CIELI ROSSI SULL'EUROPA (Il fattore di Hageman) di Jazz Hyaenidae (/viewuser.php?uid=92552)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I- Berlino tinta di rosso ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II-NEI DUE FUOCHI (Berlino parte seconda) ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III-Più il mio cuore ti è lontano...(Berlino parte terza) ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV-Nelle tasche (Parigi parte prima) ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V-Il mediatore Hassan (Parigi parte seconda) ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI-Un Dio Perverso (Parigi parte terza) ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII-Requiem (Parigi parte quarta) ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII- Balaclava ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX- Lettera di HeLéna a Ludovich (Il terrore) ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X-L'IMPOTENZA DI HELÉNA MULLOVA ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI- Dio della Morte ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII- Del Pallido Criminale ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII-Il ritorno di Pauline ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIV-Linea Gotica ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XV- Alone ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO I- Berlino tinta di rosso ***
"Coloro
che fanno una rivoluzione a metà, non hanno fatto altro che
scavarsi una tomba" Louis
de Saint-Just.
Ho iniziato a
partorire l'idea di questo racconto più di due anni fa, ma
proprio poiché trattavasi solo di un'idea non si poneva
alcuno scopo preciso. Più avanti, con il tempo, ho capito
che le storie belle ed appassionanti possono mutare realmente in
qualcosa, anche se questa è solo una forte convinzione di
un ideale. Forse dentro questa storia e dentro questi personaggi
troverete qualche ideale politico , forse troverete voi
stessi in un'ipotetica vita alternativa; mi preme dire che non
troverete nulla se costantemente nella vostra vita non vi
foste domandati dove diavolo stiamo andando tutti quanti.
Gli ideali nella vita sono tutto, capirne il senso della stessa,
anche quello più macabro, anche quello più violento.
In contrapposizione a questo, troverete anche l'amore nella sua
forma più pura, senza preamboli coniugali di alcun tipo,
troverete la vostra giovinezza che sta fuggendo via pian piano
nelle decisioni di tutti i giorni. Chiedetevi ancora una volta
cosa veramente conta nella vostra vita. Buona lettura.
Prologo
In
una strada poco distante dalla Heinrich Heine Platz, in una
Berlino nevosa, incupolata dal silenzio agghiacciante e presa da
un freddo che pungeva il cuore di ogni cittadino dall'animo
sensibile, sorgeva Berlino come una sfera di vetro dentro la
quale,al suo capovolgersi,viene a crearsi una bufera di neve ogni
mezz'ora circa. Percorreva il suo cammino una giovane ragazza nata
a Singapore. Lei, Helèna,era stata addestrata per un anno
dall'esercito americano, prima di fuggire nei Balcani. A Sarajevo
si era unita ad un gruppo di criminali. Nel suo ambiente veniva
descritta come un esemplare raro di assassino: giovanissima,forte,
aveva capacità che la vedevano infallibile negli scontri a
fuoco dalla distanza e assai temibile negli scontri
ravvicinati. In quella mattina era fissa sui suoi
scarponi.Pareva contare i passi che le mancavano per arrivare
all'incrocio successivo. Tutto ero ricoperto da un manto bianco,
un candido velo a coprire in quei giorni tutto il sangue che
veniva versato per le strade, negli uffici, nei vicoli bui di una
Berlino senza pace, spaventata come non accadeva da quasi un
secolo .Quando i campanelli posti su una porta di una drogheria
spezzarono il suono del vento, si accorse di essere osservata: gli
scarponi si fermarono nel bianco della strada. La neve riprese
a cadere.Fermo sul palo di una svolta, c'era un ragazzetto che
avrà avuto dieci anni alla vista. Serioso, la guardava
dalla testa ai piedi. Allora gli scarponi continuarono a solcare
il soffice manto bianco, questa volta molto più lentamente;
si fermarono. Il silenzio era nell'angolo di Berlino e
dominava. -Ti chiami Helèna vero? -Sì, tu cosa
vorresti essere ragazzino? -Se permetti... un tuo
tornaconto. -Ti concedo qualche istante per spiegarti meglio e
cerca di essere convincente...perché non ho tempo da
perdere con chi dovrebbe essere a scuola in questo momento. -Non
voglio disturbarti ma...ieri sera tu e la tua banda...
Fu
in quel preciso istante che la ragazza sollevò lo sguardo
rivolgendolo al bambino, dandone una qualsiasi importanza. L'aria
spostò i suoi capelli rossi e gli occhi di quella giovane
ragazza non si vedevano più, erano come oscurati più
che dalla frangia di capelli, dal passaggio del sole: una sagoma
nera. Il bambino allora si fece sorprendere agitato, stringeva i
pugni portandoseli di tanto in tanto al naso rosso dal freddo;
perdeva muco che asciugava con l'estremità di un cappotto
invernale. - Stai sbagliando persona ragazzino... -Non
sono qui per dire che andrò alla polizia pur avendo visto
le vostre facce schifose, ma giuro sul nome di mio padre
che... -Chi è tuo padre ragazzino? -Karl Vogt il
proprietario del giornale che aveva denunciato i patti tra voi
mafiosi e il signor Seidel. -Sei un po' troppo giovane per
interessarti alla politica non ti pare? Non lo faccio neanche io,
perché mai un bambino dovrebbe avvelenarsi tanto? -Con
quale coraggio vieni a dirmi questo, dopo aver ucciso mio padre e
i suoi collaboratori ieri sera?!Siete gente spietata!! ... siete
assassini maledetti!!
Un
altro suono di campanelli della drogheria vicina e poi un altro
soffio di gelo, questa volta dal suono funebre; un macabro strato
di nuvole li raggiunse. Qualcosa era nell'aria da giorni e forse
era destinata a consumarsi in quella strada. I pugni si
stringevano sempre più nervosi, i denti denti si sfregavano
incessantemente. La ragazza a questo punto portò il suo
volto a quello del ragazzetto e con l'estremità di due dita
prese lievemente il suo mento.
-Se
tuo padre è morto, io non posso farlo tornare in vita. Se è
una vendetta quella che stai cercando, da solo, per le strade
ghiacciate di Berlino, quando poi, non sai ancora allacciarti le
scarpe, sappi che dovrai andare molto più lontano da qui...
e non certo dovrai perder tempo discutendo con un piccolo sicario
come me. Quello che ti consiglio io è di tornare a scuola,
prenderti cura di tua madre e farti una nuova vita. Magari
cercando di non entrare nell'editoria dei giornali un domani,
stando lontano dalla politica e dai grossi affari. Sei così
maturo da capire vero? Perché non ti rimane grande scelta
se non accettare la realtà.
Il
ragazzetto chinò il capo posseduto da un atteggiamento di
sgomento.Il suo volto era afflitto da tali parole dette con somma
disinvoltura da una donna dalla pelle liscia come l'immagine di un
latte puro e fresco. Eppure non c'era dolcezza in quelle parole,
solo morte e spietatezza nei confronti di un fanciullo privato del
proprio padre. -Helèna nel mio futuro... io ti ucciderò,
con te... tutti i tuoi amici.- La ragazza si risollevò
in tutta indifferenza; il capo era tornato oscurato da una frangia
rossa di capelli. L'angolo di Berlino tornò deserto.
Capitolo
I
"L'EUROPA
TINTA DI ROSSO"
Berlino
parte
prima
Scese
per la metropolitana dove si vedeva la prima gente affarista della
grande Berlino. Impiegati, medici, ingegneri o ancora meglio:
donne delle pulizie e artisti da strada che aspettavano la linea
8. La porta del vagone si aprì. Lei era avvolta da luci
a neon blu,accecanti per i suoi occhi,dentro ad un nuovo mattino
contornato dagli ennesimi orrori di gente uccisa la sera
prima. Era a Berlino da poche ore e già guardava ogni
riflesso di un qualsiasi vetro, era attenta e sfruttava ogni
minimo specchietto che si trovasse nelle vicinanze. Helèna
si guardava le spalle da tutti e diversamente non poteva fare
avendo sopra la sua testa cospicue somme di denaro per chi
l'avesse consegnata alla polizia internazionale. Ormai era
abituata a dormire in stanze d'albergo con serrande totalmente
chiuse, era abituata a ricevere la colazione in camera con una
pistola posta dietro la cintura dei pantaloni. Non si fidava di
nessuno se non del suo amico Ludovich anche se, delle volte,
le passava per la mente che era stato proprio lui a condurla in
tali situazioni. Continuava a vivere facendo finta di guardare
punti nel vuoto delle grandi città, mentre scrutava e
disegnava l'ambiente intorno a lei. Nella sua mente era pronta a
tutto, la sua giovane esistenza poteva terminare in un momento
qualsiasi della sua giornata. Nella metrò vi era molta
gente, la maggior parte aveva sopra i profumi dei cartelloni
pubblicitari che scorrevano in fretta lungo il tunnel, fuori al
vagone. Ci si rendeva conto effettivamente che tutto stava mutando
in un enorme manifesto pubblicitario:pubblicità di
corpi tonici, di donne sorridenti e libere; di maschi possenti e
sani. La gente della metrò non era esattamente come
te l'aspetti dalla pubblicità: avevano dei grossi
margini di errore ma con la valigetta sempre pulita ed ordinata
di scartoffie economiche e falsi bilanci, di relativi sistemi di
mercato, di lucenti orologi e touch screen ben in vista per
parlare al mondo del loro fantastico lavoro. Contribuivano a
condurre il mondo verso un enorme baratro o verso un altro enorme
manifesto pubblicitario. Questo è quello che Heléna
pensava di loro. Più volte si era detta che avrebbe
preferito fare la donna delle pulizie piuttosto che lavorare
in ufficio a leccare il sedere a qualche grosso dirigente.
Casualmente quella mattina, Heléna guardava una donna
seduta vicino alla porta con aria di interesse se non di una
strana ammirazione. La donna dall'aria mite e umile aveva una
borsa sulle gambe, guardava dritto davanti a sé. Pensò
che quella donna poteva essere lei stessa, un po' più in là
con gli anni, una Heléna in una vita costruita su
prospettive meno complicate, una vita fatta di studi magari e di
lavori onesti per mandar avanti l'affitto di casa. Mise le mani in
tasca e le sfregò su fogli di carta, aveva
milleduecentoquindici euro e vent'anni. La testa le girava,
sudava freddo e più cercava di distogliere lo sguardo da
quella donna, più avvertiva un male allo stomaco. Cadde in
un senso di debolezza e svenimento. Passò un controllore,
Heléna rimise le mani in tasca strofinando nuovamente
quella carta, poi cacciò un centone. -Tenga questi
dovrebbero bastare per la multa. Il controllore la guardò
esterrefatto, si sistemò il berretto e si guardò
attorno. -Multa? Ma veramente...ok, può darmi i suoi
dati signorina? Devo farle il verbale. -Penso che i soldi
debbano bastare anche per i miei dati o ne vuole ancora per
caso? Si asciugò del sudore sulla frangia rossa, si
tenne nuovamente al palo per non cadere, poi si piegò
portandosi l'altro braccio sullo stomaco. -Signorina si sente
bene? -Certo ma lei deve sparire dalla mia vista, se non vuole
che io dica a qualcuno che da oggi i biglietti della metropolitana
sono in effettivo aumento. Il controllore si guardò
attorno più di una volta, poi si allontanò da lei
per proseguire il suo giro di controllo. Nella vita dovremmo
tutti fare il nostro mestiere, un lavoro per il quale siamo
portati e che non ci rechi malessere, molte persone
delinquerebbero ma ci sarebbe sicuramente molta più
giustizia di quanta ve ne sia oggi. Questo è ciò che
pensava Heléna.
La
porta si aprì a Potsdamer Platz. Lei scese molto
lentamente incrociando nella stessa lentezza ed una vampata di
colore due guardie della polizia. Due uomini ben piazzati,
parlavano un tedesco a lei indecifrabile o forse stava solo per
cadere al suolo quando uno dei due le fece un occhiolino. Si
riprese da lì a breve, poi camminò di fretta verso
l'uscita. Poco distante dalla metropolitana c'era un night club
inaugurato da poco, lì aspettavano il suo arrivo già
da una decina di minuti tre folli criminali di fama
internazionale. Uno era una personalità ritenuta
disgustosa dai suoi stessi compagni,un grassone ornato di
medaglioni d'oro e camice sbottonate per la fuoriuscita della
folta peluria. Di origini serbe, aveva come precedenti anni di
guida al comando di gruppi banditi e saccheggiatori della vecchia
Iugoslavia, stessi gruppi che accolsero Helèna dopo la sua
fuga dall'esercito statunitense. L'uomo, che veniva
chiamato Bota si vantava spesso di aver avuto le
migliori donne del mondo, tutte a pagamento, e in seguito, per
relazione dei suoi racconti, la maggioranza si sarebbero
innamorate di lui. Heléna lo vedeva solo come una palla di
lardo, piena di soldi sì, ma ancora per poco pensava,
perché effettivamente non stava simpatico al Grande
Capo della Maskhadov e se la sua amicizia con qualche
sottocapo russo sino a quel momento gli aveva portato fortuna, il
suo destino era quello di perdersi dalle file della rivoluzione
armata che stava accadendo per le strade europee. Il secondo
era un assassino russo dalla promettente carriera nel campo del
terrorismo; un ragazzo biondo vestito con capi costosi e dal buon
gusto. Gilet e cravatte di alta scuola, per chi nel mestiere
doveva dare una buona presenza. Nonostante la sua giovane età
era un veterano nella Maskhadov; era conosciuto in
quell'ambiente come Nil, l'uomo dalla mano ferma, sgozzatore
di prima scelta,chirurgo d'alta scuola. In realtà non
sgozzava neanche più da quando era stato messo a comandare
una batteria di sette uomini. I suoi buoni rapporti con Bota lo
stavano portando a controllare i traffici russi sul fronte
dei Balcani,ma Bota non era poi così stupido
da non sapere che di quel giovane non c'era proprio da fidarsi:
per la sua troppa ambizione, per la sua follia che lo portava ad
amare il terrore e il potere. Nil non si sarebbe fatto
scrupoli a sacrificare uno qualsiasi dei suoi colleghi, questo i
suoi colleghi lo sapevano bene. Il terzo era Ludovich, un
ragazzo le cui apparenze tutt'altro portavano a pensare ad un
terrorista d'assalto. Era molto magro, di una magrezza che portava
a pensare che fosse malato. Vestiva quasi sempre in grigio o di un
nero sbiadito su giacconi lunghi e vecchi. Lo si vedeva di
continuo fumare e scrivere, trasandato e di malaspetto; si
esprimeva raramente con gli altri e per questo motivo ogni cosa
che poteva passargli per la mente, restava chiusa in quel
cervello. Sicuramente non era portato ad uccidere al contrario
degli uomini che sino ad allora aveva condotto alla battaglia; non
era portato per sparare alla gente, non era neanche tanto bravo
con le pistole, peggio se si trattava di pugnali o scontri
ravvicinati ma se la Maskhadov aveva bisogno di lui,
allora voleva significare che quel ragazzo nascondeva qualcosa,
qualcosa di molti più esplosivo di una
pistola. Conobbe Heléna lavorando anche lui
per Bota, tra assalti a carri blindati e carneficine di
interi villaggi. Era diventato in poco tempo il suo migliore
amico prendendosi cura di lei e in più di qualche
circostanza le aveva anche salvato la vita. Nella vita precedente
era stato anche un eccellente pianista ,questo prima di perdere le
intere capacità ad una mano, rimaneva poi un uomo di
cultura e amante della letteratura. In particolare quella
russa. Bota vide entrare Heléna per
primo. -oh ma ecco il nostro ragazzaccio dal culo formato! Ieri
sera si che sembrava satana sceso in terra; mai visto un essere
umano uccidere con tanta capacità! -Taci Bota, oggi non
ho proprio voglia di stare a sentire le tue stronzate.- rispose
lei. Poi si avvicinò Nil posandole un braccio
intorno al collo. -Bota questa volta ha detto il vero,
sei stata magnifica tesoro.-
Con
un'espressione di netto fastidio, Heléna guardò
il suo amico Ludovich che stava piegato su una sedia a
prendere un thé, non si curava dell'arrivo, tant'è
che lei era più infastidita per quello,che per lo stato di
ubriachezza nel quale versavano Bota e Nil. Nil aggiunse
subito: -Ed ora che questi giornalisti di merda sono fuori
dalle palle non ci rimane che fare il botto finale e prenderci un
meritato riposo tutti quanti. Vedrai Heléna, presto
saremo fuori da questa città così triste;ti porterò
in un posto dove ce ne staremo tutto il giorno in spiaggia io e
te, in costume a prendere il sole...e magari...- Nil le
si avvicinò con le labbra. - Magari cosa?Smettila
Nil!Puzzi come una capra;Finito il lavoro a Berlino me ne torno in
Italia. Vero Ludo che ce ne torniamo in Italia?- Ludovich aveva
la sua tazza in mano e appariva molto più distante da tutti
loro come se non fosse presente nella stanza. Era più magro
in quel periodo; visibilmente sembrava essere consumato da qualche
pensiero insolito. Si accese una sigaretta non curandosi di
niente. -Vero che torniamo in Italia Alexander?- ripetette
lei. Allora Ludovich si rivolse verso di loro,
sorridendo quasi forzatamente. Poi parlò: -Helèna
forse non lo sai ancora, ma in Italia, le cose... vanno molto
male. Le rivolte sono arrivate dalle provincie alle città;
come se non bastasse il capo del governo è sparito, non si
hanno più sue notizie da giorni. Nessuno sa dove sia;
andare in Italia di questo periodo sarebbe come consegnarci alla
polizia.-Lei si liberò dal braccio di Nil ribattendo: -Ma
come? Me lo avevi detto tu che saremmo tornati a casa
dopo questo lavoro! Che se la vedano loro la loro rivoluzione,
perché lo sai anche tu che tutto questo spargimento di
sangue sta diventando incontrollabile oltre che sempre più
assurdo! -Cosa vuoi fare, tornare a Milano? Fa' pure. -Sai
benissimo che io porterò a termine ogni mio lavoro, ma
perché prolungarlo più del dovuto? Avevamo lasciato
Sarajevo solo per fare qualche lavoretto e ora stiamo facendo
fuori tutta la C.S.U.; ci rendiamo conto? Questo per far arrivare
un gruppo di pazzi e fanatici russi al potere in Russia? Non ti
pare una follia? Intervenne poi Nil dicendo: -Eih
Eih, calma! - Intervenne Nil abbastanza
indispettito.-La Maskhadov sa perfettamente dove vuole
arrivare e lo sta facendo con l'unico mezzo possibile. Quando
tutto sarà finito, la gente potrà uscire tranquilla
dalla propria porta di casa, allora capirete cosa è stata
la Maskhadov e il dono che avrà lasciato al mondo questa
rivoluzione.- Al commento di Nil, Ludovich piegò la
testa quasi si fosse vergognato un po' per lui ma non distolse
l'attenzione dal discorso con Helèna. -Helèna,ti
pagano profumatamente o sbaglio? Una volta che i russi avranno
spazzato i rispettivi leader europei, io e te saremo così
ricchi e ancora giovani da poter fare ciò che più ci
piacerà.- Le disse garbatamente il suo amico. -No
Ludovich, ti stanno manipolando, questa gente ha ideali del tutto
contrari alla libertà; se ti dicono che abbatteranno le
leggi del capitalismo, che esisterà una legge in grado di
togliere la fame dalle città e formare un equilibrio
sociale ti stanno solo prendendo per il culo! Questa è
gente che parla ancora di comunismo ma aimé, nella forma
più atroce che il mondo abbia mai conosciuto; una dittatura
sanguinaria e suicida, perché una volta arrivati al potere
si squarteranno l'uno con l'altro. Proprio come Stalin avrebbe
fatto con Lenin! - E a me cosa interesserà di
Stalin? Giace sepolto nel vicinanze del Cremlino! Lo faccio solo
per avere i miei soldi io. Dopo che facciano quello che crederanno
opportuno. -Cazzate! Lo so che non lo fai solo per i soldi e ti
stai mangiando il cervello caro mio; ragioni come un qualsiasi
giovane soldato, ma tu non sei un soldato Ludovich, sei un
musicista e non c'entri niente con questi animali!
Bota si
alzò dallo sgabello dove era seduto. Indossò la sua
giacca e poi puntò il dito contro Heléna. -Tu
ragazza stai prendendo un andamento che non mi piace affatto! Non
vorrei mai che gli americani venissero a sapere che il loro
soldato ribelle è qui nella nuova Germania a fare discorsi
contro la gente che sin ora le ha dato da mangiare. Perché
sai che questo potrebbe accadere immediatamente se al vecchio Bota
girano le palle. A quel punto faresti prima ad andare dal Grande
Capo e dire che sei una puttanella vogliosa di prendere cazzi in
culo, allora sì che il Grande Capo sarebbe così
misericordioso da risparmiarti la vita e chiuderti in un bordello.
Magari quando avremo il controllo di Praga ne gestirai uno tutto
tuo eh? Ti piace l'idea? -Bota mi fai schifo! Ma
nonostante questo riesco a provare pena per te. La stessa pena che
i russi mi hanno insegnato per te. Ti faranno fuori una volta che
i tuoi servigi nei Balcani non serviranno più alla loro
causa. Sei un essere così misero che non te ne
renderesti conto neanche se te lo affermasse il Grande Capo in
persona, povero verme!- Agguantò lo stesso bicchiere nel
quale Bota aveva bevuto e stava per scagliarglielo
contro quando Nil la fermò. Il grassone, intanto,
se la rideva -Certo certo, sono io quello che fa schifo, mentre
tu sei una santa che uccide per il bene comune. Allora perché
non mi purifichi? Purificami troietta, purificami!! hahaha voglio
essere salvato!!!
La
porta venne sbattuta con violenza ed i tre giovani rimasero soli
nel night club che a quell'ora era chiuso al pubblico. Nil
continuava a versare della vodka in un bicchiere e mandare giù
con segni di sforzo sul suo volto.
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** CAPITOLO II-NEI DUE FUOCHI (Berlino parte seconda) ***
CAPITOLO
II
" NEI DUE FUOCHI " Berlino parte
seconda
Nel
pomeriggio Heléna
Mullova riposava sul letto della sua suite d'albergo con
addosso solo dei pantaloncini e una canottiera, la Colt
Commander sotto il cuscino. La stanza era completamente oscurata
dalle serrande abbassate, portacenere, sigarette, calze e indumenti
intimi sparsi ovunque. Qualche fascio di luce riusciva a penetrare
debolmente la finestra, qualche munizione lasciata su un tavolino di
noce veniva così illuminata. Bussarono.
-Chi
è?- Chiese la ragazza dal letto -Nil.- E la porta si aprì
in un assoluto silenzio nell'oscurità del pomeriggio. -Cosa
sei venuto a dirmi Nil?
Il russo camminava tra gli angoli
oscuri nel silenzio. Nella spaziosa suite c'era un odore di aria
consumata così che si accesero immediatamente i condizionatori
creando un brusio in sottofondo. La canottiera bianca di Heléna
si muoveva all'altezza del piccolo seno. Nil aveva in mano
una busta sopra la quale era riportato il nome di una grossa
firma di moda, poi si fermò difronte ad uno
specchio. Heléna chiese: -Sei stato a fare
compere? -Sì, ero venuto a darti questo.- Heléna prese
la busta e scartò la confezione regalo che avvolgeva il
materiale. Un vestito, qualche indumento comprato nel miglior negozio
del centro. Dettagli di poco conto, a lei non interessava ricevere
qualcosa e non si aspettava che Nil fosse stato a fare
spese per lei. Infatti nervosamente cercava di capire cosa
significasse quel gesto e scartava freneticamente l'involucro. Poi
la debole luce accarezzò la punta di una ciocca di capello
sino ad arrivare ad un occhio.Un malinconico sguardo al
vestito. -Cosa sarebbe questo Nil? -Guarda bene, c'è
anche una parrucca... -Appunto è un vestito da
hostes. -Stai capendo bene, è un travestimento. -Temevo
fosse un gioco perverso di quel coglione di Bota. -... ci sono
stati degli imprevisti. La famiglia del signor Vogt ha messo di
mezzo un'agenzia investigativa che si è messa subito a fare
delle indagini riguardo alla carneficina di ieri sera. A poco
serviranno i poliziotti che abbiamo corrotto,dunque: o mandiamo in
porto il nostro piano questa sera, oppure il Grande Capo farà
saltare noi al posto della C.S.U. -Qual'è il piano? -Questa
sera ti chiamerai Linda Lang, ti presenterai ad un convegno della
C.S.U come hostes, accompagnerai i signori a sedere, farai la tua
sporca figura dinanzi ad un vasto pubblico di democristiani. Dovrai
solo sorridere e accompagnare, sarai una normale hostes. Dovresti
essere contenta una volta ogni tanto che non ti si chieda di piantare
pallottole nelle cervella della gente.-
Ecco
che nella mente le tornarono strane immagini. Quella stessa mattina
nella metrò: istanti passati ad osservare quella donna mite
seduta nel suo spazio di un seggiolino da metropolitana. Un'immagine
così innocente secondo il suo punto di vista. Stava succedendo
qualcosa dentro di lei e lo avvertiva. Era come se l'immagine di
quella donna si stesse alzando intenta ad urlare contro: “perché
continui ad uccidermi? Cosa ho fatto io oltre a non essere diventata
una furia assassina come te?” Heléna
provò a tornare in sé e riprendere il discorso.
-Una
normale hostes eh? Non si era detto che il punto da colpire non
doveva essere mai un edificio aperto al pubblico? Mi pare che un
convegno di democristiani sia ugualmente tanta gente no? -Ma
appunto.. sono democristiani, in alternativa saremo noi a saltare,
perché il Grande Capo non è un uomo che ha pazienza,
dovrebbe esserti entrato in testa. Bota ha anche riferito i tuoi
recenti comportamenti a qualche superiore; presto tutta la Maskhadov
sarà pronta ad affidarci la colpa di un insuccesso inglorioso
e traditore. Quindi mia cara...porterai con te uno zainetto che
lascerai in uno dei camerini. A dieci minuti dalla fine
dell'intervento del Bundeskanzler ti converrà uscire in tutta
tranquillità e senza dare nell'occhio, ti aspetteremo
appostati in un furgoncino a cinquanta metri più avanti dal
palazzetto.Tutto chiaro? -Perché proprio io devo
rischiarmela in questo modo, mentre voi sarete fuori ad aspettare? Il
ragazzo prese le munizioni che erano sparse sul tavolino, le fece
scorrere come biglie tra la sua mano destra, poi si fermò come
preso da un abbaglio. -Chi pensi che terrà pulita la strada
dal passaggio di volanti, o peggio ancora, dai civili che passeranno
per le strade di Schoneberg? Questa sera oltre all'intero palazzetto
morirà qualche poliziotto in più ma tu non devi
preoccuparti di questo, devi solo comportarti bene e lavorare come
hai sempre fatto, vedrai che tutto finirà presto.
Nil allora
raggiunse l'uscita. La porta si chiuse e la ragazza si lasciò
cadere nuovamente sul letto.Suonò il telefono. Le labbra che
volevano poggiarsi sul morbido cuscino, andavano a mordersi.Quanto
tempo ancora sarebbe passato? Lesse i suoi nuovi documenti, una
nuova identità per passare le frontiere. “Linda Lang”
si ripeteva. Linda Lang le si presentò allo
specchio due ore più tardi, era lei stessa vestita in tailleur
da lavoro, tacchi non eccessivamente alti, capelli lunghi e neri,
lucentissimi. Ecco chi era Linda Lang; una statunitense
universitaria che di tanto in tanto faceva la hostes per uffici
rispettabilissimi, in giro per il vecchio continente. Era bella,
giovane e vogliosa di affermarsi nel mondo del lavoro. I suoi
genitori sarebbero stati felici di saperla a Berlino a
celebrare un convegno del più grande partito democristiano
europeo. I grandi valori della famiglia, la gioia dell'ottica
progressista dei partiti moderni; ne sarebbero stati fieri della loro
bellissima figlia. Linda alzò le serrande della
suite, era un fantastico tramonto, un sole gigantesco pareva voler
atterrare su Berlino e una radiosveglia iniziò a
suonare lievemente per la stanza. Musica classica per Linda che
per qualche istante si senti orgogliosa tanto da riguardarsi ancora
allo specchio. Il movimento della sua mano, ora si toccava il volto
come una danza per poi accendersi una sigaretta e trovare il telefono
per chiamare qualcuno. Così sfogliò di fretta
un'agendina e ne rideva della sua fretta; una fretta estranea a lei
come lo era quel tramonto, ma non riuscì a trovare il numero
giusto perché qualcuno bussò alla porta nuovamente. Gli
occhi le brillarono.
-Ludovich
sei pregato di non importunare! Se sei così abile come tutti
dicono puoi benissimo intrufolarti dal balcone, ma sappi che...
sonooo nudaaa!!! -Dai stupida apri, non ho tempo da perdere. E poi
non hai un balcone in camera!!
Ludovich oltre
la porta rimase sorpreso così che fece un passo indietro e
controllò il numero della stanza. -Heléna? -Heléna
non c'è, io sono Linda... Linda Lang, entra pure. -Heléna
dovevi vestirti al palazzetto, non qui! -Chi vuoi che noti una
stupida statunitense prima che vada a lavoro? -Forse la
portineria? -Quei cretini della portineria sono capaci solo di
guardare il sedere. Stai tranquillo Ludo, andrà tutto come
deve andare. -Ma poi cos'è quest'aria di festa? Ti ha
spiegato tutto Nil,sì? -Mi ha spiegato tutto e sono
contenta che questa sera finalmente ce ne possiamo andare. -Quante
volte ti ho detto di non lasciare le munizioni in giro?
Ludovich come
sempre le ordinava la stanza ogni volta che entrava, piegava i suoi
vestiti, si accertava che non mancasse nulla di ciò che
dovesse esserci e che non vi fosse nulla di estraneo. Che questo
fosse anche un bene per la ragazza passava sempre in secondo
piano. Linda lo guardava con ammirazione come sempre,
talvolta però lo riprendeva a suo modo. -Oh Ludovich,
faresti meglio a non brontolare e darti una
calmata. Ludovich continuava a gironzolare e aprire
cassonetti e mobili, a piegarsi sotto il letto e il divano. -Non
so cosa tu abbia ragazza mia, ma è arrivata l'ora di andare.
Ci stanno aspettando Peter e Frank di sotto. Linda quindi si
avvicinò fissandolo sul viso. -Mi chiamo
Linda- sussurrò. Timidamente Ludovich si
staccò da quello sguardo. -Ok Linda, hai cinque minuti per
raggiungermi. Linda Lang scese le scale dell'albergo mentre
la portineria era del tutto indifferente impegnata in operazioni
da booking and reservation.Linda Lang uscì
dall'albergo facendo una grossa scorpacciata d' aria, teneva chiuso
con le mani un pesante giaccone viola che ad Heléna andava
un po' grande e per cui non aveva messo mai. Peter, che era un
austriaco minuto ed un uomo all'antica, era al volante. Frank, suo
fedelissimo compagno spilungone dal baffo molto retrò, fece
un cenno con la testa. Peter ebbe subito da dire
qualcosa. -Io non ne posso più di voi giovani teste di
cazzo, siete sempre in ritardo di dieci minuti, porca
merda!- Linda lo guardò dallo specchietto, accennò
a deriderlo. Ludovich intervenne: - Guarda che è
Linda che deve arrivare puntuale a lavoro, mica tu, quindi pensa a
guidare e vedi di fare in fretta,siamo in ritardo.- Qui Linda lo
derise palesemente. Frank poi commentò: -E chi
è Linda??- Ludovich scoppiò a
ridere. Peter sbandò quasi andando a invadere l'altra
corsia per poi ritornare nella sua.
Era
sera a Berlino.La
macchina si fermò sgommando, non c'era ancora nessuno nelle
vicinanze del palazzetto. Linda entrò
con il suo cappottone ed uno zainetto. Ad accoglierla un ragazzo
della sua età. Poco più alto di lei, bruno dai capelli
a spina. -Ciao
tu devi essere Lang vero? -Sì
piacere Linda. -Mark, piacere di conoscerti.-
Linda strinse
la mano destra mentre con la sinistra teneva il suo cappotto chiuso
mancante di qualche bottone. Catturò il sorriso che le aveva
appena fatto Mark, lo avrebbe usato per tutta la sera per
chiunque avrebbe visto, con chiunque avrebbe parlato. -Vieni con
me Linda, ti accompagno nei camerini. Vedi la struttura è
molto piccola, dovremo adattarci. Ma come ti avrà detto
l'agenzia non si tratta di nulla che possa essere complicato, al
massimo ci improvviseremo degli ottimi camerieri!- Mark, dal primo
istante le sembrava entusiasta di quello che stava facendo, come in
parte lo era anche Linda ma Linda lo era perché era nei
panni di Linda e non in quelli del solito killer. Mark era
solo un sorridente ragazzo che non sapeva di dover morire quella
sera.Linda non doveva pensarci, se ci avesse pensato sarebbe
caduta in una fossa di incubi che nulla c'entravano con la sua vita
da hostes. -Ho letto sul tuo curriculum che sei americana e studi
a Yale, mi sono subito eccitato all'idea di lavorare con una mia
coetanea proveniente dal Connecticut! Linda Lang forse non
sapeva neanche che l'università di Yale era una
delle migliori al mondo, non le importava in quel pomeriggio,
osservava piuttosto la struttura del palazzetto, le scritte come
quelle delle uscite di sicurezza le passavano sotto gli occhi,
contava gli estintori appesi ai muri. Ammirava i quadri posti nei
corridoi, sapeva bene che erano tutti falsi e di poco valore.Mark le
fece vedere proprio tutto dal back stage della sala
che avrebbe tenuto il discorso del cancelliere tedesco ad un piccolo
balconcino dove poter fumare. -Puoi darla a me la tua borsa. -No,
preferisco tenerla io, ho quel problema che noi donne ci portiamo
dietro di mese in mese, vorrei andare in bagno a cambiarmi più
tardi. Così si separò da Mark per andare
nella parte retrostante dell'edificio. Lì c'erano alcuni
amministratori pronti alla grande serata, e tra il gruppetto di
gente, un po' separata, una bambina giocava con la sua bambola di
pezza. Linda Lang stava fumando una sigaretta mentre
osservò come quella bambina guardasse il proprio oggetto,
cercando di darsi una spiegazione. Non trovandola, la bambina si
avvicinò a lei chiedendole. -Perché la mia bambola
non parla? Linda Lang stava pian pano prendendo confidenza
con il sorriso di Mark così che rispose sorridendo
alla bambina mentre si accorgeva che i genitori gettavano occhiate
indiscrete. -Vorrà dire che la tua bambola non ha voglia di
parlare. -Ma lei non può parlare.- rispose la bambina
con poca convinzione. - A no? E perché?- Linda si
era così avvicinata alla bambina che sempre più
sgarbatamente maneggiava la bambola. Il sorriso stesso di Linda aveva
fatto si che i genitori si fossero completamente immersi nei loro
discorsi politici. La bimba dunque rispose stizzita: - Perché
lei non è reale, lei è uno stupido pupazzo!- Queste
parole per Linda suonarono lente come una corrente che
veniva dall' impianto d'aria poco distante; ancora le smorfie di
quella gente che parlava e parlava della politica tedesca. I
lampioni e tutte le luci lì presenti si accesero in fila ad
indicare che da lì a poco sarebbe iniziata la serata. -Lei
è uno stupido pupazzo per questo non parla! La bambina in
una sequenza veloce di azioni mise a terra l'inerte e muto
oggetto di pezza, lo calpestò prima, poi strappò
la lana che faceva da capelli; la strappò tutta. Si accanì
di colpo come un'isterica. A Linda non sembrava vero
quello che stava accadendo quindi cercò di distaccarsi
mettendosi verso la porta in via di una fuga da quella bimba. Temeva
allo stesso tempo che i genitori si accorgessero di cosa stesse
accadendo e che ne avrebbero chiesto motivazioni a lei stessa. Quando
motivazioni non vi erano. Era isteria pura di una bambina bionda che
ora si stava tutta spettinando e stropicciando, china a terra ad
uccidere la sua bambola. -Smettila!Smettila!- Disse Linda.-Bambina
fermati, non ha alcun senso! Smettila, fermati!- Ma la bambina non
stava a sentire, anzi era troppo intenta a imprecare contro
l'oggetto. Inaudibile o no, stava accadendo che una così
bella bambina sapesse cacciare parole così
orrende. Allora Linda si allontanò subito. Lasciò
la borsa dietro ad un termoventilatore. Mark la stava
cercando. Il cancelliere era già arrivato;la giovane
statunitense prese quindi posizione davanti all'ingresso per dare il
benvenuto. Fu impressionata di colpo nel vedere tutta quella folla
di gente avviarsi all'entrata. Signori ben vestiti apparentemente
simpatici o anche meno, tutti che salutavano e avevano omaggi da
fare; c'era poi la stampa e numerosi flash in ogni
direzione. Linda era in piedi da mezz'ora a stringere mani,
assieme a Mark che la presentava come raccomandata
del signor D, che Le aveva proposto interessanti
collaborazioni nei convegni del partito. Tutti si dicevano
entusiasti di questi giovani, così belli, così eleganti
e garbati, stupende stelle, promesse per un'Europa diretta al
futuro. Qualcuno strinse la sua mano dicendo: -Mi congratulo con
lei, un altro dirigente felice di questa Europa diretta al collasso!-
Ma nessuno lo vide in faccia, neanche lei. Nessuno forse lo aveva
sentito, a parte lei. Non sentiva più la sua mano. Si
accorse di stare male, sudava nuovamente freddo, ma aveva finito di
accogliere gli ospiti nella sala. Mark le disse qualcosa, non
lo stette neanche a sentire, poi una donna le andò incontro,
La spinse tirando fuori parole indecifrabili. Linda Lang a
stento riusciva a stare in piedi. L'effetto di Linda Lang stava
vacillando. Chi era quell'essere ora cosa gracile? Di certo non
Heléna Mullova. Non poteva più riconoscersi e qualcosa
di gravoso per la sua coscienza stava distruggendo corpo e
mente. -Cos'ha la ragazza? -Non si sente bene? -Forse
dovremmo chiamare qualcuno...un medico...c'è un medico?
Voci
sconosciute, ombre che rimanevano ferme negli spazi dell'edificio, un
pavimento danzante, probabili allucinazioni. Stava cercando la borsa
ma non ricordava più dove era posta. Ricomparve Mark
con lo zaino e il suo cappotto, aveva uno sguardo severo.Capì
che il ragazzo aveva smascherato il piano, ma cosa fare? Correre.
Scappò via come un razzo, arrivò ad un corridoio e si
intrufolò nella prima porta che vide.Si accasciò per
terra. Si accorse di essere in un bagno. Con la mano tremolante prese
della carta da un distributore. Si asciugò il volto: il trucco
che sbavava sul viso. "Heléna!": una voce dentro
di sé. Allora si alzò facendo piano. Si trovò
davanti ad un enorme specchio. "Heléna..."
-Linda!!-
Era Mark. -Sì
Mark? -Va
tutto bene Linda? Posso entrare? -Ehm
Mark non sto tanto bene scusami, penso che andrò direttamente
in hotel! -Ma non alloggi al dormitorio? -Sì
intendevo quello...! -Beh
fatti restituire la tua borsa e il cappotto almeno. La
ragazza aprì la porta e prese al volo la sua roba. -Scusami
Mark...- La
richiuse mentre Mark rimase
immobile fuori nel corridoio.Così rimase sola. Aprì la
borsa e vide che era piena di tritolo proprio
come Peter e Frank avevano
consegnato. Mark dunque
non era stato così impiccione come temeva. Notò
che però il timer era
guasto, o meglio, aveva la convinzione che la bomba fosse attiva ma
che il timer non
stesse segnando i minuti.
"Heléna
non fare la stronza suvvia, infondo sono solo democristiani... sono
più mafiosi loro dei guerriglieri. Con il loro perbenismo
inquinano il mondo di falsità, per non parlare del loro
mercato che va sempre a scapito della povera gente. Il loro mercato è
qualcosa di più insulso della nostra rivoluzione. Sì
Heléna che tu lo voglia o no, ne sei parte della
rivoluzione!" Così lasciò cadere la borsa
dietro ad un cestino della spazzatura, non sapendo se sarebbe
esplosa. Tolse la parrucca e dall'esterno si sentì il rumore
del caricatore della Colt Commander, un rumore che in fondo...
le aveva sempre dato una certa botta alle vene rendendole altamente
pulsanti e vive. La eccitava più della droga, più
del sesso. Odore metallico, odore di polvere da sparo. Heléna uscì
poi dalla finestra liberandosi delle scarpe con il tacco,le buttò
via. Si accese un'altra sigaretta camminando tra la gente che non
doveva esserci per Schoneberg, ma non le interessava più.
A quel punto potevano morire tutti. Ad Heléna proprio
non importava più. Trovò la prima cabina ed inserì
una scheda. -Pronto? -Heléna da dove chiami?-Era la voce
di Nil. -Sono dentro l'edificio, volevo informati che procede
come previsto. -Benissimo bambina, assicurati che nessuno si
accorga di niente, fai che rimanga dentro per almeno altri quindici
minuti. -Certo. Chiuse. Osservò ancora tutta la
gente che nelle vicinanze passeggiava ora fermandosi nei ristoranti
vicini, ora rimanendo ferma agli angoli a parlare. Se Berlino era
veramente spaventata come i telegiornali dicevano Heléna non
si spiegava come mai vedeva così tanta gente. Forse non
erano neanche tanti, forse pesavano ad uno ad uno sulla
coscienza. Qualcuno la notò senza scarpe con la sua aria
seria come il giorno prima. Stette ferma qualche altro minuto, poi
imboccò la parallela e chiamò un taxi. Qualche
minuto più tardi ci fu un silenzio improvviso, il furgoncino
che doveva esserci, non c'era. Esplose il piano terra del palazzo
e nel giro di pochi istanti si sentivano già le sirene pronte
ad intervenire.Il cancelliere tedesco sarebbe morto solo
qualche ora dopo in un ospedale vicino. Non vi erano traccia
di Nil, ne di Peter o di Frank, né di
Ludovich.
-Dove vuole che la porti signorina? -Aeroporto di
Tegel per favore, faccia in fretta.
Mentre Berlino si
illuminava di una nuova carneficina, una bambina bionda giocava sul
ciglio della strada. Aveva in mano una pistola giocattolo e
sparava ad una donna seduta sul sedile posteriore di un taxi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** CAPITOLO III-Più il mio cuore ti è lontano...(Berlino parte terza) ***
CAPITOLO III
"Più il mio cuore ti è lontano..."
Berlino parte terza
Quando Linda Lang scese dal taxi, all'aeroporto di Tegel, due cani le si avvicinarono; le odorarono prima un borsa, poi delle scarpe nere in tela, poi il suo giaccone viola. Il giaccone notevolmente più grande di lei. Si sentì in imbarazzo nei confronti dei cani.Due poliziotti la fermarono dal proseguire verso l'entrata. I lampioni verdi del parcheggio, traballarono per qualche istante.
-Documenti.
Helèna mostrò l'identità falsa di Linda Lang. Strofinò forte le mani portandosele alla bocca.
I due si consultarono.
-Deve aprire la borsa. Per terra per favore.
Allora lei prese la borsa e svuotò per terra trucchi e rossetti di vario genere; spuntarono preservativi, dildo e carte per tarocchi.
-E' sicuramente una prostituta.-Disse uno all'altro. L'altro rispose:
-Una prostituta cinese.
I cani antidroga si erano già allontanati. Proprio vicino all'entrata un gigantesco cartello pubblicitario promuoveva l'apertura di un nuovo cinema. Linda Lang sorrise.
-Sgomberare signorina, non c'è nulla da ridere.-
Si tolse di mezzo prendendo la sua borsa ed i preservativi che le cadevano di mano; fu in una manciata di secondi che entrò dentro. Pensò che il più era stato fatto. Erano soltanto le 22.34; aveva ancora tutto il tempo per prendere il volo delle 22.50, quello per Roma.
Gli sportelli per il ticket erano quasi tutti vuoti, le sale d'attesa erano un deserto in cui sembrava facile perdersi. Linda Lang temeva di smarrire qualcosa,nonostante la convinzione di aver tutto il tempo dalla sua parte; notevole vantaggio quando dietro ti porti una carneficina. Voleva smarrire qualcosa; magari qualche ricordo.
Un mega televisore posto sopra una colonna di materiale plastico, glielo annunciò tramite una giornalista dalla faccia impassibile e poco truccata.
-Questa volta il bilancio dei feriti è grave, il numero dei morti è quello di una catastrofe.-
Helèna pensò che per dare un giudizio dopo l'esplosione di una bomba di tritolo, bisognava avere una certa esperienza alle spalle. Catastrofe.
-In base a quale episodio è una catastrofe?- Disse Helèna.
-Parliamo di duecentotré morti e quarantasei feriti, due le persone in stato di coma che, secondo il parere dei medici, non arriveranno a domani.- Continuò la giornalista.
-Arrivare a domani...-Pensò Helèna.-Devo arrivare a domani. Duecentotré, più due di domani ,più sette di ieri. Quanti caffè ho preso oggi? Ho sonno, sto crollando lo sento.-
Tirò su la sua borsa e proseguì nel camminare. Arrivò ad uno sportello; si guardò bene attorno. Solo mega schermi di arrivi e partenze; solo pubblicità; saracinesche abbassate, distributori lontani e sfuocati. La scritta della coca-cola la sapresti riconoscere ovunque.
Una mano le si posò sopra.
-Una borsa, scarpe di tela...non sapevo tu fossi una maga Helèna.
-Dovevi solo farmi un poco più furba di te Nil.
-Come hai fatto?
-Come ho sempre fatto, fermare un taxi e dare dei soldi ad una puttana per farmi dare un po' dei suoi indumenti.
-Inizi proprio a piacermi sai?
La ragazza si voltò, ma se ne guardò bene dallo sforzo di guardare la sua faccia; non riusciva proprio a sopportarlo, in quell'istante poi, un odore omicida passava proprio sotto il suo naso.
-Stai già pensando di uccidermi, ma lascia che ti spieghi...
-No Nil, non riempirti la bocca di cazzate, ho capito benissimo quello che volevate fare.
-Non puoi averlo capito perché niente è andato come previsto. A parte il botto, beh sì quello c'è stato e l'obiettivo alla fine è stato raggiunto, ma voglio che tu mi creda se ti dico che non avevamo calcolato tutte quelle volanti e quei posti di blocco.
-Ti ho chiamato Nil; mi hai detto che la bomba sarebbe esplosa in quindici minuti... quando poi è esplosa in meno di un minuto dal termine della nostra conversazione. Il piano prevedeva che io stessi dentro al momento dell'esplosione; mi spiace per te che non sia andata così.
-Non era previsto Helèna, devi aver danneggiato il timer dell'ordigno.
-So perfettamente quando un timer si danneggia o si disattiva per programmazione. So anche riconoscere una cellula per telecomando; bastardi.
Nil, storse il muso. Non sapeva più cosa aggiungere ad una conversazione che diveniva sempre più ostile.
-Dov'è Ludovich?-Chiese lei.
-Era questo che ti volevo dire...beh Ludovich è...
-Parla Nil, fai in fretta perché ho un volo da prende tra qualche minuto.
-Un volo da prendere? Per dove?
-Parla... dov'è Ludovich?
-Ludovich è stato arrestato. Siamo stati presi da alcune guardie che passavano di controllo vicino alla stazione di U-Bahn; io Frank e Peter siamo riusciti a scappare, mentre lui penso che ne avrà per qualche giorno.
-Cazzate!
-Ok, sei libera di non credermi. Forse il troppo lavoro ti sta dando alla testa.
-Se volevate togliere di mezzo me, avrete fatto altrettanto con lui.
-Farnetichi! Togliere di mezzo un demonio come te che sa mettere in atto certi terremoti è controproducente alla nostra causa. Il grande capo presto onorerà il tuo operato, devi starne certa.
-Spero che lo faccia direttamente su qualche mio conto in svizzera. Perché io non voglio più avere a che fare con questa storia. Ho chiuso definitivamente.
-Ora se tu che ti riempi la bocca di cazzate. Sai che non prenderai quel volo per Roma.
-Cosa stai dicendo?
Allora Nil, inclinò lo sguardo verso il pavimento, così lucido che ci si poteva riflettere; ed aveva una faccia imbronciata Nil, sempre molto scura, anche quando si sentiva in dovere di allargare un sorriso.
-Non puoi andare da nessuna parte se prima non finisci il tuo lavoro per noi.
-Chi me lo impedisce? Tu?
Qui Nil, si fece molto più severo; le accarezzò il volto; di sbieco le fissò gli occhi.
-Non dimenticare che sei una donna assassino Helèna. Per quanto tu possa essere forte e coraggiosa, sei perseguitata da tutte le polizie del mondo, la tua libertà dipende da qualcuno,non devi mai dimenticartelo. Così come per il tuo Ludovich... ci tieni a rivederlo vero?
Helèna digrignò i denti, afferrò il polso di Nil; lo sputò in un occhio.
-Ricorda Nil, che io posso ammazzarti quando voglio; lo dico e lo faccio! Tu prega soltanto che Ludovich stia bene, che sia ancora vivo...che con quelle teste calde dei tuoi scagnozzi non si può mai sapere.
-Ti ho detto che si trova in un stazione di polizia.
-Ripeto che menti proprio come un neofilo.
Nil porse un biglietto. “Parigi”, aeroporto.
-Cosa ti fa pensare che io andrç a Parigi Nil?
-Il fatto che non hai scelta mia cara, sei dentro il gioco sino a che non finisce.
-Il gioco per me finisce proprio ora.
-Non sei tu a stabilire come e quando. Bisogna che a Parigi si mettano in chiaro le cose, ci sarà meno violenza, questo posso garantirtelo poiché con i Francesi gli accordi già ci sono.
-Bravo, se avete già degli accordi a cosa serve la mia presenza?
-Serve la tua presenza perché servono i nostri killer migliori, ci serve il nostro “terrore” migliore. Se fai la brava è probabile che io possa farti giungere Ludovich a distanza di qualche giorno.-
Helèna, sembrò tramortita da quanto le giungeva al cervello e la parola cervello le mandava in tilt tutto il ragionamento fatto da lei qualche secondo prima.
Lo stomaco tornava a muoversi, qualcosa di ben più viscerale andava aumentando sino a sfondarle il petto e toccarle la gola. Allora l'istinto, dote che un killer deve aver pronta in qualsiasi momento, glielo suggerì come una miccia accesa dalla testa di un fiammifero.
La Colt Commander si estrasse dalla gonna quasi automaticamente e stava posandosi sulla fronte del ragazzo,quando lo stesso, da una posizione apparentemente immobile, riuscì prima a bloccare il braccio di lei, dopo, le diede una gomitata sull'avambraccio che ne risentì così tanto da far cadere per terra la pistola. Helèna provò un dolore così forte che non riusciva più a muoverlo.
Lui allora riuscì ad allargare un sorriso.
-Spero che tu abbia capito la questione cara Helèna. Non ti resta altra scelta.
-Sai cos'è? Avrei voluto capirlo prima. Avrei voluto accorgermene di quel momento in cui non ho più avuto la possibilità di decidere. Sono stata una povera stupida a mettere la mia vita nelle mani di voi schifose bestie.
-Vita? I killer non hanno una vita, tu come me vieni pagata per quello che fai; quel che fai è passare i giorni sul filo di un stato tra la vita e la morte. Non è vita, dovevi pensarci molto prima.
-Delle volte penso che tu non sia così stronzo come il tuo comportamento porta a pensare... delle volte, poi mi rendo conto di chi sei, e mi fai ancora più ribrezzo Nil.
-Lo so, ma non ho tempo per i sensi di colpa ne per stare ad ascoltare i tuoi mugugni.
Helèna prese il biglietto, si dirisse verso il tunnel 4, si voltò per qualche manciata di secondo per guardarsi le spalle. Il giovane dietro di lei aveva già preso la via per un altro imbarco. Nella sua mente, Helèna aveva potuto fare dei calcoli veloci ed approssimativi. La Maskahodov si preparava per un altro cielo di sangue.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** CAPITOLO IV-Nelle tasche (Parigi parte prima) ***
Capitolo IV
"Nelle tasche"
Parigi
parte prima
-Mademoiselle Lang,
svegliatevi! -Lo disse mischiando un po' di tutto, ma Heléna
capì benissimo.
La stanza era totalmente
buia; l'orologio segnava in un ticchettio che faceva solo da sfondo ai
rumori della strada; subito fuori dalla finestra, rumori ovattati dalle
mura ma che comunque pian piano riuscirono ad interrompere quel beato
sonno del primo giorno a Parigi.
Pauline
entrò correndo verso le finestre,la porta della stanza fece
un rumore tale che sì udì anche per strada.
Spalancò le serrande in un baleno, uscì dalla
stanza, vi tornò in pochissimi secondi mettendo sul comodino
un vassoio con della marmellata, due croissant e del latte. Corse
ancora fuori, prese un secchio ed un manico di scopa.
-Oddio no, quella
finestra no!-Disse Linda
Lang in un inglese perfetto ed una pronuncia che non
lasciava intendere alcuna provenienza.
-Sono spiacente
mademoiselle Linda, ma devo informarti che è mezzogiorno,
sarà meglio uscire per pranzare non credi?
-Mademoiselle? Ma
che razza di appellativo orrendo è mai questo? Per favore,
mi chiamo Linda... Linda e niente altro, ok?-
Heléna
osservò bene la stanza, non aveva avuto tempo per osservarla
nella notte trascorsa. Era arrivata molto stanca da quel viaggio. Le
pareti erano bucherellate un po' ovunque, color
giallo ocra. Vi erano evidenti segni di usura del tempo, scheggiature,
graffi; questo le balzò in testa all'istante. C'era un
comodino di fianco a lei. Scassato ma di un qualche legno
pregiato,doveva essere in noce per quelle che un tempo erano state le
eleganti venature. Una cassapanca poco distante era l'oggetto
fondamentale della stanza,lì Heléna
aveva posato il suo vestiario.
Quando Pauline
andò per sistemarglielo, Helèna saltò
dal letto facendosi cadere il croissant
dalla bocca.
In mente aveva dei
familiari flashback
di quando aveva poco più di diciassette anni.Sua madre
apriva la finestre ogni mattino, ed ogni mattino il timore era sempre
lo stesso: il rumore
metallico dei proiettili che cadendo dalle tasche danzavano colpevoli
sul pavimento.
-No ferma! Lascia
lì quella roba!
Pauline si
sentì non poco imbarazzata, cercò di far finta di
niente e depose i vestiti là dove erano.
-Sì hai
ragione Pauline e ti ringrazio per il favore, ma delle mie parti ci
infastidisce che qualcuno sistemi i nostri vestiti. Sia chiaro, non ho
nulla da nascondere, ma è un'abitudine a mio modo sbagliata
che aveva anche mia madre quella di toccare i miei pantaloni; ed io ad
ogni mio risveglio avevo il timore di aver lasciato nelle tasche degli
oggetti compromettenti. Sai quelle cose imbarazzanti per ogni
adolescente Pauline...-
Linda
Lang accennò ad un fantomatico elenco che di
bocca non le venne mai. Cosa poteva saperne lei di una normale
adolescenza? Viveva con il terrore che qualche macchia di sangue le
fosse rimasta sulla maglietta o sulla cintura dei pantaloni; era quello
il timore con cui prima di andarsene via di casa aveva
guardato la madre ad ogni risveglio, era quello il timore con il quale
ora faceva cenno a Pauline
di allontanarsi dai suoi vestiti.
Pauline non
capì, ma continuò a pulire la stanza facendo
finta di nulla.
Pauline passava
velocemente uno straccio per terra.
-Ah sì,
Pauline devo aver versato della birra sul tuo pavimento... mi spiace.-
Pauline sorrise e
andò avanti frettolosamente proprio come era entrata. Il suo
sorriso era particolarmente bello,
Heléna non poté fare a meno di
notarlo e sarebbe anche meglio dire che una persona quasi sempre
imbronciata come
Heléna, era particolarmente attenta nel notare
certe bellezze. Pauline
portava in volto delle vistose fossette quando rideva, era bionda e
molto magra, “un volto pulito”,pensò
Heléna,come
mediamente sono le parigine che incontri per il lungofiume.
L'aveva conosciuta
all'aeroporto Charles
de Gaulle, quando Pauline
era appena tornata dal suo viaggio in Italia per far
visita ad una cugina di Torino. Linda Lang le si
era avvicinata per chiedere informazioni su come raggiungere nel minor
tempo possibile il centro di Parigi.
Pauline, ben
disposta alla conversazione e visibilmente simpatizzante per gli occhi
a mandorla che Heléna
portava con altezzosa diffidenza, le offrì
ospitalità per la notte.
-Pauline,
spero che il resto dei francesi non siano così ospitali come
sei tu. -
Disse Linda Lang
posando delicatamente le labbra su un croissant.
Pauline le
mostrò ancora una volta quel suo volto solare e pieno di
gioia quando le disse:
-Spero
tu voglia scusarmi ma continuo a non capire molto di quello che tu
dici, eppure il tuo inglese mi sembra scandito bene.. -
E
qui aggiungeremo che anche l'inglese di Pauline era a dir
poco perfetto, anche se il dettaglio avrà poca rilevanza.
-Ok
Pauline lasciamo stare. Dove mi porti a mangiare?
-Le
Baba Bourgeois! É un piccolo locale molto carino che
dà sulla Senna, è poco distante da qu.
Heléna
scese dal letto con addosso solo un paio di mutande molto strette
diremo quasi essenziali
che Pauline
guardò palesando un certo disagio. Heléna
si fermò sulla porta del bagno.
-Ti
indigni per le mie mutande o per il mio seno?
-Non
avevo mai visto così da vicino il corpo di un' americana.-
Disse Pauline.
-Non
ricordo di averti detto la mia provenienza..- Pauline allora
tirò dalla tasca il suo passaporto.
-Me
ne stavo quasi per dimenticare, deve esserti caduto in macchina ieri
notte, è lì che l'ho trovato questa mattina.
Spero mi perdonerai la curiosità
di aver letto che sei una giornalista.
-Sono
una fotoreportert per la precisione, mi occupo di fotografia.
-E
hai lasciato il tuo strumento nella valigia? Che sfortuna...avresti
fatto delle foto bellissime questa mattina, è una giornata
stupenda fuori.
-Che
peccato!- E l'ironia di
Linda Lang era comprensibile solo a Linda Lang mentre
raccoglieva delle ciocche di capelli con piccole mollette colorate. Si
era tolta anche le mutande ed era nuda dinanzi allo specchio.
Notò come la sconosciuta stesse a fissarla sulla porta.
Allora
Linda Lang
chiese:
-Senti
Pauline, non sei lesbica giust?
Le
fossette di Pauline
risposero:
-No
che non lo sono e se lo fossi non potrei guardarti?
-Potresti,
certo.
-Immagino
che te lo dicano in molti.
-Cosa?
-Sei
una bellissima ragazza.
-Grazie,
ma non sono americana come c'è scritto sul mio passaporto.
Mio padre è cinese, mia madre ha origini inglesi ma ha
vissuto maggior parte della sua vita a Singapore.
-Bellissimo,
avrai già visto mezzo mondo.
-L'ho
già visto tutto a dire il vero.
-Ho
capito subito con chi avevo a che fare. Devi essere una fotoreporter di
gran carriera quindi.
Heléna
storse il muso, poi inclinò una mano quasi spazientita.
-Sì
sì, in certi ambienti mi conoscono sin troppo bene, ma per
favore non parliamo del mio lavoro. Sono
tua ospite no? Cerca di farmi divertire almeno per le prossime ore.
-Hai
ragione scusami, a chi piace parlare del proprio lavoro?
-Da
brava passami l'accappatoio... smettila di guardarmi il seno! E
smettila di arrossire!
-Ok,
ok... la smetto!- Rispondeva Pauline.
-Tu
invece Pauline? Cosa fai nella vita?
-Io
sono una studentessa...studio lingue straniere nell'ambito della
traduzione e dei rapporti politici ed economici esteri, alla Sorbonne
Nouvelle.
-Un
percorso quanto meno impegnativo per un volto rilassato e sereno come
il tuo...
-É
qualcosa che mi piace...a te non piace fare la fotoreporter?
-Inizialmente
a me piacciono molte cose, quando una cosa però inizia a
diventare forzata, come nel caso di un lavoro, inizio a provare una
forte negazione autonoma ed involontaria.
-Immagino
che una persona come te possa fare tante altre cose allora.
-Hai
detto bene. Fossi stata più prudente anni fa avrei anche
evitato di sentire l'odore della carcassa umana in putrefazione... e
credimi, sono cose che chiunque di noi eviterebbe di provare.- E mentre parlava intanto cercava
i vestiti che non aveva, poi si rese conto-Emh...
Pauline, dovresti prestarmi dei vestiti.
-Nessun problema!- Rispose Pauline mentre
consegnava alla ragazza asiatica un golfino e un paio di pantaloni
scamosciati dal color violetto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** CAPITOLO V-Il mediatore Hassan (Parigi parte seconda) ***
Capitolo V
"Il mediatore Hassan"
Parigi
parte seconda
Aprì la porta del coffe bar, molto lentamente, come se quella porta pesasse varie centinaia di chili.
Entrò; contò: “Due, tre, quattro, otto che più uno...nove.Quattro francesi, due britannici, tre tedeschi.”
I francesi erano seduti ognuno per conto proprio, i due britannici parlavano tra loro; i due tedeschi si alzarono e uscirono in quel momento dal locale.
Ordinò del tè e dei biscotti alla cannella. La dote speciale, di poter guardare ciò che accadeva alle sue spalle era una della basi del suo mestiere, in costante allentamento, scrutava le bocche muoversi, chiudersi, posarsi; baciarsi. “
Se ne stava lì a sorseggiare il suo tè francese, mentre contava i passi di chi aveva nuovamente aperto la porta. “Uno, due, quattro, cinque,sei, set..”una mano sulla spalla e un'altra mano, questa volta la sua di mano che ferma l'altra ancor prima che questa possa appoggiarsi del tutto.
-Ahah, tutta questa amicizia non c'è mai stata tra noi Mohamed Hassan. Tieni a posto le tue mani se non vuoi che io faccia della tua pelle da negraccio, cuoio per i miei stivali!
-L'età non ti fa certo diventare più simpatica vero Helèna?
-Non ho tutto il diritto di essere incazzata? Dopo tre fottutissimi anni che non metto piedi a Parigi, devo aver ancora a che fare con un fallito come te.
-Mi spiace, non è un lavoro comodo fare il mediatore di questi tempi.
-Sediamoci, che non tira una bell'aria qui.
I due si sedettero in fondo, sulla sinistra del bancone, a destra c'era l'uscita;una cameriera in vestito corto rosso a quadrettoni bianchi, avrebbe servito loro del tè e del caffè di tanto in tanto.
-Ludovich non è venuto con te?-Domandò precipitosamente Hassan.
-Io e Ludovich non lavoriamo più insieme.-Rispose Helèna accendendosi una sigaretta.
Qualcuno da lontano, nel retro di una cucina le disse:vous ne pouvez pas fumer dans ce lieu! -
Helèna non facendoci caso provò a spiegarsi.
-Potete sempre multarmi.... se ne avete il coraggio!-Poi si guardò attorno notando che nessuno la stava a guardare.
Mohamed Hassan, gettò uno sguardo dietro il bancone, lì c'era un ragazzo che impaurito batteva scontrini frettolosamente.
-Altro caffè cameriera!-Urlò Hassan, poi si rivolse quieto a Helèna.
-E da quando non lavorate più insieme?
-Dopo quest'ultimo lavoro in Germania, abbiamo deciso così.
Il tunisino non fu molto convinto della risposta, sapeva che Helèna mentiva.
-Io sono qui per consegnarti queste...-Mise le mani nel suo giubbotto vecchio e dai colori sbiaditi che richiamavano il fucsia assieme al verde pisello. Due chiavi, la prima era di un'automobile, la seconda era di un appartamento.
-Sanno che odio muovermi in automobile quando si tratta di farlo in grosse città dell'Europa, perché lo stanno facendo?
-Cosa vuoi che ne sappia io? Sono solo un mediatore. Il tuo bolide è quello che si vede parcheggiato dall'altra parte della strada. Quello verdone. É un modello un po' vecchiotto, ma va che è una meraviglia.-
Helèna si mise di sbieco per guardar meglio.
-Mi prendi per il culo? Posso andare in giro con una Clio di primi anni novanta?
-Ti aspettavi una Jaguar? Al signor Ivanovich penso non piaccia l'idea di farti passare troppo osservata.
-Cosa c'entra Ivanovich ora?
-Dirige lui l'operazione, non so altro... quando arriverai nell'appartamento troverai tutti gli ordini precisi.-
Lo stesso, fece ancora cenno con la mano alla donna in quadrettoni bianchi affinché versasse altro caffè, le guardò rozzamente il culo, poi lei,si allontanò.
Helèna prese la chiave e si alzò dal tavolo. “Uno, quattro, nove, undici, quindici....”
-Me ne vado.- Disse lei.
La macchina fece un rumore da motore quasi ingolfato . Una, due volte; alla terza partì; ma frenò quasi di colpo per una macchina che a tutto gas le sfrecciò a fianco. Dopo qualche minuto l'ansa della Senna,Parigi con i suoi grattacieli e i suoi pilastri storici, le si presentava dai finestrini dell'auto. Francia, Germania, Italia, Regno Unito, ormai stava diventando tutto la stessa puzzolente botola infernale, pian piano la Terra nella sua rotazione sull'asse, stava capovolgendosi come una goffa ballerina sovrappeso morirebbe d'infarto.Non possiamo definire quali siano i momenti felici di un assassino privato della sua libertà, Helèna però sentì di avvertire una contentezza ambigua mentre erano le 3.00 del pomeriggio e tutto, era come non sarebbe più stato. Effettuato il parcheggio nel quartiere residenziale, il cruscotto avrebbe potuto aprirsi anche da solo, se forse, la ragazza di Singapore non avesse provato ad aprirlo prima con automatico gesto della mano, dopo con un pugno violento all'altezza dell'airbag del passeggero. Il cruscotto sì aprì di colpo.Nessuno aveva dettato niente, la convinzione era quella che nessuno avrebbe trovato niente.
Trovò due elementi essenziali:il primo, un pupazzo alto quanto un dito indice, un manicotto con folti capelli in testa e vestito di stracci, uno spaventa passeri quasi;dalla testa partiva con un anello da portachiavi. Secondo elemento, un proiettile calibro 22”, il calibro più piccolo che una pistola di qualche malintenzionato potesse avere. Helèna allora scese dalla macchina quasi preoccupata di mostrare quanto fosse quieta e calma, mentre con la coda dell'occhio aspettava di essere presa alle spalle da qualcuno.
Lo stesso qualcuno che aveva lasciato quel proiettile in macchina magari,e non poteva esser stato un gesto di Ivanovich poiché lei conosceva bene anche lui, conosceva troppa di quella gente che complottava in quel sistematico marchingegno chiamato terrorismo.
-Giochi poco simpatici della Maskhadov.- Disse a se stessa Helèna.
Il portone del grande palazzo residenziale era aperto, vi si poteva accedere senza alcun problema; poco distante dell'entrata vi era la portineria, cabina dalla quale provenivano delle voci e puzza di sigaro.
Puntò dritta al tappetino rosso che saliva per le scale, si accompagnò frettolosamente e facendosi più leggera possibile, salì qualche scalino sino all'ascensore. Allora qualcuno dalla portineria si affacciò: l'ascensore era già al quarto piano e nessuno aveva visto niente, anche il corridoio del quarto piano era totalmente deserto perché la ragazza di Singapore, era già dentro il suo appartamento.
Ci sono poche cose essenziali che un killer guarda appena entra in un'abitazione: la prima cosa è sicuramente quella più importante se si hanno solo pochi istanti prima di premere il caricatore,la pulizia attorno.
L'ordine degli oggetti e la polvere depositatasi fanno capire quanto movimento vi è stato, quando vi è stato ed eventualmente, delle volte, se c'è qualcuno nell'abitazione. Gli oggetti erano pochi; posti sopra pochi mobili.
Un divanetto e due poltroncine inutilizzati; polvere sui tappeti, polvere su finte statuette di premi televisivi, foto ricordo di gente che molto probabilmente non viveva più da anni. Tutto era stato posizionato meticolosamente. Si accorse di una cosa: era tutto inutilizzato da giorni e molto probabilmente da settimane. Dunque, chi avesse lasciato quel proiettile in macchina, poteva non aver a che fare con la Maskhadov e con l'appartamento, del resto lasciare un proiettile in una macchina destinata ad un cecchino come Helèna, poteva significare niente o; poteva significare molto altro. Una trama ben molto più estesa la Maskhadov, una lista di nomi e le pulsava dentro; lista di nomi e motivazioni per le quali ucciderla. Primo tra tutti: Nil e il fatto che Hassan non lo aveva neanche nominato in quella operazione; mentre aveva fatto il nome del capo Ivanovich, persona troppo rispettabile da introdurre segnali enigmatici in uno cruscotto, troppo personaggio da vertice per un proiettile calibro 22”.Ma improvvisamente, mentre perlustrava la cucina aprendo stipi e toccando le superfici dei lavandini le venne in mente qualcosa,una lista di nomi che vivevano in quel di Parigi, informatori, ex spacciatori di cocaina, pentiti, condannati.Gente che nelle sue passate vicende parigine aveva incontrato a quelle feste poco raffinate, fatte di molta cocaina e prostituzione dei più bassi livelli. Perché? Perché il ridacchiare di voci sottili, stridule e di prostitute che avrebbe volentieri sgozzato le stavano tornando in mente? Ronzavano come mosche per la tubatura di quella stessa cucina. Si sforzò e aprì il frigorifero. C'era dell'acqua in bottiglia e ne bevve subito.Poi lasciò la cucina e accese la segreteria telefonica. C'era un messaggio registrato..lo ascoltò senza batter ciglio.
-Helèna...sono Sergei Ivanovich. Spero che l'appartamento potrà essere confortevole durante la tua breve permanenza in città, ma voglio che tu mi stia a sentire bene... in città arriveranno due importanti esponenti del governo Inglese per incontrare il ministro della difesa francese Marchand; si tratta di una cena d'affari. Voglio che tu sia presente insieme al nostro futuro ministro degli interni Sidorsky. Il perché della tua presenza potrebbe spiegartelo il tuo fedele amico Ludovich.... che tra l'altro non sappiamo che fine abbia fatto, questa mattina ho ricevuto la notizia che è scappato da un distretto di polizia tedesco. Restando a noi, ti consiglio di non fare mosse false e di andare a quella cena, dato che i ministri Hughes e Lewis erano in ottimi rapporti con il nostro caro Ludovich, prima che lui degenerasse in questa sua psicosi momentanea ovviamente,quindi ci tengo a far sapere agli inglesi che Il Vecchio Diamante dei Balcani è ancora dalla nostra. So che potresti serbarmi del rancore piccola:Sì,sono al corrente di quanto è accaduto a Berlino... del fatto che Nil ha cercato di tagliarti fuori, beh non occorre che io mi giustifichi o che mi dissoci dal lavoro dei miei subordinati. Ciò che è stato fatto è acqua passata ormai, dovresti dimenticartene e continuare come prima, se così non dovesse essere... mi basta farti sapere che noi ti teniamo sotto controllo praticamente ovunque e che non ti è concesso fare mosse false o più di quante te ne occorrano per lo stretto indispensabile delle tue missioni. Un'ultima cosa:se dovesse farsi vivo il nostro amico Ludovich, digli pure che non serbo rancore per quel che lui ha tentato di fare, perché non so se tu ne sia al corrente, molto probabilmente sì, il nostro caro Ludovich voleva disertare la missione a Berlino. Con questo ti saluto piccola, non dare di matto se ne sei capace.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** CAPITOLO VI-Un Dio Perverso (Parigi parte terza) ***
Capitolo VI
"Un Dio Perverso"
Parigi
Parte terza
Uscì frettolosamente dall'appartamento, lasciò sbattere la porta .L'aura che lasciava dietro di se era come spesso accadeva la forza della disperazione, un lieve sbalzo di adrenalina e un alito di gelo verso la fine delle mani. Pugno chiuso è incazzato; quello della ragazza di Singapore si chiudeva nella rabbia febbrile e nell'odio sconsiderato verso la razza umana. Poteva aver la genialità di agire: così fece.
Guidò l'auto sino ad arrivare nella periferia di Parigi alla banlieue di Clichy-sous-Bois; frenò di colpo quasi tamponando un'auto che era parcheggiata. Era un gigantesco condominio delimitato da un enorme cancello, quello che avrebbe reso l'idea di un elite di Clichy-sous-Bois, la dove un'elite ormai non c'era; la prostituzione e lo spaccio di droga dilagavano come malattie infettive; la polizia: inesistente.
Qualcosa di ancestrale, sadico, violento le passava per la scatola contenente il cervello; sarà stato rivedere quell'ambiente dei borghi parigini, l'odore di cipolla e salse cucinate dai tunisini residenti: aveva una gran voglia di scoprire cosa stesse accadendo veramente, chi c'era alle spalle di quell'operazione della Maskhadov; chi c'era veramente dietro; chi poteva garantirle che non sarebbe finita come Berlino.
L'indagine proseguiva nella sua mente di continuo, mentre aprì un cancelletto, mentre urtò le spalle di un rumeno facendolo quasi schiantare al suolo, mentre percorreva le scale avvicinandosi sempre di più alla porta stabilita.
La stava già ripetendo tra le sue labbra, con il perverso intento di ripeterlo incutendo maggior sgomento, maggior terrore per chi si fosse trovato dinanzi.
La porta dell'appartamento si aprì di scatto, la ragazza di Singapore si gettò con il capo in avanti a colpire il volto sbavato di trucco di Judith Defour; cadde a terra esanime ricoperta di sangue per tutta la faccia.
-A quanto pare Judith abbiamo un altro lavoretto per il tuo chirurgo facciale...- Lo disse ridendo come una iena al suo biglietto da visita.
-Brutta bastarda di una cinese, chi ti manda?-
-No, no Judith, iniziamo male...-
L'afferrò per i capelli e la trascinò per due metri di pavimento poi, quasi già stufa,la riempì di calci nello stomaco.
-Oggi ti dice male Judith, sono in preda ad una crisi di nervi...- Prese poi una statuetta di bronzo posta sopra un comodino. -Ti conviene parlare prima che io ti apra la testa.
Judith Defour stava rannicchiata in un angolo a piangersi l'anima, terrorizzata e shockata da quello che accadeva; Judith sapeva che in quel momento Helèna era una ragazza lontana, che con la mente era poco presente, le avrebbe aperto la testa e poi l'avrebbe lasciata in una pozza di sangue.I trascorsi in Francia tra le due comprendevano episodi poco felici anche se non si erano mai odiate. Helèna era sempre stata un sicario che in Francia chiudeva dei conti di debito. Aveva eliminato numerosi capi di piccoli clan e trafficanti di droga. A quei tempi Judith era stata la puttana di molti per questo si conoscevano abbastanza bene. Helèna sapeva di di non doversi fidare delle sue parole, Judith sapeva di aver la vita appesa ad un filo sul punto di spezzarsi. Qualcuno uscì da una stanza; un uomo giovane che sconvolto si addossò al muro.
-E tu cos'hai da guardare?- Chiese Helèna.
L'uomo non rispose, lasciò dei soldi davanti ad uno specchio e uscì a dorso nudo fuori dall'appartamento.
-Cosa ne sai dalla Muskhadov Judith? Ti conviene parlare perché vedi... anche se non ci vediamo da forse tre anni, so perfettamente con chi scopi ancora, so chi mantiene i tuoi gioielli ed i tuoi cosmetici...-
Judith singhiozzava fortemente, tremava così da far scaturire impulsi ancora più nervosi in quel demone che le si presentava davanti.
-Ok... non vuoi parlare... - Le scaraventò una sedia contro: un urlo atroce ed isterico uscì dal petto della ragazza in lacrime...
-Cosa vuoi da me!! Devi lasciarmi in pace!!!-
Allora la ragazza di Singapore raccolse la sedia e si sedette. Curvò la schiena e guardò profondamente e faticosamente verso il basso.
Si tenne la fronte, pesantissima e dolorante. Le urla non le sopportava poi tanto; per un istante allora il demone parve placarsi e assopirsi, come se tutto fosse ancora normale nella stanza. Da sottofondo ancora qualche lamento di Judith Defour poi come nel vuoto trovò le parole.
-Mi spiace per te Helèna...
-Per cosa ti dispiace?
-Perché ti stanno facendo diventare una bestia...
-Allora sai già di chi parlo quando voglio chiederti qualcosa...
-Lo sanno tutti che lavori ancora per la Muskhadov, non potrebbe essere diversamente.
-E' qui che sbagli, tu sei solo una sgualdrina, non sapresti fare altro nella vita. Io sono un soldato per me è diverso, posso abbandonare la giostra quando voglio... sta a me agire.
-La giostra? Stai delirando evidentemente, morirai prima di poterti liberare di loro.
-La morte sarebbe comunque una liberazione non credi? A no, tu sei troppo codarda per poterlo pensare...
Judith si alzò, la stanza era buia poiché tutte le serrande erano abbassate. Accese la luce benché fosse ancora giorno; prese un pacchetto di sigarette e ne accese una. Poi Helèna notò quanto fosse deplorevole la scena, Judith indossava una vestaglia da notte con dei disegni infantili cuciti sopra, cosa forse molto più triste sembrava esser stata picchiata da un gruppo ti uomini assatanati.
-Ti chiedo scusa se mi sono lasciata prendere un po' troppo la mano...-
-Picchi forte brutta stronza...- Judith sorrise guardandosi allo specchio. -Sai una volta ho scopato quello che tu consideravi il tuo unico capo, Ludovich... non è stato lavoro, l'ho fatto perché credevo di essermene innamorata.
-Per favore... non ti crederò mai. Non è tipo che va con squallide prostitute minorenni.
-Non ha mai saputo la mia età, comunque mentre eravamo all'apice dell'amplesso chiesi di picchiarmi.
-Scommetto che anche lui ti ha tirato una sedia sopra...
-No, si rifiutò di farlo; non potrò mai dimenticarmi con quanta dolcezza mi chiese perché io volessi certi suoi comportamenti. Io non potevo rispondergli ovviamente, mi faceva sentire così stupida e nello stesso tempo mi sentivo troppo importante per essere guardata da un ragazzo così.
-Taglia corto puttanella...non so dove vuoi arrivare con questa bella storia di fantasia, ma ti stai solo accorciando la pausa che porta al nostro secondo round.
-Tu credi di essere diversa dai russi, credi di poter sognare la tua libertà nel nome del tuo amato Ludovich ma la verità è che tu non sei come lui... stai solo cercando ti inventare una via d'uscita che non esiste. Tu morirai per mano dei russi perché è quello che meriti Helèna e per quanto tu stia cercando di agire nel bene, sei solo un cane rabbioso che divora se stesso e tutto ciò che gli passa davanti.-
Ci fu un altro silenzio, questo fu più nero e lugubre come lo sguardo della ragazza di Singapore che si alzò dalla sedia e afferrò il braccio di Judith Defour. Le prese la sigaretta da mano.
-Mi stai parlando di Ludovich perché sai dove si trova adesso per caso?- Disse la ragazza di Singapore mostrando i denti.
-E se io lo sapessi Helèna? Pensi che andrei contro Nil o Ivanovich? Sei una povera illusa...
-Allora ho ragione.. tu sai tutto brutta troia...- La ragazza di Singapore mise la mano sotto la vestaglia e affondò con la sigaretta:Judith cadde per una seconda volta sul pavimento. - Voglio proprio vedere con cosa tirerai a campare una volta che avrò segnato tutto il tuo corpo.-
Judith questa volse trattenne le lacrime con tutta se stessa; si osservò bene intorno, poi si decise: fece uno scatto verso la cucina, si armò di coltello e lo puntò contro al nemico che l'aveva già raggiunta sogghignando.
-Sei veramente ridicola con quel coso in mano.
-Cosa credi che solo tu sei brava con le armi?
-Non amo la falsa modestia quindi... credo proprio di sì. Ma sai a cosa sto pensando? Che la stiamo tirando per le lunghe... tu sai molto di ciò che voglio sapere ma non vuoi parlare, io posso ucciderti anche solo con una mano ma non voglio decidermi a farlo. Stiamo perdendo del tempo prezioso non credi?-
Judith, che non era affatto stupida fece un ultimo tentativo di prendere in mano un telefono cordless, un allungamento che consentì facilmente ad Helèna di bloccarle il braccio. Si beccò un colpo sotto ad un fianco: cadde per la terza volta.
Helèna ora maneggiava il coltello facendolo danzare da una mano all'altra.
-Sai Judith... stiamo proprio perdendo tempo...- Le conficcò il coltello nella gamba sinistra, così che le urla devastarono la cucina, si espansero fuori dalla finestra, arrivarono a tutto il quartiere; ma per la strada non passava neanche un cane.
La cucina in poco tempo si riempì di sangue per terra, era tornato un altro silenzio ed un odore di plasma perforava le radici di quella che era una iena che con cura ripuliva il coltello.
-Se ti stai chiedendo quanto tempo voglio perdere ancora voglio che tu sappia che non considero una perdita di tempo torturare la gente. Fa parte del mio mestiere capisci? A te so che dopotutto, prendere cazzi ti piace... prova ad immaginare cosa sto provando io vedendoti dissanguata.-
Judith ormai aveva un vestito totalmente imbrattato di rosso, piangeva e strillava, piangeva e si dimenava stringendosi la ferita, le sarebbe venuto un infarto per la tortura che stava subendo in quegli istanti. Cercò in qualche modo di parlare in fretta davanti al suo assassino.
-Due giorni fa è venuto Ivanovich qui... ho soltanto potuto sentire qualche risposta che dava per telefono. Lo tengono prigioniero in Italia, parlavano di un casolare... non so dirti altro lo giuro!!
-Lo giuri? So cosa può giurare una puttana? Se Ivanovich è stato qui devi per forza sapere dell'altro... magari riguardo la cena di domani a cui saranno presenti Hughes e Lewis, magari avrai sentito cosa ne vogliono fare di me!
Puntò nuovamente il coltello all'altezza della gambe...
-Che cosa triste una puttana sfregiata su di una sedia a rotelle...
-Smettila ti prego... non hanno parlato della cena, ho sentito solo un altro nome mentre parlavano di Ludovich... una certa Lola di Valenza...pare che sia una referente della Muskhadov in Italia, non so altro... ti prego!!
Il coltello accarezzò ancora un po' la veste poi la ragazza di Singapore si sollevò flettendosi.
-Non mi hai convinto, ma va bene così.
Judith Defour intanto era diventata giallognola a causa dell'emorragia, il sangue uscito a fiotti aveva sporcato anche le mani di Helèna che, dopo averle sciacquate accuratamente, lasciò il palazzo.
Qui, ancora sotto voce la tua vaga
sembianza ha le grida di assenze,
ha l’ebbrezza del delirio nell’incanto
appena simulato da un sospiro.
Dirompe quasi a gioco un Dio perverso
dai luoghi ormai fuggiti,
bellissimo Narciso intrappolato allo spazio
che mi fu concesso tra gli uomini e le cose,
stupore e smarrimento che mi azzera.
Discorso da dimenticare
così come il graffio lungo della giovinezza.
Citazione poetica di Antonio Spagnuolo da Fugacità del tempo
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** CAPITOLO VII-Requiem (Parigi parte quarta) ***
Capitolo ultimo di Parigi
Capitolo VII
"Requiem"
Parigi parte quarta
Nel
ristorante dell'Hotel Goerge, quella sera, tutti bevevano champagne e
mangiavano succulenti piatti di ostriche e aragoste pagate del
signor Ivanovich, il ricco imprenditore russo che in quel periodo era
appena giunto ai vertici della Maskhadov. Sergei Ivanovich quella
sera non era presente, delegò il suo braccio destro
Petrovich
Sidorsky. Al tavolo oltre a lui, sedevano i signori Hughes e Lewis,
due membri importanti dei servizi segreti inglesi, ed il generale
Marchand, ministro della Difesa francese. Tutti chiamati
illustramente signori in una serata dal lusso più facoltoso
nel più
grande hotel del mondo; riuniti in un modo tutt'altro che formale,
con guardie poste a tutte le uscite del palazzo.
Scese
le scale con addosso un abito color indaco che brillava tra i
riflessi dell'argenteria e le placcature in leghe pregiate che
ricoprivano la grande sala del ristorante. La nuova borghesia
francese sghignazzava in discorsi senza capo né coda; eppure
quel
nuovo ceppo di imprenditori ignoranti e filosofi venduti non
mancavano mai di quell'aria arrogante e boriosa; esponenti politici e
protagonisti di celebri campagne umanitarie, erano presenti anche
critici d'arte che ancora nella bocca padroneggiavano
malinconicamente le ultime opere che l'ottocento aveva lasciato in
dono a quest'umanità.
Rubò
un tramezzino di caviale al volo e, finendo a sbattere contro
un'agghindata grassona sedutale davanti, imprecò volgarmente
il
nome di dio. A passo di marcia funebre cercò di individuare
il suo
tavolo, poi un cameriere le fece un cenno per far sì che si
sedette al suo tavolo.
C'era
anche la moglie di Sidorsky, sedeva zitta a e muta cercando di
padroneggiarsi al meglio con la posateria mentre veniva presa
dall'assurda ossessione di
fare brutta figura davanti all'alta borghesia francese,una nobile
austriaca che non avrebbe aperto bocca per tutto il proseguo della
serata. Il generale Marchand invece, la moglie la lasciava a casa,
si diceva che era vicino al divorzio, i più erano convinti
che ad
esser stufa era ormai la moglie; giravan troppe voci su alcuni vizi
di gioco del Generale. A sorpresa fu presente Nil che teneva riservato
il
posto accanto al suo a colei che tanto si era fatta
aspettare.
-Siediti
pure angelo mio... come sempre devi farti desiderare.- Le
fece un
occhiolino e quel suo falso sorriso che entrambi conoscevano sin
troppo bene.
-Ti
ringrazio Nil.- Rispose lei.
-Dunque
cara Helèna, adesso non manca più nessuno...-
Iniziò Sidorsky.
-Vorrei fare un brindisi per augurare a questa intesa una
felice
concretizzazione! Speriamo che ciò avvenga il prima
possibile
ovviamente e che possa essere la base di un nuovo movimento politico
europeo ...che possa essere la nostra prosperità e del
popolo che ci
sarà vicino!
-Ha
detto “Popolo” il tuo capo o voleva dire subordinati?-
Chiese
sarcasticamente Helèna al suo ex compagno di battaglia.
-Vedi
di non fare la guasta feste pazzoide o ti faccio finire come seconda
portata del menu.
-Dunque
amici miei...-Proseguì nel discorso Sidorsky
assicurandosi di
non alzare troppo il tono della voce...-E' fondamentale
guardarsi
bene in faccia, perché quello che accadrà da
questo momento in
avanti ci vedrà tutti, e dico proprio tutti... responsabili.-
Si
inserì poi Lewis:
-Bene,
come lei ha detto... occorre guardarci in faccia ed essere molto
chiari in quelle che sono le idee. Lei è proprio sicuro ad
esempio
di poter contare sull'appoggio delle altre organizzazioni estere?
-Gentilissimo
Lewis, forse lei non ha ben compreso la situazione... non si tratta
più di “organizzazioni”, si tratta dei
governi. Devo ancora
ripeterle che il governo tedesco, nostro primo oppositore, oggi
è
stato “letteralmente” spazzato via!- Nil
nell'udire tali parole scoppiò a ridere
spasmodicamente.
-Non
c'è nulla da ridere Nil!! Signori, la situazione
è che noi siamo in
grado di eliminare qualsiasi cosa si metta tra noi e il nostro
obbiettivo, che siano tedeschi o francesi o tanto meno Inglesi. Vi
farà senz'altro piacere sapere che il Premier Italiano
domani sarà
a Mosca a parlare con il Grande Capo in persona, tengo a precisare
che l'incontro è segreto, pensate che stiamo camuffando il
tutto con
le solite trattative diplomatiche sulla vendita di energia
rinnovabile!-
Risero
un po' tutti, rise anche una donna alle sue spalle che nulla
c'entrava con la loro tavolata; qualcuno si girò male
indicandole di
farsi gli affari suoi e poi continuò il russo con maggior
convinzione.
-
Volete che vi dica che non hanno altra scelta? E bene
sì, non
hanno scelta... è l'unica strada per il bene dei civili, per
evitare
che siano ancora maggiori le vittime di questa nostra guerra. E' un
meccanismo che non
possiamo fermare nemmeno noi. La rivoluzione è una
necessità, mi
spiace sinceramente per tutti quelli che credevano nelle prossime
elezioni in Russia, così come in Francia... l'unico modo per
liberarci da questo sistema economico e politico europeo é
abbatterlo... con tutti i mezzi a nostra disposizione. -
Qui
Marchand non poté fare a meno di puntualizzare:
-Signori
anche per me quello che sta dicendo ora quest'uomo, erano solo deliri
ed utopie, ma conoscendo bene la situazione dell'esercito francese,
proprio al fronte delle nuove guerre in medio-oriente, la Francia non
ha alcuna controffensiva ad un attacco della Maskhadov. Prendiamo anche
in considerazione che gli uomini della Maskahadov sono
sono ben insediati in Francia, così come anche in
Inghilterra, da circa cinque anni:negli uffici, negli
enti pubblici... ora, ed io ne sono la prova,hanno uomini anche nel
governo stesso. Non voglio insegnarglielo di certo io il fatto che una
nazione non può difendersi se al suo interno ha delle teste
pronte a far saltare il sistema. Ovviamente ciò
non esclude che ci saranno degli
oppositori, ma di qualsiasi fazione politica siano... non hanno
speranza contro i mercenari filosovietici ingaggiati dal Grande Capo
della Maskadov. Vi informo della T.R.B, quella che sino all'altro
giorno
combattevamo come "il terrorismo internazionale" da "scovare ed
eliminare",
oggi si è consegnata spontaneamente al Grande Capo, ora
combattono
per il nobile scopo della Maskhadov. Io voglio far presente a voi cari
signori che chiunque si opporrà verrà spazzato
via all'istante!!
-Noto
con mio dispiacere che anche lei Marchand, pone la questione sul tono
della minaccia più che sulla trattativa. - Disse
con la sua
solita pacatezza il signor Lewis e poi aggiunse:- Ma lei ha preso in
considerazione l'opposizione dell'Inghilterra a questo vostro piano?
Non potete aver fatto i conti senza includere l'opposizione
dell'Inghilterra o degli Stati Uniti. E se anche vi fosse la
possibilità di corrompere la prima dall'interno, escludo
assolutamente la possibilità di farlo con la seconda. Quel
che sto cercando di dire io signori è: qui si rischia una
terza guerra mondiale...
- Solo nel caso entrassero gli Stati Uniti signor Lewis, solo
se entrassero gli Stati Uniti! Stiamo
offrendo a lei e al signor Hughes la possibilità di salvare
molte
vite nel Regno Unito e mandare
a termine un accordo... per così dire di "pace".-Ribatté
Marchand.
-Cosa
c'entriamo io e Hughes con questo? Noi dei servizi segreti non ci
occupiamo di salvare vite, lei dovrebbe saperlo... noi siamo qui per
sapere e per vigilare, non per intervenire. Ci assicuriamo che non
sorgano guai.. né a voi, né al Governo inglese.
-Suvvia Lewis, se noi
non fossimo stati sicuri di quanto determinante sia il vostro
appoggio, pensate che io avrei perso il mio tempo prezioso a questa
cena, o che vi avrei fatto entrare a sentire i nostri discorsi? Se
parliamo tutti apertamente questa sera è perché
siamo assolutamente convinti dell'esito positivo di questa trattativa
con voi.
-Lei
Marchand sottovaluta la professionalità con la quale sono
stato
addestrato. Io
non dico mai di sì a prescindere... e ripeto, sono qui per
valutare e mi pare corretto che questo nostro incontro non venga
riportato su alcun giornale. - Rispose infastidio Lewis,
tant'è che Sidorsky fu
costretto ad intervenire...
-Scusatemi
signor Lewis, mi pare chiaro che il generale Marchand non volesse
offendere, sappiamo che queste informazioni non andranno al di fuori
di questa cena.
-Non
mi offendo per così poco Siderosky, nella mia carriera ho
avuto a
che fare con uomini molto più temibili di un generale
francese...-
Il
collega Hughes lo fermò posando una mano sul braccio...-Ora
basta
Lewis!-Disse il collega.-Mi pare che qui stiamo
esagerando con le bazzecole. Veniamo al vero motivo per il quale
abbiamo accettato di esser qui questa sera: parliamo della
questione dei Balcani... sapete quanto ci sono
costate ad oggi le scorribande dei vostri amici slavi? Quasi cento
milioni di sterline... il costo approssimativo di una guerra per
intenderci. Io ho una sola richiesta
affinché i nostri occhi
possano chiudersi entrambi sulle vicende che riguardano la Muskhadov
nel Regno Unito... Kaberi Isa, meglio conosciuto come Bota. -
Gli
occhi di Helèna si accesero e non poteva credere alle
proprie
orecchie su quanto l'inglese stava dicendo.
-Kaberi
Isa che stiamo cercando da anni è proprio sotto il vostro
comando giusto?
Abbiamo così tanti fascicoli su di lui che potremmo
anche dire
quanti giorni possa stare senza mangiare o dormire... potrei dirle
anche quanto beve quel farabutto, e quindi mi pare
anche sciocco nascondere che
sappiamo perfettamente che scappa dal nostro arresto trovando rifugio
tra le vostre fila.
-Cosa
vuole che io faccia esattamente Hughes?- Chiese a testa bassa
Sidorsky.
-Riferisca
cortesemente a Ivanovich che potrà
dormire su due guanciali se ci consegnerà il carissimo Bota.
-Lei
si meraviglierà ma noi avevamo già pensato a
questo. Lei qui
stasera ha la miglior allieva che Bota abbia mai avuto: la nostra
Helèna Mullova che da questa sera è ingaggiata
per l'uccisione o la
consegna, fate come vi pare, di Kaberi Isa.
-COSA???-
Esclamò esterrefatta Helèna.
-Helèna
cara ti prego... non diamo troppo nell'occhio. Non potevo dirtelo
prima essendo una delicata questione interna. - La
pregò
Sidorsky.
Allora
la ragazza di Singapore tornò composta. Continuò
Sidordky.
-Per
noi va bene, Bota in fin dei conti è stato utile alla causa
nella
parte iniziale, d'ora in poi ci appoggeremo a personalità
più
distinte e con maggior testa, cosa che un cinghiale poco ammaestrato
come lui purtroppo non ha. Decidete voi se vivo o morto, avete al
vostro servizio un killer professionista come la Mullova che
è stata
addestrata per anni dall'esercito americano per poi trovarsi anche
nella guerriglia di Sarajevo ... di esperienza ne ha da vendere
nonostante
abbia solo ventitré anni.
-Ecco
a riguardo...-Intervenne Lewis, con un tono sempre
più
spazientito dalla situazione poiché non era d'accordo su
molti
punti di quella serata.- con Ivanovich si era parlato di
Alexander
Ludovich, al quale noi da più tempo siamo legati da uno
spirito di
collaborazione e affidabilità...
- Perché la Mullova non vi va bene forse?
Signori...
Alexander Ludovich... non credo farà più parte
della nostra
organizzazione, per motivi che purtroppo non sono tenuto ad esporvi.
Non
c'era più altro da aggiungere. Arrivò il momento
del valzer
accompagnato da un'orchestra sinfonica giunta da San Pietroburgo. Nil
si alzò dal tavolo nella sua piena spigliatezza e con la sua
immancabile tracotanza si rivolse ad Helèna.
-Balliamo.-Disse,
poi le porse quella mano da corteggiatore avverso qual'era e che non
potevano fare a meno entrambi di odiare. Lei si alzò; e
fiamme, saette, fiotti di sangue sgorgavano in quello sguardo;
null'altro attorno se non quell'odio e quella rivalità
troppo
tangibile al tatto di quella stessa mano, nonché nello
sguardo che
ora i due infuocavano prima di stringersi stretti l'uno all'altra.
Lewis,
acuto osservatore nonché criminologo di elevata fama
ultimava il suo
pasto e con gli occhi cercava di poter decifrare al meglio
ciò che i
due giovani si stessero scambiando.
Quei
movimenti erano indecifrabili poiché erano strette movenze
di due
bocche sempre più vicine, quasi una sceneggiatura di un
bacio
passionale e la situazione proseguì per tutto il valzer.
Estemporaneo
il fatto che la moglie di Sidorsky, sino a quel momento muta ed
impassibile alla serata, si lasciò scappare un commento:- Non
sapevo che le rozze ragazze del Suoth Dakota potessero
ballare.
Sidorsky
in un primo momento si voltò come se volesse ammonire la
propria
sposa, poi sorrise e diventò nuovamente ben disposto. - In
questo
casa mia cara, stiamo parlando di una donna che non ha né un
luogo
di appartenenza né limiti di attitudine... potrebbe
esportarti un
polmone con l'eleganza di un violinista russo e servirmelo in un
piatto d'argento con la nochalance di un commis de rang se soltanto
venisse ingaggiata a farlo. -
La
signora Sidorsky abbassò la testa stringendo tra le mani il
tovagliolo.
-Perché
ti esprimi così brutalmente?
-Poiché
è questo che è chiamata a fare quella donna, non
ha altro motivo
per esistere.
Poi
Lewis che di criminalità non ne capiva certamente poco,
sfrontatamente
volle esprimersi
ancora una volta:
-Secondo
me voi della Maskhadov siete troppo sicuri della fedeltà che
quella
ragazza può portare alla vostra organizzazione.-
E lo disse ancora una volta guardando la ragazza di Singapore che
posava la testa sulla spalla di Nil.
-E
se anche così non fosse, se non dovesse mantenere
fedeltà alle
nostre operazioni non è un problema...-
Rispose Sidorsky.
-Beh
se permette lo è come un problema. Offrite lei come uno dei
vostri
miglior killer, quando poi magari è pronta ad abbandonare
tutto
svoltato il prossimo angolo.
-Caro
Lewis, lei è proprio un ingenuo... se fosse stato possibile
abbandonare le operazioni,probabilmente Helèna lo avrebbe
già
fatto.
-Ecco,
probabilmente state facendo solamente fomentare l'odio che nutre nei
vostri confronti, non lasciandole alcuna libertà di scelta.-
Posò i gomiti sul tavolo Lewis, congiungendo le mani e
posando il
capo.
-Lewis,
Lewis... per me lei è uno che parla troppo, però
lasci che io le
risponda a tono senza offendere la sua professionalità e le
sue
conoscenze in tema di criminologia:
Noi,
caro mio professore inglese,non abbiamo costretto nessuno dei nostri
soldati a stare dalla nostra parte; contrariamente a quanto succedeva
ai tempi della guerra fredda, in cui intere famiglie di giovani
soldati venivano sterminate per costringerli ad entrare
nell'esercito. Helèna è stata
sfortunata di suo, noi le
abbiamo offerto un posto come una famiglia e come in ogni famiglia
capitano dei disaccordi.
-A
me risulta che sia stato Alexander Ludovich ad offrirle quella che
voi chiamate una “famiglia”, anche se poi si tratta
solo di
trucidare gente e sporcarsi le mani in giro per l'Europa.
-Perché
bisogna sempre mettere di mezzo Ludovich? I tempi passano, le piccole
mafiette decadono così come i grandi imperi sorgono.
-Creda
alle mie parole... tutti i grandi imperi alla fine sono decaduti,
riguardo a Ludovich invece noi pensiamo che rimanga ancora l'unico
capo che la ragazza seguirà, forse anche sino alla morte.
Per questo
è meglio dirselo apertamente, se non lo avete ancora fatto
fuori
sbrigatevi a farlo prima che lui salti fuori a mettervi il bastone
tra le ruote.
-Lei
ci crede proprio dei dilettanti non è vero?
-No,
ma state cercando di nascondere una cosa talmente evidente che...
-Ludovich
non è nostro prigioniero se è questo che lei sta
insinuando e se
anche lo fosse non spetta decidere a noi, dico a noi due, io e lei,
se farlo vivere o meno.
-Sarà
Ivanovich allora a decidere se la vita o la morte?
-Lei
per me parla troppo gliel'ho già detto?
La
danza finì, le signore al centro della sala
liberarono la pista;
i camerieri affrettarono il passo per far spazio ai tavoli, ci furono
secondi di estenuante silenzio per la ragazza di Singapore.
Tornò
al tavolo ed annunciò la sua ritirata.
-Signori
per me è stato un piacere, aspetterò comunque le
prossime
disposizioni.
Dopo
quanto si erano appena detto quelli seduti al tavolo, quelle parole
suonarono abbastanza plastificate, dissonanti, costrette.
L'overture
Egmont di Beethoven risuonò tra le lussuose e gigantesche
colonne.
-Ora devo veramente andare poiché sono stati giorni
di duro
lavoro per me, forse molto di più di quel che il signor
Ivanovich
può immaginare, ma portategli pure i miei saluti quando lo
vedete.
Sidorsky
di destreggiò al suo meglio.
-Potrebbe
anche accadere che tu lo veda prima di noi.-
Sidorsky non mancava mai di quell'ambiguità propensa a
tenerla sulle
spine sino all'ultimo, ma la ragazza di Singapore era veramente
stanca per poter pensare ad un'ulteriore minaccia; non aveva ancora
avuto modo di poter pensare a quel che sarebbe stato il suo prossimo
lavoro:eliminare Bota.
All'uscita
dell'Hotel George vi erano auto posteggiate, bagagli che
intralciavano il passaggio e facchini vestiti in rosso che andavano
correndo da una parte all'altra; caos, schiamazzi, disordine, tutte
cose da cui sarebbe stato opportuno sloggiare nel termine di pochi
secondi. Stava per prendere un taxi quando arrivò una
vettura bianca
che lasciò i pneumatici sull'asfalto.
-Salta
su!!! - Le
venne impartito con
tono autorevole.
-Pauline??-
Non
è banale dire che fu
estremamente contenta nel rivederla, come se tutta quella situazione
pesante si fosse dissolta come i rumori dei clacson lasciati dietro
la chiusura della portiera.
-Linda
scusa se sono così brusca ma il tempo stringe!-
Aveva già ingranato la quarta della Mercedes mentre stava
violando
di gran lunga il limite di velocità concesso nel centro
abitato.
-Calma
Pauline, perché tanta fretta?-
-Devi
andartene da qui, vogliono farti fuori!
-
Lo
scorrere dei secondi si fermò, come la ballerina obesa che
impersona
il mondo fa due o tre volte al giorno prima di vomitare. Le
convinzioni che avevi sulla vita crollano e non è un lasso
di tempo
che puoi quantificare. Il crollo non ha metrica.
-Prima
di continuare questa discussione credo sia meglio che tu mi dica
tutta la verità:chi sei veramente Pauline?
Non
trovò più quel sorriso ingenuo sul volto disteso
e tranquillo di
un'amabile ragazza, fu come un vuoto momentaneo. Pauline rispose
molto seriamente:
-Lavoro
per la C.I.A. Helèna Mullova... nata a Mobridge, South
Dakota;
classe 1988. Addestrata per un anno nell'esercito americano con il
quale hai firmato un contratto che legalmente ti lega tutt'ora e che
per il quale sei penalmente perseguita tutt'oggi in due processi.
-Se
dobbiamo dirla tutta:ho anche qualche bolletta arretrata da pagare.-
Rispose Helèna fingendo altezzosità.
Pauline
sorrise ed espulse aria sistemandosi nuovamente sul sedile, sembrava
più rilassata così da far intravedere quel suo
sano sorriso che in
parte aveva conquistato il cuore di Helèna.
-Non
sono qui per regolare i conti dell'esercito Helèna. Il mio
compito è
concederti una via di fuga.-
Helèna
ancora non riusciva ancora a capire. Non si spiegava come mai quella
ragazza così genuina potesse essere un'agente della C.I.A.,
per di
più trattavasi di una francese a tutti gli effetti, lo si
capiva
benissimo da suo aspetto.
-Come
pretendi che io mi fidi di te, quando poi mi hai soltanto mentito sin
dall'inizio?- Chiese quasi silenziosamente Helèna.
-Ma
non ti ho mentito del tutto, Pauline per iniziare, è il mio
vero
nome...ed è vero che studio alla Sorboone Nouvelle rapporti
politici
ed economici. E comunque anche tu hai mentito fotoreporter!-
Disse ridendo Pauline, e in quel momento quasi la si poteva
riconoscere la biondina dalle fossette amorevoli. Un agente C.I.A. che
non poteva proprio nascondere la sua dolcezza. Sorrise anche
Helèna, come per impeto o vitale bisogno di fidarsi ancora
di
qualcuno.
-Dove
stiamo andando Pauline?
-Aeroporto...
-Se
io lascio Parigi questa sera non potrò più
tornare indietro...
-Vogliono
che tu uccida Bota, non ti hanno forse detto questo? Ma fermati a
riflettere un attimo... perché mai la Maskhadov dovrebbe
rinunciare
a colui che ha gestito per anni il traffico dei Balcani? Solo un
altro uomo avrebbe potuto ricoprire quel ruolo, peccato che non sia
dalla loro parte.
-Invece
no, quell'uomo è meglio conosciuto come Nil.
-Un
russo? Fammi il piacere... gli slavi sono teste calde, teste calde
che non dimenticano mai il passato e la storia, non starebbero mai
sotto di un russo.
-Allora
che mi dici di Boris Atanasoff?
-Il
nome non persiste negli archivi da me studiati.
-Questo
perché gli americani sono scarsi.
-Chi
è Boris Atanasoff?
-Non
sono tenuta a dirti nulla agente... - Helèna
ritrovò la sua solita freddezza. Quando si parlava di
esporre nomi
di alto grado se ne guardava sempre bene, era difficile capire se
fosse vero timore e forse codici impartiteli dalla mafie
internazionali, raramente si era trovata a parlare con dei poliziotti
e di certo non aveva mai rivelato neanche informazioni veritiere
sulla sua identità.
-Helèna
tu puoi aiutarci a sconfiggere questi terroristi! E devi farlo prima
che sia troppo tardi.- Quasi
volesse imprecare, la gelida Pauline.
-Di
quale lotta stai parlando? I pochi nemici che c'erano sono
già stati
o abbattuti o comprati. E anche se fosse esistito un modo per fermare
tutto questo, è già troppo tardi. A me fanno
ridere questi
americani che si fanno credere sempre pronti ad intervenire con la
convinzione di poter vincere sempre loro la guerra. Peccato che siano
sempre pronti quando vogliono loro e mai prima. Dico mai che
l'America possa sradicare il male all'origine, gli interventi vengono
sempre dopo, quando entra in gioco l'interesse...
-Cosa
stai dicendo Helèna?
-Dov'erano
gli americani quando Hitler divenne Cancelliere tedesco? Sono
arrivati con ben 12 anni di ritardo, quando la Shoah era ormai parte
della storia. Beh ora siamo pronti per un'altra fetta di storia con
gli americani che se ne stanno a guardare. C'è una cosa che
non
hanno ancora ben presente, e sono i risultati devastanti che questa
rivoluzione porterà nel loro paese. Morto il capitalismo
Europeo
crollano i grattacieli di New York, mi pare chiaro il concetto no?-
Pauline
annuì. La macchina si fermò.
-C'è
chi nell'America ha sempre creduto, l'olocausto avrebbe potuto
continuare a colpire nuove generazioni di ebrei... se non fosse stato
per l'intervento degli americani ci sarebbero state molte
più guerre
e dovresti saperlo meglio di me, tu che hai potuto stare sul campo
sia “con”
che “contro”.
-Per
favore... Non esistono benefattori in questo mondo Pauline. Basti
pensare in quante guerre l'America ha svolto un ruolo tutt'altro che
irrilevante... 1948 Guerra Arabo-Israeliana,1956 Guerra del Canale di
Suez, 1964 Guerra del Vietnam,1980 Guerra in Iraq,1983 intervento a
Grenada,1990 Prima Guerra del Golfo,...'91 in Jugoslavia,'99 Kosovo,
2001 Afghanistan... 2003 Seconda Guerra del Golf... proprio
perché a
ventitré anni porto troppe cicatrici sul corpo preferirei
che le
soluzioni non venissero date dalle bombe sulle città. La
guerra è
un mezzo con il quale la borghesia ripartisce il mercato quando
è
ormai saturo. Mi spiace Pauline ma per me ci sono dentro anche gli
U.S.A. starei qui a parlarti ore di quanti carichi di armi, giunte
nelle mani dei terroristi, partivano dalle industrie degli stati
americani; non c'è tempo però.
Tornò
quell'imbarazzo da circostanza, poi Pauline provò a
ribattere.
-Qualsiasi
cosa tu creda Helèna, sai che agiresti nel bene lasciandoti
questi
mafiosi russi alle spalle...
-Tu
mi chiedi di collaborare per aiutare il tuo governo... nel mio
discorso volevo solamente dire che,per quanto sia stupido pensarlo,
preferisco aiutare una persona che crede in qualcosa, piuttosto che
vendermi ad un governo. Non so se ti è chiara la
differenza:le
guerre non portano soluzioni; le soluzioni le portano i trattati ed i
trattati vengono firmati da persone, non da governi ne polizie
segrete. La gente può parlarne e discuterne in base ai
valori
fondamentali di vita,possono tener conto dei deboli, delle varianti
da prendere... gli Stati invece... per cosa vuoi che agiscano se non
per interesse economico?- Helèna
sorrise mentre scendeva dalla vettura.
-Helèna!-Esclamò
Pauline mentre la ragazza di Singapore le aveva già dato le
spalle...
-Ti
coprirò le spalle ugualmente, questo te lo prometto...
-Chi sei tu per farlo?-Disse
Helèna ormai volta di spalle mentre si allontanava- In fondo... non ci conosciamo
neppure...-
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** CAPITOLO VIII- Balaclava ***
Balaclava
CAPITOLO VIII
"Balaclava"
Viviamo in tempi oscuri e se non
fossimo tanto ingannati dalle luci abbacinanti di queste grandi
metropoli moderne, ci accorgeremmo di quanto è lontana quella
idea di accettazione della diversità fra gli uomini.
In nome
della cultura o talvolta in nome della pace abbiamo potuto credere
che le cose potessero cambiare, che per lo meno gli sforzi dei nostri
precedessori non siano stati vani.
Il ventunesimo
secolo si è presentato con la sua faccia più aberrante, ci ha
lasciati smarriti nelle nostre coscienze. Quindi eccoci qui ad
elemosinare risposte che forse abbiamo già, che semplicemente non
sappiamo accettare. Non sto parlando della fine del mondo, né della
fine dell'uomo, poiché l'uomo è sempre più ratto che si nutre di
piccoli topi. L'uomo è un misero essere che non è in grado di
salvaguardare sé stesso dalla propria brama di potere. Ed ecco ora
che il suo potere lo divora, il potere è una pianta carnivora che
vive nel suo giardino.
Nel canale di Otranto, a soli
ottanta chilometri da Valona, sorgeva un piccolo porto. Uno scenario
lugubre di una mattina di agosto; l'orizzonte pareva essersi
cancellato del tutto, si nascondeva in un tutt'uno dietro
la foschia, scarsa era la visibilità. Due uomini si incamminavano
lungo la schiera di barche; il primo era un giovane con indosso una
giacca inglese tutta sgualcita e rattoppata, il secondo era un uomo
sulla cinquantina, barbuto e più che vestito male era vestito da
sera, con dei pantaloni scuri ed una maglietta aderente la quale non
lasciava alcun dubbio per quanto fosse chiaro non la cambiasse da
giorni. Il tale aveva curato i primi sbarchi albanesi del '92, era
solito nel trattare con assassini, evasori, esiliati, latitanti di
ogni paese dell'Ex Iugoslavia. Per loro sfortuna tra la nebbia
passò una volante. I due si consultarono un attimo prima di assumere
atteggiamenti poco consoni all'ordine di due civili. La volante si
fermò. I due decisero di continuare a camminare facendo finta di
niente, entrambi con le mani in tasca, quando dalla volante un
finanziere li fermò:-Altolà! Documenti prego! .
-Questo
bastardo...- Disse quello più vecchio. -Se fa storie giuro
che gli sparo in fronte.
-Calmo Tito, lascia parlare me.-
Disse il giovane.
Il finanziere si
avvicinò.
-Buongiorno.- Lo salutò il giovane, ma il
finanziere non rispose, voleva i documenti e dopo essersi guardati in
faccia cacciarono le rispettive carte d'identità con i rispettivi
permessi di soggiorno.
-Ahah bosniaci... e cosa ci fate
qui?- Domandò il finanziere.
-Siamo qui per affari,
io e il mio socio stiamo per compare un peschereccio qui in
porto...-
Il finanziere si assicurò che i documenti
fossero in ordine, li chiuse e fece un respiro profondo senza
guardarli in faccia.
-Sapete che devo portarvi con me per
un controllo?
-In base a quale procedura mi scusi? I nostri
documenti sono in regola.- Rispose Tito assottigliando gli
occhi.
-Abbiamo degli ordini ben precisi in seguito a
delle segnalazioni ricevute questa notte.
-Deve esserci un
errore... - Disse preoccupato il giovane mentre il
finanziere lo strattonava cercando di condurlo via di lì. Intanto un
secondo finanziere scendeva dall'auto. Si strattonarono ancora una
volta, poi Tito gettò le braccia sul petto del finanziere che
tratteneva il giovane e quello cadde con tutto il giovane sopra.
Quando il secondo finanziere Gli giunse vicino aveva il manganello
ben sollevato e lo caricò di forza sul volto del cinquantenne: andò
al suolo con il volto ricoperto di sangue. Il giovane si alzò quasi
subito e rifilò un calcio nello stomaco al finanziere che stava
ancora a terra, schivò l'arrivo del manganello e rispose con
un gancio destro. Il finanziere recepì il colpo restando in piedi,
caricò nuovamente il manganello e questa volta colpì il braccio
del ragazzo che non seppe come pararsi e rimase fermo sorpreso
dall'improvviso dolore, l'altro finanziere si alzò di scatto
ringhiando e lo aggrappò quasi come in una mossa di rugby. Il
giovane venne messo con la faccia contro il pavimento e più volte la
fronte gli venne pressata contro il ruvido asfalto quasi a volercelo
conficcare lì.
-Sono terroristi questi bastardi.-
Disse uno di loro. -Siede diretti in Albania vero?
A quel
punto arrivò un'auto blu sgommando. Scese dall'auto un tizio ed era
solo, nessun altro alle sue spalle. Il tizio tolse di mano il
manganello al finanziere sbarrandogli davanti agli occhi un
distintivo.
- Dovete lasciare all'istante questi uomini e
sparire dalla mia vista prima che io contatti i vostri
superiori...all'istante!
Il finanziere privato del
manganello provò a districarsi al meglio.
-Abbiamo
fermato questi uomini in quanto abbiamo l'ordine tassativo di fermare
ogni slavo che si aggiri a piedi o in auto. Non spetta a lei
ispettore Bianchi, rilasciare queste persone, devono sottoporsi ad un
controllo in caserma.
-Forse non avete capito bene
una cosa qui, siete voi che state dando una mano a noi della
Polizia, non è la polizia che si immischia nei vostri affari, quindi
ora fatemi la cortesia di togliervi dal cazzo, perché la Polizia ora
è arrivata... mi pare di aver già visto abbastanza qui eh... o
vogliamo riferire ai superiori che usate i manganelli contro gente
indifesa e disarmata?
-Hanno opposto resistenza ispettore!
- Provò a ribattere il finanziere.
- ... non mi
pare di aver chiesto il tuo punto di vista. Non credo neanche che
conti il parere di un finanziere su quello di un ispettore di Polizia
o forse mi sbaglio? Ho detto di andarvene... FORZA CAZZO!!!
VIA!!
Il tizio che si presentava in
pantaloncini bianchi e scarpe da tennis, non avrà avuto più di
trent'anni ed urlava furiosamente come se fosse stato disposto a
tutto qualora non l'avessero ascoltato. Ma era conosciuto e temuto
nella zona, così che i due finanzieri si rimasero in macchina e
molto lentamente lasciarono la zona.
-Alexander
Ludovich...ti fai chiamare così ora non è vero?-
-Già
ispettore,mi chiamano proprio così. E' da molto che non ci si
vede io e te vero?
- A quanto pare arrivo al momento
giusto. - Rispose l'ispettore Bianchi, quando poi ancora prendeva
respiro da quelle urla, era fermo e manteneva il busto eretto con le
gambe divaricate come se avesse picchiato qualcuno. Era castano,
occhi chiari, un uomo di bell'aspetto e dal fisico atletico. Il fatto
che girava in pantaloncini e scarpette da tennis di primo mattino non
esclude che non sarebbe arrivato a fine giornata con quella
freschezza con la quale si presentava al momento. Era solito
nel perdersi nel suo lavoro. Ludovich lo conosceva bene.
-Cosa
diavolo ci fai qui Cosma?- Chiese Ludovich.
-Ho
saputo che Ivanovich è stato incastrato in Albania, fatto
prigioniero nella prigione di Tirana. Era prevedibile che
incaricassero te per liberarlo. -Continuò l'affascinante
ispettore. - Dovevo aspettarmi che non sei ancora in grado di
coprirti le spalle come si deve.-Aggiunse.
-Mettila
come ti pare, noi gli avremmo pestati a sangue quelli. - Alzò lo
sguardo verso la direzione opposta Ludovich, in segno di non curanza nei confronti dell'ispettore.
-Sì certo come no, uno smilzo ed
un panzone alcolista che non sa neanche alzarsi da terra...
avreste sicuramente battuto due finanzieri smaniosi di pestare
a sangue due slavi. A proposito... cos'è questa storia che hai la
cittadinanza bosniaca ora?
-Secondo te dovrei andare
in giro ancora con i miei vecchi documenti? Connetti il
cervello e fatti più furbo sbirro... spacciarmi per
slavo mi dà più vantaggi nel mio lavoro.
-Ma
guardalo... questo farabutto... hai il coraggio anche di chiamarlo
lavoro questo!?
-Non ricominciare Cosma... stavamo andando
al bar a prenderci qualcosa, vieni con noi?- Ammiccò per
sfottere ed assunse anche una certa aria da sfida
che infastidiva non poco l'ispettore Bianchi. -Andate... andate
pure.... tanto verrà anche il vostro giorno, è solo una questione
di tempo.
Tito affrettava il passo per
andarsene verso il locale, quei due non li capiva. Conosceva anche
lui, il famoso ispettore Cosimo Bianchi, se non altro per fama, e
nutriva un sentimento del tutto contrario alla simpatia nei suoi
confronti. Quando Ludovich si allontanò dall'ispettore, Tito gli
chiese subito:
-Perché inviti quel poliziotto a bere con noi?
Sei forse impazzito?
-Lascia stare Tito, lui non è un vero
poliziotto... o meglio... è uno di quei poliziotti falliti che non
riuscirà mai a prendermi.- Ludovich affrettò il passo
toccandosi la mascella come se fosse stato colpito in faccia da un
pugno, ma pugni non ne aveva presi, era solo quell'aria da duro che
si impossessava di lui. Era la presa di coscienza dopo un
combattimento
-No, Tito... lui non mi arresterà mai.
-
Ma chi ti pensi di essere tu? Diabolic, Arsenio Lupen?
Rischi troppo a parlare con quel tipo. E poi , non vuoi mai
dirmi nulla... e allora tenitele per te le cose, non rendermi
partecipe...
-Ma no Tito caro, io ho imparato tutto da te,
solo che ora non siamo nella posizione di parlarne apertamente su
certe cose.
-Sei in rapporti con la Polizia?Vuoi
tradire Bota? - Chiese Tito asciugandosi del sudore dalla fronte
mentre i due salivano qualche gradino.
-Bota, dopo
tutto, è un buon capo, non ci ha fatto mancare nulla sino ad
oggi...no, non credo potrei mai tradire Bota.- Disse Ludovich
chinando il capo, quasi si stesse sentendo in colpa.
-.... ma
se non è Bota il problema qual è? La Mahskadov? Non ti piacciono i
loro metodi vero? Eh lo so... sono loro allora...
-Tito non
pronunciarti così dinanzi a nessuno, sai che ci aspetterebbe una
brutta fine ad entrambi dovessero solo sospettare che io non sia
d'accordo con i loro piani.
-E cosa hai intenzione di
fare?- Chiese Tito preoccupato.
-Proprio un bel
niente, ho intenzione di svolgere il mio lavoro e basta....- Lo
rassicurò il giovane, ma nel suo atteggiamento vi erano troppe cose
che non andavano. Era chiaro quel manifestarsi del dissenso,
troppo palese e allo stesso tempo pericoloso. Alexander
Ludovich si sentiva appeso ad un filo sul punto di spezzarsi da
troppo, veramente troppo tempo.
Nel piccolo locale del
porto entrò prima Ludovich, seguito qualche istante dopo da Tito.
Seduto ad un tavolo li attendeva un pescatore anziano, aveva in
volto un berretto sbiadito con la visiera rivolta verso il basso,
quasi e non voler mostrare il proprio sguardo.
-Alexander
Ludovich...- Disse il pescatore.
-Sei tu Giacomo?-
Chiese il giovane.
-Non vedo nessun altro qui a parte me, te e
il buon Tito.- Parlava molto lentamente, delle volte sistemandosi
la dentiera. -Tito.-Disse Ludovich.-Controlla che non vi
sia nessuno in cucina e vieni a sederti qui con noi.
-Allora
Alexander.... con quanti uomini saremo di ritorno?
-Con te
incluso saremo in dieci.
-Il mio peschereccio ne trasporta
massimo sei.
-Mi aveva detto Tito che era abbastanza grande
come barca.- Rispose con tono autorevole il giovane.
-E'
grande ma ha non ha un motore abbastanza potente sotto,se il carico supera
un tot di tonnellate rischio di rompere il motore. Non posso correre
certi rischi caro ragazzo...- Affermò il pescatore che intanto
mandava giù un bicchiere di brandy, ma il ragazzo non stava a
sentirlo troppo:
-Facciamo otto più qualche ferro pesante.
Intanto si sedette anche Tito,
l'uomo intervenne anche lui nel discorso:
-Giacomo di cosa ti
preoccupi? Se saremo tutti sani e salvi al ritorno avrai così tanto
denaro da startene fermo per due o tre anni. Ludovich malgrado l'età
sa alla perfezione quello che fa.
-Sarà anche come dici tu Tito,
ma otto persone il mio peschereccio non le regge, soprattutto di
notte quando il mare è più agitato.- Provò a tirare la ragione
dalla sua il pescatore che diventava preoccupato ad ogni suo sorso di
brandy.
-Possiamo anticipare il ritorno di qualche ora e
viaggiare con qualche ora di sole in più. Partire alle sette di sera
magari.- Disse Ludovich mentre si tolse la giacca sotto la quale
aveva una revolver Smith and Wasson. Giacomo se ne accorse subito e
iniziò a sudar freddo e a parlare più agitato di prima.
-Parli
di anticipare quando poi non sai neanche se ti andrà bene laggiù...
non ho mai visto gente partire da casa con delle armi come le vostre
e tornare indenni dai conflitti a fuoco.
-Più che
altro...-Aggiunse Tito al discorso del pescatore...-Tu non hai
mai visto gente partire con delle armi da questo porticciolo del
cavolo.Sei un contrabbandiere cagasotto e questo lo abbiamo capito,
ma dimmi un po'... diecimila euro non bastano per far contenta la tua
mogliettina e le tue belle figliole... fallo per loro no?
-Mia
moglie ha gli incubi tutte le notti... nel sonno quasi ogni notte mi
vede morire in mare, è quella la sua disperazione. Come
potrei farla contenta in una cosa del genere?
Ludovich sbuffò
per una serie di secondi, si alzò dal tavolo e cercò di vedere
oltre la foschia.... non si vedeva null'altro che qualche barca
ondeggiare accanto a qualche boa; il mare non lo si poteva vedere in
quel giorno cimiteriale, era questo a preoccupare tutti.
-Fa
troppo caldo per poter ragionare...-Esclamò Tito. - Non vedi
nessuno lì fuori Alexander?Dovrebbe arrivare a momenti.
In
quel preciso momento passarono nelle vicinanze dei fari blu;
probabilmente la finanza costiera che non era neanche visibile dalla
postazione del bar.
-Nessuno Tito, e spero che Cosma mi tenga
buona la sbirraglia almeno per un altro po'. Quanto tempo ci
mettono ad arrivare questi tuoi mercenari?
-Ah vero, con
Bota eravamo rimasti che ne avrebbe mandati due ma all'ultimo siamo
riusciti a trovarne solo uno.
-Chi è questo, lo
conosco?
-Non credo, anche se ha già lavorato per Bota,
proviene dagli Stati Uniti, un ex soldato dell'esercito... forse è
meglio che te lo dica prima che tu...-
La potrà si aprì di
colpo; Ludovich posto proprio dietro la bloccò a metà. Continuò a
spingere ed a opporsi con tutto il corpo.
-Ei cazzo, ma è
modo di trattare così un cliente assetato??
-Il circolo è
chiuso bellezza, apriamo alle nove!- Rispose schietto Ludovich
pressandole ancora di più la porta sopra.
-Figlio di puttana
fammi passare o giuro che ti becchi una pallottola nel cranio!-
Ludovich la lasciò passare e la guardò attentamente. La tizia si
guardò un braccio per controllare se avesse riportato dei lividi.
-Io ti faccio fuori se mi hai lasciato anche solo un cazzo di
graffio... -
-Ma come siamo nervosi di primo mattino...
Helèna....- La salutò Tito alzandosi dal tavolo.
Helèna
digrignava ancora i suoi denti contro Ludovich, lui passò dietro al
bancone ed aprì una bottiglia di rum qualsiasi. Ne versò un
bicchiere e tracannò prima di parlare.
-Non facciamo scherzi
ok? Dimmi che non è come penso Tito.
-Alexander tu sarai
anche bravo nel tuo mestiere, ma se permetti Bota ha più esperienza
di te nel selezionare la gente...
Helèna aguzzò bene
le orecchie.
-Tito lei è una ragazza... tra l'altro più
giovane di me, diventiamo seri ok? Dimmi che è uno scherzo, abbiamo
ancora molte ore per trovarne uno bravo...
Intervenne
Helèna:
-Aspetta un attimo... non sarai mica tu Alxander
Ludovich?- Chiese Helèna.
-Certo che sono io....-
Rispose quasi imbarazzato Ludovich.
-Ti facevo molto più
alto e molto più grosso dalle descrizioni che mi sono
giunte...
-Esagerano sempre...- Sorrise il ragazzo staccandosi
totalmente dalla seccatura di qualche istante prima. La ragazza
acquisiva sempre di più un volto deluso ed amareggiato.
-Dico
sul serio... ti facevo un omone alto e muscoloso e con un handicap
alla mano destra... che devo dire non noto.Nessun uomo alto, nessun
handicap da riportare come segno particolare.
Qui Tito si
mise a ridere dicendo:
-Io adoro la storia dell'handicap di
Ludovich.- E Tito faceva riferimento sicuramente alla stranezza
che conservava la storia.
-Dicono che eri un pianista
prima...che hai dovuto smettere in seguito ad una ferita
causata da una pistola.- Continuò a battere sul discorso
Helèna.
-Girano molte voci su di me... non so chi le
metta in giro...-Guardò male Tito- ma la maggior parte di
quelle voci sono fatte per confondere il nemico.
-Quindi
eri o non eri un pianista?- Si impuntò Helèna.
-Questo
che importanza ha?- Sborbottò Ludovich tornando nuovamente
serio.
-Ha importanza invece...- Volle spiegare
meglio Tito...- Ha importanza per questa ragazza ad esempio,
sicuramente anche lei si domanderà se sei la vera macchina di morte
che tutti descrivono.
-Io svolgo bene il mio lavoro
attuale...-Disse Ludovich.-Questo è quanto si ha da
sapere.
-Ok caro mio, non entreremo più nelle tue faccende
personali.- Portò le mani avanti Tito in segno di
arrendevolezza, poi parlò nuovamente del lavoro.-Secondo le
indicazioni di Bota questa ragazza vale due uomini e noi non possiamo
discutere le scelte di Bota caro Alxander, lo sai meglio di
me.
Ludovich mise a posto la bottiglia e si avvicinò
nuovamente alla ragazza.
-Hai mai viaggiato su di un
peschereccio?
-No...- Rispose la
ragazza.
Ludovich strizzò gli occhi disapprovando.
-Sai
qual'è la missione da portare a termine?
-Liberare dalla
prigione di Tirana, un'ora di tratto navale da qui e mezz'ora di
macchina da Valona, un certo Ivanovich... un pezzo grosso
dell'organizzazione Mahskadov giusto?
-Un pezzo molto
grosso della Mahskadov, se dovessimo fallire sarà meglio annegare
assieme al peschereccio. Ivanovich è stato catturato in seguito ad
un incontro con l'attuale leader del G99, un movimento di
giovani di estrema sinistra; a quanto pare vi è stata un'imboscata
da parte della polizia albanese e non sappiamo ancora quanto il G99
possa esserne complice.
-Gran bella
fregatura...-disse Helèna un po' scettica.
-Ci
daranno una mano alcuni uomini di Ivanovich scampati alla
retata.
-Ho sentito parlar molto bene degli uomini di
Ivanovich.- Disse Helèna.
-Dipende da quale punto di
vista... nel nostro lavoro non sbagliano mai, o quasi... sono
spietati, molto forti e non guardano in faccia nessuno. Portano a
termine ogni missione, per questo sicuramente ne avrai sentito parlar
molto bene nel nostro ambito.
-E allora a quale altro
punto di vista dovrei riferirmi Ludovich Alxander?
-Sotto
il profilo umano...sono degli uomini di merda, venderebbero la
propria madre per poche centina di dollari.
Poi il
discorso dei due venne spezzato da Giacomo che aveva ascoltato tutto
non togliendosi la preoccupazione dal suo volto.
-Quindi
ricapitolando... saremo quattro all'andata e se ne aggiungeranno
altri quattro al ritorno?
-Precisamente...- Rispose
Tito.
-Porteremo Ivanovich e tre dei suoi uomini con
noi.- Giacomo a quel punto si alzò a uscì dal locale.
Quando erano le 20.32 di sera,
giù al porto non c'era anima viva. Il
cielo era pieno di stelle quella sera, i turisti popolavano la zona
poco distante che poteva notarsi tramite i fari puntati dall'acqua in
direzione del castello. Non c'erano volanti a sorvegliare e quello
non era un segnale positivo per il ritorno, Ludovich lo teneva in
conto. Contrariamente a quello che la sua età e il suo aspetto
trasandato portavano a pensare era un abile calcolatore di
ogni evenienza, c'erano ovvie ragioni se quel mare calmo
incuteva una certa paura. Somebody
Else Is Taking My Place di Peggy Lee
suonava da un'auto radio.
-Tito...
dacci un taglio con sta musica...- Disse
Ludovich.
-Rilassati Alexander,
arriverà a momenti...- Provò a
rasserenare il compagno il buon Tito che scese dalla sua
vettura con in bocca uno stuzzicadenti. Era presente anche la
nuova recluta Helèna, che seduta su uno scoglio fissava un punto
qualsiasi del mare. Da lontano si udì qualcosa simile ad un
ronzio d'ape, avvicinarsi sempre di più. Dopo un minuto Giacomo
arrivò con un vecchio motorino sfracellandosi sull'asfalto.
I
tre lo guardarono un bel po' perplessi.
-Non
è colpa mia, è stata mia moglie a mettersi di mezzo... non voleva
che io venissi, mi ha tolto anche l'auto, così ho preso il
motorino.- Rialzò il vecchio catorcio
con disinvoltura e lo parcheggiò in un angolo; Ludovich si mise le
mano tra i capelli disapprovando del tutto.
Nel giro di
pochi minuti la barca fu pronta per partire.
-E'
un Mitsubishi cinquecento cavalli, sei cilindri, a quattro
tempi...- Disse Giacomo con una certa
soddisfazione.
-Pensi che io ne
capisca qualcosa di barche Giacomo? Per me deve portarci solo a
destinazione...e farci fuggire qualora incontrassimo dei carramba.
Ti è chiaro?
- Interloquì Ludovich accendendosi una sigaretta.
-Sono
stato su pescherecci con motori molto più veloci... e con cannoni
impiantati sopra... mettiti bene in testa una cosa Ludovich, è
impossibile che esista sul mercato una barca in grado di sfuggire ai
motoscafi della Guardia Costiera o della Finanza. -
Volle dire anche la sua l'esperto Tito.
-Infatti
per prevenire ogni male... ci ho pensato io.-
Esclamò Helèna tirando fuori da un sacco a pelo, un bazooka
spagnolo.
-Adesso iniziamo a
ragionare.- Sorrise Ludovich e fu un
sorriso di piena intesa con quella ragazza che era stata zitta per
ore.
-Come mitraglia ti va
bene una MG.42 Ludovich?- Estrasse la
mitragliatrice sempre dal sacco nero che sembra non aver
fondo.
-Troppo pesante per me... ei,
ma aspetta un po' ragazzina, come hai fatto ad avere tutte queste
armi?
- Che vuoi che ti dica, ho derubato degli islamici prima
che andassero a sbattere contro una cabina... è stata una vera
fortuna guarda, se non fosse stata per quella DeLorean non ce
l'avrei fatto a teletrasportarmi sin qui.- propose
con sarcasmo Helèna.
La barca pian piano iniziò a
muoversi. C'era qualcosa in quella ragazza che lo convinceva poco,
era troppo giovane e non aveva ancora gravi ferite su quel corpo. Un
soldato cinese dall'apparenza così rude ed ostile, nulla
c'entrava con quel suo corpo non troppo muscoloso. Helèna
se avesse voluto avrebbe potuto intraprende la carriera di modella
per le sue gambe perfette, per quelle spalle toniche e ben disegnate,
il seno sodo e non troppo pronunciato. Non era troppo alta ma neanche
una donna da considerarsi bassa per essere un'asiatico-americana. Si mise a
scrutare un'altra volta il mare stando con i piedi in equilibrio
sulla ferriata che delimitava la prua. Spalancò le braccia stendendo
bene le dita con esse, prese un grosso respiro, racchiuse i pugni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** CAPITOLO IX- Lettera di HeLéna a Ludovich (Il terrore) ***
Lola di valenza
Nota dell'autore:
Due
capitoli in una settimana, non
preoccupatevi accade solo perché sono in vacanza,
diversamente sarei
molto più lento di così!!!
Scrivo questa brevissima
nota per
esprimere la mia lietezza d'animo nell'aver pubblicato questi ultimi
due capitoli. Non perché i primi siano stati buttati
giù con
svogliatezza, ma come alcuni sapranno che scrivo per puro pathos,
spesso
non leggo più di una sola volta ciò che scrivo,
insomma metto poca cura tecnica nelle storie. Beh in questi
capitoli ho dato un po' di più devo dire anche grazie ad
alcuni
lettori come Ellealamer. Sono sicuro di non conoscere la maggior
parte dei lettori di questa storia, poiché se li avessi
conosciuti
non sarei qui a stupirmi di ciò che ho constatato. Forse non
sono ancora riuscito a tirar fuori tutto l'animo e il sentimento che
questa storia tiene in serbo (questo per motivi tecnico-evolutivi della
trama) ma un primo
ringraziamento sento di doverlo fare proprio in questo punto
perché è una gran bella
soddisfazione notare che i capitoli ormai vengono letti con una certa
costanza di visualizzazioni.
Ora veniamo al nono capitolo. Ho voluto
introdurre questo capitolo con una lettera di Helèna a
Ludovich,
questo perché si possa sempre meglio focalizzare
l'attenzione sui sentimenti di questo
meraviglioso personaggio femminile. Come location
dell'evento invece ho scelto la Toscana: una Toscana quasi surreale in
seguito agli eventi che i russi stanno scatenando ed ho scelto questa
regione, ma in particolare un luogo, Bagno Vignoni (Val
d'Orcia),perché lì è stato ambientato
l'unico film di Tarkovsky in Italia... il film si chiama Nostalghia
(con Domiziana Giordano) lo
cito per coloro i quali fossero interessati al cinema d'autore. Chiamatelo
anche un “piccolo tributo” al mio autore
cinematografico preferito. Continuo... Ludovich in seguito a
dei
disaccordi con i capi della Maskhadov viene imprigionato nel borgo
medioevale di Bagno Vignoni, l'unico presentimento/verità di
Helèna
è che vogliono toglierlo di mezzo e il suo obiettivo
è quello di
arrivar prima dell'esecuzione.
L'impresa è
assai ardua per lo stato
precario in cui versa la nostra protagonista. Lei sa che i dolori
all'addome (vedi il primo capitolo scena della metro in cui
Helèna
si sente male) sono una conseguenza di una malattia al fegato.
Fine delle anticipazioni, torno a fare l'asociale.
Come ultimissima cosa volevo invitare ancora chi
fosse rimasto
nell'anonimato a commentare, anche solo con due parole, pensieri da
tener presenti nei prossimi capitoli, poiché avrei grande
piacere a
conoscervi meglio. Grazie a tutti!
Cristiano.
Lettera di Heléna a Ludovich
Capitolo IX
"Il
Terrore"
"Caro Ludo,
scrivo questa lettera
quasi addormentata,assopita dai miei pensieri e malconcia per i miei
dolori fisici, davanti allo scorrermi veloce del paesaggio.
Ciò che mi si prospetta dinanzi sono le montagne
dell'Appenino Toscho-Emiliano. Sono in un treno semi deserto
il cui rumore è quasi assordante benché vi siano
tutti i
finestrini chiusi. Nei tratti meno tortuosi non sono riuscita chiudere
occhio ugualmente per degli strani lamenti provenire dallo stesso
vagone.Fortuna che mi sono fermata qualche ora in un albergo prima di
salire su questo treno, giusto il tempo di chiudere gli occhi qualche
oretta, farmi una doccia e procurarmi dei nuovi vestiti ed una
borsa. C'è un'atmosfera che mi inquieta sai? Non
è per
il solo fatto che, come avrai già capito, sto scrivendo
mentre
vengo da te nell'incertezza che tu sia ancora vivo. Questa
zona non sembra esser abitata,
sarà anche l'orario o sarà che provengo dalla
gran confusione
delle capitali Europee. Non sono abituata a questa pace
mortuaria. E' come fare un tuffo in uno strano
passato, non certo il mio. Mi sento osservata, è quello
potrà anche esser normale, non escludo di aver uomini di
Ivanovich alle calcagna o chissà, qualche agente della C.I.A
magari.
Non so il motivo ben preciso per il quale ti scrivo o forse
ho
così tanti vermi in testa che è meglio non
pensare al
vero motivo per cui ti sto scrivendo. Ho giurato a me stessa
che
ci sarei riuscita, avrei fatto di tutto pur di scoprire il
luogo in cui sei prigioniero e a tempo debito ti spiegherò
anche
come alla fine io ci sia riuscita. Sono tremendamente stanca Ludo e non
voglio che tu comprenda i miei atteggiamenti, a me non serve questo,
come se volessi in qualche modo giustificare tutti i falsi passi che
sto commettendo. No, non ho niente di cui giustificarmi. Questo sento
in
cuor mio, di star commettendo degli errori agghiaccianti che non posso
giustificare. No, non vengo a rivelarti solo ora di non essere quel
soldato perfetto ingaggiato dalla Maskhadov, quello lo sapevamo
già bene entrambi, ma credo di essermi accorta solo ora di
essere persino stupida nel valutare ciò che mi
accade
intorno. Eppure non ho fatto altro che guardarmi attorno,
guardarmi per poi uccidere tutto ciò che stridulava al mio
cervello. Ho accettato questo lavoro perché lo ammetto, a me
uccidere ha sempre dato una certa soddisfazione e continua a darmi
una lieve scossa anche ora mentre avverto la
malattia a due
passi dietro me. Quelle tremende fitte allo stomaco che avevo,
ora
sono incontrollabili, inizio a pensare che non avverto più
il
frastuono dei calci in bocca, non perché io ci sia allenata
ma
perché ho ben altri livelli di dolore da sopportare.
Non
avrei voluto scrivertelo in questa patetica lettera ma un medico in
Germania mi ha detto che potrebbe trattarsi di una malattia al
fegato; ben mi sta dico io,avrei dovuto stare molto più
attenta,curarla prima e poi di certo non morirò per questo,
e
non
morirei mai prima di aver preso a calci in culo Ivanovich. Non
morirò e te lo giuro. Penso a quante ne abbiamo
superate insieme, a tutto quello che prima ancora ha
preceduto
queste avventure.
Penso a quante tu ne abbia passate ancora prima di conoscermi, la tua
storia e il fatto che, magari non hai mai voluto confessarmelo
perché te ne vergogni, ma eri un pianista con tutta una
carriera
davanti. Esattamente otto mesi fa sono entrata nella tua vecchia casa.
E'
assurdo ciò che ho provato stando ferma su quella
soglia, mi sentivo in assoluto disagio come se ci fosse tutta una vita
ancora ferma dentro. Credimi è stato molto piacevole ma
nello
stesso tempo il disagio mi fece rabbrividire. Quel pianoforte
nel
soggiorno era ancora aperto come se qualcuno lo avesse suonato da poco
e avevo un brivido lungo la schiena, come se ci fosse ancora qualcuno a
fissarmi difronte alla cristalliera ormai impolverata. Sul
caminetto c'erano foto incorniciate di una famiglia
sorridente.
Lei era vestita in rosa come una gran lady,giovanissima vi teneva
abbracciati entrambi. Una donna di assoluta dolcezza e credo che in
parte tu l'abbia ereditata proprio da lei. I tuoi ricordi
erano
tutti lì e capì in un istante che non erano
fantasmi.
Queste entità mi fissavano mentre camminavo lungo il salor,
il
tappetto originale per il quale vai girando mezzo mondo cercandone
autentiche copie. Avrei voluto conoscere ogni pezzo di quella
casa, rimasto così intatto nel tempo, non per i mobili ma
per
l'atmosfera che ancora si racchiude tra le mura. Sono salita per le
scale cercando di farle scricchiolare il meno possibile, senza
domandarmi perché tuo nonno le avesse costruite
così
rumorose in una casa sopravvissuta al secolo diciannovesimo. In ogni
caso, non volevo far rumore. Folle a dirlo: non volevo svegliare
nessuno da quel sogno, non volevo svegliare neanche me stessa. Ho
sempre amato quel gioco, ho sempre amato osservare posti più
segreti dell'animo umano. Diedi
una sbirciata curiosa alla camera dei tuoi, un po' come fanno le
bambine. Un corridoio piccolissimo che mi faceva venire le vertigini ad
ogni scricchiolare del parquette, una sensazione di
instabilità
sotto i miei piedi, ma ero tranquillissima e mi sentivo d'un tratto
molto bene con me stessa. . Era pura emotività. La
stanza
di tuo fratello era la più vuota, come se fosse andato via
da
molto; fu inconfondibile quella sensazione di vuoto che mi
lasciò nell'osservarla; un'infinita tristezza e dispiacere.
Non so perché provai tutte quelle emozioni, erano
troppe
ed erano troppo intense per una sconosciuta.Sentivo la mancanza di tuo
fratello, e sentivo che in quel momento lo stava avvertendo qualcun
altro con me. Subito dopo presi un
grosso respiro perché non era rimasta che la tua stanza da
vedere. Sentivo di essere esattamente una bambina presa da una calma
riappacificatrice, non sapevo né nei confronti di chi o
cosa,
ero completamente ristabilita nei sensi come lo sono ora mentre rivivo
quel momento. Arrivai dritta nella tua stanza con enfasi ed
una
gioia incontenibile e una volta dentro non riuscì bene a
capire
cosa stesse succedendo. Era ancora la stanza di un ragazzo
poco
maturo:tantissimi libri, disegni e spariti sparsi per la scrivania. Chi
era stato lì dentro? Il letto era sfatto e l'armadio aperto.
Il
vestiario erano messo in ordine all'interno, ma ugualmente non capivo.
C'era un grande comò e ci pensai un po' prima di farlo.
Volli
aprirlo lo stesso e uno per uno girai tutti i cassetti per trovare alla
fine ciò che volevo: trovai due foto. La prima ti ritraeva
seduto al pianoforte mentre tua madre ti accarezzava il capo. Nella
seconda eri ad un concorso,tutto sudato leggevi e suonavi uno
spartito... c'era una tenda alle tue spalle, la si intravedeva
nell'ombra e nella stessa oscurità c'era ancora una donna
che non
smetteva di vegliare su te. Allora ho capito che avrei
guardato
quella
foto solo per un'altra manciata di secondi. Presi
ciò che
dovevo prendere e me ne andai da quel posto incantato. I tuoi
ricordi Ludo, una costante che cerchi di reprimere nel tuo solito modo
insano di tenerti dentro tutto con frenetica
gelosia. La
sofferenza che maledettamente ti trascini dietro. Prima o poi
dovrai capire che il passato sia nel bene che nel male fa parte di noi
e che non va represso ma accettato se si vuol vivere il presente.
Ora
ti avrei tra le mie braccia e avrei da dirti tante di quelle
cose per le quali sarei stata ben contenta di sentirmi una ragazzina
idiota alla sua prima cotta.
Io
non ti amo Alxander, ciò che provo per te è solo
pura
follia,per questo credo che sto venendo senza pensarci, senza gloria e
senza onorevole causa, senza armi né uomini alle mie spalle,
senza probabilmente quella coscienziosità in grado di
salvarci
la vita. Sì, questa lettera probabilmente mi aiuta a
pensare, a
riflettere un attimo su cosa siamo diventati io e te nel giro di pochi
anni. Come se questa assurda storia non contasse forse? Come se questa
guerra fosse solo uno scenario melodrammatico per due giovani
esistenze? Invece vorrei che contasse, vorrei oppormi con tutta la mia
forza, quella che a me rimanere ancora, e dire che se per loro questa
è una guerra giusta la mia è una crociata e
morirei pur
di vincerla. La verità è che non hanno idea di
quanto
questo cane possa mordere ancora, di quanto poco si ha da perdere in
situazioni come questa. Certo che ho paura, la paura ci rende umani,
senza di quella forse non invecchieremmo nemmeno. Pesa
grossomodo
quanto le croci che ci portiamo dietro, quanto gli affetti dei nostri
cari che sono venuti a mancare per un motivo o per un altro, pesa
quanto le vite che avremmo voluto avere e che non siamo riusciti a
vivere.
La
paura che mi affligge non è quella di morire caro mio,
perché in me freme la voglia di ucciderli tutti uno per
uno,e di
questo ne sono certa, vincerò io. E' sul nostro futuro che
non mi
giocherei la casa che non ho. Vedo solo ombre e ancora tanto sangue da
versare,
continuo a sfregarmi forte ad ogni lavaggio ma non va via quel
terribile odore.
E'
troppo facile pensare che una volta finita l'ecatombe si possa
tranquillamente vivere ciò che rimane della nostra
giovinezza.
Immagini Ludo?
Io
che mi ripresento all'esercito americano con le valigie in mano
dicendo "Bene signori eccomi qui, sono tornata! Vi sono mancata? Non lo
avevate capito?... il mio... ERA SOLO UNO SCHERZO!"
Helèna scese
dal treno alle 6.49 del mattino. Non c'era nessuno
nella piccola stazione toscana. Faceva molto freddo e sembrava volesse
venir giù la neve. Notò che le case
erano un po'
distanti, provò a contare quanti pali della luce potevano
separarla dal paese. Provò a cercare lì
per
lì un macchinista per chiedere informazioni, ma di un
macchinista non c'era neanche l'ombra. Scese per il
sottopassaggio frettolosamente reggendo una borsa a tracolla.
Quel marmo grigiastro e ombroso le procurava sempre una certa
ansia, ma quella volta si giro e rigirò più volte
su se
stessa, percosse anche la strada come un gambero per assicurarsi che
nessuno la seguisse. -Pensa
Helèna cosa può accaderti ormai? Nella peggior
ipotesi potresti esser risucchiata da un buco nero, e ti andrebbe di
culo cara.. oh certo, ti andrebbe di culo cara.- Ripeteva a se stessa mentre
proseguiva il cammino. Effettivamente c'era solo lei proveniente dal
quarto binario con una stranissima impressione di esser stata la sola
nel
vagone per tutto il viaggio.
Mentre salì
gli ultimi gradini del sottopasso si accese una
sigaretta e ci tengo a sottolineare che Helèna non era
solita a
fumare. Stava male, era visibilmente deperita e non aveva
assolutamente un buon colore. Con se aveva ancora il
proiettile di piccolo calibro e il pupazzento trovati nel
cruscotto della sua auto a Parigi.
-Chi mai
può esser così folle da mettermi nell'auto un
pupazzento così orribile... che sia un segnale? Un
avvertimento, una minaccia. E' orribile, sembra quasi un pupazzo...
Vudù. Ma certo, come ho fatto a non accorgermene prima?- Helèna si
fermò, tirò fuori dalla borse l'affare e lo guardò bene.
-O
è un malocchio o è un avvertimento. E il
proiettile? E' una chiara minaccia... o no forse no, sono paranoica e
magari è la febbre che mi porta a pensare certe idiozie. Chi
mai può essere?-
Quando si
dirisse per entrare nella
struttura della stazione, verso la biglietteria notò che non
c'era nessuno anche lì. La stazione era tetra e le luci
dell'interno sembravano non esser funzionanti. Non uscì, non
si
fece molte domande, mise una mano sotto il giubbino di jeans e
caricò la pistola. Sentì un rumore.Se
la vista poteva ormai ingannarla, l'udito era ancora affidabilissimo e
non sbagliava mai. Estrasse la pistola e la puntò dritta con
il
supporto della seconda mano. Camminò dritta portandosi un
piede
dietro all'altro e mirò ad un angolo preciso.
Helèna non tremava, se c'era una cosa che le
sarebbe
uscita bene in quel momento era sparare all'impazzata sino a colorare
di rosso quei muri grigi che sapevano di topo. Ancora un
altro
passo e la pressione cardiovascolare sarebbe aumentata così
tanto da farle perdere i sensi, quando poi si accorse che era solo una
ragazzina di
quattordici anni appena. Rimise dentro l'arma quasi
mortificata e
le si avvicinò.
-Oddio
piccola, mi hai fatto prendere un grosso spavento...
La ragazzina non
rispose, era in piedi con le spalle contro al muro. -
Perché
non rispondi?-
Domandò Helèna.
Quella si accovacciò per terra
ed emanò
un mugugno.
-Ho sete... - Disse la ragazzina.
Helèna cacciò una
bottiglietta d'acqua e ne fece bere. La ragazzina rimaneva nell'ombra e
questo teneva Helèna sulle spine.
-Grazie.- Rispose. La voce le usciva a
stento.
-Come ti
chiami?-
Chiese Helèna.
- Che
importanza ha il mio nome?-Disse la ragazza penetrata
leggermente
da un filo di luce, quel tanto da far notare segni di violenza sul suo
volto. Continuò con palese sforzo. -Non sei
mica un poliziotto
tu, anche se vai in giro con una pistola.
-Tu come fai
a sapere che non sono un poliziotto?- Chiese Helèna
portandosi la mano alla cintura dei pantaloni, e non era un normale
gesto, no signore, fosse stata tranquilla se ne sarebbe andata da quel
posto.
-Mi hanno
chiesto di te... -Parlava
la ragazza aumentando la sua
fatica...- Credevano
tu fossi già qui, da qualche parte.
Fanno domande alle quali io non so rispondere.- Fece un grosso
respiro, poi si portò la bottiglietta nuovamente per
bagnarsi le
labbra, ma la mano le tremò così tanto da far
cadere
l'acqua per terra. Strillò come un diavolo tanto che
costrinse
Helèna a portarsi le mani sulle orecchie.
-Sono stata
picchiata come una
bestia, calpestata come una bestia, presa a calci e derisa. Credo di
non sentire più... non sento più le ossa...
Helèna!
Un velo d'aria molto
familiare passava di lì, era il velo di
morte che la perseguiva da Berlino a Parigi, inconfondibile quel suono
nel silenzio, un leggero soffio in grado di penetrarle l'anima.
Strana bestia la morte, silenziosa e letale, non ringhia mai
quando ha fame.
La domanda di
Helèna fu breve e concisa:
-Loro sono
qui?
Risposta:
-Dietro di te.
-...Merda...
, Al soffio di una
bestia, un'altra bestia arrivò in piena
corsa...sbraitava, ringhiava e berciava come chi non ha regole da
seguire. La prima bestia trattavasi della morte, la seconda
era
un meticcio per metà cinese per l'altra metà
America. Si girò con
un calcio volante ai danni di un uomo russo alto il doppio di lei, lui
andò al tappeto. C'era poi un secondo non da meno nella
statura che
impugnò la pistola ma, non fece in tempo a premere il
grilletto
che la Colt Commander della ragazza di Singapore gli fece saltare in
aria le membra celebrali con due colpi consecutivi. Quello
andato al tappetto sparò un colpo di pistola a vuoto non
riuscendola a colpire, ricevette un proiettile alla gambe ed uno alla
mano con la quale protendeva la pistola. Il tizio diede di matto, ma
non urlò, sapeva che nessuno lo avrebbe soccorso e
nulla poteva contro la bestia che aveva dinanzi.
-Se pensi
che io per te stia
riserbando la fine del tuo amico... e mi
riferisco al proiettile in testa così tanto gentile da
regalare
una morta istantanea, beh... diciamo che sei completamente
fuori rotta. Se ti stai domandando se amo torturare gli
uomini
alti due metri e dal fisico da Mister Olimpia, la risposta
è:
adoro la tortura in generale ma se sono maschi della tua razza ci provo
un particolare senso di goduria che talvolta mi conduce all'orgasmo.
Ora
domandati infine come puoi evitare le mie pene e magari ottenere anche
salva la vita. Ci stai pensando? Te lo dico io: dimmi in
quale
casolare tengono nascosto Ludovich Alxander e quanti uomini sono.
-Sei proprio
una pazza e sparare di convincermi. Preferisco morire piuttosto che
aiutare te.
- Ti sembra
che io abbia molta pazienza?- Helèna
iniziò a
guardare nel piccolo trattino della sua pistola, o per meglio dire
stava prendendo la mira, poi mise il colpo in canna.
-Non ti
dirò niente perché sei solo un squallida
sgualdrina.
-Ei
ragazzina... -
Disse Helèna. -Vieni qui
,questo signore ha bisogno di te.
Quella si
avvicinò, uscì alla luce rivelando un
volto
sfregiato da ferite aperte che grondavano ancora sangue, aveva lividi
lungo tutte le gambe, nettamente visibili per gli strappi sulle sue
calze doppie in lana. Camminava penzolante da una parte
all'altra come una zombie, le si vedevano ancora le mutande sotto una
gonna squarciata. Era così sfregiata che il suo aspetto non
si poteva ben delineare a parte i corti capelli castani che le
incorniciavano il volto zeppo di sangue.
-Ti offro la
possibilità di restituire il
trattamento... cosa ne pensi?
-Che diamine stai
facendo?- Chiese quello a terra, esamine dalle pallottole che aveva in
corpo.
-Offro un
futuro a questa signorina.
- Nello stesso
istante afferrò con rude intenzione la sua mano la costrinse
a
reggere la pistola. La ragazzina a stento sapeva sopportare
quel
peso
con due mani, ma gliela puntò subito contro al russo.
-Non ci
mettere troppo tempo ragazzina... ho una carneficina da compiere
oggi.
Lei scoppio a piangere,
disse ripetutamente:-No non ce
la faccio, questo per me è troppo... fammi tornare a casa.
- Ok disse
Helèna.... puoi tornare a casa se prima mi dici
perché eri qui.
-Sono
fuggita da casa...-Rispose
lei singhiozzando e con il capo chino dalla vergogna.
- ... che
stupida.-
La
rimproverò Helèna, ma era un rimprovero quasi
frivolo,
anche se aveva uno strano interesse ed un'insolita commozione che non
amava dimostrare. - Proprio un
bel guaio.-
Aggiunse la ragazza di Singapore. -
Qual'è il tuo nome? E guarda che se menti a me, fai la fine
del russo.
-Mi chiamo
Ottavia.
-Torna a
casa Ottavia, e sì felice per non aver sparato a quest'uomo.
- Quella porse la pistola e non la guardò neppure in faccia,
corse irrefrenabilmente sino all'uscita. Solo una volta uscita si
fermò a guardarla da lontano. Ci pensò due volte
prima di
aprir bocca poi urlò sino all'inverosimile.
-Prendi
l'autobus a due isolati da
qui,BAGNO VI-GNO-NI è la quarta fermata... sono solo dieci
uomini, ma stai attenta. Lola Di Valenza è qui!
Udì
delle sirene in lontananza e iniziò a correre.
-Ma chi
diavolo era quella?-
Si chiese Helèna grattandosi la testa con la sua Colt
Commander.
Guardando nuovamente verso il pavimento si accorse che il
russo
era scappato.
Imprecò
volgarmente, quasi voleva prendersi a schiaffi.
-Ci sono
troppe cose che non tornano in questa fottutissima storia... e poi
guardati Helèna, hai iniziato a parlare da sola, sei in
chiara difficoltà soldato... stai perdendo colpi. - Questa volta scandì
bene la sua voce, stava parlando da sola.
La fermata dell'autobus
era un po' distante ma a lei non dispiacque camminare un po', aveva
bisogno di riordinare le idee. Come se non bastasse si
sentiva in colpa nei confronti di Ottavia, quell'estranea picchiata per
estrapolarle informazioni. C'erano dei chiari sospetti sulla faccenda,
ma non voleva pensarci troppo, in cuor suo teneva solamente ad una
cosa: riportare con se il suo amato Ludovich. Arrivò alla
fermata più vicina, quella suggeritale da Ottavia, non c'era
nessuno e non si fermò nessun autobus. Aspettò
mezz'ora, dopo si ferì ad una mano dando un pugno contro il
palo che segnalava la fermata. Decise di camminare ancora, non poteva
starsene ferma lì a rimuginare pensieri e rivoltarsi lo
stomaco. "Agire". Bisognava agire nonostante fosse stanca
morta. Quelle strade erano disperse nel verde ghiacciato
dalla brina. Sembravano non condurre da nessuna parte. Ad un tratto le
si presentarono delle indicazioni stradali, una delle quali riportava
"San Quirico d'Orcia" a soli quattro chilometri mentre
un'altra segnaletica era stata ridotta a brandelli e data a fuoco.
Era quella con su scritto "Bagno Vignoni". -Ah bene...- Sborbottò. - Ora
chissà quanto cazzo dista da qui... ci
impiegherò un'intera giornata diamine. Che
giornata... che cazzo di giornata. -
Si curvò in
avanti e proseguì accelerando il passo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** CAPITOLO X-L'IMPOTENZA DI HELÉNA MULLOVA ***
CAPITOLO X l IMPOTENZA DI HELENA MULLOVA
CAPITOLO
X
"L'Impotenza di
Heléna Mullova"
Quando
Helèna giunse a Bagno Vignoni,
numerose volanti della polizia erano sul posto.
Arrivarono auto-blu,
agenti in
borghese, il Vicequestore e due ispettori dei due distretti
più
vicini. C'erano stati degli scontri a fuoco,
c'erano stati dei morti, ma ancora nessuno
spiegava le dinamiche. Un'auto sportiva arrivò con una
sirena lampeggiante.
-Scusatemi
colleghi, ho fatto più in fretta che
potevo. - Scese dall'auto l'ispettore Bianchi.
A
riceverlo fu il Vicequestore
Rodrini.
-Ispettore Bianchi, avrei fatto a meno di farle fare dieci ore di
viaggio, ma a quanto pare lei è molto informato su questi
episodi tra russi e slavi. Vorrà, magari,
aggiornare anche
noi su quanto sta succedendo?
-Vicequestore, io non sono tenuto a dare certe informazioni,
poiché niente di ciò che so proviene da fonti
sicure e
non è stata aperta alcuna indagine sulle
sparatorie che
sin'ora sono finite sui giornali locali. Io, come lei, mi pongo diverse
domande su cosa sta realmente accadendo. Per
esempio, come può questa gente entrare in Europa senza
accurati
controlli? Si tratta di criminalità organizzata non di
semplici
furfantelli. Questa è gente armata sino al
collo;gente armata, organizzata e chissà con quali
obiettivi, che passa inosservata alle nostre frontiere e va
scorrazzando da regione in regione causando morti e feriti. I media
nazionali non ne parlano e non me ne meraviglio, ma lo Stato Italiano?
Lo Stato Italiano sa che un nuovo meccanismo di terrore si
è
appena instaurato anche nel nostro paese, dopo Germania, Francia e
Inghilterra; dov'è lo Stato Italiano in questi momenti?Siamo
qui io e
lei a parlarne, vuole estrapolarmi semplici informazioni personali, io
posso dargliele, ma vede, siamo io e lei, non c'è nessuno
Stato a
sostenerci in questa battaglia.
-Bianchi, Bianchi, ci vada piano con certe affermazioni; lei
è
un ispettore di polizia non è un notiziario delle tredici,
deve
avere piena certezza della verità, non può
limitarsi a
fare delle supposizioni. Basate su cosa poi? Lei è qui per
dirmi
cosa sa e chi conosce, mi risparmi pure le sue opinioni in merito.
Il Vicequestore volle prendere subito le distanze da
quello che
era l'atteggiamento dell'ispettore
sebbene lui stesso aveva una buona
considerazione su quello che era stato il suo operato nel Tavoliere.
-Lei Bianchi avrà anche molta esperienza ma non è
di
certo in grado di svolgere da solo le indagini su questo caso. Non
è vero che lo Stato non è presente;
per ora è il prefetto di Roma che se ne occupa,
Prefetto
per il quale io sto lavorando da qualche mese come immagino che lei
saprà già. Le posso garantire che sono stati
aperti numerosi
fascicoli su questa storia, stiamo facendo il possibile Bianchi, di
questo deve esserne certo e deve collaborare
anziché metterci il bastone
tra le ruote.
-Il Prefetto di Roma ha detto..?
Helèna
Mullova approfittò
della confusione generale per superare i due poliziotti che erano di
guardia all'entrata della fortezza di Bagno Vignoni.
Salì delle scale e superò lunghissimi corridoi,
sino a
giungere in un'enorme sala da ricevimento. Una volta
dentro
le porte si chiusero alle sue spalle. Una parte della stanza
era
oscurata e nel penombra c'era qualcuno che le dava le spalle guardando
fuori dalla finestra, qualcuno intento a non spezzare quel silenzio
inquietante. Un enorme giaccone nero portato su due spalle possenti
sulle quali versavano lunghe ciocche di capelli neri.
-Chi sei?-
Chiese Heléna
Mullova.
-Questo dovrei
chiedertelo io... - Disse la voce nel buio. -Peccato che
io conosca già la risposta e che io sappia tutto sul tuo
conto.
-Non serve che tu mi
dica chi sono io, perché so già
tutto sul mio conto, dimmi piuttosto chi sei tu e se hai il coraggio di
voltarti...-E qui quella Iena assetata e
bastarda che
ormai bolliva in un sangue infetto le suggerì di azionare il
caricatore. Il rumore sacro della Colt
Commander echeggiò tra la
mura in un suono estasiante per Heléna
Mullova. In quegli
attimi, in assenza di ogni Dio, sentiva di avere in mano uno strano
potere, e voleva abusarne a tutti i costi.
-Mi hai sentito?-
Ripetette Helèna. - Voltati
così che io possa vedere la tua faccia.
- Perché
tanta fretta? La persona che cerchi non è
più qui, credevo che te lo avessero detto i poliziotti. Ah
no
vero, tu non ci parli con i poliziotti, se ti prendessero farebbero di
te un bocconcino prelibato.
-Ho ucciso molti dei
loro capi, non mi sarei fatta scrupoli anche
quest'oggi a fare piazza pulita. Allora dov'è Alexander
Ludovich?
- C'è stato
uno scontro a fuoco con i russi che lo tenevano prigioniero, lui
n'è uscito indenne.
.-Ed ora?
-Ora cosa vuoi che ne
sappia, potrebbe essere ovunque. É scappato via
in auto ed era solo. Per quanto ne so io Ivanovich potrebbe avergli
teso un'imboscata non lontano da qui e probabilmente questa volta gli
avranno trafitto il cervello senza alcun cerimoniale.
-E tu chi saresti quindi?
- Io sono chi Gli ha
salvato la vita.
- E per quale motivo
l'avresti fatto?
-Non devo dare
spiegazioni di certo a te delle mie azioni.
-Te lo ripeterò per l'ultima volta allora,
dopodiché ti rimando al mittente, all'inferno da dove sei
venuto, chiunque tu sia.
Quelle due spalle enormi si voltarono verso Helèna e con
soli
due passi andarono verso la luce, un'apparizione ultraterrana
sembrava essersi compiuta. Le si presentò un
volto di una
madonna bruna. Una donna sulla trentina d'età,
bellissima; di una bellezza
così possente che ogni uomo le si sarebbe inchinato al
cospetto, ogni
uomo avrebbe temuto la sua parola, la sua mano, il suo giudizio e la
sua volontà.
Disse:
- Il mio nome
è Anna Formisano, Prefetto di Roma in carica da qualche mese.
Le si avvicinò e le strinse la mano. Heléna
rimase immobile, del tutto impassibile a quella forza maggiore, aveva
oscurato quei timidi raggi di sole che penetravano la stanza, aveva
avvolto con la sua Aura
quel cuore gelido della ragazza
di Singapore,
in altre parole l'aveva resa impotente. Heléna
avvertiva che doveva
mollarle quella mano o avrebbe avvertito sciagure e sensazioni di
catastrofi immense, le città sarebbero crollate assieme a
loro i loro grattacieli. Il suo cuore pulsava ma pulsava male,
era lì per baciare
quella mano, ma tentò disperatamente di tornare in
sé.
-Non mi hai ancora detto
perché hai aiutato il mio amico...- Disse
Heléna con voce fioca e balbuziente.
-Nobile
è il suo cuore, nobile è il suo intento. Mi
spiace molto che si sia
trovato nel bel mezzo di una lotta civile internazionale, lui che nella
vita avrebbe dovuto fare ben altre cose. Ho pensato che fosse giusto
salvargli la vita poiché questo era in mio potere. Non avrei
mai
rischiato la mia vita se è questo che potresti pensare.
-No, ma hai comunque infranto la legge lasciandolo scappare.
-Legge?
La Legge è solo uno strumento di forza e violenza, forse
anche meno
potente della tua semiautomatica. Sopra di essa c'è il
volere di alcuni
uomini, quelli che decidono le sorti dell'umanità. L'unica
cosa che
potrei infrangere è, sammai, il mio Volere.
Heléna
pensò che di gente così arrogante e presuntuosa
in vita sua non ne
aveva mai incontrata, ma era colta dall'incertezza,
dall'incredulità.
Aveva scoperto una nuova paura e tornò a stringere ancora
quel
grilletto della Commander
, quasi
presa dalla rabbia di non poter fuggire da quella situazione. E quella
enorme statua di carne, così perfetta, così
dionisiaca nella sua
estetica, si lasciava puntare la pistola contro con una totale
tranquillità che pareva non respirasse neanche. No,
Heléna non aveva
conosciuto nessuno in grado di schivare i proiettili, non aveva neanche
conosciuto chi non tremasse alla sola vista della sua pistola.
Le vennero a mancare le sue convinzioni più forti e non
sapeva veramente cosa fare.
-Io...-Disse
Heléna. -Io
devo andarmene da qui.
-Cos'hai che non va
soldato?
-Ho una irrefrenabile
voglia di ucciderti e non so bene il perché.
-Lo
so io il perché: hai quel dono, e credi che possa spiegarsi
tutto così.
Credi che uccidendo uscirai dalla morsa nella quale vivi.
Ma
se fosse tutto risolvibile in questo mondo banale, se bastasse solo
combattere e uccidere, allora sarebbero più umane le
macchine di noi.
Ama il tuo nemico se vuoi davvero andare avanti, è solo
l'amore per il
tuo nemico a nobilitare la tua battaglia.
Heléna si
illuminò di colpo, rinfonderò l'arma.
Pensò che tanto in quei minuti
aveva tenuto in pugno un'arma pur essendo sistematicamente
incapace di
sparare. Disse:
-Ora ho capito tutto!
Sei solamente una sbirra a cui piace parlare tanto.- Fu
così che Helèna voltò le spalle a quel
sole oscuro.
-Ed ora dove andrai?-
Chiese il Prefetto.
-Dimmelo tu dove sto
andando... dovresti saper indovinare, tu che ti credi tanto una cazzo
di divinità. - Rispose Heléna Mullova.
Continuò a camminare senza mai voltarsi;
alzò il dito medio come suo miglior saluto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** CAPITOLO XI- Dio della Morte ***
Dio della Morte
CAPITOLO XI
"Dio della Morte"
E quando questo cielo a sera sarà arrossito
avrà
il volto di un bimbo al suo primo delitto
ed io e te
saremo già distanti.
Quando la
fitta nebbia avrà addormentato il mio respiro tra
gli oleandri
non
avrò altro in testa se non la nostra desolazione.
Anestetizza
le tue ferite compagno e sfodera per l'ultima volta le armi.
Il nostro
destino avvolto in un fazzoletto imbrattato dal mollusco fenicio
é
il sangue ciò che verso.
Ne bevo alla
tua salute
godi compagno
poiché
la morte sarà il nostro tanto atteso riposo.
Heléna uscì
dalla fortezza imprecando il cielo e scalciando sassi per terra. Uno di
quei sassi colpì leggermente la gamba dell'ispettore Bianchi che fu uno dei pochi poliziotti
a rimanere sul posto.
L'ispettore sorrise
vedendo la ragazza
di Singapore
molto più
irata di quanto lui se la potesse immaginare. Più volte lui
aveva provato ad immaginare quel diavolo che Ludovich si portava appresso.
-Tu devi essere
Heléna vero?- Si
avvicinò l'ispottore Bianchi.
-Questa mia fama inizia
a starmi veramente antipatica.- Rispose
Heléna.
Portò lievemente la mano dietro la cintura. Uno
dei
quattro agenti di polizia rimasti scattò in avanti di colpo
ma
non sfoderò la pistola, coraggiosamente alzò un
manganello data la vicinanza.
-É armata!
É armata!- Gridò l'uomo in divisa
così che altri due agenti cacciarono le pistole e le
puntarono
contro la ragazza.
Il manganello le
sfiorò il viso ad una velocità tale da non
rendersene conto, Heléna
si era già lanciata all'indietro con un'agilità e
leggerezza che sembrava potesse volare. Uno slancio prolungato. Ebbene
ebbe il tempo di sfilare da dietro la cintura
dei pantaloni la sua semiautomatica e ,nello stesso momento in cui si
era slanciata verso dietro, puntò l'arma alla testa
dell'agente. Il tale
spalancò gli occhi un attimo prima che la sua testa
schizzasse come un cocomero ripieno di pomodoro e pezzi di cervello.
Gli altri tre non ci
pensarono due volte e spararono subito dopo aver
visto la morte del collega, attimo a cui seguì la caduta
di Heléna, il suo impatto al suolo
alzò un nuvolone di polvere neanche fosse caduta una
signorona obesa dal peso di due quintali.
-Che tonfo.- Disse Bianchi quasi divertito dalla scena
terrificante.
-Ispettore
si allontani da lì!- Urlò qualcuno da
dietro una volante, ma Cosimo
Bianchi
non ne voleva proprio sapere. Era esterrefatto dalle
capacità di
quella giovane donna che lottava visibilmente acciaccata da
un
qualche malore allo stomaco. Diversi spari partirono dalle
pistole della polizia. Attesero in momenti di spossante
paura. Quando le
nubi di polvere lasciarono visibilità a qualcuno
ciò che
si vide fu un braccio prodigato verso la pancia scoperta. Un volto
indemoniato che accennava ad un sadico sorriso, il corpo di Heléna
Mullova era
così posseduto da una rabbia ferina.
Nessuno
riuscì a vedere bene come ma, con uno slancio di una belva,
si portò in
avanti, raggiunse ad altezza della sua testa la gola
dell'agente più tosto di tutti. Heléna
Mullova aveva solo portato la mano verso il suo stivaletto, nascondeva
una lama assai tagliente, la prese e schizzò del sangue a
fiotti.
Al poliziotto vicino gli si bloccarono le gambe, non aveva
potuto
capire come
poiché la velocità parve
fantascientifica.
- Quella
ragazza non è umana.- Disse ancora una volta Bianchi.
La paura avvolse tutti
in uno strato di
stoffa nera.
Qualcuno urlava dalla disperazione, forse la paura, forse lo
sgomento per la morte dei colleghi. Mentre quelli si
dannavano
cadeva come un sasso il terzo: un colpo
dritto al petto di una facilità quasi imbarazzante per Heléna
Mullova.
Atterrò nuovamente al suolo ma questa
volta fece
immediatamente leva sulle sue braccia che come molle le permisero di
catapultarsi ancora avanti atterrando proprio sulla volante
dietro la quale si proteggevano alcuni.
-Fermi!!!- Ordinò
l'ispettore. -E a te
Heléna prego di cessare questa tua
barbaria!
Un lieve soffio di
vento le fece il solletico ad uno orecchio, che le
avesse detto qualcosa? Suggerita la mossa da fare per uscire da quella
situazione? Heléna sapeva di aver il
coltello
dalla
parte del manico
e non ne sarebbe uscita prima di averli ammazzati tutti. Schizzò
un'altra testa mentre quel corpo di donna era impassibile come roccia,
inscalfibile macchina di morte.
-Ma che fai,
non mi senti?
Ti
ho detto di cessare, i miei uomini si sono arresi, smettila ragazza!
Dacci un taglio!-
Intanto gli altri due
agenti rimasti avevano urlato ed erano del tutto
vittime del panico ma uno dei due ebbe ugualmente la vocazione di
puntare l'arma tremante e sparare colpi a raffica.
Heléna lo
prese per i capelli come si fa con una scopa o qualsiasi altro oggetto
di poco conto. Premette
forte la bocca della pistola contro la sua fronte ma qualcosa
arrivò a pesare molto più di lei. Le si
scaraventò
sopra con la forza di dieci uomini, la ferì ad una spalla.
- Stronza!- Le urlò contro l'ispettore quando i due furono entrambi
con le facce a terra. L'ispettore le prese la Colt
Commander
e se la mise sotto il suo giaccone bianco.
-Ei sbirro,
cosa credi di fare disarmandomi? Posso dartele anche con una mano sola
se voglio.
- Disse il demone, ma era placato da un'ira che in parte aveva sfamato.
-Adesso io e
te parliamo. Ce ne andiamo di qui eh? Che ne pensi? Io posso aiutarti
Heléna.
-Voi uomini
di Stato siete proprio tonti, ma tu lo sembri di più,, come
mai?-
Chiese ironicamente Heléna ma capì subito dopo
che l'ispettore non aveva proprio voglia di scherzare.
-É
per questo che il tuo Ludovich si affida sempre a me nei momenti
più difficili?
-Cosa stai
dicendo?
-Dico che potrei aiutarti a
raggiungerlo.
-Tu sai dove si trova?
-No, ma ho più di
un'idea su dove possa essersi recato. E
considera anche che ha alle calcagna batterie della Maskhadov, come
pensi di poterli affrontare da sola? Sarai anche forte e agile per
poter battere dei poliziotti, giovani che non hanno mai sparato a
nessuno, ma come la mettiamo con dei pazzi criminali che hanno il
doppio della tua esperienza su come uccidere?
Allora
Heléna diede la mano all'ispettore per aiutarlo a
rialzarsi. Cercava, ma senza riuscirvi, di capire dove
volesse
arrivare il poliziotto.
-Dove credi stia
andando lui in questo momento?- Domandò
la ragazza per mettere alla prova l'attendibilità di Bianchi.
-Bramos Isla Tito... ti dice
niente questo nome?
-Cosa sai tu di Tito?
-É l'uomo di cui
Ludovich più si fida. Ha istruito lui
Ludovich alla battaglia, so che in questi anni se non da padre Gli
avrà fatto da fratello maggiore.
-Non
sbagli sbirro ma tu come fai a sapere questo?
-Conosco Ludovich da
molto più tempo di te, lo conosco
così bene che pur standogli alla larga prevedo spesso le sue
mosse, i suoi spostamenti, persino i suoi pensieri.
Heléna si
insospettì.
-Sei un cazzo di mago
indovino...- Disse lei con struggente ironia.
-No, sono suo fratello.-
Rispose l'ispettore.
3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** CAPITOLO XII- Del Pallido Criminale ***
Dio della Morte
CAPITOLO XII
"Del Pallido Criminale"
Ludovich era
riuscito a fuggire da Bagno
Vignoni rubando una macchina dei russi che dopo
bruciò in un bosco a qualche chilometro di
distanza dall'abitazione di Tito.
Il giovane bussò due
volte
prima di entrare in casa. Non c'era nessuna autovettura parcheggiata
nel viale ciò faceva presupporre che il buon
vecchio Tito
poteva esser uscito
temporaneamente. L'abitazione era collocata al termine di una
vallata nel bergamasco, non
c'erano altre case nelle vicinanze, né agricoltori,
né
boscaioli che avrebbero potuto dare sufficienti indicazioni
sull'effettiva presenza di Tito nel posto. Era un'abitazione
costruita a metà tra una casa ed uno scialè.
Tito, sua moglie, con cui ormai non
correva un gran rapporto, e le sue due figlie, erano soliti a
trascorrere i week-end lì in tempi
certamente migliori a quello corrente della storia.
Stranamente Alexander sapeva che lo avrebbe trovato.
Controllò proprio tutto, dal salotto alle stanze da letto.
Tito sembrava non esserci in casa
ma qualcosa non convinceva Alexander
poiché persino i giacconi erano rimasti appesi, le bambole
della
bambine erano ancora sparse sul pavimento. Allora Alexander venne preso
da una forte scossa al cuore, un presentimento brutale.
Uscì
dell'abitazione e si diresse verso il garage. Quel tormento
al cuore stava per materializzare tutta la sua angoscia in una
sensazione di svenimento. Aprì la porta: dietro la macchina
parcheggiata erano appesi al soffitto i quattro corpi inerti.
Una
delle bambine ciondolava andando ad urtare il padre.
Rimase paralizzato.
Adesso sapeva, adesso conosceva quale erano i propositi, i limiti che
la Maskhadov non aveva nel togliere di
mezzo i dissidenti. Tito sarebbe stato l'ultimo a
tradire probabilmente, ma tra i russi e il suo amico Alexander avrebbe preferito non
scegliere mai.
-Avresti
dovuto scappare Tito...- Disse Ludovich.
Che
cos'abbiamo in comune con i boccioli di rosa che tremano sotto il peso
di una goccia di rugiada?
È
vero:noi amiamo la vita, non perché siamo abituati a vivere,
ma perché siamo abituati ad amare. Nell'amore c'è
sempre un po' di follia. Ma nella follia c'è sempre un po'
di saggezza.
E anche a me,
che amo la vita, pare che le farfalle e le bolle di sapone e quanti tra
gli uomini sono simili a loro, sappiano cose della
felicità...
Io crederei
solo a un dio capace di danzare.
E quando vidi
il mio demone, lo trovai serio, scrupoloso, profondo,
solenne:era lo spirito della gravità; a causa sua tutte le
cose cadono.
Nietzche
Soffiava un leggero vento da est, pungeva ed arrossava le sue guancia
scavate nel volto.
Dei rumori proprio dietro le sue spalle bloccarono le riflessioni.
Comparì Bota
accompagnato da tre suoi mercenari. Senza dire nulla fu Bota stesso a dare
un pugno nello stomaco al povero Ludovich
che cadde a terra con una crisi respiratoria.
-Ma guardatelo che
perdente. E questo sarebbe l'uomo che dovrei far fuori? Uno
che non si regge neanche in piedi!
Gli altri tre posti dietro le sue enormi spalle se la ridevano mentre Ludovich sputava e
affannosamente cercava di riprendere la respirazione.
Ancora le grasse risate di Bota
e poi:
-Ei Ludovich dicono che
sia sempre
così quando ti fai montare dalla tua amica
Heléna! Come
mai non è qui? Dovrebbe venire a salvare il tuo misero culo
da
intellettuale raffinato o mi sbaglio? É lei il maschio della
situazione no? Dimmi, dimmi, dov'è?
Ludovich
non aveva mai dato
importanza al suo ex capo, sebbene fra i due un tempo c'era stato anche
del rispetto, rispetto che proveniva principalmente dalla giovanissima
età di Ludovich.
- Sai Bota, per quanto
ne sapeva Tito
pare che Heléna fosse stata ingaggiata per l'ultima volta
dalla
Maskhadov per farti fuori. Poniti una domanda semplice mio caro:
perché lasciare un cane sciolto come lei? Per
quale assurdo motivo non ucciderla? Pensa Bota, pensa... chi meglio di
un tuo ex soldato può riuscire a farti fuori? Senza contare
che
i russi ne uscirebbero puliti come il culo di un bimbo.
Bota gli si avvicinò ancora una volta e lo prese per
colletto.
-Hai idea delle cazzate
che spari insetto?
-Ovviamente
sì ciccione. - Fu la risposta di Ludovich che lo
trafisse con lo sguardo di chi non ha paura di una bestia con falce e
mantello nero.
Bota questa
volta aprì una mano e gli diede una sberla mentre con
l'altra lo teneva ancora in piedi. Lo colpì con un calcio
nel costato, lo graffiò in volto come un enorme felino
farebbe ad una sua preda. Il corpo esile di Ludovich era
già consumato come una pezza ma trovò ugualmente
il fiato per alcune parole.
-Non ci arrivi Bota? Non
sei mai
piaciuto ai russi, sino a che potevano sfruttare i tuoi servigi lo
hanno fatto ma per te è giunta l'ora di lasciare il posto.
Un nome tra tutti: quello di Nil. Non sei contento
Bota, ti
mandano in pensione. A
controllare i tuoi traffici nei Balcani ci mettono
lo chiccoso sgozzatore russo.
Bota non
era poi così
stupido da non sapersi guardare le spalle mentre ormai in molti
complottavano contro lui. Qualcosa aveva sospettato, per questo
lasciò il giovane. Lo lasciò cadere sfinito.
-Nil? Quell'ingrato.
- Replicò il ciccione, ed era cupo in volto, aveva perso
quell' aria da smargiasso euforico. Ludovich
capì che nonostante tutto poteva ancora convincerlo, non
sapeva bene ancora come e a cosa esattamente, ma se esisteva un modo
per mettere Bota
contro i russi, allora quello era il momento giusto per applicarlo.
-Già... ti
sono tutti ingrati
Bota. A partire da me per arrivare a Sidorsky, a Ivanovich,
chissà poi se il Grande Capo n'è a conoscenza di
questo
complotto ai tuoi danni. E a tal proposito, tu hai mai incontrato il
Grande Capo, Bota? Quest'essere tanto forte e tanto superiore te lo
hanno mai fatto incontrare? Devono a te moltissimo Bota, se non fosse
per il tuo appoggio i russi non sarebbero usciti dai loro confini...
eppure... eppure ti tengono sempre fuori dalle stanze del
potere.É inaudito non trovi? Cosa complottano alle
tue spalle Bota? È solo questione di tempo ormai e verrai
fatto fuori come è successo a me e ad Heléna.
Il ciccione guardò persino i suoi uomini, in
quell'istante non stava fidandosi neanche di loro. Ecco che tutti i
suoi dubbi venivano a galla come pesci morti in lago di complotti
contro di se.
-A dire il
vero ho sempre sospettato dei russi... ma ci sono cose che un ragazzino
come te non può capire. Cosa stai cercando di fare Ludovich
Alexander? Mettermi contro? Contro chi? Un capo che neanche ho mai
visto di persona? Beh questa guerra è assurda lo sappiamo
entrambi, ma è così che funziona il mondo oggi.
Ciò che conta è la mia paga. Non è
questo che hai detto l'ultimo giorno che eravate a Berlino con noi? Lo
dicesti ad Heléna. È la paga quella che conta no?
Cosa vuoi capirne tu ragazzino?
-Certo devi capire che
è arrivato per te il momento di non avere
né paga, ne sangue fresco in corpo. Ti faranno fuori, non
è un normale licenziamento. Cos'è che non posso
capire? Il tuo bisogno di aver sempre più
denaro, il tuo bisogno di mantenere il tuo harem, le tue macchine le
tue case a Cuba? Tu non hai ideali verme, in quanto tale puoi solo
strisciare.
Il ciccione si sentì affranto per qualche istante.
Fissò
prima il pavimento, dopo guardò i quattro corpi cadaverici
ciondolare in aria.
- Sei stato tu?-
Chiese Alexander Ludovich.
-No compagno, in fin dei
conti so che Tito non mi ha mai tradito pur essendo amico di
un roditore come te.
-Chiunque sia stato non
ha avuto pietà neanche per le sue due figlie.
-Non esiste
pietà per questa gente, mettitelo in testa la prossima volta
che vorrai fare il pistolero del male.
Detto questo Bota si
voltò per ritirarsi da dove era venuto.
-Tu sai chi è
stato Bota, devi dirmelo! -Lo richiamò
Ludovich.
-Perché ci
tieni tanto a saperlo?- Chiese Botà. - Io ti ho appena lasciato un dono
prezioso Alexander, ti ho lasciato la vita e tu dovresti scappare da
buon roditore. -
Il giovane Ludovich allora
sì rialzò da terra reggendosi un braccio
dolorante con l'altro, perdeva molto sangue e gli tremavano ancora le
gambe.
-Non prima di averli
fatti fuori tutti.
-Boris Atanasoff... capo
del T.R.B. Gli basterebbe una mano per schiacciare il tuo
cranio come una noce.
-Dovrà vedersela con la mia collera!
Il ciccione sorrise e disse:
-Non si uccide con la
collera...ma con il riso.
Io ho
imparato a camminare:da allora mi consento di correre.
Ho imparato a
volare: dal allora non voglio venir spinto per smuovermi.
Ora sono
lieve, ora volo, ora vedo me sotto di me, ora tramite me danza un dio.
3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** CAPITOLO XIII-Il ritorno di Pauline ***
Dio della Morte
CAPITOLO XIII
"Il ritorno di Pauline"
-Gentili telespettatori buona
sera.
Apriamo
l' edizione serale del nostro notiziario dandovi degli
aggiornamenti riguardanti i violenti attacchi che le
città di
Milano e Roma stanno subendo in queste ore. Saccheggi,
devastazioni e incendi vanno avanti interrottamente da ormai un giorno
e le forze di polizia impiegate fin ora nulla sembrano poter fare
contro quella che è sembrata una vera "organizzazione" e
quindi
non un semplice gruppo di terroristi filosovietici come all'inizio si
presumeva.
Il
presidente della Repubblica oggi ha dichiarato che siamo in uno
stato di assedio da parte del terrorismo internazionale e resta ancora
da vedere se questa attività abbia a che fare con il nuovo
governo instaurato da Sergei Ivanovich nella nuova Russia.
Sergei
Ivanovich, noto imprenditore russo, è stato già
accusato più volte da parte del primo ministro
inglese
Harmon Trent di far parte di un complotto internazionale ai danni
dell'Unione Europea. Harmon Trent ha dimostrato di voler
dosare
bene le parole prima di parlare di un attacco da parte della
Russia ai danni di paesi come Georgia, Germania, Francia,
Romania,Ucraina, Bulgaria e da oggi anche l'Italia. Tuttavia
è
apparso molto preoccupato tanto da riaprire le basi di Akrotiri e
Dhekelia importanti basi militari inglesi sul mediterraneo. Ci sembra
abbastanza evidente che sono momenti di vera paura,
pare
che sia inevitabile l'inizio di una guerra e ciò
che
più di tutto sconvolge è
l'oscurità che cela
dietro i mandati di questi aspri conflitti tra le forze di Stato e
gli apparenti rivoluzionari bolscevici... -
-Ancora non riesco a crederci.- Disse l'ispettore Bianchi seduto
su un divano strappato e rattoppato,
illuminato dalla celeste luce del televisore che ogni
tanto dava interferenze e
noise.
Aveva
la barba folta da settimane ormai, un aspetto trasandato che
non
era da lui. Dietro il divano il corpo tonico, eretto e nella
perfezione delle sue curve, era quello di Helèna
con
addosso solo una canottiera sbiadita di un incerto
colore che poteva
essere sul pagliarino.
Beveva del latte senza ancora traspirare nervosismo. Un viso
a
tratti irriconoscibile, in qualche modo portato all'esasperazione. Le
venature violacee sembravano scoppiarle dal corpo.
-Heléna...-
Disse Cosma
-Vieni qui ti prego...
- Ed appoggiò il capo allo schienale cercando di scorgere
quel corpo seminudo della giovane.
-Hai ancora voglia di
scopare
ispettore? Tuo fratello forse sarà già morto da
qualche
parte in quel dannato inferno lì fuori e tu pensi a scopare?
Sai
una cosa... capisco perché non andavate d'accordo, sei un
fallimento completo ed io non ti sopporterò ancora
per
molto.
-Ti ho già spiegato che stiamo aspettando rinforzi. Non
possiamo fare niente da soli Heléna.
-Sbirraglia! Non avrei dovuto fidarmi dei tuoi piani. Stiamo solo
perdendo tempo prezioso.
-Stai recuperando energie mia cara. Non lamentarti di continuo.
L'ispettore tracannò da una bottiglia
di rum che aveva tra i piedi e aggiunse.
-Nessuno ti trattiene
qui con me a questo punto, puoi andare. Sei libera di farti uccidere
come meglio credi. -
Lei a quel punto non rispose, andò in camera ed
aprì una
valigetta contenente un laccio emostatico, un flacone ed una siringa.
Si iniettò il falcone e si accasciò al pavimento
come un
neonato.
"Tutto questo non ha
senso." Pensò tra sé e
sé. "Ho
fatto tanto per vivere Ludovich, ed ora... ora mi ritrovo a morire come
un miserabile verme."
Sbavò della roba sul pavimento sporco e umido, chiuse gli
occhi.
Passarono dei minuti, interminabili come ore. Aggredita nella sua pace Heléna,
avrebbe voluto trovare riposo in sogni distanti da quel crudele mondo.
Niente più lame, niente più ferite, niente
più estenuanti pesi da portare sulla coscienza. Un
orologio segnava il tempo in quel piccolo bilocale, fuori la pioggia
picchiava forte e i tuoni facevano tremare le fondamenta dell'intero
edificio.
"La desolazione."
Dissero quelle labbra sincronizzate da un meccanismo stanco.
Qualcuno bussò alla porta.
L'ispettore saltò dal divano. Ubriaco si asciugò
il
labbro e cercò di mantenersi in equilibrio. Cercò
la
pistola, qualcosa cadde in un frastuono tremendo: era il caricatore.
-Porcaputt...!-
Esclemò e cercando di ricomporsi inciampò sulla
cornetta del telefono e cadde ancora al suolo.
Nel tonfo gli occhi di Heléna
si riaprirono simmetricamente al
pavimento. Spalancò le palpebre per intero,
infilò un paio di pantaloncini e nell'immediatezza
si recò dietro la porta con la Colt pronta
all'uso.
Bussarono nuovamente e affacciandosi dallo spioncino vide tre uomini
incappucciati sotto un impermeabile nero.
-Helèna
aprì la porta so che sei dentro!- La voce
tornò stranamente familiare. Non le sembrava una voce
ostile.
Doveva ricordare, ragionare, forse scappare o magari era in
preda ad una qualche
allucinazione.
-Sono in preda elle
allucinazioni.- Disse Heléna
a voce alta. Poi ripeté convulsamente:
- Calma
Heléna , non aprire questa cazzo di porta brutta
stronza. E
se fossero i Russi Heléna? No i russi no, avrebbero
già buttato a terra la porta a suon di mitragliatrici. Chi
mai? Chi cazzo mai! È una trappola! Spara porca puttana
è l'unica cosa che ti riesce bene!-
Ronzii, fastidi, spasmi
celebrali, vuoti di memoria, lieve prurito alle gambe, tachicardia. A
breve invece : offuscamento della vista in seguito a percezione
alterata della realtà, aumento della pressione arteriosa
sino allo svenimento... in una parola diversa, emorragia
subaracnoidea...
- DANNAZIONE!! FOTTUTI PARASSITI DEL MIO CERVELLO!
-Ma che diavolo...?-
Provò a dire qualcuno dall'altra parte della porta.
La catenina metallica balzò via e di colpo la Colt Commander
andava a toccare la fronte di uno dei tre incappucciati.
- Bonsoir mon amour! La
smetti di puntarmi quel ferro in faccia?
-Pauline?
-Eh sì a
volte ritornano sai com'è... voi affittate
ancora una camera a nome della defunta Linda Lang ed io sbuco fuori
come la peste nera... noto sul tuo viso un fervido intento al
sorriso...
complimenti Heléna ti trovo in gran forma. -
Heléna
in quel momento aveva il volto forse più giallo della
canottiera che indossava. Occhiaie come sassi viola. Un volto scarnato
che grondava sudore. Rimase con il ferro puntato sulla fronte di Pauline che
già da un po' aveva smascherato quel suo dolce viso
da parigina. Disse ancora:
-Mi fai entrare o ci
prendiamo un tè qui sul pianerottolo?-
Heléna
la guardò ancora una volta esterrefatta.
-Romeo e Giulietta non
mi sembrano tanto svegli.- Rivolgendosi agli altri due
ragazzi che tolsero in quel momento i loro
cappucci pieni d'acqua. Erano un ragazzo ed una ragazza anche loro
molto giovani.
- Lui é
Flick e lei è Ottavia.
-Non ci siamo
già viste io e te?- Chiese Heléna
alla più
piccola ma la giovanissima scosse la testa per negazione.
-Ottavia è
una fuggitiva, è stata prigioniera di Sidorsky
e Atanasoff per molto tempo. E' ancora molto segnata da abusi di ogni
tipo. Ci fai entrare allora?-
-Ok ma a casa mia vige
una regola importante: i ferri me li consegnate. Capito Romeo? Ei Romeo
ti addormenti sul pianerottolo? Entra e consegna le armi.
Flick era
un ragazzo biondo mediamente alto formatosi con un carattere molto
introverso. Alzò lievemente lo sguardo
quasi con aria di imbarazzo e subito dopo tolse di mezzo
prepotentemente il corpo di Heléna
e si fece strada da solo entrando dentro l'appartamento.
Lasciò l'arma su di un tavolo.
L'ispettore Bianchi
fu sorpreso dell'inaspettata visita ragion per cui esclamò:
-Ohoh... è
arrivata la C.I.A!!! Ora sì che ce la possiamo fare!-
L'ispettore aggrovigliato ancora nella
cornetta telefonica cadde nuovamente per terra e non lo rividero per
tutto il proseguo dell'incontro.
-Siete voi i rinforzi
che Bianchi stava aspettando? - Flick e Pauline
si guardarono perplessi. Pauline
prese nuovamente la parola.
-Nello stato in cui vi
trovate, sia tu che l'ispettore, l'unica mossa
che non dovevate fare era chiamare rinforzi. C'è una cosa
che vi
sta sfuggendo ed è quella che una parte importante della
polizia
di Stato è a favore dell'insurrezione russa.
-Cosa intendi dire?
-Il nuovo prefetto di
Roma, Anna Formisano, che ha come ruolo quello di
presiedere una commissione speciale contro il terrorismo
internazionale, è di fatto una spia russa all'interno del
nostro
sistema di difesa.
-Hai detto il nuovo
prefetto di Roma... Anna... devo farmi due calcoli...-
Ed uno, due e tre... pezzi di puzzle andavano componendosi.
Continuò Pauline:
-È meglio
conosciuta come la temibile Lola di Valenza. Figlia
dell'ex magistrato Formisano, morto in un attentato di mafia
insieme alla moglie, quando Anna aveva appena dieci anni.
È cresciuta traslocando nelle migliori accademie
militari
dell'Europa, si è laureata a soli ventidue anni in relazioni
politiche- internazionali divenendo prima ambasciatrice e poi
prefetto italiano.
La sua astuzia e il suo
cinismo la vedono autrice di molti
insabbiamenti di stragi avvenute in Serbia, in
questi ultimi
anni. Traffici di armi, droga, prostituzione e molto altro sono
avvenuti sotto il suo controllo. Ti rendi conto di cosa
è in grado di muovere una donna del genere? Se il tuo caro
amico ispettore ha chiamato davvero rinforzi della polizia,
proprio in questi minuti potrebbero pioverci addosso i peggior
poliziotti del mondo con la "matrona" annessa. E tanto per intenderci
quella ci fa il sedere quadrato Heléna,
bisogna muoversi
e scappare da qui prima che ci trovino.
-No ferma tutto Pauline!
C'è una cosa che devi vedere. - Fu Flick ad
interrompere, sbucò fuori dopo esser stato nell'altra stanza
dove Helèna aveva lasciato per terra laccio e siringa in
disordine per il pavimento.
Pauline prese
in mano il flacone vuoto.
-É morfina.-
Disse con sgomento. -Come
mai ne fai uso?-
-Sto male... la uso come
antidolorifico, è l'unica cosa che mi permette di dormire.
-Ne hai già
dipendenza?
-Da un po' di tempo,
sì.
Pauline pensò
e doveva farlo in fretta. Flick
annotò qualcosa su di un taccuino.
-Di che malattia si
tratta?- Chiese Flick.
Ma Heléna
non rispose. Non si fidava, lo guardava attentamente.
-Sei un americano vero?-
Chiese Heléna
al biondo.
-Ti ha fatto una domanda
lui prima di te, dovresti rispondergli prima tu.- La
interruppe Pauline.
-Pauline fottiti!- E
puntò il dito contro la bionda per farla tacere. - Sei un americano vero?
Rispondimi per dio! Sei un cazzo di americano è per questo
che mi fai queste domande!? Allora, abbi il coraggio di dirmi chi sei e
cosa vuoi da me, avanti!-
-Sì
è americano e quindi?-
-Pauline...-
La prese per la testa e gliela abbassò sino all'altezza
della vita. -forse non
ci siamo capite... io qui mi sento presa per il culo, se non mi dite
cosa cazzo sta succedendo io vi ammazzo... compresa la ragazzina.
-Ei io cosa cazzo centro!-
Spuntò la ragazzina da dietro un mobile mentre con una mano
cercava di nascondere un flacone di morfina.
-Heléna siamo
qui per aiutarti dammi retta, ragiona.- Disse Pauline.
Flick era
ancora lì tranquillo che faceva rapporto per iscritto.
Solo quando istericamente Helèna
si sbarazzò di Pauline,
Flick continuò a parlare.
-Siamo qui per cacciarti
da questa brutta storia, sta te a accettare o non accettare il nostro
aiuto.
Intanto in lontananza si facevano strada a tutto spiano le sirene della
polizia. Arrivavano volanti sfrecciando lungo la città in
fiamme.
- Le senti
Helèna? dobbiamo scappare, ora!- Disse Pauline.
Quel destino le parve così crudele quella sera, niente
poteva rappresentare una sua aspettativa. Si sarebbe consegnata a
qualcuno purché le avessero fatto male sino alla morte, ed
era insensato
come stava pensando; tutta quella storia stava prendendo un'assurda
piega.
Ottavia
spalancò la finestra, fuori pioveva ancora a dirotto.
Per un attimo qualcuno pensò che volesse buttarsi di sotto.
-Abbiamo otto minuti per
evadere signori... se ve lo caricaste voi lo sbirro che
dorme, ci basterebbe anche meno per evadere. Caricatelo e
svignamocela, Lola di Valenza ci dà la caccia!
3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** CAPITOLO XIV-Linea Gotica ***
Dio della Morte
CAPITOLO XIV
"Linea Gotica"
Non era ancora
l'alba di un giorno nuovo quando ancora nessuno
aveva dormito. Fumi di lontane montagne, odore
di legna bruciata. La
vita non sembra mai troppo reale alle quattro del mattino sopratutto
per chi ha vegliato tutta la notte. Viviamo in una grossa
illusione e se potessimo vedere quale dimensione seconda si cela nelle
nostre case rimarremmo paralizzati dallo smarrimento. Enormi distese di verde. Enormi
distese di verde ora ghiacciante e quasi dormienti; si odono
forse un gallo e forse qualche cane .
Un pastore conduce il suo gregge al pascolo, l'uomo non porta alcun
sorriso sul volto, il suo sguardo è tagliente, affilato come
la
lama di una falce. Qualcuna delle sue pecore ogni tanto gli si
allontana ma a lui, ormai troppo vecchio per sbraitare, basta solo
scuotere il suo bastone addosso al terreno, per farlo vibrare, per
farla tornare con le altre.
Un paese piegato sulle sue ginocchia e ancora l'immenso scenario
dell'appenino Tosco Emiliano lungo la Linea Gotica, la
stessa
voluta dall'esercito tedesco nel 1944. Ciò che
rimaneva ai
Nazifascisti di
quel tempo era tutto in quelle pianure. Cos'è lo smarrimento
se non un'altra condizione del sonno?
Squillò il telefono del boss. Squillò per l'arco
di ben due chiamate: alla fine Lola
di Valenza rispose.
-Sì?
-Ho una notizia buona ed
una cattiva mia dolce Prefetto.
-Per svegliarmi alle
quattro del mattino dovevi averne due totalmente buone,caro Gabriel.
-Beh sino ad
un'ora fa ne avevamo
solo una cattiva, vale a dire che Heléna Mullova ed una
banda di
sciroccati hanno fatto fuori cinque dei miei uomini ad un autogrill.
- Che imbecilli i tuoi
uomini, avevo detto loro di seguirli per farli fuori, non per farsi
uccidere. Vabbé
mio fedelissimo, passiamo a quella buona... quale sarebbe?-
-Abbiamo
localizzato Alexander Ludovich. -
Lola di Valenza scese dal letto, posò le punte
dei piedi rosei e scalzi
lungo un pavimento di vetro. Tolse di dosso un capo da notte in
chantilly, si dirisse verso il bagno.
-Ah. Dove?-
Rispose quasi
a palesare un certo distacco e la sua impassibilità al caso.
-Ad altezza
di Viterbo. Penso
che si stia dirigendo anche lui nella capitale. Attendo le tue
disposizioni prefetto... ma se mi dirai di farlo fuori ne
sarò ben
contento.
Lola Di
Valenza era completamente nuda, protrasse le sue natiche
in
avanti, si chinò lungo un'enorme vasca da bagno.
Azionò
il riempimento della vasca con l'idromassaggio e aspettò
difronte ad uno specchio,
accavallando le sue lunghe gambe, che la vasca fosse piena.
Quale corpo più bello del suo? Quale dominio
più divino di quell'enorme statua carne?
-Ascoltami
bene Gabriel perché
io inizio seriamente a staccarmi di questa faccenda. Come mi era
sembrato di averti fatto capire io non ho intenzione di fare la serva
alle questioni di Sidorsky e Ivanovich. Sono
loro a voler quel martire non certo io, anzi fa' una cosa: riferisci
pure a Sidorsky che Alexander Ludovich questa volta è morto.
Che
non se ne parli più di quel ragazzo. Mi assumo io
tutte le
responsabilità. - Si udirono momenti di
inquietante silenzio, poi:
-Sarà fatto.
Ma va tutto bene, c'è qualcosa di cui devo esser messo al
corrente?-
Lola di Valenza portò la pregevole
materializzazione di curve e
candore nell'acqua ricoperta di sali e spezie pregiate. Si
lasciò galleggiare dentro la vasca massaggiatrice.
-No, sono solamente
stanca di queste
pretese da parte di questa gente. Li ho fatti entrare nel mio paese, ho
consegnato le armi, ho ucciso i miei stessi uomini pur di
dare in
mano a loro questa guerriglia, mi sono fatta da parte come una brava
bestia da soma, non pensi che sia abbastanza?
-Prefetto...questa
è la tua guerriglia, non la loro... eri tu a volere
un'azione violenta in questo paese ricordi?-
Allora lei si accese una sigaretta, lasciò fluttuare quelle
nuvole di fumo dalla sua dentatura bianca come neve sull'acqua,
silenzio sul silenzio. Osservò il dematerializzarsi di
quelle
nuvole, sì sentì ancora una volta a proprio agio.
-Già...
ricordo. Ricordo quel
mio glorioso desiderio di mettere a fuoco Roma... e
in
questo stupendo giorno io sto per riuscirci. Comunque...quando hai
finito passa da me e vedi di non metterci troppo.
-Passo per la ricompensa
Prefetto?
-Un uomo fedele come te
Gabriel merita sempre una ricompensa.
-A più tardi
capo.
Intanto
Heléna,
l'ispettore Bianchi,
Pauline accompagnata
da Flick e
Ottavia
erano giunti là dove giacciono ancora le antiche mura di Roma.
Da lontano si erano uditi bombardamenti, fucilate e colpi di
mitraglia ad intermittenze più o meno lunghe, la guerriglia
tra insorti e forze dello Stato. Girava voce che a quegli insorti vi
fossero uniti anche dei gruppi anarchici che nulla ovviamente
c'entravano con la causa russa. Si andava dritti allo sfacelo dunque ma
da mezz'ora non si
udiva niente. Ottavia
si era distesa allargando gambe e braccia sopra il parabrezza
dell'auto, Heléna
posta sopra al tetto invece fumava una sigaretta.
-Dobbiamo muoverci...-
Disse Pauline,
e la biondina sembrava aver perso quel suo sorriso spigliato e
innocente. -Sidorsky
e Ivanovichsaranno qui
a breve per ringraziare di persona Lola di Valenza e dar vita ad un
ufficiale patto di alleanza.
-Sì ma che ci
andiamo a fare noi in quell'inferno?- Chiese l'ispettore Bianchi
mentre dava una pulita al suo giaccone bianco che spesso tendeva
a sporcarsi della fanghiglia che si incontrava per la strada.
-Andiamo a riprendere
Ludovich, sarà anche lui qui a breve per vendicare
la morte di Tito.
-Sai troppe cose tu, chi
mi dice che non ti stiano pagando i russi?-
Obiettò il poliziotto.
-Mi pagano
già gli americani caro ispettore. Avanzerò di
grado...- E pareva come se a Pauline stesse per
sfuggire qualcosa, guardò Flick e poi si mise
a tacere dando le spalle all'ispettore.
Pauline si
era trasformata
anche lei in un guerriero affamato di carne da macello. Aveva un
impermeabile nero addosso e una mitraglia che di tanto in tanto puntava
per indicare la strada più accessibile per entrare a Roma.
Sapeva, Pauline
sapeva tante cose sui russi e su Lola
di Valenza. Sapeva e conosceva Heléna e
ciò che il suo cuore avrebbe fatto per raggiungere l'amico Alexander Ludovich.
Tutto ciò le teneva puntati sopra degli occhi degli attuali
compagni, occhi che facevano di lei una probabile traditrice.
-Pauline dove diamine
vuoi andare con quell'arma... - Le ripeteva Heléna. -L'ultima
volta che ho visto una donna sparare, voleva colpire me dopo che avevo
derubato il suo appartamento e rotto l'osso del collo al
marito, ma quella
finì per colpire le palle del proprio uomo...
credo che lui
avrebbe preferito morire quel giorno... con una moglie così
intendo...
Ottavia
sorrise, con un colpo di reni si rivoltò in una capriola,
toccò terra e derubò del portafogli Flick che
bestemmiò correndole dietro.
-Perché ci
trasciniamo dietro quella ragazzina Pauline? Dove sono i loro genitori?-
Pauline le
si avvicinò e le tolse la sigaretta dalla bocca. Fece un
abbondante tiro e poi tossì fortemente. Sputò per
terra,
poi parlò:
-Sono morti.
Non so bene per
mano di chi, ma c'entra Lola di Valenza. Prima di arrivare a quel posto
di prefetto ha fatto fuori tutta la gente che stava in candidatura
prima di lei. Magistrati, ufficiali, pezzi importanti della polizia.
Il padre di Ottavia era un generale immischiato nella lotta
contro il terrorismo. -
Heléna guardò
lontano, se avesse potuto avrebbe gettato tutto via e lontano. Guardava
l'orizzonte consumato dalle polveri e dalle centrali elettriche.
Non aveva risposte a tutte quelle domande che le
sopraggiungevano.
Stava per vedere che una schiera di angeli infernali si
faceva strada e la disperazione sarebbe giunta con loro.
Non ci volle molto per vedere nuvoloni di polvere
sollevarsi da
nord. Erano auto, furgoni e motociclette che viaggiavano in saldo
gruppo.
-Ecco i miei angeli
infernali.- Esclamò Heléna.
-Chi sono?-
Chiese l'ispettore Bianchi.
-Sopravvissuti.- Rispose Heléna.
Poi Pauline
volle aggiungere: - Sopravvissuti
alla Guerra del Kosovo. Ex combattenti della K.L.A: Kosovo Liberty
Army.
-A te non sfugge proprio
niente eh Pauline?- Prodigò l'ispettore quasi
con aria di accusa. Quelli erano già arrivati a
loro.
Il rombo di quei motori aveva fatto allontanare la fauna nel giro di
due miglia, non erano molti ma erano rozzi, puzzavano ed
emettevano un fastidiosissimo baccano. Colajev scese
per primo. Era il più giovane ed irriverente verso tutti.
Tolse
il casco così che si poté vedere quello che i
suoi capi
gli avevano procurato sul volto: tagli e sfregiature profonde e lunghe
diversi centimetri che cercava di mascherare con un taglio di capelli
lungo e portato in avanti. Portava vergogna e non la mascherava, ma che
fosse un pavido guerriero quello lo sapevano tutti e
Colajev
era l'anima e il corpo di quell'esercito di zingari. Era uno zingaro
tutto sommato contento di aver sangue fresco nelle vene e di
poter ancora rischiare la propria vita per i suoi compagni.
Heléna
allora
saltò sul tetto dell'auto e iniziò a dettare
comandi. Lei
era stata per un breve periodo soldato nello stesso gruppo.
- Colajev,
fa spegnere questi motori così che si possa parlare da gente
civile!- Gli ordinò Heléna.
Colajev fece
un segno con un
braccio ad un tale e pian piano il chiasso svanì seguito poi
da
qualche rutto e peti che provenivano dalle seconde file.
Parlavano un dialetto albanese stretto
che non si riusciva a
decifrare. Poi scese da una vettura il capo della banda con indosso una
pelliccia di montone. Il nostro esemplare di maiale umano era l'ormai
conosciuto Bota.
- E
chi ti dice che io abbia voglia
di parlare... chi ti dice che io abbia voglia di essere civile
quest'oggi Heléna! Perché mai... io, che ti ho
accolta
come una figlia nella mia famiglia, ti ho dato un lavoro
rispettabile, ti ho dato un nome e in cambio di
tutto
ciò ho avuto solo il tuo ignobile tradimento...
perché
mai io dovrei essere civile con te bastarda di una traditrice? No,
più
che un discorso civile meriteresti la sofferenza. Meriteresti che le
tue braccia ti venissero spezzate e stesso trattamento per
gli
arti
inferiori, dopodiché moribonda soddisferesti
carnalmente il tuo vecchio capo. Che ne dici? È
sufficiente come
ritratto della situazione?
-Non so chi
sia, ma deve essere un tuo ammiratore.-
Trasalì ironicamente l'ispettore Bianchi.
-Tutto ok Cosma,
è soltanto il
suo ex datore di lavoro ancora incazzato a morte per il
tradimento verso la sua banda.- Intervenì
Pauline
che ormai non perdeva occasione per dare informazioni. A quel
punto l'ispettore fu molto incuriosito e le si avvicinò
fingendole affetto.
- Ah quindi questo
sarebbe il Boss
dei Balcani, il ciccione per cui lavoravano Alexander ed
Heléna.
È grazie a lui che si sono conosciuti dico bene?
-Sono dettagli che
dovresti sapere meglio tu Cosma, io sono arrivata molto dopo nella
storia.- Rispose Pauline
indisposta. Aggiunse: - Che
razza di ispettore sei se non riuscivi neanche a controllare i traffici
di tuo fratello?
-Ei ma in che questioni
vuoi entrare ragazzina! Non sono affari che ti riguardano.-
E l'ispettore tornò più cupo di prima; disse ad Heléna:
-Chiunque sia quel tale
cerca di non
farlo incazzare sono più di trenta, ben armati e noi siamo
solo
quattro con a carico una ragazzina. Fa' molta attenzione te
ne
prego.
Heléna non lo calcolò ma si rivolse
a Pauline.
- Pauline fallo stare zitto.-
La bionda ficcò la mitraglia nella
bocca
dell'ispettore con affare scherzoso mentre quello si indispettiva
ancora di più.
- C'è
una cosa che devi sapere Bota...-
Urlò Heléna per farsi meglio sentire, ma il boss
le si
avvicinava sempre di più incutendo sempre più
timore in Pauline
e compagnia; può avanzava Bota e più si faceva
grande e grosso.
-Che la Maskhadov ti ha
ingaggiata per farmi fuori? Lo so, me lo ha detto il tuo amico Ludovich.
Il nome di
Ludovich
infiammò maggiormente lo sguardo della giovane che a quel
punto
scese con un salto dall'auto e lanciò uno sguardo di sfida.
-Spero che tu non sia
stato tanto verme da combattere con un peso piuma, per di
più come fai sempre tu... in modo sleale.
-No,non l'ho ucciso se
è questo che ti preoccupa. Ho
dovuto però dargli... diciamo una lezione, come te ha
tradito il
mio onore e il mio rispetto e sia chiaro... l avrei anche
ammazzato se non fosse stato che il cadavere di Tito e la famiglia
ciondolavano per una parete.
-E cose avete fatto fuori persino Tito...
-Non io... ho detto che per rispetto a Tito non ho fatto fuori il tuo
ragazzo.
-Non è il mio ragazzo, ma se non sei stato tu presumo
abbiano ingaggiato Atanasoff dico bene?- Chiese Heléna
con aria di indagine e probabilmente era già nella sua lista
quell'Atanasoff.
-Dici bene.
-Atanasoff, Nill... ormai sei rimpiazzato da tutti.- Cercava
di provocarlo Helèna,
ma quella era una vecchia strategia, con il vecchio ed
esperto Bota non funzionava. Dietro lo scenario Pauline e
l'ispettore Bianchi
commentavano il succedersi dello scontro.
- E su questo Atanasoff
sei riuscita ad informarti?- Chiese l'ispettore a Pauline.
-Proprio recentemente
stavo lavorando
su certi documenti che trattavano del T.B.R. un commando
terrorista bulgaro di cui Atanasoff faceva parte. Posso solo dire che
l'individuo vanta di un certo onore e rispetto tra i russi, se tra i
violenti è riuscito ad avere la nomina di sanguinario...
credo
che non sia un pazzo qualsiasi.
Mentre Pauline e Bianchi parlavano, l'altra discussione era
già molto più accesa.
-E così ti
hanno ingaggiata per uccidermi eh?
-Sì ma... è da tempo che non mi faccio dare
ordini dalla Maskhadov! Ho chiuso. Ho già
fatto fuori una decina di russi per la strada e non credo che questo
abbia fatto piacere al Grande Capo. Cosa c'è non mi credi?
-Come potrei credere ad una donna... per giunta una traditrice.
Colajev dietro di lui sorrise, era ormai chiaro quello che
tutto il gruppo voleva vedere.
Bota non credeva alle parole di Helèna,
nessuno si
sarebbe aspettato diversamente. Il ciccione anche se non lo dava a
vedere aveva paura di morire, ma aveva anche troppo orgoglio per farla
trivellare dai colpi delle mitragliatrici dei suoi uomini. Allora Bota
forse la stava portando veramente per le lunghe ma era nel suo stile,
dopotutto era uno zingaro anche lui e agli zingari piaceva molto
divagare e atteggiarsi.
-Fai come vuoi allora...
non mi lasci altra scelta. Fatti sotto! - Heléna
al contrario volle tagliar corto.
Ed un coro festoso e ricoperto di insulti e
sputi si sollevò dalle file dei combattenti di Bota.
Quelli gli dicevano di affrontarla a mani nude, di
sgozzarla e
di farsela lì sul posto. Questo volevano vedere dal loro
glorioso capo che ormai andava scemando di gloria e virtù.
Era
insomma messo all'angolo il ciccione, per dimostrare ai suoi che ancora
contava qualcosa, avrebbe dovuto battersi.
-Calma.-
Disse ai suoi. - Volete
l'uno contro uno? Ebbene così sarà... a mani nude!-
Del resto chi non avrebbe combattuto con una donna dal peso di sessanta
chili quando dalla sua parte, lui,
ne vantava
ben duecento? A mani nude Bota
aveva grossi vantaggi dalla sua,
era chiaro come il sole, cristallino come l'acqua che avrebbe potuto
massacrarla.
-Come vuoi tu ciccione,
a mani nude ti uccido lo stesso, ma dato che
parti avvantaggiato voglio anche io una mia condizione. Se crepi voglio
essere io al comando dei tuoi uomini.-
E dalla voce di Heléna quella non sembrava voler essere solo
una
provocazione. C'era ben altro, c'era una certa ostinazione, una
convinzione che le si apriva dinanzi allo scenario riprovevole di
quell'esercito di zingari. E quelli presero a ridere.
Inveirono, le urlarono soprannomi di ogni genere ed emulavano gesti di
posizioni supine. Heléna esibì la sua pistola e
la
gettò via. Dopo gettò uno sputo per terra e li
guardò tutti uno per uno con aria di
superiorità.
Già ringhiava, già non vedeva l'ora di
poter
prenderlo a calci. Cinica, spietata e vogliosa di fargli sputare
sangue. Nuvole di polvere da ogni lato, ancora una volta avrebbe dovuto
guardarsi le spalle la forte Heléna.
Nonostante la carica che ella aveva, dalla sua
parte
avevano molta paura. L'ispettore
Bianchi stava già cercando di mettere in moto
la macchina per un'eventuale fuga.
Flick e Pauline
rimasero in silenzio ed immobili seguivano l'evolversi della
situazione. Ottavia
solamente ebbe l'iniziativa con ferma convinzione di urlare:
-Fagli il culo a questo
stronzo!
Pauline non aveva affatto fiducia.
-Non può fare sul serio.- Disse.
-O lei cerca di far fuori quel tale... o quel tale
farà fuori noi. Non vedo molta scelta.- Rispose Flick.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** CAPITOLO XV- Alone ***
Capitolo
xv- Black
CAPITOLO XV
"Alone"
-Alexander
... mi chiamo Alexander o forse anche Andrea... chissà...- -Allora
Alexander è un nome d'arte giusto?-
Chiese il barista porgendogli uno sguardo stanco e consumato da
un'intera giornata lavorativa. Il puzzo di patatine fritte del giorno
prima e tutta l'aria di chi non vuol saperne niente. Ed era
tardi o per meglio dire: era di mattina presto.
Infatti mentre Lola Di
Valenza riceveva
la chiamata del suo assistente Gabriel che informava della
localizzazione di Ludovich, lui era a ristorarsi in un
autogrill avendo appena superato la provincia di Viterbo. -È
un nome da fuggiasco.-
Disse Ludovich. Tracannò
il whisky e consegnò un biglietto da cinque.
Portò la
sigaretta alla bocca e mentre conquistava l'uscita andò
ciondolando passivamente passo dopo passo in direzione di un
tavolo dove erano seduti due scagnozzi di Garbiel.
Allora si
fermò come folgorato da una nuova idea. Lasciò
perdere
l'intento di uscire dal locale e andò nel bagno. Fuori
dall'autogrill la situazione era assolutamente tranquilla. L'aurora
emanava una pace assonante in quel gelido mattino.
L'attesa
e il sonno erano le uniche compagne per quella notte che si avviava
alla fine ormai. Era passata un'altra giornata nel pensiero
dei morti da
contare, qualcun altro sarebbe potuto morire proprio lì in
quell'autogrill e allora al numero dei morti bisognava aggiungere
quello dei probabili e presunti mancanti. Gabriel
non era affatto uno stolto, sebbene non avesse
dormito neanche lui, vegliava ancora nel pericolo che potesse
succedergli qualcosa. Strano a dirsi poiché era lui a
cercare
qualcuno, strana sensazione di chi
dovrebbe essere il cacciatore ma che sta per finire preda. Successe qualcosa
di imprevedibile, che lo scosse d'improvviso, come un malore che non
puoi calcolare. Era seduto da solo nella sua auto ed aveva
appena
chiuso la conversazione con Lola di
Valenza,
conversazione con la quale i suoi sensi avevano ripreso a dare piacere
al suo corpo, a dare nuovo vigore alle sue voglie ma passò
in
breve tempo dallo stato di vigore e benessere allo smarrimento e al
timore. Si sentì ad un tratto come
osservato dallo
specchietto posteriore,prima quello esterno posto alla sinistra
dell'auto, poi ancora quello interno del guidatore. -Chi
c'è?-
Disse d'un tratto la sua voce. In quello stesso momento si
sentì uno stupido perché capiva che all'interno
dell'auto
non poteva esserci che lui. Nonostante ciò la sua voce
continuò a dire: -Chi sei?-
Iniziò ad essere seriamente preoccupato. Precisamente, la
paura lo stava
divorando all'interno dell'abitacolo. Vide qualcosa proprio
dallo
specchietto retrovisore, qualcosa seduto sui sedili posteriori: due
occhi di gatto che lo fissavano. Scese d'improvviso e non smise di
fissare l'auto. Non gli sembrava che ci fosse nessuno all'interno. -Sto forse
impazzendo di botto? Sto forse impazzendo?È certamente il
sonno che gioca brutti scherzi... devo star calmo.
- Ripeté a se stesso. Aspettava i suoi uomini,
quei due
brutti elementi rimastegli se ne stavano seduti all'interno
del locale a bere del calvados. Dovette riprendersi in pochi
secondi, si sentiva ancora
molto stupido in quel suo atteggiamento. Non sarebbe entrato
nel
locale a chiedere aiuto poiché non era né un
codardo
né un pazzo. Provò a rientrare
nell'auto
infondendosi sicurezza, dicendosi che in fondo poteva esser stata tutta
un'allucinazione, effetto della stanchezza. Sedette comodamente
sul sedile, mise la mano sul volante e quella sensazione di prima non
era svanita, anzi era andata a peggiorare concretizzandosi con una
pistola calibro dodici che rivoltò il suo tamburo in una
pura roulette
dal piacere sadico. -Ma ciao
Gabriel... -Alexander
Ludovich... che tu sia maledetto, come hai fatto ad entrare?- Disse pietrificato Gabriel. -L'occhio
vede solo ciò che vuol vedere o che può
vedere...o che crede di star vedendo. -Io ho
visto un enorme gatto prima di te... -Hai una
mente perversa lo sai?
- Si prese gioco di lui quell'insolito Ludovich. -Ma
se stai ancora aspettando i tuoi uomini sappi che non arriveranno,
né ora né mai. Sono già
morti nella toilette
e se stavi aspettando me... beh ora eccomi qui, possiamo andare. -Andare
dove? -Dalla tua
padrona ovviamente... voglio farle un discorsetto prima di far fuori
Sergei Ivanovich e tutti i tuoi alleati. -Dove pensi di
poter andare Ludovich? Sei solo e per di più sei disperato. -In
questo momento caro mio amico... penso che tu sia più
disperato di me. - E
quell'insolito ragazzo cupo e quasi sempre triste (scusate se
è
come dire bugia) provò desolazione nell'ammettere di esse
spinto
dalla forza della rassegnazione.
Quell'autista
in Abissina guidava
il camion fino a tardi e a notte
fonda si
riunivano. A quel
tempo in Europa c'era
un'altra guerra e per
canzoni: solo sirene
d'allarme. Passa il
tempo, sembra che
non cambi niente. Questa mia
generazione vuole nuovi
valori e ho
già sentito aria di
rivoluzione. Ho
già sentito chi
andrà alla fucilazione.
[Franco
Battiato, Aria di Rivoluzione, 1973]
Segnali
stradali in uno scorrere lento di asfalti e guard rail. Un capo
abbandonato in obliquo sul finestrino di un auto. Alexander Ludovich
svuotato per una volta da ogni sua personalità.
Erano momenti difficili. Compagna l'angoscia, strana
sensazione di morso allo stomaco, di macigno che preme sul cuore. Nel
contempo...la pace della rassegnazione. E se
quella pace che ci attraversa fosse frutto dei nostri drammi? La
stanchezza è lucidità, inevitabile sofferenza che
ci
rende umani. Ancora qualche nota di pianoforte in
canzoni che non sapresti riconoscere pur avendole ascoltate centinaia
di volte. "Per
vedermi torturato per vedermi condannato... oh partigiano... portami
via... che mi sento di morire..." E poi lo
sguardo di Gabriel,
un germano mezzo sangue che guidava ancora sveglio, molto
più
sobrio di quanto non fosse stato nelle ore precedenti. Stava
guidando sino alla periferia di Roma,
lì aveva il suo quartier generale Lola di Valenza. Il
pensiero che stesse conducendo quello
zingaro, Ludovich,
proprio nella tana dei lupi lo faceva stare ancora tranquillo.
Molte, troppe domande assediavano quelle due menti. "Chi aveva catturato chi?"
.Non lo so riusciva a capire ma l'impressione è che
quello zingaro si era poi catturato da solo, che si
stesse
consegnando per uno scopo tutto suo. Allora Gabriel poteva
sorridere beffardo, come a dire "sciocco,
non sai quello che ti attende..."
ma poiché la pace potrebbe essere frutto del
nostro dramma il germano guidava lentamente, con la
tranquillità che solo le
sue certezze potevano dargli. Ludovich ancora
piegato sul finestrino non puntava neanche più la sua Smith and Wesson.
Non restava che un corpo inerte in attesa di qualcosa. Quel
qualcosa
tardò ancora poco a presentarsi e non appena giunti in vista
dei
primi colli romani, lasciarono l'autostrada per vie più
ramificate. "Ci
siamo." Pensò Ludovich. "Ancora poco e potremo rivederci." Gabriel a quel
punto volle togliersi lo sfizio di fare una domanda: -Cosa ti fa pensare che il
Prefetto ti lasci parlare? O pensi di poter affrontare da solo le sue
guardie? -Quando
sarò giunto al suo cospetto ti accorgerai... -Tu sei davvero folle, mi
divertirò a vederti crepare.
E
giunsero in una villa maestosa là dove risiedeva
Anna Formisano conosciuta nel mondo degli affari come Lola di Valenza. Un
cancello alto quattro cinque metri e largo dodici, testato a prova di
lancia granate, si aprì automaticamente dopo l'attivazione
del
dispositivo di riconoscimento video. Poi una schiera di
alberi
lunga un paio di chilometri. Come avrebbe potuto scappare da
lì?
Idea insensata dal momento che era stato lui stesso a volersi
introdurre. Quella
era una prigione dalla quale non poteva scappare e il sorriso sul volto
di Gabriel era
significativo per spigare il pericolo al quale Ludovich andava in
contro . -Dammi
la pistola.- Disse fermando l'auto. - Sei tu quello disarmato
Gabriel... come puoi impartire un ordine! -Sei circondato da
ottantacinque guardie del corpo, prova solo a spararmi un colpo e non
uscirai vivo da quest'auto. - Lo convinse Gabriel. -Ti
consegnerò solo le pallottole.- E
così fece
Ludovich scendendo dall'auto prima di lui.
Quello
che gli si presentò davanti era probabilmente l'edificio
più grande che lui avesse visto e che voi avreste mai potuto
immaginare. Un'architettura imperiale di stile barocco con
due guardie piantate alla porta. Ludovich si
avvicinò dicendo. -Dite al Prefetto che Alexander
Ludovich è qui. - E Gabriel gli correva
dietro con i proiettili in mano. -Aspetta zingaro, non puoi andare
da solo... io ti faccio sparare!- Ricoprendosi
anche di un ridicolo che solitamente non si addiceva ad un assistente
del Prefetto ma dinanzi a quel
folle non poteva comportarsi diversamente. Non sapeva proprio come fare
a fermarlo se non prendendolo a calci e a pugni davanti a
tutti. Ludovich
poi superò il portone ed un primo atrio, al secondo Gabriel
lo prese da dietro sferrandogli un calcio alle gambe, quello cadde come
se non pesasse niente ma rialzandosi ricambiò il
calcio
portando la gamba all'altezza della faccia del germanico.
Gabriel
ricevette il calcio come se nulla fosse, anzi si
mascherò nuovamente di quel sorriso insito dal male.
Ludovich
mostrò
i denti come da felino incazzato e gli si
scaraventò
sopra con una tale violenza da ferirlo al collo con un morso e da
lì un pezzo di carne cadde sul pavimento imbrattandolo di
sangue. - Magnifico!-
Disse qualcuno dall'alto. E si sentì un echeggio di battito
di mani lieve e sottile. Ludovich
con
la bocca ancora sporca di sangue rivolse il suo sguardo verso
l'alto e
puntò quell'immagine. In completa tunica bianca di
seta trasparente, era Lola
di Valenza che percorreva in discesa una spirale
pavimentata in marmo. -Avevo detto che questa storia
doveva finire Gabriel... perché mi hai portato questo
ragazzo?- E Gabriel già
entrato in una gravissima emorragia gridò con tutte le sue
forze
poiché non poteva vedere dove fosse il suo capo. -Questo
folle! Ha voluto lui presentarsi da te... non so cosa ha in mente ma
è un
disperato, un povero disperato mio amato Prefetto! Si
dimenava come punto dal serpente più velenoso
mentre
attorno a lui grondava il suo sangue. Quel teatro
così
aspro e maleodorante non poteva che estasiare la candida ed imponente Lola di
Valenza
che continuava a scendere la sua rampa allargando un sorriso
al suo nuovo ospite. - E
tu dimmi Ludovich, lo voglio sentire da te: quale ragione ti porta a
far incrociare per la seconda volta le nostre strade? Ti avevo concesso
di fuggire, la salvezza non è dono da poco di questi tempi,
devo
forse iniziar a pensare che sei veramente pazzo come i miei uomini
riferiscono da tempo?
-No. - Rispose lui quando
poté rilassare i suoi nervi alla vista di quel
seno prosperoso e profumato. Lola di
Valenza
gli si avvicinò sfiorandogli il viso con una mano. Quanta
grazia quanta malefica disinvoltura portava in grembo. -
Sono
venuto qui perché ho capito tutto...-
Provò a regolare il respiro il giovane, ma gli
riusciva
estremamente difficile. Non era stanco era, come poter dire: "innamorato"?
Era innamorato come vittima di un incantesimo. Non c'era da meravigliarsi
poiché tutti erano ammaliati da lei. -
Sono
venuto qui per dirti di cessare tutto quanto. Ferma Ivanovich,
riprenditi Roma, ristabilisci l'ordine in questo paese!- Quella
rise come una dannata in una risata infernale, si piegò in
due
facendo intravedere parte di due candidi capezzoli che misero
in
imbarazzo Ludovich.
Lui arrossì ma continuò il suo
discorso cercando di esser ugualmente severo. -Perché
ridi? Non è forse vero che sei tu il manipolatore di tutta
questa guerra? Non è forse vero che sei tu la responsabile
delle
migliaia di morti che hanno coinvolto l'Europa negli ultimi quattro
anni? Hai
cavalcato le guerre civili degli anni novanta, hai comprato gli ex
combattenti slavi e macedoni, russi e georgiani. Quale Grande
Capo russo potevi inventarti se non un uomo immaginario? Hai
ingannato tutti, persino Ivanovich non è forse
così? Il
tuo fedele che ora mi guarda con occhi sbarrati, esterrefatto mi ha
dato del pazzo più volte. Ma chi è il pazzo qui?
Chi
è il vero pazzo ora che i giochi sono finalmente
svelati?
Lei
continuò a ridere e ad applaudire. Applaudire freneticamente
sino a toccare il pavimento con le ginocchia. Ed era lì, ai
suoi
piedi, le lunghe ciocche luminose cadevano e percorrevano la schiena.
Si alzò di scatto e lo afferrò per il
colletto. -Sì!- Disse un diavolo.
Gabriel
si alzò da terra moribondo. Cercò di chiamare una
guardia, qualcuno che potesse assistere a quella scena ma erano soli.
Allora provò a dire qualcosa, allungò le mani
verso quei
due, proprio non ce la faceva a dire qualcosa. -Guarda!- Disse Lola di
Valenza. -
Loro
non sanno!-
E Gabriel strinse forte i denti come a
volersi cacciare le ultime parole di bocca. Avrebbe detto... "folle anche
tu, lurida puttana!"
oppure... "ed io che
sono a morire qui per te..." - L'uomo deve
pur morire per un ideale mio caro Alexander... cosa importa poi se
questo sia l'ideale altrui? - Disse Lola di
Valenza. - Mi
è chiaro da molto tempo ormai... -Ed
io avevo capito che uomo dall'indomabile carattere sei tu, ed ora
capisco anche perché quella ragazzina sta collezionando
teste
pur di salvare la tua pelle. Sei un veggente, colui che
può vedere oltre e che non si cura di incontrare la morte.
La
morte...- Pensò.
-Ora che sai
che i russi non sono l'origine, e che io ho ingannato persino loro...
dovrei ucciderti lo sai? -Ma non lo
farai...-
Rispose fiero e altezzoso Ludovich. -Perché
se tu avessi voluto farlo.- Continuò il giovane...- lo
avresti fatto quando ero prigioniero a
Bagno Vignoni, ma in quell'occasione mi hai lasciato libero nonostante
tu potessi già immaginare dei pericoli che avrei potuto
causarti.- Lola di Valenza assunse ancora una volta
quell'impassibilità statuaria degna di un ferreo generale.
Prese Ludovich
per mano e lo portò lungo la rampa. Il giovane era ancora
molto
scosso, sapeva che da lì a poco quella donna avrebbe potuto
ucciderlo. -Rimuovete
quel corpo! Alla svelta!- Urlò lei quando
sentì le guardie entrare. Si riferiva a Gabriel che ormai giaceva morto a
terra. Ma Lola di
Valenza
non si fermò continuò a
correre per le rampe e si tirava a se Ludovich. Non
c'era da fuggire anche se avesse voluto e più salivano in
alto al palazzo e più
si Ludovich
sentiva stretto in una morsa mortale. Che fosse solo la
soddisfazione di aver smascherato quel
grande enigma? Era quasi contento. Era convinto di trarre
vantaggio enorme da quella
incantevole donna e come già detto né era allo
stesso
tempo una vittima, un innamorato avvelenato senza pozione di
risanamento a portata di mano. -Cosa vuoi
fare?-
Chiese lui una volta giunti nella stanza da letto. -Lavati e
poi te lo spiegherò dopo.-
Gli ordinò lei. Lui allora si spogliò
prima ancora
di andare nel bagno. Tolse al volo un orrendo giaccone nero. Ruppe i
bottoni di una camicia, sfilò la cintura dei pantaloni una
volta
che rimase in mutande. Gli si avvicinò lei e con
una mano
agguantò il suo petto ad altezza del cuore. Con la cintura
ancora in mano lui la colpì violentemente. Rimase un livido
violaceo su quel braccio candido. Tolse il braccio con netto ritardo. -Perché
sei così indisposto nei miei confronti?Non voglio ucciderti.- Lui non rispose,
andò nel bagno e si immerse nell'acqua.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=604251
|