Fearless~ di GENEViEVE___ (/viewuser.php?uid=102403)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 ***
Capitolo 1 *** Prologue ***
Prologue
FEARLESS is not the absence of fears.
To me FEARLESS is being
full of fears.
I am
FEARLESS
Sono
piuttosto emozionata...
Ho cominciato a scrivere questa storia nell'estate del 2009 e questa
è la terza stesura xD
Però è una storia a cui sono molto affezionata =)
E mi sono anche impelagata in un argomento difficile come quello delle
gravidanze adolescenziali, dove si rischia di scadere nello stereotipo
o nella favola...!
Farò del mio meglio per evitarlo... :D
Cercherò di pubblicare un capitolo alla settimana, ma non vi
prometto nulla xD!
Spero vi piaccia c:
Love
& Rockets
Geneviève ♥
|
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Capitolo 2 *** Chapter 1 ***
Chapter 1
Niente.
Non c’è assolutamente niente.
È passato più di un mese.
E stamattina ho pure vomitato.
Sono nella merda.
Nella merda più totale e assoluta.
Ok, Emily, non preoccuparti, ora vai a farti un giro e tornando compri
un test
di gravidanza.
Così, solo per sicurezza.
Afferro la borsa appoggiata sul mio letto e mi avvio decisa verso la
porta. Mia
madre, che sta leggendo un giornale di moda in salotto, mi ferma e
chiede:
“Tesoro, dove stai andando?”
“Vado a fare un giro.”
“Da sola?”
“Sì, ho studiato un sacco e ho bisogno di un
po’ d’aria...”
“Ok, ma ricordati che alle sette ceniamo!”
“Come al solito!” Commento sottovoce.
Mia madre si ciba di queste inutili routine. Che donna triste!
Mi incammino per il vialetto davanti casa e seguo il viale inalberato,
facendo
curve a caso. Il pomeriggio di questo ‘grandioso’
Columbus Day le vie di questo
minuscolo paesello dell’Ohio sono praticamente deserte.
È autunno e le giornate soleggiate di questa stagione sono
le mie preferite. Le
foglie dei platani sono verde chiaro, marroni e arancio scuro e
riflettono la
luce del sole in modo meraviglioso.
Senza neanche accorgermene, mi ritrovo davanti ad una farmacia.
Titubante,
metto un piede dentro il negozio.
“Salve, Emily! Come stai?” La signora Gordon, la
farmacista, richiama la mia
attenzione.
“Buonasera, signora Gordon! Tutto bene, lei?”
Mento, con finta allegria.
“Tutto bene, cara!” Sorride.
Una cosa che odio di qui è che tutti conoscono tutti e tutti
sanno tutto di
tutti. Quindi se comprassi un test di gravidanza, mia madre lo saprebbe
all’istante. Esco dalla farmacia, piuttosto scoraggiata. E
poi, cosa piuttosto
insolita, mi imbatto in una coppia di turisti. Ho un’idea
brillante. Apro il
portafoglio: quarantuno dollari... Posso comprarne tre. Mi avvicino ai
due e
chiedo con un filo di voce se possono comprarmi tre test di gravidanza.
Un po’
interdetti, prendono le banconote ed entrano nel negozio.
Escono dopo dieci minuti scarsi con un sacchetto di carta marrone. Li
ringrazio
e infilo il sacchetto nella borsa frettolosamente.
Tiro fuori l’iPhone e vedo che sono stata bombardata di
messaggi da tutti. Sono
le sei e mezza quindi decido di incamminarmi verso casa con passo lemme.
Il pensiero che mi ronza in testa fa capolino in ogni momento. Spero
che
adesso, quando entrerò in bagno con il test in mano,
troverò quella
rassicurante striscia di sangue mi dica che mi sono sbagliata, che ho
buttato i
soldi della mia ultima paghetta, che potrò continuare a
essere la sedicenne
senza pensieri che amo essere. Ma so che non sarà
così. So che apparirà quel
maledetto simboletto ‘+’.
Una lacrima sfugge al mio controllo e scende silenziosa sulla mia
guancia. La
asciugo con un rapido gesto della mano. Non voglio pensare, non voglio
pensarci.
Arrivo a casa abbastanza prima della cena per poter fare almeno un
test. Dopo
dieci minuti, sono seduta sul bordo della vasca ad aspettare il
responso. Così,
come previsto, si presenta il simbolo ‘+’ Prima che
possa riprendermi dallo
shock o che possa assimilare la notizia, la voce di mia madre mi
raggiunge dal
piano di sotto: “A tavola!”
Stringo i denti, serro i pugni e ricaccio dentro le lacrime.
Quando raggiungo la cucina, mio padre e mio fratello sono
già seduti a tavola.
Mi sento terribilmente colpevole, non mi merito tutto
l’affetto che mi
dimostrano. In un lato del tavolo è seduto mio padre, Oliver
Wood, un uomo
tranquillo di cinquant’anni con un ultimo accenno dei folti
capelli neri che
aveva una volta e due occhi azzurri che avrei tanto voluto avere io.
Dal lato
opposto del tavolo è seduto mio fratello Jack che ha
(letteralmente) rubato
tutti i capelli di mio padre e ora sta attaccando voracemente una
pagnotta.
Siamo molto legati. Ogni volta che lo guardo mi sorprendo di quanto i
suoi
occhi verdi, uguali ai miei, siano briosi come quelli di un bambino,
nonostante
abbia ventuno anni. Infine giungo in vista di mia madre. Kate Wood
è una donna
distinta di quarantasette anni con le unghie (più simili ad
artigli) sempre
laccate e i capelli biondi tinti sempre cotonati.
Mi siedo al tavolo senza alcuna espressione sulla faccia. Di solito a
cena non
presto mai attenzione ai futili discorsi sul giardino super curato
della
signora Black o sul taglio fuori moda della signora Gomez o sugli esami
di
Jack... No, aspetta... questo mi interessa!
“Domani ho l’esame di diritto
internazionale.”
“Quindi non resti stanotte?” Chiedo, terrorizzata.
“No, Emily! Non faccio in tempo ad arrivare a scuola
l’esame è alle 8!”
“Allora a che ora parti?”
“Subito dopo cena.”
Fantastico! Il mio fratellone va via stasera proprio quando ho bisogno
di lui!
Odio il fatto che frequenti il college e non sia sempre a casa ad
aiutarmi e a
consolarmi. Ritorno nel mio stato di impassibilità totale.
Quando finisco la
mia porzione di carote mantecate, sgattaiolo di nuovo al bagno del
piano di
sopra.
Faccio anche il secondo e il terzo test, che conferma il risultato del
primo.
“Merda!” Impreco sottovoce.
Passo entrambe le mani tra i capelli e mi lascio scivolare contro la
porta. Non
posso piangere, mi sentirebbero. Però, cazzo! Io non mi
metto nei guai! Io non
sono così irresponsabile! Io sono una persona razionale che
ci pensa una
ventina di volte prima di fare qualsiasi cosa!
Per un indeterminato lasso di tempo, resto seduta sullo gelido
pavimento del
bagno. Quando finalmente le mie gambe decidono di rispondere agli
impulsi del
cervello mi trascino in camera mia. Nascondo i test nella mia scatola
dei ricordi
sotto il letto e mi ci siedo sopra senza avere la minima idea di cosa
fare.
Per distrarmi prendo l’iPhone dalla borsa: cinque chiamate
perse e sette
messaggi!
Il più ‘vecchio’ è quello
della mia amica Liz:
“Domani allenamento all’alba? L.”
Io e Liz siamo entrambe nella squadra di nuoto del liceo. Liz, nota nei
registri scolastici come Elizabeth Nash (nome che odia), è
un anno più grande
di me. La conosco dal primo anno di liceo, da quando Sarah Morgan aveva
cercato
di affogarmi nella piscina e lei mi aveva prontamente salvato. Non me
la sento
di allenarmi domani mattina, quindi le rispondo:
“Niente da fare. Ci vediamo a scuola! E.”
Il secondo è di Josh, mio ragazzo:
“Amore, come stai? Ti vengo a prendere domani con la
macchina? Ti Amo, J.”
Io e Josh
stiamo insieme da poco meno di un anno. Lui è il fratello
maggiore della mia
migliore amica e ci conosciamo sin da quando avevamo circa cinque anni.
E ora
sono incinta del suo bambino. Una parte di me muore dalla
voglia di
vederlo, un’altra parte di me non ha il coraggio neanche di
guardarlo negli
occhi.
Decido di aspettare per rispondere.
Il messaggio dopo è della mia migliore amica a.k.a. la
sorella di Josh a.k.a.
Jennifer:
“Sponge, come stai? Andiamo al centro commerciale?
Ti voglio bene :), J.”
Ehm, forse è un po’ tardi per rispondere con una
risposta entusiasta e,
soprattutto, affermativa...
Cheppalle! Ogni volta che sto a casa non tengo per niente da conto il
cellulare! Lo sanno tutti! Che gli è preso oggi!?!?
Altri due sono delle altre due me migliori amiche: Leah e Chelsea.
Leah è poco più alta di me con una cascata di
ricci castani e un po’ di
lentiggini chiare.
Chelsea è di una bellezza ingiusta: la nonna era norvegese,
quindi, è
altissima, occhi blu profondissimi e una chioma biondissima e
liscissima. È un
sacco di ‘issima’ che mi fanno sentire meno di zero.
Ogni tanto mi chiedo come fanno a essere mie amiche.
Gli ultimi due messaggi (e le cinque chiamate) vengono da Josh che si
è fatto
prendere da panico perché non gli ho risposto ai primi due
messaggi ed è
fermamente convinto che lo voglia lasciare.
Seriamente, è lui il diciottenne maturo?
“Tranquillo, non ho intenzione di lasciarti!
Però domani ci vediamo
direttamente a scuola... Allenamento all’alba con Liz! Ti
amo, E.”
Bugia, ma vediamo se il mio ragazzo si calma...!
Poggio il telefono sul comodino e vado in cucina a prendere un
bicchiere
d’acqua. Arrivata agli ultimi gradini vedo che Jack
è sulla porta e sta
salutando mamma e papà. Mi ero scordata che stava per
andarsene!
“Finalmente! Pensavo di dover partire senza
salutarti!” Dice con un sorriso
enorme e un po’ di malinconia negli occhi. Non gli piace
andare all’università
di Columbus.
Gli corro incontro e mi tuffo tra le sue braccia. Mi
mancherà da morire.
Proprio quando ho bisogno di lui!
“Buona fortuna e torna presto.” Gli sussurro
sull’orlo delle lacrime.
Mi stringe ancora più forte e, sciolto
l’abbraccio, esce dalla porta. Resto in
cucina finché il rumore della macchina sparisce
completamente. Schiocco le
labbra più volte, indecisa su cosa fare.
È una serata così piatta che decido di fare una
doccia che prosciughi tutte le
scorte di acqua calda del vicinato.
Domani sarà una giornatina niente male.
E sicuramente non riuscirò a dormire.
Oh mio...!
Ecco il primo
capitolo =S
Non so
perché, ma mi è uscito più corto degli
altri xD!
Fatemi sapere cosa ne
pensate!
Love
& Rockets
Geneviève ♥
P.S.: Ho deciso
di mettere, ogni tanto, una foto che meglio rappresenti uno dei
personaggi, quindi ecco a voi... EMILY! :)
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Capitolo 3 *** Chapter 2 ***
Dopo un sonno
inquieto, il suono della sveglia alle sei è una trapanata
dritta nelle
orecchie.
Avendo fatto una doccia di quasi
due
ore ieri sera, decido di rimanere sotto il mio bel piumone, ma,
improvvisamente,
un conato di vomito mi costringe ad alzarmi e a correre in bagno.
Riesco mezz’ora dopo, bianca come un
lenzuolo e con la faccia madida di sudore.
Essere incinta fa schifo. Soprattutto
a sedici anni.
Scendo, traballante, al piano di
sotto. Entro in cucina e mia madre esclama:
“Oddio, tesoro! Sei così pallida! Che
hai? Hai vomitato?”
Mi poggia gli artigli sulla fronte.
“Sì... ehm... devo aver mangiato
qualcosa che mi ha fatto male...” Mento.
“Oh, tesoro! Non puoi andare a scuola
ridotta così! Torna a letto.” Ordina il mostro.
Non ho voglia di replicare, ma mi
secca perdere un giorno di scuola e non ho voglia di fare gli esami. Oh
beh,
tanto peggio! Ho guadagnato un
giorno in
più per dire la verità... yu-hu!
Mia madre irrompe in camera come un
uragano con una pastiglia e un bicchiere d’acqua in mano.
“Amore, non ti preoccupare di niente.
Tuo padre ha chiamato la scuola e hanno detto che non
c’è problema, però dovrai
rimanere a casa da sola... sai, con così poco
preavviso...” Overload di
informazioni.
“Certo, andate. Non vi preoccupate.
S-sto bene, ho solo bisogno di un po’ di riposo.”
Biascico, ma non vedo l’ora
che se ne vadano. Mi accarezza la testa un’altra volta ed
esce, chiudendosi la
porta dietro le spalle.
Dopo dieci minuti, sento le portiere
dell’auto sbattere e il motore che si accende.
La maggior parte della mattina la
passo piegata sul WC.
Sì, essere incinta fa proprio schifo.
Verso mezzogiorno il mio cellulare
comincia a squillare. Già, la pausa pranzo. E la prima
classificata è... Jennifer!
“Sponge!” Urla nella cornetta.
La odio quando mi chiama ‘Sponge’!
Solo perché abbiamo una foto di quando avevamo quattro anni
in cui sono vestita
di giallo da testa a piedi! Non sono Spongebob! Uffa!
“Hey!” Biascico di risposta.
“Dove sei finita? Che hai?”
“Ehm... sono a casa... ehm... non...
non mi sento bene.” Balbetto.
“Sì, certo! E, per caso, la malattia
che ti sei presa si chiama ‘compito di
matematica’?” Ridacchia.
“No, Jen! Sto davvero male!” Ribatto
stizzita.
“Va bene, va bene! Non ti scaldare!
Se ti va possiamo passare dopo l’allenamento delle
cheerleaders...” Propone un
po’ sulla difensiva.
“Certo e mi... mi dispiace!”
Rispondo, sincera.
“Non ti preoccupare! A dopo, Sponge”
Mi saluta con il suo solito tono allegro.
Quasi non faccio in tempo ad
attaccare che il telefono squilla di nuovo. Il secondo classificato
è... Josh!
“Amore!” Mi saluta.
“Ehilà!” Rispondo, mentre tra me e me
mi chiedo perché diavolo ho detto
‘ehilà’.
“Come stai?” Chiede.
“Ehm... bene, bene! Tu?” Mento.
“No, io bene, ma tu non sei a
scuola.”
Mmmh... che perspicacia!
“No...”
“Quindi devo pensare che non stai
bene...?” Chiede.
Ah, allora è davvero perspicace.
“Già, effettivamente non sto tanto
bene...”
“Lo sapevo! Cos’hai? Sei andata da un
dottore?” Ecco le paranoie.
“Josh! Josh! Ascoltami, ascoltami!”
Urlo, cercando di fermare il suo sproloquio. “ Non
è niente di grave! Non ti
devi preoccupare! - ‘Oh e invece sì che ti devi
preoccupare’ penso -
Probabilmente ho mangiato qualcosa di avariato e basta.”
“Se dici di stare bene...” Riprende.
“Ed è così” Rispondo irritata.
“... Allora stasera vengo a
trovarti... ok?” Continua, ignorandomi.
“Non vedo l’ora.” Rispondo con molta
più dolcezza nella voce.
“Anche io. Ti amo.” Dice lui.
“Anche io.”
Riattacco e, questa volta, il
telefono tace. Che bello! Niente scuola, niente lavoro, solo le mie
amiche e il
mio ragazzo... oh no! Se mi vedranno così capiranno tutto!E
dovrò spiegare
tutto... oh merda! Non di nuovo! Mi tocca correre in bagno di nuovo,
forse
perché solo il pensiero di dover spiegare, mi fa impazzire
dal nervoso.
Tutta tremante mi trascino in salotto
e mi butto sul divano. Accendo la televisione e comincio a fare
zapping. In uno
degli innumerevoli canali di cinema stanno trasmettendo ‘Juno’. È sempre
stato uno dei miei film preferiti, ma l’avevo
sempre guardato senza mai capirlo bene. Oggi più che mai mi
sento sinceramente
immedesimata in un personaggio... Certo, non poteva essere... che ne
so?
Hermione Granger? Ok, forse ora sto delirando, ma... non voglio avere
un
bambino a sedici anni!
Sento le lacrime che risalgono
inesorabili, ma le rimando indietro. Emily Wood non piange mai.
Per distrarmi mando un messaggio a
Jack:
“Hey,
bro! Allora, questo esame? Ti voglio bene, E.”
L’orologio della
TV segna le tre e
ventidue. Beh, dato che è tutto il giorno che faccio avanti
e indietro tra la
mia camera e il bagno, farò una luuunghissima doccia. Mentre
predispongo tutto
quello che mi serve, arriva la risposta di Jack:
“Passato
con lode! Ma tutto questo zucchero =P? C’è
qualcosa che non va? Baci, J.”
Mmmh! Ma perché
mi conosce così bene?
Ok, farò finta di niente. Quando esco dalla cabina, mi sono
preparata e
asciugata i capelli, il mio stomaco emette un suono molto simile a un
tuono...
ooops! Non mangio da ieri sera!
Apro il frigo e tiro fuori del latte
e prendo tre biscotti dalla credenza.
Ora sono le cinque meno un quarto e
le mie amiche dovrebbero essere in arrivo. Infatti nel giro di dieci
minuti
scarsi il campanello comincia a suonare a ripetizione.
Sulla porta, ancora nelle divise da
cheerleader, ci sono le mie amiche. Mi abbracciano una a una e salgono
al piano
di sopra. In camera mia gettano gli zaini dove capita e si siedono una
sul
letto, una sul davanzale e una sulla sedia.
“Victoria Stewart deve smetterla di
fare il capetto!” Sta dicendo Leah.
“Sì, la capo cheerleader sono io!”
Esclama Chelsea infervorata.
“Fossero questi i problemi!” Commento
acida, mente mi accascio sui cuscini.
C’è un attimo di silenzio
imbarazzante e poi Jen commenta:
“Wooha! Qualcuno è un po’... mmmh...
acida?”
Evito di guardarla negli occhi.
“No, non lo sono! Penso solo che sia
stupido darsi battaglia per cose stupide come le
cheerleaders...”
“Beh, non dicevi così quando Sarah
Morgan ha fatto di tutto per essere lei il capitano della
squadra!” Ribatte
Chelsea stizzita.
“Vado in bagno.” Dico chiudendo
bruscamente la conversazione.
Esco dalla stanza sbattendo la porta.
Devo assolutamente calmarmi, non sono ancora pronta per dire a nessuno
che sono
incinta. In bagno mi lavo la faccia per guadagnare tempo. Tornata in
camera
noto con orrore che le mie amiche hanno trovato la scatola dei ricordi
e
l’hanno completamente rivoltata: tutt’e tre hanno
in mano un test di
gravidanza.
“Em, che... che cosa vuol dire?”
Chiede Chelsea con voce tremula.
Non riesco ad aprire bocca. Sento
come uno strato di colla vinilica che mi sigilla le labbra.
“Emily? C’è qualcosa che devi
dirci?”
Domanda Leah con palese paura.
Il silenzio sta diventando
insostenibile, ma continuo a non riuscire a spiccicare parola.
“Em, ti prego...” Sussurra Jen.
Alzo gli occhi e incrocio quelli
della mia migliore amica, sono pieni di lacrime e parlano di delusione .
“Mi dispiace...” Sussurro di
risposta. I miei occhi si riempiono di lacrime, ma non devio piangere.
Jen
lancia via il test che ha in mano, afferra lo zaino e sparisce,
lasciando
un’atmosfera pesante. Mi accascio sul letto con la testa fra
le ginocchia. Poi
sento due paia di braccia che mi circondano.
“Emily, non ti preoccupare, andrà
tutto bene!” Mi consola Leah.
“Sì, Leah ha ragione, ma
com’è...
quand’è... insomma...?” Balbetta Chelsea.
Faccio un respiro profondo e comincio
a raccontare:
“Ovviamente è stato con Josh... l-la
sera dell’homecoming.”
Le mie amiche che annuiscono.
“Era anche il mio compleanno e...” La
voce mi muore in gola, ma sono decisa a finire. “Jack era a
Columbus e i miei
erano a cena a casa di Jen e Josh. Quando siamo tornati qui, abbiamo
passato un
po’ di tempo a baciarci sul divano e... beh... insomma...
Stiamo insieme da
quasi un anno e pensavamo di andare oltre ai baci già da un
po’... sembrava la
sera ideale e l’ho lasciato fare, pensavo che sapesse
esattamente cosa stava
facendo e... ed è successo a basta.” Concludo
sbrigativa.
“Quindi non avete usato nessuna
protezione? Niente di niente?” Domanda Leah sbigottita.
Scuoto la testa.
“Emily, ma l’homecoming è stato
più
di un mese fa! Perché non ci hai detto niente?”
Ribatte in tono veemente.
“Non hai visto come ha reagito Jen?”
Chiedo un po’ seccata.
“Scusa, ma ti sei insospettita dopo
solo un mese?” Domanda Chelsea confusa.
“Sono sempre stata puntuale come un
orologio svizzero, ma non è questo il punto!”
Rispondo, quasi urlando. “Non
posso abortire per lo stesso motivo per cui non ho comprato io questi
test!”
Le mie amiche si scambiano uno
sguardo confuso.
“Perché viviamo in questo buco e ci
sono più vecchie pettegole che tredicenni altrettanto
pettegole e la voce si
diffonderebbe a macchia d’olio! Non voglio che mia madre
sappia che ho
abortito. Preferisco affrontare la gravidanza...”
Il peso delle mie parole mi grava
addosso. Ho appena detto di voler affrontare una gravidanza a sedici
anni?!
Questo è troppo anche per Emily Wood e scoppio a piangere.
Anche Leah e Chelsea sono rimaste a
bocca aperta, ma cercano comunque di consolarmi. Restano con me tutto
il
pomeriggio per cercare di tirarmi su il morale e, quando vanno via, mi
ricordo
che Josh dovrebbe venire qui tra qualche ora, ma non ce la faccio ad
affrontarlo. Gli mando un messaggio che dice:
“Ho
avuto una ricaduta. Ci vediamo domani a scuola. Ti amo, E.”
Già, è
proprio da me, rimandare i
problemi invece di affrontarli...
Ecco il secondo capitolo =D!
La storia sta per entrare nel vivo, quindi continuate a leggere (: !
Lunedì 13, prossimo capitolo =D!
Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le
seguite.
Love
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Geneviève ♥
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Capitolo 4 *** Chapter 3 ***
È passata più
di una
settimana da quando le mie amiche hanno scoperto della mia gravidanza.
La
nausea è rimasta costante , anche se oggi sto leggermente
meglio... vale a dire
che ho vomitato solo dodici volte, invece di quindici.
Leah e Chelsea mi trattano
come se fossi una malata terminale il che, a lungo andare, sta
diventando
davvero irritante. Jen, dal canto suo, continua a ignorarmi. Mentre
Josh, Liz,
i miei e tutti gli altri, sono all’oscuro di tutto.
Sì, rimandare per non affrontare
è così da me!
Anche se fare finta di niente
con Josh e con i miei si è rivelato sorprendentemente
facile. Invece Liz sta
cominciando a sospettare qualcosa dato che non mi viene più
il ciclo e, per
evitare di farle scoprire della mia gravidanza come l’hanno
scoperta le mie
amiche, ho deciso che l’affronterò di petto.
Oggi è giovedì e tra un paio
di settimane c’è una gara di nuoto di tutta la
contea e gli allenamenti si sono
raddoppiati, se non triplicati. Liz è davvero carica, mentre
io sembro un’ameba
senza aspirazioni. Sono sotto la doccia dopo l’allenamento e
mi arriva una voce
alle orecchie:
“Wood! Che sono questi tempi
da schifo?!” Dice Liz canzonandomi affettuosamente.
“Liz, si vede lontano cinque
miglia che non scoppio di salute e che, soprattutto, non sono per
niente in
forma!” Mi lamento.
“Su con la vita!” Ribatte
sarcastica.
“Senti un po’... ma hai tanti
compiti per domani?” Chiedo fingendo indifferenza.
“No... perché?” Risponde
sospettosa.
“Perché ho voglia di un
frullato... mi accompagni a prenderne uno?”
“Certo! Tanto ho la
macchina!” Sorride. Sono sempre stata convinta che
c’è una buona dose di
sadismo in lei: sono stata bocciata all’esame della patente e
i miei si sono
rifiutati di regalarmi una macchina.
Uscendo dalla piscina e
durante il tragitto fino al centro commerciale parliamo di discorsi
futili e
stupidi. Però, quando siamo sedute ad un tavolo e io ho in
mano il mio frullato
al lampone e limone e Liz uno alla fragola, affronto
l’argomento.
“Liz, sai... c’è...
c’è
qualcosa che dovresti sapere...” Comincio.
“Mh-h?” Risponde, ancora
concentrata sul frullato.
“Ecco i-io ho... ehm...
ecco...”
“Dai, Emily! Sputa il rospo!”
Risponde seccata.
Chiudo gli occhi e faccio un
respiro profondo.
“Io e Josh abbiamo fatto
sesso...” Comincio, continuando a tenere gli occhi serrati.
“Era ora!” Dice Liz
tranquilla.
“Senza protezioni.” Le dico,
aprendo gli occhi.
Un sorso di frullato le va di
traverso.
“Beh, m-ma tutto apposto...
no?” Chiede, pregandomi con gli occhi.
“Vorrei tanto...” Ribatto.
“Cazzo!” Sussurra Liz. “M-ma
quando è successo?”
“Il giorno del mio
compleanno...” Rispondo.
Sospira rumorosamente e si
passa entrambe le mani tra i capelli. Ripete la stessa operazione per
altre tre
volte, poi si abbandona sullo schienale della sedia, sempre con la
faccia
nascosta tra le mie mani. Dopo ancora qualche minuto, fa un respiro
profondo e
dice: “Beh, allora sarai mamma...!”
“C-cosa?” Chiedo
assolutamente basita.
“Sì...beh... in genere quando
sei incinta, dopo nove mesi, partorisci un bambino vero e
proprio...” Risponde
Liz sarcastica. Mi rifiuto di ribattere.
“Scusa ma cosa pensi di
fare?!” Chiede Liz stizzita.
“Stavo seriamente pensando
all’adozione...” Sussurro.
“ADOZIONE?!?!” Urla Liz.
“Shhh!” La zittisco
disperatamente.
“Ok, ma come pensi... dove
pensi... e poi, scusa, ma Josh lo sa?”
Scuoto la testa.
“Emily, devi assolutamente
dirglielo!”
“Lo so...!”
“Ma non hai la minima idea di
come fare.” Dice, anticipando il finale della mia frase.
“Già...”
Mi si riempiono gli occhi di
lacrime, per la centesima volta questa settimana.
“Ok... dai, vedrai, andrà
tutto bene...” Cerca di rassicurarmi. Mi strofina il braccio
per darmi un po’
di conforto.
“Chi altro lo sa oltre a me?”
Riprende con un tono notevolmente più dolce.
“Chelsea, Leah e Jennifer...”
Rispondo con voce tremolante.
“E...?”
“... e Leah e Chelsea mi
trattano come se fossi malata di cancro e Jen non mi parla da una
settimana!”
Sbotto.
“B-beh... s-se vuoi posso
accompagnarti a casa di Jennifer e Josh, così puoi parlare
con entrambi...”
Le lancio uno sguardo
assassino e Liz si affretta ad aggiungere: “Oppure possiamo
andare da te e la
chiami...?”
Però la prima idea è
nettamente migliore...! Odio Liz, ha sempre maledettamente ragione!
“No, no... portami da loro,
per favore.”
Liz si alza, fa il giro del
tavolo e, dopo che mi sono alzata, mi abbraccia fortissimo. Durante il
tragitto
per arrivare da Jen e Josh, stiamo in silenzio. Io sono troppo nervosa
e Liz è,
per la prima volta, senza parole.
Arrivata lì, prima di
scendere, Liz mi abbraccia e mi da un po’ di coraggio.
Camminando sul vialetto
fino alla porta ho le gambe come due budini. Salgo i tre scalini
davanti alla
porta e busso. Mentre aspetto che aprano, non so se sperare che apra
Josh o Jen
o uno dei signori Mills. Quando la porta bianca si apre, vedo il viso
di Jen
che passa dallo scioccato allo scocciato.
“Che cosa ci fai qui?” Dice
brusca.
“Possiamo parlare, per
favore?” La imploro.
Senza ribattere, si gira e si
avvia verso la sua stanza e io la seguo in silenzio. Arrivate a
destinazione,
si siede sul letto e comincia a fissarmi in attesa.
“Allora?” Incalza dopo un po’
“Jen... io... mi dispiace?”
Balbetto.
“Ti dispiace per cosa?”
Chiede acida.
“Mi dispiace per... per...”
Effettivamente non so perché mi dispiace.
“Vedi, Emily?! Non basta chiedere
solo scusa...”
“Allora dimmelo tu in cosa ho
sbagliato! Dimmi cosa ti ha fatto arrabbiare! Ti prego... io ho bisogno
di te,
ora più che mai...” Sbotto per poi abbassare
notevolmente il tono della voce,
ma è troppo tardi. Infatti dopo meno di un minuto, bussano
alla porta.
“Avanti!” Dice Jen.
La porta si apre, rivelando
la faccia sorpresa di Josh. Entra nella stanza e un po’
sospettoso chiede:
“Tutto bene?”
“Certo.” Risponde secca Jen.
“Sei sicura? Perché ho
sentito Em urlare e...” Cerca di ribattere.
“Va tutto bene, ok?!” Urla
Jen.
“Ok... Dopo passi un minuto?”
Chiede rivolto a me.
Annuisco. Josh annuisce ed
esce. Io resto in silenzio, aspettando la risposta di Jen. La mia
migliore
amica ha lo sguardo vacuo quando comincia lentamente a parlare.
“Emily, ho fatto veramente
fatica ad accettare che tu e Josh steste insieme e ora... questo! Non
credevo
che voi poteste comportarvi così irresponsabilmente... e poi
io sono la tua
migliore amica! Perché non mi ha detto che avevate fatto
sesso?”
“Non lo so... forse non ero
pronta per dirtelo e, forse non ero pronta nemmeno per fare
sesso.” Ammetto con
riluttanza, per poi aggiungere: “Non lasciarmi sola adesso,
ho bisogno della
mia migliore amica.”
“Emily, io ti voglio bene e
ti rimarrò sempre accanto” Dice Jen, alzandosi e
abbracciandomi.
“Grazie.”
“Però ora voglio sapere
tutto!” Riprende sfoderando un sorriso malizioso.
“Sei sicura? È comunque tuo
fratello...”
“Già, hai ragione.”
Entrambe scoppiamo a ridere.
Guardando l’orologio noto che sono le 18.40 e che se non
torno entro venti
minuti il mostro Kate mi mangerà il cervello.
“Jen, io vorrei raccontarti
tutto, ma tra venti minuti il mostro Kate ci mette a tavola e se non
sei
puntuale ti rinchiude nelle sua grotta...”
“Non ti preoccupare! Rimani
qui per cena. Chiama Kate.” Mi ordina.
Obbedisco e mia madre al
telefono, dopo una leggera resistenza, acconsente. Poi ricordo di aver
detto a
Josh che sarei andata un attimo da lui e Jen, con una scintilla
maliziosa negli
occhi, mi lascia andare.
Conosco questa casa meglio
della mia. Mi dirigo sicura tre porte oltre quella della camera di Jen
e la
apro leggermente. Josh è di spalle, con le cuffie nelle
orecchie e sta facendo
i pesi. Ogni volta che lo vedo mi sento come una ragazzina di dodici
anni alla
sua prima cotta. I muscoli potenti guizzano sotto la pelle chiara e i
capelli
castani scompigliati lunghi fin sotto le orecchie si appiccicano alla
pelle
sudata.
Cercando di non far rumore,
mi siedo a gambe incrociate sul suo letto e lo guardo per cinque minuti
buoni
senza che lui se ne accorga. Quando finalmente si gira e mi vede sulla
sua
faccia si apre uno di quei sorrisi che mi sciolgono sempre.
“Da quanto sei lì?” Chiede
divertito.
“Mah... abbastanza per
rifarmi gli occhi...” Rispondo con finta vaghezza.
Intanto Josh è arrivato a due
centimetri da me e io mi sono messa in ginocchio. Si china verso di me,
poggia
delicatamente le labbra sulle mie e le schiude leggermente. Mi lascio
trasportare in quel dolce oblio. Ero innamorata di lui da una vita e
quando ci
siamo messi insieme mi è sembrato tutto così
irreale.
Era il primo dicembre, il
compleanno di Alex, uno dei miei migliori amici. Aveva organizzato una
festa
enorme e aveva invitato praticamente tutta la scuola. Girando per casa
di Alex
avevo visto tutte le squadre maschili e femminili di pallanuoto,
pallavolo,
nuoto e basket, e poi, naturalmente, c’erano le cheerleaders!
Josh era arrivato con
Victoria Stewart.
Victoria è la tipica stronza
del liceo. Ha i capelli biondi fintissimi e gli occhi azzurri, che
purtroppo
sono davvero belli. È una di quelle ragazze che hanno sempre
una scollatura
vertiginosa e una minigonna ascellare e, ovviamente, ha sempre un
ragazzo
capitano di una squadra scolastica ogni anno. Lo scorso semestre aveva
scelto
Josh, dato che è il capitano della squadra di basket.
Quella sera era lei aveva una
microgonna di pelle nera e il reggiseno (che lei chiamava
‘top’) di pelle nero
abbinato e Josh aveva un paio di jeans stretti e una camicia nera mezza
sbottonata... Era così bello!
Ad ogni modo, io ero già
innamorata persa di lui e continuavo a tenerli d’occhio.
Verso metà della festa
Victoria aveva cominciato a strusciarsi addosso a Larry Cooper,
capitano della
squadra di pallanuoto e il caro vecchio Larry non sembrava per niente
scontento. Josh li aveva visti e aveva cercato di separarli. Avevano
cominciato
a litigare e Josh era uscito fuori.
Sapevo che dovevo seguirlo e
lo raggiunsi in giardino. Scendeva un leggero nevischio. Faceva davvero
freddo
e avevamo abiti leggeri, ma a nessuno dei due importava. Quello che di
lì a
dieci minuti sarebbe diventato il mio ragazzo era seduto sul muretto
che
circonda la casa di Alex e quando lo raggiunsi avevo le guancie
scarlatte per
il freddo e per l’imbarazzo. Non sapendo bene cosa dire,
cominciai con uno
stupidissimo:
“Hey.”
“Hey.” Rispose lui tra
l’abbattuto, il sorpreso e il contento.
“Non te la devi prendere per
lei, sai?”
Sbuffò.
“Davvero, Josh! Ti meriti di
meglio, per lei sei solo uno dei tanti che ci sono stati e che ci
saranno!”
Sbottai.
Si voltò a guardarmi, gli
occhi pieni di lacrime.
Rimasi interdetta. Non avrei
mai creduto che fosse così affezionato. Mi sedetti accanto a
lui e gli poggiai
la testa sulla spalla. Rimanemmo in silenzio per un po’ e poi
mi sussurrò:
“Sai, Emily, sto uscendo con
Victoria per ingelosirti.”
Il mio stomaco fece il bunjee
jumping. Non riuscivo a credere che fosse stato così stupido
e cieco da non
accorgersi che a me piaceva da morire.
“C-cosa?” Balbettai,
rialzando la testa per guardalo negli occhi.
Lui non rispose, non disse
altro. Le sue labbra erano sulle mie, le sue mani cercavano avide le
mie e il
mio cervello si stava appannando. In un ultimo sprazzo di
lucidità, lo
allontanai.
“No. No, Josh. T-tu hai una
ragazza e io non posso farle questo, anche se è Victoria
Stewart.” Dissi,
rientrando in casa.
Cercai di fare finta di
niente, finché non sentii sussurrare al mio orecchio:
“Ho lasciato Victoria.”
Dopo aver sussultato ed
essermi umiliata totalmente, mi girai e incontrai gli occhi sinceri e
il
sorriso di Josh. Annullai la distanza tra i nostri visi e lo baciai con
passione. Improvvisamente, sentii una mano con delle unghie lunghe
grattare
violentemente la mia nuca e un liquido bruciare a contatto con i miei
occhi.
Una voce isterica raggiunse le mie orecchie: “Puttana!
Puttana! Lui è mio!”
Altre urla raggiunsero le mie
orecchie:
“Smettila! Smettila!”
“Ma sei pazza?!”
“Lasciala stare!”
“La troia sei tu!”
Sentii che qualcuno mi
trascinava via...
Oddio! Ma oggi non è il primo
dicembre 2007! Oggi è il ventitré ottobre 2008 e
io non mi sono neanche resa
conto di essere sdraiata sotto il mio ragazzo e di non avere
più la maglietta!
Le mani di Josh stanno lottando per aprire il laccetto del reggiseno.
“Josh! Josh! Fermo! Fermati!”
Dico ansimante.
“Perché?” Chiede altrettanto
ansimante.
“PERCHÉ?! Perché
c’è tutta la
tua famiglia a casa e a minuti verranno a chiamarci per la
cena!”
Esamina la mia faccia e dice.
“C’è qualcos’altro.”
“C-cosa? No! Non è vero!”
Mento.
“Emily, tu mi stai
nascondendo qualcosa...”
“No, non è vero...”
“Piantala di dire cazzate!”
Esplode
“Josh, calmati!” Lo imploro.
“Solo... Dimmi solo la
verità.”
“Ecco, io...”
Ecco il terzo capitolo =)
Nell'altro capitolo non ho ricevuto recensioni... per favore, fatemi
sapere cosa ne pensate nel bene e nel male!
Lunedì 20 prossimo capitolo =D!
Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le
seguite.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
|
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Capitolo 5 *** Chapter 4 ***
“Ecco,
io... sono
stanca. Mi sto allenando tantissimo e non ce la faccio
proprio...” Prego con tutte
le mie forze che ci creda. Non sembra troppo convinto.
“Va bene, ti credo.”
Risponde. Mentre ballo la conga internamente perché Josh ha
creduto alla mia bugia,
lui ha l’espressione di uno che sta pensando intensamente per
risolvere un
problema troppo grande; infatti, dopo un minuto, riprende:
“Dovresti mangiare
più carne.”
No, fermi tutti. Io
ho appena nascosto al ragazzo con cui sto da quasi un anno e che
dovrebbe conoscermi
come le sue ciglia che sono incinta e lui mi dice che dovrei mangiare
più
CARNE?!?!
Beh, se servirà a
distrarlo non sarò io a disilluderlo.
“Credi?” Chiedo,
facendo la finta tonta, mentre mi rinfilo la maglia.
“Sì, sai, carne
rossa. Manzo, vitello e cose così. Rischi di svenire durante
un allenamento...
a me è successo.”
“Lo so, c’ero anche
io. Quando sono entrata con le cheerleaders... ti ricordi?”
“È vero! Sei la mia
bellissima delinquente.”
“Smettila di fare il
cretino!” Dico, dandogli un pugno sulla spalla e sfondandomi
le nocche.
Sorride e comincia a
farmi il solletico ai fianchi. Lo O-D-I-O!
Rido a crepapelle,
rido fino a perdere il fiato, rido tanto da non accorgermi che la
sorella
minore di Jen e Josh, Bethany, è entrata in stanza per
avvertirci che la cena è
pronta.
Bethany è una Josh in
miniatura con le tette. Non piacevo quand’ero la migliore
amica di Jen e sono
sicura che, da quando mi sono messa con Josh, abbia cercato di farmi
fuori un
paio di volte. Mi ha sempre odiata. Mi lancia sempre frecciatine
velenose e
occhiate omicide. Che adorabile tredicenne!
“Se voi due non
volete fare sesso ora, la cena è pronta.” Dice
acida.
“Beth, piantala!”
Sibila Josh.
“No, dai, non fa
niente...” Gli sussurro.
“No! Non va bene! Mi
sono rotto le palle del suo atteggiamento!” Ringhia.
Josh arrabbiato è lo
spettacolo più spaventoso a cui si possa assistere. Diventa
tutto rosso, in
particolare le orecchie, la mascella gli si contrae, il collo gli si
gonfia e
serra i pugni con tanta forza che le nocche gli diventano bianche.
Intanto Bethany è
scappata al piano di sotto.
“Basta, basta! Ormai
è andata via!” Gli sussurro, carezzandogli il
braccio sinistro.
Josh fa dei respiri
profondi per calmarsi. Le orecchie tornano del loro colore normale e la
mascella
si rilassa, ma so che non si è ancora calmato del tutto.
Senza dire niente,
scende al piano di sotto sbattendo i piedi. Sospiro e lo seguo,
massaggiandomi
le tempie. Tutti si girano a guardarmi quando entro nella sala da
pranzo.
Sorrido imbarazzata e mi siedo tra Jen e Josh che mi stringe la mano.
Bethany è
seduta con la testa bassa e in silenzio e Josh sembra piuttosto
contento.
Le cene in questa
casa sono sempre state piacevoli e tranquille. A tavola si chiacchiera
del più
e del meno e si chiedono le opinioni di tutti. E si resta a tavola
finché tutti
non hanno finito, cosa che, a casa mia, non è mai esistita!
Quando Josh ha finito
la terza fetta di torta al cocco e mangiato anche il piatto e il
cucchiaino,
afferra le chiavi della macchina e dice:
“Ti aspetto fuori.”
Annuisco e salgo al
piano di sopra per prendere lo zaino. Appena siamo sole e abbastanza
lontane
dagli altri, Jen mi sussurra velocemente:
“Gliel’hai detto?
Perché urlava?”
“No, non gliel’ho
detto e, come al solito, Beth lo ha fatto incazzare...”
“E cosa staresti
aspettando?!”
“Lo sai come sono
fatta! Io rimando sempre...”
“Lo so, ma... questo
- dice facendo un cenno alla mia pancia piatta ancora per poco - non
può
aspettare né essere rimandato!”
Devono smetterla di
dire sempre quello che non voglio sentire.
“Vuoi che lo scopra
da solo?”
Scuoto la testa.
“Allora devi
dirglielo. Subito.”
“Senti, dammi tempo.”
“No, non puoi
permetterti di rimandare.”
“Fino a lunedì
mattina!”
“Fai come ti pare. Io
sto solo cercando di trovare un modo per non farvi
soffrire...”
“Josh mi sta
aspettando.” Mugugno per cambiare discorso.
“Ok, ci vediamo
domani a scuola.”
Mi abbraccia forte e
mi accompagna fino alla porta da dove mi saluta con la mano prima che
Josh mi
apra la portiera. Durante il tragitto verso casa ridiamo e facciamo gli
idioti,
ma io dentro sto morendo. Vorrei urlargli “Hey! Sono la tua
ragazza e sono
incinta del tuo bambino!”, ma vorrei anche tenergli tutto
nascosto.
Io e Josh stiamo bene
così. Josh
ed Emily. Emily e Josh.
Non voglio che
diventi Emily, Josh e un bambino.
Potrei andare da Jack
a Columbus per tutta la gravidanza e frequentare quelle scuole per
ragazze
madri... No, i miei dovrebbero pagarmi la retta e, alla fine, qualcosa
salterebbe fuori.
Però devo dirglielo
in qualche modo. Sicuramente non a muso duro come ho fatto con Liz!
Devo trovare un
modo...
Lo guardo dal sedile
del passeggero. Sta cantando una canzone che sta passando alla radio e
sembra
divertirsi da morire. Incrocio i suoi occhi e un mare di ricordi mi
assale.
Quello che è successo sembra così irreale. E ora,
a raccontarlo, così
irresponsabile!
Riesco ancora a
sentire ogni minimo dettaglio. Il vestito di tulle blu scuro che
scivola via,
le sue mani calde che si muovono sicure sul mio corpo, il respiro caldo
sul
collo, le labbra che sanno di menta e cioccolato. Ricordo le mie
lenzuola
pulite che profumavano di mughetto. Ricordo che la mattina dopo, quando
Josh
era ormai scappato dalla finestra, avevo trovato una macchia di sangue.
Quella
macchia era l’unica testimone della nostra notte di piacere.
Ho in mente,
sillaba per sillaba, la bugia raccontata a mia madre su quella macchia:
il
ciclo, mi ero scusata. E mia madre, troppo spaventata per credere che
la sua
bambina non fosse più vergine, mi aveva creduto.
Ora vorrei tornare a
quella notte. Ora vorrei chiedergli di prendere le dovute precauzioni...
La macchina gira nel
vialetto di casa mia, distraendomi dalle mie elucubrazioni.
“Buona notte...”
Biascico mettendo una mano sulla maniglia.
“Dove credi di
andare?!” Chiede il mio ragazzo con la stessa scintilla di
prima. Provo
comunque ad aprire la portiera, anche se so che Josh ha inserito la
sicura. La
portiera rimane chiusa. Come volevasi dimostrare!
“Josh se prima ero
stanca, ora sono sfinita!” Lo imploro, mentre lui mi bacia il
collo.
“Dai...”
“No, ‘dai’ te lo dico
io!” Ribatto stizzita.
Josh sbuffa
rumorosamente, ma si arrende.
“Va bene, ma voglio
passare un’altra notte con te...”
“Ok, ma non oggi e
ora lasciami andare a dormire!” Dico, prima di stampargli un
bacio.
Mentre leva con una
mano la sicura, Josh mi cattura le labbra con le sue. Non vorrei
più andarmene,
ma faccio appello a tutto il mio buon senso ed esco dalla macchina.
In casa i miei mi
rivolgono un saluto distratto da davanti alla TV. In camera mia mi
siedo
davanti al computer e apro Twitter e Facebook. Non è
successo nulla, quindi
spengo il computer. Sono ancora troppo nervosa per fermarmi e comincio
a
passeggiare su e giù nella mia stanza.
Poi ho
un’illuminazione. Ho trovato il modo perfetto per dirlo a
Josh: diretto, inequivocabile
e, soprattutto, non devo dirglielo di persona!
Afferro un foglio di
carta, scribacchio una lista di cose che mi servono, la poggio sul
comodino e
mi metto a letto. Dopo due ore mi sto ancora rigirando nel letto,
quindi scendo
senza fare rumore fino in cucina e metto due gocce di valeriana in un
bicchiere
d’acqua.
La valeriana ha un
effetto quasi immediato. Infatti l’ultima cosa che ricordo
è l’abat-jour sul
comodino che si spegne e la prima cosa che ho visto stamattina
è stato mio
padre che mi urlava di muovermi perché era tardi. Mi vesto
in fretta e furia e
mezza in coma. Mi fiondo in macchina e mio padre mi accompagna fino a
scuola
giusto in tempo.
Mi scapicollo fino
all’aula trentuno dove si fa l’appello di tutti i
sophomores. Odio avere il cognome
che inizia con la ‘W’. Ogni giorno mi devo subire
la stessa cantilena:
“Adams... Allen... Baker... Bennett... Bookout... Brown...
Cook...” e così via
fino a “Wood”.
Alle 8.30 usciamo in
corridoio e due braccia forti mi circondano la vita da dietro e delle
labbra mi
schioccano un bacio quasi nell’orecchio. Mi giro, sempre
incastrata tra quelle
braccia che conosco fin troppo bene. Josh mi sorride.
“Buongiorno” Biascio.
“Buongiorno amore!
Sembri davvero riposata...”
“Visto?! Avevo solo
bisogno di riposo!”
“Se ti sei riposata
allora potremmo passare la notte insieme...?” Sorride
malizioso.
Ho di nuovo la
nausea.
“Certo...!”
“Magari stanotte...”
“Josh sei
completamente impazzito?! - sibilo - Ci sono i tuoi a casa tua e i miei
a casa
mia!”
“Che ci vuole?! Dici
ai tuoi che dormi da Jennifer e il gioco è fatto!”
Risponde con naturalezza.
Ora la nausea è più
forte.
“Scusa, Josh, devo...
devo... devo fare pipì!”
Scappo verso l’aula
1, dove avrò una simpatica ora di biologia, e chiedo il
permesso per il bagno.
Per tutta la mattina
barcollo da una classe all’altra, cercando di non incontrare
nessuno. Alle 11.20 mi dirigo decisa
verso la piscina per gli allenamenti, che sostituiscono le mie ore di
ginnastica. Liz mi sbuca da dietro le spalle:
“Ciao!”
“Ciao.” Mugugno.
“Sei ancora verde in
faccia...”
“Grazie per avermelo
fatto notare!” Le dico sarcastica.
“Non ci pensare!”
“Scusa, m-ma come
faccio?!” Le rispondo con una nota di isteria nella voce.
“Ok, lo so che è
seria come cosa, ma possiamo parlarne tra un minuto? Ho una bella
notizia da
darti!” Dice pimpante.
“Cos’è successo?”
“Ho un appuntamento!”
Questa è una di
quelle situazioni in cui, se stessi bevendo, sputerei tutto a destra e
a manca.
Liz non ha mai avuto un appuntamento. Liz ha sempre odiato tutti i
ragazzi che
vivono qui. Chi diavolo è questo pazzo che ha chiesto a Liz
di uscire?!?
“C-con chi?”
Balbetto, sotto shock.
“Adam Harris!”
“Adam Harris?! ADAM HARRIS?! Liz,
ma tu odi i ragazzi di qui! Soprattutto i giocatori delle
squadre!”
Adam Harris
è un dei
componenti della squadra di basket e va molto d’accordo con
Josh. Io ci ho
parlato un paio di volte e non sembra un completo idiota.
“È
vero, ma... non lo
so! Adam è così carino! E mi sono stufata di
essere quella solitaria a tutti i
costi...”
“Se sei
contenta così...”
“Lo sono,
Emily!”
Sorrido di risposta.
Non avevo mai visto Liz così felice. Intanto siamo arrivate
nello spogliatoio e
ci siamo cambiate.
“Tu, invece,
l’hai
detto a Josh?”
“No, mi
è mancato il
coraggio...”
Liz alza gli occhi al
cielo e poi chiede di nuovo:
“Jennifer
che ha
detto?”
“Mi ha detto
che ci è
rimasta male perché siamo stati davvero irresponsabili e
perché le ho tenuto
tutto nascosto, però ha detto che è disposta a
perdonarmi e a passarci sopra...
E ad aiutarmi.”
“Non male
no?”
“Per
niente!”
“WOOD! NASH!
Volete
entrare in acqua o vi serve un invito scritto?”
Detesto
l’allenatore
Robinson.
In genere il nuoto mi
serve a rilassarmi, ma oggi mi sento davvero male e non vedo
l’ora che tutto
finisca. L’ora è interminabile e, appena
l’allenatore fischia tre volte per
indicare la fine dell’allenamento, schizzo nel bagno e vomito
tutto quello che
mi è rimasto in corpo. Faccio una doccia veloce e mi avvio
verso la mensa.
C’è
una fila
interminabile di ragazzi che aspettano il loro turno, ma, per fortuna,
Leah e
Chelsea sono già ad un buon punto e le raggiungo.
“Come
stai?” Chiede
Leah, apprensiva.
“Ho appena
vomitato.”
Fanno una smorfia di
disgusto.
“Già...
e a voi com’è
andata la mattinata?” Chiedo per cambiare discorso.
“Ho preso B+
al test
di francese.” Annuncia Leah in estasi.
“Io
A-.“ Dice Chelsea
con indifferenza.
“I
ragazzi?” Chiedo.
“Allenamenti
extra.”
“Ok,
Jen?”
“Dovrebbe
arrivare a
momenti...”
Arriva il nostro
turno e a vedere la varietà di ‘cibi’ mi
ritorna la nausea quindi prendo solo
una mela e una soda. Il pranzo passa veloce e in un battito di ciglia
mi trovo
sbattuta nell’aula di studio e poi in quella di tedesco a
sentire la
costruzione del periodo ipotetico. Uscendo dalla classe dopo
l’appello della
fine delle lezioni, trovo Josh appoggiato al muro davanti alla classe.
“Andiamo?”
Annuisco.
Mi avvio verso il
parcheggio al suo fianco, senza ascoltarlo. Continua a parlare anche
durante
tutto il tragitto fino a casa. Parla, parla, parla. Dio quanto parla!
Quasi più
di una ragazza. Intanto io annuisco o commento con uno sporadico
‘mmmh’, ‘già’
o ‘hai ragione’. Quando parcheggia nel vialetto mi
guarda serio e dice:
“Ti passo a
prendere
alle 20.”
“Per
cosa?” Cado
dalle nuvole.
“Perché
stanotte tu
vieni da noi.” Risponde in tono perentorio.
“Dai, Josh,
sul
serio...”
“Basta. Io
voglio
un’altra notte come quella.”
Apro la portiera e me
ne vado, senza salutarlo. Tanto so che verrà lo stesso, ma
non lascerò che mi
rovini il piano perfetto per svelare la verità. Quindi,
appena la macchina
sparisce alla fine della strada, prendo venti dollari dal mio
salvadanaio a
forma di mela e mi avvio verso la cartoleria più vicina.
Torno a casa venti
minuti dopo e rovescio il contenuto della busta sul mio letto.
Un pennarello nero
indelebile, un nastro di tulle rosa scuro e una busta di palloncini
azzurri...
Ecco il quarto capitolo =)
Negli ultimi due capitoli non ho ricevuto recensioni... per
favore, fatemi sapere cosa ne pensate nel bene e nel male!
Lunedì 27, se riesco, prossimo capitolo =D!
Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le
seguite.
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
|
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Capitolo 6 *** Chapter 5 ***
Chapter 5
È domenica sera e mi sto
scervellando per
risolvere un maledettissimo problema di statistica.
La nottata da Josh è stata piuttosto
imbarazzante: l’ho costretto a dormire e basta. Si
è innervosito così tanto che
mi ha risposto a monosillabi per tutto il sabato. Comunque, ora mi ha
perdonato.
Lascio perdere definitivamente il problema e
infilo il quaderno nello zaino. Raccolgo anche il libro di tedesco,
geografia,
scienze umane e la reflex, poi scendo al piano di sotto e prendo il
costume.
Infine mi giro verso la scrivania e fisso la busta bianca che contiene
tutta la
verità. Afferro una penna e scrivo velocemente ‘Josh Scott Mills’.
Mi siedo sul davanzale della finestra e aspetto
che il sonno si affacci.
Passo la notte facendo ogni tanto un pisolino,
ascoltando una canzone e, soprattutto, guardando la sveglia...
23.56... 00.32... 1.22... 2.49... 3.38...
4.07... 5.15... 6.12...
Che palle!
Alla fine arrivo a scuola alle 7.30. Che
situazione ridicola! Non sono mai arrivata così presto a
scuola... Non c’è
neanche un professore!
Infilo la busta nei buchi dell’armadietto e mi
siedo su una delle panche fuori dell’entrata. Dopo
mezz’ora che sbuffo e fisso
il vuoto, i tre migliori amici di Josh escono da una macchina blu.
Simon e Josh sono amici più o meno da quando vanno
a scuola, questo comporta che anche io conosco Simon da tutta la vita.
È
assolutamente ossessionato dagli Iron Maiden.
Alex si è trasferito da Detroit, Michigan sette
anni fa e Daniel viene da Seattle, Washington ed è qui
quando doveva cominciare
il liceo. Giocano tutti e tre nella squadra di basket con Josh.
E, se proprio devo dirla tutta, le mie migliori
amiche vanno tutte e tre dietro a uno di loro:
A Jen piace Simon, a Chelsea piace Daniel e Leah
è cotta di Alex.
Appena mi vedono, si avvicinano con dei sorrisi
enormi.
“Wood! Che ci fai qui così presto?”
Chiede
Simon.
“Non riuscivo a dormire.” Dico, facendo
spallucce.
“Povera Emily!” Mi canzonano in coro.
“Smettetela di fare gli idioti!” Dico, mettendo su
un finto broncio.
“Alza quelle chiappe e accompagnaci in classe!”
Mi esorta Daniel.
“Mmmh! Che gentiluomini!” Commento sarcastica.
Ridono e scherzano tutto il tempo e io li
ascolto e sorrido. Li lascio davanti all’aula trentadue e mi
dirigo verso la
trenta, dove devo fare l’appello. Come ieri, il giorno prima
e il giorno prima
ancora, mi sorbisco la solita cantilena di cognomi e quando esco
dall’aula la
prima cosa che vedo è la faccia arrossata e sudaticcia di
Josh.
“Dove diavolo eri?” Mi sputa praticamente in
faccia.
“Scusa, mi sono svegliata presto e sono venuta a
scuola presto...”
“Potevi anche mandarmi un messaggio!”
“Sì, hai ragione, mi dispiace... Per
curiosità,
hai già preso i libri per la prima ora?” Chiedo,
facendo la vaga.
“No, perché?!”
“Così, per sapere. Ora, scusa, ma ho
statistica...”
“Ci vediamo a pranzo.” Dice, stampandomi un
bacio e avviandosi nella direzione opposta.
So che non sarà un pranzo piacevole.
La mattinata la trascorro con i nervi a fior di
pelle e vomitando tra una lezione e l’atra. A mezzogiorno e
dieci, mi avvio
lentamente verso la mensa e mi metto in fila. Prendo una pepsi al
limone e dei
tacos al formaggio e mi siedo in un angolino nascosto della mensa della
scuola
media e superiore Jefferson per non essere notata.
È quasi divertente vedere tutte quelle ragazzine
di dodici e tredici anni che ti squadrano dalla testa ai piedi. Lo
fanno ora
che sono una ragazza perfettamente nella media, tra qualche mese
sarà una
situazione ridicola. Scrollo le spalle e mi alzo per andare a buttare i
resti
del mio pranzo.
Poi, improvvisamente, una mano forte mi tira via
da davanti al cestino e io non oppongo resistenza. Mi ritrovo nel
cunicolo
vicino alla mensa con davanti un Josh scioccato.
“Emily, che merdosissimo scherzo è
questo?!”
Resto in silenzio e fisso interessatissima una
mattonella bianca sul pavimento pulitissimo.
“Emily!”
Josh continua a scuotermi e, quando finalmente
riesco a staccare lo sguardo da terra, sussurro:
“Non è uno scherzo.”
Con una spinta mi sposta di lato, lasciandosi cadere
dietro la foto che stamattina gli avevo infilato
nell’armadietto: un palloncino
azzurro con la scritta ‘coming soon’ legato con un
nastro di tulle rosa alla
mia pancia.
La campanella suona e mi impedisce di pensare a
qualunque cosa sensata io possa fare, perché, come un
automa, mi dirigo verso
l’aula di tedesco.
Durante le due ore seguenti non riesco a trovare
neanche un accenno di concentrazione; quando fanno il contrappello
quasi non
sento il mio nome e quando suona la campanella mi fiondo fuori dalla
classe per
vedere se Josh mi ha aspettato.
Il mio ragazzo è, come tutti i giorni, davanti
alla classe, appoggiato agli armadietti e, come sempre, mi chiede:
“Andiamo?”
E io, come al solito, annuisco.
Oggi, però, guida in silenzio, non accende la
radio e non mi guarda neanche. Solo quando parcheggia nel mio vialetto
si gira
e mi lancia uno sguardo intenso, che cerco di ricambiare.
“Quindi...” Cerca di cominciare, passandosi
entrambe le mani tra i capelli.
“Sono incinta.” Concludo io.
“È... è successo quella
volta...”
“Josh, è stata l’unica volta che abbiamo
fatto
sesso!”
“Sì, hai ragione... c-cosa facciamo?”
Chiede con
una nota di panico nella voce.
“Io non voglio abortire.”
C’è un attimo di silenzio in cui riesco a
sentire le rotelle del cervello di Josh che si muovono ad una
velocità
rallentata.
“Quindi affronterò la gravidanza.”
Concludo per
dargli una spintarella verso la soluzione.
“E poi? Con il bambino intendo...”
“Potremmo darlo in adozione. Non so tu, ma io
non sono per niente pronta a crescere un bambino.”
“Nemmeno io.” Ribatte, scuotendo la testa.
Lo guardo intensamente e gli dico.
“Ho bisogno di te. Ho bisogno di te durante
questi nove mesi e i mesi dopo.”
“Emily, io per te ci sarò sempre.”
Mi abbraccia forte e mi schiocca un bacio sulla
testa. Poi riprende:
“L’hai detto ai tuoi?”
“No, ma se devo dare il bambino in adozione
glielo devo dire. Non credo che crederanno che sono solo
ingrassata.”
“Già e forse dovremmo dirlo anche ai
miei.”
Ci organizziamo per dirlo ai nostri rispettivi
genitori insieme e ci salutiamo.
La casa, come ogni giorno, è vuota. Con calma,
mi avvio verso la cucina e prendo una marshmellow, per poi avviarmi
nella mia
stanza a fare i compiti di algebra, fisica e storia.
Devo sbrigarmi perché sono già le 15.54 e tra
quattro
ore Josh busserà alla porta per informare i miei della mia
gravidanza.
Sono seduta alla scrivania con davanti il
noiosissimo capitolo di storia sulla scoperta dell’America,
quando suona il
telefono di casa:
“Pronto?”
“Hey sorellina!”
“JACK!” Urlo, in estasi.
“Ti dispiacerebbe aprire la porta?”
“Cosa?! M-ma è lunedì e... e... e tu
hai la
scuola!”
“Se mi apri ti spiego.”
Attacco il telefono e faccio le scale di volata
fino alla porta, quasi schiantandomici contro. Apro la porta e mio
fratello è
lì con un sorriso raggiante. Gli salto in braccio e lui mi
stringe. Andiamo in
salotto e lui mi spiega che un ragazzo ha allagato l’ala del
college dove fanno
le lezioni e gli esami e la scuola ha chiuso per una settimana.
“E oltre alla scuola?” Chiedo.
“Tutto ok...” Risponde evasivo.
“Stai con una ragazza!” Urlo entusiasta.
“Non è vero.” Ribatte debolmente.
“Come si chiama? Quanti anni ha? Di
dov’è?”
“Ok ok! - dice divertito - Si chiama Amy, ha
vent’anni e abita a Cincinnati.”
“Che bello, Jack! Sono così contenta per
te!”
Dico, abbracciandolo.
“E tu? Qualche novità rilevante?”
Improvvisamente mi sento terribilmente in colpa
per non avergli detto nulla.
“In realtà, una grossa novità
c’è...”
“Ah sì?! E quale?” Chiede con la faccia
interessata.
“Aspettami qui.”
Senza guardarlo, salgo al piano di sopra e
prendo uno dei test di gravidanza. Quando rientro in salotto, glielo
appoggio
sulle ginocchia per poi risedermi sulla poltrona davanti a lui, senza
proferire
parola.
Guardo i suoi occhi che, a contatto con il
risultato del test, sono sempre più sgranati. Quando alza lo
sguardo verso di
me riesco a vedere la delusione stampata a grandi lettere.
“Pensavo sapessi come funzionava.”
Riesco a sentire il ghiaccio nella sua voce.
“Lo sapevo, ma pensavo anche che ci avrebbe
pensato Josh.”
“E adesso?”
“Non abortisco. Pensavamo all’adozione...”
“Quindi Josh lo sa?”
Annuisco.
“E mamma e papà?”
Scuoto la testa.
“Quando pensi di dirglielo?”
“S-stasera dovrebbe venire Josh.”
“Vuoi dirglielo con Josh?”
“Perché, che c’è di
sbagliato?”
“Scusa,
Emily, vuoi che mamma lo uccida a colpi di mazzafionda
chiodata?”
Ha ragione. Effettivamente non avevo pensato ad
un possibile omicidio.
“Comunque non ce la faccio a dirglielo da sola.”
“Ci sono io.”
Prendo l’iPhone
dalla tasca e mando un messaggio a Josh dicendogli:
“Potrebbe
esserci il tuo omicidio. Resta a casa ti mando un messaggio
sul tardi. Ti amo, E.”
“Ora, se
permetti, avrei mezzo capitolo di
storia da studiare e quattro esercizi di fisica e algebra da finire per
domani.” Dico, alzandomi. Appena mi trovo in equilibrio vengo
catturata nella
morsa delle braccia di mio fratello.
“Ti aiuto io. Finiremo in venti minuti.”
Forse venti minuti no, ma dopo
quarantacinque
minuti ho davvero finito tutti i compiti. Stiamo sul divano e gli sto
raccontando come è successo tutto questo casino e come hanno
reagito i miei
amici, quando sentiamo delle chiavi girare nella toppa.
“Emily, tesoro, siamo a casa!”
Jack mi fa segno di stare zitta e si incammina
verso l’ingresso.
“Tesoro!” Pigola mia madre, abbracciando suo
figlio maggiore.
Lo trascina in cucina e si fa raccontare tutto
quello che gli è successo con dovizia di dettagli.
Solo subito prima di cena, mentre ci laviamo le
mani, Jack mi sussurra:
“Glielo diremo subito prima del dolce.”
“Ma io lo voglio il dolce!” Mi lamento.
“Emily, non fare la bambina!”
“Ok, ok!”
Così passo mezz’ora d’inferno, saltando
in aria
ogni vota che sento la parola ‘mamma’ e irritandomi
ogni volta che qualcuno
poggia il bicchiere con poca grazia sul tavolo, producendo un rumore
davvero
sgradevole.
Dopo che ho poggiato i piatti svuotati dallo
sformato di verdure, Jack prende in mano la situazione:
“Mamma, papà, Emily dovrebbe dirvi
qualcosa...”
Gli sguardi curiosi dei miei si spostano su di me.
Faccio un respiro profondo e sussurro tutto d’un
fiato:
“Sono incinta.”
Cala un silenzio lugubre in cucina. I miei hanno
tutti i muscoli paralizzati. Poi, a rompere quel silenzio assordante,
una mano
taglia l’aria per poi atterrare sulla mia faccia. Mia madre
ha le narici
dilatate e la mano violetta per il colpo appena sferrato.
“Vai a letto.” Dice con evidente isteria nella
voce e con lo sguardo vitreo fisso nel vuoto.
Obbedisco. Mi infilo nel pigiama di corsa e
spengo la luce. Nell’oscurità rassicurante della
mia stanza sento delle urla
venire dal piano di sotto e due porte sbattere violentemente.
Cado in un dormiveglia inquieto, dal quale sono
bruscamente risvegliata quando la porta della mia stanza si apre.
Riesco a
sentire un paio di pantofole strisciare sulla moquette e poi il peso di
mio
padre che si abbandona sul fondo del letto. Sta piangendo e sussurra
‘mi
dispiace, mi dispiace’. Non riesco a credere di aver causato
tanta sofferenza a
mio padre. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Mi tiro su a sedere,
abbracciandolo.
“Non è colpa tua. Vedrai, andrà tutto
bene.”
Dico.
Mio padre annuisce tirando su col naso.
Grandioso. Io sono la teenager incinta e sto
consolando mio padre. Il mondo gira al contrario.
Lo cullo per qualche altro minuto, poi si alza
mi da un bacio sulla fronte, sussurrando:
“’Notte, amore.”
“’Notte, papà.”
E se ne va.
Non riesco a credere di essere uscita indenne da
questo tour de force. Domani, dirlo ai genitori di Josh sarà
una passeggiata.
Tanto, sicuramente, non ammazzeranno me. Danno sempre la colpa
all’uomo, anche
se non ho mai capito perché... In fondo avrei potuto dire di
no, se mi fossi
accorta che non stava usando nessuna protezione. Mi rendo conto di
essere
andata attraverso tutti i tipi di reazioni possibili e immaginabili,
dall’incredulità alla rabbia, passando per la
delusione.
Questa
gravidanza mi ucciderà.
Ecco il quinto capitolo! =)
Scusate tanto per l'attesa =(!
Lunedì 31, prossimo capitolo c:
Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme ed Ely_91 per averla
messa tra le preferite.
_Sklery_, _HoneY_, _Bonnie_, thatsamore, namy_love, namina89, LoLiNa89,
ladyrowena, Idril Inglorion, fs_rm,
FioccoDiNeve
ed emabel per averla messa tra le seguite.
Rosebud per averla messa tra le ricordate.
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
|
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Capitolo 7 *** Chapter 6 ***
Chapter 6
La mattina
resto a letto finché non sento la
macchina dei miei partire dal vialetto. Sposto pigramente la trapunta e
mi
infilo nel primo paio di jeans che trovo. Addento una fetta di pane
tostato che
hanno lasciato sul tavolo e afferro il biglietto che mamma mi ha
scritto.
Josh è parcheggiato davanti casa e, potrei
metterci la mano sul fuoco, quando mi vede uscire illesa da casa sembra
davvero
molto meravigliato.
“’Giorno.” Dico, entrando in macchina e
dandogli
un bacio sulla guancia.
“Allora sei viva...?”
“Sì!” Sorrido.
“Come hanno reagito i tuoi?”
“Mia madre mi ha dato uno schiaffo.”
“Oddio! E Oliver?”
“Ha pianto. Vuoi dirlo da solo ai tuoi o
preferisci farlo da solo, come me?”
“No, no! Io ti voglio con me.”
È così tenero quando fa così!
Ecco, mi è venuta una carie.
Trascorro la giornata scolastica relativamente
tranquilla e quando arrivo a casa mi sbrigo per finire i compiti,
perché Josh
passa alle sei e mezza per portarmi a casa sua per dare ai suoi la
‘bella’
notizia.
Mi trovo a trascorrere un pomeriggio frenetico,
alle prese con cinque materie da studiare, sotto lo sguardo sconvolto
di mio
fratello. Il mio ragazzo, puntuale come un orologio svizzero, suona il
campanello alle sei e mezza precise.
“Andiamo?” Chiede quando apro la porta.
Annuisco, mente litigo con la borsa perché si
sistemi bene sulla mia spalla destra.
“Oggi ci ha riportato il test di storia. Ho
preso B-.” Mi informa.
“Non è male, vero?”
“No, no.”
Si zittisce. È strano vedere Josh che non parla.
“Ah! Mi sono scordata di dirti che ho fatto 28”
ai cinquanta stile.” Cerco di distrarlo.
“Brava, amore!” Dice con tono assente.
Ho finito le idee geniali. Non posso biasimarlo,
ieri mi sentivo esattamente come lui. Arriviamo sotto al portico di
casa Mills
e Josh mette una mano in tasca per tirare fuori le chiavi. Quando
avvicina la
mano alla toppa, noto che trema come un foglia. Allungo la mano sulla
sua e con
l’altra sposto il suo viso per far entrare i suoi occhi in
contatto con i miei.
“Andrà tutto bene.”
Ora gli tremano pure le labbra.
“Io sono sopravvissuta a ieri, tu sopravvivrai a
oggi.”
Annuisce e, sempre tenendo la mano sulla sua,
infilo le chiavi nella toppa facendo un giro a destra fino a far
scattare la
serratura. L’odore del polpettone di Charlotte mi investe:
ogni volta che sa
che sanno che vado a cena lì, lo prepara.
“Sali in camera ti raggiungo tra dieci minuti.”
Gli sussurro.
Stasera è come un automa: gli dico una cosa e
lui la fa senza ribattere minimamente.
Vado in cucina e trovo Charlotte china su di
un’enorme ciotola d’insalata e Bethany seduta al
bancone che finisce i compiti
di matematica.
“Ciao
Charlotte!”
“Hey, Emily!
Come stai?” Dice,
dandomi un bacio sulla guancia.
“Bene, grazie, tu?”
“Tutto bene, grazie.”
“Jennifer?” Chiedo.
“È in camera sua... A proposito, me la chiami
che la cena è pronta?”
“Certo, ma Sean?” Sean è il padre di
Jen, Josh e
Bethany.
“Mi ha mandato un messaggio, sta arrivando.”
“Ok, ora la chiamo. Ciao Bethany.” Dico uscendo
dalla cucina e non ottenendo nessuna risposta.
Mentre salgo le scale mi raggiunge un altro urlo
di Charlotte.
“Chiami anche Josh, per favore?”
“Certo.” Urlo di risposta
La prima porta che incontro è quella di Jen,
quindi busso. Mi raggiunge la sua voce:
“Avanti.”
Apro la porta e la mia migliore amica sta
mettendo al loro posto i libri e il dizionario di spagnolo.
“Hey! Non sapevo che venissi!”
“Sono qui per dare la buona notizia.” La informo
con tono sarcastico.
“Quindi Josh lo sa?”
“Già! Anche i miei lo sanno.”
“E sei ancora qui?” Chiede, sotto shock.
“Grazie per il supporto! Comunque la cena è
pronta.”
“Sì, ora scendo.” Dice, dirigendosi
verso la
porta.
“Io vado a chiamare Josh.” La informo,
seguendola a ruota.
Busso alla porta della sua camera, ma non ottengo nessuna risposta.
Ripeto la stessa operazione per altre tre volte e tutte le volte
ottengo lo stesso risultato
della prima. Provo a vedere se è in bagno, ma non lo trovo
neanche lì. Rimane
un posto solo. Tra l’altro, è anche il
più probabile. Apro la porta di camera
sua, mi metto a cavalcioni sul davanzale e assicuro il piede sinistro
sulla
scala di metallo che porta sul tetto.
Josh è seduto in un angolo e sta fumando una
Lucky Strike rossa. Lo raggiungo e mi ci siedo accanto.
“Spegni quella sigaretta.”
“Non mi va.”
“Invece devi. Perché il fumo passivo fa male a
me e al bambino e nessuno vuole un bambino amorfo, credi?”
Butta a terra quello che è rimasto della
sigaretta.
“La cena è pronta.” Dico, rialzandomi.
“Non ho fame.”
“Josh, piantala di comportarti come un bambino!”
Esplodo.
“Emily, i-io ho pa...”
“Anche io ne avevo! Ma sono sopravvissuta e
sopravvivrai pure tu! Quindi alza il sedere e vieni giù a
cena!”
“Ok, ok.”
“E glielo diremo dopo il dolce.” Dico ancora
infervorata. Ok, forse l’ultima frase suonava un
po’ pietosa, ma non importa.
Josh sghignazza. Mentre io, sempre alterata, mi avvio verso le scale.
Mi mette
una mano su un fianco per aiutarmi a non cadere e scendiamo
giù fino in sala da
pranzo.
Josh continua a essere nervoso per tutta la cena
e quando anche l’ultima briciola di dolce è stata
mangiata, quando l’ultimo
secondo che si poteva guadagnare è stato guadagnato, cerco
la mano di Josh
sotto il tavolo e la stringo per fargli capire che è ora.
Lui risponde alla mia
stretta. Si schiarisce la voce e comincia:
“Mamma, papà, io ed Emily avremmo qualcosa da
dirvi.”
Charlotte, Sean, Bethany e Jennifer alzano gli sguardi
dai piatti. La presa di Josh si fa più stretta.
“Ecco... Emily... io...” Balbetta.
“Vi sposate?” Propone Bethany sarcastica.
Josh, ignorandola, insospettisce tutta la
tavolata.
“Tesoro, cos’è successo?”
Chiede Charlotte con
tono comprensivo.
“Sono incinta.” Mi esce dalle labbra in un
sussurro.
Charlotte e Sean trattengono il respiro per poi
accasciarsi sullo schienale della sedia. Bethany sussurra
‘troia’ e se ne va.
“Josh, te ne avevamo parlato di contraccezione!”
Esclama Sean in tono deluso.
“E cosa avete intenzione di fare?” Chiede
Charlotte con voce tremula.
“Pensavamo all’adozione...”
Annuisce e poi continua:
“Se vuoi, puoi rimanere qui per tutta la
gravidanza.”
“Grazie, Charlotte, ma preferisco rimanere a
casa.”
C’è un silenzio davvero imbarazzante,
così
decido di spezzarlo:
“Potresti accompagnarmi a casa?” Chiedo a Josh.
Lui annuisce. Ringrazio i suoi, saluto Jen ed
entro in macchina. Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto e,
quando
parcheggia, sospira.
“Hai visto? Sei ancora vivo...”
“Già.”
“Senti, è stata una giornata difficile per tutti
e due, vai a casa a dormire. Ne parliamo domani.”
“Ok.”
Mi bacia, mentre apro la portiera e mi avvio
verso casa. Non so cosa aspettarmi dai miei dato che non abbiamo ancora
parlato. Entro cercando di non far rumore, ma appena chiudo la porta
sento il
televisore che tace e la voce di mia madre che dice:
“Emily, potresti venire qui?”
Non mi oppongo. Poggio le chiavi nella ciotola
sul mobile vicino alla porta e mi avvio con passo rassegnato verso il
salone, dove
mi accascio su una poltrona.
“Dov’è Jack?” Chiedo, dopo un
silenzio
imbarazzante.
“È andato a prendere una birra con i suoi amici
di qui. Emily, dobbiamo parlare di... di te.”
“Va bene.”
“Quando avete combinato questo casino?” Chiede mio padre.
“Il giorno del mio compleanno.”
“Quindi le lenzuola... Oh santo cielo, Emily!”
Sospira mia madre.
Resto in silenzio.
“Ecco... e ora cosa volete fare?” Continua mio
padre esitante.
“Non siamo pronti a fare i genitori...”
“Assolutamente no, è certo!” Mi
interrompe mia
madre.
“Stavamo pensando all’adozione.”
Continuo,
ignorandola.
“Tesoro, ora può sembrarti facile, ma non lo
è
per niente... insomma, lo sentirai crescere per nove mesi e poi uscirai
dall’ospedale a mani vuote! Non meglio interrompere tutto
adesso.” Dice mia
madre con un tono notevolmente più dolce.
“Mamma, io non abortirò.”
“Ma, tesoro, pensa a tutte le persone che ti
guarderanno male...”
“Scusa, ma ti sei scordata che viviamo in un
paese di centoquaranta persone? La voce si diffonderà a
macchia d’olio! Tutte
quelle persone bigotte mi guarderanno male comunque.”
“È una tua scelta.” Conclude mio padre
“Posso andare ora?” Chiedo.
Annuiscono.
Mi trascino in camera, mi infilo sotto le
coperte e mi addormento quasi istantaneamente.
La mattina dopo, quando scendo a fare colazione,
trovo mia madre seduta in cucina che sorseggia il caffè
mentre legge il
giornale.
“Ciao tesoro.”
“Buongiorno.”
“Come stai?”
“Abbastanza bene.”
“Stavo pensando... Dovremmo decidere un po’ di
cose riguardo alla gravidanza...”
“Certo, per esempio?”
“Dobbiamo trovare un ginecologo, decidere dove
partorirai e, soprattutto, trovare una coppia che voglia adottare il
bambino.”
“Giusto.”
“Oggi ho preso un permesso a lavoro nel pomeriggio.
Ti vengo a prendere a scuola e andiamo in città.”
“D’accordo. Ora vado che probabilmente Josh
è
già qui fuori. A dopo.”
“Buona giornata, amore.”
“Anche a te.”
A scuola la giornata passa
piuttosto fluida.
Vomito solo cinque volte e credo che la nausea andrà sempre
migliorando.
All’uscita la macchina di un elegante blu scuro mi aspetta.
Apro la portiera e mia
madre mi rivolge un sorriso.
“Com’è
andata oggi a scuola?”
“Bene. Ho
preso A al compito di tedesco e B+ a
quello di biologia.”
“Brava,
tesoro.”
Ci avviamo verso la
città e non facciamo ritorno
a casa praticamente fino alle otto di sera. Tuttavia, il pomeriggio di
ricerche
folli è stato piuttosto fruttuoso. Abbiamo trovato una
ginecologa che sembra
molto affabile di nome Allison Ward che lavora all’ospedale
Saint Margaret,
dove partorirò. Abbiamo anche trovato un centro per le
adozioni e ho preso dei
raccoglitori con le schede di famiglie di reddito medio - alto,
orientate verso
l’adozione aperta.
L’idea
dell’adozione mi fa accapponare la pelle,
ma qualcosa mi dice che questa è la scelta giusta.
Josh
*-*
Sesto
capitoloooooooooo!!!! =)
Fatemi sapere cosa ne pensate :D
Lunedì 7 settimo capitolo xD!
Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme, Ely_91 e
BlackParadise per averla messa tra le preferite.
_Sklery_, _HoneY_, _Bonnie_, thatsamore, namy_love, namina89, LoLiNa89,
ladyrowena, Idril Inglorion, fs_rm, FioccoDiNeve,
emabel e Scoutina per averla messa tra le seguite.
Rosebud per averla messa tra le ricordate.
MayCry e Binca per avermi messo tra gli autori preferiti.
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
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Capitolo 8 *** Chapter 7 ***
Chapter 7
Sono a casa di Leah. Ormai ci vado
un giorno sì
e l’altro pure. Sua madre, Laura, l’ha avuta a
diciassette anni e l’ha tenuta.
Ha detto che è stata la cosa più difficile che
abbia mai fatto, anche perché si
è ritrovata completamente da sola: i suoi l’hanno
buttata fuori casa e il padre
di Leah è sparito dopo aver saputo che era incinta.
Ha fatto tutto da sola. Sempre. Ha cresciuto
Leah, ha trovato un appartamento e un lavoro e, tre anni fa, ha anche
trovato
un uomo!
Certo, anche questo maledetto stronzo è sparito
dopo averla messa incinta... però non si è
lasciata abbattere e così, adesso,
Leah ha un uragano di tre anni di nome Julia che dorme nella camera
accanto.
Comunque, mi sta dando un sacco di consigli utili
come cosa mangiare, cosa usare perché alla fine della
gravidanza non diventi
uno di quei cani tutti a pieghe, cosa è opportuno fare e
cosa no.
Stasera ce la prendiamo comoda a chiacchierare
perché la nostra serata etnica mensile sarà qui
da Leah. Oggi cucina spagnola!
Avrebbero volentieri scelto la cucina giapponese, ma una delle cose che
non
posso mangiare è proprio il pesce crudo, che ne è
praticamente alla base.
Tra un paio d’ore ore anche Simon, Daniel e Alex
sapranno che sono incinta. Spero che, almeno loro, la prendano bene.
Bussano alla porta con tredici minuti di
ritardo, ma appena apriamo la porta veniamo investite da quattro buste
piene di
ciotole e ciotoline. In sala da pranzo, tirano fuori tapas
per sei, otto ciotole di gazpacho e altrettante porzioni di
crema catalana.
L’atmosfera è davvero rilassata. Amo stare con i
miei amici. Siamo un muro compatto, togli un mattone e tutto crolla,
anche se
ognuno di noi è un castello di carte. Ognuno di noi ha una
brutta storia che ha
segnato il passato.
Leah non ha mai conosciuto il padre.
Jen e Josh hanno perso gli zii e i cugini, a cui
erano molto legati, in un incidente orribile, proprio mentre andavano a
festeggiare il quattro luglio a casa loro.
I genitori di Simon sono separati in casa e a
lui è rimasta la sorellina di sette anni, Bridget, da
crescere.
Il fratellino minore di Alex, Chris, a Detroit è
stato investito e ora è sulla sedia a rotelle.
Chelsea è orfana di madre. Emma aveva un tumore
a un rene e se n’è andata circa quattro anni fa.
Chelsea non è ancora riuscita
a riprendersi completamente.
Daniel, invece, è orfano di padre. È successo a
Seattle, il padre (non ci ha neanche voluto dire il nome) stava
tornando a casa
ed è stato colpito da una pallottola vagante che veniva da
uno scontro tra
bande. Ne ha parlato una volta sola e da quel giorno non ne ha fatto
più
parola.
E io sono incinta, che, paragonato a tutti
questi scatafasci, è acqua fresca.
Siamo gli zoppi che reggono gli sciancati. Non
ci sarebbe uno senza l’altro.
Comunque, mentre sbocconcello un’abóndiga, butto
sullo scherzo:
“Sapete che io e Josh abbiamo fatto sesso?”
“Come se non lo sapessimo!” Dice Simon con una
scintilla maliziosa negli occhi.
Mi giro verso Josh e gli dico tra il divertito e
il seccato:
“Gliel’hai detto? Loro - indico le mie amiche -
l’hanno
saputo un mese dopo!”
Il mio ragazzo fa spallucce.
“Comunque, abbiamo fatto gli idioti e ora...
beh... s-sono incinta...”
Daniel, che sta portando un’oliva alla bocca, si
blocca con la mano a mezz’aria, Simon comincia a tossire
convulsamente perché
gli è andata di traverso un’alice e Alex ha uno
sguardo piuttosto vacuo. C’è un
momento di silenzio imbarazzante e poi scoppia un fragore di risate e
complimenti. Sono quelli che l’hanno presa meglio.
Li amo.
La serata finisce tranquilla e Josh mi
accompagna a casa e gli strappo la promessa di venire con me, il giorno
dopo,
alla mia prima ecografia.
Sono molto agitata ed emozionata e contenta e un
milione di altre sensazioni intricate in un groviglio indistinto.
Il sabato mattina è sempre stata l’unica mattina
della settimana dedicata completamente al sonno, ma stamattina non
posso
rimanere a poltrire sotto il piumone perché, per arrivare
all’ospedale ci
vogliono quaranta minuti e l’appuntamento è alle
dieci.
Mi faccio una doccia veloce e, uscendo, mi metto
di profilo allo specchio. Sono incinta da quasi tre mesi e la mia
pancia è
cresciuta un bel po’.
Con due dita accarezzo con delicatezza il
rigonfiamento.
Dentro di me, sta crescendo un bambino.
Un bambino.
Un bambino, che poi sarà un ragazzo e un adulto.
Andrà a scuola, all’università e poi
lavorerà. Giocherà nella squadra di basket
del liceo, proprio come suo padre, o in quella di nuoto, come me, ma
credo che
anche le cheerleaders possano andare bene.
Diventerà presidente degli Stati Uniti o la
prima presidentessa. Sì, sarà sicuramente
presidente o presidentessa.
E verrà a trovarci con le guardie del corpo...
No, non verrà a trovarci.
Andrà a trovare una coppia che vive in una
villetta a schiera a Cincinnati, lui un avvocato e lei una casalinga
con il grembiule.
Scaccio questo pensiero e mi infilo velocemente
in un paio di jeans grigi e in un maglione bianco e scendo al piano di
sotto
dove mia madre sta guardando in cagnesco Josh, che sta sorseggiando un
caffè
piuttosto a disagio.
“Andiamo?” Chiedo al mio ragazzo.
Ci sediamo in macchina e parliamo del più e del
meno fino all’ospedale. Arrivati, prendiamo i moduli
dell’accettazione e li
compilo circondata da donne con il pancione. Mi sento arrossire
violentemente.
Parliamo a bassa voce, come si fa sempre in
tutti gli ospedali... chissà perché, poi...
“Emily Wood?” Chiama l’assistente della
mia
ginecologa.
Prendo Josh per mano e lo tiro su dalla sedia.
Entriamo in una sala con i muri bianchi e la
dottoressa Ward è seduta dietro alla sua scrivania.
“Ciao, Emily, come stai?” Chiede cordiale.
“Bene, grazie. Lei?”
“Tutto bene. Da quello che ho capito, non hai
mai fatto una visita ginecologica, vero?”
Scuoto la testa.
“Bene, ora ti spiegherò velocemente cosa
faremo...”
Si lancia in una dettagliata spiegazione e,
capito cosa ci accingevamo a fare, spedisco Josh di nuovo fuori. Lo
richiamo
dentro solo quando la dottoressa avvicina la macchina degli ultrasuoni.
Appena
mi sdraio sul lettino, mi mette quella poltiglia azzurra, fredda e
appiccicosa
sulla pancia. Comincia a muovere uno strano strumento in senso orario e
sullo
schermo appare una figura in bianco e nero piuttosto confusa.
Non riesco a identificare bene il groviglio di
emozioni che mi si assiepa nel petto.
Nell’immagine sullo schermo non riesco a
riconoscere bene mio figlio o mia figlia, ma sapere che
c’è e che si sta lentamente
formando mi fa salire le lacrime agli occhi.
Tutta colpa degli ormoni, mi giustifico.
La dottoressa alza quello strano affare e dice
che abbiamo finito e che il bambino non sembra avere alcuna
malformazione.
Prima di salutarci, stampa una foto dell’ecografia
e ce la piazza in mano senza dire troppe parole.
Sulla via di casa, chiedo a Josh:
“Rimani a pranzo? Poi, magari, guardiamo qualche
raccoglitore con delle famiglie...”
Grugnisce.
“Potresti essere un po’ più
partecipativo?”
“Emily, sono venuto con te alla tua prima
ecografia, verrò a quelle dopo e ti starò vicino
il più possibile! Scusa se non
sono euforico quando parliamo di dare via il bambino!”
“Neanche io faccio i tripli salti mortali, ma
non credo che tu sia disposto a mollare
l’università e rinunciare alle serate
fuori e non lo sono neanche io!”
“Allora che vuoi che ti dica?!”
“Niente, Josh, niente!”
Rimaniamo in silenzio per venti minuti, poi Josh
cerca di farsi perdonare:
“Non litighiamo, ti prego, è l’ultima
cosa di
cui abbiamo bisogno.”
“Va bene. Pace?”
“Pace.”
Parcheggia davanti casa mia e mi bacia come non
mi baciava da tempo, ma, con la coda dell’occhio, vedo mia
madre che ci spia
dalla finestra. Lo allontano dolcemente e ci avviamo verso casa mia.
Mangiamo appoggiati al bancone della cucina e poi
ci spostiamo in camera mia, dove prendo i raccoglitori e li butto sul
letto. Ne
prendiamo due a testa e mettiamo da parte le famiglie che ci convincono
di più.
Dopo un’ora e mezza avevamo messo da parte le
schede di Grace ed Edward Green, di Elizabeth e Michael Anderson e di
Sophie e
Max Thompson.
“Chiamo Paige.” Informo Josh.
Paige è la nostra agente per l’adozione.
Risponde dopo cinque squilli.
“Pronto, Paige...? Ehm... sì, sono Emily Wood.
Sì, la ragazza incinta.”
“Ciao, come stai?”
“Bene, ho appena fatto un’ecografia.”
“Bene! E il bambino?”
“Non ha malformazioni fisiche e cresce bene.”
“Che bello! Volevi dirmi qualcosa in particolare
o...”
“In realtà, sì. Volevamo prendere un
appuntamento con i signori Green, i signori Anderson e i signori
Thompson.”
“Ok, indicativamente quando vorreste
incontrarli?”
“Ehm...
verso il dieci dicembre...”
“D’accordo. Fammeli chiamare e ti
richiamo.”
“Va bene. Ci sentiamo tra poco.”
“A tra poco.”
Attacco il telefono. Mi risiedo vicino a Josh e lui
comincia a parlare:
“Io, Simon e Daniel stavamo organizzando una
festa a sorpresa per Alex.”
“Dove?”
“In realtà, volevamo farla in piscina...”
Strabuzzo gli occhi.
“Josh, ma vi ricordate che Alex è nato il primo
dicembre e qui fuori sta nevicando?”
“Sì, lo sappiamo, infatti abbiamo chiesto a
Robinson
se ci da la piscina della scuola e ha detto di sì.”
“Oh. Beh, questo cambia tutto.”
“Credi che potrai venire?”
“Certo! Che domanda idiota! Chi pensavate di
invitare?”
“Praticamente tutta la scuola.”
“Fico.”
Il telefono suona.
“Pronto?”
“Ciao, Emily, sono Paige.”
“Ciao.”
“Allora, li ho chiamati tutti e gli Anderson
sono disponibili per il dieci, i Thompson per il tredici e i Green per
il
diciotto. Vi va bene?”
“Credo che sia perfetto.”
“Benissimo, allora li richiamo per riconfermare
e ci vediamo qui tra quindici giorni.”
“Ok, a presto.”
“Ciao.”
Riferisco a Josh il contenuto della chiamata e
li fa un accenno di assenso. Continuiamo a fare programmi per la festa
per un
altro po’ e poi Josh mi saluta, poggiandomi un bacio leggero
sulle labbra.
Io mi siedo alla scrivania e mi dedico ai
compiti fino a sera.
*
“Mi
accompagni al centro commerciale?” Chiedo.
“Perchééé? Io e Adam
dovevamo uscire.” Si
lamenta Liz.
“Senti, ora che state insieme non dovete stare
appiccicati tutto il gio... effettivamente, anche io e Josh eravamo
così...”
“Già, ma comunque ti accompagno.”
“Grazie, grazie, grazie!!”
La informo degli ultimi progressi sulla
gravidanza durante il tragitto e lei mi racconta di quanto Adam sia
carino con lei,
di quanto sia contenta di avergli dato una possibilità e di
quanto sia bello
avere qualcuno su cui contare in ogni momento.
Questi pensieri mi danno una strana sensazione.
Ci dirigiamo verso il negozio di costumi perché
l’unico costume che ho è quello intero degli
allenamenti ed è poco adatto ad
una festa in costume.
Dopo vari cambi esco dal negozio con una
sacchetta con un due pezzi a fascia rosso e un altro azzurro con i fili
che si
intrecciano dietro la schiena.
Liz ha insistito perché li prendessi entrambi. Voleva
che fossero il suo regalo di Natale anticipato.
Sarà una serata divertente.
Strana, ma divertente.
Eppure, non ho un buon presentimento...
Settimo capitolo!!!
Grazie per avrmi fatto sapere cosa ne pensate =)!
Continuate così u.u
Lunedì 14, ottavo capitolo!
Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme, Ely_91 e
BlackParadise per averla messa tra le preferite.
_Sklery_, _HoneY_, _Bonnie_, thatsamore, namy_love, namina89, LoLiNa89,
ladyrowena, Idril Inglorion, fs_rm, FioccoDiNeve,
emabel, Scoutina, Asya89, KatiaLee e sTar__ per
averla messa tra le seguite.
Rosebud e ylex98 per averla messa tra le ricordate.
MayCry e Binca per avermi messo tra gli autori preferiti.
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
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Capitolo 9 *** Chapter 8 ***
Chapter 8
Fanculo.
Fanculo, fanculo, fanculo.
Quella... quella... quella troia!
L’ha fatto di nuovo!
E quell’idiota!
Ok, Emily, calmati.
Sono arrivata alla festa tutta contenta e di
buon umore e ora mi esce il fumo dalle orecchie come da una locomotiva.
Victoria è arrivata con uno stuzzicadenti nero
che spariva tra le chiappe e un triangolino di stoffa dello stesso
colore che
le copriva a malapena i capezzoli e, ovviamente, tutti i ragazzi le
sbavavano
dietro.
Che schifo!
Ero seduta a bordo piscina con Liz e parlavamo
del più e del meno, quando si è avvicinata con la
sua amichetta del cuore e ha
cominciato con tono melenso:
“Teesoro! Come stai?”
“Ehm... bene, tu?”
“Oh, io bene...”
Mi ha guardato con uno sguardo divertito e un
sorriso con le labbra.
“Sì? Posso esserti utile in qualcosa?”
Le ho chiesto,
infastidita.
“No, mi stavo solo chiedendo, quella pancetta è
nuova?”
“Ehm... già.”
“Ed è di Josh.”
“Direi proprio di sì.”
Ridacchia.
“Beh, allora congratulazioni e buona fortuna.”
“Cosa vorresti dire?”
“Niente, niente... divertiti.”
E se ne vanno.
Io e Liz ci siamo guardate e ci siamo fatte spallucce.
Abbiamo ripreso il discorso che stavamo facendo, ma dopo cinque minuti
è arrivato
Adam e me l’ha portata via. Rimasta sola, mi sono avviata
verso il tavolo delle
bevande e, mentre mi stavo versando del succo di mango, ho visto Leah e
Alex
che si stavano baciando. Sorridendo, ho pensato ‘era
ora!’.
Mi sono girata per dargli privacy e con lo
sguardo ho cercato il mio ragazzo. Lo ho visto in un angolo della
piscina che
parlava con Chelsea e Daniel. Mentre mi avvicinavo, Victoria ha
afferrato Josh
per il polso e lo ha trascinato nel mucchio di persone strafatte che si
dimenavano
a ritmo di musica. Lui sembrava confuso, ma non si è tirato
indietro. Victoria
si è tenuta a distanza per un po’, poi ha
incrociato i miei occhi e mi ha fatto
un sorriso maligno. Gli ha afferrato i capelli sulla nuca e ha
avvicinato la
testa di Josh al suo petto, facendo una risata civettuola. Senza
neanche
accorgermene, ho accartocciato il bicchiere che avevo in mano e lo ho
buttato a
terra. Victoria ha fatto un sorriso ancora più grande, come
a dire :‘eccoti la
ricompensa per avermelo portato via, stronza!’.
Dal nulla, è spuntato un ragazzo che la ha spinta
in piscina. Lei, cogliendo la palla al balzo, ha stretto ancora
più forte Josh
e lo ha trascinato giù con lei.
Le persone hanno cominciato a tuffarsi una dopo
l’altra e, nella confusione, lei lo ha baciato.
O, meglio, gli ha infilato la lingua in bocca.
Ho raggiunto il punto di rottura, quindi sono
corsa nello spogliatoio a cambiarmi.
Liz, accortasi della mia assenza, mi ha
raggiunto e mi ha chiesto:
“Che hai?”
“Hai visto Victoria?”
“No, che è successo?”
“Si è praticamente fatta baciare le tette da
Josh e poi gli ha infilato la lingua in bocca!”
“Puttana.” Ha detto sottovoce la mia amica.
“Mi accompagni a casa?” La ho implorata.
Dopo aver annuito, ha continuato:
“Fammi chiedere le chiavi ad Adam, siamo venuti
con la sua.”
Ho annuito a mia volta e ho finito di vestirmi.
Liz è tornata dopo cinque minuti e si è infilata
i vestiti al volo sopra il
costume. Arrivate davanti casa, mi ha salutato ed è
ritornata di corsa alla
festa, dal suo ragazzo.
Tutte le luci erano già spente. Ormai, i miei
hanno perso l’abitudine di aspettarmi svegli. Mi sono fatta
una doccia e mi sono
chiusa in camera.
E ora sono qui.
Da sola.
In camera mia.
A bollire di rabbia.
Fanculo.
Mi infilo nel mio pigiama, mi metto a letto e,
nonostante la rabbia, sono così stanca che cado in un
dormiveglia pesante.
Vengo bruscamente risvegliata dopo un quarto d’ora per colpa
della simpatica
vibrazione del mio cellulare. Alzo pigramente la testa dal cuscino e
mugugno:
“Prrnto?”
“Em, dove sei?!” Chiede una voce familiare
dall’altro capo del telefono.
“Josh?”
“Chi vuoi che sia?!”
“Che vuoi?”
“Emily, dove cazzo sei? È mezz’ora che
ti
aspetto!”
“Sono a casa.”
“A CASA?!”
“Sì, sai, quell’insieme di mattoni,
pieno di
stanze...”
“Perché sei a casa?!”
Ok, ora ci stiamo prendendo per il culo. Ha
limonato con la sua ex sotto ai miei occhi e ha anche il coraggio di
chiedermi
perché me ne sono andata?!
Questo è davvero troppo. Gli attacco il telefono
in faccia. Richiama altre tre volte prima che io spenga il telefono. Mi
addormento, ma dopo un po’ qualcosa mi sveglia.
All’inizio, non mi rendo conto di cosa mi ha
svegliato, ma poi un rumore di sassi contro un vetro mi fa capire
perché mi
sono svegliata. Mi trascino verso la finestra e vedo Josh che si sta
accingendo
a tirare un altro sasso. Apro la finestra e l’ultimo tiro di
Josh mi colpisce
in testa.
“Ah!” Mi lamento.
“Scusa!”
“Che vuoi?”
“Parlarti.”
“Alla porta.” Sussurro abbastanza forte
perché
mi senta.
Scendo pigramente le scale e socchiudo la porta.
Fuori ha cominciato a nevicare di brutto e Josh ha una montagna di
fiocchi
impigliati nei capelli.
“Mi fai entrare?” Chiede.
Apro abbastanza per farlo entrare e mi appoggio
al muro del piccolo corridoio d’ingresso con le braccia
incrociate sul petto. Il
mio ragazzo si poggia sul muro opposto. Rimaniamo in silenzio per un
po’,
illuminati dalla luce arancione dei lampioni che filtra attraverso la
porta a
vetri, poi Josh inizia:
“Mi dispiace.”
“Sì.”
“Ems, davvero, mi dispiace! N-non volevo!”
“Se davvero non avessi voluto, non ti saresti mai
fatto infilare la lingua in bocca da quella troia.” Sibilo.
Sospira, poi prende fiato e comincia:
“I don’t
care what nobody says we’re gonna have a baby...”
Un sorriso enorme mi si allarga sulla faccia.
“Knocked up” è una delle mie canzoni
preferite dei Kings of Leon. Intanto Josh continua imperterrito:
“She don’t care what her
momma says, no she’s
gonna have my baby...”
“Shhh!! Josh i miei stanno dormendo!” Cerco di fermarlo ridacchiando.
“People call us renegades because we
like
living crazy…”
“Shhh!” Dico disperatamente, dandogli un pizzico
sulla pancia.
Lui ridacchia e finisce, dopo aver poggiato la
sua fronte alla mia:
“I don’t care what nobody
says, no, I’m going
to be her lover.”*
“Quanto sei stupido!”
“Buon anniversario, amore.”
Ah. Già. È il primo dicembre.
“Ti amo.” Continua.
“Ti amo anche io.” Sussurro, poco prima che le
nostre labbra si incontrino.
Questo bacio racchiude le sue scuse e il mio
perdono. È tutto così... così...
così perfetto.
Josh mi afferra per i fianchi, mi solleva e mi
porta sul divano. Continuiamo a baciarci per una mezz’ora,
poi, molto a
malincuore, Josh torna a casa.
Rimasta sola, me ne vado a dormire sinceramente
sollevata.
*
Una linea d’eye-liner.
Una passata veloce di
mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
Josh mi aspetta al piano di sotto perché stiamo
per andare al centro adozione. Oggi è il dieci dicembre e
incontreremo la prima
coppia che vuole adottare il bambino. Gli Anderson. Elizabeth e Michel
Anderson.
Che schifo.
Arriviamo con un po’ di anticipo, quindi ci
sediamo nella sala dove faremo il colloquio in silenzio, con i nervi a
fior di
pelle. Dopo ventitre minuti la porta si apre e io e Josh schizziamo in
piedi.
Entrano un uomo di statura media con i capelli neri e una donna molto
bassa con
i capelli chiari. È proprio lei che inizia a parlare con una
voce squillante ed
entusiasta:
“Ciao! Io sono Elizabeth e lui è Michael! Voi
dovete essere Emily e Josh...!?”
“Sì.” Rispondo, arrossendo.
“Sono così contenta di potervi conoscere! Non
stavo più nella pelle.”
Sorrido cortese e il marito della mia
interlocutrice dice:
“Ci sentiamo così onorati, insomma... questo...
questo ‘incidente’ è come una
benedizione per noi!”
Io e Josh ci scambiamo uno sguardo che dice
‘maniaci religiosi’!
Però, nonostante il loro comportamento bizzarro,
è un colloquio piacevole. E scopriamo una valanga di
informazioni su di loro.
Elizabeth ha trentadue anni ed è andata in quella che si
chiama ‘menopausa
precoce’, cioè è andata in menopausa a
diciassette anni. Ha un enorme negozio
di fiori a Cincinnati. Mike ha trentatre anni ed è un
paramedico di quelli che
stanno sulle ambulanze. Sono molto credenti. Hanno pregato un sacco che
qualcuno li chiamasse per dare in adozione un bambino indesiderato e
noi
abbiamo risposto alle loro preghiere.
Bizzarri.
*
Una linea d’eye-liner.
Una passata veloce di
mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
È il tredici dicembre e abbiamo appuntamento con
la seconda coppia. Il signor e la signora Thompson. Max e Sophie. Bei
nomi.
Principalmente si ripete la stessa scena della
prima volta, tranne che dalla porta entra una donna altissima con i
capelli
neri e un uomo che sfiora il soffitto con i capelli altrettanto scuri.
Questi
due fanno sembrare il metro e ottantasei di Josh una gomma da masticare
e il
mio metro e sessantotto... vabbè, meglio lasciar perdere.
Questa volta è Max che è sterile. Hanno i soldi
che gli escono da tutti i buchi del corpo perché insieme
gestiscono una
famosissima galleria d’arte a Columbus.
Sophie si sente pronta a diventare mamma anche
se ‘riconosce che quarantatre anni sono un bel po’
per cominciare’. Max si
mostra d’accordo con la moglie.
Ancora più bizzarri.
*
Una linea d’eye-liner.
Una passata veloce di
mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
Finalmente è arrivato il diciotto dicembre, il
giorno dell’ultimo colloquio. Oggi ci toccano Grace ed Edward
Green. Non ce la
faccio più a ripetere la stessa patetica scena, ma,
comunque, è quello che
succede. L’unica cosa che cambia è che, quando la
porta si apre, prima dei
signori Green, entrano come uragani due bambini di circa quattro anni
completamente identici.
I Green sono due persone completamente nella
media con una passione per la beneficenza e per le buone azioni. Questo
colloquio è un vero strazio e sembra non finire
più.
Perfino più bizzarri.
Tornati a casa escludiamo subito i Green e dopo
un po’ di indecisione scegliamo gli Anderson. Chiamo Paige
per fissare un altro
appuntamento per conoscere i futuri genitori di mio figlio o mia figlia.
È una cosa raccapricciante.
Ma le buone notizie non vengono mai sole! Il
giorno dopo il colloquio, tornata da scuola, mia madre mi accoglie con
le
valige nell’ingresso. Piuttosto confusa chiedo:
“Stiamo andando da qualche parte?”
“Andiamo a Tallahassee, passiamo il Natale dai
nonni.”
Grandioso.
“Quando torniamo?”
“Torniamo il ventisette, così passiamo il
capodanno con chi ci pare.”
“E Jack?”
“Ci aspetta all’aeroporto.”
“Papà?”
“Sta caricando la macchina... Emily, vogliamo
partire o no?”
Ehm... devo essere sincera?
Non ho scelta. Vado a prendere qualche
cianfrusaglia per passare il tempo e tiro fuori l’iPhone per fare qualche chiamata per
avvertire della mia improvvisa
partenza, come Josh, Jen e Paige per spostare l’appuntamento
con gli Anderson.
Jennifer =)
*Non mi importa cosa dicono
avremo un bambino.
A lei non importa cosa dice sua mamma, lei avrà il mio
bambino.
Le persone ci chiamano rinnegati perché ci piace vivere in
modo dissoluto.
Non mi importa cosa dicono, no, io sarò il suo amore.
Ottavo
capitolo!
Continuate a recensire!! =)
Lunedì 21, nono capitolo! =D
Grazie per aver messo questa storia tra le preferite a:
sweet_marty
Ness__
malvine
lucry94
flywithme
Ely_91
BlackParadise
margiy__argii
LeSwanMasenCullen96
Grazie per aver messo questa storia tra le seguite a:
_Sklery_
_HoneY_
_Bonnie_
thatsamore
namy_love
namina89
LoLiNa89
ladyrowena
Idril Inglorion
fs_rm
FioccoDiNeve
emabel
Scoutina
Asya89
KatiaLee
sTar__
giulimpire
Panty96
feffemary94
Grazie per
aver messo questa storia tra le ricordate a:
Rosebud
ylex98
_isabella_cullen_
Grazie
per avermi messo tra gli autori preferiti a:
MayCry
Binca
margiy__argii
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
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Geneviève ♥
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Capitolo 10 *** Chapter 9 ***
Chapter 9
“Dove sono i bicchieri di
plastica?”
“Nella credenza!”
“Grazie!”
“Chels, dal forno esce del fumo!”
“Cazzo!”
Stiamo cucinando per la cena della fine
dell’anno.
Il Natale a casa dei nonni non è stato
spiacevole. Ho provato a indossare maglioni enormi per nascondere la
pancia...
ha relativamente funzionato, nonna non se n’è
accorta!
Solo mia cugina Allison mi ha tempestato di
domande fino a farmi venire il mal di testa.
Ora, io e Jen siamo a casa di Chelsea e tutt’e
tre stiamo preparando i brownies e sistemando il salone per la serata.
Anche Leah dovrebbe essere qui, ma da quando si
è messa con Alex passano tutto il tempo che hanno insieme.
I brownies non si sono bruciati per un pelo e
adesso Jen li sta spolverando con lo zucchero a velo, scrivendo
‘2009’ sulla
superficie.
Alle 20 è tutto pronto e dopo mezz’ora bussano
Simon e Josh con gli involtini primavera, le fettuccine alla piastra e
il pollo
alle mandorle. Pochi minuti dopo arriva Daniel con tre bottiglie vodka,
una di
rum e una di whiskey; subito dopo si presentano anche Alex e Leah con
le birre.
Siamo tutti un po’ più allegri del solito e non
facciamo altro che gridare, sputacchiando cibo cinese a destra e a
manca. Dopo
cena i miei amici si danno all’alcool. Considerando che si
sono già scolati una
bottiglia di birra a testa e quella di rum ha fatto la stessa fine,
sono
piuttosto spaventata.
Ci sediamo in cerchio con la vodka in mezzo.
Daniel apre la bottiglia al limone, la passa a Leah e le dice:
“Dì una bugia.”
Leah ci pensa un po’ e poi dice:
“Non ho mai pomiciato.”
C’è qualche commento come
‘certo’ e ‘sì, come
no’, mentre lei beve un lungo sorso, per poi passare la
bottiglia ad Alex:
“Non so suonare nessuno strumento.”
Quando in camera sua non si riesce quasi ad
aprire la porta per colpa delle tre chitarre e della batteria. Anche
lui si
regala un sorso generoso dal collo della bottiglia, che arriva nelle
mani di
Simon:
“Non ho mai picchiato nessuno.”
E il naso di Josh si è rotto da solo! Si attacca
al collo della bottiglia e quando si stacca la metà della
vodka è sparita.
Tocca a Daniel:
“Non mi piace nessuno che si trovi qui.”
Confessa lanciando un’occhiata maliziosa a
Chelsea, che si trova tra le mani la bottiglia:
“Non ho mai fatto sega.”
C’è qualche risatina. Chelsea beve e lancia la
bottiglia semivuota a Jen:
“Sono figlia unica.”
“Nooooo! Non vale!” Urla Simon.
“Perché no?” Chiede lei.
“Perché vogliamo qualcosa di scandaloso!”
“Ah sì?!”Esclama.
Simon annuisce. Allora Jen si mette in
ginocchio, si allunga verso Simon e lo bacia. Si scatena un coro di
‘oooooh!’.
Lui, inizialmente sorpreso, risponde al bacio con piacere. Dopo pochi
minuti
cominciano a pomiciare e si alza un altro coro di
‘smettetela!’ e ‘trovatevi
una stanza!’. Solo sentendo le nostre urla la smettono. Jen
guarda Simon e gli
dice:
“Non mi piaci.”
Beve un lungo sorso e passa la bottiglia a Josh:
“Sono vergine.”
Ridiamo tutti fino alle lacrime, mentre Josh
beve il fondo della vodka, facendo un smorfia buffissima.
Daniel stappa la vodka alla pesca e me la mette
in mano.
La tentazione è fortissima. In fondo, io adoro
la vodka alla pesca... ma il mio buon senso prevale.
“No, non posso.”
“BOOOOOOOOOOOOOOOH!”
“No, davvero, ragazzi, non posso!”
“Dai, Emily, è solo un sorso di vodka! Che vuoi
che sia!”
“Certo e poi agli Anderson diamo un bambino con
tre dita in un piede e sette nell’altro!”
“Ma non succederà niente!”
“Sì, certo, come credete. Io, intanto, vado a
fare pipì.”
Vado in bagno e quando torno la bottiglia di
vodka alla pesca e alla fragola sono state prosciugate. I miei amici si
stanno
versando il whiskey in bocca a vicenda e il tappeto sta diventando
tutto zuppo
e appiccicoso.
Grandioso.
Ora dovrò portare ben due persone ubriache
fradice a casa.
Yu-hu.
Bel capodanno.
*
“No,
mamma, non mi ricordo degli Evans!”
“Dai! Christina... la migliore amica delle
elementari di Jack!”
“Mamma, piantala! Tanto non me li ricordo.”
Qualcuno, per favore, mi spieghi perché mi devo
sottoporre a questa tortura.
L’altro ieri, mamma ha incontrato questa
fantomatica Celia Evans, moglie di un quest’altrettanto
fantomatico Dylan e
madre dei fantomatici Christina e William, ventuno e diciannove anni.
Ok, ora la parola ‘fantomatico’ comincia a
suonarmi un po’ strana.
Comunque, hanno deciso di organizzare una cena a
casa nostra per rievocare i vecchi tempi.
Bah.
Contenti loro.
Sto aiutando mia madre ad apparecchiare, quando
mi dice:
“Tesoro, vatti a mettere qualcosa di decente!
Non puoi farti trovare in tuta e felpa!”
“Perché no? Tanto che differenza fa...”
Dico per
stuzzicarla, mi sarei cambiata lo stesso.
“Perché io voglio che ti cambi e mettiti
qualcosa che copra...”
“La pancia?” Finisco per lei, sistemando
l’ultimo coltello.
“Sì, non voglio che pensino che tu sia
una...”
Mentre queste parole le escono dalla bocca, la sua espressione si
trasforma in
una smorfia d’orrore.
“Peripatetica, passeggiatrice, prostituta,
puttana? Complimenti, mamma, sei una delle prime che mi chiama
così.” Dico,
andandomene. Ma io sono Emily Wood ed Emily Wood non piange, non si fa
mettere
i piedi in testa e, soprattutto, non permette che nessuno la insulti.
Tiro subito fuori dall’armadio i miei jeans neri
e dalla scarpiera le scarpe con tacco sette. Non voglio dare
l’impressione di
essere un nano. Scegliere la maglia è un’impresa
un po’ più ardua. Alla fine
trovo un maglione rosso che mi sta un po’ stretto, ma che
raggiunge
perfettamente il mio intento: mette ancora più in risalto la
pancia.
Lo so, è una cosa infantile, ma, alla fine, fare
sesso senza preservativo lo è stata anche di
più... quindi...
Invece, montare su un tacco sette si rivela
essere una missione impossibile, quindi ripiego sulle ballerine e sul
mio
aspetto di nano.
Mentre mi infilo la seconda scarpa, suona il
campanello. Un vociare eccitato mi raggiunge dal piano di sotto. Sento
i passi
veloci di Jack che scendono le scale. Credo che sia ora di andare.
Sbuffo e mi
avvio verso le scale. Sono curiosa di vederli, ma non voglio fare la
figura
dell’idiota che li fissa imbambolata, quindi mi siedo a gambe
incrociate
davanti alla ringhiera.
Sono davvero belli. Dylan è un uomo con il
fisico da giocatore di football, ma ha una faccia dolcissima; Celia ha
i
capelli biondi con dei riflessi bianchi e un fisico davvero lodevole
per la sua
età; Christina è come la madre, solo che non ha i
riflessi bianchi nei capelli
biondi e nessuna ruga; infine, entra anche William nel mio campo
visivo: è
davvero mozzafiato. Ha due spalle grandi e una schiena muscolosa che si
può
intravedere da sotto la sua maglietta; i capelli sono biondi e, la cosa
che
attira di più l’attenzione, ha due enormi occhi
blu. Blu, ma davvero blu.
“Emily!” Sento mia madre che mi chiama.
“Arrivo!”
Scendo le scale, ma tutti sono girati. Quando si
girano, i loro occhi cadono subito sul mio pancione. Mia madre,
imbarazzata,
cerca di far finta di niente:
“Questa è Emily. Emily, loro sono Celia, Dylan,
Christina e William.”
“Ciao!” Dico cordiale, stringendo la mano a
tutti e quattro.
C’è un silenzio imbarazzante, che mio padre
spezza dicendo:
“Andiamo in salotto per un aperitivo?”
C’è un mormorio indistinto di assenso e tutti si
spostano verso il salotto. Mentre ci spostiamo, automaticamente, si
formano
delle coppie per chiacchierare e io finisco con William. Non so bene
cosa dire,
quindi comincio con la domanda più stupida:
“Allora, tu hai diciotto...?”
“Diciannove anni.”
“Giusto. Quindi... sei
all’università...”
“Sì, al primo anno e tu sei...” Dice
accennando
alla mia pancia, ma il mio cervello formato nocciolina non coglie
l’allusione.
“Al secondo anno, sì.”
“Certo! Al secondo anno...”
“Oh! Vuoi dire... incinta...?”
“Ehm, sì...”
C’è un altro momento di silenzio imbarazzato e
poi William riprende:
“Sai, ho trovato una foto che ci hanno scattato
in una delle innumerevoli feste di compleanno di Christina...”
Si mette una mano in tasca e tira fuori una foto
sbiadita e spiegazzata. Sulla foto c’è lui vestito
da Batman e io sono vestita
da Biancaneve.
Mamma mia! Sono davvero ridicola!
Infatti mi scappa una risatina. William, con una
faccia divertita, mi chiede:
“Perché ridi?”
“Ma mi hai visto sembro un muffin con la glassa
a cinque colori!”
“Già, hai ragione!” Ridacchia.
“Hey!” Gli dico, dandogli una pacca sul petto.
“Senti, Ems...”
“Sì, Will?”
“Questo bambino - dice, poggiando una mano sulla
mia pancia - ce l’ha un papà?”
“Sì.”
“Peccato.”
Lascio cadere il discorso e continuiamo a
rinvangare episodi del passato. Rido tutta la sera, fino alle lacrime.
Quando
se ne vanno, io e Will ci scambiamo i numeri di cellulare, la promessa
di
sentirci almeno una volta alla settimana e di vederci qualche altra
volta.
Alla fine, è stata una serata divertente.
*
Gennaio
è sempre stato un delirio.
Ci sono i fottutissimi esami di metà semestre.
Cheppalle!
Tutti si danno ad un folle ripasso, inclusa la
sottoscritta, che non porta quasi a nulla.
Odio, odio, odio!
Solo il pensiero di dover stare piegata su uno
stupido foglio di carta con delle domande inutili ogni giorno mi uccide.
Però, alla fine, cazzo se ho avuto una bella
pagella!
Ho avuto B in scienze e matematica, B+ in storia
e geografia, A- in inglese. A in fotografia, tedesco e ginnastica.
Fico.
Ora posso concentrarmi sull’adozione.
L’appuntamento con gli Anderson è tra tre
giorni, ma subito prima dell’appuntamento, devo andare dalla
ginecologa. Dopo
che mi hanno spalmato addosso quella poltiglia azzurrina, la dottoressa
dice
che il bambino cresce bene, ma io devo prendere un altro paio di chili
per far
stare meglio entrambi e, soprattutto, il mese prossimo, si
potrà capire il
sesso del bambino.
Wow.
Non ho abbastanza forza per gioire.
Sono distrutta per gli esami e non ho voglia di
incontrare gli Anderson, ma uscita dall’ospedale vedo la
macchina di Josh che
mi aspetta. Salgo in macchina e gli riferisco
cos’è successo durante la visita.
Durante l’incontro li informiamo di come procede
la gravidanza e dove partorirò.
Mentre parliamo, vengo tempestata di messaggi di
Will.
Menomale che avevamo deciso una volta alla
settimana!
Salutiamo gli Anderson dopo due ore e, mentre
usciamo, Josh mi chiede:
“Chi è che ti ha mandato tutti quei
messaggi?”
“Will, il fratello dell’amica di Jack.”
“Ah.”
Ha la faccia di uno che ha appena succhiato
mezzo limone.
“Stai tranquillo. Io ti amo.”
“Mh-h.”
“Dio! Smettila! Io amo te, solo e soltanto te.”
“Ti credo.”
“Devi.”
“Scusa, n-non volevo...”
“Non fa niente.”
E mi poggia un bacio leggero come una farfalla
sulle labbra.
Perdonoooo!
Scusate per il ritardo, ma ho avuto una settimana terribile!
Chiedo umilmente venia!
Recensiteeeeeeeeee!!
Grazie per aver messo questa storia tra le preferite a:
sweet_marty
Ness__
malvine
lucry94
flywithme
Ely_91
BlackParadise
margiy__argii
LeSwanMasenCullen96
Grazie per aver messo questa storia tra le seguite a:
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_HoneY_
_Bonnie_
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giulimpire
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hitomi
Ivola
Vanilla_sky
Clithia
Grazie per
aver messo questa storia tra le ricordate a:
Rosebud
ylex98
nerissa_blu
Grazie
per avermi messo tra gli autori preferiti a:
MayCry
Binca
margiy__argii
LeSwanMasenCullen96
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
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Capitolo 11 *** Chapter 10 ***
Chapter 10
“Cosa ne dite di
questo?” Dice Leah alzando un
vestito rosso.
“No, ce n’ha uno molto simile.” Risponde
Jen.
“E se le regalassimo... no, non fa niente.”
Tento.
“Ogni anno è sempre peggio!”
“Lo so! Stupidi compleanni.”
Chelsea fa diciassette anni tra meno di una
settimana e noi siamo in crisi. In più, io non riesco a
resistere più di cinque
minuti senza fare pipì e dieci minuti in piedi.
Ora siamo sedute al bar del centro commerciale
e, alla fine, decidiamo di regalarle quattro magliette di David & Goliath.
Frank, il padre di Chelsea, ha organizzato la
festa domani sera e non ha voluto dirci perché ha preteso di
organizzarla
prima. Comunque ora voglio tornare a casa perché sono stanca.
E devo fare pipì.
Di nuovo.
*
Sabato mattina faccio i compiti e,
dopo pranzo,
comincio a prepararmi. Mi avvio verso casa di Chelsea verso le sei e
mezza. Mi
sento ridicola mentre arranco nella neve.
Quando suono il campanello, c’è già un
sacco di
gente.
È una serata tranquilla, ma non noiosa, molto
piacevole e poi Daniel non si è staccato un attimo da
Chelsea... buon segno!
Dopo la torta, Chelsea comincia ad aprire i
regali. Riceve una montagna di cose (le nostre magliette sono molto
gradite) e,
come ultimo regalo, il padre le da una busta bianca che sembra avere
tutta
l’aria di una di quelle buste piene di soldi che ti danno ad
ogni compleanno,
ma, quando rovescia il contenuto, cala un silenzio carico
d’eccitazione.
Sul tavolo del soggiorno, sono caduti quattro
biglietti aerei. Chelsea caccia un urlo, prima di avventarsi sul suo
bellissimo
regalo.
“Oh mio Dio! Oddio! Chelsea Marshall, Jennifer
Mills, Emily Wood e Leah Allen! Oddio! Papà!
È… è indescrivibile!”
Ma i nostri urli coprono la fine della frase.
Siamo così contente che non ci preoccupiamo neanche della
destinazione.
“New York!
New... YORK!!” Continua a urlare Chelsea.
Io, Leah e Jen ci ammutoliamo.
Mi state prendendo in giro?
Sto per partire per New York?
Con le mie migliori amiche?
Le nostre urla si amplificano.
“Quando partiamo?” Chiedo in uno sprazzo di
lucidità.
“Lunedì mattina.”
Questo spiega la festa anticipata.
Appena si ristabilisce la calma, un po’ di
persone se ne vanno, lasciando noi quattro con Josh, Alex, Daniel e
Simon.
Guardiamo un film e poi i ragazzi annunciano che devono andare. Io
saluto con
“molto affetto” e lo stesso fanno Jen con Simon e
Leah con Alex. Daniel e
Chelsea sono un po’ imbarazzati. Quando finiamo, io e Chelsea
accompagniamo i
ragazzi alla porta, mentre Leah e Jen vanno a sistemare i materassi
gonfiabili
in camera di Chelsea perché stanotte dormiremo qui. Mentre
Simon, Alex e Josh
se ne vanno quasi subito, Daniel indugia sulla porta. Capito
l’andazzo, me ne
vado:
“Ciao, Daniel, vado ad aiutare Jen e Leah.”
Salgo le scale ed entro nella camera color pesca
di Chelsea e trovo le mie amiche in ginocchio, chine su delle masse
bluastre e
informi.
“Chels dov’è?” Chiede Leah,
infilando un tubo in
una delle valvole di un materasso.
“Giù, con Daniel.” Rispondo, tentando di
mettermi anch’io in ginocchio.
“Che fai?! Non ci provare!” Urla Jen, vedendo il
mio ridicolo tentativo di aiutarle.
“Ok, scusa! Non lo faccio più!” Rispondo
offesa.
Dopo un momento di silenzio ci lanciamo in una
dettagliata programmazione del nostro viaggio a New York. Chelsea si
ripresenta
quasi mezz’ora dopo con tutto il rossetto sbavato. Ci guarda
e poi dice:
“Daniel mi ha baciato.”
“Davvero?” Chiede sarcastica Leah, senza alzare
gli occhi dal materasso.
“Spiritosa!” Ribatte.
Ci facciamo raccontare i dettagli e, dopo,
continuiamo nella nostra folle programmazione fino alle quattro e mezza.
Alle undici, dopo un’abbondante colazione,
andiamo ognuna a casa propria a fare le valigie.
Sono immersa nella follia più totale tutto il
giorno. Faccio tre lavatrici, svuoto l’armadio e riempio una
valigia, poi la
svuoto e ne riempio un’altra e di nuovo. Alla fine, alle otto
di sera, mi butto
sul divano completamente spossata e alle cinque di mattina sono in
macchina
alla volta dell’aeroporto di Columbus.
Più che una macchina è un pulmino! Ci siamo noi
quattro, le nostre quattro valige, i nostri quattro ragazzi e il padre
di
Chels.
All’aeroporto i nostri ragazzi sono davvero
molto affettuosi, tranne Josh. Il mio ragazzo ha la testa fra le nuvole
e
sembra quasi che non si sia neanche accorto che sto partendo.
“Allora ci vediamo lunedì prossimo?”
“Eh?”
“Pronto?! Sto andando a New York con le mie
migliori amiche!!”
“Lo so! Non sono stupido!”
“Sei sicuro?!”
L’altoparlante chiama il nostro volo. Io
raccolgo la mia borsa e dico:
“Allora, ciao.”
“Ciao.” Dice indifferente.
“Non mi dai un bacio?”
Si china e mi da un bacio sbrigativo sulle labbra.
Interdetta e mezza sconvolta mi avvio verso il gate. Il comportamento
di Josh
mi infastidisce e insospettisce, non si era mai comportato
così. Stupidi
ragazzi.
Fanculo.
Tra poco più di due ore sarò a New York.
New York!
Yeah, New York,
babe.
Sono proprio simpatica!
Appena saliamo in aereo mi addormento, la
gravidanza mi sfinisce.
*
New York è
impressionante.
Sembra surreale.
È tutto così grande e fuori dalla dimensione
umana.
Il nostro albergo è a due passi da Central Park
e riusciamo a girare molto facilmente. Le strade sono molto caotiche,
ma l’aria
è pulita e tutto sembra uscito da una di quei cataloghi con
le pagine lucide
delle agenzie di viaggi.
Ci stiamo divertendo da morire e oggi la
giornata è dedicata allo shopping!
Sono sulla Quinta Avenue seduta su una panchina
per riposarmi un po’. Leah, Chelsea e Jen non devono
scorazzare in giro un
pancione di cinque mesi e quindi si stanno facendo un giro in un
negozio
enorme, mentre io, qui fuori, da sola, sorseggio del the freddo al
limone.
Cacchio! Sono lontana da Castine da quattro
giorni e da Josh neanche un segno, forse è per questo che
quando suona il
telefono faccio un salto. Sullo schermo del cellulare, però,
appare il numero e
il numero di Will. Istantaneamente un sorriso enorme si allarga sulla
mia
faccia.
No.
Aspetta.
Non devo sorridere così. Lui è solo un amico.
“Pronto?”
“Hey! Come stai?”
“Bene e tu?”
“Tutto ok!”
C’è un momento di silenzio, poi riprende:
“Sono a Castine, sono venuto a trovare i miei,
se vuoi posso passare da te se vuoi...?”
“Ehm... e-ecco, io...”
“No, va bene, tu hai un ragazzo e io non
dovrei...”
Scoppio a ridere.
“Perché ridi?” Chiede offeso.
“Perché sei uno stupido e io non sono a Castine!
Sono a New
York!”
“A NEW YORK??”
“Sì, il padre di Chelsea ci ha regalato il
viaggio per il suo compleanno e quindi...”
“Bello!”
“Sì, ci stiamo divertendo da morire!”
“E com’è portare una zavorra sulla
pancia in
giro per New York?”
“Faticoso. Molto faticoso.”
“Ma la gravidanza come procede?”
“Bene, ora ha cominciato a muoversi, poco, ma si
muove.”
“Sai già se è maschio o
femmina?”
“No, ho un appuntamento con la ginecologa il 16
e ha detto che sapremo il sesso.”
“Grandioso!”
In quel momento, le mie amiche escono dal
negozio.
“Senti, ora devo andare, ma ti chiamo. Presto.”
“Ok, a presto.”
Le mie amiche sono davvero su di giri e nessuna
di loro tre si è accorta che ero al telefono. Mi mostrano
eccitate i loro ultimi
acquisti e ci avviamo verso la metro per andare in albergo a cambiarci,
per poi
andare a cena.
Siamo tutte un po’ abbacchiate, infatti, alle
dieci, siamo già in pigiama e ci stiamo infilando sotto le
trapunte.
L’unico problema è che io, dopo tre ore e mezza,
sono ancora sveglia e mi sto girando e rigirando nel letto. Non faccio
altro
che sbuffare e cercare una posizione più comoda. Quando non
riuscivo a dormire
mi mettevo a pancia in giù e crollavo addormentata, ora, per
ovvie ragioni, non
posso.
Dopo un’altra mezz’ora allo stesso modo, decido
di alzarmi. Mi siedo con le gambe incrociate sul davanzale della
finestra e
guardo fuori dalla finestra. Nonostante sia notte fonda, New York
è ancora
sveglia. In strada, arrancando nella neve, passano gruppi di ragazzi di
circa
vent’anni mezzi ubriachi, coppiette e turisti.
Continuo a guardare affascinata quello spettacolo
continuo, senza fine. Senza che me ne renda conto, sono già
le sette di mattina
e i personaggi in scena cambiano: appaiono le mamme con i bambini di
due anni e
meno, riesco a vedere un papà con le occhiaie che gli
arrivano fino ai talloni,
che culla un bimbo davvero minuscolo per cercare di calmarlo.
Sorrido.
Sorrido perché anche io, tra qualche mese avrò
le stesse occhiaie e la stessa espressione stanca...
No. Non è vero.
Io non avrò un bambino.
Almeno, non ora.
In quel momento, distraendomi dalle mie
elucubrazioni, suona il cellulare. Sbircio sullo schermo e vedo il
numero della
ginecologa:
“Pronto?”
“Buongiorno, Emily! Sono Allison Ward, la
ginecologa. Scusa se ho chiamato così presto.”
“Non si preoccupi. C’è qualche
problema?”
“Vedi ti ho chiamato per dirti che devo andare a
Los Angeles per un corso d’aggiornamento e, quindi, non
potrò visitarti prima
di un mese. Allora, hai due scelte, o ti visito io oggi o il dottor
Brown...”
“DOTTOR? - Chiedo terrorizzata - Un UOMO?”
“Sì...”
“Preferirei di no.”
“Allora ci dobbiamo vedere oggi...”
“Ecco... il fatto è che io ora sono a New York e
dovrei tornare domenica...”
“Emily, non possiamo aspettare un mese.”
“Va bene, vedo che posso fare. La richiamo.”
“Perfetto, a dopo.”
Chiamo l'aeroporto per sapere se c’è un volo
oggi per Columbus e se c’è posto per me.
Effettivamente un volo c’è, alle dieci e mezza,
e c’è addirittura posto per me!
Scocciata per dover interrompere il mio viaggio
così bruscamente, rifaccio velocemente, per quanto la pancia
me lo consenta, la
valigia. I rumori svegliano le mie amiche che assonnate e ammaccate si
alzano
dal letto.
“Ems, che fai?” Biascica Chelsea.
“Devo tornare a Castine. Ho da fare una visita
importante e la dottoressa ha avuto un problema. Ho già
cambiato il biglietto...
Ragazze, mi dispiace! Non immaginate neanche quando preferirei restare,
ma,
davvero, non posso.”
Le mie amiche sembrano deluse, ma in fretta e
furia si vestono, mi accompagnano in aeroporto e mi fanno compagnia
finché non
mi imbarco.
Arrivo a Columbus a mezzogiorno e trequarti e il
pullman per arrivare in ospedale parte all’una.
Chiamo la dottoressa e la informo che dovrei
arrivare verso le quattro e mezza e lei ribatte che è
perfetto.
*
“Emily
Wood?”
“Sì! Sono qui!” Dico, ansimando.
Sono arrivata sul pelo del secondo.
La visita si svolge come tutte le altre, tranne
per una piccola variante. Dopo aver fatto tutti gli accertamenti del
caso, la
dottoressa mi chiede:
“Vuoi sapere il sesso?”
Esito un attimo. Forse dovrei aspettare Josh, in
fondo, è anche suo figlio. Però non ho voglia di
aspettare un altro mese.
Quindi annuisco.
“Bene... vediamo...” Dice la dottoressa.
Trattengo il respiro, serro gli occhi e stringo
i pugni.
“È un... MASCHIO!”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Un maschio. Un bel maschietto.
Non ci credo.
Intanto la dottoressa sta indicando sul monitor:
“Questa è la testa... qui ci sono i
piedi...”
Ma io non la sto ascoltando.
Per la prima volta in cinque mesi, mio figlio comincia
a prendere una forma reale.
Cazzo.
Questo è il mio
bambino.
Mio.
Se lo darò via,
starò male e mi odierò per tutta
la vita.
Se lo darò via, starà male e mi odierà
per tutta
la vita.
E allora perché sto facendo tutto questo?
Perché?
Certo, forse avremo entrambi una vita migliore,
ma io sarò corrosa dal senso di colpa e lui
penserà di essere sbagliato e che
io non l’ho voluto.
Nessuno capirà veramente come mi sentirò,
nessuno potrà davvero starmi vicino.
Io non avrò un coro di persone che diranno
‘povera!’
o che faranno ‘awww’ come ha avuto Juno.
Io no avrò nessuno.
Per la prima volta, mi rendo conto di quanto io
voglia questo bambino.
Senza neanche ascoltare cosa dice la dottoressa,
raccolgo la mia valigia e vado a prendere un taxi per andare a casa.
Poggio la valigia nell’ingresso e riesco,
avviandomi verso casa di Jen e Josh.
Arrivata lì, suono il campanello, ma non apre
nessuno.
Suono di nuovo, ma rimango un’altra volta senza
risposta.
Allora prendo le chiavi che tengono nascoste
sotto il tappetino e apro la porta. Entrando sento dei rumori venire
dal piano
di sopra.
Salgo e mi rendo conto che vengono dalla camera
di Josh.
Starà facendo i pesi con le cuffie e non avrà
sentito il campanello.
Aprendo la porta dico:
“Josh... Amore, io voglio tenerlo! Io voglio
tenere il bambino!”
Ma lo spettacolo che mi trovo davanti mi
paralizza...
Leah^^
Ecco il decimo
capitolo! =)
Non ho pubblicato ieri perché questa settimana sto facendo
il First quindi sono un po' impegnata u.u
A presto^^
Grazie
per aver messo questa storia tra le preferite a:
sweet_marty
Ness__
malvine
lucry94
flywithme
Ely_91
BlackParadise
margii_pazzoide_chan
LeSwanMasenCullen96
OooohThatsRo
Grazie per aver messo questa storia tra le seguite a:
_Sklery_
_HoneY_
_Bonnie_
thatsamore
namy_love
namina89
LoLiNa89
ladyrowena
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Clithia
kiki_196
wilma
Grazie per
aver messo questa storia tra le ricordate a:
Rosebud
ylex98
nerissa_blu
Moon_Daughter
Grazie
per avermi messo tra gli autori preferiti a:
MayCry
Binca
margii_pazzoide_chan
LeSwanMasenCullen96
=)
Un grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
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Capitolo 12 *** Chapter 11 ***
Chapter 11
Sul letto di Josh
c’è un groviglio di braccia e
gambe che si muove convulsamente e, all’aprirsi della porta,
si ferma. Poi vedo
una chioma bionda che cerca disperatamente di nascondersi.
Da sotto le lenzuola spunta la testa di Josh:
“E-Emily! Perché sei tornata prima?”
Chiede
scocciato.
“Avevo una cosa da fare e, a quanto vedo, pure
tu. Ciao, Victoria.”
La figura rimasta “nascosta” fino ad ora si
alza, coprendosi con il lenzuolo fino al seno.
“Beh, vedo che sono di troppo e, evidentemente,
vi ho disturbato, quindi me ne vado. È stato bello,
Josh.”
Mi sorprendo della mia calma innaturale.
“Em! Ems! Aspetta!”
Sento Josh che grida mentre scendo le scale. Mi
raggiunge nell’ingresso e dice:
“Ems! Ti prego, ascoltami! Fammi spiegare!”
Faccio un cenno come a dire ‘sto ascoltando’.
“Ecco... è solo che... che io non ce la
faccio!”
“Non ce la fai?”
“No! Questo - accenna alla mia pancia - è
assurdo! È troppo! Cazzo, ho solo diciotto anni!”
“E io? Io ne ho sedici! SEDICI! Vado via meno di
una settimana, torno e ti trovo a scoparti quella troia!”
“MA IO VOLEVO! OK? VOLEVO E BASTA! A DICIOTTO
ANNI HO BISOGNO DI SCOPARE! Se solo l’avessimo fatto
più di una volta...”
“Quindi è questo il punto? Il sesso? Se avessimo
fatto sesso più di una volta, allora non mi avresti
tradito?! È questo che vuoi
dire?”
“No...” Ribatte debolmente.
“Credevo che fossimo più che solo
sesso.” Dico
con tono sconsolato e disgustato.
Faccio per andarmene, quando Josh mi afferra il
braccio:
“Ti prego...”
“NO! Farò tutto da sola come ho sempre
fatto!”
“Ems...”
“Terrò questo bambino e lo crescerò con
o senza
il tuo aiuto!”
Metto la mano sul pomello e sento un’ultima
supplica:
“Non andare...”
Faccio un respiro profondo e dico, lanciandogli
la foto dell’ecografia:
“E tieni. È un maschio!”
Sbatto la porta e mi avvio verso casa. Cammino
così velocemente e sbattendo i piedi così forte
che mi è venuto mal di testa.
Come ha potuto fare una cosa simile?
Non riesco a crederci.
Adesso che avevo deciso di tenere il bambino.
Ma non importa.
Farò lo stesso quello che mi pare.
Stronzo.
A casa non c’è ancora nessuno, quindi decido di
svuotare la valigia per tenere la mente occupata.
Effettivamente funziona perché sono così
concentrata su dove mettere i vestiti che quasi non sento il cellulare
che
suona.
“Pronto?”
“Hey! Come va
New Yorker?”
“A casa, Will.”
“Perché sei già tornata?”
“Non voglio parlarne al telefono.”
“Senti, io sono ancora a casa dei miei. Se
vuoi...”
“Per favore.”
“Sto arrivando.”
“Grazie.”
Metto le ultime tre magliette nell’armadio e mi
siedo sul letto con il telefono tra le mani. Will arriva dopo meno di
dieci
minuti. Non apro neanche la porta che mi stritola in un abbraccio. Non
oppongo
resistenza. La rabbia ha lasciato posto all’avvilimento.
Salgo al piano di sopra strusciando i piedi con
Will alle calcagna e vado dritta in camera. Mi accascio sul letto e lui
fa lo
stesso.
“Non avevo mai visto la tua camera.”
Non rispondo.
“Ems, mi parlerai prima o poi?”
Le lacrime prendono il controllo e, silenziose,
cominciano a rigarmi il viso. Will mi stringe e mi culla un
po’ tra le sue
enormi braccia. Le lacrime si trasformano in singhiozzi.
“Shhh! Andrà tutto bene...”
“No, non
è vero! Josh è uno stronzo. Io vado a New York
per quattro giorni, torno e lo
trovo a scopare con la prima zoccoletta che passa!”
Ho il mascara scolato che mi fa sembrare un
panda, il naso rosso come un clown e la faccia color porpora
perché non faccio
altro che sfregarla per asciugare le lacrime, normalmente mi
vergognerei da
morire di tutto questo, ma con non ci riesco. Non riesco a fare niente
se non
piangere, io non piango mai.
Poi, improvvisamente, riesco a riconoscere
chiaramente un calcio.
Le lacrime si bloccano istantaneamente.
Will, che aveva una mano sulla mia pancia,
strabuzza gli occhi. Ci guardiamo come per controllare se entrambi
abbiamo
sentito bene. Evidentemente sì.
Il mio amico mi passa un dito sulla guancia e
dice:
“Visto? Il bimbo non vuole che la sua mamma sia
triste, anche se il papà l’ha fatta
soffrire.”
Annuisco e, in quel momento, altre lacrime, ma
di natura completamente diversa, cominciano a bagnarmi la faccia.
“Will io lo tengo. Io tengo il bambino.” Dico
mentre tiro su con il naso.
Un’espressione di gioia si dipinge sulla faccia
del mio interlocutore.
“Ems, ma è fantastico!” Esclama,
stritolandomi
in un altro abbraccio.
Quando mi lascia andare, poggio la testa sulla
sua spalla e, quando mi sono calmata, mi chiede:
“Perché sei tornata prima?”
“Perché sono dovuta andare dalla ginecologa... ah,
è un maschio.”
Will si sposta.
“Scusa, è un maschio e non mi hai detto
niente?!”
“No.” Rispondo con naturalezza.
Scuote la testa e mi abbraccia di nuovo.
*
Will è rimasto con me tutta la serata ed è
rimasto con me mentre dicevo ai miei che volevo tenere il bambino e che
Josh mi
aveva tradito, quindi sarei stata una mamma single, ma che non mi
importa e
bla, bla, bla...
Non l’hanno presa molto bene.
Chelsea mi ha chiamato per sapere com’era andata
dalla ginecologa e le ho detto tutto, dato che aveva capito dal tono
della mia
voce che qualcosa che non andava.
Da quando l’ha saputo, Jen non parla più con
Josh.
Però sono molto contente che tenga il bambino.
Victoria mi guarda con un’aria di soddisfazione
che mi fa venire davvero i nervi. Se non avessi una pancia troppo
grande per
fare qualsiasi cosa le strapperei le ciglia una ad una.
Le ciglia.
Non le sopracciglia.
Le ciglia.
Stronza.
E si permette pure di fare la spiritosa
scrivendomi su Twitter cose come:
“Bacon is bacon
Eggs are eggs
Don’t let a guy between your legs
He says you’re cute
He says you’re fine
Nine months later he says: ‘It’s not
mine!’”*
Maledetta.
Josh, dal canto suo, è diventato praticamente
uno stalker. Passa le sue giornate a tormentarmi con messaggi,
telefonate,
e-mail e mi ha mandato qualcosa come sette mazzi di girasoli e cinque
di rose.
La follia, davvero.
Jack era fuori di sé dall’entusiasmo per la
notizia che sarebbe diventato zio.
Ormai passa tutti i weekend a Castine per starmi
vicino. Che bravo fratello che ho!
Mi sta aiutando più di chiunque altro ad
eccezione di Will, forse.
Oggi, che è sabato, mi accompagnerà a comprare
le cose basilari che servono per tenere a casa un bambino.
Sono davvero emozionata. Anche se è una cosa un
po’ stupida emozionarmi per delle compere del genere e per le
compere in
generale. Mi sento davvero stupida.
In macchina, parliamo del più e del meno e
ridiamo come due idioti. Mi racconta che le lezioni e gli esami vanno
abbastanza bene e che con Amy ha costruito una bellissima relazione.
Poi, come
mi aspettavo, ha cominciato l’argomento
‘Josh’:
“ Continua a tormentarti, vero?”
“Sì, ma riesco a sopportarlo abbastanza
bene.”
“Cosa intendi fare?”
“Non lo so.”
“Ho una sorella davvero coraggiosa.” Dice
compiaciuto.
Sorrido.
“È vero! Hai sedici anni e stai per diventare
mamma.”
“Non sono così coraggiosa.”
“Invece sì. Ho deciso così e non si
discute.”
“Come vuoi.”
Intanto abbiamo parcheggiato e Jack ha fatto il
giro della macchina per aiutarmi ad alzarmi.
Devo comprare anche una gru.
Il negozio è enorme. Ci sono una miriade di modelli
di culle, cassettoni e passeggini; subito dietro, ci sono scaffali
pieni di
vestiti in miniatura e ai lati biberon, pannolini e ciucci di tutti i
tipi.
Ogni cosa ha un colore pastello così chiaro.
Mi è venuto mal di testa.
Mentre io rimango imbambolata a guardare il
negozio, Jack si è diretto verso una commessa con i capelli
neri che sembra non
sembra molto più grande di me.
“Ciao, possiamo chiedere a te?” Chiede sicuro
mio fratello.
“Certo! Come posso aiutarvi?” Risponde gioiosa.
“Ecco ci serve... praticamente tutto!”
La commessa sposta lo sguardo su di me. Sorride
e dice:
“Anche tu ci sei cascata, eh?”
“S-scusa?”
“Aspetta qui un secondo.” Dice andandosene.
Io e mio fratello ci scambiamo uno sguardo
confuso. La ragazza torna dopo due minuti con in braccio un fagottino.
Si ferma davanti a
noi, mi tende la mano e si
presenta:
“Ciao, io sono Erin e questa è Brooke, mia
figlia. Brooke saluta...”
“...Emily.” Dico, stringendole la mano.
“Quindi anche tu ci sei cascata.”
“Sì.”
“A che punto stai?”
“Ho quasi finito il sesto mese.”
“Quindi sai già se è maschio o
femmina...?”
“È un maschio.”
C’è un momento di silenzio imbarazzante, poi,
riprendo:
“E lei quando ha?”
“Brooke ha nove mesi. Se non sono indiscreta, tu
quanti anni hai?”
“Sedici, tu?”
“Diciotto appena fatti.” Risponde con una punta
d’orgoglio nella voce.
Jack si schiarisce la voce.
“Ehm... giusto, andiamo a cercare qualcosa per
il piccolo.”
*
Usciamo dal negozio due ore dopo,
io con cinque
buste enormi e Jack con tre scatole giganti.
Io ed Erin abbiamo parlato tantissimo e mi ha
dato il suo numero, dicendomi di chiamarla per qualsiasi cosa.
Trovare una persona che capisce davvero tutto
quello che sto passando è incredibile.
*"Il
bacon è bacon,
le uova sono uova,
Non lasciar arrivare un ragazzo tra le gambe.
Ti dice che sei carina,
ti dice che vai bene,
nove mesi dopo dice: "Non è mio!"
Eccomi
dopo un bel po'!
Scusate, ma ho avuto qualche problema con la linea! Ora è
tutto ok. =)
Grazie per la pazienza! Aggiornerò prima possibile^^
P.S.: D'ora
in poi risponderò alle recensioni alla fine di ogni
capitolo! Quindi recensite,
recensite, recensiteeee! =D
@Jora
Sana: Sìììì!
Evviva le decisioni sagge xD!
@sTar___:
Sì, non ti preoccupare, ci saranno risvolti
interessanti^^!
@Ivola: Eh
sì, Will è proprio bravo! Sono contenta che ti
piaccia!
@Scoutina:
Già, povera! A presto=)
@Asya89: Grazie
sia per i complimenti che per le critiche costruttive^^!
@margii_pazzoide_chan:
Certo che puoi chiamarmi Gevie^^!
Sono contenta che ti piaccia =)
@binca:
Grazieeee! =)
@erikuzzola:
Hey! Sono contenta che abbia trovato la storia
e che ti piaccia^^!
Grazie
alle 37
seguite, 12
preferite e 5
ricordate.
Grazie anche ai 4
che mi hanno messo tra gli autori preferiti!
Un
grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
|
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Capitolo 13 *** Chapter 12 ***
Chapter q2
“Emily,
possiamo parlare?”
Mi
fermo di botto nel corridoio della scuola.
Alzo gli occhi al cielo e, senza neanche girarmi, rispondo mentre
riprendo a
camminare:
“No,
Josh.”
“Solo
un minuto.”
“No,
ho tedesco e non posso fermarmi.”
“Ti
prego.”
Sento
che si avvicina sempre di più, ma io non
posso andare più veloce di così.
All’ultimo secondo, spunta Liz da un corridoio
e mi prende sottobraccio.
“Grazie.”
Sussurro.
“Nessun
problema.”
“Sta
diventando insopportabile.”
“Ignoralo.”
“Ma
è quello che sto facendo!”
Non
risponde. Allora riprendo:
“Come
va con Adam?”
“Bene,
va tutto... benissimo. Si è iscritto
all’università di New York. L’anno
prossimo mi mancherà.”
“Certo,
New York è lontana...”
“Sì,
lo so, ma mi ci voglio iscrivere anche io!”
“Sei
sicura?”
“Sì,
indipendentemente da Adam... Comunque, cosa
hai fatto questo weekend?”
“Sono
stata fuori con Jack.”
Annuisce.
“Abbiamo
comprato la culla, un passeggino, una
tonnellata di completini, ciucci e pannolini.”
“Quanto
avete speso?” Chiede scioccata.
“Circa
mille dollari.”
“È
un bel po’...”
“Sì
e non ho ancora niente... ah! La commessa diciottenne
del negozio ha una bambina di nove mesi.”
“Che
coincidenza!”
“Già!”
“Senti,
io devo andare di qua.”
“Sì,
non ti preoccupare, io sono arrivata.”
*
Rientro
a casa e passo il pomeriggio a fare i
compiti. Ho assolutamente bisogno di crediti extra in caso il bambino
nasca
prima del previsto.
I
miei tornano verso il pomeriggio tardo,
ceniamo insieme e poi, mentre lavo i piatti, mamma e papà si
spostano in
salotto a guardare la televisione. Quando finisco, mi affaccio per
salutarli.
“Buonanotte.”
“Emily,
possiamo parlare un attimo?”
“Certo.”
Mi
siedo sulla poltrona e aspetto che i miei
comincino a parlare.
“Ecco,
io e tuo padre stavamo pensando che, dato
che hai preso una decisione tanto importante, dovresti trovarti un
lavoro.”
“U-un
lavoro? Perché?”
“Perché
un bambino è costoso e io e tuo padre
non possiamo mantenere sia te che il bambino. Abbiamo anche
l’università di
Jack da pagare!”
“Capisco
quello che dite, ma non so quante
persone daranno lavoro ad una mamma sedicenne senza alcuna
qualificazione.”
“Qualcuno
troverai!”
“E
qui a Castine nessuno cerca un aiuto da
nessuna parte, per arrivare in città ci vogliono quaranta
minuti e non ho
neanche una macchina!”
“A
proposito della macchina, io e tua madre
abbiamo una sorpresa per te.” Dice mio padre, sventolandomi
davanti alla faccia
un mazzo di chiavi.
“Una
macchina?! Una macchina? Una macchina!”
Più
veloce che posso (e non è molto) mi fiondo
in giardino. Un veicolo nero chiaramente usato, ma comunque in ottimo
stato, è
parcheggiato sul vialetto. Mi giro e mi butto tra le braccia di mio
padre.
“Grazie!
Grazie! Grazie!”
“Sono
contento che tu sia così felice! Ora
trovati un lavoro!”
“Certo!”
Mentre
sto ancora saltellando come un folletto,
sento un calcione che mi mozza il respiro. Mi fermo istantaneamente e
mi piego
sulle gambe, senza fiato. Mio padre mi tira su e mi porta in casa.
Non
sei simpatico, piccolo.
Appena
mi riprendo, vado in camera mia e mi
infilo il pigiama. Sono comunque troppo esagitata per andare a dormire,
quindi
chiamo Will.
“Pronto?”
“Indovina
cosa mi hanno regalato i miei!”
“Un...
gatto...?”
“Una
macchina!
“Wow!
È grandioso!”
“Sì!
Che bello! Sono felice all’incredibile!”
Parliamo
per un’altra decina di minuti e, quando
chiudiamo la chiamata, sono d’accordo di vederlo nel weekend.
Sono
davvero troppo eccitata per dormire, ma il
bambino continua a scalciare come un matto e quindi mi costringo ad
addormentarmi per calmarmi e calmarlo.
Nei
giorni successivi rifaccio l’esame per la
patente, passandolo decisamente bene. Ho anche cercato lavoro, ma, come
avevo
previsto, nessuno mi ha assunto. Quindi, giovedì, decido di
chiamare Erin per
un consiglio.
“Pronto?”
“Ciao,
Erin, sono Emily, la ragazza incinta.”
“Ciao!
Come stai?”
“Bene
e tu?”
“Non...
non c’è male. Brooke?”
“Sta
bene, grazie.”
“Senti,
ho bisogno di un consiglio: ho bisogno
di un lavoro, tu come l’hai trovato?”
“Ehm...
in realtà, ho avuto solo fortuna.”
“Capisco.”
“Senti,
ti va se ci prendiamo un succo di frutta
o qualcosa del genere la settimana prossima?”
“Certo!
Dovrei essere in città mercoledì
pomeriggio per una visita.”
“Ok,
allora ci vediamo la settimana prossima.”
“Ok,
ciao.”
“Ciao.”
Non
ho un lavoro, ma ho una nuova amica.
Non
male.
*
“Ti passo
a prendere alle 20. Puntuale. Vestiti elegante. Ho una cosa molto
importante da
dirti. A dopo, Will.”
Il
messaggio di Will mi sveglia dal dormiveglia
del mio pisolino pomeridiano. Sono già le cinque abbondanti
(alla faccia del
‘pisolino’) , quindi decido di andare a fare una
doccia.
Mentre
mi rilasso sotto il getto caldo, comincio
a pensare.
Chissà
che mi vorrà dire Will...
Spero
che non vorrà dirmi che gli piaccio e che
vorrebbe stare con me.
Insomma,
ho appena rotto con il mio primo e per
ora unico ragazzo!
Di
cui, tra l’altro, sono incinta.
Non
ho né la forza né la voglia di intraprendere
una nuova storia.
Non
voglio deluderlo e non voglio che si
allontani da me.
E poi
perché vuole che mi vesta elegante?
Sbuffo
e chiudo gli occhi. Quando li riapro, lo
sguardo cade sulle dita.
Sembrano
le zampe di una tartaruga, quindi
decido di uscire dalla doccia.
Dopo
essermi asciugata, vestita e asciugata
anche i capelli, rotolo fino in cucina per cenare. I miei non sono
contentissimi che io esca, ma non oppongono molta resistenza.
Dopo
aver messo via i piatti mi siedo in salone
ad aspettare. Alle otto in punto, suona il campanello. Io, visto che
ero
sovrappensiero, faccio un salto che mi fa arrivare al soffitto.
Afferro
la borsa ed esco.
Will
è appoggiato alla sua macchina. È visibilmente
nervoso. Io sorrido e mi avvicino.
“Ciao!”
“Ciao.”
“Dove
andiamo?”
“Al
cinema.”
“E
perché mi sono vestita elegante?”
“Perché
è una prima.”
“Una
prima?”
“Sì,
il film esce a luglio e in alcuni paesi
fanno la prima.”
“Ok.
Che film è?”
“Si
chiama ‘(500)
Days of Summer’*. Non ho idea di cosa
sia.”
“Ok,
allora andiamo?”
“Sì.”
Saliamo
in macchina e Will è così agitato che
non riesce nemmeno a infilare le chiavi per mettere in moto.
Quando
(finalmente) riusciamo a partire, lui non
mi guarda neanche in faccia.
Mi
sta irritando.
Si
comporta in questo modo strano e mi ignora
finché non ci sediamo in sala, ma, appena apro bocca per
chiedergli cosa c’è
che non va, il film inizia.
È
una maledettissima commedia romantica!
Però
non è male, è... insolita.
Seguo
la trama con attenzione per non pensare
alla conversazione che tra poco dovrò affrontare.
Quando
le luci della sala si riaccendono per
l’intervallo, i miei nervi si tendono come corde di violino.
Con la coda
dell’occhio vedo Will che fa un respiro profondo e su gira
sulla poltrona per
parlare faccia a faccia.
“Ems?”
“Sì?”
“Devo
dirti una cosa...”
“Lo
so.”
Will
sembra spiazzato dalla mia interruzione e
ha anche perso il filo, ma, dopo una breve pausa, riprende:
“Ecco,
non è facile dirlo, ma... ma... io...”
“Oddio
parla!”
“Ecco,
è da poco che l’ho capito e non l’ho
detto a nessuno, ma credo di essere...”
“Will,
ti prego, ti prego, non dirmi che ti
piaccio perché io n-non riuscirei a sopportarlo! Insomma,
io...”
“GAY!”
Oh.
Questo,
sinceramente, non me l’aspettavo.
È
un bel sollievo.
Vuol
dire che non gli piaccio e che...
No,
aspetta.
Will
è gay?!
“S-sei
gay? Come...? Cosa...? Quando...?”
“Lo
so che è strano, ma, sai, al college ho
incontrato questo ragazzo e una sera mi ha baciato e mi è
piaciuto, tanto. Poi
abbiamo cominciato a uscire e adesso stiamo insieme.”
“Wow.”
Devo
essere davvero pallida perché Will mi
chiede:
“Stai
bene? Sembra che tu stia per svenire...”
“No,
sto bene. Solo... è solo che non me
l’aspettavo. Voglio dire, la prima volta che ci siamo rivisti
mi hai chiesto se
ero fidanzata e non sembravi troppo contento che lo fossi...”
“Sì,
lo so, ma le cose cambiano...”
“È
ok, Will. Davvero. Non mi devi spiegare
nulla.”
“Em,
non l’ho detto neanche ai miei. Sei la
prima a cui lo dico perché mi fido totalmente di
te.”
Senza
dire altro, lo abbraccio. Sembra contento
che l’abbia presa così bene.
Le
luci in sala si spengono di nuovo e noi ci
risistemiamo bene sulle poltrone.
Quando
finisce la proiezione, mentre ci avviamo
alla macchina, commentiamo il film e osservo:
“Joseph
Gordon-Levitt è davvero bello.”
“Hai
proprio ragione.”
Sorrido
mentre apro la portiera e mi sistemo sul
sedile del passeggero. Mi faccio spiegare meglio come Will ha capito
che gli
piacevano i ragazzi. Con molto piacere inizia a spiegare. Dopo un
po’ si
interrompe e dice:
“Dovresti
parlare con Josh.”
Non
rispondo.
Non
voglio parlare con... quello.
Vedendo
che non rispondo, Will riprende:
“Emily,
state per avere un bambino! Anche se non
state più insieme sarete legati per sempre da questo
bambino!”
“Lo
so.”
“Allora
che vuoi fare? Vuoi che tuo figlio non
abbia un padre?”
Non
ribatto.
“Emily,
se lui ha voluto essere immaturo non
vuol dire che devi esserlo pure tu. Chiamalo e dirgli che vuoi parlare.
Solo
parlare.”
Guardo
l’orologio. Mezzanotte e ventiquattro.
Compongo
il numero di Josh.
Uno
squillo.
Due
squilli.
Tre
squilli.
Forse
dorme.
Quattro
squilli.
Forse
ci ha rinunciato.
Cinque
squilli.
Forse
è impegnato.
Sei
squilli
Sto
per attaccare.
Sette
squilli
Ora
attacco.
Otto
squilli.
Attacco.
“Emily?”
Mannaggia.
“Dobbiamo
parlare.”
“Certo,
come vuoi.”
“Domani.
Da me. Alle cinque.”
“Certo.
Certo, ci sarò! Emily, grazie. Grazie
mille. Non sai quanto significhi per me.”
“Non
ti sto chiedendo di tornare con me. Ciao.”
Chiudo
la chiamata senza aspettare la sua
risposta.
Sospiro
e guardo verso il viso trionfante di Will.
“Contento?”
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Will =D
* Il film
in italiano si chiama (500) Giorni insieme!
Eccomi di nuovo!^^
Scusate se aggiorno
con discontinuità, ma ho un sacco da studiare e quindi non
riesco a scrivere quanto vorrei =(!
Cercherò di
aggiornare prima possibile :)
@ Scoutina: Sono contenta che apprezzi tutte le sfumature del
carattere di Emily che sto cercando di creare! Continua a seguirmi, eh!
xD
@ sTar__: Ho in serbo molte sorprese per voi! Sono contenta che ti
piaccia^^
@ Ivola: Probabilmente soddisferò la tua richiesta di un
seguito :D! Continua a farmi sapere la tua opinione!
@ Jora Sana: Non ti preoccupare per la parola xD! A presto!
Grazie
alle 43
seguite, 16
preferite e 6 ricordate.
Grazie anche ai 4
che mi hanno messo tra gli autori preferiti!
Ringrazio
anche Marco che mi ha dato quest'idea geniale per Will c:
Un
grazie molto
speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.
Love
& Rockets
Geneviève ♥
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