Burattinaio di dragoargento (/viewuser.php?uid=71714)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l'inizio del viaggio ***
Capitolo 2: *** Pharnasius e Loki ***
Capitolo 3: *** la macchina madre ***
Capitolo 4: *** la farfalla nera ***
Capitolo 5: *** Loki rischia un pugno ***
Capitolo 6: *** Pirati ***
Capitolo 7: *** la proposta ***
Capitolo 8: *** l'energia dei quattro elementi ***
Capitolo 9: *** Pharnasius si ribella ***
Capitolo 10: *** sei fregato, ragazzo ***
Capitolo 11: *** la mente di Oscar ***
Capitolo 1 *** l'inizio del viaggio ***
l'inizio del viaggio
Breve
introduzione
Lo so, lo so, Pharnasius e
Mimue (personaggio apparso in un'altra mia fiction) appartengono al
medesimo
stereotipo; si potrebbe dire a buon ragione che siano sorelle-gemelle,
anche se
le loro avventure si svolgono in differenti ambientazioni.
Forse devo attribuire questi
miei deliri tecnologici all'influenza di Nebbiolina... devo ammettere
che le
ambientazioni futuristiche, dove la tecnologia espande le
capacità di ognuno
fino ad avvicinarle a quella degli dei, hanno un loro fascino.
Questo non significa che io
stia per rinunciare alla mia aurea medievale (che non fa
“prendere” Internet
per le ricerche sul Comfort e non fa girare bene SolidThinking sul mio
computer), bada bene Neb. : No.
Prima di iniziare vorrei
citare la fonte originaria delle mie idee, visto che non sono capace di
scrivere senza spintarelle esterne (sarebbe assai più
intellettuale e fine
definirle “ispirazioni”).
Anche se quel che ho in
mente è una rielaborazione estrema dello spunto iniziale, tanto
che di esso ne
rimane solamente un alone, vorrei ringraziare Shalone Howard per i suoi
fantastici fumetti (se visitate Deviantart li troverete senz'altro...
sono
disegnati assai bene, anche se l'influenza manga è un po' troppo
marcata per i
miei gusti).
Per farla breve e chiudere
il discorso, Pharnasius non è altro che la mia versione di
Zonoya... o forse un
altro Spyro...
L'inizio
del viaggio
La superficie esterna del
pianeta forniva uno degli spettacoli più deprimenti ai quali
fosse possibile
assistere, se mai vi fossero stati degli occhi viventi intenti a
scrutare
quella rovente distesa di sabbia ocra e spoglie montagne rosso ruggine
all'orizzonte.
Tralasciando la polvere,
incessantemente trascinata dal vento come i lussuriosi all'inferno,
erano le
macchine le uniche cose animate che vagavano nello sterminato deserto.
Esseri mastodontici di
acciaio, ingranaggi, olio e circuiti, a cui non importava nulla se
l'ambiente
fosse tetro o meno: la loro vista non era stata programmata per godere
delle
bellezze naturali ma per scrutare senza sosta alla ricerca del
più insignificante
brandello di vita, affinché tutto restasse morto.
Il loro costruttore aveva
impartito chiaramente le istruzioni, lasciando alla gigantesca massa
del sole
il compito di rifocillare i suoi abominevoli figli.
Ma era il nulla l'unico
dominatore di quelle terre disgraziate?
Se i mostri meccanici
avessero potuto volare, avrebbero sicuramente notato il cono di un
imponente
vulcano spento.
Se la curiosità (che non
conoscevano e mai avrebbero potuto conoscere) li avesse spinti ad
affacciarsi
dal bordo della cavernosa bocca, si sarebbero accorti che qualcos'altro
aveva
preso il possesso delle pareti basaltiche ormai abbandonate dal magma.
L'interno del cratere
sfavillava ancora come se fosse costellato di tizzoni ardenti, ma
questi non
erano altro che le fredde luci delle illuminazioni elettriche, che si
riflettevano sul susseguirsi di migliaia di grate e strutture
metalliche,
mentre innumerevoli figure alate si affaccendavano in ogni dove, come
minuscole
formiche perse nel baccano provocato dalle loro voci ed attività.
Si sarebbe così svelata la
presenza di una comunità superstite di draghi, ancora pulsante
nel sottosuolo,
che aveva fatto di quella montagna cava la propria porta verso
l'esterno.
L'ascensore cigolava e
sussultava, ma la cosa non la infastidiva minimamente.
La sua testa era vuota,
mentre lasciava che le ombre proiettate dalla grata metallica
dell'abitacolo le
scorressero addosso, rigando la sua figura di fuliggine.
Pharnasius se ne stava
dritta sui posteriori, utilizzando le pareti dell'ascensore come una
seduta
ischiatica improvvisata, con le ali semi spalancate che si
congiungevano ai
lati del suo torace per poi proseguire lungo la coda, così come
avrebbe potuto
fare il telo di un aquilone.
Le sue ali bianche,
chiazzate da grandi cerchi neri tra una falange alare e l'altra, come
quelli
che ornavano le ali delle farfalle, l'avevano battezzata con il nome di
Pharnasius.
Eppure le ali “da
farfalla”
erano un fatto assai frequente tra la sua gente, anonimo e indegno di
nota
alcuna.
Forse i suoi genitori
avevano voluto spostare l'accento su una sua caratteristica così
meschina per
affievolire il fatto che le sue scaglie presentassero una colorazione
veramente
inusuale, per non dire unica.
Vi era un vasto assortimento
di colori tra la gente della sua razza: c'erano draghi rossi, verdi,
bianchi,
neri, blu... addirittura dorati o argentati, eppure mai si era visto un
drago
viola, così come lo era Pharnasius.
Uno scossone improvviso la
indusse ad alzare gli occhi dal pavimento chiazzato di olio per fissali
verso
le porte avanti a sé, con le loro iridi nere come la pece: due
macchie
irrequiete di inchiostro su di un foglio immacolato.
Era arrivata.
La confusione ed i rumori
della stazione di lancio la investirono come una folata di tramontana,
facendole
ardentemente desiderare di tornarsene al sicuro nella fatiscente cabina
dell'ascensore, per farsi cullare nuovamente da quell'ipnotico cigolio.
-Ehi Pharnasius! Qual buon
vento?!-
Quella improvvisa voce
tonante per poco non la fece schizzare fuori dalla scaglie, con il
risultato di
accrescere oltremodo la sua irritazione.
La dragonessa indirizzò lo
sguardo corrucciato verso un volto mostruoso, dagli occhi lucidi e
giganteschi
che sporgevano all'infuori come un cannocchiale, in una perfetta
imitazione delle
grottesche figure dei pesci abissali.
Quando l'interlocutore si
portò la zampa artigliata alle mostruose propaggini oculari,
esse si rivelarono
per ciò che erano: un semplice paio di occhiali da meccanico.
-Ciao Derfel ... preparami
la nave-
Riuscì a rispondere con il
tono svogliato di chi si sia appena destato dal sonno; non voleva
scambiare
parola con nessuno e a malapena sopportava di dover conversare lo
stretto
necessario con i custodi delle navi.
-Siamo un po' giù di corda
oggi? Forza Pharnasius! Dove sono finite le tue energie e la tua
allegria?-
Senza volerlo, Derfel si era
appena introdotto in un deposito di polvere da sparo con una candela
accesa
stretta nella coda.
Pharnasius spalancò le ali e
gli sibilò contro con fare minaccioso.
-STA ZITTO E FAI IL TUO
LAVORO!-
Gli ruggì praticamente
addosso, prima di voltargli le spalle e lasciarlo impalato sul posto.
-Wow, ma che le prende...-
-Buono Derfel...-
Un altro meccanico come lui
interruppe momentaneamente il suo delicato lavoro di saldatura di
un'ala
retrattile al corpo di una nave.
-... con quel che le è
successo, ha tutti i motivi per comportarsi così... è
stata esiliata-
E con queste parole si
rimise all'opera.
-Esiliata?-
La notizia lo aveva lasciato
assai più stordito che l'improvvisa aggressività di
Pharnasius.
-Non è possibile! Pharnasius
è uno dei nostri guerrieri migliori, cosa avrà mai fatto
di tanto grave?-
L'idea di essersi salutati
in maniera così decisamente poco cortese era triste, tuttavia
Derfel non
potette fare altro che dirigersi verso il decimo piano della stazione
di
lancio, settore 54B, dove da bravo custode sapeva stanziata la nave
della
dragonessa viola.
Solo una volta fori
dall'atmosfera si potevano nuovamente vedere le stelle: un ammiccare di
luci
che si perdevano nei meandri più bui del cosmo e che tanto
somigliavano alle
colossali gallerie dove la sua gente si era rifugiata da tempo immemore.
Troppo tempo!
Il buio aveva annichilito le
loro menti, smorzando ogni desiderio di cambiamento, di libertà.
In assenza di gravità,
Pharnasius fluttuava nei pressi di una finestra dell'abitacolo di
pilotaggio,
saziandosi della vista del suo mondo, per il quale aveva dato tutto
ricevendo
in cambio solo un pugno di cenere... quanto era ora insignificante
quella pallina
giallastra persa nel cosmo!
-Attivare gravità
artificiale-
-Ricevuto-
Pharnasius ebbe la
spiacevole sensazione che la situazione le gravasse improvvisamente
sulle ali
quando il peso del suo corpo tornò a farsi sentire.
Presa dallo sconforto, si
lasciò scivolare a terra, acciambellandosi su se stessa come un
cucciolo nel
guscio dell'uovo.
Lì, sola nel buio dello
spazio, si concesse il lusso di lasciarsi andare ad un pianto a lungo
represso,
mentre il dolore veniva pian piano lavato via dalle lacrime fino a
farsi
sopportabile.
Il sistema centrare della
nave la capì, decidendo di lasciarla fare per un po' senza
intromettersi.
-Ehi,
va meglio adesso?-
-Uh....?-
La dragonessa alzò appena
l'ala con la quale si era coperta la testa, trovando una piccola manta
di un
blu pieno e brillante come i lapislazzuli che le fluttuava innanzi,
mantenendosi sospesa in aria con eleganti colpi di pinna.
La sua nave era solita
interagire con lei tramite quell'interfaccia olografica, che Pharnasius
stessa
si era scelta dopo avere passato al vaglio l'interminabile gamma di
forme messe
a disposizione dai programmatori del sistema centrale, che andavano
dalle più
infantili fino a quelle sessualmente provocanti.
Le erano sempre piaciute le
mante e la divertiva l'idea di averne una in miniatura che le
fluttuasse al
fianco come un pesce fuori dall'acqua.
-Sì, è passata adesso-
-Posso
fare qualche cosa per tirarti su il morale?-
-No, grazie comunque
Belta... attiva il pilota automatico e mettimi in ibernazione-
-Quali
coordinate?-
-Eh-eh! Questa sì che
è una
bella domanda... dove andiamo? Bo, per me è indifferente, scegli
pure te....
svegliami quando arriveremo in un qualsiasi posto di questo
fottutissimo
universo, notte notte!-
-...
Come vuoi... ma diavolo, come la fai tragica!-
-Non una parola di più
Belta....-
Facendo spallucce, la
piccola manta si dissolse mentre una foresta di tubi e piastre
spuntarono dal
pavimento avviluppando la dragonessa come i rovi attorno ad una vecchia
cancellata abbandonata.
Poco prima che la sua
attività celebrale venisse sospesa, Pharnasius considerò
con stupore come
quella giornata infernale fosse cominciata nella stessa identica
maniera delle
altre.
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Capitolo 2 *** Pharnasius e Loki ***
Pharnasius e Loki
Pharnasius
e Loki
Quella stessa mattina del
giorno in cui venne esiliata, Pharnasius sonnecchiava beatamente tra le
esili
braccia di Loki, suo collega e compagno.
Come ogni volta, alle 6:30
del mattino, il suono martellante della sveglia fece sgarbatamente
irruzione
nel monolocale, svegliando all'istante Loki e lasciando Pharnasius
stordita e
borbottante.
-Su Pharnasius! Op-op!- era
solito stuzzicarla Loki, aprendole a forza le palpebre degli occhi e
punzecchiandole i fianchi con un artiglio.
-Cosa devo fare con te?
Forse una bella secchiata d'acqua...-
-Non ci provare Loki, sai
che non ti conviene...-
Tempo addietro il gracile
drago dorato aveva avuto la brillante idea di mettere in pratica le sue
minacce, rovesciandole addosso qualche decina di litri d'acqua gelida e
ricevendo in cambio una furiosa zampata in pieno muso, che lo aveva
fatto
schiantare sull'attrezzatura sottostante il soppalco dove avevano il
giaciglio.
Loki ebbe un sussulto,
portandosi istintivamente la zampa al lato destro del muso, dove quella
spiacevole avventura gli aveva lasciato un brunastro ematoma che lo
aveva
accompagnato per settimane.
Così puntò con
decisione i
posteriori a terra, cercando invano di spingere verso il bordo della
piattaforma la massiccia mole della compagna, che benché fosse
della sua stessa
altezza, lo superava nettamente in fatto di massa muscolare.
Pharnasius lo lasciò fare
per un po', divertendosi al gioco, prima di decidere di alzarsi e
cominciare la
giornata; non senza aver dato un affettuoso bacio di saluto
all'affaticato
Loki.
-Sai... dovresti fare un po'
di esercizio fisico, invece di sprecare tutto il tuo tempo collegando i
neuroni
alle macchine...-
-Non basta quel che facciamo
a letto? Forse hai ragione, dolcezza, ma ci deve pur essere qualcuno
che tenti
di far saltare i circuiti a quei dannati mostri meccanici mentre tu fai
da
esca...-
-Da esca, solo? Caro, senza
di me verresti spappolato in meno di un nanosecondo!-
-Urca! Guarda qua!
Finalmente lo abbiamo beccato!-
I due si trovavano tra la
disordinata accozzaglia di apparecchiature che Loki aveva
miracolosamente
ricavato dalle carcasse di computer e macchine obsolete.
Pharnasius aveva allungato
il collo per scrutare una lucina rossa che lampeggiava sullo sfondo
verdastro
di un vecchissimo monitor, che ancora utilizzava uno schermo materico.
-Non ci posso credere! È
proprio il bambinone a cui stiamo dando la caccia!-
-Già, una caccia durata
anni...-
Tutto era iniziato quando
Loki aveva ottenuto udienza presso il Consiglio degli Anziani,che da
tempo
immemore teneva in mano le redini della metropoli sotterranea.
Pharnasius si trovava là
assieme agli altri sette guerrieri che costituivano la scorta dei tre
centenari
draghi che sedevano imperiosamente sui loro preziosi cuscini di
rappresentanza.
Lei poteva avvertire la
freddezza di quegli sguardi che divoravano il giovane ricercatore
mentre
esponeva con entusiasmo le proprie teorie, che suscitarono biasimo da
parte
dell'assemblea ma che rapirono i sogni e le speranze di Pharnasius.
Egli affermava che esisteva
un modo per combattere il dominio delle macchine e riemergere alla luce
del
sole, raccontò di come una volta fosse riuscito ad entrare in
contatto con il
sistema operativo di uno di quei colossi facendo una scoperta
sconvolgente:
qualcuno li controllava.
Loki era riuscito a
sfiorarne la mente prima che quest'ultimo se ne accorgesse e reagisse;
soltanto
la grande abilità ed esperienza di Loki avevano impedito al
misterioso
burattinaio di ghermirlo bruciandogli i neuroni.
-Dietro tutto questo vi è un
drago in carne ed ossa, proprio come noi. Questo significa che potremmo
combatterlo e sconfiggerlo! Non so dove si nasconda, questo non ha
importanza,
ma possiamo colpirlo attraverso il collegamento che unisce il suo
cervello alle
macchine che controlla-
-Basta, abbiamo sentito
troppo...-
-No, Ascoltate! Devo solo
trovare la Macchina Madre ed il gioco è fatto, ma per fare
questo ho bisogno
del vostro appoggio!-
-Apprezziamo i vostri buoni
propositi ma non abbiamo intenzione di ascoltare ulteriori baggianate:
le
macchine esistono fin da quando la nostra civiltà ha memoria e
lei, uno
“scienziato”, affermerebbe che un drago possa vivere
così a lungo?-
-Fatemi almeno provare...-
-Guardia, scortalo fuori...-
Da soldato ligio al dovere,
Pharnasius aveva saldamente ghermito il ricercatore per le spalle e le
ali,
trascinandolo via dalla Sala del Consiglio, impassibile di fronte alle
sue
proteste e patetici tentativi di divincolarsi.
Una volta fuori, Loki perse
ogni energia, afflosciandosi come un pupazzo di pezza, lasciando che la
guardia
lo conducesse lungo il corridoio verso l'uscita.
-Sai scricciolo, credo che
tu non abbia tutti i torti, dopotutto...-
Aveva commentato di punto in
bianco la guerriera viola, approfittando della solitudine del corridoio
e
prendendo in contropiede il giovane.
-... quei muffosi vecchi
draghi si sono impigriti! A loro non interessano i cambiamenti, ma non
per
questo devi mollare! Sappi che se dovessi aver bisogno di aiuto, sono
pronta ad
appoggiarti.-
Pharnasius aveva pronunciato
le ultime parole a cuor leggero, più per sollevare il morale di
lui che per una
reale intenzione di collaborare al suo progetto.
Tuttavia Loki prese le
parole alla lettera e qualche giorno dopo si presentò negli
alloggi di lei con
un sorrisetto soddisfatto tutto zanne, che gli arrivava da corno a
corno.
A qual punto la dragonessa
viola non potette tirarsi più indietro.
Ebbe così inizio la loro
collaborazione:
Loki, un magrissimo maschio
dorato, le cui striature rosse ed arancio lo facevano somigliare ad una
fiamma,
era solito muoversi con l'agilità di un bradipo; ma una volta
che il suo
cervello entrava in connessione con un'apparecchiatura elettronica, si
trasformava in un falco: uno spietato cacciatore capace di penetrare
nel
sistema centrale di qualsiasi macchina, riuscendo così a
carpirne i più intimi
segreti.
Di contro Pharnasius aveva
un controllo ferreo sul mondo concreto.
Forte, agile e temeraria,
sapeva tener testa ad ogni mastodontica macchina distruttrice che
vagava sulla
superficie del pianeta.
I due formarono così una
squadra capace di combattere ed abbattere gli esseri di metallo che
decidevano
di colpire, nel tentativo di scovare la Macchina Madre che li avrebbe
condotti
al “burattinaio”.
Ogni loro trofeo era un
passo in più che li avvicinava al vero obbiettivo e finalmente,
quella stessa
mattina, la lucetta rossa lampeggiante aveva annunciato che il momento
era
arrivato.
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Capitolo 3 *** la macchina madre ***
la macchina madre
La Macchina Madre
Due draghi, uno viola e l'altro dorato, scrutavano l'immenso deserto
sabbioso da dietro degli schermi oscuranti che proteggevano dal sole i
loro sensibili occhi abituati alla penombra.
-Ecco, ci ha individuati... sta puntando contro di noi...-
- Qual’é la distanza?-
Loki controllò meglio lo schermo a fotoni del radar che si era
materializzato tra il pollice e l'indice della zampa destra che teneva
avanti a sé.
-Circa 5km... considerando la velocità con cui sta viaggiando,
dovrebbe esserci addosso tra qualche minuto-
-Molto bene...-
La ferocia racchiusa nelle poche parole della compagna fecero
sobbalzare il drago d'oro.
Pharnasius sfoderò gli artigli, e con essi delle taglienti
propaggini laser fuoriuscirono dai massicci bracciali che le
ricoprivano gli avambracci.
Le pistole riposte nel fodero che le fasciava il torace, erano cariche
ed efficienti: sarebbe stato uno scherzo far a pezzi quell'ammasso di
ferraglia!
Loki inserì un cavo nella porta che aveva impiantata nel corno,
collegando così la propria mente con un piccolo ripetitore che
portava ancorato addosso.
-Eccolo: pronta amore?-
-Pronta piccolo mio, diamo inizio alle danze-
L'approssimarsi della Macchina Madre fu uno spettacolo di sublime
bellezza, affascinante e spaventoso allo stesso tempo.
Tra la liquida aria rovente e le nubi di sabbia, una massa nera stava
furiosamente caricando verso di loro, con il suo corpo tozzo sorretto
da innumerevoli propaggini meccaniche, ognuna dotata di una sorta di
pinza all'estremità
Quel ragno metallico superava in proporzione i due draghi come un
elefante con uno scoiattolo.
Loki fece un respiro, rilassando il corpo mentre la mente saettava
veloce verso il nemico.
La sua aggressione confuse le istruzioni che comandavano il mostro,
facendolo vacillare come se avesse appena ricevuto una pallonata in
pieno muso.
A quel punto fu Pharnasius ad intervenire.
Con un tonante urlo di guerra, la dragonessa viola aveva spiccato un
balzo verso la macchina; schivò gli attacchi diretti contro di
lei con la grazia e l'agilità di una ballerina, prima di
recidere di netto un braccio meccanico che le si era parato avanti e
sparare una raffica di colpi sul corpo principale dell'essere.
Le piastre metalliche della carrozzeria iniziarono a fumare.
Pharnasius credeva di aver la vittoria in pugno, quando un gemito
strozzato la raggiunse.
Alle sue spalle, vide Loki stramazzato sul terreno che si contorceva in
preda alle convulsioni; a quanto pareva l'entità che guidava la
macchina lo aveva infine acciuffato.
-LOKI! NOOOOOOOOOOO!-
Mai aveva avvertito una paura più grande, mentre accorreva in
suo aiuto, afferrando il cavo che collegava il suo compagno al
ripetitore e strappandolo di netto dal corno.
Le convulsioni cessarono subito, lasciando il drago dorato stordito e
boccheggiante.
-Pharnasius... quel figlio di puttana mi ha beccato! È troppo
veloce... io...-
-Shh... sei salvo, mi basta questo-
Un inquietante stridore metallico fece tornare la guerriera alla
realtà, scacciando completamente l'immane sollievo che l'aveva
distratta, quando si accorse che la Macchina Madre si era completamente
ripresa dalla prima ondata di attacchi ed ora stava caricando
furiosamente nella loro direzione.
Pharnasius riuscì in qualche modo a sedare il panico che le
stava invadendo il cervello.
Nonostante l'istinto le suggerisse di raggomitolarsi su se stessa come
una palla, la guerriera si caricò Loki sulla groppa, spalancando
le ali e lanciandosi in aria con una poderosa spinta dei posteriori.
Contava di seminare il nemico volando, ma mai si sarebbe immaginata che
il ragno metallico potesse compiere dei salti così prodigiosi da
permettere ad una delle sue chele di squarciarle la membrana di un'ala.
I due precipitarono sul declivio di una duna, rotolando come una
trottola di sabbia per svariati metri prima di cozzare dolorosamente
contro dei macigni rossastri.
Mezza accecata dalla polvere e dal dolore, la dragonessa
trascinò il suo compagno verso le rocce, gettandosi con lui
entro una fenditura troppo piccola per permettere alla macchina di
infilarci il braccio per ghermirli.
Poco dopo il ragno li raggiunse: la sua mole coprì la luce
mentre decine di occhi rossi scrutavano la fenditura alla ricerca delle
prede.
Lo sguardo cremisi li trapassò con odio viscerale, prima che la
sua massa sgomberasse l'uscita dell'anfratto dove si erano rifugiati.
La Macchina Madre se ne era andata.
Pharnasius si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo sentendo la
tensione che le abbandonava i nervi tesi del corpo, mentre si
accasciava debolmente al suolo.
Due braccia premurose la cinsero attirandola a sé.
Loki si era ripreso ed ora la cullava con dolcezza mentre dalla sua
gola fuoriusciva un chiocciare rassicurante, un po' come le fusa per i
gatti.
-È tutto finito- le ripeteva -tutto finito- quando l'inaspettato
attacco della Macchina Madre li investì con la violenza di un
tornado.
La cosa stava colpendo con furia le pareti rocciose, scavandosi un
varco verso di loro.
Non sapendo che altro fare, Loki si era raggomitolato su di Pharnasius,
nel misero tentativo di proteggerla con il proprio corpo.
Una rabbia gigantesca fece vibrare l'anima di Pharnasius spazzando via
ogni prudenza o timore.
Mai aveva sperimentato qualche cosa del genere, mentre scostava
malamente l'esigua massa di Loki per lanciarsi contro la Macchina
Madre, con il solo bruciante desiderio di vederla ridotta in un ammasso
fumante di rottami.
La parte razionale di Pharnasius, che quel tempestoso oceano di furore
non era riuscito a spazzare via del tutto, osservava con costernazione
la scena; come se non fosse stata lei stessa la dragonessa viola che
stava ghermendo una chela metallica appena apparsa nel tunnel di roccia.
Poi il mostro tirò fuori la propaggine, trascinandosi dietro
Pharnasius.
In quel breve lasso di tempo, dove la guerriera si era ritrovata a
grattare contro le pareti della stretta galleria, perdendo parecchie
scaglie, il dolore offrì un appiglio al quale la ragione potesse
aggrapparsi e squarciare la cappa di furore che la stava soffocando.
“Pharnasius! Cosa diavolo pensi di fare? Dannata idiota!”
Troppo tardi.
Ormai la combattente era stata scaraventata sulla sabbia da un brusco
movimento della Maccina e lì stava tentando disperatamente di
evitare i colpi del nemico, mentre il sole e la polvere l'accecavano:
aveva assolutamente bisogno di un'idea.
Un fortuito attimo di tregua le diedero la possibilità di
balzare in aria e librarsi in volo sopra la testa del mostro.
La manovra era stata così repentina che il ragno meccanico ebbe
pochi attimi di disorientamento, che servirono alla dragonessa per
osservare con più attenzione la fisionomia dell'avversario.
Un brillio di speranza le balenò negli occhi quando si rese
conto che la Macchina non possedeva gli snodi necessari affinché
gli arti potessero raggiungere il dorso corazzato.
Pharnasius comprese immediatamente che quello era il punto in cui
avrebbe dovuto agire.
Ripiegando le ali contro il corpo, si lasciò cadere in picchiata
verso l’obbiettivo, mentre al di sotto la macchina si dimenava
come impazzita, quasi avesse compreso le sue intenzioni; ma ormai era
troppo tardi e un paio di propaggini laser erano penetrate nella
corazza metallica.
Pharnasius provocò due profondi squarci al carapace, infilandovi
poi gli artigli e gonfiando i muscoli degli arti anteriori nello sforzo
di allontanare i bordi delle lamiere fino a quando non ebbe ottenuto un
varco sufficientemente ampio per passarci attraverso.
Come un mortale parassita, Pharnasius era in seguito piombata
all'interno del corpo della macchina.
Il buio era opprimente ed assordante, mentre un atroce, rancido fetore
di olio e grasso le mozzarono il fiato, rendendole la bocca amara di
bile.
Tentando di respirare il meno possibile quella venefica aria viziata,
la dragonessa iniziò a strisciare tra i meccanismi in continuo
movimento della bestia, illuminandosi il cammino con le lame delle
spade.
Sapeva che la maniera sicura di porre fine alla vita del perverso
costrutto era quella di distruggere il generatore d'energia; l'unico
inconveniente era che lei ignorava completamente la sua ubicazione.
Un sommesso ronzio, a stento udibile tra l'inferno di fischi e cigolii,
attirò la sua attenzione guidandola verso la meta.
In prossimità del generatore, un bagliore bluastro aveva man
mano preso il posto delle tenebre, mentre lo spazio tra i vari
meccanismi era notevolmente aumentato, tanto da permetterle di starsene
comodamente in piedi sulle zampe.
La macchina aveva ormai i secondi contati, mentre il carnefice ne
guardava trionfante il cuore pulsante di vita artificiale.
La dragonessa era ridotta ad una selvaggia figura imbrattata di
idrocarburi maleodoranti, con la pelle ustionata dal calore degli
ingranaggi laddove le scaglie erano state asportate dalla roccia del
tunnel; tuttavia questo non impedì a Pharnasius di provare un
immenso piacere mentre estraeva le pistole dal fodero.
Loki aveva timidamente fatto capolino dal rifugio, ora che gli attacchi
del colosso erano cessati, e scrutava ansiosamente il paesaggio alla
ricerca di Pharnasius; ma di lei non vi era alcuna traccia.
Il panico che lo invase al pensiero di averla persa gli impedì
di accorgersi dello stano comportamento della Macchina Madre.
Il ragno artificiale sembrava avesse perso la ragione: dimenava gli
arti azionati da pistoni verso l'alto, nel futile tentativo di
disarcionare la minuscola macchiolina viola che se ne stava
accovacciata sulla sua groppa.
Loki ebbe un tuffo al cuore nel costatare che la sua compagna fosse
salva, prima di vederla scomparire all'interno del mostro.
-Cosa vorrà mai fare quella pazza...-
Di lì a poco l'essere artificiale perse la testa, mentre delle
istruzioni di emergenza si riversavano nel computer che lo controllava,
provocando in lui un comportamento assai simile al panico degli esseri
viventi.
Non sapendo cosa fare, la macchina iniziò a girare su se stessa
come una trottola, per poi spiccare una disparata corsa senza meta,
nella speranza di poter sfuggire dal male che la stava divorando da
dentro.
Tremendamente sconcertato, Loki spalancò le ali e seguì
in volo il tragitto del ragno metallico.
Improvvisamente la macchina si arrestò, crollando al suolo con
un cavernoso sferragliare di membra.
Fu allora che Loki atterrò lì vicino, con il petto che si
alzava ed abbassava selvaggiamente per lo sforzo di aver volato a
grande velocità.
Scrutò nuovamente il mostro, sperando di individuare ancora
quella macchia purpurea, ma di Pharnasius non vi era alcuna traccia.
Poi si sentì un forte martellare, simile al maglio del fabbro
che si abbatte sull'incudine, che si fuse con il fischiare del vento
tra le dune di sabbia.
Il guscio di metallo si smembrò e la piccola figura della
dragonessa schizzò fuori come un kaiser.
-Loki!!! Ci sono riuscita! Lo abbiamo preso!-
Nel pieno del suo entusiasmo, Pharnasius volò tra le braccia di
lui con la cinguettante allegria di una rondine, scaraventandolo
direttamente a terra e imbrattandolo di bitume, che subito andò
disgustosamente ad impastarsi con la fine sabbia del deserto; ma lei
era troppo entusiasta per accorgersene.
Oscar osservò ogni cosa e represse un tremito di rabbia.
Il suo corpo atrofizzato se ne stava da tempo immemore intrappolato
all'interno di una foresta impenetrabile di elettrodi e cavi, tuttavia
gli impulsi e le sensazioni che il calcolatore inviava al cervello di
Oscar erano gli stessi che avrebbe provato standosene in un comodo
salottino.
Poteva gustare la morbidezza del broccato che ricopriva l'imbottitura
del divano, l'odore aromatico del ceppo di ginepro che bruciava nel
caminetto e il dolciastro sapore del vino che stava sorseggiando da un
calice di cristallo finemente modellato.
Quella perfezione era stata guastata quando aveva avvertito la morte
della sua creatura, avvenuta per mano di una dragonessa viola
imbrattata dal sangue della sua stessa vittima.
Un affronto così grave non poteva essere ignorato.
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Capitolo 4 *** la farfalla nera ***
la farfalla nera
La
farfalla nera
- Pha! Ma
che è ‘sta roba … cavolo quanto puzzi!-
-Ops! Scusami Loki-
-Fa niente …
basta che mi stai lontana fino a quando non assomiglierai
più ad una torta di fango-
-Wow! Quante storie
per un po’ di olio! Comunque, spero di non aver
distrutto troppo la Macchina Madre per i nostri scopi-
Quella osservazione
allarmò Loki, tanto che il drago d’oro guardò con
comica preoccupazione il mostro metallico che scintillava sotto lo
spietato
sole del deserto.
-Se il computer
centrale non è stato danneggiato dal tuo attacco, non
dovrebbe essere difficile prendere in scacco quel perverso
“burattinaio”… spero
solo non sia andato in cortocircuito … -
-Cosa aspettiamo allora! Andiamo
subito a controllare!-
Detto questo, Pharnasius aveva
spiccato la corsa verso la carcassa, sprizzando entusiasmo da tutti i
pori come
una cucciola presa dai suoi giochi.
Mentre correva, con Loki alle
calcagna che penosamente tentava di sostenerne il passo, una strana
nebbia
nera calava a tratti sui suoi occhi,
nascondendo il torrido paesaggio.
Poi un brusio si insinuò
nella sua
testa facendosi man mano più distinto.
-Pharnasius … -
La dragonessa si arrestò di
scatto,
scrutando attorno per capire chi la stesse chiamando, ma non vide altro
che le
dune e la sagoma barcollante di Loki ancora lontana.
“Bha, sarà stata solo
una
suggestione, forse un calo di zuccheri, il caldo …”
- Salve Pharnasius-
I dubbi si dissiparono
all’istante
quando il nero di un immenso spazio vuoto si impadronì del suo
campo visivo,
lasciandola sola e smarrita all’interno di quella vastità
senza inizio né fine.
Cosa stava succedendo?
-Benvenuta Pharanasius, mi hai
fatto un grave torto oggi … -
Disse una voce calma e profonda,
deliziosamente modulata, melodiosa quanto un canto.
Il cuore le schizzò in gola
quando
si accorse che il burattinaio le stava parlando, il suo primo pensiero
fu
quello di fuggire, ma dove? Non c’era altro che nulla e buio!
Così decise di
mantenere i nervi saldi più per mancanza di valide alternative
che per una
questione di decoroso orgoglio.
-Dove sei? Mostrati! Affrontami
muso a muso codardo!-
-Non mi sto affatto nascondendo-
Pharnasius per poco non
schizzò
fuori dalle scaglie quando la sagoma di un altro drago le si
materializzò al
fianco da un momento all’altro.
Si trattava di uno splendido
esemplare, dalla corporatura snella ma robusta allo stesso tempo; aveva
movenze
ponderate, raffinate e molto antiquate, tanto che il nuovo arrivato
sembrava
improvvisamente partorito dalla buona società aristocratica che,
innumerevoli
secoli addietro, si dilettava conversando in eleganti salotti, dietro
servizi
da tè in porcellana finemente dipinta, completamente dimentica
di essere
prigioniera in chilometri e chilometri di gallerie sotterranee.
Tuttavia, il particolare che
maggiormente disorientò Pharnasius fu il colore delle scaglie:
viola come le
sue!
-Perché mi combatti,
Pharnasius?
d'altronde noi due siamo simili e abbiamo in comune molte più
cose di quanto tu
creda … -
L’espressione sbigottita di
lei
strappò ad Oscar una risatina divertita, che molto somigliava al
tintinnio di
una campana d’argento, mentre la deliziosa piega del sorriso di
perla gli
solcava il muso dalla linea regolare e perfetta, di una bellezza e
giovinezza
che mozzò il fiato a Pharnasius.
Ma quando lei si concentrò
sul
tenero verde delle iridi, la freddezza e la spietata crudeltà
racchiuse negli
occhi del burattinaio, bastò ad insozzare l’aurea di
ascetica perfezione che
tanto aveva abbindolato la sua ammirazione.
Un minaccioso ringhio di
avvertimento le fuoriuscì dalla gola, mentre lei spalancava al
massimo le ali
da farfalla per intimorire l’avversario.
-Esci subito dalla mia testa!-
Un’altra risatina musicale
fu la
risposta che ricevette.
-Esci subito dalla mia testa! Ho
detto! Effeminato ammasso di scaglie o sarà peggio per te!
Con queste parole, la dragonessa
si
lanciò verso Oscar, soltanto per artigliare e mordere il vuoto.
-Non puoi nulla contro di me, in
questa dimensione è la mia volontà che controlla ogni
cosa-
-Maledetto bastardo! Lasciami
stare!-
Loki era riuscito finalmente a
raggiungere Pharnasius solo per ritrovarla in un evidente stato
confusionale,
La sua compagna stava girando in
tondo, lanciando sguardi terrorizzati al vuoto, vedendo cose che solo
lei
poteva percepire.
Poi al disorientamento
sopraggiunsero la rabbia e la paura.
Loki vide la guerriera ringhiare
al
vento, mordere ed azzannare l’aria, gridare sempre più
forte e combattere il
nulla con maggiore furia.
Per quanto lui tentasse di
chiamarla, lei non poteva udirlo; perfino quando Loki le si
piazzò davanti,
afferrandola per le spalle ed avvicinando il suo muso al suo, Parnasius
non si
accorse di lui né dell’espressione di impotenza che gli si
era dipinta in
faccia.
-Vattene via!-
Oscar schivò con eleganza
l’ennesima zampata diretta verso la testa cornuta, facendo
fluttuare come alghe
mosse dalle correnti del mare i barbigli che gli spuntavano dalla
mascella.
Spinta dall’eccessivo impeto
del
colpo andato a vuoto, Pharnasius inciampò malamente e sarebbe
caduta a terra se
il burattinaio non l’avesse sorretta afferrandola per le spalle.
Il suo tocco era gelido più
del
buio della notte.
Lei tentò inorridita di
divincolarsi ma lui le stringeva le zampe, rivelando una forza
innaturale,
quasi meccanica.
Oscar si divertì quando il
suo
sguardo incrociò quello dell’avversaria, pietrificandola.
La sentiva tremare.
Se si fosse trattato di
un’altra
dragonessa, quei sussulti sarebbero stati sicuramente dovuti alla
paura, ma
Oscar conosceva bene l’essenza di Parnasius, più di quanto
lei conoscesse se
stessa, e ben sapeva che un vulcano sopito stava per eruttare da un
momento
all’altro.
-Sì, brava… continua
così…-
La incitò sommessamente,
stravolgendo i propri lineamenti scultorei in un ghigno malefico,
bestiale.
-Cosa vuoi da me?-
La voce di Pharnasius aveva
iniziato a corrompersi, facendosi simile ad un cupo rimbombo
proveniente dalle
viscere della terra.
-Lasciamiiiiiiiiiiiii!-
Loki credeva di essere fagocitato
nell’incubo più spaventoso e reale che avesse mai fatto,
quando vide le linee
guizzanti di minuscole saette oscure danzare attorno alle scaglie della
propria
amata.
Fu quando lei proruppe in un
glaciale urlo che lui fece un balzo indietro spaventato.
Con gli artigli che gli tremavano
dall’agitazione, Loki aveva collegato il cavo del ripetitore al
corno affinché
le immagini che stavano attraversando la sua retina restassero per
sempre
impresse in quella imperturbabile memoria elettronica.
Sentiva di doverlo fare: anche se
la logica confutava ogni ipotesi che in quei momenti gli tormentava
l’anima,
Loki sentiva che qualche cosa di terribilmente sbagliato stesse
risvegliandosi
in Pharnasius.
Per quanto fugacemente, il drago
d’oro aveva sfiorato più volte la mente del burattinaio e
sempre aveva scorto
quell’incubo del quale la sua compagna stava assumendo le
fattezze, avvolta
dalle saette come una crisalide infernale nel suo bozzolo.
La farfalla che ne uscì non
era più
una creatura primaverile e leggera, ma un demone ghignante dalle
scaglie nere
come la pece e gli occhi bianchi che emanavano malevoli bagliori.
Oscar non la lasciò,
nemmeno quando
il corpo di lei assunse fattezze da incubo sotto le sue stesse grinfie.
Ora stava stringendo
quell’essere
oscuro che lo fissava attraverso i due abissi bianchi e vuoti degli
occhi, ma
lui non ne aveva timore perché quelle immense e malefiche
energie erano le
stesse che gli pulsavano nel sangue.
-Ho raggiunto il mio scopo: ora
sai
chi sei, o meglio, COSA sei … ci rivedremo presto mia cara-
Lui svanì assieme agli
ultimi echi
delle sue parole, restituendola al deserto, al caldo ed al nauseante
odore
dell’olio che la imbrattava dalle corna fino alla punta della
coda.
Pharnasius scorse Loki che la
fissava con un misto di disperazione ed odio, mentre le forze
l’abbandonavano
lasciandola cadere senza sensi tra la sabbia rovente.
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Capitolo 5 *** Loki rischia un pugno ***
Loki rischia un pugno
Loki rischia un pugno
Pharnasius riprese conoscenza qualche ora più tardi.
Si ritrovò accucciata su di una branda, incapace di pensare,
ricordare e capire, mentre fissava senza motivazione uno scacco di luce
bianca sul pavimento di linoleum, perdendosi in quella immagine
… divenendo soltanto ciò che i suoi occhi captavano
e niente di più.
Sentì il rumore di passi e lo strisciare di diverse code, come
un confuso rimbombo proveniente da qualche parte.
Ma dove?
Pharnasiu smise di essere solamente una pozza di luce per riacquistare
completamente consapevolezza di sé.
Si mise faticosamente a sedere sulla branda mentre un sensore di
movimento accendeva un neon fissato al soffitto, inondandola con la sua
luce fredda e triste.
Si trovava in una cella.
Lo spazio era appena sufficiente per ospitare una branda ed una piccola
nicchia dove poteva starsene in piedi senza toccare le pareti con le
ali e la coda.
Una parete forata, di un polimero trasparente come l’aria e
resistente come fibra di carbonio, solitamente utilizzato per gli
abitacoli delle navi spaziali, la separavano da un basso e lunghissimo
corridoio dove si affacciavano innumerevoli altre celle … tutte
vuote!
I passi si avvicinavano.
Pharnasius si limitò a restarsene tranquilla al proprio posto,
mentre un piccolo manipolo di guardie si era schierato avanti alla sua
cella.
La parete invisibile scomparve nel pavimento, scivolando fluida e
veloce come l’acqua e permettendo ad uno dei soldati di entrare.
La dragonessa continuò a fissare la parete avanti a lei, anche
quando l’altro drago le si era avvicinato così tanto che
lei poteva avvertirne chiaramente la presenza.
-Ok, ci avete beccati..-
Iniziò a dire Pharnasius, tentando di celare la sua indignazione
dietro un tono piatto e distaccato, che suo malgrado ne tradiva il
nervosismo.
-.. io e Loki abbiamo effettuato delle uscite all’esterno non
autorizzate e questo è contro la legge … lo so … -
E qui voltò lentamente il capo fino a focalizzare la sua
attenzione sul muso celato dell’altro.
-.. ma questo non giustifica il fatto che ora mi trovi in una
cella di isolamento e che ve ne stiate in assetto completo da
combattimento, e Fergus?-
Fergus era un guerriero addetto alla guardia del Consiglio degli
Anziani, proprio come lei.
Parnasius lo conosceva fin da quando era una cucciola in quanto
erano stati entrambi avviati all’arte del combattimento presso lo
stesso maestro.
Fergus aveva uno strano modo di starsene dritto sulle zampe, con quel
singolare dondolio con il quale spostava incessantemente il peso del
corpo da destra verso sinistra, che aveva permesso alla dragonessa
viola di identificarlo da dietro l’esoscheletro metallico che ne
celava per intero le scaglie rosse, maculate di nero, in una
terrificante e fluida forma.
Fergus inarcò di scatto il lungo collo, comunicando
implicitamente di essere a disagio per il fatto di essere stato
smascherato.
Pharnasius non seppe dar risposta ad un simile comportamento: sembrava
quasi avesse paura di lei!
-Avrai le tue risposte a tempo debito … in quanto alle armature,
stiamo solo eseguendo degli ordini di prescrizione-
- … anche se, ad essere sinceri, così mi sento molto
più al sicuro … -
Aggiunse poi, con voce assai più sommessa, evitando
accuratamente di guardare l’espressione attonita di Pharnasius.
-Ragazzi, incatenatela e portatela fuori, se prova ad opporre
resistenza, non esitate a paralizzarla con l’elettricità-
Un’imprecazione assai volgare sfuggì dalle labbra della
dragonessa, mentre ben tre soldati le erano saltati addosso,
applicandole con efficienza delle fasce magnetiche ai polsi, alle
caviglie ed alla base delle ali.
La guerriera si sentì particolarmente umiliata quando le
infilarono una sorta di museruola, quasi fosse un cane rabbioso!
Tuttavia decise di mantenere una certa docilità: se dovevano
condurla da qualche parte, avrebbe preferirlo andarci sulle proprie
zampe, invece di essere trasportata di peso come un sacco di patate,
paralizzata e stordita da una dolorosa scarica elettrica.
Era una stanza spoglia, asettica come una sala operatoria, rivestita
per intero di linoleum, con gli immancabili neon che ne aumentavano
l’anonimato e l’opprimente desolazione.
Loki se ne stava seduto sul pavimento, con il capo abbandonato tra le
zampe anteriori.
La pesantezza dei ceppi, in contrasto con l’esilità della
corporatura di lui, faceva del drago dorato la personificazione
dell’impotenza.
Pharnasius ebbe un tuffo al cuore quando lo vide in quello stato.
Le guardie la condussero nella stanza, depositandola al fianco
dell’altro prigioniero.
-Loki! Che sollievo vederti! Tutto bene? … Loki…-
Niente
Il drago d’oro evitava accuratamente il suo sguardo ed anche il
più piccolo contatto con lei.
Sembrava per assurdo che anche lui, il suo compagno, serbasse per lei
lo stesso timore che aveva fiutato nelle guardie, unito però al
rimorso ed alla vergogna.
Cosa diavolo stava mai succedendo?
-Toglietele pure la museruola, sempre se la nostra “fidata”
guardia non voglia compiere qualche gesto inconsulto-
- Non si preoccupi, Saggio Morrigan, noi soldati siamo die cani
ben addestrati, come voi tutti ben sapete-
L’insulto velato strappò un minaccioso sibilo al soldato
che stava armeggiando con le cinghie della museruola.
Pharnasius ignorò di sana pianta quella scortese minaccia per
concentrare la sua attenzione sulle tra figure che occupavano il lato
opposto della stanza, con le loro fragili e antiche scaglie mollemente
adagiate su ricchi cuscini ed il solito sguardo scrutatore, quasi al di
sopra degli altri e degli eventi.
I tre Anziani si trovavano nella stanza, troppo vecchi e stanchi per
non essere pomposi e saccenti.
La dragonessa viola era indignata oltre ogni modo e non potette fare a
meno di trapassare quei vecchi draghi con occhi infuocati: un
impertinente gesto di sfida che mai si sarebbe azzardata a fare in
circostanze differenti.
-Sai perfettamente che te ed il tuo “amato scienziato”
avete violato la legge meritandovi almeno cinque anni di reclusione, ma
tu … tu Pharnasius … non sappiamo cosa fare con te
… -
-Come sarebbe a dire? Io e Loki abbiamo commesso le stesse azioni,
siamo sgattaiolati fuori, abbiamo distrutto la Macchina Madre, cosa
della quale dovreste esserne grati, e poi … e poi … -
-E poi, Pharnasius?-
Già, e poi?
Tentò più volte di ricordare quello che era successo:
rammentava che stava correndo verso quella carcassa meccanica quando
… quando si era risvegliata nella cella.
Cosa era successo in quel lasso di tempo?
Guardò verso il suo uomo in cerca di risposte, ma lui continuava
a tenere gli occhi bassi, barricato entro la muraglia che si era
costruito attorno.
-Forse noi potremmo aiutarti a mettere in ordine le idee, visto che
Loki è stato così gentile da fornirci i suoi ricordi
… guarda attentamente Pharnasius-
Uno schermo a fotoni si materializzò tra di loro, occupando
buona parte della stanza.
Ora tutti potettero assistere alle agghiaccianti scene registrate dagli
occhi di Loki.
Pharnasius era pietrificata dallo shock, mentre assisteva alla tremenda
trasformazione che l’aveva resa simile ad un essere infernale,
mentre la sua mente accedeva ai cassetti della sua memoria che
l’inconscio aveva accuratamente chiuso a chiave.
Come un grimaldello, i ricordi di Loki scassinarono tutti i lucchetti
facendo riemergere ogni cosa: il vuoto, la rabbia e Oscar, con la sua
malvagia bellezza.
Lo schermo a fotoni svanì, lasciando la stanza immersa in un
opprimente silenzio colmo di attesa.
Pharnasius poteva solamente udire il suo fiato che le usciva a fiotti
dalla gola.
-Loki… come hai potuto?-
Sussurrò al drago che l’aveva tradita, con quel poco di
voce alla quale riuscì a fare appello.
Lui non rispose, ignorandola deliberatamente.
-Maledetto bastardo, come hai potuto? Rispondimi dannazione?-
Niente, Loki si faceva scivolare sopra gli insulti con sorprendente
facilità.
Un rombo di rabbioso fece vibrare il petto della guerriera viola:
avrebbe voluto una qualche reazione da lui, persino violenta, ma quel
silenzio infrangibile era per lei qualche cosa di insopportabile,
un’ingiuria gravissima che aveva gettato alle ortiche anni ed
anni di vita trascorsa assieme.
Un velo rosso di furia le calò sugli occhi
Pharnasius esternò un ruggito potentissimo mentre si gettava su
Loki, attingendo inconsciamente alle forze prodigiose che si celavano
nel suo corpo e agendo così rapidamente da prendere tutti di
sorpresa.
I vincoli magnetici che le serravano le membra si ruppero come fragili
pagliuzze, mentre lei afferrava l’emaciato drago d’oro per
le spalle spalmandolo al muro e tenendolo lì inchiodato.
La zampa destra di lei si serrò in un pugno.
Loki chiuse con forza gli occhi, preparandosi all’impatto che
molto probabilmente gli avrebbe fracassato il muso o peggio.
Sentì lo spostamento d’aria mentre il pugno seguiva la sua
traiettoria.
Il drago dorato gemette pietosamente, mentre un tonfo assordante gli
rimbombò nelle orecchie.
Passò qualche secondo, ma l’atroce dolore che Loki si
aspettava di avvertire da un momento all’altro non giunse mai:
Pharnasius non lo aveva colpito, ma aveva indirizzato il colpo al lato
della sua testa, scaricando la sua forza devastatrice contro il muro e
facendolo visibilmente cedere.
Era chiaro che un pugno del genere lo avrebbe sicuramente ucciso.
Loki non fece in tempo a provare sollievo, per il pericolo scampato,
che si ritrovò intrappolato nello sguardo di Pharnasius.
Il muso di lei era vicinissimo al suo, tanto che poteva avvertirne il
fiato fondersi con il proprio, mentre quelle due profonde e nerissime
pozze d’inchiostro delle sue iridi lo ghermivano, avvolgendolo
come un mare in tempesta e facendolo inesorabilmente affondare in
abissi freddi e spietati.
Loki si sentì accartocciare l’anima, mentre un
insopportabile senso di colpa e pentimento lo rapì.
Aveva commesso un gravissimo errore, spinto solamente da un sentimento
meschino e primitivo quale la paura.
Solo ora si rendeva conto di quanto amasse Pharnasius … adesso
che l’aveva irrimediabilmente persa!
Lui ebbe l’impressione di aver subito quel tormento per ore, ma
in realtà non erano trascorsi che una manciata di secondi; il
tempo necessario affinché le guardie accorressero in suo aiuto,
ghermendo rudemente Pharnasius e scaraventandola all’indietro,
assestandole un colpo all’addome che l’aveva lasciata
piegata in due al centro della stanza.
In preda al dolore, Loki si rannicchiò contro il muro,
avvolgendosi nelle ali, desideroso di svanire nel nulla.
Gli anziani assistettero alla scena con un crudele sorriso soddisfatto
stampato sul muso.
Era chiaro che quella era la prova ulteriore della veridicità
della conclusione a cui erano giunti dopo la discussione che si era
aperta riguardo a ciò che Loki aveva testimoniato.
Pharnasius era un elemento estremamente pericoloso per l’intera
comunità, quindi era assolutamente necessario che se ne
sbarazzassero al più presto.
-Pharnasius, è chiaro che c’è qualche cosa di
tremendamente sbagliato in te … ci dispiace, ma per il bene di
noi tutti tu dovrai sparire … ti condanniamo pertanto
all’esilio! Ti concediamo due giorni per prepararti alla
partenza-
-N … non ho bisogno dei vostri “magnanimi” due
giorni … -
Riuscì a rispondere la guerriera, mentre faticosamente si
metteva sulle quattro zampe per affrontare con sguardo fiero e testa
alta la piccola assemblea.
-Partirò immediatamente-
Così dicendo si avviò con passo spedito verso
l’uscita della stanza, ma prima di svanire dalla vista, si
voltò nuovamente; diede con profondo disgusto un fugace sguardo
alla figura rannicchiata di Loki per poi trafiggere tutti quanti con il
suo odio.
-Che possiate tutti marcire in questa tomba sotterranea-
Sibilò con voce satura di veleno, sputando nella loro direzione
in segno di disprezzo prima di avviarsi verso la stazione di lancio.
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Capitolo 6 *** Pirati ***
pirati
Pirati
Era buio all’interno
dell’abitacolo, estremamente freddo e silenzioso.
Così era sto
ininterrottamente per circa otto anni, quando una piccola spia rossa
sia
accese, cominciando a pulsare.
Di lì a poco ogni cosa si
animò: sistemi di navigazione, controlli d’assetto
… tutto.
Un tripudio di luci che
danzava in ogni dove, riflettendosi sulla superficie lucida di una
cupola
trasparente che conteneva il corpo inanimato di Pharnasius, avvolto nei
cavi
elettrici che lo mantenevano in vita nel delicato stato di congelamento
in cui
si trovava.
Per tutto il tempo
l’intelligenza artificiale di Belta aveva guidato la traiettoria
della nave
attraverso le galassie, unendosi o dissociandosi ai numerosi plotoni di
macchine che attraversavano il cosmo come carovane di nomadi nel
deserto; ma
ora, il verificarsi di una situazione che esulava dalle sue
innumerevoli
istruzioni, aveva reso Belta incapace di agire in completa automazione.
Pharnasius aprì gli occhi di
botto, così come la consapevolezza di sé le era tornata:
veloce ed improvvisa
come uno scroscio di pioggia in una giornata estiva.
Non vi erano sogni durante
l’ibernazione, solamente l’assenza totale di sé; un
po’ come morire e tornare
alla vita con la deliziosa illusione che tutto si sia compiuto nel
tempo di uno
schiocco di coda.
-Belta? Dove siamo? Siamo
arrivati da qualche parte?-
Subito la manta olografica
le fu al fianco, danzando nell’aria ciclicamente riciclata da un
potentissimo
impianto di filtri e sintetizzatori.
-Ci siamo allontanati centinaia di
anni luce dal pianeta che
abbiamo lasciato, seguendo sempre la stessa traiettoria lungo il
trentesimo
quadrante … quanto alla tua
seconda domanda … no, non siamo
arrivati da nessuna parte … -
-Come, come?
Perché mi hai svegliata se siamo ancora immerse nel
nulla più totale?-
La manta
stropicciò con più impeto le pinne, così come un
drago si
sarebbe grattato la nuca con l’artiglio dell’ala, svelando
un certo imbarazzo.
-Riguarda il pilota automatico,
Pharny … La
porzione
del mio software adibita al suo controllo non risponde alla mia
volontà!
Abbiamo così effettuato una deviazione notevole dalla
traiettoria di crociera…
ho tentato più volte di correggerlo, ma non ci sono
riuscita… _
Pharnasius si
sfregò gli occhi ancora assonnati.
-Accidenti, voi
macchine siete tutte così: va tutto bene fino a
quando non succede un imprevisto, ed alla più piccola cavolata
avete sempre
bisogno di qualcuno che tappi la falla … siete ancora troppo
rigide.-
Belta
lampeggiò di rosso prima di ribattere prontamente con un
veloce elenco delle qualità proprie delle macchine che
superavano di gran lunga
quelle degli esseri viventi, tra le quali la velocità di
pensiero, la
precisione e la capacità di reperire energia ovunque.
-Hai ragione mia
piccola e petulante manta, ma avete sempre
bisogno di noi che vi ripariamo o che vi forniamo l’intelligenza
necessaria al
vostro funzionamento … e questo è un bene:
sarebbe spaventoso il
contrario, non trovi?-
- Come preferisci che ti mandi a
quel paese? In maniera esplicita
o velata?-
L’indignazione
simulata dalla piccola interfaccia strappò alla
dragonessa viola una sincera risata che subito la mise di buon umore.
Allungò una
zampa per carezzare la sagoma di Belta ma le sue dita
non trovarono alcuna superficie ad accoglierle: tutto di Belta era un
illusione,
un gioco di cifre binarie.
Quella
considerazione la fece rabbrividire, quando si ricordò di
come Oscar, il burattinaio, utilizzasse lo stesso sistema per creare i
suoi
fittizi universi.
Poi ad Oscar si
succedette la figura di Loki, l’indomito domatore di
quelle correnti di alta e bassa tensione, che spesso e ben volentieri
smarriva
ogni contatto con la realtà.
“In fondo,
Oscar e Loki sono molto simili…”
-Pharnasius, sveglia! Torna tra noi!-
-Hu?-
-Il pilota automatico, dolcezza, gli
vuoi dare un’occhiata o no?-
-Ok, Ok! Cavoli come
sei esasperante!-
La guerriera
sfiorò appena la scocca interna dell’abitacolo,
facendo materializzare il pannello di controllo della nave,
completamente
costituito di forme di luce semitrasparenti, frutto di una proiezione
olografica
sensibile al tatto.
Fu quando Pharnasius
tentò di accedere al programma del pilota
automatico che di colpo l’intero abitacolo fu immerso dal buio
più totale, come
se si fosse verificato uno spaventoso cortocircuito.
Poi la corrente
tornò a circolare tra i circuiti della nave,
alimentando solamente lo schermo del pannello dei controlli.
La creatura che
apparve nel riquadro luminoso era quanto di più
bizzarro e ripugnante che Pharnasius avesse mai visto.
Era informe e
gelatinosa, come una ameba ingrandita innumerevoli
volte; tutto il suo corpo aveva una carne trasparente e rosata che
faceva
chiaramente intravedere gli organi interni che rilucevano di un cremisi
bagliore proprio.
Due protuberanze
alla sommità della testa, simili a due pesche
sciroppate, costituivano gli occhi dell’abominio, mentre una
strana proboscide
da farfalla vorticava laddove ci sarebbe
dovuta essere la bocca.
-Pha! Ma che razza di
essere sei, da dove potranno mai provenire creature così
ripugnanti?-
Le sputò
addosso poco garbatamente il budino vivente, tramite
l’ausilio di un congegno che, appoggiandosi alla memoria di
Belta, traduceva in
parole comprensibili quelle che non erano altro che flebili schiocchi.
-Senti chi parla!
Non si capisce dove hai un inizio né una fine!
Comunque nessuno ti ha obbligato a bloccarmi la nave per vedermi, cosa
diavolo
vuoi? Parla in fretta.-
- Derubarti-
Le rispose con
semplicità.
-È uno
scherzo, vero?-
Pharnasius
sentì il proprio sangue gelare.
-Niente affatto… abbiamo
agganciato la tua nave ed ora la stiamo dirigendo verso la nostra
ciurma, ti
consiglio di non opporre resistenza se non vuoi essere prontamente
eliminata;
se collaborerai e non ci creerai noie, ti libereremo al prossimo porto.-
La dragonessa viola
rispose soffiando come mille serpenti,
contorcendo il muso in modo da esibite le lunghe zanne appuntite in
tutta la
loro letalità, comunicando chiaramente che mai e poi mai avrebbe
reso il lavoro
facile a quei predoni.
L’ameba venne
attraversata da un movimento ondulatorio, come una
forma di gelatina alla frutta infilzata da un cucchiaino: era
praticamente
impossibile intuire ciò che un simile gesto stesse a significare.
-Hu, come vuoi. A presto…-
Lo schermo si spense
e la luce tornò nell’abitacolo assieme al
pannello di controllo.
Subito la guerriera
si precipitò a prendere le armi, preparandosi
ad una strenua resistenza indossando i bracciali dalla lame laser ed il
fodero
con le pistole.
-Dannazione Beltsa
come hai fatto ad non accorgerti che c’è un
virus nel pilota automatico che ci sta portando dritti verso la bocca
di quegli
sciacalli!-
-Perdonami Pharny ma ho le idee
alquanto confuse… se ti può aiutare posso dirti che ho
sentito parlare
di bande sparse di pirati che vagano in questa parte
dell’universo… sai, quando
mi univo agli sciami ho avuto l’occasione di conversare con i
sistemi operativi
delle altre navi… devo dire che ho visto delle cose alquanto
bizzarre… Hai mai
sentito parlare di navi funebri? Sono dei computer veramente
sfortunati,
costretti a vagare in eterno in compagnia di un cadavere: certi
addirittura
sono in giro da millenni! E poi…-
-Non ora, Belta!
Riesci a disinnescare il pilota automatico?-
-No, il sistema operativo
dell’ammiraglia nemica mi nega l’accesso!-
Pharnasius
infilò le punte degli artigli sotto la scocca del pannello
di comando, sradicandola con malagrazia dalla propria sede con uno
strattone.
Belta si
illuminò di rosso come un piccolo fuoco, mentre i piccoli
occhi per poco non le fuoriuscirono dalle orbite.
-Cosa diavolo stai facendo! FERMA!-
-Qual è il
cavo che collega il tuo sistema operativo ai motori
della nave?-
-È quello lì grosso in primo piano, con
le rigature
bianche e verdi, perché me lo chiedi?-
On un fugace guizzo
degli affilati artigli, la dragonessa recise
di netto il cavo in questione senza tante cerimonie.
-MA SEI USCITA DI SENNO! GUARDA COSA
HAI FATTO!-
L’ira di Belta
era palese, tanto che la sua proiezione olografica
si era ingrandita a dismisura; ma Pharnasius ignorò con
facilità lo spaesamento
del computer di bordo, inserendo il pilota manuale.
-Preferirei provare
a fuggire prima di essere costretta a
combattere-
La modalità
di comando manuale prevedeva un completo riassetto
della cabina di pilotaggio.
Da sempre i draghi
erano stati dei maldestri piloti, fino a quando
non trovarono un modo efficace di simulare il volo, facendo così
muovere le
navi, dalle ali flessibili e dalla lunga coda, in simbiosi con i
movimenti del
pilota.
Un sistema di campi
di forza avvolse Pharnasius, sollevandola dal
pavimento, mentre un ingegnoso sistema di fibre ottiche cancellò
alla vista le
pareti della nave, tanto che la dragonessa ebbe l’illusione di
starsene fuori
tra le stelle del cosmo.
Poteva sentire le
forze che agivano sul corpo della nave come
correnti d’aria sulle proprie ali e quando ripiegò le
membrane contro il corpo
per acquistare velocità, i potenti motori della macchina
risposero dando il
massimo delle loro prestazioni.
La navicella
schizzò via come una cometa azzurrognola, mentre il
cosmo tutto attorno si trasformava in una confusa cacofonia di linee e
lampi di
luce ed i pirati non tardarono a gettarsi nell’inseguimento
dell’ambita preda
che era riuscito a rompere le maglie della loro rete.
-Dannazione! Questi
bastardi hanno l’artiglieria!-
Fino ad allora stava
andando tutto più che bene.
Pharnasius era
riuscita a giocare egregiamente le proprie carte,
sfruttando l’agilità e le capacità di manovra,
tipiche delle navi dragonesche,
per distanziare confondere la traiettoria delle più goffe
macchine pirata,
completamente sferiche.
Aveva volato per un
lunghissimo periodo, intercettando una fascia
di meteoriti dove aveva tentato di far perdere le proprie tracce agli
inseguitori; il suo intento non venne raggiunto, ma almeno quattro
macchine
nemiche si erano disintegrate contro un asteroide, esplodendo in un
fiore di
petali infuocati e pezzetti di lamiera incandescente.
Fu forse il fatto di
aver avuto delle considerevoli perdite tra la
ciurma, che spinse l’ammiraglia a non badare più
all’incolumità della nave
fuggiasca e a ricorrere ai dispositivi di offensiva: la flotta fece
fuoco,
prendendo Pharnasius completamente impreparata e colpendola ad un
motore di
propulsione ed allo snodo dell’ala destra.
I danni erano gravi
e costrinsero la nave a diminuire di molto la
velocità di crociera.
Ormai controllare
l’assetto e la traiettoria del veivolo era quasi
completamente impossibile! Pharnasius era continuamente sballottata da
continui
sbalzi di pressione sulle proprie ali, più volte si era
rovesciata, tuttavia
non volle arrendersi, non ancora perlomeno.
I pirati la
raggiunsero con facilità, circondandola e
rinchiudendola in una gabbia di sfere fluttuanti.
-Siamo finite, Pharny
hai qualche idea?-
-E lo chiedi a me
Belta? Non dovresti essere tu il mega cervellone
tra noi due?-
-I radar hanno rivelato un pianeta
nelle vicinanze, forse potremmo
sfruttarlo in una qualche maniera…-
Belta
proiettò l’immagine del globo: una strana palla azzurra e
verde, circondata da vorticanti striature di bianco.
Pharnasius non aveva
mai visto una cosa del genere, se il suo
pianeta appariva torrido e bruciato, anche se osservato dalle
profondità dello
spazio, questo trasmetteva freschezza e salute.
-È situato a un anno
luce da qui… in pratica, alla
nostra velocità
dovremmo raggiungerlo tra una manciata di minuti: le sue
condizioni atmosferiche sono compatibili per la vita .-
-Come pensi potremmo
sfruttarlo?-
- Bella domanda…-
Non volendo, furono
i pirati ad offrire una possibile soluzione:
credendo di avere ormai preso la preda nel sacco, da alcune navicelle
sferiche
fuoriuscì un cordone di energia elementare che andò a
ghermire la navicella di
Pharnasius; mentre le loro compagne si aggrapparono ad esse formando
una sfera
colossale di metallo ed energia.
La dragonessa
avvertì quei vincoli come se li avessero applicati
direttamente sulle sue scaglie, le stringevano in maniera dolorosa la
coda, il
torace e le zampe posteriori, lasciandole fortunatamente libere le ali.
- Notevole, veramente
notevole, è da tanto che non ci capitava di trattare con un osso
duro come te…-
La raggiunse la voce
del capitano, proiettata nel vuoto che la
circondava.
-Sfortunatamente non è
nostra usanza risparmiare la vita a chi osa complicarci il lavoro, o
peggio,
farci perdere delle navi…-
-Arrrg!-
Pharnasius diede
degli strattoni a destra e a manca, accorgendosi,
con suo grande stupore e piacere, che le navi dei suoi aguzzini
risentivano dei
suoi movimenti, come se gli spostamenti della sua navicella si
percorressero i
cavi d’energia che la ghermivano, per poi trasmettersi alle navi
sferiche.
Una possibile via di
fuga le si disegnò in mente alla velocità
della folgore: ora sapeva come sfruttare quel pianetucolo vicino, o
meglio,
come utilizzare a proprio vantaggio l’atmosfera che lo
circondava.
Sapeva che sarebbe
stata una manovra assai pericolosa, con ampie
probabilità di completo fallimento… che scelta aveva
dopotutto?
Pharnasius
cominciò a spintonare l’intero gruppo verso il pianeta.
La ciurma
tentò di aumentare la tensione dei campi di forza per
bloccarla, ma la dragonessa riusciva sempre a trovare le inclinazioni
giuste
per far leva e continuare il suo tragitto, rispondendo d’istinto
alle
sensazioni che l’abitacolo le trasmetteva con le sue pressioni e
vibrazioni.
Dopo un lasso di
tempo che le sembrò interminabile, avvertì la
forza di gravità del pianeta iniziare ad attirarla verso di
sé.
Era giunto il
momento di agire.
Pharnasius
appiattì le ali contro i fianchi e si tuffò verso la
sfera azzurrognola, sperando di penetrare nell’atmosfera del
pianeta con il
giusto angolo di inclinazione.
La manovra prese
completamente alla sprovvista i pirati.
Molti riuscirono a
recidere il legame d’energia in tempo, mentre
alcuni sfortunati vennero disordinatamente trascinati verso il pianeta,
esplodendo come bombe quando le navicelle impattarono con il muro
dell’atmosfera.
I legami svanirono
all’improvviso, squilibrando irrimediabilmente
l’assetto di Pharnasius, tanto che la navicella penetrò in
malo modo il muro di
gas, trasformandosi in una palla di fuoco.
In automatico, Belta
attivò una barriera di sicurezza attorno alla
cabina di pilotaggio, cercando così di proteggere una spaventata
dragonessa
viola che fissava paralizzata l’inferno che la circondava, mentre
tremendi
scossoni la sballottavano come maracas.
Disintegrandosi man
mano che acquisiva velocità, la navicella si
trasformò in una maestosa cometa che solcò il cielo,
attraversando la sagoma
delle dei tre satelliti che circondavano il pianeta.
Sorvolò
boschi e vallate, per poi raggiungere una torrida distesa
di rocce magmatiche e laghi di lava borbottante, finendo la propria
corsa
contro i le pendici di un vulcano.
La caduta
terminò con un grandissimo botto, seguito
dal rumore cigolante di lamiere che si piegano e spezzano, qualche
solitario
scricchiolio e poi il silenzio: un vuoto spaventoso colmato solamente
dal battito
impazzito del cuore di Pharnasius, intrappolata in un bozzolo di
oscurità e
fitte di dolore che dall’ala destra e dal torace le
attraversavano il corpo per
trapanarle il cervello.
Sentiva il sapore
ferrigno del sangue in bocca e le risultava
difficile muoversi, ma perlomeno era salva.
La sagoma di Belta
le si materializzò al fianco … a
quanto pareva la sua capsula di protezione
era riuscita a preservare la componente hardware del sistema operativo
della
nave…
La manta appariva
furente più che mai.
-Complimenti Pharnasius, sei
riuscita a disintegrare totalmente la
mia carrozzeria e per poco non ci rimettevi anche tu le scaglie!
Testarda di
una lucertola viola troppo cresciuta…
avremmo potuto tentare di rabbonire quei farabutti, invece no, tu hai
voluto fare
l’eroina, come al solito! E guarda qua
che bella
frittata!-
-Belta, ti
prego… ho la nausea e non c’è parte del mio corpo
che
non mi faccia male… se vuoi litigare va benissimo, ma non ora
per favore…
tuttavia ti ricordo che sei stata tu a proporre di utilizzare questo
pianeta
per liberarci o sbaglio?-
-Liberarci! Non finire prigioniere
su di esso! Come pensi di
tornare a casa?.. spero che la tecnologia degli abitanti sia abbastanza
sviluppata…-
-Non posso tornare a
casa Belta, lo sai bene, stupido computer!
Ora fammi uscire di qui… -
-Agli ordini, molliccia polpetta di
carne…-
La barriera
protettiva che aveva tenuto assieme l’abitacolo si
dissolse e con essa i pezzi della cabina di pilotaggio crollarono
scompostamente sul suolo roccioso.
Una volta libera,
Pharnasius si abbandonò con gratitudine al
suolo, lasciandosi cullare dalla sensazione di spossatezza che pian
piano la
rapiva, invitandola ad addormentarsi per dimenticare il bruciore
insopportabile
dell’ala spezzata e le fitte di alcune costole che le affondavano
nei polmoni
ad ogni respiro, rendendola sempre più affamata d’aria.
Stava per cadere in
un sonno dal quale molto probabilmente non si
sarebbe più svegliata, quando Belta la richiamò indietro.
Phrnasius
riaprì gli occhi, trovandosi a tu per tu con il
corpicino della manta che ronzava in aria come un moscone maldestro, in
preda
ad una sfrenata agitazione.
-Pharnasius! Presto, torna in te!
Sto captando del movimento
attorno a noi! E la cosa mi preoccupa…
-
La dragonessa si
lasciò sfuggire un gemito di protesta, prima di
mettersi faticosamente sulle quattro zampe, sibilando quando una fitta
particolarmente acuta le trafisse il torace ammaccato.
-Movimento?-
Pharnasius
cercò faticosamente di scrutare le ombre che
aleggiavano nella caverna in cui si trovavano.
L’unica fonte
di luce era soltanto il sinistro bagliore del magma,
proveniente dal cratere che la navicella aveva scavato
nell’impatto, facendo
così crollare parte della parete della galleria.
-Sì, sono qualche decine di
unità-
-Di cosa?-
-… scimmie…-
Dall’alto del
cono del vulcano si poteva godere del terrificante
spettacolo offerto dall’infuocato territorio vulcanico, che si
estendeva per
svariati chilometri tutto attorno.
Malefor amava
trascorrere lì la maggior parte del proprio tempo,
riempiendosi i polmoni con l’aria incandescente delle Terre
Bruciate e
baloccandosi nell’immaginare ogni cosa ridotta in una sterile e
nera pianura.
Le sue
fantasticherie sarebbero presto diventate realtà, se solo
sarebbe riuscito ad attuare per intero i suoi piani di distruzione.
-…Maestro…-
L’anziano
drago viola emise un ringhio cavernoso che pietrificò la
grossa scimmia che si era prostrata al suo cospetto: odiava essere
distolto dai
suoi sogni di grandezza!
- Cosa c’è,
parla!-
Disse con la sua
voce dura e cavernosa, gravata dal mele che
covava dentro di sé.
- Ecco… siamo
andati ad indagare sulla causa della gigantesca
esplosione che ha scosso il vulcano, come tu ci hai comandato, Maestro,
e …-
La scimmia sembrava
imbarazzata, teneva gli occhi bassi e si
tormentava nervosamente la punta delle dita.
- E…-
Il soldato si fece
coraggio, preparandosi al peggio…
-Abbiamo trovato la
carcassa fumante di uno strano marchingegno,
non abbiamo idea di cosa possa trattarsi e… c’era un drago
al suo interno… un
altro drago viola…-
-COSA?!-
Di colpo Malefor
dimenticò la presenza della tremante scimmia, per
precipitarsi verso i piani bassi del vulcano.
Un altro drago
viola? Era impossibile! Ve ne era uno ogni dieci
generazioni… come poteva essercene un altro oltre a quella
fastidiosissima
spina nel fianco di nome Spyro?
I suoi sospetti non
lo prepararono comunque alla scena che si
presentò ai suoi occhi.
Già,
c’era un altro drago viola … una dragonessa per la
precisione, con ali dalla forma più improbabile che avesse mai
visto.
Era circondata dai
suoi scagnozzi, che la attaccava vano senza
tregua.
Lei si stava
difendendo egregiamente, nonostante fosse chiaramente
visibile che stesse allo stremo delle forze e che solo la forza di
volontà le
permetteva di reggersi sulle zampe.
Mai aveva visto uno
stile di combattimento come quello.
Assai
inspiegabilmente, la dragonessa non utilizzava le sue armi
soffio ma si batteva manovrando con abilità due lunghe lame di
luce che
fuoriuscivano da un paio massicci bracciali, sicuramente magici, che le
cingevano
gli avambracci.
Inoltre passava con
disinvoltura da una postura a quattro zampe a
quelle bipede, dimostrando di avere un equilibrio non indifferente
sulle zampe
posteriori.
Era una brava
combattente, non vi erano dubbi, ma le gravi ferite
che la ricoprivano la stavano fiaccando e molto presto, i
sui guerrieri l’avrebbero sopraffatta: Malefor era troppo
incuriosito per
permettere che ciò accadesse, per non parlare che forse un
alleata di quel
calibro avrebbe potuto giovare alla propria causa.
Con un secco ordine,
comandò alle scimmie di cessare gli attacchi,
utilizzando i suoi poteri per dissolversi ed apparire al fianco della
nuova
venuta.
Pharnasius sentiva
molto chiaramente di essere prossima al
collasso, tuttavia strinse i denti e si costrinse a continuare a
lottare, per
quanto la vista le si appannasse sempre di più e puntini bianchi
le danzavano
avanti agli occhi.
Poi le scimmie si
dileguarono da un momento all’altro.
La dragonessa
fiutò la loro tensione mista a timore reverenziale e
si irrigidì, preparandosi al peggio.
Avvertì una
presenza alle sue spalle, mentre l’adrenalina le
permetteva di attingere alle ultime riserve di energia.
Con movimenti rapidi
e precisi, estrasse entrambe le pistole dal
fodero, drizzandosi sui posteriori e voltandosi di scatto, con le zampe
anteriori stese avanti a sé.
Le sue armi quasi
sfiorarono il muso di un altro drago.
Le energie le
vennero a mancare proprio in quel momento, facendole
tremare le membra e scaraventandola verso i profondi meandri
dell’incoscienza.
L’ultima cosa
che vide, prima che il buio la divorasse per intero,
furono un paio di occhi a mandorla dalle pupille allungate, gialli ed
incandescenti come il sole.
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Capitolo 7 *** la proposta ***
la proposta
La proposta
Il cuore gli era direttamente
saltato in gola mentre le scaglie si erano rizzate come aculei per lo
spavento
e la sorpresa.
Avanti a lui un imbarazzante
cratere di roccia liquefatta sembrava deriderlo con i suoi rivoli
infuocati che
colavano sfrigolanti verso il terreno.
Malefor gettò subito via il
misterioso marchingegno che stava esaminando: aveva scoperto la sua
natura…
fortunatamente non lo stava puntando contro se stesso quando aveva
premuto il grilletto,
o si sarebbe beccato in pieno la devastazione di un soffio di drago al
vertice
del suo potere.
L’antico drago viola
guardò
con un pizzico di suggestione l’oggetto magico che aveva
scagliato lontano da
lui, chiedendosi come mai un manufatto così devastante fosse
assai difficoltoso
da maneggiare, visto che continuava a sfuggirgli dagli artigli ogni
volta che
aveva tentato di brandirlo.
“Solamente una
scimmia potrebbe gestire comodamente una cosa del genere…”
Ma, in fin dei conti, la
proprietaria dell’oggetto magico aveva grinfie simili alle mani
di una scimmia!
Con tanto di pollice opponibile, solo che erano ricoperte di scaglie ed
armate
di artigli del tutto degni di un drago.
Il Maestro delle Ombre aveva
trascorso gli ultimi giorni curiosando sul conto della nuova venuta che
nonostante gli incantesimi di guarigione continuava a giacere in uno
stato di
incoscienza.
Non che questo lo avesse
distolto dai suoi turpi sogni di devastazione: le indagini erano quasi
interamente volte a comprendere il modo migliore di servirsi della
dragonessa
per prorogare la sua causa.
Era certo che avrebbe
collaborato di sua spontanea volontà… d'altronde era
anche lei un drago viola,
esponente di una stirpe destinata a scatenare il Distruttore
affinché la
purificazione del mondo possa avvenire tra le fiamme e il caos.
Era logico che anche lei la
pensasse in questa maniera, ma se così non fosse stato, cosa di
cui dubitava
parecchio, avrebbe sempre potuto prendere il controllo della sua anima.
Tutto sarebbe andato per il
meglio.
Pharnasius stava riprendendo
gradualmente coscienza di sé e la cosa non le piaceva per niente!
Sapeva che presto avrebbe
riavvertito l’insopportabile dolore al torace e all’ala che
le sarebbe
rimbalzato nel cranio, ma le sue cupe prospettive non si avverarono.
Quando infine riprese il
controllo del proprio corpo, Pharnasius si ritrovò ad abitare in
una macchina
efficiente ed in ottimo stato, invece che nel catorcio in cui
l’impatto
dell’astronave l’aveva ridotta.
Ad accogliere il suo ritorno
tra i vivi furono gli stessi occhi felini che l’avevano
accompagnata
nell’oscurità.
Un altro drago le sedeva al
fianco e questo l’avrebbe assai rassicurata se soltanto il suo
aspetto non
fosse così inquietante.
Era vecchio di secoli, non
vi erano dubbi, eppure non aveva nulla che indicasse il declino fisico
che
ghermiva i draghi della sua età.
Al contrario degli Anziani
che tenevano in mano le redini del suo mondo, il corpo del vetusto
drago era
dritto e possente come quello di un guerriero ben addestrato di
età matura.
Un numero esagerato di spine
ne adornavano la figura come una terribile corazza, mentre degli
artigli
spropositati ne armavano le dita: Pharnasius non ne aveva mai visti di
così
lunghi!
Quando lui parlò, dandole un
distaccato benvenuto, la sua voce cavernosa le provocò dei
fastidiosi brividi
lungo la schiena.
Quel tizio era il secondo drago
viola che la guerriera avesse mai incontrato, e anche in questa
occasione
avvertiva un senso di disagio attanagliarle lo stomaco con una morsa
glaciale.
Per l’ennesima volta
sentì
in lei qualche cosa di sbagliato, e si rattristò di condividere
il colore delle
scaglie con esseri tanto sgradevoli.
Nascondendo a malapena
l’espressione di disgusto che le si era dipinta sul muso,
Pharnasius si mise a
sedere con movimenti cauti che man mano riacquistavano la loro abituale
scioltezza quando nessuna fitta di dolore la raggiunse.
- Ho forse dormito per mesi?
Credo proprio di sì, o le mie ferite non sarebbero completamente
guarite…-
- Tre giorni …
ho eseguito su di te degli incantesimi di guarigione-
Incantesimi di
guarigione?
Ovvio che stesse
scherzando; molto probabilmente la medicina dei
draghi di quel pianeta era assai più avanzata di quella del suo.
Apprezzò il
tono serio e composto con cui aveva pronunciato la
piccola burla: quello strano tizio, dall’aspetto di un serial
killer appena
fuggito da un manicomio criminale, possedeva dopotutto un sottile senso
dell’umorismo che subito lo riscattò agli occhi di
Pharnasius.
La dragonessa viola
decise dunque di stare al gioco: che strano
modo di presentarsi!
- Quindi, a rigor di
logica, il fatto che io possa parlare la tua
lingua con disinvoltura è merito di un’altra tua magia,
no?-
- Esattamente-
Il che sarebbe
dovuto equivalere ad dire che un software di
agevolazione linguistica le era stato
sparato dentro il cervello mentre lei era incosciente … Menomale
la tecnologia
di questo lontano pianeta non aveva nulla da invidiare a quella della
sua
gente.
-Senti…-
-Pharnasius-
-… Pharnasius
…
toglimi una curiosità, c’è uno spirito che alberga
nel costrutto metallico dal
quale sei uscita? E’ lui che ti ha portata qui? Sai ho provato ad
avvicinarmi
ed una specie di manta mi è apparsa davanti minacciando di
fulminarmi se solo
avessi provato a sfiorare le lamiere-
Con enorme sorpresa
di Malefor, la misteriosa dragonessa scoppiò
in una fragorosa risata che gli urtò non poco i nervi: cosa
aveva detto di
tanto esilarante?
Dal canto suo
Pharnasius si stava accorgendo che la finzione
fantastica del suo interlocutore si stava facendo troppo ardita e
criptica per
essere agevolmente interpretata, così decise di porre fine al
gioco riportando
la conversazione sul piano reale.
-Non dar retta al
mio sistema operativo, al contrario di quel che
dice, nessun antifurto è stato mai istallato sulla mia
astronave, quindi
potrete procedere senza problemi alla sua riparazione … è
molto gentile da
parte vostra soccorrermi e rimettermi a nuovo la nave, grazie!-
Pharnasius si
accorse con uno sguardo che il corpulento drago
viola non aveva capito un bel niente di ciò che aveva detto.
-Sistema
operativo? Astronavi? Non ho mai sentito parlare di sortilegi del
genere-
Se i draghi avessero
potuto sbiancare, Pharnasius sarebbe divenuta
lilla quando si accorse che l’altro non stava scherzando e che
mai aveva
apparecchiato una giocosa finzione fin dall’inizio della loro
conversazione.
Ora si rendeva conto
del grave equivoco in cui era incappata: i
draghi di quel pianeta non capivano un bel niente di tecnologia ma
erano
solamente un branco di superstiziosi che si aggrappavano ad eventuali
rituali
folkloristici da loro chiamati “magia”.
In quel momento
Pharnasius realizzò di essere veramente
imprigionata in quella minuscola porzione del cosmo.
Si sentì
mancare, tuttavia quei tremendi attimi di panico la
indussero a saltare come una molla sulle quattro zampe per gettare una
frenetica occhiata agli immensi spazi della caverna in cui si trovava.
Poco più in
là trovò quel che restava della navicella.
Ora che la
necessità di salvarsi le scaglie non le comandava più
cosa notare oppure scartare, la guerriera poteva rendersi pienamente
conto
dell’enormità della catastrofe.
La nave somigliava
ad un misto di spezzatino di pecora e coratella
condito con strisce di vecchia pellicola cinematografica bruciacchiata.
La cosa
l’avrebbe divertita non avesse costituito lo spettacolo
più tragico a cui avesse mai assistito.
Il quadro venne poi
completato dalla comparsa di Belta: la manta
olografica la stava trafiggendo con uno sguardo a metà tra il
biasimo, il
rimprovero e la derisione
-Qual’è la tua soluzione
miracolosa, genio?-
Non era il momento
giusto per pronunciare parola di sorta tanto
che la risposta di Pharnasius consistette in un minaccioso ringhio che
trasformò il suo muso sinuoso in un terrificante arsenale di
zanne affilate; ma
Belta era di già troppo distrutta per lasciarsi intimidire da
ciò.
-Prima di
tutto, verrai con me-
Riuscì infine
a sibilare Pharnasiusa denti stretti, una volta che
era riuscita a calmarsi abbastanza da non distruggere quel poco di sano
che era
rimasto.
A parte una pistola,
che non tardò ad individuare sul terreno,
gettata là in malo modo, i resto del suo equipaggiamento era
ancora al suo
posto lungo le cinghie dei foderi da lei indossati.
La dragonessa
sganciò un piccolo oggetto semisferico che pose alla
sommità del dispositivo che conteneva il “cervello”
di Belta.
Qualche cosa stava
avvenendo… Malefor poteva avvertire l’aria
farsi leggermente frizzante ed gli innumerevoli percorsi della magia
ondeggiare
per un istante.
Il procedimento di
trasferimento dei dati era invisibile agli
occhi di Pharnasius, eppure Malefor poteva chiaramente individuarne il
flusso
di energia dispiegarsi come un’onda di particelle luminose.
Il vecchio drago ne
annusò il particolare odore, cercando di
identificare quel tipo ignoto di magia.
La sua mente
tornò ai tempi della sua giovinezza, trascorsa tra le
mura del Tempio a coltivare quei formidabili talenti che la sua razza
aveva in
dono.
Ricordava le ore
trascorse nel tentativo di dominare l’energia
degli elementi che gli scorrevano nel sangue, guidato
dall’esperta tutela dei
Guardiani di quel tempo remoto.
L’elettricità!
Non poteva essere che la potenza del fulmine ciò
che infondeva vita allo spirito del costrutto o
“astronave”, come la chiamava quell’improbabile
dragonessa viola.
Poteva avvertire dei
picchi e delle depressioni nella tensione,
come ogni tal volta che evocava la sua arma a soffio elettrica; ma in
questa
occasione la velocità del loro susseguirsi era impressionante,
praticamente
inafferrabile!
Indignato, Malefor
serrò gli occhi costringendosi ad una maggiore
concentrazione.
Afferrò e
perse più volte la risacca di quelle onde d’energia,
prima di riuscire a stabilizzare un contatto saldo che lo
catapultò nella mente
di Belta, o meglio, in ciò che realmente era.
Malefor non era per
nulla preparato a sfiorare la coscienza di una
creatura priva di vita, a scoprire di punto in bianco l’esistenza
delle
macchine e del loro mondo di circuiti.
Boccheggiando si
ritirò immediatamente da quel contatto.
-Ehi! Cosa ti prende?!-
Malefor si riscosse da quella
valanga di emozioni, quel tanto per avvertire ogni fibre del suo corpo
pronta a
scattare, mentre i suoi artigli erano affondati nella roccia,
frantumandola.
Tremava e le sue pupille
allungate si erano dilatate; riuscì comunque a riprendere il
controllo della
situazione, rimproverandosi mentalmente di aver manifestato un momento
di
debolezza di fronte alla sua potenziale servitrice.
-Per il caos e
l’oscurità! Cos’è quella dannata roba?!-
La manta si era nuovamente
materializzata al fianco della guerriera, fluttuando attorno alla sua
testa
cornuta con fare indispettito.
-Ma quale roba e roba?! Mi
chiamo
Belta, bello! E sono il cervello della nave.. una potenza di calcolo
come la
mia te la sogneresti la notte, quindi mostra un po’ di rispetto cavernicolo!-
-Calmati pesciolino, come
pretendi che possa mai comprendere cosa sei? Cerca di non strapazzarlo
più di
quanto non abbiamo già fatto, ok?-
L’ologramma non si mostrò
per nulla soddisfatto della risposta, diede ancora un paio di colpi di
pinna e
poi si dissolse nel nulla, tutto sotto gli sconcertati occhi di Malefor.
Il Maestro delle Ombre
avrebbe voluto impossessarsi subito della mente di Pharnasius, ma
ciò che aveva
scoperto con Belta lo aveva messo in allarme.
E se la dragonessa viola
si fosse rivelata un qualche cosa simile alla manta? Avrebbe mai potuto
accettare una realtà talmente inconcepibile?
Francamente ne dubitava.
Era chiaro che doveva
trovare un modo alternativo per assicurarsi la sua completa obbedienza,
e cosa
sarebbe più appropriato di un ricatto?
-Dimmi
Pharnasius, a quanto pare non sai come andartene da questo
mondo, giusto?-
-Esattamente-
Gli rispose lei esalando
un sospiro di stanchezza.
-… ma cosa importa ormai…
non vedo come la tua gente possa essere di una qualche
utilità…-
Malefor si lasciò sfuggire
un ghigno divertito, che molto somigliava all’espressione
soddisfatta di una
volpe in un pollaio.
Pharnasius fece
involontariamente un passo indietro, non le piaceva la compagnia di
quel tizio:
la spaventava.
-Forse
quei pivelli dei miei simili no, ma io sono perfettamente in grado di
comandare
lo spazio ed il tempo… credo di poterti ricondurre dove
desideri, sai …-
Pharanasius si lasciò
andare in una sonora risata di biasimo.
-E come penseresti di
fare? Accenderesti qualche candela e danzeresti ricoperto di pittura e
piume?-
Questa volta fu lui a
ridere.
-Mettimi
subito alla prova, straniera. Forza, afferra la mia zampa
e vedrai.-
Con un movimento fluido,
l’antico drago le porse le grinfie, mentre osservava divertito la
guerriera che
le porgeva riluttante la mano artigliata.
Malefor le serrò il polso
in una presa ferrea attirandola a sé con uno strattone …
e di punto in bianco
accadde l’impossibile.
Pharnasius venne accecata
dall’oscurità che si era fatta tangente e pesante come
l’umidità di una palude.
Per pochi attimi si sentì
precipitare, senza avere la rassicurante certezza di poter frenare la
caduta
spalancando le sue bizzarre ali da aliena.
Poi la sgradevole
sensazione cessò.
Avvertì qualche cosa di
morbido e frusciante sotto le zampe, mentre una gamma infinita di nuovi
e
freschi odori le invase le narici.
Sentiva sulle scaglie i
tiepidi raggi di un sole benevolo e carezzevole, assai diverso dalla
stella
spietata che fustigava i deserti del suo pianeta natale,
Ovunque spirava una lieve
brezza che le portava il canto degli uccelli ed il gaio gorgogliare di
un
ruscello.
Invitata da quella
esplosione di nuove sensazioni, Pharnasius aprì i neri occhi e
la bellezza di
ciò che vide la commosse.
Si trovava in una verde
vallata, assai distante dal territorio vulcanico nel quale si erano
trovati
solo un attimo prima!
Accanto a lei l’antico
drago viola ignorava il paesaggio, da lui giudicato meschino e
deplorevole, per
lanciarle sguardi di trionfo.
-Allora?
Che te ne pare?-
-Ma è magnifico!-
Malefor ridacchiò tra sé
prima di accorgersi con costernazione che Pharnasius non si stava per
niente
riferendo alle sue doti magiche ma alle bellezze naturali di cui poteva
godere
per la prima volta nella sua vita.
Il vecchio drago avvertì
una bruciante delusione farsi avanti avvolta dalla sensazione di essere
stato
in qualche modo tradito: contava di aver trovato un altro drago viola a
modo
che rendesse manifesto il suo disprezzo per l’esplosione di vita
insita nella
Valle di Avalar, invece aveva accanto un altro esemplare della sua
razza dal
cervello flippato, che fissava le verdi cime dei tigli con la gioia, lo
stupore
e la curiosità di un cucciolo appena uscito dall’uovo!
Pharnasius sembrava un
essere silvano, una ninfa dei boschi, mentre in preda al suo puerile
entusiasmo
faceva ondeggiare il suo corpo snello in sintonia con le fronde degli
alberi,
ipnotizzata dai mutevoli giochi di luci ed ombra che facevano
somigliare le
tenere foglie a rubini.
-Cosa sono questi
giganti?-
-
Alberi … che domande!-
Malefor quasi ringhiò la
risposta: ciò a cui stava assistendo lo disgustava, era contro
la natura dei
draghi viola!
Dal canto suo, la
guerriera non era dello stato d’animo giusto per notare la
freddezza ed il
disprezzo dell’altro.
Ripetendo il nuovo
vocabolo più volte, quasi con distrazione, lasciò vagare
lo sguardo al cielo
dall’improbabile indaco, macchiato da masse di gigantesche di non
so che cosa
simile al poliuretano espanso verniciato di bianco e grigio scuro, che
correvano all’impazzata, coprendo sempre di più quel sole
gentile.
-È tutto così
deliziosamente differente dal pianeta da cui provengo…-
Commentò con un sospiro
soddisfatto, rivolgendo per la prima volta la sua attenzione a Malefor.
Parte della sua allegria
si dissolse quando si ritrovò accanto una fredda statua di
marmo, che la
guardava accigliata.
Per Pharnasius ciò era
troppo insensato ed una mancanza di sentimento nei confronti di un
luogo così
splendido non poteva restare impunita.
Parte della cucciola che
giocava arrampicandosi tra i tralicci della stazione di lancio,
combinando
marachelle e burle ai poveri meccanici, riaffiorò, scacciando la
compostezza
marziale che aveva acquisito in anni di addestramento, lotte e
preoccupazioni.
Decise che era giunto il
momento di fare un bello scherzetto a quel bisbetico e burbero vecchio.
Il fatto che si trovassero
sul crinale di una collina giocò a suo vantaggio.
-Sei mai stato rinchiuso
dentro una centrifuga?-
-
Eeee!?-
-Ottimo! Perché non
provare?-
Senza lasciare il tempo a
Malefor di raccapezzare un bel niente di ciò che stesse
avvenendo, Pharnasius
si gettò su di lui con rapida agilità facendolo piombare
sull’erba della
collina per poi assestargli un bello spintone con la coda che lo fece
rotolare
lungo la discesa.
-Difficile uscire dal
cestello della lavatrice, vero?!-
La dragonessa rimase per
un po’ ad osservare il drago viola che man mano si tramutava in
una trottola di
scaglie ed erba sempre più indistinta, prima di gettarsi anche
lei sul manto
erboso per rotolare a sua volta.
Malefor era letteralmente
allibito.
Cercava in tutti i modi di
frenare la discesa puntellando le zampe lungo il crinale, ma senza
successo
mentre le sue proteste venivano soffocati dai folti ciuffi d’erba
che gli
sferzavano continuamente sul muso e le gioiose risate della
dannatissima dragonessa
gli colmavano le orecchie.
Avrebbe potuto ricorrere
alla magia, se solo la situazione in cui si era cacciato non gli
impedisse di
concentrarsi a sufficienza per richiamare il suo oscuro potere.
Poi cielo e terra
tornarono pian piano al loro posto abituale, mentre il Maestro delle
Ombre si
ritrovava a giacere supino sull’erba.
Subito si alzò,
rabbrividendo come se si fosse ritrovato disteso in una fossa di
scorpioni
velenosi, mentre la testa gli girava a tal punto che sentiva la bile
risalirgli
dallo stomaco.
Era tremendamente
arrabbiato, furioso oltremodo! Come aveva potuto osare quella mocciosa
burlarsi
di lui in tal maniera?!
Con centinaia di saette
oscure che gli danzavano attorno alle zanne snudate, l’antico
drago scrutò la
sommità della collina per scatenare la sua furia contro
Pharnasius.
Era così intento ad
osservare il declivio con occhi iniettati di sangue che non si accorse
che il
suo bersaglio gli stava letteralmente piombando addosso, rotolando come
una
botte incontrollata.
Lo sgambetto lo fece
piombare nuovamente al suolo come un sacco di patate, ma questa volta
fu la
stessa Pharnasius ad attutirne la caduta con il proprio corpo.
-Ahi! Cavolo se sei
pesante!-
Facendo forza con gli arti
anteriori, la dragonessa si liberò dalla mole dell’altro.
Malefor restò sorpreso
dalla forza di quella pazza furiosa, che con tanta facilità lo
aveva scostato
di lato.
Avrebbe voluto
trasformarla in una chiazza fumante nell’erba, ma
quell’occasionale
dimostrazione di potenza lo indusse a ragionare e a tornare sui suoi
passi.
Dannazione! Pharnasius gli
serviva! Questo significava che avrebbe dovuto sopportare le sue
stranezze; ma
una volta raggiunto il suo scopo, giurò
sull’oscurità stessa che le avrebbe
fatto pagare ogni cosa, con gli interessi!
Quasi rispondendo ai suoi
turpi pensieri, il cielo si ricoprì del tutto di nubi
temporalesche mentre un
tremendo boato riecheggiò nella valle.
-Cos’è stato?-
-Un tuono,
credo si stia per scatenare un temporale, penso sia
meglio parlare di affari sotto quella cengia di roccia…-
Una gocciolina colpì
Pharnasius sul muso, subito seguita dalla sue sorelle che pian piano
circondarono la dragonessa, carezzandole le scaglie con il loro tocco
rinfrescante.
-Mha, guarda che roba!
L’acqua scende dal cielo come se sgocciolasse da un tubo che
perde!-
L’unica acqua che
Pharnasius avesse mai visto scorreva in tumultuosi ed oscuri fiumi
sotterranei
che venivano convogliati nelle tubature dell’acquedotto… mai quel liquido insapore aveva assunto
quell’aspetto gaio e giocoso.
-Perché mai dovremmo
ripararci? A me non sembra una cosa sgradevole!-
Non fece in tempo a finire
la frase che un altro rombo coprì le sue parole, trasformando
all’istante
quella innocua pioggerellina in una vera e propria cascata di acqua che
la
bagnò tutta fino al midollo.
Trovando quell’inferno
d’acqua tutt’altro che piacevole, Pharnasius corse
precipitosamente verso il
riparo mentre Malefor la osservava scuotendo incredulo la testa cornuta
di
fronte a tanta ingenuità.
Pharnasius si scosse tutta
come un cane per liberarsi dall’acqua che le era rimasta
intrappolata tra le
fessure delle scaglie violacee.
-Wow! Questa proprio non
me la sarei mai aspettata…-
Rimase per un po’ ad
osservare tutto quello sfavillare di verdi ed oro che si era ora
tramutato in
una fosca chiazza di colori scuri, resi traslucidi
dall’acquazzone, mentre
scariche d’energia folgoravano a tratti il paesaggio con candida
luce.
La dragonessa adulta
riuscì infine a riporre in un angolo la cucciola che si era
appena scatenata,
per ponderare la situazione con pacata logica.
Una domanda le folgorò la
mente.
-Alt! C’è qualche cosa che
non va…-
Malefor si ritrovò per
l’ennesima volta le scuri iridi della dragonessa piantate nelle
proprie, ma
questa volta non vi era racchiusa la spensierata allegria di poco fa ma
un
sospetto pesante come il piombo.
Comprese che in quel
momento aveva a che fare con un drago adulto e non più con una
pargoletta troppo
cresciuta.
La cosa lo sollevò
parecchio.
-Ci trovavamo all’interno
di un vulcano… come hai fatto a catapultarci qui in uno scocco
di coda?-
-
Teletrasporto… è un incantesimo minore che chiunque
può
effettuare con un po’ di pratica-
- Stai mentendo, la magia
non esiste! Forza, svuota il sacco!-
-Ma
non ti sto affatto mentendo…-
Malefor pronunciò queste
parole trattenendo a stento una risata: quella tizia non finiva mai di
stupirlo, sembrava proprio che le si dovesse insegnare ogni cosa.
Lei gli rispose con un
ringhio sommesso, spalancando le ali con fare sospettoso.
Il vecchio drago anziano
rispose arricciando le labbra in modo da lasciare intravedere le zanne
aguzze
dove una miriade di scariche di energia stavano danzando, pronte a
colpire.
Lasciò sospeso tra di loro
quel cupo gesto di ammonimento mentre si accingeva a fornire
l’ennesima
dimostrazione di ciò che la sua magia potesse compiere.
L’improvvisa scomparsa di
Malefor prese Pharnasius di sorpresa.
Il drago si era dissolto
nel nulla da un momento all’altro, come se una gomma da
cancellare fosse
passata su un disegno a matita, per poi riapparire sul soffitto della
cengia,
aggrappandosi con gli artigli alle sporgenze della roccia come un
immenso
pipistrello.
La dragonessa viola rimase
di stucco, tanto era la sua incredulità che provò timore
quando Malefor saltò
agilmente verso il terreno per avvicinarsi a lei sempre di più.
Ad ogni passo, Pharnasius
indietreggiava fino a ritrovarsi appiattita contro la parete rocciosa.
Ci doveva pur essere una
spiegazione logica a quel che aveva assistito, non poteva
essere altrimenti,
non poteva assolutamente trattarsi di magia! Ammetterlo sarebbe per lei
equivalso a mettere in discussione le convinzioni di una vita, a
rinnegare il
proprio modo di vedere la realtà per uno nuovo a lei
completamente alieno: privo
di senso!
Malefor sorrise tra se,
costatando di aver finalmente giocato la carta giusta.
-Ti
condurrò dove tu vorrai, prima però dovrai svolgere un
lavoretto per me…-
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Capitolo 8 *** l'energia dei quattro elementi ***
l'energia dei quattro elementi
L’energia dei quattro elementi
La corrente ascensionale
curvava le bianche e maculate membrane alari di Pharnasius in strane
forme,
mentre lei concentrava la sua attenzione sulle mutevoli carezze e
spinte che
l’aria le esercitava sulle ali.
Non doveva assolutamente
perdere la concentrazione: le pareti del Tempio erano troppo vicine ed
ogni
minimo errore l’avrebbe sicuramente spinta contro il muro
intonacato di malta.
Sotto di lei scorrevano i
giganteschi cappelli brunastri di una improbabile foresta di funghi
mastodontici, dai gambi larghi e legnosi come tronchi d’albero,
la quale
prosperità era forse dovuta alla presenza delle tumultuose
acquee di un fiume
che scorreva lì vicino.
Quel soffitto di cupole
viventi era stato la prima cosa che aveva accolto la comparsa di
Pharnasius nei
pressi del tempio; la quale era stata letteralmente scaraventata
lì, senza
tante cerimonie, dalla magia del Maestro delle Ombre.
Le occorsero qualche secondo
per liberarsi dalla sensazione di estrema confusione, risultato
dell’incantesimo che aveva appena subito, prima di guardarsi
attorno e
focalizzare il proprio obiettivo: una mastodontica costruzione di
pietra
scolpita, metallo e calce, che nonostante si stesse visibilmente
deteriorando
conservava ugualmente la sua suggestiva magnificenza.
La dragonessa era rimasta
per qualche momento in contemplazione dell’edificio; prima per
placare la sua
fame di bellezza e poi, una volta abbandonato l’edonismo, per una
motivazione
decisamente più pragmatica: trovare il modo di entrare nel
tempio senza essere
notata.
-Dovrai agire di notte, con discrezione e
cautela: è
assolutamente necessario che nessuno ti veda…-
Le aveva raccomandato
Malefor, una volta che lei aveva stretto il patto con lui.
-… se vuoi ritornare indietro sana e
salva, non
devono accorgersi della tua presenza-
Aveva poi aggiunto il drago
antico con una punta di malignità nel tono di voce, scoccandole
uno sguardo
talmente enigmatico da lasciare spazio alle più differenti
interpretazioni.
Era buio là fuori: una notte
perfetta per mettere in atto losche macchinazioni come quella che la
guerriera
viola si stava accingendo a compiere senza che alcun senso di colpa o
gioia le
gravasse sulla coscienza.
D’altronde era capitata in
quello strano pianeta solo per un tiro mancino del caso.
“Che questi draghi
combattano pure le loro scaramucce: la cosa non mi tange, tanto tra
breve sarò
fuori di qua…”
Considerò lei, eseguendo una
brusca cabrata per sfuggire ad un ingannevole mulinello d’aria.
“… mi farò
“teletrasportare”
e qui una smorfia di tra il disgusto e lo scetticismo le distorse le
labbra “in
una stazione di lancio interplanetare, là troverò
un’altra nave e potrò così
continuare il mio viaggio fino...”
-Pharnasius, credo di aver trovato
un possibile accesso-
Era stata Belta a parlarle,
il sistema operativo della sua nave ormai distrutta, il quale cervello
era
stato trasferito in un dispositivo compatto che la guerriera teneva
ancorato ai
foderi delle pistole.
La manta olografica si
discostò da lei per gettarsi in picchiata verso il terreno
sottostante e
librarsi nei pressi di una grata di sbarre di ferro che consentiva
l’accesso
delle acque di un piccolo ruscello all’interno delle mura.
Pharnasius atterrò a ridosso
della barriera, si guardò fugacemente attorno ed estrasse una
delle sue lame
laser dal suo bracciale destro.
Un sol colpo ben assestato
bastò a mandare in frantumi quella ridicola barriera.
“Dovrebbe sicuramente
trattarsi del sistema di approvvigionamento idrico del tempio”
considerò la
guerriera, intrufolandosi nel tunnel e divaricando gli arti in maniera
tale da
poter procedere per contrasto lungo le pareti, senza la noia di dover
sguazzare
nell’acqua.
Nonostante il liquido che le
scorreva sotto il ventre fosse fresco e pulito, anni ed anni di
umidità e
scarsa circolazione d’aria avevano creato una cappa quasi
soffocante di sentori
muschiati che subito fecero bruciare la gola a Pharnasius, la quale non
osò
pensare a cosa avrebbe dovuto sopportare se si fosse intrufolata in un
fetido
canale di scolo.
Non fece molta strada che
subito il condotto si diramò in diverse direzioni.
La dragonessa si lasciò
sfuggire una imprecazioni a denti stretti, sentendo i propri arti
indebolire
sempre di più la presa sulle scivolose pietre; quale sarebbe
stata la strada
giusta?
Quel dubbio l’agitò a
tal
punto che poteva avvertire delle gocce di sudore rigarle il dorso:
stava per
imboccare un labirinto, ed ora? Cosa avrebbe mai fatto?
La risposta fu semplice:
calmarsi.
Esalando un sospiro pieno di
tensione, Pharnasius realizzò che stava stupidamente cadendo nel
panico per una
questione di così poca rilevanza e questo era un errore assai
grave per un
guerriero come lei.
Così imboccò con
decisione
il tunnel che si apriva proprio di fronte a lei, considerando che,
trattandosi
del ruscello che alimentava le scorte d’acqua del tempio,
qualsiasi direzione
avesse scelto l’avrebbe sicuramente condotta da qualche cisterna
comunicante
con una sala dell’edificio.
Brancolò a lungo nella
semioscurità rischiarata dalla tenue luce delle sue lame fino a che un brusco allargarsi delle pareti la colse
impreparata e lei, priva ormai di un qualche punto d’appoggio, si
ritrovò di
punto in bianco a piombare a peso morto nelle acque sottostanti.
L’impatto
con l’acqua gelida le tolse il
fiato, ma fortuna volle che il livello delle acquee fosse poco
profondo, tanto
che la guerriera potette poggiare comodamente le zampe sul fondo,
evitando così
di annaspare ed aggiungere altro rumore al tonfo che aveva provocato
con la
caduta.
Purtroppo, o per fortuna, un
sistema di sicurezza incorporato ai suoi bracciali, fece disattivare i
laser
per evitare il possibile verificarsi di disastrosi cortocircuiti,
lasciando
però Pharnasius nell’oscurità più totale.
Ripresasi dalla momentanea
sorpresa, Pharnasius si immobilizzò, cercando di affinare il
proprio udito per
assicurarsi che nessuno si fosse accorto dei suoi movimenti nei
sotterranei.
Rassicurata da nessun rumore
di passi affrettati o di alcun segnale d’allarme, la dragonessa
rivolse l’attenzione
all’ambiente che la circondava.
Nonostante le tenebre
l’accerchiassero,
dopo i primi istanti di totale cecità, i suoi occhi riuscirono a
fornirle le
immagini di ciò che la circondava, per quanto queste
risultassero completamente
in bianco e nero e leggermente sfocate in lontananza.
Si trovava in una cisterna:
un ampio camerone circolare in mattoni, le cui pareti si alzavano fino
a
formare una sorta di cupola.
Dalla parte opposta da dove
si trovava la dragonessa, il canale continuava la sua corsa
chissà dove,
tuffandosi nuovamente nel buio, impenetrabile persino per i suoi
sensibili
occhi.
Generazioni e generazioni
vissute nelle profondità della terra, avevano fatto sviluppare
un’efficiente
vista notturna tra la gente di Pharnasius.
Le pupille della dragonessa
potevano infatti espandersi a dismisura, fino ad occupare
l’intero bulbo
oculare visibile, trasformando i suoi occhi in un inquietante paio di
perle
nere traslucide.
Affinché questa
capacità
potesse funzionare, abbisognava però che nell’ambiente vi
fosse dispersa una
minima quantità di radiazione luminosa, per quanto debole.
Pharnasius si guardò attorno
alla ricerca dell’esiguo spiraglio di luce, in quanto luce
significava uscita.
Alzando lo sguardo, la
guerriera trovò subito quel che cercava.
Si trattava di un ridicolo
filo, sottile come una ragnatela, che disegnava una circonferenza
piuttosto
ampia.
La sensibilità acuta delle
sue pupille, le mostrarono la possibile via come un sole nero i cui
raggi
fuggissero dal disco centrale disegnando un tessuto sfilacciato.
“Sembra quasi si sia
verificata un’eclissi totale”
Considerò distrattamente
Pharnasius, contemplando il soffitto della volta.
Ricordava la prima ed unica
volta che aveva assistito ad una vera e propria eclissi totale.
Quel giorno, Loki aveva
insistito affinché abbandonassero i sotterranei per recarsi nel
deserto.
I radar non segnalavano
alcuna presenza delle temibili macchine comandate da Oscar e Pharnasius
non
riusciva a spiegarsi la fretta che animava l’emaciato drago
d’oro.
Una volta fuori nel deserto
ebbe la propria risposta.
Impercettibilmente, la
torrida temperatura che infuocava ogni cosa aveva iniziato a vacillare,
cedendo
il passo ad un gelo intenso e pungente che si era steso come una
coperta sul
mondo circostante.
Allarmata, la guerriera si
era guardata attorno con frenesia, incapace di immaginare quale
terribile
nemico potesse mai divorare la luce ed il calore in quella maniera.
Gentilmente, Loki prese il
suo muso tra le zampe, puntandolo verso lo spettacolare anello di luce
che si
era dipinto sulla nera calotta di un cielo di ossidiana.
Mai Pharnasius
avrebbe
dimenticato la sua meraviglia, e mentre se ne stava con le zampe a
mollo,
sentendo il gelo dell’acqua risalirle fino alla cresta dorsale,
la dragonessa
rivide l’espressione gioiosa e soddisfatta di Loki, mentre la
stringeva a sé
per proteggerla da quel freddo innaturale.
Subito però, quella piega
gentile sul muso dorato di lui si distorse, e Pharnasius si
ritrovò ad
osservare un paio di occhi estranei che cercavano in ogni maniera di
fuggire
intimoriti il suo sguardo.
Questo ultimo ricordo le
fece male, così come una lama rigirata nella ferita appena
inferta.
Un cupo rombo le salì alla
gola mentre con un balzo si proiettò in aria, battendo un paio
di volte le ali
per raggiungere il cerchio di luce.
Il volto di Loki scomparve e
nella sua mente rimase soltanto la preoccupazione di non scivolate,
mentre tendeva
ogni fibra del suo possente corpo per tenersi a ridosso della grata,
aggrappandosi agli interstizi tra un mattone all’altro con gli
artigli delle
zampe e della sommità delle sue particolari ali.
Quando finalmente ebbe
trovato una certa stabilità, fece saettare la coda verso il
disco metallico che
occludeva l’uscita, spostandolo a poco a poco dalla propria sede,
quanto era
pesante.
Appena possibile, Pharnasius
effettuò un piccolo balzo, afferrando con le zampe anteriori i
bordi
dell’apertura per poi issarsi su a forza di braccia.
Le sue pupille ebbero una
dolosa contrazione, mentre in tutta fretta cercavano di ridurre il
proprio
diametro per adattarsi al tenue bagliore ambrato che accarezzava tutto
ciò che
si trovava nella sala.
La luminescenza proveniva da
enormi cristalli incastonati alla parete.
Pharansius non aveva la
benché minima idea di come ciò fosse possibile,
inizialmente pensò ad una sorta
di luce chimica od ad una qualche coltura di batteri, ma subito
scartò queste
ipotesi, considerando la ridicola tecnologia dei draghi di quel pianeta.
La parola magia le fluttuò
nella mente, facendole rizzare le scaglie violacee dal disagio.
Subito cessò le inopportune
divagazioni per concentrarsi sul motivo della sua presenza nel Tempio.
Le mani artigliate
sfiorarono una tasca della cintura dove aveva riposto quattro grosse
gemme,
limpide e pure come il diamante, che costituivano il fulcro della
missione.
Malefor le aveva fatte
comparire sul palmo della propria zampa, per farle poi fluttuare sopra
quegli
artigli spropositati, così come un prestigiatore avrebbe potuto
far spuntare
dal nulla delle carte da gioco.
-Il tempio è la dimora dei quattro
Guardiano degli
Elementi-
Aveva poi iniziato a
spiegarle, contemplando quasi ipnotizzato lo scintillante sfavillio dei
cristalli che gli orbitavano attorno alla zampa come i cavallini di una
giostra.
-L’energia propria del fuoco, del
fulmine, del
ghiaccio e della terra scorre nelle vene di quei vecchi pazzi…-
E qui un sorriso sarcastico
svelò parzialmente una letale chiostra di denti aguzzi
-… ho bisogno di
quell’energia! Certamente potrei
fornirla io stesso in quanto, come mi auguro tu già sappia, noi
draghi viola
siamo l’unica varietà che racchiude in sé tutte le
energia fondamentali del
cosmo; ma avrei assolutamente bisogno di tutte le mie forze per portare
a
termine il compito e non vorrei sprecarle per qualche cosa che posso
comodamente carpire altrove … tieni-
Il
girotondo di gemme si era così rotto per
tuffarsi nella sua direzione.
Pharnasius provava una certa
repulsione per quegli strani oggetti, ma l’istinto fece muovere
la sua zampa
che con una fulminea mossa afferrò i gioielli, intercettando il
loro volo.
Il freddo di quelle stupende
superfici contro le proprie scaglie le metteva a disagio, così
si affrettò a
deporre i manufatti in una delle tante tasche che costellavano la
cintura delle
pistole.
-Trattali bene: sono
cristalli purissimi, gli unici
capaci di assorbire l’energia e di trasferirla altrove senza
alterarla o
disperderla-
-Tutto quello che dovrai fare è di
deporre un
cristallo sopra la fronte di ciascun guardiano e sgattaiolare fuori dal
Tempio-
La guerriera aggrottò le
sopracciglia dubbiosa: che razza di compito era mai quello, non aveva
senso! Ma
esaminando la questione con un pizzico di pazienza in più,
Pharnasius considerò
che nulla aveva poi tanta logica da un bel po’ di tempo.
Era così assorta nelle
proprie considerazioni che sobbalzò leggermente dalla sorpresa
quando si era
ritrovata lo sguardo di Malefor a poca distanza dal suo.
L’antico drago stette
qualche attimo immobile fissandola in muso con fare pensoso ed
insistente,
quasi avrebbe voluto fotografarla con i raggi x.
Pharnasius sostenne quel
muto esame senza battere ciglio, approfittando dell’occasione per
considerare
ulteriormente la figura che torreggiava su di lei.
Confermò a se stessa che
Malefor era il drago dall’aspetto più inquietante che
avesse mai visto; ma,
nonostante tutto, dovette ammettere che avesse un certo fascino e che,
a suo
modo, poteva considerarsi persino bello.
-Cerca di stare allerta e di non farti
acciuffare,
non che questo mi importi … ma trovo sempre un certo fastidio
nel non
rispettare i patti-
Detto questo, le poggiò la
zampa sulla spalla mentre il mondo iniziò a trasformarsi in una
oscura trottola
impazzita.
Quando ogni cosa tornò
finalmente al suo posto, la volta rocciosa era stata sostituita da
innumerevoli
cappelli di fungo gigante.
La prima parte della
missione era stata portata a termine con successo: Pharnasius era
riuscita ad
entrare furtivamente del tempio, ora non rimaneva che trovare quei
maledetti
guardiani.
Belta la raggiunse,
spuntando dal buco del pavimento e dichiarando con la sua vocetta
metallica
-Potrei attivare i miei sensori
temici, così potremo rintracciare i guardiani
tramite il calore dei loro corpi
e …-
-Schhhhhhhhhhh!-
La interruppe bruscamente la
dragonessa viola, portandosi un dito alle labbra.
-Tieni bassa la tua vocina
artificiale e dai un’occhiata attorno… umph! Sensori
termici.-
Dopo aver bisbigliato la sua
risposta in tono sgarbato, la guerriera fece un eloquente gesto volto
ad
invitare la manta olografica a rivolgere l’attenzione al
pavimento.
Erano state fortunate.
Quattro vecchi draghi se ne
stavano sdraiati sui mosaici, assopiti in un profondo e tranquillo
sonno, inconsapevolmente
serviti su un piatto d’argento.
-Ok, Belta… diamoci da fare
e facciamola finita-
Con passo felpato, si
avvicinò al primo anziano disponibile.
Si trattava di un robusto
drago dalle scaglie verde bosco, così massiccio da sembrare una
statua scolpita
nella roccia che era stata poi ricoperta dai muschi con il passare
degli anni.
Con delicatezza, la dragonessa
viola poggiò il diamante sulla fronte di lui e subito
balzò indietro
trattenendo a stento una esclamazione di spavento.
Il cristallo, grande come
una mela, aveva iniziato a colorarsi di verde.
Pharnasius non aveva mai
visto un verde di quella tonalità, esso non era semplicemente
colore ma qualche
cosa di vivo, che serpeggiava danzando all’interno del cristallo,
come
intricate volute d’incenso, per poi fluire all’esterno,
convogliandosi in
un'unica colonna di energia elementare che si innalzava verso
l’alto per pochi
metri, prima di scomparire.
Man mano che il cristallo
trasferiva l’energia rubata, questi sublimava, riducendo sempre
di più le
proprie dimensioni per poi svanire.
Lo stesso meraviglioso
fenomeno si verificò per tutti gli altri gioielli, che si
colorarono
diversamente a seconda dell’energia con cui avevano a che fare.
Il cristallo divenne rosso
fuoco presso un drago dal muso simile a quello di un vecchio gufo, si
tinse
dell’azzurro dei ghiacciai presso un esile guardiano che, persino
mentre dormiva,
conservava una fastidiosa espressione altezzosa.
Infine divenne oro
incandescente presso il drago dorato, che durante il sonno aveva
l’abitudine di
girarsi e rigirarsi in continuazione, borbottando frasi sconnesse e
rendendo
particolarmente difficile il compito della guerriera.
Dopo svariati tentativi
andati a vuoto, la dragonessa viola ce la fece, ma sfortuna volle che
il
guardiano dell’elettricità le cingesse una zampa
anteriore, stringendosela al
petto come un cucciolo avrebbe potuto fare con il proprio animaletto di
pezza
preferito.
Pharnasius si immobilizzò
dall’orrore, sentendo il sudore freddo che le bagnava la fronte
ed il dorso.
Questa complicazione proprio
non ci voleva, ed ora cosa mai avrebbe potuto fare?
La risposta fu aspettare,
forse nel sonno quel dannato vecchio l’avrebbe lasciata
andare… ma il tempo
passava ed il guardiano non accennava minimamente ad allentare la
presa, così
Pharnasius cominciò pian piano a sfilare la zampa dalle grinfie
di lui.
Fu un lavoro stremante,
soprattutto per la grande concentrazione che richiese, ma infine ce la
fece con
successo.
Con un sorrisetto
soddisfatto tutto zanne, la dragonessa si era girata sui tacchi
apprestandosi a
raggiungere il foro che l’avrebbe ricondotta all’acquedotto
quando sentì
qualche cosa che la tratteneva.
Una colorita imprecazione le
sfuggì quando si accorse che il guardiano l’aveva
nuovamente afferrata nel
sonno, questa volta però per la coda.
-Non mollare la presa o la
balena non potrà mai entrare nella cruna dell’ago…-
Stava borbottando il drago
dorato tra un sospiro e l’altro.
-Molla la mia coda o non so
dove te la ficco la balena…-
Rispose l’esasperata
Pharnasius, ringhiando sommessamente.
Tentò nuovamente di
liberarsi, ma la frustrazione ed il fastidio le rese impossibile
ricorrere alle
precedenti maniere vellutate, tanto che ora lei stava letteralmente
tirando la
propria coda con forti strattoni, ma l’altro non accennava a
mollare né,
fortunatamente, a svegliarsi.
Di punto in bianco, il
guardiano sciolse la stretta di ferro, cogliendo la guerriera di
sorpresa e
mandandola rovinosamente a capitombolare contro il coperchio metallico
del foro.
Ci fu un gran baccano.
Mezza stordita dalla
capocciata che aveva dato contro il disco in ghisa, Pharnasius se ne
restò
immobile, stesa sul mosaico, convinta che il rumore avesse destato i
guardiani
e che ora stessero per balzarle addosso per acciuffarla.
Ma ciò non accadde.
La dragonessa osò una
speranzosa sbirciata ed un’ondata di sollievo la travolse quando
si accorse che
nessuno si era accorto di nulla.
Sarebbe stato facile uscire
da lì, un balzo nel foro e via… ma il destino ci mise lo
zampino.
Sparx non riusciva a prender
sonno.
Da ore e ore era alla
ricerca di una posizione comoda, giacendo nell’incavo creato
dalla zampa flessa
del suo fratellone … per quanto possa sembrare bizzarro il fatto
che una
libellula abbia un cucciolo di drago viola come fratello.
Si stese sul fianco, poi si
mise supino o ancora semi seduto, appoggiando la schiena alata al collo
di
Spyro per poi abbandonare quei futili tentativi e rivolgere
l’attenzione al
vero motivo della sua insonnia, per l’ennesima volta.
Cinerea riposava quasi
addossata alla parete opposta della sala, dando loro le spalle.
Sparx la osservò con cupo
sospetto: la dragonessa nera sembrava dormire profondamente ma la
libellula
sospettava che stesse fingendo, elaborando chissà quale meschino
piano da
mettere in atto una volta che lui avesse cessato di sorvegliarla con
insistenza.
Erano notti che andava
avanti questa storia, con il risultato che Sparx quasi stentava a
mantenersi in
volo durante il giorno, a causa del sonno perduto fissando un
indistinto
ammasso scuro di scaglie che non accennava a muoversi.
-Spyro, dovrebbe starsene
dietro le sbarre di una gabbia o incatenata al muro … è
una follia lasciarla
libera di muoversi a suo piacimento per il tempio, chissà cosa
potrebbe
combinare, cosa potrebbe farci!-
E qui ebbe un sobbalzo, come
se potesse avvertire gli affilati artigli di lei che lo dilaniavano.
-Ricorda solo questo
fratellone: ha tentato di ucciderci! Cosa le vieterebbe di provarci
un’altra
volta? Spyro, Spyro… mi stai ascoltando?-
Il cucciolo di drago viola
sollevò appena il mento dalle zampe anteriori, guardando senza
vederla quella
sfera luminosa che gli ronzava avanti alle iridi offuscate dalle nebbie
del
sogno che non accennavano a diradarsi.
Sparx guardò con una
pungente irritazione l’amico che girava la testa dall’altra
parte, bofonchiando
suoni inarticolati prima di scivolare nuovamente nel sonno più
profondo.
Così strinse i pugni con
fare indignato: la mancanza di sonno lo aveva reso particolarmente
suscettibile.
-Ok, fai come vuoi, vado a
dormire fuori io … credi mi possa importare il fatto che un
idiota come te si
faccia squartare così facilmente? Benissimo, come vuoi tu allora
… e non dire
che non ti avevo avvertito!-
Di tutta risposta, il drago
si limitò a grugnire, coprendosi il capo cornuto con le zampe;
mentre la
libellula ronzava tutta impettita fuori dalla stanza.
Aveva assolutamente bisogno
di calmarsi ed una salutare boccata d’aria, presa dal balcone
affacciato sulla
foresta di funghi, non avrebbe fatto altro che giovargli.
Aveva trascorso tutta la sua
vita nella tranquillità della palude in cui era nato, sentendosi
circondato e
protetto da quella lussureggiante ed impenetrabile vegetazione
costellata di
acquitrini, ed ora si era ritrovato, di punto in bianco, ad essere
travolto da
un gioco dove le sorti del mondo venivano contese, e questo lo stava
schiacciando.
Per accedere al balcone,
Sparx dovette attraversare la sala dove i guardiani erano soliti
riposare.
Udì un clangore metallico,
unito ad un pesante tonfo ed ad un semi soffocato gemito di dolore, che
lo
indusse ad affrettarsi per verificare cosa stesse succedendo.
Sarà forse perché
solitamente si tende a concentrare la propria attenzione su ciò
che si avvicini
il più possibile alle nostre proporzioni, o semplicemente il
fatto che ore di
insonnia avevano annebbiato la sua mente acuendo però la fame, o
per altri
motivazioni ancora; tutto sta che la prima ed unica anomalia che Sparx
notò non
era la dragonessa viola che stava rimettendosi sulle zampe, ma un
esserino che
fluttuava lì vicino, simile ad una farfalla.
Il suo stomaco borbottò di
desiderio, mentre lui si gettava su quella appetitosa farfalla
lapislazzuli.
Le sue mani ghermirono
l’aria, attraversando il corpo della preda come se fosse fatto di
aria.
La cosa lo pietrificò
dall’orrore, ed il panico in lui crebbe quando quell’essere
etereo si voltò,
fissandolo direttamente negli occhi con le sue pupille luminose, prima
di
dissolversi nel nulla e scomparire.
Sparx cacciò un urlo
spropositato
per le sue esigue dimensioni, mentre si precipitava da dove era venuto
blaterando riguardo ad uno spettro di farfalla che era giunto per
tormentarlo.
A quelle acute urla, che
trapanarono dolorosamente i timpani di Pharnasius, i guardiani si
destarono di
colpo.
Lo stupore da parte di
entrambe le fazioni sembrò alitare sulla stanza, congelando la
scena: gli
attori di quella tragico-comica commedia restarono infatti immobili,
fissandosi
per qualche secondo prima che il tempo riprendesse a scorrere, quasi
accelerando il suo corso per recuperare.
La guerriera viola scattò
come un fulmine verso l’apertura nel pavimento, ma il massiccio
drago verde si
mosse assai più velocemente di lei, sbarrandole il passaggio con
la sua
ragguardevole mole e gettandosi al contempo in avanti per ghermirla.
Furono i riflessi pronti a
salvarla, facendola buttare a terra e rotolare di lato con consumata
abilità.
Immediatamente, si ritrovò a
dover far fronte agli attacchi degli altri guardiani che, per quanto
fossero
avanti con gli anni, si dimostrarono degli avversari valenti ed abili,
la quale
rapidità di movimenti non le diede modo di ricorrere alle armi
di cui era
equipaggiata.
Non trovando altra
alternativa, Pharnasius spiccò un balzo verso l’alto,
utilizzando le ali come
perno per rigirarsi a mezz’aria ed atterrare con leggerezza alla
spalle dei
suoi avversari.
-Presto! Da questa parte!-
Belta le si era
materializzata al fianco, avviandosi verso la direzione da cui era
giunta la
libellula responsabile di quel disastro.
Immediatamente, Pharnasius
si affrettò verso l’uscita quando due cuccioli di drago
comparvero nel vano
della porta.
Nei loro musetti, ancora
lontane dallo sbocciare in quello di un adulto, era dipinta la medesima
espressione di stupore dei guardiani, unita però ad una cupa
determinazione che
divertì particolarmente la guerriera.
Quei due la stavano
aspettando, con gli acerbi corpicini pronti all’azione, come se
credessero di
essere in grado di fermarla.
Pharnasius non accennò
minimamente a rallentare la propria corsa: non era il momento di
giocare e se
qui cuccioli non si fossero spostati di loro spontanea volontà,
li avrebbe
spintonati di lato senza indugio … troppo tardi si rese conto di
aver nettamente
sottovalutato quei due avversari in miniatura.
Un ruggente torrente
infuocato per poco non la investì.
La guerriera scartò di lato
appena in tempo e rimase terrorizzata a fissare quell’inferno che
scaturiva
direttamente dalle fauci spalancate del cucciolo che aveva il suo
stesso colore
delle scaglie.
Ne aveva viste di stranezze,
ma questa superava nettamente ogni più perversa immaginazione:
draghi che
emettevano fuoco dalla bocca!
Era rimasta talmente
interdetta che non si accorse di una massa ombrosa che stava caricando
verso di
lei, piombandole addosso e trasformando ogni cosa attorno a lei in una
realtà
fumosa colma delle dolorose sferzate di artigli e coda che le
arrivavano da
ogni dove.
Colta da un bruciante senso
di impotenza, Pharnasius tentò di sottrarsi all’ombra che
la martoriava, solo
per ritrovarsi avvinghiata da innumerevoli liane che le si erano
avvolte
attorno, letteralmente spuntando dal nulla!
Il serio pericolo in cui ora
si trovava, fece riacquistare alla guerriera il controllo delle proprie
azioni.
Attivò le lame dei suoi
bracciali e manovrando con esse, nel limite del possibile,
cominciò a recidere
i legacci che la imprigionavano.
Non terminò mai la sua opera
in quanto il cucciolo viola balzò su di lei, rigirandosi
agilmente in aria e
sferrandole una micidiale frustata di coda in pieno muso.
Innumerevoli stelle le
esplosero nel campo visivo, mentre cadeva a peso morto
all’indietro, rimanendo
poi stordita a fissare il soffitto, con la vista che andava
annebbiandosi
sempre di più.
Un paio di zampe adulte
l’afferrarono rudemente, costringendola ad assumere una posizione
seduta, con
la schiena addossata alla fredda parete.
Per qualche istante il mondo
prese a vorticare innanzi a lei, così velocemente che Pharnasius
ebbe l’ardente
desiderio di rigurgitare.
Poi la testa cessò di
pulsarle così ferocemente e lei potette finalmente mettere a
fuoco gli sguardi
seriosi che la circondavano: era nei guai.
Ignitus era confuso e
sbigottito, mentre osservava con angoscia la dragonessa intrappolata
dalle
liane, che spostava freneticamente lo sguardo su ognuno di loro,
palesando una
disperata ricerca di un’idea che però non voleva prender
forma nella mente in
tumulto, confusa come lo erano quelle dei suoi aguzzini.
I guardiani non riuscivano a
credere ai propri occhi, mentre fissavano con orrore il colore delle
scaglie
dell’intrusa: viola.
La cosa non aveva senso,
quella leggendaria e rarissima razza di drago compariva una volta ogni
dieci
generazioni, influenzando il mondo sia per il bene che per il male, e
mai si
sarebbe sospettata l’esistenza di un altro esemplare di drago
viola oltre a
Spyro e Malefor.
Come se la cosa non
bastasse, la struttura fisica di lei aveva qualcosa di inusuale, per
non
parlare delle ali e degli strani aggeggi che erano ancorati alla sua
persona.
Sembrava quasi che la
prigioniera provenisse da un altro mondo.
-Chi sei? E cosa ci fai
qui?-
Dovettero ripetere la
domanda una seconda volta prima che una scintilla di vitalità
tornasse nei
nerissimi occhi della dragonessa, lavando via lo smarrimento e la paura.
Lei rivolse loro uno sguardo
colmo di dignità e fierezza.
-
Il mio nome è Pharnasius e sono
venuta per conto di
Malefor-
Pharnasius avvertì con
sgomento la propria bocca pronunciare le ultime parole della risposta
contro la
sua volontà.
Avrebbe voluto tacere il
movente della sua incursione, ma per qualche spaventoso motivo non
riuscì a
frenare la lingua, per quanto cercasse di opporsi
all’inspiegabile forza che la
comandava come una marionetta.
Ignitus sorrise soddisfatto,
inarcando il collo e notando con piacere che il suo semplice
incantesimo della
verità stava facendo effetto.
Ma il piccolo momento di
esultanza venne prontamente celato sul nascere quando in nome di
Malefor venne
pronunciato.
-Malefor ha una nuova pedina
da giocare, un nuovo pezzo sulla sua subdola scacchiera intrisa di
piani oscuri
e nefasti … a quanto pare ha trovato qualcun altro che obbedisca
ai suoi ordini
al posto di Cinerea (ora che non è più sotto la sua
influenza, intendo dire)…
ma la cosa più allarmante, pericolosa, disorientante ed
incredibile è che abbia
trovato un altro leggendario drago viola per questo…. Ora la
questione è
scottante, pericolosa, precaria…-
-Non credo che questo ci
abbia portato troppe difficoltà…-
Tagliò Spyro, troncando il
logorroico torrente di eloquenza che sempre si riversava fuori ogni
volta che
Volter, il guardiano dell’elettricità, proferiva parola.
A quanto pare quel
dannatissimo drago d’oro era solito parlare molto anche quando
non era immerso
dal sonno, considerò Pharanasius tra sé, con una
bruciante punta d’acido.
-… come poteri non è
proprio
un gran che, considerando la facilità con cui l’abbiamo
battuta-
Offesa, la dragonessa
rivolse un piccolo ringhio di avvertimento al cucciolo.
Di contro, Spyro le rivolse
uno sguardo che esprimeva una ferrea sicurezza nelle capacità
personali, frutto
di innumerevoli battaglie.
Pharnasius si prese del
tempo per scrutare i due cuccioli e dovette ammettere che si trovava di
fronte
a dei guerrieri navigati, nonostante la loro giovane età.
Guardò i loro corpi
precocemente privi delle mollezze della fanciullezza, mentre rivedeva
il fuoco
fuoriuscire da quella boccuccia piegata in un sorriso di sfida …
ed ebbe un
fremito di repulsione: in che razza di spaventoso mondo era capitata?
-Come sei finita al suo
servizio? E qual’era esattamente la tua missione nel Tempio?-
Aveva aggiunto Ciryl, il
guardiano del ghiaccio, esibendo una voce acuta da primadonna.
Sospinta dall’incantesimo
come un veliero dal vento, la guerriera si ritrovò a narrare la
propria
vicenda, incapace di trattenere le parole e sentendole con sgomento
sfuggirle
tra gli artigli serrati della propria volontà.
Parlò dell’esilio,
della sua
fuga dai pirati, di come fosse precipitata dentro la sua navicella in
fiamme e
del proprio incontro con Malefor.
-Non ho mai sentito una
storia più bizzarra di questa…-
Proferì cinerea, non curando
di nascondere il piacere che le dava ascoltare quel racconto colmo di
assurdità
e cose incredibili.
-… certo che ne hai di
fantasia!-
-Sicuro che il tuo incantesimo
stia funzionando Ignitus?-
Chiese la voce tonante di
Terrador, guardiano della terra, con un timbro “roccioso”
che rendeva onore alla
sua carica.
-Sì, l’incantesimo
è attivo,
non ci sono dubbi… forse tutto questo è realmente
accaduto.-
La cosa avrebbe spiegato il
bizzarro aspetto di Pharasius, ma l’idea che vi fossero altre
civiltà di draghi
oltre alla loro, sparse chissà dove, era un qualche cosa di
troppo grande da
afferrare, meraviglioso e disarmante allo stesso tempo.
Quando poi la dragonessa
narrò
dell’accordo pattuito con Malefor, e di come avesse appena
barattato le loro
energie elementari con la possibilità di fuggire dal pianeta,
ogni immagine del
mondo tecnologico dipinto da Pharansius svanì, lasciando il
posto ad una
dolorosa consapevolezza.
Il destino del mondo stava
precipitando!
-Infine Malefor è riuscito
ad avere le nostre energie elementari… ciò significa che
ora è perfettamente in
grado di risvegliare il Distruttore…-
-Non posso crederci, se
dovesse riuscirci tutto sarà perduto! Dobbiamo assolutamente
agire!-
-Forse è già troppo
tardi…
forse lui sta già eseguendo i riti necessari ad evocare quella
bestia …-
Pharanasius poteva avvertire
l’odore della loro angoscia e paura, mentre i guardiani
confabulavano tra di
loro, in preda ad un palese tormento.
Cosa mai stava succedendo?
-Scusate ragazzi…-
Pharnasius si era infine
decisa ad intrufolarsi nel colloquio, esigendo spiegazioni.
-… sareste così
gentile di
spiegarmi cosa cavolo sta succedendo e perché vi state
improvvisamente agitando
come polli impazziti? Cos’è questo dannato Distruttore che
temete tanto?-
-Come, non lo sai? Tu hai
distrutto anni ed anni di lotta e non sai minimamente a cosa sta
portando il
tuo stupido patto?!-
Le urlò praticamente contro
Ciryl con gli occhi lampeggianti di furia assassina.
Pharnasius resistette
imperturbabile alla sua rabbia, così come uno scoglio nel mezzo
della
mareggiata, scuotendo con calma il capo in senso di diniego.
Ciryl ringhiò esasperato,
palesemente
pronto a gettarsi su di lei per dilaniarla, quando Ignitus esalò
un sospiro
colmo di stanchezza prima di calmarlo, poggiandogli una zampa sulla
spalla.
-Se quel che racconti
corrisponde a verità, non vedo proprio come tu possa
saperlo… la leggenda del
Distruttore è antica, vecchia quanto la nostra
civiltà… si tratta di una bestia
mastodontica, il cui risveglio segnerà la fine del nostro mondo
e la
distruzione completa di quel che conosciamo.-
Qui fece una pausa, abbassò
la testa e puntò i suoi saggi occhi da gufo nelle polle
d’inchiostro di lei,
quando parlò di nuovo, nella sua voce si potevano avvertire
tutti gli anni che
gravavano sulle sue vecchie ali.
-Malefor sta tentando in
tutte le maniere di scatenare la distruzione, servendosi di questa
antica
creatura che dorme nelle viscere della terra… se ci
riuscirà, ogni cosa diverrà
tenebra e freddo.-
Occorse qualche secondo
prima che la guerriera potesse afferrare pienamente la gravità
di quelle
parole.
Il suo corpo iniziò a
tremare mentre rivedeva tutta la verde esplosione di vita della Valle
di Avalar
tramutarsi nello sterile deserto che dominava il suo pianeta
d’origine.
Con orrore realizzò che
Malefor stesse tentando in tutti i modi di perseguire i medesimi piani
di
distruzione di Oscar.
Ora quel paradiso aveva
accelerato il passo verso la propria fine ed il pensiero che lei fosse
la causa
di tutto ciò le lacerava l’anima in minuscoli brandelli
sanguinanti.
Quello non era il suo mondo,
non era la sua casa, ma qualche cosa dentro di lei stava urlando dalla
disperazione: doveva porre rimedio ai propri errori.
-Liberatemi!-
Urlò con rabbia, iniziando a
strattonare le liane.
-Liberatemi! Forse posso
avere qualche possibilità di fermarlo.-
-Come potremmo mai fidarci
di te!-
Le sputò Ciryl sul muso.
-Hai già combinato
abbastanza guai.-
Pharnasius era furiosa,
arrabbiata per la cecità e l’ottusità dei guardiani.
Iniziò a divincolarsi con
ferocia, strattonando le liane resistenti come cavi d’acciaio.
-Lascia perdere, è inutile.
Stai sprecando solo energia-
Con un ruggito di rabbia,
Pharnasius attivò le lame laser dei bracciali, premendole
furiosamente contro
le corde, mentre la preoccupazione e l’urgenza di agire le davano
la forza
necessaria a recidere i sui legami in un sol colpo.
Subito Ignitus le si parò
davanti, tentando di trattenerla; ma la guerriera lo colse in
contropiede,
sfoderando un colpo che mai sarebbe stato concepibile per lo stile di
combattimento della sua civiltà.
Il guardiano la vide
sgomento alzarsi sui posteriori e correre verso di lui con un
equilibrio
impossibile per un drago; poi Pharnasius saltò e nel pieno del
balzo gli
afferrò la testa, mandandola a sbattere contro il ginocchio che
stava alzando
in contemporanea.
Si sentì il rumore
nauseabondo di ossa e denti fracassati, mentre Ignitus cadeva a terra
incosciente con il muso tramutato in una maschera sanguinolenta, e la
dragonessa viola svaniva oltre il buco nel pavimento.
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Capitolo 9 *** Pharnasius si ribella ***
pharnasius si ribella
Pharnasius si ribella
-Concentrati cucciolo! Cerca
di non farti distrarre e ascolta il tuo corpo, afferra l’energia
che fluisce
nelle tue vene e lanciala, in questa maniera…-
Il giovane drago osservò
quasi ipnotizzato il corpo del guardiano risplendere come una stella,
mentre le
arcane forze che stava richiamando lo sollevavano da terra.
Il ragazzo non mosse un
muscolo, né osò batter ciglio, quanto era affascinato da
quella manifestazione
di potenza… il potere era tutto ciò che bramava e che
avrebbe inseguito negli
anni a venire.
Poi, quando gli occhi
serrati dell’adulto si spalancarono, un’energia immensa
esplose nella forma di
un’onda elettrica che dal suo corpo fuggì verso
l’esterno.
-Vieni pure avanti ragazzo,
ora tocca a te-
Lui saltò giù dalla
sporgenza di roccia contro la quale l’onda elettrica era andata
ad infrangersi,
per poi raggiungere il centro dell’arena d’allenamento.
Allievo e maestro si
trovavano all’interno di una gigantesca caverna, una mastodontica
sacca d’aria
che si sviluppava sotto le fondamenta della città pullulante di
bianchi palazzi
e attività.
La frenesia che riempiva gli
ampi viali alberati di Belligera era così intensa che a stento
le pareti della
caverna riuscivano ad arginarla, facendo giungere i suoni come un
brusio
ovattato di sottofondo.
“Dannazione!
Smettila di ascoltare questo starnazzo e concentrati!”
Mortificato da quel
rimprovero così aspro, il cucciolo si affrettò a chiudere
gli occhi, isolando
la mente dall’ambiente circostante.
Non era stato il guardiano
dell’elettricità a parlargli, ma una misteriosa presenza
che ricordava
bisbigliargli nei pensieri fin dal giorno in cui era uscito dal guscio
dell’uovo.
La voce era indefinibile:
era sia maschile che femminile allo stesso tempo, come se provenisse da
una
folla che parlasse all’unisono.
Il giovane drago non aveva
mai esternato il suo segreto, nessuno gli aveva mai spiegato cosa
significasse,
eppure lui conosceva benissimo chi gli stava bisbigliando
all’orecchio.
La voce della sua antica
stirpe, i ricordi di tutti coloro che lo avevano proceduto, lo
colmarono con le
loro esperienze, raccontandogli gli errori ed i successi, mostrandogli
così
come scatenare la tempesta di fulmini che il guardiano si stava
inutilmente
accingendo ad insegnarli: lui sapeva già come fare … lo
aveva già fatto innumerevoli
altre volte nei millenni precedenti.
L’intera caverna venne
fagocitata da una vivida luce bianca, mentre spropositate energie si
stavano
raccogliendo in lui.
Il cucciolo temette di
esplodere, ma all’ultimo momento la voce diede il suo segnale
d’assenso.
L’onda che scaturì dal
suo
corpo fu devastante.
Fracassò il mosaico
sottostante e distrusse le rocce dove il guardiano
dell’elettricità si era andato
a riparare, trascinando lo sfortunato anziano per svariate decine di
metri.
L’allievo aveva superato il
maestro.
Quando la sua furia si era
ormai dileguata, il cucciolo riusciva malapena a reggersi sulle zampe,
la
stanchezza gli annebbiava la vista mentre della schiumosa bava gli
colava dalle
fauci spalancate per respirare.
Tremiti convulsi gli
attraversavano la spina dorsale, facendogli fremere il dorso irto di
aculei… si
sentiva svenire da un momento all’altro, ma la voce gli
carezzò la mente, alleviando
le sue sofferenze come un balsamo.
“Benfatto”
Millenni dopo, quello che
era stato un cucciolo smanioso di imparare era ora diventato un potente
drago,
esperto nella magia e nelle arti arcane, temuto e odiato da tutti
quelli della
sua razza.
“Bene, bene,
bene… hai tutto quello che ti serve, ora scatena il
Distruttore… fai compiere il nostro destino.”
Un ghigno colmo di feroce
soddisfazione deformò il muso di Malefor mentre i suoi occhi
felini brillarono
di vittoria, divorando il lucente globo di quarzo che si stava
riempiendo con
l’ultima energia dei quattro elementi.
A quanto pareva, quella
bizzarra dragonessa ce l’aveva fatta.
Che Pharnasius fosse
riuscita a tornare indenne dalla missione oppure fosse stata catturata,
per lui
non c’era alcuna differenza: Malefor stringeva tra le grinfie i
poteri dei
guardiani del tempio, questa era l’unica cosa che ormai aveva
importanza.
L’antico drago spostò
lo
sguardo dal globo al cielo, mal trattenendo uno sbuffo di impazienza.
Non era ancora il momento di
completare la sua vittoria, doveva ancora aspettare che le energie
cosmiche si
equilibrassero, garantendo così alcuna interferenza negativa
durante il rituale
di evocazione.
Passarono le ore, che videro
il Maestro delle Ombre percorrere impazientemente più volte la
circonferenza
del cono vulcanico in cui si trovava, mentre i suoi artigli
picchiettavano
sullo strato di magma solidificato che lo separava
dall’incandescente mondo
sottostante, dove il Distruttore stava riposando.
Un lieve ronzio nelle
orecchie, che subito si era diffuso in tutto il suo antico corpo, gli
fece
nuovamente alzare gli occhi verso il cielo.
“È giunto
il momento, ragazzo”
Malefor raggiunse il foro
posto al centro della distesa di roccia basaltica, oltre il quale si
sprigionava la luce rossastra del magma sottostante.
Con solennità, il drago
viola sollevò le zampe anteriori sopra la testa cornuta,
reggendo il globo di
quarzo tra gli artigli.
Serrò con forza gli occhi e
si concentrò.
Un buio permeato di vita
trasudò dalle sue scaglie, braccando e divorando la poca luce
all’interno del
cono vulcanico, così come avrebbe potuto fare l’inchiostro
spruzzato da
un’enorme seppia.
Gli unici sprazzi di colore
provenivano dal foro del pavimento e dal globo, dentro il quale le
energie
elementari avevano iniziato a vorticare così velocemente che i
loro distinti
colori si erano fusi, tramutandosi in bianco.
Malefor si sentì impregnato
dal potere come una spugna gettata in acqua, temeva di disintegrarsi da
un
momento all’altro, ma si obbligò a richiamare a sé
altre energie cosmiche fino
a quando la voce dei suoi predecessori non gli avesse comandato di
gettare il
globo nel cratere… ma gli spiriti che affollavano la sua testa
aspettarono un
momento di troppo.
Un fascio di luce
azzurrognola squarciò il velo d’oscurità, volando
verso il globo e colpendolo
in pieno.
Sia Malefor che gli spiriti
guardarono attoniti ed increduli il globo che esplodeva tra le sue
grinfie
contratte, frantumandosi in una miriade di granelli luccicanti,
praticamente
inutili.
Il drago viola non ebbe
tempo di riprendesi dallo shock, che un tremendo pugno lo raggiunse in
pieno
muso, facendolo cadere all’indietro come un sacco di patate.
L’impatto con la dura roccia
gli svuotò i polmoni dall’aria, rendendo impossibile
muoversi per qualche
istante.
Quando Malefor potette
rimettersi sulle zampe, la tenebra si era ormai dileguata del tutto,
mostrandogli come una quinta scenica l’immagine di un altro drago
viola, dalle
bianche ali d’aquilone spalancate, che ringhiava con evidente
ferocia nella sua
direzione in senso di sfida.
-Pharnasius!-
Malefor pronunciò il nome di
lei con voce resa bruciante da una velenosa furia che stava colorando
di rosso
il suo campo visivo.
Avrebbe dovuto ucciderla
quando ancora era ridotta ad un ammasso di scaglie sanguinanti invece
di
curarla con la speranza di potersi servire di lei, avrebbe dovuto
soggiogarla
al suo potere invece di temere di toccarle la mente per paura delle
sconvolgenti verità che vi avrebbe trovato, avrebbe dovuto
inviare le sue
fidate scimmie a rubare i poteri dei guardiani… quanti
grossolani errori aveva
commesso!
Malefor poteva avvertire la
delusione e la dolorosa disapprovazione degli spiriti degli altri
draghi viola
gravare su di lui come un masso pronto a schiacciarlo.
Pharnasius avrebbe pagato
con la vita il suo sconsiderato gesto d’eroismo!
Giurò questo a se stesso ed
all’oscurità che serviva, mentre snudava gli artigli e le
zanne e si gettava su
di lei, pronto a distruggerla.
Pharnasius non avvertiva
minimamente la fatica per aver volato al limite delle sue
capacità per
centinaia di chilometri, guidata da Belta che grazie al suo cervello
elettronico era riuscita ad individuare la posizione del vulcano,
nonostante si
fossero spostati da lì percorrendo le vie della magia.
Sentiva solamente
l’adrenalina
che attraversava le sue membra con scariche di ghiaccio e fuoco, mentre
saliva
in lei una rabbia indescrivibile e le fattezze di Malefor assumevano le
odiate
sembianze di Oscar.
Le identità dei due draghi
si fusero e la dragonessa si accinse a combattere ed a distruggere
tutto ciò
che per lei incarnava il male, contro cui aveva agito una vita.
Il desiderio di uccidere
invase le menti di entrambi i combattenti, cancellando il ricordo delle
discipline marziali apprese e degradando il loro essere a poco
più di animali
assetati di sangue.
Entrambi si gettarono l’uno
sull’altra, trasformandosi in un agitato groviglio di scaglie
viola, artigli e
denti, mentre si azzannavano a vicenda, lacerando la carne e tracciando
solchi
sul corpo del nemico.
Il dolore fece ritornare a
Pharnasius un barlume di coscienza.
Rendendosi conto che
continuando in questa maniera non avrebbero ottenuto altro che
eliminarsi
penosamente a vicenda, la dragonessa scostò Malefor cacciandogli
le zampe
posteriori sotto il ventre per poi assestare un energico spintone che
interruppe il feroce assalto.
L’improvvisa mossa
sembrò
schiarire le idee del Maestro delle Ombre.
Già, Pharnasius era una
guerriera assai valente; talmente abile e forte da riuscire a tenergli
testa in
un corpo a corpo, ma lui aveva qualche cosa che l’altra non
possedeva: la
magia, e lui decise di fare perno su questo per far pendere a suo
favore i
piatti della bilancia.
Malefor trasse un profondo
respiro e spalancò le fauci, scatenando un torrente di fuoco
bluastro costeggiato
da coaguli di potere simili a massi.
Pharnasius si scostò di
lato, schivando il colpo: era spaventata da quella abilità
tipica dei draghi di
questo mondo, tuttavia era fermamente decisa a non far mostra della sua
debolezza.
Una volta sollevatasi nuovamente
sulle zampe, attivò le lame dei bracciali, pronta al
contrattacco; ma non fece
in tempo a muovere un passo che un sibilo attirò la sua
attenzione.
L’orrore per poco non la
immobilizzò: i due massi d’energia avevano deviato dal
flusso delle fiamme ed ora
si stavano scagliando su di lei!
Malefor sogghignò dalla
soddisfazione.
Aveva diretto in maniera
strategica la sua arma a soffio, guidando la dragonessa verso una
piccola
depressione tra le pareti del vulcano, intrappolandola.
Tuttavia, ancora una volta
Pharnasius lo sorprese con una nuova risorsa.
Incalzata dai macigni, la
guerriera corse verso la parete, utilizzando lo slancio per muovere
qualche
falcata su di essa, mentre la magia andava ad infrangersi dove lei si
era
trovata qualche momento prima.
Quando la forza di gravità
stava ormai iniziando ad avere la meglio sulle sue zampe, Pharnasius si
spinse
all’infuori, eseguendo una capovolta mentre estraeva le pistole
dai foderi ed
apriva il fuoco con entrambe.
Colto del tutto alla
sprovvista, Malefor ruggì di dolore quando un laser gli
aprì un profondo
squarcio alla sommità della spalla.
Pharnasius atterrò avanti a
lui, ammortizzando il proprio peso sui posteriori e rimanendo in
equilibrio su
di essi, le pistole ancora puntate su di lui, mentre il respiro
accelerato le
faceva alzare ed abbassare la cassa toracica.
Ci fu un attimo di tregua, i
loro occhi si incontrarono eppure stranamente il loro messaggio non era
soltanto odio ma anche sorpresa: una tacita ammissione di ammirazione,
priva
però di perdono o pietà.
La guerriera ruppe quel
contatto, ripose le pistole e sfoderò le lame lucenti dei
bracciali per
gettarsi contro di lui urlando la sua sfida come un’amazzone.
Lo scontro tra i due fu meno
feroce del primo, ma assai più terribile in quanto ognuno
sfoderò il meglio
delle proprie abilità in quello strano duello dove
agilità, magia e tecnologia
aliena stavano tirando di scherma, confrontandosi senza un attimo di
tregua.
Spazientita da quello stallo
interminabile, Pharnasius si erse sui
posteriori, alzando le zampe anteriori mentre congiungeva gli
avambracci,
formando un gigantesco cuneo con le proprie lame; poi diresse il colpo
su
Malefor, fornendo la forza necessaria con ogni fibra del suo corpo.
Il drago anziano aveva però
un’altra carta da giocare: si acciambellò così su
se stesso e richiamò i suoi
oscuri poteri.
Le lame si infransero su una
barriera magica, dove vortici azzurri si contorcevano incontrollati
sulla
superficie, come chiazze d’olio sul pelo dell’acqua.
La violenza dell’impatto fu
tale che la barriera si infranse, esplodendo come una palla di vetro
caduta sul
pavimento.
Pharnasiu avvertì una
scarica di brucianti punture agli avambracci, mentre il sistema di
generazione
delle sue lame si disintegrava, incapace di reggere le forze che si
erano
sprigionate.
I suoi bracciali presero
fuoco, costringendola ad abbassare momentaneamente la guardia per
liberarsene.
Malefor colse l’occasione al
volo e ne approfittò.
Si gettò su di lei con la
furia di una tempesta, gli artigli avvolti da un fuoco magico mentre le
infieriva
sul ventre ed il petto, dove persino le durissime placche che li
ricoprivano
non erano abbastanza per proteggerli dagli artigli magicamente
potenziati.
Udì il suono umidiccio della
carne che si lacerava e l’acuto latrato di dolore di lei, mentre
cadeva di
schiena sulla dura roccia con un tonfo, rimanendo inchiodata al suolo,
boccheggiando nel tentativo di attenuare quelle scariche brucianti che
le
attraversavano il corpo scaglioso dalla coda fino alla punta delle
corna.
Lui aprì al massimo le fauci
irte di zanne, facendo scattare in avanti il robusto collo per
straziarle la
gola e porre la parola fine a quella dura lotta; ma Pharnasius era
assai più
coriacea e imprevedibile di quanto avesse mai supposto.
La vide sollevare le zampe
posteriori con un colpo di reni e subito la sua testa venne saldamente
afferrata dai piedi di lei.
Poi avvertì il proprio moto
rettilineo mutare traiettoria, tramutandosi in un arco, mentre
Pharnasius
prendeva la sua forza per gettarsi all’indietro, puntando a terra
le zampe
anteriori per alzarsi in una verticale, prima di saltare
all’indietro e
sbattere la testa dell’avversario al suolo.
Tutto accadde così
velocemente che Malefor non potette far altro che osservare incredulo
la
superficie basaltica venirgli incontro prima che ogni cosa esplodesse
attorno a
sé e lui venisse inghiottito dal nulla più totale.
Ansimando pesantemente per
lo sforzo, il dolore e la perdita di sangue che la stava
inevitabilmente
indebolendo, la guerriera vincitrice si avvicinò
all’inerme corpo del vecchio
drago, barcollando malamente sulle quattro zampe.
Lo guardò con freddezza,
considerando con calma glaciale la figura scomposta del Maestro delle
Ombre,
sulla cui fronte stava spuntando un brutto gonfiore nerastro.
Era giunto il momento di
porre fine a quella follia… di abbattere Oscar.
Con calma, la guerriera
estrasse la pistola dal fodero e la puntò contro il cranio di
Malefor, fissando
intensamente le palpebre di lui calate sugli occhi privi di alcuna
consapevolezza.
Stava quasi per premere il
grilletto quando il pensiero che non avrebbe più rivisto quegli
inquietanti
occhi da felino, incandescenti come il sole, la fece desistere.
Ringhiando di esasperazione
contro la sua mancanza di determinazione, Pharnasius strinse con
maggior forza
l’impugnatura dell’arma.
Osservò nuovamente il muso
di lui e le mani le tremarono: era privo di malizia e
malvagità… ora che la
febbricitante mente di Malefor si era momentaneamente spenta
nell’incoscienza,
i lineamenti di lui erano pervasi di una serenità che mai aveva
visto.
Il suo sguardo indugiò sugli
zigomi alti, sulle protuberanze cornee che ne incorniciavano il volto;
meravigliandosi di quanto lui fosse affascinante, nonostante il brutto
livido
che gli copriva la fronte.
Pharnasius stava per premere
il grilletto…. Solamente una lieve pressione delle sue dita
artigliate e tutto
si sarebbe concluso in una esplosione di ossa, sangue e cervella.
Poi realizzò: non era Oscar
che giaceva lì a terra ma un altro drago.
Di punto in bianco, l’idea
di uccidere le diede la nausea, facendole contorcere le budella.
Emise un profondo sospiro e
rinfoderò le pistole.
-Hai un debito con me-
Disse semplicemente alle
orecchie sorde del Maestro delle Ombre, prima di balzare in aria e
volare verso
il cratere del vulcano, svariate centinaia di metri più in alto.
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Capitolo 10 *** sei fregato, ragazzo ***
sei fregato, ragazzo
Sei fregato, ragazzo
Una nuvoletta di fini
polveri vulcaniche si intrufolò nelle narici di Malefor,
solleticandogli le
mucose e facendolo rinvenire con un violento starnuto che subito
riecheggiò da
una parete all’altra del cono magmatico.
Lui aprì gli occhi felini,
cercando disperatamente di dare un significato alla gelida roccia sulla
quale
giaceva e che sembrava avesse avidamente prosciugato tutto il calore
del suo
corpo.
Era semplicemente confuso:
non riconosceva il posto in cui si trovava né il perché
ora provasse un pesante
giramento di testa misto a nausea; un po’ come se si fosse
svegliato dopo una
sbornia colossale.
Avvertiva un sordo pulsare
permeargli la fronte e d’istinto si portò le zampe
artigliate al brutto livido
tumefatto per sfiorarlo.
Un dolore lancinante gli
trapanò il cranio, facendogli di colpo tornare ogni ricordo
della notte
precedente.
Dapprima Malefor sibilò con
ferocia per poi gemere con una nota patetica nella sua cavernosa voce.
-Fottuta
stronza…-
Eppure, mentre bisbigliava
tali imprecazioni, non potette impedirsi di provare una bruciante
ammirazione
nei confronti di Pharnasius e, cosa che lo sorprese più di
tutte, rispetto.
Ma anche una profonda
rabbia, rivolta più a se stesso che a lei.
Si rimise lentamente sulle
zampe, muovendo qualche passo per far luce su quei pensieri così
nuovi per lui.
Un leggero tintinnio attirò
la sua attenzione facendogli abbassare lo sguardo su un frammento di
quarzo che
gli ridiede una minuscola parte della sua figura riflessa.
Il Maestro delle Ombre si
sentiva infranto e diviso proprio come il globo che aveva contenuto
l’energie
elementari dei guardiani.
Aveva tutti i motivi per
odiare mortalmente quella ingrata straniera, eppure non ci riusciva:
come
poteva disprezzare la prima creatura in assoluto che era stata in grado
di sconfiggerlo,
restituendogli in qualche maniera un briciolo di normalità che
lui aveva sempre
inconsciamente desiderato; come poteva considerare meschino ed
inferiore un
altro esponete della sua rara e gloriosa razza?
Le voci nella sua testa
tacevano, ma lui sapeva comunque che stavano assistendo imperterrite
alla
catena di pensieri che assemblava pescando qua e là nei suoi
ricordi.
“Cosa hai
intenzione di fare ora?”
-Devo parlare con lei-
Rispose semplicemente Malefor,
mentre passava la zampa artigliata sulla fronte, eseguendo un
incantesimo di
guarigione che gli cancellò via l’ematoma così come
avrebbe fatto un panno
bagnato sulla lavagna.
Il dolore cessò e lui non
potette trattenersi dal tirare un sospiro di sollievo.
“A quale scopo,
ragazzo?”
-Risposte…. Ho
bisogno di risposte-
Detto questo, si lanciò in
aria spingendo con i poderosi muscoli dei posteriori, volando verso il
cerchio
infuocato che descriveva la cima del vulcano.
Stava nuovamente calando la
sera e lui non potette fare a meno di domandarsi quanti tramonti si
fossero affacciati
nel cratere mentre giaceva sul fondo, imprigionato in una sorta di
momentanea
morte.
Pharnasius si stava
categoricamente impedendo di pensare: la ferita che le sfigurava il
petto le
provocava già abbastanza dolore a cui badare.
Dopo lo scontro con il
vecchio imbecille, era tornata sui verdi e soffici declivi della
collina che
sovrastava la Valle
di Avalar e lì si era distesa supina, spaparanzandosi senza
alcun ritegno e
lasciando che le ore le scivolassero addosso senza che lei facesse un
bel
niente.
La dragonessa si limitava
soltanto ad osservare le nuvole che si contorcevano in cielo,
divertendosi come
una cucciola nel riconoscere le sagome più svariate.
Un motore, una lampada, un
computer da polso, un bollitore…. Nel cielo vorticava un
ribattino di oggetti
inutili e lontani, danzando secondo la melodia di archi e clavicembali
che un
paio di cuffie le stava sparando nelle orecchie.
Erano brani vecchi di secoli,
appartenuti ad un’epoca che ormai non era più, eppure il
tempo non era riuscito
a stemperare la loro forza e capacità di parlare al cuore
dell’ascoltatore,
facendone galoppare il sentimento in alto, laddove correvano quei
giganteschi
banchi di vapore acqueo.
Il bianco delle nubi si era
tramutato in oro fuso quando Pharnasius avvertì il tonfo di
quattro zampe che
atterravano vicino a lei; tuttavia decise di non badarvi e di
continuare a
prestare attenzione alla musica.
-Sapevo che ti avrei
trovata qui… -
La luce morente del sole
faceva brillare di rosso le scaglie di lei, mentre lo squarcio sul
petto non
era altro che una pesante riga di pece.
Malefor non potette
impedirsi di provare un indesiderato rimorso a quella vista, mosse
qualche
passo confuso, palesemente indeciso sul da farsi, prima di sedersi
accanto a
lei con una scrollata di spalle e poggiarle una zampa artigliata sulla
ferita.
Subito tessuti, pelle e
scaglie cominciarono a ricostruirsi mentre Pharnasius rimaneva
impassibile.
La mente del Maestro delle
Ombre era troppo in disordine per accorgersi della totale indifferenza
dell’altra, aveva bisogno di porre un freno alla sua confusione,
così l’antico
drago iniziò a parlarle ma le sue frasi erano più un
monologo rivolto verso se
stesso che alle chiuse orecchie di una stizzita Pharansius che voleva
solo
essere lasciata da sola.
-
Cosa diavolo sto
facendo? Dovrei lasciarti crepare dissanguata per quello che hai
combinato … e
invece no, ti sto curando… devo essere completamente
impazzito…-
E qui si lasciò sfuggire un
pesante sospiro.
-… ma è
da un po’ di tempo che non mi riconosco più… prima
sapevo
esattamente quello che volevo e cosa fare… ma ora… arg!
Come posso esprimere a
parole ciò che non riesco a capire? Cosa c’è che
non va?-
“Forse
non ho mai saputo cosa
volevo io… ma soltanto cosa volevano loro”
Considerò tra sé
Malefor,
prima di rimanere sbigottito per ciò che aveva pensato e
chiudere subito ermeticamente
la porta che aveva accidentalmente spalancato.
La ferita di lei si era ora
rimarginata e la pelle era nuovamente ricoperta da squame compatte e
sane.
-Io sono un drago
viola, proprio come te ed in quanto tale la mia
esistenza ha come solo scopo la distruzione del mondo… questa
è la nostra
natura, il nostro ruolo… a quanto pare sono l’unico a
capirlo mentre tu e quel
dannato cucciolo vi ostinate a far finta di essere quello che in
realtà non
siete…-
Malefor soffocò in gola il
resto delle sue parole quando si accorse che due polle nere
d’inchiostro lo
stavano osservando con disapprovazione da sotto un paio di sopracciglia
aggrottate.
Senza dire nulla, la
dragonessa si limitò a girarsi su un fianco, dandogli
sgarbatamente le spalle;
ma Malefor non si fece scoraggiare da quel silenzioso invito ad
andarsene.
-… come fate ad
ignorare il nostro impulso a distruggere…-
-Vattene-
Deciso a non mollare, il
Maestro delle Ombre si portò dal lato dove la guerriera teneva
rivolto lo
sguardo stizzito.
-… come puoi
continuare a mentire …-
Sbuffando rumorosamente,
Pharnasius si girò dall’altro lato
Malefor si spostò
nuovamente, fermamente deciso a non interrompere la sua ramanzina
così che la
dragonessa si rivide costretta a riassumere la posizione supina di
partenza.
Avvertì nuovamente
l’altro
drago spostarsi e sedersi dietro il suo capo.
Poi sentì le sue cuffie
venire
afferrate e divaricate.
Infuriata, Pharnasius
riafferrò le due appendici olografiche solide per serrarle con
forza sui propri
canali uditivi; ma nel farlo si ritrovò le zampe di lui sotto le
proprie dita artigliate.
Colta alla sprovvista, la
guerriera aprì di colpo gli occhi solo per ritrovare il proprio
campo visivo
colmato dalla figura rovesciata di Malefor che faceva capolino da sopra
il suo
muso.
-
… non mi stai
ascoltando-
-
Non ascolto gli idioti-
-
Dannazione!
Perché non vuoi capire?!-
Un ringhio esasperato le
fuoriuscì dalle zanne serrate, mentre la dragonessa si alzava
così
improvvisamente che per poco non tranciò il muso
dell’inopportuno e insistente
interlocutore.
Ora Pharnasius era seduta
sui posteriori, le ali da farfalla serrate lungo il corpo come una
sorta di
mantello, mentre fissava l’altro con uno sguardo più duro
e freddo
dell’acciaio.
-Perché TU non vuoi
capire?!-
Malefor fece per rispondere,
ma lei fece scattare in avanti la zampa artigliata, serrandogli le
mascelle nel
palmo prima ancora che un singolo suono potesse essere pronunciato.
-Ascoltami molto bene ora…
tu non hai mai visto una reale distruzione, io sì … tu
hai vissuto in un mondo
pieno di vita mentre io sono cresciuta tra la sabbia e le rocce di un
pianeta
morto da tempo: semplicemente non sai cosa sia la vera distruzione e
non è quella
che la tua perversa mente idealizza con tanta facilità.-
-Ho intenzione di farti
toccare con mano quello che ho vissuto… so che puoi leggere
nella mente degli
altri e frugare nei loro ricordi… ebbene, se questo dovesse
essere l’unico modo
per mettere un po’ di sale nella tua zuccaccia vuota, sono
disposta a farti
vagare liberamente nella mia testa-
Malefor desistette, lo
sguardo stupito.
-Ebbene, cosa aspetti? Hai
paura della verità, forse?-
Il tono canzonatorio con cui
Pharnasius pronunciò le ultime parole, furono per il Mastro
delle Ombre come
una secchiata di acqua gelata.
Indignato per la
strafottenza della giovane, Malefor entrò nella sua testa con
feroce brutalità,
come un esercito che si riversi entro le porte divelte di una cittadina
assediata.
Un gemito sfuggì dalle
labbra di Pharnasius, ma lei resistette comunque a quella presenza
aliena che
voltava con foga le pagine dei suoi ricordi, prima con rabbia, come se
volesse
farle male per vendicarsi, poi man mano lo avvertì soffermarsi
sulle immagini
che scorrevano, ponderandole, meditandoci sopra con …. Sorpresa?
Delusione o
forse orrore.
Incuriosita da quelle
emozioni altrui, che poteva solamente avvertire come indistinti echi
lontani,
Pharnasius provò a concentrarsi su quella remota parte della sua
psiche fino a
quando non ricorse accidentalmente ad un’altra delle leggendarie
abilità che il
suo sangue di dragonessa viola racchiudeva.
Di punto in bianco, la
guerriera si ritrovò catapultata nella mente di lui.
Malefor non era altro che un
cucciolo, accerchiato da una folla innumerevole di draghi viola che gli
bisbigliavano all’orecchio senza sosta.
Assistette impotente
all’assurda scena nella quale quell’iniziale anima pura
veniva corrotta da
quella folla di vecchi sbavosi e decrepiti.
Vide il cucciolo crescere
sotto la tutela dei guardiani degli e elementi, ribellarsi, venire
scacciato,
rifugiarsi tra le vette più alte delle montagne per creare un
esercito di
scimmie e attaccare il Tempio.
Lacrime di orrore le
riempirono gli occhi, mentre decine di uova venivano infrante come se
fossero
palloncini colorati da far esplodere ad una festa di compleanno.
Sopraffatta dallo spettacolo
grottesco, Pharnasius indietreggiò di un passo e qualche cosa si
ruppe sotto le
sue zampe, producendo un secco schiocco che si propagò in ogni
dove come il
frastuono di una valanga.
Di colpo i vecchi draghi
smisero di sussurrare solo per rivolgere gli sguardi severi e
lattiginosi su di
lei.
Anche il cucciolo si era
accorto della sua presenza.
I suoi occhi grandi e
luminosi la catturarono, chiedendo tregua e aiuto, stanchi di tutte
quelle
pretese, di quella folla che lo racchiudeva come una prigione
inespugnabile.
-BASTA!-
Malefor tagliò di netto il
loro contatto mentale.
Ansimava pesantemente e
grosse gocce di sudore gli scorrevano sulla fronte.
Era sconvolto, Pharnasius
non dovette faticare molto per capirlo da come si era raggomitolato su
se
stesso, fissandola con occhi sbarrati.
Quel durissimo blocco di
granito con il quale si era confrontata fin da subito dopo il naufragio
si era
infine sgretolato, come la sabbia si un castello che si era asciugata
al sole.
Conscia di aver
disseppellito un segreto fin troppo intimo, Pharnasius si sentiva
troppo
imbarazzata per non limitarsi a tornare semplicemente ad ignorare
l’altro per
distendersi nuovamente sulla folta erba, annegando il proprio senso di
colpa
tra i lontani punti luminosi delle prime stelle della sera.
Quanto desiderava rifugiarsi
nelle profondità del cosmo in quel momento!
Malefor avrebbe voluto
fuggire via da quella creatura aliena e tremenda, bramava dolorosamente
di
mettere chilometri e chilometri di distanza tra lui e lei ma uno strano
terrore
gli bloccava le membra e la mente.
Aveva visto una terra
infuocata dove mastodontici mostri di metallo vagavano senza sosta,
aveva
camminato tra labirintiche gallerie, scavate nelle viscere della terra
per
infiniti chilometri e aveva osservato da vicino la gente di Pharnasius
mentre
dominava il mondo fisico con la sua strabiliante tecnologia…
l’unica cosa che
riuscisse minimamente a sopperire la mancanza di magia nel sangue dei
draghi di
quel mondo disgraziato.
Il Maestro delle Ombre ne
era rimasto disgustato: cos’era un drago privo dei propri poteri
arcani se no
una lucertola troppo cresciuta?
Poi lei si era furtivamente
intrufolata nella sua testa e gli aveva mostrato ciò che
effettivamente era
stato da sempre: una misera e meschina marionetta di legno!
Aprire gli occhi dopo una
intera vita di cecità era veramente straziante.
Ogni cosa attorno a lui si
era fatta di cartone colorato, come una fondale teatrale pronto ad
essere
ridotto in poltiglia alla prima pioggia.
L’unica cosa di reale era
solamente Pharnasius, che giaceva sulle striscioline di carta verde con
il nero
sguardo puntato verso un cielo scarabocchiato in blu.
Era immensamente bella, con
il forte corpo snello che disegnava fluide onde con le sue curve
definite.
Qualche cosa in lei lo
stregò e lui si guardò sgomento avvicinarsi a lei e
poggiare con timidezza le
labbra su quelle della dragonessa che mai avevano eruttato fiamme.
Due mani artigliate gli
afferrarono le spalle e in pochi secondi Malefor si ritrovò
sbattuto a terra,
con Pharnasius che incombeva su di lui, trafiggendolo con sguardo
minaccioso.
Malefor capì di aver
commesso un grave errore, irrigidendosi per prepararsi a difendersi da
un più
che sicuro attacco; ma Pharnasius si rivelò imprevedibile come
al solito.
-E quello lo chiameresti un
bacio?-
Non ebbe il tempo di dare un
senso a queste parole che Pharnasius lo baciò a sua volta con un
ardore che mai
avrebbe immaginato.
Lei aveva un buon sapore ed
il suo odore era a dir poco inebriante… Malefor si fece
trasportare da quelle
nuove sensazioni e non ci volle molto prima che corrispondesse la
dragonessa
aliena con altri famelici baci, cingendole il torace ed attirandola a
sé.
“Sei fregato,
ragazzo”
|
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Capitolo 11 *** la mente di Oscar ***
la mente di Oscar
La mente di Oscar
Incapace di pensare, ignaro
di essere stato ad un passo dalla distruzione, il pianeta aveva
continuato la
sua abituale rotazione, permettendo ai primi pallidi raggi del sole di
scacciare la notte e invadere la Valle di Avalar con un’alba
perlacea.
Il bagliore diede una forma
indistinta alle cose, trasformando erba ed alberi in gioielli
d’argento, dove
grosse gocce di diamante andavano man mano evaporando con
l’aumentare della
temperatura, divenendo nebbia, inghiottendo ogni cosa in
un’atmosfera irreale,
dove la luce si diffondeva in maniera amorfa o si condensava in lame
affilate.
La collina erbosa sembrava
un’isola che spuntasse nel bel mezzo di un mare tumultuoso, che
si contorceva
in spirali ed innalzava evanescenti pinnacoli di vapore.
Due draghi viola stavano
dormendo profondamente alla sommità della modesta altura,
accucciati l’uno
accanto all’altra e cingendosi a vicenda con le ali per tener
lontano il freddo
della notte.
Di colpo il respiro regolare
di Pharnasius ebbe un impercettibile sussulto, mentre le pozze nere dei
suoi
occhi iniziarono inquietamente a muoversi da sotto le palpebre chiuse.
La dragonessa si svegliò e
con sua immensa sorpresa e confusione si ritrovò distesa su un
morbido ed
elegante divanetto, foderato di broccato rosso, dove una leggera
fantasia di
rose si susseguiva tra le pieghe del tessuto.
Pharnasius fissò sgomenta i
lunghi guanti di lucida seta nera che le cingevano gli avambracci ed i
gioielli
che le adornavano in collo, gli arti e la coda.
Brillavano come oro colato
alla luce del caminetto, con la loro opulenza di linee che
appartenevano ad un’epoca
passata da secoli, come d’altronde era ogni cosa che adornava la
stanza che la
circondava, dal servizio da tè in porcellana dipinta
d’azzurro, alle tende e le
librerie colme di vecchi tomi.
Un profumo intenso di
ginepro, con una lieve punta di rosa, le invase le narici,
minacciandola di
stordirla, mentre un panico bruciante trafiggeva Pharnasius con ondate
alternate di gelo, che la fecero rabbrividire nonostante la cappa di
calore che
aleggiava nella stanza.
No…. Non poteva essere vero!
Era soltanto un sogno, un brutto, bruttissimo incubo dal quale si
sarebbe
potuta svegliare con un pizzicotto…
-Oh Pharnasius, Pharnasius….
Non posso credere che tu sia caduta così in basso…-
Quella voce modulata e
melodiosa sembrò rimbombare nel piccolo salotto, facendo
sobbalzare la
dragonessa viola, che girò di scatto il capo verso il vano della
porta, dove la
sagoma aggraziata di Oscar aveva fatto la sua comparsa.
-… amoreggiare con un
individuo
così gretto e rozzo… sinceramente credevo che i tuoi
gusti fossero assai più
raffinati…-
-TU!-
Colta da uno strano
miscuglio di paura, odio e rabbia esplosiva, Pharnasius snudò
gli affilati
artigli con l’intento di gettarsi a capofitto sul l’altro,
per cancellargli una
volta per tutte quel sorrisetto strafottente dal muso; ma appena
tentò di
alzarsi, dal divano fuoriuscirono nastri di broccato, che le cinsero
gli arti
ed il corpo, scaraventandola sulla morbida imbottitura e tenendola
lì,
completamente immobilizzata.
Lei tentò furiosamente di
divincolarsi, ma senza successo e non potette far altro che soffiare
verso il
Burattinaio che entrava nella stanza, mostrando il suo arsenale di
bianche
zanne come un misero riflesso di ciò che avrebbe voluto fare.
-Faresti meglio a calmarti,
mia cara… in questo luogo è la mia volontà che
controlla ogni cosa-
-No, no… non può
essere… è
solo un sogno!-
Oscar si avviò con passo
armonioso verso una poltroncina posta di fianco al divano dove lei era
distesa.
-Per certi versi sì, visto
che tutto questo sta avvenendo solamente all’interno della tua
testa; ma
considerando quanto le tue percezioni siano vivide, potremmo
tranquillamente
affermare che tutto ciò stia accadendo realmente…-
Con immensa calma, il drago
viola si accomodò nella poltrona, allungando le mani verso il
tavolinetto lì
vicino per versarsi una tazza di tè, ogni sua movenza era il
frutto di un
perfetto controllo sul proprio corpo, una sorta di perpetua coreografia
che
andava a completare l’insieme dell’ambiente, in una
continua ed ossessiva
ricerca edonistica.
-oh, che sgarbato…
gradiresti una tazza di tè!-
-No-
-Come vuoi…-
E qui prese un cubetto di
zucchero e lo tuffò nella propria tazza, mescolandone
oziosamente il contenuto
con un cucchiaio d’argento, dove erano state rappresentate
minuscole figure di
draghi e fiori.
-Tè nero al bergamotto:
è
considerato lo champagne dei tè…-
Si portò la porcellana alle
sottili labbra scagliose e ne bevve un sorso.
-… perché sto
sprecando il
nostro tempo con queste osservazioni oziose? Credo che tu preferisca di
gran
lunga una qualche spiegazione riguardante la tua presenza nella mia
dimora, non
è così?-
Pharnasius non rispose, limitandosi
solamente a fissare l’altro drago con
l’inespressività di una sfinge.
-Diciamo che sono riuscito a
collegare i nostri rispettivi neuroni, utilizzando il mio programma di
realtà
virtuale come piattaforma comune-
-Ma come diavolo è
possibile! Visto che nessun dannato ripetitore è collegato alla
mia testa!?-
Oscar la guardò con
perplessità, per poi scuotere il capo con disappunto, facendo
oscillare i fini
barbigli che si curvarono le volute che decoravano la tazza che teneva
sospesa
tra gli artigli.
-Ti ho già detto di
calmarti… la rabbia non ti servirà a nulla, mia cara,
tranne che a renderti
così spiacevolmente volgare-
Appoggiò la tazza sul
tavolinetto, facendola leggermente tintinnare sul piattino, per poi
concentrare
la sua attenzione sul rigoglioso vaso di fiori che stava creando
meravigliosi
giochi di riflessi pastello, catturando le pozze di luce che filtravano
dagli
ampi finestroni.
-Devi sapere che sto
semplicemente utilizzando come ripetitore il ragazzotto che ti dorme al
fianco..-
-Cosa?!-
-Sai che i draghi di questo
mondo sono capaci di fare cose incredibili, utilizzando i loro poteri
magici?-
-Sì, l’ho
scoperto… e devo
dire che è una questione che mi fa rizzare le scaglie…-
Oscar perse interesse per i
petali di asfodelo che stava accarezzando, solo per catturarle lo
sguardo nelle
profondità delle sue fredde iridi verdi.
-Quella che loro chiamano
magia non sono altro che comunissime onde elettromagnetiche, la stessa
energia
ed il medesimo principio che alimentano la nostra tecnologia…-
-La biologia del pianeta
dove ti trovi è estremamente affascinante: ogni essere vivente
emette onde
elettromagnetiche, ma quei draghi sono capaci di creare onde di
incredibile
potenza e la cosa più sorprendente sta nel fatto che loro siano
capaci di
controllarle, manipolandole a seconda dell’evenienza … ed
ecco qua la magia!
Null’altro che un mero fenomeno fisico-
-Ora sto semplicemente
sfruttando l’energia emanata da quell’orso viola per
stabilire un contatto tra
di noi-
Pharnasius avrebbe dovuto
rimanere stupita, ma quella rivelazione aveva cancellato ogni suo
ribrezzo nei
confronti delle abilità dei draghi di quel mondo alieno, ora che
finalmente
sapeva una spiegazione razionale si celava dietro tutte quelle
assurdità che le
erano accadute.
-Ma guarda che bel sereno
abbiamo oggi! Perché non scendiamo in giardino per fare quattro
chiacchiere?-
Agile ed aggraziato, il
Burattinaio si alzò dalla poltrona, flettendo leggermente le ali
ed invitando
l’altra a seguirlo con un lieve cenno del muso delicato.
Senza volerlo, Pharnasius
sentì con orrore il proprio corpo che si muoveva contro la sua
volontà,
imprigionato come una marionetta ai fili che l’altro drago viola
stava ora
tirando a suo piacimento, facendola alzare e camminare al suo fianco.
Come comandato dal galateo
della vecchia società borghese, Oscar le porse lo snodo delle
falangi dell’ala
affinché Pharnasius vi potesse appoggiare il proprio, e con
quell’atto di
galanteria, che vista la paradossale situazione era più una
crudele derisione
che un atto di cortesia, accompagnò la rivale al di fuori della
villetta stile
neogotico.
L’immenso giardino che
cingeva la residenza virtuale di Oscar, era semplicemente stupendo:
un’opera
d’arte.
La calda luce mattutina
danzava sulla folta erba curata dei vialetti, trasformandola in
smeraldo.
Rocce ricoperte di muschi
spuntavano dalle sponde di limpidi ruscelletti, armoniose statue di
draghi
fiabeschi stavano a guardia di scroscianti cascate e piccole grotte
artificiali, mentre ovunque danzava la dolce fragranza di migliaia di
fiori, dalle
varietà più esotiche.
Passeggiando tra l’ombra
delle latifoglie ed il caldo dorato del sole, rapita da tanta bellezza,
Pharnasius non riusciva a dare un senso a tutto quello che vedeva.
Stranamente, tutta quella
vegetazione somigliava in maniera inquietante ad…
-I paesaggi alieni del
pianeta dove ti sei schiantata-
Concluse per lei l’odiato
accompagnatore, concretizzando in parole i pensieri di lei.
- Ti stai domandando il
perché della somiglianza di questo luogo con l’altro
pianeta, vero?-
Pharnasius annuì.
-La spiegazione è semplice:
secoli fa il nostro pianeta era tale e quale a quello in cui sei ora
intrappolata-
La sconcertante notizia
raggelò la guerriera viola, tanto che avrebbe smesso
all’istante di camminare
se solo la volontà dell’altro drago non le imponesse dio
continuare la loro
oziosa passeggiata.
-So che sei estremamente
confusa, che ti stai domandando il perché io abbia ridotto il
nostro mondo in
una distesa desertica mentre il mio amore per le bellezze naturali
hanno creato
questo piccolo paradiso… oh, sediamoci pure qui…-
I due avevano raggiunto un
salice piangente, le cui lunghe fronde, simili ai capelli di una dama,
scendevano mollemente fino ad increspare la superficie di uno stagno
tappezzato
da ninfee.
Oscar scelse di sistemarsi
all’ombra del salice, laddove si poteva godere della deliziosa
vista della
pozza luccicante, prima di continuare il discorso con quel suo consueto
tono
garbato che tanto urtava i nervi già tesi di Pharnasius.
-Vorrei raccontarti una
storia, mia cara…-
Si lisciò con noncuranza
un’ala, prima di puntare gli occhi smeraldini in quelli di lei,
enfatizzando
l’importanza delle parole che da lì in poi si sarebbero
susseguite.
-… una storia veramente
lunga, che ha inizio centinaia di anni fa, quanto il nostro mondo era
come
questo giardino.-
-Sono nato in una famiglia
borghese benestante, che aveva fondato la sua fortuna tramite il
commercio…-
-…mio padre si
adoperò in
ogni maniera affinché io ricevessi un’educazione degna di
tale nome. Dalle
lettere classiche alla scienza, dalla filosofia all’educazione
artistica,
passai la mia fanciullezza studiando sotto la guida che migliori
mentori che si
potessero trovare.-
-Quanto finalmente divenni
un giovane adulto, iniziò per me il piacere della vita di
società: ricevimenti,
teatro, gite all’aperto, dove la gente trasformava il mondo in un
universo
idilliaco, cercando la perfezione e l’appagamento estetico dei
sensi in ogni
azione, parola, attimo… facendo della propria esistenza
un’opera d’arte!-
Il ricordo di quei tempi
lontani, rapirono Oscar, cancellando il giardino e Pharnasius mentre
rivedeva i
luoghi e le persone della sua giovinezza.
-Poi però mi accorsi che una
tremenda maledizione scorreva nelle mie vene:
l’immortalità-
-Gradualmente, vidi le
persone a me care invecchiare mentre io rimanevo immutato, come se
avessero
scolpito le mie fattezze nel marmo-
-Non ci volle molto prima
che gli altri draghi scoprissero l’innaturale perdurare della mia
giovinezza,
rimanendone spaventati…. Venni allontanato e perfino la mia
famiglia mi
rinnegò-
Oscar afflosciò le spalle,
fissando senza vederla l’erba.
Il dolore di lui era così
evidente che Pharnasius provò una punta di pietà nei suoi
confronti, ora che
quella sua costante malizia si era momentaneamente dileguata, come
rugiada al
sole.
-Divenni un reietto, l’ombra
di me stesso mentre il mondo cambiava, si trasformava ed io non ero
altro che
un patetico scarafaggio che ne elemosinava le briciole, sperando in una
morte
che mai arrivava, maledicendo la mia giovinezza eterna…-
-… poi fecero la loro
comparsa i primi congegni elettronici, con le loro inesplorate
potenzialità che
non tardarono a catturare il mio interesse…-
-Cercai, da autodidatta, di
studiarli e di capirne il meccanismo, sperimentando nuovi meccanismi
con quello
che riuscivo a raffazzonare… fortuna volle che un famoso
ingegnere elettronico
si smarrisse un bel giorno nei sobborghi della città dove
momentaneamente mi
trovavo, e che cercando una via d’uscita da quello squallido
susseguirsi di
baracche, mi notasse, intento com’ero a sperimentare…-
-… quel generoso drago
capì
il mio talento e divenne il mio mecenate: mi tolse dalla strada e
pagò i miei
studi fino a quando non entrai a far parte del suo team di ricerca,
distinguendomi ben presto dal resto dei ricercatori e superando in
bravura il
mio maestro… fui io ad inventare la tecnologia della
realtà virtuale e fin da
subito capii che avevo tra gli artigli gli strumenti giusti per riavere
indietro ciò che avevo perso…-
-… tra anni di incessante
lavoro, convegni, conferenze e lezioni tenute in tutto il mondo…
la mia
creazione andava man mano perfezionandosi fino a soppiantare
perfettamente la
realtà fisica…-
-.... creai questa villa e
questo meraviglioso giardino, dove sempre più spesso mi ritiravo
per riposare
l’anima e godere della perfezione assoluta che solamente qui
potevo trovare…
pian piano capii che non vi era alcuna differenza tra la vita reale e
quella
virtuale, tranne solo che un piccolo particolare: la vita virtuale
aveva il
pregio di poter essere modellata a piacimento, eliminando così
tutto ciò che
era spiacevole … cancellando per sempre il dolore!-
Pharnasius ascoltava la
storia di Oscar un’espressione sconcertata man mano che i
vaneggiamenti del
drago viola ne tinsero la voce di un pericoloso tono acuto, che lo
faceva
somigliare ad un fanatico religioso che proclamasse il proprio credo
nella
piazza del mercato.
-… Ho trovato la chiave
della Felicità! Ti rendi conto della portata della mia scoperta?
Perché
continuare a vivere in un mondo spietato quando sarebbe stato
semplicemente
possibile crearsi il proprio paradiso in terra?... Gli altri draghi,
stupidi
come non mai, ovviamente non capirono ed inorridirono alla mia
proposta, così
decisi che era giusto che l’intera nostra razza vivesse senza gli
affanni del mondo
e che, se gli altri non mi avessero seguito di loro spontanea
volontà, li avrei
semplicemente costretti… facendo del mondo fisico un luogo
infernale ed
invivibile…-
L’orrore stappò un
gemito
allarmato dalle fauci spalancate di Pharnasius.
-Tu cosa?!-
Boccheggiò la guerriera.
Era pazzo, folle,
completamente fuori di testa, ormai Pharnasius non ne aveva più
il minimo
dubbio al riguardo.
La disgrazia stava
semplicemente del fatto che una mente così distorta, martoriata
da una
innumerevole serie di traumi, celasse una genialità incredibile,
che gli aveva
permesso di realizzare quei suoi sogni perversi, nell’assurda e
pericolosa
convinzione di agire per il giusto, per il bene di tutta la sua razza.
Oscar la squadrò con occhi
tristi, prima che la collera gli fece snudare le zanne.
-Anche tu non capisci?!-
Le ruggì contro con
veemenza, abbandonando ogni suo contegno per svelare tutta
l’aggressività che
nascondeva in una parte remota del suo essere.
Poi, veloce come si era
scatenato, il suo uragano interiore si calmò.
Oscar si ricompose con
estrema dignità, lasciando vagare lo sguardo verso il lontano
orizzonte
celestino del parco.
-Non importa… vorrei
solamente averti sempre al mio fianco e condividere con te questo
tesoro… tutto
qui… non so perché, ma gradisco particolarmente la tua
compagnia-
Pharnasius imprecò tra
sé e
sé: ora sapeva perfettamente come si sentivano i polli in gabbia
che
attendevano di essere cucinati nello spiedo che girava nel forno.
Oscar si era nuovamente
girato a fissarla, con quelle sue sembianze meravigliose che
nascondevano le
tumefatte bruttezze della sua assoluta follia.
Un accenno di sorriso gli
modellò le labbra in una curva armoniosa mentre le si avvicinava
con
esasperante lentezza.
-Ci vedremo presto,
Pharnasius-
Il Burattinaio le prese con
delicatezza la zampa, e con un atto di antiquata galanteria si
portò il dorso
della sua mano alle labbra.
Con quel bacio, Oscar la
restituì alla realtà.
La dragonessa viola si
svegliò di soprassalto con un urlo che scaricò tutta la
tensione che aveva
accumulato; poi si guardò febbrilmente attorno, temendo di veder
spuntar fuori
dal nulla l’odiato nemico, ma non vide altro che foreste, prati e
la massa
violacea di Malefor al suo fianco.
Il Maestro delle ombre si
stava scrollando di dosso il torpore del sonno, guardandola con estrema
confusione.
-Pharnasius…
tutto bene?-
Lei riuscì a stento a
reprimere un attacco isterico, raggomitolandosi su se stessa e
nascondendosi il
muso tra le grinfie contratte, tremando come una foglia.
Ali e braccia premurose la
cinsero…. quell’atteggiamento le ricordò Loki.
-Ehi! Pharny, che ti
prende?-
-M-mi ha trovata!-
Riuscì soltanto a
farfugliare con voce rotta.
-Lui è qui! È qui!-
Il solo rievocare a parole
la dura realtà, le diedero la sensazione che il suolo si stesse
sgretolando da
sotto le sue zampe.
Temendo di precipitare nel
vuoto, Pharnasius si aggrappò a Malefor così come un
naufrago tenta di ancorarsi
allo scoglio per sottrarsi alle onde della tempesta.
Poteva avvertire il vigoroso
battito cardiaco rimbombare nell’ampio petto di lui e questo le
bastò ad
acquietare le acquee tumultuose della paura che aveva lasciato che
avesse la
meglio su di lei.
Cosa stava mai facendo?! Lei
era una guerriera, mica una cucciola piagnucolosa!
-Pharnasius! Pharnasius! è urgente! Ho rilevato una
massa gigantesca
che sta entrando nell’atmosfera del pianeta…-
L’evanescente
sagoma di Belta si era materializzata , tradendo un
piccolo sussulto di sorpresa alla vista dell’aspetto scosso e
sconvolto della
sua padrona.
-Maledetto figlio di
puttana! Così quel damerino vorrebbe rovinare
anche questo mondo… no, non glielo permetterò… -
Pharnasius
pronunciò le sue parole con una tale ferocia
sanguinaria che perfino Malefor ne rimase sconcertato.
-Belta, fammi da
guida-
Lei si
divincolò con gentilezza dal suo abbraccio, spiccando
immediatamente un balzo che la portò a librarsi nel cielo e
lasciando il
confuso Maestro delle Ombre a cercare di dare un senso a quel che stava
accadendo… senza però avere
successo.
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