Nel mio destino di Mameofan (/viewuser.php?uid=113952)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I° - Il sogno ***
Capitolo 2: *** II° - Valentina ***
Capitolo 3: *** III° - Una perdita importante ***
Capitolo 4: *** IV° - Nuovi piccoli segnali ***
Capitolo 5: *** V° - Una mattinata (quasi) normale ***
Capitolo 6: *** VI° - E' lei! ***
Capitolo 7: *** VII° - La telefonata ***
Capitolo 8: *** VIII° - Primi passi ***
Capitolo 9: *** IX° - Anime platoniche ***
Capitolo 10: *** X°- Non sempre si usa la testa ***
Capitolo 11: *** XI°- Gesti inattesi ***
Capitolo 12: *** XII°- Toccare il fondo e rialzarsi ***
Capitolo 13: *** XIII° - Spiragli di luce ***
Capitolo 14: *** XIV° - Ti amo perchè... ***
Capitolo 15: *** XV° - Ti odio perchè... ***
Capitolo 16: *** XVI° - Favola (epilogo) ***
Capitolo 1 *** I° - Il sogno ***
E' la prima storia che pubblico su questo sito, non la prima che scrivo. Questo racconto è nato per caso mentre ero in auto: ho immaginato un dialogo e da li ho fatto venire fuori questa storia.
Non so ancora quanti capitoli saranno, forse 3-4, non è molto lunga ma se vi piace come scrivo, ho pronte altri racconti da condividere con voi.
Lascio il posto allo scritto, sperando che sia di vostro gradimento...Buona lettura!
Ancora un’ora. Ancora una stramaledettissima ora.
Sono appena le 7 e mezza di domenica mattina e mentre la maggior parte della persone riposa ancora sotto calde coperte, io devo aspettare la fine del mio turno.
Da una finestra del corridoio dell’ospedale veterinario, luogo in cui lavoro da qualche anno come medico strutturato, vedo il parcheggio per gli studenti illuminato solo dalla luce artificiale dei lampioni ed ovviamente non gira anima viva.
Finalmente riesco a respirare un attimo dopo una nottata decisamente movimentata anche per colpa di quella sottospecie di tirocinanti che mi hanno affidato che non sa neanche fare una sutura.
Alla loro età noi tirocinanti non potevamo permetterci le dimenticanze e le leggerezze che si permettono loro e così stanotte non ce l’ho più fatta ed ho urlato tutta la mia frustrazione… probabilmente questi idioti mi odieranno per sempre. Meglio così, non sono mica la loro bambinaia.
Un sospiro: maledetta me quando ho accettato il doppio turno per permettere alla mia collega di uscire a cena con il suo fidanzato per festeggiare il loro anniversario.
Quando le ho detto di si pensavo che il lavoro mi potesse distrarre, mi permettesse di dimenticare il vero motivo per cui non sto ferma un attimo da 5 giorni, da quando la mia ragazza (ragazza? Meglio dire Ex-ragazza) mi ha mollato così su due piedi.
Il vero motivo di questo addio ancora non l’ho capito bene , forse sono stata troppo dura con lei, forse avrei dovuto stare zitta ma odio l’ipocrisia ed odio ancora di più mentire.
Se preferisce le sue amiche a me, se crede a loro e non a me, vuol dire che qualcosa fra di noi è morto o addirittura non è mai nato dopo 10 appassionati mesi… allora che vada al diavolo. Lei e le sue amiche.
Com’è che dice il detto? “Morto un papa se ne fa un altro”. Però , adesso, mi manca.
Accenno un sorriso annegando nei ricordi mentre mi stiracchio i muscoli indolenziti sognando ad occhi aperti il mio caldo lettino che mi sta aspettando a casa e penso “ ancora un piccolo sforzo ed è finita”.
Poi il pensiero corre al mio vicino: se anche stavolta ha la musica a tutto volume quando arrivo, è la volta buona che faccio una strage.
Intanto delle voci dalla adiacente stanza di rianimazione mi riportano alla realtà e mi incammino cominciando a correre quando uno degli “idioti” corre nella mia direzione chiamandomi a gran voce.
Un’ora. Devo resistere ancora un’ora.
DOMENICA MATTINA: Ore 8.31
Finalmente è finita. Letto sto arrivando.
Improvvisamente rianimata da una forza inaspettata mi incammino con buona lena verso l’auto per tornare a casa.
Sto per salire nell’abitacolo della macchina quando il cellulare si mette a suonare. Mia madre. Perfetto, penso mentre rispondo alla chiamata.
< Ciao mamma >
< Ciao Franci. Come stai? Ti ho chiamato a casa ma..cosa ci fai in giro a quest’ora di domenica mattina? >
< Sto bene. Sai, ho un lavoro coi turni e mi è toccata la notte. Stavo andando a casa a dormire.> Le rispondo con un po’ di nervosismo.
< Ah, ok. Senti, quando ti deciderai a farmi conoscere la tua ragazza!>
Sospiro profondamente. Mi mancava solo questa. Come le faccio a dire che ci siano lasciate? E se ricominciasse ad organizzarmi appuntamenti con baldi giovani? No, non potrei sopportarlo nuovamente.
< Mamma ascolta. Io lavoro, lei lavora. Appena possiamo veniamo, te l’abbiamo promesso…> cerco di non innervosirmi più di tanto dando fondo a tutta la mia residua lucidità.
< Ho capito. Allora avevo ragione io, non vuoi farmela conoscere> Vuole litigare, la solita storia, devo restare calma.
< Non dire così, ti prego. Senti: sono distrutta, ho appena finito un turno massacrante qui in ospedale. I tirocinanti me ne hanno combinate di tutti i colori, tanto che ho passato più tempo a risolvere i loro casini che fare il lavoro per cui sono pagata. Ne possiamo riparlare oggi pomeriggio? Adesso ho solo voglia di toccare il letto>
< Va bene..> mi risponde poco convinta
< Perfetto, Ti chiamo io. Salutami papà> e butto giù il telefono prima che possa replicare.
Sarò stata un po’ troppo stronza con lei ma la conosco e se le rispondevo a tono, sarei arrivata a casa mia per l’ora di pranzo.
Mentre poso il telefono, il visore si illumina di nuovo. E’ la mia migliore amica Valentina, l’unica donna a cui ho permesso di conoscermi così a fondo.
Rispondo allo squillo sorridendo e spengo il cellulare: per questa mattina basta scocciatori sono veramente esausta.
Metto finalmente in moto osservando dallo specchio il polo ospedaliero che si fa sempre più piccolo mentre le ruote della mia macchina macinano la strada di fronte a me a grande velocità.
Le strade sono, per fortuna, deserte e una dolce musica alla radio mi tiene compagnia durante il breve viaggio, impedendomi di addormentarmi al volante.
Con le ultime forze rimaste parcheggio, chiudo l’auto e mi trascino fin su all’ascensore dove mi lascio cullare dalle vibrazioni che mi anticipano un buon sonno.
Per fortuna il vicino di casa sembra tranquillo e, rinfrancata, apro casa e mi butto ancora vestita sul grande letto matrimoniale dove il contatto fra il mio viso ed il cuscino fresco di bucato mi fa addormentare all’istante.
... Sono in una spiaggia. Guardo il mare mentre il vento mi scombina i capelli ed le narici si saturano di sale marino.
C’è silenzio. Un silenzio rumoroso. Solo il dolce rumore delle onde che si infrangono sugli scogli poco distanti lo riempie.
Un paio di occhiali da sole mi impedisce di godere appieno dei colori caldi dell’estate e piccole gocce di sudore percorrono la mia pelle ancora chiara procurandomi intesi brividi lungo la schiena.
In questo paradiso spunta improvvisamente una donna, mai vista, che si avvicina a passi lenti verso di me.
E’ alta, mora, con un corpo mozzafiato da far perdere la testa a qualsiasi essere vivente sulla terra.
Provo ad alzarmi ma non ci riesco. Provo a tenderle la mano… stessa sorte.
Si ferma ad un paio di metri da me e riesco ad osservarla meglio perdendomi all’istante quando i nostri sguardi si incrociano.
Il mio cuore batte alla velocità della luce, il cervello è in stand-by anche lui distratto da tale perfezione.
Mi guarda dolce ma senza muovere un passo. Restiamo così per un tempo interminabile: forse secondi, forse minuti..forse il tempo ha deciso di fermassi in questo meraviglioso momento.
L’ istante dopo si gira e si butta in mare.
Nello stesso attimo che il pelo dell’acqua va in frantumi, il mio corpo ricomincia a muoversi e corro verso di lei ma è troppo tardi. Ormai è irraggiungibile.
Mi sorride e sento pronunciare le sue uniche parole che mi inquietano l’anima: “ Sei nel mio destino..”
Infine un ultimo dolce sorriso prima di cadere giù in fondo al mare, senza lottare, lasciandomi impotente a fissare quell’orrenda scena...
< Nooo…> urlo svegliandomi di soprassalto e tenendo forte il cuscino.
Mi guardo attorno ma tutto è tranquillo: dai finestroni della mia mansarda si sente un rumore incessante di pioggia ma con la luce del giorno che illumina debolmente la mia stanza.
Quel sogno mi ha lasciato un senso di agitazione che non mi ha ancora abbandonato e mi accorgo di avere ancora i vestiti addosso. Mi alzo con paura quando l’orologio segna appena le 9.15 e mi cambio infilandomi sotto le coperte.
La stanchezza non è andata per nulla via tanto che neanche il brutto sogno di prima mi impedisce di addormentarmi nuovamente appena chiudo gli occhi.
Drin Drin Drin
Lo squillo del telefono di casa mi sveglia dopo neanche 5 minuti che mi ero appisolata. Contro voglia mi alzo: adesso veramente basta.
Prendo il cordless ripromettendomi di non assalire subito il mio interlocutore:
< Pronto?>
< Ciao dormigliona.> la voce di Valentina mi fa perdere tutto lo spirito combattivo. Come potevo arrabbiarmi con lei?
< Ciao rompiscatole> rispondo con umorismo.
< Sei ancora a letto? Dai vestiti che usciamo e niente storie. Ti vengo a prendere sotto casa fra mezz’ora.>
Neanche il tempo di risponderle che ha già chiuso la chiamata.
Guardo il mio letto e gli dico ad alta voce: “ Amico mio, mi sa che dovremo aspettare.”
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Capitolo 2 *** II° - Valentina ***
Eccomi col secondo capitolo della storia. Ammetto che inizialmente ero tentata di non continuarla...pensavo non vi piacesse visto le 0 recensioni ma ho deciso cmq di provare ad andare fino alla fine.
Ovviamente sono gradite le critiche sia ai personaggi, sia al mio modo di scrivere e mi scuso se ci sono errori ma scrivo soprattutto alla sera tardi.
Vi lascio alla lettura, sperando che possa piacervi almeno un pochino.
Buona lettura!
P.S. Una cosa velocissima. Non è assolutalmente una autobiografia della mia vita, anzi. Ho voluto creare Francesca con un carattere completamente all'opposto dal mio.
In ritardo, come sempre, Valentina
arriva sotto casa
mia quando ormai iniziavo a sentire i primi effetti del gelo nelle ossa.
< In orario come al solito,
vedo> esordisco
mentre entro in macchina.
< Non cominciare, ho dovuto
portare a mia mamma un
documento>
< Si certo. Trovati una
scusa migliore>
< Sei sempre molto
simpatica… cos’hai oggi? Dormito
male?>
< Il problema è
che non ho proprio dormito. A differenza
tua, ogni tanto lavoro!>
Valentina simula una risata
sarcastica prima di
concentrarsi completamente sulla guida ed io ritorno nei miei pensieri.
Mi divertivo molto, soprattutto
quando il nervosismo
era a livelli pericolosi, a punzecchiare la mia migliore amica che
lasciava
fare senza prendersela più di tanto.
Invidiavo molto questo lato del suo
carattere perché
non faceva parte di me ed ogni tanto, prenderla col sorriso,
è un aiuto a non
perdere troppo spesso la pazienza, cosa che mi succedeva di frequente
negli
ultimi tempi, soprattutto con i miei colleghi e quei
“poveri” tirocinanti.
< Franci..>
Guardo Valentina che non stacca gli
occhi dalla strada:
< Cosa succede..
E’ ancora per Sara, vero? Perché
se è così non farti troppo il sangue amaro.
Quell’oca non ti ha mai e dico MAI,
voluto bene come le volevi tu. Ti ha fatto un favore, credimi. Meriti
molto di
più.>
< Grazie Vale ma non
è solo per lei.>
< Cosa allora.
Racconta>
< No, nulla di
speciale>
< Dai… a me puoi
dire tutto lo sai>
< Si lo so. Ma non
è niente di che, ti ripeto.>
< Francesca Morticone ti
conosco da più di 10 anni
e quando ti comporti così c’è qualcosa
che non va. Sputa il rospo o sarò
costretta ad usare le maniere forti!>
Questo tono di Valentina lo
conoscevo bene. Quando mi
chiamava per nome e cognome e con questa enfasi non avevo vie
d’uscita.
< Ok... Stamattina, prima
che tu mi chiamassi, sono
riuscita a dormire una mezz’oretta ed ho fatto un sogno che
mi lasciato un po’…
così>
Rimaniamo in silenzio qualche
istante e Valentina,
notate le mie titubanze, mi invita a continuare il racconto:
< Avanti, non farti cavare
le parole di bocca come
sempre.>
Respiro profondamente per alcuni
secondi per
raccogliere le idee e comincio a raccontarle del sogno, di quella
ragazza
stupenda dagli occhi verde smerdarlo che prima mi sorride e poi si
butta nel
mare lasciandosi annegare.
Non tralascio nemmeno il
particolare più importante…
quella frase “Sei nel mio destino”che mi sta
ossessionando da quando mi sono
svegliata.
< Secondo te cosa significa?
> le chiedo alla
fine del resoconto.
< Secondo me hai un potere
speciale sulle donne… le
fai scappare in continuazione!>
Dando un’occhiata al mio
stato d’animo si affretta a
correggere il tiro:
< Scusami, stavo scherzando.
Magari non è niente di
particolare… forse volevi sognare Sara e significa che
l’hai davvero messa in
un cassetto.>
< Dai smettila. Non voglio
più parlare di lei. E
poi Sara non è bella neanche un centesimo della donna che ho
sognato>
Nella macchina torna il silenzio
che continua per
lunghi tratti del viaggio.
< Comunque… si
può sapere dove stiamo andando?>
chiedo quando ormai è mezz’ora che viaggiamo
sull’autostrada.
Eccola che comincia a ridere:
< Andiamo a passare una
domenica diversa dal solito
rispetto al tuo abituale programma: sveglia all’una, pranzo e
partite di
pallone in TV fino a notte fonda.>
< Deduco allora che non mi
riporterai a casa tanto
presto>
< Brava! Ogni tanto vedo che
lo fai andare il
cervello.>
< Dimmi che ci siamo solo
noi 2, almeno, e non i
tuoi amici dementi>
< Non sono dementi!!>
< Hai ragione, sono del
tutto idioti!>
< Smettila di dire
così> mi risponde ora
decisamente arrabbiata < se solo ti degnassi di conoscerli
meglio non la
penseresti in questo modo!>
Nella vettura ritorna una quiete
pesante che ci accompagna
per il resto del viaggio fino a quando Valentina non ferma la macchina
davanti
ad un bar dove riconosco alcuni di questi amici che stanno ridendo come
degli
stupidi.
Scendiamo dall’auto e li
saluto a malapena cercando di
stare il più lontano possibile dai loro discorsi per
concentrarmi sui miei.
La compagnia degli amici di Vale
è composta da 3
ragazzi con rispettive fidanzate e da altre due, fra cui la mia amica,
che
ancora non avevano un fidanzato.
Nonostante non fossero cattivi
ragazzi, non riuscivo a
sopportare la leggerezza con cui prendevano la vita e avevo alimentato
una
certa allergia al loro modo burlone di stare insieme.
Il ragazzo che proprio non
sopportavo si chiamava
Giacomo ed era un po’ il leader del gruppetto. Valentina mi
aveva raccontato
che a scuola era diventato un mito visto che ormai i professori lo
promuovevano
un po’ per pietà e un po’ per farlo
uscire dalla scuola obbligatoria.
Erano infatti 10 anni che
frequentava le superiori e
quest’anno riprovava per la terza volta la 5° liceo.
Le sue uniche passioni erano il
calcio e le ragazze e,
quest’ultimo, era il solo interesse che avevamo in comune.
Valentina mi si avvicina sorridente
prendendomi
sottobraccio ed insieme agli altri ci incamminiamo per le vie della
città
praticamente deserte.
< Sono contenta che sei
venuta> mi sussurra all’orecchio.
< Mi ci hai
costretto> le rispondo con un
tiepido sorriso.
Valentina mi imita e si gira verso
gli altri entrando
nella discussione che Giacomo ed Andrea, un altro ragazzo del gruppo,
avevano
intavolato parlando dei film usciti nel weekend al cinema.
Nel frattempo mi accorgo di aver
dimenticato di
riaccendere il cellulare. Attivo il mio blackberry sperando
che nessuno in ospedale mi abbia chiamato.
Speranza vana: mi arrivano 4 messaggi di cui due dai miei colleghi di
chiamate
senza risposta. Le richiamo:
< Ciao Stefania, sono
Francesca, cos’è
successo?>
< Ciao. No, tutto ok, ho
risolto. Non trovavo la
cartella clinica del gatto che sta facendo la chemio. Uno dei tuoi
tirocinanti
l’aveva dimenticata sopra il suo armadietto.>
< Cristo, non è
la prima volta. Martedì si beccano
l’ennesimo cazziatone.>
< Francesca, non essere
troppo dura, può capitare…>
< Si certo, ma non tutte le
volte. Sembra che lo
fanno apposta. E’ ora di passare alle maniere forti.>
< Non essere così
dura.>
< Ti ringrazio per il
consiglio ma so esattamente cosa
devo fare.>
< Va bene..> mi
risponde la mia collega un po’
scocciata per il mio tono.
Ci salutiamo e stacco la chiamata
ancora più
arrabbiata di prima. Chiamo l’altro collega che mi aveva
cercato:
< Ciao Alberto, mi
cercavi?>
< Ciao Franci. Si. Volevo
chiederti se potevi farmi
un favore. Avrei bisogno del weekend libero per andare a vedere mio
figlio che
gioca a calcio. Così ho guardato i miei ed i tuoi
turni… >
Non lo lascio neanche finire di
parlare:
< E vieni a cercare me,
ovviamente. La risposta è
no, senti gli altri io ho da fare. Ora scusami ma devo andare>
Gli spengo il telefono in faccia.
Non sopportavo molto
questi colleghi che mi cercavano solo per scambiare i turni,
prendendosi le
giornate e rifilandomi i turni più scomodi quali weekend e notti.
Valentina si gira a guardarmi:
< Problemi?>
< I soliti: tirocinanti
incapaci e colleghi che mi
cercano solo quando hanno bisogno. Li ho mandati al diavolo>
< Che novità.
Secondo me dovresti essere meno irascibile.
Facendo così allontani tutte le persone che ti stanno
attorno.>
< Tu ci sei e questo mi
basta. Discorso chiuso>
La mia amica annuisce poco convinta
mentre si è già
fatta ora di pranzo. Scegliamo un locale non troppo distante dal centro
città e
ci sediamo al tavolo.
La cameriera che ci viene a
servire, devo
riconoscerlo, è veramente carina ma il mio umore
è talmente nero che non riesco
neanche a godermi tutto quel ben di Dio.
Valentina intanto sta provando in
tutti i modi a
coinvolgermi nella discussione dei suoi amici con risultati a dir poco
imbarazzanti.
In mezzo a tutto quel casino mi
ritorna in mente la
ragazza del sogno: possibile che mi inquieti così tanto? Non
ho mai visto
quella donna in vita mia anche perchè mi sarei sicuramente
ricordata di una
bellezza del genere e, cosa più strana, quando ripenso al
suo viso e ai sui
occhi, risento le stesse identiche sensazioni del sogno come se stesse
accadendo
ancora.
Se potessi esprimere un desiderio
in questo momento,
chiederei se esiste veramente questa ragazza e, se è vera,
di poterla
incontrare.
Valentina mi tira un colpo da sotto
il tavolo e mi accorgo
che tutti mi stanno guardando:
< Che
c’è?> chiedo stizzita
< Tu cosa ne pensi?>
mi chiede Andrea
< Di cosa? Non stavo
seguendo..> rispondo
rimanendo impassibile.
<
Cos’è…sei innamorata? E’
tutto il giorno che hai
la testa fra le nuvole>
< Non sono affari tuoi. Esco
un attimo a prendere
una boccata d’aria>
Senza lasciargli il tempo di
rispondere mi alzo
recuperando il giubbotto ed esco nel cortile del ristorante sedendomi
su una
panchina li vicino.
“Basta, ne ho le palle
piene di questi. Voglio
tornarmene a casa!” dico in un sussurro tirando calciando una
lattina che si
trovava per terra.
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Capitolo 3 *** III° - Una perdita importante ***
Eccomi col terzo capitolo. Ringrazio vivamente caso e Apia per le recensioni. Mi hanno aiutato tantissimo a continuare la storia che sta proseguendo a gonfie vele. Se riesco provo a postare un capitolo ogni 4-5 giorni e rispetto all'idea iniziale saranno un po' di più i capitoli, vedremo dove mi porterà questa nuova idea...
A questo capitolo ci tengo veramente e quasi, devo dire, si è scritto da solo.
Bando alle ciance, eccovi il capitolo:
Erano già 10 minuti che stavo seduta su quella
panchina a
ripensare alle parole di Valentina e a quel sogno che non mi dava
tregua.
Sapevo che Vale aveva ragione ma
non volevo darla
vinta ai suoi amici ficcanaso che non perdevano un’occasione
per mettermi in
ridicolo davanti a lei.
Il ricordo di quando hanno scoperto
la mia
omosessualità era ancora vivissimo in me. Valentina non se
ne accorgeva perché
gli voleva bene ma nelle loro battute c’era sempre un pizzico
di omofobia e il
disagio di andare in giro con una a cui piacevano le donne.
Anche e soprattutto per questo
declinavo sempre gli
inviti ad unirmi a loro da parte di Vale, anche se sapevo che lei era
felice
quando c’ero anch’io.
Valentina. La migliore amica che si
possa desiderare.
Ammetto che agli inizi, quando ci siamo conosciute, ci avevo fatto un
pensierino ma poi, conoscendola meglio, ero arrivata alla conclusione
che
fossimo troppo diverse per stare insieme.
Senza trascurare il dettaglio che a
lei piacevano i
ragazzi, non che la cosa mi avesse fermato nelle avventure precedenti,
ma le
volevo già troppo bene per perdere una amicizia del genere.
Ricordo ancora come ci siamo
conosciute: ero una
matricola universitaria alle porte della tesi quando
nell’ambulatorio dove
facevo pratica, è arrivata tutta agitata a portarmi il suo
gattino.
Era talmente spaventata che ho
dovuto prima calmare
lei e poi curare l’animale. Non finiva più di
ringraziarmi così ho accettato
dopo molta insistenza, il suo invito a
bere un caffè.
Nonostante fossimo agli antipodi
del mondo, lei
simpatica ,solare ed io burbera di poche parole, sembrava che ci
conoscessimo
da sempre e gli argomenti non ci mancavano mai.
Così ci siamo
frequentate assiduamente ed è stata
dolcissima quando le ho confessato che mi piacevano le donne. Non le
importava
niente, voleva solo che fra noi rimanesse quel sentimento di amicizia
che stava
crescendo giorno dopo giorno.
Da allora mi sono aperta totalmente
con lei, sa morte
e miracoli della mia vita e sa sempre prevedere le mie mosse.
Vorrei che la mia futura fidanzata
fosse almeno la
metà di quello che è lei, di quel carattere
così estroverso da rallegrare le
mie giornate più buie e capace di tirare sempre fuori la
parte migliore di me.
Chissà se la ragazza del
sogno è così. Forse. Anzi, ne
sono certa.
Sospiro proprio nel momento in cui
vedo Valentina uscire
dal ristorante per raggiungermi. Dal suo sguardo scuro prevedo una
bella
litigata e già mi sento male al solo pensiero.
< Francesca, noi dobbiamo
parlare> esordisce con
voce neutra.
< Certo dimmi>il mio
tono invece è più dolce,
forse più del solito, e le faccio posto accanto a me.
Valentina si accomoda guardando
davanti, senza
degnarmi di uno sguardo, come a cercare l’ispirazione giusta
per cominciare:
< Senti. Lo sai che ti
voglio un bene dell’anima,
vero?> Annuisco guardandola.
< Bene perché in
questo momento sto cercando un
motivo valido per non mandarti al diavolo come fai sempre tu con gli
altri.>
< Perché mi vuoi
questo “bene dell’anima”!>
dipingo un sorriso troppo dolce per il mio carattere tanto che la mia
amica mi
guarda spaesata. Mi sentivo come un cagnolino che stava subendo un
rimprovero
dal padrone. Non riuscivo a fregarmene e a risponderle a tono come
facevo con
tutti gli altri e questo lei lo sapeva fin troppo bene.
< Non è il
momento di scherzare. Sono seria. Franci
hai 31 anni e, tranne me, non c’è
nessun’altro che può dirsi tuo amico o quanto
meno si avvicina. Non lo so perché ti comporti
così..anzi si lo so. Hai una
fottuta paura che, una volta tolta questa tua spessa corazza da
stronza, le
persone che conosci possano vedere il lato indifeso di te e farti
soffrire.
Ti conosco da tanto tempo e credo
di essere l’unica a
cui hai permesso di arrivare a conoscere la vera Francesca. Una ragazza
che non
è così forte come sembra ma ha un cuore
d’oro, è dolce, romantica come pochi e
sa come far sentire amate e protette le persone che adora.
Questa è la Francesca
che conosco io e che vorrei vedere
sempre, anche con gli altri. Questa è la persona a cui
voglio questo bene
dell’anima.
Come vedi sono ancora qui e credimi
che mi fai stare
male quando ti comporti come stai facendo oggi, come fai sempre.
Soffrire fa parte della vita, ti fa
crescere ed è da
li che, crollata una casa, puoi iniziare a costruire un palazzo ancora
più
grosso ma non puoi continuare a sfuggire per paura, diavolo!
E perché credo di farti
del bene, ti annuncio che
d’ora in poi ci sarò per te sempre e comunque se
ti deciderai a metterti in
gioco.
Non ti sto abbandonando, voglio
solo che ti liberi
della tua corazza. Perché voglio solo il meglio per
te>
Ho ascoltato tutto il suo discorso
in silenzio, senza
pensieri, senza dare nessun segno di vita.
L’unica persona a cui
veramente volevo bene mi stava
abbandonando. Non era proprio così ma è come se
lo fosse stato.
Le lacrime avevano una gran voglia
di scendere ma non
volevo darle questa soddisfazione. Sapevo che aveva ragione in tutto ma
ero
troppo orgogliosa e testarda per ammetterlo, soprattutto a me stessa.
Mi alzo dalla panchina facendo
qualche passo.
Valentina non si è ancora mossa da li e sta aspettando una
risposta, anche se
sono sicura che abbia già capito tutto:
< Ok, ci penserò.
Torno a casa in treno. A
presto.>
Mi volto senza ascoltare le sue
parole che vogliono
sicuramente farmi ragionare.
Sono stanca, ho sonno ed ho appena
perso la mia
migliore amica.
Prima di andarmene mi fermo alla
cassa a pagare il
conto per tutti. Non so perché però mi sembrava
un modo stupido per chiedere
scusa ai suoi amici davanti a lei.
Lascio anche un biglietto che
chiedo gentilmente
all’uomo che sta alla cassa, di portarlo al tavolo quando
avrebbero chiesto il
conto. E di consegnarlo solo alla ragazza di nome Valentina.
Le scrivo:
“ Saluta
i tuoi amici da parte
mia e chiedigli scusa. Ho pagato io per tutti per farmi perdonare. Un
bacio,
Fra.”
Ok, non volevo il loro perdono, non
me ne fregava
nulla ma volevo fare una cosa carina per lei per farla ritornare da me.
Fuori si gelava davvero e la
temperatura era prossima
allo 0, forse qualche grado sotto. Imbacuccata fino alla punta del
naso,
raggiungo la stazione dei treni e compro il biglietto per casa.
Attendo non più di 20
minuti prima di salire sul mezzo
e, proprio sulla comoda poltrona, mi addormento.
Questa volta non ho sognato niente
che ben ricordi,
neanche la ragazza di questa mattina ma questo piccolo pisolino mi ha
donato
una leggera sensazione di benessere.
Guardo il palmare e
c’è un messaggio di Valentina:
“ Ti ringrazio per il
pranzo anche a nome degli altri.
Per quanto riguarda me, non cambia niente rispetto a quello che ti ho
detto.”
Sul viso mi cresce un piccolo
sorriso nervoso che
smaterializzo all’istante: non mi aspettavo che bastasse
quello per farle
cambiare idea però mi dava fastidio la freddezza con la
quale mi aveva scritto
l’sms.
Dopo poco arrivo finalmente nella
stazione della mia
città. Prendo la metro e dopo poco sono già sotto
casa.
Salgo in silenzio e senza ulteriori
pensieri mi corico
esausta sul letto avendo cura di spegnere cellulare, telefono di casa e
anche
citofono.
Avevo un disperato bisogno di
staccare la spina, di
resettare tutto quello che era successo in questa giornata, di lasciar
riposare
la mia testa che stava per scoppiarmi.
Valentina, la donna del
sogno… queste erano adesso le
mie due ossessioni che meritavano di essere analizzate più
tardi, a mente
lucida, quando nessuna scusa sarebbe stata più valida.
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Capitolo 4 *** IV° - Nuovi piccoli segnali ***
Buongiorno! Come promesso ecco il quarto capitolo della storia di Francesca. Ringrazio Caso e Apia per le recensioni di questo capitolo e della new-entry Hacky87.
Il capitolo seguente è un pochino un po' più corto e di passaggio rispetto agli altri ma serve per preparare il terreno ai prossimi che saranno molto più movimentati.
Il V° capitolo credo di postarlo lunedì o martedì..vediamo.
Grazie infinite a chi legge la storia e soprattutto a chi l'ha messa fra le seguite e le preferite.
Buona lettura!
Da quella disastrosa giornata sono
passate 3 settimane
e Valentina non dava nessun segno di redenzione, anzi: tutte le volte,
soprattutto i primi giorni, che provavo a contattarla o non mi
rispondeva
oppure il suo tono rimaneva freddo, distaccato come se non gliene
importasse
più nulla di me.
Soffrivo per questo suo
atteggiamento anche se non
glielo davo a vedere e, più i giorni passavano,
più subentrava in me la
rassegnazione di aver perso per sempre l’unica amica che
avevo.
Un giorno sono arrivata anche a
pensare che forse lo
faceva apposta per farmi capire come gli altri si potevano sentire
quando gli
rispondevo in quel modo e con quel tono.
Questo pensiero se ne
andò subito così come era
arrivato.
Nel frattempo la mia vita
all’ospedale scorreva come
sempre. Avevo scoperto che i miei “amati”
tirocinanti mi avevano affibbiato il
soprannome “la nazista” come la dottoressa Bailey
di Grey’s Anatomy.
Quando l’ho scoperto
stranamente non sono andata su
tutte le furie perchè mi piaceva che tutti questi
scansafatiche mi temessero.
In fondo ero una delle migliori
insegnanti che
potevano desiderare di avere nel loro percorso personale ed il mio era
un modo
per fargli uscire un po’ di carattere per affrontare un
lavoro così
impegnativo.
Ero convinta che solo chi
dimostrava di tenermi testa
sia caratterialmente sia professionalmente, sarebbe diventato qualcuno
in
questo campo e, dopo 2 anni dalla mia assunzione, i risultati
iniziavano a
darmi ragione.
Con i colleghi il rapporto rimaneva
neutro,
professionale, anche se qualche timido gesto un po’
più propositivo come bere
un caffè insieme durante una pausa, l’ avevo
provato a fare senza troppi
risultati.
Ed infine c’era la donna
del sogno. Non me n’ero
dimenticata, anzi! Le settimane precedenti, nonostante il lavoro
impiegasse
buona parte del mio tempo, avevo girovagato in lungo ed in largo per le
strade
e per i locali della mia città (e pure di quelle
più vicine) alla ricerca di
quel viso.
Stavo diventando letteralmente
pazza ed iniziavo a
credere che Valentina avesse fatto bene ad allontanarmi
perché non mi capivo
più neanche io.
A peggiorare la situazione ci ha
pensato anche mia
madre quando ha scoperto che mi ero lasciata con Sara. Gli incontri
“al buio”
con uomini della mia età proseguivano al ritmo di uno ogni
3-4 giorni e mi
chiedevo come facesse, o meglio dire convincesse, queste persone ad
uscire con
sua figlia.
Il risultato era comunque lo
stesso. Sorrisi di
circostanza, imbarazzo e per quelli a cui piacevo e che tentavano il
primo
approccio, la rivelazione che a me piacevano solo e unicamente le donne
e che
uscivo con loro solo per non sentire la predica di mia madre.
Dovevo comunque trovare presto una
soluzione e parlare
chiaro una volta per tutte con lei.
I miei pensieri vengono disturbati
dal mio blackberry
che si mette a suonare all’impazzata. Per fortuna questa
notte non devo
lavorare, non ce l’avrei proprio fatta.
Leggo il nome dello scocciatore:
Valentina!
La saluto con un bel sorriso, anche
se non mi può
vedere:
< Ciao Vale.>
< Ciao. Senti devo andare
via 3 giorni per lavoro e
non so a chi lasciare Baki. Non è che
potresti…>
< Si, certo. Nessun
problema.> rispondo felice
di poterle essere utile. Non era la prima volta che mi chiedeva di
tenerle il
suo cane quando doveva partire per lavoro ma di solito cercavo
qualsiasi scusa
plausibile per non essere disponibile.
Ora avevo solo voglia di rivederla
e volevo
assolutamente parlarle.
< Sei sicura? >
< Non preoccuparti. Ci
faremo compagnia.>
< Ok. Te lo porto fra
qualche ora. A dopo>
< A dopo, Vale>
Chiudo la chiamata soddisfatta. In
fondo se Baki
avesse iniziato a girare per casa “pericolosamente
ispirato”, il
sedativo nell’armadietto dei medicinali era
prontissimo a fare il suo lavoro.
Ero crudele, da una poi che cura
gli animali è il
massimo, ma il suo cane era veramente una peste e mi avrebbe
sicuramente
distrutto la mia bellissima casa.
Puntuale, due ore più
tardi, Vale mi lascia Baki e la
invito a bere un caffè con me. Accetta se pur con qualche
titubanza:
< Allora come stai?>
le chiedo iniziando a
parlare
< Tutto bene, le solite
cose.>
< Senti
Vale…> dovevo parlarle, non sopportavo
più questa situazione < come possiamo fare
pace?>
< Lo sai come fare, te
l’ho detto.>
Le parole “mi
manchi” mi muoiono in gola. Dannato
orgoglio.
< Bene, io vado. Sono
già in ritardo. Andrea è di
sotto che mi aspetta.> mi dice alzandosi.
< Andrea?>
< Si, Andrea. Mi accompagna
lui>
Vale si mette il giubbotto ed esce
da casa mia baciandomi
freddamente le guance.
Sospiro guardando Baki che per
fortuna si era messo a
dormire sopra il cuscino di una sedia del salotto.
Sbrigo le ultime cose e poi filo a
dormire. Domani mi
aspetta un bel turno di 24h a causa di una collega che si era ammalata.
E stranamente, anche in questo
caso,avevo accettato il
turno senza prendermela più di tanto. Che la tattica di
Valentina iniziasse a
fare effetto?
|
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Capitolo 5 *** V° - Una mattinata (quasi) normale ***
Buonasera. Eccomi con il capitolo di questo racconto.L'altro giorno mi sono concentrata sulla trama e, ad occhio e croce, dovrebbero essere sui 14-15 capitoli. E, se vi interessa, potrebbe starci anche un seguito...le idee non mancano!
Per quanto mi riguarda ringrazio le mie appassionate 3 lettrici che mi recensiscono sperando di non deluderle...dopo questo si inizia a fare sul serio e vedrete il vero carattere di Francesca!
Ringrazio pure chi ha messo la storia fra le preferite o semplicimente fra le ricordate e chi semplicemente legge!
Speriamo che la comunità delle recensioni cresca! Vi aspetto venerdì mattina con il 6°..buona lettura!
Alle 8.30 del mattino dopo, ero
già operativa e mi
aggiravo nei corridoi dell’ospedale con il mio fonendoscopio
al collo e con un
piccolo sorriso sulle labbra.
Quella mattina mentre stavo
raggiungendo l’ospedale
con Baki, avevo ricevuto un messaggio da Valentina che mi ringraziava
perché le
stavo tenendo il cane e che stava partendo in quel momento..
Questa giornata era iniziata nei
migliori dei modi ed
una parte di me sentiva che la parte migliore doveva ancora arrivare.
Sesto senso, forse. Quello che noi
donne rivendichiamo
con orgoglio tutte le volte che abbiamo una sensazione esatta ed io,
del mio
fiuto, mi fidavo spesso.
Fra un caso di insufficienza
renale, un paio di arti
rotti e qualche richiamo di vaccinazione, la mia mattinata si poteva
definire
tranquilla.
Inoltre non avevo neanche litigato
con nessun collega
o insultato qualche tirocinante, cosa che nei giorni normali mi
succedeva
spesso.
Uno di loro mi si avvicina mentre
sto percorrendo il
corridoio verso le macchinette:
< Dottoressa, mi
scusi> mi chiede quasi sussurrando
per paura di essere sbranato vivo.
< Si, Matteo dimmi>
gli rispondo tranquilla.
< E’ appena
arrivato un golden, 7 anni.
Nell’anamnesi, il proprietario ha detto che ha trovato il suo
cane riverso in
cortile in preda ad irrigidimento muscolare. Presenta un leggero
opistotono agli
arti ,è iper eccitato e con tremori generalizzati.>
Leggo attentamente la cartella
clinica nonostante lo
specializzando, devo riconoscerlo, avesse presentato ottimamente il
caso.
< Ok. Vengo a visitarlo in
sala visite 4. Ascoltami
bene: chiunque ci sia dentro fallo sloggiare, dobbiamo isolare il
paziente da
luci, rumori o da qualunque altro stimolo ambientale che lo ecciti
ulteriormente. Mi raccomando. Arrivo subito.>
Matteo annuisce e ritorna a passo
svelto verso le sale
visite. Prendo un caffè al volo e lo raggiungo.
Con estrema cura esamino
l’animale mentre il suo
proprietario controlla con attenzione ogni mia mossa:
< Bene> erano le
prime parole che pronunciavo.
Mi giro verso il padrone pregandolo di aspettare fuori qualche minuto e
guardo
Matteo:
< Allora Matteo. Secondo te
di cosa si tratta?>
Il tirocinante esegue alcune
manovre sul paziente,
rilegge la cartella ed alla fine mi risponde:
< Potrebbe essere un
avvelenamento da stricnina?>
< Potrebbe o lo
è?>
Un’ultima occhiata alla
cartella e poi sicuro mi
conferma la sua diagnosi.
< Come si procede?>
< Uhm.. per confermare la
diagnosi prescriverei una
lavanda gastrica con soluzione al 2% di acido tannico e terrei sotto
controllo
le crisi dandogli un miorilassante.>
< Bene> lo guardo
soddisfatta. E’ il tirocinante
più in gamba di tutti e anche stavolta credo di aver visto
giusto.
< Ottimo. Aggiungi anche le
analisi del sangue e come
miorilassante dagli per via endovenosa 0,75 mg al kg di Diazepam ogni
ora>
Lascio la stanza firmando la
cartella ed uscendo mi
fermo per informare il proprietario:
< Buongiorno. Si dovrebbe
trattare di avvelenamento
da stricnina ma voglio aspettare le analisi per confermarla. Il cane
deve
restare tranquillo e, mentre aspettiamo la conferma, dobbiamo tenerlo
calmo per
evitare di provocare altre crisi. Gli daremo un farmaco che
l’aiuterà a
rilassare i suoi muscoli ed incomincerà a disintossicarlo
dalla stricnina .>
< Ce la
farà?> mi chiede ansioso.
< E’ presto per
dirlo ma sono fiduciosa, noi cercheremo
di fare il nostro meglio. Comunque, una volta confermata la diagnosi
con le
analisi, le conviene denunciare l’accaduto alla polizia se
pensa si tratti di
un boccone avvelenato. Con la stricnina non si scherza e bastava
qualche
mg in
più perché non ci fosse nulla da
fare.>
Il signore mi ringrazia ed entro
nella stanza per dare
un’ultima occhiata. Matteo, come presumevo, ha del talento
per questo lavoro
così gli dico che vado a pranzo e di chiamarmi solamente se
si aggrava.
Tolgo il camice, mi metto la giacca
e mi avvio spedita
verso il bar di fronte all’ospedale. Non avevo proprio voglia
di mangiare
panini o schifezze del genere alle macchinette, soprattutto quando mi
aspettavano ancora 19 ore di lavoro.
Non faccio in tempo a raggiungere
la strada che un
altro dei miei tirocinanti mi blocca:
< Dottoressa,
dottoressa?>
< Cosa
c’è?> rispondo scocciata
< Scusi..dovrebbe venire un
attimo. Hanno chiesto
di lei per un caso.> mi risponde quasi balbettando
< Non vedi che sto andando a
pranzo?> sospiro
mentre lei tace non sapendo cosa rispondermi.
< Ok, va bene.
Andiamo> aggiungo rassegnata.
Insieme ritorniamo nelle viscere
dell’ospedale: mi
rimetto il camice e la seguo in sala visite 2.
Entro nella stanza che mi sto
ancora aggiustando il
camice ed il fonendoscopio al collo:
< Buongiorno sono la
dottoressa Morticone. Come
posso…> ma quando il mio sguardo incrocia quello
della persona davanti a me,
le parole mi muoiono in gola.
Diavolo, non era possibile. Quella
donna, quella del
sogno… era proprio davanti a me.
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Capitolo 6 *** VI° - E' lei! ***
Buongiorno! Eccomi puntuale con il sesto capitolo. Sarà ripetitiva ma ringrazio tanti chi ha scritto una recensione (sono fondamentali per chi scrive!), chi ha messo la storia fra le seguite e chi semplicemente la legge.
Vi informo che sono arrivata ad un punto in cui mi è venuto un blocco (il famoso blocco dello scrittore!) per cui ho scritto direttamente il finale che è venuto abbastanza soddisfacente..spero vi piacerà.
Comunque un passo alla volta. Alla prossima (credo mercoledì). Buona lettura
< Buongiorno
dottoressa> mi risponde quella
donna con un filo di voce.
Il suo volto trasuda preoccupazione
per il suo cane che
accarezza dolcemente con la mano per farlo stare tranquillo.
< Ragazzi, andate a
controllare il paziente in sala
visite 4. Se ho bisogno vi chiamo.> dico ai tirocinanti in modo
da lasciarci
sole.
Mi avvicino lentamente mentre il
mio cuore è in
subbuglio. Più di una volta, durante la sua ricerca, avevo
pensato al modo in
cui avrei reagito se l’avessi incontrata ma mai e poi mai
avrei creduto che mi
sarei completamente bloccata.
Con tutti i difetti che potevo
avere, non mi era mai
capitato di perdere le parole e di non reagire per emozione.
Certo che, ora che la guardo
meglio, è più bella di
quanto ricordavo: mora, capelli mossi lunghi fino alla
spalle..lineamenti dolci
e femminili che disegnavano un corpo mozzafiato. Non che
quest’ultimo
particolare fosse la prima cosa che guardavo in una donna
perché quello che mi
faceva più impazzire ed in lei in particolare, erano gli
occhi.
I suoi, di occhi, di quel colore
verde
smeraldo..limpidi come un mare pulito e profondi come un pozzo senza
fondo in
cui mi ci sarei buttata all’istante, senza pensarci, appena
il nostro sguardo
si è incrociato per la prima volta.
Proprio quando ci siamo guardate in
quel secondo è
scattata dentro di me una molla e quello sguardo mi è
entrato nelle viscere
come una scarica elettrica senza controllo.
Per non parlare delle labbra,
morbide, carnose…da
godere nel baciarle…
Basta, in fondo stavo
lavorando…. dovevo essere
perfetta e professionale come sempre e poi non posso mica dimostrarmi
un’incapace davanti ai suoi occhi?!
< Come..come
posso…?> le chiedo ancora un po’ a
disagio. Le parole per finire la frase rimangono sottointese: in quella
stanza
l’aria cominciava a diventare troppo dolce perle mie
abitudini.
La donna mi guarda, stavolta per
più tempo e mi perdo
completamente in quei diamanti che mi pregano di aiutarla.
Con una forza di volontà
immane distolgo lo sguardo da
quella visione celestiale e vado alla scrivania per prendere il foglio
del segnalamento.
Da notare: una delle cose che odiavo di più era compilare le
cartelle e fare
l’anamnesi che delegavo sempre ai miei tirocinanti. Stavolta,
invece, non mi
pesava per niente.
< Mi servono i suoi dati e
quelli del cane.> e
le porgo il foglio per farle completare la prima parte con le
generalità.
Scopro che si chiama Irene Scarsi,
ha 29 anni ed abita
a pochi chilometri dall’ospedale in una zona della
città che frequento poco.
Irene, una volta riconsegnatomi i
documenti, prende la
parola per spiegarmi il motivo della suo arrivo:
< Il mio cane qualche anno
fa ha ingoiato qualcosa,
una spiga credo e da allora non respira bene. Il mio veterinario di
fiducia lo
sta curando col cortisone, un quarto di pastiglia al giorno, ma non
c’è nessun
miglioramento ed il mio piccolo fatica ancora
a respirare e spesso vomita schiuma.>
< Ho capito. Quanti anni ha
il suo cane?>
< 8 .>
< Circa 3 anni.>
< Il suo veterinario ha
effettuato qualche analisi
in questo tempo? Gli ha dato qualche altro farmaco oltre al
cortisone?>
< Non che ricordi...>
Annuisco mentre finisco di
completare ogni voce del
foglio del segnalamento con i dati del cane.
< Bene> commento
alzandomi dalla scrivania <
Vediamo cos’ ha questo piccoletto>.
Con cura effettuo una analisi
generale del paziente
che noi chiamiamo EOG (esame obbiettivo generale): controllo fra le
altre cose
linfonodi, mucose ed alcuni riflessi nervosi per valutare la
recettività del
cane.
Ammetto che molte di queste manovre
non erano
necessarie però mi piaceva che Irene vedesse in me un medico
capace, preciso ed
interessato alla salute del suo animale.
Infine, valutato che molti (quasi
tutti) i parametri
erano nella norma, passo al cosiddetto EOP (Esame obbiettivo
particolare)
dell’apparato respiratorio.
Dopo una attenta osservazione,
infilo nelle orecchie
le campane del mio fonendoscopio e valuto per alcuni
minuti con l’auscultazione i polmoni e le vie
respiratorie profonde.
Noto dei leggeri sibili e dei
rantoli che diventano
più forti quando provoco nel paziente la tosse.
Ancora un controllo veloce al
battito cardiaco e
successivamente scrivo i dati rilevati sul foglio di prima, soddisfatta
del
quadro generale che mi ero appena fatta.
Irene mi ha guardato in silenzio
per tutta la visita
osservando con attenzione ogni mia mossa e, quando mi vede scrivere mi chiede:
< E’..è
tanto grave, dottoressa?>
Guardo il suo viso che,
preoccupatissimo, emana una
sensazione di dolcezza infinita incredibile. Per un attimo penso che
l’unico
modo per farla smettere di preoccupare sia baciare quelle labbra che mi
sembrano un diavolo tentatore ma mi obbligo a piantarla con questi
pensieri.
Prima sistemo il cagnolino, poi penserò ad una maniera per
entrare
prepotentemente nella sua vita.
Come piano era semplice…
si, più facile a dirsi che a
farsi.
< Dottoressa..> mi
richiama all’attenzione.
< Si
scusi….> ed elargisco un dolce sorriso. Il
secondo (o il terzo, ho perso il conto!) troppo mieloso per la persona
che ero.
Meno male che eravamo sole se no la mia reputazione qui in ospedale
sarebbe già
andata farsi fottere!
< Allora> continuo
portandomi davanti a lei <
intanto stia tranquilla non è così grave. Ho
bisogno ancora di fare qualche
analisi più approfondita ma sospetto una bronchite cronica.
La buona notizia è che
potremo tenere sotto controllo
questo problema con un trattamento farmacologico adeguato ma la cattiva
è che
purtroppo non potrà mai rimettersi completamente.
Comunque come le dicevo non si
preoccupi, la sua
qualità di vita rimarrà comunque ottima.
Il cortisone che le ha dato il suo
veterinario è un
antiinfiammatorio generico e, a lungo andare, il suo cane potrebbe
avere altri
problemi dovuti all’assunzione prolungata di questo farmaco.
Comunque le
spiegherò meglio il tutto quando ci saranno anche i
risultati delle analisi.>
Finalmente un piccolo sorriso esce
sul suo volto e
penso che sia veramente un delitto non vederla sempre sorridere.
Rispondo al
sorriso e la sua mano prende la mia che teneva salda la cartella
davanti al mio
ventre mentre mi sussurra un grazie molto sentito.
Ora penso che un medico mi farebbe
davvero comodo
perché, il contatto delle nostre mani, mi sta provocando un
infarto cardiaco.
Ritiro, quasi mi fossi scottata, la
mano scusandomi e
sento le guance bruciarmi quando Irene mi risponde con un altro
sorriso. Ma che
diavolo sto facendo? Franci..prima il cane poi la padrona…
Ma come
faccio a resistere a quegli occhi e a quelle labbra..
Ho detto basta. Non è da
te comportarti da pesce
lesso!
Zittisco immediatamente la parte
più dolce di me e
ricomincio a parlare con il tono più professionale e serio
che conosco:
< Adesso le mando una
tirocinante per il prelievo
di sangue e poi accompagnerà Puck giù in
radiologia per una lastra al torace.
Successivamente procederemo con un lavaggio broncopolmonare e una
broncoscopia
in modo da avere un quadro clinico completo.>
Irene annuisce leggermente
più sollevata e mi affretto
a chiamare il più bravo dei miei
“idioti” per il prelievo.
Osservo con attenzione che non
sbagli e, una volta
eseguito, porta il campione in laboratorio lasciandoci nuovamente sole.
< Dottoressa?>
< Si?> mi giro
immediatamente verso di lei con
una mano già sulla maniglia della porta.
< Grazie mille,
ancora.>
< Si figuri> le
rispondo stavolta gonfiando il
petto < è mio dovere.>
|
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Capitolo 7 *** VII° - La telefonata ***
Buongiorno..anzi buonasera visto che è passata da poco la mezzanotte. Eccomi puntuale con la settima parte!
Intanto, mi scuserete se sono ripetitiva, ma ringrazio tantissimo chi mi ha scritto una recensione, davvero di cuore, un grazie sentito anche chi ha inserito la storia fra le seguite e le preferite o chi semplicemente la legge.
Seconda premessa, mi scuso per il capitolo precedente: l'ho messo di fretta perchè ero all'università e stava incominciando la lezione e per errore, il programmino NVU non mi ha copiato una battuta del dialogo fra Irene e Francesca. Appena me ne sono accorta ho riletto e corretto. (Comunque era una frase da niente..esattamente quando francesca chiede ad irene da quanti anni il suo cane aveva questa malattia..)
Ok, detto questo, visto che mi sono allungata troppo, vi lascio al capitolo nuovo, un filo più lungo rispetto agli altri.
Non vi faccio ancora gli auguri perchè posterò un capitolo anche alla vigilia..tanto per lasciarvi anche io un piccolo, misero pensiero.
Bene, buona lettura e, come sempre, ogni recensione, ogni suggerimento, è più che gradito.
A presto
Mi regala un altro sorriso prima
che esca
dall’ambulatorio. Ho bisogno di aria, di respirare ossigeno
perché non so per
quanto ancora potrò controllare le mie sensazioni. Quasi di
corsa esco dall’ospedale
da una porta secondaria ed inspiro a pieni polmoni aria pura.
Adesso però mi devo dare
una bella calmata: ho fatto
più sorrisi in questa mezz’ora che in un mese
intero.
D’accordo era diventata
un’ ossessione da settimane ma
ora che l’ho conosciuta penso che l’avrei notata lo
stesso… vorrei non perderla
più ma devo, per una volta, lasciare che il tempo faccia il
suo corso come mi
dice sempre Valentina: “Se una cosa deve accadere non ci sono
santi che tengano
. Accade e basta.”
A proposito… glielo devo
dire subito. Non mi sono mai
sentita così su di giri per una donna che mi piace mentre
lei non fa altro che
impazzire quando vede un ragazzo appena appena decente.
Lei saprà sicuramente
darmi buoni consigli e dirmi
esattamente come mi devo comportare.
Prendo il palmare dalla tasca
posteriore dei pantaloni
del “green” e la chiamo senza esitazioni.
Uno. Due. Tre. Quattro. Al quinto
Vale risponde:
< Ciao Vale sono io. Scusami
se ti chiamo magari
sei impegnata ma ho bisogno del tuo aiuto. Non sai cosa mi è
appena
successo..> le dico tutto d’un fiato senza lasciarla
replicare.
< Francesca sei tu?>
una voce maschile è
all’altro capo del telefono.
< Si> rispondo con un
filo di voce.
< Sono Andrea, Vale
è uscita mezz’ora fa
dall’albergo.>
< E ha lasciato il suo
cellulare a te?>
< In verità
l’ha dimenticato nella nostra
camera>
< Nostra???>
Cosa?? Ha detto Nostra?? Mi rifiuto
categoricamente di
pensare che…. No, no. NO!! Vale non è
così stupida da mettersi con questo
cretino maschilista e pure maleducato.
< Si. Ci siamo messi
insieme.>
Quella frase cade come una mannaia
sulla mia testa. In
queste 3 settimane che non la frequentavo più assiduamente
si era realizzato il
peggiore dei miei incubi: la mia migliore amica che si mette con
questo... come
posso definirlo… Maschilista? Idiota? Forse sono un
po’ ripetitiva ma è la
verità
Andrea è uno di quella
sottospecie di Sapiens genere
Homo (si fa per dire “Homo”) che usciva nella
compagnia con lei, Giacomo e gli
altri ed era quello che avevo inquadrato subito.
Un tipo tanto sicuro di se da
meritarsi subito il
soprannome di “Narciso” e che usava e buttava le
donne a suo piacimento.
Poteva fare tutto quello che voleva
con le sue
amichette ma non con la mia Vale che sarebbe corsa sicuramente dalla
sottoscritta
quando questo cretino si fosse stancato e fosse ritornato a caccia di
qualche
altra sventurata.
Volevo che Vale trovasse il suo
amore, che fosse
felice ma ero strasicura che questo scapestrato non facesse per lei.
Dovevo fare qualsiasi cosa per
impedire alla mia
migliore amica di mettersi in un gran pasticcio ma come potevo fare?
Vale mi
parlava ormai col contagocce e non mi avrebbe dato retta se le avessi
sputato
in faccia questa verità che si rifiutava di vedere.
La conoscevo troppo bene per non
sapere che avrebbe
detto che ero solo invidiosa perchè si era innamorata e che
ero talmente
egoista ed egocentrica da volerla solo per me.
< Francesca..sei ancora
li?> la voce di quel
Andrea mi scuote.
< Si. Salutami Vale, ora
devo tornare al lavoro>
chiudo la chiamata senza che possa replicare.
Ci mancava solo questa: ero
l’unica che poteva salvare
la mia Vale dalle mani di quello senza fare troppo male al cuore della
mia
amica e contemporaneamente dovevo pensare a me, a quella donna Irene,
che era
entrata nella mia vita e dovevo trovare in fretta un modo per non farla
uscire
tanto facilmente.
Nel frattempo uno dei tirocinanti
mi avverte che ci
sono complicazioni con il cane avvelenato da stricnina e corro verso la
sala
visite.
Il cane ha un crisi e, con molta
fatica, riesco a
calmarlo riportando la situazione nella normalità e, giusto
per scaricare un
po’ di tensione, scaravento qualche tirocinante appena fuori
la stanza per la
loro negligenza.
In realtà non so neanche
io perché ho urlato ma sapevo
solo che ne avevo bisogno se no sarei scoppiata.
L’orologio a muro della
sala d’aspetto dell’ospedale
segnava ormai le 4 del pomeriggio ed in queste ultime ore era successo
davvero
di tutto.
Mi lascio andare un attimo su una
delle sedie della
sala d’aspetto riservata ai visitatori massaggiandomi con
cura le tempie.
Chiudo gli occhi e, qualche secondo
dopo, una mano
sconosciuta si poggia sulla mia spalla ridestandomi da
quell’attimo di pausa.
< Chi..> ero
già partita in quarta per assalire
verbalmente la persona che mi aveva disturbato ma appena mi giro
rimango senza
parole. E’ lei. Irene.
< Mi scusi..non volevo
disturbarla..>
< No.. no. Non si
preoccupi.>
< La stavo cercando.>
e mi sorride.
Le faccio segno di accomodarsi di
fronte a me e la
osservo con attenzione:
< Mi ha trovato> le
controbatto con un tono
tranquillo.
< Niente, volevo sapere
quanto ci vorrà per quegli esami.
Sa, comincio a lavorare fra un’ora e non posso proprio
ritardare.>
Quella era la mia occasione, non
sapevo perché, ma il
mio istinto mi diceva così:
< Sono troppo indiscreta se
le chiedo che lavoro
fa?>
< Oh no, si figuri. Lavoro
come cameriera in un
ristorante della città ma è del tutto
provvisorio. Mi sono laureata in
filosofia qualche anno orsono e aspetto che la scuola mi dia la
possibilità di
insegnare ai ragazzi una materia così meravigliosa come la
filosofia. La amo e
amo insegnare. Se tutto va bene a settembre dovrei entrarci..incrocio
le
dita.>
Sarò noiosa ma ogni
secondo che passo accanto a questa
donna mi sembra unico e meraviglioso…
< Che bellissimo
mestiere…> commento
< Oh..non quanto il suo! Lei
è un medico
straordinario, aiuta gli animali… io non sarei in grado
neanche di sopportare
un pochino di sangue…>
< Non dica così.
E poi anche lei, donando ai
ragazzi il suo sapere, li aiuterà a vedere il mondo con
altri occhi, a ragionare
su tutto quello che ci sta intorno, ad abituarli a chiedersi il
perché delle
cose. Almeno, penso sia così. Quando ho fatto anni fa le
superiori, questa
materia, oltre a filosofi un po’ matti e fuori dal mondo, mi
ha lasciato questo
modo di ragionare.>
Mi guarda sorpresa e stavolta sono
io ad aver bisogno
assolutamente un contatto fisico: le prendo la mano con la mia e
continuo a
parlarle:
< Comunque ci
vorrà ancora un po’, purtroppo. Facciamo
così. Lei vada pure al lavoro, ci penserò io a
Puck fino a quando lei non
termina di lavorare e lo viene a riprendere. Tanto stacco domani
mattina alle
8…spero per quell’ora di rivederla, se no
inizierei seriamente a preoccuparmi
che qualche mal intenzionato l’abbia rapita.>
Irene ride e la sua risata mi
contagia scaldandomi il
cuore:
< Davvero lo farebbe? Guardi
che finisco veramente
tardi.> mi chiede felice. Annuisco facendole capire che non
c’è nessun
problema.
< La ringrazio>
eccolo, un altro di quei
meravigliosi sorrisi. Penso che se lei è veramente il mio
destino non mi
stancherò mai di vederla sorridere così.
< Ad una condizione
però..> Irene mi osserva
confusa < Che d’ora in poi ci diamo del tu.>
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Capitolo 8 *** VIII° - Primi passi ***
Buongiorno a tutti i miei lettori. Oggi è la vigilia di Natale e, come promesso, eccomi puntuale con il mio personalissimo regalo.
Vi auguro di trascorrere delle serene vacanze con le persone che amate di più.
Se il panettone non mi va di traverso, penso di postare il prossimo capitolo prima della fine dell'anno, il 29 credo..massimo 30 dicembre.
Sperando che vi piaccia ringrazio tantissimo chi ha recensito, chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate o le seguite e chi semplicemente la legge.
Oggi non mi dilungo tanto perchè ho il pranzo da preparare per domani e sono di corsa. Ancora Buon Natale, anche da Franci, Irene e compagnia bella.
Quel pomeriggio non ho mai lavorato
tanto in vita mia.
Sono arrivate un sacco di urgente e noi strutturati non riuscivamo ad
avere neanche
un secondo di tregua.
Fra i tirocinanti da seguire ed i
pazienti da curare, facevamo
la spola fra la sala operatoria e le sale visite tanto che le porte
continuavano ad aprirsi come quelle di un grande centro commerciale.
Cominciavo a sentire venir meno le
forze ed i piedi iniziavano
a protestare ma quello che mi importava era che le mani e la testa
lavorassero
sincronizzati e perfetti come sempre.
E poi c’era quella
promessa che dovevo assolutamente
mantenere: quando ho capito che il pomeriggio non preannunciava niente
di buono,
ho affidato il cane di Irene a Giulia, un’altra dei miei
tirocinanti migliori,
quella che già gli aveva fatto il prelievo e che
l’aveva portato a fare le
lastre.
L’avevo catechizzata per
bene dicendole che doveva
trattare quel cane come se fosse il suo, non mollandolo un secondo e
che tutto
il suo periodo di tirocinato sarebbe dipeso da come si fosse comportata.
C’ero andata
giù pesante e avrà pensato che proprio
ero una tipa lunatica e tutta matta ma non potevo permettermi di fare
passi
falsi, non adesso che stavo instaurando un minimo di rapporto
più intimo con
quella stupenda ragazza.
Al sol pensarla sorridevo, come in
questo momento, che
stavo ricucendo la matassa intestinale di un doberman che aveva avuto
la
brillante idea di ingurgitare con un pezzo di metallo che gli aveva
perforato
parte dell’apparato digerente.
Dopo aver concluso
l’ennesima operazione con successo,
uscivo per la milionesima volta dalla sala operatoria ed il famoso
orologio in
sala d’aspetto segnava le 21.50.
Avevo saltato pranzo e cena e forse
era il caso che mi
prendevo un attimo per mettere sotto i denti qualcosa prima che un calo
di
zuccheri mi potesse mandare a gambe all’aria.
Avviandomi alle macchinette do
un’occhiata al
blackberry e ci trovo una chiamata senza risposta ed un messaggio,
entrambi di
Vale.
Il messaggio recita:
“ Ciao. Andrea mi ha
raccontato… volevo essere io a
dirti della nostra storia. Sono felice! Lui è proprio il
ragazzo che cercavo. A
presto. P.S. Dai un
bacio da parte mia
al mio Bakino!”
Già Baki! Al mattino
l’avevo lasciato nel canile (di
cui ero una delle responsabili) adiacente all’ospedale dove
poteva mangiare,
dormire e divertirsi insieme agli altri cani, molti dei quali si
stavano
riprendendo da operazioni chirurgiche.
Ritornando a Vale, non riuscivo
ancora a credere a
quello che era successo: Andrea l’avrebbe tradita presto, ne
ero certa e
stavolta non sarebbe stato semplice farla riprendere dalla batosta che
si era
andata a cercare.
Intanto, approfittando di questa
pausa, stavo cercando
Giulia per fare a Puck la broncoscopia, l’ultimo esame che
avevo prescritto.
Per fortuna ero riuscita verso le 6
e mezza a trovare
una mezz’ora di tempo per eseguire il lavaggio
broncopolmonare, il cui campione
era già al sicuro in laboratorio pronto per essere
analizzato.
Forzando un po’ la mano
con il responsabile, mi ero
fatta promettere che i risultati sarebbero arrivati già a
fine serata ed era
una grande notizia visto che, di solito, ci volevano 3-4 giorni per
averli.
Finalmente trovo Giulia e ci
organizziamo per questo
ultimo esame che mi conferma completamente la diagnosi che avevo fatto
quando
avevo visitato il cane la prima volta.
Verso mezzanotte, ritiro
personalmente tutti gli esami
di laboratorio e messa in ordine la cartella, mi apparto con Puck in
una delle
sale visite in attesa che la sua padrona ritorni dal lavoro.
Alle 3 di notte qualcuno bussa alla
porta.
- Avanti..- rispondo ancora mezza
addormentata mentre
il cane mi aveva imitato.
- Dottoressa? Irene Scarsi la sta
cercando. Devo farla
passare?-
- Certamente!- rispondo secca
mentre ero già scattata
in piedi e mi stavo dando una sistemata.
La ragazza entra nella sala e Puck,
appena la vede, si
sveglia andandole incontro per farle le feste. Puck…non
sai quanto ti sto invidiando in questo momento…
Mi scuoto da quel
pensiero…. adesso ero gelosa anche
di un cane!
- Ciao piccolo mio. Sei stato bravo
vero? Si, sono
sicura di si… sei un bravo cucciolo.- il suo sguardo
incrocia il mio e
aggiunge:
- Non so come ringraziarti. Spero
non ti abbia dato
problemi..-
- E’ andato tutto bene e
Puck è stato bravissimo- le rispondo
avvicinandomi a lei con la scusa di accarezzare il cane - E’
un ottimo paziente-.
Mi perdo di nuovo nel suo sorriso e
invidio ancora
Puck quando riceve un bacio sulla testa dalla sua padrona.
- Allora..- commento schiarendo la
voce e prendendo la
cartella clinica - nonostante la giornata da incubo, sono riuscita ad
eseguire
tutti gli esami che confermano quello che ti avevo detto oggi
pomeriggio. Per
fortuna è anche meno grave di quello che pensavo, comunque
inizieremo subito la
cura per tenere questa bronchite sotto controllo.-
- Quindi basta cortisone?- mi
chiede lei
- Direi proprio di si.- le rispondo
sorridendo e
sedendomi sulla scrivania.
- Ottimo Puchino…hai
visto? Ora starai molto meglio,
grazie a questa bravissima dottoressa.-
Il cane scodinzola felice
leccandola in viso mentre Irene
non sembrava mostrare nessun tipo di stanchezza benché fosse
veramente tardi.
- Francesca senti… posso
offrirti almeno un caffè? Mi
sembra il minimo dopo quello che hai fatto per noi.-
- Volentieri, grazie- le rispondo
felice.
Ci avviamo insieme a Puck verso le
macchinette. I
corridoi degli ospedali sono praticamente deserti ed i nostri passi
rompono un
silenzio insolito, qui dove c’è sempre un via vai
tremendo.
Preso il caffè, ci
sediamo attorno ad un tavolino
adiacente mentre il cane è disteso per terra di fianco alla
sua padrona e
dorme.
- Immagino che questo lavoro ti
impegni tantissimo- mi
domanda lei soffiando sul caffè per farlo raffreddare.
- Dipende. Certi turni come quello
che sto facendo
oggi di 24 ore sono davvero pesanti ma non posso lamentarmi: amo il mio
lavoro
e anche se non sembra, ho abbastanza tempo libero per fare le mie cose.-
- Che bello. Fai un lavoro
stupendo. Credo che io non
reggerei neanche 5 minuti qua dentro… sangue, aghi..che
impressione- mi
risponde facendo una faccia disgustata che fa molto ridere.
- Per così
poco… il meglio di questo lavoro è nelle
sale operatorie!- la prendo in giro sorridendo.
- Non dirmelo ti prego. Sono una
fifona.- mi risponde
arrossendo completamente.
- Raccontami un po’ di
te- le chiedo cambiando
discorso, attratta completamente dal suo modo di essere timido e dolce.
- Di me?- mi chiede meravigliata -
Vediamo…del lavoro
te ne ho già parlato oggi. Quindi… posso dirti
dove vivo...- Annusco
invitandola a continuare.
-Allora vivo in questa
città insieme ad un’altra
ragazza, si chiama Paola.-
- Ah si?-
- Già! Dividiamo un
bilocale poco distante dal qui. E’
la mia migliore amica e mi da sempre un sacco di consigli utili.
E’ una ragazza
in gamba, a volte è un po’ troppo sbrigativa nelle
cose ma la considero come
una sorella maggiore.
Devi sapere che sono molto
distratta e costantemente
insicura nelle scelte che faccio e Paola mi sgrida continuamente. Non
ridere,
ma un giorno sono stata mezz’ora davanti al banco frigo del
supermercato perché
non riuscivo a scegliere che tipo di formaggi comprare. Se non era per
la mia
amica probabilmente ero ancora li!-
- Sembrate davvero molto legate,
come lo siamo io e
Valentina, la mia migliore amica. E’ sempre sulle nuvole,
solare, esuberante ma
allo stesso tempo molto dolce e sensibile. Forse un po’
troppo. Non ti dico le
volte che si è cacciata nei pasticci e sono dovuta
intervenire per toglierla
dai guai. E’ un uragano di vita.-
- Mi somiglia parecchio allora.- mi
risponde allargando
uno di quei sorrisi che mi fanno venire un’ infarto
all’istante. Annuisco
cercando di restare calma.
- Come oggi per esempio- continuo -
Si è messa con un
cretino che di mestiere fa il “Casanova” e non mi
va che questo si permetta di
trattare la mia amica come fa con le altre. So che appena la
lascerà, perché
succederà, Valentina sarà distrutta e
toccherà a me raccoglierne i pezzi.-
- Accipicchia…
anch’io ho il potere di innamorarmi
sempre dell’uomo sbagliato.- mi risponde triste, sospirando
lungamente.
- Quindi… non stai con
nessuno in questo momento? -
Mi risponde facendo no con la
testa. Bene, un problema
in meno.
- Non fare così- cerco
di tirarla su di morale - sei
una ragazza molto carina e intelligente, prima o poi la persona giusta
arriverà.- aggiungo fiduciosa di essere io quella persona.
- Speriamo..- sussurra accennando
un altro piccolo
sorriso.- e tu?-
- Anch’io non ho nessuno
ma spero possa esserci presto.
C’è una persona che mi piace.-
- Davvero?-
- Si,l’ ho conosciuta da
pochissimo ma è un po’
complicato..-
Gli occhi di Irene mi guardano
curiosa ma la voce di
Matteo ci disturba:
- Dottoressa, scusi. E’
arrivata un’emergenza.-
- Arrivo subito, comincia tu.- gli
rispondo alzandomi
e buttando nel cestino il bicchierino vuoto del caffè.
Matteo si allontana lasciandoci
nuovamente sole:
-Scusami..il lavoro mi chiama- le
dico con un po’ di
delusione
- Non devi scusarti. E’
stato un piacere conoscerti.-
- Già. Anche per me.- le
rispondo sincera.
Improvvisamente mi abbraccia e
rimango inerme.
Una cascata impressionante di
emozioni invade il mio
corpo: posso sentire per la prima volta il suo profumo che sa di pesca
appena
colta ed il suo corpo contro il mio mi blocca il respiro tanto che mi
ricordo a
malapena di deglutire per non soffocare.
Quando ci allontaniamo ho subito
una sensazione
strana, mai provata, come se mi mancasse qualcosa.
Ripenso subito a questa mattina
quando tutto è
iniziato. Quel sogno che mi aveva ossessionato fino ad ora aveva un
nome, un
volto, una voce ed un profumo che mi stava mandando in tilt.
Se prima poteva essere scambiato
come un
capriccio..quell’abbraccio, mi aveva confermato che per
quella ragazza sentivo
un’attrazione particolare che aveva un nome ma che rifiutavo
ancora di
pronunciare.
- Allora..io vado- le dico
allontanandomi da lei.
Alzo una mano per salutarla e
quando mi volto impreco
contro me stessa: perché non le ho chiesto un numero di
telefono? Perché non le
ho chiesto di uscire o qualcosa del genere?
Accidenti, di solito non mi faccio
molti problemi con
le altre…
Già…di
solito. Me lo dovevo scordare questo avverbio
perchè Irene non era come le altre..era l’unica
che in 31 anni della mia vita
mi aveva fatto provare sensazioni così intense da impedirmi
di ragionare
lucidamente come
ero solita fare.
Sto per prendere il corridoio
quando la sua voce mi
chiama:
- Francesca?-
- Si dimmi- scatto girandomi
nuovamente verso di lei.
- Domenica sera inaugurano una sala
nuova dove lavoro
e stiamo organizzando una piccola festa… se non lavori e non
hai niente da
fare…- mi chiede con un pizzico di imbarazzo
Questa non me
l’aspettavo. Ci metto qualche secondo a
metabolizzare e a rispondere:
- Domenica sera? Non lavoro- ed era
una grossa bugia -
Verrò volentieri.- aggiungo sorridente.
Irene si avvicina lasciandomi il
biglietto d’invito con
l’ora di inizio e l’indirizzo del posto.
Un ultimo sorriso e poi lei e Puck
si dirigono verso
l’uscita sparendo dalla mia vista.
Rimango ad osservarli con il
biglietto in mano mentre
sento in lontananza Matteo che mi chiama urgentemente.
Mi riscuoto mettendo il biglietto
in tasca al sicuro e
corro verso la sua direzione. Come primo vero incontro non potevo certo
lamentarmi.
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Capitolo 9 *** IX° - Anime platoniche ***
Buonasera a tutti. Non pensavo di riuscire a postare oggi il nono capitolo perchè ieri ero preocchè un cadavere. Un malanno mi ha ridotto a letto e ha rallentato la stesura del capitolo ma oggi sono riuscita a finire di correggerlo.
Grazie a caso, ho corretto anche il capitolo precedente dove mancavano certe frasi. Purtroppo la colpa non è mia ma del sistema..ora ho provato a mettere i dialoghi fra le barrette, speriamo non diano più guai.
Questo capitolo è molto lungo...avrei voluto dividerlo in due ma alla fine ho preferito inserirlo lo stesso. Per il prossimo dovrete aspettare un po' di più mi sa, spero per di postarlo tra il 4-5 di gennaio.
Ringrazio ancora una volta, a costo di essere ripetitiva, chi mi legge, chi ha messo la storia fra le seguite, ricordate e preferite e soprattutto le mie meravigliose ragazze che recensiscono. Grazie davvero, di cuore.
Con questo finisco facendogli gli auguri per un grande 2011.
Ci vediamo il prossimo anno!
E’ quasi sera quando mi
risveglio nel mio letto
matrimoniale con Baki sui piedi.
Avevo proprio bisogno di questo
sonno ristoratore per
poter riflettere con lucidità su quello che era accaduto
solo il giorno prima.
Sul comodino custodivo gelosamente
il biglietto da
visita che mi aveva lasciato Irene e già non vedevo
l’ora che arrivasse
domenica.
Non dovevo aspettarmi
chissà cosa ma il suo gesto era
stato veramente carino e forse era l’ennesimo segno del
destino per per noi due
aveva disegnato qualcosa di molto speciale.
Ma quando mi sono accorta che
quella notte lavoravo,
ho dovuto correre ai ripari andando a chiedere al direttore del reparto
un
giorno di ferie.
La possibilità di
scambiare il turno con un collega
non mi è passato neanche nell’anticamera del
cervello: a circa il 90% di loro
avevo sempre detto no e non ero così faccia tosta da andare
adesso a chiedergli
un favore invertendo i ruoli.
Questa cosa mi stava facendo
riflettere molto: Vale
allora non aveva così tutti i torti…
Vale! Diavolo, adesso
c’era anche questa grana.
Proprio adesso doveva cacciarsi nei guai quella matta della mia
migliore amica.
Guardo l’orologio che
segna le 8 di sera. Era martedì
e fra meno di un’ ora c’era la partita di coppa
campioni in tv: l’appuntamento
con la mia squadra del cuore, una birra ed il mio divano preferito era
una
tradizione a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo.
Durante la gara ricevo un messaggio
di Vale: “Vengo a
prendere Baki verso le 11.30 se sei a casa”
Le rispondo di si.
Speravo con tutta me stessa che
fosse venuta da sola
in modo da portele parlare davanti ad una tazza di caffè di
Andrea, di Irene e
della nostra amicizia. Al diavolo l’orgoglio, dovevo
assolutamente chiarire.
Alle 11.48 Vale suona al citofono e
la invito a
salire.
Appena Baki vede la sua padrona si
mette a saltare con
un pazzo e non posso che sorridere nel vedere quella scena.
- Ciao- la saluto abbracciandola.
- Ciao-
- Com’è andato
il viaggio?-
- Meraviglioso. Il convegno
è andato alla grande e
stare insieme ad Andrea è stupendo. E’ un ragazzo
incredibile-
- Già..- rispondo
cercando di nascondere malamente i
miei dubbi. - Sei sicura di quello che stai facendo, si?-
- Francesca non incominciare. Non
voglio litigare
anche con te di Andrea, mi basta già mia madre che
è letteralmente sclerata
quando gliel’ho detto!-
- Questo dovrebbe farti pensare..-
mi giro ed il suo
sguardo inceneritore mi invita caldamente a cambiare argomento.
- Ok, ok…- aggiungo- sei sola o ti aspetta
giù?- le chiedo
avviandomi in cucina.
- E’ andato a casa sua,
aveva delle cose da fare-
“Certo” penso
“dovrà chiamare le sue amichette per
metterti subito le corna”
Pensare che questo poteva essere la
realtà mi mandava
in bestia ma mi stavo trattenendo con tutte le forze per non farlo
vedere a
Vale.
- Allora siediti che ti faccio un
caffè- le rispondo
accendendo la macchinetta.
- Novità?-
- Una ci sarebbe…-
ritrovo il sorriso pensando ad
Irene.
- Cioè?-
- Ho conosciuto la donna del sogno-
le dico girando il
viso per mostrarle la mia felicità – e domenica mi
ha invitato all’inaugurazione
del locale dove lavora-.
- Ma dai? E meraviglioso! Allora
com’è? Racconta,
voglio tutti i particolari.-
Valentina si siede meglio ed
ascolta con attenzione il
mio racconto con dovizia di particolari.
- E’ stupendo- mi dice
alla fine con sguardo sognante.
- Frena. Non sarà tanto
semplice e non voglio rovinare
tutto. E’ ancora tutto prematuro… e poi me
l’hai detto tu “ Se una cosa deve
accadere non ci sono santi che tengano. Accade e basta.-
- Ti piace davvero tanto vero?- mi
chiede seria.
- Si. Non so che incantesimo mi ha
fatto ma è un
miracolo che non abbia fatto dei pasticci al lavoro. Ha il potere di
mandarmi
arrosto il cervello.-
Vale si alza e mi abbraccia. Quel
gesto così sincero
mi riempie di gioia e mi scalda tremendamente il cuore.
- Sono davvero contenta per te.- mi
dice sorridendomi.
- Vale..-
- Si?-
- Non sono brava in queste cose lo
sai ma io…io…-
- Tu cosa?- mi invita a continuare
accennando un
sorriso sincero.
- Io ho forse esagerato ogni
tanto..con il mio
comportamento intendo.. e poi da quando abbiamo discusso ho passato
giorni
difficili, non è lo stesso senza te e
così..penso… penso che..-
- Dottoressa Morticone mi sta
dicendo forse, e dico
forse, che le sono mancata e che mi deve delle scuse?- mi chiede
facendomi il
verso.
Sbuffo mentre Valentina scoppia a
ridere vedendomi
così impacciata a fare una cosa assolutamente lontana dal
mio stile, quale fare
scusarmi ed ammettere a voce alta che lei mi era mancata.
- Si, accidenti. Mi sei mancata da
morire e devo
ammettere che non avevi tutti i torti. Ora sei contenta?- le rispondo
un po’
arrabbiata per la sua reazione.
Un abbraccio sincero da parte della
mia amica risponde
a tutte le mie domande e sancisce finalmente la nostra pace. Mi guarda
con gli
occhi umidi e fatico molto a contenere la mia emozione nel vederla
così felice.
- Sono perdonata, allora?- le
chiedo sorridendo.
- Nonostante tu sia la donna
più testarda, permalosa e
cocciuta che conosco si, sei perdonata..- mi risponde baciandomi sulla
guancia -
e vedi di rigare dritto d’ora in poi se vuoi conquistare il
cuore della tua
bella-
Scoppiamo a ridere entrambe mentre
nell’altra stanza
sento un rumore purtroppo famigliare:
- Bakiiiiiii- urlo correndo
nell’altra stanza.
Vale corre dietro di me ridendo
divertita. Acchiappa
Baki prima che possa finire fra le mie mani e guardo sconsolata il vaso
di
vetro di Venini a terra ridotto in mille pezzi che quel delinquente
aveva fatto
cadere.
Mi metto le mani sul viso mentre
Vale mi saluta e
coglie l’occasione per darsela a gambe col suo cane prima che
gli facessi fare
una brutta fine.
“ Giuro che se mi trovo
un’altra volta sola con lui,
lo strozzo!” penso mentre sconsolata ripulisco il danno.
Qualche giorno dopo era finalmente
arrivato il giorno
dell’appuntamento, se così si poteva chiamare, e
mi stavo preparando con largo
anticipo nonostante mancassero ancora due ore alle 8.30 .
Non stavo più nella
pelle e avevo un gran bisogno di
rivederla, di avere anche solo un piccolo contatto fisico che potesse
placare un
po’ la mia voglia di lei.
Una lunga doccia bollente unita
alla crema al burro di
karitè, preziosa crema che conservavo come una reliquia e
usavo solo per le
grandi occasioni, erano quel che ci voleva per farmi rilassare e
proseguo la preparazione
andando in camera a scegliere con cura gli abiti da indossare.
Dopo un po’di esitazione,
decido per un jeans chiaro
ed una camicia nera che mettevano in risalto il mio fisico asciutto da
atleta consumata.
Infatti erano passati due anni da
quando avevo smesso
di giocare a calcio, proprio nel momento in cui mi avevano proposto il
posto di
strutturata all’ospedale che ambivo dal mio periodo di
tirocinato.
In questo paio d’anni
avevo continuato a tenermi in
forma con qualche seduta di palestra ma presto avevo scoperto
che i turni all’ospedale erano il
miglior allenamento possibile.
Completo l’opera con una
felpa di lana con una
cerniera sul fianco e col collo alto e finalmente sono pronta per
uscire.
Prima di arrivare a destinazione mi
fermo a comprare
un mazzo di fiori per il proprietario del locale, giusto per non fare
brutta
figura.
Parcheggio poco lontano dal
ristorante dove
all’ingresso intravedo un piccolo gruppo di ragazzi che sta
aspettando di
entrare.
Mi do un’ultima occhiata
nello specchietto retrovisore
che mi restituisce una immagine di me abbastanza soddisfacente e mi
incammino
verso il posto.
Dopo ogni passo che mi avvicina
alla meta, sento il
cuore accelerare di un battito e cerco di calmarmi respirando
profondamente
così come mi aveva insegnato un vecchio amico che faceva
yoga.
Arrivata al locale, entro mostrando
l’invito e cerco
subito con gli occhi Irene fra la massa di persone che già
stanno affollando il
buffet.
Quando sto per rassegnarmi, la vedo
finalmente
nell’angolo più lontano che sta parlando con una
ragazza dai capelli neri
raccolti in una coda di cavallo.
Mi avvicino a loro destreggiandomi
fra la calca di
persone che occupa il centro della sala e le raggiungo con un bel
sorriso.
- Buonasera..- le saluto quando
sono a meno di un
metro.
Irene si gira sorridendomi:
- Ehi, ciao. Come sono felice che
sei riuscita a
venire..- mi risponde baciandomi le guancie. Quel gesto mi fa arrossire
vistosamente e cerco invano di mascherarlo coprendomi con il collo alto
della
maglia.
- Certo che fa un caldo qui..-
provo a dissimulare.
- Francesca, ti presento Paola, la
mia coinquilina.-
- Certo. Mi ricordo. Piacere mio-
rispondo stringendo
la mano della ragazza che mi rivolge uno sguardo interrogativo.
- Pa, questa è
Francesca. E’ la dottoressa che ha
visto Puckino l’altro giorno-
- Ah..- commenta fingendo un
piccolo sorriso.
- Già. A proposito, come
va la nuova terapia? Sono
passati pochi giorni ma qualche effetto dovrebbe già
vedersi..-
- Si si- mi risponde Irene con un
altro dei suoi
splendidi sorrisi - Va benone. Ha più voglia di giocare, di
camminare e di fare
disastri. Ancora grazie.-
- Smettila di ringraziarmi, ho solo
fatto il mio
lavoro- le rispondo mentre Paola si allontana da noi con la scusa di
salutare
un suo amico.
- Adesso che mi ci fai pensare.- mi
dice - Quando sono
andata allo sportello per pagare il ticket mi hanno detto che era
già tutto
saldato. Penso ci sia stato un errore…-
- No, Irene. Nessun errore. Puck
è stato visitato come
se fosse il cane di uno di noi medici e quindi la sua visita
è diventata a scopo
didattico e come da regolamento interno è gratis.-
La ragazza mi guarda ancora
dubbiosa e proseguo
aggiungendo:
- Mi sono permessa di inserirti come
mia parente.-
- Non so cosa
dire…grazie.. non dovevi- mi risponde
imbarazzata.
- Ho detto basta ringraziamenti.
E’ una cosa che
faccio spesso- ed era una bugia, era la prima volta che mentivo e
facevo gli
interessi del cliente invece che dell’ospedale - e poi..siamo
sulla strada per
diventare amiche no?-
- Certo.-
- Bene, allora è tutto a
posto- le rispondo accarezzandole
il braccio.
Per il resto della festa rimango al
fianco di Irene
che mi presenta un sacco di persone fino a quando, a notte inoltrata,
l’inaugurazione finisce e rimango fuori dal locale ad
aspettarla.
Nell’attesa mi prendo una
sigaretta. Due boccate
d’aria viziata potevano aiutarmi a distendere un
po’ i muscoli. Era stata una
bella festa tutto sommato, soprattutto verso fine serata quando i
superalcolici
giravano a fiumi.
Non fumavo spesso, un paio di
sigarette al giorno al
massimo, non di più e solo quando ero molto nervosa.
Appoggiata con la schiena contro il
muro e con il
filtro della sigaretta in bocca, non mi accorgo dell’uscita
di Irene che si
avvicina a grandi passi verso di me.
- Ehi..mi hai
aspettata...è molto tardi.- mi dice
posizionandosi davanti a me.
- Ehm..si. Mi faceva piacere.
Facciamo due passi, ti
va?- le rispondo espellendo successivamente l’ultima boccata
di fumo.
Irene annuisce ed incominciamo ad
incamminarci sulla
strada. Il freddo della notte si faceva sentire e, una volta buttata la
sigaretta finita, mi stringo nel cappotto di lana con le mani in tasca
per
restare al caldo.
- E’ stata una bella
festa. Sono felice di essere
venuta.-
- Già. Luca (il
proprietario del locale) è un grande
organizzatore di eventi. Mi piace come gestisce il suo lavoro ed
è un datore
serio e attento ai suoi collaboratori. Mi piace lavorare qui.-
- Da quel poco che l’ho
conosciuto, mi sembra una
persona a posto. Mi sbaglierò ma ho notato anche che gli
piaci molto.-
- Ma dai! Non è vero!-
mi risponde diventando tutta
rossa.
- Sarà. Ma quando ti
guardava faceva gli occhi a
cuoricino.-
- Dici? Comunque non mi interessa,
non è il mio tipo.-
- E allora
com’è il tuo tipo?- le chiedo con molto
interesse ma cercando in tutti i modi di nasconderlo.
- Semplicemente il mio tipo non
esiste o se esiste è
sicuramente gay- mi risponde sospirando.
- Allora se credi che non esista prova a
descrivermelo… magari
ne conosco uno io-
-Vediamo… intelligente,
sarcastico, sicuro di sé tanto
da, a volte, sembrare cocciuto ma allo stesso tempo dolce, sensibile,
attento
ai miei bisogni e con un cuore unico e meraviglioso.-
- Si, hai ragione. Un uomo
così non esiste.- e ridiamo
insieme.
- E tu invece?-
- Il mio uomo ideale dici?- Irene
annuisce.
- Anche il mio non esiste e non
esisterà mai ma per
altri motivi-
- Perché
dici
così?- mi chiede un po’ spaesata.
- Diciamo che semplicemente non
esiste nessun uomo capace
di tenermi testa e non mi piacciono i rammoliti. E come ti ho detto
prima, sono
più cocciuta di un mulo quando mi ci metto.-
- Quindi non vuoi innamorarti?-
- Si, lo voglio più di ogni altra cosa.- rispondo semplicemente lasciando la frase a metà perchè proprio non mi dava di dirle in quel momento che ero omosessuale
e che
mi interessavano le donne come lei.
Semplicemente pensavo che non
avessimo ancora raggiunto
un punto di confidenza tale da poterglielo dire senza che lei scappasse
a gambe
levate.
La pazienza è la
virtù dei forti e questa massima l’avevo
imparata per bene sulla mia pelle durante tutta la mia vita.
Proseguiamo per il resto del
tragitto in silenzio,
ognuna con i propri pensieri fino a quando ci ritroviamo davanti al
locale.
- Allora..eccoci qui. Grazie per la
bella serata.- le
dico prendendo dalla tasca le chiavi dell’audi.
- Grazie a te per essere venuta e
della compagnia. Mi
piace stare con te…ci vediamo presto ok?- mi risponde
avvicinandosi a baciarmi
le guancie.
- Certamente. Lavoro permettendo.
Allora..ciao-
- Ciao-
Ci salutiamo con un pizzico di
malinconia e mi
allontano verso l’auto mentre con la coda
dell’occhio non la perdo di vista.
Entro nell’abitacolo e
metto in moto passando davanti
a lei. Abbasso il finestrino:
- Ti serve mica un passaggio?-
- No, grazie. Aspetto Paola che si
è presa la mia
macchina. Sta arrivando.-
- Sicura? Non
c’è problema.-
- Non preoccuparti, sarà
qui a minuti.-
- Allora aspetto con te
così non rimani sola-
- Ma no, tranquilla. Vai pure,
domani devi lavorare e
devi essere in forma-
In quello stesso istante una
macchina arriva dietro di
me a tutta velocità:
- Eccola.- Ci salutiamo mentre
riprendo la strada di
casa.
Tutto sommato la serata era andata
benone. Irene mi
piaceva ogni minuto di più e quella passeggiata, da sole, mi
aveva davvero
fatto stare bene.
Era davvero bello stare con lei e
più di tutto mi
colpiva il suo modo pacato e gentile con cui affrontava le situazioni.
Se Platone aveva ragione e
all’inizio del tempo la
perfezione era rappresentata da 2 esseri umani che insieme possedevano
tutte le
qualità, Irene era sicuramente quella parte opposta che mi
mancava.
Ci sarebbero volute diverse
settimane, forse mesi, ma
dovevo provarci. .. in fondo nella vita non c’era davvero
posto per i rimpianti.
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Capitolo 10 *** X°- Non sempre si usa la testa ***
Eccomi col nuovo capitolo. Sarò previssima. Ringrazio nuovamente tutti i miei lettori e spero di non deludervi con questa nuova parte.
Come dicevo a chi ha recensito, qualche giorno fa ho finito di scrivere tutto il racconto per cui, forse, posterò con più frequenza..vedremo sto ancora meditando.
I capitoli sono 16, alcuni saranno molto lunghi, quasi doppi e lo ammetto..forse sono stata un po' cattiva con le protagoniste della storia..quindi vi avviso, preparatevi un po' a soffrire.
Quindi su il sipario ed eccovi il capitolo. A presto.
P.s. Prossimo capitolo, l'undicesimo, lo posterò sicuramente dopo le feste, l'8 o il 9 gennaio.
Nella settimane seguenti quella
fredda sera autunnale,
la mia vita sembrava avesse preso finalmente una svolta
decisa: al lavoro cercavo di dare il
meglio di me stessa senza prendermela troppo con colleghi e tirocinanti
e la
cosa sembrava funzionare bene. In più sentivo odore di
promozione e nei
corridoi dell’ospedale circolava sempre più
costantemente, la voce che il
direttore sanitario mi avrebbe presto dato il posto di primario del
reparto
d’urgenza e di responsabile unico del programma di tirocinato.
Erano in pochi quelli che si
potevano vantare di aver
ottenuto un posto del genere alla mia età e poi qualche
centinaio di euro in
più nella busta paga non mi facevano di certo schifo.
Così, risolti i problemi
di ambizione e conto in
banca, rimaneva un unica grande grana: Andrea…senza contare
Irene.
Con Vale i rapporti erano tornati
come un tempo e per
un po’ avevo provato ad accennarle
l’eventualità che il
“coso”…dovete
perdonarmi, non riesco a chiamarlo uomo… con cui stava era a
dir poco un
malandrino in fatto di donne ma il tutto si risolveva sempre con una
mezza
litigata e con un cambio di discorso.
Dall’altra parte, invece,
con Irene erano tutte rose e
fiori.
Uscivamo spesso insieme ma quasi
sempre in compagnia
di altra gente. Il più delle volte c’era anche
Paola, la sua coinquilina, che
mi guardava sempre strano come se non si fidasse completamente di me.
Dai
discorsi di Irene, sapevo che lei come nessun’altro, influiva
nella vita della
ragazza che mi piaceva e mi stavo dannando l’anima per
risultarle, quando meno,
passibile.
L’impresa,
però, era veramente ardua!
Ma stare con Irene era stupendo,
vederla sorridere e
diventare rossa in viso come una liceale alle prime cotte quando
qualcuno le
faceva anche solo mezzo complimento.
La spiavo di nascosto quando non
guardava dalla mia
parte e l’adoravo quando si perdeva nei suoi discorsi e
sembrava vivere nelle
sue favole, spensierata e felice come una bambina, nonostante Paola la
invitasse ogni volta a restare con i piedi per terra.
Semplicemente mi sentivo me stessa
quando ce l’avevo a
fianco e persa quando non c’era. Era fin troppo chiaro il
segnale che il mio
cuore mi stava mandando.
Se quella del sogno, destino o non
destino, poteva
sembrare un capriccio, adesso che l’avevo conosciuta non lo
era più.
< Dottoressa..?>
Mi giro sospirando verso quella
voce che aveva preso
l’abitudine di risvegliarmi sempre nel mezzo dei miei
pensieri e che oramai
sognavo anche di notte:
< Dimmi Matteo.. anzi no,
fammi indovinare: è
arrivata un’emergenza!> gli rispondo sarcastica.
Lo vedo annuire e mi faccio forza
per seguirlo: stava
calando la sera e fra poco l’ennesimo turno sarebbe finito.
La serata non prospettava niente di
buono perché era
il compleanno di Giacomo che mi aveva invitato alla sua festa per far
piacere a
Vale e avrei rivisto tutta quella banda di scansafatiche tra cui Andrea
che non
avrebbe perso l’occasione per mettere in mostra la sua nuova
conquista cioè
Valentina.
- Santa. Ecco cosa mi fanno- dico
ad alta voce mentre Matteo
si gira nella mia direzione guardandomi pensieroso.
- No, no, non preoccuparti non ce
l’avevo con te e con
i tuoi colleghi anche se la mia pazienza con voi si avvicina davvero a
quella
di una santa.-
Qualche ora più tardi
stavo giusto parcheggiando davanti
a casa di Giacomo quando Andrea e Valentina stavano entrando in casa
tenendosi
abbracciati.
Se in precedenza avevo usato tutte
le suddette arti
yoga di cui avevo parlato in precedenza per rilassarmi, questo
fotogramma aveva
avuto il potere di rovesciarmi lo stomaco e di far cadere come foglie
al vento tutti
i miei propositi di tregua per la serata.
Scendo dall’auto e mi
dirigo davanti alla casa di
Giacomo sperando di non assistere ad altre scene come quella
all’interno
dell’abitazione.
- Chi è?- mi domanda una
voce femminile.
- Sono Francesca-
- Parola d’ordine?-
Ma siamo all’asilo? Per
un attimo penso ad alzare la
voce ma le promesse fatte a Valentina qualche giorno prima tornano
puntuali.
- Ehm..Pizza?-
- Yes, sei dei nostri, baby!
– mi risponde aprendomi
finalmente il cancelletto.
Sospiro scrollando la testa e
mentre percorro il
vialetto di casa penso “ Ma in che razza di manicomio sono
finita”?
Sulla porta trovo Vale ad
attendermi che mi abbraccia
calorosamente:
- Ti sei ricordata la parola
d’ordine? Meraviglioso,
pensavo che la tua memoria cominciasse a fare cilecca- mi dice
scioccandomi un sonoro
bacio sulla guancia.
- Quella con la memoria corta sei
tu e ricordati che
dopo questa mi devi un favore enorme. Parola
d’ordine…non la usano più neanche
alle elementari – le rispondo polemica.
Dato il regalo a Giacomo con i miei
migliori “finti”
auguri di buon compleanno, sprecati aggiungerei, mi scelgo un posto
relativamente tranquillo in un angolo della casa. In quella posizione
potevo osservare
con disprezzo come questi teppisti stavano riducendo lo stabile ad uno
schifo
con continui pezzi di cibo che volavano per il salotto.
Era una delle feste più
deprimenti e penose a cui
avevo mai partecipato quando dietro di me sento le voci di Andrea e
Giacomo
che, di nascosto dagli altri, stavano aprendo una finestra per fumarsi
una
canna.
Mi metto ad origliare i loro
discorsi:
- Ehi Giaki, che sballo di festa.
Peccato che fai il
comply solo una volta all’anno-
- Già. E’
stata dura mandare fuori dalle palle i miei
ma alla fine la casa è tutta nostra! Evvai. Ohi, ricordati
che poi devi restare
che mi devi aiutare a mettere a posto.-
- Si, si tranquillo. Spedisco Vale
a casa con quella
stronza di Francesca.-
- Ahahaha, non ti sta tanto
simpatica è?-
- Scherzi? Per forza è
lesbica, chi vuoi che se la
pigli una così?-
I due ragazzi ridono a crepapelle
quando mi chiedo per
quale razza di motivo non mi sono ancora alzata per fare due
chiacchiere con
quei due cretini.
- Giaki ci manca un po’
di gnocca in questa festa perché
hai invitato poche femmine? Che poi si salvano in poche
perché le altre sono
veramente delle cesse.-
- Ma a te che te ne
frega… sei fidanzato, hai Vale.-
- Lo sai con chi stai parlando no?
Andrea Ganci è il
miglior sciupa femmine della città ed è sprecato
per una donna sola.-
- No, no. Così non si
fa- gli risponde Giacomo facendo
quello che credo sia la mia imitazione.
Ridono ancora mentre ingurgito un
nuovo sorso di birra
appellandomi agli ultimi residui del mio autocontrollo.
- Giaki e poi non sai ancora la
parte migliore. Quella
lesbicaccia ha ragione su di me, oltre a Vale vado a letto con almeno
altre 2
lasciando stare quelle occasionali. E ne ho già adocchiato
un’altra…-
- Marpione!- Gli risponde
l’amico con un largo sorriso
e porgendogli l’ultimo tiro della canna.
Li sento ridere quando mi passano
accanto senza
accorgersi di me.
Potevo lasciare stare le offese nei
miei confronti, in
fondo non mi interessa che dei bambocci da quattro soldi mi potessero
offendere, ma Vale andava difesa da quel viscido, non ne avevo
più dubbi.
Finita la festa saluto Giacomo con
un po’ di
riluttanza ma è talmente fatto da non rendersene nemmeno
conto ed accompagno
Vale a casa.
Nonostante i miei propositi di
parlarle, non ne
trovavo il coraggio perché avevo paura che
l’ennesimo argomento Andrea, la
mandasse fuori di testa tanto da farci litigare e perdere
definitivamente la
sua amicizia.
La lascio sotto casa quando ormai
è notte fonda e
decido che l’unico modo per risolvere la questione una volta
per tutte è
scendere a livello di quei cretini che di certo non mi mettevano paura.
Il giorno dopo sono di riposo e
aspetto pazientemente
che Andrea esca dal suo lavoro.
Quando lo vedo scendo dalla
macchina e lo seguo fino a
quando non rimaniamo soli ed in un posto ben isolato.
- Andrea-
Lui si gira, togliendosi gli
occhiali da sole:
- Francesca. Ciao. Cosa ci fai qui?-
- Volevo parlarti un attimo, hai
tempo?-
- In verità sono stanco
morto, stavo andando a casa a
cambiarmi, ho un appuntamento con Valentina – mi risponde con
quel suo ghigno
malefico che mi fa saltare tutti i propositi di diplomazia.
- Ok, va bene, te le
farò capire in due minuti.-
Lo prendo per la giacca quasi
alzandolo da terra e
spingendolo contro il muro:
- Ho aspettato fin troppo per
agire. Non me frega
niente se fai il porco con le altre ragazze ma con Valentina non dovevi
farlo.
Vuoi sapere cosa devi fare? Lasciala senza dirle che vai a letto con
altre e
sparisci dalla sua vita per sempre prima che ti rompa questa bella
faccia da
angioletto, lurido verme-
- Ah ah ah, faccio quello che mi
pare, brutta lesbica
del c***o. Sai cosa dovresti fare tu invece? Non intromettermi
più nei miei
affari e dovresti prendere qualche c***o…-
Non lo lascio finire di parlare
perché un pugno
violento gli arriva dritto allo stomaco facendolo piegare in due privo
di
fiato.
Andrea, rannicchiato per terra come
un bambino, brama
respiro mentre lo prendo per i capelli per guardarlo in faccia.
- Senti sbruffone, tieniti i tuoi
commenti per te. Non
sono una ragazza violenta ma tendo a difendere con ogni mezzo le
persone a cui
tengo per cui te lo ripeto: fai soffrire Valentina e questo di oggi
è solo
l’antipasto di quello che ti aspetta.-
Lo spingo via, lanciandolo a terra
contro un mucchio
di cartoni e ritorno verso l’auto a passo deciso senza
voltarmi a guardarlo e
senta sentire le imprecazioni che mi sta lanciando.
Seduta in macchina mi prendo il
viso fra le mani
mentre mi stavo già maledicendo perché ero andata
oltre a quello che avevo
stabilito.
Non volevo colpirlo, il mio intento
era solo quello di
spaventarlo ma di non di passare ai fatti. Mai avevo fatto un gesto del
genere
ed ora che la tensione stava lentamente svanendo i primi sensi di colpa
stavano
affiorando.
Ora potevo essere davvero nei guai:
se ero sicura che
Andrea mai mi avrebbe denunciato perché sarebbe stato
bollato come uno che si
fa menare da una donna, non sapevo se glielo raccontasse o meno a
Valentina,
magari ingigantendo la situazione. Troppo prevedibili i codardi come
lui.
Se questa ultima ipotesi si fosse
verificata ero
davvero fritta perché la mia amica gli avrebbe creduto e stavolta potevo dire
veramente addio alla
nostra amicizia.
Intanto mi arriva un messaggio.
E’ Irene.
“ Ciao Fra. Allora per
domani sera confermato. Ci
vediamo al solito pub per le 23. Baci, Irene.”
Almeno una buona notizia in questa
odiosa giornata era
arrivata.
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Capitolo 11 *** XI°- Gesti inattesi ***
Buonasera. In anticipo rispetto il programma posto l'undicesimo capitolo della serie.
Piccola premessa: questo capitolo e parte del prossimo saranno non troppo divertenti quindi caldamente sconsigliati per chi è già tanto giù di su.
Detto questo non mi perdo in altre parole lasciando spazio al racconto. Buona lettura.
Prox capitolo: 12°sarà postato mercoledì 12.
Il giorno seguente mi alzo
all’alba dopo una nottata
in cui ho dormito si e no un paio di ore e mi preparo con calma per
andare al
lavoro dove mi aspettano già un bel po’ di
scartoffie da firmare per
l’archiviazione oltre
alla solita
routine in ambulatorio.
Qualche minuto prima delle nove
esco dalla sala medici
pronta per iniziare quella giornata da cui non sapevo davvero cosa
aspettarmi.
Mi continuavo a chiedere se quel
mezzo uomo avesse
informato Vale del nostro incontro oppure se quel pugno non voluto,
avesse
avuto il potere di far capire ad Andrea di lasciarla perdere e di
darsela a
gambe come un pivello.
A quest’ultima soluzione
ci credevo poco ma era la mia
unica possibilità di passare indenne da tutto quello che era
accaduto meno di
12 ore fa.
Intanto raggiungo l’atrio
insieme ai tirocinanti dove
firmo il registro presenze e provvedo a prendere la prima cartella per
il primo
caso di oggi.
Smisto i ragazzi nelle varie sale
visite ed operatorie
tenendo Giulia con me:
- Il Signor Lombardo?- esclamo ad
alta voce nella sala
attesa.
- Sono io- mi risponde un signore
distinto in giacca e
cravatta, alto circa due metri e dal fisico imponente che mi raggiunge
con un
cesta in cui è acciambellato un gattino che avrà
al massimo un anno.
- Prego segua la mia tirocinante,
arrivo
immediatamente-
Giulia accompagna il padrone del
gatto nella prima
sala visita disponibile mentre mi fermo un attimo al bancone per
riconsegnare
delle cartelle.
Ripongo la biro nel taschino e li
raggiungo nella sala
dove Giulia ha già cominciato a visitare l’animale
che si dimostra subito poco
collaborativo.
Mi avvicino al tavolo senza dire
una parola ma
osservando attentamente i movimenti di Giulia che conferma giorno dopo
giorno
di essere un’ottima allieva.
Finita la visita, Giulia si gira
verso di me dandomi
in mano la cartella completamente compilata ed esponendomi con cura il
caso
clinico:
- Gatto europeo, maschio, 1 anno
circa. Moderata
difficoltà ad urinare e spesso nelle urine sono presenti
tracce di sangue.
All’esame generale si presenta in parte disidratato ed il
riempimento delle
mucose è più lento rispetto al normale. Mormore
respiratorio normale, itto
cardiaco dei tre focolai leggermente tachicardico. La palpazione dei
reni
provoca dolore nell’animale e sembrano più
ingrossati rispetto al normale.-
- Bene, bene- le rispondo palpando
l’addome dell’animale.
- Come procederesti?-
- Esame delle urine complete,
colture, antibiogramma.
Rx dell’addome e se necessario l’ecografia.-
- Molto bene. Signor Lombardo la
lascio in buone
mani.- Gli dico firmando la cartella e stringendogli la mano mentre
osservo con
la coda dell’occhio il viso di Giulia che si apre in un
grosso sorriso.
–
La mia
tirocinante si occuperà del suo gatto. Dovrebbe andare alla
reception con
questi fogli le diranno cosa fare.-
Il signore ci lascia sole e ne
approfitto per dare le
ultime indicazione a Giulia che stava per affrontare il suo primo caso
da sola:
- Vedi di non farmi pentire
nell’averti assegnato
questo caso. Se non sei sicura, anche se hai il minimo dubbio su
qualcosa,
vienimi a cercare. Capito? Il gattino ha bisogno di un medico in gamba
e non di
un super eroe che vuole impressionare il suo capo.-
Le lascio la cartella in mano dando
una carezza al
gattino ed esco dalla sala quando vengo fermata da un collega che mi
chiede un
consulto. Lo seguo.
Il paziente in questione
è un furetto di 6 mesi, razza
Marshall:
- Dottore, può
presentare il caso alla dottoressa?-
dice il mio collega a Luca, un’altro dei miei tirocinanti che
gli avevo
affidato per questa mattinata.
- Si, allora:
Furetto..età 6 mesi..razza Marshall si
presenta anoressico, poi –
- Forza non ho tutto il giorno
– lo invito a
continuare incrociando le braccia.
- Si, presenta inoltre
ipersalivazione, la pupilla
dilatata, incoordinazione dei movimenti, atassia e riflessi lenti.
Infine sono
presenti segni di convulsioni con opistotono che si sono verificati, a
detta
del proprietario ,per la prima volta questa mattina, qualche minuto fa.-
- Cosa ne pensi, Francesca?
E’ il tuo campo questo.-
mi chiede il collega
- Penso sia ora di farlo stare
meglio, ha aspettato fin
troppo tempo. Allora Luca qual è la tua diagnosi?-
Il ragazzo non risponde e
sospirando scrivo la terapia
mentre la dico ad alta voce:
- Carenza di vitamina B1.
Immediatamente una dose
della vitamina a 5 mg al kg per giorno fino alla completa scomparsa dei
sintomi. Vado a prendermi un caffè se mi cercate.-
Lascio la stanza raggiungendo le
macchinette. In fondo
non potevo pensare che tutti i miei tirocinanti fossero come Giulia e
Matteo.
Con chi avrei alzato la voce se no?
Loro erano i più in
gamba e quelli più brillanti sia
come preparazione, sia nel modo di interagire col paziente e parlare
con i
proprietari.
Per spingerli oltre i loro limiti,
bastava stimolarli,
stuzzicare la loro curiosità e sarebbero diventati presto
ottimi veterinari ma
la sfida più grande erano gli altri, quelli che non avevano
il loro talento e
che andavano trattati come dei bambini.
Con questi usavo il bastone
più che la carota ed il
più delle volte funzionava. Certo c’era chi
mollava perché, a detta sua, non
sopportava la mia dittatura ma gente così era meglio
perderla per strada che
vederla con un camice a curare degli esseri viventi.
La sera stessa mi trovavo a casa
davanti all’armadio
indecisa sul cosa indossare per incontrare Irene al pub.
Era stata una giornata positiva:
Andrea non si era
fatto sentire, Vale neppure e ciò voleva dire che forse non
ci sarebbero stati
effetti collaterali alla mia chiacchierata col suo
“ragazzo”.
Indecisa fra un jeans classico ed
un pantalone di
velluto nero, il citofono si mette a suonare ed in slip vado a
rispondere:
- Ciao Vale, sali. – le
dico appena la riconosco.
Dal suo volto tirato, notato dal
videocitofono, avevo
subito capito che avevo parlato troppo presto. Potevano essere solo due
le
cose: o il fallito gli aveva raccontato tutto e mi aspettava una sonora
litigata con Vale oppure aveva seguito il mio consiglio e quindi stava
venendo
dalla sua migliore amica per farsi consolare.
Pregavo con tutta me stessa che
fosse questa seconda
optione mentre in gran fretta mi finivo di vestire.
Alla fine ho optato per il
pantalone di velluto nero
ed una camicia dello stesso colore con maniche a 3 quarti.
Quando Vale suona il campanello,
sto finendo di abbottonarmi
la camicia. Tiro un grosso respiro ed apro la porta.
- Ciao Vale- la saluto con voce
squillante facendola
entrare.
- Ciao un corno. Sei una stronza,
ecco cosa sei.-
Benissimo, quel mezzo uomo le avevo
spifferato il
nostro incontro ed ora ne avrei subito le conseguenze:
- Non dire così.
Siediti. Cosa è successo?-
- E mi chiedi ancora cosa
è successo?- mi urla contro.
- Vale ti prego..-
- Ora basta, sono stufa dei tuoi
capricci da bambina
viziata. Io ho la mia vita ed in questo momento
c’è Andrea. Non ti saresti mai
dovuta permettere di fare quello che hai fatto.-
- Cosa ti ha raccontato?-
- La verità, anche se mi
sembrava un brutto film di
serie B!- mi risponde sull’orlo di una crisi di nervi.
- La sua verità e vorrei
ascoltarla.- Le rispondo
cercando di abbassare il tono della conversazione.
- Vuoi che ti dica come ieri
l’hai aspettato fuori dal
lavoro? O come l’hai preso per la giacca insultandolo come
una scaricatrice di
porto? Oppure preferisci che ti racconti di come due delle tue
amichette del
pub, lo tenevano fermo mentre gli tiravi tanti calci nello stomaco
quasi da
ammazzarlo? O meglio di come l’hai derubato, fingendo una
rapina e l’hai
minacciato di non raccontare nulla alla polizia se no
l’avresti ammazzato?-
- Frena frena- le mie orecchie
avevano ascoltato fin
troppe assurdità- di quello che ti ha raccontato solo una
piccola parte è vera.
–
- Certo. Perché sulla
fronte c’ho scritto “Gioconda”-
mi risponde sarcastica. Questo era il primo vero campanello
d’allarme perché in
quel momento qualsiasi cosa le avessi detto non mi avrebbe creduto.
- Senti Vale- le dico prendendole
il viso in modo tale
da poterla guardare negli occhi. – E’ vero
l’ho aspetto che uscisse dal lavoro.
E’ vero che l’ho seguito e che in parte
l’ho insultato ma anche lui non è stato
da meno con me ma non me ne importa. E’ vero che è
scappato un pugno
all’altezza dello stomaco ma per il resto ti ha raccontato
soltanto balle.
Cavolo Vale mi conosci, lo sai che non farei mai una cosa del genere
neanche al
peggiore dei miei nemici. Non c’erano altre persone e
l’unica minaccia che gli
ho fatto è stata quella di lasciarti perché non
sopporto che quel fallito che
tu credi un angioletto, ti prenda in giro e che ti faccia soffrire. E
lo fa,
devi credermi, l’ho sentito con le mie orecchie quando lo
diceva a Giacomo l’altra
sera che va a letto con altre ragazze oltre te e con gliene frega
niente del
sentimento che provi per lui.-
Valentina mi guarda profondamente
prima di replicare:
- Ti ho voluto davvero un bene
dell’anima. Pensavo che
tu fossi una amica leale e sincera invece hai sempre approfittato di me
e della
mia bontà. Non voglio più vederti, non cercarmi
più neanche mi trovassi in coma
all’ospedale, non chiamarmi e soprattutto non avvicinarti mai
più al mio
fidanzato perché la prossima volta una denuncia per
aggressione non te la
toglie nessuno. Da questo momento tu per me sei morta. Completamente.-
Con queste ultime parole Vale mi
spinge via mentre rimango
ad osservarla mentre sbatte la porta di casa mia e si allontana
piangendo.
Rimango inerme per alcuni minuti
mentre in quella
stanza oramai silenziosa, risuonano puntuali solo i rintocchi delle
lancette
degli orologi a muro.
Non ci potevo credere che quel
vigliacco avesse potuto
rovinare un’amicizia come quella che mi univa a Vale e non mi
capacitavo che
lei stessa avesse scordato questi anni meravigliosi passati insieme a
ridere, a
prenderci in giro ma soprattutto a sostenerci a vicenda come due
sorelle.
Quella sorella che molti anni
prima, quando
frequentavo i primi anni di università, un sarcoma mi aveva
portato via e che
mi mancava ogni santo giorno.
Anche se quelle parole che mi aveva
detto facevano
male non avrei rinunciato a lei così facilmente... non
poteva chiedermelo e non
l’avrei mai potuto fare.
Mi stendo sul letto ancora vestita
quando sento dal
cellulare che mi è arrivato un messaggio. E’ Irene
che mi dice che tarderà un
paio di minuti.
Sono davvero indecisa se andare e
meno ma alla fine esco
lo stesso. Forse la sua compagnia potrà alleviare per
qualche ora il peso che
avevo ora dentro il cuore.
Arrivo al pub intorno alle 11 e 20.
Come al solito il
locale è molto affollato e fatico a farmi largo fra la folla
per raggiungere il
bancone del bar dove si trova Irene.
Appena mi vede si alza mi piedi e
ci abbracciamo.
Approfitto della situazione per prolungare il gesto qualche secondo
più del
dovuto e questo basta alla ragazza per capire che qualcosa in me non
andava.
- Franci, stai bene?- mi chiede
subito apprensiva.
- Si, si. Tutto ok.- Le rispondo
cercando di simulare
il mio malessere.
- Si, come no…- commenta
lei sedendosi nuovamente. –
Cosa prendi?-
- Gocce imperiali, grazie. Magari
doppio.-
Irene mi guarda sconvolta prima di
rivolgersi al
barista:
- Mi fai due chupito, grazie..-
- Ma non voglio il chupito..-
Protesto.
- Non ti permetto di bere il
superalcolico più
autodistruttivo che esista. Si può sapere cos’hai?-
Rimango in silenzio continuando ad
evitare le continue
domande di Irene fino a quando non cedo.
- Se hai un problema dovresti
parlarne, magari posso
aiutarti…-
- Non credo- le rispondo
ingurgitando il quarto drink
della serata ed ordinando subito il quinto. O il nono. Boh, stavo
cominciando a
perdere il conto.
- Provaci.- continua Irene che
è a mala pena al
secondo.
- Ok… Succede che ho
rotto con Valentina per quel
cretino di Andrea. L’altro giorno ho aspettato che uscisse
dal lavoro e gli ho
detto di lasciarla in pace. E’ scappato un pugno e lui ne ha
approfittato e le
ha raccontato che gli ho organizzato un vero e proprio agguato, degno
di un
clan mafioso-
- Non ci credo..-
- Credici. Per amore e per
amicizia, quelle vere, sono
capace di fare qualsiasi cosa-
Irene rimane qualche attimo a
fissarmi, perplessa
mentre finisco di raccontarle nei dettagli l’accaduto.
- Magari è arrabbiata.
Lasciala sbollire, tornerà.-
- Non tornerà, quel
fallito l’ha completamente
rimbecillita. Giuro che se l’avessi fra le mani in questo
momento…- le dico.
Mimo il gesto di strozzarlo,
sbilanciandomi ed Irene mi
prende al volo. Le nostre labbra sono a non più di qualche
centimetro di
distanza e mi sforzo con tutta me stessa per
non baciarla.
Quelle labbra così
carnose, appena sfiorate da un
lucidalabbra color rosso fuoco sono come diavoli tentatori che mi
invitano
nell’inferno del piacere più puro.
Ci rimettiamo a sedere. Irene
sembra non essersi
accorta di niente ma c’è stato un secondo in cui
stavo davvero per cedere e non
mi capacito ancora di come ho fatto a resistere.
Poco dopo si libera un tavolo e ci
accodiamo. Ormai
sono giunta al… non so che numero.. bicchiere che unito alla
stanchezza della
giornata e alla visita di Vale, azzera totalmente la mia
capacità di
autocontrollo.
Accarezzando il mio bicchiere vuoto
sento la mano di
Irene infilarsi nei miei capelli per consolarmi. Un gesto ambiguo ma
diventato
ordinario per noi da quando ci frequentavano.
- Non mi piace vederti
così giù. Cosa posso fare per tirarti
su di morale?- non demorde cercando di farmi tornare a sorridere in
quella
spenta serata.
Mi giro ad osservarla. I suoi occhi
verde corallo splendono
come gemme preziose ed illuminano un piccolo sorriso radioso che
è dipinto sul
suo viso.
Quegli occhi, quelle
labbra… ancora quel richiamo a
cui mi sforzo sempre di resistere quando sono così vicino a
lei. Sento il cuore
battere all’impazzata mentre con l’altra mano mi
prende la mia.
Il respiro accelera mentre osservo
le nostre mani una
sopra l’altra. In quel momento capisco che ho passato il
confine e che il muro
dell’autocontrollo è franato.
Mi avvicino sempre di
più, rubando un centimetro ogni
respiro fino a quando le nostre labbra si toccano.
Distintamente sento le sue aprirsi
per un bacio più
appassionato quando un bicchiere che si infrange sul pavimento spezza
quel’attimo
magico. Ci stacchiamo da quel momento di paradiso rubato.
Io guardo lei. Lei guarda me.
E’ un secondo.
Come avesse preso la scossa si
stacca dal mio corpo e
si riveste:
- Irene, aspetta, fammi spiegare.-
- Non c’è
nulla da spiegare, è tardi devo andare- si
infila il cappotto ed esce.
Con le poche forze rimaste e con
indosso solo la
camicia , la seguo nel buio della sera:
- Scusami non ce l’ho
più fatta a resistere. Fermati
ti prego, non andartene anche tu.-
Irene non mi risponde e si infila
in macchina. A nulla
servono gli altri tentavi a farla scendere mentre scompare velocemente
con la
sua auto nell’oscurità.
Sconsolata ritorno, barcollando,
nel locale; pago il
conto e ritorno a casa chiamando un taxi. Non ero proprio in grado di
guidare.
Arrivata a casa mi inginocchio a
terra, priva di
forze, ed in quelle 4 mura che faticosamente avevo acquistato anni
prima, verso
le prime lacrime dopo tantissimo tempo senza più freni.
Quelle lacrime stavano incrinando
la corazza che avevo
cominciato a costruire tanti anni fa da piccola, quando in un anno
avevo perso entrambi
i miei nonni materni con cui ero cresciuta, una sorella più
piccola a cui
volevo un bene dell’anima ed il mio primo amore. Tutti morti.
In quell’anno avevo
deciso che più niente mi avrebbe
fatto soffrire così e che sarei stata sempre così
forte da farmi scivolare
tutto addosso. Da non farmi prendere così tanto dalle
persone per poi soffrire
come un cane quando, in un modo e non l’altro, mi avrebbero
abbandonato. Fino
ad oggi, quando quello che avevo di più caro al mondo, mi ha
girato le spalle.
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Capitolo 12 *** XII°- Toccare il fondo e rialzarsi ***
Bene. Eccoci giunti al nuovo capitolo, il più lungo della storia. Avrei voluto dividerlo in due (praticamente è lungo il doppio rispetto agli altri) ma alla fine ha prevalso la voglia di farvi salire sulle montagne russe...fra poco scoprirete perchè.
Certi punti non mi convincono molto ma penso che ritoccarlo ancora, farei più danni che altro.
Visto che siamo alla fine e da questo capitolo ci sarà un susseguirsi ininterrotto di eventi, ho deciso di accorciare i tempi di rilascio dei prossimi. Spero sia cosa gradita!.
Come al solito non mi dilungo molto...ringrazio come sempre le mie più appassionate lettrici che, a forza di complimenti, mi faranno montare la testa (come dice Apia a parti invertite!)e tutti quanti seguono la storia anche senza recensire.
Buona lettura!
P.S. Prossimo capitolo: sab 15 gen
Una nottata in bianco, da sola, con
due grandi pesi
nel cuore e con la testa all’interno del water a vomitare
anche l’anima tutti quei
chupito che mi ero fatta solo qualche ora prima… era stato
quello l’epilogo
della mia nottata.
Mi sentivo vuota, persa e non avevo
neanche più la
forza di pensare a come fare per rimediare a quella situazione in cui
mi ero
andata a cacciare.
Se per Vale avevo sottovalutato in
parte la reazione
di Andrea, con Irene era stato l’alcol a farmi fare un gesto
che volevo da
sempre ma che avevo sempre scacciato dalla mia mente per paura di
perderla.
E adesso mi ritrovavo abbandonata
dalle due persone
che amavo di più su questa terra al fuori dalla mia famiglia
e con la
consapevolezza che solo un miracolo me le avrebbe riportate indietro.
Per tutta la mattina mi riempio di
farmaci e di
carbone attivo per fare in modo di presentarmi al lavoro in un stato
quanto meno
accettabile.
L’effetto
dell’alcol stava lentamente svanendo e mi
lasciava in eredità solo un enorme mal di testa quando in
macchina mi dirigo al
lavoro in evidente ritardo.
Mi cambio in fretta mentre recupero
le cartelle dei
miei pazienti per le visite di controllo.
Il gatto del signor Lombardo che
stava curando Giulia
necessitava di un intervento chirurgico per la rimozione di alcuni
calcoli che
non ne volevano sapere di sciogliersi con i farmaci.
La mia tirocinante stava svolgendo
un ottimo lavoro
così la prendo da parte e le comunico che sarà
lei ad eseguire l’operazione,
ovviamente sotto la mia attenta supervisione qualche ora più
tardi.
Mi abbraccia e cerco di contenerne
l’entusiasmo che mi
sta contagiando. In quell’istante si avvicina a noi Luca che
ricordavo doveva
monitorare il furetto affetto da carenza di vitamina B1.
- Dimmi Luca-
- Dottoressa senta…
sulla cartella aveva scritto 5 o
50 mg al kg..- mi chiede con timore.
Sbarro gli occhi, conscia del danno
che quell’idiota
poteva aver combinato:
- Non è giornata, dimmi
che ne hai somministrati 5 e
non 50…-
Il suo silenzio mi conferma che
quel cretino aveva
fatto un casino di proporzioni cosmiche. A passo svelto ci dirigiamo
nella sala
degenza dove riposa il furetto che presenta già i primi
sintomi di depressione
respiratoria.
Lo visito velocemente
somministrandogli adrenalina ed
un altro mix di farmaci antagonisti della B1.
- Cristo santo Luca ma sei
impazzito? Quante volte ti
ho detto che se non capisci qualcosa di venirmelo a chiedere. E poi fra
le due
dosi per una bestiola che peserà si o no un paio di kg,
quale poteva essere
quella giusta? A volte mi chiedo come hai fatto a passare determinati
esami!-
In quell’istante entrano
nella sala il primario del
reparto, il proprietario ed il collega che mi aveva chiesto il consulto.
- Dottoressa Morticone, cosa sta
succedendo qui?-
Ci penso qualche secondo prima di
rispondere. In
quell’attimo avrei probabilmente deciso la mia carriera e
quella del mio
tirocinante. Lo osservo lungamente prima di aggiungere uno 0 sulla
cartella e
di rispondere alla domanda del mio superiore:
- Per mio errore ho scritto sulla
cartella una dose
sbagliata del farmaco per il paziente. Luca se n’è
reso conto e, quando mi sono
accorta dell’errore, ho provveduto a rimediare. Ora il
paziente è stabile e
fuori pericolo anche se ci vorrà qualche giorno in
più prima che si riprenda.-
Il proprietario mi si scaglia
contro urlandomi
qualsiasi cosa ma non lo sto a sentire, placato dai miei due colleghi.
In quel momento sentivo di aver
perso veramente tutto
quello per cui avevo lottato in questi ultimi anni:
l’amicizia, l’amore ed
oggi, il lavoro.
Osservo solo Luca che mi fissa a
fondo come a cercare
il motivo di questo mio comportamento.
Gli accenno appena un sorriso come
a tranquillizzarlo
mentre mi allontano insieme al primario ed al proprietario verso
l’ufficio del
direttore sanitario.
Davanti al capo dei capi confermo
la mia versione e
solo grazie alla pazienza del direttore evito una denuncia da parte del
proprietario per negligenza.
In attesa di ulteriori indagini,
vengo sospesa per una
settimana e, all’uscita, mi trovo Luca che mi accompagna in
silenzio fino alla
sala medici.
- Perché l’ha
fatto?- Mi chiede.
- Non importa il perché.
Quello che mi interessa è che
impari dal tuo errore perché la prossima volta non ci
sarà nessuno a pararti il
sedere.-
- Non so cosa dire..-
- Ecco bravo, non dire nulla e
muoviti che hai un
paziente da monitorare. E vedi di confermare la mia versione quando te
la
chiederanno.- gli rispondo invitandolo ad andarsene. La sua presenza
cominciava
ad infastidirmi.
- Grazie- lo sento sussurrare.
- Muoviti- gli intimo con
più forza.
Il tirocinante si allontana
velocemente mentre mi
siedo sulla panca davanti al mio armadietto con in mano il
fonendoscopio.
Perché l’ho
fatto? Semplicemente perché sentivo che
era la cosa giusta da fare. Se quell’idiota aveva fatto quel
pasticcio la colpa
era solo mia che non ero stata sufficientemente brava nella mansione di
insegnante.
E poi sono, o meglio dire ero, la
loro responsabile ed
ho le spalle più grandi per affrontare un errore del genere
anche se c’ho
volesse dire rinunciare alla carriera.
Con la testa affollata dai
pensieri, non mi accorgo
che una mia collega apre la porta:
- Francesca, ho saputo cosa
è successo…stai bene?-
“Che razza di domanda
è?” penso mentre la guardo
appena senza rivolgerle parola.
- Luca mi ha raccontato cosa
è veramente successo- mi
ripete rimarcando le parole - e quello che hai fatto per lui e per i
tuoi
ragazzi ti fa veramente onore. Sappi che tutti noi siamo dalla tua
parte e
vogliamo che tu rimanga con noi.-
-Grazie- sussurro senza guardarla
negli occhi mentre
finisco di riporre e prendere alcune cose dall’armadietto.
Quando le passo accanto faccio
ancora in tempo a
sentire:
- Andrà tutto bene,
fidati-
“ Certo come
no” penso fra me e me “ tanto al lieto
fine non ci credo più”.
La settimana di sospensione stava
quasi giungendo al
termine ma la mia situazione peggiorava di giorno in giorno. Ora che
sentivo di
aver perso tutto, mi trascuravo e passavo le giornate a chiamare e
mandare messaggi
sia a Vale che ad Irene, ogni giorno sempre con minor convinzione, da
cui non
ottenevo neanche risposta mentre alla sera, andavo in giro per locali a
bere
fino a sbronzarmi e, quando ero fortunata, a sbaciucchiarmi fino alle
prime
luci del mattino con una ragazza sempre diversa.
Ero irriconoscibile anche se il
termine più
appropriato era penosa e deprimente, proprio come quella festa di
Giacomo dove
i miei guai erano cominciati.
Nel penultimo giorno di
“reclusione” viene a farmi
visita mia madre a cui, trovandomi in quello stato pietoso, sono
costretta a
raccontare tutto: le parlo di Vale, del lavoro e di una situazione
sentimentale
delicata senza entrare troppo nei particolari.
Finito il racconto mi prende per un
orecchio fra le
mie proteste e spendendomi in doccia vestita:
- Adesso il momento di comportarti
da bambina è
finito. Ti lavi per bene, ti vesti ed usciamo insieme a fare due passi.
Devi
smetterla di piangerti addosso. Hai sempre combattuto per le cose a cui
tieni e
non voglio crederci che proprio adesso, tu abbia deciso di mollare.
Sappi che utilizzerò
tutte le forze per non permetterti di buttarti via in questo modo!- mi
urla dal
salotto.
La doccia e le parole di mamma
hanno il potere di
regalarmi una nuova linfa. In quel momento, mentre l’acqua
calda sbatte sul mio
corpo e le sue parole mi riempiono le orecchie, penso a tutti i momenti
duri
che ho oltrepassato nella mia vita.
Non ero stata molto fortunata ma
avevo sempre creduto
che prima o poi la ruota della fortuna girasse per tutti e che il mio
momento
sarebbe arrivato presto.
Perché smettere adesso
di crederci? Con Vale, in
fondo, bastava che lasciassi fare al tempo e presto si sarebbe accorta
che
avevo ragione. Al lavoro dovevo fidarmi dei miei colleghi e delle mie
referenze
inappuntabili fino a quel momento… non era assolutamente
scontato che mi
avrebbero licenziato.
Con Irene invece… con
lei mi sarei dovuta appellare a
quella ruota sperando che fosse arrivato davvero il mio turno per la
felicità e
che tutti i pezzi di questo intricato puzzle si fossero ricomposti.
Esco dalla doccia rigenerata
trovandomi di fronte il
sorriso di mia madre che paziente mi aiuta a rimettere a posto casa
mia, ormai
quasi paragonabile ad una discarica.
Usciamo, come mi aveva promesso, a
comprare qualcosa
da mettere in frigo che erano giorni che non vedeva un cibo sano e
verso fine
pomeriggio mi saluta riprendendo la strada di casa.
Decido alla sera di uscire di nuovo
ma senza fare
troppo tardi e scelgo di andare ad un pub poco distante da casa dove
era mia
abitudine trascorrere intere serate con Valentina.
Mi siedo al bancone ed il barman mi
serve un baileys con
ghiaccio quando il mio sguardo incrocia Valentina che poco distante da
me, stava
fra le braccia di Andrea a bere insieme al loro gruppo di amici.
Il cuore mi spinge da lei ma la
ragione, una volta
tanto, ha la meglio e li osservo da lontano sorseggiando il mio drink.
Vale sembra tranquilla e felice e
nonostante tutto è
proprio questo che mi interessa che lei stia bene, anche se fra le
braccia di
quello scapestrato.
La vedo baciarsi con lui,
stringerlo come se fosse il
suo unico appiglio in questo mondo e forse solo ora posso capire la
portata
della sua reazione. Se ne è innamorata sul serio.
Fa comunque male vederli felici,
così pago il mio
conto e prendo la strada dell’uscita. Agguanto una sigaretta
dal pacchetto
ancora pieno e l’accendo appena fuori dal locale chiudendo
gli occhi e cercando
di godermi quella stupenda notte invernale piena di stelle.
Quando la sigaretta sta per finire
sento dei rumori provenire
da dentro e ritorno all’interno di
corsa.
La scena che mi si apre davanti
agli occhi è
allucinante: intorno al tavolo non c’era più
nessuno e Valentina era una
maschera di lacrime mentre continuava ad urlare frasi incomprensibili
nella
direzione di Andrea.
Intorno a loro, tutta la gente
presente nel pub ha
formato un cerchio e sta seguendo interessata l’evolversi
della situazione.
Vicino ad Andrea, una ragazza del
gruppo si stava risistemando
la maglietta mentre tutti gli altri li osservano quasi divertiti per lo
spettacolo fuori programma.
Passo davanti al bancone dove il
barman stava uscendo
per sbatterli tutti fuori dal locale ma lo convinco a desistere per il
momento:
prima dovevo portare Vale lontano da li.
Un sospiro profondo e mi avvicino
decisa a loro senza
ulteriori indugi. Quando Vale mi vede, ormai isterica mi lancia
qualcosa
addosso che evito senza problemi e la raggiungo abbracciandola.
- Ti porto via da qua..- le
sussurro ricevendo in
cambio uno spintone che mi fa cadere sul tavolo.
La mia amica lascia il locale di
corsa e mi volto
verso Andrea che neanche in quel momento aveva smesso di sorridere:
- Che cosa le hai fatto, verme?-
gli chiedo
avvicinandomi a lui mentre il gruppo di ragazzi ci osserva con
attenzione.
- Non immischiarti, brutta
lesbica.- mi risponde prima
di tirarmi un pugno diretto alla guancia sinistra.
Lo evito abbassandomi e ne
approfitto per piazzargli
una ginocchiata perfettamente al centro del suo petto come avevo fatto
una
settimana prima.
Questa volta Andrea non demorde e
riprova a colpirmi
ma lo evito facendolo cadere con uno sgambetto.
A terra, ormai inerme, lo prendo
per la gola con una
mano.
- Sei un bastardo e ti meriteresti
di essere preso per
le orecchie e messo in punizione come un bambino capriccioso come
faccio a volte
con i miei allievi. Ma non voglio sporcarmi ancora le mani con la tua
brutta
faccia e te lo ripeto per l’ultima volta: se ti avvicini
ancora a Vale, se la
cerchi, dovrai fare di nuovo i conti con me.-
Lo lascio andare e, mentre riprendo
la giacca per
uscire, sento distintamente le prese in giro dei suoi amici
perché le aveva
prese da una donna. Quella era la migliore punizione che un decerebrato
del
genere si poteva meritare.
In quel momento non mi importava di
lui, dovevo solo
trovare Vale… chissà dove si era andata a
cacciare. Provo a chiamarla sul
cellulare ma presto mi accorgo che l’aveva nella borsetta,
dimenticata al pub e
che avevo raccolto prima di uscire.
Con la macchina faccio il giro di
tutto il quartiere e
di tutte le zone che spesso frequentava ma..niente. Sembra introvabile.
Mi ricordo allora di avere ancora
le sue chiavi di
casa in macchina e guido a tutta
velocità verso il suo
appartamento rischiando più volte di uscire di strada.
Quando arrivo nell’atrio,
la portiera mi conferma che
Vale è salita in casa pochi minuti fa e tiro un grosso
sospiro di sollievo.
Finalmente l’avevo trovata.
Raggiungo il suo appartamento ed
entro usando le
chiavi di scorta.
Sento chiaramente un pianto
inconsolabile che arriva
dalla camera da letto e mi avvicino a piccoli passi chiamando il suo
nome per
non farla spaventare.
Appena ci guardiamo, Valentina si
alza in piedi:
- Vattene, non ti voglio qui- mi
urla ancora in crisi.
- Scordatelo, da qui non mi muovo-
- Vattene- mi urla con
più forza come se cercasse di
convincere se stessa e non me.
- E’ inutile che sbraiti
come una vecchia gallina
spelacchiata, non cambio idea-
Mi avvicino a piccoli passi mentre
la mia amica
ritorna a sedersi per terra, in un angolo, fra il letto e
l’armadio con le mani
sul viso versando lacrime amare.
Mi siedo al suo fianco con le gambe
al petto e le braccia
sopra le ginocchia aspettando che sia lei a parlare:
- Dai, lo so che muori dal dirlo:
te l’avevo detto che
era un poco di buono e che se la faceva con le altre oltre a me.-
- Non ti dirò niente di
tutto questo invece.- le
rispondo con tono sicuro.
- E allora perché sei
qui?-
- Perché tu hai bisogno
di me e questo è il mio posto-
- Ma smettila, dopo tutto quello
che ti ho detto…- mi
risponde mentre il suo tono comincia lentamente ad addolcirsi.
- Al diavolo quello che mi hai
detto, non lo pensi sul
serio, lo so. Sei la mia migliore amica è questo non
potrà mai cambiare. Non
esiste persona nell’universo, neanche tu, che possa farmi
smettere di volerti
bene.- le confermo guardando ancora davanti.
Sentivo sulla pelle i suoi occhi
sorpresi e spaventati
e aspettavo solo un suo segno per poterla finalmente riabbracciare..mi
era
mancata per troppo tempo.
- Dici davvero?- mi domanda
appoggiando il viso sul
mio braccio mentre stava gradualmente smettendo di piangere.
- Si- le rispondo aprendo il
braccio e stringendola a
me.
- Comunque avevi ragione. Andrea
è uno stronzo. L’ho
beccato in bagno mentre si baciava con Lucia. Quando gli ho chiesto
perché, mi
ha risposto che lui è fatto così e ha alzato le
spalle. Da quel momento non ci
ho visto più...-
La lascio parlare per diversi
minuti mentre anche i
singhiozzi residui spariscono e il mio braccio la tiene salda, stretta
a me.
- Non ne voglio più
sapere degli uomini..sono tutti degli
idioti… cambio sponda come te! -
- Vale sei ferita… prima
o poi l’uomo giusto per te
arriverà. Non puoi decidere all’improvviso di
cambiare sponda, non è così
facile. E poi fidati, esperienza personale, le donne sono molto
più complicate
degli uomini ed alcune che girano nelle discoteca sono peggio di tutti
i tuoi
ex messi insieme!-
Ridiamo. Finalmente la prima risata
della serata fino
a quando Vale mi coglie alla sprovvista:
- Allora mi prendo te,
così non rischio. Chissà come
sarebbe essere fidanzante anziché amiche… ci hai
mai pensato?-
- Oddio… si,
all’inizio ci ho pensato ma conoscendoti
non penso che reggerei i tuoi ritmi.-
Finalmente ci guardiamo negli occhi
ed il viso di Vale
si avvicina pericolosamente al mio fino a quando le nostre labbra si
toccano.
La mia amica cerca di approfondire
il bacio ma la
blocco all’istante:
- No..- le sussurro dolcemente.
- Perché? –
- Perché non sarebbe una
buona idea e poi lo sai, nel
mio cuore c’è Irene. Io e te siamo perfette in un
altro modo, come amiche, e
stiamo bene insieme perché ci sosteniamo una con
l’altra quando siamo nei
casini. Tu sei il mio paracadute quando l’amore mi lancia nel
vuoto perché mi
prendi in volo e mi eviti sempre una caduta troppo dolorosa ed io lo
sono per
te. Senza tutto questo ci faremmo troppo male.-
Dolcemente le accarezzo il viso. In
silenzio la prendo
in braccio e la adagio sul letto adiacente e mi corico accanto a lei.
- Vero che rimani con me questa
notte?-
- Ovviamente. Non
c’è altro posto in cui vorrei stare
in questo momento- le rispondo baciandola sulla guancia.
- Bugiarda.- mi risponde. Era vero.
In quel momento
l’unico posto migliore di quello era insieme alla donna che
amavo ma in quel
momento era impossibile.
Per cui ero felicissima di essere
li, accanto alla mia
amica, che avevo ripreso appena in tempo prima che si schiantasse a
terra e si
facesse male sul serio.
- Comunque saresti
un’ottima fidanzata..- aggiunge
Vale prima di addormentarsi finalmente fra le mie braccia in un sonno
sicuramente pieno di incubi ma dove, per nulla al mondo, la
lascerò sola.
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Capitolo 13 *** XIII° - Spiragli di luce ***
Bene. Eccoci con un nuovo capitolo. Lentamente stiamo giungendo alla fine. Questo capitolo che state per leggere è un pochino più corto rispetto agli altri, volutamente direi, visto che quello che succederà d'ora in poi, ogni parola, ogni gesto, avrà un significato particolare.
Con questo "spiragli di luce", vi voglio portare davanti alla porta (Ogni riferimento non è puramente casuale..) del destino di Franci che scoprirete finalmente negli ultimi 3 capitoli. Basta, non dico di più..vi lascio alla lettura sperando che vi piaccia, magari un pochino di più rispetto agli altri.
P.S. Prossimo capitolo: Mart 18 genn.
Il giorno dopo quella incredibile
serata, un raggio di
luce entrava dalla finestra di Vale illuminandomi il viso. Il ricordo
di tutto
quello che era successo arriva tutto insieme e stringo istintivamente
la mia
migliore amica che non aveva fatto altro che svegliarsi continuamente
durante
tutta la notte, scossa da incubi in cui il protagonista era sempre
Andrea.
Lo sapevo che sarebbe finita male
fra loro due ma non
credevo in questo modo. Odiavo avere ragione, soprattutto adesso e
ancora non
capivo quale forza misteriosa mi avesse trattenuto dal mandare quel don
Giovanni da strapazzo all’ospedale, solo la sera prima.
Ma adesso la cosa più
importante era che la mia Vale
si riprendesse da quella storiaccia e che tornasse la solita
meravigliosa
rompiscatole di sempre.
Mentre tutti questi pensieri si
affollano nella mia
testa, mi arriva un messaggio sul blackberry da un numero sconosciuto:
“ Buongiorno. Sono Paola,
la coinquilina di Irene. Ho
bisogno di parlarti urgentemente di lei”.
Senza farci troppo caso, mi muovo
dalla mia posizione
svegliando Vale:
- Ah…che male la testa-
esordisce tenendosi il capo.
- Scusami non volevo svegliarti.
Come ti senti?- le
chiedo in un sussurro, appoggiando il cellulare sul letto.
- A pezzi. La mia vita è
finita. Lo amavo davvero…- mi
risponde ricominciando a piangere.
- Piangi se ti fa stare meglio ma
chi ci ha perso di
più è lui. Sei una ragazza d’oro e
vedrai che presto incontrerai qualcuno che
ti farà battere così tanto il cuore che lo
sentirai scoppiare.-
- Come lo senti tu per Irene, vero?-
Annuisco triste mentre la mia amica
aggiunge:
- Grazie di tutto, comunque. Senti
per quel bacio…-
- Non preoccuparti. Non cambia
niente fra noi due e te
lo ripeto anche oggi: qualsiasi cosa succeda, che litighiamo, che ci
mandiamo a
quel paese, che siamo lontane, la nostra amicizia durerà per
sempre… come l’amore
delle favole.-
Dolcemente le bacio la fronte e
ritorno a leggere il
messaggio che mi era arrivato qualche minuto prima.
- E’ Irene?- mi chiede
speranzosa Vale
- Più o
meno...cioè è Paola la sua coinquilina. Dice
che mi deve parlare urgentemente di lei-
- Cosa aspetti. Chiamala
immediatamente.-
Annuisco, prendo il blackberry e
vado in cucina per
chiamare Paola:
- Pronto?- una voce spavalda mi
risponde dall’altro
capo del telefono.
- Paola?-
- Si, sono io. Chi mi cerca?-
- Ciao, Sono Francesca Morticone.
Mi hai scritto un
messaggio…cosa succede?-
- Ah- la sua voce si addolcisce -
Bene, hai chiamato
subito. Volevo parlarti di Irene.-
- Dimmi ti ascolto-
- Prima devo farti una domanda-
- Si…-
- Cosa provi per lei? Quel bacio
che le hai dato quella
sera cosa significa per te?-
Rimango in silenzio qualche secondo
di troppo. Irene
aveva parlato a Paola di me, di quel bacio..
- Francesca ci sei..-
- Si scusa. Quel bacio.. quel
bacio…se mi stai
chiedendo se era un gioco la risposta è no. Capisco che
è difficile credermi
per come è successo ma l’alcol in quel caso mi ha
solo aiutato ad annebbiare la
paura di essere respinta da lei. Sognavo di daglielo da molto tempo,
dalla
prima volta che ci siamo conosciute. Non credevo ai colpi di fulmine ma
con lei
è accaduto. Vorrei tanto avere la possibilità di
spiegarle tutto quello che
sento e provo per lei ma non mi vuole vedere, mi rifiuta. Temo che
l’ho davvero
persa per sempre.-
Per tutto il tempo Paola mi ha
lasciato parlare, senza
interrompermi fino a quando sono restata in silenzio.
- Quindi..la ami-
- Credo proprio di si.-
- Sei sicura di tutto quello che mi
hai detto?-
- Diavolo Si, certo. -
- Ok. Allora devi sapere che Irene
si rifiuta di parlare
con te non perché è arrabbiata ma ha paura di
ammettere a se stessa che non le
sei così indifferente. Credo che anche lei sia innamorata di
te perché quando
le accenno il tuo nome si mette ad urlare come una pazza ma i suoi
occhi
brillano. Si chiude nella sua stanza tutto il giorno, è
confusa ed esce solo
per mangiare, quando se ne ricorda. Non ce la faccio più a
vederla in questo
stato e tutte le volte che ho provato a parlarle, non ho risolto nulla.
Voglio fidarmi di te, anche se non
ti conosco così
bene ma sappi che alla mia migliore amica ci tengo tanto e se le fai
del male,
ti verrò a cercare e dovrai vedertela con me.-
- Non ho nessuna intenzione di
ferirla…-
- Bene. Allora hai esattamente 20
minuti per venire a
casa nostra.-
- Ma…-
- Non c’è
nessun ma! Se quello che mi hai detto è
vero, se la vuoi,muoviti perchè questa sarà la
tua unica occasione.-
Senza farmi replicare una seconda
volta, Paola stacca
il cellulare.
Rimango basita, guardando il mio
palmare e cercando di
mettere ordine a quello che era appena successo.
- Allora?-
mi
chiede Vale che mi
aveva appena raggiunto
in cucina.
- Allora..- rispondo esitando
più del dovuto.
- Quante volte te lo devo dire che
odio tirarti fuori
le parole di bocca!- e intanto si siede proprio di fianco a me.
- Paola… Paola mi ha
chiesto cosa provavo per Irene. Le
ha detto che l’ho baciata! Crede che anche lei provi qualcosa
di importante per
me ma che ha paura. Mi ha detto che se ci tengo a lei ho 20 minuti di
tempo per
arrivare a casa loro e parlarle. -
Vale mi tira un pugno sulla spalla
sforzandosi di
sorridere:
- E questo perché?- le
chiedo tenendomi la parte
colpita, rianimandomi un po’.
- Perché non capisco
cosa ci fai ancora qui!-
- Ma..tu non stai ancora bene-
- Non preoccuparti di me adesso. Mi
faccio un thè e
poi torno a letto. Forza, non farmi arrabbiare! Questa è la
tua occasione…tu,
l’amore delle favole l’hai trovato e non devi
arrenderti. Siete fatte per stare
insieme….- continua facendomi alzare a forza - è
ora di mettere in gioco il tuo
cuore. Vai principessa azzurra e conquista la tua donzella.-
Rimango senza parole qualche
istante:
- Tu sei tutta matta…-
le dico mentre mi spinge fuori
di casa - Ok, ok… basta che la smetti- le rispondo
sorridendo ed alzando le
mani in segno di resa.
Abbraccio Vale baciandola in fronte:
- Corri da lei e torna vincitrice!-
mi sussurra per
darmi ancora coraggio.
Annuisco decisa e mi precipito
fuori dal palazzo,
diretta verso la casa di Paola ed Irene.
Facendo un rapido calcolo, ci
volevano circa 15 minuti
per attraversare la città, potevo e dovevo farcela ad
arrivare in orario a
quell’unico appuntamento della mia vita in cui non avrei
tardato per nulla al
mondo.
Saltando semafori, sorpassando a
destra e a sinistra e
rischiando più volte di tamponare il cretino di turno
davanti a me, ero
arrivata sotto casa loro dopo soli 12 minuti.
Il mio cuore batteva
all’impazzata e non avevo neanche
fatto in tempo a prepararmi nessun discorso d’effetto
perché era successo tutto
troppo velocemente.
Alzo gli occhi al cielo, pregando
per qualche istante
in silenzio e cercando di darmi un aspetto quanto meno presentabile.
Mancavano solo 2 minuti alla
scadenza del termine
messo da Paola ed ero sotto casa sua. Ci ero riuscita.
Nel corpo di un essere vivente, una
delle maggiori
cause per cui l’organismo produce una quantità
straordinaria di adrenalina, è
la paura.
Per questo si dice la paura fa 90,
perché questo
sentimento scatena una produzione così importante da
provocare notevoli
effetti: accelera la frequenza ed il battito cardiaco, aumenta il
livello di
attenzione, si dilatano le pupille ed influisce sulle nostre azioni.
Ad esempio durante gli esami
tendiamo a ricordare cose
che neanche credevamo di sapere, diventiamo coraggiosi anche se siamo
dei
codardi e quando l’effetto finisce crolliamo completamente.
L’ avevo studiata fin
troppo bene questa parte…
fisiologia ed endocrinologia, 28/30simi. Il voto in assoluto
più alto che avevo
ottenuto quando ero una matricola.
Nelle vene sentivo scorrere questa
sostanza,
l’adrenalina, in quantità per me finora
sconosciute e sapevo che quello che
sarebbe successo dopo avrebbe potuto portarmi alla distruzione.
Per anni avevo fatto di tutto per
evitare di rivivere
questi momenti dopo quell’anno maledetto, per allontanare la
paura, per essere
fredda e glaciale, per non dover mai dipendere da nessuno che non fossi
io. Per
non soffrire più, soprattutto per amore.
Adesso che questo muro si stava
frantumando mi sentivo
debole, fragile e soprattutto indifesa. Ora arrivava la parte
più difficile: mi
stavo mettendo in gioco, a distanza di tempo, per una donna di cui ero
follemente innamorata. Ma sarebbe bastato regalarle la vera Francesca
per avere
in cambio il suo cuore?
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Capitolo 14 *** XIV° - Ti amo perchè... ***
Buonasera..o meglio buonanotte visto l'ora tarda in cui posto (le 4.18). Spero di fare cosa gradita postando il pezzo così di prima mattina!
Bene. Siamo giunte alle battute finali. Questo è il terz'ultimo capitolo di cui ovviamente non anticipo nulla. Spero che vi piaccia, anche più degli altri perchè ci tengo particolarmente.
Vi lascio al pezzo senza ulteriori parole ma solo con un appunto. Alla fine troverete il ritornello di una canzone. La canzone è in inglese ma ho preferito postare il pezzo tradotto in italiano perchè le parole che dice sono molto significative del momento e racchiudono abbastanza bene lo stato d'animo di un personaggio.
Vi consiglio di sentirla la canzone se non la conoscete è splendida!
A presto e ancora grazie a chi segue e soprattutto a chi commenta!
P.S. Prox capitolo, il penultimo: sabato 22 genn.
Un
minuto
alla scadenza.
Raccolgo tutto il coraggio dentro
di me. E’ ora di
conoscere se Irene è davvero nel mio destino…
Suono il campanello.
- Si?- mi risponde una voce che
riconosco in Paola.
- Sono..sono arrivata-
- Bene. Sali.-
Il portone si apre e
sorprendentemente mi ritrovo a
fare le scale del palazzo di corsa, 2 a 2. La porta di casa si spalanca
quando
sto affrontando l’ultimo scalino e riconosco Paola che mi
sorride soddisfatta.
- Molto bene.- mi accoglie
aprendomi completamente la
porta.- Ce l’hai fatta. Non lo so se tu sei la persona giusta
per Irene ma
sappi che appena varcherai la soglia di questa porta e lei
saprà che sei qui,
non potrai più tirarti indietro. Ricorda bene quello che ti
ho detto al
telefono… lei è la cosa più cara che
ho e se le fai del male, giuro che potrei
anche ucciderti..-
- Lo so.- le rispondo con
sicurezza. – Farò del mio
meglio.-
- Buona fortuna allora –
mi dice mentre si gira
dandomi le spalle:
- Ire, io esco. Ti lascio in buona
compagnia.-
Dalla porta d’ingresso la
vedo affacciarsi nel salotto
per rispondere a Paola.
Ci guardiamo un lungo istante e
faccio appena in tempo
a sorriderle che sbatte la porta della sua camera.
Paola mi guarda ancora non del
tutto convinta.
Immagino che se andrà bene sarà un osso duro
convincerla che ho solo buon
intenzioni.
Con le labbra le sussurro un grazie
e la ragazza
chiude la porta dietro di se lasciandoci sole. Mi avvicino alla porta
della
camera di Irene.
- Irene..-
- Ti prego, vattene. Non capisco
cosa tu ci faccia
qui.- mi urla dall’altra stanza
- Sono venuta per parlarti. Fammi
spiegare, Ho bisogno
di dirti delle cose.- le rispondo appoggiando le mani alla porta della
sua
camera
- Non ho voglia di parlarti. Sono
già confusa di mio.-
- Ok, va bene… Facciamo
così, non c’è bisogno che
parli. Vorrei solo che tu ascoltassi…-
Dall’altra parte sento
silenzio mentre la stanza si
carica di tensione.
- Ok..- un sussurro. La prima
vittoria era arrivata.
- Ok.- le rispondo sedendomi per
terra con la schiena
appoggiata alla porta.
Chiudo gli occhi un secondo per
riordinare le idee.
Era arrivato il momento di scoprire se quello che mi diceva sempre
Valentina
era vero, cioè che in amore vince chi rischia, chi si mette
in gioco per
conquistare la persona che ama e che, al momento giusto, il cuore sa
cosa dire.
Sempre
- Ire… non so proprio da
dove iniziare perché sono
tante le cose che mi sono immaginata di dirti quando ti avrei rivisto.
Non sono
molto brava in queste cose, lo sai. In realtà non
l’ho mai fatto ma ci voglio
provare ugualmente.
Parto allora da quel bacio. In
trenta e passa anni
della mia vita ho baciato molte ragazze, troppe forse ma quello che ci
siamo
date noi è quello più vero, voluto e agognato che
abbia mai dato…. e ricevuto.
Capisco che ti abbia spaventato ma
ormai è inutile
nascondermi..
Quella sera che abbiamo camminato
insieme ti ho detto
che il uomo ideale non esiste ed è vero perché mi
piacciono le donne, una in
particolare in verità ed in questi giorni, senza averti
accanto, ho capito di
essermi innamorata di te dalla prima volta che ti ho visto quando hai
portato
Puck all’ospedale.
Ho provato a soffocare questo
sentimento perché avevo
paura che se mi fossi aperta con te ti avrei persa, come sta succedendo
ora ma è
cresciuto giorno dopo giorno sempre di più e tutte le volte
che ci vediamo
sento il cuore scoppiare dalla felicità. Anche adesso. Sta
battendo così forte
da voler uscire dal mio corpo perché ormai non mi appartiene
più.
E’ grazie a te se oggi
sono quella che sono. Chiedi alla
mia migliore amica chi ero prima di incontrarti… negli anni
mi ero costruita
una corazza, un muro così spesso da essere impenetrabile, da
non permettermi
più di provare sentimenti che mi potessero far soffrire. Si,
Irene. La mia
paura più grande è soffrire specialmente per
amore, accorgersi che il cuore
sanguina così tanto da sentirsi morire, stare
così male da dimenticarsi di
respirare.
Questo è tutto quello
che fai a me quando ti sto
accanto. Sei contemporaneamente la mia paura ed il mio sogno
più grande.
Ho ancora tanti difetti, hai
imparato a conoscerli e
non mi sento di farti promesse grandiose ma…
Non posso prometterti che
sarò sempre puntuale ma ce
la metterò tutta per non tardare mai quando sarai tu a
chiamarmi.
Non posso prometterti che ci
sarò sempre a proteggerti
dalla cattiveria del mondo e dalla gente ma non esiterò mai,
quando non ce la
farò, a stringerti così forte da farti
dimenticare di loro.
Non posso prometterti che potranno
essere sempre rose
e fiori ma posso tagliare tutte le spine delle rose per non farti
pungere.
Non posso prometterti di non farti
mai soffrire ma ce
la metterò tutta per renderti felice e vedere sul tuo viso
quel sorriso che amo
così tanto.
Infine non posso prometterti il
”per sempre” ma ce la
metterò tutta perché lo sia.
Queste sono alcune cose che mi
impegno a fare se mi
darai la possibilità di starti accanto. Ce ne sarebbe
un’altra che non è una
vera e propria promessa… ma qualcosa che voglio farti
ascoltare e che mi ha
tenuto compagnia in questi giorni duri. Non puoi neanche immaginare
cosa mi è
successo ma adesso non è il momento.
Questo è tutto, o almeno
una parte delle mille cose
che ti volevo dire. Ora se vorrai cacciarmi da casa tua me ne
andrò in
silenzio, senza farti stare male ancora.-
Riprendo fiato. Come immaginavo
quel discorso era
uscito da solo, senza pause e senza tentennamenti. D’accordo
non era perfetto e
forse neanche ad effetto ma poteva andare per una come me.
Valentina aveva ragione su
un’altra cosa: ora che
avevo fatto uscire i miei sentimenti mi sentivo vitale come mai ero
stata. E
soprattutto, mi sentivo felice.
Dall’altra stanza sento
solo il suo respiro
accelerato: probabilmente sta singhiozzando e mi sta maledendo per
averla
confusa ancora, magari dopo che si era già auto convinta che
non era giusto
amare una donna.
Lo sapevo fin troppo bene quello
che provava perché
anni prima ci ero passata anch’io.
- Ascoltami.. - continuo a parlarle
alzandomi e
poggiando nuovamente le mani sulla porta - so come ti senti ora. Ci
sono
passata anch’io. Sei confusa, ti senti sbagliata e pensi che
nessuno al mondo
vorrà più ad avere a che fare con te. Magari
pensi anche ai tuoi genitori, a
come reagiranno e soffriranno nel scoprire che hanno una figlia
“malata”.
Pensi a come la gente ti
indicherà per strada,
puntando il dito e dandoti della deviata.
Se è così
smetti proprio di pensare! La verità è che
non sei sbagliata e ci saranno molte persone che vorranno starti
accanto perché
sei una donna meravigliosa.
D’accordo, qualcuno si
allontanerà ma è meglio stare
lontano da persone così superficiali. Sono loro quelli
infelici perché sono
come i peggior parassiti e credono di vivere felici in una
realtà che è frutto
solo della loro immaginazione.
Per quanto riguarda i
tuoi…non li conosco ma credo che
due persone che hanno messo al mondo e cresciuto una ragazza come te,
non
possano non amarti incondizionatamente, qualsiasi cosa tu faccia.
E poi non sei ne malata ne
deviata.. sei solo una
donna che deve trovare il coraggio di accettarsi e di seguire il suo
cuore. Di
ammettere quello che dentro di te sai già. Questa
è la verità.-
Ora i suoi singhiozzi sono
più forti, li posso sentire
chiaramente. Stavolta ho fatto centro pieno. Vorrei buttare
giù la porta,
abbracciarla, dirle che andrà tutto bene... fa un male cane
sentirla così.
- Io…io non so se sono
capace ad amare una donna, ad
andare in giro mano nella mano con lei per le vie della
città, a baciarla in
mezzo alla gente, a presentarla ai miei amici…- il suo
sussurro singhiozzato si
trasforma in un pianto disperato che mi giunge chiaro.
Come se non aspettasi altro che
quel segno, il crollo,
aggiungo:
- Non devi immaginarti con una
donna. Ma con me. Con
Francesca Morticone. Lo so io come si fa e le faremo insieme. Queste e
molte
altre..questo te lo posso promettere! Passo a passo, senza nessuna
fretta. Nonostante
quello che dicono i miei tirocinanti sono la migliore insegnante che
potresti
avere..-
Eccola sorridere, non posso
sbagliarmi. Quanto darei
per vederla anche solo per un secondo...
- Ammesso che anch’io
provi qualcosa per te, forse è
meglio che ti innamori di un’altra ragazza, meno complicata
di me. -
- Forse hai ragione ma vedi
c’è un piccolo
particolare: il mio cuore capriccioso non vuole nessun altro uomo,
donna e
chicchessia che non si chiami Irene Scarsi, che ha 29 anni, che ha un
cane di
nome Puck e che in questo momento è dietro questa porta.
E’ fatto così e
Valentina mi ha ordinato di non andare mai contro di lui, di lasciarlo
fare con
non si sbaglia mai.-
Aspetto qualche minuto.
Più di questo ora non potevo
fare: toccava a lei trovare il coraggio per accettarsi e far vincere il
suo
cuore sulla ragione come tempo fa aveva fatto il mio.
Un sospiro lunghissimo, ad occhi
chiusi, in cui cerco
di spezzare quella situazione tesissima:
- Irene, tesoro. Ti ho detto tutto
quello che dovevo
dirti. Non me ne andrò dalla tua vita senza il tuo volere ma
ti prego di
promettermi una cosa. Voglio che tu sappia che se non mi vuoi come la
persona
che starà al tuo fianco, sono pronta a mettere tutte queste
cose, i miei
sentimenti, le mie sofferenze, in un cassetto pur di non perderti,
almeno come
amica. Puoi star certa che non mi sentirai dire più niente
che tu non voglia. A
presto -
Accarezzo la porta della camera
come se fosse il suo
viso ed esco da casa sua. Tutta l’adrenalina che circolava
nelle mie vene si
stava lentamente esaurendo e mi sentivo
esausta, senza forze, come se avessi scalato una montagna di 10.000
piedi.
Quando entro in macchina do
un’occhiata alla finestra
del palazzo ed incontro i suoi occhi. Come la prima volta quello
sguardo dura
un istante ma sufficiente per farmi capire che avevo più di
qualche speranza:
bastava un po’ di tempo, magari ancora qualche consiglio di
Paola che si era
rivelata una alleata formidabile e, per dirla come Valentina, la
donzella sarebbe
caduta presto fra le braccia della sua principessa azzurra.
Perché mi
chiedo 'dove sarai?'
e mi chiedo 'cosa farai?'
ti stai sentendo sola da qualche parte,
o ti sta amando qualcuno?
dimmi come posso vincere il tuo cuore
perché non ne ho la minima idea
ma fammi cominciare dicendo, ti amo
[Da: “hello” di L. Richie]
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Capitolo 15 *** XV° - Ti odio perchè... ***
Buongiorno a tutti. Sono in anticipo di un giorno, lo so ma preferisco postare oggi il nuovo capitolo per due motivi: domani sono via tutto il giorno e non so se riuscirei a farlo, quindi preferisco anticipare che farvi aspettare (visto che le mie "recensitrici" sono sempre state buonissime con me!) e poi perchè ormai è pronto..inutile aspettare allora!
Questo è il penultimo capitolo..diciamo che buona parte della vicenda si risolve in questa parte per cui posterò l'ultimo domenica sera senza farvi aspettare troppo.
Detto questo, ieri sera ho messo giù qualche idea per la continuazione di questa storia.. vorrei sapere se ufficialmente vi interessa un'altra "serie" (chiamiamola così) oppure è più giusto finirla così.
Ci tengo molto al vostro parere e sono graditissime delle idee (meglio se in MP).
Ok, ora basta con le mie chiacchiere... un ringraziamento veloce ma sentito a chi ha commentato lo scorso capitolo (beh 6 recensioni, grazie!!!!), a chi la sta seguendo dall'inizio e a chi semplicemente legge e le ha messe fra le preferite, ricordate e seguite.
Mille volte grazie.
Ricordandovi che l'ultima parte sarà postata domenica sera, vi lascio alla lettura, sperando che sia all'altezza dei precendenti capitoli..
Erano passati solo cinque miseri
giorni: dall’altro
capo della città tutto taceva e cominciavo a tradire i primi
segni di
nervosismo. Le avevo detto che l’avrei aspettata, che avrei
atteso che
chiarisse i suoi sentimenti e mettesse ordine alle sue paure ma ero
già stufa
di aspettare e mi sentivo sull’orlo di una crisi di nervi.
Uscendo da casa di Irene, mi ero
fiondata dalla mia
amica per raccontarle cosa era accaduto e stavolta è stata
lei a stringermi fra
le braccia e a dirmi che, questa volta, tutto sarebbe andato nel verso
giusto.
Solo lei che meno di 24 ore prima
era stata umiliata
da quell’animale, aveva trovato la forza dentro di se di
pensare positivo, di
sorridermi, di accantonare per qualche ora i suoi problemi.
Anche il nostro era
un’amore, diverso si, ma era
comunque amore. Spropositato per quanto mi riguarda perché,
per Vale, avrei
dato anche la mia vita se me l’avessero chiesto.
Era la prima volta che mi vedeva in
quello stato,
avvolta nella mia nuova fragilità ed era la prova lampante
che Irene era
riuscita in quello che in molti avevano fallito: il muro era davvero
crollato e
la vecchia burbera, egoista Francesca era solo un lontano ricordo.
Che la ruota stava davvero girando,
l’avevo capito
proprio quello stesso giorno perché qualche ora dopo,
ricevetti una chiamata
dal direttore sanitario che mi convocava nel suo ufficio.
Quel pomeriggio mi sono presentata
davanti al mio
datore di lavoro ancora con la sbornia della dichiarazione fatta ad
Irene
addosso e con un pizzico di incoscienza che mi dava ancora di
più l’aria da
dura.
In tutte quelle ore mi ero pure
scordata di avere un
posto di lavoro traballante ed il mio capo me lo ha ricordato a
più riprese
davanti a tutto il consiglio ospedaliero, riunito per
l’occasione.
Alla fine, nonostante la grave
negligenza, il mio
lavoro era comunque salvo grazie al mio brillante curriculum e al
lavoro
impeccabile svolto fino a quel momento. Me la sarei cavata solo con
qualche
altro giorno di punizione ed una ritenuta ogni mese dallo stipendio per
la
durata di un intero anno, pari a coprire i danni chiesti dal
proprietario
dell’animale.
I
soldi non erano
tutto nella vita e poteva andarmi molto peggio.
Usciti gli altri membri, il capo mi
ha fatto
chiaramente capire che sapeva la verità e che era orgoglioso
di avermi nel suo
ospedale. Il posto di primario, poi, era solo rimandato.. dovevo solo
stare tranquilla
e crescere i miei odiosi studenti.
Dal sorriso dei miei colleghi che
avevo incrociato in
corridoio uscendo dall’ospedale, ho capito subito chi era
stato a fare la spia
al direttore e quindi a salvarmi lavoro e carriera. In fondo non erano
così male…
Comunque, nei restanti giorni di
sospensione, è inutile
dire che vivevo con il blackberry addosso e che sussultavo ogni volta
che mi
arrivava una chiamata o un messaggio e che Valentina pregava di
più di me
perché Irene si facesse sentire. Non mi sopportava veramente
più.
Una sera c’è
mancato poco che mi buttasse sotto la
doccia fredda per calmare “ i bollenti spiriti” ma
almeno, tutto questo,
sembrava salutare per lei perché non le permetteva di
pensare troppo spesso ad
Andrea.
E per fortuna oggi avrei ripreso a
lavorare e,
nonostante mi toccasse il fastidioso turno da 24 ore, avrei potuto
scaricare la
tensione contro i miei tirocinanti, giusto per non perdere proprio
tutte le vecchie
abitudini.
Arrivo al lavoro con qualche minuto
di anticipo e
comincio subito senza ulteriori indugi in quello che sapevo fare
meglio: se non
volevo altri casini dovevo imparare a mettere da parte il cuore, almeno
quando
mi vestivo di bianco e avevo un fonendoscopio al collo.
Tutto sommato la prima giornata
stava passando nel
migliore dei modi: poche urgenze, molta routine e qualche sorriso di
troppo da
parte di alcuni colleghi.
Stavo cambiando ma quando
è troppo… anche se, in fondo,
ero in debito con loro perché se potevo ancora esercitare in
questo ospedale
era grazie al loro intervento.
Probabilmente avevano notato anche
loro i miei
cambiamenti e, lavorare in questo modo senza molte tensioni, era
più facile per
tutti.
Alle 8.30 del mattino dopo, stavo
tornando verso la
macchina per raggiungere casa mia quando il blackberry si mette a
suonare. E’
Vale.
- Ehi..Buongiorno- la saluto con
molta enfasi
- Buongiorno a te. Ti ho chiamato
per sapere se ci
sono novità e per chiederti come è andata in
ospedale-
- E’ andata benone Vale.
Non ho mai lavorato così bene
in vita mia. Certo qualche “idiota” l’ho
scaraventato ma coi colleghi… abbiamo
pure cenato insieme. Un panino, non farti strane idee…-
- Ma bene! Sono contenta. Madonna
ti prenderei a pugni
in testa. Tu e la tua cocciutaggine. Invece quell’altra
cosa…-
- Calma piatta- il mio tono allegro
cambia
radicalmente - sto perdendo le speranze ogni ora che passa..-
- Smettila di dire così.
Sembri me! E poi vacci piano,
mi ci devo ancora abituare alla Francesca dolce, premurosa ed
innamorata di
adesso.-
- Scema!-
Dall’altro capo del
telefono Vale scoppia a ridere e
rido anch’io lasciandomi contagiare dal suo buon umore.
- Vado a dormire. Ci sentiamo
stasera ok?- le chiedo
appena arrivo vicino all’auto.
- Si, certo. A dopo. Ciao tesoro.-
Faccio appena in tempo a salutarla
che chiude la
chiamata.
Metto in moto e, nonostante il
traffico intenso delle
9 del mattino, arrivo a casa in poco tempo. Mi faccio una
doccia ed un thè giusto per rilassarmi, mi
vesto con una tuta da casa e mi metto a letto.
Gli occhi si chiudono qualche
istante dopo…
….
Sono in
una spiaggia,in quella spiaggia….
Guardo
il
mare mentre il vento mi scombina i capelli ed le narici si saturano di
sale
marino.
C’è
silenzio.
Un silenzio rumoroso. Solo il dolce rumore delle onde che si infrangono
sugli
scogli poco distanti lo riempie.
Un paio
di
occhiali da sole mi impediscono di godere appieno dei colori caldi
dell’estate
e piccole gocce di sudore percorrono la mia pelle ancora chiara
procurandomi
intesi brividi lungo la schiena.
In
questo
paradiso spunta improvvisamente una donna,Irene, che si avvicina a
passi lenti
verso di me.
Provo
ad
alzarmi ma non ci riesco. Provo a tenderle la mano… stessa
sorte.
Si
ferma ad
un paio di metri da me senza dire niente.
Quegli
occhi
li riconoscerei fra miliardi.. quel colore verde smeraldo puntati nei
miei come
la luce di un faro che indica il mio cammino.
Il mio
cuore
batte alla velocità della luce, come ogni
volta…il cervello ormai sta imparando
solo ad assecondarlo.
Mi
guarda dolce
ma senza muovere un passo. Restiamo così per un tempo
interminabile: forse
secondi, forse minuti..forse il tempo ha deciso di fermassi in questo
meraviglioso momento.
Questa
è la donna
che si è appropriata del
mio cuore che
si dimentica quasi di battere quando le sta troppo distante. Il momento
dopo si
gira e si butta in mare.
Nello
stesso attimo
che il pelo dell’acqua va in frantumi, il mio corpo
ricomincia a muoversi e
corro verso di lei ma è troppo tardi. Ormai è
irraggiungibile. Lo conosco fin
troppo bene cosa succederà adesso... Ora lei mi
sussurrerà quelle parole e si
lascerà andare…
Mi
sorride ed
invece ritorna a riva, verso di me.. le nostre mani si incrociano.. i
nostri
occhi si chiudono…le nostre fronti si toccano…i
nostri cuori cominciano a
battere all’unisono.
Tutto
sembra
un puzzle complicato in cui ogni pezzo si incastra nel posto e nel
momento
giusto.
Le
nostre
labbra stanno per toccarsi, per ritornare a vivere ...
DRINNN
DRINNN DRINNN
Maledetto palmare. Mi ero dimentica
di spegnerlo e
questo stava suonando nel momento meno opportuno , in cui
l’avrei volentieri
spedito contro il muro.
Ancora scossa dal fresco sogno ( o
meglio dire dalla
seconda versione del solito sogno), guardo il visore riconoscendo un
numero
sconosciuto.
Anche se il tasto rosso mi attira
maggiormente decido
di rispondere alla telefonata e di mandare a quel paese lo scocciatore
di turno.
- Pronto?-
- Ciao...-
Appena sento la voce
dell’interlocutore mi blocco
fissando un punto indefinito del muro. Diavolo di un
destino… riconoscerei
questa dolce voce fra milioni di altre. E’ la sua
incantevole, melodiosa voce.
Questa era la telefonata che
aspettavo da giorni e,
probabilmente, avrebbe deciso buona parte del mio futuro.
- Ciao..- le controbatto con
un’emozione che fatico a
nascondere.
- Come stai?-
- Tutto bene. Sono appena tornata
da un turno
all’ospedale. Ho staccato mezz’ora fa-
- Oddio scusami…
probabilmente stavi dormendo. Dovevo
chiamarti più tardi.-
- Tranquilla, ormai sono sveglia. E
poi… lo sai, tu mi
puoi chiamare anche nel cuore della notte e non ci sarebbero
problemi...-
- Sei troppo gentile.-
- Gentile non è proprio
la parola giusta
comunque..penso che se mi hai chiamato è perché
hai fatto chiarezza dentro di
te..-
- Si, è vero. Ho ancora
un po’ di confusione in testa,
tante domande a cui non ho dato ancora una risposta ma a quella
più importante
si...- Una pausa. Non sopporto più questa situazione, questo
continuo
punzecchiarsi, girare intorno alla questione senza arrivare al
nocciolo.
Probabilmente qualsiasi cosa abbia deciso per la sua vita le costa
davvero
tanto ammetterlo a se stessa e so che l’unica cosa che posso
fare in questo
momento è lasciarla parlare, senza forzarla, senza fare
assolutamente nulla.
- Ok..- le rispondo in un sussurro.
- Allora..vuoi che
ci vediamo?-
- No- mi risponde decisa prima di
precisare: - cioè
si, non lo so. Senti Franci, quello che voglio dirti è
già difficile per me
accettarlo. E’ un po’ vigliacco ma penso che non mi
aiuterebbe guardarti negli
occhi…-
- Va bene, cosa desideri che faccia
allora…-
- Come ti ho ascoltato io
l’altro giorno, desidero che
mi stai ad ascoltare tu questa volta..-
- Ok- sussurro
non trattenendo un lungo sospiro. Mi stavo già
preparando al peggio
perché il momento della verità, nella buona o
nella cattiva sorte, era
arrivato. Stavo già riunendo tutte le forze che mi erano
rimaste per non
scoppiare a piangere quando mi avrebbe rifiutato.
Dall’altro capo del
telefono la mia mente registra
meccanicamente un sottofondo di auto e di un pezzo di carta che si
apre.
Probabilmente lei, il suo discorso, ha avuto tempo di
prepararselo…
- Allora… quello che ti
volevo dire è che…… ti odio!
Ti odio perché quando
sei venuta a casa mia con la
complicità di Paola, è stato un colpo basso e hai
usato le parole che sognavo un
giorno di sentire dal mio principe azzurro.
Ti odio perché sei
quell’ideale che credevo non
esistesse: intelligente, sarcastica, sicura di sé tanto da,
a volte, sembrare
cocciuta ma allo stesso tempo dolce, sensibile, attenta ai miei bisogni
e con
un cuore unico e meraviglioso. Ma sei una donna.
Ti odio perché hai
scelto me per deciderti di abbattere
quella fastidiosa corazza e sono stata la prima a conoscere la parte
migliore
di te.
Ti odio perché sei
entrata in punta di piedi nella mia
vita ed, in silenzio, ti sei permessa di arrivare al mio cuore senza
che me ne
accorgessi.
T i odio perché mi hai
dato la tua vita senza prima
chiedermelo.
Ce ne sarebbero altri di
“ti odio perché” che mi sono scritta
su questo dannato foglio che sto leggendo ma…
Ma più di tutto ti odio
perché… Perché con tutti gli
sforzi che possa fare, non riesco ad odiarti….
perché mi hai fatto innamorare
di te e adesso se ti sto lontano sto male. Hai ragione… un
cuore che sanguina
si dimentica di
battere, di farti
respirare ma più di tutto, ti fa scordare di come si
vive…
Ed io amo vivere per cui, ora lo
so, io amo anche te.-
Per fortuna i muscoli come quelli
del cuore, del
diaframma e di altri essenziali per la vita, sono dotati di fibre
involontarie che
ci fanno respirare, che danno l’energia necessaria al cuore
per pompare il
sangue in tutti i distretti del corpo senza che la nostra
volontà interferisca
con loro.
Essa infatti, unita alle emozioni
che proviamo, può
solo far aumentare o diminuire il loro lavoro ma mai farlo smettere del
tutto.
Nel momento in cui sentivo che la
mia vita stava
prendendo la strada che agognavo con tutta me stessa da tempo, la mia
volontà
si sarebbe sicuramente dimenticata di farmi respirare e quindi di
vivere.
In questo stesso momento in cui la
vita stava
ripagando il suo debito dopo avermi tolto tutto.
La felicità era davvero
una ruota che girava ed oggi,
in questa stessa città, era uscito il mio numero.
E'
un emozione nella gola
da
quando nasce a quando vola
che cosa c'è di più celeste
di
un cielo che ha vinto mille tempeste
che cosa c'è
se adesso sento
queste cose per te
“Quando
nasce un’amore”-Anna Oxa
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Capitolo 16 *** XVI° - Favola (epilogo) ***
Ed eccoci qui all'ultimo appuntamento della serie. E' un po' strano postare l'ultimo capitolo di una serie che mi ha tenuto impegnata per 3 mesi e che ormai so a memoria a forza di corregerla. Adesso posso anche rivelare che ho rischiato di perdere tutto il file almeno un paio di volte prima di decidermi finalmente a salvarlo su una chiavetta...la prudenza non è mai troppa.
Comunque, chiusa questa serie, confermo che ci sarà una continuazione. Esattamente non so ancora come impostarla, se immaginare di raccontare qualcosa in più capitoli, oppure scrivere un n° di one shot come una raccolta..vediamo.
Adesso godetevi l'ultima parte, sperando che sia all'altezza delle precedenti ma prima, permettetemi, voglio ringraziare con tutto il cuore le mie fedelissime "recensitrici"... siete uniche e mi avete sempre dato la fiducia e l'entusiasmo per andare avanti e fare sempre meglio. Non so se l'avrei finito senza di voi...Un bacio quindi ad Apia, a Caso, ad Hacky ed anche a chi si è aggiunto dopo, arrivando nell'ultimo capitolo a ben 8 recensioni.
Un saluto caloroso anche a chi l'ha seguita semplicemente leggendola e mettendola fra le preferite, ricordate, seguite... Grazie l'ho già scritto???!
Ok. Basta chiacchere..buona lettura.
P.S. La pubblicazione della seconda serie non sarà immediata, indicativamente nel mese di marzo perchè ho degli esami all'università e pochissimo tempo per scrivere. Appena pubblicherò il primo capitolo, manderò un messaggio privato alle utenti che hanno messo la storia nelle seguite, preferite e ricordate. Spero di fare cosa gradita... ora davvero basta scrivere. Ciao ciao.
Lei mi aveva appena detto che amava
vivere e che amava
me. Cristo santo..ha detto che mi ama!
Avevo ascoltato tutto il suo
discorso in silenzio,
seduta sul letto con il cuscino stretto in un abbraccio e la testa
contro il
muro.
Sentivo le sue parole e
nient’altro… in quegli attimi
probabilmente non mi ricordavo neanche chi ero o come mi chiamavo.
Anche le sue, di parole, oggi
avevano fatto centro.
- Franci..ci sei? Non dirmi che hai
già cambiato idea…-
- Dove sei?- le chiedo decisa,
ridando suono alla mia
voce. Ora era lei a non sapere cosa dire.
- Amore dove sei?- mi lascio sfuggire mentre mi
sento come un
leone in gabbia.
- Sotto casa tua.- mi risponde con
un sussurro.
- Dammi un secondo e ti apro-.
La vedo dal videocitofono che entra
nello stabile, quasi
di corsa.
Ho aspettato abbastanza e corro
fuori dalla porta di
casa dimenticandola aperta. Qualche secondo dopo la porta
dell’ascensore si
apre e senza pensarci si lancia fra le mie braccia.
Finalmente ho l’occasione
di risentire la sua pelle e
di saturarmi del suo profumo da cui ormai dipendo come una droga.
- Ciao..- le sussurro
all’orecchio con voce roca,
rotta da un’emozione che mai avevo provato. Irene era
finalmente mia. Mi
apparteneva, come io, ora, appartenevo a lei.
- Ciao- mi risponde posando le sue
braccia intorno al
mio collo.
Mi sorride. Quel sorriso che tanto
amo e che ogni
volta mi trapassa l’anima da parte a parte.
- Sei bellissima- le dico
baciandola sulla tempia.
- Anche tu...- mi risponde
arrossendo leggermente
mentre con le dita le sposto un paio di ciuffi di capelli ribelli
dietro
l’orecchio.
- Vieni..- e le prendo la mano
conducendola dentro
casa.
Una volta entrate mi appoggio alla
porta ed il mio
sogno si volta guardandomi indecisa sul da farsi.
Le prendo le mani, le nostra dita
si intrecciano l’une
con le altre mentre il mio cuore vorrebbe scappare dal petto.
I nostri visi si avvicino e le
fronti si toccano.
Restiamo attimi lunghissimi in silenzio ad assaporare quella sensazione
di ebbrezza,
di invincibilità.
Sono poche le volte che
l’amore delle favole, come lo
chiama Vale, trionfa e oggi era successo proprio a noi due. Tutti i
grandi
amori, e questo ne ero più che sicura… ne faceva
parte, hanno avuto un primo
giorno e quello era il nostro.
Apro gli occhi abbracciandola,
ancora con le nostre
mani legate:
- Guardami ti prego… amo
perdermi nei tuoi occhi- le
sussurro.
Provo a viaggiare nei suoi pensieri
e nelle sue paure
per non fare mosse troppo azzardate e frettolose.
Decido di andarci cauta: libero le
nostre mani e,
prendendole il viso, poso le labbra sulla sua fronte…
continuo posandone un
secondo fra gli occhi, un terzo sulla punta del naso.
Mi sposto lateralmente dandole
qualche bacio
sull’orecchio. Qui la sento sciogliere come se avessi trovato
il punto magico
per far sparire le sue residue paure.
Dall’orecchio scendo
sull’angolo della mandibola e
proseguo fino ad arrivare al mento.. il penultimo si stampa
direttamente fra le
labbra e lo stesso mento e poi la guardo nuovamente, chiedendole
l’implicito
permesso per il passo successivo.
La sento respirare a fondo e
tremare leggermente:
- Non farò niente che tu
non voglia… aspetterò fino a
quando non sarai pronta.- le ribadisco il concetto vedendola insicura.
In quell’istante una
nuova luce splende nei suoi occhi
ed è lei stessa ad abbracciarmi il collo ed a bagnarmi le
labbra con un bacio.
Dapprima timido, diventa senza
più passionale quasi
violento… come se quel gesto l’avesse liberata
completamente dalle ultime
remore.
In un turbinio di emozioni e
sensazioni senza fine ci
ritroviamo a letto, mezze nude con una voglia immensa di scoprirci
l’una con
l’altra.
Quando, fra un bacio ed un altro,
la mia mano scende
sfiorandole gli slip, la sento tremare di paura e mi fermo:
- Scusami-
mi
sussurra quasi in lacrime - non credo di essere ancora pronta per..-
La zittisco appoggiandole un dito
sulle labbra e
stringendola ancora di più al mio corpo:
- Ti ho detto mille volte che non
devi scusarti con
me. Abbiamo detto un passo alla volta. Quando succederà
sarà speciale e
aspetterò tutto il tempo che sarà
necessario… come ti senti?- le chiedo
premurosa.
- Un po’ spaesata ma
è bello stare fra le tue braccia-
mi risponde chiudendo gli occhi. La paura di prima era del tutto
svanita.
Le poso un nuovo bacio sui capelli.
- Sono felice perché ti
ci dovrai abituare in fretta.
Non ho nessuna intenzione di lasciarti scappare.- replico rubandole un
sorriso.
- Quindi… spiegami bene:
anche nei rapporti
omosessuali le scappatelle sono vietate?- mi chiede ironica.
- Ovviamente - le rispondo a tono
– e sappi che la tua
nuova ragazza è una tipa assai gelosa della sua compagna
quindi vedi di rigare
dritto.-
Le faccio il solletico sui fianchi
e ci rotoliamo nel
letto ridendo come due bambine fino a quando le blocco i polsi sopra le
spalle.
Scendo a baciarla con passione mentre ritorniamo abbracciate nella
posizione di
prima.
- L’altro giorno mi hai
detto che c’era un’altra promessa..-
mi chiede sibillina
- Ah si. Ricordo.-
- Qual è?-
- Mah!- le rispondo per farla stare
sulle spine e mi
becco una bello schiaffetto sulla coscia.
- Ahia! Ma hai lo stesso vizio di
Vale??- aggiungo
sciogliendo l’abbracciando e facendo la parte
dell’offesa.
Irene, senza fare una piega,
ritorna su di me appoggiando
il viso accanto al mio senza smettere di guardarmi:
- E’ inutile che fai
così. Ti stresserò l’anima fino a
quando non me lo dirai…-
Ho subito la percezione che nella
nostra nuova coppia,
il mio “potere” decisionale sarebbe stato quasi
pari a zero perché le sarebbe
bastato farmi gli occhioni dolci, questi suoi occhi magici, per
ottenere da me
tutto quello che voleva.
- Va bene…- le dico
arrendendomi al suo sguardo senza
opporre altra resistenza – in realtà non
è una vera e propria promessa. E’ più
una dedica. Devi sapere che in questi giorni senza lavoro e senza te,
sarei
impazzita senza due cose: Valentina e la musica.
Ho bombardato i miei poveri timpani
con migliaia di
canzoni, soprattutto d’amore. Fra le tante ce
n’è stata una che ha parole
bellissime…è dei modà.
Parla di un cavaliere che insieme
al suo cavallo
bianco entra in un bosco ed incontra una principessa che se ne sta fra
conigli
e pappagalli. Quando i loro sguardi si incrociano, si innamorano
all’istante.
Il cavaliere si avvicina e la fa salire sul suo cavallo, sussurrandole
queste
parole:
Vorrei
essere il raggio di sole che
Ogni giorno ti viene a svegliare per
Farti respirare e farti vivere di me
Vorrei essere la prima stella che
Ogni sera vedi brillare perché
Così i tuoi occhi sanno
Che ti guardo
E che sono sempre con te
Vorrei essere lo specchio che ti parla
E che a ogni tua domanda
Ti risponda che al mondo
Tu sei sempre la più bella
Na na na na na na na na na…
-
E quindi tu saresti la
mia cavaliera? - mi
chiede con un filo
di voce.
-
Solo se tu lo vorrai..-
le rispondo accarezzandole una guancia.
-
Lo voglio- sono le
sue ultime parole prima che
le nostre labbra si ricongiungessero per un altro bacio infuocato.
Tutte le parole del mondo sarebbero
state ora
superflue… eravamo noi, due donne unite da un sogno che il
destino aveva fatto
prima incontrare e poi innamorare.
“Due donne che avevano
appena stretto un nodo che
avrebbe resistito a tutti i venti ma che, solo loro due, potevano
facilmente
disfare con due dita.”
P.S. L’ultima frase
è presa dal racconto “Lamore” di
Rosanna Fiocchetto, inserito nel libro “Principesse
azzurre”.
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