Dramma umano in tre atti di Mattimeus (/viewuser.php?uid=82908)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Atto uno ***
Capitolo 3: *** Atto due ***
Capitolo 4: *** Atto tre ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
Premessa
Questa premessa non è assolutamente necessaria alla comprensione della storia, chi volesse può saltarla. Sono solo varie precisazioni.
Ciò che è contenuto nei capitoli successivi è, appunto, una storia. Non è pensata come rappresentazione teatrale. Lo stile grafico è una scelta di stile, non un copione.
La storia è una song-fic costruita attorno alla canzone di Angelo Branduardi Ballo in fa diesis minore. Le altre canzoni presenti sono citate per il testo. Sono presenti tuttavia collegamenti ipertestuali ai relativi filmati di You Tube, per chi non avesse mai sentito le canzoni. |
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Capitolo 2 *** Atto uno ***
Dramma
umano in tre atti
Personaggi
In ordine
di ingresso:
Isidoro
– Narratore
Banditore
Bernardo
la Morte
Duca
Leonora
Mendicante
Custode
Suora
Carceriere
Contadino
Adelaide
Direttore
Sguattera
Stefanio
Comparse:
Condannati
Guardie
Folla
Carcerieri
Musici
Nobiltà
Atto
primo
Tutti
morimmo a stento
ingoiando
l'ultima voce
tirando
calci al vento
vedemmo
sfumare la luce.
L'urlo
travolse il sole
l'aria
divenne stretta
cristalli
di parole
l'ultima
bestemmia detta.
Prima
che fosse finita
ricordammo
a chi vive ancora
che
il prezzo fu la vita
per
il male fatto in un'ora.
Poi
scivolammo nel gelo
di
una morte senza abbandono
recitando
l'antico credo
di
chi muore senza perdono.
(La
ballata degli impiccati)
Prologo
La
Morte arriva cantando una filastrocca infantile, vestita di nero e
pallida in volto. Non te l'aspetti, che la Morte abbia l'aspetto di
una gracile ragazzina.
Si
fa vedere subito prima del decesso: assiste al trapasso senza battere
ciglio, poi prende il cadavere e se ne va, quasi fosse venuta per
gettare la spazzatura. Il suo volto non lascia mai trasparire
un'emozione.
Io
mi chiamo Isidoro. Sono l'apprendista del mastro boia del ducato di
Milano, Bernardo Sasso. Il mio lavoro mi porta molto spesso a
contatto con la Morte, praticamente ogni domenica, dato il gran
bisogno di esecuzioni. Di questi tempi, sembra che infrangere la
legge valga sempre la pena di farsi impiccare o mozzare qualche parte
del corpo. Sono tempi orrendi. Eppure, tutti hanno una paura folle
della Morte, per primi quelli che vengono a vedere le esecuzioni.
Ormai sono solo feticci per scongiurare la paura che un giorno
toccherà a chiunque.
Ormai
ho quasi imparato la sua canzoncina. Spesso mi scopro a canticchiarla
nella mia testa, mentre assisto il maestro sul patibolo: siamo tutti
lì in piedi – io, il maestro, le guardie, il banditore e lei – e
a me frulla nel cervello quel motivetto infantile.
In
un'occasione come questa, la Morte mi ha guardato. Subito ho notato i
colore dei suoi occhi, verde freddo. Forse credevo di averci fatto
l'abitudine, forse ormai la sua presenza non mi impressionava più,
fatto sta che non l'avevo mai notato. Credo che avrei dovuto
spaventarmi, ma per il valore che davo alla vita, guardare negli
occhi la Morte risultava una cosa del tutto normale. Fu a quel punto
che lessi nel suo sguardo curiosità.
Mi stava studiando, mentre intanto l'esecuzione procedeva. Dovetti
aiutare il maestro a legare il condannato al cappio; il suo sguardo
era tornato fisso nel nulla. La botola si aprì, il condannato cadde
e morì dopo un minuto o poco più, lei lo prese e lo portò via.
Mi
resi conto di essere rimasto turbato. Se per me era normale guardare
la Morte, per lei non era per niente usuale posare lo sguardo su
qualcosa che non fosse un cadavere. Il fatto che l'avesse fatto non
cambiava la sua posizione di astratta inumanità, ma di colpo mi
accorsi che la Morte ha un corpo, un volto e un colore degli occhi,
non è solo una paura lontana o un momento fastidioso alla fine della
vita di ciascuno.
Eppure
quel piccolo cambiamento alimentò i miei pensieri fino alla domenica
successiva, data fissata per l'esecuzione di un gruppo di briganti.
Scena
uno
Questa
volta le guardie sono dieci, due per ogni condannato. Otto circondano
il palco, due sono sul patibolo. Il banditore prende a strillare il
suo annuncio, mentre io e il maestro controlliamo la tenuta dei
cappi. Dietro alle forche c'è la Morte.
Il
banditore termina di urlare e noi ci apprestiamo a far salire i
condannati sul palco; dopo di che io mi posiziono accanto alla morte
e il maestro li informa che hanno diritto di parola. Mi volto per
vedere la sua espressione e scopro che mi sta ancora fissando, sempre
con quella curiosità aliena.
I
condannati sono chiusi in un silenzio ostinato e rifiutano di
parlare. Il maestro quindi, partendo da sinistra, apre una ad una le
botole ed i cinque condannati cadono con un tonfo e un rantolo.
Ci
sono due modi di morire durante un'impiccagione: il primo, più
rapido e frequente, è spezzarsi il collo; il secondo, se il
condannato è piuttosto robusto, è il soffocamento.
Quattro
dei cinque muoiono subito, il quinto resiste all'urto e comincia a
dibattersi, emettendo dei suoni strozzati. La morte, che fino a quel
momento aveva avuto lo sguardo fisso su di me, d'un tratto si dirige
verso i quattro deceduti. Io le sussurro:
ISIDORO: Aspetta!
Confesso
che non mi sarei mai aspettato di fermarla, eppure si ferma e
riprende a fissarmi. Ora che siamo faccia a faccia però non ho idea
di cosa dirle. Mentre ci penso i lamenti dell'uomo agonizzante
proseguono. Normalmente per strangolamento si muore in meno di due
minuti, lui li ha quasi raggiunti e la folla comincia a insultarlo e
a tirargli pietre.
MORTE:
Se hai qualcosa da dire, ti prego di farlo in fretta.
La
Morte si sta rivolgendo proprio a me. Così la Morte ha anche una
voce. Non l'avevo immaginata così. Non l'avevo immaginata affatto.
Era una voce normale: femminile, acerba, dolce.
MORTE:
Sono passati due minuti. Perdonami, ma devo...
ISIDORO: Perché
mi fissavi?
MORTE:
Ti ho sentito cantare la mia filastrocca. Ero curiosa. Cercavo di
capire
che
tipo è uno che guarda la Morte in faccia.
ISIDORO: Quanti
anni hai?
MORTE: Non
lo so. Più di quelli che tu e io possiamo contare. Comunque il
tempo per me non ha significato, quindi non saprei davvero.
Quell'uomo invece è oltre il suo tempo, devo andare. Mi
piacerebbe parlarti ancora.
E,
detto ciò, sull'ultimo condannato sopraggiunge la Morte, che porta
via anche gli altri quattro.
Scena
due
Mentre
stavo studiando il grosso volume del codice penale del Ducato, il
maestro è venuto a chiamarmi. Ha detto semplicemente: “Il duca ci
ha convocato”.
Sono
rimasto abbastanza sorpreso, dato che il Duca non è il tipo da
prendere un'iniziativa, o almeno non lo è più. È vecchio e stufo e
di solito affida tutte ai suoi funzionari, consiglieri e tirapiedi.
Il suo ruolo non è quasi nemmeno più di rappresentanza: firma i
proclami senza leggerli e assiste di malavoglia alla esecuzioni,
preferendo di gran lunga le festicciole tra nobili che lui stesso
sovente organizza. Per questo la nostra convocazione mi è sembrata
allarmante, o quanto meno strana, ma ora, in piedi davanti a lui,
sono informato del motivo.
DUCA: Ho
assistito all'impiccagione di ieri.
La
sua voce è nasale e mielosa, molto più vitale del solito.
DUCA:
Ho assistito e ho visto.
Mi avete molto impressionato.
BERNARDO: A
cosa vi state riferendo, vostra signoria?
DUCA: Mastro
Bernardo, il tuo apprendista ha fermato la morte.
BERNARDO: Vostra
signoria, è stato un errore. Isidoro, diglielo.
DUCA: Credo
che il ragazzo abbia una voce e un cervello tutto suo. Non
occorre che tu parli per lui.
Il
Duca pareva molto irritato. Quando si rivolse a me, invece, apparve
traboccante di untuosa gentilezza.
DUCA: Ragazzo...
Isidoro, credi si sia trattato di un errore?
Stavo
iniziando ad agitarmi, mentre non sapevo che rispondere.
ISIDORO:
Sì... sì, vostra signoria.
DUCA:
Sì, forse hai ragione, ragazzo. Forse invece, è un'opportunità.
Io
e il maestro ci scambiamo un'occhiata preoccupata.
DUCA: Bernardo,
da quanto lavori al mio servizio?
BERNARDO: Quarant'anni,
vostra signoria.
DUCA: Quindi
sai quanto io sia stanco, sai quanto presto io debba morire. E sai
anche che di morire non ne ho alcuna voglia. Vedi, io sono un
amante della vita: amo la musica, i balli, il buon cibo e anche le
donne, sì, anche adesso, e non sopporto il pensiero del poco
tempo che mi rimane. Ma oggi ho visto ciò che mai ho creduto fosse
possibile: la morte, la morte ha esitato! Quello schifoso
delinquente ha vissuto più di quanto avrebbe dovuto e chi ha reso
possibile questo è qui davanti a me. Bernardo, voglio che il
tuo apprendista convinca la Morte a non portarmi mai con sé.
BERNARDO: Vostra
signoria, è uno sbaglio. Avete detto voi stesso che quell'uomo
ha vissuto più di quanto concesso.
DUCA: Vuoi
forse porre fine ai sogni di un povero vecchio?
BERNARDO: No,
vostra signoria.
DUCA:
E allora non voglio più sentirti dire idiozie del genere. Io sono
il Duca, deciso io cosa è concesso e cosa non lo è. Ora farai
bene a sparire, prima che io perda il mio buonumore.
BERNARDO: Subito,
vostra signoria.
Scena
tre
Il
maestro è furibondo, ma naturalmente non lo da a vedere. Non è
abituato ad essere contraddetto, tanto meno ad ingoiare un rospo
grosso come quello appena propinatogli dal Duca. Sta appoggiato al
muro con le braccia conserte, immobile. Siamo in casa, io, il maestro
e Leonora, la sua compagna. Lei è il suo esatto contrario:
espansiva, socievole, ma soprattutto riflessiva. Non ho mai saputo il
motivo che spinse il maestro a prenderla con sé, come non ho mai
saputo cosa lo spinse a prendermi all'orfanotrofio. La conobbe ad una
qualche festa del duca, credo fosse una serva, e le chiese se avesse
voluto venire con noi. Da allora è la sua coscienza e spesso, come
in questo caso, dona l'esatta dose di buon senso di cui c'è bisogno.
LEONORA: Se
è davvero come dici non possiamo andarcene.
BERNARDO: Certo
che possiamo. Non avrò difficoltà a prendere servizio in qualche
altra signoria, sono abbastanza famoso. Sappiate che non ho
alcuna intenzione di accontentare il Duca: lavoro da una vita con
la Morte e ho imparato che queste cose non vanno toccate. Meno
che mai per vanità.
LEONORA: Eppure
conosci altrettanto bene il Duca. Sai che ha troppa paura della
morte per perdere questa occasione. Se ce ne andiamo, non se ne
starà in panciolle sul suo trono di velluto senza fare nulla. Non
questa volta.
Il
silenzio in cui si chiude il maestro significa che le ha dato
ragione.
LEONORA: Isidoro,
credi di poterci riuscire?
ISIDORO:
Non lo so... prima di tutto devo trovare un modo di parlarle. Non
possiamo certo aspettare la prossima esecuzione ogni volta.
LEONORA: La
Morte non si trova solo al patibolo. Prova all'ospedale, magari
hanno qualche paziente moribondo.
Scena
quattro
Il
campanile rintocca le quattro quando mi accingo a varcare la soglia
dell'ospedale. Il pomeriggio proietta ombre di colonne ed inferiate
sul muro intonacato di bianco del porticato. Fuori dal portone di
ingresso, un vecchio mendicante mi fissa. Il suo sguardo è gelato,
mentre i suoi stracci sono pieni di mosche.
MENDICANTE: Una
moneta per la buona sorte...
ISIDORO: Mi
dispiace, non ho denaro con me.
Tanto
è penetrante il suo sguardo, quanto è spezzata la sua voce.
Distolgo lo sguardo, perché mi sembra che mi stia guardando dentro.
MENDICANTE: Oh,
non fa nulla. Buona sorte ugualmente...
Nel
frattempo compare il custode dell'ospedale, un uomo grasso e rasato
male.
CUSTODE: Il
vecchio ti sta importunando?
ISIDORO: No,
no.
CUSTODE: Ma
tu non sei il giovane boia? Entra, entra pure!
D'ovunque
vada in città, basta farmi riconoscere come l'apprendista del
maestro per farmi trattare con ogni cortesia. Entriamo nell'ospedale,
dove la voce rimbomba sui muri intonacati.
CUSTODE: Cosa
ti porta qui?
ISIDORO: Devo
visitare l'ospedale. È per l'interesse del Duca.
CUSTODE:
Oh, ma certo! Ma certo! Ti faccio accompagnare da un'inserviente,
seguimi.
Il
custode mi lascia nelle mani di una delle suore in servizio, che mi
fa strada per gli ariosi corridoi sui quali si affacciano le stanze
dei ricoverati.
SUORA: Ragazzo,
sai come si chiama questo luogo, vero? Si chiama Santo Ricovero
delle opere di Carità Celeste, sì, proprio così! Guarda la
pulizia, guarda l'ordine! Perfino un cugino del Duca venne qui a
farsi curare da un insidiosissimo morbo e, naturalmente, guarì
benissimo. Puoi stare ben tranquillo a raccomandare questo ospedale
al Duca, sì, è così! Nessuno corre alcun rischio qui dentro, sì!
ISIDORO: Bene.
Avete qualche paziente in punto di morte?
SUORA: Senti
ragazzo, questo è un ospedale con una certa reputazione, la quale
non è affatto immeritata. Qui vengono le personalità più illustri
e importanti, è rarissimo che chi entra qui, ne esca peggio di
prima. E ancora più rari sono i decessi. Quindi no, non abbiamo
pazienti in punto di morte.
La
voce della suora è sonoramente stizzita. Non sembra le piaccia che
la reputazione del Ricovero venga messa in dubbio.
SUORA: Comunque
comunica al Duca che per lui possiamo offrire un salasso con le
sanguisughe più pregiate ad una somma ridicolmente bassa. Ora
levati di torno, non abbiamo tempo da perdere.
Torno
all'ingresso senza aver concluso nulla, ritrovando il grosso custode.
CUSTODE: Hai
fatto la domanda sbagliata, sai? Qui tutti si offendono se metti in
dubbio il loro senso di carità. Sembra quasi che si dimentichino
quanto sborsano i pazienti per quelle stanzette bianche.
ISIDORO: Avrei
dovuto immaginarlo.
CUSTODE: Se
ci tieni a visitare un paziente moribondo, comunque, dovresti
tentare alle segrete sotto il tribunale. Lì i malati non li
trattano bene come noi.
Scendo
i due gradini dell'uscio e mi guardo intorno. Il mendicante non c'è
più: la Morte l'ha portato via mentre ero all'interno del Santo
Ricovero delle opere di Carità Celeste, da cui si esce sempre più
sani di prima.
Scena
cinque
Arrivo
al tribunale dopo aver attraversato l'affollato centro della città.
Qui l'accoglienza è più scortese, del resto i carcerieri non sono
famosi per la loro condiscendenza.
CARCERIERE: Perché
dovresti andare nelle segrete?
ISIDORO: Sono
affari del Duca. E ho il benestare di mastro Bernardo.
CARCERIERE: D'accordo,
apprendista boia. Andiamo a vedere. Non ho la minima idea di come
stiano i prigionieri.
Il
carceriere mi accompagna attraverso un puzzolente cunicolo di cella
in cella, mostrandomi un campionario di infezioni, fratture ed
ematomi.
ISIDORO: Picchiate
tutti i prigionieri?
CARCERIERE: Sono
i condannati a morte. Tanto poi devono comunque morire. Solo che
non è facile, sai? Non possiamo fare troppo forte o ci muoiono
prima, anziché sul patibolo da voi.
ISIDORO: Questi
qui sono stati picchiati tutti.
CARCERIERE: Oh,
bé... saranno tutti condannati a morte. Non avvicinarti troppo,
hanno anche le pulci.
ISIDORO: A
parte le pulci e il pestaggio, mi sembra stiano bene.
CARCERIERE: Te
l'ho detto, non è adesso che devono morire.
ISIDORO: Va
bene, portami su.
Ormai
fuori è il tramonto, mi siedo sui gradini del tribunale a tirare il
fiato. Nella luce arancione le vie di Milano sono attraversate da
gente di ogni tipo occupata in altrettante svariate faccende: chi
porta una tela del tale famosissimo pittore, chi sfacchina per il suo
padrone, chi fa una passeggiata con aria annoiata. È strano da dire,
ma non sono abituato a osservare le persone normali. Una visione
molto più usuale per me è quella dei prigionieri, nelle segrete.
L'unica differenza tra loro e i passanti che mi trovo davanti è come
considerano il momento in cui moriranno. È un dato di fatto, l'ho
dimostrato con l'esperienza di boia: mentre tra i prigionieri c'è
una moltitudine di sentimenti verso la Morte – chi ne ha ancora una
paura folle, chi spera che arrivi presto, chi la affronta con
coraggio e via dicendo – nelle persone ancora libere c'è
uno e un solo modo di rapportarsi alla Morte. Rimandare. Perché cosa
varrebbe quel quadro per quella persona, se sapesse di dover morire
tra poco? Nulla, nulla avrebbe più valore. E allora le persone
rimandano quella paura, perché se se ne ricordassero, la loro vita
sarebbe vuota come vaso forato. Eccoli, tutti indaffarati in qualche
allegra occupazione. Io invece no. Io cerco la Morte.
Un'idea.
È folle, assurda. Eppure comincio a sentire la sua filastrocca in
lontananza, quindi so che funzionerà. Torno di corsa nel tribunale,
sfilo la spada alla prima guardia che trovo e me la avvicino alla
gola.
Eccola.
Mi sta fissando di nuovo.
ISIDORO: Ciao.
MORTE: Cosa
stai facendo?
Forse
c'è una nota di apprensione nella sua voce.
ISIDORO: Credevo
fosse evidente.
MORTE: È
molto evidente. Ma mi sorprende che sia tu a farlo.
ISIDORO: Cosa
vuoi dire?
MORTE: Ne
ho visti tanti... innamorati, disperati, moralisti. A queste cose uno
ci pensa parecchio. Tu non hai alcun motivo di farlo, tanto più
che è da un bel po' che non hai paura di morire.
ISIDORO: Potresti
aver ragione. Perché sei venuta, allora?
MORTE: Non
ero tenuta a farlo. Trattandosi di te, però... non so, avevo
intenzione di dissuaderti. Non sono molti quelli che parlano con
la Morte, di solito sono persone che credono io sia Dio, oppure
asceti, che risultano abbastanza monotoni. Mi dispiacerebbe non
poter parlare più con te.
ISIDORO: Se
ti dico che non ho intenzione di sgozzarmi, tu te ne vai?
MORTE: Sì.
ISIDORO: Come
posso parlati ancora?
Non
ottengo risposta: è già andata via. Nel frattempo si è formato un
capannello di soldati attoniti intorno a me. Restituisco la spada e
corro a casa.
Scena
sei
ISIDORO: Ho
trovato il modo di parlarle.
BERNARDO: Sarebbe?
ISIDORO: Le
ho fatto credere che mi sarei suicidato.
BERNARDO: Ah.
Il
maestro non si lascia impressionare da nulla.
BERNARDO: Cos'hai
ottenuto?
ISIDORO: Nulla.
Però mi ha detto che... le piace la mia compagnia.
LEONORA: Ottimo.
Sfrutta questa cosa. Devi scoprire se si può far convincere da
qualcosa. E deve convincersi che quello che le chiediamo non è un
male.
Pur
essendo iniziata da poco, già non sopporto più questa discussione.
Quella ragazzina è l'unica che sembra essere sincera in tutto il
ducato. Dice le cose come stanno, una cosa rara. Mi da il
voltastomaco pensare a come raggirarla per soddisfare l'ennesima
follia del duca.
ISIDORO: Non
mi piace. Non mi piace per niente. Se quello che le chiediamo
effettivamente è un male, come posso convincerla del
contrario?
LEONORA: Per
noi è un male, per noi infimi esseri mortali che sappiamo di
chiedere una cosa che non ci è dovuta. Per lei invece, che
differenza vuoi che faccia una vita in più o in meno?
ISIDORO: Rimane
il fatto che devo fare una cosa sbagliata. E che non voglio fare.
LEONORA: Il
mondo gira in questo modo, Isidoro. Il Duca non vuole l'immortalità
perché è una cosa giusta, ma per soddisfare il suo capriccio di
vita eterna. Nostro malgrado siamo coinvolti in questa storia che
indubbiamente non porterà nulla di buono né a lui, né a noi, ma
dalla quale comunque non possiamo esimerci. Siamo umani, non
possiamo fare altro che tentare di sopravvivere nonostante
l'infame sorte che il destino ci assegna volta per volta.
Sono
talmente inviperito che non mi trattengo dal sibilarle contro la
risposta.
ISIDORO: Complimenti
per la retorica, Leonora. Da quando hai questa capacità oratoria?
BERNARDO: Isidoro,
portale rispetto.
Il
tono del maestro non ammette repliche.
LEONORA: Una
volta ho studiato teatro. Mi ero unita ad una compagnia di attori
di strada, poco più che straccioni. Non è che abbia imparato
molto, ma una cosa sì: bisogna fare buon viso a cattivo gioco. Se
non lo farai, ci andremo di mezzo tutti.
Me
ne vado senza risponderle. Le sue massime sulla vita mi hanno messo
appiccicato addosso una tristezza che nemmeno il sonno e la notte
riesco a lavare via.
Scena
sette
L'indomani
è una pessima giornata. Il cielo è grigio, grigio quanto la città.
Sono seduto sul bordo di un naviglio, la cui acqua se non grigia può
essere definita verde fogna.
All'improvviso,
mi giunge alle orecchie quella filastrocca. Dapprima quasi
impercettibile, poi sempre più forte, finché la Morte compare di
fianco a me.
MORTE: Dopo
lo scherzo di ieri, non so più se hai davvero l'intenzione di
morire.
ISIDORO: Beh,
nemmeno io.
MORTE: Se
ti siedi sul bordo di un canale putrido però qualche sospetto mi
viene. Perché stai pensando di ammazzarti?
ISIDORO: Non
ho mai avuto paura di te. Non che mi ricordi. Ho sempre pensato che
fosse perché, a furia di impiccare le persone, mi fossi abituato
alla tua presenza.
MORTE: Questa
volta non basterà una favoletta a mandarmi via. Conosco il genere
umano da molto tempo: ormai riconosco chi rimugina sull'idea di
morire.
ISIDORO: Avrai
ben presente allora quanto può essere squallido l'animo degli
uomini. Sono nauseato dall'egoismo tramite il quale l'umanità
cerca costantemente di riscattare la sua miseria. Tutto questo
frastuono di desideri, volontà, fallimenti... tutta questa selva
di parole e sorrisi e pianti non mi appare mai tanto vana e
sbagliata come quando vedo la brama muovere un uomo, e in questi
momenti mi sembra che tu sia la sola ad avere una dignità.
MORTE: Tu
vedi di continuo la miseria più nera dei condannati a morte; come
sei capitato a fare il boia nonostante questo?
ISIDORO: Il
maestro mi prese con sé quando ero all'orfanotrofio, così, in modo
naturale, divenni il suo apprendista. Ma non è questo. Non è
perché sono abituato agli impiccati che non ho paura di te.
MORTE: E
allora perché?
ISIDORO: Cosa
c'è in questo mondo, in questa vita, di così prezioso da
poterla rimpiangere? Le persone si affannano a cercarlo perché
credono di avere poco tempo, ma non trovano nulla di soddisfacente
perché sanno che non durerà.
MORTE: Rimane
il fatto che tu continui a fare il boia, nonostante non ti piaccia
farlo.
ISIDORO: A
te piace quello che fai?
MORTE: Non
capisco.
ISIDORO: Ti
piace portare via le persone dal mondo?
MORTE: No.
ISIDORO: Quindi
siamo nella stessa situazione.
MORTE: Non
capisci. Intendevo che non ne ricavo piacere, non che ne provo
disgusto.
ISIDORO: Perché
allora porti via le persone?
MORTE: Non
dovrei?
ISIDORO: Il
genere umano ti odia.
MORTE: Che
dovrei farci?
ISIDORO: Se
ti odiano per quello che fai, potresti smettere di farlo. Sei
obbligata da qualcuno?
MORTE: No.
ISIDORO: Ma
tu lo fai ugualmente. Perché?
MORTE: Perché
sono io. Perché è quello che sono. Rinunceresti alla tua
identità perché qualcuno ti odia?
ISIDORO: Non
lo so. No, credo di no. Però con me continui a fare eccezioni alle
tue regole.
MORTE: Questa
è una cosa che ho imparato da voi, dopo tutto questo tempo passato
ad osservarvi: non importa quali siano le regole o le imposizioni,
se qualcosa vi sta a cuore non c'è regola che tenga, né che valga
la pena rispettare.
ISIDORO: Quindi
è in tuo potere... smettere?
MORTE: Rinunceresti
alla tua identità per qualcosa che ti sta a cuore?
Rimango
silenzioso alla sua domanda.
MORTE: Posso
dirti questo: ho notato anche un'altra cosa osservandovi. Che per
quanto voi vediate misera la vostra sorte, per quanto vi crediate
infimi e mi odiate, non ho mai visto l'umanità smettere di ridere
e cantare. Oh, sembra che tu non voglia più morire. Devo andare.
Sipario
Chi
derise la nostra sconfitta e
l'estrema vergogna ed il modo soffocato
da identica stretta impari
a conoscere il nodo.
Chi
la terra ci sparse sull'ossa e
riprese tranquillo il cammino giunga
anch'egli stravolto alla fossa con
la nebbia del primo mattino.
La
donna che celò in un sorriso il
disagio di darci memoria ritrovi
ogni notte sul viso un
insulto del tempo e una scoria.
Coltiviamo
per tutti un rancore che
ha l'odore del sangue rappreso ciò
che allora chiamammo dolore è
soltanto un discorso sospeso.
(La
ballata degli impiccati)
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Capitolo 3 *** Atto due ***
Atto
secondo
Ridere,
ridere, ridere ancora, Ora
la guerra paura non fa, brucian
le divise dentro il fuoco la sera, brucia
nella gola vino a sazietà, musica
di tamburelli fino all'aurora, il
soldato che tutta la notte ballò vide
tra la folla quella nera signora, vide
che cercava lui e si spaventò.
"Salvami,
salvami, grande sovrano, fammi
fuggire, fuggire di qua, alla
parata lei mi stava vicino, e
mi guardava con malignità" "Dategli,
dategli un animale, figlio
del lampo, degno di un re, presto,
più presto perché possa scappare, dategli
la bestia più veloce che c'è
"corri
cavallo, corri ti prego fino
a Samarcanda io ti guiderò, non
ti fermare, vola ti prego corri
come il vento che mi salverò oh
oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh
(Samarcanda)
Scena
uno
L'espressione
pensosa del duca è indecifrabile. Io e il maestro siamo andati alla
sua corte presentargli l'idea assurda che abbiamo avuto per
convincere la morte. Almeno sembra che la stia prendendo in
considerazione.
DUCA: Un
ballo... in onore della morte?
BERNARDO: Sì,
vostra signoria. Isidoro ha potuto constatare che omaggiare e
lusingare la morte potrebbe essere il modo migliore per riuscire
ad ottenere ciò che volete.
DUCA: Un
ballo dunque. E di che genere?
BERNARDO: Impressionante.
Grandioso, vostra signoria. La morte deve vedere quanto è bella
l'umanità per convincersi a risparmiarvi.
DUCA: Potrei
invitare la corte, magari anche tutta la nobiltà. Sarebbe un gran
bel ballo.
BERNARDO: Sì,
vostra signoria.
DUCA: D'accordo!
Organizzeremo questo ballo, e sarà talmente maestoso che rimarrà
nella memoria di Milano per i secoli a venire!
Scena
due
L'idea
del ballo me l'ha data la morte stessa, quando ha detto che l'umanità
non smette mai di cantare. Tuttavia non credo che lei si farà
convincere, mi è solo sembrato un modo per tenere occupato il duca e
di fargli credere di poter ottenere quello che vuole. La sua
consumata esperienza in questo genere di mondanità poi si dimostra
all'altezza della sua fama: in pochi giorni vengono allertate tutte
le famiglie nobili del ducato di Milano, sono messe a sgobbare
dozzine di servi e sono reclutati i migliori musici nel ducato.
Il
duca deve avermi preso in simpatia, oppure ha deciso di controllare
da vicino quello che deve far realizzare il suo desiderio. Fatto sta
che mi ha precettato come suo consigliere personale incaricato di
stabilire cosa piacerà e cosa non piacerà alla Morte durante il
ballo. Questo significa che sono costretto ad accompagnare lui e il
suo seguito di servitori in ogni fase dell'organizzazione, anche se
io di feste mondane non so assolutamente nulla.
Nel
frattempo, tra l'invio di un messaggero al capo dei cuochi e la firma
dell'accordo con i saltimbanchi, arriva la domenica, accompagnata
dalla consueta esecuzione.
Sul
patibolo c'è un contadino che ha ammazzato l'esattore venuto a
riscuotere le decime. È nato un diverbio sulla porta di casa quando
il funzionario – come suo solito – ha preteso più del dovuto e
il fattore ha deciso che questa volta non glie lo avrebbe dato; è
rientrato in casa, ha preso il piccone e con quello gli ha sfondato
il cranio. Se il funzionario avesse ucciso il contadino nessuno
avrebbe saputo niente, ma dato che il funzionario era una persona
abbastanza importante, l'esecuzione è trattata con solerzia.
All'arrivo
dei gendarmi, il contadino si è giustificato dicendo che quello era
venuto a prendergli la sua dignità. È stato questo disperato moto
d'orgoglio a portarlo alla forca, ma adesso che alla forca ci è
arrivato di orgoglio in lui non c'è traccia. Tiene la testa bassa,
trema mentre il banditore urla l'accusa.
BERNARDO: Ultime
parole?
Il
condannato esita un po', poi parla con voce malferma.
CONTADINO: Io
l'ho ammazzato perché... perché ho pensato che non è vita se
non c'è la dignità e lui mi portava via ogni volta la dignità.
Io non riuscivo più a mantenere i miei figli. Adesso però senza
di me come faranno? Se io muoio, chi li sfamerà? No! Vi prego,
non ammazzatemi! Ho dei figli da mantenere, ho una famiglia!
Anche lui avrà avuto dei figli, volete che anche i miei muoiano
di fame? No! Vi prego!
BERNARDO: Basta
così.
Il
maestro tappa la bocca al condannato, ponendo fine ai suoi strilli.
Mentre lo assicura al cappio, io sussurro l'invito alla Morte.
ISIDORO: Ti
piacerebbe partecipare ad un ballo?
La
morte si gira e mi guarda con aria interrogativa.
MORTE: Un
ballo?
ISIDORO: Sì,
una di quelle feste dove...
MORTE: So
cos'è un ballo. Solo mi sembra strano essere invitata.
ISIDORO: Quindi
accetti l'invito?
MORTE: Davvero
posso venire?
Nel
frattempo si apre la botola sotto il condannato.
ISIDORO: Certo!
È una festa in tuo onore, se non ci sei tu non c'è nemmeno il
ballo.
MORTE: Allora
sono felice di accettare.
ISIDORO: D'accordo,
ti chiamerò quando sarà il momento.
La
morte fa per andarsene saltellando sulle note della filastrocca,
lasciando il condannato appeso alla forca.
ISIDORO: Ti
sei dimenticata il condannato!
Senza
smettere di canticchiare, la morte torna indietro, raccoglie il
cadavere e se ne va.
Scena
tre
Vedere
la morte così contenta dell'invito al ballo mi ha sorpreso.
Ripensandoci, data la sua attitudine a canticchiare non è poi così
strano. Ora il duca, avendo osservato la grossolana distrazione della
Morte, è sempre più convinto di poter ottenere l'immortalità.
Dato
il numero spropositato di invitati, la festa non può essere tenuta
nel castello. Le uniche sale disponibili infatti, sono disusate e
piene di calcinacci di precedenti lavori di ampliamento. Poiché
rimetterle in sesto richiederebbe troppo tempo e poiché il duca è
sempre più impaziente, si è deciso di spostare il ballo a Villa
d'Acqua, l'enorme tenuta di un caro amico del duca.
Per
tutta la mattina il duca il duca mi trascina insieme al suo seguito
per le varie ali della villa, saltellando in cerca del luogo migliore
per accogliere la morte. Raggiunto da un'illuminazione, il duca
comanda di spostarsi al cimitero della famiglia di casa.
DUCA: Isidoro!
Cosa ne dici di chiamarla qui? Quale luogo migliore, in fondo?
Ogni
volta che devo rispondere a domande di questo tipo non so se dire
quello che penso o lusingare il duca per le sue trovate.
ISIDORO: È
un'idea interessante, vostra signoria, tuttavia...
DUCA: Cosa
ti rende perplesso? Forza parla!
ISIDORO: Il
fatto è che abbiamo un'idea sbagliata di lei, insomma...
ADELAIDE: Quello
che il ragazzo sta cercando di dire è che un cimitero non è per
nulla il luogo adatto ad accogliere una donna.
Il
duca urla verso chi mi ha interrotto.
DUCA: Chi
è che parla a sproposito? Oh, sei tu, Adelaide. Dov'è tuo padre?
ADELAIDE: In
questo momento è occupato ad istruire i giardinieri, come voi gli
avete raccomandato di fare. Ci raggiungerà quando avrà finito.
DUCA: Oh,
bene. Che dicevi, Isidoro?
ISIDORO: Credo
che la dama abbia ragione, vostra signoria.
DUCA: E
perché mai?
ISIDORO: Perché
per noi un cimitero è un posto adatto. Per lei, un
cimitero non ha più significato di qualsiasi altro luogo.
Suggerisco di proseguire il giro della villa, vostra signoria.
DUCA: Così
sia! Forza, seguitemi!
Scena
quattro
Il
giro della villa viene interrotto per il pranzo, per poi essere
portato a termine a sera inoltrata senza aver preso una decisione. Il
duca non riesce a decidersi, io non riesco a consigliarlo.
Sono
seduto nel cortile interno alla villa, attorno ad una fontana
decorata con bizzarre statue. Mi raggiunge Adelaide, ostentano la
casualità dell'incontro.
ISIDORO: Buonasera,
mia signora. Vi sono molto grato dell'aiuto che mi avete dato
questa mattina.
ADELAIDE: Di
nulla. Siamo infine giunti ad una decisione a riguardo?
ISIDORO: No.
Il duca vuole assicurarsi che ogni dettaglio sia perfetto e in questa
cosa non riesce a scegliere.
ADELAIDE: Ehw,
non ne capisce proprio niente di donne. Non ne sono sicura:
potrebbe aver dimenticato la seduzione, oppure non averla mai
appresa.
ISIDORO: Non
saprei.
ADELAIDE: Posso
permettermi di consigliarti nuovamente?
ISIDORO: Ne
sarei onorato, mia signora.
ADELAIDE: Seppur
tramite racconti e notizie, credo di conoscere la Morte, almeno un
po'. A lei non interessa nulla di quello che pensiamo o vogliamo
noi, hai detto bene. Lei è felice di partecipare ad una cosa a cui
non è mai stata invitata. Fagliela vivere.
ISIDORO: Non
capisco dove vogliate arrivare.
ADELAIDE: Non
pensare ad accoglienze ossequiose e formali, a vane cerimonie che
possiamo capire solo noi. Chiamala direttamente nella sala da
ballo, e fai suonare l'orchestra direttamente sulla sua canzone.
Falle aprire le danze.
ISIDORO: Mia
signora, sento nelle vostre parole una rara convinzione. Posso
chiedervi cosa le anima?
ADELAIDE: Sono
una donna, prima di tutti gli altri titoli con cui posso essere
chiamata. Mentre ormai, le dame e i messeri si dimenticano di
esserlo. E sono innamorata.
Le
le sue parole risuonarono nel silenzio successivo, accompagnato dal
quieto scroscio della fontana.
ADELAIDE: Ora
devo andare. Fa' tesoro dei miei consigli.
ISIDORO: Posso
chiedervi chi siete?
ADELAIDE: Solo
la figlia del tenutario di Villa d'Acqua.
Scena
cinque
Il
giorno successivo, tutti i musici stanno provando le varie danze
nella sala che ospiterà il ballo. Il duca, accettata la proposta di
chiamare là la morte, vi si dirige a grandi passi e urla
disposizioni a gran voce, euforico. Tanto euforico che si
spazientisce immediatamente nell'istruire il direttore dei musicisti.
DIRETTORE: Vostra
maestà, suonare direttamente sulla filastrocca della Morte...
occorreranno molte prove.
DUCA: Non
mi interessa! Vedete di essere pronti per il ballo.
DIRETTORE: Vostra
maestà, più prove significa più lavoro. Rammentate che abbiamo
preso servizio per pochi spiccioli...
DUCA: Sapevo
dove volevi arrivare, carogna! Bene, quando avrò ottenuto quello
che voglio vi raddoppierò la paga. Basta che suoniate quella
filastrocca.
DIRETTORE: Ma
certo, vostra maestà, certo. Sapevo che ci saremmo venuti
incontro.
DUCA: Sì,
bene, ora vai a lavorare. Isidoro? Vieni con me.
ISIDORO: Eccomi,
vostra maestà.
DUCA: Stai
facendo un buon lavoro. Hai già pensato a come porre la
richiesta?
ISIDORO: Ehm,
no, vostra maestà, non ci ho ancora riflettuto.
DUCA: Beh,
fallo. Quello sarà il momento cruciale, è fondamentale che tu la
convinca. Se fallirai, ti farò aprire la cassa toracica da
Bernardo e ti farò appendere ad un trabicolo per farti mangiare le
budella dai corvi. Ma tu sei un ragazzo in gamba e confido che
questo non succederà. Dammi quello che voglio, e potrai chiedermi
qualunque cosa vorrai. Ti ricoprirò d'oro ad un cenno del capo.
ISIDORO: Vostra
maestà, non desidero che si pensi che stia agendo per interesse.
Non desidero alcuna ricompensa.
Il
duca prorompe in una risata sguaiata.
DUCA: E
allora perché lo stai facendo, ragazzo? Oltre che per obbedire ad un
mio ordine, s'intende.
ISIDORO: Io...
io non...
DUCA: Mi
raccomando ragazzo, pensa a quello che ti ho detto. Ora vado a
cercare qualcosa da mangiare, dato che sto morendo di fame.
Rimango
lì in piedi, attonito. Nauseato.
LEONORA: Perché
lo stai facendo, Isidoro?
Trasalisco
e mi volto verso Leonora. Non sapevo che fosse qui. È chiaramente in
attesa di una risposta.
ISIDORO: Ho
solo avuto un'idea. È solo un ballo.
LEONORA: Non
è solo un ballo, e tu lo sai. Cosa è cambiato da qualche giorno
fa? Hai anche organizzato l'inizio delle danze.
ISIDORO: Quella
non è stata una mia idea.
LEONORA: Ma
l'hai suggerita tu al duca, o sbaglio?
ISIDORO: Sto
facendo quello che mi avevi detto! Cosa c'è che non va?
LEONORA: Non
va il fatto che non c'è un motivo per cui tu lo stia facendo. Ti
stai facendo usare dal duca come fossi uno dei suoi servetti.
Davvero stai agendo solo di buon cuore, solo per far felice il
duca? Davvero sei spinto solo da generosità?
Rimango
ancora silenzioso.
Sì,
la risposta è sì. La domanda del duca mi ha colto alla sprovvista:
non avevo pensato al perché lo stessi facendo. Così ho iniziato
affannosamente a cercare un motivo, anche solo plausibile, per cui
stessi adempiendo al comando del duca. Non ne ho trovati, tranne uno.
Ho organizzato il ballo solo perché sapevo che avrebbe fatto felice
la Morte. Sì, la risposta è quella, Leonora, ma non te la dirò.
LEONORA: Il
duca ti ha promesso l'oro. Cosa vale più di quello?
ISIDORO: Non
mi importa cosa dirà Bernardo. Ma adesso vattene e lasciami in
pace.
LEONORA: Bernardo
non lo saprà. Non sa che sono qui.
ISIDORO: Vattene!
Rimango
ancora una volta solo, mentre sento la canzone della Morte in
lontananza. Sono i musici che stanno provando nella sala da ballo.
Scena
sei
La
vigilia del ballo è arrivata. Secondo la volontà del duca, siamo
tutti riuniti nella sala da ballo, per la prova generale. Un eviro
canterà al posto della Morte, mentre tutti gli invitati, i ballerini
e i musicisti sono al loro posto. Io ho una daga con cui chiamerò la
morte. Ad un cenno del duca, l'eviro comincia a cantare. Subito, i
musicisti prendono a suonare e tutti si muovono come concordato.
Trovo che sia triste provare un ballo. Triste e terribilmente
noioso. Tutti sanno che non è questo il momento di divertirsi, anche
se per la farsa di cui stiamo facendo le prove non è necessariamente
previsto divertirsi. La folla ondeggia, la musica scorre.
??? IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHHHHHHHHHHHHHHHH
Un
grido all'improvviso copre la musica. Imperterriti, i
musicisti non interrompono la danza, anche se qualcuno è uscito
dalla sua posizione e incomincia a chiedersi cosa sia successo.
DUCA:
Proseguite, forza! Non è successo niente!
Mentre
altri cercano di capire cosa sia accaduto, una sguattera imbrattata
di sangue spalanca le porte della sala incespicando.
SGUATTERA: Maestà!
Oh, maestà, che cosa terribile...
La
sguattera crolla in ginocchio singhiozzando, senza riuscire a
proseguire di parlare. Il duca, con aria infastidita, si fa largo tra
i presenti e si avvicina alla serva.
DUCA: Su,
che c'è? Parla, forza!
SGUATTERA: La
signora... la signora è...
DUCA: La
signora è cosa?
SGUATTERA: La
padrona è stata assassinata!
Scena
sette
Il
duca è molto arrabbiato per questa vicenda. L'imminente ballo
l'aveva rianimato dalla sua solita apatia. Ma ora che è stato
costretto a rimandare il ballo di una settimana è su tutte le furie.
Rimandato, per giunta, per un'idiozia!
Dama
Adelaide ha ucciso sua madre. Anche se il duca pensa il contrario,
per la nobiltà presente a Villa d'Acqua si tratta di un terrificante
scandalo. Il fatto che la figlia della tenutaria della Villa sia
scappata con un servo della Villa stessa, invece, è considerato
anche vergognoso.
Dama
Adelaide infatti coltivava una relazione segreta con un certo servo,
con cui aveva organizzato di scappare nella Repubblica Veneta in gran
segreto. La fuga era stata architettata approfittando del fatto che
tutti nella Villa dovessero essere nella sala da ballo.
Sfortunatamente per la coppia di fuggiaschi, la madre di Adelaide,
non si sa per quale ragione, si trovava negli appartamenti proprio
mentre Adelaide e il suo amante si preparavano a lasciare la Villa.
Adelaide pugnalò sette volte al torace sua madre, con uno dei
coltelli rubati dalla cucina.
Durante
la fuga erano stati costretti ad uccidere anche un servo che li aveva
casualmente scoperti e uno dei gendarmi che li hanno fermati al
confine.
Il
funerale della nobildonna è stato venerdì. Come ogni domenica, oggi
è in corso l'esecuzione.
Il
duca, tremendamente incattivito, ha deciso di interloquire con il
condannato, cosa per lui inusuale. Il banditore gli presta la voce,
molto più adatta all'occasione della sua.
BANDITORE: Servo!
Il duca vuole ardentemente conoscere il motivo che ti ha spinto ad
uccidere un gendarme, un servo tuo pari e la signora sotto la
quale avevi preso servizio, a sedurre sua figlia, seviziarla e
rapirla, tentando di portarla in un paese straniero. Parla, servo!
A
questo punto la Morte mi si avvicina e mi sussurra:
MORTE: Perché
dice quelle cose? Non è andata così.
ISIDORO: Questa
è la versione ufficiale. La fuga d'amore di quei due ha creato
un'enorme scandalo nell'alta società che conosce i fatti come sono
realmente. Non vogliono che lo scandalo raggiunga anche il popolino
e ricopra ancor di più di vergogna la famiglia di Adelaide.
Il
servo era stato immediatamente destinato alla pena capitale, mentre
come punizione per Adelaide era stato giudicato sufficiente farle
assistere alla morte del suo aguzzino. Siede infatti con il
padre vicino al duca e non appena il suo amato prende a parlare lei
incomincia a singhiozzare.
STEFANIO: Negli
ambienti che ho frequentato, la fama di puttaniere del duca era
abbastanza affermata.
La
folla mormora, lui riprende.
STEFANIO: Come
potrebbe vostra signoria quindi comprendere quello che ho fatto,
se non ha mai amato davvero una donna?
Per
quanto l'insinuazione sia veritiera, per il duca ora si tratta ancor
di più di un fatto personale.
BANDITORE: Sua
signoria dice che se l'avessi amata meno, ora, forse, saresti un
uomo libero, non un cadavere che respira ancora.
STEFANIO: Non
si può amare meno! L'amore è tutto. L'innamorato non conosce
maggiore o minore, rivendica l'eternità di ogni suo istante. E se
l'amore rende eterna ogni piccola frazione della sua vita, perché
dovrebbe l'innamorato temere la Morte?
A
queste parole il pianto di lei si fa sempre più forte, finché si
alza in piedi e grida:
ADELAIDE: Fatemi
morire con lui, vi imploro! Sono colpevole quanto lui, più di lui!
Stefanio, amore mio, diglielo tu...
STEFANIO: No,
mia cara, loro vogliono che tu viva, e anch'io. Vivi per me, vivi la
vita che avremmo dovuto vivere insieme.
ADELAIDE: Ma
che vita devo fare io senza di te? Fammi morire con te, così la
Morte sarà gioiosa!
Nessuno
può più sentirla: due guardia l'hanno rimessa a sedere e ricondotta
la pianto sommesso. La voce di lui però si sente benissimo.
STEFANIO: Duca!
La tua miserabile vita fatta di agi, lussi e ricchezze non ti
porterà a nulla, mentre io ho trovato qualcosa qualcosa per cui
morire, e per questo muoio sereno.
BANDITORE: Il
duca afferma che allora ti sarà indifferente la commutazione
della condanna. Sarai appeso per le braccia sopra la pubblica
piazza e lasciato morire al cospetto della città, da infame
assassino quale sei.
Di
tutte le condanne capitali, questa è seconda per crudeltà soltanto
al rogo. La cassa toracica collassa su se stessa, le spalle si
lussano e i polsi si tagliano, grondando sangue lungo tutto il corpo;
si muore per deperimento.
Io
e il maestro ci guardiamo negli occhi. È nostra abitudine drogare o
avvelenare i condannati destinati a soffrire in modo atroce, come le
ragazze e le donne spesso scambiate per streghe e bruciate vive. Di
solito ci prepariamo prima con una boccetta in tasca, ma questa è la
prima volta che il duca si comporta così: non possiamo fare nulla.
Lo leghiamo, assicuriamo la corda e gli mettiamo uno straccio in
bocca, in modo che non possa urlare. Il maestro quindi lo issa
all'altezza massima e la folla inizia a bersagliarlo di insulti,
sputi e sassi.
La
morte nel frattempo se ne è andata, tornerà al momento opportuno.
Chissà come farà a staccarlo di lì.
Sipario
Fiumi
poi campi, poi l'alba era viola, bianche
le torri che infine toccò, ma
c'era tra la folla quella nera signora stanco
di fuggire la sua testa chinò: "Eri
fra la gente nella capitale, so
che mi guardavi con malignità, son
scappato in mezzo ai grilli e alle cicale, son
scappato via ma ti ritrovo qua!"
"Sbagli,
t'inganni, ti sbagli soldato io
non ti guardavo con malignità, era
solamente uno sguardo stupito, cosa
ci facevi l'altro ieri là? T'aspettavo
qui per oggi a Samarcanda eri
lontanissimo due giorni fa, ho
temuto che per ascoltar la banda non
facessi in tempo ad arrivare qua.
Non
è poi così lontana Samarcanda, corri
cavallo, corri di là... ho
cantato insieme a te tutta la notte corri
come il vento che ci arriverà oh
oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh
(Samarcanda)
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Capitolo 4 *** Atto tre ***
Atto
terzo
La
polvere il sangue le mosche e l'odore per strada fra i campi la
gente che muore e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos'è e
tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché.
L'autunno
negli occhi l'estate nel cuore la voglia di dare l'istinto di
avere e tu, tu lo chiami amore e non sai che cos'è e tu, tu lo
chiami amore e non ti spieghi il perché.
(Terzo
intermezzo)
Scena
uno
Finalmente
viene il giorno in cui le lunghe prediche del duca, le sue
preoccupazioni, le sue speranze giungono alla fine. Tutto è pronto
già da ieri: le decorazioni, gli strumenti musicali, gli inviti, i
posti a sedere. Sebbene nessuno ne avesse voglia, primo di tutti il
padrone di Villa d'Acqua, il duca ha voluto un'altra prova generale,
filata noiosamente bene. Arrivo alla tenuta in mattinata, come
richiesto dal duca. Mi presento alla servitù venuta ad accogliermi,
domando del duca e loro mi indicano la sala da ballo. Lo trovo seduto
al centro dello stanzone, appena mi vede mi inizia a parlare.
DUCA: Hai
mai avuto un sogno, Isidoro? Un sogno come il mio, un sogno di
immortalità! Mi sembra di non aver mai vissuto prima di aver visto
possibile questo sogno. Io ho fama, ricchezza, potere, eppure prima
di aver scoperto questa possibilità, mi sembravano solo un
terribile inganno... ah, quale beffa l'avere ogni cosa ma essere
destinati a perderla! La vita stessa è una beffa: è la
conoscenza della Morte al prezzo di doverla affrontare. Ma tutto
questo sta finendo, Isidoro, e so che anche tu te ne rendi conto.
Noi troviamo la chiave della vita se eliminiamo la morte! Sono in
apprensione... proprio ora che torno a vedere luminosamente il
mondo, proprio adesso che sto per sconfiggere la più umana delle
disgrazie, mi trovo in balia del più umano dei sentimenti... ho
paura, paura che qualcosa possa non andare per il verso giusto.
ISIDORO: Perché
mi avete fatto chiamare, maestà?
DUCA: Ho
bisogno di farti una domanda, Isidoro.
ISIDORO: Quale,
maestà?
DUCA: Ci
riuscirò? Riuscirò ad ottenere l'immortalità?
Scena
due
Gli
invitati sono arrivati nel pomeriggio, mentre i musici e la servitù
sono qui dalla mattina; al tramonto sono tutti al loro posto. Dopo
aver finito di accendere tutte le luci, siamo pronti per iniziare. Il
duca è seduto su uno scranno, vicino a lui sta il padrone di casa.
Il maestro e Leonora sono tra gli invitati, che circondano i
ballerini di professione. Questi ultimi hanno formato una grande
circonferenza nel centro della sala, nel mezzo della quale ci sono
io.
Ho
una daga alla cintura, ad un cenno del duca me l'avvicino al collo.
Si inizia ad avvertire la sua filastrocca ed i musici iniziano a
suonare lievemente. Quando arriva la Morte, la danza inizia. I
musici danno fiato agli strumenti, i danzatori iniziano a ballare
intorno a me e alla morte cantando la filastrocca:
Ballo
in fa diesis minore
Sono
io la morte
e
porto corona
io
son di tutti voi
signora
e padrona
e
così sono crudele così forte sono e dura
che
non mi fermeranno le tue mura
Sono
io la morte
e
porto corona
io
son di tutti voi
signora
e padrona
e
davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e
dell'oscura Morte al passo andare
Inizialmente
la Morte non capisce cosa stia succedendo, si limita a a stare in
piedi di fronte a me, fissandomi. Alla seconda strofa comincia a
guardarsi intorno, rassicurata da un mio cenno di assenso. Ecco che
inizia la terza strofa, cioè la parte che abbiamo aggiunto noi alla
filastrocca:
Sei
l'ospite d'onore
del
ballo che per te suoniamo
posa
la falce
e
danza tondo a tondo
il
giro di una danza
e
poi un altro ancora
e
tu del tempo non sei più signora
A
questo punto, il cerchio si stringe fino a raggruppare anche noi, si
stacca una coppia che prende il nostro posto e la canzone ricomincia:
questa volta siamo nel cerchio dei ballerini e altri due hanno il
nostro ruolo precedente. Non è chiaro per quanto tempo prosegue la
danza, la musica inebria più del vino. Quando ci fermiamo, io e la
Morte siamo passati in centro un'altra volta. Fuori ormai è notte.
La canzone della Morte è finita, ma adesso inizia un valzer, insieme
al ballo vero è proprio. È il turno degli invitati di prendere
parte alle danze: si formano le coppie, io e la Morte veniamo divisi
nella folla di nobili. Vedo la Morte ballare con ogni genere di
persone: belli e brutti, giovani e vecchi, timorosi e coraggiosi. Per
lo spazio di un valzer, le persone ingoiano la paura della Morte.
Capito a ballare con
Leonora. Per un momento ci guardiamo, cercando di capire cosa pensa
l'altro.
LEONORA: È strano da
dire, ma mi sono accorta di capire le ragioni del duca. Sono
ragioni umane. Ti ricordi
quello che ti ho detto riguardo agli uomini? Dobbiamo
sopravvivere. Ed è quello che il duca sta cercando di fare.
ISIDORO: Non
mi interessa quello che intende fare il duca.
LEONORA: E
invece dovrebbe, dato che gli stai consegnando l'immortalità.
ISIDORO: Non
gliela sto consegnando, se la sta prendendo.
LEONORA: Sai,
io non ero nessuno prima che Bernardo mi prendesse con sé. Ero
povera e povera sarei dovuta rimanere. Per questo mi chiedo che
diritto abbia più di me, più di noi, il duca di avere
l'immortalità. Lui ha sempre avuto tutto, noi non abbiamo mai
avuto niente.
ISIDORO: Stai
parlando come lui.
LEONORA: Noi
siamo come lui! Siamo tutti uguali, tutti in lotta per afferrare più
degli altri. Abbiamo l'occasione di afferrare quanto di più grande
si possa immaginare.
ISIDORO: Non
siamo tutti uguali. Io non sono come lui, non voglio esserlo.
LEONORA: Dimmi
che non vogliamo tutti quello che darai al duca. Dillo.
ISIDORO: Non
lo voglio. Sopporto troppo poco questo mondo per poterlo
desiderare per l'eternità.
LEONORA: Ma
non c'è nient'altro da desiderare. Te ne accorgerai, Isidoro.
Faccio
per ribattere, ma il valzer mi spinge a cambiare compagno. Osservo
la Morte che balla, sognante. Sembra felice, nello stesso modo in cui
i bambini affrontano una gioia grande e inaspettata: non sanno che
fare, hanno negli occhi una tale contentezza per cui sembra che un
semplice ringraziamento non possa essere mai abbastanza; eppure
ringraziano e corrono via subito, a godersi quell'immensa temporanea
gioia. Così la Morte, incurante dei motivi per cui questo ballo è
stato organizzato, inconsapevole o dimentica delle ipocrisie, degli
odi, delle invidie, dei desideri da cui è circondata gioisce per
questa sorpresa. Gioisce nonostante sappia che finirà, anzi proprio
perché sa che finirà. Loro invece, tutti a danzare su musiche che
detestano, con gente che non sopportano, sudano e sopportano per la
vanità del duca, e tutti quanti non si ricordano più come essere
felici di qualcosa.
La
Morte ora mi sta guardando. Restituisco lo sguardo ai suoi occhi
verdi.
ISIDORO: Vieni
con me?
Lei
fa cenno di sì e la accompagno attraverso la folla di vestiti
d'occasione fino alle scale. Lasciamo la sala da ballo per il piano
superiore, da cui raggiungiamo una terrazza. La notte è serena e le
stelle occhieggiano dall'alto sul mondo dei mortali. La Morte,
ammirata, si siede sul parapetto.
MORTE: Non
ho mai fatto tanto caso alle stelle. So che voi le osservate da
sempre, cercandoci le risposte alle vostre domande. Apparentemente
non ce ne sono, ma basta la possibilità a farvi perseverare.
Non
so cosa risponderle, lei prosegue.
MORTE: Grazie.
Per il ballo, intendo. Immagino sia stata opera tua.
ISIDORO: Già,
opera mia. Piuttosto colpa mia.
MORTE: Perché
dici così?
ISIDORO: Perché
sono riuscito a concentrare in una sola stanza tutte le miserabili
ipocrisie e le invidie rassegnare di questo fetido ducato. Perché
ho dato forma al vanitoso desiderio di un vecchio disperato.
MORTE:
A me sembra una bella festa. Il resto ha poca importanza.
ISIDORO: Questo
non toglie la mia colpa.
MORTE: Ma
di quale colpa parli?
ISIDORO: Ti
sei chiesta la ragione per cui questo ballo è stato organizzato?
MORTE: No.
ISIDORO: Non
intendi conoscerla?
MORTE: Se
è così importante per te...
ISIDORO: Il
duca vuole diventare immortale. Dice di amare troppo la vita per
poterla lasciare, ma ha solo tanta paura di te.
MORTE: Davvero
non vi capisco, mortali. Agognate l'immortalità senza conoscerla,
senza rendervi conto che è una condanna. Non avete idea di cosa
significhi non poter sperare in una fine, in un compimento.
L'eternità rende insignificante la vita; tutto è già dato, nulla
è da perdere. Ciò che vi rende così preziosi è la possibilità
di decidere cosa fare con il tempo che vi è dato. Tutte le cose
umane sono temporanee: la gioia, il dolore, l'odio, l'amore, perché
in questo si misura l'individualità di ciascuno. L'uomo vive
nelle cose che perde e che guadagna, io che sono eterna non ho
nulla da perdere, ma nemmeno nulla da guadagnare. Io non soffro,
non provo dolore, invidia, brama, ma nemmeno la gioia, nemmeno
posso amare... e non vi accorgete che la fine è un dono e che
quello che voi cercate nell'immortalità è la vita infinita, non
la mancanza di morte, e questa già l'avete: vivete i ricordi,
vostri e degli altri, accumulate storie e racconti e poemi e
vivete le vite che ancora devono esistere e quelle che non
esisteranno mai. Nella vostra meravigliosa mente si animano storie
di altri mondi e prendono vita eroi e mostri che accompagnate nelle
loro avventure fantastiche... non siete immortali, ma ci arrivate
molto vicino, e per una strada migliore.
ISIDORO: Se
non provi gioia, cos'era quella che ti ho visto negli occhi mentre
ballavi?
MORTE: Gioia,
Isidoro, ma sei stato tu a regalarmela. Per questo, se sei tu a
chiedermelo, esaudirò il desiderio del duca. Ora però ti prego,
se la festa non è ancora finita, non occupiamo il tempo con cose
di così poca importanza.
ISIDORO: Non
voglio tornare di sotto, in mezzo a tutti quelli là.
MORTE: Allora
stiamo qui. Non bisogna per forza sempre ballare.
Tiro
un respiro e scaccio i pensieri precedenti.
ISIDORO: Come
hai imparato tutto questo? Non vedi forse il mondo solo attraverso
gli ultimi delle persone?
MORTE: Sì,
ma si imparano molte di una persona dal suo trapasso.
ISIDORO: Devi
aver imparato molto, allora.
MORTE: Oh,
non così tanto. Solo le cose che valga veramente la pena
ricordare. Ti assicuro che sono le stesse in ogni parte del mondo.
ISIDORO: E
com'è, il mondo?
MORTE: Tu
come te lo aspetti?
ISIDORO: Non
lo so... ma mi aspetto molto. Mi immagino che ogni luogo sia
diverso dagli altri. Soprattutto spero che i confini a cui sono
abituato siano molto più vasti di quelli che conosco. Devono
esserci luoghi in cui ciò che qui ha ogni importanza, non ha alcun
significato. Non sopporterei che fosse tutto come qui.
MORTE: Perché
non ti imbarchi su una nave? Perché non vai a vederlo il mondo,
anziché fartelo raccontare?
ISIDORO: Perché
le mie sono fantasie lontane... la realtà è molto più vicina.
MORTE: La
realtà è ovunque, mentre sei tu a decidere la distanza dei tuoi
sogni.
ISIDORO: Io
sono un boia. Non mi è concesso girare il mondo.
MORTE: Ma
non sei obbligato ad essere un boia! Se il tuo posto non è questo,
vai a cercarlo!
ISIDORO: E
quale altro potrebbe essere? Quante altre persone non ti temono,
quante altre il maestro ha allevato per proseguire il suo lavoro?
Io non ho legami con la vita. Come posso sapendo questo fare
qualsiasi altra cosa?
MORTE: Ora
so perché non mi temi. Tu non hai paura della Morte perché hai
paura di vivere.
All'improvviso
mi riempio di vergogna. Non so perché, non voglio pensarci. Cerco
subito di cambiare discorso.
ISIDORO: Posso
farti una domanda?
MORTE: Sì,
vorrei che lo facessi.
ISIDORO: Cosa
c'è dopo di te?
Ride.
MORTE: Ah,
mi piacerebbe saperlo.
ISIDORO: Non
lo sai?
MORTE: E
come potrei? Posso farti una domanda?
ISIDORO: Anche
io vorrei che lo facessi.
MORTE: Le
chiese. I templi. Non riesco a capire a cosa servono.
ISIDORO: Sono
costruiti per pregare, riunirsi... spesso rendono onore a Dio.
MORTE: E
Dio. Non capisco nemmeno lui.
ISIDORO: Dio
è credere che ci sia qualcosa di più. È credere che esista
qualcosa di veramente importante. Ma ormai è un'idea vecchia, la
gente non ci crede più.
MORTE: È
un'idea bellissima.
ISIDORO: Posso
farti una domanda?
Andando
avanti così, parliamo per tutta la notte e lei sorride per tutto il
tempo, come se stessimo ancora ballando. Ma arriva l'alba, la festa
finisce. Il congedo potrebbe essere difficile e imbarazzante, ma non
lo è. Lei mi dice solo: grazie.
Nessuno,
in nessuna parte del mondo, morì, quella notte.
Scena
tre
Il
duca mi convoca immediatamente per la domanda decisiva. Non so se è
per il sonno, ma tutto mi sembra accadere come in una allucinazione.
Come se stessi guardando me stesso.
DUCA: Allora?
ISIDORO: Sì.
La
mia risposta lo fa schizzare in piedi di gioia. Una gioia selvaggia,
che mai mi è sembrata più folle di ora.
DUCA: Allora
chiamala! No, no, aspetta! Dobbiamo farlo bene. Lo faremo nella
mia sala del trono, con la corte riunita. Ci sarà il proclama
ufficiale e tutti sapranno quello che succederà!
Scena
quattro
Siamo
tornati a Milano, nella casa del maestro. La cerimonia del duca è
imminente. Il maestro ha detto che non ha alcuna intenzione di
prendervi parte, che non voleva averci nulla a che fare. Se ne è
andato. Leonora non sembra affatto preoccupata per questo. Le sta più
a cuore ciò che mi sta per dire.
ISIDORO: So
cosa stai per chiedermi. Non lo farò.
LEONORA: Ti
sbagli. Non ti sto per chiedere l'immortalità, non ancora.
ISIDORO: E
allora cosa?
LEONORA: Hai
riflettuto su quanto ti ho detto? Hai riflettuto su cosa desideri?
ISIDORO: Non
è affar tuo.
LEONORA: Non
voglio conoscere i tuoi desideri. Voglio sapere se ne hai.
ISIDORO: Nemmeno
questo è affar tuo.
LEONORA: Beh,
se ne hai – ti prego – considera quello che ti sto per dire. Se
invece sei soddisfatto di questa tua esistenza da boia, sii felice
con essa. Io non la vorrei mai.
Rimango
in silenzio.
LEONORA: Quando
chiamerai la Morte per il duca, non farla venire in vano. Avrai la
lama appoggiata al suo collo, non esitare. Uccidilo. Prendi
l'immortalità per noi due e uccidi quel folle. Ce ne andremo
ognuno per la sua strada, ognuno con i suoi desideri e la sua vita.
E se non hai desideri... beh, allora fallo per me, che ne ho.
ISIDORO: È
ora di andare.
Scena
cinque
DUCA: Questa
è una rinascita! Da ora, niente sarà più come prima. Per me!
Il
duca accoglie con queste parole i presenti nella sala del trono, al
castello. Io per ora non sono tra loro, sono rimasto nel vestibolo
con la servitù. Il duca pretende che il mio ingresso sia trionfale,
superato solo dalla gloria di quello che accadrà dopo. Entrerò
nella sala armato di una spada, tra lo stupore di tutti. Le guardie
non si muoveranno contro di me. Dovrò chiamare la Morte, ma questa
volta per il duca.
Sento
finire il suo discorso, è il mio momento di entrare. Ignoro lo
stupore dei presenti e lo sguardo teso delle guardie, il mio unico
pensiero è nella spada.
D'un
tratto, tutto diventa chiaro. Tutto si allinea nella mia mente
svelando inequivocabilmente una verità, ossia che la Morte ha
ragione. Ho paura di vivere, perché non ho mai imparato a farlo. E
come per una risoluzione inaspettata, decido che non sarò mai più
un boia.
La
spada che ho in mano diventa pesante, trasformandosi piano piano
un'opportunità. Leonora ha i suoi desideri: anche io posso avere i
miei. Posso vedere il mondo. Posso viaggiare, posso vivere per
sempre. Devo solo uccidere il duca.
Faccio
un passo avanti, poi un altro. Mi avvicino al trono su cui è seduto
il duca.
DUCA: Chiama
la morte!
Sguaino
la spada. Lui, platealmente, si scopre il collo, rugoso e pallido.
Mentre avvicino la spada, per la sala inizia ad essere udita la
filastrocca.
Basta
un taglio. Tutto finirebbe con uno schizzo di sangue, tutto per un
desiderio.
Desideri...
li ho sempre detestati. Le persone non esitano a calpestarsi tra loro
pur di raggiungere ciò che vogliono. Mi è sempre sembrato che tutto
il mondo funzionasse per il desiderio. Una logica non del sii,
ma del prendi. Per questo non ho mai voluto nulla. Ma per
questo non ho mai vissuto. Adesso invece ho un desiderio. Esisterà
un modo di vivere senza prendere? C'è un'altra via?
Me
ne andrò, come ha fatto il maestro. Girerò il mondo, come mi ha
detto lei. Andrò a Genova, o a Venezia, non lo so. Da là prenderò
una nave diretta lontano. Ma non ucciderò il duca. Non lo farò,
perché sarebbe il frutto della sua stessa brama.
La
Morte è nel centro della sala, di fronte al duca.
DUCA: Oh,
signora del tempo, siete qui chiamata da me per un desiderio,
un'umile richiesta.
La
Morte rimane immobile.
DUCA: Oh
Morte, regina del mondo, fatemi vivere per sempre, ve ne prego.
MORTE: Se
è questo il tuo desiderio, posso accontentarlo.
Si
leva un mormorio tra gli astanti.
DUCA: Oh,
grazie, grazie, grazie mia signora, il vostro buon cuore supera
ogni misura.
MORTE: Ora
dimmi: se esaudisco il tuo desiderio, non mi vedrai mai più. È
questo che vuoi?
DUCA: È
questo, mia signora.
MORTE: Allora
addio.
La
morte se ne va.
Il
duca rimane esterrefatto. Ha un'espressione non ancora delineata tra
il pazzo di gioia e l'incredulo. Nella stanza c'è assoluto silenzio,
i presenti sono inebetiti quanto il duca. Lentamente, allontano la
spada e faccio qualche passo indietro. Ancora silenzio. Poi, si
stacca dalla massa dei presenti una donna. È dama Adelaide.
ADELAIDE: Onore
al duca! Possa l'eternità farlo felice!
Istintivamente,
i presenti ripetono l'omaggio.
NOBILTÀ: Onore
al duca! Possa l'eternità farlo felice!
Ma
mentre tutti onorano il duca, Dama Adelaide si avventa sul trono e
pianta un pugnale nella gola del duca. Ne segue uno schizzo di sangue
proiettato nella stanza, seguito da un crescente urlo di dolore,
strozzato e acuto. Adelaide è già scomparsa, mentre nella sala
ognuno cerca di scappare, folle di paura.
Il
duca tenta di alzarsi dal trono, ma finisce disteso sul pavimento. Si
rialza e mi indica, gorgogliando parole incomprensibili. Faccio un
passo indietro, terrorizzato.
DUCA: Mi...
mi hai... ingannato...
ISIDORO: No!
No maestà! Non morirete!
DUCA: Isidoro,
perché mi hai tradito?
ISIDORO: Non
vi ho tradito, ho fatto ciò che volevate!
DUCA: Ma
io provo ancora dolore! Un dolore immenso, impossibile! Non la
voglio l'eternità, non la voglio più... fai smettere il dolore,
Isidoro!
ISIDORO: Non
posso...
DUCA: Aaahh!
Ti ammazzo!
ISIDORO: No,
maestà! No!
DUCA: Uccidetelo!
Prima
che possa voltarmi e scappare, mi trovo trafitto da due spade e una
lancia e cado in ginocchio. Mentre cado, le guardie portano via il
duca.
Sento
una filastrocca.
Scena
sei
Il
clamore delle voci preoccupatissime dei presenti si è spento, non so
dire da quanto tempo. Se ne sono andati tutti, probabilmente nel
posto dove hanno portato il duca. Io sono rimasto dimenticato ai
piedi del trono in un lago di sangue, con qualche arma ancora
infilata nel corpo. Lei è arrivata subito, ma non sa cosa fare. Mi
guarda piena di apprensione ed esitazione. Non ho la forza di
parlarle e per questo non capisce se io mi aspetti qualcosa da lei. È
china di fianco a me, con la veste nera inzuppata nel mio sangue.
Vedo nei suoi occhi il mio sguardo: uno sguardo che desiderava
vivere, viaggiare... dovevo capirlo prima. Dovevo capire tante cose
prima, ma adesso non c'è più tempo. Vorrei vedere tutti i luoghi
che ha visto lei, vorrei parlare con lei di tante altre cose, ma non
ho la forza di parlare, non così a lungo.
ISIDORO: È
ora... portami con te.
Sipario
Ma
il cielo è sempre più blu
Chi
vive in baracca, chi suda il salario chi
ama l'amore e i sogni di gloria chi
ruba pensioni, chi ha scarsa memoria Chi
mangia una volta, chi tira al bersaglio chi
vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo chi
porta gli occhiali, chi va sotto un treno Chi
ama la zia, chi va a Porta Pia chi
trova scontato, chi come ha trovato
Ma
il cielo è sempre più blu
Chi
sogna i milioni, chi gioca d'azzardo chi
gioca coi fili chi ha fatto l'indiano chi
fa il contadino, chi spazza i cortili chi
ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia
Ma
il cielo è sempre più blu
Chi
è assunto alla Zecca, chi ha fatto cilecca chi
ha crisi interiori, chi scava nei cuori chi
legge la mano, chi regna sovrano chi
suda, chi lotta, chi mangia una volta chi
gli manca la casa, chi vive da solo chi
prende assai poco, chi gioca col fuoco chi
vive in Calabria, chi vive d'amore chi
ha fatto la guerra, chi prende i sessanta chi
arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Ma
il cielo è sempre più blu
Chi
è assicurato, chi è stato multato chi
possiede ed è avuto, chi va in farmacia chi
è morto di invidia o di gelosia chi
ha torto o ragione,chi è Napoleone chi
grida "al ladro!", chi ha l'antifurto chi
ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri chi
reagisce d'istinto, chi ha perso, chi ha vinto chi
mangia una volta,chi vuole l'aumento chi
cambia la barca felice e contento chi
come ha trovato,chi tutto sommato chi
sogna i milioni, chi gioca d'azzardo chi
parte per Beirut e ha in tasca un miliardo chi
è stato multato, chi odia i terroni chi
canta Prévert, chi copia Baglioni chi
fa il contadino, chi ha fatto la spia chi
è morto d'invidia o di gelosia chi
legge la mano, chi vende amuleti chi
scrive poesie, chi tira le reti chi
mangia patate, chi beve un bicchiere chi
solo ogni tanto, chi tutte le sere
Ma
il cielo è sempre più.
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