Dramma umano in tre atti

di Mattimeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Atto uno ***
Capitolo 3: *** Atto due ***
Capitolo 4: *** Atto tre ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Premessa

Questa premessa non è assolutamente necessaria alla comprensione della storia, chi volesse può saltarla. Sono solo varie precisazioni.
Ciò che è contenuto nei capitoli successivi è, appunto, una storia. Non è pensata come rappresentazione teatrale. Lo stile grafico è una scelta di stile, non un copione. 
La storia è una song-fic costruita attorno alla canzone di Angelo Branduardi Ballo in fa diesis minore. Le altre canzoni presenti sono citate per il testo. Sono presenti tuttavia collegamenti ipertestuali ai relativi filmati di You Tube, per chi non avesse mai sentito le canzoni. 

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Capitolo 2
*** Atto uno ***


Dramma umano in tre atti

Personaggi

In ordine di ingresso:

Isidoro – Narratore

Banditore

Bernardo

la Morte

Duca

Leonora

Mendicante

Custode

Suora

Carceriere

Contadino

Adelaide

Direttore

Sguattera

Stefanio



Comparse:

Condannati

Guardie

Folla

Carcerieri

Musici

Nobiltà

















Atto primo



Tutti morimmo a stento

ingoiando l'ultima voce

tirando calci al vento

vedemmo sfumare la luce.


L'urlo travolse il sole

l'aria divenne stretta

cristalli di parole

l'ultima bestemmia detta.


Prima che fosse finita

ricordammo a chi vive ancora

che il prezzo fu la vita

per il male fatto in un'ora.


Poi scivolammo nel gelo

di una morte senza abbandono

recitando l'antico credo

di chi muore senza perdono.



(La ballata degli impiccati)



Prologo

La Morte arriva cantando una filastrocca infantile, vestita di nero e pallida in volto. Non te l'aspetti, che la Morte abbia l'aspetto di una gracile ragazzina.

Si fa vedere subito prima del decesso: assiste al trapasso senza battere ciglio, poi prende il cadavere e se ne va, quasi fosse venuta per gettare la spazzatura. Il suo volto non lascia mai trasparire un'emozione.

Io mi chiamo Isidoro. Sono l'apprendista del mastro boia del ducato di Milano, Bernardo Sasso. Il mio lavoro mi porta molto spesso a contatto con la Morte, praticamente ogni domenica, dato il gran bisogno di esecuzioni. Di questi tempi, sembra che infrangere la legge valga sempre la pena di farsi impiccare o mozzare qualche parte del corpo. Sono tempi orrendi. Eppure, tutti hanno una paura folle della Morte, per primi quelli che vengono a vedere le esecuzioni. Ormai sono solo feticci per scongiurare la paura che un giorno toccherà a chiunque.

Ormai ho quasi imparato la sua canzoncina. Spesso mi scopro a canticchiarla nella mia testa, mentre assisto il maestro sul patibolo: siamo tutti lì in piedi – io, il maestro, le guardie, il banditore e lei – e a me frulla nel cervello quel motivetto infantile.

In un'occasione come questa, la Morte mi ha guardato. Subito ho notato i colore dei suoi occhi, verde freddo. Forse credevo di averci fatto l'abitudine, forse ormai la sua presenza non mi impressionava più, fatto sta che non l'avevo mai notato. Credo che avrei dovuto spaventarmi, ma per il valore che davo alla vita, guardare negli occhi la Morte risultava una cosa del tutto normale. Fu a quel punto che lessi nel suo sguardo curiosità. Mi stava studiando, mentre intanto l'esecuzione procedeva. Dovetti aiutare il maestro a legare il condannato al cappio; il suo sguardo era tornato fisso nel nulla. La botola si aprì, il condannato cadde e morì dopo un minuto o poco più, lei lo prese e lo portò via.

Mi resi conto di essere rimasto turbato. Se per me era normale guardare la Morte, per lei non era per niente usuale posare lo sguardo su qualcosa che non fosse un cadavere. Il fatto che l'avesse fatto non cambiava la sua posizione di astratta inumanità, ma di colpo mi accorsi che la Morte ha un corpo, un volto e un colore degli occhi, non è solo una paura lontana o un momento fastidioso alla fine della vita di ciascuno.

Eppure quel piccolo cambiamento alimentò i miei pensieri fino alla domenica successiva, data fissata per l'esecuzione di un gruppo di briganti.



Scena uno

Questa volta le guardie sono dieci, due per ogni condannato. Otto circondano il palco, due sono sul patibolo. Il banditore prende a strillare il suo annuncio, mentre io e il maestro controlliamo la tenuta dei cappi. Dietro alle forche c'è la Morte.

Il banditore termina di urlare e noi ci apprestiamo a far salire i condannati sul palco; dopo di che io mi posiziono accanto alla morte e il maestro li informa che hanno diritto di parola. Mi volto per vedere la sua espressione e scopro che mi sta ancora fissando, sempre con quella curiosità aliena.

I condannati sono chiusi in un silenzio ostinato e rifiutano di parlare. Il maestro quindi, partendo da sinistra, apre una ad una le botole ed i cinque condannati cadono con un tonfo e un rantolo.

Ci sono due modi di morire durante un'impiccagione: il primo, più rapido e frequente, è spezzarsi il collo; il secondo, se il condannato è piuttosto robusto, è il soffocamento.

Quattro dei cinque muoiono subito, il quinto resiste all'urto e comincia a dibattersi, emettendo dei suoni strozzati. La morte, che fino a quel momento aveva avuto lo sguardo fisso su di me, d'un tratto si dirige verso i quattro deceduti. Io le sussurro:

ISIDORO: Aspetta!

Confesso che non mi sarei mai aspettato di fermarla, eppure si ferma e riprende a fissarmi. Ora che siamo faccia a faccia però non ho idea di cosa dirle. Mentre ci penso i lamenti dell'uomo agonizzante proseguono. Normalmente per strangolamento si muore in meno di due minuti, lui li ha quasi raggiunti e la folla comincia a insultarlo e a tirargli pietre.

MORTE: Se hai qualcosa da dire, ti prego di farlo in fretta.

La Morte si sta rivolgendo proprio a me. Così la Morte ha anche una voce. Non l'avevo immaginata così. Non l'avevo immaginata affatto. Era una voce normale: femminile, acerba, dolce.

MORTE: Sono passati due minuti. Perdonami, ma devo...

ISIDORO: Perché mi fissavi?

MORTE: Ti ho sentito cantare la mia filastrocca. Ero curiosa. Cercavo di capire

che tipo è uno che guarda la Morte in faccia.

ISIDORO: Quanti anni hai?

MORTE: Non lo so. Più di quelli che tu e io possiamo contare. Comunque il tempo per me non ha significato, quindi non saprei davvero. Quell'uomo invece è oltre il suo tempo, devo andare. Mi piacerebbe parlarti ancora.

E, detto ciò, sull'ultimo condannato sopraggiunge la Morte, che porta via anche gli altri quattro.



Scena due

Mentre stavo studiando il grosso volume del codice penale del Ducato, il maestro è venuto a chiamarmi. Ha detto semplicemente: “Il duca ci ha convocato”.

Sono rimasto abbastanza sorpreso, dato che il Duca non è il tipo da prendere un'iniziativa, o almeno non lo è più. È vecchio e stufo e di solito affida tutte ai suoi funzionari, consiglieri e tirapiedi. Il suo ruolo non è quasi nemmeno più di rappresentanza: firma i proclami senza leggerli e assiste di malavoglia alla esecuzioni, preferendo di gran lunga le festicciole tra nobili che lui stesso sovente organizza. Per questo la nostra convocazione mi è sembrata allarmante, o quanto meno strana, ma ora, in piedi davanti a lui, sono informato del motivo.

DUCA: Ho assistito all'impiccagione di ieri.

La sua voce è nasale e mielosa, molto più vitale del solito.

DUCA: Ho assistito e ho visto. Mi avete molto impressionato.

BERNARDO: A cosa vi state riferendo, vostra signoria?

DUCA: Mastro Bernardo, il tuo apprendista ha fermato la morte.

BERNARDO: Vostra signoria, è stato un errore. Isidoro, diglielo.

DUCA: Credo che il ragazzo abbia una voce e un cervello tutto suo. Non occorre che tu parli per lui.

Il Duca pareva molto irritato. Quando si rivolse a me, invece, apparve traboccante di untuosa gentilezza.

DUCA: Ragazzo... Isidoro, credi si sia trattato di un errore?

Stavo iniziando ad agitarmi, mentre non sapevo che rispondere.

ISIDORO: Sì... sì, vostra signoria.

DUCA: Sì, forse hai ragione, ragazzo. Forse invece, è un'opportunità.

Io e il maestro ci scambiamo un'occhiata preoccupata.

DUCA: Bernardo, da quanto lavori al mio servizio?

BERNARDO: Quarant'anni, vostra signoria.

DUCA: Quindi sai quanto io sia stanco, sai quanto presto io debba morire. E sai anche che di morire non ne ho alcuna voglia. Vedi, io sono un amante della vita: amo la musica, i balli, il buon cibo e anche le donne, sì, anche adesso, e non sopporto il pensiero del poco tempo che mi rimane. Ma oggi ho visto ciò che mai ho creduto fosse possibile: la morte, la morte ha esitato! Quello schifoso delinquente ha vissuto più di quanto avrebbe dovuto e chi ha reso possibile questo è qui davanti a me.
Bernardo, voglio che il tuo apprendista convinca la Morte a non portarmi mai con sé.

BERNARDO: Vostra signoria, è uno sbaglio. Avete detto voi stesso che quell'uomo ha vissuto più di quanto concesso.

DUCA: Vuoi forse porre fine ai sogni di un povero vecchio?

BERNARDO: No, vostra signoria.

DUCA: E allora non voglio più sentirti dire idiozie del genere. Io sono il Duca, deciso io cosa è concesso e cosa non lo è. Ora farai bene a sparire, prima che io perda il mio buonumore.

BERNARDO: Subito, vostra signoria.



Scena tre

Il maestro è furibondo, ma naturalmente non lo da a vedere. Non è abituato ad essere contraddetto, tanto meno ad ingoiare un rospo grosso come quello appena propinatogli dal Duca. Sta appoggiato al muro con le braccia conserte, immobile. Siamo in casa, io, il maestro e Leonora, la sua compagna. Lei è il suo esatto contrario: espansiva, socievole, ma soprattutto riflessiva. Non ho mai saputo il motivo che spinse il maestro a prenderla con sé, come non ho mai saputo cosa lo spinse a prendermi all'orfanotrofio. La conobbe ad una qualche festa del duca, credo fosse una serva, e le chiese se avesse voluto venire con noi. Da allora è la sua coscienza e spesso, come in questo caso, dona l'esatta dose di buon senso di cui c'è bisogno.

LEONORA: Se è davvero come dici non possiamo andarcene.

BERNARDO: Certo che possiamo. Non avrò difficoltà a prendere servizio in qualche altra signoria, sono abbastanza famoso. Sappiate che non ho alcuna intenzione di accontentare il Duca: lavoro da una vita con la Morte e ho imparato che queste cose non vanno toccate. Meno che mai per vanità.

LEONORA: Eppure conosci altrettanto bene il Duca. Sai che ha troppa paura della morte per perdere questa occasione. Se ce ne andiamo, non se ne starà in panciolle sul suo trono di velluto senza fare nulla. Non questa volta.

Il silenzio in cui si chiude il maestro significa che le ha dato ragione.

LEONORA: Isidoro, credi di poterci riuscire?

ISIDORO: Non lo so... prima di tutto devo trovare un modo di parlarle. Non possiamo certo aspettare la prossima esecuzione ogni volta.

LEONORA: La Morte non si trova solo al patibolo. Prova all'ospedale, magari hanno qualche paziente moribondo.



Scena quattro

Il campanile rintocca le quattro quando mi accingo a varcare la soglia dell'ospedale. Il pomeriggio proietta ombre di colonne ed inferiate sul muro intonacato di bianco del porticato. Fuori dal portone di ingresso, un vecchio mendicante mi fissa. Il suo sguardo è gelato, mentre i suoi stracci sono pieni di mosche.

MENDICANTE: Una moneta per la buona sorte...

ISIDORO: Mi dispiace, non ho denaro con me.

Tanto è penetrante il suo sguardo, quanto è spezzata la sua voce. Distolgo lo sguardo, perché mi sembra che mi stia guardando dentro.

MENDICANTE: Oh, non fa nulla. Buona sorte ugualmente...

Nel frattempo compare il custode dell'ospedale, un uomo grasso e rasato male.

CUSTODE: Il vecchio ti sta importunando?

ISIDORO: No, no.

CUSTODE: Ma tu non sei il giovane boia? Entra, entra pure!

D'ovunque vada in città, basta farmi riconoscere come l'apprendista del maestro per farmi trattare con ogni cortesia. Entriamo nell'ospedale, dove la voce rimbomba sui muri intonacati.

CUSTODE: Cosa ti porta qui?

ISIDORO: Devo visitare l'ospedale. È per l'interesse del Duca.

CUSTODE: Oh, ma certo! Ma certo! Ti faccio accompagnare da un'inserviente, seguimi.

Il custode mi lascia nelle mani di una delle suore in servizio, che mi fa strada per gli ariosi corridoi sui quali si affacciano le stanze dei ricoverati.

SUORA: Ragazzo, sai come si chiama questo luogo, vero? Si chiama Santo Ricovero delle opere di Carità Celeste, sì, proprio così! Guarda la pulizia, guarda l'ordine! Perfino un cugino del Duca venne qui a farsi curare da un insidiosissimo morbo e, naturalmente, guarì benissimo. Puoi stare ben tranquillo a raccomandare questo ospedale al Duca, sì, è così! Nessuno corre alcun rischio qui dentro, sì!

ISIDORO: Bene. Avete qualche paziente in punto di morte?

SUORA: Senti ragazzo, questo è un ospedale con una certa reputazione, la quale non è affatto immeritata. Qui vengono le personalità più illustri e importanti, è rarissimo che chi entra qui, ne esca peggio di prima. E ancora più rari sono i decessi. Quindi no, non abbiamo pazienti in punto di morte.

La voce della suora è sonoramente stizzita. Non sembra le piaccia che la reputazione del Ricovero venga messa in dubbio.

SUORA: Comunque comunica al Duca che per lui possiamo offrire un salasso con le sanguisughe più pregiate ad una somma ridicolmente bassa. Ora levati di torno, non abbiamo tempo da perdere.

Torno all'ingresso senza aver concluso nulla, ritrovando il grosso custode.

CUSTODE: Hai fatto la domanda sbagliata, sai? Qui tutti si offendono se metti in dubbio il loro senso di carità. Sembra quasi che si dimentichino quanto sborsano i pazienti per quelle stanzette bianche.

ISIDORO: Avrei dovuto immaginarlo.

CUSTODE: Se ci tieni a visitare un paziente moribondo, comunque, dovresti tentare alle segrete sotto il tribunale. Lì i malati non li trattano bene come noi.

Scendo i due gradini dell'uscio e mi guardo intorno. Il mendicante non c'è più: la Morte l'ha portato via mentre ero all'interno del Santo Ricovero delle opere di Carità Celeste, da cui si esce sempre più sani di prima.



Scena cinque

Arrivo al tribunale dopo aver attraversato l'affollato centro della città. Qui l'accoglienza è più scortese, del resto i carcerieri non sono famosi per la loro condiscendenza.

CARCERIERE: Perché dovresti andare nelle segrete?

ISIDORO: Sono affari del Duca. E ho il benestare di mastro Bernardo.

CARCERIERE: D'accordo, apprendista boia. Andiamo a vedere. Non ho la minima idea di come stiano i prigionieri.

Il carceriere mi accompagna attraverso un puzzolente cunicolo di cella in cella, mostrandomi un campionario di infezioni, fratture ed ematomi.

ISIDORO: Picchiate tutti i prigionieri?

CARCERIERE: Sono i condannati a morte. Tanto poi devono comunque morire. Solo che non è facile, sai? Non possiamo fare troppo forte o ci muoiono prima, anziché sul patibolo da voi.

ISIDORO: Questi qui sono stati picchiati tutti.

CARCERIERE: Oh, bé... saranno tutti condannati a morte. Non avvicinarti troppo, hanno anche le pulci.

ISIDORO: A parte le pulci e il pestaggio, mi sembra stiano bene.

CARCERIERE: Te l'ho detto, non è adesso che devono morire.

ISIDORO: Va bene, portami su.

Ormai fuori è il tramonto, mi siedo sui gradini del tribunale a tirare il fiato. Nella luce arancione le vie di Milano sono attraversate da gente di ogni tipo occupata in altrettante svariate faccende: chi porta una tela del tale famosissimo pittore, chi sfacchina per il suo padrone, chi fa una passeggiata con aria annoiata. È strano da dire, ma non sono abituato a osservare le persone normali. Una visione molto più usuale per me è quella dei prigionieri, nelle segrete. L'unica differenza tra loro e i passanti che mi trovo davanti è come considerano il momento in cui moriranno. È un dato di fatto, l'ho dimostrato con l'esperienza di boia: mentre tra i prigionieri c'è una moltitudine di sentimenti verso la Morte – chi ne ha ancora una paura folle, chi spera che arrivi presto, chi la affronta con coraggio e via dicendo – nelle persone ancora libere c'è uno e un solo modo di rapportarsi alla Morte. Rimandare. Perché cosa varrebbe quel quadro per quella persona, se sapesse di dover morire tra poco? Nulla, nulla avrebbe più valore. E allora le persone rimandano quella paura, perché se se ne ricordassero, la loro vita sarebbe vuota come vaso forato. Eccoli, tutti indaffarati in qualche allegra occupazione. Io invece no. Io cerco la Morte.

Un'idea. È folle, assurda. Eppure comincio a sentire la sua filastrocca in lontananza, quindi so che funzionerà. Torno di corsa nel tribunale, sfilo la spada alla prima guardia che trovo e me la avvicino alla gola.

Eccola. Mi sta fissando di nuovo.

ISIDORO: Ciao.

MORTE: Cosa stai facendo?

Forse c'è una nota di apprensione nella sua voce.

ISIDORO: Credevo fosse evidente.

MORTE: È molto evidente. Ma mi sorprende che sia tu a farlo.

ISIDORO: Cosa vuoi dire?

MORTE: Ne ho visti tanti... innamorati, disperati, moralisti. A queste cose uno ci pensa parecchio. Tu non hai alcun motivo di farlo, tanto più che è da un bel po' che non hai paura di morire.

ISIDORO: Potresti aver ragione. Perché sei venuta, allora?

MORTE: Non ero tenuta a farlo. Trattandosi di te, però... non so, avevo intenzione di dissuaderti. Non sono molti quelli che parlano con la Morte, di solito sono persone che credono io sia Dio, oppure asceti, che risultano abbastanza monotoni. Mi dispiacerebbe non poter parlare più con te.

ISIDORO: Se ti dico che non ho intenzione di sgozzarmi, tu te ne vai?

MORTE: Sì.

ISIDORO: Come posso parlati ancora?

Non ottengo risposta: è già andata via. Nel frattempo si è formato un capannello di soldati attoniti intorno a me. Restituisco la spada e corro a casa.



Scena sei

ISIDORO: Ho trovato il modo di parlarle.

BERNARDO: Sarebbe?

ISIDORO: Le ho fatto credere che mi sarei suicidato.

BERNARDO: Ah.

Il maestro non si lascia impressionare da nulla.

BERNARDO: Cos'hai ottenuto?

ISIDORO: Nulla. Però mi ha detto che... le piace la mia compagnia.

LEONORA: Ottimo. Sfrutta questa cosa. Devi scoprire se si può far convincere da qualcosa. E deve convincersi che quello che le chiediamo non è un male.

Pur essendo iniziata da poco, già non sopporto più questa discussione. Quella ragazzina è l'unica che sembra essere sincera in tutto il ducato. Dice le cose come stanno, una cosa rara. Mi da il voltastomaco pensare a come raggirarla per soddisfare l'ennesima follia del duca.

ISIDORO: Non mi piace. Non mi piace per niente. Se quello che le chiediamo effettivamente è un male, come posso convincerla del contrario?

LEONORA: Per noi è un male, per noi infimi esseri mortali che sappiamo di chiedere una cosa che non ci è dovuta. Per lei invece, che differenza vuoi che faccia una vita in più o in meno?

ISIDORO: Rimane il fatto che devo fare una cosa sbagliata. E che non voglio fare.

LEONORA: Il mondo gira in questo modo, Isidoro. Il Duca non vuole l'immortalità perché è una cosa giusta, ma per soddisfare il suo capriccio di vita eterna. Nostro malgrado siamo coinvolti in questa storia che indubbiamente non porterà nulla di buono né a lui, né a noi, ma dalla quale comunque non possiamo esimerci. Siamo umani, non possiamo fare altro che tentare di sopravvivere nonostante l'infame sorte che il destino ci assegna volta per volta.

Sono talmente inviperito che non mi trattengo dal sibilarle contro la risposta.

ISIDORO: Complimenti per la retorica, Leonora. Da quando hai questa capacità oratoria?

BERNARDO: Isidoro, portale rispetto.

Il tono del maestro non ammette repliche.

LEONORA: Una volta ho studiato teatro. Mi ero unita ad una compagnia di attori di strada, poco più che straccioni. Non è che abbia imparato molto, ma una cosa sì: bisogna fare buon viso a cattivo gioco. Se non lo farai, ci andremo di mezzo tutti.

Me ne vado senza risponderle. Le sue massime sulla vita mi hanno messo appiccicato addosso una tristezza che nemmeno il sonno e la notte riesco a lavare via.



Scena sette

L'indomani è una pessima giornata. Il cielo è grigio, grigio quanto la città. Sono seduto sul bordo di un naviglio, la cui acqua se non grigia può essere definita verde fogna.

All'improvviso, mi giunge alle orecchie quella filastrocca. Dapprima quasi impercettibile, poi sempre più forte, finché la Morte compare di fianco a me.

MORTE: Dopo lo scherzo di ieri, non so più se hai davvero l'intenzione di morire.

ISIDORO: Beh, nemmeno io.

MORTE: Se ti siedi sul bordo di un canale putrido però qualche sospetto mi viene. Perché stai pensando di ammazzarti?

ISIDORO: Non ho mai avuto paura di te. Non che mi ricordi. Ho sempre pensato che fosse perché, a furia di impiccare le persone, mi fossi abituato alla tua presenza.

MORTE: Questa volta non basterà una favoletta a mandarmi via. Conosco il genere umano da molto tempo: ormai riconosco chi rimugina sull'idea di morire.

ISIDORO: Avrai ben presente allora quanto può essere squallido l'animo degli uomini. Sono nauseato dall'egoismo tramite il quale l'umanità cerca costantemente di riscattare la sua miseria. Tutto questo frastuono di desideri, volontà, fallimenti... tutta questa selva di parole e sorrisi e pianti non mi appare mai tanto vana e sbagliata come quando vedo la brama muovere un uomo, e in questi momenti mi sembra che tu sia la sola ad avere una dignità.

MORTE: Tu vedi di continuo la miseria più nera dei condannati a morte; come sei capitato a fare il boia nonostante questo?

ISIDORO: Il maestro mi prese con sé quando ero all'orfanotrofio, così, in modo naturale, divenni il suo apprendista. Ma non è questo. Non è perché sono abituato agli impiccati che non ho paura di te.

MORTE: E allora perché?

ISIDORO: Cosa c'è in questo mondo, in questa vita, di così prezioso da poterla rimpiangere? Le persone si affannano a cercarlo perché credono di avere poco tempo, ma non trovano nulla di soddisfacente perché sanno che non durerà.

MORTE: Rimane il fatto che tu continui a fare il boia, nonostante non ti piaccia farlo.

ISIDORO: A te piace quello che fai?

MORTE: Non capisco.

ISIDORO: Ti piace portare via le persone dal mondo?

MORTE: No.

ISIDORO: Quindi siamo nella stessa situazione.

MORTE: Non capisci. Intendevo che non ne ricavo piacere, non che ne provo disgusto.

ISIDORO: Perché allora porti via le persone?

MORTE: Non dovrei?

ISIDORO: Il genere umano ti odia.

MORTE: Che dovrei farci?

ISIDORO: Se ti odiano per quello che fai, potresti smettere di farlo. Sei obbligata da qualcuno?

MORTE: No.

ISIDORO: Ma tu lo fai ugualmente. Perché?

MORTE: Perché sono io. Perché è quello che sono. Rinunceresti alla tua identità perché qualcuno ti odia?

ISIDORO: Non lo so. No, credo di no. Però con me continui a fare eccezioni alle tue regole.

MORTE: Questa è una cosa che ho imparato da voi, dopo tutto questo tempo passato ad osservarvi: non importa quali siano le regole o le imposizioni, se qualcosa vi sta a cuore non c'è regola che tenga, né che valga la pena rispettare.

ISIDORO: Quindi è in tuo potere... smettere?

MORTE: Rinunceresti alla tua identità per qualcosa che ti sta a cuore?

Rimango silenzioso alla sua domanda.

MORTE: Posso dirti questo: ho notato anche un'altra cosa osservandovi. Che per quanto voi vediate misera la vostra sorte, per quanto vi crediate infimi e mi odiate, non ho mai visto l'umanità smettere di ridere e cantare. Oh, sembra che tu non voglia più morire. Devo andare.



Sipario



Chi derise la nostra sconfitta
e l'estrema vergogna ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere il nodo.

Chi la terra ci sparse sull'ossa
e riprese tranquillo il cammino
giunga anch'egli stravolto alla fossa
con la nebbia del primo mattino.

La donna che celò in un sorriso
il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso
un insulto del tempo e una scoria.

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l'odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso.


(La ballata degli impiccati)



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Capitolo 3
*** Atto due ***


Atto secondo



Ridere, ridere, ridere ancora,
Ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà,
musica di tamburelli fino all'aurora,
il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera signora,
vide che cercava lui e si spaventò.

"Salvami, salvami, grande sovrano,
fammi fuggire, fuggire di qua,
alla parata lei mi stava vicino,
e mi guardava con malignità"
"Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare,
dategli la bestia più veloce che c'è

"corri cavallo, corri ti prego
fino a Samarcanda io ti guiderò,
non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh


(Samarcanda)


Scena uno

L'espressione pensosa del duca è indecifrabile. Io e il maestro siamo andati alla sua corte presentargli l'idea assurda che abbiamo avuto per convincere la morte. Almeno sembra che la stia prendendo in considerazione.

DUCA: Un ballo... in onore della morte?

BERNARDO: Sì, vostra signoria. Isidoro ha potuto constatare che omaggiare e lusingare la morte potrebbe essere il modo migliore per riuscire ad ottenere ciò che volete.

DUCA: Un ballo dunque. E di che genere?

BERNARDO: Impressionante. Grandioso, vostra signoria. La morte deve vedere quanto è bella l'umanità per convincersi a risparmiarvi.

DUCA: Potrei invitare la corte, magari anche tutta la nobiltà. Sarebbe un gran bel ballo.

BERNARDO: Sì, vostra signoria.

DUCA: D'accordo! Organizzeremo questo ballo, e sarà talmente maestoso che rimarrà nella memoria di Milano per i secoli a venire!



Scena due

L'idea del ballo me l'ha data la morte stessa, quando ha detto che l'umanità non smette mai di cantare. Tuttavia non credo che lei si farà convincere, mi è solo sembrato un modo per tenere occupato il duca e di fargli credere di poter ottenere quello che vuole. La sua consumata esperienza in questo genere di mondanità poi si dimostra all'altezza della sua fama: in pochi giorni vengono allertate tutte le famiglie nobili del ducato di Milano, sono messe a sgobbare dozzine di servi e sono reclutati i migliori musici nel ducato.

Il duca deve avermi preso in simpatia, oppure ha deciso di controllare da vicino quello che deve far realizzare il suo desiderio. Fatto sta che mi ha precettato come suo consigliere personale incaricato di stabilire cosa piacerà e cosa non piacerà alla Morte durante il ballo. Questo significa che sono costretto ad accompagnare lui e il suo seguito di servitori in ogni fase dell'organizzazione, anche se io di feste mondane non so assolutamente nulla.

Nel frattempo, tra l'invio di un messaggero al capo dei cuochi e la firma dell'accordo con i saltimbanchi, arriva la domenica, accompagnata dalla consueta esecuzione.

Sul patibolo c'è un contadino che ha ammazzato l'esattore venuto a riscuotere le decime. È nato un diverbio sulla porta di casa quando il funzionario – come suo solito – ha preteso più del dovuto e il fattore ha deciso che questa volta non glie lo avrebbe dato; è rientrato in casa, ha preso il piccone e con quello gli ha sfondato il cranio. Se il funzionario avesse ucciso il contadino nessuno avrebbe saputo niente, ma dato che il funzionario era una persona abbastanza importante, l'esecuzione è trattata con solerzia.

All'arrivo dei gendarmi, il contadino si è giustificato dicendo che quello era venuto a prendergli la sua dignità. È stato questo disperato moto d'orgoglio a portarlo alla forca, ma adesso che alla forca ci è arrivato di orgoglio in lui non c'è traccia. Tiene la testa bassa, trema mentre il banditore urla l'accusa.

BERNARDO: Ultime parole?

Il condannato esita un po', poi parla con voce malferma.

CONTADINO: Io l'ho ammazzato perché... perché ho pensato che non è vita se non c'è la dignità e lui mi portava via ogni volta la dignità. Io non riuscivo più a mantenere i miei figli. Adesso però senza di me come faranno? Se io muoio, chi li sfamerà? No! Vi prego, non ammazzatemi! Ho dei figli da mantenere, ho una famiglia! Anche lui avrà avuto dei figli, volete che anche i miei muoiano di fame? No! Vi prego!

BERNARDO: Basta così.

Il maestro tappa la bocca al condannato, ponendo fine ai suoi strilli. Mentre lo assicura al cappio, io sussurro l'invito alla Morte.

ISIDORO: Ti piacerebbe partecipare ad un ballo?

La morte si gira e mi guarda con aria interrogativa.

MORTE: Un ballo?

ISIDORO: Sì, una di quelle feste dove...

MORTE: So cos'è un ballo. Solo mi sembra strano essere invitata.

ISIDORO: Quindi accetti l'invito?

MORTE: Davvero posso venire?

Nel frattempo si apre la botola sotto il condannato.

ISIDORO: Certo! È una festa in tuo onore, se non ci sei tu non c'è nemmeno il ballo.

MORTE: Allora sono felice di accettare.

ISIDORO: D'accordo, ti chiamerò quando sarà il momento.

La morte fa per andarsene saltellando sulle note della filastrocca, lasciando il condannato appeso alla forca.

ISIDORO: Ti sei dimenticata il condannato!

Senza smettere di canticchiare, la morte torna indietro, raccoglie il cadavere e se ne va.



Scena tre

Vedere la morte così contenta dell'invito al ballo mi ha sorpreso. Ripensandoci, data la sua attitudine a canticchiare non è poi così strano. Ora il duca, avendo osservato la grossolana distrazione della Morte, è sempre più convinto di poter ottenere l'immortalità.

Dato il numero spropositato di invitati, la festa non può essere tenuta nel castello. Le uniche sale disponibili infatti, sono disusate e piene di calcinacci di precedenti lavori di ampliamento. Poiché rimetterle in sesto richiederebbe troppo tempo e poiché il duca è sempre più impaziente, si è deciso di spostare il ballo a Villa d'Acqua, l'enorme tenuta di un caro amico del duca.

Per tutta la mattina il duca il duca mi trascina insieme al suo seguito per le varie ali della villa, saltellando in cerca del luogo migliore per accogliere la morte. Raggiunto da un'illuminazione, il duca comanda di spostarsi al cimitero della famiglia di casa.

DUCA: Isidoro! Cosa ne dici di chiamarla qui? Quale luogo migliore, in fondo?

Ogni volta che devo rispondere a domande di questo tipo non so se dire quello che penso o lusingare il duca per le sue trovate.

ISIDORO: È un'idea interessante, vostra signoria, tuttavia...

DUCA: Cosa ti rende perplesso? Forza parla!

ISIDORO: Il fatto è che abbiamo un'idea sbagliata di lei, insomma...

ADELAIDE: Quello che il ragazzo sta cercando di dire è che un cimitero non è per nulla il luogo adatto ad accogliere una donna.

Il duca urla verso chi mi ha interrotto.

DUCA: Chi è che parla a sproposito? Oh, sei tu, Adelaide. Dov'è tuo padre?

ADELAIDE: In questo momento è occupato ad istruire i giardinieri, come voi gli avete raccomandato di fare. Ci raggiungerà quando avrà finito.

DUCA: Oh, bene. Che dicevi, Isidoro?

ISIDORO: Credo che la dama abbia ragione, vostra signoria.

DUCA: E perché mai?

ISIDORO: Perché per noi un cimitero è un posto adatto. Per lei, un cimitero non ha più significato di qualsiasi altro luogo. Suggerisco di proseguire il giro della villa, vostra signoria.

DUCA: Così sia! Forza, seguitemi!



Scena quattro

Il giro della villa viene interrotto per il pranzo, per poi essere portato a termine a sera inoltrata senza aver preso una decisione. Il duca non riesce a decidersi, io non riesco a consigliarlo.

Sono seduto nel cortile interno alla villa, attorno ad una fontana decorata con bizzarre statue. Mi raggiunge Adelaide, ostentano la casualità dell'incontro.

ISIDORO: Buonasera, mia signora. Vi sono molto grato dell'aiuto che mi avete dato questa mattina.

ADELAIDE: Di nulla. Siamo infine giunti ad una decisione a riguardo?

ISIDORO: No. Il duca vuole assicurarsi che ogni dettaglio sia perfetto e in questa cosa non riesce a scegliere.

ADELAIDE: Ehw, non ne capisce proprio niente di donne. Non ne sono sicura: potrebbe aver dimenticato la seduzione, oppure non averla mai appresa.

ISIDORO: Non saprei.

ADELAIDE: Posso permettermi di consigliarti nuovamente?

ISIDORO: Ne sarei onorato, mia signora.

ADELAIDE: Seppur tramite racconti e notizie, credo di conoscere la Morte, almeno un po'. A lei non interessa nulla di quello che pensiamo o vogliamo noi, hai detto bene. Lei è felice di partecipare ad una cosa a cui non è mai stata invitata. Fagliela vivere.

ISIDORO: Non capisco dove vogliate arrivare.

ADELAIDE: Non pensare ad accoglienze ossequiose e formali, a vane cerimonie che possiamo capire solo noi. Chiamala direttamente nella sala da ballo, e fai suonare l'orchestra direttamente sulla sua canzone. Falle aprire le danze.

ISIDORO: Mia signora, sento nelle vostre parole una rara convinzione. Posso chiedervi cosa le anima?

ADELAIDE: Sono una donna, prima di tutti gli altri titoli con cui posso essere chiamata. Mentre ormai, le dame e i messeri si dimenticano di esserlo. E sono innamorata.

Le le sue parole risuonarono nel silenzio successivo, accompagnato dal quieto scroscio della fontana.

ADELAIDE: Ora devo andare. Fa' tesoro dei miei consigli.

ISIDORO: Posso chiedervi chi siete?

ADELAIDE: Solo la figlia del tenutario di Villa d'Acqua.



Scena cinque

Il giorno successivo, tutti i musici stanno provando le varie danze nella sala che ospiterà il ballo. Il duca, accettata la proposta di chiamare là la morte, vi si dirige a grandi passi e urla disposizioni a gran voce, euforico. Tanto euforico che si spazientisce immediatamente nell'istruire il direttore dei musicisti.

DIRETTORE: Vostra maestà, suonare direttamente sulla filastrocca della Morte... occorreranno molte prove.

DUCA: Non mi interessa! Vedete di essere pronti per il ballo.

DIRETTORE: Vostra maestà, più prove significa più lavoro. Rammentate che abbiamo preso servizio per pochi spiccioli...

DUCA: Sapevo dove volevi arrivare, carogna! Bene, quando avrò ottenuto quello che voglio vi raddoppierò la paga. Basta che suoniate quella filastrocca.

DIRETTORE: Ma certo, vostra maestà, certo. Sapevo che ci saremmo venuti incontro.

DUCA: Sì, bene, ora vai a lavorare. Isidoro? Vieni con me.

ISIDORO: Eccomi, vostra maestà.

DUCA: Stai facendo un buon lavoro. Hai già pensato a come porre la richiesta?

ISIDORO: Ehm, no, vostra maestà, non ci ho ancora riflettuto.

DUCA: Beh, fallo. Quello sarà il momento cruciale, è fondamentale che tu la convinca. Se fallirai, ti farò aprire la cassa toracica da Bernardo e ti farò appendere ad un trabicolo per farti mangiare le budella dai corvi. Ma tu sei un ragazzo in gamba e confido che questo non succederà. Dammi quello che voglio, e potrai chiedermi qualunque cosa vorrai. Ti ricoprirò d'oro ad un cenno del capo.

ISIDORO: Vostra maestà, non desidero che si pensi che stia agendo per interesse. Non desidero alcuna ricompensa.

Il duca prorompe in una risata sguaiata.

DUCA: E allora perché lo stai facendo, ragazzo? Oltre che per obbedire ad un mio ordine, s'intende.

ISIDORO: Io... io non...

DUCA: Mi raccomando ragazzo, pensa a quello che ti ho detto. Ora vado a cercare qualcosa da mangiare, dato che sto morendo di fame.

Rimango lì in piedi, attonito. Nauseato.

LEONORA: Perché lo stai facendo, Isidoro?

Trasalisco e mi volto verso Leonora. Non sapevo che fosse qui. È chiaramente in attesa di una risposta.

ISIDORO: Ho solo avuto un'idea. È solo un ballo.

LEONORA: Non è solo un ballo, e tu lo sai. Cosa è cambiato da qualche giorno fa? Hai anche organizzato l'inizio delle danze.

ISIDORO: Quella non è stata una mia idea.

LEONORA: Ma l'hai suggerita tu al duca, o sbaglio?

ISIDORO: Sto facendo quello che mi avevi detto! Cosa c'è che non va?

LEONORA: Non va il fatto che non c'è un motivo per cui tu lo stia facendo. Ti stai facendo usare dal duca come fossi uno dei suoi servetti. Davvero stai agendo solo di buon cuore, solo per far felice il duca? Davvero sei spinto solo da generosità?

Rimango ancora silenzioso.

Sì, la risposta è sì. La domanda del duca mi ha colto alla sprovvista: non avevo pensato al perché lo stessi facendo. Così ho iniziato affannosamente a cercare un motivo, anche solo plausibile, per cui stessi adempiendo al comando del duca. Non ne ho trovati, tranne uno. Ho organizzato il ballo solo perché sapevo che avrebbe fatto felice la Morte. Sì, la risposta è quella, Leonora, ma non te la dirò.

LEONORA: Il duca ti ha promesso l'oro. Cosa vale più di quello?

ISIDORO: Non mi importa cosa dirà Bernardo. Ma adesso vattene e lasciami in pace.

LEONORA: Bernardo non lo saprà. Non sa che sono qui.

ISIDORO: Vattene!

Rimango ancora una volta solo, mentre sento la canzone della Morte in lontananza. Sono i musici che stanno provando nella sala da ballo.



Scena sei

La vigilia del ballo è arrivata. Secondo la volontà del duca, siamo tutti riuniti nella sala da ballo, per la prova generale. Un eviro canterà al posto della Morte, mentre tutti gli invitati, i ballerini e i musicisti sono al loro posto. Io ho una daga con cui chiamerò la morte. Ad un cenno del duca, l'eviro comincia a cantare. Subito, i musicisti prendono a suonare e tutti si muovono come concordato. Trovo che sia triste provare un ballo. Triste e terribilmente noioso. Tutti sanno che non è questo il momento di divertirsi, anche se per la farsa di cui stiamo facendo le prove non è necessariamente previsto divertirsi. La folla ondeggia, la musica scorre.

??? IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHHHHHHHHHHHHHHHH

Un grido all'improvviso copre la musica. Imperterriti, i musicisti non interrompono la danza, anche se qualcuno è uscito dalla sua posizione e incomincia a chiedersi cosa sia successo.

DUCA: Proseguite, forza! Non è successo niente!

Mentre altri cercano di capire cosa sia accaduto, una sguattera imbrattata di sangue spalanca le porte della sala incespicando.

SGUATTERA: Maestà! Oh, maestà, che cosa terribile...

La sguattera crolla in ginocchio singhiozzando, senza riuscire a proseguire di parlare. Il duca, con aria infastidita, si fa largo tra i presenti e si avvicina alla serva.

DUCA: Su, che c'è? Parla, forza!

SGUATTERA: La signora... la signora è...

DUCA: La signora è cosa?

SGUATTERA: La padrona è stata assassinata!



Scena sette

Il duca è molto arrabbiato per questa vicenda. L'imminente ballo l'aveva rianimato dalla sua solita apatia. Ma ora che è stato costretto a rimandare il ballo di una settimana è su tutte le furie. Rimandato, per giunta, per un'idiozia!

Dama Adelaide ha ucciso sua madre. Anche se il duca pensa il contrario, per la nobiltà presente a Villa d'Acqua si tratta di un terrificante scandalo. Il fatto che la figlia della tenutaria della Villa sia scappata con un servo della Villa stessa, invece, è considerato anche vergognoso.

Dama Adelaide infatti coltivava una relazione segreta con un certo servo, con cui aveva organizzato di scappare nella Repubblica Veneta in gran segreto. La fuga era stata architettata approfittando del fatto che tutti nella Villa dovessero essere nella sala da ballo. Sfortunatamente per la coppia di fuggiaschi, la madre di Adelaide, non si sa per quale ragione, si trovava negli appartamenti proprio mentre Adelaide e il suo amante si preparavano a lasciare la Villa. Adelaide pugnalò sette volte al torace sua madre, con uno dei coltelli rubati dalla cucina.

Durante la fuga erano stati costretti ad uccidere anche un servo che li aveva casualmente scoperti e uno dei gendarmi che li hanno fermati al confine.

Il funerale della nobildonna è stato venerdì. Come ogni domenica, oggi è in corso l'esecuzione.

Il duca, tremendamente incattivito, ha deciso di interloquire con il condannato, cosa per lui inusuale. Il banditore gli presta la voce, molto più adatta all'occasione della sua.

BANDITORE: Servo! Il duca vuole ardentemente conoscere il motivo che ti ha spinto ad uccidere un gendarme, un servo tuo pari e la signora sotto la quale avevi preso servizio, a sedurre sua figlia, seviziarla e rapirla, tentando di portarla in un paese straniero. Parla, servo!

A questo punto la Morte mi si avvicina e mi sussurra:

MORTE: Perché dice quelle cose? Non è andata così.

ISIDORO: Questa è la versione ufficiale. La fuga d'amore di quei due ha creato un'enorme scandalo nell'alta società che conosce i fatti come sono realmente. Non vogliono che lo scandalo raggiunga anche il popolino e ricopra ancor di più di vergogna la famiglia di Adelaide.

Il servo era stato immediatamente destinato alla pena capitale, mentre come punizione per Adelaide era stato giudicato sufficiente farle assistere alla morte del suo aguzzino. Siede infatti con il padre vicino al duca e non appena il suo amato prende a parlare lei incomincia a singhiozzare.

STEFANIO: Negli ambienti che ho frequentato, la fama di puttaniere del duca era abbastanza affermata.

La folla mormora, lui riprende.

STEFANIO: Come potrebbe vostra signoria quindi comprendere quello che ho fatto, se non ha mai amato davvero una donna?

Per quanto l'insinuazione sia veritiera, per il duca ora si tratta ancor di più di un fatto personale.

BANDITORE: Sua signoria dice che se l'avessi amata meno, ora, forse, saresti un uomo libero, non un cadavere che respira ancora.

STEFANIO: Non si può amare meno! L'amore è tutto. L'innamorato non conosce maggiore o minore, rivendica l'eternità di ogni suo istante. E se l'amore rende eterna ogni piccola frazione della sua vita, perché dovrebbe l'innamorato temere la Morte?

A queste parole il pianto di lei si fa sempre più forte, finché si alza in piedi e grida:

ADELAIDE: Fatemi morire con lui, vi imploro! Sono colpevole quanto lui, più di lui! Stefanio, amore mio, diglielo tu...

STEFANIO: No, mia cara, loro vogliono che tu viva, e anch'io. Vivi per me, vivi la vita che avremmo dovuto vivere insieme.

ADELAIDE: Ma che vita devo fare io senza di te? Fammi morire con te, così la Morte sarà gioiosa!

Nessuno può più sentirla: due guardia l'hanno rimessa a sedere e ricondotta la pianto sommesso. La voce di lui però si sente benissimo.

STEFANIO: Duca! La tua miserabile vita fatta di agi, lussi e ricchezze non ti porterà a nulla, mentre io ho trovato qualcosa qualcosa per cui morire, e per questo muoio sereno.

BANDITORE: Il duca afferma che allora ti sarà indifferente la commutazione della condanna. Sarai appeso per le braccia sopra la pubblica piazza e lasciato morire al cospetto della città, da infame assassino quale sei.

Di tutte le condanne capitali, questa è seconda per crudeltà soltanto al rogo. La cassa toracica collassa su se stessa, le spalle si lussano e i polsi si tagliano, grondando sangue lungo tutto il corpo; si muore per deperimento.

Io e il maestro ci guardiamo negli occhi. È nostra abitudine drogare o avvelenare i condannati destinati a soffrire in modo atroce, come le ragazze e le donne spesso scambiate per streghe e bruciate vive. Di solito ci prepariamo prima con una boccetta in tasca, ma questa è la prima volta che il duca si comporta così: non possiamo fare nulla. Lo leghiamo, assicuriamo la corda e gli mettiamo uno straccio in bocca, in modo che non possa urlare. Il maestro quindi lo issa all'altezza massima e la folla inizia a bersagliarlo di insulti, sputi e sassi.

La morte nel frattempo se ne è andata, tornerà al momento opportuno. Chissà come farà a staccarlo di lì.



Sipario



Fiumi poi campi, poi l'alba era viola,
bianche le torri che infine toccò,
ma c'era tra la folla quella nera signora
stanco di fuggire la sua testa chinò:
"Eri fra la gente nella capitale,
so che mi guardavi con malignità,
son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale,
son scappato via ma ti ritrovo qua!"

"Sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito,
cosa ci facevi l'altro ieri là?
T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua.

Non è poi così lontana Samarcanda,
corri cavallo, corri di là...
ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh


(Samarcanda)



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Capitolo 4
*** Atto tre ***


Atto terzo



La polvere il sangue le mosche e l'odore
per strada fra i campi la gente che muore
e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos'è
e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché.

L'autunno negli occhi l'estate nel cuore
la voglia di dare l'istinto di avere
e tu, tu lo chiami amore e non sai che cos'è
e tu, tu lo chiami amore e non ti spieghi il perché.


(Terzo intermezzo)

Scena uno

Finalmente viene il giorno in cui le lunghe prediche del duca, le sue preoccupazioni, le sue speranze giungono alla fine. Tutto è pronto già da ieri: le decorazioni, gli strumenti musicali, gli inviti, i posti a sedere. Sebbene nessuno ne avesse voglia, primo di tutti il padrone di Villa d'Acqua, il duca ha voluto un'altra prova generale, filata noiosamente bene. Arrivo alla tenuta in mattinata, come richiesto dal duca. Mi presento alla servitù venuta ad accogliermi, domando del duca e loro mi indicano la sala da ballo. Lo trovo seduto al centro dello stanzone, appena mi vede mi inizia a parlare.

DUCA: Hai mai avuto un sogno, Isidoro? Un sogno come il mio, un sogno di immortalità! Mi sembra di non aver mai vissuto prima di aver visto possibile questo sogno. Io ho fama, ricchezza, potere, eppure prima di aver scoperto questa possibilità, mi sembravano solo un terribile inganno... ah, quale beffa l'avere ogni cosa ma essere destinati a perderla! La vita stessa è una beffa: è la conoscenza della Morte al prezzo di doverla affrontare. Ma tutto questo sta finendo, Isidoro, e so che anche tu te ne rendi conto. Noi troviamo la chiave della vita se eliminiamo la morte! Sono in apprensione... proprio ora che torno a vedere luminosamente il mondo, proprio adesso che sto per sconfiggere la più umana delle disgrazie, mi trovo in balia del più umano dei sentimenti... ho paura, paura che qualcosa possa non andare per il verso giusto.

ISIDORO: Perché mi avete fatto chiamare, maestà?

DUCA: Ho bisogno di farti una domanda, Isidoro.

ISIDORO: Quale, maestà?

DUCA: Ci riuscirò? Riuscirò ad ottenere l'immortalità?



Scena due

Gli invitati sono arrivati nel pomeriggio, mentre i musici e la servitù sono qui dalla mattina; al tramonto sono tutti al loro posto. Dopo aver finito di accendere tutte le luci, siamo pronti per iniziare. Il duca è seduto su uno scranno, vicino a lui sta il padrone di casa. Il maestro e Leonora sono tra gli invitati, che circondano i ballerini di professione. Questi ultimi hanno formato una grande circonferenza nel centro della sala, nel mezzo della quale ci sono io.

Ho una daga alla cintura, ad un cenno del duca me l'avvicino al collo. Si inizia ad avvertire la sua filastrocca ed i musici iniziano a suonare lievemente. Quando arriva la Morte, la danza inizia. I musici danno fiato agli strumenti, i danzatori iniziano a ballare intorno a me e alla morte cantando la filastrocca:



Ballo in fa diesis minore

Sono io la morte

e porto corona

io son di tutti voi

signora e padrona

e così sono crudele così forte sono e dura

che non mi fermeranno le tue mura


Sono io la morte

e porto corona

io son di tutti voi

signora e padrona

e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare

e dell'oscura Morte al passo andare


Inizialmente la Morte non capisce cosa stia succedendo, si limita a a stare in piedi di fronte a me, fissandomi. Alla seconda strofa comincia a guardarsi intorno, rassicurata da un mio cenno di assenso. Ecco che inizia la terza strofa, cioè la parte che abbiamo aggiunto noi alla filastrocca:


Sei l'ospite d'onore

del ballo che per te suoniamo

posa la falce

e danza tondo a tondo

il giro di una danza

e poi un altro ancora

e tu del tempo non sei più signora


A questo punto, il cerchio si stringe fino a raggruppare anche noi, si stacca una coppia che prende il nostro posto e la canzone ricomincia: questa volta siamo nel cerchio dei ballerini e altri due hanno il nostro ruolo precedente. Non è chiaro per quanto tempo prosegue la danza, la musica inebria più del vino. Quando ci fermiamo, io e la Morte siamo passati in centro un'altra volta. Fuori ormai è notte. La canzone della Morte è finita, ma adesso inizia un valzer, insieme al ballo vero è proprio. È il turno degli invitati di prendere parte alle danze: si formano le coppie, io e la Morte veniamo divisi nella folla di nobili. Vedo la Morte ballare con ogni genere di persone: belli e brutti, giovani e vecchi, timorosi e coraggiosi. Per lo spazio di un valzer, le persone ingoiano la paura della Morte.

Capito a ballare con Leonora. Per un momento ci guardiamo, cercando di capire cosa pensa l'altro.

LEONORA: È strano da dire, ma mi sono accorta di capire le ragioni del duca. Sono ragioni umane. Ti ricordi quello che ti ho detto riguardo agli uomini? Dobbiamo sopravvivere. Ed è quello che il duca sta cercando di fare.

ISIDORO: Non mi interessa quello che intende fare il duca.

LEONORA: E invece dovrebbe, dato che gli stai consegnando l'immortalità.

ISIDORO: Non gliela sto consegnando, se la sta prendendo.

LEONORA: Sai, io non ero nessuno prima che Bernardo mi prendesse con sé. Ero povera e povera sarei dovuta rimanere. Per questo mi chiedo che diritto abbia più di me, più di noi, il duca di avere l'immortalità. Lui ha sempre avuto tutto, noi non abbiamo mai avuto niente.

ISIDORO: Stai parlando come lui.

LEONORA: Noi siamo come lui! Siamo tutti uguali, tutti in lotta per afferrare più degli altri. Abbiamo l'occasione di afferrare quanto di più grande si possa immaginare.

ISIDORO: Non siamo tutti uguali. Io non sono come lui, non voglio esserlo.

LEONORA: Dimmi che non vogliamo tutti quello che darai al duca. Dillo.

ISIDORO: Non lo voglio. Sopporto troppo poco questo mondo per poterlo desiderare per l'eternità.

LEONORA: Ma non c'è nient'altro da desiderare. Te ne accorgerai, Isidoro.

Faccio per ribattere, ma il valzer mi spinge a cambiare compagno. Osservo la Morte che balla, sognante. Sembra felice, nello stesso modo in cui i bambini affrontano una gioia grande e inaspettata: non sanno che fare, hanno negli occhi una tale contentezza per cui sembra che un semplice ringraziamento non possa essere mai abbastanza; eppure ringraziano e corrono via subito, a godersi quell'immensa temporanea gioia. Così la Morte, incurante dei motivi per cui questo ballo è stato organizzato, inconsapevole o dimentica delle ipocrisie, degli odi, delle invidie, dei desideri da cui è circondata gioisce per questa sorpresa. Gioisce nonostante sappia che finirà, anzi proprio perché sa che finirà. Loro invece, tutti a danzare su musiche che detestano, con gente che non sopportano, sudano e sopportano per la vanità del duca, e tutti quanti non si ricordano più come essere felici di qualcosa.

La Morte ora mi sta guardando. Restituisco lo sguardo ai suoi occhi verdi.

ISIDORO: Vieni con me?

Lei fa cenno di sì e la accompagno attraverso la folla di vestiti d'occasione fino alle scale. Lasciamo la sala da ballo per il piano superiore, da cui raggiungiamo una terrazza. La notte è serena e le stelle occhieggiano dall'alto sul mondo dei mortali. La Morte, ammirata, si siede sul parapetto.

MORTE: Non ho mai fatto tanto caso alle stelle. So che voi le osservate da sempre, cercandoci le risposte alle vostre domande. Apparentemente non ce ne sono, ma basta la possibilità a farvi perseverare.

Non so cosa risponderle, lei prosegue.

MORTE: Grazie. Per il ballo, intendo. Immagino sia stata opera tua.

ISIDORO: Già, opera mia. Piuttosto colpa mia.

MORTE: Perché dici così?

ISIDORO: Perché sono riuscito a concentrare in una sola stanza tutte le miserabili ipocrisie e le invidie rassegnare di questo fetido ducato. Perché ho dato forma al vanitoso desiderio di un vecchio disperato.

MORTE: A me sembra una bella festa. Il resto ha poca importanza.

ISIDORO: Questo non toglie la mia colpa.

MORTE: Ma di quale colpa parli?

ISIDORO: Ti sei chiesta la ragione per cui questo ballo è stato organizzato?

MORTE: No.

ISIDORO: Non intendi conoscerla?

MORTE: Se è così importante per te...

ISIDORO: Il duca vuole diventare immortale. Dice di amare troppo la vita per poterla lasciare, ma ha solo tanta paura di te.

MORTE: Davvero non vi capisco, mortali. Agognate l'immortalità senza conoscerla, senza rendervi conto che è una condanna. Non avete idea di cosa significhi non poter sperare in una fine, in un compimento. L'eternità rende insignificante la vita; tutto è già dato, nulla è da perdere. Ciò che vi rende così preziosi è la possibilità di decidere cosa fare con il tempo che vi è dato. Tutte le cose umane sono temporanee: la gioia, il dolore, l'odio, l'amore, perché in questo si misura l'individualità di ciascuno. L'uomo vive nelle cose che perde e che guadagna, io che sono eterna non ho nulla da perdere, ma nemmeno nulla da guadagnare. Io non soffro, non provo dolore, invidia, brama, ma nemmeno la gioia, nemmeno posso amare... e non vi accorgete che la fine è un dono e che quello che voi cercate nell'immortalità è la vita infinita, non la mancanza di morte, e questa già l'avete: vivete i ricordi, vostri e degli altri, accumulate storie e racconti e poemi e vivete le vite che ancora devono esistere e quelle che non esisteranno mai. Nella vostra meravigliosa mente si animano storie di altri mondi e prendono vita eroi e mostri che accompagnate nelle loro avventure fantastiche... non siete immortali, ma ci arrivate molto vicino, e per una strada migliore.

ISIDORO: Se non provi gioia, cos'era quella che ti ho visto negli occhi mentre ballavi?

MORTE: Gioia, Isidoro, ma sei stato tu a regalarmela. Per questo, se sei tu a chiedermelo, esaudirò il desiderio del duca. Ora però ti prego, se la festa non è ancora finita, non occupiamo il tempo con cose di così poca importanza.

ISIDORO: Non voglio tornare di sotto, in mezzo a tutti quelli là.

MORTE: Allora stiamo qui. Non bisogna per forza sempre ballare.

Tiro un respiro e scaccio i pensieri precedenti.

ISIDORO: Come hai imparato tutto questo? Non vedi forse il mondo solo attraverso gli ultimi delle persone?

MORTE: Sì, ma si imparano molte di una persona dal suo trapasso.

ISIDORO: Devi aver imparato molto, allora.

MORTE: Oh, non così tanto. Solo le cose che valga veramente la pena ricordare. Ti assicuro che sono le stesse in ogni parte del mondo.

ISIDORO: E com'è, il mondo?

MORTE: Tu come te lo aspetti?

ISIDORO: Non lo so... ma mi aspetto molto. Mi immagino che ogni luogo sia diverso dagli altri. Soprattutto spero che i confini a cui sono abituato siano molto più vasti di quelli che conosco. Devono esserci luoghi in cui ciò che qui ha ogni importanza, non ha alcun significato. Non sopporterei che fosse tutto come qui.

MORTE: Perché non ti imbarchi su una nave? Perché non vai a vederlo il mondo, anziché fartelo raccontare?

ISIDORO: Perché le mie sono fantasie lontane... la realtà è molto più vicina.

MORTE: La realtà è ovunque, mentre sei tu a decidere la distanza dei tuoi sogni.

ISIDORO: Io sono un boia. Non mi è concesso girare il mondo.

MORTE: Ma non sei obbligato ad essere un boia! Se il tuo posto non è questo, vai a cercarlo!

ISIDORO: E quale altro potrebbe essere? Quante altre persone non ti temono, quante altre il maestro ha allevato per proseguire il suo lavoro? Io non ho legami con la vita. Come posso sapendo questo fare qualsiasi altra cosa?

MORTE: Ora so perché non mi temi. Tu non hai paura della Morte perché hai paura di vivere.

All'improvviso mi riempio di vergogna. Non so perché, non voglio pensarci. Cerco subito di cambiare discorso.

ISIDORO: Posso farti una domanda?

MORTE: Sì, vorrei che lo facessi.

ISIDORO: Cosa c'è dopo di te?

Ride.

MORTE: Ah, mi piacerebbe saperlo.

ISIDORO: Non lo sai?

MORTE: E come potrei? Posso farti una domanda?

ISIDORO: Anche io vorrei che lo facessi.

MORTE: Le chiese. I templi. Non riesco a capire a cosa servono.

ISIDORO: Sono costruiti per pregare, riunirsi... spesso rendono onore a Dio.

MORTE: E Dio. Non capisco nemmeno lui.

ISIDORO: Dio è credere che ci sia qualcosa di più. È credere che esista qualcosa di veramente importante. Ma ormai è un'idea vecchia, la gente non ci crede più.

MORTE: È un'idea bellissima.

ISIDORO: Posso farti una domanda?

Andando avanti così, parliamo per tutta la notte e lei sorride per tutto il tempo, come se stessimo ancora ballando. Ma arriva l'alba, la festa finisce. Il congedo potrebbe essere difficile e imbarazzante, ma non lo è. Lei mi dice solo: grazie.

Nessuno, in nessuna parte del mondo, morì, quella notte.



Scena tre

Il duca mi convoca immediatamente per la domanda decisiva. Non so se è per il sonno, ma tutto mi sembra accadere come in una allucinazione. Come se stessi guardando me stesso.

DUCA: Allora?

ISIDORO: Sì.

La mia risposta lo fa schizzare in piedi di gioia. Una gioia selvaggia, che mai mi è sembrata più folle di ora.

DUCA: Allora chiamala! No, no, aspetta! Dobbiamo farlo bene. Lo faremo nella mia sala del trono, con la corte riunita. Ci sarà il proclama ufficiale e tutti sapranno quello che succederà!



Scena quattro

Siamo tornati a Milano, nella casa del maestro. La cerimonia del duca è imminente. Il maestro ha detto che non ha alcuna intenzione di prendervi parte, che non voleva averci nulla a che fare. Se ne è andato. Leonora non sembra affatto preoccupata per questo. Le sta più a cuore ciò che mi sta per dire.

ISIDORO: So cosa stai per chiedermi. Non lo farò.

LEONORA: Ti sbagli. Non ti sto per chiedere l'immortalità, non ancora.

ISIDORO: E allora cosa?

LEONORA: Hai riflettuto su quanto ti ho detto? Hai riflettuto su cosa desideri?

ISIDORO: Non è affar tuo.

LEONORA: Non voglio conoscere i tuoi desideri. Voglio sapere se ne hai.

ISIDORO: Nemmeno questo è affar tuo.

LEONORA: Beh, se ne hai – ti prego – considera quello che ti sto per dire. Se invece sei soddisfatto di questa tua esistenza da boia, sii felice con essa. Io non la vorrei mai.

Rimango in silenzio.

LEONORA: Quando chiamerai la Morte per il duca, non farla venire in vano. Avrai la lama appoggiata al suo collo, non esitare. Uccidilo. Prendi l'immortalità per noi due e uccidi quel folle. Ce ne andremo ognuno per la sua strada, ognuno con i suoi desideri e la sua vita. E se non hai desideri... beh, allora fallo per me, che ne ho.

ISIDORO: È ora di andare.



Scena cinque

DUCA: Questa è una rinascita! Da ora, niente sarà più come prima. Per me!

Il duca accoglie con queste parole i presenti nella sala del trono, al castello. Io per ora non sono tra loro, sono rimasto nel vestibolo con la servitù. Il duca pretende che il mio ingresso sia trionfale, superato solo dalla gloria di quello che accadrà dopo. Entrerò nella sala armato di una spada, tra lo stupore di tutti. Le guardie non si muoveranno contro di me. Dovrò chiamare la Morte, ma questa volta per il duca.

Sento finire il suo discorso, è il mio momento di entrare. Ignoro lo stupore dei presenti e lo sguardo teso delle guardie, il mio unico pensiero è nella spada.

D'un tratto, tutto diventa chiaro. Tutto si allinea nella mia mente svelando inequivocabilmente una verità, ossia che la Morte ha ragione. Ho paura di vivere, perché non ho mai imparato a farlo. E come per una risoluzione inaspettata, decido che non sarò mai più un boia.

La spada che ho in mano diventa pesante, trasformandosi piano piano un'opportunità. Leonora ha i suoi desideri: anche io posso avere i miei. Posso vedere il mondo. Posso viaggiare, posso vivere per sempre. Devo solo uccidere il duca.

Faccio un passo avanti, poi un altro. Mi avvicino al trono su cui è seduto il duca.

DUCA: Chiama la morte!

Sguaino la spada. Lui, platealmente, si scopre il collo, rugoso e pallido. Mentre avvicino la spada, per la sala inizia ad essere udita la filastrocca.

Basta un taglio. Tutto finirebbe con uno schizzo di sangue, tutto per un desiderio.

Desideri... li ho sempre detestati. Le persone non esitano a calpestarsi tra loro pur di raggiungere ciò che vogliono. Mi è sempre sembrato che tutto il mondo funzionasse per il desiderio. Una logica non del sii, ma del prendi. Per questo non ho mai voluto nulla. Ma per questo non ho mai vissuto. Adesso invece ho un desiderio. Esisterà un modo di vivere senza prendere? C'è un'altra via?

Me ne andrò, come ha fatto il maestro. Girerò il mondo, come mi ha detto lei. Andrò a Genova, o a Venezia, non lo so. Da là prenderò una nave diretta lontano. Ma non ucciderò il duca. Non lo farò, perché sarebbe il frutto della sua stessa brama.

La Morte è nel centro della sala, di fronte al duca.

DUCA: Oh, signora del tempo, siete qui chiamata da me per un desiderio, un'umile richiesta.

La Morte rimane immobile.

DUCA: Oh Morte, regina del mondo, fatemi vivere per sempre, ve ne prego.

MORTE: Se è questo il tuo desiderio, posso accontentarlo.

Si leva un mormorio tra gli astanti.

DUCA: Oh, grazie, grazie, grazie mia signora, il vostro buon cuore supera ogni misura.

MORTE: Ora dimmi: se esaudisco il tuo desiderio, non mi vedrai mai più. È questo che vuoi?

DUCA: È questo, mia signora.

MORTE: Allora addio.

La morte se ne va.

Il duca rimane esterrefatto. Ha un'espressione non ancora delineata tra il pazzo di gioia e l'incredulo. Nella stanza c'è assoluto silenzio, i presenti sono inebetiti quanto il duca. Lentamente, allontano la spada e faccio qualche passo indietro. Ancora silenzio. Poi, si stacca dalla massa dei presenti una donna. È dama Adelaide.

ADELAIDE: Onore al duca! Possa l'eternità farlo felice!

Istintivamente, i presenti ripetono l'omaggio.

NOBILTÀ: Onore al duca! Possa l'eternità farlo felice!

Ma mentre tutti onorano il duca, Dama Adelaide si avventa sul trono e pianta un pugnale nella gola del duca. Ne segue uno schizzo di sangue proiettato nella stanza, seguito da un crescente urlo di dolore, strozzato e acuto. Adelaide è già scomparsa, mentre nella sala ognuno cerca di scappare, folle di paura.

Il duca tenta di alzarsi dal trono, ma finisce disteso sul pavimento. Si rialza e mi indica, gorgogliando parole incomprensibili. Faccio un passo indietro, terrorizzato.

DUCA: Mi... mi hai... ingannato...

ISIDORO: No! No maestà! Non morirete!

DUCA: Isidoro, perché mi hai tradito?

ISIDORO: Non vi ho tradito, ho fatto ciò che volevate!

DUCA: Ma io provo ancora dolore! Un dolore immenso, impossibile! Non la voglio l'eternità, non la voglio più... fai smettere il dolore, Isidoro!

ISIDORO: Non posso...

DUCA: Aaahh! Ti ammazzo!

ISIDORO: No, maestà! No!

DUCA: Uccidetelo!

Prima che possa voltarmi e scappare, mi trovo trafitto da due spade e una lancia e cado in ginocchio. Mentre cado, le guardie portano via il duca.

Sento una filastrocca.



Scena sei

Il clamore delle voci preoccupatissime dei presenti si è spento, non so dire da quanto tempo. Se ne sono andati tutti, probabilmente nel posto dove hanno portato il duca. Io sono rimasto dimenticato ai piedi del trono in un lago di sangue, con qualche arma ancora infilata nel corpo. Lei è arrivata subito, ma non sa cosa fare. Mi guarda piena di apprensione ed esitazione. Non ho la forza di parlarle e per questo non capisce se io mi aspetti qualcosa da lei. È china di fianco a me, con la veste nera inzuppata nel mio sangue. Vedo nei suoi occhi il mio sguardo: uno sguardo che desiderava vivere, viaggiare... dovevo capirlo prima. Dovevo capire tante cose prima, ma adesso non c'è più tempo. Vorrei vedere tutti i luoghi che ha visto lei, vorrei parlare con lei di tante altre cose, ma non ho la forza di parlare, non così a lungo.

ISIDORO: È ora... portami con te.



Sipario



Ma il cielo è sempre più blu



Chi vive in baracca, chi suda il salario
chi ama l'amore e i sogni di gloria
chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ama la zia, chi va a Porta Pia
chi trova scontato, chi come ha trovato

Ma il cielo è sempre più blu

Chi sogna i milioni, chi gioca d'azzardo
chi gioca coi fili chi ha fatto l'indiano
chi fa il contadino, chi spazza i cortili
chi ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia

Ma il cielo è sempre più blu

Chi è assunto alla Zecca, chi ha fatto cilecca
chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
chi legge la mano, chi regna sovrano
chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
chi gli manca la casa, chi vive da solo
chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
chi vive in Calabria, chi vive d'amore
chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta
chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro

Ma il cielo è sempre più blu

Chi è assicurato, chi è stato multato
chi possiede ed è avuto, chi va in farmacia
chi è morto di invidia o di gelosia
chi ha torto o ragione,chi è Napoleone
chi grida "al ladro!", chi ha l'antifurto
chi ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri
chi reagisce d'istinto, chi ha perso, chi ha vinto
chi mangia una volta,chi vuole l'aumento
chi cambia la barca felice e contento
chi come ha trovato,chi tutto sommato
chi sogna i milioni, chi gioca d'azzardo
chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo
chi è stato multato, chi odia i terroni
chi canta Prévert, chi copia Baglioni
chi fa il contadino, chi ha fatto la spia
chi è morto d'invidia o di gelosia
chi legge la mano, chi vende amuleti
chi scrive poesie, chi tira le reti
chi mangia patate, chi beve un bicchiere
chi solo ogni tanto, chi tutte le sere

Ma il cielo è sempre più.


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