- "Che vuoi?" bofonchiai con il respiro strozzato, mentre cercavo di dimenare i piedi per liberarmi da quella presa asfissiante.
- "Mi hanno detto che ti stai immischiando in affari che non ti riguardano. Pensavo di essere stato chiaro quando ti ho fatto sparire il gatto - ecco chi aveva rapito Romeo! -, però è evidente che non hai colto bene il messaggio. Secondo avvertimento".
- "Chi ti manda?" dissi con affanno, il collo dolorante per le dita dell'uomo a fondo nella carne e un senso di debolezza diffuso a tutto il corpo. Avevo paura, ma non al punto tale dall'astenermi dal fare domande; aveva detto che era solo un avvertimento, perciò, in via del tutto teoria - che speravo fosse anche del tutto pratica -, l'omone non era venuto per farmi fuori.
E' solo un avvertimento. Calma.
- "Non è importante. Ti basti sapere che hai ricattato la persona sbagliata".
Ricattato? L'avevo fatto solo una volta nella vita, ma nutrivo qualche dubbio che la commessa del negozio di Gucci avesse assoldato quel gigante che avevo davanti per vendicare la minaccia di raccontare a suo marito che la sua cara mogliettina se la faceva col capo nel magazzino, in cambio di uno sconto del 50 % su un vestito. Tra l'altro credo che l'avessero poi licenziata, dal momento che tutta la clientela sapeva della sua relazione clandestina e adottava questi metodi poco ortodossi, seppur molto efficaci, per assicurarsi il classico sconticino.
In quell'istante gli suonò il cellulare e lui, di riflesso, allentò la presa sul mio collo. Riuscii quasi a respirare regolarmente, ma lui se ne accorse e prese a schiacciare sulla carotide, procurandomi le lacrime agli occhi.
- "Sì, capo. L'ho trovata e le ho già fatto il discorsetto che si meritava. Ah. - aggiunse, confuso - D'accordo".
Riattaccò e con un gesto brusco mi lasciò cadere a terra, sull'asfalto bagnato. Tossii e mi venne voglia di vomitare, mentre il mio petto si alzava e abbassava in continuazione, per cercare di recuperare il debito d'ossigeno.
- "Pare sia il tuo giorno fortunato, Grayson. Ci siamo sbagliati". Girò sui tacchi e se ne andò, accendendosi una sigaretta.
Ci siamo sbagliati? Questo prima mi strozza e poi mi dice che ha commesso un errore? Ma ti strozzo io, idiota!
Rimasi seduta per terra per qualche minuto, accanto alla busta della spesa abbandonata, poi mi decisi ad alzarmi, a prendere un taxi e a tornarmene di nuovo a casa. Mi tolsi cappotto e vestiti, mi asciugai e mi sedetti rannicchiata sul divano. L'esperienza di quasi soffocamento ad opera dell'energumeno di faceva venir voglia di respirare tutta l'aria che avevo intorno, così da non dovermi ritrovare mai più con la sgradevole sensazione di esserne rimasta senza.
Mi addormentai e dormii per qualche ora, ma il sonno fu inquieto, un continuo rivivere quei momenti nel vicolo, però quando mi alzai ero senza paura: se quello aveva detto che si era sbagliato, forse - e ripeto forse - ora sarebbe diventato più facile indagare, senza il continuo spettro di rapimenti felini e soffocamenti umani. Dopotutto, era un'altra persona che cercavano.
Tenni la mente occupata tutto il giorno con schifezze in cucina, telefilm alla tv e social network. Alle sei cominciai a prepararmi per andare da Valerie dove, salvo nuovi inconvenienti, sarei stata puntuale per la prima volta nella vita. Mi specchiai poco dopo la doccia e notai che la visita delle mani dell'omone sul mio collo aveva lasciato il segno. O meglio dei grossi lividi violacei che ora erano ben evidenti e che dovetti coprire con cura con una sciarpa prima di uscire: nessuno doveva sapere quanto era successo.

Bussai alla porta con il gomito, dal momento che le mani erano occupate dal vassoio con i biscotti al cioccolato - rigorosamente comprati, onde evitare intossicazioni alimentari derivanti dalla mia inesperta cucina - e aspettai che qualcuno venisse ad aprire. Nel momento stesso in cui l'uscio si schiudette, nell'intero quartiere ci fu un blackout elettrico che però non mi impedì di intravedere la figura slanciata di Jonathan, il marito di Valerie.  
- "Che succede?" chiesi allarmata, osservando nei dintorni se la corrente potesse essere ripristinata.
- "Quel maledetto temporale di stamattina deve aver danneggiato qualche cavo e così oggi abbiamo dieci minuti di luce e venti di buio. Questo in compenso ci ha permesso di avere un'autentica cena a lume di candela. Entra, Sam, su!". Ci scambiammo un bacio veloce sulla guancia e lui cortesemente afferrò il pacchetto della pasticceria dalle mie mani e lo trasportò fino alla cucina.
Casa di Valerie aveva sempre avuto una piacevolissima atmosfera, ma dovevo ammettere che quella sera, con le candele profumate sistemate un po' dappertutto e il centro tavola floreale, l'antica villa era ancor più suggestiva del solito. L'occhio mi scappò subito sulle posate, sui bicchieri e i sei piatti che erano state sapientemente disposte sul colorato set americano. Erano per certo opera di quell'esteta di Jonathan, che non perdeva occasione per tirar fuori dalla credenza i suoi preziosi servizi di porcellana e il suo decanter di cristallo abbinato con i calici.
Val comparve nella sala da pranzo e mi venne incontro sorridente.
- "Non ci posso credere: sei arrivata prima di tutti gli altri ospiti. Sapevo che sotto l'acquazzone mattutino ci dovevi essere tu. - le feci una smorfia - Prometti che d'ora in poi arriverai sempre puntuale?".
- "Solo se tu mi prometti che amplierai la tua gamma di battute per quando arriverò in ritardo" ribattei.
- "Amo i tuoi paradossi, Grayson".
- "Mi ci impegno parecchio, in effetti" mi pavoneggiai.
- "Hai freddo?" chiese brusca, cambiando repentina l'argomento della conversazione.
- "No, sto bene. E poi c'è il fuoco acceso".
- "Allora quella sciarpa è solo di bellezza?". Il peso di quanto era successo nel pomeriggio ripiombò tutto d'un tratto come un macigno sulle spalle.
- "Sì, sì" mi affrettai a dire e strinsi più forte la pashmina attorno al collo.
Qualcuno mi salvò dall'impiccio, suonando alla porta: Amanda e Katy con una splendida orchidea per la padrona di casa; già mi dispiaceva per quella povera pianta che sapevo non sarebbe durata più di due giorni tra le mani di Valerie. L'unico pollice verde che aveva avuto in vita sua era stato quando aveva tentato di verniciare la ringhiera - lavoro chiaramente abbandonato dopo due estenuanti minuti sotto il sole.
- "Non dovevate, ragazze!" disse Jonathan e mai commento fu più sincero. Non dovevano regalarle qualcosa di vivo da accudire.
- "Si può sapere cosa si mangia?" domandò l'incarnazione della simpatia - meglio conosciuta come Katy - direttamente all'uomo di casa, essendo a conoscenza che era lui che si dedicava ai fornelli. Lui la prese sottobraccio e la condusse in cucina, decantando con improbabili nomi francesi il menu della serata.
Amanda era stranamente silenziosa e continuava a trafficare con il cellulare, la faccia rilassata in un sorriso da ebete quindicenne alle prese con le prime cotte.
- "Tutto okay?" le dissi.
Le ci vollerro all'incirca venti secondi per capire che fossi io l'interlocutore e non il telefonino che stava torturando con le mani che schiacciavano i tasti ad una velocità degna di un'adolescente che non ha mai fatto altro nella vita.
- "Oh, sì... certo. Scusate, è che... è che ho litigato con il mio ex marito e stiamo discutendo via messaggio".
Come no. In realtà, a giudicare dallo stato di eccitazione stampato in faccia, pareva fossero già approdati alla fase post-litigio, quando si fa del bollente sesso telefonico per lasciarsi alle spalle tutto quanto successo. Non avemmo il tempo di approfondire l'argomento, perché il campanello suonò per la terza volta, preannunciando l'arrivo dell'ultima ospite, ovvero Jade.
Feci un salto al bagno per lavarmi le mani e specchiarmi, in modo tale che la sciarpa fosse ben salda e non scivolasse, rivelando i lividi bluastri che il tizio mi aveva lasciato come monito. Tornai a tavola e mi sedetti al mio solito posto meccanicamente, senza prestare molta attenzione agli altri commensali già accomodati sulle proprie sedie.
- "Ciao Sammy" mi disse qualcuno.
- "Ciaaaaahhh" mi uscì. Stavo rispondendo d'istinto al saluto, ma nel momento stesso in cui avevo realizzato a chi appartenesse quella voce, il mio ciao si era trasformato in una sorta di urlo, che mi aveva spinto a voltarmi verso la mia destra, dove quell'onnipresente di Nick era seduto. Risero tutti. Tranne me, chiaro.
- "Che-che?" balbettai.
- "Che ci faccio qui? Beh, Valerie mi ha invitato e non ho trovato una ragione valida per declinare la gentile offerta. È stata l'occasione perfetta per rivederla, per rivedere voi tutte" ammiccò verso le tre beote che lo guardavano estasiate.
- "Fingerò di non aver sentito il tuo lessico da venditore di pentole-ammalia casalinghe, così come fingerò che tu non sia qui stasera. A proposito: Valerie, sei stata un amore a metterlo accanto a me".
- "Non capirò mai perché riversi tutta la sua acidità su di me. - proclamò agli altri - Eppure ora ha quella specie di fidanzato, Warren, che dovrebbe aiutarmi a smaltirla o, perlomeno, potremmo spartircela".
Tutti gli occhi dei presenti si posarono su di me, ad eccezione di quelli di Nick che ora stavano sorridendo alla zuppa di verdure nel piatto davanti a sé. La padrona di casa mi dedicò uno sguardo paragonabile probabilmente solo a quello che Cesare doveva aver dedicato a Bruto dopo aver scoperto che proprio il figlio era a capo della congiura che lo stava conducendo alla morte. Non mi sarei stupita se si fosse alzata in piedi e avesse gridato 'tradimento!" puntandomi una minacciosa forchetta contro.
- "Samantha cambia fidanzati con la stessa frequenza con cui la gente normale si cambia le mutande. Il che è strano, dal momento che non mi risulta abbia delle grandi doti" commentò acida Katy.
- "Chi diavolo è Warren?" la ignorò Valerie, fissandomi con insistenza.
Deglutii a fatica, conscia di non poterle raccontare la vera versione dei fatti davanti a tutti. E soprattutto davanti a Nick.
- "È un uomo meraviglioso che ho conosciuto un po' di tempo fa" cominciai a dire, sperando di riuscire ad apparire credibile.
- "Un uomo che le tocca delle corde, di chiffon, che nessuno finora aveva nemmeno sfiorato. - proseguì Nick. Persino Amanda ora era interessata, resuscitata dallo stato catatonico in cui era finita, che comprendeva anche la testa nella borsa per non far vedere a nessuno gli sms proibiti - Non essere timida, Sammy; racconta alle tue amiche della performance di stamattina di cui ho malauguratamente sentito gran parte".
- "Trovo giusto che una donna sviluppi e approfondisca la propria sessualità ad ogni età. - affermò Amanda, in un'arringa che sembrava più dovesse giustificare lei che me. Tant'è che dopo questa uscita, si ritirò timida di nuovo nel suo carapace a tracolla firmato Prada.
- "Hai detto corda?" s'intromise curioso Jonathan, riapparendo dalla cucina con delle baguette tagliate a rondelle.
- "Non viene Jade?" cercai di cambiare argomento, spostando l'attenzione del gruppo su qualcuno che non fossi io o la mia finta vita sessuale con Warren, ma nessuno mi calcolò.
- "Sì, - Katy anticipò Nick nella risposta al marito di Val - ha detto corda. Ed è facile intuire che non fosse solo una metafora".
Seduta di fronte a me, si alzò di poco con il sedere ed in un gesto rapido mi tolse la sciarpa, lasciando in bella mostra gli ematomi provocati dalle mani del tizio sul mio collo. Scrollai i capelli perché coprissero i lividi, ma in quel paio di secondi che avevo impiegato a realizzare quanto era accaduto e a reagire, chiunque fosse seduto a quella tavola aveva avuto la possibilità di vederli.
Val e Jonathan mi guardavano increduli, Katy se la rideva sotto i baffi e Amanda era...
- "Mi insegni?" disse di getto, senza riuscire a controllare le parole.
...pazza, forse l'aggettivo corretto era pazza.
L'attenzione si spostò per qualche istante sulla domanda della mia collega in calore ed io colsi l'occasione per evaporare all'istante e tornare in bagno. Avevo evitato accuratamente gli occhi di Nick; non sapevo cosa aspettarmi: poteva essere disgustato, arrabbiato, preoccupato, oppure poteva averlo trovato divertente. D'altronde, aveva visto lo chiffon anche quella mattina: non poteva di certo aver pensato che lo avessi usato per legarmi i capelli!
Chiusi la porta del bagno e abbassai il coperchio del water; mi ci sedetti sopra e cominciai ad elaborare un modo per uscire da quella infelice situazione. Non avevo la minima intenzione di rivelare quello che era successo nel vicolo, perché poi mi sarebbero piovute addosso un sacco di raccomandazioni sullo stare attenta a chi pestavo i piedi o, peggio ancora, mi sarebbe stato vietato di proseguire nelle indagini su Sam Banks. Meglio far credere loro che fossi una specie di ninfomane aperta a qualsiasi tipo di esperienza sessuale - con attrezzi della ginnastica ritmica inclusi -, piuttosto che farmi perdere l'opportunità di continuare con la mia inchiesta.
Sentii bussare e dopo qualche istante il viso di Valerie fece capolino nella stanza.
- "Tutto bene?" chiese poggiandomi una mano sulla testa.
- "Katy non sa proprio farsi gli affari suoi" ringhiai.
- "Non m'importa nulla di questo. Voglio solo sapere se stai bene e se quei segni sul collo sono solo opera di Warren il focoso".
Non era facile per me tenerle nascosto qualcosa; era la mia migliore amica ed era complicato lasciarla all'oscuro di un fatto così serio. Ma ero anche certa che lo spiacevole accaduto nel vicolo fosse un mezzo errore: stavo sì mettendo il naso nella vita e negli affari altrui, ma non ero io la ricattatrice di cui lui pareva tanto disturbato. Non mi restava che sperare che lui scoprisse presto la verità.
- "No, in realtà è che ho cercato di impiccarmi, però devi sapere che la seta non è il materiale più adatto per morire sul colpo; è troppo morbida e delicata" scherzai.
Me lo chiese un altro milione di volte ed io fui abbastanza ferma e decisa da farle pensare che andasse tutto bene.
- "La vuoi lo stesso un'amica depravata?" domandai con la faccia da cucciolotta a cui non resisteva. Lei mi abbracciò e mi aiutò a rimettermi la sciarpa.
- "La voglio ancor più di prima: è difficile trovarsi un marito, ma è ancora più difficile tenerselo".

Tornai a tavola e ritrovai la combriccola intenta a mangiare il secondo: arrosto e patate al forno. Amanda tentò più volte - con scarso successo - di farmi fare un tutorial dell'uso della corda tra le lenzuola e Jonathan ideò addirittura il titolo di un film a luci rosse che mi vedeva protagonista: Piacere, Sammy.
Eravamo scoppiati a ridere tutti quanti, tranne Nick che sembrava molto a disagio e che si limitò ad accennare un sorriso, gli occhi fissi sul contorno che non aveva finito. Mangiammo il dolce e lui proferì solo qualche parola di circostanza, prima di decidere che era arrivata l'ora di andarsene.
- "Vi ringrazio molto della cena, ma purtroppo devo scappare al lavoro. Jonathan complimenti per il cibo e i vini e tu, Valerie, sei un'eccellente padrona di casa".
Le scoccò un bacio sulla guancia, dopodiché lei si ritirò per un attimo in cucina per dargli una decina di biscotti che altrimenti le 'sarebbero finiti sul culo e lì si sarebbero stanziati per qualche anno'. Mi trascinò con lei nell'altra stanza e mi ordinò di andarmene.
- "Scusa?" le chiesi un po' stordita.
- "Ho detto vattene! Torna a casa con lui, così almeno parlate di questa storia perché mi sembra che Chiappe sia rimasto un po' scioccato dalla tua intraprendenza sessuale. Vai, fila!". Dovetti quasi rincorrerlo fuori dalla porta, dopo aver ringraziato e salutato tutti.
Stava salendo sul suo fuoristrada scuro quando finalmente si girò, all'ennesimo urlo in sua direzione.
- "Che c'è?" chiese serafico.
- "Mi daresti un passaggio?".
M'indicò il lato passeggero e, senza aggiungere nient'altro, salì in macchina, accendendo la radio a volume alto. La abbassai e guardai Nick guidare sicuro tra le vie di Londra, apparentemente rilassato, ma molto poco incline al dialogo. Passarono quasi dieci minuti e lui non disse una parola. Alla fine spensi la radio e lui fu costretto a guardarmi.
- "Se vuoi che io ti porti a casa, devi sottostare alle mie regole tra cui c'è avere della musica di sottofondo quando viaggio in auto".
- "E se la musica di sottofondo fosse una conversazione tra di noi?" azzardai.
- "Non mi va di parlare" mi liquidò, però io non mi arresi.
- "Non ti va di parlare o non ti va di parlare con me?".
- "Fa differenza? Il risultato è uguale".
- "Ti ha sconvolto tanto questa cosa della corda?" chiesi a bruciapelo.
- "Faccio lo striper, credi davvero che una cosa così stupida possa sconvolgermi?" rispose lui seccato, riprendendo a guardare la strada.
- "Forse è perché non te l'aspettavi da una con me" feci spallucce.
- "Non riesco a capire quale sia il nocciolo della questione: sei libera di fare ciò che vuoi, con chi vuoi, dove e quando vuoi, senza dover rendere conto ad altri e soprattutto a me". Sterzò e parcheggiò proprio sotto il mio condominio.
- "Grazie del passaggio. Buon lavoro".
Mormorò un grazie frettoloso e ripartì veloce, facendo ondeggiare il mio vestito e i miei capelli nell'aria.
Io sapevo quale fosse il nocciolo della questione: io non volevo essere libera. Io volevo rendere conto a lui.



Ritorno a pubblicare a orari notturni! Per la cronaca sono l'1.35 e ho sonnissimo :), ma almeno ho aggiornato e mi metto il cuore in pace. So che ultimamente sono sempre in ritardo negli aggiornamenti ma la sessione sta per iniziare e devo studiare.
Mi scuso perché non ho ancora risposto alle recensioni, ma lo farò domani mattina.
La canzone del titolo è "Pleasure and pain" di Ben Harper e il film citato è appunto "Killing me softly" con Joseph Fiennes e Heather Graham.
Vi ringrazio tutti di cuore e rimando l'appuntamento al prossimo capitolo.
Notte!

Sandra

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. Photograph. ***


Capitolo ventitré. Photograph.

Il cursore lampeggiò per l'ennesima volta in cima alla pagina bianca del portatile, aperto sulla posta elettronica.
L'unica cosa certa era il destinatario: Will Beckett, mentre, per il resto, nemmeno l'oggetto era chiaro: un messaggio di scuse o uno di insulti per essersi volatilizzato senza nemmeno salutare?
Caro Will, - no, non andava bene: lo faceva sembrare serio, formale e pure un po' morto. Meglio provare con un altro incipit.
Will, ... - ma com'è che Kate Middleton chiama il pisello del suo fidanzato, nonché futuro erede al trono d'Inghilterra, nonché omonimo del mio ex vicino di casa? Roba da cercare su Google. Dal momento che ormai erano novantasei ore, più o meno consecutive, che vivevo in simbiosi con il mio computer, ero entrata in quella particolare fase in cui ogni minima curiosità o ogni minimo gesto quotidiano diventava un interessantissimo soggetto da immettere nel motore di ricerca. Ad esempio, secondo la cronologia, risaliva alle 5.40 del giorno precedente la spiegazione del perché si dica cheese quando si fa una fotografia - tutta questione di cibo: in Spagna dicono 'patata', in Svezia 'omelette', in Corea 'cavolo' - e alle 19.32 quella del perché gli omosessuali vengano chiamati 'finocchi' - sempre per rimanere in tema di verdure.
Big Willy, ecco come Waity-Katy chiamava il membro della famiglia reale. Sarebbe stato perfetto cominciare con questo appellativo la mail: un bel messaggio subliminale che la sua mente avrebbe recepito inconsciamente e che, sempre inconsciamente, lo avrebbe fatto rilassare, spingendolo ad accettare le mie scuse. O a ricevere i miei insulti, ovvio.
Quindi: Big Willy. E poi? L'ispirazione latitava.
Mi tolsi il pc dalle gambe distese sul divano e lo appoggiai sul tavolino. Ormai erano giorni che non faceva praticamente nulla dalla mattina alla sera: le ricerche su Sam1 si erano arenate, Warren era in giro per l'Inghilterra con il suo camion a fare consegne, Kay meglio lasciarla ovunque fosse e Nick era sparito dalla circolazione. Dalla cena a casa di Valerie, sembrava non gradisse più molto la mia presenza e nemmeno la mia voce, dal momento che si era rifiutato di rispondere a tutte le mie chiamate. Ritentai un'ultima volta.
"Ciao, sono Nick. Al momento non sono in casa...".
Se sento ancora una volta questa registrazione, giuro che prendo la segreteria e gliela metto nel... Bip.
- "Non credo siano necessarie presentazioni perché sono la stessa persona che ti ha lasciato i sette messaggi precedenti che tu hai deciso di ignorare, da cafone quale sei. Ti informo che se non rispondi, ho intenzione di chiamare quelli di Senza Traccia e sarà meglio che tu sia riverso a terra in un vicolo, morto o al massimo morente perché è l'unica scusante che ti potrebbe salvare dalla furia omicida della sottoscritta. In ogni caso, fai una brutta fine!". Bip, messaggio registrato.
Mi rimisi al computer, ma quasi subito, da brava amante dei polizieschi, una preoccupazione mi assalì: e se Nick davvero fosse stato fatto fuori? La mia dichiarazione telefonica di certo avrebbe interessato gli inquirenti come il miele a Yoghi: una pazza psicotica per assassina era un classico, un cliché. Ma era anche tremendamente possibile.
Ricomposi veloce il suo numero e mi sforzai di avere un tono dolce e mansueto, dopo essermi sorbita per l'ennesima volta la voce registrata di Nick.
- "Sono sempre io! - risata falsa - Prima scherzavo, lo sai vero? Cioè, è vero che penso che tu sia un maleducato per non avermi risposto e sono sinceramente offesa per il fatto che tu non mi stia calcolando, nonostante io non abbia fatto nulla per meritarmelo. Sarà che sei un po' scorbutico, un po' musone e, diciamocelo, pure un po' stronzo e forse ti senti autorizzato a trattare così le donne, ma io non sono come le altre e sappi che te la farò pagare per il tuo comportamento. Idiota". Riattaccai con un senso di sollievo per avergli detto quanto pensavo, senza freni.
Dannazione, Samantha. Ora neanche Perry Mason potrebbe salvare il tuo bel culetto. Adesso l'unico 'cavolo' che puoi dire è quello sulla foto segnaletica, in Corea.
Terza chiamata, terzo messaggio.
- "Ti voglio bene, Nick. Non ti ucciderei mai!". Perfetto, ora potevo essere declassata a semplice sospettata.

Nel corso del pomeriggio, o almeno quello che io avevo intuito essere tale, a giudicare dai tiepidi raggi solari che filtravano dalla finestra - lo so, la piovosa Gran Bretagna non è il posto più adatto per contare le ore in base al sole -, Valerie arrivò a turbare la mia quiete.
- "Ti dirò solo una parola: televisione!" strillò eccitata, agitando in aria le mani come una bambina di fronte ad un regalo molto gradito. La guardai scettica e vidi la sua faccia piano piano storpiarsi in una smorfia di disgusto che mi percorse tutto il corpo, dalle punte dei capelli crespi e spenti, ai piedi infilati nelle solite pantofole di pezza con il disegno di Snoopy. Abbassai la testa e mi guardai: il pigiama con una chiazza di yogurt sul petto, lo smalto smangiucchiato sulle unghie, i calzettoni di lana sopra i pantaloni fino al ginocchio e una vecchia liseuse per il freddo. Abbastanza orribile.
- "Cosa diavolo ti è successo?". La sua faccia schifata non faceva sconti.
- "Niente. Sono solo un po' sciupata" decisi di ridimensionare il problema.
- "Sciupata? Tesoro sei distrutta!". No, nulla, non comprendeva il concetto di 'menti per salvare l'autostima di un'amica'.
- "Grazie, Val" commentai sarcastica.
- "È successo qualcosa? Che hai fatto in questi giorni?".
- "La risposta è ancora niente" dissi.
- "Non hai messo il naso fuori di casa?".
- "Con chi sarei dovuta uscire? Will è a Portland, Warren da qualche parte, Kay spero sulla luna...".
- "E Nick?". Ecco la domanda tanto temuta.
- "È sparito" gridai.
- "È impossibile. Sarà mica morto?!".
- "Non sono stata io! - mi affrettai a dire e Valerie mi guardò di sbieco. Cambiai bruscamente argomento - Dicevi? Cos'è questa storia della televisione?".
La mia amica recuperò la sua allegria. Mi spostò con un gesto secco della mano e irruppe nel mio salotto. Spostò noncurante i cartoni della pizza sparsi sul tavolo davanti alla televisione e si sedette, decisa a fare in modo che nemmeno l'aspetto trasandato del mio appartamento potesse intaccare il suo buonumore.
- "Stamattina qualcuno mi ha chiamata a casa per dirmi una cosa".
- "Potresti essere un po' più specifica?" la pregai.
- "Mi ha chiamato l'agente di Ralph J - a quel punto drizzai le orecchie - e mi ha detto che il suo cliente è disponibile a fare un'intervista".
- "È un bene perché almeno avrà la possibilità di dare la sua versione dei fatti".
- "Ha posto solo due condizioni: che si faccia in tivù e che ci sia tu".
- "A tenergli la mano? Dio, sapevo che esprimere solidarietà a quella mezza tacca frignante mi avrebbe portato a fargli da balia" dissi irritata, sistemando i cuscini sul divano.
- "Come intervistatrice".
- "Cosa? Non sono mai stata in televisione prima d'ora! Beh, ad eccezione di quella volta che a tre anni ho accompagnato mia nonna a quello strano quiz televisivo in cui vincevi caschi di banane". Nonna Gelsa è sempre stata stramba.
Ma Valerie non mi stava ascoltando.
- "Sono stata contattata dalla CBR e hanno detto che mettono a disposizione i loro studi televisivi per domani. Chiaramente vorranno una percentuale". Domani?
Provai a farla ragionare, dicendole che ero troppo inesperta - o, meglio, incapace - per affrontare una cosa così, da un giorno all'altro, ma lei mi rimbambì di chiacchiere su quanto fossi brava a capire le persone e cazzate del genere che mi gonfiarono l'ego, e che, ripensandoci ora, mi fanno gonfiare solo qualcos'altro.
Le domande erano già state stabilite, senza possibilità alcuna di stravolgerle, cambiarle o aggiungerne di nuove e personali. Avrei dovuto soltanto leggere quelle concordate e attendere come una mummia in silenzio le risposte. Le avrei sapute solo una volta arrivata alla studio televisivo, per limitare la possibilità di intraprendere un'iniziativa personale.
- "Domani alle dieci ti voglio in ufficio perché dobbiamo assolutamente andare alla CBR per provare e fare la registrazione nel pomeriggio. Ah, stasera esci e vai a cercare Nick: è un ordine. Magari prima datti una sistemata; sei sempre a un passo dal sembrare Samara di The Ring".

Lavata, profumata e fresca di phon mi decisi ad andare alla ricerca dell'a-cervellico uomo che rispondeva al nome di Nicholas MacCord. Ero stata costretta a chiamare Kay per ottenere l'informazione essenziale per cominciare a cercarlo: lavorava o no? Risposta affermativa. Aspettai comodamente sul divano che arrivasse l'orario di chiusura, poi presi un taxi ed arrivai davanti al noto locale notturno di strip-tease di Soho in cui prestava le sue doti.
L'obiettivo uscì dal Pumping Pumpkin con un borsone caricato su una spalla, chiacchierando assieme a quel bel giovanotto cubano che doveva chiamarsi Josè. Quando quest'ultimo liberò la porta, potei distinguere una figura femminile, prima coperta dalla stazza dei due ragazzi. Strabuzzai gli occhi e annotai mentalmente di prendere un appuntamento con un oculista perché quella non poteva essere... Samantha risparmia pure i tuoi soldi perché il fatto che si sia nascosta nel momento stesso in cui ti ha vista, significa che i tuoi dieci decimi ci sono ancora tutti.
José e Nick osservarono perplessi il comportamento strano dell'unica donna rimasta dopo la chiusura e si voltarono per vedere dove fosse finita.
Mi feci avanti e loro, finalmente, capirono il motivo di quel nascondino improvvisato.
- "Sammy, che ci fai qui?".
- "Sammy? - ripetè José, rivolgendosi al collega - Lei è quella Sammy? Nick non fa altro che parlare di te". L'interessato prese a torturarsi i capelli nervosamente.
Se stavano provando a distrarmi per farmi dimenticare la persona che avevano alle spalle, allora stavano sbagliando di grosso. Ma davvero Nick parlava sempre di me? Perché era una cosa dolce, da innamorati insomma... Concentrazione, Sam, concentrazione: i due furbetti sono dei truffatori di professione; dicono a delle racchie che sono belle, a delle arpie che sono simpatiche, blablabla e le malcapitate non capiscono mai che sono tutte cazzate che quei pagliacci rifilano per avere un centone in più.
- "Sono José, non so se ricordi".
- "Diciamo che mi ricordo svariate parti del tuo corpo, che non includono la faccia. Però, sì, so chi sei" ammisi sincera.
- "Complimenti, sei ancora più bella di quanto ricordassi" mi lusingò. Ecco, non sempre dicevano cazzate: qualche volta si concedono il lusso di dire anche delle verità assolute.
- "Ti ringrazio, ma ciò non mi impedirà di fare il terzo grado alla donna che si nasconde dietro di voi" lo avvertii.
- "Chi?" intervenne Nick.
- "N-non c'è nessuno di noi. Cos'è, una battuta? Sei simpatica, Sammy". Anche quella era una verità assoluta, ovviamente.
José stava persino tremando, a differenza del compare che aveva la faccia di bronzo e che aveva fatto del raccontar balle una filosofia di vita.
- "E tu sei un pessimo bugiardo. Avanti, vieni fuori!" dissi alla figura misteriosa e lei obbedì. Uscì mesta dal suo nascondiglio e mi guardò con degli occhioni languidi e l'aria di chi sa di essere stato colto in flagrante.
I tre davanti a me si zittirono tutt'ad un tratto.
- "Amanda, posso sapere che cavolo ci fai qui?" gracchiai.
- "Potrebbe farti la stessa domanda" osservò Nick, ma un pestone armato di tacco a spillo si posò senza delicatezza sul suo piede, facendolo gemere di dolore.
- "Se avessi voluto chiederlo a te, lo avrei fatto".
- "Questo è un Stato libero e democratico, perciò posso dire tutto ciò che mi pare, in ogni momento o luogo. Grazie a Dio non viviamo a Sammylandia, il Paese pù egocentrico, viziato, disordinato, casinista, rompipalle, permaloso, scortese, antipatico, strafottente, presuntuoso e testardo del mondo".
- "Perché tu come credi di essere? Ci sono un sacco di lavori che non potresti mai fare: il serial killer ad esempio; vuoi mettere tutto quel sangue sul tappeto persiano di casa tua? Oddio, troppo disordine. E cosa dire del pasticciere? Sei impazzito? E se venissero due bigné di forma diversa? Non sia mai! Parliamo dell'astronauta: troppo coperto, dannazione! Chi lo vedrebbe quel fisico che fa cadere tuoi piedi ogni cliente del Pumping Pumpkin?! Oppure il medico: tutto quel tempo con il tuo sorriso coperto da un'anonima mascherina che impedisce al mondo di vedere le tue stupide file di denti perfetti!" sbraitai.
- "Dovrebbe essere un'offesa?" domandò perplesso.
- "Sì!" strillai.
- "Allora cerca di offendermi, non di farmi i complimenti!".
- "Scusa ora dovrei pure farmi insegnare come insultare?". Il ragazzo sapeva essere parecchio strano quando s'impegnava.
- "Non sei capace..." mi accusò.
- "Ma se ti ho appena detto che sei troppo ordinato, troppo...troppo..." mi inalberai.
- "Hai detto che sono ordinato, che ho un gran bel fisico e che ho dei bei denti. Come se non lo sapessi, poi...".
- "Ecco, sei pieno di te." sentenziai.
- "Continua" mi stuzzicò.
- "Sei arrogante" proseguii.
- "Ci siamo quasi".
- "S-sei" cominciai a fissarlo da capo a piedi per trovargli qualche dettaglio, qualche difettuccio da rinfacciargli.
- "Sammy, andiamo. Smettila di cercare qualcosa di brutto in me perché sono perfetto".
- "Hai mai conosciuto la modestia?" lo guardai con aria di sfida.
- "Vedi che se ti provoco poi qualcosa partorisci?".
- "Sei una talpa, sei cieco e se vivessimo nel paleolitico o nel Medioevo non avresti nè lenti nè occhiali. Sfigato" dissi, per rincarare la dose.
- "Veramente di qualcosa simile agli occhiali ne parla già Seneca e le lenti a contatto pare le abbia inventate Leonardo da Vinci. Però, certo accetto questa specie di offesa".
Lo guardai scocciata.
- "Sto davvero perdendo tempo con te? Perché stavo parlando con Amanda. - Mi voltai, ma sia lei che José se ne erano andati mentre io e quel cretino-idiota-sottosviluppato stavamo litigando - Mi hai fregato, eh? Mi hai fatto parlare a ruota libera e loro hanno avuto tutto il tempo di sgattaiolare via".
Prese il cellulare dalla tasca e mi scattò una fotografia, dove ero certa di essere uscita con una smorfia stupida e gli occhi socchiusi.
- "Scusa, non ho resistito: avevi un'espressione troppo buffa. E comunque sì, ti ho fregato. Fosse la prima volta...". Si ricaricò il borsone sulla spalla e se ne andò. Lo seguii a piccoli passettini rumorosi, per quanto il vestito consentisse, e gli afferrai il braccio.
- "Te ne vai così?" gli urlai contro.
- "Perdonami, che maleducato. Stavo per dimenticarmi. - mi afferrò la testa e mi stampò un bacio sulla fronte - Notte, Sammy" biascicò e stavolta si allontanò a grandi falcate verso il parcheggio di fronte al locale dove si poteva intravedere il suo fuoristrada.
Rimasi imbambolata sul marciapiede con la sensazione di avere le sue labbra ancora addosso.

Il giorno dopo in ufficio ero un fascio di nervi: in redazione si era diffusa la voce della mia prossima avventura televisiva e da ciò era scaturito un nuovo motivo per odiarmi; non ero più solo una raccomandata del cazzo, ma ora ero anche una sgualdrina raccomandata del cazzo perché mi ero fatta chiunque dell'entourage di Ralph J per riuscire ad intervistarlo.
- "Saaaam! - mi chiamò da lontano Valerie, sventolando due buste e correndo verso di me - Indovina chi stasera è stato invitato per assistere alla visione della tua intervista negli studi di CBR e al party che si svolgerà dopo? Noi! E ci hanno anche dato un +1 ciascuna".
- "Bene. Allora è un peccato che io non abbia nessuno da portare".
- "Ci sarebbe sempre Nick".
Fammi pensare un po'... no.
- "Non credo proprio. Ieri sera mi ha trattato male e non ho alcuna intenzione di andare a cercarlo io di nuovo. Ho una dignità; talvolta sono la prima che la calpesta, ma stavolta niente, nada".
- "E Jonathan con chi parla tutta sera? Sei la solita egoista. Povero Johnny, proprio lui che ti vuole tanto bene, che ti considera come una sorellina, che si preoccupa per la sua Sammuccia. Lo chiami tu per dirgli che lo aspetta una serata solo soletto?".
Dio, questi ricatti morali erano devastanti per il mio - minimo - lato sensibile alle lamentele di Val.
- "Aaaaah, dammi quel maledetto telefono". Mi passò soddisfatta la cornetta ed io mi stupii di ricordare il numero di cellulare di Nick a memoria. Tre squilli e rispose.
- "Pronto?".
- "Sono Sam. - sbuffai - Ho bisogno di chiederti un favore".
- "Ti ascolto".
Dai, Sam, coraggio.
- "Beh, volevo chiederti se, per caso, ti andrebbe di... - cavolo, stavo sudando freddo - Se non hai nulla da fare stasera...".
Per la miseria, dì quelle maledette cinque parole!
- "Sammy, non ho tutto il giorno. Pensi di poter velocizzare la tua richiesta?" domandò ironico.
- "Scusa. Dicevo, ti andrebbe di...". Che poi '+1' dev'essere considerato una parola sola? Perché tecnicamente sono due.
- "Di?" m'incalzò.
Mi stavo torturando le dita una con l'altra, a vicenda e con il filo del telefono, sotto l'occhio vigile e indagatore di Valerie.
- "Di essere il mio +1 alla festa nella sede della CBR, sai devo intervistare Ralph J e hanno organizzato qualcosa per il post-trasmissione".
- "Ho un altro impegno stasera" si limitò a dirmi come risposta.
- "Oh - mormorai delusa, ma cercai di mantenere il sorriso -, certo. Ho chiesto già ad altri, però nemmeno loro potevano. Pazienza, immagino che troverò il modo di divertirmi lo stesso".
- "Te lo auguro. Ci sentiamo". Riattaccai.
Certo che mi aveva fatto blaterare per cinque minuti buoni su un possibile programma della serata, quando sapeva già di dover fare altro, solo per il gusto di vedermi in difficoltà nel chiedergli una sorta di appuntamento - e non lo era, sia chiaro - e sbattermi in faccia il suo rifiuto. Era stato umiliante, ma se si aspettava che mi mettessi ad implorarlo, non aveva capito con chi aveva a che fare. Avrei dovuto dargli dello stronzo o rispondergli con una frase del tipo: forse era il caso che cominciassi dall'inizio della mia lista di possibili +1 e non dalla fine. Ma, si sa, le idee migliori hanno bisogno di tempo per maturare. Ed è per questo che arrivano sempre troppo tardi.
- "Allora, cosa ha detto?" mi chiese Valerie eccitata.
- "Ha detto che non può" sintetizzai.
- "Come non può? Deve lavorare?".
- "Non credo, perché altrimenti lo avrebbe specificato. Invece ha detto che aveva un altro impegno - lo citai e dichiarai chiuso l'argomento Nick - Potrei invitare qualcun altro, ma non saprei chi. Ma sì, al diavolo! Vado da sola e vedrai che qualche bell'omaccione lo raccatto alla festa".
- "Ci penso io a trovare il tuo +1, lascia fare a me" proclamò Val.
E quell'ultima frase apparì minacciosa come una tromba d'aria di nome Katrina sulle coste statunitensi della Louisiana.

Qualche ora più tardi ero di fronte a Patrick Fitz, produttore esecutivo del talk-show in cui mi sarei dovuta inserire. Erano venti minuti che mi spiegava ciò che avrei dovuto fare, ma io ero talmente nervosa che avrei preferito scappare a gambe levate, piuttosto che inchiodarmi su di una sedia e trascorrere del tempo con quella femminuccia di Ralph.
Mi truccarono, mi pettinarono, mi rigirarono come un'acciuga sottosale e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai seduta sulla poltroncina dello studio, un copione in mano e il maledetto rapper con la coda tra le gambe. Dopo un paio di prove andate male, finalmente la registrazione cominciò a prender forma.
Darleen, l'esperta conduttrice che mi avrebbe poi passato la linea, stava ora parlando con fare sicuro dell'intervista che stava per iniziare con 'la giornalista Samantha Grayson di Music Magazine - faceva un certo effetto sentir parlare di me in tivù -, esplicitamente richiesta dal rapper di fama internazionale Ralph J, al momento indagato per favoreggiamento della prostituzione'. La scena si concentrò su di me, che tremavo come una foglia ed avevo un'espressione che rasentava il terrore puro.
Sentivo le guance in fiamme dall'imbarazzo e temevo che avrei finito col fare una figuraccia terribile di fronte a tutto lo studio.
- "Buonasera. - dissi incerta - Ringrazio il nostro ospite per essere stato così gentile da concederci quest'intervista".
- "Grazie a te, Sam". Non mi aveva appena chiamata Sam di fronte al mondo intero, vero? Doveva rimanere una cosa professionale, non uno scambio di battute tra amici. Per di più con quell'aria da farfallone che avrebbe fatto intendere al pubblico che io gliela avessi data per finire su un canale nazionale; il che non era esattamente sbagliato, ma salvare le apparenze era la parola d'ordine.
- "Allora, Ralph. Qual è la tua versione dei fatti, riguardo il caso che ti ha visto iscritto nel registro degli indagati per un giro di prostituzione minorile?" ricordai a memoria.
- "Sono stato incastrato, è evidente. Vorrei rassicurare i miei fans - continuò, fissando la telecamera -, perché sono del tutto innocente e non mi darò pace finchè non proverò la mia innocenza". Perfino un idiota si sarebbe accorto che stava recitando un copione. Non era difficile pensare - e credere - che le risposte fossero tutte state scritte prime da qualcun altro e che Ralph si stesse ora limitando a ripetere a pappagallo quanto gli era stato ordinato di dire.
- "Da circa una settimana sei uscito su cauzione, con l'obbligo di non uscire di casa. Come intendi impiegare il tempo passato tra le mura del tuo appartamento?".
- "Impegnandomi nel sociale. - Se non fossi davanti agli occhi di mezza Inghilterra mi metterei a rotolare sul tappeto dalle risate - Voglio aiutare chi si è trovato in una situazione come la mia, chi è stato accusato ingiustamente e si è trovato nella scomoda e complicata condizione di dover scoprire la verità per dimostrare al mondo che è una persona perbene".
- "Come pensi che questa brutta storia possa influenzare la tua carriera?" domandai.
- "Sono certo che i miei fans non credano alle assurde accuse che mi sono state rivolte e imputate. Ho intenzione di pubblicare un album a breve, dove parlerò della mia esperienza in carcere perché voglio comunicare quanto terribile sia stata e ho bisogno di far uscire tutta la rabbia dal mio corpo. Sono convinto che piacerà" affermò sicuro.
Lessi dalla cartelletta che avevo appoggiata sulle ginocchia e chiusi per un attimo gli occhi, prima di fare quella domanda idiota che c'era scritta, una domanda che probabilmente avrebbe posto un ammiratore di Ralph, non  un giornalista alla caccia di scoop.
- "Hai già un'idea di come chiamare questo album in uscita?" chiesi.
- "Io e il mio manager Dustin Paxton - un po' di pubblicità gratuita non ha mai fatto male a nessuno, no? - pensavamo a qualcosa tipo Ralph J- The Resurrection. Ti piace, Sam?".
Oh Santi Numi, ti prego, prendetemi con voi e toglietemi da questa situazione del cavolo!
- "C-certo. Molto... ehm... religioso. L'ultima domanda per te: - mi affrettai a dire - cosa ti sta insegnando quest'esperienza?".
- "Sto imparando che nulla è scontato nella vita. Ieri ero un un rapper di successo, con molte soddisfazioni e pochi problemi; oggi sono un semplice ragazzo che si è trovato al centro di un ciclone e che sta cercando di trovare la luce in fondo al tunnel".
- "Posso chiederti in che modo?" azzardai, sperando che il caro Paxton non mi azzannasse per la domanda extra.
- "Con la fede. Mi sta dando tanta forza" disse poetico, mentre io cercavo di tenere le mani ben salde sulla poltrona su cui ero seduta per evitare di cadere, dopo lo shock per la risposta che mi aveva dato.
- "Bene, ci auguriamo tutti che tu riesca ad uscire a testa alta da questa situazione. Grazie, Ralph".
- "Grazie a voi. E a te, Sam per aver raccolto questa mia richiesta. Ti ho portato un regalo".
Oh cielo.
Il suo buttafuori di colore e dall'aria antipatica si avvicinò e mi diede un pacco alto più o meno due metri, ma sottile. Mi alzai e, incitata dall'intero studio lo scartai. Era una sua gigantografia a grandezza naturale, autografata, in cui un grosso sorriso falsissimo capeggiava in centro al volto.
- "Grazie" gracchiai imbarazzata.
- "Ho pensato che una foto fosse troppo poco per una donna straordinaria come te". Mi abbracciò teneramente ed io rimasi un po' stupita, davanti al cameraman che se si fosse avvicinato ancora qualche passo per riprenderci meglio, temevo potesse mettermi incinta.
Non esisteva lo zoom una volta?
- "Bene. E' tutto, restituisco la linea a Darleen. Buona continuazione".

Valerie mi parlò ininterrottamente per la mezzora successiva e mi invitò a cominciare a prepararmi per la serata, non appena avessi piede nel mio appartamento.
Tornata alla base, lasciai che Romeo si strusciasse un po' sulle mie gambe e lo costrinsi a guardarmi mentre mi provavo l'intero guardaroba. Miao corrispondeva a tesoro lascia perdere, il silenzio equivaleva ad un può andare.
La mia amica e quel sant'uomo di Jonathan mi passarono a prendere alle otto precise e chiaramente dovettero aspettarmi almeno dieci minuti prima di vedermi uscire dal condominio in un vestito celeste che mi ero ricordata qualche ora prima di adorare, una volta fatto riemergere da quella specie di catacomba che era il mio armadio - Romeo aveva taciuto. Era un po' come un sito archeologico: trovavi sempre qualcosa di bello; bastava scavare.
La parte tragica fu trovare un paio di scarpe per l'occasione. Patrick, il produttore esecutivo del talk-show, mi aveva già preannunciato che ci sarebbero stati dei fotografi al party, i cui scatti sarebbero finiti su varie riviste scandalistiche e non. Quindi era bene essere in tiro per l'occasione e chi meglio di Manolo poteva venirmi incontro in una situazione del genere?
Dopo l'ennesima ramanzina da parte di Valerie, arrivammo agli studi televisivi, dove un grande viavai di persone stava affollando l'entrata. C'erano star e starlette, registi e autori, il proprietario dell'emittente, Patrick e i suoi colleghi. Ci accolsero con gioia e ci indicarono i posti a sedere che avevano organizzato per assistere alla messa in onda della trasmissione. Erano certi di fare grandi ascolti ed era per questa ragione che si erano sentiti di preparare i festeggiamenti in anticipo, convinti di sbancare l'auditel con percentuali di share da record.
Una ventina di persone mi domandarono chi fosse il mio famoso +1 e Valerie ogni volta mi cedette gentilmente suo marito, dicendo che era lei quella sprovvista di accompagnatore per la serata.
Ci accomodammo su delle poltroncine comode e attendemmo che la registrazione cominciasse. Faceva un po' impressione sentire la mia voce - sembrava così innaturale! - e vedermi in televisione, un po' impacciata e parecchio a disagio. Per fortuna il tutto durò poco e ben presto mi ritrovai a festeggiare con quella testa pelata di Patrick che mi porse un bicchiere di champagne.
- "Brava, Samantha! Complimenti! Cin-cin!". Si aggiunsero anche Val e Jonathan.
Sentii il cellulare suonare da dentro la pochette. Warren.
- "Pronto?" dissi, disconstandomi dalla folla di persone che stava celebrando il successo, garantito dallo share.
- "Brutta sgualdrina che non sei altro! Vai in televisione e non lo me lo dici?" trillò, offeso.
- "Tesoro, ti dico di più: saresti stato il mio +1 alla festa agli studi della CBR".
- "Festa? Che rabbia! Io sono a Leeds a trasportare stupidi bancali di dentifricio e tu sei lì, ad una mega party. Appena torno mi aggiorni, Zuccherino! Vedi di ficcare la tua lingua in bocca a qualche produttore, così almeno ti inviteranno di nuovo ed io finalmente potrò essere il tanto agognato +1".
Warren sapeva essere un tornado anche a chilometri di distanza.
- "Ci proverò. Ti chiamo dopo". Riposi il cellulare nella borsa e ritornai al centro della sala, accanto a Val che stava facendo la civetta -come al solito- con il povero marito a tenere a debita distanza i vecchi bavosi che potevano importunare la sua dama. Mi chiese di tenere compagnia a Jonathan mentre lei andava in bagno ed io non ebbi esitazione nell'acconsentire.
Tornò appena qualche decina di secondi dopo a braccetto con... Nick?
Mi diedi qualche colpo sul petto per ingoiare la pizzetta che si era fermata in gola per la sorpresa di trovarmi lui davanti agli occhi, in un elegante completo nero con una camicia chiara.
Jonathan mi passò provvidenzialmente un bicchiere d'acqua ed io lo bevvi tutto d'un fiato.
- "Avevi detto di avere un impegno" accusai Nick.
- "Ed è vero. Dovevo venire qui".
- "Ma mi avevi detto di non poter essere il mio +1". Non stavo capendo nulla.
- "Ed anche questo è vero. Sono il +1 di Valerie". Guardai la mia amica scioccata e lei ammise con candore che non mentiva quando andava in giro dicendo che Jonathan era con me, perché il suo accompagnatore era Nick.
- "Gliel'hai chiesto ancora prima che lo facessi io?". Annuì. Okay, ero decisamente disorientata.
Si allontanò velocemente con il malcapitato uomo che le aveva messo una fede al dito e ci lasciò soli: fantastico!
- "Che c'è da guardare?" chiesi scortese.
- "Mi piace il tuo vestito. - rispose, sorseggiando un po' di champagne ed io arrossii come una quindicenne - E poi mi stavo chiedendo perché tu sia venuta a Soho a cercarmi".
- "Per curiosità: ascolti mai la segreteria?" chiesi acida.
- "Non quando ci sono i tuoi deliri" commentò tranquillo.
- "Non mi hai mai richiamata". Era solo una mia impressione o stavo facendo la parte della fidanzata gelosa?
Fece spallucce e non rispose, preferendo spostare la sua attenzione su un pasticcino ripieno di crema che se ne stavo solitario in mezzo al vassoio vuoto. Dello zucchero a velo gli rimase sul labbro inferiore e fu una vera tortura vedere la sua lingua inumidire appena la bocca e spazzare via quella delicata polvere bianca.
Santo cielo, quanto avrei voluto essere quello zucchero a velo! Proprio io che non lo sopportavo, che lo soffiavo via senza pietà da torte e dolci che ne avessero anche una minima quantità.
- "Qualche volta è un bene lasciare le cose in sospeso, no? Con un alone di mistero, d'insoluto, di sorpresa".
Stavo per ribattere, ma un fotografo ci interruppe e ci chiese se volevamo fare un foto. Nick mi strinse il fianco e mi appoggiò delicatamente a lui. Avevo sempre detestato la tecnologia e quella sera la odiai ancora di più: perché per uno scatto non ci volevano almeno quindici minuti, invece che una manciata di secondi? No, forse meglio così perché altrimenti sarei morta dall'imbarazzo così vicina a lui.
Durante tutto il resto della serata non ci fu occasione di scambiare altre parole con Nick; giravo come una trottola da un responsabile dell'emittente ad un altro, da una foto per una rivista al rispondere alle domande sulla natura - che giurai, da brava Pinocchia, essere solo professionale - tra me e Ralph.
Riuscii a rintracciare con non poche difficoltà il fotografo che mi aveva ritratto con Nick perché volevo assolutamente avere il reperto che attestava di quella serata, insieme. Mi piaceva, era inutile negarlo; con lui c'era il gusto e la voglia di scoprire qualcosa di nuovo, di affascinante, di seducente, magnetico. E non era solo uno sfizio fisico da togliersi, uno di quelli che ti annoia una volta avuto tra le lenzuola. Perché lui c'era già stato tra le mie lenzuola, ma di Nick non mi ero ancora ancora annoiata. Anzi, ne ero ancora più curiosa.

La foto non c'era. L'aveva già presa un bel giovanotto con gli occhi chiari e l'aria impertinente, aveva detto il fotografo. Mi scappò un sorriso e mi venne un'idea. Lasciai la festa e me ne tornai a casa con un taxi. Mi cambiai, indossai qualcosa di più comodo e mi sedetti sul tappeto. Presi una vecchia polaroid in una mano, Romeo sulle gambe e mi sforzai di fare una faccia imbronciata. Scattai la foto, aspettai che dalla chiazza nera iniziale affiorassero il mio viso e il musetto del mio micione e ci scrissi una frase sotto. La scannerizzai e la allegai alla mail, pronta da giorni, indirizzata a Will.
Inviai il messaggio e mi sentii immediatamente più leggera. Meglio puntare su un effetto sorpresa, invece che una barbosa sbrodolata di parole diabetiche: due facce amiche, una foto e una scritta: Ci manchi. Scusa.





L'1.15 anche questa settimana! Nonostante sia rimasta priva di internet per metà della giornata -grazie Alice!- riesco ad aggiornare. Ho stravolto il titolo perché, nonostante ami alla follia la canzone che avevo scelto prima, questa ci stava decisamente meglio. E' "Photograph" dei Nickelback, in ogni caso.
Forse questo capitolo è meno divertente degli altri ma era necessario per introdurre degli elementi.
Nel capitolo si fa menzione dei FIDANZATI Will e Kate, non perché io sia rimasta miracolosamente immune all'abbuffata mediatica sul matrimonio del secolo, ma perché la storia è ambientata a novembre 2010 e perciò all'epoca non erano ancora sposati. Una delle domande che Sam si pone è sul perché gli omosessuali vengano definiti 'finocchi'; ecco la spiegazione presa pari pari da yahoo answer:
Il termine "finocchio", utilizzato per denotare spregiativamente un uomo con atteggiamenti femminili o tendenze omosessuali, risale secondo alcuni al Medioevo, quando la Santa Inquisizione metteva al rogo anche i presunti colpevoli di omosessualità. Alle fiamme s’aggiungeva una fascina di finocchio selvatico, che si riteneva avesse il potere di purificare le carni impure. Di qui, l’antico detto popolare: "oggi si brucia il finocchio", per annunciare l’accensione di un rogo.
In realta` secondo altri si tratterebbe di una leggenda priva di qualunque fondamento. Il termine finocchio usato come sinonimo di omosessuale maschile avrebbe invece la stessa origine del verbo "infinocchiare" : il termine, originariamente usato per indicare qualcosa di scarso valore, avrebbe poi assunto il significato di "persona di poco valore, spregevole ".
Scusate per eventuali errori!
Ecco, domani mattina rispondo alle vostre gentilissime recensioni e vi auguro buonanotte! Un ringraziamento a tutti come sempre!

Sandra

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. Secret. ***


Capitolo ventiquattro. Secret.

Ogni appostamento che si rispetti segue la legge delle quattro P: posizione, pazienza, perseveranza e prontezza di riflessi. E, quella mattina, mi ero svegliata venti minuti prima del solito - evento più che eccezionale - per arrivare in anticipo in ufficio e nascondermi nel ripostiglio accanto all'ascensore, determinata ad acciuffare Amanda non appena avesse messo piede in redazione. La sera precedente era riuscita a farla franca, sgattaiolando via con José di fronte al Pumping Pumpkin mentre io ero invischiata in una discussione dall'elevato spessore culturale con Nick, ma ora ero concentrata per riuscire nell'impresa.
Sentii il ting che indicava l'arrivo dell'ascensore al settimo piano e socchiusi la porta. Tesi le orecchie e guardai verso la  porta scorrevole sulla quale svettava a caratteri cubitali la scritta nera e ordinata Music Magazine. Una folta chioma ambrata si stava agitando a destra e sinistra; Amanda stava di sicuro controllando che non fossi ancora arrivata e probabilmente stava augurandosi che non mi presentassi al lavoro. Lasciai lo stanzino maleodorante in cui ero nascosta e feci un'entrata trionfale, con tanto di salto furtivo alle spalle della rossa che mi ripromisi di non far mai più nella vita, se non avessi voluto giocarmi il menisco per via dei tacchi alti.
- "Tu, donna dai facili costumi!" urlai con un indice accusatore puntato verso la sua schiena.
Lei si girò nella mia direzione con due occhi azzurri spaventati. Due occhi azzurri spaventati che non appartenevano ad Amanda.
- "Come scusi?" mi chiese una ragazza sui venticinque, che teneva tra le mani delle indicazioni su come muoversi nel palazzo.
- "Ah... dicevo, tu donna dai facili carburi, come gli idrocarburi. - idrocarburi? La tizia mi osservò perplessa - Perché sai, conosco te e quel tuo SUV e so quanto consumi quel bestione che usi per venire qua" inventai su due piedi.
- "Uso la metropolitana, in realtà".
Stavo dimenticando gli insegnamenti di mia sorella Lily: quando devi trovare una scusa per toglierti da un impiccio, resta sempre sul vago, non scendere nei dettagli. Ed io avevo proprio detto SUV, nemmeno macchina, ciclomotore o, meglio, mezzo.
Avrei dovuto dire mezzo, merda!
- "Anche la metropolitana consuma. - tentennai - Pensa a tutti i viaggi che fai ogni giorno per venire qui. Inquinatrice!" risi, mettendomi una mano sul fianco e sperando che quella impicciona di Valerie per una volta in più si comportasse come tale e arrivasse in mio soccorso.
- "È il mio primo giorno di lavoro".
E allora dillo, stronza, che vuoi per forza farmi fare una figura del cavolo!
- "Beh... allora in bocca al lupo! E rispetta l'ambiente, sorella! - Mi defilai e camminai velocemente verso la mia scrivania - Sorella? Dio, ma cosa c'è che non va in me?" dissi ad alta voce, anche se stavo parlando con me stessa.
Incrociai Jade che stava bevendo un caffè preso alle macchinette e le chiesi subito dove si fosse nascosta Amanda, quella vera.
- "Ha preso ferie. Ha detto che uno dei suoi figli non stava bene e ha chiesto e ottenuto di starsene a casa".
Piccola truffatrice: mi sarai sfuggita oggi, ma tu e il grande segreto che condividi con Nick e José verrà scoperto prima o poi.

Sapevo che Warren sarebbe tornato in giornata; aspettavo soltanto che mi mandasse un messaggio di conferma sull'orario in cui avrebbe lasciato il camion in azienda e sarebbe stato libero di uscire. L'sms arrivò qualche minuto dopo.
- Sono ufficialmente a casa! Ho appena finito di vedere il video della festa della CBR sul sito di Celebrities. Interessante la parte di te e Nick - mi scrisse.
- E...? - ero davvero curiosa di sapere cosa pensasse.
- E la prossima volta che ci vediamo dovresti venire fornita di un secchio, una sputacchiera o simili perché ti assicuro che non è un bello spettacolo vederti sbavare sul culo di Nick, nonostante tu abbia tutta la mia comprensione - Non era vero!
- Sono tutte illazioni! Sei un gelosone! - risposi.
- Zuccherino, mi fai quasi tenerezza quando cerchi di negare l'evidenza. Ci vediamo per pranzo? .
- Okay, ma c'è anche una mia collega. Ci sentiamo dopo per i dettagli, checca. - Nonostante le sue follie, Warren sapeva sempre farmi ridere.
- Va bene sgualdrina. Mi raccomando, il secchio!
Valerie si piazzò davanti alla mia scrivania proprio in quel momento. Ci accordammo per trovarci durante la pausa delle 13 e le dissi che Warren sarebbe stato con noi.
Sei una merda. - risposi velocemente al messaggio precedente, senza prestare molta attenzione; Sam1 era appena entrato in redazione ed era meglio prestare attenzione ad ogni suo spostamento.
- "A proposito, Sam. - mi disse Val, notando chi stavo osservando - Stamattina ho avuto una discussione furibonda con mister Mi-piacciono-le-minorenni: voleva a tutti i costi affiancarti nell'inchiesta su Ralph. Ho cercato di mantenere tutta la calma di cui sono capace - cioè zero -, ma alla fine c'è mancato poco che gli sputassi in faccia. L'ho convinto che ti stavo già aiutando io, però meglio controllare che non si immischi nella faccenda".
- "Gli faremo il culo, vedrai". Valerie mi guardò stranita; non poteva ancora sapere che la vicinanza di Warren stesse traviando il mio lessico.

Alle tredici in punto ci avviammo verso il bar all'angolo, dove il mio amico ci stava già aspettando. Feci le presentazioni e, con grande sollievo, constatai che i due si erano stati subito simpatici. Valerie mi chiese se fosse proprio quel Warren, quello del nastro attorno al collo ed io dovetti annuire, arrossendo. Le dissi che avevo fatto sesso con lui, prima di rendermi conto che in realtà ero troppo donna per piacere a quelli come lui; a lei non potevo raccontare che fosse stato un energumeno a lasciarmi quei lividi, che fortunatamente se n'era andato, e a lui non potevo dire di averlo utilizzato per coprire un'aggressione.
Avevo ancora una domanda che mi frullava in testa dalla sera precedente e decisi di togliermi quel sassolino dalla scarpa.
- "Val, sto ancora cercando di capire il motivo per cui tu abbia invitato Nick alla festa. Illuminami, ti prego". Lei fece ondeggiare i capelli boccolosi con aria di superiorità e cominciò a spiegare.
- "Era per inculcarti nella testa un fattore da non sottovalutare: lui non sarà sempre disponibile. Come l'ho fatto io, qualcun'altra avrebbe potuto chiedergli di uscire."
- "Buon per lui". Val e Warren si scambiarono un'occhiata rassegnata.
- "Sei senza speranza" commentarono.
Una delle cameriere ci portò i menu. Aprii il mio, mordendomi la lingua: avrei dovuto immaginare che una domanda del genere avrebbe causato una serie di complicazioni per me stessa.
- "Io? Non è la sottoscritta che ha ceduto suo marito ad un'amica per una serata. Tu sei senza speranza" le feci notare.
- "È stata un'idea di Jonathan, in effetti. Vi ha osservati a lungo, ha notato che in sua presenza sbatti le sopracciglia come una cerbiatta in calore e ha pensato che servisse qualcosa per smuoverti".
Ho sempre sospettato che chi si somiglia si piglia. Due pazzoidi non potevano non trovarsi.
- "E a giudicare dal rigonfiamento anteriore dei suoi pantaloni il ragazzo ha parecchio materiale con cui smuoverti" commentò Warren.
- "Come se non fosse già salita sulla giostra una volta... " mi provocò Valerie, ma il risultato fu il quasi soffocamento dell'unico uomo presente con la propria saliva.
- "Gli hai già fatto intingere il biscotto?" mi chiese in tono accusatorio, dopo aver bevuto ripristinato un viso dal colorito normale.
- "È successo una sera un po' di tempo fa" cercai di far decadere l'argomento.
- "Allora ritiro tutto quanto ho detto: non devi assolutamente provarci" si affrettò a dire Warren.
Era il momento di tacere per far sì che un nuovo oggetto di conversazione prendesse il sopravvento.
- "Perché?" invece, mi scivolò dalle labbra.
- "Sai che ho una morale ed un'etica in cui credo" proseguì.
D'accordo, c'era un limite alle cazzate.
- "La tua unica etica è gingillarti un pisello dalla sera alla mattina. Non so nemmeno se si possa definire 'etica'" sputai acida, ma assolutamente sincera.
- "Non è etica quella! Quella è la mia religione. Comunque sono per il condividere, io; hai già provato la sua cialda e ora tocca a me assaggiarla".
- "Lo vedi, Sam? C'è sempre la fila per quel ragazzo. Agisci ora o perderai per sempre il treno" intervenne Valerie.
- "Ci penserò io a fare in modo che Nick non perda il trenino dell'amore. E' sempre stata una mia fantasia. Ciuf, ciuf!". Ridemmo tutti e tre osservando scandalizzati il movimento pelvico che Warren aveva improvvisato per rendere meglio l'idea di ciò che aveva in mente di fare a Nick.

Sentimmo il tintinnio del campanellino montato sopra la porta del locale. Ci girammo quasi di riflesso e subito realizzammo che la situazione avrebbe preso una piega diversa. Nick entrò nel bar dove sapeva che io abitualmente passavo la pausa pranzo, da sola o in compagnia dei colleghi. Val non resistette e gli si avvicinò non appena lo vide chiudere la porta, lasciandomi sola con Warren, in balia dei suoi pensieri. Sconci.
- "Io ho già deciso cosa mangerò allora. Uovo alla cock.(*)" disse malizioso Warren.
- "Warren, ti prego. Ricordati che per lui sei il superetero camionista con cui ho fatto sesso in camera sua. Cerca di essere più serio, più discreto, meno... gay, per il momento" lo implorai.
- "Sì, baby" mi rispose.
- "E non chiamarmi baby che fa tanto Dirty dancing".
- "Nessuno mette Baby in un angolo. - disse, citando il film - Però poi la ragazza se l'è fatto mettere... ".
- "Warren!" lo bloccai, prima che la sua ormai consueta sboccataggine s'imponesse.
- "D'altronde se fosse stato Patrick Swayze anche io avrei fatto lo stesso". Beh, cavolo, come dargli torto. Nel frattempo gli altri due ci avevano raggiunto al tavolo e si stavano accomodando di fronte a noi.
- "Ciao Sammy. Warren" salutò.
- "Ciao Nick. Stavamo giusto parlando di dove se l'è fatto mettere...".
Ma chiude mai il becco quest'uomo?
- "L'orto. Dove Warren si è fatto mettere l'orto" lo interruppi, sollevando lo sguardo dal menu dove appena letto insalata dell'ortolano.
- "Sono un amante delle carote in effetti. E dei fagiolini. Invece le patate le trovo un po' insipide. Tu cosa ne pensi Nick?" chiese serio.
La conversazione più assurda che io avessi mai fatto.
- "Le adoro, in realtà. - E ti pareva! - Al forno, fritte, nei sacchetti, ma anche frullate a purè o nelle quiches. Il mio piatto preferito sono gli scones di patate scozzesi".
Aveva indugiato così a lungo su quell'ultima parola che le mie guance erano diventate improvvisamente rosse e una vampata di caldo aveva investito il mio corpo. Lo intravidi sorridere sotto i baffi, mentre gli occhi di Valerie e di Warren si posarono su di me, sorpresi. Ci pensò la checca del gruppo a spezzare la tensione.
- "E dimmi, Nick. Cosa pensi dei finocchi? Non credi siano incredibilmente gustosi?" azzardò Warren con tutto il sex-appeal e la malizia di cui era capace.
- "Ho una specie d'intolleranza: se li mangio, mi escono delle bolle rosse lungo le braccia, perciò meglio non rischiare". Warren fece una smorfia delusa e si concentrò di nuovo sulla lista dei cibi che aveva di fronte a sé.
- "Allora accontentati di questa patatina scozzese e dei due ravanelli che ha al posto delle tette" bofonchiò a bassa voce, in modo tale che solo io potessi sentirlo. Lo guardai indignata e gli diedi un pestone con la scarpa tacco otto che indossavo quella mattina. Lo sentii gemere di dolore come un cagnolino, sotto la faccia perplessa degli altri due che erano con noi.
- "Quindi state insieme ora?" ci chiese Nick, sfogliando il menu per dissimulare l'interesse che aveva di conoscere la risposta.
- "Chi, loro due? - rise Val - Ma se lui è ga... ". SOS: inventare qualcosa alla svelta!
- "Gallese! - mi affrettai a dire - È un pezzo di manzo gallese, focoso e caliente".
Caliente? Ho detto caliente? Santi numi, peggio di così non può andare.
- "E il fatto che sia gallese implica che non possiate stare insieme?" non abboccò Nick.
- "Certo che no, ma la sua famiglia è molto conservatrice e avrebbe preferito che lui stesse con un'autoctona, non con una della lontana Glasgow. Sai, culture diverse, abitudini differenti e problemi del genere. Un po' come in Indovina chi viene a cena, conosci il film no?". Quando iniziavo ad accampare scuse, lo facevo sempre in grande stile.
Warren si mise le mani nei capelli per la cazzata che avevo appena detto.
- "Certo che lo conosco. Ma nel film lui è nero e lei bianca. Ed erano gli anni '60, non credo che sia esattamente la stessa cosa".
- "Quante storie, Nick. Non vogliamo mica fare un processo alla famiglia di Warren! Sono dei tradizionalisti, punto e basta".
La cameriera giunse inconsapevolmente ad aiutarci, domandandoci se fossimo pronti ad ordinare.
- "Io sono ad un altro tavolo. Aspetto un'altra persona" le rispose cortese Nick.
Sta aspettando qualcuno?
- "Nick, non dire sciocchezze. Mangiate qui con noi" decretò infine Valerie.
Il suo ospite era una l'ultima persona che pensavo - e speravo - di trovarmi di fronte: donna sui venticinque, gambe chilometriche, seno abbondante, capelli biondi così vaporosi da impensierire i meteorologi.
- "Buongiorno!" strillò Harmony, prendendo posto accanto a me. Si presentò a Warren e a Valerie e sorrise persino a me, prima di dedicare tutta la sua attenzione alla cameriera che era tornata per ricevere le comande.
Ero così scioccata che presi la prima cosa che mi capitò sott'occhio e mi accorsi solo quando mi arrivò il piatto che avevo ordinato un'insalata piena di mais, che detestavo. Nick mi lanciò diversi sguardi per tentare di decifrare la mia espressione, per capire come mi stessi sentendo in quel momento. La verità è che nemmeno io sapevo capirmi in quel preciso istante. Ero arrabbiata, delusa, rassegnata e senza vie di fuga. Da una parte c'era lei ad impedirmi di scappare - proprio come quando l'avevo intrappolata io nel mio garage. Non si scampa al karma -, dall'altra c'era Warren seduto sulla panca e avrei dovuto far alzare anche Valerie che gli stava accanto di fronte a noi e persino Nick per raggiungere il bagno.
- "Stai bene, Sam?" mi chiese Harmony come un'amica di lunga data. Come se non avessimo un trascorso tutt'altro che roseo.
- "Sì, grazie. Tu?" risposi solo per educazione.
- "Splendidamente. Non hai fame? Il tuo piatto è intatto". Abbassai lo sguardo verso la mia insalata e la vidi ancora con la decorazione che aveva fatto il cuoco, segno che non avevo spostato nemmeno di un millimetro le foglie di misticanza.
- "Non mi piace il mais" dissi con tono piatto, senza accorgermi di aver detto una cosa così stupida.
- "E allora perché l'hai ordinata?". I suoi modi si stavano facendo sempre meno cortesi: erano derisori. Sentii la mano di Warren premere forte la mia sotto il tavolo.
- "Perché sa che io l'adoro" esclamò, immergendo la forchetta nel mio piatto e prese alcuni di quegli schifosissimi chicchi gialli.
Mi veniva la nausea a vedere gli sguardi languidi e maliziosi che Harmony mandava in continuazione nei confronti di Nick. E quell'idiota taceva. Mi sforzai di mangiare un po' di insalata, mentre gli altri scambiavano qualche chiacchiera di circostanza circa la propria occupazione.
- "Ho un appuntamento tra dieci minuti" annunciai quando notai che tutti avevano terminato il loro pasto. Lasciai una banconota da dieci e una da cinque sul tavolo e salutai con un bacio veloce sulle labbra di Warren.
- "Ci vediamo dopo, Val". Costrinsi Harmony ad alzarsi per farmi sgattaiolare fuori e fui a mia volta obbligata a ricevere l'abbraccio falso e stritolatore dell'ultima arrivata.
Salutai Nick con un cenno del capo che se ci fosse stato meno gente sarebbe stata una testata in pieno viso ed uscii all'aria aperta, con il freddo pungente di novembre che era comunque meglio della situazione all'interno del bar. Arrivai al semaforo e attesi che diventasse verde; non avevo alcun appuntamento chiaramente e la vetrina dall'altro lato della strada sarebbe stato un modo divertente di impiegare il tempo restante della pausa pranzo. Feci appena qualche passo sulle strisce pedonali e qualcuno mi trattenne per il polso. Mi voltai e ci ritrovammo entrambi in mezzo alla strada.
- "Non avrei dovuto accettare di rimanere a pranzo con voi. Mi dispiace" ammise Nick, senza lasciare la presa.
- "Non capisco perché tu ti stia scusando: è tutto okay". Guardai la sua mano appoggiata su di me e fissai lui in viso, finché non mi mollò.
- "Sammy, non mentire. Avrei dovuto sapere che non era una buona idea. Ho fatto un errore" disse abbacchiato.
- "Hai fatto un errore nel restare con noi a mangiare o nel perdonarla e tornare ad essere suo amico?" azzardai e lo vidi irrigidirsi a questa domanda.
- "Il fatto che abbia deciso di perdonarla non ti riguarda: è una cosa tra noi". Il semaforo divenne rosso e fummo costretti a spostarci sul marciapiede.
- "Ma hai preso una botta in testa o sei sempre stato così idiota? Quella ti ha mentito per venticinque anni e tu gliela fai passare così?" sbottai, sconvolta dalla sua ingenuità.
- "Ti ho appena detto che non sono affari tuoi. Con lei faccio quello che mi pare". Era cambiato: non sembrava più molto propenso e disponibile al dialogo.
- "Certo. Fai come ti pare: vacci al cinema, giocaci a carte, escici e scopatela!" stavo gridando ormai.
- "Mi stai facendo una scenata di gelosia?" chiese stupito e compiaciuto lui, guardandosi attorno per vedere che non ci fossero troppi spettatori ad assistere al nostro spettacolino.
- "Dai, bella, fagli vedere chi porta i pantaloni nella coppia!" gridò una signora di colore cicciottella e coi capelli sparati in aria, mimando una sculacciata.
- "Non siamo una coppia!" urlammo quasi all'unisono.
- "E allora perché ti scoccia così tanto che lui sia tornato a parlare con quell'altra?" commentò un vecchio signore, appollaiato su di una panchina lì vicino.
- "Perché è una bugiarda patentata" risposi come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- "È cambiata. - annunciò Nick - E il tuo atteggiamento è ingiustificabile".
- "Il mio?" urlai furibonda.
- "Ragazzo, non vedi che questa è gelosa marcia?" s'intromise un'anziana, ma arzilla signora in tenuta da jogging che correva sul posto con degli improbabili occhiali da sole viola e una fascia multicolore in testa.
- "Lo penso anche io, signora" esclamò Nick.
- "Anche io! - urlò una ragazzina con uno zaino sulle spalle - Questa storia è anche meglio dei reality che danno su MTV".
- "Io non sono affatto gelosa. Perché dovrei esserlo?" replicai isterica.
- "Perché ti piaccio, da sempre. Confessalo, su!". Nick diventò insistente e canzonatorio.
- "Dai, dillo apertamente! Non è un segreto per nessuno qua" rimbeccò un tizio in motorino.
- "No!" dissi indignata.
Eravamo diventati l'attrazione di tutti quelli del quartiere che stavano arrivando per aspettare pazientemente alla fermata dell'autobus.
- "No non vuoi confessarlo o no non ti piace?" irruppe la fornaia, appena uscita dal suo negozio lì accanto.
- "No non mi piace!" ribadii.
- "Sei cieca? È' bellissimo!" tornò a parlare la ragazzina, con due occhi a forma di cuoricino.
Nick si beò della considerazione che gli astanti di genere femminile gli stavano riservando. Una donna si spinse persino a toccargli il bicipite che lui tese apposta per lei.
- "Se non lo prendi tu, lo prendo io" gridò eccitata, facendo svolazzare la sua pelliccia.
- "Allora se lo prenda!" le gridai. Un mormorio scontento si elevò dalla ormai nutrita folla che si era radunata attorno a noi.
- "La ragazza è proprio cocciuta!".
- "È troppo orgogliosa per ammetterlo!".
- "Sei bellissimo". Ancora la ragazzina con l'ormone impazzito.
- "Sammy, dillo. Sono tre parole: Nick mi piaci!" si disse da solo.
- "Ma anche se lo dicessi - e badate bene che non lo sto facendo - cosa cambierebbe? Il tuo ego si gonfierebbe a dismisura, peggio di quanto lo è normalmente, ti stamperesti un sorriso vittorioso in faccia e poi?". Tutti gli occhi si concentrarono su Nick, la cui espressione gioconda piano piano svanì, lasciando posto ad una smorfia dubbiosa.
- "Di' qualcosa, occhi belli! - gridò la signora di colore - Veloce, sta arrivando l'autobus!".
- "Sei bellissimo" disse per l'ennesima volta la marmocchia, con le mani giunte neanche dovesse pregare Dio.
- "Coraggio, parla!" urlò la gente.
Ma lui tacque. Se ne stette lì imbambolato, gli occhi puntati su di me che non mi stavano guardando davvero. Attesi qualche istante, perché quei minuti passati a battibeccare mi avevano fatto capire molto più di tutti i mesi precedenti, trascorsi a lambiccarmi il cervello sul motivo per cui mi stesse tanto a cuore uno stronzo come lui.
- "Appunto, niente" commentai con profondo rammarico. La folla cominciò a diradarsi con aria delusa e molti degli eccentrici personaggi che avevano preso parola salirono sull'autobus che era appena arrivato e sparirono dietro le porte chiuse dal conducente.
Voltai le spalle a Nick e cominciai a camminare in direzione opposta. Avevo sperato davvero che aprisse quella maledetta bocca e che trovasse anche una minima scusa - la più stupida, la più banale - per fermarmi e chiedermi di restare.
Alla fine mi fermò.
- "Sammy aspetta. Ho dimenticato di darti il video della scorsa sfida. Tieni" mi allungò il dvd ed io lo presi obbligando ogni muscolo del mio corpo a mantenere la calma e frenare le lacrime - Questo è il biglietto che ho estratto". Raccolsi anche quello e lo infilai nelle tasche del cappotto senza guardarlo.
Biascicai un ciao forzato e cominciai a camminare verso l'ufficio. Non appena trovai un cestino, presi il dvd e lo spezzai in quante più parte riuscii e lo gettai.

Non me la sentii di tornare in redazione, perciò chiamai un taxi ed andai dall'unica persona estranea a tutta la faccenda scommessa.
Zia Annie era in bagno, intenta a truccarsi di fronte al piccolo specchio ovale attaccato alla parete, sopra il lavandino. Sembrava ringiovanita di almeno un decennio da quando quel tale signor Kerry aveva cominciato a corteggiarla. Era un amore platonico, ingenuo e puro, fatto di fiori, di complimenti sinceri, di attenzioni e sorrisi; non c'erano di mezzo scommesse, camionisti gay, amiche impiccione o locali di strip-tease. Un sentimento autentico, maturo, di due persone colme di esperienza di vita vissuta, invecchiate, ma non per questo meno predisposte a provare emozioni.
Quel giorno, vestita con un elegante tailleur blu bordato di bianco, la zia mi chiese di portarla nel piccolo parco che circondava la casa di riposo. Dopo aver ottenuto il consenso dell'infermiera di turno, la feci accomodare su di una sedia a rotelle che spinsi fino all'esterno della struttura. La giornata continuava ad essere un po' grigia, ma lei sorrideva e ammirava incantata gli alberi spogliati dall'autunno le cui foglie erano sparse più o meno equamente su tutto il folto manto erboso.
Facemmo un giro completo dello spazio verde e poi mi sedetti sull'unica panchina che giaceva desolata nel centro del parco.
- "Ti ho vista sul giornale, sai? - mi disse, traendo da sotto la coperta che teneva sulle gambe una rivista scandalistica. La presi tra le mani e cominciai a sfogliarla, fino alla pagina in cui spiccava un fotogramma dell'intervista a Ralph - Ho detto a tutti che sei mia nipote, sai? Così la signora Kettlewell mi ha regalato il giornale, prima di schiattare dall'invidia".
Oddio, una vecchia aveva tirato le cuoia per colpa mia?
- "In senso figurato, ovviamente. Non preoccuparti, Samantha. - le sorrisi e lei fece altrettanto - Sembri felice" constatò, accennando con il capo alla rivista che avevo tra le mani.
- "Mi hai visto bene, zia? - ribattei scettica e girai il giornale in modo tale che anche lei potesse vedere - Ho la bocca aperta per parlare, un trucco troppo pesante e sono imbranata. L'hanno capito tutti che la televisione non è il mio ambito. Non capisco come tu possa aver letto felicità".
Cambiò pagina e m'indicò la foto che vi era stampata.
- "Intendevo questa". La guardai e sentii una morsa allo stomaco: c'ero io e c'era Nick, abbracciati, sorridenti al party della CBR. Il suo braccio mi circondava il fianco sinistro, mentre la mia mano - sempre la sinistra - era poggiata sul suo petto. Era una posa intima, che poteva lasciar intendere qualcosa che non corrispondeva alla realtà, perché lui non mi voleva. Nick non mi voleva. O, meglio, mi voleva finché si trattava di giocare, di competere a chi si sarebbe portato a letto per primo dieci persone.
Vedere quella foto e assistere alla scena di quel pomeriggio mi aveva permesso di guardare la situazione dall'esterno e la mia faccia ebete di fronte a lui mi aveva fatto comprendere quello che avevo sempre tenuto segreto persino a me stessa: ci ero dentro fino al collo.
- "Ero felice" puntualizzai.
- "È già finita con quel bel giovanotto?" mi chiese lei, preoccupata.
- "Non è mai iniziata, zia" dissi amareggiata e mi sentii pizzicare gli occhi.
- "Ti piace così tanto, bambina mia?".
Mi prese la testa tra le mani e la avvicinò alla sua. Sapeva di calore materno e di coccole, di buono. Annuii e le lacrime cominciarono a inumidirmi le guance. La zia ridacchiò soddisfatta della confessione ottenuta e mi baciò la fronte.
- "Non deve saperlo nessuno, però" piagnucolai.
- "Sarà il nostro segreto, tesoro".
Non sapevo come, non sapevo quando, né perché... però, in qualche modo, mi ero innamorata di Nick.

I know I don't know you
But I want you so bad
Everyone has a secret
But can they keep it
Oh no they can't

(*): c'è un gioco di parole tra cock (organo genitale maschile in gergo inglese) e coque (corretta denominazione del piatto)

Eccomi! Come promesso ho aggiornato stasera. Vi ringrazio della pazienza e non finirò mai di ringraziarvi anche perché seguite questa storia. Ora provvederò immediatamente a rispondere alle recensioni.
Il titolo della canzone del titolo è, come annunciato, "Secret" dei Maroon 5.
Gli scones di patate scozzesi esistono davvero :) ed è una ricetta che si trova su internet. Ritorno gradito di Warren e sgradito di Harmony che speriamo levi le tende alla svelta.
Un bacione a tutte!

Sandra
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. If It Makes You Happy. ***


Capitolo venticinque. If It Makes You Happy.

Il settimo uomo con cui sarei dovuta andare a letto era un poliziotto. Lo avevo scoperto qualche giorno dopo lo sgradevole ritorno di Harmony, rinvenendo quasi per puro caso il bigliettino stropicciato che avevo infilato nella tasca del cappotto.
Warren aveva deciso di prendere in mano la situazione e mi aveva assicurato che avrebbe trovato una 'soluzione omosessuale' - così l'aveva definita - al mio problema.
- "Ti senti bene, Zuccherino?" mi chiese preoccupato, fissando il bicchiere mezzo pieno appoggiato sul bancone, davanti a me. Mi aveva costretta a strizzarmi in un abitino bianco firmato con un paio di collant antifreddo, sotto ad un pesante soprabito per andare a bere un drink in un piccolo locale semideserto del centro. Avrei tanto preferito strafogarmi di biscotti e cioccolata calda comodamente stravaccata sul mio divano, ma quella piccola checca isterica mi aveva proibito di starmene a casa, in tranquillità, ad ascoltare un rilassante disco di musica jazz, sotterrata dalle coperte.
- "Certo" risposi distratta.
- "Stai bevendo troppo; credo dovresti smettere di trangugiare margarita". Ma come, prima mi invitava fuori a bere e poi voleva che stessi lontana dall'alcool?
- "Mi sto solo divertendo, Warren. Ho ventiquattro anni, sono single... "dissi con amarezza.
- "Ffff... - mi interruppe; lo squadrai sorpresa, ma lui fece come se nulla fosse - Continua".
- "Dicevo: ho ventiquattro anni, sono single". Era una vera e propria tortura continuare a ripeterlo ad alta voce.
- "Ffff... " sbuffò ancora.
Lo guardai spazientita.
- "Hai problemi con la dentiera?" esclamai sarcastica.
- "Non ho detto nulla! Vai avanti!" mi sollecitò.
Ricominciai per l'ennesima volta la triste descrizione della mia vita.
- "Ho ventiquattro anni, sono si..." temporeggiai.
- "Ffff". Ancora?
- "... ndaco. Fregato! Che hai contro la mia zitellaggine?" sbottai.
- "È questo il problema? Che non hai un ragazzo? Perché, tesoro, tu non ce l'hai perché non lo vuoi". Ecco la perla di saggezza.
- "Io lo voglio" brontolai con il broncio.
- "Anche io lo voglio, ma la mia tradizionalissima famiglia gallese vorrebbe che il mio partner fosse uno delle nostre parti, di buona famiglia e che fosse... donna" scherzò, ricordando la pantomima surreale che avevo realizzato per giustificare il fatto che io e lui non stessimo insieme.
- "Scusa per quella storia: è stata la prima cosa che mi è passata per la testa" dissi sincera.
- "Oh, non fa niente. Credo solo che Nick non se la sia bevuta".
- "E dove sta il problema? Lui non se l'è bevuta, ma io sì!". Mi scolai il cocktail che avevo in mano per poi asciugarmi la bocca in modo sgraziato con il dorso della mano.
- "Quindi, è questo il tuo cruccio personale" commentò, dondolando tra le dita un bicchiere vuoto.
- "Di che parli?".
- "A me va bene qualsiasi ometto, ma a te a quanto pare no. - lo guardai spaesata mentre lui assumeva un'espressione maliziosa - Zuccherino, poggia il bicchiere che ce ne andiamo. Stasera ti porto in un gay club che ti farà girare la testa".
- "Come pensi io possa svagarmi vedendo un branco di uomini che non potrò mai avere, visto il loro disinteresse totale verso le mie  curve?".
- "Per trovarle attraenti dovrebbero esistere, queste curve. Ascolta: se tu sei depressa, io devo farti divertire. Però, se voglio riuscire nell'impresa, è necessario che prima io sia rilassato. E non c'è nulla di meglio di un bel paio di corpi maschili sudati per rendermi felice e ben disposto ad aiutare un'amica in difficoltà". Alzai le spalle e concordai con lui: una serata con Warren in un locale in cui nessuno uomo mi avrebbe importunato era quanto mi serviva per distrarmi e dimenticare Nick almeno per qualche ora.

Warren mi tolse le mani davanti agli occhi con un tadan. Impiegai qualche secondo per mettere a fuoco il grosso edificio che avevo dinnanzi, ma non dovetti riflettere molto per vedere quell'arancione inconfondibile delle mura esterne e della grande insegna del Pumping Pumpkin.
- "Mi prendi in giro? - gracchiai, voltandomi verso di lui - Non è un gay club, te lo assicuro, e non è di certo il posto giusto dove farmi svagare".
- "Zucchero - e prima che me lo domandi, sì ho tolto l'ino perché ti osservavo prima e i tuoi fianchi mi sembrano un po' più rotondi -, è il miglior locale di Londra e non devi preoccuparti perché Nick non c'è stasera".
- "Due domande: chi ti ha detto che il problema sia Nick e come diavolo fai a sapere che non lavora oggi?"
- "Primo: la tua bava parla per te; secondo: diciamo che ho vari agganci all'interno". Salutò con fare civettuolo il buttafuori vestito di nero che c'era accanto all'uscita laterale e quello gli rispose con un sorriso che doveva aver pensato essere sexy, prima di ritornare ad indossare la maschera da stronzo con dei ragazzini che erano troppo giovani per convincerlo di avere ventun anni.
- "È patetico venire qui" sbuffai sconsolata.
- "Lo sarebbe se lui fosse qua stasera e se... tu fossi innamorata di lui" osò.
- "Beh, allora non corriamo nessun pericolo" ribattei pronta.
- "Perfetto" disse saccente.
- "Perfetto" ripetei più per convincere me stessa che per risultare credibile agli occhi di Warren.
- "Entriamo?". Annuii poco convinta.
- "No, aspetta, Zucchero! - mi bloccò il polso e trasse dalla tasca il cellulare. Lo fissò con gli occhi sorridenti e lo vidi poi girare il volto aldilà della strada - Un mio informatore mi ha detto che c'è una festa poco distante da qui". Il vento tirava nella nostra direzione e, tendendo le orecchie, sentimmo rieccheggiare nell'aria della musica provenire da qualche isolato più in là.
- "Quindi?" suggerii.
- "Quindi ci andiamo, è ovvio. Ci sarà anche una persona per te: si chiama Dougie e fa il poliziotto".
- "Non ho voglia di andare a letto con nessuno, Warren" biascicai, con fare lamentoso.
- "Di questo non devi preoccuparti: sono un vero amico e mi farò carico io di questo onere".
Questa sì che è generosità senza interessi.
Prendemmo un taxi per raggiungere il luogo della festa, non realizzando che distasse solo qualche centinaio di metri dal Pumping Pumpkin.
- "Un altro gay? La mia vita sta diventando quanto di più lontanamente etero ci possa essere sulla Terra" commentai.
- "Abituatici perché questo è il futuro del mondo; un universo omo sarebbe il top. Se fossi Dio - e credimi che per 364 giorni su 365 ho la convinzione di esserlo - ordinerei agli uomini di andare in giro nudi, con il cannocchiale a vista e interamente cosparsi di olio, mentre le donne... - parve pensarci qualche istante - no beh, nel WarrenWorld non c'è spazio per il doppio cromosoma X".
- "E come pensi che la specie umana possa riprodursi?" gli chiesi, in attesa di una risposta seria.
- "Zucchero, nel momento in cui muoio io, non ci sarà motivo per cui il genere umano debba proseguire: no Warren, no party".
L'egocentrismo è una brutta cosa.
Annuii per evitare di fornire linfa vitale all'autostima, già sconfinata, del mio amico.
- "Quindi chi sarebbe questo poliziotto che mi hai procurato?" domandai, sebbene non fossi molto interessata al soggetto.
- "Si chiama Dougie. L'ho conosciuto qualche anno fa in vacanza a Mikonos e non mi ha mai tolto gli occhi di dosso. D'altronde, se non fosse che ci vivo in questo corpo, farei lo stesso. Comunque è stato il mio primo successo" disse con orgoglio, guardandosi teatralmente le unghie curatissime.
- "Cioè?" fui indotta a chiedere.
- "Diciamo solo che è arrivato con la fidanzata ed è tornato a casa con la guida turistica dell'isola".
- "Gli hai fatto rompere con la sua ragazza per un'altra?".
- "Credimi, Sam, Georgeos piaceva a tutti, soprattutto quando parlava di colonne. Aveva un non-so-che di erotico quando pronunciava la parola dorico. Ogni volta lo immaginavo su di me con il suo... ".
Oh, mie povere orecchie!
Passammo al di sotto dell'arcata con il festone floreale che accoglieva i partecipanti alla festa e ci precipitammo sui salatini.
- "Sarai pure una donna mancata, ma la tua ossessione per il sesso è del tutto maschile" osservai.
- "Ha parlato la santa di Mayfair, quella che si deve sbattere dieci uomini perché è troppo orgogliosa per anche solo contemplare l'idea di perdere una scommessa".
- "Touché" ammisi senza difficoltà.
- "A proposito di touchés... - stampò una manata sul sedere di una ragazza seminuda che finse uno sguardo indignato dietro un palese compiacimento. Un'espressione di puro stupore si dipinse sul mio volto, mentre Warren proseguiva con andatura sinuosa la sua scalata verso il bouffet - Ogni tanto ho bisogno di ricordarmi perché non mi piacciano le donne; sai, per controllare che la mia gayaggine sia intatta".
- "Perciò, qual è il risultato del check-up?" risi.
- "Naaah, mi piacciono ancora i maschi. Però, quella ragazza si sarà illusa d avere uno straccio di possibilità con l'adone qui presente meglio conosciuto come me. Agisco per il bene della comunità: sono magnanimo".

C'era un mucchio di gente ben vestita, pronta a sfidare la pioggia che sembrava aver graziato la serata. Un grande fontana era stata posizionata al centro dello spiazzo, addobbata con composizioni floreali lungo tutti i tre piani circolari che la componevano.
Prendemmo due bicchieri di champagne al volo da un cameriere di passaggio e ci buttammo sulle tartine.
Riconobbi tra la folla José ed alcuni altri ballerini del Pumping Pumpkin e li osservai conversare tra loro, spiluccando qua e là dal rinfresco. Faceva un certo effetto vederli al di fuori del lavoro, così diversi e spontanei nelle loro risate, le facce rilassate invece che contrite in assurde, seppur efficaci, smorfie sexy.
- "Li conosci?" mi chiese Warren con l'acquolina in bocca.
- "Cosa? - chiesi, cadendo dalle nuvole - Ah, solo di vista" risposi vaga.
- "E anche lui conosci solo di vista?".
No, cavolo: Nick.

Mi mantenni alla larga tutta la sera, senza però smettere di pensare ai mille modi di vendicarmi del perdono concesso ad Harmony troppo facilmente. Era più forte di me: poteva essere gelosia o pura e semplice logica scientifica - ti mente per venticinque anni, la cancelli dalla faccia della Terra, no? -, pur non completamente disinteressata, però non sopportavo il fatto che fossero tornati amici.
Warren, nel frattempo, flirtava con un barista che per la centesima volta gli rispose di essere etero, ma il mio amico era ormai partito in quarta e si era già prefissato di convertirlo all'omosessualesimo, così come già una volta era riuscito con Dougie.
Il vocalist della serata annunciò che, per precauzione dovuta all'instabilità meteorologica, la festa si sarebbe trasferita in un capannone lì vicino. La folla cominciò a defluire dal parcheggio verso il luogo indicato, mentre io m'impegnavo nella ricerca di Warren, sparito dalla circolazione. Lo chiamai sul cellulare e lui mi disse che stava facendo ubriacare il barman per confondere i suoi gusti sessuali, di non aspettarlo e di confidare nell'arrivo di Dougie.
Ad un certo punto, quando ormai la quasi totalità della gente aveva cambiato location, fu inevitabile scontarsi. José si defilò rapidamente. prima che potessi dire A, mentre Nick si fece avanti sorridendo sornione.
- "Sammy cara".
- "Non sono né Sammy, né cara" risposi acida.
- "Non fare la scorbutica. - mi rimproverò - Che ci fai qui?" domandò.
- "Mi ci ha trascinato Warren" confessai sincera, fingendo di guardare un po' da tutte le parti.
- "La sua tradizionale e moralista famiglia gallese glielo ha permesso?" scherzò.
- "Non sei divertente". Ero indisponente, lo riconosco.
- "Non sei divertente" mi fece il verso, scimmiottando la mia voce.
Alzai lo sguardo per fulminarlo istantaneamente e mi cadde l'occhio sulla fontana alla sue spalle, ad una distanza di qualche metro circa. E l'idea arrivò: lo avrei fatto cadere in quell'acqua torbida - dovevano averla raccolta dal Tamigi o da qualche cloaca a giudicare dall'odore - davanti a tutti. Che poi erano tre persone, visto che le ultime persone se ne stavano andando proprio in quel momento.
Lo feci indietreggiare, spingendo con forza e con rabbia l'indice della mano destra sul suo petto. Lui sembrava a tratti divertito, a tratti preoccupato per la strana reazione che stavo avendo; ero alterata con lui perché nessuno l'aveva autorizzato ad essere così attraente con i suoi occhi subdolamente limpidi ed arroganti. Come diavolo si era permesso di farmi innamorare di lui?
- "Che c'è?" rise.
- "Non imitarmi!".  
Aveva camminato all'indietro, senza badare al fatto che ci fosse quella vasca ad attenderlo; non se la ricordava probabilmente, dal momento che era stata trasportata ed allestita in quel punto solo per quella festa. Quando il retro delle sue ginocchia toccarono il basamento della fontana, lo spinsi con maggior forza, facendogli perdere l'equilibrio. Stavo già per ridere, quando l'idiota mi afferrò per la parte superiore del vestito, trascinandomi con sé nella melma.
Maledettissima gravità.
L'acqua era gelida e putrida e... ovunque su di me. Ma almeno Nick non era da meno.
- "Sei completamente idiota! E-e... bagnato!".
Cervello mio, perché mi hai abbandonato?

- "Che acutezza, Sammy!" commentò irritato, facendo un gesto secco con la mano per levarsi dalle dita un qualcosa di dubbia provenienza, sul quale comunque meglio non indagare.
Dio, nonostante fossi sporca e fradicia e lui pure peggio, me lo sarei mangiato di baci in quel momento. Non riuscivo a smettere di guardare quella gocciolina che se ne stava sulla punta del ciuffo ribelle attaccato alla fronte, in bilico tra una caduta rovinosa nell'acqua torbida della fontana e la dannazione eterna tra quei capelli sempre perfettamente incasinati. Alla fine, Nick ci passò una mano sopra, riportandomi alla realtà. Realtà che consisteva nella sottoscritta, con le gambe per aria, in una vasca piena di liquido semistagnante in un parcheggio di Soho.
Era il momento di dire qualcosa.
- "G-guarda cos'hai combinato!" strillai, osservando il mio vestito un tempo bianco ed asciutto e fingendo di ignorare il freddo gelido che mi perforava la pelle da ogni fessura del tessuto.
- "Io? Sei tu quella che mi ha spinto nella fontana" urlò.
- "Doveva essere solo uno stupido scherzo per farti fare una figuraccia. Ma tu mi hai trascinato giù con te" brontolai.
- "Mi sono aggrappato a te per non cadere, ma la tua muscolatura da criceto non ha retto".
- "Scusa tanto se non ho il fisico da lottatrice di wrestling e se non ho nemmeno le tette di Harmony che ti avrebbero tenuto a galla!".
No, Sam, non imboccare questa via senza ritorno.
- "Non ti rispondo neanche; mi dai sui nervi quando fai la bambina".
Un movimento molesto nelle mutande mi fece sussultare. Pregai in aramaico antico che fosse solo una suggestione e non qualche strano animaletto paludoso e curioso che aveva trovato un nuovo passatempo: avventurarsi sotto le gonne altrui. Nick, nel frattempo, si era alzato e si stava strizzando la maglietta zuppa, così come il giubbotto imbottito. Si girò verso di me che, con gli occhi sbarrati, mi agitavo convulsamente per quella cosa che si stava aggirando nella mia biancheria intima, con mio sommo ribrezzo.
- "Hai intenzione di uscire o vuoi intrattenere una conversazione con i rospi? - ironizzò. Rospi? ROSPI? - Se non ti sbrighi ci prenderemo una bronchite".
Cominciai ad urlare, annaspando nell'acqua per trovare un punto d'appoggio - visto il fondale sconnesso - ed andarmene da quella schifosissima fontana.
- "Aiuto, aiuto!" gridai.
- "Ehi voi due, che succede?". Io e Nick ci voltammo entrambi verso le due ombre nere che si stavano avvicinando. Per un attimo, temetti che fosse di nuovo quell'energumeno del vicolo che mi aveva lasciato un vistoso ricordino sul collo, ma ogni preoccupazione si sciolse nel notare la divisa che i due uomini indossavano: erano due poliziotti.
- "Ci sono problemi, signorina?" domandò l'altro.
Mi appoggiai al bordo esterno della vasca e ne uscii, completamente fradicia e trattenendomi dal battere i denti.
- "No, nessuno. Siamo solo scivolati... nella, ehm... fontana".
- "Scivolati, eh? - mi sa che non ci ha creduto - Ad ogni modo sono costretto a farvi una multa: è proibito introdursi nelle fontane".
- "È proibito anche scivolarci?" tentai con un sorrisino sforzato.
- "Niente giochetti, signorina. Nome e cognome, prego". Trasse un blocchetto di carta da una tasca e stappò con i denti una penna. Decisi che era arrivato il momento di giocare l'ultimo asso nella manica. Trassi un respiro profondo ed ignorai gli strani movimenti che animavano le mie mutande.
- "Non è che, per caso, uno di voi si chiama Dougie?" chiesi incerta.
Quello che era rimasto più in disparte, controllando che il collega ci facesse la contravvenzione, fece qualche passo avanti e fermò la mano dell'altro poliziotto che stava scrivendo febbrilmente.
- "Io. Ci conosciamo?".
- "Sono un'amica di Warren". Il ghigno contratto dell'uomo si risolse in un sorriso.
- "Warren? Oh, mio Dio, come sta? Pensavo di vederlo stasera, ma il giro si è prolungato più del solito e non sono riuscito ad incontrarlo. - esclamò dispiaciuto - Ma mi aveva accennato che doveva presentarmi qualcuno; una certa Sally, forse?" tentò di ricordare.
- "Sammy" lo corresse divertito Nick, apparentemente riabilitato all'uso della parola.
- "Sam, solo Sam. - lo guardai in cagnesco - Però lei non scriva nulla, eh!" dissi al poliziotto che teneva ancora saldo in mano il blocchetto. Dougie glielo strappò dalle mani e gli intimò di continuare il giro da solo e che a noi avrebbe pensato lui. Soprattutto a Nick, aggiunsi io...
- "Allora, Dougie, - esclamò Nick - per stavolta possiamo andare? Anche perché moriremo assiderati tra poco".
- "Va bene, ragazzi; per stavolta Warren vi ha salvato le chiappe". Warren ci avrebbe fatto di tutto con due chiappe, non di sicuro salvarle!
Il poliziotto se ne andò dopo averci salutato con un gesto della mano e con la raccomandazione di tornarcene subito a casa e toglierci di dosso quei vestiti bagnati.
- "Mi devi un favore. - esclamai, cercando con una rotazione del bacino di spostare gli slip e capire l'entità del danno presente nella zona pubica - Ti ho tolto da un bel guaio".
- "Dove mi avevi messo tu. Forza, andiamocene".
- "Nick! - lo bloccai - Ho qualcosa nelle mutande".
- "Anche io" rispose sarcastico.
- "Un animale! E' entrato quando eravamo in quella vasca piena di germi e batteri".
- "È suggestione, Sammy. Andiamo al Pumping Pumpkin, ci mettiamo addosso qualcosa di asciutto e l'anaconda che hai negli slip vedrai che uscirà" mi prese in giro.
- "No no no no. Io non mi muovo di qui se ho ancora quel coso nella mia... intimità" dissi imbarazzata.
- "Allora prova a saltare, magari così se ne va". Ero talmente disperata che seguii il suo consiglio - senza sortire effetto alcuno, ovviamente - pur non accorgendomi delle grasse risate che si stava facendo Nick. Continuai imperterrita; non avevo calcolato che, dal momento che ero bagnata fradicia, il mio peso complessivo sarebbe stato maggiore e il mio equilibrio sui tacchi più precario. Fu quando sentii uno strano rumore provenire dalla zona sottostante le caviglie che capii che la serata non aveva ancora raggiunto il suo punto più basso. E nemmeno io.
La cosa più brutta che potesse capitarmi - peggio della peste bubbonica, della siccità, del passare un mese intero con Harmony - si era appena verificata: il tacco della mia scarpa destra aveva appena raggiunto il Regno dei Cieli.
- "Porca vacca del Venezuela!" strillai, arrabbiata e inorridita dalla mia sfiga colossale.
- "Che c'è ora" bofonchiò Nick, stravolgendosi i capelli.
- "Il mio tacco, cavolo, il mio tacco!".
- "Dai, poche storie, raccoglilo ed andiamocene".
Non aggiunse altro ed io dovetti mordermi la lingua per evitare di prenderlo a male parole o infilargli la reliquia che avevo in mano in qualche indefinito sfintere del suo corpo. Possibile che non capisca il mio dolore?
Lo seguii in silenzio, zoppicando come un'ubriaca, sotto il suo sguardo derisorio. Se non altro questo nuovo inconveniente mi aveva momentaneamente fatto accantonare il pensiero che ci fosse un ospite nella mia biancheria intima. Diamine, ma quanto mancava a quello stramaledetto Pumping Pumpkin? Il palazzo rosso cangiante che intravidi sulla destra sembrava dirmi: continua a camminare, bella. Mi fermai per fare una piccola sosta perché con quell'andatura claudicante mista all'effetto montagne russe mi stava venendo la nausea e mi stancavo il doppio.
- "Ti vuoi muovere? Di questo passo arriveremo domani" constatò stizzito Nick, senza rinunciare ad una punta di ironia.
- "Vuoi fare cambio scarpe?" risposi acida. Avanzò di qualche passo e si accucciò.
- "Non volevi che mi sbrigassi? E ora che fai?".
- "Parlo con una formica, Sammy. - esclamò canzonatorio. Detestavo il suo sarcasmo: troppo simile al mio - Sali in groppa, altrimenti va a finire che andiamo in ospedale con la polmonite per la tua velocità da bradipo". Mandai giù il rospo - un altro, non quello che stava facendo un party nelle mie parti basse - ed accettai il 'passaggio'. Tirai su l'orlo della gonna di una decina di centimetri, posai le gambe ai lati della schiena di Nick e incrociai le braccia alla base del suo collo. Lui si sollevò da terra con agilità e ricominciò a camminare, agganciandomi le ginocchia con le sue braccia.
- "Guarda cosa mi tocca fare... " si lamentò a bassa voce. Le vie si Soho erano quasi deserte, nonostante non fosse tardissimo, ed io mi lasciai cullare dal passo cadenzato di Nick. Poggiai stancamente la testa sulla sua spalla e mi ritrovai come una scema ad annusargli la giacca e la pelle della nuca che sapeva ancora del suo profumo, sebbene avessimo fatto un tuffo nel frattempo. Respirai in mezzo ai suoi capelli e da ogni centimetro della sua cute lasciato scoperto dai vestiti, noncurante della fastidiosa sensazione provocata dagli abiti bagnati incollati all'epidermide.
Era stato troppo facile innamorarsi di lui, perdersi in quegli occhi glaciali e strafottenti, lasciarsi intrappolare fisicamente e mentalmente da quel suo caratteraccio freddo e scostante che, invece di farmi scappare a gambe levate, mi aveva chiuso a doppia mandata nel suo mondo. Avrei dovuto mantenere le distanze, permettere a tutti i litigi di spezzare l'intesa che mi legava a lui.
- "Che fai, mi annusi?" mi chiese ad un tratto, facendomi sussultare.
Che figura.
Sgranai gli occhi ed arrossii, però cercai di mantenere il controllo sulle mie azioni. Innanzitutto Sam, allenta la presa sulla sua gola, altrimenti lo strozzi.
- "Sì, perché in effetti l'odore di melma che hai addosso è davvero invitante. Appetitoso, direi" mentii.
La cosa migliore da fare era trovare un argomento di discussione.
- "Allora, con Harmony?". Le sue spalle si irrigidirono e lui sbuffò.
- "Vogliamo davvero intraprendere questa discussione, di nuovo?" ribatté, continuando a camminare.
- "Vorrei solo capire... " provai a spiegare.
- "Non devi capire tu".
Si bloccò e mi fece scendere. Lasciai scivolare le gambe lungo le sue e lo seguii all'interno del Pumping Pumpkin, dove solo qualche recidivo coetaneo della zia Annie stava seguendo i pochi ballerini rimasti ad esibirsi, senza nemmeno badare ai due sfigati bagnati fino al midollo che gli passarono a pochi passi.
Salimmo una scala glitterata color bronzo che affiancava il palco e che conduceva direttamente ai camerini. Mi tolsi le scarpe e la percorsi con i piedi nudi e gelati sino agli spogliatoi, uno maschile e uno femminile.
Domanda di vitale importanza: andare in quello degli uomini, risultando un po' troppo presuntuosa e un po' maniaca, oppure optare per quello delle donne, decisione pudica, ma senza sapere cosa fare? Rimasi immobile, in attesa dell'illuminazione divina che mi avrebbe portato a fare la scelta giusta. Il segno celeste arrivò senza troppe preghiere, sottoforma di un ragazzone dai capelli scuri e due occhi verde chiaro.
- "Ti sei persa, micetta bagnata?" mi colse alle spalle, quasi poggiando la testa sulla mia spalla destra. Lo guardai sorpresa e mi ritrassi da una parte, per vedere in viso colui che era appena arrivato. Micetta? Chiunque avesse osato chiamarmi in quel modo non era degno di vivere.
 Indossava un paio di pantaloni scuri ed una camicia a quadrettoni colorata.
- "Micetta sarà tua sorella" risposi indignata.
- "Micetta bagnata e micetta con artigli".
- "Senti, sfigato della prateria, tornatene da dove sei venuto" lo derisi.
- "Ehi, ehi, quanto sei aggressiva!" ribatté.
- "Sean, la micetta è con me. - intervenne Nick, con la testa che sbucava dalla porta del camerino - Muoviti Sammy, ho parlato per cinque minuti da solo prima di realizzare che non mi avevi seguito. Avrei dovuto capirlo dal silenzio che c'era".
- "Stai attento, Nick: questa micetta morde" riprese Sean.
- "Bisogna saper trattare con lei. È da addomesticare".
- "E siete fradici perché la stavi punendo?" scherzò.
- "Veramente sono bagnata per causa sua".
I due cervelli maschili che avevo davanti cominciarono a sghignazzare come due cretini, confermandomi una volta di più che gli uomini sono in grado di cogliere solo i doppi sensi.
- "L'ho sempre detto Nick che ci sai fare con le donne" lo adulò.
- "Tutto molto avvincente, ma se non ti dispiace ora evapora che dovremmo cambiarci" tentai di liquidarlo.
- "Se mi metto in un angolo in silenzio mi permetti di guardarti?".
- "Se non ti volatilizzi entro tre secondi farò in modo che tu possa partecipare attivamente alle riunione degli Evirati Anonimi".
Chissà come mai, Sean si convinse ad andarsene.

Io e Nick fummo costretti a chiedere dei vestiti in prestito per me ad una delle ultime ballerine rimaste al locale; Tanya fu gentilissima e mi offrì una gonna al ginocchio ed un maglioncino scozzese. Decisamente non il mio genere, ma erano pur sempre degli abiti asciutti e tanto bastava. Aveva persino un paio nuovo di mutande, un'intera scorta in realtà, dal momento in cui un giorno, dopo le prove, nel toglierle un complicato vestito di scena, le avevano fatto un buco negli slip.
E, a proposito di slip, era arrivato il momento di eliminare l'ospite indesiderato che vi si era intrufolato. Nel cambiarsi i pantaloni, Nick aveva trovato una piccola sanguisuga sulla caviglia, perciò non mi restava che sperare che ci fosse sono una piccola vampira nella biancheria e non un viscidissimo rospo.
- "Sto aspettando" mi ricordò Nick.
- "Non posso dire una cosa del genere" strillai.
- "Scegli: o la dici ed io ti aiuto, oppure rimani con un essere succhiasangue nelle mutandine".
 Maledizione, ho sempre odiato anche Edward Cullen, figurati se mi alletta l'idea di tenermi un affiliato dei vampiri vicino al fiore della mia virtù. Che poi era un bel pezzo che non ero più virtuosa, però per papà Philip lo sarei stata fino al matrimonio.
- "È una cosa stupida ed infantile" gli feci presente.
- "Lo so, ma amo sentirmi onnipotente. E comunque non hai molta scelta". Bastardo.
- "Okay. Nick...". Non avrei mai toccato quel coso con le mie manine, per l'amor del cielo!
- "Sì?" rispose innocente.
- "Potresti..." cominciai riluttante.
- "Coraggio, non è così difficile" mi incitò sorridente.
- "Potresti mettermi una mano negli slip?" dissi d'un fiato, con le guance che stavano per esplodere dall'imbarazzo del chiedere una cosa così idiota. Lui scoppiò a ridere, sedendosi sulla panca sotto gli attaccapanni.
- "Sarà un piacere per me, Sammy" esclamò, asciugandosi le lacrime provocate dalle risa. Mi ordinò di sdraiarmi a pancia in giù su un tavolo di legno marrone scuro, in modo tale da rendergli più facili le operazioni di recupero dell'animaletto.
- "No aspetta, forse riesco a farlo fluire più in basso, verso la coscia" strillai tutto d'un colpo, saltando giù dal tavolo.
Ricominciai a balzellare sul posto per cercare di farlo scivolare verso zone meno erogene e in quel momento realizzai che avevo un grande, grossissimo problema; sentivo sì la presenza dell'esploratore del mio corpo, ma in due posti diversi: sull'inguine e sul sedere. Quindi o era straordinariamente dotato del dono dell'ubiquità, oppure aveva già cominciato a proliferare. O, ancora, forse, i due prima si erano dati da fare ed era per quella ragione che ne avevo percepito solo uno. Erano uno sull'altro. Che schifo, quella sera mi sarei fatta la doccia nella soda caustica.
- "Allora?". Mi sdraiai sul tavolo, sollevai riluttante la gonna per mostrargli per niente trionfante il mio fondoschiena.
- "Se osi raccontarlo a qualcuno, giuro che ti uccido!" lo minacciai. Lui accettò di mantenere il segreto e mi toccò il bordo degli slip. Strizzai gli occhi, mentre sentivo il livello di vergogna crescere a dismisura e fui costretta ad appoggiarmi le mani sul viso per evitare di avere ricordi anche solo visivi di quella serata.
- "Non indugiare, però!" lo pregai, stringendo le natiche e sbattendo i piedi per fare in modo che si velocizzasse.
- "Non indugio! - Sentii una specie di leggera ventosa staccarsi dalla mia pelle e tirai un sospiro di sollievo - Ecco, vedi?". Mi coprii alla svelta e mi sedetti composta.
- "Vuoi baciarmi come ringraziamento?" mi propose.
- "No, idiota. Temo che ce ne sia un'altra" dissi preoccupata.
- "Cos'è, una colonia?  Ti avviso subito che ti tolgo questa e poi me ne vado a casa perché ho sonno. Se ne dovessero saltare fuori di nuove io mi chiamo fuori".
- "È l'ultima. Spero. Sulla coscia sinistra" gli indicai. S'intrufolò con la mano sotto la gonna, senza preavviso. Il suo tocco era leggero e delicato. Troppo!
- "N-non dovrei tirare su l'orlo?" chiesi, abbassando la testa.
- "Lo troverò lo stesso" rispose lui concentrato, con un tono di voce che mi mandò su di giri.
Ringraziai il cielo e tutti i santi per avermi fatto donna, perché altrimenti, sotto quei movimenti circolari sul mio interno coscia, avrei avuto un'imbarazzantissima e verticalissima erezione. Avrei avuto l'intero skyline di Manhattan tra le gambe.
Si avvicinò con il viso al mio, continuando il suo estenuante massaggio.
Alzò lo sguardo verso la mia faccia e io dovetti far leva sul mio self-control per non saltargli addosso e fargli promettere di farmi qualsiasi cosa volesse.  Era a pochi centimetri dalla mia bocca, ma avevo visto troppi film in cui lei pensava che lui la stesse per baciare e in realtà la stava prendendo in giro, quindi tenni gli occhi ben aperti sul suo sorriso sghembo. Si avvicinò ulteriormente, lambendomi la bocca con le sue labbra carnose. Il suo profumo di menta stava per ammazzare una volta per tutte i miei amici ormoni.
La sua presa sulla mia coscia si fece per un secondo più stretta ed io trasalii.
- "Fatto" mi disse allontanandosi come se nulla fosse dal tavolo, in mano la piccola sanguisuga che aveva appena staccato dalla mia pelle arrossata. Feci per dire qualcosa e mi accorsi che ero in debito di ossigeno: mi ero dimenticata di respirare.
- "G-grazie" risposi e cercai di ripristinare un contegno perlomeno decoroso; lisciai sotto le mani la stoffa della gonna e mi preparai a scendere dal tavolo. Nick mi cinse la schiena con il braccio destro e mi appiccicò al suo corpo per aiutarmi a tornare a terra; lo odiai in quell'istante, perché non mi ero ancora ripresa dai bollenti istinti causati dal suo tocco e quel gesto non fece altro che accendermi ulteriormente, soprattutto perché era del tutto inutile, dal momento che il tavolo non era poi così alto e avrei potuto scendervi senza difficoltà.
Scivolai lascivamente sul suo corpo e aspettai di seguire in assoluta lentezza il tacco delle mie scarpe in paradiso. O all'inferno, a quel punto era indifferente.
Mi accarezzò i capelli umidi ed informi e li sistemò dietro la testa.
- "Hai freddo? - sussurrò. Freddo? No, proprio no. Scossi la testa frastornata - Bugiarda. Hai i brividi". Eh, diciamo che non erano proprio per la temperatura.
- "Devo andare a casa" sbottai.
Cosa? No, non voglio andare a casa, voglio fare le cosacce con te. Cioè, le coccole!
- "Ti accompagno, allora. Andiamo". Mi prese per una mano ed io mi lasciai condurre lungo le scale e fuori dal Pumping Pumpkin. E la vidi: stavolta non mi sarebbe scappata per nessuna ragione al mondo.
- "Amanda!" urlai alla donna che mi precedeva di qualche metro. Si voltò e mi guardò con aria colpevole, svincolandosi velocemente dall'abbraccio di José - Mi sono persa qualcosa, Mandy?". Usai quel soprannome che sapevo l'avrebbe irritata.
- "Non è come credi!" si affrettò a dire.
- "Ah, davvero?" le chiesi sorridente. Mi afferrò per un lembo della giacca e mi trascinò a qualche metro di distanza dai ragazzi.
- "Sam, non so cosa dirti, sono imbarazzata" arrossì.
- "Dovresti essere dispiaciuta, in realtà" la rimproverai.
- "Lo so, avrà quindici anni meno di me. Se fossi come Juno, quella del film, potrei essere sua madre! E poi cosa diranno i miei figli? Oddio, pensa se lo dovessero scoprire i loro compagni di classe! Mi chiamerebbero Mandy la MILF e verrei sbattuta fuori a calci nel sedere dal comitato dei genitori. Sono un'incosciente, una depravata!" starnazzò.
- "Ehi, calma. Intendevo dispiaciuta per non avermi raccontato nulla; sono sinceramente offesa. E poi, l'hai visto José? Farebbe girare la testa anche a tua figlia". Amanda sgranò gli occhi, sull'orlo dell'isteria. Forse non avevo scelto le parole adatte.
- "Oh, cielo! Mia figlia potrebbe innamorarsi del mio fidanzato... ma chi sono io, la Brooke Logan dei poveri? Questa situazione fa schifo".
- "Tesoro, ti rende felice essere ora, in questo momento, con lui? - le chiesi, prendendola per le spalle. Lei annuì, ancora poco convinta - Allora non può essere così male".
Inavvertitamente, l'occhio mi scappò oltre la figura di Amanda: Nick. Stava parlando con José, ridevano di qualche signora su di età che si era gettata al collo di un loro collega e per poco non gli aveva strappato i pantaloni, lasciandolo come mamma l'aveva fatto di fronte a tutti. Era bello, intelligente, sexy, più di quanto avessi mai potuto sperare di trovare in un uomo.
Poi arrivò un taxi che si fermò davanti ai ragazzi e le due gambe da fenicottero che fecero capolino dalla portiera mi fecero capire in anticipo a chi appartenevano: Harmony.
- "E tu, Sam, con lui sei felice?". La risposta corretta sarebbe stata .
Allora perché in quel momento avrei tanto voluto spaccare in testa un piatto a quella gallina? Perché Nick era bello, intelligente, sexy e maledettamente irraggiungibile.
E a quel punto non seppi rispondere.



If it makes you happy,
It can't be that bad.
If it makes you happy,
So why the hell are you so sad?


Stavolta ho superato me stessa: sono le 6.05 del mattino e non sono ancora andata a dormire :S Ringraziate la mia insonnia ormai sempre più frequente :)
Mi scuso per il capitolo megalitico, ma non ho saputo fare diversamente. La canzone del titolo è "If it makes you happy" di Sheryl Crow.
Brooke Logan è chiaramente un personaggio di "Beautiful" e Milf, nel caso in cui ci fosse ancora qualcuno che non lo sa, significa "Mother I'd Like to Fuck".
Edward Cullen devo davvero dire da dove venga? :)
Mi scuso per eventuali errori dovuti all'ora, prometto che ricontrollerò il capitolo.
Baci e grazie a tutte!

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. Time To Say Goodbye -Part I. ***


Capitolo ventisei. Time To Say Goodbye - Part I

Ken Hagrol era sparito dalla circolazione: nessuna - già di solito sporadica - apparizione televisiva, nessun articolo sul London Express da un paio di settimane, nessuna dichiarazione lasciata a qualche collega, nemmeno l'ombra della sua firma su un misero ed insignificante necrologio.
Appoggiai l'ultima copia del giornale sulla pila in cui avevo sistemato i numeri precedenti e respirai profondamente, conscia di cosa significasse questo inaspettato quanto sospettoso silenzio. Il fatto che non avesse pubblicato alcun pezzo sulla testata per cui lavorava poteva significare una cosa sola e cioè che stesse utilizzando ogni minima energia e stilla di sudore sull'inchiesta di Ralph J. Merda. Io, l'unica notizia che avevo scoperto era che a Sam1 piacevano le omelettes con prosciutto cotto, cheddar e uova strapazzate; gusti molto discutibili, ma molto poco rilevanti ai fini dell'indagine.
Avevo ormai preso l'abitudine di restare in ufficio fino a che se ne fossero andati tutti e, soprattutto, fino a che non se ne fosse andato Banks. Stavo vagliando ogni minima pista, il che comprendeva anche frugare come una barbona nel suo bidoncino della spazzatura, dove al momento avevo potuto solo contare innumerevoli rimasugli di Big Bubble - non so se sia meglio pensare che sono delle sue baby amiche squillo o che sia un vizio che si trascina dall'infanzia - e appunti vari della sua segretaria. In realtà non ho idea di cosa pensassi di scovare nei suoi scarti, ma immagino che 'dare un'occhiata' tra la sua roba potesse considerarsi almeno un tentativo di cavare il ragno dal buco, cosa che al momento mi riusciva piuttosto male. Mi ero un po' addormentata sugli allori negli ultimi tempi, troppo intenta a decifrare i comportamenti di Nick e ad innamorarmi di lui per ricordare che quella sottospecie di uomo con la U minuscola di Ralph stesse marcendo in una sempre più complicata situazione processuale. Almeno stava marcendo in una lussuosissima casa di Chelsea, invece che in una prigione fatiscente e sovraffollata.
Trassi dalla borsa il cellulare e cercai in rubrica il nome del rapper che mi ero ripromessa di tirare fuori dai guai. Aspettai qualche istante e una voce maschile profonda mi rispose.
- "Samantha Grayson, buongiorno" disse con una voce avvolgente. Rimasi interdetta per qualche istante, ma mi ripresi in fretta pensando che lo sconosciuto poteva semplicemente aver letto il nome registrato sulla sim card del cellulare di Ralph, sopra la scritta incoming call.
- "Sì, con chi parlo?".
- "Sono l'agente di Ralph. A cosa devo questo onore?" disse viscido.
- "Posso parlarne con lui?" mi affrettai a chiedere, senza perdermi in ulteriori preamboli.
- "No, il suo avvocato ha disposto che Ralph non interagisca con i giornalisti" rispose piccato.
- "Ma sono sicura che per me farebbe un'eccezione". Venni messa in attesa per un minuto circa.
- "Okay, d'accordo. Le è stato accordato il permesso di avere un colloquio. Di persona, però: all'appartamento di Ralph, tra un'ora".
- "Ci sarò".
Mi infilai la prima cosa che trovai - un paio di pantaloni scuri, una camicia azzurra ed un cardigan pesante - e, con un taxi, raggiunsi l'abitazione in cui avevo trascorso una notte piuttosto piacevole, prima di essere messa alla porta con la promessa, da intendersi come minaccia, di ritrovarsi per trascorrere il resto della vita insieme.
- "Sam, gioia della mia vita. - Oh. Mio. Dio - Accomodati, raggio di sole". Fu lo stesso padrone di casa ad accogliermi sulla porta.
- "È proprio necessario che quell'energumeno ascolti la nostra conversazione?" chiesi, alludendo all'omone pelato di colore che se ne stava a braccia conserte appoggiato alla porta a fissarci.
- "Quello è Bob, la mia guardia del corpo. Non ci darà alcun fastidio".
- "Il problema è che non mi sento libera di esprimermi con uno che mi osserva e mi squadra ad ogni mossa". Gli rivolsi un'occhiataccia, ma quello non se preoccupò minimamente.
- "Faccio il mio lavoro, signora".
Signora, signora a chi?
Ralph mi fece cenno di avvicinarmi con il dito e sussurrò a bassa voce.
- "Credo che non abbia ancora digerito il pestone che gli hai rifilato nel backstage del mio concerto".
Questi uomini pieni di risentimento. Io mica vado in giro col pensiero fisso su quella stronza che mi ha scippato dalle mani la sciarpa di Burberry che volevo all'ultima svendita! Certo, le auguro di bruciare all'inferno ogni giorno, ma non ogni minuto!
- "Me le aveva fatte girare quella sera. - ricordai - Ma, passando ad altro, come stai?".
Sbuffò rassegnato disegnandosi sul viso un sorriso amaro.
- "Come uno che sa che tra qualche giorno deve rientrare in carcere perché è scaduto il termine dell'uscita su cauzione e nulla è cambiato".
- "Mi dispiace. Cercherò di fare qualsiasi cosa per aiutarti; io so che non puoi essere tu il responsabile di tutto questo".
- "Hai scoperto qualcosa sinora?" chiese speranzoso, ma io lo bloccai subito.
- "Nulla purtroppo, però ho qualche idea. In un modo o nell'altro ce la faremo". Portai d'istinto la mia mano sulla sua, commettendo un grosso errore: Ralph tirò il mio braccio verso di sé e cominciò a riempire ogni minimo centimetro di pelle con i suoi baci.
- "Sei così morbida e adorabile, Sam".
- "Sì, okay, basta, mollami, mollami Ralph!". Riuscì a strappare il mio arto sinistro dalle grinfie di quel disgraziato dispensatore di buffetti amorosi assai poco graditi e aprii bocca per continuare la conversazione, ma il suo agente ci interruppe.
- "D'accordo, bambolina, tempo scaduto".
- "Ci avrò parlato a malapena due minuti" mi lamentai.
- "È più di quanto tu potessi sperare. Forza, fuori di qui!".
Mi aspettavo una qualche reazione da parte di Ralph, che, invece, restò calmissimo, sprofondato nel suo costosissimo divano, nel suo sfarzosissimo salotto della sua carissima casa a Chelsea. Per la seconda volta su due - en plein! - venni sbattuta fuori dal suo appartamento in malo modo e senza aver saputo nulla, se non la microscopica informazione che presto il mio rapper sarebbe tornato dritto dritto in carcere, tra centinaia di delinquenti che perlomeno se la meritavano quella permanenza spesata, all inclusive, in una camera tre metri per due.

- "Amanda e José? - Val strabuzzò gli occhi e lasciò rumorosamente cadere la tazzina da caffè vuota sul piattino, facendo stridere il cucchiaino - Che vuol dire che stanno insieme? No, non ci credo, ti sarai sbagliata, avrai frainteso" sentenziò e si appoggiò con stanchezza allo schienale della poltroncina del bar accanto a quella di Warren, che ci fissava attento e stranamente in silenzio.
- "Se vogliamo essere proprio pignoli, lei ha usato il termine fidanzato" aggiunsi convinta.
- "Hai capito la nostra Mandy? Zitta zitta si è accalappiata un bel venticinquenne abbronzato e bollente". A quelle parole, Warren drizzò le orecchie e parve rianimarsi dal profondo coma in cui era finito a causa dell'ora; erano le cinque del pomeriggio, ma per un camionista come lui era tempo del riposino pomeridiano.
- "Hai detto venticinquenne abbronzato e bollente?" scrutò Valerie, ad un tratto fremente di curiosità.
- "Tu ci ascolti solo quando c'è qualcosa che t'interessa" lo rimproverai.
- "Non posso negarlo; il più delle volte leggo distrattamente il labiale della gente e interagisco soltanto nel momento in cui si parla di qualcosa di fondamentale importanza, tipo me".
- "Il tuo egocentrismo assorbe il mio ossigeno" dissi acida.
- "Forse perché cozza con il tuo orgoglio? O forse perché dovresti avere un petto più grande? Madre natura non è stata molto generosa con te in quanto a... - lo guardai con aria assassina e lui sorrise diabolico - polmoni". Salvato in corner.
- "A proposito di polmoni, come sta Nick?" tornò a parlare Valerie.
- "Cosa c'entra Nick con i polmoni?" intervenni, non riuscendo a cogliere il collegamento.
- "Li ha, no?" rispose lei con la bocca ben aperta per mostrarci ogni singolo pezzetto di brioches che i suoi denti stavano triturando. Che classe.
- "Credo proprio di sì, ma tutti ce li hanno" ribattei sempre più confusa.
- "Quindi riconosci che la tua obiezione è senza fondamento".
- "Scusa, giudice Amy, ma sei tu che hai iniziato la frase dicendo 'a proposito'" cercai di farla ragionare, senza riscuotere, però, molto successo.
- "Non abbiamo appurato che anche lui ha i polmoni?" esclamò Warren. Oh, miseria: si erano coalizzati.
- "Sì, ma non conta!" esclamai.
- "Vai a dirlo a quelli che hanno un tumore ai polmoni per il fumo, se non conta" continuò il camionista, ormai sempre più lanciato nella difesa delle locuzioni sbagliate di Val.
- "Per la milionesima volta, che diavolo c'entra? Quando uno dice a proposito, indica che c'è una certa continuità con il discorso precedente, un nesso logico". - "E non ti pare logico che Nick abbia i polmoni?". No, così non andava.
- "Proprio non ti sopporto quando fai la saccente" blaterò Warren.
Mi arrendo.
- "Hai ragione, quando fa la Hermione Granger della situazione la strozzerei". Valerie terminò il cornetto e ordinò un secondo caffè.
- "Oh, Hermione! Ma ti pare possibile che finisca con uno come Ron?" si lamentò l'unico uomo presente.
- "Warren, mi trovi d'accordo con te: Weasley non si può vedere". Stavo assistendo impassibile alla morte della concentrazione: era impossibile fare un discorso con quei due, senza rischiare di lasciarlo a metà e incominciarne un altro, semplicemente pronunciando un nome.
- "Ragazzi, non stavamo parlando di Nick?" provai a ripristinare la conversazione iniziale, accantonando l'impasse linguistico in cui eravamo incappati.
- "Vedi che allora sei proprio fissata!" strillò maliziosa Valerie. Che pessima idea invitarli a fare uno spuntino insieme.
- "Veramente stavamo parlando di Arnalda e Mosé. - intervenne Warren - E poi non dite che non ascolto!".

- "Non sono sicura che questo stile possa fare al caso mio". Il tubino nero cortissimo che Warren mi aveva costretto a provare quasi mi mozzava il respiro, comprimendomi le tette al punto tale da farle sembrare una terza abbondante.
- "Zucchero, ma cosa vuoi saperne tu di quello che desiderano gli uomini?" disse altezzoso.
- "Ha parlato l'esperto! - lo sbeffeggiai - I ragazzi che frequenti tu vogliono una cosa che non possiedo".
- "Guarda che mica conosco solo gay. E poi smettila di brontolare, che io sto cercando di aiutarti a far morire di gelosia Nick. Allora, tira su un po' la balconata, poggiolino direi, e sciogliti i capelli". Obbedii senza fiatare, lasciando cadere i boccoli morbidi sulle spalle e attendendo altre indicazioni.
- "Qualcos'altro?" sussurrai scocciata.
- "Sei una panterona, Sam. - mormorò soddisfatto - Questo abito è raffinato, elegante, sexy ed aggressivo... avrai gli uomini ai tuoi piedi e ti pregheranno per averti stasera".
- "Posso toglierlo ora?" mormorai, confidando in una risposta positiva che mi avrebbe permesso di riacquisire un corretto funzionamento dei organi interni, compressi all'inverosimile. Warren mi fece cenno di sì con un movimento seccato della mano ed io finalmente mi tolsi quel vestito infernale. Rimasi in slip, senza reggiseno - non ci saremmo stati entrambi nel tubino/seconda pelle - ed il mio amico abbassò lo sguardo sulla zip dei suoi pantaloni.
- "Che fai?" domandai curiosa, rivestendomi.
- "No, niente, sono proprio gay. Lady Oscar non si è svegliato neanche vedendoti mezza nuda". Si lanciò sul letto e prese a sfogliare una rivista di moda abbandonata sul letto.
- "Lady Oscar?" ridacchiai.
- "Sì, l'ho trovato appropriato per il mio pene; sai, quando esce allo scoperto, c'è grande festa alla corte di Francia" si pavoneggiò, citando la sigla del cartone animato.
- "E il tuo André chi sarebbe?" lo provocai, indossando una maglietta comoda.
- "Sarà Nick, se non ti sbrighi a darti una mossa con lui".
- "Credo ci sia qualcosa tra lui e quella sua amica, quella del bar" ammisi con un groppo in gola. Mi sdraiai sul letto e lui mi si avvicinò.
- "Zucchero, tu una così te la mangi a colazione. Ma ti sei vista? Sei bella, intelligente...".
- "Continua!" mugolai con muso lungo.
- "Ora sono un po' a corto di idee, però credimi che sei molto meglio di quelle due gambe da giraffa e quelle tettone sode da pornostar. Gli uomini non cercano questo".
Ma dove cavolo vive?
- "Gli uomini gay non cercano questo, Warren" gli feci notare.
- "Stasera ti metti quel vestito, ti trovi un ometto e te la spassi". Le sue idee di divertimento, chissà perché, prevedevano sempre un uomo ed un amplesso.
- "Non so ancora cosa ci sarà dopo il poliziotto e mi pare che Dougie l'abbia già sistemato tu" allusi al paio di boxer che troneggiavano sulla mia scrivania.
- "Non parlavo della scommessa, Sam: hai bisogno di una giornata detox da Nick perché quel ragazzo ti ha intasato come un water. - Grazie Warren, mi sento già meglio all'idea di essere un cesso - So già cosa ci vuole per te, mia cara: un grande, lungo e possente sturalavandini" ammiccò, allegando tutti i doppi sensi possibili.

Strizzata come un salame nel tubino nero scelto nel pomeriggio, non potevo credere di essere riuscita a camminare fino al taxi per uscire. Avevo cercato di tornare indietro un paio di volte per cambiarmi e mettermi qualcosa che almeno mi coprisse un decimo del corpo, ma Warren si era sempre opposto, asserendo che dovevo mostrare la mercanzia se volevo avere qualche chance in più di accalappiare un bel giovanotto. Grazie al cielo il cappotto mi copriva fino alle ginocchia.
Warren insisteva col volermi presentare un suo amico, stranamente etero, che, stando ai ricordi delle docce negli spogliatoi del liceo, doveva essere fornito di un buon sturalavandini. Non che ne avessi particolarmente voglia, ma forse un po' di distrazione avrebbe giovato.
Appena entrati nel locale, dispersi il mio amico, troppo intento a scodinzolare come un cagnolino dietro ad un paio di ragazzi sconosciuti. Riuscì solo ad indicarmi quel suo amico dei tempi delle superiori, un ragazzo piuttosto banale, ad essere del tutto onesta, ma sufficiente per raggiungere l'obiettivo. Warren mi aveva anche detto il nome: Drew, Dave... o Danny? Mah, non era così rilevante.
Mi avvicinai e attaccai bottone con una scusa stupida che si perse nel volume troppo alto della musica; parlammo per qualche minuto o almeno tentammo di farlo, dopodiché mi disse qualcosa di cui riuscii a captare soltanto qualche parola: sei una bella ragazza... con me?
Lo trascinai in bagno con la stessa furia con cui un pescatore tira a bordo le reti e mi avventai sulle sue labbra in meno di tre secondi. Lui posò subito la mano sul mio seno, stringendolo con forza e strizzandolo. Oddio, mi stava mungendo. Mi staccai dalla sua bocca per fargli comprendere che non gradivo molto quel trattamento da vacca da latte, ma una borsetta lo colpì in pieno volto.
- "Brutto figlio di buona donna! - gli gridò contro la ragazza, una rossa minutina, ma che sapeva darle forti - Mi chiedi di sposarti e dopo due minuti ti trovo in bagno con un'altra?".
- "Amore, ho provato a dirglielo che c'era la mia ragazza qua con me, però mi è saltata addosso lo stesso!". Mai fare conoscenza in discoteca, dove non è possibile fare conversazione.
- "Ehi, carina, Donnie è roba mia" mi minacciò. Donnie? Non era Danny?
- "No, scusa, c'è stato un errore" provai a farle comprendere l'accaduto. Cavolo, avevo sbagliato persona!
- "Senti, non c'è stato alcun errore nel fatto che tu sia una facile". Io una facile? Brutta nana da giardino.
- "Se non sei capace di tenerti il fidanzato, non è un problema mio" sbottai furiosa. Avevo trovato il capro espiatorio della serata.
Fece per avventarsi su di me, ma la prontezza di riflessi di Donnie le impedì anche solo di sfiorarmi. Pazienza, era così ubriaca che il giorno dopo neanche se ne sarebbe ricordata. E che se lo tenesse lei, il mungitore!
Passai il resto del tempo dandomi della stupida per essermi ridotta a rimorchiare gentaglia mezza sposata nel bagno di una discoteca e a cercare di rintracciare Warren tra le centinaia di facce che avevo attorno e che, alle luci iridescenti del locale, sembravano tutte uguali. Alla fine lo ritrovai appoggiato ad una colonna intento a flirtare con un biondino dalla pelle diafana.
- "Sono due ore che ti cerco!" urlai arrabbiata nel suo orecchio.
- "Anche io! Comunque lui è Danny" gridò di rimando, indicandomi il ragazzo che aveva di fronte, il quale stava sorseggiando un drink e non si era nemmeno accorto di essere l'oggetto della conversazione.
- "No, grazie. Voglio andare a casa".
- "Maialina, lo vuoi già portare a casa?" mi diede una gomitata che per poco non mi fece franare a terra.
- "No, ho detto che me ne voglio andare a letto!".
- "Beh, immaginavo che non ci avresti giocato a scacchi". Oh, Gesù! Presi dalla pochette il cellulare e digitai il messaggio che stavo cercando di fargli capire: Me ne vado! Poi ti spiegherò meglio. Buon lavoro per domani! Glielo feci leggere e lui annuì.
Recuperai velocemente il cappotto dal guardaroba e me lo infilai svelta, prima di attirare troppo l'attenzione. Era incredibile come tutti i tentativi di dimenticare Nick andassero storti, soprattutto se organizzati da Warren: la volta precedente mi ero ritrovata in una fontana, a -5° C con un coso tra le gambe - e non c'era nulla di erotico in non una, ma ben due sanguisughe tra le cosce - e quella sera, invece, ero finita tra le mani di un omuncolo banale e pure fidanzato che aveva trattato le mie tette come due mammelle.
Dio, che patetica. Questa storia doveva finire: dovevo imbustarla, darle un calcio nel sedere e a mai più rivederci, vita da single sfigata, inconcludente sul lavoro.
Arrivai a casa con un taxi, accesi il portatile e mi misi alla ricerca di un hotel a York, comprai un biglietto del treno pomeridiano del giorno successivo e cominciai a fare i bagagli per la mia nuova avventura.

L'ultimo ostacolo prima di dare il la alla svolta, era ottenere il consenso di Valerie. La mattina seguente mi svegliai presto, coccolai un po' Romeo e andai in ufficio, in modo tale che ci fosse poca gente a cui dare eventuali spiegazioni. Sapevo di trovarla già al lavoro, presa com'era in uno speciale per il trentesimo anniversario della morte di John Lennon, perciò, non appena entrai, fu facile individuare la sua chioma dorata tra le scartoffie della sua scrivania.
Le portai un caffè forte perché si svegliasse, essendo a conoscenza della piccola difficoltà a carburare che ci contraddistingueva.
- "Si può?" domandai, picchiettando le nocche sullo stipite della porta aperta.
- "Prima dammi quel bicchiere di carta che hai in mano, poi ripassa tra dieci minuti". Glielo porsi, ma, al contrario di quanto mi aveva detto, mi sedetti sulla poltroncina di fronte alla sua.
- "Sarò breve: ho bisogno di una pausa" dichiarai convinta.
- "A chi lo dici."
- "Ieri sera ho toccato il fondo, Valerie; ho bisogno di un break, di tuffarmi nel lavoro e concentrarmi su questa storia di Ralph perché al momento è l'unica cosa che potrebbe darmi soddisfazioni. Se sei d'accordo vorrei andare due settimane a York, forse scoprirò qualcosa o forse no, ma almeno potrò dire di averci provato" le spiegai.
- "Certo che sono d'accordo" disse lei, togliendosi gli occhiali da lettura.
- "Anche perché avevo già prenotato, perciò ci sarei andata comunque" ridacchiai.
- "Piccola donna astuta! Però... non è che c'entra Nick in tutto questo?" chiese sospettosa.
- "C'entra lui, la scommessa, Harmony, Will che non mi risponde, Ralph che torna in carcere, Sam1 e le sue bugie... " elencai, contando sulle dita della mano.
- "Non sarebbe meglio andarsene in vacanza da qualche parte oppure tornare a Glasgow dai tuoi?".
- "Come potrei rilassarmi con mia madre che detta legge o Lily che mi rende partecipe delle sue idee folli? L'idea del frigo-aspirapolvere non l'ha ancora abbandonata del tutto. Meglio York, dove non mi conosce nessuno: starò in santa pace, concentrata sull'inchiesta, senza inutili distrazioni".
- "Sai che verrei volentieri con te, ma purtroppo devo andare in Irlanda dopodomani: mia suocera mi aspetta! - strillò fintamente esaltata - Sarà una settimana molto lunga". Sapevo che la convivenza con mamma Agnes sarebbe stata difficile, dal momento che la signora in questione non faceva mistero di una certa insofferenza per la vivace nuora.
- "Divertiti, allora. E salutami Jonathan. - le stampai un bacio sulla guancia e uscii dal suo ufficio - Ah, Val... divertiti!". Fece una smorfia e tornò a concentrarsi sulla montagna di documenti che affollavano la sua scrivania.

- "Allora, che facciamo? - interrogai Romeo con le mani poggiate sui fianchi, mentre lui miagolava beato sul divano, facendo ondeggiare la coda a ritmo cadenzato - Vieni o non vieni a York con la tua mammina?". Se c'era qualcosa che il mio micione proprio non sopportava era stare tanto tempo rinchiuso nel trasportino; ma, purtroppo, sul treno diretto a nord sarebbe stato necessario starci per almeno tre/quattro ore. L'alternativa al viaggio, però, non c'era: al massimo avrei potuto chiedere a Kay di tenerlo per qualche giorno, ma non ero certa che accettasse. E poi chi diavolo aveva voglia di sentire la sua voce?
- "No, tu vieni con me. - sentenziai prendendolo tra le braccia - Io non ti lascio nelle mani di Crudelia. So che preferiresti Will, ma purtroppo pare essersi autoeliminato dalle nostre vite, perciò dovrai accontentarti della gabbietta, cucciolotto".
Avevo prenotato un alberghetto tranquillo nel centro di York per due settimane, avevo lasciato morire le poche piante che avevo in casa - okay, era possibile che non fosse stato poi così voluto il decesso delle orchidee -, avevo preparato i bagagli e dovevo solo chiamare un taxi per raggiungere la stazione. E chiaramente convincere Romeo ed antrare nel trasportino. In realtà dovevo anche pensare a come trasportare le tre valigie strapiene, ma l'importante era avere il vestiario adatto ad ogni situazione.
Sentii dei passi lungo le scale e qualcuno fermarsi sul mio pianerottolo, poi un tintinnio di chiavi e una serratura scattare. Dal momento che al terzo piano c'erano solo due appartamenti, il mio e quello del signor Hansen, fu spontaneo per me associare i rumori avvertiti ad un solo nome: Will. Era... tornato?
Lasciai cadere per terra la borsa e mi precipitai alla porta, senza preoccuparmi d'inciampare nelle scatole sparpagliate sul pavimento. Tirai con frenesia il gancio che chiudeva l'uscio e premetti la maniglia, finché con riuscii a scorgere una figura alta e slanciata entrare nella casa di fronte.
- "Will? - sussurrai. E lui si girò, facendomi sospirare - Tu? Che diavolo ci fai qui?". Nick sorrise ed accese la luce dell'atrio.
- "Will mi ha chiesto di dare un'occhiata". L'aveva domandato a lui, pur sapendo che io abitavo a tre metri dal suo appartamento. Stavo per gettare la spugna con lui; forse mi ero comportata male in passato, ma avevo chiesto scusa... eppure sembrava non essere bastato.
- "Ah. Quindi l'hai sentito" mi limitai a dire.
- "Già, ero da Kay prima e l'ha chiamata, così c'ho fatto due chiacchiere". Intratteneva rapporti con tutti, tranne che con me.
- "S-sta bene?".
Nick scrollò le spalle e capì di essere incespicato in un discorso delicato.
- "Gli manca Londra" disse diplomatico.
- "Bene" annuii. Vide la mia espressione delusa e cercò di porvi rimedio.
- "Può anche non dirlo, ma so che gli manchi anche tu. Ha fatto un giro di parole lunghissimo, coinvolgendo tutti, Romeo compreso, per sapere come stavi".
- "Sarà, però non mi ha mai cercato" sussurrai.
- "Ti va di parlarne? Ci sediamo sul divano, beviamo qualcosa e ti lascio blaterare per ore senza interruzioni".
No, Nick, se mi siedo sul divano con te sta pur certo che non voglio parlare.
- "Mi piacerebbe - Dio solo sapeva quanto mi sarebbe piaciuto. No, Sam, ricordati che è uno stronzo, doppiogiochista, 'fisicato', sexy... no, ferma! -, ma devo partire".
- "Parti? Che fai, vai fuori città per qualche giorno?" chiese, appoggiandosi alla ringhiera del ballatoio.
- "Qualche... settimana, in effetti. Ho bisogno di riordinare le idee e cose del genere".
- "Capisco. Ti serve un passaggio?".
- "N-no prenderò un taxi, ti ringrazio" provai a divincolarmi da quella richiesta.
- "Dai, andiamo, Sammy. Non ti mangio mica". Semmai, il rischio è che io ti mangi. Il pericolo più concreto in realtà, era che spuntasse fuori la sua simpaticissima amica d'infanzia, che doveva avere un radar per sapere sempre quando eravamo insieme.
In macchina, caricati i bagagli e con un Romeo arrabbiato e miagolante incastrato nella gabbietta, Nick avviò il motore e s'immise nel traffico caotico della capitale, diretto a London Bridge.
 Mi stavo torturando le mani, lo sguardo rivolto al di fuori del finestrino per non finire col trovare imbarazzante una situazione normale come quella.
- "Non mi hai ancora detto dove vai". Socchiuse gli occhi riducendoli a due fessure per contrastare il sole che ci illuminava il viso.
- "Vado a York. Ho del lavoro da sbrigare" tagliai corto. Lui annuì.
- "Viene anche Warren?" chiese, concentrandosi su una manovra di sorpasso.
- "No, è in giro con il camion. E comunque volevo chiarire che non stiamo insieme". Basta bugie, basta mezze verità: per una volta, meglio provare ad essere del tutto sinceri uno con l'altro.
Nick, fece rientrare la freccia e sorrise.
- "Questo lo sapevo già".
- "Ti è sembrato improbabile che un uomo fosse interessato a me?" buttai lì scherzosa.
- "No, mi è sembrato improbabile che lui fosse interessato ad una donna". Quindi lo sapeva che Warren era del team Pisello.
- "Quando l'hai capito che era dell'altra sponda?" domandai.
- "Quando invece che fissare il tuo di culo, fissava il mio".
- "E Harmony?". Dovevo giocarmela fino in fondo. Nick abbozzò un sorriso e mi lanciò un'occhiata sfuggente, prima di tornare a guardare la strada.
- "Harmony cosa?" ribatté.
- "Dico... state insieme o qualcosa del genere?". Forse mi stavo esponendo troppo, ma tanto stavo andando lontano per due settimane e per un po' non avrei dovuto affrontarlo. Di persona, almeno.
- "Stiamo insieme. - fu come se una mano sbucata dal nulla mi avesse strappato il cuore dal petto, lo avesse buttato a terra ed infine calpestato - Come te e Warren".
Non potevi dirlo subito, idiota?
- "Intendi dire che è lesbica?". Ero un po' confusa.
- "No, - ridacchiò - intendo dire che non siamo interessati all'altro". Ingenuo.
- "Non sei interessato, perché lei lo è parecchio e solo tu non l'hai capito".
- "È una cazzata" esclamò.
- "È la verità, Nick. Sono una donna, certe cose le capisco prima di te" gli spiegai come una maestrina.
- "Lo so".
- "E allora fidati se ti dico che la stangona rifatta - mi morsi la lingua per essermi lasciata trasportare in quel modo dalla foga di insultarla gratuitamente - ti punta da venticinque anni".
- "Intendevo dire che so bene che sei una donna, Sammy". Sbaglio o aveva utilizzato il tono roco delle grandi occasioni? Non era legale fare una cosa del genere con una che gli sbavava letteralmente dietro.
Okay, Samantha, non scioglierti, non scioglierti, non scioglierti.
Mi scappò una risata isterica che mi fece apparire, ne sono certa, come una deficiente.
- "Guarda che siamo arrivati" mi fece notare.
- "Oh, sì, ovvio, siamo arrivati. Ora scendo, poi prendo il treno e vado a York!". Santo Cielo, qualcuno mi fermi.
Aprii lo sportello e sperai di limitare le ciarle infinite che la mia bocca stava producendo. Romeo continuava a rivolgermi il suo sedere, furioso per il fatto di essere intrappolato di nuovo in quella prigione infernale, ignaro di doverci rimanere almeno per qualche altra ora.
Nick si fece carico di quasi tutto il bagaglio e, seguendo le indicazioni contenute sul biglietto elettronico che avevo acquistato in internet, arrivammo al binario e ci mettemmo in attesa. Una voce meccanica ci avvisò che il treno diretto a York sarebbe arrivato due minuti dopo.
- "Sempre per il rotto della cuffia, eh" scherzò Nick a ragione, visto che come al solito ero arrivata all'ultimo secondo.
- "I vizi sono duri a morire" mi giustificai, con un'ampia scrollata di spalle.
- "È un arrivederci?" domandò sconvolgendosi i capelli. Era nervoso, allora.
- "È un arrivederci. - confermai - Non ti libererai così facilmente di me".
- "Lo so. Buon viaggio, allora".
- "Grazie" replicai. Mi augurai che non si avvicinasse, che non cercasse un contatto anche solo visivo con me perché altrimenti non avrei trovato il coraggio di prendere quel maledetto treno. Stavo scappando: dai problemi con Will, con Banks, con lui, ma se ripensavo alla faccia da cretina - non esistono parole gentili per descriverla - di Harmony, potevo sentire il sangue affluire alle tempie e pulsare nelle vene. Fortunatamente Nick mantenne le distanze ed io potei respirare con regolarità.
Intravidi la motrice arrivare nella stazione e mi preparai ad abbandonare Londra per rilassarmi, concentrarmi sulle indagini e riconquistare la fiducia del mio micione, ormai sul piede di guerra con quegli artigli affilati pronti all'uso.
Stavo per caricare il primo bagaglio, quando il cellulare che avevo riposto nella tasca del cappotto squillò.
Non riconobbi il numero, ma risposi ugualmente, un po' scocciata perché come rischiavo di far partire il treno e dover rimandare la partenza.
- "Pronto?".
- "La signorina Grayson?" domandò cortesemente una voce femminile, professionale.
- "Sono io". Ascoltai con attenzione e una crescente tristezza quanto la donna al telefono mi doveva dire e poi rimasi imbambolata una volta terminata la chiamata.
- "Ti senti bene, Sammy?" chiese Nick, prendendomi per un braccio.
Le pupille corsero impazzite a destra a sinistra, senza veramente soffermarsi a guardare nulla. Mi sedetti a tentoni su una panchina lì accanto, mentre un Nick sempre più preoccupato si affrettava a farmi un po' d'aria e a cercare di estorcermi qualche informazione in più.
- "N-non posso più partire" soffiai.
- "Cosa è successo, Sammy?" mi accarezzò i capelli, ma lo scostai con un colpo irruente del capo. Odiavo che me li toccassero, soprattutto in un momento come quello.
- "Ho bisogno che mi accompagni in un posto" biascicai, senza riuscire ad articolare bene le parole.
- "Dove vuoi". Non mi chiese ulteriori spiegazioni, eseguì solo i comandi che gli fornivo con la precisione e la rapidità che lo caratterizzavano. Tornammo quasi correndo alla macchina, caricammo velocemente i bagagli e, dopo aver ingranato la prima, Nick partì sgommando a tutta velocità per le vie che costeggiavano la stazione di London Bridge.




On the first day that i met you
I should have known to walk away
I should have told you you were crazy
And disappeared without a trace
But instead i stood there waiting
Hoping you would come around
But you always found your way to let me down.


Siete autorizzate ad uccidermi: so di aver detto che avrei pubblicato ieri ma a) sono una ritardataria cronica, b) in realtà il capitolo era pronto, ma non mi convinceva, quindi ho aspettato stamattina per aggiustarlo.
Non amo molto i capitoli divisi in due parti, ma stavolta è stato necessario perché altrimenti sarebbe venuta fuori una sbrodolata di venti pagine e non mi sembrava il caso. Però la seconda parte è più interessante di questa :)
La canzone del titolo è dei Simple Plan e la citazione del Giudice Amy fa riferimento all'omonimo telefilm.
Direi che riguardo alla chiamata si possono fare molte ipotesi e credo che qualcuna di voi possa facilmente intuire quello che è accaduto.
Rispondo alle recensioni ora e grazie, come sempre!
Baci e buone vacanze!
Sandra

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. Time To Say Good Life -Part II. ***


Capitolo ventisette. Time To Say Good Life - Part II

Nella vita di ognuno di noi ci sono diverse fasi: c'è il tempo dell'infanzia, quando si può giocare in libertà, senza preoccupazioni che vadano oltre la scelta del colore di un disegno; c'è l'adolescenza, con le prime cotte e l'incoscienza che ci fa credere di essere invincibili di fronte a tutti e tutto ed infine c'è la maggiore età, in cui si deve diventare adulti, bisogna crescere. È il tempo delle responsabilità, delle decisioni, il momento in cui cominci a capire tante cose che prima hai sempre sottovalutato. Improvvisamente ti rendi conto che quel Babbo Natale che ti faceva visita ogni anno il ventiquattro di dicembre era un po' troppo simile a tuo zio, che il tuo cagnolino sparito da un giorno all'altro non è tornato dalla madre perché gli mancava, ma piuttosto alla casa del Padre. Inizi a collegare i pezzi del puzzle che compone la tua vita e capisci di dover accantonare non solo bambole e trenini, ma anche atteggiamenti naif che non ti sono più concessi. Non puoi soltanto diventare grande, devi anche comportarti da grande. E ora toccava a me.
- "Ci dispiace molto, signorina Grayson, sua zia era una signora dolcissima e chiunque abbia avuto a che fare con lei la ricorda come una piacevole compagnia".
Una delle due infermiere che mi avevano accolto all'ingresso poggiò una mano consolatrice sul mio braccio, con un mezzo sorriso di circostanza che lasciava trasparire un'autentica tristezza.
- "Non capisco: - sussurrai confusa - L'ho vista qualche giorno fa e stava bene".
- "Purtroppo ha avuto un attacco di cuore e non c'è stato nulla da fare. La signora Annie poi aveva firmato un modulo per non essere rianimata".
Mentre venivo lasciata sola, osservai in silenzio la stanza dove spesso - non abbastanza - le avevo fatto visita, trovandola sorridente e lusingata dalle attenzioni del signor Kerry, nonostante i dolori della vecchiaia. Mi avviai verso l'armadio che conteneva i suoi vestiti e fui colta dall'improvvisa consapevolezza di dovermi occupare di un sacco di cose: sgombrare la camera dell'ospizio, organizzare il trasporto della salma ed il funerale a Glasgow, trovare una lapide, una frase da incidervi e qualcuno in grado di farlo, un posto libero ed adatto per la sepoltura nel cimitero, lontano da strane cripte per evitare curiosi incontri sulla falsariga di Buffy e compagnia bella... ero presa dal panico. Non ero brava a pianificare, a progettare; vivevo alla giornata e costituiva un grande successo personale già il solo fatto di riuscire a fare la spesa per tutta la settimana, senza dimenticare nulla e soprattutto arrivando alla domenica con ancora qualcosa da mettere sotto i denti.
Dovevo crescere. Non avevo voluto essere accompagnata all'interno della casa di riposo, avevo resistito alle insistenze di Nick di farmi compagnia ed ero stata categorica nel professarmi certa di voler affrontare quella situazione da sola. Si era persino offerto di aspettare in macchina per tutto il tempo necessario, ma ancora una volta mi ero imposta, dicendo che sapevo badare a me stessa e che sarebbe stato sufficiente che lui si prendesse cura di Romeo per qualche ora.
Non appena scesa dall'auto, però, le mie certezze si erano sgretolate piano piano ed avevo cominciato a traballare, fisicamente ed emotivamente. Fatto un lungo respiro, mi ero diretta col consueto passo svelto all'interno del grosso edificio che si affacciava sul piccolo parco con la panchina solitaria che custodiva ancora il segreto della mia confessione più intima, fatta alla zia dopo non essere più riuscita a comprimerla dentro di me.
"La signora Annie si è sentita male. Abbiamo fatto il possibile..." mi avevano detto al telefono. Quella frase lasciata incompleta era valsa più di cento parole inutili, forse schiette e dirette, forse edulcorate, forse concitate e frettolose. Non importava come le infermiere si fossero espresse; non esiste un bel modo per comunicare a qualcuno che un parente, un amico, una persona cara non c'è più.
- "Lasci stare. - sussultai dallo spavento, sentendo una mano sul mio braccio. Era il signor Kerry - Ci penseranno le infermiere a sistemare tutte le sue cose; ne faranno uno scatolone e lei dovrà solo venire a ritirarlo. Condoglianze, a proposito".
- "Grazie. - sorrisi appena. Sfiorò appena con i polpastrelli un foulard lilla a stampa floreale che penzolava da una gruccia: era il suo preferito, ricordavo di averglielo visto legato attorno al collo in qualche festa di famiglia alla quale, naturalmente, c’eravamo evitate - Può tenerlo, se vuole". Si voltò a guardarmi, gli occhi lucidi e indifesi, al contrario del corpo, il quale voleva ostentare una sicurezza e una padronanza di sé e delle proprie emozioni.
- "Non posso accettarlo. - scosse la testa, ma lo interruppi subito, sostenendo che nessuno avrebbe saputo custodirlo meglio di lui - Non mi è possibile nemmeno venire al funerale, io... ".
- "Non ha importanza, le è stato vicino negli ultimi mesi e l’ha fatta ridere. È più che sufficiente".
Gli misi quell'ultimo ricordo in una scatola che trovai sul comodino della stanza e l’appoggiai sulla sua mano. Lui fece per andarsene, ma improvvisamente si ricordò di dovermi consegnare una lettera ed un libro con due maialini in copertina da parte della zia.
- "Me li ha affidati solo perché li facessi avere a lei nel momento in cui ci avrebbe lasciato. Addio, Samantha".
Non lo sentii nemmeno uscire, troppo concentrata sui due oggetti che stringevo ancora tra le mani.

Trascorsi tutto il resto della giornata al telefono: avvisare i miei e i parenti più stretti, prenotare il volo per Glasgow, disdire il soggiorno a York e organizzare il funerale a quattrocento miglia di distanza fu tutt'altro che semplice, ma dovevo farlo. In più tutto quell'esercizio mentale m’impediva di realizzare cosa fosse successo e, di riflesso, mi faceva stare meno male.
Accantonai la lettera e il libricino e mi ripromisi di leggerli durante il volo, ovvero l'unica ora libera che avrei avuto il giorno seguente.
Dopo una doccia bollente e la preparazione dei bagagli, alle ventidue mi misi nel letto e mi sforzai di dormire qualche ora. Mi svegliai di soprassalto, a mezzanotte, sentendo il cellulare vibrare rumorosamente sul comodino accanto al letto.
- "Pronto?" biascicai abbastanza lucida: dovevo essermi addormentata da meno di mezz'ora.
- "Ti ringrazio per avermi fatto sapere qualcosa! - strillò la voce alterata di Nick - È da oggi pomeriggio che aspetto tue notizie. Ero preoccupato" terminò la frase abbassando i toni e cercando di recuperare un po' di autocontrollo.
- "Sì, hai ragione, ho avuto un milione di cose da fare. - mi sollevai ed appoggiai la schiena contro la testata imbottita del letto - È morta mia zia; ci ero affezionata e da quando me l'hanno detto ho dimenticato tutto il resto. Scusa".
- "No, scusami tu, non ne avevo idea. Mi dispiace" esclamò sincero.
- "Anche a me" dissi laconica.
- "Immagino tu debba tornare a Glasgow... posso tenerti Romeo senza problemi".
Cavolo, Romeo. Mi ero scordata di avere un gatto.
- "In realtà mi faresti un grosso favore; non voglio sballottarlo a destra e manca, ma non vorrei nemmeno disturbarti".
Aveva già un cane che se ne andava a zonzo per casa, non volevo che si trovasse ad accudire anche una dispettosissima palla di pelo.
- "Nessun problema, Sammy. Se ti serve qualcosa, chiama. Buona notte".
- "Grazie, 'notte". Riattaccò.

Le alzatacce mattutine decisamente non facevano per me; ma quel giorno fu quasi un sollievo togliersi di dosso quelle coperte pesanti dentro le quali ormai da ore mi stavo rotolando. Erano le cinque ed io avevo un aereo da prendere. Sistemai le ultime cose, chiusi casa avvertendo uno strano rumore, ma non avevo tempo di verificare cosa fosse caduto. Presi una combinazione di metropolitana ed autobus per arrivare a Heathrow. Fortunatamente il volo era in orario e non c'erano molti rompiscatole in giro; ognuno si faceva i fatti suoi e, una volta accomodata al mio posto, trassi dalla borsa la lettera che mi aveva dato il signor Kerry e cominciai a leggerla con le lacrime agli occhi. Il libro, invece, doveva essere disperso da qualche parte nel bagaglio da stiva.

Londra, 31 ottobre 2010.

Cara Samantha,
Ti scrivo ora perché sono ancora in grado di farlo da me, senza l'ausilio di alcuno cui delegare l'infausto compito di dirti addio. Dicono che ci si renda conto di quando è arrivato il momento, quel momento, ed io sento di non essere lontana dal capolinea. Non sono triste, però: ho vissuto una vita intensa, nel bene e nel male, ho pianto, ho amato e ho avuto la possibilità di incontrare persone meravigliose come te che mi hanno reso le giornate migliori.
Ci siamo scoperte da poco, dopo anni in cui per via del mio comportamento ho tenuto lontane persone a cui voglio bene, a cominciare da mio fratello Graham, tuo nonno, passando ai nipoti e persino alle amiche. Mi rintanavo in quella stupida soffitta, circondata dai miei quadri, convinta di potermi nutrire del mio solo talento. È quando ho capito che non sarei arrivata da nessuna parte con quelle tele che ho realizzato di avere una fantastica famiglia che mi amava e che io stavo perdendo. Avrei potuto dipingere quanto volevo, ma non era quello lo scopo primario della mia esistenza. Ho cercato in tutti i modi di riallacciare i rapporti con tutti voi, cosciente che non sarebbe bastato dire un semplice 'allora come state?', per cancellare anni d’indifferenza da parte mia.
Sei stata l'ultima bellissima sorpresa che la vita mi ha riservato; ho molti rimorsi, Samantha, e il non aver voluto conoscerti prima è uno dei più grandi; ho perso ventiquattro anni, i tuoi. Forse non lo sai, ma tu ed io portiamo lo stesso secondo nome, Eleanor, quello di mia madre ed io mi riconosco in tante sfaccettature del tuo carattere, anche se la vecchiaia ne ha smussato i tratti più spigolosi; la mia più grande speranza è che tu riesca ad essere una persona migliore di me. Ti auguro di ottenere tutto quello che vuoi, compreso quel giovanotto di cui ti sei innamorata. Non sprecare tempo Samantha, perché, credimi, non ne avrai mai a sufficienza. L'importante è provarci, cogliere il momento... non sempre c'è un secondo treno. E se quel ragazzo non capisce che persona splendida tu sia, al diavolo!, è un idiota e passerà gran parte della vita a rimpiangere di non averti avuta per sé.
Non piangere per la mia morte: ora sto bene dove mi trovo. Non sono certa sia il paradiso, ma sono freddolosa, perciò anche il resto può andare.
Ti chiedo solo di cogliere  l'occasione del mio funerale per ritrovare la tua famiglia; sappi amare ogni singolo membro come e meglio di quanto io abbia saputo fare. Sfrutta ciascun istante trascorso con loro, spremilo fino al midollo perché saranno quelli i ricordi migliori che ti porterai sempre nel cuore e saranno quelli che il tempo faticherà più a sbiadire.
Voglio che tenga tu quella borsa che mi ha regalato il signor Kerry; non m'importa molto il valore che ha, ma mi piacerebbe che per te rappresentasse un semplice ricordo di me, la mia eredità: un contenitore, dove poter raccogliere le tue esperienze e le tue speranze.
Sii la custode dei tuoi sogni, Samantha.
Con tutto l'amore che posso,
Zia Annie

Quasi corsi fino al bagno dell'aereo, per sciacquarmi il viso e gli occhi arrossati. Ci rimasi finché una ragazza venne a bussare, sostenendo che fossero almeno dieci minuti che stava aspettando. Mi ricomposi, chiesi scusa e ritornai al mio posto.

Ritrovai il grigiore di Glasgow che in quella giornata mi sembrò ancora più tetro, nonostante ci fosse un insolito sole splendente ad accogliermi. Nessuno in famiglia, tranne nonno Graham, sembrava particolarmente scosso dalla scomparsa della zia. Mia madre era presa dalla cena post funerale, Lily e suo marito Byron discutevano dell'eventualità di comprare dei nuovi divani e mio padre stava scegliendo un libro da leggere dalla pila che stazionava sul tavolo del suo studio all'incirca dal mesozoico.
Il funerale sarebbe stato nel pomeriggio; zia Annie aveva già previsto tutto: fiori, tipo di bara, lapide, le letture della funzione. Dunque non mi era rimasto molto da fare, se non provvedere al trasporto della salma e cercare di esaudire le sue ultime volontà: godermi ogni istante con i miei parenti.
Avrei cominciato dal pranzo; con la mia famiglia era come andare in bicicletta: questione di pratica. Abituata com'ero a mangiare da sola, senza una genitrice che ti caccia in bocca qualsiasi cosa sia commestibile perché sembri un po' deperita, fu traumatico ritornare nell'ottica dei grandi eventi in casa Grayson; non ricordavo quanto chiassosa fosse la cucina, soprattutto quando c'era in giro quella peste di Alex - il figlio di Lily -, che con l'energia dei suoi quattro anni non avrebbe potuto conquistare il mondo, ma far venire i capelli bianchi a nonna Grace di sicuro; non ricordavo come fosse sedersi a tavola e sentirsi chiedere 'com'è andata la giornata?'; non ricordavo quanto bello fosse stare con tutti loro.
Purtroppo nel pomeriggio, l'allegria traslocò altrove. Mi sistemai nella mia vecchia camera e frugai nella valigia finché non trovai il vestito nero per il funerale.
Quando mio padre mi venne a chiamare per recarci al cimitero, scesi mestamente i gradini fino al piano terra e salii in macchina con lui, in silenzio. Ingannai l'attesa del breve viaggio rispondendo ai messaggi di Valerie, delle altre colleghe, di Kay e di Warren. Ce n'era persino uno di Will, il più freddo e conciso che recitava: Ho saputo di tua zia. Condoglianze, Will.
Riposi il cellulare nella borsa e scesi dalla macchina; il cielo era nuvoloso e non vi era alcuna traccia del sole tiepido del giorno precedente. Raggiungemmo la piccola folla radunata attorno al prete ed io salutai alcuni parenti di cui non ricordavo nemmeno l'esistenza.
La zia aveva scelto una bellissima foto per la tomba: era sorridente, rilassata, i capelli cotonati e un tailleur giallo sovrastato da una collana d'oro bianco e una gemma blu scura al centro.
Fui la prima a posare una rosa bianca sulla tomba già calata per metà all'interno del loculo, seguita a ruota dagli altri fratelli di nonno Graham che aveva tutta l'aria di svenire da un momento all'altro. Lily e Byron lo reggevano ciascuno da un lato, timorosi che potesse effettivamente cadere o sentirsi male. Mio nipote al contrario, da bravo bambino quale non era, stava giocando con la terra, non rendendosi conto della solennità del momento. Non contento, faceva pure degli strani versi che dovevano assomigliare ad una guerra tra supereroi o qualcosa del genere. Sua madre gli mandava occhiatacce assassine, ma lui non faceva una piega. Le feci cenno che mi sarei occupata io del piccolo. Mentre la cerimonia finiva in quell'istante, mi sganciai dal braccio di mia madre ed andai a recuperare il bimbo. Non appena vide che lo stavo raggiungendo alterata, cominciò a correre tra le tombe, facendomi calare in un profondo imbarazzo.
Fermati, dannazione Alex!
Mi fece girare in tondo tra le lapidi ridendo come un pazzo per qualche minuto, i tacchi che ad ogni passo affondavano nel terreno zuppo della pioggia della mattina. Arrancai per raggiungerlo, ma potei finalmente fermarmi e riprendere fiato quando lo vidi tornare divertito tra le braccia - libere dal nonno, seduto su una panchina a riprendersi - di Byron. La piccola folla di parenti ed amici si era ormai diradata ed erano rimasti solo i miei genitori, i nonni e Lily e famiglia a conversare con il prete. Mio nipote mi aveva condotta quasi al sentiero asfaltato del cimitero che conduceva direttamente all'esterno, perciò decisi che avrei raggiunto la macchina, senza dover camminare di nuovo sulla terra bagnata e ripetere l'inutile trafila di saluti a perfetti sconosciuti.
Mi voltai e... lo vidi. Nick era ad una ventina di metri da me, in un completo scuro ed una camicia bianca su cui svettava severa una sottile cravatta nera. Sentii il cuore fermarsi e il cervello andare in tilt; le mie gambe cominciarono a correre da sole, verso di lui, nella speranza di non incespicare in qualche sasso malandrino che mi avrebbe fatto rovinare sull'erba. Gli gettai le braccia al collo con foga, costringendolo a fare un passo indietro per evitare di cadere. In quel momento capii di potermi finalmente lasciare andare, stretta tra le sue braccia. Non riuscimmo nemmeno a parlare che quel furfante del figlio di Lily venne a tirarmi l'orlo del vestito, seguito a vista dalla madre.
- "È il tuo fidanzato, zia Sammy?". Le solite domande sbagliate al momento sbagliato con la persona sbagliata nel luogo sbagliato.
Che cavolo, Alex, fuori dai piedi!
Ci staccammo veloci ed io mi sistemai nervosamente la borsa sulla spalla.
- "No, curiosone" gli risposi con un rimprovero velato.
- "È il tuo amante?" tornò alla carica.
- "Che ne sai tu di amanti? E comunque no".
- "Anche voi vi chiudete in camera come mamma e papà per chiamare gli angeli?". Okay, la conversazione stava diventando un po' criptica.
- "Chiamare gli angeli?" chiesi non afferrando il concetto.
Lui mi guardò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- "Per fare arrivare un fratellino o un cagnolino, dipende da cosa decidono loro" sbuffò scocciato dal dover spiegare una cosa così semplice ad un adulto.
- "No, tesoro, non... chiamiamo gli angeli". Lanciai di soppiatto un'occhiata a Nick che rideva confuso.
- "Perché?" continuò.
- "Beh, tecnicamente una volta li abbiamo chiamati" si lasciò sfuggire dalle labbra Nick, senza pensare che stesse parlando con un bamboccio di quattro anni. Lo fulminai con lo sguardo, odiando la sua innata mania di puntualizzare su tutto.
- "Cane o bambino?" s'illuminò mio nipote, gli occhioni color nocciola ora brillanti di curiosità.
- "Senza dubbio cane, Alex. - mi affrettai a precisare - E, infatti, è arrivato un bel Golden retriver". Meglio fargli credere che fosse Mister il risultato di quell’unico strano contatto tra noi e chi sta lassù e non qualche strano cugino di cui non sapeva nulla.
- "Ora non li chiamate più?" chiese con una punta di delusione.
Per poco non scoppiai a ridergli in faccia. Fosse per me, caro nipotino...
- "No, sai zia Sammy non è molto brava a chiamarli" mi punzecchiò Nick, abbassandosi per parlargli alla sua stessa altezza.
- "Mi piace zia Sammy... posso chiamarti così, zia Sammy?".
No, un altro che usa quello stupido nomignolo no!
- "No! E comunque io sono bravissima a chiamare gli angeli. È Nick che non è molto capace" risposi a tono, con una punta di acidità che non guastava mai.
- "Chi è Nick?".
- "Oh, scusa Alex. Lui - glielo indicai con il dito - è Nick". Il mio nipotino gli tese la mano, che scomparve in quella dell'altro, molto più grande.
- "Piacere, Alexander Paul Philip Graham Stratford II. - si presentò, fiero di poter sfoggiare i settantadue nomi che Lily aveva insistito per dargli, neanche fosse il principe di Galles - Mi sembri un tipo sveglio, perciò ti permetto di chiamarmi Alex".
- "Allora grazie" Nick si finse lusingato da questa concessione imperiale.
Mia sorella si avvicinò con passo svelto al figlio, facendo svolazzare la sciarpa che aveva tutt'intorno al collo e che le ricadeva abbondantemente su una spalla.
- "Scusate per l'interruzione, Alex è un ficcanaso" ridacchiò.
- "Ma se me l'hai detto tu di venir... " la provvidenziale mano della madre si posò sulla boccaccia troppo sincera di Alex.
- "Che cosa dici, amore? - lo rimproverò - Vuoi che la zia venga a casa della nonna?".
- "Io veramente... " brontolò il piccolo, divincolandosi dalla presa.
- "Oh, basta parlare, cucciolo. Ora andiamocene. Sam, ci raggiungi con il tuo amico?" disse, marcando quell'ultima parola al punto tale che pensavo saremmo finiti tutti nelle viscere della Terra. Ecco dove voleva arrivare.
- "Lily, lui è Nick. Nick, mia sorella Lily". Si strinsero la mano cordialmente con un sorriso.
- "Sam, non ci presenti quel bel giovanotto?" mia madre arrivò quasi saltellando con un'espressione giuliva stampata in faccia, a braccetto con mio padre.
Ragazzi, siamo ad un funerale; qualcuno se ne ricorda?
- "Mamma, papà, questo è Nick" sbuffai per l'invadenza della mia famiglia.
- "Io sono Grace e lui è mio marito Philip. È un piacere conoscerti, Nick".
- "Anche per me, signora Grayson. Condoglianze, in ogni caso" disse serio.
- "Grazie, caro. Sei stato molto gentile a venire. Abbiamo organizzato una cena, ti va di unirti a noi?". Mia madre e la sua dannata abitudine di ospitare tutti a casa, al punto da renderla più un porto di mare che un'abitazione tradizionale. Lui cercò di opporsi all'offerta - solo perché non conosceva la leggendaria irremovibilità della padrona di casa -, ma dovette soccombere miseramente di fronte al dettagliatissimo elenco dei cibi preparati che lei gli fornì. Proprio quando stavamo per assistere allo snocciolamento della ricetta dello zabaione, Nick si arrese, più o meno tra le uova ed il marsala.

Tornati a casa, mi assicurai che il nuovo ospite fosse concentrato in una conversazione con Byron sulla Premier League, lontano dalle grinfie di Lily - sport, il miglior deterrente per mia sorella - e sgattaiolai al piano di sopra. Salii in camera, sostituii il vestito tetro del funerale con uno più vivace e rilessi la lettera che la zia Annie mi aveva lasciato. Non riuscivo a non pensare a tutto il tempo sprecato, a tutti gli anni passati ad ignorarci per pura pigrizia, per la mancanza di volontà di conoscersi ed instaurare un qualche tipo di rapporto. Era stato necessario trasferirsi a Londra, aspettare che lei stesse male per riuscire a scoprirsi e trovarsi. In fondo non me ne rendevo ancora conto; era come se lei fosse uno di quei giorni in cui non avevo tempo sufficiente per passare a trovarla all'ospizio. Ho sempre avuto problemi con la fase dell'accettazione della morte, sin da quando a tre anni avevo pianto come una disperata perché avevo trovato il mio pesce rosso Gino dritto come una tavola da surf sul pelo dell'acqua della boccia. Tempo qualche ora e già mi ero dimenticata, risollevata nello spirito dall'arrivo di Gino 2.0, un altro pesciolino regalatomi da Lily. Era bastato sostituirlo. Purtroppo con le persone non è possibile e non è nemmeno giusto. Ma nella mia mente sarebbe rimasta la convinzione che la zia fosse semplicemente in vacanza e, ancora oggi, mi aspetto di vederla entrare da un momento all'altro dalla porta con un sorriso smagliante, magari a braccetto con il signor Kerry. È un modo stupido e infantile per non darla vinta alla morte.
Portai una mano sulla fronte e cominciai a piangere; era troppo, troppo da vivere in una giornata sola: dirle addio, vedere Nick a quattrocento miglia lontano da casa sua, nella mia città. Le lacrime che scesero lungo le mie guance furono di tristezza, ma anche di consapevolezza - non solo speranza - di contare qualcosa nella vita della persona di cui ero innamorata.
Mi accovacciai sul letto di fianco e cercai di calmarmi, mentre dalle ante socchiuse della finestra s’intravedevano le prime luci della sera che conferivano alla stanza un aspetto da film dell'orrore. Stavo tentando in tutti i modi di prolungare quei momenti di solitudine, conscia in realtà di dover abbandonare ben presto il Paese dei Balocchi, in favore di un po' di sano ed autentico disordine scozzese, gentilmente offerto dalla mia famiglia.
Ad un certo punto mi sentii accarezzare i capelli con dei movimenti leggeri e delicati che mi fecero svegliare.
Cavolo, mi sono addormentata.
- "Lily?" chiesi, intravedendo nell'oscurità la figura di mia sorella, rischiarata dalla luce del corridoio.
- "Ben svegliata! - sussurrò con un briciolo d’ironia - Pensi di scendere almeno per il dolce? Già è stato difficile convincere mamma a lasciarti riposare per le portate precedenti, rinunciando così al suo arrosto e ai tre primi che aveva cucinato".
Ridacchiai e mi allungai come un gatto lungo il letto, prima di andare in bagno per darmi un'occhiata. Tralasciando i due occhi gonfi dal sonno e il segno del copriletto sulla faccia, potevo ritenermi abbastanza decente da presentarmi a tavola con i miei e Nick.
A proposito... oh, cacchio.
- "E Nick?" urlai a Lily dal bagno, sperando che cogliesse tutte le domande sottintese ed incorporate in quella elementare che le stavo ponendo.
- "Ho cercato di salvarlo dal ciclone Grace e l'ho confinato in fondo al tavolo tra Byron e Alex: si sarà sorbito la storia dei Power Rangers dalla nascita ad oggi, ma sempre meglio dei silenzi imbarazzanti di papà e i 'ti piacciono le lasagne? Non mangi gli antipasti? Non dirmi che hai già finito di mangiare, eccotene un'altra badilata da mezzo quintale!' della mamma".
- "Grazie, allora. Dammi un minuto e scendo".
- "D'accordo. Dopo ti dovrei parlare, ricordati e ricordamelo". Annuii.
Lei si avviò verso la scala e cominciò a scendere; io finii di sistemarmi i capelli e la seguii fino alla sala da pranzo. C'erano due posti vuoti con dei piatti sporchi - segno che i nonni erano già tornati a casa - e il mio posto consueto che mi attendeva. Nick stava conversando con Alex su qualche videogioco non bene identificato e la brava vecchia Grace stava rimpinzando il povero genero di formaggio per 'pulirsi la bocca' prima del dolce, come sosteneva da innumerevoli anni.
- "Eccola. - m'indicò Byron per tentare di scrollarsi di dosso l'attenzione della padrona di casa - Fame, Sam?" chiese con occhi supplicanti, ma io non ebbi pietà.
- "Assaggerò solo la torta. C'è il famoso cheesecake di Lily?".
Mia sorella non se lo fece ripetere due volte e lo prese subito dal frigorifero, cominciando ad affettarlo e distribuendolo in meno di un paio di minuti a tutti i commensali. Si schiarì la voce e rimase in piedi, pronta apparentemente a fare un annuncio.
- "Io e Byron dovremmo dirvi una cosa: aspettiamo un altro bimbo".
Mia madre scattò in piedi con una velocità pari a quella di una gazzella in corsa e si portò una mano sul cuore, fiera di sua figlia, ovviamente quella che generava vite, non quella traditrice scappata a Londra. Mio padre abbozzò un sorriso, il massimo che si poteva chiedere ad un burbero come lui e Nick si congratulò con mio cognato. Probabilmente per l'abilità dei suoi spermatozoi.
Solo il piccolo di casa mise il broncio e cominciò a sbuffare, il muso lungo che toccava la tovaglia. Posò la forchetta in malo modo sulla tavola e incrociò le braccia. Lo guardai un po' preoccupata e cercai di farlo ridere.
- "Non sei contento, puzzolino?" gli chiesi amorevole.
- "No! Non hanno chiamato bene gli angeli. Io avevo chiesto un cagnolino".
- "Forse sarà per la prossima volta" cercò d'incoraggiarlo Nick.
- "Mi dici come avete fatto tu e la zia Sammy a chiamarli per fare uscire il cane? - oh beato cielo! - Forse se lo insegnate anche alla mamma e al papà anche loro poi sono capaci di farmi arrivare un cucciolo".
Momento imbarazzante all'ennesima potenza: i miei che si guardavano sconvolti dalla poca purezza della figlia, Lily che rideva sotto i baffi e Byron che si complimentava con Nick. Anche lui per gli spermatozoi?
- "Non stavamo parlando della gravidanza di Lily?" squittii isterica.
- "No! - s'impuntò Alex - Mamma, chiedi alla zia Sammy di dirti come hanno chiamato gli angeli lei e Nick!".
- "Lex, te lo spiegheranno un altro giorno. Oggi parliamo del tuo fratellino o sorellina" intervenne mio padre, trovando d'un tratto interessante la decorazione del dolce e leggendo l'etichetta dello spumante.
- "È troppo presto per saperlo. Sono solo di sette settimane".
Mi avvicinai ad Alex e gli sussurrai nell'orecchio che sarebbe sempre rimasto il mio preferito; chiunque fosse uscito dalla pancia di sua madre non avrebbe mai potuto competere con il primo nipotino. E, dal momento che era in una fase di adorazione mia e di Nick per la performance con gli angeli che aveva fruttato un Golden retriever, sorrise compiaciuto e ricominciò a leccarsi le dita sporche di marmellata della torta. Lily gli spettinò i capelli e gli diede un bacio sulla guancia con fare materno; sapeva di avere un bambino intelligente che non avrebbe avuto problemi con l'accettare l'arrivo di un membro più in famiglia, anche se ciò avesse comportato qualche attenzione in meno.
- "Zia - insisté quello che entro poco sarebbe finito con l'essere il mio nipotino morto strozzato -, forse tu e Nick potete chiudervi in camera tua e chiamarli un'altra volta. Per me, per avere un cane. Siete più bravi della mamma e del papà, voi".
Rieccolo all'attacco. Non ha un pulsante per spegnerlo?
Mia madre s’irrigidì sulla sedia e mi lanciò un'occhiata in tralice.
- "Tesoro, vieni con la nonna in cucina" disse ad Alex, sperando di farlo tacere con un po' di budino e, finalmente!, riuscendo a distrarlo dalla conversazione più imbarazzante della storia. Lily diede un calcio all'altezza dello stinco a Byron, che sussultò spaventato, e gli indicò con dei movimenti secchi della testa mio padre.
- "Ehm... uomini! - irruppe allora mio cognato - Che ne dite di un goccio di autentico whisky scozzese in salotto? Così diamo la possibilità a un cittadino come Nick di apprezzare un liquore vero" propose in modo molto spontaneo. Nessuno ebbe qualcosa da obiettare e i tre si mossero rapidamente verso il lungo corridoio che conduceva alla stanza più isolata della casa.
Mia sorella mi arrivò subito alle spalle, occupando la sedia che era stata del figlio.
- "Non sapevo che lavorassi al call-center di Dio... certo che con uno così, anch'io una bella chiamata la farei" esclamò sincera.
- "Ti scongiuro, non rivanghiamo gli attimi disastrosi che Alex mi ha fatto vivere durante la cena" la implorai; al solo pensiero dell'espressione di mio padre di qualche attimo prima rabbrividii.
- "Mica è colpa del mio cucciolo se sua zia si fa ripassare dal belloccio di turno!" lo difese mamma chioccia.
- "Lily!" la rimproverai scandalizzata da tanta audacia verbale.
- "Non guardarmi così! Sono gli ormoni della gravidanza che parlano. E comunque ribadisco che il ragazzo è notevole" disse serafica.
- "Peccato che il suo cervello non sia altrettanto" soffiai.
- "Però è l'unico dei tuoi amici ad essere venuto fin qui. Nessun altro si è fatto metà Paese per un funerale e questo significa che ci tiene. Ah, se non fossi sposata, con un figlio a carico e uno in grembo e con un cane da far arrivare in qualche modo anch’io mi godrei la vita".
- "Mi duole deluderti, ma direi che la tua giovinezza è ormai sfiorita e non puoi più permetterti di fare certe cose". Stavo ovviamente scherzando, giacché Lily aveva solo ventinove anni e sapevo che nel giro di pochi secondi mi avrebbe rinfacciato che lei alla mia età era già sposata e incinta.
- "Sarò clemente oggi e non risponderò a tono.  -disse, invece - So che è stata una giornata pesante, perciò ti lascio andare a nanna, ammesso che tu abbia ancora sonno".
- "Temo che prima di andare a dormire dovrò accompagnare Nick in hotel".
- "Hotel? No, la mamma gli ha detto di restare. - Restare dove? Sotto il mio stesso tetto, le mie tegole, i miei spazi vitali? - Questo ovviamente prima di sapere che il ragazzo ha colto la tua virtù, che, in realtà, si era persa per strada secoli fa, ma lei mica lo sapeva".
- "Fantastico" esclamai ironica.
- "Dai, ora racimolo i miei uomini e torno a casa. Sono contenta di averti visto, sorellina! - mi stritolò in un abbraccio - Parti domani?".
- "Domani sera - annuii -, sarò a Londra per l'ora di cena. Congratulazioni per il nuovo bimbo in arrivo".
- "Grazie. Tu vedi di farmi diventare zia prima che Alex mi renda nonna!". Sembravo davvero così messa male?

Scoprii che Nick ed io avevamo prenotato lo stesso volo della British Airways in partenza dall'aeroporto internazionale di Glasgow-Prestwick alle 18.45. I miei si offrirono di dargli uno strappo, ma lui si rifiutò asserendo di voler fare un giro in città in solitaria prima di tornarsene a Londra.
Salutai tutti con la promessa di far loro visita presto, ascoltai per la tremillesima volta le raccomandazioni di mia madre sul mangiare e sul fare attenzione ai malintenzionati di cui apparentemente solo la capitale era piena, feci il check-in e mi diressi al gate. Nick era già seduto su una della lunga serie di poltroncine e stava leggendo un giornale sportivo. Lo raggiunsi e mi sistemai accanto a lui, costringendolo a notare il mio arrivo.
- "Non ti ho ancora ringraziato per essere venuto al funerale di zia Annie. Davvero, lo apprezzo e... - abbassai lo sguardo imbarazzata - Non sono molto brava in queste cose, però sono contenta che ci sia stato tu qui".
Ripiegò il giornale su se stesso, annuì corrucciando le labbra e, a sua volta, distolse lo sguardo puntandolo verso la famiglia che sedeva dietro di noi. Il suo silenzio non era esattamente la reazione che mi aspettavo. Come al solito, un passo avanti, dieci indietro; cosa carina seguita da comportamento freddo e distaccato: da manuale.
La speaker dell'aeroporto lo tolse da ogni impiccio, annunciandoci che stavamo per essere imbarcati. Ci confondemmo tra gli altri passeggeri mentre ci trasportavano verso il velivolo, lo persi di vista e non lo individuai nemmeno mentre mi sistemavo al posto indicatomi da una delle hostess. Che avesse acquistato un biglietto di prima classe?
Affondai nel sedile e sfogliai una di quelle insulse riviste che si trovano sempre sugli aerei e conversai con una signora e la figlia tredicenne con dei capelli troppo brutti per essere veri. Perlomeno servì a far passare il tempo; volevo tornare a casa, quella vera, a Londra, sola; anzi con Romeo. Oh-oh. Ma se Nick era a Glasgow, il mio gattone dove diavolo era? No, no, no. Non da Kay, un po' di pietà!
Scesi dall'aereo ed andai a recuperare il bagaglio, intenta a frugare nella borsa per trovare il cellulare. Presi al volo il piccolo trolley che avevo portato con me e chiamai Kay.
- "Sam, ho saputo di tua zia, mi dispiace tanto. Sarei tanto voluta venire al funerale, ma non potevo muovervi da Londra. Condoglianze, cara" parlò a raffica, indisponendomi già al solo sentire la sua voce. Poco da fare: non la tolleravo.
- "Grazie. Senti, ma Romeo è con te?" venni subito al sodo.
- "Sì, sì. Nick me l'ha portato prima di partire, vuoi che te lo porti?". Qualcuno mi strappò dalle mani il telefono e cominciò a parlare al posto mio.
- "Ciao, cugina. Passiamo noi, tranquilla. A dopo". Nick riattaccò e mi restituì il cellulare.
Allora sa parlare! Miracolo!
Aveva un piccolo borsone dall'aria pesante su una spalla e sembrava stanco. Dopotutto, non aveva potuto dormire quasi tutta la sera precedente come la sottoscritta.
- "Non ho mai voluto un passaggio veramente" gli feci notare.
- "In effetti, non te l'ho mai offerto" fece spallucce.
- "Ma hai detto passiamo... ".
- "Non te l'ho offerto, perché ho dato per scontato che tornassi con me". Presuntuoso del cavolo.

- "Non ho voglia di vederla" mormorai nel fuoristrada parcheggiato davanti a casa di Kay da ormai una decina di minuti. Era stata una giornata pessima e bellissima allo stesso tempo, si era bilanciata da sola, ma ero certa che se avessi incontrato la pseudo fidanzata di Will tutto quell'equilibrio si sarebbe perso, propendendo a favore della parte schifosa.
- "Ti ha tenuto Romeo per questi giorni, potresti sforzarti un minimo" cercò di farmi ragionare Nick.
- "Non ho voglia di vedere nessuno" sentenziai imbronciata.
- "Neanche me?".
- "Tu sei... tu. E sei... qui". Era così ovvio!
- "E quindi?" m'incalzò.
- "Non posso scegliere di vederti" dissi infine, con un tono scocciato.
- "Non fa una piega, Sammy" mi prese in giro.
- "Non mi va di fare niente". Abbandonai il collo sul poggiatesta e sperai che arrivassero quelle magiche parole.
- "Vado dentro io. - arrivate! - Un paio di minuti ed esco".
Mantenne la parola, arrivando poco dopo con Romeo arrabbiato e miagolante nel trasportino. Lo sistemò sul sedile posteriore e mi riaccompagnò a casa. Fermò l'auto appena sotto il mio condominio e si girò a guardarmi, un'espressione mista di stupore e preoccupazione.
- "Stai per piangere? - Scossi la testa energicamente, quando le prime lacrime già cominciavano a scendere lungo le guance - Non c'è niente di male, Sammy". Spostò una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio destro.
- "Vuoi un gelato?" chiese all'improvviso.
- "Nick, non sono Alex! Non basta un gelato per farmi passare tutto" gli feci notare, non senza riuscire a sorridere per l'offerta stupidissima che mi aveva fatto.
- "Un Martini?" domandò furbo. Scossi la testa, fingendo indecisione.
- "Già cominciamo a ragionare, ma credo che passerò per stasera".
- "Uno strip-tease?". D'accordo, ora aveva per certo un tono sexy.
- "Nessuno ti ha mai detto che fai proprio pena come consolatore di giovani donne?". Lui m’ignorò e sospirò rumorosamente con finta aria scocciata.
- "Un abbraccio? Ti avverto, è la mia ultima offerta".
Mi allungai sul sedile del passeggero senza esitazioni e gli misi le braccia attorno al collo, con il solo risultato di piangere ancora più forte di prima, mentre le sue mani mi cingevano il busto fino a stringere la stoffa del mio cappotto. Mi sentii accarezzare i capelli con delicatezza e questa volta, a differenza di quanto avvenuto alla stazione di London Bridge, lo lasciai fare, perché avevo un disperato bisogno dei suoi goffi tentativi di farmi sentire meglio. E tra le sue braccia, l'intera situazione era migliore, già per il solo fatto di essere con lui. Dopo dieci minuti di pianto ininterrotto, cercai di recuperare un po' di contegno e di normalizzare i movimenti scoordinati del diaframma, respirando con regolarità. Mi staccai da lui e lo vidi sorridere.
- "Meno male, frignona. Stavo per avere una paresi agli arti superiori" ridacchiò e si stiracchiò.
- "Mi mancherà" sospirai mesta.
- "Lo so, Sammy, lo so" disse in un microsecondo di serietà.
- "Posso avere un altro abbraccio?" chiesi, facendo la faccia da cucciolotta che tanto sarebbe piaciuta a Valerie.
- "Cosa? Non te ne starai un po' approfittando?". Era più forte di lui; pur di togliersi dall'imbarazzo del momento era disposto a comportarsi da imbecille insensibile.
- "Colpa tua che mi fai ascoltare queste canzoni tristi!" brontolai.
- "Tristi? È George Michael, più gaio di così!".
- "E tu stai approfittando della mia condizione per rifilarmi battute d’infima categoria". Scendemmo dall'auto e lui scaricò la mia valigia dal portabagagli posteriore.
- "Non stai così male se usi parole come infima. Fai parte del Comitato per il Recupero dei Termini Caduti in Disuso'" scherzò richiudendo il baule.
- "Sono troppo intelligente, che ci vuoi fare? - mi pavoneggiai, ringraziando il mascara waterproof che speravo stesse resistendo - Allora, questo abbraccio?" insistei, piagnucolando.
- "Uffa! Ma non andare in giro a dire che sono un uomo dal cuore d'oro poi".
Aprì le braccia con fare annoiato ed inclinò la testa in attesa che io mi facessi avanti e lo stritolassi come un orsacchiotto. Ed io non me lo feci ripetere due volte.
- "Non c'è pericolo, Nick" lo rassicurai.
- "Credo che sia l'unica volta in cui abbiamo trascorso del tempo insieme senza scannarci. Wow, stiamo crescendo" osservò stupito.
- "Tu stai crescendo. Io sono già cresciuta" misi subito in chiaro.
- "Sto per mollare la presa" minacciò.
- "No no!" mi opposi, stringendo di più le braccia attorno a lui. Appoggiai la testa nell'incavo del suo collo, inclinandola verso l'interno. Non so se sia stata una follia momentanea, l'incredibile vicinanza con Nick, lo scombussolamento emotivo provocato dal funerale o ancora le parole della zia, ma il risultato fu una Samantha Grayson particolarmente lasciva che tracciava una lunga scia di baci umidi sul collo del ragazzo che la stringeva.
Vidi il suo pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi rapido e in un estremo slancio di pazzia, indietreggiai di una decina di centimetri, giusto per leggere una palese insicurezza nei suoi occhi glaciali. Mi avvicinai di nuovo, baciandogli a sorpresa il labbro superiore e passando poi leggera la lingua su quello inferiore, piano. Alzai lo sguardo e notai il grosso punto di domanda che aveva stampato in faccia.
Non sprecare tempo... non sempre c'è un secondo treno.
Aspettai tre secondi -ennesima teoria di Lily: se ti vuole rifiutare, lo farà in quel mini lasso di tempo- e notai che non si era mosso di un millimetro, gli occhi puntati nei miei, in attesa di un mio primo passo. Ed io lo feci: mi alzai sulle punte delle ballerine, gli misi una mano alla base del collo e lo baciai; mi posai con delicatezza e senza fretta sulle sue labbra e giocai con esse finché non lo sentii rispondere con passione e stringere più forte tra le dita la stoffa del mio cappotto, sulla schiena. Mi avvicinò ancora di più a lui con prepotenza, sovrastandomi al punto che dovetti reggermi completamente alle sue braccia per non cadere all'indietro. La mia lingua era intrecciata alla sua ed io sentivo così tante farfalle svolazzare nello stomaco che temevo di scoppiare o di causare un uragano negli Stati Uniti.
Cominciate a farli evacuare perché non garantisco nulla!
Mi teneva così stretta che sarei potuta soffocare, ma non me ne importava. Ci fermammo soltanto quando cominciammo ad avvertire un certo debito di ossigeno. Mollammo d'istinto la presa che ciascuno dei due aveva sull'altro e ci allontanammo di qualche passo, mentre realizzavo che non sarei riuscita a nascondere un sorriso compiaciuto a lungo.
- "Grazie... del passaggio" dissi, quasi ansimando, riprendendo a respirare. Rimase senza parole e annuì, grattandosi la testa, confuso.
Dovetti usare tutto il self-control in mio possesso per non rituffarmi su quelle labbra carnose che ora stava sensualmente umettando e per non saltellare come una bambina dalla felicità fino all'ascensore - Romeo non avrebbe gradito il terremoto.
Lo lasciai sul marciapiede in preda ai suoi pensieri: ne avevo a sufficienza dei miei, sconci.
Mentre salivo fino al mio piano, non potei non notare il sorriso a trentadue denti che s'intravedeva sulla pulsantiera. Entrai in casa con il cuore a mille e lasciai scivolare la schiena sulla porta di casa, fino al pavimento. Scovai nella penombra un oggetto poggiato su una mattonella: accesi la luce e vidi che era il libro di zia Annie - consegnatomi dal signor Kerry - che doveva essermi caduto prima di partire. Il famoso rumore. Lo aprii alla pagina in cui era infilato il segnalibro e lessi le poche righe sottolineate a matita.
Non sprecare il presente a preoccuparti del futuro.
Arriverà presto, te lo prometto.
Nel frattempo, su la testa, infilati le scarpe e segui il tuo cuore fino in capo al mondo.
E mentre cammini, ricorda sempre che ogni giorno
è un dono prezioso: se riesci a godertelo per quello che è
e a coglierne il meglio, che tu ci creda o no
ti aspetta un altro straordinario regalo: Domani.
Quella sera mi addormentai con il sorriso sulle labbra. Sì, proprio quelle su cui poco prima c'erano state le sue.


No, non è un miraggio e no, non siete vittime di un colpo di sole: ho davvero aggiornato! Come qualcuna di voi avrà letto, sono stati giorni d’inferno gli ultimi, tra disavventure sentimentali di amiche da soccorrere, vari incidenti con il computer, con l'editor Nvu, con sedie che si rompono e con questo maledetto capitolo che non voleva saperne di essere pubblicato. L'ho cambiato, l'ho rigirato e modificato un'infinità di volte e questo è il massimo che sono riuscita a fare. E’ sicuramente più serio di altri, ma d’altronde parlando di morti e funerali non poteva che essere così. Mi spiace aver sacrificato la zia Annie, ma serviva all'obiettivo :(
Il titolo è diventato una fusione tra due canzoni; quella dello scorso -"Time to say goodbye" dei Simple Plan- e "Good life" che sto ascoltando in continuazione da giorni dei One Republic.
Nel capitolo, più lungo del solito, ci sono dei riferimenti a due autori: l'ultima frase è presa dal libro "Coccoliamoci" di Bradley Trevor Greive, mentre "sii la custode dei tuoi sogni" è contenuta ne "La musica del silenzio" di Sergio Bambarén.
Il riferimento, invece, alle farfalle nello stomaco che producono uragani riguarda la teoria del Butterfly Effect ("Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo").
Vi ringrazio come sempre di tutto -e soprattutto della pazienza :) Ora rispondo alle vostre gentilissime recensioni!
Ci saranno di sicuro errori, cercherò di correggerli tutti.
Un bacio
Sandra

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. Fleetwood Mac-Cord. ***


Capitolo ventotto. Fleetwood Mac-Cord.

Al tre cominci, Samantha. Uno, due, tre... tre. Tre. Tre. No, non appoggiare la testa sul tavolo e non chiudere gli occhi. Stiracchiati per bene e comincia. La vita ti ha appena dimostrato che c'è peggio di questo. E dell'odore di sudore sulla metropolitana. Anche d'inverno.
Seduta al tavolo della cucina, di prima mattina, in un castissimo pigiama di flanella a quadrettoni da fare invidia ai protagonisti de La casa nella prateria, i capelli raccolti in uno chignon stentato, c'ero io, provata emotivamente dagli ultimi eventi, e fisicamente dal più recente episodio di sbavamento sullo stripper.
Allungai la mano verso la grossa agenda traboccante di biglietti e scontrini che sembrava fissarmi beffarda dall'altra estremità della tavola; avevo rimandato e procrastinato all'infinito quel momento, ma ora era proprio inevitabile: dovevo fare i conti del mese, sommando bollette, spese varie - si possono definire 'varie' anche se il 90% finisce tutto sotto la voce 
scarpe? - e qualche uscita. Presi le buste e cominciai a scartarle, buttando distrattamente un occhio sulle cifre e riportandole sopra una delle pagine del diario. Mentre per luce e gas i conti variavano da stagione a stagione, se c'era qualcosa che si potesse definire puntuale e preciso nel groviglio scoordinato che era la mia vita, quello era senz'altro l'importo da pagare per l'uso del telefono, internet e del cellulare; mi ero auto-imposta un pacchetto tutto compreso per evitare di trovarmi a dover saldare conti milionari per chiamate, messaggi ed e-mails. Sessantacinque precisissime sterline ogni mese che costituivano uno dei rari punti fermi della mia esistenza, insieme alla visioneMarcJacobscentrica del mondo.
Perciò fu più di una sorpresa - un vero e proprio trauma con annesse conseguenze nefaste - scoprire che la bolletta di novembre prevedeva un 
enorme, gigante aumento di dieci sterline. Settantacinque. Fissai scioccata il foglio di carta della compagnia telefonica con quell'imprevisto e imprevedibile sette che sembrava aver puntato su di sé un enorme faro televisivo.
Scorsi rapida il dettaglio delle chiamate, finché non ne trovai una intercontinentale, esattamente negli Stati Uniti. 
Stati Uniti? Per quanto mi sforzassi di ricordare, proprio non rammentavo di aver mai telefonato a Will, soprattutto dopo la discussione che avevamo avuto prima della sua partenza per Portland. Perciò era improbabile se non addirittura impossibile che avessi avuto un contatto con l'America. Guardai le cifre disponibili del numero del destinatario e le digitai sul cellulare, confidando nel riconoscimento automatico del telefonino e la mia mascella cadde a terra dallo stupore nel vedere scritto sul display il nome della rubrica a cui corrispondevano quei primi numeri: Nick.
Nick. Stati Uniti.
 Qualcuno doveva essersi dimenticato di dirmi qualcosa.
In quell'istante un visitatore si attaccò al campanello di casa, producendo un martellante suono continuo che mi costrinse a tapparmi le orecchie e ad andare ad vedere chi fosse, ciondolante come un'ubriaca. La voce squillante di Warren mi anticipò, ancora prima di aprire la porta, che qualcuno era in modalità 
nonvedol'oradiraccontartituttalamiavitae, non appena spalancai l'uscio, lui entrò investendomi completamente con la sua parlantina.
- "Zucchero, tesoro, mi spiace tanto per la zia! - mi posò un bacio veloce sulla guancia, non senza aver notato con orrore la condizione pessima del mio attuale vestiario – Non sono proprio potuto venire a Glasgow né tanto meno tornare a Londra, visto che il mio capo mi aveva fatto andare a Plymouth. Sono state giornate d'inferno, senza nessuno che mi stesse a sentire, che mi ascoltasse durante i miei deliri mattutini. La gente del posto sa davvero essere superficiale: non mi ha degnato di uno sguardo! Intendiamoci, ero vestito da camionista, ma sono un bocconcino esplosivo anche con un kilt ed un imbuto in testa. Non so che avessero nella zucca quei campagnoli incivili. E dire che mi sono anche fermato a dare un consiglio ad una ragazza: le ho detto 
con garbo che sembrava una balena spiaggiata con quella minigonna aderente leopardata; e lei sai che mi ha detto? Che erano affari suoi e io le ho giustamente risposto che il fatto che lei mi imponesse di vedere quello scempio faceva dell'intera faccenda un caso di Stato... i miei occhi stanno ancora bruciando per quella insolente dai capelli crespi. Dio, Sam, erano peggio dei tuoi... ci credi? - per fortuna non lo stavo ascoltando, intenta ancora a pensare come si potesse dire 'con garbo' a qualcuno che sembrava un cetaceo arenato - Spero che ti possa consolare almeno il fatto di sapere che ero con un bel maschione di 80 kg di carne fresca e scelta con delle chiappucce da frustare". In che modo esattamente questa notizia avrebbe dovuto alleviare il mio dolore non era dato sapersi.
- "Mi sento molto meglio ora, Warren. Ti ringrazio" esclamai, incredula di essere riuscita a dire due parole nella fiumana incontenibile di Warren.
- "Ho dovuto fingere di essere etero per tutto il tempo: uno strazio. Se avessi visto il povero Lady Oscar; è stato sempre vigile di fronte ad André".
- "Il tizio si chiamava André?" chiesi curiosa.
- "No, il suo culo si chiama André. - si accasciò sul divano con aria sognante - Sono sicuro che avremmo fatto 
una grande festa alla Corte di Francia insieme".
Prese dalla tasca del cappotto un sacchetto di carta accartocciata ad un'estremità e lo lanciò sul tavolo. Ne seguii la traiettoria come un leone che ha individuato la sua preda e lo acciuffai non appena atterrò in malo modo sulla mia agenda, scatenando una pioggia di scontrini.
- "Sto morendo di fame. - urlai felice, pronta già a gustarmi un bel croissant caldo di forno. Lo aprii con l'acquolina in bocca a mille, quando vidi con immenso dispiacere che c'era solo un paio di manette pelose da sexy shop. Nulla di commestibile, o meglio: avrei potuto mangiare il pelo, ma a mio rischio e pericolo - Neanche un paio di mutande fatte di caramelle?" lagnai.
- "L'ho fatto per tirarti su di morale!" si giustificò offeso di tanta ingratitudine.  
- "Quindi vuoi che ti leghi al letto e cominci a picchiarti finché non mi sento meglio?" suggerii.
- "Certo che no" sbuffò scocciato, levando le pupille verso l'alto.
- "Vuoi che mi leghi al letto finché non sei tornato con una brioche in mano per sfamarmi e quindi sentirmi meglio?" ritentai.
- "No, Zucchero. Voglio che ci leghi Nick al letto, 
così ti sentirai meglio".
- "Voglio anche il frustino allora! " scherzai. 
- "C'era anche quello nel kit, ma ho pensato che lo dovessi testare 
io prima; sai, è un po' pericoloso. Ma non temere: poi te lo faccio provare e potrai usarlo benissimo e farci tutte quelle cose alla 'frustami e dimmi che sono porca' - improvvisò un balletto ridicolo che avrebbe fatto vergognare ogni singolo essere umano sulla Terra - che ami tanto".
Quest'immagine che si era fatto di me proprio non capivo da dove derivasse: a parte il sesso-bufala in camera di Nick, non ricordavo di avergli dato alcuna ragione di supporre che io fossi una ninfomane pornostar pronta a tutto pur di fare un giro sulla giostra: quella non ero io, era 
lui!
Mi limitai ad annuire e lui si alzò per scartabellare i vari foglietti e scontrini che erano sparsi sul tavolo e sul pavimento.
- "Stai controllando quanto ti costa il gigolò ogni mese?" gracchiò.
- "No, sto controllando quanto tempo risparmierei se evitassi di ascoltarti" risposi piccata.
- "Uh, percepisco una certa acidità nell'aria. Zucchero, è proprio ora di contattarlo quel gigolò! Che ne dici di, non so... uno stripper, ad esempio? Capelli castano chiaro, occhi di ghiaccio, chiappe d'acciaio? - Un sorriso ebete mi comparve sul viso, memore di quanto successo la sera precedente sotto il mio condominio - Cos'è quella faccia da pesce lesso?" m'interrogò Warren.
- "E' successa una 
cosina ieri". Il mio amico mi guardò in trepidante attesa.
- "E cioé?" chiese malizioso.
- "L'ho baciato. Ed è stato meraviglioso, stupendo, eccitante". Mosse le mani in aria neanche fosse un pennuto e continuò a guardarmi con interesse e attenzione.
- "E...?" m'incitò.
- "E favoloso. Non so quanto ancora resisterò prima di dirgli che sono innamorata di lui; se fosse qui lo farei in questo stesso istante".
- "Tesoro, dicevo 
e dopo cosa è successo?" arrivò direttamente al sodo, spazientito dalle mie divagazioni.
- "Niente, poi ognuno per la sua strada" feci spallucce.
- "Ma tu mi dici 
meraviglioso, stupendo, eccitante, favoloso ed alla fine scopro che gli hai dato un misero bacetto? Zucchero, a dodici anni puoi dire che un bacio è eccitante. A ventiquattro, per usare quell'aggettivo deve averti fatto almeno un po' di lavoro di mano".
- "Non era un bacetto... ci siamo baciati con la lingua!" mi sentii una perfetta idiota dopo aver detto una frase così stupida per dimostrare che non avevo dodici anni.
- "Uuuh! - mi prese in giro, aspirando aria rumorosamente - Trasgressiva!".

Riuscii a convincerlo a scendere al bar vicino per comprarmi una brioche prima che mi schiantassi al suolo, colta da un mortale calo di zuccheri causato dalla penuria di cibi in casa. Il cordless di casa suonò ed io risposi a botta sicura, praticamente certa che quella checca si fosse dimenticata per la quarantesima volta che volevo un croissant alla crema. 
- "Crema, Warren. Stramaledettissima crema!" urlai nel telefono.
- "Buono a sapersi, Sammy" rispose la voce di Nick dall'altra parte.
- "Ah, sei tu. Perché non mi chiami al cellulare?" diventai bordeaux.
- "Perché è spento, genio. - 
Ops! - Senti... ti va se ci vediamo per pranzo? Magari al bar vicino alla tua redazione, diciamo per l'una?". Mi ha invitata a pranzo? Mi ha invitata a pranzo? MI HA INVITATA A PRANZO? Improvvisai un balletto della gioia che venne interrotto qualche secondo dopo perché avevo già il fiatone.
- "Per-perfetto" risposi, ringraziandolo mentalmente perché mi stava offrendo la possibilità di fargli il terzo grado su quel dilemma della chiamata intercontinentale.
- "A dopo" riattaccò.
Accesi lo stereo con le gambe che ballavano impazzite sul pavimento e feci cadere metà dei cd che avevo diligentemente impilato nell'apposito contenitore, nel tentativo di trovare 
quell'album. Scelsi la canzone, afferrai il telecomando dell'hi-fi a mo' di microfono e cominciai a cantare.
If you wake up and don't want to smile, 
If it takes just a little while, 
Open your eyes and look at the day, 
You'll see things in a different way. 
Don't stop, thinking about tomorrow, 
Don't stop, it'll soon be here, 
It'll be, better than before, 
Yesterday's gone, yesterday's gone. 
Dont' Stop...
Stava per iniziare la seconda strofa, quando, nella mia disorganizzata performance, mi voltai in direzione della porta, scorgendovi un Warren piuttosto incredulo. Mi fermai e per un attimo capii cosa avesse provato Michael Bublé nel video di Haven't Met You Yet: lui tutto contento che canta in un supermercato con cassieri e clienti intenti a ballarci insieme e, al momento topico, dopo il suo bell'acuto finale, si accorge che è stato un sogno ad occhi aperti  e che l'unico sfigato che sta cantando è lui, mentre tutto il resto del mondo lo fissa come un povero scemo. Ecco, stavo facendo la figura della povera scema. 
- "Che. Diavolo. Stai. Facendo? - mi fissò con gli occhi fuori dalle orbite, incredibilmente serio. Abbassai subito la musica, uno sguardo sommesso che non ricordavo di aver avuto nemmeno da piccola, quando mia madre mi sgridava. Riprese fiato e cercò di controllarsi, ma poi esplose - Il secondo 
yesterday's gone è mio!".

Cinque minuti in anticipo. Ero cinque minuti in anticipo, colpa della colonia di farfalle che si erano stanziate apparentemente per sempre nel mio stomaco. Attesi impaziente che la lancetta dei minuti si posasse sul dodici, segnando l'ora piena. Non appena anche quella dei secondi arrivò su quello stesso numero, Nick MacCord fece il suo ingresso nel bar, più puntuale di uno orologio svizzero. Fece una faccia perplessa non appena mi vide da lontano, ma si avvicinò ugualmente a passo svelto e si accomodò di fronte a me.
- "Il sole di oggi deve avermi tirato un brutto scherzo: credo che tu sia un miraggio perché è impossibile che tu sia arrivata prima di me" ridacchiò.
- "Ero già in zona. - mentii. Ero ancora a casa, struccata, svestita e con un Justin Timberlake dei poveri che cercava di imitare lo mosse degli N'Sync nel salotto che non voleva saperne di ritornare sul suo camion - Sono contenta che tu mi abbia chiamato" ammisi, nervosa come una ragazzina al primo appuntamento. 
Una dodicenne forse?
- "Era la cosa giusta da fare, prima o poi ne avremmo comunque dovuto parlare, non credi?" rispose, leggendo il menu con interesse.
- "Non mi avevi detto di essere stato in America" sparai, sorprendendo lui e me stessa.
- "In America?" sollevò un sopracciglio con una espressione di stupore disegnata su tutto il viso.
- "Già. Mi è arrivata la bolletta telefonica e pare proprio che abbia fatto una chiamata intercontinentale. A te" aggiunsi con aria seria e sospettosa.
- "Avrei dovuto dirtelo?". Non mi aspettavo quel repentino cambio di versione e per qualche istante tacqui, non sapendo cosa diavolo controbattere ad una domanda del genere.
- "Sarebbe stato carino". Nick abbassò il menu e mi guardò negli occhi.
- "
Carino non significa che sarebbe stato necessario. O utile".
- "Giuro che non so come prenderti" mi arresi.
- "Io, invece, l'ho saputo fare con te quella famosa sera,no?". Disgustoso e fuori luogo.

My heart is hanging on every word you say 
Right now all logic's stripped away 
It doesn't analyze your sincerity 
It only listens and believes 
Be careful what you're saying 
You're talkin' to my heart 
Talking to my heart
Mi alzai indignata dal tavolo, seccata a morte da quell'atteggiamento spavaldo e arrogante che conoscevo ormai a memoria, che però, mai prima di allora era sfociato in tanta volgarità. Probabilmente si era rifugiato in quell'affermazione tutt'altro che delicata per togliersi dall'impiccio di rispondermi con un qualcosa di più consistente di una squallida battuta.
Si allungò sul tavolo e mi afferrò per il braccio, trattenendolo, per costringermi a farmi sedere di nuovo.
- "Scusa, ho esagerato" si giustificò.
Lo assecondai e mi riaccomodai sulla sedia, con un umore ora tutt'altro che rilassato e girando la faccia in direzione della finestra accanto a noi. Una cameriera venne a prendere le ordinazioni, ma nessuno dei due aveva idea di che mangiare, perciò le chiedemmo di tornare dopo qualche minuto. Se ne andò sorridente, lasciandoci di nuovo soli, di nuovo in un imbarazzante silenzio.
- "Ero in America... contenta?" esclamò lui, scocciato.
- "Perché?" fu l'unica domanda che uscì dalle mie labbra. Nick sbuffò e si risistemò sulla poltroncina, in evidente disagio.
- "Mi ripeti spesso che siamo amici e, non so come, sto finendo col crederci. Perciò... 
fidati" mi fissò con quell'aria angelica che avrei tanto voluto prendere a schiaffi. Ovviamente prima di saltargli addosso.
Rimuginai e meditai su quell'ultima parola qualche istante, confusa e senza nulla di intelligente da dire; mi stava chiedendo di dargli fiducia, di credere in lui e mettere da parte la mia innata curiosità, ben sapendo quanto mi costasse farlo. E allora seppi cosa avrei dovuto fare.
- "No" esclamai con voce ferma. Lo vidi tentennare, come se non avesse nemmeno contemplato l'idea che avessi potuto rispondere in quel modo. Qualche secondo di smarrimento e l'imperturbabilità ritornò ad albergare sul suo viso.
- "No cosa?" chiese serio.
- "Perché eri in America?" ignorai la sua domanda e andai dritta al punto, cosciente del fatto che più avessi cercato di impormi, più lui mi sarebbe sfuggito.
- "Non mi piace il tono che sta assumendo questa conversazione" disse infatti duro.
- "Non riesco a fidarmi. - ammisi. Si appoggiò con tutta la lentezza del mondo allo schienale della sedia, lasciando le lunghe braccia muscolose mollemente abbandonate sul tavolo - Sei stato ambiguo con me in molte occasioni e mentirei se dicessi che ti credo al 100%. Voglio che tu sia..." venni interrotta a metà della frase.
- "Se lo sono stato un motivo ci sarà ma non sono sicuro che siano affari tuoi. E comunque non mi pare che finora tu ti sia lamentata della mia ambiguità" osservò acido.
- "Lo sto facendo ora" gli risposi con tutta la tranquillità di cui disponevo.
- "Ho sempre l'impressione che tu voglia affrontare i discorsi solo quando ti fa comodo o quando si tratta di fatti che non ti riguardano". Si stava innervosendo e non riusciva a nasconderlo.
- "Il tuo atteggiamento non ci porterà lontano in questa discussione" gli feci notare, un po' intimorita dalla piega - direi disastrosa - che stava assumendo la chiacchierata.
- "Bene, allora mi preoccuperò di mantenerlo perché non ho alcuna intenzione di continuarla". Credevo si sarebbe alzato e che, furioso com'era, avrebbe raccolto cappotto e sciarpa per uscire dal bar senza aggiungere nulla. Invece, rimase seduto e si limitò a puntare lo sguardo sulla televisione appesa alla parete, sulla sua destra.
La cameriera ritornò provvidenziale a prendere le ordinazioni ed io optai per un panino vegetariano con maionese e un'acqua frizzante per digerire un sandwich che non volevo e le parole - ancor più pesanti da mandare giù - di Nick. Tipo una peperonata. Da tre tonnellate.
Lui, nel frattempo, non scrollava gli occhi di dosso alla tv, seguendo con interesse crescente le notizie del telegiornale. Cominciai a dondolare una gamba contro la sedia, con il solo risultato di essere ancora più nervosa di prima; mi faceva impazzire già la sola idea di trovarlo perfettamente rilassato e a suo agio dopo il nostro diverbio, mentre io mi stavo rodendo il fegato. Mi passai una mano nei capelli e ticchettai con le dita sulla superficie liscia della tavola che ci separava. Sbuffai, sospirai, mi voltai in qualsiasi direzione - tranne che nella sua - alla ricerca disperata di un appiglio a cui aggrapparmi per non dover riprendere la conversazione o, peggio ancora, incontrare i suoi gelidi occhi severi. Sperai invano che uscisse da qualche tombino in mezzo alla strada, dal bagno del bar o da una mongolfiera in cielo qualche faccia conosciuta: una collega -
dannazione, la redazione era in fondo alla strada! -, un conoscente, qualche amico di amici di amici di amici con cui attaccare bottone. Chiunque, porca miseria!
Intravidi la salvezza quando notai con la coda dell'occhio l'adesivo che indicava il bagno su una porta laterale.
- "Scusami un attimo". Mi gettò un'occhiata distratta e poi riprese a guardare il servizio sull'NBA in tv.
Arrivai di fronte alla toilette solo per notare quanto fosse gremita: c'era un rave lì dentro? Per un attimo maledii la tendenza tutta femminile di portarsi appresso tutte le amiche persino per fare pipì. Girai i tacchi e tornai rassegnata al tavolo, un piglio deciso che traspariva dalla voce.
- "Possiamo parlare?" dissi sicura.
- "Non sono sicuro sia una buona idea dopo quello che è successo". Ecco l'imbarazzante momento di affrontare le conseguenze  di quanto accaduto di ritorno da Glasgow.
- "Okay ti ho baciato, quante storie. Come se fosse la prima volta, poi. Una volta io, una volta tu... non mi sembra una tragedia. Capisco che possa averti sorpreso, ma era un momento particolare e tu sei stato così carino con me che in un attimo di debolezza mi sono sentita di farlo. E comunque non mi pare tu ti sia tirato indietro: se è piaciuto a me lo stesso vale per te". 
- "Parlavo della discussione di poco fa" sogghignò davanti alla mia figuraccia.
- "Ah, giusto, certo. D'accordo, parliamo della discussione di poco fa; sei stato un po' aggressivo, non credi? Io volevo solo...".
- "Ti è piaciuto baciarmi?" sorrise compiaciuto addentando il panino superfarcito che la cameriera gli aveva appena consegnato.
- "Non ricordo" tagliai corto. 
Possiamo riprovare? Solo per rinfrescarmi la memoria, ovviamente.
Strappai con le mani un pezzo di panino e lo infilai veloce in bocca, giusto per tenerla occupata, senza correre il pericolo di farne uscire qualcosa di sconveniente. Ancora.
- "Bugiarda. Io sì: - poggiò i gomiti sul tavolo, si sporse verso di me e abbassò la voce di qualche tonalità - ricordo perfettamente quando hai passato la lingua umida sul mio collo e poi sulla mia bocca. Mi hai persino dato un piccolo morso, forse senza nemmeno rendertene conto; adoro i morsi sulle labbra, sono qualcosa di estremamente eccitante, da capogiro. - Perfetto, sto andando a fuoco solo a sentirlo parlare - Non ti facevo così intraprendente, Sammy, sei un piccolo diavolo tentatore". Toccò con l'indice della mano sinistra la punta del mio naso e si fermò solo quando incontrò il solco formatosi tra le mie labbra socchiuse. Vi strisciò il dito con delicatezza e se lo portò alla bocca, leccandone la sommità lentamente. Mai desiderato essere un dito in vita mia. Tranne qualche volta il medio, soprattutto in direzione di Harmony.

All I know is the way that I feel 
Whenever you're around 
You've got a way of liftin' me up 
Instead of bringing me down 
You look at me and I just melt 
I'm scared of feeling that way 
Love in store
- "Adoro la maionese" si giustificò. Cercai di trattenere l'impulso di aprire il panino a metà e spalmarmi la salsa sulla faccia e sul resto del corpo perché fosse lui a pulirmi - con la lingua, chiaramente -, salvo poi arrossire dubito dopo al pensiero tanto ardito da farmi scattare sulla sedia. Nick si gustò l'espressione beota che avevo stampata in faccia e, bevendo un sorso della sua Coca-Cola, si voltò ancora verso la televisione accesa. 
Avvertii la suoneria del mio cellulare e mi affrettai a prendere la borsa per cercarlo, ma nel momento in cui stavo per rispondere, quello smise di squillare. Pochi secondi e mi arrivò un messaggio da parte di Warren: 
Stasera. 23.30 al 
Poison. Inutile dirti che devi vestirti da poco di buono. W.
Digitai veloce una risposta affermativa e tornai a concentrarmi sull'affascinante uomo che di fronte a me che stava affascinantemente guardando la tv. Diedi qualche morso al panino e quasi balzai in piedi quando Nick fece stridere forte sul pavimento le gambe della sedia, alzandosi, pallido in volto e deciso a rivestirsi e pagare in meno di tre secondi.
- "Che succede?" gridai allarmata, deglutendo a fatica il pezzo di pane che mi si era incastrato in gola.
- "Devo andare, scusa. N-ne parliamo un'altra volta". Aprì frenetico il portafoglio e lasciò qualche banconota sul tavolo, accanto al sandwich mangiucchiato per metà. Mentre Nick quasi travolgeva una cameriera che gli inveì contro, io mi girai meccanicamente verso lo schermo attaccato alla parete che stava trasmettendo un servizio sull'omicidio di tale Clive Burton, un signore di mezza età trovato morto in casa, probabilmente a causa di una rapina finita male. Niente foto, però, nessun dettaglio in più. Una storia come un'altra, di quelle che purtroppo vedi ogni sera in televisione e che il giorno dopo passano già nel dimenticatoio.

Nick lo conosceva? Un'ulteriore domanda da appuntarsi e da sottoporre all'attenzione del signor MacCord, non appena ne avesse avuto il tempo ovviamente. Più il mistero attorno a lui s'infittiva, più lui diventava ai miei occhi fin troppo intrigante.
Yes there's something inside of me
And it just wont' go away
Yes there's something inside of me
And it just won't go away
Something inside me


Warren, come suo solito, mi aveva abbandonato al mio destino non appena entrati al Poison. Mi ero seduta stancamente sullo sgabello davanti al bancone degli alcolici, conversando di tanto in tanto con il barman che mi stava coccolando con dei margaritas. Era un tipo simpatico, non decisamente il mio tipo con quella maglietta smanicata un po' retrò e l'ombretto nero a sottolineare la linea sotto l'occhio. La bombetta in testa poi lo rendeva una copia malriuscita di Cam Gigandet nei panni del barista Jack- appunto! - diBurlesque. Di buono c'era che aveva passato gran parte della serata a sorbirsi le mie lamentele e i miei piagnistei su un tale - un certo Nick - di cui non sapeva nulla tranne il nome. Ero partita in quarta per la serata, con un miniabito da urlo rinvenuto dal mio armadio: nero, senza spallini, con un corpetto stretto e una cerniera che partiva dal seno e arrivava fino alla fine del vestito. Tutta la gioia di uscire era sparita guardando una coppia di ventenni innamorati arrivando con il taxi al locale.
Maybe we were together in another life 
Maybe we are together in a parallel universe 
Maybe our paths are not supposed to cross twice 
Maybe your arms are not supposed to go around me 
Destiny Rules
La stavo cantando a squarciagola, stonata come solo qualche latrato di cane poteva essere, cercando inutilmente di sovrastare i decibel della musica che tuonava dalle casse a pochi metri da me.
- "Mi dici perché non mi vuole, eh Travis?" piagnucolai, entrambe le mani aggrappate al bicchiere da cocktail davanti a me.
- "Troy".
- "Ti sembra che non sia abbastanza bella, o simpatica, o intelligente, Trevor?" rincarai la dose, sperando che lui negasse di fronte all'evidentissima realtà che io fossi migliore di quella pagliaccia di Harmony. 
Se solo avesse saputo chi era.
- "Troy".
- "Solo perché non ho una quinta di reggiseno, una testa bionda ossigenata o due gambe magre e lunghissime, non significa che sia da buttare via, non credi Tray?" mi lamentai. La fase 
è il momento di crescere era rimasta a Glasgow probabilmente.
- "Troy" urlò sfinito.
Mossi la mano nell'aria, come ad indicare che non faceva alcuna stupidissima differenza il suo nome. Mi guardai attorno annoiata; moltissimi giovani si stavano scatenando in pista, regalandomi una nuova autentica emozione: potenzialmente, non ero solo brutta, antipatica o ignorante, ma pure vecchia!
- "Vieni con me" decisi all'improvviso, prendendolo per il l'avambraccio scoperto dall'altra parte del bancone. Lui, colto di sorpresa, si lasciò trascinare per qualche passo, scavalcando alcuni colleghi e bottiglie varie, salvo poi cominciare ad opporre resistenza.
- "Devo lavorare!" si lamentò, ma io lo rassicurai.
- "Ci vorrà solo qualche istante. Perché c'è pur sempre poco da vedere" aggiunsi a bassa voce, già col pensiero a quello che gli avrei mostrato. Mi feci largo tra la folla con Troy che finalmente si fece condurre fino al bagno docile come un cagnolino al guinzaglio e m'infilai diretta nel bagno degli uomini. In un locale per gay, mica avrebbero fatto caso a me che non andavo in quello delle donne! Scacciai i tre ragazzoni con più ombretto di me che stavano chiacchierando davanti agli orinatoi e sbattei la porta alle loro spalle. Afferrai con decisione la chiusura della lampo del vestito all'altezza del seno, la feci scorrere fino alla fine, poco sopra le ginocchia e aprii teatralmente i due lembi del miniabito, sulla falsariga di qualche filmetto per adulti in cui sotto l'impermeabile... 
niente.
- "Fa così schifo quello che vedi?" lo implorai, chiedendomi perché stessi chiedendo ad un gay cosa pensava di un corpo femminile. Ah, giusto, avrei ottenuto un giudizio sincero, se tutti gli omosessuali fossero stati come Warren.
Troy strabuzzò gli occhi, evidentemente stupito dal trovarsi una ragazza in intimo nel giro di tre secondi e senza nemmeno averlo chiesto! La porta si spalancò e una ragazzotta ci guardò entrambi sbalordita.
- "Non stavi lavorando? - gracchiò con voce baritonale - Mi giro un secondo e ti infili nel bagno con una sconosciuta?". Ero completamente rapita dalla figura femminile che avevo davanti: non avevo mai visto una trans da vicino ed ero curiosa di vedere come potesse cambiare il corpo di una persona da un sesso all'altro. Forse un po' morbosa come osservazione, ma non riuscii a starmene in disparte e a non avvicinarmi a lei.
- "Dio, ma che splendido lavoro che ha fatto il chirurgo con te! - dissi elettrizzata - Certo, le protesi al seno sono un po' flosce e gli zigomi ti danno ancora un aspetto abbastanza mascolino, però devo ammettere che sei quasi credibile come donna. Posso solo immaginare che duro e impetuoso sia stato il percorso per il cambio di sesso, ma mi auguro che tu ti senta meglio in questo nuovo corpo; non c'è nulla di cui vergognarsi... lo ha fatto persino la figlia di Cher, forse dovrei dire figli
o ora" affermai convinta, caricando il mio sguardo di autentica comprensione.
- "Troy, questa deficiente mi ha appena dato della trans?". 
Che suscettibile.
- "No, cara, sei una donna ora. - la rassicurai e poi mi rivolsi al fidanzato- E sappi che apprezzo molto la scelta che hai fatto di stare con lei; non tutti reggerebbero il peso di stare con una ragazza dal passato così tormentato e difficile da accettare".
- "Samantha, Sheila è..." cominciò lui, ma Warren entrò come una furia nel bagno, facendo sbattere la porta contro il braccio della ragazza - Sheila a quanto pare era il suo nome - che si massaggiò arrabbiata il punto in cui aveva ricevuto il colpo.
- "Zuccherino dove diavolo ti eri cacciata? E soprattutto che ci fai mezza nuda davanti a Troy e fidanzata?".
- "Non sono adorabili? Ma, Warry, una domanda sorge spontanea: se Sheila oggi è donna, è corretto sostenere che questi due piccioncini siano una coppia gay?" chiesi con curiosità scientifica alla Bear Grylls.
- "Tesoro, non credo che siano una coppia gay" mi spiegò.
- "Dici che sono diventati ufficialmente una coppia etero?". Mi toccai il mento pensosa.
- "Non 
diventati, lo sono sempre stati. - Continuai imperterrita a osservare le gambe di Sheila: cosce e polpacci da calciatore, senza dubbio; non sarebbero riusciti a farmi credere che lei fosse nata donna. Warrem mi prese sotto braccio e mi allontanò di qualche passo - Sam, non insistere, ti prego. E' solo incredibilmente brutta e androgina, te lo assicuro, dal momento che la conosco da anni. E Troy non è gay; ci siamo fatti un giro quando eravamo adolescenti, ma era troppo imbranato per essere omosessuale. Se non sono riuscito io a fargli cambiare sponda, non ci riuscirà nessuno".
Ero ancora più confusa di prima.
- "M-ma lui ha una maglietta smanicata! Chi, nel 2010 usa quelle cose senza essere gay?! E' quanto di più antierotico ci sia. E poi ti credo che scambio la sua ragazza per una transgender!" mi difesi.
- "Insisti?" mi fulminò l'interessata a cui risposi con una scrollata di spalle.
- "Zucchero, ha solo un pessimo gusto nel vestire. E un po' di palestra non ti farebbe male, stellina! - disse Warren serio, tastando con le mani il bicipite troppo esile per rientrare nei suoi raffinati gusti.
- "Troy, ce ne andiamo? Questi due idioti mi stanno dando sui nervi" sbuffò Sheila, prima di afferrare il polso del fidanzato e uscire dal bagno.
- "Rivestiti, Troy
etta. - scherzò Warren, aiutandomi con la zip del vestito e beccandosi un'occhiataccia- Mi congratulo con te, passerotta. Se questa era la prova generale, con Nick andrà tutto meglio. A meno che non ci sia in giro Harmony".
- "Peccato non sia una trans" commentai quasi delusa dalla mancanza della cara Harm. Ma Warry fu molto più deciso.
- "In quel caso le faccio cambiare sesso 
io a furia di calci nel sedere".

Avrei parlato con Nick. Punto.

I stopped many times to question you 
Well I told you that it was the right thing to do 
Well it's better to have loved and lost  
Then to never have loved at all 
Affaires of the heart 
Warren si era gentilmente offerto di farmi da trainer per insegnarmi le migliori tecniche per accalappiare un uomo - sembrava comunque molto più di esperto di me.
- "Potresti cominciare con una frase del tipo... aspetta che elaboro qualcosa di originale:
tu dici l'amore è un tempio, l'amore è la più nobile delle leggi; mi hai chiesto di avvicinarmi, ma poi mi hai fatto strisciare ed io non posso continuare a sopportare il modo in cui ti comporti se l'unico modo che conosci è ferire."
- "Non mi ero mai accorta che tu fossi Paul David Hewson" commentai ironica, senza distogliere lo sguardo dal cartellone pubblicitario fuori dalla finestra del suo appartamento. Mi ero fermata per la notte dopo la irripetibile serata precedente ed ora attendevo solo un intervento divino che mi concedesse le forze necessarie per passare da casa prima di andare in redazione.        
- "Chi?" starnazzò con voce stridula.
- "Bono Vox, il vero autore dei versi che stavi spudoratamente spacciando per tuoi" gli spiegai.
Warren mi fulminò con lo sguardo.
- "Noiosa. Comunque pensavo ad un finale più incisivo, ad effetto, che gli faccia capire cos'è che vuoi. Una citazione colta, ecco quel che ci vuole. - respirò a fondo e cercò di trovare una concentrazione da attore teatrale prima di andare in scena - 
Stop caring and fuck me man! Jersey Shore, terza stagione: Snooki è innamorata di Vinny, ma lui non vuole farlo con lei perché ci tiene troppo per una botta e via".
- "Una storia interessantissima, insomma. Sono sicura che Nick rimarrebbe sorpreso da tanta cultura".
- "Zucchero, la sorpresa gliela fai tu quando gli infili la mano nei pantaloni e gli afferri con l'aria da assatanata quale sei il suo...".
- "Warren!". Lui si bloccò di colpo e iniziò a guardarmi di sbieco, gli occhi ridotti a due fessure e la bocca corrucciata in una specie di mezzo bacio. Tacque per qualche istante - un autentico miracolo! - e mi fissò malizioso.
- "Devi essere una delle peggiori a letto: - decretò dopo l'attimo di riflessione - santarellina pudica all'apparenza, tigre siberiana tra le lenzuola. - abbassò gli occhi verso la cerniera dei suoi pantaloni - E' un bene per te, Lady Oscar, che tu preferisca la baguette al tarallo, perché altrimenti non avresti tregua con la cara Sam! Non ci farebbe mai uscire di casa".
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando perché sarà pure stato una forma un po' effeminata di uomo, ma sempre uomo era. E come tale il sesso era sempre in cima alle priorità e ai pensieri, anche quando si trattava di amplessi altrui.

La giornata in redazione apparì più lunga del previsto; con Valerie fuori dai giochi per qualche giorno ancora, circondata dall'apprensiva suocera irlandese, le attenzioni di Banks era incontrollatamente concentrate su di me.
- "Grayson, che combini?" mi comparve alle spalle, leggendo senza ritegno gli appunti segnati sul block notes aperto sulla mia scrivania.
- "Lavoro" gli risposi laconica, chiudendo rapida il taccuino.
- "Qualche novità sul fronte Ralph J? - Dritto al punto. Mi alzai e gli girai attorno, virando verso la macchinetta del caffè e liquidandolo con un semplice 
no. Lui non demorse e si avvicinò, la mano distesa lungo i fianchi che per qualche secondo si chiuse in un pugno rabbioso. - Non merito una risposta più esauriente?" cercò di suonare gentile, ma non me la bevvi.
- "E' tornato in carcere, è tutto ciò che so" lo sfidai guardando diritto negli occhi.
- "E allora sforzati di trovare qualcosa che io non sappia già dai giornali!" sbatté con violenza sulla scrivania più vicina - quella di Jade, che sobbalzò spaventata - una copia del 
London Express che aveva arrotolato su se stessa.
Nervosetto, eh? Lo aggirai nuovamente e ritornai ai miei appunti senza togliermi dalla faccia quel sorrisetto che lo aveva tanto irritato.

- "Lo conoscevi? - Appoggiata con le mani sulla sedia di vimini del portico di Nick, gli domandai subito quanto più mi premeva. Cavolo, avrei avuto tutto il tempo di dirgli che ero innamorata di lui, no? - Il tizio del telegiornale, quello che è stato ucciso" aggiunsi come spiegazione.
Era stanco; lo si intuiva facilmente dalle profonde occhiaie che gli solcavano il viso, di solito rilassato e riposato. Erano solo le quattro del pomeriggio e lui sembrava non aver dormito nemmeno per cinque minuti nelle ultime ventiquattro ore.
- "Più o meno. Ti anticipo che non ho voglia di sentire una ramanzina per ieri a pranzo, né tanto meno discutere con te. So di non essere stato il massimo della galanteria a fuggire, ma avevo urgente bisogno di parlare con una persona... non è stata una buona giornata". 
Doveva parlare con una persona. Sempre criptico. Quanto ancora avrei resistito in quel mare di dubbi, di se, di ma, di cose omesse o dette solo in parte? Gli guardai il viso e gli lessi una preoccupazione che non avevo mai visto prima.
- "M-mi dispiace. - biascicai - Non riguarda quello, in ogni caso". Mi guardai nervosamente la punta delle scarpe, indecisa se dirglielo oppure no. Fare la codarda o sfidare la sorte. 

Two kinds of people in this world: 
Winners, losers 
Two kinds of trouble in this world:
Living, dying 
Go insane
Poco. Avrei resistito poco in quell'oceano di incertezza.
- "Ho poco tempo, Sammy. Mi dispiace essere scortese, ma ti pregherei di essere il più concisa possibile o di rimandare ad un altro momento perché...".
- "Lo so - lo anticipai -, 
non è stata una buona giornata" ripetei a pappagallo e lui annuì di riflesso. Nell'irrazionalità più totale, desiderai piangere, invece che affrontare la realtà: tutto troppo veloce, tutto troppo sbagliato. Per quanto potessi convincermi che l'uomo davanti a me fosse la persona di cui ero innamorata, al tempo stesso ero certa che amarlo non fosse la cosa giusta. Avrei dovuto innamorarmi di un ragazzo normale, una vita trasparente, un lavoro normale, niente silenzi, niente lati oscuri, niente corsi di aggiornamento misteriosi. Forse un po' palloso, ma normale.
No, amarlo non era la cosa giusta.
Loving you isn't the right thing to do 
How can I ever change things that I feel 
Il problema era levarselo dalla testa. 
Forse avrei dovuto comunque provare, provare a farmi volere da lui, perché mi sarebbe bastato un sì da parte sua e gli avrei dato tutta me stessa. Se solo lui avesse voluto...

If I could maybe I'd give you my world 
How can I when you won't take it from me 
Go your own way
Glielo avrei detto, sfidando ogni regola di buon senso e di ragionevolezza che mi stava bussando all'orecchio in quell'istante.
- "Che devi dirmi, Sammy? - m'incalzò Nick con sguardo insistente - Riguarda la scommessa?". Non mi lasciò il tempo di rispondere e si sporse all'interno di casa e agguantò con un gesto secco il cappotto che pendeva dall'attaccapanni. Ne trasse un biglietto chiuso e me lo consegnò ancora chiuso. 
Idraulico. In quel momento mi sembrò ironico: era un messaggio per dirmi che la mia determinazione faceva acqua da tutte le parti?
- "
Barman" dissi invece. Almeno avrei fatto alcool da tutte le parti. E forse Troy mi sarebbe tornato utile.
- "Bene. Qualcos'altro? Sì, certo scusa. - Di nuovo non avevo fatto tempo a pronunciare una sola sillaba che lui aveva riagguantato il cappotto e ne aveva tratto un pacchetto color avorio sigillato con della ceralacca rossa al cui centro svettava una grossa 
N. Lo presi tra le mani tremanti e lo infilai senza pensarci nella borsa - D'accordo, penso di averti dato e detto tutto; ora se...".
- "Zitto" m'imposi.
- "Come scusa?" chiese sorpreso dalla fermezza che avevo dimostrato.
- "Stai. Zitto. - esclamai con veemenza, scandendo bene le parole per fargli intendere che non avevo alcuna voglia di essere interrotta - Ora parlo io". 
Bene, cosa dico? Cercai le parole adatte, ma al momento non mi veniva in mente nient'altro che l'immagine di Warren che cantava nel mio salotto. Raggelante.
Nick mi guardò perplesso, si scompigliò stancamente con una mano i capelli già spettinati e si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. 
- "Sono tutt'orecchi" disse con un tono quasi canzonatorio. Socchiusi gli occhi, li incollai al pavimento e cominciai.
- "Io credo di provare qualcosa per te". No, non avrei osato guardarlo in faccia mai più.


Oh, tell me who wrote the book of love 
Was it somebody from above
Surely he must know all the rules 
Knowledge not meant for mortal fools
Book of love



Allora... innanzitutto grazie mille perché continuate a leggere questa storia e a recensirla. Sono molto contenta che lo scorso capitolo vi sia piaciuto: era uno snodo importante e non è stato facile conciliare un lato più serio dovuto chiaramente alla morte dell'adorata zia Annie con un lato più ironico e leggero a cui non ho voluto rinunciare, perché questa storia vuole essere tale. Temevo che lo trovaste troppo leggero, appunto, ma ho comunque preferito dare quell'impostazione al capitolo, perché quando mi è capitato di essere nei panni di Sam, ho cercato tutto il tempo qualcuno che mi facesse ridere. Ed è esattamente quello che tenta di fare Sam: sdrammatizzare. Potrà sembra superficiale e forse anche un po' priva di tatto come cosa, ma penso che ognuno abbia le proprie reazioni di fronte alla morte.
Dopo questo sproloquio che ci tenevo comunque a fare, passiamo a questo capitolo che ha visto la luce prima della fine di agosto grazie alle sollecitazioni delle care nes-sie (che ha anche gentilmente betato, perciò ringraziamola ed invochiamola come nuova dea) e vero bigia :)
E' dedicato ai Fleetwood Mac, citati - con qualche modifica - anche nel titolo. Le canzoni citate sono:

Don't stop, Talking to my heart, Love in store, Something inside me, Destiny Rules,Affaires of the heart, Go insane, Go your own way e Book of love.
L'André citato è ovviamente l'interesse amoroso di Lady Oscar.
La canzone citata degli U2 è One.
La telefonata è avvenuta nel capitolo 15: Lies. Comprendo perfettamente chi non se ne ricordava: ho dovuto cercare per mezz'ora anche io perché non la ritrovavo più -> pessima autrice!
Il film 
Burlesque citato è quello uscito l'anno scorso con Christina Aguilera e Cam Gigandet.  
Come ho già scritto in un'altra sede, ho deciso di apportare una modifica alla trama; nulla di rilevante. Si tratta di ridurre il numero di uomini/donne coinvolti nella scommessa da 15 a dieci. Chiaramente provvederò a modificare i capitoli precedenti. Vi chiedo scusa di questo cambiamento, ma sono un'inesperta e se ho deciso di farlo è perché la sostanza della scommessa non cambia ed io eviterò di fare dei capitoli-sbrodolamenti inutili che avrebbero l'unico scopo di prolungare la storia, senza alcun senso. Mi spiace per l'inconveniente, ma questa storia  non è nata con l'impianto che ha ora e molti fattori sono stati aggiunti dopo e si vede. Mi auguro che nessuno se la prenda per questo: io tengo alla qualità della storia, non miro a mandarla avanti solo per aggiungere capitoli.
Penso sia tutto! Un bacione a tutti!
Sandra

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. You Give Love A Bad Name. ***


Capitolo ventinove. You Give Love A Bad Name.
 
Il vento mi scompigliava i capelli, mentre procedevo lentamente lungo la via sterrata con un passo lento e cadenzato. L'autunno aveva ormai privato gli alberi delle foglie, che giacevano ora sul terreno, formando un colorato pavimento che sprigionava un intenso odore di umidità.
Le mie labbra s'incresparono in un sorriso alla visione della sola compagnia che avevo: occhi scuri, sguardo vispo, portamento un po' goffo - ma comunque adorabile -, ascoltava il mio sproloquio con studiato disinteresse, precedendomi di qualche metro.
- "Non è esattamente così che mi aspettavo che andasse. Non è esattamente la reazione che mi aspettavo dopo aver confessato come mi sento. E non è esattamente qui che mi aspettavo di essere... con te poi! - ridacchiai - Non so se esserne contenta oppure odiarti per quello che hai fatto". Lui si fermò di colpo e mi guardò offeso, quasi triste per la prospettiva di sentirsi detestato dalla sottoscritta. Mi sedetti su una panchina e lo fissai intenerita.
- "Scherzo, lo sai. - lo rassicurai con una carezza - Come si fa ad odiarti? Certo, l'ultima volta te ne sei andato da casa mia senza nemmeno salutare, ma ti perdono perché in fondo mi sei mancato... e non solo a me". Ci rialzammo entrambi e ricominciammo a passeggiare in tranquillità e in religioso silenzio fino a casa sua.
Mister risalì con agilità i pochi gradini della villetta di Nick ed io lo accompagnai sin dentro, passando attraverso il piccolo portico in cui tutto era avvenuto una ventina di minuti prima.
 
Non ero nemmeno riuscita a finire di dire “Credo di provare qualcosa per te”, che il bellissimo Golden Retriever aveva già spinto con una testata la porta ed era salito quasi sulla schiena del suo padrone, coprendo con i suoi latrati le mie parole. Quando si dice un tempismo perfetto.
Nick aveva resistito all'incursione canina, aveva consultato l'orologio e tutto era apparso più chiaro. Almeno a lui.
- "Cucciolo mi spiace, ma oggi niente parco: ho troppo sonno. Accontentati del giardino" gli disse tenero, carezzandogli il folto pelo color caramello. Mister si avviò mogio mogio verso l'interno della casa ed io non potei che sentirmi ancora più in imbarazzo per il disagio di dover riprendere un discorso già difficile senza interventi animali.
- "Dicevi, Sammy?" m'incitò Nick.
- "Ah, sì... dicevo che io... ehm, ecco...". Di nuovo quel - maledetto, oserei dire - cane ci raggiunse, stavolta con il guinzaglio stretto tra i denti, ben determinato ad ottenere il suo dannatissimo giro al parco.
- "Non insistere, Mister. Oggi non se ne parla. - sentenziò Nick, stavolta con tono perentorio, e poi si rivolse a me - Scusa le interruzioni. Dimmi". Si passò pollice e indice di una mano sugli occhi stanchi e cercò di recuperare la concentrazione per ascoltarmi.
Da una parte il mio cuore e il mio cervello quasi scoppiavano per la necessità di ripetere quelle benedette parole, dall'altra il musetto di Mister mi invitava a dire tutt'altro.
- "Volevo dirti che... - temporeggiai - lo porto io al parco" mi decisi infine. Nick mi guardò sorpreso, molto probabilmente chiedendosi come diavolo potessi sapere che il suo cane aveva bisogno di sgranchirsi le zampe proprio a quell'ora. Ma era anche esausto dalla giornata infernale e non fece domande, grato che qualcuno gli togliesse l'impiccio di portare l'amato sacco di pulci a fare una pisciatina neanche troppo veloce. Mi ringraziò e agganciò il guinzaglio al collare di Mister, porgendomelo già pronto per farmi trascinare per tutto il prato dietro la villetta.
 
Ed ora eravamo tornati dopo un giro piuttosto tranquillo e una pipì chilometrica dilazionata in più riprese. Rientrammo piano e il cane, liberatosi dalla costrizione attorno al collo, si accoccolò sul tappeto davanti al caminetto acceso. Nick stava dormendo sul divano, un braccio ripiegato sotto la testa a mo' di cuscino e l'altro appoggiato sul torace. Non resistetti e mi accovacciai accanto a lui per vederlo meglio. Con la punta delle dita percorsi il profilo del naso, delle guance, delle palpebre chiuse, della bocca... per un attimo fui tentata di sostituire le dita con le labbra, ma ricacciai l'idea: se per uno sfortunatissimo caso si fosse svegliato avrei fatto la figura della pazza. Perciò mi concessi solo il lusso di agognare un suo bacio e immaginarlo svestito, sopra di me... alt. Stop. Basta!
 
Non appena varcai la porta di casa mia, Romeo mi accolse strusciandosi sui polpacci con la lunga coda pelosa, avvertendo l'odore di Mister. Dovetti trascinarmi fino al telefono per sfuggire alla sua morsa ed ascoltare la voce squillante di mia sorella registrata in segreteria che mi pregava di richiamarla. Lo feci subito: via il dente, via il dolore.
- "Alleluia! - urlò Lily dall'altra parte della cornetta - Non ti avevo detto di ricordarmi di raccontarti una cosa prima di ripartire?".
- "Sì, ma credevo fosse il fatto che sei incinta. Che altro mi devi dire, dopo aver urlato al mondo che tu e tuo marito ci date dentro nelle lenzuola?" le chiesi ironica.
- "Alex è dislessico" sparò preoccupata, ma sapevo bene che le reazioni di mia sorella - e soprattutto le sue diagnosi - erano da prendere con le pinze.
- "E da cosa l'avresti intuito?" domandai sinceramente curiosa.
- "Ha scritto male il suo nome, ha invertito le lettere. Un disastro!" gracchiò.
- "Lily, ha quattro anni! È già tanto che scriva. Non stargli addosso e vedrai che appena comincerà ad andare a scuola ti farà dei poemi epici ortograficamente perfetti. Per ora lascialo giocare in pace" la pregai.
- "Sei per caso una psicologa infantile?" tuonò acida.
- "No, nemmeno tu però! Sono solo dotata di buon senso. - bella questa! - Alex è un bambino sveglio; conoscendolo, al momento non avrà voglia di sottostare alle stupide idee di quella pazza di sua madre".
- "Guarda che non l'ho forzato!" ci tenne a precisare per convincermi. Sì, come no.
- "Lily...". Era stupefacente pensare che mia sorella credesse ancora di potermela dare a bere: poteva funzionare fino ai cinque anni - sì, facciamo fino ai quindici -, ma ora era francamente un po' troppo ottimistico.
- "Okay, d'accordo, potrei averlo pressato un tantino a scrivere il suo nome". Come volevasi dimostrare.
- "Solo Alex mi auguro... vero, Lily?" dissi con un tono minaccioso nella voce.
- "Una mamma sogna in grande! Siamo partiti da Alexander Paul Philip Graham Stratford II e poi mi sono accontentata di Alex, ma non è andata come speravo" si lagnò. Alzai gli occhi al cielo, plaudendo all'aplomb del mio nipotino - che neanche sapeva cosa fosse - per non essersi scagliato contro sua madre e averle detto di andarsene a quel paese.
- "Tuo figlio è un genio, altro che dislessico. Ha capito che sua madre è una psicotica e si è giustamente ribellato".
- "Simpatica. Allora dici di stare tranquilla?". La preferivo quando tentava di ultimare i suoi progetti di frigopolvere, o aspirafrigo, piuttosto che in versione mamma ossessionata dai successi del figlio. Spero che Alex abbia rimosso l'esperienza di ricamo al tombolo di qualche mese fa...
- "Tranquillissima" la rassicurai.
- "E se gli parlassi tu e gli chiedessi di farlo per me? Sai, magari capirebbe che per me è importante". Com'è che tutti devono parlare con qualcuno?
Sbuffai rumorosamente, maledicendo le paranoie e la testa dura di Lily.
- "Anche se gli parlassi, non credo servirebbe. Non sempre parlare è la soluzione: forse è meglio tacere, lasciare le cose come stanno, senza forzarle, perché c'è un certo equilibrio ora come ora e, se se ne discute, si rischia di rovinarlo per sempre. - qualcosa mi disse che non stavo più parlando di Alex - E di allontanarlo, magari addirittura gettandolo nelle braccia di un'altra...".
- "Un'altra mamma?". Mia sorella soffocò un urlo di terrore.
- "... e solo Dio sa che cosa farebbe con questa! Di sicuro si divertirebbero molto." dissi sprezzante, con una smorfia eloquente stampata in faccia.
- "Oddio, Disneyland no! Il mio bambino è mio, mio, mio!" strillò.
- "E sai qual è la cosa peggiore? Che alla fine sarà sempre e comunque colpa tua, perché hai provato a renderlo migliore, a rendervi migliori, insieme".
- "Va bene, Sam, basta!, mi hai convinta: Alex rimarrà analfabeta almeno fino ai trent'anni. Mannaggia a te e al tuo modo contorto di fare terrorismo psicologico. Vado al lavoro, ciao" brontolò, riattaccando.
- "Che c'entra Alex?" gridai a linea ormai interrotta.
 
Tempo di svegliarmi, il giorno dopo, ed ero già tornata all'idea di partenza: gliel'avrei detto. O la va o la spacca.
I ballerini del Pumping Pumpkin erano soliti riunirsi per provare le proprie performances ogni sera prima dell'apertura. Alle ore otto precise, giovani e aitanti ragazzi e ragazze svestivano i panni di tutti i giorni per indossare quelli di specialisti del divertimento della notte.
Io mi sarei fatta trovare lì per liberarmi di un peso. Forse era troppo presto, forse troppo tardi... ma ad un certo punto bisogna rischiare, anche e soprattutto se non si ha la minima idea di quello che succederà. L'unica cosa certa è che la tua felicità dipende da un'altra persona: è questa la più grande ingiustizia o la più grande vittoria.
Stretta in un cappotto scuro e con un basco bianco in testa, mi appoggiai ad una transenna davanti al locale e guardai la sfilata dei ballerini che entravano, regalandomi occhiate curiose. Arrivò anche José, che si guardò bene dal trattenersi a parlare con me, nel timore che potessi fargli domande scomode sulla relazione con Amanda; mi salutò e poi scappò nei camerini.
Notai Nick arrivare con il suo fuoristrada e parcheggiare nello spiazzo antistante al grosso edificio arancione. Seguii i suoi movimenti con attenzione: scese dall'auto, aprì lo sportello posteriore, ne trasse un borsone sportivo e lo richiuse, infine si sbrigò a raggiungere i colleghi già entrati. Rallentò il passo solo quando mi scorse in lontananza.
Mi sembrava che il cuore dovesse balzare fuori dal petto da tanto correva veloce, la saliva se ne andò in vacanza ed io mi ritrovai irrazionalmente pronta a confessare tutto.
- "Sammy, che ci fai qui? Sei venuta a chiedermi se tu e le tue amiche potete fare un giro nel backstage? - scherzò. Vidi le sue labbra muoversi, ma ero incapace di seguire le parole che stava pronunciando; poi sorrise e pensai che l'unica mossa intelligente da realizzare fosse fare altrettanto - Okay, sei strana. Vuoi dare una sbirciatina mentre mi cambio?" rilanciò, facendosi più vicino e umettandosi le labbra. Indietreggiai in automatico e sentii le guance arrossire violentemente. Approfittai dell'occasione per cominciare la mia filippica.
- "Sono stufa di giocare, stufa delle tue stupide provocazioni, delle cose che non dici e dei tuoi segreti. Non siamo più adolescenti, dannazione. Non credi sia arrivato l'ora di pensare al futuro e smetterla con questo atteggiamento assurdo da playboy incallito?" gridai, fumando rabbia da ogni poro.
- "Non so che diavolo ti sia preso, ma stai delirando. Si può sapere che hai?" cercò di imporsi, ma io ero determinata a seguire il filo del mio discorso.
- "Voglio che tu sia onesto con me, voglio che tu mi dica quello che ti succede, voglio che tu sia coerente, perché dici una cosa e poi agisci all'opposto. Voglio che tu la smetta di cambiare ragazza ogni sera, voglio..." mi fermai di colpo, appena in tempo per bloccare le parole che stavano per uscirmi dalla bocca. Vorrei che tu scegliessi me.
- "Di cosa stiamo parlando esattamente, Sammy? Perché non mi capacito del perché tu sia qui a farmi questo discorso oggi, su un marciapiede. Spiegami". Lo guardai in viso e capii che non era pronto; non era pronto ad ascoltare la mia confessione, non era pronto a cambiare. Non voleva cambiare.
- "Lascia stare. Buonanotte Nick" dissi stancamente e gli diedi le spalle, muovendo qualche passo verso il cuore di Soho, alla ricerca di un taxi che mi portasse a casa. La stretta forte di una mano sul mio braccio, però, mi costrinse a bloccarmi dopo un paio di metri e a girarmi verso due iridi chiare arrabbiate.
- "No, tu ora parli! - l'espressione alterata della sua faccia non ammetteva repliche - Pretendo una spiegazione e non te ne andrai di qui finché non ne avrò ottenuta una esauriente" ringhiò Nick. Con uno strattone mi liberai delle dita che mi stringevano l'avambraccio da sopra il cappotto e gli restituii un'occhiata furente.
- "Cosa c'è da capire?". Perfino un sordomuto cieco zoppo e orfano si sarebbe reso conto di quello che provavo per lui. Ma lui, il diretto interessato, no.
- "Tutto! Vieni qui, ti comporti da pazza isterica, mi urli contro e poi, come al solito, - ebbe premura di sottolineare - scappi".
- "Almeno io ho il coraggio di espormi!" lo accusai.
- "Avere coraggio di esporsi non significa gridare la propria opinione in faccia agli altri; significa restare ad ascoltare anche la risposta".
- "E allora qual è la tua risposta?" lo incalzai.
- "Finché non capirò di che cavolo stiamo parlando, dubito di poterne formulare una" sbraitò.
- "Ti comporti come se davvero non sapessi cosa provo" sussurrai a denti stretti.
- "Mi comporto così perché non lo so!" sbraitò.
- "Cosa devo dire? Cosa vuoi sentirti dire? Che ti detesto, che non ti sopporto...". Cominciai una lunga sfilza di comportamenti di lui che mi irritavano, ma lui non ci stette e rilanciò sovrastandomi con la sua voce.
- "Dio, ma che cavolo ti passa per la testa? - mi ignorò completamente - Ci dev'essere una strana congiunzione astrale pendente sulla mia testa che finirà con l'uccidermi. Mi sta facendo impazzire!".
- "... che sono innamorata di te?" dissi, senza riuscire a trattenere le parole, ma riuscendo perfettamente nell'impresa di zittirlo.
 
You're a loaded gun,
There's nowhere to run.
No one can save me...
The damage is done.
 
Non ci furono brusche e cinematografiche interruzioni in cui il principe azzurro di turno bacia appassionatamente la protagonista che gli ha appena consegnato il suo cuore in mano. Ci fu solo un grande, imbarazzante silenzio.
Nick mi fissava stordito, la bocca socchiusa dalla sorpresa, le braccia, occupate fino a quel momento in un frenetico gesticolare, ora scendevano a rallentatore per ridistendersi lungo i fianchi. Ci guardammo negli occhi, in una strana lotta tra l'azzurro spaventato e confuso dei suoi e il nocciola arrabbiato e altrettanto spaventato dei miei.
Dopo quelli che mi parvero innumerevoli minuti di studio reciproco, con il cuore che mi batteva martellante nel petto alla ricerca di una reazione sua che tardava ad arrivare, interruppi quell'estenuante attesa.
- "Di’ qualcosa. - lo implorai, un tono di voce più duro di quanto volessi - Non sto scappando, sono qui ad aspettare la tua risposta" lo sfidai, mentre cercavo di trattenere lacrime di nervosismo.
Puntò lo sguardo verso l'asfalto grigio sotto ai nostri piedi e si sforzò di parlare.
- "Non sono la persona giusta per te" disse secco.
Non sono la persona giusta per te mi ripetei, infuriandomi ancora di più.
- "È davvero tutto quello che hai da dire?" domandai, incredula che l'uomo che amavo fosse così codardo da non riuscire a mettere insieme due frasi decenti.
- "Ti farei soffrire" sussurrò con un'aria da cane bastonato, come se fosse stato lui quello rifiutato in malo modo con un'indegna serie di banalità per giustificarsi. Ecco cosa si otteneva a mettere da parte l'orgoglio e a ragionare con il cuore: uno schiaffo in pieno volto, di quelli in grado di lasciarti il segno per molto tempo.
Scossi la testa, quasi sorridendo istericamente a quelle parole. Come potevo aspettarmi qualcosa di diverso? Raccolsi i cocci della mia dignità e girai i tacchi, intenzionata a togliermi dalla vista la sua stupida smorfia che trasudava compassione e gridava scuse.
- "Mi dispiace" lo sentii aggiungere e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi voltai verso di lui al culmine della rabbia con un incontenibile desiderio di vomitargli addosso la frustrazione e la delusione che provavo in quel momento. Macinai veloce i pochi metri che ci separavano e gli arrivai quasi sotto, l'indice della mano destra a sbattergli ripetutamente sul petto.
 
Shot through the heart
and you're to blame
You give love a bad name
 
- "Ti dispiace? Sono io ad essere dispiaciuta per me stessa, perché tra tutti gli uomini che ci sono là fuori, mi sono innamorata di un idiota come te. Non ho bisogno della tua compassione, né delle tue stupide scuse. Sopravvivrò anche senza". Nick aveva incassato passivamente i colpi del mio dito sul suo torace, indietreggiando man mano che mi facevo sotto, senza nemmeno cercare di fermarmi o di ribellarsi. Ad un certo punto, però, si bloccò ed io per poco non gli franai addosso.
- "Non posso stare con te" biascicò. Smisi di dargli contro e me ne andai, fermando un taxi che transitava proprio in quell'istante. Ero spossata da quella discussione. M'imposi di non guardarlo perché sarebbe stato paradossale se fossi giunta a provare pietà per lui. Trattenni la curiosità e l'istinto di sbirciarlo con la coda dell'occhio anche quando un rumore metallico spiccò nel mezzo della via.
Afferrai il cellulare nella borsa e chiamai Warren: avevo il disperato bisogno di sfogarmi con qualcuno e lui era l'unica persona con cui poterlo fare.
- "Zucchero, meno male che qualcuno ancora si ricorda di me! Questo viaggio di ritorno da Oxford è una noia mortale e stavo iniziando a pensare di mettere un annuncio sul giornale con il mio numero di cellulare e fondare una hotline: almeno mi terrei occupato e - cosa da non sottovalutare - regalerei piacere a uomini e donne che non possono godere della mia presenza e prestanza fisica. Credo che un giorno creeranno un premio apposito per me: WarreNobel, ti piace come nome? Sarebbe consegnato ogni anno a coloro che hanno cercato di conseguire la pace nel mondo gay. Sam, tu...?".
- "Gliel'ho detto" lo interruppi brusca.
- "Hai detto a Valerie che detesto il suo vestito floreale? Oddio, quella donna mi ammazzerà" biascicò preoccupato.
- "No, Warren, - mi spazientii - ho detto a Nick che mi sono presa una cotta per lui". Mi veniva l'orticaria al solo pronunciare il suo nome. Era nauseante.
- "Ah. Ti ha detto che è gay?". Sbaglio o c'era un lumicino di speranza nella sua voce?
- "Non è andata bene. - deglutii il groppo che avevo in gola - Ed è per questo che ti chiamo".
- "Vuoi che lo sculacci per l'affronto che ti ha fatto?". Ignorai la sua domanda e proseguii con determinazione.
- "Voglio l'indirizzo di Troy" scandii.
- "Che cavolo c'entra Troy? Non dirmi che vuoi provare il chiodo scaccia chiodo; non credo serva, Zucchero".
- "Dammi quel fottutissimo indirizzo" tagliai corto. Warren si arrese facilmente - la sua versione bigotta e seria non poteva durare a lungo - e diedi le indicazioni fornitemi al taxista, che mi portò proprio davanti alla piccola casetta, distante appena qualche isolato da Soho.
Indossava un maglione grigio scuro senza camicia, un paio di jeans blu ed era a piedi nudi sul parquet chiaro. Alle sue spalle c'era un grande stanzone che sembrava di derivazione industriale, con grandi soffitti e una preponderanza del colore bianco. Che era più o meno la stessa tonalità della faccia di Troy di fronte al mio arrivo.
- "Tu sei quella dell'altra sera" realizzò mettendo a fuoco la mia figura.
- "C'è la tua fidanzata?" arrivai dritta al punto.
- "No, abbiamo litigato e credo che non si farà viva per un po'".
Perfetto: per una volta mi gira bene. Non pensare, Sam. Fallo e basta.
Gli afferrai con entrambe le mani il maglione e lo attirai verso di me, cercandogli le labbra in un impetuoso bacio, rigorosamente privo di connessioni emotive.
Ti farei soffrire.
Troy si scostò stupito dalla mia bocca e mi chiese spiegazioni.
- "C-che significa?" biascicò.
- "Significa che voglio te, stanotte" dissi seria.
- "Non sono sicuro di capire". Se possibile, era ancora più confuso di quando aveva aperto la porta e si era trovato davanti la sottoscritta.
Mi dispiace.
- "Non c'è nulla da capire nel sesso. Si fa e basta" urlai, per sovrastare i cattivi pensieri.
- "Tra mezzora devo essere al locale...".
- "E allora muoviti". Questo giocare alla femme fatale era semplicemente ridicolo, ma con l'orgoglio ridotto a brandelli e il cuore in terapia intensiva, qualunque sbaglio appariva più sopportabile di quello commesso con Nick.
Non impiegai molto a convincere Troy ad accontentarmi, dal momento che un uomo con una donna disponibile davanti e un'ingombrante eccitazione nelle mutande, nel 99% percento dei casi non si fa pregare due volte. Il restante 1% è amico di Warren.
 
Gli tolsi la maglia dall'alto, mentre lui armeggiava con i miei jeans per sganciare il bottone e aprire la lampo. Mi fece sdraiare sul divano e mi sfilò i pantaloni, passando poi a privarsene a sua volta. Slacciai la camicia e la gettai a terra insieme al cardigan che indossavo sopra. Mi baciò il seno con minuzia prima di far sparire il reggiseno e si spostò sulle labbra, ma lo scostai con veemenza: non volevo coccole, né attenzioni speciali. Non ero lì per quello.
Perché sono qui?
Quando intrufolò una mano nei miei slip sussultai, chiedendomi ancora se fosse la cosa giusta da fare. Smisi di torturarmi qualche secondo dopo perché la risposta a quella domanda la conoscevo ancor prima di presentarmi alla porta di Troy. Ma non era la risposta che volevo.
 
Chains of love got a hold on me
When passion's a prison, you can't break free.
 
Lo lasciai fare, godendo di quel tocco rude, lontano anni luce dalla delicatezza e dalla leggerezza con cui Nick aveva vagato sul mio corpo. Nick, dannazione. Era un circolo vizioso: dita di Troy dentro e su di me, paragone con quelle di Nick; odio e delusione verso quest'ultimo, maggiore passione e reazione agli stimoli del barman e poi di nuovo via con i confronti. Paradossalmente stavo facendo sesso con Troy per fare un dispetto a Nick, pur cosciente del fatto che a lui non interessava chi mi portavo a letto. Quel pensiero mi fece stringere la presa sulle spalle di Troy ed affondai le unghie più a fondo nella sua schiena. Lunghe tracce rossastre si disegnarono sotto le sue scapole, strappandogli un gemito di dolore e di piacere. Lasciai che si allontanasse di poco solo per ricambiare il favore - perché di favore si trattava: in quel neanche troppo strano do ut des toccava a me spogliarlo dell'ultimo indumento che ancora indossava e stuzzicarlo. Gli abbassai i boxer e posai la mano sulla sua erezione, cominciando a muovermi su e giù finché non fu lui a dirmi di smettere perché voleva passare ad altro. Recuperò i suoi jeans sparsi sul pavimento e ne trasse una piccola confezione argentata: l'aprì con i denti e srotolò il preservativo per infilarselo in poche abili mosse. Mi sforzai di seguire ogni suo movimento per non pensare ad altro e quando lui ebbe terminato l'operazione fui io a cercare la sua bocca. Nemmeno le sue labbra erano morbide e calde come quelle di Nick, non erano in grado di accendere i sensi come quelle peccaminose e sensuali di quel dannato MacCord.
Scivolò senza molti preamboli tra le mie cosce, dapprima piano affinché mi abituassi all'intrusione, poi sempre più veloce, facendomi soffocare un gridolino. Mi prese i polsi e li portò sopra la mia testa; sollevai il bacino per andargli incontro e permettergli di raggiungere una profondità maggiore.
Non posso stare con te.
Ogni affondo di Troy recava con sé un doloroso ricordo che sortiva l'effetto di rendermi ancora più nervosamente disponibile nei confronti del barman. Gli chiesi una tregua per allungarmi a prendere la macchina fotografica e stavolta non mi sarei accontentata di una semplice foto; gli avrei reso pan per focaccia con un video. Promisi che non l'avrei mai mostrato a Sheila, anche se lui - parlo di Troy, non della sua ragazza trans - al momento disse di considerarsi libero.
Fu appagante e totalmente privo di qualunque emozione che non fosse fisica. Era un bravo esecutore, di quelli che ti fanno uscire dal letto soddisfatta. Se fossi stata in un periodo diverso della vita, mi sarei accontenta di quello; il problema è che quando assaggi il gusto raro della passione generata da un sentimento, difficilmente poi puoi farti bastare una scopata: quando il tuo cuore batte per Lui, non ti accontenti di sesso qualunque.
 
Mi rivestii in fretta, gli chiesi di poter usare il bagno e lui me lo indicò: mi guardai allo specchio, scorgendo una figura che sperai non mi appartenesse: avevo fatto una cavolata, avevo dimenticato la regola base ‘rifletti prima di agire’ e la cosa migliore che potessi fare ora era tornare a casa e chiudermici fino alla fine dei miei giorni.
Magari prima passo da Nick e gli sbatto in faccia i boxer di Troy e gli urlo che lui non è niente, che sono già andata oltre come può ben notare... o magari no. Ragiona, Sam, ragiona.
I boxer li rubai davvero, però, e poi lo salutai imbarazzata. Fu un sollievo sentire sulla pelle l'aria fredda di fine novembre pungere come minuscoli spilli pronti a colpirmi il viso. Avvolsi più stretta la sciarpa attorno al collo e mi avviai a piedi verso il mio condominio. Erano appena le dieci di sera, e le vie della capitale erano ancora piene di turisti dalla birra facile e londinesi in cerca di un po' di divertimento. Mi scontrai con praticamente tutti quelli che mi passarono accanto; un francese alticcio mi offrì una sigaretta ed io la accettai, proprio io che avevo sempre odiato fumare. Dopo qualche tiro - che mi rese ancor più nervosa ed elettrica - la schiacciai e la gettai. Ci impiegai una vita ad arrivare al mio appartamento, ma almeno il freddo anestetizzò il corpo e, il caos dei taxi e della folla, il cervello.
Salii fino al terzo piano e ringraziai tutti i santi di essere arrivata a casa. Mi tolsi rapidamente le scarpe, senza prestare molta attenzione a dove finissero, accesi lo stereo e mi preparai a pulire casa; infilai un paio di leggins, una felpa lunga e delle calze antiscivolo. Raccolsi i capelli in una coda di cavallo e mi armai di spazzettone, stracci e scopa elettrica. Warren sarebbe stato fiero del mio look da casalinga disperata, scaricata, rifiutata, ma comunque dignitosamente sciatta.
Cambiai la disposizione di mobili e divani, spostai quadri, spolverai e sistemai le riviste nell'apposito contenitore. Alla fine mi sdraiai sfinita sulla poltrona con Romeo addosso che si era improvvisato massaggiatore shiatsu, zampettando fra le mie costole.
Il campanello suonò, ma non avevo nemmeno la forza di alzarmi. Il mio micione, però, saltò giù dalla mia pancia e si diresse alla porta e cominciò a graffiarla.
- "È aperto!" urlai. Se fosse stato uno di quegli strani religiosi che cercano di indottrinarti porta a porta mi sarei sorbita l'ennesima previsione di apocalisse, piuttosto che sollevarmi sulle gambe e sbatterlo fuori di casa a calci nel posteriore.
Romeo miagolava in continuazione e fui costretta a sporgermi verso l'ingresso per vedere chi fosse il visitatore. Scattai in piedi non appena vidi una figura conosciuta che mi sorrideva.
- "Non mi saluti neanche, Raviolo?" ridacchiò.
Sam, decidi come comportarti: fare la sostenuta, offesa dal suo comportamento, oppure gettargli le braccia al collo e dopo chiarire tutto?
Gli corsi incontro e mi aggrappai a lui e gli saltai addosso, contenta di avere un amico - etero e mentalmente stabile - con cui parlare.
- "Will, che ci fai qui?" gridai.
- "Sono tornato ieri per sistemare delle faccende e ho pensato di passare. Mi mancava la mia vicina rompipalle" esclamò con un tono che rasentava il dolce.
- "Non sei stato così affettuoso ultimamente" gli feci notare, sospettosa di tanta confidenza.
- "Sam, non mi scuserò per quello che ti ho detto prima di partire per Portland; ma ho apprezzato la tua mail, davvero". Sollevò Romeo e lo accolse tra le braccia.
- "Non hai risposto, però" lo sgridai.
- "Stavo per farlo, credimi. Poi mi hai mandato quel messaggio e mi ha fatto infuriare di nuovo, perché era la dimostrazione che non eri cambiata: la solita irritabile ragazzina che pensa di essere al centro dell'universo".
- "Quale messaggio?" chiesi confusa. Prese dalla tasca il suo cellulare e trafficò con i tasti, finché non trovò quello che stava cercando e me lo porse.
Sei una merda.
Lessi la data e mi resi conto del grande malinteso e sorrisi, spiazzandolo.
- "Lo trovi divertente?" sbottò con un briciolo d'irritazione.
- "Non scaldarti, Willy... rilassati, non era per te. Era indirizzato a Warren. - gli spiegai - Devo aver fatto confusione con i nomi della rubrica".
- "E chi è Warren?" gracchiò.
- "Warren è l'uomo più affascinante della Terra: charme infinito, portamento regale, classe sconfinata, gusto nel vestire impeccabile e una bellezza da dio greco. Metti insieme Brad Pitt, George Clooney, Richard Gere e Colin Farrell e otterrai quella meraviglia d'uomo chiamato Warren. Che poi sono io. - ridacchiò il nuovo arrivato, apparso dalla porta giusto in tempo per fornire una realistica descrizione di se stesso - Come se ci fosse bisogno di precisarlo" aggiunse, guardando Will come un leone guarda la propria preda in difficoltà.
Feci le presentazioni e li lasciai chiacchierare, mentre il mio vicino - di nuovo vicino - sbirciava di soppiatto la curiosa macchietta che faceva di tutto per mettersi in mostra, con improbabili mosse sensuali per prendere la tazza di tè sul tavolino del salotto o per allungarsi sul divano e agguantare il telecomando.
Li osservai dalla cucina, trattenendo a stento le risate dovute al serratissimo corteggiamento che stava avvenendo nel mio salone, sotto lo sguardo preoccupato di Romeo. Povero Will, conteso tra un gatto ed una checca.
Dopo qualche minuto mi resi di compassione e li raggiunsi, immersi com'erano in una conversazione sul basket.
- "Preferisco il baseball, in effetti. È uno sport completo" esclamò convinto Warren. Da quando si intendeva di attività fisica? Le uniche cose brucia-calorie che conosceva erano l'arte amatoria e quella dello shopping, ma in entrambi i casi lo smaltimento degli zuccheri era solo un effetto secondario.
- "Beh, non hai tutti i torti: - convenne Will - bisogna essere agili nel correre e afferrare la palla col guantone, precisi nella mira e forti nel saper colpire in modo da fare dei fuoricampo. Ci vuol sicuramente molto allenamento".
- "In realtà sono interessato solo alla parte della mazza e delle palle" ammiccò in direzione di Will che impallidì, in evidente imbarazzo, strappandomi un sorriso.
- "V-vado a prendere un bicchiere d'acqua" si affrettò a dire per scappare dalle pressanti attenzioni di Warren. Mentre si alzava per raggiungere la cucina, gli sussurrai in un orecchio che non aveva nulla da temere, che il caro camionista era uno di tante chiacchiere e pochi fatti, ma venni prontamente smentita dallo stesso Warren che urlò.
- "Guardati le spalle, yankee". E quando lo dice un gay, c'è sempre da stare attenti alle proprie retrovie...
- "Credo si berrà litri e litri di acqua prima di tornare; almeno così dovrà andare un sacco di volte in bagno e potrà fuggire da te" ridacchiai.
- "Digli pure di rilassarsi: me ne vado a casa. Domani mattina devo svegliarmi presto. - mi baciò veloce una guancia e si sollevò dal divano, facendomi l'occhiolino - Sei una donna in gamba, Samantha Grayson; non disperarti per un uomo, piuttosto disperati perché Dio non ti ha dotato di due tette più grandi. Questo è il vero dramma, Zucchero!". Salutò Will con un inedito miao miao William che sortì il solo effetto di mettere sull'attenti Romeo per quel plagio bello e buono. Una volta chiusa la porta, il mio vicino ricomparve con espressione circospetta.
- "Siamo soli?" chiese preoccupato, guardandosi attorno.
- "Solissimi" lo rassicurai.
 
- "Non ci posso credere che abbiamo smesso di parlare e sentirci per uno stupido disguido. Mi dispiace, Raviolo". Alzai le spalle e mi lasciai cadere al suo fianco nel letto, in camera mia.
- "Ti va di dormire qui?" gli chiesi, cercando di trovare una posizione comoda senza bloccargli la circolazione nel braccio.
- "Temevo non me lo chiedessi più" rise.
- "Posso stringerti come un orsacchiotto?" domandai, mimandolo su me stessa e dondolandomi a destra e a sinistra.
- "Puoi stritolarmi quanto voi" mi accontentò.
Will era sempre il solito: un cavaliere dall'armatura scintillante pronto ad accorrere in caso di necessità e a farsi in quattro pur di aiutare un amico.
- "Avrei dovuto innamorarmi di te... saremmo stati una coppia orribilmente bella" decretai. Lo osservai meglio e notai che non era cambiato di una virgola; stesso fisico curato, stessa luce negli occhi, stesso sorriso sincero... persino i capelli erano lunghi come l'ultima volta che ci eravamo visti! Kay era una ragazza fortunata. Troppo, per un'arpia come lei.
- "Lo penso anche io, Sam".
Anche lui pensa che sia un'arpia? Ah no, diceva di noi come coppia. Sarebbe stato troppo bello...
Decisi di chiedergli l'unica cosa che mi stesse bazzicando in testa da quando era entrato.
- "Mi stavo domandando se te l'abbia detto lui quel che successo o se tu abbia una strana antenna transatlantica che registra i miei problemi di cuore". Will esitò per qualche istante, non aspettandosi che fossi già arrivata a quella conclusione.
- "Vedo che la mia Sam ha cominciato a parlare chiaro, invece che perdersi in discutibili giri di parole. Comunque sì, l'ho saputo da Nick. Posso ancora dire il suo nome oppure devo dire ‘la parola con la N’? Sai, perché di solito voi donne fate queste cose" cercò di stemperare la tensione, ma io mi irrigidii ugualmente e inclinai la testa verso il cuscino.
- "Si è voluto lavare la coscienza?" ironizzai.
- "Era preoccupato; ha detto che sei andata via come una furia e che non aveva idea di quello che avresti potuto fare" tentò di giustificarlo.
- "Tipo andare a letto con uno?" sparai sarcastica; forse nemmeno la fantasia di Nick sarebbe arrivata a pensare a tanto. Will mi scrutò per qualche istante alla ricerca di qualche emozione sul mio viso che rivelasse che stavo solo scherzando, ma poi capì che era la pura verità.
- "Non ti dirò brava, però ti capisco. - scrollò le spalle - La vendetta è donna".
- "Non sono fiera di quello che ho fatto, ma a volte mi parte qualcosa in testa e lo devo assecondare, anche se poi finisco col pentirmene poco dopo. Dio, questa storia finirà col farmi uscire di senno".
- "E invece io sono fiero di te perché hai fatto la cosa giusta. E Nick non sa che si perde". Ed io, invece? Cosa mi stavo perdendo senza Nick?
- "Ho pensato alla lettera che mi ha lasciato mia zia Annie, sul fatto di saper cogliere l'occasione al volo e mi son detta che forse il mio treno era arrivato, e ci ho provato. È andata male, però almeno ho tentato".
- "A tal proposito ti ho portato questo". Inarcò la schiena per frugare nella tasca dei pantaloni e trarre un tubetto di Attack. Scoppiai a ridere, immaginando diversi scenari dai risvolti interessanti.
- "Cosa ci dovrei fare, incollargli le dita tra loro, oppure appiccicargli le sopracciglia o i peli pubici?". Will scosse con vigore il capo e mi consegnò nelle mani il regalino.
- "No, non è per lui! È per te" sussurrò.
- "Vuoi che mi chiuda la bocca così da non parlare più?" ipotizzai ancora.
- "Ancora no, anche se a conti fatti non sarebbe una cattiva idea. - finse di pensarci, ma subito tornò in sé con una bella manata sulla spalla da parte mia - È per mettere insieme i pezzi del tuo cuoricino". Mi stampò un bacio sulla fronte ed io mi accoccolai ancora di più contro di lui. Mi sentii pizzicare gli occhi e due lacrime mi scesero lungo le guance, in un pianto più di liberazione che di consapevolezza.
- "Non voglio piangere per lui!" battei un pugno sul materasso con rabbia, asciugandomi la faccia con la manica della felpa.
- "Raviolo, se vuoi fingiamo che tu sia commossa dal mio ritorno" scherzò Will.
- "So che preferiresti essere da Kay in questo momento a fare ben altro esercizio fisico nel suo letto, perciò vai! Prometto che non mi offenderò: sono grande ora" esclamai, sperando di essere convincente.
- "L'ho già vista prima e abbiamo già fatto attività... - Okay, questa parte non la volevo sapere - Sto con te stasera: sei la mia migliore amica, hai bisogno di me e voglio stare qui".
- "Sto creando un conflitto diplomatico tra Graysonlandia e Kaylandia?" risi, godendoci internamente di quella piccola vittoria in una giornata in cui tutto ciò che poteva andare storto era andato anche peggio.
- "Diciamo che non era felicissima di questa cosa, ma ha capito la situazione" provò a mediare Will.
- "Quindi non mi odia?" avanzai, fingendo interesse.
- "Adesso non esagerare: ti odia un po' di meno". Meglio così: d'ora in poi ci sarebbe stato posto solo per l'odio tra me e la sua famiglia. Il pensiero corse a un'altra casa, a un altro letto, a un'altra persona.
- "È la nostra canzone" disse Nick, girandosi verso di me con un mezzo sorriso sul volto.
Nostro? C'era qualcosa che si potesse definire nostra?
Mi alzai dal letto mentre Will sonnecchiava e andai in bagno per fare la doccia. Sotto il potente getto di acqua calda mi coprii la faccia con le mani e provai a scacciare via i ricordi di quella sera.
- "Tu leggi febbre, io leggo fuoco che ti porta fuori dall'oscurità. Sei superficiale, non vai mai ad indagare un po' più a fondo". Rolling in the deep.
Ci aveva visto lungo Nick quella volta; nulla a che fare con la febbre, però. La previsione di quanto accaduto era sempre stata lì, sotto i miei occhi ciechi. Con il senno di poi mi sarei potuta risparmiare un cuore spezzato e un orgoglio ferito.
Mi sentivo un Icaro moderno: ad un passo dal sogno di volare, ma anche ad un passo dal finire con la faccia nella polvere. In quegli attimi di esitazione di Nick mi ero illusa di riuscire a raggiungere il sole, salvo però poi cadere miseramente al suolo. Spinta da lui.
 
You had my heart and soul in your hand
And you played it to the beat.
 
 
 
 
Allora, allora, allora. Finalmente avete capito che il buono di turno è Will e il 'cattivo' è Nick. Avete maltrattato il povero Willy all'inverosimile, quindi ora scusatevi! :D
In generale dico che non è un capitolo facile: alcune di voi potrebbero giudicare male il comportamento di Sam per quanto accaduto con Troy, ma io ho provato ad immedesimarmi nella situazione e mi sono chiesta cosa avrei fatto al suo posto. Ed avrei fatto così; questo non mi fa onore, però sono sincera.
Volevo una reazione vera, realistica; non amo i personaggi fragili, che si piangono addosso, che si mettono in ginocchio ed implorano amore. Non volevo che Sam rimuginasse giorni e giorni su quello che è accaduto; volevo che lei dicesse 'okay, non mi vuoi? Me ne trovo altri cento'. Potrà sembrare infantile, irrazionale, impulsivo e immaturo come atteggiamento, ma Sam com'è?  E' infantile, irrazionale, impulsiva e immatura. Non sto dicendo che abbia fatto la cosa giusta, ma è una persona orgogliosa e sta solo simulando di non esserci rimasta poi così male. Non è una santa, ma non ha nemmeno la pretesa di esserlo: volevo solo fosse umana.
Detto questo, siete liberissime di giudicarla come volete :)
La canzone del titolo  - "You give love a bad name" - è di Bon Jovi e c'è anche un riferimento a "Rolling in the deep" di Adele. La scena del letto che ricorda Sam è quella del 14esimo capitolo, mentre il messaggio di cui parla Will è presente nel 24esimo.
Ringrazio nes_sie sia per il betaggio - perché lo devo a lei se questo capitolo non ha errori e orrori vari, tipo strane trasformazioni di Romeo in cane e altri obbrobri - sia per la costante pressione che mi mette per aggiornare :) E a lei ovviamente si aggiunge la donna dei manici di scopa, alias vero bigia.
Grazie a tutti come sempre e ora volo a rispondere alle vostre recensioni.
Un bacione,
S.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. Crazy, Pink Christmas. ***


Capitolo trenta. Crazy Pink Christmas.
 
Pioveva. Lungo le vie affollate della capitale, il vento gelido di dicembre s'infiltrava nei lembi di pelle lasciati scoperti dagli incauti passanti, troppo intenti a ripararsi dalle insidiose gocce d'acqua per riuscire a sottrarsi alla fredda corrente d'aria.
Una miriade di lucine colorate, festoni ed addobbi decoravano da qualche giorno le vetrine dei negozi, preannunciando l'inizio del periodo dell'anno che preferivo: Natale.
Intere schiere di turisti passeggiavano tra le strade di Londra, resa ancor più suggestiva dall'atmosfera festiva, alla ricerca di regali e souvenir anzitempo, per evitare d'incorrere nel pienone che si sarebbe creato da lì a poco con la furiosa e disperata caccia dei doni dell'ultimo minuto.
Mi sistemai meglio il berretto sulla testa e richiusi la portiera del taxi alle mie spalle, proseguendo a piedi verso il bar dell'angolo, vicino alla redazione di Music Magazine. Avevo l'impellente bisogno di un tè caldo e di biscottini al burro per poter cominciare al meglio la giornata, con Sam1 tra i piedi e Valerie che finalmente era tornata dopo la vacanza irlandese dalla suocera.
Era passata più o meno una settimana dalla mia tristemente famosa confessione davanti il Pumping Pumpkin, ed era chiaro che non ci fossero stati contatti tra me e... colui-il-cui-nome-comincia-per-enne. Warren e Will si erano uniti - purtroppo, non nel senso che Warren avrebbe voluto - per garantirmi serate di divertimento no-stop, in modo da non farmi pensare a quanto successo con... Lui. Tuttavia non era così semplice dimenticarlo. Mentre era sin troppo facile imbattersi nel ricordo dei suoi occhi o delle sue labbra incurvate in un sorriso. O di altre parti non meglio identificate del suo corpo.
I giorni avevano fatto sbollire il nervosismo, ma nulla avevano potuto di fronte al mio morale in caduta libera verso un baratro profondo. Mi ero sempre reputata una persona forte, di quelle che non si abbattono se la vita ti sbatte la porta in faccia; però, rimanevo comunque una ragazza col cuore in frantumi e l'incoerente e insensata voglia di rivalsa. Purtroppo, di fronte al rifiuto di Nick, il mio primo pensiero era stato la consapevolezza che non avrei accettato un no come risposta. Le sue parole avevano avuto su di me lo stesso potere di una bocciatura ingiusta ad un esame universitario: la prossima volta ritorno, mi preparo il doppio, e tu sarai costretto a darmi il massimo dei voti. Il problema era che non potevo 'prepararmi il doppio' per conquistarlo e, al momento, non ne avevo la minima intenzione. Nick era una partita persa a tavolino, a prescindere da tutto l'impegno che ci avrei potuto mettere.
Stavo per entrare nel bar, quando una chioma castano chiaro, corta ed arruffata, mi fece sobbalzare.
Perché, perché?
Mi appiattii con la schiena contro il muro esterno e provai ad affrontare razionalmente la situazione: Nick nel bar. Io fuori. Cuore a mille. No, questo non c'entra. Io me ne vado. Fingo che tutto ciò non sia mai successo.
Niente biscotti al burro, niente tè, ma subito a lavoro. Tanto lo stomaco, ormai, si era chiuso.
Strizzai gli occhi perché sapevo che non sarei riuscita ad andarmene senza dare un'altra occhiata a quel maledetto che se ne stava seduto ad un tavolo, regalando ai passanti una bellissima panoramica del suo profilo sinistro. Mi voltai, poggiai una mano sul muro e mi sporsi a destra di questo, sbirciando attraverso il vetro della porta.
Era concentrato nella lettura di un libro, una matita tra le dita della mano sinistra che, di tanto in tanto, probabilmente utilizzava per sottolineare qualche frase. Sul tavolo davanti a lui, c'era una tazza fumante ed un piatto vuoto con solo qualche briciola a sporcarlo. Imposi al mio cervello di staccare gli occhi dalla sua figura e di muovere le gambe verso l'ufficio, ma non mi schiodai di un solo millimetro da quella posizione. Scrutai la curva del profilo di Nick con avidità e notai a malincuore - parola più che azzeccata - quanto mi fosse mancato anche solo vedere quella sua faccia da schiaffi.
Merda, Sam, ci stai ricascando.
Il bastardo, poi, per l'occasione si era anche preoccupato di avere quello stile finto trasandato, tra i capelli arruffati e il filo di barba lasciata crescere sulle guance e sul mento, che mi mandava inevitabilmente su di giri. E di certo il libro che teneva tra le mani con fare intellettualoide non migliorava la situazione: era così da nerd che non poteva non attrarmi. Sapevo di non dover guardare The Big Bang Theory: quei piccoli cervelloni mi avevano conquistata.
- "È tua abitudine spiare la gente che fa colazione?". Una voce alle mie spalle mi fece trasalire. Mi girai in automatico verso la donna dalla quale era provenuta e, con sommo dispiacere, dovetti constatare che quello non sarebbe stato un buon giorno.
- "Ciao Katy. Vorrei poter dire che è bello vederti, ma qualcosa mi dice che non sarei del tutto sincera. - replicai piccata - Per tua informazione non stavo spiando nessuno, stavo solo guardando se c'è troppa gente all'interno del bar: odio i posti affollati, c'è aria viziata dopo qualche istante" terminai, pregando che l'allusione venisse recepita dall'odiosa consulente legale di MM.
- "Vedo che le buone maniere non ti sono ancora entrate in testa. - commentò, le labbra contratte in una smorfia disgustata - Allora che fai, entri o stai qui fuori? Giusto perché tu lo sappia, spero che tu scelga di andartene per non farmi andare di traverso la colazione: non vorrei vomitare sulla tua bella camicetta firmata".
Provaci e poi vedrai di cosa sono capace se osi affrontare la potenza creativa di Marc Jacobs.
- "Oh, non ti preoccupare, questa camicetta ne ha già viste di cotte e di crude. - mi avvicinai e abbassai la voce - Prova a chiedere a Christian". Sapevo che il caro Chris era ancora un tasto dolente per lei, e quale occasione migliore per rinfacciarle il fatto di averglielo soffiato da sotto il naso?
Come previsto, l'espressione giuliva che aveva in faccia sfumò rapidamente in un principio di rabbia e le narici che si dilatavano e restringevano a ritmo serrato ne erano un chiaro sintomo. Il sorriso che si disegnò spontaneo sul mio viso era il primo, autentico e non forzato degli ultimi giorni; ottimo risultato, considerato che la causa del mio malumore era pochi passi dietro di me.
Un signore grassoccio sui quaranta con un gilet di jeans ed i capelli lunghi e unti uscì dal locale, facendo suonare il campanellino posto sopra la porta. Passò tra me e la megera, costringendoci ad interrompere la discussione. Lo ringraziai mentalmente, perché l'arpia che avevo di fronte avrebbe potuto benissimo arpionare i miei capelli e farmi roteare per aria finché non le avessi chiesto scusa... non a caso aveva già cercato di farmi fuori in passato.
Continuammo a fissarci in cagnesco, in quel tacito accordo che prevedeva che non ci saremmo ringhiate contro a vicenda, almeno finché la porta del locale non si fosse richiusa. Cosa che non accadde: un piede s'inserì tra l'uscio e il cardine e riuscì a fermarla.
- "Ehi, Katy! Ti aspettavo". Nick uscì dal bar e si rivolse alla mia collega, sotto il mio sguardo - e le mie orecchie - allibiti. Ero così sorpresa che i due si conoscessero e che, a quanto pareva, avessero un appuntamento, che il fatto di trovarsi a mezzo metro da lui passò in secondo piano.
Se aveva intenzione di vendicarsi di quella stupida uscita con Christian aveva colto nel segno. Aveva trovato l'unica persona con cui sarebbe riuscita a ferirmi.
Tutti, ma non lui...
 
That kinda lovin'
Turns a man to a slave
 
Essendosi sporto dall'interno con la sola testa, Nick non poteva avermi visto e, perciò, continuava a fissare Katy che, al contrario, mi guardava con un'espressione di sfida, mista ad imbarazzo. Lui intercettò l'occhiata e sbiancò, la mascella contratta: non sapeva che pesci pigliare. Io avvampai e tentai di formulare una scusa plausibile nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
- "Ciao..." disse infine, gli occhi chiari sofferenti: sembrava gli procurasse dolore anche solo guardarmi e la cosa mi faceva infuriare; mi mandava fuori di testa l'idea di dispiacermi per il suo disagio e non sapevo bene se rispondere al saluto per dare un'apparenza di normalità, - almeno con Katy -, oppure semplicemente comportarmi come una donna rifiutata avrebbe dovuto fare. Prima ancora che riuscissi a raggiungere un compromesso nella mia testa, però, le mie labbra si mossero.
- "Ciao". Conciso e indolore.
- "Come stai?" si spinse a chiedere.
- "De-devo andare" tentennai con voce malferma. Infilai veloce le mani nelle tasche del cappotto e le strinsi a pugno, le unghie conficcate nel palmo. Avevo bisogno di calmarmi, di proseguire tranquilla fino all'ufficio, senza rivedere la sua faccia davanti agli occhi. Negli sguardi di entrambi c'erano gli stessi sentimenti: agitazione, imbarazzo, vergogna.
 
That kinda lovin'
Sends a man right to his grave...
 
Il cd che conteneva la performance con Troy era ormai stabilmente arroccato sul cassettone in salotto, un po' a monito di come fossi in grado di oltrepassare i limiti della decenza se punta nell'orgoglio, e un po' per non consentirmi di dimenticare quel che era successo. In realtà, era piuttosto facile ricordarsi quali fossero state le sue parole esatte.
Non sono la persona giusta per te.
Ti farei soffrire.
Mi dispiace.
Non posso stare con te.
Bastava noleggiare uno di quei mediocri film romantici di cui il mondo del cinema è pieno, per ritrovare quelle quattro frasi - forse in ordine sparso, forse persino nello stesso patetico ordine -, e quanto cercavo di dimenticare tornava alla memoria, lasciando un'identica scia di delusione, tristezza e rabbia.
L'unica notizia bella della settimana era arrivata da Will: aveva fatto domanda per un trasferimento definitivo a Londra. Suo nonno, il signor Hansen, si era inaspettatamente affezionato alla residenza americana dei Beckett e aveva deciso di prolungare il suo soggiorno fino a data da destinarsi, lasciando l'appartamento inglese nelle mani e nella disponibilità completa del nipote.
Kay era al settimo cielo dalla contentezza e aveva avvinghiato stretto stretto - come solo un koala come lei sapeva fare - il povero Will, che tanto povero non era sembrato, strizzato tra le braccia della sua fidanzata. Per un attimo - per un attimo solo! - l'avevo invidiata: un minuto prima era la ragazza di un americano che viveva a millemila chilometri di distanza e il minuto dopo aveva la possibilità di vivere la sua storia d'amore con un uomo fantastico a qualche isolato di distanza. Era una donna dannatamente fortunata ad avere lui.
Era sufficiente guardarli negli occhi per comprendere quanto sentimento ci fosse dietro. E, a proposito di dietro, anche Warren aveva deciso di organizzare qualcosa di molto particolare in vista del Natale: una festa. Non un normalissimo party, con gente che si scambia regali, auguri e baci sotto il vischio, ma un PinkChristmas, con tanto di vestiti ed accessori in rosa. In due parole “Un Incubo”, per una come me che odiava quello schifosissimo colore.
Warren, però, aveva insistito affinché partecipassi - insieme a Will e Kay - e, per evitare che mi presentassi con un abito inadeguato e soprattutto di una tinta differente da quella indicata, mi aveva regalato un tubino rosa shocking che era sicuramente un adattamento a dimensioni umane di una cianfrusaglia da Barbie - quel fiocco enorme sul decolleté ne era la prova.
Mi stavo preparando per la serata più orrendamente rosa della mia vita.
Quando sentii il telefono di casa suonare, credetti di aver trovato un attimo di pace; tra il vestito, le scarpe, il trucco, i capelli, dar da mangiare a Romeo non avevo avuto cinque minuti liberi. Mi illudevo.
- "Sam, sono Lily. Volevo dirti che ho ripensato alle tue parole e ho finalmente capito. Mi sono comportata male con Alex, sono subito arrivata a trarre le mie conclusioni senza essere adeguatamente preparata. Sono una madre degenere, perché non mi sono documentata prima di fare delle affermazioni così gravi, però ora lo posso dire con sicurezza: mio figlio non è dislessico".
Alla lunga, sapevo che ci sarebbe arrivata. Con calma.
- "Mi fa molto piacere che tu abbia capito..." cominciai, ma lei continuò imperterrita a parlare, ignorando di essere in una conversazione a due.
- "È disgrafico" sentenziò con voce lagnosa.
- "È cosa?" domandai esasperata.
Dio, ti prego, dimmi che non si è messa a inventare malattie, oltre che stupidi elettrodomestici.
- "Disgrafico! Coloro che hanno difficoltà nella riproduzione di segni alfabetici e numerici sono affetti da disgrafia. Potrebbe essere persino disprassico! Sono preoccupata, cosa devo fare?".
- "Dispra- che? E che cavolo vuol dire?" chiesi, confusa dalla miriade di termini tecnici che fuoriuscivano dalla bocca di mia sorella.
- "Questo non l'ho ancora capito. - ammise - Ma sono sicura che Alex abbia anche la disprassia!".
Ci risiamo.
- "Dove l'hai letta questa cosa?" cercai di fare chiarezza.
- "Su Wikipedia". Un'enciclopedia medica, insomma.
Raggiunsi il portatile in salotto e digitai veloce sulla tastiera del portatile il sito indicatomi. Lessi brevemente e tirai un sospiro, di nervosismo per la cocciutaggine di mia sorella e di sollievo, perché - come al solito - non aveva capito niente.
- "Se avessi letto bene, - le dissi con un tono di rimprovero nella voce - sapresti che si parla di questa benedetta disgrafia solo a partire dalla terza elementare, quando i bambini hanno già affinità con la scrittura e hanno le capacità necessarie per poter riprodurre le lettere in modo corretto. E in ogni caso dovrebbe essere l'insegnante a segnalare questa difficoltà. Ora, mi risulta che Alex sia ancora all'asilo e che nessuna maestra si sia mai lamentata".
- "Mio figlio è molto intelligente".
- "Sì, vorrei poter dire lo stesso di sua madre" sussurrai.
- "Forse è perché sono incinta" provò a giustificare il suo comportamento isterico.
Aspettavo questo momento: la gravidanza ti esonera da qualsiasi responsabilità.
- "O forse perché ti dovresti trovare un hobby, invece di torturare tuo figlio costantemente con cose che non può fare" polemizzai.
- "Quindi, anche se ha scritto Axel, io sto tranquilla".
- "Lily, pensavo che avessimo già affrontato questo argomento". Stavo decisamente perdendo la pazienza.
- "Okay, d'accordo. - disse risentita - Senti, ma come va con quel Nick?". L'incredibile talento di mia sorella di passare da un argomento idiota ad uno ancora peggiore era innegabile.
- "Va bene. Dicevamo di Alex? Pensi sia disgrafico?" tergiversai.
- "Tu te lo mangiavi con gli occhi quando sei stata qui a Glasgow. - Brava, gira il coltello nella piaga - Però devo dire che secondo me anche tu non gli eri indifferente".
- "Diciamo che soffre di una strana forma di dislessia: fatica a esprimere dei concetti di senso compiuto quando messo alle strette".
- "Eh, pazienza: ha già un bel culo, non si può pretendere che sappia anche parlare". Parole sante.
Lily in certe cose è sempre stata la migliore, senza alcun dubbio: come sessuologa sarebbe stata perfetta.
 
L'appartamento di Warren era stato trasformato nella casa di Barbie, quella smontabile, a più piani, dove anche i gambi dei fiori delle vasiere erano rosa. Disgustosamente deliziosa.
I due tavoli della cucina e del salotto erano stati uniti e ricoperti fino a terra con una tovaglia color confetto e riempiti di stuzzichini con wurstel, salmone, prosciutto e qualsiasi altro ingrediente contenesse la più leggera sfumatura di rosa.
Tra la folla di sconosciuti che stavano chiacchierando, intravidi Will e Piattola alle calcagna.
- "Buonasera! Ciao, Sam". Kay mi diede un bacio sulla guancia e per un attimo mi sembrò che il mondo si fosse fermato: che cavolo era successo perché si avvicinasse così tanto a me? Quando avevo abbassato le mie difese in quel modo?
Appunto mentale: verificare che il bacio della vipera non sia velenoso.
- "Oh, sei arrivata finalmente!". Warren guardò con disapprovazione il golf blu scuro che avevo indossato sopra quell'ignobile pezzo di stoffa che mi aveva regalato.
- "Sam, - Kay reclamò la mia attenzione - Will mi ha raccontato di te e Nick. Non puoi capire come sia dispiaciuta! Quel testone di mio cugino deve avere qualche rotella fuori posto, ma ti assicuro che quando l'ho visto l'altra sera era piuttosto scosso. Comunque sono dalla tua parte". Wow, compassione per cena!
- "Grazie" sorrisi falsa.
- "Ricordati che sei una bella ragazza e che un giorno lui si pentirà e tornerà strisciando".
A quanto pare i serpenti sono cosa di famiglia.
- "Oh, Kay, - s'intromise Warren con il tono canzonatorio di chi ritiene ingenua un'osservazione e vuole indottrinare l'interlocutore - perdonami, ma non credo che Sam abbia bisogno di sciocchi complimenti in questo momento. Ora è vulnerabile, non si è ancora ripresa, com'è giusto che sia, deve solo rimettersi in sesto e imparare a non lasciarsi coinvolgere troppo presto dalle persone. Ha bisogno solo di una cosa al momento; tre parole: Due. Tette. Nuove".
- "Per un attimo avevo quasi temuto che tu stessi per pronunciare un discorso serio: ti prego, non farlo mai più. Per quanto mi riguarda, dovrei solo imparare a stare lontano dagli uomini, e il mio livello di soddisfazione della vita aumenterebbe esponenzialmente. Forse dovremmo fare un voto a qualche Santo o una promessa: sì, prometto di tenermi lontana da qualsiasi pisello almeno per un mese. Warren?".
- "Brava" si complimentò, senza prestarmi la minima attenzione, tutta catalizzata sulla metà maschile di una coppia di coniugi sui trenta.
- "No, dovresti aiutarmi e fare la stessa promessa". lo rimbrottai, prendendogli con una mano l'orecchio destro e costringendolo a guardarmi.
- "Ah, questo è il momento in cui dovrei dire ‘anche io prometto di stare lontano dagli uomini'? D'accordo: io mi impegno solennemente a stare lon... - s'interruppe all'improvviso, la lingua tutto d'un tratto annodata su se stessa, impossibilitata a formulare una sillaba di senso compiuto - Riprovo: io mi impegno solennemente a star lontano da tut... - stavolta si portò anche le mani alla base del collo, simulando un soffocamento per qualche secondo per poi tornare serio e composto - Spiacente, Zucchero, non ce la faccio, non avverrà mai. Il popolo ha bisogno del suo re. Ed io ho bisogno di avere tra le mani un lungo e possente...".
- "Warren, autocensurati per favore" lo anticipai.
- "...scettro, stavo per dire scettro, maliziosa. E vorrei anche una tiara, molto discreta, stile Lady D al suo matrimonio". Impiegai qualche istante a ricordare l'oggetto in questione, ma di una cosa fui certa fin dal primo istante in cui pronunciò 'tiara' e 'matrimonio Lady D': erano i favolosi anni '80, era improbabile che ci fosse qualcosa che si potesse definire sobria.
- "I re indossano solo la corona" gli feci notare.
Sbuffò di fronte alla mia ottusità e si preparò a controbattere.
- "Allora faccio la regina. Dopotutto quando lo faccio con un uomo, a me piace...".
- "Non siamo amici fino a questo punto, Warren" lo fermai, prima di venire a conoscenza di dettagli intimi di cui avrei fatto volentieri a meno.
- "Bigotta! - mi rimproverò lui, facendosi pensoso - Che fa rima con mignotta".
- "Harmony" mi venne d'istinto.
- "Cosa c'entra?" mi chiese, incapace di realizzare il perché avessi citato proprio la simpaticissima amica d'infanzia di Nick.
- "Pensavo stessimo giocando a fare le associazioni mentali. Ed è appena entrata dalla porta di casa tua". Pronunciai quest'ultima frase, senza in realtà rendermene conto.
- "Sorpresa!" sghignazzò, facendomi sgranare gli occhi dallo stupore.
- "Hai invitato Harmony alla tua festa? - non fece in tempo a rispondere, perché lo spostai in modo irruente con un braccio, facendomi largo per vedere meglio - E dimmi che Harmignotta non indossa il mio stesso vestito!". Lo guardai e lui stava ancora sorridendo falsamente come qualche secondo prima.
- "Sorpresa!" ripeté imperterrito, facendo vibrare le mani aperte accanto al viso. Lo presi per un braccio e lo trascinai vicino al bagno, pronta a fare una piazzata di dimensioni bibliche.
- "In uno dei tuoi giochetti erotici ti hanno sbattuto un pisello in testa?" urlai.
- "Veramente...".
Santi numi, quest'uomo è un pervertito!
- "Era una domanda retorica: non devi rispondere! Dimmi almeno che tu non c'entri nulla nella scelta dell'abito". Il silenzio colpevole che seguì fu una conferma dei miei sospetti. Qualcuno sarebbe finito a fette sulla tavola entro la fine della serata.
- "Zucchero, l'ho fatto per te! Vi ho regalato lo stesso vestito perché tutti vedessero la differenza tra lei e te: tu sei splendida, sei elegante... lei è due gambone e una massa informe di ricci. Tu sei una diva del cinema anni '40 e lei è Barbie Porno Diva. Certo, tesoro, non avevo calcolato che le sue tette sarebbero risaltate in quel modo! Hai visto che quel ciondolo di zirconi quasi sparisce? Cielo, sembrano due zucche... anche le tue, però! Facciamo dei semi di zucca? - stava andando così bene! - Ma sai cosa succede alle zucche? Se ci pensi, la gente le compra solo ad Halloween e il resto dell'anno non se le fila nessuno" tentò di rabbonirmi.
- "E invece i semi si vendono come il pane, vero? - dissi ironica - Per di più i semi sono all'interno. Quindi, tecnicamente, seguendo il tuo ragionamento, io sarei all'interno di Harmony. Harmony è incinta di me. Oddio, è una metafora per dirmi che Harmony è incinta?". Non solo quella merda di Nick era uscito per un appuntamento con Katy, ma ora mi toccava pure scoprire che la gallina ossigenata stava aspettando un pulcino. Qualcuno doveva pregare che il pulcino in questione non avesse gli occhi color ghiaccio.
- "Harmony è incinta? Di chi?" chiese incuriosito Will, che ci stava raggiungendo in quel momento con delle noccioline tra le mani.
- "È arrivato Nick" annunciò Kay al suo fianco. Ritornata dai miei pensieri, sentii solo l'ultima parola della frase.
- "Nick?" sgranai gli occhi.
Qualche altro ospite indesiderato da attendere o potevo già ritenermi fortunata così? Manca Sam Banks e siamo al completo.
- "Beata Vergine, Harmony è incinta di Nick?" strillò Warren, invitato da tutti a tenere un tono di voce più basso per non rovinare lo spirito del PinkChristmas.
- "Vergine un bel paio di palle!" sputai, più scurrile del previsto.
- "Ehi, ragazzi". Nick si fece largo tra due giovanotti che si scambiavano effusioni vicino al camino e afferrò una pizzetta al volo dal tavolo alle nostre spalle. La giacca grigia chiara gli faceva risaltare gli occhi e il grazioso fazzoletto ripiegato nel taschino rispettava a pieno le regole della festa: il suo color rosa antico era forse poco appariscente per l'ideatore del party, ma era sufficiente.
Mi ritagliai un posticino tra le spalle di Will e quelle di Kay e decisi che ci sarei stata almeno finché Nick non si fosse allontanato da noi.
- "Nick, - lo interpellò il mio vicino - hai per caso... ingravidato qualcuno di recente?". Arrivò dritto al sodo, fingendo disinteresse mentre sgranocchiava alcuni salatini al sesamo.
- "Cosa?!" chiese stupito il nuovo arrivato.
Stavo impazzendo dalla curiosità.
 
I'm losin' my mind, girl
'Cause I'm goin' crazy
 
- "Ingravidato, inseminato, impollinato" spiegò la cugina, con dei gesti concentrici della mano ad accompagnare lo snocciolamento dei sinonimi.
- "Kay, ti prego, lascia fare a me: - s'impose Warren, ricacciandola in secondo piano e ponendosi davanti a tutti - hai fatto pascolare il tuo vitello in prati particolarmente prosperi in questi giorni?".
Non esistono pulcini con gli occhi azzurri, vero? Vero?
- "Ma di che diavolo state parlando?". Nick appariva sempre più confuso e le metafore agresti di Warren sicuramente non erano state d'aiuto.
- "Di pagnotte nel forno" spiegò quest'ultimo.
- "Da Harmignotta a Harpagnotta" commentai acida.
Pink come il fiocco che ci sarebbe stato fuori dalla porta al momento della nascita della loro bambina. Rosa.
- "Harmony?" domandò allarmato Nick.
- "È incinta" chiarì Will, che proprio non voleva saperne di allontanarsi dai pistacchi.
- "Sul serio? - ora era persino rilassato - E chi sarebbe il padre?".
- "Tu" disse serenamente Kay.
- "Non credo proprio! A meno che non abbia degli spermatozoi volanti". Immagine interessante.
Warren ritornò a farsi sentire dalla cucina.
- "Pfff, te l'avevo detto che era la nuova Vergine Maria. È il miracolo del PinkChristmas! Dev'essere così... ogni Natale che si rispetti ha la sua Vergine Maria! Ragazze, senza offesa, ma con voi avevo già perso le speranze; ora, Harmony torna a farmi sperare".
- "Ma come l'avete saputo?". Nick ignorò bellamente gli sproloqui del padrone di casa e si concentrò sull'argomento caldo del momento.
- "L'ha detto Sam" disse Will, facendo spallucce.
- "No, l'ha detto Warren!" mi difesi.
- "Ciao a tutti! - Harmony abbatté due ragazze con la tetta sinistra per farsi spazio e arrivò di fronte a Kay - Oh, Nick, sei arrivato, finalmente. Dammi un bacio, pulcino!".
Oddio, i pulcini con gli occhi azzurri esistono.
- "Ossignore, almeno risparmiatemi questa scena pietosa!" sbottai, non riuscendo a trattenermi.
- "Samantha, stai bene? Bellissimo vestito" la presunta gravida mi fece l'occhiolino, stringendosi nelle spalle, con l'ovvia conseguenza di far cozzare uno seno contro l'altro. A quel punto per il ciondolo che le pendeva dal collo non c'era più nulla da fare: morte per asfissia.
- "Sei incinta?". Kay non andò molto per il sottile.
- "Certo che no! - strillò indignata - La gravidanza è nausee mattutine, aumento di peso, smagliature, voglie improvvise, piedi gonfi ed ormoni in quantità industriale. Quindi, è ovvio che non sia il mio caso: il giorno in cui mi verrà una smagliatura probabilmente non mi vedrete più in giro". Per un attimo fui tentata - molto seriamente - di dirle che ne aveva una proprio sulla coscia, ma il senso di bontà scaturito dal PinkChristmas mi fece desistere.
- "Zucchero, allora perché ti sei inventata questa fesseria?". Sì, certo, ora era pure colpa mia!
- "Io? Sei stato tu con tutta quella storia delle zucche e dei semi!".
Non voglio i pulcini con gli occhi azzurri, non li voglio.
- "Io volevo solo dire che tu dai la vita, e che lei muore nel giro di un giorno. Sventrata" si giustificò Warren.
- "Quindi è Sam quella incinta!" concluse rapida Kay.
Il padrone di casa si lasciò sfuggire un gridolino isterico a metà tra l'inorridito e lo stupito.
- "Oddio, è Troy il padre?" domandò impaziente.
- "Chi è Troy?" chiese gelido Nick.
Pink come le mie guance di fronte agli occhi sospettosi di Will, Kay, Warren, Harmony e ovviamente Nick.
- "Non sono incinta!". D'accordo, questa era un po' come rispondere verde alla domanda ‘quanti anni hai?’, ma la situazione era già abbastanza imbarazzante senza che io aggiungessi dettagli hot della mia vita sessuale.
- "Torta? - propose il padrone di casa all'improvviso, prendendo un bicchiere di spumante dal tavolo e attirando l'attenzione di tutti gli ospiti che vagavano nel suo salotto - William, per cortesia, potresti tagliare la pinktorta? Buon PinkNatale a tutti".
Kay si offrì di aiutare il suo fidanzato nel taglio e nella distribuzione di dolce, mentre Warren lasciava la stanza insieme ad Harmony, con la promessa di mostrarle il suo ultimo acquisto. Feci un passo per raggiungere il bagno, ma il metro e ottantacinque di Nick mi si parò davanti, sbarrandomi la strada.
- "Chi è Troy?" ripeté, il tono di voce forzatamente piatto.
- "Nessuno che tu debba conoscere" risposi fredda, mentre sistemavo alcuni tovaglioli caduti dalla pila centrale.
- "Ci vai a letto?". Quelle parole mi fecero rabbrividire la spina dorsale. Alzai lo sguardo e mi girai verso di Nick.
Non guardargli la bocca, Sam.
 
Pink on the lips of your lover, 'cause
Pink is the love you discover
 
- "Cosa?!" esclamai confusa.
- "Nemmeno una settimana fa hai detto di essere innamorata di me e adesso scopro che ti scopi un altro?". Stava per piegare in due il piatto di plastica che teneva in mano; se ne accorse e si affrettò a poggiarlo sul tavolo alle mie spalle.
- "Qual è il tuo problema, Nick? Mi hai fatto intendere chiaramente di non volermi e io ho tutto il diritto di andare avanti. Ti aspettavi che stessi a piangere per te per il resto dei miei giorni?" cercai di controllare la mia reazione.
- "Mi aspettavo che fosse vero quello che mi hai detto". Mi aveva attirato in un tranello dal quale non sarei uscita indenne: avrei potuto dire che mi ero sbagliata, che forse i miei sentimenti non erano così profondi come credevo e a quel punto gli avrei confermato di avere torto; oppure avrei potuto dire che sì, ero certa di amarlo, contraddicendomi coll'ammissione di essere finita tra le braccia di un altro.
Era il momento di rispondere alla prima domanda, quella da cui tutto era nato.
- "Troy è un barman. Ci sono andata a letto per la scommessa. Contento? - lo sfidai con gli occhi - Ho fatto quello che mi sentivo di fare, ma questo non ti autorizza ad accusarmi di averti mentito. Non mi sono umiliata di fronte a te per un capriccio o per una stupida cotta. Non è andata come speravo e me ne sono fatta una ragione. Spiegami perché sei qua ad esigere chiarimenti su cose che non ti riguardano. Se non capisci cosa vuoi Nick, non dare la colpa a nessuno, men che meno a me".
 
I want to be your lover
I wanna wrap you in rubber
As pink as the sheets that we lay on
 
- "Io non sto pretendendo nulla" provò a dire lui, ma ormai non lo stavo nemmeno a sentire.
- "Rivolgi le tue pretese a Katy, non a me" sbottai.
- "Katy non c'entra nulla. Si tratta di me e te".
 Di me e di te?
- "Non c'è un 'me e te'. - scandii bene le parole, perché non avrei avuto il coraggio di ripeterle un'altra volta - Esisti tu e la tua vita piena di segreti, ed esisto io che cerco di dimenticarti."
- "È questione di coerenza" tentò.
- "Tu sei completamente fuori di testa! Una persona normale, che non ricambia i sentimenti di un'altra, non fa scenate se questa si trova qualcun altro. E-È sollevata, è felice per lei. Tu, invece, sei qui a reclamare la povera deficiente che ti corre dietro. Sei un egoista, un megalomane, un egocentrico che ha bisogno di conferme. Ma non ti darò la soddisfazione di ripetere quanto ho già detto. Buona serata, Nick. Goditi la festa".
Lo piantai in asso, senza attendere risposta, e strappai dalle mani di un invitato un bicchiere di vino bianco, trangugiandolo tutto d'un sorso.
 
Cercai di divertirmi per il resto della serata, ballando con Warren e il suo improbabile smoking color rosa porcellino e i camerieri vestiti da Babbo Natale versione drag queen.
Chissà quanto extra avrà pagato per convincerli a conciarsi in quel modo...
Will si tolse ben presto la cravatta e la agitò in aria come un lazzo da cowboy, catturando chiunque fosse nei paraggi. Che - casualmente - coincise sempre con la persona della sua fidanzata, dispensatrice di sguardi assassini e strategiche gomitate alle giovani fanciulle che osassero entrare, nel raggio di un metro e mezzo, nello spazio del mio vicino.
Ma la costanza e la perseveranza di Warren erano ammirevoli; nonostante fosse palese che Will non parteggiasse per il suo stesso Team - e la presenza della cozza al suo fianco ne era una testimonianza -, provò a corteggiarlo tutta sera. Gli si avvicinò con passo felino e si sedette sul divano accanto a lui, rubando il posto di Kay che si stava accomodando esattamente lì.
- "Ciao William" gli disse sensuale.
- "Ti prego, Will; solo mia madre mi chiama William e solo quando è arrabbiata. Mi fa sentire sotto processo" si lamentò l'altro.
- "Tutto questo per dirmi che vuoi giocare al poliziotto buono e quello cattivo? Io faccio quello cattivo: non sono bravo a fare quello buono" sussurrò lascivo, provocando un sussulto al mio povero vicino che sbarrò gli occhi. Si allentò con una mano il nodo della cravatta e bevve del vino che avevano appena servito.
- "Warren, - intervenni - lascialo respirare. Mi stupisce il fatto che nessuno ti abbia ancora denunciato per molestie".
- "Oh, solo un piccolo ordine restrittivo di parecchio tempo fa, nulla di che. Ero un ventinovenne giovane e inesperto all'epoca" ridacchiò.
Feci un breve calcolo e lo guardai con aria interrogativa.
- "Allora era l'anno scorso, Warren".
- "Zucchero, è un piacere sapere che sai fare i conti, ma, indovina un po'?, a nessuno interessa parlare di te. Dicevamo, Will?" indugiò su quell'ultima lettera del nome, aprendo completamente la bocca e pronunciandola in modo tale che si vedesse bene la sua lingua.
- "È ora di andare. - decise Kay per tutti - Sam, ti diamo un passaggio". Non era una domanda, era un'imposizione, nel perfetto stile della famiglia MacCord-cognomediKaychenonconosco.
Nick era sparito da un pezzo, ma decisi di fregarmene.
Accettai di buon grado lo strappo fino a casa, con i piedi martoriati dai tacchi e la testa pesante per via dell'ora tarda.
Warren aveva insistito per darmi un piccolo regalo prima di lasciare casa sua; conoscendo la mia passione per le commedie romantiche, mi aveva regalato un dvd di La verità è che non gli piaci abbastanza e aveva aggiunto che avrei trovato da sola la citazione che più mi si addiceva.
C'era anche un biglietto firmato da lui: So di non essere un grande ascoltatore, perché chiaramente ho mille altre doti. Ma io ci sono per te. Sempre. Warren.
Mi sdraiai sul letto soddisfatta: anche senza Nick - o, forse, addirittura grazie alla mancanza di Nick - avevo una vita fantastica. Almeno avrei vissuto in quest'illusione fino alla mattina seguente.
 
"Non consumare le tue belle scarpe nuove - e nemmeno quelle vecchie - per correre dietro ad un uomo che non ti vuole. Usale, piuttosto, per prenderlo a calci nel culo. Impara l'arte dell'essere donna. Impara l'arte di ottenere dagli uomini quello che desideri, non sbattendo i piedini, ma facendogli credere che siano stati loro a decidere.
Impara a scegliere invece che essere scelta".
 
Pink gets me high as a kite
And I think everything is going to be all right
No matter what we do tonight.
 
Ecco, anche il 30esimo capitolo è andato e la fine si avvicina! Ho calcolato un massimo di 7 capitoli ancora, dopodiché la storia potrà considerarsi conclusa.
Direi che l'aspetto più importante è che Warren ha scoperto di avere un cuore! Miracolo! Povero, era ora di mostrarlo!
Il titolo è composto da due canzoni degli Aerosmith, "Crazy" e "Pink" e sono citati il telefilm "The big bang theory" e il film "La verità è che non gli piaci abbastanza", che consiglio :)
Come al solito vi ringrazio tutti perché leggete e recensite; un ringraziamento va alla triade di rompiscatole Ven, Vero e Ale che mi spronano ad aggiornare. Un grazie speciale a Nes che si è prestata a betare il capitolo a pezzi e poi tutto insieme, visto il casino che ho fatto nello scrivere.
Ora rispondo con calma alle recensioni!
Un bacione,
S.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. You Learn. ***


Capitolo trentuno. You Learn.
 
Oscar Wilde diceva: 'Solo gli ottusi sono brillanti la mattina a colazione'.
Doveva essere per questo che l'unica a gracchiare davanti alla macchina del caffè dell'ufficio alle 8.30 di mattina era Katy, bardata in un pellicciotto vero di ermellino e degli orrendi stivali scamosciati, con una freccia di strass ad evidenziare i polpacci, nel caso qualcuno non avesse notato la loro imponenza.
Valerie era in trance, trincerata dietro dei grandi occhiali da sole per proteggersi dalle luci della redazione, mentre Amanda girava stancamente la paletta nel suo mocaccino, lottando per non far serrare del tutto le palpebre. Io e Jade eravamo appoggiate alla sua scrivania, troppo stanche persino per reggerci sulle nostre stesse gambe.
- "...e mi ha portato a ballare, capite? Erano anni che non uscivo con un uomo che fosse degno di essere chiamato tale. Mi sembra di conoscerlo da sempre, sa cosa mi piace..." disse entusiasta Katy, incurante che nessuno la stesse ascoltando. Io, poi, non ero certo dell'umore adatto per parlare di quanto fosse fantastico per lei uscire con Nick.
- "Tesoro, hai superato il limite delle mille parole al minuto. Dacci tregua!" la pregò Val, salutando tutte con un gesto indefinito della mano, prima di sparire dietro la porta del suo ufficio.
- "Io torno a lavorare" annunciò Jade. Diede un secco colpo di reni e si spostò dal tavolo sul quale era poggiata, accanto a me.
- "Mando un messaggio a José". Amanda trascinò il suo bel corpicino innamorato lontano dalla zona depressa, dove ormai ero rimasta sola con Katy. Ad essere onesti, l'unica depressa ero io, dal momento che l'arpia di fronte a me era tutta sorrisi e occhi dolci, parlando di qualcosa che avrebbe dovuto appartenere a me: lui. Non riuscivo a non ricordare con rabbia la visione di loro due insieme di fronte al bar e, a giudicare dalla felicità di lei, era ipotizzabile che avessero già fatto qualche passo di danza in orizzontale.
Tutti, ma non lui...
Tutto ciò andava ben oltre ogni ragionevole concezione di vendetta da parte della consulente legale di Katy: Christian non valeva tanto impegno e, come se non bastasse, lei sembrava davvero felice: non stava fingendo.
Lo squillo del cellulare che tenevo nella tasca mi distolse - fortunatamente - dal proposito di augurare alla neo coppia felicità e serenità.
- "Pronto?" biascicai.
- "Ti aspetto nel mio ufficio". Valerie era così scansafatiche da non riuscire nemmeno ad alzare il suo bel sedere e arrivare fino alla porta per chiamarmi.
Mi trascinai fino alla sedia di fronte alla sua scrivania e la guardai con aria interrogativa.
- "È il momento di agire, Sam: Hagrol non si è fatto più vedere in giro, ha rifiutato interviste e non vuole lasciare dichiarazioni. Se le mie fonti hanno ragione, pare che non abbia in mano un bel niente" rise malefica, ma io ero piuttosto perplessa.
- "Non è mai stato un tipo particolarmente loquace e socievole... forse sta solo cercando di finire al più presto l'inchiesta e non vuole distrazioni esterne". Non volevo smorzare il suo entusiasmo, solo cercare di rimanere il più realista possibile, mentre la fantasia di Valerie volava libera. La mia amica non mollò l'osso e continuò a sostenere la sua tesi.
- "C'è qualcosa che non mi convince. So che è sempre stato schivo, ma ora mi sembra un po' troppo. Il London Express si è addossato tutta la responsabilità per la scarsa vita mondana di Ken: dicono che sia questione di politica del giornale, però non ne sarei così certa".
- "Dovrei indagare anche su questo?" cercai di capire.
- "Se vogliamo arrivare prima di Hagrol, dobbiamo scoprire perché si è barricato in casa e se ha delle informazioni che noi non possediamo".
- "E se ce le avesse?" provai.
- "Beh, non sarebbe la prima volta che vai a letto con un uomo. - la guardai stralunata - Scherzavo, scema! Manderei Warren".
Okay, non stava scherzando.
 
- "Zia, zia! - Alex stava urlando nel mio povero orecchio, dall'altro capo del telefono - Quando vieni per Natale posso farti vedere il mio disegno? L'ho fatto per te! Ci sei tu e quel gattaccio che abita con te!".
- "Ehi, piano con le parole: Romeo non è un gattaccio, ma un bel micione. Devi stare attento a come parli, perché altrimenti Babbo Natale potrebbe sentirti e decidere di non regalarti quel trenino rosso che tanto ti piace" lo minacciai.
- "Come fai a sapere del trenino? - chiese curioso. Oh-oh. Di certo non potevo dirgli che me l'aveva raccontato Lily, leggendo la letterina con la lista dei giochi che lui aveva lasciato perché le renne venissero a prenderla! - La mamma dice che lo sai perché sei un'aiutante di Babbo Natale. Dice anche che è perché sei bassa".
- "Ah, sì? Tua madre è sempre stata una donna simpatica... ho detto donna? Intendevo signora di mezza età. Rugosa e patetica. Una donnuncola senza molte pretese" scherzai, ma in fondo neanche troppo.
- "Mamma, la zia Sammy dice che sei una signora in tenda. Una nonna di mezza metà. Ramosa e patatina. Una foruncola senza molte morose".
Non era esattamente quello che avevo detto, ma va bene lo stesso.
- "Sorellina, stai bene?". Era comprensibile che Lily avesse un po' di confusione in testa dopo la traduzione simultanea di Alex.
- "Sì, tuo figlio ha cambiato alcune parole, ma ammetto di essere contenta del risultato" ridacchiai.
- "Sei un tesoro. - scherzò, - Ti salutiamo io e Axel".
A quanto pareva, la storia della dislessia non era ancora stata dimenticata del tutto.
- "Lascialo vivere" la implorai.
- "Sembra che ti abbia fatto dei baffi nel disegno..." mi disse.
Quel piccolo insolente!
- "D'accordo, uccidilo".
 
Will era di nuovo in partenza; doveva sistemare le ultime cose a Portland ed organizzare il trasporto di tutta la sua roba dagli Stati uniti fino a Londra. Avevo insistito per accompagnarlo in aeroporto insieme a Kay, ignara che ci avrebbe fatto compagnia anche la nonna della Piattola, la perfida nonna tedesca che io sospettavo essere pure un po' dittatrice, a giudicare dal modo imperioso con cui mi aveva disintegrato la mano durante le presentazioni e dal tono duro con cui parlava.
I due piccioncini si stavano scambiano nauseanti tenerezze da perfetti conigli in amore, suscitando interesse tra la folla.
- "Mi mancherai, caramellina".
- "No, cucciolotto, tu mi mancherai di più. Prometti che sarò sempre la tua pastafrollina e che non permetterai che nessuna americanaccia ti metta le zampe addosso?".
Nonna Inge, alle loro spalle, si irrigidì: una tedesca dal cuore di pietra non poteva tollerare che la nipote si struggesse in quel modo per un volo intercontinentale, per di più di fronte ad una massa di sconosciuti. E a noi.
Repressi un conato di vomito provocato da eccesso di smancerie; ero quasi certa che Will non stesse partendo per combattere una guerra, che non sarebbe stato via a lungo e che non avesse una malattia mortale, perciò c'era davvero bisogno di tutto quello zucchero filato e di tre metri e mezzo di lingua per dirsi 'a presto'?
Ci schiarimmo la gola quasi contemporaneamente e i due lumaconi limonatori si staccarono uno dalle labbra dell'altro.
- "Buon viaggio, William". Inge gli strinse la mano con vigore e abbozzò un sorriso.
- "Grazie, signora Lancaster. Arrivederci".
Il mio amico si avvicinò a me e mi abbracciò, baciandomi una guancia e allegando sottovoce una serie di raccomandazioni che andavano dal non mandare a fuoco la cucina di casa mia, al cercare di controllare Warren.
Kay si attaccò di nuovo come una cozza al suo fidanzato e lo trascinò fino a che le fu possibile; nonna Inge mi prese sottobraccio - il che fu abbastanza inquietante - e mi condusse fino alla macchina, mentre la nipote tentava di raggiungerci correndo con la coordinazione di un dinosauro morto.
- "Mi dica, signorina Grayson, ha impegni per stasera? Sa, Kay ha promesso di restare a dormire da noi, ma penso che un po' di compagnia per cena potrebbe aiutarla a distrarsi dalla partenza di William, non crede?" mi chiese gentile.
Io? Dalla nonna di Nick? A consolare Kay? Anche no.
- "La ringrazio, signora, dell'invito e mi piacerebbe trascorrere del tempo con sua nipote - non in questa vita, però non escludo che dopo la morte io possa diventare buona e disponibile a sopportarla -, ma è già tardi e preferirei tornare al mio appartamento".
Inge entrò in macchina senza aggiungere nulla e, solo a quel punto, Kay mi si avvicinò e parlò sottovoce.
- "Sam, non te lo stava chiedendo: ha già deciso che sarai da noi a cena".
Che famiglia adorabile.
- "Tua nonna abita molto vicino a tuo cugino?" m'informai, giusto per precauzione.
- "Al piano di sotto". Sapevo che la dea bendata non avrebbe cominciato di punto in bianco a sostenermi.
 
La casa dei MacCord e della signora Lancaster era immersa nella campagna, ad una mezz'oretta di distanza in direzione sud-ovest da Londra. Era un casale rustico ben ristrutturato, arredato in stile provenzale, con graziosi mobili dipinti di bianco e tele d'antiquariato alle pareti. Sulla tovaglia apparecchiata con gusto, spiccava un centrotavola realizzato con della lavanda profumatissima e dei cestini di vimini.
Kay mi aveva intrattenuta durante la preparazione della cena, facendomi vedere il giardino immenso illuminato da delle lucine lungo tutto il vialetto e, ovviamente, non era riuscita a tacere le sue emozioni; non aveva fatto altro che parlare, parlare e parlare del suo rapporto con Will, di quanto si amassero, di quanto gli sarebbe mancato. Non si poteva di certo dire che la ragazza avesse del tatto: io ero sola come un cane, rifiutata dal sangue del suo sangue e lei mi raccontava di quanto fosse serena e tutta a cuoricini la sua vita. Simpatica, davvero.
Quando rientrammo all'interno della sala da pranzo, oltre la nonna, c'era anche una donna che la stava aiutando ai fornelli, e un uomo, seduto in poltrona con occhiali da vista a metà del naso, immerso nella lettura del giornale. Quest'ultimo sollevò lo sguardo verso di noi e ci sorrise.
- "Buonasera. Kay, quella con te è la nostra ospite di stasera?" chiese cortesemente.
- "Esatto, zio. - ha detto zio? Quindi lui è... - Sam, ti presento John, il padre di Nick. E la bellissima donna là in fondo è Lydia, la madre. Zii, questa è Samantha".
Entrambi si fecero avanti e mi strinsero la mano. Lui era un uomo affascinante, sulla cinquantina, i capelli castani con qualche filo d'argento qua e là e delle piccole rughe attorno agli occhi a creare dei solchi profondi che non avevano altro scopo che valorizzare due iridi chiarissime, identiche a quelle del figlio. La moglie, invece, aveva una chioma ordinata di un biondo deciso e degli orecchini a lobo dall'aria costosa, abbinati al prezioso girocollo.
- "È un piacere conoscerti, Samantha" disse la signora MacCord, facendomi sedere a tavola, proprio di fronte a lei. Bastò qualche istante per notare che c'erano sei posti apparecchiati: a meno che non ci fosse un signor Lancaster da qualche parte, o un cane, un gatto, una tartaruga o una lince selvatica che si volesse aggregare, quel piatto extra era destinato a Nick.
- "Anche per me" risposi a denti stretti.
- "Chiedo scusa: - intervenne John - vado a chiamare Nick".
- "Povero caro! - esclamò Lydia - È tutto il giorno che lavora su quell'abbaino. Si è ostinato a voler realizzare il lucernario tutto da solo e ora sarà tutto sudato e con i calzoni sporchi".
A quel punto della descrizione delle condizioni del figlio, io avevo già il cervello fritto e lo scenario che si era profilato nella mia mente comprendeva sì la tavola, ma con noi due sdraiatici sopra. Gli astanti potevano anche rimanere, non era così rilevante la questione.
- "Vuoi?".
- "Sì, lo voglio decisamente..." risposi, l'aria assorta.
Quando mi ritrovai il bicchiere colmo di vino rosso, però, capii di non aver ordinato con precisione quello che volevo. Niente uomo nudo, a meno che quello non fosse il suo sangue.
Forse a Katy piaceva farlo violento, con graffi e lividi e annessi.
Che rabbia!
 
You bleed, you learn.
 
"Posso andare un attimo al bagno?". Avevo bisogno di un minuto da sola prima di affrontare l'allegra famiglia MacCord e compagnia bella.
 
M'indicarono una stanza attigua a quella in cui ci trovavamo e dalla quale si aveva una visuale perfetta della tavola. Mi lavai le mani e mi misi in attesa.
Il signor John arrivò nella sala da pranzo con il figlio, vestito con una maglietta bianca, un maglione pesante e un paio di jeans. Aveva anche il borsone che usava per andare a lavoro.
- "Nicholas, - lo chiamò la nonna, accentuando la povera c del suo nome, che mutò tragicamente in una tripla kappa - mangi con noi". Non era una domanda, ma un severo comando. Inge aveva un tono di voce sempre così rigido ed impostato che anche se mi avesse detto 'bel vestito, Samantha, bel colore' probabilmente sarei scoppiata a piangere e mi sarei prostrata ai suoi piedi, chiedendo scusa per aver osato infastidire le sue cornee con quello sgargiante madreperla.
- "Ciao nonna. Vado di fretta... prenderò un panino al volo" provò a defilarsi lui, la mano libera dal borsone già pronta ad abbassare la maniglia del portone bianco.
- "Non dire sciocchezze; ora siediti e mangia come si conviene ad un cristiano. Abbiamo anche ospiti stasera. Ti prego di accomodarti vicino a Kayla". Il vero nome di Kay è Kayla? Allora la giustizia divina esiste: un brutto nome per una brutta persona.
Nick non tentò nemmeno di opporsi e si sistemò dove gli era stato indicato, trattenendo una smorfia di disappunto, mentre la cara Inge cominciava a servire la prima portata, attentamente sistemata in un piatto di porcellana dall'aria antica e preziosa.
- "Allora, chi hai invitato a cena stasera?" chiese Nick, intenzionato a riempire in qualsiasi modo possibile il silenzio che si era creato.
- "Samantha" rispose sua madre, afferrando il bicchiere colmo di vino rosso e portandoselo alla bocca. Gli occhi del figlio corsero veloci verso quelli della cugina per ricevere una conferma dei sospetti, e questi ultimi annuirono.
Strinsi più forte le dita alla porta e mi imposi di attendere ancora qualche secondo prima di uscire dal bagno.
- "Era in aeroporto con noi a salutare Will e la nonna le ha offerto di cenare di noi. Sai che non le si può dire di no" spiegò Kay. Anzi, Kayla.
- "Sembra una ragazza a posto..." commentò il signor MacCord, subito rimproverato dalla moglie.
- "John, potrebbe tornare da un momento all'altro. Risparmia le tue considerazioni per quando saremo soli".
Mi diedi un'ultima occhiata nello specchio, aprii la porta e mi diressi a passi veloci verso la sala da pranzo. Regalai a tutti un grande sorriso e mi sedetti al mio posto.
- "Scusate per l'attesa" sussurrai. Nick ricambiò un sorriso imbarazzato e si concentrò su alcuni grissini sparsi sul tavolo.
- "Si figuri, signorina Grayson. - mi rassicurò Inge, con il suo solito tono che interpretai come un 'se avessi aspettato ancora un po' ad uscire da quel bagno, ti avrei servito direttamente la colazione' - Questi sono i miei famosi spätzle" mi illustrò in un rigidissimo accento tedesco. Il piatto era gremito di piccoli gnocchi dalla forma irregolare, gratinati in forno e con della panna fresca a mo' di condimento e decorazione.
- "Sembrano deliziosi" cercai di essere carina, consapevole che quel primo mi sarebbe costato almeno due mesi di palestra che non avevo voglia né tempo di fare.
- "Nicholas, conosci già la signorina Grayson?" chiese la nonna.
Una notte insieme, svariati baci in altrettante svariate occasioni, molte liti, un bagno in una fontana, una gita fuori porta in un luogo sperduto nel suo fuoristrada, una visita al cimitero... no, non ci conosciamo.
- "Sì" rispose secco.
- "Davvero? - domandò interessata - E dove vi siete incontrati?".
- "Ci siamo incontrati sul suo posto di lavoro" lo anticipai. Più o meno tra la sua entrata in scena svestito da pompiere e il mio tentativo di afferrargli una natica.
- "Allora colgo l'occasione per chiedere come se la cava il mio Nicholas nel suo mestiere. Lui non ama parlarne, ma ho ricevuto molti complimenti da parte di alcune amiche inserite nell'ambito". Nick guardò spiazzato Kay, che trattenne il fiato per alcuni istanti, in attesa di sapere cosa avrei detto.
Nonna Inge amica di clienti del Pumping Pumpkin non me lo sarei mai aspettata; rabbrividii all'idea di qualche mano rugosa intenta nel palpeggiamento di sederi di uomini che avrebbero potuto essere i loro nipoti e non ci impiegai molto a capire che il suo Nicholas non le aveva detto la verità sul suo lavoro.
- "È molto bravo. - ammisi, cercando di provocarlo con lo sguardo e tenerlo col fiato sospeso per alcuni istanti - A detta di tutti ci sa fare e, mi creda, l'ho visto all'opera e se la cava davvero bene. Ha uno stile molto personale e non ha mai deluso le aspettative. Le clienti fanno la fila per vederlo in azione e sgomitano per toccare con mano il suo... talento".
L'anziana signora sorrise compiaciuta dell'elogio così accorato e positivo che avevo tessuto. Raccolse i piatti sporchi e chiese alla figlia di recarsi in cucina con lei per controllare la cottura del secondo.
Fissai a lungo Nick, prima di tornare al piatto dal nome strano che avevo già scordato.
- "Ed è da molto che vi conoscete?" proseguì il signor MacCord.
- "Da agosto. - risposi svelta - Ho avuto anche l'onore di incontrare Harmony, una cara amica di Nick".
- "Oh, Harmony, certo. Una ragazza piuttosto svampita a dire il vero, ma accettabile tutto sommato. Gli è sempre stata alle calcagna. - ridacchiò - Da piccoli voleva sempre giocare ai fidanzatini e lo riempiva di baci neanche fosse un orsacchiotto. Però lui era troppo tonto per accorgersi che lei non stava giocando".
- "Eravamo bambini" provò a difendersi e a difenderla.
- "Ma lei adora ancora giocare" sorrisi lapidaria.
- "E non è l'unica" sussurrò prontamente Nick, attirando su di sé l'attenzione del padre e della cugina, che rimasero in silenzio.
Lydia tornò insieme alla madre con degli schnitzel che per me, umile comune mortale inglese, erano delle normalissime cotolette.
- "Guten appetit! - esclamò trionfale la nonna - Dicevamo, signorina Grayson? Visto che lei frequenta mio nipote molto più di quanto a me sia concesso fare, posso sapere se è al corrente di una sua relazione?". A quel punto i due cugini, Cip e Ciop, per poco non si strozzarono, uno con la carne, l'altra con l'acqua.
- "Veramente sì. Spero che Nick non se ne dispiaccia, ma credo che sia mio dovere informarvi che sta uscendo con una mia collega, Katy. Li ho visti io di persona proprio qualche ieri: adorabili".
- "Quella Katy? - gracchiò Lydia - Tesoro non ci avevi informati di aver ripreso a frequentarla. Credevo aveste chiuso i rapporti anni fa dopo quel litigio assurdo con Dan"- A quel punto la mia mascella toccò prima il tavolo, poi la sedia e poi si spappolò al suolo. Ripreso a frequentarla? E chi era Dan?
- "Sarò lieto di spiegarti tutto, mamma. Dopo".
- "È una notizia splendida e noi abbiamo dovuto scoprirla solo dalla nostra ospite. Grazie Samantha!" mi toccò la mano poggiata sul tavolo e ricominciò a mangiare soddisfatta quella dannatissima cotoletta.
Prego.
Avevo cominciato quel discorso pensando di incastrare Nick e di fargli passare un brutto quarto d'ora. E, invece, l'unica che era rimasta fregata da quel gioco ero io. E la cena stava durando da più di mezz'ora.
Avrei tanto voluto sbattere i piedi a terra e frignare, ma mi trattenni.
 
You cry, you learn.
 
Nonna Inge aggirò velocemente il tavolo e distribuì il dolce a tutti.
- "Stollen!" gridò ed io mi guardai attorno perplessa.
Hai fatto qualcosa, Sam? Pestato un piede, mangiato con la bocca aperta o leccato un coltello?
Lydia mi si avvicinò e mi sussurrò piano, vicino al viso, con una voce eccitata.
- "È il dolce. - sollievo immediato - Lo ha cotto dieci giorni fa. Oggi dovrebbe essere perfetto". Perfetto per rompermi un dente?
La cuoca mi spiegò con cura tutta la cronistoria della preparazione, dal primo milligrammo di farina, all'ultima spolverata di zucchero a velo, passando per i canditi e l'uvetta sultanina. Nick non faceva che spiarmi di soppiatto, mentre io fingevo interesse nell'ascoltare la nonna. Kay sembrava stesse seguendo una partita di tennis: spostava in continuazione lo sguardo da me al cugino e viceversa, nell'apparente attesa che uno dei due facesse un passo falso. Ma era stata stabilita un'implicita tregua, almeno fino alla fine della cena: io mi stavo ancora leccando le ferite dopo aver saputo che Nick e Katy si erano già frequentati in passato, e lui respirava all'idea di mangiare il dessert in santa pace, senza che io rischiassi di mettere Inge a conoscenza di particolari che non avrebbe dovuto sapere.
Il mio unico pensiero da un'ora a questa parte era sempre lo stesso: voglio andare a casa. Avevo trascorso l'intera serata sotto pressione, con la continua preoccupazione di cedere da un momento all'altro e mandare al diavolo tutti, dalla nonna nazista al nipote farfallone, dalla troppo sorridente Lydia a quella odiosa di Kay che mi aveva cacciato in quella situazione. E a Will, ovviamente, che non c'era mai quando ne avrei avuto più bisogno.
- "È stato un piacere averla avuta con noi stasera, signorina Grayson. - disse con dolcezza Inge - Mi auguro che possa riaverla come ospite anche in altre occasioni".
Ci conti... che non verrò mai più.
- "Sono io che ringrazio lei; cucina davvero molto bene ed è stata gentile ad invitarmi. Ora, se mi scusate, chiamo un taxi".
La nonna sorrise e, come se non avessi nemmeno aperto bocca, si rivolse al nipote.
- "Nicholas, saresti così gentile da accompagnare la signorina Grayson a casa?".
La comunicazione non era il pezzo forte in casa MacCord.
- "Nonna, non ti preoccupare, - intervenne Kay in mio aiuto - ci penso io".
- "Kayla, non essere sciocca. Nicholas sta già per uscire e sono certa che sarà lieto di dare un passaggio alla nostra ospite. Non è così, tesoro? - chiese, voltandosi verso il nipote, ma senza attendere una sua risposta - E poi avevi promesso che saresti rimasta qua a dormire, ora che William è tornato a Portland. Mi sembra poco intelligente farvi uscire entrambi con la macchina per recarvi tutti e due a Londra: l'ambiente non ne sarebbe affatto contento" li rimproverò.
L'ambiente no, ma la signorina Grayson sì.
- "Posso prendere un taxi..." riproposi, prontamente fulminata con lo sguardo da Inge.
- "Ma ci mancherebbe! Sarebbe proprio uno spreco di soldi, visto che Nicholas è di strada".
E non era uno spreco d'ossigeno tutto quel chiacchiericcio a sproposito da parte della nonnina?
Di’ di no, no, no!
Nick mi guardò con l'espressione rassegnata e disse soltanto:
- "Sei pronta, Sam?".
No.
 
- "Ci vorranno quaranta minuti per arrivare a casa tua. - mi annunciò Nick. Seduta sul lato del passeggero, mi limitai ad annuire e a sorridere imbarazzata. In quel fuoristrada, l'aria sembrava essersi fatta sempre più spessa e temevo di soffocare, sopraffatta dal profumo di Nick - Spero la cena ti sia piaciuta".
 
Swallow it down,
It feel so good.
Wait until the dust settles...
 
Ero incredibilmente nervosa e a disagio in quell'abitacolo opprimente.
- "Tengo a precisare che non ero lì per cercarti. Ero all'aeroporto a salutare Will e tua nonna mi ha invitato da voi". Nick si voltò verso di me confuso.
- "Non ho mai pensato che mi stessi cercando. - disse tranquillo - Non mi hai ancora detto se la cena ti è piaciuta".
- "Non dobbiamo fare conversazione a tutti i costi" esclamai con un tono acido che non intendevo avere.
Scrollò le spalle e mi guardò sorridente.
- "Lo so, volevo solo essere gentile".
- "Non lo sei mai stato, perché cominciare ora?". La mia voce era particolarmente aggressiva e non feci nulla per mascherarlo. Dovevo continuare a ripetermi che era fidanzato con Katy e che si era comportato da stronzo per ricordarmi che era obbligatorio che io lo odiassi.
- "Okay".
Paradossalmente, più taceva, più si faceva insopportabile.
- "Smettila di fare l'offeso: sei patetico" lo accusai, gesticolando frenetica come una pazza.
- "Non faccio l'offeso!" si difese lui, mentre tornava a guardare la strada buia davanti a noi, illuminata solo dai fari del fuoristrada.
 
I recommend sticking your foot in your mouth at any time.
Feel free!
 
La situazione si stava facendo pesante.
Di’ qualcosa d'intelligente, Sam.
- "Fammi scendere!". In mezzo alla campagna, a più di mezz'ora di macchina lontano da Londra, non era stato molto furbo uscirsene con quell'esclamazione.
- "Perché? Non fare la bambina... dove pensi di arrivare a piedi?" cercò di farmi ragionare.
- "A casa?" dissi laconica, senza rinunciare ad una punta di sarcasmo.
- "Sì, tra due giorni" ironizzò lui di risposta.
- "Ti odio. - strinsi gli occhi fino a ridurli a due fessure sottili colme di rabbia e lo guardai - E non osare dire che non sono coerente con quello che ti ho detto una settimana fa...".
- "Non ho detto niente!" si giustificò lui con tono aspro.
- "...perché quello l'ho sempre pensato. Il fatto che ti detesto, intendo. Perché non parli?" domandai acida.
- "Fraintendi tutto quel che dico, perciò sto zitto, consapevole che sei in grado di travisare anche i miei silenzi" mi spiegò.
- "Quindi è colpa mia?" urlai scandalizzata da una tale accusa.
- "Dio, sapevo di non aprir bocca!".
- "No, parliamone, invece; ci siamo trattenuti durante la cena, ora è arrivato il momento di sfogarsi. Comincio io, ti va? Partiamo subito dal ringraziamento che mi devi fare per non aver spiattellato alla nonnina che ti spogli ogni sera in un nightclub. Dubito che le sue amiche ti abbiano visto a fare altro, dunque la domanda sorge spontanea: che tipo di pagamento hanno richiesto per fingere di apprezzare quello che non fai? Ti usano come gigolò in cambio del loro silenzio?".
- "Certo che no!" gridò, schifato all'idea di soddisfare arzille anziane tra le lenzuola.
- "Giusto, Katy sarebbe gelosa. E, a tal proposito, posso dire di essere rimasta davvero sorpresa di sapere che la frequentavi anche in passato. Ah, dimenticavo, chi è Dan?".
- "Mio fratello" rispose tranquillo.
Era davvero troppo.
- "Hai un fratello? Neanche questo sapevo. A quanto pare, sono sempre l'ultima a cui arrivano le notizie".
Nick prese un respiro profondo e mi guardò in cagnesco, stringendo forte le mani attorno al volante.
- "Era così rilevante sapere se ho un fratello?" chiese alterato.
- "Tutto per me è rilevante se riguarda te... - mi accorsi della gaffe e cercai di rimediare subito, sperando che non si accorgesse del rossore sulle mie guance - ...tenermi aggiornata. Sono una giornalista, è mio compito tenermi al corrente delle novità" spiegai saccente.
- "Allora ti farò avere il mio albero genealogico, visto che ci tieni così tanto".
Idiota maleducato!
- "Non prendermi in giro! - sbuffò - E non sbuffare!" lo rimbrottai.
- "Credi che mi lasci comandare a bacchetta da te?" mi provocò.
- "No di certo. L'unica bacchetta con cui ragioni è quella che hai in mezzo alle gambe" lo schernii.
- "... e ci risiamo! Credo tu me l'abbia già fatta questa battuta. Sei monotematica: hai passato la cena a stuzzicarmi, a pungolarmi su questioni spinose che sapevi mi avrebbero fatto rimanere col fiato sospeso finché non avessi messo piede fuori da quella stramaledetta casa. Ci sei riuscita, sei contenta o hai bisogno di rompermi le scatole anche ora che siamo soli?".
- "Sono profondamente dispiaciuta se ti ho infastidito, Nick" scherzai.
- "Mi era mancato il suo sarcasmo, Sammy". Il suo tono si era fatto dolce, comprensivo, non era - come al solito - derisorio ed ironico. Per un secondo vacillai, desiderando solo prendergli il viso tra le mani e baciarlo.
Katy, Katy, Katy.
 
You grieve, you learn.
 
Mandai giù il groppo che si era formato all'altezza della gola e ripresi ad accusarlo.
- "Non mi chiamo Sammy! Ne ho abbastanza di te, di tua cugina 'l'appiccicatutto', di tua nonna e dei suoi cibi di cui non so nemmeno pronunciare il nome" gracchiai.
- "Vogliamo davvero discutere della pronuncia delle portate della cena?"- Indubbiamente infantile, ma era l'unico argomento con cui potessi, al momento, dargli contro.
- "Sì. Mi sono sorbita tutti quei termini in tedesco e sai cosa? Non me ne importa un fico secco degli schnauzer o quel cavolo che sono!".
Nick scoppiò a ridere, faticando a reprimere i singhiozzi.
- "Cosa c'è di tanto divertente?" domandai cattiva.
- "Mia nonna fiene ti Cermania, non dalla Cina: - rispose, imitando l'assurdo accento tedesco della nonna- a casa MacCord preferiamo non mangiare cani. Schnitzel, non schnauzer".
- "Saputello". Feci una smorfia, ma non riuscii a trattenere una risata di fronte alla gaffe che avevo appena fatto.
- "Allora ti ricordi ancora come si fa a ridere?" scherzò, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più belli.
 
You laugh, you learn.
 
A quella frase cominciai a tremare e non riuscii a smettere, finché non mi ebbe lasciato sul marciapiede di fronte a casa mia.
 
Lily mi aveva mandato via e-mail il disegno - molto astratto - che Alex aveva fatto di me e di Romeo; sembravamo due palle di Natale, più che una persona ed un gatto, ma lasciai correre pensando che, se non altro, il mio nipotino artista aveva centrato il periodo. Effettivamente mi aveva fatto due curiosi tratti neri sulla faccia... pensava davvero che avessi i baffi? Non m'importava granché; in realtà m'importava eccome, però c'è sempre qualcosa di affascinante e segreto nel modo in cui i bambini guardano il mondo esterno. Ed io mi sentivo ancora un po' Peter Pan.
Presi un giornale a caso dal portariviste e lo misi sul tavolo; era una vecchia copia del London Express. Scelsi una pagina in cui c'era la pubblicità di una donna e cominciai a disegnarle delle orecchie alla Star Trek e ad annerirle qualche dente. Le feci un fondoschiena esagerato e le sexy calze a rete che indossava diventarono due gambone sproporzionate.
- "Ben ti sta, brutta modella! Che questo sia di lezione ai tuoi genitori che ti hanno fatto così bella" le gridai.
Molto maturo, Samantha.
Passai poi alla foto di un uomo, ma stavolta mi limitai a qualche decorazione qua e là non troppo invasiva. Ad un certo punto però, dopo avergli aggiunto qualche rasta, mi bloccai: ricordava qualcuno, senza quei buffi capelli ovviamente. Lessi il nome sotto la didascalia e trasalii.
Ci doveva essere un collegamento. Riguardai il disegno di Alex alla ricerca di qualche indizio che evidentemente non mi poteva fornire. Nell'angolo all'estrema destra del foglio virtuale, spuntava la sua piccola firma tremolante; con un colore rosso e in maiuscolo, trionfavano le lettere che componevano la parola Alex, solo in uno strano ordine: Axel. Inconsapevolmente, aveva fatto un anagramma.
In quel momento di confusione, l'unica cosa che mi venne in mente di fare fu cercare il numero dell'esperto di computer amico di Valerie con cui ero stata a letto: Max. Rovesciai il contenuto della borsa sul divano per trovare il cellulare. Le mani mi tremavano tanta era l'eccitazione di aver trovato un potenziale indizio per l'inchiesta su Ralph.
Rispondi, ti prego, rispondi!
- "Max? - urlai - Sono Samantha Grayson, quella...".
- "Quella che mi ha parcheggiato qui il suo computer e non è più venuta a riprenderselo" finì lui al mio posto.
Oddio, Jimmy il portatile!
Mi sentii offesa: non si ricordava di me per i fantastici - ed unici - momenti che gli avevo fatto passare, ma per lo stupidissimo computer che avevo preso a martellate!
- "Cavolo, hai ragione, me n'ero completamente dimenticata. Prometto che passerò in settimana". Tanto comunque me ne sarei dimenticata nel giro di qualche istante, se avessi avuto la risposta che volevo da quella chiamata.
- "Non ti preoccupare: ormai è parte integrante dell'arredamento" scherzò.
- "Avrei bisogno di un favore" misi subito in chiaro.
- "Di che genere?".
- "Tecnologico. Esiste un programma per gli anagrammi?". Pregai con tutto il cuore che mi dicesse di sì: forse era tutto uno sbaglio, forse stavo prendendo il più grande granchio della storia del giornalismo... o forse ero sulla strada giusta.
 
You pray, you learn.
 
- "Certamente". D'istinto feci un salto verso l'alto; in un eccesso di confidenza ero convinta di essere diventata Kobe Bryant e di poter toccare il soffitto con la mano. Purtroppo il mio metro e settanta scarso mi permise di sfiorare solo il lampadario, spezzando quel sogno.
- "E tu ce l'hai?" chiesi frenetica.
- "Per chi mi hai preso, Samantha Grayson?".
- "Perfetto. Come funziona? Tu inserisci una parola e quello ti da tutti gli anagrammi possibili?".
- "Esatto. Il meccanismo è molto semplice e in pochi secondi hai tutti i risultati che vuoi".
- "Posso darti anche nome e cognome di una persona?".
- "Sì, perché questo programma li tratterà come semplici agglomerati di lettere e ne darà diverse combinazioni". Annuii tra me e gli diedi quel maledetto nome, fremendo dall'attesa. Non riuscivo a smettere di camminare nervosamente dalla cucina al salotto e viceversa.
- "Ehi, ma non è...?".
- "Sì. - tagliai corto: non avevo alcuna intenzione di fornirgli spiegazioni - Allora, questi anagrammi?" lo esortai impaziente.
- "Ci sono duecento-otto risultati solo in inglese. Dubito che tu voglia che io te li legga uno ad uno al telefono". Erano molti di più di quanto pensassi.
- "Mandameli tramite posta elettronica. E voglio anche qualche altra lingua. Pensi sia possibile?" chiesi. Era necessario tenere in considerazione tutto il ventaglio delle ipotesi.
- "Già fatto. Tra qualche istante arriverà tutto, compresa la traduzione".
Corsi fino al portatile e saltellai sul posto finché non sentii il rumore di un messaggio in arrivo. Aprii veloce l'e-mail con le mani tremanti e stampai tutti gli allegati.
- "Ci sei ancora?". Max era ancora dall'altro capo del filo ed io mi ero dimenticata di lui.
- "Sì, scusa, stavo dando un'occhiata alla lista, ma non mi sembra di scorgere nulla di famigliare. Forse mi sono sbagliata e la mia idea è completamente fuori bersaglio...". La frase mi morì sulle labbra, perché in quel momento trovai una parola che mi fece scattare.
Tre passaggi logici e la verità era servita, meglio, sbattuta davanti ai miei occhi con violenza. Ero troppo sorpresa per pensare, per metabolizzare quanto avevo appena scoperto. Salutai e ringraziai Max in modo frettoloso e scivolai a rallentatore sul divano, la testa improvvisamente leggera e un senso di vuoto anche nello stomaco. Credevo che scovare un nesso tra due cose in quel groviglio che era diventata l'inchiesta su Ralph mi avrebbe fatto sentire forte, mi avrebbe spronato a continuare a lavorare senza sosta per anticipare la concorrenza, realizzare uno scoop eccezionale e dare una spinta alla mia carriera giornalistica. Eppure, ora, nel momento in cui due pezzi del puzzle si erano incastrati alla perfezione, stavo esitando, i fogli ancora saldamente stretti tra le mani.
- "Non può essere una coincidenza" cercai di convincermi e di riordinare le idee, ma troppe informazioni si erano e si stavano accatastando nella mia mente, sovrapponendosi tra loro.
E la sensazione di non aver capito nulla fino a quel momento mi investì come una nevicata in piena estate.
 
You lose, you learn.
 
 
Buona sera.
Sarò sincera: questo è il capitolo che mi convince meno di tutti, ma almeno da la possibilità a voi di sbizzarrirvi con le teorie e sono convinta che qualcuna di voi avrà già capito quale sia la scoperta che ha fatto Sam.
La canzone del titolo è "You learn" di Alanis Morissette.
Per tutti i riferimenti ai piatti tedeschi della nonna Inge, basta cliccare sui loro nomi, così come per lo schnauzer.
Ho già cominciato a rispondere alle vostre recensioni e come sempre vi ringrazio tantissimo.
Io sono pessima a promuovere la storia, non amo propormi, perciò se ci sono nuovi lettori è merito vostro che magari la consigliate ad amici. Perciò grazie!
Ringrazio come al solito la mia cara Nessie che ha betato e le altre.
Baci!
S.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32. Suspicious Minds. ***


Capitolo trentadue. Suspicious Minds.
 
La didascalia sotto l'immagine del giornale che avevo malamente disegnato riportava soltanto due parole: Clive Burton. Quel nome continuava a rimbalzare nella mia mente. Come un incessante martellare, puntuale ed assordante, scacciava ogni pensiero che non riguardasse quegli ultimi cinque minuti di ordinaria follia in cui Max mi aveva consegnato la lista degli anagrammi.
Clive Burton, l'uomo assassinato nella sua casa per una presunta rapina terminata in tragedia appena qualche settimana prima, mi fissava da sotto quei buffi baffi che avevo tracciato con la penna sulla pagina del London Express, in una fotografia sorridente che derivava con tutta probabilità dalla sua carta d'identità.
Ancora non mi capacitavo di come uno stupido gioco ispirato a degli scarabocchi di Alex, - un normalissimo bambino di quattro dannati anni -, potesse avermi condotto a quel punto di svolta: con un po' di trucco e il giusto abbigliamento, Burton era diventato un'altra persona e ne aveva vestito i panni almeno finché qualcuno non aveva deciso di porre fine alla sua vita, in circostanze che, ora come non mai, parevano sospette. Con il senno di poi, erano molte le somiglianze e sarei potuta arrivare a quella conclusione anche senza l'intervento innocente del mio nipotino, che grazie ai suoi pennarelli e alla sua fantasia, aveva fatto alla sua zietta un gran bel regalo.
Mi gettai sotto la doccia per congelare le mille congetture che si erano create nella mia mente, ma me ne scoprii incapace quando mi accorsi di aver invertito il bagnoschiuma con lo shampoo e di aver applicato due volte il balsamo. Uscii dal bagno contrariata e coi nervi a fior di pelle, decisa a rilassarmi e a rimandare ogni ricerca e conseguente mal di testa al giorno dopo.
Tentai di prendere sonno ingurgitando tazze su tazze di camomilla e una dose di abbondante di valeriana, ma l'unico risultato ottenuto fu una leggera sonnolenza e continui pellegrinaggi in bagno per fare pipì. Con la testa in subbuglio dai troppi pensieri, decine di idee da riordinare ed emozioni da gestire, dormire non era più una priorità.
Riaccesi la lampada sul comodino, mi sedetti contro la testiera del letto e poggiai il portatile sulle gambe distese. Non sapevo bene da dove cominciare e, dopo una mezzora passata a guardare il soffitto in attesa di un'illuminazione divina, decisi che sarei rimasta immobile nel letto finché Morfeo non mi avesse costretta a portarmi con sé, cullandomi tra le sue braccia con l'unica certezza che avevo in quel momento: Clive Burton era Ken Hagrol.
 
Ciò di cui maggiormente avevo bisogno era ottenere informazioni riguardo Burton: lavoro, famiglia, passatempo... qualsiasi informazione riguardo la sua vita - e pure la sua morte - sarebbe potuta tornarmi utile nell'indagine su Ralph. Il metodo più veloce era chiamare una talpa nella polizia e farsi consegnare un rapporto dettagliato sul soggetto questione. L'unico problema era che io non avevo nessuna talpa nella polizia - mi occupavo di musica fino a cinque minuti fa, e che diamine! - e che dovevo assolutamente smettere di guardare film polizieschi.
Di nuovo punto e a capo.
D'un colpo, però, la lampadina si accese: Dougie, il poliziotto gay, sarebbe stato la mia scialuppa di salvataggio.
- "Warrenuccio? - gridai nel telefono - Sono la tua Sam preferita!".
Dall'altro capo del filo si udì solo uno sbuffo.
- "Che vuoi, Zucchero? Sto dormendo, ho sonno" brontolò, biascicando le parole con la voce impastata.
- "È un'emergenza!" lo implorai e Warren interpretò - come sempre - le mie parole a modo suo.
- "Oddio, non mi dire che quei bastardi hanno anticipato ad oggi la svendita di Burberry?! Perché in tal caso sono pronto ad uscire in pigiama!" strillò, con un'indignazione che mai gli avevo sentito prima.
- "No, i tuoi stivali antipioggia sono al sicuro, nel negozio. - lo rassicurai - Ricordi Dougie, il poliziotto che ti sei portato a letto per aiutarmi? Ecco, mi servirebbe un favore da lui".
- "Di che genere?" s'insospettì.
- "Investigativo. Ho bisogno di sapere quanto più possibile ci sia in circolazione su un tale chiamato Clive Burton".
- "Per quando ti servono queste informazioni?" chiese disinteressato. Se avessi potuto vederlo, immagino che lo avrei trovato intento a limarsi le unghie con la cornetta appoggiata alla spalla.
- "Beh, facendo qualche rapido calcolo, direi... - finsi di pensarci - ora".
- "Farò il possibile". Riattaccò, ma nemmeno un minuto dopo, il mio cellulare cominciò a vibrare, lo schermo illuminato che indicava una chiamata in arrivo, proveniente da Warren stesso.
- "Trovi tutto nella tua casella di posta elettronica" disse lapidario. Probabilmente ora si stava mettendo lo smalto. Rosso corallo. No, rosa pesca. Però era pur sempre un uomo: al massimo trasparente. Oppure con tanti brillantini... - So essere molto persuasivo quando è necessario. Ricorda che le vie di Warren sono infinite".
Concentrazione, Sam.
- "Spero di non averti disturbato troppo".
- "Tesoro, è bastato nominargli la sua ex fidanzata e si era già precipitato a fare la ricerca sul computer. Nulla di meglio del far leva sul senso di colpa. La poverina è diventata una furia dopo essere stata abbandonata a Mykonos per un uomo, e c'è d'aver paura quando le si ricorda quest'esperienza. Credo sia in depressione da allora e che reagisca molto male al solo nominarle Dougie" mi spiegò.
- "Grazie, Warren".
- "Non c'è di che, Zucchero. Anzi, in effetti c'è di che: questo ti costerà venti sterline, che andranno a finanziare i miei stivali antipioggia. Buona notte".
Quando si dice che l'amicizia non ha prezzo...
 
Burton non aveva nulla a che fare col mondo del giornalismo. Stando a quanto dicevano le carte, lavorava come falegname nella sua piccola azienda. Niente moglie, niente figli, nessun parente stretto: solo come un cane, era il soggetto perfetto per diventare un fantasma. Restavano solo da scoprire le sue abitudini: hobby, sport, amicizie e per venire a conoscenza di questi aspetti era necessario parlare con qualcuno che lo conoscesse. E chi meglio dei vicini di casa avrebbe potuto aiutarmi?
Appena mezzora più tardi, ero di fronte alla modesta abitazione di Burton, ovviamente impacchettata col nastro adesivo giallo acceso della polizia che impediva l'accesso a chiunque non fosse autorizzato. L'interesse mediatico sulla storia era scemato già da qualche tempo e l'ingresso della casa era ormai sgombro da telecamere e troupe televisive. Del loro passaggio e di quello dei curiosi non restavano che cartacce, mozziconi di sigaretta spiaccicati a terra e un'aria degna dei peggiori film dell'orrore.
Le palazzine più vicine si trovavano ad una trentina di metri sulla destra della strada. Mi allontanai con un senso di angoscia dal cancello di casa Burton e mi avvicinai ad una costruzione fatiscente, continuando però a tenere lo sguardo fisso sull'austero luogo del delitto. Proseguii, finché non incappai contro qualcosa all'altezza della schiena. Mi voltai spaventata e mi trovai davanti la versione da ghetto di Kim Basinger: capelli biondi scoloriti dal tempo, jeans consunti e giacca a vento maschile rosso scuro. Quello che imbracciava molto poco amichevolmente era un fucile, ed era puntato verso di me.
- "Che vuoi?" mi domandò con sguardo cattivo e voce decisa.
Perché capitano tutte a me? Perché, porca miseria!
- "Signora? Che ne dice di abbassare il fucile, eh?" provai a farla ragionare, ma la Xena dei bassifondi non sembrava molto propensa al dialogo.
- "Chi diavolo sei? Una puttana in cerca di clienti? Una tossicodipendente che vuole dei soldi?".
Ti sembro una di quelle? E, soprattutto, esistono le prostitute porta a porta?
- "No, per carità! - mi affrettai a risponderle. Certo era che l'ospitalità non è mai stato la caratteristica principale degli inglesi... - Sono una giornalista. Volevo solo chiederle delle informazioni sul suo vicino, il signor Burton".
- "E io che ne so se stai dicendo la verità?" ringhiò.
- "Posso farle vedere il mio tesserino?" proposi con un fil di voce e con un mezzo sorriso che speravo le sembrasse simpatico. Lo afferrò tenendomi sempre sotto tiro, poi lo guardò e fece un ghigno che non riuscii ad interpretare.
- "Oh, tesoro, vieni qui... - disse con modi affabili e premurosi - vuoi una tazza di tè? Magari con un po' di zucchero di canna? Anche se è ad aria compressa, fa paura a tutti". Indicò il fucile e lo accarezzò, neanche fosse il suo bimbo. Da morir dal ridere.
Pamela tutto sommato era una donna buona, di quelle che, però, sanno tirar fuori gli artigli quando c'è da proteggere il proprio territorio. Certo, i suoi atteggiamenti erano un po' rozzi e non mi sarei sorpresa se l'avessi scoperta alzare la gamba e fare pipì come i cani per marcare il territorio, ma mi rifornì di informazioni utili e, aspetto da non sottovalutare, non si era limitata a dirmi che Burton “era una persona normale. Salutava sempre”, come quegli strani vicini di casa che si vedono in TV e che in realtà non sapevano di abitare di fianco ad assassini efferati.
Ciò che mi aveva riferito era che Clive era un uomo solitario, burbero, amante della musica classica e della letteratura, senza molti contatti col mondo esterno e con un'attività sull'orlo del fallimento. Praticamente era il candidato perfetto per diventare Nessuno: non aveva nulla da perdere e aveva un sacco di soldi da guadagnare. Ma era un personaggio che non poteva improvvisarsi investigatore e che se aveva fatto da prestanome a qualcuno, lo aveva fatto senz'altro per i soldi, non di certo per cavarci fama e scoop giornalistici.
Queste novità non mi facevano, però, stare tranquilla; il fatto che il vero volto di Ken Hagrol fosse del tutto estraneo al mondo della carta stampata, mi riportava inevitabilmente a quei maledetti anagrammi che avevo voluto sotterrare in un angolo del tavolo. Se non era lui l'autore in incognito delle inchieste, significava che qualcun altro lo aveva fatto per lui. Afferrai il foglio che mi aveva spedito Max e notai subito la striscia colorata dall'evidenziatore in corrispondenza di uno specifico risultato.
Anagrammi per Ken Hagrol: Hagelkorn (Termine tedesco per 'chicco di grandine'). Potevo forse considerare un caso che la nonna di qualcuno fosse tedesca e che il suo cane si chiamasse Mr. Hail, quindi Mr. Grandine?
Forse no.
 
Il telefono di casa squillava ininterrottamente da almeno dieci minuti. Cercai in tutti i modi di ignorarlo e proseguire con l'analisi delle carte e dei documenti accatastati sul tavolo della cucina, ma il suono si stava facendo sempre più fastidioso per le mie povere orecchie, deconcentrandomi. Allungai controvoglia una mano sul piano della cucina, afferrai il cordless e risposi, senza staccare gli occhi dal pacco di fogli che avevo davanti a me.
- "Grayson" esclamai annoiata. Tempo una frazione di secondo e mi maledissi, chiedendomi perché non fossi stata tanto furba da inserire la segreteria.
- "Ehi, sono Nick. - Le idee migliori arrivano sempre tardi - Ti ho mandato una decina di messaggi sul cellulare, ma a quanto pare ti reca troppo disturbo rispondermi" brontolò.
- "Scusa, sono molto impegnata. Ci sentiamo, eh" tagliai corto. Se volevo accaparrarmi lo scoop, non potevo permettermi di perdere ulteriori momenti preziosi, soprattutto dopo aver saputo che la concorrenza era così tanto vicina a me. A dire il vero, avevo fatto sesso con la concorrenza. Cacchio.
-"Aspetta! - mi bloccò lui - Ti sono cadute delle cose dalla borsa quando ti ho accompagnato a casa ieri e volevo sapere se dovevo portartele".
- "No! - dissi subito - Assolutamente no, non devi disturbarti" aggiunsi più docile. Nick non poteva avvicinarsi a casa mia, non ancora almeno. Io lo avevo accolto nel mio appartamento e non era da escludersi la possibilità che lui ne avesse approfittato per dare un'occhiata allo stato in cui si trovavano le mie ricerche. Che stronzo. D'altra parte, non ero sicura che fosse una buona idea confessargli che sapevo tutto, perché a quel punto non si sarebbe più fidato. Decisi che avrei mantenuto un profilo basso, continuando con la mia solita vita, con la sola eccezione che gli avrei restituito il favore: avrei ficcato il naso in ogni centimetro quadrato della sua villetta a schiera.
- "E se ti servissero?" squittì.
- "S-Sai, non credo che mi serviranno" affermai sicura.
- "Non sai nemmeno cosa sono!" si spazientì, alzando la voce.
- "Se non ne ho notato la mancanza, significa che non mi servono". Mi alzai rapida e svuotai il contenuto della borsa sul tavolo: cellulare, portafoglio, chiavi, agenda... tutto quanto era importante si trovava lì.
- "Come vuoi. Allora, ciao". Finalmente riuscii a tirare un sospiro di sollievo.
 
La quiete non durò molto. Mentre ancora stavo lavorando per cominciare l'articolo che mi avrebbe portato ai vertici del giornalismo nazionale, europeo, mondiale, universale e galattico, qualcuno cominciò a bussare alla porta, costringendomi ad alzarmi.
-"Sam? Sono Nick. - spalancai gli occhi di fronte alla porta chiusa e cominciai ad agitare la testa in ogni direzione, cercando una motivazione, anche la più semplice, per non fargli varcare la soglia del mio appartamento - Sam? Alla fine ero da queste parti e ho pensato di passare a portarti le tue cianfrusaglie. Posso entrare?" ribadì, dopo aver atteso qualche istante ancora.
- "No! - mi affrettai a rispondere. Pensa, Sam, pensa. - Sto... sto facendo la ceretta". Se non lo avesse allontanato l'immagine più antierotica che conoscessi - donna di Neanderthal intenta a privarsi del piumaggio corporeo -, non avrei saputo che fare.
- "Prometto di non guardare le tue gambe". Appunto.
Proprio in quel momento di crisi in Graysonland, il mio simpaticissimo gatto pensò bene di afferrare tra le grinfie una delle nappine delle tende, cominciando a dondolare a destra e sinistra, stile Tarzan sulla liana.
- "No... merda, Romeo!" gridai non appena realizzai del casino che avrebbe creato, ma Nick fraintese la mia imprecazione.
- "Stai facendo la ceretta a Romeo?" gridò scandalizzato.
Depilare il gatto? Era un'idea semplicemente folle e... avrebbe potuto tirarmi fuori dai guai.
- "Sì, sì, sì, sì. È una tecnica orientale per fargli crescere il pelo più folto. Perché, sai, è questo che hanno i gatti: il pelo!" esclamai entusiasta.
Ci fu qualche secondo di attesa nel quale probabilmente Nick era indeciso se farmi ricoverare nel reparto psichiatrico dell'ospedale più vicino oppure se allertare il WWF.
- "Ne sei sicura, Sammy?" disse dubbioso.
- "Certo che sono sicura che i gatti abbiano il pelo".
- "Intendevo della ceretta..." mi fece osservare, un tono di voce palesemente scocciato.
- "Oh, naturalmente! Me l'ha insegnato la cinesina del centro estetico... - quanto poteva essere difficile trovare un nome cinese in meno di cinque secondi? - Bei Jing(*)".
- "Allora, mi fai entrare?" insisté. Non aveva nemmeno notato la mia potenza creativa nel riciclare la scrittura in mandarino della città di Pechino in un graziosissimo - e realissimo - nome di donna dagli occhi a mandorla.
- "Non posso: ci sono peli ovunque e la casa è un vero disastro". Lo dissi sull'orlo della disperazione, perché ero a corto di idee e MacCord sembrava non volersi arrendere.
- "Non ricordo di essere mai entrato nel tuo appartamento e di averlo trovato in ordine, perciò non sarebbe davvero la prima volta" ridacchiò.
- "Se stai cercando di convincermi ad aprire la porta, ti avviso che lo stai facendo nel modo sbagliato" replicai seccata. Il fatto che lui non comprendesse il mio disordine organizzato non lo autorizzava ad offenderlo.
- "Dai, Sammy, non ho tempo da perdere: apri questa maledetta porta, ti consegno le tue cose e me ne vado". Una minuscola parte del mio cuore e anche qualcosa all'altezza del basso ventre avrebbero tanto voluto obbedire al comando e vederlo, ma mi ero ripromessa di essere irremovibile e finché non avessi scoperto qualcosa in più su Burton e Hagrol mi sarei attenuta a tale strategia.
- "Ehm... lasciale sullo zerbino. Uscirò a prenderle non appena avrò finito con la ceretta al gatto". Ero stata ferma e decisa e le mie parole erano suonate come definitive.
- "Va bene. Ciao".
I passi di qualcuno che imboccava le scale e scendeva verso il piano inferiore si udirono distintamente anche da dietro la porta dl mio appartamento. Attesi ancora qualche istante e, dopo aver sentito nient'altro che silenzio, feci scattare la serratura, sporgendo la testa verso l'ascensore. Mi ritrovai spaventata e sorpresa contro il cardine della porta, sotto gli occhi divertiti di Nick.
- "Mi hai fatto prendere un colpo!" urlai, una mano posata sul cuore.
- "Ciao... Marge". Evidentemente la mia impalcatura, seconda solo alle acconciature della madre di Rossana dei cartoni non avevano riscosso successo. Sapevo di dovermi procurare un criceto e una ruota...
- "Ah ah ah. Pensavo te ne fossi andato" mi giustificai e le dita corsero involontarie a sistemare i ciuffi ribelli.
- "Era il tuo vicino che scendeva le scale. - scrollò le spalle - Posso vedere Romeo?".
Afferrai veloce la maniglia e richiusi la porta alle mie spalle.
- "No, non puoi; al momento è molto suscettibile, meglio non rischiare".
- "Sammy, credo sia contro la legge fare la ceretta ai gatti" mi spiegò, così come avrebbe fatto un conduttore di un qualche strano documentario della National Geographic.
- "È una tradizione millenaria cinese, mica me la sono inventata dieci minuti fa!".
- "Per conto mio potrebbe essere anche un'usanza della Regina, ma non si fa". Il suo prodigarsi continuo per i diritti degli animali in quel contesto, si stava facendo piuttosto irritante e non faceva altro che sconvolgere i miei piani.
- "Non eri venuto per ridarmi le mie cose? - dissi acida e lui dischiuse la mano che conteneva gli oggetti - Tutto qua? Sei arrivato fin qui per ridarmi due caramelle, un foglio strappato e un... assorbente interno?" terminai sorridente, intravedendo tra le dita di Nick un sacchetto oblungo giallo cangiante.
- "Oddio, q-quella non era una bustina di zucchero?". Si fissava incredulo la mano che recava quel terribile arnese di uso femminile e mai cosa doveva essergli sembrata così schifosamente schifosa.
- "Questo è ciò che ti racconta la mamma, ometto?" lo presi in giro, ridendo dello stato d'imbarazzo totale in cui si trovava.
- "Sono andato in giro tutto il giorno con quel... coso nella giacca!" gridò scandalizzato ed incredulo.
- "Mica è usato, idiota! È nuovo ed è ancora impacchettato. Non fare il ragazzino, per cortesia".
- "Stamattina stavo per tirarlo fuori di fronte al mio capo perché il suo caffè era troppo amaro. Ti rendi conto della figuraccia che avrei fatto per via del tuo... coso?". Scoppiai a ridere di fronte alla sua faccia sconvolta: neanche se avesse avuto una bomba innescata tra le mani avrebbe avuto tanta paura.
- "Mica ti ho costretto io a portarti a spasso il mio assorbente interno!" mi difesi, gioendo internamente del suo disagio; sapere che sarebbe bastato così poco per metterlo in difficoltà...
- "Potresti smetterla di chiamarlo con il suo nome?" chiese sul baratro dell'isteria, tenendo il piccolo pacchetto a penzoloni tra l'indice e il pollice e mantenendolo ad una distanza di sicurezza di almeno trenta centimetri dal proprio corpo.
- "Quanti anni hai: dodici? Preferisci Tampax?" lo schernii.
- "Preferisco non chiamarlo. Te lo vuoi riprendere?" me lo porse malamente, ma io mi tirai indietro.
- "No, te lo regalo Nick. Non si sa mai che per caso tu cresca e ne abbia bisogno, cucciola". Gli strizzai una guancia e lo lasciai sul pianerottolo, sparendo dietro la porta di casa mia.
 
- "Zucchero, mi stai perseguitando?". Warren rispose tranquillo al suo cellulare, mentre ancora io mi arrovellavo le meningi perché il meccanismo del mio piano fosse perfetto.
- "No, in effetti volevo renderti un favore. Che ne dici di organizzare una festa per stasera?". Era l'unica possibilità per me di entrare a casa di Nick e dare un'occhiata alle sue carte, senza dare nell'occhio.
- "Mi prendi in giro? - nonostante il poco preavviso, l'entusiasmo del mio amico era palpabile e non avevo dubbi che il risultato sarebbe stato sensazionale. Per lo standard di Warren, ovviamente - Vedo già zucchero filato color vinaccia e camerieri vestiti solo di grembiuli leopardati in giro per casa tua" strillò esaltato.
- "Oh, no. Non nel mio appartamento; da Nick" dissi diabolica.
- "Da Nick?".
- "Già, sai qualche tempo fa ha rifatto i pavimenti e ha fatto dare una mano di colore alle pareti e mi sono resa conto che non li abbiamo mai inaugurati" spiegai.
Giochi con me, caro il mio MacCord stripper e giornalista del cavolo? Ti rendo il favore.
- "D'accordo, lo chiamerò allora".
- "In realtà lui non ne sa niente: dev'essere una sorpresa. Tra poco ti mando via sms il numero di cellulare di Kay e sono certa che saprai convincerla che l'idea di festeggiare il suo adorabile cuginetto è fantastica". In quattro e quattr'otto avevo delegato a Warren sia la grandissima rottura di organizzare la festa, sia l'infausto compito di chiedere aiuto alla fidanzata di Will.
- "Molto carino da parte tua, Sam. Cosa non faresti per farti portare a letto..." ridacchiò.
- "Non lo faccio per questo. È un regalo per un amico" spiegai sincera, con la minuscola eccezione della ragione per cui avevo deciso di celebrare. Che praticamente costituiva l'intero pensiero. Okay, era una balla.
- "Sì, certo, ne sono sicuro. Beh, se è per Nick, immagino che i camerieri coi grembiuli leopardati non siano adatti" pensò Warren ad alta voce.
- "Credo anche io" concordai.
- "E vada per lo zebrato".
 
La deliziosa villetta a schiera di Nick era stata trasformata in una di quelle conchiglie di Polly Pocket, di un imbarazzante verde fosforescente e quelli del servizio catering agghindati come dei poveri cristi sopravvissuti ad un safari, con quei gonnellini zebrati sfrangiati. La casa era piena di gente raccattata grazie a qualche telefonata e ad un po' di passaparola tra gli amici di Nick indicati da Kay e qualche parente, rigorosamente under quaranta.
Nick arrivò poco dopo le sette, sfoggiando un sorriso di circostanza e degli occhi sbarrati dovuti alla discutibile scelta dei colori che si erano rovesciati nel suo salotto.
- "Warren, devi tenere sotto controllo Nick finché non torno" sussurrai al mio amico, intenzionata ad entrare nella camera del padrone di casa per cercare qualche documento o ricerca che mi confermasse che ero sulla pista giusta, indagando su Hagrol e Burton, prima ancora che su Banks e il povero Ralph.
- "Non ti occupi tu di lui?" mi chiese malizioso.
- "Te lo affido".
- "Tesoro, è in mani sicure. Solo non garantisco che quelle chiappette ti giungeranno prive di morsi" scherzò, ma non troppo, andando incontro ad un gruppo di ragazzi.
Sgattaiolai fino alla zona notte con quanta velocità e grazia mi permettessero un tacco dodici ed un vestito stretto. Kay era intenta a intrattenere un bel giovanotto - che non avrei mancato di menzionare a Will - e mi aveva lasciato campo libero fino alla camera da letto. Entrai in punta di piedi - con un tacco dodici, come altro pensavi di fare? - e osservai la stanza maniacalmente ordinata, con una pila di libri posizionata sul comodino e le lenzuola ben tese sotto il piumone invernale. Aprii qualche cassetto, ma non trovai altro che vecchie cartoline e fotografie varie, biglietti di concerti passati e dei block notes nuovi.
Un faldone posizionato sullo scaffale più alto delle mensole sopra la scrivania catturò la mia attenzione: era molto voluminoso, non recava alcuna etichetta ed era anche tanto in alto. Una volta salita sulla sedia e quindi sulla scrivania, lo afferrai e ne sbirciai il contenuto: c'erano riviste di arredamento e di modernariato. Lo richiusi alla bell'e meglio e scesi lentamente fino a ritornare con i piedi ben saldi al terreno.
Quella camera sembrava dannatamente grande e non avevo idea da dove cominciare a cercare. Un rumore proveniente da poco fuori mi spaventò e quando dei passi si fecero più vicini, fu necessario trovarsi un nascondiglio.
Giusto il tempo d'infilarmi sotto il letto e il padrone di casa irruppe nella camera, parlando al telefono con voce concitata.
 
We're caught in a trap.
 
- “No, non sospetta nulla. Sì che sono certo. Lo so, so che finiresti nei guai, ma ti ho già detto che puoi fidarti di me e mi pare di avertelo dimostrato. Cosa? Stai andando fuori di senno? Non accetterebbe mai di aiutarci in questa cosa. Ti capisco, ma coinvolgerla sarebbe una mossa stupida. Sam... - il suo tono mi fece vacillare e trattenni il respiro per qualche istante. Come aveva fatto a scoprirmi? Sospirai amareggiata e rotolai quasi fino al tappeto accanto al letto, quando sentii che Nick non si era affatto accorto di me e che stava continuando a parlare al telefono, preoccupato. Tornai veloce nascosta sotto le doghe, ancora più inquieta - Sono dalla tua parte, me ne occuperò io, non temere. Lei non è un problema". Lei chi?
 
I can't walk out...
 
- "C'è qualche problema?". Una donna stava parlando dall'anticamera.
- "Tutto normale" rispose l'altro, sedendosi sul letto e legandosi più salda una stringa della scarpa.
Ascoltavo distrattamente la conversazione tra Nick ed una voce femminile troppo biascicata e bassa per essere riconosciuta. In realtà, ero molto più concentrata a sperare che quella o quel Sam nominato nella chiamata non fosse l'unica persona che pensavo: Banks. No, come avrebbe potuto conoscerlo? Ovviamente non eravamo gli unici sul pianeta a portare quel nome e il mio cuore non voleva nemmeno sfiorare l'idea che Nick stesse proteggendo quello sporco sfruttatore di prostitute minorenni che casualmente era il mio caporedattore. Casualmente? Niente era stato dettato dal puro fato in quella situazione ed io avevo bisogno di sapere, di capire.
 
...because I love you too much baby.
 
- "Pensi che abbia scoperto qualcosa?" .
- "Non credo" ribatté Nick.
Sembrava ancora più nervoso di qualche minuto prima.
- "Non credo non è abbastanza. - ribatté piccata la donna - Sei sicuro di voler continuare? È un gioco pericoloso e qualcuno potrebbe farsi male".
- "Nessuno lo sa meglio di me, ma a questo punto rischio molto di più a tirarmi indietro". Ora la conversazione si stava facendo sempre più intensa e tesa.
- "Ci sono altri che rischiano con te..." gli fece notare la ragazza, la voce ridotta quasi ad un sospiro agitato.
- "Pensi forse che non lo sappia? Ho accettato le condizioni di Banks, lo asseconderò e spero che tutto vada per il meglio".
Mi morsi un labbro, più o meno volontariamente, e lo strinsi così forte che dopo qualche secondo sentii il sapore sgradevole del sangue sulla lingua. Banks. Che diavolo voleva dire che aveva accettato le sue condizioni? Sam lo stava ricattando?
- "Pregherò per te, anche perché sperare è francamente troppo poco e non ti salverà la vita" lo rimbrottò la donna.
- "Sto con Banks: questo dovrebbe salvarmela".
Gli aveva promesso dei soldi per non pubblicare la storia?
Nick era Ken Hagrol. Ken Hagrol era Nick. Con Clive Burton seppellito sotto tre metri di terra forse si era illuso di poter dimenticare la sua seconda personalità, quella onesta. Nick era un dannatissimo venduto.
 
La discussione in camera da letto si concluse più o meno con quella dichiarazione di fedeltà a Sam Banks da parte di Nick. Rimasi nascosta sotto il letto ancora qualche istante, nonostante la stanza fosse rimasta vuota praticamente subito dopo. Strisciai sul parquet con il vestito e mi ravvivai i capelli, prima di evitare la folla ed uscire all'esterno.
Sul piccolo portico di casa MacCord la temperatura era bassissima, giusto quel che serviva per graffiare la pelle e anestetizzare i pensieri. Una nebbiolina densa appannava la visuale sulla via disseminata di lampioni, deserta a quell'ora della notte, lasciando all'immaginazione il compito di dare ai suoni della città una provenienza. Abbandonata in una sedia di vimini, mi stavo crogiolando nella più completa desolazione da ormai una decina di minuti, senza pensare a niente che non fosse il paesaggio grigio e spento che avevo davanti agli occhi; era come se non lo vedessi, gli occhi fissi su di un punto e il rimbombo della musica che proveniva da dentro nelle orecchie.
Il cigolio della porta d'ingresso mi fece voltare verso la persona che si stava avvicinando a me con passo lento e rilassato. Rigirai la testa verso la strada, chiudendo gli occhi e lasciando cadere la testa oltre il bordo dello schienale.
Nick mi posò una coperta sulle gambe e si appoggiò con il sedere alla ringhiera, le mani strette alle piccole barrette di ferro battuto. Il cappotto aperto gli sfiorava le ginocchia e la sciarpa attorno al collo era stata messa malamente e di corsa.
- "Sei sparita tutta sera; - disse con voce pacata - è stata Kay a dirmi che te ne stavi sola in meditazione qui fuori. Cominciavo a credere che ti avrei trovata chiusa nel mio armadio con qualche invitato a giocare ai sette minuti in paradiso" scherzò, torturandosi i capelli con le dita.
- "Ho aiutato a sistemare" risposi calma. Solo in quel momento realizzai quando facesse freddo ed infilai le mani sotto il plaid che mi era stato portato. Poi, il pensiero che avesse potuto comprarlo con i soldi sporchi di Banks mi impose di gettarlo sull'altra sedia di vimini che stava accanto alla mia. Meglio morire assiderata che venduta.
- "Confesso: credevo che questa festa sarebbe stata un fallimento, ma mi ero sbagliato. Se non considero qualche decina di persone di cui non ho la più pallida idea di chi possano essere, ho ritrovato parecchi visi famigliari. - Non avevo voglia di parlare, né tanto meno di rispondere a lui, quindi rimasi in silenzio - Ti senti bene?" chiese, notando che non davo segni di vita.
- "Solo un po' stanca. E delusa". Lo fissai per scoprire fino a che punto fosse in grado di mentirmi guardandomi negli occhi.
- "Delusa? Come ho già detto, la serata è stata un successo! Certo, avrei preferito passare diversamente il mio unico giorno libero dopo settimane, ma non mi è dispiaciuto vedere Warren infastidire tutti gli uomini presenti". Tra tutte le persone di cui mi sarei potuta innamorare, avevo scelto la peggiore, una che aveva avuto il coraggio di scambiare il proprio lavoro e la propria integrità morale per soldi.
- "Io ormai ci ho fatto il callo; con lui è sempre la solita storia. Però, in fondo, è bello sapere esattamente come si comporterà una persona. È... rassicurante". Per quanto cercassi di mantenere la calma, mi era impossibile fingere di essere totalmente indifferente. Perché, dannazione, non lo ero per niente; Nick non mi sarebbe mai stato indifferente: lo amavo, odiavo, ne ero ripugnata ed attratta allo stesso tempo. Era la prima ed ultima persona che avrei voluto avere accanto, la prima e l'ultima da cui avrei voluto essere toccata.
- "O noioso. Ci vuole un briciolo di imprevedibilità a volte". Quelle parole gli scivolavano dalla bocca senza malizia, ma tutto ciò che io riuscivo a leggere erano frasi allusive che mi stuzzicavano e schifavano.
- "L'imprevedibilità è pericolosa".
- "Ma è eccitante".
- "Non sempre il gioco vale la candela. Talvolta bisogna stare attenti a non esagerare, a non sconfinare nel punto di non ritorno" dissi fredda e distaccata, come lo era il vento di quella sera.
- "Il massimo a cui Warren può andare incontro è prenderselo in quel posto. E comunque gli andrebbe bene. Scusa la scurrilità, devono essere i Martini a parlare" si scusò, dopo quella battuta un po' spinta.
- "Potresti scusarti per altro" mi sfuggì.
- "Ad esempio?" m'incalzò.
Warren, dall'altra parte della sala, cominciò a farmi strani segni, distraendomi.
- "Pe-per la scommessa. Non mi hai ancora detto qual è la prossima professione e sono settimane che io ho già terminato con quella precedente. Mancano solo due biglietti, no? Sono pronta per il penultimo".
Warren si faceva sempre più insistente, toccandosi l'orecchio e cercando di comunicarmi qualcosa.
Cos'è? Alfabeto muto?
- "Oh, certo, li ho nell'altra giacca. Mi aspetti qui?" chiese Nick, a mo' di domanda retorica.
Se uno si afferra il lobo che lettera è? Mi sentivo sotto pressione da ambo le parti. G? L? F?
Warren s'indicò disperato sempre quel dannato orecchio. Voleva dirmi che era gay? Non che ci fosse poi tutta questa necessità di specificarlo.
- "Sammy? - ribadì Nick - Guarda che hai perso un orecchino".
Controllai ed effettivamente constatai che mancava. Porcaccia la miseriaccia, dove diavolo l'avevo perso? Il rischio che fosse sotto il letto, sul parquet immacolato era parecchio alto e data la mania da sociopatico di pulire di Nick, non avrebbe impiegato molto a trovarlo.
- "Vengo con te" affermai sicura.
 
- "Ti aiuto?". Nick stava per avvicinarsi all'attaccapanni della sua camera ed io stavo sudando freddo per individuare sul pavimento quel maledetto affare che avevo avuto la brillante idea di portare alle orecchie.
- "Ti ringrazio, Sammy, ma credo di essere ancora in grado di riuscire a prendere una giacca appesa all'attaccapanni" ridacchiò.
- "È che si trova parecchio in alto, magari ti serviva una mano". Di bene in meglio, con le scuse.
Nick intercettò il mio sguardo palesemente a disagio e non poté impedirsi di sghignazzare.
- "Oh, non ti preoccupare. Ho già chiesto ai sette nani" mi schernì.
Dovetti fingere di grattarmi un piede per riuscire a guardare anche sotto il letto, mentre lui armeggiava con le tasche del giubbotto. Lo individuai sotto le doghe ed allungai il braccio, ma Nick si girò di colpo.
- "Attento! - urlai con foga tale che sembrava fossi il capitano del Titanic di fronte all'iceberg, indicando l'attaccapanni, e lui si voltò di nuovo dall'altra parte, notando che in realtà non stava accadendo proprio niente. Afferrai l'orecchino e lo tenni stretto nella mano - Stava per caderti tutto!" mi giustificai di fronte alla sua faccia attonita.
- "Ma se non ho ancora toccato nulla!".
- "Errore di prospettiva, immagino. Sai, ero per terra, a grattarmi il piede e... basta. E basta." sorrisi imbarazzata.
Alla fine venne estratto il penultimo bigliettino: farmacista. Strinsi il foglietto nella mano e uscii dalla camera, con entrambi i miei trofei appallottolati tra le dita.
 
Le due ore seguenti vennero trascorse a molestare la libreria del salotto. Aprivo tutti i libri con disinvoltura alla ricerca di fogli sparsi che potessero dirmi qualcosa, ma trovai solo una collezione di segnalibri e fiori lasciati ad essiccare. L'unico momento di svago fu la tappa al bagno, che si rivelò essere l'idea più malsana che potessi avere.
Nick mi agguantò per un braccio mentre stavo per varcarne la soglia e mi spinse dolcemente contro il muro. Rimasi senza parole, incerta sulle ragioni per cui mi avesse schiacciato, al buio, contro la parete. Il suo alito e una risatina stupida parlarono per lui: era brillo.
- "Sei ubriaco. Vai a letto, Nick" gli dissi sorridendo.
- "Sono qui e mi sto per comportare in un modo poco rassicurante" articolò con una certa difficoltà, tenendosi ben saldo alle mie braccia, piegate su se stesse in modo che i palmi delle mani fossero contro il suo torace.
- "Allora fai marcia indietro e torna in salotto" gli suggerii.
I suoi occhi chiari risaltavano anche con la poca luce che filtrava dal salotto.
- "Ma io voglio stare qui. Con te". Strusciò il naso sulla mia guancia ed io mi voltai da un lato, di modo che la mia bocca fosse il più lontano possibile dalla sua.
 
Why can't you see
What you're doing to me
When you don't believe a word I say?
 
- "Hai un buon profumo, Sammy" sussurrò, girandomi il volto con facilità verso il proprio.
È uno stronzo, un viscido, uno che si vende per soldi.
È l'uomo che ami, quello per cui manderesti al diavolo tutto e tutti.
Aveva appena sfiorato le mie labbra con le sue, scaldandole e accendendole col proprio respiro, quando mi ritrassi bruscamente.
- "No, io... io non posso". Alla fine, nella dura lotta tra il cervello e il cuore, tra la ragione ed il sentimento, aveva prevalso la certezza dei fatti: Nick non era la persona che credevo.
- "Nickuccio? Ah, scusa Zucchero, disturbo?" Warren arrivò in tempo per uccidere anche l'ultimo ormone rimasto in circolo.
- "In effetti sì. Io e Sammy eravamo nel bel mezzo di..." cominciò a dire l'altro, ma la mia voce prevalse.
- "Di niente. Non disturbi affatto, Warren. Anzi, è ora di andare".
- "Possiamo parlarne?" ribadì Nick.
- "Hai bevuto e tutto ciò di cui possiamo discutere è di quante aspirine prenderai domani mattina contro il mal di testa da sbornia. Buona notte" dissi decisa e trascinai Warren nella stanza attigua.
 
We can't go on together
With suspicious minds.
And we can't build our dreams
On suspicious minds.
 
- "Se lui è ubriaco, tu ti sei bevuta il cervello! Ti si stava offrendo come un pasticcino alla crema - e su questa crema potremmo dilungarci all'infinito - e tu l'hai rifiutato! Tesoro vai a tagliarti i capelli, perché quella massa informe di paglia che hai in testa sta opprimendo i tuoi poveri neuroni" mi urlò in faccia, con autentica rabbia.
Distolsi lo sguardo per qualche istante, incerta se raccontargli l'unica plausibile - e vera - ragione per cui mi ero sottratta dal bacio, e da chissà che altro, di Nick. Aprii la bocca, ma subito la richiusi: no, non avrei detto nulla. Non avrebbe capito.
Optai per una scusa più banale, ma più facile da digerire.
- "Aveva più alcool che sangue in corpo: non avrebbe avuto senso approfittarsi di lui".
Warren mi strattonò per un gomito e mi allontanò ulteriormente dalla stanza da cui eravamo appena usciti.
- "Sam, una volta che vi state rotolando nel suo letto, non te ne frega un cavolo di chi si stia approfittando di chi!". Era commovente sentire il romanticismo sbocciare da ogni poro della sua pelle.
- "Non mi andava, okay?" mi spazientii.
- "No, non è okay per niente! Ora tu torni là dentro, gli salti al collo con fare da maniaca e te lo scopi finché non trovi di meglio da fare".
Il mio già cattivo umore stava sfociando in una vera e propria incazzatura cronica.
- "Ho sonno" scandii furiosamente, pur sapendo che il mio livore non l'avrebbe scalfito. Warren era una di quelle persone che è impossibile far arrabbiare: nel bel mezzo dei peggiori momenti, con l'irritabilità a mille e sputandogli in faccia parole crudeli, il suo sguardo sembrava comunque raccogliere le cattiverie come una paranoia dell'interlocutore stesso, perché, dal suo punto di vista, era impossibile che qualcuno lo trovasse sgradevole in qualche modo: ai suoi occhi era perfetto e se gli avessi urlato che era un finocchio, un rompipalle, un egocentrico, sarebbe stato in grado di farti il lavaggio del cervello, conducendoti a pensare che eri solo geloso della sua onnipotenza. Warren era un manipolatore di cervelli, nient'altro, ed ero onestamente sorpresa che non fosse diventato un guru di qualche strana religione orientale.
- "Sonno? Sonno? Adesso andiamo da lui, tu gli strizzi una chiappa e, nella migliore delle ipotesi, rinsavisci. Così forse ti renderai conto dell'opportunità che ti stai lasciando scappare".
- "È impegnato con un'altra persona". Al di là di tutta la faccenda di Burton e Hagrol, non potevo dimenticare che Nick fosse ormai impegnato con Katy.
- "E questo è un tuo problema perché...?" m'incalzò.
- "Perché la conosco". Con la consulente legale di MM c'erano già stati troppi problemi e, per quanto mi rodesse internamente aver perso Nick a causa sua, in fondo le ero anche grata, perché mi aveva permesso di cominciare a detestarlo in anticipo. Non è mai troppo presto per convincersi ad odiare una persona che si ama.
- "Continuo a non capire, Zucchero" ammise Warren, sul punto della disperazione.
- "Non faccio la sgualdrina". Mi resi conto che queste parole, pronunciate da una che si era lasciata abbindolare in una scommessa a sfondo sessuale per non sentirsi in debito col proprio orgoglio, non potessero poi valer molto, ma ciò che il mio amico non sapeva era che non potevo più permettermi di lasciarmi coinvolgere da Nick.
- "Zucchero, le alternative sono due: o fai la sgualdrina e ti fai un giro con l'uomo più sexy della festa - l'uomo etero più sexy della festa -, oppure fai l'idiota e ti perdi l'occasione di giocare al dottore. Scegli. Ma ti avverto che l'opzione idiota è già stata prenotata dalla ragazza di Nick, che ha lasciato libero il fidanzato di gironzolare con il suo bel culo tutto solo soletto. Non rimane molto da scegliere, eh?".
- "Scelgo la mia dignità" dissi in modo teatrale, avvolgendomi la sciarpa attorno al collo, al quale avrebbe tanto voluto aggrapparsi Warren, strangolandomi con le sue mani.
- "La dignità non ha mai aiutato nessuno a farsi un uomo" mi spiegò dolcemente, come se le sue perle di saggezza fossero tali davvero.
- "Beh, allora immagino che non mi farò nessuno, stasera". Presi il cappotto e me lo infilai, liberando i capelli rimasti impigliati sotto. Warren mi guardò perplesso e poi s'indicò il volto con l'indice della mano destra.
- "La vedi questa? È la mia faccia di disapprovazione. Non posso nasconderlo: sono molto deluso, Sam. Dov'è finito il tuo coraggio? Affronta la realtà, non scappare di fronte alle difficoltà: i tuoi non sarebbero fieri di sapere che sei fuggita di fronte ad una scopata".
Ah sì, mio padre sarebbe così fiero di vedere la sua bambina nel letto di un ragazzo impegnato!
- "Raccogli le tue cose, Warren: ce ne stiamo andando". E l'argomento fu dichiarato chiuso, anche senza l'approvazione dei miei genitori.
 
Il pentolone di fagioli che mi bolliva accanto da dieci minuti, meglio conosciuto come Warren, continuava a borbottare sottovoce, commentando, tra un saluto ed un altro, quanto fossi stupida. Io mi limitavo a sorridere a qualche viso conosciuto, mentre lui aveva deciso di dedicare un arrivederci ad ogni singolo partecipante alla festa, senza distinzione alcuna.
Nick girava come una trottola tra i suoi ospiti, sorpresi almeno quanto me dalla loquacità che lo aveva colpito sin dal momento in cui si era concesso qualche cocktail alcolico in più. Elargiva splendidi sorrisi a chiunque, persino all'attaccapanni, ed era disinibito come sul palco del Pumping Pumpkin. Sembrava... libero, senza freno a mano, senza la pretesa e la pressione di essere controllato in ogni minimo gesto.
Finalmente riuscii a bloccare Warren e a costringerlo ad andarcene, ma lui insisté per salutare anche il padrone di casa.
- "NickNick! - lo chiamò, facendo vibrare in aria le dita di entrambe le mani - Grazie della splendida serata. Oddio, è pur vero che devo ringraziare me stesso per aver organizzato tutto e per essere così fantastico. Beh, allora grazie a me!" si batté le mani.
Nick lo fissava un po' stralunato, facendo oscillare la testa dalla spalla sinistra a quella destra, gli occhi lucidi e confusi.
- "Mi sa che hai bisogno di dormire, bello!" gli diede qualche pacca sulla spalla e si diresse verso la porta.
Feci un passo avanti per salutarlo a mia volta e me lo trovai spalmato addosso in un abbraccio al limite del soffocante. Il mio viso era affondato nell'incavo del suo collo e le sua braccia mi stavano stritolando il bacino.
- "Sammy, la mia Sammy" esclamò, dondolandoci.
- "Nick? Ehm... Nick? Puoi mollarmi, per favore?" riuscii a dire.
Lasciò la presa bruscamente, ma mi tenne in piedi grazie alle sue mani salde sulle mie spalle.
- "La vedi quella dietro di me? - cercò di sussurrare. In realtà stava praticamente urlando - Ecco, quella è una grandissima rompicoglioni. Lo sapevi?". La ragazza in questione spalancò la bocca scandalizzata e fissò quasi in lacrime la sua amica, che stava disperatamente trattenendo una risata.
- "No, ma credo che ora lo sappia anche lei".
- "Davvero?" annuii, mentre Nick si scolava l'ennesimo Martini.
 
Rinunciai all'idea di scambiare altre parole con lui e raggiunsi Warren all'ingresso.
- "È andato il ragazzo..." commentò quest'ultimo, infilando il suo numero scritto su di un biglietto nella tasca posteriore dei jeans di un baldo giovine che se ne stava andando.
- "Già, era in versione 'dico tutto quello che mi passa per la testa''"
- "No, parlavo del gnoccolone che è uscito ora dalla porta. No, dico, hai visto le occhiate che mi lanciava? Quasi quasi lo raggiungo. Perché, sai com'è, io so cogliere l'attimo. Per quanto riguarda Nick, beh, sai come si dice... in vino veritas".
Lo presi sottobraccio e ci incamminammo lungo il vialetto, verso il cancello, quando ad un certo punto mi bloccai all'improvviso.
Diamine: in vino veritas!
- "Torno subito, Warren. Aspettami!". Ripercorsi velocemente i pochi metri che mi separavano dalla porta di casa MacCord e mi precipitai all'interno. Una breve e febbrile ricerca nel salone e finalmente lo individuai: se ne stava stravaccato sul divano, solo, gli occhi semichiusi e un'espressione un po' allucinata.
- "Nick... ehi? - i suoi occhi s'illuminarono in un sorriso - Sono Sammy" gli dissi nel tono più dolce che potessi, nonostante il mio cuore battesse furioso.
- "Sammy..." allungò una mano verso i miei capelli e cominciò a giocare con una ciocca, cercando invano di arrotarla sul proprio dito.
- "Lo vuoi dire un segreto a Sammy? - Mi ignorò: tirarmi i capelli era molto più divertente che ascoltarmi. Fantastico. Lo scossi leggermente e feci in modo che mi prestasse attenzione - Me lo dici, Nick?". Lui mosse la testa e non riuscii a capire se stesse annuendo o semplicemente... muovendo la testa.
- "Nick, sei tu Ken Hagrol?". Sarei rimasta col cuore in gola finché non mi avesse risposto. Finché non mi avesse risposto no.
 
Let's don't let a good thing die
When honey, you know I've never lied to you.

 

 

Dopo che molte di voi mi hanno fatto sentire in colpa per il ritardo - non c'è bisogno di fare nomi, sapete perfettamente chi siete, voi perfide :)  - finalmente aggiorno. Questo capitolo lo odio, perché ha rivelato molte cose e sapete quanto io odi darvi troppe informazioni  e poi perché mi ci è voluto un sacco per scriverlo, ma forse questo punto si ricollega direttamente al punto precedente.
La canzone del titolo è "Suspicious minds" di Elvis.
La mamma di Rossana  è dell'omonimo cartone e sono certa che chiunque conosce le sue acconciature con ruota di criceto e criceto annessi.
Nel caso non fosse chiaro, Beijing è come viene scritto 'Pechino' nella lingua mandarina.
'Sette minuti in paradiso' è un gioco per adolescenti per cui vengono scelte due persone che vengono chiuse in un armadio/sgabuzzino e possono fare qualunque cosa per sette minuti; ovviamente, il modo più usato per far passare il tempo è pomiciare allegramente.
Stasera non ho tempo per rispondere alle recensioni. Vi chiedo scusa e prometto che rimedierò domani.
Ah, dimenticavo: il programma che ho usato io per verificare l'anagramma è questo.
Ringrazio Nessie per il betaggio e le altre galline che non citerò perché altrimenti si montano la testa ;)
Se qualcosa non fosse chiaro, sono disponibilissima a spiegare! Contattatemi o su fb oppure semplicemente sulla pagina autore. Mi pare tutto! Un bacio a tutti e grazie come sempre!
S.

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. Sweet About Me. ***


Capitolo trentatré. Sweet About Me.
 
- "Chi è Ben Narcol?". Nick spalancò gli occhi all'inverosimile e mi guardò stralunato, la testa malferma spostata sulla spalla sinistra, al punto da sbilanciarlo da quel lato. Stava seduto sull'angolo del divano, con le braccia mollemente poggiate sui cuscini imbottiti e le pupille che scrutavano lente ed appesantite gli invitati alla festa, come a cercare di capire che diamine stesse accadendo nel suo soggiorno.
- "Ken Hagrol" ripetei secca, prendendogli con una mano la mascella, pollice ed indice affondati nelle sue guance per riportare la sua attenzione su di me. Era da almeno un minuto che lo fissavo, fremente d'ansia per la risposta che mi avrebbe dato e lui sembrava vedere tutti tranne me.
- "Non mi sento molto bene...", incespicò tra le sue stesse parole e cercò di alzarsi in piedi, poggiandosi al mio braccio e alla lampada da terra che arredava il salotto e che tremò per una decina di secondi, sebbene fosse stretta tra le sue dita.
Stavo per spingerlo di nuovo sul divano, ma il pensiero che potesse vomitare sulle mie Sergio Rossi di vernice nera mi fece desistere.
- "Sì o no?", lo incalzai, sorreggendolo mentre raggiungevamo verso il bagno. Sembravo una eroinomane alla disperata ricerca di una dose, e più o meno la mia condizione era quella, con la differenza che non volevo droga, ma una benedettissima risposta.
- "Mchdrucgempf" biascicò. Era un sì o un no? Perché sembra più un no, giusto?
- "Come?", domandai confusa.
- "Lasciami in pace". Sorpassò con passo pesante la porta del bagno e raggiunse a tentoni quella di camera sua, mentre io lo seguivo nella stanza. Eravamo talmente appiccicati che era impossibile stabilire chi stesse sostenendo chi. Mi avvolse la mano gelida con la sua, grande e calda, ed esitò qualche istante, stupito dalla freddezza dei miei palmi e delle mie dita. Mi guardò con uno sguardo incerto e si lasciò cadere a peso morto sul letto, cogliendomi di sorpresa quando scoprii che, insieme a lui, ero stata trascinata anche io. Per un attimo, la mia mente vagliò la possibilità reale di restare così, sdraiata su di lui, con il rimbombo del battito del suo cuore nell'orecchio e nel cervello. Sarebbe stato così facile dormire su di lui e chiudere i problemi fuori da quella camera. Sì, sarebbe stato facile, ma anche da codardi. E se mai ci fosse stato qualcosa di cui mi ritenevo fiera, almeno negli ultimi tempi, era quello di affrontare la realtà a costo di essere presa a badilate in faccia.
Mi cullai in quella posizione, finché fu il torpore alle dita delle mani, schiacciate tra il materasso e il suo corpo, più che l'effettiva voglia di staccarsi da lui, a farmi rialzare in piedi e stendergli una coperta addosso, prima di uscire dalla stanza. Richiusi la porta e cercai Kay, per dirle che il cugino era ormai svenuto nel letto e che non si sarebbe alzato prima della mattina seguente, nemmeno se ci fossero stati dei bombardamenti alieni. La festa, o quel che ne rimaneva, era ora nelle sue mani.
 
Warren mi stava aspettando fuori da casa di Nick, scambiando qualche timida chiacchiera con due ragazzi e tre calici di vino. Per la prima volta da quando lo conoscevo, sembrava non essere del tutto a suo agio ed era stranamente poco incline a monopolizzare l'attenzione degli astanti. Era dimesso, defilato, più concentrato ad ascoltare che a parlare, ed evitava accuratamente il contatto visivo con uno dei due giovani che aveva davanti, un biondino che sorrideva di continuo in direzione del proprio amico accanto.
Quando lo raggiunsi, tirò un sospiro di sollievo e si congedò rapido dai due, adducendo una debole scusa. Lanciò un'ultima occhiata al ragazzo sorridente e s'incamminò con veemenza verso il cancello.
- "Qualcosa non va?". Non mi stava ascoltando - comportamento piuttosto diffuso in quella serata -, e mi rispose solo dopo la gomitata nelle costole che gli rifilai di nascosto.
- "Ahi! Che c'è?", disse scontroso, massaggiandosi la parte in cui aveva ricevuto il colpo.
- "Come sono i miei capelli stasera?". Era la domanda cruciale, e se non si fosse deciso a rispondere, avrebbe significato che era malato o davvero molto preoccupato. Lo guardai mentre esitava, sempre più perplessa per il suo comportamento, insolitamente taciturno e pacato. Alzò le spalle svogliato e quello fu il chiaro segnale che qualcosa non andava, ma se non era pronto per parlarne, non l'avrei forzato.
 
Okay, erano passati dieci minuti di taxi e ancora non mi aveva raccontato un bel niente; avevo aspettato anche troppo!
Mi schiarii la gola, picchiettai con le dita sul suo ginocchio e cercai di avere un tono vago.
- "Allora, chi era il giovanotto ridente?".
 Vago?
Warren tornò con la mente all'interno dell'auto che ci stava portando a casa, e mi guardò stupito e quasi impaurito.
- "Chi? Ah, erano una coppia di amici", tentò di liquidare l'argomento in quel modo, ma non avevo intenzione di mollare l'osso. Era un'occasione più unica che rara vederlo in difficoltà.
- "Tu non hai amici. Hai trombamici", gli feci notare.
- "Solo amici", sospirò in imbarazzo. Allungò una banconota al taxista e scese, costringendomi ad accelerare il passo per raggiungerlo. Gli camminai di fianco fino all'ascensore del mio palazzo, sorpassando un grosso pacco in portineria, e aspettai che le porte si chiudessero prima di urlare esaltata.
- "Quindi è questo il problema: non è qualcosa di più!".
- "Quando dici è invece di sono, è perché alludi all'intera coppia?". Stava spudoratamente e platealmente fingendo di non capire il significato delle mie parole, ma la sottoscritta non avrebbe ceduto.
- "No, è perché intendo solo il biondino sorridente", risposi saputa.
- "Cosa dici? Sebastian...". Quel nome gli uscì dalle labbra quasi sospirato ed io non riuscii a trattenermi dal prenderlo in giro.
- "Sebastian!". Mi portai le mani al cuore da attrice consumata e guardai Warren con aria sognante, mentre lui arrossiva in maniera vistosa e si fiondava sul pianerottolo del terzo piano. Lo agguantai per un lembo della giacca e sgranai gli occhi sconcertata.
- "Oh mio Dio, - gridai eccitata - che qualcuno stampi un'edizione straordinaria del London Express e che a me pigli un colpo: sei stracotto di lui!".
- "Apri la porta! - cercò di sviare - E non sono stracotto di nessuno; io amo solo me stesso, ricordi?". La farsa sulla checca isterica ed egocentrica - che comunque tanto farsa non era - prima o poi sarebbe dovuta finire, e quel prima tanto agognato era arrivato.
- "Sono così orgogliosa di te, Warry! - lo abbracciai forte, mentre lui frugava nella mia borsa alla ricerca delle chiavi del mio appartamento - Era ora di mettere il tuo pisello nella fondina per un po' e cominciare a ragionare con il cuoricino".
- "Ma che stai dicendo?". Sgusciò facilmente dalle mie braccia e mi strappò dalle mani il mazzo di chiavi, trafficando per azzeccare quella giusta.
 
Tell You Something That I’ve Found,
That The Worlds A Better Place When It’s Upside Down Boy
 
- "Mi dispiace solo che tu ti sia innamorato di lui proprio mentre io sto smettendo di esserlo di Nick... avremmo potuto fare i patetici zuccherosi insieme!", dissi sinceramente amareggiata. Purtroppo ormai ero in cura per la Maccordite e, una volta trovato il vaccino, non c'erano dubbi che mi sarei dimenticata di quell'idiota.
Warren mi sorrise, poco convinto dalle mie parole e si tolse il cappotto e i preziosi mocassini blu scamosciati. Ci sedemmo uno accanto all'altra sul divano, lui con le gambe distese sul tavolino ed io con i piedi sotto il sedere, dal momento che erano due ghiaccioli.
- "Punto uno: - mi spiegò - se pensi di poter decidere tu quando smettere di amare Nick, stai prendendo una gigantesca cantonata, Zucchero. Punto due: merda! Se ti sei accorta tu che mi piace, significa che è proprio evidente. D'altronde, hai visto che occhi?".
Occhi? Che fine avevano fatto gli apprezzamenti su sedere, pettorali, bicipiti e equipaggiamento andrologico? Ma c'era una questione che più mi premeva.
- "Che significa ‘se ti sei accorta tu’?", chiesi offesa.
- "Ecco, appunto. Per stasera ti sei già giocata il bonus di perspicacia".
 
Se il cuore fosse un muscolo ubbidiente ai comandi della ragione, il mondo sarebbe un posto infinitamente più facile da gestire. Basti pensare a Romeo e Giulietta, Tristano ed Isotta, Jim Morrison e Pamela Courson... sono solo alcuni esempi che non fanno altro che avallare questa tesi.
Mancano solo due nomi all'appello: Sam e Nick. E la guerra che stavo per dichiarargli, dopo aver scoperto il suo gioco sporco con Burton e Banks, non avrebbe ammesso sconti...
- "Zucchero?". Erano le tre di notte e un rumore fastidioso mi aveva appena ronzato nell'orecchio, destandomi.
- "Warren, ero nel bel mezzo di un filmino mentale. Grazie per aver interrotto la voce super sexy di quel presentatore che stava per introdurre alla serata degli Oscar il film sulla mia vita", mi lagnai, stringendo la mano a Woody Allen e ringraziando per il premio.
- "Scusa se ho rovinato il tuo unico momento di gloria, ma volevo chiederti una cosa".
Chiedermi una cosa in piena notte? Cielo. Se Sebastian gli provocava già l'insonnia, la situazione era grave, molto grave, ma il mio spirito di mamma chioccia nei confronti di Warren non poteva che rendermi felice per lui e per il suo - apparentemente non deceduto - cuore.
- "Che vuoi? - biascicai, la voce impastata - Ho sonno, fra qualche ora mi devo alzare e andare al lavoro, e non posso aprire gli occhi perché altrimenti non ci sarà più alcuna possibilità di addormentarmi".
Una risatina mi solleticò il collo e venni cinta in un abbraccio stritolatore. Provai a divincolarmi ma smisi ben presto, crogiolandomi nel tepore sprigionato dalle braccia rachitiche del mio amico e dal piumone.
- "A giudicare dalla parlantina, sembri piuttosto sveglia, Zucchero", sghignazzò.
- "Warren!", gracchiai con il solo fine di porre fine a quella conversazione indesiderata e riaffondare la testa nel cuscino.
- "Posso dormire qui?", chiese senza troppa convinzione ed allora mi arresi del tutto, spalancando gli occhi e girandomi verso di lui.
- "Mi prendi per il culo?". Ormai aveva praticamente trascorso la notte a casa mia e ora si faceva degli scrupoli?
Gli uomini, per quanto possano amare altri uomini, rimarranno sempre un enigma.
- "No. È che non avevo chiesto e non volevo che pensassi che fossi un maleducato e...", si giustificò.
- "Va' a quel paese". Lo interruppi brusca e gli ordinai di dormire. Qualche attimo di silenzio e poi partì di nuovo alla carica; stavo per zittirlo decisamente spazientita, però ci ripensai, optando per ignorarlo.
- "Ma... quell'uomo è sempre stato lì?". Uomo?
- "Che uomo?". Balzai in piedi con il cuore in gola e vidi una sagoma accanto alla finestra che non avevamo notato in precedenza, dal momento che eravamo entrati nella camera senza accendere la luce. Cercai con la mano l'interruttore della lampada, lo premetti e mentre la stanza veniva illuminata, dall'oscurità comparve il bel fisico di Ralph. Con sollievo constatai che era la gigantografia regalatami durante l'intervista, che adesso splendeva in tutta la sua inutilità all'interno del mio appartamento; non ero certa di come ci fosse finita, ma avevo troppo sonno per badare a tali sottigliezze. Tre secondi dopo il rapper venne abbattuto da un missile terra-aria a forma di ciabatta con la faccia di Snoopy.
Warren si lasciò andare in una risata liberatoria e spiegò:
- "Ho visto il pacco in portineria e mentre eri in bagno sono sceso e l'ho portato su".
- "Ho cambiato idea: - sbuffai - non puoi dormire qui". Un sorriso si fece largo sul mio viso, quando rimasi sola nel letto, con un amico a mo' di scendiletto, colpito da un calcio rotante che nemmeno Chuck Norris si sognerebbe mai.
 
In ufficio, l'aria era frenetica e pesante; con il numero nuovo da preparare e le incombenti vacanze di Natale a spezzare il normale ritmo lavorativo, i soli suoni che intasavano l'aria erano il clic delle tastiere dei computer e il rumore della fotocopiatrice.
Entrai trotterellando, sebbene l'umore - e le occhiaie - non fossero dei migliori. Ero in ritardo di cinque minuti, praticamente in super orario per i miei standard, e l'idea di vendicarmi di Nick e della sua banda di magnaccia costituiva l'unica gioia che la mia giornata prevedeva.
Amanda mi sfrecciò accanto senza vedermi e si sedette alla sua scrivania, gli occhi incollati alla cartella che aveva tra le mani; Jade era sotto il suo tavolo, intenta ad improvvisarsi tecnico del computer e Valerie stava urlando al telefono con qualche inviato. Tolti cappotto e guanti, mi sedetti al mio posto e notai una grande busta gialla che non recava alcun indirizzo. Girandola, vidi che c'era solo una scritta sfocata, come se l'involucro fosse stato esposto alla pioggia e lasciato poi ad asciugare. Tutto ciò che era leggibile era un Sam[...] e un Mr[...] H [...] s, ma non era chiaro chi fosse il mittente e chi il destinatario. Cercai con lo sguardo Jeff, il ragazzo della posta, e lo avvistai in fondo alla grande sala, con i soliti jeans consunti dal cavallo basso, la massa di riccioli ribelli e i neuroni polverizzati dagli spinelli. Perlomeno era felice, lui...
Dopo averlo chiamato come una forsennata per trenta secondi buoni e con scarsi risultati, mi avviai verso di lui e lo voltai verso di me.
- "Jeff, sei certo sia per me questa busta?", gli domandai, mostrandogliela. Lui mi guardò con occhi colpevoli e vagamente intontiti.
- "Sì", disse con un fil di voce.
- "Come mai non si legge bene quello che c'è scritto sopra?". Trasse dal suo piccolo carrellino colmo di corrispondenza una bottiglia di acqua, piena fino a metà. Lo osservai dubbiosa, incerta se fargli una scenata per l'ennesimo atto di irresponsabilità da parte sua o se fargli godere degli effetti delle sue sigarette magiche e continuare ad invidiarlo.
- "Mi dispiace", sussurrò.
- "Lascia perdere, non fa nulla. Cerca solo di stare più attento, d'accordo?". Annuì, prima di procedere con il suo giro, ciondolando con la sua solita flemma.
Tornata alla mia scrivania, aprii la busta e ne afferrai il contenuto. Un'occhiata veloce e nel mio cervello si erano affollate così tante parole da non riuscire a pronunciarne nemmeno una. Con le mani tremanti, sfogliai velocemente il plico di immagini formato A4 che avevo tolto dalla busta. Foto al parco, a casa, in ufficio, al bar, in discoteca, con amici o in solitaria... in quegli scatti c'era una panoramica completa, a 360 gradi della mia vita. L'ultima risaliva alla sera precedente: dal bianco e nero opaco emergevano due figure - io e Nick - che chiacchieravano sul portico di casa sua.
 
Oh Watching Me,
Hanging By A String This Time...
 
Rimisi veloce le fotografie nella busta e la incastrai malamente nella mia borsa, letteralmente scioccata dall'idea che qualcuno mi stesse seguendo. Sam, Mr Hs. Poteva essere Nick? Ma perché mandarmi quelle immagini? A che scopo? E se non fossi stata io la Sam in questione?
- "Sei arrivata in ritardo, oggi". L'oggetto dei miei pensieri si materializzò alle mie spalle: Banks e il suo ghigno malefico mi fecero trasalire sulla sedia girevole.
- "M-mi dispiace", borbottai, ancora troppo scioccata per formulare una frase più elaborata.
- "Ti dispiace? - scherzò lui, avanzando verso di me - Anche a me, soprattutto visto che capita molto spesso. Grayson sei fuori, libera la scrivania".
Come, come, come?
- "Mi stai licenziando?" urlai sconcertata, finalmente ritornata alla realtà, dopo la sparata di Sam1. Mi sembrò che l'intera redazione si fosse paralizzata, troppo concentrata e stupita nell'osservare la scena, perfino per fingere di continuare a lavorare.
- "Puoi scommetterci. - ribatté lui sicuro - Ti voglio fuori di qui tra un'ora", rispose rabbioso. Mi morsi la lingua per non gridare a tutto l'edificio che razza di pervertito schifoso avessimo - anzi, avessero - per capo, ma sarebbe servito solo ad attirare la sua attenzione su di me. Ancora. Alzai lo sguardo verso l'ufficio di Valerie e la trovai ad osservare la scena con Katy, entrambe sorridenti. Si avvicinarono entrambe a Sam1 e lo fissarono altezzose e divertite.
- "Possiamo scambiare quattro parole, Banks? Subito, nel mio ufficio".
Bene, il mio destino era nelle mani di Katy: praticamente spacciata.
 
Le urla di Katy si sentivano anche attraverso la porta chiusa. Io ero rimasta in piedi, le dita di una mano poggiate sulla scrivania e un caos totale nella testa, in attesa che il mio ennesimo fallimento venisse messo per iscritto.
Ingannata, pedinata e licenziata in meno di ventiquattro ore. Complimenti, Sam, credo sia un record. Ora tornerai a Glasgow a fare la cameriera in una tavola calda per vecchi molestatori, vivrai in una baracca piena di scarafaggi e a trent'anni avrai una dentatura brutta come quella di Lil' Wayne, con l'unica differenza che la tua non sarà tempestata di diamanti del valore di centocinquantamila dollari, ma di carie. Gratuite.
- "Ho detto che la Grayson non si muove da qui. - disse la consulente legale di Music Magazine, sorprendendomi. Forse c'era ancora speranza per me! - Io detengo il 15% delle azioni, Valerie il 20% e Justin il 17%. Se sai fare i conti arriviamo al 52%, che guarda caso è la maggioranza più due. Il tuo misero 10% mi pare non ci possa impensierire, soprattutto alla luce del fatto che sei il solo ad appoggiare la mozione. Come ho già detto, Sam continua a far parte della squadra e la discussione finisce qui. Ti pregherei in futuro di non prendere più iniziative del genere, se non dopo aver chiesto ed ottenuto l'approvazione di tutti noi. Puoi andare, grazie dell'attenzione".
Banks era semplicemente furioso, e in ufficio tutti sembrano aspettare solo il momento in cui avrebbe aperto bocca e lanciato fiamme come in un film di fantascienza.
Katy mi aveva appena salvato il fondoschiena. Che mi sarei dovuta aspettare ora: i leoni prendere il tè con le gazzelle?
 
Warren aveva la giornata libera e si era sentito nella posizione di invadere casa mia con i suoi ormoni impazziti a causa di Sebastian. Non si era sforzato neanche di negare: gli piaceva, nonostante quest'ultimo fosse molto occupato con quell'altro ragazzo della festa. Ma, invece di non curarsi di quel piccolo dettaglio come avrebbe fatto normalmente, si sentiva un passero in gabbia - e la similitudine non era casuale.
Quando tornai a casa, dopo essere stata obbligata a ringraziare Katy - che il cielo mi fulmini! -, lo trovai ancora in mutande - dei ridicolissimi boxer con l'immagine di Cher stampata sopra - e l'aria da cane bastonato molto annoiato. Andai spedita verso l'armadio in camera mia, con le intenzioni più bellicose che ricordassi di aver mai avuto. L'illuminazione era avvenuta dopo il mio quasi licenziamento, mentre la busta gialla mi guardava in tono di sfida da dentro la mia borsa. Era semplice: cancellare Nick MacCord dalla mia vita, prima di farlo fuori dal punto di vista lavorativo. E umano. E personale. E... dalla faccia della Terra, insomma.
- "Zucchero, che fai?". Warren spuntò dal corridoio e mi fissò incuriosito; delle lunghe striscioline nere mi sporcavano gli avambracci e le spazzole che avevo in mano avrebbero dovuto fargli capire che cosa avevo in mente.
- "Lavo via le tracce del passaggio di Nick da casa mia", gli risposi comunque, perché le mie intenzioni fossero cristalline al mondo.
- "Lucidando le tue scarpe?", ribatté scettico.
- "Me le aveva ordinate e pulite lui", spiegai rapida e ripresi a strofinare un paio di decolté blu. Certo, non avevo calcolato che sarebbe stato così stancante e così noioso!
- "Vuoi una mano?", chiese all'improvviso Warren ed io finalmente intravidi un'ancora di salvezza: se avessimo fatto il lavoro in due, sicuramente ci avremmo impiegato meno tempo e mi sarei sporcata meno.
- "Davvero?", domandai piena di speranza.
- "No! - replicò lui, oltraggiato dal fatto che avessi anche solo pensato che mi volesse aiutare - La manovalanza potrebbe rovinarmi la manicure. Però posso supervisionare quel... quella... qualunque cosa tu stia facendo".
- "Morirai di generosità acuta, sai?", lo schernii ironica.
- "Lo sospettavo. - sbuffò serissimo - A che punto sei?".
- "Ho appena cominciato. Pausa?", proposi, mentre Warren lentamente usciva dallo stato catatonico in cui era sprofondato per tutta la mattinata.
- "Certo. - rispose entusiasta - Tè e tre biscotti, grazie". Lo fissai in cagnesco, avviandomi verso la cucina e riempiendo il bollitore di acqua. Credevo che almeno si sarebbe degnato di preparare lui la merenda, ma disse di essere talmente stanco da non poter nemmeno aprire la scatola dei canestrelli.
Servito e riverito come in un hotel, il ragazzo si stava approfittando di me; mi costrinse persino a spremere il limone nella sua tazza, perché l'acido citrico avrebbe potuto danneggiare le cellule dell'epidermide. Fossero state quelle il problema...
Continuammo a parlare di Nick e della convinzione che stavo dimostrando nel volerlo dimenticare, anche se in realtà il mio unico ascoltatore era Romeo, visto che Warren trovava molto più divertente guardare una partita di pallanuoto maschile in tv.
- "Mi sento pronta a sconfiggerlo, e sta' pur certo che non gli darò scampo. - esclamai, carica di adrenalina. Presi il limone e lo riposi nel frigorifero - Sono motivata e concentrata". Rimisi i biscotti avanzati nel loro contenitore e una macchia gialla attirò la mia attenzione. Ma... che ci faceva il limone ancora sul piano della cucina?
- "Donna concentrata, vai a prendere il telecomando nel frigo".
 
Rimandai i miei grandi piani di eliminazione delle tracce lasciate da Nick nel mio appartamento a data da destinarsi. Rimanemmo tutta la sera a guardare un film alla televisione, vagamente annoiati dalla trama e dall'attore poco prestante che contribuì a rendere ancora più piatta l'atmosfera nel mio appartamento. Sdraiata sul divano accanto a Warren, cominciai all'improvviso a raccontargli quello che era successo negli ultimi mesi: l'uomo del vicolo e l'aggressione, il rapimento di Romeo, l'anagramma, le foto... Volevo condividere il peso di quelle informazioni con qualcuno e, con Will lontano, non mi restavano molte persone su cui contare. Lui rimase ad ascoltare in silenzio, spezzandolo di tanto in tanto con delle smorfie di stupore e di preoccupazione. Solo quando ebbi terminato, si decise a parlare.
- "Un uomo ti ha aggredito e tu non hai detto niente?". Prima o poi sapevo che qualcuno mi avrebbe sottoposto questa domanda e se Warren intendeva cominciare ad analizzare la situazione da quell'episodio, sarei stata pronta ad affrontarlo.
- "Non è successo nulla...", minimizzai, portandomi istintivamente le mani al collo, quando riemerse il ricordo di altre dita attorno ad esso che mi avevano stretta così forte da lasciarne i segni. Mi era capitato spesso di interrogarmi se avessi fatto la scelta giusta tacendo sul fattaccio ed ogni volta mi ero risposta che non avrebbe avuto senso raccontarlo, dal momento che l'energumeno aveva detto di essersi sbagliato. Ma non si era sbagliato sul mio nome, sul fatto che stessi ficcanasando in affari altrui e di certo non aveva scherzato con il mio povero Romeo, abbandonato a Hyde Park e scampato miracolosamente alla morte per denutrizione.
- "Com'erano le sue mani?", mi chiese all'improvviso Warren.
- "Che cavolo di domanda è?", risposi scettica.
- "Morbide, ruvide, lisce, screpolate... com'erano?".
- "Pensi che possa scoprire chi fosse, partendo dalle mani?".
Lo dicevo io che non poteva essere solo un egocentrico del cavolo: è preoccupato per me.
- "Oh, non c'avevo pensato. Beh, forse, chissà, chissene frega! Te lo dicevo perché devo cambiare crema: quella che uso non le idrata a sufficienza. Magari si sono rovinate guardandoti lavorare".
Lo guardai allibita, mentre lui stendeva le braccia e si rimirava i palmi e le dita, scandagliando ogni centimetro di pelle.
- "Warren, è una questione seria", lo ammonii.
- "Lo so. - urlò disperato - Pensi dovrei cambiare proprio estetista?".
- "Possibile che tu sia in grado di reggere una conversazione se non sei tu il soggetto principale?", lo rimbrottai. Scrollò le spalle e si sedette sul divano, serio.
- "Non ho ancora trovato un altro argomento altrettanto interessante... non puoi farmene una colpa". Migliaia di anni di storia, di cultura, di arte, di scoperte, di scienza, di uomini e donne e nessuno era riuscito a intrigare Warren Bietty più di quanto potesse farlo uno specchio. Nemmeno il suo quasi omonimo, quel Beatty per cui il padre aveva avuto un'adorazione sin dai tempi di Dirk Tracy e a cui doveva il nome, era fonte di curiosità per lui. Prima c'era lui, il Bietty tarocco e poi quel attorucolo hollywoodiano vincitore di due Oscar con cui - casualmente - condivideva una certa affinità fonetica.
- "Sei un egoista", lo accusai. Venni fulminata da uno sguardo inceneritore.
- "Ora sei ingiusta. Non ti ho forse dedicato cinque minuti del mio tempo? Non ti ho forse guardato riordinare l'armadio? Non ti sto forse ancora ascoltando mentre pretendi di cancellare Nick dalla tua vita con un po' di lucido per le scarpe?".
 
The Climax Of A Perfect Lie.
 
- "Non so da che parte iniziare", ammisi.
- "Usciamo, Sam. Che senso ha stare qui? Potremmo uscire e trovarci un farmacista per uno; Ian, ad esempio". L'immagine tutt'altro che erotica del farmacista sovrappeso vicino casa mi fece rabbrividire.
- "Ian? Sul serio? Quell'uomo ha più tette di me. - piagnucolai - Non voglio uscire, non voglio trovare un altro camionista, un altro dottore, un altro tecnico del computer, non voglio trovare un altro...".
- "Ricordi quando mi hai detto che avrei dovuto sopprimerti, se fossi caduta nel patetico?" mi bloccò Warren.
- "Ho mai detto una cosa del genere?". Non che lo escludessi a priori: quando la tequila è in circolo è difficile frenare la lingua.
- "Non lo so, mica ti ascolto! - replicò, muovendo stizzito una mano in aria - Però ti fermerò lo stesso. Basta! Ci vuole tempo; vedrai che troverai un altro ragazzo e, se sarai particolarmente fortunata, non avrà doppie identità o alter ego. Ricorda, però, che ciò che non puoi tollerale è che...".
- "Mi menta spudoratamente e ripetutamente, rifilandomi un due di picche gigantesco che mai mi scorderò nella vita?", completai per lui.
Un urlo strozzato interruppe l'apparente calma del mio appartamento.
- "Zucchero, - sbottò il mio amico - l'importante è che sappia utilizzare l'attrezzatura subequatoriale. Potrà non essere bello, simpatico, o altro, ma deve funzionare".
- "La storia?", tentai.
- "Il suo arnese, Sam. La tua ingenuità mi sconvolge e mi commuove, ma tu non sei Reese Witherspoon e questa non è La rivincita delle bionde".
- "Sono un po' confusa: come faccio a sapere se un pene è simpatico?". Cominciavo a chiedermi se fosse più idiota lui ad inventarsi di sana pianta queste cavolate o io a chiedere delucidazioni in merito.
- "Tua madre non ti ha insegnato nulla? - Beh, diciamo che non è mai stato il nostro argomento preferito... - È questione di empatia epidermica: quando ti trovi davanti ad un pene che verte leggermente verso sinistra o destra, significa che non ti trova molto simpatica e che, pertanto, sta cercando di respingerti", spiegò con accuratezza, nonostante la sua idea fosse del tutto assurda ed infondata.
- "Quindi coloro che hanno il cannoncino deviato non troveranno questa empatia epidermica praticamente con nessuna", ragionai, seguendo la sua insensata logica. Sorrise e proseguì nell'esposizione - che era maledettamente chiara, stupida io a non conoscerla!
- "Questo è perché sono gay e non lo sanno". Quasi ventiquattro ore insieme e non si era ancora menzionata la superiorità numerica, fisica ed intellettuale del mondo omossessuale: era ovvio che avrebbe rimediato.
- "Se avessi saputo questa teoria, che sono certa abbia riscontri scientifici, qualche anno fa, mi sarei risparmiata un sacco di scocciature". Annuimmo entrambi alla conclusione a cui ero arrivata, sotto la guida spirituale di Warren.
- "Sam, sai quanto io sia un uomo che tiene alla precisione e, perciò, prima di scartare Nick, temo dovrò controllargli la marmitta", disse, fingendo disinteresse.
- "Bel tentativo, Warren", ridacchiai.
- "Era per non lasciare nulla d'intentato". Mica ci stava provando per l'ennesima volta con lui!
Gli toccai una ciocca di capelli, pur sapendo che avrebbe tentato di tagliarmi una mano per aver osato toccare la sua chioma regale.
- "Quel che è deciso è deciso", affermai sicura.
- "E quand'è che l'avresti deciso che Nick è fuori dai giochi?", ribatté.
- "Alle 13.32 di oggi".
 
Cinque minuti. Cinque maledetti minuti prima di entrare in pausa pranzo, dopo che Sam mi aveva quasi sbattuto fuori a calci per essere arrivata in ritardo. Meglio non abusare della sua pazienza, anche se era stato esilarante vederlo umiliato da due donne. Se n'era andato dall'ufficio con la coda tra le gambe, ma da quando avevo aperto quella busta, la spiacevole sensazione di essere seguita in ogni passo, mi aveva fatto maturare la convinzione che starsene in redazione, sempre affollata di gente, fosse la cosa migliore.
Eravamo talmente abituati al rumore delle porte scorrevoli dell'ingresso, che ormai nessuno vi prestava attenzione. Quella malaugurata mattina, i miei occhi annoiati ed impazienti di un piatto di fish and chips corsero curiosi a vedere le pareti trasparenti che si aprivano. Nick camminò sicuro tra le scrivanie sparse per la stanza e si diresse verso l'ufficio di Katy, la sua cara non-so-come-definirla, che lui era apparso piuttosto propenso a tradire con me la notte precedente - meglio non menzionare questo piccolo incidente, dopo che mi aveva appena riassunto. Valerie uscì in quel momento dalla porta dell'ufficio e per poco non si scontrarono l'uno contro l'altro. Si scambiarono i convenevoli e qualche battuta, mentre Katy li raggiungeva sulla soglia e lo trapassava con un'occhiata furente. Problemi in paradiso?
Lo afferrò letteralmente per il cappotto e richiuse l'uscio in faccia a Val, senza sprecarsi in ulteriori spiegazioni. Le tendine che proteggevano la riservatezza della stanza si chiusero in un gesto secco come le mie fauci, al momento. Che diavolo avevano intenzione di fare in quell'ufficio? Non potevano fare sesso lì dentro, sul tavolo, sul divanetto o contro la libreria... quelle erano mie fantasie e Katy non poteva fregarmi pure quelle!
Fissai la porta serrata per un quarto d'ora - o per un secolo - e quando finalmente Nick ne uscì, da solo, una minuscola parte di me fu contenta di vedere che i suoi capelli erano ancora perfettamente scompigliati e la sua camicia ben stirata. Ma quindi che avevano fatto? Parlato, magari.
Nick s'inumidì le labbra - merda, sesso orale, forse! -, si accorse dei miei occhi puntati su di lui e li interpretò come un invito a presentarsi di fronte alla sottoscritta.
- "Ehi. Tutto bene?", chiese.
Probabilmente Katy era una di quelle che amano farlo vestite e che si mummificano durante il coito: rimangono ferme e aspettano che tutto sia finito. Frigide.
- "Dovrei domandartelo io, dopo ieri sera". Raccolsi la borsa da terra e racimolai cellulare ed agenda.
- "Ho fatto qualcosa di sconveniente?", s'informò, terrorizzato all'idea di aver perso il controllo per una sera.
- "Quando mai, Nick? Quando mai?", gli risposi accondiscendente, infilandomi il cappotto.
- "Mi pare di cogliere del sarcasmo nelle tue parole".
Pomiciata di quindici minuti? Sì, Sam, magari si sono pure tenuti la manina e sussurrati parole d'amore.
- "Cogli quello che ti pare", esclamai piccata. Passai dietro la scrivania per raggiungere il corridoio centrale ed uscire, ma lui mi si parò davanti, un sorriso sghembo disegnato in viso. Onde evitare di perdere le staffe, misi la mano nella borsa ed afferrai qualcosa, compiaciuta di quello che avrei fatto di lì a poco.
- "Più t'impegni ad essere arrabbiata con me, più mi sembri terribilmente dolce", sussurrò. Come poteva flirtare con me, quando la sua pseudo fidanzata era a pochi metri da noi?
Mi scappò un sorriso sornione che prolungai in modo sfacciato per quanto mi fu possibile.
 
My Smiles Worth A Hundred Lies.
 
- "Non c'è niente di dolce in me, Nick. Aspetta e vedrai". Gli inchiodai sul petto la custodia di un cd e poi me ne andai in tutta tranquillità verso gli ascensori.
Mi ero esposta di nuovo, ma stavolta non avrei commesso l'errore di farmi condizionare dai miei sentimenti. L'avrei calpestato con uno affilato tacco dodici e seppellito con il dvd di me e Troy tra le mani.
 
 
Amen. Finalmente ho aggiornato! Nonostante i vari impegni, sono ancora viva, anche se la scrittura è un po' - UN PO'?! - rallentata.
La canzone del titolo è "Sweet About Me" di Gabriella Cilmi, mentre il film citato è di Warren Beatty ed è appunto "Dirk Tracy".
Mentre i nomi degli altri protagonisti di questa storia sono stati a lungo meditati - ho una fissazione per queste cose e mi è capitato di non leggere storie perché odiavo i nomi dei personaggi - , Warren è nato per caso e non ricordo nemmeno come! Però mi piaceva l'idea di usare le strane idee di qualche genitore di omaggiare i proprio figli con nomi di gente famosa  (che non sempre vanno in porto: vedi Michael Douglas che è diventato Maicon Douglas, il giocatore dell'Inter per intenderci); quindi, ecco Warren Bietty.
Ringrazio la magnanima Nessie per il betaggio, le vedove allegre di facebook e faccio gli auguri di buon compleanno a Valentina DinDonDan, nel rispetto della sua privacy.
Ricordo a chi fosse sfuggito che ho postato un'extra di questa storia, una one-shot idiota, che da un piccolo indizio in più nella soluzione del caso. La trovate qui.
Questo, invece, è il mio account fb.
Vi ringrazio perché leggete/seguite/preferite/ricordate e recensite. Corro a rispondere ai commenti dello scorso capitolo.
Un bacione,
S.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. Fire With Fire. ***


Capitolo trentaquattro. Fire With Fire.
 
Sicuramente, quando Mario Puzo e Francis Ford Coppola scrissero la sceneggiatura de Il Padrino - parte II, non potevano immaginare che, quasi quarant'anni più tardi, una giornalista a caccia di scoop e verità nascoste si sarebbe ispirata ad una battuta del loro Michael Corleone - alias Al Pacino - per decidere come cominciare la propria controffensiva.
Tieni i tuoi amici vicini e i nemici ancora più vicini.
Solo qualche settimana prima, avrei trovato eccitante e sessualmente interessante l'essere vicino a Nick - e sopra, sotto, a destra, a sinistra e in ogni posizione immaginabile... Al momento, il solo pensiero di trovarmi nei pressi della sua persona mi provocava ancora qualche smottamento interno, ma ciò era dovuto più che altro alla smania di sentire le mie piccole dita stringersi attorno al suo collo. E premere, schiacciare, stritolare finché anche l'ultimo briciolo di forza lo avesse abbandonato. Quella sarebbe stata una bella sensazione, alla facciaccia sua e del branco di omuncoli che condividevano l'hobby di Banks.
Purtroppo, nel corso dei secoli qualche strano soggetto aveva trovato politicamente scorretto - addirittura un delitto! - esercitare questa pratica su altri esseri umani; forse qualche nemico di Caino o di Dexter Morgan, chissà. La cosa buffa è che nessuno ritiene che essere presa in giro da uno stripper-e-non-so-che-altro sia altrettanto grave. Come se davvero il mio ego in quel momento non fosse stato fatto a pezzi e così i miei sentimenti e la mia già poca razionalità; come se davvero fossimo solo noi donne a fare tutto, a illuderci che ci sia qualcosa, a creare e fantasticare su un'invenzione e, colpo finale, a costringerci a sbatterci il muso prima di capire che sì, il ragazzino - non di certo l'Uomo - ci ha fottuto un'altra volta. E non nel senso che a noi piacerebbe. Possibile che non sia reato infrangere un cuore? Perché la sensazione è proprio uguale al buco che ti lascia un proiettile che, quando passa, spazza via tutto ciò che trova nel suo percorso. Se ti hanno sparato, almeno puoi sperare di trovare un bravo chirurgo che ti salverà, magari cancellando ogni traccia dell'accaduto e attenuando il dolore. Però non c'è anestetico che tenga, se il vuoto che hai dentro è di natura emotiva, e la ferita non lascia cicatrici visibili ad occhio nudo; in quei casi, l'unico chirurgo che ti può salvare è il dottor Cupido, che ti aiuterà a rimetterti in piedi e ti guarirà le ferite invisibili. Lui o un buon analista. A pagamento. E non puoi tornare ad essere felice come prima, se il tuo portafoglio è molto più leggero. Ti rimane l'amaro in bocca e a quel punto conviene spendere il resto del tuo patrimonio a cercare questo dottor Cupido e a farlo fuori. A quel punto sì che sarai felice e contento!
 
Il foglio planò leggero nell'aria per un paio di secondi, poi raggiunse gli altri sul pavimento, formando un'ampia chiazza bianca sporcata d'inchiostro nero. Era l'ultima, l'ultima pagina del faldone che conteneva le poche informazioni di cui fossi in possesso sull'inchiesta in corso su Ralph. Il povero disgraziato continuava a scrivermi dalla prigione, implorandomi di aiutarlo ad uscire da quell'incubo il prima possibile e giurandomi amore eterno; progettava un futuro insieme e una foltissima schiera di marmocchi, un cane e un pony da addestrare nel nostro immenso ranch texano. Era evidente che la galera gli aveva dato alla testa, e non dubitavo nemmeno per un attimo che si sarebbe rimangiato tutto - e per fortuna! - nello stesso istante in cui avesse messo piede fuori dalla cella. Al primo sentore di libertà - perché era così che doveva finire - si sarebbe scordato il mio nome e avrebbe lanciato il nuovo album; il suo destino era già stato scritto dal Fato e dalla casa discografica.
Romeo scodinzolò per tutto il salotto con un'andatura sinuosa, mi rivolse un miagolio vibrante e si sdraiò comodamente sulla distesa di carta, graffiando qualche foglio per avere maggior aderenza a terra. Ecco, quella era la fine che meritava di fare il mio lavoro degli ultimi mesi: morire spiaccicato sotto un gatto ciccione e nero-porta-iella. Non serviva nemmeno che mi affrettassi a salvare il materiale esanime sotto le zampe del mio micione: sapevo perfettamente di averne una copia sul computer e i cardini delle indagini erano ben impressi nella mia memoria.
Ralph. Banks. Nick. Burton.
Ciò che davvero non avevo mai capito era la relazione più importante: quella tra il mio capo marpione e l'agnello sacrificale Ralph. Cosa davvero li univa, oltre all'innegabile attrazione per le ragazze ed un palese interesse morboso - seppur opposto: uno mi avrebbe condotta all'altare, l'altro alla tomba - nei miei confronti?
 
Is it just me or is everyone, hiding out between the lies?
Where will we be when we come undone?
Just a simple meeting of the minds.
 
 
Ora basta giocare pulito. Basta stare a guardare senza agire attivamente. Basta aspettare che siano sempre gli altri a decretare le regole. E magari basta budino al cioccolato, altrimenti non potrai fare nessuna delle cose suddette perché non ci passi dalla porta.
Il vasetto delle meraviglie finì con una del tutto fortuita carambola all'intero del cestino, ma solo dopo che anche la più piccola goccia di dessert venne leccata avidamente dal cucchiaino. Feci una doccia veloce e scelsi con cura il vestiario: jeans, stivali rasoterra, maglione e piumino scuri - ovviamente con il cappuccio per passare il più inosservata possibile -, occhiali da sole, sciarpa e berretto in testa. Presi al volo una borsa a tracolla dall'attaccapanni e uscii di casa carica di adrenalina e aspettative. Nel breve tragitto in ascensore, trassi dalla tasca l'I-pod e m'infilai le cuffiette nelle orecchie. Eye of the tiger. Abbozzai un balletto che dovette interrompersi prematuramente, perché quella vecchiaccia dell'inquilina del primo piano aveva deciso di non poter proprio fare una rampa di scale a piedi.
Qualche volta mi fermerò a spiegarle che il dolore alla prostata non scuserà in eterno la sua pigrizia. Soprattutto perché non ce l'ha, la prostata!
Ma nemmeno la nonnina del primo piano avrebbe fermato Samantha Grayson, l'indistruttibile macchina da guerra, l'infallibile bomba ad orologeria, la temeraria guerriera...
- "Merda!".
... senza mezzi di locomozione.
Spostarmi in taxi sarebbe stato incredibilmente costoso e scomodo, l'auto di Will era in mano alla Piattola Kay - e di questa sfiducia il mio amato vicino avrebbe pagato un conto molto salato -, e coinvolgere altre persone era fuori discussione: troppo pericoloso, c'era il rischio di dare nell'occhio... però sarebbe stato anche molto pratico.
Chiamai un taxi e chiesi di accompagnarmi dall'unico soggetto che potesse aiutarmi. Una volta arrivata davanti alla porta del suo appartamento, presi il cellulare e composi il suo numero.
- "Warren, che fai oggi? - dissi con tono malizioso, sperando che avesse la giornata libera e che potesse assecondarmi ed accompagnarmi nell'operazione AcchiappaChiappe, così come l'avevo appena nominata.
- "Sto giocando" rispose incolore.
- "Playstation?" domandai, stupita che fosse interessato ad un genere di divertimento così insulsamente maschile.
- "Playgirl, piuttosto. - replicò, mentre un rumore di pagine sfogliate riempiva la linea telefonica. Certe cose è sempre meglio non saperle: viva l'ignoranza consapevole! La prossima volta meglio chiamarlo quando sono ancora a casa mia. - E' un vecchio numero, sai? C'è uno che ha un...".
- "Okay, lasciamo cadere questo discorso e cominciamone uno differente. Ad esempio, che ne diresti di monitorare Nick per un'intera giornata?". Non c'era alcun bisogno che lui si sprecasse in complimenti e applausi nei miei confronti, perché sapevo da me che la mia idea era semplicemente fantastica. Se avessi controllato - e con ciò intendevo, pedinamenti, appostamenti e quanto di più meschino ci fosse - MacCord, era scientificamente impossibile che non avrei cavato fuori un ragno dal buco. Qualcosa avrei pure scoperto!
- "Zucchero, - esclamò, invece - chiariscimi una cosa: so che stai facendo tutto questo per un motivo. Solo che non ho idea di quale sia. Potrei sapere di cosa si tratta? Perché sei una donna, non fai nulla per caso. Perciò, ti prego, illuminami. Sarà mica che temi che stia uscendo un'altra? Un'altra oltre Katy, intendo".
Il mio viso si corrugò in un'espressione perplessa e sbattei le palpebre più volte prima di rispondere: era talmente ovvio che mi sembrava superfluo perder tempo in spiegazioni.
- "Non sono più innamorata di lui, ricordi?". Cosa diavolo poteva fargli credere che stessi ancora soffrendo per quel cretino mononeurone?
Warren esitò e poi proseguì con i suoi sproloqui.
- "Oh, vero! Chissà perché questa cosa non mi entra in testa. - disse, la voce traboccante sarcasmo. - Continuo a ripetermi che è palese che tu lo abbia dimenticato e poi tu confermi il tutto con questi atteggiamenti disinteressati. Sarà che sono gay e certe cose non le capisco" ironizzò.
Riattaccai e suonai il campanello. Venne ad aprirmi con indosso una vestaglia bianca a pois rosa, stretta in vita da una cintura ai cui estremi erano cucite due piccole palle pelose color confetto.
- "Questa cosa - dissi, indicando con il dito l'abito da cima a fondo - è semplicemente ridicola". Lui mi guardò storto e mi squadrò con aria disgustata e saccente.
- "Non volevo ti sentissi sola nella tua sciattaggine" sorrise.
- "Sbrigati. - sussurrai tra i denti - La missione AcchiappaChiappe deve cominciare al più presto" lo esortai e lui s'immobilizzò di fronte a me con faccia inespressiva.
- "Non ho mai detto che verrò con te". Mi schiarii la gola e ripetei a memoria la frase che mi ero preparata sul taxi nell'eventualità che lui avesse opposto resistenza a partecipare alla mia missione.
- "Vieni con me oppure preferisci che rintracci un certo Sebastian e gli spiattelli che te lo sogni ogni notte e che è il tuo amoruccio?". Mandai una serie di baci nella sua direzione e aspettai che lui rispondesse.
- "Sei una baldracca, ne sei cosciente, vero? - annuii vigorosamente e lui si girò in modo teatrale, facendo svolazzare i lembi della vestaglia - Muovi quel culo floscio, che siamo già in ritardo".
 
La vita di Nicholas MacCord è una noia mortale. Credo che persino il soggiorno della zia Annie alla casa di riposo fosse più movimentato dell'esistenza scialba e deprimente di Nick. Casa, colazione al bar, palestra, capatina a casa, libreria - per tre ore esatte! -, e di nuovo casa. Nel mentre, io e Warren ci eravamo addormentati entrambi un paio di volte, mangiato una sottospecie di hamburger, limati e smaltati a vicenda le unghie, sfogliato sei riviste scandalistiche, e il passo successivo sarebbe stata la ceretta a freddo, se non fossimo stati troppo stanchi e pigri per metterci a depilarci.
- "Che palle! - sbuffò stancamente Warren, facendo scattare indietro la levetta del sedile e stendendo le gambe per quanto gli fosse consentito dalle dimensioni della sua piccola utilitaria verde bottiglia - Quest'uomo ha la vita sociale di mia nonna. E mia nonna è morta".
- "Già. Non mi aspettavo di certo che mi fornisse la risposta ad ogni mia domanda su un piatto d'argento, ma non credevo nemmeno che pedinarlo sarebbe stato un tale mortorio! Andiamo a prenderci una cioccolata? Sto morendo di freddo e mi scappa anche la pipì" brontolai. Feci per aprire la portiera dell'auto, ma Warren mi strattonò per un braccio, facendo cozzare debolmente lo sportello con la sua chiusura.
- "Zucchero, rimanda i tuoi bisognini perché la faraona è appena uscita dal forno" sussurrò.
- "Eh?". Stava forse parlando di cibo? Perché dopo il panino disgustoso a metà mattinata, la nausea mi stava attanagliando lo stomaco.
- "Il pesce è uscito dalla rete. - scandì bene, ma io continuavo a non capire - Nick è uscito, e che cazzo! Spia, un corno! Sei più svampita di Harmony!" disse Warren scontroso, abbassandosi sul sedile e trascinandomi giù con lui per non essere visti.
Il paragone con Harmony era decisamente offensivo, soprattutto dal momento che ero quasi certa che non fosse per le gambone chilometriche o per la coppia di angurie sul davanzale.
Nick salì a bordo del suo fuoristrada, incurante di essere osservato, e partì spedito. Warren accese provvidenziale il motore e ci avviammo sulla carreggiata, ad una distanza di sicurezza di una cinquantina di metri.
La giornata era limpida e l'auto di Nick era ben visibile anche in lontananza. Il macinino verde su cui eravamo non ci permetteva di fare grandi velocità e di sicuro non era stato creato per fare appostamenti; con quel colore e quei pochi cavalli - cavalli? Criceti, al massimo - era impossibile passare inosservati e, nel disperato caso in cui ci fosse stato bisogno di fare un inseguimento, uno dei due sarebbe dovuto scendere a spingere per abbattere la barriera dei settanta chilometri orari.
Dopo un viaggio di quasi un'ora tra le vie di Londra, passando attraverso il Pumping Pumpkin - dove stranamente Nick era rimasto in macchina dieci minuti, salvo poi ripartire - il fuoristrada s'inoltrò in una zona periferica della città e accostò accanto ad un grosso e fatiscente edificio grigio, con gran parte delle finestre rotte e un pezzo di tetto pericolante. Di fronte ad esso, un ampio spiazzo era circondato dalla rete arancione bucherellata tipica dei cantieri, dietro la quale Warren parcheggiò. Gli ordinai di rimanere in macchina, mentre io mi avvicinavo lentamente all'angolo da cui avrei visto Nick. Richiuse piano lo sportello del fuoristrada e si guardò intorno circospetto. Mi ritrassi veloce nel mio nascondiglio, osservando Warren imbronciato che mi osservava perplesso da dietro il parabrezza. Quando mi rigirai, Nick era sparito, e la porta del retro del palazzone dismesso stava per serrarsi. Correndo ed imprecando per lo sforzo, la raggiunsi, la riaprii e procedetti con cautela. Un grosso lucchetto giaceva rotto per terra, sul pavimento consumato, malamente buttato in un angolo oscuro. L'ambiente all'interno dell'edificio era tipicamente industriale: un sistema formato gigante di scaffalature occupava le pareti, sporcate dalla vernice di presunti artisti di strada e dal tempo. Era una fabbrica abbandonata.
Rumori di voci concitate provenivano da una stanza vicino, a cui però non era possibile accedere da dove mi trovavo io. Salii una rampa di scale con il cuore in gola, badando a dove mettevo i piedi e a non perdere il chiacchiericcio di sottofondo. Il piano superiore constava di una grande balconata lungo tutto la pianta rettangolare, e una decina di porte poste ad intervalli regolari davano accesso ad altrettante stanze. Lo spazio sottostante era immenso, freddo, e in quel momento era popolato da una serie di individui poco raccomandabili. Dall'occhiata rapida che ero riuscita a dare prima di rifugiarmi nella camera più vicina, Nick non era tra quelli; c'erano delle guardie del corpo, un uomo di colore, Banks e altri soggetti non meglio identificati. Indietreggiando come un gambero, alzai le dita dalla maniglia e richiusi la porta. Quando mi voltai per capire dove fossi, una mano mi inchiodò sull'uscio, mentre l'altra mi tappava la bocca con veemenza. Dopo qualche istante di puro terrore e sorpresa, la mia vista si abituò al buio dell'ambiente e fu facile individuare due iridi chiare che mi fissavano, dapprima cattive, poi sempre più stupite. L'urlo che le sue dita mi avevano fatto soffocare in gola, si sciolse nel momento in cui lui mi lasciò andare.
- "Mi hai fatto prendere un colpo! Ma... c-che cavolo ci fai tu qui?". Nick si sforzò di tenere la voce bassa, nonostante fosse incredulo ed alterato. Mi guardò con i suoi occhi glaciali e in quel momento sentii ancor più freddo di quanto ne stessi sentendo prima, nell'ingresso impolverato in cui erano state accatastate centinaia di bancali di materiale ormai completamente inutilizzabile.
- "Potrei farti la stessa domanda, se non fosse che conosco già la risposta!". Non ero brava quanto lui a mantenere il controllo sulle mie reazioni, ma neppure Nick sembrava del tutto padrone di sé in quella circostanza.
- "Vattene da qui. Ora!" mi ordinò, in un tono che non ammetteva repliche. Sfortunatamente per lui, ero davvero brava in quello.
- "Scordatelo! - ribattei seccata - Pensi che non sappia quello che state tramando tu e quel pervertito maniaco del mio capo? - Nick mi fissò spaesato e rimase a bocca aperta per qualche istante - Non Valerie, eh... Banks" precisai.
- "Sam, ho detto di andartene". Afferrò con forza le mie braccia, mi girò in direzione della porta e mi spinse verso di essa. Quale parte di ‘Scordatelo!’ non aveva capito? Non esisteva al mondo alcun motivo per cui avrei lasciato la fabbrica per andare a fare altro. C'erano in ballo troppe cose.
Inferocita come un toro da corrida, mi gonfiai il petto fieramente e ripresi a camminare in senso opposto, decisa a tornare sui miei passi e chiarire, ma lui bloccò ogni mia mossa.
- "Puoi continuare ad inveirmi contro finché vuoi... non mi farò fregare. E di certo non da te" lo avvertii.
 
You said fight fire with fire, fire with fire, fire with fire...
 
- "Non è uno scherzo. Questa gente non va per il sottile" replicò.
- "Qui nessuno sta giocando. - lo sfidai, guardandolo negli occhi e sostenendo convinta la sua smorfia torva. Si strofinò gli occhi stanchi e infastiditi dalla polvere e cercò di farmi ragionare, spostandomi verso una piccola porta laterale che fino ad allora non avevo notato.
- "Per favore, vai via di qua. Corri giù per le scale ed esci dalla porta sul retro". Sembrò quasi implorarmi, con quegli occhioni preoccupati e l'espressione corrucciata da cane bastonato. Pensai all'eventualità di assecondarlo, ma me lo impedii fermamente; una volta tanto era meglio curarsi dell'amor proprio piuttosto che mostrarsi accondiscendente con quello che lui voleva.
Scossi decisa il capo in segno di diniego e, nel tentativo di difendere con maggior vigore la mia posizione, feci un passo indietro. Così facendo, però, urtai contro una delle grandi mensole di acciaio addossate alle pareti e il suono pieno e sgradevole dell'impatto si produsse per tutto l'ambiente. Trattenemmo entrambi il fiato, in attesa di sapere se quel fracasso fosse stato udito anche nella sala al pian terreno. Potevamo sentire solo un terribile silenzio, che ci lasciò presagire il peggio.
- "Nascondiamoci" bisbigliò Nick.
C'era un piccolo antro buio nell'angolo alla sinistra della porta, stretto, ma sufficiente per ospitare entrambi, in piedi, di profilo. Ci schiacciammo lì dentro, notando un angusto cunicolo che passava dietro la scansia ed arrivava alla porta secondaria. Registrai quel passaggio come una delle possibili ed eventuali vie d'uscita d'emergenza.
Udimmo dei rumori di passi sempre più vicini, fino al punto in cui cessarono del tutto: erano fuori dalla nostra stanza.
- "Ora ho bisogno che tu faccia una cosa per me. La farai?" disse Nick. Mi prese le mani tra le sue e puntò i suoi occhi indagatori nei miei.
Amor proprio, Sam, amor proprio. Amor proprio, amor proprio...
Ma la mia testa prese ad annuire senza che me ne accorgessi, e neppure le mie labbra furono particolarmente collaborative.
- "Sì" mormorai in un sibilo grave che mi parve ingigantito dall'eco della stanza.
La parola d'ordine era coerenza, ed io era stata coerente nella mia incoerenza.
Amor proprio. Proprio un corno.
 
Through desire, desi- sire, desi-, through your desire...
 
- "Passa dietro le mensole, esci dall'altro lato con il cappuccio della giaccia in testa e se pensi che ti possano beccare, lancia qualcosa per terra per cercare di distrarli" sintetizzò.
Oh, quanto romanticismo! Un presunto principe azzurro che mi chiedeva d'immolarmi per salvare il suo regale fondoschiena. Che potevano essere degli omoni di cento chili per gamba, contro un metro e settanta di pugni smaltati rosso fuoco e stivali scamosciati?
- "Sei impazzito? Non voglio morire!" borbottai nel suo orecchio.
- "Fidati di me!". Forse sperava di convincermi con quell'estrema preghiera, non conscio di essere sulla strada giusta per condurmi a fare l'esatto opposto: non sarebbe più stato possibile infilare nella stessa frase la parola fiducia associata al nome Nick.
- "Ho come un déjà-vu, solo che non sono nata duemila anni fa e tu non mi hai baciato prima di mandarmi a morire!" starnazzai, combattendo con il desiderio di urlare e strozzarlo insieme. Lui sorrise e mi diede un minuscolo ed inconsistente bacio a stampo, prima di indirizzarmi verso il passaggio nascosto.
Peggio di Giuda.
Passai a fatica nello spazio ristretto e giunsi dall'altra parte della stanza, rimanendo nascosta.
La porta si spalancò all'improvviso, facendomi sussultare. Da una fessura tra gli scaffali, potevo vedere che si trattava di due uomini - armadi, in realtà - che fortunatamente non avevano armi con sé, se non quei bicipiti da culturisti che s'intravedevano anche attraverso i giubbotti.
Uno dei due si aggirò per la stanza, mentre l'altro rimase vicino all'entrata, entrambi attenti ad ogni minimo spostamento d'aria proveniente anche dalle finestre coi vetri rotti. Quello più alto dei due mi arrivò ad un metro di distanza; il cuore mi batteva a mille e, dalla posizione accucciata in cui mi trovavo, allungai una mano sul pavimento per trovare qualche oggetto da lanciargli addosso. Che fosse un mattone o un topo morto non aveva importanza. Avrei gettato qualsiasi cosa mi fosse capitata tra le dita.
Quando ero ormai convinta che mi avesse scoperto, il tizio girò sui suoi tacchi e, scuotendo la testa in direzione dell'altro, si avviò verso l'uscita.
Un tonfo improvviso ci fece voltare tutti e tre verso la porta laterale, quella accanto a cui mi trovavo io. Dal battente, spuntò la testa curiosa di Warren che si guardò attorno prima di posarsi - più pallida che mai - sulle due guardie del corpo di Banks.
- "Chi cazzo sei?" gli urlò uno dei due. Lui si fece piccolo piccolo e non serviva un genio per capire che fosse spaventatissimo.
- "I-Io..." bofonchiò.
- "È un barbone, Lewis!" rispose l'altro, cercando di rabbonirlo, ma questo Lewis fissò Warren ancora più in cagnesco, farfugliando qualcosa d'ingiurioso contro i clochard.
Colpì Warren al viso con uno schiaffo da manuale e la guancia del mio amico si arrossò all'istante, con il marchio delle cinque dita ancora impresso sulla carne. Gliene diede almeno cinque. A quel punto afferrai qualcosa di simile ad un sasso e lo lanciai in mezzo alla stanza. I due bodyguard furono colti alla sprovvista e Nick ebbe tutto il tempo di colpirne uno alla testa con un mattone; all'altro ci pensò lo stesso Warren, assestandogli un portentoso calcio in mezzo alle gambe.
- "Barbone a tua sorella, questo è Armani" gli urlò indignato, mentre uno si contorceva dal dolore e ignorava bellamente le parole fashion e l'altro giaceva a terra svenuto.
- "Andiamo!" gridò Nick e ci spinse giù dalle scale e fuori dalla fabbrica. Con un'occhiata severa ci raccomandò di andarcene al più presto e sparì sul suo fuoristrada scuro.
Ovviamente disobbedimmo e attendemmo finché tutti non furono usciti dall'edificio. Accanto a un Banks infuriato e ai due uomini della security doloranti, c'era un uomo di colore, accompagnato da sconosciuti. Il suo viso mi era famigliare, ma al momento - con Warren che invocava l'estrema unzione per le sberle ricevute - non c'era tempo di ragionare.
Però, quella sera, nel letto, guardando la gigantografia di Ralph, capii chi era: la sua guardia del corpo.
 
Il giorno dopo, Valerie si presentò in ufficio con un tailleur rosso aderente e un sorriso smagliante. I capelli biondi le ricadevano voluminosi sulle spalle, mentre ancheggiava disinvolta fra le scrivanie perfettamente disposte nella grande sale che ospitava la redazione. Si fermò di fronte a me e m'indicò con un cenno del capo la macchinetta del caffè. Mi alzai e la raggiunsi.
- "Hai intenzione di andare a Glasgow per Natale?" mi domandò.
- "Credo proprio di sì. Anzi, sicuramente, altrimenti mia madre potrebbe uccidermi, barra diseredarmi. Perché me lo chiedi? Stai cercando asilo per sfuggire dalla suocera?".
- "Non sarebbe una cattiva idea; - rifletté lei. - Quegli irlandesi sono ancora più strani sotto le feste... hai presente quando la Rowling descrive le rimpatriate dei Weasley alla Tana? Ecco, Natale dai genitori di Jonathan è uguale: tante teste rosse e un gran baccano. Posso contare solo sulle mie amate aspirine e sul mio autocontrollo. Cosa che di certo non ha dimostrato zio Felix quando ha lanciato un piatto contro la moglie perché la femmina non gli aveva ancora portato da mangiare. Comunque, tesoro, non è per il mio triste destino che ti sto chiedendo dei tuoi progetti per le vacanze" cambiò argomento.
- "Banks ha di nuovo dato di matto e mi vuole licenziare... di nuovo?". Volevo sapere subito se era il caso di preoccuparsi oppure se c'era la speranza di passare il Natale in serenità.
- "Soggetto esatto, supposizione sbagliata. - mi corresse Val. - Il nostro caro collega ha lavorato un paio di mesi a Glasgow qualche anno fa, ma circolano poche informazioni a riguardo. Ho pensato che magari là avresti più possibilità di scoprire qualcosa, sempre ammesso che ci sia qualcosa".
- "Darò un'occhiata in giro" esclamai seriosa.
- "Scusa, forse sono stata un po' indelicata. - scossi la testa, confusa sul perché ritenesse di aver mancato di tatto. - Insomma, l'ultima volta che ci sei stata era per il funerale di tua zia, poi c'è stata la questione Nick... Warren mi ha accennato qualcosa".
Accennato? Warren non conosceva quel verbo; la sua concezione di ‘accennare’ era parlare mezzora a sproposito, facendo risultare l'intero discorso un'autentica sbrodolata di parole e concetti. Inoltre, dubitavo fortemente che avesse tenuto per sé un argomento così succulento come il due di picche del secolo che mi ero fatta rifilare.
Stavo per risponderle, quando dalla mia labile memoria riaffiorano solo alcuni ricordi delle frasi appena pronunciate da Valerie.
Banks. Glasgow. Nick. Funerale.
I tasselli si rimisero da soli al loro posto e, meno di trenta secondi dopo, ero già sull'ascensore fuori dalla redazione di Music Magazine, pronta a prendere MacCord a calci nel sedere.
Avrei dovuto sapere che non era lì per me: era un semplice viaggio di lavoro.
 
Il taxista non aveva ancora fermato completamente la propria auto, che io ero già scesa. Con passo militare mi avviai verso la villetta a schiera di Nick, che stava giocando con Mister nel giardino. Indossava un piumino blu e dei jeans scuri e in una mano stringeva una pallina che il Labrador cercava in ogni modi di sfilargli con i denti.
- "Finirai mai di deludermi? - esordii, lasciandolo di stucco - Ti ho presentato alla mia famiglia, hai cenato con noi, hai dormito a casa mia... che razza di stronzo opportunista sei?" urlai, senza paura di infastidire i vicini.
- "Calmati! Che stai dicendo?". Nick mollò la presa sulla pallina che rimbalzò sordamente sull'erba umida, per la felicità del cane.
- "Sto dicendo che sei un verme. Che sei la persona più schifosa che io abbia mai avuto la sfortuna di incontrare" gli spiegai.
- "In vena di complimenti, vedo. Posso almeno sapere perché?". La sua calma apparente era ancora più snervante del comportamento odioso che aveva avuto a Glasgow. Sfruttare la mia famiglia e me come base d'appoggio per fare le proprie ricerche su Banks era troppo meschino anche per lui.
- "Mi hai fatto credere che fossi lì per me, che t'importasse qualcosa di quello che mi stava succedendo. Hai calpestato me e la memoria di mia zia per raggiungere il tuo scopo. Sei una merda e quello che stai facendo con Banks è anche peggio". Nick s'irrigidì all'istante.
- "Non mi devo giustificare con te riguardo a quello" disse fermo.
- "Preferisci giustificarti con la polizia? - domandai ironica. - Sono certa che ci siano un sacco di agenti che ascolterebbero volentieri ciò che so".
- "No! - irruppe. - Senti, so che sei arrabbiata ora, ma...".
- "Arrabbiata? - lo fissai incredula e strinsi le mani a pugno per resistere alla tentazione di prenderlo a schiaffi. - Ti strapperei i bulbi oculari a mani nude se non fosse che non voglio rovinarmi lo smalto. Io sono furiosa!".
- "Non l'ho mai fatto" sussurrò tra i denti.
- "Mai fatto cosa?".
Abbassò lo sguardo, come se quello che stava per dire lo imbarazzasse.
- "Non ho mai detto di essere lì per te. O per il funerale". Lo aveva borbottato a bassa voce, ma era stato diretto e quella schiettezza mi colpì in faccia come se me lo avesse urlato contro.
Mi aveva sconfitto, ancora. Mi ero illusa, ancora. Era colpa mia, ancora. Era vero, lui non aveva detto nulla; io avevo desunto che lui fosse venuto a Glasgow perché teneva a me, io mi ero fatta dei castelli in aria che - come al solito -  al primo alito di vento di burrasca erano stati spazzati via.
- "Hai ragione. - concordai a malincuore. - Ora mi sento meglio, perché ovviamente è stato un mio errore di valutazione credere che dal momento che ti eri fatto trovare al cimitero, tu fossi venuto per consolarmi. Avvisami se devo anche ringraziarti per la tua disinteressata visita a Glasgow".
- "Sam, ascolta: forse non era il funerale di tua zia il mio progetto principale per venire in Scozia, però c'ero. Non conta niente?".
Purtroppo, era contato il giorno del funerale e continuava a contare anche in quel momento. Lui c'era.
- "Voglio sapere che stai combinando con Banks". Messa alle strette, tergiversai su una materia che mettesse in difficoltà lui e non me. Nick espirò sonoramente e parlò in tono lagnoso.
- "Stanne fuori, ti prego. Tra un po' ti spiegherò tutto, promesso". Lo guardai di sbieco, con gli occhi fuori dalle orbite.
- "Le tue promesse posso usarle al posto della carta igienica" risposi caustica.
- "Possiamo entrare a parlarne?". Effettivamente i toni si erano parecchio alzati e, nonostante non fosse tardissimo, era sempre meglio conversare all'interno di casa sua.
 
Underneath your stars
There’s a million lies burning brightly just like fireflies.
 
Non gli risposi e mi avviai direttamente verso l'ingresso di casa sua, pestando ogni passo come se i miei piedi fossero stati di cemento. Lui mi raggiunse in un baleno e chiuse la porta alle nostre spalle. Gli feci un cenno per incitarlo a parlare e lui trasse un profondo respiro, le dita di entrambe le mani infilate tra i capelli spettinati.
- "Vuoi accomodarti?" chiese diplomatico, ma la mia mente aveva stabilito che nel momento stesso in cui lui avrebbe cominciato a parlare, l'avrei aggredito. Lo spintonai all'indietro e Nick accusò il colpo senza neanche cercare di difendersi.
- "Ti accomodo io i gioielli di famiglia, se non cominci a parlare".
Il suono del cellulare - il suo - non lo tolse dall'imbarazzo; anzi, semmai fosse stato possibile, la situazione lo fece sentire ancora di più a disagio, soprattutto quando mi lanciò un'occhiata da cucciolo bastonato a mo' di scusa.
- "Devo rispondere. È importante" bofonchiò. Alzai le spalle e finsi disinteresse mentre lui prendeva la chiamata e si spostava in cucina a parlare, chiudendo la porta. Camminai repentina fino all'uscio serrato e vi poggiai l'orecchio ben teso. Presi il cellulare ed avviai una registrazione, nel caso in cui fosse stato qualcuno della banda di Banks o Sam1 in persona a chiamare.
- "Ora non posso parlare. - sentii dall'esterno - D'accordo, d'accordo... so che sta facendo delle indagini e non voglio che rovini i nostri piani. No, non ce n'è bisogno, me ne occupo io. Non ti sto fregando, Sam! Non è la mia fidanzata: se passo del tempo con lei è solo per controllarla. È una giornalista, meglio tenere gli occhi aperti. Sì, ciao".
Dunque, vuole controllarmi.
 
Fight fire with fire.
 
Non mi sprecai neanche a fingere di non essere stata per tutto il tempo attaccata alla porta ad ascoltare la conversazione. Quando Nick la spalancò e mi trovò lì impalata con il cellulare che stava ancora registrando sbiancò, consapevole di essere al giro di vite finale. Era il momento di parlare chiaro, di smettere di fare doppi giochi o di mentire.
- "Penso che mi accomoderò sul divano. - esclamai tranquilla - E portami una coperta, perché ho intenzione di stare qua finché non mi avrai raccontato per filo e per segno tutto ciò che sai su Banks, Ralph e quale sia il tuo ruolo in tutta questa faccenda".
- "Non è una buona idea, Sam".
- "O io o la polizia, scegli. Mi basta premere invio. E, nel caso mi succedesse qualcosa, Warren sa tutto ed è molto amico di un agente. La scelta è tua". Dalla registrazione probabilmente non si sarebbe sentito niente, ma un po' di sano bluff non aveva mai fatto male a nessuno. Abbassò sconfitto lo sguardo e si lasciò cadere in poltrona, stanco.
Dopo qualche istante di riflessione, Nick cominciò a raccontare.
 
 
 
È più forte di me: io non sono in grado di essere puntuale. Se vi dico che pubblicherò un giorno, calcolatene almeno un paio in più perché io penso sempre di potercela fare e non ce la faccio mai. Tanto più, se mi metto a scrivere di qualche capitolo più avanti - l'ultimo! Aggiungeteci il mio moroso che mi rompe gli occhiali, le segretarie dell'università che mi fanno sclerare e ogni tanto dovrei pure studiare...
Comunque, bando alle ciance, ho calcolato ancora massimo 3 capitoli; già il prossimo sarà decisivo per risolvere la questione Ralph, dopodiché il restante o i restanti saranno dedicati ad... altro :)
Citazioni varie: il titolo riprende una canzone dei Scissors Sisters, “Fire with fire”, appunto.
Dexter Morgan è il serial killer protagonista del telefilm “Dexter”.
La Rowling è la Rowling. Punto.
Ringrazio voi che leggete, voi che recensite e Nessie che ha betato, oltre  che il circolo delle Vedove Allegre che mi allieta le giornate.
Corro a rispondere alle recensioni!
Un bacione,
S.
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. Behind The Mask. ***


Capitolo trentacinque. Behind The Mask.
 
- "Non dovrei dirti nulla. Non è una decisione saggia...".
Il piede di Nick ticchettava nervosamente sul pavimento freddo del salotto della sua villetta. La reticenza a raccontare ciò che aveva nascosto per mesi traspariva da ogni minimo movimento, espressione o gesto, e l'inquietudine di aprirsi una volta per tutte appariva terribile ad entrambi, seppure in modi diversi. Se lui aveva dalla sua la consapevolezza della portata del suo segreto - ed era evidente che ciò lo turbava -, io mi crogiolavo nell'incoscienza dell'ignoranza che non era, però, sufficiente a farmi sentire tranquilla e rilassata.
Con un ultimo, disperato tentativo aveva provato a farmi cambiare idea, a tenere per sé ciò che per mesi aveva nascosto a tutti, ma non mi ero lasciata convincere; nemmeno dieci paia di scarpe nuove mi avrebbero fatto rinunciare alla verità.
Forse undici...
Gli concessi solo di allontanarsi dal salotto per andare in cucina a preparare qualcosa di caldo per entrambi, ma fui categorica nello specificare che sarebbe stata l'unica eccezione della serata; poi, non ci saremmo mossi da quel divano fino a che non fossi stata informata anche del più piccolo ed insignificante dettaglio sul caso di Banks. Quando ritornò con due tazze colme e bollenti, lasciai che le depositasse sul tavolino che ci divideva, uno di fronte all'altra, e attesi che cominciasse a parlare.
- "Circa un anno fa, mi trovavo a York a raccogliere materiale per la relazione finale del Master che avevo in corso. Era una ricerca sulla pantomima annuale dello York Theatre Royal ed avevo assoluto bisogno di sapere il più possibile su Berwick Kaler, l'attore che da oltre trent'anni recita la parte della dama. Di tutte le interviste trovate, più di tre quarti erano state realizzate da un tale chiamato Samuel Banks; il lavoro era mediocre e quando ho cominciato a chiedere in giro chi fosse, le sole risposte che mi sentissi dire erano ‘È un genio, un grand'uomo’ e altri elogi che, francamente, non corrispondevano all'idea che mi ero fatto leggendo i suoi articoli. Non erano nulla di eccezionale, eppure sembrava che nessuno in quella città fosse disposto ad ammetterlo. Hai presente il clima vigente nei regimi comunisti asiatici? Tutti a servizio del potere, tutti perfettamente d'accordo con qualsiasi azione del proprio leader, nessuna opposizione... ".
Srotolai la coperta che era ripiegata in fondo al divano ed allungai le gambe sui cuscini. Il racconto si prospettava lungo e intricato e le due tazze di tè e di caffè appena fatte sarebbero state un buon carburante per tenere le palpebre ben aperte.
Nick si perse nei suoi pensieri, ma io, senza mezzi termini, lo invitai a proseguire.
- "Nel mese e mezzo trascorso a York, passai la maggior parte del tempo a indagare su Banks, piuttosto che sull'argomento della mia tesi. Tutto ciò che scoprii è che aveva studiato in America e che la madre era un vero e proprio pozzo senza fondo di soldi. Probabilmente è grazie a lei che si è fatto un nome nel campo del giornalismo; quella donna ha finanziato gran parte delle attività culturali di York e dintorni, e immagino abbia chiesto qualcosa in cambio di tanta... generosità".
- "Non sarebbe di certo il primo a ricevere un aiutino di questo genere. Il mondo è pieno di raccomandati" constatai, prendendomi la libertà di togliermi le scarpe ed incrociando le gambe sul divano, sotto il plaid. Gli occhi di Nick mi seguirono con curiosità, finché non incrociarono i miei, che lo esortavano ancora una volta a continuare.
- "Non si tratta di raccomandazioni; si tratta di avere le mani in pasta in ogni settore e avere la possibilità di chiedere favori a gran parte della cittadinanza. Una sorta di ricatto, direi".
- "Se un soggetto è ricattabile, è perché ha qualcosa da nascondere". La mia allusione a quanto accaduto in quella stessa stanza qualche minuto prima ai suoi danni ovviamente non era casuale.
- "Comunque, - sviò la frecciatina - una sera, in un bar, incontrai un vecchio signore che aveva alzato parecchio il gomito e che mi disse ciò che da settimane aspettavo di sentire: Banks non era uno stinco di santo. Aveva un vizio difficilmente estirpabile e soprattutto molto compromettente: gli piacevano i locali di lap-dance, di cui era un assiduo frequentatore, e le ragazzine".
Lo interruppi brusca, perché volevo arrivasse al nocciolo della questione.
- "Raccontami qualcosa che non so" tagliai corto.
- "Con calma, Sammy, con calma. - mi ammansì, lanciando un biscotto in direzione di Mister, che lo prese al volo - Cominciai a seguirlo la sera e vidi che andava sempre in un night club, il FeelinGood, e se ne stava lì fino alle tre del mattino, spendendo almeno cinquecento sterline. Per quanto ne sapevo, era solo un vecchio porco, uguale a tanti altri; la cosa strana era che ad una certa ora, all'incirca verso l'una, spariva nel privé, dove ovviamente non c'era modo per me di entrare. Quando ne usciva, c'erano delle ragazze con lui, sempre diverse e sempre giovanissime".
- "Un giro di prostituzione nel locale? - ipotizzai e Nick annuì - Forse erano le ballerine che si prestavano... ".
- "No, ho controllato. Erano otto in totale e lavoravano a turni di quattro ogni giorno. Non avevano nulla a che fare con il retro; erano tutte visibili sul palco e avevano almeno ventidue anni. Le altre erano più piccole".
- "Che schifo. - commentai pensierosa - Ma Banks come c'è finito qui a Londra? Pura casualità?"
- "Sammy, se vuoi realizzare un'indagine, devi fare in modo che il caso lavori per te".
- "Non fare il saccente, per cortesia... " brontolai.
Si fece all'improvviso serio e si schiarì la voce, cercando di racimolare la tranquillità necessaria per affrontare la parte più sostanziosa e impervia dell'intera storia. Io mi strinsi nella coperta e nascosi i piedi nel piccolo divario tra un cuscino e l'altro del divano, mentre lui assumeva un'espressione strana.
- "Non è una coincidenza, se Sam lavora a Music Magazine, - lo guardai sorpresa, mentre mi sorgevano altre mille quesiti in testa - Ho chiesto un favore ad una persona" ammise. E le cose cominciarono ad avere un senso.
- "Katy. - dissi semplicemente e Nick annuì. Non riuscii a reprimere un impeto di rabbia e le parole uscirono dalla mia bocca incontrollabili - Quindi è così che funziona: te la scopi in cambio di qualche cortesia al momento giusto?".
Quasi sorrise della mia stizza, poi si riscosse e impostò una smorfia scocciata.
- "Non me la scopo" rispose pacato.
- "Giocare sui tempi verbali è scorretto anche per te. - lo rimbrottai - Riformulo la domanda: te la sei scopata, in passato, perché lei gli offrisse un lavoro ad MM?".
 
All along I had to talk about it
Like a two edged sword... 
 
Nick si umettò rapidamente le labbra con la lingua e si poggiò allo schienale della poltrona. Allargò le gambe e si portò la caviglia destra sul ginocchio sinistro, emettendo frasi sconnesse e sbuffi sonori.
- "Se vogliamo collaborare, dobbiamo iniziare ad essere un po' più disponibili al dialogo. Non vado a letto con Katy. Mai fatto e stai pur certa che non accadrà in futuro. E sai perché? Perché è la sorella di Kay, e questo fa di lei mia cugina". Avevo un disperato bisogno di fare mente locale, di digerire le ultime parole sentite e contenere l'inspiegabile voglia di improvvisare una conga sul posto. La parola chiave era contegno.
- "Ah. - bofonchiai - Kay e Katy. Kayla e Kathleen. Che fantasia... chi sono i tuoi zii, i Kardashian? - Cercai di buttarla sul ridere per risollevare la serata, così tragicamente a mio sfavore. - Ad ogni modo, le hai chiesto di offrirgli un posto da noi. Bene... questa storia è noiosa, molto noiosa".
- "Qualche mese prima, mi sono fatto assumere al Pumping Pumpkin. È il night club più famoso di Londra e sapevo che Banks sarebbe capitato lì, prima o poi. E anche voi, per l'addio al nubilato di Valerie" disse lentamente, fissandomi di soppiatto e fregandosi i palmi delle mani l'uno contro l'altro, in attesa della mia reazione.
Oh, qualcosa d'interessante.
- "Sapevi che saremmo venute lì? Come? Perché?" domandai, senza fermarmi a riflettere.
Katy.
- "Perché ho fatto in modo che ci veniste, - ammise - Katy lavora nel vostro settore legale, non sempre è a conoscenza di ciò che pubblicate. Siete giornalisti e, come me ne sono accorto io del passatempo di Banks, lo avrebbe potuto fare chiunque. Non ho lavorato un anno per farmi rubare l'inchiesta da sotto il naso" terminò minaccioso, ma non potevo farmi intimorire dalla sua voce, non in quel momento in cui dovevo tenere a bada i fitti pensieri che albergavano nella mia mente.
- "E quindi?".
Nick si prese qualche attimo per riflettere.
- "Non vado fiero di ciò che ti racconterò ora, ma è stato necessario. - premise, con un tono che non pretendeva di essere rassicurante - Quella sera eravate tutte ubriache ed io avevo bisogno di agganciare una di voi. - Agganciare? - Mi serviva qualcuno che fosse all'interno di MM e che io potessi... controllare". Trasalii. In quel preciso istante avrei voluto afferrare la tazza di caffè bollente, versargliela nei boxer e godermi lo spettacolo, ma rimasi stranamente calma e attesi di ascoltare qualche stralcio in più, prima di evirarlo con la prima lama disponibile.
La scommessa.
- "Perché io?" scandii, sforzandomi di non infuriarmi. Con il calore rabbioso sprigionato dalle mie orecchie avrei potuto garantire riscaldamento gratuito alla Siberia per un anno intero.
- "Per esclusione. Amanda non ha mai tolto gli occhi di dosso a José, Valerie era la sposa, Katy è mia cugina e quell'altra, di cui non ricordo nemmeno la faccia, era troppo timida persino per ballare con me, figuriamoci a fare altro...".
Ero rossa di vergogna e d'ira; mi sentivo umiliata per l'ennesima volta dalla sua superficialità e dal suo egoismo. Avrebbe venduto persino Inge e le sue amiche pur di ottenere ciò che voleva.
- "Perciò hai pensato che l'unica disperata e libertina della situazione fossi io, - constatai amara - Avresti potuto scegliere una scommessa meno pregiudizievole per entrambi... ". Tentai la strada della diplomazia, sebbene ciò che avrei voluto fargli in quel momento fosse tutto fuorché diplomatico.
Appenderlo per i pollici a testa in giù, ad esempio. O per i suoi amati testicoli.
 
Was I invited to your masquerade? 
Well, the party's over so
Now take off the face.
 
Nick si sporse in avanti di scatto, fermando le mie parole con un gesto della mano.
- "Quello non l'ho deciso io. L'hai deciso tu!" si difese.
Il mio sopracciglio sinistro si levò quasi da solo e se in quel momento non arrossii, fu soltanto perché ero già color peperone. Stava di sicuro mentendo, perché un'anima pura come la mia mai avrebbe potuto concepire una tale idiotissima sfida; togliendo la mia indiscutibile competitività, il fatto che avessi avuto qualche litro di tequila in circolo e che fossi stata in un locale notturno di dubbia moralità, non ero cambiata molto da quando la domenica mattina andavo a messa con mamma e papà... la competitività è sempre la stessa, perlomeno!
- "Sei un tale bugiardo!" lo accusai, tronfia.
- "Te lo assicuro. Non ti avrei mai coinvolto in qualcosa di così... com'era? Ah sì, pregiudizievole, se non lo avessi proposto tu".
- "Avresti potuto sempre tirarti indietro!" piagnucolai.
- "Ormai ero curioso di sapere se avresti rispettato i patti. Ho unito l'utile al dilettevole" ridacchiò.
Mi coprii le mani con la faccia, sull'orlo di una crisi isterica. Probabilmente ero un caso di demenza giovanile cronica, perché ricordavo bene di essere stata io, insieme a Katy, ad insistere per andare al Pumping Pumpkin, quella maledetta sera di agosto. Ero la stupida pecorella che va dritta dritta nella tana del lupo e ne esce con il culetto smangiucchiato, viva solo perché serve al suddetto lupo.
Voglio il dottor Stranamore a curarmi.
- "Mi dispiace, Sammy. Mi rendo conto di non essermi comportato in modo corretto, - sussurrò, dispiaciuto. - A mia discolpa posso dire che non credevo resistessi tanto".
- "Credo che tu sia l'unico essere vivente che sia in grado di giustificarsi e chiedere scusa, offendendo ulteriormente. Era ovvio che ti avrei tenuto testa fino alla fine. E vincerò. - esclamai, superba - Ora puoi proseguire".
Nick obbedì al comando e si riadagiò comodo sulla poltrona.
- "Come previsto, quando è approdato a Londra, Banks ha cominciato a frequentare il PP e a chiedere insistentemente di parlare con il proprietario, un certo signor Walters. Io non l'ho mai visto, ma secondo il mio contatto alla polizia è incensurato e fa il magazziniere in una ditta di trasporti. Ha quattro figli e la moglie è una casalinga".
- "Come fa a permettersi di aprire un locale?" intervenni, intuendo la risposta di Nick che non si fece attendere.
- "È un prestanome: gli danno dei soldi perché lui dichiari che il posto è suo, quando, invece, è di qualcun altro" mi spiegò, infatti. Avevo una domanda che mi premeva sottoporre alla sua attenzione e pensai che quello fosse il momento giusto per farlo; avevo fatto una promessa a Ralph e dovevo rispettarla ad ogni costo.
- "Conosci l'identità dell'uomo di colore che c'era nella fabbrica abbandonata con Sam?".
Nick scosse debolmente la testa, meditabondo.
- "Ho solo delle ipotesi. Lo chiamano sempre B e ho fatto passare metà elenco telefonico di Londra, ma rimane ancora uno sconosciuto".
Sorrisi soddisfatta di avere un'informazione di cui lui non disponeva e bevvi un sorso di tè per lasciare un po' di suspense, prima di comunicargli che sapevo perfettamente chi fosse B.
 
You're sittin' in our room
The truth in you I have
Long to trace
So take off the mask so
I can see your face. 
 
- "Devi rivedere le tue tecniche di ricerca, perché in quel modo non l'avresti mai trovato. È Big Bob, la guardia del corpo di Ralph J".
Gli occhi di Nick s'illuminarono di curiosità e, per la prima volta da quando lo conoscevo, ebbi la sensazione che provasse autentica gratitudine nei miei confronti.
- "I miei complimenti per lo spirito di osservazione, Sammy. Ciò che non ho ancora capito è: che ci guadagni tu ad aiutarmi?". Prese la tazza colma di caffè, se la portò alla bocca e soffiò leggero, creando delle piccole increspature sulla superficie nera fumante.
- "Mettiamola così: invece di dover cercare qualcuno che pubblichi la tua storia, mi offro io di scriverla ed editarla su MM" risposi, un'innaturale ingenuità dipinta sul volto. Distolsi lo sguardo e lo spostai sulle punte dei miei piedi, non riuscendo a trattenere un sorriso malizioso.
Forza, ribatti. Sto aspettando solo che tu mi contraddica.
- "Cosa ti fa credere che io non abbia già trovato qualcuno disposto a pubblicare la mia storia?" disse sospettoso. Bevvi un sorso di tè e passai una mano sul testone color caramello di Mister, prendendo tempo.
- "Hai già chiesto in giro?" dribblai la domanda. Stavo facendo di tutto per concentrarmi sulle coccole al cane ed apparire ignara di tutto, ma non riuscivo a fingere di non sapere chi fosse; non potevo dimenticare chi fosse stato Clive Burton.
- "Non solo, - alzò le spalle Nick - ho già trovato qualcuno". Voleva davvero fare questo gioco con me?
Mister balzò sul divano e si sdraiò sulla sua copertina, con buona pace del padrone, preoccupato delle sorti del tessuto candido del sofà. Nick si distrasse qualche istante, concentrandosi sugli artigli pericolosamente infilzati nel plaid.
- "E si può conoscere l'identità di questo qualcuno?" cinguettai innocente.
Nick sorrise a trentadue denti e scosse la testa, le dita già infilate nei capelli per spettinarli e lasciarli ancora più scompigliati di prima.
Imbarazzo, nervosismo, disagio.
- "Da quanto lo sai?". Abbassò il capo, ma i suoi occhi rimasero irriverentemente incollati ai miei.
- "Che sei un idiota? Dalla prima volta che ti ho visto. - risposi disinvolta - Per quello non sono state necessarie indagini".
- "Bugiarda. Ricordo benissimo quanto mi trovassi intelligente vestito da pompiere... ". Arrossii all'istante fino alle punte dei capelli, relegando lo scomodo ricordo in un angolo nascosto con un gesto della mano.
- "Ti guardavo negli occhi!" provai a difendermi. Nick alzò un sopracciglio e sghignazzò sommesso.
- "Gli occhi? Sammy, eri ubriaca, non puoi ricordare!".
La verità era che non potevo dimenticare. Quella sera al Pumping Pumpkin era stata straordinaria sotto molti punti di vista - letterali e no -, e dovevo ammettere che era valsa la pena dare un briciolo di ragione a Katy, scegliendo di passare la serata in un locale notturno, piuttosto che passeggiare tutta la notte per Londra, conciate come Jessica Rabbit.
- "Io mi ricordo benissimo!" sbottai, colma d'ingiustificata indignazione.
Nick sbuffò davanti alla mia cocciutaggine e lasciò galantemente - e fintamente - cadere l'argomento, prima di farmi notare che, per quanto i buchi della memoria circa quella sera potessero essere estesi, era impossibile che avessi scordato quanto fossero sodi i suoi occhi.
- "Comunque, chiedevo da quanto tempo sai che sono Ken Hagrol".
Di fronte ad una domanda così diretta non potevo fuggire né tanto meno tergiversare.
- "Da un po', - replicai evasiva - Forse mi avevi sottovalutato come concorrente". Il mio tono era risentito, ma a ragione; avrei accettato di essere ritenuta non alla sua altezza come donna - me lo aveva dimostrato in svariate occasioni e, nonostante fosse difficile da digerire, ogni volta faceva meno male -, ma mi rifiutavo di mandar giù il boccone amarissimo, se si trattava di lavoro. Era tutto ciò che mi rimaneva.
Lui mi guardò obliquo e si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
- "Non ti avevo sottovalutato. - esclamò infine ed io tirai un fierissimo sospiro di sollievo - Non ti avevo proprio considerato! - Ho cantato vittoria troppo presto - E prima che tu ti prodighi in discorsoni sul mio maschilismo e t'infervori sulla mia mancanza di tatto nei confronti tuoi e della donna in generale, sappi che semplicemente non avevo pensato che ci saremmo trovati ad indagare sulla stessa inchiesta. Non ti avevo considerata da quel punto".
Perché, da che punto mi avevi considerata?
Mi morsi l'interno della guancia per non dire ad alta voce ciò che stavo pensando; la risposta che avrei tanto voluto sentirmi dire non era di certo quella che mi avrebbe fornito lui, pertanto meglio mettersi il cuore in pace e fingere di non avere una irrefrenabile voglia di tempestarlo di domande.
- "Quindi lavori per il London Express..." dissi, invece.
- "Da tre anni. Uso sempre uno pseudonimo; non amo che la gente sappia gli affari miei. Con un nome falso posso essere chiunque e posso essere nessuno. Naturalmente, al Pumping Pumpkin ho dovuto dare il mio vero nome, perché altrimenti Banks e gli altri non avrebbero mai potuto fidarsi di me".
- "Cosa c'è sotto?".
- "Un traffico di prostitute minorenni. L'ho convinto a farmi partecipare, ma per poco tu non mandavi tutto all'aria. - Finì il caffè e sbatté la tazza sul tavolino, facendomi sussultare. Che c'entro io? - È stato lui a far rapire Romeo. - lo guardai senza capire - Pensava fossi tu a ricattarlo".
Ricattarlo?
- "Non ho mai fatto nulla del genere. Però, è chiaro, avrebbe un senso... - farfugliai. - Questo spiegherebbe perché l'uomo in quel vicolo mi abbia prima aggredito e poi improvvisamente lasciato in pace". Collegavo i tasselli ad alta voce, fissando il pavimento, come se le risposte fossero state scritte lì sopra.
- "Cosa? - sbraitò Nick. Alzai lo sguardo perplessa e cercai, allo stesso tempo, di capire il motivo di quell'uscita così rabbiosa - Qualcuno ti ha aggredito? Perché non me l'hai detto?". I suoi occhi chiari mi scrutavano con severità e con un pizzico di apprensione.
- "È successo mesi fa, - minimizzai - E non l'ho detto a nessuno, perché mi hanno fatto solo qualche livido e non c'era motivo di farvi preoccupare per così poco" spiegai, convinta delle mie ragioni.
Nick si alzò in piedi e scostò con irruenza il muso di Mister che era poggiato sulle sue gambe. Fece qualche passo lungo la stanza, tormentandosi i capelli e respirando affannosamente. Stetti in silenzio per tutti i minuti in cui nemmeno lui fiatò, mentre sembrava intenzionato a percorrere i quarantadue chilometri della maratona di New York nel soggiorno di casa sua.
- "Io non capisco se sei solo un'incosciente o se sei davvero stupida, - disse fra i denti ed io restai di sasso - Non sai che pericolo hai corso con quello. Avresti potuto essere morta ora, te ne rendi conto? Questo succede quando ti metti ad indagare su cose che non puoi e non sei in grado di gestire. Dio, sono un cretino: non avrei mai dovuto raccontarti niente".
- "Sono perfettamente capace di proteggermi da sola" ringhiai in risposta alle sue accuse. Odiavo essere trattata come una bambina o, peggio, come una fanciulla indifesa che necessita di un cavaliere dall'armatura scintillante e senza macchia che la aiuti e la ponga sotto la sua ala.
- "Beh, si vede. Complimenti! Per poco non ti facevi ammazzare. - sputò acido. Lanciai per aria la coperta e m'infilai veloce le scarpe, bofonchiando tra me e me insulti e improperi che di certo non erano degni di una principessa che necessita di una guardia del corpo - Fammi indovinare: te ne stai andando. Come sempre, quando la discussione non va come dici tu, prendi e scappi" ghignò beffardo, mentre mi stavo infilando la giacca.
- "Non è così" gli urlai in risposta.
- "Fai come credi, non ho tempo da perdere con una ragazzina" mi schernì.
Mi girai di scatto prima di aprire la porta e lo fulminai con lo sguardo.
- "Ragazzina lo dici a tua sorella, o alle tue cugine, visto che siete così intimi. - risposi caustica - E tu puoi andartene comodamente al diavolo, va bene?".
Il musone di Mister s'inclinò verso di me confuso e mi osservò con cipiglio smarrito. Finsi di non vederlo, perché altrimenti sarei corsa da lui e lo avrei stritolato di coccole, ma non era il momento adatto.
- "Va bene, ragazzina" mi sbeffeggiò, mantenendo un'espressione dura.
- "Va bene lo dico io, idiota. Va bene?" ribattei, mettendo un piedi al di là dell'uscio.
- "Va bene!" gridò Nick, ma il suo urlo mi giunse strozzato dalla porta sbattuta che si chiuse con un tonfo sordo dietro le mie spalle.
 
You sit behind the mask
And you control your world.
 
Tornai al mio condominio a piedi. Per quanto la strada fosse lunga e la giornata fredda, avevo bisogno di respirare un po' di gelo natalizio e lasciarmi contagiare dall'atmosfera prefestiva. Avrei addobbato l'albero non appena rincasata. Certo, avrei dovuto trafficare non poco per estrarre quella sottospecie di abete spelacchiato e fintissimo dal ripostiglio, e di sicuro mi sarei intrappolata da sola nell'insidiosa fila di lucine - come ogni anno -, ma il senso di soddisfazione che sarebbe derivato dal vedere il salone decorato a dovere avrebbe ripagato ogni sforzo.
Un po' di relax era più che meritato, dopo le stilettate rifilatemi da Nick. Ero insolitamente tranquilla e i residui di rabbia che ancora provavo in quel momento erano dovuti solo all'ultimo spezzone della discussione, quando mi aveva deliberatamente dato della stupida. Per quanto l'intera questione della scommessa fosse disonorevole e degradante, mi ero, a sorpresa, scoperta disposta ad accantonarla; nell'istante stesso in cui avevo recepito quelle informazioni, una parte di me aveva classificato le parole e le azioni di Nick come del tutto razionali e giustificabili. Lui aveva ragionato da giornalista, da uomo freddo e cinico, da uno che sa esattamente dove vuole arrivare; e, nonostante potessi condannarlo per avermi coinvolto, non potevo impedirmi di pensare che, al suo posto, avrei fatto la stessa cosa.
Non guardate in faccia a nessuno. - soleva dire il mio professore di Giornalismo a Cambridge - Se volete arrivare in alto, fingete di non vedere coloro di cui abuserete. Essi saranno solo degli effetti collaterali.
Non hai mai guardato in faccia a nessuno, Sam, eppure questa è la fine che hai fatto: sei diventata un trascurabile effetto collaterale.
Quel Nick era proprio maledettamente bravo.
 
La preparazione dell'albero risultò più complessa del previsto. Will mi tenne su Skype per quasi due ore, sentendosi in debito con me di qualche centinaio di ore di conversazione e mi comunicò il suo imminente ritorno a Londra; ancora un paio di giorni e l'Inghilterra sarebbe stata ufficialmente la sua nuova casa. Parlò anche di qualcosa inerente la sua simpaticissima fidanzata Kay, ma il mio sistema immunitario mi impediva di ascoltare informazioni indesiderate riguardo persone altrettanto indesiderate. Una particolare e sofisticata forma di difesa.
L'ostacolo più imponente alla realizzazione di un albero decente fu, però, l'arrivo di un trafelatissimo Warren, nascosto sotto tre giri di sciarpa attorno al collo e un pellicciotto sintetico color orso polare.
- "Zucchero, non puoi capire quello che mi è successo! - mormorò teatrale, frignando come una bambina - Era lì, davanti a me, in quella camicia glicine orrenda e un attimo dopo, puff!, sparito! Lady Oscar non ha fatto nemmeno in tempo a gioire; altro che glicine, è diventato un crisantemo! L'avresti mai detto? E sai una cosa? Mi sono girato ed era tornato. Da me, capisci? È un chiarissimo segno del destino! Santa Barbra, mi ha persino chiesto come stavo. Cioè, se questo non è un enorme tentativo di abbordarmi, io sono Geronimo Stilton. Oh, Cielo, ecco come chiameremo il nostro bimbo: Geronimo! Ti piace, Sam? Oh, tesoro, ho così tante cose da raccontarti! C'era anche Tu-Sai-Chi al pub, te l'ha raccontato? In una polo aderente e un paio di jeans da stupro! Insomma, mi rispondi? - Ecco dov'erano finite le palline dorate! Dannazione, una è graffiata. Romeo. Però, che caruccio il mio abete... - No? Vuoi sentirne un'altra? Un tizio si avvicina a me e mi fa: ‘Ehi bimbo, vuoi vedere come il mio amico nei pantaloni ti rimbalza addosso e comincia a martellarti?’ Ovviamente, gli ho risposto a tono: ‘Se rimbalza, non martella, mio caro’. Ci credi che esiste gente così strana in giro? Ehi, mi ascolti?".
La pausa di tre secondi di assoluto silenzio mi fece intuire che era arrivato il momento di dargli una risposta. Peccato solo che avessi sentito un decimo del monologo di Warren.
- "Certo. - Sperai di risultare credibile, ma il suo sopracciglio alzato mi fece intuire di aver fallito - Hai detto che Tu-sai-chi rimbalzava con un vestito color glicine su Geronimo". Stavo sudando freddo, sotto il suo sguardo indagatore.
O la va o la spacca.
- "Chi è Tu-Sai-Chi?" chiese freddo.
Secondo un rapido calcolo probabilistico su grande scala, la possibilità che Warren avesse incontrato Voldemort, mezzora prima al pub, sembrava vagamente bassa. Chi altro poteva essere? Tentai con l'unico nome che mi venne in mente.
- "Nick?" provai, con un fil di voce.
Il largo sorriso che si formò sul viso del mio amico mi fece ben sperare: ci avevo azzeccato.
- "Chissà come mai su certe cose sei più attenta che su altre... - rise compiaciuto - Comunque, erano lui e i suoi pettorali, nascosti da una stupida polo blu con il numero tre cucito sulla manica di cui io e il resto del locale avremmo fatto francamente a meno. Era attorniato da uno stuolo di donne...".
E smisi di badare alle sue parole. Riconoscevo la descrizione della maglietta: era la polo della discordia, quella che gli avevo regalato al compleanno e che mai gli avevo visto indosso. Guarda caso aveva deciso di sfoggiarla davanti al mondo intero proprio dopo la nostra lite.
Ri-maledettissimo Nick.
 
Aveva davvero passato il segno. Quella polo era una dichiarazione di guerra in grande stile - in grande stile solo perché io l'avevo scelta, naturalmente...; nemmeno Gavrilo Princip aveva saputo essere altrettanto catastrofico con lo stupido attentatuccio ai danni di Francesco Ferdinando e consorte.
Le mie nocche sbiancarono mentre battevano ininterrottamente sulla porta d'ingresso della villetta a schiera di Nick, e non ebbero pace finché il padrone di casa venne ad aprire, sorpreso e contrariato. La maglietta blu aderiva bene al suo petto e il numero tre rosso cucito sulla manica era reso ancor più evidente dal bicipite allenato.
Ottima scelta, Sam. Il blu gli sta benissimo... non era quello il problema. Nessuno aveva mai messo in dubbio il mio buon gusto!
- "Queste provocazioni non fanno bene alla nostra collaborazione, ne sei cosciente?" gli urlai contro, dimenticando il self-control che mi ero imposta di avere nel tragitto in taxi. Entrai veloce in casa ed incrociai le braccia, ormai furiosa.
- "La tua abitudine di accusarmi senza che io sappia di che diavolo parli sta cominciando ad irritarmi" ammise, senza però rinunciare ad un sorrisetto che avrei tanto voluto cancellargli dalla faccia a suon di schiaffi.
- "La polo che indossi, - gliela indicai - levatela!" gli ordinai.
Nick si fissò il torso, come se non appartenesse neppure al suo corpo. Alzò le spalle, si girò e si diresse verso la cucina. Fui costretta quasi a correre per raggiungerlo.
- "Perché?" chiese ingenuo, prendendo un grissino dal pacchetto aperto sul tavolo.
- "È per quello che rappresenta; tu mi stai prendendo in giro" gli spiegai chiaro e tondo.
- "Tu sei fuori di testa. - iniziò a sgranocchiare - Se sei arrabbiata per quanto ti ho detto stamattina, capisco e ne possiamo discutere, ma ridursi a questi mezzucci pur di litigare mi pare un po' stupido". Non era forse la seconda volta in una giornata che giudicava me o un mio comportamento stupido?
- "Te l'ho regalata io..." gli dissi a denti stretti, sperando che arrivasse a capire il perché del mio nervosismo.
- "Lo so, ed ora è mia. E, in quanto proprietario, posso permettermi d'indossarla quando mi pare, giusto?".
Giusto? Il ragazzo era fuori di melone se non comprendeva la gravità della situazione.
- "Non è tua! Te l'ho regalata io!" chiarii.
Ralph Lauren, come hai potuto creare qualcosa che gli calzi così bene? Solo Fred Perry, d'ora in poi.
- "Quindi?" suggerì.
- "Quindi voglio che tu me la restituisca, o la bruci, o la dia ai poveri" risposi lapidaria.
Nick afferrò una bottiglietta d'acqua dallo sportello del frigo e l'aprì senza sforzo. Aggirò veloce il tavolo che ci separava e si parò davanti a me.
- "Hai battuto la testa di recente?" domandò, fintamente preoccupato.
- "Non voglio che tu abbia indosso nulla di mio" confessai.
Una debolezza gigante, un passo falso da adolescente, un imperdonabile sbaglio che mi fece sbarrare gli occhi. Nick quasi si strozzò dal ridere con l'acqua che stava bevendo. Pur di evitare lo sguardo soddisfatto e sornione che sapevo avrebbe avuto una volta deglutito, afferrai l'orlo della maglietta - sì, quello pericolosamente vicino ai pantaloni - e tirai verso l'alto, urlando ‘To-gli-te-la!’.
Il resto del contenuto della bottiglietta gli si rovesciò in testa, inzuppandogli parte della polo e i capelli. Mi fissò con sguardo incredulo, mentre tra le lunghe ciglia e sulle guance delle goccioline scendevano indisturbate. Rimasi immobile, le mani incriminate ancora in aria e la bocca spalancata dallo stupore. La maglietta gli si era incastrata sotto le ascelle, lasciandogli scoperto il petto e la pancia.
Prometti di non sbirciare. Prometti. Prometti? Ti prego, prometti!
- "Devo andare" lo liquidai. Procedetti spedita verso la porta con l'intento di evaporare il più presto possibile, ma lui non era dello stesso parere. Nel momento in cui abbassai la maniglia, ritrovai la sua mano sopra la mia.
- "Non così in fretta. Me la paghi questa" mi strattonò. Riuscii ad aprire uno spiraglio nell'uscio e mi infilai tra quello ed il cardine; insomma, ero divisa a metà, con una tetta da una parte - esatto, tette, le ho anche io! Pratiche e tascabili - e una dall'altra. Non potevo respirare bene e, con gli spintoni di Nick, mi sentivo nel bel mezzo di un tiro alla fune. Fortunatamente lui perse tempo a sistemarsi la maglia e io sgusciai via come un'anguilla all'esterno della casa.
Quasi tutta. Il povero dito medio della mano sinistra rimase tragicamente incastrato nella porta. Avrei voluto urlare dal dolore e imprecare in creolo, ma non potevo fare capire all'intera East London che ero un'imbecille patentata; mi limitai ad infilzare forte i denti nel labbro inferiore e sperare che lo scemo all'interno della casa non se ne accorgesse. Ma l'uscio si riaprì e piano piano si spalancò; nascosi il dito pulsante dietro la schiena e sorrisi in modo ebete.
Nick - finalmente rivestitosi - mi concesse qualche istante di tregua, ma vedendo che non avevo intenzione di dire nulla, cominciò a parlare.
- "Lo so che ti sei schiacciata il dito, testona, e che ti fa male" osservò benevolo.
Mi fa male è un eufemismo.
- "No!" risposi poco convinta e molto orgogliosa.
- "Sì, invece. Dovremmo metterci del ghiaccio o si gonfierà". Mosse un passo verso di me e io mi ritrassi.
- "Dovrei metterci del ghiaccio, - precisai, ormai conscia di essere stata beccata - Ma credo di poterne fare a meno. Nessuno è mai morto per un dito schiacciato".
- "Vuoi essere la prima?". Il mio lato melodrammatico non poteva reggere a lungo dopo una frase del genere e, infatti, cedette ben presto. Gli mostrai il dito medio incidentato come se lo volessi insultare, ma avevo davvero bisogno di un po' di ghiaccio. Una smorfia di sofferenza mi si stampò in volto e lo seguii sconfitta di nuovo fino alla cucina, dove avvolse una confezione di ghiaccio sintetico attorno ad un panno. Il freddo attutì il dolore fisico, ma non quello morale.
Mannaggia, è possibile che io debba sempre avere la balia?
Aumentai la pressione dei denti sul labbro, fino a sentire il sapore ferroso del sangue sulla punta della lingua. Appoggiai due dita sul taglio e a quel punto la mia mente già intravedeva scenari raccapriccianti: ancora qualche minuto e avrei avuto bisogno di una trasfusione. E non ricordavo neanche il mio gruppo sanguigno!
La mamma, devo chiamare la mamma!
Ero in piedi, con un dito sotto un asciugamano e il cervello altrove, occupato in elucubrazioni macabre. Nick era di fronte a me, una coscia posata sul tavolo, la gamba dondolante nell'aria, poggiato sui polsi. Mi sorprese quando si avvicinò, abbassato alla mia altezza e con una mano dietro la mia nuca per tenermi saldamente contro di lui, mi baciò. Fu il bruciore della piccola ferita al labbro a farmi rinsavire; era stato delicato e leggero e si era limitato a suggere con dolcezza proprio lì dove il fastidio era maggiore. Ora stava palesemente cercando di dare adito a qualche cosa in più e lo bloccai subito. Lo allontanai con foga e lui si spostò docile, senza lamentarsi. Nell'imbarazzo del momento, la cosa più intelligente da fare sembrava colpirlo; gli schioccai uno schiaffo in piena guancia che non poté evitare, assecondando il movimento della mia mano.
- "Co-cosa fai?" gracchiai.
Nick si sistemò i capelli, come se nulla fosse successo.
- "Ti disinfetto il labbro. - Ovvio, no? - Sai, con la saliva" rispose petulante.
- "E la lingua?" lo accusai.
- "Quella la offre la casa. - sorrise infingardo - Sto facendo quello che ho detto a Sam al telefono: ti sto vicino" gesticolò, come se gli sfuggisse il senso del mio rifiuto.
- "Così non è vicino; è addosso" gli feci notare.
Risistemai la borsa sulla spalla e afferrai con una mano entrambi gli alamari del montgomery.
- "Dobbiamo sembrare credibili" tentò di rabbonirmi.
- "Ma gli hai detto di non essere il mio fidanzato" gli ricordai.
- "Sammy, - mi guardò saputo - non so se hai notato, ma non ci comportiamo esattamente come una coppia"
- "Quindi hai pensato che sarebbe stato più facile farci passare per..." lasciai in sospeso la frase, in attesa che lui la terminasse.
- "Due che si vedono, si frequentano e passano del tempo insieme per divertirsi".
- "Esiste una parola per questa cosa: trombamici. E no, non mi sta bene".
- "È finzione, su! - fu il suo modo carino per mandarmi a quel paese - Mentre tu ti lagni, io ho già trovato il nome per la mia inchiesta: Il sacrificio delle vergini nella Babilonia moderna".
Nick aveva un modo tutto suo per testare la mia preparazione culturale; per sua sfortuna, sapevo quanto bastava sul primo scoop importante a memoria d'uomo.
- "Intendi la nostra inchiesta, naturalmente. Accidenti! Dovrò avvisare William Thomas Stead di cambiare titolo al suo articolo perché questo l'hai già prenotato tu. Ah no, scusa: il suo è datato 1885. Che tenerezza... all'epoca c'erano ancora le vergini!".
- "Già... oggi ci sono solo ragazzette arrapate che cercano di adescare giovanotti puri e gentili per attrarli in losche scommesse a sfondo sessuale. Che brutta gente" commentò cogitabondo.
Questo ragazzo è uno spasso.
- "Esilarante. Piuttosto, siamo seri: perché hai mandato delle foto mie a Banks?". Non riuscivo ad afferrare il senso di quel gesto e, con quella domanda, pensai di poter chiarire almeno quel dubbio.
Nick aggrottò la fronte.
- "Quali foto?".
- "Quelle che ho intercettato per puro caso in ufficio. Il nome del mittente non era ben chiaro ma si leggeva qualcosa di simile a Mr. H".
L'occhiataccia che mi toccò fu il segnale chiaro ed inequivocabile che Nick non sapeva nulla di quelle foto.
- "Peccato che Sam non sappia che sono Hagrol, perciò è improbabile che sia stato io a mandargliele, tanto più sotto pseudonimo. E poi perché mai avrei dovuto?".
Giusto.
- "Nick, se sapessi interpretare nel modo corretto tutto ciò che fai, sicuramente il mio fegato ora non sarebbe roso come in realtà è".
- "Simpatica. Chi credi le abbia mandate?".
- "Potrebbe essere stato colui che lo ricatta. - ipotizzai - Hai idea di chi sia?".
- "So che è una donna, ma non mi ha mai fatto nome e cognome...".
Un buco nell'acqua.
 
- "Non capisco perché abbia pensato che fossi stata io".
Nick scrollò le spalle.
- "Ha detto solo che era qualcuno dei suoi collaboratori".
- "Qualcuno dell'ufficio?" chiesi, convinta del contrario, ma Nick mi smentì.
- "Penso. Hai qualche collega che abbia il cognome che comincia per H?".
Mi venne in mente solo un nome, ma no, era impossibile che c'entrasse qualcosa. Era impossibile che non me ne fossi mai accorta. - "Ho una mezza idea. - dissi sconsolata - E anche un'altra mezza".
- "È un punto di partenza, ma non abbiamo molto tempo: Banks ha previsto l'arrivo di dieci prostitute dalla Moldavia domani e lo dobbiamo beccare in flagrante per fare uno scoop come si deve e far intervenire la polizia. Verifichiamo subito se le tue mezze idee sono valide. Prendo le chiavi della macchina e andiamo".
- "Magari mettiti la giacca, prima di farmi morire come prima... - Questo non avrei dovuto dirlo - Di freddo. Farti morire... di freddo. Non dovevi sbrigarti?" farfugliai.
- "Dove andiamo?" chiese impaziente, ignorandomi.
Esitai un attimo, ma poi mi convinsi: la verità prima di tutto.
- "Da Amanda".
 
 
 
Ormai lo so che siete affezionati ai miei ritardi e non sono così insensibile da privarvi di un tale piacere... okay, sono pessima, ma almeno l'aggiornamento è arrivato. Alle 2.05 del 31 dicembre, ma è arrivato!
Carte quasi del tutto scoperte, ma spero di riservarvi ancora qualche sorpresuccia.
La canzone del titolo è "Behind the mask" di Michael Jackson; i Kardashian sono una famiglia di ricconi americani la cui occupazione è il tutto e il nulla (stile Paris Hilton); la punizione di 'essere appesi a testa in giù per i pollici' mi è stata gentilmente prestata dal signor Gazza di Harry Potter ("Harry Potter e la pietra filosofale"); il dottor Stranamore è quel tesoro di Derek Shepherd di "Grey's Anatomy"; Gavrilo Princip è l'autore dell'attentato a Francesco Ferdinando d'Austria e alla moglie, episodio conosciuto storicamente come l'evento che ha dato inizio alla prima guerra mondiale.
Per il resto, avrete notato nel testo che vi ho linkato alcune pagine di spiegazione; l'ho fatto nel caso in cui alcuni di voi fossero interessati per curiosità personale, perché vi dico sin da subito che NON SONO rilevanti ai fini della storia.
Grazie mille come al solito del supporto, soprattutto a Nessie e alle mie Vedove Allegre.
Vista l'ora, mi permetto di posticipare a tra un paio d'ore le risposte alle recensioni, che comunque apprezzo moltissimo.
Auguri per un meraviglioso 2012. Speriamo cominci subito nel migliore dei modi.
Un bacione,
S.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. Somewhere Only We Know. ***


Capitolo trentasei. Somewhere Only We Know.
 
Amanda Denise Jenkins non era la persona che stavamo cercando. Quella J maiuscola all'inizio del suo cognome era sufficiente a togliermi anche il più insistente dei dubbi. Ciò che invece mi tormentava sapere era come avesse approfondito la conoscenza di José, dopo il primo incontro a cui avevamo partecipato tutte. Se la loro relazione aveva raggiunto un livello tale da fare di lui il suo fidanzato, significava necessariamente che i due si erano visti molte più volte, oltre la sera dell'addio al nubilato di Valerie. Ed era lecito pensare che la dolce Mandy non fosse tornata al Pumping Pumpkin da sola...
- "Siamo arrivati. - mi avvertì Nick, posteggiando l'auto di fronte alla piccola casetta bianca. - Cosa ci aspettiamo da questa visita?".
- "Non so cosa ti aspetti tu, ma io ho le idee chiare", replicai.
Scesi dall'auto, mentre Nick arrancava per slacciarsi la cintura di sicurezza e raggiungermi fuori dall'abitacolo, sul vialetto di ghiaia attorniato dall'erba.
- "È un lavoro di squadra, - mi fece notare. Lo ignorai e suonai il campanello. - Ehi, mi ascolti?".
- "Portami gli altri nove ragazzotti in pantaloncini e poi ne riparleremo", liquidai la questione.
Non fece a tempo a ruotare gli occhi che Lacey, la figlia diciassettenne di Amanda, venne ad aprire la porta.
- "Sam?", chiese sorpresa, sbirciando dietro le mie spalle ad un Nick sorridente, placido nella sua posizione da vecchietto a passeggio con le mani incrociate dietro la schiena.
- "Già. Cerco tua madre, è in casa? ". L'attenzione di Lacey era già perduta, carpita in modo molto scorretto dal bel visino del ragazzo che mi seguiva.
- "Non mi presenti il tuo amico, prima?", ribatté sfacciata.
D'un colpo, il pudico scollo della maglia che indossava si abbassò tragicamente, lasciando in mostra le ben poche grazie in via di sviluppo.
Maledette adolescenti che hanno ancora la speranza di riempire in futuro una terza coppa b.
- "Lui è Warren, mio migliore amico e checca al 200%".
Nick non commentò, ma l'espressione di Lacey si fece seria e, come per miracolo, l'orlo della t-shirt ritornò a coprire l'abbozzo di seno.
- "Ah, - commentò delusa, una smorfia di disappunto in faccia. Si scostò per farci entrare nel modesto soggiorno e chiamò svogliata la madre. - Beh, se cambi idea..." disse provocante, salendo le scale che portavano al piano di sopra, alla zona notte.
- "Sì, sì..." commentai disinteressata e le feci segno di proseguire pure per la sua strada in salita, in senso metaforico e reale.
Amanda comparve dallo studiolo in fondo al corridoio, un grembiule legato in vita e l'aria sciupata da mamma alle prese con una teenager incazzata col mondo.
- "Samantha? - mi guardò stupita. - E Nick? Che ci fate qui?".
- "Allora non si chiama Warren!". La voce di Lacey ci arrivò dalla cima della rampa e, sporgendomi, notai anche un dito accusatore puntato verso di me con aria scandalizzata.
- "È il mio fidanzato, okay?" le risposi scocciata, sperando di zittire quella boccaccia grondante ormoni.
- "Oh, vi siete messi insieme? - squittì Amanda elettrizzata. - Sono così contenta per voi!" corse ad abbracciarmi e mi stritolò nella sua morsa materna.
Mossa sbagliata, immagino.
- "Potresti avere molto di più... " commentò l'arpia, poggiata al corrimano, mangiandosi con gli occhi Nick. La fulminai con lo sguardo: non aveva proprio idea con chi avesse a che fare: chi sarebbe stato quel tanto millantato molto di più? Una brufolosa ragazzina dalle mutande in subbuglio e l'ombretto marcato da tossica scampata ad una retata?
Sua madre intervenne e, con parole più morbide di quelle orgogliose nella mia mente, la rispedì in camera sua.
- "Allora, colombelle, - tornò a rivolgersi a noi - finalmente fidanzati, eh? Non c'era bisogno di fare tutta questa strada per annunciarmelo. Non vedo l'ora di fare un'uscita a quattro!".
- "No. - dissi secca. - Siamo qua per un'altra ragione".
- "Già. - intervenne sardonico Nick, facendosi spazio tra noi due e sedendosi pomposo sul divano. - Non siamo venuti per quello, perché vogliamo mantenere un profilo basso". Amanda guardò il cretino comprensiva.
- "Piuttosto, - lo interruppi - ti ricordi la sera in cui sei tornata al Pumping Pumpkin?".
- "Certo. Era una piovosa sera di... " cominciò a raccontare, prendendola molto alla larga.
- "La versione breve. - la pregò Nick e lei se ne risentì, perciò lui tentò di ammansirla. - Sai, io e la mia lucertolina vorremmo avere più tempo per noi".
Lucertolina?
- "Sono andata con Jade. Sarebbe stato troppo umiliante chiedere a te o a Valerie. Strano, almeno. Siamo entrate insieme, ma poi diciamo che l'ho persa di vista. Ero... impegnata. Però, mi ha aspettata per tornare a casa, quindi credo che sia rimasta lì tutto il tempo. Perché lo volete sapere?".
Lasciai a Nick il compito di inventare una scusa abbastanza convincente da soddisfarla e mi concessi un sorriso quando capii che i miei sospetti erano confermati; non ero contenta di aver scoperto di essere stata pugnalata alle spalle da un'amica, oltre che da una collega, ma perlomeno avevamo aggiunto un tassello al puzzle: Jade Harlings era l'unica sospettata.
 
Tornati in macchina, cominciammo a fare congetture; non avevamo molto tempo per approfondire l'argomento, dal momento che il giorno dopo sarebbero arrivate le ragazze dalla Moldavia al porto di Brighton, ottanta miglia ed un'ora e mezza di distanza da Londra.
- "Jade accompagna Amanda al Pumping Pumpkin, vede Banks con una ragazza e decide di ricattarlo. È verosimile" ipotizzai.
- "Scopre che lui ha un affare losco in atto e ha due opzioni: denunciarlo e prendersi la gloria, o ricattarlo e guadagnarci un sacco di soldi. Sceglie la seconda e Sam scopre che colui che lo sta minacciando è uno dell'ufficio" proseguì Nick.
- "Visti i trascorsi, pensa che sia io. Quindi rapisce Romeo nel tentativo di mettermi fuori gioco e assume quel simpatico gorilla per appendermi al muro. Salvata in extremis da una telefonata e da un mi sono sbagliato''.
- "Tutto coinciderebbe, ma... niente prove; quelle foto non dimostrano che sia stata lei a scattarle e hai detto che il mittente sulla busta non è chiaro" sbuffò, contrariato.
Aveva ragione: quell'imbranato cannaiolo del ragazzo della posta aveva annullato ogni traccia d'inchiostro del nome - oltre ad un misero Mr [...] H -, grazie ad una bella dose di acqua.
- "Senza prove non possiamo accusarla. Il fatto che il suo cognome cominci per H non fa di lei una ricattatrice o una complice di Banks, nonostante sia l'unica che avrebbe avuto sia l'occasione che il movente. - riflettei ad alta voce. - Ah, lasciamo perdere, magari lei non c'entra nulla".
Ci stavamo entrambi demoralizzando: un passo avanti e tre indietro. Il vero problema era che non avevamo altro tempo per indagare, dal momento che l'incontro tra Sam1 e le ragazze moldave sarebbe avvenuto il giorno dopo a Brighton, una città sul mare nell'Inghilterra meridionale.
All'improvviso, però, gli occhi di Nick brillarono di rinnovata speranza: aveva avuto un'idea, un ricordo più precisamente. Il giorno dell'aggressione ai miei danni nel vicolo, eravamo stati invitati entrambi a casa di Valerie, a cena. C'eravamo noi due, i padroni di casa, Katy ed Amanda; molto strano che Jade non si fosse fatta vedere. Quanto meno curioso, visto che non mancava mai alle uscite tra amiche.
Una straordinaria coincidenza, soprattutto alla luce del fatto che l'energumeno aveva asserito di aver sbagliato persona. Forse era uscita allo scoperto mentre mi stavano appendendo al muro come un quadro?
- "Speriamo di non aver preso un abbaglio. - sbuffai. - E cosa ne sappiamo del rapporto tra Banks e la guardia del corpo di Ralph?".
Nick strizzò gli occhi, concentrandosi, come per cercare di riportare alla memoria delle informazioni.
- "Ehm... Robert Theodore Zehir III, americano, 4 settembre 1975, lavora per Ralph da cinque anni e vive sostanzialmente con lui ventiquattro ore al giorno".
- "Aspetta un attimo: hai detto americano? - Nick annuì confuso. - Sam ha fatto l'università negli Stati Uniti".
- "La Columbia, a New York" confermò.
- "Potrebbero essersi conosciuti lì" azzardai.
- "Big Bob non mi sembra molto il tipo da college".
- "Magari si è iscritto, ma poi ha abbandonato gli studi... chiamiamo Will, ha un compito per noi".
Tornammo veloci a casa mia e ci scapicollammo al computer. A Portland era pomeriggio inoltrato, perciò non fu difficile riuscire a contattare il mio vicino di casa tramite Skype.
- "Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me" saltai i convenevoli e passai direttamente al punto.
Will sorrise e scosse la testa dal disappunto, bofonchiando qualcosa sulle vecchie abitudini, dure a morire.
- "Ciao Sam, - gracchiò irritato. - Domani sarò a Londra e potrai chiedermi qualunque cosa, Raviolo".
Domani? Troppo tardi.
- "Mi servirebbe ora, - replicai dura. - Il tuo volo prevede degli scali, vero?". La mia era una speranza, più che una certezza.
- "Sì, a San Francisco".
Nessun problema.
- "Cambialo" affermai sicura, stupita di come Will non ci avesse pensato prima.
Ah, giusto. Non ha la minima idea di cosa gli sto per chiedere.
Gli occhi gli balzarono fuori dalle orbite come un cucù dall'orologio.
- "Scherzi? - starnazzò con un urletto stridulo e scandalizzato - Il mio biglietto non è rimborsabile e trovarne uno per un altro volo all'ultimo minuto mi costerà un patrimonio!".
Purtroppo non aveva torto, ma avevamo un estremo bisogno di un qualsiasi documento che certificasse l'eventuale iscrizione di Big Bob alla Columbia una decina di anni prima. Quindi proseguii dritta per la mia strada, con l'unica soluzione che mi paresse accettabile.
Sam, quante paia di scarpe ti potrebbe costare un viaggio aereo da Portland (Oregon, Stati Uniti, America) a Londra (Gran Bretagna, Europa) comprato last minute? Un oceano. Un Atlantico di scarpe.
- "Offre Nick. - proposi, dopo un rapido calcolo delle mie finanze, guadagnandomi un'occhiataccia da parte dello stesso Nick. - Ho bisogno che tu abbia un paio di ore almeno per andare a New York, alla Columbia di preciso, perché ci servono dei certificati d'iscrizione".
- "Beh, fateveli spedire per posta elettronica" scrollò le spalle.
- "Non è possibile, sono carte private. Il che ci conduce al secondo favore: lavorati le segretarie, prometti cene e prosciutti, sesso favoloso e fai complimenti. È un vero peccato che non ci sia Nick al tuo posto, è un esperto di queste frivolezze" gracchiai acida.
- "Deduco che tu intenda soprattutto per il sesso favoloso" si pavoneggiò, provocando una risata idiota da parte di Will. Quest'ultimo si grattò il mento cogitando prima di rispondere.
- "Si può sapere che state combinando?".
- "Lunga storia. - tagliò corto Nick - Segnati questi due nomi: Samuel Francis Banks e Robert Theodore Zehir III. Ci serve tutto per domani. - Will si appuntò tutto su un piccolo block notes poggiato sulla scrivania e promise di fare il possibile. - E niente business class!".
 
Quella notte non chiusi occhio. Rimasi vigile a fissare il soffitto e la gigantografia del povero Ralph in quella strana posizione da macho. Guardai l'orologio ogni mezzora, sperando di leggervi un orario decente per alzarsi e cominciare a preparare le poche cose per il viaggio verso Sud. Mi vestii comoda, infilai le scarpe da tennis e aspettai il suono del clacson dell'auto di Nick sotto casa mia. Durante il tragitto, nessuno dei due era particolarmente in vena di chiacchierare; ognuno ne se stava sulle sue, più interessato ai propri pensieri per concedersi il lusso di distrarsi da essi.
Eravamo agitati, eccitati dal pericolo, ma anche preoccupati: avevamo paura.
Trascorremmo la giornata ad un tavolo appartato di un piccolo locale sul lungomare ad organizzare le mosse della serata e ad aspettare una chiamata di Will.
Dai tombini del porto turistico di Brighton saliva un fumo bianco e denso, dall'odore acre di petrolio bruciato. Il molo era deserto, e solo il rumore delle barche mosse dalle onde e gli schiamazzi lontani dei locali sul lungomare spezzavano la quiete del luogo. Era perfetto per lo scopo di Sam1: buio, non commerciale - perciò poco ricambio di gente - e l'unica telecamera adibita a controllare la zona era stata debitamente rotta.
Un posto che conoscevamo solo noi.
 
I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
 
Io e Nick eravamo ormai da ore nascosti dietro una catasta di casse in legno, esposti alle correnti d'aria da e verso l'acqua. Finalmente sentimmo dei passi provenire dalla strada; ci addossammo al muro e vedemmo un gruppetto di quattro uomini e una donna. Parte di me fu enormemente delusa di riconoscere il volto di Jade, ma fui anche sollevata di sapere che i nostri sospetti non erano sbagliati.
- "È tutto sistemato, Banks?" sbraitò uno, afferrando per un gomito un malfermo Sam.
- "S-sì, - rispose l'altro, la voce che ostentava sicurezza, nonostante fosse un po' tremula. - verranno con me".
- "Dove?" chiese timida Jade.
- "In quel container laggiù. - indicò un punto poco dietro di noi. - C'è una piccola finestrella, se la faranno bastare fino a York".
Nick digrignò i denti con rabbia, strisciando il ginocchio sul terreno polveroso per sporgersi ancora un poco verso i nuovi arrivati.
- "Quando arriva la polizia?" domandai inquieta.
La temperatura era stabilmente di qualche grado sotto lo zero e, in quella posizione accovacciata, avevo le gambe anchilosate. In più, il fatto che le povere ragazzine moldave sarebbero finite nella scatola di latta dove eravamo noi al momento, non era era proprio motivo di tranquillità.
- "Spero presto. L'ho chiamata più di mezzora fa, ma credo che non interverrà prima di essere certa della flagranza del reato". Nemmeno la sua risposta fu molto confortante.
Santo Marc Jacobs, aiutaci tu, facci arrivare a casa con tutte le ossa integre e al loro posto. E già che ci sei, che ne diresti di eliminare i paraorecchie dalla faccia della Terra?
Un rumore di motore preannunciò l'arrivo di una modesta imbarcazione sovraffollata, con a bordo una decina di ragazze e due uomini; uno era posto a comando del motoscafo, l'altro teneva una pistola spianata verso il prezioso - e terrorizzato - cargo umano. Banks e soci si approssimarono alla riva ed io e Nick avanzammo cautamente per raggiungerli, sostando dietro alcune cabine bianche, a circa venti metri di distanza dalla banchina.
- "Sto morendo di paura..." biascicai e mi strinsi le braccia attorno al corpo, per placare il freddo e infondermi un po' di coraggio.
- "Merda! - sussurrò Nick - Stanno venendo qui".
Mi voltai di scatto e ciò che vidi mi fece ricadere addosso ancora più angoscia: le donne, seguite dal nutrito gruppetto di gentiluomini, stavano procedendo a passo spedito nella nostra direzione. Non avevamo vie d'uscita; scappare a sinistra o a destra avrebbe significato consegnarsi direttamente al nemico ma, d'altro canto, la piccola rientranza scura tra le cabine non era sufficiente ad ospitare entrambi. In ogni caso, almeno uno dei due sarebbe stato scoperto a spiarli e, si sa, gente di quel genere non ama essere osservata.
Soprattutto mentre fa entrare clandestinamente nel Paese dieci giovanotte da iniziare alla nobile arte della prostituzione.
- "Che facciamo?" sussurrai, presa dalla concitazione del momento.
- "Nasconditi! - lo guardai senza capire e lui mi spinse con veemenza nell'angolino buio tra i ripostigli bianchi - Io mi farò trovare".
Atterrai malamente sul sedere, le gambe in aria e la schiena distesa sul terreno.
Io mi farò trovare.
- "No!". Tentai di rialzarmi, ma Nick mi tenne ferma, bisbigliando che sarebbe stato più facile giustificare la sua presenza, piuttosto che la mia. Guardai attraverso una fessura e notai Banks arrivare con l'allegra combriccola. Nick li anticipò alzandosi in piedi, un'espressione furba stampata in viso. Sam1 si fermò di colpo e lo fissò incredulo.
- "Che-che diavolo ci fai qui? Ti avevo detto di non farti vedere" urlò isterico. Uno dei suoi puntò la pistola contro MacCord, ma Banks lo intercettò e gliela fece abbassare.
- "E io ti avevo detto che non avrei accettato un no come risposta" replicò con fare sicuro.
Stavo trattenendo il fiato ed avevo un timore folle che Nick avesse fatto il più grosso errore della sua vita, decidendo di farsi vedere.
Ma dove diamine è la polizia?
Sam sembrò piacevolmente colpito da tanta sfacciataggine, ma i suoi compagni di merende non parevano altrettanto impressionati.
- "Chi cazzo è questo, Banks?".
- "Un amico" rispose lui sorridente.
Le ragazze, accerchiate, se possibile diventarono ancora più inquiete e si strinsero le une con le altre.
- "Ed è normale che il tuo amico abbia una tracolla con le paillettes?".
Mi misi una mano davanti alla bocca per non urlare. Accanto ai piedi di Nick, il riflesso della luna e dei pochi lampioni presenti non faceva che enfatizzare i piccoli dischetti luccicanti applicati sulla mia borsa.
Sto per morire per colpa di Yves Saint Laurent.
Calò il silenzio; tutti sembravano troppo intenti a cercare sul terreno tracce della paillettes per notare subito il modo in cui Nick mi afferrò alla cieca per la giacca e mi attirò a sé con quanta più forza avesse nelle braccia. Mi ritrovai barcollante sui miei piedi e assolutamente impreparata alla corsa disperata che lui aveva in mente. Mi prese per mano e mi trascinò verso di lui, mentre alle nostre spalle anche gli altri cominciavano a realizzare che la nostra fosse una vera e propria fuga.
- "Corri, Sammy, corri!" urlò Nick, senza mai fermarsi. Mi stava schiacciando le dita con le sue e i passi concitati dietro di noi non facevano che aumentare il ritmo della corsa. Ad ogni colpo di pistola che ci sfiorava o s'infrangeva su materiali e muri accanto a noi, strizzavo gli occhi e speravo che il successivo non ci colpisse.
- "Non ce la faccio più" provai a dire, il respiro corto ed un fiatone degno di un'asmatica.
Nick mi strattonò ulteriormente, girandosi rapido a controllare che i nostri inseguitori fossero a debita distanza ed accelerò il passo, di nuovo.
- "Ce la fai, invece. - mi spronò - Immagina di essere ad una svendita. - il ragazzo sapeva bene come incentivarmi. - Corri, ti stanno rubando le scarpe!".
Brutte galline, sono mie!
Il mio cervello assecondava Nick, desiderava farlo, ma le gambe si stavano facendo sempre più molli. L'unico fattore che mi recasse sollievo era che nessun'altra pallottola era stata esplosa. Per il momento, almeno.
- "Sto per avere un infarto!" dissi, sprecando stupidamente fiato ed energie. Però, in quegli attimi, persino morire sembrava una prospettiva più allettante del correre senza sosta.
Un'auto sbucò all'improvviso da dietro l'angolo e io e Nick non riuscimmo a frenare in tempo la corsa; ci schiantammo contro la fiancata destra e cademmo a terra come birilli da bowling. Dopo un istante di terrore, la grande scacchiera gialla e blu disegnata sulle portiere e la scritta Police mi permisero di sdraiarmi completamente e respirare di nuovo.
Arrivarono altre tre volanti e ne scesero una decina di agenti che cominciarono a rincorrere Banks e i suoi. Un poliziotto rimase di proposito indietro, mentre gli altri ci scavalcavano, per assicurarsi che stessimo bene e, solo dopo che si fu accertato di ciò, raggiunse gli altri.
Nick si sedette con la schiena contro lo sportello e iniziò a ridere a crepapelle per smaltire lo stress nervoso accumulato.
- "Ce l'abbiamo fatta!" sorrise trionfante.
Gli scompigliai i capelli con una mano e gli diedi un piccolo scappellotto sulla testa, che ricadde pesante tra le sue ginocchia allargate. Mi alzai in piedi e scossi via dai vestiti un po' della polvere e sabbia che c'era per terra.
Un po' di relax, ora.
Ma un braccio maschile mi afferrò da dietro e mi bloccò il collo. La presa non era particolarmente stretta e il tremore dell'arto e della voce mi confermò l'identità dell'uomo alle mie spalle: Banks.
- "Non ridete più?".
Nick s'improvvisò mediatore e si sollevò sulle proprie gambe. Non ero davvero impensierita dalla pistola che Sam brandiva in mano; ero convinta che fosse una delle precedenti, scariche di munizioni dopo la fuga. E poi era pure quella mezza calzetta del mio caporedattore e c'era più probabilità che si sparasse accidentalmente ad una gamba, piuttosto che ferisse me. Ero lucida e la situazione andava affrontata con razionalità.
- "Lasciala andare. - gli intimò Nick - È una cosa tra me e te, lei non c'entra".
No, di nuovo la storia dell'eroe, no!
- È stata una spina nel fianco sin dal primo giorno. - rispose l'altro. Io una spina nel fianco? Ma sentilo! - E tu mi hai fregato, perciò scusa se non sono propenso a seguire i tuoi suggerimenti".
La situazione si stava facendo noiosa e il continuo gesticolare di Banks con la pistola in mano mi stava dando sui nervi.
Tienila salda e minacciami, dai!
Gli concessi ancora qualche battuta con Nick, - giusto per non ferire l'orgoglio di nessuno - e poi mi decisi ad agire; infilai la mia preziosa arcata dentale superiore nel lembo di carne del braccio lasciato scoperto dalla giacca e premetti con forza.
Che razza di smidollato: almeno stringi un po': così mi fai il solletico.
Sam mollò subito il mio collo e urlò a squarciagola dal dolore, attirando l'attenzione dei poliziotti che stavano tornando alle auto con quasi tutta la banda in manette, Jade compresa. Immobilizzarono anche Banks, che cominciò a frignare finché non venne portato via.
- "Ottima mossa, Grayson" mi abbracciò Nick.
- "Mi ero scocciata delle vostre chiacchiere. Stavo per morire. Di vecchiaia" lo scansai.
Rimase una sola volante con due poliziotti, uno dei quali ci bloccò e ci costrinse a seguirli in centrale per rendere una dichiarazione completa su quanto accaduto prima del loro arrivo. Impiegammo ore a descrivere con dovizia di particolari le informazioni che cui eravamo in possesso. Chiamammo Will, rimanendo in sospeso finché non ci confermò che effettivamente  i due erano iscritti alla Columbia, sebbene Big Bob avesse frequentato solo un semestre. Purtroppo non era riuscito ad ottenere i certificati d'iscrizione, ma alla polizia sarebbe bastata una chiamata per ottenerli.
- "Mi dovete un sacco di favori. E due chili di salame italiano" aggiunse.
Prima di tornarcene a Londra, sporchi e stanchi, chiedemmo anche notizie delle giovani moldave arrivate clandestinamente e ci venne detto che in attesa di essere rimpatriate nel loro Paese, sarebbero state ospitate in un centro specifico.
- "Volevi adottarne una, Nick?" gli domandai.
- "Ne ho adocchiata già una, in effetti".
E non sono ancora sicura che fosse una battuta.
 
Stilammo la storia dell'inchiesta insieme, ma distanti, ciascuno la propria parte. Non fu necessario - né possibile - vedersi per discutere, perché il London Express e Music Magazine decisero tutto al posto nostro: entrambi conoscevamo abbastanza a fondo lo scoop da poterne scrivere senza l'ausilio dell'altro. I redattori di entrambi i giornali avevano decretato che fosse sufficiente una telefonata per risolvere ogni eventuale dubbio mio o di Nick. Stavano tentando di proteggere i propri interessi ed era comprensibile, soprattutto da parte dei colleghi di Nick, che non avevano accolto con grande entusiasmo il fatto che fosse spuntata un'altra giornalista a condividere l'indagine. Venne decretato che mi sarei occupata in particolare del rapporto tra Banks, Big Bob e Ralph - lasciare al London Express il compito di distruggere uno dei dirigenti del nostro magazine non era parsa una buona idea a valerie -, mentre MacCord avrebbe scavato nel profondo del Pumping Pumpkin, analizzando con maggiore attenzione la questione delle ragazzine moldave.
Le vendite andarono molto bene, soprattutto ed inaspettatamente - o forse no - nella zona di York e cittadine limitrofe. Decine di persone si affrettarono a rilasciare dichiarazioni alle tv e alla carta stampata locale, spiegando con quale stupore avessero appreso la notizia dell'amato Sam criminale e frequentatore di prostitute. Ma nelle loro parole, io non lessi solo stupore; c'era anche sollievo, come se aver scoperto il lato torbido di Banks avesse in qualche modo alleggerito la coscienza comune. Sapevano che non era un santo, però era molto più facile trincerarsi dietro la facciata del farsi gli affari propri, piuttosto che ammettere che l'eroe senza macchia, in realtà avesse un gran brutto vizio.
Nelle due settimane dopo Brighton, io e Nick praticamente non ci parlammo, se non per questioni inerenti al lavoro. Ci incontrammo un paio di volte, ma giusto per perfezionare le ultime minuzie e per rilasciare qualche intervista a canali televisivi o a giornali. Ci stavano addosso come iene su una carcassa, come sugo sui maccheroni, come Kay su quella buon'anima di Will.
E proprio quest'ultimo, ormai stabilitosi definitivamente in Inghilterra, mi aveva dato notizie di Nick, irrompendo in casa mia armato di rondella per pizza e sporco di farina sulla maglietta. Dopo avermi insultato per non aver risposto né al cellulare né al telefono fisso - non volevo incorrere nella centesima richiesta di partecipare ad un talk show -, mi aveva annunciato di avere notizie circa la mia serata: Nick lo aveva infatti chiamato per domandargli di intercedere per lui; voleva che uscissi con lui, in un posto tranquillo, vestita rigorosamente casual a chiacchierare e scambiarci opinioni sugli ultimi avvenimenti.
Ero agitatissima: che cavolo vuol dire vestita rigorosamente casual?
 
- "Avevo capito che fosse un'uscita informale, da maglia sformata, coda di cavallo e scarpe da tennis... che ci fai in quell'abito da sera, ipertruccata, con i capelli raccolti e i tacchi?" chiese Will perplesso, mentre stendeva la pasta della pizza sul tavolo di casa mia. 
Avevo deciso d'interpretare a modo mio la parola casual, soprattutto dopo averne parlato con Warren.
- "Zucchero, è una trappola! Stasera c'è un party nella sua redazione!" aveva affermato sicuro.
Offesa a morte dal mancato invito, non mi ero affatto scoraggiata: parrucchiera, estetista e un bel calcio - al momento solo morale, purtroppo, - a Nick.
Guardai Will e la sua ingenuità quasi mi fece ridere: era chiaro come il sole che le parole di Nick fossero un'imboscata. Pensava davvero che non sapessi della festa in suo onore organizzata dal London Express? In realtà, se il Gossip Boy di Londra non mi avesse aperto gli occhi, sarei rimasta nella più completa ignoranza, ma tutto ciò non era molto rilevante.
Mi avrebbe portata lì, lui tirato a lucido come un bambino alla prima comunione e io conciata da atleta dilettante post palestra, con gli scaldamuscoli e la fascia in testa, solo per avere l'occasione di dimostrare a tutti quanto fossi inadeguata ed incapace di reggere la pressione scaturita da un successo lavorativo. Aveva la palese intenzione di farmi sfigurare con la mia stessa inesperienza; non avevo mai trattato con altri giornalisti - di certo non a quei livelli, dove spuntano come funghi sotto casa tua e non ti mollano nemmeno se minacciati - e quella serata gli sarebbe servita per diventare il solo e unico titolare dell'inchiesta. Nessuno si sarebbe azzardato a chiamare me, una casalinga disperata in lotta con l'armadio ed il buon gusto, in trasmissioni televisive e i fotografi mi avrebbero preferito di gran lunga il bel ragazzo dal fisico curato e dallo sguardo magnetico. Grazie al cielo, il mio infallibile intuito femminile mi aveva fatto sentire la puzza di bruciato da lontano un miglio e mi erano serviti pochi istanti per smascherare la farsa imbastita da Nick. Ovviamente, non lo avevo reso partecipe dell'indignazione che provavo a causa della sua meschinità: lo avrebbe scoperto da sé quella sera stessa, abbagliato dai flash che i paparazzi avrebbero dedicato ad entrambi e non solo a lui. Il gongolamento sarebbe stato doppio, a quel punto, perciò tanto valeva pazientare.
- "È giusto una cosuccia" minimizzai, riducendo l'imponenza di quel vestito blu notte, lungo fino ai piedi, con un taglio a stile impero ed uno spacco fino a metà coscia che lasciava la stoffa leggera libera di fluttuare nell'aria ad ogni passo. Quando l'avevo comprato, qualche mese prima, ancora non sapevo che quel piccolo gioiellino mi avrebbe permesso un giorno di umiliare una persona con le sue stesse carte.
Will alzò le spalle in segno di resa: era già abbastanza difficoltoso sopportare ed interpretare le lune della propria fidanzata, cercare di entrare nella psicologia perversa anche della migliore amica sarebbe stato oltremodo sconveniente, oltre che un tantino suicida. Trovò potesse essere utile andare a rispondere al citofono per togliersi da quella situazione indefinita, sotto il mio sguardo indecifrabile.
- "Sali, Nick" gli sentii dire, mentre apriva la porta ed attendeva che il rumore dei passi sulle scale si facesse più vicino. Non appena il ragazzo ebbe raggiunto il pianerottolo, il mio vicino improvvisò un saluto militare e si smaterializzò dall'appartamento.
Nick non indossava esattamente quanto avevo previsto: lo smoking nero corvino e la camicia bianca immacolata avevano lasciato posto ad un paio di pantaloni neri ed un cardigan grigio, sopra ad una maglietta su cui era stampata la scritta New York. Dopo un attimo di vacillamento, le mie certezze tornarono solide come una roccia: stava certamente - e maldestramente - cercando di depistarmi. Il suo bel completo era di sicuro già nella sala affittata per la festa, pronto ad ospitare al momento opportuno il suo sedere sodo e bugiardo. Un vero peccato che la sottoscritta fosse così perspicace!
- "Ehm... - biascicò Nick non appena ebbe finito di squadrarmi da capo a piedi - Non prenderla per il verso sbagliato, ma come ti sei vestita?". Arricciai la bocca fingendomi stupita ed avanzai verso di lui.
- "Ho messo la prima cosa che ho trovato nell'armadio" replicai tranquilla. Afferrai la pochette argentata poggiata sul tavolino del salotto ed il cappotto sull'attaccapanni, ma Nick mi fermò la mano.
- "Inizierei a dubitare della mia memoria se non fossi assolutamente certo di averti detto di indossare roba casual stasera. - spiegò saputo - E sebbene qualcosa mi dica che tu abbia sentito bene e abbia deliberatamente scelto di ignorare le mie parole, oggi mi sento magnanimo e, prima che usciamo, ti rinnovo la raccomandazione di metterti una tuta e coprirti bene. Ti aspetto" concluse.
Lo fissai frastornata sciorinare tutto il discorso, ma non mi mossi da dietro il divano: non mi sarei fatta infinocchiare - di nuovo! - dalla sua parlantina: il mio povero cuore non avrebbe potuto reggere una prima pagina con scritto Samantha Grayson: lo stile, questo sconosciuto, dopo tutti i misfatti subiti.
- "Sto comoda così" provai a convincerlo, nonostante sembrasse assurdo persino alle mie orecchie il pensiero che il massimo del comfort per una donna fossero un paio di tacchi a spillo e un vestito svolazzante. Ideale per correre in caso di incendio, di tentativo di scippo o di stupro.
- "Morirai di freddo" mi ammonì.
- "Penso di sopravvivere" ribattei, un crescente ribollio di sangue nelle vene. Stavo cominciando ad irritarmi; se mai nella mia mente ci fosse stata in precedenza la minuscola speranza che lui volesse trascinarmi a quel party per espormi come trofeo, come prova che nulla e nessuno avrebbe mai potuto resistergli, - e se mi ero ridotta a desiderare di essere la sua donna oggetto, non ero di certo messa bene -, ora quel lumicino verde era scomparso sotto il peso della realtà: voleva umiliarmi, o, meglio, continuare a farlo come aveva fatto nei mesi prima.
Gli uomini non cambiano, avrebbe detto qualcuno e, d'altronde, come dargli torto: i vizi sono duri a morire, soprattutto quando hanno la forma di due chiappe decisamente dure.
- "Come vuoi. - lasciò perdere - Possiamo bere qualcosa prima di partire?". A quel punto le ipotesi erano due: o non c'era l'open bar alla festa e Nick stava cercando di puntare al risparmio, o il miserabile bastardo voleva farmi ubriacare, prima di mostrarmi alla stampa.
- "Acqua?" tentai di spiazzarlo, ma lui sorrise sornione ed annuì. Quell'assenso mi stupì e mascherai la mia indecisione e sorpresa allungando il passo verso la cucina, seguita da lui. Presi due bicchieri dall'armadietto accanto al frigo e mentre cominciavo a riempirli, squillò il telefono di casa. Poggiando la bottiglia sul tavolo, arrivai fino al salotto per prendere il cordless.
- "Pronto?". Il caratteristico suono continuo che indicava linea libera raggiunse il mio orecchio, provocandomi all'istante un'ondata di disappunto.
Senza mai rivolgerci la parola, bevemmo in silenzio e, imbacuccati nei nostri paltò, salimmo a bordo della macchina di Nick. Non avevo ancora deciso quale fosse l'atteggiamento più intelligente da mantenere: meglio fare la sostenuta oppure sciogliersi in complimenti e sorrisi alla vista degli altri invitati? Avrei improvvisato al momento, la mia specialità.
A mano a mano che Nick guidava sicuro e spigliato tra le vie ben note, una crescente stanchezza mi pesava sulle palpebre, causata probabilmente dalle poche ore di sonno che avevano caratterizzato gli ultimi tempi. Da quando il London Express e Music Magazine si erano spartiti lo scoop su Banks e Ralph J, il tempo per dormire e occuparsi di sé era drasticamente diminuito, lasciando ampio posto a interviste e altre inutili facezie che presto sarebbero finite nel dimenticatoio.
Potrei chiudere gli occhi finché non arriviamo alla fest...
 
Piuttosto buia come sala per party. Piuttosto tetra, fredda, nebulosa. Piuttosto... non era una sala per party. Era un cielo stellato, erano colline rischiarate dalla luna, era una colata ormai dissestata di asfalto grigio, era il frinito dei grilli nascosti tra i fili d'erba dei prati. Attraverso un parabrezza.
Dove cavolo sono?
Un'istintiva paura mi fece destare del tutto, mentre dei rumori che nulla avevano a che fare con la campagna provenivano dal retro dell'auto in cui ero imprigionata. Provai immediatamente ad aprire lo sportello della macchina, che era sempre quella su cui mi ero seduta qualche tempo prima, indefinibile, con Nick. La portiera si aprì subito ed io mi scapicollai fuori dall'abitacolo, un cattivo presagio che mi stava facendo temere il peggio. Che mi avessero rapita?
Così impari a farti sempre gli affari degli altri, stupida ficcanaso.
- "Sei sveglia, allora". La voce di Nick fece capolino dal portabagagli, spaventandomi tanto quanto la grossa chiave inglese che teneva in mano. Mi voleva forse uccidere? D'un tratto, l'ipotesi della donna oggetto non appariva tanto malvagia. La femminista che era in me quella sera sarebbe stata agilmente messa a tacere, di fronte all'eventualità di rimetterci le penne; dopotutto chi ero io per sovvertire l'ordine precostituito in duemila anni di storia?
- "Do-dove siamo?" biascicai, maledicendomi per aver scelto un paio di scarpe così inadatto alla corsa. A mia discolpa, dirò che non avevo idea che il pazzo maniaco che mi aveva rovinato gli ultimi mesi di esistenza avesse intenzione di rapirmi, farmi a pezzettini e lasciarmi in aperta campagna.
Nick sorrise e poggiò la chiave inglese in una borsone lasciato sulla strada. Si strofinò le mani in uno straccio che fece la stessa fine dell'arnese e mosse qualche passo verso di me. Si fermò all'altezza della portiera posteriore e l'aprì, mentre con un balzo rapido qualcosaatterrava sul cemento. La coda scodinzolante di Mister strusciò contro la carrozzeria dell'auto in modo confuso e frenetico, finché l'intero corpo si allontanò di qualche metro sulla strada per sgranchirsi le zampe.
Ero ufficialmente confusa: che ci facevamo nel bel mezzo del nulla con un cane, una chiave inglese ed un borsone? C'era da riconoscergli una certa vena creativa, se davvero voleva ridurmi in brandelli e abbandonare il mio cadavere nel fiumiciattolo che costeggiava la carreggiata.
Con le mani poggiate sul cofano, aggirai la parte anteriore della macchina, raggiungendo con un po' di difficoltà il terreno sterrato. La notte stava scendendo fredda e silenziosa, insieme alla paura di non uscire indenne da quella situazione. Gli occhi di Nick mi seguirono sempre più seri. Stritolai la stoffa del vestito che avevo rinchiuso tra i pugni e indietreggiai, guardandomi intorno per riuscire a vedere qualche via di fuga.
- "Ehi, Sammy! - mi chiamò - Che c'è che non va?".
Lo fissai stralunata, incredula della domanda.
- "Che c'è che non va? - ripetei con voce stridula. Se mi avesse fatto fuori quella sera, perlomeno sarei morta in pace con i miei pensieri. - Mi chiedi di uscire con te, mi fai credere di andare ad una festa e mi sveglio dopo non so quanto tempo in aperta campagna, soli io e te e il tuo cane, con quella chiave inglese formato Godzilla e un borsone sospetto! Sono io a chiederti che cosa c'è che non va in te!" urlai.
Nick richiuse lo sportello e mi raggiunse in un paio di falcate veloci. Era preoccupato e mi fissava con occhi smarriti, come se fosse stato lui quello ad essere ad un passo dalla dipartita finale! Mise entrambe le mani sulle mie braccia, mentre io cercavo di allontanarmi il più possibile da lui, incassandomi tra le spalle. Non poteva finire così, non potevo morire.
- "Ti prego, lasciami andare. - sussurrai sull'orlo del pianto – Ho solo ventiquattro anni, un Pulitzer da vincere e le Armadillo shoes da comprare; non che davvero intenda indossarle, devo averle perché Alexander McQueen era un genio e perciò credo che in un certo senso siamo affini... - Nick fece per aprire la bocca, ma lo bloccai. Ricevuto, non è il tempo per la presunzione. - E poi devo ancora imparare a cucinare, a stirare, a fare decentemente la lavatrice senza colorare di rosa la biancheria. Sono un disastro nel tenere in ordine la casa, lo so, però posso migliorare e sono certa di potercela fare. E non è vietato dalla legge uccidere qualcuno? La tua religione non te lo impedisce? Perché, sai, sono piuttosto convinta che il Cristianesimo non ammetta l'omicidio e nemmeno tutti quegli strani credo esotici... Induismo, Buddhismo e roba simile. Sull'Islam non sono molto ferrata, lo confesso e a questo punto credo che non conti. E comunque ci sono dei testimoni che sanno che sarei uscita con te stasera... Will, Will ad esempio! Porca miseria, Nick, è quasi Natale, e io amo il Natale; vuoi passare le feste e il resto della tua vita con il rimorso di avere ammazzato un essere umano? Vuoi essere una sottospecie di Grinch assassino? Per cosa, poi? Uno scoop del cavolo su un giornale? Almeno promettimi che non ucciderai Romeo..." piagnucolai, il respiro corto dopo la sfuriata.
- "Ad una condizione" disse serio.
Ecco. Non aveva detto ‘di che diavolo parli?’ oppure ‘non ho intenzione di martoriare il tuo corpo e gettarti nel fiume!’ o ancora ‘sei impazzita?’. Aveva accettato di trattare, di barattare la mia vita con chissà che cosa. Così sarebbe finita la triste e incompleta esistenza di una ragazza scozzese troppo ambiziosa.
Almeno avevo il vestito buono...
- "Cioè?" mi azzardai a domandare, la voce ridotta ad un fragile filo sottile. Con un gesto secco ed impetuoso di un braccio mi avvolse la vita e mi trascinò fino a cozzare contro il suo bacino.
- "Baciami" sussurrò e, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere, sigillò la mia bocca con la sua. Rimasi con le labbra serrate e gli occhi ben spalancati, in quella che non dubitavo essere una perfetta faccia da pesce lesso. Anche l'altro braccio mi circondò e la mano finì col posarsi sulla mia nuca, spingendomi ancor più verso di lui. Non gli permisi d'intrufolarsi nella mia bocca, di giocare con la mia lingua e confondermi le idee; aspettai che fosse lui a stancarsi di lottare contro le mie labbra e i miei denti, eretti limiti invalicabili di un accesso fisico e mentale che non ero pronta a concedere. Nick grugnì indispettito e si scostò da me, contrariato dalla mia mossa difensiva inaspettata. Ci fissammo in silenzio l'uno di fronte all'altra, le braccia di entrambi distese lungo i fianchi per non avere contatti inappropriati.
- "In questo modo mi obblighi ad ucciderti..." disse, rovinando l'imbarazzante quiete della campagna notturna.
- "L'hai fatto così tante volte moralmente che credo che non sarà più doloroso delle precedenti" scrollai le spalle e mi strinsi nel cappotto, insufficiente per contrastare il freddo gelido proveniente dai campi tutt'intorno.
- "Facciamola finita" esclamò serio. Mi prese per mano e, nonostante la mia diffidenza, mi lasciai condurre davanti al portabagagli dell'auto. Non avrebbe avuto senso cercare di divincolarsi, scappare, gridare. L'unica ancora di salvezza poteva essere un rospo che, baciato a dovere, si fosse trasformato in principe e mi avesse condotta al suo castello fatato.
L'ironia del destino voleva che quel pensiero infantile e fiabesco io lo avessi fatto più volte su Nick; ma di certo non si era mai sentito di un baldo e azzurro giovane passato al lato oscuro, nemmeno per merito di fantomatici biscottini.
Immagino ci sia sempre una prima volta.
Aprì il baule e in quel momento riuscii a notare che i sedili posteriori erano stati abbattuti e, nello spazio solitamente occupato da essi, troneggiava un materassino gonfiabile, di quelli da campeggio. Al di sopra, numerose coperte ed un piumone erano stati stesi sull'alcova improvvisato, illuminato da una piccola lanterna collocata tra due cuscini.
Guardai Nick sconvolta e senza parole, non capendo il senso di quell'allestimento campestre. Mi sorrise debolmente, invitandomi con un gesto della mano ad accomodarmi sulle trapunte.
Almeno morirò comoda.
Sollevai il vestito e mi sistemai sopra uno dei plaid e lui fece altrettanto sull'altro lato. Come diavolo aveva intenzione di farmi schiattare? Scartai l'ipotesi del gelo assassino nel momento in cui, con una certa fatica, chiuse dall'interno il portellone del bagagliaio.
Le mie scarpe non dovranno essere regalate a nessuno. Dovranno essere consegnate a mia sorella Lily, che porta il quaranta e non ha modo di calzare il mio trentotto.
- "Immagino ti stia chiedendo perché siamo qui..." cominciò Nick nervoso, sfregandosi una mano sul quadricipite e l'altra in mezzo ai capelli.
No, veramente sto facendo un testamento virtuale: dunque, lascio la mia adorata Birkin a... - breve ricognizione di amici e parenti - nessuno! Seppellitela con me.
- "Credo di doverti una spiegazione e, per essere il più chiaro possibile, temo di dover cominciare dall'inizio. - si schiarì la voce e si grattò la nuca nervosamente. - La prima volta che ti ho visto, ho capito che eri la persona perfetta per lasciarsi coinvolgere in una scommessa, di qualunque natura essa fosse stata. Eri spigliata con noi ragazzi, ma si capiva che molta della tua sicurezza derivava da una buona dose di alcool. Non ho pensato nemmeno per un attimo alle altre: ho voluto te sin dal primo momento... per la scommessa. - si affrettò a precisare. - Non immaginavo saresti stata così orgogliosa ed ostinata, persino nello scegliere l'oggetto del gioco. Forse tu non lo ricordi, ma mi hai lasciato a bocca aperta, proponendo di andare a letto con dieci uomini".
Questa era la parte che avrei volentieri saltato a piè pari.
 
And if you have a minute, why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
 
- "Credevi che avrei mollato?" chiesi, un po' intimorita dalla piega che stava assumendo la serata. Mi sentivo come in un prete in un confessionale, pronto ad accogliere le ammissioni di un peccatore. Un gran bel peccatore, in ogni caso.
Affido Romeo alle cure di Will Beckett, che dovrà rompere con Kay. Sono disposizioni testamentarie, rispettate le volontà della futura-e-probabile defunta!
- "Ero certo che avresti mollato. E invece sei andata da Ralph J, probabilmente l'ultimo uomo a cui pensavo ti saresti rivolta. Insomma, è davvero un cretino. - Allora avete qualcosa in comune, pensai, mentre lui ridacchiava tra sé – Poi sono venuto alla Tana del Grillo. Sono entrato con l'idea di farmi due risate, lo ammetto, ma sono uscito stravolto. Non avrei mai creduto che uno scricciolo maldestro come te sarebbe riuscito a farmi eccitare, soltanto cantando una canzone. Quella è stata la prima volta in cui mi sono accorto di volerti... fisicamente, almeno. Vorrei poter dire di essere tornato a casa con la coda tra le gambe, ma la verità è che c'era qualcos'altro al posto della coda. Ho passato l'intera notte ad immaginarti nuda sul tavolo della mia cucina".
Arrossii all'istante, nonostante fossi lusingata dai pensieri sconci che Nick aveva avuto su di me. Lui guardava fuori dal finestrino, forse maledicendosi per essersi lasciato scappare troppe rivelazioni, forse cercando di sfuggire all'imbarazzo palpabile tra noi. Non mi sentii di dire nulla; sapevo che qualsiasi cosa fosse uscita dalla mia bocca, avrebbe finito col rendermi ancora più nervosa o, peggio, ridicola. Abbassai lo sguardo e aspettai che fosse lui a continuare a parlare.
- "Le cose, poi, non sono certo migliorate; mi hai trascinato con te in quella specie di fuga con la macchina e mi hai costretto a dormire con te. Non avevo mai dormito accanto ad una donna senza averci combinato qualcosa. Mi hai svegliato nel cuore della notte ed ero convinto che mi stessi chiamando, ma in realtà dormivi. Hai mugugnato un paio di volte il mio nome e ti contorcevi, ti sei spalmata addosso a me per qualche minuto, prima di rigirarti. In quel momento ho realizzato che non mi bastava... volevo sentire il mio nome scivolare dalle tue labbra in quel modo un altro milione di volte".
Lascio il mio Pulitzer postumo - perché so che arriverà - al mio nipotino Alex, perché si ricordi sempre che zia assolutamente fantastica avesse.
...un attimo: cosa aveva appena detto? Mi ripetei mentalmente quell'ultima frase e diventai più rossa di un peperone vestito da pomodoro, con capelli di papavero e piedi di ciliegie. Non ero abituata a delle affermazioni così plateali e fuori dai denti, soprattutto se pronunciate con la stessa tranquillità con cui un essere umano normale discorrerebbe del tempo. Inoltre, ricordavo perfettamente il sogno che avevo fatto quella sera, più o meno nello stesso punto in cui mi trovavo ora, addormentata nel fuoristrada del signor MacCord.
- "Poi siamo andati al White Lizard con Will ed indossavi quel vestitino ridicolmente corto... piuttosto di vederti spogliata con gli occhi, mi sono preso l'influenza. Quello non era proprio il modo in cui ti avrei voluto nel mio letto, ma per il momento me lo sarei fatto bastare. Il problema è che non mi bastava".
E, infine, lascio il mio meraviglioso corpo alla scienza, perché nessuno si ritrovi più a soffrire ciò che ho patito io. Niente più tette piccole, amiche!
- "La notte in cui ti ho trovato davanti alla mia porta, ho creduto che fosse la sera perfetta. Sono entrato in bagno e stavi cercando di toglierti il vestito zuppo d'acqua bollente e... non ci ho capito più niente. Mi sono detto che una volta non mi avrebbe cambiato la vita, che, anzi, farlo con te mi avrebbe tolto lo sfizio o il desiderio di averti. Ho tentato in tutti i modi di trattenermi, di ripetermi che non potevo lasciarmi trasportare troppo, perché non mi potevo permettere nient'altro che una scopata, al momento. L'inchiesta su Banks aveva la priorità ed era pericoloso trascinare qualcun altro in questa storia; ma se non mi avessi fermato tu, ti avrei raccontato tutto, ne sono certo".
- "Avevi paura?" lo aiutai.
Nick mi guardò negli occhi e aggirò abilmente la domanda, una evidente minaccia per la sua virilità.
- "Ti hanno quasi strozzato perché pensavano che stessi ricattando Sam e mi hanno coinvolto in un incidente stradale per assicurarsi che non fossi uno smidollato... ho ritenuto fosse meglio non tirare la corda con gente di quel tipo".
Collegai immediatamente l'episodio citato che lo riguardava: lo squillo del cellulare nel bel mezzo della notte, la corsa in ospedale e il braccio rotto. Quello che non sapevo - e che mai prima d'ora avevo sospettato - era che dietro a quell'avvenimento ci fosse ancora una volta Sam1.
- "Ora arriva la parte difficile. - annunciò Nick esitante, fissando alternativamente il mio viso ed un punto indefinito nel buio oltre le mie spalle. - Mi sono sentito una merda, quando sono venuto a casa tua a Glasgow; né tu né tua zia e tanto meno la tua famiglia meritavate un comportamento simile. Non ne vado fiero, ma purtroppo è successo e non posso cancellare quello che è stato. Non proverò nemmeno a giustificarmi, però avrei potuto andare in Scozia in qualsiasi periodo dell'anno, eppure ho scelto quei giorni, perché sapevo che avevi bisogno di un amico, con Will dall'altra parte del mondo. Perciò, mi dispiace. - disse incerto - Ma credo dovresti scusarti anche tu".
Alzai un sopracciglio, presa in contropiede. Per quale ragione avrei dovuto chiedere perdono? Soprattutto a lui!
- "Io?".
- "Sì, per avermi detto di essere innamorata di me urlandomi in faccia, su quel marciapiede di fronte al Pumpinkg Pumpkin. Ero sotto shock. Sei talmente orgogliosa che non mi aspettavo trovassi il coraggio di ammetterlo, così presto poi... hai messo a dura prova il mio autocontrollo, avrei tanto voluto dirti qualcos'altro ma, di nuovo, non potevo. Ho dato un calcio ad una lattina e sono tornato a casa incazzato".
Qualcos'altro?
- "Te ne stavi lì davanti a me a gridare la tua delusione ed io non potevo farci nulla, nonostante l'ultima cosa che desiderassi fare fosse rifiutarti. - si mordicchiò un labbro e fece una pausa -Se non vuoi restare, se non vuoi più ascoltarmi, se non vuoi... me, - tentennò - basta che tu lo dica ed io ti riporterò subito a casa. Non ne parlerò più e ti lascerò in pace. Ma ho voluto provarci, ho dovuto provarci, qui, perché è in questo fuoristrada e in questo posto sperduto che ho capito che mi avevi fregato. Con tutte le scarpe".
Avrei tanto voluto negare, classificare quell'episodio davanti al Pumping Pumpkin come il frutto di uno smarrimento temporaneo, ma quel sentimento c'era ancora, non sopito come avevo voluto ingannarmi che fosse, ma in ogni centimetro di pelle, invadente e inarrestabile come un fiume in piena.
Se si fosse avvicinato di più, avrei creduto alle sue parole. Avrei ceduto alle sue parole. Respirai a fondo e fui sincera.
- "Se fossi più forte, te la farei pagare. Se avessi più determinazione, non sarei nemmeno qui. Se volessi più bene a me stessa, non avrei perso mesi dietro a te. La cosa più razionale da fare sarebbe chiederti di riportarmi a casa, subito, infilarmi il pigiama, andare a dormire ed alzarmi domani come se fosse di nuovo agosto ed io non avessi mai messo piede in quello strip-club. Ma il nevischio fuori dal finestrino mi ricorda che siamo a dicembre e che non posso negare ciò che è stato. E non riesco a fingere di non morire dalla voglia di baciarti. - Nick abbozzò un sorriso compiaciuto. - Spezzami di nuovo il cuore ed io ti spezzo una gamba, intesi?".
- "Non succederà" si affrettò a dire.
- "Sono dannatamente seria. - ribadii, minacciandolo con un indice puntato sul suo naso. - Un altro giochetto dei tuoi e mi divertirò ad estrarti un dente alla volta con una pinzetta".
- "Non sono perfetto, Sam. - Come se ci fosse bisogno di precisarlo... - Sono terribilmente ordinato, morbosamente attaccato al lavoro e vagamente ossessionato dallo sport in tv, ma la verità è che non vedo l'ora di trovare Romeo spaparanzato sul letto, d'inciampare nelle tue scarpe sparse sul pavimento e dividere un'altra inchiesta con te".
D'accordo, quest'ultima era una balla gigantesca.
- "Bugiardo" lo accusai e lui ridacchiò, colto in flagrante.
- "Okay, forse quello meglio di no. Non dovrei prometterti qualcosa che so già di non poter mantenere, perciò ecco una cosa che non farò: sbaciucchiamenti ed esternazioni affettuose in pubblico; non m'importa di dimostrare al mondo che siamo innamorati persi... conta solo ciò che pensiamo noi. Però, ti coccolerei e accetterei qualsiasi nomignolo imbarazzante tu volessi affibbiarmi. Guarderei infinite volte Sweet November con te e ti comprerei scorte industriali di caramelle e patatine per quel periodo del mese".
- "Sei sicuro?" lo sfidai, aspettando nient'altro che ritrovarmelo addosso.
- "Mi ruberai le coperte, mi trascinerai a comprare scarpe giorno sì e giorno no e ti dimenticherai di fare la spesa o i conti a fine mese?".
- "Sempre. La mia missione sarà renderti la vita un inferno" affermai sicura, anche di certezze, al momento, ne avevo ben poche.
Mi sdraiai completamente accanto a lui, in una posizione speculare alla sua: puntellati sul gomito a reggere la testa, ci guardavamo negli occhi, io in attesa di una risposta e lui nella perfida intenzione di farmela agognare il più possibile.
- "Allora sì" disse serio.
Non mi diede il tempo di ribattere, gettandosi con foga sulla mia bocca, schiusa dalla sorpresa. Stavolta non opposi resistenza e mi lasciai torturare le labbra dalle sue, carnose e morbide. Ebbi un moto di stizza, realizzando che non mi ricordavo come fosse baciarlo. Il suo sapore di menta nella mia bocca fece sparire angosce, liti e incomprensioni degli ultimi mesi; giocò con la mia lingua e non riuscii ad impedirmi di ridere sul suo viso, quando capii che non sarei più riuscita a fare a meno di quelle carezze e di quei dispetti.
Gli slacciai i cappotto e lui fece altrettanto con il mio, mentre aprivo la piccola cerniera delle scarpe per poggiarle sul sedile anteriore, al sicuro. Sciolsi i capelli dall'acconciatura che mi stava tirando i capelli e lasciai che ricadessero in disordine sul cuscino, mentre mi sdraiavo sopra le coperte. Mi abbassò gli spallini del vestito e mi costrinse ad alzarmi per sfilarlo, asserendo che lo stesse facendo solo per non sciuparlo. Rimase stupito nel constatare che non indossavo il reggiseno, ma la cosa sembrò infastidirlo, perché non c'è cosa più eccitante e provocante dello spogliarsi piano, scoprirsi mano a mano.
Mi baciò il seno e i capezzoli reagirono immediatamente, sotto il suo tocco delicato, ma deciso. M'irrigidii d'istinto, quando le sue mani si spostarono più in basso, verso l'inguine. Pensai di morire per la terza volta in poche settimane, sebbene in modo molto diverso dalle precedenti, perché Nick era in grado di farmi promettere e dire qualsiasi cosa, con le sue dita sulla mia pelle.
Prese uno dei cuscini quadrati parsi sulle trapunte e mi sollevò i fianchi, per posizionarlo sotto di me, all'altezza della zona lombare, in un gesto che avrebbe dovuto semplicemente agevolargli le manovre, ma che non fece altro che accendermi all'idea di poter sbirciare quello che aveva intenzione di fare. Spostò di lato le mie mutandine e si chinò tra le mie gambe, passando leggero l'indice e il medio sulla fessura tra le mie cosce. La schiuse e fece scivolare le dita all'interno; le mosse con delicatezza avanti e indietro e aggiunse l'anulare, quando si accorse che mi stavo rilassando. Le sfilò e si passò le dita in bocca; quel gesto mi fece arrossire fino ai capelli, perché era qualcosa di così eroticamente intimo che mi risultò impossibile rimanere indifferente. Nick rise del mio imbarazzo e s'intrufolò nuovamente tra le mie gambe, ma questa volta non concesse tregue o pause; baciò l'interno coscia, dal ginocchio in giù, e le dita lasciarono il posto alla sua bocca e alla lingua nello stuzzicarmi lì dove la carne è più morbida e sensibile.
Inarcai la schiena e strinsi tra le dita il lenzuolo, così come prima avevo fatto con il vestito, nel tentativo di scappare. Ma ora non avevo alcuna intenzione di muovermi da quel punto.
Al contrario, ero impaziente di affrettare le cose, di arrivare al dunque, perché per quanto potesse essere gratificante - e lo era parecchio - avere la sua testa tra le gambe, quando hai desiderato tanto a lungo una persona, non vedi l'ora di sentirlo addosso, sulla pelle, dentro di te. Si dovrebbe essere più parsimoniosi, più controllati, vivere e godere di ogni istante, senza bruciare momenti preziosi. Ma il problema è che ci illudiamo di avere tempo, di poterlo fare il giorno dopo, la volta dopo, quando ce ne ricorderemo. Era Nick il ragazzo sopra di me, l'incarnazione di pensieri proibiti e sogni sconci da sei mesi e non avevo davvero né la voglia né il tempo di fermarmi, di fermarlo. E forse non sarebbero state nemmeno necessarie altre occasioni per fissare nella memoria cosa volesse dire fare l'amore con lui: ero terribilmente brava a ricordare le cose piacevoli.
Percorse il mio corpo con le mani lungo la pancia, il seno ed infine il collo, dove fece leva per sollevarmi e farmi sedere. Cercò la mia bocca, mentre io trafficavo per sganciargli la cintura dei pantaloni ed aiutarlo a toglierseli il più rapidamente possibile. Si levò in un gesto solo calzoni e boxer, rimanendo nudo ed eccitato davanti a me. Strappò con i denti la carta argentata di quello che riconobbi essere un preservativo, ma non riuscì a fare nient'altro, dal momento che lo rubai dalle sue mani, offrendomi di metterglielo soltanto per poterlo toccare. Nick mi guardò incuriosito srotolare il profilattico sul suo membro, attratto dai miei movimenti su di lui e dalla mia neonata intraprendenza.
- "Non voglio sapere perché sei tanto esperta e rapida..." ridacchiò. Cercò di apparire divertito, però era evidente che la sua osservazione, in realtà, fosse da leggere ed interpretare con un non di meno. La verità era che quella era la prima volta in cui lo facevo: era un mestiere da uomini - non ci vuole mica una laurea! Non a caso ho detto da uomini... -, ma con Nick era tutto diverso. Io ero diversa: non era solo un piacere reciproco toccarsi, ma una necessità ed ero pronta ad afferrare al volo qualsiasi occasione per farlo.
Non risposi deliberatamente alla provocazione e cercai di abbindolarlo, strofinando la guancia sulla sua barba di qualche giorno che minuti prima aveva solleticato l'interno coscia. Si sdraiò su di me, puntellandosi con le ginocchia esterne alle mie gambe e le braccia ai lati della mia testa. Mi costrinsi a guardarlo dritto negli occhi e trattenni il fiato finché non lo sentii scivolare piano dentro di me e cominciare a muoversi a ritmo, poggiandosi ora sui gomiti, una mano stretta nei miei capelli.
 
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?
 
Il suo bacino schiacciato sul mio, la sua bocca a raccogliere improperi, speranze, paure, banali farneticazioni mentali e reali. Succhiò, leccò e fece suo tutto ciò che trovò sulle mie labbra, beandosi dei miei sproloqui e delle parole senza senso.
Raggiungemmo l'apice insieme, seduti sulle coperte, petto contro petto, dolorosamente incastrati per via della posizione scomoda. Solo dopo qualche minuto di silenzio, rotto solo da qualche morso scherzoso o da risolini ebeti, cominciai ad aver freddo. Molto freddo. E non era a causa di quei pericolosi vuoti che sentivo sempre nel post sesso - perché, quella era una delle rare volte in cui mi sentivo soddisfatta e basta, senza ripensamenti o dubbi -, ma era comunque dicembre e noi eravamo nudi in un fuoristrada dai vetri appannati nel mezzo del nulla. Era il posto più disagevole in cui avessi mai fatto l'amore; era tetro, gelido e inospitale... perfetto. Una stanza d'hotel a cinque stelle full optional ai Caraibi non sarebbe stata altrettanto bella. Quella carreggiata desolata, circondata da prati sterminati e qualche sporadica casa era e sarebbe stata solo nostra.
Beh, nostra e della società che gestisce le strade.
- "Sarà meglio rivestirsi, Sammy. - Allungò la mano al borsone sul sedile del guidatore e ne trasse due pesanti felpe - Sapevo che non ti saresti mai portata una tuta".
Mi aiutò ad indossare quella più piccola e poi s'infilò l'altra.
- "Eri così sicuro di riuscire a portarmi a letto e di farmi dormire con te?" lo guardai, sinceramente incuriosita dalla risposta alla mia domanda.
- "Ci speravo" ammise sorridente, allungandosi nuovamente all'indietro per afferrare una confezione di salviettine umidificate dal portaoggetti. Ci pulimmo come potemmo e, dopo aver indossato un paio di pantaloni felpati e uno di calze antiscivolo - se n'era ricordato! - m'infilai sotto i numerosi strati di coperte.
Nick si allontanò solo per aprire la portiera anteriore e far salire Mister, il cui ruolo in tutta la faccenda ancora mi sfuggiva. Il cane si accucciò sul sedile e il suo padrone fece scattare la chiusura centralizzata dell'auto. Poi, si sdraiò accanto a me e mi abbracciò da dietro. Mi girai sul fianco per dormire, ma il braccio di Nick ricadde pesantemente sul mio fianco e il suo corpo a ridosso del mio, il respiro sulla nuca.
- "Che fai? - mi lamentai - Non riesco a dormire, se ti ho così vicino. M'infastidisci".
- "Mi hai avuto dentro di te finora... e comunque ti sto proteggendo da eventuali aggressori esterni". D'un tratto capii: la funzione del suo cane era quella di controllare la zona. Credeva davvero che potesse passare qualcuno - oltre a noi - in quella stradina?
- "Pensavo che quel compito spettasse a Mister".
Nick mi guardò sospettoso.
- "Non c'è da fidarsi molto di quello".
- "Senti chi parla...".
 
Aprii gli occhi quando la luce del sole del mattino mi colpì il viso. Avevo un mal di schiena terribile ed ero più o meno nella stessa posizione in cui mi ero addormentata. Mi voltai verso Nick e lo trovai intento a stropicciarsi le palpebre con il dorso della mano.
- "Non dirmi che mi stavi guardando mentre dormivo" dissi, la voce un po' impastata.
- "Veramente mi hai appena dato una gomitata e mi hai svegliato" si giustificò, tirandosi le coperte fino al mento.
- "Vuoi essere il mio regalo di Natale?" gli domandai a bruciapelo.
Lui girò la testa verso di me, bellissimo persino mentre imprecava per il collo bloccato.
- "Così mi offendi".
Sorrisi e gli lasciai un bacio sul naso.
- "Meno male. Prova sdolcinatezza superata".
- "Sono il regalo di Natale e compleanno, almeno".
Avrei dovuto sapere che mi avrebbe fregata, ancora una volta. Mi attirò a sé e decise di essere troppo stanco per mettersi subito in marcia verso Londra. Gli proposi di guidare io, ma per qualche strana ragione, rifiutò la mia offerta.
Dormimmo ancora un paio d'ore, dandoci fastidio e calci a vicenda per il solo gusto di provocarci e trovare un modo creativo per chiederci scusa. Il viaggio di ritorno fu quanto di più lento ci potesse essere: ci furono delle tappe intermedie per mangiare e bere - Nick si era portato mezza credenza in quell'auto -, pipì, e testare i sedili anteriori reclinati. Quando arrivammo sotto casa mia, avrei tanto voluto trascinarlo fino al mio appartamento, ma purtroppo doveva andare via, dalla cara nonna Inge che mai come allora mi sembrò una nazista fatta e finita.
Scesi dall'auto e mi avvicinai al finestrino abbassato per un ultimo saluto.
- "Prima che tu vada, devo darti una cosa. - mi disse, sorridendo. Sollevò il sedere dal sedile e frugò nella tasca dei pantaloni. Non appena vidi un pezzettino di carta, uguale agli altri nove precedenti, mi feci seria - È giusto che finiamo quel che abbiamo cominciato".
Mi diede un bacio veloce sulla bocca e se ne andò, senza attendere risposta.
Non era cambiato. Una notte di sesso non lo aveva trasformato in un ragazzo serio, in un fidanzato serio; mi stava spingendo nelle braccia di un altro, in teoria per l'ultima volta, in pratica... chissà.
Dove non può l'amore, può orgoglio.
Rimasi con il fogliettino in mano sul bordo della strada, il vestito da sera che accarezzava l'asfalto e il mio umore a fargli compagnia, sotto un paio di sottili tacchi a spillo.
 
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?
 
 
 
Ci siamo. Innanzitutto, ricordatevi che mi volete bene, perciò nessun istinto omicida nei miei confronti. Secondo: manca un capitolo, perciò calma. Terzo: sono in ritardo, ma purtroppo capita che mi ricordi di avere degli esami da fare e quindi il tempo per scrivere scarseggia.
Stasera, anzi stanotte, visto che il capitolo è un papiro, sarò breve.
La canzone del titolo è "Somewhere only we know" dei Keane.
C'era qualcuno che si era focalizzato sul famoso rumore metallico del post dichiarazione di Sam: come ho detto, non era rilevante, ma il mistero della lattina è svelato.
Ringrazio di essere arrivati fin qui, ringrazio quella santa donna di Nessie che ha betato, nonostante i casini e le vedove.
Grazie come sempre delle recensioni, provvedo a rispondere!
Siamo al 30 di gennaio e io vi auguro buon 2012.
Baci,
S.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. State Of Love And Trust. ***


Cap. 37
Capitolo trentasette. State Of Love And Trust.

Smisi di contare le volte in cui avevo sperato che Nick mi chiamasse quando sfiorai quota cento in un giorno.
Quel maledetto biglietto aveva rovinato tutto; no, Nick l'aveva fatto. Lui e quel mezzo neurone eremita che si ostinava a popolare quella taiga del suo cervello. I pensieri e le idee sensate si rifiutavano di stare lì, c'era troppa eco.

Nick, purtroppo o per fortuna, in quei sei mesi era riuscito a farmi desiderare un sacco di cose: di morire - soprattutto di vergogna - e di farlo morire; di coccolarlo e di strozzarlo; di innamorarmi e di disinnamorarmi... di tornare a casa.
Glasgow non mi era mai mancata tanto; i momenti imbarazzanti con Alex, l'ingrasso forzato a cui mi sottoponeva mia madre, i silenzi logorroici di mio padre, le urla di Lily che rimbrottava Byron e, soprattutto, zia Annie. Suonava strano dire e pensare che quell'anno non avrebbe passato il Natale a vegetare in poltrona, attorniata dagli sbuffi dei parenti, me compresa. Non avevo mai badato troppo alla sua presenza e proprio ora che avrebbe fatto la differenza - ora che avrei sentito la differenza - lei non ci sarebbe stata. Ero rimasta con un pugno di mosche e qualche labile ricordo di attimi trascorsi insieme. E la lettera, che non faceva altro che riportare alla memoria due occhi chiari e una boccaccia che non perdeva occasione per prendere aria.
Il problema di Nick era che parlava sempre troppo o troppo poco, ed io non ero capace di interpretarlo; credo di aver fallito ogni singola volta che ho provato.
Meno male che c'era Warren e la sua ossessione per Sebastian. Quei due avevano in atto una vera e propria telenovela che faceva un baffo a Beautiful. Mi aveva fuso un orecchio quella mattina al telefono, raccontandomi per filo e per segno l'intreccio complicato di intrighi e di tradimenti che lui e quell'altro avevano messo in piedi. Ovviamente aveva ascoltato i miei problemi per cinque secondi, per poi decidere che i suoi erano molto più interessanti. Chissà perchè me lo aspettavo...
Nonostante Will si fosse mostrato recalcitrante a partecipare alla conversazione, Warren aveva cercato in tutti i modi di coinvolgerlo nelle sue sporche faccende, per avere opinione maschile.
- "E chi sarebbe questo Sebastian?".
Dopo mezzora di monologo sebastiancentrico, a Warren era venuto un colpo; non si era mai capacitato del fatto che la gente potesse essere poco interessata alla sua vita e Will venne istantaneamente declassato da gnocco con cervello a deve star zitto, ma è comunque gnocco.
M'intromisi con molto piacere in quel battibecco e risposi alla domanda che era rimasta in sospeso tra la perplessità del mio vicino e il cruccio dell'altro.
- "Presente la dignità? Ecco, Sebastian è colui per il quale Warren perderebbe la propria. Ovviamente se ne avesse ancora una".

Mi sedetti sulla valigia e tentai, con un ultimo disperato salto, di riuscire a far scattare la chiusura. Avrei dovuto fare rapporto a qualche compagnia aerea. A tutte, anzi, perché è scorretto chiedere ad una donna di portare solo quindici chili di bagaglio. E se fosse piovuto? - e visto che si trattava dell'Inghilterra, era praticamente una certezza -, o nevicato? Oppure sole splendente per tutti e quattro i giorni? Bisogna essere preparate e una donna non può essere preparata con quindici miseri chili di bagaglio!  
Con una certa riluttanza, avevo affidato Romeo a Will e a Kay, raccomandandomi che non trascorresse troppo tempo con quest'ultima; la cosa più buffa è che lei pensava che stessi scherzando. I due piccioncini Beckett stavano per passare un felice e sereno Natale in casa di nonna Inge, con i MacCord, Katy e il resto del parentado; un'occasione più unica che rara per Babbo Natale: in un solo colpo, avrebbe potuto distribuire simpatia per tutti.
- "Romeo verrà con noi, tranquilla" aveva detto Kay. 
E, a quel punto, ero stata io a pensare che scherzasse. Avevo sbarrato gli occhi e, mentre mi appropinquavo a rinfilare il mio gatto sottobraccio, la mano di Will mi aveva fermata e si era riappropriata della palla di pelo nera che già gli stava facendo le fusa.
- "Andrà tutto bene, Sam" mi riassicurò.
Certo, sto lasciando l'unico essere che si curi della mia esistenza nelle mani di una tizia che odio cordialmente e porterà il mio pargolo in una gabbia di nazisti che probabilmente lo cucinerà. Oh, diamine, ne faranno sapone da regalare agli amici! È così grasso che ne uscirà un quintale.
- "Ripensandoci, penso che lo porterò con me. Sai, non vorrei che disturbasse..." tentai, ma la Piattola mi bloccò con un abbraccio. Perché mi stava abbracciando? Ci doveva essere un qualche strano veleno esotico che agisce a contatto con la pelle.
- "Nessun disturbo. - le mie braccia ritte lungo i fianchi e la mia espressione tra lo sbalordito e lo schifato non sembravano infastidirla. Stavamo ufficialmente entrando nel Guinness World Record per l'abbraccio più lungo e indesiderato del mondo - Buon viaggio e buon Natale. Ah, quasi dimenticavo: vedrai che c'è una spiegazione per il biglietto di Nick ".
D'accordo, il bacio sulla guancia avrebbe potuto risparmiars... cosa? Guardai Will con il palese intento di trafiggere il suo costato con una scarica di schegge immaginarie e vederlo sanguinare fino alla morte.
L'ho sempre detto che il Natale mi rende più buona.
- "Me lo ha estorto con la forza" si difese lui. 
Fece un sorriso per scusarsi di aver vuotato il sacco - ancora una volta! - con Kay circa le mie vicissitudini sentimentali ed io ritrassi gli artigli, preferendo non immaginare quale forza avesse utilizzato lei per farsi raccontare i fatti miei e del cugino.
- "Come no... grazie Kay, ricambio gli auguri". 
Feci per uscire, ma lei mi bloccò.
- "Anche alla famiglia? - la guardai con aria confusa, non capendo del tutto la sua domanda - Sì, intendo, sono auguri estesi anche alla mia famiglia?".
- "Ehm... c-certo" balbettai, sempre più convinta della stranezza della domanda e della ragazza di fronte a me.
- "Quindi anche per Nick?".
Se l'avessi abbracciata prima, magari sarei riuscita a strozzarla... che stupida.
- "Come ti pare".
- "È un no? Un sì? Un vedi tu al momento?".
- "Hai carta bianca" tagliai corto.
- "Mi lasci davvero molta scelta... è una bella responsabilità. Pensi di riuscire ad essere più precisa? Non vorrei trovarmi a dire 'Ehi buon Natale a tutti da parte di Samantha Grayson, tranne che a te, Nick'. Sarebbe un po' antipatico, no?".
Stavo per urlarle in faccia quale diavolo fosse il suo problema, quando mi ricordai che l'astio e il nervosismo che provavo per il cugino erano sufficienti per l'intera famiglia e almeno per le prossime cinque generazioni. Mi calmai e le risposi in tono pacato.
- "Puoi farli a tutti".
- "Oh, che sollievo! Perché nonna farà di sicuro dei biglietti di ringraziamento e dobbiamo firmarli tutti, ma se Nick non è incluso negli auguri, non credo dovrebbe farlo".
Siamo inglesi, e che diamine! Diciamo più volte grazie, per favore e mi scusi in un giorno di quanto lo faccia il resto del mondo in un anno. Non credo lo ucciderebbe ringraziare per un augurio che non ha ricevuto.
- "Sono per tutti" chiarii, prima che cominciasse una nuova discussione sull'aria fritta.
Kay espirò a fondo, rannicchiandosi soddisfatta sotto l'ascella di Will, che ancora reggeva un lietissimo Romeo. Salutai per un'ultima volta con un sorriso di circostanza il trio, soprattutto la Piattola che mi seguì sino all'ascensore e mi salutò con la mano finché non si chiusero le porte.
Avevo appena trovato un tardivo regalo di Natale da farle: una bella seduta dallo psichiatra. Per l'intera famiglia.

Casa dolce casa.
In quel momento davvero mi sfuggiva cosa mai ci potesse essere di dolce ad essere al centro di un pandemonio. 
I miei erano venuti a prendermi in aeroporto e mia madre non aveva fatto altro che parlarmi dell'imminente matrimonio di una mia ex compagna di liceo, un modo molto velato e altrettanto delicato per ricordarmi che l'orologio biologico scorreva anche per me e che era ora di accasarsi. Mio padre nemmeno si degnava di ascoltarla, limitandosi a bofonchiare e a commentare con qualche raro sbuffo di disapprovazione.
Non appena entrata in casa, vidi Lily correre in bagno a vomitare per via delle nausee mattutine della gravidanza e rimasi sola con Alex, mio nipote, mentre i miei bisticciavano tra loro per il menu della serata. Mamma si mise ai fornelli e papà scese in cantina a scegliere i vini da abbinare. 
- "Ciao zia! - Alex mi corse incontro e, quando mi abbassai per raggiungere la sua altezza, mi depositò un bacio umidiccio sulla guancia - Dov'è il tuo fidanzato?".
Non è meraviglioso essere tornati a casa? Che accoglienza.
- "E' qui con me, non lo vedi? -  fece una giravolta su se stesso, ma proprio non gli parve di notare alcuno - E' invisibile... se non lo vedi è perchè sei stato un bimbo cattivo e Babbo Natale non ti porterà niente".
- "Sam!". 
Ops, Lily mi aveva sentito.
Pensai che fosse meglio non aggravare la mia situazione, facendole notare quanto poco fosse attraente in quel momento, con quel cardigan sformato che la invecchiava di almeno dieci anni e quei capelli legati attorno al viso cadaverico.
- "Scusa tanto se stavo cercando di risparmiare una delusione al mio nipotino preferito" mi difesi, invece.
- "Zia, sono l'unico che hai." intervenne Alex.
- "E quindi? Sei il preferito tra tutti i miei non-nipotini che non ho, contento?". Non ero certa nemmeno io di quel che avevo detto, ma ormai...
Mi costrinse a giocare con lui per l'intero pomeriggio, utilizzando la scusa del non sei mai qui. Costruimmo castelli e torri con le lego, finimmo di adobbare l'albero di Natale ed io scoprii a malincuore che ero troppo vecchia per giocare a nascondino: lo spazio sotto la scrivania dello studio di mio padre era davvero piccolo! 
Mi domando come abbia fatto Monica Lewinsky...
Verso le cinque, mia madre spedì a casa Lily e Alex perché si preparassero per la serata. Io presi il cappotto e la sciarpa dall'attaccapanni e mi avviai a piedi verso il cimitero in cui era stata seppellita la zia Annie. Avevo bisogno di qualche momento di tranquillità, in previsione del caos festoso e festivo che avrebbe animato casa Grayson per i successivi giorni.
La città era stranamente allegra. Intere famiglie si erano riversate per strade e negozi, racimolando gli ingredienti per il cenone o gli ultimi regali, nonostante il freddo di quella vigilia. Camminai per quindici minuti, prima d'intravedere da lontano il cancello spalancato del cimitero. Affrettai d'istinto il passo, come se ad un tratto avessi un'urgenza fisica di trovarmi di fronte a quel che mi rimaneva della zia Annie. La sua lettera era accuratamente piegata all'interno del libro che mi aveva consegnato il signor Kerry, l'amico della zia, il giorno in cui era morta. Lo trassi dalla borsa e lo aprii soltanto nel momento in cui mi ritrovai davanti alla lapide; c'era un mazzo di rose bianche, la brina intrappolata tra i petali, che pareva essere nato per vivere per sempre, congelato dall'inverno scozzese. 
Il segnalibro era ancora nello stesso punto in cui la zia lo aveva lasciato.

Non sprecare il presente a preoccuparti del futuro...
...su la testa, infilati le scarpe e segui il tuo cuore fino in capo al mondo. 

Non serviva farlo. Non dovevo seguirlo in capo al mondo, non quando tutto era così difficile da interpretare - mi sta prendendo in giro? -, eppure così facile da ammettere - sono innamorata di lui.
- "Cosa dovrei fare?" dissi al vento.

Sii la custode dei tuoi sogniaveva scritto la zia nella lettera. Ma come avrei potuto proteggere i miei sogni, quando nemmeno sapevo quali fossero? Nella mia testa era tutto così confuso che mi era impossibile pensare con chiarezza a quello che volevo.
Non sprecare tempo Samantha, perché, credimi, non ne avrai mai a sufficienza. Annie si era raccomandata di fare una cosa ed io stavo facendo l'opposto: stavo perdendo tempo. Stavo utilizzando il Natale come scusa per fuggire dai miei problemi, lontano da Londra e da Nick. Tornare a Glasgow per le feste mi aveva fornito un pretesto per fare ciò che mi riusciva meglio, quando il gioco si faceva duro: scappare. Avrei dovuto sfruttare quei momenti per passarli in famiglia e rilassarmi, invece che impuntarmi su quanto stava succedendo nella capitale, a casa o nella testa dei MacCord. 
È Natale, Sam, non Nickale. O ChristSam. O NaviSam. O Nickël. D'accordo, basta.
Magari, prima di mettere una ics defintiva sull'argomento, avrei dovuto leggere il biglietto che mi aveva dato, dopo che mi aveva riportata a casa. Sì, era ora di prendere la situazione di petto, anche se il mio non era proprio voluminoso.  
Frugai nelle tasche del cappotto alla ricerca del foglietto. Le rivoltai, cercando disperatamente quel pezzo di carta che non avevo ancora avuto il fegato di guardare. Non c'era. Però ero certa di averlo messo lì, perché ero sicura che un giorno mi sarebbe venuta perlomeno la curiosità di leggerne il contenuto, se non proprio il coraggio. E adesso che ero pronta, che mi sentivo preparata ad affrontare le conseguenze - in positivo o in negativo - delle parole di Nick, il biglietto era scomparso. 
Ed ecco che tornavano le paranoie: è un segno del destino se non lo trovo, fu il primo pensiero. Significava che semplicemente non dovevo trovarlo. Ma perché? Perché ciò che vi è scritto mi avrebbe fatto troppo male? Oppure perché non era il momento giusto? E se invece il fato avesse voluto che io pensassi che non era destino, quando in realtà lo era, ma era solo rimandato e quindi era comunque destino?
Strabuzzai gli occhi: mi ero incasinata ancora di più le idee. Chissà per quale motivo mi ero illusa di trovare la risposta ai miei problemi in un cimitero. Non ero abbastanza meritevole per un'apparizione dall'oltretomba, avrei dovuto immaginarlo.
Nemmeno Casper per un piccolo consiglio?

Sin still plays and preaches, but to have an empty court, 
And the signs are passin', grip the wheel, can't read it.

Salutai la zia con un sorriso e una promessa: un giorno avrei imparato a seguire i suoi consigli. 

Per la cena della vigilia, venni messa al confino accanto a mio nipote. Quella era la tacita punizione che mamma Grace impartiva a coloro che dovevano scontare una pena. Non avevo ben capito quale di preciso fosse la mia - le quotazioni oscillavano tra te ne sei andata via da Glasgow e dovresti trovarti un marito -, ma quella sera accettai di buon grado la scomoda posizione in fondo al tavolo, lontano dai grandi. Al centro, c'erano Byron e mio padre che discutevano animatamente di politica e sport, mentre Lily e mia madre, di fianco a loro, commentavano la riuscita del risotto.
Alex non mi concesse nemmeno un minuto di tregua; mi sommerse di domande, di qualunque genere. Se non conosceva il significato di una parola, chiedeva che glielo spiegassi, e, dopo che mi ero prodigata per interi minuti a cercare di farglielo capire, o faceva spallucce, disinteressato, oppure domandava il perché un tal cosa avesse proprio quel nome.
C'era un motivo per cui nessuno voleva mai sedersi accanto a lui.
- "Cos'è una delusione, zia Sammy?".
Rieccolo all'attacco, dopo aver colto casualmente un brandello della conversazione tra suo padre e il mio, circa la stagione calcistica dei Glagow Rangers.
- "Hai presente quando hai chiesto un cane e ti è arrivata una sorellina? Non ne eri molto felice, giusto? - Alex scosse energicamente la testa - Ecco, quella è una delusione.
- "E Nick ti ha delusionizzata, zia?".
Non mi preoccupai di correggerlo e risposi il più sinceramente possibile.
- "Già".
- "Quindi vuoi metterti con Brody? - chi? Questo Brody mi mancava all'appello - È un mio amico. Vive in camera tua, dorme nel tuo letto. Che regalo mi hai fatto per Natale? Me l'hai già fatto?" cambiò d'improvviso argomento ed io lo ringraziai in silenzio: i discorsi sugli uomini in compagnia dei miei mi rendevano parecchio nervosa, visti i precedenti.
- "Già pronto ed incartato".
- "Peccato. Altrimenti potevi andare in camera con Brody e chiamare gli angeli con lui".
La forchetta di Lily con un boccone di carne grondante salsa rimase a mezz'aria, mentre si lasciava sfuggire un risolino. Mia madre, invece, non lo trovò per niente divertente.
- "Tua zia ha già chiamato a sufficienza gli angeli, per non avere ancora la fede al dito".
Arrossii in un battibaleno: mio padre non aveva mai fatto allusioni così palesi; tutta colpa dell'aperitivo alcolico di Lily. Meglio scriverlo sull'agenda a natale 2011: niente aperitivo.
- "Stasera vai a letto con Brody?" incalzò Alex, che ancora non aveva ottenuto risposta.
Il tracollo era vicino: mamma Grace era sull'orlo del collasso. Byron tentò di far tacere il proprio figlio e sua moglie si alzò e mi versò nuovamente del vino rosso; stava facendo bere a me tutto quello che a lei non era permesso a causa della gravidanza.
- "Perchè devo stare zitto, papà? Brody dorme sempre nel letto di zia Sam. Lei non c'è mai!".
La situazione stava sfuggendo al controllo delle rigide regole dei Grayson: io mi sentivo in colpa per non esserci mai - perchè mi sono trasferita? -, il mio posto era stato occupato da un fantasma - è questa la considerazione che hanno di me? - e il mio nipotino pensava che io fossi una zitella procace che chiamava gli angeli con tutti.
- "E poi, mamma, dov'è Nick? Mi avevi detto che c'era anche lui".
Guardai Lily con istinti omicidi.
- "Non è vero!" si difese blandamente, confermandomi la sua colpevolezza.
- "Sì, invece!" ribadì Alex con convinzione.
- "No-o".
- "Sì-ì".
Mia sorella era rimasta senza molte parole da dire, perciò esitò qualche istante, prima di addentrarsi in una ridicola lite verbale con il proprio figlio.
- "Pettegolo" lo accusò.
- "Tu, penfegolo!".
- "Si dice pettegolo!" lo redarguì Lily con fare da saputella. 
Alex scoppiò in lacrime; non aveva la minima idea di che volesse dire quella strana parola usata da sua madre, ma, a giudicare dal tono di voce utilizzato, doveva essere brutta. Scagliò il piccolo pugno sulla tavola imbandita, facendoci sussultare, scese celere dalla sedia e corse veloce dalla nonna, a rifugiarsi nel suo grembo. Ed ecco che, sull'onda emotiva causata dal pianto del figlioletto, anche mia sorella cominciò a frignare.
- "Sono una madre pessima!" piagnucolò, gettandosi sulla spalla di Byron.
Stava annacquando il meraviglioso pollo arrosto di mia madre, ma forse era il caso di tacere. Anzi no! Lo mangiavo due volte l'anno... che almeno non me lo rovinasse, lessandolo!
- "Lily, se devi piangere, fallo sul pudding, per favore!". Utilizzai il tono più cortese e meno polemico che mi appartenesse.
I coniugi Grayson non parvero apprezzare il mio humor.
- "Sam, sono gli ormoni della gravidanza!" mi rimbrottò mia madre, dando immancabilmente ragione alla sua bambina sforna-figli prediletta.
Scommetto che quando l'ha messa incinta, Byron non pensava di averle firmato un coupon valido otto mesi come giustificazione per qualsiasi cosa.
Lily e mamma Grace si diedero il cambio per riempire la bocca di Alex fino alla fine della cena, affinché non vi uscisse nient'altro sufficientemente compromettente da far vacillare il già labile equilibrio in cui si trovava la morale della famiglia, ovviamente a causa mia.
Ci fu concesso di alzarci da tavola solo dopo aver implorato la padrona di casa di smettere di portare altri dolci dalla cucina. Distribuii i regali che mi ero portata da Londra. Lily mi aveva fornito una lista completa di cose che avrebbe voluto per sé e per gli altri, perciò me l'ero sbrigata in poco tempo. Quel che davvero era irrinunciabile era vedere l'espressione di mia madre di fronte al proprio dono; aveva un'aria diffidente, come se tutto quello che veniva da Londra fosse contaminato radioattivamente o stregato. Scartò il pacchetto e ripropose per l'ennesima volta il suo scetticismo, che malcelava la contentezza di ricevere il suo profumo preferito: Chanel N. 5. 
Alex interruppe il momento solenne, tirandomi la manica della giacca con veemenza. Mi costrinse ad alzarmi e a seguirlo in camera mia per darmi il suo regalo.
 - "Ti regalo Amy" annunciò, non senza una punta di orgoglio.
- "Chi è Amy?". 
Se mi dice un'altra amica immaginaria, siamo nei guai, perchè o mi propone una cosa a tre con Brody, oppure pensa che collezioni fantasmi, come le vecchie fanno con i gatti...
- "Mia sorella. - Io e una bambina? Forse era meglio una cosa a tre - Te la regalo. La vuoi?".
Sam, pondera le parole, ogni cosa potrà essere usata contro di te in futuro.
- "È di tua madre e tuo padre" tentai di spiegargli. Tralasciai la parte dell'illegalità e conseguente prigione.
Mio nipote non parve molto ben disposto ad accettare la mia come una risposta soddisfacente, ma la cosa non era abbastanza interessante, perciò cambiò domanda. 
- "E io quando divento zio?".
- "Tra un bel po', speriamo, perché con le ragazze facilotte che ci sono in giro...".
- "Cosa vuol dire facilotte?".
Ecco come si fa a fregarsi con le proprie mani. Stavo per ribattere di getto, quando mi resi conto di quanto le mie parole sarebbero state inappropriate con un bambino di quattro anni.
- "Facili da trom... - sei a casa di mamma e papà con il tuo nipotino, non con Warren in un bar gay - trovare" mi corressi rapida.
- "E mia sorella è una facilotta?".
- "No!" sbottai, spaventandolo.
Alex riflettè per qualche momento: qualcosa non gli tornava, era evidente dal suo musetto confuso.
- "Ma io l'ho già trovata: è nella pancia della mamma".
E ora che mi sarei inventata? 
- "Ehm... facile da trovare per il suo principe azzurro".
- "Ah" commentò deluso. Cioè, delusionizzato. 
- "E quando tu hai un bambino, io cosa divento?".
- "Tesoro, ma ti sei tenuto tutte queste domande per Natale? I miei bambini - a pensarci, mi veniva l'orticaria - saranno i tuoi cugini".
- "E quando lo fai, un cugino?".
- "Quando gli asini voleranno, cucciolino".
Quella conversazione mi aveva provato fisicamente. Non osavo neanche immaginare che diavolo significasse vivere con un bimbo di quell'età tutti i santi giorni. Semmai ne avessi avuto uno, la prima cosa da fare sarebbe stato allontanare elementi come Warren dal pargolo. E anche Kay. Però, a quel punto lei e Will si sarebbero già lasciati. Lo speravo, almeno.
Va beh, era Natale: quale periodo migliore per credere in un miracolo?

Grazie al cielo, il giorno dopo Lily e famiglia erano stati invitati dai genitori di Byron per il pranzo. Casa mia si affollò di parenti più o meno noti, tra cui i nonni, qualche prozio e cugini vari. Cercai di mimetizzarmi nella folla per passare inosservata, ma molti riuscirono a braccarmi e, c'era da scommetterci, s'informarono sulla mia vita sentimentale, ancor prima di farmi gli auguri o complimentarsi per il lavoro svolto sull'inchiesta. Provai a rispondere in modo educato, nonostante i toni acidi e indagatori di alcune zie mettessero a dura prova i miei nervi.
Gli ultimi invitati se ne andarono solo verso l'una e mezza del ventisei, quando mia madre stava già cominciando a cucinare per la giornata successiva. Io caddi a pezzi nel letto, perché tutte quelle inutili chiacchiere mi avevano distrutto il fisico e lo spirito.
Io alla tua età ero già sposata. Sono rimasta incinta del terzo figlio a ventitré anni. Ho diciassette nipoti.
Che diamine volevano da me? Un applauso?
Io ero sposata con cinquantaquattro paia di scarpe, per figlio avevo un gatto e avevo un nipote e mezzo. Non era sufficiente?

Quando venne il momento di ripartire, mia mamma divenne, come sempre, lo spettro del dolore. Quella messinscena si ripeteva ogni santissima volta dovessi tornare a Londra.
- "Te l'ho detto che siamo orgogliosi di te, vero?".
- "Grace, per cortesia, - brontolò mio padre - è la quindicesima volta che glielo ripeti oggi. Lasciala andare a casa!".
- "Questa è casa sua, non !" rispose arrabbiata. 
E quel , quella misera sillaba, raccoglieva in sé tutto il male possibile. Perché la capitale era la città del peccato, luogo di oscenità e traviamento, di loschi individui. Ma anche dell'inespugnabile Regina Elisabetta II. Solo lei teneva alto l'onore di Londra.
Diedi un bacio a tutti e salii sul taxi.
- "Ciao zia! - mi urlò Alex, mentre abbassavo il finestrino - E, non ti preoccupare, diventerai anche tu una facilotta!".
Tutti si voltarono bruschi verso di me, poi tornarono ad osservare mio nipote, in pantofole a forma di squalo, sorridente in braccio a Byron. Lily, accanto al marito, lo stava rimbrottando con i suoi soliti metodi spicci; non potevo sentire ciò che si dicevano, ma potevo vedere chiaramente mio nipote additarmi, un broncio sul viso per via dei rimproveri subiti.
Piccolo Giuda.
Prima che qualcuno venisse a sgridare anche me, urlai 'Parti!' al taxista, che avviò il motore, lanciando in aria per lo spavento le pagine di un quotidiano.

I viaggi di ritorno mi hanno sempre messo malinconia. Vacanze finite significano valigie da disfare, solita routine da riprendere, relax che se ne va e stress cittadino che ti aspetta sulla porta di casa.
Presi l'ascensore, accennando un sorriso al portiere del mio condominio e cominciai a trafficare nella borsa, alla ricerca delle chiavi dell'appartamento. Avevo il cappotto zuppo di pioggia e i capelli legati in un frettoloso chignon improvvisato, così instabile da farmi temere di vederlo crollare ad ogni passo. Non mi era mancata l'umidità di Londra.
Evitai accuratamente di incontrare il mio riflesso nella pulsantiera, perché mi sentivo così brutta e in disordine che sarei stata colta da una crisi isterica di pianto e riso, se mi fossi specchiata. Ero stanca e infreddolita e avrei voluto mollare il trolley sullo zerbino di casa e attendere il comitato di accoglienza a cura di Romeo, Will e quell'altra, solo dopo essere passata sotto il getto della doccia ed essermi data una sistemata. 
Purtroppo lo zerbino era già occupato. Nick era appoggiato con la schiena alla porta del mio appartamento, le braccia conserte sul petto e lo sguardo imperscrutabile. Rimanemmo immobili entrambi per alcuni secondi, fissandoci a vicenda, in attesa della mossa dell'altro.
Indossava un giubbotto blu scuro e dei pantaloni grigi di una tuta. Le scarpe da tennis, i capelli bagnati e le cuffiette dell'mp3 che pendevano dalla tasca dei calzoni mi fecero capire immediatamente che era uscito per fare un corsa. Ottima idea, con quell'acquazzone ad allagare strade e parchi.
- "Ti sei perso?" dissi, mentre uscivo dall'ascensore, trascinando la valigia lungo i pochi metri che ci separavano. 
Mi seguì con lo sguardo, ma non si spostò nemmeno per farmi inserire le chiavi nella serratura. La sua vicinanza mi stava facendo agitare e dovetti impormi di non sudare freddo o irrigidirmi troppo perché una mano tremolante era esattamente ciò di cui non avevo bisogno in quel momento.
- "Passavo da queste parti..." rispose, dopo attimi di silenzio.
- "Qualche altra informazione da raccogliere?" chiesi scontrosa, dando una botta alla porta per farla spalancare. Nick mi lasciò passare e poi entrò a sua volta.
La temperatura nel salotto sfiorava i diciassette gradi e non riuscii ad impedirmi di rabbrividire, pensando di dovermi spogliare davanti a lui. Solo il montgomery fradicio, ovviamente. Lo feci controvoglia e misi tutto sull'attaccappanni. Le finestre erano ancora chiuse e solo la debole luce esterna riusciva a oltrepassare le sottili fessure delle imposte. Le aprii dalla prima all'ultima, nel vano tentativo di procrastinare la conversazione e ritrovare un po' di tranquillità.
Non ha chiamato. È venuto solo a predere un altro po' di te. Poi sparirà di nuovo. E tornerà, per rubare un nuovo pezzo di te. Non rimarrà nulla. Ti consumerai per lui.

And I listen for the voice inside my head
Nothin', I'll do this one one myself.

- "In effetti, sì. Ero curioso di sapere se fossi ancora viva. Sei sparita".
C'era da ammettere che aveva proprio una bella faccia tosta.  
- "Respiro, come vedi". Nick avanzò verso di me e mi aprì la mano, il palmo voltato verso l'alto, e ci poggiò qualcosa di piccolo, freddo; scostò le proprie dita, affinché io riuscissi a vedere di cosa si trattava: un paio di monete, due sterline per la precisione.
- "Nel caso tu non ti possa permettere una chiamata al sottoscritto". 
La sua voce non era accusatoria, era piatta e talmente controllata da farti impazzire. La calma è la virtù dei forti ed è proprio quella che manda al manicomio gli avversari. 
- "Avresti potuto chiamarmi tu!" lo accusai, rimettendogli a forza gli spiccioli nella mano. Lui mi fissò inerme, quindi infilò tutto nella tasca con noncuranza. 
- "Toccava a te. Io ho fatto un passo gigante verso di te, era il tuo turno di dimostrare qualcosa".
Ero indecisa se afferrare il manico del trolley ed utilizzarlo come mazza da baseball per colpirlo o se guardare l'effetto che facevano le mie unghie affondate nel suo collo. L'unica cosa che mi trattenne dal farlo fu la consolazione di vedere finalmente che si stava sbilanciando.
- "Cos'altro avrei dovuto dirti?" abbassai rapida la voce; Will sarebbe potuto essere in agguato e in quel salotto c'era già un odore nauseabondo di tradimento. Era chiaro come il sole che il mio vicino gli avesse detto che sarei tornata da Glasgow proprio quel giorno.
- "Onestamente? - dal suo tono ormai traspariva tutto il risentimento nei miei confronti - Mi aspettavo un commento al biglietto".
- "Vuoi il mio commento? - urlai frustrata - Dimmi dove preferisci: lo vuoi sull'inguine o sul sedere?".
Nick mi fissò stralunato e qualcosa mi disse che la mia non era la reazione che si aspettava. Aprì la bocca, ma dovetti attendere qualche secondo prima che effettivamente emettesse un suono.
- "N-non capisco. Come hai trovato ciò che ti ho scritto nel biglietto? - Attenta, Sam, questa domanda è insidiosa... soprattutto perché non l'hai nemmeno aperto, quel foglietto. Nick carpì la mia indecisione e cambiò tono. - Perché l'hai letto, vero?".
La risposta era no; ero troppo occupata a fare l'indignata per pensare di aprirlo. L'avevo appallottolato e cacciato da qualche parte; nella borsa, tra i cuscini del divano, tra gli abiti nell'armadio, o forse in bagno. Oppure l'avevo gettato mentre ero a fare quattro passi nel marsupio di un canguro. Quel che contava era che il biglietto fosse andato, scomparso, desaparecido. 
- "Certo che sì!" ribattei. Ovviamente.
- "Sicura?".
- "Sì". Dovevo avere l'aspetto fiero di una leonessa, ma dentro mi sentivo un coniglio, di quelli pasquali di cioccolata, che si decapitano con un colpo nemmeno troppo forte. E la ghigliottina era vicina, molto vicina.
- "Quindi, come giudichi il contenuto?".
Lo giudicavo sparito, al momento.
- "Era... ehm - gli occhi di Nick sembravano aver capito tutto - ... inenarrabile".
- "Definisci inenarrabile".
Tutt'ad un tratto sembrava incuriosito dal mio vocabolario.
- "Inenarrabile significa che non può essere raccontato" spiegai pedante.
Nick sbuffò e roteò gli occhi, scocciato dal mio fare da maestrina. D'altronde, era la mia unica occasione per spostare l'attenzione dall'argomento principale, su cui ero assolutamente impreparata. Da maestrina a scolara in pochi secondi.
- "Grazie, genio. Ho una laurea in letteratura inglese ed un master in teatro; so cosa significa inenarrabile".
- "Stai attento alle tue piume, - risposi acida - non vorrei che si rovinassero troppo mentre fai la ruota".
Per una volta tanto, la sua vanità e lo suo sconfinato orgoglio mi stavano tornando utili.
- "Non mi sto pavoneggiando, sto solo esponendoti come stanno le cose. Torniamo al biglietto".
- "Mi pare che parli da sé...". 
Cambiai strategia: forse fare la vaga sarebbe servito a mantenere la conversazione abbastanza astratta e generale da consentirmi di uscirne in modo onorevole, o quanto meno non con troppe ossa rotte.
- "Su questo siamo d'accordo".
Mi sembrava di scorgere la luce fuori dal tunnel: c'era speranza di rimanere indenne in quello scontro verbale. 
- "Ecco, quindi non c'è proprio nulla da aggiungere".
Nick si grattò nervosamente la testa, passandosi una mano tra i capelli umidi di pioggia.
- "Devo essermi sbagliato" ammise mogio.
- "Credo anch'io". Ero soddisfatta che alla lunga abbia capito che non sono più quel genere di persona.
- "E la tua risposta?".
- "No". 
Avevo preso una decisione: non avrei continuato con la scommessa, neppure se mancava solo un uomo, nemmeno per avere la soddisfazione di averla finita. 
Dovrò pagare? Pagherò, l'importante è chiudere questo capitolo ed andare avanti. 
Nick sembrò a corto di parole e nemmeno io ero troppo a mio agio in quel limbo di frasi a metà e segreti. 
- "Okay. Ehm... - si scrocchiò le dita fra loro e si passò nervoso la mano nei capelli - Ci si vede Sam".

Qualcosa si era rotto. Lo sentivo, l'avevo capito chiaramente da come era uscito da casa mia, quando aveva aperto la porta e mi aveva salutato.
Ci si vede Sam.
Sam.
Potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva usato il mio diminutivo e non quel ridicolo e derisorio nomignolo che detestavo, Sammy. Per una volta avrei voluto sentirmi chiamare così. 
Mi stavo convincendo che la chiave di tutto fosse ritrovare il biglietto. Se solo avessi avuto la minima idea di dove l'avevo ficcato... maledetta memoria a breve termine! 
Richiamai a rapporto Warren, Valerie e Will per aiutarmi nella caccia al tesoro; a ciascuno abbinai una stanza della casa, tranne che a Warren, offertosi volontario per battere - parole sue - i corridoi del condominio. Il perché si fosse portato appresso Sebastian rimaneva un mistero, ma mi faceva pensare che il suo obiettivo primario non fosse trovare il foglietto.
- "Ho bisogno di trovarlo. Potrebbe essere dovunque, anche nella pancia di Romeo, per quanto ne so. Perciò, cercate, cercate, cercate!".
Warren mi guardò con aria interrogativa e percepii che stava per dire qualcosa in merito al mio piano. Infatti, eccolo agitare la mano in aria.
- "Ho una cosa da chiedere. - non vedevo, purtroppo, come avrei potuto impedirglielo - In questo contratto è prevista una pausa spuntino?".
Lo fissai annoiata, mentre lui continuava imperituro a scambiarsi occhiate con Sebastian e a cercare di farsi notare da Will.
- "Nessuno ha mai parlato di contratto, Warren. - chiarii - Mi state facendo un favore".
Al solo sentire la parola favore, la sua postura si modificò: petto in fuori e gambe ritte come due spiedini corredavano gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
- "Un favore? Per quale assurdo motivo dovrei aiutarti, sottostando alle tue regole da mercato nero? - si voltò verso il resto della gang di lavoratori sottopagati, parlando a bassa voce - Avete visto come ha cercato di eludere la mia domanda? Si crede furba".
- "Perché sei una miserabile sgualdrina che se la fa con un uomo impegnato e se io volessi potrei spifferare tutto al fidanzato di Sebastian, che sono certa non esiterebbe un attimo a grigliarti il fondoschiena per aver adescato quel povero cerbiatto innocente e tonto del suo ragazzo. Nulla di personale, Seb" sorrisi, senza rinunciare ad un aspetto autoritario.
- "Maledetta! - replicò Warren - Ti adoro quando fai la gattona. Nick è un uomo fortunato. E fantastico, meraviglioso, bellissimo".
Tutti smisero di fingere di lavorare e si voltarono verso di me, allarmati. Chiusi gli occhi e respirai a fondo, immaginando gli sguardi minatori rivolti a Warren e al suo celeberrimo misto di sbadataggine e superficialità. Quando li riaprii, quest'ultimo aveva le braccia piegate, le mani sui fianchi e l'aria da santarellino.
- "Che vi prende, gente? Avete capito che stavo scherzando, vero? Nick non è nulla di tutto questo... è brutto, antipatico e, per Barbra!, ha un fisico orrendo" mentì, sforzandosi di essere credibile.
- "Non c'è bisogno che tu finga" lo bloccai.
Lui sì portò una mano sul cuore e espirò sollevato.
- "Grazie, Zucchero! Pensavo sarei finito soffocato da tutte quelle bugie! Non sono abituato, io".
- "Disse quello che stava con il ragazzo fidanzato..." intervenne Valerie. 
- "Disse quella che indossava una pelliccia di puzzola con la cirrosi" ribatté Warren seccato, alludendo al poncho di Val, la quale restituì uno sguardo in tralice. 
Dopo ore di battibecchi e ricerche più o meno approfondite - chi in cucina, chi in salotto, chi nella gola del proprio amante -, ci buttammo sconfitti ed avviliti sul divano. Romeo fece uno scatto da camera mia ai piedi di Will, pur di accaparrarsi il posto tra le sue gambe, perdendo almeno qualche mese di vita: non lo avevo mai visto correre, se non per andare a mangiare nella ciotola. 
Il mio vicino accettò le coccole e gli strusciamenti e tutto ciò il non fece altro che aumentare i miei sospetti: Kay doveva essere una frana in quelle cose, se il suo fidanzato si riduceva a elemosinarne al mio gatto. Per questo Will doveva lasciarla. 
Babbo Natale, non mi sono dimenticata di quello che ti ho chiesto.
Valerie fu la prima ad andarsene, seguita da Sebastian - che per una volta tanto si era ricordato di avere un compagno. Warren si rifugiò in cucina a sgranocchiare qualcosa, mentre io e Will rimanemmo in salotto.
- "Getta la spugna" mi consigliò.
- "Sai meglio di me che non posso. - risposi mesta - Voglio sapere cosa c'è scritto, devo".
- "Ne sei sicura? Raviolo, semmai decidessi di dargli un'altra chance, dovrai decidere di fidarti, perché non starete insieme ventiquattr'ore al giorno...".
Senti chi parla.
- "Ah no? Mi sembra che tu e Kay lo facciate sempre..." replicai, ben consapevole che mi sarei beccata un rimprovero per quanto detto.
- "Non essere pedante. - disse, infatti - Sono appena tornato dagli Stati Uniti, siamo stati distanti per settimane. Ci siamo fidati".
- "Ma per voi è diverso. Tu sei diverso. Nick ha cercato di fregarmi dalla prima volta che ci siamo visti, non puoi pretendere che io dimentichi di essere la ragazza paranoica che sono e mi butti a capofitto in una storia con una persona che non ha fatto nulla per guadagnarsi la mia fiducia".
- "Non ti sto dicendo di farlo! Voglio solo che ci pensi bene, prima di prendere una decisione affrettata. So che la tentazione di scappare da questa situazione è grande e soffocante; sarebbe più facile chiudere defintivamente l'intera vicenda, ma è davvero questo ciò che vuoi? Chiuderti a riccio e non lasciare mai entrare nessuno?".
Odiavo il vecchio e saggio Will: finiva sempre con il dire qualcosa di molto intelligente, ed era davvero seccante dover prendere in considerazione l'idea di guardare le cose dal suo punto di vista.
- "Ora sei ingiusto: ho lasciato entrare te".
- "A me pare che ultimamente abbia lasciato entrare molta gente nel suo guscio. Troy vi ricorda qualcosa?".
Warren era ritornato in sala, giusto in tempo per rovinare l'atmosfera di sano dialogo tra me e Will. Quest'ultimo, infatti, lo fulminò con lo sguardo, ma lui, come al solito, interpretò a suo modo l'occhiataccia e ne restituì una sensuale e rovente. Poi tornò con la tazza di tè in cucina, dopo aver imprecato per essersi bruciato la lingua.
Quando si dice punizione divina.
- "Sam, andiamo, sai bene che non è la stessa cosa. Noi siamo amici e quello che c'è stato tra noi non aveva alcun significato per entrambi. Nonostante le mie grandi doti da amatore, - scherzò - è sempre stato lui quello che volevi".
Appoggiai la testa sul divano, fissando il soffitto.
- "Ho paura, Will".
- "Lo so" disse, avvicinandosi a me e cingendomi con un braccio.
- "E se si rivelasse l'idiota che penso che sia?". Mi mordicchiai un labbro e mi strinsi più forte a lui.
- "E se fosse un velociraptor che ti stacca la testa al primo appuntamento con le unghie laccate di rosa?" provò a sdrammatizzare.
- "Stai sempre cercando di convincermi, giusto? - ridacchiai. - E mi pare che tu ti sia già schierato" aggiunsi, più polemica: stava palesemente supportando Nick.
- "Dalla tua, Raviolo. Sempre. Ma forse anche un pochino dalla sua... facciamo quaranta-sessanta?".


Da quando l'inchiesta sul giro di prostituzione era emersa, ero stata invitata ad almeno una ventina di feste. Non ce la facevo più: presentazioni, sorrisi falsi, calici di vino e mal di piedi erano la ricetta base per ognuna di esse e stavo cominciando ad innervosirmi. Era il ventinove di dicembre, avrei voluto stare sdraiata sul divano di casa, con la coda di Romeo a solleticarmi i piedi e non nel mezzo dell'immensa sala riunioni del London Express, sgombra di tavolo e sedie.
All'inizio, avevo pensato di disertare, ma Aldwin Feether, uno dei proprietari del giornale, mi aveva praticamente costretto, stuzzicandomi con la promessa che ci sarebbe stata una sorpresa per me. Più che quella tentazione, però, era stata l'idea di avere una giustificazione per comprarmi un nuovo paio di scarpe, a spingermi ad accettare di partecipare alla festa. 
Nonostante il quarto d'ora trascorso davanti allo specchio per prepararmi all'incontro con Nick, – perché era matematico che ci sarebbe stato – l'agitazione non era svanita; al contrario, se possibile era ancora maggiore. Avevo provato qualche saluto, ma o sembravo una completa cretina, oppure troppo fredda, o troppo accaldata, o... troppo innamorata.
E poi lo vidi entrare nella stanza e intrattenersi con alcuni colleghi. Sorrideva, stringeva mani, ora prendeva un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere di passaggio, ora brindava al successo dell'inchiesta.
Non mi vergognai di fissarlo per cinque minuti buoni, in compenso lo feci quando lui si voltò per caso nella mia direzione, verso il buffet, e mi scoprì. Si fece improvvisamente serio ed io distolsi lo sguardo, mentre sentivo le guance prendere fuoco.
Sono Samantha, ho ventiquattro anni e sono una stalker: ti seguirò finché non t'innamori di me, direbbe Lady Gaga.
Tutta colpa del papillon nero che aveva messo sulla camicia bianca: urlava Strappami! e non mi capacitavo di come gli invitati non potessero sentire.
- "Anche tu ti sei fatta incantare dai suoi begli occhioni angelici?". 
Alla mia destra, due iridi verdognole mi scrutavano sorridenti.
- "Come?" chiesi con gentilezza, sorpresa dall'uomo distinto che avevo davanti, ma non dalla domanda. Indossava un completo grigio scuro, senza la cravatta, maldestramente infilata nel taschino della giacca. 
- "Non serve che tu risponda. Ho già quel che volevo" esclamò affabile, portandosi alla bocca il calice che reggeva in mano e gustando un lungo sorso di vino bianco.
- "Davvero? E che cosa sapresti?" lo incalzai, mentre mi avvicinavo a lui con un'espressione maliziosa.
- "Conosco il fascino dei MacCord" rispose sicuro di sé. Con uno stuzzicadenti infilzò un'oliva, facendola roteare su se stessa per un paio di volte, prima di decidersi a mangiarla.
- "Anche io, ed ho imparato ad esserne immune. – mentii, invano. Se mi aveva beccato a fissare a Nick, sapeva che ero malata di maccordite senza possibilità di guarigione. – Sai, è come le sigarette: una volta provate è difficile smettere, continueresti a fumare, ma poi scopri che fa male e inizi a chiederti se è valsa veramente la pena rovinarsi la salute per un piacere effimero e passeggero".
Lo sconosciuto tacque per un istante, mentre scandagliava mentalmente quanto avevo detto.
- "E ne è valsa la pena?" chiese, infine.
- "I miei polmoni stanno benissimo".
- "Ne deduco che sia un sì".
- "No, – sorrisi beffarda. – La verità è che non mi è mai piaciuto fumare".
Rise debolmente e nascose la propria bocca divertita dietro un tovagliolo.
- "Sei proprio come mi avevano detto". 
Più lo guardavo – l'aria altera, i modi di fari sicuri e spavaldi –, più mi rendevo conto che mi stavo perdendo qualcosa. Chi era quell'uomo?
- "Non sapevo saresti venuto".
La voce di Nick ci colse entrambi impreparati. Poggiai sul tavolo la pizzetta che stavo per mangiare, prima di soffocarmi. Il tizio accanto a me abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, senza smettere di sghignazzare, e gli rispose con una voce impostata.
- "Non potevo mancare alla celebrazione di un tuo successo così importante, ti pare? E poi mi sono appena imbattuto in questa ragazza deliziosa di cui avevo tanto sentire parlare; mi sembra già di conoscerla".
- "Se mi conoscessi, sapresti che il successo così importante è di entrambi e non solo di Nick" intervenni risentita. La gente, per qualche strana ragione, continuava a dimenticare questo particolare.
Ehi, ho rischiato anch'io di morire al porto di Brighton!
- "Di certo non le manca la grinta. Hai ragione, Sammy. Posso chiamarti Sammy, non è vero?".
- "No che non puoi, – lo interruppe bruscamente Nick, lanciandogli un'occhiata di sbieco. – Odia essere chiamata in quel modo". 
Lo sconosciuto alzò stupito un sopracciglio e si lasciò sfuggire un mezzo ghigno, mentre concentrava la propria attenzione sul tavolo pieno di vivande alle nostre spalle.
- "Strano. Mi sembrava di ricordare che tu usassi quel nomignolo..." disse, fingendo di trovare interessante una quiche al prosciutto.
Nick gli si avvicinò di un passo, arrivando ad una spanna dal suo naso.
- "Hai detto bene: io". 
M'intromisi di nuovo, trattenendo a stento un gridolino di contentezza per la frase rabbiosa che aveva pronunciato un insolito Nick nei panni dell'uomo geloso.
- "Non c'è alcun problema. Mi sto abituando ad essere Sammy" squittii, con l'aria più civettuola e da gattamorta di cui fossi capace. – "Visto, Nick? – lo sfidò. – Posso offrirti un bicchiere di vino, Sammy?".
Declinai l'invito, adducendo come scusante il fatto che nemmeno conoscevo la sua identità. L'uomo si rivolse nuovamente a MacCord che dovette ancora far prevalere l'educazione sulla volontà di tirargli un cazzotto.
- "Sam, Dan. Mio fratello" pronunciò controvoglia.
- "Oh, finalmente! – esclamai meravigliata. – È un piacere, Danny. Ora sono pronta ad accettare quel bicchiere di vino".
Dan non era esattamente un MacCord puro. Niente occhioni angelici del padre e del fratello, ma lineamenti molto simili a quelli di sua madre e della nonna Inge. Aveva un fisico asciutto e non mancava certo di fascino – soprattutto dopo il siparietto con Nick –, però sembrava puntare più sul proprio intelletto che sul corpo.
Ci spostammo di qualche metro e lui prese un calice per entrambi, porgendomi il mio.
- "Per quanto tu possa essere una compagnia affascinante, il mio ego non dimenticherà facilmente questo sgarbo, – commentò, mentre osservavamo il fratello parlare con alcuni signori. – Non mi era mai capitato nella vita di offrire da bere ad una donna così poco interessata a me... ".
- "Avevo voglia di vino" lo interruppi.
- "Non mi hai lasciato finire: così poco interessata a me e così attratta da mio fratello. Allora, che ha fatto di male per meritare di rodersi il fegato dalla gelosia, guardandoci a distanza?".
Quante ore aveva a disposizione per ascoltarmi? Perché qualche minuto non era di sicuro sufficiente per riassumergli i miei ultimi sei mesi.
- "Lo sto solo testando. Me ne ha fatte passare di cotte e crude e adesso voglio tenerlo un po' sulle spine".
Optai per una risposta abbastanza diplomatica da permettermi di non dire troppo né troppo poco. 
- "Flirtando con me?" chiese curioso.
- "Flirtando con te" lo accontentai.
- "Bastava dirlo. Quindi ora mi avvicinerò a te, tu fingerai di ridere ad una mia battuta e mi toccherai il braccio. Esatto, in quel modo, – mi rassicurò, tenendo un occhio vigile sul comportamento di Nick. – Adesso ti sussurrerò qualche cosa all'orecchio e a quel punto vedrai che lui imploderà. Non farti vedere che lo stai guardando".
Era incredibile constatare quanto mi risultasse facile applicarmi per farlo ingelosire: sapevo che era una cosa buona e giusta. Sbirciai da dietro la spalla di Dan e mi accorsi che non era più accanto ai signori con cui stava parlando in precedenza: stava uscendo sulla terrazza.
- "Mi vergogno di averlo come fratello; avrebbe dovuto resistere di più. Che aspetti? Vai fuori a fumare!" sussurrò, dandomi una spinta verso la porta finestra.
- "Ma io non fumo!" tentai di replicare. Dan mi sorrise sornione.
- "Comincerai".

Il quartetto d'archi stava suonando. La musica ci giungeva ovattata dal vetro delle finestre e dal freddo di quella serata di Dicembre. Il balcone era piuttosto stretto e si estendeva per parecchi metri lungo tutto il lato del palazzo. Alcuni signori stavano prendendo una boccata d'aria per togliersi dalle orecchie la confusione della festa, altri fumavano. Nick era isolato da tutti e osservava in silenzio il caos sottostante della capitale.
- "Si gela qui fuori" dissi, coprendomi con le mani le spalle.
- "Torna dentro, allora" esclamò scostante.
Mi avvicinai di un passo a lui e, anche se non si era degnato di voltarsi, notai che aveva in mano una sigaretta.
- "Non sapevo fumassi".
- "Una ogni tanto".
- "Posso fare un tiro?". 
Mi porse la sigaretta ed io la intrappolai tra l'indice e il medio della mano destra. 
Gli soffiai sul viso il fumo e la sua immagine offuscata riemerse poco a poco da quella nebbiolina leggera. Il sapore di tabacco in bocca mi aveva sempre infastidito e, a dire il vero, non sapevo nemmeno perché gli avessi chiesto di farlo. 
- "Simpatico tuo fratello. Siete molto diversi; lui è affabile, gentile, garbato... ". Tolse brusco quel che rimaneva della sigaretta dalle mie dita e riprese a fumare. Espirò frenetico e gettò il mozzicone per terra con stizza, calpestandolo con la scarpa.
- "Torna dentro, ti ripeto, – disse freddo e si appoggiò con i gomiti alla ringhiera. – Dan sarà ancora al buffet, se sei fortunata".
- "Sei geloso?" lo stuzzicai. 
- "Geloso di cosa? Di voi due che bevete insieme? Ma per favore". 
Si volse di nuovo verso la vetrata dell'ufficio, le braccia tese sul parapetto.
- "Mi ha chiesto di uscire e penso proprio che accetterò" mentii.
- "Buon divertimento". 
Fece per entrare, ma lo bloccai. Lo condussi in un angolo isolato del terrazzo, dove nessuno ci avrebbe visti o disturbati.
- "Non ci sono problemi se esco con tuo fratello, vero?".
Lo inchiodai al muro con una mano sul suo petto e lo interrogai, aspettandomi delle risposte brevi e concise. Lui mi guardò con un'espressione confusa, piena di sospetto e d'indignazione.
- "Assolutamente" grugnì a denti stretti, sforzandosi di sorridere.
- "Perché posso fare quello che voglio... ".
- "Assolutamente" ripeté.
- " ... e tu non mi ostacolerai".
- "Assolutamente".
Scossi piano la testa e spostai la mia mano dal suo torace. Saremmo potuti rimanere lì tutta la notte e lui non avrebbe smesso di negare fino alla morte di essere infastidito. Come potevo essermi innamorata di uno che era testardo almeno quanto me?
- "Sarai anche un giornalista di successo, ma sei veramente un idiota, Nicholas MacCord" esclamai piano, perché capisse appieno il significato di ogni singola parola.
- "Assolut... come?".
- "Sei un idiota. I-d-i-o-t-a" ripetei.
A quel punto, Nick si scostò dal muro e si sporse verso di me.
- "Perché? Che cosa vuoi da me? Vuoi ignorarmi per tutta la sera? Perfetto. Vuoi uscire con mio fratello? D'accordo. Vuoi fingere che l'altra sera non ci sia stato niente tra noi? Va bene. Non vuoi più vedermi? Come ti pare. – Stava gesticolando come un pazzo. Più che una lite sembrava un numero di magia. Abracadabra: amami. – No, in realtà non mi sta bene nulla di tutto questo, ma se è quello che vuoi, allora fingerò anche io".
Lo fissai con astio, spintonandolo all'indietro.
-"Tu non sai quello che voglio".
- "No, ma so quello che io voglio. Entrambi lo sappiamo. Ed è indelicato da parte tua farmi sapere che andrai ad un appuntamento con Dan".
Benvenuti nel cervello di Nick MacCord, regno dei paradossi.
- "Non trovi sia indelicato usarmi per fare uno scoop? Non è stato indelicato fingere di essere qualcun altro, sapendo che mi avresti ferito? È indelicato essere venuto a Glasgow per fare ricerche su Banks e stare a casa mia, non credi? E non è forse stato indelicato farmi credere che stessi con Katy?".
- "Quella era una tua supposizione!" si giustificò. Certo, quindi la matta visionaria ero io!
- "Ripeto, sei un idiota. Sarà bene che te lo ficchi bene in quella testaccia che ti ritrovi".
- "Ora non fare la maestrina, per cortesia, – irruppe lui, in difesa del suo sacro orgoglio maschile. – Non sei di sicuro Miss Immacolata nemmeno tu!".
- "Io? Almeno non sono stata a letto con dieci donne solo per una scommessa. E dico dieci perché mi ricordo perfettamente delle cretine Candy e Jamie".
- "Vogliamo parlare di te, allora? Escludendo Warren e il fotografo, direi che ti sei data piuttosto da fare anche tu. Non ricordi un certo Troy?".
Troy era finito nel dimenticatoio alla velocità della luce. Era stata colpa di Nick se c'ero finita a letto e non solo per la scommessa. Ero delusa, ferita, sconvolta e arrabbiata. Volevo solo vendicarmi, in un modo assolutamente stupido e inutile, perché se davvero non gli fosse importato nulla di me, di certo non gli sarebbe interessato di sapermi tra le braccia di un altro. E ora quell'errore madornale, quell'errore di una sera, stava diventando la più solida prova di fiducia che Nick mi potesse fornire. Il fatto che gli bruciasse e la consapevolezza di avermi spinto a casa di Troy erano tutto ciò che avevo e volevo.
In quel momento, capii che andando su quel terrazzo, con lui, a tentare di farlo ragionare, a spiegarci, significava avere già compiuto una scelta: mi stavo fidando.
Gli arrivai vicino al mento e lo fissai con malizia. Calibrai bene le parole da dire e le pronunciai, conscia di non poter tornare indietro.
- "Con Troy è stato fantastico" sussurrai quasi in estasi, prima di baciarlo. 
Oppose resistenza, serrando deciso la bocca come avevo fatto io sul suo fuoristrada, ma non mi diedi per vinta e continuai a mordergli le labbra, a succhiarle e a passare con pazienza la lingua nella strettissima fessura tra le labbra. Mi allontanò di una decina di centimetri da sé, serio, fissandomi con insistenza negli occhi.
- "Non così facilmente. A che gioco stai giocando?".
- "Non sto giocando".
- "Stamattina mi hai respinto e stasera fai la carina con me..." mi spiegò, perplesso.
- "Non ti ho mai rifiutato!".
Nick mi osservò di traverso, scettico. Si prese un attimo per pensare, mentre cercava di mettere a fatica insieme pezzi di conversazioni e avvenimenti.
- "Sammy, hai letto il biglietto che ti ho dato qualche settimana fa?" domandò, d'un tratto. 
Mi presi il viso tra le mani, maledicendo la sua cocciutaggine e la sua razionalità: non potevamo solo baciarci?
- "Perché vuoi rivangare il passato? Ho deciso di dimenticare la scommessa, di fidarmi di te, nonostante quello stupido pezzo di carta" mi lagnai.
- "L'hai letto sì o no?" insisté.
- "Che importanza ha?". Pessima scelta di parole, semmai lo avessi voluto convincere.
- "Ti ho fatto delle promesse quella sera nel mio fuoristrada ed ho intenzione di mantenerle. Avevo, perlomeno – che brutto tempo l'imperfetto. Possiamo continuare ad usare il presente, Nick? - L'hai letto?".

Promises are whispered 
The age of darkness
Want to be enlightened
Like I want to be told the end...

- "E va bene: no" mi arresi.
- "Perché?" urlò.
Strinse i pugni e cominciò ad andare avanti e indietro lungo i pochi metri di balcone che rimanevano all'oscuro dalle luci.
- "Perché ho pensato al peggio, che non fossi cambiato e che avessi intenzione di continuare la scommessa. Cosa di cui non sono certa nemmeno ora" aggiunsi, esitante.
- "E allora che senso ha tutto questo? Tu non ti fiderai mai" gridò, confuso e irato.
- "Non è vero, perché ora sono qui, nell'ennesimo patetico tentativo di starti vicino e spogliarti il più presto possibile – Perché finisco sempre col dire proprio tutto quello che penso? – E ho deciso di fidarmi, nonostante non abbia la minima idea di quello che c'è scritto sul biglietto. Mi sto sforzando di lasciar perdere i miei numerosi patemi d'animo e di prendere l'intero pacchetto a scatola chiusa".
- "È il tuo modo contorto per dimostrare che mi credi?".
- "Non ne ho di migliori" ammisi mestamente. 
- "Forse uno sì...".

Finalmente, quella sera capii l'utilità del corrimano dell'ascensore. Nick fece scorrere verso l'alto la gonna del mio tailleur, toccandomi le cosce con le sue mani forti. Avevamo cinquantadue piani di tempo: niente preliminari. Gli strinsi le mani sulle guance e lo baciai con passione, saggiando la sua lingua con ingordigia. Nick sbottonò la mia camicia, mentre io gli slacciavo la cintura e la zip dei pantaloni.
- "Sei impaziente..." mi soffiò sulle labbra, con voce rauca.
Indirizzai gli occhi verso la pulsantiera e lessi.
- "Quarantuno piani" gli risposi e quelle uniche due parole gli fornirono una giustificazione più che sufficiente.
Mi tolsi rapida gli slip e li lasciai impigliati nella scarpa per non farli toccare terra. Nick mi strappò un gemito, quando, senza gentilezza, intrufolò due dita tra le mie cosce.
Trentaquattro piani.
Lo baciai sul collo, lasciandogli tracce di rossetto porpora sul colletto della camicia. Poggiò una mano sul mio seno, mentre mi aiutava a sistemarmi meglio – per quanto fosse possibile – sul corrimano. Quando si accorse che ero già pronta ad accoglierlo, sorrise diabolico ed entrò con foga dentro di me, muovendosi ritmicamente, facendomi sospirare ad ogni affondo.
- "Dio, come sei bella" sussurrò nel mio orecchio, con un tono caldo e sensuale che mi provocò il solletico lungo tutta la spina dorsale. Mi appoggiai sul suo petto e gettai la testa all'indietro, totalmente assoggettata alle sue mani e alla sua bocca, sul collo e sul seno.
Diciotto piani.
- "Dovrò aumentare il ritmo. Ti dispiace?" ghignò, fermandosi qualche istante per rinsaldare la presa sui miei fianchi e riprendere fiato.
- "Niente affatto" gli soffiai sulle labbra.
Quindici piani. 
Come promesso, riprese a muoversi più veloce; affondai le unghie nella sua camicia per avvicinarlo il più possibile a me e ansimai i suoi movimenti che si facevano via via più profondi. 
- "Nick!" biascicai, con l'ultimo briciolo di lucidità rimasta, prima di raggiungere l'apice insieme a lui.
Sette piani.
Mi baciò sulle labbra a lungo, senza abbandonare la sua posizione tra le mie gambe.
Due piani.
Il trillo dell'ascensore ci ricordò che stavamo per arrivare al piano terra e che eravamo ancora mezzi spogliati. Cominciamo a rivestirci in fretta, per evitare di mostrarci mezzi nudi una volta che le porte si fossero aperte. Mi sistemai alla bell'e meglio, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso; era bello, sexy, eccitato ed eccitante.
Tempo scaduto; le porte si spalancarono e una coppia sui settanta ci guardò cordiale, nonostante Nick avesse le labbra contornate da un alone rossastro di rossetto sbavato e il papillon sfatto ed io fossi terribilmente a disagio, con i bottoni slacciati. Se solo avessi avuto un minuto per ricompormi in modo decoroso... mancavano almeno trenta secondi buoni per sistemarmi e rendermi presentabile.
Cavolo. Mancavano le mutandine.
Abbassai il volto verso il pavimento, alla ricerca degli slip perduti, mentre i due anziani trovavano spazio proprio davanti a noi. Il mio povero brasiliano di pizzo era finito nell'angolino di sinistra, accanto al signore baffuto che accompagnava verosimilmente la moglie. Nick parve capire al volo ciò che stava frullando nella mia testa e si allungò finché vi ci poté poggiare la scarpa.
L'ascensore si bloccò.
- "Non è il vostro piano, ragazzi?'" domandò la signora. 
- "No, - risposi per entrambi - ho dimenticato una cosa al piano di sopra" mentii.
Il marito premette il pulsante, mentre la voce serafica di Nick mi sussurrava nell'orecchio.
- "Le mutandine, forse?".
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, sentendomi andare a fuoco il ventre al solo sentire il suo respiro sulla nuca.
La coppia anziana scese al terzo piano, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo e di tornare presto tra le braccia di Nick. 
- "Salvataggio in extremis, eh, Sammy?" disse, alludendo a quanto nascosto sotto la sua scarpa verniciata di nero.
Di nuovo al piano terra, stavolta riuscimmo a lasciare l'ascensore prima ed il palazzo poi.
Gettammo gli slip, ormai imbrattati, in un cestino ed io fui costretta ad andare in giro senza.
Nick passò un braccio dietro la mia schiena, attirandomi a sé.
- "Non si era detto 'niente effusioni in pubblico'?"domandai curiosa.
- "Non avevo considerato il fatto che avresti potuto vagabondare per Londra senza mutandine. E, a proposito, la cosa mi eccita da morire" sospirò tra i miei capelli.
- "Buono a sapersi..." lo stuzzicai.
- "Verrà mai il giorno in cui riuscirò a capirti? Sei dannatamente complicata, Samantha Grayson".
- "Semmai staremo ancora insieme... – stare insieme? – cioè, voglio dire... sai, sono una persona imprevedibile... non è per questo che mi am...?".
Oh, cavolo. Che mi venga un colpo.
Mi zittii in un istante, il viso colorato di rosso vergogna di fronte alla maschera di puro divertimento che era la faccia di Nick.
- "Am... cosa?" ridacchiò.
Un verbo con la A, un verbo con la A, un verbo con la A...
- "Adombri" sputai veloce, come se fosse veleno.
Adombrare? Sul serio? Ammirare era troppo difficile? Adorare? Abbracciare?
- "Adombri?" ripeté lui, palesemente rallegrato dalla sfilza di mie pessime figure.
- "Sì, ehm... ho dimenticato la borsa, devo tornare su. Ci sentiamo domani, okay?".
Scappare sembrava l'unica soluzione per sfuggire a quella catastrofica sequela di gaffe che io stessa avevo provocato. Nick cercava di contenersi, ma non gli riusciva molto bene. Bloccò la mia fuga, prendendomi per un polso e facendomi voltare verso di lui.
- "Non te ne vai da nessuna parte, Sammy". Mi catturò tra le sue braccia, poco prima che la voce di Dan ci costringesse a spostare lo sguardo all'ingresso del palazzo della redazione.
- "Nick, non stai forse dimenticando qualcuno? Sono venuto in taxi ed ho intenzione di tornare a casa con te" brontolò suo fratello.
- "Trovati un passaggio".
- "Non fare lo scorbutico, 
 lo rimbrottai.  Vi vedete così poco...".
- "Dormi a casa mia" provò di nuovo Nick.
- "Domani mattina dobbiamo fare colazione con la nonna alle sette e trenta.
 Meglio dormire direttamente a casa di papà e mamma".
Nick cominciò a fare un paio di calcoli, pur sapendo che non c'era modo di trascorrere ciò che restava della notte insieme.
- "Porto lui dai miei, torno, dormo con te un'ora e poi riparto. Ah, la vedo dura. Sammy, lo so che sei ancora nella fase in cui mi vedi come Superman, perfetto, ma purtroppo te lo devo dire: non lo sono". 
- "Non c'è mai stata quella fase" lo informai seria.
- "Ci sarà sempre, invece! Chiamami quando torni a casa. Verso le dieci, prometto di venire a portarti la colazione a letto. Facciamo che ti porto la colazione e che ti porto a letto" disse, abbassando la voce.
Mi avvicinò a lui e mi baciò sulle labbra.


Decisi che avrei chiesto un passaggio a Valerie, non appena fossi riuscita a braccarla nella confusione della festa. Purtroppo, quando ritornai nella sala riunioni, Aldwin Feether m'informò che l'aveva appena vista dal balcone lasciare il palazzo a bordo di una Spider, quella di suo marito Jonathan.
- "Ma non ti preoccupare, sono sicuro che qualcuno ti porterà a casa, cara".
Aldwin era un vivace signorotto sui settanta, coi capelli impomatati e un'acqua di colonia talmente forte da battere in intensità un intero campo di lavanda in piena fioritura. Si era levato la giacca già da parecchie ore, lasciando in vista la pancia strizzata in una camicia turchese e le bretelle scure. Mi prese sottobraccio e cominciò a passeggiare lungo la stanza, trascinandomi con sé. Al terzo giro di sala in cui discutevamo del prezzo del petrolio in Kazakistan, lo fronteggiai, gli misi una mano sul petto e lo fermai. 
- "Che c'è, Aldwin?" domandai sospettosa.
I suoi folti baffi neri si arcuarono per la sorpresa. Non riuscii ad interrogarlo, perché mi sfuggì da sotto il naso, correndo goffamente verso il centro della stanza. Soltanto in quel momento mi resi conto che tutta la gente era fluita verso una parte della sala e che eravamo rimasti solo io e il quartetto vicino al buffet. Gli invitati mi fissavano con insistenza, le bocche sorridenti e lo sguardo sereno, come di chi sapeva esattamente ciò che stava per accadere.
Perché mi guardano tutti? Oddio, ho un pezzo di prezzemolo tra i denti? Troppo piccolo perché lo possano vedere tutti. Una foglia di lattuga sui capelli? Carta igienica attaccata alle scarpe? Oh, Gesù, dimmi che non sanno tutti che sono senza mutande!
Un blackout intervenne a salvarmi da quell'imbarazzante situazione; ci ritrovammo al buio, la stanza rischiarata dal debole riflesso delle luci artificiali delle vie di Londra sotto di noi e dal segnale verde che indicava le uscite di emergenza. La cosa non parve affliggere la festa: non ci fu nessun chiacchiericcio preoccupato, nessuna rassicurazione da parte dei padroni di casa, solo qualche risolino diffuso, presto soffocato.
Prima che potessi rendermi conto di ciò che stava succedendo, un grosso faro pendente dal soffitto si accese ronzando, e illuminò me e il quartetto. Mi guardai attorno a disagio, mentre mi riparavo gli occhi da quella luce penetrante che mi scaldava la pelle.
- "Che sta succedendo?" gridai stridula. 
I violini cominciarono a suonare una melodia conosciuta, mi ci vollero pochi secondi per riconoscere la canzone che le note stavano componendo: My heart will go on. Celine Dion.
Molto efficace, anche se un po' struggente e catastrofica, sconsigliabile in caso di viaggi in nave, soprattutto se traversate transatlantiche.
Altro che nonna Inge... Nick stava per presentarci come coppia ufficiale davanti a colleghi e amici; come al solito aveva previsto tutto.
Certo, tutto quell'impianto non era proprio nel mio stile – un tantino pomposo e megalomane e sdolcinato – e di sicuro l'indomani avrei dovuto fissare un appuntamento dal dentista per controllare le carie.
Ero terribilmente a disagio: musica in sottofondo, centinaia di occhi che immaginavo puntati su di me e faro effetto abbronzante schiaffato su di me significavano tonnellate d'imbarazzo. Avrei preferito - e di molto! – un divano, lo stereo, luci soffuse e un ben più riservato tête-à-tête.
La porta in fondo alla sala si spalancò, aprendo un fascio di luce che si allungava man mano che l'uscio si allontanava dal battente. Il raggio mi lambì i piedi, un attimo prima che una figura maschile si delineasse sulla soglia della stanza, riempiendo d'ombra la luce.
La silhouette slanciata e ben costruita era illuminata posteriormente; avanzava verso il piccolo corridoio creato per la serata con un andamento che trasudava sicurezza. Ad ogni suo passo corrispondevano almeno tre battiti del mio cuore. Stavo tremando come una foglia e avrei voluto andarmene a gambe levate. Veloce, in bagno, scambiarmi con un Warren – magicamente apparso proprio nella toilette – che avrebbe gradito di certo tali esagerate attenzioni.
L'uomo avanzò verso di me e abbassò un braccio per allungarlo lungo il fianco, rivelando di avere in mano un oggetto di forma pressoché conica: un mazzo di fiori.
La tensione e l'attesa mi stavano logorando; il tavolo del buffet era troppo lontano per prendere in considerazione l'idea di cercare un'arachide e sperare in un provvidenziale shock anafilattico che mi togliesse da quell'agonia.
Era tutto troppo sbagliato, così lontano dal mio modo di fare e di intendere una dichiarazione d'amore.
Sam, vuoi davvero stare con uno che ti organizza tutto questo? 
E rieccola che tornava, la voce della coscienza, pronta a mettere in dubbio ogni mia (non) certezza. No, che non ci volevo stare. Chiusi gli occhi, mentre la figura che sapevo appartenere Nick macinava gli ultimi metri che ci distanziavano.
- "Apri gli occhi, passerotta".
Quel soprannome me li fece spalancare in un baleno.
Ma che diavolo...?
- "Ralph?" gracchiai sorpresa.
La mia voce venne sovrastata dall'inopportuno acuto di Celine Dion. Incravattato e imbellito come al proprio matrimonio, il rapper più discusso degli ultimi mesi ridacchiò giulivo del mio stupore e mi porse un mazzo di rose rosse. Che originalità!
- "È finalmente arrivato il momento, amore mio".
Il momento di farti internare?
Le luci si riacceso e scoprirono i volti complici di tutti gli invitati; i mariti osservavano la scena vagamente annoiato, al contrario delle donne, l'aria sognante per il traboccante – e presunto – romanticismo del gesto. Ralph d'improvviso s'inginocchiò e sfoderò dalla tasca interna della giacca una scatolina da gioielleria. Lo guardai terrorizzata ed inorridita aprirla, svelando un grosso diamante, montato su un'ingombrante base di oro giallo.
- "Lady Samantha Ellen Grayson di Glasgow, vuoi diventare la signora Ralph J?".
Nella mia vita passata dovevo essere stata qualcuno di molto cattivo: un dittatore sanguinario, un omicida seriale, un boia, un bambino mangiacaccole o l'inventore della bomba atomica, perché non era possibile che mi cacciassi costantemente in situazioni al limite del surreale.
Più guardavo quell'anello, più realizzavo che la situazione mi era del tutto sfuggita di mano. Ralph J mi stava chiedendo in moglie. Io e lui. Disastro garantito.
E poi quella presentazione da proposta di matrimonio del Settecento! Nemmeno il signor Darcy si era rivolto a quella maniera a Elizabeth Bennet. 
- "Sam? – mi richiamò. – Allora? Hai un  da pronunciare, fragolina". Sorrise e si voltò verso gli altri invitati, in cerca di approvazione e complicità.
Vediamo... come dire ad un uomo che hai già rifiutato una volta, con cui sei andata a letto per una scommessa, a cui hai promesso che un giorno sareste stati insieme, che hai aiutato ad uscire dal carcere dopo un'accusa di favoreggiamento della prostituzione, che ha l'età cerebrale di tuo nipote di quattro anni, che ha organizzato una dichiarazione del genere davanti ad una folla adorante di un centinaio di persone... bene, come dirgli che l'ultima cosa che vorresti fare nella vita è sposarlo?
- "Possiamo parlare in privato?" provai a prendere del tempo per trovare il modo di edulcorare almeno un pochino la realtà.
- "Sentito, ragazzi? La mia crostatina deve parlare con me. Tutti fuori!".
- "Fermi! Ralph, usciamo noi, d'accordo?".
Ralph si avvicinò e mi bisbigliò sul viso, mentre il resto degli astanti tentava disperatamente di tendere le orecchie e carpire almeno qualche stralcio di conversazione.
- "Pesciolina, ma quando dici che vuoi 'parlare', intendi che vuoi fare del sesso? – s'informò, confuso. – Perché altrimenti posso fare qualche flessione e gli addominali risulteranno più tonici".
Lo guardai inorridita e lo trascinai nell'ufficio più vicino.
- "Senti, io ti voglio bene, davvero, e sono contenta di vederti fuori di prigione. Però, non ci conosciamo: non sai che odio le rose rosse, non sai che il mio secondo nome è Eleanor e non Ellen, non sai che non indosso mai l'oro giallo perché... beh, perché è giallo e non mi pare s'intoni molto bene con il mio colorito. Sono piuttosto pallida e purtroppo devo andare controtendenza: niente colori fluo per me, sembrerei un cadavere rifrangente. Un tragedia, no? Ad ogni modo, capisci cosa ti sto dicendo?".
Ralph annuì vigorosamente, come un soldato avrebbe fatto con un comandante, gli occhi sbarrati e l'espressione vacua.
- "Al nostro matrimonio il tuo vestito non sarà di un colore fluo? – No, non era proprio ciò che intendevo. – Coniglietta, non capisco. Dopo la favolosa notte d'amore che abbiamo trascorso insieme mesi fa, mi hai detto che non era ancora tempo per noi. Ho aspettato un segno che ci facesse ricongiungere e tu mi hai fatto uscire di galera. Topolina, più chiaro di così! Dobbiamo rimanere uniti per sempre".
E se gli dicessi che sono lesbica? Meglio essere chiari.
- "C'è qualcun altro nella mia vita al momento" dissi, nel tentativo di essere il più delicata possibile. Ralph sorrise comprensivo.
- "So che hai un gatto, frittatina. Non c'è alcun problema" mi spiegò.
- "Non in quel senso. C'è una persona".
- "Vivi con tua madre. Ho indovinato?"
La mia pazienza si stava drammaticamente esaurendo.
- "No, è un uomo" provai.
- "Oh, allora è tuo padre?".
- "No, Ralph, volevo dire che ho una specie di ragazzo". 
- "Tuo figlio? Scimmietta, sarò un patrigno perfetto!".
No, niente, non ci arriva.
- "Intendevo una specie di fidanzato".
- "Un fidanzato fidanzato?". Stavo per prostrarmi a terra ad urlare dalla gioia: ce l'avevamo fatta!
- "Sì, cavolo, sì" urlai dalla contentezza che avesse finalmente compreso e dalla liberazione.
La porta si spalancò e sbatté contro il muro, mentre due signore sui settanta si facevano avanti per abbracciarmi ed una terza urlava nella sala riunioni attigua.
- "Ha detto , ragazzi!".
Oh. Merda.

La limousine di Ralph accostò proprio sotto il mio condominio. Era scoppiato il finimondo, subito dopo che quelle tre vecchiacce avevano rivelato all'intera festa il nostro presunto fidanzamento. Decine di persone erano venute a congratularsi con noi, senza nemmeno darci il tempo di spiegare il malinteso perché di sicuro, no, insieme non avremmo avuto figli maschi e no, non avremmo invitato loro, gente perlopiù sconosciuta, che prometteva frullatori o vasi come regali di nozze.
Ralph e io eravamo riusciti a sgattaiolare via, grazie all'aiuto della sua nuova guardia del corpo – incredibilmente dalla fedina penale intonsa – e del signor Feether.
- "Dovrò scrivere almeno un paio di canzoni su di te, lo sai, vero? – annuii, sorridendo. – E dovrò chiamarti 
stronza o sgualdrina, o entrambe le cose. Forse anche vacca o quella brutta parola con la t..."
- "Sì, d'accordo, ho capito, – tagliai corto: il concetto era limpido e cristallino. – Grazie del passaggio, Ralph". 
Mi sporsi verso di lui e gli depositai un bacio sulla guancia. Mi stritolò in un abbraccio e cominciò a singhiozzare.
- "Non ti dimenticherò mai, Sam!".
- "Mica sto morendo! Possiamo sempre sentirci e uscire a bere qualcosa. – I suoi occhi lucidi tornarono a sorridere. – L'importante è che ti tieni fuori dai guai" mi raccomandai.
Scesi dall'auto e sentii il finestrino scendere.
- "Ciao, farfallina. Un giorno staremo insieme, vedrai".
Feci di sì col capo e lo salutai mentre l'autista avviava il motore e partiva.
Un giorno, certo: ho libero il 21 dicembre 2012, che te ne pare?

Il campanello. Qualcuno ci si doveva essere addormentato sopra, perché altrimenti non si spiegava quel rumore odioso e continuo che mi stava stordendo le orecchie da almeno cinque minuti. Neanche mettere la testa sotto il cuscino e il piumone era servito.
Mi alzai con un diavolo per capello ed andai ad aprire alla porta, domandandomi se un omicidio fosse il modo giusto per cominciare la giornata. Mah... tutto quel sangue sul pigiama. Visto la mia scarsa compatibilità con la lavatrice, meglio di no. Rompere l'osso del collo sarebbe stato meglio.
- "Will ti odio" dichiarai aprendo, con un occhio semichiuso.
- "Pensavo di morirci, sul pianerottolo, – 
Nick. Mi leggi nel pensiero. – Stamattina mi è successa una cosa strana: mi sono svegliato presto, ho fatto una doccia, mi sono seduto sul divano per gustarmi la colazione con i miei in santa pace davanti al telegiornale delle 7.30. E sai cosa ho scoperto? Pare che la mia ragazza si sia fidanzata con un altro. In diretta nazionale" affermò calmo, mentre io lo precedevo nel salotto, dove ci sedemmo uno di fronte all'altro.
- "Davvero? – Non so per quale motivo, ma d'improvviso mi ero del tutto svegliata. – Non sono la tua ragazza" ribattei.
La Samantha tredicenne che c'era in me non aspettava altro che lui la smentisse, per cominciare a disegnare 
S e N attorniati da cuoricini su fogli trovati per casa, durante qualche telefonata. Che le mie figuracce del giorno precedente stessero dando i loro frutti?
Nick mi fissò senza scomporsi, alzando un sopracciglio sorpreso.
- "Infatti parlavo di Harmony" disse tranquillo.

Presi un cuscino dal divano e glielo scaraventai in piena faccia, premendo; gli stavo facendo un favore, in realtà. Era una metafora: vuoi stare con lei? Bene, sarebbe soffocante quanto un sacchetto di plastica in testa. Io? Fresca e leggera come una boccata d'aria fresca di montagna in una giornata estiva, con il cielo pieno di uccellini, le farfalle che volano felici, il sole che ti scalda il viso, gli alberi che si muovono nel vento, il rumore di un ruscello in lontananza... devo continuare?
- "Scherzavo, dai, – si difese lui, bloccandomi le braccia. – Non sulla questione del fidanzamento, però".
- "È una lunga storia. Ti basti sapere che ho declinato la proposta" dissi vaga e mi alzai per andare in cucina.
- "Per qualche ragione in particolare?" s'informò lui.
In un attimo si era alzato e mi aveva seguito, sedendosi al tavolo da pranzo.
- "Ho la testa altrove, diciamo. Tornando ad Harmony, hai qualcosa da dichiarare?".
Sorrise furbo, come se non attendesse altro che sentirsi fare quella domanda. Sapeva che prima o poi l'avrei posta.
- "Ho dovuto coinvolgerla perché mi serviva una ballerina di cui fidarmi al 
Pumping Pumpkin".
Presi una mentina dalla cucina per rinfrescarmi l'alito mattutino e capii perché aveva chiamato la gallina biondo platino: gli unici talenti che servissero in un night-club erano i due respingenti davanti, e con Harmony era andato sul sicuro. I miei – piccoli, preziosi e rari – si sarebbero consumati troppo a stare in quell'ambiente.
- "Avresti potuto chiedere a me..." azzardai. 
Mi raggiunse dall'altro lato del tavolo e aprì un armadietto, in cerca di un bicchiere che riempì con del succo d'arancia trovato nel frigo.
- "Oppure no. Diciamo che non mi faceva impazzire l'idea di coinvolgerti ulteriormente".
- "Sarebbe stato pericoloso?".
Se attaccava di nuovo con la storia della principessa da difendere...
- "Saresti stata mezza nuda di fronte ad altri uomini. – La sua spiegazione era 
molto meglio della mia. – Poi cosa avrebbero detto i tuoi colleghi della redazione? Già ho dovuto zittirli quella volta al bar, quando avevano scoperto della scommessa. Il problema è che parli troppo. Motivo per cui ho dovuto mettere della valeriana nel tuo bicchiere d'acqua, prima di portarti in aperta campagna" si risedette e mi osservò di sottecchi.
- "Qu-quando? – gridai sconvolta. Ragionai su quella sera e mi accorsi di qualche stranezza. – Non è un caso che sia squillato il telefono e che non ci fosse nessuno dall'altro capo del telefono, vero?".
- "Sono astuto, che ci vuoi fare, – si compiacque. – Tu, piuttosto, ti presenti così a Will?".
Notai com'ero vestita: una maglia con degli orsetti e un paio di pantaloncini ridicolmente corti, abbinati ad un elegantissimo paio di calze antiscivolo.
- "Non c'è nulla che lui non abbia visto" commentai, conscia di punzecchiarlo.
- "Capisco, – tentò di fare l'indifferente, poi si mostrò curioso di conoscere altri dettagli. – L'avevi fatto con lui quella sera che mi sono presentato da te, dopo la lite per Harmony?".
- "No. – Nick parve sollevato dalla mia risposta. – Quella volta avevamo giocato a strip-poker".
Il succo che stava bevendo gli andò di traverso, facendolo tossire. Mi voltai verso la credenza e presi la scatola dei biscotti, giusto per non mostrargli quanto largo fosse il sorriso sulla mia faccia.
- "È una cosa che fai abitualmente con i tuoi amici uomini?".
- "Sono una donna libera e indipendente" alzai le spalle.
Rubò il biscotto smangiucchiato che avevo nella mano, lo mandò giù in un solo boccone e appoggiò il gomito sulla tavola. 
- "Facciamo che ora sei una donna indipendente."
- "Se lo dici tu...".
Sorrise e mi fece cenno di seguirlo sul divano, senza biscotti o merendine, naturalmente. Briciole sui cuscini? Per carità!
Ci accomodammo uno accanto all'altro, il suo braccio ad avvolgermi le spalle e il mio corpo rannicchiato contro il suo. Mi sollevò il mento con un dito e mi baciò piano.
- "Buongiorno, – gli risposi socchiudendo gli occhi e riposizionando la testa sul suo petto. – Di mattina, sei sempre così fredda come un ghiacciolo?".
- "Mi sto solo godendo un po' di pace, – brontolai. – Ma sarà meglio chiarire un paio di cose: innanzitutto, se io ho perso il mio status di persona libera, è ovvio che l'abbia perso anche tu". 
- "Mi sembra giusto, – concordò. – E ti farà piacere sapere non sono andato a letto con tutte quelle donne. Alcune erano solo delle colleghe che hanno finto di fare altri mestieri per aiutarmi. Tanto sapevo che non avresti mai avuto il coraggio di guardare i video".
In realtà, uno l'avevo visto: il primo, in compagnia di Will. Un filmato amatoriale che mi aveva fatto accapponare la pelle e che non ero riuscita a vedere fino alla fine, ma le cui immagini si erano ormai stampate indelebilmente nel mio cervello. 
- "Anche le sorelle Rowell?" chiesi, sebbene conoscessi la risposta.
- "Ero giovane e ingenuo all'epoca..." sospirò, guadagnandosi una gomitata nel costato.
- "Già, avevi sei mesi di meno, – risposi sarcastica. – E comunque nemmeno io sono stata poi così sincera: solo con il cantante, il ladro, il tecnico dei computer e con Troy".
- "Sono comunque due in più di me, – constatò contrariato. – Quindi, chi vince la scommessa?".
Sbuffai e mi allontanai di qualche decina di centimetri dal corpo caldo di Nick; non mi sentivo ancora a mio agio a discuterne apertamente, ma lui mi riacciuffò le spalle e se le riportò di nuovo addosso.
- "Non m'interessa, Nick. Sai come la penso su questo argomento" cercai di divincolarmi e lui, questa volta, mi lasciò fare.
- "E come?".
- "Basta con i giochi" sentenziai, alzandomi dal divano.
- "Andiamo, Sammy, manca solo una cosa e potremo chiudere definitivamente la questione".
- "Cioè?".
- "L'ultimo bigliettino".
M'irrigidii d'istinto. Ne avevo le tasche piene di questa storia, non vedevo l'ora di lasciarcela alle spalle, senza
 contare che non ero in possesso di questo stramaledetto pezzo di carta.
- "E allora non lo sapremo mai. L'ho perso" ammisi.
- "Ah, davvero? – ridacchiò Nick. – E, quindi, questo che ho in mano che cos'è?".
Tra le sue dita era comparso magicamente un foglietto di carta. O, meglio, 
il foglietto di carta.
- "Dove l'hai preso?" urlai, avvicinandomi con delicatezza, neanche avesse in mano una ciglia – preziosissima! – di Marc Jacobs.
- "Un uccellino me l'ha ridato".
Un uccellino? Un angelo!
- "Chi?" – domandai subito, ma mi vidi negata la risposta.
- "Ho promesso di non dirlo. – Guardai Nick in cagnesco e lui cambiò subito opinione. – Ma, visto che vogliamo inaugurare subito la nuova politica del 
niente più segreti, te lo dico: è stato Warren".
- "Warren?".
La mia superficiale checca isterica che non pensa a nessun altro oltre che a se stesso medesimo e alle sue regioni subequatoriali? Ho sempre creduto che in fondo, molto molto molto in fondo, ci fosse un frammento di cuore umano in lui.
- "L'ha trovato mentre era qui a casa tua e me l'ha restituito, perché ha pensato che se avessi voluto fidarti, avresti dovuto farlo anche senza conoscerne il contenuto".
Esitai per qualche istante, poi lo presi e lo accartocciai nella mano. Andai in cucina e lo gettai nella pattumiera: non avevo bisogno di uno stupido foglio di carta per fidarmi di Nick.
- "Non mi serve più, – commentai, tornando nel salone. Lui stava ridendo sotto i baffi, ben sapendo che, qualche secondo dopo, la curiosità mi avrebbe divorata viva. – Però magari una sbirciatina, giusto per stare sicuri" esclamai. 

Per fortuna, il cestino era vuoto; c'era solo quel biglietto solitarioe  c'impiegai meno di tre secondi a recuperarlo ed aprirlo.

Fidati di me. 
P.S. Ti adombro anch'io.

Rilessi quel bigliettino almeno una decina di volte, senza riuscire a togliermi il sorriso dal viso. Quella seconda frase, aggiunta da poco con un inchiostro nero, era quanto aspettavo di sentire da tempo immemore. E quello era un modo assurdo e decisamente originale per dirlo, ma ero certa che non ce ne fossero di migliori.
- "Quindi?" domandò.
- "Quindi cosa?".
Richiusi il foglietto e lo misi sul tavolo con noncuranza, fingendo che ciò che avevo appena letto non mi avesse messo sottosopra cervello e stomaco.
- "Non dici nulla?".
Avevo così tante cose da dire, da urlare a tutto il condominio ed erano tutte ammassate e pronte ad esplodere! E non avevo idea con che cosa avrei cominciato, perché ciascuna sembrava essere quella giusta per il momento.
- "Ho fame, – esclamai infine: avevo bisogno di digerire quelle quattro paroline che mi si erano bloccate in gola. Forse sotterrandole con del cibo, sarei riuscita a riprendere a respirare con regolarità. – Vuoi un pancake? Sai, qualcuno mi ha detto che mi avrebbe portato la colazione...".
- "È mezzogiorno e un quarto, pensavo fossi già sveglia da ore".
- "È l'alba, Nick".
Cominciai a togliere dall'armadietto e dal frigorifero gli ingredienti necessari a cucinare. Presi uova, zucchero, sale, farina, zucchero a velo, vanillina, lievito... non avevo idea di come si facessero i pancakes nella vita di tutti i giorni, figuriamoci in quegli istanti, con il cervello fritto e lo stomaco chiuso.
Ruppi un paio di uova e le frullai con una forchetta, sale, pepe.
Forse queste sono le omelettes?
Nick mi fissava incuriosito dalla mia incapacità e inorridito dalla poltiglia giallognola che avevo creato. Si tolse il maglione e rimase con la sola maglietta a mezze maniche. Anche lui d'un tratto si era accorto del caldo che regnava nel mio appartamento?
- "Ma i pancakes non si fanno così! – mi sgridò. – Hai diviso i tuorli dagli albumi? Dammi qua!".
Il risultato della sua vicinanza fu che la mia mano strinse ancora più forte la forchetta, mentre lui si sistemava dietro di me, avendo cura di far aderire il suo corpo al mio. C'erano dei problemi logistici, però: lui, essendo mancino, non era in grado di utilizzare la posata con la destra, mentre io avevo l'handicap contrario. Alla fine, si limitò a cingermi la vita e a baciarmi il collo per distrarmi.
- "Lasciami lavorare, per cortesia. Credi che non sia in grado di fare uno stupido pancake! Sono dieci volte più brava di te".
- "Scommettiamo?".
Prese altre uova dal frigo e un'altra ciotola dalla credenza per fare la sua – che non dubitavo fosse l'autentica – versione dei pancakes.
- "Certo".
Interruppe la ricetta solo per dettare le condizioni.
- "Se vinci tu, ti offro il pranzo giù al bar, perché è ovvio che non mangerò quella sbobba che stai preparando e tu di certo mangerai la mia. Se vinco io... – Fece una pausa strategica, puntando i suoi occhi sul mio pigiama striminzito. – Mi offro di pranzare con lo sciroppo d'acero su di te".
Guardai il mio intruglio nella terrina, era evidente che non ne sarebbe uscito nulla di buono. Perciò, catturata l'attenzione di Nick, lo costrinsi ad osservarmi, mentre ne vuotavo il contenuto nel lavandino. 
Lo sciroppo d'acero era già sul tavolo. Lo acchiappai con la mano destra e con la sinistra afferrai il braccio di Nick, trascinandolo in camera da letto. 
Perché per una volta, no, non mi sarebbe dispiaciuto perdere una scommessa.


State of love.

Non mi sembra vero di essere riuscita a finire questa storia e, nonostante mi dispiaccia un pochino, sono contenta di aver portato a termine qualcosa.
Voglio semplicemente ringraziarvi per essere arrivati fin qui, per aver recensito o anche solo semplicemente letto.
Un ringraziamento particolare va a nes_sie, (che oltre a betare è anche una grandissima rompipalle e mi ha costretto a finire il capitolo, e soprattutto perché ricorda molte più cose di questa storia, di quante ne ricordi io), a SunshinePol che ha gentilmente trascritto a computer parte dei miei confusi appunti scarabocchiati a mano e in generale a tutte quelle che mi hanno spronato - un termine elegante per indicare qualcosa che non lo è stato - a scrivere questo maledetto capitolo 37.
La canzone del titolo è dei Pearl Jam e se qualcuna di voi avesse notato che sono un pochinoinoino in ritardo nella pubblicazione... beh, sappia che è la sola a pensarla così ;)
Se vi andasse, ho cominciato una nuova storia, una mini totalmente diversa da C'eral'acca. La trovate qui: In Her Shoes.
Grazie ancora.
S.  

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