My secret friend di Milli Milk (/viewuser.php?uid=18456)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un incontro casuale [Flashback] ***
Capitolo 3: *** Mancata indifferenza ***
Capitolo 4: *** Muri invisibili ***
Capitolo 5: *** Pioggia e sole ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
My secret friend
My secret friend
Avvertimenti: la storia tratta argomenti come
l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed
è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La
storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia
realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è
puramente casuale.
I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.
"Squalo deve solo essere compreso"
Tante volte il ragazzo sopracitato aveva sentito uscire quelle parole
dalla bocca dei suoi professori e dalla bocca di qualsiasi altra
persona pretendesse di conoscerlo. Invece Squalo non aveva bisogno di
essere compreso, lui era ciò che mostrava. Eppure nessuno aveva
mai cercato di andare più a fondo della normale apparenza.
Perché Squalo è un ragazzo ribelle.
Perché Squalo vorrebbe essere più libero.
Perché Squalo ha delle strane passioni.
Perché Squalo è solo un ragazzo.
"Passerà" dicevano "è solo un momento passeggero, capita
a tutti i ragazzi della sua età"; cercavano di giustificare quei
suoi comportamenti con delle parole semplici, ripetute fino allo stremo
a tutti quei genitori stremati dai comportamenti un po' troppo attivi
dei figli. Le persone volevano sfornare perle di saggezza, eppure
Squalo sentiva trapelare dalle loro labbra solo squallore; lo squallore
che si può intuire dalla voce bassa e timorosa, come se quelle
stesse persone che facevano da psicologhe improvvisate, potessero
essere sentite dal soggetto dei loro bisbigli sconclusionati. Squalo
invece sapeva e sentiva tutto quanto, non andava di certo ad origliare
le conversazioni tra la madre e le sue amiche pettegole, ma quei
bisbigli erano tanto rumorosi da dargli ai nervi. Non voleva sapere,
non voleva sentire, perché erano solo discorsi irrazionali, eppure sembrava proprio che la sua genitrice
pesasse molto quelle parole. Le pesava secondo un criterio di falsa
fiducia, perché credeva che quelle sue amiche pettegole
conoscevano meglio di lei suo figlio.
Squalo non capiva perché la madre si comportasse con lui a quel
modo, sembrava quasi avesse paura di lui, nemmeno fosse un pazzo
psicopatico fuggito da una casa di cura minacciandola di
non avvertire nessuno della sua presenza in quella casa. Sembrava
perfino avesse paura di dire che Squalo fosse suo figlio. Quando Squalo
tornava da scuola, se alzava lo sguardo verso la finestra della cucina,
poteva intuire che dietro le tende ci fosse la donna ad osservarlo, ad
attenderlo come se una minaccia stesse per entrare dalla porta di casa
sua.
Squalo non era per niente felice di sapere che quella donna lo
guardasse
con quel cipiglio quasi terrorizzato, non gli piaceva quando aggrottava
la fronte, mostrando le rughe più profonde dell'età
dicendogli "stai sempre rinchiuso in camera tua, perché
non
vai a farti un giro? Perché non chiami il tuo amico?" la sua
voce melliflua, che celava l'incertezza, man mano gli stava riempendo
la testa facendolo sentire ancora più fuori posto.
Quando poi il padre tornava a casa era anche peggio: la donna diventava
frenetica, preparava di fretta a furia la cena guardando verso
l'orlogio a muro sopra la porta con fare morboso e con le dita che
schizzavano verso uno sportello e l'altro, verso una pentola e l'altra,
verso un fornello e l'altro; poi correva verso la sala, preparava la
poltrona, sbatteva il cuscino, lo gonfiava e lo appoggiava con cura
sullo schienale. Sul piccolo tavolo accanto alla poltrona metteva il
giornale piegato con cura, doveva essere intatto. Infine, se era
inverno accendeva il camino e sitemava il poggiapiedi che doveva essere
messo ad un metro e dieci centimetri esatti davanti la poltrona; se
era estate apriva la finestra, sistemava il ventilatore davanti
il camino e lo accendeva al minimo, lasciando che ruotasse, in modo da
ventilare l'aria pregna della calura estiva. Per ultima cosa poi
accendeva la tv, sempre allo stesso canale, dove, quando l'uomo si
sarebbe accomodato sulla poltrona, avrebbe potuto seguire il
telegiornale e la donna poi avrebbe rizzato le orecchie in attesa della fine
del tg per poter arrivare silenziosa a portare il bicchiere di grappa
fatta in casa e poggiarlo con cautela sul tavolino.
Squalo era ormai abituato a quella routine e si era anche abituato a
guardare tutta la scena dalla cucina. Aveva preso il vizio di mangiare
con lentezza esasperante appunto per godersi tutta la scena: guardava
fugacemente il padre che metteva il peperoncino nella pasta, l'aceto
nell'insalata e mangiava con voracità, ma senza mai sporcarsi.
Poi Squalo guardava la madre che mangiava piccoli bocconi come se
avesse paura che da un momento all'altro l'uomo avrebbe potuto urlare
che la cena faceva schifo. E ancora poi ruotava lo sguardo verso suo
fratello minore, che lo guardava a sua volta con un sorriso divertito
in volto. Perché secondo il ragazzo più piccolo tutto
ciò che accadeva in quella casa dal ritorno di suo padre fino a
quando andavano a coricarsi, era alquanto comico.
Il fratello di Squalo, Federico, era nato con un cromosoma 21 in
più: era affetto dalla sindrome di down. Federico era un ragazzo
solare, Squalo lo amava con tutto se stesso, lo proteggeva, lo curava e
gli stava accanto quando ne aveva bisogno. La madre però non
sembrava accettare le attenzioni di Squalo verso il fratello,
perché Squalo era un ragazzo irresponsabile e volgare, a scuola
si comportava male e faceva quasi esaurire i suoi professori, sembrava
quasi ci avesse preso gusto ad andare a fare visita alla preside, che
ormai aveva perso le speranze con lui: "Squalo, cosa devo fare con te?"
lo guardava da dietro gli occhiali che gli facevano sembrare gli occhi
piccoli come quelli di una talpa.
Squalo aveva la strana passione
per la spada e la madre aveva paura sopratutto per quello,
perché gli occhi di Squalo si illuminavano appena vedevano una
spada. La donna cercava di allontanare Squalo dal fratello con qualche
stupida scusa "Squalo, potresti portare questo alla signora Cassio?"
oppure "Squalo, aiutami a spostare il mobile, mi è caduta una
cosa" e il ragazzo sapeva che si inventava tutto sul momento. Era
dispiaciuto ed abbattuto, perché poteva vedere il fratello
solo il fine settimana, quando tornava da quella maledettissima clinica
dove l'avevano rinchiuso insieme "ai suoi simili". Non poteva accettare
questa cosa, non era giusto, era un ragazzo come gli altri si ripeteva
sempre, anche se alla fine non poteva fare null'altro
che guardare la macchina che si allontanava da casa sua, mentre
Federico dai posti dietro guardava verso la finestra della sua camera
sorridendo e salutandolo affettuosamente con la mano.
Squalo per un certo periodo di tempo aveva creduto che fosse stato
colpito da una maledizione, un altro periodo invece aveva creduto che
quelli non erano i suoi veri genitori e poi alla fine si era convinto
che comunque andassero le cose lui era solo se stesso e non doveva
giustificare con nessuno i suoi comportamenti.
Probabilmente, anzi quasi sicuramente, la madre credulona e fragile,
aveva attribuito parte del comportamento di Squalo al fatto che avesse
Federico come fratello. In verità però non era affatto
quello il motivo. "Squalo, so che è difficile per te, ma ti
prego, cerca di comportarti bene a scuola", Squalo non credeva
possibile che la madre non capisse che una parte del suo comportamento
non era dovuto al fratello ma proprio a lei: una donna fragile, che lo
allontanava il più possibile se ne avesse avuto la
possibilità. Il futuro spadaccino non si faceva problemi ad
ammettere che il problema reale era lei e quando una volta glielo disse
con quanta più asprità e freddezza aveva in corpo, lei lo
guardò spavenatata e poi uscì di casa dicendo che si era
dimenticata di aver promesso a Mara che sarebbe andata a prendere il
tè a casa sua. Eppure Squalo, nonostante si fosse tolto, almeno
apparentemente, un peso dalla mente, si sentiva sempre più
oppresso dal disagio e dal rimorso. Il ragazzo sentiva di aver
sbagliato, ma avendo eretto una corazza d'orgoglio, che in futuro si
sarebbe trasformato in superbia, non voleva ammettere, o rifiutava
proprio di pensare che si stesse corrodendo da un senso di rimorso
provocato addirittura dalla solitudine.
La casa in cui viveva era troppo silenziosa, si poteva solo sentire il
parlottare delle pattegole in cucina di tanto in tanto. Il tintinnare
delle posate irritava sempre di più Squalo, lo rendevano
irrequieto e quando vedeva il volto burbero, freddo e distante del
padre, quasi si sentiva distruggere dentro. Non provava sentimento
per quell'uomo, non lo poteva definire padre. Gli unici contatti che
poteva avere con lui erano quando di tanto in tanto lo chiamava per
farsi portare un altro bicchiere di grappa e gli chiedeva se andava a
bene a scuola. Non era per vero interesse che lo chiedeva, sembrava
più un dovere e ciò disturbava ancora di più il
ragazzo, che dopo aver detto il solito "bene" spariva dallo sguardo
serio del padre per tornarsene in camera, come lui tacitamente gli
obbligava. La donna poi, quelle volte, se ne stava sul lavello a pulire
i piatti, facendo finta di non ascoltare e con tutti i muscoli
irrigiditi. Squalo quasi poteva sentire la tensione che gli pungeva la
schiena ogni volta che la donna apriva il rubinetto quasi a
costringersi a non ascoltare quelle bugie che fuscivano dalla bocca
del figlio. Posava i piatti accanto al lavello con un suono secco,
quasi avesse paura che il ragazzo gli raccontasse la
verità; ogni minimo rumore proveniente dalla cucina quando
stava davanti suo padre, sembravano messaggi, i soliti messaggi:
"dì che va tutto bene" e quelle volte Squalo le dava ascolto.
Di tanto in tanto poi suonava il campanello e si sentiva la voce
squillante della donna che civettava emozionata: Squalo sapeva che Dino
era venuto a fargli visita. Ogni volta la donna arrivava in camera sua
e gli diceva "c'è il tuo amico". Quegli occhi lucidi di
felicità lo colpivano duramente al petto.
«Squalo!» Urlava Dino entrando come un ciclone dentro la sua camera, inciampando su tappeti invisibili.
«Che cazzo vuoi?» Quello era il suo modo di salutare il
suo migliore amico e Dino sorrideva, sempre e comunque, anche quando
gli diceva che le sue visite non erano per nulla gradite e che aveva di
meglio da fare che dare ascolto ad un idiota come lui. Squalo
però gli voleva bene, gli voleva veramente bene, perché
Dino era capace di fargli dimenticare la vita che viveva, lo faceva
sentire un ragazzo normale che parlava assieme al suo amico.
Però a distruggere quei momenti sospesi, era sempre
l'arrivo della madre, con quel suo sorriso da buona genitrice, che chiedeva
se volevano qualcosa da mangiare o da bere, come se fosse una normale madre che
vuole bene a suo figlio e che gli da attenzioni. Squalo si sentiva
travolgere dalla falsità di quella donna e se non fosse stato
per Dino che con un sorriso l'accontentava dicendole che sì,
magari avrebbe gradito un succo di frutta, allora Squalo si sarebbe
alzato dal letto e sarebbe andato a strozzare la donna.
Dino sapeva che il suo migliore amico non era affatto felice, ma non
chiedeva nulla, piuttosto era speranzoso che un giorno Squalo si
sarebbe confidato con lui. Il Cavallone aveva una strana tendenza
verso il futuro spadaccino, eppure sembrava che nemmeno lui capisse
cosa realmente fosse tutto quell'affetto che si sentiva di donargli.
«Oggi quella megera della Fasto mi ha messo una nota
perché sono inciampato ed ho disturbato la lezione» si
grattava la nuca in modo tanto innocente e sbadato da far venire
voglia a Squalo di ridergli in faccia e di strigerselo forte.
Però Squalo non era di certo il tipo da fare certe cose e si
limitava a scuotere la testa.
«Tu e la legge di gravità non siete compatibili»
Diceva a volte in modo distratto, guardando a terra per distogliere lo
sguardo da quei grandi occhi castani e felici.
E quelle volte in cui Dino andava a trovarlo nel fine settimana, allora
era anche più felice, perché solo in quei momenti sua
madre non sarebbe andata da lui per allontanarlo da suo fratello.
Federico e Dino se ne stavano delle ore a parlare di tutto e di
più e Squalo osservava e ascoltava, ogni tanto rideva della
sbadataggine di Dino e delle battute di Federico, rispondeva alle loro
domande e lucidava la sua spada.
La spada di Squalo era ben nascosta
dentro un cassetto dell'armadio, sotto i libri di scuola e quant'altro
avesse potuto metterci per nascondere il panno in cui era avvolta come
se fosse un prezioso gioiello. Dino ogni tanto si perdeva ad osservare
il movimento delicato delle mani del suo migliore amico, che lucidavano
e si prendevano cura dell'oggetto. Poi Federico diceva "Ehy" ed era in
quei momenti che si spezzava la magia di quel rituale: di fretta a
furia, Squalo avvolgeva la spada nel panno e la nascondeva
sotto il letto. Dopo pochi secondi sarebbe entrata la madre a chiedere
se avevano bisogno di qualcosa.
La donna guardava Dino come una
sottospecie di angelo salvatore, lui era sempre stato il prototipo di
figlio ideale, almeno secondo i suoi gusti: Squalo trovava ciò
alquanto disgustoso, perché avere dei gusti in quanto a figli
sembra una cosa tanto squallida da diventare quasi oscena. Eppure
l'albino continuava a tacere, continuava a starsene in quel suo piccolo
angolo del suo mondo, senza la possibilità di potersi
allontanare. Si sentiva soffocare ogni giorno di più: se una
volta gli bastava sapere che suo fratello era nell'altra stanza, ora
gli sembrava quasi che gli si stringesse il cuore a non poter andare da
lui, abbracciarlo e dirgli che gli voleva bene, gli voleva tanto bene
che avrebbe ucciso pur di renderlo il ragazzo più felice del
mondo. Perché Federico era buono, Federico era il suo piccolo
angelo, la sua speranza, la sua voglia di vivere. Si sentiva male
quando veniva strappato via da lui in modi subdoli che violentavano la
sua anima; gli strappavano via un pezzo della sua vita e del suo cuore e
venivano portati via assieme a quella macchina diretta in campagna, in
clinica.
Squalo aveva smesso di piangere anni addietro, dopo che suo fratello se
l'era cullato fra le braccia per ore e dopodiché se l'era
guardato con un sorriso tanto dolce da fargli perdere la voglia di
stare male: quel suo sorriso dolce e velato di tristezza, era tanto
bello e genuino da avergli fatto sciogliere il cuore. Squalo da quel
giorno non riuscì più a piangere perché portava
nella memoria la fotografia di quel sorriso, il sorriso più
bello del mondo.
Poi era entrato nel suo mondo anche Dino, con i suoi sorrisi ingenui,
con la sua stupida intelligenza, con allegria ed energia tali da
travolgere completamente ogni emozione di Squalo. Aveva cercato di
allontanarlo, eppure sembrava che avessero delle calamite che li
facevano avvicinare sempre di più. Ogni occasione, per quanto
casuale, sembrava dettata dal destino, ma sia Dino che Squalo non
avrebbero mai pensato ad un segno del destino o roba del genere,
entrambi erano, chi più chi meno, razionalisti. Dino però
coltivava speranza ed ottimismo, Squalo era inflessibile a qualsiasi
altra cosa che non fosse stata la razionalità: credeva solo in
quello che vedeva e non voleva farsi illusioni di alcun tipo, non
voleva quell'ottimismo allegro di Dino, figurarsi poi la speranza.
Però il giorno in cui i due ragazzi si erano
incontrati, un segno era stato inciso nelle loro vite, un
segno che avrebbe cambiato completamente la vita di Squalo e che
avrebbe fatto perdere le speranze a Dino.
Questo è solo il prologo. Ho cercato di mantenere i personaggi
più IC possibile, l'avvertimento OOC l'ho messo ugalmente nel
caso il carattere dei personaggi non corrisponda.
Ovviamente è la mia visione di un ipotetico passato di Squalo,
non è assolutamente prevista l'happy ending. Cercherò
essere quanto più possibile fedele alla storia originale.
Sono ben accette le critiche costruttive, se non vi piace la storia,
ovviamente potete anche non continuare a leggerla, anche perché
questo, essendo solo un prologo, avvia alla storia, ma non la racconta
del tutto.
Avverto fin da subito che non sarà una storia leggera e appunto
per riuscire ad essere fedele alla storia sarò costretta (non
è proprio costrizione, in fondo l'ho voluta scrivere io) a far
accadere fatti spiacevoli.
Ho già scritto il secondo capitolo, parlarà del primo incontro tra Dino e Squalo.
Il terzo capitolo è 'under construction' e non posso garantire
la puntualità nell'aggiornamento, purtroppo ho solo la notte da
dedicare alla scrittura.
Spero comunque di riuscire a postare un capitolo ogni due settimane.
Detto questo, se volete potete lasciare una recensione, ripeto che le critiche costruttive sono ben accette.
Alla prossima **
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Un incontro casuale [Flashback] ***
My secret friend 2
My secret friend
Avvertimenti: la storia tratta argomenti come
l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed
è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La
storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia
realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è
puramente casuale.
I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.
Era già un mese che era iniziata la scuola e Squalo già si
era stufato di tutto e di tutti: le professoresse, tutte vecchie
megere, già avevano imparato a memoria il suo nome e lui
aveva già fatto "amicizia" con quell'altra racchia della
preside-talpa. I suoi compagni di classe poi erano forse anche peggiori
delle professoresse: i ragazzi che facevano i bulli e poi piangevano se
gli veniva data una piccola spinta. Le ragazze poi, quelle non le
poteva proprio sopportare: tutte ochette pronte a sbattere le ciglia e
fare gli occhioni dolci a tutti pur di ottenere ciò che
volevano. Era qualcosa di veramente disgustoso e l'idea di entrare in
quella classe di prima mattina era per Squalo un vero e proprio
suicidio. Odiava sentire le voci dei finti bulli che urlavano epiteti a
destra e a manca senza un reale motivo; odiava le risate sciocche delle
ragazzine e i loro sguardi a raggi x. Puntavano i loro occhi verso
qualsiasi tipo di persona passasse nel raggio di cinque metri, poi
parlottavano e ridevano, peggio delle amiche pettegole della madre.
Dio, quanto odiava quei stupidi ragazzi! Purtroppo poi era stato
costretto a mettersi vicino ad una ragazza, in prima fila,
perché doveva essere controllato a vista; se fosse stato per le
professoresse, l'albino avrebbe scritto in fronte "attenzione: soggetto
pericoloso".
La compagna di banco di Squalo era la tipica ragazza
timida, o almeno agli occhi di tutti lo era: di bassa statura, con
dei riccioli castani disordinati, un visino tondo e pallido e dei
grandi occhi azzurri come il mare. Era una ragazza che stava sempre
sulle sue, per il nervosismo e il disagio si arrotolava una ciocca di
capelli intorno all'indice, quando parlava balbettava leggermente e le
sue guance si sfumavano di un leggero rosa. Per lei i ragazzi ci
facevano la fila, la trattavano come una bambola di porcellana, se la
litigavano ed erano disposti a tutto pur di affiancarla fino all'uscita
di scuola: cosa alquanto squallida anche quella per il parere del
futuro spadaccino. A lui, a differenza della maggior parte del popolo
maschile della classe, dava fastidio il solo sentire quella sua vocina
innocente e titubante, come se avesse paura del mondo intero, mentre
invece poi si poteva dimostrare la peggiore delle stronze.
Perché Squalo sapeva che in fondo si comportava così non
per semplice timidezza, ma per un principio di egocentrismo. Per
esempio non era gentile ed era sgraziata nel modo di essere. La
timidezza andava man mano a sgretolarsi sotto gli occhi di Squalo e
alla fine si mostrava per quello che era: una grandissima egoista.
«Scusa Squalo, potresti passarmi la matita, è caduta
sotto il tuo banco» diceva la compagna di banco con voce
tremula e bassa, mentre indicava con il piccolo indice pallido la
matita vicino ai suoi piedi. Squalo buttava l'occhio distrattamente
verso il basso, poi guardava la ragazza e mostrava un ghigno tra il
divertito e lo scocciato, alzava un sopracciglio allo sguardo turbato
della ragazza a cui tremavano leggermente le labbra.
«Scordatelo, prenditela da sola» se in quel momento
Squalo si fosse girato, avrebbe visto un suo compagno di classe con un
sorriso soddisfatto in volto. Quello era un altro ragazzo che sembrava
immune alla "dolcezza" di quella ragazza. Un ragazzo oltretutto degno
di stima, perché nonostante fosse preso continuamente di mira
per la sua nazionalità e per la sua particolare bruttezza e
anche per la sua scarsa rendita, riusciva a rendersi immune da
qualsiasi pregiudizio, scaricando ogni tipo di affronto con
l'indifferenza; cosa che Squalo non riusciva a fare e che invidiava,
sotto un certo punto di vista, ma ciò non l'avrebbe mai ammesso.
«Scusa...» A quella risposta eccessivamente balbettante,
Squalo non poté fare a meno di irritarsi quasi all'inverosimile,
perché quella sua balbuzia non era dovuta di certo alla
timidezza, ma piuttosto sembrava richiedere un aiuto da chissà
quale divinità per far smettere all'albino di guardarla in modo
tanto sprezzante. Quell'affermazione falsamente timida aveva scaturito
nel cervello di chi aveva udito, un senso di protezione.
«Stupida ragazzina» e da quel momento era scattato il
conto alla rovescia. Squalo era più che sicuro che alla pausa si
sarebbe ritrovato con quell'ammasso di imbecilli ad urlargli contro in
difesa del loro piccolo angelo ferito. A dire il vero non vedeva
l'ora di prendere a cazzotti qualcuno, quella giornata era iniziata
peggio di tutte le altre. Non mancava poi di certo l'occhiataccia da
parte della professoressa, ma si era limitata ad una breve
occhiata fulminante giusto per essere buona, quindi aveva fatto
finta di nulla e aveva ripreso a spiegare quella noiosissima materia
qual'è il latino e il silenzio più assoluto era piombato
sulla classe, rendendo quegli ultimi minuti infiniti.
A Squalo
già prudevano le mani d'impazienza, avrebbe voluto lasciare
l'impronta delle sue nocche in faccia a uno di quei stupidi ragazzini,
magari anche a più di uno, magari lasciare un bel segno
nero a tutti quanti.
La bocca di Squalo si allargò in un ghigno quando suonò
la campanella. Le sedie stridettero sul pavimento mentre la
professoressa usciva dalla classe senza che mancasse il suo solito
sguardo da vecchiaccia che era verso l'albino, come a volerlo ammonire
per il solo respirare la sua stessa aria. Ma di certo quel giorno
Squalo non stette a pensare a quello sguardo, piuttosto girò lo
sguardo verso un'ombra che gli si era affiancata.
«Ehi tu!» Ecco, lo sapeva. E qui veniva il divertimento,
Squalo avrebbe potuto prenderlo a cazzotti solo per quelle due parole
dette con troppo sprezzo e con volume troppo alto, poi quel "tu"
avrebbe reso ancor più giusto quel gran livido nero che avrebbe
voluto fargli comparire sull'occhio. Eppure si trattenne, almeno per il
momento, voleva godersi ancor di più la scena di quelle facce da
cazzo che gli si sarebbero appostate davanti con fare minaccioso, come
se credessero davvero ti intimidire uno come lui. Era appunto questo il
divertimento: il fatto che si credessero tutti quanti eroi invincibili
scesi in terra per salvare una piccola damigella attaccata da un mostro
bruto. Non potevano di certo capire che alla fine il vero mostro
lì dentro era proprio la damigella che tanto difendevano. Ed era
anche e sopratutto per quello che Squalo trovava quei tipi ancora
più ridicoli di quanto già non erano con la loro semplice
esistenza: avrebbe pagato oro pur di vederli cadere a terra in lacrime,
come dei bamboccioni, a leccare le suole di quella viperaccia velenosa
che faceva la doppia faccia.
«Non puoi trattare male Giulia» a quel punto Squalo non
poté trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia a quel
demente che con tanta convinzione aveva detto una cosa simile.
«Siete delle fecce assurde» se la rideva della grossa e
quasi si sentiva in dovere di tenersi la pancia. Però si
costrinse a smettere mentre molti altri deficenti come quello si
erano affiancati al loro...leader? Solo a pensare a quella parola gli
veniva di nuovo da ridere, ma era una cosa talmente tanto infelice
che avrebbe dovuto versare lacrime di disperazione. Abbassarsi ad un
tale livello era una cosa molto triste, sottostare quasi al volere di
quel ragazzino che aveva solo la statura a renderlo più in alto
degli altri, era una cosa alquanto squallida. Squalo infatti dovette
ammettere a se stesso che molte volte pensava a quell'aggettivo,
nemmeno ricordava per cosa non l'aveva usato. Si accorse quindi che
quasi inconsapevolmente aveva etichettato la sua vita come squallida.
Non era del tutto errato, ma quella stessa etichetta era impregnata di
squallore.
«Pezzo di merda!» Ed era quello che aspettava Squalo: il
cedimento. L'albino si alzò con uno scatto, subito dopo che il
suo compagno di classe aveva sbattuto le mani sul banco, come a
voler dimostrare la sua superiorità. Ma la superiorità non
era certo l'intimidazione, almeno per Squalo non lo era. Per questo,
aveva preso come pretesto uno stupido insulto per potergli sferrare un
destro dritto sulla mandibola. E da lì scattò
automaticamente la rissa: gli altri piccoli idioti non potevano di
certo restare a guardare, dovevano intervenire in soccorso del loro
"leader". Scattarono in avanti, pronti a picchiare l'albino che aveva
osato far uscire il sangue dalla bocca del ragazzo riverso a
terra. Feccia, pensò Squalo guardando fugacemente il
ragazzo che aveva appena colpito, per un pugnetto già era
steso a terra, forse non ne era nemmeno valsa la pena allora colpirlo
per primo. Magari avrebbe dovuto aspettare di prendere un pugno per poi
ricambiare con gli interessi, ma almeno poteva consolarsi con quegli
altri bambocci che urlavano epiteti come se al posto della bocca
avessero lo scarico del cesso. Forse, pensò Squalo, poi
l'avevano davvero lo scarico del cesso al posto della bocca, dei pezzi
di merda come loro potevano giusto avere un buco di scarico al posto
della bocca. Non che poi lui fosse migliore di loro in quanto parole,
però di certo le sue imprecazioni e i suoi insulti erano molto
più puliti dei loro, che seppure fossero gli stessi, quei ragazzini lo dicevano
senza essere consapevoli di cosa volessero dire e come se dirli
avrebbero potuto ferirlo di più nell'animo.
Squalo si ritrovò a terra, con quei pezzi di merda che
sferravano calci e pugni così, come capitava, e anche se ne
sferrava abbastanza anche lui, ne riceveva il doppio di quelli che
dava. Potevano essere dei bamboccioni però erano sempre in
quattro, contando poi quel pezzo di merda che si era deciso a rialzarsi
come se volesse dar mostra di sé con quel rivolo di sangue che
gli usciva dalla bocca. Voleva sferrare il colpo di grazia al suo nemico
dopo che i suoi scagnozzi avevano fatto il lavoro sporco.
Veramente uno schifo, si ritrovò ancora a pensare mentre
iniziava a
vedere sfuocato, veramente uno schifo. Quel demente se ne era stato a
terra per tutto quel tempo aspettando che Squalo ne prendesse di brutto
e quando aveva visto che i colpi andavano ad indebolirsi, si era alzato
per poter mostrare a tutti quanti la sua grandezza di gran pippone
che era. Eppure, dopo che aveva preso la stecca di una cartina mezza
rotta appesa al muro, tutti avevano esultato all'impresa del grande
eroe della classe che dava il colpo di grazia ad uno Squalo che era
stato abbattuto fisicamente. Con le ultime forze che si ritrovava, si
era difeso dalle botte di quella maledettissima stecca che gli stava
facendo vedere le stelle e poi aveva preso per la caviglia l'altro e lo
aveva buttato giù. Nel momento in cui Squalo prese una botta in
testa, tanto forte da fargli girare la testa, era arrivata la
professoressa urlando come una disperata cercando di far smettere agli
altri ragazzi di esultare e buttar benzina sul fuoco, poi aveva ammonito Squalo e il
suo avversiario. Aveva cercato di rialzare i
due ragazzi da terra in malo modo, prendendoli per i polsi, eppure Squalo aveva ceduto ed aveva visto il buio.
Quando Squalo si svegliò, fu invaso dalla fastidiosa luce del
primo pomeriggio che filtrava dalle tende bianche dell'infermeria
scolastica.
«Ti sei svegliato...» La voce di un ragazzo lo
destò completamente dal suo sonno. In quel momento Squalo
comprese che era svenuto: si sentiva un forte dolore in ogni parte del
suo corpo, quei maledetti non si erano di certo risparmiati. Volevano
fare i bulli e a costo di uccidere un ragazzo avrebbero dimostrato al
mondo intero i gran coglioni che erano. Purtroppo per Squalo ci erano
riusciti e senza nemmeno ucciderlo. Si accorse oltretutto che il solo
respirare gli creava un problema: maledetti stronzi, li avrebbe presi
uno ad uno e li avrebbe pestati a sangue.
«Sei rimasto svenuto per un bel po'...» A quel punto
l'albino girò la testa per dare un volto a quella voce che lo
stava disturbando dai suoi progetti omicidi: era anche lui su un letto,
se ne stava semi sdraiato a guardarlo con un lieve sorriso in volto, un
cerotto sullo zigomo e sul sopracciglio da cui si poteva intravedere il
sangue; sul polso aveva una borsa con del ghiaccio
dentro.
«Ti hanno ridotto male sai» continuò con la sua
voce calma mentre lo scrutava. Squalo anche si mise a scrutarlo, non
aveva mai visto quel ragazzo prima d'ora: capelli biondi, che
rilucevano con il riflesso del sole, gli occhi marroni come cioccolato
fuso che sembravano tanto dolci. Eppure uno
come lui non poteva passare inosservato: chissà quante ragazze
stravedevano per lui, era molto bello e quel sorriso e quegli occhi
erano tanto dolci e solari che se qualcuno si fosse voltato anche solo per un
attimo ed avesse incontrato il suo sguardo, sarebbe rimasto a fissare
quel ragazzo come per cercare il motivo per cui quegli occhi erano
pregni di tanta allegria.
«Tu non sei messo meglio» cercò di alzarsi
leggermente dalla sua posizione accorgendosi che il ragazzo sull'altro
letto aveva una borsa di ghiaccio anche sul ginocchio.
«Meglio di te sicuramente, io sono solo caduto dalle
scale» Squalo combatté con la voglia di scoppiargli a
ridere in faccia. Il biondo aveva alzato il braccio sano per andarsi a
grattare le nuca quasi ad accentuare quella sua sbadataggine. Quel
"solo" poi era molto curioso, ma non si fece una domanda del genere,
piuttosto era concentrato ad osservare i gesti del ragazzo. Nonostante
fosse palese che provasse dolore, continuava a sorridere come se loro due
non stessero nell'infermeria scolastica ma fossero seduti sul prato a
parlare di quello che avevano fatto in quella giornata. Squalo quasi si
stupì di tanta spontaneità e sincerità.
«Solo.» Rifletté, sembrava più un pensiero ad
alta voce. In quel momento era l'unica cosa che gli era balenata nella
mente
e infatti poi ripensò a quella semplice parola e
l'attribuì forse al fatto che il biondo ritenesse la sua caduta
nulla in confronto a ciò che era successo a Squalo. Ed era
così in effetti, ma non solo.
«Comunque credo che i tuoi genitori non possano venire, ho
sentito Gerani che borbottava sul fatto che i genitori d'oggi sono
tutti degli irresponsabili...» Squalo sapeva che ovviamente sua
madre non sarebbe di certo venuta a prendere suo figlio che era stato
pestato a sangue. Forse era anche contenta, chissà, sicuramente
aveva trovato una stupida scusa per non venire e lui sarebbe stato
costretto a rimanere lì fino a quando non sarebbe riuscito ad
alzarsi sulle sue gambe e tornarsene a casa come se non fosse accaduto
nulla. Non si lamentava di certo per questo Squalo, però il
fatto che la madre era stata avvertita lo irritava, non aveva
pensato in effetti alle vere conseguenze. Non voleva tornare a casa per
vedere sua madre che gli dava le spalle come al solito, con la tensione
a riempire ogni angolo della casa, con la consapevolezza che in quel
momento la donna avrebbe avuto timore di guardarlo per non cedere alla
debolezza di potergli donare delle attenzioni, magari di guarire le sue
ferite.
«Quella donna è insopportabile» Squalo, quasi
l'avessero risvegliato da un incubo, sobbalzò leggermente.
«Cosa?!» il biondo lo guardò per un attimo
spiazzato per poi tornare ad incurvare leggermente le labbra verso
l'alto.
«Gerani, borbotta tutto il giorno sulla rigida disciplina dei
suoi tempi che dovrebbero attuare per dei ragazzi irresponsabili come
noi» la sua risata lo investì come quei raggi di luce che
gli infastidivano gli occhi. Squalo non sapeva se quel ragazzo gli
urtasse il sistema nervoso, oppure se quel sorriso lo stesse facendo
sentire, come, forse meglio? Non sapeva cosa pensare, tirò le
labbra in un sorriso sforzato.
«Io sono Dino» era strano, eppure all'albino non diede
fastidio quella presentazione non richiesta. Era come se stesse
aspettando di sapere il suo nome fin dall'inizio e quel ragazzo avesse
capito ciò che lui invece non era riuscito a decifrare al volo.
Sicuramente poi il suo presentarsi era stato solo un gesto educato, quasi
fosse doveroso il dover dire il proprio nome, ma al contempo in quella
presentazione ci aveva colto tanta di quella genuinità che si
sentì spiazzato.
«Squalo...» Di certo poi la sua non era stata una
presentazione entusiastica come quella del biondo. Il suo orgoglio gli
impediva di mostrare altre facce se non quella burbera e distante che
mostrava sempre. Non di certo una semplice maschera, no, quella era
solo la faccia che prevaleva nella sua vita. Il resto delle sue
emozioni l'aveva mostrate solo a suo fratello ed era sicuro che mai
avrebbe mostrato a qualcuno qualcosa che non fosse scontrosità. E
invece quel giorno aveva conosciuto Dino e quel giorno stesso, insieme
al dolore, andò a mischiarsi una nuova sensazione, una sensazione
che inizialmente aveva ritenuto ingombrante, ma che poi con il tempo
avrebbe appreso essere un profondo sentimento, diverso da quello che
provava per suo fratello.
«Oh, grazie a Dio ti sei svegliato! Ma guarda come ti sei fatto
conciare! Che ragazzi irresponsabili...» Non poté
trattenersi dal ridere, seppure poi gli facesse male tutto il corpo,
Squalo rise e insieme a Dino.
A Squalo non passò nemmeno per l'anticamera del cervello che il
giorno dopo e quello dopo ancora, si sarebbe di nuovo ritrovato a
parlare con Dino. Non immaginava che un giorno avrebbe scoperto cosa
volesse realmente dire quel "sono solo caduto dalle scale" e non
avrebbe mai immaginato che sarebbe stato al suo fianco a sorreggerlo
ogni volta che inciampava sui suoi stessi passi. Allo stesso tempo poi
non avrebbe mai immaginato che Dino sarebbe entrato nella sua vita
così, quando si era risvegliato da una scazzottata che l'aveva
visto cadere a terra privo di sensi. Dino forse avrebbe anche messo in
ballo il destino, ma nemmeno lui credeva molto in quelle cose e avrebbe
attribuito il loro incontro ad un normale evento che sarebbe dovuto
accadere prima o poi dato che frequentavano lo stesso liceo.
Quando Squalo quel giorno, dopo che essere riuscito ad alzarsi da quel
letto, tornò a casa, non fece caso alla tensione della madre e
non fece nemmeno caso al fatto che lo stesse guardando con gli occhi
strabuzzati dallo stupore. Non la degnò di uno sguardo o di una
parola e si diresse subito in camera sua, buttandosi sul letto e
crollando in un sonno meno tormentato degli altri.
Ecco a voi il secondo capitolo!
È passato un bel po' di tempo perdonatemi, ma tra una cosa e
l'altra non riesco a scrivere se non la notte e siccome non voglio
trovarmi a rincorrere il tempo ogni volta, vorrei trovarmi con almeno
due capitoli già scritti. In questo caso ho il terzo già
ad un buon punto e non so quando riuscirò ad aggiornare.
Comunque ripeto che vorrei almeno riuscire a postare un capitolo ogni
due settimane.
Bene, questo secondo capitolo è un flash back di Squalo, da come
avete potuto leggere, la scuola è iniziata solo da un mese e ho
voluto provare ad immaginare un incontro tra Dino e Squalo.
Non è niente di ché, ho voluto farli incontrare in un
modo normalissimo per non cadere troppo nella banalità. Essendo
Dino un pasticcione, questo lo sappiamo tutti, ho pensato che a scuola
si sarebbe ritrovato molto spesso in infermeria. Oltretutto Squalo ce
le prende di brutto, sì sono stata cattiva, ma non è di
certo imbattibile e non si porterebbe nemmeno la spada a scuola,
sarebbe abbastanza strano se fosse il contrario.
Vi anticipo un po' il prossimo capitolo: si farà un salto
temporale di tre mesi e vedremo un po' come si è evoluto il
rapporto tra Squalo e Dino, entreranno in scena un po' di personaggi
che già conosciamo e altri che ho dovuto inventare per forza di
causa.
Ringrazio ancora per i commenti e per i seguiti. Alla prossima **
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Mancata indifferenza ***
My secret friend 3
My secret friend
Avvertimenti: la storia tratta argomenti come
l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed
è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La
storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia
realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è
puramente casuale.
I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.
Dal
giorno in cui Squalo e Dino si erano conosciuti erano passati solo tre
mesi e in quei tre mesi Squalo scoprì molte più cose di
Dino di quanto non si aspettasse. Da quando avevano cominciato a
frequentarsi, anche dopo la scuola di tanto in tanto, Dino aveva preso
l'abitudine di parlare delle più svariate cose di lui e ogni
volta cercava di scoprire sempre qualcosa di più su Squalo,
riuscendoci anche brillantemente a volte, oppure altre volte si
ritrovava come risposta uno sbuffo o un monosillabo scocciato.
Nonostante l'apparente freddezza di Squalo, il biondino non si dava per
vinto e non si avviliva se lo mandava allegramente a quel paese. Dal
canto suo, Squalo aveva capito che il Cavallone nascondeva molte
più cose di quanto credeva; lo aveva capito dalla
titubanza di Dino su certi argomenti, sul suo modo di sviare ad alcune
domande e al suo modo di tacere di fronte ad alcuni fatti che
accadevano dentro l'edificio scolastico. Squalo non capiva del
perché Dino si interessasse a tutte le cose, dalle più
semplici e banali, alle più complicate e serie, ma non si
interessasse a quel fenomeno oscuro e iracondo che tutti temevano:
Xanxus. Ricordava a stento il suo nome, era come un tabù per il
Cavallone: ogni volta che si parlava di lui, Squalo poteva notare un
velo scuro calare sugli occhi energici del suo amico. Non capiva se
quello fosse semplice timore, oppure se ci fosse dell'altro. D'altronde
però non gliel'aveva mai chiesto anche se la sua
curiosità tendeva a mettergli di fronte l'argomento sempre
più frequentemente.
Poche volte Dino aveva mostrato una vera opinione riguardo Xanxus e
tutte le volte era qualcosa che lasciava l'amaro e il sospetto in bocca.
«Xanxus... Be', non è un tipo poi così tanto
interessante. Sono certo che non ti piacerebbe.» E quando Squalo
alzava un sopracciglio con sospetto a quella risposta così poco
chiara, Dino sorrideva e cambiava subito discorso con qualcosa di tanto
banale che faceva cadere le braccia all'albino. Eppure, con quelle
risposte così vaghe, Dino non faceva altro che far incuriosire
sempre di più l'amico che, ogni volta che vedeva Xanxus, si
soffermava a squadrarlo come a volergli estrapolare le informazioni
dalla mente. Sentendo poi molti studenti che adulavano o che
semplicemente odiavano quel ragazzo del terzo anno, allora Squalo
iniziò perfino a credere che l'amico gli dicesse quelle cose
solo perché non voleva che gli andasse contro. Era risaputo che
Squalo cercava rogne il maggior numero di volte possibile e forse il
Cavallone voleva tenerlo lontano dalla minaccia di Xanxus. Il fatto che
però l'aveva incuriosito ancora di più, erano le strane
voci che giravano in quella scuola. Voci sicuramente di corridoio, come
la maggior parte delle altre stupide storie che si inventavano giusto
per attirare l'attenzione, ma alcune di queste erano tanto strane da fargli salire un'assurda curiosità.
«Quel ragazzo del terzo anno, Xanxus, suo padre è un uomo
molto potente, io non mi metterei mai contro di lui.»
«Xanxus?! Sta molto spesso con quello lì, quello effeminato del quarto.»
«Xanxus è a capo di una banda di delinquenti!»
Squalo ne aveva sentite così tante che quasi stentava a credere
che tutto ciò fosse puramente frutto dell'immaginazione di
qualche ragazzino invidioso. Per non parlare poi delle ragazzine
sciocche, che lo adulavano come se fosse un dio sceso in terra. Era
risaputo che le ragazze fossero sempre attratte dai più stronzi
e
Squalo si scocciava sempre più in fretta di quei sospiri da
bambine stracotte del proprio eroe dei fumetti. Sempre più
spesso poi Dino gli diceva di lasciar perdere, che era normale
che Xanxus fosse tanto 'famoso' all'interno della scuola, ma comunque
non gli aveva detto altro se non che la popolarità di Xanxus
fosse appunto nata dalla sua aurea nera e dal suo sguardo incazzosp.
Squalo dopo un po' si scocciò perfino di provare a tirar fuori
altre informazioni dal suo amico, perché sembrava sapesse molte
più cose di tutta la scuola messa assieme, e quando voleva
cambiare discorso nemmeno ci provava più a tornare al punto di
partenza.
«Ma che hai?» Chiese Dino mentre cercava di mangiare il
suo pranzo senza sporcarsi. Squalo guardò il suo amico come se
fosse appena sceso dalle nuvole e si limitò ad un'alzata di
spalle.
«Sei troppo concentrato» continuò a dire con una
faccia tanto seria che faceva nettamente contrasto con il suo volto
impiastricciato di cibo. L'amico lo guardò e sorrise sbieco
alzando un sopracciglio con uno scetticismo che non gli apparteneva.
«E tu lo sei troppo poco» gli rispose indicandolo e Dino
sorrise con quella sua solita aria sbadata, come un bambino che torna a
casa pieno di fango e cercando in tutti i modi di mostrare un faccino
innocente alla madre.
«Ma non è colpa mia» cercò di giustificarsi
mentre impacciato cercava di pulirsi il volto. Squalo schioccò
la lingua e voltò lo sguardo verso un punto ben preciso del
grande cortile dove un mucchio di ragazze ridevano e parlottavano
guardando verso l'entrata della scuola. Il ragazzo sbuffò
indispettito da quel comportamento tanto irritante e capì sin da
subito a chi erano rivolte tutte quelle snervanti attenzioni
civettanti.
Dino si sporse per poter capire cosa stesse attirando l'attenzione
dell'amico. In questo modo non solo fece cadere tutto il suo pranzo, ma
anche lui cadde in avanti lasciando un bella macchia scura sulla sua
divisa e su quella dell'amico.
«Che idiota che sei!» Urlò a quel punto Squalo
attirando l'attenzione di tutti i ragazzi che erano nel raggio di dieci
metri «E poi dici che non è colpa tua! Sei un
cretino!» Continuò strofinandosi i pantaloni ed
espandendo ancora di più la macchia d'olio.
«Squalo! Così peggiori le cose!» A quel punto
Squalo si alzò e guardò Dino come se volesse ucciderlo
seduta stante. Il biondo lo guardò mortificato «Mi
dispiace» disse senza che il suo volto cambiasse di una virgola,
con quella smorfia addolorata sul volto come se avesse appena commesso
uno dei peggiori reati.
Squalo sbuffò capendo che non doveva
indispettirsi così tanto, sapeva che Dino non aveva rovesciato
il suo pranzo intenzionalmente. Era lui che avrebbe dovuto scusarsi con
l'amico perché se l'era presa tanto con lui e l'aveva insultato
gratuitamente senza un reale motivo. In verità Squalo era
irritato dai suoi stessi pensieri, perché nonostante cercasse di
rimanere indifferente a tutte le persone che lo circondavano, la sua
rabbia e il suo astio continuavano a crescere a dismisura. Ogni giorno
era costretto a guardare senza poter agire, tutta la sua rabbia era
imbottigliata e tutto quell'ammasso di pensieri velenosi diretti a
quell'ammasso di ragazzini che popolavano quella scuola, erano
costretti ad ammucchiarsi sul suo sistema nervoso.
«Andiamo» e nel momento esatto in cui si girò,
vide gli sguardi spauriti delle ragazze che avevano posato l'attenzione
su di loro. Se avesse potuto fulminarle con lo sguardo l'avrebbe fatto
anche fin troppo volentieri. Si limitò ad un'occhiataccia e
prese a camminare velocemente con l'istinto omicida che era pronto a
sormontare il suo precario autocontrollo.
Non aspettò nemmeno che l'amico lo seguisse, a dire la
verità se l'era anche dimenticato. Quando si trovò
davanti Xanxus non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo
che avrebbe congelato persino il fuoco e continuò a camminare
anche dopo che quello sguardo rosso gli si era posato addosso,
guardandolo come se fosse la nuova preda da cacciare.
Squalo non si soffermò troppo su Xanxus, eppure in quella
frazione di secondo in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva
sentito una scossa talmente forte da scombussolargli le membra. Per
quella frazione di secondo si era sentito schiacciato da quell'aura
iraconda che permeava gli occhi del ragazzo più grande. E se non
avesse avuto il buon senso di continuare diretto verso il bagno,
probabilmente ora si sarebbe ritrovato, di nuovo nel giro di due mesi, sanguinante a terra.
Squalo entrò nel bagno calciando la porta che sbatté
forte contro il muro creando una piccola crepa. Era tanto arrabbiato
quanto nervoso. Guardò uno dei lavandini come se fosse la
perfetta valvola di sfogo, avrebbe voluto prendere a calci e pugni
qualsiasi cosa gli si sarebbe capitata davanti agli occhi. Non importava
se quello era un lavandino, o una porta, o un muro. Non importava se si
sarebbe rotto una mano o una gamba, voleva solo sfogare tutta la sua
rabbia.
«Squalo!» Un Dino allarmato e con il fiato corto
entrò nel bagno. Si aggrappò alla maniglia della porta
come se avesse appena percorso cinque chilometri in corsa sfrenata.
«Non volevo, davvero, mi dispiace!» disse con la voce che
si abbassava sempre più di tono. E in quel momento Squalo si
accorse che veramente stava superando il limite. Da quando faceva
scenate del genere per un qualcosa che non apparteneva assolutamente
alla sua vita? Perché tenersi tanto a cuore un pensiero che non
avrebbe dovuto essere il suo? La cosa che capì era che
probabilmente più provava a rimanere indifferente ai fatti,
più entrava in quello scuro labirinto. Vedere Dino ansante che
chiedeva scusa per una cosa che non aveva fatto di proposito lo stava
facendo
tornare lucido, ma non mancava di certo l'irritazione ancora ben
artigliata ai suoi nervi.
Sbuffò rassegnato, lasciando che i suoi pugni si sciogliessero e
i muscoli si rilassassero. Eppure tutta la tensione era ancora
lì che tirava. Sentiva che sarebbe potuto scoppiare da un
momento all'altro e se davvero Dino non fosse entrato in quel maledetto
bagno, probabilmente avrebbe spaccato almeno due porte, senza
mancare poi di tirare un bel pugno a quel maledetto specchio che
rifletteva la sua immagine. Portò infatti lo sguardo verso il
suo riflesso, poteva notare ancora la mascella serrata e gli occhi
infuocati dall'adrenalina che man mano andava a sfumarsi per lasciar
spazio all'autocontrollo che tanto gli serviva per non cacciarsi in
altri guai. In quel suo comportamento tanto esagerato poi si era
ritrovato a pensare, a mente lucida, che si era comportato nello
stesso identico modo degli altri. In quei pochi minuti passati nella
sua forte irritazione, si era plasmato in quel mondo di cui non voleva
far parte. E nello stesso esatto istante in cui aveva incrociato gli
occhi di Xanxus, aveva capito veramente cosa in realtà era: solo
una molecola nell'intero universo.
«Non sono arrabbiato»
sul viso di Dino tornò a farsi vivo quel sorriso solare che lo
caratterizzava. Si raddrizzò e si avvicinò a Squalo pimpante ed allegro
come era solitamente.
«Per fortuna. Sai sei inquietante quando ti
arrabbi» andò a girare la manopola del rubinetto e Squalo guardò tutti
i suoi movimenti come se già sapesse che da un momento all'altro
avrebbe potuto combinare uno dei suoi soliti casini.
«Lascia, faccio
io» diede così una piccola spinta all'amico per allontanarlo dalla
minaccia dell'acqua, ma così facendo Dino, che dire che era sbadato
ovviamente era un eufemismo, si aggrappò al rubinetto per non cadere e
di conseguenza, la sua mano chiusa sotto il getto d'acqua, fece sì che
schizzasse ovunque, colpendo sia lui che Squalo.
«M-mi dispiace!»
urlò Dino a quel punto guardando la faccia irritata del suo amico e i
suoi pugni che si stringevano di nuovo. Squalo cercava di essere
pacifico, eppure sembrava di essersi trovato l'amico meno adatto per
poter riuscire a controllare le sue pulsioni omicide.
Sapeva che il
Cavallone non lo faceva apposta, ma come era possibile che fosse così
tanto idiota? Non riusciva a spiegarsi quella motivazione ed era per
quello che si arrabbiava tanto, perché non era possibile che fosse
talmente tanto sbadato da riuscire a creare il panico in meno di cinque
minuti.
C'erano momenti in cui Dino era "normale", ma puntualmente,
per ogni minima cosa, anche invisibile, creava il caos. Squalo nemmeno
voleva immaginarsi cosa poteva combinare durante le lezioni pratiche.
Nonostante però lo ritenesse un idiota totale, non riusciva ad
allontanarsi veramente da lui, perché quel suo sorriso lo faceva
sentire bene e gli alleviava almeno un po' quel senso di squallore da
cui si sentiva circondato.
«Ma che cazzo! Sei un deficiente!»
Scoppiò, perché Dino poteva anche non averlo fatto apposta, poteva
anche aver detto che gli dispiaceva, ma di certo non risolveva il fatto
che ora si ritrovava sporco e fradicio nel bagno della scuola con il
suo amico che si dimenava cercando di trovare una soluzione, inciampando
sui suoi passi e allarmandosi.
«Scusa! Aspetta potremmo...»
«No!
Sta fermo cazzo!» Se Squalo si fosse guardato in quel momento allo
specchio avrebbe visto i suoi occhi fuori dalle orbite per quanto era
incazzato. Dino sobbalzò e si schiacciò contro il muro.
«Volevo
prendere dei fazzoletti» disse come a giustificarsi per una cosa che
non aveva ancora fatto e Squalo si accigliò ancora di più. Nemmeno si
era realmente reso conto di quanto e di come i suoi nervi e i suoi
muscoli si erano tesi, forse nemmeno si stava realmente rendendo conto che
si stava accanendo così tanto contro il suo amico, che purtroppo
l'aveva nel suo patrimonio genetico l'essere sbadato.
«Sei
capace anche di fare casini con quelli, quindi stai fermo lì e non
azzardarti a muoverti altrimenti sarò costretto a farti a pezzi»
nell'esatto momento in cui finì di gridare addosso a Dino quella
minaccia, la porta del bagno si aprì ed entrambi i ragazzi posarono
l'attenzione da quella parte.
Una ragazza, forse del secondo anno,
si avvicinò con aria minacciosa verso Squalo e quando fu abbastanza
vicina, assottigliò gli occhi come a volergli incutere timore.
«Non
ti permetto di trattare male Dino!» Urlò con quanta più carica di
minacciosa potesse avere in corpo. Squalo si fece leggermente indietro
per non cedere alla tentazione di darle una testata. Dovette poi far
trascorrere qualche secondo per realizzare ciò che quella ragazza gli
aveva detto, e quando si rese conto di ciò guardò un attimo Dino come a
cercare una risposta da lui, eppure sembrava che anche il biondo non
sapesse chi fosse e probabilmente era anche più perplesso di lui.
«Ma
chi diamine sei?!» la ragazza strinse le labbra indispettita e ci
mancava poco che non iniziasse a sbattere i piedi a terra urlando.
Squalo vedeva quella ragazza come se fosse un fantoccio
pronto ad essere distrutto. Se avesse potuto, l'avrebbe presa per i
capelli e scaraventata fuori dal bagno. Era irritato non tanto per il
fatto che si fosse intromessa, ma perché era arrivata lì facendo la
sbruffona, come se fosse una giustiziera, che poi non c'era proprio
nulla da salvare.
«Sei volgare, non hai la veramente minima idea di
come ci si comporti a scuola. Sei veramente un mostro, offendi e tratti
male i ragazzi più deboli di te. La tua crudeltà ti farà rimanere solo,
perché sei una persona veramente orribile. Dio ti punirà per quello che
fai, andrai all'inferno per la tua mancanza di educazione e
per la tua volgarità. Tratti Dino come un burattino, sei veramente
orribile, non ti vergogni di come lo tratti? Per non parlare di come ti
comporti all'interno dell'edificio scolastico, con quell'aria da duro
che non vede l'ora di trovare un povero ragazzo da poter picchiare!
Veramente, non dovresti essere in questa scuola. Dato che però ci sei,
almeno non trattare le altre persone come se fossero i tuoi giocattoli!
Dino è una persona veramente buona e tu te ne approfitti! Sei crudele!»
Squalo rimase per una frazione di secondo spiazzato, la vocina stridula
di quella ragazzina l'aveva stordito, tutte quelle parole dette senza
nemmeno fermarsi un attimo l'avevano fatto rimanere con il fiato
sospeso e gli avevano fatto sbarrare gli occhi incredulo. Non riusciva
ancora a capire cosa volesse quella ragazza e per di più gli stava
dicendo tutte quelle cose così gratuitamente che quasi gli venne voglia
di darle un bel cazzotto dritto dritto in un occhio. Ma se lei diceva
che non aveva un minimo di educazione, in verità la sua educazione le
stava salvando il bel visetto da saccente che si ritrovava. Aveva da
subito intuito che quella ragazza era una di quelle stupide ochette che
si credevano chissà chi solo perché avevano una media un po' più alta
degli altri. Era irritante, aveva quegli occhi verdi puntati
addosso come se fossero delle frecce pronte ad essere scoccate per
colpirgli il petto.
«Ma sei stupida o cosa?! Che cazzo vuoi» In
realtà non sapeva cosa dire, doveva comunque cercare di mantenere la
calma, anche se ciò risultava molto difficile a quel punto. Quella
ragazzina sembrava aver piantato i piedi a terra e sicuramente non si
sarebbe scollata di lì. Il peggio era che Squalo non sapeva proprio che
cosa fare o dire per poterla mandare via senza che questo implicasse un
bel calcio nel culo.
«No, forse hai frainteso, non mi tratta male è solo che»
«Guardalo!
Per colpa tua deve anche giustificarsi per qualcosa che non ha fatto,
sono sicura che gliel'hai detto tu di dire così. Sei un mostro,
veramente» la ragazza sembrava che non volesse nemmeno ascoltare Dino
che rimase muto e guardò il suo amico spiazzato.
Squalo questa volta
combatté contro la voglia di tagliarle la lingua, era
insopportabile
come quella sua vocina pronunciava in modo tanto marcato e stridulo
quel "veramente" messo ovunque, in ogni frase, per iniziarla, per
concluderla, usato perfino come rafforzativo, come se quello potesse
colpire più a fondo. Ma Squalo non si sentiva minimamente
colpito dalle
sue parole, piuttosto si sentiva irritato. Si stava irritando sempre di
più e se avesse ancora detto una parola, probabilmente le
avrebbe
mostrato tutta la sua furia. Al diavolo se quella era una ragazza, al
diavolo se non era educato e se era volgare, e al diavolo anche se
sarebbe finito all'inferno.
«Non è così, davvero, non»
«Ma si può
sapere che vuoi?! E poi smettila di dire sempre quel dannatissimo
"veramente"» Dino non riusciva a finire una frase che veniva subito
sovrastato dalle grida di Squalo o di quella ragazza che oltretutto non
sapeva nemmeno chi fosse. Perché lo stava difendendo in quel modo?
Perché stava offendendo in quel modo Squalo? Dino sentiva che doveva
fare qualcosa per far smettere ad entrambi di gridarsi addosso, sapeva
che Squalo aveva poca pazienza e ormai quella sua poca pazienza era
esaurita.
«Cosa ti importa di quello che dico, forse nemmeno sai
cosa vuol dire. Sei veramente irritante, non ti devi permettere di
gridarmi addosso e non ti permettere più di stare con Dino, sono stata
chiara?!» a quel punto la ragazza alzò l'indice e lo puntò contro il
petto di Squalo e ad ogni parola si avvicinava sempre di più fino a
quando non lo sospinse leggermente rimarcando sull'ultima parola.
Il
futuro spadaccino non ci vide più dalla rabbia, stava per caricare un
destro dritto sulla guancia della ragazza, ma prima che la colpisse, Dino
si mise in mezzo ed accusò in pieno quel pugno.
«Dino!» Urlò la ragazza soccorrendo subito il
Cavallone accasciato a terra che si teneva la guancia dolorante.
«Non
è niente, non l'ha fatto apposta» Dino alzò lo sguardo verso il suo
amico. Quello che vide lo spaventò: il volto di Squalo era contratto
dalla rabbia, i suoi occhi erano incandescenti e la sua smorfia celava
il suo pentimento.
L'albino sapeva di aver appena fatto un'immensa
stronzata, ma non si pentiva del tutto, perlomeno aveva fatto togliere
quel maledetto indice dal suo petto. Forse però si sentiva dispiaciuto
per quello che aveva fatto, quel pugno a Dino gliel'avrebbe comunque
dato per la sua estrema sbadataggine. Restava comunque il fatto che
anche se cercava di contenere tutta quel suo astio, non riusciva
proprio a calmare i suoi istinti e sembrava anzi che nel momento in cui
sembrava che ci stesse per riuscire, accadeva qualcosa che puntualmente
lo faceva cedere.
«Guarda cosa hai fatto» la ragazza alzò lo sguardo
accusatore verso Squalo, ma quest'ultimo sembrava fregarsene altamente
di lei e guardò il suo amico come a volergli dire qualcosa che
probabilmente nemmeno lui sapeva. Era arrabbiato, arrabbiato perché
quella stupida ragazza lo accusava, che fosse giusto o meno non
importava, ed era anche arrabbiato perché non riusciva proprio a
calmarsi.
Senza dire una parola quindi prese a camminare, senza nemmeno
ascoltare le parole che gli venivano lanciate dietro dalla ragazza,
parole che per lui non avevano il minimo peso, eppure si sentiva
leggermente in colpa, non sapeva cosa lo stesse facendo fuggire da quel
bagno, ma doveva allontanarsi il prima possibile da lì, da Dino, dalla
ragazzina e da tutto il resto delle persone.
Camminò il più
velocemente possibile verso l'uscita, evitava gli sguardi incuriositi
dei ragazzi e quelli perplessi ed impauriti delle ragazze. Quando si
ritrovò fuori dall'edificio si guardò attorno in cerca di un posto
tranquillo in cui poter rimanere per i fatti propri a calmare i
bollenti spiriti. Fortunatamente le persone non erano troppe, ma subito
poté riconoscere un paio di occhi che lo stavano guardando
intensamente. Squalo non aveva voglia di ritrovarsi in una rissa, non
aveva voglia di litigare, il suo piccolo spazio di litigio l'aveva
avuto nel bagno e se poi ci si metteva anche quello sguardo rosso
ad opprimergli il buon senso, allora davvero sarebbe andato alla
ricerca di morte certa. Per questo motivo non si lasciò travolgere
dallo sguardo di Xanxus, cercò in tutti i modi di rimanere indifferente
a quella muta sfida che gli stava lanciando.
Avrebbe tanto voluto dire un
"che cazzo ti guardi" o qualcosa di simile, ma più che per il buon
senso, sembrava che qualcosa lo bloccasse.
Lo sguardo di Squalo vagò
ancora per pochi attimi fino al grande campo di calcio, probabilmente
lì sarebbe potuto rimanere in pace.
Quanto avrebbe voluto avere la
spada con lui, magari allenarsi per scaricare tutta quelle tensione,
liberarsi di quel peso schiacciante e fastidioso che gli stringeva lo
stomaco in una morsa dolorosa.
Si avviò dunque verso il campo da calcio
senza guardarsi indietro, sentendo ben presente lo sguardo di Xanxus
che gli pungeva la schiena.
Innanzitutto mi dispiace. Perdonate il mio ritardo,
purtroppo ho qualche problema con la stesura di questa fiction. So bene
quello che devo fare, ma non riesco a metterlo in atto come vorrei e ci
si mette anche il fatto che sono un po' pigra (un bel po') e me la
prendo fin troppo comoda.
Questo è un capitolo di passaggio, ho introdotto un nuovo
personaggio ed anche uno che conosciamo fin troppo bene. Vedremo quindi
come si evolveranno i fatti. Nel prossimo capitolo ci saranno fatti un
po' più interessanti e più movimentati, almeno
spero.
Cercherò di scrivere ed aggiornare più in fretta
possibile, non ho nemmeno scritto una riga del quarto capitolo.
Perdonatemi anche se questo capitolo è uscito così male,
è stato un vero e proprio parto e non sono nemmeno riuscita a
scrivere ciò che volevo, è tutto abbastanza prolisso e
privo di significato e mi dispiace tantissimo, è un capitolo
superfluo e brutto, me ne rendo perfettamente conto. Scusate
se ci sono errori di battitura, sono molto sbadata e anche se l'ho
riletto tre volte forse mi sono persa qualche cosa.
Come al solito rigrazio i commenti (a cui rispondo direttamente nella
pagina delle recensioni) e alla seguite e ai preferiti. Grazie, grazie,
grazie!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Muri invisibili ***
My secret friend 4
My secret friend
Avvertimenti: la storia tratta argomenti come
l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed
è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La
storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia
realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è
puramente casuale.
I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.
La differenza tra Dino e Squalo era colossale, tutti lo pensavano,
tanti ne parlavano e una parte di quelli persino disprezzava
quell'amicizia, perché pensavano fosse
un'amicizia di convenienza. Squalo era il ragazzo crudele che
approfittava dell'estremo buonismo di Dino.
Tutti questi
ragazzi, dando voce ai loro pensieri, mettevano in giro false voci ed
infine influenzavano il pensiero di molti. Dino si era reso conto di
quella realtà parlando con quella ragazza, Laura aveva detto di
chiamarsi.
Il Cavallone non sapeva cosa c'era che non andava in lei:
ripeteva molte volte la parola "veramente" e sembrava avere un
perenne e strano rossore sulle guance, certo quello non era il trucco.
Quegli occhi tanto verdi, che avevano guardato con tanto astio Squalo,
avevano completamente cambiato espressione quando si era presentata.
Erano dolci e solari, il suo sorriso sembrava aver cancellato ogni
traccia di quell'accanimento avvenuto fino a pochi secondi
prima. Davvero, Dino non ci stava capendo nulla. Era tremendamente
dispiaciuto perché quella ragazza aveva insultato Squalo senza
apparente motivo. Sapeva che Squalo non era un ragazzo
modello, sapeva che poteva apparire scontroso, poteva sembrare tutto
fuorché un bravo ragazzo. Però sapeva anche che Squalo, seppure
mostrasse sempre quella maschera quasi impenetrabile, in fondo era un
bravo ragazzo. Più che una certezza era una sua sensazione: Squalo non aveva mai mostrato segni di affetto, o non gli
aveva mai rivolto parole gentili, però l'aveva sempre aiutato a
non cadere, l'aveva sempre soccorso e ascoltava i suoi
sproloqui, magari poteva dirgli che era un idiota, ma continuava sempre
ad
ascoltarlo.
Tutte
quelle cose che aveva detto Laura non
erano vere, né che Squalo era un mostro, né che si
approfittava di lui. A Dino non gli era mai importato nulla se la gente
sparlava di lui, eppure quando era venuto a conoscenza del fatto che la
gente definiva Squalo solo un crudele sfruttatore, si era dispiaciuto. Non era vero, non lo conoscevano e si
permettevano di arrivare a false conclusioni. Era persino arrivato a
pensare che una parte di quei bisbigli e di quei pregiudizi fossero
nati per colpa sua, perché erano troppo diversi, e agli occhi
della società Squalo inevitabilmente si trasformava in un mostro
pronto a divorare la bontà di Dino.
Il Cavallone poi si sentì ancora
più in colpa perché anche lui portava una maschera. Sapeva che Squalo
sospettava
qualcosa, tutte quelle volte che lo guardava con quegli occhi grigi,
come ad aspettare che sputasse il rospo, si sentiva un vuoto allo
stomaco. Il solo fatto di nascondergli qualcosa lo infastidiva,
perché dopotutto, vedere che Squalo quasi si sforzava di far
finta di nulla, gli creava un groppo alla gola così fastidioso da
farlo sentire quasi male.
Era suo amico, come poteva non dirgli chi era
veramente? Era come nascondere la parte più importante di
sé, era come mostrargli una faccia che non gli apparteneva. Dino
si ritrovò quindi a pensare che tutto ciò era sbagliato,
in fondo però non lo era del tutto e per questo il biondo non
sapeva cosa fare e nemmeno cosa pensare: era confuso.
Squalo era nervoso, non sapeva se sarebbe stato meglio spaccarsi le
mani prendendo a pugni il muro, se spaccare direttamente la faccia a
qualcuno, oppure se cercare di calmarsi da solo. L'ultima opzione
era la migliore, Squalo lo sapeva, eppure il suo cervello gli diceva
che probabilmente se si sarebbe spaccato le nocche sarebbe stato di
gran lunga meglio.
Non aveva mai premeditato di rilassarsi, non gli
piaceva rimanere fermo, tanto meno rimanere fermo a pensare e
ripensare. Era sicuro però che comunque sarebbero andate le
cose, l'arrabbiatura si sarebbe solo stemperata, ma tutto il giorno
avrebbe continuato ad avere quel fastidioso tarlo a rosicchiargli i
nervi.
Per la prima volta in vita sua non vedeva l'ora di tornarsene a
casa, ne aveva abbastanza di quelle mura bianche della scuola, stanco
di vedere quelle solite facce di merda dei suoi compagni di classe.
Inoltre
era sicuro che Dino all'uscita gli sarebbe andato incontro con
quel suo sorriso rammaricato e gli avrebbe perdonato il colpo
subìto. A
Squalo però non andava bene, perché non voleva farsi
perdonare proprio un bel niente. In fondo se lo
meritava, perché forse sarebbe stata la volta buona che Dino si
fosse allontanato da lui. Sapeva che era difficile, Dino era cocciuto
ed era troppo buono, l'avrebbe perdonato anche se l'avesse preso a
bastonate. Non capiva il motivo per il quale il biondo si ostinasse
tanto a voler rimanere suo amico, nonostante tutte gli insulti e
nonostante quella sua aria distante di chi è
perennemente irritato. Starsene a guardare quel campo da calcetto non
gli dava sollievo, ma
scorrendo con lo sguardo poteva notare una via di fuga: la rete
al di sopra del muro era rotta nel punto esatto che dava sulla strada.
Il muro oltretutto non era troppo alto e sicuramente sarebbe riuscito a
scavalcare saltando ed aggrappandosi al bordo.
Deglutì. Non era una cattiva idea, tanto ormai ci aveva fatto l'abitudine ad
essere rimproverato e poco gli importava se quella volta non si sarebbe
solo preso una bella sgridata, tanto alla fine avrebbero chiamato a
casa e figurarsi se la madre l'avebbe sgridato, al massimo gli avrebbe
voltato le spalle a vita: tanto meglio.
L'albino si guardò intorno per vedere chi ci fosse,
probabilmente erano tutti tornati nell'edificio. Indugiò ancora
qualche secondo su quella via di salvezza e poi prese la decisione
drastica di fuggire via. Non volle pensare troppo alle conseguenze,
seguire l'istinto solitamente era molto meglio che seguire la
razionalità. Si avvicinò al muro e capì che
probabilmente non sarebbe bastato solo un salto per poter scavalcare,
il muro non era poi così basso come pensava: quei due metri e
mezzo doveva prenderli con un po' di rincorsa e se non avesse
continuato a costringersi di non pensare troppo, allora se ne sarebbe
tornato nella sua classe con i pugni stretti in tasca, con il rimorso
di non aver provato.
Si guardò ancora indietro, un po' per
calcolare le distanze e un po' per controllare se fosse arrivato
qualcuno. Sicuro che il piazzale era vuoto, fece diversi passi indietro
e poi balzò andando a cercare l'alto del muro. Il primo
tentativo però andò a vuoto, le dita gli scivolarono e
poco ci mancava che fosse caduto all'indietro. Non soddisfatto
però ci provò di nuovo, questa volta ci
andò con l'intento di sconfiggere l'altezza del muro: non
poteva arrendersi in quel modo e oltretutto non poteva pensare che un
muro piatto avrebbe potuto costringerlo a rimanere chiuso in quella
gabbia di scuola. Osservò con decisione e con astio quelle
piccole crepe che strafottenti si ergevano verso l'alto come a
sfidarlo della loro capacità di arrivare fin lassù dove
lui non sarebbe potuto arrivare. Maledizione, non era possibile che se la
stesse prendendo così tanto con un muro!
Una risata alle sue spalle gli fece prendere un colpo e sobbalzando si girò con il cuore a mille.
«Che cazzo stai facendo» Squalo si
scontrò con gli occhi rossi di quell'odioso di Xanxus. Sembrava molto divertito.
«Fatti i cazzi tuoi e campi cent'anni» il ghigno
divertito del moro si trasformò in una smorfia di rabbia. Gli
mancava solo questa, poi il muro da bianco sarebbe stato decorato con
delle belle macchie rosse.
Squalo sapeva bene che così facendo
non stava facendo altro che assicurarsi la morte, eppure la risposta
gli era uscita istintiva, più che altro si
era sentito in dovere di non dare spiegazioni, perché non voleva
darle a se stesso, figurarsi se voleva darle proprio ad un estraneo,
poi a quell'arrogante di Xanxus non ci pensava proprio. Insomma, non
gli era parso poi molto felice della risposta che gli aveva dato e lo
sapeva, come sapeva anche che a quel punto aveva un motivo in
più per darsela a gambe. Non che fosse un codardo, per
carità, però aveva ancora troppe cose da fare prima di morire, o almeno
cercò di giustificare così quello strano tremore alla
gambe.
Squalo guardò attentamente quegli occhi rossi: sembrava un toro
incazzato pronto alla carica. Trattenne il fiato, forse
inconsciamente pensava che così facendo non sarebbe stato
incornato. Doveva pensare in fretta e
forse agire anche più velocemente, non aveva tempo da
perdere, sia perché era sicuro che di lì a poco Xanxus
l'avrebbe preso per il collo, sia perché sapeva che qualcuno a quel punto sarebbe andato a cercarlo.
«Tu, inutile rifiuto!» Una strana aura si formò
attorno al corpo del ragazzo più grande, Squalo non sapeva se
era tutto frutto della sua immaginazione, però non volle
guardare oltre e senza pensare, preso anche un po' dal panico, fece di
nuovo qualche passo indietro per poi correre e saltare come se avesse
le molle ai piedi, afferrando finalmente la fine di quel maledetto
muro. Nemmeno si girò a guardare dietro di sé che
saltò dall'altra parte con un balzo. Toccò terra cercando
di non perdere l'equilibrio, e sentì un colpo secco provenire
dietro le sue
spalle. Sobbalzò e il cuore perse un battito: si
girò verso quella barriera tra lui e quella furia
di Xanxus. Se prima aveva maledetto il muro perché era troppo
alto, ora ringraziava che ci fosse e che lo stesse proteggendo da quel
pericolo.
«Non finisce qui, feccia» a quel punto Squalo decise che forse si
sarebbe preso una bella vacanza, magari avrebbe potuto farsi una bella
tirata di una settimana in qualche posto isolato. Non gli avrebbe fatto
male, pensò iniziando a correre, lasciandosi alle
spalle l'edificio scolastico e le minacce di Xanxus.
Aveva trovato una
via di fuga, però così facendo forse non aveva fatto
altro che trovarsi ancora più in trappola. Era spacciato, se
davvero Xanxus si sarebbe ricordato di lui, cosa molto probabile,
davvero non ne sarebbe uscito vivo. Quel tonfo, provocato probabilmente
dal poderoso pugno di Xanxus, gli aveva fatto sentire un forte
dolore che gli aveva attraversato l'intero scheletro, quel pugno gli
avrebbe spezzato tutte le ossa simultaneamente, ne era certo.
«Che sia maledetto»
Mancava poco alla fine delle lezioni e Dino si era ritrovato a guardare
ossessivamente l'orologio. Ovviamente così facendo le lancette
sembravano scorrere più lentamente, come a volersi beffeggiare della
sua impazienza. Muoveva freneticamente la gamba in un gesto nervoso,
guardava davanti a sé il professore che si accingeva a spiegare
alla lavagna quell'interminabile lezione.
Non aveva più visto
Squalo, con lo sguardo l'aveva cercato nel grande giardino, ma non
aveva visto altro che facce sconosciute, probabilmente era tornato
nella sua classe. Aveva pensato di passare proprio davanti quell'aula,
ma poi tra un pensiero e l'altro, si era ritrovato seduto al suo banco
ed attendere l'arrivo del professore.
Laura, prima di correre via nella sua aula, gli aveva chiesto se il
giorno seguente avrebbero potuto pranzare insieme. Dino aveva risposto
automaticamente di sì, più per gentilezza che per altro,
anche se probabilmente avrebbe dovuto essere arrabbiato con
lei per quelle brutte parole rivolte al suo amico. Non riusciva ad
essere scortese, né tantomeno arrabbiato, magari parlando di
più con quella ragazza, avrebbe potuto spiegare che Squalo non
era quel mostro che lei credeva che fosse.
Laura sembrava una ragazza
molto intelligente, a prima vista una ragazza un po' troppo sicura di
sé, eppure era molto dolce e disponibile. L'aveva guardata negli
occhi mentre gli chiedeva se avrebbe voluto andare in infermeria e ci
aveva visto tanta gentilezza. Non era voluta tornare sul discorso di
Squalo, Dino in verità non aveva nemmeno pensato di dirle nulla
a riguardo, se ne era andata via prima ancora che lui potesse
realizzare il tutto.
Il colpo alla guancia era ancora un po' dolorante e si era ritrovato
con i suoi compagni di classe intorno a chiedergli cosa gli era
successo, sapeva che qualcuno aveva assistito alla scena in
giardino, quando aveva rovesciato tutto il pranzo sulla divisa di
Squalo, e probabilmente, anzi quasi sicuramente, pensavano che Squalo
l'avesse picchiato proprio per quel motivo. Eppure nessuno aveva
accennato al nome del suo amico, si erano limitati a chiedergli cosa
avesse fatto, se gli faceva male e se voleva una borsa di
ghiaccio.
Dino non si irritava mai, la gente non lo infastidiva e anzi
più gente aveva attorno e meglio era, però quando tutti
gli erano arrivati addosso con le loro domande, non aveva potuto fare a
meno di sentirsi profondamente infastidito dalle loro voci e dalle loro
stesse presenze. Aveva sorriso come al solito,
dicendo che aveva semplicemente preso in pieno la porta del bagno,
dopotutto era un grandissimo bugiardo o più esattamente, era
molto abile nel nascondere le cose.
Quando finalmente suonò la campanella, Dino si sentì come
liberato da un supplizio. Era diventato perfino intollerante, e per
questo si alzò di fretta e furia incespicando nei suoi passi.
Corse fuori dalla classe come se gli mancasse l'aria.
«Tu sei Dino giusto?» Dino si imbatté in un ragazzo che stava lì fermo davanti alla porta
della sua aula. Aveva tutta l'aria di un bullo
pronto a dargliene di santa ragione. Aveva un po' paura di
rispondere che sì, lui era Dino, però quella gli era parsa
più come una domanda retorica, quindi non sapeva se avesse
dovuto iniziare a correre o se sarebbe dovuto rimanere lì ad
aspettare che l'altro continuasse.
«Dovresti riportare questa al tuo amico» il ragazzo alzò una cartella nera, proprio
davanti ai suoi occhi. La sua voce era
uscita sprezzante, come se gli facesse schifo anche solo pensare a quel
"suo amico" e molto probabilmente era stato costretto a fare ciò
che stava facendo, perché non aveva proprio la faccia di uno a
cui importava qualcosa degli altri.
«Squalo...?» Dino era titubante, più che una vera
e propria domanda, era un accertamento.
Il ragazzo lo
guardò alzando un sopracciglio e schioccando la lingua
scocciato: non era venuto in amicizia, quindi Dino non si
fece attendere troppo dal prendere la cartella e scappare via come un
fulmine.
Quando si trovò davanti il cancello d'entrata però si
rese conto di un particolare: perché Squalo non si era ripreso
da solo la cartella? A quel punto si guardò intorno alla ricerca
della sua testa. Si alzò sulle punte dei piedi, guardò
oltre il cancello per vedere se per caso era uscito prima di lui: eppure di Squalo non c'era traccia.
«È successo qualcosa?» Romario sembrava sentire la
tensione di Dino. Si diede un'occhiata intorno per poi tornare a
guardare il biondo che osservava serio verso l'entrata di scuola.
«Romario, dovresti farmi un favore»
Una macchina nera, lucida ed elegante, si fermò proprio davanti a casa Superbia.
«Credo che dovrò farti aspettare un po' di tempo»
«Non abbiamo fretta» Dino scese dalla macchina e guardò un po' titubante verso la casa.
«Grazie
Romario» si chiuse la portiera alle spalle e con passo deciso si
diresse verso la porta.
Si ritrovò ad indugiare sul campanello: cosa
avrebbe dovuto dire? "Ho trovato casa tua sulla cartina" la voce di
Squalo nella sua mente gli diede dell'idiota. Oltre ad
essere una balla colossale, era anche ponderata nel modo sbagliato e
Squalo non era di certo uno stupido. Pensare però non faceva che
alimentare la sua insicurezza e si ritrovò a combattere contro la
voglia di tornarsene a casa e consegnare la cartella a Squalo il giorno
seguente.
«Si?» Dino si irrigidì e si girò a guardare
verso la porta: c'era una donna sulla trentina, o forse sulla
quarantina, che lo guardava perplessa.
«Salve, ecco, io sono
un amico di Squalo, gli ho riportato la cartella» la donna
sembrava sempre più perplessa «credo l'abbia dimenticata»
continuò ed abbassò lo sguardo in un moto di disagio: quella donna
sembrava metterlo in soggezione, aveva lo stesso sguardo di Squalo la prima
volta che l'aveva visto.
«Squalo non è in casa in questo
momento, ma se vuoi puoi entrare» la voce calda e melliflua
della donna lo investì in pieno e quando alzò lo sguardo vide un dolce
sorriso incurvare le labbra rosse.
«La ringrazio, ma non vorrei disturbare»
«Nessun
disturbo. Squalo dovrebbe tornare fra poco» la donna si fece da
parte in modo da mostrare l'ingresso. Dino guardò la cartella e poi di
nuovo il volto dolce della madre di Squalo.
Annuì leggermente con il capo e accennò ad un sorriso imbarazzato mentre si accingeva ad entrare in casa.
«Vuoi qualcosa da mangiare o da bere?» Lo accompagnò fino al grande salotto e gli fece cenno di accomodarsi.
Gli
occhi della donna era di un grigio intenso come quelli di Squalo, ma a
differenza brillavano di serenità: il ragazzo pensò a come potessero
essere belli quegli occhi su Squalo. Guardandola ancora meglio poi vi vide molte altre somiglianze con l'amico.
«No, la ringrazio» il dolce sorriso rosso gli
ricordò quello di sua madre e gli venne un vuoto allo stomaco,
ma cercò di non pensarci, ormai era passato il tempo delle
lacrime.
Sedendosi e guardandosi attorno, poté notare che la donna non era sola in casa.
«Squalo!» Sentì esclamare, mentre un ragazzo si precipitava nella grande stanza.
«Federico,
questo è un amico di Squalo» il ragazzo sembrò inizialmente
deluso da quella scoperta, ma quando poi lo guardò con i suoi piccoli
occhi e gli regalò un sorriso avvicinandosi per porgergli la mano.
«Io
sono Federico» il tono con cui lo disse poteva sembrare una
cantilena, la voce gli era uscita fuori forzata e un po'
spezzata. Inizialmente Dino rimase spiazzato da quel ragazzo che era
piombato nella sala come un ciclone, aveva pronunciato il nome di
Squalo con tanta gioia che quasi si era sentito dispiaciuto per non
essere colui che il ragazzo cercava.
«Io sono Dino» Il Cavallone gli strinse la mano e sorrise gentile. Federico sorrise di
rimando e lo guardò per diversi istanti, come a volerlo studiare.
Dino
si chiese chi fosse quel ragazzo, non sapeva praticamente nulla della
famiglia di Squalo e forse era stato maleducato arrivare a casa
sua senza alcun preavviso. Dopotutto però l'aveva fatto per una buona
causa.
Guardando quel ragazzo vi vedeva una forte carica emotiva che si
sprigionava dagli occhi. Si ritrovò ancora a disagio: non si faceva
delle strane idee o pregiudizi per quanto riguardava la persone affetti
da quella sindrome, dopotutto erano persone come lui, ma non sapeva
come comportarsi.
«Sono il fratellino di Squalo» Federico gli si sedette di fianco.
«Non sapevo che avesse un fratello»
«Lo
so» Dino non capì quella risposta così secca, come se l'altro si
fosse aspettato un'affermazione simile, ma pensò che fosse meglio non
dire altro ed abbassò lo sguardo.
«Se avete bisogno di
qualcosa chiamatemi» la donna, che era rimasta ad ascoltare per
tutto il tempo, si diresse verso un'altra stanza, lasciando i due
ragazzi soli. Purtroppo Dino sperò che Squalo tornasse presto, non
tanto perché non voleva rimanere, o perché tutto ciò lo infastidiva,
ma perché non si era mai sentito tanto fuori posto in vita sua. Era
come se quel luogo non appartenesse veramente a Squalo, come se gli
fosse lontano anni luce. La casa era pregna di tranquillità, era
silenziosa e dava un senso di calore, cose che non erano assolutamente
parte del carattere di Squalo. Non che pensasse che vivesse in qualche
posto particolarmente caotico, ma neppure che vivesse circondato da tutta
quella tranquillità. Non riuscì a collegare la faccia perennemente
incazzata di Squalo, con il luogo in cui viveva.
«Se vuoi
saliamo in camera» Dino lo guardò di nuovo ed aprì la bocca come
per dire qualcosa, ma non ne uscì fuori un filo di voce «Squalo
è scappato, però torna stasera» il tono di voce si era abbassato
in un sussurro ancora più sforzato e il biondo dovette prendersi
qualche secondo per riflettere.
«Scappato?!» quasi urlò, facendo sobbalzare l'altro ragazzo.
«Shhh, che poi mamma sente» Dino si irrigidì e guardò verso la porta in cui era sparita la donna.
«Scusa» si chiuse nelle spalle e lo guardò imbarazzato. Federico rise e si alzò.
«Andiamo»
«Questa
è la stanza di Squalo, sai non ci è mai entrato nessuno» i due
ragazzi entrarono e Federico si chiuse la porta alle spalle «non
è mai entrato un amico di Squalo in casa. Non ha molti amici, anzi non
ne ha e basta» Dino lo guardò perplesso e Federico andò a
buttarsi sul letto «non li vuole» disse in fine
osservandolo tra il serio e il divertito.
Dino si guardò un po' attorno, osservò la grande
finestra: delle grosse nuvole grige, cariche di pioggia, si stavano
avvicinando.
«Non
è meglio se vado a cercarlo? Sta arrivando la pioggia» Federico
guardò fuori dalla finestra e poi di nuovo Dino.
«No, a Squalo piace la pioggia»
«Così si ammalerà» Dino vide il ragazzo fargli cenno di sedersi sul letto.
«Non
si ammala mai» sedendosi poi sul letto Federico si sporse verso
il basso per prendere qualcosa.
«A Squalo non piace la
gente» rialzandosi gli porse un quaderno. Il Cavallone non
sapeva cosa doveva fare, se doveva aprirlo oppure no. Quello si presentava come un normale quaderno, eppure i quaderni
non finiscono sotto i materassi per caso.
«Cosa è?»
Federico glielo fece aprire e vi vide degli appunti veloci e delle
linee scarabocchiate. Si corrucciò e lesse ciò che vi era scritto
accanto agli scarabocchi «Colpo e affondo nell'addome?»
guardò le linee curve e disordinate, la scrittura frettolosa e le frasi
divise in diversi punti. Sfogliò qualche pagina senza soffermarsi su
nessuna di queste: erano tutte simili, sempre con linee, angoli e punti
che venivano messi a caso sul foglio, come se fosse tutto impresso al
momento, senza un ordine preciso da seguire.
«L'addome
sì» Federico gli prese il quaderno dalle mani e lo sfogliò fino
a quando non glielo diede di nuovo su una pagina ben precisa. Era più
accurata delle altre ed ogni punto descriveva per filo e per segno il
significato della linea che, se presa da sola, poteva sembrare solo un
segno senza senso, come se la penna fosse scappata di mano e avesse
segnato il foglio.
«La lama di piatto facilita il
movimento, permettendo di mettere meno forza sull'avambraccio e
diminuendo l'attrito» Dino sembrava sempre più confuso da quelle
parole, il motivo per cui il ragazzo gliel'avesse messe davanti agli
occhi gli era ignoto e quelle parole non lo portavano a nessuna
conclusione.
"La lama" pensò «La lama di cosa?» disse
dando voce ai suoi dubbi.
«Della spada» rispose con ovvietà il fratello di Squalo, riprendendo il quaderno e sfogliandolo ancora.
«La spada?»
«La
spada, come quella di Re Artù» il biondo, sembrava sempre
più
confuso. Perché Squalo scriveva degli appunti
sulla
spada? Si era almeno tolto il dubbio di cosa fossero quelle
linee e quegli appunti confusi, ma altrettanti interrogativi erano nati
nella sua mente. L'altro ragazzo si era intanto seduto ed aveva
poggiato il quaderno accanto a lui. Tornò a guardarlo come ad
aspettarsi che gli chiedesse qualcos'altro, eppure Dino non sapeva cosa
dire e pensare, non tanto perché lo turbava il fatto che Squalo
avesse appunti su una spada, ma quanto al
perché Federico glieli avesse mostrati.
«Potresti venire più
spesso.» Federico si alzò e guardò verso la finestra.
«Ti
piace Squalo?» Dino guardò nella sua direzione e si corrucciò,
non solo lo stava confondendo con i gesti, ma le sue parole sembravano
essere la voce del suo subinconscio.
«In che senso?»
Dino non si era mai posto domande simili e sentire qualcuno che si
preoccupava per Squalo gli sembrava strano, anche se quello era
appunto suo fratello. D'altronde Squalo non lo conosceva poi da così
tanto tempo, eppure in quel poco tempo era riuscito a farsi un'idea ben
chiara di che persona fosse, ma allo stesso tempo non si era chiesto i
motivi che l'avevano fatto arrivare a quella concezione di Squalo. Non
si era mai chiesto, oltretutto, il motivo per cui volesse avere la sua
compagnia, aldilà del fatto che lo ascoltasse, aldilà del fatto che lo
aiutasse. Non era stato il primo ad ascoltarlo, né il primo ad
aiutarlo.
«Se ti sta simpatico» la sensibilità di
Federico gli strinse il cuore. Non era semplice curiosità
quella, ma
era il sentimento per Squalo che lo faceva parlare e Dino quasi non
si sentì sciogliere, perché mai aveva sentito parlare
qualcuno in quel
modo, non aveva mai visto nessuno esternare così tanto le
proprie
emozioni come faceva Federico. E ancora si ritrovò a pensare
alla loro
diversità, a quanto Squalo invece si ostinasse a nascondere
tutte le sue
emozioni e a quanto cercasse di nascondersi dal mondo che lo
circondava. Provò dispiacere. Non capiva ancora bene il motivo
per il quale si
sentiva così scosso, eppure Federico sembrava rispondere a molti
suoi
interrogativi, tanti quanti gliene aveva posti.
«Mi piace»
Vorrei scusarmi di nuovo per il ritardo, ho avuto un
attimo di vuoto e mi sono presa qualche giorno per pensare bene alla
storia. L'ho iniziata malissimo e sta proseguendo altrettanto male, ma
comunque continuo un po' perché ormai l'ho iniziata e la voglio
finire, perché la storia in sé mi piace, forse ho
sbagliato con i personaggi, ma ho voluto provare, e anche un po'
perché comunque devo iniziare a scrivere e pubblicare di
più, che siano storie mediocri o meno, perché un giudizio
-critico o positivo che sia- non fa mai male.
Ora parlo del capitolo: è pieno di discorsi diretti, sopratutto
la parte finale, questo perché da molto tempo mi sono accorta
del fatto che mi soffermo troppo sulle descrizioni e troppo poco sui
discorsi. Piano piano sto cercando di correggermi e spero che prima o
poi mi esca qualcosa di buono e di cui sentirmi soddisfatta.
Non succede nemmeno qui nulla di ché a parte il fatto che ci sono molti incontri (XanXan alla riscossa *-*).
L'ultima parte che vede Federico e Dino è un po' confusa e forse
non ci si capisce molto, ma ha i suoi perché. Federico è
un tipo un po' particolare e man mano mostrerò più lati
del suo carattere (d'altronde lui e Dino si sono appena conosciuti) e spiegherò anche tutti gli altri punti che sono stati lasciati in sospeso.
Il capitolo è un po' lunghetto, passa da un personaggio
all'altro a un luogo all'altro, però ho voluto farlo
perché altrimenti mi sarebbero usciti fuori millemila capitoli
in più, alternando in questo modo mi trovo meglio.
Ho oltretutto finito in questo modo perché altrimenti mi usciva
un poema, e poi mi sembrava una fine capitolo giustificata, non c'era
bisogno di aggiungere nulla di più.
Ringrazio sin da subito chi vorrà continuare a seguirmi,
nonostante i ripetuti ritardi. Mi scuso se mi sono sfuggiti
errori/orrori.
Come al solito ringrazio i commenti (a cui rispondo direttamente nella
pagina delle recensioni) e alla seguite e ai preferiti. Grazie, grazie,
grazie!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Pioggia e sole ***
My secret friend 5
My secret friend
Avvertimenti: la storia tratta argomenti come
l'omosessualità, tratta oltretutto argomenti delicati ed
è presente linguaggio scurrile, se non vi piace non leggete. La
storia non è reale, non ho preso spunto da nessuna storia
realmente accaduta. Ogni riferimento a fatti e/o persone è
puramente casuale.
I personaggi di 'Katekyo hitman Reborn' non mi appartengono e la storia non è assolutamente a scopo di lucro.
«Anche a me piace, è simpatico» Dino
notò il repentino cambiamento nell'espressione di Federico.
«A mamma e papà non piace» continuò a dire
mentre svogliatamente stirava le pieghe della maglia che indossava.
Dino si sentiva sempre più a disagio perché dopotutto lui in quel discorso non c'entrava
assolutamente nulla, eppure Federico continuava a parlare come se nulla
fosse, come se stesse parlando con qualcuno che conosceva da tempo e
con cui poteva confidarsi liberamente. Dino oltretutto sapeva anche che
a Squalo tutto ciò non sarebbe piaciuto, per quel poco che lo
conosceva aveva capito che non gli piaceva parlare dei suoi affari.
Più che altro, ora poteva intuire, perché non avrebbe
voluto far sapere di quella situazione che sembrava alquanto scomoda,
anche
se poi non aveva capito fino in fondo ciò che Federico forse stava cercando di fargli capire.
«Mi dispiace» disse allora in mancanza di altre parole, e
gli dispiaceva per davvero.
Federico allora smise di lisciare le pieghe
e lo guardò confuso, o forse stava semplicemente
pensando, Dino non era mai stato un tipo troppo intuitivo, per
questo motivo non
capiva al volo le emozioni delle altre persone, se non per emozioni
palesi e ben chiare, sopratutto con degli estranei, sopratutto con
Federico che sembrava un ragazzo alquanto enigmatico.
«Ma va bene così, io gli voglio bene» a quel punto
Federico guradò fuori dalla finestra. «Piove, adesso va
anche meglio» Dino osservò le grandi nuvole grige che
ormai avevano completamente coperto il cielo.
La pioggia sembrava aver
racchiuso in una bolla d'acqua le ville tutt'attorno e ancora una volta
si ritrovò a pensare al fatto che Squalo avrebbe potuto ammalarsi,
nonostante poi Federico gli avesse detto che non si ammalava mai.
«Ed è tornato in anticipo» Osservò Federico che scuoteva la mano in segno di saluto.
«Squalo è tornato?» Dino si alzò e corse a
guardare fuori dalla finestra in cerca della testa del suo amico,
eppure non vide nulla se non una macchina giagia e lucida.
«No, è papà. Ora Squalo sarà nei
guai» Federico si strinse nella maglia e allungò il collo
come se stesse cercando di guardare attraverso la piccola villa davanti alla
loro.
«Nei guai?! Allora forse è meglio se lo vado a cercare, magari...»
«No. Papà si arrabbia, non gli piace quando Squalo è
fuori. Deve
controllarlo» il volto di Dino si rabbuiò in uno strano
cruccio. Non sapeva cosa volevano dire quelle parole, non capiva il
motivo per cui l'uomo dovesse controllare Squalo e automaticamente
si sentì stringere lo stomaco in una morsa dolorosa. Si sentì come un uccellino in gabbia.
«Ma se vado a cercarlo posso dire che era con me, magari non
si arrabbia» Federico storse il naso e sospirò.
«Squalo lo sa che non deve uscire»
«Ma come hai detto, vostro padre è tornato in anticipo, Squalo non
avrebbe potuto saperlo» lo guardò ansioso in attesa di
una risposta quanto più che positiva, perché si sentiva
agitato, perché aveva paura di un qualcosa che nemmeno lui
riusciva a concepire, ma che nella sua mente, in modo occulto, riusciva
a suscitargli dolore.
«Papà è un generale e ha sempre detto che bisogna
prepararsi ad ogni evenienza, a lavoro o a casa non importa»
Dino non seppe cosa dire, rimase a guardare Federico per un tempo che
gli parve eterno. Osservò il modo in cui abbassava le
sopracciglia in modo contrariato, era ovvio che anche il ragazzo
più piccolo non approvasse quella regola. Non gli piacque affatto, infatti a Dino quel modo di fare
gli sembrava quasi una cosa assurda, eppure sapeva bene che quello non
era l'unico uomo ad essere così severo in famiglia.
Nonostante
Dino potesse capire in qualche modo quella vita, suo padre non si era mai
comportato in quel modo, per questo riteneva in qualche modo ingiusto
quel comportamento da parte del generale.
Federico sospirò afflitto, sperava che Squalo tornasse al più presto, era evidente.
«Vado a cercarlo» a quelle parole Federico si girò
verso Dino, ma lui aveva già preso a camminare verso la porta
della camera con l'intenzione di non voler ascoltare altre affermazioni
pessimistiche, anche se in fondo sapeva che anche Federico approvava in un certo senso la sua decisione. Il
fatto però era che Federico non voleva che Dino si fosse ritrovato in qualche guaio
per colpa sua, perché aveva visto sin da subito che
tipo di persona era e, per quel poco tempo che avevano potuto per parlare, aveva visto la genuinità del
suo animo.
Era felice che Squalo avesse trovato un amico come quello, anche se
sapeva che suo fratello non avrebbe mai e poi mai dimostrato alcun tipo
di affetto nei suoi confronti, perché non era il tipo.
Senza dire altro dunque Dino uscì e scese le scale, cercando
attentamente di non mancare i gradini. Fino a quel momento non
aveva fatto nessun capitombolo, ma appunto per questo doveva stare
attento a non creare caos di qualche sorta.
Una volta arrivato alla fine delle scale, vide la madre di Squalo tutta
affannata correre verso la porta e mettersi a posto i capelli in un
gesto frenetico e nervoso.
«Mi scusi signora, io dovrei...» la donna non lo
lasciò finire che subito lo guardò sorridendo e
respirando come se stesse in ansia.
«Oh, non ti preoccupare, dirò a Squalo che sei
passato!» Dino non capì il modo strano in cui la donna a
quel punto sorrise: era un sorriso diverso, tirato e molto falso.
«Mi dispiace.» Disse dunque avviandosi verso la porta.
«Ma no caro, non devi preoccuparti, puoi comunque venire a
trovare Squalo quando vuoi, sei il benvenuto.» Di nuovo gli
mostrò quel sorriso che a quel punto lo spaventò.
Abbassò lo sguardo e lasciò che la donna aprisse la porta.
«La ringrazio. Arrivederci.» Mentre usciva
incontrò lo sguardo del padre di Squalo e vi vide freddezza, una freddezza
che lo fece chiudere nelle spalle ed abbassare lo sguardo «B-buona sera.» E dopo quelle parole cortesi quanto
timorose, corse via come un lampo, senza aspettare che l'uomo potesse
rispondergli.
Dino si sentì scombussolare le membra non appena
sentì la voce dell'uomo salutarlo di rimando, ma non osò
voltarsi preferendo correre da Romario che era ancora lì ad
aspettarlo.
«Scusami se ci ho messo così tanto» quando
entrò nell'abitacolo sentì il familiare calore che lo
fece sentire meglio.
«Qualcosa ti preoccupa?» Dino guardò Romario e si morse il labbro inferiore.
«No, cioè sì.» Gesticolò e
guardò dritto davanti a sé «Dovrei chiederti un
altro favore»
Squalo se ne stava sdraiato sul prato a guardare le nuvole cariche di
pioggia. Iniziò a pensare a quanto la pioggia potesse
essere rilassante. Amava il modo in cui le gocce si scontravano al
suole, sugli oggetti e sulle persone. L'acqua piovana puliva quel mondo
sporco e ingiusto, la pioggia spazzava via quel senso di disagio che si
sentiva addosso. Quando pioveva si sentiva felice, quando le
fredde gocce gli scorrevano sul viso si sentiva sollevato. Non
ricordava nemmeno il giorno in cui era iniziata a piacergli così
tanto, ma forse nemmeno gli importava. Sapeva solo che sentiva la
pioggia come parte integrante di sé, come se fosse il suo
elemento naturale.
Squalo non poteva sapere quanto ciò potesse essere vero. Un
giorno però, nemmeno troppo lontano, l'avrebbe capito. Sarebbe
stato l'inizio o forse la fine di tutto, questo però, per tutti
gli anni che sarebbero passati, non l'avrebbe mai saputo, anzi
probabilmente l'avrebbe anche dimenticato.
Pioveva finalmente, le gocce colpivano il suo corpo facendolo sentire
sollevato. Era una sensazione magnifica. Alzò la spada e
fendette l'aria, godendo dell'effetto che provocava la lama tra le
gocce. Si lasciò successivamente cadere a terra tra l'erba
bagnata e chiuse gli occhi lasciandosi investire dall'acquazzone. La
pioggia era così forte che ad un certo punto gli fece perfino
male la faccia.
Storse il naso. Forse era meglio se tornava a casa,
anche perché, si rese conto, era tardi e voleva tornare a casa
prima di suo padre così da poter stare un po' di più con
suo fratello.
Sospirò e si alzò in piedi stropicciandosi gli occhi
anche se era inutile, prese il panno per avvolgere la sua spada e si
incamminò verso la strada che l'avrebbe riportato a casa.
Camminando si ritrovò a pensare di nuovo a Xanxus e
istintivamente rabbrividì. Non che avesse paura, solo un
pochino. Era strano comunque che gli avesse messo tutto quel timore
addosso, eppure, nonostante avesse temuto per la sua vita, non riusciva
a non pensare a quanto quegli occhi lo attirassero e a quanto volesse
vederli di nuovo e fissarli in tutto quel pieno d'ira che li riempiva.
Erano stati pochi attimi a guardarsi, questione di qualche secondo, ma era come se l'avessero inevitabilmente catturato. Si
accorse che quegli occhi lo caricavano di adrenalina ed era una
sensazione così strana che sentì il bisogno di correre
per scaricare tutta quell'improvvisa forza che sentiva montargli
dentro. Alla fine non trovò così male la prospettiva di
affrontare Xanxus se questo poteva permettergli di guardarlo dritto
negli occhi.
Si fermò improvvisamente e fissò a terra. Era sbalordito
dai suoi stessi pensieri. Nemmeno lo conosceva quel Xanxus e già
aveva una voglia matta di rivederlo. L'aveva odiato per quei secondi
che l'aveva visto e l'aveva anche maledetto, in quel momento invece
voleva solo tuffarsi in quegli occhi rossi e non per maledirli, ma per
guardarli e basta, per sentire più vivide quelle sensazioni che
ora lo stavano scuotendo all'interno e che non capiva nemmeno se
fossero piacevoli o meno, se fossero deleterie oppure no. Voleva dunque
incontrare di nuovo Xanxus perché voleva capire cosa gli stava
succedendo, perché non riusciva a controllare né il suo
corpo né la sua mente. Pensò dunque che forse quelle
sensazioni e tutta quella carica le provava perché voleva fare
davvero del male a Xanxus, almeno per il momento poteva convincersi che
fosse così, anche se sapeva che c'era dell'altro e che
probabilmente quella notte avrebbe dormito molto male per quello. In
quel momento però doveva solo pensare a tornare a casa il
più presto possibile se voleva passare abbastanza tempo con
Federico.
Riprese a correre sotto la pioggia cercando di dimenticare quel rosso
che gli stava invadendo la mente. Era difficile non pensarci, ma una
macchina fermatasi proprio davanti a lui, lo distolse dai suoi pensieri
e d'istinto
si fermò. La portiera si aprì e in un
attimo Squalo pensò che forse era meglio scappare, ma quando
vide una zazzera bionda spuntare fuori e gli occhi nocciola di Dino
fare capolino
rilassò i muscoli.
«Squalo!» Corse verso di lui e strinse un poco gli occhi per la forza della pioggia.
«Che cazzo ci fai qui?» Squalo guardò la macchina e di nuovo l'amico che sembrava preoccupato.
«Ti accompagno a casa» rispose dunque afferrandogli il
polso, ma Squalo oppose resistenza. «Tuo padre, ecco, è-»
«Che cosa?!» L'aveva bloccato. Dino guardò gli
occhi di Squalo spalancarsi e riempirsi di panico, gli mancò il
fiato.
«Non restiamo qui, andiamo» lo trascinò verso la
macchina e lo fece entrare. «Mi dispiace
Squalo.»
L'albino lo guardò stralunato e guardò poi lo specchietto retrovisore vedendo Romario che li guardava pacato.
«Lui è Romario» disse in fretta e furia Dino.
Squalo fece cenno con la testa, ma non una parola gli uscì dalle
labbra.
In tutta quella fretta non era riuscito ad
allacciare tutti i punti, quando però sentì la macchina
iniziare a sfrecciare, nella sua mente iniziarono a crearsi degli
interrogativi: come faceva Dino a sapere di suo padre? Come mai suo
padre era già tornato? Come aveva fatto Dino a trovarlo?
Perché era così allarmato? Cosa sapeva in realtà
Dino? Erano troppi interrogativi e lui non sapeva rispondere
nemmeno ad uno di questi. Semplicemente tornò a guardare l'amico
che sembrò capire tutta quella confusione.
«Sono stato a casa tua» allora un altro interrogativo
nacque spontaneo nella sua mente, ma questa volta riuscì a
trasformarlo in forma di parola.
«Perché?» Dino per la prima volta vide lo sguardo
di Squalo non corrucciato ma preoccupato. Gli era concesso capire per
quanto gli era stato concesso di sapere da Federico.
«La cartella.» Squalo alzò un sopracciglio «L'hai lasciata a scuola» finì dunque.
Squalo lo guardò come se avesse capito tutto quanto e deglutì.
«Quindi...» inclinò la testa in avanti senza
smettere di fissarlo e Dino capì di dovergli delle spiegazioni,
anche se ormai la macchina si era fermata ed erano arrivati a casa di
Squalo.
«Ne parliamo domani, siamo arrivati» Squalo guardò
fuori dal finestrino e subito lo sguardo andò verso la macchina
del padre.
«Cazzo.» Fu l'unica cosa che riuscì a dire
lì per lì prima di scapicollarsi praticamente fuori dalla
macchina senza una parola. L'unica cosa che aveva pensato in quel
momento era suo padre e di conseguenza aveva dimenticato la
buona educazione, ma questo poteva farselo perdonare il giorno
seguente.
Dino osservò Squalo fermarsi davanti alla porta e capì
che l'amico stava pensando se entrare oppure scappare di nuovo.
«Dino...» Guardò lo specchietto retrovisore e vide gli occhi di Romario puntati sui suoi.
«Ti spiegherò tutto.» Poi di nuovo tornò a
guardare verso la porta, ma di Squalo non c'era traccia. Si
guardò dietro e avanti e capì che era entrato in casa. Si
preoccupò, ma disse a Romario di tornare a casa.
Squalo era entrato in casa sbattendo la porta. Se ne fregava altamente
di quello che sarebbe successo, tanto ormai avrebbe potuto aspettarsi
il peggio.
«Cosa ci facevi in giro con questa pioggia?» La madre
andò all'ingresso sconvolta. L'albino si tolse le scarpe e la
guardò con indifferenza senza nemmeno pensare di degnarla di risposta,
sapeva che tanto a lei non importava, quella era stata solo una
domanda di circostanza dato che si trovava nelle vicinanze.
Attraversò l'ingresso, superando la madre che se ne era rimasta
lì in mezzo come un palo, ed era entrato nel grande salone,
consapevole del fatto che ci fosse il padre lì sulla poltrona ad
attenderlo.
«Perché eri in giro?» La voce dura e fredda gli
fecero tendere i muscoli. Si fermò e guardò l'uomo negli
occhi. Sapeva che la madre era dietro di lui e stava guardando la scena
con le mani unite in grembo ostentando una calma che non aveva, sia lui
che il padre lo sapevano e Squalo non capiva perché si sforzasse
tanto.
«Stavo tornando a scuola» bugiardo. Ma doveva mentire per salvarsi la pelle. Quasi si sentì soddisfatto
della sua risposta.
Il padre lo guardò accigliato e mosse una mano facendogli cenno
di andare davanti a lui per guardarlo meglio negli occhi. Squalo sapeva
che tanto l'uomo non avrebbe capito se stava mentendo o meno,
perché non lo conosceva e perché l'albino ormai sapeva
bene come mentirgli con gli occhi.
«Vedi di non dimenticare più le tue cose a scuola»
disse a quel punto. Squalo si rese conto che con molta
probabilità la madre gli aveva detto di Dino e della cartella e
forse gli aveva raccontato la sua stessa menzogna. Si
voltò quindi verso le scale ed incrociò lo sguardo della
madre che teneva gli occhi spalancati ma che sembrava più
rilassata. Non avrebbe detto nulla, non l'avrebbe ringraziata
perché con lei non ci voleva parlare.
«Vai in camera tua» finì per dire l'uomo, Squalo si fermò a metà scale.
«Voglio salutare Federico»
«Ho detto di andare in camera tua.» Si morse il labbro e
strinse i pugni. Lo maledì mentalmente e si diresse verso la sua
camera ubbidendo a quell'ordine. Non avrebbe potuto fare
altrimenti.
Guardò fugacemente verso la porta chiusa della camera di suo
fratello ed entrò nella sua stanza. Una volta entrato gli venne
voglia di dare un calcio alla scrivania, ma non lo fece perché
il suo sguardo si posò sul suo letto dove era ancora posato il
suo quaderno. Strinse la mascella e lo afferrò sfogliandolo. Ne
avrebbe parlato con Federico dato che era l'unico a sapere dove era.
Squalo sapeva perfettamente che suo fratello aveva lasciato il quaderno
sul letto per un motivo. L'aveva combinata grossa e l'avrebbe sgridato
perché aveva fatto vedere a Dino un qualcosa che doveva rimanere
segreto. Non volle pensare al perché l'avesse fatto,
preferì arrabbiarsi dopo aver sentito le spiegazioni del
fratello, perché dopotutto doveva esserci una ragione e Federico
sapeva bene che non doveva andare a spifferare ai quattro venti gli
affari suoi. Però sapeva anche che Dino non sarebbe andato a
dire i giro nulla, ma in ogni caso era arrabbiato, era ovvio che lo
fosse.
Lanciò il quaderno a terra e si buttò sul letto supino
andando a fissare il soffitto, dimenticando perfino che era fradicio.
Gli dava fastidio anche l'idea di dover andare giù a cenare e
vedere in faccia qualcuno, sopratutto i suoi genitori. Sbuffò,
gli si era chiuso lo stomaco e avrebbe dovuto fare finta di
mangiare.
«Vaffanculo» imprecò a denti stretti. Portò
gli occhi alla finestra. Perlomeno, pensò, stava piovendo e per
questo si lasciò andare ad un sospiro afflitto continuando a
fissare le incessanti gocce che si scontravano sul vetro. Avrebbe
voluto aprire la finestra e scappare di nuovo, ma era riuscito a
scamparla una volta, la seconda non avrebbe potuto riuscirci, non aveva
scuse da inventarsi. Decise quindi di andare a fare una doccia, ma si
accorse subito che qualcosa non quadrava.
«Cazzo, la spada!» L'aveva dimenticata in macchina. Si
portò la mano a coprirsi la faccia. «Maledizione!»
Si alzò pieno di stizza e si diresse verso il bagno. Era
più che naturale che Dino gli avrebbe fatto delle domande,
sperò solo che non avrebbe fatto qualche sciocchezza come
portarsi la spada a scuola. Si fermò un attimo a pensare: Dino
non era poi così stupido, era sbadato, ma non stupido.
Uscì dalla stanza e guardò di nuovo la porta accanto, era
leggermente aperta e gli occhi di Federico lo guardavano.
«Ti ammazzo» sussurrò Squalo. Vide gli occhi di
suo fratello illuminarsi furbi e un sorriso allargarsi sul suo volto: lo stava sfidando.
Federico sapeva che in quel momento Squalo era costretto a
non poterlo vedere, ma sapeva anche bene che quella notte
sarebbe entrato silenziosamente in camera sua, come faceva tutte le
volte in cui il padre per punizione gli vietava di vederlo, e avrebbero
parlato per tutta la notte. Entrambi sapevano che il padre era a
conoscenza del fatto che Squalo e Federico di vedevano di notte, ma fino a quel
momento non aveva detto nulla, forse anche quella era una punizione
perché la mattina entrambi si svegliavano con solo un
paio di ore di sonno.
«Gli piaci!» Rispose consapevole della reazione del
fratello. Infatti Squalo strinse le labbra e lo guardò furente.
«Sta zitto!» Si girò e si chiuse bagno
sbattendo la porta. Federico se la rise sotto i baffi e tornò a
disegnare. Si sarebbe divertito tantissimo a prenderlo in giro quella
notte e si sarebbe divertito ancora di più a vederlo trattenersi
dall'urlargli contro. Continuò a sorridere riempendo il sole che
aveva disegnato, a differenza del fratello a lui la pioggia metteva
tristezza, ma se c'era Squalo con lui non poteva essere triste,
perché gli occhi di Squalo che guardavano la pioggia
sprigionavano il sole. Era talmente tanto bello che non poteva non
pensare a quelle gocce d'acqua come tanti piccoli raggi di sole. Si
chiuse nelle spalle e prese un nuovo foglio su cui disegnare un nuovo
sole.
Squalo si mise sotto il getto d'acqua gelida sperando che questa
potesse fargli sbollire la rabbia. Federico si divertiva e Squalo lo
sapeva, alla fine poi si sarebbe fatto perdonare, e lui ogni volta lo
avrebbe perdonato anche se gli diceva sempre che sarebbe stata l'ultima
volta.
Questa volta però l'aveva fatta più grossa, non era
semplicemente
l'aver fatto un sole sul suo quaderno, aveva fatto vedere i suoi
appunti a Dino. Imperdonabile, pensò, ma sorrise. Pensò
al broncetto che avrebbe fatto suo fratello, a quando gli avrebbe
detto che Dino gli stava simpatico perché aveva gli occhi buoni,
perché lo sapeva che aveva pensato questo, chi non l'avrebbe
pensato guardando gli occhi di Dino. Poi pensò anche a quanto
l'avrebbe preso in giro perché "gli piaci!", anche se poi in
realtà quell'affermazione non l'aveva colta del tutto. Squalo
sapeva che Federico non si risparmiava domande imbarazzanti e Dino si
imbarazzava facilmente e quando si imbarazzava diventava ancora
più trasparente, gli si poteva chiedere di tutto e lui avrebbe
risposto sinceramente portandosi una mano a torturarsi la nuca. Era
adorabile, ma questo di certo non l'avrebbe detto né a Dino
né a Federico, già doveva sforzarsi per ammetterlo a se stesso.
Dino era, dopo Federico, l'eccezione alla regola al suo modo di
relazionarsi. Nonostante mostrasse sempre la faccia burbera,
Dino riusciva anche a farlo sorridere e rilassare. Certo, puntualmente
arrivava sempre qualche caduta o qualche piccolo guaio che lo facevano
arrabbiare, questo almeno all'inizio, con il tempo però ci stava
facendo l'abitudine, rideva perfino di lui dopo essere inciampato nel
nulla ed aver stretto le labbra arricciando il naso. Iniziava a
piacergli la sua sbadataggine, ma tanto nemmeno questo avrebbe
mai ammesso, né ora né mai.
Si appoggiò alle mattonelle, era stanco morto, sia fisicamente
ma sopratutto mentalmente. Era stata una giornata stressante e il
peggio era che non era ancora finita, doveva affrontare a colpi di
battute Federico. A Squalo non erano mai riuscite le battute, con tutto
che si sforzasse a trovarne di buone, con tutto che cercava di prendere esempio
da suo fratello, proprio non riusciva, poteva riuscire a fare
dell'ironia ogni tanto, ma era un'ironia aspra. Preferiva di gran lunga
mandare tutti a quel paese, era più facile.
«Squalo» bussarono alla porta, era la madre «c'è il tuo amico» ci mancò poco che
scivolasse nella vasca.
«Che cazzo vuole» non era diretto alla madre di certo.
«Non essere così volgare» sbuffò irritato «è un tuo amico dovresti»
«Che palle!» la interruppe e nemmeno si pentì.
Uscì dalla doccia senza nemmeno ascoltare la madre
che titubante continuava a dire qualcosa sul fatto che non avrebbe dovuto trattare
male le persone e forse anche qualcosa sugli ospiti, ma nemmeno aveva capito dato
che parlava a voce troppo bassa.
"Fanculo", pensò infilandosi
maglietta e pantaloni ed uscendo dal bagno senza nemmeno curarsi di
guardare la madre o dirle qualcosa. Si diresse al piano inferiore dove
già si aspettava Dino seduto sul divano a torturarsi le mani
dall'imbarazzo.
Quello che vide però lo spiazzò: Dino stava parlando con suo padre.
«Squalo!» in quel momento odiò tutto
quell'entusiasmo, odiò la sua voce, i suoi occhi e il suo
sorriso.
Dino gli porse il panno bianco avvolto in quello che sembrava un grande quadro. Che diamine era?
«Ti ho portato la tavola che hai dimenticato in macchina»
Squalo si accigliò. La tavola? Ma non poteva inventarsi qualcosa
di migliore?
«Dino ci ha detto che frequenti un corso d'arte» la voce della donna gli punse le spalle.
«Mi dispiace averti rovinato la sorpresa!» Squalo strinse
i pugni. Allora, infine, Dino era più idiota di quel che credeva.
L'albino guardò il padre che pacatamente guardava il biondo che
si sbracciava in varie ricerche di scuse. Distolse lo sguardo e lo
portò verso il basso.
«Non importa» scrollò la testa e di nuovo si
ritrovò a guardare il padre che questa volta lo fissava con uno
sguardo indecifrabile: era la prima volta che non sembrava
distante.
Squalo deglutì e Dino portò di nuovo in avanti la tela.
Ma era davvero una tela? Notò un piccolo rigonfiamento nel
panno, quella era sicuramente l'elsa della sua spada, non c'era dubbio.
Forse così stupido non era, ma perché riportargliela
proprio ora?
«Dino, vuoi rimanere a cena?» Squalo si morse il labbro
inferiore stizzito. Quella donna parlava sempre troppo, ma dopo tutto
quel blaterare sull'essere cortese con gli ospiti poteva aspettarsi un'uscita del genere.
«Nessun disturbo» disse a quel punto l'uomo seduto
comodamente sulla poltrona. Lo sguardo di Dino si illuminò
ancora di più, ma quando guardò gli occhi grigi e
irritati di Squalo gli si bloccò il fiato in gola.
«Dino, che bello, sei tornato!» Federico scese di corsa
le scale e andò ad abbracciarlo. Squalo si stupì di come
il fratello fosse tanto amichevole con qualcuno che aveva conosciuto
sì e no due ore prima e con cui aveva parlato per poco tempo. Si
stupì di come il padre sembrava tranquillo alla vista di tutta
quella vivacità e di come sua madre sorrideva serena. Si
sentì ancora una volta fuori posto: quella non era la famiglia
che conosceva. In un attimo tutto gli sembrò estraneo e una
fitta alla bocca dello stomaco gli face salire un doloroso groppo alla
gola; quella era la famiglia che i suoi genitori avevano sempre
desiderato. Squalo era la tessera sbagliata in quel puzzle
perfetto, era quello che aveva rovinato tutto.
«Ti prego resta!» disse a quel punto il ragazzo
più piccolo e Dino non seppe dire di no. Non guardò
Squalo negli occhi per non sentirsi in colpa, ma ugualmente
sentì il rimorso grattargli la gola.
«Devi avvertire casa» si avvicinò la donna con il telefono in mano.
«Grazie signora!» sorrise come al suo solito e prese il telefono.
«Oh caro, non chiamarmi signora, chiamami Letizia, dammi pure
del tu.» era bella, pensò Squalo, quando sorrideva in
quel modo, eppure continuò a non vederla come sua madre.
Dino portò l'indice a grattarsi la guancia in modo distratto.
«Ci proverò» e la donna rise cristallina.
«Intanto potete andare su, la cena non è ancora
pronta» poi la donna guardò Squalo «e dagli qualcosa per
asciugarsi, non vorrei prendesse un malanno» concluse con tono
nettamente diverso a quello con cui si era rivolto a Dino. A quel punto
anche il biondo guardò Squalo: aveva lo sguardo basso e stava
sicuramente
stringendo la mascella. Si dispiacque, ma prima che potesse anche solo
sentirsi lo stomaco strizzarsi, Federico lo aveva preso per mano e si
erano diretti
verso le scale, dove poi aveva preso anche il polso del fratello
trascinandoli entrambi al piano superiore.
«Io...» disse una volta entrati nella camera di Squalo, dove li aveva trascinati Federico.
«Chiama prima che ti dimentichi, coglione» disse l'albino
per poi guardare il fratello e stringendo il pugno, imitando un
cazzotto.
«Mi uccidi dopo» ridacchiò il più piccolo
facendosi scudo con le braccia. Squalo abassò la mano e storse
la bocca in una smorfia.
«E
tu» puntò il dito vero Dino «se dici che ti dispiace ti
taglio la lingua» l'amico alzò le mani e subito dopo compose il
numero.
«Romario, puoi andare a casa, rimango qui» Dino
guardò fuori dalla finestra la macchina ancora parcheggiata.
«Idiota, poteva anche uscire e dirglielo» borbottò l'albino.
«Ma piove, è meglio così» Dino
guardò Squalo e sorrise colpevole facendo spallucce, l'altro
sbuffò e guardò verso destra.
«Certo, sì. Grazie Romario, ciao!» attaccò poi e osservò la macchina allontanarsi.
«È la prima volta che un amico di Squalo viene a cena»
«Sì, sì, sta zitto!» Fece acido Squalo buttandosi sul letto. Federico ridacchiò divertito.
«Hai i capelli bagnati» Dino indicò verso la sua testa e Federico rise.
«Chissenefrega» si girò di lato dando le spalle ai due.
«Sei sempre scontroso, anche quando ci sono i tuoi amici»
Squalo sospirò profondamente irritato. Era anche normale che
fosse arrabbiato no? Insomma un completo estraneo alla sua famiglia,
piombava in casa per ben due volte nello stesso giorno e già veniva
invitato a rimanere per cena. Ma ovviamente non era quello il problema, il
problema era che aveva già simpatizzato con tutti, come era
possibile Squalo non lo sapeva, però gli si strizzarono le
membra al solo ricordo dello sguardo più o meno tranquillo e non
duro del padre, uno sguardo che non aveva mai visto rivolto a lui. A
dire la verità poi quello sguardo non l'aveva mai rivolto a
nessuno da quanto ne sapeva, e questo gli andava quanto mai scomodo, il
perché non lo sapeva, dopotutto non era Dino che gli dava
fastidio, tantopiù se ne fregava del padre. Come
poteva essere però che Dino fosse riuscito così
facilmente a parlare con l'uomo, e cosa si erano detti? Si accorse
però di non volerlo sapere.
Federico prese la tela e tolse il panno.
«Che bello!» Esclamò Federico guardando il dipinto. Dino si sporse per guardare.
«È la copia dei girasoli di Van Gogh» sentenzia
pensieroso. Federico si sedette a terra e alzò il quadro
spostandolo e girandolo per guardarlo in tutte le angolazioni possibili.
«Certo che» Squalo si girò di nuovo andando a
guardare l'amico «te ne potevi inventare una migliore»
alzò il busto e lo guardò accigliato. Dino si
grattò la nuca.
«È stata la prima cosa che ho pensato» fece tra un sorriso e l'altro. Squalo scosse la testa in diniego.
«Potevi anche risparmiarti di tornare» non pensò
molto a quello che aveva detto, ma Dino sembrò non prendersela
troppo.
«Non passano inosservate certe cose, a scuola non te l'avrei
comunque potuta portare» Federico a quel punto guardò il
biondo e poi il fratello.
«Ha ragione» annuì e fece cenno a Dino di sedersi
a terra. Il biondo sorrise e fece per sedersi inciampando come al solito nel
nulla e dando una poderosa sederata a terra. Si lamentò dolorante e Federico lo
guardò preoccupato.
«Ti sei fatto male?» Allungò il collo per
assicurarsi delle condizioni del ragazzo e questi alzò lo
sguardo verso di lui e rise.
«No, no sto bene, mi capita spesso di cadere» Squalo schioccò la lingua in un "tsk" scocciato.
«Dai Squa, non fare così» disse a quel punto il
fratello guardandolo con la fronte corrugata, ammonendolo del suo
comportamento burbero.
«Ora che mi invento con la storia del corso» Dino stese
le labbra forse rendendosi conto solo in quel momento del problema che
si era venuto a creare.
«Partecipi al corso» rispose il più piccolo
tranquillamente. Squalo lo guardò come se avesse bestemmiato.
«Voooi! Ma anche no!» aveva dunque esclamato alzandosi in
piedi ed iniziando a percorrere in lungo e in largo la stanza
«Non ci penso nemmeno» finì per dire, chinandosi a
prendere il panno con cui poi avvolse la spada.
«Se trovi altre soluzioni» lasciò in sospeso il biondo. L'albino lo guardò furente.
«Certo che le trovo!» aprì l'armadio e ripose la
spada come al solito sotto libri e quant'altro fosse possibile per
poterla nascondere.
«Anche a me piacerebbe tanto partecipare ad un corso di
disegno» sembrò più una frase detta fra sé
e sé, riprese poi a girarsi il quadro tra le mani.
«Non è la fine del mondo» disse Dino rivolto a Squalo che aveva sbattuto le ante dell'armadio.
«Lo è invece, non voglio fare quel corso del cazzo» Dino sbatté gli occhi più volte.
«Puoi anche solo fare finta» di nuovo Squalo si
ritrovò a lanciare uno sguardo esterefatto, questa volta diretto
a Dino.
«Torni a casa un po' più tardi il venerdì» spiegò.
Squalo rimase in silenzio per una dozzina di secondi. Si ritrovò
a riflettere su quel punto: sarebbe stato costretto a vagare a vuoto il
venerdì pomeriggio. Non che gli dispiacesse, tanto a casa la
maggior parte delle volte non ci voleva tornare, però non aveva
mai pensato ad un'eventualità simile e di conseguenza si
ritrovò a pensare a quanto cattiva fosse quell'idea. Era
difficile per Squalo stare fermo con le mani in mano, non ci riusciva proprio.
La prospettiva di ritrovarsi a vagare nei dintorni della scuola non lo
allettava affatto, come gli dispiaceva sprecare un pomeriggio senza
poter migliorare la sua abilità con la spada.
Dino non sapeva
quello che diceva, non c'era alcun dubbio, ma forse pensandoci
attentamente avrebbe capito che quella erano tutto fuorché
parole dette senza logica.
«Potresti tornare anche dopo papà» fece a quel punto Federico.
«Vooooi! E secondo te gli fa piacere se faccio un corso del cazzo
come quello?» sbottò sedendosi anche lui a terra.
«Non sembrava tanto dispiaciuto» Squalo lo guardò
interrogativo, in effetti, dovette ammettere, non gli era sembrato affatto arrabbiato.
Squalo trattenne il fiato e lo sguardo cadde sul
quadro: quei girasoli erano orribili. Si lasciò andare un
ennesimo "tsk" e digrignò i denti.
«Posso abbandonare il corso»
«Che stupido» se ne uscì subito il fratello in
risposta. Squalo girò velocemente la testa e lo guardò
arrabbiato mollandogli poi un cazzotto sulla spalla.
«Non voglio cacciarmi nei guai!» Federico si massaggiò la parte lesa facendo un broncio offeso.
«Non ti cacci nei guai» rispose infine cacciando fuori la
lingua. Squalo gli diede un altro cazzotto, sempre sulle stesso punto,
e Federico si lamentò mentre Squalo diceva cose come "ben ti
sta" e "la prossima volta ti spezzo il braccio".
Dino rimase in silenzio pensando al grande guaio che aveva combinato.
Alla fin fine però sembrava la soluzione più logica. Non
sapeva ovviamente cosa intendeva Squalo con "guai", ma sapeva che
l'amico non era il tipo da spaventarsi facilmente, né si tirava
indietro davanti a situazioni difficili. In quel caso se era tanto
preoccupato una ragione c'era e dunque doveva trovare una soluzione,
perché era stato lui a creare quel problema tornando a casa sua.
Però come avrebbe potuto fare? Avrebbe potuto tenersi la spada
e trovare un altro momento per riportargliela, ma alla fine aveva deciso
di tornare indietro e portargliela subito. Non sapeva bene il
perché, ma forse inconsciamente aveva pensato che tornando a
casa di Squalo almeno si sarebbe tolto il peso dell'angoscia che si
sentiva da quando aveva riportato l'amico a casa. Quando infatti aveva
sentito la madre di Squalo invitarlo in casa e dirgli di attendere
qualche attimo, si era sentito più rilassato capendo che non gli
era capitato nulla.
Quando Dino aveva detto a Romario di tornare a casa, aveva iniziato a
pensare di tutto. era passato dal pensare che Squalo si sarebbe beccato
una strigliata con i fiocchi, fino ad arrivare a Squalo chiuso in
camera al buio in un angolo. Non era nemmeno troppo tragico, ma non
riusciva proprio a pensare a punizioni più dolorose,
anche se davvero il padre di Squalo a prima occhiata poteva sembrare
molto severo, tanto da imporre la disciplina a suon di bastonate. Ma
davvero, Dino non voleva nemmeno pensare ad una cosa del genere.
Aveva poi visto la spada dimenticata da Squalo e non aveva potuto fare
a meno di pensare di riportargliela subito, era ovvio che il suo
cervello avesse lavorato di subinconscio.
Dino aveva chiesto a Romario
se per l'ennesima volta quel giorno avesse potuto fargli un favore.
Romario era sempre stato un tipo paziente, per questo aveva accettato.
Inizialmente gli aveva consigliato di riportarla un altro giorno, solo
che Dino non ci aveva voluto pensare troppo ed aveva insistito sul
dover riportare subito l'oggetto al proprietario. L'uomo dunque lo
aveva riportato indietro mentre Dino si scervellava ad alta voce
agitando le mani, cercando di trovare un modo per nascondere la spada.
Poi tra un agitarsi e l'altro aveva trovato la soluzione del quadro
anche se Romario non sembrava affatto convinto, ma il ragazzo era
così tanto soddisfatto della sua genialata che non aveva potuto fare a meno di approvare.
Per grazia divina oltretutto non era caduto rovinosamente a terra
mentre correva verso la porta della casa del suo amico. Quando gli fu
aperta la porta, mostrando la donna che, quando l'aveva visto, aveva
sorriso solare si era sentito sollevato da un peso. Si era pentito
inizialmente, perché solo in quel momento aveva potuto
accorgersi di come Squalo non avrebbe accettato il suo ritorno, poi
però, quando il padre di Squalo si era presentato, aveva
dimenticato il motivo per cui si era sentito tanto angosciato fino a
pochi minuti prima. Seppure lo sguardo dell'uomo potesse sembrare duro,
freddo e distante, si era presentato in modo molto gentile e nemmeno si
era trovato a disagio a parlare con lui.
«Tieni»
un asciugamano arrivò dritto in faccia a Dino «saresti un
problema con la febbre» fu la volta di Squalo di beccarsi un
pugno sulla spalla.
«Sei tu il problema» aveva detto Federico sogghignando.
«Voooi,
pezzo di merda, guarda che te lo spezzo per davvero il braccio!»
Dino rise divertito davanti alla scena di Squalo che si buttava sul
fratello: quei fratelli gli piacevano proprio tanto.
Finalmente il quinto capitolo! Dopo quasi sei mesi di blocco,
ritorno ad aggiornare, mi sembrava ingiusto fermarmi, anche se
più scrivo più penso di aver sbagliato tutto quanto.
Rileggendo i capitoli precedenti ho trovato molti errori, ho corretto
qua e là quelli più evidenti, non ho modificato la trama
e non ho cambiato nulla, ho tolto solo qualche frase di troppo e
corretto gli orrori grammaticali, anche se credo di non aver corretto
tutto per bene, ma non importa. Sì, importa, ma li
rivedrò più in là con molta più calma.
Detto questo: il capitolo di per sé non dice molto, mi rendo
conto che la storia sta andando per le lunghe per questo
cercherò di essere più breve nei prossimi capitoli e di
aggiungere fatti più concreti.
Vediamo Dino che ha combinato uno dei suoi geniali guai, e vedremo (nei prossimi episodi...) come si evolverà il tutto.
Non so se avete notato, ma il capitolo è più lungo (quindi?!)! Ci sono oltretutto tanti, ma tanti tanti discorsi diretti, quindi... Niente, ci sono tanti discorsi diretti (?).
Premetto già che nel prossimo capitolo, da come forse avete potuto intuire, accadrà di tutto.
Come ho detto prima, penso che la storia sia iniziata male e mi sto
sforzando molto per trovare un modo per migliorare la situazione. Ci
proverò, lo prometto, vediamo cosa ne esce (a chi importa?!,
vabbè 8D).
Mi dispiace tantissimo per il ritardo e non mi aspetto recensioni
(evvai), però mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e se
notate degli orrori non fatevi alcuno scrupolo a segnalarmeli, anche
uno alla volta (questo però vi toglierebbe un sacco di tempo),
le critiche sono sempre ben accette.
Ringrazio come sempre tutti coloro che preferiscono, ricordano e
seguono la storia e anche coloro che leggono ovviamente e un
ringraziamento anche alle buone anime che arrivano fino alle noiose
note di una povera vacca-banana come me 8D.
Per le recensioni ringrazio direttamente nella pagina recensioni, che amo e non smetterò mai di dirlo 8D
*Naviga via sulla sua Banana Boat*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=606677
|