Sunset

di Lehal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** introduzione ***
Capitolo 2: *** Gabriel ***
Capitolo 3: *** Dream ***
Capitolo 4: *** Just a normal School day ***



Capitolo 1
*** introduzione ***


Il fatto che io sapessi benissimo che quel che volevo non avrei mai
potuto ottenerlo era per me qualcosa di irrivelante.
Nonostante sapessi che non avrei mai dovuto dare ascolto a ciò che mi accadeva
attorno, cosa che forse mi avrebbe salvato, ho lasciato che la realtà
mi colpisse con violenza svegliandomi dal mio torpore.
Avrei potuto vivere con una benda sugl'occhi nascondendomi da questa crudeltà  ma
non lo feci.
Effettivamente questo era il mio destino.
Fino ad allora era come se non fossi mai nato.Era come se stessi aspettando che
qualcuno mi strappasse la benda costringendomi a vivere.
Solo che per me vivere significava perdere tutto.
Per me vivere era sinonimo di morire.


Il signor Matthew era una persona normalmente annoiata. Non
aveva famiglia perchè amava dire che aveva dedicato la sua intera vita
al lavoro anche se qualcuno diceva maliziosamente che il suo celibato
era dovuto alla sua bassezza e la sua testa troppo splendente.Aveva
aperto uno di quei bar che davano servizio ventiquattrore su ventiquattro e
per mostrare il buon esempio aveva preso per se il turno di notte e
periodicamente i suoi dipendenti si davano il cambio per
assisterlo.Però la scelta di aprire il bar anche di notte si stava
rivelando una scelta non molto fruttuosa: a parte quattro o cinque
ragazzi che barcollando si avvicinavano al ordinare qualche caffè, non
c'era mai un vero cliente.
Era una afosa giornata di Agosto.
Quel giorno il sindaco di quel paesino in riva al mare aveva avuto una
grande idea: fare una festa di carnevale in piena estate.Questo aveva
fruttato molto sia alle tasche del sindaco che a quelle di Matthew. Era
stata una giornata davvero pesante e fortuna per loro, almeno nel turno
di notte era loro permesso di dormicchiare.La porta del locale era
chiusa per non far scappare l'aria raffreddata dal ronzante
climatizzatore, Mary, la ragazza di turno quella notte, al fianco del
roprietario stava pulendo, fra gli sbadigli, lo stesso bicchiere da
circa mezz'ora.Mary era una ragazza affascinante, aveva un grazioso
viso incorniciato da dei capelli color paglia, la linea snella e
slanciata, ma mostrava un espressione instupidita e non molto
intelligente che spiegava gli strafalcioni che diceva quando apriva
bocca. Però quella ragazza era una manna per gli affari, i giovani
facevano a gara per spendere di più al bar in sua presenza, ma ella
non sembrava per nulla colpita, forse troppo stupida per comprendere i
loro sterili sforzi.
Era l'una di notte e Matthew stava pensando
seriamente di chiudere il bar per tornare nel suo amato letto.
Ma i suoi piani vennero rovinati dallo scampanellio insistente della porta.
Mary si risvegliò di colpo.
- Buona sera signore-
Trillò verso un uomo alquanto singolare. Era alto e magro e nonostante il caldo che veniva
dall'esterno, aveva un pesante mantello decorato accoppiato con una
camicia vaporosa e un paio di pantaloni stretti negli stivali di
pelle.Ma ciò che colpì particolarmente i due baristi fu la maschera
che copriva la metà  destra del viso dove spiccavano un paio di occhi
dorati, talmente selvaggi da poter strappare le carni dalle ossa con un
solo sguardo.Era insolita quella figura, quasi come un pezzo di
medioevo nel ventesimo secolo.Nel sentire il saluto l'uomo sorrise
-Buona sera signorina?-
- Mary -
Rispose allegramente lei, Matthew
osservava basito quella figura mentre la ragazza ridacchiava
sommessamente.Il cliente le sorrise assecondandola mentre si avvicinava al bancone
- come mai sei vestito così?-
Domandò lei decisamente divertita. Se avesse potuto il proprietario l'avrebbe volentieri
zittita, ma quella ragazza aveva un fascino che colpiva tutti, perfino
quell'uomo stranissimo.
- per la festa in maschera-
Rispose accondiscendente come il lupo di cappuccetto rosso. Eppure i due,
esattamente come quella bambina, non si accorsero di nulla.
- Ma non è un pò tardi?-
Chiese ingenuamente la ragazza posando il bicchiere in mezzo agli altri
- oh hai ragione-
L'uomo si sedette sullo sgabello davanti alla cameriera. Matthew rimase in silenzio incantato
come una lucciola davanti a un lampione in una notte afosa e silenziosa.
- e non hai caldo? Fuori ci saranno quaranta gradi all'ombra!-
La ragazza ignorava che di notte non c'erano ombre, ma
la sua domanda, ridacchiata, aveva un senso, perfino Matthew se ne stupì
-oh non così tanto Mary -
La barista si prese una gomitata da parte del proprietario e lei fece un verso soffocato come se si fosse
appena svegliata
- ah! Si! Vuoi ordinare qualcosa?-
L'uomo sorrise sporgendosi leggermente verso di lei come se le stesse per confessare
un segreto.Qualcosa nel suo sorriso brillò minaccioso ma nessuno dei
due sembrò accorgersene, lo fissavano come se fosse stato una
celebrità  in quel bar.La ragazza intelligente come un comodino gli si
avvicinò di più ammaliata da quella insolita persona
-un bloodymary -
La mano dell'uomo si serrò sul braccio della ragazza. La tirò con
forza verso di se spalancando la bocca dai canini bianchi e perfetti.
Un urlo.



Quella non era esattamente la nottata di Jonathan, era stato
richiamato dai suoi affari notturni per andare in uno stupidissimo bar
insieme a Matt per controllare un piccolo problemino e, ora in silenzio,
se ne stava a guardare le strisce stradali correre loro incontro
finchè lentamente non sparirono lasciando spazio alle strade cittadine
e solo allora decise che era meglio guardare le case che sfrecciavano
ad una velocità  impressionante accanto alla mercedes nera dai
finestrini scuri.Fece un sospiro il ragazzo dai capelli color della
paglia e gli occhi di un insano azzurro ghiaccio nascosti da una
montatura super leggera di un paio di occhiali da vista . anche il suo
accompagnatore ne aveva un paio, però da sole. Cosa insolita visto che
era l'una e dieci di notte.
- non dovresti decelerare un pò? siamo in un centro abitato!-
Domandò annoiato il ragazzo biondo senza mostrare alcun interesse.
L'uomo dai capelli rasati e gli occhiali da sole inarcò un sopracciglio
- il concetto dobbiamo arrivare prima degli umani non ti è chiaro?-
Jonathan sbuffò appoggiando il mento contro la mano. Entrambi erano nervosi per essere stati
interrotti nei loro affari notturni ma non c'era di certo bisogno di rispondere così
sgarbatamente.C'era anche da dire che il misfatto lo si poteva
collocare all'una di notte e il fatto che erano già  nei pressi del
luogo dove era sorto il problemino era un gran passo avanti.Forse
questa volta sarebbero riusciti a prendere quell'uomo.Un fuori casata
o come si dice di solito, un matto pluriomicida.Andava contro le regole
che erano state stabilite secoli prima alla comparsa del primo di loro
e quel che era peggio era che egli lo avva da sempre saputo benissimo.
La macchina si fermò con un fischio delle ruote e un piccolo testa coda
-il concetto passare inosservati non ti è molto chiaro vero?-
Sbottò il ragazzo aprendo la portiera con fare arrabbiato.Da quando gli umani si erano
evoluti anche loro con loro erano passati dai cavalli alle macchine e
dai piccioni viaggiatori al cellulare.Erano molto avvantaggiati sul
campo della tecnologia, ne sembravano quasi affini.Il ragazzo sbattè
la portiera,ne seguì un rumore similare e poi il trillo
dell'antifurto inserito.Jonathan lanciò un'occhiata stranita a
Matt che si strinse nelle spalle limitandosi a camminare verso il famoso bar.
Ad attenderli vi era una figura aggraziata e minuta.
Aveva i capelli color dell'oro e superavano senza alcuno sforzo la schiena
scoperta e bianca come la neve.Portava un paio di pantaloncini che
lasciavano ben poco all'immaginazione ma tale figura portava quei
vestiti senza alcun imbarazzo.Appena i due si avvicinarono a lei ella
si girò rivelando un volto assolutamente perfetto e serissimo dove
brillavano due fiammeggianti occhi azzurri, molto più scuri come il
turchese dei diamanti
- oh era ora che vi faceste vivi! pensavo che sareste fuggiti solo a sentirlo nominare-
I due sbuffarono ignorando il commento acido della ragazza che semplicemente entrò all'interno del
bar.Jonathan la seguì insieme a Matt che serrò la porta così chenessun'altro potesse seguirli.
L'interno del bar era un disastro.C'erano un paio di sgabelli buttati a terra e piegati
malamente. Schizzi rossi macchiavano irrimediabilmente pareti pavimento
e gli specchi dietro il bancone.Ma ciò che era piì raccapricciante
era un corpo bellissimo e sgozzato gettato in malo modo sul bancone per
metà ricoperto di sangue.Jonathan arricciò il naso
- se non riesci a trattenerti non respirare-
Gli ordinò freddamente la biondina esaminando il cadavere senza nemmeno un brivido di ribrezzo.
Il ragazzo dal canto suo fece una smorfia girando dietro il bancone mentre Matt
guardava fuori dalla porta come una guardia svizzera.Sentivano le ore
scivolar loro addosso con l'incombente verità  che erano arrivati
tardi anche quella volta.All'improvviso alle loro orecchie giunse
l'esclamazione di sorpresa di Jonathan che si sistemò meglio gli
occhiali sul naso dritto come se non volesse credere ai propri
occhi. Era piegato a metà  così che era praticamente quasi del tutto
fuori della portata visiva degl'altri due.
- hei! Ho trovato un nano pelato!-
Esclamò Jonathan divertito.Soltanto che il signor Matthew non era di certo un nano pelato! era solamente un umano  poco
alto con la testa splendete e spaventato a morte. Ma certi dettagli sfuggono come sempre a persone come quei tre insoliti clienti che se ne stavano tranquillamente il un bar senza nemmeno schifarsi del cadavere mutilato della giovane barista
- non si dice nano pelato! Potresti offenderlo!-
Esclamò Matt che dal canto suo si stava sporgendo per poterlo vedere meglio
- va bene va bene! un tizio poco alto e glabro va  meglio?-
Matt annuì entusiasta mentre la ragazza scuoteva il capo con fare stanco e rassegnato. Fece il giro del bancone cosìda poter
 vedere con cosa avevano a che fare
- mi sa che ha visto la scena-
Commentò con un sospiro. Matthew era terrorizzato. Tremava come una foglia.Anche quelle persone avevano gli occhi terribilmente accesi e i loro sorrisi sembravano nascondere qualcosa che andava al di là  del concetto di umano
- d'accordo ho capito-
Borbottò Jonathan  sistemandosi gli occhiali sul naso
-dovrò fare quel lavoretto al nostro  caro nano impiccione-
C'era una leggera minaccia in quella  affermazione mentre i tre si avvicinavano con aria felina al povero
signor Matthew.Se quella notte avesse chiuso il bar sicuramente sarebbe  stato molto meglio per lui.

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Capitolo 2
*** Gabriel ***


Non era esattamente la mia giornata si. Al dire il vero non esisteva per me una giornata si che comprendeva
l'essere sballottolato su un mezzo pubblico.Me ne stavo appallottolato sul sedile scomodo, il busto contro quello schienale
imbottito e il capo premuto contro il vetro.Non ero una persona eccessivamente vitale come quelli nei posti di dietro che ballavano per il corridoio.Ma non ero nemmeno neanche uno zombie uscito da quei film di terza categoria.Ero un pò pallido, ora come ora tendente al verde, ma era solo per il mal d'auto.
La mia vita non la si può dire delle più complicate nè delle più esaltanti.Avevo degli amici con i quali avevo formato un piccolo gruppo, non particolarmente famoso, ma stranamente stavamo iniziando a farci conoscere un pò in tutti ilicei.Era in uno di quei licei che stavamo andando.Jeremy aveva affittato un autobus, per la mia felicità , e aveva venduto i posti
anche ai nostri fan, se così si possono chiamare.Purtroppo la mia idea di andare in macchina era decisamente fallita e ora pagavo a mie spese la mia debolezza di stomaco.Il fatto che Jeremy avesse deciso a priori di andarci con l'autobus mi dava da pensare.Dopotutto mi conosceva da una vita e sapeva perfettamente del mio mal d'auto.
Eravamo come fratelli.
I nostri padri lavorano insieme in una società  informatica.
Si erano conosciuti quando mio padre era arrivato in America con me ancora in fasce.Io non sono un americano come lui, nemmeno di sangue.Sono per metà  Giapponese e per metà  italiano.Cosa assai insolita da vedere.
Mia madre, Maria, morì per darmi alla luce e mio padre, Yoshi un paio di mesi dopo, non riuscendo più a rimanere in
Italia chiese un trasferimento in America.Cosa che gli costò l'odio perenne dei miei nonni.Ho un vago ricordo di loro così come di mia madre che vidi solamente nelle foto.Fu lei però a darmi il nome che porto, o almeno così mi aveva detto mio padre.
L'arcangelo Gabriele, ripeteva mia madre indicandomi.
Tenshi Gabriel, è questo il mio nome per ironia della sorte.Nonostante questo nome prettamente divino per molti io sono di natura demoniaca.All'età  di sette anni sapevo leggere, tradurre e parlare correttamente il latino cosa che mi costò
un esorcizzazione da parte del parroco della parrocchia del luogo.Ma nonostante questo episodio si bisbigliava dietro le mie spalle da tempo.Tutto perchè senza avere una ragione precisa sapevo a priori cose che in realtà  avrei dovuto ignorare.Non ho mai capito perchè la gente avesse così paura del mio insolito dono.Jeremy era l'unico che non faceva domande sulle mie facoltà  nè su la provenienza del mio nome così singolare.Egli era stato l'unico a vedermi come una
persona normale.Solo in prima media mi chiese di non parlare di queste cose solo per farmi accettare dagli altri.Cosa che funzionò dopotutto. Tenshi Gabriel era diventato una persona molto conosciuta insieme a Jeremy.Però non comprendevo.
Perchè l'autobus?
Forse perchè qualche settimana prima gli avevo detto che avevo ricordato di nuovo qualcosa che effettivamente non dovevo e non potevo ricordare?
Al solo pensiero sentii la depressione assalirmi ancora una volta e con essa la sensazione di aver perso qualcosa di importante.Era una sensazione che mi accompagnava fin da quando ero nato.Pensavo fosse legato all'assenza di una madre. Ero fermamente convinto dei miei sensi di colpa. Dopotutto lei era morta per mettermi al mondo ed era una cosa che non mi ero mai perdonato.Ma non era solo l'assenza di mia madre.
Sentivo come se mi mancasse qualcuno in particolare.
Solo che non sapevo chi.
E tutto ciò non faceva altro che martoriarmi il cervello e deprimermi perchè mi era impossibile trovare una qualche risposta all'enigma.
- Ehi! Ne vuoi una?-
Chiese la voce di Jeremy facendomi trasalire. Alzai lo sguardo su di lui sentendo la nausea salire solo guardandolo.Era seduto all'incontrario sul sedile e mi stava offrendo un pacchetto di caramelle gommose dall'odore fortissimo.Era l'odore più dolce che avessi mai sentito, non so cosa mi trattenne dal rimettere la colazione.
- ma come fai?-
Chiesi in un fil di voce arricciando il naso disgustato. Lui chinò appena il capo di lato
- come faccio cosa?-
Chiese lui sadico con quel sorrisetto innocente. Come se non sapesse del mio malore dovuto agli scossoni dell'autobus.
- a non vomitare!-
Lui ridacchiò ritirando verso di se il pacchetto per prendere una manciata di caramelle che masticò con pazienza.Jeremy era una persona molto allegra.Era un pò massiccio, ma dubitavo avesse del grasso in corpo.Era un fascio di muscoli alto un
metro e novanta dall'aspetto di un armadio a quattro stagioni.Ogni tanto mi chiedevo come potesse stringere fra quelle manone callose la chitarra senza spezzarla in due.Doveva richiedere uno sforzo di autocontrollo enorme.
- perché non ti prendi qualcosa per il mal d'auto?-
Mi domandò con gentilezza osservandomi attentamente con i suoi occhi neri. Io mugolai appena senza rispondere poggiando il capo contro il finestrino freddo che mitigava leggermente il mio malessere sebbene i piccoli scossoni mi facevano picchiare la testa contro il vetro... davvero fastidioso.Non avevo la forza di rispondergli.Rimasi a guardare le persone al di là del vetro cercando di ignorare il fatto che se l'autobus non si sarebbe fermato entro una decina di minuti probabilmente avrei rivisto la colazione.
Fu allora che sentii il mio cuore perdere un battito.
Era una strana sensazione come se mi avessero percorso con una scossa elettrica svegliandomi con talmente tanta forza da rubarmi il respiro.
Lei era là.
Spiccava fra la folla come una statua immobile.Non avevo bisogno di chiedermelo: lei stava guardando me.
La vidi solamente per un attimo, eppure quell'attimo sembrò durare un'eternità .Nella mia mante la sua immagine venne sovrapposta da moltissime altre che si susseguivano con talmente tanta velocità e forza da non farmi notare alcun dettaglio rivelante, finchè non mi rimase impressa la figura delle sue labbra rivolte verso il basso.All’improvviso la tristezza mi invase lasciandomi andare il respiro.Era come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, come ogni volta che scavavo nei miei falsi ricordi.
- Gabriel?-
Mi chiamò con voce vibrante di rabbia e preoccupazione Jeremy.Io mi accorsi solo in quel momento che mi ero appiccicato al
finestrino premendo le mie mani contro di esso.Era bastato un battito di ciglia a far sparire quella figura fittizia.Con un sospiro mi appoggiai nuovamente al sedile.Ancora, era successo di nuovo senza che io volessi.
Per quanto mi sforzassi quei ricordi ritornavano nella mia mente senza il mio permesso.
- stai bene?-
Mi chiese avvicinandosi di più a me.Alzai lo sguardo su di lui, se si fosse sporto un altro pò si sarebbe ribaltato.Io annuii più volte prima di tornare guardare la gente fuori dal finestrino come se sperassi di rivedere quella figura ancora.Eppure al di là  del vetro vi erano solo persone indaffarate che velocemente perdevano la loro giornata fra la casa e
l'ufficio.
Feci un lieve sospiro socchiudendo gli occhi.
Mi sentivo intontito e incapace di pensare lucidamente.Stringendo appena le labbra diedi automaticamente la colpa al concerto che stava per aver luogo di lì a poco.Non ero una persona molto socievole, anzi ero piuttosto discreto e timido. Eppure Jeremy aveva ben deciso di farmi entrare nel suo gruppo come cantante e seconda chitarra.Non ero molto bravo, non
facevo altro che ripeterglielo, ma lui era felicissimo di condividere con me quella passione. Dopotutto a parte la band e il lavoro dei nostri genitori non avevamo molto in comune.Lui era il tipico giocatore di football biondo e con gli occhi neri. Le ragazze gli morivano dietro, non era particolarmente bravo a scuola e amava terribilmente divertirsi e suonare il rock.Io ero il tipico ragazzo mingherlino, il secchione della situazione con capelli sempre disordinati e occhi neri, la pelle pallida e con una discreta passione per la matematica e le scienze.
Insomma eravamo gli opposti.Tantè che molte persone andavano dicendo che lui gironzolava attorno a me solamente per i
compiti di matematica, cosa che sapevo bene non essere vera.Ma dopotutto non ero il tipo così popolare, ero solo il tipo della lezione di matematica.O almeno era così finchè un giorno Jeremy non mi portò davanti al suo gruppo. Sul momento gli altri iniziarono a lamentarsi dicendo che non volevano sottopormi al provino, che avrei rovinato solamente l'immagine del gruppo (cosa con cui io concordavo pienamente), iniziarono perfino ad insinuare che Jeremy lo facesse solamente per poter avere i miei compiti di matematica.Come se ne avesse avuto bisogno!Li copiava da me ogni mattina.Dopo quella frase
però Jeremy reagì in maniera assai insolita.Senza aggiungere altro piantò un pugno in faccia al batterista (uno ragazzo che era il doppio di me) e stranamente dopo tale episodio furono tutti più che lieti di ascoltarmi.Peccato che io non riuscivo nemmeno a parlare per la tensione.Non avrei mai voluto fare quel provino, stavo benissimo lì dove ero: lontano dalle luci della ribalta.
Però non appena mi diede la chitarra in mano qualcosa cambiò in me.Automaticamente vennero cancellate tutte le mie paure e io iniziai il provino a mia insaputa.Mi presero immediatamente nel gruppo, ma iniziarono a darmi consigli su come avrei dovuto apparire al pubblico perchè essendo io in prima fila ero la loro immagine, il biglietto da visita.E di certo non potevo presentarmi con gli abiti che ero solito utilizzare.Fu così che mi rinnovarono, per così dire, costringendomi ad utilizzare abiti che di solito avrei totalmente ignorato.La cosa più strana che mi colpì fu l'effetto che ebbe la mia entrata ella band nella mia vita sociale.Man mano che il nostro gruppo acquisiva fama le ragazze, che prima mi ignoravano, iniziarono a ronzarmi attorno con l'unico scopo di risplendere un pò sotto il riflesso di una luce che non apparteneva loro.Provavo un certo fastidio nel vedermi circondato da quelle cacciatrici di gloria, sebbene Jeremy insisteva a dirmi che
dopotutto avrei potuto anche cedere un pò alle lusinghe di coloro che non volevano starmi vicino perchè mi ritrovavano interessante ma solo perchè ero un cantante.Ma era più forte di me, non riuscivo a sopportarle.
- che cosa ha Gabriel? Si sente male?-
Chiese una voce cinguettante vicino a me.Permasi in silenzio senza rispondere consapevole che la mia carnagione al momento tendeva al verdastro.
-soffre il mal d'auto-
Rispose prontamente Jeremy. Sentivo i loro sguardo addosso, mi pungevano con insistenza come a voler richiamare la mia attenzione ma io semplicemente me ne stavo voltato dall'altra parte facendo finta che i due non esistessero, ma a quanto pare l'intero pullman non sembrava voler fare lo stesso. Ben presto mi ritrovai circondato da sguardi curiosi
- ma davvero sta male?-
- ce la farà  a cantare vero?-
Sentii una mano afferrarmi per una spalla e automaticamente feci un gran respiro profondo voltandomi verso la piccola folla che si stava accalcando attorno. Alcune ragazze mi guardavano con apprensione, ma fra tutti spiccava il volto sornione di
Jeremy che fingeva più preoccupazione del dovuto.
- va tutto bene... è solo un pò di ... -
Non feci in tempo a finire la frase che l'autobus virò bruscamente per via di una pericolosissima curva.Temetti di non poter più contenere l'impulso di rilasciare la mia colazione che stava facendo a pugni con il mio stomaco
- ah! Non si sente bene!-
Esclamò una voce femminile e prima ancora di comprendere cosa stava succedendo delle braccia andarono a stringermi il capo
spingendolo contro qualcosa di morbido.Ero troppo confuso per comprendere cosa era successo.Sentivo solo terribilmente caldo e l'aria stava iniziando a scarseggiare.Sentii fra i vari borbottii la risata soffocata di Jeremy e in quel momento compresi contro cosa mi era stata premuta la faccia.
Automaticamente cercai di divincolarmi
- non riesco a respirare!-
Esclamai spingendo via la ragazza dai lunghi capelli neri che mi guardò con rammarico ... quel movimento stava diminuendo di gran lunga il mio limite di sopportazione.
- Gabriel?come va?-
Domandò preoccupato Jeremy facendo mettere da parte la ragazza senza tanto sforzo. Io feci una smorfia alzando lo sguardo
verso il tettuccio dell'autobus
- fa che arriviamo al più presto-
Borbottai fra le risate generali.


Voci si diffondevano per la piccola palestra sovraffollata. Grida risa e il continuo suono dei vari strumenti che venivano accordati. Avevano spento tutte le luci principali lasciandone quelle di scena che ancor non rischiavano il palco dove io mi muovevo nervoso. Era sempre così alla vigilia di un concerto ... calpestai con forza il compensato sotto ai miei piedi
prima di voltarmi nervoso in direzione di Jeremy che nella semioscurità  mi sorrise sollevando lo sguardo sulla sua chitarra che stava cercando di accordare.Cercai di rilassarmi ma sentendo quella confusione elettrizzata mi sentii semplicemente peggio.Strinsi appena le labbra.
- ci sei Gabriel?-
Mi chiese il batterista impaziente.Ingoiai a vuoto abbassando lo sguardo sulla folla senza volti.
- si -
 Borbottai chiudendo la mano sul microfono così che la mia voce non venisse amplificata. Mi sentivo come un animale in gabbia... chissà  se potevo ancora scappare
- senti ancora nausea?-
Chiese il bassista di certo preoccupato all'idea che potessi rimettere il pranzo piuttosto che cantare.
Sbuffai appena
-tranquillo ce la faccio-
Gli risposi. Finchè non mi trovavo su un autobus stavo bene quindi non rischiavo di fare pasticci, almeno in quel senso.Feci un respiro profondo stringendo il microfono.La solita strana sensazione mi stava intorpidendo lasciando
scivolar via la paura. Fu in quel momento che mi accorsi che una figura tra la folla.Una figura che mi guardava con più intensità  degli altri.Il mio istinto era quello di saltare giù dal palco per andar lei incontro, ma al mio orecchio giunsero le prime note del pezzo che dovevamo suonare.Strinsi con più forza il microfono.Quella sensazione era sparita. Sollevai lo sguardo e quella presenza sembrava non esserci mai stata. Ingoiai a vuoto concentrandomi sulle battute della
musica.
Stava per arrivare la mia parte.
Strinsi il microfono liberando l'amplificatore dalle mie dita.Socchiusi le labbra inspirando e automaticamente la mia voce si unù alla musica.La mia mentre si estraniò del tutto dal mondo che mi circondava. Non mi rendevo conto di quello che stava succedendo. C'ero solo io e quella musica che premeva contro le mie orecchie.Non mi accorsi neppure che ero io a cantare. La melodia sembrava aver preso vita propria crescendo ed espandendosi nell'aria come una creatura serpentina. Poi nella melodia avvertì una nota stonata.
Qualcuno aveva sbagliato.
Era qualcosa di minimo, una nota su un milione però me ne accorsi immediatamente e non potei fare a meno di chiedermi che cosa fosse successo.Lanciai un occhiata alle mie spalle.Gli altri mi guardavano con aria decisamente smarrita come se non stessimo più suonando la stessa canzone. Eppure io non compresi subito cosa c'era che non andava. Forse perchè io traducevo direttamente le parole. La mia voce stava formulando la canzone in latino.Certo per qualche assurda ragione la melodia non era affatto cambiata, ma era più che chiaro che quella lingua era sconosciuta a molti.Provai a pensare a come tornare al testo originale ma non ci riuscii.Era come se qualcun altro si fosse impadronito del mio corpo.Ebbi la sensazione che anche volendo non avrei potuto cambiare il corso degli eventi.Sentii su di me lo sguardo furente di Jeremy e terrorizzato non osai voltarmi verso di egli almeno finchè il concerto non fu finito.
Come c'era da aspettarsi una volta ritirati al sicuro dalle luci del palco gli altri membri del gruppo esigerono delle
spiegazioni che non sapevo dare loro.
Rimasi in silenzio tutto il tempo mentre loro mi tartassavano di domande sperando in una risposta che era sconosciuta anche a me. Ma più di tutte temevo la reazione di Jeremy. Avevo l'impressione che si stesse trattenendo dall'assalirmi mentre mi fissava senza dire una sola parola. Poi quando al mio ennesimo "non lo so" vidi il batterista che era pronto per colpirmi con le bacchette qualcosa cambiò nella sua aria truce.
- Ormai il danno è fatto-
Disse con quella sua aria severa quasi come se mi stesse lanciando una frecciatina che io non colsi.
- Temo che dovrai scrivere i testi sia in inglese che in... -
Aggrottò le sopracciglia come a volermi chiedere silenziosamente un aiuto.Non era mai stato un granchè bravo con le lingue morte. Io sospira rassegnato ormai all'andare al patibolo
- latino ...-
Borbottai come se avessi commesso chissà  quale reato.
- in latino... a quanto pare piace parecchio... -
Scrollò le spalle come se la cosa non lo toccasse minimamente e semplicemente si voltò lasciandomi là incapace di intendere e di volere.Gli altri sembrarono rilassarsi tant'è che non avvertii più i loro sguardi accusatori, anzi, sembrarono accettare di buon grado il cambiamento improvviso della lingua dei testi... a quanto pare finchè eravamo considerati popolari, loro non temevano alcun cambiamento.Ero l'unico realmente turbato da quello che avevo fatto.
L'essere non riuscito a tornare a parlare in inglese mi aveva lasciato sgomento. Era come se qualcun altro avesse fatto uso del mio corpo impedendomi di fare quello che volevo.Iniziavo realmente ad avere paura di quella seconda coscienza, con i suoi ricordi e le sue informazioni che mi riempivano la testa.Se avessi potuto me ne sarei sbarazzato facilmente.Solo che per quanto mi sforzassi essa continuava a chiamarmi distraendomi dalla realtà  che mi circondava
- Gabriel sei pronto ad andare?-
Mi domandò il pianista dopo quelle che a me parvero ore.Non ebbi la forza di rispondergli nè tanto meno di sollevare lo sguardo verso di lui.
Rimasi in silenzio.
Dopotutto non sapevo nemmeno io se ero pronto ad andare, non ero sicuro di avere il pieno controllo del mio corpo
- lascialo stare! Sarà sottoshock per il doppio lavoro che gli toccherà fare per questo scherzetto-
Rispose il batterista andandomi a scombinare i capelli.Sentii la sua mano ma non gli diedi loro molta retta.Ero preso dai miei problemi che di certo non si fermavano semplicemente a qualche testo in più da scrivere.Dopotutto non potevano comprendere la mia attuale paura. Una paura che mi assediava da quando ero nato.
- Gabriel?-
Mi chiamò Jeremy dopo quella che a me sembrò un eternità. Sollevai lo sguardo su quella figura che conoscevo bene.Ci fissammo per qualche secondo.Non dissi una sola parola mentre lui sembrava indeciso sul da farsi, come se avesse letto qualcosa nel mio sguardo che lo aveva fatto preoccupare.Riuscivo a vedere distintamente una leggera linea in mezzo alle sue
 sopracciglia.Stava pensando a qualcosa.Aprì bocca pronto esprimere quel pensiero.
- Jeremy! Vieni a darci una mano!-
Inutile... non riuscì a parlare.Scosse il capo portando una mano sulla mia spalla.
- ne parliamo dopo-
 Parlare di cosa? Aggrottai le sopracciglia osservandolo andare via senza capire.La porta si chiuse alle sue spalle.Ero rimasto solo.Non potevo fare a meno di chiedermi cosa mai mi avrebbe voluto dire Jeremy, se in un certo senso era legato alla canzone che avevo palesemente sbagliato.Mi portai una mano sul volto nascondendo una smorfia.Ancora, di nuovo quella sensazione.Era come se mi stessi scordando qualcosa che mi martellava la mente con insistenza. Però non riuscivo a comprendere.Cosa mi stavo dimenticando? E perchè?Era come cercare di andare contro la natura stessa della mia mente, costringerla a rivoluzionarla e io non ero così sicuro di voler cambiare.La mia coscienza mi metteva allerta, mi teneva lontano da quei ricordi che lottavano contro di me.
Improvvisamente quella voce mi entrò di prepotenza nella testa facendomi trasalire.Era una voce morbida e delicata che mi assalì con uno strano senso di nostalgia.Automaticamente sollevai il capo cercando la proprietaria di tale voce. Ma all'interno di quella stanza c'ero solo io. La mia immaginazione lavorava troppo.Sospirando mi alzai in piedi recuperando
la giacca che mi buttai sulle spalle.Per sicurezza controllai che non mi stessi dimenticando nulla.
Tutto apposto.
Dovevo solamente uscire.
Mi strinsi nelle spalle avviandomi verso l'uscio. Solo la mia immaginazione, mi ripetevo, allora perchè avevo quella strana
sensazione di inquietudine? Mi incamminai per i corridoi completamente bui, avevano già spento tutte le luci. Stavano per chiudere l'edificio. Strinsi le labbra cercando di non farmi suggestionare dal buio.Ero da solo in un edificio scolastico privo di luce... perfetta ambientazione per un film horror. Un brivido mi scese lungo la schiena e automaticamente scossi il capo decidendo che non era il caso rimuginarci sopra ancora per molto. Decisi di concentrarmi su i miei passi che venivano amplificati dall'edificio vuoto rimbalzando da parete a parete. Uno, due, tre... Aggrottai le sopracciglia nel sentire altri passi provenire alle mie spalle. Feci un respiro profondo, ma no... era solo l'eco. Mi fermai solamente per convincermi della cosa.
Ascoltai con più attenzione. Un brivido di freddo scese lungo la mia schiena.
Sentivo dei passi ma io ero ancora fermo, non mi ero mosso.Ingoiai a vuoto sentendo il panico diffondersi lungo il mio
corpo.Che stupido! sicuramente si trattava di qualche ritardatario.Ripresi a camminare aumentando la falcata avviandomi verso l'uscita di servizio.Chiunque era rimasto indietro avrebbe svoltato a sinistra smettendo così di seguirmi no? Voltai rapidamente sentendo il cuore martellarmi in petto.
Attesi.
I passi mi seguivano.
Non avevo il coraggio di voltarmi indietro.Volevo semplicemente ignorarli.Mi avviai quasi correndo in direzione della porta a vetri che si palesava alla fine del corridoio.Non avevo mai desiderato tanto di risalire sul pullman.Jeremy... dovevo tornare da lui, dovevo tornare dagli altri. La mia immaginazione stava iniziando a giocarmi brutti scherzi.A quanto pare al peggio non vi era mai fine.
I passi non desistevano. Mi seguivano senza rallentare nè aumentare l'andatura, come se fosse certo di potermi raggiungere da un momento all'altro.Dovevo smetterla di rimanere indietro in posti del genere!
Poi la vidi.
Dinnanzi alla porta vi era una figura morbida ed aggraziata, ma data l'oscurità  del luogo mi era impossibile distinguere altro oltre la sagoma.I passi dietro di me si fecero più veloci, come se quella improvvisa comparsa avesse in qualche modo interferito con i suoi piani.
Il mio cuore ebbe un fremito mentre mi costrinsi a correre.
Avevo l'impressione che sarebbe stato inutile.
Che quei passi mi avrebbero raggiunto.
E allora sarebbe stata la fine per me.
Portai le mani avanti andando a stringere la maniglia antipanico che con uno strattone feci abbassare.La porta si
spalancò e la figura iniziò a correre sotto la pioggia.
Non andava veloce, sembrava quasi invitarmi a seguirla.Corsi con tutta la forza che avevo in corpo.Sentivo il mio petto bruciare mentre il mio respiro rimaneva mozzato in gola per via di quell'aria gelida che ingoiavo avidamente.Era come cercare di ingoiare una manciata di spilli.
Davvero una sensazione sgradevole.
L'acqua mi sferzava il volto impedendomi di comprendere cosa stava succedendo.Non sentivo altro se non il rumore  della pioggia premermi contro le orecchie.La giacca mi cadde dalle spalle.Non osai voltarmi indietro a prenderla.Continuai ad avanzare avvicinandomi pericolosamente ad una rete metallica.
La figura sparì. Io impattai contro la recinzione. Le mie dita afferrarono i fili metallici che componevano la rete per ammortizzare la brusca frenata.
Il mio fiato rimase in gola.
Non riuscivo a muovere un muscolo.
Ero in trappola.
Sgranai gli occhi.I passi erano sempre più vicini.Ma erano diversi da prima erano più scostanti come se fosse in corsa verso di me.
- Gabriel!-
Urlò la voce di Jeremy.Non mi mossi.Ero rimasto paralizzato là.Nonostante stessi urlando al mio corpo di muoversi non  riuscivo a staccarmi dalla rete.Cosa stava succedendo?
- Gabriel, vieni via da lì!-
La sua voce era allarmata sembrava quasi un ringhio feroce. Era chiaro che non era stato lui a seguirmi. Mi avrebbe
chiamato, non avrebbe aspettato che mi venisse una tachicardia.Il mio cervello era in palese confusione.Non riuscivo a capire.
Avevo paura, una paura tremenda, ma allo stesso tempo avevo la sensazione di aver perso qualcosa.Dentro di me sentivo qualcosa andare in frantumi.Non seppi il perchè ma era come se una parte di me fosse morta. Sentivo unafitta lancinante al petto mentre crollavo sull'asfalto strisciando dolorosamente le dita contro la rete metallica.Sentii i miei pantaloni
inzupparsi con l'acqua ma non mi mossi incapace di tornare al mondo reale.
Delle mani mi afferrarono sollevandomi.
- non ti preoccupare, è tutto finito-

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Capitolo 3
*** Dream ***


Quando mi ripresi ero a casa mia, nel mio letto e sentivo delle voci che parlavano sommessamente fra di loro. Riconobbi la voce di Jeremi che stava spiegando quel che era successo.
Mi ero sentito male, disse. Avevo la febbre alta.
Perfino io stentai a credere quel che stava dicendo. Non disse assolutamente nulla approposito quel che era successo in realtà ma troppo stanco non ebbi modo di obbiettare.
Mi riaddormentai nuovamente perdendo ogni concezione di quel che mi circondava.
Rimasi a letto per due settimane, non perchè avessi la febbre alta ma semplicemente perchè non ero in grado di stare in piedi da solo, mio padre si preoccupò della cosa ma non diede segno di volersi lamentare, non che ve ne fosse bisogno alla fine...
Jeremi non si fece più vedere e sebbene mi sentii in disappunto per questo mi ritrovai a rendermene conto a metà della seconda settimana.
Fino ad allora la mia mente era stata occupata ad analizzare quel che mi era successo.
forse stavo impazzento, non c'era una soluzione altrimenti valida per quel che era successo.
Ma non era solo per l'inseguimento, era per quella figura femminile che mi sembrava sempre di vedere con la coda dell'occhio.
Era diventata un’ossessione per me.
Non capivo perché ma avevo bisogno di trovarla.
Era come un amore andato in frantumi.
Come una storia finita.
Ma io in tutta la mia vita non mi ero mai innamorato di nessuno.
Non comprendevo quella sensazione di vuoto che sentivo al petto.
Che mi costringeva a raggomitolarmi fra le coperte, mi rubava il fiato spezzandomelo in gola mentre avevo l’impressione che qualcosa lentamente mi stava distruggendo.
Era una malattia la mia che non riuscivo a comprendere.
Più mi concentravo per comprendere quei pensieri più quelli semplicemente fuggivano via da me nascondendo negli anfratti della mente là dove io non ero in grado di afferrarli.
Ben presto quel senso di inquietudine si trasformò in frustazione e in fine in rabbia, provavo rabbia perchè non riuscivo a capire, perchè Jeremi non era qui a distrarmi, non era qui a chiedermi se era tutto a posto.
Non lo era affatto.

Quando tornai a scuola mi resi conto che nulla era cambiato.
Jeremy mi aspettava davanti all’entrata con aria raggiante e dandomi delle pacche sulle spalle mi guidò all’interno dell’edificio.
Non mi chiese nulla a proposito le mie visioni e io decisi che era meglio non affrontare più il discorso della ragazza nella mia testa.
Eppure provavo una discreta rabbia, avrei voluto chiedergli che fine avesse fatto ma non ne ebbi il coraggio, molto spesso pensavo di essere io quello che lo sfruttava e rimproverargli una mancanza mi sembrava qualcosa di estremamente inadatto in quel momento di giovialità.
- vedi? È piuttosto difficile questo esercizio-
mi disse il mio amico sventolandomi un foglio sotto il naso.
Aggrottai le sopracciglia afferrandolo spazientito così da tenerlo abbastanza fermo da poterlo leggere.
- non è nulla di complicato… hai solo sbagliato il segno-
commentai ricacciandogli il fogli fra le mani.
Jeremy portò lo sguardo da me al foglio e poi dal foglio a me particolarmente colpito, come offeso
- vuoi dire che sono un deficiente?-
io ridacchiai voltandomi verso di lui
- questo lo pensi tu-
risposi infilandomi nell’aula di matematica.
Lui rise con me colpendomi scherzosamente con un pugno.
- come puoi fare errori così stupidi! È per questo che prendi voti orrendi!-
lui facendo finta di essersi offeso si sedette in un banco che notai stargli un po’ troppo stretto.
Era normale era il doppio di me sia in larghezza che in altezza ma ciò non significava che fosse grasso, dubitavo fortemente che vi fosse qualcosa di grasso in lui.
- fosse solo per questo Gabriel … -
Mi rispose lui divertito facendomi cenno di sedermi nel banco accanto.
Io c’entrai con molta più facilità di lui cosa che mi fece guadagnare una linguaccia dal bambinone un po’ troppo cresciuto
Io ridacchiai afferrando il mio foglio dei compiti che sistemai dinnanzi a me senza nemmeno dargli un occhiata, non avevo bisogno di rivederli per constatare che fossero giusti o meno.
Continuammo a parlare fra di noi come se nulla fosse successo e in certo senso sentivo come se ogni cosa fosse sparito via lontano cancellando tutti i miei problemi.
L’aura di ilarità che si era da poco formata venne spazzata via appena la professoressa fece il suo ingresso in aula.
Jeremy non mi disse più nulla per le seguenti due ore.
Sapeva benissimo che non gradivo venire distratto durante le lezioni.
Eppure in quelle due ore parte della mia mente non era del tutto attenta alla lezione.
Una parte era sempre dedicata a quella mia allucinazione.
Era come se mi stessi facendo del male.
Mi trastullavo con un ricordo che in realtà non avevo.
Feci finta di prendere appunti mentre la voce della professoressa come un ronzio fastidioso e monotono premeva contro le mie orecchie.
Per un attimo socchiusi gli occhi concentrandomi.
Frugavo fra i miei ricordi cercando di capire dove avevo visto quel volto ormai sfocato.
Iniziai a sentire freddo mentre davanti ai miei occhi danzavano dei fastidiosi puntini bianchi.
No, non erano puntini.
Era neve.
Chiusi del tutto gli occhi.
Tutto era appannato e contorto vedevo il cielo adombrato di nuvole e delle pareti che salivano imperiose cercando di raggiungerlo.
Il tocco tiepido di qualcuno.
Poi un viso.
Delle labbra si muovevano mormorando qualcosa.
Lacrime.
Cosa stava dicendo?
Sentivo un fischio fastidioso alle orecchie.
All’improvviso una persona mi afferrò per un braccio.
Io allarmato spalancai gli occhi.
Ero nella classe di matematica.
- ti sei addormentato Gabriel?-
Mi chiese la voce di Jeremy.
 Io scossi il capo aggrottando le sopracciglia.
Perché la sua voce mi era sembrata un ringhio famelico?
Tornai a guardare la lavagna decidendo di non voltarmi verso di lui.
Avevo paura di una sua possibile espressione.
Avevo l’impressione che a lungo andare avrei pagato caro questo mio continuo tentativo di ricordare qualcosa che non avrei dovuto.
Qualcosa che non avevo mai vissuto.
Mi resi conto che Jeremy non volesse che io pensassi troppo a quelle mie fantasie.
Mi riempiva il tempo come meglio poteva distraendomi il più possibile.
Però quando lui non mi controllava io ero lì a rimuginare.
Altri ricordi si aggiungevano.
Ma non riuscivo a mettere a fuoco altro che piccoli dettagli.
Le sue labbra, la neve, il fuoco in un camino, un odore particolare.
Sembrava che ero io stesso a non voler accettare di ricordare.
Ero in un limbo fra dei ricordi che non esistevano e la mia vita di tutti i giorni.
Solo che per me nessuno dei due aveva senso.
Fingere di stare bene davanti a Jeremy era più complicato del previsto e più di una volta lo vidi incupirsi.
Decisi di non dirgli più cosa tentavo di fare in quei momenti di solitudine quando nessuno mi osservava.
Non gli dissi chi cercavo in mezzo alla folla quando lui non mi guardava.
Anche perché non sapevo con che nome chiamarla.
Nonostante non me lo meritassi mi stette accanto, anche se con il broncio a volte, decidendo che era meglio per me che io stessi in compagnia di persone allegre.
Effettivamente la sua presenza mi aiutava a mitigare la mia pazzia e fra la scuola e le prove del gruppo tornai a non pensarci più con tanta insistenza.
Però una parte di me sapeva che questo periodo sarebbe tornato presto sempre più doloroso.
Sebbene tendessi a dimenticarlo vi era sempre un periodo della mia vita dedicato a questi ricordi fin da quando ero piccolo, ma all’epoca bastava una pistola giocattolo per distrarmi.
Ora questo risultava sempre più difficili e la mia ricerca si stava trasformando in ossessione ogni volta che sentivo il bisogno di scavare nei miei falsi ricordi.
Ma proprio quando decisi che era giunto di superare, almeno per il momento, la mia crisi, qualcosa cambiò radicalmente.
Per la prima volta dopo tanto tempo Jeremy decise che avrei potuto fare la strada da scuola alla sala prove da solo senza troppi problemi.
Forse non fu solo un mio errore dopotutto.
Dopo tanto tempo era strano camminare da solo per le strade senza nessuno accanto.
C’era un freddo insopportabile e il mio respiro si condensava in piccole nuvolette di fumo bianco. Sembrava che stessi fumando anche se non avevo nessuna sigaretta in mano.
A dire il vero avevo appena messo le mani nelle tasche dei jeans talmente larghi che ci sarebbe potuta entrare una seconda persona dentro.
Le strade erano quasi del tutto deserte e il rumore delle poche auto che circolavano erano attutiti dalla musica che martellava nelle mie cuffie.
Odiavo andare in giro da solo, e per evitare problemi preferivo isolarmi da qualsiasi rumore e quindi da qualunque voce.
Ero abituato a guardare gli alti profili degli edifici che mettevano in ombra il marciapiede, ero anche abituato alle facce scarne e stanche dei lavoratori che già di prima mattina andavano a nascondersi in qualche bar per chiacchierare e far altro.
Non ero solito frequentare i bar così come non ero solito passeggiare per quelle strade.
Ma il motivo era abbastanza semplice: non avevo l’auto.
Al dire il vero ne avevo una, certo non era poi così bella né così nuova, ma era la mia auto, la mia fedele auto.
Che giusto quella mattina aveva deciso che era giunta la sua ora.
Ne avrei parlato con mio padre, non potevo di certo chiedere sempre un passaggio a Jeremy che sembrava particolarmente felice di portarmi ovunque avessi voluto.
Al dire il vero non avevo la minima idea del perchè mi abbia permesso di andare alle prove da solo questa volta.
Ma non avevo di certo il tempo per pensare a queste cose, ne avevo una un po’ più grossa ed inquietante fra le mani.
Giusto quella mattina mi ero svegliato con una strana sensazione di oppressione che ancora mi stringeva il petto come una morsa.
Era fastidiosa abbastanza da mettermi all’erta.
Mi ricordava particolarmente quella volta che venni picchiato dai miei compagni senza alcun motivo, “solo perche mi andava” così mi dissero quando mi lasciarono a terra sanguinante.
Forse da allora avevo acquisito un certo sesto senso per i guai, riuscivo a capire quando la giornata iniziava male e come se non bastasse avrei dovuto capirlo dalla macchina in garage, dal fatto che ero da solo e dalla poca gente che camminava per quelle strade quasi del tutto isolate.
Avrei dovuto capirlo che quella mattinata sarebbe stato meglio girare i tacchi e tornare a casa.
Avrei dovuto.
Ma non lo feci.
All’inizio non capii subito perché mi fossi bloccato nel bel mezzo del marciapiede incantato come una bella statuina.
Poi all’improvviso mi resi conto di quello che era successo.
Non avevo mai visto nulla del genere.
Vi era una figura illuminata dai timidi raggi del sole ormai al crepuscolo che erano riusciti inspiegabilmente ad attraversare gli alti palazzi rischiarando solo lei.
I lunghi capelli color del miele avvolgevano la sua graziosa siluette vestita di quella che sembrava una divisa scolastica un po’ troppo stretta per le sue forme.
Aveva il viso più bello che avessi mai visto, sembrava quello di una bambola di porcellana perfetto e minuto, liscio senza alcuna imperfezione e inspiegabilmente bianco.
Così com’erano bianche le sua gambe che nude erano messe in risalto dalla gonna nera della divisa, davvero molto corta, e da quegl’anfibi, che di certo non facevano parte della divisa.
I suoi occhi sembravano degli zaffiri, dei preziosi zaffiri, che mi resi conto, mi fissavano.
Me ne stupii.
Senza pensarci due volte riportai lo sguardo su i suoi occhi che sembravano non volermi mostrare alcun sentimento.
Il mio cuore perse un colpo.
Per un attimo provai stupore subito sostituito da un pesante sentimento di vuoto che mi schiacciava il petto provocandomi puro terrore.
perché mai una ragazza così bella avrebbe dovuto guardarmi?
Forse era una venditrice ambulante?
No, non poteva esserlo, la sua borsa era talmente piccola che non si sarebbe detto nemmeno uno zaino e poi se lo fosse stata mi sarebbe corsa incontro iniziando a blaterale qualche miracoloso effetto di qualche stranezza che nascondeva da qualche parte, sotto la gonna forse …
Ma no, quella ragazza non poteva di certo blaterale.
E se fosse …
No non poteva nemmeno essere una di loro, aveva una divisa scolastica, a meno che non soddisfava i clienti amanti delle lolite.
Insomma qualunque fossero state le sue intenzioni nei miei confronti in quel momento sarei stato disposto perfino a comprarle tutto il mondo se solo me lo avesse chiesto.
Solo in quell’istante mi accorsi che le sue labbra si stavano muovendo.
Stava dicendo qualcosa.
Il mio sguardo cadde sul cartellone, la fermata dell’autobus.
Che stupido!
Sicuramente mi stava chiedendo qualche informazione e io non la sentivo.
Ma perché non la sentivo?
A scoppio ritardato compresi che avevo ancora le cuffie messe e senza pensarci due volte le tolsi ma lei aveva appena finito di parlare.
Mi sorrise, un sorriso più ampio che mi mozzò il fiato in gola.
- non mi hai sentita?-
Non avevo mai sentito una voce del genere, in un certo senso sembrava quasi che stessa cantando, era una voce morbida e calda, vellutata ma che non faceva trasparire alcuna emozione era calma piatta ma allo stesso tempo irresistibile.
- si mi dispiace-
Risposi e mi accorsi quanto fosse sgraziata la mia voce a confronto, ma lei sembrò non notarlo.
Bastò che io chiudessi gli occhi per un istante che quella figura sparisse. Un attimo prima era lì di fronte a me un attimo dopo era semplicemente sparita.
Rimasi là interdetto con la bocca leggermente aperta per qualche attimo cercando di comprendere... adesso parlavo anche da solo?
Non riuscivo a crederci: era la prima volta che una mia visione mi parlasse e fosse così nitida. Forse stavo davvero impazzendo... volsi lo sguardo a destra e a sinistra a cercare quella figura e con la coda dell'occhio intravidi un vicolo quasi invisibile ad una prima occhiata.
non so il perchè ma venni attratto da quel posto e senza nemmeno rendermene conto entrai nel vicolo incurante di quel che avrei trovato all'interno.
Mi incamminai in fondo lasciando che la luce del sole che proveniva alle mie spalle diventasse più oscura, filtrata ampiamente dagl'alti profili dei palazzi
- hei?-
Iniziai a chiamare ma nessuno mi rispose.
Ero solo in un vicolo oscuro come uno scemo.
Ma che mi era preso?
Mi girai su me stesso cercando quella figura mentre dalle mie cuffie ancora riuscivo a sentire il ronzio fastidioso della musica lasciata attaccata.
Ma nessun’altro rumore.
Né il rumore di passi che si allontanavano.
Né la sua voce.
Né la sua risata.
Nulla.
Iniziavo a pensare che mi ero immaginato tutto, che forse avevo dormito troppo poco.
Eh si, doveva essere per forza così altrimenti non c’era alcuna spiegazione a quella allucinazione, nessuna che non comprendeva la mia pazzia.
E a quella non volevo nemmeno pensarci.
Non ero mica così matto da immaginarmi le cose.
Non ancora almeno.
Non da quando avevo deciso che ciò che vedevo solitamente non erano altro che sintomi di poco riposo.
Non ora che avevo deciso che avrei dimenticato ancora una volta.
Non potevano essere ritornati così presto e con così tanta forza.
All’improvviso sentì dei passi, strascicati quasi stentati. Non erano i passi felpati della ragazza.
Il mio cuore iniziò a martellarmi nel petto con talmente tanta forza che temevo che lo sconosciuto, o la sconosciuta, avrebbe potuto sentirlo.
Un uomo si fece avanti fra le ombre.
Non aveva l’aria di stare un granché bene.
Era pallido e stanco e arrancava verso di me con fare confuso.
Ma appena mi vide qualcosa cambiò.
L’occhiata che mi lanciò mi fece raggelare.
Non era un’occhiata qualsiasi, quello mi voleva mangiare.
Era uno sguardo falemico e pazzo che mi fece rabbrividire.
Senza pensarci due volte iniziai a indietreggiare.
Si ma la ragazza?
Se l’avesse trovata?
Strinsi con forza le labbra facendo un altro passo indietro.
La ragazza non era lì.
Era stata un’allucinazione pazzia o no.
L’uomo corse verso di me come un lupo lasciato a digiuno dopo diversi giorni.
Trattenni il fiato indietreggiando sempre più velocemente.
Ma quanto mi aveva fatto camminare quella allucinazione?
Il mio piede urtò qualcosa.
Dal rumore sembrò qualcosa di metallico.
Non che avessi tanta voglia di picchiare uno sconosciuto, ma dopo anni passati a farmi mal menare avevo capito una cosa: i bulli non attaccano mai le persone che hanno un qualche vantaggio su di loro.
E io avevo quell’oggetto di ferro.
Mi chinai con un gesto rapido e raccolsi la spranga che protesi verso di me a mo di spada
- Sta indietro!-
Intimai verso quell’uomo.
Ma niente continuava a correre.
Poi all’improvviso lo vidi diventare più grosso ad ogni passo che si avvicinava a me.
Ero certo che era la mia paura a renderlo sempre più grosso non poteva essere altrimenti.
Ma quando mi resi conto che era diventato anche peloso e che stava cambiando forma prendendo le sembianze di un lupo antropomorfo mi si ghiacciò il sangue nelle vene.
Una sola parola mi venne in mente.
Una di quelle che quando te la dicono tu subito pensi sia un protagonista di una di quelle favolette per spaventare i bambini.
Licantropo.
Non avevo alcun dubbio c’era un licantropo con me e io avevo solo quella stupidissima spranga di ferro.
Il mostro balzò e io lasciai andare la mia arma portando le braccia dinnanzi al volto per proteggermi.
Poi avvertii un fruscio alle mie spalle seguito da un sibilo.
Vidi una figura bianca buttarsi addosso al licantropo che preso dallo slancio non poté evitarla.
Sembravano quasi abbracciarsi in quel vicolo oscuro.
I movimenti della figura più piccola erano aggraziati e veloci, e io, forse perché terrorizzato, non capivo nulla di quello che stava succedendo.
Finché si fermarono di botto.
Vidi la ragazza che avevo visto alla fermata cingere con forza il busto del mostro che riprese le sembianze umane.
Poi con un sorriso sadico che mi fece rabbrividire spalancò la bocca, che io avevo considerato così graziosa, denudando un paio di canini affilati.
Morse il collo del licantropo iniziando a bere del suo sangue.
Avrei voluto urlare.
Scappare via da lì.
Ma rimasi immobile, pietrificato, in preda al terrore.
Non so quanto tempo fosse passato, forse un’eternità, quando la ragazza lasciò cadere il corpo del licantropo che si accasciò come un sacco vuoto ai suoi piedi.
Lei soddisfatta si asciugò le labbra intrise di sangue fresco e posò lo sguardo su di me.
Ebbi l’impressione che quello sguardo si fosse intensificato.
Non avevo alcun dubbio ormai.
Quella mattina sarei dovuto rimanere a casa quando avevo provato quella terribile sensazione.
La ragazza continuava a fissarmi come se fosse stata sua intenzione saltarmi addosso.
I suoi occhi, la sua pelle, la sua espressione, non erano quelli di una persona normale mi resi conto.
Avrei già dovuto capirlo quando aveva posto il suo sguardo su di me.
Non era normale.
Non era umana!
Lei non mi stava più sorridendo.
Era come se l’incantesimo si fosse spezzato.
Quell’espressione macabra che si dipingeva sulle sue labbra così graziose, quell’aria omicida in quei occhi di ghiaccio che sembravano brillare al buio … io mi ritrovai a chiedermi come ci fossi caduto come uno scemo.
Ecco cosa mi aveva detto: diventa il mio pranzo.
Ne ero più che certo che nel menù c’ero anche io e di certo ancora una volta la spranga di ferro non mi sarebbe stata utile.
E come avrebbe potuto esserlo?
Quella ragazza aveva ucciso a mani nude, e denti, quel licantropo come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
Eppure non potevo fare a meno di chiedermi se in realtà lei mi avesse salvato.
Che quel mannaro fosse fuori programma.
- beh non scappi?-
Il suo tono era arrogante, quasi una minaccia, ma non potevo fare a meno di notare che la voce era rimasta la stessa incantevole e carezzevole voce che aveva parlato alla fermata.
Fu ridicolo ma non scappai.
Nonostante tutti i miei muscoli mi urlassero di muovermi, nonostante qualsiasi essere dotato di un minimo di intelligenza sarebbe corso via a gambe levate io non lo feci.
Mi resi conto che non provavo davvero paura di lei, ancora non ne conosco le cause ma rimasi lì a fissarla come aspettando una sua spiegazione.
Sapevo benissimo cosa era.
Ma mi aveva salvato anche se non volevo ammetterlo.
- perché dovrei?-
Mi stupii io stesso di quella frase.
Anche la vampira sembrava sorpresa del mio tono fermo.
Delle mie parole dette con così sicurezza come se si fosse aspettata che scappassi via da un momento all’altro.
Effettivamente in quel momento mi aspettavo lo stesso da me.
- non hai paura che ti posso fare del male?-
Sempre più vicina sembrava misurare la distanza con fare quasi maniacale misurando ogni singolo passo che non doveva essere differente dall’altro. Non doveva essere più lungo o più corto di un solo millimetro.
In quel momento mi ricordò un felino.
Uno di quei grossi felini che si acquattano in mezzo alla steppa per saltare addosso alla propria preda.
Si un felino non avevo dubbi.
- non mi farai del male-
Ero sicuro anche di quello anche se non me ne capacitavo la ragione.
Dalla sua espressione si poteva capire che mi avrebbe rivoltato come un calzino più che volentieri.
Eppure sapevo che non lo avrebbe fatto.
Socchiuse le labbra rosee mettendo in mostra i denti inspiegabilmente bianchi e perfetti poi con un movimento fluido che nemmeno visti prese un cellulare e lo portò all’orecchio
- pronto?-
Il cellulare non aveva nemmeno squillato.
La fissai attonito mentre una voce le parlava al ricevitore.
Una voce maschile pensai
- si è ancora qui-
Rispose la ragazza lanciandomi un’occhiata che sembrò attraversarmi da parte a parte.
Ne fui raggelato.
Qualcuno mi cercava?
Qualcuno che la conosceva e sapevo che ero con lei, ma chi?
- no non è schiattato Matt!-
Matt?
E chi era Matt?
A quanto pare questo Matt credeva che sarei morto, ma non lo ero.
Dovevo esserne felice?
- no, non gli ha torto nemmeno un capello … che schifo!-
Fu strano sentirla parlare così.
Sembrava più umana.
Camminava in cerchio attorno a me, parlando a quel telefono che era talmente piccolo che avrebbe potuto nasconderlo anche in quella mini-borsa che portava con se.
Io rimasi immobile guardandola solo quando entrava nel mio campo visivo per non far vedere l’ansia che mi afferrava ogni parte del mio corpo.
Perché le avevano chiamata per chiedere mie notizie?
- che cosa?-
La sua voce si fece più alta e senza volerlo trasalì.
Lei sembrò notarlo perché gli angoli della sua bocca si curvarono in un ghigno crudele che sparì subito dopo quando la voce continuò a parlare
- lo so anche io che doveva ma … no! Non posso … ma … -
La voce non le faceva completare nemmeno una frase e lei sembrava sempre più irritata e per qualche assurdo pensiero iniziai a chiedermi se dopo aver chiuso la telefonata mi avrebbe picchiato per sfogarsi.
Come facevano tutti d'altronde.
- ma ragiona Matt … -
Nulla quella voce non voleva stare a sentirla.
La sentii dire chiaramente “non mi interessa nulla portalo qui”
E senza capire la ragione ne provai paura.
Matt mi cercava.
Uno sconosciuto voleva che lo raggiungessi.
- ma io … -
Provai ad intromettermi.
Io dovevo già essere a scuola da un pezzo.
Però lei era scomparsa di nuovo da dove era cinque secondi prima e me la ritrovai vicinissima.
Che ciglia lunghe …
Sembravano sfiorare le guance diafane.
Non aveva più in cellulare in mano e mi fissava con crescente ira.
All’improvviso provai una fitta di dolore allo stomaco come se qualcuno mi avesse lanciato un sasso con una fionda e senza volerlo caddi fra le braccia della vampira avvertendo un fastidioso fischio alle orecchie.
- dovevi scappare-
Credetti di aver immaginato la sua voce mentre iniziavo a perdere la coscienza di me sempre più lontana come quella voce vellutata.

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Capitolo 4
*** Just a normal School day ***


Per la prima volta da mesi non feci incubi che mi riportavano a quei ricordi.
Provavo un dolce tepore e una luce illuminava la mia guancia.
La mia testa era affondata nel cuscino e una coperta mi teneva al caldo.
Quando mi ero sdraiato?
Provai una strana confusione.
Nella mia mente nulla era messo nel posto giusto.
Era come se fino a quel momento avessi dormito e basta.
Come se tutto ciò che era successo fosse stato solo un incubo... quell'uomo lupo... quelle persone pallide dagli occhi assatanati... il palazzo... e lei.
Lei così gelida e perfetta, una valkiria mandata nel mondo dei miei sogni per distruggere ogni mia certezza.
Anche lei era parte di un incubo?
Dopotutto quelle creature non potevano esistere.
E di certo non potevo essere guarito da un giorno all’altro dalla mia ossessione.
Per quanto cercassi di ricordare non riuscivo a vedere nemmeno le labbra, nulla, il vuoto più totale.
Forse il lavaggio del cervello aveva cancellato i miei ricordi riguardo a quei finti ricordi?
Ma se quello era successo nel mio sogno come poteva aver funzionato?
Avvertì un rumore nella mia stanza.
Poco più di un fruscio che mi fece trasalire.
Mi misi seduto cercando di mettere a fuoco la stanza.
Lei era lì.
Bagnata dalla luce opaca del sole invernale.
Indossava un paio di jeans, e con mio sommo stupore una mia maglietta.
Mi sorpresi a pensare che stava meglio a lei che a me.
- sveglio?-
Mi chiese guardandomi con quei due lapislazzuli che aveva al posto degl’occhi.
I capelli color del miele ricadevano sulle sue spalle nascondendo per metà il disegno del drago della maglietta.
- non ancora … -
Risposi soffocando uno sbadiglio.
Lei mi fissava ancora.
-a me sembri sveglio... –
Sorrisi portandomi una mano fra i capelli scompigliandoli appena, ma per quanto mi sforzassi mi coprivano gli occhi fastidiosamente
- GABRIEL SVEGLIATI O FARAI TARDI!-
Mi voltai verso la porta prima di tornare verso Sophia.
Solo che lei non c’era più.
Dovevo farle notare che doveva evitare sparizioni di questo genere.
Non aiutavano la stima della mia sanità mentale.
Ma, alla fine avevo ragione di credere che ella, sapendo sulla mia debolezza mentale, avrebbe infierito oltre pur di farmi ammattire.
Buttai di lato le coperte mettendomi all’in piedi.
Ero già vestito perché?
Capì a scoppio ritardato di avere i vestiti del giorno prima.
Borbottando qualcosa fra i denti mi andai a preparare ripescando qualche abito pulito dall’armadio.
Quando scesi le scale sentì il campanello suonare.
Subito Elisa accorse e udii anche due voci femminili che si salutavano allegramente.
Sophia era già lì.
Non mi resi subito conto di stare trattenendo il fiato.
Forse era l'anzia di sapere che la mia libertà aveva un'autonomia di un quarto d'ora scarso o forse semplicemente il fatto che non ero abituato a quella presenza così dannatamente fuoriposto fra le mura di casa mia.
Mi sentivo a disagio.
Non parlai accomodandomi in cucina
Come la cena della sera precedente tutti si sentivano a loro agio con Sophia che chiacchierava e proponeva ad Elisa di lasciarmi venire a scuola con lei con la moto tutti i giorni.
Fui sconvolto di vederla entusiasta della cosa.
Decisi di non intromettermi nell’idillio così mi tuffai a mangiare la mia colazione.
Sophia non mi diede nemmeno il tempo di capire che cosa stessi mangiando che mi trascinò sulla sua moto salutando calorosamente i miei.
Io sbuffai stringendomi al suo corpo tremendamente freddo.
Era già successo.
Ero già stato in contatto con il suo corpo e non solo quando ero tornato a casa con lei, ma anche ieri sera, prima di addormentarmi lei mi aveva abbracciato no?
Ma perché di quello che era successo dopo non mi ricordavo nulla?
- senti Sophia … -
Lei si voltò a guardarmi mentre accendeva la moto
- ieri sera quando … mi sono addormentato?-
- mentre parlavamo di tua madre-
Io la fissai interdetto.
No non poteva essere! Ricordavo benissimo di essere stato sveglio per un bel po’
- ma io … -
Lei sbuffò lasciando andare il cavalletto e io mi strinsi automaticamente di più a lei
- non sai quanto è stato imbarazzante andare dai tuoi per dire che ti eri addormentato … -
Io non parlai più.
Forse semplicemente mi ero sognato tutto.
Non avrebbe potuto fare una cosa del genere alla fin fine. Così gelida e austera... e poi era chiaro che mi odiasse, perchè mai avrebbe dovuto farlo?
Eppure mi sembrava così tremendamente reale …
Non ebbi più modo di parlare con lei finché non giungemmo a scuola.
Lì lei era la novità di turno, bella alta e con una moto da corsa, invidia di ragazze e ragazzi che naturalmente non mancarono di tartassarla di domande e nonostante io tentai più di una volta di defilarmi da lei in mezzo alla confusione ella, esattamente come una calamita, riusciva sempre a trovarmi rimanendomi appiccicata per tutto il tempo.
Per qualche oscura ragione era riuscita ad avere le mie stesse identiche lezioni e aveva convinto tutti a cederle il posto al mio fianco. L'unico che non volle sentire discussioni fu per l'appunto Jeremy che si mostrò alquanto ostile con Sophia.
Si presentarono guardandosi in cagnesco e per tutta l'ora di matematica temetti di vederli balzare sui banchi nel tentativo di azzannarsi a vicenda.
Mi ritrovai a non seguire affatto la lezione, teso come una corda di violino.
- Gabriel oggi ci sono le prove...-
affermò Jeremy alla fine dell'ora portando una mano sulla mia spalla. io alzai lo sguardo su di lui annuendo con un cenno del capo.
- non credo ci siano problemi, solito posto giusto?-
gli risposi andando a chiudere il quaderno sentendo lo sguardo di Sophia su di me, ma deciso ad ignorarla mi dedicai al mio amico che scoprii non stava guardando me ma continuava a guardare in malo modo la ragazza al mio fianco.
Tossicchiai appena per richiamare la sua attenzione.
- si solito posto...-
mi rispose a scoppio ritardato assottigliando quei occhi neri e minacciosi.
- vedi di farti trovare da solo, non voglio quella palla al piede -
mi bisbigliò in un orecchio chinandosi appena su di me. Non avevo dubbi che i due non si piacessero affatto, sebbene ne ignoravo le motivazioni, ma... come potevo liberarmi di Sophia?
- Gabriel andiamo, è ora di pranzo -
disse all'improvviso la ragazza ponendo la mano sulla spalla opposta a quella di Jeremy. Per un attimo temetti che i due iniziassero a litigare tirandomi da una parte all'altra ma Jeremy semplicemente allontanò la mano da me voltandosi dall'altra parte.
- mi raccomando Gabriel-
disse semplicemente prima di andare via. Io rimasi seduto per qualche attimo frastornato da quel comportamento e mai prima di allora non desiderai di vedere Sophia sparire da dinnanzi ai miei occhi. Non era lì per proteggermi era lì per farmi uscire di matto rovinandomi del tutto la vita.
Non le rivolsi parola per tutto il pranzo escogitanto fra me e me una via di fuga.
Non poteva impedirmi di vivere la mia vita come desideravo io.
Dovevo allontanarmi da lei, avevo bisogno di allontanarmi dalla persona che mi proteggeva.
Nonostante temessi il riemergere di quelle sensazioni terribili.
Così nel sentire suonare la campanella della pranzo entrai nell’unico luogo a lei inaccessibile: il bagno degli uomini.
La sentì strepitare da dietro la porta, ma la ignorai cercando una qualche via di fuga da lì dentro.
Ma l'essermi separato da Sophia fu l'inizio di una grande serie di errori.
Alle mie spalle sentì la porta chiudersi a chiave e trasalendo mi voltai indietro.
Quattro ragazzi decisamente stretti nelle loro magliette nere mi guardavano con aria ostile.
Li conoscevo.
Dopo anni passati a nascondermi inutilmente da loro avrei potuto conoscere perfino i loro nomi.
Anche se sapevo benissimo che mi avrebbero picchiato comunque iniziai ad arretrare verso la finestrella.
Ora più che mai avrei pregato per l'apparizione di una porta o di Sophia... anche lei mi sarebbe andata bene.
I quattro battevano i pugni sulle mani aperte avvicinandosi minacciosi a me
- sembra che la nuova venuta ti fila vero?-
Sbottò il più grosso e a mio avviso il più stupido.
Io scossi il capo con veemenza.
Sophia non mi filava per niente!
Mi pedinava era un’altra faccenda.
- come no? Siete stati tutto il tempo appiccicati … strano che ti abbia fatto entrare qui da solo –
Io mi ritrovai con le spalle al muro, una terribile sensazione e dai ghigni che avevano quei quattro era quello che aspettavano.
- ehi Harry a te piace la cosa?-
Disse quello che fra i quatto risultava più mingherlino.
Io mi appiattì contro la parete sperando quasi che mi inglobasse.
Il tizio chiamato Harry batté con maggiore forza il pugno sul palmo della mano guardandomi in cagnesco
Sapevo che era solo una scusa, me ne rendevo conto perfettamente ma non potei fare a meno di odiare Sophia per l'avermi cacciato in quel guaio... se solo lei non fosse stata così pedante...
- no per niente –    
Per me quella fu una condanna a morte.
Ero paralizzato immobile non riuscivo nemmeno a sollevare il braccio per proteggermi.
Harry iniziò a picchiarmi senza tanti riguardi. Provai lo stesso, assurdo, terribile dolore che provavo ogni volta che faceva ciò. Lividi si aggiunsero ad altri più vecchi ed ecco lì di nuovo il mio incubo peggiore.
Non provai nemmeno ad urlare semplicemente mi accasciai contro il muro.
Solo allora si aggiunsero anche gli altri tre che mi presero repentinamente a calci.
Io mi limitai a chiudere gli occhi e attendere che tutto ciò finisce.
Non mi lamentavo, non gemevo, non urlavo, non piangevo.
Attendevo solamente  che si sfogassero.
Mi parve di vedere tutto bianco e poi un dolore lancinante all’addome.
Poi alle mie orecchie giunse un grido di dolore e il rumore di qualcuno che veniva lanciato via.
Ma non ero io.
Almeno così credevo, sentivo il mio corpo stranamente distante come se non mi appartenesse.
Ero intorpidito, sentivo un formicolio partire dalle gambe e dalle braccia passando dolorosamente da quei lividi che sentivo pulsare per tutto il corpo.
Lentamente riaprii gli occhi.
Nessuno mi stava picchiando.
Dinnanzi a me vi era la figura di un ragazzo che mi dava le spalle.
Un ragazzo che conoscevo benissimo
- Jeremy …  -
Mormorai con un gemito di dolore.
Mi sentivo tutto dolorante.
Sentivo delle voci attutite, dei borbottii che si espandevano nell'aria, ma per fortuna nessuno mi stava più facendo del male, sebbene fosse difficile comprenderlo con quelle scariche di dolore che mi attraversavano il corpo.
- sta fermo lì Gabriel … perdi sangue –
Io aggrottai le sopracciglia.
Sangue?
Non comprendevo.
- che dici Jere … -
il mio sguardo scivolò sulla figura di Sophitia. Era lì alla porta con gli occhi di cristallo sbarrati e pieni di una strana luce che non compresi immediatamente era come se stesse guardando una gustosa grossa bistecca al sangue. Un brivido mi scese lungo la schiena con un moto di ribrezzo che mi fece gemere leggermente.
Tremavo.
Per lei ero solo l'ennesima vittima?
La sua espressione mutò diventando vagamente colpevole nel vedere il mio sguardo su di se e allora compresi cosa c'era che non andava: ero io.
O per meglio dire, il sangue che stavo perdendo.
- sta fermo dannazione! –
Mi ordinò la voce di Jeremy però forse per via dell'abbassamento della tenzione stavo iniziando ad avvertire uno strano ronzio alle orecchie. Mi girava la testa e non avevo modo per avvertirlo.
I bulli mugugnarono qualcosa che non compresi.
Avvertii una mano gelida che mi tastava la fronte e la voce morbida di Sophitia che mi diceva qualcosa. Ma quella mano venne subito scacciata via.
- Non toccarlo!-
sentii urlare Jeremy mentre tutto attorno a me diventava stranamente distante e privo di consistenza.
La mia vista decise di non funzionare insieme agl’altri quattro sensi  che la seguirono più lentamente.
Avvertì una terribile fitta all’addome che mi mozzava il fiato impedendomi di respirare correttamente.
Dopo di che con dolcezza il nulla decise di avvolgermi nella sua stretta.

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