CIELI ROSSI SULL'EUROPA (Il fattore di Hageman)

di Jazz Hyaenidae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I- Berlino tinta di rosso ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II-NEI DUE FUOCHI (Berlino parte seconda) ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III-Più il mio cuore ti è lontano...(Berlino parte terza) ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV-Nelle tasche (Parigi parte prima) ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V-Il mediatore Hassan (Parigi parte seconda) ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI-Un Dio Perverso (Parigi parte terza) ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII-Requiem (Parigi parte quarta) ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII- Balaclava ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX- Lettera di HeLéna a Ludovich (Il terrore) ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X-L'IMPOTENZA DI HELÉNA MULLOVA ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI- Dio della Morte ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII- Del Pallido Criminale ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII-Il ritorno di Pauline ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIV-Linea Gotica ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XV- Alone ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I- Berlino tinta di rosso ***



"Coloro che fanno una rivoluzione a metà, non hanno fatto altro che scavarsi una tomba"
Louis de Saint-Just. 

 

Ho iniziato a partorire l'idea di questo racconto più di due anni fa, ma  proprio poiché trattavasi solo di un'idea non si poneva alcuno scopo preciso. Più avanti, con il tempo, ho capito che le storie belle ed appassionanti possono mutare realmente in qualcosa, anche se questa è solo una forte convinzione di un ideale. Forse dentro questa storia e dentro questi personaggi troverete qualche ideale politico , forse troverete voi stessi in un'ipotetica vita alternativa; mi preme dire che non troverete nulla se costantemente nella vostra vita  non vi foste domandati  dove diavolo stiamo andando tutti quanti. Gli ideali nella vita sono tutto, capirne il senso della stessa, anche quello più macabro, anche quello più violento. In contrapposizione a questo, troverete anche l'amore nella sua forma più pura, senza preamboli coniugali di alcun tipo, troverete la vostra giovinezza che sta fuggendo via pian piano nelle decisioni di tutti i giorni. Chiedetevi ancora una volta cosa veramente conta nella vostra vita. Buona lettura. 



Prologo



In una strada poco distante dalla Heinrich Heine Platz, in una Berlino nevosa, incupolata dal silenzio agghiacciante e presa da un freddo che pungeva il cuore di ogni cittadino dall'animo sensibile, sorgeva Berlino come una sfera di vetro dentro la quale,al suo capovolgersi,viene a crearsi una bufera di neve ogni mezz'ora circa. Percorreva il suo cammino una giovane ragazza nata a Singapore. Lei, Helèna,era stata addestrata per un anno dall'esercito americano, prima di fuggire nei Balcani. A Sarajevo si era unita ad un gruppo di criminali.
Nel suo ambiente veniva descritta come un esemplare raro di assassino: giovanissima,forte, aveva capacità che la vedevano infallibile negli scontri a fuoco dalla distanza e assai temibile negli scontri ravvicinati.
In quella mattina era fissa sui suoi scarponi.Pareva contare i passi che le mancavano per arrivare all'incrocio successivo. Tutto ero ricoperto da un manto bianco, un candido velo a coprire in quei giorni tutto il sangue che veniva versato per le strade, negli uffici, nei vicoli bui di una Berlino senza pace, spaventata come non accadeva da quasi un secolo .Quando i campanelli posti su una porta di una drogheria spezzarono il suono del vento, si accorse di essere osservata: gli scarponi si fermarono nel bianco della strada.
La neve riprese a cadere.Fermo sul palo di una svolta, c'era un ragazzetto che avrà avuto dieci anni alla vista. Serioso, la guardava dalla testa ai piedi. Allora gli scarponi continuarono a solcare il soffice manto bianco, questa volta molto più lentamente; si fermarono. Il silenzio era nell'angolo di Berlino e dominava.
-Ti chiami Helèna vero?
-Sì, tu cosa vorresti essere ragazzino?
-Se permetti... un tuo tornaconto.
-Ti concedo qualche istante per spiegarti meglio e cerca di essere convincente...perché non ho tempo da perdere con chi dovrebbe essere a scuola in questo momento.
-Non voglio disturbarti ma...ieri sera tu e la tua banda...

Fu in quel preciso istante che la ragazza sollevò lo sguardo rivolgendolo al bambino, dandone una qualsiasi importanza. L'aria spostò i suoi capelli rossi e gli occhi di quella giovane ragazza non si vedevano più, erano come oscurati più che dalla frangia di capelli, dal passaggio del sole: una sagoma nera. Il bambino allora si fece sorprendere agitato, stringeva i pugni portandoseli di tanto in tanto al naso rosso dal freddo; perdeva muco che asciugava con l'estremità di un cappotto invernale.
- Stai sbagliando persona ragazzino...
-Non sono qui per dire che andrò alla polizia pur avendo visto le vostre facce schifose, ma giuro sul nome di mio padre che...
-Chi è tuo padre ragazzino?
-Karl Vogt il proprietario del giornale che aveva denunciato i patti tra voi mafiosi e il signor Seidel.
-Sei un po' troppo giovane per interessarti alla politica non ti pare? Non lo faccio neanche io, perché mai un bambino dovrebbe avvelenarsi tanto?
-Con quale coraggio vieni a dirmi questo, dopo aver ucciso mio padre e i suoi collaboratori ieri sera?!Siete gente spietata!! ... siete assassini maledetti!!

Un altro suono di campanelli della drogheria vicina e poi un altro soffio di gelo, questa volta dal suono funebre; un macabro strato di nuvole li raggiunse. Qualcosa era nell'aria da giorni e forse era destinata a consumarsi in quella strada. I pugni si stringevano sempre più nervosi, i denti denti si sfregavano incessantemente.
La ragazza a questo punto portò il suo volto a quello del ragazzetto e con l'estremità di due dita prese lievemente il suo mento.

-Se tuo padre è morto, io non posso farlo tornare in vita. Se è una vendetta quella che stai cercando, da solo, per le strade ghiacciate di Berlino, quando poi, non sai ancora allacciarti le scarpe, sappi che dovrai andare molto più lontano da qui... e non certo dovrai perder tempo discutendo con un piccolo sicario come me. Quello che ti consiglio io è di tornare a scuola, prenderti cura di tua madre e farti una nuova vita. Magari cercando di non entrare nell'editoria dei giornali un domani, stando lontano dalla politica e dai grossi affari. Sei così maturo da capire vero? Perché non ti rimane grande scelta se non accettare la realtà.

Il ragazzetto chinò il capo posseduto da un atteggiamento di sgomento.Il suo volto era afflitto da tali parole dette con somma disinvoltura da una donna dalla pelle liscia come l'immagine di un latte puro e fresco. Eppure non c'era dolcezza in quelle parole, solo morte e spietatezza nei confronti di un fanciullo privato del proprio padre.
-Helèna nel mio futuro... io ti ucciderò, con te... tutti i tuoi amici.-
La ragazza si risollevò in tutta indifferenza; il capo era tornato oscurato da una frangia rossa di capelli. L'angolo di Berlino tornò deserto.   

Capitolo I

"L'EUROPA TINTA DI ROSSO"

Berlino

parte prima







Scese per la metropolitana dove si vedeva la prima gente affarista della grande Berlino. Impiegati, medici, ingegneri o ancora meglio: donne delle pulizie e artisti da strada che aspettavano la linea 8.
La porta del vagone si aprì. Lei era avvolta da luci a neon blu,accecanti per i suoi occhi,dentro ad un nuovo mattino contornato dagli ennesimi orrori di gente uccisa la sera prima.
Era a Berlino da poche ore e già guardava ogni riflesso di un qualsiasi vetro, era attenta e sfruttava ogni minimo specchietto che si trovasse nelle vicinanze. Helèna si guardava le spalle da tutti e diversamente non poteva fare avendo sopra la sua testa cospicue somme di denaro per chi l'avesse consegnata alla polizia internazionale.
Ormai era abituata a dormire in stanze d'albergo con serrande totalmente chiuse, era abituata a ricevere la colazione in camera con una pistola posta dietro la cintura dei pantaloni.
Non si fidava di nessuno se non del suo amico Ludovich anche se, delle volte,  le passava per la mente che era stato proprio lui a condurla in tali situazioni. Continuava a vivere facendo finta di guardare punti nel vuoto delle grandi città, mentre scrutava e disegnava l'ambiente intorno a lei. Nella sua mente era pronta a tutto, la sua giovane esistenza poteva terminare in un momento qualsiasi della sua giornata.
Nella metrò vi era molta gente, la maggior parte aveva sopra i profumi dei cartelloni pubblicitari che scorrevano in fretta lungo il tunnel, fuori al vagone. Ci si rendeva conto effettivamente che tutto stava mutando in un enorme manifesto pubblicitario:pubblicità di corpi tonici, di donne sorridenti e libere; di maschi possenti e sani.
La gente della metrò non era esattamente come te l'aspetti dalla  pubblicità: avevano dei grossi margini di errore ma con la valigetta sempre pulita ed ordinata di scartoffie economiche e falsi bilanci, di relativi sistemi di mercato, di lucenti orologi e touch screen ben in vista per parlare al mondo del loro fantastico lavoro. Contribuivano a condurre il mondo verso un enorme baratro o verso un altro enorme manifesto pubblicitario. Questo è quello che Heléna pensava di loro.
Più volte si era detta che avrebbe preferito fare la donna delle pulizie piuttosto che  lavorare in ufficio a leccare il sedere a qualche grosso dirigente. Casualmente quella mattina, Heléna guardava una donna seduta vicino alla porta con aria di interesse se non di una strana ammirazione.
La donna dall'aria mite e umile aveva una borsa sulle gambe, guardava dritto davanti a sé.
Pensò che quella donna poteva essere lei stessa, un po' più in là con gli anni, una Heléna in una vita costruita su prospettive meno complicate, una vita fatta di studi magari e di lavori onesti per mandar avanti l'affitto di casa. Mise le mani in tasca e le sfregò su fogli di carta, aveva milleduecentoquindici euro e vent'anni.
La testa le girava, sudava freddo e più cercava di distogliere lo sguardo da quella donna, più avvertiva un male allo stomaco. Cadde in un senso di debolezza e svenimento. Passò un controllore, Heléna rimise le mani in tasca strofinando nuovamente quella carta, poi cacciò un centone.
-Tenga questi dovrebbero bastare per la multa.
Il controllore la guardò esterrefatto, si sistemò il berretto e si guardò attorno.
-Multa? Ma veramente...ok, può darmi i suoi dati signorina? Devo farle il verbale.
-Penso che i soldi debbano bastare anche per i miei dati o ne vuole ancora per caso?
Si asciugò del sudore sulla frangia rossa, si tenne nuovamente al palo per non cadere, poi si piegò portandosi l'altro braccio sullo stomaco.
-Signorina si sente bene?
-Certo ma lei deve sparire dalla mia vista, se non vuole che io dica a qualcuno che da oggi i biglietti della metropolitana sono in effettivo aumento.
Il controllore si guardò attorno più di una volta, poi si allontanò da lei per proseguire il suo giro di controllo.
Nella vita dovremmo tutti fare il nostro mestiere, un lavoro per il quale siamo portati e che non ci rechi malessere, molte persone delinquerebbero ma ci sarebbe sicuramente molta più giustizia di quanta ve ne sia oggi. Questo è ciò che pensava Heléna.

La porta si aprì a Potsdamer Platz.  Lei scese molto lentamente incrociando nella stessa lentezza ed una vampata di colore due guardie della polizia. Due uomini ben piazzati, parlavano un tedesco a lei indecifrabile o forse stava solo per cadere al suolo quando uno dei due le fece un occhiolino. Si riprese da lì a breve, poi camminò di fretta verso l'uscita.
Poco distante dalla metropolitana c'era un night club inaugurato da poco, lì aspettavano il suo arrivo già da una decina di minuti tre folli criminali di fama internazionale.
Uno era una personalità ritenuta disgustosa dai suoi stessi compagni,un grassone ornato di medaglioni d'oro e camice sbottonate per la fuoriuscita della folta peluria. Di origini serbe, aveva come precedenti anni di guida al comando di gruppi banditi e saccheggiatori della vecchia Iugoslavia, stessi gruppi che accolsero Helèna dopo la sua fuga dall'esercito statunitense. L'uomo, che veniva chiamato Bota si vantava spesso di aver avuto le migliori donne del mondo, tutte a pagamento, e in seguito, per relazione dei suoi racconti, la maggioranza si sarebbero innamorate di lui. Heléna lo vedeva solo come una palla di lardo, piena di soldi sì, ma ancora per poco pensava, perché effettivamente non stava simpatico al Grande Capo della Maskhadov e se la sua amicizia con qualche sottocapo russo sino a quel momento gli aveva portato fortuna, il suo destino era quello di perdersi dalle file della rivoluzione armata che stava accadendo per le strade europee.
Il secondo era un assassino russo dalla promettente carriera nel campo del terrorismo; un ragazzo biondo vestito con capi costosi e dal buon gusto. Gilet e cravatte di alta scuola, per chi nel mestiere doveva dare una buona presenza.
Nonostante la sua giovane età era un veterano nella Maskhadov; era conosciuto in quell'ambiente come Nil, l'uomo dalla mano ferma, sgozzatore di prima scelta,chirurgo d'alta scuola. In realtà non sgozzava neanche più da quando era stato messo a comandare una batteria di sette uomini. I suoi buoni rapporti con Bota lo stavano portando a controllare i traffici russi sul fronte dei Balcani,ma Bota non era poi così stupido da non sapere che di quel giovane non c'era proprio da fidarsi: per la sua troppa ambizione, per la sua follia che lo portava ad amare il terrore e il potere. Nil non si sarebbe fatto scrupoli a sacrificare uno qualsiasi dei suoi colleghi, questo i suoi colleghi lo sapevano bene.
Il terzo era Ludovich, un ragazzo le cui apparenze tutt'altro portavano a pensare ad un terrorista d'assalto. Era molto magro, di una magrezza che portava a pensare che fosse malato. Vestiva quasi sempre in grigio o di un nero sbiadito su giacconi lunghi e vecchi. Lo si vedeva di continuo fumare e scrivere, trasandato e di malaspetto; si esprimeva raramente con gli altri e per questo motivo ogni cosa che poteva passargli per la mente, restava chiusa in quel cervello. Sicuramente non era portato ad uccidere al contrario degli uomini che sino ad allora aveva condotto alla battaglia; non era portato per sparare alla gente, non era neanche tanto bravo con le pistole, peggio se si trattava di pugnali o scontri ravvicinati ma se la Maskhadov aveva bisogno di lui, allora voleva significare che quel ragazzo nascondeva qualcosa, qualcosa di molti più esplosivo di una pistola.
Conobbe Heléna lavorando anche lui per Bota, tra assalti a carri blindati e carneficine di interi villaggi.
Era diventato in poco tempo il suo migliore amico prendendosi cura di lei e in più di qualche circostanza le aveva anche salvato la vita. Nella vita precedente era stato anche un eccellente pianista ,questo prima di perdere le intere capacità ad una mano, rimaneva poi un uomo di cultura e amante della letteratura. In particolare quella russa.
Bota  vide entrare Heléna  per primo.
-oh ma ecco il nostro ragazzaccio dal culo formato! Ieri sera si che sembrava satana sceso in terra; mai visto un essere umano uccidere con tanta capacità!
-Taci Bota, oggi non ho proprio voglia di stare a sentire le tue stronzate.- rispose lei.
Poi si avvicinò Nil posandole un braccio intorno al collo.
-Bota questa volta ha detto il vero, sei stata magnifica tesoro.-

Con un'espressione di netto fastidio, Heléna guardò il suo amico Ludovich che stava piegato su una sedia a prendere un thé, non si curava dell'arrivo, tant'è che lei era più infastidita per quello,che per lo stato di ubriachezza nel quale versavano Bota e Nil.
Nil aggiunse subito:
-Ed ora che questi giornalisti di merda sono fuori dalle palle non ci rimane che fare il botto finale e prenderci un meritato riposo tutti quanti.
Vedrai Heléna, presto saremo fuori da questa città così triste;ti porterò in un posto dove ce ne staremo tutto il giorno in spiaggia io e te, in costume a prendere il sole...e magari...- Nil le si avvicinò con le labbra.
- Magari cosa?Smettila Nil!Puzzi come una capra;Finito il lavoro a Berlino me ne torno in Italia. Vero Ludo che ce ne torniamo in Italia?-
Ludovich aveva la sua tazza in mano e appariva molto più distante da tutti loro come se non fosse presente nella stanza. Era più magro in quel periodo; visibilmente sembrava essere consumato da qualche pensiero insolito. Si accese una sigaretta non curandosi di niente.
-Vero che torniamo in Italia Alexander?- ripetette lei.
Allora Ludovich si rivolse verso di loro, sorridendo quasi forzatamente. Poi parlò:
-Helèna forse non lo sai ancora, ma in Italia, le cose... vanno molto male. Le rivolte sono arrivate dalle provincie alle città; come se non bastasse il capo del governo è sparito, non si hanno più sue notizie da giorni. Nessuno sa dove sia; andare in Italia di questo periodo sarebbe come consegnarci alla polizia.-Lei si liberò dal braccio di Nil ribattendo:
-Ma come? Me lo avevi detto tu che saremmo tornati a casa dopo questo lavoro! Che se la vedano loro la loro rivoluzione, perché lo sai anche tu che tutto questo spargimento di sangue sta diventando incontrollabile oltre che sempre più assurdo!
-Cosa vuoi fare, tornare a Milano? Fa' pure.
-Sai benissimo che io porterò a termine ogni mio lavoro, ma perché prolungarlo più del dovuto? Avevamo lasciato Sarajevo solo per fare qualche lavoretto e ora stiamo facendo fuori tutta la C.S.U.; ci rendiamo conto? Questo per far arrivare un gruppo di pazzi e fanatici russi al potere in Russia? Non ti pare una follia?
Intervenne poi Nil dicendo:
-Eih Eih, calma! - Intervenne Nil abbastanza indispettito.-La Maskhadov sa  perfettamente dove vuole arrivare e lo sta facendo con l'unico mezzo possibile. Quando tutto sarà finito, la gente potrà uscire tranquilla dalla propria porta di casa, allora capirete cosa è stata la Maskhadov e il dono che avrà lasciato al mondo questa rivoluzione.-
Al commento di Nil, Ludovich piegò la testa quasi si fosse vergognato un po' per lui ma non distolse l'attenzione dal discorso con Helèna.
-Helèna,ti pagano profumatamente o sbaglio? Una volta che i russi avranno spazzato i rispettivi leader europei, io e te saremo così ricchi e ancora giovani da poter fare ciò che più ci piacerà.-
Le disse garbatamente il suo amico.
-No Ludovich, ti stanno manipolando, questa gente ha ideali del tutto contrari alla libertà; se ti dicono che abbatteranno le leggi del capitalismo, che esisterà una legge in grado di togliere la fame dalle città e formare un equilibrio sociale ti stanno solo prendendo per il culo! Questa è gente che parla ancora di comunismo ma aimé, nella forma più atroce che il mondo abbia mai conosciuto; una dittatura sanguinaria e suicida, perché una volta arrivati al potere si squarteranno l'uno con l'altro. Proprio come Stalin avrebbe fatto con Lenin!
- E a me cosa interesserà di Stalin? Giace sepolto nel vicinanze del Cremlino! Lo faccio solo per avere i miei soldi io. Dopo che facciano quello che crederanno opportuno.
-Cazzate! Lo so che non lo fai solo per i soldi e ti stai mangiando il cervello caro mio; ragioni come un qualsiasi giovane soldato, ma tu non sei un soldato Ludovich, sei un musicista e non c'entri niente con questi animali!

Bota si alzò dallo sgabello dove era seduto. Indossò la sua giacca e poi puntò il dito contro Heléna.
-Tu ragazza stai prendendo un andamento che non mi piace affatto! Non vorrei mai che gli americani venissero a sapere che il loro soldato ribelle è qui nella nuova Germania a fare discorsi contro la gente che sin ora le ha dato da mangiare. Perché sai che questo potrebbe accadere immediatamente se al vecchio Bota girano le palle. A quel punto faresti prima ad andare dal Grande Capo e dire che sei una puttanella vogliosa di prendere cazzi in culo, allora sì che il Grande Capo sarebbe così misericordioso da risparmiarti la vita e chiuderti in un bordello. Magari quando avremo il controllo di Praga ne gestirai uno tutto tuo eh? Ti piace l'idea?
-Bota mi fai schifo! Ma nonostante questo riesco a provare pena per te. La stessa pena che i russi mi hanno insegnato per te. Ti faranno fuori una volta che i tuoi servigi nei Balcani non serviranno più alla loro causa. Sei un essere così misero che non  te ne renderesti conto neanche se te lo affermasse il Grande Capo in persona, povero verme!- Agguantò lo stesso bicchiere nel quale Bota aveva bevuto e stava per scagliarglielo contro quando Nil la fermò. Il grassone, intanto, se la rideva
-Certo certo, sono io quello che fa schifo, mentre tu sei una santa che uccide per il bene comune. Allora perché non mi purifichi? Purificami troietta, purificami!! hahaha voglio essere salvato!!!

La porta venne sbattuta con violenza ed i tre giovani rimasero soli nel night club che a quell'ora era chiuso al pubblico. Nil continuava a versare della vodka in un bicchiere e mandare giù con segni di sforzo sul suo volto.


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Capitolo 2
*** CAPITOLO II-NEI DUE FUOCHI (Berlino parte seconda) ***


CAPITOLO II 

" NEI DUE FUOCHI "
Berlino parte seconda










Nel pomeriggio Heléna Mullova  riposava sul letto della sua suite d'albergo con addosso solo dei pantaloncini e una canottiera, la Colt Commander sotto il cuscino. La stanza era completamente oscurata dalle serrande abbassate, portacenere, sigarette, calze e indumenti intimi sparsi ovunque. Qualche fascio di luce riusciva a penetrare debolmente la finestra, qualche munizione lasciata su un tavolino di noce veniva così illuminata. Bussarono.

 

-Chi è?- Chiese la ragazza dal letto
-Nil.- E la porta si aprì in un assoluto silenzio nell'oscurità del pomeriggio.
-Cosa sei venuto a dirmi Nil?

Il russo camminava tra gli angoli oscuri nel silenzio. Nella spaziosa suite c'era un odore di aria consumata così che si accesero immediatamente i condizionatori creando un brusio in sottofondo. La canottiera bianca di Heléna si muoveva all'altezza del piccolo seno. Nil aveva in mano una busta  sopra la quale era riportato il nome di una grossa firma di moda, poi si fermò difronte ad uno specchio. Heléna chiese:
-Sei stato a fare compere?
-Sì, ero venuto a darti questo.-
Heléna prese la busta e scartò la confezione regalo che avvolgeva il materiale. Un vestito, qualche indumento comprato nel miglior negozio del centro. Dettagli di poco conto, a lei non interessava ricevere qualcosa e non si aspettava che Nil fosse stato a fare spese per lei.
Infatti nervosamente cercava di capire cosa significasse quel gesto e scartava freneticamente l'involucro.
Poi la debole luce accarezzò la punta di una ciocca di capello sino ad arrivare ad un occhio.Un malinconico sguardo al vestito.
-Cosa sarebbe questo Nil?
-Guarda bene, c'è anche una parrucca...
-Appunto è un vestito da hostes.
-Stai capendo bene, è un travestimento.
-Temevo fosse un gioco perverso di quel coglione di Bota.
-... ci sono stati degli imprevisti. La famiglia del signor Vogt ha messo di mezzo un'agenzia investigativa che si è messa subito a fare delle indagini riguardo alla carneficina di ieri sera. A poco serviranno i poliziotti che abbiamo corrotto,dunque: o mandiamo in porto il nostro piano questa sera, oppure il Grande Capo farà saltare noi al posto della C.S.U.
-Qual'è il piano?
-Questa sera ti chiamerai Linda Lang, ti presenterai ad un convegno della C.S.U come hostes, accompagnerai i signori a sedere, farai la tua sporca figura dinanzi ad un vasto pubblico di democristiani. Dovrai solo sorridere e accompagnare, sarai una normale hostes. Dovresti essere contenta una volta ogni tanto che non ti si chieda di piantare pallottole nelle cervella della gente.-

Ecco che nella mente le tornarono strane immagini. Quella stessa mattina nella metrò: istanti passati ad osservare quella donna mite seduta nel suo spazio di un seggiolino da metropolitana. Un'immagine così innocente secondo il suo punto di vista. Stava succedendo qualcosa dentro di lei e lo avvertiva.
Era come se l'immagine di quella donna si stesse alzando intenta ad urlare contro:
perché continui ad uccidermi? Cosa ho fatto io oltre a non essere diventata una furia assassina come te?
Heléna provò a tornare in sé e riprendere il discorso.

-Una normale hostes eh? Non si era detto che il punto da colpire non doveva essere mai un edificio aperto al pubblico? Mi pare che un convegno di democristiani sia ugualmente tanta gente no?
-Ma appunto.. sono democristiani, in alternativa saremo noi a saltare, perché il Grande Capo non è un uomo che ha pazienza, dovrebbe esserti entrato in testa. Bota ha anche riferito i tuoi recenti comportamenti a qualche superiore; presto tutta la Maskhadov sarà pronta ad affidarci la colpa di un insuccesso inglorioso e traditore. Quindi mia cara...porterai con te uno zainetto che lascerai in uno dei camerini.
A dieci minuti dalla fine dell'intervento del Bundeskanzler ti converrà uscire in tutta tranquillità e senza dare nell'occhio, ti aspetteremo appostati in un furgoncino a cinquanta metri più avanti dal palazzetto.Tutto chiaro?
-Perché proprio io devo rischiarmela in questo modo, mentre voi sarete fuori ad aspettare?
Il ragazzo prese le munizioni che erano sparse sul tavolino, le fece scorrere come biglie tra la sua mano destra, poi si fermò come preso da un abbaglio.
-Chi pensi che terrà pulita la strada dal passaggio di volanti, o peggio ancora, dai civili che passeranno per le strade di Schoneberg? Questa sera oltre all'intero palazzetto morirà qualche poliziotto in più ma tu non devi preoccuparti di questo, devi solo comportarti bene e lavorare come hai sempre fatto, vedrai che tutto finirà presto.

Nil allora raggiunse l'uscita. La porta si chiuse e la ragazza si lasciò cadere nuovamente sul letto.Suonò il telefono. Le labbra che volevano poggiarsi sul morbido cuscino, andavano a mordersi.Quanto tempo ancora sarebbe passato? Lesse i suoi nuovi documenti, una nuova identità per passare le frontiere.
“Linda Lang” si ripeteva.
Linda Lang le si presentò allo specchio due ore più tardi, era lei stessa vestita in tailleur da lavoro, tacchi non eccessivamente alti, capelli lunghi e neri, lucentissimi.
Ecco chi era Linda Lang; una statunitense universitaria che di tanto in tanto faceva la hostes per uffici rispettabilissimi, in giro per il vecchio continente. Era bella, giovane e vogliosa di affermarsi nel mondo del lavoro. I suoi genitori sarebbero stati felici di saperla a Berlino a celebrare un convegno del più grande partito democristiano europeo. I grandi valori della famiglia, la gioia dell'ottica progressista dei partiti moderni; ne sarebbero stati fieri della loro bellissima figlia. Linda alzò le serrande della suite, era un fantastico tramonto, un sole gigantesco pareva voler atterrare su Berlino e una radiosveglia iniziò a suonare lievemente per la stanza. Musica classica per Linda che per qualche istante si senti orgogliosa tanto da riguardarsi ancora allo specchio. Il movimento della sua mano, ora si toccava il volto come una danza per poi accendersi una sigaretta e trovare il telefono per chiamare qualcuno. Così sfogliò di fretta un'agendina e ne rideva della sua fretta; una fretta estranea a lei come lo era quel tramonto, ma non riuscì a trovare il numero giusto perché qualcuno bussò alla porta nuovamente. Gli occhi le brillarono.

-Ludovich sei pregato di non importunare! Se sei così abile come tutti dicono puoi benissimo intrufolarti dal balcone, ma sappi che... sonooo nudaaa!!!
-Dai stupida apri, non ho tempo da perdere. E poi non hai un balcone in camera!!

 Ludovich oltre la porta rimase sorpreso così che fece un passo indietro e controllò il numero della stanza.
-Heléna?
-Heléna non c'è, io sono Linda... Linda Lang, entra pure.
-Heléna dovevi vestirti al palazzetto, non qui!
-Chi vuoi che noti una stupida statunitense prima che vada a lavoro?
-Forse la portineria?
-Quei cretini della portineria sono capaci solo di guardare il sedere. Stai tranquillo Ludo, andrà tutto come deve andare.
-Ma poi cos'è quest'aria di festa? Ti ha spiegato tutto Nil,sì?
-Mi ha spiegato tutto e sono contenta che questa sera finalmente ce ne possiamo andare.
-Quante volte ti ho detto di non lasciare le munizioni in giro?

Ludovich come sempre le ordinava la stanza ogni volta che entrava, piegava i suoi vestiti, si accertava che non mancasse nulla di ciò che dovesse esserci e che non vi fosse nulla di estraneo. Che questo fosse anche un bene per la ragazza passava sempre in secondo piano. Linda lo guardava con ammirazione come sempre, talvolta però lo riprendeva a suo modo.
-Oh Ludovich, faresti meglio a non brontolare e darti una calmata.
Ludovich continuava a gironzolare e aprire cassonetti e mobili, a piegarsi sotto il letto e il divano.
-Non so cosa tu abbia ragazza mia, ma è arrivata l'ora di andare. Ci stanno aspettando Peter e Frank di sotto.
Linda quindi si avvicinò fissandolo sul viso.
-Mi chiamo Linda- sussurrò.
Timidamente Ludovich si staccò da quello sguardo.
-Ok Linda, hai cinque minuti per raggiungermi.
Linda Lang scese le scale dell'albergo mentre la portineria era del tutto indifferente impegnata in operazioni da booking and reservation.Linda Lang uscì dall'albergo facendo una grossa scorpacciata d' aria, teneva chiuso con le mani un pesante giaccone viola che ad Heléna andava un po' grande e per cui non aveva messo mai.
Peter, che era un austriaco minuto ed un uomo all'antica, era al volante. Frank, suo fedelissimo compagno spilungone dal baffo molto retrò, fece un cenno con la testa. Peter ebbe subito da dire qualcosa.
-Io non ne posso più di voi giovani teste di cazzo, siete sempre in ritardo di dieci minuti, porca merda!-
Linda lo guardò dallo specchietto, accennò a deriderlo. Ludovich intervenne:
- Guarda che è Linda che deve arrivare puntuale a lavoro, mica tu, quindi pensa a guidare e vedi di fare in fretta,siamo in ritardo.-
Qui Linda lo derise palesemente.
Frank poi commentò:
-E  chi  è Linda??-
Ludovich scoppiò a ridere.
Peter sbandò quasi andando a invadere l'altra corsia per poi ritornare nella sua.


Era sera a 
Berlino.La macchina si fermò sgommando, non c'era ancora nessuno nelle vicinanze del palazzetto.
Linda entrò con il suo cappottone ed uno zainetto.
Ad accoglierla un ragazzo della sua età. Poco più alto di lei, bruno dai capelli a spina.
-
Ciao tu devi essere Lang vero?
-Sì piacere Linda.
-Mark, piacere di conoscerti.-

Linda strinse la mano destra mentre con la sinistra teneva il suo cappotto chiuso mancante di qualche bottone. Catturò il sorriso che le aveva appena fatto Mark, lo avrebbe usato per tutta la sera per chiunque avrebbe visto, con chiunque avrebbe parlato.
-Vieni con me Linda, ti accompagno nei camerini. Vedi la struttura è molto piccola, dovremo adattarci.
Ma come ti avrà detto l'agenzia non si tratta di nulla che possa essere complicato, al massimo ci improvviseremo degli ottimi camerieri!-
Mark, dal primo istante le sembrava entusiasta di quello che stava facendo, come in parte lo era anche Linda ma Linda lo era perché era nei panni di Linda e non in quelli del solito killer. Mark era solo un sorridente ragazzo che non sapeva di dover morire quella sera.Linda non doveva pensarci, se ci avesse pensato sarebbe caduta in una fossa di incubi che nulla c'entravano con la sua vita da hostes.
-Ho letto sul tuo curriculum che sei americana e studi a Yale, mi sono subito eccitato all'idea di lavorare con una mia coetanea proveniente dal Connecticut!
Linda Lang forse non sapeva neanche che l'università di Yale era una delle migliori al mondo, non le importava in quel pomeriggio, osservava piuttosto la struttura del palazzetto, le scritte come quelle delle uscite di sicurezza le passavano sotto gli occhi, contava gli estintori appesi ai muri. Ammirava i quadri posti nei corridoi, sapeva bene che erano tutti falsi e di poco valore.Mark le fece vedere proprio tutto dal back stage  della sala che avrebbe tenuto il discorso del cancelliere tedesco ad un piccolo balconcino dove poter fumare.
-Puoi darla a me la tua borsa.
-No, preferisco tenerla io, ho quel problema che noi donne ci portiamo dietro di mese in mese, vorrei andare in bagno a cambiarmi più tardi.
Così si separò da Mark per  andare nella parte retrostante dell'edificio. Lì c'erano alcuni amministratori pronti alla grande serata, e tra il gruppetto di gente, un po' separata, una bambina giocava con la sua bambola di pezza. Linda Lang stava fumando una sigaretta mentre osservò come quella bambina guardasse il proprio oggetto, cercando di darsi una spiegazione. Non trovandola, la bambina si avvicinò a lei chiedendole.
-Perché la mia bambola non parla?
Linda Lang stava pian pano prendendo confidenza con il sorriso di Mark così che rispose sorridendo alla bambina mentre si accorgeva che i genitori gettavano occhiate indiscrete.
-Vorrà dire che la tua bambola non ha voglia di parlare.
-Ma lei non può parlare.- rispose la bambina con poca convinzione.
- A no? E perché?-
Linda si era così avvicinata alla bambina che sempre più sgarbatamente maneggiava la bambola. Il sorriso stesso di Linda aveva fatto si che i genitori si fossero completamente immersi nei loro discorsi politici. La bimba dunque rispose stizzita:
- Perché lei non è reale, lei è uno stupido pupazzo!-
Queste parole per Linda suonarono lente come una corrente che veniva dall' impianto d'aria poco distante; ancora le smorfie di quella gente che parlava e parlava della politica tedesca.
I lampioni e tutte le luci lì presenti si accesero in fila ad indicare che da lì a poco sarebbe iniziata la serata.
-Lei è uno stupido pupazzo per questo non parla!
La bambina in una sequenza veloce di azioni mise a terra l'inerte e muto oggetto di pezza, lo calpestò prima, poi strappò la lana che faceva da capelli; la strappò tutta. Si accanì di colpo come un'isterica.
A Linda non sembrava vero quello che stava accadendo quindi cercò di distaccarsi mettendosi verso la porta in via di una fuga da quella bimba. Temeva allo stesso tempo che i genitori si accorgessero di cosa stesse accadendo e che ne avrebbero chiesto motivazioni a lei stessa. Quando motivazioni non vi erano. Era isteria pura di una bambina bionda che ora si stava tutta spettinando e stropicciando, china a terra ad uccidere la sua bambola.
-Smettila!Smettila!- Disse Linda.-Bambina fermati, non ha alcun senso! Smettila, fermati!-
Ma la bambina non stava a sentire, anzi era troppo intenta a imprecare contro l'oggetto. Inaudibile o no, stava accadendo che una così bella bambina sapesse cacciare parole così orrende.
Allora Linda si allontanò subito. Lasciò la borsa dietro ad un termoventilatore. Mark la stava cercando. Il cancelliere era già arrivato;la giovane statunitense prese quindi posizione davanti all'ingresso per dare il benvenuto.
Fu impressionata di colpo nel vedere tutta quella folla di gente avviarsi all'entrata.
Signori ben vestiti apparentemente simpatici o anche meno, tutti che salutavano e avevano omaggi da fare; c'era poi la stampa e numerosi flash in ogni direzione.
Linda era in piedi da mezz'ora a stringere mani, assieme a Mark che la presentava come raccomandata del signor D, che Le aveva proposto interessanti collaborazioni nei convegni del partito.
Tutti si dicevano entusiasti di questi giovani, così belli, così eleganti e garbati, stupende stelle, promesse per un'Europa diretta al futuro. Qualcuno strinse la sua mano dicendo:
-Mi congratulo con lei, un altro dirigente felice di questa Europa diretta al collasso!- Ma nessuno lo vide in faccia, neanche lei. Nessuno forse lo aveva sentito, a parte lei. Non sentiva più la sua mano.
Si accorse di stare male, sudava nuovamente freddo, ma aveva finito di accogliere gli ospiti nella sala.
Mark le disse qualcosa, non lo stette neanche a sentire, poi una donna le andò incontro, La spinse tirando fuori parole indecifrabili. Linda Lang a stento riusciva a stare in piedi. L'effetto di Linda Lang stava vacillando. Chi era quell'essere ora cosa gracile? Di certo non Heléna Mullova. Non poteva più riconoscersi e qualcosa di gravoso per la sua coscienza stava distruggendo corpo e mente. 
-Cos'ha la ragazza?
-Non si sente bene?
-Forse dovremmo chiamare qualcuno...un medico...c'è un medico?

Voci sconosciute, ombre che rimanevano ferme negli spazi dell'edificio, un pavimento danzante, probabili allucinazioni. Stava cercando la borsa ma non  ricordava più dove era posta. Ricomparve Mark con lo zaino e il suo cappotto, aveva uno sguardo severo.Capì che il ragazzo aveva smascherato il piano, ma cosa fare? Correre. Scappò via come un razzo, arrivò ad un corridoio e si intrufolò nella prima porta che vide.Si accasciò per terra. Si accorse di essere in un bagno. Con la mano tremolante prese della carta da un distributore. Si asciugò il volto: il trucco che sbavava sul viso.
"Heléna!": una voce dentro di sé. Allora si alzò facendo piano. Si trovò davanti ad un enorme specchio.
"Heléna..."

-Linda!!- Era Mark.
-
Sì Mark?
-
Va tutto bene Linda? Posso entrare?
-Ehm Mark non sto tanto bene scusami, penso che andrò direttamente in hotel!
-Ma non alloggi al dormitorio?

-
Sì intendevo quello...!
-Beh fatti restituire la tua borsa e il cappotto almeno.
La ragazza aprì la porta e prese al volo la sua roba.
-Scusami Mark...-
La richiuse mentre 
Mark rimase immobile fuori nel corridoio.Così rimase sola. Aprì la borsa e vide che era piena di tritolo proprio come Peter e Frank avevano consegnato. Mark dunque non era stato così impiccione come temeva. Notò che però il timer era guasto, o meglio, aveva la convinzione che la bomba fosse attiva ma che il timer non stesse segnando i minuti.

"Heléna non fare la stronza suvvia, infondo sono solo democristiani... sono più mafiosi loro dei guerriglieri. Con il loro perbenismo inquinano il mondo di falsità, per non parlare del loro mercato che va sempre a scapito della povera gente. Il loro mercato è qualcosa di più insulso della nostra rivoluzione. Sì Heléna che tu lo voglia o no, ne sei parte della rivoluzione!"
Così lasciò cadere la borsa dietro ad un cestino della spazzatura, non sapendo se sarebbe esplosa. Tolse la parrucca e dall'esterno si sentì il rumore del caricatore della Colt Commander, un rumore che in fondo... le aveva sempre dato una certa botta alle vene rendendole altamente pulsanti e vive. La eccitava più della droga, più del sesso. Odore metallico, odore di polvere da sparo. Heléna uscì poi dalla finestra liberandosi delle scarpe con il tacco,le buttò via. Si accese un'altra sigaretta camminando tra la gente che non doveva esserci per Schoneberg, ma non le interessava più. A quel punto potevano morire tutti. Ad Heléna proprio non importava più.
Trovò la prima cabina ed inserì una scheda.
-Pronto?
-Heléna da dove chiami?-Era la voce di Nil.
-Sono dentro l'edificio, volevo informati che procede come previsto.
-Benissimo bambina, assicurati che nessuno si accorga di niente, fai che rimanga dentro per almeno altri quindici minuti. 
-Certo.
Chiuse. Osservò ancora tutta la gente che nelle vicinanze passeggiava ora fermandosi nei ristoranti vicini, ora rimanendo ferma agli angoli a parlare. Se Berlino era veramente spaventata come i telegiornali dicevano Heléna non si spiegava come mai vedeva così tanta gente.  Forse non erano neanche tanti, forse pesavano ad uno ad uno sulla coscienza.
Qualcuno la notò senza scarpe con la sua aria seria come il giorno prima.
Stette ferma qualche altro minuto, poi imboccò la parallela e chiamò un taxi.
Qualche minuto più tardi ci fu un silenzio improvviso, il furgoncino che doveva esserci, non c'era.
Esplose il piano terra del palazzo e nel giro di pochi istanti si sentivano già le sirene pronte ad intervenire.Il cancelliere tedesco sarebbe morto solo qualche ora dopo in un ospedale vicino.
Non vi erano traccia di Nil, ne di Peter o di Frank, né di Ludovich.

-Dove vuole che la porti signorina?
-Aeroporto di Tegel per favore, faccia in fretta.

Mentre Berlino si illuminava di una nuova carneficina, una bambina bionda giocava sul ciglio della strada. Aveva in mano una pistola giocattolo e sparava ad una donna seduta sul sedile posteriore di un taxi.


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Capitolo 3
*** CAPITOLO III-Più il mio cuore ti è lontano...(Berlino parte terza) ***


CAPITOLO III

"Più il mio cuore ti è lontano..."

Berlino parte terza

 

Quando Linda Lang scese dal taxi, all'aeroporto di Tegel, due cani le si avvicinarono; le odorarono prima un borsa, poi delle scarpe nere in tela, poi il suo giaccone viola. Il giaccone notevolmente più grande di lei. Si sentì in imbarazzo nei confronti dei cani.Due poliziotti la fermarono dal proseguire verso l'entrata. I lampioni verdi del parcheggio, traballarono per qualche istante.
-Documenti.
Helèna mostrò l'identità falsa di Linda Lang. Strofinò forte le mani portandosele alla bocca.
I due si consultarono.
-Deve aprire la borsa. Per terra per favore.
Allora lei prese la borsa e svuotò per terra trucchi e rossetti di vario genere; spuntarono preservativi, dildo e carte per tarocchi.
-E' sicuramente una prostituta.-Disse uno all'altro. L'altro rispose:
-Una prostituta cinese.

I cani antidroga si erano già allontanati. Proprio vicino all'entrata un gigantesco cartello pubblicitario promuoveva l'apertura di un nuovo cinema. Linda Lang sorrise.
-Sgomberare signorina, non c'è nulla da ridere.-
Si tolse di mezzo prendendo la sua borsa ed i preservativi che le cadevano di mano; fu in una manciata di secondi che entrò dentro. Pensò che il più era stato fatto. Erano soltanto le 22.34; aveva ancora tutto il tempo per prendere il volo delle 22.50, quello per Roma.
Gli sportelli per il ticket erano quasi tutti vuoti, le sale d'attesa erano un deserto in cui sembrava facile perdersi. Linda Lang temeva di smarrire qualcosa,nonostante la convinzione di aver tutto il tempo dalla sua parte; notevole vantaggio quando dietro ti porti una carneficina. Voleva smarrire qualcosa; magari qualche ricordo.
Un mega televisore posto sopra una colonna di materiale plastico, glielo annunciò tramite una giornalista dalla faccia impassibile e poco truccata.
-Questa volta il bilancio dei feriti è grave, il numero dei morti è quello di una catastrofe.-
Helèna pensò che per dare un giudizio dopo l'esplosione di una bomba di tritolo, bisognava avere una certa esperienza alle spalle. Catastrofe.
-In base a quale episodio è una catastrofe?- Disse Helèna.
-Parliamo di duecentotré morti e quarantasei feriti, due le persone in stato di coma che, secondo il parere dei medici, non arriveranno a domani.- Continuò la giornalista.
-Arrivare a domani...-Pensò Helèna.-Devo arrivare a domani. Duecentotré, più due di domani ,più sette di ieri. Quanti caffè ho preso oggi? Ho sonno, sto crollando lo sento.-
Tirò su la sua borsa e proseguì nel camminare. Arrivò ad uno sportello; si guardò bene attorno. Solo mega schermi di arrivi e partenze; solo pubblicità; saracinesche abbassate, distributori lontani e sfuocati. La scritta della coca-cola la sapresti riconoscere ovunque.
Una mano le si posò sopra.
-Una borsa, scarpe di tela...non sapevo tu fossi una maga Helèna.
-Dovevi solo farmi un poco più furba di te Nil.
-Come hai fatto?
-Come ho sempre fatto, fermare un taxi e dare dei soldi ad una puttana per farmi dare un po' dei suoi indumenti.
-Inizi proprio a piacermi sai?
La ragazza si voltò, ma se ne guardò bene dallo sforzo di guardare la sua faccia; non riusciva proprio a sopportarlo, in quell'istante poi, un odore omicida passava proprio sotto il suo naso.
-Stai già pensando di uccidermi, ma lascia che ti spieghi...
-No Nil, non riempirti la bocca di cazzate, ho capito benissimo quello che volevate fare.
-Non puoi averlo capito perché niente è andato come previsto. A parte il botto, beh sì quello c'è stato e l'obiettivo alla fine è stato raggiunto, ma voglio che tu mi creda se ti dico che non avevamo calcolato tutte quelle volanti e quei posti di blocco.
-Ti ho chiamato Nil; mi hai detto che la bomba sarebbe esplosa in quindici minuti... quando poi è esplosa in meno di un minuto dal termine della nostra conversazione. Il piano prevedeva che io stessi dentro al momento dell'esplosione; mi spiace per te che non sia andata così.
-Non era previsto Helèna, devi aver danneggiato il timer dell'ordigno.
-So perfettamente quando un timer si danneggia o si disattiva per programmazione. So anche riconoscere una cellula per telecomando; bastardi.
Nil, storse il muso. Non sapeva più cosa aggiungere ad una conversazione che diveniva sempre più ostile.
-Dov'è Ludovich?-Chiese lei.
-Era questo che ti volevo dire...beh Ludovich è...
-Parla Nil, fai in fretta perché ho un volo da prende tra qualche minuto.
-Un volo da prendere? Per dove?
-Parla... dov'è Ludovich?
-Ludovich è stato arrestato. Siamo stati presi da alcune guardie che passavano di controllo vicino alla stazione di U-Bahn; io Frank e Peter siamo riusciti a scappare, mentre lui penso che ne avrà per qualche giorno.
-Cazzate!
-Ok, sei libera di non credermi. Forse il troppo lavoro ti sta dando alla testa.
-Se volevate togliere di mezzo me, avrete fatto altrettanto con lui.
-Farnetichi! Togliere di mezzo un demonio come te che sa mettere in atto certi terremoti è controproducente alla nostra causa. Il grande capo presto onorerà il tuo operato, devi starne certa.
-Spero che lo faccia direttamente su qualche mio conto in svizzera. Perché io non voglio più avere a che fare con questa storia. Ho chiuso definitivamente.
-Ora se tu che ti riempi la bocca di cazzate. Sai che non prenderai quel volo per Roma.
-Cosa stai dicendo?
Allora Nil, inclinò lo sguardo verso il pavimento, così lucido che ci si poteva riflettere; ed aveva una faccia imbronciata Nil, sempre molto scura, anche quando si sentiva in dovere di allargare un sorriso.
-Non puoi andare da nessuna parte se prima non finisci il tuo lavoro per noi.
-Chi me lo impedisce? Tu?
Qui Nil, si fece molto più severo; le accarezzò il volto; di sbieco le fissò gli occhi.
-Non dimenticare che sei una donna assassino Helèna. Per quanto tu possa essere forte e coraggiosa, sei perseguitata da tutte le polizie del mondo, la tua libertà dipende da qualcuno,non devi mai dimenticartelo. Così come per il tuo Ludovich... ci tieni a rivederlo vero?
Helèna digrignò i denti, afferrò il polso di Nil; lo sputò in un occhio.
-Ricorda Nil, che io posso ammazzarti quando voglio; lo dico e lo faccio! Tu prega soltanto che Ludovich stia bene, che sia ancora vivo...che con quelle teste calde dei tuoi scagnozzi non si può mai sapere.
-Ti ho detto che si trova in un stazione di polizia.
-Ripeto che menti proprio come un neofilo.
Nil porse un biglietto. “Parigi”, aeroporto.
-Cosa ti fa pensare che io andrç a Parigi Nil?
-Il fatto che non hai scelta mia cara, sei dentro il gioco sino a che non finisce.
-Il gioco per me finisce proprio ora.
-Non sei tu a stabilire come e quando. Bisogna che a Parigi si mettano in chiaro le cose, ci sarà meno violenza, questo posso garantirtelo poiché con i Francesi gli accordi già ci sono.
-Bravo, se avete già degli accordi a cosa serve la mia presenza?
-Serve la tua presenza perché servono i nostri killer migliori, ci serve il nostro “terrore” migliore. Se fai la brava è probabile che io possa farti giungere Ludovich a distanza di qualche giorno.-
Helèna, sembrò tramortita da quanto le giungeva al cervello e la parola cervello le mandava in tilt tutto il ragionamento fatto da lei qualche secondo prima.
Lo stomaco tornava a muoversi, qualcosa di ben più viscerale andava aumentando sino a sfondarle il petto e toccarle la gola. Allora l'istinto, dote che un killer deve aver pronta in qualsiasi momento, glielo suggerì come una miccia accesa dalla testa di un fiammifero.
La Colt Commander si estrasse dalla gonna quasi automaticamente e stava posandosi sulla fronte del ragazzo,quando lo stesso, da una posizione apparentemente immobile, riuscì prima a bloccare il braccio di lei, dopo, le diede una gomitata sull'avambraccio che ne risentì così tanto da far cadere per terra la pistola. Helèna provò un dolore così forte che non riusciva più a muoverlo.
Lui allora riuscì ad allargare un sorriso.
-Spero che tu abbia capito la questione cara Helèna. Non ti resta altra scelta.
-Sai cos'è? Avrei voluto capirlo prima. Avrei voluto accorgermene di quel momento in cui non ho più avuto la possibilità di decidere. Sono stata una povera stupida a mettere la mia vita nelle mani di voi schifose bestie.
-Vita? I killer non hanno una vita, tu come me vieni pagata per quello che fai; quel che fai è passare i giorni sul filo di un stato tra la vita e la morte. Non è vita, dovevi pensarci molto prima.
-Delle volte penso che tu non sia così stronzo come il tuo comportamento porta a pensare... delle volte, poi mi rendo conto di chi sei, e mi fai ancora più ribrezzo Nil.
-Lo so, ma non ho tempo per i sensi di colpa ne per stare ad ascoltare i tuoi mugugni.

Helèna prese il biglietto, si dirisse verso il tunnel 4, si voltò per qualche manciata di secondo per guardarsi le spalle. Il giovane dietro di lei aveva già preso la via per un altro imbarco. Nella sua mente, Helèna aveva potuto fare dei calcoli veloci ed approssimativi. La Maskahodov si preparava per un altro cielo di sangue.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV-Nelle tasche (Parigi parte prima) ***


Capitolo IV
"Nelle tasche"
Parigi 
parte prima



 

-Mademoiselle Lang, svegliatevi! -Lo disse mischiando un po' di tutto, ma Heléna capì benissimo.
La stanza era totalmente buia; l'orologio segnava in un ticchettio che faceva solo da sfondo ai rumori della strada; subito fuori dalla finestra, rumori ovattati dalle mura ma che comunque pian piano riuscirono ad interrompere quel beato sonno del primo giorno a Parigi.
Pauline entrò correndo verso le finestre,la porta della stanza fece un rumore tale che sì udì anche per strada. Spalancò le serrande in un baleno, uscì dalla stanza, vi tornò in pochissimi secondi mettendo sul comodino un vassoio con della marmellata, due croissant e del latte. Corse ancora fuori, prese un secchio ed un manico di scopa.
-Oddio no, quella finestra no!-Disse Linda Lang in un inglese perfetto ed una pronuncia che non lasciava intendere alcuna provenienza.
-Sono spiacente mademoiselle Linda, ma devo informarti che è mezzogiorno, sarà meglio uscire per pranzare non credi?
-Mademoiselle? Ma che razza di appellativo orrendo è mai questo? Per favore, mi chiamo Linda... Linda e niente altro, ok?-

Heléna osservò bene la stanza, non aveva avuto tempo per osservarla nella notte trascorsa. Era arrivata molto stanca da quel viaggio. Le pareti erano bucherellate un po' ovunque, color   giallo ocra. Vi erano evidenti segni di usura del tempo, scheggiature, graffi; questo le balzò in testa all'istante. C'era un comodino di fianco a lei. Scassato ma di un qualche legno pregiato,doveva essere in noce per quelle che un tempo erano state le eleganti venature. Una cassapanca poco distante era l'oggetto fondamentale della stanza,lì Heléna aveva posato il suo vestiario.
Quando Pauline andò per sistemarglielo, Helèna saltò dal letto facendosi cadere il croissant dalla bocca.
In mente aveva dei familiari flashback di quando aveva poco più di diciassette anni.Sua madre apriva la finestre ogni mattino, ed ogni mattino il timore era sempre lo stesso: il rumore metallico dei proiettili che cadendo dalle tasche danzavano colpevoli sul pavimento.

-No ferma! Lascia lì quella roba!
Pauline si sentì non poco imbarazzata, cercò di far finta di niente e depose i vestiti là dove erano.
-Sì hai ragione Pauline e ti ringrazio per il favore, ma delle mie parti ci infastidisce che qualcuno sistemi i nostri vestiti. Sia chiaro, non ho nulla da nascondere, ma è un'abitudine a mio modo sbagliata che aveva anche mia madre quella di toccare i miei pantaloni; ed io ad ogni mio risveglio avevo il timore di aver lasciato nelle tasche degli oggetti compromettenti. Sai quelle cose imbarazzanti per ogni adolescente Pauline...-

Linda Lang accennò ad un fantomatico elenco che di bocca non le venne mai. Cosa poteva saperne lei di una normale adolescenza? Viveva con il terrore che qualche macchia di sangue le fosse rimasta sulla maglietta o sulla cintura dei pantaloni; era quello il timore con cui  prima di andarsene via di casa aveva guardato la madre ad ogni risveglio, era quello il timore con il quale ora faceva cenno a Pauline di allontanarsi dai suoi vestiti.
Pauline non capì, ma continuò a pulire la stanza facendo finta di nulla.
Pauline passava velocemente uno straccio per terra.
-Ah sì, Pauline devo aver versato della birra sul tuo pavimento... mi spiace.-
Pauline sorrise e andò avanti frettolosamente proprio come era entrata. Il suo sorriso era particolarmente bello, Heléna non poté fare a meno di notarlo e sarebbe anche meglio dire che una persona quasi sempre imbronciata come Heléna, era particolarmente attenta nel notare certe bellezze. Pauline portava in volto delle vistose fossette quando rideva, era bionda e molto magra, “un volto pulito”,pensò Heléna,come mediamente sono le parigine che incontri per il lungofiume.

L'aveva conosciuta all'aeroporto Charles de Gaulle, quando Pauline era appena tornata dal suo viaggio in Italia per far visita ad una cugina di Torino. Linda Lang le si era avvicinata per chiedere informazioni su come raggiungere nel minor tempo possibile il centro di Parigi.
Pauline, ben disposta alla conversazione e visibilmente simpatizzante per gli occhi a mandorla che Heléna portava con altezzosa diffidenza, le offrì ospitalità per la notte.
-Pauline, spero che il resto dei francesi non siano così ospitali come sei tu. - Disse Linda Lang posando delicatamente le labbra su un croissant.
Pauline le mostrò ancora una volta quel suo volto solare e pieno di gioia quando le disse:
-Spero tu voglia scusarmi ma continuo a non capire molto di quello che tu dici, eppure il tuo inglese mi sembra scandito bene.. -
E qui aggiungeremo che anche l'inglese di Pauline era a dir poco perfetto, anche se il dettaglio avrà poca rilevanza.
-Ok Pauline lasciamo stare. Dove mi porti a mangiare?
-Le Baba Bourgeois! É un piccolo locale molto carino che dà sulla Senna, è poco distante da qu.
Heléna scese dal letto con addosso solo un paio di mutande molto strette diremo quasi essenziali che Pauline guardò palesando un certo disagio. Heléna si fermò sulla porta del bagno.
-Ti indigni per le mie mutande o per il mio seno?
-Non avevo mai visto così da vicino il corpo di un' americana.- Disse Pauline.
-Non ricordo di averti detto la mia provenienza..- Pauline allora tirò dalla tasca il suo passaporto.
-Me ne stavo quasi per dimenticare, deve esserti caduto in macchina ieri notte, è lì che l'ho trovato questa mattina. Spero mi perdonerai la curiosità di aver letto che sei una giornalista.
-Sono una fotoreportert per la precisione, mi occupo di fotografia.
-E hai lasciato il tuo strumento nella valigia? Che sfortuna...avresti fatto delle foto bellissime questa mattina, è una giornata stupenda fuori.
-Che peccato!- E l'ironia di Linda Lang era comprensibile solo a Linda Lang mentre raccoglieva delle ciocche di capelli con piccole mollette colorate. Si era tolta anche le mutande ed era nuda dinanzi allo specchio. Notò come la sconosciuta stesse a fissarla sulla porta.
Allora Linda Lang chiese:
-Senti Pauline, non sei lesbica giust?
Le fossette di Pauline risposero:
-No che non lo sono e se lo fossi non potrei guardarti?
-Potresti, certo.
-Immagino che te lo dicano in molti.
-Cosa?
-Sei una bellissima ragazza.
-Grazie, ma non sono americana come c'è scritto sul mio passaporto. Mio padre è cinese, mia madre ha origini inglesi ma ha vissuto maggior parte della sua vita a Singapore.
-Bellissimo, avrai già visto mezzo mondo.
-L'ho già visto tutto a dire il vero.
-Ho capito subito con chi avevo a che fare. Devi essere una fotoreporter di gran carriera quindi.
Heléna storse il muso, poi inclinò una mano quasi spazientita.
-Sì sì, in certi ambienti mi conoscono sin troppo bene, ma per favore non parliamo del mio lavoro. Sono tua ospite no? Cerca di farmi divertire almeno per le prossime ore.
-Hai ragione scusami, a chi piace parlare del proprio lavoro?
-Da brava passami l'accappatoio... smettila di guardarmi il seno! E smettila di arrossire!
-Ok, ok... la smetto!- Rispondeva Pauline.
-Tu invece Pauline? Cosa fai nella vita?
-Io sono una studentessa...studio lingue straniere nell'ambito della traduzione e dei rapporti politici ed economici esteri, alla Sorbonne Nouvelle.
-Un percorso quanto meno impegnativo per un volto rilassato e sereno come il tuo...
-É qualcosa che mi piace...a te non piace fare la fotoreporter?
-Inizialmente a me piacciono molte cose, quando una cosa però inizia a diventare forzata, come nel caso di un lavoro, inizio a provare una forte negazione autonoma ed involontaria.
-Immagino che una persona come te possa fare tante altre cose allora.
-Hai detto bene. Fossi stata più prudente anni fa avrei anche evitato di sentire l'odore della carcassa umana in putrefazione... e credimi, sono cose che chiunque di noi eviterebbe di provare.- E mentre parlava intanto cercava i vestiti che non aveva, poi si rese conto-Emh... Pauline, dovresti prestarmi dei vestiti.
-Nessun problema!- Rispose Pauline mentre consegnava alla ragazza asiatica un golfino e un paio di pantaloni scamosciati dal color violetto.


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Capitolo 5
*** CAPITOLO V-Il mediatore Hassan (Parigi parte seconda) ***


Capitolo V
"Il mediatore Hassan"
Parigi
parte seconda



Aprì la porta del coffe bar, molto lentamente, come se quella porta pesasse varie centinaia di chili.
Entrò; contò: “Due, tre, quattro, otto che più uno...nove.Quattro francesi, due britannici, tre tedeschi.”
I francesi erano seduti ognuno per conto proprio, i due britannici parlavano tra loro; i due tedeschi si alzarono e uscirono in quel momento dal locale.
Ordinò del tè e dei biscotti alla cannella. La dote speciale, di poter guardare ciò che accadeva alle sue spalle era una della basi del suo mestiere, in costante allentamento, scrutava le bocche muoversi, chiudersi, posarsi; baciarsi. “
Se ne stava lì a sorseggiare il suo tè francese, mentre contava i passi di chi aveva nuovamente aperto la porta. “Uno, due, quattro, cinque,sei, set..”una mano sulla spalla e un'altra mano, questa volta la sua di mano che ferma l'altra ancor prima che questa possa appoggiarsi del tutto.
-Ahah, tutta questa amicizia non c'è mai stata tra noi Mohamed Hassan. Tieni a posto le tue mani se non vuoi che io faccia della tua pelle da negraccio, cuoio per i miei stivali!
-L'età non ti fa certo diventare più simpatica vero Helèna?
-Non ho tutto il diritto di essere incazzata? Dopo tre fottutissimi anni che non metto piedi a Parigi, devo aver ancora a che fare con un fallito come te.
-Mi spiace, non è un lavoro comodo fare il mediatore di questi tempi.
-Sediamoci, che non tira una bell'aria qui.

I due si sedettero in fondo, sulla sinistra del bancone, a destra c'era l'uscita;una cameriera in vestito corto rosso a quadrettoni bianchi, avrebbe servito loro del tè e del caffè di tanto in tanto.
-Ludovich non è venuto con te?-Domandò precipitosamente Hassan.
-Io e Ludovich non lavoriamo più insieme.-Rispose Helèna accendendosi una sigaretta.
Qualcuno da lontano, nel retro di una cucina le disse:vous ne pouvez pas fumer dans ce lieu! -
Helèna non facendoci caso provò a spiegarsi.
-Potete sempre multarmi.... se ne avete il coraggio!-Poi si guardò attorno notando che nessuno la stava a guardare.
Mohamed Hassan, gettò uno sguardo dietro il bancone, lì c'era un ragazzo che impaurito batteva scontrini frettolosamente.
-Altro caffè cameriera!-Urlò Hassan, poi si rivolse quieto a Helèna.
-E da quando non lavorate più insieme?
-Dopo quest'ultimo lavoro in Germania, abbiamo deciso così.
Il tunisino non fu molto convinto della risposta, sapeva che Helèna mentiva.
-Io sono qui per consegnarti queste...-Mise le mani nel suo giubbotto vecchio e dai colori sbiaditi che richiamavano il fucsia assieme al verde pisello. Due chiavi, la prima era di un'automobile, la seconda era di un appartamento.
-Sanno che odio muovermi in automobile quando si tratta di farlo in grosse città dell'Europa, perché lo stanno facendo?
-Cosa vuoi che ne sappia io? Sono solo un mediatore. Il tuo bolide è quello che si vede parcheggiato dall'altra parte della strada. Quello verdone. É un modello un po' vecchiotto, ma va che è una meraviglia.-
Helèna si mise di sbieco per guardar meglio.
-Mi prendi per il culo? Posso andare in giro con una Clio di primi anni novanta?
-Ti aspettavi una Jaguar? Al signor Ivanovich penso non piaccia l'idea di farti passare troppo osservata.
-Cosa c'entra Ivanovich ora?
-Dirige lui l'operazione, non so altro... quando arriverai nell'appartamento troverai tutti gli ordini precisi.-
Lo stesso, fece ancora cenno con la mano alla donna in quadrettoni bianchi affinché versasse altro caffè, le guardò rozzamente il culo, poi lei,si allontanò.
Helèna prese la chiave e si alzò dal tavolo. “Uno, quattro, nove, undici, quindici....”
-Me ne vado.- Disse lei.

 

La macchina fece un rumore da motore quasi ingolfato . Una, due volte; alla terza partì; ma frenò quasi di colpo per una macchina che a tutto gas le sfrecciò a fianco. Dopo qualche minuto l'ansa della Senna,Parigi con i suoi grattacieli e i suoi pilastri storici, le si presentava dai finestrini dell'auto. Francia, Germania, Italia, Regno Unito, ormai stava diventando tutto la stessa puzzolente botola infernale, pian piano la Terra nella sua rotazione sull'asse, stava capovolgendosi come una goffa ballerina sovrappeso morirebbe d'infarto.Non possiamo definire quali siano i momenti felici di un assassino privato della sua libertà, Helèna però sentì di avvertire una contentezza ambigua mentre erano le 3.00 del pomeriggio e tutto, era come non sarebbe più stato. Effettuato il parcheggio nel quartiere residenziale, il cruscotto avrebbe potuto aprirsi anche da solo, se forse, la ragazza di Singapore non avesse provato ad aprirlo prima con automatico gesto della mano, dopo con un pugno violento all'altezza dell'airbag del passeggero. Il cruscotto sì aprì di colpo.Nessuno aveva dettato niente, la convinzione era quella che nessuno avrebbe trovato niente.

Trovò due elementi essenziali:il primo, un pupazzo alto quanto un dito indice, un manicotto con folti capelli in testa e vestito di stracci, uno spaventa passeri quasi;dalla testa partiva con un anello da portachiavi. Secondo elemento, un proiettile calibro 22”, il calibro più piccolo che una pistola di qualche malintenzionato potesse avere. Helèna allora scese dalla macchina quasi preoccupata di mostrare quanto fosse quieta e calma, mentre con la coda dell'occhio aspettava di essere presa alle spalle da qualcuno.
Lo stesso qualcuno che aveva lasciato quel proiettile in macchina magari,e non poteva esser stato un gesto di Ivanovich poiché lei conosceva bene anche lui, conosceva troppa di quella gente che complottava in quel sistematico marchingegno chiamato terrorismo.

-Giochi poco simpatici della Maskhadov.- Disse a se stessa Helèna.
Il portone del grande palazzo residenziale era aperto, vi si poteva accedere senza alcun problema; poco distante dell'entrata vi era la portineria, cabina dalla quale provenivano delle voci e puzza di sigaro.
Puntò dritta al tappetino rosso che saliva per le scale, si accompagnò frettolosamente e facendosi più leggera possibile, salì qualche scalino sino all'ascensore. Allora qualcuno dalla portineria si affacciò: l'ascensore era già al quarto piano e nessuno aveva visto niente, anche il corridoio del quarto piano era totalmente deserto perché la ragazza di Singapore, era già dentro il suo appartamento.
Ci sono poche cose essenziali che un killer guarda appena entra in un'abitazione: la prima cosa è sicuramente quella più importante se si hanno solo pochi istanti prima di premere il caricatore,la pulizia attorno.
L'ordine degli oggetti e la polvere depositatasi fanno capire quanto movimento vi è stato, quando vi è stato ed eventualmente, delle volte, se c'è qualcuno nell'abitazione. Gli oggetti erano pochi; posti sopra pochi mobili.
Un divanetto e due poltroncine inutilizzati; polvere sui tappeti, polvere su finte statuette di premi televisivi, foto ricordo di gente che molto probabilmente non viveva più da anni. Tutto era stato posizionato meticolosamente. Si accorse di una cosa: era tutto inutilizzato da giorni e molto probabilmente da settimane. Dunque, chi avesse lasciato quel proiettile in macchina, poteva non aver a che fare con la Maskhadov e con l'appartamento, del resto lasciare un proiettile in una macchina destinata ad un cecchino come Helèna, poteva significare niente o; poteva significare molto altro. Una trama ben molto più estesa la Maskhadov, una lista di nomi e le pulsava dentro; lista di nomi e motivazioni per le quali ucciderla. Primo tra tutti: Nil e il fatto che Hassan non lo aveva neanche nominato in quella operazione; mentre aveva fatto il nome del capo Ivanovich, persona troppo rispettabile da introdurre segnali enigmatici in uno cruscotto, troppo personaggio da vertice per un proiettile calibro 22”.Ma improvvisamente, mentre perlustrava la cucina aprendo stipi e toccando le superfici dei lavandini le venne in mente qualcosa,una lista di nomi che vivevano in quel di Parigi, informatori, ex spacciatori di cocaina, pentiti, condannati.Gente che nelle sue passate vicende parigine aveva incontrato a quelle feste poco raffinate, fatte di molta cocaina e prostituzione dei più bassi livelli. Perché? Perché il ridacchiare di voci sottili, stridule e di prostitute che avrebbe volentieri sgozzato le stavano tornando in mente? Ronzavano come mosche per la tubatura di quella stessa cucina. Si sforzò e aprì il frigorifero. C'era dell'acqua in bottiglia e ne bevve subito.Poi lasciò la cucina e accese la segreteria telefonica. C'era un messaggio registrato..lo ascoltò senza batter ciglio.

-Helèna...sono Sergei Ivanovich. Spero che l'appartamento potrà essere confortevole durante la tua breve permanenza in città, ma voglio che tu mi stia a sentire bene... in città arriveranno due importanti esponenti del governo Inglese per incontrare il ministro della difesa francese Marchand; si tratta di una cena d'affari. Voglio che tu sia presente insieme al nostro futuro ministro degli interni Sidorsky. Il perché della tua presenza potrebbe spiegartelo il tuo fedele amico Ludovich.... che tra l'altro non sappiamo che fine abbia fatto, questa mattina ho ricevuto la notizia che è scappato da un distretto di polizia tedesco. Restando a noi, ti consiglio di non fare mosse false e di andare a quella cena, dato che i ministri Hughes e Lewis erano in ottimi rapporti con il nostro caro Ludovich, prima che lui degenerasse in questa sua psicosi momentanea ovviamente,quindi ci tengo a far sapere agli inglesi che Il Vecchio Diamante dei Balcani è ancora dalla nostra. So che potresti serbarmi del rancore piccola:Sì,sono al corrente di quanto è accaduto a Berlino... del fatto che Nil ha cercato di tagliarti fuori, beh non occorre che io mi giustifichi o che mi dissoci dal lavoro dei miei subordinati. Ciò che è stato fatto è acqua passata ormai, dovresti dimenticartene e continuare come prima, se così non dovesse essere... mi basta farti sapere che noi ti teniamo sotto controllo praticamente ovunque e che non ti è concesso fare mosse false o più di quante te ne occorrano per lo stretto indispensabile delle tue missioni. Un'ultima cosa:se dovesse farsi vivo il nostro amico Ludovich, digli pure che non serbo rancore per quel che lui ha tentato di fare, perché non so se tu ne sia al corrente, molto probabilmente sì, il nostro caro Ludovich voleva disertare la missione a Berlino. Con questo ti saluto piccola, non dare di matto se ne sei capace.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI-Un Dio Perverso (Parigi parte terza) ***


 

 Capitolo VI
"Un Dio Perverso"
Parigi
Parte terza





Uscì frettolosamente dall'appartamento, lasciò sbattere la porta .L'aura che lasciava dietro di se era come spesso accadeva la forza della disperazione, un lieve sbalzo di adrenalina e un alito di gelo verso la fine delle mani. Pugno chiuso è incazzato; quello della ragazza di Singapore si chiudeva nella rabbia febbrile e nell'odio sconsiderato verso la razza umana. Poteva aver la genialità di agire: così fece.
Guidò l'auto sino ad arrivare nella periferia di Parigi alla banlieue di Clichy-sous-Bois; frenò di colpo quasi tamponando un'auto che era parcheggiata. Era un gigantesco condominio delimitato da un enorme cancello, quello che avrebbe reso l'idea di un elite di Clichy-sous-Bois, la dove un'elite ormai non c'era; la prostituzione e lo spaccio di droga dilagavano come malattie infettive; la polizia: inesistente.
Qualcosa di ancestrale, sadico, violento le passava per la scatola contenente il cervello; sarà stato rivedere quell'ambiente dei borghi parigini, l'odore di cipolla e salse cucinate dai tunisini residenti: aveva una gran voglia di scoprire cosa stesse accadendo veramente, chi c'era alle spalle di quell'operazione della Maskhadov; chi c'era veramente dietro; chi poteva garantirle che non sarebbe finita come Berlino.
L'indagine proseguiva nella sua mente di continuo, mentre aprì un cancelletto, mentre urtò le spalle di un rumeno facendolo quasi schiantare al suolo, mentre percorreva le scale avvicinandosi sempre di più alla porta stabilita.
La stava già ripetendo tra le sue labbra, con il perverso intento di ripeterlo incutendo maggior sgomento, maggior terrore per chi si fosse trovato dinanzi.

La porta dell'appartamento si aprì di scatto, la ragazza di Singapore si gettò con il capo in avanti a colpire il volto sbavato di trucco di Judith Defour; cadde a terra esanime ricoperta di sangue per tutta la faccia.
-A quanto pare Judith abbiamo un altro lavoretto per il tuo chirurgo facciale...- Lo disse ridendo come una iena al suo biglietto da visita.
-Brutta bastarda di una cinese, chi ti manda?-
-No, no Judith, iniziamo male...-
L'afferrò per i capelli e la trascinò per due metri di pavimento poi, quasi già stufa,la riempì di calci nello stomaco.
-Oggi ti dice male Judith, sono in preda ad una crisi di nervi...- Prese poi una statuetta di bronzo posta sopra un comodino. -Ti conviene parlare prima che io ti apra la testa.
Judith Defour stava rannicchiata in un angolo a piangersi l'anima, terrorizzata e shockata da quello che accadeva; Judith sapeva che in quel momento Helèna era una ragazza lontana, che con la mente era poco presente, le avrebbe aperto la testa e poi l'avrebbe lasciata in una pozza di sangue.I trascorsi in Francia tra le due comprendevano episodi poco felici anche se non si erano mai odiate. Helèna era sempre stata un sicario che in Francia chiudeva dei conti di debito. Aveva eliminato numerosi capi di piccoli clan e trafficanti di droga. A quei tempi Judith era stata la puttana di molti per questo si conoscevano abbastanza bene. Helèna sapeva di di non doversi fidare delle sue parole, Judith sapeva di aver la vita appesa ad un filo sul punto di spezzarsi. Qualcuno uscì da una stanza; un uomo giovane che sconvolto si addossò al muro.
-E tu cos'hai da guardare?- Chiese Helèna.
L'uomo non rispose, lasciò dei soldi davanti ad uno specchio e uscì a dorso nudo fuori dall'appartamento.
-Cosa ne sai dalla Muskhadov Judith? Ti conviene parlare perché vedi... anche se non ci vediamo da forse tre anni, so perfettamente con chi scopi ancora, so chi mantiene i tuoi gioielli ed i tuoi cosmetici...-
Judith singhiozzava fortemente, tremava così da far scaturire impulsi ancora più nervosi in quel demone che le si presentava davanti.
-Ok... non vuoi parlare... - Le scaraventò una sedia contro: un urlo atroce ed isterico uscì dal petto della ragazza in lacrime...
-Cosa vuoi da me!! Devi lasciarmi in pace!!!-
Allora la ragazza di Singapore raccolse la sedia e si sedette. Curvò la schiena e guardò profondamente e faticosamente verso il basso.
Si tenne la fronte, pesantissima e dolorante. Le urla non le sopportava poi tanto; per un istante allora il demone parve placarsi e assopirsi, come se tutto fosse ancora normale nella stanza. Da sottofondo ancora qualche lamento di Judith Defour poi come nel vuoto trovò le parole.
-Mi spiace per te Helèna...
-Per cosa ti dispiace?
-Perché ti stanno facendo diventare una bestia...
-Allora sai già di chi parlo quando voglio chiederti qualcosa...
-Lo sanno tutti che lavori ancora per la Muskhadov, non potrebbe essere diversamente.
-E' qui che sbagli, tu sei solo una sgualdrina, non sapresti fare altro nella vita. Io sono un soldato per me è diverso, posso abbandonare la giostra quando voglio... sta a me agire.
-La giostra? Stai delirando evidentemente, morirai prima di poterti liberare di loro.
-La morte sarebbe comunque una liberazione non credi? A no, tu sei troppo codarda per poterlo pensare...

Judith si alzò, la stanza era buia poiché tutte le serrande erano abbassate. Accese la luce benché fosse ancora giorno; prese un pacchetto di sigarette e ne accese una. Poi Helèna notò quanto fosse deplorevole la scena, Judith indossava una vestaglia da notte con dei disegni infantili cuciti sopra, cosa forse molto più triste sembrava esser stata picchiata da un gruppo ti uomini assatanati.
-Ti chiedo scusa se mi sono lasciata prendere un po' troppo la mano...-
-Picchi forte brutta stronza...- Judith sorrise guardandosi allo specchio. -Sai una volta ho scopato quello che tu consideravi il tuo unico capo, Ludovich... non è stato lavoro, l'ho fatto perché credevo di essermene innamorata.

-Per favore... non ti crederò mai. Non è tipo che va con squallide prostitute minorenni.
-Non ha mai saputo la mia età, comunque mentre eravamo all'apice dell'amplesso chiesi di picchiarmi.
-Scommetto che anche lui ti ha tirato una sedia sopra...
-No, si rifiutò di farlo; non potrò mai dimenticarmi con quanta dolcezza mi chiese perché io volessi certi suoi comportamenti. Io non potevo rispondergli ovviamente, mi faceva sentire così stupida e nello stesso tempo mi sentivo troppo importante per essere guardata da un ragazzo così.
-Taglia corto puttanella...non so dove vuoi arrivare con questa bella storia di fantasia, ma ti stai solo accorciando la pausa che porta al nostro secondo round.
-Tu credi di essere diversa dai russi, credi di poter sognare la tua libertà nel nome del tuo amato Ludovich ma la verità è che tu non sei come lui... stai solo cercando ti inventare una via d'uscita che non esiste. Tu morirai per mano dei russi perché è quello che meriti Helèna e per quanto tu stia cercando di agire nel bene, sei solo un cane rabbioso che divora se stesso e tutto ciò che gli passa davanti.-
Ci fu un altro silenzio, questo fu più nero e lugubre come lo sguardo della ragazza di Singapore che si alzò dalla sedia e afferrò il braccio di Judith Defour. Le prese la sigaretta da mano.
-Mi stai parlando di Ludovich perché sai dove si trova adesso per caso?- Disse la ragazza di Singapore mostrando i denti.
-E se io lo sapessi Helèna? Pensi che andrei contro Nil o Ivanovich? Sei una povera illusa...
-Allora ho ragione.. tu sai tutto brutta troia...- La ragazza di Singapore mise la mano sotto la vestaglia e affondò con la sigaretta:Judith cadde per una seconda volta sul pavimento. - Voglio proprio vedere con cosa tirerai a campare una volta che avrò segnato tutto il tuo corpo.-
Judith questa volse trattenne le lacrime con tutta se stessa; si osservò bene intorno, poi si decise: fece uno scatto verso la cucina, si armò di coltello e lo puntò contro al nemico che l'aveva già raggiunta sogghignando.
-Sei veramente ridicola con quel coso in mano.
-Cosa credi che solo tu sei brava con le armi?
-Non amo la falsa modestia quindi... credo proprio di sì. Ma sai a cosa sto pensando? Che la stiamo tirando per le lunghe... tu sai molto di ciò che voglio sapere ma non vuoi parlare, io posso ucciderti anche solo con una mano ma non voglio decidermi a farlo. Stiamo perdendo del tempo prezioso non credi?-
Judith, che non era affatto stupida fece un ultimo tentativo di prendere in mano un telefono cordless, un allungamento che consentì facilmente ad Helèna di bloccarle il braccio. Si beccò un colpo sotto ad un fianco: cadde per la terza volta.
Helèna ora maneggiava il coltello facendolo danzare da una mano all'altra.
-Sai Judith... stiamo proprio perdendo tempo...- Le conficcò il coltello nella gamba sinistra, così che le urla devastarono la cucina, si espansero fuori dalla finestra, arrivarono a tutto il quartiere; ma per la strada non passava neanche un cane.
La cucina in poco tempo si riempì di sangue per terra, era tornato un altro silenzio ed un odore di plasma perforava le radici di quella che era una iena che con cura ripuliva il coltello.
-Se ti stai chiedendo quanto tempo voglio perdere ancora voglio che tu sappia che non considero una perdita di tempo torturare la gente. Fa parte del mio mestiere capisci? A te so che dopotutto, prendere cazzi ti piace... prova ad immaginare cosa sto provando io vedendoti dissanguata.-
Judith ormai aveva un vestito totalmente imbrattato di rosso, piangeva e strillava, piangeva e si dimenava stringendosi la ferita, le sarebbe venuto un infarto per la tortura che stava subendo in quegli istanti. Cercò in qualche modo di parlare in fretta davanti al suo assassino.
-Due giorni fa è venuto Ivanovich qui... ho soltanto potuto sentire qualche risposta che dava per telefono. Lo tengono prigioniero in Italia, parlavano di un casolare... non so dirti altro lo giuro!!
-Lo giuri? So cosa può giurare una puttana? Se Ivanovich è stato qui devi per forza sapere dell'altro... magari riguardo la cena di domani a cui saranno presenti Hughes e Lewis, magari avrai sentito cosa ne vogliono fare di me!
Puntò nuovamente il coltello all'altezza della gambe...
-Che cosa triste una puttana sfregiata su di una sedia a rotelle...
-Smettila ti prego... non hanno parlato della cena, ho sentito solo un altro nome mentre parlavano di Ludovich... una certa Lola di Valenza...pare che sia una referente della Muskhadov in Italia, non so altro... ti prego!!

Il coltello accarezzò ancora un po' la veste poi la ragazza di Singapore si sollevò flettendosi.
-Non mi hai convinto, ma va bene così.
Judith Defour intanto era diventata giallognola a causa dell'emorragia, il sangue uscito a fiotti aveva sporcato anche le mani di Helèna che, dopo averle sciacquate accuratamente, lasciò il palazzo.

 

 

 





Qui, ancora sotto voce la tua vaga
sembianza ha le grida di assenze,
ha l’ebbrezza del delirio nell’incanto
appena simulato da un sospiro.

Dirompe quasi a gioco un Dio perverso
dai luoghi ormai fuggiti,
bellissimo Narciso intrappolato allo spazio
che mi fu concesso tra gli uomini e le cose,
stupore e smarrimento che mi azzera.


Discorso da dimenticare
così come il graffio lungo della giovinezza. 

 

Citazione poetica di Antonio Spagnuolo da Fugacità del tempo


 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII-Requiem (Parigi parte quarta) ***


Capitolo ultimo di Parigi

Capitolo VII
"Requiem"
Parigi parte quarta

Nel ristorante dell'Hotel Goerge, quella sera, tutti bevevano champagne e mangiavano succulenti piatti di ostriche e aragoste pagate del signor Ivanovich, il ricco imprenditore russo che in quel periodo era appena giunto ai vertici della Maskhadov. Sergei Ivanovich quella sera non era presente, delegò il suo braccio destro Petrovich Sidorsky. Al tavolo oltre a lui, sedevano i signori Hughes e Lewis, due membri importanti dei servizi segreti inglesi, ed il generale Marchand, ministro della Difesa francese. Tutti chiamati illustramente signori in una serata dal lusso più facoltoso nel più grande hotel del mondo; riuniti in un modo tutt'altro che formale, con guardie poste a tutte le uscite del palazzo.

Scese le scale con addosso un abito color indaco che brillava tra i riflessi dell'argenteria e le placcature in leghe pregiate che ricoprivano la grande sala del ristorante. La nuova borghesia francese sghignazzava in discorsi senza capo né coda; eppure quel nuovo ceppo di imprenditori ignoranti e filosofi venduti non mancavano mai di quell'aria arrogante e boriosa; esponenti politici e protagonisti di celebri campagne umanitarie, erano presenti anche critici d'arte che ancora nella bocca padroneggiavano malinconicamente le ultime opere che l'ottocento aveva lasciato in dono a quest'umanità.

Rubò un tramezzino di caviale al volo e, finendo a sbattere contro un'agghindata grassona sedutale davanti, imprecò volgarmente il nome di dio. A passo di marcia funebre cercò di individuare il suo tavolo, poi un cameriere le fece un cenno per far sì che si sedette al suo tavolo.
C'era anche la moglie di Sidorsky, sedeva zitta a e muta cercando di padroneggiarsi al meglio con la posateria mentre veniva presa dall'assurda ossessione di fare brutta figura davanti all'alta borghesia francese,una nobile austriaca che non avrebbe aperto bocca per tutto il proseguo della serata. Il generale Marchand invece, la moglie la lasciava a casa, si diceva che era vicino al divorzio, i più erano convinti che ad esser stufa era ormai la moglie; giravan troppe voci su alcuni vizi di gioco del Generale. A sorpresa fu presente Nil che teneva riservato il posto accanto al suo  a colei che tanto si era fatta aspettare.
-Siediti pure angelo mio... come sempre devi farti desiderare.- Le fece un occhiolino e quel suo falso sorriso che entrambi conoscevano sin troppo bene.
-Ti ringrazio Nil.- Rispose lei.
-Dunque cara Helèna, adesso non manca più nessuno...- Iniziò Sidorsky. -Vorrei fare un brindisi per augurare a questa intesa una felice concretizzazione! Speriamo che ciò avvenga il prima possibile ovviamente e che possa essere la base di un nuovo movimento politico europeo ...che possa essere la nostra prosperità e del popolo che ci sarà vicino!
-Ha detto “Popolo” il tuo capo o voleva dire subordinati?- Chiese sarcasticamente Helèna al suo ex compagno di battaglia.
-Vedi di non fare la guasta feste pazzoide o ti faccio finire come seconda portata del menu.
-Dunque amici miei...-Proseguì nel discorso Sidorsky assicurandosi di non alzare troppo il tono della voce...-E' fondamentale guardarsi bene in faccia, perché quello che accadrà da questo momento in avanti ci vedrà tutti, e dico proprio tutti... responsabili.-

Si inserì poi Lewis:
-Bene, come lei ha detto... occorre guardarci in faccia ed essere molto chiari in quelle che sono le idee. Lei è proprio sicuro ad esempio di poter contare sull'appoggio delle altre organizzazioni estere?
-Gentilissimo Lewis, forse lei non ha ben compreso la situazione... non si tratta più di “organizzazioni”, si tratta dei governi. Devo ancora ripeterle che il governo tedesco, nostro primo oppositore, oggi è stato “letteralmente” spazzato via!- Nil nell'udire tali parole scoppiò a ridere spasmodicamente.
-Non c'è nulla da ridere Nil!! Signori, la situazione è che noi siamo in grado di eliminare qualsiasi cosa si metta tra noi e il nostro obbiettivo, che siano tedeschi o francesi o tanto meno Inglesi. Vi farà senz'altro piacere sapere che il Premier Italiano domani sarà a Mosca a parlare con il Grande Capo in persona, tengo a precisare che l'incontro è segreto, pensate che stiamo camuffando il tutto con le solite trattative diplomatiche sulla vendita di energia rinnovabile!-

Risero un po' tutti, rise anche una donna alle sue spalle che nulla c'entrava con la loro tavolata; qualcuno si girò male indicandole di farsi gli affari suoi e poi continuò il russo con maggior convinzione.

- Volete che vi dica che non hanno altra scelta? E bene sì, non hanno scelta... è l'unica strada per il bene dei civili, per evitare che siano ancora maggiori le vittime di questa nostra guerra. E' un meccanismo che non possiamo fermare nemmeno noi. La rivoluzione è una necessità, mi spiace sinceramente per tutti quelli che credevano nelle prossime elezioni in Russia, così come in Francia... l'unico modo per liberarci da questo sistema economico e politico europeo é abbatterlo... con tutti i mezzi a nostra disposizione. -

Qui Marchand non poté fare a meno di puntualizzare:
-Signori anche per me quello che sta dicendo ora quest'uomo, erano solo deliri ed utopie, ma conoscendo bene la situazione dell'esercito francese, proprio al fronte delle nuove guerre in medio-oriente, la Francia non ha alcuna controffensiva ad un attacco della Maskhadov. Prendiamo anche in considerazione che gli uomini della Maskahadov sono  sono ben insediati in Francia, così come anche in Inghilterra, da circa cinque anni:negli uffici, negli enti pubblici... ora, ed io ne sono la prova,hanno uomini anche nel governo stesso. Non voglio insegnarglielo di certo io il fatto che una nazione non può difendersi se al suo interno ha delle teste pronte a far saltare il sistema.  Ovviamente ciò non esclude che ci saranno degli oppositori, ma di qualsiasi fazione politica siano... non hanno speranza contro i mercenari filosovietici ingaggiati dal Grande Capo della Maskadov. Vi informo della T.R.B, quella che sino all'altro giorno combattevamo come "il terrorismo internazionale" da "scovare ed eliminare", oggi si è consegnata spontaneamente al Grande Capo, ora combattono per il nobile scopo della Maskhadov. Io voglio far presente a voi cari signori che chiunque si opporrà verrà spazzato via all'istante!!
-Noto con mio dispiacere che anche lei Marchand, pone la questione sul tono della minaccia più che sulla trattativa. - Disse con la sua solita pacatezza il signor Lewis e poi aggiunse:- Ma lei ha preso in considerazione l'opposizione dell'Inghilterra a questo vostro piano? Non potete aver fatto i conti senza includere l'opposizione dell'Inghilterra o degli Stati Uniti. E se anche vi fosse la possibilità di corrompere la prima dall'interno, escludo assolutamente la possibilità di farlo con la seconda. Quel che sto cercando di dire io signori è: qui si rischia una terza guerra mondiale...
- Solo nel caso entrassero gli Stati Uniti signor Lewis, solo se entrassero gli Stati Uniti! Stiamo offrendo a lei e al signor Hughes la possibilità di salvare molte vite nel Regno Unito e mandare a termine un accordo... per così dire di "pace".-Ribatté Marchand.
-Cosa c'entriamo io e Hughes con questo? Noi dei servizi segreti non ci occupiamo di salvare vite, lei dovrebbe saperlo... noi siamo qui per sapere e per vigilare, non per intervenire. Ci assicuriamo che non sorgano guai.. né a voi, né al Governo inglese.
-Suvvia Lewis, se noi non fossimo stati sicuri di quanto determinante sia  il vostro appoggio, pensate che io avrei perso il mio tempo prezioso a questa cena, o che vi avrei fatto entrare a sentire i nostri discorsi? Se parliamo tutti apertamente questa sera è perché siamo assolutamente convinti dell'esito positivo di questa trattativa con voi. 

-Lei Marchand sottovaluta la professionalità con la quale sono stato addestrato. Io non dico mai di sì a prescindere... e ripeto, sono qui per valutare e mi pare corretto che questo nostro incontro non venga riportato su alcun giornale. - Rispose infastidio Lewis, tant'è che Sidorsky fu costretto ad intervenire...
-Scusatemi signor Lewis, mi pare chiaro che il generale Marchand non volesse offendere, sappiamo che queste informazioni non andranno al di fuori di questa cena.
-Non mi offendo per così poco Siderosky, nella mia carriera ho avuto a che fare con uomini molto più temibili di un generale francese...-

Il collega Hughes lo fermò posando una mano sul braccio...-Ora basta Lewis!-Disse il collega.-Mi pare che qui stiamo esagerando con le bazzecole. Veniamo al vero motivo per il quale abbiamo accettato di esser qui questa sera: parliamo della questione dei Balcani... sapete quanto ci sono costate ad oggi le scorribande dei vostri amici slavi? Quasi cento milioni di sterline... il costo approssimativo di una guerra per intenderci. Io ho una sola richiesta affinché i nostri occhi possano chiudersi entrambi sulle vicende che riguardano la Muskhadov nel Regno Unito... Kaberi Isa, meglio conosciuto come Bota. -

Gli occhi di Helèna si accesero e non poteva credere alle proprie orecchie su quanto l'inglese stava dicendo.
-Kaberi Isa che stiamo cercando da anni è proprio sotto il vostro comando giusto? Abbiamo così tanti fascicoli su di lui che potremmo anche dire quanti giorni possa stare senza mangiare o dormire... potrei dirle anche quanto beve quel farabutto, e quindi  mi pare anche  sciocco nascondere che sappiamo perfettamente che scappa dal nostro arresto trovando rifugio tra le vostre fila.
-Cosa vuole che io faccia esattamente Hughes?- Chiese a testa bassa Sidorsky.
-Riferisca cortesemente a Ivanovich  che potrà dormire su due guanciali se ci consegnerà il carissimo Bota.
-Lei si meraviglierà ma noi avevamo già pensato a questo. Lei qui stasera ha la miglior allieva che Bota abbia mai avuto: la nostra Helèna Mullova che da questa sera è ingaggiata per l'uccisione o la consegna, fate come vi pare, di Kaberi Isa.
-COSA???- Esclamò esterrefatta Helèna.

-Helèna cara ti prego... non diamo troppo nell'occhio. Non potevo dirtelo prima essendo una delicata questione interna. - La pregò Sidorsky.

Allora la ragazza di Singapore tornò composta. Continuò Sidordky.
-Per noi va bene, Bota in fin dei conti è stato utile alla causa nella parte iniziale, d'ora in poi ci appoggeremo a personalità più distinte e con maggior testa, cosa che un cinghiale poco ammaestrato come lui purtroppo non ha. Decidete voi se vivo o morto, avete al vostro servizio un killer professionista come la Mullova che è stata addestrata per anni dall'esercito americano per poi trovarsi anche nella guerriglia di Sarajevo ... di esperienza ne ha da vendere nonostante abbia solo ventitré anni.
-Ecco a riguardo...-Intervenne Lewis, con un tono sempre più spazientito dalla situazione poiché non era d'accordo su molti punti di quella serata.- con Ivanovich si era parlato di Alexander Ludovich, al quale noi da più tempo siamo legati da uno spirito di collaborazione e affidabilità...
- Perché la Mullova non vi va bene forse? Signori... Alexander Ludovich... non credo farà più parte della nostra organizzazione, per motivi che purtroppo non sono tenuto ad esporvi.

Non c'era più altro da aggiungere. Arrivò il momento del valzer accompagnato da un'orchestra sinfonica giunta da San Pietroburgo. Nil si alzò dal tavolo nella sua piena spigliatezza e con la sua immancabile tracotanza si rivolse ad Helèna.
-Balliamo.-Disse, poi le porse quella mano da corteggiatore avverso qual'era e che non potevano fare a meno entrambi di odiare. Lei si alzò; e fiamme, saette, fiotti di sangue sgorgavano in quello sguardo; null'altro attorno se non quell'odio e quella rivalità troppo tangibile al tatto di quella stessa mano, nonché nello sguardo che ora i due infuocavano prima di stringersi stretti l'uno all'altra.
Lewis, acuto osservatore nonché criminologo di elevata fama ultimava il suo pasto e con gli occhi cercava di poter decifrare al meglio ciò che i due giovani si stessero scambiando.
Quei movimenti erano indecifrabili poiché erano strette movenze di due bocche sempre più vicine, quasi una sceneggiatura di un bacio passionale e la situazione proseguì per tutto il valzer.
Estemporaneo il fatto che la moglie di Sidorsky, sino a quel momento muta ed impassibile alla serata, si lasciò scappare un commento:- Non sapevo che le rozze ragazze del Suoth Dakota  potessero ballare.
Sidorsky in un primo momento si voltò come se volesse ammonire la propria sposa, poi sorrise e diventò nuovamente ben disposto. - In questo casa mia cara, stiamo parlando di una donna che non ha né un luogo di appartenenza né limiti di attitudine... potrebbe esportarti un polmone con l'eleganza di un violinista russo e servirmelo in un piatto d'argento con la nochalance di un commis de rang se soltanto venisse ingaggiata a farlo. -
La signora Sidorsky abbassò la testa stringendo tra le mani il tovagliolo.
-Perché ti esprimi così brutalmente?
-Poiché è questo che è chiamata a fare quella donna, non ha altro motivo per esistere.

Poi Lewis che di criminalità non ne capiva certamente poco, sfrontatamente volle esprimersi ancora una volta:
-
Secondo me voi della Maskhadov siete troppo sicuri della fedeltà che quella ragazza può portare alla vostra organizzazione.- E lo disse ancora una volta guardando la ragazza di Singapore che posava la testa sulla spalla di Nil.
-
E se anche così non fosse, se non dovesse mantenere fedeltà alle nostre operazioni non è un problema...- Rispose Sidorsky.
-
Beh se permette lo è come un problema. Offrite lei come uno dei vostri miglior killer, quando poi magari è pronta ad abbandonare tutto svoltato il prossimo angolo.
-Caro Lewis, lei è proprio un ingenuo... se fosse stato possibile abbandonare le operazioni,probabilmente Helèna lo avrebbe già fatto.
-Ecco, probabilmente state facendo solamente fomentare l'odio che nutre nei vostri confronti, non lasciandole alcuna libertà di scelta
.- Posò i gomiti sul tavolo Lewis, congiungendo le mani e posando il capo.
-Lewis, Lewis... per me lei è uno che parla troppo, però lasci che io le risponda a tono senza offendere la sua professionalità e le sue conoscenze in tema di criminologia:
Noi, caro mio professore inglese,non abbiamo costretto nessuno dei nostri soldati a stare dalla nostra parte; contrariamente a quanto succedeva ai tempi della guerra fredda, in cui intere famiglie di giovani soldati venivano sterminate per costringerli ad entrare nell'esercito.
Helèna è stata sfortunata di suo, noi le abbiamo offerto un posto come una famiglia e come in ogni famiglia capitano dei disaccordi.
-A me risulta che sia stato Alexander Ludovich ad offrirle quella che voi chiamate una “famiglia”, anche se poi si tratta solo di trucidare gente e sporcarsi le mani in giro per l'Europa.
-Perché bisogna sempre mettere di mezzo Ludovich? I tempi passano, le piccole mafiette decadono così come i grandi imperi sorgono.
-Creda alle mie parole... tutti i grandi imperi alla fine sono decaduti, riguardo a Ludovich invece noi pensiamo che rimanga ancora l'unico capo che la ragazza seguirà, forse anche sino alla morte. Per questo è meglio dirselo apertamente, se non lo avete ancora fatto fuori sbrigatevi a farlo prima che lui salti fuori a mettervi il bastone tra le ruote.
-Lei ci crede proprio dei dilettanti non è vero?
-No, ma state cercando di nascondere una cosa talmente evidente che...
-Ludovich non è nostro prigioniero se è questo che lei sta insinuando e se anche lo fosse non spetta decidere a noi, dico a noi due, io e lei, se farlo vivere o meno.
-Sarà Ivanovich allora a decidere se la vita o la morte?
-Lei per me parla troppo gliel'ho già detto?

La danza  finì, le signore al centro della sala liberarono la pista; i camerieri affrettarono il passo per far spazio ai tavoli, ci furono secondi di estenuante silenzio per la ragazza di Singapore. Tornò al tavolo ed annunciò la sua ritirata.
-Signori per me è stato un piacere, aspetterò comunque le prossime disposizioni.
Dopo quanto si erano appena detto quelli seduti al tavolo, quelle parole suonarono abbastanza plastificate, dissonanti, costrette.
L'overture Egmont di Beethoven risuonò tra le lussuose e gigantesche colonne.
-Ora devo veramente andare poiché sono stati giorni di duro lavoro per me, forse molto di più di quel che il signor Ivanovich può immaginare, ma portategli pure i miei saluti quando lo vedete.
Sidorsky di destreggiò al suo meglio.
-Potrebbe anche accadere che tu lo veda prima di noi.- 
Sidorsky non mancava mai di quell'ambiguità propensa a tenerla sulle spine sino all'ultimo, ma la ragazza di Singapore era veramente stanca per poter pensare ad un'ulteriore minaccia; non aveva ancora avuto modo di poter pensare a quel che sarebbe stato il suo prossimo lavoro:eliminare Bota.

All'uscita dell'Hotel George vi erano auto posteggiate, bagagli che intralciavano il passaggio e facchini vestiti in rosso che andavano correndo da una parte all'altra; caos, schiamazzi, disordine, tutte cose da cui sarebbe stato opportuno sloggiare nel termine di pochi secondi. Stava per prendere un taxi quando arrivò una vettura bianca che lasciò i pneumatici sull'asfalto.
-Salta su!!! - Le venne impartito con tono autorevole.
-
Pauline??- Non è banale dire che fu estremamente contenta nel rivederla, come se tutta quella situazione pesante si fosse dissolta come i rumori dei clacson lasciati dietro la chiusura della portiera.
-
Linda scusa se sono così brusca ma il tempo stringe!- Aveva già ingranato la quarta della Mercedes mentre stava violando di gran lunga il limite di velocità concesso nel centro abitato.
-
Calma Pauline, perché tanta fretta?-
-Devi andartene da qui, vogliono farti fuori!
-
Lo scorrere dei secondi si fermò, come la ballerina obesa che impersona il mondo fa due o tre volte al giorno prima di vomitare. Le convinzioni che avevi sulla vita crollano e non è un lasso di tempo che puoi quantificare. Il crollo non ha metrica.
-Prima di continuare questa discussione credo sia meglio che tu mi dica tutta la verità:chi sei veramente Pauline?
Non trovò più quel sorriso ingenuo sul volto disteso e tranquillo di un'amabile ragazza, fu come un vuoto momentaneo. Pauline rispose molto seriamente:

-Lavoro per la C.I.A. Helèna Mullova... nata a Mobridge, South Dakota; classe 1988. Addestrata per un anno nell'esercito americano con il quale hai firmato un contratto che legalmente ti lega tutt'ora e che per il quale sei penalmente perseguita tutt'oggi in due processi.
-Se dobbiamo dirla tutta:ho anche qualche bolletta arretrata da pagare.- Rispose Helèna fingendo altezzosità.
Pauline sorrise ed espulse aria sistemandosi nuovamente sul sedile, sembrava più rilassata così da far intravedere quel suo sano sorriso che in parte aveva conquistato il cuore di Helèna.
-Non sono qui per regolare i conti dell'esercito Helèna. Il mio compito è concederti una via di fuga.-
Helèna ancora non riusciva ancora a capire. Non si spiegava come mai quella ragazza così genuina potesse essere un'agente della C.I.A., per di più trattavasi di una francese a tutti gli effetti, lo si capiva benissimo da suo aspetto.
-Come pretendi che io mi fidi di te, quando poi mi hai soltanto mentito sin dall'inizio?- Chiese quasi silenziosamente Helèna.
-Ma non ti ho mentito del tutto, Pauline per iniziare, è il mio vero nome...ed è vero che studio alla Sorboone Nouvelle rapporti politici ed economici. E comunque anche tu hai mentito fotoreporter!- Disse ridendo Pauline, e in quel momento quasi la si poteva riconoscere la biondina dalle fossette amorevoli. Un agente C.I.A. che non poteva proprio nascondere la sua dolcezza. Sorrise anche Helèna, come per impeto o vitale bisogno di fidarsi ancora di qualcuno.
-Dove stiamo andando Pauline?
-Aeroporto...
-Se io lascio Parigi questa sera non potrò più tornare indietro...
-Vogliono che tu uccida Bota, non ti hanno forse detto questo? Ma fermati a riflettere un attimo... perché mai la Maskhadov dovrebbe rinunciare a colui che ha gestito per anni il traffico dei Balcani? Solo un altro uomo avrebbe potuto ricoprire quel ruolo, peccato che non sia dalla loro parte
.
-Invece no, quell'uomo è meglio conosciuto come Nil.
-Un russo? Fammi il piacere... gli slavi sono teste calde, teste calde che non dimenticano mai il passato e la storia, non starebbero mai sotto di un russo.
-Allora che mi dici di Boris Atanasoff?

-Il nome non persiste negli archivi da me studiati.
-Questo perché gli americani sono scarsi.
-Chi è Boris Atanasoff?

-Non sono tenuta a dirti nulla agente... - Helèna ritrovò la sua solita freddezza. Quando si parlava di esporre nomi di alto grado se ne guardava sempre bene, era difficile capire se fosse vero timore e forse codici impartiteli dalla mafie internazionali, raramente si era trovata a parlare con dei poliziotti e di certo non aveva mai rivelato neanche informazioni veritiere sulla sua identità.
-Helèna tu puoi aiutarci a sconfiggere questi terroristi! E devi farlo prima che sia troppo tardi.- Quasi volesse imprecare, la gelida Pauline.
-
Di quale lotta stai parlando? I pochi nemici che c'erano sono già stati o abbattuti o comprati. E anche se fosse esistito un modo per fermare tutto questo, è già troppo tardi. A me fanno ridere questi americani che si fanno credere sempre pronti ad intervenire con la convinzione di poter vincere sempre loro la guerra. Peccato che siano sempre pronti quando vogliono loro e mai prima. Dico mai che l'America possa sradicare il male all'origine, gli interventi vengono sempre dopo, quando entra in gioco l'interesse...
-Cosa stai dicendo Helèna?
-Dov'erano gli americani quando Hitler divenne Cancelliere tedesco? Sono arrivati con ben 12 anni di ritardo, quando la Shoah era ormai parte della storia. Beh ora siamo pronti per un'altra fetta di storia con gli americani che se ne stanno a guardare. C'è una cosa che non hanno ancora ben presente, e sono i risultati devastanti che questa rivoluzione porterà nel loro paese. Morto il capitalismo Europeo crollano i grattacieli di New York, mi pare chiaro il concetto no?-
Pauline annuì. La macchina si fermò.
-C'è chi nell'America ha sempre creduto, l'olocausto avrebbe potuto continuare a colpire nuove generazioni di ebrei... se non fosse stato per l'intervento degli americani ci sarebbero state molte più guerre e dovresti saperlo meglio di me, tu che hai potuto stare sul campo sia “con” che “contro”.
-Per favore... Non esistono benefattori in questo mondo Pauline. Basti pensare in quante guerre l'America ha svolto un ruolo tutt'altro che irrilevante... 1948 Guerra Arabo-Israeliana,1956 Guerra del Canale di Suez, 1964 Guerra del Vietnam,1980 Guerra in Iraq,1983 intervento a Grenada,1990 Prima Guerra del Golfo,...'91 in Jugoslavia,'99 Kosovo, 2001 Afghanistan... 2003 Seconda Guerra del Golf... proprio perché a ventitré anni porto troppe cicatrici sul corpo preferirei che le soluzioni non venissero date dalle bombe sulle città. La guerra è un mezzo con il quale la borghesia ripartisce il mercato quando è ormai saturo. Mi spiace Pauline ma per me ci sono dentro anche gli U.S.A. starei qui a parlarti ore di quanti carichi di armi, giunte nelle mani dei terroristi, partivano dalle industrie degli stati americani; non c'è tempo però.

Tornò quell'imbarazzo da circostanza, poi Pauline provò a ribattere.
-Qualsiasi cosa tu creda Helèna, sai che agiresti nel bene lasciandoti questi mafiosi russi alle spalle...
-Tu mi chiedi di collaborare per aiutare il tuo governo... nel mio discorso volevo solamente dire che,per quanto sia stupido pensarlo, preferisco aiutare una persona che crede in qualcosa, piuttosto che vendermi ad un governo. Non so se ti è chiara la differenza:le guerre non portano soluzioni; le soluzioni le portano i trattati ed i trattati vengono firmati da persone, non da governi ne polizie segrete. La gente può parlarne e discuterne in base ai valori fondamentali di vita,possono tener conto dei deboli, delle varianti da prendere... gli Stati invece... per cosa vuoi che agiscano se non per interesse economico?-
Helèna sorrise mentre scendeva dalla vettura.
-Helèna!-
Esclamò Pauline mentre la ragazza di Singapore le aveva già dato le spalle...
-Ti coprirò le spalle ugualmente, questo te lo prometto...

-Chi sei tu per farlo?-Disse Helèna ormai volta di spalle mentre si allontanava- In fondo... non ci conosciamo neppure...-



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Capitolo 8
*** CAPITOLO VIII- Balaclava ***


Balaclava

CAPITOLO  VIII

"Balaclava"


Viviamo in tempi oscuri e se non fossimo tanto ingannati dalle luci  abbacinanti di queste grandi metropoli  moderne, ci accorgeremmo di quanto è lontana quella idea di accettazione della diversità fra gli uomini.
In nome della cultura o talvolta in nome della pace abbiamo potuto credere che le cose potessero cambiare, che per lo meno gli sforzi dei nostri precedessori  non siano stati  vani.
Il ventunesimo secolo si è presentato con la sua faccia più aberrante, ci ha lasciati smarriti nelle nostre coscienze.  Quindi eccoci qui ad elemosinare risposte che forse abbiamo già, che semplicemente  non sappiamo accettare. Non sto parlando della fine del mondo, né della fine dell'uomo, poiché l'uomo è sempre più ratto che si nutre di piccoli topi. L'uomo è un misero essere che non è in grado di salvaguardare sé stesso dalla propria brama di potere. Ed ecco ora che il suo potere lo divora, il potere è una pianta carnivora che vive  nel suo giardino.   

Nel canale di Otranto, a soli ottanta chilometri da Valona, sorgeva un piccolo porto. Uno scenario lugubre di una mattina di agosto; l'orizzonte pareva essersi cancellato del tutto, si nascondeva  in un tutt'uno dietro  la foschia, scarsa era la visibilità. Due uomini si incamminavano lungo la schiera di barche; il primo era un giovane con indosso una giacca inglese tutta sgualcita e rattoppata, il secondo era un uomo sulla cinquantina, barbuto e più che vestito male era vestito da sera, con dei pantaloni scuri ed una maglietta aderente la quale non lasciava alcun dubbio per quanto fosse chiaro non la cambiasse da giorni. Il tale aveva curato i primi sbarchi albanesi del '92, era solito nel trattare con assassini, evasori, esiliati, latitanti di ogni paese dell'Ex Iugoslavia.  Per loro sfortuna tra la nebbia  passò una volante. I due si consultarono un attimo prima di assumere atteggiamenti poco consoni all'ordine di due civili. La volante si fermò. I due decisero di continuare a camminare facendo finta di niente, entrambi con le mani in tasca, quando dalla volante un finanziere li fermò:-Altolà! Documenti prego! .   
-Questo bastardo...-
Disse quello più vecchio. -Se fa storie giuro che gli sparo in fronte.  
-Calmo Tito, lascia parlare me.-
Disse il giovane.  
Il finanziere si avvicinò. 
-Buongiorno.- Lo salutò il giovane, ma il finanziere non rispose, voleva i documenti e dopo essersi guardati in faccia cacciarono le rispettive carte d'identità con i rispettivi permessi di soggiorno. 
-Ahah bosniaci... e cosa ci fate qui?- Domandò il finanziere.  
-Siamo qui per affari, io e il mio socio stiamo per compare un peschereccio qui in porto...- 
Il finanziere si assicurò che i documenti fossero in ordine,  li chiuse e fece un respiro profondo senza guardarli in faccia. 
-Sapete che devo portarvi con me per un controllo?
-In base a quale procedura mi scusi? I nostri documenti sono in regola.- Rispose Tito assottigliando gli occhi. 
-Abbiamo degli ordini ben precisi in seguito a delle segnalazioni ricevute questa notte.
-Deve esserci un errore... - Disse preoccupato il giovane mentre il finanziere lo strattonava cercando di condurlo via di lì. Intanto un secondo finanziere scendeva dall'auto. Si strattonarono ancora una volta, poi Tito gettò le braccia sul petto del finanziere che tratteneva il giovane e quello cadde con tutto il giovane sopra. Quando il secondo finanziere Gli giunse vicino aveva il manganello ben sollevato e lo caricò di forza sul volto del cinquantenne: andò al suolo con il volto ricoperto di sangue. Il giovane si alzò quasi subito e rifilò un calcio nello stomaco al finanziere che stava ancora a terra, schivò l'arrivo del manganello  e rispose con un gancio destro. Il finanziere recepì il colpo restando in piedi, caricò nuovamente il manganello e questa volta colpì il braccio  del ragazzo che non seppe come pararsi e rimase fermo sorpreso dall'improvviso dolore, l'altro finanziere si alzò di scatto ringhiando e lo aggrappò quasi come in una mossa di rugby. Il giovane venne messo con la faccia contro il pavimento e più volte la fronte gli venne pressata contro il ruvido asfalto quasi a volercelo conficcare lì. 
-Sono terroristi questi bastardi.- Disse uno di loro. -Siede diretti in Albania vero?
A quel punto arrivò un'auto blu sgommando. Scese dall'auto un tizio ed era solo, nessun altro alle sue spalle.  Il tizio tolse di mano il manganello al finanziere sbarrandogli davanti agli occhi un distintivo. 
- Dovete lasciare all'istante questi uomini e sparire dalla mia vista prima che io contatti i vostri superiori...all'istante
Il finanziere privato del manganello provò a districarsi al meglio. 
-Abbiamo fermato questi uomini in quanto abbiamo l'ordine tassativo di fermare ogni slavo che si aggiri a piedi o in auto.  Non spetta a lei ispettore Bianchi, rilasciare queste persone, devono sottoporsi ad un controllo in caserma. 
-Forse non avete capito bene una cosa qui,  siete voi che state dando una mano a noi della  Polizia, non è la polizia che si immischia nei vostri affari, quindi ora fatemi la cortesia di togliervi dal cazzo, perché la Polizia ora è arrivata... mi pare di aver già visto abbastanza qui eh... o vogliamo riferire ai superiori che usate i manganelli contro gente indifesa e disarmata?
-Hanno opposto resistenza ispettore! - Provò a ribattere  il finanziere.
... non mi pare di aver chiesto il tuo punto di vista. Non credo neanche che conti il parere di un finanziere su quello di un ispettore di Polizia o forse mi sbaglio?  Ho detto di andarvene... FORZA CAZZO!!! VIA!!  

Il tizio che si presentava in pantaloncini bianchi e scarpe da tennis, non avrà avuto più di trent'anni ed urlava furiosamente come se fosse stato disposto a tutto qualora non l'avessero ascoltato. Ma era conosciuto e temuto nella zona, così che i due finanzieri si rimasero in macchina e molto lentamente lasciarono la zona.  
-Alexander Ludovich...ti fai chiamare così ora non è vero?
-Già ispettore,mi chiamano proprio così.  E' da molto che non ci si vede io e te vero
- A quanto pare arrivo al momento giusto. - Rispose l'ispettore Bianchi, quando poi ancora prendeva respiro da quelle urla, era fermo e manteneva il busto eretto con le gambe divaricate come se avesse picchiato qualcuno. Era castano, occhi chiari, un uomo di bell'aspetto e dal fisico atletico. Il fatto che girava in pantaloncini e scarpette da tennis di primo mattino non esclude che non sarebbe arrivato a fine giornata con quella freschezza con la quale si presentava al momento.  Era solito nel perdersi nel suo lavoro. Ludovich lo conosceva bene.
-Cosa diavolo ci fai qui Cosma?- Chiese Ludovich.  
-Ho saputo che Ivanovich è stato incastrato in Albania, fatto prigioniero nella prigione di Tirana.  Era prevedibile che incaricassero te per liberarlo. -Continuò l'affascinante ispettore. - Dovevo aspettarmi che non sei ancora in grado di coprirti le spalle come si deve.-Aggiunse.
-Mettila come ti pare, noi gli avremmo pestati a sangue quelli. - Alzò lo sguardo verso la direzione opposta Ludovich, in segno di non curanza nei confronti dell'ispettore.
-Sì certo come no, uno smilzo ed un panzone  alcolista che non sa neanche alzarsi da terra... avreste sicuramente battuto due finanzieri smaniosi  di pestare a sangue due slavi. A proposito... cos'è questa storia che hai la cittadinanza bosniaca ora? 
-Secondo te dovrei andare in giro  ancora con i miei vecchi documenti? Connetti il cervello e fatti più furbo sbirro...   spacciarmi per slavo mi dà più vantaggi nel mio lavoro. 
-Ma guardalo... questo farabutto... hai il coraggio anche di chiamarlo lavoro questo!?
-Non ricominciare Cosma... stavamo andando al bar a prenderci qualcosa, vieni con noi?- Ammiccò per sfottere  ed assunse anche  una certa aria da sfida che infastidiva non poco l'ispettore Bianchi. -Andate... andate pure.... tanto verrà anche il vostro giorno, è solo una questione di tempo.  

Tito affrettava il passo per andarsene verso il locale, quei due non li capiva. Conosceva anche lui, il famoso ispettore Cosimo Bianchi, se non altro per fama, e nutriva un sentimento del tutto contrario alla simpatia nei suoi confronti. Quando Ludovich si allontanò dall'ispettore, Tito gli chiese subito:
-Perché inviti quel poliziotto a bere con noi? Sei forse impazzito?
-Lascia stare Tito, lui non è un vero poliziotto... o meglio... è uno di quei poliziotti falliti che non riuscirà mai a prendermi.- Ludovich affrettò il passo toccandosi la mascella come se fosse stato colpito in faccia da un pugno, ma pugni non ne aveva presi, era solo quell'aria da duro che si impossessava di lui. Era la presa di  coscienza dopo un combattimento
 -No, Tito... lui non mi arresterà mai
- Ma chi ti  pensi di essere tu? Diabolic, Arsenio Lupen? Rischi troppo a parlare con quel tipo. E poi , non vuoi mai dirmi nulla... e allora tenitele per te le cose, non rendermi partecipe...
-Ma no Tito caro, io ho imparato tutto da te, solo che ora non siamo nella posizione di parlarne apertamente su certe cose. 
-Sei in rapporti con la Polizia?Vuoi tradire Bota? - Chiese Tito asciugandosi del sudore dalla fronte mentre i due salivano qualche gradino.  
-Bota, dopo tutto, è un buon capo, non ci ha fatto mancare nulla sino ad oggi...no, non credo potrei mai tradire Bota.- Disse Ludovich chinando il capo, quasi si stesse sentendo in colpa.
-.... ma se non è Bota il problema qual è? La Mahskadov? Non ti piacciono i loro metodi vero? Eh lo so... sono loro allora...
-Tito non pronunciarti così dinanzi a nessuno, sai che ci aspetterebbe una brutta fine ad entrambi dovessero solo sospettare che io non sia d'accordo con i loro piani.
-E cosa hai intenzione di fare?-  Chiese Tito preoccupato. 
-Proprio un bel niente, ho intenzione di svolgere il mio lavoro e basta....- Lo rassicurò il giovane, ma nel suo atteggiamento vi erano troppe cose che non andavano. Era chiaro quel  manifestarsi del dissenso, troppo palese e allo stesso tempo pericoloso.  Alexander Ludovich si sentiva appeso ad un filo sul punto di spezzarsi da troppo, veramente  troppo tempo.

Nel  piccolo locale del porto entrò prima Ludovich, seguito qualche istante dopo da Tito. Seduto ad un tavolo li attendeva  un pescatore anziano, aveva in volto un berretto sbiadito con la visiera rivolta verso il basso, quasi e non voler mostrare il proprio sguardo.
-Alexander Ludovich...- Disse il pescatore.
-Sei tu Giacomo?- Chiese il giovane.
-Non vedo nessun altro qui a parte me, te e il buon Tito.- Parlava molto lentamente, delle volte sistemandosi la dentiera. -Tito.-Disse Ludovich.-Controlla che non vi sia nessuno in cucina e vieni a sederti qui con noi.
-Allora Alexander.... con quanti uomini saremo di ritorno?
-Con te incluso saremo in dieci.
-Il mio peschereccio ne trasporta massimo sei.
-Mi aveva detto Tito che era abbastanza grande come barca.- Rispose con tono autorevole il giovane.
-E' grande ma ha non ha un  motore abbastanza potente sotto,se il carico supera un tot di tonnellate rischio di rompere il motore. Non posso correre certi rischi caro ragazzo...- Affermò il pescatore che intanto mandava giù un bicchiere di brandy, ma il ragazzo non stava a sentirlo troppo:
-Facciamo otto più qualche ferro pesante.


Intanto si sedette anche Tito, l'uomo intervenne anche lui nel discorso:
-Giacomo di cosa ti preoccupi? Se saremo tutti sani e salvi al ritorno avrai così tanto denaro da startene fermo per due o tre anni. Ludovich malgrado l'età sa alla perfezione quello che fa.
-Sarà anche come dici tu Tito, ma otto persone il mio peschereccio non le regge, soprattutto di notte quando il mare è più agitato
.- Provò a tirare la ragione dalla sua il pescatore che diventava preoccupato ad ogni suo sorso di brandy.
-Possiamo anticipare il ritorno di qualche ora e viaggiare con qualche ora di sole in più. Partire alle sette di sera magari.- Disse Ludovich mentre si tolse la giacca sotto la quale aveva una revolver Smith and Wasson. Giacomo se ne accorse subito e iniziò a sudar freddo e a parlare più agitato di prima.
-Parli di anticipare quando poi non sai neanche se ti andrà bene laggiù... non ho mai visto gente partire da casa con delle armi come le vostre e tornare indenni dai conflitti a fuoco.
-Più che altro...-Aggiunse Tito al discorso del pescatore...-Tu non hai mai visto gente partire con delle armi da questo porticciolo del cavolo.Sei un contrabbandiere cagasotto e questo lo abbiamo capito, ma dimmi un po'... diecimila euro non bastano per far contenta la tua mogliettina e le tue belle figliole... fallo per loro no?
-Mia moglie ha gli incubi tutte le notti... nel sonno quasi ogni notte mi vede morire in mare, è quella la sua disperazione. Come potrei farla contenta in una cosa del genere?
Ludovich sbuffò per una serie di secondi, si alzò dal tavolo e cercò di vedere oltre la foschia.... non si vedeva null'altro che qualche barca ondeggiare accanto a qualche boa; il mare non lo si poteva vedere in quel giorno cimiteriale, era questo a preoccupare tutti.
-Fa troppo caldo per poter ragionare...-Esclamò Tito. - Non vedi nessuno lì fuori Alexander?Dovrebbe arrivare a momenti.
In quel preciso momento passarono nelle vicinanze dei fari blu; probabilmente la finanza costiera che non era neanche visibile dalla postazione del bar.
-Nessuno Tito, e spero che Cosma mi tenga buona la sbirraglia almeno per un altro po'. Quanto tempo ci mettono ad arrivare questi tuoi mercenari?
-Ah vero, con Bota eravamo rimasti che ne avrebbe mandati due ma all'ultimo siamo riusciti a trovarne solo uno.
-Chi è questo, lo conosco?
-Non credo, anche se ha già lavorato per Bota, proviene dagli Stati Uniti, un ex soldato dell'esercito... forse è meglio che te lo dica prima che tu...-
La potrà si aprì di colpo; Ludovich posto proprio dietro la bloccò a metà. Continuò a spingere ed  a opporsi con tutto il corpo.
-Ei cazzo, ma è modo di trattare così un cliente assetato??
-Il circolo è chiuso bellezza, apriamo alle nove!- Rispose schietto Ludovich pressandole ancora di più la porta sopra.
-Figlio di puttana fammi passare o giuro che ti becchi una pallottola nel cranio!- Ludovich la lasciò passare e la guardò attentamente. La tizia si guardò un braccio per controllare se avesse riportato dei lividi. 
-Io ti faccio fuori se mi hai lasciato anche solo un cazzo di graffio... -
-Ma come siamo nervosi di primo mattino... Helèna....- La salutò Tito alzandosi dal tavolo.
Helèna digrignava ancora i suoi denti contro Ludovich, lui passò dietro al bancone ed aprì una bottiglia di rum qualsiasi. Ne versò un bicchiere e tracannò prima di parlare.
-Non facciamo scherzi ok? Dimmi che non è come penso Tito.
-Alexander tu sarai anche bravo nel tuo mestiere, ma se permetti Bota ha più esperienza di te nel selezionare la gente..
Helèna aguzzò bene le orecchie.
-Tito lei è una ragazza... tra l'altro più giovane di me, diventiamo seri ok? Dimmi che è uno scherzo, abbiamo ancora molte ore per trovarne uno bravo... 
Intervenne Helèna:
-Aspetta un attimo... non sarai mica tu Alxander Ludovich?-  Chiese Helèna.
-Certo che sono io....- Rispose quasi imbarazzato Ludovich.
-Ti facevo molto più alto e molto più grosso dalle descrizioni che mi sono giunte...
-Esagerano sempre...-
Sorrise il ragazzo staccandosi totalmente dalla seccatura di qualche istante prima. La  ragazza acquisiva sempre di più un volto deluso ed amareggiato. 
-Dico sul serio... ti facevo un omone alto e muscoloso e con un handicap alla mano destra... che devo dire non noto.Nessun uomo alto, nessun handicap da riportare come segno particolare.
Qui Tito si mise a ridere dicendo:
-Io adoro la storia dell'handicap di Ludovich.- E Tito faceva riferimento sicuramente alla stranezza che conservava la storia. 
-Dicono che eri un pianista prima...che hai dovuto smettere in seguito ad una ferita causata da una pistola.- Continuò a battere sul discorso Helèna. 
-Girano molte voci su di me... non so chi le metta in giro...-Guardò male Tito- ma la maggior parte di quelle voci sono fatte per confondere il nemico.
-Quindi eri o non eri un pianista?- Si impuntò Helèna. 
-Questo che importanza ha?- Sborbottò Ludovich tornando nuovamente serio. 
-Ha importanza invece...- Volle spiegare meglio Tito...- Ha importanza per questa ragazza ad esempio, sicuramente anche lei si domanderà se sei la vera macchina di morte che tutti descrivono. 
-Io svolgo bene il mio lavoro attuale...-Disse Ludovich.-Questo è quanto si ha da sapere.
-Ok caro mio, non entreremo più nelle tue faccende personali.- Portò le mani avanti Tito in segno di arrendevolezza, poi parlò nuovamente del lavoro.-Secondo le indicazioni di Bota questa ragazza vale due uomini e noi non possiamo discutere le scelte di Bota caro Alxander, lo sai meglio di me. 
Ludovich mise a posto la bottiglia e si avvicinò nuovamente alla ragazza.  
-Hai mai viaggiato su di un peschereccio? 
-No...- Rispose la ragazza. 
Ludovich strizzò gli occhi disapprovando. 
-Sai qual'è la missione da portare a termine?
-Liberare dalla prigione di Tirana, un'ora di tratto navale da qui e mezz'ora di macchina da Valona,  un certo Ivanovich... un pezzo grosso dell'organizzazione Mahskadov giusto?
-Un pezzo molto grosso della Mahskadov, se dovessimo fallire sarà meglio annegare assieme al peschereccio. Ivanovich è stato catturato in seguito ad un incontro con l'attuale  leader del G99, un movimento di giovani di estrema sinistra; a quanto pare vi è stata un'imboscata da parte della polizia albanese e non sappiamo ancora quanto il G99 possa esserne  complice
-Gran bella fregatura...-disse Helèna un po' scettica.  
-Ci daranno una mano alcuni uomini di Ivanovich scampati alla retata. 
-Ho sentito parlar molto bene degli uomini di Ivanovich.- Disse Helèna.
-Dipende da quale punto di vista... nel nostro lavoro non sbagliano mai, o quasi... sono spietati, molto forti e non guardano in faccia nessuno. Portano a termine ogni missione, per questo sicuramente ne avrai sentito parlar molto bene nel nostro ambito. 
-E allora a quale altro punto di vista dovrei riferirmi Ludovich Alxander?
-Sotto il profilo umano...sono degli uomini di merda, venderebbero la propria madre per poche centina di dollari.  
Poi il discorso dei due venne spezzato da Giacomo che aveva ascoltato tutto non togliendosi la preoccupazione dal suo volto. 
-Quindi ricapitolando... saremo quattro all'andata e se ne aggiungeranno altri quattro al ritorno?
-Precisamente...-
Rispose Tito. 
-Porteremo Ivanovich e tre dei suoi uomini con noi.- Giacomo a quel punto si alzò a uscì dal locale.  

Quando erano le 20.32 di sera, giù al porto non c'era anima viva. Il cielo era pieno di stelle quella sera, i turisti popolavano la zona poco distante che poteva notarsi tramite i fari puntati dall'acqua in direzione del castello. Non c'erano volanti a sorvegliare e quello non era un segnale positivo per il ritorno, Ludovich lo teneva in conto. Contrariamente a quello che la sua età e il suo aspetto trasandato portavano  a pensare era un abile calcolatore di ogni evenienza, c'erano ovvie ragioni se  quel mare calmo incuteva una certa paura. Somebody Else Is Taking My Place di Peggy Lee suonava da un'auto radio.
-
Tito... dacci un taglio con sta musica...- Disse Ludovich.
-
Rilassati Alexander, arriverà a momenti...- Provò a rasserenare il compagno il buon Tito  che scese dalla sua vettura con in bocca uno stuzzicadenti.  Era presente anche la nuova recluta Helèna, che seduta su uno scoglio fissava un punto qualsiasi del mare.   Da lontano si udì qualcosa simile ad un ronzio d'ape, avvicinarsi sempre di più. Dopo un minuto Giacomo arrivò con un vecchio motorino sfracellandosi sull'asfalto.
I tre lo guardarono un bel po' perplessi.  
-
Non è colpa mia, è stata mia moglie a mettersi di mezzo... non voleva che io venissi, mi ha tolto anche l'auto, così ho preso il motorino.- Rialzò il vecchio catorcio con disinvoltura e lo parcheggiò in un angolo; Ludovich si mise le mano tra i capelli disapprovando del tutto.  
Nel giro di pochi minuti la barca fu pronta per partire.
-
E'  un Mitsubishi cinquecento cavalli, sei cilindri, a quattro tempi...- Disse Giacomo con una certa soddisfazione.
-
Pensi che io ne capisca qualcosa di barche Giacomo? Per me deve portarci solo a destinazione...e farci fuggire qualora incontrassimo dei carramba. Ti è chiaro? - Interloquì Ludovich accendendosi una sigaretta.
-
Sono stato su pescherecci con motori molto più veloci... e con cannoni impiantati sopra... mettiti bene in testa una cosa Ludovich, è impossibile che esista sul mercato una barca in grado di sfuggire ai motoscafi della Guardia Costiera o della Finanza. -  Volle dire anche la sua l'esperto Tito.
-
Infatti per prevenire ogni male... ci ho pensato io.- Esclamò Helèna tirando fuori da un sacco a pelo, un bazooka spagnolo.
-
Adesso iniziamo a ragionare.- Sorrise Ludovich e fu un sorriso di piena intesa con quella ragazza che era stata zitta per ore. 
-
Come mitraglia ti va bene una MG.42 Ludovich?- Estrasse la mitragliatrice sempre dal sacco nero che sembra non aver fondo.
-Troppo pesante per me... ei, ma aspetta un po' ragazzina, come hai fatto ad avere tutte queste armi?
- Che vuoi che ti dica, ho derubato degli islamici prima che andassero a sbattere contro una cabina... è stata una vera fortuna guarda, se non fosse stata per quella DeLorean non ce l'avrei fatto a  teletrasportarmi sin qui.-  
propose con sarcasmo Helèna.  

La barca pian piano iniziò a muoversi. C'era qualcosa in quella ragazza che lo convinceva poco, era troppo giovane e non aveva ancora gravi ferite su quel corpo. Un soldato cinese dall'apparenza  così rude ed ostile, nulla c'entrava con quel  suo corpo non  troppo muscoloso. Helèna se avesse voluto avrebbe potuto intraprende la carriera di modella per le sue gambe perfette, per quelle spalle toniche e ben disegnate, il seno sodo e non troppo pronunciato. Non era troppo alta ma neanche una donna da considerarsi bassa per essere un'asiatico-americana. Si mise a scrutare un'altra volta il mare stando con i piedi in equilibrio sulla ferriata che delimitava la prua. Spalancò le braccia stendendo bene le dita con esse, prese un grosso respiro, racchiuse i pugni.





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Capitolo 9
*** CAPITOLO IX- Lettera di HeLéna a Ludovich (Il terrore) ***


Lola di valenza
Nota dell'autore:

Due capitoli in una settimana, non preoccupatevi accade solo perché sono in vacanza, diversamente sarei molto più lento di così!!!

Scrivo questa brevissima nota per esprimere la mia lietezza d'animo nell'aver pubblicato questi ultimi due capitoli. Non perché i primi siano stati buttati giù con svogliatezza, ma come alcuni sapranno che scrivo per puro pathos, spesso non leggo più di una sola volta ciò che scrivo, insomma metto poca cura tecnica nelle storie. Beh in questi capitoli ho dato un po' di più devo dire anche grazie ad alcuni lettori come Ellealamer. Sono sicuro di non conoscere la maggior parte dei lettori di questa storia, poiché se li avessi conosciuti non sarei qui a stupirmi di ciò che ho constatato. Forse non sono ancora riuscito a tirar fuori tutto l'animo e il sentimento che questa storia tiene in serbo (questo per motivi tecnico-evolutivi della trama) ma un primo ringraziamento sento di doverlo fare proprio in questo punto  perché è una gran bella soddisfazione notare che i capitoli ormai vengono letti con una certa costanza di visualizzazioni.
Ora veniamo al nono capitolo. Ho voluto introdurre questo capitolo con una lettera di Helèna a Ludovich, questo perché si possa sempre meglio focalizzare l'attenzione  sui sentimenti di questo meraviglioso personaggio femminile. Come location dell'evento invece ho scelto la Toscana: una Toscana quasi surreale in seguito agli eventi che i russi stanno scatenando ed ho scelto questa regione, ma in particolare un luogo, Bagno Vignoni (Val d'Orcia),perché lì è stato ambientato l'unico film di Tarkovsky in Italia... il film si chiama Nostalghia (con Domiziana Giordano) lo cito per coloro i quali fossero interessati al cinema d'autore. Chiamatelo anche un “piccolo tributo” al mio autore cinematografico preferito. Continuo... Ludovich in seguito a dei disaccordi con i capi della Maskhadov viene imprigionato nel borgo medioevale di Bagno Vignoni, l'unico presentimento/verità di Helèna è che vogliono toglierlo di mezzo e il suo obiettivo è quello di arrivar prima dell'esecuzione.
L'impresa è assai ardua per lo stato precario in cui versa la nostra protagonista. Lei sa che i dolori all'addome (vedi il primo capitolo scena della metro in cui Helèna si sente male) sono una conseguenza di una malattia al fegato.  Fine delle anticipazioni, torno a fare l'asociale.
 Come ultimissima cosa volevo invitare  ancora chi fosse rimasto nell'anonimato a commentare, anche solo con due parole, pensieri da tener presenti nei prossimi capitoli, poiché avrei grande piacere a conoscervi meglio. Grazie a tutti!

Cristiano. 

 
Lettera di Heléna a Ludovich
Capitolo IX
"Il Terrore"




"Caro Ludo, scrivo questa lettera quasi addormentata,assopita dai miei pensieri e malconcia per i miei dolori fisici, davanti allo scorrermi  veloce del paesaggio. Ciò che mi si prospetta dinanzi sono le montagne  dell'Appenino Toscho-Emiliano. Sono in un treno semi deserto il cui rumore è quasi assordante benché vi siano tutti i finestrini chiusi. Nei tratti meno tortuosi non sono riuscita chiudere occhio ugualmente per degli strani lamenti provenire dallo stesso vagone.Fortuna che mi sono fermata qualche ora in un albergo prima di salire su questo treno, giusto il tempo di chiudere gli occhi qualche oretta, farmi una doccia e procurarmi dei nuovi vestiti ed una borsa.  C'è un'atmosfera che mi inquieta sai? Non è per il solo fatto che, come avrai già capito, sto scrivendo mentre vengo da te nell'incertezza che tu sia ancora vivo.  Questa zona non sembra esser abitata, sarà anche l'orario o sarà che provengo dalla gran  confusione  delle  capitali Europee. Non sono abituata a questa pace mortuaria. E' come fare un tuffo in uno strano passato, non certo il mio. Mi sento osservata, è quello potrà anche esser normale, non escludo di aver uomini di Ivanovich alle calcagna o chissà, qualche agente della C.I.A magari.   Non so il motivo ben preciso per il quale ti scrivo o forse ho così tanti vermi in testa che è meglio non pensare al vero motivo per cui ti sto scrivendo.  Ho giurato a me stessa che ci sarei riuscita, avrei  fatto di tutto pur di scoprire il luogo in cui sei prigioniero e a tempo debito ti spiegherò anche come alla fine io ci sia riuscita. Sono tremendamente stanca Ludo e non voglio che tu comprenda i miei atteggiamenti, a me non serve questo, come se volessi in qualche modo giustificare tutti i falsi passi che sto commettendo. No, non ho niente di cui giustificarmi. Questo sento in cuor mio, di star commettendo degli errori agghiaccianti che non posso giustificare. No, non vengo a rivelarti solo ora di non essere quel soldato perfetto ingaggiato dalla Maskhadov, quello lo sapevamo già bene entrambi, ma credo di essermi accorta solo ora di essere persino stupida nel valutare  ciò che mi accade intorno.  Eppure non ho fatto altro che guardarmi attorno, guardarmi per poi uccidere tutto ciò che stridulava al mio cervello. Ho accettato questo lavoro perché lo ammetto, a me uccidere ha sempre dato una certa soddisfazione e continua a darmi una lieve scossa anche  ora mentre avverto la malattia  a due passi dietro me. Quelle tremende fitte allo stomaco che avevo, ora sono incontrollabili, inizio a pensare che non avverto più il frastuono dei calci in bocca, non perché io ci sia allenata ma perché ho ben altri livelli di dolore da sopportare.  Non avrei voluto scrivertelo in questa patetica lettera ma un medico in Germania mi ha detto che potrebbe trattarsi di una malattia al fegato; ben mi sta dico io,avrei dovuto stare molto più attenta,curarla prima e poi di certo non morirò per questo, e non morirei mai prima di aver preso a calci in culo Ivanovich. Non morirò e te lo giuro. Penso a quante ne abbiamo superate insieme, a tutto quello che  prima ancora ha preceduto queste avventure. Penso a quante tu ne abbia passate ancora prima di conoscermi, la tua storia e il fatto che, magari non hai mai voluto confessarmelo perché te ne vergogni, ma eri un pianista con tutta una carriera davanti. Esattamente otto mesi fa sono entrata nella tua vecchia casa.
 E' assurdo ciò che ho provato stando ferma su quella soglia, mi sentivo in assoluto disagio come se ci fosse tutta una vita ancora ferma dentro. Credimi è stato molto piacevole ma nello stesso tempo il disagio mi fece rabbrividire.  Quel pianoforte nel soggiorno era ancora aperto come se qualcuno lo avesse suonato da poco e avevo un brivido lungo la schiena, come se ci fosse ancora qualcuno a fissarmi difronte alla cristalliera ormai impolverata.  Sul caminetto c'erano  foto incorniciate di una famiglia sorridente. Lei era vestita in rosa come una gran lady,giovanissima vi teneva abbracciati entrambi. Una donna di assoluta dolcezza e credo che in parte tu l'abbia ereditata  proprio da lei. I tuoi ricordi erano tutti lì e capì in un istante che non erano fantasmi. Queste entità mi fissavano mentre camminavo lungo il salor, il tappetto originale per il quale vai girando mezzo mondo cercandone autentiche copie.  Avrei voluto conoscere ogni pezzo di quella casa, rimasto così intatto nel tempo, non per i mobili ma per l'atmosfera che ancora si racchiude tra le mura. Sono salita per le scale cercando di farle scricchiolare il meno possibile, senza domandarmi perché tuo nonno le avesse costruite così rumorose in una casa sopravvissuta al secolo diciannovesimo. In ogni caso, non volevo far rumore. Folle a dirlo: non volevo svegliare nessuno da quel sogno, non volevo svegliare neanche me stessa. Ho sempre amato quel gioco, ho sempre amato osservare posti più segreti dell'animo umano. Diedi una sbirciata curiosa alla camera dei tuoi, un po' come fanno le bambine. Un corridoio piccolissimo che mi faceva venire le vertigini ad ogni scricchiolare del parquette, una sensazione di instabilità sotto i miei piedi, ma ero tranquillissima e mi sentivo d'un tratto molto bene con me stessa. . Era pura emotività. La stanza di tuo fratello era la più vuota, come se fosse andato via da molto; fu inconfondibile quella sensazione di vuoto che mi lasciò nell'osservarla; un'infinita tristezza e dispiacere.  Non so perché provai tutte quelle emozioni, erano troppe ed erano troppo intense per una sconosciuta.Sentivo la mancanza di tuo fratello, e sentivo che in quel momento lo stava avvertendo qualcun altro con me. Subito dopo presi un grosso respiro perché non era rimasta che la tua stanza da vedere. Sentivo di essere esattamente una bambina presa da una calma riappacificatrice, non sapevo né nei confronti di chi o cosa, ero completamente ristabilita nei sensi come lo sono ora mentre rivivo quel momento. Arrivai dritta nella tua stanza con enfasi ed una gioia incontenibile e una volta dentro non riuscì bene a capire cosa stesse succedendo.  Era ancora la stanza di un ragazzo poco maturo:tantissimi libri, disegni e spariti sparsi per la scrivania. Chi era stato lì dentro? Il letto era sfatto e l'armadio aperto. Il vestiario erano messo in ordine all'interno, ma ugualmente non capivo. C'era un grande comò e ci pensai un po' prima di farlo. Volli aprirlo lo stesso e uno per uno girai tutti i cassetti per trovare alla fine ciò che volevo: trovai due foto. La prima ti ritraeva seduto al pianoforte mentre tua madre ti accarezzava il capo. Nella seconda eri ad un concorso,tutto sudato leggevi e suonavi uno spartito... c'era una tenda alle tue spalle, la si intravedeva nell'ombra e nella stessa oscurità c'era ancora una donna che non smetteva di vegliare su te. Allora  ho capito che avrei guardato quella foto solo per un'altra manciata di secondi. Presi ciò che dovevo prendere e me ne andai da quel posto incantato.  I tuoi ricordi Ludo, una costante che cerchi di reprimere nel tuo solito modo insano di tenerti  dentro tutto con  frenetica gelosia. La sofferenza che maledettamente ti trascini dietro.  Prima o poi dovrai capire che il passato sia nel bene che nel male fa parte di noi e che non va represso ma accettato se si vuol vivere il presente.
 Ora ti avrei tra le mie braccia e avrei da dirti tante di quelle cose per le quali sarei stata ben contenta di sentirmi una ragazzina idiota alla sua prima cotta.
Io non ti amo Alxander, ciò che provo per te è solo pura follia,per questo credo che sto venendo senza pensarci, senza gloria e senza onorevole causa, senza armi né uomini alle mie spalle, senza probabilmente quella coscienziosità in grado di salvarci la vita. Sì, questa lettera probabilmente mi aiuta a pensare, a riflettere un attimo su cosa siamo diventati io e te nel giro di pochi anni. Come se questa assurda storia non contasse forse? Come se questa guerra fosse solo uno scenario melodrammatico per due giovani esistenze? Invece vorrei che contasse, vorrei oppormi con tutta la mia forza, quella che a me rimanere ancora, e dire che se per loro questa è una guerra giusta la mia è una crociata e morirei pur di vincerla. La verità è che non hanno idea di quanto questo cane possa mordere ancora, di quanto poco si ha da perdere in situazioni come questa. Certo che ho paura, la paura ci rende umani, senza di quella forse non invecchieremmo nemmeno.  Pesa grossomodo quanto le croci che ci portiamo dietro, quanto gli affetti dei nostri cari che sono venuti a mancare per un motivo o per un altro, pesa quanto le vite che avremmo voluto avere e che non siamo riusciti a vivere.
La paura che mi affligge non è quella di morire caro mio, perché in me freme la voglia di ucciderli tutti uno per uno,e di questo ne sono certa, vincerò io. E' sul nostro futuro che non mi giocherei la casa che non ho. Vedo solo ombre e ancora tanto sangue da versare, continuo a sfregarmi forte ad ogni lavaggio ma non va via quel terribile odore.
E' troppo facile pensare che una volta finita l'ecatombe si possa tranquillamente vivere ciò che rimane della nostra giovinezza. Immagini Ludo?
Io che mi ripresento all'esercito americano con le valigie in mano dicendo "Bene signori eccomi qui, sono tornata! Vi sono mancata? Non lo avevate capito?... il mio... ERA SOLO  UNO SCHERZO!"



Helèna scese dal treno alle 6.49 del mattino. Non c'era nessuno nella piccola stazione toscana. Faceva molto freddo e sembrava volesse venir giù la neve.  Notò che le case erano un po' distanti, provò a contare quanti pali della luce potevano separarla dal paese.  Provò a cercare lì per lì un macchinista per chiedere informazioni, ma di un macchinista  non c'era neanche l'ombra. Scese per il sottopassaggio frettolosamente reggendo una borsa a tracolla.  Quel marmo grigiastro e ombroso le procurava sempre una certa ansia, ma quella volta si giro e rigirò più volte su se stessa, percosse anche la strada come un gambero per assicurarsi che nessuno la seguisse. -Pensa Helèna cosa può accaderti ormai? Nella peggior ipotesi potresti esser risucchiata da un buco nero, e ti andrebbe di culo cara.. oh certo, ti andrebbe di culo cara.- Ripeteva a se stessa mentre proseguiva il cammino. Effettivamente c'era solo lei proveniente dal quarto binario con una stranissima impressione di esser stata la sola nel vagone per tutto il viaggio.  
Mentre salì gli ultimi gradini del sottopasso si accese una sigaretta e ci tengo a sottolineare che Helèna non era solita a fumare. Stava male, era visibilmente deperita e non aveva assolutamente un buon colore.  Con se aveva ancora il proiettile di piccolo calibro e  il pupazzento trovati nel cruscotto della sua auto a Parigi.  
-Chi mai può esser così folle da mettermi nell'auto un pupazzento così orribile... che sia un segnale? Un avvertimento, una minaccia. E' orribile, sembra quasi un pupazzo... Vudù. Ma certo, come ho fatto a non accorgermene prima?- Helèna si fermò, tirò fuori dalla borse l'affare e lo guardò bene.  -O è un malocchio o è un avvertimento. E il proiettile? E' una chiara minaccia... o no forse no, sono paranoica e magari è la febbre che mi porta a pensare certe idiozie. Chi mai può essere?-
 Quando si dirisse per entrare nella struttura della stazione, verso la biglietteria notò che non c'era nessuno anche lì. La stazione era tetra e le luci dell'interno sembravano non esser funzionanti. Non uscì, non si fece molte domande, mise una mano sotto il giubbino di jeans e caricò la pistola. Sentì un rumore.Se la vista poteva ormai ingannarla, l'udito era ancora affidabilissimo e non sbagliava mai. Estrasse la pistola e la puntò dritta con il supporto della seconda mano. Camminò dritta portandosi un piede dietro all'altro e mirò ad un angolo preciso.  Helèna non tremava, se c'era una cosa che le sarebbe uscita bene in quel momento era sparare all'impazzata sino a colorare di rosso quei muri grigi che sapevano di topo.  Ancora un altro passo e la pressione cardiovascolare sarebbe aumentata così tanto da farle perdere i sensi, quando poi si accorse che era solo una ragazzina  di quattordici anni appena.  Rimise dentro l'arma quasi mortificata e le si avvicinò.
-Oddio piccola, mi hai fatto prendere un grosso spavento...
La ragazzina non rispose, era in piedi con le spalle contro al muro. - Perché non rispondi?- Domandò Helèna.  Quella   si accovacciò per terra ed emanò un mugugno.  
-Ho sete... - Disse la ragazzina.  Helèna cacciò una bottiglietta d'acqua e ne fece bere. La ragazzina rimaneva nell'ombra e questo teneva Helèna sulle spine. 
-Grazie.- Rispose. La voce le usciva a stento.
-Come ti chiami?- Chiese Helèna.
- Che importanza ha il mio nome?-Disse la ragazza penetrata leggermente da un filo di luce, quel tanto da far notare segni di violenza sul suo volto. Continuò con palese sforzo. -Non sei mica un poliziotto tu, anche se vai in giro con una pistola.
-Tu come fai a sapere che non sono un poliziotto?- Chiese Helèna portandosi la mano alla cintura dei pantaloni, e non era un normale gesto, no signore, fosse stata tranquilla se ne sarebbe andata da quel posto.
-Mi hanno chiesto di te... -Parlava la ragazza aumentando la sua fatica...- Credevano tu fossi già qui, da qualche parte. Fanno  domande alle quali io non so rispondere.- Fece un grosso respiro, poi si portò la bottiglietta nuovamente per bagnarsi le labbra, ma la mano le tremò così tanto da far cadere l'acqua per terra. Strillò come un diavolo tanto che costrinse Helèna a portarsi le mani sulle orecchie.
-Sono stata picchiata come una bestia, calpestata come una bestia, presa a calci e derisa. Credo di non sentire più... non sento più le ossa... Helèna!  
Un velo d'aria molto familiare passava di lì, era il velo di morte che la perseguiva da Berlino a Parigi, inconfondibile quel suono nel silenzio, un leggero soffio in grado di penetrarle l'anima.  Strana bestia la morte, silenziosa e letale, non ringhia mai quando ha fame.
La domanda di Helèna fu breve e concisa:
-Loro sono qui?
Risposta:
-Dietro di te.  
-...Merda...
, Al soffio di una bestia, un'altra bestia arrivò in piena corsa...sbraitava, ringhiava e berciava come chi non ha regole da seguire. La prima bestia trattavasi della morte, la seconda  era un meticcio per metà cinese per l'altra metà America.  Si girò con un calcio volante ai danni di un uomo russo alto il doppio di lei, lui andò al tappeto. C'era poi un secondo non da meno nella statura che impugnò la pistola ma, non fece in tempo a premere il grilletto che la Colt Commander della ragazza di Singapore gli fece saltare in aria le membra celebrali con due colpi consecutivi.  Quello andato al tappetto sparò un colpo di pistola a vuoto non riuscendola a colpire, ricevette un proiettile alla gambe ed uno alla mano con la quale protendeva la pistola. Il tizio diede di matto, ma non urlò, sapeva che nessuno lo avrebbe soccorso e  nulla poteva contro la bestia che aveva dinanzi.  
-Se pensi che io per te stia riserbando la fine del tuo amico... e mi riferisco al proiettile in testa così tanto gentile da regalare una morta istantanea, beh... diciamo che sei completamente fuori rotta.  Se ti stai domandando se amo torturare gli uomini alti due metri e dal fisico da Mister Olimpia, la risposta è: adoro la tortura in generale ma se sono maschi della tua razza ci provo un particolare senso di goduria che talvolta mi conduce all'orgasmo. Ora domandati infine come puoi evitare le mie pene e magari ottenere anche salva la vita.  Ci stai pensando? Te lo dico io: dimmi in quale casolare tengono nascosto Ludovich Alxander e quanti uomini sono.
-Sei proprio una pazza e sparare di convincermi. Preferisco morire piuttosto che aiutare te.
- Ti sembra che io abbia molta pazienza?- Helèna iniziò a guardare nel piccolo trattino della sua pistola, o per meglio dire stava prendendo la mira, poi mise il colpo in canna.
-Non ti dirò niente perché sei solo un squallida sgualdrina. 

-Ei ragazzina... - Disse Helèna. -Vieni qui ,questo signore ha bisogno di te.
Quella si avvicinò, uscì alla luce rivelando  un volto sfregiato da ferite aperte che grondavano ancora sangue, aveva lividi lungo tutte le gambe, nettamente visibili per gli strappi sulle sue calze doppie in lana. Camminava penzolante da una parte all'altra come una zombie, le si vedevano ancora le mutande sotto una gonna squarciata. Era così sfregiata che il suo aspetto non si poteva ben delineare a parte i corti capelli castani che le incorniciavano il volto zeppo di sangue.
-Ti offro la possibilità di restituire il trattamento... cosa ne pensi?  
-Che diamine stai facendo?- Chiese quello a terra, esamine dalle pallottole che aveva in corpo.
-Offro un futuro a questa signorina. - Nello stesso istante afferrò con rude intenzione la sua mano la costrinse a reggere la pistola.  La ragazzina a stento sapeva sopportare quel peso con due mani, ma gliela puntò subito contro al russo.  -Non ci mettere troppo tempo ragazzina... ho una carneficina da compiere oggi.  
Lei scoppio a piangere, disse ripetutamente:-No non ce la faccio, questo per me è troppo... fammi tornare a casa.
- Ok disse Helèna.... puoi tornare a casa se prima mi dici perché eri qui.
-Sono fuggita da casa...-Rispose lei singhiozzando e con il capo chino dalla vergogna.
... che stupida.- La rimproverò Helèna, ma era un rimprovero quasi frivolo, anche se aveva uno strano interesse ed un'insolita commozione che non amava dimostrare. - Proprio un bel guaio.- Aggiunse la ragazza di Singapore. - Qual'è il tuo nome? E guarda che se menti a me, fai la fine del russo.
-Mi chiamo Ottavia.
-Torna a casa Ottavia, e sì felice per non aver sparato a quest'uomo. - Quella porse la pistola e non la guardò neppure in faccia, corse irrefrenabilmente sino all'uscita. Solo una volta uscita si fermò a guardarla da lontano. Ci pensò due volte prima di aprir bocca poi urlò sino all'inverosimile.
-Prendi l'autobus a due isolati da qui,BAGNO VI-GNO-NI è la quarta fermata... sono solo dieci uomini, ma stai attenta. Lola Di Valenza è qui! 
 Udì delle sirene in lontananza e iniziò a correre.
-Ma chi diavolo era quella?- Si chiese Helèna grattandosi la testa con la sua Colt Commander.  Guardando nuovamente verso il pavimento si accorse che il russo era scappato.  
Imprecò volgarmente, quasi voleva prendersi a schiaffi.  
-Ci sono troppe cose che non tornano in questa fottutissima storia... e poi guardati Helèna, hai iniziato a parlare da sola, sei in chiara difficoltà soldato... stai perdendo colpi. - Questa volta scandì bene la sua voce, stava parlando da sola.

La fermata dell'autobus era un po' distante ma a lei non dispiacque camminare un po', aveva bisogno di riordinare le idee. Come se non bastasse  si sentiva in colpa nei confronti di Ottavia, quell'estranea picchiata per estrapolarle informazioni. C'erano dei chiari sospetti sulla faccenda, ma non voleva pensarci troppo, in cuor suo teneva solamente ad una cosa: riportare con se il suo amato Ludovich. Arrivò alla fermata più vicina, quella suggeritale da Ottavia, non c'era nessuno e non si fermò nessun autobus. Aspettò mezz'ora, dopo si ferì ad una mano dando un pugno contro il palo che segnalava la fermata. Decise di camminare ancora, non poteva starsene ferma lì a rimuginare pensieri e rivoltarsi lo stomaco. "Agire". Bisognava agire nonostante fosse stanca morta.  Quelle strade erano disperse nel verde ghiacciato dalla brina. Sembravano non condurre da nessuna parte. Ad un tratto le si presentarono delle indicazioni stradali, una delle quali riportava "San Quirico d'Orcia"  a soli quattro chilometri mentre un'altra segnaletica era stata ridotta a brandelli e data a fuoco.  Era quella con su scritto "Bagno Vignoni".  -Ah bene...- Sborbottò. - Ora chissà quanto cazzo dista da qui... ci impiegherò un'intera giornata diamine. Che giornata... che cazzo di giornata. -
Si curvò in avanti e proseguì accelerando il passo.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO X-L'IMPOTENZA DI HELÉNA MULLOVA ***


CAPITOLO X l IMPOTENZA DI HELENA MULLOVA

CAPITOLO  X

"L'Impotenza di Heléna Mullova"

Quando Helèna  giunse a Bagno Vignoni, numerose volanti della polizia  erano sul posto.  Arrivarono auto-blu, agenti in borghese, il Vicequestore e due ispettori dei due distretti più vicini. C'erano stati  degli scontri a fuoco,  c'erano stati dei morti, ma ancora nessuno spiegava le dinamiche. Un'auto sportiva arrivò con una sirena lampeggiante. 

-Scusatemi colleghi,  ho fatto più in fretta che potevo. - Scese dall'auto l'ispettore Bianchi.

A riceverlo fu il Vicequestore Rodrini.
-Ispettore Bianchi, avrei fatto a meno di farle fare dieci ore di viaggio, ma a quanto pare lei è molto informato su questi episodi tra russi e slavi.  Vorrà, magari, aggiornare anche noi su quanto sta succedendo?
-Vicequestore, io non sono tenuto a dare certe informazioni, poiché niente di ciò che so proviene da fonti sicure e  non è stata aperta alcuna indagine sulle sparatorie che sin'ora sono finite sui giornali locali. Io, come lei, mi pongo diverse domande su cosa sta realmente accadendo. Per esempio, come può questa gente entrare in Europa senza accurati controlli? Si tratta di criminalità organizzata non di semplici furfantelli. Questa è gente armata sino al collo;gente armata, organizzata e chissà con quali obiettivi, che passa inosservata alle nostre frontiere e va scorrazzando da regione in regione causando morti e feriti. I media nazionali non ne parlano e non me ne meraviglio, ma lo Stato Italiano? Lo Stato Italiano sa che  un nuovo meccanismo di terrore si è appena instaurato anche nel nostro paese, dopo Germania, Francia e Inghilterra; dov'è lo Stato Italiano in questi momenti?Siamo qui io e lei a parlarne, vuole estrapolarmi semplici informazioni personali, io posso dargliele, ma vede, siamo io e lei, non c'è nessuno Stato a sostenerci in questa battaglia.
-Bianchi, Bianchi, ci vada piano con certe affermazioni; lei è un ispettore di polizia non è un notiziario delle tredici, deve avere piena certezza della verità, non può limitarsi a fare delle supposizioni. Basate su cosa poi? Lei è qui per dirmi cosa sa e chi conosce, mi risparmi pure le sue opinioni in merito.

Il Vicequestore volle prendere subito le distanze da quello che era l'atteggiamento dell'ispettore sebbene lui stesso aveva una buona considerazione su quello che era stato il suo operato nel Tavoliere.
-Lei Bianchi avrà anche molta esperienza ma non è di certo in grado di svolgere da solo le indagini su questo caso. Non è vero che lo Stato non è presente;  per ora è il prefetto di Roma che se ne occupa, Prefetto per il quale io sto lavorando da qualche mese come immagino che lei saprà già. Le posso garantire che sono stati aperti numerosi fascicoli su questa storia, stiamo facendo il possibile Bianchi, di questo deve esserne certo e deve collaborare anziché  metterci il bastone tra le ruote.
-Il Prefetto di Roma ha detto..?

Helèna Mullova
approfittò della confusione generale per superare i due poliziotti che erano di guardia all'entrata della fortezza di Bagno Vignoni.  
Salì delle scale e superò lunghissimi corridoi, sino a giungere in un'enorme sala da ricevimento.  Una volta dentro  le porte si chiusero alle sue spalle.  Una parte della stanza era oscurata e nel penombra c'era qualcuno che le dava le spalle guardando fuori dalla finestra, qualcuno intento a non spezzare quel silenzio inquietante. Un enorme giaccone nero portato su due spalle possenti sulle quali versavano lunghe ciocche di capelli neri.
-Chi sei?- Chiese Heléna Mullova.
-Questo dovrei chiedertelo io... - Disse la voce nel buio. -Peccato che io conosca già la risposta e che io sappia tutto sul tuo conto.
-Non serve che tu mi dica chi sono io, perché so già tutto sul mio conto, dimmi piuttosto chi sei tu e se hai il coraggio di voltarti...-E qui quella Iena assetata e bastarda che ormai bolliva in un sangue infetto le suggerì di azionare il caricatore. Il rumore sacro della Colt Commander echeggiò tra la mura in un suono estasiante per Heléna Mullova.  In quegli attimi, in assenza di ogni Dio, sentiva di avere in mano uno strano potere, e voleva abusarne a tutti i costi.
-Mi hai sentito?- Ripetette Helèna. - Voltati così che io possa vedere la tua faccia.
- Perché tanta fretta? La persona che cerchi non è più qui, credevo che te lo avessero detto i poliziotti. Ah no vero, tu non ci parli con i poliziotti, se ti prendessero farebbero di te un bocconcino prelibato.
-Ho ucciso molti dei loro capi, non mi sarei fatta scrupoli anche quest'oggi a fare piazza pulita. Allora dov'è Alexander Ludovich?
- C'è stato uno scontro a fuoco con i russi che lo tenevano prigioniero, lui n'è uscito indenne.
.-Ed ora?
-Ora cosa vuoi che ne sappia, potrebbe essere ovunque. É scappato via in auto ed era solo. Per quanto ne so io Ivanovich potrebbe avergli teso un'imboscata non lontano da qui e probabilmente questa volta gli avranno trafitto il cervello senza alcun cerimoniale.
-E tu chi saresti quindi?
- Io sono chi Gli ha salvato la vita.
- E per quale motivo l'avresti fatto?  
-Non devo dare spiegazioni di certo a te delle mie azioni.
-Te lo ripeterò per l'ultima volta allora, dopodiché ti rimando al mittente, all'inferno da dove sei venuto, chiunque tu sia. 


Quelle due spalle enormi si voltarono verso Helèna e con soli due passi  andarono verso la luce, un'apparizione ultraterrana  sembrava essersi compiuta. Le si presentò un volto di una madonna bruna.  Una donna sulla trentina d'età, bellissima; di una bellezza così possente che ogni uomo le si sarebbe inchinato al cospetto, ogni uomo avrebbe temuto la sua parola, la sua mano, il suo giudizio e la sua volontà.
Disse:
- Il mio nome è Anna Formisano, Prefetto di Roma in carica da qualche mese.
Le si avvicinò e le strinse la mano. Heléna rimase immobile, del tutto impassibile a quella forza maggiore, aveva oscurato quei timidi raggi di sole che penetravano la stanza, aveva avvolto con la sua Aura quel cuore gelido della ragazza di Singapore, in altre parole l'aveva resa impotente.  Heléna avvertiva che doveva mollarle quella mano o avrebbe avvertito sciagure e sensazioni di catastrofi immense, le città sarebbero crollate assieme a loro i loro grattacieli. Il suo cuore pulsava ma pulsava male, era lì per baciare quella mano, ma  tentò disperatamente di tornare in sé.   
-Non mi hai ancora detto perché hai aiutato il mio amico...- Disse Heléna con voce fioca e balbuziente.  
-Nobile è il suo cuore, nobile è il suo intento. Mi spiace molto che si sia trovato nel bel mezzo di una lotta civile internazionale, lui che nella vita avrebbe dovuto fare ben altre cose. Ho pensato che fosse giusto salvargli la vita poiché questo era in mio potere. Non avrei mai rischiato la mia vita se è questo che potresti pensare.
-No, ma hai comunque infranto la legge lasciandolo scappare.
-Legge?  La Legge è solo uno strumento di forza e violenza, forse anche meno potente della tua semiautomatica. Sopra di essa c'è il volere di alcuni uomini, quelli che decidono le sorti dell'umanità. L'unica cosa che potrei infrangere è, sammai, il mio Volere. 

Heléna pensò che di gente così arrogante e presuntuosa in vita sua non ne aveva mai incontrata, ma era colta dall'incertezza, dall'incredulità. Aveva scoperto una nuova paura e tornò a stringere ancora quel grilletto della Commander , quasi presa dalla rabbia di non poter fuggire da quella situazione. E quella enorme statua di carne, così perfetta, così dionisiaca nella sua estetica, si lasciava puntare la pistola contro con una totale tranquillità che pareva non respirasse neanche. No, Heléna non aveva conosciuto nessuno in grado di schivare i proiettili, non aveva neanche conosciuto chi non tremasse alla sola vista della sua pistola.
Le vennero a mancare le sue convinzioni più forti e non sapeva veramente cosa fare.  
-Io...-Disse Heléna. -Io devo andarmene da qui.  
-Cos'hai che non va soldato?
-Ho una irrefrenabile voglia di ucciderti  e non so bene il perché.  
-Lo so io il perché: hai quel dono, e credi che possa spiegarsi tutto così. Credi che uccidendo uscirai dalla morsa nella quale vivi.  Ma se fosse tutto risolvibile in questo mondo banale, se bastasse solo combattere e uccidere, allora sarebbero più umane le macchine di noi. Ama il tuo nemico se vuoi davvero andare avanti, è solo l'amore per il tuo nemico a nobilitare la tua battaglia.

Heléna si illuminò di colpo, rinfonderò l'arma. Pensò che tanto   in quei minuti aveva tenuto in pugno un'arma pur essendo sistematicamente  incapace di sparare. Disse:

-Ora ho capito tutto! Sei solamente una sbirra a cui piace parlare tanto.- Fu così che Helèna voltò le spalle a quel sole oscuro.
-Ed ora dove andrai?- Chiese il Prefetto.
-Dimmelo tu dove sto andando... dovresti saper indovinare, tu che ti credi tanto una cazzo di divinità. - Rispose Heléna Mullova.  Continuò a camminare  senza mai voltarsi; alzò il dito medio come suo miglior saluto.


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Capitolo 11
*** CAPITOLO XI- Dio della Morte ***


Dio della Morte
CAPITOLO XI
"Dio della Morte"





E quando questo cielo a sera sarà arrossito

avrà il volto di un bimbo al suo primo delitto
ed io e te saremo già distanti.
Quando la fitta nebbia  avrà addormentato il mio respiro tra gli oleandri
 non avrò altro in testa se non la nostra desolazione.
Anestetizza le tue ferite compagno e sfodera per l'ultima volta le armi.
Il nostro destino avvolto in un fazzoletto imbrattato dal mollusco fenicio
é il sangue ciò che verso.
Ne bevo alla tua salute
godi compagno
poiché la morte sarà il nostro tanto atteso riposo.  





Heléna uscì dalla fortezza imprecando il cielo e scalciando sassi per terra. Uno di quei sassi colpì leggermente la gamba dell'ispettore Bianchi che fu uno dei pochi poliziotti a rimanere sul posto.
L'ispettore sorrise vedendo la ragazza di Singapore molto più irata di quanto lui se la potesse immaginare. Più volte lui aveva provato ad immaginare quel diavolo che Ludovich si portava appresso.
-Tu devi essere Heléna vero?- Si avvicinò l'ispottore Bianchi.
-Questa mia  fama inizia a starmi veramente antipatica.- Rispose Heléna. Portò lievemente la mano dietro la cintura.  Uno dei quattro agenti di polizia rimasti scattò in avanti di colpo ma non sfoderò la pistola, coraggiosamente alzò un manganello data la vicinanza. 
-É armata! É armata!- Gridò l'uomo in divisa così che altri due agenti cacciarono le pistole e le puntarono contro la ragazza.  
Il manganello le sfiorò il viso ad una velocità tale da non rendersene conto, Heléna si era già lanciata all'indietro con un'agilità e leggerezza che sembrava potesse volare. Uno slancio prolungato. Ebbene ebbe il tempo di sfilare da dietro la cintura dei pantaloni la sua semiautomatica e ,nello stesso momento in cui si era slanciata verso dietro, puntò l'arma alla testa dell'agente. Il tale spalancò gli occhi un attimo prima che la sua testa schizzasse come un cocomero ripieno di pomodoro e pezzi di cervello.
Gli altri tre non ci pensarono due volte e spararono subito dopo aver visto la morte del collega, attimo a cui seguì la caduta di  Heléna, il suo impatto al suolo alzò un nuvolone di polvere neanche fosse caduta una signorona obesa dal peso di due quintali.
-Che tonfo.- Disse Bianchi quasi divertito dalla scena terrificante.  
-Ispettore si allontani da lì!- Urlò qualcuno da dietro una volante, ma Cosimo Bianchi non ne voleva proprio sapere. Era esterrefatto dalle capacità di quella giovane donna che lottava visibilmente acciaccata da un  qualche malore allo stomaco.  Diversi spari partirono dalle pistole della polizia. Attesero in momenti di spossante  paura. Quando le nubi di polvere lasciarono visibilità a qualcuno ciò che si vide fu un braccio prodigato verso la pancia scoperta. Un volto indemoniato che accennava ad un sadico sorriso, il corpo di Heléna Mullova era così posseduto da una rabbia ferina.
Nessuno riuscì a vedere bene come ma, con uno slancio di una belva, si portò  in avanti, raggiunse ad altezza della sua testa la gola dell'agente  più tosto di tutti. Heléna Mullova aveva solo portato la mano verso il suo stivaletto, nascondeva una lama assai tagliente, la prese e schizzò del sangue a fiotti.  Al poliziotto vicino gli si bloccarono le gambe, non aveva potuto capire come poiché la velocità parve  fantascientifica.
- Quella ragazza non è umana.- Disse ancora una volta Bianchi
La paura avvolse tutti in uno strato di stoffa nera. Qualcuno urlava dalla disperazione, forse la paura, forse lo sgomento  per la morte dei colleghi. Mentre quelli si dannavano cadeva come un sasso il terzo: un colpo dritto al petto di una facilità quasi imbarazzante per Heléna Mullova.   Atterrò nuovamente al suolo  ma questa volta fece immediatamente leva sulle sue braccia che come molle le permisero di catapultarsi ancora  avanti atterrando proprio sulla volante dietro la quale si proteggevano alcuni.
-Fermi!!!- Ordinò l'ispettore. -E a te Heléna  prego di cessare questa tua  barbaria
Un lieve soffio di vento le fece il solletico ad uno orecchio, che le avesse detto qualcosa? Suggerita la mossa da fare per uscire da quella situazione? Heléna sapeva di aver il coltello  dalla parte del manico e non ne sarebbe uscita prima di averli ammazzati tutti.  Schizzò un'altra testa mentre quel corpo di donna era impassibile come roccia, inscalfibile macchina di morte.
-Ma che fai, non mi senti? Ti ho detto di cessare, i miei uomini si sono arresi, smettila ragazza! Dacci un taglio!-
Intanto gli altri due agenti rimasti avevano urlato ed erano del tutto vittime del panico ma uno dei due ebbe ugualmente la vocazione di puntare l'arma tremante e sparare colpi a raffica.
Heléna lo prese per i capelli come si fa con una scopa o qualsiasi altro oggetto di poco conto. Premette forte la bocca della pistola contro la sua fronte ma qualcosa arrivò a pesare molto più di lei. Le si scaraventò sopra con la forza di dieci uomini, la ferì ad una spalla.
- Stronza!- Le urlò contro l'ispettore quando i due furono entrambi con le facce a terra.  L'ispettore le prese la Colt Commander e se la mise sotto il suo giaccone bianco.  
-Ei sbirro, cosa credi di fare disarmandomi? Posso dartele anche con una mano sola se voglio. - Disse il demone, ma era placato da un'ira che in parte aveva sfamato.  
-Adesso io e te parliamo. Ce ne andiamo di qui eh? Che ne pensi? Io posso aiutarti Heléna.
-Voi uomini di Stato siete proprio tonti, ma tu lo sembri di più,, come mai?- Chiese ironicamente Heléna ma capì subito dopo che l'ispettore non aveva proprio voglia di scherzare.
-É per questo che il tuo Ludovich si affida sempre a me nei momenti più difficili?
-Cosa stai dicendo?
-Dico che potrei aiutarti a raggiungerlo.
-Tu sai dove si trova?
-No, ma ho più di un'idea su dove possa essersi recato. E considera anche che ha alle calcagna batterie della Maskhadov, come pensi di poterli affrontare da sola? Sarai anche forte e agile per poter battere dei poliziotti, giovani che non hanno mai sparato a nessuno, ma come la mettiamo con dei pazzi criminali che hanno il doppio della tua esperienza su come uccidere?
Allora Heléna diede la mano all'ispettore per aiutarlo a rialzarsi.  Cercava, ma senza riuscirvi, di capire dove volesse arrivare il poliziotto.  
-Dove credi  stia andando lui in questo momento?- Domandò la ragazza per mettere alla prova l'attendibilità di Bianchi.
-Bramos Isla Tito... ti dice niente questo nome?
-Cosa sai tu di Tito?
-É l'uomo di cui Ludovich più si fida. Ha istruito lui Ludovich alla battaglia, so che in questi anni se non da padre Gli avrà fatto da fratello maggiore.  
-Non sbagli sbirro ma tu come fai a sapere questo?
-Conosco Ludovich  da molto più tempo di te, lo conosco così bene che pur standogli alla larga prevedo spesso le sue mosse, i suoi spostamenti, persino i suoi pensieri.
Heléna si insospettì.
-Sei un cazzo di mago indovino...- Disse lei con struggente ironia.
-No, sono suo fratello.- Rispose l'ispettore.











































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Capitolo 12
*** CAPITOLO XII- Del Pallido Criminale ***


Dio della Morte
CAPITOLO XII
"Del Pallido Criminale"

Ludovich era riuscito a fuggire da Bagno Vignoni rubando una macchina dei russi che dopo bruciò in un bosco  a qualche chilometro di distanza dall'abitazione di Tito.
Il giovane bussò due volte prima di entrare in casa. Non c'era nessuna autovettura parcheggiata nel viale ciò faceva presupporre che il buon vecchio Tito  poteva esser uscito temporaneamente.  L'abitazione era collocata al termine di una vallata nel bergamasco, non c'erano altre case nelle vicinanze, né agricoltori, né boscaioli che avrebbero potuto dare sufficienti indicazioni sull'effettiva presenza di Tito nel posto. Era un'abitazione costruita a metà tra una casa ed uno scialè. Tito, sua moglie, con cui ormai non correva un gran rapporto, e le sue due figlie, erano soliti a trascorrere i week-end lì in tempi certamente migliori  a quello corrente della storia. Stranamente Alexander sapeva che lo avrebbe trovato. Controllò proprio tutto, dal salotto alle stanze da letto.
Tito sembrava non esserci in casa ma qualcosa non convinceva Alexander poiché persino i giacconi erano rimasti appesi, le bambole della bambine erano ancora sparse sul pavimento. Allora Alexander venne preso da una forte scossa al cuore, un presentimento brutale.
Uscì dell'abitazione e si diresse verso il garage. Quel tormento al cuore stava per materializzare tutta la sua angoscia in una sensazione di svenimento. Aprì la porta: dietro la macchina parcheggiata erano appesi al soffitto  i quattro corpi inerti. Una delle bambine ciondolava andando ad urtare il padre.
Rimase paralizzato. Adesso sapeva, adesso conosceva quale erano i propositi, i limiti che la Maskhadov non aveva nel togliere di mezzo i dissidenti. Tito sarebbe stato l'ultimo a tradire probabilmente, ma tra i russi e il suo amico Alexander avrebbe preferito non scegliere mai.
-Avresti dovuto scappare Tito...- Disse Ludovich.  

Che cos'abbiamo in comune con i boccioli di rosa che tremano sotto il peso di una goccia di rugiada?
È vero:noi amiamo la vita, non perché siamo abituati a vivere, ma perché siamo abituati ad amare. Nell'amore c'è sempre un po' di follia. Ma nella follia c'è sempre un po' di saggezza.
E anche a me, che amo la vita, pare che le farfalle e le bolle di sapone e quanti tra gli uomini sono simili a loro, sappiano cose della felicità...
Io crederei solo a un dio capace di danzare.
E quando vidi il  mio demone, lo trovai serio, scrupoloso, profondo, solenne:era lo spirito della gravità; a causa sua tutte le cose cadono.
 
                                                                                                                                                                                                                                         Nietzche

Soffiava un leggero vento da est, pungeva ed arrossava le sue guancia scavate nel volto.
Dei rumori proprio dietro le sue spalle bloccarono le riflessioni. Comparì Bota accompagnato da tre suoi mercenari. Senza dire nulla  fu Bota stesso a dare un pugno nello stomaco al povero Ludovich che cadde a terra con una crisi respiratoria.
-Ma guardatelo che perdente. E questo sarebbe  l'uomo che dovrei far fuori? Uno che non si regge neanche in piedi!
Gli altri tre posti dietro le sue enormi spalle se la ridevano mentre Ludovich sputava e affannosamente cercava di riprendere la respirazione.
Ancora le grasse risate di Bota e poi:
-Ei Ludovich dicono che sia sempre così quando ti fai montare dalla tua amica Heléna! Come mai non è qui? Dovrebbe venire a salvare il tuo misero culo da intellettuale raffinato o mi sbaglio? É lei il maschio della situazione no? Dimmi, dimmi, dov'è?
Ludovich non aveva mai dato importanza al suo ex capo, sebbene fra i due un tempo c'era stato anche del rispetto, rispetto che proveniva principalmente dalla giovanissima età di Ludovich.
- Sai Bota, per quanto ne sapeva Tito pare che Heléna fosse stata ingaggiata per l'ultima volta dalla Maskhadov per farti fuori. Poniti una domanda semplice mio caro: perché lasciare un cane sciolto come lei? Per quale assurdo motivo non ucciderla? Pensa Bota, pensa... chi meglio di un tuo ex soldato può riuscire a farti fuori? Senza contare che i russi ne uscirebbero puliti come il culo di un bimbo.
Bota gli si avvicinò ancora una volta e lo prese per colletto.
-Hai idea delle cazzate che spari insetto?
-Ovviamente sì ciccione.  - Fu la risposta di Ludovich che lo trafisse con lo sguardo di chi non ha paura di una bestia con falce e mantello  nero.
Bota questa volta aprì una mano e gli diede una sberla mentre con l'altra lo teneva ancora in piedi. Lo colpì con un calcio nel costato, lo graffiò in volto come un enorme felino farebbe ad una sua preda. Il corpo esile di Ludovich era già consumato come una pezza ma trovò ugualmente il fiato per alcune parole.
-Non ci arrivi Bota? Non sei mai piaciuto ai russi, sino a che potevano sfruttare i tuoi servigi lo hanno fatto ma per te è giunta l'ora di lasciare il posto.  Un nome tra tutti: quello di Nil.  Non sei contento Bota, ti mandano in pensione. A controllare i tuoi traffici nei Balcani ci mettono lo chiccoso sgozzatore russo.
Bota non era poi così stupido da non sapersi guardare le spalle mentre ormai in molti complottavano contro lui. Qualcosa aveva sospettato, per questo lasciò il giovane. Lo lasciò cadere sfinito.
-Nil? Quell'ingrato. - Replicò il ciccione, ed era cupo in volto, aveva perso quell' aria da smargiasso euforico.  Ludovich capì che nonostante tutto poteva ancora convincerlo, non sapeva bene ancora come e a cosa esattamente, ma se esisteva un modo per mettere Bota contro i russi, allora quello era il momento giusto per applicarlo.
-Già... ti sono tutti ingrati Bota. A partire da me per arrivare a Sidorsky, a Ivanovich, chissà poi se il Grande Capo n'è a conoscenza di questo complotto ai tuoi danni. E a tal proposito, tu hai mai incontrato il Grande Capo, Bota? Quest'essere tanto forte e tanto superiore te lo hanno mai fatto incontrare? Devono a te moltissimo Bota, se non fosse per il tuo appoggio i russi non sarebbero usciti dai loro confini... eppure... eppure ti tengono sempre fuori dalle stanze del potere.É inaudito non trovi?  Cosa complottano alle tue spalle Bota? È solo questione di tempo ormai e verrai fatto fuori come è successo a me e ad Heléna.
Il ciccione guardò persino i suoi uomini, in quell'istante non stava fidandosi neanche di loro. Ecco che tutti i suoi dubbi venivano a galla come pesci morti in lago di complotti contro di se.
-A dire il vero ho sempre sospettato dei russi... ma ci sono cose che un ragazzino come te non può capire. Cosa stai cercando di fare Ludovich Alexander? Mettermi contro? Contro chi? Un capo che neanche ho mai visto di persona? Beh questa guerra è assurda lo sappiamo entrambi, ma è così che funziona il mondo oggi. Ciò che conta è la mia paga. Non è questo che hai detto l'ultimo giorno che eravate a Berlino con noi? Lo dicesti ad Heléna. È la paga quella che conta no? Cosa vuoi capirne tu ragazzino?
-Certo devi capire che è arrivato per te il momento di non  avere né paga, ne sangue fresco in corpo. Ti faranno fuori, non è un normale licenziamento. Cos'è che non posso capire? Il tuo bisogno di aver sempre più denaro, il tuo bisogno di mantenere il tuo harem, le tue macchine le tue case a Cuba? Tu non hai ideali verme, in quanto tale puoi solo strisciare.
Il ciccione si sentì affranto per qualche istante. Fissò prima il pavimento, dopo guardò i quattro corpi cadaverici ciondolare in aria.
- Sei stato tu?- Chiese Alexander Ludovich.
-No compagno, in fin dei conti  so che Tito non mi ha mai tradito pur essendo amico di un roditore come te
-Chiunque sia stato non ha avuto pietà neanche per le sue due figlie.
-Non esiste pietà per questa gente, mettitelo in testa la prossima volta che vorrai fare il pistolero del male.
Detto questo Bota si voltò per ritirarsi da dove era venuto.
-Tu sai chi è stato Bota, devi dirmelo! -Lo richiamò Ludovich.
-Perché ci tieni tanto a saperlo?- Chiese Botà. - Io ti ho appena lasciato un dono prezioso Alexander, ti ho lasciato la vita e tu dovresti scappare da buon roditore. -
Il giovane Ludovich allora sì rialzò da terra reggendosi un braccio dolorante con l'altro, perdeva molto sangue e gli tremavano ancora le gambe.
-Non prima di averli fatti fuori tutti.
-Boris Atanasoff... capo del T.R.B.  Gli basterebbe una mano per schiacciare il tuo cranio come una noce.
-Dovrà vedersela con la mia collera!
Il ciccione  sorrise e disse:
-Non si uccide con la collera...ma  con il riso.  

Io ho imparato a camminare:da allora mi consento di correre.
Ho imparato a volare: dal allora non voglio venir spinto per smuovermi.
Ora sono lieve, ora volo, ora vedo me sotto di me, ora tramite me danza un dio.



























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Capitolo 13
*** CAPITOLO XIII-Il ritorno di Pauline ***


Dio della Morte
CAPITOLO XIII
"Il ritorno di Pauline"





-G
entili telespettatori buona sera.
Apriamo  l' edizione serale del nostro notiziario dandovi degli aggiornamenti riguardanti  i violenti attacchi che le città di Milano e Roma stanno subendo in queste ore.  Saccheggi, devastazioni e incendi vanno avanti interrottamente da ormai un giorno e le forze di polizia impiegate fin ora nulla sembrano poter fare contro quella che è sembrata una vera "organizzazione" e quindi non un semplice gruppo di terroristi filosovietici come all'inizio si presumeva.
Il presidente della Repubblica oggi ha dichiarato che siamo in uno stato di assedio da parte del terrorismo internazionale e resta ancora da vedere se questa attività abbia a che fare con il nuovo governo instaurato da Sergei Ivanovich nella nuova Russia.
Sergei Ivanovich, noto imprenditore russo, è stato già accusato più volte da parte del primo ministro inglese  Harmon Trent di far parte di un complotto internazionale ai danni dell'Unione Europea.  Harmon Trent ha dimostrato di voler dosare bene le parole prima di parlare di un attacco da parte della  Russia ai danni di paesi come Georgia, Germania, Francia, Romania,Ucraina, Bulgaria e da oggi anche l'Italia. Tuttavia è apparso molto preoccupato tanto da riaprire le basi di Akrotiri e Dhekelia importanti basi militari inglesi sul mediterraneo. Ci sembra abbastanza  evidente  che sono momenti di vera paura, pare che sia inevitabile l'inizio di una guerra e ciò  che più di tutto sconvolge è  l'oscurità che cela dietro i mandati di questi aspri conflitti tra le forze di Stato e gli  apparenti rivoluzionari bolscevici... -

-Ancora non riesco a crederci.-
Disse l'ispettore Bianchi seduto su un divano strappato e rattoppato, illuminato dalla celeste luce del televisore che ogni tanto dava interferenze e noise.   Aveva la barba folta da settimane ormai, un aspetto trasandato che  non era da lui.  Dietro il divano il corpo tonico, eretto e nella perfezione delle sue curve, era quello di  Helèna con addosso solo una canottiera  sbiadita di un incerto  colore che poteva essere sul pagliarino.  
Beveva del latte senza ancora traspirare nervosismo.  Un viso a tratti irriconoscibile, in qualche modo portato all'esasperazione. Le venature violacee sembravano scoppiarle dal corpo.
-Heléna...- Disse Cosma
-Vieni qui ti prego... - Ed appoggiò il capo allo schienale cercando di scorgere quel corpo seminudo della giovane.
-Hai ancora voglia di scopare ispettore? Tuo fratello forse sarà già morto da qualche parte in quel dannato inferno lì fuori e tu pensi a scopare? Sai una cosa... capisco perché non andavate d'accordo, sei un fallimento completo ed io non ti sopporterò  ancora per molto.
-Ti ho già spiegato che stiamo aspettando rinforzi. Non possiamo fare niente da soli Heléna.
-Sbirraglia! Non avrei dovuto fidarmi dei tuoi piani. Stiamo solo perdendo tempo prezioso.
-Stai recuperando energie mia cara. Non lamentarti di continuo.  

L'ispettore tracannò  da una bottiglia di rum che aveva tra i piedi e aggiunse.
-Nessuno ti trattiene qui con me a questo punto, puoi andare. Sei libera di farti uccidere come meglio credi. -

Lei a quel punto non rispose, andò in camera ed aprì una valigetta contenente un laccio emostatico, un flacone ed una siringa. Si iniettò il falcone e si accasciò al pavimento come un neonato.
"Tutto questo non ha senso." Pensò tra sé e sé.  "Ho fatto tanto per vivere Ludovich, ed ora... ora mi ritrovo a morire come un miserabile verme." Sbavò della roba sul pavimento sporco e umido, chiuse gli occhi. Passarono dei minuti, interminabili come ore. Aggredita nella sua pace Heléna, avrebbe voluto trovare riposo in sogni distanti da quel crudele mondo. Niente più lame, niente più ferite, niente più  estenuanti pesi da portare sulla coscienza. Un orologio segnava il tempo in quel piccolo bilocale, fuori la pioggia picchiava forte e i tuoni facevano tremare le fondamenta dell'intero edificio.
"La desolazione." Dissero quelle labbra sincronizzate da un meccanismo stanco.
Qualcuno bussò alla porta.  
L'ispettore saltò dal divano. Ubriaco si asciugò il labbro e cercò di mantenersi in equilibrio. Cercò la pistola, qualcosa cadde in un frastuono tremendo: era il caricatore.
-Porcaputt...!- Esclemò e cercando di ricomporsi inciampò sulla cornetta del telefono e cadde  ancora al suolo.
Nel tonfo gli occhi di Heléna si riaprirono simmetricamente al pavimento. Spalancò le palpebre per intero, infilò un paio di pantaloncini e nell'immediatezza si recò dietro la porta con la Colt pronta all'uso.  Bussarono nuovamente e affacciandosi dallo spioncino vide tre uomini incappucciati sotto un  impermeabile nero.
-Helèna aprì la porta so che sei dentro!- La voce tornò stranamente familiare. Non le sembrava una voce ostile. Doveva ricordare, ragionare, forse scappare  o magari era in preda ad una qualche allucinazione.
-Sono in preda elle allucinazioni.- Disse Heléna a voce alta. Poi ripeté convulsamente:
 - Calma Heléna , non aprire questa cazzo di porta brutta stronza. E se fossero i Russi Heléna? No i russi no, avrebbero già buttato a terra la porta a suon di mitragliatrici. Chi mai? Chi cazzo mai! È una trappola! 
Spara porca puttana è l'unica cosa che ti riesce bene!-  
Ronzii, fastidi, spasmi celebrali, vuoti di memoria, lieve prurito alle gambe, tachicardia. A breve invece : offuscamento della vista in seguito a percezione alterata della realtà, aumento della pressione arteriosa sino allo svenimento... in una parola diversa, emorragia subaracnoidea...
- DANNAZIONE!! FOTTUTI PARASSITI DEL MIO CERVELLO!
-Ma che diavolo...?- Provò a dire qualcuno dall'altra parte della porta. 
La catenina metallica balzò via e di colpo la Colt Commander andava a toccare la fronte di uno dei tre incappucciati.  
- Bonsoir mon amour! La smetti di puntarmi quel ferro in faccia?
-Pauline?  
-Eh sì a volte ritornano sai com'è... voi affittate ancora una camera a nome della defunta Linda Lang ed io sbuco fuori come la peste nera... noto sul tuo viso un fervido intento al sorriso... complimenti Heléna ti trovo in gran forma. -
Heléna in quel momento aveva il volto forse più giallo della canottiera che indossava. Occhiaie come sassi viola. Un volto scarnato che grondava sudore. Rimase con il ferro puntato sulla fronte di Pauline che già da un po' aveva smascherato quel suo dolce viso da parigina. Disse ancora:
-Mi fai entrare o ci prendiamo un tè qui sul pianerottolo?-
Heléna la guardò ancora una volta esterrefatta.
-Romeo e Giulietta non mi sembrano tanto svegli.- Rivolgendosi agli altri due ragazzi che tolsero in quel momento i loro cappucci pieni d'acqua. Erano un ragazzo ed una ragazza anche loro molto giovani.  
- Lui é Flick e lei è Ottavia.  
-Non ci siamo già viste io e te?- Chiese Heléna alla più piccola ma la giovanissima  scosse la testa per negazione.
-Ottavia è una fuggitiva, è stata prigioniera di Sidorsky e Atanasoff per molto tempo. E' ancora molto segnata da abusi di ogni tipo. Ci fai entrare allora?-
-Ok ma a casa mia vige una regola importante: i ferri me li consegnate. Capito Romeo? Ei Romeo ti addormenti sul pianerottolo? Entra e consegna le armi.

Flick era un ragazzo biondo mediamente alto formatosi con un carattere molto introverso.  Alzò lievemente lo sguardo quasi con aria di imbarazzo e subito dopo tolse di mezzo prepotentemente il corpo di Heléna e si fece strada da solo entrando dentro l'appartamento. Lasciò l'arma su di un tavolo.
L'ispettore Bianchi fu sorpreso dell'inaspettata visita ragion per cui esclamò:
-Ohoh... è arrivata la C.I.A!!! Ora sì che ce la possiamo fare!- L'ispettore aggrovigliato ancora nella cornetta telefonica cadde nuovamente per terra e non lo rividero per  tutto il proseguo dell'incontro.  

-Siete voi i rinforzi che Bianchi stava aspettando? - Flick e Pauline si guardarono perplessi. Pauline prese nuovamente la parola.
-Nello stato in cui vi trovate, sia tu che l'ispettore, l'unica mossa che non dovevate fare era chiamare rinforzi. C'è una cosa che vi sta sfuggendo ed è quella che una parte importante della polizia di Stato è a favore dell'insurrezione russa.
-Cosa intendi dire?
-Il nuovo prefetto di Roma, Anna Formisano, che ha come ruolo quello di presiedere una commissione speciale contro il terrorismo internazionale, è di fatto una spia russa all'interno del nostro sistema di difesa.
-Hai detto il nuovo prefetto di Roma... Anna... devo farmi due calcoli...-
Ed uno, due e tre... pezzi di puzzle andavano componendosi.  Continuò Pauline:
-È meglio conosciuta come la temibile Lola di Valenza. Figlia dell'ex magistrato Formisano, morto in  un attentato di mafia insieme alla moglie, quando Anna aveva appena dieci anni.  È cresciuta traslocando nelle migliori accademie militari dell'Europa, si è laureata a soli ventidue anni in relazioni politiche- internazionali  divenendo prima ambasciatrice e poi prefetto italiano.
La sua astuzia e il suo cinismo la vedono autrice di molti insabbiamenti di stragi avvenute  in Serbia,  in questi ultimi anni. Traffici di armi, droga, prostituzione e molto altro sono avvenuti sotto il suo controllo. Ti rendi conto di cosa è in grado di muovere una donna del genere? Se il tuo caro amico ispettore ha chiamato davvero rinforzi della  polizia, proprio in questi minuti potrebbero pioverci addosso i peggior poliziotti del mondo con la "matrona" annessa. E tanto per intenderci quella ci fa il sedere quadrato Heléna,  bisogna muoversi e  scappare da qui prima che ci trovino.  

-No ferma tutto Pauline! C'è una cosa che devi vedere. - Fu Flick ad interrompere, sbucò fuori dopo esser stato nell'altra stanza dove Helèna aveva lasciato per terra laccio e siringa in disordine per il pavimento.
Pauline prese in mano il flacone vuoto.
-É morfina.- Disse con sgomento.  -Come mai ne fai uso?-
-Sto male... la uso come antidolorifico, è l'unica cosa che mi permette di dormire.
-Ne hai già dipendenza?
-Da un po' di tempo, sì.

Pauline pensò e doveva farlo in fretta. Flick annotò qualcosa su di un taccuino.

-Di che malattia si tratta?- Chiese Flick.
Ma Heléna non rispose. Non si fidava, lo guardava attentamente.
-Sei un americano vero?- Chiese Heléna al biondo.
-Ti ha fatto una domanda lui prima di te, dovresti rispondergli prima tu.- La interruppe Pauline.
-Pauline fottiti!- E puntò il dito contro la bionda per farla tacere. - Sei un americano vero? Rispondimi per dio! Sei un cazzo di americano è per questo che mi fai queste domande!? Allora, abbi il coraggio di dirmi chi sei e cosa vuoi da me, avanti!-
-Sì è americano e quindi?-
-Pauline...- La prese per la testa e gliela abbassò sino all'altezza della vita. -forse non ci siamo capite... io qui mi sento presa per il culo, se non mi dite cosa cazzo sta succedendo io vi ammazzo... compresa la ragazzina.  

-Ei io cosa cazzo centro!- Spuntò la ragazzina da dietro un mobile mentre con una mano cercava di nascondere un flacone di morfina.

-Heléna siamo qui per aiutarti dammi retta, ragiona.- Disse Pauline.

Flick era ancora lì tranquillo che faceva rapporto per iscritto.  Solo quando istericamente  Helèna si sbarazzò di Pauline, Flick continuò a parlare.
-Siamo qui per cacciarti da questa brutta storia, sta te a accettare o non accettare il nostro aiuto.  

Intanto in lontananza si facevano strada a tutto spiano le sirene della polizia. Arrivavano volanti sfrecciando lungo la città in fiamme.
- Le senti Helèna? dobbiamo scappare, ora!- Disse Pauline.

Quel destino le parve così crudele quella sera, niente poteva rappresentare una sua aspettativa. Si sarebbe consegnata a qualcuno purché le avessero fatto male sino alla morte, ed era  insensato come stava pensando; tutta quella storia stava prendendo un'assurda piega.
Ottavia spalancò la finestra, fuori pioveva ancora a dirotto.  
Per un attimo qualcuno pensò che volesse buttarsi di sotto.
-Abbiamo otto minuti per evadere signori... se ve lo caricaste  voi lo sbirro che dorme, ci basterebbe  anche meno per evadere. Caricatelo e svignamocela, Lola di Valenza ci dà la caccia!



























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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIV-Linea Gotica ***


Dio della Morte
CAPITOLO XIV
"Linea Gotica"







Non era ancora l'alba di un giorno nuovo quando ancora nessuno aveva dormito
. Fumi di lontane montagne, odore di legna bruciata.
La vita non sembra mai troppo reale alle quattro del mattino sopratutto per chi ha vegliato tutta la notte.  Viviamo in una grossa illusione e se potessimo vedere quale dimensione seconda si cela nelle nostre case  rimarremmo paralizzati dallo smarrimento.
 Enormi distese di verde. Enormi distese di verde ora ghiacciante e quasi dormienti; si odono forse un gallo e forse qualche  cane .
Un pastore conduce il suo gregge al pascolo, l'uomo non porta alcun sorriso sul volto, il suo sguardo è tagliente, affilato come la lama di una falce. Qualcuna delle sue pecore ogni tanto gli si allontana ma a lui, ormai troppo vecchio per sbraitare, basta solo scuotere il suo bastone addosso al terreno, per farlo vibrare, per farla tornare con le altre.   
Un paese piegato sulle sue ginocchia e ancora l'immenso scenario dell'appenino Tosco Emiliano  lungo la Linea Gotica, la stessa voluta dall'esercito  tedesco nel 1944. Ciò che rimaneva ai Nazifascisti di quel tempo era tutto in quelle pianure.
Cos'è lo smarrimento se non un'altra condizione del sonno?



Squillò il telefono del boss. Squillò per l'arco di ben due chiamate: alla fine Lola di Valenza rispose.
-?
-Ho una notizia buona ed una cattiva mia dolce Prefetto.
-Per svegliarmi alle quattro del mattino dovevi averne due totalmente buone,caro Gabriel.
-Beh sino ad un'ora fa ne avevamo solo una cattiva, vale a dire che Heléna Mullova ed una banda di sciroccati hanno fatto fuori cinque dei miei uomini ad un autogrill.
- Che imbecilli i tuoi uomini, avevo detto loro di seguirli per farli fuori, non per farsi uccidere. Vabbé mio fedelissimo, passiamo a quella buona...  quale sarebbe?-
-Abbiamo localizzato Alexander Ludovich. -

Lola di Valenza scese dal letto, posò le punte dei piedi rosei e  scalzi lungo un pavimento di vetro. Tolse di dosso un capo da notte in chantilly, si dirisse verso il bagno.
-Ah. Dove?-
Rispose quasi a palesare un certo distacco e la sua impassibilità al caso.
-Ad altezza di Viterbo. Penso che si stia dirigendo anche lui nella capitale. Attendo le tue disposizioni prefetto... ma se mi dirai di farlo fuori ne sarò ben  contento. 

Lola Di Valenza era completamente nuda, protrasse le sue natiche in avanti, si chinò lungo un'enorme vasca da bagno. Azionò il riempimento della vasca con l'idromassaggio e aspettò difronte ad uno specchio, accavallando le  sue lunghe gambe, che la vasca fosse piena.  Quale corpo più bello del suo? Quale dominio più divino di quell'enorme statua carne?

-Ascoltami bene Gabriel perché io inizio seriamente a staccarmi di questa faccenda. Come mi era sembrato di averti fatto capire io non ho intenzione di fare la serva alle questioni di Sidorsky e Ivanovich Sono loro a voler quel martire non certo io, anzi fa' una cosa: riferisci pure a Sidorsky che Alexander Ludovich questa volta è morto. Che non se ne parli più  di quel ragazzo. Mi assumo io tutte le responsabilità. - Si udirono momenti di inquietante silenzio, poi:
-Sarà fatto. Ma va tutto bene, c'è qualcosa di cui devo esser messo al corrente?-
Lola di Valenza portò la pregevole materializzazione di curve e candore nell'acqua ricoperta di sali e spezie pregiate. Si lasciò galleggiare dentro la vasca massaggiatrice.
-No, sono solamente stanca di queste pretese da parte di questa gente. Li ho fatti entrare nel mio paese, ho consegnato  le armi, ho ucciso i miei stessi uomini pur di dare in mano a loro questa guerriglia, mi sono fatta da parte come una brava bestia da soma, non pensi che sia abbastanza?
-Prefetto...questa è la tua guerriglia, non la loro... eri tu a volere un'azione violenta in questo paese ricordi?-
Allora lei si accese una sigaretta, lasciò fluttuare quelle nuvole di fumo dalla sua dentatura bianca come neve sull'acqua, silenzio sul silenzio. Osservò il dematerializzarsi di quelle nuvole, sì sentì ancora una volta a proprio agio.
-Già... ricordo. Ricordo quel mio glorioso  desiderio di  mettere a fuoco Roma... e in questo stupendo giorno io sto per riuscirci. Comunque...quando hai finito passa da me e vedi di non metterci troppo.
-Passo per la ricompensa Prefetto?
-Un uomo fedele come te Gabriel merita sempre una ricompensa.
-A più tardi capo.          


Intanto Heléna, l'ispettore Bianchi, Pauline accompagnata da Flick e Ottavia erano giunti là dove giacciono ancora le antiche mura di Roma. Da lontano si erano uditi  bombardamenti, fucilate e colpi di mitraglia ad intermittenze più o meno lunghe, la guerriglia tra insorti e forze dello Stato. Girava voce che a quegli insorti vi fossero uniti anche dei gruppi anarchici che nulla ovviamente c'entravano con la causa russa. Si andava dritti allo sfacelo dunque ma da  mezz'ora non si udiva niente.  Ottavia si era distesa allargando gambe e braccia sopra il parabrezza dell'auto, Heléna posta sopra al tetto invece fumava una sigaretta.
-Dobbiamo muoverci...- Disse Pauline, e la biondina sembrava aver perso quel suo sorriso spigliato e innocente. -Sidorsky e Ivanovichsaranno qui a breve per ringraziare di persona Lola di Valenza e dar vita ad un ufficiale patto di alleanza.
-Sì ma che ci andiamo a fare noi in quell'inferno?- Chiese l'ispettore Bianchi mentre dava una pulita al suo giaccone bianco che spesso tendeva  a sporcarsi della fanghiglia che si incontrava per la strada.  
-Andiamo a riprendere Ludovich, sarà  anche lui qui a breve per vendicare la morte di Tito.
-Sai troppe cose tu, chi mi dice che non ti stiano pagando i russi?- Obiettò il poliziotto.
-Mi pagano già gli americani caro ispettore. Avanzerò di grado...- E pareva come se a Pauline stesse per sfuggire qualcosa, guardò Flick e poi si mise a tacere dando le spalle all'ispettore.
Pauline si era trasformata anche lei in un guerriero affamato di carne da macello. Aveva un impermeabile nero addosso e una mitraglia che di tanto in tanto puntava per indicare la strada più accessibile per entrare a Roma. Sapeva, Pauline sapeva tante cose sui russi e su Lola di Valenza. Sapeva e conosceva Heléna e ciò che il suo cuore avrebbe fatto per raggiungere l'amico Alexander Ludovich. Tutto ciò le teneva puntati sopra degli occhi degli attuali compagni, occhi che  facevano di lei una probabile traditrice.
-Pauline dove diamine vuoi andare con quell'arma... - Le ripeteva Heléna. -L'ultima volta che ho visto una donna sparare, voleva colpire me dopo che avevo derubato il suo appartamento  e rotto l'osso del collo al marito, ma quella finì per  colpire le palle del proprio uomo... credo che lui avrebbe preferito morire quel giorno... con una moglie così intendo...
Ottavia sorrise, con un colpo di reni si rivoltò in una capriola, toccò terra e derubò del portafogli Flick che bestemmiò correndole dietro.
-Perché ci trasciniamo dietro quella ragazzina Pauline? Dove sono i loro genitori?- Pauline le si avvicinò e le tolse la sigaretta dalla bocca. Fece un abbondante tiro e poi tossì fortemente. Sputò per terra, poi parlò:
-Sono morti.  Non so bene per mano di chi, ma c'entra Lola di Valenza. Prima di arrivare a quel posto di prefetto ha fatto fuori tutta la gente che stava in candidatura prima di lei. Magistrati, ufficiali, pezzi importanti della polizia.  Il padre di Ottavia era un generale immischiato nella lotta contro il terrorismo. -
Heléna guardò lontano, se avesse potuto avrebbe gettato tutto via e lontano. Guardava l'orizzonte consumato dalle polveri e dalle centrali elettriche.  Non aveva risposte a tutte quelle domande che le sopraggiungevano.
Stava per vedere  che una schiera di angeli infernali si faceva strada e la disperazione sarebbe giunta con loro.  

Non ci volle molto per vedere  nuvoloni di polvere sollevarsi da nord. Erano auto, furgoni e motociclette che viaggiavano in saldo gruppo.
-Ecco i miei angeli infernali.- Esclamò Heléna.
-Chi sono?- Chiese l'ispettore Bianchi.
-Sopravvissuti.- Rispose Heléna. Poi Pauline volle aggiungere: - Sopravvissuti alla Guerra del Kosovo. Ex combattenti della K.L.A: Kosovo Liberty Army.  
-A te non sfugge proprio niente eh Pauline?- Prodigò l'ispettore quasi con aria di accusa.  Quelli erano già arrivati a loro.
Il rombo di quei motori aveva fatto allontanare la fauna nel giro di due miglia, non erano molti ma erano  rozzi, puzzavano ed emettevano un fastidiosissimo baccano.  Colajev scese per primo. Era il più giovane ed irriverente verso tutti. Tolse il casco così che si poté vedere quello che i suoi capi gli avevano procurato sul volto: tagli e sfregiature profonde e lunghe diversi centimetri che cercava di mascherare con un taglio di capelli lungo e portato in avanti. Portava vergogna e non la mascherava, ma che fosse un pavido guerriero quello lo sapevano tutti e   Colajev era l'anima e il corpo di quell'esercito di zingari. Era uno zingaro tutto sommato  contento di aver sangue fresco nelle vene e di poter ancora rischiare la propria vita per i suoi compagni.
Heléna allora saltò sul tetto dell'auto e iniziò a dettare comandi. Lei era stata per un breve periodo soldato nello stesso gruppo.

- Colajev, fa spegnere questi motori così che si possa parlare da gente civile!- Gli ordinò Heléna.
 
Colajev fece un segno con un braccio ad un tale e pian piano il chiasso svanì seguito poi da qualche rutto e peti che provenivano dalle seconde file.  Parlavano un dialetto albanese  stretto  che non si riusciva a decifrare. Poi scese da una vettura il capo della banda con indosso una pelliccia di montone. Il nostro esemplare di maiale umano era l'ormai conosciuto Bota.
- E chi ti dice che io abbia voglia di parlare... chi ti dice che io abbia voglia di essere civile quest'oggi Heléna! Perché mai... io, che ti ho accolta come una figlia nella mia famiglia, ti ho dato un lavoro rispettabile,  ti ho dato  un nome e in cambio di tutto ciò ho avuto solo il tuo ignobile tradimento... perché mai io dovrei essere civile con te bastarda di una traditrice? No, più che un discorso civile meriteresti la sofferenza. Meriteresti che le tue braccia ti venissero  spezzate e stesso trattamento per gli arti inferiori, dopodiché moribonda  soddisferesti carnalmente  il tuo vecchio capo. Che ne dici? È sufficiente come ritratto della situazione?

-Non so chi sia, ma deve essere un tuo ammiratore.-  Trasalì ironicamente l'ispettore Bianchi.  
-Tutto ok Cosma, è soltanto il suo ex datore di lavoro ancora incazzato a morte per il tradimento  verso la sua banda.- Intervenì Pauline che ormai non perdeva occasione per dare informazioni.  A quel punto l'ispettore fu molto incuriosito e le si avvicinò  fingendole affetto.
- Ah quindi questo sarebbe il Boss dei Balcani, il ciccione per cui lavoravano Alexander ed Heléna. È grazie a lui che si sono conosciuti dico bene?
-Sono dettagli che dovresti sapere meglio tu Cosma, io sono arrivata molto dopo nella storia.- Rispose Pauline indisposta.  Aggiunse: - Che razza di ispettore sei se non riuscivi neanche a controllare i traffici di tuo fratello?
-Ei ma in che questioni vuoi entrare ragazzina! Non sono affari che ti riguardano.- E l'ispettore tornò più cupo di prima; disse ad Heléna:
-Chiunque sia quel tale cerca di non farlo incazzare sono più di trenta, ben armati e noi siamo solo quattro con a carico una ragazzina.  Fa' molta attenzione te ne prego.  
Heléna
non lo calcolò ma si rivolse a Pauline.
- Pauline fallo stare zitto.-

 
La bionda ficcò la mitraglia nella bocca dell'ispettore con affare scherzoso mentre quello si indispettiva ancora di più.  

- C'è una cosa che devi sapere Bota...- Urlò Heléna per farsi meglio sentire, ma il boss le si avvicinava sempre di più incutendo sempre più timore in Pauline e compagnia; può avanzava Bota e più si faceva grande e grosso.  
-Che la Maskhadov ti ha ingaggiata per farmi fuori? Lo so, me lo ha detto il tuo amico Ludovich.
Il nome di Ludovich infiammò maggiormente lo sguardo della giovane che a quel punto scese con un salto dall'auto e lanciò uno sguardo di sfida.
-Spero che tu non sia stato tanto verme da combattere con un peso piuma, per di più come fai sempre tu... in modo sleale.
-No,non l'ho ucciso se è questo che ti preoccupa. Ho dovuto però dargli... diciamo una lezione, come te ha tradito il mio onore e il  mio rispetto e sia chiaro... l avrei anche ammazzato se non fosse stato che il cadavere di Tito e la famiglia ciondolavano per una parete.
-E cose avete fatto fuori persino Tito...
-Non io... ho detto che per rispetto a Tito non ho fatto fuori il tuo ragazzo.
-Non è il mio ragazzo, ma se non sei stato tu presumo abbiano ingaggiato Atanasoff dico bene?-
Chiese Heléna con aria di indagine e probabilmente era già nella sua lista quell'Atanasoff.
-Dici bene.
-Atanasoff, Nill... ormai sei rimpiazzato da tutti.-
Cercava di provocarlo Helèna, ma quella era una vecchia strategia, con il vecchio ed esperto Bota non funzionava.  Dietro lo scenario Pauline e l'ispettore Bianchi commentavano il succedersi dello scontro.  
- E su questo Atanasoff sei riuscita ad informarti?- Chiese l'ispettore a Pauline.
-Proprio recentemente stavo lavorando su certi documenti che trattavano del T.B.R.  un commando terrorista bulgaro di cui Atanasoff faceva parte. Posso solo dire che l'individuo vanta di un certo onore e rispetto tra i russi, se tra i violenti è riuscito ad avere la nomina di sanguinario... credo che non sia un pazzo qualsiasi.
Mentre Pauline e Bianchi parlavano, l'altra discussione era già molto più accesa.
-E così ti hanno ingaggiata per uccidermi eh?
-Sì ma... è da tempo che non mi faccio dare ordini dalla Maskhadov! Ho chiuso.  Ho già fatto fuori una decina di russi per la strada e non credo che questo abbia fatto piacere al Grande Capo. Cosa c'è non mi credi?
-Come potrei credere ad una donna... per giunta una traditrice.

Colajev
dietro di lui sorrise, era ormai chiaro quello che tutto il gruppo voleva vedere.
Bota
non credeva alle parole di Helèna, nessuno si sarebbe aspettato diversamente. Il ciccione anche se non lo dava a vedere aveva paura di morire, ma aveva anche troppo orgoglio per farla trivellare dai colpi delle mitragliatrici dei suoi uomini. Allora Bota forse la stava portando veramente per le lunghe ma era nel suo stile, dopotutto era uno zingaro anche lui e agli zingari piaceva molto divagare e atteggiarsi.
-Fai come vuoi allora... non mi lasci altra scelta. Fatti sotto! - Heléna al contrario volle tagliar corto.
Ed un coro festoso e ricoperto di insulti e sputi si sollevò dalle file dei combattenti di Bota.
Quelli gli dicevano di affrontarla a mani nude, di sgozzarla e di farsela lì sul posto. Questo volevano vedere dal loro glorioso capo che ormai andava scemando di gloria e virtù. Era insomma messo all'angolo il ciccione, per dimostrare ai suoi che ancora contava qualcosa, avrebbe dovuto battersi.
-Calma.- Disse ai suoi. - Volete l'uno contro uno? Ebbene così sarà... a mani nude!- Del resto chi non avrebbe combattuto con una donna dal peso di sessanta chili quando dalla sua parte, lui, ne vantava ben duecento? A mani nude Bota aveva grossi vantaggi dalla sua, era chiaro come il sole, cristallino come l'acqua che avrebbe potuto massacrarla.
-Come vuoi tu ciccione, a mani nude ti uccido lo stesso, ma dato che parti avvantaggiato voglio anche io una mia condizione. Se crepi voglio essere io al comando dei tuoi uomini.- E dalla voce di Heléna quella non sembrava voler essere solo una provocazione. C'era ben altro, c'era una certa ostinazione, una convinzione che le si apriva dinanzi allo scenario riprovevole di quell'esercito di zingari.  E quelli presero a ridere. Inveirono, le urlarono soprannomi di ogni genere ed emulavano gesti di posizioni supine. Heléna esibì la sua pistola e la gettò via. Dopo gettò uno sputo per terra e li guardò tutti uno per uno con aria di superiorità.  Già  ringhiava, già non vedeva l'ora di poter prenderlo a calci. Cinica, spietata e vogliosa di fargli sputare sangue. Nuvole di polvere da ogni lato, ancora una volta avrebbe dovuto guardarsi le spalle la forte Heléna
Nonostante la carica che ella aveva, dalla sua  parte avevano molta paura. L'ispettore Bianchi stava già cercando di mettere in moto la macchina per un'eventuale fuga.  Flick e Pauline rimasero in silenzio ed immobili seguivano l'evolversi della situazione. Ottavia  solamente ebbe l'iniziativa con ferma convinzione di urlare:
-Fagli il culo a questo stronzo!
Pauline
non aveva affatto fiducia.
-Non può fare sul serio.-
Disse.
-O lei cerca di far  fuori quel tale... o quel tale farà fuori noi. Non vedo molta scelta.-
Rispose Flick.













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Capitolo 15
*** CAPITOLO XV- Alone ***


Capitolo xv- Black
CAPITOLO XV
"Alone"





-Alexander ... mi chiamo Alexander o forse anche Andrea... chissà...-
-Allora Alexander è un nome  d'arte giusto?- Chiese il barista porgendogli uno sguardo stanco e consumato da un'intera giornata lavorativa. Il puzzo di patatine fritte del giorno prima e tutta l'aria di chi non vuol saperne niente.  Ed era tardi o per meglio dire: era di mattina presto. Infatti mentre  Lola Di Valenza riceveva la chiamata del suo assistente  Gabriel che informava della localizzazione di Ludovich, lui era a ristorarsi in un autogrill avendo appena superato la provincia di Viterbo.
-È un nome da fuggiasco.- Disse Ludovich.
Tracannò il whisky e consegnò un biglietto da cinque. Portò la sigaretta alla bocca e mentre conquistava l'uscita andò ciondolando passivamente  passo dopo passo in direzione di un tavolo dove erano seduti due scagnozzi di Garbiel.  Allora si fermò come folgorato da una nuova idea. Lasciò perdere l'intento di uscire dal locale e andò nel bagno.  
Fuori dall'autogrill la situazione era assolutamente tranquilla. L'aurora emanava una pace assonante  in quel gelido mattino.  L'attesa e il sonno erano le uniche compagne per quella notte che si avviava alla fine ormai. Era passata un'altra giornata  nel pensiero dei morti da contare, qualcun altro sarebbe potuto morire proprio lì in quell'autogrill e allora al numero dei morti bisognava aggiungere quello dei probabili e presunti mancantiGabriel non  era affatto uno stolto, sebbene non avesse dormito neanche lui, vegliava ancora nel pericolo che potesse succedergli qualcosa. Strano a dirsi poiché era lui a cercare qualcuno, strana sensazione di chi dovrebbe essere il cacciatore ma che sta per finire preda. Successe qualcosa di imprevedibile, che lo scosse d'improvviso, come un malore che non puoi calcolare.  Era seduto da solo nella sua auto ed aveva appena chiuso la conversazione con Lola di Valenza, conversazione con la quale i suoi sensi avevano ripreso a dare piacere al suo corpo, a dare nuovo vigore alle sue voglie ma passò in breve tempo dallo stato di vigore e benessere allo smarrimento e al timore.  Si sentì ad un tratto come  osservato dallo specchietto posteriore,prima quello esterno posto alla sinistra dell'auto, poi ancora quello interno del guidatore.
-Chi c'è?- Disse d'un tratto la sua voce.  In quello stesso momento si sentì uno stupido perché capiva che all'interno dell'auto non poteva esserci che lui. Nonostante ciò la sua voce continuò a dire:
-Chi sei?- Iniziò ad essere seriamente preoccupato. Precisamente, la paura lo stava divorando all'interno dell'abitacolo.  Vide qualcosa proprio dallo specchietto retrovisore, qualcosa seduto sui sedili posteriori: due occhi di gatto che lo fissavano. Scese d'improvviso e non smise di fissare l'auto. Non gli sembrava che ci fosse nessuno all'interno.
-Sto forse impazzendo di botto? Sto forse impazzendo?È certamente il sonno che gioca brutti scherzi... devo star calmo. - Ripeté  a se stesso. Aspettava i suoi uomini, quei due brutti elementi rimastegli se ne stavano  seduti all'interno del locale  a bere del calvados. Dovette riprendersi in pochi secondi, si sentiva ancora molto  stupido in quel suo atteggiamento. Non sarebbe entrato nel locale a chiedere aiuto poiché non era né un codardo né un pazzo.  Provò a rientrare nell'auto infondendosi sicurezza, dicendosi che in fondo poteva esser stata tutta un'allucinazione, effetto della stanchezza.
Sedette comodamente sul sedile, mise la mano sul volante e quella sensazione di prima non era svanita, anzi era andata a peggiorare concretizzandosi con una pistola calibro dodici che rivoltò il suo tamburo in una pura roulette dal piacere sadico.
-Ma ciao Gabriel...
-Alexander Ludovich... che tu sia maledetto, come hai fatto ad entrare?- Disse pietrificato Gabriel.
-L'occhio vede solo ciò che vuol vedere o che può vedere...o che crede di star vedendo.
-Io ho visto un enorme gatto prima di te...
-Hai una mente perversa lo sai? - Si prese gioco di lui quell'insolito Ludovich. -Ma se stai ancora aspettando i tuoi uomini sappi che non arriveranno, né ora né mai. Sono già morti  nella toilette e se stavi aspettando me... beh ora eccomi qui, possiamo andare.
-Andare dove?
-Dalla tua padrona ovviamente... voglio farle un discorsetto prima di far fuori Sergei Ivanovich e tutti i tuoi alleati.
-Dove pensi di poter andare Ludovich? Sei solo e per di più sei disperato.
-In questo momento caro mio amico... penso che tu sia più disperato di me. -
 E quell'insolito ragazzo cupo e quasi sempre triste (scusate se è come dire bugia) provò desolazione nell'ammettere di esse spinto dalla forza della rassegnazione.

Quell'autista in Abissina
guidava  il camion fino a tardi
e a notte fonda
si riunivano.
A quel tempo in Europa
c'era un'altra guerra
e per canzoni:
solo sirene d'allarme.
Passa il tempo,
sembra che non cambi niente.
Questa mia generazione
vuole nuovi valori
e ho già sentito
aria di rivoluzione.
Ho già sentito
chi andrà alla fucilazione.      


[Franco Battiato, Aria di Rivoluzione, 1973]



Segnali stradali in uno scorrere lento di asfalti e guard rail. Un capo abbandonato in obliquo sul finestrino di un auto. Alexander Ludovich svuotato  per una volta da ogni sua personalità.  Erano momenti difficili. Compagna l'angoscia, strana sensazione di morso allo stomaco, di macigno che preme sul cuore. Nel contempo...la pace della rassegnazione. 
E se quella pace che ci attraversa fosse frutto dei nostri drammi? La stanchezza è lucidità, inevitabile sofferenza che ci rende umani.  
Ancora qualche nota di pianoforte in canzoni che non sapresti riconoscere pur avendole ascoltate centinaia di volte.
"Per vedermi torturato per vedermi condannato... oh partigiano... portami via... che mi sento di morire..."
E poi lo sguardo di Gabriel, un germano mezzo sangue che guidava ancora sveglio, molto più sobrio di quanto non fosse stato nelle ore precedenti.  Stava guidando sino alla periferia di Roma, lì aveva il suo quartier generale Lola di Valenza. Il pensiero   che stesse  conducendo quello zingaro, Ludovich, proprio nella tana dei lupi lo faceva stare ancora tranquillo.  Molte, troppe domande assediavano quelle due menti. "Chi aveva catturato chi?" .Non lo so riusciva a capire ma l'impressione è che  quello  zingaro si era poi catturato da solo, che si stesse consegnando per uno scopo tutto suo. Allora Gabriel poteva sorridere beffardo, come a dire "sciocco, non sai quello che ti attende..." ma poiché la pace potrebbe essere frutto del nostro  dramma il germano guidava lentamente, con la tranquillità che solo le sue certezze potevano dargli.  Ludovich ancora piegato sul finestrino non puntava neanche più la sua Smith and Wesson. Non restava che un corpo inerte  in attesa di qualcosa. Quel qualcosa tardò ancora poco a presentarsi e non appena giunti in vista dei primi colli romani, lasciarono l'autostrada per vie più ramificate.  
"Ci siamo." Pensò Ludovich. "Ancora poco e potremo rivederci."
Gabriel a quel punto volle togliersi lo sfizio di fare una domanda:
-Cosa ti fa pensare che il Prefetto ti lasci parlare? O pensi di poter affrontare da solo le sue guardie?
-Quando sarò giunto al suo cospetto ti accorgerai...
-Tu sei davvero folle, mi divertirò a vederti crepare

E giunsero  in una villa maestosa là dove risiedeva Anna Formisano conosciuta nel mondo degli affari  come Lola di Valenza.
Un cancello alto quattro cinque metri e largo dodici, testato a prova di lancia granate, si aprì automaticamente dopo l'attivazione del dispositivo di riconoscimento video.  Poi una schiera di alberi lunga un paio di chilometri. Come avrebbe potuto scappare da lì? Idea insensata dal  momento che era stato lui stesso a volersi introdurre.  Quella era una prigione dalla quale non poteva scappare e il sorriso sul volto di Gabriel era significativo per spigare il pericolo al quale Ludovich andava in contro .
-Dammi la pistola.- Disse fermando l'auto.
- Sei tu quello disarmato Gabriel... come puoi impartire un ordine!
-Sei circondato da ottantacinque guardie del corpo, prova solo a spararmi un colpo e non uscirai vivo da quest'auto. -
Lo convinse   Gabriel.
-Ti consegnerò solo le pallottole.-
E così fece Ludovich scendendo dall'auto prima di lui.

Quello che gli si presentò davanti era probabilmente l'edificio più grande che lui avesse visto e che voi avreste mai potuto immaginare.
Un'architettura imperiale di stile barocco con due guardie piantate alla porta.  Ludovich si avvicinò dicendo.
-Dite al Prefetto che Alexander Ludovich è qui. -
E Gabriel gli correva dietro con i proiettili  in mano.
-Aspetta zingaro, non puoi andare da solo... io ti faccio sparare!-  Ricoprendosi anche di un ridicolo che solitamente non si addiceva ad un assistente del Prefetto  ma dinanzi a quel folle non poteva comportarsi diversamente. Non sapeva proprio come fare a fermarlo
se non prendendolo a calci e a pugni davanti a tutti.  Ludovich poi superò il portone ed un primo atrio, al secondo Gabriel lo prese da dietro sferrandogli un calcio alle gambe, quello cadde come se non pesasse niente ma rialzandosi  ricambiò il calcio portando la gamba all'altezza della faccia del germanico.  Gabriel ricevette il calcio come se nulla fosse, anzi si mascherò nuovamente di quel sorriso insito dal male.  
Ludovich mostrò i denti  come da felino incazzato e  gli si scaraventò sopra con una tale violenza da ferirlo al collo con un morso e da lì un pezzo di carne cadde sul pavimento imbrattandolo di sangue.
- Magnifico!- Disse qualcuno dall'alto. E si sentì un echeggio di battito di mani lieve e sottile.  Ludovich con la bocca ancora sporca di sangue rivolse il suo sguardo verso l'alto  e puntò quell'immagine. In completa tunica bianca di seta  trasparente, era Lola di Valenza che percorreva in discesa una spirale pavimentata in marmo.  
-Avevo detto che questa storia doveva finire Gabriel... perché mi hai portato questo ragazzo?
-
E Gabriel già entrato in una gravissima emorragia gridò con tutte le sue forze poiché non poteva vedere dove fosse il suo capo.
-Questo folle! Ha voluto lui presentarsi da te... non so cosa ha in mente ma è un disperato, un povero disperato mio amato Prefetto!
Si dimenava come  punto dal serpente più velenoso mentre attorno a lui grondava il suo  sangue. Quel teatro così aspro e maleodorante non poteva che estasiare la candida ed imponente Lola di Valenza che continuava a scendere la sua rampa allargando un sorriso  al suo nuovo ospite.
- E tu dimmi Ludovich, lo voglio sentire da te: quale ragione ti porta a far incrociare per la seconda volta le nostre strade? Ti avevo concesso di fuggire, la salvezza non è dono da poco di questi tempi, devo forse iniziar a pensare che sei veramente pazzo come i miei uomini riferiscono da tempo?
-No. - Rispose lui quando poté  rilassare i suoi nervi alla vista di quel seno prosperoso e profumato. Lola di Valenza gli si avvicinò sfiorandogli il viso con una mano. Quanta grazia quanta malefica disinvoltura portava in grembo.
 -
Sono venuto qui perché ho capito tutto...-  Provò a regolare il respiro il giovane, ma gli riusciva estremamente difficile. Non era stanco era, come poter dire: "innamorato"?  Era innamorato come vittima di un incantesimo. Non c'era da meravigliarsi poiché tutti erano ammaliati da lei.
 -
Sono venuto qui per dirti di cessare tutto quanto. Ferma Ivanovich, riprenditi Roma, ristabilisci l'ordine in questo paese!-
Quella rise come una dannata in una risata infernale, si piegò in due facendo intravedere parte di due candidi capezzoli  che misero in imbarazzo Ludovich. Lui arrossì ma continuò il suo discorso cercando di esser ugualmente severo.
-Perché ridi? Non è forse vero che sei tu il manipolatore di tutta questa guerra? Non è forse vero che sei tu la responsabile delle migliaia di morti che hanno coinvolto l'Europa negli ultimi quattro anni? Hai cavalcato le guerre civili degli anni novanta, hai comprato gli ex combattenti slavi e macedoni, russi e georgiani.  Quale Grande Capo russo potevi inventarti se non un uomo immaginario?  Hai ingannato tutti, persino Ivanovich non è forse così? Il tuo fedele che ora mi guarda con occhi sbarrati, esterrefatto mi ha dato del pazzo più volte. Ma chi è il pazzo qui? Chi è il vero pazzo ora che i giochi  sono finalmente svelati?

Lei continuò a ridere e ad applaudire. Applaudire freneticamente sino a toccare il pavimento con le ginocchia. Ed era lì, ai suoi piedi, le lunghe ciocche luminose cadevano e percorrevano la schiena.  Si alzò di scatto e lo afferrò per il colletto.
-Sì!- Disse un diavolo.  

Gabriel si alzò da terra moribondo. Cercò di chiamare una guardia, qualcuno che potesse assistere a quella scena ma erano soli. Allora provò a dire qualcosa, allungò le mani verso quei due, proprio non ce la faceva a dire qualcosa.  
-Guarda!- Disse Lola di Valenza. - Loro non sanno!- E Gabriel strinse forte i denti come a volersi cacciare le ultime parole di bocca.
Avrebbe detto... "folle anche tu, lurida puttana!" oppure... "ed io che sono a morire qui per te..."
- L'uomo deve pur morire per un ideale mio caro Alexander... cosa importa poi se questo sia l'ideale altrui? - Disse Lola di Valenza.
- Mi è chiaro da molto tempo ormai...
-Ed io avevo capito che uomo dall'indomabile carattere sei tu, ed ora capisco anche perché quella ragazzina sta collezionando teste pur di salvare la tua pelle.  Sei un veggente, colui che può vedere oltre e che non si cura di incontrare la morte. La morte...- Pensò.
-Ora che sai che i russi non sono l'origine, e che io ho ingannato persino loro... dovrei ucciderti lo sai?
-Ma non lo farai...- Rispose fiero e altezzoso Ludovich.
-Perché se tu avessi voluto farlo.- Continuò il giovane...- lo avresti fatto quando ero prigioniero a Bagno Vignoni, ma in quell'occasione mi hai lasciato libero nonostante tu potessi già immaginare dei pericoli che avrei potuto causarti.-  
Lola di Valenza
assunse ancora una volta quell'impassibilità statuaria degna di un ferreo generale. Prese Ludovich per mano e lo portò lungo la rampa. Il giovane era ancora molto scosso, sapeva che da lì a poco quella donna avrebbe potuto ucciderlo.  
-Rimuovete quel corpo! Alla svelta!- Urlò lei quando sentì le guardie entrare.  Si riferiva a Gabriel che ormai giaceva morto a terra.  Ma Lola di Valenza  non si fermò continuò  a correre  per le rampe e si tirava a se Ludovich.  
Non c'era da fuggire anche se avesse voluto e più salivano in alto al palazzo e più si Ludovich sentiva stretto in una morsa mortale.  Che fosse solo la soddisfazione di aver smascherato quel grande enigma? Era quasi contento.  Era convinto di trarre vantaggio enorme da quella incantevole donna e come già detto né era allo stesso tempo una vittima, un innamorato avvelenato senza pozione di risanamento a portata di mano.
-Cosa vuoi fare?- Chiese lui una volta giunti nella stanza da letto.
-Lavati e poi te lo spiegherò dopo.- Gli ordinò lei.   Lui allora si spogliò prima ancora di andare nel bagno. Tolse al volo un orrendo giaccone nero. Ruppe i bottoni di una camicia, sfilò la cintura dei pantaloni una volta che rimase in mutande. Gli si avvicinò  lei e con una mano agguantò il suo petto ad altezza del cuore. Con la cintura ancora in mano lui la colpì violentemente. Rimase un livido violaceo su quel braccio candido. Tolse il braccio con netto ritardo.
-Perché sei così indisposto nei miei confronti?Non voglio ucciderti.- Lui non rispose, andò nel bagno e si immerse nell'acqua.


 

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