Whispers

di Nuage9
(/viewuser.php?uid=101094)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Maria ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Life goes on. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Melanie ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - She won't come back, will she? ***



Capitolo 1
*** Prologo - Maria ***


Breve premessa: Ero molto indecisa se pubblicare o meno questa storia, tuttavia, alla fine, mi son detta che, in fondo, per lasciarla a prendere polvere nel mio computer era meglio cercare di avere dei pareri esterni. Tengo molto a questa storia, quindi mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate :) Enjoy ~

Maria

Ancora oggi ricordo, come se fosse ieri, la mia vita insieme a lei. Non era una ragazza particolarmente bella, ma aveva quel certo non so che per cui tutti i ragazzi la trovavano irresistibile. Forse erano quelle sue fossette sulle guance, che venivano fuori ogni volta che rideva (il che, a dire il vero, accadeva abbastanza spesso), facendola sembrare una bambina; forse era il modo in cui affrontava la vita, così spensieratamente, in modo così poco adatto ad una ragazza di vent’anni.
Maria amava la vita, in ogni sua forma.
Amava tutti, di quell’amore puro e privo di malizia che si crede impossibile da provare una volta superata la prima fase dell’infanzia; ed amava gli animali e le piante, allo stesso modo; le giornate di sole come quelle di pioggia. Nulla sembrava farla incupire, ed era questa la sua forza.

Conobbi Maria al primo anno di College: entrambe ci eravamo appena trasferite in Inghilterra, io dalla Germania e lei dalla Spagna, e, dal momento che eravamo le uniche straniere, mi venne abbastanza naturale avvicinarmi a lei. Il suo inglese era perfetto, tuttavia non sembrava affatto infastidita dalla mia strana pronuncia, o dal fatto che il più delle volte, nei primi tempi, non facessi altro che gesticolare e mimare perché incapace di ricordare tutte le parole che volevo dire.
Ogni volta che non sapevo come continuare, lei rimaneva lì, perfettamente immobile, in paziente attesa; e ogni volta che alla fine riuscivo a completare la frase, sorrideva, prima di rispondere, quasi come se io fossi stata il suo animaletto domestico e lei la padrona fiera. Sì, dava spesso quest’impressione di superiorità, ma non credo fosse sua intenzione.
Una volta ho provato a dirglielo, e lei, sgranando gli occhi castani, mi chiese, sincera: « Perché dovrei ritenermi superiore a qualcuno, Ricka? Non siamo tutti esseri umani? ». Ricordo che, forse per il modo serio in cui lo disse, forse per come quella frase, detta da una ragazza di appena sedici anni, stonava, mi misi a ridere. Per fortuna, Maria non è mai stata una persona permalosa.
Se fossi stata lesbica, o un ragazzo, mi sarei certamente innamorata di lei.
Non posso comunque dire di non averla amata, a modo mio. Non era lo stesso amore e desiderio che si provano per un amante, non era lo stesso affetto che si sente per un’amica; tuttavia non c’era lo stesso legame che si ha tra sorelle. Non saprei dire che sentimento fosse, ma era dolcissimo. Un sentimento che non potrò provare mai più, per nessun altro.
Non avevamo nemmeno bisogno di parlare, quando eravamo insieme: il più delle volte, sia che lei venisse a casa mia, sia che io andassi a casa sua, sia che uscissimo, finivamo a vedere un film, in silenzio. E solo quando anche i titoli di coda erano finiti, uscivamo da quel mondo magico che noi stesse avevamo creato intorno a noi e, prima di dire qualunque cosa, ci guardavamo negli occhi per un po’. Forse, per ristabilire il legame con la nostra realtà.

« Non pensi che si bagneranno troppo? » esordì una sera piovosa, guardando fuori dalla finestra. Non serviva specificare il soggetto: capii immediatamente che si riferiva a sua madre e a suo fratello minore, appena usciti dalla casa in cui, finito il College, decidemmo di convivere io e Maria.
« Non credo. Hanno l’ombrello, e poi la stazione non è lontana » liquidai così la faccenda, abituata alle preoccupazioni apparentemente senza senso della ragazza. Io, così fredda, cinica ed egocentrica, non potevo capire i sentimenti che si agitavano in lei.
Tuttavia, Maria si limitò ad annuire, come per darmi ragione, prima di prendere il cappotto. « Starò via cinque minuti, non di più » e mi sorrise, con quelle sue fossette sulle guance pallide.
Per un momento, qualcosa dentro di me urlò di non lasciarla uscire: pioveva troppo, non era sicuro. Ma non ho mai dato retta alle mie sensazioni.
Così mi limitai ad abbracciarla, a darle un bacio sulla guancia, e a dire: « D’accordo, dovevo immaginarlo. Cerca di non inzupparti troppo, però. Altrimenti, tocca a me farti da baby-sitter, se ti becchi l’influenza! » e sorridendo le diedi un buffetto sul naso, mentre lei scoppiava a ridere.
« Non ti preoccupare. E poi, ho talmente tanta fame! Non vedo l’ora di mangiare, anche perchè ho visto che hai comprato qualcosa in quel nuovo ristorante coreano giù all’angolo! » infatti, come un bravo fidanzato, le avevo preso il suo piatto preferito: kimchee.
Mi fece l’occhiolino ed uscì. Io, invece, mi avvolsi nel piumone e, comodamente sdraiata sul divano del nostro piccolo salotto, mi appisolai quasi subito, guardando una sciocca telenovela che tanto piaceva a Maria.

Ma lei non tornò più, nonostante l’avessi aspettata così a lungo.




Note Finali ~ Uhm. In realtà, questo è una sorta di strano "prologo". Recentemente mi sono messa a leggere (più di prima) i libri di Banana Yoshimoto, e ciò ha influito molto sullo stile che sto usando per questa storia. Ultimamente, ogni volta che mi metto a scrivere dico "ah! Ma questo non è il mio stile!", ma la verità è che il mio modo di scrivere, unico, che appartiene soltanto a me, non l'ho ancora trovato. Quindi sto sperimentando. Purtroppo, cambio stile a seconda di come cambia il vento - in una città molto ventosa, direi.
Come ho già scritto sopra, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :)
Per gli aggiornamenti non prometto nulla, mi spiace: ho già scritto i prossimi due capitoli, ma probabilmente li rileggerò fino allo sfinimento prima di decidermi che sì, sono abbastanza decenti da essere pubblicati.
La storia non è affatto un'autobiografia, ma in essa vi sono tante piccole cose che, in realtà, sono prese proprio dalla mia vita reale - ad eccezione di quella che dovrebbe essere chiamata "la storia principale", ovvero Ricka, il suo rapporto con Maria, e... Bhe, vedrete nel prossimo capitolo :)
Baci, Aki

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Life goes on. ***


Prima di iniziare, volevo ringraziare i chi ha letto lo scorso capitolo e A_Denial per la recensione :) (sì, ho detto che aggiornavo nel weekend, ma... Ora sono bloccata a casa anch'io, quindi ho avuto tempo per sistemare questo nuovo capitolo XD)
Enjoy ~

Life goes on

Ultimamente, temo di aver esaurito completamente gli argomenti di conversazione con la mia nuova coinquilina: piccola, magra, con profondi occhi blu, sembra sempre persa in un mondo tutto suo. Un mondo che, a quanto ho capito, non ammette visitatori.
« Bentornata. Hai passato una buona giornata? » mi chiede, come ogni giorno, non appena sente chiudersi la porta d’ingresso. Nonostante mi abbia appena fatto una domanda, non si dà neanche la pena di girarsi a guardarmi e continua a trafficare sul ripiano della cucina.
« Sì, normale. Tu, Mel? Cosa prepari di buono? » cerco di essere gentile, di rispondere allegramente, ma non riesco nemmeno ad avvicinarmi ai fornelli che uno strano odore piccante mi arriva alle narici.
« Kimchee » ribatte lei, ma io, purtroppo, avevo già capito la risposta.
« Ah »
« Non ti piace? »
« No. Non mangio cibo coreano... »
Solo ora si gira a guardarmi, tuttavia nel suo sguardo non riesco a percepire alcuna particolare emozione. Mai. Sembra uno scienziato che studia la sua cavia, piuttosto che una ventenne che si divide tra le lezioni all’università ed un lavoro part-time.
« Capisco. » riprende a cucinare « Comunque sia, ha chiamato José; sembrava urgente »
Di nuovo, nessuna emozione.
Anch’io ero così, un anno fa, dopo la scomparsa di Maria?, mi ritrovo a pensare a volte; c’è qualcosa in lei che mi ricorda tantissimo me stessa.
Non è l’aspetto fisico, ché non potremmo essere più diverse, e nemmeno il carattere, forse. Ecco, devono essere gli occhi, anche se tuttora cerco di convincermi, osservando la mia immagine riflessa nello specchio, di aver ridato loro un po’ di luce.
Annuisco, ricordandomi solo dopo che Melanie non mi sta guardando; quindi la ringrazio e vado in camera mia, prendo il telefono e chiamo subito José.

José è il fratello minore di Maria; forse per la poca differenza d’età, forse per la naturale gentilezza di lei ed il carattere aperto e solare di entrambi, sono sempre andati molto d’accordo. Erano molto legati e credo che, nonostante cerchi di darlo a vedere il meno possibile, il ragazzo continui a soffrire incredibilmente per la sua perdita, e a sentirsi responsabile, insensatamente.

« Pronto? »
Finalmente, qualcuno tira su la cornetta; dopo i soliti convenevoli con la madre, riesco a sentire José - credo, a dire il vero, di aver avuto una cotta per lui sin dal primo momento che lo vidi; anche quando fu chiaro che non era assolutamente interessato a me, per un certo periodo fui talmente tanto ossessionata che Maria, ridendo, propose un esorcismo. Tuttavia, non capendo il suo macabro senso dell’umorismo, ricordo che me la presi con lei e non le parlai più per una settimana.
Che ragazza stupida che ero. E tutto questo è successo solo quattro anni fa - una vita fa, da un certo punto di vista.
« Ciao, Ricka! Meno male che hai avuto il mio messaggio. Credevo che quella stramboide che ti sei presa come nuova coinquilina non te lo avrebbe riferito... »
Ridacchiai sommessamente: non aveva tutti i torti. Melanie era... Fuori dal comune, si potrebbe dire.
Nonostante ciò, capii subito che c’era qualcosa di diverso nella voce di lui. Colpa dell’amore? Non saprei dirlo. Quando si trattava di qualcosa che riguardava Maria o suo fratello, i miei sensi si acuivano incredibilmente.
« José, quant’è che non dormi? » interruppi il suo sproloquio sul mio “pessimo gusto in fatto di amicizie”, e per un po’ dall’altra parte della cornetta non giunse più alcun suono.
« José » ripresi io, temendo che mi buttasse il telefono in faccia da un momento all’altro « Cos’è successo? Tutto bene? » e nel formulare queste domande mi era salito un groppo in gola, tanto che, senza accorgermene, dovevo aver alzato di parecchio il mio tono di voce: la mia coinquilina, infatti, era arrivata sulla soglia della mia camera, calma, ma ancora con il mestolo in mano - significava forse che, in fondo, aveva qualche sentimento per un qualsiasi essere umano, qualche preoccupazione?
Le rivolsi un sorriso stentato, cercando di farle capire che andava tutto bene, nonostante, guardando la mia faccia, dovesse essere abbastanza chiaro che non era così. Lei non se ne andò, si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta e ad incrociare le braccia.
Più o meno nello stesso momento, José riprese a parlare, ed io sbiancai.
« Stavo tornando a casa, e... Ricka, ne sono sicuro: davanti all’ingresso della stazione, c’era Maria »



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Melanie ***


Melanie

La prima volta che vidi Melanie mi venne istintivo pensare “che carina!”, quasi mi fossi trovata davanti ad un cucciolo indifeso, e non ad una ragazza. Sarà perché è molto minuta, sarà perché i capelli a caschetto neri, ricadendole sul viso e coprendoglielo in parte, le danno un’aria un po’ infantile, comunque sia ci misi un po’ a capire che aveva a malapena un anno meno di me.
Io, vedendola camminare per la facoltà come un fantasma, quasi non sapesse lei stessa dove stava andando, avevo creduto fosse la sorellina di uno studente.

La seconda volta, ci incontrammo in una piccola libreria situata in una traversa della via principale della città, dove lei lavora part-time tutt’ora. Se non fosse stato perché la cercavo, non avrei mai notato quel posto, che ora posso dire essere uno dei miei negozi preferiti.
Dal momento che avevo saputo che stava cercando un appartamento da dividere con qualcuno, e a quanto sapevo non era una pazza o un’omicida, volevo chiederle di venire a stare da me: dopo Maria, non avevo più chiesto a nessuno, ma ormai, passati sei mesi, mi ero resa conto che non potevo pagare l’affitto da sola. E di tornare dalla mia famiglia, in Germania, non se ne parlava.
Quando entrai sentii un campanello suonare, come nei film.
Melanie, seduta alla cassa, stava leggendo; il negozio era deserto.
Mi avvicinai a lei e scambiammo quattro chiacchiere riguardanti per lo più il prezzo, la grandezza della casa, e quando sarebbe stata possibile venire a vederla. Niente di particolare: fino a quel momento, di lei non avevo avuto alcuna impressione negativa, ma nemmeno positiva. Sembrava persa in un mondo tutto suo.
« Lo so che il prezzo è un po’ alto » ripresi io ad un certo punto « -tuttavia l’appartamento è in un’ottima zona, a cinque minuti dalla stazione, e non lontano dall’università. »
« Sì, lo so. Non è un problema; i miei genitori mi hanno assicurato che pagheranno qualunque appartamento io scelga, quindi non ho problemi in quel senso »
La sua risposta, mormorata senza alcun tono che potesse aiutarmi a capire il suo stato d’animo, mi disorientò: dal mio punto di vista, una persona andava a lavorare durante l’università perché ne aveva bisogno. Non per altri motivi; pertanto avevo sentito il dovere di specificare.
La mia faccia, mi hanno sempre detto, esprime, purtroppo, molto chiaramente i miei pensieri; infatti, dopo avermi dato un’occhiata veloce, Melanie sospirò e riprese a parlare - non è molto loquace, in effetti; probabilmente, avrà trovato estremamente irritante quella conversazione.
« No, non lavoro perché ho bisogno di soldi. Lavoro in questa libreria perché mi piace; ho sempre voluto averne una tutta mia, ma per il momento mi accontento »
« Ma allora... Perché fai psicologia? » ero confusa, decisamente.
« Perché... Io posso permettermi di andare all’università » ma doveva aver capito che non era abbastanza, ed infatti, dopo aver chiuso la rivista che stava sfogliando, mi guardò negli occhi per la prima volta da quando avevo messo piede nel negozio e riprese « Voglio dire: le università costano molto, ed in più non tutti hanno la “testa” per frequentarle. Io posso tranquillamente pagare le rette, e non voglio mentire dicendo che non mi ritengo intelligente, perché più di una volta ho dimostrato quanto valgo. Inoltre, se decidessi, ad esempio, di andare a lavorare in un supermercato, rischierei di togliere lavoro a chi, invece, non può o non vuole andare all’università. Quindi, in un certo senso, devo ».
« Ma... Non ha alcun senso! » esclamai, non riuscendo a capire il discorso; ancora oggi, penso che un’altra caratteristica che lascia credere che lei sia più giovane di quello che in realtà è, sia un’aura di innocenza ed ingenuità che, inconsapevolmente, emana.
Tuttavia non insistetti oltre.
« Quindi... Ti piace vendere libri? ».
« Non proprio. Mi piace vedere l’espressione della gente quando prende in mano un libro. Persone diverse si emozionano per cose diverse, e lo stesso libro in mano a diversi uomini scatena in loro reazioni a volte anche diametralmente opposte. Spesso, prima di comprare, molti si fermano a leggere le prime pagine, in piedi davanti alle scaffalature. C’è tutto un mondo, in un libro; e vedere questo nuovo universo che si modella intorno alla mente della persona che legge, è il mio piacere più grande. Vendere libri, di per sé, è un lavoro come un altro ».

Alla fine, accettò di venire a stare da me.
Ed io, che ho sempre finito per legare con persone aperte e solari, cominciai a pensare a lei come una piccola, dolce ed introversa bambina da proteggere. Ingenua, ma allo stesso tempo molto saggia.
“Vorrei passare un’altra giornata come quella”, pensai, ricordandomi di quella biblioteca d’altri tempi, dove i minuti sembravano sospesi nell’aria e dove potevi perderti in un libro così a fondo da non accorgerti più di nulla fino a sera. Quel negozio è speciale, mi dissi, dopo aver rimesso un libro al suo posto; Melanie, sempre seduta alla cassa, sorrideva.

Ora che ci penso, nonostante dividiamo lo stesso appartamento da sei mesi ormai, non abbiamo più condiviso così apertamente i nostri pensieri; la sua anima, che per un istante mi si era rivelata in tutta la sua brillantezza, si è allontanata da me, come da qualunque altro essere umano.

(***)

Come spero si sia capito, questo capitolo è un flashback rispetto al precedente, e racconta come Melanie e Ricka hanno iniziato a convivere - niente di speciale. Nel prossimo, si ritornerà alla "vicenda principale" :) L'intenzione è (sarebbe) quella di raccontare tutte le protagoniste tra un capitolo e l'altro, prima della conclusione (in teoria, dunque, ci saranno ancora tre capitoli - due sulla "storia" vera e propria, uno su Ricka, o su José :D)
Grazie a tutti coloro che hanno letto, e soprattutto a A_Denial per le recensioni :D
Baci, Aki

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - She won't come back, will she? ***


Se won't come back, will she?

« Stavo tornando a casa, e... Ricka, ne sono sicuro: davanti all’ingresso della stazione, c’era Maria »

Il bello di dividere l’appartamento con una persona è che, stando a contatto in un ambiente così intimo, prima o poi finisce per rivelarti qualcosa di sé mai emerso prima.
Con Melanie successe proprio così: la sua forza d’animo, lo splendore della sua aura, mi si rivelarono soltanto in quel momento - quando José mi comunicò ciò che aveva visto, e quando io per poco non caddi a terra.
In realtà, a raccontarlo, potrebbe non sembrare affatto un evento degno di nota. In fondo prese la cornetta dalle mie mani, salutò cortesemente il ragazzo, riagganciò e mi fece sedere sul letto.
Niente di che; ma sin da bambina ero sempre stata convinta che non fossero le azioni, a contare. Le parole sviliscono i sentimenti, le azioni, per quanto dettate dalla buona fede, spesso li travisano e li rendono pari alle cose meramente materiali. Ciò che segna un vero legame, è quell’emozione che passa sotto pelle, quell’atmosfera che arriva al tuo cuore e, forse attraverso gli occhi - chi lo sa -, porta il tuo messaggio all’altro.
Forse è una visione irreale, eccessivamente fiabesca, tuttavia mi piace pensare sia così. Non voglio contare le mie amicizie sulla base di effimeri suoni che, una volta pronunciati, si perdono nell’aria perché privi di significato effettivo.
Probabilmente, questo era il motivo per cui avevo chiesto proprio a Melanie di venire a stare da me - perché come con Maria, a pelle, avevo sentito qualcosa. Non la stessa cosa, o almeno non credo, ma meglio di niente. Nella vita, tutti abbiamo bisogno dei nostri “legami speciali”.

Persa nei miei pensieri, notai solo dopo un bel po’ che Melanie mi stava fissando, porgendomi una tazza di the. Nonostante tutto, i suoi occhi mi sembravano come sempre - eppure, qualcosa era cambiato, ne ero certa.
Non si mosse, né aprì bocca. Aspettava. Non saprei dire cosa - che iniziassi a parlare, che mi mettessi a piangere, ad urlare, a strapparmi i capelli, che lanciassi via la tazza che tenevo con entrambe le mani. Seduta sul bordo del mio letto, le mani in grembo, rimase ad osservarmi.
In quel momento, nel turbinio di pensieri che si accavallavano nella mia mente, pensai che sarebbe diventata una psicologa perfetta. Avrebbe potuto aprire una libreria con un piccolo caffè in un angolo, dove i clienti si sarebbero potuti sedere a chiacchierare, a discutere dei loro problemi, a mostrare il proprio mondo oltre le pagine dei libri.

« Hai mai... » esordii, ma poi, dopo un momento di incertezza, scossi la testa, come a voler cancellare le mie precedenti due parole. « Non capisco nemmeno perché ci sto così male. Non è la prima volta che José dice di vedere Maria, in fondo... » mormorai, passando distrattamente un dito tutto intorno al bordo della tazza ormai vuota e fredda - quanto tempo avevo passato persa nei miei pensieri, nei miei ricordi? Non saprei dirlo; minuti, forse ore, chissà.
Non ricevetti alcuna risposta, solo il suono delle molle del mio letto si diffuse nella stanza, segno che Melanie stava cercando una posizione più comoda, forse.
« Se non sbaglio, mi ha chiamato meno di un mese fa per la stessa ragione » e ridacchiai a voce bassa, senza motivo e senza allegria.
« Ma lei... Non tornerà più, vero? »
« Non lo so, questo, Ricka. Tu credi che possa tornare? Che un giorno, tornata a casa, troverai lei sulla soglia ad attenderti? »
Prima lezione di psicologia: rispondi al paziente con un’altra domanda. Sempre. Così che esso possa da solo giungere ad elaborare la risposta al proprio problema. Sapevo che poteva essere considerato un comportamento distaccato, il suo - voglio dire: chi non ha mai visto un telefilm sugli psicologi? E’ la prima cosa che capisci; poi vengono le urla, le crisi di nervi che ti portano a spogliarti nella hall o le illuminazioni divine dovute all’eccesso di farmaci assunti; ma quello non c’entra. Quella sai che è finzione -, tuttavia in quel momento ne avevo bisogno: seduta nella casa con cui avevo vissuto con la persona che più contava nella mia vita, di fronte ad una strana ragazza che, in più occasioni, aveva mostrato a me soltanto parti della sua anima talmente pure e brillanti da mozzare il fiato, non attendevo altro che l’occasione di liberarmi da un peso che mi opprimeva da ormai troppo tempo.
« Sì... », mormorai, rispondendo dopo una lunghissima pausa ad una delle sue domande. Non importava quale, tanto la risposta era sempre la stessa.
« A volte, mi sveglio e credo che tutto possa tornare come prima. Come un anno fa ».
Le mie lacrime, trattenute per così tanto tempo, cominciarono a scorrere copiose sulle mie guance.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=606583