Amanda Sprint e la sua leggendaria storia

di small
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amanda (parte I) ***
Capitolo 2: *** Amanda (parte 2) ***
Capitolo 3: *** Scatto e Felino ***



Capitolo 1
*** Amanda (parte I) ***


 

 

 

CAPITOLO I

AMANDA (parte I)

 

Amanda era una strega. Chiunque al suo posto sarebbe stato strafelice di esserlo, ma lei proprio non riusciva a capire perché quel destino fosse toccato proprio a lei. Come strega non era granché. La sua bruttezza non faceva rompere tutti gli specchi, odiava i rospi e le lucertole, non sapeva volare sui manici di scopa, era allergica ai gatti e nessuno la teneva in gran conto…oh, quasi dimenticavo, i suoi voti nelle materie più importanti a scuola erano bassissimi e non riusciva proprio a fare del male a qualcuno. Il giorno in cui ebbero inizio le sue grandi avventure, stava seduta su un tronco della Foresta Bruciata a contemplare un tritone abbrustolito. Il paesaggio attorno a lei era stato eletto il più adatto come simbolo del Regno Stregonesco. Non c’erano alberi dalle chiome rigogliose e verdi, ma solo tronchi spezzati, bruciati, tagliati. Le uniche piante che crescevano indisturbate erano un paio di arbusti marroni e neri, appassiti non per il caldo, ma per la tristezza che ogni roccia diffondeva. Amanda avvicinò il naso a gobba al tritone. Era un animaletto verde, anche se in alcuni punti le sfumature erano giallognole. La strega sospirò. Tolse gli occhi verdi, tondi e grandi, stravaganti ed eccentrici, dall’animale. Forse un giorno avrebbe trovato un tritone rosso, si disse. Incurvò appena le labbra fine, violette, perché nel Regno Stregonesco nessuno rideva veramente, si facevano al massimo delle strane smorfie di felicità. Amanda prese il mantello nero che aveva poggiato a lato e se lo rimise, coprendo la chioma viola scuro con il cappuccio. Si specchiò un attimo in una pozzanghera. Il suo foruncolo sul naso era piccolo, rosa e per nulla spaventoso. Sospirò e abbottonò il mantello, nero come gli altri. Le sue scarpe annaspavano nel fango mentre, pensierosa, si dirigeva nella città principale: Stregopoli. Il sentiero si strinse, poi un’ansa, un piccolo ponte instabile ed ecco la città. C’erano case basse, con tetti di paglia e porte di mattoni, altre erano più alte ed avevano stecche di legno sul tetto, altre ancora erano molto simili a villini, lasciati andare in malora, con cupe nubi di fumo che uscivano dai comignoli e strani amuleti appesi sulla porta. Le strade erano fatte grossolanamente di pietre e mattoni, alcuni spuntavano all’improvviso, come se volessero artigliare il piede del passante. Una sola strada attraversava tutta la città, arrivando di fronte al Palazzo delle Streghe Eccellenti, il PSE, dove abitava la regina, le sue consigliere e il resto delle parlamentari. Il PSE era un mostro orribile, con ben nove torri come braccia, disperse in tutte le direzioni. Le mura erano irregolari e non lasciavano spiragli, una sola torre seguiva l’andatura irregolare dei muri, la Torre della Regina, che risaltava sul resto del Palazzo come una macchia scura su un foglio bianco. Amanda si fermò davanti al bar del Vecchio Zio Frankenstein. Li dovevano esserci sicuramente le sue compagne di scuola Odretta, Meriga e Verdognola. Entrò, facendo tintinnare di un suono cupo come la notte i campanelli appesi alla porta. Il barista, un uomo corpulento, con capelli grigi e un naso così lungo da sembrare un manico di scopa, la guardò con gli occhi neri, vuoti. Il suo sguardo si perse dietro di lei, al rinnovato suono di campanelli. Amanda si guardò intorno. Il locale era squallido, illuminato appena dal tepore lunare magico proveniente da una lampada ad olio appesa al soffitto. I tavoli erano occupati da uno o due individui ciascuno. Indossavano tutti lo stesso lungo e nero mantello. Amanda andò dritta, senza rivolgere a nessuno lo sguardo, verso il tavolo vicino alla finestra, dove stavano sedute le sue “amiche”, chine sui libri scolastici. Odretta era la più grassa, settanta chili portati tutti sulla pancia, capelli verdi e a ciocche, come quelli dei polipi, occhi grandi, enormi e strabici, di un colore nero scurissimo. Meriga, invece, era la studiosa. Labbra grosse, nere, enormi, che le sovrastavano il volto, nascondendole gli occhi grigi, fini e piegati all’ingiù. Oltre alle labbra dominavano il suo volto i capelli rossi e ricci, come la chioma di un albero. Verdognola meritava in pieno il suo nome per il colore dei suoi capelli, della sua pelle e dei suoi occhietti acquosi, piccoli e stretti, vicini al naso abbastanza per darle un aspetto orribile. Le tende nere della finestra vicino a cui sedevano erano tirate, come le altre, e non si vedeva quasi nulla, poiché il tavolo era lontano dalla tiepida luce lunare. Amanda, arrivata al tavolo, spostò una sedia e si sedette, sapendo che non c’era bisogno di alcun saluto speciale. Con sguardo vacuo fissava intensamente un punto del bancone, senza realmente vederlo. Ad interrompere il silenzio per prima fu Verdognola che, sistemata una ciocca di capelli verdi dietro le spalle, disse con tono cantilenioso e beffardo:

  • - Allora, Amanda, hai trovato il tuo tritone rosso vivo?
  • La ragazza si costrinse a spostare gli occhi verdi sull’amica, con estrema calma esaminò ogni zona del suo cervello per trovare la risposta più adatta da darle. Ma la sua innaturale tranquillità e pacatezza non le permisero di trovare pensieri abbastanza perfidi, quindi rimase in silenzio, sentendosi colpevole. Odretta, che conosceva bene il carattere odioso di Verdognola, si intromise nella discussione che si sarebbe potuta aprire.

  • - Verdognola amara, lasciala stare – disse con la vocina stridula che la distingueva – Vedi che la nostra odiata Amanda non ha parole per descriverci il suo fallimento. Lascia correre. Non devi obbligatoriamente dimostrare che avevi ragione tu. Sono sicura, parola di strega, che la nostra odiosa amica terrà d’ora in poi conto dell’importante lezione di oggi – fece una pausa, assaporando il gusto di rimbeccare Verdognola (bada lettore che quelli che a te sembrano insulti ad Amanda sono espressioni comuni nel Regno Stregonesco, ove parole come “cara”, “dolce”, “tesoro” sono sconosciute), poi riprese con tono sicuro – Meriga, a proposito di compiti, hai sentito oggi che noia letale la lezione di Storia delle Streghe-Grandi Antenate?
  • Quest’ultima, sentendosi chiamata in causa in una questione che poco le piaceva, alzò pigramente la testa facendo tintinnare il cappuccio del mantello, a cui aveva appeso diversi campanelli, e scelse con cura le parole da usare.

  • - Non so, Odretta odiosissima – replicò con calma, mentre chiudeva un enorme libro intitolato “Mille modi per cucinare i cani morti” – Se devo dare il mio modesto parere, ecco… oserei definirla quasi interessante. Mi spiego. Era noiosa per la voce soporifera dell’insegnante, che raramente attrae la nostra attenzione se non per i primi tre pipistrelli di appello (nel Regno Stregonesco i minuti sono i “pipistrelli”, le ore le “scope” e i secondi i “calderoni”), ma… come dire… il contenuto della spiegazione era altamente istruttivo e di grande importanza per noi giovani streghe, ancora da formare totalmente.
  • Le parole erano state dette, scelte con cura e dotate della giusta enfasi. Nessuno era superiore a Meriga in fatto di parlantina. Nessuno riusciva ad eguagliarne il linguaggio schietto e talvolta provocatorio. La strega aveva conciliato le sue idee senza offendere il carattere impetuoso dell’amica e di questo andava non poco fiera. Verdognola, che l’ammirava, batté le mani, entusiasta.

  • - Oh, ben detto, tristissima Meriga. Io non avrei saputo spiegarlo meglio – e qui diede in un risolino acuto – La professoressa Viscivola ci ha fatto capire esattamente i vantaggi di essere streghe. È riuscita a trasmetterci la sua ammirazione per il Regno Stregonesco, disapprovando totalmente e giustamente le frivolezze che caratterizzato quella pagliacciata del Regno Fatato. Le fate, bah! Esseri infernali che assumono le fattezze angeliche, per ingannare e ammaliare. Se ci sono mostri, creature ed esseri in generale più orribili di loro, io sono una lucertola.
  • E detto ciò annuì vigorosamente con la testa e incrociò le braccia, convinta di aver appena dimostrato un argomento ormai indiscutibile, su cui non potevano esservi più dubbi. Un complicato teorema. Ma Amanda, per quanto taciturna e schiva, non era d’accordo e, in questa occasione, le salì per tutto il corpo il coraggio di esprimersi liberamente.

  • - Ma cosa ne sappiamo noi, in fondo? – chiese, con un filo di voce, rauca, come se fossero secoli che non si schiariva la gola – Voglio dire – aggiunse, preoccupata dai volti increduli delle amiche – Nessuna strega è mai andata nel loro mondo, nessuno del nostro regno sa come sia fatto veramente. È… e si sbagliassero? Se non fosse come dicono loro? Insomma, siamo pronti ad accettare un’altra eventualità?
  • Abbassò la testa, consapevole di aver osato troppo. Persino Meriga la guardava sorpresa, lasciando la lingua viola penzolare dalla bocca aperta. Odretta aveva gli occhi fuori dalle orbite, girando folli per altre galassia. Verdognola fissava Amanda come se non la conoscesse, disprezzandola forse. La situazione era alquanto imbarazzante, tanto per Amanda, quanto per le altre. Ma si sa, in certi casi nei libri giunge sempre un aiuto esterno. In questo caso si tratta di un bel giovane stregone, per la precisione l’aiutante del barista. Il giovanotto non doveva avere più di venti anni. Era di costituzione sottile e la sua pelle era bianca e perlacea come il latte. Aveva scuri capelli neri, lasciati cadere scompigliati fin sotto le orecchie. Gli occhi erano viola, un po’ strabici, ma nel complesso dei migliori. Indossava una logora giacca di pelle nera, che gli si attillava perfettamente sul corpo snello. Con fare professionista e con un sorriso che spezzava numerose speranze, si avvicinò con passo sicuro al tavolo delle quattro streghette.

  • - Vi serve aiuto? – chiese, educato.
  • Amanda strabuzzò gli occhi, non perché fosse venuto qualcuno a prendere le ordinazioni, ma piuttosto perché quel qualcuno era suo fratello.
    -E tu cosa ci fai qui?
    La domanda non sembrò turbare più di tanto Elseto, ma solo infastidirlo, come una mosca che appare nel momento più inopportuneo.
    -Lavoro – rispose, semplicemente – Perché non si vede, odiosa sorella? – aggiunse in tono un po’ accusatorio e un po’ beffeggiatorio.
    Amanda ricompose il volto e poi rispose a tono all’unica persona che aveva il coraggio di sfidare così apertamente, perché sapeva bene che dal fratello non poteva venire alcun male.
     - Elseto! Papà ti aveva detto che se ti ripescava a lavorare quando dovresti studiare per il tuo esame, ti avrebbe appeso per la caviglia nel ripostiglio. Io ne sarei minimamente preoccupata.
    - E questo perché non lo conosci e in parte sei fifona, Amanda. Infatti nostro padre non farebbe mai una cosa del genere per il semplice fatto che mi ricoprirebbe di disonore. Così, anche se passassi l’esame finale, non potrei mai far carriera nel Parlamento Stregato. Meriga, odiosa – disse, rivolgendosi all’amica d’ Amanda, con voce più tenera – Come sta la tua infelice sorella Malincona?
    Meriga aveva, infatti, una sorella della stessa età di Elseto e tra i due l’amore era stato immediato. Malincona, poiché era questo il suo nome, aveva lunghe trecce nere, folte, che le cadevano accidentalmente sulle spalle, coprendo il collo azzurro. I suoi occhi erano grigi, quasi trasparenti, e per questo conosciuti con il nome “i fantasmi di Connervo”. Connervo era il nome del padre di Meriga e Malincona; era tenuto in gran rispetto da tutta la comunità, perché possedeva l’unica biblioteca esistente in tutto il Regno Stregonesco, la biblioteca “Mollusco”. Ma sulla descrizione di questo imponente edificio ci fermeremo nelle prossime pagine. 
     

     

    -Bene, grazie – rispose pronta, come sempre, Meriga, benché la sua voce tradisse una leggera nota d’impazienza per quella conversazione che, a suo modesto parere, si stava troppo prolungando.
    La strega fece uno sforzo immenso per sorridere, o imitare quello che nel Regno Stregonesco era chiamato sorriso. L’orologio dietro il bancone cominciò a cinguettare una strana melodia, ricordando a tutti che era ora di tornare a casa. Con aria melanconica le streghe apprendiste infilarono i loro libri nelle borse e si trascinarono fuori dal bar, lasciandosi alle spalle l’insolita conversazione che avevano avuto sulle fate.


    Ho fatto un po' di casino con l'htm, ma conto di riuscire a maneggiarlo meglio al prossimo capitolo... spero che v piaccia e che sia tutto abbastanza chiaro. Fatemi sapere cosa ne pensate!!!
     

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    Capitolo 2
    *** Amanda (parte 2) ***


     

    Amanda (parte II)
     



    - Amanda! – strillò la madre, non perché volesse rimproverarla, ma semplicemente perché quello era il suo consueto tono di voce – Era ora che tornassi, cominciavo a preoccuparmi. Ricorda che sei una Strega Minore, di appena diciassette. Mentre tuo fratello è uno Stregone Maggiore, che fra poco diventerà anche un membro del Parlamento Stregato, il PS. Devi tornare prima a casa! A proposito…dov’è Elseto?
    Amanda sospirò, non per la critica, che ormai le veniva rivolta quasi ogni giorno, ma per la risposta che doveva dare.
    - Ho incrociato mio fratello al bar…molto probabilmente poi sarebbe passato da Malincona.
    La reazione della madre non si fece attendere. Cominciò ad ingiuriare contro tutti, dicendo che quella stregaccia della biblioteca avrebbe rovinato l’avvenire del figlio. E giù, con altre tirate, ancora, ancora e ancora…
    Amanda si concesse un secondo per guardarla, come se la vedesse per la prima volta. Aveva ombre grigie dietro la pelle, cosa che però le donava immensamente. Gli occhi erano tondi proprio come quelli della figlia, anche se la madre li aveva color ambra chiaro, in perfetta sintonia con i capelli gialli che le cadevano flosci sulle spalle. Le labbra sempre contorte e quel naso…lungo, piegato, orribile al punto giusto. Amanda aveva infinite foto della fanciullezza della madre e adesso si accorse di quanto fosse cambiata. La sua pelle non era liscia, ma rugosa, incavata, le guance non erano di colore vivo, ma scure e piegate verso il basso, come le mascelle di alcuni cani. Continuò così per un po’, fino a quando la Strega Minore, disgustata da quello che aveva appena visto, decise di porre fine alla sua angoscia.

    -  Madre, vi dispiace se andiamo a cena? Probabilmente mio padre ci aspetta.
    La madre guardò stizzita la figlia, come se avesse interrotto qualcosa di molto importante. Si domandò perché non capisse quanto lei, madre, desiderava vedere il figlio occupare un’alta carica. Ma rinunciò a spiegarlo ad Amanda, convinta che la ragazza non l’avrebbe mai capita, e qui si sbagliava di grosso. Appese alla coda dell’animale impagliato, che faceva da attaccapanni, il mantello nero della figlia ed entrarono insieme nel salotto. In quest’ultima stanza vi era un uomo ben piazzato, con le spalle larghe e una costituzione robusta, che leggeva affabilmente un giornale, il “Quotidiano delle Streghe-Cronache Mondane e Altro”. Aveva corti capelli verdi e occhi strabici, di color nero. Il naso era lungo e all’insù, con un foruncolo tra gli occhi. Le sopracciglia occupavano tutta la fronte del padre di Amanda, dandogli un aspetto che poteva pretendere solo il più intenso rispetto. La strega si sedette vicino all’uomo, poggiando le mani sulle ginocchia. Il padre la guardò sottecchi.

    - Dov’è Elseto? Sarebbe dovuto tornare da un pezzo. Tra una settimana ha gli esami e deve solo riposare. Allora, Amanda, dov’è tuo fratello? Vuoi darmi una risposta!
    La fanciulla si costrinse ad interrompere la sua conversazione mentale, quando intervenne la madre, appena entrata nel salotto.
    - Da quella bibliotecaria di un pipistrello. Ho detto mille volte che non volevo più vederlo uscire o anche solo conversare con quella, ma ti pare che mi dia retta?! No! In fondo, io non parlo certo per il suo futuro…scherzi? Io, che mi preoccupo per il suo futuro? Ma ha preso una botta di sole? In fin dei conti…sono solo sua madre!
    Si interruppe, aspettando la reazione del marito, lieta di essersi nuovamente lamentata per quanto e per come la facesse soffrire Elseto, trascurando il suo dolce amore materno.
    - Odiata Infelicita, su! Capisco il tuo grande ardore, anche la tua immensa angoscia, che condivido in pieno, poiché tengo tantissimo alla carriera di nostro figlio. Ma ti prego, datti una calmata. Sono le venti ed è da tredici scope che non tocco cibo. Forza, servi la cena e poi penseremo ad Elseto. Fallo per me, Infelicita, per il tuo triste Derido.
    La signora, benché molto contrariata, andò in cucina e prese la zuppa calda, con gli occhi di rospo. Portò il pentolone nell’altra camera e cominciò a fare i piatti. Stavano giusto iniziando a cenare quando arrivò Elseto. Aveva sul volto quella strana smorfia simile ad un sorriso. Subito la madre si alzò, tempestiva, pronta ad attaccare con una nuova tirata per far capire al figlio la sua “grande angoscia materna”.
    - Eccoti! – urlò, aveva una voce esasperata ed acuta, da far rizzare la pelle – E io? Io, io che ti aspettavo a casa, io che ti ho allevato, io che ti ho rimboccato le coperte per anni, io che sono tua madre, io…io cosa sapevo di te? NULLA!!!!
    Nonostante l’impressionante sfuriata, il fratello di Amanda non mosse ciglio, anzi non parve minimamente sorpreso. Alzò le spalle, guardò un attimo la madre, poi il padre e rispose, tranquillamente.
    - Avevo chiesto ad Amanda di dirtelo. Non credevo servisse che passassi io ad informarti. La prossima volta, benché io non sia più un bambino, lo farò. Ma ora, madre, calmati.
    Il volto della madre si addolcì in modo innaturale. Lasciò persino curvare gli occhi all’insù. Camminò veloce fino alla cucina, prese un piatto per il figlio e gli servì la cena, tutta contenta. Amanda fece finta di ingoiare una cucchiaiata, mentre in realtà pensava a quello che era successo. Il fratello non temeva per niente i genitori, consapevole del loro appoggio. Ma lei, lei non aveva mai avuto l’appoggio di nessuno, tranne di una zia che, tra l’altro, avevano anche cacciato dalla famiglia perché non le riusciva di cucinare una brodaglia decente. Ora quell’unica parente con una briciola di umanità viveva ai margini del Regno, schifata dalla società e dai concittadini, dedita alla più profonda solitudine. Amanda odiava essere una strega e adesso, seduta su quella sedia dura con davanti un piatto pieno di minestra di rospi, vedeva tutto molto chiaramente. Non aveva mai voluto quella vita, che in un qualche modo la obbligava a fare cose che odiava: sezionare animali morti, mangiare parti del corpo di animali che le facevano riluttanza, nascondere la propria allergia ai gatti, studiare materie e argomenti che trovava inutili e noiosi. Tuttavia non vedeva nessun raggio di sole che potesse aiutarla e, visto che non desiderava essere allontanata come la zia, sapeva che avrebbe continuato a condurre quella misera esistenza fino alla morte. Sospirò, una cosa molto comune nel Regno Stregonesco, e mandò giù un boccone disgustoso, contenente anche un occhio di rospo. I suoi pensieri su come fosse viscido quel coso, furono interrotti dalle parole del padre.
    - Elseto, dopo ripasseremo un po’ di storia, che è la tua materia debole, così sarai prontissimo per l’esame.
    Ma il figlio si batté una mano sulla fronte.
    - Accidenti, padre, ho dimenticato il libro in biblioteca. Questa sera non potremo fare nulla. Ma domani andrò personalmente a prenderlo.
    L’uomo si arrabbiò, ma fu abile nel mascherarlo.
    - Non importa per oggi non farai nulla, ma domani mattina presto ripasseremo. Quindi, Amanda, quando hai finito va a prendere il libro di tuo fratello da quella tua amica, Meriga.
    La ragazza si alzò, pronta, e consegnò il piatto ancora pieno alla madre, mormorando che il libro di Elseto era più importante della minestra. Uscì di casa e imboccò una stradina secondaria, una specie di scorciatoia, ben decisa ad entrare dal retro. Arrivata di fronte ad una piccola porticina, bussò tre volte e venne ad aprirle proprio la sua compagna di studi Meriga. Era un po’ più pallida del solito, ma si mostrò ugualmente cortese.
    - Mio padre sta nel suo studio – spiegò ad Amanda, mentre entravano nell’immenso salone per prendere i libri sul tavolo – Ogni volta che è un po’ troppo giù va là. Lo fa da quando è morta la mamma.
    La guidò al tavolo vicino al camino. Era nero, stonato con il resto della casa, addobbata di mobili viola, verde, blu e marrone, ma era di gran classe. Aveva quattro zampe fine che terminavano con una delicata e ben fatta arricciatura. La superficie era liscia, sempre rigorosamente lucidata, mai opaca, e lasciava intravedere il pavimento. Sopra vi era poggiata una scatola che, Amanda lo sapeva bene, conteneva svariate fotografie della famiglia prima della triste perdita.
    - Senti – disse Meriga – Perché non ti fermi un po’ in biblioteca? C’è la parte dedicata alle altre razze che sono sicura ti piacerà. Io devo studiare e lo faccio sul bancone grande, ma non mi va di stare là, senza nessuno che conosco…anzi, senza nessuna amica. Anche se ti metti lontana da me, mi farebbe piacere sapere che si sei. Allora?
    Amanda, con sotto il braccio il libro del fratello, annuì e si lasciò guidare da Meriga in quel reparto di cui aveva parlato tanto entusiasta. La strega lasciò scivolare il libri su uno dei banchi e si sedette, mentre l’altra prendeva dagli scaffali un libro gigantesco che porse ad Amanda. Poi si andò a sedere al bancone grande e tirò fuori un libro, che probabilmente leggeva per il tema di cucina del giorno dopo: “Le parti migliori dei topi e dei rospi”. Amanda sorrise sotto i baffi, poi aprì il librone. Era foderato di rosso, il classico rosso morto che caratterizzava il Regno, ma aveva qualcosa di affascinante.

     

    FOLLETTO:

    Queste creature differiscono dalle altre per molti aspetti. Hanno orecchie a punta che li accomunano agli elfi e piccole ali, non in grado di volare, che li fanno sembrare fate. Il naso lungo ricorda vagamente quello delle streghe, mentre i capelli, solitamente lisci e sciolti, ricordano i centauri. Tuttavia possiedono lunghe unghie, di color pelle, con cui, secondo alcune voci popolari, infilzano i loro nemici. Sono di carattere introverso e per lo più divisi in due gruppi: Rosa e Verde. I folletti verdi sono solitamente più buoni e meno permalosi, mentre quelli rosa eccellano in quest’ultima virtù tipica delle streghe. I folletti hanno anche dei piccoli foruncoli lungo il corpo, cosa che li distingue dalle semplici creature…

     

    Amanda sbadigliò. Guardò la buffa illustrazione e si lasciò scappare una risatina. Rapida premette le mani sulla bocca, temendo che qualcuno avesse potuto sentirla. La foto ritraeva un essere tutto verde con indosso un berretto giallo e tante bolle blu su tutto il corpo. La strega si disse che, probabilmente, un vero folletto era assai diverso. Sfogliò annoiata un altro paio di pagine.

     

    NANI:

    Attenzione a non confondere questa razza con gli gnomi, loro avversari, o con i goblin, che odiano. I nani sono la parte buona di quella che si ritiene una sola grande stirpe. Infatti le tre razze sopra citate sembra discendano da un membro comune. Il nome di questo membro è ignoto. I nani si differenziano dagli altri discendenti per il naso più peloso e le gambe più larghe, oltre al colore della pelle, solitamente marrone. Questa razza odia…

     

    Amanda sospirò e voltò altre pagine, in cerca di qualcosa un po’ più interessante. Era arrivata quasi alla fine dell’immenso volume, fermandosi ogni tanto per dare un’occhiata alle figure tanto buffe, quando trovò ciò che desiderava leggere.

     

    FATE:

    Abbiamo già descritto, tre capitoli precedenti (cfr pag. 1112 cap. 13), le Streghe. Ora ci occupiamo delle loro eterne antagoniste. Le fate sono personcine aggraziate, per nulla spaventevoli e per questo tanto ripudiate dalla nostra razza. Hanno ali di svariati colori, solitamente seguono le sfumature dell’arcobaleno, e vestono solo con i petali di fiori selvatici, per lo più rose e violette. Hanno un carattere tendente all’amicizia, che le porta spesso alla solidarietà. Questa è, come tutti sanno, un gran difetto per tutte le streghe, mentre le fate la considerano una virtù. Hanno molti passatempi e svariati giochi. Odiano i rospi verde scuro e i tritoni viola. Nel loro mondo compaiono molte creature strane, molto probabilmente stregate dai loro subdoli incantesimi. Le fate sono tutte di carnagione chiara e raramente si mostrano infelici, una cosa che non gioca a loro favore. Infatti è deplorevole essere sempre allegre e spensierate perché non forma il carattere. Sulle informazioni circa le fate ci fermiamo qui, poiché il resto sarebbe troppo spiacevole per essere letto o udito da una qualunque strega o stregone per bene. Inoltre sono proibiti i contatti con questi insulsi esseri; solo Sua Maestà detiene ottimi rapporti con la loro regina, ma a fini esclusivamente commerciali. FINE

    Amanda chiuse il libro di scatto e lanciò un’occhiata mezza preoccupata all’orologio. Segnava le ventitre. Salutò in tutta fretta Meriga e si diresse verso casa, camminando di buon passo, con i libri di Elseto sotto braccio. Mentre poggiava i piedi sul selciato non poteva fare a meno di ripensare a quello che aveva letto. Le fate. Quegli strani esseri, di cui tutti parlavano in modo spregevole, la attraevano. Non sapeva dire perché li trovasse interessanti, né cosa la colpisse con tanta forza, ma sentiva di adorarli. Amanda si ritrovò davanti alla porta di casa mentre sospirava e diceva, rivolta ad un’enorme zucca:
    - Come vorrei non essere una strega, ma una fata. Sai che bello poter sorridere tutto il giorno! Io non so nemmeno come si fa!
    Entrò pigramente nel salotto, poggiò i libri sul tavolo e si sedette vicino al camino, spento come sempre, per assaporare un attimo di calma e solitudine. Lì, noncurante di ciò che avrebbe detto la madre il giorno successivo, si addormentò sulla poltrona logora. 

    ***

    Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.
    - Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!
    Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 


     


















    ANGOLO DELL'AUTRICE:
    Mi sono resa conto che è passato moltissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, così ho deciso di porre immediatamente rimedio... XD RIngrazio chiunque abbia letto la storia e soprattutto coloro che l'hanno recensita (a cui risponderò)... Beh, che dire? Come lo trovate? Fatemi sapere!!!



    ANGOLO 

      

    ***

    Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

    • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

    Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

     

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    Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

    • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

    Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

     

    ***

    Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

    • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

    Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

     

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    Capitolo 3
    *** Scatto e Felino ***


    CAPITOLO II
    SCATTO E FELINO

     



     Camminava da un pezzo, ma non le importava. Aveva la testa altrove, persa tra fantasie remote e impossibili. Superò di buon passo la Foresta Bruciata. Non si era mai spinta oltre quel tetro paesaggio. Sapeva che c’era qualcosa, ma non avrebbe mai potuto immaginare cosa, neanche nei suoi sogni più entusiastici. Quando superò l’ultimo appassito ramo, si trovò davanti ad un boschetto. Non come gli altri secco ed umido, ma verde e rigoglioso. Vedeva uccelli di tutti i colori appollaiati sulle cime degli alberi. Socchiuse gli occhi, non abituata all’improvvisa luce del sole che l’aveva investita, mai così forte. Li riaprì e voltò lentamente la testa verso destra. Lo spettacolo che le si parò davanti era orribile quanto bello era il primo. Se alla sua sinistra regnava indiscussa una natura selvaggia, alla sua destra vi erano immensi ettari di deserto, arido, peggio persino della Foresta che si era appena lasciata alle spalle. Guardò dritta davanti a se, ma poté scorgere solo una fioca luce rossa, che sembrava dividere i due mondi. Si concesse un attimo di silenzio e di sosta, mentre la sua mente lavora febbrile. Da quale parte andare? La domanda la tormentava. Lei avrebbe volentieri intrapreso la strada nella bellissima foresta, ma come faceva a sapere che era quella giusta. Lei sapeva che doveva andare nella periferia del Regno, ma non aveva mai pensato che per “periferia” si intendesse quella…quale che fosse il bosco giusto. Disperata, Amanda, si buttò a terra, strinse le ginocchia al petto e si lasciò andare in un pianto disperato. Verrei reputata una scrittrice troppo perfida se il mio cuore non provasse un po’ di pietà per la poveretta, quindi vedremo di dare ancora una volta ad Amanda il giusto aiuto. Caso volle, dunque, che la vecchietta tanto cercata passasse vicino a quella strana luce rossa. Il pianto la sorprese e si diresse verso la fonte di tanto dolore, poiché era una vecchietta molto curiosa e che non sapeva proprio stare zitta. Quando vide la ragazza, seduta sul rigido terriccio, le bastò un’occhiata per riconoscerla e capire con chi aveva a che fare.
    - Amanda Sprint! Non ci si lamenta in quel modo – la ragazza alzò la testa, asciugandosi le lacrime che le pendevano da occhi e guance – Immagino che tu non abbia detto nulla ai tuoi, vero? Saggio, molto saggio.
     Romilda Sprint si allontanò dalla nipote con passo deciso e stava già al limitare del bosco rigoglioso quando, con aria impaziente, si voltò verso Amanda.
    - Allora! – sbraitò – Hai intenzione di rimanere lì per sempre? Ti decidi ad alzarti e a seguirmi? Credi che abbia tutto il pomeriggio a disposizione? Su, alzati e stammi dietro, ma attenta a mettere i piedi esattamente dove li metto io.
     Amanda guardò la zia, una lacrima calda le cadde lungo il mantello nero come la notte, ora completamente fuori posto. Si alzò incerta sulle gambe, domandandosi se avessero retto dopo quella sfogata. Per fortuna parvero salde come sempre e così Amanda si avviò a testa china, ma con passo deciso, dietro Romilda. Tirò su con il naso e mandò giù un paio di domande, riservandosele per dopo. Chissà perché doveva passare esattamente dove camminava la zia. Seguì la bizzarra parente nel bel bosco, senza realmente vederla. Girarono molte volte a destra, due o tre volte andarono a sinistra. Ormai si trovavano nella parte più folta della foresta, Amanda ne era praticamente certa. Un nodo le attorcigliò lo stomaco. Stava facendo la cosa giusta… o no? Una vocina la rimbeccò dentro la testa. “Certo che fai la cosa giusta” parve rassicurarla “ci hai pensato tanto!”. Un po’ più rincuorata, ma non del tutto convinta, continuò a camminare, con lo sguardo rivolto ai propri piedi. Osò alzarlo solo quando la zia si fermò di botto.
    - Oh, bene – disse Romilda. Intorno a loro era tutto buio, ormai le alte chiome arboree copriva completamente il cielo e si potevano intravedere solo due ombre nere – Amanda, siamo arrivate. Ora ricorda bene questa formula magica e ripetila dopo di me. Slokey wratuy gaiciy
     L’anziana strega fece uno movimento circolare con il braccio e sorrise, soddisfatta. Poi svanì nel nulla. Amanda provò un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco: sola in un bosco sconosciuto. Ingoiò e poi, con un coraggio non da lei, si sforzò di ricordare le esatte parole della zia.
    - S…slok…slokey wre…wratuy…gggg…gaicy. Slokey wratuy gaiciy
     Ma non successe nulla. Era nella stessa foresta buia, non vedeva oltre il suo naso e si sentì veramente persa. Poi le venne in mente un’altra cosa. Inspirò profondamente e imitò il movimento circolare fatto dalla zia con il braccio destro. Quindi trattenne il fiato per ciò che accadde. Davanti a lei vi era una casetta deliziosa, irreale. Il tetto assomigliava a quello di un fungo, rosso con piccoli cerchi bianchi e macchioline nere qua e là, delizioso il comignolo di mattoncini arancioni che sbucava all’improvviso dalla parte più bassa del tetto e che sbuffava un fumo grigio chiaro. Le pareti erano lisce, levigate, tinte di giallo. Una porticina piccola, mezza aperta, si trovava in cima ad un paio di scalini di pietra, adorabili anche questi. Tutto sembrava piccolo, ma grazioso. Le finestre avevano svariate forme, passando da quelle più semplici – come cerchi e rettangoli – alle più complesse – cuori, soli, nuvole e simboli arcaici – ed erano tutte bordate di una corona d’edera. Piccole violette, timide e ritrose, spuntavano sopra la porticina, mentre rose profumate, di tutti i colori, accoglievano con i loro petali i visitatori, posizionandosi lungo i bordi degli scalini. Amanda rimase per molto ad ammirare quell’incantevole spettacolo, perché di case così colorate e particolari non aveva mai viste. I colori non erano spenti e vuoti come quelli del Regno Stregonesco, ma tutti esprimevano gioia e la strega riconobbe anche il rosso acceso, colore di cui cercava disperatamente un tritone. La Casa delle Meraviglie, come l’avrebbe in seguito denominata, spalancò la sua porticina e un odore dolcissimo di gigli e ribes la invitò ad entrare. Senza perdere altro tempo, Amanda scavalcò gli scalini con un balzo ed entrò nella meravigliosa casetta. Si trovò in un salotto, con colorati soffitti e pavimenti, un divano giallo in un angolo e il camino, proprio davanti. Sulle pareti erano affissi disegni di svariati animali della foresta, che sembravano prendere vita con quei magnifici affreschi. Si aprì alla sua destra una porta da cui uscì Romilda, portando due tazze di tè fumante su un vassoio di cristallo.
    - Oh, bene – disse, vedendola, le fece cenno di accomodarsi sul morbido divano, all’ angolo della stupenda stanza. – Credevo, anzi, temevo che non saresti riuscita ad entrare, poiché avevo dimenticato di dirti di muovere il braccio in modo circolare, ma vedo che hai capito da sola. Significa che sei una buona osservatrice e io provo molta simpatia generalmente per coloro che sanno cogliere i dettagli.
     Le porse una tazza di tè. Amanda la prese e ne bevve un sorso. Non aveva mai assaggiato nulla di così squisito. Romilda tirò fuori dal nulla un elegante sgabello e vi prese posto.
    Ora Amanda poteva scorgerla in tutta la sua persona. Aveva capelli biondi, non brutti come quelli di Panzia Fullenor, ma lisci e setosi, cadevano brillanti sulle sue spalle, dritte e perfette. Gli occhi color ambra rilucevano di una luce abbagliante, che dava alla zia l’espressione più bonaria che voi possiate immaginare. Benché fosse molto vecchia non c’erano rughe sul suo volto, leggermente scavato lungo le guance. La sua bocca era piccola, deliziosa come una goccia di rugiada al mattino. Sorrise e Amanda dovette sbattere le palpebre per non rimanere ammaliata da tanta bellezza.
    - Allora – disse Romilda, lasciando cadere la sua tazza sul vassoio cristallino, che non si ruppe, ma si allontanò verso quella che probabilmente era la cucina – Cara Amanda, se sei venuta da me deve essere per un motivo importante, non per una sciocchezzuola. Cosa è successo, mia adorata? Qual è stato il fattore scatenante che ti ha costretto a prendere questa decisione, di certo non avventata?
     La sua voce era strana, diversa. Improvvisamente non era più la strega che l’aveva rimproverata per aver pianto, ma sembrava più matura. Le note soavi che rilasciava la sua bocca penetravano dentro, costringendo a dire la verità, perché sottrarsi a una così bella voce sarebbe risultato impossibile a chiunque.
    - Non sono una strega – rispose Amanda, sperando di non tradire l’emozione che le pervadeva tutto il corpo – Non sono una strega – ripeté, fiera di dire ciò che provava, liberamente, senza costrizioni – Anzi, meglio: non voglio essere una strega. Ci ho messo diciassette anni per capirlo, ma alla fine ho vinto, ho trionfato. Non voglio essere una strega.
     Un aroma di viole la travolse, come la voce, che sembrava onnipotente, capace di tranquillizzare anche il gatto più malvagio.
    - Lo so – disse piano Romilda, con quel suo tono calmo, profumato, delicato – Lo so da molto. Per la verità, lo so dal giorno in cui sei nata. O non ti avrei chiamata Amanda.
     La ragazza si sentì spiazzata da quell’affermazione. Era tutto così strano, ma ora le appariva possibile. Ogni cosa prendeva senso se a pronunciarla era quella voce lusinghiera, che la faceva sentire bene, come se non fosse veramente lei.
    - Non capisco – mormorò, lenta, atrofizzata, curiosa – Amanda? Cosa c'entra ora il mio nome. Io non sono Amanda la strega…
    - Tu sei quello che deciderai di essere – ribatté la voce, perché non crederle? – Amanda, ascolta, il tuo nome è il principio e la fine. Ma io non posso dirti oltre, sarebbe ingiusto privarti del piacere della scoperta. Tu sai cosa devi fare per ottenere ciò che vuoi. No! Tu sai cosa vuoi, quindi non controbattere di non conoscere realmente i tuoi desideri. Leggi il tuo cuore, ti darà tutte le risposte che cerchi. Io non posso farlo per te, cara, mi devo limitare a guidarti lungo la via che ti aspetta. Io…
     BUM! Un rumore improvviso, proveniente dal piano di sopra fece alzare di scatto Amanda e Romilda. Dalle scale scese un animaletto minuscolo…un tritone. Amanda lo guardò un lungo attimo. Aveva piccoli occhi azzurri, un lunga coda dura, leggere “squame” che gli coprivano il dorso, era lungo all’incirca undici centimetri. Ed era rosso. Rosso acceso, vivace, brillante, proprio come lo aveva sempre sognato. Lo prese tra le mani e lo guardò meglio, sentendo la pelle viscida sotto le sue sottili dita.
    - Oh zia! – disse, al colmo della felicità, ma quella precedette la sua domanda e fece un breve cenno d’assenso con il capo. Amanda strinse il tritone rosso al mantello nero – Lo chiamerò Scatto – decretò – perché l’ho trovato dopo essere scattata su dal divano.
     BUM! BUM! BUM! Ora non poteva essere Scatto, Amanda ne era certa. Un’angoscia mai provata prima la invase tutta, ma la zia non parve minimamente turbata, al contrario aveva in volto un sorriso compiaciuto. Guardava con affabilità le scale che conducevano al piano superiore.
    - Cosa…AH! – Amanda non poté trattenere l’urlo che le sfuggì inaspettato dalla bocca. Una testolina si era affacciata dal corrimano a chiocciola. Fece una faccia buffa, qualcosa tra uno “scusa” e un “non urlare”.
    - Amanda – disse zia Romilda, perfettamente a suo agio -  Sono lieta di presentarti la mia cara amica Odina.
     La testolina uscì dalla scala e si mostrò per intero. Era una fanciulla, di circa diciassette anni, ma non era una strega. Aveva capelli tra il biondo e il rossiccio, legati in un’elegante coda bassa da un mazzo di fiori di tutti i colori. Due ciocche di capelli le cadevano spaurite sul viso, senza però coprire gli splendenti occhi nocciola, allungati ai margini, con ciglia lunghe e morbide come le molle di un orologio. Aveva un naso piccolo, all’insù, e una boccuccia rosa chiaro, contornata da due deliziose fossette. In mezzo agli occhi aveva uno strano tatuaggio a forma di fiore, luccicante, color rosa pallido, che si lasciava dietro quattro goccioline d’acqua argentee, anch’esse indelebili, due sotto gli occhi, sulle guance, e altre due sulla fronte. La sua pelle richiamava il colore della rosa canina. Le braccia nude erano incrociate con grazia dietro la schiena e nascondeva le mani, candide. Un vestito di tulle viola le arrivava fin sopra il ginocchio, terminando a forma di onda increspata. Una cintura di rose, tulipani, gigli e viole le stringeva la vita, facendo rigonfiare appena il vestito. Aveva i piedi scalzi, ma la sua caviglia destra era cerchiata da una corona di fiori, bellissimi e profumatissimi, provenienti da un altro mondo. Ma la cosa ancor più sorprendente erano le dentate foglie rosa chiaro, come ali, che aveva dietro la schiena: era una fata.
    - Ciao – salutò con una vocina bassa, ma musicale, capace di incantare tanto quanto quella di Romilda – Io sono Odina. Felice di conoscerti Amanda.
     La fata fece uno strano inchino, movendo in modo buffo il braccio. Amanda, sentendosi completamente a disagio, ricambiò con il tipico saluto del Regno Stregonesco.
    - Anch’io sono lieta di conoscerti – per cercare un saluto comune allungò la mano, ma se ne pentì subito.
     Vide le sue scure unghie tinte di nero, mentre la mano della ragazza assomigliava ad un petalo del più delicato fiore. Si strinsero la mano e si guardarono, intensamente. Gli occhi nocciola riflessero il verde di quelli di Amanda, e viceversa. La sensazione era strana, sognante, ma realistica ed entrambe dovettero adattarvisi.
    - Bene – disse zia Romilda, con tono sbrigativo, improvvisamente di nuovo strega – Ora che vi siete presentate possiamo procedere. Prego, sedetevi.
     Le due ragazze obbedirono, senza però cessare di fissarsi, meravigliate della stranezza dell’altra. Indescrivibili le emozioni contrastanti che turbinavano intorno e dentro di loro, come fasce dai multicolori che, appena ne avvisti uno, quello cambia affinché tu non possa localizzarlo. Odina arricciò le labbra, scoprì i denti bianchi e lucenti e Amanda vide in quel sorriso tutto il fascino di un mondo diverso. Per un momento provò una dolorosissima fitta allo stomaco. Cosa avrebbe dato per poter sorridere anche lei in quel modo, così apertamente. Se solo avesse saputo come si faceva.
    - Oh, bene – riprese zia Romilda, prendendo posto sullo sgabello che prima aveva abbandonato – Sono felice che vi siate incontrate qui, se fosse successo fuori da questa casa non so proprio come avreste reagito. Ma prima di cominciare a spiegare ciò che vi devo dire da molto tempo, dimmi Odina: cosa ti ha portato qui?
     La fata scosse appena la testa. Parve risvegliarsi da un lungo sonno. Le curve delle labbra di abbassarono appena e prese un’espressione allegra, ma che lei, era chiaro, considerava di massima tristezza.
    - Ecco – cominciò, anelandosi una delle ciocche rossicce che le pendevano davanti le orecchie – Io non avrei voluto, ma ho litigato nuovamente con quella mia compagna amatissima, quella che non sta mai zitta. Oh, come non la amo (perchè nel Regno Fatato la parola “odio” non esiste)! Oh me non felice! Beh, comunque, quella è subito schizzata dalla professoressa Dolceluna, che ovviamente le ha dato ragione. Mi sono sentita non viva e così – deglutì – ho preso il sentiero che mi avevi mostrato, ho pronunciato le parole magiche e credevo di aver sbagliato, perché ero arrivata dentro una casa che non conoscevo. Allora ho deciso di scendere le scale e…c’eri tu. Mi dispiace – aggiunse, mesta.
     Ma Romilda non parve scossa dalla rivelazione, al contrario fece un breve cenno d’assenso con il capo, come ad intendere che capiva perfettamente. Quindi alzò una mano e un enorme librone le volò contro. Lo posò tranquillamente sulle ginocchia e lo aprì con fare pratico.
    - Ora – disse con semplicità – Abbiamo chiarito tutto.
     Amanda a quella frase si risvegliò ed ebbe un improvviso pensiero che non poté far tacere.
    - Io non ho capito nulla.
     La zia le rivolse uno sguardo ambrato penetrante, che parve trapassarla, e la ragazza vacillò sotto quel peso, insormontabile, insopportabile. Fu costretta ad abbassare gli occhi per continuare a tenerli aperti. Ma la vecchietta sorrise.
    - Hai ragione, Amanda – disse, calma come prima, per nulla preoccupata o arrabbiata da quella interruzione improvvisa e fuori posto – Tu non sai che Odina non vuole più essere una fata. Ha scoperto, come te, che la sua vocazione è un’altra, che desidera diventare una strega.
     Amanda parve inorridita da quelle parole e si rivolse verso la fata, sorpresa.
    - Perché non vuoi essere una fata? Sei così bella e leggiadra!
     Ma Odina ricambiò la sua frase con un sorriso lezioso, alquanto fastidioso.
    - Oh no, cara – disse Odina, tranquilla come Romilda– Vedi, Amanda, io sono la più brutta fata del Regno. Ci sono quelle carine carine, che hanno stivaletti color malva fino al ginocchio, altre hanno calzamaglie lunghe e bellissime, altre ancora cerchiano sempre la loro bella chioma con corone floreali, poi ci sono quelle che hanno delle ali enormi, così grandi da non sembrare vere e altre…beh, potrei prolungarmi a parlare del mio Regno per secoli. Sappi che io lì sono fuori posto tanto quanto lo sei tu nel Regno Stregonesco. Io non amo le ali, non amo le magie che fanno le altre, non amo gli animaletti tanto carini che abbiamo tutte per compagnia. Io non amo essere una fata – diede un piccolo risolino, probabilmente il più dolce suono che abbiate mai sentito – Fino a poco tempo fa non sapevo neanche come esprimere il mio non essere felice. Sai, da noi non esistono parole tristi, non esistono sensazioni lugubri, quindi tutto quello che provavo era indefinibile. Per fortuna un giorno, vagando senza meta nei boschi, ho trovato tua zia Romilda. Ha detto che mi stava cercando perché dovevo compiere “nonsocosa”. Così ho pensato che la cosa giusta fosse seguirla. Mi ha portata qui e mi ha rivelato la natura della sua identità. Non puoi neanche immaginare la mia gioia al pensiero di aver finalmente incontrato una strega. Allora capii, tutto. I miei sogni, i miei desideri, le mie voglie… nulla mi era più oscuro. La mia storia, noterai, è simile alla tua, molto simile.
     Odina chiuse la bocca, riprese il solito cipiglio allegro e iniziò a fischiettare, evidentemente rallegrata di qualcosa che solo lei sembrava conoscere. Romilda aveva un sorriso che le prendeva tutta la faccia e guardava le due ragazze con un interesse, per niente moderato. Al contrario, pareva sul punto di esplodere in tanti piccoli coriandoli colorati. Sprizzava gioia da ogni poro e nulla sarebbe stato capace in quel momento di rovinarle la felicità.
    - Amanda – riprese piano la zia, senza fretta di parlare, di chiarire, forse non voleva far comprendere nulla, ma solo rivelare ulteriori enigmi – Io so cosa dovete fare per realizzare il vostro sogno. Ma prima che io vi divulghi questa importante e segreta verità, devo dirvi alcune cose. Tutto è scritto. Il Destino ha già deciso. Voi con le vostre scelte potrete alterarlo o seguirlo, ciò dipenderà unicamente dalla vostra volontà. I vostri nomi vi hanno segnato. Nel lungo viaggio che intraprenderete scoprirete verità e menzogne, voi dovrete essere in grado di distinguere tra le due. La prova più difficile sarà capire di chi fidarsi e chi, invece, va trascurato, perché non merita la vostra attenzione. Vi ripeto. Non dovete temere, perché tanto tutto è già segnato. Noi con le nostre scelte collaboriamo o cambiamo, ma in fondo una parte della nostra vita è già segnata. Il Caso o il Destino. Ciò lo lascerò al vostro giudizio. Io non posso dirvi molto, perché dovete essere voi a scoprire la grande verità che aleggia dolcemente sulle vostre teste. La forza di un nome. Sin dalla vostra nascita voi eravate destinaste ad incontrarvi, a parlare, a vivere insieme, a cambiare, a scegliere. Nei vostri nomi è scritto tutto. – fece una piccola pausa e Odina, pronta ne approfittò immediatamente per fare una sua domanda personale.
    Guardò intensamente Romilda e poi, con voce bassissima, mormorò.
    - Qual è  il Destino indicato dai nostri nomi? Ti prego, diccelo. Abbiamo bisogno di sapere, di comprendere fino in fondo ciò che ci stai mostrando.
     Parve scegliere le parole con molta cura, poiché fece numerosi interruzioni, ma nulla sembrava avere effetto sulla decisione presa dall’anziana. Quest’ultima scosse il capo, decisa a negare quel significato.
    - Io non posso rivelarvi la Verità Perfetta, perché solo se sarete voi a trovarla diventerete ciò che siete designate ad essere. Mio compito non è darvi informazioni, ma ombrare tutto ciò che vi circonda, mettervi in guardia contro l’ignoto, contro il deforme, contro ciò che non avete mai immaginato neanche nei vostri sogni più proibiti. Io non devo rivelarvi segreti impronunciabili che mi hanno portato a darvi i nomi che avete, né posso spiegarvi che significato essi hanno. Io non posso. Non ho mai potuto. Mi dispiace più di ogni altra cosa dare ai vostri cuori questa grande delusione, ma capite che è per il vostro bene. Comprendete, ragionate, perdonate. Solo chi esegue questi tre grandi passi può pretendere di conoscere la sua vera indole. Quello che vi sto chiedendo – aggiunse con voce roca, resa bassa dal gran parlare o forse dallo sforzo di mostrare tutto quello che doveva – non è facile. Molti hanno fallito. Ma coloro che sono riusciti a compiere la più grande impresa di tutta una vita, sono stati lodati aldilà di ogni fervida immaginazione, sopra ogni altro. Nel pronunciare altro comprometterei il vostro futuro, quindi vi prego non chiedetemi altro.
     Abbassò gli occhi e li chiuse, stanca, mezza addormentata, ma felice. Felice perché ciò che aveva sempre saputo di dover dire ora era nelle orecchie della fata e della strega. Felice perché nessuno avrebbe potuto compiere meglio quel che lei sapeva dover fare. Felice perché ora aveva la possibilità di riscattare tutti i suoi sbagli. Lasciò le labbra incurvarsi piano in un sorriso. I capelli le caddero in parte davanti al viso. Attese. Non una reazione, ma le domande e le esclamazioni che le avrebbero rivolto contro, perché sapeva che non avrebbero tardato a riprendersi dallo shock, che le aveva momentaneamente ammutolite. La prima a ritrovare il coraggio di parlare fu Amanda. Inclinò la testa da un lato, come era solita fare, e fissò la zia. Ora non temeva lo sguardo penetrante che avrebbe potuto ritrovarsi addosso. Lasciò andare un sospiro.
    - Cosa è che dobbiamo trovare? Quella…come l’hai chiamata? La Verità Perfetta? Cos’è? Come, quando, perché? Sono così tante le domande che sento di doverti fare… la testa mi sta esplodendo…non posso sopportare di tenere tutto dentro…io…io
    Ma Odina la interruppe, concludendo la frase che aveva iniziato, un po’ impacciata per essersi intromessa.
    - Io non capisco. Io non so se voglio capire. Ora tutto appare così confuso. Una parte di me già sapeva in qualche modo, non chiedetemi quale, che ero destinata ad avventure straordinarie. Ma c’è anche l’altra parte, che si rifiuta di credere nella realtà, perché le è ostile, perché ha creato tante sofferenze. Cosa debbo pensare? A chi posso domandare?
     Romilda rialzò la testa e tutta la vecchiaia parve, per un solo attimo, attraversare quello splendido volto. Scostò i lunghi capelli dal viso, socchiuse gli occhi e parlò, calma, ma la sua voce ora tradiva una nota di impazienza, di stanchezza.
    - Le Custodi Perdute. Loro vi diranno ciò che volete sapere. Esse sono il Tutto e il Niente. Hanno Vita e hanno Morte. La loro storia è lunga ed è stata ormai dimenticata da tutti. Solo le stelle, talvolta, nelle notti più chiare e splendenti le raccontano, perché la memoria di coloro le quali custodiscono i segreti dell’Universo non vada perduta, ma noi non cogliamo quel meraviglioso canto che intonano.
     Voltò una pagina dell’immenso libro che aveva poggiato sulle gambe. Lì vi era un ritratto di due giovani, graziose, che però apparivano come fumo. Le indicò alle due giovani sedute sul divano.
    - Amanda, sono certa che ricorderai la luce rossa che c’era tra questa Foresta e il Deserto. La luce di fronte alla quale ti sei fermata a piangere. E tu, Odina, so che non hai mai dimenticato il caldo colore del tramonto che vedi ogni volta che vieni qui. Ecco. Voi andrete insieme lì, perché anche se vi appare in due modi diversi, si tratta della stessa cosa. Entrerete nella Luce. Non abbiate paura. Questa non vi farà nulla se le vostre intenzioni saranno pure. In caso contrario agirà contro di voi e allora altri dovranno cantare la vostra memoria. Mi comprendete, vero?
     Annuirono, perché scoprirono che la voce si rifiutava di uscire dalle loro gole, impaurite.
    - Oh, bene – proseguì zia Romilda, apparentemente non turbata dall’insolito silenzio – Voi entrerete nella Luce ed incontrerete le Custodi Perdute. Siate franche con loro, ma ben astute. Esse hanno infiniti difetti e altrettante virtù, poiché richiudono in loro tutto ciò che fa parte dell’ Universo. Una di loro è tendenziosa alla bugia, l’altra alla verità. Una si accontenta di facili guadagni, l’altra pretende sempre di più. Voi dovrete capire in che circostanze fidarvi di una e in quali dell’altra. Vi avevo già detto che il compito non sarebbe stato facile, ma la ricompensa finale sarà grandissima. Ora andate, non esitate. Ma ricordate che una volta dentro la Luce non potrete far entrare nessuno da fuori.
     Amanda aprì la bocca, strinse al petto Scatto e protestò.
    - Mai io voglio che lui venga con me!
     Romilda annuì e le rispose grave.
    - Se lo porterai con te quando entrerai nella Luce, lui ti seguirà in ogni altro viaggio.
    - E io posso portare Felino? – chiese Odina.
     Solo allora Amanda si accorse che la fata guardava immobile un punto delle scale. Con gran dispiacere della strega lì, appollaiato, vi era un gatto nero come la notte, che nel villaggio aveva fama di gran iettatore. Quello si stiracchiò, aprì gli occhietti lucenti e saltò in groppa alla fata, probabilmente sua padrona.
    - Felino? – domandò Amanda, incredula, quasi schockata.
    Odina le rivolse uno sguardo penetrante, mentre continuava a grattare il gatto sotto l’orecchio sinistro.
    - Si – rispose, non comprendendo la reazione della strega – Felino. Il mio gatto. 
    Romilda chiuse di botto il libro proprio quando Amanda stava per contestare. Ciò evitò alla giovane strega quella che sarebbe stata indubbiamente una figuraccia.
    - Se viene Scatto – decretò la zia, con un tono che non ammetteva critiche – Se viene Scatto, viene anche Felino. In fondo sono i vostri animali. Amanda e Odina, Scatto e Felino. 
































    My corner:
    Torno con un nuovo capitolo su Amanda, ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia e spero che continui a piacervi!!!! A presto
    Small

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