My secret friend

di Milli Milk
(/viewuser.php?uid=18456)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un incontro casuale [Flashback] ***
Capitolo 3: *** Mancata indifferenza ***
Capitolo 4: *** Muri invisibili ***
Capitolo 5: *** Pioggia e sole ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


My secret friend My secret friend



Avvertimenti:
la storia tratta argomenti come l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.


I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.





"Squalo deve solo essere compreso"
Tante volte il ragazzo sopracitato aveva sentito uscire quelle parole dalla bocca dei suoi professori e dalla bocca di qualsiasi altra persona pretendesse di conoscerlo. Invece Squalo non aveva bisogno di essere compreso, lui era ciò che mostrava. Eppure nessuno aveva mai cercato di andare più a fondo della normale apparenza. 
Perché Squalo è un ragazzo ribelle.
Perché Squalo vorrebbe essere più libero.
Perché Squalo ha delle strane passioni.
Perché Squalo è solo un ragazzo.
"Passerà" dicevano "è solo un momento passeggero, capita a tutti i ragazzi della sua età"; cercavano di giustificare quei suoi comportamenti con delle parole semplici, ripetute fino allo stremo a tutti quei genitori stremati dai comportamenti un po' troppo attivi dei figli. Le persone volevano sfornare perle di saggezza, eppure Squalo sentiva trapelare dalle loro labbra solo squallore; lo squallore che si può intuire dalla voce bassa e timorosa, come se quelle stesse persone che facevano da psicologhe improvvisate, potessero essere sentite dal soggetto dei loro bisbigli sconclusionati. Squalo invece sapeva e sentiva tutto quanto, non andava di certo ad origliare le conversazioni tra la madre e le sue amiche pettegole, ma quei bisbigli erano tanto rumorosi da dargli ai nervi. Non voleva sapere, non voleva sentire, perché erano solo discorsi irrazionali, eppure sembrava proprio che la sua genitrice pesasse molto quelle parole. Le pesava secondo un criterio di falsa fiducia, perché credeva che quelle sue amiche pettegole conoscevano meglio di lei suo figlio.
Squalo non capiva perché la madre si comportasse con lui a quel modo, sembrava quasi avesse paura di lui, nemmeno fosse un pazzo psicopatico fuggito da una casa di cura minacciandola di non avvertire nessuno della sua presenza in quella casa. Sembrava perfino avesse paura di dire che Squalo fosse suo figlio. Quando Squalo tornava da scuola, se alzava lo sguardo verso la finestra della cucina, poteva intuire che dietro le tende ci fosse la donna ad osservarlo, ad attenderlo come se una minaccia stesse per entrare dalla porta di casa sua.
Squalo non era per niente felice di sapere che quella donna lo guardasse con quel cipiglio quasi terrorizzato, non gli piaceva quando aggrottava la fronte, mostrando le rughe più profonde dell'età dicendogli  "stai sempre rinchiuso in camera tua, perché non vai a farti un giro? Perché non chiami il tuo amico?" la sua voce melliflua, che celava l'incertezza, man mano gli stava riempendo la testa facendolo sentire ancora più fuori posto. 
Quando poi il padre tornava a casa era anche peggio: la donna diventava frenetica, preparava di fretta a furia la cena guardando verso l'orlogio a muro sopra la porta con fare morboso e con le dita che schizzavano verso uno sportello e l'altro, verso una pentola e l'altra, verso un fornello e l'altro; poi correva verso la sala, preparava la poltrona, sbatteva il cuscino, lo gonfiava e lo appoggiava con cura sullo schienale. Sul piccolo tavolo accanto alla poltrona metteva il giornale piegato con cura, doveva essere intatto. Infine, se era inverno accendeva il camino e sitemava il poggiapiedi che doveva essere messo ad un metro e dieci centimetri esatti davanti la poltrona; se era estate apriva la finestra, sistemava il ventilatore davanti il camino e lo accendeva al minimo, lasciando che ruotasse, in modo da ventilare l'aria pregna della calura estiva. Per ultima cosa poi accendeva la tv, sempre allo stesso canale, dove, quando l'uomo si sarebbe accomodato sulla poltrona, avrebbe potuto seguire il telegiornale e la donna poi avrebbe rizzato le orecchie in attesa della fine del tg per poter arrivare silenziosa a portare il bicchiere di grappa fatta in casa e poggiarlo con cautela sul tavolino.
Squalo era ormai abituato a quella routine e si era anche abituato a guardare tutta la scena dalla cucina. Aveva preso il vizio di mangiare con lentezza esasperante appunto per godersi tutta la scena: guardava fugacemente il padre che metteva il peperoncino nella pasta, l'aceto nell'insalata e mangiava con voracità, ma senza mai sporcarsi. Poi Squalo guardava la madre che mangiava piccoli bocconi come se avesse paura che da un momento all'altro l'uomo avrebbe potuto urlare che la cena faceva schifo. E ancora poi ruotava lo sguardo verso suo fratello minore, che lo guardava a sua volta con un sorriso divertito in volto. Perché secondo il ragazzo più piccolo tutto ciò che accadeva in quella casa dal ritorno di suo padre fino a quando andavano a coricarsi, era alquanto comico. 
Il fratello di Squalo, Federico, era nato con un cromosoma 21 in più: era affetto dalla sindrome di down. Federico era un ragazzo solare, Squalo lo amava con tutto se stesso, lo proteggeva, lo curava e gli stava accanto quando ne aveva bisogno. La madre però non sembrava accettare le attenzioni di Squalo verso il fratello, perché Squalo era un ragazzo irresponsabile e volgare, a scuola si comportava male e faceva quasi esaurire i suoi professori, sembrava quasi ci avesse preso gusto ad andare a fare visita alla preside, che ormai aveva perso le speranze con lui: "Squalo, cosa devo fare con te?" lo guardava da dietro gli occhiali che gli facevano sembrare gli occhi piccoli come quelli di una talpa.
Squalo aveva la strana passione per la spada e la madre aveva paura sopratutto per quello, perché gli occhi di Squalo si illuminavano appena vedevano una spada. La donna cercava di allontanare Squalo dal fratello con qualche stupida scusa "Squalo, potresti portare questo alla signora Cassio?" oppure "Squalo, aiutami a spostare il mobile, mi è caduta una cosa" e il ragazzo sapeva che si inventava tutto sul momento. Era dispiaciuto ed abbattuto, perché poteva vedere il fratello solo il fine settimana, quando tornava da quella maledettissima clinica dove l'avevano rinchiuso insieme "ai suoi simili". Non poteva accettare questa cosa, non era giusto, era un ragazzo come gli altri si ripeteva sempre, anche se alla fine non poteva fare null'altro che guardare la macchina che si allontanava da casa sua, mentre Federico dai posti dietro guardava verso la finestra della sua camera sorridendo e salutandolo affettuosamente con la mano.
Squalo per un certo periodo di tempo aveva creduto che fosse stato colpito da una maledizione, un altro periodo invece aveva creduto che quelli non erano i suoi veri genitori e poi alla fine si era convinto che comunque andassero le cose lui era solo se stesso e non doveva giustificare con nessuno i suoi comportamenti.
Probabilmente, anzi quasi sicuramente, la madre credulona e fragile, aveva attribuito parte del comportamento di Squalo al fatto che avesse Federico come fratello. In verità però non era affatto quello il motivo. "Squalo, so che è difficile per te, ma ti prego, cerca di comportarti bene a scuola", Squalo non credeva possibile che la madre non capisse che una parte del suo comportamento non era dovuto al fratello ma proprio a lei: una donna fragile, che lo allontanava il più possibile se ne avesse avuto la possibilità. Il futuro spadaccino non si faceva problemi ad ammettere che il problema reale era lei e quando una volta glielo disse con quanta più asprità e freddezza aveva in corpo, lei lo guardò spavenatata e poi uscì di casa dicendo che si era dimenticata di aver promesso a Mara che sarebbe andata a prendere il tè a casa sua. Eppure Squalo, nonostante si fosse tolto, almeno apparentemente, un peso dalla mente, si sentiva sempre più oppresso dal disagio e dal rimorso. Il ragazzo sentiva di aver sbagliato, ma avendo eretto una corazza d'orgoglio, che in futuro si sarebbe trasformato in superbia, non voleva ammettere, o rifiutava proprio di pensare che si stesse corrodendo da un senso di rimorso provocato addirittura dalla solitudine.
La casa in cui viveva era troppo silenziosa, si poteva solo sentire il parlottare delle pattegole in cucina di tanto in tanto. Il tintinnare delle posate irritava sempre di più Squalo, lo rendevano irrequieto e quando vedeva il volto burbero, freddo e distante del padre, quasi si sentiva distruggere dentro. Non provava sentimento per quell'uomo, non lo poteva definire padre. Gli unici contatti che poteva avere con lui erano quando di tanto in tanto lo chiamava per farsi portare un altro bicchiere di grappa e gli chiedeva se andava a bene a scuola. Non era per vero interesse che lo chiedeva, sembrava più un dovere e ciò disturbava ancora di più il ragazzo, che dopo aver detto il solito "bene" spariva dallo sguardo serio del padre per tornarsene in camera, come lui tacitamente gli obbligava. La donna poi, quelle volte, se ne stava sul lavello a pulire i piatti, facendo finta di non ascoltare e con tutti i muscoli irrigiditi. Squalo quasi poteva sentire la tensione che gli pungeva la schiena ogni volta che la donna apriva il rubinetto quasi a costringersi a non ascoltare quelle bugie che fuscivano dalla bocca del figlio. Posava i piatti accanto al lavello con un suono secco, quasi avesse paura che il ragazzo gli raccontasse la verità; ogni minimo rumore proveniente dalla cucina quando stava davanti suo padre, sembravano messaggi, i soliti messaggi: "dì che va tutto bene" e quelle volte Squalo le dava ascolto.
Di tanto in tanto poi suonava il campanello e si sentiva la voce squillante della donna che civettava emozionata: Squalo sapeva che Dino era venuto a fargli visita. Ogni volta la donna arrivava in camera sua e gli diceva "c'è il tuo amico". Quegli occhi lucidi di felicità lo colpivano duramente al petto.
«Squalo!» Urlava Dino entrando come un ciclone dentro la sua camera, inciampando su tappeti invisibili.
«Che cazzo vuoi?» Quello era il suo modo di salutare il suo migliore amico e Dino sorrideva, sempre e comunque, anche quando gli diceva che le sue visite non erano per nulla gradite e che aveva di meglio da fare che dare ascolto ad un idiota come lui. Squalo però gli voleva bene, gli voleva veramente bene, perché Dino era capace di fargli dimenticare la vita che viveva, lo faceva sentire un ragazzo normale che parlava assieme al suo amico. Però a distruggere quei momenti sospesi, era sempre l'arrivo della madre, con quel suo sorriso da buona genitrice, che chiedeva se volevano qualcosa da mangiare o da bere, come se fosse una normale madre che vuole bene a suo figlio e che gli da attenzioni. Squalo si sentiva travolgere dalla falsità di quella donna e se non fosse stato per Dino che con un sorriso l'accontentava dicendole che sì, magari avrebbe gradito un succo di frutta, allora Squalo si sarebbe alzato dal letto e sarebbe andato a strozzare la donna.
Dino sapeva che il suo migliore amico non era affatto felice, ma non chiedeva nulla, piuttosto era speranzoso che un giorno Squalo si sarebbe confidato con lui. Il Cavallone aveva una strana tendenza verso il futuro spadaccino, eppure sembrava che nemmeno lui capisse cosa realmente fosse tutto quell'affetto che si sentiva di donargli.
«Oggi quella megera della Fasto mi ha messo una nota perché sono inciampato ed ho disturbato la lezione» si grattava la nuca in modo tanto innocente e sbadato da far venire voglia a Squalo di ridergli in faccia e di strigerselo forte. Però Squalo non era di certo il tipo da fare certe cose e si limitava a scuotere la testa.
«Tu e la legge di gravità non siete compatibili» Diceva a volte in modo distratto, guardando a terra per distogliere lo sguardo da quei grandi occhi castani e felici. 
E quelle volte in cui Dino andava a trovarlo nel fine settimana, allora era anche più felice, perché solo in quei momenti sua madre non sarebbe andata da lui per allontanarlo da suo fratello. Federico e Dino se ne stavano delle ore a parlare di tutto e di più e Squalo osservava e ascoltava, ogni tanto rideva della sbadataggine di Dino e delle battute di Federico, rispondeva alle loro domande e lucidava la sua spada.
La spada di Squalo era ben nascosta dentro un cassetto dell'armadio, sotto i libri di scuola e quant'altro avesse potuto metterci per nascondere il panno in cui era avvolta come se fosse un prezioso gioiello. Dino ogni tanto si perdeva ad osservare il movimento delicato delle mani del suo migliore amico, che lucidavano e si prendevano cura dell'oggetto. Poi Federico diceva "Ehy" ed era in quei momenti che si spezzava la magia di quel rituale: di fretta a furia, Squalo avvolgeva la spada nel panno e la nascondeva sotto il letto. Dopo pochi secondi sarebbe entrata la madre a chiedere se avevano bisogno di qualcosa.
La donna guardava Dino come una sottospecie di angelo salvatore, lui era sempre stato il prototipo di figlio ideale, almeno secondo i suoi gusti: Squalo trovava ciò alquanto disgustoso, perché avere dei gusti in quanto a figli sembra una cosa tanto squallida da diventare quasi oscena. Eppure l'albino continuava a tacere, continuava a starsene in quel suo piccolo angolo del suo mondo, senza la possibilità di potersi allontanare. Si sentiva soffocare ogni giorno di più: se una volta gli bastava sapere che suo fratello era nell'altra stanza, ora gli sembrava quasi che gli si stringesse il cuore a non poter andare da lui, abbracciarlo e dirgli che gli voleva bene, gli voleva tanto bene che avrebbe ucciso pur di renderlo il ragazzo più felice del mondo. Perché Federico era buono, Federico era il suo piccolo angelo, la sua speranza, la sua voglia di vivere. Si sentiva male quando veniva strappato via da lui in modi subdoli che violentavano la sua anima; gli strappavano via un pezzo della sua vita e del suo cuore e venivano portati via assieme a quella macchina diretta in campagna, in clinica.
Squalo aveva smesso di piangere anni addietro, dopo che suo fratello se l'era cullato fra le braccia per ore e dopodiché se l'era guardato con un sorriso tanto dolce da fargli perdere la voglia di stare male: quel suo sorriso dolce e velato di tristezza, era tanto bello e genuino da avergli fatto sciogliere il cuore. Squalo da quel giorno non riuscì più a piangere perché portava nella memoria la fotografia di quel sorriso, il sorriso più bello del mondo.
Poi era entrato nel suo mondo anche Dino, con i suoi sorrisi ingenui, con la sua stupida intelligenza, con allegria ed energia tali da travolgere completamente ogni emozione di Squalo. Aveva cercato di allontanarlo, eppure sembrava che avessero delle calamite che li facevano avvicinare sempre di più. Ogni occasione, per quanto casuale, sembrava dettata dal destino, ma sia Dino che Squalo non avrebbero mai pensato ad un segno del destino o roba del genere, entrambi erano, chi più chi meno, razionalisti. Dino però coltivava speranza ed ottimismo, Squalo era inflessibile a qualsiasi altra cosa che non fosse stata la razionalità: credeva solo in quello che vedeva e non voleva farsi illusioni di alcun tipo, non voleva quell'ottimismo allegro di Dino, figurarsi poi la speranza. Però il giorno in cui i due ragazzi si erano incontrati, un segno era stato inciso nelle loro vite, un segno che avrebbe cambiato completamente la vita di Squalo e che avrebbe fatto perdere le speranze a Dino. 





Questo è solo il prologo. Ho cercato di mantenere i personaggi più IC possibile, l'avvertimento OOC l'ho messo ugalmente nel caso il carattere dei personaggi non corrisponda.
Ovviamente è la mia visione di un ipotetico passato di Squalo, non è assolutamente prevista l'happy ending. Cercherò essere quanto più possibile fedele alla storia originale.
Sono ben accette le critiche costruttive, se non vi piace la storia, ovviamente potete anche non continuare a leggerla, anche perché questo, essendo solo un prologo, avvia alla storia, ma non la racconta del tutto.
Avverto fin da subito che non sarà una storia leggera e appunto per riuscire ad essere fedele alla storia sarò costretta (non è proprio costrizione, in fondo l'ho voluta scrivere io) a far accadere fatti spiacevoli.

Ho già scritto il secondo capitolo, parlarà del primo incontro tra Dino e Squalo. 
Il terzo capitolo è 'under construction' e non posso garantire la puntualità nell'aggiornamento, purtroppo ho solo la notte da dedicare alla scrittura.
Spero comunque di riuscire a postare un capitolo ogni due settimane.

Detto questo, se volete potete lasciare una recensione, ripeto che le critiche costruttive sono ben accette.
Alla prossima **





Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un incontro casuale [Flashback] ***


My secret friend 2
My secret friend


Avvertimenti: la storia tratta argomenti come l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.


I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.





Era già un mese che era iniziata la scuola e Squalo già si era stufato di tutto e di tutti: le professoresse, tutte vecchie megere, già avevano imparato a memoria il suo nome e lui aveva già fatto "amicizia" con quell'altra racchia della preside-talpa. I suoi compagni di classe poi erano forse anche peggiori delle professoresse: i ragazzi che facevano i bulli e poi piangevano se gli veniva data una piccola spinta. Le ragazze poi, quelle non le poteva proprio sopportare: tutte ochette pronte a sbattere le ciglia e fare gli occhioni dolci a tutti pur di ottenere ciò che volevano. Era qualcosa di veramente disgustoso e l'idea di entrare in quella classe di prima mattina era per Squalo un vero e proprio suicidio. Odiava sentire le voci dei finti bulli che urlavano epiteti a destra e a manca senza un reale motivo; odiava le risate sciocche delle ragazzine e i loro sguardi a raggi x. Puntavano i loro occhi verso qualsiasi tipo di persona passasse nel raggio di cinque metri, poi parlottavano e ridevano, peggio delle amiche pettegole della madre.
Dio, quanto odiava quei stupidi ragazzi! Purtroppo poi era stato costretto a mettersi vicino ad una ragazza, in prima fila, perché doveva essere controllato a vista; se fosse stato per le professoresse, l'albino avrebbe scritto in fronte "attenzione: soggetto pericoloso".
La compagna di banco di Squalo era la tipica ragazza timida, o almeno agli occhi di tutti lo era: di bassa statura, con dei riccioli castani disordinati, un visino tondo e pallido e dei grandi occhi azzurri come il mare. Era una ragazza che stava sempre sulle sue, per il nervosismo e il disagio si arrotolava una ciocca di capelli intorno all'indice, quando parlava balbettava leggermente e le sue guance si sfumavano di un leggero rosa. Per lei i ragazzi ci facevano la fila, la trattavano come una bambola di porcellana, se la litigavano ed erano disposti a tutto pur di affiancarla fino all'uscita di scuola: cosa alquanto squallida anche quella per il parere del futuro spadaccino. A lui, a differenza della maggior parte del popolo maschile della classe, dava fastidio il solo sentire quella sua vocina innocente e titubante, come se avesse paura del mondo intero, mentre invece poi si poteva dimostrare la peggiore delle stronze. Perché Squalo sapeva che in fondo si comportava così non per semplice timidezza, ma per un principio di egocentrismo. Per esempio non era gentile ed era sgraziata nel modo di essere. La timidezza andava man mano a sgretolarsi sotto gli occhi di Squalo e alla fine si mostrava per quello che era: una grandissima egoista.
«Scusa Squalo, potresti passarmi la matita, è caduta sotto il tuo banco» diceva la compagna di banco con voce tremula e bassa, mentre indicava con il piccolo indice pallido la matita vicino ai suoi piedi. Squalo buttava l'occhio distrattamente verso il basso, poi guardava la ragazza e mostrava un ghigno tra il divertito e lo scocciato, alzava un sopracciglio allo sguardo turbato della ragazza a cui tremavano leggermente le labbra.
«Scordatelo, prenditela da sola» se in quel momento Squalo si fosse girato, avrebbe visto un suo compagno di classe con un sorriso soddisfatto in volto. Quello era un altro ragazzo che sembrava immune alla "dolcezza" di quella ragazza. Un ragazzo oltretutto degno di stima, perché nonostante fosse preso continuamente di mira per la sua nazionalità e per la sua particolare bruttezza e anche per la sua scarsa rendita, riusciva a rendersi immune da qualsiasi pregiudizio, scaricando ogni tipo di affronto con l'indifferenza; cosa che Squalo non riusciva a fare e che invidiava, sotto un certo punto di vista, ma ciò non l'avrebbe mai ammesso.
«Scusa...» A quella risposta eccessivamente balbettante, Squalo non poté fare a meno di irritarsi quasi all'inverosimile, perché quella sua balbuzia non era dovuta di certo alla timidezza, ma piuttosto sembrava richiedere un aiuto da chissà quale divinità per far smettere all'albino di guardarla in modo tanto sprezzante. Quell'affermazione falsamente timida aveva scaturito nel cervello di chi aveva udito, un senso di protezione.
«Stupida ragazzina» e da quel momento era scattato il conto alla rovescia. Squalo era più che sicuro che alla pausa si sarebbe ritrovato con quell'ammasso di imbecilli ad urlargli contro in difesa del loro piccolo angelo ferito. A dire il vero non vedeva l'ora di prendere a cazzotti qualcuno, quella giornata era iniziata peggio di tutte le altre. Non mancava poi di certo l'occhiataccia da parte della professoressa, ma si era limitata ad una breve occhiata fulminante giusto per essere buona, quindi aveva fatto finta di nulla e aveva ripreso a spiegare quella noiosissima materia qual'è il latino e il silenzio più assoluto era piombato sulla classe, rendendo quegli ultimi minuti infiniti.
A Squalo già prudevano le mani d'impazienza, avrebbe voluto lasciare l'impronta delle sue nocche in faccia a uno di quei stupidi ragazzini, magari anche a più di uno, magari lasciare un bel segno nero a tutti quanti.
La bocca di Squalo si allargò in un ghigno quando suonò la campanella. Le sedie stridettero sul pavimento mentre la professoressa usciva dalla classe senza che mancasse il suo solito sguardo da vecchiaccia che era verso l'albino, come a volerlo ammonire per il solo respirare la sua stessa aria. Ma di certo quel giorno Squalo non stette a pensare a quello sguardo, piuttosto girò lo sguardo verso un'ombra che gli si era affiancata.
«Ehi tu!» Ecco, lo sapeva. E qui veniva il divertimento, Squalo avrebbe potuto prenderlo a cazzotti solo per quelle due parole dette con troppo sprezzo e con volume troppo alto, poi quel "tu" avrebbe reso ancor più giusto quel gran livido nero che avrebbe voluto fargli comparire sull'occhio. Eppure si trattenne, almeno per il momento, voleva godersi ancor di più la scena di quelle facce da cazzo che gli si sarebbero appostate davanti con fare minaccioso, come se credessero davvero ti intimidire uno come lui. Era appunto questo il divertimento: il fatto che si credessero tutti quanti eroi invincibili scesi in terra per salvare una piccola damigella attaccata da un mostro bruto. Non potevano di certo capire che alla fine il vero mostro lì dentro era proprio la damigella che tanto difendevano. Ed era anche e sopratutto per quello che Squalo trovava quei tipi ancora più ridicoli di quanto già non erano con la loro semplice esistenza: avrebbe pagato oro pur di vederli cadere a terra in lacrime, come dei bamboccioni, a leccare le suole di quella viperaccia velenosa che faceva la doppia faccia.
«Non puoi trattare male Giulia» a quel punto Squalo non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia a quel demente che con tanta convinzione aveva detto una cosa simile. 
«Siete delle fecce assurde» se la rideva della grossa e quasi si sentiva in dovere di tenersi la pancia. Però si costrinse a smettere mentre molti altri deficenti come quello si erano affiancati al loro...leader? Solo a pensare a quella parola gli veniva di nuovo da ridere, ma era una cosa talmente tanto infelice che avrebbe dovuto versare lacrime di disperazione. Abbassarsi ad un tale livello era una cosa molto triste, sottostare quasi al volere di quel ragazzino che aveva solo la statura a renderlo più in alto degli altri, era una cosa alquanto squallida. Squalo infatti dovette ammettere a se stesso che molte volte pensava a quell'aggettivo, nemmeno ricordava per cosa non l'aveva usato. Si accorse quindi che quasi inconsapevolmente aveva etichettato la sua vita come squallida. Non era del tutto errato, ma quella stessa etichetta era impregnata di squallore.
«Pezzo di merda!» Ed era quello che aspettava Squalo: il cedimento. L'albino si alzò con uno scatto, subito dopo che il suo compagno di classe aveva sbattuto le mani sul banco, come a voler dimostrare la sua superiorità. Ma la superiorità non era certo l'intimidazione, almeno per Squalo non lo era. Per questo, aveva preso come pretesto uno stupido insulto per potergli sferrare un destro dritto sulla mandibola. E da lì scattò automaticamente la rissa: gli altri piccoli idioti non potevano di certo restare a guardare, dovevano intervenire in soccorso del loro "leader". Scattarono in avanti, pronti a picchiare l'albino che aveva osato far uscire il sangue dalla bocca del ragazzo riverso a terra. Feccia, pensò Squalo guardando fugacemente il ragazzo che aveva appena colpito, per un pugnetto già era steso a terra, forse non ne era nemmeno valsa la pena allora colpirlo per primo. Magari avrebbe dovuto aspettare di prendere un pugno per poi ricambiare con gli interessi, ma almeno poteva consolarsi con quegli altri bambocci che urlavano epiteti come se al posto della bocca avessero lo scarico del cesso. Forse, pensò Squalo, poi l'avevano davvero lo scarico del cesso al posto della bocca, dei pezzi di merda come loro potevano giusto avere un buco di scarico al posto della bocca. Non che poi lui fosse migliore di loro in quanto parole, però di certo le sue imprecazioni e i suoi insulti erano molto più puliti dei loro, che seppure fossero gli stessi, quei ragazzini lo dicevano senza essere consapevoli di cosa volessero dire e come se dirli avrebbero potuto ferirlo di più nell'animo. 
Squalo si ritrovò a terra, con quei pezzi di merda che sferravano calci e pugni così, come capitava, e anche se ne sferrava abbastanza anche lui, ne riceveva il doppio di quelli che dava. Potevano essere dei bamboccioni però erano sempre in quattro, contando poi quel pezzo di merda che si era deciso a rialzarsi come se volesse dar mostra di sé con quel rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca. Voleva sferrare il colpo di grazia al suo nemico dopo che i suoi scagnozzi avevano fatto il lavoro sporco. Veramente uno schifo, si ritrovò ancora a pensare mentre iniziava a vedere sfuocato, veramente uno schifo. Quel demente se ne era stato a terra per tutto quel tempo aspettando che Squalo ne prendesse di brutto e quando aveva visto che i colpi andavano ad indebolirsi, si era alzato per poter mostrare a tutti quanti la sua grandezza di gran pippone che era. Eppure, dopo che aveva preso la stecca di una cartina mezza rotta appesa al muro, tutti avevano esultato all'impresa del grande eroe della classe che dava il colpo di grazia ad uno Squalo che era stato abbattuto fisicamente. Con le ultime forze che si ritrovava, si era difeso dalle botte di quella maledettissima stecca che gli stava facendo vedere le stelle e poi aveva preso per la caviglia l'altro e lo aveva buttato giù. Nel momento in cui Squalo prese una botta in testa, tanto forte da fargli girare la testa, era arrivata la professoressa urlando come una disperata cercando di far smettere agli altri ragazzi di esultare e buttar benzina sul fuoco, poi aveva ammonito Squalo e il suo avversiario. Aveva cercato di rialzare i due ragazzi da terra in malo modo, prendendoli per i polsi, eppure Squalo aveva ceduto ed aveva visto il buio.
Quando Squalo si svegliò, fu invaso dalla fastidiosa luce del primo pomeriggio che filtrava dalle tende bianche dell'infermeria scolastica.
«Ti sei svegliato...» La voce di un ragazzo lo destò completamente dal suo sonno. In quel momento Squalo comprese che era svenuto: si sentiva un forte dolore in ogni parte del suo corpo, quei maledetti non si erano di certo risparmiati. Volevano fare i bulli e a costo di uccidere un ragazzo avrebbero dimostrato al mondo intero i gran coglioni che erano. Purtroppo per Squalo ci erano riusciti e senza nemmeno ucciderlo. Si accorse oltretutto che il solo respirare gli creava un problema: maledetti stronzi, li avrebbe presi uno ad uno e li avrebbe pestati a sangue.
«Sei rimasto svenuto per un bel po'...» A quel punto l'albino girò la testa per dare un volto a quella voce che lo stava disturbando dai suoi progetti omicidi: era anche lui su un letto, se ne stava semi sdraiato a guardarlo con un lieve sorriso in volto, un cerotto sullo zigomo e sul sopracciglio da cui si poteva intravedere il sangue; sul polso aveva una borsa con del ghiaccio dentro.
«Ti hanno ridotto male sai» continuò con la sua voce calma mentre lo scrutava. Squalo anche si mise a scrutarlo, non aveva mai visto quel ragazzo prima d'ora: capelli biondi, che rilucevano con il riflesso del sole, gli occhi marroni come cioccolato fuso che sembravano tanto dolci. Eppure uno come lui non poteva passare inosservato: chissà quante ragazze stravedevano per lui, era molto bello e quel sorriso e quegli occhi erano tanto dolci e solari che se qualcuno si fosse voltato anche solo per un attimo ed avesse incontrato il suo sguardo, sarebbe rimasto a fissare quel ragazzo come per cercare il motivo per cui quegli occhi erano pregni di tanta allegria.
«Tu non sei messo meglio» cercò di alzarsi leggermente dalla sua posizione accorgendosi che il ragazzo sull'altro letto aveva una borsa di ghiaccio anche sul ginocchio.
«Meglio di te sicuramente, io sono solo caduto dalle scale» Squalo combatté con la voglia di scoppiargli a ridere in faccia. Il biondo aveva alzato il braccio sano per andarsi a grattare le nuca quasi ad accentuare quella sua sbadataggine. Quel "solo" poi era molto curioso, ma non si fece una domanda del genere, piuttosto era concentrato ad osservare i gesti del ragazzo. Nonostante fosse palese che provasse dolore, continuava a sorridere come se loro due non stessero nell'infermeria scolastica ma fossero seduti sul prato a parlare di quello che avevano fatto in quella giornata. Squalo quasi si stupì di tanta spontaneità e sincerità.
«Solo.» Rifletté, sembrava più un pensiero ad alta voce. In quel momento era l'unica cosa che gli era balenata nella mente e infatti poi ripensò a quella semplice parola e l'attribuì forse al fatto che il biondo ritenesse la sua caduta nulla in confronto a ciò che era successo a Squalo. Ed era così in effetti, ma non solo.
«Comunque credo che i tuoi genitori non possano venire, ho sentito Gerani che borbottava sul fatto che i genitori d'oggi sono tutti degli irresponsabili...» Squalo sapeva che ovviamente sua madre non sarebbe di certo venuta a prendere suo figlio che era stato pestato a sangue. Forse era anche contenta, chissà, sicuramente aveva trovato una stupida scusa per non venire e lui sarebbe stato costretto a rimanere lì fino a quando non sarebbe riuscito ad alzarsi sulle sue gambe e tornarsene a casa come se non fosse accaduto nulla. Non si lamentava di certo per questo Squalo, però il fatto che la madre era stata avvertita lo irritava, non aveva pensato in effetti alle vere conseguenze. Non voleva tornare a casa per vedere sua madre che gli dava le spalle come al solito, con la tensione a riempire ogni angolo della casa, con la consapevolezza che in quel momento la donna avrebbe avuto timore di guardarlo per non cedere alla debolezza di potergli donare delle attenzioni, magari di guarire le sue ferite. 
«Quella donna è insopportabile» Squalo, quasi l'avessero risvegliato da un incubo, sobbalzò leggermente.
«Cosa?!» il biondo lo guardò per un attimo spiazzato per poi tornare ad incurvare leggermente le labbra verso l'alto.
«Gerani, borbotta tutto il giorno sulla rigida disciplina dei suoi tempi che dovrebbero attuare per dei ragazzi irresponsabili come noi» la sua risata lo investì come quei raggi di luce che gli infastidivano gli occhi. Squalo non sapeva se quel ragazzo gli urtasse il sistema nervoso, oppure se quel sorriso lo stesse facendo sentire, come, forse meglio? Non sapeva cosa pensare, tirò le labbra in un sorriso sforzato.
«Io sono Dino» era strano, eppure all'albino non diede fastidio quella presentazione non richiesta. Era come se stesse aspettando di sapere il suo nome fin dall'inizio e quel ragazzo avesse capito ciò che lui invece non era riuscito a decifrare al volo. Sicuramente poi il suo presentarsi era stato solo un gesto educato, quasi fosse doveroso il dover dire il proprio nome, ma al contempo in quella presentazione ci aveva colto tanta di quella genuinità che si sentì spiazzato.
«Squalo...» Di certo poi la sua non era stata una presentazione entusiastica come quella del biondo. Il suo orgoglio gli impediva di mostrare altre facce se non quella burbera e distante che mostrava sempre. Non di certo una semplice maschera, no, quella era solo la faccia che prevaleva nella sua vita. Il resto delle sue emozioni l'aveva mostrate solo a suo fratello ed era sicuro che mai avrebbe mostrato a qualcuno qualcosa che non fosse scontrosità. E invece quel giorno aveva conosciuto Dino e quel giorno stesso, insieme al dolore, andò a mischiarsi una nuova sensazione, una sensazione che inizialmente aveva ritenuto ingombrante, ma che poi con il tempo avrebbe appreso essere un profondo sentimento, diverso da quello che provava per suo fratello. 
«Oh, grazie a Dio ti sei svegliato! Ma guarda come ti sei fatto conciare! Che ragazzi irresponsabili...» Non poté trattenersi dal ridere, seppure poi gli facesse male tutto il corpo, Squalo rise e insieme a Dino.
A Squalo non passò nemmeno per l'anticamera del cervello che il giorno dopo e quello dopo ancora, si sarebbe di nuovo ritrovato a parlare con Dino. Non immaginava che un giorno avrebbe scoperto cosa volesse realmente dire quel "sono solo caduto dalle scale" e non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato al suo fianco a sorreggerlo ogni volta che inciampava sui suoi stessi passi. Allo stesso tempo poi non avrebbe mai immaginato che Dino sarebbe entrato nella sua vita così, quando si era risvegliato da una scazzottata che l'aveva visto cadere a terra privo di sensi. Dino forse avrebbe anche messo in ballo il destino, ma nemmeno lui credeva molto in quelle cose e avrebbe attribuito il loro incontro ad un normale evento che sarebbe dovuto accadere prima o poi dato che frequentavano lo stesso liceo.
Quando Squalo quel giorno, dopo che essere riuscito ad alzarsi da quel letto, tornò a casa, non fece caso alla tensione della madre e non fece nemmeno caso al fatto che lo stesse guardando con gli occhi strabuzzati dallo stupore. Non la degnò di uno sguardo o di una parola e si diresse subito in camera sua, buttandosi sul letto e crollando in un sonno meno tormentato degli altri.



Ecco a voi il secondo capitolo!
È passato un bel po' di tempo perdonatemi, ma tra una cosa e l'altra non riesco a scrivere se non la notte e siccome non voglio trovarmi a rincorrere il tempo ogni volta, vorrei trovarmi con almeno due capitoli già scritti. In questo caso ho il terzo già ad un buon punto e non so quando riuscirò ad aggiornare. Comunque ripeto che vorrei almeno riuscire a postare un capitolo ogni due settimane.

Bene, questo secondo capitolo è un flash back di Squalo, da come avete potuto leggere, la scuola è iniziata solo da un mese e ho voluto provare ad immaginare un incontro tra Dino e Squalo. Non è niente di ché, ho voluto farli incontrare in un modo normalissimo per non cadere troppo nella banalità. Essendo Dino un pasticcione, questo lo sappiamo tutti, ho pensato che a scuola si sarebbe ritrovato molto spesso in infermeria. Oltretutto Squalo ce le prende di brutto, sì sono stata cattiva, ma non è di certo imbattibile e non si porterebbe nemmeno la spada a scuola, sarebbe abbastanza strano se fosse il contrario.

Vi anticipo un po' il prossimo capitolo: si farà un salto temporale di tre mesi e vedremo un po' come si è evoluto il rapporto tra Squalo e Dino, entreranno in scena un po' di personaggi che già conosciamo e altri che ho dovuto inventare per forza di causa.

Ringrazio ancora per i commenti e per i seguiti. Alla prossima **


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Mancata indifferenza ***


My secret friend 3
My secret friend



Avvertimenti: la storia tratta argomenti come l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.


I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.




Dal giorno in cui Squalo e Dino si erano conosciuti erano passati solo tre mesi e in quei tre mesi Squalo scoprì molte più cose di Dino di quanto non si aspettasse. Da quando avevano cominciato a frequentarsi, anche dopo la scuola di tanto in tanto, Dino aveva preso l'abitudine di parlare delle più svariate cose di lui e ogni volta cercava di scoprire sempre qualcosa di più su Squalo, riuscendoci anche brillantemente a volte, oppure altre volte si ritrovava come risposta uno sbuffo o un monosillabo scocciato. Nonostante l'apparente freddezza di Squalo, il biondino non si dava per vinto e non si avviliva se lo mandava allegramente a quel paese. Dal canto suo, Squalo aveva capito che il Cavallone nascondeva molte più cose di quanto credeva; lo aveva capito dalla titubanza di Dino su certi argomenti, sul suo modo di sviare ad alcune domande e al suo modo di tacere di fronte ad alcuni fatti che accadevano dentro l'edificio scolastico. Squalo non capiva del perché Dino si interessasse a tutte le cose, dalle più semplici e banali, alle più complicate e serie, ma non si interessasse a quel fenomeno oscuro e iracondo che tutti temevano: Xanxus. Ricordava a stento il suo nome, era come un tabù per il Cavallone: ogni volta che si parlava di lui, Squalo poteva notare un velo scuro calare sugli occhi energici del suo amico. Non capiva se quello fosse semplice timore, oppure se ci fosse dell'altro. D'altronde però non gliel'aveva mai chiesto anche se la sua curiosità tendeva a mettergli di fronte l'argomento sempre più frequentemente.
Poche volte Dino aveva mostrato una vera opinione riguardo Xanxus e tutte le volte era qualcosa che lasciava l'amaro e il sospetto in bocca.
«Xanxus... Be', non è un tipo poi così tanto interessante. Sono certo che non ti piacerebbe.» E quando Squalo alzava un sopracciglio con sospetto a quella risposta così poco chiara, Dino sorrideva e cambiava subito discorso con qualcosa di tanto banale che faceva cadere le braccia all'albino. Eppure, con quelle risposte così vaghe, Dino non faceva altro che far incuriosire sempre di più l'amico che, ogni volta che vedeva Xanxus, si soffermava a squadrarlo come a volergli estrapolare le informazioni dalla mente. Sentendo poi molti studenti che adulavano o che semplicemente odiavano quel ragazzo del terzo anno, allora Squalo iniziò perfino a credere che l'amico gli dicesse quelle cose solo perché non voleva che gli andasse contro. Era risaputo che Squalo cercava rogne il maggior numero di volte possibile e forse il Cavallone voleva tenerlo lontano dalla minaccia di Xanxus. Il fatto che però l'aveva incuriosito ancora di più, erano le strane voci che giravano in quella scuola. Voci sicuramente di corridoio, come la maggior parte delle altre stupide storie che si inventavano giusto per attirare l'attenzione, ma alcune di queste erano tanto strane da fargli salire un'assurda curiosità.
«Quel ragazzo del terzo anno, Xanxus, suo padre è un uomo molto potente, io non mi metterei mai contro di lui.»
«Xanxus?! Sta molto spesso con quello lì, quello effeminato del quarto.»
«Xanxus è a capo di una banda di delinquenti!»
Squalo ne aveva sentite così tante che quasi stentava a credere che tutto ciò fosse puramente frutto dell'immaginazione di qualche ragazzino invidioso. Per non parlare poi delle ragazzine sciocche, che lo adulavano come se fosse un dio sceso in terra. Era risaputo che le ragazze fossero sempre attratte dai più stronzi e Squalo si scocciava sempre più in fretta di quei sospiri da bambine stracotte del proprio eroe dei fumetti. Sempre più spesso poi Dino gli diceva di lasciar perdere, che era normale che Xanxus fosse tanto 'famoso' all'interno della scuola, ma comunque non gli aveva detto altro se non che la popolarità di Xanxus fosse appunto nata dalla sua aurea nera e dal suo sguardo incazzosp.
Squalo dopo un po' si scocciò perfino di provare a tirar fuori altre informazioni dal suo amico, perché sembrava sapesse molte più cose di tutta la scuola messa assieme, e quando voleva cambiare discorso nemmeno ci provava più a tornare al punto di partenza.
«Ma che hai?» Chiese Dino mentre cercava di mangiare il suo pranzo senza sporcarsi. Squalo guardò il suo amico come se fosse appena sceso dalle nuvole e si limitò ad un'alzata di spalle. 
«Sei troppo concentrato» continuò a dire con una faccia tanto seria che faceva nettamente contrasto con il suo volto impiastricciato di cibo. L'amico lo guardò e sorrise sbieco alzando un sopracciglio con uno scetticismo che non gli apparteneva.
«E tu lo sei troppo poco» gli rispose indicandolo e Dino sorrise con quella sua solita aria sbadata, come un bambino che torna a casa pieno di fango e cercando in tutti i modi di mostrare un faccino innocente alla madre.
«Ma non è colpa mia» cercò di giustificarsi mentre impacciato cercava di pulirsi il volto. Squalo schioccò la lingua e voltò lo sguardo verso un punto ben preciso del grande cortile dove un mucchio di ragazze ridevano e parlottavano guardando verso l'entrata della scuola. Il ragazzo sbuffò indispettito da quel comportamento tanto irritante e capì sin da subito a chi erano rivolte tutte quelle snervanti attenzioni civettanti. 
Dino si sporse per poter capire cosa stesse attirando l'attenzione dell'amico. In questo modo non solo fece cadere tutto il suo pranzo, ma anche lui cadde in avanti lasciando un bella macchia scura sulla sua divisa e su quella dell'amico.
«Che idiota che sei!» Urlò a quel punto Squalo attirando l'attenzione di tutti i ragazzi che erano nel raggio di dieci metri «E poi dici che non è colpa tua! Sei un cretino!» Continuò strofinandosi i pantaloni ed espandendo ancora di più la macchia d'olio.
«Squalo! Così peggiori le cose!» A quel punto Squalo si alzò e guardò Dino come se volesse ucciderlo seduta stante. Il biondo lo guardò mortificato «Mi dispiace» disse senza che il suo volto cambiasse di una virgola, con quella smorfia addolorata sul volto come se avesse appena commesso uno dei peggiori reati.
Squalo sbuffò capendo che non doveva indispettirsi così tanto, sapeva che Dino non aveva rovesciato il suo pranzo intenzionalmente. Era lui che avrebbe dovuto scusarsi con l'amico perché se l'era presa tanto con lui e l'aveva insultato gratuitamente senza un reale motivo. In verità Squalo era irritato dai suoi stessi pensieri, perché nonostante cercasse di rimanere indifferente a tutte le persone che lo circondavano, la sua rabbia e il suo astio continuavano a crescere a dismisura. Ogni giorno era costretto a guardare senza poter agire, tutta la sua rabbia era imbottigliata e tutto quell'ammasso di pensieri velenosi diretti a quell'ammasso di ragazzini che popolavano quella scuola, erano costretti ad ammucchiarsi sul suo sistema nervoso. 
«Andiamo» e nel momento esatto in cui si girò, vide gli sguardi spauriti delle ragazze che avevano posato l'attenzione su di loro. Se avesse potuto fulminarle con lo sguardo l'avrebbe fatto anche fin troppo volentieri. Si limitò ad un'occhiataccia e prese a camminare velocemente con l'istinto omicida che era pronto a sormontare il suo precario autocontrollo.
Non aspettò nemmeno che l'amico lo seguisse, a dire la verità se l'era anche dimenticato. Quando si trovò davanti Xanxus non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo che avrebbe congelato persino il fuoco e continuò a camminare anche dopo che quello sguardo rosso gli si era posato addosso, guardandolo come se fosse la nuova preda da cacciare. 
Squalo non si soffermò troppo su Xanxus, eppure in quella frazione di secondo in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva sentito una scossa talmente forte da scombussolargli le membra. Per quella frazione di secondo si era sentito schiacciato da quell'aura iraconda che permeava gli occhi del ragazzo più grande. E se non avesse avuto il buon senso di continuare diretto verso il bagno, probabilmente ora si sarebbe ritrovato, di nuovo nel giro di due mesi, sanguinante a terra.
Squalo entrò nel bagno calciando la porta che sbatté forte contro il muro creando una piccola crepa. Era tanto arrabbiato quanto nervoso. Guardò uno dei lavandini come se fosse la perfetta valvola di sfogo, avrebbe voluto prendere a calci e pugni qualsiasi cosa gli si sarebbe capitata davanti agli occhi. Non importava se quello era un lavandino, o una porta, o un muro. Non importava se si sarebbe rotto una mano o una gamba, voleva solo sfogare tutta la sua rabbia.
«Squalo!»  Un Dino allarmato e con il fiato corto entrò nel bagno. Si aggrappò alla maniglia della porta come se avesse appena percorso cinque chilometri in corsa sfrenata. «Non volevo, davvero, mi dispiace!» disse con la voce che si abbassava sempre più di tono. E in quel momento Squalo si accorse che veramente stava superando il limite. Da quando faceva scenate del genere per un qualcosa che non apparteneva assolutamente alla sua vita? Perché tenersi tanto a cuore un pensiero che non avrebbe dovuto essere il suo? La cosa che capì era che probabilmente più provava a rimanere indifferente ai fatti, più entrava in quello scuro labirinto. Vedere Dino ansante che chiedeva scusa per una cosa che non aveva fatto di proposito lo stava facendo tornare lucido, ma non mancava di certo l'irritazione ancora ben artigliata ai suoi nervi.
Sbuffò rassegnato, lasciando che i suoi pugni si sciogliessero e i muscoli si rilassassero. Eppure tutta la tensione era ancora lì che tirava. Sentiva che sarebbe potuto scoppiare da un momento all'altro e se davvero Dino non fosse entrato in quel maledetto bagno, probabilmente avrebbe spaccato almeno due porte, senza mancare poi di tirare un bel pugno a quel maledetto specchio che rifletteva la sua immagine. Portò infatti lo sguardo verso il suo riflesso, poteva notare ancora la mascella serrata e gli occhi infuocati dall'adrenalina che man mano andava a sfumarsi per lasciar spazio all'autocontrollo che tanto gli serviva per non cacciarsi in altri guai. In quel suo comportamento tanto esagerato poi si era ritrovato a pensare, a mente lucida, che si era comportato nello stesso identico modo degli altri. In quei pochi minuti passati nella sua forte irritazione, si era plasmato in quel mondo di cui non voleva far parte. E nello stesso esatto istante in cui aveva incrociato gli occhi di Xanxus, aveva capito veramente cosa in realtà era: solo una molecola nell'intero universo.  
«Non sono arrabbiato» sul viso di Dino tornò a farsi vivo quel sorriso solare che lo caratterizzava. Si raddrizzò e si avvicinò a Squalo pimpante ed allegro come era solitamente.
«Per fortuna. Sai sei inquietante quando ti arrabbi» andò a girare la manopola del rubinetto e Squalo guardò tutti i suoi movimenti come se già sapesse che da un momento all'altro avrebbe potuto combinare uno dei suoi soliti casini.
«Lascia, faccio io» diede così una piccola spinta all'amico per allontanarlo dalla minaccia dell'acqua, ma così facendo Dino, che dire che era sbadato ovviamente era un eufemismo, si aggrappò al rubinetto per non cadere e di conseguenza, la sua mano chiusa sotto il getto d'acqua, fece sì che schizzasse ovunque, colpendo sia lui che Squalo.
«M-mi dispiace!» urlò Dino a quel punto guardando la faccia irritata del suo amico e i suoi pugni che si stringevano di nuovo. Squalo cercava di essere pacifico, eppure sembrava di essersi trovato l'amico meno adatto per poter riuscire a controllare le sue pulsioni omicide.
Sapeva che il Cavallone non lo faceva apposta, ma come era possibile che fosse così tanto idiota? Non riusciva a spiegarsi quella motivazione ed era per quello che si arrabbiava tanto, perché non era possibile che fosse talmente tanto sbadato da riuscire a creare il panico in meno di cinque minuti. 
C'erano momenti in cui Dino era "normale", ma puntualmente, per ogni minima cosa, anche invisibile, creava il caos. Squalo nemmeno voleva immaginarsi cosa poteva combinare durante le lezioni pratiche. Nonostante però lo ritenesse un idiota totale, non riusciva ad allontanarsi veramente da lui, perché quel suo sorriso lo faceva sentire bene e gli alleviava almeno un po' quel senso di squallore da cui si sentiva circondato.
«Ma che cazzo! Sei un deficiente!» Scoppiò, perché Dino poteva anche non averlo fatto apposta, poteva anche aver detto che gli dispiaceva, ma di certo non risolveva il fatto che ora si ritrovava sporco e fradicio nel bagno della scuola con il suo amico che si dimenava cercando di trovare una soluzione, inciampando sui suoi passi e allarmandosi.
«Scusa! Aspetta potremmo...»
«No! Sta fermo cazzo!» Se Squalo si fosse guardato in quel momento allo specchio avrebbe visto i suoi occhi fuori dalle orbite per quanto era incazzato. Dino sobbalzò e si schiacciò contro il muro.
«Volevo prendere dei fazzoletti» disse come a giustificarsi per una cosa che non aveva ancora fatto e Squalo si accigliò ancora di più. Nemmeno si era realmente reso conto di quanto e di come i suoi nervi e i suoi muscoli si erano tesi, forse nemmeno si stava realmente rendendo conto che si stava accanendo così tanto contro il suo amico, che purtroppo l'aveva nel suo patrimonio genetico l'essere sbadato.
«Sei capace anche di fare casini con quelli, quindi stai fermo lì e non azzardarti a muoverti altrimenti sarò costretto a farti a pezzi» nell'esatto momento in cui finì di gridare addosso a Dino quella minaccia, la porta del bagno si aprì ed entrambi i ragazzi posarono l'attenzione da quella parte.
Una ragazza, forse del secondo anno, si avvicinò con aria minacciosa verso Squalo e quando fu abbastanza vicina, assottigliò gli occhi come a volergli incutere timore. 
«Non ti permetto di trattare male Dino!» Urlò con quanta più carica di minacciosa potesse avere in corpo. Squalo si fece leggermente indietro per non cedere alla tentazione di darle una testata. Dovette poi far trascorrere qualche secondo per realizzare ciò che quella ragazza gli aveva detto, e quando si rese conto di ciò guardò un attimo Dino come a cercare una risposta da lui, eppure sembrava che anche il biondo non sapesse chi fosse e probabilmente era anche più perplesso di lui.
«Ma chi diamine sei?!» la ragazza strinse le labbra indispettita e ci mancava poco che non iniziasse a sbattere i piedi a terra urlando.
Squalo vedeva quella ragazza come se fosse un fantoccio pronto ad essere distrutto. Se avesse potuto, l'avrebbe presa per i capelli e scaraventata fuori dal bagno. Era irritato non tanto per il fatto che si fosse intromessa, ma perché era arrivata lì facendo la sbruffona, come se fosse una giustiziera, che poi non c'era proprio nulla da salvare. 
«Sei volgare, non hai la veramente minima idea di come ci si comporti a scuola. Sei veramente un mostro, offendi e tratti male i ragazzi più deboli di te. La tua crudeltà ti farà rimanere solo, perché sei una persona veramente orribile. Dio ti punirà per quello che fai, andrai all'inferno per la tua mancanza di educazione e per la tua volgarità. Tratti Dino come un burattino, sei veramente orribile, non ti vergogni di come lo tratti? Per non parlare di come ti comporti all'interno dell'edificio scolastico, con quell'aria da duro che non vede l'ora di trovare un povero ragazzo da poter picchiare! Veramente, non dovresti essere in questa scuola. Dato che però ci sei, almeno non trattare le altre persone come se fossero i tuoi giocattoli! Dino è una persona veramente buona e tu te ne approfitti! Sei crudele!» Squalo rimase per una frazione di secondo spiazzato, la vocina stridula di quella ragazzina l'aveva stordito, tutte quelle parole dette senza nemmeno fermarsi un attimo l'avevano fatto rimanere con il fiato sospeso e gli avevano fatto sbarrare gli occhi incredulo. Non riusciva ancora a capire cosa volesse quella ragazza e per di più gli stava dicendo tutte quelle cose così gratuitamente che quasi gli venne voglia di darle un bel cazzotto dritto dritto in un occhio. Ma se lei diceva che non aveva un minimo di educazione, in verità la sua educazione le stava salvando il bel visetto da saccente che si ritrovava. Aveva da subito intuito che quella ragazza era una di quelle stupide ochette che si credevano chissà chi solo perché avevano una media un po' più alta degli altri. Era irritante, aveva quegli occhi verdi puntati addosso come se fossero delle frecce pronte ad essere scoccate per colpirgli il petto.
«Ma sei stupida o cosa?! Che cazzo vuoi» In realtà non sapeva cosa dire, doveva comunque cercare di mantenere la calma, anche se ciò risultava molto difficile a quel punto. Quella ragazzina sembrava aver piantato i piedi a terra e sicuramente non si sarebbe scollata di lì. Il peggio era che Squalo non sapeva proprio che cosa fare o dire per poterla mandare via senza che questo implicasse un bel calcio nel culo.
«No, forse hai frainteso, non mi tratta male è solo che»
«Guardalo! Per colpa tua deve anche giustificarsi per qualcosa che non ha fatto, sono sicura che gliel'hai detto tu di dire così. Sei un mostro, veramente» la ragazza sembrava che non volesse nemmeno ascoltare Dino che rimase muto e guardò il suo amico spiazzato.
Squalo questa volta combatté contro la voglia di tagliarle la lingua, era insopportabile come quella sua vocina pronunciava in modo tanto marcato e stridulo quel "veramente" messo ovunque, in ogni frase, per iniziarla, per concluderla, usato perfino come rafforzativo, come se quello potesse colpire più a fondo. Ma Squalo non si sentiva minimamente colpito dalle sue parole, piuttosto si sentiva irritato. Si stava irritando sempre di più e se avesse ancora detto una parola, probabilmente le avrebbe mostrato tutta la sua furia. Al diavolo se quella era una ragazza, al diavolo se non era educato e se era volgare, e al diavolo anche se sarebbe finito all'inferno.
«Non è così, davvero, non»
«Ma si può sapere che vuoi?! E poi smettila di dire sempre quel dannatissimo "veramente"» Dino non riusciva a finire una frase che veniva subito sovrastato dalle grida di Squalo o di quella ragazza che oltretutto non sapeva nemmeno chi fosse. Perché lo stava difendendo in quel modo? Perché stava offendendo in quel modo Squalo? Dino sentiva che doveva fare qualcosa per far smettere ad entrambi di gridarsi addosso, sapeva che Squalo aveva poca pazienza e ormai quella sua poca pazienza era esaurita. 
«Cosa ti importa di quello che dico, forse nemmeno sai cosa vuol dire. Sei veramente irritante, non ti devi permettere di gridarmi addosso e non ti permettere più di stare con Dino, sono stata chiara?!» a quel punto la ragazza alzò l'indice e lo puntò contro il petto di Squalo e ad ogni parola si avvicinava sempre di più fino a quando non lo sospinse leggermente rimarcando sull'ultima parola.
Il futuro spadaccino non ci vide più dalla rabbia, stava per caricare un destro dritto sulla guancia della ragazza, ma prima che la colpisse, Dino si mise in mezzo ed accusò in pieno quel pugno.
«Dino!» Urlò la ragazza soccorrendo subito il Cavallone accasciato a terra che si teneva la guancia dolorante.
«Non è niente, non l'ha fatto apposta» Dino alzò lo sguardo verso il suo amico. Quello che vide lo spaventò: il volto di Squalo era contratto dalla rabbia, i suoi occhi erano incandescenti e la sua smorfia celava il suo pentimento.
L'albino sapeva di aver appena fatto un'immensa stronzata, ma non si pentiva del tutto, perlomeno aveva fatto togliere quel maledetto indice dal suo petto. Forse però si sentiva dispiaciuto per quello che aveva fatto, quel pugno a Dino gliel'avrebbe comunque dato per la sua estrema sbadataggine. Restava comunque il fatto che anche se cercava di contenere tutta quel suo astio, non riusciva proprio a calmare i suoi istinti e sembrava anzi che nel momento in cui sembrava che ci stesse per riuscire, accadeva qualcosa che puntualmente lo faceva cedere.
«Guarda cosa hai fatto» la ragazza alzò lo sguardo accusatore verso Squalo, ma quest'ultimo sembrava fregarsene altamente di lei e guardò il suo amico come a volergli dire qualcosa che probabilmente nemmeno lui sapeva. Era arrabbiato, arrabbiato perché quella stupida ragazza lo accusava, che fosse giusto o meno non importava, ed era anche arrabbiato perché non riusciva proprio a calmarsi.
Senza dire una parola quindi prese a camminare, senza nemmeno ascoltare le parole che gli venivano lanciate dietro dalla ragazza, parole che per lui non avevano il minimo peso, eppure si sentiva leggermente in colpa, non sapeva cosa lo stesse facendo fuggire da quel bagno, ma doveva allontanarsi il prima possibile da lì, da Dino, dalla ragazzina e da tutto il resto delle persone.
Camminò il più velocemente possibile verso l'uscita, evitava gli sguardi incuriositi dei ragazzi e quelli perplessi ed impauriti delle ragazze. Quando si ritrovò fuori dall'edificio si guardò attorno in cerca di un posto tranquillo in cui poter rimanere per i fatti propri a calmare i bollenti spiriti. Fortunatamente le persone non erano troppe, ma subito poté riconoscere un paio di occhi che lo stavano guardando intensamente. Squalo non aveva voglia di ritrovarsi in una rissa, non aveva voglia di litigare, il suo piccolo spazio di litigio l'aveva avuto nel bagno e se poi ci si metteva anche quello sguardo rosso ad opprimergli il buon senso, allora davvero sarebbe andato alla ricerca di morte certa. Per questo motivo non si lasciò travolgere dallo sguardo di Xanxus, cercò in tutti i modi di rimanere indifferente a quella muta sfida che gli stava lanciando.
Avrebbe tanto voluto dire un "che cazzo ti guardi" o qualcosa di simile, ma più che per il buon senso, sembrava che qualcosa lo bloccasse.
Lo sguardo di Squalo vagò ancora per pochi attimi fino al grande campo di calcio, probabilmente lì sarebbe potuto rimanere in pace.
Quanto avrebbe voluto avere la spada con lui, magari allenarsi per scaricare tutta quelle tensione, liberarsi di quel peso schiacciante e fastidioso che gli stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa.
Si avviò dunque verso il campo da calcio senza guardarsi indietro, sentendo ben presente lo sguardo di Xanxus che gli pungeva la schiena.



Innanzitutto mi dispiace. Perdonate il mio ritardo, purtroppo ho qualche problema con la stesura di questa fiction. So bene quello che devo fare, ma non riesco a metterlo in atto come vorrei e ci si mette anche il fatto che sono un po' pigra (un bel po') e me la prendo fin troppo comoda. 
Questo è un capitolo di passaggio, ho introdotto un nuovo personaggio ed anche uno che conosciamo fin troppo bene. Vedremo quindi come si evolveranno i fatti. Nel prossimo capitolo ci saranno fatti un po' più interessanti e più movimentati, almeno spero. 
Cercherò di scrivere ed aggiornare più in fretta possibile, non ho nemmeno scritto una riga del quarto capitolo. 
Perdonatemi anche se questo capitolo è uscito così male, è stato un vero e proprio parto e non sono nemmeno riuscita a scrivere ciò che volevo, è tutto abbastanza prolisso e privo di significato e mi dispiace tantissimo, è un capitolo superfluo e brutto, me ne rendo perfettamente conto. Scusate se ci sono errori di battitura, sono molto sbadata e anche se l'ho riletto tre volte forse mi sono persa qualche cosa.

Come al solito rigrazio i commenti (a cui rispondo direttamente nella pagina delle recensioni) e alla seguite e ai preferiti. Grazie, grazie, grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Muri invisibili ***


My secret friend 4 My secret friend


Avvertimenti: la storia tratta argomenti come l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.


I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.




La differenza tra Dino e Squalo era colossale, tutti lo pensavano, tanti ne parlavano e una parte di quelli persino disprezzava quell'amicizia, perché  pensavano fosse un'amicizia di convenienza. Squalo era il ragazzo crudele che approfittava dell'estremo buonismo di Dino.
Tutti questi ragazzi, dando voce ai loro pensieri, mettevano in giro false voci ed infine influenzavano il pensiero di molti. Dino si era reso conto di quella realtà parlando con quella ragazza, Laura aveva detto di chiamarsi.
Il Cavallone non sapeva cosa c'era che non andava in lei: ripeteva molte volte la parola "veramente" e sembrava avere un perenne e strano rossore sulle guance, certo quello non era il trucco.
Quegli occhi tanto verdi, che avevano guardato con tanto astio Squalo, avevano completamente cambiato espressione quando si era presentata. Erano dolci e solari, il suo sorriso sembrava aver cancellato ogni traccia di quell'accanimento avvenuto fino a pochi secondi prima. Davvero, Dino non ci stava capendo nulla. Era tremendamente dispiaciuto perché quella ragazza aveva insultato Squalo senza apparente motivo. Sapeva che Squalo non era un ragazzo modello, sapeva che poteva apparire scontroso, poteva sembrare tutto fuorché un bravo ragazzo. Però sapeva anche che Squalo, seppure mostrasse sempre quella maschera quasi impenetrabile, in fondo era un bravo ragazzo. Più che una certezza era una sua sensazione: Squalo non aveva mai mostrato segni di affetto, o non gli aveva mai rivolto parole gentili, però l'aveva sempre aiutato a non cadere, l'aveva sempre soccorso e ascoltava i suoi sproloqui, magari poteva dirgli che era un idiota, ma continuava sempre ad ascoltarlo.
Tutte quelle cose che aveva detto Laura non erano vere, né che Squalo era un mostro, né che si approfittava di lui. A Dino non gli era mai importato nulla se la gente sparlava di lui, eppure quando era venuto a conoscenza del fatto che la gente definiva Squalo solo un crudele sfruttatore, si era dispiaciuto. Non era vero, non lo conoscevano e si permettevano di arrivare a false conclusioni. Era persino arrivato a pensare che una parte di quei bisbigli e di quei pregiudizi fossero nati per colpa sua, perché erano troppo diversi, e agli occhi della società Squalo inevitabilmente si trasformava in un mostro pronto a divorare la bontà di Dino.
Il Cavallone poi si sentì ancora più in colpa perché anche lui portava una maschera. Sapeva che Squalo sospettava qualcosa, tutte quelle volte che lo guardava con quegli occhi grigi, come ad aspettare che sputasse il rospo, si sentiva un vuoto allo stomaco. Il solo fatto di nascondergli qualcosa lo infastidiva, perché dopotutto, vedere che Squalo quasi si sforzava di far finta di nulla, gli creava un groppo alla gola così fastidioso da farlo sentire quasi male.
Era suo amico, come poteva non dirgli chi era veramente? Era come nascondere la parte più importante di sé, era come mostrargli una faccia che non gli apparteneva. Dino si ritrovò quindi a pensare che tutto ciò era sbagliato, in fondo però non lo era del tutto e per questo il biondo non sapeva cosa fare e nemmeno cosa pensare: era confuso.

Squalo era nervoso, non sapeva se sarebbe stato meglio spaccarsi le mani prendendo a pugni il muro, se spaccare direttamente la faccia a qualcuno, oppure se cercare di calmarsi da solo. L'ultima opzione era la migliore, Squalo lo sapeva, eppure il suo cervello gli diceva che probabilmente se si sarebbe spaccato le nocche sarebbe stato di gran lunga meglio.
Non aveva mai premeditato di rilassarsi, non gli piaceva rimanere fermo, tanto meno rimanere fermo a pensare e ripensare. Era sicuro però che comunque sarebbero andate le cose, l'arrabbiatura si sarebbe solo stemperata, ma tutto il giorno avrebbe continuato ad avere quel fastidioso tarlo a rosicchiargli i nervi.
Per la prima volta in vita sua non vedeva l'ora di tornarsene a casa, ne aveva abbastanza di quelle mura bianche della scuola, stanco di vedere quelle solite facce di merda dei suoi compagni di classe. Inoltre era sicuro che Dino all'uscita gli sarebbe andato incontro con quel suo sorriso rammaricato e gli avrebbe perdonato il colpo subìto. A Squalo però non andava bene, perché non voleva farsi perdonare proprio un bel niente. In fondo se lo meritava, perché forse sarebbe stata la volta buona che Dino si fosse allontanato da lui. Sapeva che era difficile, Dino era cocciuto ed era troppo buono, l'avrebbe perdonato anche se l'avesse preso a bastonate. Non capiva il motivo per il quale il biondo si ostinasse tanto a voler rimanere suo amico, nonostante tutte gli insulti e nonostante quella sua aria distante di chi è perennemente irritato. Starsene a guardare quel campo da calcetto non gli dava sollievo, ma scorrendo con lo sguardo poteva notare una via di fuga: la rete al di sopra del muro era rotta nel punto esatto che dava sulla strada. Il muro oltretutto non era troppo alto e sicuramente sarebbe riuscito a scavalcare saltando ed aggrappandosi al bordo.
Deglutì. Non era una cattiva idea, tanto ormai ci aveva fatto l'abitudine ad essere rimproverato e poco gli importava se quella volta non si sarebbe solo preso una bella sgridata, tanto alla fine avrebbero chiamato a casa e figurarsi se la madre l'avebbe sgridato, al massimo gli avrebbe voltato le spalle a vita: tanto meglio.
L'albino si guardò intorno per vedere chi ci fosse, probabilmente erano tutti tornati nell'edificio. Indugiò ancora qualche secondo su quella via di salvezza e poi prese la decisione drastica di fuggire via. Non volle pensare troppo alle conseguenze, seguire l'istinto solitamente era molto meglio che seguire la razionalità. Si avvicinò al muro e capì che probabilmente non sarebbe bastato solo un salto per poter scavalcare, il muro non era poi così basso come pensava: quei due metri e mezzo doveva prenderli con un po' di rincorsa e se non avesse continuato a costringersi di non pensare troppo, allora se ne sarebbe tornato nella sua classe con i pugni stretti in tasca, con il rimorso di non aver provato.
Si guardò ancora indietro, un po' per calcolare le distanze e un po' per controllare se fosse arrivato qualcuno. Sicuro che il piazzale era vuoto, fece diversi passi indietro e poi balzò andando a cercare l'alto del muro. Il primo tentativo però andò a vuoto, le dita gli scivolarono e poco ci mancava che fosse caduto all'indietro. Non soddisfatto però ci provò di nuovo, questa volta ci andò con l'intento di sconfiggere l'altezza del muro: non poteva arrendersi in quel modo e oltretutto non poteva pensare che un muro piatto avrebbe potuto costringerlo a rimanere chiuso in quella gabbia di scuola. Osservò con decisione e con astio quelle piccole crepe che strafottenti si ergevano verso l'alto come a sfidarlo della loro capacità di arrivare fin lassù dove lui non sarebbe potuto arrivare. Maledizione, non era possibile che se la stesse prendendo così tanto con un muro!
Una risata alle sue spalle gli fece prendere un colpo e sobbalzando si girò con il cuore a mille.
«Che cazzo stai facendo» Squalo si scontrò con gli occhi rossi di quell'odioso di Xanxus. Sembrava molto divertito. 
«Fatti i cazzi tuoi e campi cent'anni» il ghigno divertito del moro si trasformò in una smorfia di rabbia. Gli mancava solo questa, poi il muro da bianco sarebbe stato decorato con delle belle macchie rosse.
Squalo sapeva bene che così facendo non stava facendo altro che assicurarsi la morte, eppure la risposta gli era uscita istintiva, più che altro si era sentito in dovere di non dare spiegazioni, perché non voleva darle a se stesso, figurarsi se voleva darle proprio ad un estraneo, poi a quell'arrogante di Xanxus non ci pensava proprio. Insomma, non gli era parso poi molto felice della risposta che gli aveva dato e lo sapeva, come sapeva anche che a quel punto aveva un motivo in più per darsela a gambe. Non che fosse un codardo, per carità, però aveva ancora troppe cose da fare prima di morire, o almeno cercò di giustificare così quello strano tremore alla gambe.
Squalo guardò attentamente quegli occhi rossi: sembrava un toro incazzato pronto alla carica. Trattenne il fiato, forse inconsciamente pensava che così facendo non sarebbe stato incornato. Doveva pensare in fretta e forse agire anche più velocemente, non aveva tempo da perdere, sia perché era sicuro che di lì a poco Xanxus l'avrebbe preso per il collo, sia perché sapeva che qualcuno a quel punto sarebbe andato a cercarlo.
«Tu, inutile rifiuto!» Una strana aura si formò attorno al corpo del ragazzo più grande, Squalo non sapeva se era tutto frutto della sua immaginazione, però non volle guardare oltre e senza pensare, preso anche un po' dal panico, fece di nuovo qualche passo indietro per poi correre e saltare come se avesse le molle ai piedi, afferrando finalmente la fine di quel maledetto muro. Nemmeno si girò a guardare dietro di sé che saltò dall'altra parte con un balzo. Toccò terra cercando di non perdere l'equilibrio, e sentì un colpo secco provenire dietro le sue spalle. Sobbalzò e il cuore perse un battito: si girò verso quella barriera tra lui e quella furia di Xanxus. Se prima aveva maledetto il muro perché era troppo alto, ora ringraziava che ci fosse e che lo stesse proteggendo da quel pericolo.
«Non finisce qui, feccia» a quel punto Squalo decise che forse si sarebbe preso una bella vacanza, magari avrebbe potuto farsi una bella tirata di una settimana in qualche posto isolato. Non gli avrebbe fatto male, pensò iniziando a correre, lasciandosi alle spalle l'edificio scolastico e le minacce di Xanxus.
Aveva trovato una via di fuga, però così facendo forse non aveva fatto altro che trovarsi ancora più in trappola. Era spacciato, se davvero Xanxus si sarebbe ricordato di lui, cosa molto probabile, davvero non ne sarebbe uscito vivo. Quel tonfo, provocato probabilmente dal poderoso pugno di Xanxus, gli aveva fatto sentire un forte dolore che gli aveva attraversato l'intero scheletro, quel pugno gli avrebbe spezzato tutte le ossa simultaneamente, ne era certo.
«Che sia maledetto»

Mancava poco alla fine delle lezioni e Dino si era ritrovato a guardare ossessivamente l'orologio. Ovviamente così facendo le lancette sembravano scorrere più lentamente, come a volersi beffeggiare della sua impazienza. Muoveva freneticamente la gamba in un gesto nervoso, guardava davanti a sé il professore che si accingeva a spiegare alla lavagna quell'interminabile lezione.
Non aveva più visto Squalo, con lo sguardo l'aveva cercato nel grande giardino, ma non aveva visto altro che facce sconosciute, probabilmente era tornato nella sua classe. Aveva pensato di passare proprio davanti quell'aula, ma poi tra un pensiero e l'altro, si era ritrovato seduto al suo banco ed attendere l'arrivo del professore.
Laura, prima di correre via nella sua aula, gli aveva chiesto se il giorno seguente avrebbero potuto pranzare insieme. Dino aveva risposto automaticamente di sì, più per gentilezza che per altro, anche se probabilmente avrebbe dovuto essere arrabbiato con lei per quelle brutte parole rivolte al suo amico. Non riusciva ad essere scortese, né tantomeno arrabbiato, magari parlando di più con quella ragazza, avrebbe potuto spiegare che Squalo non era quel mostro che lei credeva che fosse.
Laura sembrava una ragazza molto intelligente, a prima vista una ragazza un po' troppo sicura di sé, eppure era molto dolce e disponibile. L'aveva guardata negli occhi mentre gli chiedeva se avrebbe voluto andare in infermeria e ci aveva visto tanta gentilezza. Non era voluta tornare sul discorso di Squalo, Dino in verità non aveva nemmeno pensato di dirle nulla a riguardo, se ne era andata via prima ancora che lui potesse realizzare il tutto.
Il colpo alla guancia era ancora un po' dolorante e si era ritrovato con i suoi compagni di classe intorno a chiedergli cosa gli era successo, sapeva che qualcuno aveva assistito alla scena in giardino, quando aveva rovesciato tutto il pranzo sulla divisa di Squalo, e probabilmente, anzi quasi sicuramente, pensavano che Squalo l'avesse picchiato proprio per quel motivo. Eppure nessuno aveva accennato al nome del suo amico, si erano limitati a chiedergli cosa avesse fatto, se gli faceva male e se voleva una borsa di ghiaccio.
Dino non si irritava mai, la gente non lo infastidiva e anzi più gente aveva attorno e meglio era, però quando tutti gli erano arrivati addosso con le loro domande, non aveva potuto fare a meno di sentirsi profondamente infastidito dalle loro voci e dalle loro stesse presenze. Aveva sorriso come al solito, dicendo che aveva semplicemente preso in pieno la porta del bagno, dopotutto era un grandissimo bugiardo o più esattamente, era molto abile nel nascondere le cose. 
Quando finalmente suonò la campanella, Dino si sentì come liberato da un supplizio. Era diventato perfino intollerante, e per questo si alzò di fretta e furia incespicando nei suoi passi.
Corse fuori dalla classe come se gli mancasse l'aria. 
«Tu sei Dino giusto?» Dino si imbatté in un ragazzo che stava lì fermo davanti alla porta della sua aula. Aveva tutta l'aria di un bullo pronto a dargliene di santa ragione. Aveva un po' paura di rispondere che sì, lui era Dino, però quella gli era parsa più come una domanda retorica, quindi non sapeva se avesse dovuto iniziare a correre o se sarebbe dovuto rimanere lì ad aspettare che l'altro continuasse.
«Dovresti riportare questa al tuo amico» il ragazzo alzò una cartella nera, proprio davanti ai suoi occhi. La sua voce era uscita sprezzante, come se gli facesse schifo anche solo pensare a quel "suo amico" e molto probabilmente era stato costretto a fare ciò che stava facendo, perché non aveva proprio la faccia di uno a cui importava qualcosa degli altri.
«Squalo...?» Dino era titubante, più che una vera e propria domanda, era un accertamento.
Il ragazzo lo guardò alzando un sopracciglio e schioccando la lingua scocciato: non era venuto in amicizia, quindi Dino non si fece attendere troppo dal prendere la cartella e scappare via come un fulmine. 
Quando si trovò davanti il cancello d'entrata però si rese conto di un particolare: perché Squalo non si era ripreso da solo la cartella? A quel punto si guardò intorno alla ricerca della sua testa. Si alzò sulle punte dei piedi, guardò oltre il cancello per vedere se per caso era uscito prima di lui: eppure di Squalo non c'era traccia.
«È successo qualcosa?» Romario sembrava sentire la tensione di Dino. Si diede un'occhiata intorno per poi tornare a guardare il biondo che osservava serio verso l'entrata di scuola.
«Romario, dovresti farmi un favore»

Una macchina nera, lucida ed elegante, si fermò proprio davanti a casa Superbia.
«Credo che dovrò farti aspettare un po' di tempo»
«Non abbiamo fretta» Dino scese dalla macchina e guardò un po' titubante verso la casa.
«Grazie Romario» si chiuse la portiera alle spalle e con passo deciso si diresse verso la porta.
Si ritrovò ad indugiare sul campanello: cosa avrebbe dovuto dire? "Ho trovato casa tua sulla cartina" la voce di Squalo nella sua mente gli diede dell'idiota. Oltre ad essere una balla colossale, era anche ponderata nel modo sbagliato e Squalo non era di certo uno stupido. Pensare però non faceva che alimentare la sua insicurezza e si ritrovò a combattere contro la voglia di tornarsene a casa e consegnare la cartella a Squalo il giorno seguente.
«Si?» Dino si irrigidì e si girò a guardare verso la porta: c'era una donna sulla trentina, o forse sulla quarantina, che lo guardava perplessa.
«Salve, ecco, io sono un amico di Squalo, gli ho riportato la cartella» la donna sembrava sempre più perplessa «credo l'abbia dimenticata» continuò ed abbassò lo sguardo in un moto di disagio: quella donna sembrava metterlo in soggezione, aveva lo stesso sguardo di Squalo la prima volta che l'aveva visto. 
«Squalo non è in casa in questo momento, ma se vuoi puoi entrare» la voce calda e melliflua della donna lo investì in pieno e quando alzò lo sguardo vide un dolce sorriso incurvare le labbra rosse.
«La ringrazio, ma non vorrei disturbare»
«Nessun disturbo. Squalo dovrebbe tornare fra poco» la donna si fece da parte in modo da mostrare l'ingresso. Dino guardò la cartella e poi di nuovo il volto dolce della madre di Squalo.
Annuì leggermente con il capo e accennò ad un sorriso imbarazzato mentre si accingeva ad entrare in casa.
«Vuoi qualcosa da mangiare o da bere?» Lo accompagnò fino al grande salotto e gli fece cenno di accomodarsi.
Gli occhi della donna era di un grigio intenso come quelli di Squalo, ma a differenza brillavano di serenità: il ragazzo pensò a come potessero essere belli quegli occhi su Squalo. Guardandola ancora meglio poi vi vide molte altre somiglianze con l'amico.
«No, la ringrazio» il dolce sorriso rosso gli ricordò quello di sua madre e gli venne un vuoto allo stomaco, ma cercò di non pensarci, ormai era passato il tempo delle lacrime.
Sedendosi e guardandosi attorno, poté notare che la donna non era sola in casa.
«Squalo!» Sentì esclamare, mentre un ragazzo si precipitava nella grande stanza. 
«Federico, questo è un amico di Squalo» il ragazzo sembrò inizialmente deluso da quella scoperta, ma quando poi lo guardò con i suoi piccoli occhi e gli regalò un sorriso avvicinandosi per porgergli la mano.
«Io sono Federico» il tono con cui lo disse poteva sembrare una cantilena, la voce gli era uscita fuori forzata e un po' spezzata. Inizialmente Dino rimase spiazzato da quel ragazzo che era piombato nella sala come un ciclone, aveva pronunciato il nome di Squalo con tanta gioia che quasi si era sentito dispiaciuto per non essere colui che il ragazzo cercava.
«Io sono Dino» Il Cavallone gli strinse la mano e sorrise gentile. Federico sorrise di rimando e lo guardò per diversi istanti, come a volerlo studiare. 
Dino si chiese chi fosse quel ragazzo, non sapeva praticamente nulla della famiglia di Squalo e forse era stato maleducato arrivare a casa sua senza alcun preavviso. Dopotutto però l'aveva fatto per una buona causa.
Guardando quel ragazzo vi vedeva una forte carica emotiva che si sprigionava dagli occhi. Si ritrovò ancora a disagio: non si faceva delle strane idee o pregiudizi per quanto riguardava la persone affetti da quella sindrome, dopotutto erano persone come lui, ma non sapeva come comportarsi.
«Sono il fratellino di Squalo» Federico gli si sedette di fianco.
«Non sapevo che avesse un fratello»
«Lo so» Dino non capì quella risposta così secca, come se l'altro si fosse aspettato un'affermazione simile, ma pensò che fosse meglio non dire altro ed abbassò lo sguardo.
«Se avete bisogno di qualcosa chiamatemi» la donna, che era rimasta ad ascoltare per tutto il tempo, si diresse verso un'altra stanza, lasciando i due ragazzi soli. Purtroppo Dino sperò che Squalo tornasse presto, non tanto perché non voleva rimanere, o perché tutto ciò lo infastidiva, ma perché non si era mai sentito tanto fuori posto in vita sua. Era come se quel luogo non appartenesse veramente a Squalo, come se gli fosse lontano anni luce. La casa era pregna di tranquillità, era silenziosa e dava un senso di calore, cose che non erano assolutamente parte del carattere di Squalo. Non che pensasse che vivesse in qualche posto particolarmente caotico, ma neppure che vivesse circondato da tutta quella tranquillità. Non riuscì a collegare la faccia perennemente incazzata di Squalo, con il luogo in cui viveva.
«Se vuoi saliamo in camera» Dino lo guardò di nuovo ed aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non ne uscì fuori un filo di voce «Squalo è scappato, però torna stasera» il tono di voce si era abbassato in un sussurro ancora più sforzato e il biondo dovette prendersi qualche secondo per riflettere. 
«Scappato?!» quasi urlò, facendo sobbalzare l'altro ragazzo.
«Shhh, che poi mamma sente» Dino si irrigidì e guardò verso la porta in cui era sparita la donna.
«Scusa» si chiuse nelle spalle e lo guardò imbarazzato. Federico rise e si alzò.
«Andiamo»

«Questa è la stanza di Squalo, sai non ci è mai entrato nessuno» i due ragazzi entrarono e Federico si chiuse la porta alle spalle «non è mai entrato un amico di Squalo in casa. Non ha molti amici, anzi non ne ha e basta» Dino lo guardò perplesso e Federico andò a buttarsi sul letto «non li vuole» disse in fine osservandolo tra il serio e il divertito.
Dino si guardò un po' attorno, osservò la grande finestra: delle grosse nuvole grige, cariche di pioggia, si stavano avvicinando.
«Non è meglio se vado a cercarlo? Sta arrivando la pioggia» Federico guardò fuori dalla finestra e poi di nuovo Dino.
«No, a Squalo piace la pioggia»
«Così si ammalerà» Dino vide il ragazzo fargli cenno di sedersi sul letto.
«Non si ammala mai» sedendosi poi sul letto Federico si sporse verso il basso per prendere qualcosa.
«A Squalo non piace la gente» rialzandosi gli porse un quaderno. Il Cavallone non sapeva cosa doveva fare, se doveva aprirlo oppure no. Quello si presentava come un normale quaderno, eppure i quaderni non finiscono sotto i materassi per caso.
«Cosa è?» Federico glielo fece aprire e vi vide degli appunti veloci e delle linee scarabocchiate. Si corrucciò e lesse ciò che vi era scritto accanto agli scarabocchi «Colpo e affondo nell'addome?» guardò le linee curve e disordinate, la scrittura frettolosa e le frasi divise in diversi punti. Sfogliò qualche pagina senza soffermarsi su nessuna di queste: erano tutte simili, sempre con linee, angoli e punti che venivano messi a caso sul foglio, come se fosse tutto impresso al momento, senza un ordine preciso da seguire.
«L'addome sì» Federico gli prese il quaderno dalle mani e lo sfogliò fino a quando non glielo diede di nuovo su una pagina ben precisa. Era più accurata delle altre ed ogni punto descriveva per filo e per segno il significato della linea che, se presa da sola, poteva sembrare solo un segno senza senso, come se la penna fosse scappata di mano e avesse segnato il foglio.
«La lama di piatto facilita il movimento, permettendo di mettere meno forza sull'avambraccio e diminuendo l'attrito» Dino sembrava sempre più confuso da quelle parole, il motivo per cui il ragazzo gliel'avesse messe davanti agli occhi gli era ignoto e quelle parole non lo portavano a nessuna conclusione.
"La lama" pensò «La lama di cosa?» disse dando voce ai suoi dubbi. 
«Della spada» rispose con ovvietà il fratello di Squalo, riprendendo il quaderno e sfogliandolo ancora.
«La spada?»
«La spada, come quella di Re Artù» il biondo, sembrava sempre più confuso. Perché Squalo scriveva degli appunti sulla spada? Si era almeno tolto il dubbio di cosa fossero quelle linee e quegli appunti confusi, ma altrettanti interrogativi erano nati nella sua mente. L'altro ragazzo si era intanto seduto ed aveva poggiato il quaderno accanto a lui. Tornò a guardarlo come ad aspettarsi che gli chiedesse qualcos'altro, eppure Dino non sapeva cosa dire e pensare, non tanto perché lo turbava il fatto che Squalo avesse appunti su una spada, ma quanto al perché Federico glieli avesse mostrati.
«Potresti venire più spesso.» Federico si alzò e guardò verso la finestra.
«Ti piace Squalo?» Dino guardò nella sua direzione e si corrucciò, non solo lo stava confondendo con i gesti, ma le sue parole sembravano essere la voce del suo subinconscio. 
«In che senso?» Dino non si era mai posto domande simili e sentire qualcuno che si preoccupava per Squalo gli sembrava strano, anche se quello era appunto suo fratello. D'altronde Squalo non lo conosceva poi da così tanto tempo, eppure in quel poco tempo era riuscito a farsi un'idea ben chiara di che persona fosse, ma allo stesso tempo non si era chiesto i motivi che l'avevano fatto arrivare a quella concezione di Squalo. Non si era mai chiesto, oltretutto, il motivo per cui volesse avere la sua compagnia, aldilà del fatto che lo ascoltasse, aldilà del fatto che lo aiutasse. Non era stato il primo ad ascoltarlo, né il primo ad aiutarlo.
«Se ti sta simpatico» la sensibilità di Federico gli strinse il cuore. Non era semplice curiosità quella, ma era il sentimento per Squalo che lo faceva parlare e Dino quasi non si sentì sciogliere, perché mai aveva sentito parlare qualcuno in quel modo, non aveva mai visto nessuno esternare così tanto le proprie emozioni come faceva Federico. E ancora si ritrovò a pensare alla loro diversità, a quanto Squalo invece si ostinasse a nascondere tutte le sue emozioni e a quanto cercasse di nascondersi dal mondo che lo circondava. Provò dispiacere. Non capiva ancora bene il motivo per il quale si sentiva così scosso, eppure Federico sembrava rispondere a molti suoi interrogativi, tanti quanti gliene aveva posti.
«Mi piace»




Vorrei scusarmi di nuovo per il ritardo, ho avuto un attimo di vuoto e mi sono presa qualche giorno per pensare bene alla storia. L'ho iniziata malissimo e sta proseguendo altrettanto male, ma comunque continuo un po' perché ormai l'ho iniziata e la voglio finire, perché la storia in sé mi piace, forse ho sbagliato con i personaggi, ma ho voluto provare, e anche un po' perché comunque devo iniziare a scrivere e pubblicare di più, che siano storie mediocri o meno, perché un giudizio -critico o positivo che sia- non fa mai male.

Ora parlo del capitolo: è pieno di discorsi diretti, sopratutto la parte finale, questo perché da molto tempo mi sono accorta del fatto che mi soffermo troppo sulle descrizioni e troppo poco sui discorsi. Piano piano sto cercando di correggermi e spero che prima o poi mi esca qualcosa di buono e di cui sentirmi soddisfatta.
Non succede nemmeno qui nulla di ché a parte il fatto che ci sono molti incontri (XanXan alla riscossa *-*).
L'ultima parte che vede Federico e Dino è un po' confusa e forse non ci si capisce molto, ma ha i suoi perché. Federico è un tipo un po' particolare e man mano mostrerò più lati del suo carattere (
d'altronde lui e Dino si sono appena conosciuti) e spiegherò anche tutti gli altri punti che sono stati lasciati in sospeso.
Il capitolo è un po' lunghetto, passa da un personaggio all'altro a un luogo all'altro, però ho voluto farlo perché altrimenti mi sarebbero usciti fuori millemila capitoli in più, alternando in questo modo mi trovo meglio.
Ho oltretutto finito in questo modo perché altrimenti mi usciva un poema, e poi mi sembrava una fine capitolo giustificata, non c'era bisogno di aggiungere nulla di più.

Ringrazio sin da subito chi vorrà continuare a seguirmi, nonostante i ripetuti ritardi. Mi scuso se mi sono sfuggiti errori/orrori.
Come al solito ringrazio i commenti (a cui rispondo direttamente nella pagina delle recensioni) e alla seguite e ai preferiti. Grazie, grazie, grazie!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Pioggia e sole ***


My secret friend 5
My secret friend



Avvertimenti: la storia tratta argomenti come l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.


I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.




«Anche a me piace, è simpatico»  Dino notò il repentino cambiamento nell'espressione di Federico. «A mamma e papà non piace» continuò a dire mentre svogliatamente stirava le pieghe della maglia che indossava.
Dino si sentiva sempre più a disagio perché dopotutto lui in quel discorso non c'entrava assolutamente nulla, eppure Federico continuava a parlare come se nulla fosse, come se stesse parlando con qualcuno che conosceva da tempo e con cui poteva confidarsi liberamente. Dino oltretutto sapeva anche che a Squalo tutto ciò non sarebbe piaciuto, per quel poco che lo conosceva aveva capito che non gli piaceva parlare dei suoi affari. Più che altro, ora poteva intuire, perché non avrebbe voluto far sapere di quella situazione che sembrava alquanto scomoda, anche se poi non aveva capito fino in fondo ciò che Federico forse stava cercando di fargli capire.
«Mi dispiace» disse allora in mancanza di altre parole, e gli dispiaceva per davvero.
Federico allora smise di lisciare le pieghe e lo guardò confuso, o forse stava semplicemente pensando, Dino non era mai stato un tipo troppo intuitivo, per questo motivo non capiva al volo le emozioni delle altre persone, se non per emozioni palesi e ben chiare, sopratutto con degli estranei, sopratutto con Federico che sembrava un ragazzo alquanto enigmatico.
«Ma va bene così, io gli voglio bene» a quel punto Federico guradò fuori dalla finestra. «Piove, adesso va anche meglio» Dino osservò le grandi nuvole grige che ormai avevano completamente coperto il cielo.
La pioggia sembrava aver racchiuso in una bolla d'acqua le ville tutt'attorno e ancora una volta si ritrovò a pensare al fatto che Squalo avrebbe potuto ammalarsi, nonostante poi Federico gli avesse detto che non si ammalava mai.
«Ed è tornato in anticipo» Osservò Federico che scuoteva la mano in segno di saluto.
«Squalo è tornato?» Dino si alzò e corse a guardare fuori dalla finestra in cerca della testa del suo amico, eppure non vide nulla se non una macchina giagia e lucida.
«No, è papà. Ora Squalo sarà nei guai» Federico si strinse nella maglia e allungò il collo come se stesse cercando di guardare attraverso la piccola villa davanti alla loro.
«Nei guai?! Allora forse è meglio se lo vado a cercare, magari...»
«No. Papà si arrabbia, non gli piace quando Squalo è fuori.  Deve controllarlo» il volto di Dino si rabbuiò in uno strano cruccio. Non sapeva cosa volevano dire quelle parole, non capiva il motivo per cui l'uomo dovesse controllare Squalo e automaticamente si sentì stringere lo stomaco in una morsa dolorosa. Si sentì come un uccellino in gabbia.
«Ma se vado a cercarlo posso dire che era con me, magari non si arrabbia» Federico storse il naso e sospirò.
«Squalo lo sa che non deve uscire»
«Ma come hai detto, vostro padre è tornato in anticipo, Squalo non avrebbe potuto saperlo» lo guardò ansioso in attesa di una risposta quanto più che positiva, perché si sentiva agitato, perché aveva paura di un qualcosa che nemmeno lui riusciva a concepire, ma che nella sua mente, in modo occulto, riusciva a suscitargli dolore.
«Papà è un generale e ha sempre detto che bisogna prepararsi ad ogni evenienza, a lavoro o a casa non importa» Dino non seppe cosa dire, rimase a guardare Federico per un tempo che gli parve eterno. Osservò il modo in cui abbassava le sopracciglia in modo contrariato, era ovvio che anche il ragazzo più piccolo non approvasse quella regola. Non gli piacque affatto, infatti a Dino quel modo di fare gli sembrava quasi una cosa assurda, eppure sapeva bene che quello non era l'unico uomo ad essere così severo in famiglia.
Nonostante Dino potesse capire in qualche modo quella vita, suo padre non si era mai comportato in quel modo, per questo riteneva in qualche modo ingiusto quel comportamento da parte del generale.
Federico sospirò afflitto, sperava che Squalo tornasse al più presto, era evidente.
«Vado a cercarlo» a quelle parole Federico si girò verso Dino, ma lui aveva già preso a camminare verso la porta della camera con l'intenzione di non voler ascoltare altre affermazioni pessimistiche, anche se in fondo sapeva che anche Federico approvava in un certo senso la sua decisione. Il fatto però era che Federico non voleva che Dino si fosse ritrovato in qualche guaio per colpa sua, perché aveva visto sin da subito che tipo di persona era e, per quel poco tempo che avevano potuto per parlare, aveva visto la genuinità del suo animo. 
Era felice che Squalo avesse trovato un amico come quello, anche se sapeva che suo fratello non avrebbe mai e poi mai dimostrato alcun tipo di affetto nei suoi confronti, perché non era il tipo.
Senza dire altro dunque Dino uscì e scese le scale, cercando attentamente di non mancare i gradini. Fino a quel momento non aveva fatto nessun capitombolo, ma appunto per questo doveva stare attento a non creare caos di qualche sorta.
Una volta arrivato alla fine delle scale, vide la madre di Squalo tutta affannata correre verso la porta e mettersi a posto i capelli in un gesto frenetico e nervoso.
«Mi scusi signora, io dovrei...» la donna non lo lasciò finire che subito lo guardò sorridendo e respirando come se stesse in ansia.
«Oh, non ti preoccupare, dirò a Squalo che sei passato!» Dino non capì il modo strano in cui la donna a quel punto sorrise: era un sorriso diverso, tirato e molto falso.
«Mi dispiace.» Disse dunque avviandosi verso la porta.
«Ma no caro, non devi preoccuparti, puoi comunque venire a trovare Squalo quando vuoi, sei il benvenuto.» Di nuovo gli mostrò quel sorriso che a quel punto lo spaventò. Abbassò lo sguardo e lasciò che la donna aprisse la porta.
«La ringrazio. Arrivederci.» Mentre usciva incontrò lo sguardo del padre di Squalo e vi vide freddezza, una freddezza che lo fece chiudere nelle spalle ed abbassare lo sguardo «B-buona sera.» E dopo quelle parole cortesi quanto timorose, corse via come un lampo, senza aspettare che l'uomo potesse rispondergli. 
Dino si sentì scombussolare le membra non appena sentì la voce dell'uomo salutarlo di rimando, ma non osò voltarsi preferendo correre da Romario che era ancora lì ad aspettarlo.
«Scusami se ci ho messo così tanto» quando entrò nell'abitacolo sentì il familiare calore che lo fece sentire meglio.
«Qualcosa ti preoccupa?» Dino guardò Romario e si morse il labbro inferiore.
«No, cioè sì.» Gesticolò e guardò dritto davanti a sé «Dovrei chiederti un altro favore»

Squalo se ne stava sdraiato sul prato a guardare le nuvole cariche di pioggia. Iniziò a pensare a quanto la pioggia potesse essere rilassante. Amava il modo in cui le gocce si scontravano al suole, sugli oggetti e sulle persone. L'acqua piovana puliva quel mondo sporco e ingiusto, la pioggia spazzava via quel senso di disagio che si sentiva addosso. Quando pioveva si sentiva  felice, quando le fredde gocce gli scorrevano sul viso si sentiva sollevato. Non ricordava nemmeno il giorno in cui era iniziata a piacergli così tanto, ma forse nemmeno gli importava. Sapeva solo che sentiva la pioggia come parte integrante di sé, come se fosse il suo elemento naturale. 
Squalo non poteva sapere quanto ciò potesse essere vero. Un giorno però, nemmeno troppo lontano, l'avrebbe capito. Sarebbe stato l'inizio o forse la fine di tutto, questo però, per tutti gli anni che sarebbero passati, non l'avrebbe mai saputo, anzi probabilmente l'avrebbe anche dimenticato.
Pioveva finalmente, le gocce colpivano il suo corpo facendolo sentire sollevato. Era una sensazione magnifica. Alzò la spada e fendette l'aria, godendo dell'effetto che provocava la lama tra le gocce. Si lasciò successivamente cadere a terra tra l'erba bagnata e chiuse gli occhi lasciandosi investire dall'acquazzone. La pioggia era così forte che ad un certo punto gli fece perfino male la faccia.
Storse il naso. Forse era meglio se tornava a casa, anche perché, si rese conto, era tardi e voleva tornare a casa prima di suo padre così da poter stare un po' di più con suo fratello.
Sospirò e si alzò in piedi stropicciandosi gli occhi anche se era inutile, prese il panno per avvolgere la sua spada e si incamminò verso la strada che l'avrebbe riportato a casa.
Camminando si ritrovò a pensare di nuovo a Xanxus e istintivamente rabbrividì. Non che avesse paura, solo un pochino. Era strano comunque che gli avesse messo tutto quel timore addosso, eppure, nonostante avesse temuto per la sua vita, non riusciva a non pensare a quanto quegli occhi lo attirassero e a quanto volesse vederli di nuovo e fissarli in tutto quel pieno d'ira che li riempiva. Erano stati pochi attimi a guardarsi, questione di qualche secondo, ma era come se l'avessero inevitabilmente catturato. Si accorse che quegli occhi lo caricavano di adrenalina ed era una sensazione così strana che sentì il bisogno di correre per scaricare tutta quell'improvvisa forza che sentiva montargli dentro. Alla fine non trovò così male la prospettiva di affrontare Xanxus se questo poteva permettergli di guardarlo dritto negli occhi.
Si fermò improvvisamente e fissò a terra. Era sbalordito dai suoi stessi pensieri. Nemmeno lo conosceva quel Xanxus e già aveva una voglia matta di rivederlo. L'aveva odiato per quei secondi che l'aveva visto e l'aveva anche maledetto, in quel momento invece voleva solo tuffarsi in quegli occhi rossi e non per maledirli, ma per guardarli e basta, per sentire più vivide quelle sensazioni che ora lo stavano scuotendo all'interno e che non capiva nemmeno se fossero piacevoli o meno, se fossero deleterie oppure no. Voleva dunque incontrare di nuovo Xanxus perché voleva capire cosa gli stava succedendo, perché non riusciva a controllare né il suo corpo né la sua mente. Pensò dunque che forse quelle sensazioni e tutta quella carica le provava perché voleva fare davvero del male a Xanxus, almeno per il momento poteva convincersi che fosse così, anche se sapeva che c'era dell'altro e che probabilmente quella notte avrebbe dormito molto male per quello. In quel momento però doveva solo pensare a tornare a casa il più presto possibile se voleva passare abbastanza tempo con Federico.
Riprese a correre sotto la pioggia cercando di dimenticare quel rosso che gli stava invadendo la mente. Era difficile non pensarci, ma una macchina fermatasi proprio davanti a lui, lo distolse dai suoi pensieri e d'istinto si fermò. La portiera si aprì e in un attimo Squalo pensò che forse era meglio scappare, ma quando vide una zazzera bionda spuntare fuori e gli occhi nocciola di Dino fare capolino rilassò i muscoli.
«Squalo!» Corse verso di lui e strinse un poco gli occhi per la forza della pioggia. 
«Che cazzo ci fai qui?» Squalo guardò la macchina e di nuovo l'amico che sembrava preoccupato.
«Ti accompagno a casa» rispose dunque afferrandogli il polso, ma Squalo oppose resistenza. «Tuo padre, ecco, è-»
«Che cosa?!» L'aveva bloccato. Dino guardò gli occhi di Squalo spalancarsi e riempirsi di panico, gli mancò il fiato.
«Non restiamo qui, andiamo» lo trascinò verso la macchina e lo fece entrare. «Mi dispiace Squalo.»
L'albino lo guardò stralunato e guardò poi lo specchietto retrovisore vedendo Romario che li guardava pacato.
«Lui è Romario» disse in fretta e furia Dino. Squalo fece cenno con la testa, ma non una parola gli uscì dalle labbra.
In tutta quella fretta non era riuscito ad allacciare tutti i punti, quando però sentì la macchina iniziare a sfrecciare, nella sua mente iniziarono a crearsi degli interrogativi: come faceva Dino a sapere di suo padre? Come mai suo padre era già tornato? Come aveva fatto Dino a trovarlo? Perché era così allarmato? Cosa sapeva in realtà Dino?  Erano troppi interrogativi e lui non sapeva rispondere nemmeno ad uno di questi. Semplicemente tornò a guardare l'amico che sembrò capire tutta quella confusione.
«Sono stato a casa tua» allora un altro interrogativo nacque spontaneo nella sua mente, ma questa volta riuscì a trasformarlo in forma di parola.
«Perché?» Dino per la prima volta vide lo sguardo di Squalo non corrucciato ma preoccupato. Gli era concesso capire per quanto gli era stato concesso di sapere da Federico.
«La cartella.» Squalo alzò un sopracciglio «L'hai lasciata a scuola» finì dunque.
Squalo lo guardò come se avesse capito tutto quanto e deglutì.
«Quindi...» inclinò la testa in avanti senza smettere di fissarlo e Dino capì di dovergli delle spiegazioni, anche se ormai la macchina si era fermata ed erano arrivati a casa di Squalo.
«Ne parliamo domani, siamo arrivati» Squalo guardò fuori dal finestrino e subito lo sguardo andò verso la macchina del padre.
«Cazzo.» Fu l'unica cosa che riuscì a dire lì per lì prima di scapicollarsi praticamente fuori dalla macchina senza una parola. L'unica cosa che aveva pensato in quel momento era suo padre e di conseguenza aveva dimenticato la buona educazione, ma questo poteva farselo perdonare il giorno seguente. 
Dino osservò Squalo fermarsi davanti alla porta e capì che l'amico stava pensando se entrare oppure scappare di nuovo.
«Dino...» Guardò lo specchietto retrovisore e vide gli occhi di Romario puntati sui suoi.
«Ti spiegherò tutto.» Poi di nuovo tornò a guardare verso la porta, ma di Squalo non c'era traccia. Si guardò dietro e avanti e capì che era entrato in casa. Si preoccupò, ma disse a Romario di tornare a casa.

Squalo era entrato in casa sbattendo la porta. Se ne fregava altamente di quello che sarebbe successo, tanto ormai avrebbe potuto aspettarsi il peggio.
«Cosa ci facevi in giro con questa pioggia?» La madre andò all'ingresso sconvolta. L'albino si tolse le scarpe e la guardò con indifferenza senza nemmeno pensare di degnarla di risposta, sapeva che tanto a lei non importava, quella era stata solo una domanda di circostanza dato che si trovava nelle vicinanze. 
Attraversò l'ingresso, superando la madre che se ne era rimasta lì in mezzo come un palo, ed era entrato nel grande salone, consapevole del fatto che ci fosse il padre lì sulla poltrona ad attenderlo.
«Perché eri in giro?» La voce dura e fredda gli fecero tendere i muscoli. Si fermò e guardò l'uomo negli occhi. Sapeva che la madre era dietro di lui e stava guardando la scena con le mani unite in grembo ostentando una calma che non aveva, sia lui che il padre lo sapevano e Squalo non capiva perché si sforzasse tanto.
«Stavo tornando a scuola» bugiardo. Ma doveva mentire per salvarsi la pelle. Quasi si sentì soddisfatto della sua risposta.
Il padre lo guardò accigliato e mosse una mano facendogli cenno di andare davanti a lui per guardarlo meglio negli occhi. Squalo sapeva che tanto l'uomo non avrebbe capito se stava mentendo o meno, perché non lo conosceva e perché l'albino ormai sapeva bene come mentirgli con gli occhi.
«Vedi di non dimenticare più le tue cose a scuola» disse a quel punto. Squalo si rese conto che con molta probabilità la madre gli aveva detto di Dino e della cartella e forse gli aveva raccontato la sua stessa menzogna. Si voltò quindi verso le scale ed incrociò lo sguardo della madre che teneva gli occhi spalancati ma che sembrava più rilassata. Non avrebbe detto nulla, non l'avrebbe ringraziata perché con lei non ci voleva parlare.
«Vai in camera tua» finì per dire l'uomo, Squalo si fermò a metà scale.
«Voglio salutare Federico»
«Ho detto di andare in camera tua.» Si morse il labbro e strinse i pugni. Lo maledì mentalmente e si diresse verso la sua camera ubbidendo a quell'ordine. Non avrebbe potuto fare altrimenti. 
Guardò fugacemente verso la porta chiusa della camera di suo fratello ed entrò nella sua stanza. Una volta entrato gli venne voglia di dare un calcio alla scrivania, ma non lo fece perché il suo sguardo si posò sul suo letto dove era ancora posato il suo quaderno. Strinse la mascella e lo afferrò sfogliandolo. Ne avrebbe parlato con Federico dato che era l'unico a sapere dove era.
Squalo sapeva perfettamente che suo fratello aveva lasciato il quaderno sul letto per un motivo. L'aveva combinata grossa e l'avrebbe sgridato perché aveva fatto vedere a Dino un qualcosa che doveva rimanere segreto. Non volle pensare al perché l'avesse fatto, preferì arrabbiarsi dopo aver sentito le spiegazioni del fratello, perché dopotutto doveva esserci una ragione e Federico sapeva bene che non doveva andare a spifferare ai quattro venti gli affari suoi. Però sapeva anche che Dino non sarebbe andato a dire i giro nulla, ma in ogni caso era arrabbiato, era ovvio che lo fosse.
Lanciò il quaderno a terra e si buttò sul letto supino andando a fissare il soffitto, dimenticando perfino che era fradicio.
Gli dava fastidio anche l'idea di dover andare giù a cenare e vedere in faccia qualcuno, sopratutto i suoi genitori. Sbuffò, gli si era chiuso lo stomaco e avrebbe dovuto fare finta di mangiare. 
«Vaffanculo» imprecò a denti stretti. Portò gli occhi alla finestra. Perlomeno, pensò, stava piovendo e per questo si lasciò andare ad un sospiro afflitto continuando a fissare le incessanti gocce che si scontravano sul vetro. Avrebbe voluto aprire la finestra e scappare di nuovo, ma era riuscito a scamparla una volta, la seconda non avrebbe potuto riuscirci, non aveva scuse da inventarsi. Decise quindi di andare a fare una doccia, ma si accorse subito che qualcosa non quadrava.
«Cazzo, la spada!» L'aveva dimenticata in macchina. Si portò la mano a coprirsi la faccia. «Maledizione!» Si alzò pieno di stizza e si diresse verso il bagno. Era più che naturale che Dino gli avrebbe fatto delle domande, sperò solo che non avrebbe fatto qualche sciocchezza come portarsi la spada a scuola. Si fermò un attimo a pensare: Dino non era poi così stupido, era sbadato, ma non stupido.
Uscì dalla stanza e guardò di nuovo la porta accanto, era leggermente aperta e gli occhi di Federico lo guardavano.
«Ti ammazzo» sussurrò Squalo. Vide gli occhi di suo fratello illuminarsi furbi e un sorriso allargarsi sul suo volto: lo stava sfidando.
Federico sapeva che in quel momento Squalo era costretto a non poterlo vedere, ma sapeva anche bene che quella notte sarebbe entrato silenziosamente in camera sua, come faceva tutte le volte in cui il padre per punizione gli vietava di vederlo, e avrebbero parlato per tutta la notte. Entrambi sapevano che il padre era a conoscenza del fatto che Squalo e Federico di vedevano di notte, ma fino a quel momento non aveva detto nulla, forse anche quella era una punizione perché la mattina entrambi si svegliavano con solo un paio di ore di sonno.
«Gli piaci!» Rispose consapevole della reazione del fratello. Infatti Squalo strinse le labbra e lo guardò furente.
«Sta zitto!» Si girò e si chiuse bagno sbattendo la porta. Federico se la rise sotto i baffi e tornò a disegnare. Si sarebbe divertito tantissimo a prenderlo in giro quella notte e si sarebbe divertito ancora di più a vederlo trattenersi dall'urlargli contro. Continuò a sorridere riempendo il sole che aveva disegnato, a differenza del fratello a lui la pioggia metteva tristezza, ma se c'era Squalo con lui non poteva essere triste, perché gli occhi di Squalo che guardavano la pioggia sprigionavano il sole. Era talmente tanto bello che non poteva non pensare a quelle gocce d'acqua come tanti piccoli raggi di sole. Si chiuse nelle spalle e prese un nuovo foglio su cui disegnare un nuovo sole.

Squalo si mise sotto il getto d'acqua gelida sperando che questa potesse fargli sbollire la rabbia. Federico si divertiva e Squalo lo sapeva, alla fine poi si sarebbe fatto perdonare, e lui ogni volta lo avrebbe perdonato anche se gli diceva sempre che sarebbe stata l'ultima volta. Questa volta però l'aveva fatta più grossa, non era semplicemente l'aver fatto un sole sul suo quaderno, aveva fatto vedere i suoi appunti a Dino. Imperdonabile, pensò, ma sorrise. Pensò al broncetto che avrebbe fatto suo fratello, a quando gli avrebbe detto che Dino gli stava simpatico perché aveva gli occhi buoni, perché lo sapeva che aveva pensato questo, chi non l'avrebbe pensato guardando gli occhi di Dino. Poi pensò anche a quanto l'avrebbe preso in giro perché "gli piaci!", anche se poi in realtà quell'affermazione non l'aveva colta del tutto. Squalo sapeva che Federico non si risparmiava domande imbarazzanti e Dino si imbarazzava facilmente e quando si imbarazzava diventava ancora più trasparente, gli si poteva chiedere di tutto e lui avrebbe risposto sinceramente portandosi una mano a torturarsi la nuca. Era adorabile, ma questo di certo non l'avrebbe detto né a Dino né a Federico, già doveva sforzarsi per ammetterlo a se stesso.
Dino era, dopo Federico, l'eccezione alla regola al suo modo di relazionarsi. Nonostante mostrasse sempre la faccia burbera, Dino riusciva anche a farlo sorridere e rilassare. Certo, puntualmente arrivava sempre qualche caduta o qualche piccolo guaio che lo facevano arrabbiare, questo almeno all'inizio, con il tempo però ci stava facendo l'abitudine, rideva perfino di lui dopo essere inciampato nel nulla ed aver stretto le labbra arricciando il naso. Iniziava a piacergli la sua sbadataggine, ma tanto nemmeno questo avrebbe mai ammesso, né ora né mai.
Si appoggiò alle mattonelle, era stanco morto, sia fisicamente ma sopratutto mentalmente. Era stata una giornata stressante e il peggio era che non era ancora finita, doveva affrontare a colpi di battute Federico. A Squalo non erano mai riuscite le battute, con tutto che si sforzasse a trovarne di buone, con tutto che cercava di prendere esempio da suo fratello, proprio non riusciva, poteva riuscire a fare dell'ironia ogni tanto, ma era un'ironia aspra. Preferiva di gran lunga mandare tutti a quel paese, era più facile.
«Squalo» bussarono alla porta, era la madre «c'è il tuo amico» ci mancò poco che scivolasse nella vasca.
«Che cazzo vuole» non era diretto alla madre di certo.
«Non essere così volgare» sbuffò irritato «è un tuo amico dovresti»
«Che palle!» la interruppe e nemmeno si pentì.
Uscì dalla doccia senza nemmeno ascoltare la madre che titubante continuava a dire qualcosa sul fatto che non avrebbe dovuto trattare male le persone e forse anche qualcosa sugli ospiti, ma nemmeno aveva capito dato che parlava a voce troppo bassa.
"Fanculo", pensò infilandosi maglietta e pantaloni ed uscendo dal bagno senza nemmeno curarsi di guardare la madre o dirle qualcosa. Si diresse al piano inferiore dove già si aspettava Dino seduto sul divano a torturarsi le mani dall'imbarazzo.
Quello che vide però lo spiazzò: Dino stava parlando con suo padre.
«Squalo!» in quel momento odiò tutto quell'entusiasmo, odiò la sua voce, i suoi occhi e il suo sorriso. 
Dino gli porse il panno bianco avvolto in quello che sembrava un grande quadro. Che diamine era?
«Ti ho portato la tavola che hai dimenticato in macchina» Squalo si accigliò. La tavola? Ma non poteva inventarsi qualcosa di migliore?
«Dino ci ha detto che frequenti un corso d'arte» la voce della donna gli punse le spalle.
«Mi dispiace averti rovinato la sorpresa!» Squalo strinse i pugni. Allora, infine, Dino era più idiota di quel che credeva.
L'albino guardò il padre che pacatamente guardava il biondo che si sbracciava in varie ricerche di scuse. Distolse lo sguardo e lo portò verso il basso.
«Non importa» scrollò la testa e di nuovo si ritrovò a guardare il padre che questa volta lo fissava con uno sguardo indecifrabile: era la prima volta che non sembrava distante. 
Squalo deglutì e Dino portò di nuovo in avanti la tela. Ma era davvero una tela? Notò un piccolo rigonfiamento nel panno, quella era sicuramente l'elsa della sua spada, non c'era dubbio. Forse così stupido non era, ma perché riportargliela proprio ora?
«Dino, vuoi rimanere a cena?» Squalo si morse il labbro inferiore stizzito. Quella donna parlava sempre troppo, ma dopo tutto quel blaterare sull'essere cortese con gli ospiti poteva aspettarsi un'uscita del genere.
«Nessun disturbo» disse a quel punto l'uomo seduto comodamente sulla poltrona. Lo sguardo di Dino si illuminò ancora di più, ma quando guardò gli occhi grigi e irritati di Squalo gli si bloccò il fiato in gola.
«Dino, che bello, sei tornato!» Federico scese di corsa le scale e andò ad abbracciarlo. Squalo si stupì di come il fratello fosse tanto amichevole con qualcuno che aveva conosciuto sì e no due ore prima e con cui aveva parlato per poco tempo. Si stupì di come il padre sembrava tranquillo alla vista di tutta quella vivacità e di come sua madre sorrideva serena. Si sentì ancora una volta fuori posto: quella non era la famiglia che conosceva. In un attimo tutto gli sembrò estraneo e una fitta alla bocca dello stomaco gli face salire un doloroso groppo alla gola; quella era la famiglia che i suoi genitori avevano sempre desiderato. Squalo era la tessera sbagliata in quel puzzle perfetto, era quello che aveva rovinato tutto.
«Ti prego resta!» disse a quel punto il ragazzo più piccolo e Dino non seppe dire di no. Non guardò Squalo negli occhi per non sentirsi in colpa, ma ugualmente sentì il rimorso grattargli la gola.
«Devi avvertire casa» si avvicinò la donna con il telefono in mano.
«Grazie signora!» sorrise come al suo solito e prese il telefono.
«Oh caro, non chiamarmi signora, chiamami Letizia, dammi pure del tu.» era bella, pensò Squalo, quando sorrideva in quel modo, eppure continuò a non vederla come sua madre.
Dino portò l'indice a grattarsi la guancia in modo distratto.
«Ci proverò» e la donna rise cristallina.
«Intanto potete andare su, la cena non è ancora pronta» poi la donna guardò Squalo «e dagli qualcosa per asciugarsi, non vorrei prendesse un malanno» concluse con tono nettamente diverso a quello con cui si era rivolto a Dino. A quel punto anche il biondo guardò Squalo: aveva lo sguardo basso e stava sicuramente stringendo la mascella. Si dispiacque, ma prima che potesse anche solo sentirsi lo stomaco strizzarsi, Federico lo aveva preso per mano e si erano diretti verso le scale, dove poi aveva preso anche il polso del fratello trascinandoli entrambi al piano superiore.
«Io...» disse una volta entrati nella camera di Squalo, dove li aveva trascinati Federico.
«Chiama prima che ti dimentichi, coglione» disse l'albino per poi guardare il fratello e stringendo il pugno, imitando un cazzotto.
«Mi uccidi dopo» ridacchiò il più piccolo facendosi scudo con le braccia. Squalo abassò la mano e storse la bocca in una smorfia.
«E tu» puntò il dito vero Dino «se dici che ti dispiace ti taglio la lingua» l'amico alzò le mani e subito dopo compose il numero.
«Romario, puoi andare a casa, rimango qui» Dino guardò fuori dalla finestra la macchina ancora parcheggiata.
«Idiota, poteva anche uscire e dirglielo» borbottò l'albino.
«Ma piove, è meglio così» Dino guardò Squalo e sorrise colpevole facendo spallucce, l'altro sbuffò e guardò verso destra.
«Certo, sì. Grazie Romario, ciao!» attaccò poi e osservò la macchina allontanarsi.
«È la prima volta che un amico di Squalo viene a cena»
«Sì, sì, sta zitto!» Fece acido Squalo buttandosi sul letto. Federico ridacchiò divertito.
«Hai i capelli bagnati» Dino indicò verso la sua testa e Federico rise.
«Chissenefrega» si girò di lato dando le spalle ai due.
«Sei sempre scontroso, anche quando ci sono i tuoi amici» Squalo sospirò profondamente irritato. Era anche normale che fosse arrabbiato no? Insomma un completo estraneo alla sua famiglia, piombava in casa per ben due volte nello stesso giorno e già veniva invitato a rimanere per cena. Ma ovviamente non era quello il problema, il problema era che aveva già simpatizzato con tutti, come era possibile Squalo non lo sapeva, però gli si strizzarono le membra al solo ricordo dello sguardo più o meno tranquillo e non duro del padre, uno sguardo che non aveva mai visto rivolto a lui. A dire la verità poi quello sguardo non l'aveva mai rivolto a nessuno da quanto ne sapeva, e questo gli andava quanto mai scomodo, il perché non lo sapeva, dopotutto non era Dino che gli dava fastidio, tantopiù se ne fregava del padre. Come poteva essere però che Dino fosse riuscito così facilmente a parlare con l'uomo, e cosa si erano detti? Si accorse però di non volerlo sapere.
Federico prese la tela e tolse il panno.
«Che bello!» Esclamò Federico guardando il dipinto. Dino si sporse per guardare.
«È la copia dei girasoli di Van Gogh» sentenzia pensieroso. Federico si sedette a terra e alzò il quadro spostandolo e girandolo per guardarlo in tutte le angolazioni possibili.
«Certo che» Squalo si girò di nuovo andando a guardare l'amico «te ne potevi inventare una migliore» alzò il busto e lo guardò accigliato. Dino si grattò la nuca.
«È stata la prima cosa che ho pensato» fece tra un sorriso e l'altro. Squalo scosse la testa in diniego.
«Potevi anche risparmiarti di tornare» non pensò molto a quello che aveva detto, ma Dino sembrò non prendersela troppo.
«Non passano inosservate certe cose, a scuola non te l'avrei comunque potuta portare» Federico a quel punto guardò il biondo e poi il fratello.
«Ha ragione» annuì e fece cenno a Dino di sedersi a terra. Il biondo sorrise e fece per sedersi inciampando come al solito nel nulla e dando una poderosa sederata a terra. Si lamentò dolorante e Federico lo guardò preoccupato.
«Ti sei fatto male?» Allungò il collo per assicurarsi delle condizioni del ragazzo e questi alzò lo sguardo verso di lui e rise.
«No, no sto bene, mi capita spesso di cadere» Squalo schioccò la lingua in un "tsk" scocciato.
«Dai Squa, non fare così» disse a quel punto il fratello guardandolo con la fronte corrugata, ammonendolo del suo comportamento burbero.
«Ora che mi invento con la storia del corso» Dino stese le labbra forse rendendosi conto solo in quel momento del problema che si era venuto a creare.
«Partecipi al corso» rispose il più piccolo tranquillamente. Squalo lo guardò come se avesse bestemmiato.
«Voooi! Ma anche no!» aveva dunque esclamato alzandosi in piedi ed iniziando a percorrere in lungo e in largo la stanza «Non ci penso nemmeno» finì per dire, chinandosi a prendere il panno con cui poi avvolse la spada.
«Se trovi altre soluzioni» lasciò in sospeso il biondo. L'albino lo guardò furente.
«Certo che le trovo!» aprì l'armadio e ripose la spada come al solito sotto libri e quant'altro fosse possibile per poterla nascondere.
«Anche a me piacerebbe tanto partecipare ad un corso di disegno» sembrò più una frase detta fra sé e sé, riprese poi a girarsi il quadro tra le mani.
«Non è la fine del mondo» disse Dino rivolto a Squalo che aveva sbattuto le ante dell'armadio.
«Lo è invece, non voglio fare quel corso del cazzo» Dino sbatté gli occhi più volte.
«Puoi anche solo fare finta»  di nuovo Squalo si ritrovò a lanciare uno sguardo esterefatto, questa volta diretto a Dino.
«Torni a casa un po' più tardi il venerdì» spiegò.
Squalo rimase in silenzio per una dozzina di secondi. Si ritrovò a riflettere su quel punto: sarebbe stato costretto a vagare a vuoto il venerdì pomeriggio. Non che gli dispiacesse, tanto a casa la maggior parte delle volte non ci voleva tornare, però non aveva mai pensato ad un'eventualità simile e di conseguenza si ritrovò a pensare a quanto cattiva fosse quell'idea. Era difficile per Squalo stare fermo con le mani in mano, non ci riusciva proprio. La prospettiva di ritrovarsi a vagare nei dintorni della scuola non lo allettava affatto, come gli dispiaceva sprecare un pomeriggio senza poter migliorare la sua abilità con la spada.
Dino non sapeva quello che diceva, non c'era alcun dubbio, ma forse pensandoci attentamente avrebbe capito che quella erano tutto fuorché parole dette senza logica.
«Potresti tornare anche dopo papà» fece a quel punto Federico.
«Vooooi! E secondo te gli fa piacere se faccio un corso del cazzo come quello?» sbottò sedendosi anche lui a terra.
«Non sembrava tanto dispiaciuto» Squalo lo guardò interrogativo, in effetti, dovette ammettere, non gli era sembrato affatto arrabbiato.
Squalo trattenne il fiato e lo sguardo cadde sul quadro: quei girasoli erano orribili. Si lasciò andare un ennesimo "tsk" e digrignò i denti. 
«Posso abbandonare il corso»
«Che stupido» se ne uscì subito il fratello in risposta. Squalo girò velocemente la testa e lo guardò arrabbiato mollandogli poi un cazzotto sulla spalla.
«Non voglio cacciarmi nei guai!» Federico si massaggiò la parte lesa facendo un broncio offeso.
«Non ti cacci nei guai» rispose infine cacciando fuori la lingua. Squalo gli diede un altro cazzotto, sempre sulle stesso punto, e Federico si lamentò mentre Squalo diceva cose come "ben ti sta" e "la prossima volta ti spezzo il braccio".
Dino rimase in silenzio pensando al grande guaio che aveva combinato. Alla fin fine però sembrava la soluzione più logica. Non sapeva ovviamente cosa intendeva Squalo con "guai", ma sapeva che l'amico non era il tipo da spaventarsi facilmente, né si tirava indietro davanti a situazioni difficili. In quel caso se era tanto preoccupato una ragione c'era e dunque doveva trovare una soluzione, perché era stato lui a creare quel problema tornando a casa sua. Però come avrebbe potuto fare?  Avrebbe potuto tenersi la spada e trovare un altro momento per riportargliela, ma alla fine aveva deciso di tornare indietro e portargliela subito. Non sapeva bene il perché, ma forse inconsciamente aveva pensato che tornando a casa di Squalo almeno si sarebbe tolto il peso dell'angoscia che si sentiva da quando aveva riportato l'amico a casa. Quando infatti aveva sentito la madre di Squalo invitarlo in casa e dirgli di attendere qualche attimo, si era sentito più rilassato capendo che non gli era capitato nulla.
Quando Dino aveva detto a Romario di tornare a casa, aveva iniziato a pensare di tutto. era passato dal pensare che Squalo si sarebbe beccato una strigliata con i fiocchi, fino ad arrivare a Squalo chiuso in camera al buio in un angolo. Non era nemmeno troppo tragico, ma non riusciva proprio a pensare a punizioni più dolorose, anche se davvero il padre di Squalo a prima occhiata poteva sembrare molto severo, tanto da imporre la disciplina a suon di bastonate. Ma davvero, Dino non voleva nemmeno pensare ad una cosa del genere.
Aveva poi visto la spada dimenticata da Squalo e non aveva potuto fare a meno di pensare di riportargliela subito, era ovvio che il suo cervello avesse lavorato di subinconscio.
Dino aveva chiesto a Romario se per l'ennesima volta quel giorno avesse potuto fargli un favore. Romario era sempre stato un tipo paziente, per questo aveva accettato. Inizialmente gli aveva consigliato di riportarla un altro giorno, solo che Dino non ci aveva voluto pensare troppo ed aveva insistito sul dover riportare subito l'oggetto al proprietario. L'uomo dunque lo aveva riportato indietro mentre Dino si scervellava ad alta voce agitando le mani, cercando di trovare un modo per nascondere la spada. Poi tra un agitarsi e l'altro aveva trovato la soluzione del quadro anche se Romario non sembrava affatto convinto, ma il ragazzo era così tanto soddisfatto della sua genialata che non aveva potuto fare a meno di approvare.
Per grazia divina oltretutto non era caduto rovinosamente a terra mentre correva verso la porta della casa del suo amico. Quando gli fu aperta la porta, mostrando la donna che, quando l'aveva visto, aveva sorriso solare si era sentito sollevato da un peso. Si era pentito inizialmente, perché solo in quel momento aveva potuto accorgersi di come Squalo non avrebbe accettato il suo ritorno, poi però, quando il padre di Squalo si era presentato, aveva dimenticato il motivo per cui si era sentito tanto angosciato fino a pochi minuti prima. Seppure lo sguardo dell'uomo potesse sembrare duro, freddo e distante, si era presentato in modo molto gentile e nemmeno si era trovato a disagio a parlare con lui.
«Tieni» un asciugamano arrivò dritto in faccia a Dino «saresti un problema con la febbre» fu la volta di Squalo di beccarsi un pugno sulla spalla.
«Sei tu il problema» aveva detto Federico sogghignando. 
«Voooi, pezzo di merda, guarda che te lo spezzo per davvero il braccio!» Dino rise divertito davanti alla scena di Squalo che si buttava sul fratello: quei fratelli gli piacevano proprio tanto.



Finalmente il quinto capitolo! Dopo quasi sei mesi di blocco, ritorno ad aggiornare, mi sembrava ingiusto fermarmi, anche se più scrivo più penso di aver sbagliato tutto quanto.
Rileggendo i capitoli precedenti ho trovato molti errori, ho corretto qua e là quelli più evidenti, non ho modificato la trama e non ho cambiato nulla, ho tolto solo qualche frase di troppo e corretto gli orrori grammaticali, anche se credo di non aver corretto tutto per bene, ma non importa. Sì, importa, ma li rivedrò più in là con molta più calma.
Detto questo: il capitolo di per sé non dice molto, mi rendo conto che la storia sta andando per le lunghe per questo cercherò di essere più breve nei prossimi capitoli e di aggiungere fatti più concreti.

Vediamo Dino che ha combinato uno dei suoi geniali guai, e vedremo (nei prossimi episodi...) come si evolverà il tutto.
Non so se avete notato, ma il capitolo è più lungo (quindi?!)! Ci sono oltretutto tanti, ma tanti tanti discorsi diretti, quindi... Niente, ci sono tanti discorsi diretti (?).
Premetto già che nel prossimo capitolo, da come forse avete potuto intuire, accadrà di tutto.
Come ho detto prima, penso che la storia sia iniziata male e mi sto sforzando molto per trovare un modo per migliorare la situazione. Ci proverò, lo prometto, vediamo cosa ne esce (a chi importa?!, vabbè 8D).

Mi dispiace tantissimo per il ritardo e non mi aspetto recensioni (evvai), però mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e se notate degli orrori non fatevi alcuno scrupolo a segnalarmeli, anche uno alla volta (questo però vi toglierebbe un sacco di tempo), le critiche sono sempre ben accette.
Ringrazio come sempre tutti coloro che preferiscono, ricordano e seguono la storia e anche coloro che leggono ovviamente e un ringraziamento anche alle buone anime che arrivano fino alle noiose note di una povera vacca-banana come me 8D.
Per le recensioni ringrazio direttamente nella pagina recensioni, che amo e non smetterò mai di dirlo 8D

*Naviga via sulla sua Banana Boat*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=606677