Fearless~

di GENEViEVE___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 ***
Capitolo 4: *** Chapter 3 ***
Capitolo 5: *** Chapter 4 ***
Capitolo 6: *** Chapter 5 ***
Capitolo 7: *** Chapter 6 ***
Capitolo 8: *** Chapter 7 ***
Capitolo 9: *** Chapter 8 ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Prologue

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FEARLESS is not the absence of fears.

 

 

 

To me FEARLESS is being full of fears.

 

 

 

 

 

 

 

I am

FEARLESS

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono piuttosto emozionata...
Ho cominciato a scrivere questa storia nell'estate del 2009 e questa è la terza stesura xD
Però è una storia a cui sono molto affezionata =)
E mi sono anche impelagata in un argomento difficile come quello delle gravidanze adolescenziali, dove si rischia di scadere nello stereotipo o nella favola...!
Farò del mio meglio per evitarlo... :D
Cercherò di pubblicare un capitolo alla settimana, ma non vi prometto nulla xD!
Spero vi piaccia c:

Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 2
*** Chapter 1 ***


Chapter 1

Niente.
Non c’è assolutamente niente.
È passato più di un mese.
E stamattina ho pure vomitato.
Sono nella merda.
Nella merda più totale e assoluta.
Ok, Emily, non preoccuparti, ora vai a farti un giro e tornando compri un test di gravidanza.
Così, solo per sicurezza.
Afferro la borsa appoggiata sul mio letto e mi avvio decisa verso la porta. Mia madre, che sta leggendo un giornale di moda in salotto, mi ferma e chiede:
“Tesoro, dove stai andando?”
“Vado a fare un giro.”
“Da sola?”
“Sì, ho studiato un sacco e ho bisogno di un po’ d’aria...”
“Ok, ma ricordati che alle sette ceniamo!”
“Come al solito!” Commento sottovoce.
Mia madre si ciba di queste inutili routine. Che donna triste!
Mi incammino per il vialetto davanti casa e seguo il viale inalberato, facendo curve a caso. Il pomeriggio di questo ‘grandioso’ Columbus Day le vie di questo minuscolo paesello dell’Ohio sono praticamente deserte.
È autunno e le giornate soleggiate di questa stagione sono le mie preferite. Le foglie dei platani sono verde chiaro, marroni e arancio scuro e riflettono la luce del sole in modo meraviglioso.
Senza neanche accorgermene, mi ritrovo davanti ad una farmacia. Titubante, metto un piede dentro il negozio.
“Salve, Emily! Come stai?” La signora Gordon, la farmacista, richiama la mia attenzione.
“Buonasera, signora Gordon! Tutto bene, lei?” Mento, con finta allegria.
“Tutto bene, cara!” Sorride.
Una cosa che odio di qui è che tutti conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti. Quindi se comprassi un test di gravidanza, mia madre lo saprebbe all’istante. Esco dalla farmacia, piuttosto scoraggiata. E poi, cosa piuttosto insolita, mi imbatto in una coppia di turisti. Ho un’idea brillante. Apro il portafoglio: quarantuno dollari... Posso comprarne tre. Mi avvicino ai due e chiedo con un filo di voce se possono comprarmi tre test di gravidanza. Un po’ interdetti, prendono le banconote ed entrano nel negozio.
Escono dopo dieci minuti scarsi con un sacchetto di carta marrone. Li ringrazio e infilo il sacchetto nella borsa frettolosamente.
Tiro fuori l’iPhone e vedo che sono stata bombardata di messaggi da tutti. Sono le sei e mezza quindi decido di incamminarmi verso casa con passo lemme.
Il pensiero che mi ronza in testa fa capolino in ogni momento. Spero che adesso, quando entrerò in bagno con il test in mano, troverò quella rassicurante striscia di sangue mi dica che mi sono sbagliata, che ho buttato i soldi della mia ultima paghetta, che potrò continuare a essere la sedicenne senza pensieri che amo essere. Ma so che non sarà così. So che apparirà quel maledetto simboletto ‘+’.
Una lacrima sfugge al mio controllo e scende silenziosa sulla mia guancia. La asciugo con un rapido gesto della mano. Non voglio pensare, non voglio pensarci.
Arrivo a casa abbastanza prima della cena per poter fare almeno un test. Dopo dieci minuti, sono seduta sul bordo della vasca ad aspettare il responso. Così, come previsto, si presenta il simbolo ‘+’ Prima che possa riprendermi dallo shock o che possa assimilare la notizia, la voce di mia madre mi raggiunge dal piano di sotto: “A tavola!”
Stringo i denti, serro i pugni e ricaccio dentro le lacrime.
Quando raggiungo la cucina, mio padre e mio fratello sono già seduti a tavola. Mi sento terribilmente colpevole, non mi merito tutto l’affetto che mi dimostrano. In un lato del tavolo è seduto mio padre, Oliver Wood, un uomo tranquillo di cinquant’anni con un ultimo accenno dei folti capelli neri che aveva una volta e due occhi azzurri che avrei tanto voluto avere io. Dal lato opposto del tavolo è seduto mio fratello Jack che ha (letteralmente) rubato tutti i capelli di mio padre e ora sta attaccando voracemente una pagnotta. Siamo molto legati. Ogni volta che lo guardo mi sorprendo di quanto i suoi occhi verdi, uguali ai miei, siano briosi come quelli di un bambino, nonostante abbia ventuno anni. Infine giungo in vista di mia madre. Kate Wood è una donna distinta di quarantasette anni con le unghie (più simili ad artigli) sempre laccate e i capelli biondi tinti sempre cotonati.
Mi siedo al tavolo senza alcuna espressione sulla faccia. Di solito a cena non presto mai attenzione ai futili discorsi sul giardino super curato della signora Black o sul taglio fuori moda della signora Gomez o sugli esami di Jack... No, aspetta... questo mi interessa!
“Domani ho l’esame di diritto internazionale.”
“Quindi non resti stanotte?” Chiedo, terrorizzata.
“No, Emily! Non faccio in tempo ad arrivare a scuola l’esame è alle 8!”
“Allora a che ora parti?”
“Subito dopo cena.”
Fantastico! Il mio fratellone va via stasera proprio quando ho bisogno di lui! Odio il fatto che frequenti il college e non sia sempre a casa ad aiutarmi e a consolarmi. Ritorno nel mio stato di impassibilità totale. Quando finisco la mia porzione di carote mantecate, sgattaiolo di nuovo al bagno del piano di sopra.
Faccio anche il secondo e il terzo test, che conferma il risultato del primo.
“Merda!” Impreco sottovoce.
Passo entrambe le mani tra i capelli e mi lascio scivolare contro la porta. Non posso piangere, mi sentirebbero. Però, cazzo! Io non mi metto nei guai! Io non sono così irresponsabile! Io sono una persona razionale che ci pensa una ventina di volte prima di fare qualsiasi cosa!
Per un indeterminato lasso di tempo, resto seduta sullo gelido pavimento del bagno. Quando finalmente le mie gambe decidono di rispondere agli impulsi del cervello mi trascino in camera mia. Nascondo i test nella mia scatola dei ricordi sotto il letto e mi ci siedo sopra senza avere la minima idea di cosa fare.
Per distrarmi prendo l’iPhone dalla borsa: cinque chiamate perse e sette messaggi!
Il più ‘vecchio’ è quello della mia amica Liz:
“Domani allenamento all’alba? L.”
Io e Liz siamo entrambe nella squadra di nuoto del liceo. Liz, nota nei registri scolastici come Elizabeth Nash (nome che odia), è un anno più grande di me. La conosco dal primo anno di liceo, da quando Sarah Morgan aveva cercato di affogarmi nella piscina e lei mi aveva prontamente salvato. Non me la sento di allenarmi domani mattina, quindi le rispondo:
“Niente da fare. Ci vediamo a scuola! E.”
Il secondo è di Josh, mio ragazzo:
“Amore, come stai? Ti vengo a prendere domani con la macchina? Ti Amo, J.”
Io e Josh stiamo insieme da poco meno di un anno. Lui è il fratello maggiore della mia migliore amica e ci conosciamo sin da quando avevamo circa cinque anni. E ora sono incinta del suo bambino.  Una parte di me muore dalla voglia di vederlo, un’altra parte di me non ha il coraggio neanche di guardarlo negli occhi.
Decido di aspettare per rispondere.
Il messaggio dopo è della mia migliore amica a.k.a. la sorella di Josh a.k.a. Jennifer:
“Sponge, come stai? Andiamo al centro commerciale? Ti voglio bene :), J.”
Ehm, forse è un po’ tardi per rispondere con una risposta entusiasta e, soprattutto, affermativa...
Cheppalle! Ogni volta che sto a casa non tengo per niente da conto il cellulare! Lo sanno tutti! Che gli è preso oggi!?!?
Altri due sono delle altre due me migliori amiche: Leah e Chelsea.
Leah è poco più alta di me con una cascata di ricci castani e un po’ di lentiggini chiare.
Chelsea è di una bellezza ingiusta: la nonna era norvegese, quindi, è altissima, occhi blu profondissimi e una chioma biondissima e liscissima. È un sacco di ‘issima’ che mi fanno sentire meno di zero.
Ogni tanto mi chiedo come fanno a essere mie amiche.
Gli ultimi due messaggi (e le cinque chiamate) vengono da Josh che si è fatto prendere da panico perché non gli ho risposto ai primi due messaggi ed è fermamente convinto che lo voglia lasciare.
Seriamente, è lui il diciottenne maturo?
“Tranquillo, non ho intenzione di lasciarti! Però domani ci vediamo direttamente a scuola... Allenamento all’alba con Liz! Ti amo, E.”
Bugia, ma vediamo se il mio ragazzo si calma...!
Poggio il telefono sul comodino e vado in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Arrivata agli ultimi gradini vedo che Jack è sulla porta e sta salutando mamma e papà. Mi ero scordata che stava per andarsene!
“Finalmente! Pensavo di dover partire senza salutarti!” Dice con un sorriso enorme e un po’ di malinconia negli occhi. Non gli piace andare all’università di Columbus.
Gli corro incontro e mi tuffo tra le sue braccia. Mi mancherà da morire. Proprio quando ho bisogno di lui!
“Buona fortuna e torna presto.” Gli sussurro sull’orlo delle lacrime.
Mi stringe ancora più forte e, sciolto l’abbraccio, esce dalla porta. Resto in cucina finché il rumore della macchina sparisce completamente. Schiocco le labbra più volte, indecisa su cosa fare.
È una serata così piatta che decido di fare una doccia che prosciughi tutte le scorte di acqua calda del vicinato.
Domani sarà una giornatina niente male.
E sicuramente non riuscirò a dormire.
Oh mio...!

 

 

 

 

 

 

 

 
Ecco il primo capitolo =S
Non so perché, ma mi è uscito più corto degli altri xD!
Fatemi sapere cosa ne pensate!

Love & Rockets
Geneviève


P.S.: Ho deciso di mettere, ogni tanto, una foto che meglio rappresenti uno dei personaggi, quindi ecco a voi... EMILY! :)
 
 
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Capitolo 3
*** Chapter 2 ***



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Dopo un sonno inquieto, il suono della sveglia alle sei è una trapanata dritta nelle orecchie.

Avendo fatto una doccia di quasi due ore ieri sera, decido di rimanere sotto il mio bel piumone, ma, improvvisamente, un conato di vomito mi costringe ad alzarmi e a correre in bagno.
Riesco mezz’ora dopo, bianca come un lenzuolo e con la faccia madida di sudore.
Essere incinta fa schifo. Soprattutto a sedici anni.
Scendo, traballante, al piano di sotto. Entro in cucina e mia madre esclama:
“Oddio, tesoro! Sei così pallida! Che hai? Hai vomitato?”
Mi poggia gli artigli sulla fronte.
“Sì... ehm... devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male...” Mento.
“Oh, tesoro! Non puoi andare a scuola ridotta così! Torna a letto.” Ordina il mostro.
Non ho voglia di replicare, ma mi secca perdere un giorno di scuola e non ho voglia di fare gli esami. Oh beh, tanto peggio! Ho guadagnato  un giorno in più per dire la verità... yu-hu!
Mia madre irrompe in camera come un uragano con una pastiglia e un bicchiere d’acqua in mano.
“Amore, non ti preoccupare di niente. Tuo padre ha chiamato la scuola e hanno detto che non c’è problema, però dovrai rimanere a casa da sola... sai, con così poco preavviso...” Overload di informazioni.
“Certo, andate. Non vi preoccupate. S-sto bene, ho solo bisogno di un po’ di riposo.” Biascico, ma non vedo l’ora che se ne vadano. Mi accarezza la testa un’altra volta ed esce, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Dopo dieci minuti, sento le portiere dell’auto sbattere e il motore che si accende.
La maggior parte della mattina la passo piegata sul WC.
Sì, essere incinta fa proprio schifo.
Verso mezzogiorno il mio cellulare comincia a squillare. Già, la pausa pranzo. E la prima classificata è... Jennifer!
“Sponge!” Urla nella cornetta.
La odio quando mi chiama ‘Sponge’! Solo perché abbiamo una foto di quando avevamo quattro anni in cui sono vestita di giallo da testa a piedi! Non sono Spongebob! Uffa!
“Hey!” Biascico di risposta.
“Dove sei finita? Che hai?”
“Ehm... sono a casa... ehm... non... non mi sento bene.” Balbetto.
“Sì, certo! E, per caso, la malattia che ti sei presa si chiama ‘compito di matematica’?” Ridacchia.
“No, Jen! Sto davvero male!” Ribatto stizzita.
“Va bene, va bene! Non ti scaldare! Se ti va possiamo passare dopo l’allenamento delle cheerleaders...” Propone un po’ sulla difensiva.
“Certo e mi... mi dispiace!” Rispondo, sincera.
“Non ti preoccupare! A dopo, Sponge” Mi saluta con il suo solito tono allegro.
Quasi non faccio in tempo ad attaccare che il telefono squilla di nuovo. Il secondo classificato è... Josh!
“Amore!” Mi saluta.
“Ehilà!” Rispondo, mentre tra me e me mi chiedo perché diavolo ho detto ‘ehilà’.
“Come stai?” Chiede.
“Ehm... bene, bene! Tu?” Mento.
“No, io bene, ma tu non sei a scuola.”
Mmmh... che perspicacia!
“No...”
“Quindi devo pensare che non stai bene...?” Chiede.
Ah, allora è davvero perspicace.
“Già, effettivamente non sto tanto bene...”
“Lo sapevo! Cos’hai? Sei andata da un dottore?” Ecco le paranoie.
“Josh! Josh! Ascoltami, ascoltami!” Urlo, cercando di fermare il suo sproloquio. “ Non è niente di grave! Non ti devi preoccupare! - ‘Oh e invece sì che ti devi preoccupare’ penso - Probabilmente ho mangiato qualcosa di avariato e basta.”
“Se dici di stare bene...” Riprende.
“Ed è così” Rispondo irritata.
“... Allora stasera vengo a trovarti... ok?” Continua, ignorandomi.
“Non vedo l’ora.” Rispondo con molta più dolcezza nella voce.
“Anche io. Ti amo.” Dice lui.
“Anche io.”
Riattacco e, questa volta, il telefono tace. Che bello! Niente scuola, niente lavoro, solo le mie amiche e il mio ragazzo... oh no! Se mi vedranno così capiranno tutto!E dovrò spiegare tutto... oh merda! Non di nuovo! Mi tocca correre in bagno di nuovo, forse perché solo il pensiero di dover spiegare, mi fa impazzire dal nervoso.
Tutta tremante mi trascino in salotto e mi butto sul divano. Accendo la televisione e comincio a fare zapping. In uno degli innumerevoli canali di cinema stanno trasmettendo ‘Juno’. È sempre stato uno dei miei film preferiti, ma l’avevo sempre guardato senza mai capirlo bene. Oggi più che mai mi sento sinceramente immedesimata in un personaggio... Certo, non poteva essere... che ne so? Hermione Granger? Ok, forse ora sto delirando, ma... non voglio avere un bambino a sedici anni!
Sento le lacrime che risalgono inesorabili, ma le rimando indietro. Emily Wood non piange mai.
Per distrarmi mando un messaggio a Jack:

“Hey, bro! Allora, questo esame? Ti voglio bene, E.”
L’orologio della TV segna le tre e ventidue. Beh, dato che è tutto il giorno che faccio avanti e indietro tra la mia camera e il bagno, farò una luuunghissima doccia. Mentre predispongo tutto quello che mi serve, arriva la risposta di Jack:
“Passato con lode! Ma tutto questo zucchero =P? C’è qualcosa che non va? Baci, J.”
Mmmh! Ma perché mi conosce così bene? Ok, farò finta di niente. Quando esco dalla cabina, mi sono preparata e asciugata i capelli, il mio stomaco emette un suono molto simile a un tuono... ooops! Non mangio da ieri sera!
Apro il frigo e tiro fuori del latte e prendo tre biscotti dalla credenza.
Ora sono le cinque meno un quarto e le mie amiche dovrebbero essere in arrivo. Infatti nel giro di dieci minuti scarsi il campanello comincia a suonare a ripetizione.
Sulla porta, ancora nelle divise da cheerleader, ci sono le mie amiche. Mi abbracciano una a una e salgono al piano di sopra. In camera mia gettano gli zaini dove capita e si siedono una sul letto, una sul davanzale e una sulla sedia.
“Victoria Stewart deve smetterla di fare il capetto!” Sta dicendo Leah.
“Sì, la capo cheerleader sono io!” Esclama Chelsea infervorata.
“Fossero questi i problemi!” Commento acida, mente mi accascio sui cuscini.
C’è un attimo di silenzio imbarazzante e poi Jen commenta:
“Wooha! Qualcuno è un po’... mmmh... acida?”
Evito di guardarla negli occhi.
“No, non lo sono! Penso solo che sia stupido darsi battaglia per cose stupide come le cheerleaders...”
“Beh, non dicevi così quando Sarah Morgan ha fatto di tutto per essere lei il capitano della squadra!” Ribatte Chelsea stizzita.
“Vado in bagno.” Dico chiudendo bruscamente la conversazione.
Esco dalla stanza sbattendo la porta. Devo assolutamente calmarmi, non sono ancora pronta per dire a nessuno che sono incinta. In bagno mi lavo la faccia per guadagnare tempo. Tornata in camera noto con orrore che le mie amiche hanno trovato la scatola dei ricordi e l’hanno completamente rivoltata: tutt’e tre hanno in mano un test di gravidanza.
“Em, che... che cosa vuol dire?” Chiede Chelsea con voce tremula.
Non riesco ad aprire bocca. Sento come uno strato di colla vinilica che mi sigilla le labbra.
“Emily? C’è qualcosa che devi dirci?” Domanda Leah con palese paura.
Il silenzio sta diventando insostenibile, ma continuo a non riuscire a spiccicare parola.
“Em, ti prego...” Sussurra Jen.
Alzo gli occhi e incrocio quelli della mia migliore amica, sono pieni di lacrime e parlano di delusione .
“Mi dispiace...” Sussurro di risposta. I miei occhi si riempiono di lacrime, ma non devio piangere. Jen lancia via il test che ha in mano, afferra lo zaino e sparisce, lasciando un’atmosfera pesante. Mi accascio sul letto con la testa fra le ginocchia. Poi sento due paia di braccia che mi circondano.
“Emily, non ti preoccupare, andrà tutto bene!” Mi consola Leah.
“Sì, Leah ha ragione, ma com’è... quand’è... insomma...?” Balbetta Chelsea.
Faccio un respiro profondo e comincio a raccontare:
“Ovviamente è stato con Josh... l-la sera dell’homecoming.”
Le mie amiche che annuiscono.
“Era anche il mio compleanno e...” La voce mi muore in gola, ma sono decisa a finire. “Jack era a Columbus e i miei erano a cena a casa di Jen e Josh. Quando siamo tornati qui, abbiamo passato un po’ di tempo a baciarci sul divano e... beh... insomma... Stiamo insieme da quasi un anno e pensavamo di andare oltre ai baci già da un po’... sembrava la sera ideale e l’ho lasciato fare, pensavo che sapesse esattamente cosa stava facendo e... ed è successo a basta.” Concludo sbrigativa.
“Quindi non avete usato nessuna protezione? Niente di niente?” Domanda Leah sbigottita.
Scuoto la testa.
“Emily, ma l’homecoming è stato più di un mese fa! Perché non ci hai detto niente?” Ribatte in tono veemente.
“Non hai visto come ha reagito Jen?” Chiedo un po’ seccata.
“Scusa, ma ti sei insospettita dopo solo un mese?” Domanda Chelsea confusa.
“Sono sempre stata puntuale come un orologio svizzero, ma non è questo il punto!” Rispondo, quasi urlando. “Non posso abortire per lo stesso motivo per cui non ho comprato io questi test!”
Le mie amiche si scambiano uno sguardo confuso.
“Perché viviamo in questo buco e ci sono più vecchie pettegole che tredicenni altrettanto pettegole e la voce si diffonderebbe a macchia d’olio! Non voglio che mia madre sappia che ho abortito. Preferisco affrontare la gravidanza...”
Il peso delle mie parole mi grava addosso. Ho appena detto di voler affrontare una gravidanza a sedici anni?! Questo è troppo anche per Emily Wood e scoppio a piangere.
Anche Leah e Chelsea sono rimaste a bocca aperta, ma cercano comunque di consolarmi. Restano con me tutto il pomeriggio per cercare di tirarmi su il morale e, quando vanno via, mi ricordo che Josh dovrebbe venire qui tra qualche ora, ma non ce la faccio ad affrontarlo. Gli mando un messaggio che dice:

“Ho avuto una ricaduta. Ci vediamo domani a scuola. Ti amo, E.”

Già, è proprio da me, rimandare i problemi invece di affrontarli...

 

 

 

 

 

 

Ecco il secondo capitolo =D!
La storia sta per entrare nel vivo, quindi continuate a leggere (: !
Lunedì  13, prossimo capitolo =D!

Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le seguite.

Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 4
*** Chapter 3 ***


 

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È passata più di una settimana da quando le mie amiche hanno scoperto della mia gravidanza. La nausea è rimasta costante , anche se oggi sto leggermente meglio... vale a dire che ho vomitato solo dodici volte, invece di quindici.
Leah e Chelsea mi trattano come se fossi una malata terminale il che, a lungo andare, sta diventando davvero irritante. Jen, dal canto suo, continua a ignorarmi. Mentre Josh, Liz, i miei e tutti gli altri, sono all’oscuro di tutto.
Sì, rimandare per non affrontare è così da me!
Anche se fare finta di niente con Josh e con i miei si è rivelato sorprendentemente facile. Invece Liz sta cominciando a sospettare qualcosa dato che non mi viene più il ciclo e, per evitare di farle scoprire della mia gravidanza come l’hanno scoperta le mie amiche, ho deciso che l’affronterò di petto.
Oggi è giovedì e tra un paio di settimane c’è una gara di nuoto di tutta la contea e gli allenamenti si sono raddoppiati, se non triplicati. Liz è davvero carica, mentre io sembro un’ameba senza aspirazioni. Sono sotto la doccia dopo l’allenamento e mi arriva una voce alle orecchie:
“Wood! Che sono questi tempi da schifo?!” Dice Liz canzonandomi affettuosamente.
“Liz, si vede lontano cinque miglia che non scoppio di salute e che, soprattutto, non sono per niente in forma!” Mi lamento.
“Su con la vita!” Ribatte sarcastica.
“Senti un po’... ma hai tanti compiti per domani?” Chiedo fingendo indifferenza.
“No... perché?” Risponde sospettosa.
“Perché ho voglia di un frullato... mi accompagni a prenderne uno?”
“Certo! Tanto ho la macchina!” Sorride. Sono sempre stata convinta che c’è una buona dose di sadismo in lei: sono stata bocciata all’esame della patente e i miei si sono rifiutati di regalarmi una macchina.
Uscendo dalla piscina e durante il tragitto fino al centro commerciale parliamo di discorsi futili e stupidi. Però, quando siamo sedute ad un tavolo e io ho in mano il mio frullato al lampone e limone e Liz uno alla fragola, affronto l’argomento.
“Liz, sai... c’è... c’è qualcosa che dovresti sapere...” Comincio.
“Mh-h?” Risponde, ancora concentrata sul frullato.
“Ecco i-io ho... ehm... ecco...”
“Dai, Emily! Sputa il rospo!” Risponde seccata.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.
“Io e Josh abbiamo fatto sesso...” Comincio, continuando a tenere gli occhi serrati.
“Era ora!” Dice Liz tranquilla.
“Senza protezioni.” Le dico, aprendo gli occhi.
Un sorso di frullato le va di traverso.
“Beh, m-ma tutto apposto... no?” Chiede, pregandomi con gli occhi.
“Vorrei tanto...” Ribatto.
“Cazzo!” Sussurra Liz. “M-ma quando è successo?”
“Il giorno del mio compleanno...” Rispondo.
Sospira rumorosamente e si passa entrambe le mani tra i capelli. Ripete la stessa operazione per altre tre volte, poi si abbandona sullo schienale della sedia, sempre con la faccia nascosta tra le mie mani. Dopo ancora qualche minuto, fa un respiro profondo e dice: “Beh, allora sarai mamma...!”
“C-cosa?” Chiedo assolutamente basita.
“Sì...beh... in genere quando sei incinta, dopo nove mesi, partorisci un bambino vero e proprio...” Risponde Liz sarcastica. Mi rifiuto di ribattere.
“Scusa ma cosa pensi di fare?!” Chiede Liz stizzita.
“Stavo seriamente pensando all’adozione...” Sussurro.
“ADOZIONE?!?!” Urla Liz.
“Shhh!” La zittisco disperatamente.
“Ok, ma come pensi... dove pensi... e poi, scusa, ma Josh lo sa?”
Scuoto la testa.
“Emily, devi assolutamente dirglielo!”
“Lo so...!”
“Ma non hai la minima idea di come fare.” Dice, anticipando il finale della mia frase.
“Già...”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, per la centesima volta questa settimana.
“Ok... dai, vedrai, andrà tutto bene...” Cerca di rassicurarmi. Mi strofina il braccio per darmi un po’ di conforto.
“Chi altro lo sa oltre a me?” Riprende con un tono notevolmente più dolce.
“Chelsea, Leah e Jennifer...” Rispondo con voce tremolante.
“E...?”
“... e Leah e Chelsea mi trattano come se fossi malata di cancro e Jen non mi parla da una settimana!” Sbotto.
“B-beh... s-se vuoi posso accompagnarti a casa di Jennifer e Josh, così puoi parlare con entrambi...”
Le lancio uno sguardo assassino e Liz si affretta ad aggiungere: “Oppure possiamo andare da te e la chiami...?”
Però la prima idea è nettamente migliore...! Odio Liz, ha sempre maledettamente ragione!
“No, no... portami da loro, per favore.”
Liz si alza, fa il giro del tavolo e, dopo che mi sono alzata, mi abbraccia fortissimo. Durante il tragitto per arrivare da Jen e Josh, stiamo in silenzio. Io sono troppo nervosa e Liz è, per la prima volta, senza parole.
Arrivata lì, prima di scendere, Liz mi abbraccia e mi da un po’ di coraggio. Camminando sul vialetto fino alla porta ho le gambe come due budini. Salgo i tre scalini davanti alla porta e busso. Mentre aspetto che aprano, non so se sperare che apra Josh o Jen o uno dei signori Mills. Quando la porta bianca si apre, vedo il viso di Jen che passa dallo scioccato allo scocciato.
“Che cosa ci fai qui?” Dice brusca.
“Possiamo parlare, per favore?” La imploro.
Senza ribattere, si gira e si avvia verso la sua stanza e io la seguo in silenzio. Arrivate a destinazione, si siede sul letto e comincia a fissarmi in attesa.
“Allora?” Incalza dopo un po’
“Jen... io... mi dispiace?” Balbetto.
“Ti dispiace per cosa?” Chiede acida.
“Mi dispiace per... per...” Effettivamente non so perché mi dispiace.
“Vedi, Emily?! Non basta chiedere solo scusa...”
“Allora dimmelo tu in cosa ho sbagliato! Dimmi cosa ti ha fatto arrabbiare! Ti prego... io ho bisogno di te, ora più che mai...” Sbotto per poi abbassare notevolmente il tono della voce, ma è troppo tardi. Infatti dopo meno di un minuto, bussano alla porta.
“Avanti!” Dice Jen.
La porta si apre, rivelando la faccia sorpresa di Josh. Entra nella stanza e un po’ sospettoso chiede:
“Tutto bene?”
“Certo.” Risponde secca Jen.
“Sei sicura? Perché ho sentito Em urlare e...” Cerca di ribattere.
“Va tutto bene, ok?!” Urla Jen.
“Ok... Dopo passi un minuto?” Chiede rivolto a me.
Annuisco. Josh annuisce ed esce. Io resto in silenzio, aspettando la risposta di Jen. La mia migliore amica ha lo sguardo vacuo quando comincia lentamente a parlare.
“Emily, ho fatto veramente fatica ad accettare che tu e Josh steste insieme e ora... questo! Non credevo che voi poteste comportarvi così irresponsabilmente... e poi io sono la tua migliore amica! Perché non mi ha detto che avevate fatto sesso?”
“Non lo so... forse non ero pronta per dirtelo e, forse non ero pronta nemmeno per fare sesso.” Ammetto con riluttanza, per poi aggiungere: “Non lasciarmi sola adesso, ho bisogno della mia migliore amica.”
“Emily, io ti voglio bene e ti rimarrò sempre accanto” Dice Jen, alzandosi e abbracciandomi.
“Grazie.”
“Però ora voglio sapere tutto!” Riprende sfoderando un sorriso malizioso.
“Sei sicura? È comunque tuo fratello...”
“Già, hai ragione.”
Entrambe scoppiamo a ridere. Guardando l’orologio noto che sono le 18.40 e che se non torno entro venti minuti il mostro Kate mi mangerà il cervello.
“Jen, io vorrei raccontarti tutto, ma tra venti minuti il mostro Kate ci mette a tavola e se non sei puntuale ti rinchiude nelle sua grotta...”
“Non ti preoccupare! Rimani qui per cena. Chiama Kate.” Mi ordina.
Obbedisco e mia madre al telefono, dopo una leggera resistenza, acconsente. Poi ricordo di aver detto a Josh che sarei andata un attimo da lui e Jen, con una scintilla maliziosa negli occhi, mi lascia andare.
Conosco questa casa meglio della mia. Mi dirigo sicura tre porte oltre quella della camera di Jen e la apro leggermente. Josh è di spalle, con le cuffie nelle orecchie e sta facendo i pesi. Ogni volta che lo vedo mi sento come una ragazzina di dodici anni alla sua prima cotta. I muscoli potenti guizzano sotto la pelle chiara e i capelli castani scompigliati lunghi fin sotto le orecchie si appiccicano alla pelle sudata.
Cercando di non far rumore, mi siedo a gambe incrociate sul suo letto e lo guardo per cinque minuti buoni senza che lui se ne accorga. Quando finalmente si gira e mi vede sulla sua faccia si apre uno di quei sorrisi che mi sciolgono sempre.
“Da quanto sei lì?” Chiede divertito.
“Mah... abbastanza per rifarmi gli occhi...” Rispondo con finta vaghezza.
Intanto Josh è arrivato a due centimetri da me e io mi sono messa in ginocchio. Si china verso di me, poggia delicatamente le labbra sulle mie e le schiude leggermente. Mi lascio trasportare in quel dolce oblio. Ero innamorata di lui da una vita e quando ci siamo messi insieme mi è sembrato tutto così irreale.
Era il primo dicembre, il compleanno di Alex, uno dei miei migliori amici. Aveva organizzato una festa enorme e aveva invitato praticamente tutta la scuola. Girando per casa di Alex avevo visto tutte le squadre maschili e femminili di pallanuoto, pallavolo, nuoto e basket, e poi, naturalmente, c’erano le cheerleaders!
Josh era arrivato con Victoria Stewart.
Victoria è la tipica stronza del liceo. Ha i capelli biondi fintissimi e gli occhi azzurri, che purtroppo sono davvero belli. È una di quelle ragazze che hanno sempre una scollatura vertiginosa e una minigonna ascellare e, ovviamente, ha sempre un ragazzo capitano di una squadra scolastica ogni anno. Lo scorso semestre aveva scelto Josh, dato che è il capitano della squadra di basket.
Quella sera era lei aveva una microgonna di pelle nera e il reggiseno (che lei chiamava ‘top’) di pelle nero abbinato e Josh aveva un paio di jeans stretti e una camicia nera mezza sbottonata... Era così bello!
Ad ogni modo, io ero già innamorata persa di lui e continuavo a tenerli d’occhio. Verso metà della festa Victoria aveva cominciato a strusciarsi addosso a Larry Cooper, capitano della squadra di pallanuoto e il caro vecchio Larry non sembrava per niente scontento. Josh li aveva visti e aveva cercato di separarli. Avevano cominciato a litigare e Josh era uscito fuori.
Sapevo che dovevo seguirlo e lo raggiunsi in giardino. Scendeva un leggero nevischio. Faceva davvero freddo e avevamo abiti leggeri, ma a nessuno dei due importava. Quello che di lì a dieci minuti sarebbe diventato il mio ragazzo era seduto sul muretto che circonda la casa di Alex e quando lo raggiunsi avevo le guancie scarlatte per il freddo e per l’imbarazzo. Non sapendo bene cosa dire, cominciai con uno stupidissimo:
“Hey.”
“Hey.” Rispose lui tra l’abbattuto, il sorpreso e il contento.
“Non te la devi prendere per lei, sai?”
Sbuffò.
“Davvero, Josh! Ti meriti di meglio, per lei sei solo uno dei tanti che ci sono stati e che ci saranno!” Sbottai.
Si voltò a guardarmi, gli occhi pieni di lacrime.
Rimasi interdetta. Non avrei mai creduto che fosse così affezionato. Mi sedetti accanto a lui e gli poggiai la testa sulla spalla. Rimanemmo in silenzio per un po’ e poi mi sussurrò:
“Sai, Emily, sto uscendo con Victoria per ingelosirti.”
Il mio stomaco fece il bunjee jumping. Non riuscivo a credere che fosse stato così stupido e cieco da non accorgersi che a me piaceva da morire.
“C-cosa?” Balbettai, rialzando la testa per guardalo negli occhi.
Lui non rispose, non disse altro. Le sue labbra erano sulle mie, le sue mani cercavano avide le mie e il mio cervello si stava appannando. In un ultimo sprazzo di lucidità, lo allontanai.
“No. No, Josh. T-tu hai una ragazza e io non posso farle questo, anche se è Victoria Stewart.” Dissi, rientrando in casa.
Cercai di fare finta di niente, finché non sentii sussurrare al mio orecchio:
“Ho lasciato Victoria.”
Dopo aver sussultato ed essermi umiliata totalmente, mi girai e incontrai gli occhi sinceri e il sorriso di Josh. Annullai la distanza tra i nostri visi e lo baciai con passione. Improvvisamente, sentii una mano con delle unghie lunghe grattare violentemente la mia nuca e un liquido bruciare a contatto con i miei occhi. Una voce isterica raggiunse le mie orecchie: “Puttana! Puttana! Lui è mio!”
Altre urla raggiunsero le mie orecchie:
“Smettila! Smettila!”
“Ma sei pazza?!”
“Lasciala stare!”
“La troia sei tu!”
Sentii che qualcuno mi trascinava via...
Oddio! Ma oggi non è il primo dicembre 2007! Oggi è il ventitré ottobre 2008 e io non mi sono neanche resa conto di essere sdraiata sotto il mio ragazzo e di non avere più la maglietta! Le mani di Josh stanno lottando per aprire il laccetto del reggiseno.
“Josh! Josh! Fermo! Fermati!” Dico ansimante.
“Perché?” Chiede altrettanto ansimante.
“PERCHÉ?! Perché c’è tutta la tua famiglia a casa e a minuti verranno a chiamarci per la cena!”
Esamina la mia faccia e dice.
“C’è qualcos’altro.”
“C-cosa? No! Non è vero!” Mento.
“Emily, tu mi stai nascondendo qualcosa...”
“No, non è vero...”
“Piantala di dire cazzate!” Esplode
“Josh, calmati!” Lo imploro.
“Solo... Dimmi solo la verità.”
“Ecco, io...”

 

 

 

 

 


Ecco il terzo capitolo =)
Nell'altro capitolo non ho ricevuto recensioni... per favore, fatemi sapere cosa ne pensate nel bene e nel male!
Lunedì 20 prossimo capitolo =D!

Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le seguite.

Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 5
*** Chapter 4 ***


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“Ecco, io... sono stanca. Mi sto allenando tantissimo e non ce la faccio proprio...” Prego con tutte le mie forze che ci creda. Non sembra troppo convinto.
“Va bene, ti credo.” Risponde. Mentre ballo la conga internamente perché Josh ha creduto alla mia bugia, lui ha l’espressione di uno che sta pensando intensamente per risolvere un problema troppo grande; infatti, dopo un minuto, riprende:
“Dovresti mangiare più carne.”
No, fermi tutti. Io ho appena nascosto al ragazzo con cui sto da quasi un anno e che dovrebbe conoscermi come le sue ciglia che sono incinta e lui mi dice che dovrei mangiare più CARNE?!?!
Beh, se servirà a distrarlo non sarò io a disilluderlo.
“Credi?” Chiedo, facendo la finta tonta, mentre mi rinfilo la maglia.
“Sì, sai, carne rossa. Manzo, vitello e cose così. Rischi di svenire durante un allenamento... a me è successo.”
“Lo so, c’ero anche io. Quando sono entrata con le cheerleaders... ti ricordi?”
“È vero! Sei la mia bellissima delinquente.”
“Smettila di fare il cretino!” Dico, dandogli un pugno sulla spalla e sfondandomi le nocche.
Sorride e comincia a farmi il solletico ai fianchi. Lo O-D-I-O!
Rido a crepapelle, rido fino a perdere il fiato, rido tanto da non accorgermi che la sorella minore di Jen e Josh, Bethany, è entrata in stanza per avvertirci che la cena è pronta.
Bethany è una Josh in miniatura con le tette. Non piacevo quand’ero la migliore amica di Jen e sono sicura che, da quando mi sono messa con Josh, abbia cercato di farmi fuori un paio di volte. Mi ha sempre odiata. Mi lancia sempre frecciatine velenose e occhiate omicide. Che adorabile tredicenne!
“Se voi due non volete fare sesso ora, la cena è pronta.” Dice acida.
“Beth, piantala!” Sibila Josh.
“No, dai, non fa niente...” Gli sussurro.
“No! Non va bene! Mi sono rotto le palle del suo atteggiamento!” Ringhia.
Josh arrabbiato è lo spettacolo più spaventoso a cui si possa assistere. Diventa tutto rosso, in particolare le orecchie, la mascella gli si contrae, il collo gli si gonfia e serra i pugni con tanta forza che le nocche gli diventano bianche.
Intanto Bethany è scappata al piano di sotto.
“Basta, basta! Ormai è andata via!” Gli sussurro, carezzandogli il braccio sinistro.
Josh fa dei respiri profondi per calmarsi. Le orecchie tornano del loro colore normale e la mascella si rilassa, ma so che non si è ancora calmato del tutto.
Senza dire niente, scende al piano di sotto sbattendo i piedi. Sospiro e lo seguo, massaggiandomi le tempie. Tutti si girano a guardarmi quando entro nella sala da pranzo. Sorrido imbarazzata e mi siedo tra Jen e Josh che mi stringe la mano. Bethany è seduta con la testa bassa e in silenzio e Josh sembra piuttosto contento.
Le cene in questa casa sono sempre state piacevoli e tranquille. A tavola si chiacchiera del più e del meno e si chiedono le opinioni di tutti. E si resta a tavola finché tutti non hanno finito, cosa che, a casa mia, non è mai esistita!
Quando Josh ha finito la terza fetta di torta al cocco e mangiato anche il piatto e il cucchiaino, afferra le chiavi della macchina e dice:
“Ti aspetto fuori.”
Annuisco e salgo al piano di sopra per prendere lo zaino. Appena siamo sole e abbastanza lontane dagli altri, Jen mi sussurra velocemente:
“Gliel’hai detto? Perché urlava?”
“No, non gliel’ho detto e, come al solito, Beth lo ha fatto incazzare...”
“E cosa staresti aspettando?!”
“Lo sai come sono fatta! Io rimando sempre...”
“Lo so, ma... questo - dice facendo un cenno alla mia pancia piatta ancora per poco - non può aspettare né essere rimandato!”
Devono smetterla di dire sempre quello che non voglio sentire.
“Vuoi che lo scopra da solo?”
Scuoto la testa.
“Allora devi dirglielo. Subito.”
“Senti, dammi tempo.”
“No, non puoi permetterti di rimandare.”
“Fino a lunedì mattina!”
“Fai come ti pare. Io sto solo cercando di trovare un modo per non farvi soffrire...”
“Josh mi sta aspettando.” Mugugno per cambiare discorso.
“Ok, ci vediamo domani a scuola.”
Mi abbraccia forte e mi accompagna fino alla porta da dove mi saluta con la mano prima che Josh mi apra la portiera. Durante il tragitto verso casa ridiamo e facciamo gli idioti, ma io dentro sto morendo. Vorrei urlargli “Hey! Sono la tua ragazza e sono incinta del tuo bambino!”, ma vorrei anche tenergli tutto nascosto.
Io e Josh stiamo bene così. Josh ed Emily. Emily e Josh.
Non voglio che diventi Emily, Josh e un bambino.
Potrei andare da Jack a Columbus per tutta la gravidanza e frequentare quelle scuole per ragazze madri... No, i miei dovrebbero pagarmi la retta e, alla fine, qualcosa salterebbe fuori.
Però devo dirglielo in qualche modo. Sicuramente non a muso duro come ho fatto con Liz!
Devo trovare un modo...
Lo guardo dal sedile del passeggero. Sta cantando una canzone che sta passando alla radio e sembra divertirsi da morire. Incrocio i suoi occhi e un mare di ricordi mi assale. Quello che è successo sembra così irreale. E ora, a raccontarlo, così irresponsabile!
Riesco ancora a sentire ogni minimo dettaglio. Il vestito di tulle blu scuro che scivola via, le sue mani calde che si muovono sicure sul mio corpo, il respiro caldo sul collo, le labbra che sanno di menta e cioccolato. Ricordo le mie lenzuola pulite che profumavano di mughetto. Ricordo che la mattina dopo, quando Josh era ormai scappato dalla finestra, avevo trovato una macchia di sangue. Quella macchia era l’unica testimone della nostra notte di piacere. Ho in mente, sillaba per sillaba, la bugia raccontata a mia madre su quella macchia: il ciclo, mi ero scusata. E mia madre, troppo spaventata per credere che la sua bambina non fosse più vergine, mi aveva creduto.
Ora vorrei tornare a quella notte. Ora vorrei chiedergli di prendere le dovute precauzioni...
La macchina gira nel vialetto di casa mia, distraendomi dalle mie elucubrazioni.
“Buona notte...” Biascico mettendo una mano sulla maniglia.
“Dove credi di andare?!” Chiede il mio ragazzo con la stessa scintilla di prima. Provo comunque ad aprire la portiera, anche se so che Josh ha inserito la sicura. La portiera rimane chiusa. Come volevasi dimostrare!
“Josh se prima ero stanca, ora sono sfinita!” Lo imploro, mentre lui mi bacia il collo.
“Dai...”
“No, ‘dai’ te lo dico io!” Ribatto stizzita.
Josh sbuffa rumorosamente, ma si arrende.
“Va bene, ma voglio passare un’altra notte con te...”
“Ok, ma non oggi e ora lasciami andare a dormire!” Dico, prima di stampargli un bacio.
Mentre leva con una mano la sicura, Josh mi cattura le labbra con le sue. Non vorrei più andarmene, ma faccio appello a tutto il mio buon senso ed esco dalla macchina.
In casa i miei mi rivolgono un saluto distratto da davanti alla TV. In camera mia mi siedo davanti al computer e apro Twitter e Facebook. Non è successo nulla, quindi spengo il computer. Sono ancora troppo nervosa per fermarmi e comincio a passeggiare su e giù nella mia stanza.
Poi ho un’illuminazione. Ho trovato il modo perfetto per dirlo a Josh: diretto, inequivocabile e, soprattutto, non devo dirglielo di persona!
Afferro un foglio di carta, scribacchio una lista di cose che mi servono, la poggio sul comodino e mi metto a letto. Dopo due ore mi sto ancora rigirando nel letto, quindi scendo senza fare rumore fino in cucina e metto due gocce di valeriana in un bicchiere d’acqua.
La valeriana ha un effetto quasi immediato. Infatti l’ultima cosa che ricordo è l’abat-jour sul comodino che si spegne e la prima cosa che ho visto stamattina è stato mio padre che mi urlava di muovermi perché era tardi. Mi vesto in fretta e furia e mezza in coma. Mi fiondo in macchina e mio padre mi accompagna fino a scuola giusto in tempo.
Mi scapicollo fino all’aula trentuno dove si fa l’appello di tutti i sophomores. Odio avere il cognome che inizia con la ‘W’. Ogni giorno mi devo subire la stessa cantilena: “Adams... Allen... Baker... Bennett... Bookout... Brown... Cook...” e così via fino a “Wood”.
Alle 8.30 usciamo in corridoio e due braccia forti mi circondano la vita da dietro e delle labbra mi schioccano un bacio quasi nell’orecchio. Mi giro, sempre incastrata tra quelle braccia che conosco fin troppo bene. Josh mi sorride.
“Buongiorno” Biascio.
“Buongiorno amore! Sembri davvero riposata...”
“Visto?! Avevo solo bisogno di riposo!”
“Se ti sei riposata allora potremmo passare la notte insieme...?” Sorride malizioso.
Ho di nuovo la nausea.
“Certo...!”
“Magari stanotte...”
“Josh sei completamente impazzito?! - sibilo - Ci sono i tuoi a casa tua e i miei a casa mia!”
“Che ci vuole?! Dici ai tuoi che dormi da Jennifer e il gioco è fatto!” Risponde con naturalezza.
Ora la nausea è più forte.
“Scusa, Josh, devo... devo... devo fare pipì!”
Scappo verso l’aula 1, dove avrò una simpatica ora di biologia, e chiedo il permesso per il bagno.
Per tutta la mattina barcollo da una classe all’altra, cercando di non incontrare nessuno. Alle 11.20 mi dirigo decisa verso la piscina per gli allenamenti, che sostituiscono le mie ore di ginnastica. Liz mi sbuca da dietro le spalle:
“Ciao!”
“Ciao.” Mugugno.
“Sei ancora verde in faccia...”
“Grazie per avermelo fatto notare!” Le dico sarcastica.
“Non ci pensare!”
“Scusa, m-ma come faccio?!” Le rispondo con una nota di isteria nella voce.
“Ok, lo so che è seria come cosa, ma possiamo parlarne tra un minuto? Ho una bella notizia da darti!” Dice pimpante.
“Cos’è successo?”
“Ho un appuntamento!”
Questa è una di quelle situazioni in cui, se stessi bevendo, sputerei tutto a destra e a manca. Liz non ha mai avuto un appuntamento. Liz ha sempre odiato tutti i ragazzi che vivono qui. Chi diavolo è questo pazzo che ha chiesto a Liz di uscire?!?
“C-con chi?” Balbetto, sotto shock.
“Adam Harris!”
“Adam Harris?! ADAM HARRIS?!
Liz, ma tu odi i ragazzi di qui! Soprattutto i giocatori delle squadre!”
Adam Harris è un dei componenti della squadra di basket e va molto d’accordo con Josh. Io ci ho parlato un paio di volte e non sembra un completo idiota.
“È vero, ma... non lo so! Adam è così carino! E mi sono stufata di essere quella solitaria a tutti i costi...”
“Se sei contenta così...”
“Lo sono, Emily!”
Sorrido di risposta. Non avevo mai visto Liz così felice. Intanto siamo arrivate nello spogliatoio e ci siamo cambiate.
“Tu, invece, l’hai detto a Josh?”
“No, mi è mancato il coraggio...”
Liz alza gli occhi al cielo e poi chiede di nuovo:
“Jennifer che ha detto?”
“Mi ha detto che ci è rimasta male perché siamo stati davvero irresponsabili e perché le ho tenuto tutto nascosto, però ha detto che è disposta a perdonarmi e a passarci sopra... E ad aiutarmi.”
“Non male no?”
“Per niente!”
“WOOD! NASH! Volete entrare in acqua o vi serve un invito scritto?”
Detesto l’allenatore Robinson.
In genere il nuoto mi serve a rilassarmi, ma oggi mi sento davvero male e non vedo l’ora che tutto finisca. L’ora è interminabile e, appena l’allenatore fischia tre volte per indicare la fine dell’allenamento, schizzo nel bagno e vomito tutto quello che mi è rimasto in corpo. Faccio una doccia veloce e mi avvio verso la mensa.
C’è una fila interminabile di ragazzi che aspettano il loro turno, ma, per fortuna, Leah e Chelsea sono già ad un buon punto e le raggiungo.
“Come stai?” Chiede Leah, apprensiva.
“Ho appena vomitato.”
Fanno una smorfia di disgusto.
“Già... e a voi com’è andata la mattinata?” Chiedo per cambiare discorso.
“Ho preso B+ al test di francese.” Annuncia Leah in estasi.
“Io A-.“ Dice Chelsea con indifferenza.
“I ragazzi?” Chiedo.
“Allenamenti extra.”
“Ok, Jen?”
“Dovrebbe arrivare a momenti...”
Arriva il nostro turno e a vedere la varietà di ‘cibi’ mi ritorna la nausea quindi prendo solo una mela e una soda. Il pranzo passa veloce e in un battito di ciglia mi trovo sbattuta nell’aula di studio e poi in quella di tedesco a sentire la costruzione del periodo ipotetico. Uscendo dalla classe dopo l’appello della fine delle lezioni, trovo Josh appoggiato al muro davanti alla classe.
“Andiamo?”
Annuisco.
Mi avvio verso il parcheggio al suo fianco, senza ascoltarlo. Continua a parlare anche durante tutto il tragitto fino a casa. Parla, parla, parla. Dio quanto parla! Quasi più di una ragazza. Intanto io annuisco o commento con uno sporadico ‘mmmh’, ‘già’ o ‘hai ragione’. Quando parcheggia nel vialetto mi guarda serio e dice:
“Ti passo a prendere alle 20.”
“Per cosa?” Cado dalle nuvole.
“Perché stanotte tu vieni da noi.” Risponde in tono perentorio.
“Dai, Josh, sul serio...”
“Basta. Io voglio un’altra notte come quella.”
Apro la portiera e me ne vado, senza salutarlo. Tanto so che verrà lo stesso, ma non lascerò che mi rovini il piano perfetto per svelare la verità. Quindi, appena la macchina sparisce alla fine della strada, prendo venti dollari dal mio salvadanaio a forma di mela e mi avvio verso la cartoleria più vicina.
Torno a casa venti minuti dopo e rovescio il contenuto della busta sul mio letto.
Un pennarello nero indelebile, un nastro di tulle rosa scuro e una busta di palloncini azzurri...

 

 

 

 

 


Ecco il quarto capitolo =)
Negli ultimi due capitoli non ho ricevuto recensioni... per favore, fatemi sapere cosa ne pensate nel bene e nel male!
Lunedì 27, se riesco, prossimo capitolo =D!

Grazie a:
Ness___ e sweet_marty per aver messo la storia nelle preferite.
clakki94, ladyrowena, thatsamore e _Sklery_ per averla messa tra le seguite.

Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 6
*** Chapter 5 ***


Chapter 5  
 
 
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È domenica sera e mi sto scervellando per risolvere un maledettissimo problema di statistica.
La nottata da Josh è stata piuttosto imbarazzante: l’ho costretto a dormire e basta. Si è innervosito così tanto che mi ha risposto a monosillabi per tutto il sabato. Comunque, ora mi ha perdonato.
Lascio perdere definitivamente il problema e infilo il quaderno nello zaino. Raccolgo anche il libro di tedesco, geografia, scienze umane e la reflex, poi scendo al piano di sotto e prendo il costume. Infine mi giro verso la scrivania e fisso la busta bianca che contiene tutta la verità. Afferro una penna e scrivo velocemente ‘Josh Scott Mills’.
Mi siedo sul davanzale della finestra e aspetto che il sonno si affacci.
Passo la notte facendo ogni tanto un pisolino, ascoltando una canzone e, soprattutto, guardando la sveglia...
23.56... 00.32... 1.22... 2.49... 3.38... 4.07... 5.15... 6.12...
Che palle!
Alla fine arrivo a scuola alle 7.30. Che situazione ridicola! Non sono mai arrivata così presto a scuola... Non c’è neanche un professore!
Infilo la busta nei buchi dell’armadietto e mi siedo su una delle panche fuori dell’entrata. Dopo mezz’ora che sbuffo e fisso il vuoto, i tre migliori amici di Josh escono da una macchina blu.
Simon e Josh sono amici più o meno da quando vanno a scuola, questo comporta che anche io conosco Simon da tutta la vita. È assolutamente ossessionato dagli Iron Maiden.
Alex si è trasferito da Detroit, Michigan sette anni fa e Daniel viene da Seattle, Washington ed è qui quando doveva cominciare il liceo. Giocano tutti e tre nella squadra di basket con Josh.
E, se proprio devo dirla tutta, le mie migliori amiche vanno tutte e tre dietro a uno di loro:
A Jen piace Simon, a Chelsea piace Daniel e Leah è cotta di Alex.
Appena mi vedono, si avvicinano con dei sorrisi enormi.
“Wood! Che ci fai qui così presto?” Chiede Simon.
“Non riuscivo a dormire.” Dico, facendo spallucce.
“Povera Emily!” Mi canzonano in coro.
“Smettetela di fare gli idioti!” Dico, mettendo su un finto broncio.
“Alza quelle chiappe e accompagnaci in classe!” Mi esorta Daniel.
“Mmmh! Che gentiluomini!” Commento sarcastica.
Ridono e scherzano tutto il tempo e io li ascolto e sorrido. Li lascio davanti all’aula trentadue e mi dirigo verso la trenta, dove devo fare l’appello. Come ieri, il giorno prima e il giorno prima ancora, mi sorbisco la solita cantilena di cognomi e quando esco dall’aula la prima cosa che vedo è la faccia arrossata e sudaticcia di Josh.
“Dove diavolo eri?” Mi sputa praticamente in faccia.
“Scusa, mi sono svegliata presto e sono venuta a scuola presto...”
“Potevi anche mandarmi un messaggio!”
“Sì, hai ragione, mi dispiace... Per curiosità, hai già preso i libri per la prima ora?” Chiedo, facendo la vaga.
“No, perché?!”
“Così, per sapere. Ora, scusa, ma ho statistica...”
“Ci vediamo a pranzo.” Dice, stampandomi un bacio e avviandosi nella direzione opposta.
So che non sarà un pranzo piacevole.
La mattinata la trascorro con i nervi a fior di pelle e vomitando tra una lezione e l’atra. A mezzogiorno e dieci, mi avvio lentamente verso la mensa e mi metto in fila. Prendo una pepsi al limone e dei tacos al formaggio e mi siedo in un angolino nascosto della mensa della scuola media e superiore Jefferson per non essere notata.
È quasi divertente vedere tutte quelle ragazzine di dodici e tredici anni che ti squadrano dalla testa ai piedi. Lo fanno ora che sono una ragazza perfettamente nella media, tra qualche mese sarà una situazione ridicola. Scrollo le spalle e mi alzo per andare a buttare i resti del mio pranzo.
Poi, improvvisamente, una mano forte mi tira via da davanti al cestino e io non oppongo resistenza. Mi ritrovo nel cunicolo vicino alla mensa con davanti un Josh scioccato.
“Emily, che merdosissimo scherzo è questo?!”
Resto in silenzio e fisso interessatissima una mattonella bianca sul pavimento pulitissimo.
“Emily!”
Josh continua a scuotermi e, quando finalmente riesco a staccare lo sguardo da terra, sussurro:
“Non è uno scherzo.”
Con una spinta mi sposta di lato, lasciandosi cadere dietro la foto che stamattina gli avevo infilato nell’armadietto: un palloncino azzurro con la scritta ‘coming soon’ legato con un nastro di tulle rosa alla mia pancia.
La campanella suona e mi impedisce di pensare a qualunque cosa sensata io possa fare, perché, come un automa, mi dirigo verso l’aula di tedesco.
Durante le due ore seguenti non riesco a trovare neanche un accenno di concentrazione; quando fanno il contrappello quasi non sento il mio nome e quando suona la campanella mi fiondo fuori dalla classe per vedere se Josh mi ha aspettato.
Il mio ragazzo è, come tutti i giorni, davanti alla classe, appoggiato agli armadietti e, come sempre, mi chiede:
“Andiamo?”
E io, come al solito, annuisco.
Oggi, però, guida in silenzio, non accende la radio e non mi guarda neanche. Solo quando parcheggia nel mio vialetto si gira e mi lancia uno sguardo intenso, che cerco di ricambiare.
“Quindi...” Cerca di cominciare, passandosi entrambe le mani tra i capelli.
“Sono incinta.” Concludo io.
“È... è successo quella volta...”
“Josh, è stata l’unica volta che abbiamo fatto sesso!”
“Sì, hai ragione... c-cosa facciamo?” Chiede con una nota di panico nella voce.
“Io non voglio abortire.”
C’è un attimo di silenzio in cui riesco a sentire le rotelle del cervello di Josh che si muovono ad una velocità rallentata.
“Quindi affronterò la gravidanza.” Concludo per dargli una spintarella verso la soluzione.
“E poi? Con il bambino intendo...”
“Potremmo darlo in adozione. Non so tu, ma io non sono per niente pronta a crescere un bambino.”
“Nemmeno io.” Ribatte, scuotendo la testa.
Lo guardo intensamente e gli dico.
“Ho bisogno di te. Ho bisogno di te durante questi nove mesi e i mesi dopo.”
“Emily, io per te ci sarò sempre.”
Mi abbraccia forte e mi schiocca un bacio sulla testa. Poi riprende:
“L’hai detto ai tuoi?”
“No, ma se devo dare il bambino in adozione glielo devo dire. Non credo che crederanno che sono solo ingrassata.”
“Già e forse dovremmo dirlo anche ai miei.”
Ci organizziamo per dirlo ai nostri rispettivi genitori insieme e ci salutiamo.
La casa, come ogni giorno, è vuota. Con calma, mi avvio verso la cucina e prendo una marshmellow, per poi avviarmi nella mia stanza a fare i compiti di algebra, fisica e storia.
Devo sbrigarmi perché sono già le 15.54 e tra quattro ore Josh busserà alla porta per informare i miei della mia gravidanza.
Sono seduta alla scrivania con davanti il noiosissimo capitolo di storia sulla scoperta dell’America, quando suona il telefono di casa:
“Pronto?”
“Hey sorellina!”
“JACK!” Urlo, in estasi.
“Ti dispiacerebbe aprire la porta?”
“Cosa?! M-ma è lunedì e... e... e tu hai la scuola!”
“Se mi apri ti spiego.”
Attacco il telefono e faccio le scale di volata fino alla porta, quasi schiantandomici contro. Apro la porta e mio fratello è lì con un sorriso raggiante. Gli salto in braccio e lui mi stringe. Andiamo in salotto e lui mi spiega che un ragazzo ha allagato l’ala del college dove fanno le lezioni e gli esami e la scuola ha chiuso per una settimana.
“E oltre alla scuola?” Chiedo.
“Tutto ok...” Risponde evasivo.
“Stai con una ragazza!” Urlo entusiasta.
“Non è vero.” Ribatte debolmente.
“Come si chiama? Quanti anni ha? Di dov’è?”
“Ok ok! - dice divertito - Si chiama Amy, ha vent’anni e abita a Cincinnati.”
“Che bello, Jack! Sono così contenta per te!” Dico, abbracciandolo.
“E tu? Qualche novità rilevante?”
Improvvisamente mi sento terribilmente in colpa per non avergli detto nulla.
“In realtà, una grossa novità c’è...”
“Ah sì?! E quale?” Chiede con la faccia interessata.
“Aspettami qui.”
Senza guardarlo, salgo al piano di sopra e prendo uno dei test di gravidanza. Quando rientro in salotto, glielo appoggio sulle ginocchia per poi risedermi sulla poltrona davanti a lui, senza proferire parola.
Guardo i suoi occhi che, a contatto con il risultato del test, sono sempre più sgranati. Quando alza lo sguardo verso di me riesco a vedere la delusione stampata a grandi lettere.
“Pensavo sapessi come funzionava.”
Riesco a sentire il ghiaccio nella sua voce.
“Lo sapevo, ma pensavo anche che ci avrebbe pensato Josh.”
“E adesso?”
“Non abortisco. Pensavamo all’adozione...”
“Quindi Josh lo sa?”
Annuisco.
“E mamma e papà?”
Scuoto la testa.
“Quando pensi di dirglielo?”
“S-stasera dovrebbe venire Josh.”
“Vuoi dirglielo con Josh?”
“Perché, che c’è di sbagliato?”
 “Scusa, Emily, vuoi che mamma lo uccida a colpi di mazzafionda chiodata?”
Ha ragione. Effettivamente non avevo pensato ad un possibile omicidio.
“Comunque non ce la faccio a dirglielo da sola.”
“Ci sono io.”
Prendo l’iPhone dalla tasca e mando un messaggio a Josh dicendogli:

“Potrebbe esserci il tuo omicidio. Resta a casa ti mando un messaggio sul tardi. Ti amo, E.”
“Ora, se permetti, avrei mezzo capitolo di storia da studiare e quattro esercizi di fisica e algebra da finire per domani.” Dico, alzandomi. Appena mi trovo in equilibrio vengo catturata nella morsa delle braccia di mio fratello.
“Ti aiuto io. Finiremo in venti minuti.” 

Forse venti minuti no, ma dopo quarantacinque minuti ho davvero finito tutti i compiti. Stiamo sul divano e gli sto raccontando come è successo tutto questo casino e come hanno reagito i miei amici, quando sentiamo delle chiavi girare nella toppa.
“Emily, tesoro, siamo a casa!”
Jack mi fa segno di stare zitta e si incammina verso l’ingresso.
“Tesoro!” Pigola mia madre, abbracciando suo figlio maggiore.
Lo trascina in cucina e si fa raccontare tutto quello che gli è successo con dovizia di dettagli.
Solo subito prima di cena, mentre ci laviamo le mani, Jack mi sussurra:
“Glielo diremo subito prima del dolce.”
“Ma io lo voglio il dolce!” Mi lamento.
“Emily, non fare la bambina!”
“Ok, ok!”
Così passo mezz’ora d’inferno, saltando in aria ogni vota che sento la parola ‘mamma’ e irritandomi ogni volta che qualcuno poggia il bicchiere con poca grazia sul tavolo, producendo un rumore davvero sgradevole.
Dopo che ho poggiato i piatti svuotati dallo sformato di verdure, Jack prende in mano la situazione:
“Mamma, papà, Emily dovrebbe dirvi qualcosa...”
Gli sguardi curiosi dei miei si spostano su di me.
Faccio un respiro profondo e sussurro tutto d’un fiato:
“Sono incinta.”
Cala un silenzio lugubre in cucina. I miei hanno tutti i muscoli paralizzati. Poi, a rompere quel silenzio assordante, una mano taglia l’aria per poi atterrare sulla mia faccia. Mia madre ha le narici dilatate e la mano violetta per il colpo appena sferrato.
“Vai a letto.” Dice con evidente isteria nella voce e con lo sguardo vitreo fisso nel vuoto.
Obbedisco. Mi infilo nel pigiama di corsa e spengo la luce. Nell’oscurità rassicurante della mia stanza sento delle urla venire dal piano di sotto e due porte sbattere violentemente.
Cado in un dormiveglia inquieto, dal quale sono bruscamente risvegliata quando la porta della mia stanza si apre. Riesco a sentire un paio di pantofole strisciare sulla moquette e poi il peso di mio padre che si abbandona sul fondo del letto. Sta piangendo e sussurra ‘mi dispiace, mi dispiace’. Non riesco a credere di aver causato tanta sofferenza a mio padre. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Mi tiro su a sedere, abbracciandolo.
“Non è colpa tua. Vedrai, andrà tutto bene.” Dico.
Mio padre annuisce tirando su col naso.
Grandioso. Io sono la teenager incinta e sto consolando mio padre. Il mondo gira al contrario.
Lo cullo per qualche altro minuto, poi si alza mi da un bacio sulla fronte, sussurrando:
“’Notte, amore.”
“’Notte, papà.”
E se ne va.
Non riesco a credere di essere uscita indenne da questo tour de force. Domani, dirlo ai genitori di Josh sarà una passeggiata. Tanto, sicuramente, non ammazzeranno me. Danno sempre la colpa all’uomo, anche se non ho mai capito perché... In fondo avrei potuto dire di no, se mi fossi accorta che non stava usando nessuna protezione. Mi rendo conto di essere andata attraverso tutti i tipi di reazioni possibili e immaginabili, dall’incredulità alla rabbia, passando per la delusione.

Questa gravidanza mi ucciderà.
 
 
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Ecco il quinto capitolo! =)
Scusate tanto per l'attesa =(!
Lunedì 31, prossimo capitolo c:
 
Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme ed Ely_91 per averla messa tra le preferite.
_Sklery_, _HoneY_, _Bonnie_, thatsamore, namy_love, namina89, LoLiNa89, ladyrowena, Idril  Inglorion,  fs_rm,  FioccoDiNeve  ed  emabel per averla messa tra le seguite.
Rosebud per averla messa tra le ricordate.
=)
 
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 7
*** Chapter 6 ***


Chapter 6

 

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La mattina resto a letto finché non sento la macchina dei miei partire dal vialetto. Sposto pigramente la trapunta e mi infilo nel primo paio di jeans che trovo. Addento una fetta di pane tostato che hanno lasciato sul tavolo e afferro il biglietto che mamma mi ha scritto.
Josh è parcheggiato davanti casa e, potrei metterci la mano sul fuoco, quando mi vede uscire illesa da casa sembra davvero molto meravigliato.
“’Giorno.” Dico, entrando in macchina e dandogli un bacio sulla guancia.
“Allora sei viva...?”
“Sì!” Sorrido.
“Come hanno reagito i tuoi?”
“Mia madre mi ha dato uno schiaffo.”
“Oddio! E Oliver?”
“Ha pianto. Vuoi dirlo da solo ai tuoi o preferisci farlo da solo, come me?”
“No, no! Io ti voglio con me.”
È così tenero quando fa così!
Ecco, mi è venuta una carie.
Trascorro la giornata scolastica relativamente tranquilla e quando arrivo a casa mi sbrigo per finire i compiti, perché Josh passa alle sei e mezza per portarmi a casa sua per dare ai suoi la ‘bella’ notizia.
Mi trovo a trascorrere un pomeriggio frenetico, alle prese con cinque materie da studiare, sotto lo sguardo sconvolto di mio fratello. Il mio ragazzo, puntuale come un orologio svizzero, suona il campanello alle sei e mezza precise.
“Andiamo?” Chiede quando apro la porta.
Annuisco, mente litigo con la borsa perché si sistemi bene sulla mia spalla destra.
“Oggi ci ha riportato il test di storia. Ho preso B-.” Mi informa.
“Non è male, vero?”
“No, no.”
Si zittisce. È strano vedere Josh che non parla.
“Ah! Mi sono scordata di dirti che ho fatto 28” ai cinquanta stile.” Cerco di distrarlo.
“Brava, amore!” Dice con tono assente.
Ho finito le idee geniali. Non posso biasimarlo, ieri mi sentivo esattamente come lui. Arriviamo sotto al portico di casa Mills e Josh mette una mano in tasca per tirare fuori le chiavi. Quando avvicina la mano alla toppa, noto che trema come un foglia. Allungo la mano sulla sua e con l’altra sposto il suo viso per far entrare i suoi occhi in contatto con i miei.
“Andrà tutto bene.”
Ora gli tremano pure le labbra.
“Io sono sopravvissuta a ieri, tu sopravvivrai a oggi.”
Annuisce e, sempre tenendo la mano sulla sua, infilo le chiavi nella toppa facendo un giro a destra fino a far scattare la serratura. L’odore del polpettone di Charlotte mi investe: ogni volta che sa che sanno che vado a cena lì, lo prepara.
“Sali in camera ti raggiungo tra dieci minuti.” Gli sussurro.
Stasera è come un automa: gli dico una cosa e lui la fa senza ribattere minimamente.
Vado in cucina e trovo Charlotte china su di un’enorme ciotola d’insalata e Bethany seduta al bancone che finisce i compiti di matematica.
“Ciao Charlotte!”
“Hey, Emily! Come stai?”
Dice, dandomi un bacio sulla guancia.
“Bene, grazie, tu?”
“Tutto bene, grazie.”
“Jennifer?” Chiedo.
“È in camera sua... A proposito, me la chiami che la cena è pronta?”
“Certo, ma Sean?” Sean è il padre di Jen, Josh e Bethany.
“Mi ha mandato un messaggio, sta arrivando.”
“Ok, ora la chiamo. Ciao Bethany.” Dico uscendo dalla cucina e non ottenendo nessuna risposta.
Mentre salgo le scale mi raggiunge un altro urlo di Charlotte.
“Chiami anche Josh, per favore?”
“Certo.” Urlo di risposta
La prima porta che incontro è quella di Jen, quindi busso. Mi raggiunge la sua voce:
“Avanti.”
Apro la porta e la mia migliore amica sta mettendo al loro posto i libri e il dizionario di spagnolo.
“Hey! Non sapevo che venissi!”
“Sono qui per dare la buona notizia.” La informo con tono sarcastico.
“Quindi Josh lo sa?”
“Già! Anche i miei lo sanno.”
“E sei ancora qui?” Chiede, sotto shock.
“Grazie per il supporto! Comunque la cena è pronta.”
“Sì, ora scendo.” Dice, dirigendosi verso la porta.
“Io vado a chiamare Josh.” La informo, seguendola a ruota.
Busso alla porta della sua camera, ma non ottengo nessuna risposta. Ripeto la stessa operazione per altre tre volte e tutte le volte ottengo lo stesso risultato della prima. Provo a vedere se è in bagno, ma non lo trovo neanche lì. Rimane un posto solo. Tra l’altro, è anche il più probabile. Apro la porta di camera sua, mi metto a cavalcioni sul davanzale e assicuro il piede sinistro sulla scala di metallo che porta sul tetto.
Josh è seduto in un angolo e sta fumando una Lucky Strike rossa. Lo raggiungo e mi ci siedo accanto.
“Spegni quella sigaretta.”
“Non mi va.”
“Invece devi. Perché il fumo passivo fa male a me e al bambino e nessuno vuole un bambino amorfo, credi?”
Butta a terra quello che è rimasto della sigaretta.
“La cena è pronta.” Dico, rialzandomi.
“Non ho fame.”
“Josh, piantala di comportarti come un bambino!” Esplodo.
“Emily, i-io ho pa...”
“Anche io ne avevo! Ma sono sopravvissuta e sopravvivrai pure tu! Quindi alza il sedere e vieni giù a cena!”
“Ok, ok.”
“E glielo diremo dopo il dolce.” Dico ancora infervorata. Ok, forse l’ultima frase suonava un po’ pietosa, ma non importa. Josh sghignazza. Mentre io, sempre alterata, mi avvio verso le scale. Mi mette una mano su un fianco per aiutarmi a non cadere e scendiamo giù fino in sala da pranzo.
Josh continua a essere nervoso per tutta la cena e quando anche l’ultima briciola di dolce è stata mangiata, quando l’ultimo secondo che si poteva guadagnare è stato guadagnato, cerco la mano di Josh sotto il tavolo e la stringo per fargli capire che è ora. Lui risponde alla mia stretta. Si schiarisce la voce e comincia:
“Mamma, papà, io ed Emily avremmo qualcosa da dirvi.”
Charlotte, Sean, Bethany e Jennifer alzano gli sguardi dai piatti. La presa di Josh si fa più stretta.
“Ecco... Emily... io...” Balbetta.
“Vi sposate?” Propone Bethany sarcastica.
Josh, ignorandola, insospettisce tutta la tavolata.
“Tesoro, cos’è successo?” Chiede Charlotte con tono comprensivo.
“Sono incinta.” Mi esce dalle labbra in un sussurro.
Charlotte e Sean trattengono il respiro per poi accasciarsi sullo schienale della sedia. Bethany sussurra ‘troia’ e se ne va.
“Josh, te ne avevamo parlato di contraccezione!” Esclama Sean in tono deluso.
“E cosa avete intenzione di fare?” Chiede Charlotte con voce tremula.
“Pensavamo all’adozione...”
Annuisce e poi continua:
“Se vuoi, puoi rimanere qui per tutta la gravidanza.”
“Grazie, Charlotte, ma preferisco rimanere a casa.”
C’è un silenzio davvero imbarazzante, così decido di spezzarlo:
“Potresti accompagnarmi a casa?” Chiedo a Josh.
Lui annuisce. Ringrazio i suoi, saluto Jen ed entro in macchina. Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto e, quando parcheggia, sospira.
“Hai visto? Sei ancora vivo...”
“Già.”
“Senti, è stata una giornata difficile per tutti e due, vai a casa a dormire. Ne parliamo domani.”
“Ok.”
Mi bacia, mentre apro la portiera e mi avvio verso casa. Non so cosa aspettarmi dai miei dato che non abbiamo ancora parlato. Entro cercando di non far rumore, ma appena chiudo la porta sento il televisore che tace e la voce di mia madre che dice:
“Emily, potresti venire qui?”
Non mi oppongo. Poggio le chiavi nella ciotola sul mobile vicino alla porta e mi avvio con passo rassegnato verso il salone, dove mi accascio su una poltrona.
“Dov’è Jack?” Chiedo, dopo un silenzio imbarazzante.
“È andato a prendere una birra con i suoi amici di qui. Emily, dobbiamo parlare di... di te.”
“Va bene.”
“Quando avete combinato questo casino?”  Chiede mio padre.
“Il giorno del mio compleanno.”
“Quindi le lenzuola... Oh santo cielo, Emily!” Sospira mia madre.
Resto in silenzio.
“Ecco... e ora cosa volete fare?” Continua mio padre esitante.
“Non siamo pronti a fare i genitori...”
“Assolutamente no, è certo!” Mi interrompe mia madre.
“Stavamo pensando all’adozione.” Continuo, ignorandola.
“Tesoro, ora può sembrarti facile, ma non lo è per niente... insomma, lo sentirai crescere per nove mesi e poi uscirai dall’ospedale a mani vuote! Non meglio interrompere tutto adesso.” Dice mia madre con un tono notevolmente più dolce.
“Mamma, io non abortirò.”
“Ma, tesoro, pensa a tutte le persone che ti guarderanno male...”
“Scusa, ma ti sei scordata che viviamo in un paese di centoquaranta persone? La voce si diffonderà a macchia d’olio! Tutte quelle persone bigotte mi guarderanno male comunque.”
“È una tua scelta.” Conclude mio padre
“Posso andare ora?” Chiedo.
Annuiscono.
Mi trascino in camera, mi infilo sotto le coperte e mi addormento quasi istantaneamente.
La mattina dopo, quando scendo a fare colazione, trovo mia madre seduta in cucina che sorseggia il caffè mentre legge il giornale.
“Ciao tesoro.”
“Buongiorno.”
“Come stai?”
“Abbastanza bene.”
“Stavo pensando... Dovremmo decidere un po’ di cose riguardo alla gravidanza...”
“Certo, per esempio?”
“Dobbiamo trovare un ginecologo, decidere dove partorirai e, soprattutto, trovare una coppia che voglia adottare il bambino.”
“Giusto.”
“Oggi ho preso un permesso a lavoro nel pomeriggio. Ti vengo a prendere a scuola e andiamo in città.”
“D’accordo. Ora vado che probabilmente Josh è già qui fuori. A dopo.”
“Buona giornata, amore.”
“Anche a te.” 

A scuola la giornata passa piuttosto fluida. Vomito solo cinque volte e credo che la nausea andrà sempre migliorando. All’uscita la macchina di un elegante blu scuro mi aspetta. Apro la portiera e mia madre mi rivolge un sorriso.
“Com’è andata oggi a scuola?”
“Bene. Ho preso A al compito di tedesco e B+ a quello di biologia.”
“Brava, tesoro.”
Ci avviamo verso la città e non facciamo ritorno a casa praticamente fino alle otto di sera. Tuttavia, il pomeriggio di ricerche folli è stato piuttosto fruttuoso. Abbiamo trovato una ginecologa che sembra molto affabile di nome Allison Ward che lavora all’ospedale Saint Margaret, dove partorirò. Abbiamo anche trovato un centro per le adozioni e ho preso dei raccoglitori con le schede di famiglie di reddito medio - alto, orientate verso l’adozione aperta.
L’idea dell’adozione mi fa accapponare la pelle, ma qualcosa mi dice che questa è la scelta giusta.

 


 

 Josh.jpg
 Josh *-*

 

 

Sesto capitoloooooooooo!!!! =)
Fatemi sapere cosa ne pensate :D
Lunedì 7 settimo capitolo xD!

 

Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme, Ely_91 e BlackParadise per averla messa tra le preferite.
_Sklery_, _HoneY_, _Bonnie_, thatsamore, namy_love, namina89, LoLiNa89, ladyrowena, Idril  Inglorion,  fs_rm, FioccoDiNeve, emabel e Scoutina per averla messa tra le seguite.
Rosebud per averla messa tra le ricordate.
MayCry e Binca per avermi messo tra gli autori preferiti.
=)
 
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 8
*** Chapter 7 ***


Chapter 7  
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Sono a casa di Leah. Ormai ci vado un giorno sì e l’altro pure. Sua madre, Laura, l’ha avuta a diciassette anni e l’ha tenuta. Ha detto che è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, anche perché si è ritrovata completamente da sola: i suoi l’hanno buttata fuori casa e il padre di Leah è sparito dopo aver saputo che era incinta.
Ha fatto tutto da sola. Sempre. Ha cresciuto Leah, ha trovato un appartamento e un lavoro e, tre anni fa, ha anche trovato un uomo!
Certo, anche questo maledetto stronzo è sparito dopo averla messa incinta... però non si è lasciata abbattere e così, adesso, Leah ha un uragano di tre anni di nome Julia che dorme nella camera accanto.
Comunque, mi sta dando un sacco di consigli utili come cosa mangiare, cosa usare perché alla fine della gravidanza non diventi uno di quei cani tutti a pieghe, cosa è opportuno fare e cosa no.
Stasera ce la prendiamo comoda a chiacchierare perché la nostra serata etnica mensile sarà qui da Leah. Oggi cucina spagnola! Avrebbero volentieri scelto la cucina giapponese, ma una delle cose che non posso mangiare è proprio il pesce crudo, che ne è praticamente alla base.
Tra un paio d’ore ore anche Simon, Daniel e Alex sapranno che sono incinta. Spero che, almeno loro, la prendano bene.
Bussano alla porta con tredici minuti di ritardo, ma appena apriamo la porta veniamo investite da quattro buste piene di ciotole e ciotoline. In sala da pranzo, tirano fuori tapas per sei, otto ciotole di gazpacho e altrettante porzioni di crema catalana.
L’atmosfera è davvero rilassata. Amo stare con i miei amici. Siamo un muro compatto, togli un mattone e tutto crolla, anche se ognuno di noi è un castello di carte. Ognuno di noi ha una brutta storia che ha segnato il passato.
Leah non ha mai conosciuto il padre.
Jen e Josh hanno perso gli zii e i cugini, a cui erano molto legati, in un incidente orribile, proprio mentre andavano a festeggiare il quattro luglio a casa loro.
I genitori di Simon sono separati in casa e a lui è rimasta la sorellina di sette anni, Bridget, da crescere.
Il fratellino minore di Alex, Chris, a Detroit è stato investito e ora è sulla sedia a rotelle.
Chelsea è orfana di madre. Emma aveva un tumore a un rene e se n’è andata circa quattro anni fa. Chelsea non è ancora riuscita a riprendersi completamente.
Daniel, invece, è orfano di padre. È successo a Seattle, il padre (non ci ha neanche voluto dire il nome) stava tornando a casa ed è stato colpito da una pallottola vagante che veniva da uno scontro tra bande. Ne ha parlato una volta sola e da quel giorno non ne ha fatto più parola.
E io sono incinta, che, paragonato a tutti questi scatafasci, è acqua fresca.
Siamo gli zoppi che reggono gli sciancati. Non ci sarebbe uno senza l’altro.
Comunque, mentre sbocconcello un’abóndiga, butto sullo scherzo:
“Sapete che io e Josh abbiamo fatto sesso?”
“Come se non lo sapessimo!” Dice Simon con una scintilla maliziosa negli occhi.
Mi giro verso Josh e gli dico tra il divertito e il seccato:
“Gliel’hai detto? Loro - indico le mie amiche - l’hanno saputo un mese dopo!”
Il mio ragazzo fa spallucce.
“Comunque, abbiamo fatto gli idioti e ora... beh... s-sono incinta...”
Daniel, che sta portando un’oliva alla bocca, si blocca con la mano a mezz’aria, Simon comincia a tossire convulsamente perché gli è andata di traverso un’alice e Alex ha uno sguardo piuttosto vacuo. C’è un momento di silenzio imbarazzante e poi scoppia un fragore di risate e complimenti. Sono quelli che l’hanno presa meglio.
Li amo.
La serata finisce tranquilla e Josh mi accompagna a casa e gli strappo la promessa di venire con me, il giorno dopo, alla mia prima ecografia.
Sono molto agitata ed emozionata e contenta e un milione di altre sensazioni intricate in un groviglio indistinto.
Il sabato mattina è sempre stata l’unica mattina della settimana dedicata completamente al sonno, ma stamattina non posso rimanere a poltrire sotto il piumone perché, per arrivare all’ospedale ci vogliono quaranta minuti e l’appuntamento è alle dieci.
Mi faccio una doccia veloce e, uscendo, mi metto di profilo allo specchio. Sono incinta da quasi tre mesi e la mia pancia è cresciuta un bel po’.
Con due dita accarezzo con delicatezza il rigonfiamento.
Dentro di me, sta crescendo un bambino.
Un bambino.
Un bambino, che poi sarà un ragazzo e un adulto. Andrà a scuola, all’università e poi lavorerà. Giocherà nella squadra di basket del liceo, proprio come suo padre, o in quella di nuoto, come me, ma credo che anche le cheerleaders possano andare bene.
Diventerà presidente degli Stati Uniti o la prima presidentessa. Sì, sarà sicuramente presidente o presidentessa.
E verrà a trovarci con le guardie del corpo...
No, non verrà a trovarci.
Andrà a trovare una coppia che vive in una villetta a schiera a Cincinnati, lui un avvocato e lei una casalinga con il grembiule.
Scaccio questo pensiero e mi infilo velocemente in un paio di jeans grigi e in un maglione bianco e scendo al piano di sotto dove mia madre sta guardando in cagnesco Josh, che sta sorseggiando un caffè piuttosto a disagio.
“Andiamo?” Chiedo al mio ragazzo.
Ci sediamo in macchina e parliamo del più e del meno fino all’ospedale. Arrivati, prendiamo i moduli dell’accettazione e li compilo circondata da donne con il pancione. Mi sento arrossire violentemente.
Parliamo a bassa voce, come si fa sempre in tutti gli ospedali... chissà perché, poi...
“Emily Wood?” Chiama l’assistente della mia ginecologa.
Prendo Josh per mano e lo tiro su dalla sedia.
Entriamo in una sala con i muri bianchi e la dottoressa Ward è seduta dietro alla sua scrivania.
“Ciao, Emily, come stai?” Chiede cordiale.
“Bene, grazie. Lei?”
“Tutto bene. Da quello che ho capito, non hai mai fatto una visita ginecologica, vero?”
Scuoto la testa.
“Bene, ora ti spiegherò velocemente cosa faremo...”
Si lancia in una dettagliata spiegazione e, capito cosa ci accingevamo a fare, spedisco Josh di nuovo fuori. Lo richiamo dentro solo quando la dottoressa avvicina la macchina degli ultrasuoni. Appena mi sdraio sul lettino, mi mette quella poltiglia azzurra, fredda e appiccicosa sulla pancia. Comincia a muovere uno strano strumento in senso orario e sullo schermo appare una figura in bianco e nero piuttosto confusa.
Non riesco a identificare bene il groviglio di emozioni che mi si assiepa nel petto.
Nell’immagine sullo schermo non riesco a riconoscere bene mio figlio o mia figlia, ma sapere che c’è e che si sta lentamente formando mi fa salire le lacrime agli occhi.
Tutta colpa degli ormoni, mi giustifico.
La dottoressa alza quello strano affare e dice che abbiamo finito e che il bambino non sembra avere alcuna malformazione.
Prima di salutarci, stampa una foto dell’ecografia e ce la piazza in mano senza dire troppe parole.
Sulla via di casa, chiedo a Josh:
“Rimani a pranzo? Poi, magari, guardiamo qualche raccoglitore con delle famiglie...”
Grugnisce.
“Potresti essere un po’ più partecipativo?”
“Emily, sono venuto con te alla tua prima ecografia, verrò a quelle dopo e ti starò vicino il più possibile! Scusa se non sono euforico quando parliamo di dare via il bambino!”
“Neanche io faccio i tripli salti mortali, ma non credo che tu sia disposto a mollare l’università e rinunciare alle serate fuori e non lo sono neanche io!”
“Allora che vuoi che ti dica?!”
“Niente, Josh, niente!”
Rimaniamo in silenzio per venti minuti, poi Josh cerca di farsi perdonare:
“Non litighiamo, ti prego, è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.”
“Va bene. Pace?”
“Pace.”
Parcheggia davanti casa mia e mi bacia come non mi baciava da tempo, ma, con la coda dell’occhio, vedo mia madre che ci spia dalla finestra. Lo allontano dolcemente e ci avviamo verso casa mia.
Mangiamo appoggiati al bancone della cucina e poi ci spostiamo in camera mia, dove prendo i raccoglitori e li butto sul letto. Ne prendiamo due a testa e mettiamo da parte le famiglie che ci convincono di più.
Dopo un’ora e mezza avevamo messo da parte le schede di Grace ed Edward Green, di Elizabeth e Michael Anderson e di Sophie e Max Thompson.
“Chiamo Paige.” Informo Josh.
Paige è la nostra agente per l’adozione. Risponde dopo cinque squilli.
“Pronto, Paige...? Ehm... sì, sono Emily Wood. Sì, la ragazza incinta.”
“Ciao, come stai?”
“Bene, ho appena fatto un’ecografia.”
“Bene! E il bambino?”
“Non ha malformazioni fisiche e cresce bene.”
“Che bello! Volevi dirmi qualcosa in particolare o...”
“In realtà, sì. Volevamo prendere un appuntamento con i signori Green, i signori Anderson e i signori Thompson.”
“Ok, indicativamente quando vorreste incontrarli?”
“Ehm...  verso il dieci dicembre...”
“D’accordo. Fammeli chiamare e ti richiamo.”
“Va bene. Ci sentiamo tra poco.”
“A tra poco.”
Attacco il telefono. Mi risiedo vicino a Josh e lui comincia a parlare:
“Io, Simon e Daniel stavamo organizzando una festa a sorpresa per Alex.”
“Dove?”
“In realtà, volevamo farla in piscina...”
Strabuzzo gli occhi.
“Josh, ma vi ricordate che Alex è nato il primo dicembre e qui fuori sta nevicando?”
“Sì, lo sappiamo, infatti abbiamo chiesto a Robinson se ci da la piscina della scuola e ha detto di sì.”
“Oh. Beh, questo cambia tutto.”
“Credi che potrai venire?”
“Certo! Che domanda idiota! Chi pensavate di invitare?”
“Praticamente tutta la scuola.”
“Fico.”
Il telefono suona.
“Pronto?”
“Ciao, Emily, sono Paige.”
“Ciao.”
“Allora, li ho chiamati tutti e gli Anderson sono disponibili per il dieci, i Thompson per il tredici e i Green per il diciotto. Vi va bene?”
“Credo che sia perfetto.”
“Benissimo, allora li richiamo per riconfermare e ci vediamo qui tra quindici giorni.”
“Ok, a presto.”
“Ciao.”
Riferisco a Josh il contenuto della chiamata e li fa un accenno di assenso. Continuiamo a fare programmi per la festa per un altro po’ e poi Josh mi saluta, poggiandomi un bacio leggero sulle labbra.
Io mi siedo alla scrivania e mi dedico ai compiti fino a sera.
 

*

“Mi accompagni al centro commerciale?” Chiedo.
“Perchééé? Io e Adam dovevamo uscire.” Si lamenta Liz.
“Senti, ora che state insieme non dovete stare appiccicati tutto il gio... effettivamente, anche io e Josh eravamo così...”
“Già, ma comunque ti accompagno.”
“Grazie, grazie, grazie!!”
La informo degli ultimi progressi sulla gravidanza durante il tragitto e lei mi racconta di quanto Adam sia carino con lei, di quanto sia contenta di avergli dato una possibilità e di quanto sia bello avere qualcuno su cui contare in ogni momento.
Questi pensieri mi danno una strana sensazione.
Ci dirigiamo verso il negozio di costumi perché l’unico costume che ho è quello intero degli allenamenti ed è poco adatto ad una festa in costume.
Dopo vari cambi esco dal negozio con una sacchetta con un due pezzi a fascia rosso e un altro azzurro con i fili che si intrecciano dietro la schiena.
Liz ha insistito perché li prendessi entrambi. Voleva che fossero il suo regalo di Natale anticipato.
Sarà una serata divertente.
Strana, ma divertente.
Eppure, non ho un buon presentimento...

  

 

 

 

 

 

Settimo capitolo!!!
Grazie per avrmi fatto sapere cosa ne pensate =)!
Continuate così u.u 
Lunedì 14, ottavo capitolo!

 

Grazie a:
sweet_marty, Ness__, malvine, lucry94, flywithme, Ely_91 e BlackParadise per averla messa tra le preferite.
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per averla messa tra le seguite.
Rosebud e ylex98 per averla messa tra le ricordate.
MayCry e Binca per avermi messo tra gli autori preferiti.
=)
 
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 9
*** Chapter 8 ***


Chapter 8


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Fanculo.
Fanculo, fanculo, fanculo.
Quella... quella... quella troia!
L’ha fatto di nuovo!
E quell’idiota!
Ok, Emily, calmati.
Sono arrivata alla festa tutta contenta e di buon umore e ora mi esce il fumo dalle orecchie come da una locomotiva.
Victoria è arrivata con uno stuzzicadenti nero che spariva tra le chiappe e un triangolino di stoffa dello stesso colore che le copriva a malapena i capezzoli e, ovviamente, tutti i ragazzi le sbavavano dietro.
Che schifo!
Ero seduta a bordo piscina con Liz e parlavamo del più e del meno, quando si è avvicinata con la sua amichetta del cuore e ha cominciato con tono melenso:
“Teesoro! Come stai?”
“Ehm... bene, tu?”
“Oh, io bene...”
Mi ha guardato con uno sguardo divertito e un sorriso con le labbra.
“Sì? Posso esserti utile in qualcosa?” Le ho chiesto, infastidita.
“No, mi stavo solo chiedendo, quella pancetta è nuova?”
“Ehm... già.”
“Ed è di Josh.”
“Direi proprio di sì.”
Ridacchia.
“Beh, allora congratulazioni e buona fortuna.”
“Cosa vorresti dire?”
“Niente, niente... divertiti.”
E se ne vanno.
Io e Liz ci siamo guardate e ci siamo fatte spallucce. Abbiamo ripreso il discorso che stavamo facendo, ma dopo cinque minuti è arrivato Adam e me l’ha portata via. Rimasta sola, mi sono avviata verso il tavolo delle bevande e, mentre mi stavo versando del succo di mango, ho visto Leah e Alex che si stavano baciando. Sorridendo, ho pensato ‘era ora!’.
Mi sono girata per dargli privacy e con lo sguardo ho cercato il mio ragazzo. Lo ho visto in un angolo della piscina che parlava con Chelsea e Daniel. Mentre mi avvicinavo, Victoria ha afferrato Josh per il polso e lo ha trascinato nel mucchio di persone strafatte che si dimenavano a ritmo di musica. Lui sembrava confuso, ma non si è tirato indietro. Victoria si è tenuta a distanza per un po’, poi ha incrociato i miei occhi e mi ha fatto un sorriso maligno. Gli ha afferrato i capelli sulla nuca e ha avvicinato la testa di Josh al suo petto, facendo una risata civettuola. Senza neanche accorgermene, ho accartocciato il bicchiere che avevo in mano e lo ho buttato a terra. Victoria ha fatto un sorriso ancora più grande, come a dire :‘eccoti la ricompensa per avermelo portato via, stronza!’.
Dal nulla, è spuntato un ragazzo che la ha spinta in piscina. Lei, cogliendo la palla al balzo, ha stretto ancora più forte Josh e lo ha trascinato giù con lei.
Le persone hanno cominciato a tuffarsi una dopo l’altra e, nella confusione, lei lo ha baciato.
O, meglio, gli ha infilato la lingua in bocca.
Ho raggiunto il punto di rottura, quindi sono corsa nello spogliatoio a cambiarmi.
Liz, accortasi della mia assenza, mi ha raggiunto e mi ha chiesto:
“Che hai?”
“Hai visto Victoria?”
“No, che è successo?”
“Si è praticamente fatta baciare le tette da Josh e poi gli ha infilato la lingua in bocca!”
“Puttana.” Ha detto sottovoce la mia amica.
“Mi accompagni a casa?” La ho implorata.
Dopo aver annuito, ha continuato:
“Fammi chiedere le chiavi ad Adam, siamo venuti con la sua.”
Ho annuito a mia volta e ho finito di vestirmi. Liz è tornata dopo cinque minuti e si è infilata i vestiti al volo sopra il costume. Arrivate davanti casa, mi ha salutato ed è ritornata di corsa alla festa, dal suo ragazzo.
Tutte le luci erano già spente. Ormai, i miei hanno perso l’abitudine di aspettarmi svegli. Mi sono fatta una doccia e mi sono chiusa in camera.
E ora sono qui.
Da sola.
In camera mia.
A bollire di rabbia.
Fanculo.
Mi infilo nel mio pigiama, mi metto a letto e, nonostante la rabbia, sono così stanca che cado in un dormiveglia pesante. Vengo bruscamente risvegliata dopo un quarto d’ora per colpa della simpatica vibrazione del mio cellulare. Alzo pigramente la testa dal cuscino e mugugno:
“Prrnto?”
“Em, dove sei?!” Chiede una voce familiare dall’altro capo del telefono.
“Josh?”
“Chi vuoi che sia?!”
“Che vuoi?”
“Emily, dove cazzo sei? È mezz’ora che ti aspetto!”
“Sono a casa.”
“A CASA?!”
“Sì, sai, quell’insieme di mattoni, pieno di stanze...”
“Perché sei a casa?!”
Ok, ora ci stiamo prendendo per il culo. Ha limonato con la sua ex sotto ai miei occhi e ha anche il coraggio di chiedermi perché me ne sono andata?!
Questo è davvero troppo. Gli attacco il telefono in faccia. Richiama altre tre volte prima che io spenga il telefono. Mi addormento, ma dopo un po’ qualcosa mi sveglia.
All’inizio, non mi rendo conto di cosa mi ha svegliato, ma poi un rumore di sassi contro un vetro mi fa capire perché mi sono svegliata. Mi trascino verso la finestra e vedo Josh che si sta accingendo a tirare un altro sasso. Apro la finestra e l’ultimo tiro di Josh mi colpisce in testa.
“Ah!” Mi lamento.
“Scusa!”
“Che vuoi?”
“Parlarti.”
“Alla porta.” Sussurro abbastanza forte perché mi senta.
Scendo pigramente le scale e socchiudo la porta. Fuori ha cominciato a nevicare di brutto e Josh ha una montagna di fiocchi impigliati nei capelli.
“Mi fai entrare?” Chiede.
Apro abbastanza per farlo entrare e mi appoggio al muro del piccolo corridoio d’ingresso con le braccia incrociate sul petto. Il mio ragazzo si poggia sul muro opposto. Rimaniamo in silenzio per un po’, illuminati dalla luce arancione dei lampioni che filtra attraverso la porta a vetri, poi Josh inizia:
“Mi dispiace.”
“Sì.”
“Ems, davvero, mi dispiace! N-non volevo!”
“Se davvero non avessi voluto, non ti saresti mai fatto infilare la lingua in bocca da quella troia.” Sibilo.
Sospira, poi prende fiato e comincia:
I don’t care what nobody says we’re gonna have a baby...
Un sorriso enorme mi si allarga sulla faccia. “Knocked up” è una delle mie canzoni preferite dei Kings of Leon.
Intanto Josh continua imperterrito:
She don’t care what her momma says, no she’s gonna have my baby...
“Shhh!! Josh i miei stanno dormendo!”
Cerco di fermarlo ridacchiando.
People call us renegades because we like living crazy…
“Shhh!” Dico disperatamente, dandogli un pizzico sulla pancia.
Lui ridacchia e finisce, dopo aver poggiato la sua fronte alla mia:
I don’t care what nobody says, no, I’m going to be her lover.”*
“Quanto sei stupido!”
“Buon anniversario, amore.”
Ah. Già. È il primo dicembre.
“Ti amo.” Continua.
“Ti amo anche io.” Sussurro, poco prima che le nostre labbra si incontrino.
Questo bacio racchiude le sue scuse e il mio perdono. È tutto così... così... così perfetto.
Josh mi afferra per i fianchi, mi solleva e mi porta sul divano. Continuiamo a baciarci per una mezz’ora, poi, molto a malincuore, Josh torna a casa.
Rimasta sola, me ne vado a dormire sinceramente sollevata.
 

*
 

Una linea d’eye-liner. Una passata veloce di mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
Josh mi aspetta al piano di sotto perché stiamo per andare al centro adozione. Oggi è il dieci dicembre e incontreremo la prima coppia che vuole adottare il bambino. Gli Anderson. Elizabeth e Michel Anderson.
Che schifo.
Arriviamo con un po’ di anticipo, quindi ci sediamo nella sala dove faremo il colloquio in silenzio, con i nervi a fior di pelle. Dopo ventitre minuti la porta si apre e io e Josh schizziamo in piedi. Entrano un uomo di statura media con i capelli neri e una donna molto bassa con i capelli chiari. È proprio lei che inizia a parlare con una voce squillante ed entusiasta:
“Ciao! Io sono Elizabeth e lui è Michael! Voi dovete essere Emily e Josh...!?”
“Sì.” Rispondo, arrossendo.
“Sono così contenta di potervi conoscere! Non stavo più nella pelle.”
Sorrido cortese e il marito della mia interlocutrice dice:
“Ci sentiamo così onorati, insomma... questo... questo ‘incidente’ è come una benedizione per noi!”
Io e Josh ci scambiamo uno sguardo che dice ‘maniaci religiosi’!
Però, nonostante il loro comportamento bizzarro, è un colloquio piacevole. E scopriamo una valanga di informazioni su di loro. Elizabeth ha trentadue anni ed è andata in quella che si chiama ‘menopausa precoce’, cioè è andata in menopausa a diciassette anni. Ha un enorme negozio di fiori a Cincinnati. Mike ha trentatre anni ed è un paramedico di quelli che stanno sulle ambulanze. Sono molto credenti. Hanno pregato un sacco che qualcuno li chiamasse per dare in adozione un bambino indesiderato e noi abbiamo risposto alle loro preghiere.
Bizzarri.

 *
 

Una linea d’eye-liner. Una passata veloce di mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
È il tredici dicembre e abbiamo appuntamento con la seconda coppia. Il signor e la signora Thompson. Max e Sophie. Bei nomi.
Principalmente si ripete la stessa scena della prima volta, tranne che dalla porta entra una donna altissima con i capelli neri e un uomo che sfiora il soffitto con i capelli altrettanto scuri. Questi due fanno sembrare il metro e ottantasei di Josh una gomma da masticare e il mio metro e sessantotto... vabbè, meglio lasciar perdere.
Questa volta è Max che è sterile. Hanno i soldi che gli escono da tutti i buchi del corpo perché insieme gestiscono una famosissima galleria d’arte a Columbus.
Sophie si sente pronta a diventare mamma anche se ‘riconosce che quarantatre anni sono un bel po’ per cominciare’. Max si mostra d’accordo con la moglie.
Ancora più bizzarri.
 

*
 

Una linea d’eye-liner. Una passata veloce di mascara. Un velo di lucidalabbra.
Sono pronta.
Finalmente è arrivato il diciotto dicembre, il giorno dell’ultimo colloquio. Oggi ci toccano Grace ed Edward Green. Non ce la faccio più a ripetere la stessa patetica scena, ma, comunque, è quello che succede. L’unica cosa che cambia è che, quando la porta si apre, prima dei signori Green, entrano come uragani due bambini di circa quattro anni completamente identici.
I Green sono due persone completamente nella media con una passione per la beneficenza e per le buone azioni. Questo colloquio è un vero strazio e sembra non finire più.
Perfino più bizzarri.
Tornati a casa escludiamo subito i Green e dopo un po’ di indecisione scegliamo gli Anderson. Chiamo Paige per fissare un altro appuntamento per conoscere i futuri genitori di mio figlio o mia figlia.
È una cosa raccapricciante.
Ma le buone notizie non vengono mai sole! Il giorno dopo il colloquio, tornata da scuola, mia madre mi accoglie con le valige nell’ingresso. Piuttosto confusa chiedo:
“Stiamo andando da qualche parte?”
“Andiamo a Tallahassee, passiamo il Natale dai nonni.”
Grandioso.
“Quando torniamo?”
“Torniamo il ventisette, così passiamo il capodanno con chi ci pare.”
“E Jack?”
“Ci aspetta all’aeroporto.”
“Papà?”
“Sta caricando la macchina... Emily, vogliamo partire o no?”
Ehm... devo essere sincera?
Non ho scelta. Vado a prendere qualche cianfrusaglia per passare il tempo e tiro fuori l’iPhone per fare qualche chiamata per avvertire della mia improvvisa partenza, come Josh, Jen e Paige per spostare l’appuntamento con gli Anderson.


  

 Jennifer.jpg
 Jennifer =)

 

 

*Non mi importa cosa dicono avremo un bambino.
A lei non importa cosa dice sua mamma, lei avrà il mio bambino.
Le persone ci chiamano rinnegati perché ci piace vivere in modo dissoluto.
Non mi importa cosa dicono, no, io sarò il suo amore.

 

Ottavo capitolo!
Continuate a recensire!! =)
Lunedì 21, nono capitolo! =D

  

Grazie per aver messo questa storia tra le preferite a:
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Grazie per avermi messo tra gli autori preferiti a:
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Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 10
*** Chapter 9 ***


Chapter 9

 

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“Dove sono i bicchieri di plastica?”
“Nella credenza!”
“Grazie!”
“Chels, dal forno esce del fumo!”
“Cazzo!”
Stiamo cucinando per la cena della fine dell’anno.
Il Natale a casa dei nonni non è stato spiacevole. Ho provato a indossare maglioni enormi per nascondere la pancia... ha relativamente funzionato, nonna non se n’è accorta!
Solo mia cugina Allison mi ha tempestato di domande fino a farmi venire il mal di testa.
Ora, io e Jen siamo a casa di Chelsea e tutt’e tre stiamo preparando i brownies e sistemando il salone per la serata.
Anche Leah dovrebbe essere qui, ma da quando si è messa con Alex passano tutto il tempo che hanno insieme.
I brownies non si sono bruciati per un pelo e adesso Jen li sta spolverando con lo zucchero a velo, scrivendo ‘2009’ sulla superficie.
Alle 20 è tutto pronto e dopo mezz’ora bussano Simon e Josh con gli involtini primavera, le fettuccine alla piastra e il pollo alle mandorle. Pochi minuti dopo arriva Daniel con tre bottiglie vodka, una di rum e una di whiskey; subito dopo si presentano anche Alex e Leah con le birre.
Siamo tutti un po’ più allegri del solito e non facciamo altro che gridare, sputacchiando cibo cinese a destra e a manca. Dopo cena i miei amici si danno all’alcool. Considerando che si sono già scolati una bottiglia di birra a testa e quella di rum ha fatto la stessa fine, sono piuttosto spaventata.
Ci sediamo in cerchio con la vodka in mezzo. Daniel apre la bottiglia al limone, la passa a Leah e le dice:
“Dì una bugia.”
Leah ci pensa un po’ e poi dice:
“Non ho mai pomiciato.”
C’è qualche commento come ‘certo’ e ‘sì, come no’, mentre lei beve un lungo sorso, per poi passare la bottiglia ad Alex:
“Non so suonare nessuno strumento.”
Quando in camera sua non si riesce quasi ad aprire la porta per colpa delle tre chitarre e della batteria. Anche lui si regala un sorso generoso dal collo della bottiglia, che arriva nelle mani di Simon:
“Non ho mai picchiato nessuno.”
E il naso di Josh si è rotto da solo! Si attacca al collo della bottiglia e quando si stacca la metà della vodka è sparita. Tocca a Daniel:
“Non mi piace nessuno che si trovi qui.”
Confessa lanciando un’occhiata maliziosa a Chelsea, che si trova tra le mani la bottiglia:
“Non ho mai fatto sega.”
C’è qualche risatina. Chelsea beve e lancia la bottiglia semivuota a Jen:
“Sono figlia unica.”
“Nooooo! Non vale!” Urla Simon.
“Perché no?” Chiede lei.
“Perché vogliamo qualcosa di scandaloso!”
“Ah sì?!”Esclama.
Simon annuisce. Allora Jen si mette in ginocchio, si allunga verso Simon e lo bacia. Si scatena un coro di ‘oooooh!’. Lui, inizialmente sorpreso, risponde al bacio con piacere. Dopo pochi minuti cominciano a pomiciare e si alza un altro coro di ‘smettetela!’ e ‘trovatevi una stanza!’. Solo sentendo le nostre urla la smettono. Jen guarda Simon e gli dice:
“Non mi piaci.”
Beve un lungo sorso e passa la bottiglia a Josh:
“Sono vergine.”
Ridiamo tutti fino alle lacrime, mentre Josh beve il fondo della vodka, facendo un smorfia buffissima.
Daniel stappa la vodka alla pesca e me la mette in mano.
La tentazione è fortissima. In fondo, io adoro la vodka alla pesca... ma il mio buon senso prevale.
“No, non posso.”
“BOOOOOOOOOOOOOOOH!”
“No, davvero, ragazzi, non posso!”
“Dai, Emily, è solo un sorso di vodka! Che vuoi che sia!”
“Certo e poi agli Anderson diamo un bambino con tre dita in un piede e sette nell’altro!”
“Ma non succederà niente!”
“Sì, certo, come credete. Io, intanto, vado a fare pipì.”
Vado in bagno e quando torno la bottiglia di vodka alla pesca e alla fragola sono state prosciugate. I miei amici si stanno versando il whiskey in bocca a vicenda e il tappeto sta diventando tutto zuppo e appiccicoso.
Grandioso.
Ora dovrò portare ben due persone ubriache fradice a casa.
Yu-hu.
Bel capodanno.
 

*

 “No, mamma, non mi ricordo degli Evans!”
“Dai! Christina... la migliore amica delle elementari di Jack!”
“Mamma, piantala! Tanto non me li ricordo.”
Qualcuno, per favore, mi spieghi perché mi devo sottoporre a questa tortura.
L’altro ieri, mamma ha incontrato questa fantomatica Celia Evans, moglie di un quest’altrettanto fantomatico Dylan e madre dei fantomatici Christina e William, ventuno e diciannove anni.
Ok, ora la parola ‘fantomatico’ comincia a suonarmi un po’ strana.
Comunque, hanno deciso di organizzare una cena a casa nostra per rievocare i vecchi tempi.
Bah.
Contenti loro.
Sto aiutando mia madre ad apparecchiare, quando mi dice:
“Tesoro, vatti a mettere qualcosa di decente! Non puoi farti trovare in tuta e felpa!”
“Perché no? Tanto che differenza fa...” Dico per stuzzicarla, mi sarei cambiata lo stesso.
“Perché io voglio che ti cambi e mettiti qualcosa che copra...”
“La pancia?” Finisco per lei, sistemando l’ultimo coltello.
“Sì, non voglio che pensino che tu sia una...” Mentre queste parole le escono dalla bocca, la sua espressione si trasforma in una smorfia d’orrore.
“Peripatetica, passeggiatrice, prostituta, puttana? Complimenti, mamma, sei una delle prime che mi chiama così.” Dico, andandomene. Ma io sono Emily Wood ed Emily Wood non piange, non si fa mettere i piedi in testa e, soprattutto, non permette che nessuno la insulti.
Tiro subito fuori dall’armadio i miei jeans neri e dalla scarpiera le scarpe con tacco sette. Non voglio dare l’impressione di essere un nano. Scegliere la maglia è un’impresa un po’ più ardua. Alla fine trovo un maglione rosso che mi sta un po’ stretto, ma che raggiunge perfettamente il mio intento: mette ancora più in risalto la pancia.
Lo so, è una cosa infantile, ma, alla fine, fare sesso senza preservativo lo è stata anche di più... quindi...
Invece, montare su un tacco sette si rivela essere una missione impossibile, quindi ripiego sulle ballerine e sul mio aspetto di nano.
Mentre mi infilo la seconda scarpa, suona il campanello. Un vociare eccitato mi raggiunge dal piano di sotto. Sento i passi veloci di Jack che scendono le scale. Credo che sia ora di andare. Sbuffo e mi avvio verso le scale. Sono curiosa di vederli, ma non voglio fare la figura dell’idiota che li fissa imbambolata, quindi mi siedo a gambe incrociate davanti alla ringhiera.
Sono davvero belli. Dylan è un uomo con il fisico da giocatore di football, ma ha una faccia dolcissima; Celia ha i capelli biondi con dei riflessi bianchi e un fisico davvero lodevole per la sua età; Christina è come la madre, solo che non ha i riflessi bianchi nei capelli biondi e nessuna ruga; infine, entra anche William nel mio campo visivo: è davvero mozzafiato. Ha due spalle grandi e una schiena muscolosa che si può intravedere da sotto la sua maglietta; i capelli sono biondi e, la cosa che attira di più l’attenzione, ha due enormi occhi blu. Blu, ma davvero blu.
“Emily!” Sento mia madre che mi chiama.
“Arrivo!”
Scendo le scale, ma tutti sono girati. Quando si girano, i loro occhi cadono subito sul mio pancione. Mia madre, imbarazzata, cerca di far finta di niente:
“Questa è Emily. Emily, loro sono Celia, Dylan, Christina e William.”
“Ciao!” Dico cordiale, stringendo la mano a tutti e quattro.
C’è un silenzio imbarazzante, che mio padre spezza dicendo:
“Andiamo in salotto per un aperitivo?”
C’è un mormorio indistinto di assenso e tutti si spostano verso il salotto. Mentre ci spostiamo, automaticamente, si formano delle coppie per chiacchierare e io finisco con William. Non so bene cosa dire, quindi comincio con la domanda più stupida:
“Allora, tu hai diciotto...?”
“Diciannove anni.”
“Giusto. Quindi... sei all’università...”
“Sì, al primo anno e tu sei...” Dice accennando alla mia pancia, ma il mio cervello formato nocciolina non coglie l’allusione.
“Al secondo anno, sì.”
“Certo! Al secondo anno...”
“Oh! Vuoi dire... incinta...?”
“Ehm, sì...”
C’è un altro momento di silenzio imbarazzato e poi William riprende:
“Sai, ho trovato una foto che ci hanno scattato in una delle innumerevoli feste di compleanno di Christina...”
Si mette una mano in tasca e tira fuori una foto sbiadita e spiegazzata. Sulla foto c’è lui vestito da Batman e io sono vestita da Biancaneve.
Mamma mia! Sono davvero ridicola!
Infatti mi scappa una risatina. William, con una faccia divertita, mi chiede:
“Perché ridi?”
“Ma mi hai visto sembro un muffin con la glassa a cinque colori!”
“Già, hai ragione!” Ridacchia.
“Hey!” Gli dico, dandogli una pacca sul petto.
“Senti, Ems...”
“Sì, Will?”
“Questo bambino - dice, poggiando una mano sulla mia pancia - ce l’ha un papà?”
“Sì.”
“Peccato.”
Lascio cadere il discorso e continuiamo a rinvangare episodi del passato. Rido tutta la sera, fino alle lacrime. Quando se ne vanno, io e Will ci scambiamo i numeri di cellulare, la promessa di sentirci almeno una volta alla settimana e di vederci qualche altra volta.
Alla fine, è stata una serata divertente.
 

*

 Gennaio è sempre stato un delirio.
Ci sono i fottutissimi esami di metà semestre.
Cheppalle!
Tutti si danno ad un folle ripasso, inclusa la sottoscritta, che non porta quasi a nulla.
Odio, odio, odio!
Solo il pensiero di dover stare piegata su uno stupido foglio di carta con delle domande inutili ogni giorno mi uccide.
Però, alla fine, cazzo se ho avuto una bella pagella!
Ho avuto B in scienze e matematica, B+ in storia e geografia, A- in inglese. A in fotografia, tedesco e ginnastica.
Fico.
Ora posso concentrarmi sull’adozione.
L’appuntamento con gli Anderson è tra tre giorni, ma subito prima dell’appuntamento, devo andare dalla ginecologa. Dopo che mi hanno spalmato addosso quella poltiglia azzurrina, la dottoressa dice che il bambino cresce bene, ma io devo prendere un altro paio di chili per far stare meglio entrambi e, soprattutto, il mese prossimo, si potrà capire il sesso del bambino.
Wow.
Non ho abbastanza forza per gioire.
Sono distrutta per gli esami e non ho voglia di incontrare gli Anderson, ma uscita dall’ospedale vedo la macchina di Josh che mi aspetta. Salgo in macchina e gli riferisco cos’è successo durante la visita.
Durante l’incontro li informiamo di come procede la gravidanza e dove partorirò.
Mentre parliamo, vengo tempestata di messaggi di Will.
Menomale che avevamo deciso una volta alla settimana!
Salutiamo gli Anderson dopo due ore e, mentre usciamo, Josh mi chiede:
“Chi è che ti ha mandato tutti quei messaggi?”
“Will, il fratello dell’amica di Jack.”
“Ah.”
Ha la faccia di uno che ha appena succhiato mezzo limone.
“Stai tranquillo. Io ti amo.”
“Mh-h.”
“Dio! Smettila! Io amo te, solo e soltanto te.”
“Ti credo.”
“Devi.”
“Scusa, n-non volevo...”
“Non fa niente.”
E mi poggia un bacio leggero come una farfalla sulle labbra.

 

 

 

 

Perdonoooo!
Scusate per il ritardo, ma ho avuto una settimana terribile!
Chiedo umilmente venia!
Recensiteeeeeeeeee!!

  

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Vi voglio bene.

 
 
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Capitolo 11
*** Chapter 10 ***


Chapter 10

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“Cosa ne dite di questo?” Dice Leah alzando un vestito rosso.
“No, ce n’ha uno molto simile.” Risponde Jen.
“E se le regalassimo... no, non fa niente.” Tento.
“Ogni anno è sempre peggio!”
“Lo so! Stupidi compleanni.”
Chelsea fa diciassette anni tra meno di una settimana e noi siamo in crisi. In più, io non riesco a resistere più di cinque minuti senza fare pipì e dieci minuti in piedi.
Ora siamo sedute al bar del centro commerciale e, alla fine, decidiamo di regalarle quattro magliette di David & Goliath.
Frank, il padre di Chelsea, ha organizzato la festa domani sera e non ha voluto dirci perché ha preteso di organizzarla prima. Comunque ora voglio tornare a casa perché sono stanca.
E devo fare pipì.
Di nuovo. 

* 

Sabato mattina faccio i compiti e, dopo pranzo, comincio a prepararmi. Mi avvio verso casa di Chelsea verso le sei e mezza. Mi sento ridicola mentre arranco nella neve.
Quando suono il campanello, c’è già un sacco di gente.
È una serata tranquilla, ma non noiosa, molto piacevole e poi Daniel non si è staccato un attimo da Chelsea... buon segno!
Dopo la torta, Chelsea comincia ad aprire i regali. Riceve una montagna di cose (le nostre magliette sono molto gradite) e, come ultimo regalo, il padre le da una busta bianca che sembra avere tutta l’aria di una di quelle buste piene di soldi che ti danno ad ogni compleanno, ma, quando rovescia il contenuto, cala un silenzio carico d’eccitazione.
Sul tavolo del soggiorno, sono caduti quattro biglietti aerei. Chelsea caccia un urlo, prima di avventarsi sul suo bellissimo regalo.
“Oh mio Dio! Oddio! Chelsea Marshall, Jennifer Mills, Emily Wood e Leah Allen! Oddio! Papà! È… è indescrivibile!”
Ma i nostri urli coprono la fine della frase. Siamo così contente che non ci preoccupiamo neanche della destinazione.
“New York! New... YORK!!” Continua a urlare Chelsea.
Io, Leah e Jen ci ammutoliamo.
Mi state prendendo in giro?
Sto per partire per New York?
Con le mie migliori amiche?
Le nostre urla si amplificano.
“Quando partiamo?” Chiedo in uno sprazzo di lucidità.
“Lunedì mattina.”
Questo spiega la festa anticipata.
Appena si ristabilisce la calma, un po’ di persone se ne vanno, lasciando noi quattro con Josh, Alex, Daniel e Simon. Guardiamo un film e poi i ragazzi annunciano che devono andare. Io saluto con “molto affetto” e lo stesso fanno Jen con Simon e Leah con Alex. Daniel e Chelsea sono un po’ imbarazzati. Quando finiamo, io e Chelsea accompagniamo i ragazzi alla porta, mentre Leah e Jen vanno a sistemare i materassi gonfiabili in camera di Chelsea perché stanotte dormiremo qui. Mentre Simon, Alex e Josh se ne vanno quasi subito, Daniel indugia sulla porta. Capito l’andazzo, me ne vado:
“Ciao, Daniel, vado ad aiutare Jen e Leah.”
Salgo le scale ed entro nella camera color pesca di Chelsea e trovo le mie amiche in ginocchio, chine su delle masse bluastre e informi.
“Chels dov’è?” Chiede Leah, infilando un tubo in una delle valvole di un materasso.
“Giù, con Daniel.” Rispondo, tentando di mettermi anch’io in ginocchio.
“Che fai?! Non ci provare!” Urla Jen, vedendo il mio ridicolo tentativo di aiutarle.
“Ok, scusa! Non lo faccio più!” Rispondo offesa.
Dopo un momento di silenzio ci lanciamo in una dettagliata programmazione del nostro viaggio a New York. Chelsea si ripresenta quasi mezz’ora dopo con tutto il rossetto sbavato. Ci guarda e poi dice:
“Daniel mi ha baciato.”
“Davvero?” Chiede sarcastica Leah, senza alzare gli occhi dal materasso.
“Spiritosa!” Ribatte.
Ci facciamo raccontare i dettagli e, dopo, continuiamo nella nostra folle programmazione fino alle quattro e mezza.
Alle undici, dopo un’abbondante colazione, andiamo ognuna a casa propria a fare le valigie.
Sono immersa nella follia più totale tutto il giorno. Faccio tre lavatrici, svuoto l’armadio e riempio una valigia, poi la svuoto e ne riempio un’altra e di nuovo. Alla fine, alle otto di sera, mi butto sul divano completamente spossata e alle cinque di mattina sono in macchina alla volta dell’aeroporto di Columbus.
Più che una macchina è un pulmino! Ci siamo noi quattro, le nostre quattro valige, i nostri quattro ragazzi e il padre di Chels.
All’aeroporto i nostri ragazzi sono davvero molto affettuosi, tranne Josh. Il mio ragazzo ha la testa fra le nuvole e sembra quasi che non si sia neanche accorto che sto partendo.
“Allora ci vediamo lunedì prossimo?”
“Eh?”
“Pronto?! Sto andando a New York con le mie migliori amiche!!”
“Lo so! Non sono stupido!”
“Sei sicuro?!”
L’altoparlante chiama il nostro volo. Io raccolgo la mia borsa e dico:
“Allora, ciao.”
“Ciao.” Dice indifferente.
“Non mi dai un bacio?”
Si china e mi da un bacio sbrigativo sulle labbra. Interdetta e mezza sconvolta mi avvio verso il gate. Il comportamento di Josh mi infastidisce e insospettisce, non si era mai comportato così. Stupidi ragazzi.
Fanculo.
Tra poco più di due ore sarò a New York.
New York!
Yeah, New York, babe.
Sono proprio simpatica!
Appena saliamo in aereo mi addormento, la gravidanza mi sfinisce. 

* 

New York è impressionante.
Sembra surreale.
È tutto così grande e fuori dalla dimensione umana.
Il nostro albergo è a due passi da Central Park e riusciamo a girare molto facilmente. Le strade sono molto caotiche, ma l’aria è pulita e tutto sembra uscito da una di quei cataloghi con le pagine lucide delle agenzie di viaggi.
Ci stiamo divertendo da morire e oggi la giornata è dedicata allo shopping!
Sono sulla Quinta Avenue seduta su una panchina per riposarmi un po’. Leah, Chelsea e Jen non devono scorazzare in giro un pancione di cinque mesi e quindi si stanno facendo un giro in un negozio enorme, mentre io, qui fuori, da sola, sorseggio del the freddo al limone.
Cacchio! Sono lontana da Castine da quattro giorni e da Josh neanche un segno, forse è per questo che quando suona il telefono faccio un salto. Sullo schermo del cellulare, però, appare il numero e il numero di Will. Istantaneamente un sorriso enorme si allarga sulla mia faccia.
No.
Aspetta.
Non devo sorridere così. Lui è solo un amico.
“Pronto?”
“Hey! Come stai?”
“Bene e tu?”
“Tutto ok!”
C’è un momento di silenzio, poi riprende:
“Sono a Castine, sono venuto a trovare i miei, se vuoi posso passare da te se vuoi...?”
“Ehm... e-ecco, io...”
“No, va bene, tu hai un ragazzo e io non dovrei...”
Scoppio a ridere.
“Perché ridi?” Chiede offeso.
“Perché sei uno stupido e io non sono a Castine!
Sono a New York!”
“A NEW YORK??”
“Sì, il padre di Chelsea ci ha regalato il viaggio per il suo compleanno e quindi...”
“Bello!”
“Sì, ci stiamo divertendo da morire!”
“E com’è portare una zavorra sulla pancia in giro per New York?”
“Faticoso. Molto faticoso.”
“Ma la gravidanza come procede?”
“Bene, ora ha cominciato a muoversi, poco, ma si muove.”
“Sai già se è maschio o femmina?”
“No, ho un appuntamento con la ginecologa il 16 e ha detto che sapremo il sesso.”
“Grandioso!”
In quel momento, le mie amiche escono dal negozio.
“Senti, ora devo andare, ma ti chiamo. Presto.”
“Ok, a presto.”
Le mie amiche sono davvero su di giri e nessuna di loro tre si è accorta che ero al telefono. Mi mostrano eccitate i loro ultimi acquisti e ci avviamo verso la metro per andare in albergo a cambiarci, per poi andare a cena.
Siamo tutte un po’ abbacchiate, infatti, alle dieci, siamo già in pigiama e ci stiamo infilando sotto le trapunte.
L’unico problema è che io, dopo tre ore e mezza, sono ancora sveglia e mi sto girando e rigirando nel letto. Non faccio altro che sbuffare e cercare una posizione più comoda. Quando non riuscivo a dormire mi mettevo a pancia in giù e crollavo addormentata, ora, per ovvie ragioni, non posso.
Dopo un’altra mezz’ora allo stesso modo, decido di alzarmi. Mi siedo con le gambe incrociate sul davanzale della finestra e guardo fuori dalla finestra. Nonostante sia notte fonda, New York è ancora sveglia. In strada, arrancando nella neve, passano gruppi di ragazzi di circa vent’anni mezzi ubriachi, coppiette e turisti.
Continuo a guardare affascinata quello spettacolo continuo, senza fine. Senza che me ne renda conto, sono già le sette di mattina e i personaggi in scena cambiano: appaiono le mamme con i bambini di due anni e meno, riesco a vedere un papà con le occhiaie che gli arrivano fino ai talloni, che culla un bimbo davvero minuscolo per cercare di calmarlo.
Sorrido.
Sorrido perché anche io, tra qualche mese avrò le stesse occhiaie e la stessa espressione stanca...
No. Non è vero.
Io non avrò un bambino.
Almeno, non ora.
In quel momento, distraendomi dalle mie elucubrazioni, suona il cellulare. Sbircio sullo schermo e vedo il numero della ginecologa:
“Pronto?”
“Buongiorno, Emily! Sono Allison Ward, la ginecologa. Scusa se ho chiamato così presto.”
“Non si preoccupi. C’è qualche problema?”
“Vedi ti ho chiamato per dirti che devo andare a Los Angeles per un corso d’aggiornamento e, quindi, non potrò visitarti prima di un mese. Allora, hai due scelte, o ti visito io oggi o il dottor Brown...”
“DOTTOR? - Chiedo terrorizzata - Un UOMO?”
“Sì...”
“Preferirei di no.”
“Allora ci dobbiamo vedere oggi...”
“Ecco... il fatto è che io ora sono a New York e dovrei tornare domenica...”
“Emily, non possiamo aspettare un mese.”
“Va bene, vedo che posso fare. La richiamo.”
“Perfetto, a dopo.”
Chiamo l'aeroporto per sapere se c’è un volo oggi per Columbus e se c’è posto per me.
Effettivamente un volo c’è, alle dieci e mezza, e c’è addirittura posto per me!
Scocciata per dover interrompere il mio viaggio così bruscamente, rifaccio velocemente, per quanto la pancia me lo consenta, la valigia. I rumori svegliano le mie amiche che assonnate e ammaccate si alzano dal letto.
“Ems, che fai?” Biascica Chelsea.
“Devo tornare a Castine. Ho da fare una visita importante e la dottoressa ha avuto un problema. Ho già cambiato il biglietto... Ragazze, mi dispiace! Non immaginate neanche quando preferirei restare, ma, davvero, non posso.”
Le mie amiche sembrano deluse, ma in fretta e furia si vestono, mi accompagnano in aeroporto e mi fanno compagnia finché non mi imbarco.
Arrivo a Columbus a mezzogiorno e trequarti e il pullman per arrivare in ospedale parte all’una.
Chiamo la dottoressa e la informo che dovrei arrivare verso le quattro e mezza e lei ribatte che è perfetto. 

*

 “Emily Wood?”
“Sì! Sono qui!” Dico, ansimando.
Sono arrivata sul pelo del secondo.
La visita si svolge come tutte le altre, tranne per una piccola variante. Dopo aver fatto tutti gli accertamenti del caso, la dottoressa mi chiede:
“Vuoi sapere il sesso?”
Esito un attimo. Forse dovrei aspettare Josh, in fondo, è anche suo figlio. Però non ho voglia di aspettare un altro mese. Quindi annuisco.
“Bene... vediamo...” Dice la dottoressa.
Trattengo il respiro, serro gli occhi e stringo i pugni.
“È un... MASCHIO!”
Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Un maschio. Un bel maschietto.
Non ci credo.
Intanto la dottoressa sta indicando sul monitor:
“Questa è la testa... qui ci sono i piedi...”
Ma io non la sto ascoltando.
Per la prima volta in cinque mesi, mio figlio comincia a prendere una forma reale.
Cazzo.
Questo è il mio bambino.

Mio.
Se lo darò via, starò male e mi odierò per tutta la vita.
Se lo darò via, starà male e mi odierà per tutta la vita.
E allora perché sto facendo tutto questo?
Perché?
Certo, forse avremo entrambi una vita migliore, ma io sarò corrosa dal senso di colpa e lui penserà di essere sbagliato e che io non l’ho voluto.
Nessuno capirà veramente come mi sentirò, nessuno potrà davvero starmi vicino.
Io non avrò un coro di persone che diranno ‘povera!’ o che faranno ‘awww’ come ha avuto Juno.
Io no avrò nessuno.
Per la prima volta, mi rendo conto di quanto io voglia questo bambino.
Senza neanche ascoltare cosa dice la dottoressa, raccolgo la mia valigia e vado a prendere un taxi per andare a casa.
Poggio la valigia nell’ingresso e riesco, avviandomi verso casa di Jen e Josh.
Arrivata lì, suono il campanello, ma non apre nessuno.
Suono di nuovo, ma rimango un’altra volta senza risposta.
Allora prendo le chiavi che tengono nascoste sotto il tappetino e apro la porta. Entrando sento dei rumori venire dal piano di sopra.
Salgo e mi rendo conto che vengono dalla camera di Josh.
Starà facendo i pesi con le cuffie e non avrà sentito il campanello.
Aprendo la porta dico:
“Josh... Amore, io voglio tenerlo! Io voglio tenere il bambino!”
Ma lo spettacolo che mi trovo davanti mi paralizza...

 

 

 

 Leah.jpg
Leah^^

 

 

Ecco il decimo capitolo! =)
Non ho pubblicato ieri perché questa settimana sto facendo il First quindi sono un po' impegnata u.u
A presto^^

 

 

Grazie per aver messo questa storia tra le preferite a:
sweet_marty
Ness__
malvine
lucry94
flywithme
Ely_91
BlackParadise
margii_pazzoide_chan
LeSwanMasenCullen96
OooohThatsRo
 
Grazie per aver messo questa storia tra le seguite a:
_Sklery_
_HoneY_
_Bonnie_
thatsamore
namy_love
namina89
LoLiNa89
ladyrowena
Idril Inglorion
fs_rm
FioccoDiNeve
emabel
Scoutina
Asya89
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giulimpire
Panty96
feffemary94
Many8
UnderAStarsSky
ally42
hitomi
Ivola
Vanilla_sky
Clithia
kiki_196
wilma
 
Grazie 
per aver messo questa storia tra le ricordate a:
Rosebud
ylex98
nerissa_blu
Moon_Daughter
 
Grazie per avermi messo tra gli autori preferiti a:
MayCry
Binca
margii_pazzoide_chan
LeSwanMasenCullen96
=)
 
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 12
*** Chapter 11 ***


Chapter 11

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Sul letto di Josh c’è un groviglio di braccia e gambe che si muove convulsamente e, all’aprirsi della porta, si ferma. Poi vedo una chioma bionda che cerca disperatamente di nascondersi.
Da sotto le lenzuola spunta la testa di Josh:
“E-Emily! Perché sei tornata prima?” Chiede scocciato.
“Avevo una cosa da fare e, a quanto vedo, pure tu. Ciao, Victoria.”
La figura rimasta “nascosta” fino ad ora si alza, coprendosi con il lenzuolo fino al seno.
“Beh, vedo che sono di troppo e, evidentemente, vi ho disturbato, quindi me ne vado. È stato bello, Josh.”
Mi sorprendo della mia calma innaturale.
“Em! Ems! Aspetta!”
Sento Josh che grida mentre scendo le scale. Mi raggiunge nell’ingresso e dice:
“Ems! Ti prego, ascoltami! Fammi spiegare!”
Faccio un cenno come a dire ‘sto ascoltando’.
“Ecco... è solo che... che io non ce la faccio!”
“Non ce la fai?”
“No! Questo - accenna alla mia pancia - è assurdo! È troppo! Cazzo, ho solo diciotto anni!”
“E io? Io ne ho sedici! SEDICI! Vado via meno di una settimana, torno e ti trovo a scoparti quella troia!”
“MA IO VOLEVO! OK? VOLEVO E BASTA! A DICIOTTO ANNI HO BISOGNO DI SCOPARE! Se solo l’avessimo fatto più di una volta...”
“Quindi è questo il punto? Il sesso? Se avessimo fatto sesso più di una volta, allora non mi avresti tradito?! È questo che vuoi dire?”
“No...” Ribatte debolmente.
“Credevo che fossimo più che solo sesso.” Dico con tono sconsolato e disgustato.
Faccio per andarmene, quando Josh mi afferra il braccio:
“Ti prego...”
“NO! Farò tutto da sola come ho sempre fatto!”
“Ems...”
“Terrò questo bambino e lo crescerò con o senza il tuo aiuto!”
Metto la mano sul pomello e sento un’ultima supplica:
“Non andare...”
Faccio un respiro profondo e dico, lanciandogli la foto dell’ecografia:
“E tieni. È un maschio!”
Sbatto la porta e mi avvio verso casa. Cammino così velocemente e sbattendo i piedi così forte che mi è venuto mal di testa.
Come ha potuto fare una cosa simile?
Non riesco a crederci.
Adesso che avevo deciso di tenere il bambino.
Ma non importa.
Farò lo stesso quello che mi pare.
Stronzo.
A casa non c’è ancora nessuno, quindi decido di svuotare la valigia per tenere la mente occupata.
Effettivamente funziona perché sono così concentrata su dove mettere i vestiti che quasi non sento il cellulare che suona.
“Pronto?”
“Hey! Come va New Yorker?”
“A casa, Will.”
“Perché sei già tornata?”
“Non voglio parlarne al telefono.”
“Senti, io sono ancora a casa dei miei. Se vuoi...”
“Per favore.”
“Sto arrivando.”
“Grazie.”
Metto le ultime tre magliette nell’armadio e mi siedo sul letto con il telefono tra le mani. Will arriva dopo meno di dieci minuti. Non apro neanche la porta che mi stritola in un abbraccio. Non oppongo resistenza. La rabbia ha lasciato posto all’avvilimento.
Salgo al piano di sopra strusciando i piedi con Will alle calcagna e vado dritta in camera. Mi accascio sul letto e lui fa lo stesso.
“Non avevo mai visto la tua camera.”
Non rispondo.
“Ems, mi parlerai prima o poi?”
Le lacrime prendono il controllo e, silenziose, cominciano a rigarmi il viso. Will mi stringe e mi culla un po’ tra le sue enormi braccia. Le lacrime si trasformano in singhiozzi.
“Shhh! Andrà tutto bene...”
 “No, non è vero! Josh è uno stronzo. Io vado a New York per quattro giorni, torno e lo trovo a scopare con la prima zoccoletta che passa!”
Ho il mascara scolato che mi fa sembrare un panda, il naso rosso come un clown e la faccia color porpora perché non faccio altro che sfregarla per asciugare le lacrime, normalmente mi vergognerei da morire di tutto questo, ma con non ci riesco. Non riesco a fare niente se non piangere, io non piango mai.
Poi, improvvisamente, riesco a riconoscere chiaramente un calcio.
Le lacrime si bloccano istantaneamente.
Will, che aveva una mano sulla mia pancia, strabuzza gli occhi. Ci guardiamo come per controllare se entrambi abbiamo sentito bene. Evidentemente sì.
Il mio amico mi passa un dito sulla guancia e dice:
“Visto? Il bimbo non vuole che la sua mamma sia triste, anche se il papà l’ha fatta soffrire.”
Annuisco e, in quel momento, altre lacrime, ma di natura completamente diversa, cominciano a bagnarmi la faccia.
“Will io lo tengo. Io tengo il bambino.” Dico mentre tiro su con il naso.
Un’espressione di gioia si dipinge sulla faccia del mio interlocutore.
“Ems, ma è fantastico!” Esclama, stritolandomi in un altro abbraccio.
Quando mi lascia andare, poggio la testa sulla sua spalla e, quando mi sono calmata, mi chiede:
“Perché sei tornata prima?”
“Perché sono dovuta andare dalla ginecologa... ah, è un maschio.”
Will si sposta.
“Scusa, è un maschio e non mi hai detto niente?!”
“No.” Rispondo con naturalezza.
Scuote la testa e mi abbraccia di nuovo.
 

*


Will è rimasto con me tutta la serata ed è rimasto con me mentre dicevo ai miei che volevo tenere il bambino e che Josh mi aveva tradito, quindi sarei stata una mamma single, ma che non mi importa e bla, bla, bla...
Non l’hanno presa molto bene.
Chelsea mi ha chiamato per sapere com’era andata dalla ginecologa e le ho detto tutto, dato che aveva capito dal tono della mia voce che qualcosa che non andava.
Da quando l’ha saputo, Jen non parla più con Josh.
Però sono molto contente che tenga il bambino.
Victoria mi guarda con un’aria di soddisfazione che mi fa venire davvero i nervi. Se non avessi una pancia troppo grande per fare qualsiasi cosa le strapperei le ciglia una ad una.
Le ciglia.
Non le sopracciglia.
Le ciglia.
Stronza.
E si permette pure di fare la spiritosa scrivendomi su Twitter cose come:
Bacon is bacon

Eggs are eggs
Don’t let a guy between your legs
He says you’re cute
He says you’re fine
Nine months later he says: ‘It’s not mine!’
”*
Maledetta.
Josh, dal canto suo, è diventato praticamente uno stalker. Passa le sue giornate a tormentarmi con messaggi, telefonate, e-mail e mi ha mandato qualcosa come sette mazzi di girasoli e cinque di rose.
La follia, davvero.
Jack era fuori di sé dall’entusiasmo per la notizia che sarebbe diventato zio.
Ormai passa tutti i weekend a Castine per starmi vicino. Che bravo fratello che ho!
Mi sta aiutando più di chiunque altro ad eccezione di Will, forse.
Oggi, che è sabato, mi accompagnerà a comprare le cose basilari che servono per tenere a casa un bambino.
Sono davvero emozionata. Anche se è una cosa un po’ stupida emozionarmi per delle compere del genere e per le compere in generale. Mi sento davvero stupida.
In macchina, parliamo del più e del meno e ridiamo come due idioti. Mi racconta che le lezioni e gli esami vanno abbastanza bene e che con Amy ha costruito una bellissima relazione. Poi, come mi aspettavo, ha cominciato l’argomento ‘Josh’:
“ Continua a tormentarti, vero?”
“Sì, ma riesco a sopportarlo abbastanza bene.”
“Cosa intendi fare?”
“Non lo so.”
“Ho una sorella davvero coraggiosa.” Dice compiaciuto.
Sorrido.
“È vero! Hai sedici anni e stai per diventare mamma.”
“Non sono così coraggiosa.”
“Invece sì. Ho deciso così e non si discute.”
“Come vuoi.”
Intanto abbiamo parcheggiato e Jack ha fatto il giro della macchina per aiutarmi ad alzarmi.
Devo comprare anche una gru.
Il negozio è enorme. Ci sono una miriade di modelli di culle, cassettoni e passeggini; subito dietro, ci sono scaffali pieni di vestiti in miniatura e ai lati biberon, pannolini e ciucci di tutti i tipi.
Ogni cosa ha un colore pastello così chiaro.
Mi è venuto mal di testa.
Mentre io rimango imbambolata a guardare il negozio, Jack si è diretto verso una commessa con i capelli neri che sembra non sembra molto più grande di me.
“Ciao, possiamo chiedere a te?” Chiede sicuro mio fratello.
“Certo! Come posso aiutarvi?” Risponde gioiosa.
“Ecco ci serve... praticamente tutto!”
La commessa sposta lo sguardo su di me. Sorride e dice:
“Anche tu ci sei cascata, eh?”
“S-scusa?”
“Aspetta qui un secondo.” Dice andandosene.
Io e mio fratello ci scambiamo uno sguardo confuso. La ragazza torna dopo due minuti con in braccio un fagottino. Si  ferma davanti a noi, mi tende la mano e si presenta:
“Ciao, io sono Erin e questa è Brooke, mia figlia. Brooke saluta...”
“...Emily.” Dico, stringendole la mano.
“Quindi anche tu ci sei cascata.”
“Sì.”
“A che punto stai?”
“Ho quasi finito il sesto mese.”
“Quindi sai già se è maschio o femmina...?”
“È un maschio.”
C’è un momento di silenzio imbarazzante, poi, riprendo:
“E lei quando ha?”
“Brooke ha nove mesi. Se non sono indiscreta, tu quanti anni hai?”
“Sedici, tu?”
“Diciotto appena fatti.” Risponde con una punta d’orgoglio nella voce.
Jack si schiarisce la voce.
“Ehm... giusto, andiamo a cercare qualcosa per il piccolo.”
 

*
 

Usciamo dal negozio due ore dopo, io con cinque buste enormi e Jack con tre scatole giganti.
Io ed Erin abbiamo parlato tantissimo e mi ha dato il suo numero, dicendomi di chiamarla per qualsiasi cosa.
Trovare una persona che capisce davvero tutto quello che sto passando è incredibile.

 

 

 

 

*"Il bacon è bacon,
le uova sono uova,
Non lasciar arrivare un ragazzo tra le gambe.
Ti dice che sei carina,
ti dice che vai bene,
nove mesi dopo dice: "Non è mio!"

 

Eccomi dopo un bel po'!
Scusate, ma ho avuto qualche problema con la linea! Ora è tutto ok. =)
Grazie per la pazienza! Aggiornerò prima possibile^^

P.S.: D'ora in poi risponderò alle recensioni alla fine di ogni capitolo! Quindi recensite, recensite, recensiteeee! =D

 

 

@Jora  Sana: Sìììì! Evviva le decisioni sagge xD! 

@sTar___:  Sì, non ti preoccupare, ci saranno risvolti interessanti^^! 

@Ivola: Eh sì, Will è proprio bravo! Sono contenta che ti piaccia! 

@Scoutina: Già, povera! A presto=) 

@Asya89: Grazie sia per i complimenti che per le critiche costruttive^^! 

@margii_pazzoide_chan:  Certo che puoi chiamarmi Gevie^^!  Sono contenta che ti piaccia =) 

@binca:  Grazieeee! =) 

@erikuzzola:  Hey! Sono contenta che abbia trovato la storia e che ti piaccia^^!

 

 

Grazie alle 37 seguite, 12 preferite e 5 ricordate.
Grazie anche ai 4 che mi hanno messo tra gli autori preferiti!

 

Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene.

 
 
Love & Rockets
Geneviève

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Capitolo 13
*** Chapter 12 ***


Chapter q2
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“Emily, possiamo parlare?”
Mi fermo di botto nel corridoio della scuola. Alzo gli occhi al cielo e, senza neanche girarmi, rispondo mentre riprendo a camminare:
“No, Josh.”
“Solo un minuto.”
“No, ho tedesco e non posso fermarmi.”
“Ti prego.”
Sento che si avvicina sempre di più, ma io non posso andare più veloce di così. All’ultimo secondo, spunta Liz da un corridoio e mi prende sottobraccio.
“Grazie.” Sussurro.
“Nessun problema.”
“Sta diventando insopportabile.”
“Ignoralo.”
“Ma è quello che sto facendo!”
Non risponde. Allora riprendo:
“Come va con Adam?”
“Bene, va tutto... benissimo. Si è iscritto all’università di New York. L’anno prossimo mi mancherà.”
“Certo, New York è lontana...”
“Sì, lo so, ma mi ci voglio iscrivere anche io!”
“Sei sicura?”
“Sì, indipendentemente da Adam... Comunque, cosa hai fatto questo weekend?”
“Sono stata fuori con Jack.”
Annuisce.
“Abbiamo comprato la culla, un passeggino, una tonnellata di completini, ciucci e pannolini.”
“Quanto avete speso?” Chiede scioccata.
“Circa mille dollari.”
“È un bel po’...”
“Sì e non ho ancora niente... ah! La commessa diciottenne del negozio ha una bambina di nove mesi.”
“Che coincidenza!”
“Già!”
“Senti, io devo andare di qua.”
“Sì, non ti preoccupare, io sono arrivata.”
 
*
 
Rientro a casa e passo il pomeriggio a fare i compiti. Ho assolutamente bisogno di crediti extra in caso il bambino nasca prima del previsto.
I miei tornano verso il pomeriggio tardo, ceniamo insieme e poi, mentre lavo i piatti, mamma e papà si spostano in salotto a guardare la televisione. Quando finisco, mi affaccio per salutarli.
“Buonanotte.”
“Emily, possiamo parlare un attimo?”
“Certo.”
Mi siedo sulla poltrona e aspetto che i miei comincino a parlare.
“Ecco, io e tuo padre stavamo pensando che, dato che hai preso una decisione tanto importante, dovresti trovarti un lavoro.”
“U-un lavoro? Perché?”
“Perché un bambino è costoso e io e tuo padre non possiamo mantenere sia te che il bambino. Abbiamo anche l’università di Jack da pagare!”
“Capisco quello che dite, ma non so quante persone daranno lavoro ad una mamma sedicenne senza alcuna qualificazione.”
“Qualcuno troverai!”
“E qui a Castine nessuno cerca un aiuto da nessuna parte, per arrivare in città ci vogliono quaranta minuti e non ho neanche una macchina!”
“A proposito della macchina, io e tua madre abbiamo una sorpresa per te.” Dice mio padre, sventolandomi davanti alla faccia un mazzo di chiavi.
“Una macchina?! Una macchina? Una macchina!”
Più veloce che posso (e non è molto) mi fiondo in giardino. Un veicolo nero chiaramente usato, ma comunque in ottimo stato, è parcheggiato sul vialetto. Mi giro e mi butto tra le braccia di mio padre.
“Grazie! Grazie! Grazie!”
“Sono contento che tu sia così felice! Ora trovati un lavoro!”
“Certo!”
Mentre sto ancora saltellando come un folletto, sento un calcione che mi mozza il respiro. Mi fermo istantaneamente e mi piego sulle gambe, senza fiato. Mio padre mi tira su e mi porta in casa.
Non sei simpatico, piccolo.
Appena mi riprendo, vado in camera mia e mi infilo il pigiama. Sono comunque troppo esagitata per andare a dormire, quindi chiamo Will.
“Pronto?”
“Indovina cosa mi hanno regalato i miei!”
“Un... gatto...?”
“Una macchina!
“Wow! È grandioso!”
“Sì! Che bello! Sono felice all’incredibile!”
Parliamo per un’altra decina di minuti e, quando chiudiamo la chiamata, sono d’accordo di vederlo nel weekend.
Sono davvero troppo eccitata per dormire, ma il bambino continua a scalciare come un matto e quindi mi costringo ad addormentarmi per calmarmi e calmarlo.
Nei giorni successivi rifaccio l’esame per la patente, passandolo decisamente bene. Ho anche cercato lavoro, ma, come avevo previsto, nessuno mi ha assunto. Quindi, giovedì, decido di chiamare Erin per un consiglio.
“Pronto?”
“Ciao, Erin, sono Emily, la ragazza incinta.”
“Ciao! Come stai?”
“Bene e tu?”
“Non... non c’è male. Brooke?”
“Sta bene, grazie.”
“Senti, ho bisogno di un consiglio: ho bisogno di un lavoro, tu come l’hai trovato?”
“Ehm... in realtà, ho avuto solo fortuna.”
“Capisco.”
“Senti, ti va se ci prendiamo un succo di frutta o qualcosa del genere la settimana prossima?”
“Certo! Dovrei essere in città mercoledì pomeriggio per una visita.”
“Ok, allora ci vediamo la settimana prossima.”
“Ok, ciao.”
“Ciao.”
Non ho un lavoro, ma ho una nuova amica.
Non male.
 
*
 
Ti passo a prendere alle 20. Puntuale. Vestiti elegante. Ho una cosa molto importante da dirti. A dopo, Will.
Il messaggio di Will mi sveglia dal dormiveglia del mio pisolino pomeridiano. Sono già le cinque abbondanti (alla faccia del ‘pisolino’) , quindi decido di andare a fare una doccia.
Mentre mi rilasso sotto il getto caldo, comincio a pensare.
Chissà che mi vorrà dire Will...
Spero che non vorrà dirmi che gli piaccio e che vorrebbe stare con me.
Insomma, ho appena rotto con il mio primo e per ora unico ragazzo!
Di cui, tra l’altro, sono incinta.
Non ho né la forza né la voglia di intraprendere una nuova storia.
Non voglio deluderlo e non voglio che si allontani da me.
E poi perché vuole che mi vesta elegante?
Sbuffo e chiudo gli occhi. Quando li riapro, lo sguardo cade sulle dita.
Sembrano le zampe di una tartaruga, quindi decido di uscire dalla doccia.
Dopo essermi asciugata, vestita e asciugata anche i capelli, rotolo fino in cucina per cenare. I miei non sono contentissimi che io esca, ma non oppongono molta resistenza.
Dopo aver messo via i piatti mi siedo in salone ad aspettare. Alle otto in punto, suona il campanello. Io, visto che ero sovrappensiero, faccio un salto che mi fa arrivare al soffitto.
Afferro la borsa ed esco.
Will è appoggiato alla sua macchina. È visibilmente nervoso. Io sorrido e mi avvicino.
“Ciao!”
“Ciao.”
“Dove andiamo?”
“Al cinema.”
“E perché mi sono vestita elegante?”
“Perché è una prima.”
“Una prima?”
“Sì, il film esce a luglio e in alcuni paesi fanno la prima.”
“Ok. Che film è?”
“Si chiama ‘(500) Days of Summer’*. Non ho idea di cosa sia.”
“Ok, allora andiamo?”
“Sì.”
Saliamo in macchina e Will è così agitato che non riesce nemmeno a infilare le chiavi per mettere in moto.
Quando (finalmente) riusciamo a partire, lui non mi guarda neanche in faccia.
Mi sta irritando.
Si comporta in questo modo strano e mi ignora finché non ci sediamo in sala, ma, appena apro bocca per chiedergli cosa c’è che non va, il film inizia.
È una maledettissima commedia romantica!
Però non è male, è... insolita.
Seguo la trama con attenzione per non pensare alla conversazione che tra poco dovrò affrontare.
Quando le luci della sala si riaccendono per l’intervallo, i miei nervi si tendono come corde di violino. Con la coda dell’occhio vedo Will che fa un respiro profondo e su gira sulla poltrona per parlare faccia a faccia.
“Ems?”
“Sì?”
“Devo dirti una cosa...”
“Lo so.”
Will sembra spiazzato dalla mia interruzione e ha anche perso il filo, ma, dopo una breve pausa, riprende:
“Ecco, non è facile dirlo, ma... ma... io...”
“Oddio parla!”
“Ecco, è da poco che l’ho capito e non l’ho detto a nessuno, ma credo di essere...”
“Will, ti prego, ti prego, non dirmi che ti piaccio perché io n-non riuscirei a sopportarlo! Insomma, io...”
“GAY!”
Oh.
Questo, sinceramente, non me l’aspettavo.
È un bel sollievo.
Vuol dire che non gli piaccio e che...
No, aspetta.
Will è gay?!
“S-sei gay? Come...? Cosa...? Quando...?”
“Lo so che è strano, ma, sai, al college ho incontrato questo ragazzo e una sera mi ha baciato e mi è piaciuto, tanto. Poi abbiamo cominciato a uscire e adesso stiamo insieme.”
“Wow.”
Devo essere davvero pallida perché Will mi chiede:
“Stai bene? Sembra che tu stia per svenire...”
“No, sto bene. Solo... è solo che non me l’aspettavo. Voglio dire, la prima volta che ci siamo rivisti mi hai chiesto se ero fidanzata e non sembravi troppo contento che lo fossi...”
“Sì, lo so, ma le cose cambiano...”
“È ok, Will. Davvero. Non mi devi spiegare nulla.”
“Em, non l’ho detto neanche ai miei. Sei la prima a cui lo dico perché mi fido totalmente di te.”
Senza dire altro, lo abbraccio. Sembra contento che l’abbia presa così bene.
Le luci in sala si spengono di nuovo e noi ci risistemiamo bene sulle poltrone.
Quando finisce la proiezione, mentre ci avviamo alla macchina, commentiamo il film e osservo:
“Joseph Gordon-Levitt è davvero bello.”
“Hai proprio ragione.”
Sorrido mentre apro la portiera e mi sistemo sul sedile del passeggero. Mi faccio spiegare meglio come Will ha capito che gli piacevano i ragazzi. Con molto piacere inizia a spiegare. Dopo un po’ si interrompe e dice:
“Dovresti parlare con Josh.”
Non rispondo.
Non voglio parlare con... quello.
Vedendo che non rispondo, Will riprende:
“Emily, state per avere un bambino! Anche se non state più insieme sarete legati per sempre da questo bambino!”
“Lo so.”
“Allora che vuoi fare? Vuoi che tuo figlio non abbia un padre?”
Non ribatto.
“Emily, se lui ha voluto essere immaturo non vuol dire che devi esserlo pure tu. Chiamalo e dirgli che vuoi parlare. Solo parlare.”
Guardo l’orologio. Mezzanotte e ventiquattro.
Compongo il numero di Josh.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Forse dorme.
Quattro squilli.
Forse ci ha rinunciato.
Cinque squilli.
Forse è impegnato.
Sei squilli
Sto per attaccare.
Sette squilli
Ora attacco.
Otto squilli.
Attacco.
“Emily?”
Mannaggia.
“Dobbiamo parlare.”
“Certo, come vuoi.”
“Domani. Da me. Alle cinque.”
“Certo. Certo, ci sarò! Emily, grazie. Grazie mille. Non sai quanto significhi per me.”
“Non ti sto chiedendo di tornare con me. Ciao.”
Chiudo la chiamata senza aspettare la sua risposta.
Sospiro e guardo verso il viso trionfante di Will.
“Contento?”

 

 

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Will =D

* Il film in italiano si chiama (500) Giorni insieme!
 
 
 
Eccomi di nuovo!^^
Scusate se aggiorno con discontinuità, ma ho un sacco da studiare e quindi non riesco a scrivere quanto vorrei =(!
Cercherò di aggiornare prima possibile :)

@ Scoutina: Sono contenta che apprezzi tutte le sfumature del carattere di Emily che sto cercando di creare! Continua a seguirmi, eh! xD
 
@ sTar__: Ho in serbo molte sorprese per voi! Sono contenta che ti piaccia^^
 
@ Ivola: Probabilmente soddisferò la tua richiesta di un seguito :D! Continua a farmi sapere la tua opinione!
 
@ Jora Sana: Non ti preoccupare per la parola xD! A presto!
 
 

Grazie alle 43 seguite, 16 preferite e 6 ricordate.
Grazie anche ai 4 che mi hanno messo tra gli autori preferiti!

 

Ringrazio anche Marco che mi ha dato quest'idea geniale per Will c:
 
Un grazie molto speciale a:
Diana e Giulia le mie più assidue lettrici =)
Mi state spingendo a continuare a scrivere :D
Vi voglio bene. 
 
 
Love & Rockets
Geneviève

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