Le Cronache del Monolocale

di Cat_and_Rabbit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il pulcioso appartamento ***
Capitolo 2: *** I nuovi vicini ***
Capitolo 3: *** 3. Shopping alla Cyberdog e un ragazzo dagli occhi azzurri ***
Capitolo 4: *** 4. Modello ***
Capitolo 5: *** 5. Abbiamo un problema ***



Capitolo 1
*** 1. Il pulcioso appartamento ***


Sappiate che questa storia è ispirata alle autrici, quindi non ha assolutamente senso. XD Potrebbe avere 2 capitoli come 100. E' nata dopo un breve ma sentito soggiorno londinese che ha lasciato un profondo segno in noi medesime. XD

Buona lettura.

(ps: per i fan di Matt e Mello, i nostri eroici amici salteranno fuori nel prossimo capitolo)

1. Il pulcioso appartamento              

  Non sarebbe stata la prima volta che il direttore minacciava di licenziarle, lasciarle sul lastrico e troncargli una carriera non ancora iniziata, anzi, la cosa davvero strana era che quel mattino al telefono non l’avesse fatto: si era limitato a convocarle in redazione e riattaccare prima che potessero ribattere. Così, meno di un’ora dopo, due giovani donne erano uscite dal condominio dove vivevano per dirigersi alla più vicina stazione della metropolitana. Si chiamavano Lisa, detta Uccia, e Serena, detta Serena, ed erano rispettivamente una fumettista e una scrittrice, da circa sei mesi al soldo della redazione di un giornaletto per adolescenti a uscita bisettimanale. La vera scommessa – rinnovata ogni volta che squillava il telefono o arrivava una mail dalla direzione – era per quanto ancora sarebbero riuscite a tenersi l’impiego, perché sembrava che la loro arte, come dire…cozzasse leggermente con le idee dell’editore.

Editore che, quando le vide entrare nel suo ufficio, non si preoccupò neanche di salutarle: si limitò a lanciare sulla scrivania due fascicoli.

- Buongiorno anche a lei. – commentò Serena.

- Silenzio. – intimò l’uomo – Cos’è questa roba?

Nessuna risposta.

- Allora?!

- Non ha detto di stare in silenzio?

L’editore aveva alle spalle sei anni di yoga e per questo, solo per questo, nessuna delle due era ancora uscita da quel posto passando dalla finestra.

- Spiegatemi cos’è questo schifo che mi avete mandato per mail.

Uccia sfogliò velocemente uno dei fascicoli. – Beh, questi sono disegni. E secondo me in quell’altro potrebbero esserci dei fogli scritti, che dice?

- Dico che alla prossima battuta uscite da qui passando dalla finestra! – per l’appunto. – Quante volte ve lo devo dire che non voglio queste porcherie sul mio giornale?! È una rivista per adolescenti, santo cielo!

- Appunto, agli adolescenti piace questa roba.

- No, a voi quand’eravate adolescenti piaceva questa roba, ma non tutti i genitori muoiono dalla voglia di vedere i loro figli crescere come siete cresciute voi due!

- Lo prendiamo per un complimento, eh, boss?

L’uomo buttò senza pietà i due fascicoli nella spazzatura, poi appoggiò i gomiti alla scrivania unendo le punte delle dita. – Il numero di domani uscirà senza i tuoi disegni e senza le tue storie. – annunciò con tono solenne – E quando, tra quindici giorni esatti, andremo in stampa di nuovo, o sarete pronte a consegnarmi qualcosa di umanamente concepibile o siete licenziate, tutte e due.

 

                - Fermata Earl’s Court. Cambio per la Picadilly Line.

- Siamo arrivate. – disse Serena. Uccia annuì, raccolse la borsa, e insieme uscirono in silenzio dal tube. Era una tipica giornata londinese: il cielo grigio era coperto di nubi e l’aria aveva un odore misto di pioggia e fast-food.

Le due si fermarono al primo Starbucks, dove la cassiera gli chiese se andava tutto bene e sentendosi rispondere che no, non andava niente bene ed erano a un passo dal licenziamento, impietosita gli fece lo sconto sui due caffè macchiati al caramello. Si sedettero a un tavolo accanto alla vetrina, da cui era più facile dedicarsi al divertente gioco “immagina che”*.

- Immagina che quel ragazzo che tiene per mano la biondina non la guardi in faccia perché non sa come dirle che ha scoperto di essere gay.

- E che la tradisce con quel tipo alto con i dreads e lo zaino?

- Io pensavo piuttosto a quello con il cappotto grigio…

- No, troppo vecchio. Però immagina che quello col cappotto grigio stia guardando l’ora perché aspetta l’autobus, ma non per prenderlo, per buttarcisi sotto.

- Macabro. E immagina che la ragazza del chiosco di giornali se ne accorga e…

Fu al terzo caffè, mentre immaginavano che la commessa del bar avesse avvelenato tutti i muffin al cioccolato per fare una strage tra i tavoli all’ora di colazione, che Serena improvvisamente tacque.

- Che c’è?

- Ricordami com’è che mangeremo quando perderemo anche questo lavoro.

- Oh, ma noi non perderemo il lavoro. Non per le prossime due settimane, almeno.

- Magari potremmo farcela! Impegnandoci a fondo, forse riusciamo a tirare fuori qualcosa che gli vada bene…

- Beh, tu dovresti smettere di far scopare come dei ricci i tuoi personaggi.

- E tu di far morire i tuoi in un lago di sangue ogni tre vignette.

Uccia guardò Serena. Serena guardò Uccia.

- Non ce la faremo mai.

- No, mai.

 

                Il loro appartamento era un pulcioso monolocale dalle parti di Earl’s Court, scelto fra tanti altri pulciosi monolocali perché una grande finestra permetteva di risparmiare diverse ore al giorno di luce elettrica, e meno soldi da spendere in cose futili come le bollette significavano più soldi per mangiare e fare shopping. E soprattutto, era circondato da discount, bar e lavanderie a gettoni, cosa che permetteva loro di uscire non più di una volta a settimana per dare una ripulita ai vestiti e fare scorta di cibo cinese precotto: non mettevano il naso fuori da otto giorni quando il direttore del giornale le aveva chiamate.

La prima cosa che fecero rientrando fu inciampare sulle quattro palle di pelo miagolanti con cui dividevano la vita, che così abituate ad avere costantemente le padrone in mezzo ai piedi si preoccupavano ogni volta che le vedevano sparire per più di un’ora. Serena si chinò ad accarezzare i suoi, Mail e Nate, il primo uno smilzo gatto di grondaia rosso con delle macchie chiare intorno agli occhi e il secondo un cucciolo bianco che avevano con loro da poche settimane. Gli altri due invece erano entrambi neri, uno massiccio a pelo lungo, e l’altro dalla corporatura sottile simile a quella di un siamese e con gli stessi enormi occhi blu. Si strusciarono contro le gambe di Uccia emettendo un accenno di fusa; lei, sfegatata fan del gruppo svedese Deathstars, li aveva chiamati Whiplasher Bernadotte e Cat Casino. Appurato che le padrone erano sane e salve, i quattro felini si allontanarono dirigendosi chi verso un cuscino, chi verso la finestra del bagno, da cui poteva comodamente uscire e darsi alla vida loca. C’era poi una quinta palla di pelo, Berenice, che in quanto femmina non accettava di appartenere a nessuno, e salutò le due donne con un breve miagolio per poi rimettersi a dormire senza neanche scendere dal letto. Loro non esitarono a raggiungerla.

Ora, Uccia e Serena avevano due personalità alquanto differenti. Serena, piccola, corti capelli rossi, occhi verdi dietro a un paio di grandi occhiali da nerd che metteva sempre pur non avendone minimamente bisogno, era fondamentalmente solare e ottimista. Aveva sempre avuto un debole per le storie d’amore come dire... particolari. Particolari nel senso che quando scriveva andava davvero a fondo nei particolari. Per lei, dedita al culto dello yaoi, il concetto di coppia uomo-donna era passato di moda negli anni ottanta, come i frisé e i fuseaux a fiori. E, come la cara collega non aveva mancato di far notare, se per più di due paragrafi non faceva scopare i suoi personaggi (rigorosamente maschi, rigorosamente folli l'uno dell'altro, o semplicemente rigorosamente folli.) in modo selvaggio, considerava la storia mortalmente noiosa e priva di scopo. Aveva passato gran parte della sua adolescenza a sognare e scrivere storie perverse su personaggi di vari fumetti, libri, film…una lunga lista di uomini che senza il suo modestissimo aiuto non si sarebbero mai cagati neanche di striscio. 

 Uccia, capelli neri che nessun parrucchiere poteva tenere in ordine nell’umidità londinese, occhi scuri ed espressione corrucciata, non era particolarmente espansiva e tendeva a non far notare la sua presenza in modo eccessivo, forse anche grazie all’abbinamento cromatico dei suoi vestiti: nero su fondo nero, esclusa qualche occasionale variazione di colore dal nero al nerissimo. Come artista era il sadismo fatto a disegnatrice di fumetti: mai tanto sangue era stato disegnato in Inghilterra come da quando ci era sbarcata lei, e l’aspettativa di vita dei suoi personaggi era sempre molto, mooolto breve. Naturalmente non era davvero cattiva: era macabra, ok, leggermente cupa, benissimo, acida come uno yogurt scaduto e con l’ottimismo e la simpatia innata di un mazzo di crisantemi, siamo d’accordo, ma in fondo era bello starci assieme: era tranquilla, ragionevole, ed evitava che la povera Serena le poche volte che usciva venisse spiaccicata da un pittoresco autobus rosso perché non guardava se il semaforo fosse verde prima di attraversare**. Si può dire che le due si compensassero a vicenda: dove una era svagata, l'altra era attenta, dove l'una era disfattista, l'altra era costruttiva, e il fatto che fossero i due esseri umani più pigri della galassia conosciuta e non, alimentava la loro amicizia di una flemmatica pacatezza. Insomma, la coppia perfetta. Un'altra base del loro rapporto era l'interesse comune per le cose "Omo", "Macabre" e più generalmente "Belle ma Dannate". Capitava spesso che Uccia creasse piccole opere d'arte per i racconti di Serena, o che Serena desse voce ai personaggi delle tavole di Uccia.

Le due si erano conosciute tramite una terza amica e la loro vita comune era cominciata dopo diversi anni di follie, studi compulsivi e un diploma preso per un pelo, quando avevano deciso di trasferirsi nella City e lasciarsi alle spalle i decisamente troppi anni passati nella ridente e minuscola Aosta***. Gli studi universitari londinesi avevano richiesto un notevole sforzo linguistico (che era costato a entrambe parecchie crisi di nervi e librate contro il muro), ma in fondo ciò che contava era la passione, e di certo quella non mancava né all'una né all'altra. Il caso aveva voluto che dopo la laurea le due trovassero un lavoro…e lo perdessero. Questa simpatica alternanza di “lavoratrici responsabili” e “disoccupate morte di fame” era andata avanti fino a sei mesi prima, quando una nuova assunzione le aveva convinte che, in fondo, qualcuno da lassù le guardava con benevolenza. Convinzione che si era inevitabilmente dissolta dopo il decimo minuto passato in presenza dell’Editore. Scritto con E maiuscola non a caso, perché codesta figura mitica, al pari di un condottiero dell'antichità, guidava con pugno di ferro la sua sbriluccicante rivista per teens, dalle pagine patinate e piene di errori di battitura, ortografia o semplicemente stampa, e la cui politica era una sola: vendere più copie possibile riempiendo quelle poche ma intense pagine di foto e storie strappalacrime della levatura creativa di un teletubby, ma in versione quindicenne dall'ormone impazzito. Due cose (i quindicenni e i teletubbies intendo, non gli ormoni e le cose strappalacrime) con cui le nostre eroine andavano d’accordo quasi quanto al malefico capo piacevano le storie gay finite nel sangue. Questo creava un leggero conflitto di interessi: Uccia e Serena (anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura) erano la sua vignettista e scrittrice migliori, ma le loro opere non si adattavano esattamente al target della rivista (che in effetti si chiamava Chibi Bunny, un nome un programma), e i risultati erano quelli che potete leggere nella prima pagina.

Ora, dopo questa colossale digressione in cui probabilmente non sappiamo neanche noi cos’abbiamo detto (e non sperate che la cosa migliori, perché sicuramente i cervelli troppo spesso appannati da immagini perverse e/o sanguinolente delle due non aiuteranno a mettere ordine in questa enorme confusione), torniamo a noi.

Vale a dire, al pulcioso appartamento.

 

                - Immagina che – disse Serena, stesa sul letto con Berenice che le marciava addosso – noi facessimo le persone responsabili che provano a non farsi licenziare.

- Uuh, che brutta immagine. – rispose Uccia, sdraiata lì accanto, da sotto la pancia di Cat Casino, che stava scegliendo in quale punto della sua testa fosse più comodo accoccolarsi.

- Pensa che se non lo facciamo non sapremo più come mangiare.

- Non farmi venire fame.

- Almeno proviamoci!

L’espressione di Uccia era l’esatta traduzione in immagine della frase “non ce la posso fare”, ma ciononostante si rimise faticosamente in piedi. – E proviamoci.

Venti minuti ci vollero solo per scegliere un CD da mettere in sottofondo, e altrettanti ne occorsero per allineare sul letto l’attrezzatura…giusto in tempo per rendersi conto che era ora di pranzo. Si sedettero dietro a portatili, quaderni, astucci e tavolette grafiche con ancora le vaschette di plastica dell’insalata Agita&Gusta in mano. Quando ebbero inghiottito anche l’ultima insipida foglia bianca (ma quale verde, non sia mai! Parliamo di roba del discount), scrocchiarono all’unisono le nocche.

- Al lavoro!

                Bene. Nelle 5 ore e 47 minuti che passarono lì sedute bevvero in tutto 12 caffè, due birre e 3 lattine di sidro di pera, mangiarono 3 scatole di cookie, si rifecero lo smalto, anche ai piedi, accarezzarono a turno tutti i gatti per almeno 20 minuti, giocarono a “immagina che” con le foto appese al muro di fronte, si rinfacciarono reciprocamente di non essere in grado di produrre qualcosa di adolescenzialmente accettabile, spezzarono 2 matite e ne mordicchiarono 5, giocarono a “nomi cose città” con tutte le lettere compresa la H e la J, strapparono e accartocciarono le pagine di 6 numeri di Chibi Bunny lanciandone la metà nel cestino sotto la scrivania e l’altra metà contro i gatti…e ancora non avevano acceso i computer.

- Ehi, forse mi è venuta l'ispirazione! - saltò su Serena, dopo aver fissato il soffitto per un’altra mezz'ora, mentre giocherellava col pelo aggrovigliato di Mail.
- Spara - disse Uccia, continuando a scarabocchiare sul blocco per gli schizzi.
- Dunque, immagina: lui sta facendo jogging e incontra lei che è a terra con una caviglia slogata...
- Mmh, già il fatto che ci sia una lei è un gran bel passo avanti." affermò guardandola sospettosa.
- Che brava che sono, eh? - ridacchiò Serena allegra. - Ma aspetta, ora arriva il meglio! - esclamò alzando una mano, presa dal racconto.
- Fremo...
- Allora, cominciano a uscire insieme e lui è davvero partito per lei, fino a quando lei non lo porta a casa sua e...
- E, fammi indovinare, incontra il di lei fratello barra migliore amico barra cugino barra omino che consegna le pizze e se ne innamora perdutamente. - concluse Uccia con un sospiro, inarcando un sopracciglio.
Serena rimase a bocca aperta, sgranando gli occhi e chiedendole con tono incredulo: - Come facevi a saperlo?!
- Guarda, conoscendoti non riesco a capacitarmi di non averlo capito prima. - rispose Uccia storcendo la bocca in una sua tipica smorfia di disappunto.
- Uffa, e quindi non va bene? - domandò l'altra in tono petulante. Quando faceva così, sembrava una bambina di cinque anni. Più del solito, s’intende.
- Guarda, se trasformassi lui in una lei, allora sì, andrebbe benissimo.
- Ma chi, il protagonista? - spalancò appena di più gli occhi.
- Ma no, non quel "lui", intendo l'altro, quello che incontra a casa della tipa!
- Ma dai, così diventerebbe pallosissimo! - piagnucolò Serena contorcendosi tra le lenzuola. No, non di cinque anni. Di due.
- Socia... - cominciò Uccia rivolgendosi di nuovo al suo blocco che già cominciava a riempirsi di ampie macchie rosso cupo. - Lo sai perché noi due non avremo mai un fidanzato?

- Perché? - chiese l’altra confusa.

- Perché tutti quelli interessanti che incontriamo, io me li immagino morti e tu che scopano con un altro uomo.

- E…non va bene?

Uccia riuscì a mantenere un tono di voce relativamente calmo solo immaginando di avere a che fare con un cactus alieno e non con un’ultra venticinquenne.

- No, non va bene, a meno che io non mi trovi un masochista con tendenze suicide o tu non ti infogni in una relazione aperta con un bisessuale malato di sesso.

Serena sembrò pensarci su. – È un’idea. – dichiarò alla fine – Però gli permetterei di andare solo con altri uomini, e a patto che poi mi racconti tutto.

Uccia scosse la testa strappando anche l’ultimo foglio del quaderno, poi lo appallottolò e lo gettò dall’altra parte della stanza. Cadde su Whiplasher Bernadotte, che emise un debole miagolio di protesta prima di rimettersi a dormire.

* gioco inventato da noi, fonte di infinita ispirazione e caldamente consigliato per ingannare il tempo durante le ore di lezione. Non servono molti ingredienti: bastano una socia disponibile, qualche esemplare umano degno di nota e tanta fantasia.
** in realtà è Uccia ad aver rischiato la pelle durante il nostro soggiorno, ma non lo vuole ammettere.
*** si trova in Valle d'Aosta e, giuriamo, esiste. Anche se probabilmente è troppo piccola per essere segnalata sulle cartine.

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Capitolo 2
*** I nuovi vicini ***


2.       I nuovi vicini

                Il giorno dopo, era un giovedì, fu un trambusto indicibile proveniente dalla strada a svegliarle.

- Cristo, chi è che fa sto casino all’alba?! – ringhiò Uccia emergendo da un groviglio di coperte. La sua coinquilina allungò un braccio fino al comodino per prendere il cellulare.

- Guarda che veramente sarebbe mezzogiorno…

- Appunto, è l’alba!

Qualcuno una volta azzardò l’ipotesi che le Uccie fossero animali notturni. Sbagliava: non sono notturni, sono solo inquietantemente pigri.

- Starbucks? – chiese Serena, la voce ancora impastata dal sonno. Prendendo il verso inarticolato di Uccia per un sì, impiegò tutte le sue forze per alzarsi e scivolare nei vestiti, mentre una ragazza e cinque gatti si spalmavano per occupare anche il suo posto sul letto.

Quando tornò, una ventina di minuti più tardi, con due caffè al caramello, una scorta millenaria di cookies e due panini che presumibilmente sarebbero stati il loro pranzo, trovò Uccia seduta sul letto con dei fogli in mano.

- Ho finito i quaderni. – annunciò – E anche i pennarelli neri.

- Toccherà uscire anche a te. – disse Serena con una nota di compatimento nella voce. Uccia per il nervoso bevve il caffè tutto d’un fiato, poi corse in bagno cristonando perché si era scottata la lingua.

Serena mentre addentava un biscotto diede un’occhiata ai disegni abbandonati dall’amica. Sangue. Sangue. Sangue. Due che si bac….ah, no, era l’illustrazione per il suo ultimo racconto. Sangue. Sangue. Sangue.

Sospirò. - Immagina che – disse a Nate che stava giocando con il suo alluce – un’idea o un miliardo di sterline ci piovessero dal cielo. Non sarebbe fantastico?

- ‘antastico. – bofonchiò Uccia – Ma ‘appi che non ‘uccederà. E ‘omunque ‘arebbe più probabile che ci ‘iovano un miliardo di ‘terline piuttosto che…

- Che tu impari a bere il caffè senza bruciarti?

Uccia le rivolse una lunga occhiata affettuosa.

- ‘erena? – disse alla fine.

- Sì?

- Ma ‘affanculo.

                Era all’incirca metà pomeriggio quando un suono improvviso le fece sobbalzare entrambe. Impiegarono diversi secondi a capire che si trattava del campanello, e si guardarono sconvolte: l’unica persona suonasse mai alla loro porta era il proprietario dell’appartamento che chiedeva gli arretrati dell’affitto, ma questo mese stranamente avevano già saldato la rata.

Fu con fare immensamente circospetto che Serena si avvicinò alla porta. Prima di aprire, si mise in punta di piedi per dare un’occhiata attraverso lo spioncino e assicurarsi che non si trattasse di un venditore di cravatte porta a porta o di un serial killer assatanato, due categorie che avrebbe evitato volentieri. Grazie al cielo, erano solo due giovani uomini. Uno indossava una maglia a righe e un paio di jeans logori, aveva una zazzera di disordinati capelli rossi e aspettava a testa alta che qualcuno rispondesse. Il secondo invece se ne stava in disparte, a braccia conserte, come se non volesse essere lì. Era magrissimo e leggermente più basso del rosso, vestiva di nero e aveva lunghi capelli biondissimi e lisci.

Serena impiegò qualche secondo a riconnettere il cervello e risucchiare il rivoletto di bava che le stava per scendendo a lato della bocca.

- Uccia! – sibilò.

- Chi è?

- I due esemplari maschili più belli che abbia mai visto!

- E allora apri, hai visto mai che uno sia masochista e uno bisex.

Serena annuì freneticamente e obbedì, mentre ogni sospetto cedeva il passo alla curiosità.

- Buonsalve. – disse riacquistando la propria dignità.

Il rosso alzò una mano in cenno di saluto. – Ciao! Mi chiamo Matt, e lui è Mihael, siamo i nuovi vicini. – disse indicando la porta accanto alla loro. – Siamo arrivati proprio oggi e siccome d’ora in avanti abiteremo sullo stesso pianerottolo ci sembrava educato venire almeno a presentarci. – sorrise – Speriamo di non aver disturbato…

- No, no! – si affrettò a dire Serena – Anzi, prego, venite!

- Oh, grazie!

Il rosso sembrava felice dell’invito, mentre il biondo si trattenne appena dallo sbuffare mentre il compagno lo trascinava dentro.

- Io sono Serena – si presentò – e lei è Lisa. Socia, loro sono Matt e Mihael, i nuovi vicini.

- Ecco spiegato tutto quel casino. – commentò Uccia lanciandogli un’occhiataccia.

- Hem…scusatela – sussurrò Serena a Matt – Non è cattiva, ha solo un pessimo carattere.

Matt sollevò un sopracciglio con un’espressione a metà tra il perplesso e il divertito. - Questo significa che quei due andranno d’accordo - ghignò.

Serena li introdusse nel loro piccolo, incasinato e affollato mondo privato. - Scusate il disordine, ma siamo persone piuttosto…beh, disordinate.

Il rosso si guardò intorno e dopo un attimo di silenzio esclamò stupefatto: - Ma è ENORME!

Ovviamente si riferiva a ciò che nella stanza occupava l’ottanta per cento dello spazio: il Letto.

Esso rappresentava l’orgoglio e la felicità delle nostre due eroine. Era gigantesco, rotondo e morbidissimo, nonché la cosa più preziosa di tutto il monolocale. Il suo diametro era di due metri e mezzo e un emisfero era protetto da una testata in ferro battuto. Lo avevano acquistato non appena giunte a Londra, spendendo buona parte dei risparmi che avrebbero dovuto costituire la base nella loro nuova vita e gettando al vento, assieme alle sterline, il loro buon senso (che in realtà non era mai stato molto…) per quell’enorme alcova e numerosi set di lenzuola colorate, a righe, nere, di seta, cotone e lino. Insomma, un patrimonio per l’investimento del sonno. Lo avevano immediatamente giudicato un ottimo affare e, considerato che ci passavano circa 23 ore e mezza al giorno, lo era stato.

- Eh già! - rispose Serena giuliva - È la cosa più comoda del mondo! La controindicazione è che non c’è più spazio per nient’altro, quindi se volete accomodarvi dovete sedervi lì.

Matt non si fece pregare e trascinò con sé anche il biondo, che si rintanò in un angolo.

- Allora - chiese Serena - Da dove venite?

- Io sono di Aberdeen, ma sono venuto in Inghilterra con i miei quando avevo undici anni. Mihael invece…

Uccia osservava la scena con espressione corrucciata. Anche Mihael osservava la scena con espressione corrucciata. Le loro due espressioni corrucciate sembravano essere state sfornate dal medesimo creatore di espressioni corrucciate.

Alla loro aura negativa si opponeva l’allegro ciarlare di Matt e Serena, che sembravano già essere diventati super amici.

- Che maleducata, non vi abbiamo neanche chiesto se volete qualcosa da bere! - esclamò Serena di punto in bianco - Ci spiace, ma non abbiamo molto in casa…però se volete possiamo farvi un caffè, o un tè caldo…

- Tranquille, non dovete preoccuparvi! Volevamo solo presentarci, non c’è bisogno che vi disturbiate!

- Ma perché devono sempre parlare al plurale… - borbottarono Mihael e Uccia all’unisono. Si lanciarono un’occhiata sorpresa e dopo un attimo di silenzio scoppiarono a ridere. Gli altri due ammutolirono all’istante.

- Un…un momento… - disse Serena guardando alternativamente la coinquilina e il biondo – Tu…voi…

- …state ridendo?! – concluse Matt sconvolto.

- Beh, è tanto strano? – chiesero i macabri.

- Si! – esclamarono i chiacchieroni.

Fu per interrompere il silenzio imbarazzato che Serena cominciò a frugare nel pensile dell’angolo cottura alla ricerca di una caffettiera, intavolando con Matt un’allegra conversazione sulla bellezza dei gatti che, sospettosi, si aggiravano tra le loro gambe.

Dall’altra parte della stanza, Mihael sbuffò scocciato. – Che nervi, possibile che debba fare quella faccia ogni volta che manifesto un’emozione? Notizia sensazionale, signore e signori, Mihael Keehl non è un maledetto cyborg!

- Finalmente, qualcuno che può capirmi.

- Fanno così anche con te?

- Ogni maledetta volta.

Mihael la squadrò con interesse. – Lisa hai detto?

- Chiamami Uccia.

- Uccia?!

- Mi chiamano così.

- Quelli sono tuoi? – chiese lui indicando i vestiti che sbucavano dal surrogato di armadio che occupava il poco spazio tra la finestra e il muro.

- Sì.

- Piace lo stile goth?

- Molto.

- Ho avuto anch’io il mio periodo, ma poi ho lasciato perdere: troppo lungo vestirsi il mattino.

- Vero. Ma la cosa più divertente è che sommando quello che ho speso in vestiti da quando siamo qui potremmo affittarci un altro appartamento, però in definitiva non esco mai di casa.

- Strana tipa.

- Sono un’artista. Dicono che gli artisti siano tutti pazzi per definizione.

Con un “Ah.” il biondo accettò la spiegazione.

- Ecco qua! – intervenne in quel momento Serena porgendo loro due tazze colorate. Poi, senza smettere di parlare, gli si sedette di fronte subito seguita da Matt.

- E voi, che cosa fate? – chiese lui proseguendo una conversazione evidentemente iniziata mentre preparavano il caffè.

- Io scrivo – disse Serena – e Uccia disegna. Ci guadagniamo da vivere così, o almeno ci proviamo.

- E vivete insieme da quanto?

- Mmm…quant’è, Uccia? Sono già diversi anni ormai…

- E come mai? Voglio dire, siete solo coinquiline o… - si schiarì la gola imbarazzato.

Serena rise. – No, no! Siamo amiche! Siamo venute a Londra per l’università e viviamo insieme da allora. Nei limiti del possibile lavoriamo anche insieme.

- Oh. Sì, certo scusa, non volevo sembrare… - si grattò la nuca – Sentite, tanto vale che ve lo dica, poi siete libere di giudicarci come vi pare…

Dall’espressione che aveva, le due ragazze cominciarono a credere che avrebbe confessato un omicidio. Invece…

- Noi siamo gay. E stiamo insieme.

La mascella di Serena franò di venti centimetri. – Da...davvero?

Matt annuì. – Se la cosa vi crea dei problemi ditelo, non ci…

Non finì la frase, perché in quel momento una tazza blu si rovesciò sul lenzuolo, mentre Serena crollava all’indietro sul pavimento.

- Oddio! – Matt schizzò in avanti per risollevarla – Che le prende, sta male? È colpa nostra?

Uccia scosse la testa.

- Tranquillo, sta benissimo. Avete solo appena reso la sua vita degna di essere vissuta.

 

                La prima cosa che fece Serena quando finalmente si riprese, fu tirare una testata al comodino. La seconda, guardarsi intorno per poi chiedere terrorizzata che fine avessero fatto i vicini.

- Sono tornati a casa loro. – rispose Uccia da sopra il letto.

- Senza neanche salutarmi? – chiese Serena, la voce già rotta dal pianto.

- Sono arrivati oggi, hanno ancora tutto da mettere a posto, e tu sei stata lì più di un’ora.

- E perché non mi hai svegliato?! Hai lasciato che i due angeli se ne andassero senza che io potessi nemmeno…

- Hey, guarda che Matt ci ha provato a tirarti su, ma non c’è stato verso.

Serena scosse la testa sconsolata. – Orrore! Non posso pensare di essere stata spiaccicata sul pavimento mentre i nostri meravigliosi vicini uscivano e…

- Tornano domani.

Serena per poco non svenne di nuovo. – È troppo bello per essere vero! – esclamò – Abbiamo due vicini belli come il sole, gay e che per di più domani tornano qui! Non è fantastico?

- Sì, certo… - rispose Uccia ricominciando a vederla come un cactus fluorescente.

- E poi Matt è simpaticissimo! Non trovi?

- Troppo petulante.

- Mihael invece è un po’ troppo cupo, però… - le si illuminarono gli occhi – È magnifico! Ed è gay! Dobbiamo assolutamente andare a comprare dei biscotti o qualcos’altro da mangiare, e del tè che l’abbiamo quasi finito e…ommioddio dobbiamo mettere in ordine, non possiamo fare di nuovo brutta figura!

Uccia aveva smesso di ascoltarla a “dobbiamo assolutamente”. Nella sua mente il cactus alieno saltellava per la stanza sempre più velocemente fino a esplodere in un sonoro “pop!”.

 

Ladies and gentlemen, siamo contentissime che a qualcuno sia piaciuto il nostro insensato delirio di onnipotenza ^^

Ci apprestiamo a rispondere dunque alle recensioni (che francamente non ci aspettavamo. *___________*)

 _AZRAEL_:  Siamo felici di averti permesso l'uso del verbo "trasudare" XD In effetti mai fu più facile caratterizzare dei personaggi, è bastato descrivere passo passo una delle nostre giornate tipo! XD Grazie mille per la bella recensione. ^__^

Hel Warlock: GRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAZIE!!!! *______* La tua recensione è stata epica!  Tipo, wohohoho!!! Davvero, grazie grazie grazie!! Ti vogliamo tanto bene! Grazie alla tua recensione ti meriti una comparsata nella storia, basta che ci dici come vuoi essere chiamata! XD

titti94Grazie per averci messo tra i preferiti! ^.^

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Capitolo 3
*** 3. Shopping alla Cyberdog e un ragazzo dagli occhi azzurri ***


3.       Shopping alla Cyberdog e un ragazzo con gli occhi azzurri

                Naturalmente il pomeriggio dopo arrivò senza che nessuna scatola di biscotti fosse stata acquistata e nessun calzino vagante rimesso al suo posto. Nella settimana seguente Mihael e Matt tornarono spesso, e più di una volta furono le ragazze ad andare da loro e aiutarli a svuotare gli scatoloni del trasloco.

Il mercoledì dopo, quando rientrarono in casa dopo aver passato il pomeriggio nell’appartamento dei ragazzi, Serena aveva l’aria estasiata.

- Socia, ho visto la luce. – annunciò.

- Ah, bene. A quanti watt?

- Miliardi di watt! Non hai sentito quello che ha detto Matt?

- No. – Uccia era restata per tutto il tempo rannicchiata sul divano ancora coperto di plastica a giocare a carte con Mihael, senza badare minimamente alle ciarle dei due rossi.

- Mi ha raccontato di come si sono incontrati! È la storia più bella e dolce del mondo!

- Non vedo il nesso con la luce abbagliante.

Serena la afferrò per le spalle. – Ma non capisci?! Ecco la mia idea! Ecco l’idea che ci salverà la vita! Riscriverò la loro storia e tu la illustrerai, e non perderemo il lavoro!

Uccia la guardò negli occhi. – Questo significa che accetterai di metterci un uomo e una donna?

L’altra tirò su col naso. – Sarà lunga. Sarà difficile. Mi verrà ogni secondo da piangere all’idea di mettere una cheerleader tettona al posto di uno di loro, ma la salvezza è troppo vicina per abbandonare ora!

Accese il computer e si mise immediatamente al lavoro dimenticandosi persino della cena, e perché Serena dimenticasse di mangiare significava che doveva essere davvero molto concentrata.

Lavorò alla storia per tre giorni, finché il sabato mattina non annunciò un trionfante – Finito! – e impaziente porse il computer a Uccia. – Tieni, leggi.

Uccia si spostò Cat Casino dalle gambe e se lo avvolse intorno al collo, poi prese il portatile e lo appoggiò sulle ginocchia. – Correttrice di bozze al lavoro.

Se Serena cercava stranezze troppo evidenti nei disegni di Uccia, lei correggeva i suoi scritti prima che li inviasse in redazione.

- Hai trasformato Mihael in una donna?

- Per quanto mi dispiaccia, era la scelta più ovvia.

- Certo che…“Mattew” e “Michelle”…almeno i nomi potevi cambiarli!

- Ma poi non sarebbero più stati loro!

- Era un po’ quello lo scopo, Socia…

Una mezz’oretta più tardi, la lettura era terminata.

- Già fatto? – chiese Serena, che stava rincollando al muro alcuni ritagli di giornale caduti.

- Sì. – leggeva piuttosto in fretta. Serena la raggiunse sul letto.

- Che ne pensi?

- Non male. Nel suo genere (che a me non piace) è bella. Forse un po’ lunga.

- Sì, me ne sono resa conto, ma non volevo tralasciare nessun dettaglio…

Uccia si strinse nelle spalle. – Poco male, al massimo la si divide e ci si salva l’impiego per altre due settimane. – le restituì il computer – Allora, cosa devo disegnare?

- Dunque, pensavo a un disegno di ognuno di loro da solo, poi la scena del bar o quella del parco, vedi tu, quando camminano insieme per strada e poi quando si baciano naturalmente!

Uccia abbrancò la tavoletta grafica. – Aridagli, altre scenette smielate… Lo sai che lo faccio solo per non perdere il lavoro, sì?

- E perché mi vuoi bene!

L’altra alzò un sopracciglio. – Ti ho mai detto che lo faccio solo per non perdere il lavoro?

Serena sbuffò, ben consapevole di come la sua coinquilina e amica non avrebbe mai ammesso di volerle bene, specie quando c’erano in ballo disegni a rose e fiori. Ma in fondo che bisogno c’era? Lei bastava per tutte e due, come covo di emozioni!

In ogni caso, abbastanza soddisfatta della sua storia e arresa al fatto che come piacevano a lei non avrebbe mai potuto pubblicarne in quel giornaletto di infima categoria, si accinse a dividerla in due parti, per fare in modo di avere un minimo di respiro il mese prossimo.

- Uccia.

- Mh?

- Lo senti questo profumo?

La mora sollevò il capo, annusando cautamente l’aria.

- Ehm… Muffa? - tentò, pur sapendo che, per quanto la muffa sulla moquette non mancasse, non era quella la risposta corretta.

- Ma no! E’ l’odore dei soldi! Non lo senti? E’ estasiante!

Corrugando le sopracciglia e distendendo le labbra, Uccia non potette fare a meno di pensare che da qualche parte, in un punto non ben definito della sua mente, qualcosa dovesse essere andato irreversibilmente storto nel fantasioso e geniale capino della sua povera amica.

- Te l’hanno mai detto mai detto che sei dannatamente teatrale?

- Yep. E sappi che mi ci sono voluti diversi anni per diventare così. - Rispose Serena incrociando le braccia e guardandola altezzosamente.

Scuotendo ancora una volta il capo, Uccia si rimise al lavoro.

Diverse ore dopo il primo pezzo era concluso e corredato di disegni, pronto per essere inviato in redazione.

- Pronta? - chiese Serena, la fronte corrugata.

- Pronta. - Rispose Uccia, un’espressione terribilmente concentrata in volto.

- VIA!

Cliccarono il pulsante di invio, ma non accadde nulla.

- Ehi, ma che ha? - chiese la rossa, pigiando più volte sul bottone Send Message

- Mah… Magari la hotmail ha qualche problema.

- Per quando dobbiamo consegnare?

- Per la prossima settimana. Mercoledì mi sembra.

- Allora abbiamo tutto il tempo!

Tutta giuliva per la soddisfazione di aver concluso una storia etero al novanta per cento (in fondo le sue muse erano state due uomini…) cominciò a raccattare dei vestiti puliti e non totalmente sgualciti dall’armadio, il buco nero dell’appartamento.

- Ehi, che fai?

- Mi vesto!

- Sì, genio, questo l’ho notato, ma perché ti vesti?

Finendo di infilarsi un anfibio, Serena rivolse a Uccia un sorrisone a trentadue denti.

- Shopping!

In quel momento, il campanello suonò.

- Arrivo!

Saltellando per il breve corridoio, con ancora lo sguardo assassino di Uccia piantato tra le scapole, aprì la porta, ritrovandosi di fronte uno dei suoi tre esseri umani preferiti.

- MAAAATTTT!!!! – urlò al settimo cielo, fiondandoglisi contro.

- Ehi! Di buon umore, a quanto pare!

- Non hai idea! - rispose abbrancata al suo torace, staccandosi però poco dopo nel terrore che Mihael li vedesse e le spezzasse le braccine.

- Come mai qui?

- Uh, a casa da solo mi annoio, Mihael è al lavoro e io sono in ferie forzate perché dove lavoro c’è stata una perdita in cantina e hanno tenuto chiuso.

- Ma pensa! Noi stavamo uscendo…

- Mph. - Fu il commento scocciato dell’altra.

- … per andare a fare shopping. Ti unisci a noi?

Matt parve pensarci un po’ su, poi sorrise e disse semplicemente - Perché no?

Dopo aver pregato Uccia in dodici lingue diverse tra cui il curdo e lo swahili (era agosto, e se già per lei uscire era un trauma normalmente, uscire d’estate era un vero e proprio rischio per il suo già scarso equilibrio psicologico), e aver ordinato ai gatti di non fare danni ricevendo in cambio solo distratti sguardi innocenti, i tre si misero in strada dirigendosi alla vicina stazione della metro.

- Che dite, ce lo prendiamo un caffè prima di andare? – propose Matt indicando lo Starbucks. Le due annuirono entusiasticamente.

Appoggiato alla vetrina del locale stava un ragazzo sulla ventina*, che quando Uccia gli passò davanti la fermò dandole un colpetto al gomito.

- Scusa – chiese – hai una sigaretta?

- Sì. – rispose la ragazza, per poi afferrare la maniglia della porta con la chiara intenzione di seguire gli altri due all’interno. Il ragazzo la bloccò con un “Hey!”

- Hai detto che…

- Ho detto che ce l’avevo, non che te l’avrei offerta. – disse lei in risposta al suo sguardo sinceramente confuso. – Non hai mai incontrato una persona sgarbata? Benvenuto nel mondo reale, ragazzino.

Di nuovo fece per andarsene e di nuovo lui la bloccò. – Dai…per favore… Sono al verde, e lo saprai com’è stare in astinenza, no?

- D’accordo. Dammi tre buoni motivi per cui dovrei darti una sigaretta.

- Perché te l’ho chiesto.

- Non è un buon motivo.

Il ragazzo fece le labbra a cuoricino. – Perché sono bello.

- Questo è un buon motivo. – nei 15 secondi in cui si erano parlati, aveva notato cinque cose particolari in lui: uno, a giudicare dall’accento, non era inglese. Due, faceva piuttosto caldo, ma per quanto i suoi vestiti fossero leggeri sembrava avesse fatto attenzione che lo coprissero il più possibile. Tre, nonostante il foulard che aveva annodato intorno al collo, s’intravedeva un segno rosso sulla pelle che aveva tutta l’aria di non essere una semplice irritazione. Quattro, era effettivamente bello, e sapeva benissimo di esserlo. Cinque, aveva degli enormi, spettacolari, meravigliosi occhi azzurri.

- E poi perché non vedi l’ora di offrirmela, stai tirando per le lunghe solo per attaccare bottone. E se ci ho azzeccato mi vale anche come terzo motivo.

Ci fu un secondo di silenzio.

- Hai vinto. – ammise poi Uccia.

Un’espressione trionfante gli illuminò il viso. – Allora, questa sigaretta?

- Io non fumo.

Un altro secondo di silenzio, poi il ragazzo scoppiò a ridere. – Questa non me l’aspettavo! Però come la mettiamo? Ho vinto, me la devi.

Uccia gli fece cenno di aspettare ed entrò nel bar chiamando – Matt!

- Sì?

- Tu fumi, vero?

- Come un turco, purtroppo.

- Allora cedimi una sigaretta, per favore.

- Ok, tieni.

- Ma tu non... – intervenne Serena.

- Poi ti spiego. – tagliò corto Uccia – Ordinate anche per me, arrivo subito.

Uscì di nuovo e mostrò al ragazzo con gli occhi azzurri il cilindretto bianco che aveva in mano. – Adesso però devi dirmi una cosa.

- Cosa?

- Sei libero domani pomeriggio?

Lui sorrise. – Dipende in che modo vuoi occuparmi.

- Voglio disegnarti.

Il ragazzo sgranò gli occhi. – Disegnarmi addosso? Se è una proposta oscena, è la più strana che mi abbiano mai fatto.

- Non addosso – si trattenne a malapena dall’aggiungerci un “idiota” – disegnare te. Sono una fumettista, e non mi dispiaceresti come modello.

- Ah! – annuì – Perché no, sembra divertente!

- Bene. – finalmente gli porse la sigaretta. Quando lui alzò la mano per prenderla, la manica della maglia gli scivolò scoprendogli il polso, ma il ragazzo quando se ne accorse si affrettò a coprirlo. Uccia finse di non aver visto.

- Beh, me la sono sudata! – rise lui – Hai un accendino?

- Non chiedere troppo, ragazzino, ti ho detto che non fumo. Ci incontriamo qui domani pomeriggio allora?

- Va bene. Però senti, io…

- Due e mezza? – lo interruppe Uccia.

- Sei tu l’artista impegnata, dimmi tu l’ora.

- Due e mezza.

- Perfetto. Ma…beh, niente. – si portò una mano alla fronte per farle un cenno di saluto – A domani allora! – disse per poi allontanarsi a mendicare un accendino. Uccia raggiunse gli altri due.

- Chi era quello? – chiese Serena porgendole il suo caffè.

- Il mio nuovo modello.

- Non era niente male. – commentò Matt.

- Sta attento a quello che dici, che se ti sente Mihael ti strappa le ossa e ci gioca a shangai.

- Non è così geloso!

Uccia lo guardò alzando un sopracciglio. – Ah, no?

Matt deglutì. – Dici?

- Dico, dico… E, fra l’altro, è inquietante che abbia capito più io del tuo fidanzato in una settimana che lo conosco che tu in due anni che state insieme.

Matt ripensò a tutte le volte che aveva fatto apprezzamenti distratti su ragazzi incrociati per strada, e un brivido freddo gli scese lungo la schiena all’idea che ora che vivevano insieme Mihael avrebbe sempre avuto sottomano contemporaneamente sia lui che i coltelli da cucina. Si ripromise di parlargli della cosa quella sera stessa.

 

- Dove andiamo? - chiese Matt dopo essere saliti in metropolitana, e aver trovato per non si sa quale miracolo un posto a sedere.

- Camden Town! - esclamò tutta contenta Serena.

Senza farsi vedere, Uccia sorrise soddisfatta. C’era una sola cosa che smorzasse l’odio per le uscite estive, ed era esattamente Camden Town: non vedeva l’ora di riempirsi gli occhi di tutte quelle belle cosine dannatamente goth.

- E voglio passare alla Cyberdog, perché ho visto su Internet che hanno dei nuovi occhiali che…

- Ah… - fece Matt, muovendosi leggermente a disagio.

- Tutto bene? - la rossa lo guardò interdetta, la sua euforia smorzata dalla reazione dell’amico.

- Sì sì… E’ che ci lavora Mihael alla Cyber Dog.

- Maddai!

Lo guardarono entrambe con tanto d’occhi.

- Scherzi vero?! Cioè, il tuo ragazzo lavora in uno dei negozi più… PIU’! di Londra e tu non ce lo dici?**

Sembravano due bambine lasciate sole per una notte in un negozio di dolci. Non sapevano bene nemmeno loro il perché, ma la trovavano una cosa estremamente figa.

- Già… E se volete andarci spero solo che non si arrabbi…

- E perché dovrebbe arrabbiarsi?

- Perché pensa che io sia morboso e appiccicoso, quindi odia che lo vada a trovare al lavoro. Si incazza come una bestia e mi manda via a calci in culo… - disse sconsolato, scuotendo appena la testa con una faccia triste.

- Accidenti! – Serena sgranò gli occhi - Permaloso, eh?

- Non hai idea di quanto…

- Beh, dai, questa volta gli dirai che è colpa nostra e che abbiamo insistito, ok?

- Va bene, ma sia chiaro che non mi faccio carico della vostra salute!

                Detto ciò, Matt ebbe comunque un lungo momento in cui covare la speranza che non avrebbero fatto in tempo ad andare nel negozio incriminato, perché appena scese dalla metropolitana Uccia e Serena con una Visa in mano si lanciarono in ogni singolo negozio della via al grido di “finché la carta va, lasciala andare e tu non risparmiare!”. Per sua sfortuna però, a circa venti minuti dall’orario di chiusura lo presero per mano e lo trascinarono oltre i due colossali robot ai lati dell’ingresso.

Come ogni volta che metteva piede lì dentro, Matt temette che i timpani gli sarebbero esplosi, e non poté fare a meno di sentirsi tremendamente fuori luogo in mezzo a tutti i giovani che guardavano sbavando le due ragazze seminude che ballavano sui balconcini rialzati.

Immerso in questi pensieri, perse di vista Uccia e Serena per circa quattro secondi, e quando le ritrovò avevano già tutt’e due qualcosa in mano.

- Noi andiamo a provarci questa roba. – disse Uccia sventolando un cerotto impropriamente definito “gonna”.

- Vieni, così ci dai un parere imparziale. – aggiunse Serena.

Lui annuì seguendole ai camerini, ma si rese conto dello sbaglio madornale che era stato non appena cominciarono a inviarlo in giro a ripescare roba di diversa taglia/colore. In compenso, nonostante tutti i viaggi che gli fecero fare, non aveva ancora visto Mihael.

- Ta-daaan! – Serena balzò fuori dal camerino sfoggiando una maglietta rosa shocking. – Come sto?

Matt le mostrò i pollici alzati. Innanzitutto perché era sicuramente più bella di quella verde acido, e secondo perché sperava intensamente che comprasse quella e non lo spedisse a cercarne un’altra. Uccia invece era ferma davanti allo specchio da più di dieci minuti a fissare con aria corrucciata il marchio che svettava sulla t-shirt.

- Secondo voi che cosa dovrebbe essere? – chiese alla fine.

- Prova a pensare: CyberDOG, ti dice niente?

- Ma dai, Socia! Non so che cani abbia visto chi l’ha disegnato, ma a me sembra più un Power Ranger con le corna! Se al liceo l’avessi presentato al corso di grafica spacciandolo per un cane avrei preso un voto a esponente negativo.  ***

Qualche minuto dopo (finalmente) Uccia e Serena uscirono dal camerino piegando gli acquisti nel cestino a braccio che si erano fatte dare dalla commessa, seguite e ruota da un Matt piuttosto circospetto.

- Sezione vietata? - chiese Serena con un sorriso folle stampato in volto.

- Sezione vietata. - Approvò Uccia, imitando l’espressione dell’amica.

Il rosso lanciò loro uno sguardo disperato. Era certo che, se non avevano trovato il suo fidanzato nel resto del negozio, questo voleva dire che si trovava al piano più interrato, quello riservato ai maggiorenni.

Con una faccia da condannato a morte si apprestò a seguire le due pazzoidi giù per le scale, ritrovandosi nell’ampia sala in cui si aggiravano esemplari umani di diversa entità: un distinto signore di mezza età che osservava con finto interesse alcuni perizoma rossi e pelosi molto sexy, una coppia che chiedeva i prezzi di vibratori et similia, un gruppetto di giovani turisti dalla faccia colpevole, le cui espressioni gridavano in tono straziato: “SI, VA BENE, NON SIAMO MAGGIORENNI, VI PREGO PERDONATECI!!!!!” ****

Le due amiche saltellarono via per andare a frugare tra la merce imbarazzante, lasciandolo solo vicino alla statua di una prosperosa domina bionica, che su un vassoio reggeva un gatto a nove code. Inghiottì a vuoto e si guardò intorno: apparentemente, Mihael non era nei paraggi. Lievemente sollevato, decise che, in fondo, dare un’occhiata non gli avrebbe fatto male, e si apprestò a entrare nel tunnel in cui venivano custoditi i migliori giocattolini, alcuni dei quali avrebbero, chissà, potuto fare al caso suo e del suo ragazzo…

Nel frattempo, la coppia di pazze scatenate si era bloccata a fissare alcuni articoli decisamente interessanti, tra cui: un set per giochi sadomaso, un assortimento vario di fruste, un palo e un altro aggeggio di oscuro utilizzo.

- Secondo te potremmo mettere un palo in casa nostra? - chiese Serena osservando le caratteristiche dell’oggetto in questione.

- Francamente spendere 120 sterline per un affare completamente inutile non mi pare tanto una buona idea. - Rispose Uccia scettica, seppure segretamente tentata.

- Già, in effetti hai ragione…  - sospirò la rossa abbattuta, spostando la sua attenzione su alcune magliette che non desiderava affatto possedere, su cui erano ritratti diversi personaggi in atteggiamenti equivoci.

- Ehi, andiamo a vedere i vibratori? - domandò all’improvviso, ringalluzzendosi. Provava sempre un perverso piacere a guardare le varie forme e colori della collezione di dildo della Cyber.

- Mh, perché no?-  concesse Uccia, a cui in effetti non è che dispiacesse troppo dare un’occhiata alla mercanzia.

Solo che, appena messo piede nel corridoio, rimasero impietrite di fronte ad una scena piuttosto drammatica: Mihael (con un abbigliamento che consisteva in scarpe nere e bordeaux lucide dalla zeppa particolarmente alta, un paio di calzoncini in latex della medesima tonalità di rosso, che parevano più che altro un paio di culottes dal taglio molto succinto, una maglia a rete nera con cuciture fucsia che lasciava ben poco spazio all’immaginazione e sul viso un goggle monocolo la cui lente, rossa anch’essa, veniva quasi interamente coperta da una placca metallica che lasciava scoperta una sezione di vetro a croce) in un atteggiamento omicida in piedi di fronte a  Matt, che aveva la tipica faccia del bambino colto in flagrante con le mani nella marmellata.

Il biondo lo fissava con l’occhio scoperto e il suo sguardo turchese lanciava fuoco e fiamme. Quanto al rosso, sembrava stesse pregando che un dio qualunque lo fulminasse lì sul posto.

- Si può sapere che diavolo ci fai qui?-  chiese Mihael con un pericolosissimo tremito nella voce gelida.

- Mihael! Mihael… - si lanciarono in soccorso di Matt le due ragazze. - Ha accompagnato noi! Lui lo aveva detto che sarebbe stato meglio non venire, ma non gli abbiamo dato ascolto ed è stato costretto a seguirci. - Dissero tutto d’un fiato, col terrore di vederlo scoppiare.

Il biondo lanciò loro uno sguardo scettico, ma infine si sgonfiò e parve darsi una calmata.
- Comunque… - continuò poi, tornando a rivolgere la sua attenzione al ragazzo - Cos’è che stavi guardando?-  gli strappò letteralmente un pacchetto che reggeva tra le mani. Diede una rapida occhiata all’immagine sulla confezione e le ragazze furono certe di vederli impallidire entrambi: Matt aveva uno sguardo terrorizzato, Mihael prima perplesso, poi sconcertato e infine furioso.

- Cos’è questa merda?! - sibilò all’indirizzo dell’altro, tentando con un ammirabile auto controllo di non mettersi ad urlare.

- Ehm… amore, non è come pensi… era caduto, ed io l’ho raccolto…

- Brutto coglione, ma non vedi che la merce è nelle vetrine?! Hai dovuto chiedere espressamente a una commessa di tirartelo fuori, stronzo!

Pareva che la sua ira lo stesse riempiendo come l’acqua riempie il letto di un torrente in secca. Matt sembrò invece rimpicciolirsi dalla paura, osservando il suo bellissimo ragazzo in abiti altamente provocanti cercare di non picchiarlo forte sulla testa con la misteriosa scatola.

Poi, repentina così come era arrivata, la bufera passò. Mihael prese diversi profondi respiri, si passò una mano tra i capelli e chiuse e riaprì gli occhi diverse volte, prima di riprendere a parlare, emettendo pochi taglienti vocaboli:

- Ora lo rimetto a posto.  Levati dai piedi, facciamo i conti a casa.

Detto questo, estrasse da non si sa bene quale tasca una piccola chiave, aprì la vetrina e rimise nell’apposito vano l’articolo incriminato. Poi, con un bel sorriso e un mezzo abbraccio salutò le ragazze, decisamente sconcertate. Infine, senza degnare del minimo sguardo un Matt disperato e balbettante, girò i tacchi e tornò a immergersi nella pulsante musica elettronica del negozio.

- Ma che diavolo…? - riuscì a esalare Serena, che come l’amica non ci aveva capito una benemerita mazza.

Matt fissava il vuoto dove fino a pochi secondi prima si era trovato il suo (ormai temeva ex) ragazzo. Sembrava sull’orlo delle lacrime e guardò disperato le ragazze.

- Matt? - chiese la rossa, mentre la mora si dirigeva verso la vetrina per vedere cosa avesse scatenato l’ira funesta del biondo Mihael.

- Matt, sei davvero un idiota. - Disse non appena ebbe risolto il mistero.

- Ma che diavolo è? - chiese Serena, distogliendo la sua attenzione dall’immagine di un uomo la cui vita ormai pareva essersi conclusa.

- Vieni a vedere… - rispose Uccia cercando di non mettersi a ridere, data la situazione drammatica.

Con sguardo curioso, finalmente la ragazza guardò l’oggetto: sulla confezione rossa e verde svettava ciò che apparentemente aveva la forma di una bomba a mano. Leggendo attentamente, in effetti, si rese conto di non essere andata poi tanto lontano dalla verità: infatti, il nome del giocattolo era Anal Grenade e si trattava, alla fin fine, di una granata anale, con tutte le sue implicazioni filosofiche e fisiologiche.

Con sguardo sconcertato tornò a fissare il povero Matt, che ormai piangeva senza più ritegno alcuno, anche se silenziosamente.

Rendendosi conto della situazione, le due amiche si apprestarono a pagare e a uscire a razzo dal negozio, facendo attenzione a non incappare in pericolosi biondi e cercando di consolare quel covo di disperazione in cui si era trasformato Matt.

- Dai Matt, vedrai che si sistemerà tutto…

- Buaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah………..

- Su, non piangere…

- Sigh…

- Non fasciarti la testa prima di rompertela…

A questo, Uccia si morse la lingua, pensando alle conseguenze che una frase del genere poteva implicare: infatti, era molto probabile che a rompergli la testa sarebbe stato Mihael.

Anche il rosso lo comprese, e prese a singhiozzare più forte.

Tornate a casa non ebbero cuore di abbandonarlo e se lo portarono nel loro appartamento. Serena saltellava da un angolo all’altro preparando il tè, stappando bottiglie di sidro di pera e cercando contemporaneamente di coccolare il ragazzo e arginare i danni delle altre affermazioni ciniche di Uccia.

- Matt! - esclamò a un certo punto, tirando fuori un tono autoritario che Uccia le aveva sentito usare una sola volta in vita sua: quella in cui aveva litigato col proprietario di una fumetteria che le aveva spacciato un manga pacco per uno yaoi decisamente spinto “Piantala di frignare e tira fuori le palle! Sei o non sei il seme della coppia? Sii uomo, e appena torna digli chiaramente che ti dispiace senza perdere altra dignità!” disse con un cipiglio da generale dell’esercito.

Matt dopo aver tirato un paio di volte su con il naso (e cercando di non chiedersi come facesse Serena a sapere chi dei due aveva ruolo attivo a letto) lanciò un’occhiata liquida a entrambe le ragazze. Prese la tazza di tè fumante con sguardo riconoscente e si mise a riflettere su una possibile strategia.

Una mezz’oretta dopo, i tre, caduti in un lugubre silenzio, sentirono la porta dell’appartamento vicino aprirsi e richiudersi sonoramente. Pessimo segno.

Matt lanciò alle ragazze uno sguardo terrorizzato, ma soprattutto disperato.

- Vai Matt, vedrai che andrà tutto bene. - gli disse Serena, rassicurante.

- Certo! Voglio dire, probabilmente ti picchierà, ma dubito che potrebbe lasciarti. - proseguì Uccia, positiva come sempre.

Il ragazzo emise un lamento funebre, il verso della civetta nell’ora più buia della notte, degno di un film horror.

Le due amiche si guardarono, poi si avvicinarono e strinsero la povera vittima in un abbraccio spacca costole.

- Ti ama troppo per poterti lasciare.

- Fagli capire che ti dispiace, e vedrai che si sistemerà tutto.

Lasciandolo andare, lo videro leggermente più rincuorato. Prendendo la porta a passo deciso, lui le lasciò per inoltrarsi nella tana del drago.

Inizialmente sentirono solo qualcosa di confuso e ovattato.

Voce di Matt, bassa e contrita.

Silenzio.

Ancora voce di Matt, lievemente disperata.

Silenzio.

Sempre voce di Matt, ora leggermente più alta.

- …sa stai facendo?!

Silenzio.

- Mihael, ascoltami dannazione!

- No che non ti ascolto! Sei solo un porco maniaco, sono stufo di essere trattato come una dannata bambola gonfiabile!

Oh-oh: le cose non si stavano mettendo affatto bene. Serena e Uccia si lanciarono uno sguardo preoccupato.

- Ma io ti amo, Mihael, non ho mai voluto darti l’impressione…

- MA COME HAI POTUTO ANCHE SOLO PENSARE CHE MI SAREI LASCIATO METTERE QUELL’AFFARE NEL CULO?!

Le note soavi del biondo attraversarono le pareti, probabilmente l’intero stabile e con un po’ di immaginazione anche l’intero quartiere. Non era difficile pensare che lo avessero sentito fino a Brixton.

Ormai anche il pianto di Matt era udibile attraverso le pareti, e il cuore di burro di Serena si stava letteralmente sciogliendo, rendendole gli occhi lucidi.

- Ti prego amore, perdonami, sono stato un coglione, un insensibile, non avrei dovuto farlo, ma non lasciarmi…

- Certo che quel ragazzo segue proprio alla lettera i tuoi consigli… Ma che fai, piangi?! - Uccia si era voltata verso la sua amica e l’aveva trovata in lacrime.

- Dio, fa che lo perdoni, Matt non potrebbe vivere senza Mihael…

- Mio dio, Serena, tu hai anche meno dignità di Matt! - esclamò costernata.

- No, è che tu sei un’insensibile! Ma aspetta, senti?

I toni si erano nuovamente abbassati e per comprendere ciò che la coppia si stava dicendo dovettero schiacciare l’orecchio contro il muro di cartongesso. (Uccia compresa. E poi erano Matt e Serena a non avere dignità, eh?).

Ora era Mihael che parlava, mentre di Matt riuscivano a distinguere solo i singhiozzi.

- Su, dai, piccolo, non piangere, ti perdono… - la voce del biondo era irriconoscibile, ora era calda e tranquilla.

- Mihael, ti amo, mi dispiace…

Uccia staccò l’orecchio disgustata, mentre il volto di Serena tornava felice e sorridente, con ancora le guance umide per le poche lacrime versate.

- Grazie al cielo, l’ha perdona…

All’improvviso, sentirono un tonfo sordo da dove fino a cinque secondi prima si trovavano le loro orecchie. Le due si guardarono allibite, non capendo cosa stesse succedendo.

Un altro tonfo succedette il primo, e dopo qualche attimo poterono sentire chiaro come il sole un gemito.

- Mihael… Mihael… la voce del rosso era più che riconoscibile, e il tono decisamente non era disperato.

- Ah… Matt…

Serena fece la faccia di una che aveva appena scoperto di aver vinto cento milioni di sterline alla lotteria, mentre Uccia divenne rossa fino alla radice dei capelli.

- Serena…

- Sh! Zitta, questa me la voglio proprio godere!

Intanto i gemiti si erano fatti decisamente più forti, e la voce del biondo trapanava il muro con suoni di momento in momento sempre meno casti.

Uccia, con un tuffo degno di una campionessa olimpionica, raccattati dalle loro borse i rispettivi mp3, ne lanciò uno contro la nuca dell’amica.

- Ehi, ma sei cretina?! Mi hai fatto male!

- Dai, scema, mettiti le cuffie!

- Ma scherzi?!?! Questo è il sogno della mia vita che si avvera, non posso perdermelo!

- Serena. Cuffie. Ora. - Il suo sguardo omicida fece vacillare la sicurezza della ragazza, che mise su un broncio mega galattico.

- Uccia! Non puoi farmi questo!

- E invece posso, maniaca! Ne va della tua integrità morale!

- Guarda che la mia integrità morale l’ho abbandonata su un’autostrada diverso tempo fa, e non mi sono voltata indietro!

- Se non ti metti quelle dannate cuffie giuro sui Deathstars, quindi sai che non scherzo, che brucio tutti i tuoi manga yaoi, la collezione di Death Note, i disegni che ti ho fatto e ti formatto il computer. 

Il tono con cui lo aveva detto costrinse la povera ragazza a impallidire e infilare in tutta fretta gli auricolari, premere il tasto “on” e spararsi la musica al massimo volume. Quando si accertò che l’altra non barasse, Uccia fece lo stesso, appena in tempo per risparmiarsi uno “scopami, cazzo!” di Mihael.

Ciò che la mora però non sapeva era che nell’mp3 di Serena c’era un piccolo tastino, un minuscolo megafono sbarrato da una stanghetta, che serviva ad azzerare il volume. E fu così che la piccola rossa si godette, all’insaputa della sua cara amica, che intanto coccolava Cat Casino e Nate tutta intenta, i venti minuti più belli della sua vita.

Quando Uccia reputò sicuro togliere gli auricolari, Serena le chiese con un tono serio e inviperito: - Ma a te non piaceva lo yaoi?!?!

Al che l’altra le rispose con aria impassibile e tono pacato: Certo che mi piace. Ma quei due gradirei continuare a guardarli in faccia.

E a questo, ovviamente, la ragazza non seppe obiettare.

                 Quella sera Serena rimase delusa perché i ragazzi non si presentarono dopo cena a fare quattro chiacchiere, e nessun tentativo di Uccia di convincerla che era più che normale vista la litigata-riappacificata che avevano appena avuto bastò a convincerla, tanto che alla fine la mora si mise a letto pur di non sentirla mugugnare tra se e se.

- Buonanotte. – ringhiò accaparrandosi una parte troppo grande del lenzuolo.

- Ma dai, dormi già?

- Ci provo, se tu chiudi la bocca.

- E va bene… - prese anche lei il pigiama – Però prima lo facciamo un giro di “immagina che”?

- E facciamolo, purché non sia su…

- Allora, immagina che Mihael e Matt…

- BUONANOTTE, Serena.


* * * * * * * * * * * * * * * * *

* Questo ragazzo è il personaggio di un'originale che sto scrivendo io (Uccia). 

Se interessa, questo è il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=589103&i=1 

** La Cyberdog è in assoluto il negozio PIU' della storia dell'umanità. Guardate e dateci ragione.

http://www.youtube.com/watch?v=jAUWnFIjcXM&feature=related

La musica NON è aggiunta *___*

*** Andiamo. A voi cosa sembra questo? http://www.strambellerie.it/ebay/cyberdog.jpg

**** Indovinate un po' chi erano? XD

Scusate ma oggi non possiamo rispondere a tutte le recensioni, quindi ringraziamo per i bellissimi commenti ^___^ Thank you.

PS. Noi siamo a Lucca a goticheggiare questo week end :D (la Serena sarà anche il vostro Near personale con le pistole di Hello Kitty. Uccia la guarderà cosi -__- da poco più in là)

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Capitolo 4
*** 4. Modello ***


4.       Modello

                 Il giorno seguente, Serena aveva l’aria di una tossica in astinenza. Le sue dipendenze però erano due, e i loro nomi iniziavano entrambi per M.

- E piantala, mi sembri una maniaca appostata sotto casa della sua vittima!

- Ma Uccia io voglio sapere! Voglio vederli! Devo, vederli!

Uccia si corresse mentalmente: era una maniaca, ma appostata di fianco alla casa delle sue vittime.

- Allora sai cosa fai? La pianti di stressare e oggi pomeriggio come se niente fosse vai da loro fingendo di essere una amichevole vicina e non una malata perversa, e con la scusa mi lasci la casa per qualche ora.

- E perché ti serve la casa per qualche ora? – fece Serena sospettosa.

- Dovrebbe venire il tizio di ieri, sempre che non se ne sia dimenticato o mi prendesse per il culo. E se ti ho attorno in questo stato non riuscirò mai a disegnare decentemente.

- Dì la verità: non ce lo vuoi presentare!

Uccia alzò un sopracciglio. - È per il suo bene, non per altro…

                Alle 2 circa, i nervi di Uccia cedettero definitivamente e lasciò che Serena andasse a invadere il campo ai ragazzi. Una ventina di minuti più tardi uscì in cerca del ragazzo dagli occhi azzurri. Decise che l’avrebbe aspettato davanti al bar, e alle due e 31 esatte lo vide sbucare da un vicolo dall’altra parte della strada.

- Occhi-azzurri! – urlò per attirare la sua attenzione. Più di una persona si voltò a guardarla contrariata, ma il ragazzo non l’aveva sentita. – Occhi-azzurri! – ripeté saltellando sul posto e agitando un braccio in aria. Finalmente, lui girò la testa e si accorse di lei. Sorrise e la salutò con la mano, aspettando accanto alle strisce pedonali che scattasse il verde.

- Guarda che ci sarei venuto comunque da questa parte! – disse quando riuscì a raggiungerla.

- Volevo evitare che non mi vedessi e te ne andassi a prendere un caffè. – rispose Uccia – Dai vieni, abito di là.

S’incamminò con il ragazzo che le trotterellava dietro fischiettando.

- Sei brava a disegnare, vero? – chiese di punto in bianco – Perché sarebbe un vero peccato rovinarmi!

Lei gli rivolse un’occhiata che avrebbe potuto cuocere un uovo. – Lo vedrai. – fece una pausa – Comunque, te lo dico subito, non posso permettermi di pagarti.

Lui si strinse nelle spalle. – Tranquilla, non mi aspettavo che lo facessi. Sono qui perché non ho di meglio da fare, non perché speravo di guadagnarci qualcosa.

- Bene.

- Tra l’altro, come ti chiami?

- Lisa. Chiamami Uccia.

- Uccia?

Lei alzò gli occhi al cielo davanti alla sua espressione stupita, la stessa che assumeva chiunque quando sentiva il suo soprannome per la prima volta.

- , Uccia.

- Io sono…

- Occhi-azzurri.

- No, mi chiamo...

- Preferisco occhi-azzurri.

- Perché “occhi-azzurri”?

- Prova a guardarti allo specchio, dovresti arrivarci. Ci siamo. – infilò la chiave nella toppa e spinse il portone – Terzo piano. Ed è inutile che cerchi l’ascensore, non c’è. – disse, e si lanciò su per le scale. Per quanto fosse ginnica come un bradipo con l’artrite, quando si trattava di rientrare in casa diventava una centometrista.

- Benvenuto nel mio mondo. – dichiarò aprendo la porta.

Il ragazzo entrò guardandosi intorno curioso, e passò diversi secondi a girare la testa da una parte all’altra, rischiando anche di inciampare nei gatti che non appena l’avevano visto avevano immediatamente cominciato a vagargli tra le gambe.

- Oddio, ma quanti sono?

- Cinque. Quello che ti si sta arrampicando sulla gamba è Mail, il nero smilzo è Cat Casino, il nero molto meno smilzo Whiplasher Bernadotte, quello bianco che stai per pestare si chiama Nate e quella rossa che ti guarda da sopra l’armadio è Berenice e probabilmente proverà a ucciderti.

- Cinque gatti in un monolocale?

- Sì, spero tu non sia allergico.

- Se lo fossi probabilmente sarei già morto! – rise lui staccandosi Mail dai jeans e rimettendolo a terra.

- Vuoi qualcosa da bere?

- Sì, grazie.

- Caffè, tè, sidro di pera, birra?

- Sidro di pera?

Lei gli lanciò una lattina nera e verde – È la mia droga in versione liquida. – buttò giù un paio di sorsi e andò a recuperare sulla scrivania delle matite e un plico di fogli.

- Beh, io direi di iniziare prima che mi passi la voglia. Puoi toglierti la maglia?

Lui la guardò a occhi sgranati. – Sapevo di fare un certo effetto sulle donne, ma proprio così…

Uccia alzò un sopracciglio. – Se devo disegnare l’omino della Michelin faccio a meno di un modello, e tu sei imbacuccato peggio di lui. Dai, levati la maglia, prometto che non proverò a stuprarti.

- Mi sa che devo dirti una cosa…

- Tranquillo, la so già.

- Sai già che cosa?

- Hai i polsi devastati e un’escoriazione sul collo, e io ho passato divertenti sabati sera a leggere dei più vari disturbi psichici. Te la togli o no la maglia?

Uccia si divertiva sempre un mondo a prendere in giro Serena quando la vedeva bloccarsi e guardare estasiata un ragazzo, quindi poté solo ringraziare che in quel momento l’amica non ci fosse, perché se avesse visto la sua faccia mentre occhi-azzurri si spogliava avrebbe avuto di che vendicarsi per ogni singola volta.

- Voilà. Ora capisci perché non posso fare il modello per gente che può permettersi di pagarmi.

Uccia si soffermò un bel momento a godersi la vista di tutti i tagli, i lividi e le bruciature che ricoprivano il suo corpo pallido.

- Non ho mai pensato all’autolesionismo. – disse poi, scuotendosi – È divertente?

Il ragazzo ci rifletté un attimo. – Non saprei. Non credo. Non è che ci abbia mai pensato molto nemmeno io, credo sia più una di quelle cose che fai e basta. Davvero non ti da fastidio?

- No. Ho un certo gusto per il macabro, e semmai la trovo una cosa maledettamente affascinante. – si sedette sul letto e gli fece cenno di fare lo stesso. – Non mi serve che tu stia fermo, tanto sono solo schizzi.

Lui comunque si appoggiò con la schiena alla parete ricominciò a scrutare l’appartamento.

- Spero tu abbia un compagno di stanza o qualcosa del genere, perché non riesco a credere che tu possa aver fatto tutto questo casino da sola.

- Ci siamo divise il lavoro, io e la mia coinquilina.

- Che tipo è?

- Una splendida persona, ma se vede come sei conciato mi muore d’infarto.

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata forzata.

Chiacchierarono di tutto e di niente, e un paio d’ore più tardi c’era già pacchetto di fogli coperti di segni a matita impilati su uno dei cuscini.

- Non ti annoi, tutto questo tempo a disegnare?

- No.

- Io in compenso mi annoio a stare qua seduto.

- Allora alzati. Prendi da bere, fatti un giro per la stanza. Così ti disegno in piedi.

Lui si alzò stiracchiandosi, il viso contratto da una smorfia di dolore per un livido sulla spalla. – Altro sidro?

- Sì. – lo guardò avanzare lentamente verso il frigo. – Come mai niente ferite sulla schiena?

- Semplice: non ci arrivo. – si servì anche di una mezza tavoletta di cioccolato abbandonata di fianco al piano cottura e cominciò a camminare avanti e indietro.

- Sta fermo!

- Hai detto tu che potevo muovermi!

- Sì, ma non posso disegnarti faccia e culo contemporaneamente, quindi almeno resta girato dalla stessa parte!

Lui si strinse nelle spalle e si fermò a braccia conserte davanti alla parete di fianco alla porta – Santo cielo, ma quanta roba c’è attaccata qui sopra?

- Un po’.

Quando erano arrivate, appesi ai muri c’erano soltanto un paio di poster e una bacheca di sughero, ma nel giro di qualche mese la bacheca si era estesa a tutta la parete, poi all’intera stanza. Ora, tra poster, quadri, foto, ritagli di giornale, post-it e loro opere incomplete, non c’era più un millimetro di spazio.

Uccia fece ancora un paio di schizzi del ragazzo, poi ripose la matita dietro l’orecchio.

Lo chiamò e gli porse i fogli – Eccoti qua. Che ne pensi?

Lui nascose una certa ammirazione dietro un distratto – Non male.

- Beh, per quanto mi riguarda basta così, ho il tuo faccino da tutte le angolazioni.

- Levo le tende allora.

- Ma no, resta se vuoi: ti presento i vicini.

Lui si rinfilò in fretta la maglia. – Perché no.

Meno di un minuto più tardi, stavano entrando senza bussare nell’appartamento dei ragazzi, che di giorno lasciavano d’abitudine la porta aperta.

- Salve. – salutò Uccia. I tre però erano troppo concentrati sul ragazzo che la seguiva.

- Bene, lei – annunciò la ragazza a occhi-azzurri – è Serena, la mia coinquilina. È una scrittrice specializzata in scopate galattiche tra uomini, quindi sta attento perché in una delle sue storie ci finirai di fisso, ma dall’esserle simpatico o antipatico dipenderà quale posizione occuperai nella cosa.

Serena arrossì fino alla punta dei capelli già rossi, ma non negò. Lui rise.

- E loro sono Mihael il cupo e Matt il logorroico, i nostri amati vicini gay. Signori, lui è occhi-azzurri, un ottimo modello.

- Veramente ho anche un nome umano, ma lei non vuole accettarlo. Comunque, molto piacere!

- Vi sedete con noi? – chiese Matt.

- Assolutamente. – annuì Uccia – Sono in piedi da quasi 3 minuti, comincio a essere stanca.

                 Restarono da loro fino alle sette passate, poi ebbero la delicatezza di levare le tende. Occhi-azzurri, che si era rivelato in grado di partecipare entusiasticamente a qualunque discussione (era riuscito persino ad appassionarsi senza scandalizzarsi al racconto dettagliato di una fanfiction made in Serena), uscendo salutò tutti abbracciandoli calorosamente. Fin troppo calorosamente per i gusti di Mihael, che quando lo vide attaccato a Matt gli rivolse un’occhiata che, se gli sguardi avessero potuto uccidere, gli avrebbe lasciato davvero poco tempo per fare testamento.

Serena rientrò nell’appartamento che non vedeva dalle due di quel pomeriggio, Uccia si offrì di andare fino al McDonald a rimediare qualcosa per la cena, approfittandone per fare un pezzo di strada con occhi-azzurri.

Si salutarono alle strisce pedonali.

- Allora, quando torno? – chiese lui.

- Vuoi tornare?

- Certo, almeno a vedere come sono inchiostrato e colorato! E poi sono simpatici i tuoi vicini.

- Beh, allora per quanto mi riguarda puoi venire quando vuoi, noi siamo sempre in casa.

- In qualunque momento?

- Beh, possibilmente a orari umani, a meno che tu non voglia farti male

Lui rise. – D’accordo…allora passerò uno di questi giorni. – scattò il verde.

- A presto, occhi-azzurri.

Il ragazzo stava per attraversare ma si bloccò.

- Senti, perché non mi puoi chiamare col mio vero nome?

- Per lo stesso motivo per cui chiamano me Uccia.

- E cioè?

- Non c’è nessun buon motivo.

* * * * * * *

innanzitutto rispondiamo a una vecchia domanda che era saltata fuori nelle prime recensioni: noi due scriviamo insieme. Solo così riusciamo a raggiungere picchi di demenzialità tanto elevati XD

_AZRAEL_

Ebbene sì. Le granate anali ESISTONO DAVVERO. Viste con questi occhi, fra i vibratori a forma di pugno e i pali per la lap dance o_ò.

(E Serena aggiunge che la prossima volta inviterà tutti quanti ad ascoltare i vicini con uno stetoscopio. -___- Con che gente devo avere a che fare..... Uccia)

Hel Warlock

Grazie! : D Ti vogliamo tanto bene anche noi, le tue recensioni alzano sempre il morale in questa cupa valle (letteralmente) di lacrime XD

titti94

Ma siete tutte delle maniache perverse come la mia sociaaa?! XD Uccia.

(PS. Serena esulta e vi abbraccia tutte)

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Capitolo 5
*** 5. Abbiamo un problema ***


5.       Abbiamo un problema

                Il giorno dopo le due provarono per l’ennesima volta a inviare i loro scritti in redazione, ma di nuovo l’operazione fallì. Stavolta però cominciarono a sentirsi leggermente inquiete: era già lunedì, e l’editore voleva tutto entro mercoledì.

- Non capisco che diavolo abbia! – disse Serena per la settima volta premendo a oltranza il tasto INVIO fino a far impallare il programma. Per non dover aspettare che si ripristinasse tutto, spense il computer togliendo la corrente.

- Quel disgraziato di Matt non lavora in un negozio di informatica? – intervenne Uccia – Potremmo chiedergli di venire a darci un’occhiata. Magari riesce a sistemarlo.

- È vero! – Serena afferrò il cellulare e mandò un messaggio di SOS al vicino. La risposta arrivò poco dopo: Matt era al lavoro, ma sarebbe passato da loro dopo cena.

- Ha detto che però vuole che gli compriamo i biscotti al lampone.

- Digli che io lo farò sicuramente. – rispose Uccia staccando la mano destra dalla tastiera del suo computer solo per poterle mostrare il dito medio bene alzato.

                 Come promesso, verso le otto e mezzo Matt si presentò da loro (e rimase davvero alquanto deluso dall’assenza dei suoi biscotti preferiti).

- Avete provato a inviarlo con tutti e due i computer? – chiese quando gli ebbero spiegato il problema.

Uccia scosse la testa. – Il mio è off-limits per queste operazioni burocratiche.

- Perché? – Matt alzò un sopracciglio.

Uccia aprì il pannello di controllo e gli mostrò lo stato della memoria del suo hard disk. – Perché ora che mi apre la posta elettronica il direttore è già in pensione.

Lui rimase a bocca aperta. – Ma…è umanamente impossibile che tu sia riuscita a riempirlo in quel modo, c’è da stupirsi che ancora si accenda! Quanta roba ci hai messo dentro?!

- Tutto quel che mi serve. – fu la risposta alquanto vaga – Infatti per il lavoro salviamo quasi tutto sul suo.

Matt scosse la testa sconvolto. – E io che sul mio ci tengo al massimo qualche foto e un paio di porno…comunque, vediamo un po’ dov’è il problema.

Smanettò con il computer di Serena per una mezz’oretta, mentre le due con una tazza di caffè in mano osservavano preoccupate i movimenti delle sue sopracciglia.

- Come l’hai spento l’ultima volta questo povero computer?

- Staccando la spina.

- Eh, vedo…dice che ha perso i file che erano rimasti aperti, era roba importante?

- Non credo, c’era giusto qualche pagina di…. EEEEH?! COS’È CHE HAI DETTO?!

Uccia si voltò lentamente verso di lei. Se avesse avuto in mano una motosega o una mazza da hockey sarebbe stata tale e quale a un maniaco omicida da film horror americano.

- Cos’è che c’era di aperto…?

L’espressione di Serena fu una risposta sufficiente.

- Matt, recupera quel file! Subito!

Lui allargò le braccia. – E come faccio?!

- Ma che ne so, sei tu l’hacker! Recuperalo!

- Ma io non sono un hacker, sono solo un povero tecnico…

- MATT! RECUPERALO! SUBITO!

- Ma che cos’era, si può sapere?

Serena alzò le mani al cielo. – La nostra vita! La nostra salvezza! Senza quel documento noi siamo morte, o peggio: disoccupate!

Matt ci provò fino a rischiare la crisi di nervi, ma dopo un’altra mezz’ora fu costretto ad abbandonare l’impresa con un sospiro.

- Niente da fare. Perso. Perduto. Sparito per sempre. Puff. – annunciò.

- Io ti uccido! – urlò Uccia alla coinquilina – Quante @&%#!N di volte ti ho detto di fare una copia di quel che va in redazione?! *

- Ma la faccio sempre! Guarda te se l’unica volta che mi sono dimenticata sta $%@†# di e-mail doveva bloccarsi!

- Se tu trattassi un po’ meglio quel @£N& di computer non saremmo in questa situazione!

- Se tu non avessi riempito il tuo come un fottuto @°#%& avremmo potuto inviare con quello, e risolto il problema!

La scena ricordò a Matt un documentario sulle iene della prateria, sennonché le iene in tv erano molto meno volgari.

- Bene – disse alla fine Uccia ritrovando la calma, spostandosi i capelli dal viso – siamo ufficialmente licenziate.

- Ma…cos’era esattamente questa vostra opera? – intervenne timidamente Matt.

- Una sua storia corredata di miei disegni che dovremmo consegnare in redazione all’incirca…dopodomani mattina.

- E non potreste riscriverla?

Uccia sembrò riflettere seriamente se fosse il caso di staccargli la testa a morsi o meno. Fortunatamente, Serena intervenne prima che avesse il tempo di mettere in pratica la sua decisione.

- Potremmo.

- Certo che potremmo…se avessimo più tempo. Ma ti ricordo che tu ci hai messo 3 giorni a finirla.

- Ma era tutta, e di fatto devo consegnarne solo metà…

- E io ci ho messo ore a fare tutti i disegni. Tante ore.

- Ne metterai qualcuno in meno… Abbiamo ancora domani…

- E ti pare molto?!

Serena salì in piedi sul letto, in un tentativo di prendere il comando. – Bando al fancazzismo, per una volta! Dobbiamo farcela!

Uccia la guardò. A lungo. Poi annuì lentamente, e con grande dignità disse: - Sì, ma scendi da lì, pirla, prima di farti male.

                Matt fu letteralmente incatenato alla sedia con la promessa delle morti più orrende se avesse provato ad alzarsi prima di aver ripristinato il funzionamento della posta elettronica. Uccia cedette il proprio computer a Serena perché potesse scrivere, sacrificando l’uso della tavoletta grafica a favore di un più classico foglio&matita. In men che non si dica sull’appartamento scese un silenzio di tomba che durò fino a mezzanotte, quando Mihael venne a recuperarsi il fidanzato, che aveva finalmente vinto la sua battaglia contro un hotmail particolarmente agguerrito. Uscirono senza essere degnati di uno sguardo.

Il mattino dopo, le due si svegliarono alle 9 (dal loro punto di vista era praticamente come non aver dormito) e ricominciarono immediatamente a lavorare. Ignorarono i miagolii di protesta dei gatti per la desolazione nelle ciotole vuote, ignorarono il richiamo dello Starbucks e cacciarono a pedate Matt, venuto dopo il lavoro a chiedere se avessero bisogno di qualcosa, salvo poi tornare a chiamarlo per accettare l’offerta e mandarlo in spedizione al Burger King. Erano quasi le due di notte quando finalmente si concessero di collassare.

Il mattino dopo si dedicarono in fretta alle rifiniture: Uccia rilesse gli scritti mentre Serena scannerizzava i disegni, poi Serena corresse mentre Uccia ritoccava i colori a colpi di Photoshop.

- Forza, invia questo maledetto coso. – disse la mora facendo un ultimo salvataggio. Aprirono la posta elettronica. Misero i file tra gli allegati. Premettero invia.

ERROR

L’urlo che lanciarono fece scattare sull’attenti le guardie di Buckingham Palace e turbò il sonno di diversi vecchietti per anni.

- Ma che cazzo… Matt aveva detto che funzionava! Io lo ammazzo quell’uomo inutile!

- Socia, non perdere la calma – disse Serena, che anche lei proprio calma non era – Abbiamo ancora una speranza.

- Chiedere aiuto a un santo qualsiasi giurando di essergli devote minimo per questa vita e per le prossime ventisette reincarnazioni?

- No, andare dritto alla fonte.

- Hey, che splendida idea! Non so esattamente chi abbia inventato hotmail, ma sono sicura che se vogliamo dare un’occhiata più ampia Bill Gates sarà entusiasta di riceverci e…

- Matt, socia! Sto parlando di Matt! Ce la facciamo inviare da lui!

- Sì, che magari è giusto un po’al lavoro a quest’ora, che dici?

- Allora andiamo da lui in negozio e…

- Certo, in fondo da qui a Covent Garden è un attimo! E poi non sono mica le undici e venti, e la redazione fra tre quarti d’ora non va in pausa pranzo!

- Ma avrà ben un computer a casa, no? Chiediamo a Mihael di lasciarcelo usare e…

- A Mihael che in questo momento sta sculettando alla Cyberdog?!

Silenzio.

- Dai socia, pensa, conosceremo ben qualcuno che possa…

- Serena, rassegnati: non abbiamo una vita sociale! Siamo fottute peggio degli uke nelle tue fic.

Il paragone dovette rendere l’idea, perché anche Serena sbiancò e prese a mordersi forsennatamente il labbro. Le lancette dell’orologio non avevano mai corso così velocemente.

- In effetti ci resta ancora un’altra speranza.

- E quale, irrompere di persona in redazione e…

- Esattamente.          

                Non si erano mai vestite così in fretta. Dieci minuti dopo stavano saltando sulla metropolitana, rischiando di farsi pinzare tra le porte che si chiudevano.

- Hai preso la pennetta? – chiese Uccia. Serena annuì.

 

- Sì. Siamo quasi salve, socia: tra una decina di minuti saremo alla City, il tempo di entrare, salire le scale e…

- …abbiamo sbagliato linea.

Più di una mamma dovette tappare le orecchie al figlio, e uno scaricatore di porto seduto lì vicino rivolse loro un’occhiata scandalizzata, ma tra un’imprecazione e l’altra a mezzogiorno meno un quarto erano davanti alla porta della redazione di Chibi Bunny.

- Ci siamo.

- Lo vedo.

Serena levò un pugno in alto. – In cielo per la gloria, o morte o vittoria! – declamò per dare solennità al momento. Solennità che venne prontamente disintegrata da un “Come, scusa…?” di Uccia.

- Citazione. Da Eragon.

- Ricordami di annoverarlo tra i film che devo impedirti di guardare.

Ancora un “Pronta?” “No.”, ed entrarono. Come previsto, gli impiegati si allungavano stancamente verso la pausa pranzo. Chiesero alla receptionist se era possibile vedere l’editore, e la donna fece uno sforzo immane per non scoppiare a ridere.

- No! – rispose con tono ovvio, attaccando a spiegare il perché e il percome per vedere il signor In-Riga-O-Vi-Licenzio ci volesse un appuntamento. La interruppero a metà, finsero di uscire, e non appena lei ebbe distolto lo sguardo svoltarono verso gli ascensori.

Ora, non c’è bisogno di essere particolarmente svegli per immaginare che tra Uccia, Serena e Tom Cruise, non erano sicuramente le nostre due quelle in grado di penetrare in un ufficio amministrativo senza fare danni e senza dare nell’occhio: rovesciarono quattro piante decorative, sbagliarono piano e imboccarono tre corridoi sbagliati prima di arrivare al…quarto corridoio sbagliato.

- Voglio una cartina. – singhiozzò Serena. – E dire che non è la prima volta che veniamo qui!

Poco più avanti di loro, sentirono il rumore di una fotocopiatrice immediatamente seguito dall’imprecazione di chi vede uscire per l’ennesima volta una stampa storta. Si avvicinarono al giovanotto in maglietta dei Modena City Ramblers (“Che diavolo ci fa un londinese con la maglietta dei Modena?” si chiese Uccia) per chiedergli informazioni.

Fu Serena a parlare, e il dialogo si svolse più o meno così:

- Scusa?

- …sì?

- Mi scusi?

- Ti scuso.

- Cerchiamo il capo.

- Il capo di chi?

- L’editore.

- Non è il capo.

- Beh, cerchiamo lui.

- Ah, bene. Sapete come far funzionare quest’affare?

- No, e poi dobbiamo trovare l’editore!

- E perché non andate nel suo ufficio?

- Perché non sappiamo qual è!

- Perché non chiedete a qualcuno?

- Stiamo chiedendo a te!

- Ah.

- Dov’è l’ufficio dell’editore?

- Al piano di sopra.

- Grazie.

- Prego.

Il giovanotto con la maglietta dei Modena stava per ricominciare la sua lotta con la fotocopiatrice e Uccia per girare i tacchi prima che le venisse voglia di impiccarlo a una veneziana delle finestre, ma Serena non sembrava intenzionata a muoversi.

- Perché hai una maglietta dei Modena City Ramblers?

- Perché mi piacciono.

- Li conosci!

- Li conosco.

- Ma sono un gruppo italiano!

- Io sono italiano.

- Davvero?

- Anche tu sei italiana.

- Come hai fatto a capirlo?

- Stiamo parlando in italiano.

- Sul serio? Da quando?

- Ti ho scusato in italiano.

- Non posso crederci! Sei italiano! Socia, è italiano!

- No, sono Emil. **

- Socia, è Emil!

- Ciao.

- Emil, lei è Uccia!

- Uccia?!

- Sì, Uccia.

- Piacere Uccia, sono Emil.

- Ho capito.

- E tu?

- E io sono Serena.

- Sei serena?

- No, sono Serena!

- Ah, Serena!

- Sì, Serena!

- Piacere Serena.

- Piacere Emil!

- Quindi lei è Uccia e tu sei Serena.

- Esatto!

- Ma sei anche serena?

- Non mi piace quella battuta.

- Quale battuta?

- La tua battuta! Io sono Serena!

- E io sono Emil.

- Emil!

- Serena!

- Uccia!

- Sono qua.

- Uccia, lui è Emil!

- Sì, ho capito.

- E lei è Serena!

- Lo so.

- E lei è Uccia!

Uccia batté violentemente un piede per terra. – DITE “EMIL” O “UCCIA” O “SERENA” UN’ALTRA VOLTA E VI UCCIDO IN VENTOTTO MODI DIVERSI CON QUESTA GRAFFETTA!

Per qualche strano motivo, piombò il silenzio.

- Ora – ringhiò Uccia – Grazie per l’informazione, Emil. Vieni con me, Serena. Avete qualcosa di un pochino urgente da fare, tu e Uccia. – prese l’amica per un braccio e la trascinò via.

Per quanto la ragazza poco si fidasse delle indicazioni dell’enigmatico italiano Emil, si lanciarono su per le scale, volando verso l’ufficio incriminato.

Mentre lo facevano, Serena tentò un accenno a quanto l’italiano Emil fosse carino e gentile, ma la minaccia di uno scontro denti suoi vs borsa a forma di bara di Uccia la costrinse a tacere.

 

L’Editore le accolse con la gentilezza e il calore che si riserva normalmente alla zanzara che ti ha punto dove non riesci a grattarti.

Cercando di non morire, Uccia e Serena gli porsero la chiavetta USB per cui nelle ultime due ore avevano rischiato quattro infarti, due slogature di caviglie e un arresto per rumori molesti. L’Editore la guardò cadere sulla scrivania precisando che lui stava per uscire e che loro due erano inequivocabilmente in ritardo. E questo poteva significare una sola cosa, che riassunse nel gesto di indicare loro la porta.

Le due ragazze uscirono praticamente in lacrime. Si trascinarono di nuovo fino alla metropolitana, e quando la voce all’altoparlante annunciò la loro fermata non avevano ancora aperto bocca.

Entrarono allo Starbucks e balbettarono qualcosa che alla cassiera risultò incomprensibile.

- Come, scusi?

- Unsciofféalramello.

- Come?

- Cscricalmello.

- Va tutto bene, signorine?

- NO! – confessò Serena scoppiando finalmente a piangere. Due minuti più tardi erano sedute dietro al bancone con due caffè extraforti in una mano e due tovagliolini umidi nell’altra, mentre la cassiera, identificata dalla sua targhetta come Hel Garner, tra un’ordinazione e l’altra ascoltava i loro sfoghi annuendo comprensiva.

- Mi dispiace tanto… Che uomo insensibile, non capire che ci possono essere degli imprevisti! Ma vedrete che andrà meglio, dicono che quando si chiude una porta un portone si apre, non prendetevela, c’è di peggio… Non abbattetevi…

Quando finalmente trovarono il coraggio di rialzarsi, la abbracciarono commosse giurando mance esorbitanti vita natural durante non appena avessero trovato un nuovo impiego.

La cassiera le guardò uscire grattandosi la nuca, e pensò che se non altro rientrando a casa stasera avrebbe avuto qualcosa da raccontare.

 

 

* Non riferirò le esatte parole con cui le due accolsero la notizia per non turbare eventuali minorenni fra il pubblico

** Personaggio ispirato a una nostra conoscenza, che probabilmente se leggesse ci 1) denuncerebbe 2) scoppierebbe a piangere chiedendosi cos’ha fatto di male nella sua vita precedente 3) si suiciderebbe impiccandosi con la maglietta dei Modena. Quindi per favore non andateglielo a dire XD

 

 

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NB su OCCHI-AZZURRI: è un personaggio inventato da me, uno dei protagonisti di un’originale che sto scrivendo (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=589103&i=1). Siccome gli sono piuttosto affezionata l’abbiamo inserito anche in questa fic. Comunque, qualunque cosa faccia o gli succeda nelle Cronache del Monolocale non ha nulla a che vedere con la storia originale, e viceversa. Anche il suo carattere non è esattamente lo stesso. Il fatto che sia un autolesionista è dovuto al suo ruolo nella storia originale…e anche perché sono una sadica e mi piacciono certe cose +____+ ehehe…

Comunque sono assolutamente entusiasta che vi piaccia :D .Uccia

 

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 kiriku

grazie! ^____^ e grazie per averci messo tra i preferiti! :D

cos’hanno detto i tuoi amici? XD

titti94

grazie mille :)

_AZRAEL_

Grazie! Anche se…non so come dirtelo, ma temo che il nome di occhi-azzurri non salterà fuori a breve…anzi, non so ancora se salterà fuori XD

Hel Warlock

Ci scusiamo per la brevità del precedente capitolo, questo è un po’ più lungo >_<

Ed ecco la tua comparsata…sei praticamente il nostro supporto psicologico! XD

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Con l’occasione, pubblicizziamo un attimo i nostri singoli profili XD

Serena: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=72906

Uccia: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=97549

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