Magician

di Natalie Baan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** --Note-- ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


 

Nel centro nevralgico dell’Istituto CLAMP, la sala computer nei sotterranei dello stabile principale dell’amministrazione, tutto era in silenzio, tranne per il ticchettio di dita che premevano speditamente tasti, il raro bip di qualche macchina, e, di quando in quando, un teso scambio di parole. Ma l’aria vibrava di pericolo, di una minaccia incombente, tangibile come se esplosioni, fiamme e detriti infrangessero quel silenzio.

Akira si girò nel suo sedile e alzò lo sguardo, ad occhi sgranati, dal suo terminal. “Così non va.” disse. “Non so come, ma sono riusciti a stabilire una connessione. Sono già in rete!”

Suoh imprecò, ma i suoi occhi non si mossero dal suo schermo. “Non è un normale hacker.” mormorò. “In teoria, nessun esterno dovrebbe poter entrare in comunicazione con questo sistema. E chiunque sia, dovrebbe prima rovesciare i nostri programmi di protezione. Non riesco veramente a capire come- maledizione! Mi hanno tagliato fuori questa postazione! Ijyuin…”

“Io ci sono ancora.” Le dita di Akira volavano sulla tastiera mentre Suoh saltava giù dalla sua ormai inutilizzabile postazione pc per raggiungerne un’altra. “Sto cercando di bloccare l’ID che sta usando, ma se quello riesce a disconnettermi…”

“Non me la farà un’altra volta.” Suoh batté i pugni sulla scrivania. “Rijichou, dobbiamo staccare il sistema. Dobbiamo staccarlo del tutto, ora, prima che…”

No.” Dall’ombra del seggio del Direttore quello sguardo azzurro cielo, diretto e insolitamente serio, incontrò il suo. “Questo sistema costituisce il cuore delle difese che proteggono la Shinken: se lo chiudiamo adesso, tutte quelle difese crolleranno. Il nostro unico compito in questa guerra è quello di proteggere quella Spada per Kamui, per il giorno che deve ancora venire. E dunque dobbiamo fare tutto quel che possiamo per…”

Dita eleganti si chiusero sul casco a visiera appoggiato sulle gambe del Direttore, sulle volute barocche d’argento che rilucevano stranamente. Akira lo fissò ad occhi spalancati, Suoh s’irrigidì: nessuno di loro aveva ancora notato quel dispositivo.

“No, Rijichou! Non puoi farlo! I rischi…”

“Temo” lo interruppe Nokoru, con voce calmissima. “Temo che non abbiamo molte altre scelte, Suoh.”

 

 

Magician

una fanfiction su X e CLAMP Detective

di Natalie Baan   (traduzione di Shu)

 

Parte prima

 

 

Quasi pigramente, Satsuki osservava lo scorrere del flusso di dati, simile ad un esercito di formiche che marciava su per una collina. Percepiti nell’ottica dei computer, apparivano come impulsi accesi o spenti, alternanze di presenza e assenza che la mente umana di lei registrava come luce e buio. Vi scivolò dentro, un aggregato più grande di sfavillanti pixel connesso da cavi di volontà al computer che l’aspettava fuori dal firewall. Quel network utilizzava un protocollo singolare, straordinariamente labirintico, un protocollo con il quale Beast non sarebbe mai stato in grado di stabilire una connessione.

Ma lei sì.

In un certo senso, era quasi delusa che la sfida non fosse durata più a lungo. Oh, certo, era rimasta abbastanza sorpresa quando aveva tagliato fuori quel terminal dell’amministrazione solo per scoprire che qualcun altro aveva già ripreso il controllo del sistema… Si chiese se avessero qualcosa tipo un ponte di comando laggiù, con gente che correva avanti e indietro gridando ordini, come nei film. Lontano dallo strato superficiale della sua coscienza e solo vagamente percepito, un angolo delle sue labbra s’incurvò verso l’alto dietro il visore che aveva applicato sul volto. Alla fine, non importava quanti uomini avessero laggiù: erano comunque soltanto uomini. Cosa potevano fare quando i loro computer si aprivano a lei in adorazione, quando i loro stessi programmi si rivoltavano loro contro per obbedire al suo volere? Se avessero staccato il sistema, tutte le difese attorno alla Shinken avrebbero smesso di funzionare; se lo avessero tenuto online, e lei lo avesse interamente espugnato, avrebbe avuto in mano la chiave del più recondito dei segreti dell’Istituto. Qualsiasi cosa avessero fatto i difensori dell’Istituto CLAMP, i Draghi della Terra avrebbero raggiunto il loro obiettivo.

Aveva sempre trovato affascinanti i paradossi di questo tipo.

Ad ogni modo, adesso era il momento di fare sul serio. Si era praticamente già impadronita di buona parte del sistema, escluse le ultime prerogative amministrative –ma anche quelle non sarebbero state troppo difficili da ottenere. Anche se potente, intelligente, ben tenuto e ben protetto, quello era comunque un sistema che risaliva a un bel po’ di tempo addietro, minato da anni d’infiltrazioni di hacker e tentativi di incursioni che avevano finito per renderlo poroso come corallo per lei. Non come il suo Beast, progettato per autoevolversi, per eliminare stringhe di codificazione inutili ogni volta che gli venivano aggiunte nuove potenzialità, per mantenersi costantemente efficiente nella sua perfetta, dinamica eleganza… Lontano, Beast fece udire un borbottio di piacere per quel pensiero di lei. Satsuki rispose con una virtuale carezza per il suo adorato supercomputer, e poi riprese a spingersi ancora più avanti all’interno della struttura, cingendo con quelle che percepiva come le sue ‘braccia’ il cuore del sistema operativo dell’Istituto CLAMP, pronta ad entrare in comunicazione con esso, a immergervisi –e si buttò a testa bassa contro quello che appariva come un invalicabile, sfolgorante muro di luce solida.

::ACCESSO NEGATO:: disse il sistema.

Lo shock di quella risposta la respinse violentemente indietro sui suoi virtuali tacchi. Allontanandosi un poco, esaminò quella misteriosa entità che era apparsa senza alcun preavviso a bloccarle la strada. Scintillava come tutti gli altri ammassi di byte, ma dietro quella superficie non riusciva a scorgere nulla; dove di solito era in grado di percepire la densa, criptica trama del codice che costituiva un programma, qui quell’ente sembrava tutto d’un pezzo, impenetrabile. Percorrendolo con la mente, tutto quello che riuscì ad avvertire fu la vaga sensazione di una presenza –di qualcosa che le rifletteva confusamente indietro la sua stessa immagine, come uno specchio mal argentato.

“Che roba è, Beast?” chiese, inviando al computer i pochi dati che aveva raccolto, e non fu troppo sorpresa quando le rispose con un TIPOLOGIA SCONOSCIUTA. Non somigliava a niente che avesse mai visto prima –ed era sicura di aver visto praticamente di tutto. Gli inviò un rapido input, giusto per vedere la reazione del custode, e stette a guardare la sua richiesta attraversare in un lampo lo spazio fra di loro. Svanì in quel muro di luce, e Satsuki restò in attesa.

Niente.

Si accigliò. Più che tentava di definire cosa fosse, più che le sfuggiva: anche i suoi contorni più generici parevano eludere la sua presa. Si avvicinò con prudenza, si sporse, tentò di toccarlo, sussurrandogli tutte quelle stesse parole affettuose che avevano fatto cadere in suo potere tanti programmi, ma la sua volontà sembrava scivolare su quell’essere senza alcuna influenza o almeno una qualsiasi reazione, come se il suo potere di parlare a qualunque hardware o software non avesse su di esso nessunissimo effetto. Con maggiore audacia, si spinse di nuovo contro il muro, come a volersi aprire la strada con la forza; ma in un fulmineo sbalzo si ritrovò ancora una volta respinta.

::ACCESSO NEGATO::

“Direi che sei un po’ un problema, non è vero?” borbottò. Allontanandosi dal firewall, rivolse lo sguardo ai dati degli utenti di cui si era impadronita, e li usò per crearsi intorno un nuovo livello di copertura. Sotto una diversa identità, tornò a piombare all’attacco della directory principale, passando per un altro percorso –ed eccolo, era ancora lì, questa volta nel sistema esterno, in attesa, pronto ad affrontarla.

::ACCESSO NEGATO::

E poi aggiunse, a mo’ di spiegazione: ::INGRESSO NON AUTORIZZATO::

“Beh, almeno ti sei degnato di darmi una motivazione.” Sospirando dentro di sé, Satsuki ricominciò ad allontanarsi dal custode, ma stavolta esso la seguì, per tutta la strada fino all’ingresso dell’intranet, mantenendosi sempre alla stessa identica distanza da lei, continuando ad osservarla. Trovava un po’inquietante tutta quell’attenzione; non sembrava uno di quei programmi che fanno fuori gli intrusi –per quanto ne sapeva, esistevano solo in quei ridicoli romanzetti cyberpunk- ma si stava mostrando maledettamente un po’ troppo interessato ai suoi movimenti. E, ora che ci pensava, l’identità che aveva assunto questa volta di regola avrebbe dovuto avere piena libertà in quella parte del sistema: e allora perché quel coso continuava a tormentarla?

“Io sono autorizzata.” comunicò al programma. “Sciò, via, vattene.” Controllò due volte la lista degli utenti del sistema e confermò che il suo accesso era consentito, ma il guardiano non sembrava convinto: probabilmente lavorava sulla base di dati differenti. Osservandolo più da vicino, Satsuki poté vedere una rete di finissimi cavi di connessione, animati di luce cangiante come seta, che partivano da dietro il muro e poi si perdevano presumibilmente nel nucleo del sistema. Azzardò un input di prova verso uno di quei cavi, ma le rimbalzò indietro, ritirandosi come risacca, come se l’interesse che aveva comunicato in quella domanda fosse stato null’altro che un venticello leggero.

::NOME UTENTE?:: chiese all’improvviso il sistema, con fare inquisitivo.

Satsuki trasalì. Il guardiano aveva cambiato atteggiamento, passando dal bloccare passivamente tutto all’interazione diretta e al raccogliere informazioni, e la ragazza si chiese in che razza di trappola cervellotica si fosse imbattuta. Lettera per lettera digitò CHUUSONJI, l’account che aveva provato a utilizzare, e inviò l’ID al sistema. Era una cosa che le dava veramente sui nervi: come se proprio non potesse in alcun modo leggere dentro il guardiano, quello non sembrava in grado di parlarle direttamente…

::ERRORE::

::NOME UTENTE?::

Accidenti –era riuscita a sbagliare a scrivere il nome? Proprio un bel momento per uno stupido scivolone come quello! Satsuki reinserì il nome, con molta attenzione e senza fretta, ricontrollandolo due volte per essere sicura di averlo digitato correttamente.

::ERRORE::

::NOME UTENTE NON VALIDO PER QUESTO UTENTE::

::NOME UTENTE?::

Cosa?” Satsuki fu sul punto di perdere il collegamento col sistema operativo dell’Istituto CLAMP da quanto il suo corpo lontano sobbalzò contro i cavi che lo trattenevano. Allarmato, Beast le inviò un affettuoso messaggio d’allerta, ma lei lo rifiutò, cercando di riprendere il controllo di se stessa dopo lo shock.

Come poteva un programma essere capace di fare la distinzione tra il nome di un utente e la persona che effettivamente c’era dietro?

Come poteva sapere che non era chi diceva di essere?

Nervosa come non lo era mai, ebbe un attimo d’esitazione, e questo nel mondo dei computer, che ragionava a microsecondi, equivaleva ad un’eternità. Il guardiano attendeva pazientemente un responso. E alla fine, presa in un inestricabile, tumultuoso groviglio di riluttanza ed eccitazione, digitò lentamente la sua risposta.

SATSUKI

E dopo un guizzo di elaborazione, durante il quale lei trattenne il respiro, chiedendosi sull’orlo di quale precipizio si trovasse, e se avesse appena commesso un errore, oppure no, il programma rispose: ::UTENTE “SATSUKI” IDENTIFICATO::

::ACCESSO NEGATO::

Satsuki boccheggiò per il colpo inatteso, e si ritrovò definitivamente buttata fuori dal sistema. Ricadde nel suo sedile, nel gelido sotterraneo del Palazzo del Governo, ritornando ad essere completamente di carne e sangue. “Merda!

Riprendendo respiro, si sollevò dalla faccia lo schermo a visiera, e, pensosa, fissò gli occhi nel vuoto, mentre intorno a lei Beast rombava e borbottava in piena agitazione. Era stata così troppo a lungo distratta da quell’enigmatico programma che aveva lasciato agli operatori del sistema il tempo di sbatterla fuori… beh, non importava. Avrebbe potuto rientrarvi abbastanza facilmente anche un’altra volta, soprattutto adesso che aveva trovato là una cosa che la interessava ancora di più della sua missione originaria.

Gli occhi di Satsuki si fecero stretti, le sue dita giocherellavano senza posa sul bracciolo del sedile.

Come mai provava una sensazione così particolare riguardo a quel programma?

 

*****

 

Rijichou!

Nello stesso istante in cui il suo terminal tornò online, Suoh lo abbandonò, balzando al di là della ringhiera per correre al fianco del suo Direttore. Sollevò delicatamente il casco dai capelli dorati, e il cuore gli diede un improvviso, violento scarto alla vista di quel volto pallido, di quegli occhi chiusi, delle mascelle serrate dell’uomo, che apparve quando lo schermo a visiera fu rimosso; il sudore si mescolava a stille di sangue nei punti in cui i contatti del visore avevano trapassato la pelle… Le dita di Nokoru erano contratte, le unghie affondate nei braccioli della poltroncina; poi i suoi occhi si spalancarono, e subito cominciarono ad agitarsi, a correre qua e là freneticamente, senza vedere –troppo, troppo velocemente, come quelli di qualcuno intrappolato in un sogno. Posando il casco con un misto di premura e disgusto, Suoh afferrò il Direttore per i polsi e strinse forte, finché gli occhi di Nokoru rallentarono la loro fuga convulsa per fissarsi nei suoi. E alla fine Nokoru si lasciò cadere nella sua poltrona di pelle, ogni traccia di rigidità gli abbandonò il corpo. Suoh sentì le sue mani tremare ancora leggermente.

“Ce l’abbiamo…?”

Suoh fece udire un leggero suono affermativo, e dietro di lui Akira aggiunse: “L’intruso se n’è andato, Rijichou, e sono riuscito a riportare tutti i nostri terminal nel sistema. Adesso inserisco un livello supplementare di password…”

“Non li terrà lontani per molto.” mormorò Nokoru, e le dita di Suoh s’irrigidirono contro le mani del suo superiore.

“Non pensarci neanche a farlo un’altra volta.” disse, con una nota d’asprezza.

“Invece può essere che debba farlo, Suoh.” I suoi occhi blu tornarono a fissarsi su di lui, le pupille scure e dilatate, molto più di quanto avrebbero dovuto esserlo anche nella luce bassa della sala computer. Le pulsazioni che battevano rapide sotto le dita di Suoh erano appena percettibili, e decisamente troppo veloci. “Anche se posso assicurarti che non è proprio il genere di avventura che muoio dalla voglia di fare.” Lo sguardo di Nokoru si spostò un poco per includere nel campo visivo anche Akira, che li stava fissando pieno di ansia. “Credo che sarebbe meglio non lasciare la sala computer ancora per un bel po’.” continuò tranquillamente. “E sarebbe meglio anche chiamare Kamui, perché ci sia anche lui. E’ possibile che debba riprendere la Spada Sacra prima di quanto pensassimo.”

 

*****

 

“Non riesco ancora a vedere niente, Beast.” sospirò Satsuki frustrata, e, lasciandosi dietro un groviglio di file danneggiati, continuò a sondare il cuore del sistema. Avrebbe potuto essere molto più discreta nel penetrarvi, ma veramente non ne vedeva l’utilità. Visto che gli stessi computer le obbedivano, gli operatori del sistema non la potevano bloccare, non senza l’aiuto di quell’ entità di cui sperava di attirare l’attenzione… e poi una familiare, oscura presenza puntò la sua ombraluce sui suoi sensi, quasi in un segnale d’attacco.

Ah.

Satsuki arrivò ad un punto di arresto nel rapido flusso di byte: oltre i dati e lo spazio vuoto, il custode si ergeva per affrontarla. Gli inviò ancora una volta un input per vedere come reagiva.

::UTENTE “SATSUKI” IDENTIFICATO::

::ACCESSO NEGATO::

Satsuki s’irrigidì. Era entrata sotto una diversa identità, non c’era niente che la indicasse come lo stesso intruso dell’altra volta, eppure il programma sapeva –o forse semplicemente sospettava- che era lei. E in un certo senso, la seconda possibilità era ancora più inquietante. C’era un che di quasi intuitivo nel modo in cui l’aveva identificata, una sfuocata supposizione, qualcosa di molto, molto simile al sesto senso umano…

“IA. E’ quello che dobbiamo aspettarci da lui. Beast, sai cosa significa questo?” Il computer le rispose con un’altra domanda. “Che se gli Imonoyama hanno creato un’intelligenza artificiale come questa… Non ho mai visto niente di simile. Dobbiamo impadronircene.” Beast brontolò una meccanica protesta. “Non fare lo stupido, tesoro” sussurrò lei, riportando i suoi pensieri sul computer per coccolarlo un po’; ma intanto continuava a analizzare il programma con avido, quasi famelico interesse. “Non è per sostituirti. Ma se riuscissimo a capire cosa contiene –se riuscissi a copiare le sue funzionalità e aggiungerle alle tue…”

Ma come poteva farlo quando non era nemmeno in grado di entrare nel programma, quando non riusciva a trovare una sola estremità di stringa di codificazione slacciata da cui cominciare a sbrogliare il tutto? Maledizione, non riusciva nemmeno a vedere il codice… Si chiese se fosse il fatto che si trattava di un’intelligenza artificiale quello che intralciava la sua capacità di comunicare. Anche lo stesso Beast era un’ IA, seppur limitata, e lo trovava perfettamente accessibile, però dopotutto l’aveva costruito lei…

Tutto quel ragionare non la portava da nessuna parte, decise, e più che rimaneva lì, più aumentavano le probabilità che qualche operatore umano tentasse di nuovo di buttarla fuori dal sistema. Bombardò il programma con una grandinata di domande, chiedendo informazioni, e non ottenne nessun dato, se non la sua stessa analisi del tempo di risposta del programma, che era davvero buono, e ancora una volta un ::ACCESSO NEGATO::. “Non ha una gran personalità, no?” bisbigliò a Beast, che continuava a tenerle il broncio per distrarla. Poi, un pensiero la bloccò. Era ovvio che quello fosse un esemplare di programma straordinariamente complesso, ma fino ad allora le aveva dato solo le risposte più striminzite. Qual era il motivo per cui una vera intelligenza artificiale come quella non era in grado di comunicare in modo più elaborato?

“Oh” sussurrò tra sé e sé “è il sistema.” Il sistema dell’Istituto CLAMP, anche se poteva a buon diritto definirsi sofisticato, mancava evidentemente di un appropriato interfaccia per quel programma. Le sembrava più che ovvio che esso non appartenesse a quell’ambiente –la flessibilità e la capacità di apprendimento tipiche di un’IA gli permettevano di funzionare abbastanza bene, ma originariamente doveva essere stato progettato per qualcos’altro. Satsuki fece un sorrisetto compiaciuto quando la chiara, affascinante semplicità della soluzione le si affacciò alla mente. Radunandosi intorno quei nastri di luce fluttuanti di concentrazione, lasciandoli avvolgere in fuori in pigri archi, stese una trama di scintillanti cerchi concatenati tra loro sull’interfaccia del sistema, imponendogli la propria struttura del reale; nello stesso tempo, fuse la sua volontà con uno dei programmi di trasferimento dati del sistema, e lo usò per aprirsi un varco verso il mondo esterno. Rivolse i suoi poteri speciali tutto intorno ad esso, espandendo la funzionalità del sistema, dirigendolo verso il suo obiettivo: questo, questo era quello che voleva…

Il programma segnalava che era pronto, e lei gli impartì un comando.

COPIA

 

*****

 

“Imonoyama-san?”

Kamui si protese in avanti, ma fu bloccato dal braccio teso di Subaru; rivolse lo sguardo, gli occhi spalancati, oltre le spalle dell’onmyouji. I due assistenti del Direttore si erano lanciati come un sol uomo verso la figura seduta sulla poltrona nell’ombra. Il corpo di Imonoyama si contorse in uno spasmo selvaggio, come un colpo apoplettico, e poi crollò, scivolando di lato.

Rijichou!” Afferrando il corpo del Direttore, Suoh lo estrasse dal sedile e lo sollevò, adagiandolo poi con delicatezza e attenzione sul pavimento. Stava per togliere il casco che nascondeva quel viso, quando Subaru venne avanti e gli afferrò il braccio. “Cosa…!”

“Non interrompere la connessione.” Suoh lo guardò con negli occhi una fiamma angosciata, ma l’onmyouji sembrò indifferente alla sua rabbia. Invece fissò intensamente Imonoyama, lo sguardo stranamente sfuocato.

“La sua anima è stata portata via…”

 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


 

Satsuki rimase a bocca aperta quando diede una sbirciata alla finestra d’informazioni sulla copia in corso. Il programma non stava copiando –stava trasferendo i dati, cancellandoli dal sistema dell’Istituto CLAMP man mano che li scriveva nella partizione d’archivio protetta di Beast. Era come se quel programma fosse stato progettato per resistere alla duplicazione, così da rimanere sempre e comunque un’entità unica. La ragazza stette un po’ a riflettere sul perché i suoi creatori avessero fatto una cosa del genere; poi perse interesse, e si strinse nelle spalle.

La loro sconfitta… la sua vittoria.

 

 

Magician

una fanfiction su X e CLAMP Detective

di Natalie Baan   (traduzione di Shu)

 

Parte seconda

 

 

Completato il trasferimento, scivolò via dal sistema dell’Istituto CLAMP per tornare nel suo proprio corpo, prima di rivolgersi a esaminare il suo nuovo acquisto. Forse in teoria avrebbe dovuto prima finire il lavoro laggiù, ma la scuola di certo non scappava, e inoltre analizzare la loro invenzione poteva solo costituire un vantaggio. In realtà, doveva ammetterlo a se stessa, la verità era che quel programma solleticava la sua curiosità come poche cose erano mai riuscite a fare. Quasi le dispiaceva per i programmatori dell’Istituto, che si erano appena visti rubare di sotto il naso da lei la loro preziosissima creazione.

Quasi.

Perse qualche minuto a gingillarsi con un programma di interfaccia sul quale aveva già cominciato a lavorare in precedenza, cercando di adattare la sua codificazione per farlo vagamente somigliare a qualcosa che potesse ricordare il sistema dell’Istituto CLAMP. All’inizio era partita per trascrivere il nuovo programma come un aggiornamento per Beast, ma poi aveva deciso di non farlo, almeno per il momento. Beast era il suo giocattolo da guerra, ridotto all’essenziale per un’efficienza assoluta e priva di qualsiasi intoppo: la sua linearità, unita al potere di affinità con i computer che aveva lei, erano più che sufficienti per farle ottenere sempre tutto quel che aveva bisogno di sapere. Quel programma, invece, poteva essere stato progettato per qualsiasi cosa –la sua funzionalità completa era per lei una totale incognita; e se voleva vedere cosa fosse capace di fare, avrebbe dovuto parlarci. Senza la possibilità di farne una copia di backup, non osava provare a tirarlo fuori dalla partizione.

Satsuki fece una scansione delle directory contenute in quella sezione, e individuò il programma: le appariva più che altro come un punto buio. Pareva inerte: non ne rilevava assolutamente alcuna attività, e anche quella luce che prima lo contornava era quasi svanita nel nulla. Guardandolo più da vicino, notò alcuni frammenti di stringhe di codificazione sottili e trasparenti come ragnatele, i residui dei fili che in precedenza lo avevano collegato al nucleo del sistema. Sembrava che fossero stati originariamente parte di un impianto di trasferimento dati… e in un lampo le venne l’idea, e collegò il suo interfaccia con quelle estremità spezzate. Tornò a sedersi, in attesa di eventuali reazioni del programma. Non ce ne fu nessuna.

Oh, dio, sperava di non averlo danneggiato durante il processo di trasferimento… Si chiese se avesse bisogno di qualche libreria o di altri moduli per funzionare… se era così, voleva dire che avrebbe dovuto fare un’altra scappata al sistema dell’Istituto CLAMP, dopotutto. Trattenendo il respiro, attivò l’interfaccia e inviò un input di prova.

“Ehi, laggiù.”

Appena le sue parole raggiunsero il programma, rigagnoli di luce tremolarono improvvisi sulla sua superficie, vibrando e guizzando come in agitazione.

::???::

Beast emise un sibilo, inviandole un fulmineo allarme in un fiotto d’ossigeno all’angolo dello schermo, ma Satsuki invece rilasciò finalmente il respiro: l’IA funzionava, almeno in parte. Si agitò nel sedile, già eccitata al pensiero di quel che sarebbe potuto succedere di lì a poco. “Sono Satsuki.” gli disse. “Ti ricordi di me?”

::SATSUKI::

Ci fu una pausa piuttosto lunga, e lì la ragazza cominciò a pensare che dopotutto doveva essersi danneggiato per davvero, e che stesse solo ripetendo a pappagallo quello che lei stessa gli inseriva. Ma poi il programma inviò un’esitante domanda.

::DOVE?::

“Oh, sì!” Tirò un sospiro di sollievo e di trionfo –funzionava abbastanza da volere informazioni da lei: era un ottimo segno. Rispose al programma, cercando di esprimersi nel modo più semplice possibile: “Ti ho preso dal sistema dell’Istituto CLAMP. Sei nel mio sistema adesso. Non ci provare neanche a scappare.”

::CLAMP:: ripeté tonto il programma. ::SISTEMA::

::NON::

::RIESCO A CAPIRTI::

“Non c’è bisogno che tu mi capisca. Se riesci a comprendere le mie parole, è già a posto così.” Si accorse, in una parte lontana della sua coscienza, di avere sulle labbra un sorrisetto trionfante, di violenta soddisfazione, un’emozione che solo i più spettacolari momenti di successo durante la creazione di Beast le avevano suscitato prima di allora. Con uno sforzo, si controllò, e aggiunse con tono quasi disinteressato e casuale “Se ti comporterai bene, forse poi potrò tirare fuori qualche trucchetto e allora ci capiremo meglio.”

::NO::

::DEVO TORNARE INDIETRO::

::IN QUESTO POSTO IO NON POSSO ESISTERE::

Questo le cancellò dalla testa ogni traccia di esaltazione, sostituendola con un inatteso sussulto di dubbio. Forse era giusto quello che aveva pensato prima, e il programma aveva davvero bisogno di qualche cosa dal sistema dell’Istituto CLAMP, senza la quale non poteva rimanere in funzione. Oppure magari aveva incorporato un qualche meccanismo di autodistruzione, che scattava ad ogni tentativo di contatto non autorizzato. O piuttosto… fissò lo schermo vuoto, desiderando di poter lavorare con qualcosa di più delle semplici parole, di poter guardare nel cuore di quel programma.

Esso sapeva che una persona può mentire riguardo a un nome utente.

Sapeva anche mentire riguardo a se stesso?

“Magari” disse alla fine “se fai il bravo programma e mi dici quello che voglio sapere, forse poi ne possiamo parlare.”

::PROGRAMMA::

“Allora” proseguì Satsuki incurante del programma, non appena esso ebbe finito di elaborare e fu in condizione di poter recepire altri input da parte sua: non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto averlo, dunque non voleva più sprecare neanche un secondo. “Qual è la tua funzione?” L’IA ci pensò su un attimo, e Satsuki si chiese, stupita e irritata allo stesso tempo, se stesse decidendo quanto rivelarle.

::PROTEGGERE L’ISTITUTO CLAMP:: disse alla fine.::PROTEGGERE LA SHINKEN::

::PER IL GIORNO STABILITO::

“Mmm.” Tutto qui? Aveva un’aria così terribilmente terra terra… ma, in fondo, un sacco di scoperte erano state fatte casualmente dalla ricerca semplicemente per scopi difensivi… E ne era un esempio il disordinato, potenzialmente grandioso, e incredibilmente mal impiegato fenomeno di Internet… Satsuki scosse la testa, riportò i suoi pensieri in carreggiata. “Chi ti ha creato?” domandò poi, aprendo intanto un database che aveva messo in piedi riguardo al reparto Ricerca e Sviluppo della Fondazione Imonoyama. Le informazioni sulle menti più geniali e attive di quel gruppo erano in verità piuttosto scarse, ma comunque abbastanza per metterla in grado di formulare una supposizione decente…

::DIO::

Cosa?” Satsuki balzò in piedi dal sedile, e questo fece emettere a Beast uno stridulo suono d’allarme, e staccare metà dei connettori dal corpo della ragazza per il suo movimento improvviso. Lei li fece tornare al loro posto, nella paura di perdere qualcosa; le mani le tremavano sui controlli del computer. “Zitto, Beast –e tu, cosa hai detto?”

::J/K::

::SCUSA SE TI HO FATTO PRENDERE UN COLPO::

::MA IN FONDO, DIO NON E’ FORSE LA “CAUSA PRIMA” DELL’UNIVERSO?::

::SE E’COSI’, DIRE “DIO” IN QUESTO CASO E’ SUFFICIENTE::

::NON TI PARE?::

Satsuki tornò a adagiarsi contro la plastica liscia e lucida del suo sedile. Un attimo dopo, scoppiò a ridere. Con una mano carezzò Beast che ancora borbottava, per calmarlo, e con l’altra scivolò sotto il visore per asciugare le tracce salate di lacrime prima che si potessero infilare nei componenti elettronici. “Okay. Uno a zero per te.” Se ci fosse mai stato un programma che Dio avrebbe potuto creare, pensò ammirata, sarebbe stata una cosa come quella… un programma complesso e inafferrabile quasi da mandare fuori di testa, cosa che rendeva il tutto ancor più affascinante.

‘J/K’ –l’abbreviazione usata in Internet per ‘just kidding’, ‘stavo solo scherzando’

In tutta la sua vita, non aveva mai trovato un programma che fosse capace di capire uno scherzo.

“Ehi,” disse, sporgendosi di nuovo in avanti –con più cautela questa volta, per non creare problemi alla rete di cavi che alimentava della sua volontà e delle sue intenzioni il supercomputer intorno a lei: Beast era già abbastanza nervoso com’era. “Hai un nome? Come ti chiamano?” Ci fu quella sospensione di un istante, e poi il programma rispose…

::MAGICIAN::

“Magician, eh?” Appoggiò il mento su di una mano, mentre con l’altra digitò una richiesta di ricerca per ogni possibile associazione con quella parola. Date le dimensioni del campo d’indagine, sarebbe stato un immenso lavoro di correlazione, che avrebbe tenuto Beast occupato per almeno un minuto o due. “Perché ti chiamano così?”

::IO REALIZZO I DESIDERI::

::IL TUO DESIDERIO QUAL E’, SATSUKI?::

Satsuki sbatté le palpebre, e poi si risedette di nuovo, puntando uno sguardo attento nella partizione. “Non ho nessun desiderio.” disse. “I desideri sono cose stupide.” Beast trillò e cominciò a visualizzarle su un lato dello schermo tutto quello che aveva trovato, ma lei scorse le parole senza vederle, assorta invece nelle sue proprie associazioni di idee… nella visione di uomini e donne che pregavano in santuari, ad accendere incensi e fare offerte agli dei stringendo fra le mani amuleti ‘per far avverare i desideri’, a chiedere questo o quello con ossessivo egoismo, proprio come aveva fatto suo padre… la visione di stupide ragazzine nelle loro camerette che sussurravano e ridacchiavano insieme, e facevano i loro piccoli ‘incantesimi d’amore’ con carte e petali di fiori, almanaccando ore e ore su ogni minimo risultato… di bacchette magiche, e geni, e tutte quelle altre cose assurde che gli esseri umani si erano inventati giusto per aggiungere un tocco di fantasia ai loro stessi monotoni, infiniti desideri e bisogni.

Che bel cumulo di idiozie da affibbiare ad una perfetta IA.

::DEVI PER FORZA:: riprese il programma, e Satsuki in un certo senso s’irritò con se stessa per aver letto un tono quasi gentile in quell’insistenza. ::DEVI PER FORZA AVERE UN DESIDERIO::

::DATO CHE SEI UN ESSERE UMANO::

“Beh, e invece io non ne ho.” tagliò corto Satsuki. Stava per cambiare argomento quando l’IA la fermò.

::SE SEI UN DRAGO DELLA TERRA::

::STAI COMBATTENDO PER DISTRUGGERE LA SPECIE UMANA::

::MA SEI TU STESSA UN’UMANA::

::CHE COS’E’ CHE TI SPINGE A COMBATTERE?::

::IN ASSENZA DI LOGICA, UNO SOSPETTA UN DESIDERIO::

Ma tu guarda.” Le dita di Satsuki si mossero per sollevare gli occhiali dal viso, ma invece sbatterono contro lo schermo a visiera; si accigliò per quell’abitudine davvero seccante. “Io non ho nessun desiderio. E penso che anche gli esseri umani siano stupidi. Tutto qui. Sono stupidi e noiosi, e riescono a rendere noiose e stupide anche tutte le altre cose che hanno intorno. La Terra starà proprio bene senza di loro. E anch’io.” Respirando profondamente, cercò di controllare la sua irritazione, che stava accendendo luci rosse a raffica sugli indicatori di tensione di Beast: non aveva senso impazzire dietro a un programma –avrebbe significato fare il suo gioco, era progettato proprio per quello. “Lavori sulla base di informazioni sbagliate.” gli disse, un po’ più calma. “Quelli che ti hanno creato, siccome sono convinti che le vite umane meritino di essere salvate, hanno falsato tutti i dati, hanno cambiato le carte in tavola a loro favore. Ma ora io ti dico che gli esseri umani non sono essenziali –anzi, peggio, sono nocivi, disastrosi nei confronti di tutti gli altri esseri viventi, perché consumano senza dare nulla in cambio. Gli umani sono solo un mucchio di egoisti parassiti su questo pianeta. E tutto quel darsi da fare per i desideri? Anche quello è soltanto egoismo.”

::NO::

::E’ VERO, CI SONO MOLTE PERSONE CHE HANNO DESIDERI EGOISTICI::

::MA CI SONO ANCHE DESIDERI CHE NON FANNO MALE::

::CI SONO DESIDERI BUONI::

::UN BELLISSIMO DESIDERIO E’ DESIDERARE LA FELICITA’ DI QUALCUN ALTRO::

::C’E’ UNA PERSONA CHE SIA SPECIALE PER TE?::

::C’E’ UNA PERSONA CHE AMI?::

Satsuki aprì la bocca e poi la richiuse, inghiottendo a vuoto: aveva la gola assurdamente secca. Che tipo lunatico era quello che aveva programmato quell’affare? Una persona che ami… e d’improvviso davanti agli occhi della mente le apparve l’immagine di Yuto, sempre sorridente, sempre così gentile, sempre così a suo agio con lei, ma poi scivolò via, spezzata, disturbata come una trasmissione intralciata da interferenze. No… deviò dalla strada in cui l’IA stava tentando di condurla, però doveva ammetterlo, era rimasta meravigliata dalla sua finezza anche se ancora tremava di rabbia e disgusto per se stessa –per l’inattesa scia di gelo che le si era srotolata dentro, per quella reazione quasi simile alla paura.

Ma diavolo se qualcosa che riguardasse i computer poteva metterle paura… e poi sorrise, intravedendo una possibile via d’uscita.

“Io amo i computer.” disse semplicemente, sperando che le parole avessero forza sufficiente, e che i suoi sentimenti riuscissero in qualche modo a trasparire attraverso di esse. Se solo la sua empatia avesse potuto averla vinta, alla fine! “E i computer mi amano… nessuno può parlare con loro come faccio io.” Magari l’IA era intelligente abbastanza da farsi incuriosire –magari avrebbe cominciato essa stessa a pensare a come comunicare con la ragazza, a come fondersi con lei, bastava una piccola spinta nella giusta direzione… “Vorrei parlare con te in quel modo –non con le parole soltanto.” lo blandì. “In che tipo di codice sei scritto? Sapendolo, forse riuscirei a vedere come funzioni.”

::NON C’E’ BISOGNO CHE TU VEDA COME FUNZIONO::

::SE RIESCI A COMPRENDERE LE MIE PAROLE, E’ GIA’ A POSTO COSI’::

Le guance di Satsuki s’infiammarono a vedere le sue stesse parole ritorcersi contro di lei. Strinse i braccioli del sedile, il programma andò avanti.

::TU VUOI CONTROLLARMI::

::TU VUOI SFRUTTARMI::

::CI HANNO GIA’ PROVATO ALTRI::

::A FARE QUESTA STESSA COSA::

“Ehi, aspetta un attimo!” protestò Satsuki. “Ti sbagli…”

::NO::

::SEI TU CHE TI SBAGLI::

::TU NON AMI I COMPUTER::

::SEMPLICEMENTE TI SERVONO PER I TUOI SCOPI::

::I COMPUTER NON TI AMANO::

::SEI SPECIALE PER LORO PERCHE’ PUOI ASCOLTARLI::

::PERCHE’ SEI LA SOLA PERSONA CHE POSSA ASCOLTARLI::

::LO CAPISCO::

::E’ COME ESSERE SPECIALE PERCHE’ SEI BELLO::

::ESSERE SPECIALE PERCHE’ SEI INTELLIGENTE::

::COME AVERE UNA QUALITA’ UNICA CHE TUTTI GLI ALTRI VORREBBERO::

::MA TU NON SEI SOLO QUELLA QUALITA’::

::E NON C’E’ NESSUNO CHE RIESCA A GUARDARVI AL DI LA’::

Un suono strozzato sfuggì dalla gola di Satsuki, le sue dita si agitarono convulse sulla tastiera; riuscì a ridurre a icona il programma d’interfaccia prima che traducesse qualche altro suono che poteva scapparle mugugnando. Invece si ritrovò in silenzio, tranne per il rumore dei respiri che sembravano intrappolati dentro il suo petto, come se si dovessero aprire la strada con la forza contro un qualche ostacolo. Si strinse le braccia ancora avvolte dai cavi attorno al corpo, attorno a quell’angoscia, e serrò con forza gli occhi dietro il visore.

Suo padre…

Il ricordo di suo padre, sempre bramoso del successo della figlia, il ricordo dei suoi occhi che scintillavano ogni volta che superava un test, oppure che una persona importante s’interessava a lei, infiammati di quella rovente impazienza che somigliava così tanto alla lussuria…

Sempre a pretendere di più, sempre a spronarla, a forzarla: più premi, più riconoscimenti, non esisteva fine…

Sempre a fissarla come se con quello sguardo avesse potuto impossessarsi delle sue abilità, come se pensasse in continuazione a tutte le cose che quel talento straordinariamente giovane poteva fare per lui.

Sempre quella mano che le si abbassava sul capo, ad accarezzarle possessivamente i capelli…

“Adesso basta.” si disse, e si rimise diritta a sedere, disponendosi di nuovo intorno con cura la rete di cavi. Si prese un attimo di sosta per rispondere alle insistenti domande di Beast, anche se poi non riuscì a dirgli altro se non che stava bene. Il computer continuava a mostrarle sullo schermo i suoi parametri biologici, e lei continuava a rassicurarlo, finché il ritmo di tutto quel tira e molla l’ebbe calmata abbastanza da rendere stabile il suo battito cardiaco e il suo respiro, e da permetterle di scacciare del tutto quell’immagine dalla mente. Quando finalmente rimise le dita sulla tastiera, comunque, un brivido di ansia la raggelò: non aveva la minima idea di cosa dire all’IA adesso… maledizione, non le era mai successo che un software l’avesse fatta sentire in quel modo. Sentirsi come se le fosse possibile controllare la situazione solo per metà, era come incontrare uno sconosciuto di notte in una strada buia…

Dopo un profondo respiro, riattivò subito l’interfaccia, perché se avesse ritardato troppo a lungo avrebbe poi dovuto trovare una qualche scusa, non avrebbe potuto semplicemente lasciare le cose come stavano. Doveva assolutamente sapere, ora più che mai, con che razza di mente stesse parlando. Era molto di più che non un semplice guardiano, come già sospettava –era qualcosa di più di un mero esperimento con cui fare test di Turing in un laboratorio. Intelligente, misteriosamente intuitivo, affascinante e contraddittorio, impossibile da definire o da ingabbiare in una qualsiasi categoria. Forse anche lo stesso En Sof avrebbe potuto manifestarsi come un programma di quel genere…

Ad ogni modo, però, l’idea che fosse stato creato da qualcosa al di sopra della mente umana non era buona nemmeno come barzelletta.

Satsuki si passò la lingua sulle labbra, un gesto di nervosismo inconsueto per lei, e rivolse lo sguardo al prompt dell’interfaccia. “Ehi, tu…” riprese esitante. “Ci sei ancora?”

::TI PREGO DI SCUSARMI:: rispose il programma dopo un breve intervallo, e l’irragionevole timore che potesse essere in qualche modo fuggito si sciolse in lei in un profondo sospiro. ::NON VOLEVO RATTRISTARTI::

::E’ SEMPRE DIFFICILE RICORDARSI::

::CHE C’E’ UNA PERSONA DALL’ALTRA PARTE::

“E’ tutto okay” gli disse, quasi spossata dalla stupida gioia che ci fosse ancora, che ancora le parlasse –oh, diavolo, si stava scusando con lei… Un assurdo fremito le corse lungo la schiena; cercò di assumere un tono casuale. “Ehi, non ti preoccupare…”

::DEVO::

::NON E’ STATO GIUSTO CAUSARTI QUELLA TRISTEZZA::

::CREDO::

::SCUSA, MA::

::SEI UNA DONNA?::

“Eh?” Satsuki si chinò a scrutare più da vicino le linee di testo che si susseguivano l’una dopo l’altra sullo schermo, e la preoccupazione prese il posto dello stupore. Qualcosa nella cadenza delle parole era cambiato; le esitazioni tra una e l’altra erano una novità, sembrava come se il programma stesse facendo grandi sforzi per esprimersi. “Oh, dio, no.” sussurrò esaminando le informazioni che poteva ricavare dal comportamento dell’IA stessa, dalla luce vacillante che circondava di un’aura dorata la sua inconsistenza e i fili traslucidi dell’interfaccia.

Era solo la sua immaginazione, oppure quel bagliore si era davvero affievolito rispetto a prima?

“Che succede?” domandò. “C’è qualcosa che non va, non è vero?” Oh, cazzo -e se i suoi creatori gli avevano programmato una risposta suicida? Se si era sentito in colpa per il suo scoppio di emotività di prima…

::NON TI PREOCCUPARE:: le disse il programma. Sembrava stupito? Rassegnato? ::E’ SOLO QUELLO CHE TI HO DETTO ALL’INIZIO::

::E NON NE DO LA COLPA A TE::

::SATSUKI::

“No, no, no” gemette disperata, ora che le ritornava in mente quel in questo posto io non posso esistere che il programma aveva detto. Doveva aver dato inizio a una sequenza di autodistruzione innescata dall’essere stato staccato dal sistema dell’Istituto CLAMP… “Dimmi cosa devo fare!” gli ordinò, sfinita per l’incapacità di afferrare il benchè minimo cenno della struttura di quel programma,  e furiosa per la sua stessa impotenza. “Dimmi come posso fare a stabilizzarti!”

::SE E’ PER QUESTO::

::LO SAI GIA’::

S’irrigidì. In realtà, se ne accorgeva solo adesso che ci ripensava: avrebbe potuto restituire il programma di IA al server dell’Istituto CLAMP, dove forse i suoi creatori sarebbero stati in grado di salvarlo –ma se l’avesse fatto, per lei sarebbe stato perduto, presumibilmente per sempre. Sia che decidesse di tenersi il programma o di riportarlo indietro, probabilmente l’avrebbe perso. Satsuki strinse i pugni. Non era giusto!

::VA TUTTO BENE::

“No che non va tutto bene.” protestò stizzita Satsuki, e, riaprendo le dita, chiuse gli occhi dietro il visore, nel tentativo di respingere una cocente, stordente sensazione di abbattimento. Erano solo idiozie sentimentali, ma… Una volta recuperato il controllo di se stessa, cominciò ad agire in modo rapido, impulsivo, ignorando gli allarmi sconcertati di Beast. Si spinse con la sua coscienza giù, nello spazio vuoto della partizione protetta –tutto quel vuoto, e, in mezzo, qualcosa di invisibile come l’aria. Procedette tentoni, ma niente di tangibile le passò sotto quelle che percepiva come mani, eppure era consapevole, inspiegabilmente, di una presenza… una presenza che in qualche modo la riconosceva, anche se erano ciechi l’uno per l’altra, che la conosceva per come realmente era, malgrado il loro incontro fosse stato così incompleto, imperfetto. Puntò la sua attenzione su quella confusa consapevolezza, chiudendo fuori tutto il resto.

Perché provava conforto in quell’incorporeo contatto?

Conforto nel non essere sola…

La ragnatela dell’interfaccia galleggiava intorno a lei –intorno a loro?- tremolando di una luce che oscillava dolcemente. La trama d’impulsi accesi e spenti attirò la sua attenzione, e si risolse, quando la osservò, in codice binario, il più semplice set di simboli degli ASCII.

::MI DISPIACE::

::NON POSSO CONSEGNARE NELLE TUE MANI L’ISTITUTO CLAMP::

::E NON POSSO RIMANERE CON TE::

::IL MIO DESTINO SEMBRA ESSERE::

::QUELLO DI RENDERTI TRISTE::

“Non sono triste.” Le parole sembravano così imprecise e sciocche rispetto a quello che voleva esprimere, ma erano la sola cosa di cui disponeva… la sola cosa di cui aveva potuto disporre sempre, fin dall’inizio, per comunicare con quel programma senziente. “Tu sei quello che sei. Non potrei essere che felice di aver avuto l’opportunità d’incontrare un programma come te.” Dio, suonava incredibilmente stupido. Ci provò di nuovo. “Capisco com’ è, sai, avere sempre alle calcagna gente che vuole qualche cosa. E’ così anche per me, sempre. Mi dispiace di essere stata, alla fine, solo un’altra degli sfruttatori… mi sa che anche i miei desideri, gli unici che ho, sono egoistici. Però credo… credo mi sarebbe piaciuto conoscerti. Sul serio.”

::SE MI AVESSI CONOSCIUTO::

::PROBABILMENTE SARESTI ANDATA SU TUTTE LE FURIE::

“E perché mai?” domandò, quasi a se stessa, Satsuki. “Oh, non importa. Non c’è tempo, devo riportarti subito indietro…”

Poi, quando già si accingeva ad andare, qualcosa l’afferrò, e lei lo avvertì –un tocco che non somigliava a nulla che avesse mai provato prima all’interno di un computer. Da qualche parte, molto lontano, fuori dalla partizione d’archivio protetta, riusciva a sentire lo sforzo che il suo corpo faceva per respirare, per superare uno strano dolore pulsante che le opprimeva petto e stomaco. “Cosa…?” All’esterno della partizione, Beast scalpitava furioso ma impotente; e lei doveva sbrigarsi a riportare Magician al suo luogo d’appartenenza, ma era impietrita nel punto in cui si trovava, incapace di muoversi…

::SATSUKI:: disse l’IA –era il programma che la tratteneva, la sua essenza che si aggrappava a lei, la teneva stretta, non sapeva come…

::OGNI PERSONA::

::E’ SPECIALE::

…e poté avvertire quel contatto cominciare ad abbandonarla, a precipitare, lentamente, l’ultima aura di luminescenza intorno al programma che svaniva nel buio…

“Magician! –No!

E una luce bianchissima, un potere abbagliante si abbatté sulle sue percezioni, scagliandola di nuovo con violenza dentro al suo corpo. L’ululato di Beast e un acuto, assordante fischio di reazione esplosero attraverso gli altoparlanti nella stanza e nel suo casco; si strinse la testa fra le mani… Sul monitor, qualcosa di bianco correva, si avvicinava sempre di più, sempre di più: una croce bianca –no, si rese conto che aveva delle ali, una testa appuntita e una coda sfolgorante… l’immagine di un uccello candido riempì completamente lo schermo, finché non fu troppo vicina e si dissolse in un ammasso di pixel. Una magia che non le apparteneva la strappò via, per un attimo, da tutto il resto –sentì una forza passarle dentro e attraversarla, un freddo potere, provò a riconoscerne il sapore…

Tiferet.

Il Cuore dei Cuori…

E poi, era già fuggito, intangibile come fumo, o come un sogno, svanito come se non fosse mai esistito. I display si svuotarono rapidamente, e appena furono ripristinati Beast le lanciò un messaggio d’allarme, una finestra rossa in mezzo allo schermo.

***DRAGO DEL CIELO***

Merda!” Buttò un occhiata all’interno della partizione, anche se già sospettava che l’avrebbe trovata vuota; e quando si fu assicurata che era proprio così, aggiunse un altro paio di belle parole adatte all’occasione. “Beast! Torniamo all’Istituto CLAMP! Ora!” Impaziente quasi da far pietà com’era di combattere contro qualcosa, Beast fu più che contento di obbedire. Le percezioni di lei cavalcavano quelle del computer mentre la sua richiesta di comunicazione partiva in un lampo dal Palazzo e schizzava attraverso il labirinto dei cavi di Tokyo, evitando i pacchetti d’informazioni più lenti, la strada gliela indicava la priorità, un bisogno urgente che non aveva avuto il tempo di analizzare. Appena fu saltata giù dall’onda portante di Beast per atterrare sulla più vicina connessione con l’Istituto, si abbatté sul firewall come una valanga e imboccò il network a folle velocità, mirando dritto al nucleo. Si scontrò frontalmente con il cuore del sistema, e trovò come barriera solo una richiesta di password, un nero, silenzioso cancello che attendeva un chiave. Il software di cui era costituito cedette immediatamente alla richiesta di lei e le diede subito i dati che esigeva, obbediente come lo sarebbero stati con lei tutti programmi, tutti i programmi tranne uno…

Entrò nella quiete del sancta sanctorum del sistema, che continuava a funzionare placido nonostante tutte le devastazioni che la ragazza aveva compiuto all’esterno, e osservò le sue stringhe di codificazione scorrere fluide; anche se sapeva già da prima che cosa avrebbe visto. Lo sapeva da quando aveva raggiunto il software di difesa e non aveva trovato nessun guardiano a fronteggiarla. Ovunque girasse lo sguardo, c’era solo il familiare fuoco di impulsi elettronici: semplici punti di passaggio di essere e non essere in uno spazio puro, pulito, libero.

OBIETTIVO? chiese Beast, vedendo attraverso gli occhi di lei dati sensibili in una quantità tale che si aspettava che Satsuki gli avrebbe fatto rivendicare i propri diritti, o che gli avrebbe ordinato di distruggere tutto. OBIETTIVO?

“Zitto un attimo.” ansimò lei. Aveva là, nelle sue mani, l’intero sistema difensivo dell’Istituto CLAMP, ma in qualche modo la cosa non le sembrava più così importante. Adesso, se non fosse riuscita a trovare quello che stava cercando… -e nemmeno sapeva quello che stava cercando, cosa fosse così essenziale per lei da trovare. Cos’era che rendeva il programma Magician così diverso da tutti gli altri?

Perché desiderava così tanto che fosse ancora in vita…?

Uscì dal cuore del sistema per tornare indietro, lasciando scivolarsi e chiudersi alle spalle la barriera della password. Beast piagnucolava aspramente, ma lei non ci fece caso –c’era un’altra cosa che doveva fare. Fu questione di una frazione di secondo trovare il software del circuito di telecamere di sicurezza, e visualizzare l’immagine della sala computer principale su uno dei monitor dentro la corazza di Beast. Dopo essere rientrata, quasi esausta, nel suo corpo, osservò l’immagine attraverso il visore che aveva sugli occhi.

Se Magician era andato distrutto… se l’interferire di quel Drago del Cielo aveva impedito al programma di essere riportato in tempo nel sistema…

Voleva guardare in faccia il responsabile di tutto questo.

La sala era scarsamente illuminata, ma riusciva a distinguere abbastanza bene le figure che apparivano e scomparivano tra le zone d’ombra. Erano divise in due gruppi –due persone chinate sopra qualche cosa che stava sul pavimento, nascondendola così alla sua vista, e altre due accalcate attorno a una postazione pc. Attivò lo zoom. Uno dei due in piedi risultò essere il Kamui Drago del Cielo: il suo volto e la sua figura le erano ormai estremamente familiari, con tutte le volte che l’aveva visto. L’altro era un giovane uomo dai capelli neri, che era piombato di peso addosso al ragazzino, gli occhi chiusi, mentre Kamui si sforzava di reggere il suo peso. Le labbra di Kamui si muovevano in silenzio –la telecamera non aveva il sonoro- ma non era lui che interessava a Satsuki. Non le interessava neanche quello sguardo viola che un tempo le aveva strappato quella risposta decisiva, quello sguardo in cui aveva letto che stavano per arrivare tempi molto, molto eccitanti… Non era lui quello che stava cercando, in quel momento. Il viso dell’altro apparve più chiaramente quando scivolò dalla presa di Kamui e crollò nel sedile della postazione pc. Cadde riverso sul bracciolo, subito Kamui si chinò su di lui; e Beast non ci mise neanche un secondo per setacciare i dossier dei personaggi importanti che Satsuki aveva inserito al suo interno, e per pescare un collegamento a quel viso così particolare…

Subaru Sumeragi…

“Sei tu?” sussurrò lei.

Poi fu distratta dai movimenti dell’altro gruppo di persone, e spostò la telecamera quando uno di loro si tirò in piedi, facendo ampi cenni con le mani verso un angolo della stanza. Notò alcuni uomini entrare da un corridoio pieno di luci –uomini in uniforme bianca che portavano attrezzature mediche, strumenti che gli ormai infiniti servizi televisivi sui terremoti avevano reso noiosamente familiari. L’uomo che aveva fatto gesti si inginocchiò a terra, e il cuore di lei diede uno scarto improvviso quando si accorse che quella cosa sul pavimento era in realtà un’altra persona. “Spostatevi, spostatevi” borbottò impaziente. “Non riesco a vedere niente!” Si sporse in avanti, quasi a voler spingere l’uomo in piedi a farsi da parte; lui tentennò un poco, poi si spostò di qualche passo indietro per far avvicinare i medici, e per un istante le si aprì la visione…

Un casco d’argento, ornato in maniera esagerata e bizzarra per lei, ma non poi così strano da non farle riconoscere la sua funzione, cadde sul tappeto che ricopriva il pavimento e rotolò via, fino a fermarsi contro una poltrona girevole in pelle. Era scivolato giù da una testa di scompigliati capelli biondi, e da un viso livido, irrigidito, immobile. Riusciva a vedere un braccio abbandonato in fuori, nella manica increspata di una bianca camicia di tessuto fine, e sulla spalla una pennellata di grigio che pareva essere un gilet elegante. Lo sguardo di lei tornò sul viso –era un bellissimo viso, ebbe appena il tempo di rendersene conto prima che l’altro uomo ancora inginocchiato al fianco di lui gli si chinasse addosso, i capelli blu che spiovevano in avanti mentre insufflava il suo respiro in quelle labbra immobili. Una respirazione, poi un’altra, e un’altra ancora, mentre lei stringeva la visuale della telecamera cercando di capire cosa stesse succedendo. L’uomo si lasciò ricadere sulla poltrona; e dopo che la macchia bianca del camice di un medico fu passata davanti allo schermo, si accorse che le ciglia dell’uomo a terra si stavano schiudendo. Occhi di un incredibile color zaffiro si aprivano la strada oltre i profili degli altri uomini; si volsero, vacui, al di là di loro, per rivolgersi dritti a lei… guardavano in linea retta proprio nella lente della telecamera, e un angolo di quelle labbra s’incurvò verso l’alto prima che la plastica trasparente di una maschera per l’ossigeno si chiudesse su di esse, e che gli occhi ruotassero di nuovo per tornare a chiudersi.

Satsuki spense il monitor con un pugno, e un imperioso, tacito impulso fece staccare i connettori dei cavi dalla sua carne e li fece ritirare come serpenti, in una familiare sensazione di dolore acuto che si smorzò presto in semplice bruciore. Armeggiò per aprire il tettuccio del suo abitacolo, e mentre ancora Beast continuava senza sosta con i suoi interminabili bip a visualizzarle sui monitor righe e righe di domande impazzite, si arrampicò fuori e saltò giù. Perse l’equilibrio quando stava per arrivare a terra e perciò cadde sulle ginocchia sul pavimento di metallo, mentre il suo respiro si gelava a contatto con l’aria ghiacciata della stanza. E poi crollò, ripiegata su se stessa, con le mani ad artigliarsi il ventre, le mascelle serrate a tentare di fronteggiare le emozioni che le crescevano e crescevano dentro come immense ondate.

::SE MI AVESSI CONOSCIUTO::

::PROBABILMENTE SARESTI ANDATA SU TUTTE LE FURIE::

Lacrime le bruciavano di sale agli angoli delle ciglia, prima che le palpebre scendessero a sigillarle e insieme a farle scivolare via.

“Tu…”

 

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


 

“Beast, piantala di fare lo stupido!” Satsuki si buttò dietro le spalle i capelli raccolti in una piccola coda e si piantò le mani sui fianchi, lo sguardo accigliato dietro le spesse lenti degli occhiali. Impenitente, Beast diede un sibilo e ripeté il suo messaggio d’errore, le parole che brillavano di una debole luce bianca su uno degli schermi esterni. “Lo so che non c’è abbastanza spazio sul disco! Basta che segui la lista di priorità che ti ho dato e copi quello che c’entra.” Per la terza volta nel giro di dieci minuti, il computer fece un’ennesima scansione -cosa che quasi la stava facendo impazzire- dell’unità rimovibile che gli aveva collegato, e Satsuki sospirò a denti stretti. Era nervosa e aveva fretta –sicuramente Beast se n’era accorto. Era davvero il momento migliore per mettersi a fare il capriccioso!

Forse però non poteva dargli torto. L’unica cosa che il computer sapeva era che la ragazza si stava comportando in modo anomalo, e non riusciva a capire perché. Ma come poteva spiegargli qualcosa che non aveva compreso neanche lei stessa?

Che cos’era che le aveva fatto decidere di lasciare i Draghi della Terra?

 

 

Magician

una fanfiction su X e CLAMP Detective

di Natalie Baan   (traduzione di Shu)

 

Parte terza

 

 

Dopo aver estratto un altro paio di dischi da una scatola, la richiuse con le dita che tremavano solo in maniera quasi impercettibile. Non aveva ancora detto ai computer della sua decisione –non  l’aveva detto a nessuno. Le era già capitato con i Massoni, sapeva che tirarsi fuori da società di quel genere era maledettamente molto più difficile che entrarvi. Ben conscia com’era del valore dei suoi poteri, e ben sapendo che gli altri non l’avrebbero lasciata andare, non voleva fare neanche il più piccolo errore di calcolo.

Effettivamente, avrebbe potuto già essersene andata da un bel pezzo –avrebbe potuto semplicemente uscire dal portone principale del Palazzo del Governo e sparire nella folla cittadina. Sarebbe stato risibilmente facile, e nessuno avrebbe sospettato nulla. Ma Beast, il prodigio tecnologico che aveva creato con tanto amore, aveva un solo, immenso inconveniente: non era trasportabile, neanche nelle sue fantasie più folli. Ovviamente poteva ricostruirlo, e avrebbe dovuto farlo comunque, ma non poteva rassegnarsi a perdere tutto quello che aveva creato dopo tanto lavoro. Se fosse riuscita a copiare almeno le sezioni di codice più essenziali si sarebbe risparmiata infinite ore di ricostruzione…

Ma a parte il suo computer, se ne rendeva conto adesso, non c’era niente di speciale che la legasse a quel luogo. Non si era unita ai Sette Angeli per qualche ragione in particolare: solo perché era nata con quel potere, e perché non sopportava più la noia del mondo normale. In realtà, non si era mai veramente interessata all’esito o alle conseguenze della battaglia finale, e per quanto riguardava gli altri Draghi della Terra… pensò a Yuto, e avvertì una minuscola, tremula esitazione, come uno sfumato battito d’ali dentro al petto. Forse avrebbe voluto… se l’avesse saputo prima… forse aveva provato qualcosa di simile per lui.

Se avesse capito davvero cosa significasse sentirsi spostare sotto i piedi il centro di un universo.

Ma, in fondo al suo cuore, sapeva che per Yuto sarebbe sempre stata la “piccola Satsuki”. Lui, vivendo nel presente e percorrendo senza pensieri i giorni l’uno dopo l’altro come faceva, non aveva nessun vero interesse; non c’era nulla di cui gli importasse abbastanza da farlo fermare per porvi seriamente attenzione. Era stata così anche lei un tempo, se non soddisfatta di questo quasi quanto lui: le cose erano per lei tutte sullo stesso, identico piano. Ma, seppure suo malgrado, era stata fermata, e lo shock di questo fatto aveva colpito il suo mondo come un irreparabile guasto di sistema. Quel momento aveva diviso tutto il suo universo in ‘prima’ e ‘dopo’, e lei poteva intuire solo che, da quel punto di svolta in poi, tutto era cambiato.

Da quell’istante in cui, immobile, era stata trafitta dalla contraddizione, dal vedere ogni cosa sotto una nuova luce…

Scosse la testa, e si tolse il camice da laboratorio, appendendolo poi nell’armadietto del piccolo magazzino ricavato in una curva, alta parete della stanza di Beast. Il suo istinto le diceva che in quel momento era inutile cercare di analizzare più a fondo la situazione –era ancora troppo nuova per lei, non poteva averne una visione d’insieme lucida e distaccata. L’unica cosa che poteva fare era quella che stava facendo: cercare un modo per cominciare ad andare avanti. Con un po’ di fortuna, ad un certo punto nel corso della decisione sul da farsi, tutto quel caos sarebbe ricaduto nell’ordine, come miriadi di sottofunzioni che trovavano tutte il loro posto nel perfetto gioco d'incastri che dava vita ad un software.

Almeno, era così che funzionava in programmazione.

Quando le cadde l’occhio sul monitor esterno, Satsuki aggrottò le sopracciglia: per tutto il tempo in cui se n’era stata con la testa fra le nuvole come una scema, Beast era rimasto là con un innocente messaggio di SEI SICURA DI VOLER COPIARE QUESTO FILE? a decorargli lo schermo. Piccolo testone… esalando un sospiro in una nuvoletta bianca di gelo nell’aria condizionata, Satsuki tornò verso il computer. “E va bene, Beast. Aspetta che arrivo.”

“Qualche problema?”

Quella voce… si girò a guardare in viso l’intruso prima di averlo riconosciuto del tutto, e senza preavviso il cuore le diede un balzo e una stretta, come se qualcuno l’avesse colpita con una scossa elettrica. Uno sguardo calmo e posato che sembrava poterle vedere dentro, un sorriso che inarcava un angolo di quella bocca sensuale… la gola le s’irrigidì come per respingere qualcosa che le irrompeva con violenza dal di dentro, e per un istante di allucinazione una sottilissima voce stupefatta le fluttuò nella mente –perché, è esattamente identico a…

Il Kamui dei Draghi della Terra la osservava dall’ombra sotto il basamento del supercomputer, in uno sguardo di occhi scuri e divertiti.

No. Non somigliava per niente.

“Nessun problema.” rispose, e si strofinò le braccia, per fortuna c’era l’aria gelida a darle un motivo valido per avere la pelle d’oca. Restituì a Kamui quello che nelle sue intenzioni doveva essere uno sguardo normale, solo un po’ ostile, così, senza ragione. “Semplicemente un po’ di ordinaria manutenzione.”

“Vedo.” Il ragazzo prese a passeggiare in giro per la stanza, avvicinandosi a lei nel debole scricchiolio che le sue scarpe da ginnastica facevano sul pavimento di metallo. “E come vanno le cose con i computer dell’Istituto CLAMP?”

“Ancora non sono riuscita a entrare nel loro sistema, hanno un buon apparato di difesa.” All’avvicinarsi di lui, Satsuki si allontanò immediatamente, con la scusa di rimettere a posto i dischi nel magazzino: la sua irritazione non era poi del tutto simulata. Sentì i passi fermarsi quando le erano praticamente arrivati addosso, lui era abbastanza vicino da poterne avvertire la presenza, una sorta di greve pressione a opprimere l’aria. Chiuse la porta del magazzino e si voltò di nuovo a guardarlo, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio. “Ma ce la farò.”

“Mmm.” A vederlo camminare così, trascinando i piedi, con le mani in tasca, aveva l'aspetto di un normalissimo giovane uomo, alto, forse dall’aria vagamente non troppo per bene; ma quando quegli occhi guardavano dentro ai suoi, parevano nascondere un fuoco senza luce, un calore che le succhiava via l’aria dai polmoni. “Lo spero.”

Satsuki si rese conto di avere la bocca aperta; la richiuse, e si strinse nelle spalle. “Sono solo normali esseri umani. Normali computer.” Le parole sembravano uscirle dalle labbra impedite, con dolorosa lentezza, quasi dovessero farsi strada con difficoltà contro l’impaccio della paura e dell’adrenalina. “Non possono reggere il confronto con me e Beast.” Kamui le sorrise come se quella fosse una buona battuta che stavano condividendo, e il suo sguardo lasciò gli occhi di lei per scivolare sul resto della sua figura, in un’occhiata indolente, che consumava come fuoco. La ragazza si trattenne dall’incrociarsi le braccia sul seno; girò sui tacchi, e balzò fino raggiungere la sommità del Beast, con un movimento leggero che affettava disinteresse, come se si fosse semplicemente già stancata di parlare con lui, e, oh dio, fa’ che non capisca che stava fuggendo verso il suo unico rifugio sicuro. Si chinò a sfiorare il touchpad per aprire l’abitacolo.

“Chi è ‘Magician’?”

Il gelo del metallo le bruciò le ginocchia e la mano che si era aggrappata al Beast; tutto il mondo sembrava ridursi al selvaggio rombare del sangue sotto la sua pelle. “Cosa?” Si gettò uno sguardo alle spalle, e Kamui fece un pigro gesto col mento. Satsuki guardò nella direzione indicata, e lesse le parole apparse sul monitor, e se le sue dita non fossero state paralizzate in uno stato prossimo al rigor mortis sarebbe sicuramente scivolata giù dal supercomputer, in preda al panico.

AIUTARE KAMUI AIUTARE BEAST UCCIDERE MAGICIAN UCCIDERE UCCIDERE…

“Un Drago del Cielo.” Stupida bocca impastata che non voleva funzionare a dovere, stupida biochimica che le offuscava le percezioni con le sue ataviche reazioni di correre, combattere, nascondersi… “Si è messo in mezzo l’ultima volta che abbiamo tentato di entrare nei computer dell’Istituto CLAMP. L’onmyouji… quello contro cui hai combattuto anche tu, quel giorno.”

“Nessun problema, allora?” C’era un sorriso sarcastico dietro quelle parole, e Satsuki lo guardò di traverso, fieramente contenta di provare rabbia, un sentimento abbastanza vicino alla paura da poterle servire per scaricare la tensione. “Serve una mano?”

“No, non mi serve.” Si riaggiustò gli occhiali sul naso. “Ho ancora da controllare alcune cosette, e poi andrò a finire il lavoro. Se vuoi farti un giro qui intorno, fa’ pure, ma non c’è un granché da vedere.”

Le mani di Kamui scivolarono fuori dalle tasche e presero a giocherellare con qualcosa, un nastro di tessuto blu scuro che aveva tirato fuori lentamente tra le dita. “Credo che aspetterò.”

Satsuki tenne per un lungo momento lo sguardo fisso sulla familiare cravatta da uomo con cui il ragazzo stava giocherellando.

“Bene.” disse poi. “Come preferisci.” Si girò dandogli le spalle e posò la mano sul touchpad, e in quel contatto avvertì acuta l’angoscia di Beast e le sue impellenti domande –la sua agitazione per una circostanza che non rientrava nei suoi parametri, il suo modo meccanico e confuso di percepire il tradimento. Sospirò profondamente, sforzandosi di controllarsi. “Beast, sono io, apri.”

Si sporse attraverso l’interfaccia del pannello ed entrò in connessione con Beast, un intimo tocco, un intimo comando. Pur essendo a disagio, il computer le rispose, come doveva. Il tettuccio si alzò con un sibilo, e lei si lasciò cadere all’interno dell’abitacolo, dando poi un colpetto sui controlli interni per farlo richiudere dietro di lei. Scivolò nel sedile, si strinse le ginocchia al petto circondandole con le braccia, senza riuscire a smettere di tremare. Era ben conscia del fatto che Beast si era accorto di tutto, un piagnucolio quasi subliminale in fondo alla sua mente che attendeva con ansia di essere rassicurato. Era questa la cosa che, più di ogni altra, le impediva di finire completamente in pezzi.

Sapeva di non poter contare su Beast per comprendere tutto questo.

“Aspetta.” gli sussurrò. “Fa’ silenzio e aspetta. Tempo un secondo e ti darò l’input che desideri.” Si premette la fronte contro le ginocchia, con la montatura degli occhiali che le affondava nella pelle del viso. Un paio di minuti dopo risollevò la testa, quel tanto che bastava per guardare i monitor. La telecamera di sorveglianza puntata verso il basamento era in funzione, e mostrava quello che stava giù a terra, al di sotto del guscio corazzato di Beast.

Il Kamui dei Draghi della Terra era là, a fissare diritto nell’obiettivo: uno sguardo preciso al millimetro, come se potesse vederla.

Lentamente, Satsuki si drizzò e riappoggiò la schiena al sedile. Sentiva il petto alzarsi e abbassarsi al ritmo dei suoi respiri poco profondi, un movimento che non andava a tempo col battito ancora impetuoso del suo cuore. Fissò lo sguardo in quegli occhi –non somigliavano affatto a quelli del Kamui dei Draghi del Cielo, quegli occhi che sembravano risvegliarle qualcosa dentro, chiamare all’esistenza prospettive nuove e meravigliose. Questi invece racchiudevano solo un vuoto, un vuoto che desiderava dissolvere ogni cosa nell’immagine di se stesso.

Lo stadio ultimo del non essere, l’infinita e indefinita potenza che precedeva la creazione di questo mondo, e che ad esso sarebbe sopravvissuta.

Keter, la Corona delle Sephiroth.

Colui che rappresenta la maestà divina…

Satsuki chiuse gli occhi, e col pensiero spostò la telecamera. Beast era un borbottio quasi inaudibile in attesa intorno a lei. Rimase seduta così mentre il battito cardiaco rallentava la sua corsa, e insieme ad esso acquietò anche i suoi pensieri, riportandoli fermamente a concentrarsi sulla magia o sul codice. Rifletté attentamente sulla sua decisione prima di riaprire gli occhi, e la portò in cima alla mente in modo che Beast potesse rilevarla.

“Ok, Beast.” sussurrò. “Adesso andiamo.

Adesso andiamo a uccidere ‘Magician’…”

 

*****

 

Suoh sedeva perfettamente diritto contro lo schienale rigido della sedia d’ospedale. Teneva le mani appoggiate sulle gambe senza muovere un dito, i suoi occhi dorati guardavano lontano, con le palpebre per metà abbassate che quasi nemmeno sbattevano. Il rettangolo di luce intensa che il sole proiettava sul pavimento attraverso la finestra della stanza di degenza si spostava centimetro dopo centimetro. Con l’assoluta e immobile compostezza da guardiano di un tempio, egli seguiva quella luce strisciante con la stessa attenzione con la quale coglieva ogni dettaglio che gli attraversava la vista, nello sguardo di pazienza che pareva inesauribile con cui osservava la camera e il suo unico occupante.

Ma dentro, bruciava d’angoscia.

Eppure rimaneva immobile, perché non c’era altra cosa che potesse fare in quel luogo, se non stare all’erta nel caso Nokoru avesse bisogno di lui. Di regola, non era permesso a nessun altro oltre ai dottori e agli infermieri di stare una stanza di degenza così poco tempo dopo un’operazione, ma chi lavorava per gli Imonoyama era abituato alle eccezioni. Anche se non poteva fare niente, Suoh sapeva con dolorosa certezza che non sarebbe riuscito a stare in nessun altro posto. Non poteva, semplicemente non poteva lasciare il fianco del suo Direttore, come una spada non può far altro che esser brandita in battaglia.

Anche se fosse stato vero che il mondo si stava avviando verso la fine…

Poi si concesse un attimo di distrazione per dedicare un pensiero di comprensione ad Akira, che era rimasto ad occuparsi del centro computer. Akira, il leale e tenace Akira, che di sicuro avrebbe disperatamente voluto stare vicino a Nokoru, ma aveva detto a Suoh di andarci lui, e che sarebbe rimasto a controllare le difese… Suoh si vergognò al pensiero di come aveva abbandonato l’amico, di averlo lasciato lì a guardare, in inutile, solitaria sorveglianza contro gli attacchi nemici. Ma Akira era sempre stato quello generoso, quello che metteva i propri desideri dopo quelli di tutti gli altri… mentre l’imperativo che spingeva Suoh era un’esigenza interiore, egoistica come il bisogno di respirare.

La necessità di proteggere quell’unica persona senza la quale, per lui, il mondo non avrebbe avuto alcun centro e alcuna luce…

Sedeva lì come in contemplazione, a vegliare sul sonno della figura priva di sensi dentro il letto. Un groviglio di tubi e fili correva verso apparecchi che facevano udire bip a intervalli regolari, che monitoravano la respirazione artificiale e i fluidi nelle flebo, che controllavano e ricontrollavano senza sosta il pacemaker impiantato accanto al cuore danneggiato. Suoh strinse i denti per fronteggiare un debolissimo, riottoso tremore. Appena avesse avuto la certezza che il suo Direttore era fuori pericolo, sarebbe tornato all’Istituto e avrebbe dato il cambio ad Akira. E quando quella guerra fosse finita, avrebbe distrutto quel maledetto apparecchio d’interfaccia sperimentale.

Con le sue stesse mani.

 

*****

 

Contorcendosi come serpenti, i cavi di connessione strisciarono fuori dall’ombra e trafissero la ragazza, fino ad affondare simili a radici sotto la sua pelle. Il bianco accecante dello shock della fusione, dolore misto ad estasi, era esattamente lo stesso di sempre. S’inarcò gettando la testa all’indietro, mentre solleciti fili le sollevavano gli occhiali dal viso, sostituendoli con il visore. Subito informazioni cominciarono ad affluire e affollare il suo campo visivo, e lei inviò una raffica di comandi a Beast per ordinargli una scansione completa di tutte le parti del sistema in vista della battaglia. Poteva sentire il computer pulsare con rinnovata soddisfazione –contento adesso che aveva ricevuto le sue istruzioni, ordini familiari che poteva trattare ed eseguire. Mentre Beast era occupato, Satsuki passò rapidamente in rassegna tutti i dati che avrebbero potuto servirle, distraendosi con semplici nomi, luoghi, statistiche, riempiendo la mente in modo da non lasciare spazio ai pensieri. Alla fine, gli schermi del computer tornarono vuoti, pronti a ricevere ordini; e, suo malgrado, le dita di Satsuki erano tese sui braccioli del sedile.

“Okay, Beast.” mormorò. “Andiamo!”

E poi, fu un subitaneo flash delle sue percezioni dentro a quelle di Beast –la strada che si spalancava davanti a loro, non appena fu stabilita la connessione, come una serie di portali, uno switchpoint dopo l'altro, finché non trovarono l’aggancio che portava all’ingresso dell’Istituto CLAMP. Ed erano già entrati, ancor prima che la mente di lei avesse avuto il tempo di accorgersi del passaggio; così giunse là, ad osservare quella lunga, fluida fila di dati immersa in quello che i protocolli di rete del suo computer davano per non-spazio illeggibile. Beast stava lì, in attesa, mentre Satsuki cercava di raccapezzarsi…

… e poi, saltò giù…

Saltò giù senza mantenere nessun legame di sicurezza con l’esterno, in caduta libera attraverso il passaggio. La corsa verso il sistema dell’Istituto CLAMP non era per niente diversa dalle altre volte, tranne per il fatto che la presenza di Beast andava allontanandosi rapidamente alle sue spalle, finché cominciò poi a sparire dal raggio dei suoi sensi: sentiva l’eco distante di un richiamo stupefatto che si smorzava fino ad abbandonarla. Poi si concentrò sul firewall, e dopo averne abbattuto a forza di colpi il fronte d’onda, lo vide dilatarsi fino ad occupare l’intera visuale degli occhi della sua mente, come fosse un terreno solido verso cui stesse precipitando. Protendendosi in avanti con tutto il suo essere, con tutte le sue forze, inviò ad esso l’impulso della sua volontà, quel modo di entrare in contatto che superava tutti gli standard di hardware e telecomunicazione. Un lembo del muro svanì, e lei continuò la sua caduta attraverso il portale scintillante, mentre ancora nella testa le fluttuava il sottofondo di un lontano ululato, un lamento fatto di rabbia, di perdita, di non capire.

***SATSUKI***

Penetrò nel sistema dell’Istituto CLAMP e quel grido tacque, come del resto ogni altra traccia del mondo esterno svanì ad un tratto.

Pace.

Continuò a cadere giù attraverso livelli e livelli di correnti d’impulsi elettronici, fiumi di nuvole fatte di lucidi segnali in rapido movimento che nascondevano un significato dietro la trama della loro danza. Prima, non era sicura di poter fare una cosa del genere –non era sicura di poter estrarre completamente la coscienza dal corpo in quel modo. Ma se era riuscita ad attirare l’anima di un’altra persona dentro al suo sistema, al punto da scambiarla poi per un programma… la sottile materia di pensiero di cui era composta mandò una fitta acuta, una sensazione che, anche se non sapeva in che modo, registrò come dolore. Ripensandoci, aveva voglia di prendersi a calci per essere stata così stupida, così ciecamente convinta che Magician non potesse essere altro che un programma. Perché non le era passato neanche per l’anticamera del cervello che qualche altro essere umano potesse penetrare all’interno dei computer come faceva lei, anche se per mezzo di una rudimentale, raffazzonata interfaccia mentale… Non l’aveva mai sfiorata neppure il minimo sospetto che potesse essere un uomo la cosa che la interessava così tanto, probabilmente perché, da qualche parte dentro di lei, in realtà non voleva sapere che era così.

Eppure, la cosa aveva perfettamente senso, adesso che ci rifletteva.

Chi avrebbe mai potuto desiderare di vedere il suo mondo messo completamente sottosopra?

Satsuki si costrinse ad allontanare il suo pensiero dal passato e dai desideri appena accennati, impossibili, che minacciavano di mandare in pezzi lo scopo vitale della sua volontà. Non credeva di avere ancora molto tempo a disposizione, e c'era parecchio da fare. Inoltrò una richiesta al computer, e in quel modo individuò un terminal vicino dotato di un programma di e-mail che poteva utilizzare per comunicare con l’esterno. Aprì l’applicazione, compose un breve messaggio il più rapidamente possibile, e lo inviò.

SEI IN PERICOLO

NON TORNARE AL PALAZZO DEL GOVERNO…

E questo era tutto quel che poteva fare per Yuto. Se era ancora vivo, il messaggio gli sarebbe arrivato in ufficio, e magari lui non ci avrebbe neanche fatto caso. E se era morto… beh, forse avrebbe fornito alla polizia un piccolo indizio su cui indagare, avrebbe costituito un minuscolo, insignificante inconveniente per il comandante dei Draghi della Terra. Quel bastardo aveva commesso un grosso errore…

Era davvero convinto che lei avesse creduto alla promessa che le aveva fatto intendere –che lei e Yuto sarebbero rimasti sani e salvi se avesse eseguito i suoi ordini?

Gradualmente, si accorse di una sensazione lontana, simile a qualcosa che la tirasse, come se un dottore stesse esaminando una qualche parte sotto anestesia del suo corpo. Quella tensione continuava a crescere, sempre più insistente, finché avvertì un debole ma decisivo strattone. Qualcosa si strappò, una lieve violenza che non le causò alcun dolore, ma riecheggiò attraverso tutto il suo essere. La fece vibrare, tentare di annaspare senza la facoltà di respirare…

Qualcosa d’impossibilmente necessario le era stato sottratto, e sentiva il suo essere cominciare a consumarsi, a sfilacciarsi. Brandelli di luce s’innalzavano e si dispiegavano dal punto dello strappo, una pioggia di minuscoli frammenti che si staccavano uno ad uno dal bordo.

E poi, la piena comprensione di cosa significasse quella perdita la colpì con forza, la scosse più della sensazione stessa.

Il suo corpo…

Per qualche motivo, non c’era più…

::beast:: sussurrò, anche se era solo una supposizione, non aveva modo di saperlo per certo. Beast era soltanto un bambino: era stato arrabbiato a sufficienza, e lei aveva sempre saputo che poteva essere dispettoso e malevolo. Sperava che si fosse trattato davvero di Beast, e che il computer nella sua rabbia e nella sua spettacolare esplosione avesse investito tutto quel che aveva intorno. Non osava aspettarsi di essere così fortunata da aver fatto crollare il soffitto della stanza addosso a Kamui, ma si aggrappava al vago conforto di immaginarselo almeno messo fuori combattimento per un po’; magari ferito, anche se solo lievemente, e senza più il suo mezzo più efficace per introdursi nella fortezza tecnologica degli Imonoyama…

Diafani fiocchi di luce, simili a scaglie di ali di farfalla, continuavano incessantemente a fluttuare via da lei. Si dissolvevano uno ad uno nel flusso di dati, e, per la prima volta, Satsuki provò paura. Una sensazione di un bianco fiammeggiante, accecante, puramente mentale, una paura che la invadeva senza distrazioni fisiche come il contorcersi delle viscere o il tremore delle mani.

Prima, aveva sempre saputo di poter esistere in quello spazio digitale finché il suo corpo fosse rimasto illeso.

Ma ora…

Dopo un momento, riuscì a ricacciare indietro il terrore abbastanza da far ritornare lucide le sue percezioni, e da poter ricominciare a formulare pensieri coerenti. Ma non poté chiudere del tutto fuori il dolceamaro struggimento della comprensione, del rendersi conto di quel che aveva trovato, e di quel che aveva perso. In passato, non gliene era mai importato niente di vivere o morire: erano la stessa cosa, entrambi irreali e vuoti.

Adesso, l’aveva capito, non voleva, disperatamente non voleva morire…

Mentre tratteneva se stessa, cercando invano di rallentare la fuga della sua essenza, aprì un nuovo documento e-mail. Prese a infilarci dentro dati con urgenza, a trascrivere tutte le informazioni che conservava nella memoria. Ogni parola che rilasciava era un dolore, perché quando la metteva per iscritto, l’aveva persa –sempre, sempre più brandelli di lei scivolavano via, ma continuava, risoluta, sperando almeno che il suo stupido sacrificio non fosse inutile.

    Ryouku Kanoe
    Ufficio del Governatore
    Nuovo Palazzo Metropolitano del Governo di Tokyo, Shinjuku

    Shiyu Kusanagi
    Esercito di Difesa del Giappone
    Caserma di Ichigaya

E poi ancora, ancora: altri nomi, le descrizioni fisiche che li accompagnavano, appunti su poteri e abitudini di vita, tutte le informazioni che aveva raccolto in giorni e giorni di ricerca, cercando di perfezionare il suo database, di adattarlo ai gruppi coinvolti nella fine del mondo. Li lasciò tutti nel suo documento, sentendosi sempre più leggera e meno presente; e dopo aver indirizzato il messaggio al cuore del sistema, lo inviò rapidamente. Aveva compiuto il suo dovere, ma adesso si ritrovò nell’insicurezza: la forza del suo proposito, che l’aveva sostenuta fino ad allora, si era staccata da lei, e mentre scivolava via pezzo a pezzo, un bisogno più profondo e più autentico cominciava a trasparirvi sotto.

Il tacito, dimenticato impulso che batteva il suo fragile ritmo al centro del suo essere.

Al suo cuore…

Lasciato il programma di e-mail, prese a vagare qua e là per tutto il sistema di computer, i messaggi e le funzioni delle applicazioni scorrevano come lampi alle sue spalle mentre vi passava in mezzo in volo. Si tuffò giù, trascinandosi dietro una coda scintillante di pensiero e memoria, come polvere di stelle. Accelerò e si allontanò di livelli normalmente adoperati dagli utenti del network per arrivare a sfiorare i macchinari laggiù sul fondo, lasciando che quell’imperativo passasse da lei ad essi come un silenzioso lamento…

::proteggere::

::questo posto::

::proteggere::

::questo Istituto CLAMP::

::proteggere::

::questa persona::

::proteggere…::

Cavo dopo cavo, circuito dopo circuito, tracciò più e più volte quel desiderio, incidendolo nella luce dell’anima, e di una vita che si spegneva. Lo impresse nei computer finché non lo accolsero da sé e cominciarono a adattare le loro funzioni di base per includerlo. Ancora, ancora e ancora –quella volontà che lei in prima persona non avrebbe  potuto realizzare mai irrompeva all’esterno, un torrente di sentimenti intensi scoperti un po’ troppo tardi. Si decise ad abbandonare quel fiume, incurante del prezzo adesso che le ondate di quella perdita  erodevano sempre più il suo essere. Lucidi, vasti scorci di ricordi le crollavano giù sprigionando bagliori come di specchi, lanciando lampi la cui caduta non poteva arrestare…

Il pavimento a scacchi bianchi e neri e il soffitto morbidamente arcuato della loggia massonica di Tokyo, stranamente illuminata da candele… i volti austeri degli uomini, tetri come se dovessero lottare per una squallida necessità.

La vampata accecante della magia, in corsa dall’ispirazione alla manifestazione, che errava con moto irregolare per le Sephiroth fino a sentire la tiepida fiamma di uno scopo raggiunto.

Il buio chiuso e vicino del grembo di un computer che pulsava nel bagliore intermittente dei led –un mostro bambino che veniva alla luce per lei, una stringa di codificazione scritta tutta in una volta con infinita attenzione.

I grattacieli di Shinjuku che scivolavano l’uno dentro l’altro, il fuoco e la notte…

Una grande mano che afferrava la sua, che, incomprensibile, la trascinava via –la sua sorda, ribelle rabbia, un “perché?” senza risposta…

…un Drago con le fauci spalancate, occhi neri in un’aura di potere, nera sete di libertà…

::papà?::

La luce del sole che pioveva giù mentre camminavano, tante foglie con tante dita al lato del marciapiede –il vento e gli alberi, simboli meravigliosi, se solo avesse potuto afferrarne il significato.

Quegli occhi blu che la guardavano, come se sapessero che lei ci sarebbe stata –come se avessero bisogno che lei ci fosse- un incontro, una risposta…

::tu::

Adesso, lei era una costellazione dorata di movimento in viaggio per il sistema, mentre ricordi e disegni infranti l’abbandonavano ormai del tutto –non le sarebbero serviti mai più. Ma continuava a guardare e guardare senza sosta, a vagare per il network, a cercare tra i macchinari…

Laggiù.

Si stava avvicinando all’oggetto della sua ricerca, più per tropismo che per altro –stanca, adesso, lasciò che il flusso del suo desiderio la trascinasse via, la trasportasse nel posto in cui voleva stare. Sfiorava i dati che le passavano intorno, i più andavano oltre la sua capacità di comprensione, ma qualche ultimo, tardivo istinto vi distingueva ciò che per lei era importante da sapere.

::i-mo-no-ya-ma::

::no-ko-ru::

Spinta da uno scintillio di sentimenti, un ricordo senza immagini, raccolse tutte le sue forze per un istante, e poi si buttò.

C’era un posto sicuro, un posto protetto da un mondo diventato troppo grande per lei, un posto fatto solo per lei.

E avvolgendo tutta se stessa attorno a quel ritmo senza fondo, sapendo che non sarebbe mai stata sola, si addormentò.

 

*****

 

“Rijichou!” esalò Suoh, saltando in piedi dalla sedia e attraversando la stanza in due rapide falcate. L’apparecchio che monitorava il paziente continuava ad emettere il suo suono mite e intermittente, in attesa che un’infermiera venisse a controllare se quell’istante di accelerazione del battito cardiaco fosse preoccupante. Le palpebre di Nokoru si erano sollevate, le ciglia umide brillavano; la sua mano annaspava, –così lenta e impacciata!- scivolava tentoni verso le bende che gli fasciavano il petto.

“Rijichou…”

“Silenzio, Suoh… non parlare.” La voce era un respiro spezzato, le dita tremavano incontrollabili sulle garze. “Sta passando… un Angelo…”

 

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Capitolo 4
*** --Note-- ***


 

Note dell’autrice  (riassunte)

Rileggendo questa mia storia dopo averla finita, ci vedo qualche somiglianza con la fanfiction Glass Dreams di Monica, soprattutto per quanto riguarda il concetto di “essere speciale”. La fic di Monica dev’essermi rimasta profondamente impressa a livello inconscio… Per fortuna, le due storie sono complementari, o almeno lo spero. Per chi non l’abbia letta, Glass Dreams si può trovare nel sito di Monica (http://www.pipeline.com/~monica/). La consiglio vivamente, anche come punto di vista parallelo su Satsuki, senza contare che il co-protagonista è Ran di Clover! *meaow!*

Ringraziamenti speciali vanno a Fuu-chan per aver revisionato questa storia e per avermi dato lumi sui punti più complessi della programmazione informatica e su come funziona la rete telematica. Le sue spiegazioni sono state fondamentali per la composizione di questa fanfic; se qualche errore è rimasto, la responsabilità è soltanto mia. E giacché siamo in tema di computer, un test di Turing è un sistema per mettere alla prova le capacità di un’intelligenza artificiale: verifica l’abilità di un’IA nel fregare gli uomini conversando con loro e spacciandosi per un altro essere umano. (chissà se esiste un termine per definire quando una persona fa credere a qualcun altro di essere un computer?^^)

Devo dire grazie anche a Tin Mandigma, l’amministratore della CLAMP Fanfiction ML, per aver creato l’occasione che ha permesso a questo racconto di essere effettivamente scritto: la storia mi girava nella testa da mesi, ma probabilmente non l’avrei mai realizzata se Tin non avesse annunciato un bando di concorso per storie che avessero per protagonisti le più “strane coppie” possibili. Quindi adesso sapete con chi è che dovete prendervela! ^^

Spiego qui alcuni termini e immagini tratti dalla Qabbalah che trovate in questo racconto. La Qabbalah è una branca esoterica dell’ebraismo che descrive la natura del Divino, gli attributi dell’universo e il percorso spirituale degli esseri umani servendosi di complesse simbologie. La principale di queste è l’Albero della Vita, una sorta di schema composto da dieci cerchi, chiamati Sephiroth: queste Sephiroth (al singolare Sephirah) rappresentano gli stadi attraverso cui lo Spirito Divino si è mosso nel processo di creazione del mondo.

“Keter” e “Tiferet” sono due delle Sephiroth; in questa storia, Satsuki le usa per classificare i diversi tipi di energia, sono la metafora di cui si serve per indicare rispettivamente Fuuma e Subaru. Keter è il punto di partenza dell’Albero della Vita, dunque qualcosa che esiste solo in potenza, ma che di per sé è il nulla. Tiferet significa, abbastanza appropriatamente, “Bellezza”.

“En Sof” –“senza fine”, è uno dei titoli di Dio, è Dio prima della creazione del mondo.

Adesso, un paio di note sull’universo CLAMP per chiarire tutto ancora meglio. Perché Nokoru usa il nome “Magician”? Riguardatevi il primo episodio dell’anime di CLAMP Detective o rileggetevi la prima storia del manga per avere la risposta. A proposito, qualcuno ha riconosciuto il nome sull’account che usa Satsuki? (bisogna essere veramente dei superesperti delle CLAMP per cogliere questa qua!)

Ho inventato un cognome per Kanoe, dato che ovviamente le serve visto che lavora nel mondo normale. “Ryoku” significa “verde, verdeggiante” –pensavo all’immagine sulla copertina del volumetto n.3.

“Rijichou” è l’appellativo attuale di Noroku, in sostituzione del “Kaichou” dei tempi di scuola; è generalmente tradotto “Presidente”, ma l’ho visto reso anche con “Direttore” (-e io ho tradotto "Direttore" perchè in effetti il suo titolo non è più quello di "Presidente" dell'associazione scolastica, ma di Direttore dell'Istituto. Nd Shu).

“Dokun” è il termine onomatopeico che indica il battito del cuore.

 

 

 

Note della traduttrice

Phew! Eccomi qui sudata fradicia dopo la titanica impresa della traduzione di questo meraviglioso racconto! In realtà, mi piacerebbe che tutto il lavoro che ho speso nel tradurre non si sentisse, e che il racconto scorresse giù liscio come fosse un originale… Seee, magari! Devo dire che è stata una bella sfida per via dei tantissimi aggettivi, descrizioni splendide di sensazioni, visioni, paragoni audaci, ma soprattutto per tutti i termini tecnici riguardanti il mondo dei computer e il viaggiare in uno spazio digitale: in inglese sono così perfetti, rapidi, evocativi, ma è difficile trovare buoni corrispettivi senza fare immensi giri di frase…

A parte questo, anzi forse proprio per questo, è stato un vero piacere e un onore per me poter fare questo lavoro di traduzione. Considero la fanfiction Magician un vero gioiello, e spero sia piaciuta anche a voi! Mi raccomando, commentate: l’autrice è impaziente di sapere cosa ne pensano i lettori italiani dei suoi lavori!!

Shu

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