L'angelo della notte.

di Lady Asia_20
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due.. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre.. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


L'angelo della notte - Cap 1

 

 

L’angelo della notte…

 

 

 

 

 

 

 

Prefazione.

 

 

 

Soltanto la processione senza fine dei giorni, dei mesi, degli anni.

Il mio maestro mi ha lasciato solo ad imparare la lezione più dolente,

che alla fine siamo soli, e non c'è nient'altro,

solo la fredda, buia e desolata eternità...

 

Erano i miei nemici…

Sapevo che un giorno avrei dovuto prendere delle scelte definitive…

E mi aspettavano giorni terribili, in cui il senso di colpa, il dolore, lo schifo che provavo per me stesso mi avrebbero attanagliato…

Avrei sempre dovuto scegliere tra quegli occhi verdi intensi come uno smeraldo, ma profondamente buoni e tristi e quelle iride nere come la notte, attraenti e crudeli come una lama che affonda sempre di più tra le carni lacerate…

Dentro mi sentivo morire, dentro sentivo il peso delle mie scelte e delle mie responsabilità..

Solo di una cosa ero consapevole…che prima o poi, avrei dovuto ucciderli entrambi…

 

 


















Capitolo uno.

 

 

Una stranissima sensazione svegliarsi la mattina e avere l’impressione che durante la notte, una mano estranea ha toccato il tuo viso, lasciando una strana sensazione sulla guancia. Una sensazione di freddo, di vuoto, di eternità che non avevo mai sentito prima d’ora. Sono…turbato, senza ombra di dubbio. Cerco di sollevarmi dal letto, facendo leva sulle braccia e mi tocco quella cascata di capelli riccioli che spesso mi inondano la fronte facendomi impazzire e cerco di razionalizzare.

Mi alzo dal letto, come un automa, gesti meccanici, sempre gli stessi. Raggiungo la finestra al piano superiore della mia villetta e guardo fuori. Quel lago immenso che sovrasta ogni cosa, di quel colore verde azzurro quasi accecante.

Intorno al Lago di Manitoba, nascono le leggende più inquietanti, più assurde che avessi mai potuto immaginare. Fino a quel momento, non avevo mai dato peso alle chiacchiere della mia famiglia, dei miei nonni. Ma da qualche tempo a questa parte, avevo cominciato ad avere delle strane sensazioni, delle strane percezioni. Come questa notte…avevo avuto l’impressione che una mano mi avesse toccato, realmente.. Guardai attorno, in cerca di qualche prova tangibile a quello che avevo percepito, ma nulla. Nella notte era piovuto e non un segno era rimasto impresso nel terreno perfetto.

Non troppo lontano da qui, nasce la piccola cittadina di Amandil, dotata di tutto il necessario per poter vivere tranquillamente una vita serena ed appagata. Conosco tutti qui, ci sono nato e cresciuto, la mia famiglia era rispettata e benvoluta in questa zona sperduta del Canada. Ma Amandil, nonostante fosse incontaminata e sperduta nella natura, sembrava avere segreti inconfessabili, avvenimenti che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Il mio nome è Tobias, Tobias Cohen, vivo da solo da quando la mia famiglia, a poco a poco, si è spenta come un fiammifero lasciandomi quella casa come unico appoggio e sostentamento. Ho visto morire tutte le persone a me care, l’una dopo l’altra, per ultimi i miei adorati nonni che mi hanno sempre amato e cresciuto come il loro figlio. Nonostante la morte dei miei genitori, quando ancora ero molto piccolo, non potevo dire di essere stato infelice, i miei nonni paterni mi avevano dato tutto l’amore e l’affetto di cui erano stati capaci ed io, ero cresciuto forte e per quanto possibile sereno. Poi un anno fa, Meredith e Carlos si erano spenti anche loro, lasciandomi nel vuoto più assoluto. Adesso, non avevo più nessuno a cui appoggiarmi.

Mi chiedevo spesso perché i membri della mia famiglia, fossero morti così, l‘uno dopo l’altro nel susseguirsi di eventi che sembravano alquanto poco chiari. Non avevo idea di cosa fosse accaduto realmente, ma una parte di me, sentiva che tutto era fuori posto, che gli avvenimenti accaduti avessero una chiave di lettura diversa. Perché i miei nonni mi avevano istruito alle leggende che popolavano Amandil!?

Sorrisi lasciando che una parte della mia bocca si sollevasse in un ghigno divertito. Appoggiai le mani al davanzale e scrollai il capo con decisione mentre mi ripetevo che ero pazzo, stavo diventando enigmatico e criptico almeno quanto Carlos.

Abbandonai la finestra, cercando di riacquistare quella lucidità che finivo per perdere ogni volta che ripensavo al passato e scesi al piano inferiore agilmente, mentre con un gesto veloce accendevo la radio, sintonizzata sul mio canale preferito. Quella casa un tempo piena di voci, di allegria, sembrava un lontano ricordo, eppure, nonostante tutto, mi sembrava di percepire la presenza della mia numerosa famiglia accanto a me, come se la loro anima fosse ancora lì a seguirmi e a sostenermi.

Certamente la mia vita, si era complicata molto. Avevo perso un anno di scuola con la morte dei nonni, avevo dovuto trovare un lavoro che mi permettesse di mantenermi alle esigenze della vita e le nuove difficoltà sorte, mi avevano destabilizzato per molti mesi. Adesso, cominciavo a stare meglio, ma sapevo che avrei dovuto rinunciare a molte cose, non per ultimo alla possibilità di frequentare l’università che era esageratamente costosa per le mie esili condizioni economiche.

Sono le sette del mattino, fuori dalla vetrata che si apre sul lago di Manitoba, sta sorgendo il sole, con quel colore rosso chiaro che mi illumina la casa di un calore che non si sentiva più da mesi ormai. Il sole, per troppi mesi aveva ceduto il posto alla nebbia e alla neve, facendo diventare il lago un incontrastato lastrone di ghiaccio scintillante. Per quanto fossi fuori dal mondo, non potevo certo dire che quel posto non mi offrisse nulla, amavo la natura, gli animali e svegliarmi la mattina con un paesaggio nuovo ogni volta, mi faceva sentire bene. Avevo aspettato per molto tempo il sole ed adesso, si stava riflettendo sulle acque ancora fredde e mezze ghiacciate di quella immensa conca d’acqua.

Preparai velocemente la colazione, anche mangiare era diventato un lusso, presi la prima pentola che mi capitò sotto mano e feci cuocere due uova strapazzandole. Oggi era una giornata infernale, avevo bisogno di energia. La scuola era l’unico momento in cui potevo riposarmi un pò, ma successivamente avevo il turno lungo al pub e avrei finito stasera tardi.

Lavorare al pub, mi faceva guadagnare bene, Justin mi pagava in modo corretto le ore che facevo, inoltre mi diceva che attiravo le donne al locale e questo lo rendeva soddisfatto. Per quanto mi riguardava, odiavo essere l’esemplare da osservare e tutti quei volti girati mente passavo di lì, mi creavano solo un gran disagio. Ma dovevo lavorare, era necessario, quindi potevo passare sopra a certe cose.

Come al solito mi sedetti sul piano cottura, presi un piatto e versai la poltiglia di uova. Notai un pezzo di pane che sicuramente avevo dimenticato la sera prima e lo morsicai voracemente.  La casa era piacevolmente tiepida, anche se ero in maglietta e boxer non sentivo freddo, mi ero accomodato sul piano cottura, accanto la finestra e con tranquillità guardavo nascere quel nuovo giorno.

Lascia per un istante vagare la mia mente, poi tornai con i piedi per terra e notai che il tempo passava sempre troppo velocemente. Posai il piatto nella lavastoviglie. La richiusi e mi affrettai a salire di sopra dove una doccia bollente mi stava aspettando. Raccolsi tutta la biancheria che mi serviva e quella da lavare, poi andai in bagno mentre lasciai scorrere l’acqua in modo che si scaldasse. Quando voltai il viso, notai che il dopo barba che preferivo, era posato sul lavabo. Mi avvicinai lentamente, era da due giorni che non facevo la barba.. Ed ero certo che lo avevo rimesso al suo posto due giorni fa..

Sollevai il viso al cielo e cercai di ricordare meglio, ma ero troppo confuso per esserne certo. Alla fine, aggrottando le sopracciglia, rimisi al suo posto sulla mensolina la boccettina e cominciai lentamente a spogliarmi.

Cominciavo a non spiegarmi troppe cose qui ad Amandil.

Decisi di non farmi domande più del dovuto, sapevo che se avessi convinto la parte più impulsiva di me, avrei finito con entrare in una spirale che volevo evitare. Troppi misteri si agitavano tra le pieghe di quella apparente tranquilla cittadina e conoscendomi avrei finito col cacciarmi nei guai. Avevo per anni lasciato tacere la mia voglia di sapere, la mia curiosità su argomenti che i miei nonni non amavano affrontare chiedendomi apertamente di non farmi venire strane idee in testa. Non dovevo farlo adesso, ora che la mia via era già abbastanza complessa.

Mi lavai in fretta, mentre pensavo a quello che avrei affrontato in questa nuova settimana che iniziava. Per quanto amassi Amandil, mi rendevo conto che la mia vita, non era come quella di un normale ragazzo della mia età. Avevo diciannove anni, frequentavo scuola, lavoravo per mantenermi, uscivo raramente con gli amici, dovevo conservare una casa che a  momenti mi sembrava crollare in testa.

Persi la cognizione del tempo mentre feci meccanicamente tutti i gesti consecutivi al lavarmi. Mi asciugai, mi vestii velocemente e presa la borsa con i libri, mi precipitai al di fuori dell’abitazione, chiudendo l’uscio a chiave. Mi ritrovai fuori di casa alle prese con la ma jeep wrangler nera, che di prima mattina proprio non ne voleva sapere di partire senza scaldarsi un pò prima, peccato che non ero nelle condizioni di permettergli questo lusso oggi.

Subito feci una leggera retromarcia, poi a poco a poco superai lo sterrato, per arrivare sulla strada vera e propria. Sarei arrivato presto alla piccola cittadina di Amandil, tutta costruita in legno e dall’aspetto antico, affascinante, quanto misterioso e cupo per certi aspetti.

Nella nostra comunità vivevano anche una minoranza di Cheyenne, gli indiani nativi del Canada del nord, si erano inseriti perfettamente nella città, ormai da molti secoli, tanto che le nostre tradizioni si erano spesso confuse e mescolate con le loro pratiche. Si viveva in una strana e alquanto surreale armonia, non per niente uno dei miei più cari amici faceva parte della tribù indiana. Cheveyo, era uno dei miei più cari amici, ero cresciuto insieme a lui. Mio padre e suo padre, erano sempre stati molto uniti. Adahy, il padre di Cheveyo, mi considerava come un figlio e spesso insieme a sua moglie Yepa, mi ospitavano a casa loro per non lasciarmi troppo solo.

Faceva parte delle mie amicizie più strette anche Marc Mellory. I Mellory, erano molto influenti ad Amandil, infatti erano una delle famiglie più ricche di tutta la cittadina. Il padre di Marc era il proprietario della banca di città, ma lui, sembrava disprezzare quel mondo pieno di situazioni comode e facili. Parlavamo spesso insieme delle nostre vite e per quanto ne fossi stupito, Marc sembrava dannatamente attratto dalla mia vita e a quella di Cheveyo, seppure la nostra esistenza non avesse nulla di eccitante. Ogni cosa che facevamo era ottenuta con il sudore della nostra fatica, con il rimboccarsi delle maniche anche per avere un pezzo di pane in più. Forse era proprio questa voglia di cavarsela da soli, che rendeva la nostra vita così interessante agli occhi del nostro amico.

Quando imboccai la strada per entrare nel centro della cittadina, cominciai a sorridere per la buffa vita che quella gente conduceva, passata soprattutto a litigare per le cose più stupide. Appena entrato in città, già potevo notare la Signora Stuart litigare col fornaio, perché alla notte faceva troppo rumore. Oppure il Signor White inveire contro il cane del fruttivendolo perché aveva il vizio di appollaiarsi sul suo porticato e abbaiare tutto il giorno. Amandil era questo, una cittadina come tante altre, in cui le vecchiette ti osservano passare ed immediatamente la loro curiosità e il loro chiacchiericcio si concentrano su di te. Sanno tutto della tua vita, di quello che sei e vogliono anche avere la pretesa di sapere quello che sarai. Sorrido, mentre oltrepassando quelle vie conosciute a memoria, riconosco l’edificio grigio dove ho passato la maggior parte dei miei giorni in questi ultimi cinque anni. La Saint Andrew è l’unica scuola superiore della nostra città, nonostante questo funziona piuttosto bene. Gli insegnanti amano fare il loro lavoro e cercano di invogliarci come possono.

Posteggio al solito posto, vicino al vecchio furgoncino di Cheveyo che appena mi vede, mi corre incontro aspettando che scenda dall’auto.

-Ehi…ciao fratello..- mi dice Cheveyo raggiungendomi.. –Ti trovo bene…-

-Anche tu sei in forma oggi…- gli dico picchiandogli un pugno sul petto… -Allora!?-

-Cerco un pò di quiete..- mi dice sbuffando sonoramente.. –Non ne posso più…-

-Perché!?- gli chiedo preoccupandomi.. –Di nuovo problemi con i tuoi!?-

-Gli spiriti si stanno agitando…- mi dice grave… -Gli anziani dicono che sta arrivando qualcosa che non è per niente buono…-

-Che vuol dire!?- gli chiedo sorridendo…

-Quando gli spiriti si agitano, significa che sta arrivando un cambiamento…- mi dice Cheveyo grave… -Non solo per noi…per tutti…-

-Puoi spiegarmi per favore!?- gli chiedo con un sorriso enigmatico.. –Non capisco…-

-Non so che dirti di più…- mi spiega lui evasivo.. –Purtroppo non ci è permesso sapere tutto, ai capi clan viene raccontato ogni cosa, ma non a noi ragazzi… Dicono che siamo pericolosi e…pettegoli…-

-Su questo non ci piove…- gli dico ridendo.. –La prima cosa che hai fatto è stato spifferarlo a me infatti…-

-Smettila Toby…l’ho fatto perché mi fido…- dice lui rimproverandomi.. –Ma qualcosa di grosso sta succedendo.. E non sono per niente tranquillo…-

-Ok…scusami…- gli dico diventando serio.. –Sono stato insensibile.. senti Cheve, quante volte gli spiriti si sono sbagliati!? Potrebbe essere così anche questa volta…-

-Questa volta è diverso Toby…- mi dice lui puntando i suoi occhi dentro ai miei.. –è diverso…lo sento anche io qualcosa nell’aria di diverso… Qualcosa che non ho mai percepito fino ad ora…-

Cosa potevo dirgli!? Che questa notte anche io avevo percepito qualcosa di strano in casa mia?!

Quello era stato sicuramente un caso, frutto della mia immaginazione, ma era un dato di fatto che a volte ad Amandil erano accadute cose che non potevano avere spiegazioni del tutto razionali. La morte dei miei parenti ad esempio…sembrava sempre avvolta da un ombra, da qualcosa di misterioso che nel tempo forse mi era sempre stata nascosta.

-Cheve…Amandil è sempre stata misteriosa..- gli rispondo io.. –Se fossi in te non mi lascerei coinvolgere troppo…-

-Toby…tu non hai mai dubbi su quello che ti circonda…!?- mi chiede perforandomi con lo sguardo…

-Ho sempre avuto migliaia di domande a cui non avevo risposta..- gli rispondo evasivo.. –Ma se cercassi la verità, forse finirei per mettermi nei guai e la mia vita è già un casino così…-

-Arriva Marc…- mi dice Cheve inclinando il capo e terminando quel discorso all’improvviso..

Marc era un burlone, la vita non gli aveva mai fatto mancare nulla e la sua vita tranquilla e negli agi, aveva contribuito a renderlo un ragazzo estremamente solare e incline ai divertimenti, sempre e comunque.

-Ho clamorose novità…- disse sorridendo a abbracciandoci…

-Immagino..- disse Cheve alzando gli occhi al cielo..

-Questa volta è veramente una novità..- disse lui staccandosi da noi e parandosi davanti con la sua esile figura.. –Abbiamo visite in città…-

-Che tipo di visite..!?- gli chiedo alzando un sopracciglio…

-A quanto pare uno nuovo…- dice lui appoggiandosi alla macchina e accendendosi una sigaretta..

-Un nuovo studente!?- chiede Cheve non curante…

-Esatto…e a quanto pare, sembra essere proprio nella nostra classe…- dice Marc soddisfatto delle novità di cui si fa portavoce…

-Come sai tutte queste cose!?- gli chiedo con un ghigno…

-Le so da quando ho scoperto che le nonne me le devo fare amiche e non nemiche, rubandogli le uova dai pollai…- ride lui tranquillo..

Lentamente ci avviammo verso l’entrata, la campanella stava suonando e trascinai Cheve e Marc con me. Pensavo a questo nuovo arrivato, mi sembrava strano che qualcuno arrivasse proprio nel bel mezzo di un anno scolastico gia avviato da mesi, ma abbozzai e finì per assecondare Marc che continuava a parlare del suo nuovo feeling con le nonne di Amandil.

Marc rispetto a me e Cheve era un ragazzo esile, con capelli castani uguali agli occhi, piccoli e furbi. I suoi capelli sempre con una piccola cresta e ingellati, lo rendevano simile ai bulli di città, sempre perfetti e con i vestiti delle firme migliori. Ma nonostante questa parvenza, sicuramente di bel aspetto, Marc era altro, altro che però conoscevamo solo io e Cheve, i suoi migliori e unici amici. Spesso gli occhi di Marc sembravano quelli di un gatto, quasi indifeso, ma lui non era affatto innocente e casto. Amava divertirsi, spesso senza rendersi conto che nella sua voglia di evasione, finiva per ferire o danneggiare gli altri. Era un ragazzo un pò superficiale , ma era comunque buono con chi amava molto. Poco incline alle responsabilità forse, probabilmente solo per ripicca a suo padre che lo aveva cresciuto con un fardello di decisioni già prese per lui e per nome suo. Cheve invece era un ragazzo estremamente responsabile nonostante la sua età, probabilmente Marc non aveva combinato molti casini, perché la nostra influenza era sempre stata troppo potente. Avevamo un buon ascendente su di lui e non era un caso che i pasticci li combinava solo quando non eravamo insieme.

Cheve era fisicamente il più possente, anche se la mia struttura corporea si avvicinava alla sua più che a quella minuta di Marc. Era alto, robusto con dei muscoli evidentissimi e sporgenti. I suoi occhi erano grandi e neri come la pece esattamente come i suoi capelli. Aveva un sorriso coinvolgente, era un gigante buono Cheve, per me era come un fratello.

Quando entrammo in aula, notai che le ragazze erano in fermento. Secondo le voci il nuovo arrivato doveva essere un bellissimo ragazzo.

-Ehi amico…- mi disse Marc sorridendo… -Da quanto ho capito, sembrerebbe che il novellino sia qui per stroncarti il primato di ragazzo più corteggiato di Amandil…-

-Era ora…- dissi io ridendo.. –ero stanco di mietere vittime…-

-Smettila di fare il sarcastico Toby…- mi dice lui sedendosi sul mio banco… -Se io fossi stato al tuo posto mi sarei dato seriamente da fare…-

-Marc…per fare come tutti voi dovrei essere esattamente come voi…- dico con tatto… -Peccato che ogni volta che mangio devo stare attento al portafoglio e il più delle volte, è tanto se riesco a comprarmi un paio di pantaloni in più per non andare in mutande!!!-

-Credo che per le ragazze non sarebbe un problema vederti in mutande…- disse lui sorridendo malizioso…

-Sei un cretino…- dico ridendo, mentre vedo Desi osservarmi con ostinazione…

Desi è stata la mia prima ragazza. Era dolcissima, bellissima, ma….io non potevo dargli assolutamente nulla di quello che lei desiderava. Le ragazze della sua età amavano passare la giornata con il loro ragazzo, andare in vacanza con il loro ragazzo, magari fare gite fuori Amandil che io purtroppo non potevo permettermi. Stare con lei voleva dire chiedergli di rinunciare a tutto e non potevo permetterlo. Il fatto che la mia vita fosse caratterizzata da una rinuncia dopo l’altra, non voleva dire che il mio stato fungesse da condizionamento per gli altri. Le sorrisi debolmente mentre con il mio atteggiamento cercavo il modo migliore per non illuderla o ferirla. Lei mi piaceva davvero, ero stato davvero bene in quel periodo, quando lei mi stava vicino. Ma non poteva funzionare, forse perché…non mi ero innamorato o forse perché ultimamente ero troppo concentrato su di me, sul come sopravvivere per pensare ad altro.

-Mmm…- mi dice Cheve avvicinandosi al mio orecchio da dietro…. –Hai spezzato il cuore alla piccola Desi…-

-Mi spiace...lo sai…- gli dico voltandomi indietro mentre scrollo la testa in segno di diniego.. –Sai perché l’ho fatto..-

Lui mi osserva con serietà e sospira, Cheve non era del tutto d’accordo sulla mia decisione. Ma io non volevo essere un peso per nessuno, volevo che lei fosse libera di vivere la sua adolescenza come meglio poteva, senza rinunciare a nulla. Io non avevo potuto farlo e non che ne facessi una colpa ai miei nonni, ma….forse, in condizioni diverse, avrei voluto farlo.

Quando entrò il professore, ci voltammo tutti e prima che la classe potesse prendere a mormorare, dietro di lui un ragazzo sconosciuto prese posto affianco alla cattedra. Non so spiegare la sensazione che provai quando tra tanti volti, il suo sguardo si posò sul mio, senza alcuna motivazione apparente.

Era come se un freddo polare, pungente e affilato che si fosse impossessato di me. Aveva degli occhi color smeraldo meravigliosi, cosi espressivi, così intensi che mi sembrava di sprofondarvi dentro. Contornati da delle ciglia folte e scure, come i capelli che portava leggermente spettinati, non troppo corti. Non aveva abbandonato il mio sguardo finché il professore aveva preso a parlare. In quel momento sembrò risvegliarsi dal torpore e il suo viso indagatore, distogliendosi dal mio, mi procurò un senso di libertà non indifferente.

Il professore di italiano usava troppe parole e il più delle volte inutilmente, la sua proprietà di linguaggio era ben nota a tutti, ma adesso aveva un ulteriore soggetto a cui dimostrare le sue capacità intellettive. Le settimane a venire, sarebbero state un tormento nel sentirlo pavoneggiarsi della sua esilaranti conoscenze.

Cominciai a sentire mormorare le ragazze intorno a me, mi voltai verso Marc sorridendo e con sollievo mi lasciai scappare una piccola risata sommessa. Per il novellino si sarebbe aperto un periodo fatto di persecuzioni assurde, le ragazze di Amandil erano piuttosto passionali.

Il posto di Nicholas, così si chiamava, era proprio accanto al mio. Quando si avvicinò a me si limitò a sorridermi un pochino, ma non mi rivolse la parola mentre passandomi davanti metteva a posto le sue cose. Era indubbiamente bellissimo, di una bellezza quasi sconvolgente e surreale. Notai all’orecchio sinistro un orecchino con una forma assai singolare, una sorta di dragone, argentato e blu, piccolo e fine.

Quel ragazzo aveva un’aura di mistero intorno a lui che avrebbe incuriosito chiunque, anche io che ero poco incline a farmi trascinare. Sbirciai con la coda dell’occhio e trovai quel suo sguardo penetrante, voltato verso di me. Ma ancora una volta, non mi disse nulla, aprì leggermente la bocca e subito si voltò, immediatamente assillato da un gruppo di amiche di Desi che cercavano di ingraziarselo.

Sembrava un ragazzo gentile, educato. Non lo osservai più di tanto, seguire le lezioni era importante per me, mi consentiva di non dover passare troppo tempo sui libri. Ogni tanto sentivo le ragazze fare qualche domanda al nuovo venuto e provai un pò di tenerezza per lui, magari non  gliene interessava nemmeno una.

Notai più diffidenza da parte dei ragazzi, ma d’altronde non poteva che essere così. La competizione bruciava nelle loro vene e quel Nicholas, con quel suo modo di fare e la sua bellezza, aveva già attirato una buona parte delle ragazze dalla sua parte.

La mattinata era passata con velocità, tra poco tempo cominciava il mio turno al pub. Ovunque si ci voltava l’argomento principale era il nuovo arrivato dagli occhi smeraldo. I ragazzi già sputavano veleno abbondantemente e senza una buona motivazione, le ragazze  erano gia partite all’attacco con una santificazione imminente. Era abbastanza ridicolo. Non mi sarei mai voluto trovare nella sua situazione, in mezzo a due fuochi fatui pronti a divampare impetuosi.

Preparai la borsa e quando uscii dalla porta dell’aula, mi scontrai proprio con lui. Nicholas…

Ero soprappensiero, mentre controllavo di aver preso tutto e non essermi dimenticato nulla. Scontrai il suo braccio possente, mentre imbarazzato e dispiaciuto alzavo gli occhi per scusarmi.

Ancora, quel suo sguardo perforatore, quegli occhi che per un istante mi fecero dimenticare tutto quello che avevo attorno. 

-Scusami…- gli dico semplicemente.. –Sono sempre distratto…-

-No…non ti preoccupare…- non avevo fatto caso fino ad ora alla sua voce, così profonda, così ammaliante.. C’era qualcosa in quel ragazzo che non fosse attraente!? Benché non fossi una donna, potevo comprendere cosa a loro potesse piacere e quel ragazzo, sembrava possedere tutte le carte in regola per far impazzire le ragazze di Amandil.

-Beh…- gli dico io con leggera difficoltà.. –Arrivo complesso devo dire…-

-Beh…l’accoglienza non è stata proprio delle migliori, ma in fondo…- fa un sorriso leggero, enigmatico…

-Già…- sorrido annuendo.. –Assalito dalle ragazze e ignorato da buona parte dei ragazzi…-

-Ho provato a scambiare qualche chiacchiera ma…sembrano diffidenti..- mi dice con uno sguardo deciso…

-Dagli un pò di tempo..- dico sollevando le spalle.. –Soffrono della competizione ma….gli passerà…-

-Anche tu ci sei passato!?- mi chiede sorridendo..

-Ehm…- dico scrollando il capo… -Per me è stato un pò diverso…sono nato e cresciuto qui… Li conosco da una vita, sono stati un pò meno diffidenti…-

Sorride di gusto e per qualche istante mi osserva tranquillo, per poi guardare il lungo corridoio.

-Ora…io devo andare..- gli dico gentilmente..

Lui sorride timidamente, alzo la mano in segno di saluto e comincio a percorrere quel piccolo tratto di corridoio che mi divide dalla scale. Poi ripenso a Nicholas che percorre quelle stanze deserte, solo. Mi fa tenerezza…odio i processi di esclusione che si creano quando una persona nuova arriva in un posto dove non conosce nessuno. Mi volto indietro e lui è ancora lì, appoggiato alla parete.

-Nicholas…- dico con tono pacato.. –Se ti va, puoi stare con me e i miei amici… Sono sicuro che per loro non è un problema… Pensaci…-

-Grazie…- mi dice sorridendo e mettendo le mani in tasca… -Magari da domani sarà un giorno migliore..-

Gli sorrido un poco annuendo, non avevo compreso se il suo fosse un si o un no, ma almeno gli avevo proposto di entrare in contatto con qualcuno, volevo almeno provare a farlo sentire meno fuori luogo.

Non sapevo perché mi ritrovassi a fare questo, forse semplicemente perché se mi fossi trovato al suo posto, mi sarei sentito terribilmente solo ed era una bruttissima sensazione.

Mi ritrovai fuori nel cortile, l’aria era tiepida e mi sembrava quasi impossibile che i raggi del sole mi stessero accarezzando la pelle così dolcemente.

Alzai gli occhi al cielo, socchiudendo le palpebre.

Poi quella sensazione di essere osservati mi aveva preso alla sprovvista.

Voltai di scatto il mio viso alla foresta lì accanto, come se qualcosa dietro i cespugli o gli alberi mi stesse osservando con talmente avidità, da spogliarmi di tutto quello che avevo. Ero sicuro che dietro alla vegetazione non ci fosse nulla, gli animali non sarebbero mai riusciti ad essere così immobili, eppure qualcosa dentro mi rendeva inquieto. Cosa mi stava succedendo!?

Cercai di muovere qualche passo verso i fitti alberi, ma poi realizzai di essere completamente soggiogato dalla superstizione di Cheve e mi sentii totalmente stupido. Sorrisi tra di me e tornai verso l’auto che distava a pochi passi da me.

Cercai di tranquillizzare la parte più impulsiva di me, quella che mi spingeva a vedere sotterfugi e misteri fitti intorno a me, ma…sapevo che non era niente di reale. Tutte superstizioni che nel tempo i vecchi avevano cercato di inserire nella nostra storia, forse per renderla più interessante agli occhi dei turisti. E a quanto pare, con tempo io ero diventato influenzabile come tutti gli altri, peccato che non avevo alcuna intenzione di credere veramente a tutte quelle stupidaggini.

Arrivai perfettamente in orario al Pub di Justin, che appena mi vide mi disse di andarmi a cambiare velocemente, come al solito il locale era pieno. Mi infilai velocemente nella porta secondaria, quella che dava accesso alle cucine e trovai tutti i miei compagni di lavoro.

-Ehi Toby…- disse Mary la cameriera che mi aiutava a servire ai tavoli…

-Ciao Mary… Pienone!?- gli chiedo mentre velocemente mi lavo le mani e mi infilo il gilet nero della divisa…

-Come sempre…Justin è già incazzatissimo…- mi dice guardandomi con aria scocciata e correndo da una parte all’altra mentre cerca qualcosa…

-Perché!?- gli chiedo urlando dalla stanza attigua, mettendomi i jeans scuri che portavo per lavorare…

-Sembrerebbe che non trovi sua moglie…- mi dice con sguardo malizioso.. –E…insomma, sappiamo tutti com’è Stefy…-

Stefy….la moglie infedele di Justin. Lui l’aveva sposata per permettergli di avere il permesso di soggiorno, ma…era anche vero che era pazzo di lei. L’amava con tutto se stesso e la cosa peggiore era…che lei lo  sapeva.  Non riusciva ad essergli fedele e ogni volta, confessava i suoi tradimenti con disarmante sincerità. Non sapevo dire cosa potesse esser peggio per lui, avevo solo conosciuto un tipo d’amore, quello profondo e sincero, vissuto tra persone che si amavano davvero. In questo i miei genitori erano stati un esempio.

Justin era come un padre, da quando i miei nonni se n’erano andati a volte si prendeva cura di me, dandomi qualcosa da portare a casa per mangiare o lasciandomi consumare qualcosa al locale senza doverlo pagare. Si era affezionato a me e spesso mi parlava anche dei suoi problemi famigliari. Per me sarebbe stato impossibile vivere così, prima o poi sarei impazzito. Io, l’avrei lasciata libera di continuare a vivere la sua vita, quella che voleva.. Io avrei voluto accanto qualcuno che mi amava davvero.

-Lui dovrebbe fare solo una cosa…- dice John, l’aiuto cuoco, comparendo all’improvviso in cucina.. –sbatterla fuori di casa…-

-Lui non lo farebbe mai..- gli dico convinto…

-Beh…allora si vede che fare il cornuto gli piace…- dice Jennifer mentre raccoglie le pentole da lavare..

-Vorrei vedere voi se vi trovaste al suo posto..- dissi io cercando di comprendere Justin..

-Suvvia Toby…- mi dice Mary appoggiando la mano allo stipite della porta.. –Non si possono accettare certi atteggiamenti.. Quella si farebbe anche le gambe del tavolo se potesse e ti ha messo gli occhi addosso già da un pò.. Se fossi in te correrei ai ripari…-

-Non sono interessato a quel tipo di donna..- dico sorridendo e andando verso la sala principale..

Mentre percorro lo stretto corridoio vedo arrivare justin imbufalito. È davvero furioso, paonazzo in volto. Appena mi vede mi batte una pacca sulla spalla e poco dopo lo sento gridare, inveire in cucina accusando gli altri di battere la fiacca.

Quando arrivai buona parte della scuola era lì a pranzare. Mi affrettai a raggiungere il bancone, dove molti clienti aspettavano di avere il conto per andarsene.  Mike, il barman era impegnato a preparare le varie bevande e in sala scoppiava un continuo boato di proteste per chi ancora non era stato servito.

-Eccola la nostra speranza…- sentii urlare al tavolo più lontano.. –Toby abbiamo fameeeeee…-

-Purtroppo mi hanno fornito di due sole braccia e due sole gambe…- rispondo sorridendo.. –Un secondo di pazienza e sono da voi per le ordinazioni…-

Già comincia una giornata impossibile.. Justin dovrebbe decidersi una volta per tutte ad assumere più camerieri. Mary pur essendo brava è veramente di un lento allucinante e io avrei bisogno di un aiuto un pò più sostanziale. Cerco di togliermi dai casini, quando vedo entrare dalla porta principale del locale Nicholas.

Per qualche istante lo osservo, poi riprendo ad ascoltare le ordinazioni e controllo che tutti mi abbiano detto quello che desiderano. Si guarda un pò attorno, poi lo vedo sedersi al bancone mentre solo ordina qualcosa a Mike. Velocemente corro in cucina per dare le ultime richieste e ritorno nel salone, dove da una parte all’altra reclamavano la mia attenzione.

Ogni tanto buttavo un occhio su Nicholas e non so, mi sembrava incredibilmente solo. I suoi occhi non si erano distolti un secondo da quel bicchiere, dove albergava un liquido marroncino, ma non sembrava gradirne molto il sapore. Chissà cosa lo preoccupava così intensamente.

Dopo due ore di intense scorribande avanti e indietro, il locale si liberò quasi del tutto, tranne dei miei compagni di scuola che rimanevano lì quasi tutto il pomeriggio a giocare a bigliardo a studiare come se fossero in biblioteca, insomma, quel locale aveva un sacco di funzioni e Justin ne era sicuramente felice, visto i grandi introiti che ne ricavava. Quando fui sicuro che nessuno per il momento avesse bisogno di me, posai la spugna con cui avevo lavato tutti i tavoli e mi portai affianco a Nicholas, che stupito guardò lo sgabello accanto a se trascinarsi.

-Oh…- disse sorridendo… -Mi sembrava strano che qualcuno avesse il coraggio di avvicinarsi..-

-Tranne le ragazze…!?- chiedo ridendo…

-Già…- dice lui annuendo.. –Tranne le ragazze…-

-Mi spiace…- gli dico sinceramente.. 

-Perché!?- mi chiede confuso…

-Non si stanno comportando bene..- gli dico guardandoli sconcertato… -Insomma…potrebbero almeno invitarti con loro e provare a socializzare..-

-Potrei farlo anche io..- mi dice sorridendo..

-Nicholas è diverso…- gli dico con aria stupita.. –Se andassi là a proporti, ti sentiresti un ficcanaso o ancora peggio, un intruso che cerca di farsi spazio.. O sbaglio!?-

Lui mi sorrise abbassando lo sguardo, avevo fatto centro.

-Non mi hai ancora detto…- mi disse lui un pò in difficoltà… -Come ti chiami…-

-Mi spiace…- dico io sorridendo apertamente.. –Sono sempre di fretta e non mi sono presentato…Tobias Cohen… Ma qui mi conoscono come Toby..-

-Bene…- mi dice lui porgendomi la mano.. –Piacere di conoscerti Tobias…-

-Toby andrà bene…- gli dico gentile…

La sua mano era....fredda, molto fredda. Subito alla mente arrivò un’immagine sfocata, con così tanta potenza che mi provocò una vertigine assurda e una sensazione diversa dalle altre. Ma…non riuscivo a capire cose fosse. So solo che spalancai gli occhi, mentre un moto d’angoscia mi attraversava il petto. Mi appoggiai un poco al bancone, mentre Nicholas preoccupato si era alzato dalla sedia cercando di capire cosa avessi.

-Toby….stai bene!?- mi chiese aiutandomi a sedermi..

-Si….si….- gli dico sedendomi tranquillamente… -Sono solo stanco, dovrei dormire un pò di più…-

Lui si era riseduto davanti a me e aveva continuato a osservare il mio volto, che molto probabilmente a poco a poco stava riprendendo colore. Mi sentivo decisamente meglio dopo questo strano capogiro, così, quando arrivarono accanto a me Cheve e Marc, mi ero ripreso del tutto.

-Fratello…vedo che hai fatto amicizia…- disse Cheve sorridendo amichevolmente a Nicholas…

-Beh….qualcuno doveva pur farlo!!- dissi io pavoneggiandomi e ridendo…

-Toby è stato molto gentile, devo dire che non essere trattato come un alieno da qualcuno è stato piuttosto confortante…- rispose tranquillo Nicholas..

-Il mio nome è Cheveyo…- disse porgendo la mano al nuovo venuto…

-Piacere…il mio nome lo sapete già…- disse lui salutando cordialmente anche Marc…

-Comunque…devi  sapere che siamo un pò tutti dei lupi di mare..- disse Cheve dando una pacca a Marc.. –Siamo ragazzetti un pò stupidi, ma vedrai che superato l’impatto ti troverai bene ad Amandil…-

-Non ne dubito..- disse Marc sorridendo.. –Basta solo che le mie prede, rimangano mie..-

-Lo prometto…non vi sarò d’intralcio ragazzi…- disse lui sorridendo, quasi nascondesse un segreto che non potevamo comprendere…

-Eh…però hai già messo in ombra uno di noi..- disse Marc tirandomi una sberla sul collo..

-Perché!?- chiese lui alzando un sopracciglio confuso..

-Come perché!?- chiese Cheve alzandosi e prendendo il mio viso tra le mani.. –Lo vedi questo faccino da angioletto!?-

Lui sorridendo annuisce con la testa e come al solito mi punta quegli occhi assurdi sullo sguardo. Quasi riesce a ipnotizzarmi quando ha quel viso così tenero e indifeso. Distolgo gli occhi, dando una gomitata a Cheve che tossendo molla la presa.

-Beh insomma, hai di fronte l’unico ragazzo che abbia fatto impazzire tutte le donne di Amandil…- disse Cheve sghignazzando..

-Non ascoltarli…- gli dico io avvertendolo… -Non riescono a pensare lucidamente quando si tratta di ragazze…-

-Beh…non lo trovo così difficile…- risponde lui sorridendo.. –Toby ha le carte in regola per corteggiare una ragazza.. Poi anche fisicamente è messo bene…-

-Si ma ora tu…gli hai rotto le uova nel paniere…- risponde Marc parandosi dietro di lui e ridendo…

-Sono certo che non cambierà nulla..- disse Nicholas convinto…

-Ah no…- gli dico io prendendo il block notes e avviandomi verso il tavolo da dove mi chiamavano.. –Sentiti libero di agire come vuoi…non ho tempo per queste cose…-

Li lascio soli mentre ridono e scherzano come amici di vecchia data e mi sento felice, sereno perché se non altro mi sono sentito utile per qualcosa. Sapevo perfettamente che nonostante l’impatto, Cheve e Marc sarebbero stati felici di conoscere Nicholas e che non avrei incontrato un muro da parte loro. Erano due ragazzi straordinari, mi sentivo davvero onorato di averli affianco e sapevo che Nicholas si sarebbe sentito a suo agio.

Presi le ordinazioni e chiesi a Mike di aiutarmi con i cocktail che mi erano stati chiesti.

Cheve stava ridendo con Nicholas, mentre evidentemente gli stavano raccontando qualcosa di me. Lui rideva animatamente, mentre facevano finta di nulla quando mi voltavo verso di loro con sguardo interrogativo.

Sembrava trovarsi bene insieme a quei due mattacchioni, quindi non mi preoccupai più di tanto e lasciai che si conoscessero un pò, in modo che Nicholas potesse entrare agevolmente a far parte del gruppo se lo desiderava.

Decisi di raggiungerli poco dopo per capire se volevano qualcosa da mangiare o da bere.

-Allora…dopo esservi divertiti alle mie spalle..- dico incastrando il collo di Marc tra il mio petto e il mio braccio.. –Volete qualcosa!?-

-Cameriere…faccia il suo lavoro.. Mica l’abbiamo chiamata…- disse Cheve con aria irritante..

-Attento fratello..- gli dico sorridendo.. –Oh Toby diventa manesco…-

-Mi fai davvero paura Toby…- disse Cheve ridendo..

Mi sento reclamare da un gruppo di uomini seduti al tavolo da gioco e immediatamente li raggiungo.

Ritorno al bancone e mentre preparo le ordinazioni, avverto nuovamente quella sensazione che avevo sentito la notte precedente. Questa volta però sento una fitta lancinante, che sembra perforarmi il collo. Cerco di ingoiare la saliva, ma è come se la gola si fosse ghiacciata all’improvviso, come se qualcosa mi impedisse di respirare, di inghiottire. Subito mi aggrappo al marmo del bancone e cerco di respirare piano piano, per recuperare il controllo. Socchiudo gli occhi e a poco a poco, nonostante ancora presente sento attutirsi quella strana sensazione.

Quando mi volto per prendere una bicchiere e preparare la bevanda, davanti a me…vedo un ragazzo.

Non lo conoscevo…ero sicuro di non averlo mai visto. Mi scrutava profondamente, con ostinata presunzione, mentre i suoi occhi neri come la pece mi scombinavano la mente. Ero rimasto letteralmente ammutolito, mentre avevo quasi l’impressione di avere il suo volto a pochi centimetri dal mio. Invece la sua mano sorreggeva il viso perfettamente definito, mentre era comodamente seduto sullo sgabello e appoggiato al di là del bancone che ci divideva.

Lo osservai senza comprendere ancora per qualche istante…ero certo di non averlo mai visto, quindi di non conoscerlo. Essere guardato con così tanta insistenza mi metteva a disagio, se poi ero osservato con fare strafottente e con così sfacciataggine, il disagio diventava fastidio. Era assolutamente vietato essere scortesi con i clienti, quindi cercai il modo di interrompere quella scomoda situazione.

-Posso offrirle qualcosa!?- chiedo abbassando lo sguardo e continuando quello che avevo interrotto..

-Hai degli occhi davvero singolari…- mi dice serio, sfoggiando una voce attraente, roca, profonda… -Sembrano…così sofferenti…-

-Cosa le posso offrire!?- dico facendo finta di nulla…

-Occhi azzurri, che cambiano colore, diventano chiarissimi o blu scuri…- mi dice non perdendo un singolo gesto che compio.. –In più il contorno è sempre azzurro intenso…con lunghe ciglia folte e nere…-

Poso il bicchiere che ho in mano e mi appoggio sospirando alla lastra di marmo, per un pò mi limito a sorridere sollevando un lato della bocca, poi alzo lo sguardo e non accenno a lasciarlo finché non la smetterà di analizzarmi.

-Hai intenzione di analizzarmi ancora per molto..!?- gli chiedo con un sorriso sulla bocca, ma con tono poco accomodante..

-Per caso ti da fastidio!?- mi chiede appoggiandosi allo schienale dello sgabello con fare audace..

-Semplicemente non capisco perché mi stai scrutando…- gli chiedo con poco tatto…

-Forse perché…- mi dice avvicinandosi al viso.. –mi ricordi qualcuno!?-

Lo osservo alzando le sopracciglia, mentre voltandomi verso i miei amici, noto Cheve e Marc guardare lo sconosciuto con sospetto e Nicholas stranamente teso, allerta, mentre con una mano sul tavolo sfiora il legno antico e poco levigato. Ritorno al mio interlocutore, sorridendo e mantenendo la calma.

-Io non ti conosco…- gli dico chiaramente, quasi al limite della maleducazione..

-Le cose sono due allora..- mi dice con un sorriso smagliate… -O non ci siamo mai visti, o forse…te ne sei dimenticato…-

-Non dimentico tanto facilmente…- dico sorridendo.. –Ho buona memoria…-

-Allora…mi sbaglio con qualcun altro…- disse poco convinto…

-Probabile…- gli dico aspettando ancora la sua ordinazione…

-Quelli sono i tuoi amici!?- mi chiede accennando a Cheve, Marc e Nicholas al tavolo…

-C’è qualche problema!?- gli chiedo sorpreso…

-No…ma non hanno un aspetto accomodante…- sorride divertito.. –hanno tutta l’aria di volermi…incenerire…-

-Forse perché hanno notato che essere interrogato mi fa venire i nervi…- gli dico con un sorriso scocciato..

-Posso avere una birra!?- mi chiede con quel suo viso da provocatore..

-Certo…- gli rispondo mentre vedo Mary passarmi davanti…

La raggiungo un istante e gli chiedo di occuparsi del tavolo da gioco, erano tutti pronti gli aperitivi quindi poteva occuparsi di portarli dai clienti. Corro in cucina, dove teniamo la scorta di birre e prendo il cestello pieno, che avrei dovuto mettere a posto a breve.

Quando arrivo, quello strano e bellissimo ragazzo mi stava aspettando e guardava spesso verso il tavolo dei miei amici, dove loro erano tornati a ridere e scherzare. Avanzai tranquillo mentre posavo la scatola della birra ai miei piedi e cercavo nel frigo al di sotto, una bevanda fresca da servire al cliente. Quando la trovai mi alzai e feci per prendere un bicchiere in cui versarla.

-No…non ti disturbare oltre…- mi dice con un sorriso travolgente, troppo bello per essere reale.. –La berrò così, dalla bottiglia…-

-Perfetto..- gli dico annuendo…

-Ecco..- dice lanciandomi sul bancone una banconota per pagare il conto… -Tieni pure il resto come mancia…-

Si fece per allontanare quando si voltò su se stesso e camminando al contrario, mi guardò un ultima volta. Era stupefacente, talmente bello da mozzarti il fiato. Che si poteva dire di un ragazzo del genere, era semplicemente di una bellezza perfetta. Capelli scuri, occhi scuri che sembravano una notte senza stelle, quelle ciglia che mettevano in risalto le iridi quasi surreali da quanto sembravano fredde. Quella bocca piccola e piena che si piegava in un ghigno perfido e allo stesso tempo ammaliante. Il corpo statuario e perfettamente proporzionato, sicuramente leggermente più possente del mio.

Chi era!? Mi sentivo stranamente curioso…

-Dimenticavo…- mi disse quando oramai fu vicino alla porta… -Complimenti per gli occhi…-

Rimasi sconcertato. Quello mi stava prendendo in giro…o altrimenti non sapevo davvero cosa pensare.

Ritornai al bancone e ancora turbato, non so bene per quale motivo, ripensai a quei pochi istanti.

Continuai a preparare bevande che a intervalli regolari Mary mi chiedeva, poi vidi Nicholas raggiungermi.

-Tutto….ok!?- mi chiede con tono preoccupato…

-Si certo..- gli dico sorridendo…

-Quello…ti ha dato fastidio!?- mi chiede evasivo, con un sorriso tranquillo e divertito…

-No…probabilmente aveva solo voglia di divertirsi un pò…- gli rispondo con un sorriso… -Peccato che io non fossi proprio dell’umore adatto…-

-Non lo conosci!?- mi chiede non curante..

-Non ho idea di chi sia..- gli rispondo tranquillo… -Sono certo di non averlo mai visto…-

-Capisco..- risponde evasivo.. –Beh….adesso devo andare…-

-A domani allora…- dico mentre lo osservo andarsene…

-Ah…Nicholas!!- guardo Cheve raggiungere il nuovo membro del gruppo e sorridergli amichevolmente.. –Domani insieme agli altri abbiamo organizzato una serata in riva al lago… Mangiamo lì e balliamo, ci scateniamo.. Proprio vicino a casa di Toby.. Vieni con noi dai…-

-Va bene..- risponde lui annuendo… -A domani Cheveyo…-

-Ciao…- si sorridono, poi Nicholas scompare dalla porta…

Cheve mi raggiunge, mi chiede una birra e mentre se ne va, sorride.

-Mi piace quel tipo…- dice soddisfatto.. –Tranquillo, divertente… Andremo d’accordo…-

-Avevo solo qualche dubbio su Marc…- dico io mentre recupero la birra.. –Diamogli il tempo di sentirsi a suo agio e credo passeremo dei bei momenti insieme..-

Quella giornata era stata…come dire, surreale!?

Benché non fosse accaduto niente di particolare avvertivo uno strano peso opprimermi il corpo, la mente. Mi sentivo come schiacciato da qualcosa di troppo grande, di troppo potente perché potessi sollevarlo da solo.

Quando Nicholas mi era stato vicino, davanti a me era passata un’immagine, del tutto sfocata e che non avevo assolutamente riconosciuto o definito nei suoi contorni. Ma mi aveva lasciato un senso di oppressione dentro, che mi aveva accompagnato per tutto il giorno, anche la sera mentre stanco mi aggiravo tra i tavoli per servire i nuovi clienti del pub.

Quando finii il turno era tardissimo, avrei ancora dovuto terminare un paio di cose ma la mattina dopo avevo lezione e Justin decise di finire lui al posto mio, in modo che potessi riposarmi un poco. Salutai tutti, mentre ormai in cucina si stavano mettendo in ordine le stoviglie e raggiunsi velocemente la macchina parcheggiata lì affianco. Ero distrutto, ma cercavo di raggruppare più ore possibili di lavoro per mantenermi il meglio possibile. Questo significava…tanta fatica, qualche soldo in più in tasca per gli imprevisti, ma poco riposo e scarse ore di sonno.

Erano le tre del mattino. Esattamente tra quattro ore ricominciava una nuova giornata.

Arrivai a casa in pochissimo tempo, tutto era buio e silenzioso. C’erano solo le onde leggere che si muovevano lente contro la spiaggetta circostante. E la luna si specchiava tra quelle acque blu, con giochi di luce e scintillii meravigliosi.  

Decisi di entrare in casa, ma…il sonno era passato, non sentivo nemmeno un briciolo di stanchezza portarmi a chiudere gli occhi. Le palpebre non sembravano avere proprio voglia di chiudersi.

Guardare il lago mi rilassava sempre, osservare la vita che lo popolava mi faceva capire che al mondo, c’era chi  era solo come me ma….che nonostante tutto, avevo un mondo attorno e che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a riempirlo.

Cos’era quel vuoto che mi sentivo dentro ogni volta che entravo in quella casa!?

Sentivo morire una parte di me, sentivo ogni volta qualcosa pesarmi come un macigno. Mia madre mi mancava da morire, in questi casi, lei avrebbe saputo sicuramente cosa dirmi, come confortarmi. Decisi di sedermi al solito posto, sul piano cottura, quella grande mensola di legno in cui mia madre era solita posizionarsi ogni volta che papà partiva per un viaggio.

Toccare ogni singola parte di quella casa, era come ripercorrere anni di vite, di sentimenti, di emozioni, sentire l’anima dei miei antenati sorridere e gridare dentro di me. La nostra vecchia casa sul lago, era sorta secoli fa ed era stata mantenuta in piedi con amorevole cura dai miei predecessori, con ristrutturazioni, lavori per rimodernarla e per tenerla sempre al passo con i tempi. C’era sempre qualcosa che rimaneva intatto, quel profumo che voleva dire amore, quell’atmosfera di famiglia di affetto che mi avvolgeva.

Mi alzai improvvisamente dalla posizione in cui ero e mi diressi davanti a quella porta che non era mai più stata aperta. Quella porta che significava tutto. Quello stesso uscio che avrebbe significato riaprire un vecchio e doloroso capitolo della mia vita. E appesa lì, ancora intatta, quella coccarda nera a lutto.

In dodici anni, non era mai stata tolta. Mia nonna, Meredith, sembrava volerla vedere lì per alimentare un risentimento ed un odio che non comprendevo, che non capivo.

Quando, già adolescente, decisi che era venuto il momento di cambiare, di togliere il lutto, mia nonna me lo impedì. Avevo staccato la coccarda e chiavi alla mano, avevo deciso che sarei entrato, che avrei finalmente vissuto quella stanza che da quando erano morti i miei genitori, era rimasta intatta. Esattamente come loro l’avevano lasciata. Ma quella volta, il mio tentativo fu inutile. Mio nonno mi scoprì nella stanza e quando lo comunicò a Meredith, la chiave scomparì dalla circolazione improvvisamente.

Forse, fu proprio da lì che cominciai a farmi qualche domanda in più. Forse fu da lì che cominciai a chiedermi perché fino ai sei anni, la mia famiglia mi raccontava delle leggende di Amandil e dalla morte dei miei genitori, quelle storie fantastiche divennero un solo lontano ricordo, tanto che non ne ricordavo una con un senso logico.

Mi feci forza e sfiorai quella maniglia gelida, mai più impugnata in quei lunghi anni. Potevo ancora sentire le lacrime pungermi gli occhi ripensando al quel bambino terrorizzato tra le braccia di Meredith, stringersi all’unica luce di speranza che gli era rimasta.

Affondai lentamente la mano nell’impugnatura e lasciai che la porta cigolasse, per poi aprirsi lentamente, con estenuante calma, prima di scorgere quel letto a baldacchino di un bianco panna. Entrai lentamente, quasi avessi paura di invadere il loro sonno, di disturbare il loro riposo. Era passato troppo tempo da quando bambino entravo urlando in camera e buttandomi su di loro, sicuro che due braccia forti mi avrebbero accolto. Sospirai mentre la mano correva su quei mobili, su quel letto morbido e ancora profumato, che sapeva di lei e della sua dolcezza. Sulla seggiola a dondolo ancora la vestaglia di seta rosa che usava la notte per ripararsi dal freddo. La presi in mano e portandola al naso, respirai profondamente, sentendomi riempire i polmoni dell’affetto materno, quello vero e incondizionato.  

Cominciai a guardarmi intorno, aprendo i cassetti un pò ovunque, cercando un qualcosa che potessi tenere sempre con me, qualcosa che mi dicesse che facevano parte del mio essere.

Mentre rovistavo nei cassetti, all’improvviso trovai un gioiello.

Un gioiello strano, sembrava molto antico e sulla parte posteriore, era inciso quello che era il nostro stemma di famiglia. Una farfalla adagiata su un pugnale. Rivoltai quell’oggetto tra le mani più di una volte, sulla parte anteriore aveva una forma arrotondata, al suo interno una farfalla blu era perfettamente conservata in un liquido quasi denso. Doveva essere un’esemplare assai raro da quanto era bella, aveva le ali blu e i contorni neri, di una bellezza fine ed elegante. Era protetta da quel vetro, che la rendeva ancor più lucente e una catenella in ametista viola, le conferiva quasi l’aspetto di un talismano. Alzai gli occhi, guardandomi attorno.

C’era qualcosa che mi sfuggiva, io non avevo mai visto questo gioiello o forse, ero troppo piccolo per ricordarmene. Affondai le mani ancora nel cassetto, in cerca di altri articoli che mi potessero dare qualche spiegazione, ma non trovai nulla, niente che potesse dirmi che fosse quell’oggetto particolare.

Mi sentivo stranamente inquieto, era come se quel talismano avesse al suo interno energie negative che convergevano verso di me, che avevano la capacità di influire sul mio umore.

Sentivo la testa scoppiare e riconoscevo che tutti quei dubbi, quelle domande che cominciavo a pormi, non avevano alcun fondamento.

Non avevo alcun motivo di dubitare della mia famiglia, di credere che dietro ad essa si nascondessero dei segreti, eppure…mi sembrava che ci fossero troppi pezzi del puzzle che non tornavano. C’era un pezzo della mia vita, che sembrava avere buchi assurdi, come se la mia mente appositamente fosse riuscita a cancellare eventi o situazioni spiacevoli che mi avevano lasciato dentro un senso di angoscia.

Cos’erano!? Sembravano ricordi appesi a qualche evento particolare, che mi aveva sconvolto ma che nonostante tutto non riuscivo a ricordare, anche se ero ad un passo per entrarne in mezzo. Decisi di tenere con me il talismano e corsi via da quella stanza, trascinando con me quella porta scricchiolante.

Mi appoggiai alla soglia, mentre sentivo dietro la mia testa, la coccarda nera morbida accarezzarmi il capo. Raggiunsi velocemente la cucina , aprii l’acqua fredda e vi buttai sotto la testa…

Il gettito gelido mi fece quasi mancare il respiro, come se una lama mi avesse tagliato la testa a metà, ma a poco a poco, mi tranquillizzai e lasciai gocciolare i capelli mossi e fradici.

Quella sensazione angosciosa, di ricordi rimossi era scomparsa, non la sentivo più. Cercai di asciugare i capelli con l’asciugamano che avevo lì affianco, mentre quei riccioli ribelli, prendevano nuovamente posto naturalmente e scompostamente.

Mi adagiai di fronte al caminetto, mentre mi accovacciavo sul divano appallottolandomi su me stesso.

Respirai a fondo molte volte, cercando di riprendere un controllo che avevo perduto. I capelli umidi mi fecero tremare violentemente, quindi decisi di accendere il caminetto e mi procurai la legna necessaria.

Mi sedetti affianco al camino, in modo che potessi scaldarmi più velocemente e quando fu sufficiente mi avvolsi sulla coperta appoggiata al divano e mi appoggiai ad esso.

Non so, forse esausto e preoccupato, il sonno arrivò velocemente. Sentivo i sensi abbandonarmi e i nervi rilassarsi, mentre le mani stavano perdendo il contatto con quello che avevano attorno. Ben presto non sentii più nulla.

Non fu certo una notte tranquilla, dormii poco più di due ore e malissimo. Mi rigirai nel divano molte volte, sempre in un continuo dormi veglia, agitato e sconnesso.

E ancora una volta, percepii una presenza attorno a me. Forse era il momento in cui dormivo più profondamente, ma sentii distintamente una mano sfiorarmi il mento e toccarmi leggermente le labbra. Mi mossi un poco, ma non appena realizzai che qualcuno poteva essere lì realmente, mi agitai nel sofà, alzandomi velocemente ancora con gli occhi impastanti nel sonno. Mi guardai attorno velocemente per capire quello che stava accadendo, ma di nuovo, nulla.. Non c’era alcun segno di presenze umane nella stanza, le vetrate erano chiuse, intorno a me niente faceva presupporre una intrusione a scopo di rapina o altro. E il mistero si infittiva…il mio disagio aumentava, le mie domande senza risposta diventavano sempre più fitte…

A breve, le lontane campane della chiesa di Amandil, sarebbero suonante con tutta la loro potenza, facendo destare dal sonno chi ancora dormiva profondamente nel loro letto caldo e accogliente. Guardai quel talismano appoggiato alla tavola, mentre velocemente decidevo come comportarmi.

La mia figura, riflessa nella vetrata del salone, mi permetteva di vedere me stesso e di scoprire un volto teso, agitato….non impaurito, quello no, ma se la mia famiglia davvero aveva dei segreti, che non erano mai stati svelati, questo non prometteva bene. Mi avvicinai a quella immagine riflessa e guardai intensamente quegli occhi blu, che spesso avevano ipnotizzato molte persone vista la rara bellezza che possedevano.

Io ero sempre stato un ragazzo semplice, non mi ero mai soffermato all’apparenza delle cose. Odiavo la superficialità e l’ignoranza che ne scaturiva. Ero dell’opinione che una volta passato del tempo, il fascino esteriore di ognuno di noi, veniva meno e a quel punto la bellezza interiore, era l’unica cosa che ci rimaneva. Quando mi guardavo allo specchio, indubbiamente vedevo un ragazzo molto bello, non potevo dire il contrario, sarei stato ipocrita, ma non avevo basato la mia vita su quello. Se solo avessi voluto, avrei avuto tutte le ragazze che volevo, eppure….non me ne ero mai approfittato, perché amavo rispettare chi mi era intorno, considerare che oltre ai miei sentimenti, c’erano anche le emozioni e le anime altrui.

La natura indubbiamente mi aveva donato fascino e bellezza, ma avevo anche coltivato la mia mente, in modo che oltre che con il cuore, ragionassi anche con la testa. E la mia testa, per mia fortuna o per mia sfortuna, non riusciva a compiere un passo senza prima averci pensato su un millennio.

Guardai quei riccioli neri, quegli occhi chiari, quel fisico statuario riflesso nello specchio trasparente e mi sembrava di chiedere a me stesso, cosa dovessi fare, se era  giusta la decisione che stavo per prendere. Se il mio segreto fosse stato scomodo, coinvolgere qualcuno sarebbe stata una pessima idea.

Ma decisi velocemente… La mia famiglia non poteva avere segreti scomodi, era impossibile..

Sospirai convincendomi del fatto che la mia immaginazione, i miei dubbi, corressero troppo velocemente e inutilmente. Raggiunsi il piano superiore, mi lavai con fretta e con altrettanta velocità mi rivestii raggiungendo l’auto.  

Quando fui in auto, collegai il cavo dell’auricolare al cellulare e effettuai la chiamata che mi interessava.

Dopo qualche squillo, sentii la subito la voce di Cheve rispondermi tranquilla. Mi rasserenai all’istante..

-Ehi fratello…- mi dice sollevato.. –Che mi dici?! Come mai mi chiami…!?-

-Ti passo a prendere Cheve…- gli dico senza dargli spiegazioni.. –Tieniti pronto…tra poco sono lì…-

-Toby….è tutto ok!?- mi chiede preoccupato..

Aspetto prima di rispondere, non so cosa dirgli. Vorrei potergli dire che è tutto a posto e che mi sento tranquillo, ma non è così. Se non parlavo con qualcun rischiavo di impazzire, troppe cose cominciavano a diventare poco chiare e io avevo troppi dubbi per sentirmi sereno. Avevo solo bisogno di sentirmi dire che ero semplicemente condizionato da quello che Cheve mi aveva detto, ma che non avevo nessun motivo per sentirmi così confuso.

-Io…veramente non lo so Cheve…- gli rispondo con calma… -Ho bisogno di parlarti, ma non per telefono, non me la sento…-

-Dove sei…!?- mi chiede con tono apprensivo…

-Sono quasi sotto casa tua….scendi…- gli dico riattaccando…

Percorro ancora qualche metro, poi, svoltando l’angolo incontro lo sguardo di Cheve che correndo mi raggiunge, con agilità monta sulla jeep e io mi allontano velocemente.

-Ti sei messo n qualche casino!?- mi chiede preoccupato…

-No…- gli dico guardandolo profondamente… -Ti sembro il tipo!?-

-No…- dice lui scuotendo la testa.. –Ma è la prima volta che ti vedo così teso…-

-Te l’ho detto…ti devo parlare…- gli dico guardandolo con tranquillità…

-Dove andiamo…!?- mi chiede con un sorriso sornione..

-Ovvio…nel nostro posto segreto…- gli dico io con un flebile sorriso…

Il nostro posto segreto… Era una piccola radura in cui una piccola cascata, creava  un ruscello che scorreva fino a valle alimentando il Lago Manitoba. Quel posto, ce lo aveva mostrato Denny, mio padre, in una delle nostre escursioni della domenica. Prendeva me e Cheve e ci raccontava che era importante conoscere i luoghi che ci circondavano, scoprendo anche i più piccoli luoghi sperduti. Per poterne godere, per poter passare momenti spensierati e avere un luogo tutto nostro come ritrovo, in modo da sentirci a casa.

Eravamo rimasti totalmente incantati da quel luogo, sperduto tra le montagne che circondavano Amandil e ogni volta che avevamo un problema serio di cui parlare, ci rifugiavamo in quella radura, sicuri che nessuno ci avrebbe scoperti. Era come trovarsi al centro del mondo ma…sicuri che nessuno ci avrebbe notati. Le montagne intorno ad Amandil, dominavano il territorio del Canada, alte e impetuose si inserivano in quelle pianure diventando un centro di attrazione, eppure, quasi nessuno si ci avventurava.

Con il mio fuori strada, era facile arrivare abbastanza vicini alla nostra meta. Mi avventurai in quelle stradine piccole, sterrate e Cheve, con aria furtiva, mi osservava di soppiatto, cercando di captare cosa potessi provare in quel momento. Cercando di capire cosa potesse turbarmi.

Quando arrivammo, lì dove la strada si interrompeva, proseguimmo per dici minuti a piedi, senza parlare mentre con preoccupazione a volte toccavo la tasca, in cui conservavo quello strano amuleto. Arrivammo a un piccolo tunnel naturale, in cui i rami degli alberi si erano intrecciati tra di loro formando quel piccolo rifugio quasi del tutto buio. In fondo ad esso una gran luce illuminava debolmente quel piccolo tragitto e in poco tempo, ci trovammo in quel piccolo paradiso. Il sole si stava alzando nel cielo, illuminando la valle sottostante, i deboli raggi del sole, scaldavano quella fredda mattinata mentre qualche piccola goccia della cascata trasportata dal vento ci fece tremare qualche istante. Cheve si era avvicinato al piccolo torrente, mentre aveva immerso una mano nella acque trasparenti e gelide. Semplicemente aspettava…cercava di lasciarmi il tempo necessario per decidermi a parlare.

Lo raggiunsi e estrassi dalla tasca l’amuleto, tenendolo in mano custodito.

-Tuo padre….ti ha mai parlato della mia famiglia!?- gli chiedo diretto..

-Che domanda Toby…- mi dice sorridendo Cheve.. –Nella mia famiglia si è sempre parlato di voi…sai quanto mio padre volesse bene a Denny…-

-Lo so…- gli dico io perplesso.. –Ma quello che mi chiedo è se ti ha mai detto di qualche strano avvenimento…o di un segreto che mio padre doveva custodire, ma di cui non ha mai parlato con nessuno…-

-Denny non aveva segreti..- disse Cheve sicuro.. –o perlomeno non ne aveva con mio padre…-

-Ci sono cose che a volte non sai come dire…- gli dico io evasivo.. –Non possiamo mai conoscere completamente una persona…-

-Su questo ti do ragione…- disse il mio amico annuendo.. –ma insomma…stiamo parlando di tuo padre.. La persona più trasparente che abbia mai conosciuto!! Adahy me lo dice continuamente che Denny era speciale e che tu sei come lui…-

-A volte ho l’impressione che qualcosa non torni…- dico sedendomi accanto a lui..

-Si può sapere che ti succede!?- mi dice lui guardandomi deciso, mentre i suoi occhi scuri si fanno dolci..

-Ho trovato una cosa a casa…e speravo che tu sapessi qualcosa a cui collegarlo…- dissi aprendo la mano che nascondeva l’amuleto…

-Cos’è!?- mi chiede Cheve avvicinandosi a me e osservando attentamente il talismano che ho tra le mani..

-Non lo so…sembra quasi un talismano…- dico confuso, senza sapere cosa potesse farsene la mia famiglia di un amuleto..

-Questo è un talismano Toby…- mi dice Cheve del tutto certo..

-Era quello che sospettavo…era troppo diverso da un normale gioiello…- gli rispondo mentre lo osservo da vicino… -Come fai ad essere così sicuro che è un amuleto!?-

-Emana una strana energia…non so come spiegarlo.. Guarda…- mi disse facendomi notare il liquido che si muoveva… -è come se  ogni volta che lo muovi, si formino delle strane onde, una strana forza.. Porta inquietudine…-

-Mi angoscia…- dico io stringendolo tra le mani.. –Mi porta ansia, preoccupazione… Non capisco…-

-A chi appartiene!? Lo hai scoperto!?- mi chiede tranquillo, come se escludesse del tutto che potesse appartenere alla mia famiglia..

-L’ho trovato nella cassettiera della stanza dei miei genitori…- dico pensando che capisse…

-Sei entrato nella stanza!?- mi chiede sorpreso…

-Si…questa notte…- gli dico sempre più confuso.. –Non riuscivo a dormire ed ero sempre più inquieto.. Così, frugando nei cassetti in cerca di qualcosa che potessi portarmi dietro, nel tentativo di avere qualcosa di loro sempre accanto, ho trovato quello…-

Lo stringo tra le mani, mentre quella strana sensazione di angoscia, diventa sempre più palpabile, sempre più evidente. Era come se in quel talismano si nascondesse qualcosa di così penoso, che non riuscivo a sopportarlo. Cheve sembrava curioso, ma allo stesso tempo non capiva la portata della mia preoccupazione, forse perché ancora non gli avevo detto tutto quello che sapevo.

-Ma hai capito di chi è o no!?- mi chiede nuovamente, questa volta inchiodandomi con lo sguardo…

-Si che l’ho capito…- gli dico voltandomi a guardare i suoi occhi scuri e lucenti.. –Appartiene alla mia famiglia Cheve…-

Lo vedo sgranare gli occhi, mentre leggo chiaramente dentro di lui un momento di smarrimento, di confusione, di panico e poi la mia stessa espressione…l’ansia, mille domande a cui non potevo dare risposte. Per un istante, cerca di riprendere il controllo di se stesso, si prende le grandi mani l’una nell’altra e le sfrega rumorosamente. Le osserva con troppa concentrazione per un gesto così semplice, poi dopo qualche istante mi fa l’unica domanda a cui potevo dare una risposta.

-Come fai a sapere che appartiene alla tua famiglia…?!- mi chiede con sguardo rilassato ma allo stesso tempo pensieroso..

-Guarda…- gli dico avvicinandomi a lui e girando l’amuleto… -Lo vedi questo!?-

-Un pugnale con una farfalla appoggiata…- mi dice lui osservando attentamente l’incisione…

-Esatto…quello è lo stemma della mia famiglia…- gli spiego vagamente…

-Non sapevo che avevate uno stemma…- mi dice lui sorridendo…

-Se è per quello nemmeno io..- dico guardando Cheve con un ghigno.. –L’ho scoperto per caso un paio di anni fa… C’era una foto, in cui compariva chiaramente, ma non ricordo altro.. Come in altri casi, i miei nonni furono evasivi.. Mi dissero solamente che quello, era lo stemma di famiglia…-

-Abbastanza inquietante Toby come stemma..- mi disse lui con delicatezza…

-Un pugnale…e una farfalla…- dico guardandolo comprensivo.. –non è proprio il massimo…-

-Beh…se non altro ha un certo fascino…- dice lui cercando di sdrammatizzare...

-Cosa devo fare?!- gli chiedo con tristezza..

-Toby…cosa vuoi fare!?- mi dice lui mettendo una mano sulla gamba, per confortarmi.. –Non hai nessun elemento…è strano ovviamente, ma è inutile tormentarsi.. Non hai nessuno che possa aiutarti a spiegare alcune cose…se solo ci fossero ancora Carlos e Meredith…-

-Mi devo rassegnare ad avere domande senza risposte!?- dico tra il convinto e il deluso…

-Io non credo  che la tua famiglia abbia segreti inconfessabili…- mi disse lui sorridendo…

Se era per quello nemmeno io ci credevo, sembrava davvero assurdo che la mia semplice famiglia potesse nascondere segreti inconfessabili. E pensandoci bene, forse stavo solo diventando paranoico.

-Pensa Toby se ti trovassi un cadavere in cantina…- disse lui ridendo sonoramente.. –Finalmente le tue tristi giornate si movimenterebbero un pò…-

Scossi la testa sorridendo e cercai di pensare che tutto quello che stavo provando, quello che mi stava succedendo, probabilmente era dovuto al fatto che l’ultimo anno era stato infernale. Le mie certezze, con la morte dei miei nonni, erano crollate e ritrovarmi solo, con tutte quelle domande che spesso mi balenavano in testa, non era facile perché loro erano gli unici che potevano darmi delle risposte.

Ma anche se dietro a questa storia ci fosse stato un qualche mistero, non poteva essere nulla di così terribile o inquietante. I miei genitori erano sempre stati meravigliosi, dolci, affettuosi. Avevo un ricordo tenerissimo di loro.

Parlare con Cheve mi fece sentire molto più sereno, tranquillo. Anche lui aveva conosciuto i miei familiari e il fatto che anche lui la pensasse come me, mi rendeva sicuramente molto più sicuro della mia posizione. Rimanemmo lì ancora qualche istante, mentre la tranquillità finalmente si impossessava di me, di ogni centimetro del mio corpo. Mi sdraiai sull’erba profumata, mentre qualche piccolo fiore faceva capolino qua e là nel bel mezzo della radura. Presi lentamente un piccolo filo d’erba, affilato e mentre lo sforavo, mi procurò una leggera ferita al dito. Subito raccolsi la piccola goccia di sangue che si era fatta strada lungo l’indice e l’asciugai con un piccolo fazzoletto che avevo a portata di mano nei miei pantaloni mimetici.

Poi sentii dietro di me, come un ringhio sommesso, mentre uno frusciare di cespugli era divenuto evidente e continuo. Mi voltai immediatamente, mentre con fare protettivo mi parai davanti a Cheve, che guardingo mi si era affiancato immediatamente.

-Che cos’è stato!?- mi  chiede guardandomi con viso grave…

-Non saprei..- gli dico mentre con attenzione e tranquillità mi osservo intorno.. –Ma qualsiasi cosa fosse, non era di certo in tempo di pace…-

-Quello è un dato di fatto..- mi disse Cheve con aria preoccupata..

Cercai di far fermare quel piccolo rivolo di sangue che tranquillo, scorreva lungo la mia mano.

Nuovamente, sentii uno frusciare tra le piante e un ringhio più tranquillo, ma pur sempre minaccioso. Cercai di avvicinarmi alla fitta vegetazione, per tentare di capirci qualcosa, mentre sentii dietro agli alberi qualcosa di incredibilmente veloce muoversi sinuosamente, emettendo un piccolo sibilo minaccioso. Sembrava quasi volermi avvisare di non avvicinarmi, come se cercasse di tutelarmi, altrimenti, non mi avrebbe risparmiato.

-Cheve…raggiungi la macchina…- gli dico autoritario…

-Che cosa!?- mi dice contrariato.. –Io non ti mollo qui…potrebbe essere qualsiasi cosa… Un orso, un puma…-

-Non essere stupido Cheve…- gli dico tranquillo.. –Lo sai anche tu che sei più lento di me nella corsa…allontanati piano piano da qui e vai sulla jeep.. Dovrebbe esserci un fucile.. Eventualmente, se non fossi ancora arrivato torni indietro ad aiutarmi…-

-Vieni via con me…- mi dice lui agitato..

-Lo sai anche tu che è troppo rischioso…- gli dico cercando di non gridare troppo.. –se ci mettiamo a correre entrambi la confusione potrebbe irritarlo ancora di più… Senti come si sposta velocemente?! Non possiamo rischiare…-

-Va bene…- mi disse lui ancora poco convinto.. –ma non ti muovere di un millimetro Toby… Giuro che se fai qualche cazzata te la vedrai con me dopo!!!-

-Se sono ancora vivo…- ironizzo io, con tono canzonatorio…

-Idiota…- sibila lui, mentre sento i suoi passi felpati allontanarsi con calcolata tranquillità…

Mi volto lentamente, mentre vedo che Cheve è scomparso dalla mia vista. I movimenti al di là della fitta vegetazione si sono fatti meno frenetici, ma ugualmente veloci e regolari. Aspetto solamente di confrontarmi a viso aperto con chi al di là della vegetazione, si muove agitandosi, emettendo qualche soffocato ringhio.

Mi sento stranamente guardingo, come se tutti i miei sensi fossero diventati talmente sensibili da percepire anche movimenti di piccola entità, appena percettibili. Mi sento strano, quasi euforico.

E finalmente sento avvicinarsi a me qualcosa.

Ti sto aspettando…

Dal buio della foresta, qualcosa…sta prendendo forma…

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Capitolo 2
*** Capitolo due.. ***


Amandil 2

Capitolo due.

 

E quando l’ombra dilegua e se ne va,

la luce che si accende diventa ombra per altra luce.

E così la vostra libertà, quando spezza le sue catene,

diventa essa stessa catena di una più grande libertà.

Kahlil Gibran

 

-Devi stargli lontano…- mi dice il mio fratellino protettivo…

-Quale è il tuo problema!?- gli dico scocciato…

-Nessun problema…ma voglio stare tranquillo…- mi dice lui tassativo…

-Il problema è Tobias….no!?- dico guardandolo fisso e sorridendo, riconoscendo in me un fare quasi demoniaco…

-Quando fai così mi spaventi…lui ci odierà se solo sapesse…- mi spiegò lui, mentre sapevo perfettamente quali sarebbero stati i suoi sentimenti nei nostri confronti… -Promettimi che gli starai lontano…-

Sorrido sonoramente, lo guardo con provocazione sapendo che non posso mantenere quella promessa…

Per quanto potessi volerlo, non ci riuscivo..

-Mi spiace…- gli dico avvicinandomi e guardando attentamente i suoi occhi cristallini.. –Non posso farlo…-

Lo sento voltarsi verso di me, fa qualche passo per raggiungermi, ma sento il suo aroma ed è troppo potente il richiamo per ignorarlo…

-Ryan…- mi volto un poco, gli sorrido e velocemente scompaio nella nebbia mattutina…

 

Osservo attentamente la figura che a poco a poco, si fa sempre più definita.

Il cuore mi batte vigorosamente, l’idea di combattere contro qualcosa o qualcuno mi rendeva inquieto. Riposi il talismano nella tasca e non so per quale motivo ma era come se la sua energia, si fosse quadruplicata. Sentivo il battito accelerato, convulso, frenetico e un dolore lancinante alla sinistra del collo. Come una lama che mi trafiggesse da parte a parte. Cercai di abituare gli occhi al quel buio fitto che non lasciava intravedere quasi nulla. Socchiudo gli occhi per un secondo mentre nel buio della foresta, una figura umana si fa spazio.

E per la seconda volta…rivedo quel misterioso ragazzo. Quei suoi occhi da cerbiatto, con quelle ciglia folte e inarcate, quelle iride così nere..

Sembra assurdo, ma nello stesso istante in cui lo vedo rimango come incantato, come irrigidito. La sua presenza mi incuriosisce, ha intorno a se un’aura di mistero che mi rende desideroso di conoscerlo e allo stesso tempo timoroso. Ma sono impaziente…come se sapere chi è possa cambiare il corso delle cose. Si para dinnanzi a me, guardandomi con quello sguardo intenso, singolare. Non so letteralmente che cosa dire.

-Ci rincontriamo…- mi dice con quel sorriso attraente..

-A quanto pare…- gli rispondo non curante, come se vederlo non mi procurasse alcun problema…

-Mi stai seguendo…!?- mi chiede divertito..

-Potrei dirti la stessa cosa..- gli dico io glaciale..

-Non amo seguire i ragazzi, preferisco le donne…- mi dice con un ghigno provocante... –Sono delle prede….eccitanti…-

-Prede!?-  esclamo con un sorriso sarcastico… -Parli come se fossero degli animali… hai davvero uno strano modo di considerare le persone…-

-Siamo tutti animali..- mi dice lui con sguardo tenebroso, talmente oscuro che mi innervosisce… -In un modo o nell’altro, riusciamo tutti a comportarci come bestie!! È nella nostra natura…-

-Abbiamo facoltà di scelta…- rispondo io non condividendo il suo pensiero.. –C’è sempre una seconda scelta... Noi possiamo pensare e agire di conseguenza…-

-L’animale che ti stava puntando poco fa….- mi disse con tranquillità… -Aveva già scelto quale fosse la tua sorte…-

-Ma non l’ha fatto…sono qui e sto parlando con uno sconosciuto…- gli dico io con sguardo affilato…

-Ma è stato solo un caso…- mi disse con disarmante semplicità… -Sei stato semplicemente fortunato… A quest’ora avrei potuto raccogliere il tuo corpo senza vita..-

-Forse è la testimonianza che ogni essere vivente ha un’anima…- gli dico io seguendo il suo girarmi attorno, mentre come un cacciatore mi osserva profondamente..

-Ne sei così sicuro!?- mi chiese con un sorriso perfido.. –Potresti stupirti della malvagità degli uomini e degli esseri viventi se solo fossi meno disincantato…-

-Non ti seguo..- gli dico con sempre più difficoltà nel seguire i suoi ragionamenti criptici.. –non capisco nemmeno cosa ci abbia portato a discutere di questo…-

-Semplicemente gli eventi…- mi risponde lui con facilità.. –Stavi per essere divorato…e…ti stavo spiegando che è nella natura di tutti gli esseri viventi essere malvagi…-

-Anche tu…?!- chiedo inclinando il viso verso di lui…

-Sei troppo curioso Tobias…- mi dice sorridendo… -Ma…anche tu potresti riscoprirti più malvagio di quanto pensi…-

-Tu sai chi sono…- gli dico socchiudendo leggermente gli occhi e sentendomi improvvisamente fragile… -Perché io non ti conosco…?!-

-Suvvia…Amandil non è poi così grande Tobias…- mi disse lui sorridendo..

Mi si avvicinò leggermente al viso, guardandomi come sempre con attenzione. Aveva qualcosa di oscuro intorno a se, potevo percepirlo con facilità. Era come se dentro di se, qualcosa urlasse.

Dal canto mio, dentro la mia anima, qualcosa mi diceva di fuggire il più lontano possibile, mentre la parte più curiosa, affascinata, si sentiva attratta verso quel ragazzo indubbiamente poco limpido.

-Qual è il tuo nome!?- gli chiedo semplicemente.. –Tu sai chi sono io… Ma io non so nulla di chi sei tu..-

Lui si avvicinò, mi guardò per un istante serio mentre il nero dei suoi occhi sembrava diventare parte integrate di me stesso. Sorrise misteriosamente, chissà per quale strano motivo, come se leggesse dentro di me qualcosa o semplicemente ricordasse avvenimenti che lo faceva divertire.

-Adesso stai diventando un pò troppo curioso…- mi disse con quella sua voce mansueta, ma quasi tagliente..

Non parlai, stavo cercando di capire quanto fosse ancora risoluto nel rimanere avvolto nel mistero. Ma i suoi occhi, così severi e duri a volte, adesso sembravano meno decisi, meno convinti nel mantenere una posizione netta. Cercai il modo per avvantaggiarmi di quell’improvviso smarrimento nei suoi occhi, ma quando provai a richiederlo per una seconda volta, sentii la voce di Cheve chiamarmi lentamente, mentre sentivo i suoi passi più vicini.

Mi voltai lentamente per vederlo arrivare, mentre in lontananza la sua grande figura cominciava a comparire. Mi chiamava adagio, con voce quasi impercettibile, tanto che mi stupii di averlo sentito. Temeva che l’animale, sentendo troppo rumore si sarebbe irritato, deciso ad attaccare.

-Cheve…tranquillo…- gli dico a gran voce.. –Se n’è andato…-

Mi voltai nuovamente verso il misterioso sconosciuto, convinto a non lasciarlo andare finché non mi avesse detto il suo nome, ma quando mi girai, mi resi conto che…non c’era più!! Mi aveva fregato!!

Si era approfittato della mia distrazione per andarsene e probabilmente, per mantenere l’anonimato. I discorsi che aveva fatto con me, fino a pochi minuti fa, mi avevano colpito. Non era da tutti sentirsi dire cose del genere, sembrava una di quelle persone che dopo aver patito sofferenze e delusioni, aveva cominciato ad avere una visione della vita e del mondo che lo circondava, assai negativa, disincantata.

Era sparito così all’improvviso, velocemente…mi guardai un pò attorno, per capire se fosse ancora nei dintorni ma…non c’era proprio traccia. Mi voltai verso Cheve che sorridendo rilassato stava arrivando verso di me. Vedendomi confuso, mi guardò per bene prima di parlare poi si avvicinò a me posandomi una mano sul braccio.

-Tutto ok!?- mi chiede con preoccupazione..

-Si si…- gli dico sorridendo e facendo finta di nulla.. –Tutto a posto, alla fine probabilmente non era così affamato…-

-Dovremmo stare un pò più attenti Toby d’ora in poi..- mi dice Cheve… -Non si sa mai cosa potrebbe accadere nelle terre di Amandil…-

-Ricominci!?- gli dico sorridendo…

-Una leggenda del mio popolo raccontava che un tempo, in queste terre vivevano due clan contrapposti…- mi disse Cheve pensieroso…

-Due clan!?- gli chiedo io con stupore… -Che tipo di clan!?-

-I miei antenati li chiamavano i Clan delle Tenebre e il Clan della Luce…- mi disse lui vago.. –Sembrerebbe che i due gruppi, contrapposti, per un lungo periodo abbiano convissuto tra di loro in pace ed armonia…-

-Non sai altro!?- gli chiedo io curioso, mentre percorrevamo la strada del ritorno…

-Poi un giorno gli equilibri si sono rotti e…da quanto la mia gente ha compreso, c’è stata una feroce guerra durata secoli…- mi disse lui sorridendo e chiaramente divertito…

-Non ci credi?!- gli chiedo io con un sorriso ironico…

-Ti sembro il tipo da credere a simili idiozie!?- mi chiede con un sorriso travolgente.. –Toby, i nostri antenati hanno sempre raccontato leggende per intimorire noi bambini curiosi.. Gli spiriti captano qualcosa, ma…non sono chiromanti…-

Rido di gusto, mentre ripenso a quella strana leggenda. Mi ricordava qualcosa, forse anche a me anni fa avevano raccontato qualcosa di simile. Ma è passato troppo tempo per ricordarsi di tutto questo, i miei ricordi in temi di leggende, di racconti su Amandil era davvero poco chiari e parecchio sfocati.

Mentre saliamo in macchina, Cheve parla continuamente, è bello guardarlo agitarsi mentre gesticola e mi racconta le sue disavventure con la sua famiglia. Mi piace ascoltarlo parlare di sua madre, di suo padre, dei suoi numerosi fratelli, ci mette tutto il suo cuore, esattamente come farei io se li avessi ancora con me.

Mi sentivo parte della famiglia di Cheve, loro mi amavano immensamente e spesso, si erano presi anche cura di me, delle mie ferite del mio dolore. Ma l’affetto e il calore della famiglia, quello mi mancava molto. I miei genitori mi mancavano molto. Per quanto fossi forte, coraggioso, quello era l’argomento che più mi faceva male dentro. Sentivo un peso opprimermi il cuore ogni volta che pensavo al dolce sorriso di mia madre o agli occhi buoni e trasparenti di mio padre.

Cheve, era molto sensibile quando si trattava di me, era come se fosse il mio fratello maggiore, che si preoccupava e dava da fare per farmi sentire meno solo. Nonostante questo senso di protezione fortissimo, aveva un anno in meno di me e il suo atteggiamento, tradiva una maturità allucinante considerando i suoi diciotto anni.

Cominciammo a parlare del più e del meno, mentre decidevamo come strutturare la festa che avevamo organizzato per il pomeriggio, sul tardi. Avevo chiesto a Justin se mi dava un giorno di festa, Cheve non me lo avrebbe mai perdonato se avessi deciso di dargli buca dopo una settimana che mi chiedeva di essere presente. Se conoscevo Marc, una buona parte delle cose era già stata organizzata.

Sapevo per certo che si sarebbe occupato della musica e del cibo, aiutato da Nicholas. Marc amava fare baldoria, l’unico problema era che a quelle feste invitava sempre un sacco di gente, spesso anche poco raccomandabile. Più di una volta eravamo stati sul punto di arrivare alle mani con gente che voleva vendere della droga alle nostre feste e il tutto, come sempre, finiva con tanta rabbia e con un nervosismo allucinante. Questa volta eravamo stati chiari, poche persone e che soprattutto conoscevamo. Quindi eravamo finiti con raccogliere una trentina di ragazzi, tutte affidabili per passare una serata allegra e senza intoppi.

Non ci mettemmo molto ad attraversare la fitta foresta che contornava la mia casa al lago e arrivare sulla spiaggetta attigua. Mentre percorrevo quella piccola parte di sterrato per arrivare a casa, notai Marc sbracciare nella nostra direzione e Nicholas, intento a mettere a posto qualcosa che non capivo cosa fosse.

Marc, a poco a poco, si avvicinò a noi, mentre io e Cheve posteggiammo l’auto.

Subito ci corse incontro e ci salutò calorosamente. Trascinò Cheve con se, chissà per quale motivo e li vidi salire in casa con tutta tranquillità. Ormai la mia casa era come un porto di mare, entrava e usciva chi voleva, ma finché erano i miei amici la cosa non mi turbava.

Nicholas tranquillo osservava il lago, dopo aver montato quella che da lontano non ero riuscito a definire. Marc aveva preso delle potenti casse per amplificare i suoni e le aveva posizionate intorno a quel piccolo palco in legno posizionato in mezzo alla spiaggetta.  

-Ehi…- gli dico posandogli la mano sulla spalla..

-Non ti ho sentito…- mi disse confuso… -Pensavo fossi con gli altri…-

-Eri qui solo Nicholas…e poi…hai sempre questo sguardo così…- mi interrompo…

Adesso rischiavo di essere indiscreto. Nicholas spesso mi angosciava, i suoi occhi così belli, così espressivi, così sinceri e limpidi mi mettevano tristezza. Lo osservavo mentre con un sorriso enigmatico, perlustrava quel bellissimo panorama naturale che si apriva di fronte a noi. Si voltò verso di me, mentre con uno sguardo confuso e grato mi sorrideva tranquillo.

-Non ho mai incontrato uno come te Toby..- mi dice con trasporto…

-Perché!?-

-Mi conosci a mala pena e ti preoccupi…di come mi posso sentire…- mi risponde con un sorriso ampio e felice..

-Oh beh…- esclamo imbarazzato.. –Sai…solitamente cerco di essere un pò più discreto!! Forse è che tu mi sei particolarmente simpatico…-

-Quindi devo sentirmi…onorato…- mi dice con naturalezza…

Distolgo lo sguardo, troppo intenso per poterlo sorreggere. A volte, la potenza dello sguardo degli altri mi manda in crisi. È come sentirsi disarmati, completamente deboli di fronte a qualcosa che riconosci come molto più potente di te. E Nicholas aveva una potenza nello sguardo che mi confondeva. Era come perdersi in un mare in tempesta e io non avevo gli strumenti adeguati per tenermi ancorato al salvagente.

-Che ne dici di finire di organizzare il tutto…!?- gli dico toccandomi nervosamente la testa…

-Buona idea…- mi dice lui sorridendo…

Ci avviciniamo a quel palco improvvisato mentre con attenzione cerchiamo di posizionare e di azionare le casse per la musica. Cerco un argomento di conversazione che non sia troppo imbarazzante e che possa permetterci di parlare un pò per conoscerci meglio.

-Ti sei trasferito qui con la tua famiglia!?- gli chiedo tranquillo…

Lo vedo irrigidirsi un poco, mentre per un istante quasi infinito smette di respirare.

Bingo….prima domanda e ho già fatto danni…

Solitamente la domanda sulla propria famiglia è abbastanza neutrale, o almeno da parte mia non mi era così difficile parlarne, ma…non eravamo tutti uguali e forse prestare attenzione a chi si ha davanti, mi avrebbe aiutato a comprendere che Nicholas, sembrava solo quanto me. Non avevo mai visto con lui qualcuno, ma fondamentalmente erano solo due giorni che ci conoscevamo.

-Non fare quella faccia Toby…- mi dice sorridendo.. –Non hai fatto niente di male… Volevi solo conoscermi un pò di più…-

-Non volevo di certo essere invadente o toccare un tasto dolente…- gli dico sforzandomi di giustificare un atteggiamento forse inaccettabile..

-Non lo sei stato..- mi dice lui sistemando i cavi per collegare l’amplificatore e rivolgendosi verso di me.. –Semplicemente non vado molto d’accordo con la mia famiglia… Siamo troppo….diversi….-

Diversi!? Cosa vuol dire!? Siamo tutti diversi gli uni dagli altri, ma…specialmente dove c’è affetto, bisogna avere la forza di accettarsi per quelli che si è. Io, che non avevo più una famiglia, pensavo che avrei avuto la forza di perdonare o accettare qualsiasi cosa pur di averli ancora lì con me. Ma forse…esistevano cose che non potevano essere perdonate. Forse…il fatto di essere rimasto solo, non mi permetteva di accettare la mia condizione e probabilmente pur di averli lì, sarei stato disposto a tutto.

-Nicholas…- gli dico avvicinandomi… -A volte non è così male essere diversi…-

-Non puoi capire..- mi dice sorridendo rassegnato.. –Ci sono cose…che anche volendo non puoi accettare…-

-Non so cosa dirti…- gli dico io confuso.. –io credo che sarei disposto a tutto pur di averli ancora con me..-

-La tua famiglia…- mi dice lui con sguardo quasi colpevole… -non c’è più!?-

-Sono tutti morti…- gli dico annuendo..

-Mi spiace…- mi dice lui angosciato, come se percepisse chiaramente il mio dolore.. –Come…è successo!?-

-Sai…non ne ho la più pallida idea…- gli dico guardando dritto davanti a me..

-Come!?- mi chiede stupito.. –Nessuno te lo ha mai detto!?-

-Avevo…all’incirca sette anni quando i miei genitori sono morti…- gli dico osservandolo, mentre i suoi occhi si fanno vigili… -Una mattina, mi hanno svegliato.. Mi hanno dato un bacio sulla guancia e mi hanno detto che sarebbero partiti per un viaggio di qualche giorno ma….non sono più tornati…-

-Dev’essere…- disse lui con un smorfia agonizzante..

-Devastante!?- gli chiedo io annuendo col capo.. –Si…lo è… E la cosa peggiore è non avere idea di come sia successo.. ho come dei vuoti, delle mancanze che nessuno ha mai voluto colmare…-

-Forse è meglio così…- mi dice lui deciso..

-No…loro erano la mia famiglia…- gli dico io deciso, risoluto.. –Ho il diritto di sapere perché e come se ne sono andati!! Dove sono morti, perché…-

-Forse è stato un banale incidente…- mi dice lui cercando di stemperare la tensione..

-E allora perché mantenere segreta la vicenda!?- chiedo io spazientendomi.. –Che problema c’era nel parlarmi chiaramente senza alimentare tutti questi dubbi!?-

-A volte quando si ama qualcuno molto…- mi dice lui guardandomi intensamente.. –Si è disposti a tutto Toby…anche a mentire…-

Quello sguardo, per un istante rimasi agghiacciato, senza capirne il motivo. Ingoiai la saliva, senza rendermi conto che un qualcosa nella mia mente si era mossa. Cercai di scuotere la testa, aprendo e chiudendo più volte gli occhi, mentre mi passava nella testa una frase, la voce di mia madre e quel suo timbro dolce, musicale e allo stesso tempo terrorizzato.

“Corri….corri Toby….” Nebbia…fitta…non vedevo nulla… Le sue urla disperate perché fuggissi…

-Toby… Toby…- mi sentii chiamare ripetutamente, mentre svegliandomi da quello strano sogno, ritrovavo il viso di Nicholas accanto al mio, questa volta preoccupato..

-Scusami…stavo pensando…- gli dico per giustificarmi…

-Stai bene?!- mi chiede con apprensione…

-Si…si…- rispondo mentre mi dirigo verso casa.. –Vieni…raggiungiamo gli altri…-

Cerco disperatamente un momento di quiete, mentre vedo Nicholas raggiungere in salotto gli altri e io mi dirigo al piano superiore dove mi chiudo in bagno. Di nuovo, ricomincio ad avere un dolore lancinante al collo, come se qualcosa di appuntito e affilato mi stesse trafiggendo. Cominciai a toccarmi il collo, sentendo ancora più dolore appena sotto l’orecchio destro, mentre i polpastrelli delle dita fredde mi provocavano una sofferenza meno intensa. Cercai di stare tranquillo, mentre aprivo l’acqua gelida e immersi le mani dentro ad essa, lasciando che tutto riprendesse a scorrere come sempre.

Quelle confuse immagini continuavano a travolgere la mia mente. Quella nebbia, l’umidità, le goccioline di pioggia, rendevano tutto confuso, solo quelle urla erano chiare nella mia mente, distinte..

Perché dovevo fuggire!? Da cosa!? E poi…che era accaduto!?

Cos’erano quelle sensazioni negative, quelle energie così devastanti da avere così potere su di me!?

Presi dalla tasca quel talismano…lo osservai per qualche istante… Quel liquido che avvolgeva la farfalla imprigionata all’interno, era cambiato di colore. Era…leggermente rosato, mentre quelle strane onde che si percepivano nel tenerlo tra le mani, si stavano potenziando. Lo scaraventai a terra, mentre un tonfo sordo e secco, lo fece sbattere contro il pavimento. Mi buttai sotto il gettito gelido, bagnandomi il viso, il collo che sembrava ardere con violenza. Quando mi voltai e mi osservai allo specchio, girai lentamente il capo mentre con una mano ispezionavo la parte di pelle sotto l’orecchio e mi spaventai terribilmente.

Stava comparendo qualcosa…linee piccole e trasparenti, cominciavano a creare un disegno che non riuscivo a comprendere in quella posizione e il dolore, cresceva fino a diventare lancinante. Mi voltai con rabbia, mentre con crescente disperazione osservavo quel talismano giacere a terra inanimato, ma nonostante ciò al culmine della sua forza. Mi chino verso di esso e lo riprendo in mano, mentre il mio cuore, palpita velocemente, senza sosta. Mi sento battere il cuore in gola, rumoroso ed agitato.

Sento Nicholas e Marc correre fuori per portare il tavolo del buffet, in cui avremo sistemato il cibo e le bevande. Guardo fuori dalla finestra, mentre trovo Nicholas con lo sguardo perso, che osserva verso la finestra del bagno. Sembra pensieroso, mi guarda diritto negli occhi, esattamente come prima. E di nuovo un dolore sempre più potente al collo mi costringe a piegarmi su me stesso, mentre con forza stringo tra le mani l’asciugamano appeso proprio affianco a me.

Respiro profondamente, mentre con difficoltà, cerco di mantenere la calma. Il collo sembra quasi indolenzito, come se un fuoco mi stesse dilaniando la carne, intorpidendola fino a quasi non sentirla. Cercai di aggrapparmi alla doccia, mentre ansimando profondamente combattevo contro quell’incendio che sentivo dentro. Quando all’improvviso sentii aprire di colpo la porta del bagno rimasi agghiacciato.

-Toby…ma ti muovi?! È da un pezzo che…- quando mi vede la sua espressione cambia del tutto..

Si precipita vicino a me, prendendomi di peso, mentre le sue possenti braccia mi circondano la vita.

-Toby…cos’hai!?- mi dice preoccupato.. –Toby!?!?!-

-Cheve…non mi gridare nelle orecchie…- mi lamento toccandomi la testa già abbondantemente in confusione.. –Guarda che ti sento…-

-Mi spieghi che cazzo hai!?- Mentre apre la porta per portarmi in camera..

-Non lo so ok…- gli dico scocciato.. –Poco fa…ho avuto….come una vertigine…-

-Che tipo di vertigine!?- mi chiede lui ansioso…

-Mio dio Cheve…cosa vuoi che ne sappia…- gli dico con rabbia.. –Sento la testa pesante, come se stesse per prendere fuoco.. E il collo…mi fa male…è rovente…-

-Il collo!?- mi chiede lui mentre subito lo sfiora con la mano..

-Cheve…- gli dico con aria preoccupata.. –Mi sta succedendo qualcosa…qualcosa che io non capisco…-

Lui mi prende per le spalle, cerca di tranquillizzarmi mentre la mia mente corre veloce. Sono troppo confuso, troppe cose stanno accadendo senza apparente motivazione. E per la prima volta in vita mia, ho paura…

-Cos’è!?- chiedo al mio amico che a poco a poco cambia espressione…

Mi osserva, il suo sguardo è un misto di confusione e terrore. Non so spiegare quella sensazione, non riesco a dare un significato a quello sguardo pieno di apprensione, mentre il mio collo a poco a poco continua ad ardere con vigore. Ansimando cerco conforto negli occhi di Cheve che inghiottisce rumorosamente e mi guarda con quegli occhi scuri e penetranti come la notte.

Sono nervoso, estremamente spaventato. Prendo Cheve per le spalle e lo scuoto violentemente, mentre i miei occhi si appannano immediatamente.

-Cheve…- grido con forza.. –Allora?! Cos’è!?!-

-Toby…calmati..- mi dice lui cercando di riprendere il controllo di se stesso.. –Non devi fare così…qualunque cosa stia succedendo noi l’affronteremo assieme.. –

-Cheve…- gli dico mentre cerco di raggiungere la porta del bagno per capire da solo..

-No Toby..- mi prende il viso tra le mani per impedirmi di entrare e  mi costringe ad osservarlo, mentre le sue possenti mani cercano il modo di farmi sentire protetto e rassicurato.

Appoggia la sua fronte alla mia mentre i suoi occhi mi diffondono un istante di tranquillità, il respiro sempre affannato e gli occhi spaventati però non mi permettono di calmarmi del tutto. Lo osservo un istante mentre con lo sguardo cerco conferme che non posso avere, scuoto la testa in segno di disapprovazione e mi libero di quella stretta ferrea. Entro in bagno come una furia e mi appoggio al lavabo, mentre carico su di esso tutto il peso del corpo. Osservo le gocce d’acqua sulla parete del lavandino e poi velocemente mi guardo allo specchio. Cheve, dietro di me mi osserva preoccupato.

Quello che vedo sul mio collo non mi piace…il pugnale e sopra di esso la farfalla blu adagiata sul filo della lama.

Rimango per qualche istante ammutolito, quel tatuaggio è impresso sul mio collo, è parte di me ne sono certo, Cheve mi osserva a pochi passi di distanza e tremando cerco il suo sguardo.

-Cosa vuol dire?- gli chiedo con apprensione..

-Lo stemma della tua famiglia…- risponde incredulo.. –Com’è possibile Toby?-

-Cheve c’è qualcosa che mi sta sfuggendo di mano..- risposi con affanno.. –E sono certo che la responsabilità sia di quell’amuleto..-

Cheve recupera l’oggetto dal pavimento e lo maneggia con cura. Mentre lo osserva nota che i colori della farfalla intrappolata nell’amuleto sono diventati molto più vividi, come il liquido color porpora che la contorna.

-Toby è collegato a te…- disse osservandomi con occhi sgranati..

-Cosa vuol dire?!- mi avvicino con cautela..

-È lui che ti sta cambiando…- mi disse con una consapevolezza che mi ghiacciò le vene.. –ne sono sicuro..-

-Come può essere?- rispondo allarmato.. –Cheve è una cosa assurda, lo capisci vero?-

-Certo che lo capisco..- mi dice agitato.. –Ma sono sicuro che sia così! Questo affare cambia colore, intensità, emana un’energia…oscura Toby!! Ed ora sul tuo collo…-

-Cosa devo fare?!- mi appoggio al lavabo, il viso osserva il soffitto.. –Forse devo disfarmene..-

-Toby, non sono sicuro che tu possa farlo..- rispose avvicinandosi a me con passo incerto..

Mi prendo il capo tra le mani e mi sorreggo a fatica, mi faccio strada verso la camera e mi siedo con stanchezza. Sono sconvolto e spaventato, inutile negarlo. Non ho idea di quella che sarà la mia vita da qui in avanti e quella consapevolezza, annidata tra le mie ossa nel profondo, mi rende confuso. Questa percezione mai percepita, da dove arrivava?

-E se ci fosse davvero qualcosa che i tuoi familiari ti hanno nascosto?- mi chiese guardingo e afflitto..

-Io so che c’è qualcosa che non conosco..- dissi sicuro.. –L’ho capito da quel giorno, quando i miei nonni mi hanno proibito di entrare in quella stanza..-

-Cosa c’è in quella stanza?- mi chiese sospettoso.. –Cosa non dovevi trovare Tobias?-

-L’amuleto..- risposi.. –Non dovevo trovare l’amuleto con lo stemma di famiglia! Non so perché ma sono certo che sia così..-

Cheve osservò fuori Nicholas e Marc, mentre con tranquillità iniziavano ad accogliere i primi ragazzi invitati alla festa. Mi osservò con apprensione e quando guardai i suoi occhi, vi trovai l’angoscia, la preoccupazione, proprio quello che non avrei voluto fargli provare.

-Cosa facciamo?- mi chiese smarrito…

-Niente..- gli dico incerto.. –Adesso ci occuperemo di questa festa, al resto penseremo dopo..-

-Sei sicuro?- mi chiese.. –Cavolo io non ho per niente voglia di festeggiare amico…-

-Lo so..- risposi annuendo.. –Ma…non voglio che Marc sospetti qualcosa..-

-Ok…sarà il nostro segreto?- chiese chiudendo la mano a pugno..

Chiusi la mano io stesso e spinsi il mio pugno contro il suo.

-Il nostro segreto..-

Quando uscimmo di casa, nulla sembrava fosse accaduto. Cheve camminava baldanzoso accanto a me e il suo sorriso stampato sul viso non tradiva la minima preoccupazione. Pensai che nessuno avrebbe notato dei cambiamenti in me, quella specie di tatuaggio sotto l’orecchio era coperto da un cerotto che avevo messo preventivamente per evitare domande. Sapevo che non avrei potuto nasconderlo per sempre, ma per il momento non volevo rispondere a domande.

Nel mentre era arrivata una gran bolgia in quelle terre così silenziose, molti ragazzi popolavano la spiaggia accanto alla mia casa, mentre la musica spadroneggiava tutta intorno a noi. Marc aveva pensato a tutto, aveva portato musica di tutti i tipi, aveva pensato di fare un pò di karaoke, senza contare il cibo a fiumi che aveva comperato per la serata. Cheve mi aveva portato una bottiglietta di birra, se non lo avessi conosciuto fin troppo bene, avrei detto che nulla lo turbava in quel momento. Invece il suo sguardo era fisso, immobile, statico, sembrava in allerta. Nonostante avesse un atteggiamento critico nei confronti degli spiriti che guidavano la sua gente, ero convinto che Cheve avesse ereditato la stessa capacità di  Adahy, suo padre, di percepire i cambiamenti che ci circondavano.

-Lo senti anche tu?- chiesi con sguardo impassibile..

-C’è qualcosa che non mi piace Toby..- disse osservandosi intorno.. –Sta per accadere qualcosa..-

-Qualcosa che cambierà gli equilibri…- dissi sicuro..

-Senza dubbio…- disse annuendo.. –Lo percepisco con ogni singola cellula del mio corpo…-

Quando lo osservai, capii che quella sensazione era reciproca. Forse io e Cheve eravamo talmente uniti da percepire le stesse cose, eppure una brivido freddo mi colse impreparato, forse non ero il solo a cambiare. O forse era quell’amuleto a indurci a provare quelle percezioni così nitide e precise.

Sentii non molto lontano la presenza di uno sguardo fisso su di me, era incredibile come i miei sensi fossero così allerta e sensibili, non mi ero mai sentito così influenzabile. Quando mi voltai quella sensazione non mi abbandonò, ma non poco distante da me, Desy mi stava osservando smarrita. Quando incontrò i miei occhi, sembrò ridestarsi e arrossì con evidenza. Lasciai il suo sguardo per qualche istante, poi decisi di avvicinarmi.

-Ciao…- dissi urlando per farmi comprendere..

-Ciao Toby…- mi disse con un sorriso raggiante.. –Come stai?-

-Bene..- dissi guardandomi un pò attorno.. –Ti diverti?-

-Si…- rispose con tenerezza.. –Marc si è dato piuttosto da fare..-

-Non sai quanto ha tormentato me e Cheve per questa festa..- risposi alzando gli occhi al cielo..

-Lo immagino..- rispose sorridendo.. –Lui è ingestibile quando si mette qualcosa in testa..-

Sospirai, mentre l’imbarazzo mi assaliva. Avevo lasciato Desy mesi fa e ancora mi sentivo in difetto, avevo cercato di essere il più sincero possibile con lei, il mio sentimento non era arrivato a quel punto in cui ti permetteva di lasciare da parte tutte le incertezze.

-Toby?- mi dice sfiorandomi il braccio..

-Dimmi…- risposi con un senso di timore nella voce..

-Vorrei tanto che non mi tenessi lontana..- disse con tristezza.. –So quali sono i motivi che ti spingono a farlo ma…mi rende così triste non poterti stare vicino..-

I suoi occhi si riempirono di lacrime ed io mi sentii l’ultimo uomo sulla faccia della terra. Quando le sue mani coprirono la sua piccola bocca, provai davvero uno strazio infinito, avrei voluto proteggere quella ragazzina da ogni cosa. Appoggiai la birra al tavolino accanto a Desy e con decisione mi avvicinai a lei, cercando di abbracciarla con dolcezza.

-Perdonami..- dissi stringendola con tutta la delicatezza di cui ero capace.. –Io non volevo ferirti..-

-Non mi escludere dalla tua vita Toby…- mi disse cercando di riprendere coraggio..

-Voglio solo proteggerti Desy..- dissi sfiorandole la guancia..

-Proteggermi da te?- disse esterrefatta.. –Non ce n’è bisogno, tu sei la persona più buona che conosca..-

Avrei voluto dirle che con me non avrebbe mai dovuto temere nulla, che l’avrei protetta da tutto e da tutti, ma ultimamente avevo quasi più la sensazione che fossi io la persona più pericolosa per lei. Quando la strinsi ancora per qualche istante a me, lei si rilassò e sorrise felice. Mi staccai con riluttanza e quando la musica terminò, mi guardai attorno felice di aver potuto parlare con Desy. Marc stava ancora cercando di inserire musica da discoteca che animasse i corpi infreddoliti, quando improvvisamente percepii dei movimenti al limitare del bosco. Cheve si era impercettibilmente avvicinato a me, quando mi voltai verso di lui capii che captava qualcosa, esattamente come me. Non riuscii a spiegarmi come avessi potuto percepire quei movimenti così lontani, in mezzo a quella folla di persone che chiacchieravano, ma sentivo un peso gravarmi sul petto.

Dopo qualche istante un ringhio selvaggio e delle urla strazianti, echeggiarono intorno a tutti noi. Il panico ben presto la fece da protagonista, c’era chi fuggiva in tutte le direzioni, chi si affaccendava intorno alle macchine, chi cercava di farsi coraggio. Il mio istinto fu di lanciarmi nel bosco, immediatamente.

Quando sue braccia mi strinsero forti, mi ritrovai con Desy aggrappata a me che tremante scuoteva il capo.

-Toby non andare ti prego..- ansimò spaventata..

-Qualcuno potrebbe avere bisogno..- gli dissi amorevolmente.. –Torno presto, stai tranquilla..-

Presi Marc per un braccio e lo trascinai accanto a Desy, sembrava paralizzato ma doveva scuotersi non c’era tempo per tergiversare.

-Stai con Desy! Portala in casa e non aprire la porta a nessuno..- dissi impartendogli quei pochi comandi decisi.. –Non lasciarla mai sola, hai capito Marc?-

Lui annuì con decisione e con tenerezza spinse Desy verso casa.

Quando fui sicuro che Desy era al sicuro con Marc, mi voltai e mi resi conto che a parte chi si era disperso in gruppi, Nicholas e Cheve erano rimasti con me, guardavano verso la foresta. Quando iniziai a correre, a poco a poco percepii i loro passi dietro di me e in breve tempo entrammo nel fitto del bosco. Subito la sensazione di essere osservato si  fece più potente, sentivo la presenza di qualcosa che non riuscivo a definire e una sensazione di disagio crescente, mentre un odore pungente mi aggrediva le narici. Nicholas mi era affianco, da quando mi ero inoltrato nel bosco non mi aveva allontanato per un istante, ma non per un senso di timore o paura. Il suo sguardo era risoluto, affilato, quasi di ghiaccio tanto che sembrava indossasse una maschera di fredda efficienza.

-Qui intorno c’è qualcosa…- dissi a Cheve che si era avvicinato a me arrivando dalla parte opposta in cui mi trovavo..

-A ovest non ho trovato nulla nei dintorni…- rispose con sicurezza..

-C’è qualcosa di strano qui intorno..- ripetei nuovamente con convinzione.. –Dobbiamo stare attenti…-

Feci qualche passo inoltrandomi ancora di più nel bosco, ma all’improvviso, quell’odore metallico che avevo avvertito poco fa al limitare del bosco, si era fatto molto più intenso, quasi insopportabile. Quando arrivai in una piccola radura, vidi l’albero secolare dove giocavo sempre da bambino e fu in quel momento che notai un corpo a terra. Cercai di aggirare un albero, per vedere meglio, ma alla fine mi resi conto che quello era un corpo martoriato, insanguinato dalla testa ai piedi. Provai un’angoscia impossibile, quando mi risvegliai dal torpore iniziai a correre per raggiungere quella ragazza straziata a terra.

-Dove vai?- mi bloccò Nicholas, il suo sguardo guardingo..

-Potrebbe avere bisogno…- dissi confuso..

-Toby non c’è più niente da fare per lei…- mi disse sicuro delle sue parole.. –Non avvicinarti, potresti ritrovarti nei guai se la polizia rinvenisse qualche impronta tua sul suo corpo..-

Lo osservai incerto, come poteva sapere con certezza se fosse morta? C’era penombra e nel buio non si riusciva a capire molto, ripresi a guardare la ragazza e poco dopo, benché fossi molto lontano da lei mi resi conto che il suo corpo era completamente immobile. Nemmeno un sussulto del respiro.

Presi il cellulare dalla tasca e mi rassegnai al fatto che non avrei potuto fare altro per lei, se non chiamare la gendarmeria e assicurarsi che il suo assassino fosse ritrovato il prima possibile.

Al di là della cornetta il centralinista rispose con vigore e mi chiese di fornire le mie generalità.

-Tobias Cohen…- dissi con tristezza.. –Abbiamo trovato il corpo di una ragazza, non ci siamo avvicinati ma presupponiamo che ormai sia…morta…-

-Dove siete?-

-La casa sul lago di Manitoba…- ribattei immediatamente.. –avevamo organizzato una festa tra amici..-

-Manderemo delle pattuglie, a breve saranno lì..- rispose l’uomo con fredda efficienza.. –Allontanatevi dal luogo del delitto e aspettate l’arrivo dei miei colleghi..-

Furono le ultime decisioni che ci vennero impartite e con incertezza comunicai agli altri di lasciare subito quel posto, come suggerito dal poliziotto. Mentre mi voltavo per andarmene, mi resi conto che Nicholas guardava ancora quella figura poco lontana e i suoi occhi erano due fessure severe. Immobile come una statua osservava l’area circostante, scrutando l’ambiente con aria diffidente.

-Nicholas…- lo chiamo e lui sembra risvegliarsi da quel torpore..

Si avvia per raggiungermi e quando arriviamo al limitare del bosco, in lontananza, sento il boato delle auto della gendarmeria che si avvicinano. Sospirai pesantemente e mi chiesi se quello che era accaduto c’entrasse con tutti i cambiamenti che percepivo in me.

-La polizia sta arrivando..- dico rivolgendomi a Cheve..

-Come fai a saperlo?- mi chiede confuso..

-Non hai sentito le sirene?- gli chiedo imbarazzato..

-No…non ho sentito assolutamente nulla..- mi risponde sicuro delle sue parole..

Cercai di sospirare con moderazione, Nicholas affianco a me mi osservava con attenzione. Quando mi voltai verso di lui i suoi occhi mi scrutavano con intensità, sembrava…cercasse qualcosa. Distolsi lo sguardo imbarazzato, quando Nicholas mi osservava così provavo quel disagio tipico di chi si sentiva sotto esame.

Dopo qualche minuto le auto della polizia sgommarono alla fine della strada e i fari ci illuminarono il viso. Potei vedere chiaramente il volto di Cheve stupefatto e incredulo.

Nicholas si avvicinò alle auto, precedendoci di molti passi.

-Toby…- disse bloccandomi Cheve visibilmente scosso.. –Come facevi a sapere che erano vicini, che stavano arrivando..-

-Non è il momento per parlarne Cheve..- gli do una pacca sulla spalla..

Quando arriviamo accanto a Nicholas, il poliziotto aveva annotato sul suo taccuino quello che il nostro nuovo amico doveva avergli raccontato, pensai che doveva essere stato piuttosto persuasivo perché non ci chiese granché della dinamica del ritrovamento del cadavere. In effetti non avevamo molto da raccontare, nessuno di noi aveva visto molto, avevamo solo sentito un urlo straziante e poco dopo, ci eravamo avventurati nel bosco per aiutare chiunque fosse stato aggredito.

-Ragazzi tenetevi a disposizione..- ci raccomandò un poliziotto.. –ora metteremo sotto sequestro la zona della foresta dove è stato rinvenuto il cadavere ed eventualmente penseremo di interrogare tutti i ragazzi che erano qui con voi..-

Ribadimmo che eravamo a disposizione della giustizia, eppure nel mio cuore provai la straziante sensazione che in questo caso la polizia avrebbe potuto fare ben poco. Quando ripresi il cammino verso casa, arrivai al portico e appena percorsi le scale, sentii spalancarsi la porta e Desy precipitarsi tra le mie braccia. Sorpreso la strinsi leggermente, intensificandola quando mi resi conto che stava piangendo. Provai un senso di smarrimento enorme sentendola disperarsi tra le mie braccia, la sollevai di peso, portando un braccio sotto le sue ginocchia e issandola senza problema. Lei sgranò un pò gli occhi troppo scossa per rifiutarsi e si aggrappò alla mia maglia stringendola con forza.

-Toby ero spaventata..- mi disse rimproverandomi.. –Marc non mi faceva uscire e non sapevo dov’eri..-

-Shhh…- gli dissi con tenerezza.. –Ora sono qui, non avere paura Desy! Sei al sicuro..-

La portai in casa e l’adagiai sul divano. Gli porsi un fazzoletto per asciugarsi le lacrime e un bicchiere d’acqua perché si calmasse.

-Va meglio adesso?- gli chiesi accarezzandole una guancia..

Arrossendo annuì col capo e sembrò tranquillizzarsi. Mi sedetti accanto a lei e nuovamente percepii lo sguardo di Nicholas appoggiato su di me, mentre mi prendevo cura di Desy.

-Grazie Marc..- dissi rivolgendomi al mio amico..

-Figurati…- disse lui alzando le spalle..

Mi alzai per guardare oltre la finestra, anche  l’atteggiamento della polizia sembrava singolare, non ci avevano portato in centrale per interrogare tutti i presenti, non avevano sollevato alcun dubbio circa le nostre parole.

-Cos’è successo là fuori?- chiese Marc curioso..

-Beh…- disse Cheve a disagio.. –non una bella cosa..-

Mi appoggiai alla parete a gambe conserte, soppesai le parole da dire non volevo turbare Desy ancora di più.

-Abbiamo visto il corpo di una ragazza..- dico vagamente.. –così abbiamo chiamato subito la polizia, non poteva essere altrimenti..-

Decisi che non era più il caso di aspettare oltre, c’erano molte cose che non avevo chiare e desideravo parlare con Cheveyo. Ma non potevo farlo con troppi testimoni, sarebbe stato assurdo e stupido. Volevo avere la possibilità di rilassarmi e di pensare a tutti questi avvenimenti strano e inconsueti. Stasera una ragazza era  stata uccisa, non potevo dire di sentirmi tranquillo.

Un animale?

Un assassino?

Qualcosa mi diceva che ero lontano dalla verità, dentro di me sentivo il mio sangue respingere quelle parole insinuandomi il dubbio che ci fosse altro da valutare. Scossi la testa impercettibilmente perché non avevo nessun’altra possibilità razionale da prendere in considerazione.

-Desy credo sia ora che ti riporti a casa..- gli dissi delicatamente..

-Si credo sia una buona idea..- rispose lei ancora scioccata..

-Potremmo portarla noi Toby..- mi disse Marc con tranquillità.. –Nicholas ed io dobbiamo comunque andare in città visto che abitiamo lì, tu invece faresti un viaggio inutile..-

-Ha ragione Marc..- disse Desy pacatamente.. –Abitiamo più o meno tutti in zona, andrò con loro..-

-Sei sicura che vada bene?- gli chiesi guardandola in volto..

-Certo..- sorrise con dolcezza..

Nicholas si avvicinò a me con aria decisa, appoggiò una mano sulla mia spalla. Nello stesso istante in cui lo fece, riversò in me una scarica elettrica, con un’ondata fulminea di immagini nuovamente sfocate.

Nebbia…una pioggerellina fitta…un movimento fulmineo…e ancora quelle urla…

“Corri…Corri… Tobias corri…non ti fermare tesoro mio…”. E un urlo, glaciale e terrorizzato. Il silenzio.

Cercai di mantenere i nervi saldi, mentre quelle immagini nuovamente mi sconvolgono la mente. Cheve sembra preoccuparsi, ma quando deglutisco e faccio finta di nulla, non dice niente e rimane al suo posto.

-Stai tranquillo, ci prenderemo cura di lei..- disse con calma rassicurante.. –L’accompagniamo a casa, sulla soglia in modo che anche lei sia più serena..-

Desy sorrise con riconoscenza a Nicholas, che in risposta strinse ancora di più la mia spalla, per poi lasciarmi andare. Mi resi conto di essere in istintiva allerta mentre Nicholas mi toccava, provai quell’assurdo senso di proteggermi, mentre era chiaro che lui non aveva assolutamente intenzione di farmi del male.

Ma questo mi fece riflettere, cosa percepiva veramente il mio corpo?

E soprattutto, questi miei apparenti cambiamenti, cosa volevano farmi capire?

-Mi arrendo..- dissi ancora scosso dalle ultime immagini vissute..

Quando si alzarono Desy mi si avvicinò riconoscente. L’abbracciai con tenerezza e fui felice di essermi lasciato un pò andare con lei, costringermi a starle lontano non era servito a nessuno dei due. Era come una sorella per me, volevo proteggerla ed starle vicino. Mi sorrise e a turno salutai il resto della combriccola che se ne stava andando. Nicholas mi rivolse un sorriso tirato, quasi colpevole e i suoi occhi bellissimi sembravano talmente tristi che mi lasciarono sconcertato. L’aria malinconica di Nicholas, non faceva che infittire l’aura di mistero che lo avvolgeva. Gli sorrisi con calore, Nicholas mi era istintivamente simpatico, era come con Cheve, mi ero affezionato a lui nel giro di pochissimo tempo, non mi sarei stupito se fosse accaduta la stessa cosa con lui.

Quando uscirono sul porticato vidi Marc raggiungere l’auto e a turno salirvi sopra. Desy sembrava esitante, ma Nicholas si avvicinò a lei e la rassicurò, vidi che le sue spalle si rilassarono vistosamente e le rivolse un sorriso pieno di gratitudine. Cheve era rimasto a casa mia, succedeva spesso che restava a casa a farmi compagnia e questa sera avevamo molte cose di cui parlare.

-Toby…- percepii distintamente la sua voce anche se era un sussurro.. –cosa sta succedendo?-

-Non lo so…- dissi scuotendo il capo.. –non lo so..-

-Controlliamo il tatuaggio..- mi disse con voce ansiosa.. –Magari non c’è più..-

Scrollai il capo in senso di diniego. Sentivo ancora il calore che si era propagato attorno alla zona in cui era comparso lo stemma di famiglia.

Tolsi la garza  con cui avevo coperto il tatuaggio e lasciai che Cheve controllasse l’evoluzione dello stemma di famiglia, rimase zitto per un tempo che per me fu infinito. Questo silenzio forzato non lasciava molto spazio all’immaginazione.

-È esattamente come nell’amuleto..- disse ipnotizzato.. –Ha gli stessi colori vividi e ammalianti..-

-Che non è  esattamente quello che speravo che mi dicessi…- sentenziai dopo qualche secondo..

Lo lasciai in mezzo al salone, ancora confuso e sbalordito. Mi osservò avvicinarmi alla finestra mentre osservavo distrattamente quello stemma impresso sulla mia pelle, ero talmente confuso da non riuscire a trovare un filo logico in quella situazione.

-Come hai fatto a sentire la polizia..- disse tranquillo.. –insomma a sentirla così in lontananza Toby…-

Rimase in silenzio così a lungo che mi chiesi se fosse necessario spiegargli cosa percepivo, come sentivo in quel momento il mio corpo.

-Non so come spiegartelo Cheve..- dissi consapevole che qualcosa di grande mi stava cambiando..

-Provaci..- disse raggiungendomi.. –Tobias ci conosciamo da sempre e io sento…sento che sei qualcosa di diverso..-

-Sento i rumori con molta più intensità rispetto a prima, ho percepito chiaramente dei rumori al limitare del bosco mentre eravamo lì, tutti insieme con quel gran casino e la musica che rompeva i timpani..- risposi sinceramente.. –Non appena siamo entrati nella foresta ho sentito un odore metallico e pungente pizzicarmi il naso, ho seguito quell’odore perché qualcosa mi diceva che era quello che stavo cercando.. Quando ho visto la ragazza ho capito cosa fosse quell’aroma così forte, era il suo sangue…-

Cheve si era accasciato sulla sedia, improvvisamente sembrava che la sua mole fosse troppo pesante da sorreggere con la sola forza delle sue gambe. Mi guardò angosciato e incredulo, tanto che impallidì a poco a poco.

-Ci sono momenti che rivivo delle immagini..- dico con allarmismo adesso.. –Immagini confuse in cui vedo una foresta, una nebbia fittissima, sta piovendo e sento la voce di mia madre che mi grida di correre, di non fermarsi per nulla al mondo..-

-Pensi che voglia dire qualcosa?- mi chiese serio e lucido adesso..

-Non lo so…- risposi con incertezza.. –Insomma, ti sembra che ci sia qualcosa di razionale in quello che ti sto raccontando? Forse sto solo delirando..-

Cheve mi osserva con attenzione, so che sta cercando di capire meglio quello che gli ho spiegato. Ma sembra anche lui ad un punto morto, non riesce a spiegare con razionalità quello che mi sta accadendo.

-Sono arrivato alla conclusione che quello che mi sta accadendo non può essere spiegato con una teoria logica e razionale Cheve…- dissi con gravità..

-Era quello che temevo mi dicessi..- disse con sguardo perso..

Si alzò con decisione dalla seggiola, camminava avanti e indietro, provava sgomento e consapevolezza per quelle parole, ma cercava di non dargli troppo peso. Temeva che se avesse dato ragione a quella parte impulsiva di se stesso, che gli diceva che gli spiriti avevano captato qualcosa di strano, tutte le sue certezze sarebbero crollate.

-Pensaci Cheve..- dissi cauto.. –Tu sai dare una spiegazione razionale a quello che sento?-

-Toby cavolo..- disse voltandosi verso di me.. –noi due abbiamo sempre sostenuto che le dicerie dei nostri vecchi saggi fossero delle grandi fesserie! Quante volte abbiamo riso delle loro chiacchiere melodrammatiche?-

-Qui non si tratta di credere o meno al fatto che quelle leggende, che nemmeno ricordo, siano state parte della realtà di Amandil..- ribattei con fermezza.. –Ma mi stanno accadendo delle cose Cheve e tu sei in grado di avanzare delle ipotesi logiche che le spieghino?-

Quando lui si bloccò, lasciando posto alla sua solita lucida freddezza, compresi che a breve avrei ricevuto una risposta, sicuro che il mio unico fratello, mi avrebbe detto solo e la più spietata verità. Perché era quello che gli stavo chiedendo, volevo la sua obiettività.

-Non ho risposte Toby..- disse afflitto.. –Io non riesco a darti una spiegazione razionale su quello che sta accadendo! Ma non è detto che non ci sia..-

-Lo sai anche tu che non è così..- risposi sconfitto.. –Cheve non dobbiamo dimenticarci di un dettaglio importante! Fino alla morte dei miei genitori, i miei nonni continuavano a raccontarmi leggende e storie che riguardavano Amandil e le sue terre selvagge. Con la morte dei miei genitori è come se quei ricordi fossero stati all’improvviso strappati dalla mia mente..-

-Tu non ricordi nulla?- mi chiese esasperato..

-No, nulla che mi  possa aiutare..- dissi con incertezza.. –Ricordo solo vagamente quei due nomi di cui parlano anche i vecchi saggi, il Clan della luce e il Clan delle tenebre, ma solo perché tu ne hai parlato..-

-Mio padre non ha mai più parlato di queste cose con me, o i miei fratelli  e sorelle..- rispose certo.. –E quando vengono per caso pronunciati quei nomi, dice che sono tutte sciocchezze che i vecchi saggi hanno inventato per i bambini dispettosi..-

-Secondo me c’è qualcosa che nascondono..- dissi con serietà.. –Qualcosa di cui faccio dannatamente parte Cheve..-

-Come facciamo a scoprirlo?- chiese con rassegnazione.. –Nessuno della mia tribù sarà disposto a parlare di cose tanto assurde..-

-E per il momento non dovremmo farlo Cheve…- risposi con certezza.. –Non voglio che altri vengano a conoscenza di questa cosa almeno finché non sono sicuro che non sia nulla di rischioso..-

-Pensi che siamo nei casini?- rispose senza il minimo timore..

-Qualunque cosa sia Cheve, porta guai…- dissi sicuro di queste parole.. –Ho qualcosa che mi opprime lo stomaco da qualche giorno, è come se qualcosa di grave mi incombesse sulla testa..-

Lui sospirò, sempre più incerto su cosa pensare. Sapevo che c’era solo una cosa che potessi fare in questo momento. Non avevo moltissime possibilità per risalire alla verità, se la mia famiglia nascondeva qualcosa dovevo partire da me stesso e da quello che mi circondava.

Ovviamente non ero sicuro di voler sapere cosa stesse accadendo alla mia vita, fino a poco tempo fa sopravvivevo nell’inconsapevolezza e dovevo ammettere che adesso mi sembrava più allettante dell’incertezza che mi dilaniava. Guardai Cheve con occhi sicuri e decisi.

Avevo deciso e nulla mi avrebbe fermato. A costo di passare giorni e notti a cercare, io avrei scoperto la verità. Avrei ricomposto i pezzi del puzzle che sembravano mancare nei miei ricordi e alla fine, forse, avrei avuto qualcosa su cui pensare. Su cui ragionare.

Cheve era pronto, sapevo che attendeva qualsiasi cosa gli dicessi.

Era la persona più cara che mi rimaneva, sarebbe stato al mio fianco, qualsiasi cosa fosse accaduta.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre.. ***


Amandil 3

Capitolo tre.

 

 

Dato che non penseremo mai nello stesso modo e vedremo la verità per frammenti

 e da diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta è la tolleranza reciproca.

 La coscienza non è la stessa per tutti.

Quindi, mentre essa rappresenta una buona guida per la condotta individuale,

 l’imposizione di questa condotta a tutti sarebbe un’insopportabile

 interferenza nella libertà di coscienza di ognuno.

Gandhi

 

 

Erano passati due giorni da quella terribile serata. Nonostante tutto non avevo fatto moltissimi progressi nella ricerca della mia verità. Cheve si era offerto di frugare nella nostra biblioteca di città, per scoprire se quelle leggende di cui parlavano i saggi della tribù, avessero un riscontro scritto o fossero semplicemente favole, come sosteneva Cheve.

Per quanto mi riguardava non avevo fatto nessun passo avanti e le notti insonni a frugare tra le cose della mia famiglia non avevano prodotto alcun risultato. Ero…quanto meno frustrato dalla situazione e anche peggio  i miei sensi si erano affinati a tal punto da rendermi pazzo. Sembrava tutto amplificato, dal mio udito, al mio olfatto, dalla mia vista, alla mia forza.

Erano le due di notte ed ero ancora in cantina a frugare alla ricerca di chissà cosa. Qualche istante dopo sentii il rumore di un’auto in lontananza, non mi ci volle molto per capire che Cheve si stava avvicinando col suo pick up sgangherato. Doveva essere ancora abbastanza lontano ma ero certo che fosse lui. Sospirai e asciugandomi il sudore decisi che forse era meglio tornare in casa.

Arrivai nel salone, feci in tempo a lavarmi il viso e nel frattempo sentii il pick up fare le fusa arrivando sul sentiero sterrato, guardai fuori dalla finestra e il suo viso serio, cominciò a distendersi non appena mi vide affacciato alla finestra. Non aveva il solito sguardo afflitto, la solita cappa di ansia si era leggermente diradata percependo la speranza che albeggiava nel cuore di mio fratello.

Correndo Cheve raggiunge il porticato e poco dopo entra in casa, con un lieve sorriso sulle labbra.

-Ho trovato qualcosa Toby..- disse portando con sé delle fotocopie di articoli di giornali..

Erano vecchi di qualche anno, sicuramente di una decina, ci mettemmo sul grande tavolo in cucina e iniziammo a leggere insieme qualche articolo. Parlavano di Amandil e di una serie di omicidi efferati, sanguinosi e violenti, di cui non si spiegava la ragione.

-A quanto pare all’incirca tredici anni fa qui ad Amandil iniziarono ad esserci una serie di omicidi inspiegabili…- mi disse Cheve con tatto.. –Molti addirittura attribuiti ad animali, anche se in molti dubitavano di questa possibilità..-

-Quindi?- chiesi incerto..

-La cosa molto strana Toby è che quegli omicidi sono terminati dopo..- disse con molto disagio.. –Insomma, non penso voglia dire molto ma..-

-Cheve?- risposi con cautela.. –Sono pronto a tutto davvero.. Non preoccuparti per me…-

Sembrò rassegnarsi e alla fine si decise, sebbene con molta riluttanza. Mi guardò con dolore, perché sentii nuovamente quel peso serrarmi il cuore mentre il mio amico cercava le parole da dirmi.

-Gli omicidi sono terminati dopo la morte di mio padre e di mia madre..- realizzai con un tuffo al cuore..

Cheve era sorpreso, ma non ribatté a quella affermazione. Quegli omicidi senza motivo terminarono una volta che i miei genitori morirono, quindi questo faceva di loro degli assassini?

Sbiancai immediatamente, non potevo e non volevo credere che la mia famiglia uccidesse persone innocenti solo per il gusto di farlo. Era una caso abominevole e crudele. Senza in minimo di cuore.

-Toby…questo non vuol dire che siano stati loro a uccidere quelle persone..- disse con rimprovero.. –Non lo starai davvero pensando? La tua famiglia era buona e caritatevole, mio padre non avrebbe voluto così bene a tuo padre se fosse stato un assassino senza scrupoli..-

-Non possiamo saperlo!!- risposi con furia.. –Mio padre passava molto tempo fuori casa, a volte per molte notti usciva! Io sapevo che andava al lavoro…ma…come possiamo sapere se fosse la verità?-

-Si ma non possiamo nemmeno iniziare a colpevolizzare Tobias! Non abbiamo nessun riscontro che ci porti a pensare che tuo padre fosse un assassino..- disse insistendo.. –Ascolta! Questo articolo è di qualche mese dopo la scomparsa dei tuoi genitori, qui viene scritto che dopo la loro morte non si era più riscontrato alcun episodio violento ad Amandil.. E che la tragica fatalità li aveva portati via, nessuno accusa i tuoi genitori di quei crimini…-

-Non voglio credere che sia così Cheve..- dissi con angoscia.. –Come potrei sopravvivere avendo quel peso sul cuore?-

-Ascoltami…- disse prendendomi saldamente per le spalle.. –Toby i tuoi genitori non erano assassini. Non è possibile! Su questo non transigo, devi avere fiducia..-

-A rischio di mettere sotto sopra questa casa io scoprirò la verità…- dissi sbattendo la mano sul tavolo.. –Io la scoprirò…-

Eravamo sfiniti, dovevamo riposarci un pò per continuare a cercare. Mi guardavo attorno in quella casa e istintivamente mi chiesi dove avrei nascosto qualsiasi cosa che riguardasse un segreto che non volevo svelare. Mi rassegnai alla stanchezza, provavo rabbia e sgomento mentre Cheve mi dava una pacca sulla spalla e mi esortava ad andarmi a riposare.

Quando mi decisi a muovermi mi resi conto che la stanchezza mi stava sfiancando, avevo bisogno di riposarmi altrimenti non sarei riuscito a reggere queste giornate assurde. Salutai Cheve mentre raggiungeva la stanza degli ospiti ed io mi buttai sul letto, ancora vestito, cercando di trovare un senso alla mia vita.

Stava andando tutto a rotoli, ero completamente solo e impotente. Non avevo nessuno a cui aggrapparmi per sapere cosa mi stava accadendo. Mi lasciai scivolare nel sonno a poco a poco, mentre ancora un barlume di coscienza si ostinava a rimanere ancorato nelle mie viscere.

Il sonno si fece più pesante, mentre immagini iniziarono a susseguirsi nella mia mente. Ricordi in cui ero piccolo, con i miei nonni e i miei genitori, che si prendevano cura di me. E ancora visioni in cui mio padre si raccomandava con me, per la sua assenza di qualche giorno, non voleva facessi il discolo facendo impazzire tutti quanti. Sicuramente vi erano momenti che non ricordavano, specialmente uno in particolare, mi ero introdotto furtivamente in una stanza, avevo preso tra le mani un grande libro impolverato e vecchissimo. Ma ero stato scoperto subito, severamente rimproverato dai miei nonni e ammonito amorevolmente da mia madre, che sapeva quanto mio padre tenesse con cura le sue cose. Quel libro era vecchio quanto Matusalemme…

All’improvviso tutto cambia. La notte mi avvolge, mentre sono in macchina, mio padre e mia madre discutono di qualcosa di cui non afferro il significato. Parlano di pericoli, di rischi troppo grandi da sostenere. Si accorgono che sono sveglio, mi sorridono, amorevoli come sempre. Poi qualcosa cambia, sento un rumore tremendo, qualcosa fa sbandare l’auto di mio padre, che si schianta contro un albero. All’improvviso l’immagine cambia, adesso qualcuno mi sta tenendo ben saldo contro di sé, così freddo come il gelo che mi circonda. Mia madre e mio padre urlano di terrore, implorano pietà, supplicano che mi sia risparmiata la vita. Ancora mi sfugge tra le mani una parte di quel ricordo, adesso mio padre mi tiene saldamente le spalle, mi scuote leggermente, sono scioccato e spaventato.

-Toby corri, non fermarti mai tesoro mio..- mi dice abbracciandomi con angoscia.. –Sei tutta la mia vita Toby!! Non devi mai dimenticarlo..-

-Papà vieni con noi..- urlo senza poterlo lasciare andare..

-Malika..- disse a mia madre.. –Per nulla al mondo devi tornare indietro, corri più che puoi.. Proteggilo..-

Adesso sto correndo, mia madre mi esorta a non mollare, a continuare a sfidare le mie possibilità. In lontananza si sentono urla e un combattimento si sta consumando dietro di noi, non capisco cosa stia accadendo. All’improvviso il tocco gentile della mano di mia madre scompare, mi blocco immediatamente terrorizzato, sento solo la sua voce che grida e che mi supplica di correre. Sono solo, è buio, mi guardo attorno e sento qualcosa. Qualcuno..

Quando mi sveglio la mia fronte è imperlata di sudore. Stringo la mano e di nuovo sento quella sensazione assurda, come se qualcuno mi abbia toccato e sfiorato fino a poco tempo fa. Mi alzo dal letto e appoggio la fronte contro la parete fredda, come se potesse aiutarmi a calmare il tumulto del mio cuore.

Cos’era quell’incubo? L’avevo vissuto? O era sola la suggestione di quei giorni?

Cosa significavano quelle immagini?

Scossi leggermente la testa e a poco a poco, mi voltai verso la finestra.

Era aperta..

Mi avvicinai lentamente, convinto che quando ero arrivato in camera fosse chiusa.

No, anzi, era sicuramente chiusa.

Non feci in tempo ad arrivare accanto alla finestra che sentii urlare Cheve.

Mi lanciai velocemente verso la stanza del mio amico, si trovava dal lato opposto in cui si trovava la mia camera da letto, ma in pochissimi secondi mi ritrovai ad aprire la porta. Mi precipitai all’interno e trovai Cheve vestito, mentre intendo a guardarsi intorno mi osservava tramortito.

-Toby…qui c’era qualcuno…- aveva gli occhi spalancati, quasi increduli..

-Hai visto qualcuno?- chiesi con aria preoccupata..

-No…- rispose allarmato.. –Toby è così…c’era qualcuno qui!! Ho percepito qualcosa, credo che mi abbia toccato, sono certo non fosse in visita di cortesia..-

-So che è entrato qualcuno..- risposi con sicurezza..

-Come fai a saperlo?- mi chiede con occhi sgranati..

-La finestra..- risposi con certezza.. –Anche la mia era aperta e sono certo fossero tutte chiuse…-

-Toby questa situazione non mi piace nemmeno un pò…- si agitò percorrendo su e giù la stanza..

-Cheve non è la prima volta che succede..- gli dico con stanchezza.. –All’inizio pensavo che fosse solo la mia fantasia, ma è qualche settimana che qualcuno entra in casa e insomma, anche io ho le tue stesse sensazioni! Di essere toccato..-

-Perché non me l’hai detto?- mi disse ora più incredulo che mai..

-Perché…- ripetei con incertezza.. –Non mi hanno mai fatto del male, chiunque sia sembra entrare ed andarsene con altrettanta velocità! Cosa potevo dirti?-

Il mio amico si sedette sul letto, di rimando mi accomodai accanto a lui.

Allora quelle sensazioni che avvertivo mentre dormivo erano esatte. Il fatto che qualcuno di notte si intrufolasse in casa mia non mi piaceva, forse aveva qualcosa a che fare con i segreti che nascondeva la mia famiglia?

-Questa cosa sta diventando più grande di noi Toby..- mi disse ragionando.. –Chi è entrato è veloce e scaltro..-

-Che intendi?- chiesi stupito..

-Che qualsiasi cosa sia entrata..- mi disse osservandomi rapito.. –è anche più veloce di te..-

Quindi aveva anche notato i cambiamenti nel mio corpo, si era reso conto che qualcosa si era modificato nel profondo del mio essere. Arrossii un istante, imbarazzato dal fatto che sentirmi così alieno, estraneo, mi provocasse questo grande disagio. Cheve mi strinse la mano sulla spalla.

-Quindi l’hai notato..- dissi con un alzata di spalle..

-Beh fratello..- esclamò spontaneo.. –dimmi  come non si potrebbe notare..-

-Già..-

Cercai di controllare quella parte impulsiva di me che avrebbe voluto urlare, disperarsi. Quanto mi mancava la mia vita monotona, scandita dalle solite giornate tutte uguali, con il solo scopo di sopravvivere e di barcamenarsi in tutte le mie difficoltà. Sospirai e quando mi alzai, mi resi conto che forse non ci sarebbe stato più il tempo per quella vita che un tempo mi dava tranquillità. La noia di tutti quei giorni uguali era sempre meglio dell’incertezza di quell’ultimo periodo.

-Domani non verrò a scuola..- risposi con decisione.. –voglio arrivare a un dunque Cheve, inoltre dovrò lavorare nel pomeriggio! Entro domani sera voglio avere qualcosa in mano..-

Cheve annuì con poca convinzione, aveva promesso a suo padre che sarebbe andato a scuola in ogni caso e che per nessuna ragione avrebbe fatto sega. Ma vedevo bene che lo preoccupava lasciarmi solo. Quando arrivai alla porta gli sorrisi incoraggiante e lui ricambiò seppur con esitazione. Lo lasciai solo nel silenzio della sua stanza. Sospirò così forte che mi fece tenerezza e inconsapevolmente l’avevo trascinato in questa situazione. Mi sentivo davvero in colpa.

-Io farò tutto quello che è in mio potere per proteggerlo..- gli sentii dire a denti stretti, con rabbia trattenuta.. –Chiunque tu sia non mi porterai via mio fratello!!! Hai capito? Lotterò…con lui o anche solo…ma lotterò…-

Lui era il fratello che non avevo mai avuto, anche io avrei lottato per lui. Anche io avrei fatto tutto quello che era in mio potere per proteggerlo. Ero in battaglia?

Non lo sapevo, eppure dentro di me provai quella angosciosa sensazione che troppo sangue sarebbe stato versato.

 

Un timido raggio di sole scalda una guancia, mi accoccolo nella sensazione di calore che si diffonde sulla mia pelle e sorrido. Mi piace la sensazione che mi lascia nel cuore, quel calore di famiglia, di affetto. Poco dopo, quella percezione svanisce, lasciando nella mia stanza una sensazione di freddo e desolazione.

La sveglia segna le nove e mezza, mi sento stanco e svogliato. Con fatica mi alzo dal letto e osservo il panorama fuori, sul lago di Manitoba. L’auto di Cheve non c’è più, probabilmente è andato a scuola come aveva promesso ad Adahy.

Quando scendo in cucina vedo un bigliettino, scritto con molta fretta.

“Toby vado a scuola! Prenderò appunti così li dividiamo! Farò un salto in biblioteca, sai perché.. Ci vediamo stasera, ti spiace se rimango di nuovo da te? Forse avremmo cose di cui parlare se saremo fortunati..

A stasera fratello…”

Se saremo fortunati. Già.

Scrollai il capo in segno di diniego, l’odore del caffè si sentiva ancora in cucina. Decisi che una buona colazione non poteva mancare. Presi il latte dal frigo e lo vuotai in un piccolo pentolino per farlo scaldare. Andai in dispensa per recuperare le mie brioches preferite. Nel frattempo mi resi conto che avrei dovuto fare un pò di spesa perché la mia scorta cominciava a farsi scarsa, cercavo sempre di non farmi mancare nulla approfittando delle offerte che mi capitavano sotto mano. Spostai una scatola di biscotti, per controllare quante cose mi mancavano e scontrai un pacco di pasta che andò a finire sotto una mensola.

Non avevo voglia di raccoglierla, ma mi chinai a terra e cercai di recuperare il piccolo pacco a terra. Arrivai con la mano a toccarlo e all’improvviso sentii qualcosa muoversi, mentre traballava tra la parete ed il grande armadio adibito a dispensa. Si vedeva chiaramente un pannello di legno, appoggiato alla bene meglio alla parete, mi chiesi cosa ci facesse lì dietro, ma non mi stupii più di tanto, Meredith e Carlos erano imprevedibili ed anche un pò strani.

Appoggiai il pacco di pasta alla mensola e ritornai in cucina, mentre il latte ormai era completamente caldo. Aggiunsi una sorsata generosa di caffè, lasciai che la saliva mi riempisse la bocca e sorrisi estasiato da quel  profumo invitante. Aprii la mia brioches e iniziai a mangiare voracemente.

Accesi qualche istante la televisione e nel telegiornale nazionale, si parlava ancora di Mary Anne Solz, la ragazza che era stata uccisa proprio lì, accanto a casa mia. Ma le brutte notizie non sembravano ancora terminate, altre uccisioni erano state compiute in tutta la zona del Lago di Manitoba, insieme a Mary Anne le vittime salivano a quattro. Mi accoccolai sul divano con la mia tazza di latte caldo tra  le mani, mentre distrattamente ascoltavo il giornalista che parlava.

Nella mia mente vagava un sospetto. Queste morti improvvise e la mia vita così repentinamente stravolta.

Non potevo e non volevo arrendermi. Non volevo macchiarmi della morte di altre persone se in qualche modo potevo impedirlo. Bloccai per un istante il mio corpo.

Perché dentro di me percepivo questa consapevolezza che non era tutto un caso?

Potevo davvero fare la differenza?

Se davvero potevo cambiare il corso delle cose, se davvero volevo mettere a tacere quel senso di frustrazione che mi assaliva mentre pensavo a Mary Anne, la parola d’ordine era: guardare in faccia la mia realtà, combatterla e scoprirla.

Posai la mia tazza sul tavolino di fronte al divano e andai diretto in dispensa.

In una delle mie tante visioni nel sonno, ero bambino e avevo trovato un libro vecchissimo in una stanza. Ora che ci ripensavo non ricordavo di averla mai vista e non assomigliava a nessuna delle camere che vedevo ogni giorno. Poteva solo essere una coincidenza, uno stupidissimo sogno che non c’entrava nulla con la mia vita, con la mia attuale condizione, ma non potevo trascurare la possibilità, che in questa grande casa ci fosse una stanza segreta. Una stanza in cui non potevo entrare, una camera di cui non dovevo conoscere i segreti.

Provai a spostare l’armadio tirandolo lentamente verso di me, ma era veramente pesantissimo per una persona sola. Decisi allora di svuotarlo un pò. Iniziai a togliere la cose più pesanti, a mano a mano portavo la roba fuori dalla dispensa per evitare che mi ingombrasse nei movimenti.

Dopo dieci minuti valutai che avevo tolto molte cose e che probabilmente sarei riuscito a tirare ancora un pò l’armadio, quanto bastava per intrufolarmi dietro. Iniziavo a scorgere nitidamente il pannello appoggiato alla parete e quando diedi l’ultimo strattone per allargare il passaggio in cui potermi infilare, il mio cuore mancò di un battito.

Ero vicino alla verità?

Mi avvicinai con timore, il pannello era li appoggiato senza troppi problemi, quindi pensai che lì dietro poteva non esserci assolutamente nulla. Poteva essere l’ennesimo buco nell’acqua. Ricacciai indietro la delusione che provai nello stesso momento in cui pensai a quella opportunità. Appoggiai le mani sul rivestimento di legno, le mie mani vibravano di energia, era una strana emozione, emanava forza e timore reverenziale. Presi coraggio e strinsi le mani intorno a quel legno levigato e perfetto. E lo spostai.

Guardai di fronte a me.

 

Mio fratello era appena tornato. Sembrava un leone in gabbia che girava avanti e indietro, sentivo la sua agitazione scorrergli nelle vene, era sempre stato un debole. Nonostante quello era l’unica persona che mi era  cara. Eravamo troppo diversi, in fatto di ambizione, di capacità, ma questa diversità ci univa.

-Smettila…mi stai facendo venire il mal di mare..- gli dissi mentre raggiungevo la finestra..

-Come faccio?- disse con sgomento.. –Stanno arrivando…a meno che non sia stato tu l’altra sera con…-

Lo osservai con un sorriso divertito. Davvero pensava che potesse interessarmi qualcuno di tanto scialbo?

Scossi la testa sorridendo, ero un predatore, ma sicuramente avevo gusti più esigenti.

-Quella ragazza non era il mio tipo..- dico solo con un sorriso diabolico..

-Non voglio stronzate fratello..- mi dice severo.. –non voglio iniziare una nuova faida qui..-

-è il destino di questa terra..- risposi con freddezza.. –Lo sai che è così! Le cose non si posso più cambiare, a meno che non avessimo agito anni fa con freddezza e lucidità, come ci era stato ordinato..-

-Perché non l’hai fatto allora?- mi chiese con impeto..

-E tu?- risposi tagliente.. –Tu eri lì con me…-

Non potei rispondere a quella domanda, perché era assolutamente impossibile per me dargli un senso. Non riuscivo a ricordare come fossi arrivato ad osservare i suoi occhi e rimanerne talmente affascinato da annebbiarmi la vista. Questa mancanza di coraggio mi era costata cara, c’era la possibilità di una nuova era per quelle terre. Ma per chi stava al di sopra di noi, mio fratello ed io avevamo fallito.

-Io penso di sapere cosa ti ha frenato..- mi disse improvvisamente con occhi truci..

-Tu non sai nulla fratello..-

-Cosa ci facevi lì l’altra sera?- mi inchiodò con il suo sguardo freddo.. –Ti ho sentito…io so che eri lì! E se non era per la ragazza, allora per chi era..-

-Smettila…- dico con noncuranza.. –Ero solo curioso…-

-Da quando siamo arrivati stanno già cambiando delle cose…- rispose con aria afflitta..

-Cosa ti aspettavi?- lo rimproverai.. –Non saremmo mai dovuti tornare! E la prima cosa che hai fatto è stata la più grande idiozia che potessi fare..-

-E tu?- mi rimbrottò con rabbia.. –Dove vai ogni notte? Cosa ti spinge a stare fuori casa così tanto?-

Sorrisi alla notte che si era affacciata. Le parole di mio fratello non mi toccavano, non mi importava se pensasse che ero semplicemente una mina vagante pronto a colpire dove capitava. Spesso seguivo la mia natura, quello che ero stato creato per essere, questo non sarebbe mai cambiato.

Avevo il sospetto che entrambi ci fossimo spinti qui per dei motivi ben precisi. C’era qualcosa  che mi legava con un filo invisibile a questa terra, negli anni in cui avevo vagato a vuoto per il mondo, avevo provato una sofferenza nera come le tenebre che ci avvolgevano. Questa sofferenza si era placata arrivando ad Amandil e frequentando questi luoghi inospitali.

-Pensi che nostro padre..- disse con un filo di voce.. –sappia che siamo qui?-

-Lui è potente..- risposi con sicurezza.. –lui sa ogni cosa...-

-Cosa dovremmo fare?- mi chiese incerto..

-Nulla..- risposi con decisione.. –Per ora non possiamo fare niente! Quando sarà il momento decideremo da che parte stare..-

-Stai scherzando?- mi disse con furia cieca.. –Noi abbiamo scelto già quella notte, possibile che tu non capisca?!? Eravamo ad un passo dal compiere quello che nostro padre ci aveva ordinato e non l’abbiamo fatto, secondo te perché?-

Perché? Me lo ero chiesto mille volte.

La prima regola di nostro padre era: nessuna pietà.

Non c’era spazio per la pietà nel suo mondo e lui si aspettava le stesse cose da noi. Forse eravamo stati una delusione per lui in quel frangente. Non potevo biasimarlo.

Presi una giacca dall’appendiabiti e decisi di uscire. Improvvisamente l’aria in quella casa era diventata irrespirabile. Mio fratello era troppo ansioso a volte e non faceva che mettermi di cattivo umore. Volevo correre e cercare di dimenticare tutti i suoi discorsi inutili. Volevo scordarmi che se non ero riuscito a portare a termine un compito tempo fa, difficilmente ci sarei riuscito adesso.

E questa sconfitta inevitabilmente mi bruciava nel cuore.

Mio fratello osservò i miei movimenti, mentre mi mettevo la giacca, il suo sguardo, si muoveva in segno di diniego. Cercò di raggiungermi ma avevo già oltrepassato la soglia di casa e mi venne dietro di qualche passo.

-Ryan dove vai?- mi chiese angosciato..

Sapevo che una volta iniziato a correre le mie  gambe, la mia volontà mi avrebbero spinto in quel luogo bellissimo, contornato dalla foresta, non lontano da Amandil. Rendermi conto che sarebbe stato così mi aveva messo a disagio.

-Ryan ti prego..- mi disse dietro di me la sua voce.. –non farlo! Non tornare da lui, lascialo in pace! Finiremo con rovinare tutto..-

Non ci riuscivo. La mia volontà era a brandelli. Ogni volta che mi imponevo di fare la scelta giusta, facevo il contrario di quello che ritenevo corretto. C’era una forza dentro di me che mi attraeva e mi spingeva a cercare motivazioni, risposte, scuse.

Iniziai a correre in direzione della città. Provai un senso di libertà estremo mentre percorrevo quei sentieri e sentivo lontano la voce di mio fratello imprecare nella notte.

-Ryan….- gridò ancora frustrato..

Ormai stava arrivando novembre, nella regione di Manitoba presto la neve l’avrebbe fatta da padrona, l’inverno avrebbe popolato quelle terre desolate, ghiacciando tutto ciò che incontrava. Mentre correvo velocemente incontro all’aria gelata, non pensavo a nulla, quello era l’unico momento in cui i ricordi non mi assalivano e potevo sentirmi libero. Un pochi minuti mi ritrovai accanto alla Manitoba Highway 1 e pochi istanti dopo agganciai il suo profumo, un aroma misto al cioccolato, vaniglia e cannella. Quel suo profumo, quante volte ero stato tradito da quel suo aroma speziato, allo stesso tempo dolce e pungente. Perché anche caratterialmente era così, a volte freddo e trattenuto, quanto dolce e protettivo con chi amava.

Mi bloccai immediatamente ancora incerto se proseguire verso Amandil e ignorare quel richiamo ammaliante che mi trasportava altrove, proprio sulle coste del lago di Manitoba. Conoscevo bene quel luogo.

Cercai di dominare il mio istinto e con enorme fatica mi voltai verso Amandil. Feci qualche passo nella direzione opposta al lago di Manitoba, quando un’auto passò a velocità moderata sorpassandomi, mentre mi accovacciavo nel mio rifugio dietro gli alberi. Riconobbi quel viso, gioviale e allo stesso tempo serio, procedeva verso il lago.

Mi voltai in direzione dell’auto che procedeva con tranquillità, in lontananza vidi che stava per svoltare nella strada lì accanto, quella sterrata che portava alla spiaggia di Soulmate. Velocemente mi avvicinai alla foresta accanto alla spiaggia, vinto e sconfitto dall’impulso di capire per quale motivo il ragazzo andava lì così spesso. Non sarebbero state domande che mi sarei dovuto porre, non erano affari miei. Eppure eccomi lì, mentre il paesaggio mozzafiato che di giorno allietava quella spiaggia, era avvolto nell’oscurità. Mi accucciai alla bene meglio dietro un cespuglio fitto, nel punto più vicino alla macchina del giovane che era ancora lì, con i suoi riflessi rallentati a stringere le mani sul volante.

Sospirò così profondamente che percepii il suo tormento distintamente.

-Cosa devo fare..- si chiedeva tra sé e sé..

Prese in mano dei fogli, sembravano fotocopie di vecchi giornali e quando mi spostai velocemente arrampicandomi sull’albero affianco mi accorsi di avere una visuale migliore. Mi nascosi alla bene e meglio attraverso l’intricato motivo di rami e foglie, i suoi occhi non avrebbero mai potuto localizzarmi. Rimasi stupito nel comprendere che quel giovane indiano stava indagando su vecchi omicidi avvenuti nelle terre di Amandil. Il mio cuore, inevitabilmente, mancò di un battito.

Scavare troppo a fondo nella vecchia storia di Amandil non avrebbe fatto altro che fargli scoprire cose spiacevoli, a cui  nessuno probabilmente credeva e quei pochi, che avevano avuto la sfortuna di sapere, preferivano scordare, se non dimenticare. Cosa stavano cercando?

-Come cavolo faccio a dirgli una cosa del genere?- si ripeté sbattendosi le mani sulla testa.. –Ma non posso mentirgli!-

Guardò dritto davanti a sé, il suo viso cambiò espressione e mi resi conto che dalla finestra dell’abitazione, un viso stravolto stava osservando l’auto appena arrivata. Mi nascosi ancora meglio, inconsciamente, come se potesse realmente vedermi e aspettai che il ragazzino indiano raccogliesse le sue informazioni e si dirigesse verso la casa sul lago.

Sentivo le tempie tamburellare, il respiro era irregolare. Il fatto che questo ragazzo andasse a scavare negli archivi di Amandil non mi rendeva tranquillo, per quale motivo farlo?

Non appena  raggiunse casa e chiuse l’uscio, scivolai agilmente giù dall’albero che era stato fino ad ora il mio rifugio. Con tranquillità iniziai a correre delicatamente sulla spiaggia e raggiunsi la casa con estrema facilità. Con un balzo felino mi ritrovai sul corrimano della ringhiera in legno e molto cautamente, scesi sul porticato cercando di evitare cigolii sospetti. Mi accovacciai sotto la finestra e poco dopo captai i due ragazzi parlare concitatamente.

-Gli omicidi sono terminati dopo la morte di mio padre e di mia madre..-

Quelle parole mi fecero battere più velocemente il cuore.

Non solo quel ragazzino aveva trovato degli articoli che parlavano di Amandil e dei misteriosi omicidi di tredici anni fa, ma ci stava pure ricamando sopra. Istintivamente mi chiesi cosa stessero cercando in realtà.

Mi assalì il panico. Non poteva essere così non volevo crederci.

Cercai di non fare rumore e feci capolino dalla finestra, guardando i due ragazzi innervositi e tesi, muoversi con agitazione. L’indiano aveva appoggiato le mani sulle spalle di lui, lo stava spronando a non lasciarsi travolgere da questa notizia perché avrebbero trovato la verità che cercavano. Mi nascosi dietro la parete e un motto di terrore mi percorse il corpo, non dovevano trovare nulla.

Quelle leggende ormai erano molte e sepolte, molti non ci credevano nemmeno più e così doveva essere. C’era stato un patto un tempo, un patto che avevamo sicuramente infranto tornando qui. E se loro fossero stati vivi, non ce lo avrebbero di certo perdonato, eravamo stati deboli io e mio fratello.

Quando osservai nuovamente dentro la stanza, i due ragazzi si erano tranquillizzati e poco dopo avevano spento la luce per lasciare la cucina e rifugiarsi nelle loro stanze.

Con agilità cercai di raggiungere l’angolo ad est della casa, arrampicandomi senza problemi, arrivai sul tetto del porticato e lentamente scivolai al di sotto di una finestra.

Mi sentii un ladro, non era la prima volta che lo facevo.

Sapevo che lui era lì, che quella era la sua stanza. Ogni cosa di quella camera era impregnata del suo profumo dolciastro, a volte pungente e speziato, come stasera che sembrava ansioso. Si era toccato nervosamente quei suoi riccioli neri, cercando forse conforto, forse un appiglio a cui appoggiarsi. Quando crollò esausto sul letto, rilassai leggermente i nervi e coperto per metà dalle tende, mi arrischiai a guardarlo meglio.

Aveva quel corpo così tonico da fare invidia a qualsiasi uomo. Gambe lunghe e muscolose al punto giusto. I suoi capelli nerissimi, riccioli gli conferivano un’aria quasi da fanciullo anche se sicuramente era più virile dei molti ragazzi della sua età. La sua serietà tradiva una maturità che raramente era facile trovare in ragazzi così giovani.

Quando mi risvegliai da quelle considerazioni, scossi il capo e mi resi conto che non si muoveva più convulsamente come qualche minuto prima, doveva essersi addormentato. Non c’era assolutamente alcun motivo che mi spingesse a rimanere li, fuori al gelo ad osservare qualcuno dormire. Mi voltai in direzione del lago e sospirai con pesantezza, la notte inghiottiva tutto quello che incontrava.

Io stesso vivevo in un’unica e perpetua notte.

Non solo la mia vita era un buio immenso, anche la mia anima era oscura come quel nero che inghiottiva il lago e tutte le cose belle che esistevano. Cercai di muovere qualche passo in direzione della foresta, mi sarebbe bastato un salto per arrivare a terra e fuggire velocemente.

-Al diavolo…- borbottai..

Ritornai sui miei passi e arrivato affianco alla finestra, lasciai che i miei occhi si posassero liberamente sul suo corpo, stava respirando pesantemente, segno che doveva essersi addormentato. Cercai di essere delicato nei movimenti, appoggiai la mano sulla finestra e mi concentrai profondamente.

Feci leggermente pressione sul legno, mentre la mia mente si concentrava sulla serratura, non volevo cigolasse, quindi questo dovevo fare in modo che la maniglia ruotasse su se stessa molto lentamente, altrimenti avrei rischiato di compromettere la mia intrusione. Quando strinsi a fessura i miei occhi, bastava ancora un piccolo sforzo per far si che gli infissi si spalancassero.

Sospirai dal sollievo quando la finestra si aprii, non emettendo alcun suono.

Gradualmente cercai di scavalcare la parete che mi divideva dalla stanza e quando fui nella sua stanza, il suo aroma mi colpì tanto forte da provocarmi un capogiro, ogni cosa sapeva di lui lì dentro.

Mi avvicinai al suo letto e non riuscii a far altro che osservarlo, mentre quel suo sguardo mascolino, era ingentilito da una bocca carnosa e ben definita, era incredibile che esistessero al mondo uomini tanto perfetti. Non mi stupivo che ogni donna che lo guardasse  perdesse la testa per lui e non riuscisse più a formulare pensieri coerenti. Quel ragazzo era dannatamente bellissimo.

-Tobias…- sussurrai con voce irriconoscibile..

Mi sedetti sul letto con gesti misurati e ponderati, gli ero troppo vicino, quel genere di errore che solitamente non avrei commesso così alla leggera.

Sentii l’impulso di toccarlo, il suo corpo emanava un’energia che non riuscivo a spiegarmi. L’ultima volta che l’avevo visto, non avevo colto niente di simile in lui, o forse ero stato troppo impegnato a scrutarlo per percepirlo?

Sfiorai i suoi capelli neri come l’ebano, quelle onde gentili che gli cascavano sulla fronte e qualche ricordo affiorò nella mia mente. Ricordi che non volevo far riaffiorare, momenti della mia vita di cui non ero mai stato fiero, ma che facevano parte del mio oscuro essere.

Quando sfiorai il suo viso, una frustrata mentale mi assordò con il fragore dell’incubo di Tobias. Fu qualcosa di terribilmente angoscioso, perché nello stesso istante in cui lo captai dovetti allontanarmi come bruciato dall’intensità del dolore che stava provando. Sentii una fitta all’altezza dell’inguine, un dolore pungente, come se qualcosa mi avesse colpito con forza. Non comprendevo cosa mi avesse trafitto così, con quell’ondata di sofferenza tanto intensa, le sue emozioni o l’energia che sprigionava il suo corpo.

Quando mi concentrai e sfiorai nuovamente il suo viso, cercai di sopportare alla bene meglio l’ansia che lo stava attanagliando, percepii chiaramente delle parole, qualcuno che urlava, ma non volevo toccarlo troppo, rischiavo si accorgesse della mia presenza. Purtroppo però in questo modo il mio potere era limitato, potevo risalire a immagini e specialmente a parole, ma con molta più fatica.

Quello che mi spinse ad arrestare quel contatto fu lo sguardo che captai nella parte finale del sogno, provai uno sgomento tale da ritrarmi velocemente accanto alla porta, mentre realizzavo che Tobias si stava svegliando. Aprii velocemente la porta della stanza e la richiusi con velocità, cercando di evitare rumori inopportuni.

Al di là della porta nessuno si stava muovendo, almeno per il momento. Avevo il cuore a mille, mentre ancora con cautela cercavo di capire se Tobias aveva avvertito la mia presenza. Pensai che normalmente non doveva accadere, ma l’energia che emanava quel ragazzo era anomala.

In fondo al corridoio percepii il sonno pesante del ragazzino indiano. Prudentemente mi accostai alla sua stanza e aprendo l’uscio, mi intrufolai all’interno richiudendomi piano la porta dietro.

Cheveyo si era arrotolato nel copriletto, dormiva scompostamente, ma era evidente che il suo non fosse un sonno tranquillo. Decisi di sondare il terreno e di capire cosa stessero cercando di preciso, forse provando a comprendere i suoi pensieri avrei trovato la chiave di volta per interpretare la loro indagine.

Avvicinai la mano alla sua tempia, cercando un lieve contatto che mi permettesse di rintracciare il flusso dei suoi pensieri, mi concentrai per qualche istante e all’improvviso vidi, tra le immagini che agitavano Cheveyo, uno spasmo in cui Tobias si dimenava toccandosi nervosamente il collo. L’ultima immagine che vidi, particolarmente sfocata, ricordava un ciondolo, a terra su di un pavimento.

Non riuscii a vederlo bene e da vicino, difficile capire di cosa si trattasse. Quando cercai di ritrarmi, Cheveyo si agitò sul letto finendo per scontrare la mia mano gelata. Fu questione di un attimo, feci appena in tempo a correre verso la finestra e ad uscirne, che un urlo echeggiò intorno al silenzio assordante di quella notte gelida. Fu questione di altri pochi secondi e la porta della camera si spalancò, Tobias era corso dal suo amico.

Rimasi sconcertato per un momento che mi sembrò eterno. La mia mente era ancora confusa, non sapevo spiegarmi la velocità con cui Tobias aveva raggiunto la camera del suo amico, appena pochi secondi dopo da quando aveva urlato. Arrivai alla conclusione che nel tentativo di concentrarmi per ascoltare l’indiano, avevo trascurato i movimenti di Tobias non accorgendomi che si aggirava per casa.

Sicuramente non ero stato prudente questa notte. Preso dalla curiosità mi ero spinto troppo oltre e avevo lasciato delle prove.

L’indiano si era accorto della presenza di qualcuno e Tobias gli confermò che accadeva da qualche tempo.

Dovevo andarmene, non potevo più aspettare, avevo già fatto troppi danni per stasera.

Agilmente balzai giù dal tetto del porticato e atterrai sulla terra morbida, attutita del manto erboso. Mi osservai intorno e iniziai a correre velocemente verso casa, avevo voglia di sbollire tutta la tensione e di ragionare sulle poche notizie che avevo racimolato.

Quando arrivai al piccolo bosco dei pini, rallentai sapendo che ormai ero a casa. Sospirai pesantemente, avevo un sacco di domande a cui dare una risposta, ma nessun elemento da prendere seriamente in considerazione. Quando arrivai in prossimità di casa, notai che mio fratello era alla finestra e si rilassò vistosamente quando intravide la mia figura al limitare del bosco. Sapevo che aveva avvertito la mia presenza già da molto tempo.

Quando aprii l’uscio mi investì il calore familiare di quelle solide mura e la tensione dei momenti passati si sciolse velocemente, mentre mi sfilavo il cappotto. I suoi occhi smeraldo arrivarono con cautela e non appena varcò la soglia che divideva il corridoio dal salone, il suo sguardo cambiò.

Aveva percepito l’aroma singolare di Tobias, ne ero certo.

-Sei andato da lui..- disse solo con certezza..

-Non puoi saperlo..- risposi con aria canzonatoria..

-Ryan il suo aroma è impregnato nei tuoi vestiti..- mi accusò..

-Smettila..- gli dico seccato.. –Non ho proprio voglia di farmi rimproverare..-

-Non capisci?- mi incalzò con cautela.. –Lui ci odierà Ryan, lo sai meglio di me..-

-Odiare…- dissi sorridendo aspramente.. –Non sarebbe né il primo né l’ultimo..-

Percorsi quel breve tratto che mi separava del salone, mi avvicinai al camino accesso e lasciai che il fuoco mi inondasse con il suo calore. Era bello percepire sulla propria pelle quel senso di vita, che troppo spesso mi mancava nella mia esistenza di eterno fuggiasco.

-Ryan…- disse lui avvicinandosi a me..-Tobias si sta trasformando..-

Mi voltai verso di lui con sguardo indecifrabile. All’improvviso la terra tremò sotto i miei piedi e rimasi pietrificato, come una statua di marmo incapace di provare emozioni e sentimenti. Ma in realtà il mio cuore stava bruciando, letteralmente bruciando.

-Che stai dicendo?- dissi appena consapevole delle parole che avevo pronunciato..

-Penso che sia così Ryan…- rispose con angoscia..

-Quell’energia che ho sentito…- dissi con consapevolezza adesso..

-L’hai percepita anche tu?- disse scuotendo il capo..

-Come non avrei potuto?- risposi in un fiato.. –è talmente intensa e vibrante che difficilmente potresti ignorarla..-

-Questo vuol dire solo una cosa fratello..- sentenziò con sicurezza..

-Enrique sta tornando..- esclamai adesso più sicuro che mai..

Il silenzio che ci investì era pieno di significato. Sapevamo entrambi cosa volesse dire che quell’uomo tornasse nelle terre di Amandil. E sapevamo anche quale unico destino attendesse Tobias.

In ogni caso a noi non sarebbe cambiato granché, in qualsiasi modo ci saremmo comportati forse saremmo arrivati al punto che Tobias ci avrebbe odiato in egual modo. Non c’era modo di recuperare, o di migliorare la situazione, l’eredità che avevamo sulle spalle era troppo gravosa per dimenticare.

Sospirai e lasciai che quei pensieri mi scivolassero addosso, avevo sempre saputo quale destino ci aspettava. Ma mio fratello non era così, il suo viso era contrito, arrabbiato, i pugni serrati nella morsa del rimpianto. Non aveva mai voluto rassegnarsi al destino, aveva lottato perché le cose potessero cambiare, ma quando il tuo sentiero è segnato, non c’è molto da fare. Amavo quella sua rabbia, quel suo voler cambiare il mondo.

Ma quando Enrique sarebbe tornato, sapevamo entrambi che non ci saremmo potuti esimere dai nostri compiti, dai nostri ruoli. Eravamo nati per sottostare al suo volere e ai suoi comandi.

Sapevo che la nostra ribellione lo aveva irritato, né ero certo, ma ero anche sicuro del fatto che una volta tornato qui ad Amandil, la fredda necessità di portare a termine le sue decisioni, lo avrebbe spinto a dimenticare i nostri fallimenti. Ovviamente più per necessità che per affetto.

Dopo quella volta, mio fratello ed io, avevamo deciso di andarcene. Sparimmo senza lasciare alcuna traccia, decisi a cambiare il corso degli eventi. Eravamo stati ingenui, perché la guerra di Enrique non si sarebbe mai placata con la nostra ribellione.

Quella fredda e chiara constatazione, mi gelò il sangue nelle vene, la libertà che fino ad ora avevo saggiato, era solo un piccolo dessert che Enrique ci aveva lasciato gustare, per poi ricordarci i nostri obblighi.

Era questa la verità, eravamo riusciti a ribellarci perché lui ce lo aveva permesso, altrimenti ci avrebbe riportato dalla sua parte con la forza.

-È inutile ribellarsi al destino fratello..- risposi con gelida consapevolezza.. –Siamo nati per un compito ben preciso, lo sai!!-

-La sua vendetta?- rispose con rabbia.. –Secondo te questo è normale? Assecondare i suoi capricci secolari?-

-Capricci o no..- dissi con denti serrati.. –siamo stati cresciuti per questo!!  Per assecondarlo...-

-No…siamo nati per vivere la nostra vita e le nostre battaglie..- rispose sicuro.. –Non le sue Ryan!!-

-Sarà anche così…- esclamai con freddezza.. –Ma la dura disciplina su cui abbiamo giurato, non prevedeva le nostre battaglie, ma le sue…-

Il suo sguardo si fece afflitto, la dura ostinazione che leggevo nei suoi occhi meno risoluta.

-Sulla base di quale ideale dovrei accettare di buon grado i suoi ordini?- mi chiese a denti stretti..

-Perché sai qual è il prezzo da pagare..- risposi con stanchezza..

I suoi occhi si sbarrarono, ricordava perfettamente la minaccia che incombeva sulla persona che amavamo di più al mondo, l’unica che abbia mai combattuto per noi. Ero disposto a qualunque cosa pur di proteggere questa persona, anche a uccidere se fosse stato necessario.

Lui ci considerava dei deboli proprio per questo sentimento che avevamo radicato nel cuore. Per Enrique quelli come noi non dovevano avere distrazioni dettati da sciocchi sentimentalismi, eppure  anche lui un tempo aveva amato e aveva fatto di quel suo amore, la motivazione della sua vendetta.

La verità è che eravamo ricattabili, qualcuno di noi due si sarebbe dovuto sacrificare ed io, ero disposto a farlo.

Ero cresciuto nella freddezza di stanze buie e glaciali, nelle punizioni con verghe e fruste, tutto per proteggere chi amavo. Il sacrificio non mi spaventava, ma avevo anche io timore. Forse paure che mai avrei voluto ammettere con me stesso ed era per questo che ero diventato un oscuro essere nelle mani di un freddo assassino. Sapevo avere il giusto distacco dalle cose nel momento in cui le portavo a termine, non importava se dopo, nel silenzio della mia gabbia, ero disgustato da me stesso e dal senso di colpa per quello che ero in grado di fare.

-Eravamo solo due bambini…- disse lui scuotendo il capo..

-Quando quella via ti  viene presentata come l’unica strada che puoi intraprendere, non credo che tu abbia scelta ..- risposi con consapevolezza.. –Tu non sai che hai altri percorsi, che puoi decidere per te stesso, non siamo mai stati cresciuti con la possibilità di scegliere.. Ma solo di obbedire..-

Lui annuì ma sapevo che dentro il suo cuore si stava alimentando un piccolo focolare, quella ribellione di anni fa, gli animava ancora il cuore e lo spirito. Era voluto tornare, chissà poi per quale motivo, non l’avevo mai capito ed ora eravamo incapaci di fuggire. Avremmo dovuto raccogliere le poche cose che ci appartenevano e andarcene prima che la nostra vita tornasse in mano al carnefice che la usava per i suoi scopi, eppure qualcosa ci tratteneva.

Quando mi alzai dal divano mio fratello mi trattenne per un braccio, sentivo la sua presa ferrea, nella morsa del suo tocco, sentivo l’affetto che nutriva per me.

Ero sempre stato spesso freddo e impassibile, lo accusavo di essere una femminuccia sentimentale a volte, ma invidiavo e amavo quel suo lato umano che io ormai non avevo più.

Tutte le decisioni sbagliate che avevo preso non avevano fatto altro che macchiare le mie mani di vite innocenti, la mia anima ormai era dannata, non me ne  pentivo se questo voleva dire esimere mio fratello da questo fardello.

-Ryan…- disse incerto..

-Cosa c’è?- chiesi con tranquillità..

-Per caso hai mai sentito parlare del “Butterfly on the dagger”?- aveva quello sguardo timoroso che a volte lo distingueva..

-Che cosa vuol dire?- risposi confuso.. –Sinceramente non so di cosa tu stia parlando..-

-È una vecchia leggenda Ryan…- esclamò vago... –Me la raccontava sempre..-

Si riferiva a nostra madre.

La sua voce era un sussurro. Non sapevo se sarebbe mai stato disposto a dirmi più di questo, sembrava preoccupato e sinceramente ansioso di non dirmi altro. Non che mi importasse di conoscere altre cialtronerie. Non avevo mai sentito parlare della “Buttefly on the dagger”, nessuno si era mai premurato di raccontarmi quella storia, quindi probabilmente era un qualcosa che non ci riguardava.

-Perché? Riguarda noi?- chiesi con noncuranza..

-No…- disse scuotendo il capo con vigore.. –Niente di tutto ciò..-

-Riguarda Tobias?- chiesi con riluttanza..

Lui sgranò un pò gli occhi ma riprese subito il controllo. Lui non mi avrebbe mai mentito, i suoi occhi erano tranquilli e seri, quando mi guardò sembrava sorpreso ma sorrise timidamente.

-No..- disse con decisione.. –Non c’entra nulla! Era solo una mia curiosità..-

-Quindi non c’è niente che dovrei sapere..- affermai con sicurezza..

-No..- disse osservando il fuoco..

Lasciai mio fratello ad osservare il calore che si propagava nella stanza.

Non sapevo quante cose lui sapesse su di me, sui miei segreti, sul mio destino. Forse se fossi stato più attento, oggi avrei capito che Nicholas conosceva il mio destino.

Forse aveva capito più di me. Nel salone i suoi pensieri vagavano senza sosta, mentre si prendeva la testa fra le mani e cercava una risposta razionale a ciò che pensava o che sospettava.



Eccomi con questo nuovo capitolo. A poco a poco sto scrivendo la storia di Tobias e vi chiedo perdono se non riesco a postare più spesso. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate, vorrei creare un clima di mistero e suspance, ma ovviamente gli unici che potete dirmi se sto raggiungendo lo scopo siete voi con i vostri pareri e perchè no, con le vostre opinioni negative. Se pensate ne valga la pena continuate a seguirmi e vi ringrazio anticipatamente!! Un abbraccio Asia...

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