Nel mio destino

di Mameofan
(/viewuser.php?uid=113952)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I° - Il sogno ***
Capitolo 2: *** II° - Valentina ***
Capitolo 3: *** III° - Una perdita importante ***
Capitolo 4: *** IV° - Nuovi piccoli segnali ***
Capitolo 5: *** V° - Una mattinata (quasi) normale ***
Capitolo 6: *** VI° - E' lei! ***
Capitolo 7: *** VII° - La telefonata ***
Capitolo 8: *** VIII° - Primi passi ***
Capitolo 9: *** IX° - Anime platoniche ***
Capitolo 10: *** X°- Non sempre si usa la testa ***
Capitolo 11: *** XI°- Gesti inattesi ***
Capitolo 12: *** XII°- Toccare il fondo e rialzarsi ***
Capitolo 13: *** XIII° - Spiragli di luce ***
Capitolo 14: *** XIV° - Ti amo perchè... ***
Capitolo 15: *** XV° - Ti odio perchè... ***
Capitolo 16: *** XVI° - Favola (epilogo) ***



Capitolo 1
*** I° - Il sogno ***


E' la prima storia che pubblico su questo sito, non la prima che scrivo. Questo racconto è nato per caso mentre ero in auto: ho immaginato un dialogo e da li ho fatto venire fuori questa storia. Non so ancora quanti capitoli saranno, forse 3-4, non è molto lunga ma se vi piace come scrivo, ho pronte altri racconti da condividere con voi. Lascio il posto allo scritto, sperando che sia di vostro gradimento...Buona lettura!



Ancora un’ora. Ancora una stramaledettissima ora.
Sono appena le 7 e mezza di domenica mattina e mentre la maggior parte della persone riposa ancora sotto calde coperte, io devo aspettare la fine del mio turno.
Da una finestra del corridoio dell’ospedale veterinario, luogo in cui lavoro da qualche anno come medico strutturato, vedo il parcheggio per gli studenti illuminato solo dalla luce artificiale dei lampioni ed ovviamente non gira anima viva.
Finalmente riesco a respirare un attimo dopo una nottata decisamente movimentata anche per colpa di quella sottospecie di tirocinanti che mi hanno affidato che non sa neanche fare una sutura.
Alla loro età noi tirocinanti non potevamo permetterci le dimenticanze e le leggerezze che si permettono loro e così stanotte non ce l’ho più fatta ed ho urlato tutta la mia frustrazione… probabilmente questi idioti mi odieranno per sempre. Meglio così, non sono mica la loro bambinaia.
Un sospiro: maledetta me quando ho accettato il doppio turno per permettere alla mia collega di uscire a cena con il suo fidanzato per festeggiare il loro anniversario.
Quando le ho detto di si pensavo che il lavoro mi potesse distrarre, mi permettesse di dimenticare il vero motivo per cui non sto ferma un attimo da 5 giorni, da quando la mia ragazza (ragazza? Meglio dire Ex-ragazza) mi ha mollato così su due piedi.
Il vero motivo di questo addio ancora non l’ho capito bene , forse sono stata troppo dura con lei, forse avrei dovuto stare zitta ma odio l’ipocrisia ed odio ancora di più mentire.
Se preferisce le sue amiche a me, se crede a loro e non a me, vuol dire che qualcosa fra di noi è morto o addirittura non è mai nato dopo 10 appassionati mesi… allora che vada al diavolo. Lei e le sue amiche.
Com’è che dice il detto? “Morto un papa se ne fa un altro”. Però , adesso, mi manca.
Accenno un sorriso annegando nei ricordi mentre mi stiracchio i muscoli indolenziti sognando ad occhi aperti il mio caldo lettino che mi sta aspettando a casa e penso “ ancora un piccolo sforzo ed è finita”.
Poi il pensiero corre al mio vicino: se anche stavolta ha la musica a tutto volume quando arrivo, è la volta buona che faccio una strage. Intanto delle voci dalla adiacente stanza di rianimazione mi riportano alla realtà e mi incammino cominciando a correre quando uno degli “idioti” corre nella mia direzione chiamandomi a gran voce.
Un’ora. Devo resistere ancora un’ora.


DOMENICA MATTINA: Ore 8.31

Finalmente è finita. Letto sto arrivando.
Improvvisamente rianimata da una forza inaspettata mi incammino con buona lena verso l’auto per tornare a casa.
Sto per salire nell’abitacolo della macchina quando il cellulare si mette a suonare. Mia madre. Perfetto, penso mentre rispondo alla chiamata.
< Ciao mamma >
< Ciao Franci. Come stai? Ti ho chiamato a casa ma..cosa ci fai in giro a quest’ora di domenica mattina? >
< Sto bene. Sai, ho un lavoro coi turni e mi è toccata la notte. Stavo andando a casa a dormire.> Le rispondo con un po’ di nervosismo.
< Ah, ok. Senti, quando ti deciderai a farmi conoscere la tua ragazza!>
Sospiro profondamente. Mi mancava solo questa. Come le faccio a dire che ci siano lasciate? E se ricominciasse ad organizzarmi appuntamenti con baldi giovani? No, non potrei sopportarlo nuovamente.
< Mamma ascolta. Io lavoro, lei lavora. Appena possiamo veniamo, te l’abbiamo promesso…> cerco di non innervosirmi più di tanto dando fondo a tutta la mia residua lucidità.
< Ho capito. Allora avevo ragione io, non vuoi farmela conoscere> Vuole litigare, la solita storia, devo restare calma.
< Non dire così, ti prego. Senti: sono distrutta, ho appena finito un turno massacrante qui in ospedale. I tirocinanti me ne hanno combinate di tutti i colori, tanto che ho passato più tempo a risolvere i loro casini che fare il lavoro per cui sono pagata. Ne possiamo riparlare oggi pomeriggio? Adesso ho solo voglia di toccare il letto>
< Va bene..> mi risponde poco convinta
< Perfetto, Ti chiamo io. Salutami papà> e butto giù il telefono prima che possa replicare.
Sarò stata un po’ troppo stronza con lei ma la conosco e se le rispondevo a tono, sarei arrivata a casa mia per l’ora di pranzo.
Mentre poso il telefono, il visore si illumina di nuovo. E’ la mia migliore amica Valentina, l’unica donna a cui ho permesso di conoscermi così a fondo.
Rispondo allo squillo sorridendo e spengo il cellulare: per questa mattina basta scocciatori sono veramente esausta.
Metto finalmente in moto osservando dallo specchio il polo ospedaliero che si fa sempre più piccolo mentre le ruote della mia macchina macinano la strada di fronte a me a grande velocità.
Le strade sono, per fortuna, deserte e una dolce musica alla radio mi tiene compagnia durante il breve viaggio, impedendomi di addormentarmi al volante.
Con le ultime forze rimaste parcheggio, chiudo l’auto e mi trascino fin su all’ascensore dove mi lascio cullare dalle vibrazioni che mi anticipano un buon sonno.
Per fortuna il vicino di casa sembra tranquillo e, rinfrancata, apro casa e mi butto ancora vestita sul grande letto matrimoniale dove il contatto fra il mio viso ed il cuscino fresco di bucato mi fa addormentare all’istante.

... Sono in una spiaggia. Guardo il mare mentre il vento mi scombina i capelli ed le narici si saturano di sale marino.
C’è silenzio. Un silenzio rumoroso. Solo il dolce rumore delle onde che si infrangono sugli scogli poco distanti lo riempie.
Un paio di occhiali da sole mi impedisce di godere appieno dei colori caldi dell’estate e piccole gocce di sudore percorrono la mia pelle ancora chiara procurandomi intesi brividi lungo la schiena.
In questo paradiso spunta improvvisamente una donna, mai vista, che si avvicina a passi lenti verso di me.
E’ alta, mora, con un corpo mozzafiato da far perdere la testa a qualsiasi essere vivente sulla terra.
Provo ad alzarmi ma non ci riesco. Provo a tenderle la mano… stessa sorte.
Si ferma ad un paio di metri da me e riesco ad osservarla meglio perdendomi all’istante quando i nostri sguardi si incrociano. Il mio cuore batte alla velocità della luce, il cervello è in stand-by anche lui distratto da tale perfezione.
Mi guarda dolce ma senza muovere un passo. Restiamo così per un tempo interminabile: forse secondi, forse minuti..forse il tempo ha deciso di fermassi in questo meraviglioso momento.
L’ istante dopo si gira e si butta in mare.
Nello stesso attimo che il pelo dell’acqua va in frantumi, il mio corpo ricomincia a muoversi e corro verso di lei ma è troppo tardi. Ormai è irraggiungibile.
Mi sorride e sento pronunciare le sue uniche parole che mi inquietano l’anima: “ Sei nel mio destino..”
Infine un ultimo dolce sorriso prima di cadere giù in fondo al mare, senza lottare, lasciandomi impotente a fissare quell’orrenda scena...



< Nooo…> urlo svegliandomi di soprassalto e tenendo forte il cuscino.
Mi guardo attorno ma tutto è tranquillo: dai finestroni della mia mansarda si sente un rumore incessante di pioggia ma con la luce del giorno che illumina debolmente la mia stanza.
Quel sogno mi ha lasciato un senso di agitazione che non mi ha ancora abbandonato e mi accorgo di avere ancora i vestiti addosso.
Mi alzo con paura quando l’orologio segna appena le 9.15 e mi cambio infilandomi sotto le coperte.
La stanchezza non è andata per nulla via tanto che neanche il brutto sogno di prima mi impedisce di addormentarmi nuovamente appena chiudo gli occhi.

Drin Drin Drin

Lo squillo del telefono di casa mi sveglia dopo neanche 5 minuti che mi ero appisolata. Contro voglia mi alzo: adesso veramente basta.
Prendo il cordless ripromettendomi di non assalire subito il mio interlocutore:
< Pronto?>
< Ciao dormigliona.> la voce di Valentina mi fa perdere tutto lo spirito combattivo. Come potevo arrabbiarmi con lei?
< Ciao rompiscatole> rispondo con umorismo.
< Sei ancora a letto? Dai vestiti che usciamo e niente storie. Ti vengo a prendere sotto casa fra mezz’ora.>
Neanche il tempo di risponderle che ha già chiuso la chiamata. Guardo il mio letto e gli dico ad alta voce: “ Amico mio, mi sa che dovremo aspettare.”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II° - Valentina ***


Eccomi col secondo capitolo della storia. Ammetto che inizialmente ero tentata di non continuarla...pensavo non vi piacesse visto le 0 recensioni ma ho deciso cmq di provare ad andare fino alla fine. Ovviamente sono gradite le critiche sia ai personaggi, sia al mio modo di scrivere e mi scuso se ci sono errori ma scrivo soprattutto alla sera tardi. Vi lascio alla lettura, sperando che possa piacervi almeno un pochino. Buona lettura! P.S. Una cosa velocissima. Non è assolutalmente una autobiografia della mia vita, anzi. Ho voluto creare Francesca con un carattere completamente all'opposto dal mio.

In ritardo, come sempre, Valentina arriva sotto casa mia quando ormai iniziavo a sentire i primi effetti del gelo nelle ossa.

< In orario come al solito, vedo>  esordisco mentre entro in macchina.

< Non cominciare, ho dovuto portare a mia mamma un documento>

< Si certo. Trovati una scusa migliore>

< Sei sempre molto simpatica… cos’hai oggi? Dormito male?>

< Il problema è che non ho proprio dormito. A differenza tua, ogni tanto lavoro!>

Valentina simula una risata sarcastica prima di concentrarsi completamente sulla guida ed io ritorno nei miei pensieri.

Mi divertivo molto, soprattutto quando il nervosismo era a livelli pericolosi, a punzecchiare la mia migliore amica che lasciava fare senza prendersela più di tanto.

Invidiavo molto questo lato del suo carattere perché non faceva parte di me ed ogni tanto, prenderla col sorriso, è un aiuto a non perdere troppo spesso la pazienza, cosa che mi succedeva di frequente negli ultimi tempi, soprattutto con i miei colleghi e quei “poveri” tirocinanti.

< Franci..>

Guardo Valentina che non stacca gli occhi dalla strada:

< Cosa succede.. E’ ancora per Sara, vero? Perché se è così non farti troppo il sangue amaro. Quell’oca non ti ha mai e dico MAI, voluto bene come le volevi tu. Ti ha fatto un favore, credimi. Meriti molto di più.>

< Grazie Vale ma non è solo per lei.>

< Cosa allora. Racconta>

< No, nulla di speciale>

< Dai… a me puoi dire tutto lo sai>

< Si lo so. Ma non è niente di che, ti ripeto.>

< Francesca Morticone ti conosco da più di 10 anni e quando ti comporti così c’è qualcosa che non va. Sputa il rospo o sarò costretta ad usare le maniere forti!>

Questo tono di Valentina lo conoscevo bene. Quando mi chiamava per nome e cognome e con questa enfasi non avevo vie d’uscita.

< Ok... Stamattina, prima che tu mi chiamassi, sono riuscita a dormire una mezz’oretta ed ho fatto un sogno che mi lasciato un po’… così>

Rimaniamo in silenzio qualche istante e Valentina, notate le mie titubanze, mi invita a continuare il racconto:

< Avanti, non farti cavare le parole di bocca come sempre.>

Respiro profondamente per alcuni secondi per raccogliere le idee e comincio a raccontarle del sogno, di quella ragazza stupenda dagli occhi verde smerdarlo che prima mi sorride e poi si butta nel mare lasciandosi annegare.

Non tralascio nemmeno il particolare più importante… quella frase “Sei nel mio destino”che mi sta ossessionando da quando mi sono svegliata.

< Secondo te cosa significa? > le chiedo alla fine del resoconto.

< Secondo me hai un potere speciale sulle donne… le fai scappare in continuazione!>

Dando un’occhiata al mio stato d’animo si affretta a correggere il tiro:

< Scusami, stavo scherzando. Magari non è niente di particolare… forse volevi sognare Sara e significa che l’hai davvero messa in un cassetto.>

< Dai smettila. Non voglio più parlare di lei. E poi Sara non è bella neanche un centesimo della donna che ho sognato>

Nella macchina torna il silenzio che continua per lunghi tratti del viaggio.

< Comunque… si può sapere dove stiamo andando?> chiedo quando ormai è mezz’ora che viaggiamo sull’autostrada.

Eccola che comincia a ridere:

< Andiamo a passare una domenica diversa dal solito rispetto al tuo abituale programma: sveglia all’una, pranzo e partite di pallone in TV fino a notte fonda.>

< Deduco allora che non mi riporterai a casa tanto presto>

< Brava! Ogni tanto vedo che lo fai andare il cervello.>

< Dimmi che ci siamo solo noi 2, almeno, e non i tuoi amici dementi>

< Non sono dementi!!>

< Hai ragione, sono del tutto idioti!>

< Smettila di dire così> mi risponde ora decisamente arrabbiata < se solo ti degnassi di conoscerli meglio non la penseresti in questo modo!>

Nella vettura ritorna una quiete pesante che ci accompagna per il resto del viaggio fino a quando Valentina non ferma la macchina davanti ad un bar dove riconosco alcuni di questi amici che stanno ridendo come degli stupidi.

Scendiamo dall’auto e li saluto a malapena cercando di stare il più lontano possibile dai loro discorsi per concentrarmi sui miei.

La compagnia degli amici di Vale è composta da 3 ragazzi con rispettive fidanzate e da altre due, fra cui la mia amica, che ancora non avevano un fidanzato.

Nonostante non fossero cattivi ragazzi, non riuscivo a sopportare la leggerezza con cui prendevano la vita e avevo alimentato una certa allergia al loro modo burlone di stare insieme.

Il ragazzo che proprio non sopportavo si chiamava Giacomo ed era un po’ il leader del gruppetto. Valentina mi aveva raccontato che a scuola era diventato un mito visto che ormai i professori lo promuovevano un po’ per pietà e un po’ per farlo uscire dalla scuola obbligatoria.

Erano infatti 10 anni che frequentava le superiori e quest’anno riprovava per la terza volta la 5° liceo.

Le sue uniche passioni erano il calcio e le ragazze e, quest’ultimo, era il solo interesse che avevamo in comune.

Valentina mi si avvicina sorridente prendendomi sottobraccio ed insieme agli altri ci incamminiamo per le vie della città praticamente deserte.

< Sono contenta che sei venuta> mi sussurra all’orecchio.

< Mi ci hai costretto> le rispondo con un tiepido sorriso.

Valentina mi imita e si gira verso gli altri entrando nella discussione che Giacomo ed Andrea, un altro ragazzo del gruppo, avevano intavolato parlando dei film usciti nel weekend al cinema.

Nel frattempo mi accorgo di aver dimenticato di riaccendere il cellulare. Attivo il mio blackberry  sperando che nessuno in ospedale mi abbia chiamato. Speranza vana: mi arrivano 4 messaggi di cui due dai miei colleghi di chiamate senza risposta. Le richiamo:

< Ciao Stefania, sono Francesca, cos’è successo?>

< Ciao. No, tutto ok, ho risolto. Non trovavo la cartella clinica del gatto che sta facendo la chemio. Uno dei tuoi tirocinanti l’aveva dimenticata sopra il suo armadietto.>

< Cristo, non è la prima volta. Martedì si beccano l’ennesimo cazziatone.>

< Francesca, non essere troppo dura, può capitare…>

< Si certo, ma non tutte le volte. Sembra che lo fanno apposta. E’ ora di passare alle maniere forti.>

< Non essere così dura.>

< Ti ringrazio per il consiglio ma so esattamente cosa devo fare.>

< Va bene..> mi risponde la mia collega un po’ scocciata per il mio tono.

Ci salutiamo e stacco la chiamata ancora più arrabbiata di prima. Chiamo l’altro collega che mi aveva cercato:

< Ciao Alberto, mi cercavi?>

< Ciao Franci. Si. Volevo chiederti se potevi farmi un favore. Avrei bisogno del weekend libero per andare a vedere mio figlio che gioca a calcio. Così ho guardato i miei ed i tuoi turni… >

Non lo lascio neanche finire di parlare:

< E vieni a cercare me, ovviamente. La risposta è no, senti gli altri io ho da fare. Ora scusami ma devo andare>

Gli spengo il telefono in faccia. Non sopportavo molto questi colleghi che mi cercavano solo per scambiare i turni, prendendosi le giornate e rifilandomi i turni più scomodi quali  weekend e notti.

Valentina si gira a guardarmi:

< Problemi?>

< I soliti: tirocinanti incapaci e colleghi che mi cercano solo quando hanno bisogno. Li ho mandati al diavolo>

< Che novità. Secondo me dovresti essere meno irascibile. Facendo così allontani tutte le persone che ti stanno attorno.>

< Tu ci sei e questo mi basta. Discorso chiuso>

La mia amica annuisce poco convinta mentre si è già fatta ora di pranzo. Scegliamo un locale non troppo distante dal centro città e ci sediamo al tavolo.

La cameriera che ci viene a servire, devo riconoscerlo, è veramente carina ma il mio umore è talmente nero che non riesco neanche a godermi tutto quel ben di Dio.

Valentina intanto sta provando in tutti i modi a coinvolgermi nella discussione dei suoi amici con risultati a dir poco imbarazzanti.

In mezzo a tutto quel casino mi ritorna in mente la ragazza del sogno: possibile che mi inquieti così tanto? Non ho mai visto quella donna in vita mia anche perchè mi sarei sicuramente ricordata di una bellezza del genere e, cosa più strana, quando ripenso al suo viso e ai sui occhi, risento le stesse identiche sensazioni del sogno come se stesse accadendo ancora.

Se potessi esprimere un desiderio in questo momento, chiederei se esiste veramente questa ragazza e, se è vera, di poterla incontrare.

Valentina mi tira un colpo da sotto il tavolo e mi accorgo che tutti mi stanno guardando:

< Che c’è?> chiedo stizzita

< Tu cosa ne pensi?> mi chiede Andrea

< Di cosa? Non stavo seguendo..> rispondo rimanendo impassibile.

< Cos’è…sei innamorata? E’ tutto il giorno che hai la testa fra le nuvole>

< Non sono affari tuoi. Esco un attimo a prendere una boccata d’aria>

Senza lasciargli il tempo di rispondere mi alzo recuperando il giubbotto ed esco nel cortile del ristorante sedendomi su una panchina li vicino.

“Basta, ne ho le palle piene di questi. Voglio tornarmene a casa!” dico in un sussurro tirando calciando una lattina che si trovava per terra.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III° - Una perdita importante ***


Eccomi col terzo capitolo. Ringrazio vivamente caso e Apia per le recensioni. Mi hanno aiutato tantissimo a continuare la storia che sta proseguendo a gonfie vele. Se riesco provo a postare un capitolo ogni 4-5 giorni e rispetto all'idea iniziale saranno un po' di più i capitoli, vedremo dove mi porterà questa nuova idea... A questo capitolo ci tengo veramente e quasi, devo dire, si è scritto da solo. Bando alle ciance, eccovi il capitolo:

Erano già 10 minuti  che stavo seduta su quella panchina a ripensare alle parole di Valentina e a quel sogno che non mi dava tregua.

Sapevo che Vale aveva ragione ma non volevo darla vinta ai suoi amici ficcanaso che non perdevano un’occasione per mettermi in ridicolo davanti a lei.

Il ricordo di quando hanno scoperto la mia omosessualità era ancora vivissimo in me. Valentina non se ne accorgeva perché gli voleva bene ma nelle loro battute c’era sempre un pizzico di omofobia e il disagio di andare in giro con una a cui piacevano le donne.

Anche e soprattutto per questo declinavo sempre gli inviti ad unirmi a loro da parte di Vale, anche se sapevo che lei era felice quando c’ero anch’io.

Valentina. La migliore amica che si possa desiderare. Ammetto che agli inizi, quando ci siamo conosciute, ci avevo fatto un pensierino ma poi, conoscendola meglio, ero arrivata alla conclusione che fossimo troppo diverse per stare insieme.

Senza trascurare il dettaglio che a lei piacevano i ragazzi, non che la cosa mi avesse fermato nelle avventure precedenti, ma le volevo già troppo bene per perdere una amicizia del genere.

Ricordo ancora come ci siamo conosciute: ero una matricola universitaria alle porte della tesi quando nell’ambulatorio dove facevo pratica, è arrivata tutta agitata a portarmi il suo gattino.

Era talmente spaventata che ho dovuto prima calmare lei e poi curare l’animale. Non finiva più di ringraziarmi così ho accettato dopo molta insistenza, il suo invito a  bere un caffè.

Nonostante fossimo agli antipodi del mondo, lei simpatica ,solare ed io burbera di poche parole, sembrava che ci conoscessimo da sempre e gli argomenti non ci mancavano mai.

Così ci siamo frequentate assiduamente ed è stata dolcissima quando le ho confessato che mi piacevano le donne. Non le importava niente, voleva solo che fra noi rimanesse quel sentimento di amicizia che stava crescendo giorno dopo giorno.

Da allora mi sono aperta totalmente con lei, sa morte e miracoli della mia vita e sa sempre prevedere le mie mosse.

Vorrei che la mia futura fidanzata fosse almeno la metà di quello che è lei, di quel carattere così estroverso da rallegrare le mie giornate più buie e capace di tirare sempre fuori la parte migliore di me.

Chissà se la ragazza del sogno è così. Forse. Anzi, ne sono certa.

Sospiro proprio nel momento in cui vedo Valentina uscire dal ristorante per raggiungermi. Dal suo sguardo scuro prevedo una bella litigata e già mi sento male al solo pensiero.

< Francesca, noi dobbiamo parlare> esordisce con voce neutra.

< Certo dimmi>il mio tono invece è più dolce, forse più del solito, e le faccio posto accanto a me.

Valentina si accomoda guardando davanti, senza degnarmi di uno sguardo, come a cercare l’ispirazione giusta per cominciare:

< Senti. Lo sai che ti voglio un bene dell’anima, vero?> Annuisco guardandola.

< Bene perché in questo momento sto cercando un motivo valido per non mandarti al diavolo come fai sempre tu con gli altri.>

< Perché mi vuoi questo “bene dell’anima”!> dipingo un sorriso troppo dolce per il mio carattere tanto che la mia amica mi guarda spaesata. Mi sentivo come un cagnolino che stava subendo un rimprovero dal padrone. Non riuscivo a fregarmene e a risponderle a tono come facevo con tutti gli altri e questo lei lo sapeva fin troppo bene.

< Non è il momento di scherzare. Sono seria. Franci hai 31 anni e, tranne me, non c’è nessun’altro che può dirsi tuo amico o quanto meno si avvicina. Non lo so perché ti comporti così..anzi si lo so. Hai una fottuta paura che, una volta tolta questa tua spessa corazza da stronza, le persone che conosci possano vedere il lato indifeso di te e farti soffrire.

Ti conosco da tanto tempo e credo di essere l’unica a cui hai permesso di arrivare a conoscere la vera Francesca. Una ragazza che non è così forte come sembra ma ha un cuore d’oro, è dolce, romantica come pochi e sa come far sentire amate e protette le persone che adora.

Questa è la Francesca che conosco io e che vorrei vedere sempre, anche con gli altri. Questa è la persona a cui voglio questo bene dell’anima.

Come vedi sono ancora qui e credimi che mi fai stare male quando ti comporti come stai facendo oggi, come fai sempre.

Soffrire fa parte della vita, ti fa crescere ed è da li che, crollata una casa, puoi iniziare a costruire un palazzo ancora più grosso ma non puoi continuare a sfuggire per paura, diavolo!

E perché credo di farti del bene, ti annuncio che d’ora in poi ci sarò per te sempre e comunque se ti deciderai a metterti in gioco.

Non ti sto abbandonando, voglio solo che ti liberi della tua corazza. Perché voglio solo il meglio per te>

Ho ascoltato tutto il suo discorso in silenzio, senza pensieri, senza dare nessun segno di vita.

L’unica persona a cui veramente volevo bene mi stava abbandonando. Non era proprio così ma è come se lo fosse stato.

Le lacrime avevano una gran voglia di scendere ma non volevo darle questa soddisfazione. Sapevo che aveva ragione in tutto ma ero troppo orgogliosa e testarda per ammetterlo, soprattutto a me stessa.

Mi alzo dalla panchina facendo qualche passo. Valentina non si è ancora mossa da li e sta aspettando una risposta, anche se sono sicura che abbia già capito tutto:

< Ok, ci penserò. Torno a casa in treno. A presto.>

Mi volto senza ascoltare le sue parole che vogliono sicuramente farmi ragionare.

Sono stanca, ho sonno ed ho appena perso la mia migliore amica.

Prima di andarmene mi fermo alla cassa a pagare il conto per tutti. Non so perché però mi sembrava un modo stupido per chiedere scusa ai suoi amici davanti a lei.

Lascio anche un biglietto che chiedo gentilmente all’uomo che sta alla cassa, di portarlo al tavolo quando avrebbero chiesto il conto. E di consegnarlo solo alla ragazza di nome Valentina.

Le scrivo:

Saluta i tuoi amici da parte mia e chiedigli scusa. Ho pagato io per tutti per farmi perdonare. Un bacio, Fra.

 

Ok, non volevo il loro perdono, non me ne fregava nulla ma volevo fare una cosa carina per lei per farla ritornare da me.

Fuori si gelava davvero e la temperatura era prossima allo 0, forse qualche grado sotto. Imbacuccata fino alla punta del naso, raggiungo la stazione dei treni e compro il biglietto per casa.

Attendo non più di 20 minuti prima di salire sul mezzo e, proprio sulla comoda poltrona, mi addormento.

Questa volta non ho sognato niente che ben ricordi, neanche la ragazza di questa mattina ma questo piccolo pisolino mi ha donato una leggera sensazione di benessere.

Guardo il palmare e c’è un messaggio di Valentina:

“ Ti ringrazio per il pranzo anche a nome degli altri. Per quanto riguarda me, non cambia niente rispetto a quello che ti ho detto.”

Sul viso mi cresce un piccolo sorriso nervoso che smaterializzo all’istante: non mi aspettavo che bastasse quello per farle cambiare idea però mi dava fastidio la freddezza con la quale mi aveva scritto l’sms.

Dopo poco arrivo finalmente nella stazione della mia città. Prendo la metro e dopo poco sono già sotto casa.

Salgo in silenzio e senza ulteriori pensieri mi corico esausta sul letto avendo cura di spegnere cellulare, telefono di casa e anche citofono.

Avevo un disperato bisogno di staccare la spina, di resettare tutto quello che era successo in questa giornata, di lasciar riposare la mia testa che stava per scoppiarmi.

Valentina, la donna del sogno… queste erano adesso le mie due ossessioni che meritavano di essere analizzate più tardi, a mente lucida, quando nessuna scusa sarebbe stata più valida.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV° - Nuovi piccoli segnali ***


Buongiorno! Come promesso ecco il quarto capitolo della storia di Francesca. Ringrazio Caso e Apia per le recensioni di questo capitolo e della new-entry Hacky87. Il capitolo seguente è un pochino un po' più corto e di passaggio rispetto agli altri ma serve per preparare il terreno ai prossimi che saranno molto più movimentati. Il V° capitolo credo di postarlo lunedì o martedì..vediamo. Grazie infinite a chi legge la storia e soprattutto a chi l'ha messa fra le seguite e le preferite. Buona lettura!




Da quella disastrosa giornata sono passate 3 settimane e Valentina non dava nessun segno di redenzione, anzi: tutte le volte, soprattutto i primi giorni, che provavo a contattarla o non mi rispondeva oppure il suo tono rimaneva freddo, distaccato come se non gliene importasse più nulla di me.

Soffrivo per questo suo atteggiamento anche se non glielo davo a vedere e, più i giorni passavano, più subentrava in me la rassegnazione di aver perso per sempre l’unica amica che avevo.

Un giorno sono arrivata anche a pensare che forse lo faceva apposta per farmi capire come gli altri si potevano sentire quando gli rispondevo in quel modo e con quel tono.

Questo pensiero se ne andò subito così come era arrivato.

Nel frattempo la mia vita all’ospedale scorreva come sempre. Avevo scoperto che i miei “amati” tirocinanti mi avevano affibbiato il soprannome “la nazista” come la dottoressa Bailey di Grey’s Anatomy.

Quando l’ho scoperto stranamente non sono andata su tutte le furie perchè mi piaceva che tutti questi scansafatiche mi temessero.

In fondo ero una delle migliori insegnanti che potevano desiderare di avere nel loro percorso personale ed il mio era un modo per fargli uscire un po’ di carattere per affrontare un lavoro così impegnativo.

Ero convinta che solo chi dimostrava di tenermi testa sia caratterialmente sia professionalmente, sarebbe diventato qualcuno in questo campo e, dopo 2 anni dalla mia assunzione, i risultati iniziavano a darmi ragione.

Con i colleghi il rapporto rimaneva neutro, professionale, anche se qualche timido gesto un po’ più propositivo come bere un caffè insieme durante una pausa, l’ avevo provato a fare senza troppi risultati.

Ed infine c’era la donna del sogno. Non me n’ero dimenticata, anzi! Le settimane precedenti, nonostante il lavoro impiegasse buona parte del mio tempo, avevo girovagato in lungo ed in largo per le strade e per i locali della mia città (e pure di quelle più vicine) alla ricerca di quel viso.

Stavo diventando letteralmente pazza ed iniziavo a credere che Valentina avesse fatto bene ad allontanarmi perché non mi capivo più neanche io.

A peggiorare la situazione ci ha pensato anche mia madre quando ha scoperto che mi ero lasciata con Sara. Gli incontri “al buio” con uomini della mia età proseguivano al ritmo di uno ogni 3-4 giorni e mi chiedevo come facesse, o meglio dire convincesse, queste persone ad uscire con sua figlia.

Il risultato era comunque lo stesso. Sorrisi di circostanza, imbarazzo e per quelli a cui piacevo e che tentavano il primo approccio, la rivelazione che a me piacevano solo e unicamente le donne e che uscivo con loro solo per non sentire la predica di mia madre.

Dovevo comunque trovare presto una soluzione e parlare chiaro una volta per tutte con lei.

I miei pensieri vengono disturbati dal mio blackberry che si mette a suonare all’impazzata. Per fortuna questa notte non devo lavorare, non ce l’avrei proprio fatta.

Leggo il nome dello scocciatore: Valentina!

La saluto con un bel sorriso, anche se non mi può vedere:

< Ciao Vale.>

< Ciao. Senti devo andare via 3 giorni per lavoro e non so a chi lasciare Baki. Non è che potresti…>

< Si, certo. Nessun problema.> rispondo felice di poterle essere utile. Non era la prima volta che mi chiedeva di tenerle il suo cane quando doveva partire per lavoro ma di solito cercavo qualsiasi scusa plausibile per non essere disponibile.

Ora avevo solo voglia di rivederla e volevo assolutamente parlarle.

< Sei sicura? >

< Non preoccuparti. Ci faremo compagnia.>

< Ok. Te lo porto fra qualche ora. A dopo>

< A dopo, Vale>

Chiudo la chiamata soddisfatta. In fondo se Baki avesse iniziato a girare per casa “pericolosamente ispirato”,  il sedativo nell’armadietto dei medicinali era prontissimo a fare il suo lavoro.

Ero crudele, da una poi che cura gli animali è il massimo, ma il suo cane era veramente una peste e mi avrebbe sicuramente distrutto la mia bellissima casa.

Puntuale, due ore più tardi, Vale mi lascia Baki e la invito a bere un caffè con me. Accetta se pur con qualche titubanza:

< Allora come stai?> le chiedo iniziando a parlare

< Tutto bene, le solite cose.>

< Senti Vale…> dovevo parlarle, non sopportavo più questa situazione < come possiamo fare pace?>

< Lo sai come fare, te l’ho detto.>

Le parole “mi manchi” mi muoiono in gola. Dannato orgoglio.

< Bene, io vado. Sono già in ritardo. Andrea è di sotto che mi aspetta.> mi dice alzandosi.

< Andrea?>

< Si, Andrea. Mi accompagna lui>

Vale si mette il giubbotto ed esce da casa mia baciandomi freddamente le guance.

Sospiro guardando Baki che per fortuna si era messo a dormire sopra il cuscino di una sedia del salotto.

Sbrigo le ultime cose e poi filo a dormire. Domani mi aspetta un bel turno di 24h a causa di una collega che si era ammalata.

E stranamente, anche in questo caso,avevo accettato il turno senza prendermela più di tanto. Che la tattica di Valentina iniziasse a fare effetto?

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V° - Una mattinata (quasi) normale ***


Buonasera. Eccomi con il capitolo di questo racconto.L'altro giorno mi sono concentrata sulla trama e, ad occhio e croce, dovrebbero essere sui 14-15 capitoli. E, se vi interessa, potrebbe starci anche un seguito...le idee non mancano! Per quanto mi riguarda ringrazio le mie appassionate 3 lettrici che mi recensiscono sperando di non deluderle...dopo questo si inizia a fare sul serio e vedrete il vero carattere di Francesca! Ringrazio pure chi ha messo la storia fra le preferite o semplicimente fra le ricordate e chi semplicemente legge! Speriamo che la comunità delle recensioni cresca! Vi aspetto venerdì mattina con il 6°..buona lettura!

Alle 8.30 del mattino dopo, ero già operativa e mi aggiravo nei corridoi dell’ospedale con il mio fonendoscopio al collo e con un piccolo sorriso sulle labbra.

Quella mattina mentre stavo raggiungendo l’ospedale con Baki, avevo ricevuto un messaggio da Valentina che mi ringraziava perché le stavo tenendo il cane e che stava partendo in quel momento..

Questa giornata era iniziata nei migliori dei modi ed una parte di me sentiva che la parte migliore doveva ancora arrivare.

Sesto senso, forse. Quello che noi donne rivendichiamo con orgoglio tutte le volte che abbiamo una sensazione esatta ed io, del mio fiuto, mi fidavo spesso.

Fra un caso di insufficienza renale, un paio di arti rotti e qualche richiamo di vaccinazione, la mia mattinata si poteva definire tranquilla.

Inoltre non avevo neanche litigato con nessun collega o insultato qualche tirocinante, cosa che nei giorni normali mi succedeva spesso.

Uno di loro mi si avvicina mentre sto percorrendo il corridoio verso le macchinette:

< Dottoressa, mi scusi> mi chiede quasi sussurrando per paura di essere sbranato vivo.

< Si, Matteo dimmi> gli rispondo tranquilla.

< E’ appena arrivato un golden, 7 anni. Nell’anamnesi, il proprietario ha detto che ha trovato il suo cane riverso in cortile in preda ad irrigidimento muscolare. Presenta un leggero opistotono agli arti ,è iper eccitato e con tremori generalizzati.>

Leggo attentamente la cartella clinica nonostante lo specializzando, devo riconoscerlo, avesse presentato ottimamente il caso.

< Ok. Vengo a visitarlo in sala visite 4. Ascoltami bene: chiunque ci sia dentro fallo sloggiare, dobbiamo isolare il paziente da luci, rumori o da qualunque altro stimolo ambientale che lo ecciti ulteriormente. Mi raccomando. Arrivo subito.>

Matteo annuisce e ritorna a passo svelto verso le sale visite. Prendo un caffè al volo e lo raggiungo.

Con estrema cura esamino l’animale mentre il suo proprietario controlla con attenzione ogni mia mossa:

< Bene> erano le prime parole che pronunciavo. Mi giro verso il padrone pregandolo di aspettare fuori qualche minuto e guardo Matteo:

< Allora Matteo. Secondo te di cosa si tratta?>

Il tirocinante esegue alcune manovre sul paziente, rilegge la cartella ed alla fine mi risponde:

< Potrebbe essere un avvelenamento da stricnina?>

< Potrebbe o lo è?>

Un’ultima occhiata alla cartella e poi sicuro mi conferma la sua diagnosi.

< Come si procede?>

< Uhm.. per confermare la diagnosi prescriverei una lavanda gastrica con soluzione al 2% di acido tannico e terrei sotto controllo le crisi dandogli un miorilassante.>

< Bene> lo guardo soddisfatta. E’ il tirocinante più in gamba di tutti e anche stavolta credo di aver visto giusto.

< Ottimo. Aggiungi anche le analisi del sangue e come miorilassante dagli per via endovenosa 0,75 mg al kg di Diazepam ogni ora>

Lascio la stanza firmando la cartella ed uscendo mi fermo per informare il proprietario:

< Buongiorno. Si dovrebbe trattare di avvelenamento da stricnina ma voglio aspettare le analisi per confermarla. Il cane deve restare tranquillo e, mentre aspettiamo la conferma, dobbiamo tenerlo calmo per evitare di provocare altre crisi. Gli daremo un farmaco che l’aiuterà a rilassare i suoi muscoli ed incomincerà a disintossicarlo dalla stricnina .>

< Ce la farà?> mi chiede ansioso.

< E’ presto per dirlo ma sono fiduciosa, noi cercheremo di fare il nostro meglio. Comunque, una volta confermata la diagnosi con le analisi, le conviene denunciare l’accaduto alla polizia se pensa si tratti di un boccone avvelenato. Con la stricnina non si scherza e bastava qualche mg  in più perché non ci fosse nulla da fare.>

Il signore mi ringrazia ed entro nella stanza per dare un’ultima occhiata. Matteo, come presumevo, ha del talento per questo lavoro così gli dico che vado a pranzo e di chiamarmi solamente se si aggrava.

Tolgo il camice, mi metto la giacca e mi avvio spedita verso il bar di fronte all’ospedale. Non avevo proprio voglia di mangiare panini o schifezze del genere alle macchinette, soprattutto quando mi aspettavano ancora 19 ore di lavoro.

Non faccio in tempo a raggiungere la strada che un altro dei miei tirocinanti mi blocca:

< Dottoressa, dottoressa?>

< Cosa c’è?> rispondo scocciata

< Scusi..dovrebbe venire un attimo. Hanno chiesto di lei per un caso.> mi risponde quasi balbettando

< Non vedi che sto andando a pranzo?> sospiro mentre lei tace non sapendo cosa rispondermi.

< Ok, va bene. Andiamo> aggiungo rassegnata.

Insieme ritorniamo nelle viscere dell’ospedale: mi rimetto il camice e la seguo in sala visite 2.

Entro nella stanza che mi sto ancora aggiustando il camice ed il fonendoscopio al collo:

< Buongiorno sono la dottoressa Morticone. Come posso…> ma quando il mio sguardo incrocia quello della persona davanti a me, le parole mi muoiono in gola.

Diavolo, non era possibile. Quella donna, quella del sogno… era proprio davanti a me.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI° - E' lei! ***


Buongiorno! Eccomi puntuale con il sesto capitolo. Sarà ripetitiva ma ringrazio tanti chi ha scritto una recensione (sono fondamentali per chi scrive!), chi ha messo la storia fra le seguite e chi semplicemente la legge. Vi informo che sono arrivata ad un punto in cui mi è venuto un blocco (il famoso blocco dello scrittore!) per cui ho scritto direttamente il finale che è venuto abbastanza soddisfacente..spero vi piacerà. Comunque un passo alla volta. Alla prossima (credo mercoledì). Buona lettura

< Buongiorno dottoressa> mi risponde quella donna con un filo di voce.

Il suo volto trasuda preoccupazione per il suo cane che accarezza dolcemente con la mano per farlo stare tranquillo.

< Ragazzi, andate a controllare il paziente in sala visite 4. Se ho bisogno vi chiamo.> dico ai tirocinanti in modo da lasciarci sole.

Mi avvicino lentamente mentre il mio cuore è in subbuglio. Più di una volta, durante la sua ricerca, avevo pensato al modo in cui avrei reagito se l’avessi incontrata ma mai e poi mai avrei creduto che mi sarei completamente bloccata.

Con tutti i difetti che potevo avere, non mi era mai capitato di perdere le parole e di non reagire per emozione.

Certo che, ora che la guardo meglio, è più bella di quanto ricordavo: mora, capelli mossi lunghi fino alla spalle..lineamenti dolci e femminili che disegnavano un corpo mozzafiato. Non che quest’ultimo particolare fosse la prima cosa che guardavo in una donna perché quello che mi faceva più impazzire ed in lei in particolare, erano gli occhi.

I suoi, di occhi, di quel colore verde smeraldo..limpidi come un mare pulito e profondi come un pozzo senza fondo in cui mi ci sarei buttata all’istante, senza pensarci, appena il nostro sguardo si è incrociato per la prima volta.

Proprio quando ci siamo guardate in quel secondo è scattata dentro di me una molla e quello sguardo mi è entrato nelle viscere come una scarica elettrica senza controllo.

Per non parlare delle labbra, morbide, carnose…da godere nel baciarle…

Basta, in fondo stavo lavorando…. dovevo essere perfetta e professionale come sempre e poi non posso mica dimostrarmi un’incapace davanti ai suoi occhi?!

< Come..come posso…?> le chiedo ancora un po’ a disagio. Le parole per finire la frase rimangono sottointese: in quella stanza l’aria cominciava a diventare troppo dolce perle mie abitudini.

La donna mi guarda, stavolta per più tempo e mi perdo completamente in quei diamanti che mi pregano di aiutarla.

Con una forza di volontà immane distolgo lo sguardo da quella visione celestiale e vado alla scrivania per prendere il foglio del segnalamento. Da notare: una delle cose che odiavo di più era compilare le cartelle e fare l’anamnesi che delegavo sempre ai miei tirocinanti. Stavolta, invece, non mi pesava per niente.

< Mi servono i suoi dati e quelli del cane.> e le porgo il foglio per farle completare la prima parte con le generalità.

Scopro che si chiama Irene Scarsi, ha 29 anni ed abita a pochi chilometri dall’ospedale in una zona della città che frequento poco.

Irene, una volta riconsegnatomi i documenti, prende la parola per spiegarmi il motivo della suo arrivo:

< Il mio cane qualche anno fa ha ingoiato qualcosa, una spiga credo e da allora non respira bene. Il mio veterinario di fiducia lo sta curando col cortisone, un quarto di pastiglia al giorno, ma non c’è nessun miglioramento ed il mio piccolo fatica ancora  a respirare e spesso vomita schiuma.>

< Ho capito. Quanti anni ha il suo cane?>

< 8 .>

< Circa 3 anni.>

< Il suo veterinario ha effettuato qualche analisi in questo tempo? Gli ha dato qualche altro farmaco oltre al cortisone?>

< Non che ricordi...>

Annuisco mentre finisco di completare ogni voce del foglio del segnalamento con i dati del cane.

< Bene> commento alzandomi dalla scrivania < Vediamo cos’ ha questo piccoletto>.

Con cura effettuo una analisi generale del paziente che noi chiamiamo EOG (esame obbiettivo generale): controllo fra le altre cose linfonodi, mucose ed alcuni riflessi nervosi per valutare la recettività del cane.

Ammetto che molte di queste manovre non erano necessarie però mi piaceva che Irene vedesse in me un medico capace, preciso ed interessato alla salute del suo animale.

Infine, valutato che molti (quasi tutti) i parametri erano nella norma, passo al cosiddetto EOP (Esame obbiettivo particolare) dell’apparato respiratorio.

Dopo una attenta osservazione, infilo nelle orecchie le campane del mio fonendoscopio e valuto per alcuni  minuti con l’auscultazione i polmoni e le vie respiratorie profonde.

Noto dei leggeri sibili e dei rantoli che diventano più forti quando provoco nel paziente la tosse.

Ancora un controllo veloce al battito cardiaco e successivamente scrivo i dati rilevati sul foglio di prima, soddisfatta del quadro generale che mi ero appena fatta.

Irene mi ha guardato in silenzio per tutta la visita osservando con attenzione ogni mia mossa e, quando mi vede scrivere mi  chiede:

< E’..è tanto grave, dottoressa?>

Guardo il suo viso che, preoccupatissimo, emana una sensazione di dolcezza infinita incredibile. Per un attimo penso che l’unico modo per farla smettere di preoccupare sia baciare quelle labbra che mi sembrano un diavolo tentatore ma mi obbligo a piantarla con questi pensieri. Prima sistemo il cagnolino, poi penserò ad una maniera per entrare prepotentemente nella sua vita.

Come piano era semplice… si, più facile a dirsi che a farsi.

< Dottoressa..> mi richiama all’attenzione.

< Si scusi….> ed elargisco un dolce sorriso. Il secondo (o il terzo, ho perso il conto!) troppo mieloso per la persona che ero. Meno male che eravamo sole se no la mia reputazione qui in ospedale sarebbe già andata farsi fottere!

< Allora> continuo portandomi davanti a lei < intanto stia tranquilla non è così grave. Ho bisogno ancora di fare qualche analisi più approfondita ma sospetto una bronchite cronica.

La buona notizia è che potremo tenere sotto controllo questo problema con un trattamento farmacologico adeguato ma la cattiva è che purtroppo non potrà mai rimettersi completamente.

Comunque come le dicevo non si preoccupi, la sua qualità di vita rimarrà comunque ottima.

Il cortisone che le ha dato il suo veterinario è un antiinfiammatorio generico e, a lungo andare, il suo cane potrebbe avere altri problemi dovuti all’assunzione prolungata di questo farmaco. Comunque le spiegherò meglio il tutto quando ci saranno anche i risultati delle analisi.>

Finalmente un piccolo sorriso esce sul suo volto e penso che sia veramente un delitto non vederla sempre sorridere. Rispondo al sorriso e la sua mano prende la mia che teneva salda la cartella davanti al mio ventre mentre mi sussurra un grazie molto sentito.

Ora penso che un medico mi farebbe davvero comodo perché, il contatto delle nostre mani, mi sta provocando un infarto cardiaco.

Ritiro, quasi mi fossi scottata, la mano scusandomi e sento le guance bruciarmi quando Irene mi risponde con un altro sorriso. Ma che diavolo sto facendo? Franci..prima il cane poi la padrona…

Ma come faccio a resistere a quegli occhi e a quelle labbra..

Ho detto basta. Non è da te comportarti da pesce lesso!

Zittisco immediatamente la parte più dolce di me e ricomincio a parlare con il tono più professionale e serio che conosco:

< Adesso le mando una tirocinante per il prelievo di sangue e poi accompagnerà Puck giù in radiologia per una lastra al torace. Successivamente procederemo con un lavaggio broncopolmonare e una broncoscopia in modo da avere un quadro clinico completo.>

Irene annuisce leggermente più sollevata e mi affretto a chiamare il più bravo dei miei “idioti” per il prelievo.

Osservo con attenzione che non sbagli e, una volta eseguito, porta il campione in laboratorio lasciandoci nuovamente sole.

< Dottoressa?>

< Si?> mi giro immediatamente verso di lei con una mano già sulla maniglia della porta.

< Grazie mille, ancora.>

< Si figuri> le rispondo stavolta gonfiando il petto < è mio dovere.>

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII° - La telefonata ***


Buongiorno..anzi buonasera visto che è passata da poco la mezzanotte. Eccomi puntuale con la settima parte! Intanto, mi scuserete se sono ripetitiva, ma ringrazio tantissimo chi mi ha scritto una recensione, davvero di cuore, un grazie sentito anche chi ha inserito la storia fra le seguite e le preferite o chi semplicemente la legge. Seconda premessa, mi scuso per il capitolo precedente: l'ho messo di fretta perchè ero all'università e stava incominciando la lezione e per errore, il programmino NVU non mi ha copiato una battuta del dialogo fra Irene e Francesca. Appena me ne sono accorta ho riletto e corretto. (Comunque era una frase da niente..esattamente quando francesca chiede ad irene da quanti anni il suo cane aveva questa malattia..) Ok, detto questo, visto che mi sono allungata troppo, vi lascio al capitolo nuovo, un filo più lungo rispetto agli altri. Non vi faccio ancora gli auguri perchè posterò un capitolo anche alla vigilia..tanto per lasciarvi anche io un piccolo, misero pensiero. Bene, buona lettura e, come sempre, ogni recensione, ogni suggerimento, è più che gradito. A presto




Mi regala un altro sorriso prima che esca dall’ambulatorio. Ho bisogno di aria, di respirare ossigeno perché non so per quanto ancora potrò controllare le mie sensazioni. Quasi di corsa esco dall’ospedale da una porta secondaria ed inspiro a pieni polmoni aria pura.

Adesso però mi devo dare una bella calmata: ho fatto più sorrisi in questa mezz’ora che in un mese intero.

D’accordo era diventata un’ ossessione da settimane ma ora che l’ho conosciuta penso che l’avrei notata lo stesso… vorrei non perderla più ma devo, per una volta, lasciare che il tempo faccia il suo corso come mi dice sempre Valentina: “Se una cosa deve accadere non ci sono santi che tengano . Accade e basta.”

A proposito… glielo devo dire subito. Non mi sono mai sentita così su di giri per una donna che mi piace mentre lei non fa altro che impazzire quando vede un ragazzo appena appena decente.

Lei saprà sicuramente darmi buoni consigli e dirmi esattamente come mi devo comportare.

Prendo il palmare dalla tasca posteriore dei pantaloni del “green” e la chiamo senza esitazioni.

Uno. Due. Tre. Quattro. Al quinto Vale risponde:

< Ciao Vale sono io. Scusami se ti chiamo magari sei impegnata ma ho bisogno del tuo aiuto. Non sai cosa mi è appena successo..> le dico tutto d’un fiato senza lasciarla replicare.

< Francesca sei tu?> una voce maschile è all’altro capo del telefono.

< Si> rispondo con un filo di voce.

< Sono Andrea, Vale è uscita mezz’ora fa dall’albergo.>

< E ha lasciato il suo cellulare a te?>

< In verità l’ha dimenticato nella nostra camera>

< Nostra???>

Cosa?? Ha detto Nostra?? Mi rifiuto categoricamente di pensare che…. No, no. NO!! Vale non è così stupida da mettersi con questo cretino maschilista e pure maleducato.

< Si. Ci siamo messi insieme.>

Quella frase cade come una mannaia sulla mia testa. In queste 3 settimane che non la frequentavo più assiduamente si era realizzato il peggiore dei miei incubi: la mia migliore amica che si mette con questo... come posso definirlo… Maschilista? Idiota? Forse sono un po’ ripetitiva ma è la verità

Andrea è uno di quella sottospecie di Sapiens genere Homo (si fa per dire “Homo”) che usciva nella compagnia con lei, Giacomo e gli altri ed era quello che avevo inquadrato subito.

Un tipo tanto sicuro di se da meritarsi subito il soprannome di “Narciso” e che usava e buttava le donne a suo piacimento.

Poteva fare tutto quello che voleva con le sue amichette ma non con la mia Vale che sarebbe corsa sicuramente dalla sottoscritta quando questo cretino si fosse stancato e fosse ritornato a caccia di qualche altra sventurata.

Volevo che Vale trovasse il suo amore, che fosse felice ma ero strasicura che questo scapestrato non facesse per lei.

Dovevo fare qualsiasi cosa per impedire alla mia migliore amica di mettersi in un gran pasticcio ma come potevo fare? Vale mi parlava ormai col contagocce e non mi avrebbe dato retta se le avessi sputato in faccia questa verità che si rifiutava di vedere.

La conoscevo troppo bene per non sapere che avrebbe detto che ero solo invidiosa perchè si era innamorata e che ero talmente egoista ed egocentrica da volerla solo per me.

< Francesca..sei ancora li?> la voce di quel Andrea mi scuote.

< Si. Salutami Vale, ora devo tornare al lavoro> chiudo la chiamata senza che possa replicare.

Ci mancava solo questa: ero l’unica che poteva salvare la mia Vale dalle mani di quello senza fare troppo male al cuore della mia amica e contemporaneamente dovevo pensare a me, a quella donna Irene, che era entrata nella mia vita e dovevo trovare in fretta un modo per non farla uscire tanto facilmente.

Nel frattempo uno dei tirocinanti mi avverte che ci sono complicazioni con il cane avvelenato da stricnina e corro verso la sala visite.

Il cane ha un crisi e, con molta fatica, riesco a calmarlo riportando la situazione nella normalità e, giusto per scaricare un po’ di tensione, scaravento qualche tirocinante appena fuori la stanza per la loro negligenza.

In realtà non so neanche io perché ho urlato ma sapevo solo che ne avevo bisogno se no sarei scoppiata.

L’orologio a muro della sala d’aspetto dell’ospedale segnava ormai le 4 del pomeriggio ed in queste ultime ore era successo davvero di tutto.

Mi lascio andare un attimo su una delle sedie della sala d’aspetto riservata ai visitatori massaggiandomi con cura le tempie.

Chiudo gli occhi e, qualche secondo dopo, una mano sconosciuta si poggia sulla mia spalla ridestandomi da quell’attimo di pausa.

< Chi..> ero già partita in quarta per assalire verbalmente la persona che mi aveva disturbato ma appena mi giro rimango senza parole. E’ lei. Irene.

< Mi scusi..non volevo disturbarla..>

< No.. no. Non si preoccupi.>

< La stavo cercando.> e mi sorride.

Le faccio segno di accomodarsi di fronte a me e la osservo con attenzione:

< Mi ha trovato> le controbatto con un tono tranquillo.

< Niente, volevo sapere quanto ci vorrà per quegli esami. Sa, comincio a lavorare fra un’ora e non posso proprio ritardare.>

Quella era la mia occasione, non sapevo perché, ma il mio istinto mi diceva così:

< Sono troppo indiscreta se le chiedo che lavoro fa?>

< Oh no, si figuri. Lavoro come cameriera in un ristorante della città ma è del tutto provvisorio. Mi sono laureata in filosofia qualche anno orsono e aspetto che la scuola mi dia la possibilità di insegnare ai ragazzi una materia così meravigliosa come la filosofia. La amo e amo insegnare. Se tutto va bene a settembre dovrei entrarci..incrocio le dita.>

Sarò noiosa ma ogni secondo che passo accanto a questa donna mi sembra unico e meraviglioso…

< Che bellissimo mestiere…> commento

< Oh..non quanto il suo! Lei è un medico straordinario, aiuta gli animali… io non sarei in grado neanche di sopportare un pochino di sangue…>

< Non dica così. E poi anche lei, donando ai ragazzi il suo sapere, li aiuterà a vedere il mondo con altri occhi, a ragionare su tutto quello che ci sta intorno, ad abituarli a chiedersi il perché delle cose. Almeno, penso sia così. Quando ho fatto anni fa le superiori, questa materia, oltre a filosofi un po’ matti e fuori dal mondo, mi ha lasciato questo modo di ragionare.>

Mi guarda sorpresa e stavolta sono io ad aver bisogno assolutamente un contatto fisico: le prendo la mano con la mia e continuo a parlarle:

< Comunque ci vorrà ancora un po’, purtroppo. Facciamo così. Lei vada pure al lavoro, ci penserò io a Puck fino a quando lei non termina di lavorare e lo viene a riprendere. Tanto stacco domani mattina alle 8…spero per quell’ora di rivederla, se no inizierei seriamente a preoccuparmi che qualche mal intenzionato l’abbia rapita.>

Irene ride e la sua risata mi contagia scaldandomi il cuore:

< Davvero lo farebbe? Guardi che finisco veramente tardi.> mi chiede felice. Annuisco facendole capire che non c’è nessun problema.

< La ringrazio> eccolo, un altro di quei meravigliosi sorrisi. Penso che se lei è veramente il mio destino non mi stancherò mai di vederla sorridere così.

< Ad una condizione però..> Irene mi osserva confusa < Che d’ora in poi ci diamo del tu.>

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII° - Primi passi ***


Buongiorno a tutti i miei lettori. Oggi è la vigilia di Natale e, come promesso, eccomi puntuale con il mio personalissimo regalo. Vi auguro di trascorrere delle serene vacanze con le persone che amate di più. Se il panettone non mi va di traverso, penso di postare il prossimo capitolo prima della fine dell'anno, il 29 credo..massimo 30 dicembre. Sperando che vi piaccia ringrazio tantissimo chi ha recensito, chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate o le seguite e chi semplicemente la legge. Oggi non mi dilungo tanto perchè ho il pranzo da preparare per domani e sono di corsa. Ancora Buon Natale, anche da Franci, Irene e compagnia bella.

Quel pomeriggio non ho mai lavorato tanto in vita mia. Sono arrivate un sacco di urgente e noi strutturati non riuscivamo ad avere neanche un secondo di tregua.

Fra i tirocinanti da seguire ed i pazienti da curare, facevamo la spola fra la sala operatoria e le sale visite tanto che le porte continuavano ad aprirsi come quelle di un grande centro commerciale.

Cominciavo a sentire venir meno le forze ed i piedi iniziavano a protestare ma quello che mi importava era che le mani e la testa lavorassero sincronizzati e perfetti come sempre.

E poi c’era quella promessa che dovevo assolutamente mantenere: quando ho capito che il pomeriggio non preannunciava niente di buono, ho affidato il cane di Irene a Giulia, un’altra dei miei tirocinanti migliori, quella che già gli aveva fatto il prelievo e che l’aveva portato a fare le lastre.

L’avevo catechizzata per bene dicendole che doveva trattare quel cane come se fosse il suo, non mollandolo un secondo e che tutto il suo periodo di tirocinato sarebbe dipeso da come si fosse comportata.

C’ero andata giù pesante e avrà pensato che proprio ero una tipa lunatica e tutta matta ma non potevo permettermi di fare passi falsi, non adesso che stavo instaurando un minimo di rapporto più intimo con quella stupenda ragazza.

Al sol pensarla sorridevo, come in questo momento, che stavo ricucendo la matassa intestinale di un doberman che aveva avuto la brillante idea di ingurgitare con un pezzo di metallo che gli aveva perforato parte dell’apparato digerente.

Dopo aver concluso l’ennesima operazione con successo, uscivo per la milionesima volta dalla sala operatoria ed il famoso orologio in sala d’aspetto segnava le 21.50.

Avevo saltato pranzo e cena e forse era il caso che mi prendevo un attimo per mettere sotto i denti qualcosa prima che un calo di zuccheri mi potesse mandare a gambe all’aria.

Avviandomi alle macchinette do un’occhiata al blackberry e ci trovo una chiamata senza risposta ed un messaggio, entrambi di Vale.

Il messaggio recita:

“ Ciao. Andrea mi ha raccontato… volevo essere io a dirti della nostra storia. Sono felice! Lui è proprio il ragazzo che cercavo. A presto.  P.S. Dai un bacio da parte mia al mio Bakino!”

Già Baki! Al mattino l’avevo lasciato nel canile (di cui ero una delle responsabili) adiacente all’ospedale dove poteva mangiare, dormire e divertirsi insieme agli altri cani, molti dei quali si stavano riprendendo da operazioni chirurgiche.

Ritornando a Vale, non riuscivo ancora a credere a quello che era successo: Andrea l’avrebbe tradita presto, ne ero certa e stavolta non sarebbe stato semplice farla riprendere dalla batosta che si era andata a cercare.

Intanto, approfittando di questa pausa, stavo cercando Giulia per fare a Puck la broncoscopia, l’ultimo esame che avevo prescritto.

Per fortuna ero riuscita verso le 6 e mezza a trovare una mezz’ora di tempo per eseguire il lavaggio broncopolmonare, il cui campione era già al sicuro in laboratorio pronto per essere analizzato.

Forzando un po’ la mano con il responsabile, mi ero fatta promettere che i risultati sarebbero arrivati già a fine serata ed era una grande notizia visto che, di solito, ci volevano 3-4 giorni per averli.

Finalmente trovo Giulia e ci organizziamo per questo ultimo esame che mi conferma completamente la diagnosi che avevo fatto quando avevo visitato il cane la prima volta.

Verso mezzanotte, ritiro personalmente tutti gli esami di laboratorio e messa in ordine la cartella, mi apparto con Puck in una delle sale visite in attesa che la sua padrona ritorni dal lavoro.

Alle 3 di notte qualcuno bussa alla porta.

- Avanti..- rispondo ancora mezza addormentata mentre il cane mi aveva imitato.

- Dottoressa? Irene Scarsi la sta cercando. Devo farla passare?-

- Certamente!- rispondo secca mentre ero già scattata in piedi e mi stavo dando una sistemata.

La ragazza entra nella sala e Puck, appena la vede, si sveglia andandole incontro per farle le feste. Puck…non sai quanto ti sto invidiando in questo momento…

Mi scuoto da quel pensiero…. adesso ero gelosa anche di un cane!

- Ciao piccolo mio. Sei stato bravo vero? Si, sono sicura di si… sei un bravo cucciolo.- il suo sguardo incrocia il mio e aggiunge:

- Non so come ringraziarti. Spero non ti abbia dato problemi..-

- E’ andato tutto bene e Puck è stato bravissimo- le rispondo avvicinandomi a lei con la scusa di accarezzare il cane - E’ un ottimo paziente-.

Mi perdo di nuovo nel suo sorriso e invidio ancora Puck quando riceve un bacio sulla testa dalla sua padrona.

- Allora..- commento schiarendo la voce e prendendo la cartella clinica - nonostante la giornata da incubo, sono riuscita ad eseguire tutti gli esami che confermano quello che ti avevo detto oggi pomeriggio. Per fortuna è anche meno grave di quello che pensavo, comunque inizieremo subito la cura per tenere questa bronchite sotto controllo.-

- Quindi basta cortisone?- mi chiede lei

- Direi proprio di si.- le rispondo sorridendo e sedendomi sulla scrivania.

- Ottimo Puchino…hai visto? Ora starai molto meglio, grazie a questa bravissima dottoressa.-

Il cane scodinzola felice leccandola in viso mentre Irene non sembrava mostrare nessun tipo di stanchezza benché fosse veramente tardi.

- Francesca senti… posso offrirti almeno un caffè? Mi sembra il minimo dopo quello che hai fatto per noi.-

- Volentieri, grazie- le rispondo felice.

Ci avviamo insieme a Puck verso le macchinette. I corridoi degli ospedali sono praticamente deserti ed i nostri passi rompono un silenzio insolito, qui dove c’è sempre un via vai tremendo.

Preso il caffè, ci sediamo attorno ad un tavolino adiacente mentre il cane è disteso per terra di fianco alla sua padrona e dorme.

- Immagino che questo lavoro ti impegni tantissimo- mi domanda lei soffiando sul caffè per farlo raffreddare.

- Dipende. Certi turni come quello che sto facendo oggi di 24 ore sono davvero pesanti ma non posso lamentarmi: amo il mio lavoro e anche se non sembra, ho abbastanza tempo libero per fare le mie cose.-

- Che bello. Fai un lavoro stupendo. Credo che io non reggerei neanche 5 minuti qua dentro… sangue, aghi..che impressione- mi risponde facendo una faccia disgustata che fa molto ridere.

- Per così poco… il meglio di questo lavoro è nelle sale operatorie!- la prendo in giro sorridendo.

- Non dirmelo ti prego. Sono una fifona.- mi risponde arrossendo completamente.

- Raccontami un po’ di te- le chiedo cambiando discorso, attratta completamente dal suo modo di essere timido e dolce.

- Di me?- mi chiede meravigliata - Vediamo…del lavoro te ne ho già parlato oggi. Quindi… posso dirti dove vivo...- Annusco invitandola a continuare.

-Allora vivo in questa città insieme ad un’altra ragazza, si chiama Paola.-

- Ah si?-

- Già! Dividiamo un bilocale poco distante dal qui. E’ la mia migliore amica e mi da sempre un sacco di consigli utili. E’ una ragazza in gamba, a volte è un po’ troppo sbrigativa nelle cose ma la considero come una sorella maggiore.

Devi sapere che sono molto distratta e costantemente insicura nelle scelte che faccio e Paola mi sgrida continuamente. Non ridere, ma un giorno sono stata mezz’ora davanti al banco frigo del supermercato perché non riuscivo a scegliere che tipo di formaggi comprare. Se non era per la mia amica probabilmente ero ancora li!-

- Sembrate davvero molto legate, come lo siamo io e Valentina, la mia migliore amica. E’ sempre sulle nuvole, solare, esuberante ma allo stesso tempo molto dolce e sensibile. Forse un po’ troppo. Non ti dico le volte che si è cacciata nei pasticci e sono dovuta intervenire per toglierla dai guai. E’ un uragano di vita.-

- Mi somiglia parecchio allora.- mi risponde allargando uno di quei sorrisi che mi fanno venire un’ infarto all’istante. Annuisco cercando di restare calma.

- Come oggi per esempio- continuo - Si è messa con un cretino che di mestiere fa il “Casanova” e non mi va che questo si permetta di trattare la mia amica come fa con le altre. So che appena la lascerà, perché succederà, Valentina sarà distrutta e toccherà a me raccoglierne i pezzi.-

- Accipicchia… anch’io ho il potere di innamorarmi sempre dell’uomo sbagliato.- mi risponde triste, sospirando lungamente.

- Quindi… non stai con nessuno in questo momento? -

Mi risponde facendo no con la testa. Bene, un problema in meno.

- Non fare così- cerco di tirarla su di morale - sei una ragazza molto carina e intelligente, prima o poi la persona giusta arriverà.- aggiungo fiduciosa di essere io quella persona.

- Speriamo..- sussurra accennando un altro piccolo sorriso.- e tu?-

- Anch’io non ho nessuno ma spero possa esserci presto. C’è una persona che mi piace.-

- Davvero?-

- Si,l’ ho conosciuta da pochissimo ma è un po’ complicato..-

Gli occhi di Irene mi guardano curiosa ma la voce di Matteo ci disturba:

- Dottoressa, scusi. E’ arrivata un’emergenza.-

- Arrivo subito, comincia tu.- gli rispondo alzandomi e buttando nel cestino il bicchierino vuoto del caffè.

Matteo si allontana lasciandoci nuovamente sole:

-Scusami..il lavoro mi chiama- le dico con un po’ di delusione

- Non devi scusarti. E’ stato un piacere conoscerti.-

- Già. Anche per me.- le rispondo sincera.

Improvvisamente mi abbraccia e rimango inerme.

Una cascata impressionante di emozioni invade il mio corpo: posso sentire per la prima volta il suo profumo che sa di pesca appena colta ed il suo corpo contro il mio mi blocca il respiro tanto che mi ricordo a malapena di deglutire per non soffocare.

Quando ci allontaniamo ho subito una sensazione strana, mai provata, come se mi mancasse qualcosa.

Ripenso subito a questa mattina quando tutto è iniziato. Quel sogno che mi aveva ossessionato fino ad ora aveva un nome, un volto, una voce ed un profumo che mi stava mandando in tilt.

Se prima poteva essere scambiato come un capriccio..quell’abbraccio, mi aveva confermato che per quella ragazza sentivo un’attrazione particolare che aveva un nome ma che rifiutavo ancora di pronunciare.

- Allora..io vado- le dico allontanandomi da lei.

Alzo una mano per salutarla e quando mi volto impreco contro me stessa: perché non le ho chiesto un numero di telefono? Perché non le ho chiesto di uscire o qualcosa del genere?

Accidenti, di solito non mi faccio molti problemi con le altre…

Già…di solito. Me lo dovevo scordare questo avverbio perchè Irene non era come le altre..era l’unica che in 31 anni della mia vita mi aveva fatto provare sensazioni così intense da impedirmi di ragionare lucidamente  come ero solita fare.

Sto per prendere il corridoio quando la sua voce mi chiama:

- Francesca?-

- Si dimmi- scatto girandomi nuovamente verso di lei.

- Domenica sera inaugurano una sala nuova dove lavoro e stiamo organizzando una piccola festa… se non lavori e non hai niente da fare…- mi chiede con un pizzico di imbarazzo

Questa non me l’aspettavo. Ci metto qualche secondo a metabolizzare e a rispondere:

- Domenica sera? Non lavoro- ed era una grossa bugia - Verrò volentieri.- aggiungo sorridente.

Irene si avvicina lasciandomi il biglietto d’invito con l’ora di inizio e l’indirizzo del posto.

Un ultimo sorriso e poi lei e Puck si dirigono verso l’uscita sparendo dalla mia vista.

Rimango ad osservarli con il biglietto in mano mentre sento in lontananza Matteo che mi chiama urgentemente.

Mi riscuoto mettendo il biglietto in tasca al sicuro e corro verso la sua direzione. Come primo vero incontro non potevo certo lamentarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX° - Anime platoniche ***


Buonasera a tutti. Non pensavo di riuscire a postare oggi il nono capitolo perchè ieri ero preocchè un cadavere. Un malanno mi ha ridotto a letto e ha rallentato la stesura del capitolo ma oggi sono riuscita a finire di correggerlo. Grazie a caso, ho corretto anche il capitolo precedente dove mancavano certe frasi. Purtroppo la colpa non è mia ma del sistema..ora ho provato a mettere i dialoghi fra le barrette, speriamo non diano più guai. Questo capitolo è molto lungo...avrei voluto dividerlo in due ma alla fine ho preferito inserirlo lo stesso. Per il prossimo dovrete aspettare un po' di più mi sa, spero per di postarlo tra il 4-5 di gennaio. Ringrazio ancora una volta, a costo di essere ripetitiva, chi mi legge, chi ha messo la storia fra le seguite, ricordate e preferite e soprattutto le mie meravigliose ragazze che recensiscono. Grazie davvero, di cuore. Con questo finisco facendogli gli auguri per un grande 2011. Ci vediamo il prossimo anno!

E’ quasi sera quando mi risveglio nel mio letto matrimoniale con Baki sui piedi.

Avevo proprio bisogno di questo sonno ristoratore per poter riflettere con lucidità su quello che era accaduto solo il giorno prima.

Sul comodino custodivo gelosamente il biglietto da visita che mi aveva lasciato Irene e già non vedevo l’ora che arrivasse domenica.

Non dovevo aspettarmi chissà cosa ma il suo gesto era stato veramente carino e forse era l’ennesimo segno del destino per per noi due aveva disegnato qualcosa di molto speciale.

Ma quando mi sono accorta che quella notte lavoravo, ho dovuto correre ai ripari andando a chiedere al direttore del reparto un giorno di ferie.

La possibilità di scambiare il turno con un collega non mi è passato neanche nell’anticamera del cervello: a circa il 90% di loro avevo sempre detto no e non ero così faccia tosta da andare adesso a chiedergli un favore invertendo i ruoli.

Questa cosa mi stava facendo riflettere molto: Vale allora non aveva così tutti i torti…

Vale! Diavolo, adesso c’era anche questa grana. Proprio adesso doveva cacciarsi nei guai quella matta della mia migliore amica.

Guardo l’orologio che segna le 8 di sera. Era martedì e fra meno di un’ ora c’era la partita di coppa campioni in tv: l’appuntamento con la mia squadra del cuore, una birra ed il mio divano preferito era una tradizione a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo.

Durante la gara ricevo un messaggio di Vale: “Vengo a prendere Baki verso le 11.30 se sei a casa”

Le rispondo di si.

Speravo con tutta me stessa che fosse venuta da sola in modo da portele parlare davanti ad una tazza di caffè di Andrea, di Irene e della nostra amicizia. Al diavolo l’orgoglio, dovevo assolutamente chiarire.

Alle 11.48 Vale suona al citofono e la invito a salire.

Appena Baki vede la sua padrona si mette a saltare con un pazzo e non posso che sorridere nel vedere quella scena.

- Ciao- la saluto abbracciandola.

- Ciao-

- Com’è andato il viaggio?-

- Meraviglioso. Il convegno è andato alla grande e stare insieme ad Andrea è stupendo. E’ un ragazzo incredibile-

- Già..- rispondo cercando di nascondere malamente i miei dubbi. - Sei sicura di quello che stai facendo, si?-

- Francesca non incominciare. Non voglio litigare anche con te di Andrea, mi basta già mia madre che è letteralmente sclerata quando gliel’ho detto!-

- Questo dovrebbe farti pensare..- mi giro ed il suo sguardo inceneritore mi invita caldamente a cambiare argomento.

- Ok, ok…- aggiungo-  sei sola o ti aspetta giù?- le chiedo avviandomi in cucina.

- E’ andato a casa sua, aveva delle cose da fare-

“Certo” penso “dovrà chiamare le sue amichette per metterti subito le corna”

Pensare che questo poteva essere la realtà mi mandava in bestia ma mi stavo trattenendo con tutte le forze per non farlo vedere a Vale.

- Allora siediti che ti faccio un caffè- le rispondo accendendo la macchinetta.

- Novità?-

- Una ci sarebbe…- ritrovo il sorriso pensando ad Irene.

- Cioè?-

- Ho conosciuto la donna del sogno- le dico girando il viso per mostrarle la mia felicità – e domenica mi ha invitato all’inaugurazione del locale dove lavora-.

- Ma dai? E meraviglioso! Allora com’è? Racconta, voglio tutti i particolari.-

Valentina si siede meglio ed ascolta con attenzione il mio racconto con dovizia di particolari.

- E’ stupendo- mi dice alla fine con sguardo sognante.

- Frena. Non sarà tanto semplice e non voglio rovinare tutto. E’ ancora tutto prematuro… e poi me l’hai detto tu “ Se una cosa deve accadere non ci sono santi che tengano. Accade e basta.-

- Ti piace davvero tanto vero?- mi chiede seria.

- Si. Non so che incantesimo mi ha fatto ma è un miracolo che non abbia fatto dei pasticci al lavoro. Ha il potere di mandarmi arrosto il cervello.-

Vale si alza e mi abbraccia. Quel gesto così sincero mi riempie di gioia e mi scalda tremendamente il cuore.

- Sono davvero contenta per te.- mi dice sorridendomi.

- Vale..-

- Si?-

- Non sono brava in queste cose lo sai ma io…io…-

- Tu cosa?- mi invita a continuare accennando un sorriso sincero.

- Io ho forse esagerato ogni tanto..con il mio comportamento intendo.. e poi da quando abbiamo discusso ho passato giorni difficili, non è lo stesso senza te e così..penso… penso che..-

- Dottoressa Morticone mi sta dicendo forse, e dico forse, che le sono mancata e che mi deve delle scuse?- mi chiede facendomi il verso.

Sbuffo mentre Valentina scoppia a ridere vedendomi così impacciata a fare una cosa assolutamente lontana dal mio stile, quale fare scusarmi ed ammettere a voce alta che lei mi era mancata.

- Si, accidenti. Mi sei mancata da morire e devo ammettere che non avevi tutti i torti. Ora sei contenta?- le rispondo un po’ arrabbiata per la sua reazione.

Un abbraccio sincero da parte della mia amica risponde a tutte le mie domande e sancisce finalmente la nostra pace. Mi guarda con gli occhi umidi e fatico molto a contenere la mia emozione nel vederla così felice.

- Sono perdonata, allora?- le chiedo sorridendo.

- Nonostante tu sia la donna più testarda, permalosa e cocciuta che conosco si, sei perdonata..- mi risponde baciandomi sulla guancia - e vedi di rigare dritto d’ora in poi se vuoi conquistare il cuore della tua bella-

Scoppiamo a ridere entrambe mentre nell’altra stanza sento un rumore purtroppo famigliare:

- Bakiiiiiii- urlo correndo nell’altra stanza.

Vale corre dietro di me ridendo divertita. Acchiappa Baki prima che possa finire fra le mie mani e guardo sconsolata il vaso di vetro di Venini a terra ridotto in mille pezzi che quel delinquente aveva fatto cadere.

Mi metto le mani sul viso mentre Vale mi saluta e coglie l’occasione per darsela a gambe col suo cane prima che gli facessi fare una brutta fine.

“ Giuro che se mi trovo un’altra volta sola con lui, lo strozzo!” penso mentre sconsolata ripulisco il danno.

 

Qualche giorno dopo era finalmente arrivato il giorno dell’appuntamento, se così si poteva chiamare, e mi stavo preparando con largo anticipo nonostante mancassero ancora due ore alle 8.30 .

Non stavo più nella pelle e avevo un gran bisogno di rivederla, di avere anche solo un piccolo contatto fisico che potesse placare un po’ la mia voglia di lei.

Una lunga doccia bollente unita alla crema al burro di karitè, preziosa crema che conservavo come una reliquia e usavo solo per le grandi occasioni, erano quel che ci voleva per farmi rilassare e proseguo la preparazione andando in camera a scegliere con cura gli abiti da indossare.

Dopo un po’di esitazione, decido per un jeans chiaro ed una camicia nera che mettevano in risalto il mio fisico asciutto da atleta consumata.

Infatti erano passati due anni da quando avevo smesso di giocare a calcio, proprio nel momento in cui mi avevano proposto il posto di strutturata all’ospedale che ambivo dal mio periodo di tirocinato.

In questo paio d’anni avevo continuato a tenermi in forma con qualche seduta di palestra ma presto avevo  scoperto che i turni all’ospedale erano il miglior allenamento possibile.

Completo l’opera con una felpa di lana con una cerniera sul fianco e col collo alto e finalmente sono pronta per uscire.

Prima di arrivare a destinazione mi fermo a comprare un mazzo di fiori per il proprietario del locale, giusto per non fare brutta figura.

Parcheggio poco lontano dal ristorante dove all’ingresso intravedo un piccolo gruppo di ragazzi che sta aspettando di entrare.

Mi do un’ultima occhiata nello specchietto retrovisore che mi restituisce una immagine di me abbastanza soddisfacente e mi incammino verso il posto.

Dopo ogni passo che mi avvicina alla meta, sento il cuore accelerare di un battito e cerco di calmarmi respirando profondamente così come mi aveva insegnato un vecchio amico che faceva yoga.

Arrivata al locale, entro mostrando l’invito e cerco subito con gli occhi Irene fra la massa di persone che già stanno affollando il buffet.

Quando sto per rassegnarmi, la vedo finalmente nell’angolo più lontano che sta parlando con una ragazza dai capelli neri raccolti in una coda di cavallo.

Mi avvicino a loro destreggiandomi fra la calca di persone che occupa il centro della sala e le raggiungo con un bel sorriso.

- Buonasera..- le saluto quando sono a meno di un metro.

Irene si gira sorridendomi:

- Ehi, ciao. Come sono felice che sei riuscita a venire..- mi risponde baciandomi le guancie. Quel gesto mi fa arrossire vistosamente e cerco invano di mascherarlo coprendomi con il collo alto della maglia.

- Certo che fa un caldo qui..- provo a dissimulare.

- Francesca, ti presento Paola, la mia coinquilina.-

- Certo. Mi ricordo. Piacere mio- rispondo stringendo la mano della ragazza che mi rivolge uno sguardo interrogativo.

- Pa, questa è Francesca. E’ la dottoressa che ha visto Puckino l’altro giorno-

- Ah..- commenta fingendo un piccolo sorriso.

- Già. A proposito, come va la nuova terapia? Sono passati pochi giorni ma qualche effetto dovrebbe già vedersi..-

- Si si- mi risponde Irene con un altro dei suoi splendidi sorrisi - Va benone. Ha più voglia di giocare, di camminare e di fare disastri. Ancora grazie.-

- Smettila di ringraziarmi, ho solo fatto il mio lavoro- le rispondo mentre Paola si allontana da noi con la scusa di salutare un suo amico.

- Adesso che mi ci fai pensare.- mi dice - Quando sono andata allo sportello per pagare il ticket mi hanno detto che era già tutto saldato. Penso ci sia stato un errore…-

- No, Irene. Nessun errore. Puck è stato visitato come se fosse il cane di uno di noi medici e quindi la sua visita è diventata a scopo didattico e come da regolamento interno è gratis.-

La ragazza mi guarda ancora dubbiosa e proseguo aggiungendo:

- Mi sono permessa di inserirti come mia parente.-

- Non so cosa dire…grazie.. non dovevi- mi risponde imbarazzata.

- Ho detto basta ringraziamenti. E’ una cosa che faccio spesso- ed era una bugia, era la prima volta che mentivo e facevo gli interessi del cliente invece che dell’ospedale - e poi..siamo sulla strada per diventare amiche no?-

- Certo.-

- Bene, allora è tutto a posto- le rispondo accarezzandole il braccio.

Per il resto della festa rimango al fianco di Irene che mi presenta un sacco di persone fino a quando, a notte inoltrata, l’inaugurazione finisce e rimango fuori dal locale ad aspettarla.

Nell’attesa mi prendo una sigaretta. Due boccate d’aria viziata potevano aiutarmi a distendere un po’ i muscoli. Era stata una bella festa tutto sommato, soprattutto verso fine serata quando i superalcolici giravano a fiumi.

Non fumavo spesso, un paio di sigarette al giorno al massimo, non di più e solo quando ero molto nervosa.

Appoggiata con la schiena contro il muro e con il filtro della sigaretta in bocca, non mi accorgo dell’uscita di Irene che si avvicina a grandi passi verso di me.

- Ehi..mi hai aspettata...è molto tardi.- mi dice posizionandosi davanti a me.

- Ehm..si. Mi faceva piacere. Facciamo due passi, ti va?- le rispondo espellendo successivamente l’ultima boccata di fumo.

Irene annuisce ed incominciamo ad incamminarci sulla strada. Il freddo della notte si faceva sentire e, una volta buttata la sigaretta finita, mi stringo nel cappotto di lana con le mani in tasca per restare al caldo.

- E’ stata una bella festa. Sono felice di essere venuta.-

- Già. Luca (il proprietario del locale) è un grande organizzatore di eventi. Mi piace come gestisce il suo lavoro ed è un datore serio e attento ai suoi collaboratori. Mi piace lavorare qui.-

- Da quel poco che l’ho conosciuto, mi sembra una persona a posto. Mi sbaglierò ma ho notato anche che gli piaci molto.-

- Ma dai! Non è vero!- mi risponde diventando tutta rossa.

- Sarà. Ma quando ti guardava faceva gli occhi a cuoricino.-

- Dici? Comunque non mi interessa, non è il mio tipo.-

- E allora com’è il tuo tipo?- le chiedo con molto interesse ma cercando in tutti i modi di nasconderlo.

- Semplicemente il mio tipo non esiste o se esiste è sicuramente gay- mi risponde sospirando.

- Allora se credi che non esista prova a descrivermelo… magari ne conosco uno io-

-Vediamo… intelligente, sarcastico, sicuro di sé tanto da, a volte, sembrare cocciuto ma allo stesso tempo dolce, sensibile, attento ai miei bisogni e con un cuore unico e meraviglioso.-

- Si, hai ragione. Un uomo così non esiste.- e ridiamo insieme.

- E tu invece?-

- Il mio uomo ideale dici?- Irene annuisce.

- Anche il mio non esiste e non esisterà mai ma per altri motivi-

-  Perché dici così?- mi chiede un po’ spaesata.

- Diciamo che semplicemente non esiste nessun uomo capace di tenermi testa e non mi piacciono i rammoliti. E come ti ho detto prima, sono più cocciuta di un mulo quando mi ci metto.-

- Quindi non vuoi innamorarti?-

- Si, lo voglio più di ogni altra cosa.- rispondo semplicemente lasciando la frase a metà perchè proprio non mi dava di dirle in quel momento che ero omosessuale e che mi interessavano le donne come lei.

Semplicemente pensavo che non avessimo ancora raggiunto un punto di confidenza tale da poterglielo dire senza che lei scappasse a gambe levate.

La pazienza è la virtù dei forti e questa massima l’avevo imparata per bene sulla mia pelle durante tutta la mia vita.

Proseguiamo per il resto del tragitto in silenzio, ognuna con i propri pensieri fino a quando ci ritroviamo davanti al locale.

- Allora..eccoci qui. Grazie per la bella serata.- le dico prendendo dalla tasca le chiavi dell’audi.

- Grazie a te per essere venuta e della compagnia. Mi piace stare con te…ci vediamo presto ok?- mi risponde avvicinandosi a baciarmi le guancie.

- Certamente. Lavoro permettendo. Allora..ciao-

- Ciao-

Ci salutiamo con un pizzico di malinconia e mi allontano verso l’auto mentre con la coda dell’occhio non la perdo di vista.

Entro nell’abitacolo e metto in moto passando davanti a lei. Abbasso il finestrino:

- Ti serve mica un passaggio?-

- No, grazie. Aspetto Paola che si è presa la mia macchina. Sta arrivando.-

- Sicura? Non c’è problema.-

- Non preoccuparti, sarà qui a minuti.-

- Allora aspetto con te così non rimani sola-

- Ma no, tranquilla. Vai pure, domani devi lavorare e devi essere in forma-

In quello stesso istante una macchina arriva dietro di me a tutta velocità:

- Eccola.- Ci salutiamo mentre riprendo la strada di casa.

Tutto sommato la serata era andata benone. Irene mi piaceva ogni minuto di più e quella passeggiata, da sole, mi aveva davvero fatto stare bene.

Era davvero bello stare con lei e più di tutto mi colpiva il suo modo pacato e gentile con cui affrontava le situazioni.

Se Platone aveva ragione e all’inizio del tempo la perfezione era rappresentata da 2 esseri umani che insieme possedevano tutte le qualità, Irene era sicuramente quella parte opposta che mi mancava.

Ci sarebbero volute diverse settimane, forse mesi, ma dovevo provarci. .. in fondo nella vita non c’era davvero posto per i rimpianti.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X°- Non sempre si usa la testa ***


Eccomi col nuovo capitolo. Sarò previssima. Ringrazio nuovamente tutti i miei lettori e spero di non deludervi con questa nuova parte. Come dicevo a chi ha recensito, qualche giorno fa ho finito di scrivere tutto il racconto per cui, forse, posterò con più frequenza..vedremo sto ancora meditando. I capitoli sono 16, alcuni saranno molto lunghi, quasi doppi e lo ammetto..forse sono stata un po' cattiva con le protagoniste della storia..quindi vi avviso, preparatevi un po' a soffrire. Quindi su il sipario ed eccovi il capitolo. A presto. P.s. Prossimo capitolo, l'undicesimo, lo posterò sicuramente dopo le feste, l'8 o il 9 gennaio.



Nella settimane seguenti quella fredda sera autunnale, la mia vita sembrava avesse preso finalmente una  svolta decisa: al lavoro cercavo di dare il meglio di me stessa senza prendermela troppo con colleghi e tirocinanti e la cosa sembrava funzionare bene. In più sentivo odore di promozione e nei corridoi dell’ospedale circolava sempre più costantemente, la voce che il direttore sanitario mi avrebbe presto dato il posto di primario del reparto d’urgenza e di responsabile unico del programma di tirocinato.

Erano in pochi quelli che si potevano vantare di aver ottenuto un posto del genere alla mia età e poi qualche centinaio di euro in più nella busta paga non mi facevano di certo schifo.

Così, risolti i problemi di ambizione e conto in banca, rimaneva un unica grande grana: Andrea…senza contare Irene.

Con Vale i rapporti erano tornati come un tempo e per un po’ avevo provato ad accennarle l’eventualità che il “coso”…dovete perdonarmi, non riesco a chiamarlo uomo… con cui stava era a dir poco un malandrino in fatto di donne ma il tutto si risolveva sempre con una mezza litigata e con un cambio di discorso.

Dall’altra parte, invece, con Irene erano tutte rose e fiori.

Uscivamo spesso insieme ma quasi sempre in compagnia di altra gente. Il più delle volte c’era anche Paola, la sua coinquilina, che mi guardava sempre strano come se non si fidasse completamente di me. Dai discorsi di Irene, sapevo che lei come nessun’altro, influiva nella vita della ragazza che mi piaceva e mi stavo dannando l’anima per risultarle, quando meno, passibile.

L’impresa, però, era veramente ardua!

Ma stare con Irene era stupendo, vederla sorridere e diventare rossa in viso come una liceale alle prime cotte quando qualcuno le faceva anche solo mezzo complimento.

La spiavo di nascosto quando non guardava dalla mia parte e l’adoravo quando si perdeva nei suoi discorsi e sembrava vivere nelle sue favole, spensierata e felice come una bambina, nonostante Paola la invitasse ogni volta a restare con i piedi per terra.

Semplicemente mi sentivo me stessa quando ce l’avevo a fianco e persa quando non c’era. Era fin troppo chiaro il segnale che il mio cuore mi stava mandando.

Se quella del sogno, destino o non destino, poteva sembrare un capriccio, adesso che l’avevo conosciuta non lo era più.

< Dottoressa..?>

Mi giro sospirando verso quella voce che aveva preso l’abitudine di risvegliarmi sempre nel mezzo dei miei pensieri e che oramai sognavo anche di notte:

< Dimmi Matteo.. anzi no, fammi indovinare: è arrivata un’emergenza!> gli rispondo sarcastica.

Lo vedo annuire e mi faccio forza per seguirlo: stava calando la sera e fra poco l’ennesimo turno sarebbe finito.

La serata non prospettava niente di buono perché era il compleanno di Giacomo che mi aveva invitato alla sua festa per far piacere a Vale e avrei rivisto tutta quella banda di scansafatiche tra cui Andrea che non avrebbe perso l’occasione per mettere in mostra la sua nuova conquista cioè Valentina.

- Santa. Ecco cosa mi fanno- dico ad alta voce mentre Matteo si gira nella mia direzione guardandomi pensieroso.

- No, no, non preoccuparti non ce l’avevo con te e con i tuoi colleghi anche se la mia pazienza con voi si avvicina davvero a quella di una santa.-

 

Qualche ora più tardi stavo giusto parcheggiando davanti a casa di Giacomo quando Andrea e Valentina stavano entrando in casa tenendosi abbracciati.

Se in precedenza avevo usato tutte le suddette arti yoga di cui avevo parlato in precedenza per rilassarmi, questo fotogramma aveva avuto il potere di rovesciarmi lo stomaco e di far cadere come foglie al vento tutti i miei propositi di tregua per la serata.

Scendo dall’auto e mi dirigo davanti alla casa di Giacomo sperando di non assistere ad altre scene come quella all’interno dell’abitazione.

- Chi è?- mi domanda una voce femminile.

- Sono Francesca-

- Parola d’ordine?-

Ma siamo all’asilo? Per un attimo penso ad alzare la voce ma le promesse fatte a Valentina qualche giorno prima tornano puntuali.

- Ehm..Pizza?-

- Yes, sei dei nostri, baby! – mi risponde aprendomi finalmente il cancelletto.

Sospiro scrollando la testa e mentre percorro il vialetto di casa penso “ Ma in che razza di manicomio sono finita”?

Sulla porta trovo Vale ad attendermi che mi abbraccia calorosamente:

- Ti sei ricordata la parola d’ordine? Meraviglioso, pensavo che la tua memoria cominciasse a fare cilecca- mi dice scioccandomi un sonoro bacio sulla guancia.

- Quella con la memoria corta sei tu e ricordati che dopo questa mi devi un favore enorme. Parola d’ordine…non la usano più neanche alle elementari – le rispondo polemica.

Dato il regalo a Giacomo con i miei migliori “finti” auguri di buon compleanno, sprecati aggiungerei, mi scelgo un posto relativamente tranquillo in un angolo della casa. In quella posizione potevo osservare con disprezzo come questi teppisti stavano riducendo lo stabile ad uno schifo con continui pezzi di cibo che volavano per il salotto.

Era una delle feste più deprimenti e penose a cui avevo mai partecipato quando dietro di me sento le voci di Andrea e Giacomo che, di nascosto dagli altri, stavano aprendo una finestra per fumarsi una canna.

Mi metto ad origliare i loro discorsi:

- Ehi Giaki, che sballo di festa. Peccato che fai il comply solo una volta all’anno-

- Già. E’ stata dura mandare fuori dalle palle i miei ma alla fine la casa è tutta nostra! Evvai. Ohi, ricordati che poi devi restare che mi devi aiutare a mettere a posto.-

- Si, si tranquillo. Spedisco Vale a casa con quella stronza di Francesca.-

- Ahahaha, non ti sta tanto simpatica è?-

- Scherzi? Per forza è lesbica, chi vuoi che se la pigli una così?-

I due ragazzi ridono a crepapelle quando mi chiedo per quale razza di motivo non mi sono ancora alzata per fare due chiacchiere con quei due cretini.

- Giaki ci manca un po’ di gnocca in questa festa perché hai invitato poche femmine? Che poi si salvano in poche perché le altre sono veramente delle cesse.-

- Ma a te che te ne frega… sei fidanzato, hai Vale.-

- Lo sai con chi stai parlando no? Andrea Ganci è il miglior sciupa femmine della città ed è sprecato per una donna sola.-

- No, no. Così non si fa- gli risponde Giacomo facendo quello che credo sia la mia imitazione.

Ridono ancora mentre ingurgito un nuovo sorso di birra appellandomi agli ultimi residui del mio autocontrollo.

- Giaki e poi non sai ancora la parte migliore. Quella lesbicaccia ha ragione su di me, oltre a Vale vado a letto con almeno altre 2 lasciando stare quelle occasionali. E ne ho già adocchiato un’altra…-

- Marpione!- Gli risponde l’amico con un largo sorriso e porgendogli l’ultimo tiro della canna.

Li sento ridere quando mi passano accanto senza accorgersi di me.

Potevo lasciare stare le offese nei miei confronti, in fondo non mi interessa che dei bambocci da quattro soldi mi potessero offendere, ma Vale andava difesa da quel viscido, non ne avevo più dubbi.

Finita la festa saluto Giacomo con un po’ di riluttanza ma è talmente fatto da non rendersene nemmeno conto ed accompagno Vale a casa.

Nonostante i miei propositi di parlarle, non ne trovavo il coraggio perché avevo paura che l’ennesimo argomento Andrea, la mandasse fuori di testa tanto da farci litigare e perdere definitivamente la sua amicizia.

La lascio sotto casa quando ormai è notte fonda e decido che l’unico modo per risolvere la questione una volta per tutte è scendere a livello di quei cretini che di certo non mi mettevano paura.

Il giorno dopo sono di riposo e aspetto pazientemente che Andrea esca dal suo lavoro.

Quando lo vedo scendo dalla macchina e lo seguo fino a quando non rimaniamo soli ed in un posto ben isolato.

- Andrea-

Lui si gira, togliendosi gli occhiali da sole:

- Francesca. Ciao. Cosa ci fai qui?-

- Volevo parlarti un attimo, hai tempo?-

- In verità sono stanco morto, stavo andando a casa a cambiarmi, ho un appuntamento con Valentina – mi risponde con quel suo ghigno malefico che mi fa saltare tutti i propositi di diplomazia.

- Ok, va bene, te le farò capire in due minuti.-

Lo prendo per la giacca quasi alzandolo da terra e spingendolo contro il muro:

- Ho aspettato fin troppo per agire. Non me frega niente se fai il porco con le altre ragazze ma con Valentina non dovevi farlo. Vuoi sapere cosa devi fare? Lasciala senza dirle che vai a letto con altre e sparisci dalla sua vita per sempre prima che ti rompa questa bella faccia da angioletto, lurido verme-

- Ah ah ah, faccio quello che mi pare, brutta lesbica del c***o. Sai cosa dovresti fare tu invece? Non intromettermi più nei miei affari e dovresti prendere qualche c***o…-

Non lo lascio finire di parlare perché un pugno violento gli arriva dritto allo stomaco facendolo piegare in due privo di fiato.

Andrea, rannicchiato per terra come un bambino, brama respiro mentre lo prendo per i capelli per guardarlo in faccia.

- Senti sbruffone, tieniti i tuoi commenti per te. Non sono una ragazza violenta ma tendo a difendere con ogni mezzo le persone a cui tengo per cui te lo ripeto: fai soffrire Valentina e questo di oggi è solo l’antipasto di quello che ti aspetta.-

Lo spingo via, lanciandolo a terra contro un mucchio di cartoni e ritorno verso l’auto a passo deciso senza voltarmi a guardarlo e senta sentire le imprecazioni che mi sta lanciando.

Seduta in macchina mi prendo il viso fra le mani mentre mi stavo già maledicendo perché ero andata oltre a quello che avevo stabilito.

Non volevo colpirlo, il mio intento era solo quello di spaventarlo ma di non di passare ai fatti. Mai avevo fatto un gesto del genere ed ora che la tensione stava lentamente svanendo i primi sensi di colpa stavano affiorando.

Ora potevo essere davvero nei guai: se ero sicura che Andrea mai mi avrebbe denunciato perché sarebbe stato bollato come uno che si fa menare da una donna, non sapevo se glielo raccontasse o meno a Valentina, magari ingigantendo la situazione. Troppo prevedibili i codardi come lui.

Se questa ultima ipotesi si fosse verificata ero davvero fritta perché la mia amica gli avrebbe creduto e  stavolta potevo dire veramente addio alla nostra amicizia.

Intanto mi arriva un messaggio. E’ Irene.

“ Ciao Fra. Allora per domani sera confermato. Ci vediamo al solito pub per le 23. Baci, Irene.”

Almeno una buona notizia in questa odiosa giornata era arrivata.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI°- Gesti inattesi ***


Buonasera. In anticipo rispetto il programma posto l'undicesimo capitolo della serie. Piccola premessa: questo capitolo e parte del prossimo saranno non troppo divertenti quindi caldamente sconsigliati per chi è già tanto giù di su. Detto questo non mi perdo in altre parole lasciando spazio al racconto. Buona lettura.
Prox capitolo: 12°sarà postato mercoledì 12.




Il giorno seguente mi alzo all’alba dopo una nottata in cui ho dormito si e no un paio di ore e mi preparo con calma per andare al lavoro dove mi aspettano già un bel po’ di scartoffie da firmare per l’archiviazione  oltre alla solita routine in ambulatorio.

Qualche minuto prima delle nove esco dalla sala medici pronta per iniziare quella giornata da cui non sapevo davvero cosa aspettarmi.

Mi continuavo a chiedere se quel mezzo uomo avesse informato Vale del nostro incontro oppure se quel pugno non voluto, avesse avuto il potere di far capire ad Andrea di lasciarla perdere e di darsela a gambe come un pivello.

A quest’ultima soluzione ci credevo poco ma era la mia unica possibilità di passare indenne da tutto quello che era accaduto meno di 12 ore fa.

Intanto raggiungo l’atrio insieme ai tirocinanti dove firmo il registro presenze e provvedo a prendere la prima cartella per il primo caso di oggi.

Smisto i ragazzi nelle varie sale visite ed operatorie tenendo Giulia con me:

- Il Signor Lombardo?- esclamo ad alta voce nella sala attesa.

- Sono io- mi risponde un signore distinto in giacca e cravatta, alto circa due metri e dal fisico imponente che mi raggiunge con un cesta in cui è acciambellato un gattino che avrà al massimo un anno.

- Prego segua la mia tirocinante, arrivo immediatamente-

Giulia accompagna il padrone del gatto nella prima sala visita disponibile mentre mi fermo un attimo al bancone per riconsegnare delle cartelle.

Ripongo la biro nel taschino e li raggiungo nella sala dove Giulia ha già cominciato a visitare l’animale che si dimostra subito poco collaborativo.

Mi avvicino al tavolo senza dire una parola ma osservando attentamente i movimenti di Giulia che conferma giorno dopo giorno di essere un’ottima allieva.

Finita la visita, Giulia si gira verso di me dandomi in mano la cartella completamente compilata ed esponendomi con cura il caso clinico:

- Gatto europeo, maschio, 1 anno circa. Moderata difficoltà ad urinare e spesso nelle urine sono presenti tracce di sangue. All’esame generale si presenta in parte disidratato ed il riempimento delle mucose è più lento rispetto al normale. Mormore respiratorio normale, itto cardiaco dei tre focolai leggermente tachicardico. La palpazione dei reni provoca dolore nell’animale e sembrano più ingrossati rispetto al normale.-

- Bene, bene- le rispondo palpando l’addome dell’animale.

- Come procederesti?-

- Esame delle urine complete, colture, antibiogramma. Rx dell’addome e se necessario l’ecografia.-

- Molto bene. Signor Lombardo la lascio in buone mani.- Gli dico firmando la cartella e stringendogli la mano mentre osservo con la coda dell’occhio il viso di Giulia che si apre in un grosso sorriso.

 – La mia tirocinante si occuperà del suo gatto. Dovrebbe andare alla reception con questi fogli le diranno cosa fare.-

Il signore ci lascia sole e ne approfitto per dare le ultime indicazione a Giulia che stava per affrontare il suo primo caso da sola:

- Vedi di non farmi pentire nell’averti assegnato questo caso. Se non sei sicura, anche se hai il minimo dubbio su qualcosa, vienimi a cercare. Capito? Il gattino ha bisogno di un medico in gamba e non di un super eroe che vuole impressionare il suo capo.-

Le lascio la cartella in mano dando una carezza al gattino ed esco dalla sala quando vengo fermata da un collega che mi chiede un consulto. Lo seguo.

Il paziente in questione è un furetto di 6 mesi, razza Marshall:

- Dottore, può presentare il caso alla dottoressa?- dice il mio collega a Luca, un’altro dei miei tirocinanti che gli avevo affidato per questa mattinata.

- Si, allora: Furetto..età 6 mesi..razza Marshall si presenta anoressico, poi –

- Forza non ho tutto il giorno – lo invito a continuare incrociando le braccia.

- Si, presenta inoltre ipersalivazione, la pupilla dilatata, incoordinazione dei movimenti, atassia e riflessi lenti. Infine sono presenti segni di convulsioni con opistotono che si sono verificati, a detta del proprietario ,per la prima volta questa mattina, qualche minuto fa.-

- Cosa ne pensi, Francesca? E’ il tuo campo questo.- mi chiede il collega

- Penso sia ora di farlo stare meglio, ha aspettato fin troppo tempo. Allora Luca qual è la tua diagnosi?-

Il ragazzo non risponde e sospirando scrivo la terapia mentre la dico ad alta voce:

- Carenza di vitamina B1. Immediatamente una dose della vitamina a 5 mg al kg per giorno fino alla completa scomparsa dei sintomi. Vado a prendermi un caffè se mi cercate.-

Lascio la stanza raggiungendo le macchinette. In fondo non potevo pensare che tutti i miei tirocinanti fossero come Giulia e Matteo. Con chi avrei alzato la voce se no?

Loro erano i più in gamba e quelli più brillanti sia come preparazione, sia nel modo di interagire col paziente e parlare con i proprietari.

Per spingerli oltre i loro limiti, bastava stimolarli, stuzzicare la loro curiosità e sarebbero diventati presto ottimi veterinari ma la sfida più grande erano gli altri, quelli che non avevano il loro talento e che andavano trattati come dei bambini.

Con questi usavo il bastone più che la carota ed il più delle volte funzionava. Certo c’era chi mollava perché, a detta sua, non sopportava la mia dittatura ma gente così era meglio perderla per strada che vederla con un camice a curare degli esseri viventi.

 

La sera stessa mi trovavo a casa davanti all’armadio indecisa sul cosa indossare per incontrare Irene al pub.

Era stata una giornata positiva: Andrea non si era fatto sentire, Vale neppure e ciò voleva dire che forse non ci sarebbero stati effetti collaterali alla mia chiacchierata col suo “ragazzo”.

Indecisa fra un jeans classico ed un pantalone di velluto nero, il citofono si mette a suonare ed in slip vado a rispondere:

- Ciao Vale, sali. – le dico appena la riconosco.

Dal suo volto tirato, notato dal videocitofono, avevo subito capito che avevo parlato troppo presto. Potevano essere solo due le cose: o il fallito gli aveva raccontato tutto e mi aspettava una sonora litigata con Vale oppure aveva seguito il mio consiglio e quindi stava venendo dalla sua migliore amica per farsi consolare.

Pregavo con tutta me stessa che fosse questa seconda optione mentre in gran fretta mi finivo di vestire.

Alla fine ho optato per il pantalone di velluto nero ed una camicia dello stesso colore con maniche a 3 quarti.

Quando Vale suona il campanello, sto finendo di abbottonarmi la camicia. Tiro un grosso respiro ed apro la porta.

- Ciao Vale- la saluto con voce squillante facendola entrare.

- Ciao un corno. Sei una stronza, ecco cosa sei.-

Benissimo, quel mezzo uomo le avevo spifferato il nostro incontro ed ora ne avrei subito le conseguenze:

- Non dire così. Siediti. Cosa è successo?-

- E mi chiedi ancora cosa è successo?- mi urla contro.

- Vale ti prego..-

- Ora basta, sono stufa dei tuoi capricci da bambina viziata. Io ho la mia vita ed in questo momento c’è Andrea. Non ti saresti mai dovuta permettere di fare quello che hai fatto.-

- Cosa ti ha raccontato?-

- La verità, anche se mi sembrava un brutto film di serie B!- mi risponde sull’orlo di una crisi di nervi.

- La sua verità e vorrei ascoltarla.- Le rispondo cercando di abbassare il tono della conversazione.

- Vuoi che ti dica come ieri l’hai aspettato fuori dal lavoro? O come l’hai preso per la giacca insultandolo come una scaricatrice di porto? Oppure preferisci che ti racconti di come due delle tue amichette del pub, lo tenevano fermo mentre gli tiravi tanti calci nello stomaco quasi da ammazzarlo? O meglio di come l’hai derubato, fingendo una rapina e l’hai minacciato di non raccontare nulla alla polizia se no l’avresti ammazzato?-

- Frena frena- le mie orecchie avevano ascoltato fin troppe assurdità- di quello che ti ha raccontato solo una piccola parte è vera. –

- Certo. Perché sulla fronte c’ho scritto “Gioconda”- mi risponde sarcastica. Questo era il primo vero campanello d’allarme perché in quel momento qualsiasi cosa le avessi detto non mi avrebbe creduto.

- Senti Vale- le dico prendendole il viso in modo tale da poterla guardare negli occhi. – E’ vero l’ho aspetto che uscisse dal lavoro. E’ vero che l’ho seguito e che in parte l’ho insultato ma anche lui non è stato da meno con me ma non me ne importa. E’ vero che è scappato un pugno all’altezza dello stomaco ma per il resto ti ha raccontato soltanto balle. Cavolo Vale mi conosci, lo sai che non farei mai una cosa del genere neanche al peggiore dei miei nemici. Non c’erano altre persone e l’unica minaccia che gli ho fatto è stata quella di lasciarti perché non sopporto che quel fallito che tu credi un angioletto, ti prenda in giro e che ti faccia soffrire. E lo fa, devi credermi, l’ho sentito con le mie orecchie quando lo diceva a Giacomo l’altra sera che va a letto con altre ragazze oltre te e con gliene frega niente del sentimento che provi per lui.-

Valentina mi guarda profondamente prima di replicare:

- Ti ho voluto davvero un bene dell’anima. Pensavo che tu fossi una amica leale e sincera invece hai sempre approfittato di me e della mia bontà. Non voglio più vederti, non cercarmi più neanche mi trovassi in coma all’ospedale, non chiamarmi e soprattutto non avvicinarti mai più al mio fidanzato perché la prossima volta una denuncia per aggressione non te la toglie nessuno. Da questo momento tu per me sei morta. Completamente.-

Con queste ultime parole Vale mi spinge via mentre rimango ad osservarla mentre sbatte la porta di casa mia e si allontana piangendo.

Rimango inerme per alcuni minuti mentre in quella stanza oramai silenziosa, risuonano puntuali solo i rintocchi delle lancette degli orologi a muro.

Non ci potevo credere che quel vigliacco avesse potuto rovinare un’amicizia come quella che mi univa a Vale e non mi capacitavo che lei stessa avesse scordato questi anni meravigliosi passati insieme a ridere, a prenderci in giro ma soprattutto a sostenerci a vicenda come due sorelle.

Quella sorella che molti anni prima, quando frequentavo i primi anni di università, un sarcoma mi aveva portato via e che mi mancava ogni santo giorno.

Anche se quelle parole che mi aveva detto facevano male non avrei rinunciato a lei così facilmente... non poteva chiedermelo e non l’avrei mai potuto fare.

Mi stendo sul letto ancora vestita quando sento dal cellulare che mi è arrivato un messaggio. E’ Irene che mi dice che tarderà un paio di minuti.

Sono davvero indecisa se andare e meno ma alla fine esco lo stesso. Forse la sua compagnia potrà alleviare per qualche ora il peso che avevo ora dentro il cuore.

Arrivo al pub intorno alle 11 e 20. Come al solito il locale è molto affollato e fatico a farmi largo fra la folla per raggiungere il bancone del bar dove si trova Irene.

Appena mi vede si alza mi piedi e ci abbracciamo. Approfitto della situazione per prolungare il gesto qualche secondo più del dovuto e questo basta alla ragazza per capire che qualcosa in me non andava.

- Franci, stai bene?- mi chiede subito apprensiva.

- Si, si. Tutto ok.- Le rispondo cercando di simulare il mio malessere.

- Si, come no…- commenta lei sedendosi nuovamente. – Cosa prendi?-

- Gocce imperiali, grazie. Magari doppio.-

Irene mi guarda sconvolta prima di rivolgersi al barista:

- Mi fai due chupito, grazie..-

- Ma non voglio il chupito..- Protesto.

- Non ti permetto di bere il superalcolico più autodistruttivo che esista. Si può sapere cos’hai?-

Rimango in silenzio continuando ad evitare le continue domande di Irene fino a quando non cedo.

- Se hai un problema dovresti parlarne, magari posso aiutarti…-

- Non credo- le rispondo ingurgitando il quarto drink della serata ed ordinando subito il quinto. O il nono. Boh, stavo cominciando a perdere il conto.

- Provaci.- continua Irene che è a mala pena al secondo.

- Ok… Succede che ho rotto con Valentina per quel cretino di Andrea. L’altro giorno ho aspettato che uscisse dal lavoro e gli ho detto di lasciarla in pace. E’ scappato un pugno e lui ne ha approfittato e le ha raccontato che gli ho organizzato un vero e proprio agguato, degno di un clan mafioso-

- Non ci credo..-

- Credici. Per amore e per amicizia, quelle vere, sono capace di fare qualsiasi cosa-

Irene rimane qualche attimo a fissarmi, perplessa mentre finisco di raccontarle nei dettagli l’accaduto.

- Magari è arrabbiata. Lasciala sbollire, tornerà.-

- Non tornerà, quel fallito l’ha completamente rimbecillita. Giuro che se l’avessi fra le mani in questo momento…- le dico.

Mimo il gesto di strozzarlo, sbilanciandomi ed Irene mi prende al volo. Le nostre labbra sono a non più di qualche centimetro di distanza e mi sforzo con tutta me stessa  per non baciarla.

Quelle labbra così carnose, appena sfiorate da un lucidalabbra color rosso fuoco sono come diavoli tentatori che mi invitano nell’inferno del piacere più puro.

Ci rimettiamo a sedere. Irene sembra non essersi accorta di niente ma c’è stato un secondo in cui stavo davvero per cedere e non mi capacito ancora di come ho fatto a resistere.

Poco dopo si libera un tavolo e ci accodiamo. Ormai sono giunta al… non so che numero.. bicchiere che unito alla stanchezza della giornata e alla visita di Vale, azzera totalmente la mia capacità di autocontrollo.

Accarezzando il mio bicchiere vuoto sento la mano di Irene infilarsi nei miei capelli per consolarmi. Un gesto ambiguo ma diventato ordinario per noi da quando ci frequentavano.

- Non mi piace vederti così giù. Cosa posso fare per tirarti su di morale?- non demorde cercando di farmi tornare a sorridere in quella spenta serata.

Mi giro ad osservarla. I suoi occhi verde corallo splendono come gemme preziose ed illuminano un piccolo sorriso radioso che è dipinto sul suo viso.

Quegli occhi, quelle labbra… ancora quel richiamo a cui mi sforzo sempre di resistere quando sono così vicino a lei. Sento il cuore battere all’impazzata mentre con l’altra mano mi prende la mia.

Il respiro accelera mentre osservo le nostre mani una sopra l’altra. In quel momento capisco che ho passato il confine e che il muro dell’autocontrollo è franato.

Mi avvicino sempre di più, rubando un centimetro ogni respiro fino a quando le nostre labbra si toccano.

Distintamente sento le sue aprirsi per un bacio più appassionato quando un bicchiere che si infrange sul pavimento spezza quel’attimo magico. Ci stacchiamo da quel momento di paradiso rubato.

Io guardo lei. Lei guarda me. E’ un secondo.

Come avesse preso la scossa si stacca dal mio corpo e si riveste:

- Irene, aspetta, fammi spiegare.-

- Non c’è nulla da spiegare, è tardi devo andare- si infila il cappotto ed esce.

Con le poche forze rimaste e con indosso solo la camicia , la seguo nel buio della sera:

- Scusami non ce l’ho più fatta a resistere. Fermati ti prego, non andartene anche tu.-

Irene non mi risponde e si infila in macchina. A nulla servono gli altri tentavi a farla scendere mentre scompare velocemente con la sua auto nell’oscurità.

Sconsolata ritorno, barcollando, nel locale; pago il conto e ritorno a casa chiamando un taxi. Non ero proprio in grado di guidare.

Arrivata a casa mi inginocchio a terra, priva di forze, ed in quelle 4 mura che faticosamente avevo acquistato anni prima, verso le prime lacrime dopo tantissimo tempo senza più freni.

Quelle lacrime stavano incrinando la corazza che avevo cominciato a costruire tanti anni fa da piccola, quando in un anno avevo perso entrambi i miei nonni materni con cui ero cresciuta, una sorella più piccola a cui volevo un bene dell’anima ed il mio primo amore. Tutti morti.

In quell’anno avevo deciso che più niente mi avrebbe fatto soffrire così e che sarei stata sempre così forte da farmi scivolare tutto addosso. Da non farmi prendere così tanto dalle persone per poi soffrire come un cane quando, in un modo e non l’altro, mi avrebbero abbandonato. Fino ad oggi, quando quello che avevo di più caro al mondo, mi ha girato le spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII°- Toccare il fondo e rialzarsi ***


Bene. Eccoci giunti al nuovo capitolo, il più lungo della storia. Avrei voluto dividerlo in due (praticamente è lungo il doppio rispetto agli altri) ma alla fine ha prevalso la voglia di farvi salire sulle montagne russe...fra poco scoprirete perchè. Certi punti non mi convincono molto ma penso che ritoccarlo ancora, farei più danni che altro. Visto che siamo alla fine e da questo capitolo ci sarà un susseguirsi ininterrotto di eventi, ho deciso di accorciare i tempi di rilascio dei prossimi. Spero sia cosa gradita!. Come al solito non mi dilungo molto...ringrazio come sempre le mie più appassionate lettrici che, a forza di complimenti, mi faranno montare la testa (come dice Apia a parti invertite!)e tutti quanti seguono la storia anche senza recensire. Buona lettura!

P.S. Prossimo capitolo: sab 15 gen




Una nottata in bianco, da sola, con due grandi pesi nel cuore e con la testa all’interno del water a vomitare anche l’anima tutti quei chupito che mi ero fatta solo qualche ora prima… era stato quello l’epilogo della mia nottata.

Mi sentivo vuota, persa e non avevo neanche più la forza di pensare a come fare per rimediare a quella situazione in cui mi ero andata a cacciare.

Se per Vale avevo sottovalutato in parte la reazione di Andrea, con Irene era stato l’alcol a farmi fare un gesto che volevo da sempre ma che avevo sempre scacciato dalla mia mente per paura di perderla.

E adesso mi ritrovavo abbandonata dalle due persone che amavo di più su questa terra al fuori dalla mia famiglia e con la consapevolezza che solo un miracolo me le avrebbe riportate indietro.

Per tutta la mattina mi riempio di farmaci e di carbone attivo per fare in modo di presentarmi al lavoro in un stato quanto meno accettabile.

L’effetto dell’alcol stava lentamente svanendo e mi lasciava in eredità solo un enorme mal di testa quando in macchina mi dirigo al lavoro in evidente ritardo.

Mi cambio in fretta mentre recupero le cartelle dei miei pazienti per le visite di controllo.

Il gatto del signor Lombardo che stava curando Giulia necessitava di un intervento chirurgico per la rimozione di alcuni calcoli che non ne volevano sapere di sciogliersi con i farmaci.

La mia tirocinante stava svolgendo un ottimo lavoro così la prendo da parte e le comunico che sarà lei ad eseguire l’operazione, ovviamente sotto la mia attenta supervisione qualche ora più tardi.

Mi abbraccia e cerco di contenerne l’entusiasmo che mi sta contagiando. In quell’istante si avvicina a noi Luca che ricordavo doveva monitorare il furetto affetto da carenza di vitamina B1.

- Dimmi Luca-

- Dottoressa senta… sulla cartella aveva scritto 5 o 50 mg al kg..- mi chiede con timore.

Sbarro gli occhi, conscia del danno che quell’idiota poteva aver combinato:

- Non è giornata, dimmi che ne hai somministrati 5 e non 50…-

Il suo silenzio mi conferma che quel cretino aveva fatto un casino di proporzioni cosmiche. A passo svelto ci dirigiamo nella sala degenza dove riposa il furetto che presenta già i primi sintomi di depressione respiratoria.

Lo visito velocemente somministrandogli adrenalina ed un altro mix di farmaci antagonisti della B1.

- Cristo santo Luca ma sei impazzito? Quante volte ti ho detto che se non capisci qualcosa di venirmelo a chiedere. E poi fra le due dosi per una bestiola che peserà si o no un paio di kg, quale poteva essere quella giusta? A volte mi chiedo come hai fatto a passare determinati esami!-

In quell’istante entrano nella sala il primario del reparto, il proprietario ed il collega che mi aveva chiesto il consulto.

- Dottoressa Morticone, cosa sta succedendo qui?-

Ci penso qualche secondo prima di rispondere. In quell’attimo avrei probabilmente deciso la mia carriera e quella del mio tirocinante. Lo osservo lungamente prima di aggiungere uno 0 sulla cartella e di rispondere alla domanda del mio superiore:

- Per mio errore ho scritto sulla cartella una dose sbagliata del farmaco per il paziente. Luca se n’è reso conto e, quando mi sono accorta dell’errore, ho provveduto a rimediare. Ora il paziente è stabile e fuori pericolo anche se ci vorrà qualche giorno in più prima che si riprenda.-

Il proprietario mi si scaglia contro urlandomi qualsiasi cosa ma non lo sto a sentire, placato dai miei due colleghi.

In quel momento sentivo di aver perso veramente tutto quello per cui avevo lottato in questi ultimi anni: l’amicizia, l’amore ed oggi, il lavoro.

Osservo solo Luca che mi fissa a fondo come a cercare il motivo di questo mio comportamento.

Gli accenno appena un sorriso come a tranquillizzarlo mentre mi allontano insieme al primario ed al proprietario verso l’ufficio del direttore sanitario.

Davanti al capo dei capi confermo la mia versione e solo grazie alla pazienza del direttore evito una denuncia da parte del proprietario per negligenza.

In attesa di ulteriori indagini, vengo sospesa per una settimana e, all’uscita, mi trovo Luca che mi accompagna in silenzio fino alla sala medici.

- Perché l’ha fatto?- Mi chiede.

- Non importa il perché. Quello che mi interessa è che impari dal tuo errore perché la prossima volta non ci sarà nessuno a pararti il sedere.-

- Non so cosa dire..-

- Ecco bravo, non dire nulla e muoviti che hai un paziente da monitorare. E vedi di confermare la mia versione quando te la chiederanno.- gli rispondo invitandolo ad andarsene. La sua presenza cominciava ad infastidirmi.

- Grazie- lo sento sussurrare.

- Muoviti- gli intimo con più forza.

Il tirocinante si allontana velocemente mentre mi siedo sulla panca davanti al mio armadietto con in mano il fonendoscopio.

Perché l’ho fatto? Semplicemente perché sentivo che era la cosa giusta da fare. Se quell’idiota aveva fatto quel pasticcio la colpa era solo mia che non ero stata sufficientemente brava nella mansione di insegnante.

E poi sono, o meglio dire ero, la loro responsabile ed ho le spalle più grandi per affrontare un errore del genere anche se c’ho volesse dire rinunciare alla carriera.

Con la testa affollata dai pensieri, non mi accorgo che una mia collega apre la porta:

- Francesca, ho saputo cosa è successo…stai bene?-

“Che razza di domanda è?” penso mentre la guardo appena senza rivolgerle parola.

- Luca mi ha raccontato cosa è veramente successo- mi ripete rimarcando le parole - e quello che hai fatto per lui e per i tuoi ragazzi ti fa veramente onore. Sappi che tutti noi siamo dalla tua parte e vogliamo che tu rimanga con noi.-

-Grazie- sussurro senza guardarla negli occhi mentre finisco di riporre e prendere alcune cose dall’armadietto.

Quando le passo accanto faccio ancora in tempo a sentire:

- Andrà tutto bene, fidati-

“ Certo come no” penso fra me e me “ tanto al lieto fine non ci credo più”.

 

La settimana di sospensione stava quasi giungendo al termine ma la mia situazione peggiorava di giorno in giorno. Ora che sentivo di aver perso tutto, mi trascuravo e passavo le giornate a chiamare e mandare messaggi sia a Vale che ad Irene, ogni giorno sempre con minor convinzione, da cui non ottenevo neanche risposta mentre alla sera, andavo in giro per locali a bere fino a sbronzarmi e, quando ero fortunata, a sbaciucchiarmi fino alle prime luci del mattino con una ragazza sempre diversa.

Ero irriconoscibile anche se il termine più appropriato era penosa e deprimente, proprio come quella festa di Giacomo dove i miei guai erano cominciati.

Nel penultimo giorno di “reclusione” viene a farmi visita mia madre a cui, trovandomi in quello stato pietoso, sono costretta a raccontare tutto: le parlo di Vale, del lavoro e di una situazione sentimentale delicata senza entrare troppo nei particolari.

Finito il racconto mi prende per un orecchio fra le mie proteste e spendendomi in doccia vestita:

- Adesso il momento di comportarti da bambina è finito. Ti lavi per bene, ti vesti ed usciamo insieme a fare due passi. Devi smetterla di piangerti addosso. Hai sempre combattuto per le cose a cui tieni e non voglio crederci che proprio adesso, tu abbia deciso di mollare. Sappi che utilizzerò tutte le forze per non permetterti di buttarti via in questo modo!- mi urla dal salotto.

La doccia e le parole di mamma hanno il potere di regalarmi una nuova linfa. In quel momento, mentre l’acqua calda sbatte sul mio corpo e le sue parole mi riempiono le orecchie, penso a tutti i momenti duri che ho oltrepassato nella mia vita.

Non ero stata molto fortunata ma avevo sempre creduto che prima o poi la ruota della fortuna girasse per tutti e che il mio momento sarebbe arrivato presto.

Perché smettere adesso di crederci? Con Vale, in fondo, bastava che lasciassi fare al tempo e presto si sarebbe accorta che avevo ragione. Al lavoro dovevo fidarmi dei miei colleghi e delle mie referenze inappuntabili fino a quel momento… non era assolutamente scontato che mi avrebbero licenziato.

Con Irene invece… con lei mi sarei dovuta appellare a quella ruota sperando che fosse arrivato davvero il mio turno per la felicità e che tutti i pezzi di questo intricato puzzle si fossero ricomposti.

Esco dalla doccia rigenerata trovandomi di fronte il sorriso di mia madre che paziente mi aiuta a rimettere a posto casa mia, ormai quasi paragonabile ad una discarica.

Usciamo, come mi aveva promesso, a comprare qualcosa da mettere in frigo che erano giorni che non vedeva un cibo sano e verso fine pomeriggio mi saluta riprendendo la strada di casa.

Decido alla sera di uscire di nuovo ma senza fare troppo tardi e scelgo di andare ad un pub poco distante da casa dove era mia abitudine trascorrere intere serate con Valentina.

Mi siedo al bancone ed il barman mi serve un baileys con ghiaccio quando il mio sguardo incrocia Valentina che poco distante da me, stava fra le braccia di Andrea a bere insieme al loro gruppo di amici.

Il cuore mi spinge da lei ma la ragione, una volta tanto, ha la meglio e li osservo da lontano sorseggiando il mio drink.

Vale sembra tranquilla e felice e nonostante tutto è proprio questo che mi interessa che lei stia bene, anche se fra le braccia di quello scapestrato.

La vedo baciarsi con lui, stringerlo come se fosse il suo unico appiglio in questo mondo e forse solo ora posso capire la portata della sua reazione. Se ne è innamorata sul serio.

Fa comunque male vederli felici, così pago il mio conto e prendo la strada dell’uscita. Agguanto una sigaretta dal pacchetto ancora pieno e l’accendo appena fuori dal locale chiudendo gli occhi e cercando di godermi quella stupenda notte invernale piena di stelle.

Quando la sigaretta sta per finire sento dei rumori  provenire da dentro e ritorno all’interno di corsa.

La scena che mi si apre davanti agli occhi è allucinante: intorno al tavolo non c’era più nessuno e Valentina era una maschera di lacrime mentre continuava ad urlare frasi incomprensibili nella direzione di Andrea.

Intorno a loro, tutta la gente presente nel pub ha formato un cerchio e sta seguendo interessata l’evolversi della situazione.

Vicino ad Andrea, una ragazza del gruppo si stava risistemando la maglietta mentre tutti gli altri li osservano quasi divertiti per lo spettacolo fuori programma.

Passo davanti al bancone dove il barman stava uscendo per sbatterli tutti fuori dal locale ma lo convinco a desistere per il momento: prima dovevo portare Vale lontano da li.

Un sospiro profondo e mi avvicino decisa a loro senza ulteriori indugi. Quando Vale mi vede, ormai isterica mi lancia qualcosa addosso che evito senza problemi e la raggiungo abbracciandola.

- Ti porto via da qua..- le sussurro ricevendo in cambio uno spintone che mi fa cadere sul tavolo.

La mia amica lascia il locale di corsa e mi volto verso Andrea che neanche in quel momento aveva smesso di sorridere:

- Che cosa le hai fatto, verme?- gli chiedo avvicinandomi a lui mentre il gruppo di ragazzi ci osserva con attenzione.

- Non immischiarti, brutta lesbica.- mi risponde prima di tirarmi un pugno diretto alla guancia sinistra.

Lo evito abbassandomi e ne approfitto per piazzargli una ginocchiata perfettamente al centro del suo petto come avevo fatto una settimana prima.

Questa volta Andrea non demorde e riprova a colpirmi ma lo evito facendolo cadere con uno sgambetto.

A terra, ormai inerme, lo prendo per la gola con una mano.

- Sei un bastardo e ti meriteresti di essere preso per le orecchie e messo in punizione come un bambino capriccioso come faccio a volte con i miei allievi. Ma non voglio sporcarmi ancora le mani con la tua brutta faccia e te lo ripeto per l’ultima volta: se ti avvicini ancora a Vale, se la cerchi, dovrai fare di nuovo i conti con me.-

Lo lascio andare e, mentre riprendo la giacca per uscire, sento distintamente le prese in giro dei suoi amici perché le aveva prese da una donna. Quella era la migliore punizione che un decerebrato del genere si poteva meritare.

In quel momento non mi importava di lui, dovevo solo trovare Vale… chissà dove si era andata a cacciare. Provo a chiamarla sul cellulare ma presto mi accorgo che l’aveva nella borsetta, dimenticata al pub e che avevo raccolto prima di uscire.

Con la macchina faccio il giro di tutto il quartiere e di tutte le zone che spesso frequentava ma..niente. Sembra introvabile.

Mi ricordo allora di avere ancora le sue chiavi di casa  in macchina e  guido a tutta velocità verso il suo appartamento rischiando più volte di uscire di strada.

Quando arrivo nell’atrio, la portiera mi conferma che Vale è salita in casa pochi minuti fa e tiro un grosso sospiro di sollievo. Finalmente l’avevo trovata.

Raggiungo il suo appartamento ed entro usando le chiavi di scorta.

Sento chiaramente un pianto inconsolabile che arriva dalla camera da letto e mi avvicino a piccoli passi chiamando il suo nome per non farla spaventare.

Appena ci guardiamo, Valentina si alza in piedi:

- Vattene, non ti voglio qui- mi urla ancora in crisi.

- Scordatelo, da qui non mi muovo-

- Vattene- mi urla con più forza come se cercasse di convincere se stessa e non me.

- E’ inutile che sbraiti come una vecchia gallina spelacchiata, non cambio idea-

Mi avvicino a piccoli passi mentre la mia amica ritorna a sedersi per terra, in un angolo, fra il letto e l’armadio con le mani sul viso versando lacrime amare.

Mi siedo al suo fianco con le gambe al petto e le braccia sopra le ginocchia aspettando che sia lei a parlare:

- Dai, lo so che muori dal dirlo: te l’avevo detto che era un poco di buono e che se la faceva con le altre oltre a me.-

- Non ti dirò niente di tutto questo invece.- le rispondo con tono sicuro.

- E allora perché sei qui?-

- Perché tu hai bisogno di me e questo è il mio posto-

- Ma smettila, dopo tutto quello che ti ho detto…- mi risponde mentre il suo tono comincia lentamente ad addolcirsi.

- Al diavolo quello che mi hai detto, non lo pensi sul serio, lo so. Sei la mia migliore amica è questo non potrà mai cambiare. Non esiste persona nell’universo, neanche tu, che possa farmi smettere di volerti bene.- le confermo guardando ancora davanti.

Sentivo sulla pelle i suoi occhi sorpresi e spaventati e aspettavo solo un suo segno per poterla finalmente riabbracciare..mi era mancata per troppo tempo.

- Dici davvero?- mi domanda appoggiando il viso sul mio braccio mentre stava gradualmente smettendo di piangere.

- Si- le rispondo aprendo il braccio e stringendola a me.

- Comunque avevi ragione. Andrea è uno stronzo. L’ho beccato in bagno mentre si baciava con Lucia. Quando gli ho chiesto perché, mi ha risposto che lui è fatto così e ha alzato le spalle. Da quel momento non ci ho visto più...-

La lascio parlare per diversi minuti mentre anche i singhiozzi residui spariscono e il mio braccio la tiene salda, stretta a me.

- Non ne voglio più sapere degli uomini..sono tutti degli idioti… cambio sponda come te! -

- Vale sei ferita… prima o poi l’uomo giusto per te arriverà. Non puoi decidere all’improvviso di cambiare sponda, non è così facile. E poi fidati, esperienza personale, le donne sono molto più complicate degli uomini ed alcune che girano nelle discoteca sono peggio di tutti i tuoi ex messi insieme!-

Ridiamo. Finalmente la prima risata della serata fino a quando Vale mi coglie alla sprovvista:

- Allora mi prendo te, così non rischio. Chissà come sarebbe essere fidanzante anziché amiche… ci hai mai pensato?-

- Oddio… si, all’inizio ci ho pensato ma conoscendoti non penso che reggerei i tuoi ritmi.-

Finalmente ci guardiamo negli occhi ed il viso di Vale si avvicina pericolosamente al mio fino a quando le nostre labbra si toccano.

La mia amica cerca di approfondire il bacio ma la blocco all’istante:

- No..- le sussurro dolcemente.

- Perché? –

- Perché non sarebbe una buona idea e poi lo sai, nel mio cuore c’è Irene. Io e te siamo perfette in un altro modo, come amiche, e stiamo bene insieme perché ci sosteniamo una con l’altra quando siamo nei casini. Tu sei il mio paracadute quando l’amore mi lancia nel vuoto perché mi prendi in volo e mi eviti sempre una caduta troppo dolorosa ed io lo sono per te. Senza tutto questo ci faremmo troppo male.-

Dolcemente le accarezzo il viso. In silenzio la prendo in braccio e la adagio sul letto adiacente e mi corico accanto a lei.

- Vero che rimani con me questa notte?-

- Ovviamente. Non c’è altro posto in cui vorrei stare in questo momento- le rispondo baciandola sulla guancia.

- Bugiarda.- mi risponde. Era vero. In quel momento l’unico posto migliore di quello era insieme alla donna che amavo ma in quel momento era impossibile.

Per cui ero felicissima di essere li, accanto alla mia amica, che avevo ripreso appena in tempo prima che si schiantasse a terra e si facesse male sul serio.

- Comunque saresti un’ottima fidanzata..- aggiunge Vale prima di addormentarsi finalmente fra le mie braccia in un sonno sicuramente pieno di incubi ma dove, per nulla al mondo, la lascerò sola.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII° - Spiragli di luce ***


Bene. Eccoci con un nuovo capitolo. Lentamente stiamo giungendo alla fine. Questo capitolo che state per leggere è un pochino più corto rispetto agli altri, volutamente direi, visto che quello che succederà d'ora in poi, ogni parola, ogni gesto, avrà un significato particolare. Con questo "spiragli di luce", vi voglio portare davanti alla porta (Ogni riferimento non è puramente casuale..) del destino di Franci che scoprirete finalmente negli ultimi 3 capitoli. Basta, non dico di più..vi lascio alla lettura sperando che vi piaccia, magari un pochino di più rispetto agli altri.

P.S. Prossimo capitolo: Mart 18 genn.




Il giorno dopo quella incredibile serata, un raggio di luce entrava dalla finestra di Vale illuminandomi il viso. Il ricordo di tutto quello che era successo arriva tutto insieme e stringo istintivamente la mia migliore amica che non aveva fatto altro che svegliarsi continuamente durante tutta la notte, scossa da incubi in cui il protagonista era sempre Andrea.

Lo sapevo che sarebbe finita male fra loro due ma non credevo in questo modo. Odiavo avere ragione, soprattutto adesso e ancora non capivo quale forza misteriosa mi avesse trattenuto dal mandare quel don Giovanni da strapazzo all’ospedale, solo la sera prima.

Ma adesso la cosa più importante era che la mia Vale si riprendesse da quella storiaccia e che tornasse la solita meravigliosa rompiscatole di sempre.

Mentre tutti questi pensieri si affollano nella mia testa, mi arriva un messaggio sul blackberry da un numero sconosciuto:

“ Buongiorno. Sono Paola, la coinquilina di Irene. Ho bisogno di parlarti urgentemente di lei”.

Senza farci troppo caso, mi muovo dalla mia posizione svegliando Vale:

- Ah…che male la testa- esordisce tenendosi il capo.

- Scusami non volevo svegliarti. Come ti senti?- le chiedo in un sussurro, appoggiando il cellulare sul letto.

- A pezzi. La mia vita è finita. Lo amavo davvero…- mi risponde ricominciando a piangere.

- Piangi se ti fa stare meglio ma chi ci ha perso di più è lui. Sei una ragazza d’oro e vedrai che presto incontrerai qualcuno che ti farà battere così tanto il cuore che lo sentirai scoppiare.-

- Come lo senti tu per Irene, vero?-

Annuisco triste mentre la mia amica aggiunge:

- Grazie di tutto, comunque. Senti per quel bacio…-

- Non preoccuparti. Non cambia niente fra noi due e te lo ripeto anche oggi: qualsiasi cosa succeda, che litighiamo, che ci mandiamo a quel paese, che siamo lontane, la nostra amicizia durerà per sempre… come l’amore delle favole.-

Dolcemente le bacio la fronte e ritorno a leggere il messaggio che mi era arrivato qualche minuto prima.

- E’ Irene?- mi chiede speranzosa Vale

- Più o meno...cioè è Paola la sua coinquilina. Dice che mi deve parlare urgentemente di lei-

- Cosa aspetti. Chiamala immediatamente.-

Annuisco, prendo il blackberry e vado in cucina per chiamare Paola:

- Pronto?- una voce spavalda mi risponde dall’altro capo del telefono.

- Paola?-

- Si, sono io. Chi mi cerca?-

- Ciao, Sono Francesca Morticone. Mi hai scritto un messaggio…cosa succede?-

- Ah- la sua voce si addolcisce - Bene, hai chiamato subito. Volevo parlarti di Irene.-

- Dimmi ti ascolto-

- Prima devo farti una domanda-

- Si…-

- Cosa provi per lei? Quel bacio che le hai dato quella sera cosa significa per te?-

Rimango in silenzio qualche secondo di troppo. Irene aveva parlato a Paola di me, di quel bacio..

- Francesca ci sei..-

- Si scusa. Quel bacio.. quel bacio…se mi stai chiedendo se era un gioco la risposta è no. Capisco che è difficile credermi per come è successo ma l’alcol in quel caso mi ha solo aiutato ad annebbiare la paura di essere respinta da lei. Sognavo di daglielo da molto tempo, dalla prima volta che ci siamo conosciute. Non credevo ai colpi di fulmine ma con lei è accaduto. Vorrei tanto avere la possibilità di spiegarle tutto quello che sento e provo per lei ma non mi vuole vedere, mi rifiuta. Temo che l’ho davvero persa per sempre.-

Per tutto il tempo Paola mi ha lasciato parlare, senza interrompermi fino a quando sono restata in silenzio.

- Quindi..la ami-

- Credo proprio di si.-

- Sei sicura di tutto quello che mi hai detto?-

- Diavolo Si, certo. -

- Ok. Allora devi sapere che Irene si rifiuta di parlare con te non perché è arrabbiata ma ha paura di ammettere a se stessa che non le sei così indifferente. Credo che anche lei sia innamorata di te perché quando le accenno il tuo nome si mette ad urlare come una pazza ma i suoi occhi brillano. Si chiude nella sua stanza tutto il giorno, è confusa ed esce solo per mangiare, quando se ne ricorda. Non ce la faccio più a vederla in questo stato e tutte le volte che ho provato a parlarle, non ho risolto nulla.

Voglio fidarmi di te, anche se non ti conosco così bene ma sappi che alla mia migliore amica ci tengo tanto e se le fai del male, ti verrò a cercare e dovrai vedertela con me.-

- Non ho nessuna intenzione di ferirla…-

- Bene. Allora hai esattamente 20 minuti per venire a casa nostra.-

- Ma…-

- Non c’è nessun ma! Se quello che mi hai detto è vero, se la vuoi,muoviti perchè questa sarà la tua unica occasione.-

Senza farmi replicare una seconda volta, Paola stacca il cellulare.

Rimango basita, guardando il mio palmare e cercando di mettere ordine a quello che era appena successo.

- Allora?-  mi chiede Vale  che mi aveva appena raggiunto in cucina.

- Allora..- rispondo esitando più del dovuto.

- Quante volte te lo devo dire che odio tirarti fuori le parole di bocca!- e intanto si siede proprio di fianco a me.

- Paola… Paola mi ha chiesto cosa provavo per Irene. Le ha detto che l’ho baciata! Crede che anche lei provi qualcosa di importante per me ma che ha paura. Mi ha detto che se ci tengo a lei ho 20 minuti di tempo per arrivare a casa loro e parlarle. -

Vale mi tira un pugno sulla spalla sforzandosi di sorridere:

- E questo perché?- le chiedo tenendomi la parte colpita, rianimandomi un po’.

- Perché non capisco cosa ci fai ancora qui!-

- Ma..tu non stai ancora bene-

- Non preoccuparti di me adesso. Mi faccio un thè e poi torno a letto. Forza, non farmi arrabbiare! Questa è la tua occasione…tu, l’amore delle favole l’hai trovato e non devi arrenderti. Siete fatte per stare insieme….- continua facendomi alzare a forza - è ora di mettere in gioco il tuo cuore. Vai principessa azzurra e conquista la tua donzella.-

Rimango senza parole qualche istante:

- Tu sei tutta matta…- le dico mentre mi spinge fuori di casa - Ok, ok… basta che la smetti- le rispondo sorridendo ed alzando le mani in segno di resa.

Abbraccio Vale baciandola in fronte:

- Corri da lei e torna vincitrice!- mi sussurra per darmi ancora coraggio.

Annuisco decisa e mi precipito fuori dal palazzo, diretta verso la casa di Paola ed Irene.

Facendo un rapido calcolo, ci volevano circa 15 minuti per attraversare la città, potevo e dovevo farcela ad arrivare in orario a quell’unico appuntamento della mia vita in cui non avrei tardato per nulla al mondo.

 

Saltando semafori, sorpassando a destra e a sinistra e rischiando più volte di tamponare il cretino di turno davanti a me, ero arrivata sotto casa loro dopo soli 12 minuti.

Il mio cuore batteva all’impazzata e non avevo neanche fatto in tempo a prepararmi nessun discorso d’effetto perché era successo tutto troppo velocemente.

Alzo gli occhi al cielo, pregando per qualche istante in silenzio e cercando di darmi un aspetto quanto meno presentabile.

Mancavano solo 2 minuti alla scadenza del termine messo da Paola ed ero sotto casa sua. Ci ero riuscita.

Nel corpo di un essere vivente, una delle maggiori cause per cui l’organismo produce una quantità straordinaria di adrenalina, è la paura.

Per questo si dice la paura fa 90, perché questo sentimento scatena una produzione così importante da provocare notevoli effetti: accelera la frequenza ed il battito cardiaco, aumenta il livello di attenzione, si dilatano le pupille ed influisce sulle nostre azioni.

Ad esempio durante gli esami tendiamo a ricordare cose che neanche credevamo di sapere, diventiamo coraggiosi anche se siamo dei codardi e quando l’effetto finisce crolliamo completamente.

L’ avevo studiata fin troppo bene questa parte… fisiologia ed endocrinologia, 28/30simi. Il voto in assoluto più alto che avevo ottenuto quando ero una matricola.

Nelle vene sentivo scorrere questa sostanza, l’adrenalina, in quantità per me finora sconosciute e sapevo che quello che sarebbe successo dopo avrebbe potuto portarmi alla distruzione.

Per anni avevo fatto di tutto per evitare di rivivere questi momenti dopo quell’anno maledetto, per allontanare la paura, per essere fredda e glaciale, per non dover mai dipendere da nessuno che non fossi io. Per non soffrire più, soprattutto per amore.

Adesso che questo muro si stava frantumando mi sentivo debole, fragile e soprattutto indifesa. Ora arrivava la parte più difficile: mi stavo mettendo in gioco, a distanza di tempo, per una donna di cui ero follemente innamorata. Ma sarebbe bastato regalarle la vera Francesca per avere in cambio il suo cuore?

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV° - Ti amo perchè... ***


Buonasera..o meglio buonanotte visto l'ora tarda in cui posto (le 4.18). Spero di fare cosa gradita postando il pezzo così di prima mattina! Bene. Siamo giunte alle battute finali. Questo è il terz'ultimo capitolo di cui ovviamente non anticipo nulla. Spero che vi piaccia, anche più degli altri perchè ci tengo particolarmente. Vi lascio al pezzo senza ulteriori parole ma solo con un appunto. Alla fine troverete il ritornello di una canzone. La canzone è in inglese ma ho preferito postare il pezzo tradotto in italiano perchè le parole che dice sono molto significative del momento e racchiudono abbastanza bene lo stato d'animo di un personaggio. Vi consiglio di sentirla la canzone se non la conoscete è splendida! A presto e ancora grazie a chi segue e soprattutto a chi commenta!

P.S. Prox capitolo, il penultimo: sabato 22 genn.





Un minuto alla scadenza.

Raccolgo tutto il coraggio dentro di me. E’ ora di conoscere se Irene è davvero nel mio destino… Suono il campanello.

- Si?- mi risponde una voce che riconosco in Paola.

- Sono..sono arrivata-

- Bene. Sali.-

Il portone si apre e sorprendentemente mi ritrovo a fare le scale del palazzo di corsa, 2 a 2. La porta di casa si spalanca quando sto affrontando l’ultimo scalino e riconosco Paola che mi sorride soddisfatta.

- Molto bene.- mi accoglie aprendomi completamente la porta.- Ce l’hai fatta. Non lo so se tu sei la persona giusta per Irene ma sappi che appena varcherai la soglia di questa porta e lei saprà che sei qui, non potrai più tirarti indietro. Ricorda bene quello che ti ho detto al telefono… lei è la cosa più cara che ho e se le fai del male, giuro che potrei anche ucciderti..-

- Lo so.- le rispondo con sicurezza. – Farò del mio meglio.-

- Buona fortuna allora – mi dice mentre si gira dandomi le spalle:

- Ire, io esco. Ti lascio in buona compagnia.-

Dalla porta d’ingresso la vedo affacciarsi nel salotto per rispondere a Paola.

Ci guardiamo un lungo istante e faccio appena in tempo a sorriderle che sbatte la porta della sua camera.

Paola mi guarda ancora non del tutto convinta. Immagino che se andrà bene sarà un osso duro convincerla che ho solo buon intenzioni.

Con le labbra le sussurro un grazie e la ragazza chiude la porta dietro di se lasciandoci sole. Mi avvicino alla porta della camera di Irene.

- Irene..-

- Ti prego, vattene. Non capisco cosa tu ci faccia qui.- mi urla dall’altra stanza

- Sono venuta per parlarti. Fammi spiegare, Ho bisogno di dirti delle cose.- le rispondo appoggiando le mani alla porta della sua camera

- Non ho voglia di parlarti. Sono già confusa di mio.-

- Ok, va bene… Facciamo così, non c’è bisogno che parli. Vorrei solo che tu ascoltassi…-

Dall’altra parte sento silenzio mentre la stanza si carica di tensione.

- Ok..- un sussurro. La prima vittoria era arrivata.

- Ok.- le rispondo sedendomi per terra con la schiena appoggiata alla porta.

Chiudo gli occhi un secondo per riordinare le idee. Era arrivato il momento di scoprire se quello che mi diceva sempre Valentina era vero, cioè che in amore vince chi rischia, chi si mette in gioco per conquistare la persona che ama e che, al momento giusto, il cuore sa cosa dire. Sempre

- Ire… non so proprio da dove iniziare perché sono tante le cose che mi sono immaginata di dirti quando ti avrei rivisto. Non sono molto brava in queste cose, lo sai. In realtà non l’ho mai fatto ma ci voglio provare ugualmente.

Parto allora da quel bacio. In trenta e passa anni della mia vita ho baciato molte ragazze, troppe forse ma quello che ci siamo date noi è quello più vero, voluto e agognato che abbia mai dato…. e ricevuto.

Capisco che ti abbia spaventato ma ormai è inutile nascondermi..

Quella sera che abbiamo camminato insieme ti ho detto che il uomo ideale non esiste ed è vero perché mi piacciono le donne, una in particolare in verità ed in questi giorni, senza averti accanto, ho capito di essermi innamorata di te dalla prima volta che ti ho visto quando hai portato Puck all’ospedale.

Ho provato a soffocare questo sentimento perché avevo paura che se mi fossi aperta con te ti avrei persa, come sta succedendo ora ma è cresciuto giorno dopo giorno sempre di più e tutte le volte che ci vediamo sento il cuore scoppiare dalla felicità. Anche adesso. Sta battendo così forte da voler uscire dal mio corpo perché ormai non mi appartiene più.

E’ grazie a te se oggi sono quella che sono. Chiedi alla mia migliore amica chi ero prima di incontrarti… negli anni mi ero costruita una corazza, un muro così spesso da essere impenetrabile, da non permettermi più di provare sentimenti che mi potessero far soffrire. Si, Irene. La mia paura più grande è soffrire specialmente per amore, accorgersi che il cuore sanguina così tanto da sentirsi morire, stare così male da dimenticarsi di respirare.

Questo è tutto quello che fai a me quando ti sto accanto. Sei contemporaneamente la mia paura ed il mio sogno più grande.

Ho ancora tanti difetti, hai imparato a conoscerli e non mi sento di farti promesse grandiose ma…

Non posso prometterti che sarò sempre puntuale ma ce la metterò tutta per non tardare mai quando sarai tu a chiamarmi.

Non posso prometterti che ci sarò sempre a proteggerti dalla cattiveria del mondo e dalla gente ma non esiterò mai, quando non ce la farò, a stringerti così forte da farti dimenticare di loro.

Non posso prometterti che potranno essere sempre rose e fiori ma posso tagliare tutte le spine delle rose per non farti pungere.

Non posso prometterti di non farti mai soffrire ma ce la metterò tutta per renderti felice e vedere sul tuo viso quel sorriso che amo così tanto.

Infine non posso prometterti il ”per sempre” ma ce la metterò tutta perché lo sia.

Queste sono alcune cose che mi impegno a fare se mi darai la possibilità di starti accanto. Ce ne sarebbe un’altra che non è una vera e propria promessa… ma qualcosa che voglio farti ascoltare e che mi ha tenuto compagnia in questi giorni duri. Non puoi neanche immaginare cosa mi è successo ma adesso non è il momento.

Questo è tutto, o almeno una parte delle mille cose che ti volevo dire. Ora se vorrai cacciarmi da casa tua me ne andrò in silenzio, senza farti stare male ancora.-

Riprendo fiato. Come immaginavo quel discorso era uscito da solo, senza pause e senza tentennamenti. D’accordo non era perfetto e forse neanche ad effetto ma poteva andare per una come me.

Valentina aveva ragione su un’altra cosa: ora che avevo fatto uscire i miei sentimenti mi sentivo vitale come mai ero stata. E soprattutto, mi sentivo felice.

Dall’altra stanza sento solo il suo respiro accelerato: probabilmente sta singhiozzando e mi sta maledendo per averla confusa ancora, magari dopo che si era già auto convinta che non era giusto amare una donna.

Lo sapevo fin troppo bene quello che provava perché anni prima ci ero passata anch’io.

- Ascoltami.. - continuo a parlarle alzandomi e poggiando nuovamente le mani sulla porta - so come ti senti ora. Ci sono passata anch’io. Sei confusa, ti senti sbagliata e pensi che nessuno al mondo vorrà più ad avere a che fare con te. Magari pensi anche ai tuoi genitori, a come reagiranno e soffriranno nel scoprire che hanno una figlia “malata”.

Pensi a come la gente ti indicherà per strada, puntando il dito e dandoti della deviata.

Se è così smetti proprio di pensare! La verità è che non sei sbagliata e ci saranno molte persone che vorranno starti accanto perché sei una donna meravigliosa.

D’accordo, qualcuno si allontanerà ma è meglio stare lontano da persone così superficiali. Sono loro quelli infelici perché sono come i peggior parassiti e credono di vivere felici in una realtà che è frutto solo della loro immaginazione.

Per quanto riguarda i tuoi…non li conosco ma credo che due persone che hanno messo al mondo e cresciuto una ragazza come te, non possano non amarti incondizionatamente, qualsiasi cosa tu faccia.

E poi non sei ne malata ne deviata.. sei solo una donna che deve trovare il coraggio di accettarsi e di seguire il suo cuore. Di ammettere quello che dentro di te sai già. Questa è la verità.-

Ora i suoi singhiozzi sono più forti, li posso sentire chiaramente. Stavolta ho fatto centro pieno. Vorrei buttare giù la porta, abbracciarla, dirle che andrà tutto bene... fa un male cane sentirla così.

- Io…io non so se sono capace ad amare una donna, ad andare in giro mano nella mano con lei per le vie della città, a baciarla in mezzo alla gente, a presentarla ai miei amici…- il suo sussurro singhiozzato si trasforma in un pianto disperato che mi giunge chiaro.

Come se non aspettasi altro che quel segno, il crollo, aggiungo:

- Non devi immaginarti con una donna. Ma con me. Con Francesca Morticone. Lo so io come si fa e le faremo insieme. Queste e molte altre..questo te lo posso promettere! Passo a passo, senza nessuna fretta. Nonostante quello che dicono i miei tirocinanti sono la migliore insegnante che potresti avere..-

Eccola sorridere, non posso sbagliarmi. Quanto darei per vederla anche solo per un secondo...

- Ammesso che anch’io provi qualcosa per te, forse è meglio che ti innamori di un’altra ragazza, meno complicata di me. -

- Forse hai ragione ma vedi c’è un piccolo particolare: il mio cuore capriccioso non vuole nessun altro uomo, donna e chicchessia che non si chiami Irene Scarsi, che ha 29 anni, che ha un cane di nome Puck e che in questo momento è dietro questa porta. E’ fatto così e Valentina mi ha ordinato di non andare mai contro di lui, di lasciarlo fare con non si sbaglia mai.-

Aspetto qualche minuto. Più di questo ora non potevo fare: toccava a lei trovare il coraggio per accettarsi e far vincere il suo cuore sulla ragione come tempo fa aveva fatto il mio.

Un sospiro lunghissimo, ad occhi chiusi, in cui cerco di spezzare quella situazione tesissima:

- Irene, tesoro. Ti ho detto tutto quello che dovevo dirti. Non me ne andrò dalla tua vita senza il tuo volere ma ti prego di promettermi una cosa. Voglio che tu sappia che se non mi vuoi come la persona che starà al tuo fianco, sono pronta a mettere tutte queste cose, i miei sentimenti, le mie sofferenze, in un cassetto pur di non perderti, almeno come amica. Puoi star certa che non mi sentirai dire più niente che tu non voglia. A presto -

Accarezzo la porta della camera come se fosse il suo viso ed esco da casa sua. Tutta l’adrenalina che circolava nelle mie vene  si stava lentamente esaurendo e mi sentivo esausta, senza forze, come se avessi scalato una montagna di 10.000 piedi.

Quando entro in macchina do un’occhiata alla finestra del palazzo ed incontro i suoi occhi. Come la prima volta quello sguardo dura un istante ma sufficiente per farmi capire che avevo più di qualche speranza: bastava un po’ di tempo, magari ancora qualche consiglio di Paola che si era rivelata una alleata formidabile e, per dirla come Valentina, la donzella sarebbe caduta presto fra le braccia della sua principessa azzurra.

 

Perché mi chiedo 'dove sarai?'
e mi chiedo 'cosa farai?'
ti stai sentendo sola da qualche parte,
o ti sta amando qualcuno?
dimmi come posso vincere il tuo cuore
perché non ne ho la minima idea
ma fammi cominciare dicendo, ti amo

 

[Da: “hello” di L. Richie]

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV° - Ti odio perchè... ***


Buongiorno a tutti. Sono in anticipo di un giorno, lo so ma preferisco postare oggi il nuovo capitolo per due motivi: domani sono via tutto il giorno e non so se riuscirei a farlo, quindi preferisco anticipare che farvi aspettare (visto che le mie "recensitrici" sono sempre state buonissime con me!) e poi perchè ormai è pronto..inutile aspettare allora! Questo è il penultimo capitolo..diciamo che buona parte della vicenda si risolve in questa parte per cui posterò l'ultimo domenica sera senza farvi aspettare troppo. Detto questo, ieri sera ho messo giù qualche idea per la continuazione di questa storia.. vorrei sapere se ufficialmente vi interessa un'altra "serie" (chiamiamola così) oppure è più giusto finirla così. Ci tengo molto al vostro parere e sono graditissime delle idee (meglio se in MP). Ok, ora basta con le mie chiacchiere... un ringraziamento veloce ma sentito a chi ha commentato lo scorso capitolo (beh 6 recensioni, grazie!!!!), a chi la sta seguendo dall'inizio e a chi semplicemente legge e le ha messe fra le preferite, ricordate e seguite. Mille volte grazie. Ricordandovi che l'ultima parte sarà postata domenica sera, vi lascio alla lettura, sperando che sia all'altezza dei precendenti capitoli..





Erano passati solo cinque miseri giorni: dall’altro capo della città tutto taceva e cominciavo a tradire i primi segni di nervosismo. Le avevo detto che l’avrei aspettata, che avrei atteso che chiarisse i suoi sentimenti e mettesse ordine alle sue paure ma ero già stufa di aspettare e mi sentivo sull’orlo di una crisi di nervi.

Uscendo da casa di Irene, mi ero fiondata dalla mia amica per raccontarle cosa era accaduto e stavolta è stata lei a stringermi fra le braccia e a dirmi che, questa volta, tutto sarebbe andato nel verso giusto.

Solo lei che meno di 24 ore prima era stata umiliata da quell’animale, aveva trovato la forza dentro di se di pensare positivo, di sorridermi, di accantonare per qualche ora i suoi problemi.

Anche il nostro era un’amore, diverso si, ma era comunque amore. Spropositato per quanto mi riguarda perché, per Vale, avrei dato anche la mia vita se me l’avessero chiesto.

Era la prima volta che mi vedeva in quello stato, avvolta nella mia nuova fragilità ed era la prova lampante che Irene era riuscita in quello che in molti avevano fallito: il muro era davvero crollato e la vecchia burbera, egoista Francesca era solo un lontano ricordo.

Che la ruota stava davvero girando, l’avevo capito proprio quello stesso giorno perché qualche ora dopo, ricevetti una chiamata dal direttore sanitario che mi convocava nel suo ufficio.

Quel pomeriggio mi sono presentata davanti al mio datore di lavoro ancora con la sbornia della dichiarazione fatta ad Irene addosso e con un pizzico di incoscienza che mi dava ancora di più l’aria da dura.

In tutte quelle ore mi ero pure scordata di avere un posto di lavoro traballante ed il mio capo me lo ha ricordato a più riprese davanti a tutto il consiglio ospedaliero, riunito per l’occasione.

Alla fine, nonostante la grave negligenza, il mio lavoro era comunque salvo grazie al mio brillante curriculum e al lavoro impeccabile svolto fino a quel momento. Me la sarei cavata solo con qualche altro giorno di punizione ed una ritenuta ogni mese dallo stipendio per la durata di un intero anno, pari a coprire i danni chiesti dal proprietario dell’animale.

 I soldi non erano tutto nella vita e poteva andarmi molto peggio.

Usciti gli altri membri, il capo mi ha fatto chiaramente capire che sapeva la verità e che era orgoglioso di avermi nel suo ospedale. Il posto di primario, poi, era solo rimandato.. dovevo solo stare tranquilla e crescere i miei odiosi studenti.

Dal sorriso dei miei colleghi che avevo incrociato in corridoio uscendo dall’ospedale, ho capito subito chi era stato a fare la spia al direttore e quindi a salvarmi lavoro e carriera. In fondo non erano così male…

Comunque, nei restanti giorni di sospensione, è inutile dire che vivevo con il blackberry addosso e che sussultavo ogni volta che mi arrivava una chiamata o un messaggio e che Valentina pregava di più di me perché Irene si facesse sentire. Non mi sopportava veramente più.

Una sera c’è mancato poco che mi buttasse sotto la doccia fredda per calmare “ i bollenti spiriti” ma almeno, tutto questo, sembrava salutare per lei perché non le permetteva di pensare troppo spesso ad Andrea.

 

E per fortuna oggi avrei ripreso a lavorare e, nonostante mi toccasse il fastidioso turno da 24 ore, avrei potuto scaricare la tensione contro i miei tirocinanti, giusto per non perdere proprio tutte le vecchie abitudini.

Arrivo al lavoro con qualche minuto di anticipo e comincio subito senza ulteriori indugi in quello che sapevo fare meglio: se non volevo altri casini dovevo imparare a mettere da parte il cuore, almeno quando mi vestivo di bianco e avevo un fonendoscopio al collo.

Tutto sommato la prima giornata stava passando nel migliore dei modi: poche urgenze, molta routine e qualche sorriso di troppo da parte di alcuni colleghi.

Stavo cambiando ma quando è troppo… anche se, in fondo, ero in debito con loro perché se potevo ancora esercitare in questo ospedale era grazie al loro intervento.

Probabilmente avevano notato anche loro i miei cambiamenti e, lavorare in questo modo senza molte tensioni, era più facile per tutti.

Alle 8.30 del mattino dopo, stavo tornando verso la macchina per raggiungere casa mia quando il blackberry si mette a suonare. E’ Vale.

- Ehi..Buongiorno- la saluto con molta enfasi

- Buongiorno a te. Ti ho chiamato per sapere se ci sono novità e per chiederti come è andata in ospedale-

- E’ andata benone Vale. Non ho mai lavorato così bene in vita mia. Certo qualche “idiota” l’ho scaraventato ma coi colleghi… abbiamo pure cenato insieme. Un panino, non farti strane idee…-

- Ma bene! Sono contenta. Madonna ti prenderei a pugni in testa. Tu e la tua cocciutaggine. Invece quell’altra cosa…-

- Calma piatta- il mio tono allegro cambia radicalmente - sto perdendo le speranze ogni ora che passa..-

- Smettila di dire così. Sembri me! E poi vacci piano, mi ci devo ancora abituare alla Francesca dolce, premurosa ed innamorata di adesso.-

- Scema!-

Dall’altro capo del telefono Vale scoppia a ridere e rido anch’io lasciandomi contagiare dal suo buon umore.

- Vado a dormire. Ci sentiamo stasera ok?- le chiedo appena arrivo vicino all’auto.

- Si, certo. A dopo. Ciao tesoro.-

Faccio appena in tempo a salutarla che chiude la chiamata.

Metto in moto e, nonostante il traffico intenso delle 9 del mattino, arrivo a casa in poco tempo. Mi faccio  una doccia ed un thè giusto per rilassarmi, mi vesto con una tuta da casa e mi metto a letto.

Gli occhi si chiudono qualche istante dopo…

 

…. Sono in una spiaggia,in quella spiaggia….

Guardo il mare mentre il vento mi scombina i capelli ed le narici si saturano di sale marino.

C’è silenzio. Un silenzio rumoroso. Solo il dolce rumore delle onde che si infrangono sugli scogli poco distanti lo riempie.

Un paio di occhiali da sole mi impediscono di godere appieno dei colori caldi dell’estate e piccole gocce di sudore percorrono la mia pelle ancora chiara procurandomi intesi brividi lungo la schiena.

In questo paradiso spunta improvvisamente una donna,Irene, che si avvicina a passi lenti verso di me.

Provo ad alzarmi ma non ci riesco. Provo a tenderle la mano… stessa sorte.

Si ferma ad un paio di metri da me senza dire niente.

Quegli occhi li riconoscerei fra miliardi.. quel colore verde smeraldo puntati nei miei come la luce di un faro che indica il mio cammino.

Il mio cuore batte alla velocità della luce, come ogni volta…il cervello ormai sta imparando solo ad assecondarlo.

Mi guarda dolce ma senza muovere un passo. Restiamo così per un tempo interminabile: forse secondi, forse minuti..forse il tempo ha deciso di fermassi in questo meraviglioso momento.

Questa è la donna che si è appropriata  del mio cuore che si dimentica quasi di battere quando le sta troppo distante. Il momento dopo si gira e si butta in mare.

Nello stesso attimo che il pelo dell’acqua va in frantumi, il mio corpo ricomincia a muoversi e corro verso di lei ma è troppo tardi. Ormai è irraggiungibile. Lo conosco fin troppo bene cosa succederà adesso... Ora lei mi sussurrerà quelle parole e si lascerà andare…

Mi sorride ed invece ritorna a riva, verso di me.. le nostre mani si incrociano.. i nostri occhi si chiudono…le nostre fronti si toccano…i nostri cuori cominciano a battere all’unisono.

Tutto sembra un puzzle complicato in cui ogni pezzo si incastra nel posto e nel momento giusto.

Le nostre labbra stanno per toccarsi, per ritornare a vivere ...

 

DRINNN   DRINNN   DRINNN

 

Maledetto palmare. Mi ero dimentica di spegnerlo e questo stava suonando nel momento meno opportuno , in cui l’avrei volentieri spedito contro il muro.

Ancora scossa dal fresco sogno ( o meglio dire dalla seconda versione del solito sogno), guardo il visore riconoscendo un numero sconosciuto.

Anche se il tasto rosso mi attira maggiormente decido di rispondere alla telefonata e di mandare a quel paese lo scocciatore di turno.

- Pronto?-

- Ciao...-

Appena sento la voce dell’interlocutore mi blocco fissando un punto indefinito del muro. Diavolo di un destino… riconoscerei questa dolce voce fra milioni di altre. E’ la sua incantevole, melodiosa voce.

Questa era la telefonata che aspettavo da giorni e, probabilmente, avrebbe deciso buona parte del mio futuro.

- Ciao..- le controbatto con un’emozione che fatico a nascondere.

- Come stai?-

- Tutto bene. Sono appena tornata da un turno all’ospedale. Ho staccato mezz’ora fa-

- Oddio scusami… probabilmente stavi dormendo. Dovevo chiamarti più tardi.-

- Tranquilla, ormai sono sveglia. E poi… lo sai, tu mi puoi chiamare anche nel cuore della notte e non ci sarebbero problemi...-

- Sei troppo gentile.-

- Gentile non è proprio la parola giusta comunque..penso che se mi hai chiamato è perché hai fatto chiarezza dentro di te..-

- Si, è vero. Ho ancora un po’ di confusione in testa, tante domande a cui non ho dato ancora una risposta ma a quella più importante si...- Una pausa. Non sopporto più questa situazione, questo continuo punzecchiarsi, girare intorno alla questione senza arrivare al nocciolo. Probabilmente qualsiasi cosa abbia deciso per la sua vita le costa davvero tanto ammetterlo a se stessa e so che l’unica cosa che posso fare in questo momento è lasciarla parlare, senza forzarla, senza fare assolutamente nulla.

- Ok..- le rispondo in un sussurro. - Allora..vuoi che ci vediamo?-

- No- mi risponde decisa prima di precisare: - cioè si, non lo so. Senti Franci, quello che voglio dirti è già difficile per me accettarlo. E’ un po’ vigliacco ma penso che non mi aiuterebbe guardarti negli occhi…-

- Va bene, cosa desideri che faccia allora…-

- Come ti ho ascoltato io l’altro giorno, desidero che mi stai ad ascoltare tu questa volta..-

- Ok- sussurro  non trattenendo un lungo sospiro. Mi stavo già preparando al peggio perché il momento della verità, nella buona o nella cattiva sorte, era arrivato. Stavo già riunendo tutte le forze che mi erano rimaste per non scoppiare a piangere quando mi avrebbe rifiutato.

Dall’altro capo del telefono la mia mente registra meccanicamente un sottofondo di auto e di un pezzo di carta che si apre. Probabilmente lei, il suo discorso, ha avuto tempo di prepararselo…

- Allora… quello che ti volevo dire è che…… ti odio!

Ti odio perché quando sei venuta a casa mia con la complicità di Paola, è stato un colpo basso e hai usato le parole che sognavo un giorno di sentire dal mio principe azzurro.

Ti odio perché sei quell’ideale che credevo non esistesse: intelligente, sarcastica, sicura di sé tanto da, a volte, sembrare cocciuta ma allo stesso tempo dolce, sensibile, attenta ai miei bisogni e con un cuore unico e meraviglioso. Ma sei una donna.

Ti odio perché hai scelto me per deciderti di abbattere quella fastidiosa corazza e sono stata la prima a conoscere la parte migliore di te.

Ti odio perché sei entrata in punta di piedi nella mia vita ed, in silenzio, ti sei permessa di arrivare al mio cuore senza che me ne accorgessi.

T i odio perché mi hai dato la tua vita senza prima chiedermelo.

Ce ne sarebbero altri di “ti odio perché” che mi sono scritta su questo dannato foglio che sto leggendo ma…

Ma più di tutto ti odio perché… Perché con tutti gli sforzi che possa fare, non riesco ad odiarti…. perché mi hai fatto innamorare di te e adesso se ti sto lontano sto male. Hai ragione… un cuore che sanguina si  dimentica di battere, di farti respirare ma più di tutto, ti fa scordare di come si vive…

Ed io amo vivere per cui, ora lo so, io amo anche te.-

Per fortuna i muscoli come quelli del cuore, del diaframma e di altri essenziali per la vita, sono dotati di fibre involontarie che ci fanno respirare, che danno l’energia necessaria al cuore per pompare il sangue in tutti i distretti del corpo senza che la nostra volontà interferisca con loro.

Essa infatti, unita alle emozioni che proviamo, può solo far aumentare o diminuire il loro lavoro ma mai farlo smettere del tutto.

Nel momento in cui sentivo che la mia vita stava prendendo la strada che agognavo con tutta me stessa da tempo, la mia volontà si sarebbe sicuramente dimenticata di farmi respirare e quindi di vivere.

In questo stesso momento in cui la vita stava ripagando il suo debito dopo avermi tolto tutto.

La felicità era davvero una ruota che girava ed oggi, in questa stessa città, era uscito il mio numero.

 

E' un emozione nella gola

da quando nasce a quando vola
che cosa c'è di più celeste

di un cielo che ha vinto mille tempeste
che cosa c'è

 se adesso sento queste cose per te

 

“Quando nasce un’amore”-Anna Oxa

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI° - Favola (epilogo) ***


Ed eccoci qui all'ultimo appuntamento della serie. E' un po' strano postare l'ultimo capitolo di una serie che mi ha tenuto impegnata per 3 mesi e che ormai so a memoria a forza di corregerla. Adesso posso anche rivelare che ho rischiato di perdere tutto il file almeno un paio di volte prima di decidermi finalmente a salvarlo su una chiavetta...la prudenza non è mai troppa. Comunque, chiusa questa serie, confermo che ci sarà una continuazione. Esattamente non so ancora come impostarla, se immaginare di raccontare qualcosa in più capitoli, oppure scrivere un n° di one shot come una raccolta..vediamo. Adesso godetevi l'ultima parte, sperando che sia all'altezza delle precedenti ma prima, permettetemi, voglio ringraziare con tutto il cuore le mie fedelissime "recensitrici"... siete uniche e mi avete sempre dato la fiducia e l'entusiasmo per andare avanti e fare sempre meglio. Non so se l'avrei finito senza di voi...Un bacio quindi ad Apia, a Caso, ad Hacky ed anche a chi si è aggiunto dopo, arrivando nell'ultimo capitolo a ben 8 recensioni. Un saluto caloroso anche a chi l'ha seguita semplicemente leggendola e mettendola fra le preferite, ricordate, seguite... Grazie l'ho già scritto???! Ok. Basta chiacchere..buona lettura.

P.S. La pubblicazione della seconda serie non sarà immediata, indicativamente nel mese di marzo perchè ho degli esami all'università e pochissimo tempo per scrivere. Appena pubblicherò il primo capitolo, manderò un messaggio privato alle utenti che hanno messo la storia nelle seguite, preferite e ricordate. Spero di fare cosa gradita... ora davvero basta scrivere. Ciao ciao.





Lei mi aveva appena detto che amava vivere e che amava me. Cristo santo..ha detto che mi ama!

Avevo ascoltato tutto il suo discorso in silenzio, seduta sul letto con il cuscino stretto in un abbraccio e la testa contro il muro.

Sentivo le sue parole e nient’altro… in quegli attimi probabilmente non mi ricordavo neanche chi ero o come mi chiamavo.

Anche le sue, di parole, oggi avevano fatto centro.

- Franci..ci sei? Non dirmi che hai già cambiato idea…-

- Dove sei?- le chiedo decisa, ridando suono alla mia voce. Ora era lei a non sapere cosa dire.

- Amore dove sei?-  mi lascio sfuggire mentre mi sento come un leone in gabbia.

- Sotto casa tua.- mi risponde con un sussurro.

- Dammi un secondo e ti apro-.

La vedo dal videocitofono che entra nello stabile, quasi di corsa.

Ho aspettato abbastanza e corro fuori dalla porta di casa dimenticandola aperta. Qualche secondo dopo la porta dell’ascensore si apre e senza pensarci si lancia fra le mie braccia.

Finalmente ho l’occasione di risentire la sua pelle e di saturarmi del suo profumo da cui ormai dipendo come una droga.

- Ciao..- le sussurro all’orecchio con voce roca, rotta da un’emozione che mai avevo provato. Irene era finalmente mia. Mi apparteneva, come io, ora, appartenevo a lei.

- Ciao- mi risponde posando le sue braccia intorno al mio collo.

Mi sorride. Quel sorriso che tanto amo e che ogni volta mi trapassa l’anima da parte a parte.

- Sei bellissima- le dico baciandola sulla tempia.

- Anche tu...- mi risponde arrossendo leggermente mentre con le dita le sposto un paio di ciuffi di capelli ribelli dietro l’orecchio.

- Vieni..- e le prendo la mano conducendola dentro casa.

Una volta entrate mi appoggio alla porta ed il mio sogno si volta guardandomi indecisa sul da farsi.

Le prendo le mani, le nostra dita si intrecciano l’une con le altre mentre il mio cuore vorrebbe scappare dal petto.

I nostri visi si avvicino e le fronti si toccano. Restiamo attimi lunghissimi in silenzio ad assaporare quella sensazione di ebbrezza, di invincibilità.

Sono poche le volte che l’amore delle favole, come lo chiama Vale, trionfa e oggi era successo proprio a noi due. Tutti i grandi amori, e questo ne ero più che sicura… ne faceva parte, hanno avuto un primo giorno e quello era il nostro.

Apro gli occhi abbracciandola, ancora con le nostre mani legate:

- Guardami ti prego… amo perdermi nei tuoi occhi- le sussurro.

Provo a viaggiare nei suoi pensieri e nelle sue paure per non fare mosse troppo azzardate e frettolose.

Decido di andarci cauta: libero le nostre mani e, prendendole il viso, poso le labbra sulla sua fronte… continuo posandone un secondo fra gli occhi, un terzo sulla punta del naso.

Mi sposto lateralmente dandole qualche bacio sull’orecchio. Qui la sento sciogliere come se avessi trovato il punto magico per far sparire le sue residue paure.

Dall’orecchio scendo sull’angolo della mandibola e proseguo fino ad arrivare al mento.. il penultimo si stampa direttamente fra le labbra e lo stesso mento e poi la guardo nuovamente, chiedendole l’implicito permesso per il passo successivo.

La sento respirare a fondo e tremare leggermente:

- Non farò niente che tu non voglia… aspetterò fino a quando non sarai pronta.- le ribadisco il concetto vedendola insicura.

In quell’istante una nuova luce splende nei suoi occhi ed è lei stessa ad abbracciarmi il collo ed a bagnarmi le labbra con un bacio.

Dapprima timido, diventa senza più passionale quasi violento… come se quel gesto l’avesse liberata completamente dalle ultime remore.

In un turbinio di emozioni e sensazioni senza fine ci ritroviamo a letto, mezze nude con una voglia immensa di scoprirci l’una con l’altra.

Quando, fra un bacio ed un altro, la mia mano scende sfiorandole gli slip, la sento tremare di paura e mi fermo:

- Scusami-  mi sussurra quasi in lacrime - non credo di essere ancora pronta per..-

La zittisco appoggiandole un dito sulle labbra e stringendola ancora di più al mio corpo:

- Ti ho detto mille volte che non devi scusarti con me. Abbiamo detto un passo alla volta. Quando succederà sarà speciale e aspetterò tutto il tempo che sarà necessario… come ti senti?- le chiedo premurosa.

- Un po’ spaesata ma è bello stare fra le tue braccia- mi risponde chiudendo gli occhi. La paura di prima era del tutto svanita.

Le poso un nuovo bacio sui capelli.

- Sono felice perché ti ci dovrai abituare in fretta. Non ho nessuna intenzione di lasciarti scappare.- replico rubandole un sorriso.

- Quindi… spiegami bene: anche nei rapporti omosessuali le scappatelle sono vietate?- mi chiede ironica.

- Ovviamente - le rispondo a tono – e sappi che la tua nuova ragazza è una tipa assai gelosa della sua compagna quindi vedi di rigare dritto.-

Le faccio il solletico sui fianchi e ci rotoliamo nel letto ridendo come due bambine fino a quando le blocco i polsi sopra le spalle. Scendo a baciarla con passione mentre ritorniamo abbracciate nella posizione di prima.

- L’altro giorno mi hai detto che c’era un’altra promessa..- mi chiede sibillina

- Ah si. Ricordo.-

- Qual è?-

- Mah!- le rispondo per farla stare sulle spine e mi becco una bello schiaffetto sulla coscia.

- Ahia! Ma hai lo stesso vizio di Vale??- aggiungo sciogliendo l’abbracciando e facendo la parte dell’offesa.

Irene, senza fare una piega, ritorna su di me appoggiando il viso accanto al mio senza smettere di guardarmi:

- E’ inutile che fai così. Ti stresserò l’anima fino a quando non me lo dirai…-

Ho subito la percezione che nella nostra nuova coppia, il mio “potere” decisionale sarebbe stato quasi pari a zero perché le sarebbe bastato farmi gli occhioni dolci, questi suoi occhi magici, per ottenere da me tutto quello che voleva.

- Va bene…- le dico arrendendomi al suo sguardo senza opporre altra resistenza – in realtà non è una vera e propria promessa. E’ più una dedica. Devi sapere che in questi giorni senza lavoro e senza te, sarei impazzita senza due cose: Valentina e la musica.

Ho bombardato i miei poveri timpani con migliaia di canzoni, soprattutto d’amore. Fra le tante ce n’è stata una che ha parole bellissime…è dei modà.

Parla di un cavaliere che insieme al suo cavallo bianco entra in un bosco ed incontra una principessa che se ne sta fra conigli e pappagalli. Quando i loro sguardi si incrociano, si innamorano all’istante. Il cavaliere si avvicina e la fa salire sul suo cavallo, sussurrandole queste parole:

 

Vorrei essere il raggio di sole che
Ogni giorno ti viene a svegliare per
Farti respirare e farti vivere di me
Vorrei essere la prima stella che
Ogni sera vedi brillare perché
Così i tuoi occhi sanno
Che ti guardo
E che sono sempre con te
Vorrei essere lo specchio che ti parla
E che a ogni tua domanda
Ti risponda che al mondo
Tu sei sempre la più bella
Na na na na na na na na na…

- E quindi tu saresti la mia cavaliera? -  mi chiede con un filo di voce.

- Solo se tu lo vorrai..- le rispondo accarezzandole una guancia.

-  Lo voglio- sono le sue ultime parole prima che le nostre labbra si ricongiungessero per un altro bacio infuocato.

Tutte le parole del mondo sarebbero state ora superflue… eravamo noi, due donne unite da un sogno che il destino aveva fatto prima incontrare e poi innamorare.

“Due donne che avevano appena stretto un nodo che avrebbe resistito a tutti i venti ma che, solo loro due, potevano facilmente disfare con due dita.”

 

 

P.S. L’ultima frase è presa dal racconto “Lamore” di Rosanna Fiocchetto, inserito nel libro “Principesse azzurre”.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=602919