GOLD

di Francine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** MERIGGIO ***
Capitolo 4: *** CARPE DIEM ***
Capitolo 5: *** PIOGGIA ***
Capitolo 6: *** PANICO ***
Capitolo 7: *** PENSIERI ***
Capitolo 8: *** SOGNO ***
Capitolo 9: *** EROE ***
Capitolo 10: *** NOTTURNO ***
Capitolo 11: *** Partenza ***



Capitolo 1
*** PREFAZIONE ***


PREFAZIONE

PREFAZIONE

Aggiornamento del 09.09.2013:
Anche questo racconto subirà un pauroso restyling, appena avrò finito con la storia precedente. Non si tratta solo di uno stile che non è più mio, ma del fatto che ho maltrattato e bistrattato questo racconto senza pietà. Mancava un capitolo, v'ho detto tutto.
Lascio comunque online questa versione, un po' per affetto, un po' perché vi sia di compagnia mentre le rifaccio il trucco.
Se vi va di leggere, siete i benvenuti.
Se vi va di commentare, pomodori a destra e carote a sinistra, grazie.
Se vorrete leggere e commentare entrambe le versioni, il minimo che io possa fare è offrirvi un caffè.


Mi è stato più volte fatto notare come vi siano ancora persone che non conoscano i nomi originali dei protagonisti di Saint Seiya.

Durante la stesura della mia precedente storia non mi ero posta questo problema, continuando ad usare i nomi giapponesi dei Santi di Athena. Capisco che questo possa costituire un ostacolo alla comprensione immediata del testo che si sta leggendo: si può cogliere appieno le descrizione dei fatti, ma se non si sa chi sta materialmente pronunciando questa o quella battuta è difficile capire la storia!

Per questo ho deciso di inserire alcuni piccoli cenni all’inizio di quest’altra storia, mentre nella prima fanfiction relegavo questo spazio alle ultime pagine.

La mia storia segue di pari passo il manga: qui, diversamente da quanto omesso nella serie tv, i nostri protagonisti sono fratelli da parte di padre, che altri non è che Mitsumasa Kido, il vecchio duca Alman di Thule.

Andromeda e Phoenix sono fratelli anche per parte di madre.

Non è contemplata l’avventura nelle terre del Nord presso la corte di Hilda di Polaris, e la narrazione si colloca tra la sconfitta di Poseidone e l’avvento di Ade, che ho posticipato di molti, molti anni: probabilmente racconterò della lotta contro il Re della Morte quando avrò esaurito la mia vena creativa( cosa che voi sperate avvenga mooooolto presto, vero? ^^’).

Il Maestro dei Ghiacci ( Crystal Saint) non esiste: qui Crystal/ Hyoga è allievo diretto di Aquarius.

Della serie televisiva cercherò di mantenere il registro lessicale, che, detto tra noi, consentiva alla sottoscritta di prendere bei voti nei temi…

Qualsiasi dubbio, perplessità e cos’altro abbiate non esitate a comunicarvelo: tenterò di dissiparlo come meglio potrò.

WHO IS WHO?

Seiya di Pegasus = Pegasus;

Shiryu di Dragon = Sirio il Dragone;

Hyoga di Cignus = Crystal il Cigno;

Shun di Andromeda = Andromeda;

Ikki di Phoenix = Phoenix;

Saori Kido = Lady Isabel di Thule;

Mitsumasa Kido = Alman, duca di Thule;

Jabu di Unicorn = Asher l’Unicorno;

Ichi dell’Idra = Haspides;

Nachi di Wolf = Black il Lupo;

Geki Dell’Orsa = Gerki dell’Orsa maggiore;

Ban di Lionet = Leone Minore ( se c’è qualcuno che sia riuscito a cogliere il suo nome è vivamente pregato di comunicarmelo! Grazie);

Shaina di Ophiucus = Tisifone;

Marin di Eagle = Castalia dell’Aquila;

Misty della Lucertola = Eris;

Asterion del Segugio = Asterione;

Moses della balena = Moses;

Babel del Centauro = Babel;

Jamian del Corvo = Damian;

Dante di cerbero = Vesta;

Capella dell’Auriga = Agape;

Argor di Perseo = Argor;

Tramy della Freccia = Betelgeuse;

Mu dell’Ariete = Mur;

Aldebaran del Toro = Toro;

Saga di Gemini = Gemini;

Kanon di Gemini = Kanon;

Death Mask di Cancer = Cancer;

Ioria del Leone = Ioria;

Shaka di Virgo = Virgo;

Douko = Maestro dei cinque picchi;

Milo di Scorpio = Scorpio;

Aioros di Sagittarius = Micene;

Shura di Capricornus = Capricorn;

Camus di Aquarius = Acquarius;

Aphrodite di Pisces = Fish;

Miho = Lamia;

Shun Rei = Fiore di Luna;

Seika = Patricia;

June = Nemes;

Julian Solo = Julian Kedibes;

Takumaru Tatsumi = Mylock;

SAINT SEIYA, © Masami Kurumada/ Shueisha/ Toei, 1986;

Tutti i personaggi della serie, compresi quelli non citati nell’elenco di cui sopra, NON sono qui utilizzati a scopo di lucro.

Gli altri personaggi sono frutto della mia mente malata…

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Capitolo 2
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Thank you for coming home.
I'm sorry that the chairs are all worn.
I left them here I could have sworn.
These are my salad days slowlyy being eaten away.
Just another play for today.
Oh but I'm proud of you but I'm proud of you.
Nothing left to make me feel small.

Luck has left me standing so tall, all.
(Gold, Spandau Ballet, 1983)


 
L’intero spettro solare era riprodotto sulla rugiada che riluceva sui petali delle splendide rose rosse, che, legate in uno sfarzoso mazzo, erano protese davanti a lei. Il profumo inebriante e delicato dei fiori si propagava per quella stradina stretta, giungendo alle sue narici.
Come resistere?
Vide il mazzo oscillare nervosamente tra le mani del ragazzo dalla giacca blu che l’aveva fermata non appena aveva staccato dal lavoro. Gli sfiatatoi dell’impianto di areazione vomitavano all’esterno un caldo ancor più asfissiante di quello naturale. Il sole, arancia rossa nel cielo vespertino, si accingeva a terminare la sua corsa odierna gettandosi nel mare.
La ragazza guardava quello spaurito giovanotto brandire quel mazzo di rose neanche fosse un oggetto rovente; rimaneva silenziosa ad attendere ciò che doveva dirle, ma lui, tuttavia, non trovava neppure la forza per guardarla dritto negli occhi: era quantomeno impensabile che riuscisse a riferirle il suo messaggio. Qualunque esso fosse.
Povere rose, pensò lei fissando quei fiori che, nel loro mutismo, le lanciavano un accorato appello.
Salvaci dalla morsa di questo pazzo!, parevano sussurrarle le rose, strizzate come camicie da stendere ad asciugare. La carta crespa, di un tenue verde prato, aveva finito col tingere le mani del ragazzo. Sembrava che si fosse rotolato nei prati fino a pochi istanti prima.
Dopo cinque minuti di assoluto silenzio, eccezion fatta per i rumori della strada principale che giungevano attutiti, la ragazza si decise a prendere l’iniziativa.
«Posso aiutarti?», chiese con dolcezza a quel ragazzo con gli occhiali. Il quale per poco non ebbe un infarto sentendo la sua voce.
«Ecco...io...io…», balbettò timidamente, non riuscendo a smettere di strizzare ancor di più i fiori.
«Così distruggerai quelle belle rose…», suggerì lei indicando il mazzo di fiori.
«Eh?», fece il ragazzo come se stesse cadendo dalle nuvole. «Ah! Le rose! Ehm, queste... sono per te!», trovò infine il coraggio di dirle avvicinando con mal garbo il mazzo al suo viso.
Per me? «Ti ringrazio…» Lo sguardo di lei scese ad esaminare quei petali stupendi, dal delicato color arancio e dall’inebriante profumo. «Grazie ancora, ma non capisco…», fece lei osservando quel giovane che tremava ancora come una foglia. Devo avere un aspetto orribile, se questo poveretto trema così!, pensò inarcando un sopracciglio.
«I-io… io vo-volevo d-dirti che…», iniziò a dire il ragazzo facendo appello a tutto il proprio coraggio. «Io…beh, sì, ecco…»
«Tu, cosa?!», domandò lei quando l’altro ricadde in un insondabile mutismo: quella situazione stava iniziando a darle sui nervi!
D’un tratto lo riconobbe.
«Ah! Tu! Vieni ogni pomeriggio! Vaniglia e cacao, giusto?», disse schioccando le dita.
Lo sguardo del ragazzo si aprì, illuminandosi di colpo. «Tu... ti ricordi di me?», chiese lui al massimo della gioia mentre avanzava verso di lei.
«Beh, sei uno dei nostri migliori clienti», si giustificò, arretrando di poco. Forse facevo meglio a stare zitta!, pensò ponendo il mazzo di rose fra lei e il suo strano ammiratore.
«Allora...posso sperare?», le chiese con un ampio sorriso radioso.
«Sperare? Sperare che?», lo rimbeccò fissandolo bieco. «Devi dirmi qualcosa?» Lui annuì. «Bene. Qualunque cosa sia ti prego di far presto, perché vado di fretta!»
«Io…», riprese a balbettare abbassando di nuovo la testa, mentre lei pregava che non ricominciasse da capo, « IO SONO INNAMORATO DI TE!», gridò lui dopo aver inspirato aria sufficiente per percorrere in apnea una vasca olimpionica.
«Mi dispiace…», disse lei, «ma purtroppo non posso ricambiare i tuoi sentimenti. Mi spiace sul serio», concluse allontanandosi verso un vicolo.
«Pe... perché? Non ti piaccio, forse? O c’è già qualcuno nel tuo cuore?», chiese lui tentando di raggiungerla: voleva trattenerla a tutti i costi! Ora che aveva trovato il coraggio per dichiararsi dopo mesi passati ad ingozzarsi di gelato, non poteva lasciarsela scappare così!
Lei si fermò. Il ragazzo attese una risposta alla domanda che le aveva posto, pregando di avere anche una sola speranza.
«A me non è concesso amare!», rispose lei, gelida come il ghiaccio, volgendo la testa verso il suo interlocutore. Quindi svoltò per il vicolo sparendo alla vista del suo corteggiatore.
Il ragazzo impiegò alcuni istanti per riprendersi dalla scioccante risposta, quindi con un coraggio che neppure lui si aspettava di possedere, le corse dietro. Quando superò l’angolo si trovo in un vicolo cieco.
Della ragazza non c’era alcuna traccia.
 
Cavoli, quella battuta mi è uscita molto più cattiva di quanto avessi preventivato!, pensava mentre percorreva la strada che l’avrebbe ricondotta a casa. Una battuta degna di un Harmony di terza categoria. O della cattiva di una telenovela, una di quelle zitelle acide che hanno il solo scopo di creare odii e tensioni tra i due giovani innamorati. 
Il mazzo di rose che teneva tra le mani ondeggiava al vento leggero che spirava dal mare e che giocava con i suoi capelli, mentre le ombre della sera si andavano inesorabilmente allungando, segno che presto sarebbe giunto l’inverno e che le lunghe e belle giornate estive volgevano ormai al declino. Da una finestra aperta le arrivavano le note di una canzone che amava molto, una canzone che lei e Andrea ascoltavano la sera, con la radiolina scalcagnata che aveva regalato loro Tonio, affacciate alla finestra a guardare il mare scuro, una granita tra le mani e i lividi giornalieri che decoravano braccia e gambe come le medaglie di un bravo soldato.

'cause you are gold
always believe in your soul
you've got the power to know
you're indestructible
always believe in, 'cause you are gold
I'm glad that you're bound to return
there's something I could have learned

you're indestructable,always believe in…

Che malinconia, pensò calciando una lattina che incontrò sulla sua strada: non era un’azione propriamente femminile, ma tanto chi l’avrebbe ripresa?
Sua madre non c’era più, suo padre non l’aveva mai conosciuto, e suo fratello…
Suo fratello…
S’accorse solo allora di star piangendo copiosamente.
Perfetto! Adesso piango pure senza accorgemene, pensò asciugandosi in fretta le lacrime e ricacciando indietro le altre. Guardo troppe telenovele, questa è la verità. 
Passò davanti ad un negozio di musica: aveva la saracinesca abbassata, ma le vetrine più piccole erano state lasciate in vista, illuminate da un neon rosa fluo. Il ritratto del giovane uomo che vide nella vetrina di destra le face sobbalzare il cuore in gola.
«Non è possibile!», quasi gridò mentre si avvicinava al vetro per guardare meglio.
Era proprio lui! Ma da quando si era messo a fare il cantante rock? Com’era possibile che?
Appoggiò una mano sul vetro freddo ed impolverato e fissò dritto il volto di quel ragazzo che le risultava così familiare.
«Lo sapevo! Mi stavo sbagliando!», disse sospirando dopo aver letto la didascalia che accompagnava quel poster.
Joey Tempest, pensò sorridendo e regalandosi un sospiro. Vi somigliate molto, sai, Joey?, disse fra sé e sé seguendo il profilo del cantante con un dito. Guardò poi il polpastrello: era coperto da un velo di polvere nera.
Seccata per essersi sporcata come una sciocca, estrasse un fazzolettino dalla tasca dei suoi pantaloncini rosa e si pulì alla bell’e meglio.
Tornò poi a fissare l’immagine al di là del vetro.
Chissà come sta?, si chiese con una punta d’ansia ,ricacciando il fazzoletto in tasca. Anche se avesse voluto saperlo, non credeva assolutamente che avrebbe potuto scoprirlo.

Non posso certo fargli una telefonata come se niente fosse! Dopo tutti i guai che gli ho procurato, come minimo mi sbatte il telefono in faccia! Come minimo!

Rassegnata, si staccò da quella vetrina e riprese la strada verso casa.
E in tutto questo, a lei cosa interessava come stava lui? Come stavano tutti loro?
Guardò l’orologio: le nove meno un quarto.
È tardi! Se mi sbrigo faccio ancora in tempo!, pensò prima di iniziare a correre la ripida strada che saliva verso casa.
 

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Capitolo 3
*** MERIGGIO ***


Meriggio
 
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi,
schiocchi di merli, frusci di serpi.
( Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, 1916)


 


Il fresco profumo della macchia mediterranea filtrava attraverso le imposte lasciate aperte a cercare un po’ di refrigerio alla calura estiva.
Seduto su di una sedia in vimini, un giovane uomo riposava nella penombra della sua casa, le gambe accavallate, mentre il suo ospite osservava compiaciuto il panorama. Oltre la finestra, dalle persiane di un azzurro intenso, s’apriva un tratto di mar Egeo illuminato dai caldi raggi solari: il riverbero del sole creava una scia di luce bianca che si andava posando sulle increspature dell’acqua. I gabbiani volavano alti nel cielo, a caccia di pesce fresco con cui nutrirsi, sparendo a volte nell’abbraccio con le nuvole.
L’ospite assaporava con lo sguardo quel paradiso incontaminato: non un turista, non un bagnante, non un pescatore. Quella caletta, protetta da un’erta muraglia di rocce di arenaria, era, a buon diritto, considerata una tana, un rifugio cui riparare nei momenti di riflessione.
Si voltò a guardare il suo ospite. Su che cosa senti il bisogno di riflettere, amico mio?
Posò le mani sul davanzale in pietra: sebbene si trovasse all’ombra, era ancora caldo per la luce del ricevuta durante la mattinata.
«Fa veramente fresco, qui», disse rompendo quell’imbarazzante silenzio. Il suo amico gli rispose accennando un movimento con il capo, senza aggiungere una sola sillaba. Una leggera brezza spirò dal mare e andò ad accarezzare la schiena del ragazzo dai capelli castani, donandogli ulteriore refrigerio all’afa di quel giorno. «Ad Atene, l’unico luogo in cui si può godere un po’ di fresco è l’interno dei templi», riprese a parlare gustando quell’aria fresca lambirgli la schiena.
«Il vino che hai portato dovrebbe essersi ormai rinfrescato a sufficienza. Vado a prenderlo», disse l’altro, alzandosi dalla sedia su cui si trovava come se scottasse più del fuoco. Scostò una tenda di perline turchesi, che tintinnò al suo passaggio, e sparì dietro di essa.
Lo sentì armeggiare in cucina alla disperata ricerca di qualcosa: dal rumore che faceva, appariva chiara la confusione in cui viveva. Anche la stanza in cui si trovava ora assomigliava più ad un campo di battaglia, che ad un tinello.
I suoi vestiti, sparsi per il pavimento, erano stati riposti alla bell’e meglio dentro uno armadio, che minacciava di esplodere da un minuto all’altro.
Sul tavolo di ferro battuto bianco erano impilate disordinatamente due file di riviste di vario genere, da cui facevano capolino alcune lettere e varia corrispondenza.
Il letto, posto in fondo alla stanza, sembrava non dovesse esser stato usato da parecchi giorni: se non aveva dormito lì, allora dove mai l’aveva fatto?
Scrollò la testa, ricordandosi che la vita privata del suo amico non era certo un suo problema; tuttavia, non poté trattenersi dal provare apprensione per lo stato d’apatia in cui era caduto.
Sapeva che Milo non conosceva vie di mezzo, ma amava gli eccessi: poteva star sveglio per giorni e poi piombare in un vero e proprio letargo; bere fino ad ubriacarsi e non toccare alcolici per mesi; fumare come un turco un giorno per poi fare filippiche contro le sigarette il giorno successivo.
Amava la sregolatezza, ed era quello un modo per perdere se stesso, ma anche per ritrovarsi. Allontanava il dolore in questo modo, Milo di Scorpio, Gold Saint dell’Ottava Casa.
«Ho trovato due bicchieri spaiati», disse ricomparendo da dietro la tendina di perline. «Non ti formalizzi, vero?»
«Figurati…», rispose scrollando il capo.
Milo lasciò cadere il velo di perline che teneva con la mano destra e tornò in cucina. Armeggiò ancora per qualche minuto per poi tornare nell’altra stanza con una bottiglia scura in mano e due bicchieri, uno in vetro blu, l’altro di terracotta, su un vassoio.
«Scusami, ma non sono abituato a ricevere visite», si giustificò posando il vassoio sul tavolo ed aprendo la bottiglia.
«Non ti preoccupare, siamo tra amici!», rispose l’altro osservando la sua immagine attraverso il vino bianco che Milo versava nei bicchieri.
«Allora, a cosa brindiamo?»
«Decidi tu.»
«Bene, visto che la mia fantasia è prossima allo zero, brindiamo a noi! Alla salute!», rispose con allegria forzata Milo, alzando in aria il suo bicchiere, imitato dall’amico.
Il vino fresco scendeva in gola delicatamente, regalando un delizioso aroma fruttato al palato riarso dal caldo.
«Ci voleva proprio…», commentò Milo asciugandosi le labbra con la lingua.
«Sono contento che ti piaccia»,  rispose l’altro restando presso la nicchia della finestra.
Milo si riaccomodò nella sedia di vimini, allungò le gambe e le accavallò. Dopo pochi minuti di silenzio, alzò tranquillamente il capo e si decise a rivolgersi al suo ospite. «E adesso che abbiamo esaurito i convenevoli, mi dici cosa sei venuto a fare qui, Aiolia?»
Questi chinò il capo e rispose: «Una visita di cortesia, tutto qui.».
«Chi credi di prendere per i fondelli, eh?», gli chiese Milo con una punta di nervosismo nella voce. «Abbi rispetto della mia intelligenza almeno, visto che non ne hai per la mia privacy!»
Aiolia posò il bicchiere sul tavolo e si mise dritto davanti a Milo; quest’ultimo alzò lo sguardo in direzione del suo compagno, fissandolo intensamente nelle iridi color smeraldo.
«Sono preoccupato per te», esordì il Leone con tono neutro.
«Sto benissimo, come vedi…», rispose seccato Milo, considerando quella dichiarazione come un tentativo di interferire nella sua vita privata, vita di cui era gelosissimo.
«Adesso abbi tu rispetto per la mia intelligenza!», replicò Aiolia incrociando le braccia sul petto.
I due amici si fissarono a lungo, mentre i rumori del mare e lo sciabordio delle onde riempivano il loro silenzio.
«È quasi un anno che sei sparito!»
«Sette mesi», puntualizzò Milo, ma Aiolia l’ignorò.
«Non ho intenzione di dirti come gestire la tua vita, per me puoi anche ammazzarti con l’alcool, il fumo e tutte le cose pericolose in cui ti piace cimentarti. Solo, se hai un problema…»
«IO NON HO NESSUN PROBLEMA!!», scattò Milo inviperito, fermandosi a pochi millimetri dal viso di Aiolia.
«Non si direbbe...», rimbeccò quest’ultimo tranquillamente.
«Eppure è così, fidati!», rispose Milo ritraendosi di un passo.
«Sarà… Ma mi dà da pensare il fatto che tu sia sparito dopo la battaglia contro Loki»,  continuò imperterrito il Leone: sapeva che avrebbe rischiato una bella scazzottata con Milo, ma almeno l’amico si sarebbe sfogato, e forse aperto, dopo un sano e virile scambio di opinioni. O almeno così sperava. Non ne poteva più di vederlo così apatico! Era suo diritto sentirsi giù dopo i fatti trascorsi appena un anno prima; ma era anche suo dovere parlarne con gli amici! «Sicuro vada tutto bene?»
«Tu credi che io sia ancora scosso da quel che è successo? Mi reputi troppo sentimentale, Aiolia! Io sono l’Assassino del Grande Tempio; come posso provare questo genere di sentimenti da donnette?», replicò Milo con un sorriso beffardo che fece saltare la mosca al naso di Aiolia.
«Con le tue parole stai affermando l’esatto contrario, Milo», disse il Leone afferrando l’amico per il bavero della camicia e portandoselo a pochi centimetri dal viso. «So bene quanto tu fossi legato a Camus e quanto tu ti sia sentito responsabile per la sua morte! E so bene cosa deve esser stato sentire queste stesse accuse da sua sorella minore!»
«Smettila di dire idiozie!», l’avvisò Milo, espandendo il suo cosmo ed estraendo il fatale artiglio.
«Puoi anche ammazzarmi», replicò Aiolia espandendo il proprio potere, «ma questo non cambierà la sostanza dei fatti! Smettila di addossarti colpe che non sono tue!»
Milo diede una strattonata sottraendosi alla presa di Aiolia: un lembo della sua camicia bianca rimase tra le dita del Saint del Leone.
«Proprio tu», replicò Milo puntando il pericoloso aculeo contro il compagno, «proprio tu mi parli di addossarsi colpe non proprie? Tu, che per tredici anni hai espiato le colpe di tuo fratello?!»
Aiolia rimase basito alle parole dell’amico; involontariamente allentò le stretta ed il lembo di camicia cadde delicatamente ai suoi piedi. «Colpito. Colpito e affondato», rispose portandosi una mano alle tempie e voltandosi verso la finestra.
«Mi dispiace, non volevo essere così acido!», si scusò Milo avvicinandosi all’amico. «Ma hai toccato un nervo scoperto.»
«Me ne vuoi parlare?», chiese Aiolia guardando gli occhi di Milo, occhi dello stesso colore del mare che si estendeva oltre la finestra.
«Perché no?», rispose questi scrollando le spalle. «Andiamo fuori, qui mi sentirei oppresso.»
«Peccato… fa così fresco qui a casa tua!», commentò Aiolia, poco entusiasta all’idea di uscire. Non starai prendendo tempo, vero?
«Vedi, gli scorpioni cercano delle tane fresche ed umide per sopravvivere nel deserto», rispose Milo scherzando.
«E pensare che Seiya crede che sono i dodici templi, le nostre case», commentò Aiolia dando un ulteriore sguardo al mare.
«Che cosa?!», chiese Milo strabuzzando gli occhi. «Stava scherzando, vero?»
«No. Era serissimo.»
 
 I filari degli alberi d’ulivo si stagliavano nel cielo del mezzogiorno greco, creando un gioco cromatico fresco e rilassante: il verde delle foglie spiccava, armonizzandosi, con l’intenso azzurro del cielo e il bianco assoluto delle nuvole.
L’uomo non è ancora arrivato a corrompere questo posto!, pensò con una punta di sollievo Aiolia mentre seguiva il suo amico lungo il sentiero che si snodava tra i filari ed un paesaggio di rocce grigio chiaro.
Milo aveva smesso la camicia che aveva poco prima, optando per una T-shirt bianca con le maniche sfrangiate ad arte: la maglia attillata metteva in risalto il fisico scultoreo del ragazzo ed i suoi lunghi capelli erano mossi dalla leggera brezza marina.
«Non senti caldo con tutti quei capelli?», chiese Aiolia asciugandosi il sudore con il dorso della mano destra. «Io sudo solo a vederti…»
Milo abbozzò un mezzo sorriso. «Ci sono abituato. E poi, quando ho caldo, mi basta legarli.»
Proseguirono per altri cento, duecento metri forse, alla ricerca di un posto dove poter parlare in santa pace. Non che fosse necessario far molta strada per trovare un posto del genere, ma evidentemente Milo aveva un luogo specifico in mente, ed Aiolia lo lasciò fare.
Si fermarono su un dirupo a picco sul mare: lo spettacolo che si godeva da lì era incommensurabile. Il mare in basso, i filari di alberi sulla destra e a sinistra una chiazza di color giallo sole testimoniava la presenza di un campo di limoni.
«Meraviglioso!», commentò Aiolia a quella vista.
Milo si sedette all’ombra di un olivo, su di un tronco caduto imitato poco dopo dal compagno.
«Ne è valsa la pena, vero?», chiese Milo con gli occhi chiusi, come ad assaporare i profumi della natura che arricchivano in quel luogo.
«Già», annuì Aiolia accompagnando il suo discorso con un cenno del capo.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Aiolia sapeva che Milo stava cercando e soppesando le parole che avrebbe usato con lui; non lo faceva per diplomazia, tutt’altro: lo smisurato orgoglio del Saint dell’Ottava Casa gli impediva di palesare agli altri le proprie debolezze. Era come se Milo avesse resa nota una sua fragilità, e questo, da guerriero orgoglioso qual era, non poteva assolutamente permetterlo.
Aiolia gli concesse tutto il tempo che a Milo parve opportuno prendersi per preparare il suo discorso.
«Che dire?», proruppe lo Scorpione rompendo il silenzio.
«A parole tue, amico mio», gli rispose Aiolia, attaccando le parole le une alle altre per scimmiottare lo spiccato accento delle Cicladi del compagno.
«Il tuo accento cicladico fa schifo, Aiolia, lascia che te lo dica!», commentò disgustato Milo.
Quindi si schiarì la voce e riprese a parlare. «Sai bene che rapporto di profonda amicizia legava me e Camus, e saprai senz’altro come mi sono sentito apprendendo che la sua morte era stata provocata da Hyoga. Hyoga… quello stesso ragazzino che avevo deciso di risparmiare dopo il combattimento nell’Ottava Casa.»
Aiolia ascoltò il racconto dell’amico annuendo e fissando un formicaio ai suoi piedi: Milo guardava fisso dinanzi a sé, segno inequivocabile che non gradiva altro contatto se non quello uditivo.
«Mi sono sentito responsabile e mille volte ho accusato me stesso per la sua morte. È vero che se avessi fermato Hyoga, probabilmente Athena sarebbe morta ai piedi della scalinata che conduce alla Prima Casa e a quest’ora Saga dominerebbe su questo mondo imponendo la sua legge», riprese a dire Milo tutto d’un fiato. Era in sincero imbarazzo, Aiolia lo capiva bene. Il grande Saint d’Oro, l’assassino, il sicario crudele che tutti temevano stava dimostrando di possedere un cuore e dei sentimenti!
«Forse la morte di Camus era da inserirsi in un progetto divino superiore alla nostra comprensione», continuò lo Scorpione, «un disegno che s’inserisce nelle linee imperscrutabili del Fato… Non lo so. Non lo so davvero. So solo che avevo in parte superato il mio senso di colpa quando ho incontrato Françoise. E la giostra è ricominciata daccapo.»
Il ragazzo prese a torcersi le mani dalla rabbia; Aiolia se n’avvide, ma non lo fermò, rispettando i suoi sentimenti.
Milo che si preoccupa per qualcuno! Fa un certo effetto a vedersi!, pensò con una punta di cinismo.
«Quindi… è come sospettavo. L’incontro con Françoise e le accuse che ti ha rivolto hanno causato quest’apatia», concluse Aiolia.
«No, non è solo apatia!», rispose Milo scattando in piedi ed allontanandosi di qualche passo, le mani sprofondate nelle tasche. «È frustrazione!»
Milo tirò fuori dalla tasca la mano destra e scagliò il suo pugno contro il tronco dell’olivo. «Non sono stato in grado di proteggere la persona più importante per Camus!», confessò chinando il capo.
«Non è stata colpa tua», rispose Aiolia alzandosi in piedi e vincendo il desiderio di avvicinarsi all’amico. Milo lo fulminò con lo sguardo, ma l’ignorò. «Françoise ha sbagliato! Ha ordito un piano solo per vendicarsi di te e di Hyoga, senza conoscere appieno quanto dolore vi fosse dietro tutta questa storia.»
«Resta il fatto che non ho saputo difendere la sorella del mio migliore amico! O quanto meno aiutarla», tuonò Milo. «Per quanto… a dirla tutta, nemmeno sapevo che sua maestà avesse una sorella!»
Aiolia si rimise a sedere sul tronco: chiuse gli occhi, come a voler cercare anch’egli le parole adatte per iniziare un discorso.
«Il fatto che Camus abbia tenuto nascosta anche a te l’esistenza di sua sorella con ogni probabilità è  indice di un ordine che aveva ricevuto. Camus era un maestro, giusto? Quindi doveva sottostare a delle regole. Pur se a malincuore, sorella o non sorella. Amico o non amico», iniziò a dire Aiolia.
«Sono tutte belle parole, ma sempre con un pugno di mosche resto.»
Milo si voltò verso di lui: i suoi occhi tristi commossero il Gold Saint della Quinta Casa, che proseguì il suo discorso.
«Françoise ha capito il suo sbaglio, sacrificandosi contro Loki. Ma non è detto che sia morta», riprese alzando il capo verso Milo.
Questi spalancò gli occhi: Aiolia era impazzito per fare discorsi del genere! Lui, di solito così pragmatico perdersi in elucubrazioni senza alcun fondamento! Françoise e Nadja erano sparite assieme al corpo di Loki, sotto i loro stessi occhi! Come diamine poteva pensare che fosse ancora viva?
«So cosa stai pensando, vecchio mio», riprese Aiolia, «ma non sono impazzito, né ho preso un colpo di sole! E’ un’ipotesi fatta da Athena in persona!»
«Che …cosa… stai…?»
Milo non riuscì a formulare una frase di senso compiuto dopo aver udito quella rivelazione: forse Françoise era ancora viva? Possibile? «Anche se fosse, Aiolia, credo che nutra solo odio e risentimento per me!», commentò voltandosi verso il mare.
Paura, eh? «Non hai detto poco fa che avresti voluto far qualcosa per la sorella di Camus?», chiese Aiolia spiando l’amico da sotto le ciglia scure. Gli aveva preparato una trappola in cui lo stesso Milo era andato a cacciarsi. Bastava solo dargli un piccolo, leggero incentivo. O una spinta. E lui era più che disposto a farlo cadere in trappola. Per un amico, questo e altro. Perché sì, Aiolia gli stava affibbiando una gatta da pelare grossa come una casa, che probabilmente gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi e sputare sangue, ma Milo aveva bisogno di muoversi, di scuotersi dallo stato abulico in cui era caduto. E con che cuore Aiolia avrebbe potuto definirsi suo amico se non l’avesse aiutato?
«Cosa c’entra questo?», rispose inviperito Milo voltandosi verso l’amico.
«Se realmente vuoi fare qualcosa per lei, preoccupati di trovarla, prima di pensare alle sue reazioni! Potrebbe essere in pericolo!»
«Cosa?», chiese Milo avvicinandosi di gran carriera verso Aiolia. «Sono stanco di questi giochetti. Sputa il rospo.»
«Vengo a portarti ordini da parte di Athena!», disse il Leone alzandosi dal tronco d’albero. L’espresione del suo viso si fece di colpo matura, seria. Maestosa. Era un Santo di Athena, adesso, e Milo si mise involontariamente sull’attenti per ascoltare le parole del suo compagno. «Athena ti ordina di ritrovare il Female Gold Saint di Cancer.»
«E non potevi dirlo subito?!»
 
 

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Capitolo 4
*** CARPE DIEM ***


CARPE DIEM

 
Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
( Quinto Orazio Flacco, Carmina I, 11 vv. 6-7)


Il sole, alto nel cielo azzurro, non riusciva ad estendere il calore dei propri raggi all’interno del Santuario di Athena. Il bianco colonnato di marmo che conduceva al naos, alle stanze della dea, riecheggiava dei passi di due Gold Saint, che, coperti dalle loro scintillanti armature, avanzavano all’interno di quel bianco asettico e assoluto.
Tutto, in quel tempio, ricordava la purezza della dea cui era dedicato.
Athena Parthenos.
Persino i mantelli, che ornavano le armature della casta più alta dei guerrieri devoti alla dea, erano bianchi, immacolati, puri, come la Giustizia che erano chiamati a difendere e a proteggere. Giorno dopo giorno.
Solo l’anno prima Athena aveva dovuto affrontare l’assalto del dio Loki, l’ennesimo da quando, quindici anni prima, si era reincarnata nel corpo di Saori Kido; tuttavia, quest’ultimo scontro era stato più impegnativo delle precedenti.
Il dio aveva fatto leva sull’odio e sulla vendetta per manipolare a piacimento due guerriere d’Athena, per seminare odi e discordie e dividere la dea dai suoi difensori. E per un’inezia, per un capello d’angelo, non c’era riuscito. Le traditrici, Nadja di Gemini e Françoise di Cancer, si erano annientate assieme al dio stesso, sparendo in un mare di luce. Invano le avevano cercate lungo la costa che lambisce l’isola greca di Samo: dei loro corpi non era rimasto nulla, solo il diadema del Saint del Cancro.
Questi pensieri aleggiavano nella mente di Milo di Scorpio, custode dell’Ottava Casa, uno dei dodici templi che ornavano la scalinata che conduce alle stanze della dea.
Aiolia, suo pari e custode della Quinta Casa, camminava accanto a lui, immerso nel silenzio: poteva immaginare quali pensieri attraversassero la mente del suo amico, ma si guardava bene dall’immischiarsi in cose che appartenevano solo ed esclusivamente a Milo.
Lo guardò con la coda dell’occhio: l’espressione del guerriero si faceva sempre più ansiosa man mano che avanzavano verso la Sala di Athena.
So che vorresti correre verso Athena per chiederle spiegazioni, amico mio, pensò Aiolia vedendo che Milo cercava nervosamente di controllare la velocità della propria andatura. Se avesse ceduto all’impulso di assecondarlo, Milo sarebbe stato vinto dalla sua stessa ansia e non poteva permetterselo. Doveva capire, e per capire dove restare lucido; pertanto, Aiolia decise di mantenere un passo costante.
Dopo pochi minuti, accompagnati dalla luce abbagliante del sole, Aiolia e Milo giunsero davanti alle Stanza di Athena.
Il Gold Saint del Leone si avvicinò alle bianche porte decorate e bussò: una delicata voce di fanciulla invitò il suo compagno a varcare quella soglia.
«Vieni avanti, mio Saint!»
Milo guardò Aiolia con perplessità: che cosa significavano le parole di Athena?
«Io ti aspetto qui, amico mio»,  disse Aiolia posando le mani sulle bianche porte della Stanza, come rispondendo ad un’implicita domanda. «In bocca al lupo.»
Dubbioso e perplesso, Milo pose entrambe le mani sulle porte e queste si aprirono delicatamente verso l’interno.
Seduta su un trono di marmo bianco, lo scettro di Nike nella mano destra, Athena rivolse un dolce sorriso al Saint dello Scorpione, che, salutato Aiolia con un cenno del capo, iniziò a percorrere il tappeto rosso che giungeva ai piedi del trono, mentre le pesanti porte si richiudevano alle sue spalle.
«Gold Saint dell’Ottava Casa, Milo, custode delle vestigia di Scorpio, al suo cospetto, dea Athena!» esclamò con una punta d’orgoglio non appena giunse sotto il trono; quindi chinò il capo e rimase in attesa del saluto della sua dea.
«Benvenuto, Milo!», disse la fanciulla non appena le si fu inginocchiato davanti. «Hai fatto buon viaggio?»
«Ottimo, mia Signora», rispose restando a capo chino. «Milady, so che mi avete mandato a chiamare», iniziò lo Scorpione rivolgendosi alla fanciulla. Dal tono di voce, era intuibile come le informazioni sommarie, avute da Aiolia, non l’avessero soddisfatto. Voleva spiegazioni e le voleva subito!
«Scorpio, leggo nel tuo cuore l’ansia di voler conoscere i motivi che mi hanno spinta a formulare l’ipotesi di cui ti ha accennato Aiolia», disse Athena entrando in argomento; fissò direttamente Milo, che annuì. «Ho ragione di credere», riprese la ragazza alzandosi dal trono ed iniziando a scendere i pochi gradini che la separavano dal suo seguace, «che il Female Gold Saint di Cancer sia ancora viva.»
Milo sgranò gli occhi.
«Hai capito bene», proseguì Saori. «Françoise è ancora viva! E voglio che tu, Milo di Scorpio, vada a riprenderla, per portarla qui, al Santuario!», aggiunse tornando a guardare il giovane dai lunghi capelli dal riflesso violaceo.
«Mia Signora», disse Scorpio con la voce rotta dall’insicurezza, «com’è possibile? Io stesso l’ho vista scagliarsi contro Loki, brandendo tra le mani Mjolnir! Com’è possibile che sia…» sopravvissuta?
Saori discese l’ultimo scalino e posò una delle sue mani d’avorio sul coprispalla destro dello Scorpione. «Davvero non riesci a percepire il suo cosmo, Milo?», gli chiese come in un sussurro.
Il ragazzo alzò precipitosamente il capo, finendo per specchiarsi nei grandi occhi verdi di Athena: allora, non era pazzo! Milo aveva percepito varie volte quel cosmo, ma si era convinto che si trattasse della sua immaginazione. Era convinto che volesse credere che Françoise fosse ancora viva, a dispetto di tutto. «Mia Signora, a dir la verità», le confidò, «qualcosa ho percepito, ma era un cosmo cosmo vago, simile a quello di Françoise, ma era come se esso fosse volutamente celato o camuffato.»
«Questo è l’aspetto che più mi preoccupa», disse Saori togliendo la mano dalla spalla di Milo e portandola al petto.
«Vi… vi preoccupa? Mia Signora, vi prego; confidatemi i vostri timori», l’incalzò Milo. «Io e Camus, il defunto Aquarius, eravamo grandi amici. Françoise è la sorella minore di Camus, ed io vorrei poter fare qualcosa per lei», concluse il ragazzo lanciando uno sguardo deciso alla fanciulla.
Saori sospirò. Sapeva bene che ciò che stava per dire avrebbe potuto far compiere un gesto irrazionale al calmo e posato Milo; tuttavia, se voleva salvare Françoise, doveva parlare apertamente con lui. Il ragazzo era troppo intelligente per non aver capito che c’era qualcos’altro dietro a tutta quella storia, e presto o tardi avrebbe tirato da sé le somme.
Milo, frattanto aveva sgranato gli occhi blu per cercare di cogliere ogni parola che era detta in quel consesso.
«Temo che ci sia qualcuno che stia aiutando Françoise a mascherare la sua presenza», disse Saori scegliendo accuratamente le parole da utilizzare.
«Di chi si tratta? Credete che siano d’accordo?», chiese Milo alzandosi di scatto in piedi, del tutto dimentico del luogo in cui si trovasse e al cospetto di chi stesse parlando. Cosa doveva aspettarsi? Che Loki volesse vendicarsi di Athena? E se fosse tutto un tranello?, si chiese lo Scorpione.
Saori alzò il capo per guardarlo negli occhi. «L’agitazione che provi è più che condivisibile», disse la ragazza rispondendo al suo guerriero. «Pensi a Loki, vero?»
«Purtroppo… purtroppo sì.»
«Anch’io. Lo temo anch’io. E se i nostri sospetti fossero fondati, la Terra sarebbe nuovamente sotto la sua minaccia», confidò Athena, la voce gonfia di preoccupazione.
L’umore di Milo si tuffò in nuovi abissi, ancora da esplorare, ben deciso a non voler risalire a respirare una boccata d’aria pulita. Perché? Loki non era forse morto? Non lo avevano sconfitto le due Female Gold Saint scagliandosi contro il nemico? Che cosa era successo? Possibile che Françoise fosse di nuovo in combutta con lui? Nonostante tutto?
Queste domande percorrevano la mente del Saint di Athena, che cercava di capire come fosse stato possibile che anche il dio si fosse salvato.
«Ho percepito chiaramente il cosmo di Loki. Era come se mi stesse invitando a cercarlo. Come se mi stesse lanciando una sfida ben precisa.»
«Crede forse che Françoise sia in combutta con Loki?»
La voce del ragazzo, calda e profonda, tradiva l’ansia che provava: in cuor suo, Milo non poteva sapere fino a che punto la conversione di Françoise fosse stata sincera. Ricordava ancora le parole dette dalla ragazza prima di scagliarsi contro Loki.

Non finisce qui! Abbiamo ancora un conto aperto, noi tre! E vi giuro che quando ci rivedremo me la pagherete!

Forse nel suo cuore, l’odio ed il livore per la morte del fratello non erano stati placati, almeno non del tutto. Scorpio era così immerso nei suoi ragionamenti che si accorse solo in quel momento di qualcosa. C’era qualcuno, nella stanza; c’era qualcun altro e Milo guardò Athena. Per chiederle spiegazioni.
«Voglio farti parlare con una persona», gli disse, voltandosi verso i panneggi del pesante velluto rosso che cadevano morbidi, dietro allo scranno, a separare l’adyton dal naos. L’attenzione di Scorpio fu rivolta alle due figure che si trovavano dietro quel telo rosso, figure che erano state talmente abili da celare la propria presenza.  
«Venite avanti!», esortò gentilmente Saori, rivolta alle due persone dietro il drappo. Il telo si alzò e da dietro ad esso sbucarono Nadja e… Kanon!
I due Gold Saint di Gemini avanzarono fino al cospetto di Athena, tra lo stupore di Milo. Saori li pregò di prender posto accanto allo Scorpione con un cenno della mano: i due guerrieri obbedirono prontamente e si avvicinarono ai piedi del trono.
«Posso comprendere lo sbigottimento che può averti causato questa visione, Milo», disse la fanciulla al ragazzo, che era balzato in piedi come una saetta alla vista di quei due guerrieri. «Tuttavia…»
Saori non riuscì a terminare la frase che Milo, espanso il suo cosmo, ardente di rabbia e sdegno, si era già scagliato contro i due Saint.
«Come osate farvi rivedere?», tuonò Scorpio prima di avanzare di un passo verso i due, con tutta l’intenzione di lasciarli stecchiti sul marmo candido della sala.
«MILO!», gridò Athena afferrando il braccio destro del ragazzo. «Fermati! Sono dalla nostra parte, adesso!!»
«Spiacente, mia Signora», rispose Scorpio, «ma né io, né i miei compagni saremo disposti ad accettare questi due traditori tra noi!»
«MILO!», si trovò costretta a ripetere Saori espandendo il proprio cosmo e riportando il ragazzo alla ragione. «Sono. Dalla. Nostra. Parte», ripeté, scandendo bene le parole, onde evitare altri fraintendimenti.
Milo chinò il capo e si inginocchiò nuovamente davanti ad Athena.
«Nessuno è esente da colpe, è vero! Ma le loro… le loro hanno oltrepassato il segno!», rispose il ragazzo fissando il tappeto rosso ai suoi piedi.
«Tanto quanto quelle di Françoise. Se vuoi perdonare lei, devi perdonare anche loro.»
Adesso capisco, pensò lo Scorpione. Athena voleva assicurarsi che non si trattasse di un fatto personale. Non riuscì a trattenere un sospiro pesante.
«Milo, ti prego!», riprese Saori, con dolce fermezza nella voce. «Kanon ha fatto ammenda dei suoi peccati! Quanto a Nadja, lei era totalmente succube di Loki; le sue colpe, seppur gravi, non possono essere imputate alla sua volontà, ma a quella del dio malvagio che la controllava! La cerimonia di espiazione avverrà con la Luna Nuova. Vorrei che per allora anche Françoise fosse qui.»
Sarà anche così, però, pensò il guerriero specchiandosi sulla superficie dorata del suo gambale destro, qui stiamo perdendo tempo e Loki potrebbe averci messo lo zampino.
Saori fece un cenno a Nadja, che avanzò verso Milo e prese a parlare al ragazzo.
«Milo», disse lei, titubante allorché le pupille ardenti del Saint non incrociarono le sue. «Scorpio», si corresse, e Milo gliene fu grato. «Al momento della nostra salita in cielo, assieme al corpo di Loki, all’anima di Hera e al martello Mjolnir, è accaduto un fatto inspiegabile.»
Continua, le disse lo Scorpione con un cenno della testa. Il suo sguardo la spinse a terminare il racconto il più presto possibile, e ad essere il più chiara possibile.
«Quando Mjolnir è scivolato via dalla nostre mani, siamo state investite in pieno da un’onda di luce bianca, che ci ha divise. Io, mi sono risvegliata sei mesi dopo in un letto d’ospedale. Ero rimasta a lungo in coma, e gli infermieri non sapevano chi fossi, né da dove venissi. Ma se ce l’ho fatta io, perché non è potuta accadere la medesima cosa a Françoise?, mi sono detta. Così mi sono messa in moto per cercarla, ma ho pensato che avrei fatto prima a contattare il Santuario.»
«Quindi tu sei qui per ritrovare la tua amica e non per combattere per Athena?», chiese Milo con una punta d’acido nella voce.
«No! Io sono qui per entrambe le cose. Per Athena prima e per i miei compagni poi», avrebbe voluto rispondergli Nadja, ma Kanon la precedette. 
«Non eri preoccupato per la sorellina del tuo amichetto Camus?», chiese il Santo dei Gemelli con il medesimo tono dello Scorpione.
«Taci, tu!», ruggì Milo rivolgendosi al Gold Saint di Gemini, il quale si levò l’elmo e fissò il ragazzo con i suoi occhi blu; i capelli color della notte di Kanon ondeggiarono nel vento caldo che spirava da Ovest.
«Milo», riprese Athena, cercando di evitare che quei due venissero alle mani, «ascolta il resto del racconto di Nadja! Quanto a te, Kanon,  misura bene le parole, quando parli con un tuo pari!»
Gli animi dei due uomini si placarono, seppur di poco, e Nadja poté riprendere il suo racconto.
«Non lo so con certezza, ma credo che Françoise sia vicina. Forse ancora sull’isola di Samo! Magari è qui vicino. Magari è in Grecia!»
«A cosa sono dovute queste tue supposizioni?», chiese Athena, dando consistenza al pensiero di Milo.
«Quando siamo state separate dal fascio di luce, io e Françoise abbiamo cercato di restare unite: non riuscendovi, ho cercato di seguire con lo sguardo la traiettoria della sua caduta. Credo, a occhio e croce, che stesse precipitando verso lo Ionio. Ma potrebbe essere finita ovunque. Le Cicladi, se non addirittura Samo.»
Milo alzò lo sguardo verso Saori. Lui le disse che no, non era caduta da quelle parti. Se ne sarebbe accorto.
«Ho localizzato il debole segnale di Cancer più ad Ovest. In Sicilia. Il che è anche logico, dato che Françoise è stata allieva di Death Mask. Ha senso ipotizzare che abbia torvato rifugio nei luoghi del suo addestramento. Partirai domani mattina alla volta di Siracusa. Cancer aveva la sua base poco fuori un villaggio sulla costa a sud della città.»
Milo si alzò, avvicinò i talloni, producendo uno schiocco del metallo, e chinò il capo.
«Preferirei partire questa sera stessa, milady! Come dicevano il mio maestro, chi ha tempo, non aspetti tempo», rispose fissando Athena negli occhi.
«E sia, Scorpio!», rispose la ragazza dopo averci pensato un po’ su. «Puoi partire quando vuoi; solo, fa attenzione! Ho ragione di credere che un seguace di Loki si sia salvato e che stia pedinando Françoise da molto vicino!»
Milo spalancò gli occhi, prestando la massima attenzione alle parole di Saori.
«Se Françoise è sana e salva, conducila qui. Parla con dolcezza al suo cuore, e vedrai che ti seguirà. Ma se Loki fosse già riuscito a catturarla, ti ordino, ripeto, ordino di riferire al più presto e di aspettare i rinforzi! Non intraprendere azioni personali, intesi?»
«Agli ordini.»
«Conosci te stesso», disse Saori stendendo la sua mano sopra la testa di Milo.
«E niente in eccesso», rispose lo Scorpione.
«Hai licenza di partire, ora, Milo di Scorpio. Riporta indietro Françoise», disse Saori, scomparendo dietro alla tenda rossa assieme a Kanon e Nadja.
 

Dopo essere uscito dalle Stanze di Athena, Milo si diresse alla collina su cui riposavano le salme dei Gold Saint periti durante il tradimento di Saga, tradimento orchestrato dal di lui fratello, Kanon, lo stesso Kanon che aveva incontrato prima, al fianco di Athena. Scosse la testa. Se la redenzione di Kanon fosse o meno reale, non era cosa che lo preoccupava, almeno non al momento; restavano comunque Aldebaran, Aiolia, Shaka e Mu. Se quel pazzo ne avesse tentata una delle sue, avrebbe trovato pane per i suoi denti.
Quello che adesso terrorizzava Milo, era l’incontro con Françoise.
Cosa le avrebbe detto?
Cosa gli avrebbe detto?
Lo avrebbe seguito senza far storie, oppure gli avrebbe opposto strenua resistenza?
Conoscendo il caratterino della ragazza, Milo si convinse che l’ipotesi più papabile fosse la seconda. Tanto valeva non farsi troppe illusioni e prepararsi al peggio.
Salì il dolce pendio che si snodava ad Est del complesso del Santuario, circondato dai suoni degli allenamenti delle nuove reclute; man mano che avanzava verso il Kerameikos, il cimitero, l’eco dei rumori umani cessava, lasciando il posto al silenzio assoluto di quel luogo e all’aroma inconfondibile dei fiori di campo che crescevano spontanei sulle tombe.
Arrivato in cima, la vallata si aprì ai suoi occhi regalandogli l’abbraccio di tutti quei colori. Se non fosse stato per le lapidi, quel posto poteva essere un perfetto panorama da cartolina!
Discese il pendio, facendo ben attenzione a non calpestare i fiori che circondavano i sepolcri.
Passò accanto alle tombe dei Saint d’Argento, sconfitti da Seiya durante l’inganno di Saga, sfiorò con il mantello la lapide del suo maestro e, finalmente, giunse davanti alla tomba del suo amico Camus.
Camus, Death Mask, Shura, Aphrodite e Saga erano stati sepolti in cerchio, l’uno accanto all’altro.
Fiori dai mille colori ornavano le tombe, eccezion fatta per quella di Aphrodite, sulla quale facevano bella mostra di sé della magnifiche rose. Bianche.
Ti devi distinguere anche nella morte, vero, Aphrodite?, pensò Milo rivolgendosi al compagno caduto. Non poteva sapere che della tomba del Gold Saint di Pisces si occupasse proprio colui che lo aveva sconfitto, Shun di Andromeda.
Guardò la tomba del suo amico Camus e mille pensieri gli attraversarono la mente.
Perché, Camus? Perché non hai mai accennato al fatto di avere una sorella? Non eravamo forse amici? Non potevi mostrare, almeno con me, quella debolezza che tanto biasimavi nel tuo allievo, Hyoga? Nossignore! Tu avevi una maledettissima, fottuta reputazione da mantenere, vero?!, pensò fissando la lapide del suo amico. Avevano condiviso tutto… Perché Camus non l’aveva messo al corrente di avere una sorella? Ma, in fondo, il loro rapporto era a senso unico: Milo si apriva al suo amico, raccontandogli dubbi paure e perplessità, come quando, poco prima della Battaglia al Santuario, gli rivelò le remore che nutriva nei confronti del Grande Sacerdote.
Milo tentò di contare quali e quante volte Camus avesse fatto lo stesso con lui.
Il computo fu assai facile: mai. Neanche una volta, Camus si era degnato di mettere Milo al corrente dei suoi sentimenti. Non sapevo neppure si chiamasse Etienne.
Scorpio sospirò, portandosi una mano a massaggiarsi le tempie.
«Maledetto testone di un francese!», disse in un sussurro, come se l’amico fosse lì e potesse sentirlo.
Quindi si voltò ad osservare la tomba di Death Mask.
Vecchio mio… fra poco partirò alla volta del tuo nascondiglio! Mi secca, ma dovrò violare la tua privacy…
Se esisteva qualcuno che fosse più geloso di Milo nel custodire la propria privacy, questo era Death Mask! Geloso fino all’eccesso anche del suo stesso Tempio! Non poche erano state le occasioni in cui si era categoricamente rifiutato di lasciar passare gli altri, diretti ai tempi loro assegnati. Per dispetto, certo. Ma anche per una sincera gelosia. Anche il giorno dello scontro in cui la casta d’Oro fu decimata dai Saint di bronzo, Death Mask aveva insistito perché nessuno oltrepassasse la soglia del suo tempio. Milo ricordò come per poco non vennero alle mani! Solo l’intervento del Gran Sacerdote aveva evitato che i due si ammazzassero tra loro, prima ancora che iniziasse la battaglia col nemico.
Milo si volse a guardare la tomba in cui riposava il corpo di Saga; di quello di Shura, disintegratosi nello spazio, non era rimasto che quel vuoto sepolcro, a testimonianza del valore di un eroe, morto per una tragica fatalità.
«Amici, compagni miei», invocò Milo, mentre il sole iniziava la sua discesa dietro i monti che separano il Santuario dal resto del mondo. «Aiutatemi a salvare una vostra compagna! Una vostra allieva. Camus, mettile una mano sulla coscienza, apparile in sogno, fai qualcosa affinché mi segua senza opporre troppa resistenza!»
Si ricordò in quel momento di una preghiera che Camus era solito recitare in occasione di Ognissanti.  

Réquiem aeternam dona eis,
Domine,
et lux perpétua lùceat eis.
Requiéscant in pace. Amen.

Il vento di Scirocco, caldo e avvolgente, scostò i capelli di Milo al suo passaggio; le lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi, danzarono con l’aria calda, frantumandosi sulle lapidi di marmo bianco di Shura e Camus.
 
 

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Capitolo 5
*** PIOGGIA ***


PIOGGIA

 
E piove sui nostri volti
Silvani,
piove su le nostre mani 
ignude,
su i nostri vestimenti
eggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione. 
(Gabriele D’Annunzio, La pioggia nel pineto, 1903)



La pioggia cadeva fitta e scrosciante sui vetri dei negozi e sulle finestre delle case.
Il nero pannello del cielo era stracciato ad intervalli regolari dai fulmini, che illuminavano quel triste sabato pomeriggio di fine Settembre.
Per le strade non girava neppure un cane: i soli passanti erano quei poveri diavoli che, sorpresi dal fortunale senza ombrello, ceravano riparo in qualche negozio; i più coraggiosi arrischiavano ad arrivare a casa, correndo sotto balconi e tapparelle lasciate aperte.
Nella gelateria "Trinacria", di proprietà di don Nicolino Galluzzo, non c’era anima viva. I soli esseri umani presenti in quel luogo, abituale ritrovo dei ragazzi del paese, erano il proprietario, don Nicolino, suo figlio Luigino e i tre commessi.
L’unico ragazzo dello staff era un giovanotto un po’ gobbo, alto e magro come un chiodo, gli occhiali perennemente calati sul naso: stava sull’attenti nella sua divisa celeste, con il grembiule bianco ornato da una passamaneria a righine bianche e blu.
Le due ragazze stavano sparecchiando i tavoli e rassettando il locale: non che ce ne fosse un effettivo bisogno, dato che nessuno vi aveva messo piede dalle tre del pomeriggio, allo scoppio del temporale, ma lo facevano per ammazzare il tempo. 
I tavoli, dal piano in colori vivaci, erano stati perfettamente lucidati, mentre le sedie, ricoperte di plastica multicolore, avevano ricevuto una bella spolverata e stavano per essere impilate su di essi. Il cartello appeso alla porta, che recitava come in quell’esercizio si parlassero ben cinque lingue, ondeggiava alle folate di vento, mentre le grosse pale del ventilatore erano state fermate poco prima. La temperatura si era abbassata, e anche di parecchio, fatto piuttosto insolito per quel luogo e per quella stagione.
La radio trasmetteva canzoni allegre, in perfetta opposizione con quel tempo da lupi, che aveva rovinato i programmi di don Nicolino e degli altri commercianti. Il padrone si portò sull’uscio del suo negozio: dall’altra parte della strada vide il droghiere nella medesima posizione e scambiò con lui un paio d’occhiate, più eloquenti di mille parole.

Quindi, scrollate le spalle per l’ennesima volta, si voltò verso i ragazzi e disse loro: «Picciotti, se qua non smette ce ne andiamo tutti a casa!».
La proposta fu accolta con una smorfia da Luigino, mentre i tre ragazzi manifestarono la loro completa approvazione.
«
Giustissimo!», fece Carmela, la commessa à la page, con il vezzo d’indossare vistosi cerchi rosa fluo come orecchini. «Tanto, a restare aperti ci rimette solo di luce, don Nicolino…»
Il ragazzo e l’altra commessa annuirono alle parole di Carmela: il padrone scosse il capo e guadagnò il centro della stanza.

«Picciotti, se continua così, la stagione è bella che finita!», costatò il vecchio negoziante con una punta d’amarezza.

La radio ruppe il silenzio in cui era caduto il negozio regalando ai presenti una canzone quanto mai azzeccata.

L’estate sta finendo,
e un anno se ne va…
Sto diventando grande,
lo sai che non mi va…
In spiaggia gli ombrelloni,
non ce ne sono più…

 

La ragazza correva come una disperata sotto lo scroscio d’acqua imponente che aveva deciso di infierire sulla città. Dal mare le arrivavano gli odori di sabbia bagnata e di vegetazione umida: aromi muschiati le inebriavano le narici mentre costeggiava il parco pubblico.
Aveva un buon odore, la pioggia. Odore marino, carico di sale, che poteva essere percepito anche in bocca, tanto era forte. La rena, bagnata e pesante, trasmetteva l’odore del mare all’interno della città, incuneandolo nel vento, nei vicoli, negli androni dei palazzi, nelle case. L’estate, la calda e assolata estate siciliana era ormai finita; avrebbe continuato a fare caldo, certo, ma ormai il tempo s’avviava inesorabile verso l’autunno.
Non che l’autunno mi dispiaccia, pensava la ragazza scavalcando pozzanghere e riparandosi sotto i balconi dei palazzi.  Ma l’estate che se ne va lascia l’amaro in bocca, di cose non dette, occasioni sprecate… Come se non dovesse tornare mai più! Eppure, tra altri dieci mesi sarà di nuovo il mio compleanno, poi tornerà Agosto, e assieme a lui i bagnanti, e poi di nuovo Settembre…
Mentre cercava riparo sotto un balcone ampio, sentì un rumore soffocato provenire da un cassonetto posto di rimpetto a lei.
«Che cos’è?», si chiese la ragazza dirigendosi verso il rumore. Accatastata ad un lato del cassonetto, c'era una cassetta della frutta, ricoperta alla bell’e meglio con un vecchio pullover rosso: scostò il panno e trovò due micini infreddoliti, che miagolavano a pieni polmoni.
Poverini!!, pensò, provando una fitta al cuore nel vedere come quei due adorabili gattini fossero stati abbandonati: senza pensarci su, li prese e li mise nelle tasche interne dalla sua giacca di jeans. I due micetti protestarono per il trasferimento, ma la ragazza li premette contro il proprio corpo, cercando di rassicurarli. Esaminò la scatola per vedere se i due sopravvissuti avessero altri fratellini a far loro compagnia, ma non trovò nessun altro.
Tese l’orecchio per provare a sentire altri miagolii. Niente.
Si rialzò, chiuse la giacca jeans e corse il più veloce possibile verso casa.


«Sembri la bambina della pubblicità della pasta!», le disse il vecchio Tonio quando vide il prezioso carico che la ragazza aveva salvato dalle acque.
«Che cosa avrei dovuto fare, zio?», protestò lei, «Lasciarli forse in balia dellla pioggia? Sarebbero certamente morti di fame!»concluse passandosi un asciugamano di spugna sui capelli castani.
Zio Tonio prese i gattini e li asciugò, frizionando il loro pelo con un morbido telo da spiaggia cinigliato; si diresse in bagno, prese l’asciugacapelli e lo passò sui gattini.
Intanto la ragazza si era premurata di mettere a bollire un po’ di latte per i due affamati, che reclamavano da mangiare miagolando a pieni polmoni. Scaldò un po’ di latte, sentì l’effettivo calore provandolo sull’avambraccio e lo mise in una ciotolina di vetro, che portò allo zio Tonio.
I gattini, affamati e deboli, si gettarono con tutta la testa nella ciotolina, bevendo voracemente quel latte caldo.
Zio Tonio sorrise.
«Vatti a fare una bella doccia calda, prima di prendere una bella polmonite!», le disse. «Fra un po’ è ora di cena!»
«Ok, vado!», rispose la ragazza, staccandosi a malincuore da quel quadretto tenerissimo.
«
E asciugati bene i capelli!», le ricordò l’uomo, brontolando.
«M
a sì, ma sì…», rispose lei sorridendo, avviandosi verso la porta del bagno.

Il getto della doccia riscaldava il corpo intirizzito della ragazza, mentre il profumo del bagnoschiuma al mughetto aveva riempito la stanza. Amava insaponarsi per bene e fare una montagna di schiuma con il sapone! L’unico suo cruccio era quello di non avere la vasca da bagno, e quindi, di non poter assaporare un rilassante bagno serale, come quando era piccola.
Per il resto, la vita con "zio Tonio" era una pacchia!
Non aveva alcun legame di sangue con lui: era stato l’unico amico del suo maestro, ed il perché era facilmente intuibile! Entrambi schivi e testardi, non amavano la compagnia di altri esseri viventi, uomini o donne che fossero.
Misantropi, pensò, sciacquando la schiuma dal suo corpo.
Eppure, sebbene zio Tonio fosse un tipo all’apparenza burbero, l’aveva aiutata quando era andata a cercarlo. Si era letteralmente materializzata nella casa disabitata del suo maestro, sulla spiaggia a sud di Siracusa, verso Pachino. Non avendo più forze, era caduta svenuta sul polveroso pavimento della casupola: sarebbe sicuramente morta, se zio Tonio, trovandosi a passare da quelle parti, non avesse voluto passare a salutarla, trovandola svenuta a terra.
L’aveva curata, medicata e rifocillata; poi, quando aveva riacquistato forze sufficienti per muoversi, zio Tonio le aveva praticamente ordinato di seguirlo.
«
Non è posto sicuro, questo, per te! Quindi, picciotta, vieni con me senza fare tante storie.»
Non aveva voluto sapere cosa le era successo, o contro chi aveva combattuto: Tonio sapeva che chiunque avesse lottato contro di lei, semmai fosse ancora vivo, sarebbe venuto fin lì a cercarla. Si erano trasferiti da Siracusa a Palermo.
«
Ci si nasconde meglio in una grande città dove nessuno ti conosce, piuttosto che in un buco di paese dove sanno tutto di tutti!», le aveva detto Tonio, prima di partire. «E anche il tuo nome dovrà adeguarsi! D’ora in poi ti chiamerai Rosalia!»
Non fa una grinza, aveva pensato lei decidendosi a seguirlo, timorosa di ricevere visite non propriamente gradite.
La sua paura più grande non era tanto quella di ricevere la visita di un nemico scampato, quanto quella dei compagni che aveva tradito: poco importa che avesse deciso di sacrificare la propria vita per rimediare al suo danno. Aveva tradito e doveva pagare il fio!

Uscì dalla doccia, si avvolse in un telo da bagno blu e tamponò i capelli con un asciugamano di lino. Dalla cucina le arrivava l’odore di una zuppa di pesce cotta con tutti i crismi.
Prese l’asciugacapelli e diresse il getto d’aria calda alla base del collo.


Dopo cena, la ragazza salì al primo piano della casetta dal tetto verde che condivideva con lo zio Tonio.
L’accolse il disordine assoluto che aveva lasciato uscendo. Sul letto trovò i vestiti che aveva smesso tornando da scuola, lo zainetto era accasciato sul tavolino di legno scuro che fungeva da scrivania e l’armadio, lasciato aperto come al solito, era diventato il rifugio dei due gattini, che vi erano sgattaiolati dentro, addormentandosi su un maglioncino giallo sole.
«
E adesso?», pensò la ragazza, terrorizzata al pensiero che i gattini potessero fare i loro bisognini sulla sua biancheria.
Si chinò per spostarli, ma quando vide quei musetti rosa, non ebbe cuore di disturbarli e li lasciò dov’erano.
Speriamo non facciano danni!, pensò accarezzando il pelo rossiccio di uno dei gattini: al contatto con quella morbida pelliccia, e sentendo il ronfare di quelle due creaturine, la ragazza provò un senso di relax e sentì di colpo tutta la stanchezza della settimana.
Dovrò dar loro un nome, pensò, mettendosi a letto.
Fissò il soffitto e le stelline fluorescenti che riproducevano la volta celeste, chiedendosi quale nome sarebbe calzato a pennello ai suoi gattini.
Uno era un micio nero come il carbone, con due occhioni blu mare: era silenzioso, ma veloce e preciso nei movimenti. L’altro, un gattino tigrato color ruggine, aveva gli occhi verdi ed una maestosità nell’incedere che strideva con la goffaggine propria dei cuccioli.
Il pensiero volò a due ragazzi con le stesse caratteristiche dei gattini.
In un primo momento sorrise, chiedendosi che faccia avrebbero fatto due valorosi eroi se avessero saputo che i loro nomi erano stati affibbiati a due gatti! Poi, si chiese perché mai avesse pensato proprio a loro.
Non trovando risposta alla domanda che si era fatta, fu colta dall’ansia: e se, contrariamente alle sue aspettative, la stavano cercando perché erano preoccupati per lei?
Sospirò, stringendo forte il lenzuolo bianco che usava per coprirsi.
Non farti illusioni! Non c’è più nessuno che si preoccupa per te!, si disse, voltandosi sul lato destro ed addormentandosi a poco a poco.


Il giorno successivo, la pioggia aveva lasciato posto ad una splendida giornata di sole.
La ragazza si alzò e si preparò per andare a coprire il turno mattutino in gelateria.
Entrò in bagno, pensando che l’unica noia del turno mattutino era costituita dal doversi alzare presto la domenica mattina; per il resto, era una gran pacchia! Gli unici avventori della domenica mattina acquistavano gelati da asporto, da portare al posto delle classiche paste. Spesso avanzava del gelato, così don Nicolino le permetteva di portarselo via, sotto lo sguardo fulminante di Luigino, che, tirchio com’era, avrebbe preferito farsi cavare un occhio, piuttosto che regalare qualcosa!
Si sciacquò la faccia, si pettinò i capelli in un’alta coda di cavallo e passò un velo di lucidalabbra rosa sulla bocca.
Uscì dal bagno, prese la divisa rosa dall’armadio e si vestì.
I gattini dormivano ancora beatamente: avevano fatto i loro bisogni, ma, non si sa per intervento di chi, avevano deciso di uscire dall’armadio e di farli per terra.
Sollevata dal non dover buttare un maglioncino di cotone nuovo, la ragazza prese l’occorrente per pulire e disinfettò il pavimento.
Guardò il suo orologio in gomma gialla: erano le nove meno un quarto.
«Farò tardi, se non mi spiccio!», disse prendendo la borsa sotto braccio ed uscendo dalla stanza.
Trovò Tonio in cucina.
«
Il tuo caffè…», le disse indicando la tazzina bianca posta sul tavolo.
«
Grazie!», fece lei bevendolo tutto d’un fiato ed uscendo di corsa.
«C
i vediamo a pranzo!», disse facendo capolino dalla porta della cucina. «Spero di portare del gelato!»
«
Vai, o farai tardi!», l’esortò Tonio senza smettere di leggere il giornale.
Fece il percorso correndo a perdifiato, ma ormai era tardi! Don Nicolino le avrebbe fatto una bella ramanzina!
Se solo potessi usare il mio potere!, pensò la ragazza.
Si bloccò di colpo. Se l’avesse fatto, l’avrebbero sicuramente localizzata e allora avrebbe vanificato tutto il tempo passato a contenere il proprio cosmo. Riprese a correre, pregando che quella mattina don Nicolino si alzasse più tardi del solito.

 

Quella mattina don Nicolino era particolarmente di buon umore: sperava, infatti, che il sole attirasse più clienti del solito, dati i magri affari di ieri. Non sgridò la ragazza, quando arrivò con due minuti di ritardo, ma si mise alla cassa in attesa di nuovi clienti. Carmela aveva già lucidato il vetro del banco-frigo e aveva acceso la radio.
«Porta quelle sedie fuori, per favore»,  le disse Carmela non appena questa tornò dal retrobottega. La ragazza ubbidì, prendendo le sedie in plastica colorata e disponendole attorno ai tavolini all’esterno.
Vide il suo riflesso nel vetro della porta d’ingresso.  Sembro una bomboniera! Indossava dei pantaloncini rosa, una casacca rosa ed un grembiule bianco, ornato con una passamaneria a quadretti bianca e rosa.
Rientrò, riattaccando il cartello con su scritto quante lingue si parlassero in quella gelateria e prese il suo posto dietro al bancone dei gelati.

La mattinata volò tra un’ordinazione e l’altra; alle tredici, don Nicolino, visto scemare il nugolo dei fedeli usciti dalla messa, decise che era ora di rincasare.
«Senti, Rosalia, prima di andare prendimi la vaschetta del gelato alla vaniglia!», le disse Carmela, che girò sui tacchi e sparì nel retro bottega. Chissà perché spedisce sempre me a prendere le vaschette di gelato?!, pensò tornando in negozio e fissando la vaschetta al suo posto.
«
Una coppetta piccola…», fece una voce al di là del vetro.
La ragazza alzò lentamente lo sguardo, vedendo prima un paio di pantaloni di pelle nera, poi una camicia di cotone bianca adagiata su un fisico scultoreo, quindi una mano maschile ben curata, con le unghie forse un po’ lunghe, porgerle lo scontrino fiscale.
Questa voce mi è stranamente familiare, pensò la ragazza pochi istanti prima di alzare lo sguardo verso il viso del cliente.

«Kalimera, Françoise…»

Per poco non le venne un infarto!
Milo di Scorpio le stava sorridendo dall’altra parte del vetro.

 

 

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Capitolo 6
*** PANICO ***


Panico!

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, me vedrai seduto
Sulla tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de' tuoi gentili anni caduto.
( Ugo Foscolo, "In morte del fratello Giovanni", 1803)


Guardava a bocca spalancata quel ragazzo dai lunghi capelli che le sorrideva di là dal vetro.

Com'era possibile?

Eppure, quel tipo con i Ray-Ban a goccia calati sul naso, a mostrare un paio di penetranti occhi blu era proprio il Gold Saint dell'Ottava Casa.

Lo stupore lasciò ben presto il posto alla paura.

Se uno come Milo si era scomodato ad andare a cercarla personalmente per tutta la Sicilia, non c'era da aspettarsi niente di particolarmente positivo. 

Tutt'altro.

Oddio..., pensò la ragazza cercando di restare lucida. Non sarà venuto per...

Milo aveva un ampio sorriso stampato sul volto abbronzato; un sorriso imbarazzato, di circostanza, che la mise ancor più in allarme.

Deglutì e cercò di apparire disinvolta, almeno agli occhi dei suoi colleghi; sicuramente, Milo aveva fiutato la paura che percorreva la ragazza da capo a piedi e pensare di ingannarlo era una mera illusione.

«Che gusti desidera, signore?», chiese recitando la parte della brava gelataia.

Milo inarcò un sopracciglio, perplesso da quell'accoglienza: certo, non si aspettava che Françoise gli avrebbe gettato le braccia al collo, ma sperava almeno che l'avrebbe salutato come Gold Saint. O come due persone  che si conoscono. Voleva staccarti la testa, ricordi?, s’intromise la voce della sua coscienza. Staccartela ed issarla sulla picca più lunga a disposizione.

Deciso a stare al gioco, sorrise divertito e si sistemò gli occhiali.
«Caffè e cioccolato fondente, per favore...», rispose indicando le vaschette.

Lei raccolse la paletta, riempì una coppetta con i gusti richiesti e vi aggiunse un cucchiaino in plastica rossa. «Vuole anche la panna?»

«No, grazie...» rispose lui protendendo la mano verso il gelato che lei teneva in punta di dita, come se scottasse. O fosse avvelenato. 

Non appena Milo prese la sua coppetta, lei fece per sparire nel retrobottega: avrebbe tentato di usare l'uscita sul retro come via di fuga, pregando di avvantaggiarsi, seppur di poco. Sempre meglio che niente, ma la voce di Milo la congelò sul posto.

«Françoise...»

Si voltò a guardarlo, con un brivido di paura ad incresparle la schiena. S’impose di sorridere. «I...io mi chiamo Rosalia, signore... Credo che mi abbia scambiato per qualcun altro...», balbettò, tentando di dargliela a bere.

Milo portò una prima cucchiaiata in bocca ed assaggiò il gelato. Era buono.

«Davvero? Eppure, signorina, lei somiglia alla mia amica in modo impressionante...», aggiunse Milo, per nulla convinto dalla panzana sparata. «Si è anche girata quando l’ho chiamata col suo nome…»

«Eppure le assicuro che », continuò Françoise non sapendo più che scuse inventarsi per seminarlo.

In quel mentre, vide Carmela rientrare in negozio, con due sedie impilate l'una sull'altra tra le braccia. Oh no. E adesso?

«NO!NON CI POSSO CREDERE!», urlò a pieni polmoni Carmela come vide Milo davanti al banco-frigo. «JOEY! JOEY TEMPEST!» concluse lasciando cadere le sedie e portandosi le mani sulle guance.

Milo si voltò di colpo a quell'urlo, pronto ad estrarre il suo aculeo avvelenato. 

Carmela frugò nelle tasche del suo grembiule, ne estrasse un taccuino rosso e si avvicinò al ragazzo timidamente.

«Si... signor Tempest! La prego! Mi faccia un autografo!», disse protendendo il taccuino verso Milo.
Il quale prese quel blocchetto e lo guardò: che diamine stava blaterando quella ragazza? Parlava un dialetto assolutamente incomprensibile per lui!
Aprì il taccuino e vide alcune firme: non perse tempo a decifrarle e fece per porgerlo indietro a quella ragazza, che, fattasi più intraprendente, glielo porse nuovamente, mimando il gesto dello scrivere.

«Firma...», fece lei riproducendo varie volte lo stesso gesto. « Signature...», tentò di dire in un inglese stentato.

Per quale motivo vorrà che io le firmi questo coso?, pensò il ragazzo vedendo la commessa avvicinarsi sempre più a lui.

«Posso darle un bacio?», chiese lei avvicinandosi pericolosamente alla guancia destra di Milo.
Il ragazzo si voltò alla disperata ricerca di Françoise: avrebbe spiegato lei, il tragico equivoco alla ragazza, prima che questa gli saltasse addosso.

Con suo disappunto, Milo vide che di Françoise non c'era più alcuna traccia. E Carmela passò all’azione.




Françoise correva a perdifiato per la salita che conduceva alla casetta che divideva con Tonio.

Anche se era un azzardo, doveva avvertirlo che erano venuti a cercarla. All'improvviso un dubbio atroce le attraversò la mente: e se Milo fosse già passato a casa sua?

Casa.

Françoise pensò che, oltre alla baita in cui aveva convissuto con suo fratello Etienne, non esisteva un altro posto che lei potesse considerare come casa propria. Aveva vissuto con quel pazzo di Death Mask, che a volte spariva per giorni, lasciando lei e Andrea in compagnia dei gabbiani; ogni volta che tornava, la ragazza si sentiva di troppo, in quella casupola arroccata sulla spiaggia, in una caletta al riparo dai turisti.

Forse, l'unica casa che aveva avuto, prima di trasferirsi a Palermo, era stata quella in cui aveva vissuto con Nadja, anche se anche con lei la convivenza non era stata delle più semplici. Nadja? Ma quanto di Nadja c’era in quel guscio?

Françoise iniziò a piangere, mentre correva a più non posso verso la sua casa, sperando, pregando che l'Assassino del Grande Tempio non avesse mietuto un'altra vittima tra i suoi cari.

Arrivò senza fiato alla cancellata bianca, che aveva ridipinto assieme al vecchio Tonio all'inizio di Maggio: la casa sembrava avvolta nelle tranquillità del pranzo domenicale.

Si fece coraggio ed aprì il cancelletto di legno. Percorse a grandi passi il vialetto costeggiato da due siepi di rose bianche, estrasse una chiave dalla tasca dei suoi pantaloncini e l'inserì nella serratura.

Girò nervosamente la chiave nella toppa ed aprì l'uscio verde con prudenza, nel caso Milo si fosse preso la briga di lasciare un complice di guardia alla casa.

Non vide nessuno ed entrò, chiamando Tonio per nome.

«Tonio?! Zio Tonio?!»

Silenzio assoluto. Eppure non aveva chiuso la porta a chiave. Perché non le rispondeva?

Françoise alzò lo sguardo verso la scala che conduceva al piano superiore. 

Deglutì.
L'ansia per ciò che avrebbe potuto trovare di sopra le inchiodò i piedi a terra: e se...?
Scosse energicamente il capo: non c’era tempo per cincischiare, doveva salire quelle scale. Si fece coraggio e macinò i gradini a due a due, tanta era la fretta che aveva.

Entrò nella sua stanza: il suo letto era stato rifatto e la biancheria pulita era stata accatastata sul letto. I due gattini uscirono curiosi dall'armadio e le vennero incontro facendo le fusa.
La ragazza si inginocchiò e accarezzo le loro testoline pelose.
Si alzò di scatto, facendo inciampare il micio dal pelo rossiccio, e si diresse in camera di Tonio: trovò anche questa vuota.
Uscì precipitosamente dalla stanza e ridiscese i gradini a rotta di collo. 

Arrivata al pian terreno, si diresse verso il salotto e la cucina, dove trovò la tavola apparecchiata ed un gran mazzo di rose, appena potate, disposte in un vaso di vetro blu. La pentola dell'acqua bolliva sul fuoco, segno che Tonio non era andato poi così lontano. Ammesso che fosse ancora vivo, ovvio.

Devo trovare Tonio, metterlo in guardia, prendere la mia Armatura e scappare!, pensava la ragazza guardando il gas acceso sotto al fornello.
Uscì dalla cucina e si diresse in cantina, passando davanti al bagno tirato a lucido: perché mai Tonio aveva fatto le grandi pulizie, quella mattina?

Giunta davanti alla porta della cantina, lo vide risalire gli ultimi gradini e richiudere la porta alle sue spalle.
«Dove t'eri cacciato?!», quasi urlò con la voce incrinata dal pianto. 

Tonio la guardò perplesso, posando una bottiglia di vetro sul tavolino del salotto.
«Ero sceso in cantina a prendere il vino...», disse guardando la ragazza con gli occhi sgranati. Che diavolo aveva per piangere così?

«Non abbiamo tempo per il vino, Tonio!», ribatté lei serrando i pugni. «Devo andarmene! Loro sono qui! Sono venuti a prendermi!» 

« Lo so, picciotta, lo so!», rispose tranquillamente Tonio togliendo un po' di polvere dalla bottiglia e dirigendosi in cucina. « È per questo che sono sceso in cantina! Abbiamo ospiti a pranzo!»

«Ospiti?! Che cazzo stai dicendo? Sei impazzito?», sbraitò esasperata «Chi è che viene a pranzo?», continuò seguendolo e facendo ampi gesti con le braccia.

«Io...», le rispose una voce maschile da dietro il mazzo di rose.

Françoise volse meccanicamente la testa verso i fiori: non era possibile che...

Scostò il vaso e vide Milo comodamente seduto su di una sedia.

Quando è arrivato?, pensò indietreggiando di un passo verso la porta.

Tonio la guardò perplesso.
«Beh? Non si salutano gli amici?», le chiese scolando la pasta e mettendola a mantecare nel condimento.
Salutare gli amici? Ma se è venuto per farmi la pelle?, pensò la ragazza lanciando un'eloquente occhiata a Tonio.

«Avanti, a lavarsi le mani e poi a tavola, o la pasta si fredderà!», la esortò Tonio iniziando a fare le porzioni. «Ho già messo una salvietta in più, accanto al lavandino. Indichi tu la strada al nostro ospite?»

Françoise crollò sulle ginocchia, poggiando il braccio sinistro sulla spalliera della sedia.

«Che hai fatto a Tonio?», chiese la ragazza fissando un punto indefinito del pavimento a rombi bianchi e verdi della cucina.



Tonio rideva come un matto, tenendosi la pancia ed oscillandosi pericolosamente sulla sedia.

«Hai realmente creduto... che Milo mi avesse fatto la festa?», le chiese tra una risata e l'altra.

Spero che tu cada. Che tu cada e che ti rompa la testa. Françoise teneva la testa sul piatto, le mani in grembo, ed era diventata rossa come un peperone.

Quella stessa mattina, poco dopo che era uscita, Milo si era presentato a Tonio, dicendogli che portava ordini da parte di Athena. Il vecchio amico di Death Mask aveva riconosciuto il Saint dell'Ottava Casa, e assicuratosi che Milo non avesse cattive intenzioni, l'aveva fatto accomodare in salotto, suggerendogli che avrebbe fatto di sicuro una bella sorpresa a Françoise se si fosse presentato alla gelateria.

Così aveva disegnato una piantina a Milo e si era messo a preparare il pranzo.

Françoise guardava gli spaghetti con le melanzane, cosparsi da un velo abbondante di ricotta salata, maledicendosi per essersi preoccupata per quel pazzo sciroccato.

Che diavolo poteva saperne, lei, che quei due si conoscessero? Mai l'aveva visto venire a far visita a quell'orso di Death Mask!

Lanciò uno sguardo bieco al vecchio, che stava ancora ridendo, e a Milo che mangiava di gusto gli spaghetti.

Strozzatici! A me è passato quasi del tutto l'appetito!, pensò fissando il suo piatto preferito.

« Se una certa persona non mi avesse abbandonato in balia di una pazza, le avrei spiegato tutto, per filo e per segno», aggiunse Milo rincarando la dose.

« Quale pazza?», chiese Tonio, curioso più dei due gattini che stavano osservando una mosca sul vetro della finestra.

«Una ragazza. Alla gelateria. È sbucata dal nulla e mi ha sventolato sotto il naso un quaderno. Voleva che glielo firmassi, sa Athena il perché.»

«Ah, scommetto che si tratta di Carmela!», sentenziò Tonio scuotendo il capo. «È fissata con le persone famose e appena ne incontra una, chiede subito l'autografo! Che se ne farà, poi... Adesso sono tutte fissate con un signor Tempesta, o una cosa del genere», concluse.

Françoise lo guardò bieco.

«Se tu avessi la decenza di tenerti informato, sapresti chi è Joey Tempest!» ringhiò la ragazza. 
«Joey Tempest?» Allora hai sentito tutto, pensò Milo con un sorriso sardonico. «Chi è?»
«È quel capellone ritratto sul poster che hai dentro l'armadio?», chiese Tonio indicando il piano superiore.
Françoise arrossì sempre più. Perché la terra non si spalanca mai sotto ai miei piedi? Prese il bicchiere colmo d'acqua che aveva di fronte e lo bevve tutto d'un fiato. «Che diamine sei venuto a fare qui, Milo?», chiese alzando la testa di scatto verso l'ospite che sedeva di rimpetto a lei.
Il ragazzo posò la forchetta, si pulì la bocca con un tovagliolo di carta e rispose alla sua compagna.
«Sono in missione per conto di Athena...»
«Ho capito...», disse la ragazza come accettando una condanna. «Non farò storie, ma lascia Tonio fuori. Lui non c’entra. Dammi solo qualche minuto.»

Milo la guardò strabuzzando gli occhi: che stava dicendo?
Scoppiò a ridere, portandosi una mano sulla testa.
«Hai capito male!», le disse cercando di tornare ad essere serio« Non sono venuto qui per eseguire una condanna, ma per recarti un messaggio», concluse fissandola negli occhi. 

« Mi hai preso per stupida?!», s'indignò Françoise scattando in piedi e rovesciando la sedia su cui era seduta. « Milo di Scorpio, l'Assassino del Grande Tempio che si scomoda solo per portarmi un'ambasciata? Cos’è, ti hanno retrocesso a portalettere?»

Françoise fissò Milo con uno sguardo incandescente: un'ombra velò lo sguardo del ragazzo, che abbassò gli occhi e le rispose: «Sì, in passato ho commesso numerosi assassinii per ordine del Grande Sacerdote...», ammise il ragazzo stringendo i pugni sul tavolo, «ma adesso, grazie ad Athena, il regno del terrore instaurato da Saga è finito ed io posso tornare ad essere un Saint, più che un killer prezzolato!»

«Alla faccia dell'onestà!», fu il commento di Tonio. Levò il bicchiere in un brindisi solitario e lo centellinò, goccia a goccia.

Françoise si pentì delle parole usate contro Milo. «Mi spiace», disse, « non volevo rigirare il coltello nella piaga!»

La cucina piombò in un silenzio tale che si potevano sentire perfettamente le fusa che i due micetti facevano accanto alla loro ciotola di latte. Dopo un po' di tempo passato in questa maniera, Tonio si alzò in piedi e levò di nuovo il suo bicchiere di vino.

«Tutti noi abbiamo commesso degli errori, e tutti eravamo convinti di essere nel giusto», prese a dire il vecchio guardando prima Françoise e poi Milo. « Tu, Milo eri convinto di servire la causa di Athena, ma tu, Françoise, accecata dall'odio, hai cercato vendetta, finendo per essere manipolata da una divinità malvagia. Dobbiamo davvero giocare a chi ha sbagliato di più?»

I due Gold Saint si sentirono piccoli piccoli alle parole dell'uomo.

«Tuttavia», riprese Tonio riempiendo i loro bicchieri di vino rosso, «avete ora l'opportunità di rimediare alle vostre colpe. Quale che siano stati gli screzi tra voi, gettatevi alle spalle asti e rancori!»

«No!», disse Françoise scuotendo il capo. «Quest'uomo... ha permesso che Hyoga uccidesse mio fratello, senza muovere un solo dito!»

« Perché tuo fratello ha cercato quella battaglia mortale contro Hyoga, affinché il suo allievo divenisse un uomo!», ribatté Milo guardando la ragazza dritto negli occhi.

«E a me non ha pensato?!» urlò Françoise scattando in piedi e ponendo entrambe le mani sul tavolo. 
No., pensò lo Scorpione. Milo la fissò e poi aggiunse: «Non ha pensato a nessuno, solo al suo dovere di mentore...».

Françoise si accasciò stancamente sulla sedia: non riusciva a capire i motivi che avevano spinto suo fratello a dimenticarsi di lei, preferendo uno stupido ragazzino, figlio di chissà chi.
Perché? Perché?, si chiedeva la ragazza stringendo i pugni fin quasi a sanguinare.
Cos'era quel sentimento che le ardeva in fondo al cuore, infiammandole il petto e contraendole lo stomaco in una morsa serrata? Odio? Rancore? Rabbia?
Gelosia.
Françoise di Cancer era gelosa di un ragazzino pettinato come Bon Jovi!
Come si accorse che le lacrime avevano iniziato a scorrere sul suo viso, si alzò e si diresse verso la sua stanza.

«Françoise!», la chiamò la voce di Milo, bloccandola sulla soglia della cucina.

«Milo di Scorpio», disse la ragazza senza voltarsi, «Ringrazio Athena per il perdono che ha voluto accordare ad una traditrice come me. Tuttavia, non credo che sarà mai possibile, per me, collaborare con gli assassini di mio fratello! Piuttosto, restituisco l’Armatura.»

Corse via a gran velocità.

Milo si sedette sconfitto sulla sedia, prendendosi la testa tra le mani e poggiando i gomiti sul tavolo. 

«Tranquillo», disse Tonio bevendo il bicchiere di Cirò che aveva tra le mani. «Le passerà.»

«Lo spero», ribattè Milo. «Per lei. Perché la riporterò indietro. Anche a costo di trascinarla per i capelli.»


Nota dell'Autrice: mi sono accorta che mancava questo capitolo. No, non era un'ellisse. Magari. Non so che fine avesse fatto il nostro capitolo, se fosse andato a farsi una passeggiata o a prendersi un caffè al bar, ma adesso è qui. Buona lettura e scusate il disguido.

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Capitolo 7
*** PENSIERI ***


Meriggio
 

Come fiori sbocciano i pensieri,
Cento al giorno-
Lasciali fiorire! Lascia alle cose il loro corso!
Non domandare del raccolto!
Occorrono anche giuoco ed innocenza
E fiori in abbondanza,
Altrimenti il mondo ci sarebbe angusto
E la vita priva di piacere.
( Hermann Hesse, Colmo di fiori, 1945)

 

Françoise era uscita dalla casa dal tetto verde, correndo a perdifiato giù per la discesa che portava al mare. La strada era deserta, come da copione, e aveva attraversato il parco senza incontrare anima viva: il viale di peschi, che ad Aprile aveva generato un angolo di rosa, l’abbracciò in un tourbillion di foglie dorate. La ragazza non si accorse dello spettacolo che la Natura generosa le stava offrendo, immersa nei suoi pensieri. Sorpassò la cancellata di legno verde e prese il viale che l’avrebbe portata al mare.

La spiaggia era deserta. Nessuno a godersi gli ultimi raggi di sole o a fare romantiche passeggiate in riva al mare. Costeggiò gli stabilimenti, le spiagge libere e le giostre, raggiungendo la barriera di scogli artificiali. Si tolse le scarpe ed attraversò la spiaggia, fermandosi davanti alle prime rocce: era una sorta di ponte, creato ammassando degli scogli, che l’avrebbe portata alla barriera creata per i pescatori. Salì sui sassi e prese a camminare con passo sicuro lungo quel percorso. Ogni volta si sentiva come Lancillotto sul Ponte Periglioso: solo, alla fine del suo tragitto, non avrebbe trovato nessuno, tranne il placido Mar Tirreno.
Si sedette sul suo scoglio preferito, a base piatta, che guardava dritto verso il mare aperto.
La brezza, carica d’odore salmastro, l’abbracciò, circondandola con il suo profumo.

La ragazza, a quell’incontro con l’aria, si sentì un po’ sollevata e si lasciò andare ad un bel sospiro: basta con i pianti! Odiava piangere, le sembrava di essere come quelle eroine dei romanzi da quattro soldi, che le sue compagne di classe acquistavano per leggerli sottobanco durante l’ora di matematica.
Rise: se le sue "amiche" avessero saputo chi diamine fosse, in realtà, la ragazzina che deridevano senza pietà…
Un Gold Saint che frequenta il Liceo e che vive come una qualsiasi quattordicenne.
Non che le fosse precluso da chissà quale legge… ma, per quello che ne sapeva, non era mai capitata una cosa del genere. Un Saint deve pensare a proteggere la sua dea, prima di ogni altra cosa: figuriamoci se può ammattirsi dietro ad una versione che non riesce o ad un problema di matematica ostico!
Ad ogni modo, probabilmente si sarebbe assentata da scuola per un bel pezzo.

Milo era venuto a portarle un messaggio da parte di Athena; il guaio era che, a causa della sua maledettissima impulsività, non aveva permesso all’ambasciatore di riferirle quale fosse il contenuto del messaggio.
Dettaglio trascurabile, vero?, si rimproverò stringendosi nelle spalle e tornando a guardare il mare: all’orizzonte, una vela rossa e blu si perdeva nell’abbraccio con il cielo e il mare.
Un gabbiano le atterrò vicino, fissando con curiosità quell’insolito visitatore. Françoise ricambiò lo sguardo del volatile, invidiandolo per le sue belle ali bianche. Amava i gabbiani da sempre, tanto da meritarsi il nomignolo di gaviota, gabbiano in spagnolo. 
Sorrise al ricordo di come le avessero appioppato quel ridicolo soprannome: suo fratello le aveva annunciato che avere un nomignolo del genere non era degno di un aspirante Gold Saint, ma lei non aveva voluto saperne! Era stata un’idea di Shura chiamarla così, e se suo fratello la giudicava una cosa sconveniente, poteva benissimo ignorare l’esistenza di quel soprannome!

Il gabbiano spiccò il volo tuffandosi nel mare, lasciandola con i suoi pensieri.
Che diamine voleva Milo?
Una cosa è certa, non è venuto per giustiziarmi!, pensò sollevata. 
Ma allora cosa mai aveva potuto spingere il Gold Saint dell’Ottava Casa a perlustrare tutta la Sicilia?

Milo era rimasto in cucina assieme a Tonio.
Aveva percepito chiaramente la ragazza allontanarsi da casa, sbattendo la porta e facendo risuonare la ghiaia che lastricava il vialetto d’accesso alla casa.
Tonio l’aveva fermato, posando semplicemente un braccio sul suo.
«
Lascia che si sfoghi!», gli aveva consigliato il vecchio, scuotendo la sua testa sale e pepe. «È pur sempre una ragazzina di quattordici anni!»
Milo l’aveva guardato inarcando il sopracciglio destro: «Solo una ragazzina di quattordici anni?»
«
Ha preso il carattere scorbutico del suo maestro. Non che suo fratello fosse più malleabile», continuò Tonio osservando il vino che aveva nel bicchiere. Prese, quindi, la bottiglia e riempì il bicchiere a Milo, incurante del cortese rifiuto del ragazzo.
«
Piuttosto che farsi vedere mentre sta piangendo, sarebbe disposta a farsi buttare viva nel fuoco!», aggiunse l’uomo guardando Milo dritto negli occhi.
«
Sì, proprio come Camus…», commentò Scorpio ripensando al suo amico.
«
Ed è anche orgogliosa! E testarda come un mulo!», disse Tonio con un mezzo sorriso. «Françoise ha capito, grosso modo, cosa è successo durante la battaglia intercorsa fra Camus e Hyoga; solo che non ammetterà mai e poi mai di essersi sbagliata.»
Milo bevve il vino rosso tutto d’un fiato.
«
A me non interessa che ammetta un bel niente!», disse il ragazzo alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la finestra. Scostò le tendine di mussola bianca e guardò al di là del vetro.
«
Sei venuto solo per riferire il messaggio di Athena?», gli chiese Tonio, guardandolo da sotto le spesse lenti dei suoi occhiali.
«
Certo…», rispose Milo sopra pensiero.
«
E allora, come mai non glielo hai riferito del tutto?», fece Tonio con una punta di sarcasmo nella voce. «Te ne sei forse dimenticato?»
Milo rise, chiudendo gli occhi e abbassando il capo.
«
No, Tonio, non melo sono per nulla dimenticato», rispose il ragazzo dando le spalle al suo ospite. «Ma se avessi detto a Françoise che avrebbe dovuto seguirmi al Santuario perché probabilmente Loki vuole la sua testa, non mi avrebbe mai creduto.»

 

Françoise stava facendo dondolare le gambe, guardando l’orizzonte.
Un piccolo granchio si era arrampicato sullo scoglio affianco al suo: come vide la ragazza interessarsi a lui, l’animale si tuffò velocemente in acqua, sparendo alla vista.
Uffa!, pensò la ragazza sbuffando. Era così carino…
Un brivido di freddo la costrinse a pensare al problema che aveva lasciato a casa: Milo sarebbe rimasto ad aspettarla per riferirle il messaggio di Athena, non poteva di sicuro non tornare più a casa!
La schiuma delle onde, che s’infrangevano contro gli scogli, la aveva bagnato le gambe fin sopra alle ginocchia, ma non le dispiaceva poter gustare la salsedine sulla propria pelle.
Sentiamo cos’ha da dire! Almeno, poi, potrò metterlo alla porta senza tanti complimenti!, pensò alzandosi dallo scoglio e protendendosi a raccogliere le sue scarpe da ginnastica bianche.
Avvenne tutto in un attimo.
Qualcosa, o qualcuno, la colpì alle spalle e cadde in acqua, sbattendo sugli scogli.
 

Milo, rimasto alla finestra mentre Tonio rassettava la cucina e dava da mangiare un po’ di pesce ai gattini, sentì un’interferenza nel microcosmo della ragazza.
«Françoise!», quasi urlò il guerriero, imboccando la porta dell’abitazione. Un lampo di luce dorata lo precedette sulla soglia. Seguì la scia dorata lasciata dall’Armatura del Cancro, subito dopo aver indossato la propria.
Se Françoise aveva richiamato la sua corazza, c’era di che preoccuparsi!
Grazie alla velocità dei suoi movimenti, Milo coprì in meno di un minuto la distanza tra la casa e la banchina di scogli: vide l’Armatura dirigersi rapidamente sul ponte artificiale per poi scomparire dietro la barriera di scogli.

 

Quando Françoise riaprì gli occhi, vide un paio di iridi azzurre che la stavano fissando.
Fece per alzarsi, ma una fitta alla testa la costrinse a restare sdraiata, strappandole un gemito.
«
Hai battuto la testa… Sta giù!», le fece la voce di Tonio posandole un panno bagnato sulla fronte.
«
Che è successo?», chiese la ragazza, dopo aver tremato sentendo qualcosa di freddo sulla pelle.
Il vecchio Tonio prese una sedia e l’avvicinò al capezzale.
«
Sei stata salvata dalla tua armatura… e da Milo!», disse l’uomo, facendo una piccola pausa per prendere il gattino nero e farlo scendere dal letto.
«
Cosa?!», esclamò la ragazza scattando a sedere. Una fitta lancinante alle costole le provocò un dolore che le tolse il fiato.
«Testona che non sei altro!», la rimproverò Tonio facendola sdraiare, adagio. «Ti ho detto di stare giù, si o no?»
«
Che hai detto?»
«
La tua armatura è scattata fuori di casa, precedendo Milo sull’uscio», riprese a raccontarle Tonio rimboccandole il lenzuolo. «Lo ha condotto alla scogliera, dove la tua armatura ti ha letteralmente ripescato dalle acque. Mi spieghi che cavolo ti è saltato in mente? Una cazzata del genere, da te, proprio non me la sarei mai aspettata!»
«Eh?
 Ma che ho fatto? Ricordo solo di essere stata colpita alla testa mentre raccoglievo le mie scarpe…», disse la ragazza fissando gli occhi grigi del vecchio: ma che cavolo gli era saltato in testa, a quel vecchio pazzo? «Di' un po’…», chiese lei guardandolo seria, «non penserai mica che io…?»
«
In un primo momento l’ho pensato, sì!», confessò il vecchio. «Ma sono sollevato di sapere che non è andata così! Solo che, se ti hanno colpito alla testa come dici, la situazione si è fatta più grave di quel che pensassimo…»
«Pens
assimo?», chiese la ragazza ponendo l’accento sull’uso del plurale effettuato dall'uomo. «Tonio, se sai qualcosa circa tutta questa storia, faresti bene a dirmelo, e alla svelta!», intimò lei, iniziando a dar segni d’impazienza.
«
Io non ne so molto, l’unico a saperne qualcosa è Milo, ma non credo che tu sia così matura da starlo ad ascoltare fino alla fine!», rispose Tonio con fare provocatorio, ottenendo il risultato sperato.
Françoise espanse impercettibilmente il proprio cosmo rispondendogli: «Fallo venire qua e te lo faccio vedere io, se non sono sufficientemente 
matura per ascoltarlo fino alla fine!».

Milo, appostato nel corridoio, a quelle parole sorrise ed entrò nella stanza, avvicinandosi al letto della ragazza.
«Vi lascio soli…»,disse Tonio cedendo la sedia a Milo e prendendo il gattino nero tra le braccia. «Devo dare da mangiare a questo giovanotto!», proseguì indicando la bestiola ed uscendo dalla stanza.
Milo si accomodò sulla sedia, mentre Françoise volse lo sguardo dall’altra parte, verso il muro.
«D
ovrei parlarti di una cosa…» disse, dopo aver preso una bella boccata d’aria.
«
Parla pure, ti ascolto!», rispose Françoise continuando a dargli le spalle.
«
Non è educato ignorare chi ci sta parlando…», commentò Milo esasperato dal comportamento infantile della ragazza.
«A
 Tonio ho detto che sarei stata matura a sufficienza da ascoltare ciò che avevi da dirmi, non da guardarti in faccia!», rispose lei con strafottenza.
«
La finiamo di giocare alle principesse offese?», chiese il Saint prendendola per le spalle e voltandola verso di sé. Françoise ebbe paura di quegli occhi blu, iniettati di sangue, e decise che sarebbe stato saggio desistere da quel comportamento infantile. Annuì.
M
ilo si rimise a sedere sulla sedia, accavallò le gambe e prese a riferire il messaggio di Athena.
«
La dea Athena è molto preoccupata per te…», iniziò a dire guardando la ragazza dritto negli occhi. «Ha percepito il tuo microcosmo, sebbene tu abbia fatto di tutto per tenerlo celato il più possibile. Perché non ti sei messa in contatto con noi, non appena ti sei ripresa? Non immagini come ci siamo sentiti trovando solo il tuo diadema!»
Françoise lo guardò con un’espressione a metà tra il perplesso e il seccato: la stava prendendo in giro?
«
Fammi capire…», gli disse lei aprendo le mani ed agitandole come se volesse avere qualche secondo per riordinare le idee. «Io ho ordito una trappola da manuale, vi ho tradito e come logica conseguenza avrei dovuto informarvi della mia salute? Non mi sembra che il discorso fili!»
«
Athena, poco dopo che tu e Nadja spariste nell’onda luminosa, ha dato ordine a noi Saint di ritrovare i vostri corpi. Per dar loro sepoltura!», si affrettò a dire Milo per tranquillizzare la ragazza delle loro intenzioni pacifiche. «Ma tutto ciò che siamo stati in grado di trovare è solo questo», disse il ragazzo mostrandole il suo diadema.
«Oh, l’hai trovato! Non sapevo dove fosse andato a finire! Ormai disperavo di ritrovarlo!», disse la ragazza prendendo il suo elmo dalle mani del compagno.
«
Françoise…», riprese Milo, «Athena ti ha perdonato. Vuole che tu rientri al più presto al Santuario per occupare il posto che più ti si addice!»
Cancer guardò Scorpio fisso negli occhi prima di esprimere le sue perplessità.
«
E questo, immagino che c’entri qualcosa con la mia disavventura, giusto?»
«
Athena teme che qualcuno ti abbia seguito e ti abbia aiutato a mantenere flebile la traccia del tuo microcosmo», disse il ragazzo appoggiandosi sullo schienale della sedia.
«
Chi?», chiese la ragazza. «Non penserete mica che…?»
«
Athena è sospetta che Loki sia riuscito a salvarsi e che voglia farvela pagare per avergli messo i bastoni tra le ruote…», disse Milo incrociando le braccia all’altezza del petto.
Françoise si alzò lentamente verso il ragazzo, che le mise un braccio dietro la schiena per sostenerla.
«
Se le cose stanno così, nosso e non voglio abbandonare Tonio!», concluse con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Milo scosse la testa e fece per rispondere alla ragazza, quando Tonio gli rubò la parola.
«
Picciotta, credi che il sottoscritto non sia in grado di tener testa ad uno sbarbatello?», chiese il vecchio fingendosi offeso.
«Non c’è proprio niente da scherzare, Tonio!» l’ammonì lei, severa. «Quella è gente che non scherza! Che farai? Chiamerai la polizia? Non ti permetterà di arrivare al telefono!!»
Tonio sorrise, consegnò a Milo il gattino che aveva ancora tra le braccia e si pose davanti al letto della ragazza, le braccia lungo i fianchi.
Françoise fissò perplessa l’uomo, temendo che avesse esagerato col vino.
«D
avvero non te ne sei mai accorta, picciotta?», chiese Tonio accennando un sorriso sulle sue labbra segnate dal tempo. «Devo essere stato proprio bravo, allora», proseguì prima di chiudere gli occhi e di inspirare profondamente.
In un attimo Françoise sentì la stanza invasa da un cosmo molto potente, simile a quello di un Gold Saint, provenire…da Tonio!
«
Com’è possibile?!», chiese la ragazza sgranando gli occhi e chiedendo conferma a Milo delle sue sensazioni.
«
Davvero non sapevi che Tonio?…» le chiese il ragazzo, accompagnando le sue parole con uno dei soliti sorrisi beffardi.
«
Non sapevo che Tonio, cosa?!», domandò ancora la ragazza dando segni d’impazienza.
«
Che io son l’ex Gold Saint di Cancer, nonché maestro di Death Mask…»,aggiunse Tonio diminuendo improvvisamente l’intensità del suo cosmo.

 

Françoise cenò in camera sua, quella sera, non essendo ancora in grado di alzarsi dal letto.
La ragazza, ingoiando la pastina in brodo che le aveva preparato Tonio, cercava di tirare le somme di quel che le era occorso in quella giornata.
Prima l’arrivo di Milo a Palermo, poi il fatto che Tonio conoscesse Milo, quindi un’imboscata tesa da un nemico sconosciuto; dulcis in fundo, come se non ne avesse avute a sufficienza di novità per quella giornata, aveva scoperto che Tonio non era altri che un ex Gold Saint e maestro del suo defunto mentore, Death Mask.
Se le cose stanno così, adesso capisco come mai, Mask non lo cacciasse a calci, ogni qual volta si presentava a casa sua; e soprattutto capisco come facesse a conoscere Milo, dato che non era mai venuto a trovare Death Mask, pensò la ragazza ricollegando le informazioni ottenute.
Adesso non le restava che affrontare i suoi compagni al Santuario!
Sicuramente Seiya e Hyoga l’avrebbero fulminata con lo sguardo, mentre, nella migliore delle ipotesi, gli altri non le avrebbero rivolto la parola.
Sospirò: essere richiamata al Santuario le appariva più una punizione, che una ciambella di salvataggio! 
Tuttavia, restando qui, sarei solo una facile preda: Loki mi userebbe come esca, perché Athena venga in mio soccorso, pensò sorridendo: non avrebbe permesso ad un dio come Loki di manovrarla come un burattino un’altra volta! Nossignore!

Pensò alle sue compagne, Nadia e Athina: era felice di sapere che Nadia si era anch’ella salvata, mentre era sollevata per aver appreso che gli occhi del Female Gold Saint di Virgo erano guariti.
Mise in bocca l’ultimo cucchiaio di minestra e depose il piatto sul comodino accanto al letto.
Si sdraiò, aspettando che Tonio venisse a prendere i piatti della cena e spense la luce. Le stelle fluorescenti che aveva attaccato al soffitto della sua camera da letto la salutarono con la loro luce verde.
Dopo un quarto d’ora, apparve Milo sulla soglia della sua stanza.
«
Come ti senti?»,le chiese il ragazzo con genuina premura.
«
Sono solo un po’ stanca…Credo sia più che normale, no?», rispose Françoise tentando di tenere gli occhi aperti. «Cos’hai deciso di fare? – le chiese Milo accomodandosi sulla sedia posta ai piedi del letto. «Verrai con me al Santuario, senza fare storie?»
«
Soddisferò i desideri di Athena, Scorpio», rispose la ragazza, sbadigliando. 
Milo abbassò il capo.
«
Non mi aspetto certo che mi accolgano a braccia aperte», proseguì la ragazza fissando la riproduzione del cielo che aveva ricreato sul soffitto. «La loro diffidenza è più che giustificata… e poi…»
«
E poi…?», le chiese Milo alzando la testa verso di lei.
«
E poi non so se io stessa riuscirò a collaborare con voi…Non ho ancora superato lo choc per la morte di mio fratello. Spero di riuscirci, prima o poi…», confidò la ragazza, unendo alle sue parole l’ennesimo sbadiglio.
«
Lo speriamo tutti noi, Françoise…», la tranquillizzò Milo. «Adesso dormi. Partiremo non appena ti sarai ripresa!»
«
Non vedo l’ora di essere al Santuario…», aggiunse la ragazza con gli occhi socchiusi.
«
Perché?», le chiese il ragazzo, temendo che volesse recarsi a pregare sulla tomba del fratello.
«
In Grecia potrò vedere vere stelle, non mi dovrò accontentare di queste pallide imitazioni!», sussurrò la ragazza prima di scivolare tra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 8
*** SOGNO ***


Sogno
 
Morire, dormire, non altro,
e con il sonno dire che si è messo fine alle fitte del cuore,
a ogni infermità naturale alla carne:
grazia da chiedere devotamente.
Morire, dormire.
Dormire? Sognare forse.
( William Shakespeare, Amleto, atto II scena I)

 
 
Milo uscì dalla stanza di Françoise, chiudendosi la porta alle spalle. Raggiunse Tonio in salotto e posò sul piccolo tavolino il piatto che aveva portato via dalla stanza della ragazza.
L’uomo guardò il giovane da sotto gli occhiali, senza togliere lo sguardo dal giornale, stampato su carta rosa, che stava leggendo.
«Ha mangiato tutto?», chiese come una chioccia premurosa voltando pagina.
«Sì…», rispose Milo guardando quel curioso vecchietto: a primo acchito sembrava proprio un comunissimo pensionato, non un ex Gold Saint in circolazione.
«Quando avete intenzione di partire?», chiese Tonio, come se stesse parlando del tempo.
«Sii serio…», gli fece Milo, seccato per quella domanda. «Françoise ha due costole incrinate, non credo potrà muoversi per un bel pezzo! E anche ammesso che riuscisse a farcela, costituirebbe un bersaglio troppo facile, non credi?», concluse il ragazzo tornando a guardare davanti a sé.
L’uomo si aggiustò gli occhiali, scesi sulla punta del naso, e alzò lo sguardo verso il suo ospite.
«Ma, anche restando qui, sarebbe ugualmente un bersaglio facile, non credi?»
Milo, che accarezzava uno dei gattini di Françoise, pensò che le parole di Tonio avessero un loro senso: sia che fosse rimasta, sia che fosse partita, la sua compagna sarebbe stata facilmente sconfitta dai sicari di Loki.
Tuttavia, il ragazzo dai lunghi capelli viola non poté far a meno di ricordare le parole di Saori al momento della sua partenza.
«Se Françoise è ancora sana e salva, conducila qui: parla con dolcezza al suo cuore, e vedrai che ti seguirà. Ma se Loki fosse già riuscito a catturare la ragazza, ti ordino, ripeto, ORDINO di riferire al più presto e di aspettare in loco i rinforzi! Non intraprendere azioni personali, intesi?»
Teoricamente, Françoise era ancora salva; magari non sana, ma almeno era riuscito a limitare i danni. Loki, aveva, tuttavia, fatto la sua comparsa sul luogo, aggredendo la ragazza per mezzo di un suo sicario.
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Condurre Françoise al Santuario sarebbe stata una pazzia, date le condizioni in cui versava la ragazza; d’altro canto, restare in casa di Tonio equivaleva a gettarsi in pasto al nemico: se Françoise era stata attaccata, evidentemente i seguaci di Loki erano già arrivati in Sicilia.
Il ragazzo strinse le mani fino a ché le nocche non sbiancarono.
«Se accetti un consiglio da un vecchio brontolone», disse Tonio alzandosi dalla poltrona, «partite con le prime luci dell’alba. Sarà meglio che non vi trovino…»
Milo alzò la testa verso il suo ospite.
«E tu che cosa farai?», chiese in un sussurro all’uomo, che piegò il giornale e lo inserì in un cesto pieno di vecchie riviste.
«Me la caverò benissimo, tranquillo…», rispose Tonio sorridendo. «Ma adesso è tardi! Ti consiglio di andare a dormire. Resterò io di guardia», concluse l’uomo indicando al ragazzo un letto ricavato stendendo delle candide lenzuola sul divano.
«Non è bello a vedersi, ma ti assicuro che è molto comodo!» affermò Tonio chiudendo a cerchio pollice ed indice della mano destra. Milo sorrise e ringraziò il vecchio Saint per le premure che aveva usato nei suoi confronti.
«Grazie, ma vorrei prendere una boccata d’aria, prima di coricarmi..», disse il giovane alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta.
Tonio annuì con il capo e salutò il ragazzo dirigendosi verso la sua stanza.
Milo, visto scomparire il vecchietto nell’ombra, scrollò le spalle e uscì in giardino. Il profumo delle rose bianche si spandeva per l’aria tersa di quella serata di fine Settembre. Lo sciabordio delle onde arrivava attutito alle orecchie del ragazzo, che raggiunse il centro del vialetto e si sedette per terra, incrociando le gambe.
Chiuse gli occhi, cercando di assaporare con tutto se stesso gli odori e i sapori di quel luogo: la voce delle onde, lo stormire delle fronde cullate dal dolce vento della sera, il profumo delle rose e dell’erba tagliata di fresco.
C’era calma nell’aria, la stessa calma che precede la tempesta, ma si sentiva sollevato, rispetto a quando si trovava ancora a casa sua, sull’isola di Milo.
Sebbene una sua compagna si trovasse a qualche metro sopra la propria testa con due costole malmesse e tutta una serie di lividi sul corpo, era più sereno di quando non sapeva che fine avesse fatto.
Sorrise.
Tutto ciò non aveva niente di logico: la situazione in cui si trovava era complessa e spinosa, ma nonostante tutto non era preoccupato.
Sollevato.
Era sollevato al punto che si lasciò cadere a terra, rimanendo per un po’ di minuti a fissare il cielo stellato.
In quel momento capì perché mai la ragazza avesse riprodotto sul soffitto della sua stanza la mappa del cielo: lo spettacolo che si poteva godere dal giardino della casa di Tonio era alquanto misero, rispetto alla moltitudine di stelle che era possibile vedere dal Santuario.
Improvvisamente, la tensione e la stanchezza accumulate fino a quel momento ebbero la meglio sul ragazzo, che s’avvide di non riuscire a tenere gli occhi aperti.
Ecco… sono arrivato al limite, pensò Milo stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere. Sarà meglio andare a dormire dentro.
Si rialzò da terra, si scrollò la polvere dai vestiti e si diresse verso casa.
Posò i vestiti su una sedia, indossò un pigiama di cotone blu, prestatogli dal suo ospite, spense la luce e si sdraiò sul divano del salotto di Tonio. La stanchezza accumulata nei giorni precedenti chiuse, una volta per tutte, gli occhi di Milo, sebbene il ragazzo volesse spendere parte della sua solitudine per decidere cosa fare.
Tornare o non tornare… questo è il dilemma!, pensò il ragazzo scimmiottando un celebre verso di Amleto di Shakespeare, prima di scivolare in un sogno senza sonni.
 
Un’esplosione di colori si mostrò generosa ai suoi occhi: fiori multicolori rallegravano di vivaci sfumature il crinale a picco sull’azzurro Mar Egeo.
L’aria salmastra del mare arrivava a lambire le sue narici, inebriandola e dandole una sferzata di energia, mentre la leggera carezza del vento sulla sua schiena la faceva sentire leggera come una foglia, pronta a spiccare il volo.
Lo spettacolo di quell’angolo della collina del Santuario, che solo lei conosceva, aveva il potere di lasciarla sempre senza parole, tanta era la bellezza della natura le si mostrava, di volta in volta, in tutto il suo splendore. L’esplosione di fiori in Primavera, il dorato colore degli aranci e delle messi in Estate, la ruggine delle foglie degli alberi in Autunno, la solitudine contemplativa del Mar Egeo in inverno: ogni stagione le regalava attimi di bellezza che avrebbero fatto bella mostra di sé sulle tele dei pittori e nei versi dei poeti.
La gonna, gonfiata dall’alito caldo del vento di Maggio, danzava nell’aria in un’ipnotica coreografia.
«Che caldo che fa, oggi!», sbuffò stendendosi sotto l’ombra di un grande olivo secolare. «Non oso pensare a cosa accadrà quando arriverà Luglio!»
Volse gli occhi verdi ad osservare il cielo azzurro, screziato da nuvole bianchissime, ponendo una mano a schermo davanti agli occhi. Seguì la lenta ma inesorabile corsa delle nuvole, cogliendo quali curiose forme potevano assumere.
 Toh… quella assomiglia alla Gran Bretagna…, pensò, notando un ammasso simile all’estensione del Regno Unito.
Sorrise, decidendo di riposare per un po’ sotto l'ombra dell’olivo, cullata dallo stormire delle fronde e dal prematuro canto delle cicale.
Aveva appena chiuso gli occhi, quando si sentì chiamare da una voce che le fece sobbalzare il cuore.
«Che ci fai tu qui, gaviota? Eppure, lo sai che non dovresti trovarti qui, vero?»
Si alzò prontamente a sedere, volgendo lo sguardo verso il ragazzo che le aveva rivolto quel rimprovero bonario, col tono di chi sa già che sta conducendo una battaglia persa in partenza.
«Allora?», insistette lui, le mani chiuse a pugno sui fianchi.
«Avevo voglia di starmene un po’ per i fatti miei», si giustificò lei, arrossendo. «E questo posto è così bello…»
Il ragazzo sospirò, scrollando il capo.
«È inutile…», riprese continuando il suo rimprovero. «Sai bene che alle ragazze è tassativamente precluso l’accesso al campo d’addestramento maschile! Eppure te ne freghi altamente!», concluse facendo la voce grossa.
La ragazza abbassò la testa, preparandosi all’ennesimo scapaccione; invece, il ragazzo posò una mano sul suo capo, con fare amichevole, carezzando quella testa matta, che amava agire secondo i propri desideri, incurante dei divieti e delle regole.
«Non imparerai mai, vero?», le chiese lui sorridendole.
«Non è giusto, però!», pigolò la ragazzina, gonfiando le guance. «Il vostro campo ha gli scorci più belli di tutto il Santuario! Il nostro, invece, fa letteralmente schifo!», protestò incrociando le braccia al petto e voltando la testa dall’altra parte.
«Ma tu non ti alleni qui, in Grecia», rispose guardandola seriamente. «Cosa te ne cale della bellezza del campo femminile?», continuò sedendosi accanto a lei, sotto l’ampia chiazza d’ombra.
«Che io mi addestri qui o altrove, fa lo stesso!», riprese lei, piccata. «È un’ingiustizia, punto e basta!»
Il ragazzo la fissò perplesso; quindi chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una sonora risata.
«E adesso che ho detto per farti ridere tanto?!», gli chiese inviperita, lanciandogli uno sguardo infuocato.
«Sei buffa!», rispose lui tornandola a guardare con quei suoi occhi scuri.
Restarono qualche minuto in silenzio, quindi il ragazzo si alzò e si scrollò la polvere ed un po’ di terriccio dai pantaloni color kaki.
«Adesso devo andare…», fece lui volgendosi ad osservare il mare. «Farò finta di non averti visto qui, oggi; ma bada che non diventi un'abitudine! Siamo intesi?», concluse allungando il suo indice destro verso di lei, con fare ammonitore.
«Ok…», rispose lei sbuffando ed alzandosi da terra.
Il ragazzo la guardò sorridente, ma triste, come se quella fosse stata l’ultima volta che si sarebbero incontrati.
«Che cos’è quella faccia scura?», gli chiese lei preoccupata.
«Nulla…», rispose scuotendo il capo e assumendo un atteggiamento distaccato, «Ora devo andare… Adios!», disse voltandosi ed agitando una mano in segno di saluto.
La ragazza vide la sua schiena allontanarsi a poco a poco, e, allo stesso modo, si sentì invadere dall’ansia al pensiero che, forse, non l’avrebbe più rivisto.
Avanzò verso di lui, cercando di raggiungerlo, ma accadde qualcosa di strano: la luce attorno a lei era sparita assieme al ragazzo, lasciandola nell’oscurità.
Più tentava di raggiungerlo, più lui si allontanava, finendo per divenire irraggiungibile, sebbene fosse ben visibile ai suoi occhi.
Assalita dall’ansia, chiamò il suo nome, non accorgendosi di stare, invece, gridando.
«SHURA!!»
Il ragazzo proseguì, incurante della sua voce accorata.
«SHUUUUURAAAAAAAAAAAAA!!!»
Si risvegliò nel suo letto, madida di sudore, con un dolore lancinante alle costole: si era alzata all’improvviso, come si era risvegliata, del tutto dimentica dell’agguato di cui era stata vittima nel pomeriggio.
Portò istintivamente una mano sulla parte dolorante, mentre i denti erano serrati in una morsa. Che cretina… si disse, mentre riacquistava lentamente un regolare ritmo di respiro.
Sorrise, ma questa volta di disappunto.
Era solo un sogno! Come potevo avere l’aspetto attuale, se l’ultima volta che l’ho visto avevo dodici anni?, si disse asciugandosi una lacrima dal viso.
«Tutto a posto?»
La voce concitata di Milo le fece alzare il capo in direzione della porta: vide il ragazzo appoggiato sullo stipite bianco della sua stanza, visibilmente preoccupato. Doveva aver urlato a pieni polmoni, perché sia Milo che Tonio fossero accorsi prontamente al suo capezzale.
«Picciotta, è tutto a posto?», le chiese Tonio, avvicinandosi al letto con fare premuroso.
«Sì, sì…», li rassicurò asciugandosi furtivamente una lacrima. «Ho solo fatto un brutto sogno, scusatemi…»
L’uomo le accarezzò la testa con fare premuroso, gesto che contribuì a commuovere la ragazza, che riprese a piangere, senza freno.
Milo entrò nella stanza, restando, però, lontano dai due, come se non volesse interferire in una riunione di famiglia.
Famiglia.
Non era sicuro di sapere cosa significasse quel termine, ma lo spettacolo che aveva davanti agli occhi si avvicinava molto all’idea che si era fatto crescendo.
Quando Françoise si fu calmata, narrò nel dettaglio il sonno fatto poco prima: il Gold Saint riconobbe il luogo descritto dalla ragazza, posto in cui era solito recarsi anch’egli a riposare durante la calura estiva, sovente accompagnato da Aiolia o Shura, ma più spesso da solo.
Ad un tratto, Françoise riprese la parola.
«Credo… credo che questo sogno non sia stato casuale, sapete?», disse la ragazza, dopo essersi soffiata il naso con un fazzoletto di carta.
«Sciocchezze, sciocchezze!», le disse Tonio aiutandola a sdraiarsi e coprendola con il lenzuolo. «Era solo un brutto sogno! Anche quando tornasti, non facevi altro che sognare di tuo fratello; saranno state le emozioni che hai avuto in questi giorni a farti quest’effetto.»
«Credo che abbia ragione Tonio, anche se con Loki e i suoi scagnozzi, non è da sottovalutare l’ipotesi che il sogno di Françoise sia stato indotto…», concluse Milo, appoggiandosi al muro, una mano sotto il mento, a riordinare gli eventi.
«Io dico di no», intervenne Tonio allontanandosi dal letto della ragazza. «Ci stiamo solo facendo suggestionare! Ora è meglio che voi due torniate a dormire, sarete stanchi, immagino. Io resterò di guardia qui, nel caso che le vostre supposizioni siano fondate, va bene?», disse con un tono che non ammetteva repliche.
Milo seguì l’uomo fuori della stanza, annuendo alla proposta fattagli poco prima: lanciò uno sguardo preoccupato a Françoise, che si stava riaddormentando.
«Kalinikta…», sussurrò Milo all’indirizzo della ragazza, già scivolata nel mondo dei sogni.
I due uomini si ritrovarono nel corridoio, e, dopo che Tonio chiuse la porta di legno bianco alle sue spalle, Milo lo fissò dritto negli occhi grigi.
«Tu resta qui, io pattuglierò il pian terreno», disse al compagno, il quale scrollò le spalle e replicò: «Non c’è nulla di preoccupante! Non avverto alcun microcosmo nei paraggi, stai tranquillo!».
«Sarà»,disse Scorpio scendendo le scale. «Ma sarò più tranquillo dopo che avrò personalmente ispezionato la casa ed il giardino.»
Senza attendere repliche da parte di Tonio, il ragazzo si rivestì ed infilò la porta principale.
L’esterno della casa si presentava avvolto ancora nella notte, mentre non una mosca turbava la quiete di quel posto. Milo volse lo sguardo tutt’intorno, accorgendosi solo in quel momento del fatto che la casa sorgesse sulla sommità di una collinetta. Completamente isolata.
Durante il giorno non ce ne si accorgeva, data la presenza delle piante, che riempivano il vuoto abitativo attorno alla costruzione. Tuttavia, di notte, quelle stesse piante, che incorniciavano la casa, creavano una sorta di intricata barriera contro qualsiasi aggressione esterna.
Uscì sulla strada, aprendo il cancelletto di legno bianco, per osservare i movimenti sulla strada: non c’era anima viva.
Stava per voltarsi e rientrare, quando sentì un rumore provenire dalle sue spalle: si girò, pronto ad estrarre il suo ago venefico, avvicinandosi alla fonte del rumore.
Dietro un cassonetto, vide solo le iridi di un gatto che si stava procacciando la cena frugando tra i rifiuti.
Milo scrollò la testa, sollevato dal fatto che si trattasse solamente di un innocuo animale.
Tanto rumore per nulla, pensò, tornando sui suoi passi. Ma subito, però, si accorse che qualcosa stava cambiando: le piante, che costituivano un ornamento della casa, sembrava che stessero stringendo la loro morsa attorno alla costruzione.
Milo scosse il capo, convinto si trattasse di uno scherzo del buio o della stanchezza: quando riaprì gli occhi, tuttavia, si accorse che la sua impressione corrispondeva paurosamente alla realtà. Le piante stavano ripiegando su loro stesse, a formare un bozzolo inespugnabile attorno alla casetta a due piani. Corse verso la costruzione, cercando di guadagnare l’accesso all’interno di quel muro di vegetali; le spine delle rose bianche, una sottospecie della Bloody Rose d’Aphrodite, graffiarono le braccia del Gold Saint, costringendolo ad emettere dei lamenti soffocati dalle imprecazioni che si stava lanciando contro.
«Maledizione!!», ringhiò contro quei rovi che si stavano stringendo sempre più, separandolo dai suoi compagni.
Fu a quel punto che vide qualcosa uscire dall’intrico di rami e spine. Si avvicinò a quello che riconobbe essere un corpo, quando notò con orrore che si trattava di Tonio. Immediatamente, il suo cervello gli porse la soluzione all’agghiacciante quesito che il ragazzo se era immediatamente posto: Tonio era stato assassinato, ed il suo sicario aveva preso il suo posto all’interno della casa.
«Françoise!!», gridò il ragazzo volgendo lo sguardo verso la finestra della ragazza; l’urlo di terrore lanciato dalla sua compagna confermò le sue ipotesi.
 

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Capitolo 9
*** EROE ***


Eroe
 

A gran voce dice il Cid nato in buon ora:
"colpite, cavalieri, in nome del Creatore!
Io sono Ruy Dìaz, il Cid Campeador!"
(Cantar de Mio Cid ,vv. 719-721, 1040-1080 ca.)



Françoise sentì qualcosa sfiorare le lenzuola in fondo al letto.
Ancora non completamente assopita, la ragazza si stropicciò gli occhi, volgendosi verso la porta.
«Tonio?», chiamò con la voce ancora impastata dal sonno, senza ottenere risposta.
«Tonio?», ripeté allarmata mettendosi a sedere, la schiena appoggiata ai cuscini dietro di lei.
Fu allora che Françoise percepì chiaramente la presenza di qualcun altro, oltre a lei, in quella stanza.
Chiunque fosse, non aveva intenzioni pacifiche, questa era la sola cosa che avvertiva chiaramente, immersa nel buio irreale di quella stanza.
«Chi sei?!», ordinò imperiosa alla figura scura che iniziava lentamente a prendere corpo.
Una risata sommessa rispose alla domanda fatta dalla ragazza.
«CHI SEI!!», urlò Françoise alzandosi in piedi sul letto, pronta a cercare di fronteggiare l’attacco che sarebbe di lì a poco arrivato.
Le nuvole che coprivano la sottile falce lunare lasciarono il posta agli strali argentei dell’astro notturno, proiettando un esile cono di luce all’interno della stanza. Le costole pulsavano impazzite, mentre i sensi erano allertati e pronti a cogliere il minimo movimento dell’intruso.
Françoise, spalle alla luce, vedeva riflessi sul pavimento di legno scuro gli infissi della finestra: la figura estranea, i piedi lambiti dal cono di luce, sembrava fosse una statua di sale, ferma immobile, come se stesse aspettando il momento propizio per palesarsi.
Quando anche l’ultima nube si dileguò dal cielo, la ragazza vide un luccichio in fondo alla stanza.
Non può essere, pensò sgranando gli occhi e ricordandosi che era visibile al nemico, mentre questi aspettava nascosto nel buio.
«Te lo chiedo per l’ultima volta!», disse la ragazza portando la gamba sinistra in avanti e le braccia in posizione di guardia. «Dimmi. Chi. Sei!!»
La figura, per tutta risposta, avanzò fino al letto della ragazza, palesando la sua reale identità.
Il cuore di Françoise perse un battito.
Non… non è possibile, si disse portandosi le mani al viso e sgranando gli occhi fin quasi a farli fuoriuscire dalle orbite. Aprì la bocca per gridare, ma sentì la gola arsa e la voce assente, come se fino ad allora non avesse mai posseduto alcuna corda vocale.
L’estraneo avanzò indisturbato, prendendole le mani e baciandogliele con galanteria.
«Hola, mia piccola gaviota…»
Françoise ritrovò di colpo la favella ed urlò la sua paura a pieni polmoni.


>Athena, ti supplico, fa’ che io possa arrivare in tempo!
Milo, lottando contro l’intrico di rovi che stava letteralmente soffocando la graziosa casetta in cima alla collina, pregava dentro di sé che non fosse troppo tardi per salvare almeno Françoise.
Per ogni ramo che spezzava, un altro fuoriusciva dal rovo, rendendo vano qualsiasi sforzo fatto. Milo indietreggiò di un passo, sentendosi le mani e le braccia ardere per il contatto con le spine del roseto: lo spettacolo che si parava di fronte ai suoi occhi era raccapricciante.
I rovi danzavano illuminati sinistramente dalla fredda Luna, come al suono di una folle melodia, agitando i rami carichi di spine nel fresco vento settembrino. La pallida luce lunare, ora liberata da cumuli di nubi nere, donava all’insieme un tocco di lucida follia.
Mostruoso!, pensava il ragazzo guardando l’orrore che si andava consumando davanti a sé.
Françoise era ancora in quella casa, come avrebbe fatto per liberarla?
Il suo corpo, non protetto dall’armatura, era ferito in diversi punti, sulle braccia e sulle gambe, mentre dalle ferite iniziavano a fuoriuscire piccole perdite di sangue.
Devo farcela!, si disse fissando con rabbia la casa a pochi passi da lui: rivide mentalmente la giornata appena trascorsa assieme a Françoise e Tonio, il pranzo, la scenata della ragazza, la sensazione di pericolo avvertita quando era stata attaccata dal nemico, la sensazione di calore provata pochi minuti prima…
Non può andare a finire così!! Non deve finire così!, pensò fissando l’insolito nemico che si trovava ad affrontare. Raccolse tutte le sue forze e tutta la determinazione per cui era noto al Santuario: strinse i pugni ed espanse il proprio cosmo dorato fino ai limiti estremi. Sulla collina, una calda luce dorata brillò improvvisamente, rischiarando di poco le tenebre della notte.
Alla base di essa, una coppia di innamorati, che rincasava da una romantica passeggiata, vide come un’esplosione di fuochi d’artificio splendere per un istante sulla sommità del colle.
«Credi che ci sia qualche festa qui vicino?», chiese la ragazza abbracciando forte il proprio fidanzato.
«No, che io sappia no…», rispose lui circondandole le spalle con un braccio.
«Chissà chi sarà », aggiunse lei estasiata dal quell’inatteso spettacolo.
Il buio riprese possesso della cima del colle.


«Non è possibile!», gridò Françoise indietreggiando fino a toccare il muro con la schiena. Davanti ai suoi occhi, bello e sorridente come se lo ricordava, era apparsa una sua vecchia conoscenza.
Shura di Capricorn.
Uno dei migliori Saint al servizio di Athena.
Uno degli amici di suo fratello Camus.
Uno dei guerrieri periti durante le battaglie al Santuario di Grecia.
Françoise guardava quell’apparizione, tanto impossibile quanto tangibile, apparsagli nel bel mezzo della notte, con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite per la sorpresa.
«Non è possibile…», ebbe la sola forza di dire fissando dritto gli occhi scuri dell’altro.
«È da tanto che non ci vediamo, mia piccola gaviota…», rispose Shura scostando di poco la cappa color della pece che aveva usato per mimetizzarsi, rivelando un bagliore dorato al di sotto di essa. Ci volle un istante alla ragazza per capire che Shura, o chi per lui, indossava le sacre vestigia del Capricorno.
«Com’è possibile?», chiese la ragazza stupefatta, pregando in cuor suo che quell’apparizione non fosse un’illusione generata dal nemico.
Shura sorrise, avvicinandosi alla ragazza fino a mettere un solo passo fra di loro.
«Non mi hai visto, poco fa nel tuo sogno?», le chiese carezzandole una guancia con la mano destra.
Françoise annuì meccanicamente, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli scuri e magnetici del ragazzo.
«Era il mio modo per annunciarti il mio ritorno…», aggiunse lui dolcemente accompagnando le proprie parole con un caldo sorriso.
«Ma… ma tu sei morto durante la rivolta…», tentò di dire la ragazza tra i singhiozzi e lo stupore. «Come…?»
«È semplice… il mio corpo ha vagato nello spazio finché io non ho avuto la forza necessaria per richiamare a me la mia Armatura; a quel punto, sono potuto scendere sulla Terra senza preoccuparmi dell’impatto con l’atmosfera…»
Il caldo accento spagnolo con cui Shura parlava fece riaffiorare prepotentemente il ricordo dei giorni trascorsi al Santuario e dell’ultima volta che si erano visti.
Calde lacrime rigavano il viso della ragazza, che, senza curarsi di asciugarle o di celarle, si era avvicinata all’ospite, annullando qualsiasi distanza.
«Ma, allora… è anche possibile che…»
Non riuscì a terminare la frase, tanta era la speranza che riponeva in quell’impossibile pensiero.
Shura annuì.
«Sì, anche tuo fratello Camus riuscirà a risvegliarsi dalla bara di ghiaccio in cui lo ha rinchiuso Hyoga. È solo questione di tempo!», le disse rassicurandola e regalando al suo cuore un battito nuovo ed una nuova speranza.
«Shu… Shura…», sussurrò la ragazza abbracciando l’amico e scoppiando in un pianto liberatorio sul pettorale dell’Armatura.
«Shh… tranquilla, va tutto bene», la rassicurò il Gold Saint carezzandole la testa con fare protettivo. «Rilassati, andrà tutto per il meglio…», le disse con voce dolce, cercando di coprire i singhiozzi della ragazza.
Françoise era incredula, ma il suo cuore aveva avuto un tuffo quando Shura le aveva detto che, forse, c’era ancora una speranza per suo fratello.
Se ce l’ha fatta Shura, ce la farà sicuramente anche lui!, si andava dicendo mentre piangeva a dirotto tra le braccia dell’amico.
Nella calma notturna, la giovane guerriera lasciava che le emozioni, forti ed intense, viaggiassero libere e senza freno.
Il silenzio era rotto solo dai suoi singhiozzi e dal placido ronfare dei due micini.
Sentiva il pettorale dell’Armatura emanare un calore rassicurante ed il battito del cuore dell’amico ritrovato le giungeva, seppur attutito, come un ipnotico mantra capace di rasserenarla e fugare ogni paura.
«Io… io… mi sentivo persa…», disse tra le lacrime, sentendo il proprio fiato appannare la corazza dorata su cui si appoggiava. «Non avevo neppure un posto dove venire a piangervi… mio fratello… avvolto da uno strato di ghiaccio allo zero assoluto… tu… disperso nel cosmo…. avevo due vuote bare…. che senso aveva tutto ciò..?»
«Tranquilla, gaviota… è tutto finito…», la calmò il ragazzo carezzandole la testa lentamente, come se stesse facendo le coccole ad un gattino, ed asciugandole le lacrime con il dorso della mano. «Adesso calmati, su smettila di piangere…»
All’improvviso, mentre sentiva le forze abbandonarla e le braccia di Morfeo richiamarla prepotentemente a sé, Shura strinse la mano posta sulla testa di Françoise e, rapido e preciso, colpì alle spalle la ragazza con la sua Excalibur.
Cancer fece appena in tempo a spostarsi di lato.
Guardò con occhi sbarrati l’amico, che, brandendo il proprio braccio come fosse una spada affilata, minacciava la ragazza che aveva tenuto fino a poco tempo prima stretta al suo petto.
«Perché?», chiese lei arretrando verso il muro. «Perché, mio Cid Campeador?»,  continuò ricordandogli il soprannome che gli aveva dato anni addietro.
Shura non si scompose.
«Chi sarebbe questo Cid Campeador», chiese con un sorriso di scherno dipinto a fior di labbra.
«L’eroe della Reconquista spagnola… Il paladino della Cristianità sui Mori… Il nobile e valoroso eroe che scacciò l’invasore dalla propria terra», disse Françoise stringendo i pugni e sentendo il sangue fuoriuscirle dalla ferita provocatagli sul fianco sinistro. «TU eri il MIO Cid Campeador!», urlò espandendo il proprio cosmo, gli occhi frementi dalla rabbia.
Un inquietante sorriso si dipinse sulle labbra del Gold Saint.
«Tu… tu non sei Shura! Non PUOI esserlo!», gridò la ragazza con le lacrime che le offuscavano la vista.
«Alla buon’ora!», rispose la figura.
Françoise pensò di avere le traveggole: Shura andava lentamente sbiadendo nel buio, mentre prendeva piano piano corpo una figura corpulenta e nerboruta.
Una risata di scherno la colpì più di un pugno ben assestato.
«Cretina… pensavi realmente che si possa tornare da un viaggio nel cosmo, senza alcuna protezione…?», prese a dire la figura che aveva assunto altre sembianze. «Non credevo fossi così ingenua, Françoise…»
La ragazza, per tutta risposta, non staccò gli occhi di dosso all’avversario, stringendo rabbiosamente i pugni lungo i fianchi.
«Cos’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?», continuò l’uomo con fare sarcastico all’indirizzo della guerriera. «Oppure sei rimasta colpita dalla mia bravura, eh?»
«Tu…», sibilò Françoise con quanto freddo odio era capace di infondere a quel semplice pronome.
«Esatto…», fece il nemico palesandosi definitivamente.


Milo, raccolta l’energia sufficiente, l’aveva convogliata tutta nel suo venefico aculeo e, scovato il punto debole del roseto, vi aveva lanciato contro il colpo per cui era così tristemente famoso. Un raggio di luce dorata era partito dal dito del guerriero, andandosi a schiantare contro la base della pianta. In un attimo, esso si era dapprima fermato per poi contorcersi dal dolore ed accasciarsi a terra in preda ai singulti.
Milo osservò con freddezza la fine di quel maledetto intrico di rovi. Richiamò a sé la propria Armatura e sui diresse a spron battuto verso l’interno della casa, chiamando a gran voce il nome della compagna.
Entrò in casa come una furia e corse su per le scale salendo i gradini a due a due.
Speriamo che gli altri sentano il mio cosmo e mi raggiungano al più presto! Non ho di sicuro il tempo materiale per fare le cose secondo le regole!, pensava il ragazzo dirigendosi a gran velocità verso la camera da letto di Françoise.
Non c’era alcun rumore al piano superiore, nulla che facesse presupporre la presenza di altre persone vive.
«Françoise!!», gridò aprendo di scatto la porta.
Lo spettacolo che gli si parò davanti lo fece sbiancare dall’orrore.
Il Female Gold Saint di Cancer giaceva esanime sul letto, la testa ciondolante a terra: un rivolo di sangue scorreva dalla bocca fino alle tempie della ragazza, il cui sguardo era spalancato dall’orrore provato.
Aveva sicuramente cercato di difendersi, ma le ferite le avevano impedito di rispondere a tono all’aggressore, che aveva avuto la meglio su di lei, uccidendola.
Sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
Strinse le nocche finché non divennero bianche e finché le unghie non gli si conficcarono nelle carne.
Si avvicinò impotente al corpo della ragazza, con una gran voglia di radere al suolo tutto quanto.
A cosa è servito venire fin qui?, si chiese Milo abbassando le palpebre di Françoise. Non sono riuscito a salvare la sorella del mio migliore amico…
Si alzò e si mise una mano sugli occhi, iniziando a recitare una preghiera.
Dato che del nemico non vi era più traccia, e che per Françoise era ormai tardi, girò sui tacchi e si diresse verso il corridoio per riprendersi dalla scena.
Si passò una mano sulle folte sopracciglia, quando ebbe un’illuminazione e si fermò nel bel mezzo della stanza.
Fu un attimo: riprese a camminare verso il corridoio, la testa china, come se non fosse accaduto nulla. Si voltò di scatto verso la sagoma stesa a terra, colpendola con il suo ago venefico.

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Capitolo 10
*** NOTTURNO ***


Notturno
 


Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
silenzïosa luna? (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Canti, 1835)


 

La Luna splendeva alta e solitaria nel cielo di Settembre; sotto la sua pallida luce, la casa in cima alla collina si stagliava, irriconoscibile, contro il nero della notte.
Rovi dalle ciclopiche dimensioni attorniavano la costruzione, avviluppandosi attorno ad essa in molteplici spirali; avvolto in una di queste, il corpo del vecchio padrone di casa, Tonio, giaceva esanime sul prato all’inglese madido di rugiada, linfa, sangue.
Al primo piano, Milo di Scorpio fissava dalla soglia della stanza di Françoise il cadavere della ragazza che, da disteso a terra, gli occhi sbarrati, andava lentamente acquisendo volume.
Sorrise.
In poco meno di un attimo, il leggiadro corpo della sua compagna divenne il nerboruto e possente fisico di un guerriero, il quale non perse tempo e si lanciò diretto contro il proprio avversario.
Milo, rimasto in guardia aspettandosi una mossa simile, scattò come un automa, scansandosi di lato e lasciando che l’intruso lo superasse. L’ago scarlatto si conficcò tra le scapole dell’uomo, strappandogli un urlo di dolore.
Il Saint dell’Ottava Casa fissò, con disprezzo misto ad ira, il proprio avversario contorcersi sotto il dolore della seconda puntura.
«Non ci girerò troppo intorno…», disse scuotendo il capo con noncuranza. «Dimmi dov’è Françoise!»
Una sinistra, quanto sguaiata risata, fu la risposta che ebbe.
«Intendi forse quella sgualdrina d’una traditrice?», chiese l’uomo alzandosi e sovrastando Milo con la propria mole.
«Dalle tue parole posso dedurre che tu faccia parte della cricca di Loki…», rispose il paladino di Athena ricambiando lo sguardo, per nulla intimorito dalla stazza dell’avversario.
«Ma che bravo…», fece il gigante lisciandosi l’ispida barba rossa che gli incorniciava il volto. «Mangi pane e volpe, per caso?», e, detto ciò, si lanciò come un treno contro Milo, schiacciandolo contro la parete.
Lo Scorpione lo lasciò fare, posando entrambe le mani sulle spalle dell’avversario: immediata, la Cuspide Scarlatta si aprì un varco tra le vive carni, colpendo il nemico sul collo.
L’avversario scattò istintivamente all’indietro, lasciando la presa su Milo.
«Maledettissimo insetto…», bestemmiò l’omone massaggiandosi il minuscolo punto lasciato scoperto dalla propria corazza.
«Te lo ripeto per la seconda volta…», fece Milo avanzando con fare nervoso, la luce lunare alle spalle. «Dov’è Françoise?»
«E perché dovrei darti quest’informazione?», chiese l’altro con fare indisponente.
«Perché credo che tu abbia cara la vita!», rispose secco Scorpio.


 
L’immensità del cielo stellato l’abbracciava in tutta la sua estensione.
Orione brillava caldo su di lei, mentre all’orizzonte s’alzava timida la Croce del Nord, e l’Aurora Boreale stendeva le sue dita cangianti sulle distese ghiacciate della Siberia Orientale.
Il silenzio l’avvolgeva col suo manto impalpabile: il vento non soffiava a sferzarle gelido il viso, mentre la luna l’osservava, silente e solitaria, al centro del firmamento.
Non sentiva freddo, avvolta nel suo cappotto imbottito che sapeva essere foderato di panno rosso. La testa, protetta da un cappuccio del medesimo colore, la percepiva fresca, leggera, come se fosse nata in quello stesso istante.
Il suo sguardo si perse a contemplare il meraviglioso spettacolo che la Natura generosa le stava offrendo, quando una voce a lei familiare la destò.
«Hai intenzione di far compagnia ai blocchi di ghiaccio eterno?»
Dall’uscio di un izbà coloratissima, le apparve l’alta figura di suo fratello Camus, vestito di caldi panni invernali, stagliarsi contro il nero del cielo notturno.
«Spiritoso!», fece lei canzonandolo e cacciandosi le mani in tasca.
Lui sorrise, raro momento d’intimità con lei.
«La cena è pronta», disse il ragazzo accostando al collo l’ampio scollo del pesante maglione che indossava, unito ad un paio di pantaloni dal caldo color ruggine.
«Arrivo, arrivo…», rispose lei, alzando un’ultima volta gli occhi verso le stelle, che parevano augurarle la buonanotte.
Percepì suo fratello bofonchiare qualcosa alle sue spalle, quindi rientrare in casa, lasciandole l’uscio aperto. Annusò l’aria: c’era odore di zuppa di grano, che le solleticava naso e appetito. Soddisfatta, si fregò le mani e si diresse verso casa.
Non era mai stata molto abile a camminare sul ghiaccio; anzi, il suo più che un moto, era un vero e proprio slittamento verso la casa.
Ma sono io, o è la casa che si sta spostando?, si chiese mentre tentava di avvicinarsi senza successo all’izbà.
La casa era lì, l’uscio aperto che faceva fuoriuscire una calda luce dorata.
Porc… Sto facendo perdere un sacco di calore alla casa! Camus mi ammazzerà!!, pensò maledicendo la propria incapacità di procedere in linea retta.
D’un tratto, però, s’accorse che la costruzione si stava allontanando, scivolando verso il fondo buio della notte.
Si bloccò, in posizione semieretta, una ciocca di capelli che danzava languidamente abbandonata nel vento.
«Camus?», chiamò per sincerarsi della realtà delle cose e per farsi venire a prendere dal fratello.
Come mai non era ancora apparso sulla soglia, sgridandola perché stava facendo disperdere del prezioso calore alla casa?
E come mai la casa stessa stava scivolando inesorabile verso il nulla?
E perché suo fratello non le rispondeva?
«CAMUS!!», urlò in preda al panico, iniziando a correre verso l’izbà.
Un sinistro scricchiolio sotto di lei la costrinse a guardare verso i propri piedi: notò con orrore che, sotto i pelosi doposcì gialli, il ghiaccio si era aperto in una sottile crepa che si andava allargando.
Saltò a sinistra, in direzione della casa, ma il ghiaccio fu più lesto di lei, lasciandole rapidamente solo un’esile lastra di ghiaccio su cui posare i piedi.
La casa, intanto, spariva sempre più velocemente.
«Camus!!», urlò poco prima di perdere l’equilibrio e cadere in acqua.
 
«Sveglia! Sveglia!»
Una sensazione di estremo fastidio la costrinse a riaprire gli occhi.
Dapprima sfocato, poi via via sempre più nitido, riconobbe un narciso bianco che si stagliava solitario in un vaso dall’alto fusto. La finestra posta dietro al fiore, posato su un tavolo, lasciava entrare in casa i caldi raggi del sole.
Confusa, si mise a sedere sul letto, scostando di poco la leggera coperta azzurra che le copriva le gambe.
Girò la testa a destra e a manca, prendendo lentamente nota degli oggetti che incontrava man mano.
Un tavolo rotondo con sopra il narciso.
Un cassettone a setti scomparti.
Delle mensole in legno scuro, stipate ordinatamente di libri.
Una porta massiccia.
Uno specchio intero in cui si vide riflessa.
Shura di Capricorn.
Un armadio in radica.
Lo scrigno dell’Armatura d’oro.

Il suo cervello le impose di voltarsi a destra.
«Ma?», chiese la ragazza fissando Shura che, con aria tra il divertito e il perplesso, l’aveva osservata fare una lenta panoramica della stanza.
«Ti piace l’arredamento, gaviota?», domandò lui, con uno di quegli ampi sorrisi che dedicava solo a lei.
«Che ci faccio qui?», chiese Françoise per poi pentirsi della sua uscita poco intelligente.
Shura piegò la testa di lato.
«Dormivi così bene… al tuo solito posto, dove sai che ti è tassativamente vietato stare…», rispose incrociando le braccia con malcelato divertimento.
Lei arrossì.
«Ma ne sei sicuro?», chiese titubante, ricordando ben altri fatti, ma temendo di averli soltanto sognati: sicuramente Shura l’avrebbe presa in giro, dicendole che le mancava il fratellone o cose simili.
«Claro que sì!», rispose Shura inarcando un sopracciglio. «Eri distesa sotto l’olivo sacro a sonnecchiare al sole! Eppure sai che non dovresti essere qui, né tantomeno che è una cosa saggia mettersi a dormire all’aria aperta di questa stagione! Proprio tu che soffri così tanto il freddo, poi!»
«Ma perché, che mese è?», chiese ingenuamente.
«Gaviota, sicura di non aver battuto la testa?», insistette lui posando una mano sulla fronte della ragazza.
«Sto bene!», ruggì lei, seccata da quel gesto e dal trattamento infantile che l’amico le stava usando. «Che mese è?»
Il ragazzo tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia ed allungò le gambe; poi, indicò il proprio maglione bianco, dal tipico lavoro norvegese, i pantaloni di velluto a coste color ruggine e, per, ultimo, l’elegante narciso bianco.
«Che razza di risposta è?», chiese Françoise aggrottando le sopracciglia.
«Quando sbocciano i narcisi?», proseguì Shura.
«Che razza di domanda è?», s’inalberò lei, stringendo esasperata, la coperta tra le mani.
Shura sospirò.
«Quel fiore me l’hai dato tu. Mi hai detto di interrarlo entro Ottobre e di esporlo in pieno sole», rispose scimmiottando la voce della ragazza nell’enunciare i termini tecnici.
«Hai anche detto», aggiunse incrociando nuovamente le braccia, «che sarebbe sbocciato tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo…»
«Quindi?»
«Oggi è il primo Marzo», le disse finalmente il ragazzo con un sospiro.
Françoise guardò la coperta stesa sulle sue gambe.
«Devo essermi addormentata…», concluse, iniziando a raccontare all’amico l’avventura che le era capitata.
Shura sdrammatizzò con una solare risata.
«Vedi che succede a vivere per troppo tempo con quel pazzo di Death Mask?», le disse posandole una mano sulla spalla. «Finisci per bramare di tornare a vivere in una casa sperduta assieme a quell’orso di tuo fratello!»
Quindi, senza badare all’occhiata assassina che gli aveva lanciato la ragazza, si alzò e si diresse verso la porta.
«Dove vai?», gli chiese allarmata da un sesto senso.
«Ad avvertire il tuo maestro che ti sei svegliata…», rispose il ragazzo ridendo e sparendo avvolto dalla luce esterna.
Come la porta si richiuse, Françoise provò un brivido lungo la schiena.
Si sfregò le braccia, scoprendo che indossava anch’ella il medesimo abbigliamento sfoggiato da Shura e da suo fratello, in sogno. Deve essere un abbinamento di moda…, si disse la ragazza osservando prima i vestiti e poi quel narciso dal lungo gambo che era rimasto a farle compagnia.
Si coprì con la leggera coltre e si adagiò sui cuscini alle sue spalle, attendendo la sfuriata di Death Mask, che, come ben sapeva, non avrebbe tardato ad arrivare.
Sicuramente inizierà a dirmi che sono un’idiota, una cretina, che lì non ci sarei mai e poi mai dovuta arrivare…
Sospirò, ripassando mentalmente gli insulti che il proprio mentore le lanciava ogni volta che ne combinava una delle sue.
Uffa, però pure Shura! Che gli costava coprirmi con Mask?, pensò, aggrottando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto.
Sapeva che era inutile lagnarsi, e non solo perché Shura era ormai andato in cerca del suo maestro, ma anche, e soprattutto, perché Shura era fatto così…
«Mister precisione…», lo canzonò sprofondando tra i cuscini e fissando la porta dalla quale, e sapeva che era solo questione di minuti, sarebbe apparso un adiratissimo Death Mask.
Sentì il ticchettio dell’orologio riempire il silenzio plumbeo in cui era precipitata la stanza; fuori, le fronde di un ciliegio erano un vero e proprio tripudio di evanescenti fiori rosa che si stagliava contro un pulitissimo cielo azzurro.
Rapido e letale, un pensiero s’insinuò nel suo cervello.
Se questa è la stanza di Shura… allora …oddio, pensò, arrossendo a mano a mano che la sua intuizione prendeva corpo, …questo è il letto di Shura!!
Arrossì come un pomodoro maturato al caldo sole di Sicilia, come le mostrò lo specchio davanti a lei.
Ma per quale stramaledettissimo motivo mi ha portato qui?, si chiese scostando la coperta e alzandosi a sedere sul letto.
Qualcosa non le quadrava.
Perché, sebbene Shura gliel’avesse raccontato, non ricordava assolutamente alcun olivo a cui piedi si era sdraiata per farsi un sonnellino?
IO, freddolosa come sono, che mi sdraio al sole di Marzo?, si chiese portandosi una mano sotto il mento.
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era ?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo. E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.
Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
«Dove sono?», si chiese sentendo le forze defluire da lei lentamente.
«Camus!», provò a chiamare, tendendo una mano verso il buio davanti a sé.
Nessuna risposta.
«Shura!»
Nessuno.
«Mask!»
Niente.
Si sentì persa, e anche le ultime, residue forze parvero abbandonarla. Non sentiva più le gambe, ma solo un blocco di ghiaccio attanagliarle il corpo dallo stomaco in giù. Non era ne in acqua, né dentro la terra: sembrava piuttosto, che stesse vagando nello spazio.
Senza neppure il conforto delle stelle, rifletté mentre constatava l’assoluta oscurità del luogo in cui si trovava.
 
Milo fissava con disprezzo il cadavere del proprio avversario giacere a terra privo di vita.
«Maledizione!», imprecò stringendo i pugni fino quasi a sanguinare.
Non era riuscito ad impedire al suo nemico di suicidarsi.
«Sorte beffarda!», biascicò tra i denti. «Avvelenarsi, pur di non morire per mano mia, per il veleno dello Scorpione…», aggiunse esaminando i segni inequivocabili dell’azione del cianuro ingerito dall’avversario.
«Pensavo che gli sgherri di Loki sapessero morire con onore…», commentò acido superando il cadavere e cercando in giro tracce della presenza di Françoise.
Nulla.
La ragazza pareva essersi letteralmente volatilizzata.
«Ma dove diavolo può essere andata in quelle condizioni?», si domandava Milo lambiccandosi il cervello nel tentativo di scoprire che fine avesse fatto la sua compagna.
Maledisse la propria incapacità per non essere stato in grado di carpire all’avversario alcun ché circa la sorte occorsa all’amica, se non qualche improperio circa la sua virtù.
Françoise, dove cazzo sei?, pensò mentre un rivolo di sudore gli rigava le tempie.
 
«Che stai facendo? Se ti lasci andare, morirai di sicuro!»
Aprì di poco gli occhi: davanti a lei, il buio ammantava un’immagine sfocata del viso gentile di Camus, che la guardava con espressione severa.
«Fratello?», chiese lei per sincerarsi di non esser vittima di una qualche allucinazione provocata dal freddo pungente che le intrappolava metà del corpo.
Il volto sorrise.
«Avanti, alzati!», fece una voce che la ragazza sentì risuonare all’interno della propria mente.
Si fregò gli occhi con una mano: accanto a Camus, era apparso il viso sorridente e rassegnato di Shura.
«Shura…», sussurrò lei, sorridendo di rimando.
«Avanti! Raccogli tutte le tue forze, gaviota!», la esortò Capricorn tendendo una mano verso di lei.
Françoise provò a toccare l’amico, ma non riuscì neppure a sollevare il suo braccio destro. L’osservò: l’arto giaceva immobile al suo fianco e, per quanti sforzi facesse, non si spostava di un solo millimetro.
Guardò i volti dei suoi cari.
«È finita?», chiese, con un sorriso a fior di labbra, ai due ragazzi, che le risposero scuotendo il capo.
«Non ancora, mon petit chou!», le disse la voce di suo fratello, mentre la figura parve muoversi un poco.
«Ma come posso fare?»
«Possibile che tu abbia già dimenticato?», la rimproverò Camus mentre Shura continuava a fissarla.
I baveri delle due armature d’oro che entrambi indossavano brillarono di una calda luce dorata.
«Il cosmo…», le disse la voce di Shura. «Brucia il cosmo che è dentro di te!»
«Fai esplodere il big bang che alberga nel tuo cuore! Fa’ ardere la fiamma della tua vita!», l’esortò Camus prima di sparire nel buio assieme a Shura.
«No! Ragazzi... aspettate!!», urlò loro Françoise con quanto fiato aveva in gola, «ASPETTATE!!»
Brucia il tuo cosmo!, sentì risuonare nuovamente nella sua testa; ma questa volta a parlare era stata la voce di Athena. Si voltò intorno, cercando dove mi potesse essere la sua dea; le apparve in tutta la sua maestà, avvolta da una luce dorata, lo scudo della Giustizia nella sinistra e lo scettro di Nike ben saldo nella destra.
«Mia dea…voi…», sussurrò la ragazza mentre sgranava gli occhi per vedere meglio la figura divina che la sovrastava.
Avanti, raccogli le tua forze e raggiungici!, proseguì Athena con un dolce sorriso degli occhi cerulei.
«Ma io vi ho tradito!», protestò Françoise, le lacrime agli occhi. «Come…?»
Userai la tua vita per rimediare agli sbagli commessi!, sentenziò la divina fanciulla volgendo lo scettro nei confronti della ragazza. Brucia il tuo cosmo, abbiamo bisogno di te!
Cancer annuì e chiuse gli occhi, concentrando le proprie energie all’altezza del plesso solare.
Ardi mio cosmo… brucia ancora di più e raggiungi i limiti estremi della mia costellazione!
Milo, spazientitosi per non essere riuscito a trovare la compagna, e preoccupatosi circa la sorte che le era potuta occorrere, varcò a grandi passi la soglia della villetta, annusando l’aria.
«Dove sei?», chiese al vento che gli scostò leggero i lunghi capelli oltre le spalle. All’improvviso, percepì il cosmo di Athena chiamarlo e poi sparire subito dopo, per lasciar posto ad una grande emanazione dorata proveniente dalla casa. Rientrò come una furia e salì le scale a rotta di collo, seguendo la scia di luce dorata che lo condusse fino all’armadio della stanza di Françoise.
Pazzesco! Ce l’ho avuta sotto al naso per tutto questo tempo!, pensò il ragazzo forzando la serratura e trovando la compagna legata e imbavagliata all’interno dell’armadio.
 
 
 

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Capitolo 11
*** Partenza ***


PARTENZA

PARTENZA

Dormono dei monti le cime e le convalli

E le balze ed i torrenti

E le specie animali, quante ne nutre la nera terra,

e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api

e i mostri negli abissi del cupo mare

dormono gli uccelli dalle ampie ali

(Alcmane, fr. 89P.)

Scesero al pian terreno, nel cupo della notte, ed entrarono a tentoni in cucina.; Milo depose a terra la ragazza, dopo aver acceso la luce elettrica sfiorando con un gomito l’interruttore.

- Dove tenete le bende?- le chiese lanciandole un colpo d’occhio generale.

Gli indicò una madia con un cenno del capo, come se avesse perso la lingua, o semplicemente la voglia di comunicare. Aprì un anta del mobile e ne trasse fuori una cassetta di metallo in male arnese.

La ragazza, frattanto, si massaggiava i polsi, fino a pochi minuti prima serrati da una robusta corda; la fronte riportava un vistoso alone bluastro all’altezza del sopracciglio sinistro e il labbro inferiore era spaccato e tumefatto.

- Devo essere un mostro…- tentò di sdrammatizzare lei mentre il compagno le porgeva del ghiaccio avvolto in una salvietta pulita.

- Silenzio, non sforzarti..- le disse premendole l’involucro sul livido e strappandole un gemito di dolore.

-Ah! È freddo!- fece lei ritraendosi al contatto.

- Ghiaccio…- rispose laconico riposizionando il rimedio improvvisato sul sopracciglio livido.

Rimasero in silenzio, mentre il notturno vento autunnale ululava sulle loro teste.

- E Tonio?- chiese senza guardarlo negli occhi, mentre i due micetti li avevano raggiunti e si erano accoccolati in grembo alla ragazza.

Milo avrebbe voluto che il pavimento lucido sotto di sé si fosse aperto e l’avesse inghiottito in quell’istante; il silenzio in cui cadde la cucina bianca e verde fu colmato dal ronzio del vecchio frigorifero anni ’60 che troneggiava in un angolo della stanza.

Come fare a dirle che Tonio era stato la prima vittima mietuta dall’attacco dei nemici?

" Probabilmente si sentirà responsabile…" pensò il guerriero richiudendo il coperchio metallico e riposizionando la cassettina all’interno della madia.

- Non hai il coraggio di confermarmi ciò che temo sia successo?- gli chiese lei con voce rassegnata.

Milo era rimasto immobile, chino nell’atto di mettere a posto la cassetta, folgorato dalle parole della ragazza.

"Come ha fatto?" si chiese mentre il legno dell’anta stretta tra le sue mani scricchiolò per l’eccessiva pressione subita.

- Hai forse dimenticato che la Quarta Casa e la Nebulosa di Praesepe costituiscono, di fatto, due portali per il regno dell’Ade?-

Il tono retorico di quelle parole spazzò via ogni suo residuo dubbio: Françoise sapeva che Tonio, ormai, non c’era più.

-Ecco…- cominciò, dopo essersi schiarito la voce con un paio di colpi di tosse, quando fu interrotto da una voce.

- Ci sono ancora bende pulite, picciotti?-

Entrambi si volsero di scatto verso la porta della cucina: Tonio era letteralmente apparso sulla soglia, le vesti strappate in più punti e un vistoso taglio sul braccio destro.

Il cielo che preannunciava l’alba era chiaro e sereno, senza una sola nuvola che ne potesse macchiare il fondo scuro. Le costellazioni estive erano ormai declinate lungo la linea dell’orizzonte.

Sola, la Vergine gettava il suo sguardo compassionevole sopra di loro, mentre la salomonica Bilancia l’incalzava dappresso.

- Il solstizio è ormai vicino…- disse rompendo il ghiaccio sceso tra di loro, seduta sulla ringhiera in ferro del suo balcone, tra i vasi vuoti che in Febbraio avrebbero regalato una candida livrea di narcisi in fiore.

- Equinozio…vorrai dire…- la corresse ridacchiando sotto i baffi- Fai ancora di questi errori grossolani?-

- No, certo…volevo…volevo vedere se eri attento…- si giustificò conscia che mai e poi mai lui avrebbe creduto ad una balla tanto clamorosa.

- Certo, certo…- fu infatti la risposta dell’uomo, che intanto osservava con al coda dell’occhio tutte le gradazioni del rosso che il viso della ragazza andava via via assumendo.

- Comunque sia…- disse lei sviando l’argomento dal suo lapsus- saresti così gentile da spiegarmi come mai non hai mosso un dito, né tantomeno hai fatto nulla per far capire a Milo che eri vivo e vegeto?-

-Punto primo, perché se l’avessi fatto, il nemico non avrebbe agito credendo di essere libero di muoversi. Punto secondo, perché Milo era più che sufficiente per batterlo. E punto terzo – e qui fece una pausa ben studiata per catturare l’attenzione del pubblico- perché non mi è mai andata a genio l’idea dell’impavido cavaliere che salva la donzella in pericolo…-

- Che cosa???- sbottò punta sul vivo.

- Ammettilo! Non sei stata capace di difenderti da sola! – la rimproverò Tonio scoccandole un’occhiata che avrebbe zittito persino Tifeo- Mi spieghi che razza di aiuto può dare una che ha bisogno della balia?-

- IO NON HO BISOGNO DELLA BALIA!- protestò con veemenza, quasi rischiando di cadere nel vuoto, inviperita per le accuse mossele dall’uomo.

- Davvero?- fece Tonio con il chiaro intento di sfotterla- E allora mi spieghi come mai una mezza cartuccia come quel…quel…- s’interruppe cercando di pronunciare quel nome che aveva in punta di lingua.

- Snorri…- l’aiutò lei.

- Snorri, giusto! Come mai quello Snorri ti ha fregato con tanta facilità?-

Françoise abbassò la testa e biascicò qualcosa.

- Come?- fece Tonio tendendo l’orecchio nella sua direzione.

- ..ra…- riuscì a capire quando lei ripeté meccanicamente la risposta.

- Picciotta, si può sapere che minchia stai dicendo?- le chiese seccato da quella reticenza.

- SHURA!- gridò lei alzando voce e testa verso le stelle- Quel bastardo ha preso le sembianze di Shura e mi ha fatto credere che fosse riuscito a tornare dallo spazio e che c’era anche la possibilità che mio fratello….-

Tonio montò su tutte le furie.

- Tu sei pazza! Ma come minchia hai potuto credere ad un’idiozia simile?! Cose da pazzi!!- sbraitò portandosi le mani sul capo prima di rientrare in casa e sbattere fragorosamente le imposte della porta finestra.

Françoise resistette poco a stare con la testa all’insù e chinò il capo verso le ginocchia, incapace di fermare le lacrime che avevano preso a rigarle il viso.

- Questo non lo so già a me?- protestò senza troppa convinzione portandosi una mano a coprirle gli occhi. Sentiva il cuore spezzarsi in due e lasciare il posto ad un nucleo nero e pulsante che le andava risucchiando l’anima.

Due mani le adagiarono premurosamente una coperta sulle spalle.

- Quello che Tonio voleva dirti- iniziò la voce di Milo dietro di lei- è che se tu stessa dai al nemico gli strumenti su cui far leva…beh, è come se ti ammazzassi da te.-

- E allora devo reprimere i miei sentimenti? Devo spazzare via la mia umanità per diventare una macchina senza cuore? È questo che vuole da me Athena?- chiese digrignando i denti e voltandosi di scatto, finendo per specchiarsi in un paio di profonde iridi azzurre.

Milo scosse la testa.

- No, arrivare a questi estremi non serve- le rispose staccando gli occhi dal fiammeggiante sguardo verde muschio di lei- ma devi sfruttare i tuoi sentimenti per diventare forte!-

- Diventare…forte?- disse Françoise asciugandosi velocemente il viso e rivolgendo uno sguardo interrogativo all’altro.

- Esatto..- fece questi annuendo in direzione della propria costellazione con il suo cuore rosso risplendente di calore nel buio della notte- Per amore si diventa deboli perché si teme che le conseguenze delle nostre azioni possano ricadere sui nostri cari. Ma se invece attingiamo nuova linfa dal calore che sprigiona dai nostri sentimenti, riusciamo ad ottenere un potere centomila volte più grande e ampio. Capisci quello che voglio dire?-

Abbassò la testa a guardare il mare su cui Aurora stava iniziando a stendere le proprie dita rosate.

-Credo di aver capito…- mormorò lei- Mio fratello non c’è più, devo solo mettermi il cuore in pace…-

Milo annuì.

- Pensi che vedere le loro tombe mi aiuterà?- chiese dopo qualche minuto di silenzio spostando gli occhi sul guerriero che gli stava accanto.

- Sì…credo che tutte le tue speranze di vederli tornare in vita morirebbero per sempre…- le rispose incrociando le braccia al petto, mentre una leggera brezza mattutina giocava con un lembo della sua camicia bianca.

- Forse è il caso di andare tutti a dormire…- disse la ragazza scendendo dal parapetto- Voglio essere al massimo delle forze per partire il prima possibile!-

- Rientriamo…Prima le signore…- fece Milo aprendole cavallerescamente la porta.

- Grazie…- rispose sorridendo di rimando divertita da quella cortesia e dirigendosi verso il letto sfatto.

- Cerca di riposare un po’…- disse il ragazzo accostando le imposte- credo ne abbia bisogno…-

- Grazie, Milo..-

- Kaliniktà, picciotta…- salutò uscendo dalla porta aperta.

- Milo?- chiamò lei portandosi il lenzuola all’altezza del viso.

- Sì?- chiese apparendo sulla soglia.

- Il tuo siciliano fa schifo.- rispose ridacchiando.

- Anche il tuo cicladico, se è per questo!- ribatté piccato, gli occhi blu che risplendevano nel buio.

Chiuse la porta alle spalle e scese le scale. Trovò Tonio al pianterreno, seduto al tavolo della cucina.

- Grazie…- fece l’uomo con voce roca.

Milo prese una sedia e si accomodò accanto a lui.

- Torneranno, non è meglio se parti anche tu? Puoi rifugiarti dove meglio credi, ma al Santuario saresti più al sicuro.-

- Apprezzo molto le tue parole, Scorpio- rispose Tonio massaggiandosi gli occhi- Ma onestamente non so se un vecchio come me potrebbe esservi d’aiuto in guerra o se non fosse piuttosto un peso!-

Si schiarì la voce e fissò dritto negli occhi il suo interlocutore.

- Loro credono che io sia morto, non verranno di certo a cercarmi…- proseguì posando le braccia sul piano di marmo grigio- quindi non è necessario che io venga fino in Grecia con voi. Tornerò a casa mia, in Toscana, e porterò con me queste due piccole pesti. Tanto per stare più tranquilli.- aggiunse rivolgendosi ai due gattini che giocavano con le frange del tappeto.

- E del cadavere? Che ne facciamo?-

- Lo seppelliremo con la sua armatura. Anzi, prima iniziamo e meglio sarà!- disse Tonio alzandosi e dirigendosi verso la cantina.

- Dove hai intenzione d’andare?-

- In mare. Lì sono sicuro al cento per cento che non mi noterà nessuno, e poi le acque avranno cura di questo poveraccio. Sarà meglio che vada, non vorrei incrociare i pescatori di ritorno dalla battuta notturna. Tu resta qui, nel caso in cui qualcuno decida di tornare a finire il lavoro iniziato da questo "genio".-

- Credi che non fosse solo?-

- Tu l’avresti fatto?- gli chiese Tonio posizionando la sedia accanto al tavolo.

- No, ma loro sono sicuri che Françoise non sia rintracciabile attraverso il cosmo e non credo si aspettassero di vedermi qui- rispose Scorpio appoggiando un gomito allo schienale della sedia.

- Sì, in effetti sono talmente cretini da poter agire così…- commentò Tonio, una mano sotto il mento.

- Già- rincarò la dose Milo- mettici poi che sono senza una guida…e che anche avendola sono stati capaci di spacciarci per vero il fatto che Athena fosse esplosa in un incidente, mostrandoci una prova cui neanche un idiota completo avrebbe creduto.-

- Cioè? -

- La collana di Milady rimasta miracolosamente intatta…guarda caso la stessa che portava al momento dell’esplosione… - raccontò il ragazzo sorridendo.

- Complimentoni!- esclamò Tonio uscendo esterrefatto dalla cucina.

Qualcosa di rasposo ed umidiccio si sfregava contro la punta del suo naso, mentre un lamento, simile ad un vagito, le arrivava martellante al cervello.

Aprì gli occhi, trovando i due gattini appaiati che la fissavano curiosi ed impazienti, comodamente spaparanzati sul suo sterno.

"Che ore sono?" pensò la ragazza carezzando le testoline pelose e cercando la sveglia.

Il quadrante bianco segnava mezzogiorno.

"Porco…- fece lei sgranando gli occhi- ho saltato il compito di matematica!"

Scostò la coperta e, a fatica, mise i piedi sul freddo del pavimento.

"Cazzo, cazzo cazzo!!! La prof. penserà che io abbia fatto sega e me la farà pagare cara!!!!" pensò nel nanosecondo precedente quello di darsi della cretina integrale.

"Dubito che frequenterò ancora il liceo!"

Guardò fuori dalla finestra il sole far bella mostra di sé nell’azzurro del cielo.

"È una magnifica giornata di sole!" fece stiracchiandosi lentamente, come fanno i gatti. Una fitta all’altezza delle costole le mozzò il fiato e la costrinse a non esagerare e a riportarsi in posizione più o meno eretta.

Bussarono alla porta.

- Avanti…- fece voltandosi verso l’uscio, una mano sul costato.

- Kalimerà!- fece Milo entrando sorridente- Stai bene? Te la senti di partire?-

- Subito?- chiese dubbiosa Vorrei sistemare le cose qui prima di andarmene.-

- Ci penserà Tonio…le rispose prendendo in braccio il gattino nero.

- Ma io…- protestò prima che lui l’interrompesse.

- Sta per arrivare la tua prof di matematica…- proseguì il guerriero carezzando la testolina della pantera in miniatura che cercava di sgusciare via dalle sue braccia.- Tonio le dirà che sei dovuta partire immediatamente per Atene, dove pare abbiano trovato tracce di tua madre.-

- Ma la scuola vorrà a vere qualche prova…-

- Il Santuario ha degli agganci con il Ministero degli Esteri greco…manderanno un documento falso….-

- E i gattini? Non posso certo portarli con me! E non chiedermi di abbandonarli!- disse mostrandosi irremovibile.

- Tranquilla, Tonio li porterà con sé!-

- Viene con noi?-

- No… andrà altrove, ma baderà lui ai tuoi gattini-

- E il lavoro alla gelateria?-

- Ci penserà Tonio a spiegare la situazione; dirà una qualche balla convincente, ne sono sicuro…-

- Ma…-

- Basta con i ‘ma’!- sbottò Milo incrociando le braccia al petto- Preparati, non abbiamo tutta la mattinata! E viaggia leggera, dobbiamo dare l’impressione di una partenza improvvisa!- fece brusco uscendo dalla stanza.

- Sarò pronta tra breve…- disse estraendo lo scrigno dall’armadio.

Mezz’ora dopo, Milo e Françoise scesero in giardino a salutare Tonio.

- Ti affido la picciotta…so che è in buone mani!- fece il vecchio Saint rivolgendosi a Scorpio.

- Non ho bisogno della balia!- rispose Françoise stizzita.

- Certo certo…come no?- le rispose sorridendo- Affida a me queste pesti e parti tranquilla!-

- Grazie di tutto!- gli disse abbracciandolo forte.

- Ia, Ia! Basta smancerie!- protestò l’uomo trattenendo a stento la commozione- E adesso andate, la strega sarà qui a breve!-

Françoise si avvicinò a Milo.

- Pronta?- le chiese posandole una mano su una spalla.

Annuì stringendo forte la piccola sacca che teneva tra le mani.

- Baciamo le mani, don Tonio!- salutò la ragazza.

- Baciamo le mani, donna Françoise!- rispose l’uomo con fare galante poco prima che i due sparissero avvolti da un lampo di luce.

Il rumore di una malandata Cinquecento che arrancava sulla salita ripida avvisò Tonio dell’arrivo della professoressa.

- Ma perché le professoresse di matematica sono sempre brutte e acide?- si chiese l’uomo cacciandosi le mani in tasca e preparandosi ad affrontare la megera descrittagli da Françoise.

Il caldo vento autunnale smosse le cime frondose degli alberi. Salutando la partenza del Female Gold Saint del Cancro. I gabbiani volavano alti, perdendosi nel sole del meriggio e una barca, la vela in lontananza, navigava incontro all’orizzonte luminoso. Un turbinio di foglie dorate si arrestò davanti alla staccionata bianca e sul balcone della ragazza, prima di riprendere a volteggiare nel vento, sparendo oltre la collina.

FINE

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