= Genesis =

di thewhitelady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Desert storm ***
Capitolo 2: *** Benson&Hedges ***
Capitolo 3: *** The Half-Lord ***
Capitolo 4: *** Airplane ***
Capitolo 5: *** Until the end ***
Capitolo 6: *** Born on different clouds ***
Capitolo 7: *** The Man and Magical Lemonade ***
Capitolo 8: *** DON'T BELIEVE WHAT PEOPLE SAY. I'M INNOCENT ***
Capitolo 9: *** Outta Time ***
Capitolo 10: *** The Attitude of a Killer ***
Capitolo 11: *** The Otherside ***
Capitolo 12: *** Aretha ***
Capitolo 13: *** A trip at the Museum ***
Capitolo 14: *** The Man Who Sold the World ***
Capitolo 15: *** Champagne Supernova ***
Capitolo 16: *** About Money ***
Capitolo 17: *** By The Way ***
Capitolo 18: *** Where Did It All Go Wrong? ***
Capitolo 19: *** Prae Mortem ***
Capitolo 20: *** None Cloud has a Silver Lining ***
Capitolo 21: *** Post Mortem ***



Capitolo 1
*** Desert storm ***


= Genesis =
 
 
 
- Questo è solo la Genesi, dobbiamo passare ancora per l’Esodo, il Levitico e tutto il Vecchio Testamento prima d’arrivare a qualcosa – Eneas Clayton
 
 
- Prologo -
Le volpi del deserto cominciarono presto ad uscire dalle tane insabbiate tra le dune. Erano affamate, percepivano che la preda era debole. C’era odore di morte nell’aria, e quel dolce richiamo arrivava prima nell’aria afosa che precedeva il tramonto.
Iniziarono a girare intorno alla preda, in cerchio, erano già tre giorni che aspettavano, ormai erano impazienti e nervose: lotte sporadiche scoppiavano trai membri del branco. I più giovani erano eccitati come solo prima di un’uccisione, i vecchi al contrario serbavano le energie, consci che a loro sarebbe bastata la sola posizione gerarchica per accaparrarsi la carne migliore. Non fosse stato per la fame avrebbero potuto sembrare disinteressati alla caccia, ma anche loro percepivano già il sapore di sangue.
Il sole sfolgorante stava per spegnersi coperto dalle alte dune. L’ululare del vento era forato da un rantolo profondo, agghiacciante per la forza con cui sconquassava il corpo che lo emetteva; ma le volpi non avevano compassione da provare, e se anche l’avessero avuta non l’avrebbero spartita. Era solo il loro primo pasto abbondante dopo giorni di digiuno.
Un esemplare particolarmente giovane, poco più che un cucciolo s’avvicino a quella strana carcassa ansimante che strenuamente continuava ad avanzare, appena tentò un’offensiva l’essere parve riaversi e cercò di colpirlo con un coltello. La bestia schivò la lama, inferocita si rigirò cercando d’intimidire la preda, un attimo dopo ritornò  tra le file dei compagni.
L’ultima difesa contro la giovane volpe aveva stremato Iljich Sokolov, quella semplice azione gli era costata l’ultima stilla di forza: le ginocchia si fecero molli sotto il suo peso, cadde a terra con un tonfo, come se fosse stato morto.
E infondo era come se la morte l’avesse già abbracciato, era solo una carcassa arsa dal sole mossa da un ideale, che non sembrava più così nobile. Ripensò alle parole dei suoi generali: il massimo onore sarebbe stato morire per il socialismo, per Mosca, per Marx, per Lenin e per Stalin…e per una serie di altra gente baffuta di cui nemmeno ricordava il nome. Al momento però la sua più alta convinzione era che morire per un ideale, di altri soprattutto, fosse una cosa detta da gente che era spirata seduta comodamente in salotto. Ora che se ne stava accasciato con il sapore della polvere in gola e le mani piagate dal sole, non vide nessun proposito in quelle ferite. Non uno che giustificasse il morire a migliaia di chilometri da casa; no, non di certo a diciannove anni.
Fissò le volpi, oltre di loro un’infinita pietraia, e poi le dune e dietro queste il crepuscolo. Appoggiò la testa contro la sabbia, era il momento della giornata che preferiva: il tepore emanato dal terreno prima del freddo notturno. Chiuse gli occhi, non sarebbe stato male riposare un po’ una volta tanto prima di riprendere il viaggio; si lasciò scivolare via, lentamente.
Avvertì solo vagamente una fitta ad un polpaccio, i denti della giovane volpe che penetravano nella carne.
 
 
Venti soffiavano con forza a tratti impressionante tra le dune, dando vita ad una specie di sinfonia segreta che entrava nelle orecchie e nel cervello di chiunque l’ascoltasse come una litania. Pareva poteva essere solo l’insieme di tutti i respiri affannosi mozzati dal deserto in centinai di miglia di giornate assolate come quella. Un uomo vestito di nero si passò un fazzoletto di lino sulla fronte, mentre con gli occhi scrutava attraverso un paio di lenti oscurate l’intero paesaggio. Le dune, la pietraia, i cespugli, i serpenti sotto le pietre, ogni singolo granello di sabbia che era stato confinato in quell’inferno passava sotto la sua analisi. Si portò alle labbra una tazzina di caffè forte, fatto alla maniera dei nomadi, infine fece ritorno all’enorme tendone bianco che era stato montato apposta per lui, ma che alla fine non usava quasi mai: malgrado avesse decine di sottoposti sentiva il bisogno fisico d’assistere, di fare lui stesso.
Sedette, stava in una posizione rigida che sottolineava quanto fosse pronto da un momento all’altro a scattare in piedi. Fissò la linea dell’orizzonte, si confondeva col terreno a causa della polvere sollevata dal vento. Immaginò come doveva essere quel luogo migliaia d’anni prima, forse era una valle verdeggiante, una brughiera infinita magari persino un lago… il punto era che quel luogo era cambiato con lo scorrere dei secoli, e gli uomini non ci avevano potuto far niente, e tanto erano abituati ai cambiamenti. L’uomo in nero pensò quanto questo fosse positivo, e che lo fosse anche di più se ad apportare il cambiamento fosse stato lui. Sperava che questo avvenisse presto e ancor più sperava di poter andarsene il prima possibile da quel posto maledetto, odiava il deserto qualunque esso fosse.
Incrociò le mani sul ventre. Vide un suo collaboratore corre velocemente verso di lui, prima ancora che potesse raggiungerlo, l’uomo in nero s’alzò rapido e gli venne incontro, senza una parola lo seguì, un sorriso soddisfatto gli stava schiarendo il volto bruciato dal sole. Camminarono per pochi minuti sino ad arrivare ad uno scavo enorme, uno studioso dall’aria pensosa se ne stava impettito con una busta in mano, che consegnò all’uomo in nero che senza molto rispetto per il reperto l’aprì e ne tirò fuori un quadernetto consunto che per miracolo pure era ancora integro. Gli diede una scorsa veloce, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo dopo per studiarlo approfonditamente. S’infilò la busta di plastica nella tasca della camicia, proprio davanti al cuore. Poi si chinò ad osservare l’intero ritrovamento: una cassa toracica, un femore, un teschio e qualche brandello di tessuto  verde. Sollevò il teschio umano prendendolo dalla calotta cranica rotta, probabilmente dagli animali spazzini per cibarsi del cervello; gli occhi rapaci dell’uomo scintillarono ancor più inquietanti che le vuote orbite del teschio. Per un secondo il sottoposto e lo studioso avrebbero potuto giurare d’aver visto un impossibile sguardo d’intesa trai due. 
 

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Capitolo 2
*** Benson&Hedges ***


INFO: in questo capitolo vi presento i personaggi, più che altro questa è una caratterizzazione, di loro si scoprirà più avanti. Nel prossimo capitolo finalmente un po’ d’azione muaaahuha
PS: ho l'abitudine d'inserire canzoni che spesso dicono dei pg molto più che le stesse descrizioni, non so serve qualche disclaimer o che, comunque: il testo della bellissima Fade to Black è dei Metallica...  
 
La brezza spirava trai rami degli alberi e ne piegava le fronde al suo passaggio, increspava l’acqua del lago che s’infrangeva nelle insenature e sulla grigia banchina. L’aria estiva era secca ma non troppo pesante per gli abitanti del luogo, il cielo limpido e completamente privo di nubi diventava tutt’uno riflettendosi nei vertiginosi grattacieli vetrati. Specchi che ogni giorno riproponevano la stessa formicolante città in preda alla quotidiana frenesia.
Ma il porto era un’altra cosa, per quanto vi fossero in giro sempre dei lavori in corso, quello rimaneva un piccolo Eden quasi completamente distaccato dalla down-town di Chicago A mattinata già inoltrata la giornata trascorreva placida e sonnecchiosa. In lontananza si udivano appena gli schiamazzi dei bambini che giocavano nei parchi e sui marciapiedi, sotto il vigile sguardo delle madri. Al molo, un vecchio con gilè e canna da pesca in mano si guardava intorno sconcertato e rammaricato, quella mattina non si prendeva niente.
Lì accanto, una barca si faceva cullare docilmente dalle onde, su e giù, con un ritmo perfetto. Il vecchio la vedeva da anni, era una bella imbarcazione, di legno, non certo moderna o una degli ultimi modelli, però aveva quella classe innata e per quanto non fosse stata creata per solcare i mari dava l’idea d’essere pronta in qualsiasi momento per salpare.
All’improvviso però la quiete del molo fu interrotta dal cominciare di una musica dapprima attutita ma che poi esplose in un rombo di tuono, tanto forte da far volare via i fringuelli che si erano posati sul tetto della barca.
I have lost the will to live
Simply nothing more to give
There is nothing more for me
Need the end to set me free

Things not what they used to be
Missing one inside of me
Deathly lost, this can't be real
Cannot stand this hell I feel

Emptiness is filling me
To the point of agony
Growing darkness taking dawn
I was me, but now he's gone

 
Poi come era iniziata la musica se ne andò proprio mentre aveva raggiunto il suo apogeo, fu attimo di silenzio e poi un trambusto impressionante come se sotto coperta si stesse svolgendo una lotta. Nemmeno mezzo minuto dopo un uomo sbucò sul ponte, non aveva per nulla l’aria del pescatore ma si capiva che qualcosa, diverso dalle tempeste marine ma non meno potente l’aveva consumato. Si guardò attorno con sguardo saettante, poi con un balzo raggiunse il molo facendo vacillare appena la barca. Si muoveva con passo svelto ed impaziente che esaltava il fisico da nuotatore, le spalle quasi gli stavano strette nella giacca di pelle che aveva visto tempi assai migliori
Questa volta lo perdo… mannaggia alla sveglia!
In mano teneva un borsone di cuoio logoro e in alcuni punti sdrucito, sembrava stesse per scoppiare talmente era pieno. Mentre si avviava verso W. Churchill road, si sistemò un cappello militare in testa, lo pigiò con una mano più in fondo cercando di imbrigliare la massa di ribelli capelli corvini che sgusciavano da tutte le parti. Si diresse verso un taxi parcheggiato nelle vicinanze di un bar - il Sgt. Pepper and Lonely Hearts Club - ad aspettarlo con la portiera aperta c’era un uomo. Era basso e di origini messicane, a giudicare dai lineamenti. Fece un sorriso a trentadue denti, anche se nel suo caso ne mancavano alcuni all’appello – Mister, se mi da il bagaglio lo sistemo nel vano posteriore – disse esibendosi in un mezzo inchino
- Ma fammi il piacere! –
Sbatté il borsone sul sedile posteriore e si sedette a sua volta. Il messicano fece lo stesso al posto di guida, accese il motore e partì. – Fammi indovinare, se in ritardo? – chiese con la faccia di chi la sa lunga – Sì e non mi chiamare mister, mi fa venire i nervi. Meglio Liam – gli rispose una voce da dietro.
– Lo sai che ti prendo in giro. A parte che Mr. Keeran suona male. Sembreresti un impiegato delle pompe funebri! -.
Attraversavano la città zigzagando tra le macchine e gli incroci, rispettando raramente i limiti di velocità o gli stop. Keeran non se ne curava, aveva ben altro per la testa e non smetteva mai di controllare l’orologio.
Se non prendo la coincidenza per New York... sono fottuto...
- Non puoi prendere una scorciatoia? Una di quelle che sai tu. Devo prendere per forza il volo delle 11.30 –
 -Seguro mi señorita
Se c’era una persona al mondo che conosceva così bene Chicago, quello era sicuramente Pablito. Keeran al contrario chissà perché non aveva mai avuto la voglia di conoscere la città al di fuori del centro, quel luogo non era casa sua, lo era solo la sua barca.
D’altro canto non si sarebbe fatto problemi a guidare per le strade di Tel Aviv, Tokyo, Barcellona, Mosca e molte altre senza neanche la cartina, ma dentro Chicago si sarebbe perso dopo due minuti.  E tutto questo per colpa di suo padre che lavorava nella Marina. Progettava e studiava con un gruppo i piani d’azione ed in pratica organizzava missioni. Con gli anni era pure diventato abbastanza famoso tra quelli del settore, ma una promozione voleva dire un nuovo dislocamento e così cambiavano spesso casa. Molto spesso.
Keeran per questo motivo era divenuto un ragazzino davvero brillante. Aveva viaggiato più di molti adulti e crescendo nelle basi militari o a bordo di portaerei per salvarsi dalla noia s’era rifugiato nella sua vorace voglia di scoperta e conoscenza; questa era la ragione per cui parlava più di cinque lingue, il secondo era che gli bastava mezz’ora al tavolo con uno straniero per cominciare a masticare l’arabo come il cinese…
E comunque in generale fin da bambino era sempre stato il miglior amante del rischio, un vera peste prima e a diciassett’anni uno sciagurato che non aveva neppure finito l’High School per iscriversi, falsificando la firma di suo padre, nella Marina Militare. Questo giusto un paio d’anni prima di prendere il ‘tridente’ dei SEAL e mantenerlo per un po’.
Soltanto da qualche tempo lavorava vicino all’università, al Governament Society of  Technologies, o GST. Si faceva di tutto in quel palazzo. Infatti praticamente dall’uomo delle pulizie al più alto dirigente, erano tutti delle persone particolari, e tutti avevano una cosa in comune: avevano fatto storcere il naso allo zio Sam. E questo però intravedendo in loro un  potenziale aveva deciso di proporre loro un chance, lavorare al GST, evitando la galera. Proprio per questo, dalle altre agenzie governative, veniva chiamata ‘ la casa degli esuli ’. Ma il reparto che gestiva lui era ancora più diverso e speciale degli altri…
Il taxi fece una brusca frenata, ed Keeran che non si era allacciato la cintura sbatté la testa contro il sedile anteriore.
- Cosa diamine è successo? – disse strofinandosi la fronte, dove già si stava allargando un livido violaceo.
- Siamo arrivati - rispose Pablito.
Keeran non replicò, dopo avergli lanciato i soldi per la corsa sul poggia-gomito e aver detto – Ci vediamo Pablo! Salutami tua moglie ed i piccoli – era sparito correndo nella fiumana di gente che affollava l’entrata dell’aeroporto.
Questi americani sono sempre in ritardo e di fretta, pensò il piccolo messicano girando le chiavi nel quadro.
Keeran correva veloce, scansando le persone per non colpirle e serpeggiando tra le code ed i corridoi. Alla fine raggiunse il check-in, dove un’inserviente molto carina gli indicò il gate a cui dirigersi e lasciandogli in mano il biglietto, Keeran dopo averle riservato uno dei suoi sorrisi migliori se ne andò frettolosamente
23…24…25… Eccolo! Gate 25!
Aveva individuato la sua meta, lo steward stava già chiudendo l’entrata, allungò il passo – Aspetti, aspetti. Mi dica che il volo non è partito – disse ansimando profondamente – Mi faccia vedere il biglietto e si sbrighi – l’uomo era irritato, ma lo fece passare comunque.
Dopo aver percorso il tunnel che portava alla pancia del velivolo, e aver tirato un attimo il fiato, arrivò al suo posto e mise sopra il sedile il bagaglio a mano. Però quando abbassò lo sguardo c’era qualcosa che non andava. Seduto accanto alla sua poltroncina c’era un uomo, dall’aria fin troppo familiare…
- Cosa ci fai qui? – domandò sbalordito, l’altro non sembrava neanche essersi accorto della presenza di Keeran, portava degli occhiali da sole a goccia, Rayban, troppo scuri per far vedere un qualsiasi movimento degli occhi verde smeraldo, che già da soli facevano un personaggio
– Sei in ritardo. E comunque lo sai…- rispose togliendosi gli occhiali.
- No, illuminami tu Dan –
Quello che si era trovato davanti era Daniel Fang, suo amico da anni, non che collega ed ombra. Keeran lo conosceva come le sue tasche ed in un certo senso erano come fratelli. Anzi era suo fratello.
Fang era più alto di lui di un pezzo - intorno al metro e novantacinque - e un po’ meno piazzato, le ginocchia per poco non gli finivano nel sedile davanti. Aveva capelli cortissimi e un sorriso accattivante che con gli occhi verdi veleno gli  donavano un’aria da ladro gentiluomo. Politicamente scorretto, anticonformista, anti-tutto dichiarato nonché genio non dichiarato.
Quando Keeran aveva terminato bruscamente la sua vita di giramondo che era poco più che un ragazzetto dal forte accento dell’est, e s’era trasferito a Pittsburgh, si era anche trovato una sorpresa il primo giorno di liceo: Brass, e così furono sempre vicini di banco.
Erano fusi in un’amicizia indissolubile, ma non per questo contraddittoria. All’ultimo anno, poi, Brass si era trasferito a casa sua dopo una grave lite con i genitori adottivi. Infatti lui era orfano dalla nascita ed anzi come lui stesso si definiva era un bastardo dall’ignobile ed indistinta progenie. All’università si erano divisi, però senza mai perdersi di vista. Brass aveva scelto ingegneria meccanica applicata e Keeran che i libri non facevano per lui. Avevano condiviso tutto: casa, famiglia, scuola e persino una ragazza.
Da tre anni lavoravano nello stesso edificio, al GST, anche se in reparti completamente differenti.
- Ho saputo da Adam, che ha saputo da Bessie, la nuova segretaria, che ha saputo da Clayton che ti ha concesso una “vacanza”, in seguito alla nostra piccola avventura… Le ferie le ha date pure a me così… – si spiegò un po’ articolatamente.
Eneas Clayton era il loro capo, il grande capo, quello che gestiva tutto il GST. Era un uomo dalla disciplina ferrea, ma che si esprimeva con maniere inconsueta – fondamentalmente un gran bastardo - , temprata negli anni passati come generale dell’esercito Britannico. Era un fanatico del suo Paese cui era morbosamente attaccato e fedele, per questo rimaneva un mistero il motivo per cui si era trasferito in America.
L’unica cosa che pareva importargli era il bene del GST, non del singolo. L’avevano visto prendere decisioni controverse che penalizzavano alcuni dipendenti, il tutto mantenendo una fredda indifferenza. Infondo però a Keeran piaceva credere che qualcosa restasse a Clayton, che non riuscisse a non far scalfire la sua armatura d’acciaio.  
- E con ciò? Non mi hai risposto – esclamò Keeran, che non era irritato tanto per la comparsa dell’amico, anzi, ma per il fatto che questo non l’avesse avvisato.
- Sapevo che andavi a Londra. E se ci vai, ci può essere un solo motivo… -
- …Poole – concluse Keeran, che intanto aveva preso posto sul sedile. – Lo sai che sei insopportabile? Ti odio – fece scherzosamente.
 - Non è colpa mia; dote di natura -.
Ma sul viso di Keeran si dipinse un ghigno – Lo sai che il volo dura nove ore, vero? Come farai? –
Brass amava quattro cose: le donne, il dormire, la buona birra e le donne. In più era un fumatore incallito, un vero cultore. Non certo uno di quelli che fanno un tiro per sigaretta lasciandola bruciare per vezzo, era un cliente tanto fedele delle sue Benson & Hedges che di sicuro prima o poi l’azienda gli avrebbe regalato un orologio d’oro come premio fedeltà. Keeran sapeva che l’amico non poteva resistere per più d’un paio d’ore.
- Ti preoccupi per me? Comunque per zelo mi sono fumato un pacchetto e mezzo in aeroporto. Dovrei avere un’autonomia sufficiente – era noncurante della cosa.
– E poi? –
- Dirotterò l’aereo! – esclamò semplicemente, si rigirò e prese a dormire come un sasso.
- Davvero niente male come piano – commentò Keeran, il velivolo intanto aveva già finito di rollare sulla pista e dopo essersi librato nell’aria, cominciò la sua lunga traversata verso l’Inghilterra sopra l’estivo paesaggio dell’Illinois. Fin dove l’occhio si perdeva si potevano ammirare solo campi di grano dalle spighe ricamate d’oro, alternati a prati d’erbe come in un’immensa scacchiera.
 
 
Il taxi sfrecciava veloce nella campagna inglese. Era già un’ora, dopo essere usciti da Londra, che viaggiavano per le tortuose stradine inglesi dello Yorkshire. Non c’era nessun’altra auto a parte la loro, erano immersi nel silenzio più totale, tant’è che le immagini fuori del finestrino potevano essere benissimo i fotogrammi d’una sequenza filmica oppure il preludio d’un pallosissimo documentario bielorusso.
- Quand’è che ti ha chiamato? – esordì Fang.
- All’incirca un mese fa – bofonchiò Keeran che scrutava con sguardo assente i campi di girasole.
- E vai da lui solo adesso? –
- Mi aveva detto di aspettare un po’ di tempo prima di volare in Inghilterra – Keeran ora era più attento, quasi interessato alla questione – Perché doveva far calmare le acque. Non mi ha detto di che si tratta. Ma sai da dopo l’incidente mi sembra più paranoico… - si raddrizzò e si girò verso Fang come per sapere cosa ne pensava.
- Se ti finisse addosso un tir saresti anche tu un poco paranoico! - ghignò Fang – Seriamente… -, anche se non sembrava capace di restare serio, - Da quando è diventato zoppo, è sembrato un po’ strano anche a me. Però sai per un tipo come lui deve essere stata una batosta incredibile; comunque io mi fiderei, se voleva far così è perché c’è qualcosa sotto. Non è stupido, anzi, è una delle menti più sfolgoranti che abbia mai conosciuto –, poi facendo spallucce aggiunse – Ehi, è il tuo padrino, mica il mio. Se non lo sai tu –
Intanto stava accendendo una B&H, la teneva tra le dita passandola da una mano all’altra, mentre fumava. Era teso, non era sicuro nemmeno lui di quel che aveva appena detto, proprio perché Poole era furbo faceva più fatica a fidarsi.
Vedremo cosa ne verrà fuori
 

 
 
Traduzione Fade to Black (Metallica):

ho perso la voglia di vivere
semplicemente,non ho più niente da dare
non c'è più niente per me
ho bisogno della fine per liberarmi

le cose non sono più come prima
manca qualcosa dentro di me
terribilmente perso,non può essere vero
non riesco a sopportare il male che sento
 
il vuoto mi riempie
fino all'angoscia
crese il buoio che porta l'alba
ero io,ma ora se ne è andato
 

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Capitolo 3
*** The Half-Lord ***


 
Con un po’ fatica il taxi riuscì ad arrampicarsi sulle ultime curve del viottolo, ma alla fine, arrancando, riuscì a parcheggiare nel grande spiazzo di ghiaiato davanti alla villa; era abbarbicata su di una collinetta, era il tramonto e il tutto formava un insieme pittoresco. Il sole vestiva d’oro la piccola facciata e il tetto d’ardesia gallese risplendeva sotto i raggi.

- Sono 45£ - fece l’autista, che fino a quel momento era stato ignorato. Keeran pagò la parcella e il veicolo se ne andò, e dopo una sgommata sul ghiaietto il rombo del motore era già scomparso in lontananza.

Si avviarono bagagli in mano sulla scalinata che portava alla villetta, che era stata costruita con inconfutabile gusto. Linee essenziali, pareti candide e lisce. Very British. Suonarono il campanello senza esitazione, un paio di minuti dopo apparve alla porta un ometto, non più alto di un metro e sessantacinque. Le rughe sul pallido viso erano profonde, almeno quanto erano folti i capelli che incorniciavano il volto, argentei come i baffi. Aveva un’età indefinibile, certo più di settant’anni, portava due bastoni per sorreggersi, una gamba tremava e l’altra non sembrava nemmeno reggere le vecchie membra. Però la presa sui manici era ben salda e talmente forte in quel momento da far trasparire le nocche bianche.
-Volete accamparvi lì per caso? Su entrate – parlava con voce roca James Poole, e anche se poteva sembrare debole non lo era affatto, aveva partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, seppure come trattorista. Lì aveva imparato a mantenere il sangue freddo, perché se non avesse appreso, lui figlio di uno stalliere del Kent, probabilmente non sarebbe stato sulla soglia di quella porta o più semplicemente non sarebbe stato affatto.
Per meriti di guerra, lo Stato gli pagò gli studi. Si laureò a pieni voti ad Oxford in storia medievale. Viaggiò molto, per l’Europa, l’Africa e l’Asia, e quando capì che non era tagliato per la cattedra aveva già più di trent’anni, quindi mise le sue conoscenze al servizio di una spedizione che doveva ritrovare in un castello abbandonato in Germania un tesoro andato perso e  col tempo dimenticato.
Le ricerche finirono grazie a lui, che riuscì a trovare un passaggio nascosto nel pavimento. Ritrovarono dei pezzi di inestimabile valore e da allora Poole diventò anche uno stimato archeologo. La fortuna non gli voltò mai le spalle e per molto tempo scoprì oggetti antichi e di valore; il Times lo mise più di una volta tra gli uomini di maggior successo degli ultimi dieci anni, però mai figurò tra i più ricchi.
La sua carriera terminò tragicamente quando una decina d’anni prima fu coinvolto in un incidente autostradale e soltanto per miracolo non morì, ma da quel momento in poi non poté più partecipare a scavi o spedizioni di qualsiasi genere per via di come erano state compromesse le gambe. Di questo ne risentì molto e si ritirò a vita privata.
 
 
Erano entrati in uno spazio semplice, ma ben arredato, con mobili antichi e quadri di tutti i tipi. La stanza però era dominata da un imponente libreria di ciliegio a parete, era infinita, copriva tre lati del perimetro del salotto. Ogni scaffale sosteneva però decine di libri, non romanzi, quelli occupavano appena tre ripiani e mezzo, gli altri erano tutti libri storici, alcuni anche antichi. Raccontavano di battaglie, la Guerra dei Cent’Anni, la Rivoluzione americana e francese. Le grandi scoperte, le traversate di Magellano, Vespucci e Cook. Altri ancora erano come dei vocabolari di strane lingue oppure la traduzione di trattati.
Poole si accomodò in una poltrona di pelle e fece segno di fare lo stesso ai suoi ospiti, sul tavolino di cristallo c’erano dei liquori e degli amari.
- Volete qualcosa da bere ? – disse mentre si versava un Whisky dal bel color ambrato
- Jhonnie Walker–  chiese Keeran
-  Jack Daniel’s! – gli fece eco Fang
Keeran lo osservava mentre preparava i drink, nella sua vestaglia bordeaux il vecchio Poole non sembrava  affatto cambiato: un portamento innato, nonostante fosse proveniente da una famiglia di un rango non certo molto elevato, i baffi curati alla perfezione. Un Lord  vero e proprio visto che era stato fatto baronetto dalla regina.
Dopo aver finito di bere rimasero in silenzio per un po’, aspettando che qualcuno parlasse. Il primo fu Keeran – Allora come te la passi? Tutto bene? –. Poole aggrottò le sopraciglia – Puttanate! Come se te ne importasse veramente… Muori dalla voglia di sapere cosa ho trovato. Non è forse vero? Sei sempre stato così, curioso fin da quando eri un pestifero marmocchio! – si versò dell’altro Whisky
- Hai ragione. Diamine se hai ragione! Sono curioso di sapere perché mi hai chiamato per venire in questo luogo dimenticato da Dio – Keeran sapeva che l’uomo era permaloso, però si divertiva a stuzzicarlo.
– Vuoi proprio saperlo è? Ma dovrai aspettare ancora un po’, con me non attacca! Non sono certo come Clayton… Per trovarlo ci ho messo anni. Ok. Ho chiesto aiuto a te, però se non ti va di stare qui, allora ‘fanculo. Non c’è dubbio che tu sia il migliore, ma non mi va di farmi prendere per il culo! – portamento da Lord, non certo la lingua…
Poole era leggermente rosso, però preferiva una discussione sanguigna e sincera, non era il tipo di persona da fare giri di parole.
Keeran lo guardava meravigliato, un po’ era cambiato. Un tempo si sarebbe arrabbiato molto di più, si aspettava di peggio. Fang era appoggiato allo stipite della porta che dava sulla cucina e seguiva il discorso come se stesse assistendo ad una partita di tennis, girando la testa prima verso uno e poi verso l’altro. Meglio che al cinema, pensò.
Intanto però Poole aveva preso la scala scorrevole della libreria e vi era salito sopra, aggrappandosi anche se con gran sforzo. Dopo aver armeggiato per un po’ si aprì, dietro ad un ripiano, un cassetto talmente piccolo da contenere un oggetto solo: una pergamena. Ricadde sulla poltrona con i fogli stretti in mano, era stremato.
- Perché non hai lasciato che la prendessimo io o Dan – chiese Keeran che l’aveva aiutato a sistemarsi
- Affari miei! Non rompere – rispose aspro
Aveva srotolato le pergamene sul tavolino e ora le stavano tutti osservando con uno sguardo diverso: Poole reverenziale, Keeran concentrato e Fang perplesso.
- E’ cinese, giapponese o cosa? – disse Fang sempre più meravigliato e stranito, quella non era una sua area di competenza, poteva benissimo essere la lista della spesa. Non ci capiva niente. – Nessuna delle due – rispose distrattamente Keeran. Era una scrittura che non aveva mai visto, tracciata con sottili pennellate di inchiostro nero. Sembrava d’origine asiatica, costituita da pittogrammi divisi a gruppi di tre, per la prima riga. Mentre la seconda, la terza e la quarta erano disposte verticalmente. Dovevano essere molto antiche, erano logore e rovinate.
L’inchiostro con cui era state vergate era sbiadito e in alcuni punti completamente scomparso.
- Sai quanto sono vecchie? – chiese Keeran che si era ridestato
- Intendi dire se gli ho fatto fare il radio carbonio? Sì, non lo potuto portare in un centro, però ho un amico che mi deve un favore così…- uscì dalla stanza e dopo tornò con un altro foglio in mano, glielo mostrò.
                                                              
1211+- 30
 
- Se è giusto, ed è sicuro, vuol dire che risale al 797 d.C con un margine di errore di appena trent’anni. Caspita se è vecchio. Scusa, ma hai fatto il test per vedere se ci sono delle tracce di inchiostro residuo che non si riesce a vedere? Qui mancano dei pezzi – disse Keeran assorto,controllò la voglia di sfilarle dalle buste plasticate e toccarle con mano, sentire la ruvida carta sotto i polpastrelli.
- Sì certo! – sorrise Poole beffardo – Ti ho detto che ce l’ho fino al collo, e secondo te vado a fare certi test? Il mio amico mica è il capo, se lo beccavano era messo molto male. Comunque non mi fido a mollarla per troppo tempo. Se solo mi avessi fatto raccontare tutto da principio, ma tu no…-
- Scusate ma che cos’è? Una specie di codice? E poi a che cosa porterebbe! – sbottò Brass che era in piedi da svariati minuti mentre gli altri due guardavano il foglio come il più prezioso dei tesori. A suoi occhi era un pezzo di carta consumato buono solo per il camino. – Appunto – fece Poole rilasciandosi cadere nella poltrona prima d’iniziare a raccontare – Tutto è iniziato un paio di anni fa, quando mi era giunta all’orecchio la notizia di un tipo, un bamboccio che aveva fatto molte ricerche per trovare la tomba di Alessandro Magno. Povero deficiente, pensava che fosse nel deserto del Sahara! Naturalmente non ci riuscì e non trovò altro che una grotta, vi entrò e scoprì delle pergamene – indicò quelle sul tavolo – nella  caverna però c’era anche qualcos’altro: serpi e scorpioni, il genio era entrato al tramonto, il momento in cui sono più attivi. Scappò terrorizzato, tanto più che l’avevano punto. Quando tornò a Londra raccontò la sua avventura, ma nessuno gli credé. Manufatti asiatici antichi in pieno deserto del Sahara, improbabile. Poi il nostro Indiana Jones non riuscì nemmeno a ritrovare l’ubicazione della grotta – ma fu interrotto da Keeran che riflettendo tra sé disse soprapensiero: – Tempesta di sabbia –.
- Sicuramente. Io però sapevo cosa ci potevano fare delle pergamene, per cui dopo essermi informato meglio partii. Quando arrivai, pagai degli indigeni per fare delle ricerche nella zona. Loro l’avevano sicuramente notata la caverna, quindi molti mesi e verdoni dopo la trovarono. Un’altra tempesta doveva averla fatta affiorare – fece un ampio gesto con la mano, come una scopa, poi proseguì – Assunsi uno del posto per recuperare quello che vi era nascosto. Povera gente, però onesta mi diede tutto e… -
Fang era perplesso – Fin qui tutto bene. Allora dov’è il problema? Hai paura della tua ombra, vecchio? –
Poole ululò un paio d’imprecazioni – Smettetela di interrompermi! Stavo dicendo per l’appunto che quel tuareg fu molto onesto con me, mi disse che c’erano degli uomini che l’avevano seguito e poi gli avevano offerto dei soldi. Lui però ha ben pensato che di gente che tiene M5 alla cintura non bisogna fidarsi, così approfittando d’una tempesta di sabbia è scappato. Tutta quella fedeltà mi costò ben 150 dollari, furbo l’amico! –
- C’è qualcuno oltre a te che vuole le pergamene, questo è certo. Ma perché? – chiese Keeran.
– Perché queste pergamene furono scritte da dei monaci, che volevano proteggere un tesoro. In proporzione più grande e prezioso di qualsiasi altro mai trovato. Il corredo di Tutankhamon a confronto sarebbe bigiotteria! Comunque, lo nascosero perché il tesoro era macchiato con il sangue delle diatribe e dei combattimenti scoppiati per il suo possesso. Pensavano che così avrebbero potuto fermare quello scempio.
- I fogli che ho trovato sono uno solo dei tanti stratagemmi e indovinelli che portano al tesoro, i monaci volevano che fosse in qualche modo recuperabile, in un tempo di pace –. Gli occhi di Poole brillavano sognanti. Non poteva più camminare, però la sua mente era sempre rimasta sveglia, e l’immaginazione galoppava. Sapeva che sarebbero riusciti nell’impresa, aveva assoldato gli uomini giusti.
- Quindi noi saremmo le tue marionette? – domandò Fang sollevando un sopraciglio. – Avrei detto aiutanti. Però se vuoi, il senso è quello – replicò facendo un po’ dondolare la testa, Fang si grattò la fronte –  ‘Sta bene. Basta saperlo…- commentò per poi soggiungere bevendo un altro bicchiere di rum, - Finché il Jack Daniel’s è di questa qualità puoi anche chiedermi di riportarti Bin Laden implorante ai tuoi piedi -. Keeran aveva distolto per la prima volta lo sguardo dalle pergamene, e ora stava scorrendo l’indice le coste dei libri posti nella libreria – Hai qualche idea sulla lingua? Quello è un codice, però se non lo traduciamo non serve a niente – la sua mente si era messa in moto, nulla poteva ormai fermarlo. – Il tomo che cerchi è in cucina –, Poole indicò la stanza alle sue spalle.
Keeran si avviò subito pela mastodontica cucina di noce, un po’ stile vecchia Inghilterra. Tornò in fretta con un libro gigantesco e di pelle rossa, la copertina era così logora e consumata che il titolo era illeggibile. – Pagina 85 - .
Keeran girava le pagine concitato e quando arrivò a quella che cercava vide che sopra vi erano stati scritti alcuni pittogrammi, alcuni praticamente identici a quelli delle pergamene, però…
- Su questo dialetto del Nord-Ovest cinese non si può dire molto, in quanto gli ultimi individui che lo parlavano sono scomparse da più d’un secolo, bla, bla, bla… questo non ci interessa. Qui sopra sono vergati alcuni dei pittogrammi identificabili dalle fonti a noi pervenute. Comunque riteniamo che da questa lingua non si possano ottenere nessuna informazione utile, in quanto il popolo d’appartenenza è scomparso circa ottocento anni or sono. E… lingua morta?! – recitava la nota a piè di pagina. – Perfetto! – esclamò Fang deluso, ma Keeran non era affatto scoraggiato, anzi rideva: – Vecchia volpe! Non è perché sono il migliore che mi hai chiamato, ma perché la conosco! – Poole lo guardava con aria non curante e sorniona
Ne devi fare ancora di strada per battermi…
- Scusate, potreste rendermi partecipe della vostra intelligenza superiore – Fang non li sopportava più, ma ci era abituato a non capirci niente. D’altronde capitava lo stesso quando lui parlava di meccanica. – Conosco una persona che potrebbe tradurre le pergamene – gli rispose frettolosamente Keeran mentre fissava dritto negli occhi Poole. Era una sfida tra loro due.
- Chi? –
- La conoscerai –. Poole intanto, stava rimettendo le pergamene nello scompartimento segreto nascosto nella libreria. Dopo esser sceso di nuovo dalla scala disse – Vi ho già prenotato un volo per Taipei con scalo ad Hong Kong. Parte domattina alle 11.00, quindi vedete di non fare tardi! –
- Meglio di un’agenzia di viaggi! – replicò Brass alzando le spalle
- Ehi, tanto per sapere cosa faremo se ritroviamo il tesoro? – incalzò Keeran , – Fifty-fifty ti va a genio? – negli occhi di Poole  passò un’ombra che fu percettibile per un attimo soltanto, poi si voltò avviandosi per la scalinata
- Credevo che avremmo fatto come al solito: merito della scoperta a noi e reperto ad un museo – disse Keeran con aria diffidente
- Ma che ti capita ragazzo? Non capisci nemmeno più quando sto scherzando? – era ormai arrivato sul pianerottolo e la voce era fievole.  – Ah, sì, certo – rispose Keeran che però non era completamente certo dell’affermazione dell’uomo, non sapeva se fidarsi. Era sicuro al cento per cento di quello che aveva visto nello sguardo di Poole, sembrava indeciso sul da farsi quando avrebbero ritrovato il tesoro. Quel ombra era bramosa di qualcosa, infondo l’aveva detto lui stesso. Più grande e prezioso di qualsiasi altro tesoro…
 
 
Il mattino seguente si alzarono con calma e dopo i soliti convenevoli scambiati con un Poole quasi tranquillo e cordiale, presero un treno nella cittadina più vicina e partirono alla volta di Londra. Erano le 9.00 e se tutto fosse andato bene, sarebbero stati in Asia per il giorno seguente. Keeran continuava a picchiettare con le dita sul bracciolo del sedile, e quando smetteva, iniziava a far ballare la gamba. Fino a quando …
- La vuoi smettere, sì o no? – sbottò Fang dopo avergli dato per la seconda volta un ruzzone. L’altro si girò di scatto – Eh? – esclamò soprapensiero
– Lascia stare, quando sei così è allucinante –
- Scusa, sono nervoso. Ho anche dormito poco… - disse stropicciandosi gli occhi.
 – E’ per il comportamento di Poole? – chiese l’amico
- In parte. E poi per il fatto che ci siano altre persone sulle tracce del tesoro. Questo vuol dire che vorranno riprendersi le pergamene - 
- Beh, sarebbe noioso cercare un tesoro se non ci fosse anche qualcun altro in gara, le emozioni forti sono il sale della vita – sorrise  Fang mettendo le mani dietro la testa – E’ la regola del gioco e poi se no che storia racconti quando torniamo?... Tu comunque non me la racconti giusta, c’è dell’altro. Non indago perché tanto so già di che cosa si tratta – sospirò beffardo
- Ah, sì? Dottore – chiese Keeran
- Donne – rispose
- Donne – ripeté il vicino – Non sei niente male come indovino. Dovresti cambiare lavoro –
Arrivarono a Londra che erano le 10.00, il viaggio era andato bene, erano per giunta arrivati in anticipo.
Presero un taxi e si diressero subito all’aeroporto, non c’era motivo di aspettare. Però la strada che li avrebbe portati direttamente alla loro meta era bloccata da un incidente. Per sgombrare i veicoli ormai ridotti ad un ammasso di lamiere informi ci sarebbero volute ore, quindi per non perdere tempo e visto che erano ormai vicini scesero. Avrebbero proseguito a piedi. Keeran però era ancora più inquieto di prima.
- Dan, li hai notati anche tu quei tipi dietro, o sono le mie paranoie? – domandò gettando un’occhiata dietro le spalle
– Chi quelli vestiti di nero? Ci seguono, anche se da lontano, da più di mezz’ora. Dove hai messo le pergamene? – fece Brass.
– Ce le ho sotto la giacca. Proviamo ad arrivare all’aeroporto, mancherà meno di mezzo chilometro –.
Iniziarono a camminare più in fretta. Ad Keeran non piacque neanche un po’ la novità, le cose si complicavano prima ancor di aver iniziato.
La solita cara sfortuna…
 
INFO & CO:
nuovo capitolo sempre un po’ d’introduzione ma nel prossimo c’è finalmente un  po’ d’azione, che non guasta mai. Vi dico solo che qualcuno si farà male (risata malefica xD)
Ps: se trovate scritto qualche “Brass” o “Austin”, è solo perché erano i nomi iniziali dei persoaggi (Brass=Fang; Austin=Keeran), magari fatemi sapere se ho fatto male a cambiarli!
Pps: odio dirlo e mi sento una mendicante però… recensite!

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Capitolo 4
*** Airplane ***


Non aveva più importanza, i tre pedinatori si erano accorti da tempo che le loro prede gli avevano visti – Bill, cosa facciamo? Li prendiamo? – chiese uno piccoletto, vestito di nero come tutti gli altri, a quello che doveva essere il capo – Aspettiamo che arrivino al blocco che abbiamo messo. Poi si vedrà – era il più corpulento di tutti, e anche il più esperto in quel genere di missioni.
- Io dico di sparargli. Tanto sono ancora nella nostra portata, se usiamo KATE – ridacchiò il terzo, aveva uno sguardo che esprimeva nemmeno un barlume di furbizia, solo un’infinita distesa di piatta ottusità. KATE era un fucile da cecchino, molto preciso e così lo chiamavano i soldati della Guerra del Golfo. – No, è troppo pericoloso. Si creerebbe panico all’aeroporto, per via dello sparo. Non potremmo recuperare le carte, e questo è l’obbiettivo primario. Quindi calmati Lucas -, stava osservando, per mezzo d’un binocolo, i due uomini  allontanarsi verso l’orizzonte.
- Tanto li prenderemo, sono in trappola e senza una via di fuga – concluse. Prese in mano una rice-trasmittente, e dopo aver trovato il canale giusto cominciò a parlare
– Mitch stai pronto, stanno per arrivare. Riesci a vederli? - delle scariche elettrostatiche, poi – Sì, li vedo. Il tipo alto e uno con un cappello militare, sono loro? –
- Sì – rispose premendo un pulsate Bill
- Attendo istruzioni… - fece l’altro
- Aspetta che ti siano vicini, ma non credo che si avvicineranno troppo. Si sono accorti di essere pedinati, non sono così stupidi. Comunque mostragli le nostre intenzione, ma con discrezione mi raccomando. Non possiamo rischiare di essere scoperti. E…- scarica elettrostatica
- Sì, capo? –
- Ricorda non devono imbarcarsi – chiuse la conversazione e si mise il walkie-talkie nella tasca. Era certo della riuscita della missione, era il suo mestiere e non poteva fallire, non voleva fallire.
Intanto a cinquecento metri di distanza Mitch tirò indietro il cane della pistola e se la infilò nella tasca dei pantaloni, lasciando però abbastanza visibile la protuberanza che l’arma creava. Sapeva che non poteva fare fuoco, però la preda, così chiamavano solitamente i loro obbiettivi, non poteva esserne a conoscenza. E questo era importante.
 
 
Keeran e Fang avevano percorso velocemente il tratto che li divideva dall’aeroporto, quando alzarono lo sguardo videro qualcosa che si aspettavano e che temevano. Nell’atrio, davanti a tutti c’era una coppia, vestiti con gli stessi abiti dei loro pedinatori. Sembravano non aver neanche provato a mimetizzarsi con la folla.
Austin notò subito il rigonfiamento dei pantaloni, Fang fece un mezzo sorriso – Riecco i Man in Black –
- E’ sì! Hai visto cosa hanno in tasca? – ricevette come risposta in un sussurro
- Certamente non sono gli spiccioli per la merenda… Che si fa? – domandò Fang , però Mitch spostò la pistola indicando la porta, i due amici uscirono e mossero qualche passo  nel largo spiazzo davanti all’aeroporto.
Keeran si azzardò a sussurrare a Fang – Quando è pronto signore –. Il compagno di Mitch, che era anche il più grosso gli si avvicinò, dietro alle spalle, irritato – La smettete voi due? E’ finita l’ora delle chiacchiere – Keeran sentì la spiacevole pressione della canna della pistola sulla colonna vertebrale – Tetraplegico o paraplegico? Scegli tu – gli domandò glaciale il titano da dietro. Con la coda dell’occhio Keeran guardò l’amico, che era messo nella sua stessa scomoda situazione.
Fu un attimo, con l’intesa di Fang si rigirò, prese il braccio armato dell’avversario e con grande sforzo lo alzò, l’uomo che aveva davanti però era decisamente più forte di lui e tentava di stritolargli la mano, Keeran cercava disperatamente di non mollare la presa. Le dita però divennero presto viola e cianotiche. Si guardò intorno sperando che Fang avesse battuto l’avversario, ma non era così, stava ancora lottando, anche se in vantaggio su Mitch che era chiuso nella morsa delle sue braccia. Keeran gli diede un’occhiata laconica
Sbrigati… Non ce la faccio…
Il risultato fu controproducente, quello fu distratto e prese un destro in faccia che lo scaraventò sul curatissimo prato dell’aeroporto e che gli spaccò il labbro facendogli uscire un rivolo di sangue.
Keeran ora era solo, il maciste gli aveva piegato il polso e puntava l’arma dritta al suo petto, aveva solo un’occasione e doveva coglierla al volo prima che le ultime forze lo abbandonassero. Da sempre aveva usato metodi di lotta più da pub che non riconducibili ad una qualsiasi arte marziale, quindi si decise. Odiava farlo, ma aveva sempre funzionato… l’uomo abbassò lo sguardo, Keeran chiuse automaticamente gli occhi e spiccò un piccolo salto, inarcò il collo e con tutto lo slancio lo colpì, dritto in fronte. Il gigante lo mollò e perse la pistola, ma Austin per il contraccolpo cadde a terra mezzo allucinato. Mentre l’altro seppur tramortito era ancora in piedi barcollante come un ubriaco, scuoteva la testa per snebbiarsi la vista, poi allungò una mano per raccogliere la M-5.
Austin pensò che era arrivato al capolinea, l’altro ce l’aveva in mano e stava cercando di prendere la mira, anche se con fatica, perché mezzo intontito. Poi gli occhi del suo avversario si spalancarono di colpo, sorpresi e stupiti. La sua espressione passò da soddisfatta a ebete in pochi attimi, infine si accasciò dinnanzi ad un ancor più incredulo Keeran. Da dietro alla figura priva di sensi comparve un Fang pesto e ammaccato, ma come sempre sorridente – Arrivano i nostri – disse mentre lo aiutava ad alzarsi – Meno male che c’eri tu, con quella sottospecie di toro – indicò il corpo disteso sull’asfalto – Me la sono vista brutta. Ho dovuto tirargli una capocciata –
- Avrei fatto prima se tu non mi avessi distratto! Anche se piccoletto, l’australiano picchia duro – disse togliendosi il sangue dal mento
- Come?... –
- Parlava strascicato – si sbrigò, poi indicò alle loro spalle
- Non vorrei fare il guastafeste però abbiano da liquidare ancora un paio di problemini. Guarda là e saluta – anche se lontani si vedevano facilmente tre puntolini neri, li stavano osservando. – E’ meglio se ce la filiamo. Però non possiamo tornare all’aeroporto, ne abbiamo uno dietro con l’auto – osservò Keeran. Ed era vero, un paio di minuti prima Bill vedendo che le cose per i suoi si mettevano male aveva mandato Lucas in modo che chiudesse loro la ritirata.
- Ho una mezza idea. Passa il telefono, che io ce l’ho nella borsa! – Fang si girò per vedere dove era la macchina in quel momento, prese dalla tasca dei jeans il cellulare e lo porse distrattamente a Keeran. Stava osservando la traiettoria del veicolo, chiudeva loro il dietro, in modo che avessero poca scelta: a destra Bill e l’altro uomo, a sinistra e alle loro spalle l’auto, davanti una delle piste secondarie per l’atterraggio degli aerei.
- Io ho l’altra mezza. Corri! – sbraitò mentre Austin aveva digitato un numero ed era in attesa di risposta
- Muoviti! – lo esortò nuovamente l’amico – Chi diavolo stai chiamando? – disse Fang, stavano correndo lungo i parcheggi inseguiti da Lucas su quattro ruote e a piedi da Bill e il suo subordinato che si erano già avvicinati di molto ed erano loro distanti non più di duecento metri.
Fang e Keeran girarono un angolo dell’edificio, era vetrato e si poteva vedere la gente dentro al check-in, oppure che aspettava spazientita il proprio volo che era in ritardo. Si trovarono davanti ad una rete sormontata dal filo spinato, era alta quasi tre metri – Io non la scavalco – disse Fang fissando le acuminate punte.
– E chi ha detto che dobbiamo scavalcarla. Ci metteremmo troppo tempo… -  si guardò in giro in cerca di qualcosa, poi… - Ecco! E’ perfetto! – esclamò indicando un avvallamento del terreno proprio sotto la rete – Tu ci passi sicuramente -.
Fang si girò ancora una volta: l’auto e i loro inseguitori erano sempre più vicini. Si buttò in ginocchio, esaminò un attimo l’apertura e cominciò a passarvi sotto, prima la testa – Mi sento sfruttato – commentò strisciando, il capo era passato e anche le spalle, ormai era quasi dall’altra parte. Infine fece sgusciare le gambe. Keeran che era ancora al telefono, se lo mise in tasca e con l’aiuto di Fang che teneva alzata la rete, riuscì ad uscire anch’egli.
Erano entrati in un area dimessa dell’aeroporto, quel posto veniva usato solo da piccoli velivoli e dagli aerei che dovevano superare dei controlli o che dovevano essere riparati. La pista in quel momento era occupata da un grosso Boeing e da un piccolo biposto che stava iniziando al fase di decollo.
Dietro di loro l’auto era i testa agli atri due uomini, che si erano fermati. Il veicolo procedeva la sua corsa verso la rete che divideva i parcheggi dalla pista, sopra cui capeggiava un cartello che recitava “ PERICOLO! NON ENTRARE. SOLO PERSONALE AUTORIZZATO! “ l’autista non lo prese in ben che minima considerazione, aveva sfondato la recinzione e Bill con il suo uomo gli era andati dietro. La macchina intanto procedeva a velocità sostenuta
- Hai un’idea? – chiese Keeran serio, le sue le aveva esaminate, ed infine scartate tutte
- Andiamo verso le turbine dell’aereo – disse deciso Fang , ma Keeran non pensava che suicidarsi come un piccione fosse un ottimo piano. Guardò le eliche che vorticavano incessantemente sprigionando una forza inaudita, erano così potenti che la rete che si trovava a più di centocinquanta metri era piegata dalla corrente d’aria che creavano. Avrebbero scaraventato via qualsiasi cosa, un uomo, una roulotte, un auto… E l’impatto sarebbe stato micidiale.
- Tu sei pazzo! Però sei anche un genio -. Si diedero un ultimo sguardo d’intesa. La macchina si era fermata e Lucas li guardava con aria di sfida, quando loro partirono lui diede gas, fece stridere le gomme da cui si sprigionò una nube di fumo bianco.
Correvano a più non posso, con l’orrenda incombenza dei fanali sulla nuca ad Keeran sembrava quasi di poterne percepire il calore. Anche se sapeva benissimo che era impossibile, quella faceva parte dell’ampio ventaglio di nuove sensazioni che si percepiscono con una berlina alle spalle.
Erano ormai al di sotto dell’ala e a destra il veicolo li costeggiava. Stava sterzando per investirli, quando una forza invisibile scaraventò l’auto dall’altro lato. Come la mano di un gigante incorporeo, l’aria la fece girare e capottare su stessa per più volte. Quando si fermò ai bordi della pista, non sembrava più una Jaguar, ma era molto somigliante ad una verde lattina di Sprite schiacciata sotto un piede.
L’uomo al suo interno era ancora vivo, si stava trascinando tutto sanguinante fuori dal mezzo, per aiutarlo stava accorrendo un’intera folla di meccanici e piloti che avevano assistito allibiti all’incidente.
Keeran e Fang, che poco prima si erano scaraventati a terra, si stavano rialzando – Tu dici che sé l’è presa? – chiese Fang guardando Bill – Naaah, non è il tipo. Quello al massimo ti scuoia, però non si arrabbia – gli rispose Austin, che era rimasto davvero impressionato dalle evoluzioni compiute dall’auto.
Gli uomini in nero erano rimasti al lato della pista e non si erano mossi da lì, uno era paonazzo e il più piccolo stava ridendo – Questa volta Lucas se la meritava! –, l’altro non gli dava ascolto, era furente per lo sbaglio commesso dal compagno – Quell’idiota se commette ancora un errore… Comunque dobbiamo prenderli, e chi ci ha ingaggiato dovrà pagare il doppio. Quelli non sono semplici ricercatori -. Le prede avevano ripreso la loro fuga. Ma sta volta era preparato, non steccava mai due volte.
 
 
- Ian non risponde? – domandò Fang, Keeran stava telefonando, però dalla cornetta non risuonava altro che il segnale acustico – Sì. Scommetto che sta ancora dormendo. Vita notturna la sua! -.
A qualche chilometro di distanza, in mezzo ad un campo abbandonato sorgeva un hangar arrugginito ed alquanto malconcio, era costeggiato da una pista catafratta e piena di buche.
Dentro ad esso, su di una sedia, con la testa appoggiata alla scrivania, un uomo sonnecchiava stravaccato, tutto scomposto con una birra bevuta per metà in mano. 
Lì accanto un plico di fogli vibrava emettendo suoni acuti, che lo svegliarono di soprassalto
Ma cosa…
Sobbalzò e si rimise seduto, scavando sotto la montagna di carta trovò il cellulare, insieme ad un post-it. Il telefono poteva aspettare, pensò. “ Ciao, scommetto che quando leggerai questo sarà passato da un bel pezzo mezzo giorno, passerò da te nel pomeriggio… Comunque ti va di uscire Venerdì prossimo? Baci, Cindy  “. L’uomo sorrise soddisfatto
E c’è bisogno di chiederlo, piccola?
Gli incessanti squilli del telefono cominciarono ad innervosirlo, perciò decise di rispondere, sul display era apparso il nome: Liam. Si sentiva un respiro affannato
- Austin, ti sembra il caso di fare questi versi da maniaco? – esordì bofonchiando, la voce ancora impastata. In lontananza udì: – E’ in linea, finalmente –
- Cosa c’è fratello? – il tono dell’amico non gli era affatto piaciuto
- Abbiamo bisogno del tuo aiuto – ansimò Keeran, gli doleva la milza, era un quarto d’ora che correva a tutta velocità
- Chi? Cosa succede? –
- Io e Dan, siamo nei casini, che novità, eh? dopo ti spiego… ce l’hai l’aereo? –
- Certo, però devo prepararlo per… -
- Ok, se puoi allora fallo e sbrigati, tra una ventina di minuti dovremmo essere lì da te. Tieniti sulla pista, con i motori accesi e pronto per decollare. Mi raccomando fai il pieno dobbiamo andare a… il viaggio sarà lungo – spiegò celermente ed ansante, ringraziò il cielo di avere in rubrica il nome d’un personaggio del genere. Uno sempre pronto, uno che faceva poche domande. Ian Blake, disertore dell’aviazione britannica.
- Perfetto, ci sarò –. Ma Keeran aveva messo giù, e non riecheggiava altro che il solito tuut.
Corse fuori, doveva fare in fretta ad approntare il volo.
 
 
- Tutto risolto con Ian. Ci aspetta sulla pista – urlò Keeran a Fang, che era avanti a lui di diversi metri, era voltato e il suo viso assunse una brutta smorfia – Quei due ci sono ancora dietro! Il modo più veloce per raggiungere l’hangar è prendere la metropolitana. Se no ci metteremo mezz’ora, circa – diminuì il passo toccandosi lo sterno.
– E’ quello che pensavo di fare, anche perché in mezzo alla gente non credo ci spareranno. Per ora però sono lontani – si girò e soggiunse – Più o meno -.
Era una zona poco abitata e di macchine non c’è ne era nemmeno l’ombra, non potevano prendere un taxi. Poi ad un incrocio, sul lato opposto della strada scorsero le scale che portavano alla metropolitana. Fecero i gradini tre a tre, però quando arrivarono alla fine – “Ci scusiamo con la gentile clientela, ma il servizio di questa stazione è stato annullato per controlli. Vi invitiamo ad usare sempre i mezzi pubblici!”. Ma che storia è questa! – esclamò indiavolato Austin, erano senza una via di fuga.
Dalla scalinata giunse un rumore facilissimo da interpretare, tacchi sul cemento. Per la precisione due paia di scarpe. All’inizio videro solo le gambe, poi l’intera figura di due uomini, impeccabilmente vestiti di nero.
Il più grosso parlò – E’ finita la corsa siete in trappola. Non tiriamola per le lunghe, sapete cosa voglio, dateci le pergamene! – ordinò bruscamente. Keeran diede di gomito all’amico, indicava i divisori della scala mobile. Fece un piccolo salto. Fang scosse le spalle contrariato, sul suo volto si dipinse un punto di domanda. L’altro lo guardò con uno sguardo particolare, sapeva cosa voleva dire
Fai quello che faccio io
- Siete in gamba, non voglio ammazzarvi… - incalzò Bill che si stava avvicinando insieme al suo compare, pistola in mano – Almeno non prima che vi abbiamo consegnato i fogli – concluse Austin – Ehi, François – si rivolgeva al vicino – Il ragazzo è perspicace -. Ma ancora prima di girarsi verso la sua preda, che i due che aveva di fronte erano scomparsi.
Keeran e Fang si erano lasciati scivolare sui divisori delle scale-mobili, sfrecciavano ad una velocità folle perché erano molto in pendenza, infatti la metropolitana di Londra  scende fin sotto il Tamigi, per poi attraversare tutta la città.
- Che si fa per fermarsi? Perché se arriviamo in fondo saremo sempre in un caz… - rumori di spari, Bill e François si erano buttati all’inseguimento, scivolavano sui divisori laterali, erano lontani, però cercavano di prendere la mira. Il che non era facile perché si era sempre in precario equilibrio. – Di buco di culo! Te ne rendi conto? –
- Calmo ho un piano. Vedi i cartelloni che abbiamo davanti? Sono posizionati solitamente sopra il bottone dello stop. Usalo come appoggio e salta sul cartellone. E’ facile – lo disse come se non avesse mai fatto altro in tutta la vita: Liam Keeran saltatore su cartelli informativi.
Era vero, sopra le loro teste si stavano avvicinando delle insegne luminose, con sopra il nome della linea o le indicazione per il wc. Ma al contempo i colpi erano sempre più vicini e precisi, Austin ne sentì uno fischiare mentre lo sorpassava vicino all’orecchio destro, troppo vicino.
Fang fissava il divisorio d’acciaio scorrergli sotto, cercava di vedere il prima possibile il bottone. Se avesse frenato troppo tardi poteva essere sbalzato fuori e fracassarsi rovinosamente la testa contro il pavimento, oppure spaccarsi le gambe o la schiena per il contraccolpo subito. Sapeva che Keeran non aveva pensato a queste evenienze, però il finire spiaccicato gli sembrava una ben più rosea alternativa ad una pallottola in fronte, perciò…
Lo vide, era un bottone rosso, circolare con un diametro circa di tre centimetri, ai lati erano posizionati due piccoli fermi d’acciaio, avevano proprio la forma d’una piattaforma di lancio, ma erano grandi come un pugno chiuso, non di più. Piegò le gambe a formare un angolo retto per ammortizzare e allo stesso tempo darsi lo slancio, era pronto, all’incirca.
Fu sbalzato con molta più forza di quanto si aspettasse, sarebbe volato molti metri in avanti, se prima non fosse finito dritto dritto sull’insegna delle informazioni. Lo scontro gli tolse il fiato per qualche secondo ed il vetro si ruppe il mille schegge; con un po’ di sforzo si tirò su, e voltando la testa a sinistra vide che anche Keeran era riuscito nell’impresa. Bill e François stavano ancora scivolando e cercavano di prenderli, ma ormai era troppo tardi.
- Dai sbrigati! Se no perderemo tutto il vantaggio – gli gridò Keeran che era già sceso dal suo cartello luminoso e stava correndo su per la scala-mobile ferma. Fang si attaccò al bordo della sua e si lasciò cadere. I loro inseguitori non avevano ancora finito la discesa, ma mancava poco.
Arrivarono in cima nel grande spiazzo con i negozi
– Aspetta, faccio una cosa in un attimo – disse Fang, Keeran era spazientito - Non c’è tempo! – si lamentò, ma l’amico stava smanettando con le scale-mobili, e aveva praticamente già finito.
Toglieva dai divisori delle mascherine, scollegava un paio di fili e tirava su una levetta. E tutto d’un tratto i gradini delle scale scomparivano appiattendosi ed andavano a formare una distesa uniforme che si muoveva velocissima.
- Cosa ne pensi? – chiese dopo aver terminato
- Che Clayton ti paghi troppo poco – rispose mentre tornavano in superficie. La strada era sempre deserta e senza alcun rumore a parte quello dei loro passi affrettati sull’asfalto.

 
In poco meno di mezz’ora erano usciti da Londra e si trovavano in periferia. In quella zona però non sorgevano costruzioni, c’era solo un campo d’erbaccia secca e brulla. Su cui era posizionata una distesa di cemento, adiacente ad un vecchio hangar. All’inizio della pista stava un piccolo aereo bianco con il motore acceso, andarono verso di esso.
– Credevate di averci seminati?! – l’urlo fendette l’aria come un colpo di fusta. Ancora prima che potessero capire quello che avevano udito, una scarica di colpi si riversò loro addosso. I piedi misero le ali, pur stremati scapparono ancora, sapevano che se fossero riusciti a raggiungere il portellone tenuto aperto da Ian, sarebbero stati salvi. I muscoli erano tesi nell’ennesimo sforzo, le gambe che si aprivano e si chiudevano comprendo il terreno in ampie falcate.
Keeran non sentiva più niente, né il vento che gli sferzava il volto facendogli lacrimare gli occhi né la fatica per via dell’acido lattico che saliva nelle fibre muscolari fino a fargli venire dolorosi crampi. Tutto era finalizzato ad un solo risultato, ad un solo pensiero centrale che rimbalzava da una parte all’altra della mente
Corri o sei morto
Il resto, tutto ciò che non era pregnante a quel fatto, veniva automaticamente escluso dal cervello: il paesaggio dietro al velivolo era inesistente, il rumore dei proiettili che lo oltrepassavano sibilando, non era percepito e persino lui era dotato di quasi una certa incorporeità o non consapevolezza che lo tratteneva sospeso in quella situazione. Era una macchina, in quell’istante era solo istinto quasi animale, per la vita ogni respiro era utile ogni spasmo voleva dire restare, esserci. Per lui quello era il suo sesto senso, la capacità non di presagire le cose, bensì di affrontarle. Alcuni davanti ad un pericolo o ad una morte prossima rimangono paralizzati, lui invece reagiva con quanto più gli era utile per rimanere vivo. Più volte era stata questa sua capacità di estraniarsi dal mondo esterno a salvargli la pelle.
Quasi riusciva ad apprezzare quella sensazione di paura estrema, quell’essere braccato e infondo godere di certe emozioni. Era solo pazzo. Era semplicemente Liam Keeran
Però talmente era concentrato che quando qualcuno emise un grido acuto di dolore, quasi non ci fece caso; il cervello aveva archiviato: dopo avrebbe pensato a dare una motivazione razionale, che in quel momento non era in alcun modo possibile. Vedeva solo l’aereo che si avvicinava, stava cominciando la fase di decollo e si accorse solo vagamente che un proiettile l’aveva colpito di striscio su di un polpaccio. Non avrebbe neppure saputo dire quale. Mancava poco, la mano era contratta nello sforzo e le dita estese all’infinito. Poi percepì il freddo rassicurante della maniglia del portellone, si aggrappò e si tirò su a bordo, in salvo. Allungò un braccio per aiutare Fang visto che il velivolo aveva raggiunto una velocità considerevole. Anche lui era salito.
Ormai erano fuori dalla portata degli spari, si libravano nel cielo leggeri. Ian scoppiò a ridere – E’ sempre più difficile prendere un volo in tempo ai giorni nostri, vero?-
Keeran scoppiò a ridere più per liberare l’adrenalina che non per la battuta. Si girò, Fang era appoggiato alla parete dell’aereo. Sorrideva, ma aveva uno strano sguardo, vacuo. Si accasciò sul pavimento, la paratia dove era poco prima che colava di sangue.
A quella vista Keeran provò un moto d’impotenza, si sentì piccolo ed una nullità. Quando scostò il collo della maglietta, dopo averlo rigirato sulla schiena, non poté far altro che constare che sulla spalla sinistra, il primo appena sotto alla clavicola ed il secondo sulla scapola, c’erano due piccoli fori, da cui uscivano regolari fiotti color porpora.
Sì sentì sprofondare perché malgrado avesse visto morire più di una persona, quella strana sensazione l’aveva provata solo innanzi al capezzale di suo padre. Quella sensazione di stritolamento che avvertiva alla bocca dello stomaco che gli toglieva il fiato e un dolore seppur privo di ferita alla gola, era forse la cosa più brutta che avesse mai sentito incombere su se stesso. Avrebbe preferito essere lui lì disteso nella carlinga del bimotore, perché nulla è più soffocante che assistere alla sofferenza di un proprio caro, e sapere di non poterci far nulla. Era questo quello che provava, quello che provano tante madri davanti a loro figli, e si sentiva stupido, a star lì, immobile. Per Dan avrebbe venduto l’anima.
Ian che si era voltato era rimasto ammutolito e con ancora il sorriso stampato sul volto, completamente pietrificato. Poi finalmente con voce rauca domandò – E’ vivo? –
Austin tastò il polso all’amico e per un po’ rimase in ascolto, il cuore era debole anche se non troppo, circa 47 battiti al minuto, contando che Fang era un brachicardico. Il respiro anch’esso fievole ed un po’ stentato, però non disturbato. Il proiettile non aveva perforato o compromesso il polmone.
Keeran ricominciò a rinsavire, quel che prima era stato un esile appiglio si era trasformato in una speranza vera e propria. Malgrado in dieci minuti si fosse ritrovato in una piccola pozza di sangue, forse ce l’avrebbe fatta. In ogni caso avrebbero avuto bisogno di un ospedale, ed al più presto se non volevano che la cosa volgesse al peggio.
- L’ospedale più vicino dov’è? – domandò con tono pacato Keeran, mentre continuava a tenere premuto sulla ferita, cercando di fermare per quanto possibile l’emorragia
- Siamo in Francia. Saarbrűcken, però per una sessantina di chilometri in linea d’aria, c’è Metz dove lavora un mio amico. Ci potrebbe aiutare a far tacere sulla faccenda della pallottola. Cosa dici? –
- Metz, però vai al massimo. Qui non si prospetta nulla di buono – disse scegliendo. Per il quarto d’ora successivo, continuò a tastare il polso a Fang, si era quasi stabilizzato: il battito era sceso di poco ed il respiro si era fatto sempre più regolare.
 
INFO & CO:
Sangue avevo predetto e sangue è stato U_U Fang sopravvivrà (per ora?) ma bisogna vedere come ne uscirà Keeran. Nel prossimo capitolo i due amici incontreranno una bella e agguerrita fanciulla!
ps: le scene d'azione sono il mio pallino, quindi mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! :D pps: TO BE CONTINUED
The White Lady

 

 
 

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Capitolo 5
*** Until the end ***


Cercò di aprire gli occhi ma le palpebre erano come impastate, appiccicose e pesanti. Tutto era distorto e quando scorgeva qualcosa, una luce bianca e penetrante lo accecava. Visualizzò dei lineamenti che cercò di mettere a fuoco, all’iniziò vedeva solo un caleidoscopio di colori, poi poco a poco si riempirono e presero forma. Un uomo in mascherina bianca stava dicendo qualcosa, la voce non gli arrivava bene però. Era come se stesse parlando da lontano, dall’altro capo della stanza. Ammesso che di una stanza si trattasse.
Poi quello si scostò, gli si avvicinò una persona che riconobbe all’istante nonostante l’immagine gli apparisse altamente distorta. I capelli biondi tenuti in un’ indeformabile e naturale cresta, il colorito terreo del viso bruciato dal sole che contrastava nettamente con gli occhi cerulei. Iniziava a ricordarsi… lo sparo, l’aereo e tutto il resto
- Non sono morto. Gli angeli non posso essere così brutti! – cercò di dire, però si accorse subito che la voce era irriconoscibile, roca ed innaturale; sgorgò poco più di un brontolio. Ian sorrise.
- Sta bene, se inizia a fare così vuol dire che sta bene -
In realtà non stava granché bene, anzi finire sotto una schiaccia sassi probabilmente sarebbe stata un’esperienza molto più rilassante. La spalla sinistra gli bruciava da matti, era intontito ed ogni singolo centimetro di pelle, ossa e muscoli dal torso in su gli doleva. Però era vivo e quindi…
Per qualche minuto rimasero in silenzio, Ian in piedi appoggiato allo stipite della porta, Fang invece cercava di scorgere attraverso lo spiraglio di una finestra un qualsiasi indizio che gli dicesse dove si trovava. Keeran che fino a quell’istante se n’era stato in disparte a rimuginare sui fatti accadutigli nelle ultime dodici ore, notandolo gli disse – Siamo in Francia – e poi si arrischiò un -  Come va? -
- Ho visto giorni migliori. Ma non mi lamento. Solo questa benda… - la fasciatura era strettissima, il sangue quasi non circolava, pensò.
Quando era finalmente riuscito ad allentarla un poco, però arrivò un’infermiera tarchiata che gli si avvicinò e la strinse di nuovo e più stretta – Così giusto! – sentenziò. Fang la guardò in cagnesco, lanciandogli il suo peggior sguardo in tralice. Poi si rivolse agli amici
- Quand’è che posso uscire? – domandò gioviale
- Il dottore dice, come minimo, una settimana e mezza – gli rispose Keeran
- Ché? Quello lì è matto! Dovevamo essere ad Hong Kong domani! Io sono a posto! – sollevò il braccio sinistro in segno di sdegno, ma una fitta atroce lo attraversò e lo costrinse subito a riabbassarlo
- E’ una cosa seria. Potevi lasciarci la pelle… - replicò Ian
- Per un proiettile! –
- Due –  precisarono gli altri in una sol voce – Uno ti ha sfiorato per un paio di centimetri la giugulare, mentre il secondo ti ha fatto diventare un puzzle la scapola – spiegò Keeran, scorrendo per la millesima volta il referto medico
- Dettagli. Posso venire – fece fermamente Fang
- Saresti solo un peso – cercò di convincerlo Ian
- Sono mancino! – esclamò prima d’accorgersi di aver detto una stupidaggine – Ok, forse, questa volta forse non mi servirà, però e tu lo sai Liam, non riuscireste mai a persuadermi a restare! – continuò perpetrando la sua causa. Keeran ci penso un po’ su, era vero neppure legandolo al letto sarebbero riusciti a fermarlo, quindi facendo segno di resa si convinse
– Ian, ha ragione. Non possiamo lasciarlo qui. Tanto sarebbe capace di scappare dalla finestra e di raggiungerci all’aereo – decise – Fammi un piacere. Vai da quel tuo amico medico e chiedigli di chiudere un occhio sull’uscita anticipata di Dan – concluse semplicemente. Quello scomparve subito oltre la soglia della camera.
Rimasero soli, Keeran con la testa china tenuta tra le mani ed i folti capelli ad oscurargli gli occhi grigi. Pensieri rumorosi gli rimbombavano nella testa, quella missione, che avrebbe dovuto essere quasi una gita di piacere, si era subito rivelata per quel che era: un crudele gioco mortale. Ma non era un tipo remissivo, anzi il suo problema era totalmente un altro, era troppo orgoglioso per rinunciare o gettare la spugna arrendendosi facilmente. Era una caratteristica di famiglia che si trasmetteva di generazione in generazione tra i Keeran. La questione era quanto gli altri fossero disposti a rischiare e a mettersi in gioco per le sue stesse motivazioni. 
Fang che lo stava osservando, sapeva benissimo a cosa Keeran stesse pensando, così esordì interpretando il pensiero dell’amico – So cosa ti frulla in testa e non è colpa tua, se proprio lo vuoi sapere – l’altro stava per intervenire, ma Fang lo fermò facendogli segno di non interromperlo, Keeran assentì.
– E’ da quando ho quindici anni che ti seguo nelle tue scellerate imprese. E se prima mi si poteva scusare dicendo che ero un ragazzo un po’ ingenuo e che si faceva trascinare fin troppo dall’amico… ora come da quattordici anni sono sempre più sicuro che questa sia una mia scelta, fatta con la testa e non mi si può neppure accusare di negligenza. Sono consapevole di quel che rischio, ma non per questo mi tirerei indietro. Ce la giochiamo insieme, fino all’ultimo – disse con tono calmo e sincero di chi sa l’importanza di ciò che sta pronunciando. Infine soggiunse – E ora vieni qui e dammi una stretta di mano, un abbraccio, una pacca sulla spalla, la destra. Insomma quel che ti pare! – esclamò con il suo solito sorriso incontenibile. Keeran si alzò, dopo aver passato alcune ore seduto nella stessa posizione le ginocchia scrocchiarono – Credevo che tu fossi contrario a qualsiasi tipologia di dimostrazione affettuosa – fece divertito.
L’altro sgranò apposta gli occhi e disse indispettito – Ehi, guarda che non si rischia mica tutti i giorni di lasciarci la pelle. Ho bisogno d’affetto io –. Quando vide però passare il carrello della mensa ospedaliera, che essendo privata annoverava tra le pietanze proposte pure qualcosa di commestibile, soggiunse – Ma ancor di più ho bisogno di qualcosa da mettere sotto i denti… muoviti schiavo, mi sei debitore -.    
Keeran si avvicinò all’infermiera per farsi dare un vassoio con sopra la cena: purea di patate, un must per i degenti, e qualcosa riconducibile a del riso immerso in un brodo d’un giallino spento. Era conscio che non avrebbe mai più trovato una persona così fedele, pazza e buona. Per quanto Fang si nascondesse dietro un alone di stupidità e a volte si volesse mostrare come un bambino di due anni, nonostante tutto si rivelava sempre un uomo con testa e cuore infiniti.
 
 
INFO & CO:
Nel prossimo capitolo conosceremo Lyn Shang, che non sarà proprio contentissima di rivedere Keeran (poraccio)
TO BE CONTINUED  
The White Lady

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Capitolo 6
*** Born on different clouds ***


INFO & CO:
Allora buongiorno o buonasera a tutti, dipende quando leggete! Finalmente arriva una donna!!! Capitolo abbastanza lungo, spero d'aver ammazzato la noia con la parte comica ma d'altronde questo sesto capitolo serve per "puntellare" la trama. Spero davvero di tornare entro uno al massimo due capitoli alla mia parte preferita: sparatorie&co Ps: se non avete niente da fare recensite che non fa mai male xD e suggerite agli amici se vi va ;)

TO BE CONTINUED
 The White Lady  



Vari atterraggi e voli dopo giunsero a Hong Kong. La città brulicava di gente, nonostante fossero in piena area industriale.
Dove erano atterrati non era un vero aeroporto, più del cemento in una zona pianeggiante d’un sobborgo nelle vicinanze della città.
Scesero a sgranchirsi le giunture visto che erano ore che non camminavano. Ian era andato a fare rifornimento.
- Perché? Dobbiamo volare ancora? – si informò Fang
- Sì, dobbiamo andare a Taipei – era pensieroso Keeran, continuava a strofinarsi il mento ornato dalla barba sfatta di un paio di giorni
- Ian verrà con noi? Intendo sulle tracce del tesoro – Fang si annoiava, e cercava di mantenere un po’ vitale quella discussione
- Quando ho cercato di mettere giù la cosa lui mi ha preceduto dicendo che ne ha avuto già abbastanza e ha aggiunto che la settimana che viene deve uscire con una certa…Cindy, una vera bomba, a come la dice lui – scrutava il cielo scuro, grandi nuvole nere andavano formandosi sopra le loro teste. Ricordavano vagamente i cavalloni dell’oceano. Un temporale incombeva, si sentiva persino nell’aria.
 
 
Arrivarono all’aeroporto internazionale di T'aoyüan che era già notte inoltrata, quasi l’alba. L’indomani sarebbe stata una lunga giornata. Avevano molte cose da fare.
Salutarono Ian che sarebbe dovuto partire subito per ritornare in tempo a Londra e gli consigliarono per sua sicurezza di non vivere nell’ hangar per po’. Infine si congedarono.
Percorsero la città nella fiumana di gente che correva di qua e di là indaffarata ad entrare nei locali oppure nei nightclub. Erano le cinque e mezzo del mattino e persino qualche ristorante era ancora aperto. E poi dicono che New York è la città che non dorme mai, pensò Austin divagando con lo sguardo tra le mille e più insegne al neon dei bar. Riuscirono a trovare un hotel solo quando ormai il sole era già sorto, c’era una sola stanza, matrimoniale, sporca e ad un prezzo da ladri. Ma erano talmente assonnati che si misero a dormire anche se la meravigliosa suite non era dotata di tende ed era quasi completamente inondata dalla luce diurna.
Si svegliarono solo verso le quattro del pomeriggio per via del frastornante rumore di camion e auto che passavano sotto la loro finestra
- Oggi dobbiamo andare a trovare la tua amica? – chiese Fang ancora mezzo addormentato
- Sì. Però per la verità ci devi andare tu, perché ho una cosa da fare! – rispose evasivo Keeran
- Ok, dimmi dove la posso trovare che ci vado subito – concluse l’altro, da quando gli avevano sparato era diventato meno pigro che mai
- Vai al museo nazionale d’arte e chiedi di Lyn Shang, lavora come restauratrice di manoscritti e curatrice esterna –, la voce di Austin risuonò dal bagno.
Brass uscì in strada, se Taipei di notte gli era apparsa pure a lui una città molto affollata, ora gli sembrava che la gente fosse aumentata a dismisura. In una via deserta dove prima non c’erano altro che un paio di banchi di legno, ora si era formato un intero mercato. Dalle bancarelle pendevano collane di spezie delle più svariate categorie, l’atmosfera era di festa e nell’aria aleggiavano una miriade di profumi e odori. Se non fosse stato che aveva appena finito di far colazione si sarebbe anche azzardato ad assaggiare qualcosa di tipico, fritto e speziatissimo ma nemmeno lui poteva chiedere un simile sforzo al suo stomaco.
Uscito dal mercato non ci mise molto a trovare il museo, proprio davanti a sé vide un cartello che indicava la direzione della sua meta. Così un quarto d’ora dopo si trovò a fronteggiare l’entrata.
Il museo d’arte nazionale era situato in una zona fuori dal centro cittadino, vicino alle miniere e venne fondato ufficialmente nel 1965, quando varie raccolte vennero fuse in una singola istituzione. Esponeva più di 620.000 pezzi provenienti perlopiù dalla collezione imperiale cinese della dinastia Manciù conservata a Pechino.
Ora Fang si trovava nell’atrio e visto che non aveva tempo da perdere, andò subito al dunque. Doveva trovare quella donna. Si diresse verso il centro informazioni che era costituito da un semplice box vetrato con in dotazione una minuscola signora dai capelli rosso menopausa, tutti cotonati, le labbra perennemente arricciate e gli occhietti maleficamente vispi.
Fang si avvicinò, sorrise – Scusi, una cortesia. Vorrei parlare con Lyn Shang, mi hanno detto che lavora qui. Dove posso trovarla? -. Lei lo squadrò da capo a piedi: dal sorriso pungente, ai tatuaggi che gli percorrevano gli avambracci ed infine il labbro spaccato. Quello proprio non andava. La donna continuò a guardarlo torvo – Lei ha appuntamento? –
- No, ma… - lo stava decisamente assoggettando
- Mi dispiace. Niente appuntamento, niente visita. Signorina Shang molto impegnata. Spiacente – la donna si torceva le mani e anche se abbassò la testa, Fang era certo che le fosse sfuggito un sorrisino beffardo e compiaciuto
Questa è la reincarnazione cinese di mia madre…
- Grazie – disse tra i denti Fng. Però non finiva lì, non avrebbe mollato la presa.
Stava già architettando di intrufolarsi di nascosto quando sentì una voce femminile alle sue spalle. Si girò soprappensiero, lo sguardo cadde sul cartellino, oltre che in un paio di altre lingue c’era scritto: Lyn Shang.
Non perse l’occasione – Scusi, Lyn Shang? -. Lei gli sorrise angelicamente – Sì, sono io – gli porse la mano, nivea e dalle dita affusolate. – Posso esserle d’aiuto? –
- Sì, però vorrei parlarle in privato. Se possibile –
- Ok. Va bene nel mio studio? –
- Perfetto! – assentì Fang, poi voltandosi guardò in tralice la signora del centro informazioni
Beccati questa vecchia!
Lei lo accompagnò per lunghi corridoi secondari, da lì ogni tanto però si potevano vedere alcune opere del museo tra cui vasi e magnifici dipinti.
Questo diede il tempo a Fang di studiarla un po’ più a fondo. Si muoveva con passo fermo e deciso, ma allo stesso tempo evocava una leggiadria piena di classe. Ad ogni movimento i setosi capelli neri con riflessi bluastri sobbalzavano leggermente. Il collo flessuoso saliva fino all’ovale perfettamente disegnato, i lineamenti, malgrado si capisse che erano tipici della sua etnia, erano ben tracciati in curve dolci. La pelle candida e  vellutata che contrastava con gli occhi scuri e lucenti.
Quello che lei chiamava studio, in realtà non era altro che un laboratorio con in fondo una scrivania. Fang si sentì subito a casa in mezzo a tutte quelle apparecchiature, l’unica netta nota di contrasto tra il suo ufficio e quello della Shang era l’ordine ineccepibile. Troppe volte Fang aveva sentito definire il suo laboratorio come zona di non ritorno o lager.
L’uomo sembrava un bambino nel paese dei balocchi, e per un attimo perse il cipiglio serio che avrebbe voluto mantenere.
- Oh non mi sono presentato. Daniel Fang – si affrettò a dire
- Fang… Non mi è nuovo. Per caso l’ho già conosciuta a qualche convegno? – le si era corrugata la fronte
- No. Ma credo che lei conosca un mio amico, è lui che mi ha mandato da lei. Liam Keeran –
- Allora non voglio avere niente a che fare né con lei mister Fang o tanto meno con Keeran! – era molto adirata - Non vorrei sembrarle scortese, ma mi faccia il favore di uscire subito da qui – Fang però era preparato. Quando c’erano di mezzo il connubio Keeran-donne ci si poteva aspettare di tutto.
- No, lei non è scortese a farmi uscire. Sarebbe scortese a farlo senza prima aver visto queste – e con un gesto teatrale, trasse da sotto la giacca le pergamene che erano sistemate in un sacchetto di plastica sotto atmosfera, in modo che non si degradassero ulteriormente. Lyn aveva assunto un’espressione famelica, voleva sapere che cosa fossero quei fogli.
Protese una mano cercando di darsi un contegno
- Posso? – domandò. Fang le porse i due sacchetti. Lei li rimirò per un po’ con aria sapiente, le labbra formavano parole silenziose. Ogni tanto si fermava aggrottando le sopracciglia e poi continuava nel suo muto discorso.
Avvicinò le dita all’apertura dell’involucro
- Ah,ah. Non lo faccia – la rimproverò Fang
- E perché? –
- Ci deve essere anche Keeran, e poi ho le mie buone ragioni! – in realtà non ce le aveva per niente, però sapeva tenere la gente sulle spine con la sapienza di un televenditore. E anche se era un dettaglio insignificante, il non poter toccare le pergamene sapeva che le avrebbe dato fastidio.
- Allora, cosa ne pensa? – bruciava di curiosità
- Io non posso analizzarle al microscopio. E lei non ne potrà sapere fino a domani – Lyn sorrise
- Ah sì? Domani? Mi dica a che ora –
- Stessa ora, stesso posto  - si diresse verso la porta, la aprì per metà, voltò appena la testa in modo tale che l’uomo potesse avere uno scorcio sui suoi occhi
 - Una domanda. Lei è quello di Pittsburgh? –
- Sì esattamente – rispose Fang che aveva rimesso a posto le carte
- Si avvicini – disse Lyn con tono più basso. Lui avanzò, solo da vicini lei si accorse di quanto l’uomo fosse realmente imponente.
- Ho forse fatto colpo? – scherzò Fang
- No – rispose Lyn seccamente – Però ci ha quasi azzeccato -. Gli tirò un ceffone in faccia, una cinquina formidabile – Riferisca il messaggio a Keeran –. La ragazza si mise la borsa a tracolla e se ne andò, i tacchi sul pavimento che rimbombavano nei corridoi.
Fang si massaggiò la mascella dolorante e tornò sui suoi passi. Lei era poco più avanti e la vide allontanarsi ancheggiando
E come ancheggia… Certo che Liam se l’era scelta proprio bene…
- Le dispiacerebbe tanto smetterla di fissarmi il didietro Mr. Fang? – domandò secca Lyn senza nemmeno voltarsi e proseguendo per la sua strada con passo spedito
- Mi scusi, ma se le fa piacere sappia però che ha un gran bel didietro signorina Shang – le gridò dietro lui di rimando.
Il tempo era letteralmente volato, era sopraggiunto l’imbrunire. Quando passò dall’atrio vide la signora del centro informazioni che era uscita dal box, lei lo guardò e disse delle parole nella sua lingua che lui naturalmente non capì. Fang le interpretò come una maledizione folta di pittoresche espressioni asiatiche. Alzò le spalle mentre la donna faceva le scale che portavano all’esterno e si mise la giacca in spalla tenendola con un dito.
Si avviò, un passo e si ritrovò per terra. Aveva sentito il piede scivolargli via e poi niente, solo una gran botta. Si guardò intorno, il pavimento risplendeva lucido sotto la luce del sole morente che filtrava dalle finestre. Avevano appena messo la cera.
 
 
- Era ora che arrivassi! – sospirò Keeran che era seduto al bancone del bar dell’hotel, stava bevendo un drink. Fang saltò sullo sgabello vicino – Non rinunci a un bicchiere d’assenzio neppure se ti trovi a Taipei? –. Fang credeva che ciò che si preferisce bere dice molto sulla personalità di una persona: Sex on the beach equivaleva ad uno che non vedeva né sex né beach da molto tempo, un Irish coffee era tipico dei tipi tranquilli, l’assenzio, bè era il distillato preferito dai poeti maledetti come Baudelaire. 
- E’ una droga, che ci posso fare – bevve un sorso del liquido verde – Buone nuove o cattive nuove? –
- Dipende cosa intendi. Ci vuole vedere tutti e due domani nel suo laboratorio alle cinque. Con le pergamene – raccontò Fang.
- Cosa? Ma ti avevo detto di chiedergli la traduzione e basta! – era diventato rosso in faccia
- Glieli ho fatti vedere di sfuggita. Ma lei non mi ha detto nulla sul significato… Un White Lady – disse rivolgendosi al barista, ma quello rimase inebetito quando sentì la strana ordinazione – Ma che dico, non sai nemmeno che è… Una birra, dài! – si corresse sbrigativo Fang.
– Oggi non avevi nessun impegno, perché non sei venuto? Così risolvevamo la cosa subito, sei tu quello che la conosce – buttò lì proseguendo
- Saranno fatti miei se non sono venuto?! – esclamò Keeran
- Primo, no. Secondo, è una tua ex molto arrabbiata. Non potevo perdere l’occasione, certe possibilità ti capitano una volta solo nella vita – si mise a ghignare soddisfatto.
- Sei sadico, come fai ad essere mio amico non lo so –
- Non sono sadico, al massimo vendicativo. Tu mi facesti lo stesso tiro con Jennifer. Era una iena quando mi ha trovato e per giunta sapevi che non era colpa mia. Ho ancora il segno delle sue unghie finte sul braccio! –
- Ok. Me la sono meritata – ammise Keeran
- Te la caverai, mi è sembrata gentile… - Keeran fece scrocchiare le nocche – Io vado a farmi un giro fuori, a prendere un po’ d’aria. Però aspetta Keeran, Lyn mi ha dato una cosa da parte sua –
- Cosa? – domandò ingenuamente Keeran e subito Fang gli mollò un manrovescio in faccia.
– Ehi ma Lyn non è così forte… -
- Lo so, ma c’è la tassa per il trasporto! – disse infine l’altro allontanandosi dal bancone.
 
L’indomani tornarono al museo, avevano aspettato l’orario di chiusura, le 19.30.
Era un bellissimo giorno di fine giugno, gli alberi erano in fiore ed i petali che svolazzavano nell’aria formavano le più svariate spirali, per poi atterrare dolcemente sui marciapiedi. Il cielo terso era disturbato solo da qualche nuvola bianca, qua e là, che pigramente veniva spinta dal vento ad oscurare il sole di quando in quando.
Agli occhi di Keeran però tutto era grigio, doveva incontrare Lyn. Non sapeva cosa fare per la prima volta in vita sua, con una donna. Era terribile. Sapeva che lo schiaffo era solo la punta di un iceberg, d’un iceberg molto grosso. E lui era il Titanic poco prima di affondare.
Ma era troppo tardi per abbandonare la nave, ormai erano arrivati. – Andrà tutto bene… vedrai! – disse Fang sorridendo. Austin conosceva quel sorriso, contornato con tanto di pacca sulla spalla. Tutte le volte che l’aveva fatto qualcosa era andato storto, l’elenco era lungo: con Liz Hutchinson in terza superiore, il giorno della partenza con la Marina ed infine in Germania qualche tempo prima. In un certo senso portava sfiga.
Erano nella hall, il box per le informazioni era deserto. Tutto era silenzio, non un rumore di sottofondo. Sembrava di essere entrati in un luogo di culto.
C’era una sola persona nel grande atrio ed era così ben mimetizzata che se non avesse tossito si sarebbe potuta non notare. Lyn Shang era avvolta in un semplice tubino blu di shantung di seta, le arrivava fino alle ginocchia, lasciando ben visibili le lunghe gambe accavallate. Non era diversa da come se la ricordava, anche se una volta sorrideva alla sua vista e non lo guardava corrucciata.
- Ciao – disse Fang un po’ nervoso, si era accorto troppo tardi che la cosa poteva finire male. Si trovava tra due fuochi, non era stata una grande idea.
- Ciao – provò Keeran allungando la mano, cercò d’apparire il più disinvolto e naturale possibile. Lei si alzò, non s’aspettava realmente che lui venisse all’appuntamento
- Oh – rispose trai denti lei, tutt’altro che piacevolmente sorpresa.
Neanche una sillaba: una pugnalata alle spalle… Non ha perso il vizio, rifletté silenziosamente Keeran
- Vogliamo andare? Ho molti impegni, io – lo provocò Lyn rigida, Keeran si sentì attaccato personalmente – Perché secon… - iniziò, ma – Quasi tutti i pezzi del museo provengono da Pechino, ho sentito dire. E’ così? – cercò d’arginarlo Fang.
– Sì, della dinastia imperiale Manciù, per la precisione – confermò la restauratrice
- Continui, sono molto interessato… dall’arte asiatica –.
L’ufficio-laboratorio era come il giorno prima, volendo forse era ancor più ordinato e pulito. Con maggior spazio per lavorare.
Austin voleva finire il prima possibile, perciò prese subito le tre pergamene da una borsa che aveva con sé e le diede a Lyn.
- Sapete già qualcosa? – domandò la donna assorta nel guardare i documenti. Appena li aveva visti, c’era stato qualcosa ad attrarla, il testo che per lei aveva un non so che di misterioso e di famigliare allo stesso tempo.
- Sappiamo grazie al carbonio 14 che risale al 797 d.C. anno più, anno meno. E che sarebbe un dialetto del nord-occidentale cinese -. A quelle parole a Lyn si aprì un cassetto nella memoria. Guardava i segni e vedeva l’immagine della sua bis-nonna, eretta sul ponticello sul fiume, era vestita con un kimono azzurro. Abbracciava lei bambina. Non capiva quale collegamento ci potesse essere tra le due cose.
- Non sappiamo tradurre il testo. Perché sarebbe una lingua morta, di cui non si occupa più nessuno. Però speravamo che tu potessi averla vista o studiata da qualche parte… - I pensieri di Lyn però correvano lontano, oltre quelle mura, a ritroso fino alla sua infanzia passata in Cina, tra le montagne e le colline. Poi capì.
- Non l’ho studiata –
- Peccato, ci avresti dato un grande aiuto – concluse Keeran davvero rammaricato e che per la prima volta si era dimenticato con chi stesse parlando. – Ho detto che non l’ho studiata. Non che non la conosco! – ribatté però decisa lei.
- Perfetto, allora puoi tradurlo?! – esclamò Fang soddisfatto. – Mi ci vorrà del tempo. Almeno delle ore –
- Ok. Non abbiamo impegni, mettiti al lavoro… per favore – fece Keeran mentre prendeva un sedia e si sedeva. Lyn lo guardò un attimo incerta sul da farsi, poi sbuffò e si sedette a sua volta. Pergamene, carta e penna in mano, cominciò subito a lavorare china sui fogli.
Fang stava perlustrando il laboratorio, macchina dopo macchina. Alcune erano semplici, altre strane e particolari, mai viste prima.
Trovò uno spettrometro di massa rotto, per la traduzione Lyn aveva detto che ci sarebbe voluto molto tempo, perciò si mise a fare la cosa che meglio gli riusciva: aggiustare le cose.
Lyn mentre traduceva il testo di tanto in tanto alzava lo sguardo, una, due volte, alla terza si scoprì a spiare Keeran di sottecchi. Sempre con quella sua eleganza dimessa, quel fascino conturbante legato ai lineamenti leggermente slavi, con il taglio degli occhi allungato e gli zigomi poco accentuati.  E poi infondo non era neppure cambiato molto in sei anni: non era ingrassato o dimagrito, i capelli bruni invece erano più folti e lucenti che mai. Solo quel suo caratteraccio…
Qualche ruga d’espressione in più era l’unico segno visibile lasciato dallo scorrere del tempo. Lo sguardo era lo stesso, sornione come quello di un gatto, ma in perenne attesa di colpire e fulminare.
Quegli occhi grigi, sempre in tumulto come un cielo burrascoso, erano imprendibili. Davano l’idea che chi fosse stato capace di reggerne lo sguardo avrebbe potuto anche in qualche modo possedere, o anche solo trattenere per un istante Keeran. Però mai capire, era come una goccia di mercurio: imprendibile e se maneggiato in malo modo velenosissimo.
In quell’istante Keeran aveva un’espressione rilassata quasi mansueta.
La quiete prima della tempesta, pensò Lyn
E poi l’occhio destro, attraversato da una specie di linea più scura, quasi una cicatrice che aveva già da quando s’erano conosciuti. Era quanto mai tetro. Non le aveva mai detto come se la fosse fatta.
Quando Keeran si girò per vedere come procedeva la traduzione, Lyn arrossì un poco e si rimise in fretta ad occuparsi delle pergamene poste sulla scrivania.
 
 
- Ok. Ci sono. Credo non manchi nulla – sentenziò Lyn soddisfatta del proprio operato, alzandosi dalla sedia. Gli altri due si levarono a loro volta ed esclamarono all’unisono: - Sia ringraziato il cielo! -.
Erano cinque ore e mezza che erano lì, ed il cielo era buio da un pezzo. Non ne potevano più d’aspettare, ormai avevano assunto la stessa forma delle sedie.
- Allora se venite qui vi spiego il tutto – disse Lyn, ma non c’era nemmeno bisogno di dirlo, Fang e Keeran le erano già accanto. – Questo – prese il primo foglio – E’ più o meno un resoconto, del perché e del percome questi monaci, che vissero nell’attuale zona della città di Urumqi nel Nord-Ovest della Cina, all’epoca della dinastia Tang, dovettero nascondere questo tesoro importantissimo per la stessa dinastia. Non si capisce bene in che cosa consista perché manca un pezzo però parla di un enorme quantità d’oro e pietre preziose.
Inoltre c’è scritto che a proteggere la collocazione del tesoro ci sono molte astuzie e che per far questo si sono recati in posti lontani dalla patria. Chiedendo anche aiuto a sovrani locali – disse Lyn rimettendo a posto la pergamena.
- Fin qui non ci dice molto. Insomma è la storia, però noi la sapevamo già. Continua pure… - fece Keeran.
- Va bene. La seconda pergamena è più strana e probabilmente interessante – la prese in mano – Credo si tratti di un codice. In pratica questa lingua usa una scrittura di tipo sillabico, per modo di funzionare molto simile al cinese, per questo i pittogrammi usati per formare una parola sono moltissimi. In pratica per ottenere qualcosa di senso compiuto basta intersecare i suoni di pittogrammi adiacenti.
- Solo che non ne capisco il senso… o l’utilizzo – mormorò Lyn tra sé e sé. – E tu? – domandò.
- Nemmeno io capisco. Sicuramente è un codice, ma di che genere non lo so. Non lo conosco – scosse il capo dubbioso Keeran. Rimasero in silenzio per vari secondi, poi…
- Io però so che cos’è. Quello è un codice…Come diavolo si chiamava! Ah, sì: il cifrario di Vigenère – sbottò tutto di un tratto Fang.
- E come funziona. Come si decodifica? – si precipitò Lyn
- Serve un verme, una parola chiave – guardò il block notes con la traduzione – che viene ripetuta per tutta la lunghezza del testo, poi per ottenere quello in chiaro non si fa altro che eseguire una semplice somma aritmetica. E’ facilissimo, esiste persino una tavola per decifrarlo. Di solito una parola accordata tra destinatario e mandante, però in questo caso non essendoci un mittente preciso dovrebbe esserci una frase, un indovinello. Sicura non ti sia sfuggito niente? – domandò ancora euforico per la scoperta appena avvenuta.
- Sì, c’è l’altra pagina! – Lyn cominciò a rovistare sulla scrivania, non trovava la traduzione – Eccola! Il fuoco ne prosciuga la vita. Be’ finisce così, non c’è molto, il foglio è strappato, non ho la minima idea di come possa continuare. Non abbiamo certo troppi elementi – sorrise amaramente in direzione di Keeran, – Ma sono sicura che l’onnisciente lo saprà -.
- Mi è forse sfuggita una punta di sarcasmo? – domandò Keeran, se la ragazza voleva la guerra, guerra sarebbe stata. Lyn si voltò, mano sul fianco, occhi stretti ed assassini – Ma bravo! Allora ogni tanto qualcosa la capisci -.
- Vuoi continuare con i complimenti o forse devo iniziare io? – quella ragazza era una delle poche persone che riusciva a far davvero uscire seriamente dai gangheri Keeran.
- Guarda, ringrazio ancora il giorno in cui ci siamo lasciati, e io che non avevo capito che razza d’uomo eri… - sbuffò Lyn, intanto stava rumorosamente sistemando tutti gli appunti che aveva sul tavolo.
- Dimmelo, che razza d’uomo sono? Facciamola fuori una buona volta e finiamola qua – la spronò Keeran, sapeva che quella era una scenata inutile e che non avrebbe portato a bel  niente. Però non ci potevano nemmeno stare due galli in un sol pollaio.
- Lasciamo perdere, non serve rivangare cose che tanto sono già palesi. Tanto per tua informazione, io dopo di te ho continuato a vivere -
- Sì, sola come un cane! –
- Come ti permetti! Credi che io non abbia avuto più un uomo dopo di te? – chiese perentoria lei
- Stai forse con qualcuno? –
- Non ti deve interessare, e comunque io ne sarò uscita molto prima di te. Conoscendoti, tu sei solo apparenza… - proseguì Lyn
- Hai ragione. Sai l’impennata nelle vendite di Kleenex? Colpa mia! – disse ironico Keeran.
- Come sei cinico! Non sei cambiato neppure d’una virgola – disse con disprezzo Lyn
- Grazie. Ho sempre odiato i complimenti zuccherosi –
- Tu credi di essere simpatico, il meglio. Ma se tu sei il più intelligente, non sei altro che il meno scemo tra gli scemi. Il che conta ben poco, mio caro – si adirò lei, rossa in volto come Keeran non l’aveva mai vista
- Sopravviverò! E comunque, se si dice che viviamo in un mondo di deficienti io sarei…-
Brass si frappose trai due con un braccio, la scenata stava decisamente degenerando, – Ok, ok. Fine del primo round, tornate agli angoli. Cavolo siamo qui per trovare una soluzione a questa benedetta pergamena! Vorrei finire prima dell’alba…Quindi smettetela di litigare come due marmocchi ed iniziamo a lavorare seriamente -. Keeran strabuzzò gli occhi, non poteva credere alle parole dell’amico. Fang ricambiò lo sguardo ed ammise – Sì, lo so. Non pensavo neppure io che un giorno avrei detto certe cose. Sto proprio invecchiando -.
Fang però aveva ragione, l’oscurità oltre le finestre si era trasformata nel buio cupo della notte. E tutti percepivano addosso la stanchezza.
- Va bene, riprendiamo da principio. Lyn, in che lingua hai tradotto? – chiese spossato Keeran, i litigi lo prosciugavano dentro
- Ho provato tutto e un po’, ma alla fine l’unica possibilità è stata il latino – replicò altera lei.
- Ok, la cosa più logica è il legno, però mi sembra proprio una scemenza. Va beh, dài prova: lignum – Keeran si passò una mano trai folti capelli, gli occhi erano pesanti e contornati dalle occhiaie. Fang impiegò dieci minuti buoni, ma alla fine quando alzò la testa dal foglio
 - Game over amico, ritenta e sarai più fortunato. Questa volta abbiamo toppato  – disse guardando Keeran che infondo un po’ se lo aspettava, quello era solo un tentativo, aveva sparato a caso.
- Io dico d’andare a dormire, ci ripenseremo domani. A mente lucida. Sono quasi le due di notte, non so voi, ma io a quest’ ora dopo una giornata intera non ragiono più. Se volete ci vediamo domani mattina alle nove e ne riparliamo – propose Lyn. Gli altri non dissero niente, annuirono soltanto e salutarono silenziosamente.

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Capitolo 7
*** The Man and Magical Lemonade ***


 
Se fino a quel momento nessuno dei due aveva avuto voglia di proferir parola, neppure durante la cena, invece ora sembrò che all’improvviso Fang si fosse ricordato d’esser dotato di una lingua. Anche se quel mattino erano riusciti a prendere un’altra camera, l’unico bagno funzionante rimaneva sempre e comunque quello di Keeran che fu per questo costretto a subire una specie d’interrogatorio.
- Emh, io pensavo che fosse una cosa da poco, la bellezza esotica conosciuta ad un convegno, invece qui l’affare s’infittisce – cominciò Fang, cercò di far sembrare quella frase molto casuale, anche se in realtà era tutto premeditato.
- Meno male che la curiosità è femmina… - sospirò Keeran, l’indiscrezione dell’amico era quasi insopportabile
- Ehi faccio solo un po’ di conversazione, niente di che. Dico solo che c’è qualcosa sotto, tra persone normali mica ci si scanna così! – esclamò concitato Fang, poi però soggiunse sommessamente – Mannaggia a te! - , si era tagliato con il rasoio.
- Ben ti sta – commentò Keeran poi però proseguì, c’era una cosa che non aveva mai detto a nessuno e sapeva che se non l’avesse fatto in quell’istante, se la sarebbe portata nella tomba. – La cosa in effetti era seria, insomma ci siamo lasciati a meno di tre mesi dalla celebrazione delle nozze… -.
Fang si voltò abbastanza lentamente, teneva il rasoio in mano a penzoloni ed aveva un aspetto abbastanza strano: mezzo volto rasato e l’altro tutto ricoperto di schiuma, a fare da contorno era l’occhio sinistro completamente tumefatto. Alzò una mano in aria, palmo spiegato, aprì la bocca da cui per un istante non uscì alcun suono – Tu intendi quella roba con i vestiti eleganti, il ristorante di lusso, la musica assurda e tanto riso? – domandò esterrefatto e confuso, poi aggiunse – Ho idea d’essermi perso qualcosa -, gli sembrava quasi impossibile che il suo amico fosse arrivato così vicino al grande passo. Almeno, se qualcuno glielo avesse raccontato certamente non ci avrebbe creduto.
- Be’ sì stavo per sposarmi, non mi sembra una cosa poi così anomala – disse abbastanza tranquillamente, poi proseguì – Non te l’ho detto perché, ragiona, il fatto è avvenuto sei anni fa. Quindi… - fece una pausa, non gli piaceva parlare di quella questione; tanto era certo che l’amico avrebbe capito.
- Afferrato – disse risoluto Fang finendo di farsi la barba, sapeva a che cosa alludesse Austin, erano passati esattamente sei anni dall’unica volta in cui la loro amicizia si era incrinata ed aveva rischiato di dissolversi. Ormai sull’argomento avevano messo una bella pietra, però ai tempi non si erano parlati per mesi e mesi.
- Non te l’ho detto in seguito, perché non ne vedevo la ragione. Per me era storia chiusa. Almeno così credevo… Hai da fumare? – chiese Keeran, le sigarette le teneva solo per le occasioni speciali e quella sera ne meritava proprio una. – Sono queste domande da fare!? – esclamò allibito Fang, lanciandogli un pacchetto di B&H e l’accendino. – Grazie -. Keeran fece scattare la rotella, e la fiamma si accese sul tabacco arrotolato.
Fang stava per tornare in camera quando però chiese - Perché te ne sei andato? Insomma, non eri proprio il tipo “ padre di famiglia ”, ma nemmeno un allergico alla vera. Non capisco -. Keeran alzò la testa, fissò un attimo la carta da parati verde mela per pensare poi rispose: - Non so cosa mi prese. Forse ero sotto pressione, in quel periodo successero un sacco di cose. Il matrimonio, la nostra lite, la malattia di mio padre e Clayton che mi contattò per lavorare per il GST. Non ero pronto, fui sommerso dalla valanga degli eventi – sospirò. Una voce subdola e malefica però chissà perché gli sussurrava che stava mentendo, e mentiva sapendo di mentire…almeno su alcuni punti.
– E poi sai com’ero… -
- Beh, dire che eri un pirla è un eufemismo! – lo provocò Fang
- Ehi, ti sprechi in complimenti –
- Che vuoi che ti dica, è vero. Lo ero anch’io. Per quanto si possa essere adulti, a volte è come tornare bambini: compiti troppo grandi per gente che grande lo è già -
- Poetico. Quanto avevi in filosofia? – cercò di sdrammatizzare l’altro
- B+. Comunque non preoccuparti, ce la siamo sempre cavata. Lyn e la storia del tesoro, tutto si sistemerà. Ci siamo abituati io e te. Mi spezzo, ma non mi piego – disse riprendendosi il pacchetto di sigarette – Seneca – aggiunse concludendo, se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Keeran andò a coricarsi a sua volta, spense la luce e si rigirò su d’un fianco. Dalle finestre filtravano i raggi della luna calante che illuminavano la camera, facendo apparire spettrali i contrasti tra luci ed ombre.
Keeran come al suo solito faceva fatica ad assopirsi, fantasticava su come sarebbe stata la sua vita se avesse sposato Lyn. Magari avrebbe avuto dei figli, anzi sicuramente; non avrebbe lavorato per il GST e la sua esistenza sarebbe stata decisamente meno movimentata.
Però se non fosse tornato in America non avrebbe fatto pace con il suo migliore amico, non avrebbe conosciuto tante persone, non avrebbe fatto molte esperienze… Ad un certo punto, per via della strana forma di pensare di cui è dotato l’uomo e dei nessi logici a volte incomprensibili che però facciamo, si ritrovò a ricordare di quando era ragazzino, delle ore passate con Fang a tormentare i professori. Uno in particolare era preso da loro di mira era quello di chimica, un certo professor Abbott. Gli pareva di sentire ancora quella sua vocina acuta e fastidiosa che tanto riusciva ad intralciare i sonnellini mattutini di Fang. 
Come un fulmine si catapultò fuori dal letto, era come se fosse stato uno spiritato. Tra sé e sé ringraziò il professor Abbott e corse in corridoio, un invasato, si catapultò nella camera di Fang che già dormiva come un sasso. – Dan sveglia! Su brutto idiota, ho la soluzione al codice! -, disse scrollando senza troppi complimenti l’amico che si svegliò di soprassalto. – E ché cos’è! Cosa succede? – balbettò stropicciandosi  gli occhi. – Su alzati, potrai dormire più tardi. Ora ho bisogno di te! – esclamò Keeran.
– Spera che la parola sia quella giusta o preparati a essere scaraventato fuori dalla finestra. Diventerai l’uomo proiettile di Taipei – sbadigliò stancamente l’altro.
– Affare fatto, però ora risolvi il codice. Ho già scritto le lettere da usare –
A Fang ci volle un po’ di tempo per comparare le lettere del verme con quelle del testo cifrato ed usare infine il reticolo, nonostante che la frase fosse davvero brevissima.
– Finito – esordì poco dopo – Come ti è venuto in mente? – domandò porgendo il block notes a Keeran – Ah, è una storia strana. Stavo pensando al prof. Abbott e mi sono venute in mente le sue parole a proposito dell’opale che perde i riflessi ed i colori se messo nel fuoco – spiegò noncurante del disappunto del compagno.
– E non ci potevi pensare prima? Dormire con te è peggio del jet leg! –
Keeran che non aveva ancora posato gli occhi sul foglio imprecò contro le pergamene ed i monaci che le avevano scritte: – Diamine ancora un indovinello – era sconcertato. Certo, non credeva che avrebbe scovato il tesoro in un battere di ciglia, però era stufo di pensare, ripensandoci ancora meglio un poco d’azione. Anche un inseguimento per Londra.
Fang non sentì le parole di Keeran, era troppo concentrato a capire il perché quelle due parole gli fossero tanto famigliari, era sicuro d’averle già lette da qualche parte, ma dove? Chiunque si sia mai trovato in una situazione simile sa quanto sia terribile: più si tenta di ricordare e più quella parola o pensiero sfugge.
Fang però sapeva qual’era il metodo migliore per farselo tornare in mente, cioè distrarsi e fu quello che fece. Non disse nulla ad Keeran, se l’avesse fatto sarebbe stato ancor peggio, quindi nell’attesa aprì il frigobar, prese una limonata e fece persino finta di nulla: – Io sono sicuro che la parola opale sia veramente il verme di questo cifrario, però chissà cosa vogliono dire quelle parole. Tu hai qualche idea? – domandò appoggiandosi al muro – No perché io vorrei risolverla al più presto. Non vorrei che ti venisse un’altra illuminazione mentre io dormo – Fang sottolineò l’ultimo passaggio della frase, amava tre cose nella vita e una di queste era proprio il caro buon vecchio sonno. Dicendo questo però agitò un po’ la mano e parte del liquido contenuto nella bottiglia andò a finire, tra tutti i fogli che c’erano sul comò della camera, esattamente sulla pergamena che Keeran aveva appena sfilato dalla busta. Keeran si voltò a guardare Fang con aria assassina e sbraitò – Ma sei scemo? -.
Fang che per una frazione di secondo aveva assunto la stessa espressione del quadro Il grido, d’un certo Munk, si riprese. Anzi cominciò a sorridere – Aspetta a mettermi sulla graticola, guarda un po’ cosa sta facendo la mia limonata – asserì molto tranquillamente. Keeran fissò la pergamena: a mano a mano che stava asciugando cominciavano ad intravedersi incerte delle linee, che prima sicuramente non c’erano.
I cinesi avevano usato del semplice inchiostro invisibile. – Per fare più in fretta potremmo usare il phon! – propose Fang, ma gli bastò un’occhiata da parte di Keeran per capire che doveva solo provarci, - Su non essere così lapidario. Infondo è merito mio se abbiamo scoperto l’inchiostro – aggiunse divertito.
- Fammi un favore, prendi la digitale. Sta nella mia valigia – disse Keeran, quello che doveva immortalare con la macchina fotografica era un disegno, rappresentante una scogliera a picco sul mare; almeno così sembrava. Anche se doveva esser stata tracciata abbastanza di fretta, l’immagine era estremamente particolareggiata. Si potevano scorgere i gabbiani che volavano sopra la falesia, le onde che s’infrangevano su di essa, e poi sembrava esserci come una fortezza incastonata nella scogliera che faceva tutt’uno con la roccia. Un luogo pressoché inaccessibile i cui unici padroni potevano essere gli uccelli marini ed il vento.
Dopo aver scattato la fotografia, il disegno scomparve lentamente come avviluppato da un banco di caligine. Prima che succedesse però anche Fang fece in tempo a vederlo nella sua integrità.
– Lo sapevo! - subito esultò schioccando le dita, Keeran non si era ancora ben reso conto che l’altro soggiunse – Vuol dire scogliera nera. Quelle due parole tradotte dalla lingua cornica vogliono dire scogliera nera! -.
Keeran era ancora basito – Ok, ma come fai ad esserne certo? – domandò continuando a guardare l’immagine della falesia sul display
- Era il nome d’un pub in cui ero stato un quattro estati fa. Non dimentico mai un buon locale dove sono stato – affermò disinvolto. Keeran quasi non ci poteva credere che ce l’avessero fatta – Certo al cento per cento? -.
Fang lo guardò quasi compassionevole scotendo il capo – Ordinai un’ottima birra scura, due sterline e mezza alla pinta e la cameriera che ci servì si chiamava Leah. Devo forse continuare? -.
- No no perfetto – commentò Keeran soddisfatto cominciando a far ordine e a rimettere insieme tutte le carte. Guardò l’orologio, non ci poteva credere erano già le cinque.
 - Ok buona notte! – declamò Fang gettandosi sul letto. – Sei una cosa incredibile! Se il mondo crollasse tu ti scosteresti un po’ più in là! – esclamò Keeran.
- Vedo che hai capito la mia filosofia di vita. Bravo amico – fece una pausa – Ah, con noi porteremo anche Lyn? –
- Certo che no! – rispose frettolosamente Keeran che stava uscendo in corridoio per far ritorno alla propria stanza – Domani le diciamo che abbiamo risolto il codice e… basta -.
Intanto la Mano di Dio stava già dipingendo l’alba in quel precoce mattino, gli uccelli notturni lasciavano il posto a quelli diurni ed un’ora o due più tardi lo stesso avrebbero fatto gli ubriaconi con i mattinieri lavoratori di Taipei.
 
Tornarono in Inghilterra. Quella terra uggiosa per molti e che invece per altri che probabilmente l’hanno vissuta più a fondo e meglio, offre uno spettacolo di una bellezza disarmante. Così almeno la pensava Keeran.
Le ripide pareti color alabastro e le falesie che perennemente venivano percosse dalla forza del mare che le colpiva con enormi cavalloni che si scontravano corpo a corpo con la nuda roccia per poi dissolversi in un ribollir di schiuma e acque.
Sul tutto dominava il cielo plumbeo, in un cui veleggiavano grandi nubi cariche d’ira e tempesta. Quando sarebbe stato abbastanza vecchio, rifletté Keeran, gli sarebbe piaciuto abbandonare la vita frenetica e alla moda di Chicago per ritirarsi nella tranquillità di un cottage, magari in Cornovaglia o Bretagna da cui avrebbe potuto ammirare quella vista ogni mattina. A parer su non si poteva non rimaner sconvolti da quelle tinte, i colori freddi che transitavano dal blu intenso al piombo creavano un mondo del tutto estraneo a qualsiasi altro.
- Odio questa stupida isola! – esclamò Fang mentre percorrevano un campo incolto, malgrado fosse luglio faceva un freddo infame ed era così buio che non si poteva avere raggio visivo più ampio di dieci metri – Dovrebbero cancellarla dall’atlante! Io mi domando: Indiana Jones finisce sempre per avventurarsi in luoghi lussureggianti, dove di minima ci sono ventotto gradi e belle ragazze in gonnellino di paglia. Noi il massimo che possiamo trovare è quest’erbaccia e una montanara imbacuccata dalla testa ai piedi. Non è minimamente equo – si lamentò abbastanza forte cercando di sovrastare l’urlò del vento che li frustava con gelide folate. Keeran era poco più avanti, apriva la strada camminando in mezzo alla fitta erba stepposa che gli arrivava fino al ginocchio. Effettivamente faceva un po’ freddino in maglietta con dieci gradi.
Era più di mezz’ora che camminavano praticamente alla cieca nel cuore della brulla campagna inglese, e persino lui iniziava a dubitare del proprio senso dell’orientamento, ma comunque urlò di rimando a Keeran:
- Lamentati in direzione –
Saltò uno steccato di legno dipinto di bianco, era il decimo che superavano ed ogni volta pensava fosse quello giusto, invece no. Cominciò a piovere, una, due gocce, pioveva a scroscio, o come lo definì Fang ‘ a secchiate ’ visto che l’espressione a catinelle non avrebbe ben reso l’idea.
Quello alzò lo sguardo al cielo ed esclamò: - C’è altro? -. A domanda, risposta. Un chicco di grandine lo colpì in piena fronte con suo grande disappunto, si misero a ridere, tutti insieme, per quella situazione fantozziana, mentre venivano letteralmente subissati da un nugolo di neanche troppo minuscole biglie di ghiaccio.
Keeran aumentò il passò, la visione un po’ offuscata ma era certo che quello che aveva scorto era un hangar, un rugginoso hangar della Seconda Guerra Mondiale. Appena fu vicino all’uscio spinse la mastodontica porta e creò uno spiraglio da cui passare, per un  attimo una lama di luce proveniente dalla stanza retrostante illuminò il bitume, per poi subito scomparire.
Entrarono in un ambiente meravigliosamente caldo ed accogliente, per loro che erano ridotti a stracci umani zuppi fino all’ossa. Il tepore li avvolse in un piacevole limbo da cui non avrebbero mai voluto ridestarsi.
L’uomo che venne loro incontro era altrettanto caloroso, il sorriso accogliente ed i modi affabili – Spero che vi siate asciugati le scarpe prima d’entrare –
- Molto spiritoso Ian – dissero Keeran e Fang all’unisono, ma prima che potessero salutarsi, l’altro notò qualcosa di strano e domandò: – Ma dov’è che avete colto questo splendido giglio di campo? -.
Keeran si voltò e disse: – Al supermercato, ogni due confezioni d’involtini primavera ti regalano una cinesina -.
Lyn non ci fece caso e sorrise compiaciuta al padrone di casa – Grazie io sono Lyn Shang e tu devi essere il famoso Ian –
- Be’, spero proprio di sì. Se no fuori di qui! – rispose lui.
Lei guardò gli altri due ed aggiunse – Da quest’uomo avete moolte cose da imparare -.
Ian fece loro strada per l’hangar, in una zona erano parcheggiati i tre aerei che possedeva, ma solo uno era utilizzabile: il bimotore bianco che avevano usato neppure un mese prima. L’altro era un Spitfire della Seconda Guerra Mondiale a cui nessuno si poteva avvicinare. Austin erano quasi otto anni che conosceva Ian ed erano otto anni che vedeva quel vecchio aereo della RAF, la Royal Air Force, parcheggiato nell’hangar anche se ogni volta un miglioramento gli era stato apportato.
Proseguirono fino ad arrivare in una parte che era stata chiusa ma priva d soffitto, Ian si era creato una sorta di mini-appartamento all’interno dell’hangar. Una vera casa in miniatura, aveva persino tolto una pezzo di parete di lamiera per ricavare una veranda coperta, sui cui vetri in quel momento stava battendo la pioggia mista a grandine, nel tepore dell’appartamento si poteva quasi godere di quello spettacolo.
Una voce femminile chiamò Ian da quella che era la cucina, un ambiente un po’ spoglio ma dall’aspetto accogliente e famigliare, ad Keeran saltò subito all’occhio, l’ultima volta che c’era stato non era esattamente così.
- Lei è Cindy – disse Ian, sorriso a trentadue denti che sprizzava energia da ogni poro, ad attaccarci una spina sarebbe riuscito ad alimentare l’intera Down Town di Chicago, pensò Keeran.
Osservò la ragazza che gli era stata presentata. Lei è Cindy, l’avrebbe potuta immaginare in mille modi diversi, di cui l’aspetto più accreditato sarebbe stato: chioma dai riflessi d’oro ed occhioni blu da cerbiatta. In realtà aveva la pelle color cioccolato fondente. Minuta, una folta capigliatura dai piccoli riccioli ben delineati, occhi nocciola e un sorriso di una bellezza e perfezione assolute, solo quello valeva dieci, cento, mille Naomi Campbell. La nuova venere nera.  
Solo in quell’istante notò che qualcosa scintillava al dito di Ian, sull’anulare sinistro e non doveva essere stato l’unico visto che Fang all’improvviso sbottò – Oh, mio Dio! Non ci posso credere che ti sia sposato!- e soggiunse – Naturalmente mille e mille auguri – abbracciò e baciò la sposa. Keeran che per certe cose era molto più contenuto, si limitò a complimentarsi e ad un paio di strette di mano ed abbracci.
- Direi di cenare – propose Ian – abbiamo carne fatta alla brace, costine, salsicce e quant’altro, e naturalmente del buon rum proveniente dalle Barbados –.
La serata procedette placidamente, i tempi erano prolissi, tra una portata e l’altra passavano più di venti minuti, sempre riempiti da chiacchiere e discorsi che si protraevano all’infinito. Si passava dallo sport al lavoro, anche se il matrimonio tenne banco per un’ora buona, soprattutto tra le ragazze che erano entrate subito in sintonia: Cindy era una speleologa e abbastanza di sovente le capitava di ritrovare manufatti antichi. Un invito a nozze per Lyn.
Arrivati alla terza bistecca d’alce tutti mollarono il colpo, a parte Fang che era dotato di un appetito sovraumano e di una cloaca al posto dello stomaco. A mezza notte iniziarono a sparecchiare e a riportare tutto in cucina, al che in veranda rimasero solo gli uomini, Ian versandosi un bicchiere di rum esordì: – Mi hai detto che hai bisogno di me, anzi del mio aereo, di che si tratta? -
- Sempre del tesoro, dovrebbe trovarsi sulla costa e ci farebbe comodo uno sguardo dall’alto. Se ho intuito bene dovrebbe essere in una grotta, o almeno un nuovo indizio. Questo è un favore che ti chiedo, tu sei libero di rifiutare. Infondo hai già avuto modo di conoscerli pure tu quelli là – rispose Keeran riferendosi ai loro inseguitori.
- Vuoi un po’? – gli propose l’altro accennando alla bottiglia, intanto stava riflettendo sulla proposta
- Giusto un dito –
- In effetti è proprio quello a cui stavo pensando, non tanto per me, ma per Cindy. Non voglio che le succeda niente, quei tipi mi paiono senza scrupoli e l’ultima cosa che voglio sono delle ripercussioni o delle vendette – si spiegò in sussurro, combattuto tra la forte amicizia e riconoscenza che lo legava ad Keeran, e l’amore. Non poteva permettere che succedesse qualcosa a Cindy
- Ti capisco, ma ti voglio dire una cosa: finché Dan ed io avremo fiato in corpo, quelli si occuperanno solamente di noi. Siamo la loro priorità –
- Be’, molto rassicurante. Per noi intendo – intervenne Brass, si strofinò con un dito il naso, fino a quel momento aveva taciuto e giochicchiato con l’ultimo goccio di rum che era rimasto sul fondo del suo bicchiere; lingua ferma ma orecchie tese.
Ian ponderò un attimo sulla situazione, si era persuaso del fatto che gli amici avrebbero dato la loro vita piuttosto che sacrificare quella di un’altra persona che con quei fatti non c’entrava nulla. – Ok va bene, vi aiuterò. E una cosa, tu mi hai detto che hai il disegno del posto dove dobbiamo andare, però non sai dove sia esattamente. Non credi che ci sarebbe utile qualcuno che di grotte e coste se ne intende? -. Keeran si meravigliò della sua stupidità, Cindy era speleologa, avrebbe certamente potuto dar loro una dritta sulla località dove iniziare le ricerche – Indubbiamente ci farebbe comodo – ammise.
- Cambiando completamente discorso: com’è la vita da ergastolano? – domandò Fang con malizia
- E’ stato il periodo più bello della mia vita, non puoi nemmeno immaginarlo! – affermò Ian convinto
- Tipica sindrome di Stoccolma, ci si affeziona al proprio carceriere…– proseguìKeeran– Comunque una mano femminile ci voleva nella tua vita, e soprattutto nella tua cucina. La polvere è stata spodestata dopo dieci anni di regno ininterrotto –
- Un giorno capiterà anche a voi. E’ strano rincontri una persona dopo anni e solo allora ti accorgi di quanto sia stata ed è importante per te. Diviene il centro della tua esistenza; almeno a me e a Cindy è capitato così – cercò di spiegarsi Ian
- Ahi, ahi, mi sa che ci deve essere qualcosa nell’aria: prima tu e adesso Keeran. Chissà, magari il governo sta facendo degli esperimenti con roba radioattiva, potrebbe essere contagioso – concluse Fang in una risata
- Da quando in qua io mi sarei sposato, scusa? Mica mi sono arrivate le partecipazioni – fece Keeran
- Be’dai non crederai che non mi sia accorto, insomma, lo si nota  appena vi si vede che tra te e Lyn c’è qualcosa. Tutte le sere passate ore a parlarvi e oggi in aereo civettava pure. Neppure un cieco… -
- Sarà! Invece tu Danny, non pensi a mettere su famiglia? Con i bambini vai così d’accordo – chiese Ian, in aereo non avevano avuto nemmeno il tempo per sapere come giravano le vite reciproche
- Non penso. E poi con i marmocchi vado d’accordo solo perché abbiamo la stessa età mentale. In realtà ho sette anni –
Lyn arrivò accompagnata da Cindy dalla cucina – Secondo me ne hai quattro, di anni – commentò, andando a sedersi sul tavolo
- Lo so, ne dimostro di meno, ma fidati ho sette anni – giurò, mentre teneva la sedia in precario equilibrio su due gambe. Vi fu un attimo di silenzio, poi Keeran che in quei minuti aveva rimuginato parecchio, si decise, mentre tutti lo stavano osservando di alzò ed andò in salotto. Lì avevano deposto i loro bagagli, prese una valigetta di tessuto nero e la riportò con sé in veranda, quindi dopo averla appoggiata sul tavolo estrasse il suo laptop, un Acer, lo aprì e dopo averlo avviato mostrò a Cindy lo schermo – Hai idea di dove si trovi? Sappiamo che solo che si  trova nella costa meridionale, guarda quella roccia, quella che sembra una fortezza, dovrebbe aiutarti e poi… - fece un paio di click – se aumento la risoluzione ed il contrasto. Vedi? Sembra una grotta o comunque una frattura abbastanza profonda nella falesia –
Lei osservò attentamente l’immagine, inclinò lo schermo, lo guardò in ogni suo particolare, solo allora si pronunciò – Non c’è più…Almeno non quella che tu chiami fortezza. Se è quello che penso io, perché quando l’ho vista io questa parte di costa era erosa e davvero diversa da quest’immagine, senza contare che una decina d’anni fa quello – indicò il castello – è crollato. Però mi pare di riconoscere il posto, non mi ricordo di una grotta, ma… Quanto è vecchio questo disegno? – chiese incrociando le braccia e continuando a scrutarlo
- Dodici – rispose Austin
- Dodici anni? E’ pochissimo – si stupì Cindy
- No, dodici secoli – la corresse lui 
- Ah, allora, sì è possibile – tentennò, Keeran la guardò intensamente in cerca di una risposta – E’ una zona delle Isole Scilly, ad ovest della Cornovaglia, più precisamente sull’isola di Saint Agnes, un luogo pressoché disabitato: ci vivranno meno d’un centinaio di persone, se la memoria non m’inganna. Dopo vi posso dare le coordinate, ma non dovreste sbagliarvi, le isole sono a circa cinquanta chilometri di distanza dalla punta della Cornovaglia – puntualizzò lei e poi soggiunse – Che caso, andremo insieme visto che tanto io devo lavorare in una grotta dell’isola di Saint Martin, poco più a nord ma sempre nelle Scilly -.
Keeran chiuse il portatile e lo ripose nella sua custodia, e dopo aver dato le ultime direttive ad Ian e Fang, tutti andarono a letto; la giornata era stata pesante, la cena di più, e l’indomani avrebbero dovuto fare la levataccia per poter sfruttare al meglio ogni singola ora di luce. 


INFO & CO: Altro capitolo di transizione, mi sto odiando per non poter accorciare il tutto e arrivare al vivo della storia. Grazie a chi legge, a chi passa solo per di qui x sbaglio
Lasciò cadere il telefono sul fondo della grotta, non ce la faceva più a trattenere il fiato, buttò fuori tutta l’aria. Chiuse gli occhi che bruciavano sotto le palpebre per via del freddo. Morirebbe così un uomo qualsiasi  (TO BE CONTINUED)
The White Lady

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Capitolo 8
*** DON'T BELIEVE WHAT PEOPLE SAY. I'M INNOCENT ***


INFO & CO: ho dovuto dividere questa parte di storia in 3 capitoli per via della lunghezza -.-'' comuqnue spero di postare al più presto. Keeran e Fang dovranno vedersela prima contro madre natura e poi contro "i man in black", senza dimenticarsi di portare a casa il nuovo indizio per arrivare al tesoro: insomma non avranno vita facile! xD
Grazie a chi segue la storia :D TO BE CONTINUED
The White Lady

La mattinata seguente si alzarono ad un’ora che secondo Fang era perversa, le quattro e un quarto. Effettivamente era ancora buio e solo ad oriente una lama di luce iniziava a farsi largo lentamente ed un po’ a tentoni nell’oscurità.
Ian ed Keeran che invece erano abituati a svegliarsi presto si misero in moto subito: cominciarono con il portare fuori il bimotore, fargli il pieno ed approntarlo per il viaggio. Così che quando tutti gli altri si furono preparati, poterono salire, avviare lo scoppiettante motore diesel e decollare.
Durante il viaggio che sarebbe durato meno di due ore, Keeran si fece descrivere meglio da Cindy il tipo di costa, e nelle sue parole non trovò nulla di rassicurante. – Le falesie sono alte anche una quarantina di metri, nere come la pece e frastagliate. In alcuni punti taglienti come rasoi, a Saint Martin, per posizionare le corde e gli attacchi per raggiungere la grotta, una squadra di scalatori esperti ci ha messo quasi una settimana – fece una pausa e guardò Keeran: quell’uomo doveva essere pazzo, lui diceva che entro un giorno sarebbero entrati ed usciti da quella grotta con in mano quello che serviva loro, non le aveva raccontato nulla di più, comunque riprese – E’ per via della salsedine che si accumulava tra le fratture delle rocce, con l’umidità e l’acqua diventa una pappetta viscosa e terribilmente viscida. Rallenta ed impedisce molte manovre, senza contare che le pareti della costa sono fatte di una roccia semicalcarea che si frantuma relativamente con una certa facilità. I chiodi fan fatica a penetrare e a restare poi ancorati – concluse in un sol fiato. Keeran non si pronunciò a riguardo di quel fatto o inconveniente, aspettava solo di vedere di persona quel pezzo di costa e la grotta, naturalmente ammesso che riuscissero ad individuarla. Poi avrebbero potuto disperarsi quanto volevano, infondo era inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
Onde evitare un ulteriore coinvolgimento di Cindy, appena furono in vista delle Isole Scilly, la portarono a Saint Martin’s un’isoletta adiacente alla più grande Saint  Mary’s. Lei saltò giù dal velivolo con un balzo – In bocca al lupo – gridò per farsi udire al di sopra del rombo del motore ancora accesso, tutti risposero all’unisono: - Crepi! -. Mentre Keeran, che era nel retro della fusoliera a cercare tra le mille casse di legno che vi erano alloggiate il binocolo di Ian, - E speriamo che almeno ’sta volta ci rimanga secca quella maledetta bestiaccia – mormorò in uno speranzoso scongiuro.
Meno di tre minuti dopo stavano sorvolando la magnifica isola di Saint Agnes, perfino vista dall’alto appariva come un micro-cosmo perfetto in ogni sua componente: una vegetazione rigogliosa e dall’aspetto tropicaleggiante che mai ci si sarebbe aspettati ai confini della Manica e del Mar Celtico. La temperatura mite e del tutto priva d’umidità, anche se pure lì soffiava un vento che in certi momenti superava i quaranta nodi orari.
Non ci volle molto ad individuare la zona che interessava loro, era un lembo di terra formata da ispide rocce che si protendevano dall’estremo sud dell’isola. Se di questo si poteva parlare, dato che era poco di più che uno scoglio con una spruzzatina di sabbia ed una bella aiuola al centro.
Nel quarto d’ora successivo non fecero altro che sorvolare a bassa quota la zona per una dozzina di volte, finché ad Keeran non parve di vedere un pezzo di scogliera del tutto identico a quello del disegno, se non fosse stato per la roccia a forma di castello che era scomparsa nel nulla lasciando solo quello che un tempo doveva essere stato il suo basamento.
Quindi visto che il bimotore era fornito oltre che del carrello d’atterraggio anche di pattini galleggianti retrattili che opportunamente azionati lo trasformavano in un idrovolante a tutti gli effetti, decisero di planare sul pelo dell’acqua  come un cigno, anche se con meno grazia. Non per niente all’esterno sulla carlinga bianca era stato arografato in blu e argento Swan’s Wings .
Quando l’aereo si fu fermato misero tutti la testa fuori dai finestrini, le falesie erano mostruosamente imponenti: come aveva predetto Cindy si sarebbero trovati davanti a delle mura ciclopiche. Pareti che ascendevano per più di quaranta metri sulla superficie del mare e nonostante loro si trovassero ad una buona distanza, il solo guardarle faceva venire le vertigini. Keeran squadrò l’intero pezzo di costa e solo dopo un paio di minuti riuscì ad individuare una breccia nella roccia che poteva essere l’imboccatura di una grotta, sembrava un minuscolo foro nell’insieme della falesia ma in realtà probabilmente doveva essere alta cinque, sei metri e larga meno d’una decina. Dopo anni di scalate avrebbe scommesso la sua barca-appartamento che dietro quell’antro buio si nascondeva una piccola grande caverna. Ora dovevano soltanto  riuscire a raggiungerla.
Tornò all’interno del velivolo e facendo un cenno a nord, disse – Si fa un salto a Saint Mary’s -.
Il comodo di essersi recati in un arcipelago così minuscolo era che gli spostamenti avvenivano in batter di ciglia, ci voleva più tempo per l’atterraggio che non per il volo stesso, perciò molto prima delle otto del mattino erano già seduti al bar della capitale per il terzo caffè. La giornata al contrario della precedente si prospettava tersa e senza una nuvola.
- Che si fa? – domandò impaziente Lyn rigirandosi la tazza tra le mani
– Non vorremo restare qui tutta la mattina –
- Tranquilla, mi sta venendo un’idea – rispose Keeran che scrutava l’orizzonte, avrebbero dovuto internarlo in un manicomio, pensò.
– E quale sarebbe la tua idea? –.
Lui si girò a guardarli – Ho visto un negozio che noleggia kitesurf e tu Ian invece hai nella coda dello Swan l’equipaggiamento per il paracadutismo. Provare a scalare la parete è impossibile, tanto più che adesso inizia a tirare un vento che ci sballotterebbe e basta; io pensavo di sfruttarlo a nostro favore -. Ian strabuzzò gli occhi ed esclamò: - Tu sei fuori! Vorresti infilarti con un kitesurf e un paracadute in quel buco?! E’ come cercare di far passare un pallone da calcio per la cruna d’un ago –
- Siate furbi: aspettate qualche giorno e provate a scalare la falesia – cercò di convincerli Lyn, consapevole però che non sarebbe servito a un bel niente, per gli occhi plumbei di Keeran vide passare una scintilla, e quella scintilla che gli illuminava lo sguardo la conosceva fin troppo bene.
- Da quando in qua siamo diventati così intelligenti da fare la cosa più plausibile? – chiese Keeran rivolto a Fang
- Secondo me non me non lo siamo mai stati – fece l’altro per poi affermare con vigore – Dobbiamo solo scegliere chi di noi prede il kite e chi invece usa il paracadute. Quindi per operare una scelta ben ponderata e dall’esito inoppugnabile, c’è un solo metodo: carta, sasso, forbice -.
- ‘Sta bene. Uno, due, tre! – esclamò Keeran che dopo aver aperto il pugno poté constatare di aver vinto. Carta avvolge sasso. – Mi dispiace, penso proprio che dovrò andare a noleggiare il mio kite, tu invece faresti meglio a preparare l’equipaggiamento – fece mentre pagava il conto e lasciando pure una cospicua mancia per il cameriere.
Lyn lo osservò allontanarsi con Fang al fianco. Poi si volse verso Ian
– Credi che cambieranno mai quei due? – domandò appoggiando la testa al palmo della mano; Ian rise, una risata profonda – La speranza è l’ultima a morire, ma pur sempre la prima ad agonizzare, ricordalo – detto questo si alzò a sua volta e camminò fino a raggiungere l’aereo.
 
 
- Dimmi come mai se soffri di vertigini, vuoi buttarti a tutti i costi da mille metri d’altezza con un paracadute? Non hai paura? – domandò perplessa Lyn mentre osservava Fang infilarsi la tuta e controllare più e più volte ogni singolo moschettone o fune. Lui si strinse nelle spalle – Sinceramente, ho così tanta fifa che se non fossi dotato d’un minimo senso del pudore, me la farei sotto -. lei non poté non sollevare un sopracciglio, per quanto si stesse abituando alle stranezze di quei due, non le sarebbe mai sembrata una cosa plausibile. Se soffri di claustrofobia mica vai a dormire in una bara!
- Lo so pure io che sembra strano. Ma solo quando sono dovuto entrare al GST mi hanno fatto fare più di trenta salti in un solo pomeriggio, aspettando che la smettessi di urlare ogni volta che lo facevo: credevano che prima o poi mi sarebbe passata, invece no, detti di stomaco così tante volte che alla fine della giornata persi cinque chili. Quello che ho imparato però è che patisco come un cane e mi viene un infarto, però non muoio – le spiegò indaffarato con una cinghia che non stringeva abbastanza. Lyn sospirò: - Sarà… Certo che comunque devono essere dei pazzi quelli lì, intendo il GST, è una cosa disumana quella che ti hanno fatto! Tu sei un meccanico mica devi sapere come salvare il Presidente! -. Fang rifletté un momento – In teoria sì, ma sono sicuro che se la caverebbe molto meglio Liam come Jack Ryan. Comunque guarda che ho capito dove vuoi arrivare, vuoi sapere cosa combiniamo io e Chris di mestiere, lui non te lo ha detto vero? – chiese conscio di aver toccato il tasto giusto, Lyn che era seduta su una cassa, accavallò le gambe – Forse – mormorò mentre la carnagione nivea si colorava un poco
- Be’ che dire. Io che sono vicedirettore del mio reparto, progetto e sviluppo quanto mi viene commissionato da Clayton, i cui ordini vengo da ancora più in alto. Invece Keeran è a capo della No Name Section, il nome è già un programma! Probabilmente una delle più importanti, se non si è direttori di qualcun’altra delle grandi arterie che compongono l’agenzia, non si può nemmeno sapere cosa succede da quelle parti. Io ad esempio vengo fatto partecipe soltanto di tutto ciò che è strettamente essenziale, nulla di più - 
- Liam mi ha detto che avete una sorta di pena da scontare, che cosa intendeva? – Lyn era sempre più incuriosita da quella faccenda e sapeva comunque che Fang non avrebbe oltrepassato il segno, per quanto fosse stato loquace fino a quel  momento stava centellinando le dosi d’informazioni a cui lei avrebbe potuto accedere
- L’agenzia funziona così, è un piano a livello nazionale: tutti coloro che hanno commesso reati minori o che comunque avrebbero da scontare una pena inferiore a cinque, sei anni, ma che hanno dimostrato qualche dote non da scartare, vengono messi alla prova. Chi passa viene solamente preso in considerazione dal GST, e se poi decidono che in qualche modo potresti essere utile allora e solo allora ti propongono l’affare: tu lavori per loro al minimo della spesa per il numero di anni che avresti dovuto scontare in carcere e loro in cambio non ti fanno finire in gattabuia nemmeno per un giorno ed in più ti ripuliscono la fedina penale – fece una piccola pausa – Niente male vero? Io grazie a loro mi sono perso un anno e mezzo di vacanze a spese dello Stato –
- E non c’è il rischio che prendano qualche non-pentito? Nel mucchio potrebbe scapparne qualcuno -  commentò Lyn
- Impossibile, fanno così tanti test e poi uno su diecimila, ventimila passa, se non di più. Alla fine ti fanno fare un colloquio pure con Clayton – disse convinto, stava dando un’occhiata fuori dal finestrino: per fortuna non tirava più il vento del giorno prima
- Cos’è che ti ha chiesto? – domandò ancora Lyn, avevano ancora un dieci minuti buoni prima che Ian trovasse la posizione perfetta per effettuare il lancio
- Mi ha chiesto molte cose, ma credo che quella che l’ha convinto ad assumermi è stata la mia risposta alla domanda: ‘ Qual è l’uomo che hai più ammirato da ragazzino? ’. Io gli dissi che era Hugh Hefner, il proprietario di PlayBoy. E lui mi rispose che ero il primo tra gli ingegneri ed i fisici che gli rispondeva una cosa del genere, al posto di Albert Einstein o chissà chi. Gli entrai subito in simpatia, ora però inizia a pentirsi – rise sommessamente – Ho solo una cosa da dire su di lui: è un becero bastardo razzista e sadico…però sa fare il suo lavoro, e credo che in fondo tenga un po’ anche a noi. Molto, molto in fondo – proseguì in tono un po’ più serio, poi scherzando aggiunse – Hai finito con l’interrogatorio? Perché guarda che tra un paio di minuti io mi butto –
- In verità no. Che fine hanno fatto i genitori di Liam, la sua famiglia. Ho conosciuto soltanto una volta la madre e mi ha parlato un paio di volte dei fratelli più piccoli –
- Il padre, Sean, è morto circa cinque anni fa di cancro ai polmoni. La madre ha ripreso a fare la fotografa e va’ in giro per il mondo per varie riviste di natura. Hai mai letto un articolo alla cui fine c’era il nome Anieka Alujevic? Be’ è lei, è davvero brava -.
Lyn rimase abbastanza stupita, aveva letto quel nome quante volte bastavano per ricordarselo, ma non le era mai venuto in mente che potesse essere lei. Non aveva la minima idea di quale fosse il suo nome da nubile.
Fang continuò frettolosamente mentre intanto controllava la lancetta del barometro
– E ora se mi vuoi scusare, devo proprio lasciarti: devo sorpassare quella nuvola strana a sinistra per poi prendere la terza falesia a destra. Sperando di non spiaccicarmi, naturalmente – gridò un secondo prima di saltare nel vuoto, un’infinita distesa blu sotto di lui e nient’altro.
Lyn lo osservò finché poté seguirlo, poi vide che si gonfiava un paracadute nero, con una scritta bianca a caratteri cubitali: ‘Don’t believe what people say. I am innocent’. Calzava a pennello.
 
L’acqua era fantastica, gelida, ma davvero fantastica. Era più d’un quarto d’ora che solcava leggero la zona di costa vicino alla grotta, si trovava a circa mezzo chilometro dalle falesie e tra gli spruzzi, le onde ed i salti quasi si era dimenticato di quale fosse il suo vero scopo. Aveva pure scordato di quanto fosse bello fare kitesurf, era più di un anno che non tirava fuori il suo dalla rimessa vicino alla barca e che si lasciava trasportare dal vento del Lago Michigan, aveva scordato quanto fosse meraviglioso starsene nella solitudine più assoluta, con il sole che batte forte ed i pensieri nella testa ancor di più. Ma erano pensieri spensierati, che non davano né fastidio né noie.
Fu riportato alla realtà dalla voce di Ian che risuonava forte e chiara nell’orecchio, per mezzo dell’auricolare – Dan è pronto. Se vuoi puoi partire -. Non se lo fece ripetere due volte, si mise sotto vento, se prima aveva cercato di contrastare il Libeccio che lo portava verso la costa, ora lo assecondava lasciandosi condurre placidamente verso le aguzze falesie, solamente strattonato di tanto in tanto dalle libecciate, fortissime raffiche che  interrompevano quella mite corrente marina. Ben presto poté scorgere la fenditura che doveva essere l’entrata della grotta, era a circa dieci metri sul livello del mare.
Neanche troppo in alto…
Lui avrebbe dovuto infilarsi in quel gigantesco pertugio, che però gli sembrava sempre un po’ troppo piccolo, con una precisione millimetrica visto che con un paio di conti mentali aveva calcolato che sarebbe arrivato ad una velocità di trentacinque nodi, pari quasi a settanta chilometri l’ora. E scontrarsi con le rocce non sarebbe stata certo una bella esperienza, perciò aveva scelto di affittare un kytesurf con i cavi più corti possibili, il negoziante gli aveva detto che se voleva divertirsi un po’ quello era il modo peggiore per farlo: diciotto metri di cavi erano troppo pochi per acquistare una buona velocità. Ma a Keeran importava solo la precisione, quanta più era possibile, proprio per quello si era legato alla vita una cintura di pesi per far resistenza al vento.
Ora gli mancava soltanto una cosa, la stava aspettando ed era certo che non avrebbe dovuto pazientare ancora molto. Si mise nella posizione migliore per cavalcare le onde come con un normale surf e fece un paio di prove, ma ogni volta, anche per colpa dei quindici chili che portava alla cintola, non riusciva a spiccare salti più alti di quattro, cinque metri.
Poi la vide nascere in lontananza, piccola, solo una collinetta in quella distesa senza confini che è l’oceano, ma subito cominciò a gonfiarsi più si avvicinava e più ingrossava, aumentando in massa ed altezza. Keeran fece un gran respiro, trattenne l’aria come se pure il peso di quella l’avesse potuto aiutare ad acquisire un poco di peso. Si mise davanti all’onda non ancora del tutto fermata, entrò nella sua corsa facendosi trasportare da quel muro d’acqua alto quasi tre metri e mezzo che aveva dietro alla schiena, e dal vento. Si mise a canticchiare un motivetto senza senso per far passare il tempo d’attesa prima d’entrare in azione, quattro secondi circa, ma che per chiunque abbia mai aspettato con impazienza un certo momento, sa che anche quegli istanti rappresentano un’infinità di ore.
Il momento però era giunto, carpe diem sarebbe stata l’espressione esatta, un battere di ciglia in più e si sarebbe ritrovato in collisione con le rocce. Fece resistenza con il proprio peso aiutandosi con le braccia per tirare a sé la barra oltre che con il trapezio, una sorta d’imbracatura, e come per magia il vento lo sollevò senza sforzo dalla cima del cavallone che ormai, come poté constatare abbassando lo sguardo, si era infranto sulla costa scomparendo nella risacca.
Era a sette, otto metri d’altezza sollevando la testa poteva vedere sopra di sé l’apertura nella roccia, ma era troppo pesante, quel paio di metri che gli mancavano non sarebbe mai riuscito a farli. Non ci rimuginò su, prese in mano la fibbia della cintura e la scollegò. Incastrata, non si apriva. Con la coda dell’occhio vedeva la falesia orribilmente vicina, cinquanta centimetri, stava perdendo in velocità e sarebbe ben presto precipitato nel rigurgito d’acque e spuma che gli vorticavano sotto, e che solo poteva immaginare con l’occhio della mente
Non bene, proprio non va bene…
 
Poi gli venne in mente, estrasse dal fodero che aveva alla caviglia il coltello, fulmineo tagliò il tessuto. Subito venne strattonato in avanti, l’effetto era abbastanza simile a quello delle montagne russe durante il giro della morte, terribile nodo allo stomaco come se una mano invisibile avesse deciso i prelevarglielo contro la sua sacrosanta volontà.
Ma non durò molto e una bella spinta era giusto quello che gli serviva, un istante dopo stava toccando ancora terra, anzi roccia, di un tetro color pece. Slacciò subito il trapezio, appena in tempo prima che la vela che era rimasta incastrata nella falesia, lo strattonasse indietro.
Funereo, quella era la parola adatta per descrivere la grotta, funereo e desolato, la definizione perfetta. Pareva di starsene sulla cima di un vulcano, tutto intorno sembrava tufo, persino lo strano odore che aleggiava nell’antro ricordava quello acre delle emissioni sulfuree
Stalattiti pendevano dalla volta della grotta, aveva forma ogivale come nelle cattedrali gotiche, quasi da poter sembrare opera umana tanto era levigata e liscia. Da specchiarsi dentro.
Era decisamente molto alta, ma non troppo larga. Stava per addentrarsi, quando sentì gridare, era Fang nell’auricolare, tanto urlava forte che se lo dovette togliere per scansare una futura sordità.
Si voltò verso l’imboccatura della grotta, vide un puntino con sopra un paracadute, ben presto non ebbe bisogno della radio per sentire le grida in lontananza accompagnate da sboccate imprecazioni. Keeran poteva vederlo in faccia senza difficoltà, decise che la cosa più saggia da fare per aiutare l’amico era appiattirsi contro una parete e sperare che potesse farcela.
Ed era esattamente la stessa cosa che passò per la testa di Fang quando vide la scogliera nera come la pece ed irta di asperità venirgli incontro, sempre più vicina ad una velocità spropositata. D’istinto chiuse gli occhi e quindi non poté mai sapere cosa succedette in seguito, sapeva benissimo cosa doveva fare però non voleva vedere, così quando sentì un forte strattone, il paracadute si era impigliato nelle rocce frastagliate come poco prima aveva fatto pure la vela del kitesurf, osò solo aprire un occhio dare uno sguardo fugace: era sospeso nel vuoto a pochi centimetri dall’imboccatura dalla grotta, allungò una gamba fino a toccare il suolo. – Hai forse bisogno d’aiuto? – osservò Keeran avvicinandosi
- Muovi il culo, mezzo croato –
- Ehi, dillo a mia madre e poi vediamo come torni a casa – disse protendendo una mano all’amico, l’altro la prese e dopo aver ringraziato si slacciò l’imbracatura che rimase a penzoloni sospinta dalla brezza.
- Con lei non ne avrei il coraggio… Mhm, bel posto qui. Magari un paio di tende a fiorellini lo farebbero meno lugubre, però non male. Molto dark – commentò sarcastico guardando le pareti di catrame. In quello spazio così spaventosamente buio ogni possibile chimera poteva prendere forma e comparire da dietro una roccia e per quanto fossero uomini fatti un pizzicore sulla nuca prendeva entrambi. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso ma quel timore quasi reverenziale che avvertivano rimaneva. Quel luogo in cui aleggiava un silenzio quasi sacrale, si nutriva delle paure primordiali che assalivano l’uomo fin dall’albore dei tempi e che per quanto fosse una cosa consistente quanto l’esistenza dello yeti, questa era la sua forza.
L’ignoto alle volte può essere un’arma ben più affilata di qualsiasi coltello, e Austin lo sapeva fin troppo bene. Doveva ammettere che i cinesi si erano scelti proprio bene il posto dove occultare i loro indizi. C’erano le più vicine e facilmente raggiungibili coste eburnee di Dover, ma non sarebbe stato lo stesso l’effetto ottenuto su di una persona dell’epoca che avrebbe dovuto affrontare quei cunicoli con in mano nient’altro che la tenue luce d’una fiaccola e le ben più forti superstizioni del proprio millennio.
- Su andiamo a vedere che ci aspetta – dichiarò fermamente Keeran torcia elettrica in mano. Procedettero per quanto più era possibile, cioè sei metri circa. Si trovarono di fronte ad un ammasso informe di pietre che occludevano completamente il assaggio, quella era opera umana
- Vogliono proprio farcela sudare – disse Fang prima di iniziare a spostare le prime rocce, meno restavano lì dentro e meglio era, ma Keeran lo bloccò. – Che c’è?! – domandò Fang, l’altro levò la torcia il raggio illuminò qualcosa che scintillò per una frazione di secondo, poi soggiunse – Abbiamo una corda? –
- Sì, è nello zaino. L’ho dimenticato all’entrata… Ma cos’era? – chiese un po’ spaesato. – Adesso vedrai –
Keeran tornò sui suoi passi e in un attimo fu di ritorno, in mano una fune che legò con estrema cura al masso che poco prima Fang stava per spostare. Non avrebbe adoperato tanta delicatezza nemmeno se avesse dovuto maneggiare un neonato, i movimenti erano lenti e la forza moderata. Cosa abbastanza difficile con i badili che si trovava al posto delle mani.
Quando ebbe finito, indietreggiò e si appiattì contro la parete dietro un masso. Fang fece lo stesso, in quindici anni Liam non l’aveva mai tradito una sola volta ed era pronto a scommettere che non avrebbe iniziato proprio quel giorno. Quello tirò con forza la corda che si era portato appresso. Una volta e non successe niente, due nada.
- Mi sa che hai steccato amico – osservò Fang, Keeran non ci fece caso strattonò con forza la fune e nello stesso istante in cui il masso si spostò rotolando un nugolo di frecce sibilanti passarono sopra le loro teste oppure cozzarono contro le rocce che spuntavano da suolo e pareti.
Keeran prese in mano una delle frecce che aveva terminato la propria corsa spezzandosi sul masso dietro cui lui si era nascosto. Fatta con cura, la punta in ossidiana probabilmente per renderla ancor meno visibile tra l’accatastamento informe dei macigni. Tutt’intorno erano sparpagliate un’altra ventina di frecce, senza contare quelle che erano state scagliate fuori dalla grotta.
- Giuro che non ho mai dubitato – disse Fang raccogliendone una a sua volta, osservò la punta affilata come un rasoio, gli bastò premerla un attimo sul polpastrello per fargli salire gelidi brividi lungo tutta la schiena. Quando erano partite le frecce stava fissando il punto dove si trovava prima, se vi fosse rimasto in quel momento avrebbe avuto l’aspetto d’un puntaspilli umano
– Vediamo cosa c’è dietro? – riprese guardando dal basso in alto la vera e propria montagna di lavoro che li spettava.
– Direi di sì -.
Iniziarono a spostare i massi, tutti con la grandezza minima d’un pallone da calcio, sicché per aprirsi un pertugio che sarebbe bastato al massimo per far passare un uomo con una certa difficoltà, ci misero all’incirca un’ora e mezza. Nelle ultime ore la temperatura era salita di molto e l’umidità all’interno della grotta era quasi insopportabile. Sembrava di stare in un forno a legna, ma nonostante la fatica quando finalmente entrambi riuscirono ad infilarsi nello spazio adiacente alla grotta, non poterono non fissarsi sbigottiti: le rocce, come avevano potuto notare anche prima, erano collegate da catenelle, questo aveva reso ancor più complicato l’accatastarle in un’altra posizione. Tutte condotte ad un solo marchingegno che faceva scattare un intero plotone di balestre, solo spostando i massi ne avevano contate più di cinquanta.
- Quanto credi che ci abbiano messo? Settimane? – chiese Fang, aveva raccolto una balestra, dopo tutto quel tempo era ancora in perfette condizioni. – Forse anche un mese o più. Hai notato la temperatura come cambia, qua fa fin freddo, l’ambiente è secco e ben arieggiato – osservò l’altro passando le dita su di una parete: si sentivano gli spifferi gelati che con ogni probabilità avevano contribuito ad un mantenimento ottimale delle armi.
Continuarono a camminare per svariato tempo, guidati solo dal raggio della torcia che si stagliava a ventaglio sulle rocce e le asperità del suolo. La volta pur seguendo sempre una forma ogivale continuava a cambiare altezza, prima poteva ospitare un elefante e pochi metri dopo a malapena si riusciva a passare accovacciati proseguendo con il passo del giaguaro. Ad un certo punto avevano deciso di spegnere ed accendere ad un determinato numero d’intervalli la torcia, visto che l’avevano trovata nella coda dello Swan e chissà da quanti anni era stata dimenticata lì e non erano del tutto sicuri che non si scaricasse prima del ritorno. Anche per questo le craniate contro le stalattiti aumentarono di numero ed era soprattutto Fang prenderle, malgrado fosse Keeran ad andare in avanscoperta.
Camminarono per più di due ore, la maggior parte del tempo chiacchierando e battibeccando su che cosa dovessero fare o no. Ma dopo un po’ si stufarono, la grotta era piatta e monotona come poche altre, senza fine si contorceva nelle viscere del sottosuolo. Ormai si erano allontanati parecchio e contando che l’isola era lunga circa due chilometri, probabilmente avevano continuato a scendere e a fare improbabili inversioni di marcia, se no a quell’ora si sarebbero potuti trovare in un pub irlandese, tanto avevano camminato. Si trovavano in un dedalo intricatissimo che però per loro fortuna però era formato da una sola galleria. Ed era anche abbastanza strano se non improbabile che nessuno si fosse mai avventurato o almeno per caso si fosse accorto dell’esistenza delle grotte.
Keeran stava riflettendo proprio su questi fatti quando sentì qualcosa, il suo piede aveva urtato contro… contro che cosa? Aveva emesso un acuto scricchiolio.
- Dan sei stato tu? Era il tuo piede? – domandò Keeran, solo lui poteva fare uno scherzo tanto idiota
- No di certo – la risposta arrivò da un punto lontano una decina di metri – Mi dispiace ma non sono ancora onnipresente, ho fatto domanda ma… - asserì avvicinandosi
- Be’, allora vediamo un po’ che cos’è – riprese l’altro che stava per accendere la torcia elettrica e far letteralmente luce sul mistero. Ma Fang gli mise una mano sulla spalla – Hai in mente i thriller come Ore dieci: calma piatta, Profondo rosso, Trappola infondo al mare, ed eccetera eccetera? –
- Sì, ebbene?… - fece Keeran sempre più perplesso
- Ecco, questo è giusto il momento in cui il solito idiota scompare all’improvviso oppure si fa ammazzare. Ora, tu sei l’idiota – spiegò l’altro con un filo di voce
- E tu chi saresti, di grazia –
- Semplice, io sono quello che si salva insieme alla Nicole Kidman o Jessica Alba di turno. Detto questo io mi allontano –
- Detto questo, io guardo cos’è – asserì Keeran prima di premere il bottone e così accendere la torcia.
Non si sarebbe mai aspettato di vedere una cosa del genere in una grotta nel pieno del Mar Celtico. – Puoi venire, cuor di leone – lo assicurò, prima di accovacciarsi per poter meglio esaminare il resto che si trovava di fronte. Un cadavere perfettamente conservato, una mummia la cui pelle incartapecorita era tirata sugli zigomi, le orbite vuote ed il mento su cui ancora si poteva vedere la barba lunga e nerissima. Come d’altronde i ciuffi di capelli sulla calotta cranica, lunghi e anch’essi portati in un elegante codino ripiegato su se stesso. Le vesti per quanto lacere e smangiate dal tempo, si potevano quasi considerare appena filate. Avevano fini ricami colorati, greche sugli orli dorati e quello che doveva essere un sole al centro, sul petto, che con i suoi raggi inesistenti riscaldava un’intera vallata, un po’ sbiadita. Ma d’altronde dopo la bellezza di dodici secoli.
Keeran lo sapeva con certezza, l’uomo era d’etnia mongola, piccolo, gli occhi a mandorla ed il naso schiacciato.
- Di cosa è morto? – domandò Fang appena si fu avvicinato, di certo non di vecchiaia, avrà avuto alla sua epoca circa la loro stessa età. Trent’anni o forse qualcosa di più. Keeran toccò un punto, lo stomaco, al centro del sole era stato trafitto da una freccia che conseguentemente era stata spezzata, magari dallo stesso morto che aveva tentato disperatamente di fermare l’emorragia.
- Incidente con il posizionamento delle balestre? – ipotizzò sempre Fang, abbastanza impressionato dal cadavere. Cosa che invece non sembrava toccare invece minimamente Keeran, che in quel momento stava esaminando la faretra del morto
- No, era un traditore o qualcosa del genere – affermò fermamente quello riponendo l’oggetto. Fang accennò a chiedere una spiegazione, ma l’altro lo precedette: - E’ troppo lontano, non sarebbe riuscito a trascinarsi fino a qui. Non è stato sepolto perché indegno. E comunque la ferita non vedrei come avrebbe potuto farsela -.
- Allora direi di continuare, vorrei tornare per cena – riprese Fang, sempre meno convinto della spedizione, quel luogo gli faceva un po’ soffrire la claustrofobia. – Procediamo – confermò Keeran dopo essersi alzato, non prima però di aver dato un ultimo sguardo alla mummia, poi soggiunse – Vedrai che saremo fuori di qui per il tè all’inglese -.
E forse non sarebbe stata nemmeno troppo una bugia. Poteva anche avverarsi, con un po’ di fortuna. Strisciarono al di sotto di una frana che aveva parzialmente interrotto la strada, e quando dopo un paio di minuti Austin accese di nuovo la torcia, si accorse di trovarsi sull’orlo di un piccolo precipizio: il suolo scendeva a strapiombo per tre metri, seguito dalla volta. Un semplice dislivello che superarono senza farsi troppi problemi, ma dopo essere discesi si ritrovarono in un nuovo ambiente delle gallerie.
Una grotta quasi squadrata e claustrofobica, la volta bassissima e le pareti erano tutte asperità e scabrosità a parte l’ultima infondo che era liscia e levigata, di fattura quasi certamente umana. Da questa nasceva un aggetto simile ad un altarino su cui era posato una cosa abbastanza voluminosa. Si avvicinarono, Fang che per scherzare batteva sulle pareti in attesa di trovare un doppio fondo o che una lama spuntasse dal pavimento stile Indiana Jones. Anche se il suo sogno era quello che da un momento all’altro la stanza cominciasse a riempirsi di scorpioni, ma si accontentava pure della più banale cascata di sabbia.
Keeran che ormai era ai piedi dell’aggetto prese quello che vi era posato sopra: un tappeto. – Bene, ci hanno lasciato uno zerbino – disse un po’ deluso prendendolo in mano poi lo passò a Fang per vedere veramente se c’era qualcosa d’altro da scoprire. Quello guardandolo con aria un po’ schifata commentò: - E’troppo kitsch! E lo dice uno che adora i tappeti pelosi, i materassi ad acqua e le lampade con il magma che fluttua –
Keeran si poggiò alla parete, spalle al muro. – Ci vedi qualcosa? – domandò un po’ fiacco
- Oltre al fatto che è muffo e decisamente infeltrito? No, niente – insisté Fang arrotolando di nuovo e riponendolo con cura nello zaino. – Si torna a casa! – sentenziò e poi soggiunse un po’ preoccupato – Hai pensato come uscire di qui, vero? –
- Certo che sì!... Un momento che cosa è stato? – sul volto di Keeran si dipinse un espressione alquanto allarmata, aveva udito un rumore sordo provenire dalle pareti, dalle venature della roccia. Lo sentì distintamente una seconda volta poi una terza, gli rimbombava nelle orecchie, era così chiaro che sembrava quasi essere il suo cuore a provocare quel frastuono. – Io non ho sentito niente – replicò Fang interdetto, ma l’altro sembrava proprio convinto ed era fin un po’ sbiancato,
- Dinamite, dannazione hanno fatto brillare una carica di dinamite! – sbraitò con forza, il viso che aveva preso colore violentemente dal collo si ramificò una sfumatura quasi violacea. Era sicuro di quel che aveva sentito e persino del perché Fang invece non l’avesse udito: lui era poggiato alla parete di fondo e probabilmente una delle venature aveva trasportato le vibrazioni ed il suono provocato dall’esplosione. Ma subito ne ebbe la conferma, un fragore potente e sordo rimbalzò tra le pareti facendone l’eco, subitaneamente dalla crepa da cui erano passati si levò una coltre nebulosa che oscurò loro per un po’ la vista.
Quando la polvere si fu diradata e posata sulle superfici poterono finalmente vedere al raggio della torcia, seppur interrotto dal pulviscolo più leggero che volteggiava nell’aria  quello che era successo in quei due minuti. Provarono a tornare nel punto in cui c’era l’apertura ma ancora prima di arrivarci si accorsero che tutto sarebbe stato vano, il dislivello da cui erano discesi era ormai inesistente o almeno era sepolto sotto decine, se non centinaia di quintali di detriti formati dalla volta che aveva ceduto durante l’esplosione facendo accatastare blocchi di dimensioni titaniche. Erano in trappola.

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Capitolo 9
*** Outta Time ***


Un’ora dopo a circa centosettanta chilometri di distanza, nel Devonshire, più precisamente nella città costiera di Plymouth, una Ford blu era parcheggiata in uno spiazzo. Al suo interno cinque uomini stavano accingendosi a cominciare una focosa conversazione.

- Ci dici perché siamo qui? – domandò Lucas, sempre con quell’aria ottusa e gli occhi acquosi da bassetthound, non ricevette risposta. – Allora sei forse diventato sordo? – proseguì più baldanzoso ed arrogante, Mitch che gli stava vicino gli diede una gomitata.

Bill nel frattempo seduto al posto di guida si stava trattenendo dal rispondere a tono a quel piccolo idiota e certamente se lo avesse fatto sarebbe stato ben più che con semplici parole. Si chiedeva perché quegli uomini senza core in petto e senza virtù nell’anima o nel cervello pensassero anche d’esser dei furbi.

Avevano non solo trasgredito agli ordini durante la sua assenza, bensì facendolo avevano pure commesso un errore madornale. In quattro non erano arrivati a quello per cui normalmente bastava uno.  

- Avete fatto scoppiare una carica sulle Isole Scilly mentre ero in Scozia? – domandò ferreo, senza neppure voltarsi a guardare quegli animali. – Cosa te lo fa pensare Bill? – sghignazzò imperterrito Lucas, gli altri gli fecero coro. Al che lo scozzese capì che quegli uomini rischiavano di sfuggirgli di mano, se prima gli bastava un cenno per farli scattare ai suoi ordini, ora sembrava che dopo aver fallito in metropolitana loro credessero d’esser sul suo stesso piano. Doveva far capire che si sbagliavano di grosso.

Scese dall’auto e con passo fulmineo arrivò dall’altra ad aprire la portiera posteriore, si mosse con tale agilità che quasi sembrò fluttuare sull’asfalto anziché camminare. Scaraventò fuori dall’abitacolo Lucas facendolo rotolare a terra. Dove gli tirò un primo calcio.

Dalla posizione in cui erano messi, gli altri non potevano vedere cosa stesse succedendo fuori dall’auto perché la loro visuale era bloccata dal cofano di questa. Comunque certo non tenevano a vedere o ad intervenire per soccorrere Lucas, sapevano solo dal fatto che Bill fosse in piedi e l’altro no che quello se la stesse passando davvero male.

Lucas aveva preso l’iniziativa di far saltare le cariche e per poco era stato lui a comandarli; però ora Bill era tornato e nessuno di loro aveva la minima voglia d’andar a cercar rogne per quel che era stato un capo fantoccio. Riuscirono invece a cogliere parte del discorso praticamente solitario che il loro capo stava facendo a Lucas, - So che sei stato tu. Solo un miserabile idiota come te poteva pensare di far crollare una grotta. Hai idea che probabilmente non riusciremo a recuperare l’indizio che quei due avranno rinvenuto? Hai idea di cosa voglia dire questo?-. Non ci fu risposta al di fuori d’alcuni soffocati lamenti.

- Sai che se non portiamo gli indizi il committente non ci pagherà? Lavoro di mesi e mesi andrà a farsi fottere solo perché tu sei un coglione bramoso di potere che non sai neppure gestire! – esclamò appoggiandosi con una mano al cofano. Mitch intravide soltanto una parte del volto di Bill: non sembrava lui, uno sconosciuto, l’aveva già visto così crudele in altre occasioni però era sempre stato imperturbabile. Ora invece era un disperato, il sudore dalle tempie gli colava fin sul collo teso e soprattutto per un secondo gli parve quasi di veder ch’aveva gli occhi umidi. Persino le labbra tremavano come scosse da conati.

- Vuoi fare il capo? – latrò Bill con la voce che era tuono. – Rispondi figlio d’un cane! – proseguì accanendosi sul corpo ormai esanime. A quel punto neppure quei vili dei suoi subordinati riuscirono a trattenere il ribrezzo, il primo a scendere dalla vettura ed a vincere la codardia fu il titanico Juan che esclamò.

- Ne ha prese abbastanza! Se continui così non riuscirà neppure più a camminare, a cosa ti servirebbe? -.

Bill preso dalla foga si accorse solo in quell’istante dello spagnolo, quell’intervento dall’esterno sembrò placare la sua ira. Infondo Lucas era come un cane che sa camminare su due zampe, ci si stupisce soltanto perché lo sa fare, non certo per la sua bravura. Perciò si fermò e con l’aiuto di Juan lo rimisero in macchina.

- Ora che si fa? – domandò Mitch quasi intimidito, non riusciva a distogliere lo sguardo dal compagno svenuto, aveva suggerito lui quell’idea a Lucas e probabilmente sarebbe dovuto essere lui in quella situazione.

Meglio a lui che a me…

- Andiamo alle Scilly e cerchiamo di rimediare all’errore di Lucas – disse accendendo il motore della Ford, poi aggiunse anticipando la domanda che sapeva gli avrebbero fatto – Se ho inquadrato bene quei due dell’aeroporto, potrebbero anche esser riusciti a scampare alla frana. Se li intercettiamo abbiamo buone possibilità di portare a termine la missione -. Davanti a loro la strada era libera, con un gran sollevamento di polvere Bill accelerò fino ad inserirsi nell’autostrada che portava verso sud-ovest.

 

 

L’acqua continuava a salire, lo sciacquio rimbombava sommessamente nella grotta buia come l’incedere d’un passo silenzioso, di cui quasi non ti accorgi, ma lo sai, è sempre più vicino; ed il gorgogliare dell’acqua è una cantilena monotona a cui l’udito si abitua. Keeran, i cui occhi ormai si erano assuefatti alla mancanza di luce, intravide la propria sagoma riflessa in quello che era un piccolo lago, l’acqua ghiacciata ormai gli lambiva il ginocchio. Calciò l’acqua facendo scomparire l’immagine di sé che turbinò via, i suoi sensi si erano abituati allo stare in quel luogo, ma lui non era avvezzo all’idea di fare la fine del topo.

Alzò lo sguardo sulla volta e mettendosi in punta di piedi batté con la mano sulla roccia. Quella che un’ora prima era stata un’idiozia messa in pratica da Fang, adesso gli aveva fatto venire in mente che più volte quando era passato per le gallerie a tentoni, si era accorto che alcune zone delle pareti suonavano a vuoto. Probabilmente dietro quella roccia così friabile si erano formati degli spazi vuoti.

E un po’ di spazio in più non avrebbe certo fatto male loro, poi se per miracolo avessero trovato un’altra galleria, allora tanto meglio. Fino a quel momento però non avevano trovato niente.

- Sai che sembriamo due mongoli, vero? – disse Fang, fermandosi un attimo e passandosi una mano ad asciugarsi la fronte

- Lo so, ma se ci serve per prendere una mezz’ora… -

- Aspettando cosa? Che qualcuno ci salvi?... Aspetta, aspetta, vieni un po’ qui! Credo d’averlo trovato! – esclamò continuando a battere sullo stesso punto. Keeran gli si precipitò vicino – Ora lo scopriamo – mormorò estraendo dal fodero che aveva alla caviglia il coltello. Lo conficcò nella roccia con quanta più forza aveva ancora nelle braccia stremate, subito seppe che qualcosa di bello lo avrebbe aspettato al di là di quei fatidici dieci centimetri. – Qui la mano, amico! E’ vuoto! – esultò e poi con un po’ di fatica ritirò indietro la lama che disincastrandosi mandò in frantumi un pezzo della volta, abbastanza grande da poter vedere, con l’ausilio della torcia, che la grotta soprastante era completamente vuota.

Per dieci buoni minuti continuarono a scavare a forza di coltello fino a che si creò un’apertura abbastanza larga. – Salgo prima io – dichiarò prontamente Fang, Keeran sovrappose le mani e dopo avergli fatto segno disse: - Vai -.

- E no, se non è abbastanza alta picchio la testa e di questo sono davvero stufo, mi sa già che ho una commozione celebrale –

- Mi sa tanto di schiavismo ‘sta cosa – ribatté Keeran, ma senza dir nient’altro si piegò e lasciò che l’amico gli salisse sulle spalle. Si alzò con un po’ di sforzo. – E’ forse scricchiolio quello che ho sentito? – domandò malignamente Fang, Keeran lo guardò in cagnesco – Sbrigati! Quanto accidenti pesi?! -.

Fang non ci fece caso, scrutò tutt’intorno, infondo non sembrava così piccolo: la volta sarà stata sul metro d’altezza. Stava per salire quando però udì un rumore familiare che dapprima era poco più d’un bisbiglio, ma che poi ascese in un vero e proprio frastuono. Qualcosa gli vibrava in tasca, era il suo cellulare…

- ‘Sta fermo Liam, per la miseria!... Si sono Dan. No non siamo feriti, è tutto ok, più o meno… - bofonchiò Fang, Keeran riuscì a sentire solo vagamente una voce femminile che diceva: definisci più o meno

- L’esplosione l’avete sentita no? Ecco, ha creato una falla in una falda acquifera o qualcosa del genere… la volta è crollata e siamo intrappolati con l’acqua letteralmente alla gola… Vuoi Liam? Va bene te lo passo – disse molto tranquillamente mettendo il telefono nell’altra mano e porgendolo all’amico, che ancora lo teneva sulle spalle – E’ Lyn, è per te – aggiunse infine. Keeran prese in tutta fretta il cellulare, sarebbe stato un attimo ed avrebbero magari perso la linea, - Dove siamo? Di preciso non lo so, ma ad occhio e croce ci dovremmo trovare al centro dell’isola, trenta o quaranta metri sotto il suolo. Credo che sia un torrente sotterraneo quello che abbiamo sopra le nostre teste. L’acqua ormai ci arriva quasi alla vita, sale circa di un paio di spanne ogni mezz’ora – le spiegò concitato

- Senti, noi siamo a Saint Martin’s insieme a Cindy e alla sua squadra. Qui c’è uno che dice che proprio nell’isola di Saint Agnes scorre un fiume sotterraneo che è collegato all’impianto fognario locale… Forse possiamo raggiungervi in tempo, ma ci dobbiamo muovere in fretta – asserì con vigore cercando di mantenere intatta la calma e di non far trasparire dalla propria voce l’angoscia che le attanagliava lo stomaco

- Ok, va bene. Fate presto, noi di certo non ci muoviamo… E Lyn… -. Vi fu una strana pausa di silenzio in cui Fang sillabò le parole che le labbra di Keeran avrebbero dovuto formulare, cosa che però non fecero: - Non ti preoccupare, sono sicuro che arriverete in tempo -. Fine delle trasmissioni, chiuse il telefono e lo riconsegnò ad un Fang quanto meno costernato – Perché non glielo hai detto? –. Keeran si sforzò di sembrare naturale e persino innocente: - Cosa -.

- Ma non so… di portarci dei panini e un paio di lattine di birra? O forse qualcos’altro. Dimmi tu! – lo sfidò Fang.

- Guarda che sono io a tenerti su, non ti conviene darmi un pretesto per farti cadere – disse brusco dando una spinta all’amico perché riuscisse ad arrampicarsi nella grotta.

Fang si sedette, un po’ stremato, in quella specie di buco ma non mollò l’osso e proseguì. Infondo bisogna battere il ferro quando è ancora caldo.. Se Lyn fosse stata una come le altre, Keeran gli avrebbe già spiattellato tutto, però non era così e quindi Fang avrebbe dovuto affinare la tecnica. Che nel suo caso non era neppure così sottile, anzi.

- Perché non glielo dici? Non è mica difficile. E se sostieni di non amarla è solo una menzogna che rischia d’ucciderti – disse mentre aiutava Keeran ad issarsi nella grotta

- Perché  le nostre vite sono incompatibili, starmi accanto non è facile: lei vorrebbe il tipo che resta a casa la domenica ed io non sono semplicemente il genere. Non posso darle la vita che si merita. E’ inutile combattere guerre, e soprattutto contro se stessi. Lei ne soffrirebbe e basta… - sospirò greve e persino un po’ amareggiato, intanto prese a sua volta posto nella grotta

- E tu, invece? – chiese Fang a bruciapelo

- Come grillo parlante fai davvero schifo! E poi preferisco credere che lei non mi ami, e poi ne avrebbe di pretesti per farlo. Io non sto cercando una storia con lei e lei farebbe meglio a fare lo stesso – dichiarò schiettamente Keeran e aggiunse – L’amore è complicato, Dan, non è come la pensi che vivi nel tuo pacifico mondo di frutta candita… -

- Inizio a domandarmi perché la gente creda che io sia un idiota – mormorò fintamente offeso. Poi però riprese serio  – Penso che dopo anni di approfondite ricerche nella vita femminile - Austin sogghignò al pensiero del tipo di grandi ricerche avesse mai potuto condurre Brass – io abbia capito qualcosa di donne e amore, e la più importante è una sola: tu pensi che il loro sia un mondo fatto solo d’ombretto e mascara, ma poi ti salta fuori l’eyeliner. Se ci fosse un’altra vita giuro che mi metto a studiare la psiche femminile e non ingegneria. Sai quanti problemi in meno? E’ la chiave di tutto! –.

Keeran si era sdraiato sul pavimento e parlavano nell’oscurità, tanto perché avrebbero dovuto accendere la torcia? Per vedere pareti ancor più fuligginose?

Gli sembrava strano sentire Fang che diceva delle cose del genere, e un po’ per reale ignoranza in materia e un po’ per scherzo domandò a Fang:

- E che sarebbe l’eyeliner? –

- Non capisci un accidenti! Era una metafora, e poi cosa vuoi che ne sappia io! –. Il silenzio si insinuò ancora una volta tra loro, ma ogni volta che la malinconia sembrava farsi avanti e prendere il sopravvento, uno dei due prendeva la parola. Quella volta fu Keeran. Si alzò puntellandosi sui gomiti e all’improvviso domandò seriamente: - Credi di esserti mai innamorato?–

- Ho appena finito di dire che l’amore è complicato e che non l’ho ben capito, e tu mi fai una domanda del genere? Insomma ci sono tante forme d’amore: a te sono, come dire… affezionato, però ad esempio amo lo slap di Flea – Keeran avrebbe continuato a divagare, ma Keeran lo interruppe: - Intendo sul serio, non parlo di musica -.

Fang ci pensò un attimo, e proprio quando l’altro cominciò a pensare che non avrebbe mai ottenuto una vera risposta, quello sbottò di colpo – Sì, una volta - 

- Come andò a finire? –

- Mi fece le corna con un ballerino ecuadoregno di nome Esteban. Capita –.

- Mi dispiace – asserì Keeran, che in effetti era veramente dispiaciuto per l’amico: era un miracolo che fosse uscito con la stessa persona per più di due volte.

- Non quanto ad Esteban che cinque mesi dopo si è preso la gonorrea -, fu l’ultimo sogghigno.

Contemporaneamente si chiese perché avesse dovuto mentire: non c’era nessun ballerino sudamericano, neppure una donna da rubare o un amore spezzato. La verità era che non aveva mai amato, non sapeva minimamente di cosa parlassero sempre tutti, e ne era perfettamente cosciente. Non aveva mai avuto una madre da amare, e voleva davvero bene solo ad un paio di persone; una delle due era con lui in quella grotta. Ormai, alla soglia dei trent’anni, era sicuro che non avrebbe mai sentito nulla, questa cosa lo faceva sentire profondamente a disagio, ma si disse, che forse l’amare era un dono che non gli era stato concesso.

 Continuarono a tacere, fino a quando il blackberry di Fang cominciò di nuovo a vibrare, quello lo estrasse dalla tasca e disse divertito – Certo che questo coso è bestiale: due tacche a cinquanta metri di profondità! -.

- E’ Lyn? – domandò Keeran, non gli sarebbe affatto dispiaciuto sapere che era lei visto che l’acqua dopo l’ultima misurazione, consistente nel calare una gamba dal foro per capire realmente a che punto fosse arrivata, superava il metro e ottanta. Caspita sono già passate due ore e mezza!, pensò a metà tra il preoccupato e lo stupito.

- No è Tess, mi chiede come sto e se il prossimo autunno può venirmi a trovare. Non poteva capitare momento migliore! – esclamò con ironia, però Keeran riuscì a percepire un’incrinatura nella voce dell’amico. Tess era la sorella minore di Fang la persona a cui lui tenesse di più in assoluto, l’unica vera famiglia che avesse mai avuto. A Keeran riusciva un po’ difficile immaginarsela: l’ultima volta che l’aveva vista lei aveva quattordici anni ed ora stava finendo l’università…    

- Salutamela… – disse Keeran con un filo di voce. All’improvviso si rese conto molto bruscamente, come se quel messaggio l’avesse riportato alla realtà che anche lui avrebbe lasciato qualcuno. Solo in quell’istante si rese conto di tutto il tempo che aveva sprecato, si rese conto che non conosceva per nulla i suoi fratelli: Aleksandar e Aine, i due gemelli che ormai erano sedicenni. C’era poi Sean, che era la sua miniatura, e a quattro anni dimostrava già d’essere un Keeran a pieno titolo.  

Non avrebbe potuto ringraziare sua madre per tutti i ceffoni che gli aveva dato quando era bambino e ogni singolo abbraccio. Persino la faccia stizzosa di Clayton gli sarebbe in un qual modo potuta mancare… Quelli erano pensieri dal retrogusto amaro, li respinse costringendoli ad indietreggiare nel buio da dove erano comparsi. Nella grotta erano quelle le vere chimere da cui difendersi che potevano aggredirti e in un certo senso rapirti la mente. In quel caso non c’era torcia o luce che potesse proteggere però.

Qualche minuto dopo, quando ormai si era quasi completamente estraniato dalla realtà, avvolto dai ricordi, la bella voce profonda e un po’ tenebrosa di Fang si levò nella grotta e per quanto avesse un timbro molto forte, il suo canto era delicato e sommesso. – I was her, she was me. We were one, we were free. And if there’s somebody calling me on, she’s the one, and if there’s somebody calling me on, she’s the one. Were were young, we were wrong, we were fine all along. And if there’s somebody calling me on, she’s the one…-.

Keeran non avrebbe mai saputo se Fang, il cui codice genetico era sicuramente formato da scale pentatoniche, avesse scelto quella canzone apposta, oppure se era frutto del caso. Però quella lo fece pensare e forse lo stesso Fang aveva ragione quando diceva che la musica era speciale perché con una nota comunicava qualcosa di diverso ad ogni persona, ed era l’ascoltatore a darle un’aura magica.

Lei è l’unica…

 

Ian non ce la fece davvero più, erano parecchi minuti che stava aspettando ritto davanti al portellone aperto del furgone, in attesa che quell’uomo gli desse tre mute da sub.

Ero andati sull’isola di Saint Martin’s, certi che Cindy o qualcuno del suo gruppo avrebbe saputo come raggiungere la grotta franata, e così era stato: Lyn aveva riferito che vicino ad Keeran e Fang scorreva un fiume sotterraneo ed un certo Micheal, speleologo, era sicuro che si trattasse del torrentello in cui si riversano le acque della rete fognaria dopo essere state depurate. Ora servivano loro soltanto le mute e le bombole. Uno dell’accampamento si era proposto di prestarle loro, ma a quanto pare se ne doveva esser subito pentito.

Ian sbatté irritato la mano contro la fiancata del furgone facendo un baccano assurdo, mezzo campo si voltò incuriosito per capire quale fosse la fonte di tanto frastuono. Ian se ne infischiò del fatto che avrebbe dato spettacolo, - Allora! – latrò iroso – Ci sono in ballo delle vite! -. Un omone di mezza età, la fronte spazzata dalla calvizie, la barba sfatta e uno spiccato accento ispanico si ritrasse dal cassonato e facendo spallucce disse: - Mi dispiace, pensavo di averle. Mi sono sbagliato -. A quel punto Ian se ne sarebbe pure andato, magari inveendo, ma avrebbe alzato i tacchi. Non aveva mica tempo da perdere. Però quello che lo frenò fu uno strano riverbero della luce che per un secondo l’accecò, era stata una maschera da sub a creare quel riflesso, fino ad allora non l’aveva notata perché l’enorme stazza dell’uomo gli aveva impedito la visuale. Senza fare troppi complimenti passò avanti allo spagnolo e salì sul retro del furgone dove scovò sotto una coperta tre mute e tre belle paia di bombole. Cacciò il tutto in una cassa vuota e scese dal mezzo, il presunto proprietario non era molto d’accordo però, - Ehi, fermo! Quelle lì le ho affittate ad una famiglia di Birmingham cinquanta sterline l’una -

protestò vivacemente l’uomo che agguantò Ian per un braccio, quello con molta flemma posò la cassa, estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore e da lì trasse delle banconote che gettò per terra, erano centocinquanta sterline e finirono nel bel mezzo d’una pozzanghera. Fatto questo Ian, prima di voltarsi, squadrò l’uomo di sotto in sopra  e dopo aver fatto una smorfia di disprezzo disse: - Eccoti i soldi. Mi fai davvero pena! -. Se ne andò raggiungendo Lyn e Cindy.

Intanto però alle sue spalle, l’ispanico si stava chinando un po’ goffamente per via della propria imponente mole a recuperare le sterline e a prodigarsi cercando di asciugarle tra l’ilarità generale di quanti avevano assistito alla scena.

 

 

Keeran continuava a riflettere, a calcolare quanto tempo rimanesse loro prima che anche la minuscola grotta dove si trovavano, si allagasse completamente a sua volta. All’ultima misurazione non aveva più dovuto calare una gamba, era bastato loro allungare una mano oltre l’apertura da cui erano passati per sapere che l’inesorabile avanzare dell’acqua era troppo vicino all’invadere il loro rifugio. Fang aveva finito ormai da tempo di inviarsi messaggi con la sorella, senza però trovare la forza di telefonarle o di riferirle in che situazione si era cacciato. Insieme avevano deciso che se le cose si fossero messe davvero male per lasciare un ultimo messaggio ai rispettivi amici e familiari, o lettera, come dir si voglia, avrebbero potuto scrivere nella sezione bozze del cellulare. Ma questo non sarebbe avvenuto fino all’ultimo istante, un po’ per scaramanzia e un po’ perché sarebbe stato ammettere la sconfitta e darsi per vinti; come aveva ammesso Fang fare una cosa del genere prima del tempo era come mettersi a scegliere il vestito da morto.

Erano giorni che non riusciva a rilassarsi per bene e paradossalmente in quella situazione così ostica, per la prima volta, si sentì in pace. L’aria era buona e fresca, la migliore che avesse mai respirato, certo, fino a quando Fang non riuscì a scovare un pacchetto di sigarette infondo allo zaino ed iniziò a fumare come un turco. E un po’ gli dispiacque di non poter più assaporare quell’ossigeno così puro

Dovevo proprio arrivare a questo punto per cominciare ad apprezzare l’aria che respiro…

Keeran si fece cullare, prendere da quella sensazione, magari non l’avrebbe più potuta provare, magari si sarebbe salvato, magari no. Tanti, troppi magari, per avere una sola certezza a parte quella di essere in vita in quel preciso istante, il presente, che però è ad un palpito di distanza dal passato con cui rischia pericolosamente di confondersi.

 

Keeran aprì gli occhi d’improvviso, li sbarrò nel buio più totale, fissò l’assenza di luce. Non era nella grotta, no questo era impossibile, non sentiva la solida roccia e non udiva pure il gorgogliare dell’acqua che s’avvicinava imperturbabile. Si alzò in piedi e d’istinto gli venne da chiamare Fang, nessuno rispose. Altra cosa che lo incuriosì parecchio ma che allo stesso tempo gli fece ghiacciare il sangue nelle vene, fu che non aveva più freddo, gli indumenti erano asciutti e anzi non era vestito come prima, bensì indossava giacca e cravatta. Dove li aveva presi quelli?

Non era morto, di questo chissà perché ne ebbe subito l’istintiva certezza, malgrado l’atmosfera non facesse pensare bene. Era vivo.

Si mise a camminare, sempre nell’oscurità, fino a quando vide un bagliore, vi si avvicinò. Era una banale lampada accesa messa su di una scrivania ancor più anonima, su cui era poggiato un foglio, ancora era troppo distante per poter leggerne il contenuto eppure poteva, lo stava leggendo in quel momento, un foglio posto a cinque metri da lui

Ma che cosa…

04.02.99

Mr. Keeran,

Se ripassa domani a mezzo giorno avrei una proposta interessante da farle

Non proseguì neppure nella lettura, tanto sapeva già come continuava quella lettera, eppure non avrebbe dovuto esistere perché era andata distrutta, e questo lo sapeva per certo, l’aveva stracciata lui stesso con le sue mani due giorni dopo averla ricevuta.

Però era lì, la stava tenendo in mano, sentiva la carta fredda e ruvida sotto le dita, però quando l’accartocciò di nuovo e la gettò nel camino – non si chiese più da dove questo spuntasse fuori -, bruciò contorcendosi come qualsiasi altro pezzo di cellulosa, con una differenza però: ricomparve subito sulla scrivania. La cosa gli fece un po’ d’impressione, ma quando dopo essersi passato una mano trai capelli, azione che gli impedì la vista per un batter di ciglia, vide una sedia dove prima non stava, si arrese e approfittò della comoda seduta che gli era stata offerta. Con la coda dell’occhio controllò che la lettera fosse ancora posata sul pianale della scrivania: sì, stava lì. Keeran la guardò di sottecchi, l’espressione un po’ torva e con un’intensità che quasi quasi non avrebbe riservato ad una persona.

- L’inizio di tutto, l’inizio dei guai. Non è così? -. Austin trasalì e a momenti non saltò sulla sedia, il cuore che gli mancò un battito o due gli finì poi in gola martellante. Credette sinceramente che se si poteva morire dalla paura, quello sarebbe stato il momento più propizio.

Non si spaventò tanto per la voce inaspettata, bensì per quello che aveva detto: esattamente quello che stava pensando mentre scrutava la lettera. Sapeva di poter essere spiato mentre era a casa, al lavoro o con gli amici, ma non mentre faceva una riflessione tra sé e sé! 

Si ricompose cercando di capire da dove potesse esser uscita quella voce, era come se qualcuno gli avesse parlato da molto vicino; nel raggio luminoso della lampada però non c’era anima viva. Decise che la cosa più saggia era prendere in mano l’abat-jour e proseguire nella speranza di scovare il misterioso telepatico. Ma non fece in tempo ad agguantarla che udì nuovamente la voce: - Ti è sempre piaciuto andare oltre quello che tutti ritengono il ragionevole – disse con una nota di divertimento nel tono.

Questa volta però Keeran era riuscito ad indovinarne la provenienza, veniva da dietro le sue spalle ed ebbe un poco di timore nel voltarsi, timore di non trovare niente. Invece non fu così: c’era un imponente bancone da bar, tirato a lucido e fatto di legno di noce, gli ricordò subito uno di quelli visti nei film western; accanto al bancone su cui erano poggiate svariate bottiglie di liquori, erano posizionati due sgabelli, di quelli alti e che lasciano le gambe a penzoloni. Keeran, senza fare una piega, si accomodò su quello di sinistra dato che l’altro era già occupato. Era un uomo quello che c’era seduto sopra: alto poco meno di Keeran e leggermente più giovane; però completamente la sua antitesi, con capelli d’oro scuro, volto affilato il cui fulcro nella carnagione terrea erano due intensi occhi bruni, il naso seppur dritto era stato rotto di recente. Nella penombra c’era però sempre qualcosa che gli sfuggiva.

Keeran tentò di squadrarlo per bene, ma con discrezione e circospetto, le sue parole l’avevano colpito, chi era quello sconosciuto per poter schedarlo nel giusto, in quella maniera? I tratti gli erano così familiari.

- Allora, come stai? – chiese gioviale l’uomo assestandogli un colpo sulla spalla e sorridendogli, la dentatura un poco irregolare e candida, al di fuori d’un paio di capsule rivestite in oro sui molari, particolare che non sfuggì all’occhio di Keeran. Come faceva un uomo più giovane di lui ad avere un innesto così antidiluviano? A momenti neppure un dentista sudamericano in un campo profughi avrebbe utilizzato una tale tecnologia.

Ma non c’era né tempo né voglia per pensare ai denti d’oro, lo sconosciuto l’aveva salutato fraternamente e lui, un po’ per istinto, un po’ per previdenza si scostò aumentando il divario tra sé e l’altro che si accigliò non poco.

I casi sono due: o questo è un pazzo oppure sono io che sto impazzendo…

- Mi dispiace ma la pazzia può attendere, per entrambi – proseguì lo sconosciuto che aveva riacquistato il sorriso ed ora si stava sistemando sullo sgabello. Keeran si calmò un poco, quell’uomo aveva una voce straordinariamente rilassante, sembrava innocuo e comunque sarebbe stato incapace di prendersela con uno così. Keeran lo avrebbe definito complesso di Brass: non si è capaci di litigare con uno che non vuole farlo a tutti i costi e questo, a parer suo, era qualcosa di molto vicino al principio della non violenza di Ghandi anche se in proporzione nettamente più piccola.

- Lo sai d’avere sbagliato, vero? -

 

Stava quasi per rispondere allo sconosciuto quando però ritornò di nuovo completamente buio. Non riuscì più a sentire lo sgabello sotto di sé, bensì fu assalito da brividi per il freddo intenso che avvertiva, era come se un’infinità spilli gli stessero penetrando la pelle delle gambe e prima che potesse ben reagire si sentì trascinare, preso da sotto le ascelle. Qualcuno iniziò a schiaffeggiarlo, - Ehi! Ci sei? – era Fang che lo chiamava. Keeran si riprese subito, gettandosi alle spalle quell’inteso torpore che l’aveva assalito, ed annuì – Sì, ma che cosa?! – si accorse d’essere più fradicio di quanto non lo fosse stato prima ed a momenti non sentiva più i piedi. – L’acqua è salita, ma sei fuori? Come hai fatto ad addormentarti? Non ti riuscivo a svegliare, se non avessi respirato avrei pensato che avevi tirato le cuoia! – esclamò esterrefatto, per poi aggiungere – Parlavi nel sonno. Mio Dio, ma roba tipo “ L’esorcista ”! Sei sicuro che è tutto a posto? -.

- Sì, è tutto ok, dev’essere l’aria un po’ viziata che c’è qua dentro -, Fang aveva acceso la torcia ed Keeran poté fissarlo negli occhi verdi palesemente scettici, per poi ripetere – Sto bene -. In realtà. stava ancora pensando al sogno che aveva appena fatto, era così vivido e minuziosamente particolareggiato che faticò a convincersi che era stato tutto finto, ma probabilmente la mente umana era in grado di creare quello e molto altro. Quasi un po’ gli dispiacque di non esser riuscito a capire chi fosse l’uomo seduto al bancone del bar e più tentava di richiamare a sé le immagine, più queste gli sfuggivano. A questa affermazione Fang spense la torcia, si risedette e replicò - Se lo dici tu -.

Keeran si mise vicino a lui, e domandò – Quanto credi che manchi prima che… -

- All’incirca un’ora, se siamo fortunati un’ora e mezza. Tu credi che arriveranno? –

- Arrivare, arriveranno. Sinceramente prima o poi, però non so se noi saremo qui per accoglierli – disse molto schiettamente, mentire era inutile, non doveva fomentare alcuna speranza. Tanto più che parlava con uno che avrebbe potuto calcolare e prendere le loro possibilità di sopravvivenza, per poi trasformarle in un grafico in meno di cinque minuti.

- Sai tanta gente, dopo che gli avevo raccontato un paio di nostre avventure mi ha chiesto se mi puzzava la salute –

- E che gli hai risposto? – domandò Keeran, in effetti un paio di volte era capitato pure a lui e non aveva saputo dare risposta migliore di: “non so fare nient’altro”.

- Non c’è uomo al mondo che ami la terra ferma più del marinaio. Non siamo noi i pazzi, apprezziamo la vita più della stragrande maggioranza della gente –

Keeran non avrebbe mai finito di stupirsi per la bivalenza di Fang, sapeva passare dall’essere uno scapestrato totale ad un perfetto borghese dall’alta cultura. Era uno di quelli che sapeva come bere lo champagne in jeans e la birra in smoking.

Sorrise nel buio di quella grotta e dei pensieri, però con la sua solita fulmineità si rabbuiò un poco – Hai paura di morire? -.

Fang stette zitto un paio di secondi prima di rispondere – Parafrasando Woody Allen, devo dire: “ Non è che la morte mi spaventi, solo non vorrei essere trai presenti quando accadrà ”. Credo che sia normale, infondo mi riuscirebbe difficile anche solo per un attimo pensare che magari affogare non è poi così male -, un sorriso malizioso fece subito la sua comparsa, - E tu? -

Keeran non ci aveva mai realmente pensato, eppure – Sì, temo la morte -, tralasciò l’ultima parte del suo pensiero, temeva davvero la morte ma quella degli altri. Aveva la paura di rimanere da solo. Di sé non gli importava molto, più che altro era spirito di conservazione, doveva pure ammettere che rimanere a far compagnia al cinese che avevano incontrato poco prima, non faceva certo parte del suo piano quinquennale.

Fang rise – Noi, quelli che non fanno progetti a lungo termine… -, Keeran gli diede corda – In effetti questa attesa rischia d’ammazzarmi -.

- C’è una cosa che sento dovrei dirti ora, insomma mi sembra il caso – disse Fang un po’ sulla difensiva, Keeran si voltò verso di lui e gli fece segno di proseguire. – Devi sapere che quando mi prestasti la tua Camaro, dieci anni fa, e poi te la riportai indietro con tutta la fiancata frisata e senza uno specchietto, non fu colpa d’un altro, bensì mia. Non vidi un palo della luce e be’, il resto lo sai -.

Keeran al momento quasi non si ricordò del fatto, ma poi gli venne in mente, la sua Camaro del ’72 completamente rovinata. Un po’ di collera repressa c’era, ma era soffocata dall’ilarità per il modo in cui Fang si era scusato: serio e quasi guardingo. – Non ti presterò mai più un auto, però ti perdono. E ora che mi ci fai pensare pure io avrei qualcosa da dirti: quando quella ragazza, come si chiamava? A sì, Ava! Quando Ava ti disse che non potevate più uscire insieme perché c’era un altro, ecco, quell’altro ero io -.

- Un momento, avevi giurato che non eri stato tu! – poi rammentò la situazione attuale, - Ok, non c’è problema…ti assolvo – dichiarò fintamente pomposo Fang.

Ridendo, scherzando, parlando seriamente però l’acqua ormai li aveva raggiunti, arrivava loro alla cintola, ed i primi segni recati dal gelo cominciavano a manifestarsi. Ma era come se tra loro ci fosse stato un tacito accordo, nessuno dei due disse una parola, avrebbero sopportato in silenzio.

Keeran cominciava a non sentire più le gambe, intorpidite dal freddo, l’acqua doveva essere cinque, sei gradi al di sopra dello zero. Non sentiva più il gelo, bensì era come se i muscoli, la pelle, tutto gli stesse andando a fuoco. Era una delle più brutte sensazioni a cui mai fosse stato sottoposto, e dire che ne aveva sperimentate: tre o quattro pallottole, una ferita d’arma da taglio e quasi una dozzina d’ossa rotte. Niente poteva essere paragonabile.

Quando l’acqua ormai gli lambiva il torace gli sembrò quasi di far fatica a respirare, ogni volta che inalava l’aria pareva sempre più difficile, come se avesse due steli di ghiaccio nei polmoni.

Di tanto in tanto dava uno sguardo a Fang che teneva gli occhi semichiusi, qualche volta li apriva di scatto, forse stava cercando pure lui d’arginare quella sonnolenza dissipante che si era insidiata ormai da parecchi minuti. Keeran guardandolo pensò che erano messi proprio male: era di un bianco mortale con una sfumatura verdastra ed il contorno occhi violaceo, era come se fosse stato già cadavere. Era pronto a scommettere che neppure lui aveva una gran bella cera.

Distolse lo sguardo dall’amico per puntarlo al foro che rigurgitava l’acqua, già prima aveva pensato che avrebbero potuto chiuderlo, ma era troppo grande e pure adesso se fosse riuscito a fare qualcosa sarebbero morti assiderati prima di dieci minuti. Era assolto in questi pensieri quando vide balenare qualcosa attraverso il foro, era stato uno scintillio che per un batter di ciglia era riuscito a fendere le acque color pece ed arrivare a lui. Diede una scossa a Fang che si destò aprendo fulmineo gli occhi,

- Vedo una luce – disse Keeran colmo di speranza, l’altro lo guardò stranito, poi le sue labbra livide e tremolanti si aprirono in una risata sommessa e quasi incapace d’esprimersi – Un consiglio, non ti avvicinare –


INFO & CO:
Avrà forse ragione Fang x una volta? be' non mi resta che dire il mio amato TO BE CONTINUED
PS: il titolo del capitolo non c'entra molto con la storia, a parte il surrealismo del sogno di Keeran, è solo ispirato dalla canzone che sto ascoltando al momento I'm Outta Time, Oasis <3 (scusate gli scleri musicali da Madferit)
Continuate a seguire, perchè sta per arrivare la parte migliore.
The White Lady

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Capitolo 10
*** The Attitude of a Killer ***


INFO & CO: mmm mi sembra che il capitolo sia abbastanza denso di avvenimenti, per cui si commenta da solo oppure commentatelo voi xD Spero che la parte d'azione sia piaciuta U_U
ps: mi è venuta l'idea di postare assieme a questo e ai prossimi capitoli anche le immagini di come penso io siano i protagonisti e che ho trovato nel corso del tempo. Se avete dei candidati migliori fate sentire le vostre proposte!
nel prossimo capitolo i nostri si metteranno al lavoro sull'indizio e in più Keeran dovrà affrontare una certa donna...
TO BE CONTINUED 
The White Lady

ps: Liam Keeran è Josh Hartnett

  





No, grandissimo idiota, è una luce vera. Sono sicuro, l’ho vista! – cercò di esclamare Keeran poi soggiunse – Io vado, tu resta qui, non ti muovere. Torno con loro -. Fang lo guardò ancora sorridente – Tranquillo, non mi muovo sto così comodo… -, Keeran stava per immergersi quando l’amico lo bloccò per un braccio
– Se quello non erano loro, non ci vedremo più. Sappi che è stata la migliore vacanza della mia vita. E ora vai che mi sto congelando il culo! -.
Keeran non replicò, mise la testa sott’acqua e cominciò, aiutandosi con le braccia a scendere lungo il foro, sembrava la gola d’un mostro, uno di quelli descritti da Jules Verne. L’acqua gelida ormai non la sentiva più. Per la verità ormai sentiva ben poco, quasi niente, se stesso compreso. Era al limitare di qualsiasi percezione, stava scavando a fondo cercando di trovare ogni residuo di forza, non si era mai sentito così stanco, ma mai avrebbe permesso al suo corpo di fermarsi.
Keeran nuotando pensò al sogno che aveva fatto ed in quel momento rivide la lettera posata sulla scrivania, quella che lui aveva bruciato. Non gli era mai riuscito di credere agli avvenimenti strani, e per lui quello che aveva visto rimaneva sempre e comunque un sogno, uno come qualsiasi altro che avesse mai fatto in vita sua. Non per questo non era in grado di attribuirgli un significato ancora oscuro ma che esisteva, voleva conoscere la vera identità dello sconosciuto tanto più che si era convinto che quella non era la prima volta che vedeva quelle immagini. Voleva capire perché il suo subconscio in una situazione di pericolo come quella avesse deciso che la cosa migliore da fare fosse fargli ricordare di una vecchia lettera.
Lui doveva vivere per poter ritrovare i suoi famigliari ed i suoi amici, ma anche perché era mosso da un sentimento particolare e di cui, come Odisseo, era malato: la curiosità.
Aveva sbagliato, aveva detto lo sconosciuto, ma in che cosa?
Si trascinò a bracciate per tutta la lunghezza della grotta, sperando d’imbattersi in qualcuno e per sua fortuna, questo avvenne. Proprio dove avevano trovato il tappeto, accanto alla parete levigata si trovavano tre sub voltati di spalle. La gioia del vederli diede a Keeran la forza di colmare quegli ultimi metri che lo separavano dalla salvezza, nuotò fino ad arrivare alle spalle di uno dei tre, e se non fosse stato per evidenti motivi tecnici ed una scarsa riserva d’ossigeno avrebbe gridato a squarciagola il nome di quello, Ian. Invece lo afferrò per un braccio, il sub si voltò di scatto ma appena si accorse di chi gli stava di fronte strabuzzò gli occhi; Austin non si perse in troppi convenevoli, gli strappò il respiratore di bocca ed inspirò a pieni polmoni, poi dando solo una fugace occhiata a Cindy ed a Lyn, fece segno di seguirlo. C’era ancora Fang da salvare.
 
 
Prese l’ultimo respiro, poi fu completamente sommerso da un muro d’acqua che premeva e faceva pressione da ogni parte schiacciandolo contro la parete di fondo della grotta. Sentiva solo il proprio cuore ed i polmoni che si spaccavano per poter contenere quanta più aria era loro possibile. Ogni bolla d’anidride carbonica che espirava voleva dire un istante in meno.
Non era un eroe, aveva paura di non poter mai più vedere sua sorella, prese in mano il cellulare malgrado quel movimento superfluo volesse dire sprecare prezioso ossigeno, con il cursore si mosse fino a raggiungere la scheda immagini: ne trovò molte di lei e pensò che, per quanto non l’avesse mai ammesso, lei era bellissima e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla. Le foto erano state scattate tre anni prima a Los Angeles, dove lei studiava ed alcune riuscirono quasi a farlo ridere. A fargli pensare che se lui era nato sfortunato, senza una famiglia, la vita gli aveva dato moltissimo: non ci sarebbe stato un solo minuto della sua esistenza, neppure uno trai più brutti, che avrebbe voluto cancellare. Erano tutti unici. Sua sorella era unica. Keeran era unico come tutte le altre persone che aveva avuto l’onore di conoscere.
Aveva saputo di storie di vite tristi e grigie, ma lui non si poteva lamentare, persino il vivere in un orfanotrofio era stata un’esperienza radicale e che se non avesse mai vissuto probabilmente non sarebbe nemmeno stato Daniel Fang
Ehi, so che hai molto da fare però un attimo per me ce l’avrai, no? Ehi, grazie…insomma, avresti potuto scegliere un posto più pittoresco per la mia dipartita, però grazie.
Ho combinato tanti casini, ma che te lo dico a fare, tanto lo sai già. Tutte le cose che ho compiuto non dico d’averle fatte con la volontà di stare nel giusto, non sono proprio un uomo retto però mi assumo le colpe di tutte le mie decisioni sbagliate, anche di quelle che non so. Però mi dispiace ma non sono in grado di perdonare i miei genitori, non ci riuscirei mai, nemmeno ora: se dicessi che l’ho fatto mentirei e basta. Non sono capace di scusarli per il loro comportamento.
Proteggi Tess, non lasciarla sola. La solitudine per lei l’ho già presa io. Ovunque sia proteggi la donna che mi ha messo al mondo, lei non ha colpe, non sono riuscito a trovargliene neppure io. Non ha colpe.
La luce che ha visto Keeran sono loro, lo so. E forse arriveranno. Se non fosse così dagli una mano, ne ha sempre avuto più bisogno di me: il mio turno è passato, ora tocca a lui. Ti chiedo solo questo, e so di non averti ma chiesto nulla di così grande in una vita intera. Ah, e per  quella faccenda della castità...ok,non ho scusanti, ma le donne dovevi farle proprio così magnifiche?
Ehi, grazie per la mia esistenza. Grazie per la musica, non è stata niente male come invenzione…

Mise sull’ultima foto che il suo cellulare aveva salvato in memoria, era vecchissima ed ogni volta che aveva cambiato telefono l’aveva voluta tenere. C’erano lui che aveva ancora tutti i capelli, sorrise, Tess che era poco più d’una bambina ed Austin che indossava l’uniforme della Marina. Dieci anni erano volati.
Lasciò cadere il telefono sul fondo della grotta, non ce la faceva più a trattenere il fiato, buttò fuori tutta l’aria. Chiuse gli occhi che bruciavano sotto le palpebre per via del freddo. Morirebbe così un uomo qualsiasi
 
 
Il foro che Fang e Keeran avevano praticato nella volta purtroppo si rivelò troppo piccolo per permettere il passaggio delle bombole, esse infatti erano saldate insieme. Ian provò a farle passare in tutti i modi, ma non c’era verso, erano troppo larghe. Keeran gli fece segno di smetterla, ancora una volta ascese attraverso la bocca del mostro e sì ritrovò nella minuscola grotta, con la torcia accesa individuò subito Fang che era ormai incosciente, lo prese e lo trascinò fino al buco per cui lo calò. Quando riuscì a  scendere a sua volta, Fang aveva già infilato in bocca l’erogatore di Ian, non doveva essere svenuto da molto e probabilmente si sarebbe svegliato in fretta. 
Keeran però, come tutti gli altri, sentiva di dover sopperire all’istintivo bisogno d’uscire al più presto da quell’incubo. Per tornare in superficie avrebbero dovuto continuare a scambiarsi gli erogatori d’ossigeno. Fang sarebbe stato portato da Ian e Keeran, che erano in coppia rispettivamente con Cindy e Lyn. Ma proprio quando stavano per passare attraverso l’apertura creata dall’esterno dai sub, Keeran si ricordò di una cosa, lasciò cadere l’erogatore in mano a Lyn e quasi dimentico del freddo terribile tornò nel rifugio, prese lo zaino di Fang, sul fondo trovò qualcos’altro, il cellulare sempre di quest’ultimo. Se lo infilò in tasca.
Poi con un paio di bracciate raggiunse il gruppo che ancora lo stava aspettando, Lyn lo guardò incuriosita e lui le fece segno che le avrebbe spiegato più tardi.
Il primo a passare attraverso l’apertura fu Ian, quello che avevano creato era un passaggio claustrofobico: pur togliendosi le bombole si attraversava strisciando e procedendo a tentoni, in quei punti l’acqua era così buia che nemmeno la torcia riusciva ad illuminare le rocce circostanti si vedeva solo il vago brillio delle bolle d’aria che uscivano dall’erogatore. Per questi passaggi bisognava stare in apnea anche per un minuto e più, tutti sembravano sopportare abbastanza bene soprattutto grazie alla muta semistagna, anche se in acque così fredde avrebbe apprezzato qualcosa anche di più caldo. Chi stava soffrendo davvero quelle temperature così basse era Keeran che non vedeva l’ora d’uscire da lì, pure lui indossava una muta, ma era quella umida utilizzata per andare in kite surf. Fang, seppur ancora privo di sensi, aveva intanto ripreso a respirare normalmente.
Per completare quelle manovre impiegarono più d’un quarto d’ora, infine s’immisero nel corso del fiume sotterraneo che percorreva l’isola di Saint Agnes. Cindy, Lyn ed Ian all’andata erano stati facilitati dal flusso della corrente che li portava verso il mare e quindi in direzione della grotta, ma ora controcorrente, la risalita si prospettava faticosa e abbastanza lunga prima di riuscire ad entrare nel sistema fognario locale.
Lyn di tanto in tanto dava uno sguardo a Keeran, assicurandosi che non cedesse, quando si accorse di questo lui le fece segno sorridendo che era tutto ok. Bugia a fin di bene. Infondo sarebbero presto usciti dal fiume e avrebbe potuto lamentarsi quanto voleva, ma non ora perché sarebbe solo servito a rallentarli, non voleva che Ian iniziasse a nuotare più piano perché lui non facesse sforzo o non rimanesse indietro. Prima fossero usciti da lì e meglio sarebbe stato, perché in tanti anni aveva capito che l’imprevisto è sempre in agguato ed i problemi rischiavano di essere i soli amici in certe situazioni.        
Invece durante tutta la risalita non vi furono intoppi, persino l’aria nelle bombole abbondava nonostante il duplice utilizzo e la temperatura dell’acqua man mano che ascendevano continuava a salire gradualmente anche se di pochi gradi, questo avrebbe evitato loro un pericoloso shock termico. Dopo non troppo tempo l’acqua cominciò anche ad abbassarsi così che dopo dieci minuti poterono anche camminare, Fang nel frattempo si era svegliato e procedeva senza alcun aiuto anche se sia lui che Keeran tremavano ancora vistosamente. Però dopo aver ringraziato gli altri per il loro tempestivo intervento cominciarono persino a scherzare sull’avventura appena passata, Fang diceva che avrebbe fatto meglio alle superiori a trovarsi un amico che per hobby giocasse a bridge e che non facesse pazzie, oppure si chiedeva se il comune dell’isola avrebbe citato loro in giudizio per edilizia abusiva o per aver distrutto parte di un ecosistema unico.
- Per i prossimi mesi le nostre case saranno presidiate da eco-hippy con grandi cartelli, e se ci va bene, forse Al Gore ci farà su pure un documentario – gli rispose Keeran. Raggiunsero la fine della fogna, dove c’era un enorme depuratore che purificava le acque provenienti dall’unico paesino dell’isola. – Dovremmo entrare lì dentro? – domandò Fang, l’aria un po’ schifata, Ian si strinse nelle spalle e replicò – Noi ci siamo già passati -.
- Bella, avete le mute voi! Mi aspettavo un rientro in società un po’ più trionfale… - borbottò sommessamente.
– Di là ci sono gli zaini con un paio di coperte, ma se preferisci rimanere qui -.
Oltrepassarono una porta adiacente al depuratore, effettivamente il posto non era granché ed emanava un lezzo che non era il massimo, però di lì a poco sarebbero stati sul biplano di Ian alla volta dell’hangar. Non si poteva chiedere di meglio.
Lyn prese in mano una carta che stava arrotolata nello zaino – Non capisco perché hanno costruito un sistema fognario così complicato ed articolato per un paio di case. Per fare trecento metri ci abbiamo impiegato mezz’ora -.
- Sei sicura di non tenere la carta al contrario? – le domandò scherzoso Keeran, lei lo guardò falsamente indispettita e ribatté – Insinui che io non abbia un gran senso dell’orientamento? -.
- Come tutte le donne, è un fatto scientifico. Avete una memoria formidabile ma vi perdereste anche in casa vostra – disse prendendole la mappa dalle mani, e dopo averla osservata per bene – A nord -. Lyn si avviò decisa verso destra, ma Keeran quando si fu allontanata un po’ le gridò dietro: – L’altro Nord -. La ragazza tornò sui propri passi, quando gli passò vicino Keeran sogghignò – Jane zero… -, lei lo interruppe con una pacca sul petto – Chita uno. Bravo -. Era sì indispettita però non poté fare a meno di notare come i pettorali di Keeran non fossero peggiorati negli anni, anzi.
Fang prima di cominciare a seguire gli altri due, si accostò ad Ian e gli sussurrò nell’orecchio – L’avevo detto io -.
Per dieci minuti seguirono la galleria di sinistra, poi si trovarono ad un bivio, Austin indicò la destra, per un po’ continuò a punzecchiare e a parlare con Lyn, si divertiva ad infastidirla. Poi però, durante una pausa di silenzio, sentì qualcuno parlare. Erano voci lontane, quasi come se fossero state sussurrate e che però allo stesso modo sembravano avvicinarsi, si sentiva pure lo sciabordare dell’acqua spostata.
Keeran fece segno agli altri d’avvicinarsi e senza perdere tempo esordì mormorando talmente piano che persino il tintinnante gocciolare delle tubature rischiava di coprirne la voce, - Sono loro – disse sempre tendendo l’orecchio, poi proseguì - Ma non c’è problema. Ian, ascoltami bene: torna al bivio che abbiamo passato cinque minuti fa e prendi la destra questa volta, quella galleria non l’ho imboccata solo perché è più lunga, ma dovrebbe esserci un pozzetto per la raccolta dell’acqua piovana e lo sbocco di un tombino. Ecco, tieni questa – gli diede la mappa, quello la prese e stava per formulare una domanda che passò per la mente di tutti quando però Brass lo precedette – Tu dove vai? -.
Keeran sapeva che glielo avrebbe chiesto – Se ci fosse qualche intoppo quelli ci raggiungerebbero subito. E’un rischio che non vogliamo correre giusto? Con questa siamo pari Dan – disse spiccio, prima se ne andavano e meglio era, ma Fang gli strinse il braccio – Non saremo mai pari -, Keeran ricambiò la stretta – Allora forse mi toccherà tornare – detto questo consegnò ad Ian anche la torcia elettrica, lui avrebbe avuto bisogno del buio più assoluto. Guardò gli altri che cominciavano ad allontanarsi, solo Lyn sembrava la più titubante, non aveva ancora mosso un passo. Keeran avrebbe voluto dirle qualcosa per farla muovere, le andò vicino e prendendole la mano le mise nel palmo il tappeto arrotolato – Portalo al sicuro – disse fermamente, la voce vuota. Poi però abbracciandola la baciò sulla fronte e le sussurrò – Vai, sbrigati -. Lei strinse forte il tappeto nella destra – Abbiamo una sfida in corso, Chita. Non dimenticarlo – replicò quasi seria, poi si voltò e ben attenta a non fare troppo rumore raggiunse gli altri a gran velocità.
 
Keeran ora era solo, doveva cancellare il resto dalla mente e concentrarsi. Inspirò ed espirò a fondo, poi uscendo dall’acqua fognaria salì sul profilo di cemento che sporgeva ai margini della galleria.
Come aveva notato durante tutto il tragitto lungo la rete fognaria, circa ogni cinquanta metri di distanza c’era una rientranza in cui erano poste a vista le tubature del gas e dell’acqua che correvano nel sottosuolo. Si nascose in quella specie di nicchia appiattendosi contro il viscido muro di cemento armato, chiunque fosse passato non avrebbe neppure potuto intuire la sua presenza, tanto meno degli inseguitori forsennati. Keeran era certo che uno o due sarebbero passati forzatamente di lì, infatti dalla carta aveva potuto vedere che c’erano tre passaggi, ma che solo uno portava al fiume sotterraneo, cioè il suo.
Dalla caviglia slacciò il coltello che teneva nel fodero, lo prese in mano, era piccolo e maneggevole, la lama non più lunga di dieci centimetri. Keeran non aveva mai creduto alle dicerie popolari e anzi se sapeva di trovarsi in compagnia d’un superstizioso era il primo ad aprire un ombrello al chiuso o a rovesciare il sale. Però quel giorno si ricordò di una cosa: ad un coltello nuovo bisogna sempre far assaggiare il sangue del proprietario, questo in molte popolazioni era ritenuto di buon auspicio. Perciò con la punta della lama si punse il dito facendone uscire appena una goccia, si diceva che così non si sarebbe mai stati feriti dalla propria arma e magari una volta tanto certe superstizioni avrebbero avuto ragione. Keeran si era già fatto una mezza idea sul da farsi, quando sentì distintamente che i passi nell’acqua si facevano chiari, basandosi sull’udito cercava di capire a che distanza si trovassero gli inseguitori, non poteva certo accendere la torcia.
Quaranta metri. Passò il dorso della mano sulla fronte, era bollente, forse aveva la febbre da shock termico.
Venticinque metri. Chiuse gli occhi, poteva vederli, le stesse brutte facce che aveva incontrato all’aeroporto, gli stessi ghigni di chi sa di trovarsi vicino ad una conclusione. A Keeran quegli uomini ricordavano tanto dei segugi da caccia: eccitati dall’odore di una possibile preda, stupidi e fatti solo d’istinto, ma soprattutto disposti a qualunque cosa pur d’accaparrarsi un pezzo di carne. In quel caso però avrebbero guadagnato un bel gruzzoletto, a Keeran sorse spontaneo il chiedersi quanto potesse essere il costo d’un lavoro del genere, quanto valeva una vita umana in quel gioco perverso? Quanto? Forse una casa nuova, un’automobile o magari soltanto una vacanza in qualche paradiso tropicale.  
Dieci metri. Keeran capì che erano soltanto in due e prese una decisione, coperto dal gocciolare delle tubature, strappò via un pezzo della sottomuta e lo avvolse sulla lama del coltello per non ferirsi tenendola in mano. Avrebbe usato il manico d’acciaio per colpire.
Cinque metri. Si accorse che qualcosa non andava: gli inseguitori avevano all’improvviso accelerato il passo che fino ad allora avevano mantenuto costante e stabile. Avevano cambiato andatura, stavano correndo, uno con l’accento francese gridò: - Eccolo -. Keeran non si capacitava di come avessero potuto scorgerlo, ma questo non era importante. Stava già per uscire dalla nicchia a testa alta, pronto ad affrontare faccia a faccia quei due quando quelli oltrepassarono come fulmini la rientranza senza neppure accorgersi dell’uomo che stava uscendo allo scoperto. Non videro Keeran, erano troppo concentrati su una sola cosa. Keeran udì qualcosa di cui prima non aveva fatto caso, così tanto era focalizzata la sua mente sui passi degli inseguitori. C’era un’altra persona che si muoveva con un incedere assai più leggero come se sorvolasse lieve il pelo dell’acqua anziché passarci attraverso.
Keeran riuscì a sentire, più che a vedere, che le persone si erano fermate di colpo. Qualcuno era anche finito nell’acqua facendo salire una corona di spruzzi. Keeran per quanto tentasse di mantenere la propria andatura calma e felpata non ci riusciva, doveva sapere chi era la persona che era stata raggiunta ed agguantata e soprattutto doveva scoprire chi essa non era. Percorrendo il divario che lo separava dai due inseguitori sperò di non vederla, pregò che non fosse lei. Non Lyn. Ma a mano a mano che s’avvicinava le sue speranze si sfaldavano diventando sempre più esili, quando capì che era una donna quasi si augurò, facendosi schifo da solo, che quella ragazza fosse Cindy.
Appena riuscì a vedere entro l’alone di luce proiettato sull’acqua dalla torcia degli inseguitori ogni aspettativa scomparve all’istante: Lyn era tenuta per un braccio da François, pistola alla tempia. Keeran provò ancora quella fitta allo stomaco che in così pochi giorni gli si era ripresentata troppe volte, la collera gli montava alla testa e tutta l’ira per i patimenti provati in quelle ultime tre settimane avrebbero trovato uno sbocco. Però per la sicurezza di Lyn e la sua avrebbe dovuto agire con flemma e sangue freddo.
Cominciò ad avvicinarsi ben attento a non creare nemmeno la più piccola increspatura nell’acqua, era un fantasma. Davanti a sé a meno d’una decina di metri di distanza stava il grosso spagnolo, Juan, alla sua destra stava invece François con Lyn. – Dove sono? – non era un ordine, ma una richiesta che avrebbe potuto anche sembrare fatta in modo garbato da parte del francese, se non fosse stato per la M-5 troppo vicina ad un punto vitale. Lyn che poteva apparire una ragazza quanto meno fragile gli rispose sputandogli in faccia - Vas te faire encule aller vers français force merda -.
Juan rise guardando il compagno, – La ragazza non è una gran mediatrice. Non c’è che dire -. François non stette ad ascoltare, infondo la ragazza non era utile, gli altri li avrebbero trovati lo stesso con o senza di lei. Tirò indietro il cane. – Allora, sappiamo benissimo io e te che tanto qualsiasi cosa tu decida i tuoi amici sono spacciati. Pensa però: a me non me ne frega niente di te, potrei lasciarti stare e li prenderei ugualmente. Qualcosa però devo guadagnarci pure io, non ti pare? – domandò sempre puntando l’arma alla tempia della ragazza, se entro cinque secondi non avesse parlato avrebbe fatto fuoco. Non aveva tempo da sprecare inutilmente e quasi si era pentito di non averla freddata immediatamente.
Keeran intanto si era avvicinato abbastanza, era consapevole d’aver poco tempo però voleva prendere prima François, in modo tale che Lyn potesse subito scappare. Durante tutto quel breve e celere tragitto aveva più volte cambiato posizione al coltello, tenendolo per la lama o per il manico. Morte o vita.
Non aveva ancora deciso quando stava per posizionarsi alle spalle di François, ma in quel momento che precedeva l’imminente agguato la situazione precipitò: Lyn che era l’unica a potersi accorgere di Keeran quando lo riconobbe involontariamente spalancò gli occhi. Anche se lo fece impercettibilmente Juan e François se ne resero conto subito, sapevano che alle loro spalle c’era un ospite indesiderato. Keeran a quel punto non poté far altro che stravolgere i suoi piani e batterli sul tempo, tirò un colpo alla nuca dello spagnolo che era anche il più vicino a lui ed istintivamente si abbassò per poi caricare alle gambe il francese che era riuscito soltanto ad esplodere un paio di colpi mancando completamente il bersaglio.
Keeran finì nell’acqua insieme a François, quel che si andò a creare non era per nulla similare ad un vero e proprio scontro, era un groviglio vorticante di pugni e calci rivolti in una direzione indefinita, annaspavano cercando di prendere una boccata d’aria. L’obbiettivo comune era quello di tenere l’avversario sott’acqua o almeno bloccargli la visuale.
François con la mano libera e non impegnata nella zuffa rovistava il fondo melmoso della fogna, l’M-5 che aveva perduto durante la caduta ora giaceva lì da qualche parte nascosta dal putrido e dallo sporco che infestava il canale.
Keeran intanto mentre si batteva con tutte le sue forze era conscio che queste presto o tardi gli sarebbero venute meno; il suo corpo in dodici ore aveva subito troppe angherie per poter ancora riuscire a rispondere in modo adeguato, in situazione normale, alla pari, avrebbe potuto battere François senza troppe riserve. Ma in quel momento sapeva che se non si fosse sbrigato a risolvere la faccenda questa avrebbe potuto avere un solo risvolto, e neppure troppo piacevole per lui. Sparò le ultime cartucce, tutto quello che i suoi muscoli erano ancora disposti a dare per quella causa, oltre quella soglia neanche la volontà avrebbe potuto fare qualcosa. Il volto del francese era distorto in un orribile ghigno, a metà tra il dolore e la soddisfazione, Keeran colpì lì nella vana speranza di farlo svenire. François sapeva che presto sarebbe riuscito a sopraffare Keeran, soltanto in quei pochi minuti di scontro aveva notato come l’intensità dei colpi a mano a mano si stesse affievolendo.
Infine scoppiò in una risata glaciale che echeggiò a lungo attraverso la galleria.
 
Era più di quanto il francese si potesse aspettare, aveva trovato la pistola, la impugnò e la sollevò facendola riemergere dallo strato viscido che già l’aveva avviluppata.
Lyn quando Keeran aveva aggredito François era stata scaraventata a sua volta nel’acqua, aveva finito per sbattere la testa contro la passatoia di cemento. Solo ora stava iniziando a rinsavire completamente dopo la gran botta ricevuta, lo spettacolo che le si presentò davanti agli occhi quando finalmente li riaprì aveva dello spettrale: la luce della torcia finita sul fondo filtrava attraverso l’acqua torbida e le ragnatele di melma creando strani riflessi verdastri. I due uomini che si scontravano tra mille spruzzi nel bel mezzo del canale non sembravano esseri umani ma demoni venuti fuori da un racconto dell’orrore. Sembravano fiere da circo che combattevano artigli sguainati, Lyn in tutto quel trambusto faceva quasi fatica a distinguere quale dei due fosse Keeran. Però quando si accorse che François aveva recuperato l’M-5 e stava cercando di prendere la mira per sparare, lei non ebbe un istante d’esitazione, corse subito attraverso il canale per bloccare il francese. Individuò la mano armata che si dimenava nel tentativo di riuscire a liberarsi e l’afferrò cercando d’impossessarsi della pistola, la strattonò ma per quanto si sforzasse François non aveva intenzione d’allentare la presa, era un cane rabbioso ed intestardito, qualsiasi cosa non faceva altro che rafforzarlo. Neppure quando Lyn gli morse il polso questi aprì la mano, anzi con le gambe riuscì pure a liberarsi di Keeran che ruzzolò via inciampando nel corpo esanime di Juan e finì lungo disteso sul fondo del canale ormai ridotto allo stremo delle forze.
François sapeva di aver vinto, sentiva che il successo era vicino, avrebbe soltanto dovuto premere il grilletto: prima sulla ragazza che non avrebbe potuto in alcun modo far resistenza e poi su Keeran. Avrebbe così chiuso la pratica. Ma quel che il francese non tenne in conto era il fattore casualità, la fortuna o la sorte come la chiamano alcuni. Il caso fece in modo che quando ricadde all’indietro nell’acqua Keeran si ritrovò tra le mani il suo coltello, istintivamente lo prese e senza neppure guardare, solo sapendo che François era proprio davanti a lui, si buttò a peso morto sull’avversario. Giusto un istante prima che questi facesse fuoco.
Keeran non sapeva nemmeno cosa avesse appena fatto, era come se a muoversi fosse stato un altro. Mollò il manico del coltello e si lasciò scivolare di lato del corpo di François. Uno vivo, l’altro praticamente morto.
Quando finalmente si alzò sulle ginocchia, aiutato da Lyn, Keeran vide il risultato dei secondi precedenti: il coltello si era conficcato alla base del collo, sopra il punto di congiuntura delle clavicole. L’uomo agonizzava e tentava inutilmente di respirare, soffocato dal suo stesso sangue. Keeran si chinò su di lui e con una freddezza che credeva d’aver perso o almeno dimenticato, prima gli chiuse gli occhi e poi lo finì.
Lyn cerea osservò la scena e poi la salma dell’uomo che solo pochi minuti prima la stava tenendo per il braccio, poi guardò Keeran, il suo sguardo assorto. Quell’ombra inquietante e quel qualcosa di freddo che lo avevano attraverso quando si stava lanciando su François erano quasi completamente scomparsi. Per un attimo aveva quasi avuto paura d’avvicinarvisi, quello sguardo non l’aveva mai visto in lui. Era come se per una frazione di secondo quello non fosse stato Liam Keeran, ma uno sconosciuto dall’espressione glaciale. Questo le faceva paura.
 
Keeran e Lyn risalirono velocemente la galleria ritrovandosi presto al bivio. Nessuno dei due aveva proferito parola. Prendendo il canale di sinistra, Keeran si accorse che non c’era bisogno di proseguire fino al pozzetto di raccolta per l’acqua piovana, aveva notato che dentro ad una delle nicchie era posizionata una porta d’emergenza e dietro questa una galleria verticale che per mezzo di una scala a pioli completamente corrotta dalla ruggine portava ad una specie di tombino, o botola, che metteva in comunicazione la fogna con il paesino soprastante.
Quando uscirono furono accecati dalla luce pomeridiana che filtrava tra una casa e l’altra con il tetto a spioventi, si tirarono su sperando di non essere notati dalla gente locale, non più d’un centinaio di anime, che in quel momento sembravano essersi tutte condensate in un sol punto non troppo distante di lì.
Una piccola folla che però proporzionalmente all’isola voleva dire una gran calca, si era radunata in semicerchio intorno ad un paio d’agenti della polizia locale e agli sconosciuti che erano sbucati dal tombino: Ian, Fang e Cindy. Ora in una grande città come New York quella poteva sembrare una scena d’ordinaria pazzia, ma a Chipping Northon, paese in cui il massimo della stranezza consisteva nel fatto che una pecora s’impiantasse in mezzo alla strada. E quello poteva essere l’avvenimento più emozionante che potesse capitare durante tutto l’arco dell’anno, se non dell’intero decennio. Nessuno era disposto a perderselo, tanto meno i tutori della legge che erano ben consci che quella forse sarebbe stata la prima ed unica volta in cui sarebbero stati utili.
Keeran facendosi largo tra la gente raggiunse gli amici ed i due agenti, Fang appena lo vide gli puntò il dito contro e disse a denti stretti – Tu… - ringhiò per poi proseguire gesticolando mostruosamente – Un pozzetto per la raccolta d’acqua piovana, non è così? Secondo te, dove siamo andati a finire? -. Keeran guardò l’amico e trattenne il riso, era conciato da buttar via, e nel caso non fosse riuscito ad indovinare, gli corse in aiuto uno dei due agenti che con strano accento ed annuendo disse – Fossa biologica -.
Per togliersi di torno gli agenti di Chipping Northon accamparono mille scuse, quella che infine fu accettata affermava che erano solo dei semplici speleologi, si salvarono grazie al tesserino che Cindy portava sempre con sé e che le lasciava libero accesso all’intero sottosuolo dell’arcipelago delle Scilly. Infine quando ormai era già passato il crepuscolo ed era tutto buio, decollarono con l’aereo ben decisi a ritornare all’hangar il prima possibile. Tutti erano curiosi di sapere cosa era successo sia dentro la grotta che quando Keeran era rimasto indietro per coprire la loro fuga, però tutti questi quesiti avrebbero trovato una risposta solo in seguito visto che sia Fang che Keeran, dopo aver preso posto sul velivolo, erano stati fatti subito preda d’un sonno profondissimo. Anche quando finalmente atterrarono presso l’hangar nelle vicinanze di Londra nessuno fu disposto a destarli o a farli scendere e per questo per il seguente giorno e mezzo il bimotore fu adibito a dormitorio, ad esclusivo uso e consumo dei due.


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Capitolo 11
*** The Otherside ***


INFO & Co: capitolo di passaggio che delinea i rapporti tra i personaggi. Scoprirete soprattutto qualocosa di nuovo su i cattivi xD ps: Recensite e suggerite agli amici se vi piace GENESIS, grazie
pps: la canzone contenuta è Otherside dei Red Hot Chili Peppers <3 TO BE CONTINUED
The White Lady

DANIEL FANG è CHRIS GARVER (tattooer)

 

Quando Keeran e Fang si svegliarono erano ancora un po’ intontiti però sani, a raccontare a tempo debito tutta l’avventura nei più minuziosi particolari fu il più loquace Fang, non si fece scappare un solo dettaglio e per molte ore la discussione verté sul tappeto rinvenuto nella grotta, la mummia del cinese, ma soprattutto chi fossero veramente i loro inseguitori e quale fosse il motivo per cui cercavano così ostinatamente il tesoro. E proprio per questo il giorno seguente al risveglio di Fang e Keeran, tutti si trasferirono nel più sicuro ed illibato casolare di Cindy, alle porte di Bath.
Keeran in quei giorni era strano e più chiuso del solito, Lyn aveva già fatto partecipi tutti di quel che era successo nella fogna, rimasero un po’ storditi però a favore di quel che aveva fatto Keeran. Era opinion comune che fosse stato un atto di ragionevole autodifesa, se non coraggioso da parte sua; persino Fang che solitamente teneva alla vita di tutti, anche a quella dell’ultimo barbone di Londra, risultò abbastanza cinico e indifferente quando dichiarò che forse era meglio avvisare Clayton per far sparire il cadavere, nell’eventualità in cui non l’avessero già fatto i compari di François.
Tutto tornò alla normalità, ma Keeran sentiva d’essersi accollato un peso nello stomaco che molto difficilmente sarebbe scomparso. Anni addietro si era ripromesso di non decidere per la vita degli altri, però più di una volta al mattino guardandosi riflesso nello specchio si era chiesto cosa fosse a differenziarlo da quei mercenari. Quale fosse la sottile linea che divideva il bene dal male, se lui l’avesse superata e soprattutto chi aveva il diritto di tracciarne i dettami, perché infondo era tutto soggettivo ed estremamente relativo: chi per lui era il cattivo viceversa poteva essere il buono. In quelle ore si sentiva in precario equilibrio su di un crinale che forzatamente doveva attraversare, i pensieri erano torbidi e non c’era frase che potesse dipanarli.
La vicinanza di Lyn un po’ l’aiutava, sentiva che la sua sentenza era quella più importante perché infondo lei in quella galleria c’era stata ed aveva vissuto a fondo quei momenti. Fino ad allora non si era ancora pronunciata, non aveva fatto commento.
Ma un giorno afoso di metà luglio ad una settimana dal fatto, il giudizio arrivò. Cindy ed Ian erano andati a in città a fare la spesa visto che si consumavano provviste alla velocità di una caserma militare, Fang invece come al solito, era intento nell’attività che più d’ogni altra in quel periodo lo aggradava, il dormire mentre da una radio ascoltava la musica. Keeran stava seduto sul terrapieno ricoperto in legno che stava appena al di sotto della casa, da lì si godeva di una vista invidiabile: lo sguardo lambiva soltanto le punte più alte del bosco di conifere che scendeva giù per il dolce pendio della collina e poi l’Avon con le sue serpeggianti anse. In quel punto panoramico ci andava tutti i pomeriggi e vi passava anche ore quasi sempre con il tappeto in mano, in cerca di una risposta che fino ad ora tardava ad arrivare. L’aveva osservato in mille modi, però non era ancora riuscito ad individuare quale fosse il nuovo indizio, sapeva che più ci pensava e più questo gli sarebbe sfuggito però non era in grado d’accantonare il pensiero neppure per cinque minuti. Quel pezzo di stoffa era costato loro un dazio troppo alto per poterlo lasciar muffire in una busta di plastica.    
Era lì ad arrovellarsi quando da dietro giunse Lyn che gli si sedette accanto, e che dopo aver fatto una smorfia disse – Dio mio, è un miracolo che non ti sia ancora venuto il colpo della strega. Questo è uno strumento di tortura! -. Keeran continuò a fissare l’orizzonte.
– Sai quando sono tornata indietro sapevo che ti eri nascosto da qualche parte in attesa di tendere loro un agguato. Eppure quando mi hanno presa, per un attimo ho creduto che te ne saresti rimasto lì senza far nulla – continuò in tono serio ed un po’ colpevole.
- Beh, se la pensi così allora non mi conosci bene – replicò Keeran che si stava torcendo le mani tenendo lo sguardo basso, non voleva fissarla negli occhi. Lyn rimase un po’ ferita da quelle parole, voleva soltanto esser sincera, però proseguì – Affatto. Io credo di conoscere un Liam che nemmeno Fang ha idea che esista. Solo… -. Keeran sapeva che cosa la ragazza stava pensando, ci stava un po’ girando in tondo però ci sarebbe arrivata, lui però voleva la verità e subito.
– Solo cosa? Non pensavi che fossi in grado d’uccidere? Allora la prossima volta lascerò che uno squilibrato t’ammazzi, va bene così?! – non avrebbe voluto reagire con tale rabbia nella voce, si rendeva conto che non era colpa di lei, però era come ogni cosa che toccasse venisse rovinata dalla sua presenza e per questo era costernato. Aveva stravolto la vita di Cindy ed Ian, e per quanto Fang potesse dire era sempre lui a mettere in pericolo entrambi. E ora Lyn.
- No, boh, non lo so. Io so solo che il Keeran che mi ha salvata… Tu non sei così – mormorò confusamente, avrebbe voluto tanto dire qualcosa di comprensibile però non vi riusciva – Almeno non lo era il Liam che ho conosciuto io a Barcellona -.

Non credo proprio che tu sappia chi è Liam Keeran

Keeran era stufo di fare una conversazione in cui non poteva rispondere e non capiva neppure cosa volesse Lyn, perciò si alzò – A volte le persone cambiano. Non fidarti di nessuno, non fidarti di me perché non ci sono promesse che possa mantenere – tagliò corto tornando verso la casa, odiava le sue stesse parole però in quel momento era l’esatta verità, poi però si voltò verso Lyn – Credo che la ragione per cui ho ucciso quell’uomo sia più che valida che abbia mai avuto e lo rifarei mille volte. Questo però non vuol dire che non ne subirò le conseguenze, il suo nome ce l’avrò sempre impresso nella pelle – sospirò poi soggiunse abbastanza serenamente – Ti do un consiglio da amico: dovresti tornare a casa al più presto. Qui le cose si stanno troppo complicando -.
Tornò in casa, le frasi che aveva appena detto avevano un certo peso, erano contrastanti tra loro come però d’altronde erano in quel momento i suoi pensieri. Si sentiva come intrappolato tra due fuochi: non capiva cosa volessero gli altri, ma soprattutto non capiva cosa volesse lui. In quei giorni stava arrivando ad un livello di tale confusione da non riconoscere neppure se stesso o i suoi pensieri, si sentiva cadere in un baratro senza ritorno, lentamente stava impazzendo. C’erano momenti in cui avrebbe voluto prendere il primo volo per l’Antartide e scomparire per sempre, ma poi si rendeva conto che c’era qualcosa di cui non si sarebbe mai potuto liberare: se stesso e la sua coscienza.
Tutto era solo un continuo flashback di quello che era capitato negli anni precedenti, niente mai cambiava. Lui non cambiava, non riusciva mai a scindere una parte di sé dall’altra.
Uscì di casa, trovò Fang che dormiva su di una amaca, la radio che emetteva musica per nessuno, si fermò un secondo ad ascoltarla, solo per sapere cosa avesse da dire stavolta.
 
How long how long will I slide
Separate my side I don’t
I don’t believe it’s bad
Slit my throat
It’s all I ever

I heard your voice through a photograph
I thought it up it brought up the past
Once you know you can never go back
I’ve got to take it on the otherside

 
Pour my life into a paper cup
The ashtray’s full and I’m spillin’ my guts
She wants to know am I still a slut
I’ve got to take it on the otherside

Scarlet starlet and she’s in my bed
A candidate for my soul mate bled
Push the trigger and pull the thread
I’ve got to take it on the otherside
Take it on the otherside

Spense la radio
Il giorno seguente non cambiò nulla, Keeran era sempre seduto sul terrapieno con in mano il tappeto, i conflitti interiori ormai erano diventati soliti compagni in quella sua solitudine pomeridiana. Dopo una settimana stava quasi diventando un rito; nella notte aveva risolto infine che non c’era soluzione al suo problema: era soltanto un nevrotico cronico, un caso clinico per cui qualsiasi strizzacervelli avrebbe fatto carte false.
Però fino al momento in cui il suo cervello sezionato non sarebbe stato esposto in qualche teca della facoltà di psichiatria, aveva ben pensato d’utilizzarlo nel migliore dei modi: risolvere enigma custodito tra la trama e l’ordito di quel tappeto. Aveva pensato a tante cose possibilità: il disegno come fonte di qualche indizio, qualche cosa che fosse nascosto tra i fili di cotone, in sintesi aveva scandagliato le più disparate idee.
In pieno luglio faceva un caldo torrido, l’afa era pressoché insopportabile e solamente quello scostante venticello che attraverso le fronde delle conifere a singhiozzo passava, riusciva a donare un poco di ristoro. Austin però proprio quel giorno aveva ideato una bravata per cui sarebbe stato linciato da qualsiasi archeologo o amante dell’arte: posandoselo in faccia, usava il tappeto come parasole. Ed effettivamente traeva anche qualche beneficio.
Si stava proprio per assopire in questa posizione quando però un rumore destò la sua attenzione, aprì gli occhi e subito dimenticò lo strano sibilo che aveva udito: per quanto si trovasse in una posizione sfavorevole ed i suoi occhi non riuscissero bene a mettere a fuoco quel che vedeva, capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Sollevò il tappeto in controluce e quasi non poté credere a quel che vide: attraverso la sottile stoffa in alcune zone passava la luce, mentre in altri no. Il risultato erano tanti punti che anche se distanziati tra loro, formavano delle lettere. Aveva trovato l’indizio, per avere la conferma che le sue non era traveggole da insolazione gli bastò un ululato. –Fang! -.
Di lì a poco, probabilmente condotto lì più per una forza soprannaturale che non per un reale senso del dovere, apparve un assonnato Fang – Ti è stato fatto dono di due propaggini articolate più comunemente chiamate gambe. Ti prego usale la prossima volta! – esclamò indispettito, poi soggiunse sospirando – Che c’è? -. Keeran spiegò davanti ai suoi occhi il tappeto, - Vedi tutti quei puntini e le lettere che formano? -.
Fang con una punta di finta eccitazione nella voce esordì – Sì, sì certo!...No l’ho perso. Cosa dovrei vedere? –
- Sei maligno – ribatté Keeran
- Mai quanto te. Comunque, sì mi pare di vederlo: magna corona. Traduci prego -, Fang proseguì sbadigliando, era un altro indovinello, quindi ai suoi occhi qualcosa estremamente noioso per cui avrebbero speso quasi sicuramente ancora un sacco di tempo; perciò era inutile cominciare ad incuriosirsi, perciò decise di tornare ad adempire il suo scopo primario: dormire.
- Grande corona. Dài non può essere così difficile! – esclamò Keeran cercando di fargli cambiare idea e fargli fare retromarcia. Tutto inutile ormai l’altro aveva girato l’angolo della casa e non gli dava più retta.
Keeran iniziò a pensare da solo e presto si rese conto d’esser giunto ad una conclusione fin scontata.
La corona rappresenta un sovrano, questo è sicuro… Siamo in Europa alla fine del XI secolo, quindi di regnante davvero importante c’era soltanto qualcuno…
- Carlo Magno -. Gridò Fang che a quanto pareva persino dalla sua amaca era arrivato alla stessa soluzione di Keeran, l’Imperatore del Sacro Romano Impero era l’unica possibilità e quasi sicuramente quella giusta.
- Lo sapevo già – urlò di rimando Keeran. Intanto si alzò, doveva riporre al più presto il tappeto in un ambiente fresco
- Te la tiri troppo – ribatté Fang, la voce che si avvicinava sempre più.
- Fancazzista – replicò Keeran a sua volta, lui e Brass si stavano addentrando in una delle solite conversazioni-insulto che erano consueti a fare di tanto in tanto.
- Neurotico petulante –
- Ho una notizia da darti: stai perdendo i capelli! -, Keeran stava rientrando in casa, quando s’imbatté in Fang che arrivava dall’altra parte del giardino, quello proseguì – E tu il senso dell’umorismo. Cos’è peggio dei due? –
- Prima d’arrivare al darci della checca irlandese e dell’orfano, ci fermiamo? Oppure vuoi parlare di politica? –
- Una birra? – propose di rimando Fang come avvezza offerta di pace. Keeran assentì col capo ed aprì la porta finestra che dava sul salotto dell’abitazione. – Tornando al discorso di prima: tu che hai votato? – domandò ironicamente l’amico.
- Democratico. Tu? – chiese Keeran di rimando, tanto però sapeva già la risposta. Fang gli porse la Guinnes gelata che aveva appena estratto dal frigo – Loro non mi pagano i miei diritti sui brevetti; io non ho mai pagato le tasse in vita mia, a votare mi sentirei un’ipocrita. Non sono molto patriottico, per la verità non sento di appartenere ad alcuna nazionalità. Anzi, sai che ti dico? In questi giorni mi sento molto svizzero, almeno loro qualcosa di buono lo fanno: il cioccolato – ammise con molta noncuranza e sincerità, quella stessa sincerità che tante volte l’aveva messo nei guai. Keeran però lo invidiava: a Fang non importava cosa pensassero gli altri di lui, preferiva pagare le conseguenze piuttosto che stare zitto; forse non aveva ancora ben capito come girava il mondo però certamente non aveva peli sulla lingua. Era uno spirito libero che non accettava imposizioni e Keeran pensava che di questo ne dovesse andare fiero.
Anche lui reduce d’una categoria che ormai stava scomparendo.
 
La pioggia cadeva fitta formando una cortina fuligginosa sopra le case ingrigite della periferia londinese. Le strade erano deserte, fatta eccezione per un’anonima auto blu, una scassatissima Ford del ’91, trazione posteriore, motore a benzina V4 in origine 190 cv di cilindrata, ora… decisamente meno. La macchina frenò bruscamente davanti ad un capannone contrassegnato dal numero nove, lasciando i segni degli pneumatici sull’asfalto.
La portiera posteriore s’aprì, una scarpa laccata entrò nella pozzanghera facendone straboccare l’acqua, che per un istante aveva riflesso l’immagine confusa di un uomo dai capelli fulvi. – E’ questo, Bill – disse una voce proveniente dall’interno dell’abitacolo, l’interessato assentì con un grugnito sordo ed un impercettibile cenno della testa.
Si diresse verso l’entrata, un’enorme portellone di ferro dipinto di verde, tutto scrostato, lo spinse facendo appena un po’ di fatica per rompere la ruggine che impestava i binari di scorrimento. Erano anni che nessuno violava quella soglia.
Bill sentiva rimbombare il rumore  dei propri passi nel capannone, però tendeva l’orecchio nel tentativo di avvertire qualsivoglia altro suono. Era un riflesso incondizionato ormai, sapeva riconoscere tutto e con precisione senza neanche accorgersene, come un segugio sapeva distinguere i passi dei suoi familiari, dandogli persino un nome; mentre di uno sconosciuto avrebbe saputo dire se uomo o donna, vecchio oppure giovane.
Sembrava però che a parte a lui non ci fosse nessuno. Fece ancora qualche passo, il volto appena accarezzato dall’aria pungente che filtrava dai vetri rotti delle finestre, tra cui erano sospese ghirlande di ragnatele che ad ogni spostamento di corrente danzavano ondeggianti. Bill però teneva lo sguardo periferico ben attento a scorgere il minimo movimento. Ma niente.
Proseguì per quella sua solitaria passeggiata, le mani in tasca a stringere la pistola. Giunse in punto in cui il capannone stava crollando, blocchi di cemento, tubi arrugginiti e cavi elettrici si trovavano un po’ ovunque a formare statue grottescamente assemblate.
Bill diede un calcio ad una latta di vernice, questa rotolò sferragliando sul pavimento fino a girare dietro il cumulo di macerie. L’uomo sbuffò spazientito e si voltò per tornare sui suoi passi quando udì ancora il tintinnio metallico del barattolo che rotolava, si girò e questo si fermò a poca distanza da lui. – Mr. MacFarlane, sono felice di poterla finalmente vedere di persona – disse una voce cupa e gracchiante, Bill si sporse per vedere chi parlasse - Stia fermo lì, grazie – si pronunciò, più rigido l’altro.
- Ed io sarei ancora più contento di vedere lei. Solitamente avviene così, con chi mi paga… - ribatté seccato all’uomo nascosto
- Non so con chi lavora di solito, ma queste sono le mie regole, e lei le rispetterà. In quanto come ha precisato, sono io che la pago –
Bill spostò il peso da una gamba all’altra, non gli piaceva essere comandato in quel modo, ma doveva trattenersi
- Va bene, allora procediamo… -
- All’aeroporto ha fallito, alle Scilly nessun risultato; non è riuscito a recuperare le pergamene, come mai Mr. MacFarlane? – chiese leggermente infastidito, il committente – Mi aveva detto che ce l’avrebbe fatta, ma lasciamo correre. Infondo nessuno è perfetto – sibilò con voce falsamente accondiscendente, rigirando il coltello nella piaga
- Certamente – rispose lo scozzese a denti stretti
- Ma ora sappiamo chi ci troviamo ad affrontare – prese dei fogli dalla valigetta che aveva con sé – I miei uomini hanno fatto delle ricerche: Liam Keeran jr. – esordì leggendo il primo fascicolo, ma subito fu interrotto
- Figlio di Liam Sean Keeran, per caso? – domandò all’improvviso l’uomo misterioso, il tono che tradiva una certa curiosità
- Sì, le interessa? -. L’altro non rispose, Bill era sempre più infastidito dal comportamento di quell’individuo così strano, comunque proseguì nel suo discorso, tralasciando quella parentesi - Lavora per il GST da circa sei anni, conosce? –
- Sì, è una delle marionette di Clayton – disprezzò l’uomo senza nome
- Veramente è uno dei suoi uomini di fiducia, un tutto fare, da missioni di recupero per gli USA, a ricerche di ogni tipo. L’ho visto combattere e pesta giù duro, non ha tecnica però assieme al suo amico ha messo a KO alcuni dei miei uomini migliori… – cambiò fascicolo, lo aprì e, con suo gran disappunto dovette allontanarlo un poco per poter metter meglio a fuoco le parole, l’età cominciava a tradirlo e la sua vista da falco pure – Poi abbiamo Daniel Isaac Fang, doppia cittadinanza: americana e svizzera; anche lui lavora al GST, da sette anni, come ingegnere meccanico, si legge… Però Clayton ogni tanto gli fa fare delle gite fuori porta, aiuta Keeran in alcune missioni. Per il resto passa il tempo in laboratorio. E’ un buon tiratore, tiro al piattello… -
- Chiacchiere, soltanto chiacchiere Mr. MacFarlane. Io la pago per i fatti! Nient’altro, voglio che lei agisca. Elimini il problema. Mi sono spiegato? – ordinò glaciale l’altro
MacFarlane aveva capito, quello non era il suo stile, e quel tizio aveva la dote innata di irritarlo, ma era il capo. Pagava e pure profumatamente.
- Ho già in mente un piano per rintracciarli dopo che ci sono sfuggiti, hanno chiamato un loro amico, un informatico, per raggiungerli. Piazzeremo una cimice nel cellulare e nel computer. Avremo una sorta di Grande Fratello. Ok? –
Nessuno rispose, lo scozzese girò intorno alle macerie, per cercare anche solo di scorgere il suo misterioso interlocutore. Ma da dove prima proveniva l’oscura voce, ora non c’era niente. O meglio un auto-parlante e più in alto una telecamera. Bill sbuffò stanco – Perfetto, adesso mi prendono per una Charlie’s Angeles -. Traduzione Otherside (Red Hot Chili Peppers)
Quanto tempo, quanto tempo trascorrerò
Separato dalla mia parte, io non
Io non credo sia male
Taglia la mia gola è tutto ciò che ho

Ho sentito la tua voce attraverso una foto
L'avevo trovata, ha riportato il passato
Quando sai che non puoi mai tornare indietro
Devo portarla da un'altra parte

Riverso la mia vita in un bicchiere di carta
Il portacenere è pieno e sto raccontando le mie cose intime
Lei vuole sapere se è ancora una sgualdrina
La devo portare da un'altra parte

Una stellina scarlatta e lei è nel mio letto
Una candidata per la mia anima gemella ha sanguinato
Premi il grilletto e tira il filo
Devo portarla da un'altra parte

 

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Capitolo 12
*** Aretha ***


INFO & CO: Oggi stranamente ho postato poco, anche se qui da me domani è vacanza (sia lodato Sant'Ambrogio, e auguri a tutti i miei concittadini XD).. comuqnue capitolo che non si possono perdere coloro che sono romantici!!!Buona lettura
TO BE CONTINUED
 The White Lady

ps: Lun Shang è Lucy Liu
  

- Ben arrivato Pulcino! – Keeran mise un braccio sulla spalla di Adam, Fang fece lo stesso – Smettetela idioti – si scansò l’altro. - Perché sono qui? Al telefono non me l’hai detto… -
- Ti vogliamo offrire una vacanza. Vienna è una gran bella città! E tu te lo meriti –
- Avete bisogno di me? Che avete in mente – disse diffidente il ragazzo, poi soggiunse vedendo le false facce d’angelo degli altri due: – Vi conosco –
- Mi sento profondamente offeso, tu no Dan? Come puoi dubitare della nostra buona fede? – protestò fintamente Keeran
- Posso eccome! – esclamò Adam
- E’ vero hai ragione. Non ti si può nascondere niente – scherzò – Ok. Parliamo chiaro. Tu sei il nostro piano B. Fine – rispose più serio
- Non mi piace come suona. Spiegati meglio -  
- Dopo saprai tutto, ora non è necessario. Intanto andiamo, l’appartamento che abbiamo affittato è poco distante -. Si avviarono per le strade vicino all’aeroporto, Keeran aveva ragione Vienna era proprio una città affascinante, anche se la giornata non era delle migliori, il tempo era uggioso, e la periferia non era certo da meno.
Il cuore di Vienna, l'Innere Stadt, era difeso in passato da una cinta di mura che fu  rimossa nel 1857 per far posto all'ampio viale del Ring, fiancheggiato da imponenti edifici, monumenti e parchi. Testimoni del passato predominio culturale di Vienna erano invece i numerosi edifici monumentali dall'architettura armoniosa, ancorché eterogenea, che adornavano la città: palazzi di stile rinascimentale, barocco e rococò si alternavano a edifici del primo Novecento e del secondo dopoguerra. E tutto l’insieme d’edifici riusciva quantomeno a donarle una magica aura di regale austerità mista ad un pizzico di sognante romanticismo, che si poteva scovare in ogni suo scorcio.
- Hai portato tutto quello che ti ho chiesto? – domandò improvvisamente Keeran, mentre passeggiavano per un lungo viale alberato – Certo, tutto quello che mi hai detto! – rispose pronto Adam
- Anche le cose da prendere nel magazzino? –proseguì
- Sì – ribatté il ragazzo – Non ti fidi? –
- Clayton ti ha dato l’autorizzazione? Non ci posso credere! –
– Clayton no, però Jim il nuovo magazziniere si corrompe facilmente – fece sicuro
- L’hai preso senza permesso!? – si voltò verso Fang – Dan il nostro Pulcino è cresciuto. Ha rubato allo Stato, dopo solo un anno e mezzo di nostra frequentazione. Non sei orgoglioso? – si asciugò una finta lacrima
- Sicuro. E’ancora un po’ indietro ma... Noi quanto ci abbiamo messo prima di prendere in prestito la prima cosa? Un mesetto? –
Keeran annuì. Adam  aggrottò la fronte – Voi non siete mai stati beccati? Vero? -. Erano arrivati nel palazzo del loro appartamento. Non era il meglio, aria malfamata, vicini equivoci, intonaco scrostato e pareti macchiate. Di certo non era nel Salotto Bene di Vienna.
Keeran prese le chiavi – Devi capire Adam, che ci sono cose di cui è inopportuno parlare, segreti che vanno mantenuti tali… Conoscere alcuni lati del tuo capo è, come dire, traumatico… - aprì, la serratura che scattò producendo un rumore secco.
Nel salotto disadorno, seduta su una poltrona di simil-velluto c’era  una donna: longilinea, dalla pelle candida ed i capelli scuri. Si fece avanti
– Ciao, tu devi essere Adam -.
 
Poche ore dopo Keeran, Fang e Adam erano riuniti nella cucina  stile anni ’50 dell’appartamento. Lyn era tornata al suo albergo in centro, lasciandoli liberi di parlare.
-  Come fai a conoscere la curatrice esterna del museo di Taipei? – chiese Adam appoggiato al tavolo – Insomma quante vite hai vissuto?! –
- Un paio di troppo…Comunque, volevi sapere cosa devi fare, no? Bene. La storia dei monaci, le pergamene e tutto il resto lo sai già, ti manca l’ultima parte. Noi crediamo che centri qualcosa Carlo Magno, probabilmente i monaci gli diedero un indizio per arrivare al tesoro, da proteggere e nascondere; ora io pensavo d’andare ad Aquisgrana, dove è sepolto, invece Dan sostiene che l’Imperatore l’abbia  messo nella sua corona, che è conservata all’ Hofburg nella Camera del tesoro di Vienna. Quindi, eccoci qui! – spiegò semplicemente Keeran, mentre esaminava  il frigo, una landa desolata
- Tutto qui! Tu pensi di entrare, chiedere di vedere la corona a cui non ci si può neppure avvicinarsi, cercare un indizio che non sai nemmeno se esista ed andartene bello bello con una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi anni, senza che nessuno chieda niente?! – replicò Adam, cercando di capire cosa avesse l’amico nella sua mente contorta
- Be’ sì, giusto un pelo più complicato. Però la sostanza è quella… ma se non mi danno il permesso c’è sempre il piano B. E qui entri in gioco tu, per ora però non badiamoci – rispose sempre impegnato nella ricerca di qualcosa di commestibile
- Ah, ok. Domandavo e basta, tanto per sapere. Volevo solo…ecco… – tentò di dissimulare Adam sempre più crucciato. Keeran emerse dal mobiletto sotto il lavello, scotendo la testa – Dan, per domani preparati, vieni con me. Dovremmo procurarci qualcosa da mangiare, e un auto. Procuri tu il mezzo? –
- Come fatto, lo prenderò a nolo. Ho visto un venditore giusto qui vicino -.
 
 
Il mattino seguente tutto era pronto, erano le 11.00 e il sole era sorto, anche se nascosto da grosse nuvole grigie, però la città era ugualmente afosa, 70% di umidità segnalava la radio, anche se nessuno capiva dato che prendeva solo Radio Cracovia.
Keeran che aveva dimenticato la cravatta stava scendendo le scale, Fang lo aspettava in strada con il motore già acceso.
Appena vide l’auto non poté che emettere un grosso – Oh -  e subito dopo soggiungere – Ho appena sentito Barbie: rivuole indietro la sua macchina! – esclamò divertito
- Non è poi così orribile! – tentò di replicare Fang, ma non poteva salvarsi in nessuna maniera, il mezzo era una vecchia Cadillac, rosa, il rosa schoking più orrendo che Keeran avesse mai visto. Però non c’era fine al peggio, i sedili su cui si sedette erano completamente rivestiti di cavallino.
- Cosa c’è che non va? – chiese Fang facendo orecchio da mercante
– Niente, se fossimo dei vaccari texani con tendenze un tantino femminili! Dobbiamo andare ad un incontro importante e tu mi vieni con questa? –
- Non rispondo, lascio che parli l’auto – inserì la chiave nel quadro, girò e dal cofano scaturì un fiero rombo di motore, diede gas e dalle gomme si sprigionò del fumo bianco e un odore acre – Colore  da schifo, motore revisionato Dodge. Le gusta signore? –
- Molto, è fantastica! – fece Keeran entusiasta del ruggito del V8 – Però… parcheggiamo ad una buona distanza, eh? –.
Arrivarono a destinazione, sarebbero dovuti andare a piedi fino all’Hofburg, che era stato il palazzo imperiale della dinastia degli Asburgo fin dal 1278, anno della sua fondazione. All'edificio originario andarono via via nei secoli ad aggiungersi costruzioni diverse e il complesso divenne una piccola città all'interno di Vienna.
Da Michaelerplatz, una delle piazze principali racchiusa tra l’Hofburg e la Peterskirche, passarono oltre in uno spiazzo più piccolo proprio all’interno dell’edificio, chiamato Heldenplatz. Svoltarono a sinistra sopra una sorta di ponte piastrellato, fino al Cortile degli Svizzeri. Innanzi a loro si poneva un palazzo in puro stile italiano, la  Schatzkammer, dove si trovavano i maggiori tesoti degli Asburgo, tra corone, paramenti e gioielli. La raccolta era immensa, e con una tale varietà da essere una delle più ricche ed inarrivabile collezioni al mondo.
- Dan, io pensavo di mentire, abbiamo ancora i pass che ci aveva dato Clayton, per la missione a Parigi. Hanno funzionato una volta, perché non due? – spiegò Keeran, prendendo dalla valigetta che aveva con sé due tessere plasticate, su cui c’erano le loro fotografie
- Credevo le avesse ancora lui, dopo la missione Clayton ce le aveva ritirate! – disse in un tono tra lo stupito e quello di uno che si aspettava una cosa del genere
- Credeva ma non era così. Comunque, dobbiamo solo mentire, nient’altro. Pronto? –
- Ci sono nato per queste cose – affermò deciso Fang, poi soggiunse - Però aspetta un istante, mi chiamo ancora Philip Santagostino? Non si può cambiare con qualcosa di decente?... Solo Clayton poteva pensare ad un nome così… - fece indispettito, senza neppure attendere una risposta da Keeran.
Passarono per l’entrata turistica, una porta blindata di quasi 20 centimetri di spessore. Alla reception mostrarono le tessere che avevano al collo. La ragazza che era seduta al bancone emise un piccolo oh per la sorpresa, poi prese il ricevitore del telefono e disse: - Un attimo, prego – parlò per qualche secondo, poi li prese da parte e li condusse per un corridoio, a destra si trovava una porta con scritto sopra: “ONLY AUTHORIZED STAFF”, solo personale autorizzato.
Entrarono in un ufficio abbastanza misero per essere quello del direttore, la receptionist uscì lasciandoli soli con l’uomo ancora voltato di spalle, intento a guardare fuori dalla finestra. Keeran si schiarì la voce e cominciò a parlare nell’istante esatto in cui il direttore si girò. Era piccolo di statura, con la pelle cerea e i capelli albini.
- Sono il Professor Jeremy Clarckson, del National Geographich Magazine. Molto piacere – tese la mano, ma l’uomo non la strinse – E lui, è il nostro fotografo Philip Santagostino – continuò ritraendo la mano, facendo finta di niente.
- Georg Kazsinsky – sibilò scandendo ogni sillaba
– Direttore di questo museo. Ma lasciamo perdere i convenevoli, che cosa ci fate voi qui? – domandò mostrando largamente un enorme rispetto, certo, per quanto lo si possa fare sprizzando disprezzo da tutti i pori.
- Non è stato avvisato del nostro arrivo? Be’ questo sì che è un brutto inconveniente… Comunque, saremmo qui per fare un servizio sulla corona di Carlo Magno, che fa parte della vostra collezione… - ma fu interrotto bruscamente  - Non venga a dirmi cosa faccia parte o no del mio museo, non ne ho bisogno! Che presuntuosi voi americani! Due mesi fa venite qui, accolti con tutti i crismi per fare un articolo sulla raccolta imperiale. Poi ne scrivete di tutti i colori sull’organizzazione e lo stato dei pezzi in mostra, per poi tornare e chiedere di poter vedere il vanto di questa struttura, la corona di Carlo Magno, come se niente fosse accaduto. Ma voi tanto ve ne infischiate del lavoro degli altri, vi importa solo di quel giornaletto che gestite… il National Geographich – gridò scimmiottando il nome della rivista, in pochi minuti di conversazione il suo volto passò dal bianco cadavere al paonazzo. A Keeran ricordò fortemente un furetto infervorato, fece fatica a trattenere il riso.
- Chi vi credete di essere?! E ora fuori dal mio museo, non metteteci più piede luridi bastardi! – esclamò aprendo la porta, fuori c’erano due gorilla della sicurezza già pronti ad accoglierli, che li accompagnarono fuori, insieme ad una serie di ignominiosi epiteti che il direttore infuriato stava rivolgendo loro.
Erano di nuovo in strada, fatti uscire da una porta secondaria. – Sapevo già che non avremmo avuto molto successo, ma questo va ben oltre mia immaginazione…- sentenziò Keeran sistemandosi la giacca sporca di polvere – Se troviamo quell’accidenti di tesoro, i diritti di sicuro non li do al National Geographich! Ci tocca passare al piano B – sospirò infine.
 
 
- Com’è andata? – chiese pimpante Adam sull’uscio della porta, per risposta Keeran grugnì qualcosa di incomprensibile – Ah, allora immagino bene! – esclamò fintamente soddisfatto.
- Prima è passata Lyn, voleva parlarvi, ma… - esordì il ragazzo ma fu immediatamente interrotto – Si passa al piano B, quindi siediti e ascolta, anche tu Dan – ordinò serio Keeran
- Certo, signore -  disse Fang esibendosi in un pomposo saluto militare, l’altro non ci fece caso
- Allora domani sera dobbiamo entrare nella Camera del Tesoro… - cominciò a spiegare
- Ho capito bene? – domandò nuovamente Adam. Nessuna risposta. Fang gli bisbigliò da dietro: – E’ entrato in modalità Rambo. Non ci si può salvare –
- Per entrare, abbiamo due possibilità. Primo: sotto l’Hofburg ci sono dei passaggi sotterranei, che una volta venivano usati dagli amanti degli Asburgo per far spola dall’Hofburg alla reggia estiva di Schönbrunn. Alcuni sono aperti al pubblico, altri no. La sorveglianza è meno rigida che non nell’ex palazzo imperiale, però per certi versi la cosa è più incasinata. Dovremmo riuscire ad entrare in una reggia, trovare il passaggio giusto, rischiando di spuntare negli appartamenti imperiali o nel museo delle argenterie, visto che non c’è una mappatura ben delineata dei sottopassaggi. Il margine d’errore è incredibilmente basso. E poi ci rimarrebbe comunque da mettere fuori uso l’allarme della Schatzkammer, il che non è poco – fece una pausa per soppesare il discorso, e riprese
- Secondo: passiamo per la porta blindata, togliamo gli allarmi interni e quelli delle vetrine, che per fortuna sono in blocco, se no ci toccherebbe staccarli uno alla volta. Cosa preferite? – domandò semplicemente, come se dovessero scegliere tra una marca o l’altra di caramelle. Il primo a parlare fu Fang – Meglio se andiamo diretti! –
Adam ci pensò per qualche istante, per lui nessuno dei piani poteva funzionare, però… - Secondo, è molto più alla nostra portata – sentenziò
- Ok. La scelta è fatta, ora si passa al dettaglio. La porta blindata che si vede di giorno, spessa 17 centimetri, non è l’unica, hanno una specie di saracinesca di ultima generazione, collegata ad un allarme, che è composta da due strati di circa 5 centimetri l’uno. Il primo in titanio, il secondo in acciaio amorfo. Disattivato l’allarme, dovremo comunque aprire le porte.
Poi allarme interno, con sensori sul pavimento, oltre il  mezzo chilo di pressione continuata per più di due secondi, scatta. Sensori per i rumori, qualcosa di più forte d’un respiro e indovinate un po’ che succede? –
- Scommetto che escono delle lame dal soffitto – rispose Adam ironicamente.
– Anche se devo dire che l’idea m’intriga parecchio, questi austriaci sono abitudinari: scatta l’allarme – riprese Keeran - Infine dovremo disattivare la protezione che hanno le vetrine, per poi forarle e prendere quel che ci serve. Ci sono domande? – nessuno rispose, Adam era attonito, mentre Fang sembrava non essere minimamente preoccupato
- Nessuno? Allora lo facciamo? Non ci sono costrizioni – replicò Keeran sempre più convinto.
Fang che era rimasto zitto per tutto il tempo, con lo sguardo perso nel vuoto, seduto per terra con la schiena appoggiato alle pareti d’angolo. Si era acceso una sigaretta e stava fumando, inclinò la testa lasciando che il fumo lo avvolgesse, lo inebriasse completamente, solo allora parlò: - Lo facciamo! E  ci riusciamo! Che Dio mi fulmini se non la scassiniamo quella dannata camera –
Adam li guardò sconsolato, alzò gli occhi al cielo – Lo facciamo – disse anche se sembrava più una domanda, che una affermazione. Il ragazzo infastidito dall’odore del fumo sventolò la mano e soggiunse tossendo – Dovresti smetterla con questo viziaccio. Le sigarette t’ammazzeranno -. Fang si alzò e fece un’altra boccata dalla sigaretta – L’unica possibilità che sia il fumo ad uccidermi è che un tir della Camel m’investa. Così è come la vedo io - rispose sbuffando il fumo in faccia ad Adam.
Keeran diede una pacca sulla spalla al novellino e proseguì - Va bene, allora dobbiamo solo prepararci… Adam, l’allarme è uno dei migliori prodotti in tutto il 2007. Ci riesci a spacchettarlo? – Keeran tirò fuori delle mappe complicate con disegni di reticoli e quant’ altro
- E’ vecchio quasi di due anni, ce la posso fare. Se queste carte rappresentano gli allarmi, non è neppure così complicato – affermò il ragazzo – Basta che mi collegate voi, e poi io lo bypasso -
- Emh… questo è lo schema della porta, poi ci sono tutti quelli interni –
- Scusa, non possiamo staccare l’elettricità all’intero edificio? E’ un classico, potrebbe funzionare ed è più semplice – propose speranzoso
- No. Se togliamo l’energia, la centralina chiama la polizia e il generatore d’emergenza si attiva, illuminandoci come un albero di natale – replicò Keeran – Ma tanto dovrai solo istruire Dan e me attraverso una trasmittente. Tu sarai comodo in poltrona –
-  Come, io non vengo con voi? Pensavo di essere qui per questo! – ribatté innervosito Adam
- Sì, ma tu sei la mente e noi il braccio. Non voglio farti rischiare, per una cosa mia. Se ci beccano… è davvero seria stavolta –
- Volete pararmi le spalle? Credevo ormai di meritare del rispetto, non sono un principiante! Se sono venuto qui, è perché sapevo quel che facevo. E… no guarda lasciamo perdere, continuiamo la preparazione –
 
La sera prima del “ recupero ”, dopo aver finito di organizzare, mentre il giradischi di Fang andava sul vinile dei Rediohead, Ok Computer e Keeran chino per l’ennesima volta, studiava le planimetrie della Schaztkammer, Lyn leggeva un libro sdraiata sul divano, poi si alzò sui gomiti per vedere cosa stesse succedendo in cucina
- Ma come ti vesti?! – esclamò Adam uscendo in quel momento nell’ingresso. – Piuttosto tu! Sei solo un fighetto infricchettato, camicia nera e trenta chili di gel. Sei semplicemente ridicolo. Nient’altro da dire – replicò Fang, che fronteggiava il ragazzo. Messi a confronto erano uno il contrario dell’altro, uno elegante l’altro casual, uno un liceale alla prima uscita e un uomo, il primo piccolo di statura tanto da sembrare che gli mancasse ancora po’ per crescere, e il secondo un gigante.
- The Clash, mai vista maglietta più ridicola! – fece accaldato. Keeran, fin a quel momento indisturbato, guardava basito la situazione – Che c’è? Se non fate casino ogni due secondi non va bene?! – latrò scocciato.
Vi fu un attimo di quiete, poi il dibattito riprese
– Chiediamo a Lyn, lei è una donna, avrà la risposta giusta - sentenziò Adam. La ragazza quando si sentì chiamata in causa, chiuse il libro e si mise a sedere.
– Dobbiamo uscire con quelle fate dell’appartamento 95, meglio io o lui – spiegò Fang, poi aspettò un attimo e soggiunse - La camicia nera è troppo, e poi d’estate… io invece con il mio look dico… -
- …Non stiro – sibilò Adam         
- No, che mi importa più l’interiore chenon l’aspetto esteriore, alle donne piacciono queste baggianate e comunque non serve il tuo contributo bimbo – ribatté l’altro incrociando le braccia – Allora che pensi –
- Che siete due idioti, ma non rimarchiamo l’evidente. Comunque vada per la camicia. Mi dispiace Dan sei completamente privo di gusto estetico ed una cernia capirebbe di più la psiche femminile – poi aggiunse in un bisbiglio – Non date fastidio a Liam è un po’ nervoso… Mi sa che gli parlerò -.
Adam e Fang, dopo un dovuto cambio d’abiti, uscirono, ma quest’ ultimo fece un attimo capolino dalla porta e disse, rivolto a Lyn – Chissà se intendiamo la stessa cosa per parlare…? –
La ragazza, che si era rimessa a leggere, alzò il medio e un sopracciglio – Vai a farti fottere Dan –
Fang chiuse la porta definitivamente, ma prima con un teatrale sospiro rispose – Lo spero bene. Auguri anche a te -.
Lyn continuò la sua lettura, ma poco dopo non poté fare a meno di alzarsi: faceva un caldo mostruoso, il libro era da sbadiglio e Keeran continuava a rumoreggiare, prima con la penna, la mano, ogni tanto dava persino delle testate al muro dove la sedia era poggiata  e poi un persistente frusciare di fogli. Gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
– Sai, dovresti smetterla di leggere e rileggere quelle carte, per la tua salute mentale e quella degli altri. Ripeti quella litania da così tanto tempo, che ormai dovrebbero conoscerla pure i muri – esordì lei con tono benevolo
Lui posò lo sguardo sul volto della ragazza, il lisci capelli adagiati sulle spalle che si prolungavano nel collo immacolato, e poi su fino al volto ovale in cui come perle erano incastonati gli occhi a mandorla, neri e brillanti. Per un attimo si perse in quei momenti di trance in cui si vede e non vede, e quello che si pensa  passa sui propri visi come un enorme tabellone pubblicitario. E il suo sarebbe stato un cartellone vietato agli under 18.
Da quel sogno fu risvegliato da Lyn che lo schiaffeggiava, piano – Ci sei? Secondo me ha ragione Dan, a furia di sbattere la testa hai perso tutti i neuroni, due a botta –
Keeran s’accorse che per la prima volta erano veramente soli, e prevedendo ciò che sarebbe accaduto, decise che per lui era molto meglio effettuare al più presto una manovra evasiva prima che scoppiasse la guerra dei sessi, e Lyn si era piazzata in prima linea per quella battaglia
Salvate il soldato Keeran
Senza fare una piega, si alzò e andò in cucina, dopo aver rovistato per un buon minuto nel frigo, si convinse che in assenza d’acqua il meglio che la casa offriva era un vino rosso dalla dubbia provenienza.
- Me ne dai un bicchiere? – chiese lei, che lo aveva seguito, ma in realtà si domandava come mai certi uomini sono più chiusi delle cozze, più solitari dei ricci di mare, più scemi di un opossum e più tutto di qualsiasi stupida bestia che sul pianeta avesse visto la luce. E si chiedeva come mai anche esistessero donne altrettanto idiote, di cui lei era il baluardo, che immancabilmente come da copione, sentivano l’irrefrenabile bisogno di andar loro dietro. Era una legge arcaica e che non sarebbe mai riuscita a capire, malgrado tenesse racchiusa in sé tutto il senso di una vita.
- Se vuoi rischiare, prego – Keeran le diede un calice, attento a scegliere il meno sbeccato, cosa ritenuta una da lui una gran gentilezza, riempito fino a metà. Però s’accorse troppo tardi che nella fretta dello scegliere dove ripiegare, si era infilato in un vicolo ceco: la cucina. Quindi, a meno di sfondare la parete di cartongesso adiacente alla camera da letto - cosa che peraltro riteneva un po’ esagerata persino per i suoi standard -  avrebbe dovuto rispondere a sei anni di arretrati in domande. Tentò l’ultimo patetico tentativo di depistaggio: - Forse infondo è più un rosé che un rosso, per via della corposità, ma devo dire che il gusto non mi dispiace… -
Lyn stava riponendo il bicchiere nell’acquaio e sciacquandolo quando, all’improvviso, senza neanche guardarlo in faccia, perché era di spalle, fece la sua mossa – Perché mi lasciasti sei anni fa? Senza dire niente, lasciare un biglietto, senza un motivo… Credo di avere il diritto di sapere –
Un verme, ecco come si sentiva, il lombrico più viscido che abbia mai strisciato sulla crosta terrestre, sapeva che la domanda sarebbe stata quella, ma non era comunque pronto a rispondere, un lustro e più non erano stati abbastanza per darsi da solo una spiegazione completa, figurarsi darla a lei. Voleva, ma non poteva comunque farlo. Gli toccava passare al vecchio metodo: mentire, mentire e mentire ancora.
Sarebbe stato felice di dirle che lei non c’entrava niente, però se non aveva una motivazione valida per confutare questa cosa, come avrebbe fatto?
- Ora io non posso dirti nulla, però sappi che tu non sei il motivo, e non dipendeva solo da me, è stato per il nostro, e soprattutto il tuo bene – appena Keeran ebbe pronunciato queste parole, si accorse della stupidità di esse, erano parole vuote senza un significato
- Mio eroe! Scusa se non avevo capito! Che stupida io a non riconoscere i tuoi meriti. E’ vero, mi hai strappato da un destino orrendo, insomma, sposare l’uomo che amavo e passarci la vita insieme; sai mica c’ero arrivata, ma adesso mi è tutto chiaro -.
Keeran avrebbe scommesso la sua gratifica natalizia del GST, che se l’avesse anche solo sfiorata, quella sarebbe esplosa. Il suo tono esprimeva una rabbia ed un’acidità senza confini, era un vulcano in piena eruzione pliniana. Non poté far altro che subire, d’altronde se la meritava tutta quella ira. Lei fece uno scatto in avanti, e gli stava per tirare un ceffone quando all’improvviso si frenò lasciando cadere mollemente il braccio lungo il fianco.
- Io mi dicevo che ero pronta, che questo viaggio sarebbe stato solo di lavoro e che avrebbe dato lustro al mio curriculum, un esperienza in più da annoverare. Ero pronta a non farmi coinvolgere, ero preparata e tu hai rovinato tutto. Non so come faccio a essere così ingenua e stupida, stupida, stupida… - ripeté quella parola all’infinito finché non riecheggio come un’accusa nelle orecchie di Keeran. Gli occhi di Lyn dardeggiavano – E poi ieri sera… imparerò mai a non fidarmi di te?! Mi lascio sempre ingannare, ma d’altronde è forse questo il prezzo della tua compagnia, non ti basta mai nulla. Non sei mai sazio d’emozioni, un qualsiasi uomo normale dopo aver sperimentato un quinto di quello che hai fatto tu, si sarebbe stancato, avrebbe messo la testa a posto e condotto una vita qualunque –. Keeran si convinse che nessuno l’avesse mai descritto così bene, lei riusciva davvero a leggerlo come un libro aperto. Lì capì veramente per la prima volta che nel bene o nel male lei era diversa dalle altre.
Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma i pensieri non trovavano parole, non avevano voce e qualsiasi suono gli moriva in gola.
- Perché, Liam, non ti basta un comunissimo appartamento, uno schifoso lavoro in banca, invece di uno in cui rischi di essere accoppato un giorno sì e l’altro pure; amici senza deviazioni mentali e una ragazza che ti voglia bene e basta? Ecco, l’ho detto, ti amo d’accordo? E non so nemmeno il perché… - Lyn lasciò scivolare via quelle parole dolci dalle labbra, con un’ira che era l’antitesi del contenuto. Prese una sedia e ci abbandonò sopra, seduta tutta scomposta, le braccia a penzoloni e discrete, silenziose lacrime che le correvano giù dagli zigomi seguendo e zigzagando trai lineamenti.
Keeran le se avvicinò, la prese tra le braccia e la fece alzare, finché non ebbe la testa di lei appoggiata alla sua spalla, chinò la testa e avvicinando le labbra all’orecchio di lei, cominciò a sussurrarle : - Non farmi domande a cui non so risponderti, non posso immaginare perché amo così tanto una vita spericolata. Di certo la furbizia non è mai stata dalla mia e nemmeno la fortuna visto che non trovo mai parcheggio, quando vado a prelevare in banca scelgo sempre la fila più lenta e quando devo fare un lavoro becco sempre il più pericoloso. Questo è Liam Keeran… il giorno in cui mi assunsero al GST e parlai per la prima volta di persona con Clayton, lui si assentò un momento, così ebbi l’opportunità di leggere gli appunti che stava prendendo su di me: uno su un milione… c’era scritto, non ho ancora capito se era un complimento o che – rise piano, fece una pausa e trasse un sospiro profondo prima di continuare - E’ tutto per te, perché tu meriti il meglio, il meglio di me, senza dubbio vali tutto ciò che posso avere. Tu non hai la minima idea di cosa sarei potuto diventare se non ci fossi stata tu  -
- Sappi solo una cosa, dovrai ricordartela sempre, qualunque cosa succeda. Ora dipenderò sempre dalla tua d’allegria –
Keeran sperò con tutto se stesso che lei gli credesse, avrebbe dato dieci anni della sua vita perché lei gli credesse anche solo per un istante.
Ho perso troppe cose per voler perdere pure te
Continuò a cullarla fra le braccia, sapeva d’amarla e quella volta forse sarebbe stato pure per sempre.
Ancora una volta però aveva dovuto mentire, la verità è un prodotto di nicchia che pochi si possono permettere e Keeran era l’ultimo che poteva averne accesso. Per il momento però andava bene, la toppa avrebbe retto fino a quando non si fosse deciso a buttar fuori tutto.
 
Rimasero così per quella che a Lyn sembrò un’eternità, ma non le importava quanto tempo fosse passato, voleva solo imprimersi per bene quel momento nella memoria. Anche se era conscia che lui non le aveva dato una vera e propria risposta, quella però ce l’aveva già dentro se stessa: se voleva vivere con uno come Liam Keeran doveva accettare, più che con ogni altra persona prima, i lati positivi e quelli negativi.
Ma comunque lo volle provocare – Hai mente quando vai in banca, devi aprire un nuovo conto ed il direttore ti accoglie come se tu fossi una celebrità, tutto scorre liscio e tu apri il conto. Ma quando te ne vai hai sempre l’idea che su qualcosa ti abbiano fregato? – disse, scostandosi appena un po’ dall’abbraccio di lui che corrugò fintamente preoccupato la fronte – Devo prenderlo come un complimento? Sarà che io i risparmi li tengo sotto il materasso ma non ho capito il nesso –
- Ehi, no aspetta, non ho mica finito. Quando esci hai la netta sensazione che su qualcosa ti abbiano imbrogliato, però sei troppo contento per il nuovo acquisto perché te ne importi anche solo un po’. Ecco, mi sento più o meno così – concluse lei sorridente, appoggiandosi di nuovo con il capo nell’incavo della spalla di Keeran. Ma subito l’alzò ancora, tese l’orecchio – Non senti? –
- Cosa? Oltre a noi due non c’è anima viva – mormorò l’altro
- La musica. Mi pare che sia Aretha Franklin, anzi ne sono quasi sicura, sta cantando I say a little prayer for you
- Queste cose succedono solo nei film, è la tua immaginazione, e poi il grammofono l’ho spento io stesso – la assicurò, ma subito si dovette ricredere, Lyn aveva sentito giusto, in effetti Keeran aveva sempre pensato che le donne avessero un udito di gran lunga migliore rispetto agli uomini, riuscivano a captare persino i suoni più fievoli e distanti. Sentivano crescer l’erba.
- Un momento, ma questa è Aretha Franklin! – esclamò, poi aspettando un paio di secondi aggiunse – Dan! Da quanto tempo sei qui? -. Subito quello fece capolino dallo stipite della porta – Avete bisogno dei miei servigi? – domandò con un tono assurdo e servizievole
- Da quanto sei qui – ordinò Keeran, non gli andava per quanto fossero amici che Fang origliasse le sue conversazioni private
- Abbastanza per sapere che Lyn ci ritiene degli spostati – asserì falsamente sdegnato, poi rivolgendosi alla diretta interessata aggiunse:
- Guarda che anche noi idioti abbiamo dei sentimenti! –
- Ti chiedo perdono -. Fang le si avvicinò e le fece un cortese baciamano, senza toccare la pelle con le labbra, come da galateo – Per una come lei Miss Shang o forse dovrei dire Mrs. Keeran… - quello gli tirò un coppino, Fang si voltò – Giuro sul mio Fender Jazz Bass che non sono mica così verme da origliare il resto della conversazione magari con un bicchiere attraverso la porta… anche perché non ne ho trovati in giro -  disse mettendo la mano sul cuore
- Su che cosa ha giurato? – domandò Lyn
- Sul suo basso preferito, autografato da Flea –
- E ci dovremmo fidare? – fece scettica lei
- Vuole più bene a quel basso che non a molte delle persone che conosce – le spiegò brevemente Keeran, che si stava dirigendo in salotto per aumentare il volume del grammofono. – Ma dimmi come mai sei già di ritorno? E dov’è Adam? Le ragazze non vi avranno mica scaricato –
Fang assieme a Lyn lo raggiunse e si gettò sul divano, che emise un sinistro scricchiolio, - Sai, diciamo che sotto sotto avevano qualcosa d’ingombrante. Intendi? –
Keeran si sedette e si mise ad ordinare le carte che ingombravano il tavolo, una slavina di mappe e scartoffie, molte delle quali finirono nel cestino già stracolmo, che era stato posizionato molto strategicamente sotto al tavolo. - Vuoi dire che erano uomini? Questa proprio non me l’aspettavo, le ho viste, e certo che ne fanno di magie con il bisturi. Ma toglimi una curiosità come avete fatto a capirlo? – Keeran si immaginò le facce degli amici al momento della pungente scoperta
- Be’ è iniziato a venirci qualche dubbio quando una per andare ad incipriarsi il naso si è diretta verso il bagno dei gentiluomini. Dopo facendo due più due… E dire che loro ce l’avevano pure riferito, ma erano ungheresi, ed il nostro semifinnico non è proprio dei migliori. Care ragazze…ragazzi… insomma hai capito – lo informò brevemente facendo il sunto della faccenda. – Io comunque me ne sarei andato lo stesso, ’sta bastarda mi fa impazzire! – esclamò armeggiando con le fasciature che ancora aveva sulla spalla, poi soggiunse - Adesso tanto mi piglio un po’ di antidolorifici e passa tutto -.
Keeran lanciandogli la scatola di medicinali e una bottiglia di minerale gli diede un’occhiata seria – Non mi starai diventando Dottor House -, Fang trangugiò un paio di pastiglie – Scherzi? Io sono molto più figo – bofonchiò con la bocca ancora semipiena d’acqua.
- Sicuramente mostri molta più classe – commentò Keeran ironico - E Adam, che fine ha fatto? Lo sai che sarebbe meglio stare sempre tutti uniti – lo rimbeccò un poco, non lo faceva stare tranquillo il sapere che era a zonzo per la città. I loro amici avevano già avuto modo di dimostrare loro che non c’era nulla da scherzare, ed Adam non era certo il tipo che riusciva a districarsi in situazioni scottanti, per questo era stato così reticente a chiamarlo per chiedergli aiuto fin dapprincipio. Lavorava con lui da un paio d’anni ormai, ed il piccolo informatico non aveva mai dimostrato sangue freddo nei momenti difficili o una certa propensione naturale al salvarsi la pelle, cosa che nel Keeran pensiero era strettamente necessaria per il lavoro che svolgevano. Ma d’altra parte era ancora giovane, aveva poco più di ventidue anni, e manteneva nel cuore quella bontà ed assoluta fiducia nel prossimo che è tipica solo dei bambini e che di rado continua a battere e a prosperare negli adulti che solitamente la perdono crescendo.
- Dovrebbe essere ancora in giro con Pam ed Alexis, la prima è un informatico di professione, tra teste di chip ci si intende. E poi che sarà un piccolo hacker yiddish in meno? – ribatté Keeran totalmente disinteressato alzando le spalle, era immerso nella lettura del quotidiano. Il Chicago Tribune, naturalmente la pagina sportiva, visto che non leggeva un articolo di cronaca o politica dal lontano 2001, dal crollo delle Twins Tower. Era certo che tutto ciò che d’interessante sarebbe accaduto per la società l’avrebbe saputo attraverso il GST, le notizie sarebbero state più chiare. Se c’era una cosa che gli dava davvero fastidio era fermarsi ogni tre righe, per discernere ogni volta il vero dalle menzogne oppure capire quali erano le montature appositamente piazzate dal governo e quali no; perdeva sempre il gusto del leggere. E poi comunque, non gli importava proprio niente se il cagnolino Fifì III di Paris Hilton, era stato stirato da un auto a Bel Air, notizia che quel giorno sul Tribune meritava un riquadro in prima pagina. Con tanto di fotografia del malaugurato topo spiaccicato sull’asfalto. Anche se questo gli strappò un sorriso.
- Hai notizie di Clayton o del GST? – domandò Keeran proseguendo nelle sue pulizie. L’altro alzò appena gli occhi dal giornale poi continuò nel discorso – Be’, se la sede fosse saltata in aria di certo da questi qui non lo sapremmo – sventolò il Tribune – Comunque gli ho parlato la settimana scorsa, ha detto che quando torni ha un lavoretto giusto per te, nell’Oceano Pacifico –
Keeran guardò appena un po’ più interessato, un punto di domanda stampato in faccia a chiedere spiegazioni.
- Niente di che, dovresti farti una nuotatina per andare a recuperare un documento che si trova nella carlinga di un caccia Sopwith Pup, colato a picco vicino alle isole dello stato di Tuvalu, proprio sotto ad un’area non smilitarizzata dove galleggiano ancora tanti bei palloncini, hai mente quelli che se li tocchi fanno bum! – rispose Keeran con tono piatto, completamente immerso nella sua acculturante lettura: i Chicago Bulls avevano perso contro i Boston Celtics.
- Mi stai prendendo in giro un aereo della Grande Guerra da quelli parti? Ma poi esiste veramente uno stato con quello stupido nome? – domandò scettico Keeran, era fin troppo abituato agli gli scherzi di Fang per non ritenere che la metà delle cose che lui diceva fossero balle, ma allo stesso tempo era molto preoccupato: il Sopwith Pup, il primo aereo che riuscì ad atterrare con successo sul ponte di una nave della Royal Navy nel ’17, era il codice che usava a Clayton per riferire ai suoi sottoposti che aveva bisogno di comunicare urgentemente con loro. Fang non lo poteva sapere perché nella gerarchia del GST era un gradino appena più sotto di lui.
- Non ti sto prendendo in giro, e poi scusa noi del GST siamo per le pari opportunità, i tuvaluliani potrebbero anche prendersela –.
Lyn si avvicinò a Keeran dal dietro, percorrendo con una mano tutta la schiena dell’uomo fino ad arrivare ai capelli, glieli scompigliò e intanto gli sussurrava qualcosa all’orecchio, Fang guardò Keeran e quello gli fece di rimando: - C’è altro? Intanto t’ascolto –
- In effetti, da Clayton proprio stamane abbiamo ricevuto una e-mail – si alzò ed oltrepassando il divano si mise a rovistare tra la piccola pila di fogli che in meno d’una settimana erano andati ad accumularsi sotto al computer Apple di Adam. Quando la trovò la scosse in aria, e schiarendosi la voce per creare il miglior effetto gutturale per imitare il proprio capo, cominciò a leggere:
-Cari mister Keeran e Fang,
spero vi stiate godendo la vostra vacanza, visto che finirà tra un mese, ma vi vorrei ricordare alcune cose e darvi dei consigli. Primo, vi raccomanderei di affidarvi ad un personale più competente per adempire le vostre frodi ai danni dello Stato: il signor Okens, nei magazzini, è riuscito a farsi individuare e segnalare da ben trentaquattro delle trentacinque telecamere di sorveglianza e da una delle donne delle pulizie che lo ha scorto in atteggiamenti alquanto sospetti mentre trasportava materiali, compresi composti caustici, che in alcun modo dovrebbero essere trattati da uno sprovveduto della sua razza. Ciononostante mi congratulo con il sopracitato per essere riuscito a non far scattare l’allarme come la scorsa volta e a mettere così in allerta l’intero edificio e la squadra di sicurezza.
Qualsiasi cosa voi stiate combinando spero non intacchi la posizione del GST, vi vorrei rammentare che in qualsiasi affare voi sarete coinvolti, la direzione negherà anche solo di avervi mai sentiti nominare, d’altronde come da contratto. 
Vi auguro le migliori cose, tranne a lei Daniel, visto che continua a divertirsi deturpando le foto che tengo sulla scrivania. So che e lei e un giorno, speri non arrivi mai, lo riuscirò a provare.
Cordiali saluti
Eneas Clayton
 
PS: materiale ed oggettistica varia $3000, che verranno opportunamente detratti dalla paga di lor signori
PPS: vedete di tornare in ottimo stato, visto che in autunno si terrà l’annuale torneo di calcio, dovremo affrontare FBI ed ATF, perciò per fare il culo a quei maledetti bastardi avrei bisogno del mio portiere e della mia ala integri.
 
Che sfruttatore!.. è un genio quell’uomo – commentò Fang accartocciando la lettera e lanciandola nel cestino, stava per continuare a  parlare, ma si accorse alzando gli occhi che non era degnato della benché minima attenzione: Keeran e Lyn, seduti sul tavolo, si stavano baciando appassionatamente da un tempo non meglio identificato e persino quel frantuma maroni di Cipì, il canarino mezzo zoppo di Adam nonché autore d’agghiaccianti sinfonie che li teneva svegli la notte, stava dormendo placidamente abbarbicato sul suo trespolo.
Quindi decise che avrebbe fatto meglio a levare le tende. Prima però dalla sua valigetta di pelle, che conteneva esclusivamente dischi in vinile, estrasse un maturo Freddie Mercury duetto con la spagnola Montserrat Caballé in Barcelona. Lo posizionò sul grammofono e lo lasciò andare
E poi dicono che non sono un tipo sensibile…
Prese la giacca e uscì dall’appartamento, in cerca di un po’ di quiete per riorganizzare i pensieri. Non consapevole che quella sera il Rapid Vienna giocava un’amichevole contro lo Zagabria, e che sarebbe stato travolto dall’orda di tifosi.

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Capitolo 13
*** A trip at the Museum ***


INFO & CO:
Ho diviso questa parte di storia in due capitoli, il prossimo lo posterò a breve, per questione di spazio e perché voglio sono bastarda e voglio lasciarvi il finale in sospeso xD
L’ultimo capitolo “Aretha” l’ho postato x sbaglio due volte, provvederò a sistemare la cosa. Vorrei dire un grazie in particolare a Prue786 dato che ha messo Genesis nelle storie da ricordare e perché come me è una fan di Clive Cussler :D
TO BE CONTINUED
The White Lady

Ps: Adam Okens è Justin Bartha
 
 
Era notte fonda, la città immersa in un buio denso come il catrame, l’aria era pesante da respirare, tanto che persino i vetri dei lampioni erano appannati, tutt’intorno gli insetti attirati dalla luce che emanavano e che non avrebbero mai raggiunto. Keeran si sentiva così, uno stupido insetto alla ricerca di qualcosa d’inarrivabile.
L’auto sfrecciava per le strasse del Innere Stadt, erano circa le tre, l’ora in cui la parte bene di Vienna dorme.
Parcheggiarono vicino alla piazza del Duomo di S.Stefano, ad una certa distanza dal palazzo imperiale, di cui però si poteva già scorgere l’immensa cupola verde acqua.
Giunsero all’Hofburg e stettero ancora un attimo ad ammirarne la maestosità, Keeran si voltò un attimo verso l’amico e gli chiese con un filo di voce – Secondo te perché facciamo queste cose? Insomma abbiamo entrambi un buon lavoro che ci da già le sue preoccupazioni. Allora perché? -. Fang non si girò e sospirò – Te lo dico quando lo saprò con certezza. Cioè quando andrò in pensione –
Erano pronti, a parte delle grosse sacche nere erano vestiti normalmente, in modo tale da non dare nell’occhio se qualcuno li avesse visti; i soliti turisti ubriachi dopo una notte di bagordi.
I cancelli erano blandamente sorvegliati, solo un paio di telecamere fisse agli angoli. Gli austriaci erano sicuri del loro apparato d’allarme. Iniziarono la scalata, le cancellate erano alte svariatiti metri, però fu abbastanza semplice trovare un angolo cieco nella video-sorveglianza.
Poco dopo si trovarono di nuovo nel Cortile degli Svizzeri pronti a smantellare le porte. Si misero guanti e tute speciali contro gli agenti chimici, per poi tirare fuori un contenitore da cui usciva una sorta di fumo a volute bianche, con la stessa consistenza della nebbia.
- Attento! Questa roba è pericolosa! – esclamò imprecando Keeran
- Amico, non insegnare ai gatti ad arrampicarsi! – fece spazientito Fang, che posò il secchio a terra con molta disinvoltura. Poi guardò la porta con aria di sfida, riprese il secchio e con minuziosa attenzione lo versò nella scalanatura formata dalle due ante d’acciaio. Si distolse ad ammirare la sua opera, i blindi sfrigolavano sotto l’azione dell’agente chimico, l’acciaio amorfo si scioglieva come burro al suo passaggio. In circa due minuti e mezzo la lega forse più resistente al mondo era stata messa KO.
- Ah, le meraviglie dell’acido solforico fumante. Credo che tutti ne dovrebbero tenere un secchio in cantina, insieme al vino. E tu che ti preoccupavi! -  esordì un raggiante Fang  dopo aver assistito alla disfatta della prima porta blindata. Toccava alla seconda.
- Aspetta… Prima bisogna disattivare l’allarme – disse Keeran mentre trafficava con due auricolari, uno per sé e un per Fang – Adam mi senti? Ci sei? Noi siamo pronti per il primo allarme -. Nessun rumore, poi delle scariche elettrostatiche. La ricetrasmittente gracchiò ancora per qualche istante
- Ok, ci sono. Tutto pronto, allora… Dan per la prima dovrai agire tu manualmente, poi entro io nella rete dell’allarme e lo sistemo. Non è difficile, togli la copertura che c’è a muro sulla tua destra -. Fang si voltò, c’era un pannello e lo svitò. Sotto si trovava un reticolo di fili intersecati, dalle mille tinte dei verdi e dei blu, Fang era pronto con le tronchesine – Vedi il filo blu elettrico? Sulla sinistra, è leggermente più piccolo degli altri. Ecco – Fang si accinse a tagliarlo –Non osare toccarlo, è quello collegato alla polizia! -. Tirò indietro la mano come fosse appena stato fulminato e fece un sospiro di sollievo – Dirlo prima no, eh! – ringhiò ad Adam.
- Ora senza toccare quel dannato cavetto, taglia nello stesso istante quello verde oliva e quello petrolio. Fai attenzione, devono essere tranciati nello stesso istante, così intanto potrò disattivare l’allarme. Fatti aiutare da Liam –; ma intanto dall’altro capo i problemi erano ben altri, i colori erano troppo simili tra loro.
- Quello è verde militare, non oliva! – esclamò Keeran, in quell’intreccio non si capiva un bel niente
- Giusto, allora è questo il cavetto che cerchiamo… ma dov’è l’altro? – sembravano due elefanti in una cristalleria, i fili avevano un diametro di pochi millimetri, ed erano attorcigliati fino a formare una grossa treccia
- Com’è il verde petrolio? Insomma, questi idioti non avevano nient’altro da fare se non incasinare la povera gente? Mai una volta che ci sia solo un cavo blu e uno rosso! – ribatté Fang sempre più nervoso. Più tempo passavano lì e maggiori erano le possibilità che li scoprissero
- E’ simile al verde acqua, solo più… color petrolio – borbottò Keeran, poi gli venne l’idea
- Adam passami Lyn – e poi soggiunse a Fang – Lei lo saprà di certo! Una volta mi fatto stare in giro un pomeriggio intero per trovare un tappetino da bagno della giusta tonalità! M’ero fatto… -  la ricetrasmittente gracchiò – Che c’è –
- Com’è il verde petrolio? Svelta – si spicciò Keeran
- Come la polo che ti ho regalato a Natale, quella che ho dovuto cambiare – stava ancora finendo la frase, ma
-  Mia salvatrice, ti adoro -. Fine delle trasmissioni.
Poco dopo facendo molta attenzione a non toccare il cavetto blu elettrico, trovarono quello verde acqua. Unirono i due fili. – Al mio tre li tagliamo. Uno…Due...Tre! – li tranciarono di netto, poi silenzio, rimasero immobili quasi ad aspettare di sentir le sirene della polizia in lontananza.
Mancava una solo porta e ancora un allarme a separarli dalla corona. Una scarica elettrostatica penetrò gli auricolari, era Adam – Questa volta l’acido versatelo sul cardine in basso a sinistra -. Non c’era bisogno di dirlo, sapevano cosa fare. Fang prese un altro secchio bianco, da cui però non usciva fumo, era acido fluoridrico il miglior solvente per il titanio. Lo versò sul mastodontico cardine facendo ancor più attenzione di prima, se anche un solo pezzetto della porta fosse caduto sul pavimento l’allarme a pressione sarebbe potuto anche scattare.
Quando finalmente si formò un’apertura abbastanza grande erano già passate le tre, era quasi un’ora che erano lì. Keeran estrasse dalla sacca uno strano oggetto, a metà tra una pistola ed una balestra e si sdraiò sul pavimento a pancia in giù per veder attraverso quel pertugio. Riusciva appena a scorgere il suo obbiettivo, era l’ultimo allarme, si voltò verso l’amico che disse – E’ impossibile, è troppo angolato e la visibilità scarsa –
- Tu dici che ce la faccio sì o no? –
- Diciamo che se ce la fai, ti do cento dollari – rispose Fang – Ci sto, tanto vinco io! – Keeran sì allontanò, senza neanche sentire quel che mormorò l’altro – Speriamo… -
Poi parlò all’auricolare – Adam stai pronto -. Si Sdraiò di nuovo, l’acre odore dell’acido che penetrava nelle narici, prese la mira basandosi sull’unico punto di riferimento: una lucina verde che lampeggiava ad intermittenza. Le mani sudavano, dovette stringere più volte la presa, poi premette il grilletto. Dalla canna partì una punta uncinata che fendé l’aria in una frazione di secondo fino a conficcarsi nel muro, al lato dell’allarme. Missione compiuta.
- Miscredente, vieni qui un po’ a vedere!– esclamò Keeran, Fang si avvicinò e commentò con aria saccente: - Ho visto di meglio, ma mi accontento  -. In realtà era un centro perfetto.
Da quella specie di dardo partiva un cavo d’acciaio che per mezzo di una carrucola trasportava un decodificatore, che aveva dato loro Adam, fino all’allarme.
Dall’auricolare – Perfetto è collegato, datemi tra i tre e i quattro minuti -.
Trai tre ed i quattro minuti dopo…
Sbam!L’ultima porta blindata si era aperta, lasciarono fuori tutta l’attrezzatura ed entrarono ma qualcosa non andava, si sentì sussurrare da Adam – Oh, oh. Siamo nella merda –
Keeran lo chiamò più volte – Che c’è?! – vi fu una pausa di silenzio – Mi sono accorto… C’era anche un rilevatore di temperatura ed almeno che non sappiate tele-trasportarvi, avete venti secondi per scappare prima che arrivino a farvi visite tanti bei omini in divisa. Non posso più fare niente… – rispose con voce colpevole e cominciò ad inveire contro se stesso. Fang invece non si demoralizzò, corse fuori a rovistare nei borsoni che avevano portato, tornò con una bomboletta d’azoto liquido, l’aprì sull’allarme, che in poco ghiacciò. – Adam, ho refrigerato i circuiti con l’azoto liquido, non può mandare contatti alla stazione di polizia. Tra mezz’ora inizierà a scongelarsi. Ti deve bastare per disattivare l’allarme – lo informò – Capita a tutti d sbagliare, tranquillo. Però ho perso almeno cinque anni di vita, vedi di non farmi altri scherzi del genere –
- Sì certo, mi metto subito al lavoro -.
Fang s’alzò stirandosi la schiena e bofonchiò – Pivelli… -  poi con noncuranza afferrò una piantina dalla reception – Dalla nona alla dodicesima stanza: tesori del Sacro Romano Impero. Direi di saltare il giro turistico -. Dovettero salire più e più rampe di scale per arrivare alla stanza della corona, la numero 10.
Le lampadine nella teca erano spente ma la corona era ben distinguibile anche nei particolari più insignificanti, sembrava  come risplendere di una luce propria, una luce interna che irradiava da ogni singola pietra. Al chiarore della torcia, la struttura aurea era intarsiata da pietre preziose e perle, un archetto congiungeva la croce che era posta davanti al retro, in quello spazio c’era una scritta fatta da magnifiche perle di fiume, come tante piccole lacrime di fata. – REX MAX…non riesco a capire che c’è scritto, luce maledetta – mormorò Keeran quasi dimentico del loro scopo originario, subiva la magia e il fascino magnetico di quel gioiello, lo scrutava con occhi incantati quasi avidi di quello splendore celestiale. Stando vicino all’oggetto poteva percepire il peso della storia che racchiudeva in sé - Su sbrighiamoci, non abbiamo molto tempo – gli ricordò Fang. Effettivamente erano un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, dovevano passare alla fase due: trovare l’indizio.
Keeran tirò fuori dal taschino un tubetto d’alluminio simile a quelli per il dentifricio, tolse il tappino e spremette il contenuto sui bordi della teca.
Poco dopo nelle mani guantate avevano la corona di Carlo Magno, la rimirarono da tutte le angolazioni possibili, cercando di trovare l’indizio.
Mentre uno cercava, l’altro leggeva la descrizione dell’oggetto dentro alla vetrina.
- Senti un po’ qui. La fodera rossa della corona, straordinariamente ben conservata, è ancora l’originale del IX secolo… Magari il vecchio l’ha nascosto lì – propose Fang.
- Oh, rispetto per i morti zero. Comunque potresti avere ragione, io proverei nella cucitura – rifletté Keeran poi dal medesimo taschino estrasse una custodia, dentro erano riposti svariati tipi di coltellini. Prese una specie di bisturi.
Tentando di mantenere la mano ferma appoggiò la lama al tessuto ed aggiunse – Speriamo che Carlo non si arrabbi troppo - cominciò ad incidere nel velluto, ma fu presto fermato – Aspetta, aspetta! Questo è più interessante: l’opale che un tempo era incastonato sotto la croce fu disperso col passare dei secoli e sostituito con uno zaffiro. Tra i due vi fu uno sguardo d’intesa, avevano appena trovato la loro gallina dalle uova d’oro.
Keeran, senza disperdesi in troppi convenevoli, con la lama fece leva tra la pietra e la struttura che la racchiudeva come una gabbia, bastò poca pressione per toglierla dalla sua sede. Guardò dentro all’incavo che si era formato, c’erano decine di piccole gallerie che s’incrociavano, percorrevano e si dividevano all’interno della corona. Il mastro orafo aveva creato un vero e proprio capolavoro in miniatura di cesellatura, le pietre non erano incastonate nell’oro, ma quasi ricamate in esso. Keeran  era attentissimo,  in ogni angolo poteva nascondersi un indizio, magari un incisione, comunque era certo che quel che cercavano fosse nascosto lì. Mise la corona in contro luce, e allora vide, era un minuscolo pezzettino di carta che non faceva passare i raggi della torcia, prese un paio di pinzette e con molta cautela estrasse quella che si rivelò essere una piccola pergamena di dimensioni insignificanti, meno d’una falange.
Sempre facendo attenzione ad usare le pinzette Keeran la srotolò: era straordinariamente ben conservata, l’inchiostro scarlatto con cui erano state vergate delle linee su di essa non avrebbe potuto sembrare più luminoso. La carta non era rovinata, probabilmente quella miriade di cunicoli, quel sistema di gallerie aveva preservato la pergamena dal passare del tempo. L’orafo era stato in grado di creare oltre che un opera d’alta gioielleria, pure un microclima adatto per la conservazione dell’indizio che avrebbe dovuto superare le generazioni a venire. Era qualcosa d’incredibile, soprattutto per l’epoca.      
Keeran scorse con lo sguardo i puntini cremisi fino ad arrivare ad uno dei bordi della pergamena, che non era ben tagliato come gli altri bensì appariva palesemente strappato, Keeran non poté non strabuzzare gli occhi – E’ a metà! Ne manca un pezzo…! - constatò furibondo, ogni volta che gli sembrava di avvicinarsi un poco all’obbiettivo finale, quello saltava in avanti senza mai lasciarne intravedere l’arrivo. Ma non si perse d’animo, non aveva fatto tutto quel casino per poi tornarsene a casa con la coda tra le gambe.
Pensa, pensa… dove potrebbe essere!
Era ovvio che il resto della pergamena doveva trovarsi nelle vicinanza, se fosse stato qualcuno a trovare prima di loro l’indizio, quasi sicuramente se lo sarebbe portato via tutto. Certamente non in comode rate mensili.
Keeran misurava ad ampi passi il perimetro della stanza ottagonale cercando di riflettere, rimuginava su ogni dettaglio ed era certo che la metà mancante della pergamena si trovasse in una delle vetrine circostanti. Proprio sotto i loro naso.
A metà percorso si fermò di colpo, aveva sentito qualcosa. Un tonfo sordo ed un po’ attutito alle sue spalle, gli venne la pelle d’oca e i capelli gli si rizzarono sulla nuca.
 
Girò su se stesso molto lentamente, Fang che era poggiato allo stipite della porta lo stava fissando, poi gli indicò l’unico zaino che avevano portato con loro. Keeran l’aveva messo in posizione retta, ed ora era sul pavimento che dondolava.
Stupido zaino! Sarà meglio che mi dia una calmata
Keeran vide Fang che gli faceva cenno d’intesa, era tutto ok, poi scorse l’amico passarsi una mano dietro il collo, sembrava nervoso, almeno quanto lui. Keeran si riconcentrò, s’immerse di nuovo trai suoi ragionamenti e riprese a vagabondare per la stanza fino a quando ad un certo punto si bloccò completamente, il suo sguardo era stato attratto dalla stampa appesa al muro. Rappresentava Carlo Magno con tutti i suoi paramenti, quel personaggio storico l’aveva sempre affascinato perché mente brillante e allo stesso tempo lungimirante, uno stratega dall’arguzia acuminata. Però in quel momento il volto dell’imperatore lo infastidiva alquanto, lo sguardo penetrante fisso eternamente sulla carta sembrava seguirlo quasi si stesse facendo beffa di lui, le labbra increspate in uno strano abbozzo di sorriso enigmatico. Magari da qualche parte il sovrano stava davvero osservando divertito la scena di quei due omuncoli così indaffarati…
Keeran spostò la sua attenzione dal volto dell’uomo al quel che indossava: la corona che poco prima lui aveva in mano, mantello e veste filati d’oro e pietre preziose, con tanto di bordi d’ermellino. In mano teneva una spada, la lama a doppio taglio terminava in un’elsa rettangolare anch’essa d’oro, era decorata a bande diagonali alcune lucide alternate ad altre opache, il pomo era circolare con una parte convessa e su una faccia era stata incisa un’aquila stilizzata.
- Figlio di buona donna ! Ho trovato! – finì per esclamare di lì a qualche secondo, – Che c’è? Sai dov’è l’altro pezzo? – fece Fang andando ad accostarsi all’amico. Keeran aveva ripreso il tubetto di acido, che in quel istante stava corrodendo una vetrina. Dentro era riposte sette spade tutte finemente intarsiate e incise nei metalli più preziosi, tutte d’epoche e fatture diverse. Prese quella centrale e se la rigirò tra le mani soppesandola accuratamente, era più leggera di quanto si potesse aspettare. Mentre la lama, decisamente più pesante dell’elsa, in quel momento sotto il fascio luminoso della torcia risplendeva d’affilati bagliori azzurrini. Il piatto dell’elsa che era in ombra lasciava solo intravedere la consumata figura di un aquila con le ali spiegate pronte per spiccare il volo
Ci passò sopra un dito, in ogni minuscola rientranza gli sembrava  di sentire il rumore del lavoro dello scalpellino. La cosa che l’aveva incuriosito era che per quanto quella fosse una spada da parata e non adatta al combattimento, era stata costruita con una netta sproporzione: la lama era pesantissima rispetto all’elsa, maneggiarla adeguatamente doveva essere una vera e propria impresa.
Con due dita batté sul pomolo e sull’aquila, il metallo e  buona parte dell’elsa suonavano a vuoto, questa era giusto la prova che gli serviva.
Keeran passò più volte un coltellino nella fessura che c’era tra la parte piatta e quella convessa, usò la punta come una leva e puph… Saltò via il lato dove era incisa l’aquila, quello era stato il coperchio di un contenitore all’interno dell’elsa. Questa era quasi totalmente cava e ciò spiegava la mancanza di contrappeso.
Dentro come prima nella corona c’era una pergamena, la metà mancante. Keeran la prese e la mise in una busta di plastica, che ospitava già la sua compagna. Fang che aveva recuperato il “tappo”, lo rimise al suo posto insieme alla spada e asserì dando le spalle a Keeran – Su Scherlock, leviamo le tende! -.
- Non credo Dan – mormorò con tono piatto l’altro
- Per vedere il museo c’è sempre tempo ma ora sono le quattro e mezza, non mi sembra… - insistette, ma le parole gli morirono in gola. Si era voltato e davanti a lui si pararono quattro nere figure, la pelle scura come gli abiti, scura come le pistole. – Anche voi qui? Com’è piccolo il mondo! – disse Fang ma l’uomo più vicino gli sferrò un pugno all’addome, un colpo del genere avrebbe mandato al tappeto quasi chiunque, ma non Fang che era dotato di una notevole capacità d’incassare, il pugno gli mozzo il fiato e lo fece piegare in due. Rialzandosi fece pure qualche apprezzamento sul servizio a basso costo che offriva la madre di colui che l’aveva colpito. Naturalmente anche questo ebbe le sue ripercussioni.
A quel punto si fece avanti uno sulla quarantina, faccia pulita, il tempo aveva lasciato così  pochi segni sul suo volto da farlo sembrare un ragazzo, da sotto il cappello nero spuntavano in netto contrasto alcune ciocche rossicce. – Signori, signori. Un po’ di civiltà, insomma! – intervenne tutt’altro che spazientito. Intanto puntava loro contro la pistola, una Beretta con il silenziatore.
Gran brutto segno… rifletté Keeran
- Prendete tutto ciò che hanno addosso, armi e pergamena! – ordinò brusco. Li perquisirono a fondo, le Glock che Keeran e Fang tenevano dietro nella cintura dei jeans furono prontamente smontate. La busta contente le pergamene che Keeran aveva ancora in mano, requisita insieme alla custodia con i coltelli.
- Ok, sono stufo. Ragazzi, portate qui tutto! – i suoi compagni come bravi cani da riporto che rispondono al richiamo del proprio padrone, trotterellarono ligi verso Bill e consegnarono il tutto, poi si rimisero ai lati dei prigionieri.
Bill stava pensando al da farsi, aveva la situazione in pugno. Erano in netta superiorità numerica, ben armati e con la missione portata a termine. O quasi, il committente, l’uomo misterioso si era più volte raccomandato di eliminare ogni possibile ostacolo, senza esclusione di colpi.
Quell’idea non lo faceva impazzire. Per quanto lui fosse un mercenario, pagato per fare di tutto, senza pensare. Era una pedina, lo sapeva, una marionetta come tante altre. Ma quella non era la sua vera natura, una volta non era così, non era un barbaro carnefice, un automa senza anima né cervello né volontà propria. Una volta era qualcuno che andava orgoglioso di se stesso, camminava a testa alta, fiero del ruolo che rivestiva sul pianeta. Portava aiuto ed in qualche caso pure vita, non morte.
Sapeva che quei soldi gli servivano, faceva tutto quello per Ewan, era la ragione che lo faceva andare avanti giorno e notte senza sosta. A suo figlio servivano quei soldi, e lui, suo padre doveva poter pagare le cure che lo tenevano in vita. Il pensiero corse alla foto che stava tutta stropicciata nella tasca davanti sul petto, quello era il suo portafortuna. Aveva visto molti soldati portare in missione cose simili: fotografie, lettere, perfino il primo dentino caduto ai loro figli. Era un modo come un altro per restare aggrappati a qualcosa di importante e reale, che non fosse la guerra. Qualcosa per esorcizzare paura e morte. Per alcuni come lui, quell’amuleto aveva funzionato, altri invece avrebbero riposato con esso per l’eternità.
Ancora una volta poi la mente oltrepassò la pianura inglese, i colli e le montagne, fino a tornare nella casa di campagna vicino a Glasgow. Gli sembrava fin di vedere la recinzione bianca che circondava il paddock dove sua figlia, Jenny, stava montando il suo sauro. Ewan era aggrappato alla staccionata e la guardava commentando scherzosamente gli errori della ragazza. Più lontano vicino al garage, Annie la sua magnifica compagna ascoltava con una mano sul fianco il vecchio Ben, quello che un tempo era stato il custode del cascinale. Nelle orecchie gli risuonava la voce rauca, “ Oggi i reumatismi non mi danno pace, neanche un secondo…! Mi sa che il tempo questo pomeriggio volgerà al peggio, si è proprio così Annabelle! “.
Tutto era così reale che quella scena immaginaria riuscì fin a strappargli un mezzo sorriso, però dal retrogusto amaro, tutto già insieme alla voce del custode si stava dissolvendo come un momentaneo sprazzo di sole subito inghiottito e nascosto da un banco di nebbia mattutina. Si ritrovò con la pistola in mano, i suoi uomini lo stavano guardando in attesa di un suo segnale, mentre Keeran e Fang erano immobili. I piedi piantati saldamente a terra come in attesa dello scatenarsi di una tempesta.
Bill guardò gli uni e gli altri, poi l’angolino della fotografia che spuntava fuori dal taschino e in quel istante seppe cosa doveva fare. Strinse in mano la Beretta M-9.
Keeran tentava di scrutare a fondo quel viso, ma gli era impossibile perché era totalmente in ombra, si potevano solo intuirne i lineamenti e poco altro. Ma non gli era sfuggito quel sorriso. Forse sta perdendo la freddezza, pensò. L’uomo si fece avanti protendendo il braccio armato, e subito Keeran capì d’esser stato smentito, era guardato da occhi di ghiaccio a cui dietro non stava niente, per un attimo si chiese se era stato pure lui in grado d’assumere quella raggelante espressione.
Ora lo sapeva, erano spacciati. – In ginocchio! – ordinò con voce metallica, Keeran sentì al lato Brass che ripeteva le stesse parole in poco più di un sussurro, non le diceva in tono negativo bensì irrisorio, forse non tutto era perduto, quello era il suo modo di dirgli vendiamo cara la pelle. – Mani dietro la testa -. Ancora Fang ripeté.
Keeran con la coda dell’occhio riuscì appena a scorgere qualcosa d’argenteo ben nascosto tra le mani tenute dietro la nuca di Fang, era il manico di un coltello, l’unico che fosse scampato all’epurazione dei loro nemici. Fang era riuscito a celarlo davvero bene.
Keeran ora era certo che qualche chance potessero averla, era incredibile quanto un piccolo dettaglio potesse completamente stravolgere una situazione. Il cuore iniziò a battergli più forte, gli risuonava nelle orecchie come un grido lacerante, come i tamburi da guerra degli antichi popoli barbari pronti a combattere.
 - Zitti! – latrò Bill togliendo l’assicura alla pistola. – Capitano Achab, faccia piano. Mi raccomando – sibilò Fang nuovamente, ma un po’ più forte per farsi sentire anche dal diretto interessato che gli riservò un’occhiata truce ed indifferente, poi gli tirò un calcio direttamente al volto. Quello era il momento giusto: Brass con gesto rapidissimo passò il coltello a Keeran che in un attimo fu su Bill. Il coltello che brandiva nella destra lo conficcò nella mano dell’altro facendogli così perdere l’arma, quello però non emise nessun lamento.
Bill con brutale forza lo prese per gli avambracci e quasi sollevandolo da terra si gettò su di lui a peso morto; per sfortuna di Keeran però prima di cadere sul pavimento lui andò a scontrarsi contro lo spigolo di una delle vetrine, e ci avrebbe pure scommesso, una o due costole si erano come minimo incrinate ed andate a farsi benedire.
Nonostante che il suo avversario fosse decisamente più vecchio di lui, con Bill sul piano fisico erano alla pari.  In quegli istanti in cui erano faccia a faccia, Keeran riconobbe qualcosa di familiare in quei lineamenti: la mascella squadrata, gli occhi poco espressivi. Non era la prima volta che s’incontravano. Questi pensieri lo distrassero, Bill con una gomitata ne approfittò e riuscì ad impadronirsi del coltello per poi puntarglielo alla gola, Keeran si ritrovò supino bloccato dal peso del nemico, a cercare di divincolarsi e di respingerlo con ambo le mani. La lama dal suo punto di vista gli sembrava sempre più pericolosamente vicina e la presa più ferrea
Questo non può essere umano, non sente nemmeno il dolore!
Ad un certo punto non seppe più cosa fare, opporsi cercando prendergli il coltello o ribaltarlo era impossibile così cominciò a scalciare come un forsennato, ma i suoi colpi non andavano quasi mai a segno e quelle poche volte che lo facevano Keeran riusciva solo a prendere polpacci e caviglie. Piano piano si rese conto che la lama stava cominciando a penetrare sotto pelle facendo sgorgare le prime gocce di sangue, la gola gli bruciava ed aveva l’orribile convinzione che avrebbe fatto la stessa fine dell’uomo che lui stesso aveva ucciso meno di tre settimane prima, sarebbe morto esattamente come François.
Era disperato, aveva pochi  secondi e  riuscì solo a sgusciare più in alto rispetto a Bill che nemmeno se ne accorse. Continuò a dimenarsi come una furia, poi finalmente un colpo andò a segno, Bill fu sbalzato via da una ginocchiata all’inguine, che lo fece crollare accasciato contro una parete, praticamente inerme
Eh, questo l’ha sentito…
Keeran non perse tempo, subito s’alzò e andò a cercare la pistola, la vista era annebbiata e gli sembrava di camminare con passo leggermente sghembo. Si toccò il collo, quando la ritrasse la mano era color porpora, stava sanguinando copiosamente, almeno molto più di quanto si era immaginato. Si voltò a cercare l’amico.
Fang aveva messo KO uno degli uomini, che ora giaceva esanime ai piedi degli altri, questi riportava una ferita alla testa. Lucas e Mitch lo stavano fronteggiando, l’australiano lo derise con voce sguaiata – Mi hai rotto il naso l’ultima volta bastardo! Ora vediamo se sai ballare! - . Cominciò a sparare ai piedi di Fang che si buttò dietro ad una vetrina, trovando così riparo. Dietro di lui i vetri di una finestra saltarono via in mille schegge.
Keeran in quel momento intravide tra pezzi di vetro vicino al battiscopa la Beretta che scintillava sotto i raggi della luna ormai morente. Si precipitò a prenderla, ma Lucas dopo averlo scorto prese a sparare a sua volta, nessun colpo andò a segno. Mitch d’istinto si voltò a vedere cosa stesse facendo, quando sentì qualcosa di liquido e caldo sulle braccia, guardò le mani interdetto e lanciò un ululato di dolore. Fang aveva sfruttato quel lasso di tempo per uscire e usare l’unica arma che gli era rimasta: un tubetto in tutto e per tutto uguale a quelli del dentifricio… aveva gettato il contenuto altamente caustico sulle mani dell’australiano che era corso via quasi certamente in cerca di un bagno.
Keeran che aveva assistito alla scena si tranquillizzò un poco, ora almeno erano a pari forze. Si chinò a prendere la pistola, ma un incredibile forza gli fece perdere l’equilibrio e quasi non lo fece precipitare fuori dalla finestra rotta. Cercando però un appiglio per salvarsi perse l’arma, che  irrimediabilmente cadde con un tonfo sommesso nell’aiuola sottostante.
Quando ritrovò l’appoggio s’abbassò d’istinto evitando un gancio, deviò verso destra lasciando Bill sbilanciato in avanti, quello però subito si ritrasse dimostrando anche una certa agilità. Keeran indietreggiò fino a scontrarsi con la teca delle spade, lasciò che il suo avversario s’avvicinasse poi ne impugnò una a caso e la fece roteare vorticosamente davanti a sé creando mille riflessi d’aurora. Era la spada di Carlo Magno. Sporgendosi in avanti effettuò un fendente parallelo al terreno, ma Bill lo schivò aggirandolo ed afferrando a sua volta una spada, era lunga e sottile, totalmente in argento. Partì con un affondo, poi un altro e un altro ancora ma sempre trovava il vuoto.
Keeran in un paio d’anni di Marina era riuscito ad imparare qualcosa su come si maneggia una spada, anche se fra tutte quelle che aveva avuto a disposizione era riuscito a prendere la peggiore, in combattimento si notava davvero molto lo sbilanciamento in avanti della lama.
Dopo l’ultima cavazione Keeran si destreggiò con una botta dritta che colpì Bill al fianco destro facendo partire uno schizzo di sangue, che lo accecò. Approfittandone Bill tirò un fendente in diagonale che venne parato, più per fortuna che per bravura, da Keeran con l’elsa della spada. Era riuscito ad incastrare il contro taglio del nemico, poi tirò verso l’alto e tolse definitivamente l’arma a Bill.
Quello si voltò per vedere nella teca e con sua grande sorpresa la trovò completamente vuota. Le spade erano state prese da Lucas, l’uomo svenuto che si era ripreso ed infine Fang, che anche se con difficoltà ne impugnava una con la destra e che continuava ad imprecare contro ogni essere vivente, compreso Keeran. Stavano ingaggiando un furioso duello, l’amico aveva bisogno d’aiuto, ma quando si stava per precipitare a dare man forte, Bill sguainò un coltello dalla lama corta, andandolo subito ad attaccare con più fendenti rivolti al volto, Keeran si difendeva cercando di parare alla bel e meglio. Il ferro della sua spada ormai iniziava ad accusare i colpi subiti, era pieno di tacche e scheggiature, non avrebbe resistito a lungo essendo vecchio di più di mille anni. Infatti di lì a poco, quando andò a scontrarsi tra il coltello di Bill e l’angolo d’una vetrina, si divise in due tronconi
Bel casino… 
Si gettò in una nuova colluttazione corpo a corpo ed involontariamente riuscì a spingere Bill verso la finestra, quello inciampò...
 
 

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Capitolo 14
*** The Man Who Sold the World ***


INFO & CO: continuo di " A trip at the Museum" + sorpresa infondo. Buona lettura!!! :D

E William MacFarlane sarebbe anche finito all’indietro, nel vuoto per una caduta libera di ben cinque metri se non fosse stato per Keeran che lo afferrò all’ultimo istante per la cintura. Non sapeva come aveva fatto, la mano aveva agito senza che il cervello avesse dato alcun ordine, il pensiero che la vita di quell’uomo valesse qualcosa non aveva sfiorato la sua mente nemmeno per un istante, eppure si ritrovò lì che teneva Bill e lo stava persino aiutando a rimettere i piedi per terra. Quando però il mercenario era ancora a mezz’aria vi fu un istante in cui le sue labbra delinearono una silenziosa domanda, la stessa che in quel preciso istante stava attraversando la mente di Keeran: perchè .
Quasi con la stessa inconsapevolezza rispose a Bill, - Perché ho visto in lei qualcosa di me stesso e perché ho ragion di credere che lei infondo possa essere un uomo d’onore, tenente MacFarlane, quinto battaglione aereo della RAF  -. L’uomo guardò Keeran con espressione sconsolata e quasi di rammarico, era come se dovesse essere compito su spiegare ad un bambino che a volte il lieto fine non esiste, - Mi dispiace farglielo sapere Mr. Keeran ma lei si sbaglia, lei allude ad una categoria d’essere umano che si è praticamente estinta su questa Terra. Io sono un mercenario al soldo del miglior offerente, non mi chieda di più di quanto io sia – parlò con voce un po’ afflitta e negli occhi di ghiaccio Keeran riuscì a scorgere molto più d’un’anima, erano i suoi dolori. Quella scena, quegli sguardi se li sarebbe portati nella tomba e per quanto le parole di Bill furono ciniche, riuscì a trovare un senso di sincerità e bontà che di rado avrebbe incontrato in seguito.  
Non avrebbe mai saputo se Bill, che teneva ancora in mano il suo coltello, avrebbe trovato il coraggio d’usarlo e togliergli la vita perché ad un certo punto sentì uno, poi due tonfi come un sacco di patate. – Eh, eh. Capitano Achab molla il coltello o t’impallino come un fagiano – ghignò Fang che puntava un’altra Beretta, probabilmente appartenuta ad uno degli uomini che ora erano sdraiati per terra, in uno Keeran riconobbe l’australiano e nell’altro l’armadio a quattro ante che l’aveva attaccato all’aeroporto, Juan. Ma Bill non si mosse di un millimetro, Keeran indietreggiò. Vide che lo sguardo dello scozzese cadeva per terra, su di una pistola, che prima nella penombra non era visibile, ma che ora nei primi palpiti della nuova giornata era ben visibile.
- Non ci provare! – Fang tentò di intimidirlo sparando un colpo vicino al suo obiettivo, ma quando il dito premette il grilletto, il cane scattò a vuoto. Avevano finito i proiettili. E Bill chissà come in qualche modo lo sapeva perché non aspettò e subito raccolse la pistola dal pavimento. Ancora una volta Keeran trovò il tempo di stupirsi di quell’uomo, per sapere che l’arma era scarica doveva aver tenuto conto del numero di spari la cui frequenza sonora tra una pistola e l’altra variava anche se di poco. Una cosa impensabile da fare durante il trambusto generale.
Fang provò ancora per vedere se l’automatica si fosse solo inceppata, ma niente l’unica cosa che si sentì oltre alla Beretta che scattava a salve fu – Oh, merda. Scappa! –
Corsero a perdifiato, senza sapere dove andare, anche senza voltarsi sentivano i colpi tremendamente vicini. Attraversarono parecchie sale prima di fermarsi, si trovavano all’ultimo piano e le scale era inaccessibili. Entrarono in una sala, e chiusero la porta ma con loro sommo dispiacere queste erano dotate solo di due maniglioni. Niente serratura. Keeran bloccava la porta con le braccia, visto che Bill stava già tentando di sfondarla.
- Prendi! – disse lanciando a Fang l’ultimo tubetto d’acido e soggiunse – Trova qualcosa che possa andare bene per bloccarla -. Fang tornò abbastanza presto imbracciando come una lancia un enorme corno di narvalo – Cosa vuoi fare? Infilzarlo come uno spiedino?! – esclamò stringendo ancora le maniglie della porta – Prendi quel piatto là! – cercò di indicare una teca alla sua destra. Fang avrebbe sbuffato, ma date le circostanze si affaccendò per recuperare lo strano piatto, era di una pietra dalle mille striature marroni e particolari incisioni sulla superficie. E quando lo prese in mano scoprì che era molto più pesante di quanto avrebbe potuto immaginarsi. – Che diavoleria è? – domandò ad Keeran prima di infilarlo tra le due maniglie – Agata, è più resistente dell’acciaio… mi pare, be’ adesso lo scopriremo. Comunque quello si credeva fosse il Santo Graal – spiegò aprendo una finestra e sporgendosi per guardare sotto, erano al di sopra di quelli che probabilmente erano degli uffici dei servizi pubblici, sopra ad un gran portone capeggiavano la bandiera nazionale e quella con il simbolo della città, che erano sospinte mollemente dalla brezza mattutina. Da lì era un bel salto, circa cinque metri. – Speriamo che non sia così, se no qualcuno ai piani alti s’arrabbierà – constatò l’altro osservando la porta scossa da terribili fremiti ed il piatto che stoicamente resisteva ad ogni attaccò. Keeran scrutava ancora oltre il parapetto, quando intravide le fronde di un cespuglio che ondeggiavano al vento e farfugliò – Credo si arrabbierebbero di più quelli del museo… Te la senti di saltare? – chiese sapendo che l’amico soffriva di vertigini, ma la risposta sarebbe potuta essere solo una. – Te lo dico quando l’ho fatto, ok? Intanto vai tu! –Keeran non se lo fece ripetere due volte, s’arrampicò sopra il parapetto, diede un ultimo sguardo al cespuglio e si augurò che le aiuole viennesi fossero abbastanza morbide. Si gettò oltre, nel vuoto per un secondo gli sembrò di essere sospeso nel nulla poi cominciò a precipitare, l’aria gli sferzava il volto, ma a breve quella sensazione quasi piacevole fu sostituita dal frustare dei rami del cespuglio che cedevano sotto il suo peso, infine il durissimo contatto con il suolo, anche se doveva ammettere che aveva sperimentato di peggio in vita sua.
S’alzò appena possibile, solo un po’ frastornato dalla caduta ma ben consapevole di come ogni minuto potesse essere fatale. Quando alzò lo sguardo sapeva già a quale scena avrebbe assistito, Fang non aveva nemmeno messo un piede oltre la ringhiera di sicurezza. – Dai, salta! Non abbiamo molto tempo! – lo spronò. L’altro fece capolino dalla finestra, Keeran anche se la visibilità era scarsa avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo il pallore dell’amico. Era bianco come un cencio.
- Vieni! Sbrigati, c’è persino un cespuglio qui sotto! L’hai già fatto in Germania, e da un’altezza maggiore, non puoi mollare adesso! – gridò Keeran cercando di vedere meglio cosa stesse succedendo. Poi vide che Fang stava scavalcando, anche se lentamente il parapetto in ferro battuto – Giuro che se ne vengo fuori smetto di fumare! E questa volta per davvero… - poi si lasciò cadere, ma qualcosa arrestò subito e bruscamente la sua caduta, l’orlo dei jeans era rimasto impigliato in uno dei riccioli dell’inferriata ed il contraccolpo l’aveva fatto capovolgere a testa in giù
– Ma porca di una troia imbagascita, è mai possibile!? – imprecò cercando di divincolarsi, Keeran accorse e se non fossero stati in pericolo, la situazione sarebbe potuta anche essere comica. – Smettila! Se cadi male ti ammazzi, non voglio un morto sulla coscienza! – esclamò, facendo segno a Fang di stare immobile, che però avendo la maglia rovesciata in faccia non vedeva niente, e biascicò: - Ah, grazie! -. Keeran lasciò perdere  e gli disse come poter scendere. Essendo Fang molto alto, con le braccia distese, Keeran poteva afferrarlo, e così fecero – Allora adesso preparati che tiro -. Lo prese, con le dita riusciva appena a tenerlo, strattonò fino a quando il tessuto cedette, l’amico sgusciò via e si rovesciò per terra malamente. Si rialzò toccandosi più parti del corpo
– Azzo che male! – fece per scuotersi via terriccio di dosso, ma quando arrivò pantaloni questi mancavano, glieli stava porgendo Keeran che spazientito disse – La prossima volta metti la cintura, ah e belle quelle. Satisfaction Guaranteed. Ma per favore -  indicò i boxer dell’altro, erano gialli e con sul retro una grossa scritta verde, Brass si guardò e rispose – Ehi viviamo in un paese libero!... Comunque sarà meglio andare, s’è fatta l’alba –.
 
Si avviarono correndo lungo il viale alberato del Ring, dovettero fare poca strada prima di ritrovare al ciglio di una strada la loro scintillante auto rosa.
Ma il loro sguardo si perse in lontananza oltre essa. Da dietro il complesso imperiale stava sorgendo il sole che accarezzava con tenui sfumature di color malva e amaranto i tetti e le cupole degli edifici, ancora illuminati da mille luci accecanti che si fondevano con quella della stella ascendente. Facevano sembrare il tutto un meraviglioso dipinto impressionista.
Fang con una mano si appoggiò a Keeran – Sai, la domanda di prima? Quella che mi hai fatto all’Hofburg. E’ per questo che io lo faccio. Per poter provare queste sensazioni, perché ti accorgi di essere veramente vivo solo quando succedono cose importanti che ti sbattono davanti alla realtà. Sta sera abbiamo rischiato la vita. Forse per niente. Ma questi momenti riescono a non  farmi dimenticare quanto siano speciali anche solo singoli istanti, anche i più banali, come questa vista. A quanta gente capita nella vita? Ringrazio Dio, perché fa sì che io mi accorga di tutto questo. Le vite sono tutte uguali, sono le varie azioni che le differenziano, nient’altro. Non posso dirti se quel facciamo noi sia giusto – si fermò un attimo, per fare una pausa e prendere le chiavi dell’auto, poi riprese - Be’, io sarò pure matto e qualcuno potrebbe anche non capirmi, ma a me questa sembra una buona ragione. E poi se ti chiedono che hai fatto il weekend hai sempre una buona storia da raccontare: ‘Ma sai ho fatto una puntatina a Vienna e mi sono introdotto illegalmente nell’Hofburg – gli batté sulla spalla, e poi saltò in macchina, si stiracchiò e aggiunse – Dai, vieni. Conosco un bar che apre prestissimo e fa una sacher… Altro che quella del Demel. Non stare lì a pensare troppo che ti si fondono i neuroni -.
 
 
- Santo cielo! State bene? – Lyn trafelata corse loro incontro, abbracciò velocemente prima Fang e poi saltò al collo di Keeran, ma subito si ritrasse rossa in volto. Si passò una mano tra i capelli scomposti e mitigò il tutto con un – Sì, a quanto vedo state bene. A parte qualche graffio… - dopo un secondo di statica incertezza, indicò la porta dell’appartamento e riprese – Dan la tua mano non mi piace proprio, è conciata male… vado a prendere delle garze – subito scomparve oltre il pianerottolo.
Fang guardò di sfuggita Keeran, quello a sua volta lo fissò, l’amico aveva stampata in faccia un espressione allusiva e allo stesso tempo un po’ ebete. – Che c’è?! – sbottò apparentemente stizzito, Fang lo scrutò ancora più a fondo ed annuì. – Niente! – rispose però con un malcelato sorrisino. Poi cominciò a salire le scale a due a due. Qualsiasi cosa stesse pensando, si disse Keeran, era troppo contento perché gliene potesse anche solo importare un po’. Mise la mano in tasca, a sentire la fredda plastica in cui erano rinchiuse le due minuscole pergamene. Cominciò a salire le scale, non poteva ancora immaginare quale sarebbe stato l’ultimo passo di quel lungo cammino, ma lui il suo tesoro in fondo l’aveva già trovato e gli bastava.
 
Chiuse il libro e lo ripose su di uno scaffale, non aveva finito di leggere solo perché non aveva mai cominciato. Poole guardò fuori dalla finestra, era ancora chiaro d’altronde erano solo le otto, non aveva ancora cenato ma sapeva che quella sera non l’avrebbe fatto, come d’altro canto il romanzo: l’aveva preso sapendo che non avrebbe letto nemmeno una lettera. Era troppo impegnato a pensare, a decidere il da farsi; ormai aveva capito d’aver rimuginato abbastanza. Fino a quel momento aveva agito da solo, anche se facendosi aiutare da Keeran che però era troppo giovane, buono e forse persino troppo ingenuo, gli serviva una mano da qualcuno che puntasse alla sua stessa meta e che non si facesse scrupoli.
Quello stesso pomeriggio Ribot, un amico di vecchia data, se così si poteva definire il proprio informatore di fiducia, era venuto a fargli visita portandogli al posto dei più inflazionati pasticcini, l’indirizzo dell’uomo che gli serviva. A Ribot era servito un mese abbondante per trovarlo, ma alla fine c’era riuscito.
Uscì di casa e fu subito investito dalla fresca aria di campagna, ossigeno puro che quasi frizzava quando veniva inspirato dai polmoni e di cui se ne avvertiva la mancanza quando invece si espirava. Prese la macchina, l’unica vettura che avesse mai comprato in vita sua: la Jaguar C-Type, un auto che possedeva ormai da più di quarant’anni, una di quelle per intenditori d’alto lignaggio e proprio per questo gli era molto dispiaciuto doverne modificare i comandi dopo l’incidente; ma d’altronde se non l’avesse fatto non sarebbe stata altro che una scatoletta per sardine molto costosa con attaccato quattro cerchioni da diciannove.
Ancora una volta salì sui morbidi e avvolgenti sedili di pelle, ancora una volta maledisse i bastoni che si portava addietro e che si ostinavano ad incastrarsi nella portiera, nel volante o in qualsiasi altro oggetto. Li sbatté in malo modo sul sedile posteriore, era rosso in faccia: in parte per la reale fatica che gli costava il minimo e più comune movimento, in parte per la vergogna. Vergogna di sentirsi sempre più un povero vecchio, che un qualsiasi borghese odiosamente perbenista avrebbe accoratamente definito diversamente abile. 
Un handicappato! Ecco cosa sono!... Ma sta sera le tiro fuori io le palle!
Girò le chiavi con tale caparbietà che fu un miracolo se non si spezzarono nel quadro, inserì subito la retro e fece manovra nel vialetto creando un gran polverone e lasciando i solchi degli pneumatici nel ghiaietto.
C’erano momenti come quello, in cui non capiva il senso della sua vita: non aveva famiglia, veri amici pochi, e gli sembrava pure d’aver perso pure ogni residuo di dignità. C’erano stati giorni soli in cui aveva preso la pistola che fra tutte quelle della sua collezione amava di più, l’aveva più volte puntata alla tempia ma mai era riuscito a premere il grilletto.
Mai era riuscito a sparare il colpo che avrebbe messo fine a tutto. La vergogna era più forte della paura che aveva per la morte, che in fin dei conti non era neppure tanta, però l’orgoglio prevaricava su tutti gli altri sentimenti. L’immaginarsi le proprie esequie, che sarebbero state sicuramente celebrate dal  pastore del paese. Quello che odiava semplicemente perché trai due era aperto un contenzioso al cui centro c’era il Santo Graal. Quelle serpi di parenti che non si sarebbero certo presentati al funerale, e che però sarebbero accorsi subito dal notaio per cercare d’accalappiare anche solo una parte del suo cospicuo patrimonio. Non avrebbe certo dato perle ai porci, non il suo Rembrant! Non la sua Jaguar!
Ancor più la cosa che sempre gli aveva fatto posare l’arma era stato il pensiero delle malelingue che si sarebbero fatte sul suo conto, lui non sarebbe potuto esser lì a difendersi e a rispondere a tono. Com’era ingiusta la morte sotto quel punto di vista!
Impiegò una buona misura di tempo per raggiungere la City, sapeva perfettamente dove andare. Lasciò l’auto in un parcheggio sorvegliato lontano circa un miglio dalla sua meta, che dovette raggiungere a piedi dato che non si fidava dei mezzi pubblici e ancor meno dei tassisti.
Il Four Seasons Hotel London sorgeva non troppo lontano da Piccadilly Circus, era una costruzione maestosa e curata soprattutto nelle rifiniture, sfarzosa esteriormente ma non quanto all’interno. Sebbene la consierge e l’atrio fossero arredati in modo ancora contenuto e pacato, Poole che aveva pernottato in più d’un occasione nelle suite del Seasons, aveva sempre pensato che fossero esageratamente adornate: trovava che somigliassero fin troppo all’atelier d’un sarto in cui fosse appena scoppiata una bomba. I canadesi si erano profusi nell’utilizzo di stoffe e tendaggi dimostrando poco senso del buon gusto. Avevano creato la mal riuscita parodia di Buckingham Palace. 
D’altronde cosa ti puoi aspettare da dei mezzi francesi… 
Si avvicinò alla receptionist che non si accorse della smorfia ben celata sotto i curatissimi baffi – Sto cercando un uomo. E’ alloggiato nella Queen Ann Suite. La prenotazione è a nome Jabbar – asserì con vigore, la voce dal tono pacato e piacevole che lo faceva passare per un vero gentleman, avrebbe fatto sfigurare qualsiasi membro della casata reale facendolo assomigliare ad uno sguattero.
– Sì, esattamente. Vuole che lo avvisi della sua visita? – domandò gentile la bella ragazza che era stata strategicamente posizionata alla reception per accogliere magnati della finanza e sceicchi. Poole assentì con un cenno del capo ben misurato e la ragazza sorrise con reverenza, questa volta però per davvero. Quell’uomo racchiudeva in sé il naturale potere d’affermarsi in una stanza senza neppure parlare; bastava la sua sola presenza per assoggettare ed ammaliare tutti i presenti. Cosa del resto non troppo comune perché Poole non era neppure dotato d’una certa spiccata prestanza, anzi era decisamente minuto. Niente riusciva a farlo sembrare una persona fragile o gracile, neppure i bastoni che gli avevano imposto molteplici restrizioni erano riusciti a fare tanto.
La ragazza avvisò colui che aveva affittato la camera, e che dopo aver sentito pronunciare il nome di Poole aveva prontamente invitato l’ospite a salire.
Proprio per questo motivo Poole in quell’istante stava salendo con l’ascensore fin all’ultimo piano del palazzo. E quando questo si fermò con una scossa sommessa egli uscì dalle porte che si schiusero come un sarcofago dorato sul corridoio, lunga e stretta galleria dalla moquette purpurea. Poole uscì da quelle porte come un divo del cinema, di quello vero, anni Trenta. In ascensore si era dato la briga di sistemarsi un po’, se doveva incontrare uno degli uomini con più potere illegale sulla terra, voleva che quello si ricordasse della sua scriminatura impeccabile e del suo pessimo carattere. Quello era James Poole.
Dopo aver percorso per tutta la sua lunghezza il corridoio, giunse a fermarsi dirimpetto ad una porta laccata di nero che riportava a caratteri bronzei il nome della miglior suite dell’albergo. Il meglio del lusso nel meglio del lusso. Bussò tre volte ed aspettò che una voce lo esortasse ad entrare; quella in cui si trovò non era una stanza, ma un appartamento. Nel salotto interno non c’era nessuno perciò si diresse subito verso la camera da letto padronale, lì la luce era soffusa ed ai suoi occhi presbiti ci volle un esitante momento perché potessero riuscire a discerne il profilo d’una persona dalle ombre, ma quello rimase comunque poco più d’un indistinto fantasma.
- Sa nemmeno le persone che lavorano con me hanno avuto il privilegio di poter dire d’esser state al mio cospetto – esordì quello con perfetto accento inglese, anche se Poole notò un piccolo difetto nella pronuncia, fece una breve pausa in cui poggiò un paio di dita alla fronte, come per riflettere – Però ho fatto venire lei. La cosa divertente è che non so neppure io il perché l’ho fatto… - rise, un riso piacente e gioviale il suo, – Dalle mie parti lo chiamiamo altıncı his -.
- Lei è turco – non era una domanda quella di Poole, aveva passato troppo tempo in Oriente per non distinguere almeno i suoni appartenenti ad una lingua, stava per proseguire quando però l’altro lo interruppe, - Solo di padre -.
- Dalle mie parti il sesto senso lo chiamavano cattivo consigliere. Mio padre diceva che era meglio fidarsi soltanto degli altri cinque – disse Poole accomodandosi su di una sedia. L’uomo misterioso rise ancora e soggiunse – Sembriamo due vecchi cialtroni al banco d’un pub. Manca solo che iniziamo a parlare di guerra -.
Poole ripose i bastoni sulla mensola accanto alla sedia – Sa io e lei siamo due vecchi. Mi dispiace di doverla informare -
- Parli per lei – intervenne all’improvviso serio e brusco l’altro, stava lasciando troppo spazio a quell’inglese tutto lingua e con una sicurezza di sé ridondante. Questa volta fu il turno di Poole per ridere – Uno degli uomini con più potere sulla Terra che ha paura d’invecchiare. Ora non mi dirà mica che si fa pure di botox! – esclamò divertito, le sue non erano frasi e parole calcolate, o almeno solo in parte, non erano ben pensate e poi dette; bensì gli veniva naturale non fare distinzioni tra uomo e uomo. Probabilmente avrebbe parlato così al suo giardiniere come al Papa in persona.
- Lei osa troppo. Mi meraviglia il fatto che sia arrivato a così veneranda età parlando in tale maniera, eppure ha vissuto in un mondo non facile e dove non tutto viene perdonato – proseguì il mezzo turco, i suoi occhi rapaci però notarono immediatamente come la mano di Poole fosse istintivamente scivolata lungo la gamba, quindi aggiunse – Ah, mi scusi. Non pensavo che le sue gambe fossero parte dello scotto pagato. Comunque non le permetterò neppure io di burlarsi di me, ci sono state persone come lei che ci hanno provato e si possono riassumere in due categorie: quelle furbe che hanno fatto in tempo a frenarsi portando a casa soltanto qualche graffio, e gli idioti; be’ gli idioti non credo nemmeno che ci sia il bisogno di dirglielo, infondo lei è un uomo di mondo, nevvero? –
- Esattamente. Ma se lei avesse voluto a quest’ora, dopo così tanto tempo, io sarei già stato freddo – affermò Poole, era stato ben conscio nella mezz’ora precedente di quanto quella sarebbe stata una partita pericolosa: o la morte, o una piacevole conversazione con l’uomo che forse era la miglior rappresentazione corporea della morte stessa sulla Terra.
- Bene, allora dato che è così sicuro di sé, veniamo al dunque. Cosa porta lo stolto agnellino nella tana del lupo - Jabbar riprese il discorso che più gli premeva, doveva ammettere che era particolarmente incuriosito da quell’omuncolo tanto audace che fino a quell’istante gli era parso un ottimo attore: non aveva tradito paura o il minimo timore, davvero un buon commediante. Oppure, forse… non ne provava affatto?  
- Scopriamo le carte in tavola: le non sta cercando un tesoro e non lo sto facendo nemmeno io. Noi vogliamo la medesima cosa, solo in misura diversa; per parlare in metafore, io voglio le briciole che cadono dalla sua mensa. Niente più -
- Si potrebbe fare – convenne l’uomo  misterioso passando un dito sul mento ad attorcigliare quello che doveva essere un pizzetto, poi pensieroso proseguì – Ma io cosa ci guadagno dal suo aiuto? E lei quanto ci guadagna dal mio? Infondo lei ha già degli uomini. Mi spieghi meglio -, gli pareva quanto mai strano che Poole gli chiedesse una mano, tanto più che era palese che lo disprezzava anche se non apertamente e con le parole. In effetti quella conversazione osservata dall’esterno sarebbe potuta apparire colma di garbo e convenevoli, invece essi per il reale pensiero che passava per le due menti dei vecchi erano peggio che insulti ed ingiurie.
- E’ vero io ho degli uomini però sono certo che non si faranno corrompere, sono ancora troppo giovani per capire anche soltanto in minima parte quanto faccia schifo il mondo in cui vivono… -. Jabbar intervenne sempre con quel tono giocondo che tanto strideva con il ruolo che ricopriva nella società – Così dicendo lei mi offende, io sono uno dei più accaniti fautori di questo genere di mondo! -.
- Quindi mi serve l’aiuto di qualcuno che sia abbastanza forte per metterli fuori gioco. E sa cosa ci guadagna da me? Una talpa, un insospettabile che sia al corrente dei loro spostamenti. Tanto sono certo che a quest’ora saranno già arrivati alla risoluzione dell’indovinello contenuto nella corona – fece una pausa calcolata, l’arte del vendere era qualcosa d’impossibile da imparare, ma Poole era dotato pure di questa.
Avrebbe saputo vendere ghiaccio persino agli Inuit, - Ecco cosa ci guadagna da me! – esclamò con tono suadente.
Jabbar stette in silenzio per un paio d’infiniti minuti, doveva riflettere e scegliere, la cosa gli appariva quanto meno sospetta però a sistemare certe faccende avrebbe potuto pensarci in seguito – Ok, lavoreremo insieme ed entrambi avremo ciò che vogliamo – disse infine, poi però soggiunse – Ora che è mio collaboratore, lasci che le dica una cosa, lei probabilmente è persino più spregevole di me: tradisce e vende il suo figlioccio con tanto di amici, senza fare una piega e solo per soddisfazione personale… se ben ho capito -.
Poole sorrise amaramente, si alzò con l’ausilio dei bastoni e si mosse incontro a Jabbar, gli strinse la mano, e facendo questo replicò dicendo: - Lei ha ammazzato suo padre. Un giorno forse sapremo chi è il più meschino dei due -. Poole aveva appena stretto il patto con il diavolo in persona: un mezzo turco dal naso adunco e dai piccoli occhi rapaci.
- Lei ha un ottimo informatore Mr. Poole. Vorrei davvero saperne il nome -.

 

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Capitolo 15
*** Champagne Supernova ***


INFO & CO: come avevo già fatto per il capitolo "Aretha" a questo metto denomiazione ROMANTICO perchè è tutto incentrato su la dolce coppietta (ok, mi sento troppio smielata). Buona lettura e Buona serata!
Ps: 160 visite yepppiiiiii :D ora però fate sentire la vostra voce!!!
TO BE CONTINUED
The White Lady

I due giorni seguenti furono pieni di frenesia, dovevano spostarsi da Vienna a Budapest per allontanarsi almeno un po’ dal museo che avevano appena scassinato, la Shaztkammer, e  quindi dalla polizia locale che ancora stava dando la caccia a chi vi si era introdotto. Ma ancor di più Keeran aveva capito che era meglio per loro spostarsi ogni poco tempo continuando a zigzagare da una parte all’altra del Paese in modo tale da far perdere le proprie tracce ai loro inseguitori: Bill e compagni. Esattamente il pomeriggio dopo aver recuperato le pergamene Adam aveva trovato una cimice posizionata sul suo cellulare e computer, questa segnalava la loro esatta ubicazione, probabilmente gliela avevano messa all’aeroporto, l’unico posto dove aveva lasciato incustodite le sue cose.
Quel giorno erano sistemati nella soffitta di un vecchio palazzo storico di Budapest completamente rovinato dalla guerra e non ancora in restauro. Era sera e come di consuetudine stavano cenando guardando il telegiornale. Stavano mandando in onda il servizio sul furto avvenuto nella Camera del Tesoro austriaca che teneva banco da metà settimana, ma quel giorno c’era una novità: la polizia aveva trovato il filmato registrato da una telecamera di sicurezza appartenente ad una banca che immortalava due uomini che correvano come indemoniati lungo il Ring. Le riprese duravano pochi secondi, i volti non si vedevano neppure. Però per un paio d’istanti prima di visionare il filmato vi fu un po’ d’incertezza trai commensali seduti a tavola. Il capo della mobile viennese aveva anche rilasciato un’intervista dichiarando che ora sapevano per certezza che i due delinquenti erano di razza caucasica, un metro ottantasette e uno e novantacinque ed infine aggiunse che erano vicini ad una conclusione. Fang rise – Ehi, mio padre aveva ragione, Liam! Diceva che un giorno o l’altro saremmo finiti nel telegiornale della sera! Quasi quasi me lo registro e gliene mando una copia con gli auguri di Natale. E lui che voleva che diventassi avvocato! – esclamò divertito.
Keeran però era impegnato in qualcos’altro, non gli importava del telegiornale perché era intento ad osservare Lyn che scriveva su di una agenda, erano frasi a cui lui non sarebbe mai stato reso partecipe, pensieri appuntati che le appartenevano. Quel rito lo vedeva compiere dalla ragazza da sempre, era qualcosa d’intimo. Keeran avrebbe voluto sapere, essere in lei per capire quali parole, quali sensazioni per lei fossero così importanti ed indelebili da far in modo che le condividesse solo con se stessa.
Si sforzava ad immaginare ma non ci riusciva, eppure quei gesti lo catturavano, guardarla mentre era assorbita dalla scrittura era una cosa incredibile. Amava vedere le espressione o le smorfie che le si dipingevano sul volto quando credeva di non essere vista.
Quelli erano gli istanti che contavano veramente e che lo rendevano felice, sereno perché null’altro gli importava. Proprio come quando la notte stava sveglio, un po’ per l’assidua insonnia e un po’ solo per stare lì a sentirla respirare, vederla sorridere mentre lei dormiva o era lontana mentre sognava. Ed anche se ad un certo punto sopraggiungeva il sonno, non voleva cadere tra le braccia di Morfeo, non voleva chiudere gli occhi perché lei allora sarebbe scomparsa, persa anche solo per un istante.
Quei pensieri lo facevano pure ridere, chissà cosa avrebbe pensato Fang se l’avesse saputo. Sfottimento a vita.
Fang si voltò verso Keeran visto che era più di mezz’ora che non dava segni di vita, non gli avrebbe detto niente, poi però esclamò – Attento! -. Troppo tardi. Keeran per poter meglio vedere Lyn era rimasto con la sedia solo su due gambe e non si era neppure reso conto di quanto si stesse sporgendo all’indietro, fino a che si era ribaltato. – Te l’avevo detto da Ian, stanno facendo qualche strano esperimento con il nucleare! Mi toccherà rispolverare il tight… – asserì fintamente sconsolato. Mentre Keeran si stava alzando dopo la caduta, Adam chiese confuso – Che sarebbe? –
- Plebeo… - mormorò snob Fang e soggiunse - Tranquillo agli abiti da cerimonia ci penso, sono un novello Carey Grant. Un maestro d’eleganza -. Adam lo guardò incredulo – Se lo dici tu – disse alzando le spalle. Ripresero a seguire il telegiornale continuando a commentare ironicamente i vari avvenimenti.
Lyn andò in corridoio, prese la giacca ed esclamò – Vado a farmi un giro -, pensava che nessuno l’avesse sentita invece Keeran caracollò nella stanza le rubò di mano le chiavi dell’auto e frenandosi di colpo aggiunse – Mi dispiace devo andare fare una commissione importante – detto questo uscì facendo le scale a gran velocità.
Per un pelo quasi se lo stava scordando e per fortuna Brass glielo aveva fatto venire in mente. Prese l’auto, purtroppo non avevano ancora avuto l’occasione di cambiare l’appariscente Cadillac, anche se infondo ormai si erano affezionati e quasi abituati agli sguardi incuriositi degli altri autisti. Quella era l’ultima notte che restavano a Budapest il mattino seguente sarebbero partiti per addentrarsi nella campagna ungherese e addio l’opportunità di fare certi acquisti. Nei due giorni precedenti si era studiato un paio di posti e aveva quasi preso una decisione.
Budapest di sera era ancor più magica di Vienna, l’atmosfera era impagabile: era come stare a Natale, con mille luci ad illuminare le facciate dei palazzi ed i profili dei ponti sul Danubio, come quello che aveva attraversato poco prima, il Ponte dei Leoni da cui appena s’intravedeva l’Isola Margherita. Il clima però doveva ammettere era decisamente più apprezzabile e temperato.
Passò per la via principale, lì gli edifici malgrado fossero in pieno centro erano in alcuni casi ancora martoriati, il governo sovietico e la guerra avevano lasciato una cicatrice che lentamente si stava cancellando sia dalla città che dalla mente dei cittadini di questa. Però Keeran riusciva ad apprezzare maggiormente la bellezza sfregiata e deturpata di Budapest che non quella di mille altri luoghi edulcorati.
Con lo sguardo stava passando in rassegna le vetrine poi individuò il posto giusto, sterzò a destra e parcheggiò. Si era fermato da Bulgari, la porta era incorniciata da una fascia di marmo scuro con inciso il nome della gioielleria in caratteri dorati. Entrò e chiese l’orario di chiusura poi uscì subito, aveva ancora un po’ di tempo per fare una certa telefonata che in quei giorni aveva sempre posticipato. Sulla tastiera del cellulare digitò un numero americano di linea privata, non lo teneva neppure in rubrica. Il telefono squillò più volte, Keeran sapeva che il proprietario del numero avrebbe risposto scocciato solo dopo svariato tempo, quello era il metodo di Clayton per scremare un po’ le telefonate importanti da quelli inutili, ma soprattutto per fare la prima donna.
- Che c’è? – era la voce aspra del suo capo che rispondeva indispettito ancor prima di sapere chi fosse, infondo era il suo metodo per chiederlo
- Sono Keeran - disse molto tranquillamente l’altro
- Allora è ancora vivo, gli altri due? – domandò Clayton. Keeran era certo che in quel preciso istante stesse sorseggiando del tè avvolto nella sua comoda poltrona di pelle, rigorosamente d’epoca
- Mi dispiace per lei però non può ancora toglierli dalla busta paga –
- In che guaio si è cacciato questa volta? – chiese un po’ contrariato il generale, quando aveva concesso un mese prima le ferie a Keeran era già sicuro che quello avrebbe cercato subito magagne.
Keeran aspettò un poco prima di rispondere, non avrebbe certo detto al proprio capo cosa stava facendo, almeno non direttamente, - E’ la stessa cosa che le stavo per chiedere io -.
- Prima lei mister Keeran – lo spronò Clayton.
- Ha visto ultimamente il telegiornale internazionale? – domandò malizioso l’altro. Clayton sorrise, Keeran insieme a pochi altri era l’unico ad avere il coraggio di farsi apertamente beffa di lui, per quanto lo nascondesse era una qualità che apprezzava, la sfrontatezza. Fang poi era un caso a parte, aveva un senso dell’ironia che rasentava la maleducazione.
- Sa questa domenica avevo intenzione d’andare a fare una partita a golf con il ministro degli esteri austriaco. Che ne dice? –
- E’ un’ottima idea, so che è un gran giocatore – asserì Keeran poi proseguì serio – Ma lei cosa mi racconta? –
- Niente di buono purtroppo. Avremmo bisogno lei, come d’altronde d’ogni uomo di casa. Però non interrompa la vacanza avrà già da lavorare abbastanza al suo rientro – disse, poi continuò greve – Ci sono state svariate morti in agenzie governative e aziende private, la CIA crede che non siano collegati tra loro, io invece sì –
– Cosa glielo fa credere? –
- Tutti ingegneri, chimici o uomini di scienza esperti. Tutti dati come morte accidentale o morte naturale. Io non ci credo, la cosa mi puzza di marcio. Tra di loro c’è anche Matthews – concluse fermo, la voce solo un po’ più bassa del normale. Keeran conosceva Metthews soltanto di vista, era il capo sezione di Fang, lavoratore meticoloso e puntuale.
– Chi sarà il prossimo in gerarchia? – domandò per farsi anche un’idea con chi avrebbe dovuto lavorare al suo ritorno. Clayton sospirò – In teoria Gillis ma non è pronto per un ruolo di spicco, troppo fragile. Anche se contro le opinioni degli altri, alla fine opterò per Fang – mormorò stanco.
Keeran sapeva che Clayton avrebbe voluto chiedergli un opinione, ma che non l’avrebbe mai fatto per pure orgoglio. Doveva pensarci lui.
- Dica pure addio a delle riunioni generali tranquille e civili… Comunque ci vedremo presto, penso di tornare entro un paio di settimane –
- Faccia pure con comodo, qui è ancora tutto da farsi. Questo è solo la Genesi, dobbiamo passare ancora per l’Esodo, il Levitico e tutto il Vecchio Testamento prima d’arrivare a qualcosa – affermò Clayton per poi proseguire curioso – Dove si trova esattamente? –
- Da Bulgari, e… – Keeran si morse il labbro, era alla canna del gas se doveva chiedere un consiglio al suo capo – Meglio un anello trilogy o un solitario? –, sentì Clayton con la sua risata potente
– Per stare con un tipo come lei è molto meglio un trilogy! Guardi che io non gliele do le ferie per andare in luna di miele! – esclamò.
Keeran all’improvviso si ricordò di una cosa che doveva riferire a Clayton, doveva dirgli un indirizzo, qualcosa che si era sempre scordato di fare con tutto il trambusto che c’era stato quella era l’ultima cosa a cui aveva pensato. L’indirizzo non lo rammentava a memoria, però gli pareva di averlo scritto su un foglietto che teneva nel portaoggetti della Cadillac. – Aspetti un secondo ho una cosa dirle, un attimo – disse tenendo con una mano il telefono e con l’altra le chiavi dell’auto.
– Mi dia qualcosa –, un vecchio si era avvicinato a Keeran chiedendogli le elemosina, non seppe rifiutare così tirò fuori dalla tasca posteriore degli spicci che gli erano rimasti – Ho solo euro, niente fiorini – disse dandogli poco più d’un euro, il vecchio lo ringraziò e gli baciò la mano, neanche gli avesse appena detto che aveva fatto una vincita milionaria. A guadagnarci a fare quel gesto fu però Keeran…
Si stava voltando per tornare all’auto quando questa esplose lanciando lingue infuocate e facendo un frastuono incredibile, fu proiettato all’indietro dall’onda d’urto creata dalla detonazione insieme ai mille pezzi di lamiera e alle schegge di vetro che erano esplosi. Andò ad urtare parecchi metri più addietro contro la vetrina della gioielleria, picchiò la testa con tale violenza che per parecchi minuti non ebbe coscienza di sé. Quando riaprì gli occhi si trovava all’interno del negozio di Bulgari, i commessi che avevano assistito all’evento l’avevano portato dentro e messo su di una poltrona. Fuori l’auto incenerita crepitava ancora sotto le fiamme che dardeggiavano fuori dal cofano e dei finestrini, una colonna di fumo nero si levava dalla sua carcassa; in lontananza si sentiva già l’ululato di una sirena, qualcuno aveva tempestivamente avvisato i pompieri.
Keeran non perse tempo, s’alzò, la mente ancora un po’ ondeggiante e confusa, nelle orecchie gli rimbombava il fragore prodotto dall’esplosione. Per quanto annebbiato fosse il suo cervello in quei trenta secondi aveva già elaborato tutto, si rivolse al commesso con cui aveva parlato poco prima – L’anello non lo porto via, lo invii a questo indirizzo – prese carta e penna, scarabocchiò una via e poi porgendolo insieme con una carta di credito aggiunse: – Si sbrighi -.
Doveva fare velocemente, presto con i vigili del fuoco sarebbe arrivata anche la polizia, e lui non aveva tempo da perdere con stupide deposizioni o denunce contro ignoti, quindi dopo essersi ripreso la sua American Express corse fuori. In quel momento voleva solo vedere gli altri, sapere che era tutto a posto. Subito dopo esser rinvenuto quasi ancor prima di rendersi ben conto di cosa era accaduto la prima cosa che gli era balzata in mente era che su quell’auto doveva trovarsi Lyn, se non le avesse rubato le chiavi di mano. Non ci voleva neppure pensare.
Si domandava come avessero fatto a trovarli, pensava di essere riuscito a far perdere le proprie tracce, invece…           
Svoltò in un altro viale alberato, le fronde dei platani ondeggiavano sotto il vento, quando finalmente arrivò al suo palazzo si lanciò nel pianerottolo e citofonò al numero del loro appartamento, premette il pulsante con foga. – La vuoi smettere?! – a parlare era stato Fang, Keeran tirò un sospiro di sollievo, avevano trovato solo la macchina, infondo non passava certo inosservato un mezzo del genere. – Scusa – asserì stancamente.
Cominciò a fare le scale, era stremato, un po’ per l’esplosione, la corsa ed i cinque piani del palazzo che avrebbe dovuto fare a piedi; ma soprattutto era consumato da una nuova certezza che gli stava maturando dentro: doveva fare una scelta che si sarebbe rivelata forse la più importante e dolorosa della sua vita. In quel momento capì che doveva crescere e convincersi che doveva scegliere la cosa migliore, saggia e responsabile.
 
 
Il mattino successivo Keeran si svegliò di buon ora quando tutti gli altri dormivano ancora. Sarebbe andato a noleggiare un’altra macchina, non aveva riferito a nessuno a parte Fang di quel che era successo la sera precedente, perciò avrebbe dovuto far credere a tutti che l’aveva soltanto cambiata, per trovare un modello che fosse più discreto.
A mezzo giorno stavano filando in mezzo alla campagna ungherese, passavano davanti a piccoli paesini rurali dove le casupole erano tutte dipinte di bianco, a Keeran ricordavano molto i racconti dell’infanzia di suo padre, quelli ambientati tra le colline irlandesi negli anni Sessanta. Il sole splendeva vivo tant’è che abbassarono pure la capote per meglio godersi l’aria fresca. Nemmeno loro sapevano bene dove erano diretti forse avrebbero attraversato il confine per andare nella Repubblica Slovacca, l’importante era macinare chilometri ed il più in fretta possibile sfruttando ogni singolo cavallo del maggiolino Volskwagen. Presto dovettero fermarsi per fare rifornimento di carburante e viveri, Adam e Lyn scesero a fare quattro passi per sgranchirsi un poco le gambe.
- Tralasciando l’ultima parte del racconto, ieri sera com’è andata da Bulgari? – chiese Fang
- Ehi, io non ho mai detto d’esser andato da Bulgari! – esclamò Keeran, era stufo che tutti sapessero di tutto.
- Non dovresti lasciare i preventivi e le ricevute nel portafoglio, certi loschi individui potrebbero impossessarsene con facilità! L’hai preso o no l’anello? –.Keeran si guardò intorno, non c’era nessuno – Dan non possiamo andare avanti così! Dannazione ieri nella Cadillac doveva esserci lei! Non sono disposto a rischiare così tanto – asserì scuotendo la testa e rimontando in macchina dopo aver fatto benzina.
- Sai che lei non se ne andrà mai, vero? –
Keeran si passò una mano sulla fronte madida di sudore – Lo so è per questo che dovrò… - non trovava le parole adatte per non far parere la cosa così terribile – Dovrò cacciarla via -. Fang corrugò la fronte, aveva capito il pensiero dell’amico e per quanto fosse corretto il ragionamento avrebbe voluto fargli cambiare idea – La vorresti far arrabbiare perché se ne vada - non era una domanda ma un’affermazione, poi proseguì – Non farlo Liam. E’ la cosa più stupida che tu possa scegliere di fare, ti fa onore però se la perdi adesso è andata per sempre. Non ci sarà una terza possibilità, pensaci! –.
- L’ho messa io in mezzo a questo brutto affare e ora troverò il modo non farle pagare un mio errore. So che è la cosa giusta da fare – affermò irremovibile, non ci sarebbe stata parola di Fang in grado di fargliela pensare in altra maniera.
- Te l’ho già detto, così faresti solo violenza su te stesso! – esclamò Fang, gli sembrava di dover frenare un treno in piena corsa verso un dirupo con il solo ausilio d’un dito.
Testardo! Ti spaccherei quella testaccia contro il cruscotto!  
Keeran si voltò a guardare l’amico che se ne stava seduto sul sedile del passeggero, lo fissò con veemenza – Senti, qua non c’è in ballo quello che faresti tu! La cosa è quanto mai pericolosa, cosa importa come starò dopo che l’avrò mandata via, non riesco ad immaginare come mi sentirò. Però so bene quel che potrebbe accadere se restasse ancora poco tempo -.
Fang lo corresse – Hai usato il condizionale, magari non accadrà nulla -
Keeran gli fissò ancora una volta la spalla, poi pensò alla propria gola, prima che si fermasse completamente l’emorragia c’era voluta un’ora buona, ed infine all’auto, a quel punto non c’era più spazio per i se ed i ma.
 - Ormai ho deciso – concluse infine.
La storia che si ripete…pensò Keeran colmo di rammarico, la gioia che l’aveva pervaso in quei giorni stava già per tramutarsi in un piacevole ricordo.
- Le azioni stupide che compiamo sono sempre quelle che nascondono gli scopi più nobili alla fine – ammise Fang, avrebbe dovuto rispettare la scelta dell’amico però aggiunse: - Certo che è incredibile! –
Lyn e Adam stavano arrivando verso l’auto, Keeran infilò le chiave nel quadro e girò, il motore sei cilindri cominciò a scoppiettare melodiosamente. – Ti sbagli, ciò che è incredibile è che Charlie Chaplin abbia partecipato ad una competizione per imitatori di Charlie Chaplin e che sia arrivato soltanto terzo. Questo si che è improbabile! Io sono solo umano – ribatté inserendo la prima e poi la seconda, Lyn era salita e ora gli stava seduta accanto nel posto del passeggero, aveva chiuso gli occhi e si stava godendo il tepore del sole che le baciava la pelle. Keeran la guardò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Gli sembrava di tradirla, le aveva promesso che per lei ci sarebbe sempre stato, e Fang aveva ragione anche sul suo conto, aveva la netta sensazione di star tradendo pure se stesso. Catturò come al solito ogni  battito di ciglia, lei se ne sarebbe anche andata ma Keeran non era disposto a dimenticarla.
Mi dispiace…
Si concentrò sulla strada, distrasse la mente senza lasciarle la possibilità di sgattaiolare via e cercare vecchi rimpianti.
Alla fine del loro lungo peregrinare erano riusciti a rimediarsi dei posti letto in una minuscola pensione che faceva Bed&Breakfast, non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare l’esistenza d’un tale luogo proprio nel cuore della gelida campagna slovacca. D’altronde non sapevano come avessero fatto ad arrivarci  o quanto avrebbero dovuto pagare alla fine del soggiorno; il loro slovacco era un po’ scricchiolante.
Keeran assorto nei suoi pensieri però si stava chiedendo come mai dopo una bottiglia di rosso e una birra scura lui fosse ancora così lucido e vigile. Va bene che era per metà irlandese e che aveva iniziato a bere i primi sorsetti a nove anni però così era troppo!
Avrebbe voluto sprofondare in una sorta di trance in cui a tenerlo per mano e a condurlo sarebbe stato soltanto l’alcol, invece il suo corpo sembrava proprio non ne voler sapere d’assopirsi: più beveva e più restava sveglio. Non era mai stato il tipo da affogare i rimpianti negli alcolici però quella sera sperava tanto di dimenticare, non un errore compiuto ma uno sbaglio che doveva ancora adempiere. Sapeva che era questione di minuti, forse persino di secondi e sarebbe arrivata Lyn a fargli compagnia come tutte le sere, infatti poco dopo la ragazza arrivò e Keeran era ancora in alto mare, non sapeva cosa dire o fare. Così quando cominciò a sentire il passo leggero di lei che calpestava l’erba e che gli si avvicinava da dietro prese subito una decisione: doveva essere diretto, brusco, indifferente e crudele. In altre parole doveva fare lo stronzo, magari pure con una punta di cinismo. 
Lyn non fece neppure in tempo a mettersi accanto a lui che Keeran esordì: - Senti, te lo dico chiaro e tondo: vattene -. Lei corrugò la fronte perplessa, non afferrò subito il senso di quelle parole perciò disse – Ok, se vuoi restare da solo non c’è mica bisogno d’esser così scontroso -.
- No non hai capito, intendo che tu devi andartene via da qui, lasciarmi in pace – la voce di Keeran era asettica e metallica, sapeva che piano piano avrebbe raggiunto il suo intento.
Lyn vide le due bottiglie che stavano ai piedi dell’uomo – Sei ubriaco? - la domanda le sorse spontanea anche se sapeva che Keeran non era il tipo, beveva ma non superava mai il limite, forse però nella situazione di stress continuo a cui era sottoposto aveva alzato un po’ troppo il gomito senza nemmeno rendersene conto.
Keeran scoppiò in una risata rauca – Non sono ubriaco bella, ti sto solo dicendo la verità, mi hai rotto. Devo forse gridarlo al mondo? Mi hai rotto le palle! – si alzò e fece una giravolta su se stesso, Lyn lo guardò confusa, era quello lo stesso uomo che le aveva giurato di amarla? Cos’era quell’essere meschino a cui si trovava di fronte?   
Si mise in piedi a sua volta, le gambe un po’ molli, si sentiva abbandonata – E allora a Vienna quel pomeriggio, cosa ha voluto dire per te? -
- Oh dài bambina che pensavi? Tutte quelle frasi stucchevolmente dolci, quei baci… - ghignò Keeran. Doveva riuscire a ferirla il più possibile, non si sarebbe fermato fino a quando non avesse avuto la certezza matematica che lei non sarebbe tornata indietro. Avrebbe continuato stilettata su stilettata, anche se sapeva quanto l’avrebbe fatta soffrire. – Insomma mi serviva un po’ di divertimento, no? Prova tu a fare quel che faccio io e non aver mai una valvola di sfogo, un passatempo – proseguì Keeran, poi scoppiò nuovamente in quella sua gelida risata – Non ti credevo così idiota da pensare che ci fosse dell’altro. Era solo sesso… e neppure poi così buono devo ammettere -.
Lyn era esterrefatta, non poteva credere che tali parole potessero uscire da quella bocca, non le riusciva neppure di pensare che tutto ciò fosse vero, le sembrava una farsa dai modi gretti e crudeli oppure un incubo paradossale. Tutto ciò che Keeran aveva detto meno di due settimane prima era l’antitesi delle frasi che stava pronunciando in quel momento. Lyn era furente ma non poteva assolutamente arrendersi, era impossibile quel che le stava accadendo, si avvicinò a Keeran un po’ di più – Tu mi ami? -. L’altro non si voltò neppure, doveva riuscire a darsi contegno, mai come in quel momento sarebbe stato difficile mentire: con quel diniego avrebbe messo fine ad un capitolo della sua esistenza però avrebbe probabilmente messo al sicuro una vita. – No – asserì, la recita gli riuscì benissimo, le parole gli uscirono quasi spavalde. 
- No tu me lo dici guardandomi negli occhi! – ordinò Lyn, la voce strozzata e un poco stridula, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di piangere malgrado stesse ingoiando le lacrime e le bruciasse la gola. Keeran era determinato a portare a termine la cosa perciò si voltò, la fissò negli occhi umidi e come sempre luminosissimi, e solo allora lei gli chiese – Liam, tu mi ami? -.
A Keeran ci volle tutta la sua forza d’animo, sei parole qualche sillaba e diciassette lettere che se però dette avrebbero strappato via un’intera parte della sua vita. – Io non ti ho mai amato -.
Lyn allora istintivamente gli sferrò un calcio all’inguine con quanta più forza aveva nelle gambe, si sentì puerile quando lo fece ma in quel momento non voleva altro che far assaggiare a Keeran anche solo un centesimo del dolore che lui le stava recando. Era conscia che non sarebbe servito a niente però era quel che meritava un mostro di tale categoria, perché una persona che parla a quel modo e che gioca con i sentimenti degli altri non può che esser chiamata altresì che bestia. Lyn se ne andò definitivamente marciando con passo imperterrito sull’erba umida di rugiada.
Keeran concluse l’atto, da terra le gridò – Bimba se cambi idea fammi uno squillo. Io sono sempre pronto -.
Nei dieci minuti successivi la ragazza prese il suo bagaglio e convinse il vecchio proprietario della pensione a portarla alla stazione più vicina. Ed anche se le dispiaceva un po’, non salutò neppure Adam e Fang perché chi sta con lo zoppo impara a zoppicare.
Keeran invece rimase per parecchio tempo sdraiato nel prato, esattamente dove era crollato dopo aver ricevuto il calcio di Lyn, l’impeto l’avrebbe portato a correre in casa e a dirle che era tutto falso che quella sera non aveva fatto altro che dire menzogne, invece rimase lì disteso nell’erba. Forse avrebbe potuto farlo davvero, avrebbe potuto prendere la ragazza scappare via e mandare al diavolo tesoro e lavoro. Eppure non lo fece, magari per carattere o forse perché doveva succedere così.
Stava lì supino a fissare le stelle, avrebbe tanto voluto essere una di loro, un freddo insensibile ammasso di gas e polveri. Invece no. Le stelle fissavano lui e le tribolazioni umane in generale, a migliaia di anni luce di distanza, non vi partecipavano e quelle poche volte che erano tirate in causa dall’uomo, era solo per essere ammirate. Non conoscevano problemi, angosce, passioni e tempo, forse però non conoscevano davvero nulla del mondo. Maledisse se stesso e quelle stelle che stavano lassù a fissarlo, le maledisse perché erano troppo belle o forse perché troppo lontane. Lontane come d’altronde tutto nella sua vita.
Keeran sentì il rumore d’un motore, quello del pick-up dello slovacco che si allontanava nella campagna, era sicuro che su quell’auto ci fosse Lyn. Si morse il labbro finché non sentì il dolciastro sapore del sangue invadergli la bocca, poi finalmente si alzò, prese le bottiglie e ritornò in casa. La moglie del proprietario, sebbene il cameratismo femminile non esista in natura, lo seguì con sguardo acido; Fang invece non commentò, almeno non direttamente, ricominciò a suonare la sua chitarra, quel che eseguiva era un pezzo degli Oasis, Champagne Supernova. A Keeran il testo ricordava un po’ la sua vita e quel che era appena successo. How many special people change, how many life living strange…
Infondo Fang ed il suo giradischi non facevano altro che suonare sempre la colonna sonora della sua esistenza. 

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Capitolo 16
*** About Money ***


Nei giorni successivi, tutti passati nella Repubblica Slovacca, Keeran tornò in sé, riprese a lavorare senza sosta sulle piccole pergamene che avevano trovato a Vienna e riuscì persino ad escogitare un piano per riavvicinarsi a Lyn a missione conclusa. Aveva capito che prima finivano e prima sarebbe potuto tornare da lei. Tornare da lei, sì, quello era il pensiero morboso che lo attanagliava, ormai scandiva la sua vita.
Certo non sarebbe stato facile dopo tutte le carognate che le aveva detto, però Keeran era riuscito a ritrovare il suo equilibrio ora che si era fatto meglio il quadro della situazione.
E proprio per trovare celermente una risposta all’indizio aveva stabilito che per minimo quattro ore al giorno tutti si sarebbero dovuti riunire insieme per trovare presto delle idee. Fu così che dopo due giorni di carcere, almeno così le definiva Fang le sedute, trovarono uno sbocco dopo innumerevoli vicoli chiusi.
Cominciò tutto come al solito, verso le tre del pomeriggio si riunirono in circolo con al centro un tavolino, le pergamene tenute dentro una busta erano posizionate al centro di esso a mo’ di reliquia. – Ciao, mi chiamo Daniel, ho trent’anni e sono sei mesi che non tocco una goccia d’alcol – esordì Fang ironicamente, Keeran rise – Ciao Daniel, benvenuto all’AAA… Dicci cosa ti frulla in testa? -.
Fang prese in mano la busta e si sforzò di pensare a qualcosa che non fosse la libertà al di fuori di quelle quattro mura o alle belle ragazze locali. Quelli che metteva a fuoco erano puntini e linee messi  in modo del tutto casuale, uno scarabocchio fatto durante una telefonata; negli ultimi giorni avevano pensato a tutto e di più, ormai gli sembrava d’aver partorito ogni ipotesi possibile ed immaginabile, poi però gli scattò una molla, il suo cervello fece qualche strana sinapsi e parve tutto chiaro, si sentiva un po’ come Tom Hanks nel Codice da Vinci. – Sono stelle – asserì tranquillo sventolando davanti al naso di Keeran la busta.
- Sì certo… Chi è il tuo pusher? – domandò sarcastico. 
Fang non si scomodò neppure a rispondere, prese un block notes e con una matita ricopiò i puntini centrali che c’erano sulla pergamena,  poi li unì e abbastanza pomposamente sbatté l’immagine in faccia ad Austin che infine lo prese a sua volta – Ok, non ho neppure idea da che lato bisogni guardarlo però se sei sicuro. E come si chiamerebbe codesta costellazione? – chiese ancora abbastanza incerto. Fang mise la sedia su due gambe e tenendola come suo solito in bilico cominciò a giocare con una sigaretta: - Il cinquanta per cento del mio cervello è occupato da testi di canzoni anni Settanta, non c’è più spazio per altra roba. Però sono certo che esista, non chiedermi il nome, ma c’è -.
Adam che fino a quell’istante era rimasto zitto prese il disegno sul foglio ed aggiunse – Lo scannerizzo per vedere cosa salta fuori da Internet -. Fang insieme a Keeran uscì dalla camera d’albergo in cui alloggiavano, - L’hai inventato solo per poter uscire? – chiese il secondo ad un certo punto, Fang gli diede un’occhiata di sbieco – Forse sì, forse no. So solo che ho una pazza voglia di qualcosa di ghiacciato; probabilmente se fossi stato ancora mezz’ora in quella stanza avrei rischiato d’ucciderti per una birra o un cono gelato -.
- Buon per me allora – replicò Keeran, in effetti una siesta ci voleva proprio a quell’ora del pomeriggio, - Emh, mi stavo scordando: quando l’altra sera ho parlato con Clayton mi ha detto di riferirti che sei stato promosso a capo della sezione – informò gioviale, a Fang aveva raccontato celermente di Matthews ma si era completamente scordato del fatto che l’amico fosse avanzato di grado.
Fang non sembrò farsi prendere dalla cosa, poi però dopo un paio di secondi esclamò – Finalmente! Non vedo l’ora di stringere… -
Keeran però lo precedette – La mano del presidente? Non è poi così gran cosa sai – asserì non curante.
Fang corrugò la fronte – Ma che vuoi che me ne freghi del presidente! Io non vedo l’ora di stringere tra le mani il volante della McLaren Slr, 334 km/h e fa i cento in meno di quattro secondi, questa è roba da pazzi! – esclamò su di giri.  
- Io in quattro anni l’avrò guidata si e no tre volte… - constatò Keeran, gli piacevano i bolidi ma guidarli in strada per lui era uno spreco.
– Be’, solo quell’auto ripaga di anni di soprusi da parte di Clayton – ammise Fang, lui era uno che andava letteralmente matto per l’alta velocità.
Scesero in strada e si diressero verso l’unico bar di quel paesino sperduto che avevano scelto come meta, il cui impronunciabile nome era Chvojnikkva, infondo però con un’ estate così torrida ogni locale faceva buono. Soprattutto se…- Offri tu Liam questa volta – disse Fang varcando la soglia del pub, Keeran alzò gli occhi al cielo e replicò – Sai che novità -.
 
Non passò nemmeno mezz’ora che pure Adam li raggiunse al bar, ma con tutt’altra intenzione che il bere qualcosa. S’appoggiò ad uno sgabello stringendo in mano un foglio fresco ancora di stampa, - Den, den, den, abbiamo un vincitore! – esclamò schiaffandolo sul bancone – Avevi ragione Daniel, quella sulla pergamena era una bella costellazione, e non il frutto della tua pazzia – disse sorridendo, si vedeva lontano un miglio che era molto soddisfatto, conteneva a malapena la gioia.
Fang diede un’occhiata molto eloquente a Keeran
Come volevasi dimostrare
- Davvero un buon lavoro – convenne Keeran anche lui compiaciuto dall’ottimo e celere risvolto di quell’indizio, quindi volle sapere un po’ cosa avrebbero dovuto affrontare quella volta – Su che aspetti, dicci un po’! – proseguì, intanto ordinò dell’acqua tonica per Adam che era rigorosamente astemio.
- Allora – esordì il ragazzo, una punta d’orgoglio gli fremeva nella voce; Keeran lo osservò divertito: Adam manteneva sempre quell’aria un po’ da bambino al primo giorno di scuola, leggermente timoroso e teso, però sempre eccitato da un successo.
Sono ragazzi… 
- Dan sul foglio ha individuato una sola costellazione, Cefeo, io ne ho trovate altre cinque. Noi avevamo un solo disegno che era Cefeo e tanti puntini, ora: la costellazione di Cefeo è stata disegnata con un altro inchiostro, diverso da quello dei puntini, è stata fatta dopo! – esclamò Adam, ma subito si accorse che gli altri due non avevano ben capito, quindi cercò di spiegarsi meglio – E’ come quel gioco d’enigmistica in cui si devono unire i puntini, né più né meno. Qualcuno dopo aver avuto la pergamena ha tracciato Cefeo, io mi sono accorto dopo che anche gli altri puntini si potevano unire a far formare nuove costellazioni: Dragone, Cassiopea, Lucertola, parte di Cigno e dell’Orsa minore – disse concitato. A Keeran parve strano che non si fossero accorti prima di tutti quei puntini, lui li aveva pure contati e non sarebbero mai stati abbastanza per formare così tante costellazioni, - Come mai tutto a un tratto saltano fuori così tanti puntini? – domandò alquanto perplesso.
Adam si storse le mani nervoso – Ecco io quando ho ingrandito la pergamena al computer, be’ non avevo zoomato abbastanza perché non avevo voglia di andare a scaricare un programma che non avevo e così alcuni puntini mancavano all’appello. Oggi invece l’ho fatto, li ho uniti come ha fatto Dan con Cefeo ed ho capito che quella è una mappa stellare, certo non fatta da un astrologo e molto primitiva, però una mappa stellare -, parlava sommessamente e ogni particella del suo essere sembrava stesse chiedendo scusa per la propria negligenza.
Keeran non ci fece caso, era abituato a lavorare con Adam e quella era la prima volta in due anni che non aveva dato il cento per cento; lui sapeva già cosa avrebbero potuto fare con quella mappa però lo chiese comunque, tanto per rifondere un po’ d’orgoglio al ragazzo. – Quindi a noi cosa serve una mappa stellare? -.
- Be’ è utilissima, probabilmente è stata tracciata dal posto in cui dobbiamo andare, io posso calcolare l’esatta ubicazione. Però – fece una pausa, quello era stato un vero colpo di genio – bisogna calcolare che negli ultimi dodici secoli i corpi celesti si sono spostati. Se non lo facessi rischieremmo di sbagliare anche di un migliaio di chilometri -, finalmente si sedette sullo sgabello e soggiunse concludendo – Preparate i bagagli, domani a quest’ora il computer avrà finito di calcolare e noi saremo in viaggio! -.
 
 
Ad Ürümqi la notte era del colore della pece e allo stesso tempo luminosissima: guardare il cielo era come sporgersi su d’un pozzo chilometrico sul cui fondo era incastonati migliaia di migliaia di stelle fulgide come diamanti, da perderne il conto. La notte in mezzo al deserto era qualcosa di straordinario, da far sfigurare le nostre tenebre di città che non sono nemmeno degne, al confronto, d’esser chiamate notte; perché là si guarda il cielo a naso in su e ci si sente piccoli davanti ad una tale vastità, perché l’occhio cerca di spingersi dove non può andare e allora interviene la mente a fare domande di come mai ci sia tanta magnificenza nel lontano cielo ed invece così tanta la miseria nella vicina e più battuta Terra. Oppure magari nel sorriso enigmatico della Luna si poteva celare ben più d’una domanda, anzi magari si poteva cercare una risposta di qualcosa che manca e che comunque si sente vicino. Nel cielo del deserto ardente di fiaccole, da millenni sempre si riversavano i pensieri e le speranze migliori o peggiori dell’uomo.
Jabbar invece non ci vedeva nulla nel nero vellutato della notte, lui che era cresciuto nel deserto trovava che quelli fossero pensieri inutili a cui anelavano solo gli stolti ed i sognatori. Lui con la testa stava al presente e della silenziosa Luna non gli importava niente, tanto più che quella come i suoi stolidi osservatori, non combinava mai niente che non fosse l’alzarsi mentre si facevano più insistenti le tenebre per poi scomparire effimera al primo albore.
Che fai lì perdigiorno se non servi a nulla?
Questa volta un pensiero, anche se nefasto, l’incolpevole e casta Luna glielo era riuscito a strappare. Si concentrò di nuovo. Con gesto fluido da dietro le reni estrasse una nove millimetri, alla canna vi appoggiò un silenziatore per poi farlo scorrere ed infine fissarlo; proseguì con passò felpato lungo il corridoio, sapeva a memoria la strada che doveva fare. Si muoveva come se non fosse stato corporeo, un’ombra tra le tante, negli anni aveva acquisito una caratteristica che avevano molti nel ramo del suo mestiere; una persona avrebbe potuto passargli accanto senza neppure accorgersi della sua presenza.
Mentalmente contò le porte che stava sorpassando, la quarta era quella giusta. Purtroppo quell’antiquato albergo non era dotato di serratura elettronica bensì la porta era ancora dotata di chiave e toppa, ovviamente arrugginita ed impossibile d’aprire senza fare un gran baccano. Ma nemmeno quello era un problema per Jabbar, gli sarebbe piaciuto svegliare e magari scorgere il terrore negli occhi della sua vittima, in quegli occhi che quasi sicuramente non ne avevano mai provato; decise comunque che per una certa professionalità non avrebbe acceso la luce.
Inserì la chiave e con un veloce movimento del polso fece scattare la serratura, nello stesso istante spalancò la porta che inesorabilmente cigolò. Come si era aspettato l’inquilino della camera si svegliò subitaneamente e di soprassalto, ma non abbastanza veloce, sicuramente più lento dell’indice di Jabbar che premette il grilletto più volte, tutti i colpi andarono a segno e la vittima non poté far altro che sussultare nel letto negli ultimi spasmi di vita. Jabbar ripose l’arma nella custodia di cuoio, l’uomo appena freddato l’aveva ammaliato con i suoi modi di fare, si era però concesso troppe libertà e poi quella sua maledetta lingua tagliente più d’un rasoio… Adesso avrebbe avuto lui l’ultima parola, quella definitiva, quindi  disse al morto – Mai fidarsi d’un armeno Mr. Poole -.
 
Keeran scendendo dal pullman fu accecato dalla luce del sole, per tutto il viaggio aveva dormito malgrado la fastidiosa presenza di pollame e di una capra sulla corriera che li aveva portati all’ultimo decente baluardo di civiltà presente a margini del deserto del Taklamakan, circa duecento settanta chilometri quadrati di sabbia, sassi e poco altro. Taklamakan tradotto voleva dire letteralmente: se ci vai, non torni più. L’inizio non era certo dei migliori. 
Ora l’intensità della luce era quasi insopportabile, il riverbero che creava sul suolo peggio d’una torcia puntata negli occhi. Aveva ben altri problemi, e certamente c’era chi stava peggio di lui, cioè Fang. L’amico come gli dettava la natura del suo carattere, era riuscito a fare conoscenza persino durante il viaggio, dove due donne gli avevano gentilmente offerto una strana pietanza; Fang era stato l’unico ad accettare ed ora era più di un’ora che dava di stomaco con la regolarità d’un bulimico. Keeran gli si avvicinò – Come va? – domandò dandogli una pacca sulla spalla, Fang che era piegato in due alzò il pollice e mormorò – Fidati – poi soggiunse – Vuoi i mie occhiali da sole, vero? –
- Esatto – ammise Keeran sfilando dai pantaloni di Fang i Rayban che lui portava sempre con sé, poi gli disse – Mamma non t’ha mai detto di non accettare il cibo dagli sconosciuti? -.
- Sai è un frase un po’ infelice da dire a un orfano – mormorò Fang raddrizzandosi, mani dietro la schiena, il volto che aveva preso una striatura leggermente verdognola.
– Sì, in effetti – convenne Austin guardando all’orizzonte, la corriera li aveva proprio lasciati alle porte Mazartag una minuscola oasi nel cuore, poco pulsante, del deserto.
- Credi di riuscire a muoverti? – domandò Keeran a Fang che corrugò per un istante la fronte e gli fece segno con la mano d’aspettare, poi fu preso nuovamente dai conati. Appena si fu ripreso Fang proseguì chiedendo – Dicevi? -.
- Dio mio, ormai avresti dovuto sputar fuori persino l’anima! – esclamò Keeran tutt’altro che turbato.
- Boh quella non so. Però sono sicuro d’aver perso un rene o qualcosa del genere…Dov’è finito Adam? -. Fang si stava guardando intorno, ma del ragazzo non c’era traccia; ci mancava solo che si fosse perso.
Keeran si asciugò la fronte grondante di sudore – Credo che sia dietro ad una di quelle rocce a vomitare pure lui -, notò il punto interrogativo che si formò sulla faccia di Fang, quindi soggiunse – Non sopporta la vista di quella robaccia -.
- Emh, meno male che prima di diventare hacker si era iscritto a medicina! Certo che è dotato d’una tempra quel ragazzo! – esclamò ironicamente Fang, poi proseguì cambiando discorso – Dovremmo raggiungere l’oasi, affittiamo un mezzo prima che faccia buio e poi domani mattina iniziamo subito a lavorare. Su andiamo -, prese il suo zaino e cominciò ad avviarsi insieme a Keeran verso Mazartag.  
- Diamo un urlo ad Adam? – domandò maliziosamente Keeran
- Naaah, voglio vedere quanto tempo ci mette ad accorgersi che ce ne siamo andati e a che velocità riesce a correre quel piccoletto… A proposito, gli hai detto che vicino alle rocce all’ombra stanno i serpenti? -
- Credo di essermene dimenticato. Peccato. Sarà per la prossima volta! –
– Siamo un tantino maligni. Mi piace – commentò Fang, lo sguardo rivolto all’oasi che mano a mano si avvicinavano cominciava a prender forma.
Quando superarono le labili mura composte da fango e sacchi di sabbia, furono letteralmente sommersi dall’atmosfera che regnava in quel luogo: tutto in quel mezzo chilometro quadrato traspirava vita, suoni, colori dalle tinte sgargianti e l’aria era completamente pervasa da mille profumi ed essenze, più o meno gradite all’olfatto.
Keeran era già stato in un’oasi, in quella di Kerzas in Algeria, e come allora gli sembrò davvero molto strano passare da un’area totalmente disabitata ad una che sprizzasse energia in tale maniera; superate le mura pareva di essere sulla soglia di due universi essenzialmente diversi e distanti anni luce, eppure così vicini tra loro. L’amico che quella volta gli aveva fatto da guida nel Sahara gli aveva detto che era proprio quella la magia del deserto: due mondi paralleli che si contrastano ma che alla fine sono uniti da uno stesso destino.  
Keeran smise di vaneggiare col pensiero e cominciò con gli occhi, in ogni buona oasi che si potesse chiamare con tale nome c’era per forza qualcuno pronto ad affittare un mezzo di trasporto, scadente, ma pur sempre con quattro ruote.
- Vedi qualcosa di buono? – domandò a Fang, ormai si stavano spingendo al di fuori del centro dell’oasi. – Sì, laggiù – disse facendo segno con la testa verso destra, poi aggiunse chiedendo – Che lingua parleranno? -
- Ma quella universale, quella con su stampato il bel faccione di George Washington -. Si avvicinarono ad un gruppetto, seduti sotto ad una specie di sgangherato gazebo per ripararsi dal sole. Keeran notò la loro età, il più grande non arrivava ai venti, ma soprattutto lo colpirono le loro espressioni: tutte uguali, tutte con su stampate un finto sorriso, pronti ad accogliere il solito turista.
Keeran indicò subito il pick-up Toyota su cui era poggiato uno, voleva quello perché sapeva che genere di mezzo fosse, uno di quelli indistruttibile e che non si fermano mai. Fatti ancora di solida lamiera e non una versione ingigantita delle macchinine Hotwheels che ormai si producevano. Il più piccolo dei ragazzini si alzò svelto e corse nella casupola di mattoni che stava dietro al gazebo, da lì a poco rispuntò seguito da un uomo sulla cinquantina, un tipo ben pasciuto che al contrario dei ragazzetti aveva imparato bene l’arte del falso sorriso. Stranamente parlava pure qualche parola d’inglese, arrugginito ed inceppato ma abbastanza buono – Toyota… Per quanti giorni lo volete? -. Keeran fece subito segno con le dita: l’avrebbero affittato per tre giorni, un tempo che gli pareva più che ragionevole per trovare il tesoro. Poi chiese – Quanto vuoi? -, stava già tirando fuori una mazzetta di dollari quando però l’uomo intervenne – No dollari, non posso cambiare. Orologio e occhiali -. Keeran però prima di sfilarsi l’Omega che teneva al polso ed i Rayban, disse a Fang – Fammi un favore: controlla le sospensioni e un po’ tutto il resto -.
 
Keeran fece il pieno al Toyota, sarebbe stato un incredibile smacco il rimanere senza benzina nel pieno del deserto e per di più a poche miglia dal raggiungere la conclusione di quell’incredibile epopea. Sul retro del pick-up avevano messo un po’ di tutto: rifornimento d’acqua per tre giorni, mute e bombole da sub, Keeran da Adam si era fatto persino portare imbracature e strumenti per scalata; questa volta sarebbe stato improbabile trovarsi impreparati a qualsiasi evenienza.
Pagata la benzina e prese di riserva un paio di taniche, salì sul Toyota e lo portò fino ai margini dell’oasi, non erano ancora le sei del mattino eppure Mazartag brulicava di vita: i negozietti e le botteghe avevano alzato la saracinesca già da un pezzo, il vociare dei mercanti da attento e brusio qual’era stato si stava trasformando lentamente nella consueta baraonda.   
Come al solito appena uscì dalle mura gli sembrò d’esser stato inghiottito in una dimensione parallela, una palla di fuoco appena visibile stava facendo la sua comparsa ad oriente dando l’impressione d’incendiare le dune di sabbia fine e parte delle abitazioni. Nel cielo limpido in cui si stagliavano quasi trasparenti lembi di nuvole e cirri d’oro ancora qualche sella solitaria si attardava prima di scomparire.
A Keeran sembrava il principio d’una giornata perfetta, l’aria per il momento non era né pesante né umida, e se avessero ben sfruttato le prime ore di luce forse avrebbero anche potuto evitare il gran caldo, il vero e proprio mezzo giorno di fuoco. Stava riflettendo su questi fattori atmosferici quando s’accorse che mancava qualcosa d’essenziale, anzi qualcuno. Al suo fianco stava soltanto Adam, a cui chiese – Dov’è  andato Dan? -. Il ragazzo si strinse nelle spalle – Mi aveva detto che doveva fare una cosa. Non so che gli sia saltato in mente -.
Non dovettero aspettare molto per avere una risposta più recisa, quando Keeran si girò verso l’oasi distante non più di duecento metri cominciò ad intravedere un gran sollevamento di polvere creato certamente da un mezzo, all’inizio non ci fece caso, poi però quando vide apparire un puntolino impazzito che continuava a zigzagare ad una velocità folle per un terreno così accidentato, capì chi doveva esserne lo svitato conducente. La motocicletta sotto forma di confusa macchia bianca passò loro di fianco come una saetta, poi Fang la fece rallentare e compì un inversione ad U. Quando si fermò era ancora avvolto da un fitto polverone di cui era completamente ricoperto, sollevò gli occhiali protettivi e li mise sul casco, - Bella vero? – chiese mettendo il cavalletto. Adam tossicchiando disse – E’ una motocicletta, allora? -.  
Keeran sapeva che quella per Fang non era soltanto una semplice motocicletta, - E’ la Yamaha XT 250, non è così? – chiese un po’ sorpreso di vederne ancora in circolazione, quella era un modello abbastanza vecchio, aveva come minimo più di vent’anni.
- Sì esatto. Non è incredibile? E’ identica a quella che avevo io da ragazzo! Bianca e viola! – esclamò battendo sul serbatoio, poi vedendo lo sguardo interrogativo di Keeran soggiunse – L’ho comprata dallo stesso tipo del Toyota. Non l’ho pagata niente perché non funzionava, poi ci ho messo su io le mani ed ora è come nuova. Mamma mia ti ricordi ne abbiamo fatte con questa? L’avevamo ridotta ad un rottame, e poi il suo funerale! – disse concitato, un ampio sorrisogli apparve sul volto. Adam domandò sempre più confuso da quelle insanie – Avete fatto il funerale ad una Yamaha? -
Keeran che stava osservando per bene la motocicletta gli rispose – Certo! Suo padre un mattino aveva giurato che avrebbe preso la Yamaha e che l’avrebbe portata a far rottamare, così siamo subito partiti: da Pittsburgh a Washington DC in tre ore e mezza, poi l’abbiamo lanciata a tutta velocità nel Potomac. Un funerale con i fiocchi per una grande motocicletta – convenne a sua volta dando una pacca vigorosa sul serbatoio colmo di benzina.
- Voi eravate completamente fumati! – esclamò Adam, quella era la prova che i due erano nati matti e non lo erano diventati.
Fang si mise a ridere – Non quanto quei poliziotti che la trovarono… Devi sapere che circa sei mesi dopo nel Potomac fu ritrovato, proprio accanto alla mia motocicletta, il cadavere irriconoscibile d’un giovane, povero disgraziato – fece una pausa - Ebbene gli sbirri risalirono al proprietario del mezzo grazie alla targa, e quindi si presentarono ai miei genitori facendo loro le debite condoglianze e dicendogli che il loro figlio maggiore era morto in un terribile regolamento di conti – disse tra il riso, quella storia dopo tanti anni riusciva ancora a farlo sorridere. – Sai che smacco i vecchi quando hanno scoperto che non si erano liberati di me per davvero?! -
Adam incredulo scrollò le spalle – Dopo questo aneddoto rettifico: voi siete matti; ed ora faremmo meglio a partire dato che il sole si sta alzando in cielo -.
Effettivamente avevano già perso troppo tempo in chiacchiere; Keeran sul Toyota salì al posto di guida mentre Adam gli avrebbe dettato il percorso che aveva elaborato al computer nei giorni precedenti.
- Dimmi un po’ – fece Keeran curioso – Come mai ci hai messo così poco a calcolare il percorso usando soltanto un portatile? -. Adam non alzò nemmeno lo sguardo dalla cartina che teneva sulle ginocchia, non dovevano sbagliare la strada, cosa abbastanza complicata in un deserto dove non ne esistono, - Una sola sigla: NASA -.
- L’hacker perde il pelo ma non il vizio! – esclamò scompigliando i capelli al ragazzo, poi soggiunse – Ne farai di strada Pulcino, vedrai un giorno sarai meglio di me e Dan messi insieme -.
 
Le rosee speranze di Keeran furono subito stroncate, erano le due del pomeriggio e faceva un caldo d’inferno, era come stare in una fornace industriale ed intanto bere del tè fumante. Il pick-up neanche a dirlo, non era dotato di aria condizionata e la prima tanica d’acqua da cinque litri se n’era andata già da un bel pezzo.
Quel che potevano vedere era solo e soltanto sabbia, gigantesche onde di sabbia che sopra le loro teste erano come montagne irraggiungibili. Da più di mezz’ora Adam stava ripetendo la stessa frase: siamo vicini, alternato ad un speranzoso ci siamo. Stavano perlustrando i cinque chilometri in cui avrebbe dovuto esserci non si sa cosa, ma almeno qualcosa; l’unico che si divertiva come un matto era Fang che nel greto d’un fiume ormai morto continuava a compiere evoluzioni ed impennate sulla Yamaha. Lui però sosteneva con fervore di star adempiendo un compito fondamentale per la riuscita della missione.
- Dovremmo dare uno occhiata dall’alto – propose Keeran, vedendo però che non c’erano volontari e che neppure lo sfruttatissimo Adam aveva la benché minima idea d’abbandonare l’esile riparo fornito dal Toyota, dovette scendere ed arrampicarsi, se così si può dire, su di una gigantesca duna che si ergeva imponente a poche centinaia di metri da loro. Salire non fu affatto facile, si affondava nella sabbia fino al polpaccio e per tirarsi fuori si faceva notevole fatica; però quando finalmente fu in cima alla duna, non poté non pensare che tutto quel sudore fosse il meglio speso di tutta la sua vita. Una volta tanto poi non si fece impressionare dalla vista incredibile: tutta una serie di dune più piccole che scendevano degradando fino in un bassopiano circondato per metà da pareti verticali, un canyon nel pieno del deserto del Taklamakan, che certamente non avrebbero notato se fossero soltanto passati di fianco alle dune per evitare un percorso che sarebbe stato impossibile fare con fuoristrada o motocicletta.
Quel che notò Keeran però era la minuscola macchietta verde che stava a ridosso della parete più occidentale. Si voltò e messe le mani a coppa davanti la bocca gridò: - Dan muovi le chiappe e vieni un po’ qui a vedere! E tu Adam comincia a portare qui mute da sub e bombole, ho idea che ci serviranno -. Passati altri dieci minuti impiegati da Fang per l’estenuante salita, Keeran poté domandargli – La vedi pure tu? -.
Fang ansimò un attimo poi guardando verso ovest rispose – Sì c’è un’oasi. Potrebbe essere il posto che cerchiamo, infondo è nella posizione giusta – osservò convinto, poi però soggiunse ammirando strabiliato l’altezza a cui erano e quella distesa immensa che si stendeva infinita sotto i loro piedi, - Aspetta un po’… -. Fang si mise proprio su quello che pensava essere il cucuzzolo più alto ed estremo della duna – Sono il re del mondo! – gridò con quanta più voce aveva e levando le braccia al cielo. 
Keeran alzò un sopracciglio – E’ una battuta troppo inflazionata e non sembri affatto DiCaprio – commentò scettico; intanto Adam li stava piano piano raggiungendo.
- Be’ neppure tu sei Kate Winslet. Mi dispiace dirtelo: non hai le sue stesse curve – replicò Fang con ironia, poi però aggiunse – Questa ti piacerà di più -. Si fece scivolare fino dove era Adam, che ormai un tantino ansante li aveva raggiunti; avvolse il ragazzo da dietro una spalla con un braccio e stendendo solenne la mano libera sul paesaggio disse – Tutto ciò che vedi un giorno sarà tuo! -.
Adam scrollò le spalle un po’ confuso – Ah, bene… mi costerà un occhio nella testa di Ici. Però bene! – esclamò strizzando gli occhi allucinati dall’intensissima luce, poi però proseguì – Se non vogliamo finire cotti come aragoste, direi di raggiungere il prima possibile l’oasi, disterà da qui poco più di due chilometri -.
- Ha ragione dovremmo sbrigarci – convenne Keeran, poi detto questo si lasciò cadere e cominciò a scivolare giù dalla duna, in breve fu con i piedi per terra, trecento metri in venti secondi. Adam lo imitò e persino Fang che era alquanto diffidente del buttarsi da tale altezza si lasciò trasportare un po’ atterrito dalla forza di gravità; appena toccò qualcosa di solido però cominciò a correre a perdifiato e lanciò la sfida – Cinquanta verdoni che arrivo prima io! Due chilometri me li faccio in un secondo -. L’unico ad accettare la scommessa fu Keeran.
Sette chilometri dopo erano entrambi piegati in due dalla stanchezza e dal sole. – Due chilometri? Io giuro che l’ammazzo! – ansimò Fang che si trovava in un bagno di sudore, Keeran aggiunse – Io scavo la fossa -, poi si abbandonò per terra a riprender un po’ di fiato. Solamente dopo un’eternità di tempo giunse molto tranquillamente Adam – Va’ che bei levrieri! Siete davvero in forma ragazzi! – esclamò divertito nel vederli stanchi morti, una volta tanto si era vendicato di anni di sevizie.     
- La carogna… per un innocente scherzo con degli scorpioni! Ti possa venire la pancreatite acuta! – esclamò Fang alzando soltanto la testa per poi rilasciarla cadere con un tonfo sulla sabbia, poi soggiunse rivolto a Keeran – E te fuori il grano che comunque ho vinto io -

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Capitolo 17
*** By The Way ***


Era incredibile come dalla polvere potesse sorgere una tale meraviglia, malgrado non fosse molto grande l’oasi sembrava un pezzetto di Paradiso trapiantato in Terra per lenire le fatiche che l’attraversare un deserto comportava. Persino loro che non avevano troppo patito la calura perché si era portati appresso una buona riserva d’acqua, non poterono fare a meno di gettarsi nella sorgente che scaturiva dal terreno e che generava persino qualche solitaria cascatella. Si rilassarono un poco all’ombra delle palme, consci che quello era il pezzo finale d’un intricato puzzle ed ebbri dell’euforia che soltanto poteva far nascere una vittoria; ognuno a modo suo era contento per motivi similari ma pur sempre molto differenti: Adam non vedeva di tornarsene a casa per vivere la sua normale routine, fiero d’aver portato a termine un’ardua missione per cui per la prima volta era stato davvero fondamentale, ora era considerato un uomo a tutti gli effetti;  
Keeran era trascinato dalla sua consueta ed irrefrenabile curiosità per tutto ciò che era nuovo e avvolto nel mistero, ma poi, soprattutto, non vedeva l’ora di andare a Taipei e riconquistare Lyn; Fang invece, be’ era Fang, sempre felice ed elettrizzato da qualsiasi genere cosa, questa volta però anche lui era ammaliato dal passare un po’di tempo in totale serenità.     
Si alzarono poco prima dell’imbrunire, Keeran sapeva già dove cercare: nella risorgiva, prima di farsi cullare pure lui dalla spossatezza aveva fatto un piccolo giro di ricognizione ed era persuaso di quanto aveva visto. Ora dovevano soltanto organizzarsi un secondo, perciò esordì
– Potremmo provare anche ad andare senza bombole, in libertà di movimento ci guadagneremmo parecchio, però non sono sicuro che tu Adam abbia abbastanza fiato per farcela per più di cinquanta metri. E’ un fattore prettamente fisiologico: hai i polmoni con una portata minore della nostra – Keeran immediatamente però s’avvide dello sguardo del ragazzo, gli occhi dardeggianti d’orgoglio, non voleva e non sarebbe stato da meno degli altri due, quindi si affrettò ad aggiungere – Però se tu vuoi provare non sarò certamente io a frenarti… Ok, mi sembra tutto a posto, infiliamo le mute visto che l’acqua non è molto calda e poi andiamo -. 
Non ci volle molto per mettere le mute dato che erano di quelle umide, quindi facili da infilare, l’unico a lamentarsi imprecando e ad avere mille problemi era sempre Fang che reclamò l’aiuto del suo schiavo preferito. 
Adam pazientemente andò a chiudergli la lampo sulla schiena e notò il gran numero di disegni che l’adornavano, guardandoli rabbrividì all’idea di farsene anche soltanto uno, non sopportava molto bene il dolore.
Fang se ne accorse – Non è così terribile. Se lo fai per ricordare qualcosa d’importante il male non lo senti neppure… spesso è peggio il dolore di ciò che ricordi che l’inchiostro nella carne –  spiegò chiudendosi da solo l’ultima parte di zip. Adam rimase abbastanza stupito dalla marea di cose che Fang doveva ricordarsi e soprattutto della strana forma sotto cui le metteva: una tigre sulla spalla che stava retta su di uno scoglio; un giglio di cui le foglie pareva possibile toccarle a lato del costato; un versetto di Bibbia che recitava I’ll wipe yout tears away; lo spartito di Imagine. L’unico tatuaggio il cui messaggio era inequivocabile era una grossa croce celtica che gli correva lungo tutta la schiena, lettere incise in quella roccia di carne e inchiostro: In holy memory of my Sean Austin.
Adam stava ancora divagando con il pensiero sui tatuaggi di Fang quando facendo un paio di passi nell’oasi gli parve d’intravedere una frattura nella roccia seminascosta dai rovi d’un cespuglio, stava per andare a dare uno sguardo più approfondito quando però si sentì in lontananza chiamare da Keeran – Adam, vieni qui che ti devo dare una cosa, è importante sbrigati! -. Ormai aveva imparato ad obbedire immediatamente agli ordini di Keeran, perché se diceva che era importante, allora voleva dire che era vero. Era già scuro, la spaccatura che aveva notato probabilmente non era niente; subito la dimenticò. 
Keeran aveva fatto bene a suggerire d’indossare le mute, l’acqua che a primo achito era sembrata tiepida e piacevole, già scendendo di qualche metro aveva perso molti gradi di temperatura.
Keeran sollevando lo sguardo s’accorse di quanto fossero imponenti i muri di roccia rossastra cui era costretto sfiorare talmente era stretti, cercava capire quale potesse essere il suo limite, non tanto per se stesso quanto più per Adam: aveva paura che il ragazzo, malgrado il monito di tornare indietro se si fosse accorto di non aver abbastanza fiato, superasse per stupidaggine una soglia troppo labile e da cui era difficile tornare indietro; così di tanto in tanto gettava una furtiva occhiata all’indietro per sincerarsi della sua condizione.  
Quel mondo sottomarino era tutt’altro che monotono, anche se le rocce era sempre dello stesso color sanguigna non smettevano mai di mutare nella forma, prima lisce e levigate, poi aguzze e sporgenti, al che ringraziò di non essersi portato dietro le bombole che sarebbero state soltanto d’impiccio. Ciò che lo stupì maggiormente però fu lo scorgere nel raggio della torcia un’infinità di coralli che vivevano in quel posto così angusto, oppure l’intravedere un pesce cieco guizzargli vicino alla gamba senza quasi accorgersi della presenza di uno sconosciuto extraterrestre che aveva violato le sue acque vergini. Keeran aveva quasi deciso di tornare indietro, d’aria lui ne aveva ancora come pure Fang che nuotava placidamente dietro lui senza sforzo alcuno, ma non certo Adam. Poi però alzando nuovamente lo sguardo notò che  proprio sulle loro teste stava un’apertura o al massimo alla peggio una sacca d’aria. Con la torcia fece cenno agli altri due di salire.
Come aveva ipotizzato Keeran, quella in cui erano capitati era proprio una bolla d’aria, non molto grande ma abbastanza da fornire ossigeno per ossigeno per tutti e tre. Appena ebbero messo la testa fuori dall’acqua fu palese come Adam avesse scioccamente tenuto il fiato per troppo tempo, così per non assoggettarlo troppo Keeran si mise ad ansimare a sua volta, seguito a ruota da Fang che però non aveva ben afferrato.     
- Io provo ad andare giù ancora e vedere se dista molto ancora lo sbocco di questo tunnel, se così fosse torneremo indietro a prendere le nostre bombole -, dopo aver detto questo Keeran sparì nuovamente sotto il pelo dell’acqua. Questa volta non ci mise molto a capire che l’uscita era quanto mai vicina, dopo circa sessanta metri ed una volta a destra cominciò ad intravedere un leggero schiarimento delle acque appena percettibile, il che un po’ lo intimorì, in una grotta sotterranea come faceva ad esserci luce? Poi però quando iniziò l’ascesa si tranquillizzò, anche attraverso l’acqua turbinosa riusciva a capire che nella volta c’era un’apertura, una sorta di lucernario naturale. Non c’era nulla da temere.   
Fugace prese una boccata d’aria a pieni polmoni, poi tornò sotto per andare a riferire la buona nuova. Non molto tempo dopo era riuscito a andare e tornare insieme ad Adam e Fang.
Keeran ora poté guardarsi intorno un po’ più accuratamente, avrebbero fatto bene ad approfittare della luce di fiamma che s’irradiava dal lucernario prima che calasse totalmente il sole e che li lasciasse soli con la torcia. Quella in cui si trovavano era una grotta naturale di dimensioni ciclopiche: la volta sulle loro teste era almeno alta una trentina di metri, fatta sempre di quella roccia che sembrava fosse stata imbevuta di sangue. Le pareti porose ad altezza d’uomo erano state incise per andare a creare come delle mangiatoie sopraelevate che correvano per metri e metri tanto che non se ne poteva scorgere la fine, e dentro stava una strana poltiglia nerastra che emanava un odore acre che pungeva ed irritava le narici.
– Hai d’accendere Dan? -, Keeran afferrò al volo l’accendino che Fang gli lanciò, - E che la luce sia – disse facendone scaturire la fiamma che poi accostò al contenuto della mangiatoia, in un attimo la poltiglia s’infiammo ed una lunga lingua di fuoco si diramò correndo lungo tutta la parete illuminando mano a mano le tenebre che ormai avevano quasi conquistato l’intera grotta. – Ora sì che possiamo procedere! – sentenziò soddisfatto Keeran restituendo l’accendino al legittimo proprietario, che però era di tutt’altro parere - Vieni qui a vedere cosa ho trovato -, la voce di Fang accentuata dall’eco della grotta risuonava insolitamente seria e preoccupata. Keeran gli si avvicinò assieme ad Adam, sotto le faville create dal fuoco scintillavano tre paia di bombole da sub verde militare, consumate e logorate dal tempo. Keeran non parve stupirsene quanto gli altri due. Qualcuno li aveva preceduti però, per loro fortuna era stato come minimo quarant’anni prima, Keeran temeva i vivi non certo gente che era ormai in età geriatrica se non nella tomba.
– Non appartengono certo ai nostri inseguitori, chi le ha portate qui se ne è andato da molto tempo – osservò Keeran asciugandosi la fronte imperlata di sudore, poi ne prese una in mano, quella meglio conservata e la guardò attentamente: non aveva scritte o qualsiasi simbolo di riconoscimento ben visibili. Anche se aguzzando la vista riuscì a trovare una minuscola incisione sul fondo della bombola, URSS, lo fece vedere anche Fang che esclamò – I compagni! Loro sì che mi mancavano! -, fece una pausa e riprese greve – Cosa credi che ci facessero qui? -.   
Keeran scosse la testa, non poteva immaginare cosa volessero degli uomini vissuti mezzo secolo prima di lui, non riusciva ad immaginare quali potessero essere i vantaggi tratti da una grotta nel pieno Taklamakan; - Possiamo soltanto scoprirlo, e questo ci porta alla solita scelta: continuare – disse aggrottando pensieroso la fronte, forse i russi volevano il tesoro? Probabile, infondo se aveva calcolato bene, quelle bombole erano dell’immediato secondo dopoguerra ed i soldi all’epoca valevano poco, quindi oro e pietre preziose erano più che ben accenti ovunque.  
Si lasciarono quel quesito alle spalle, tutti con l’inconfessabile timore di trovare qualche brutta sorpresa, una volta tanto che non erano i vivi ad opprimere il morale, ci avevano pensato i fantasmi appartenenti al passato.
Seguirono la loro scoppiettante e rincuorante guida, il fuoco illuminava il loro percorso permettendo una chiara visione, seppur parziale, dell’antro in cui si trovavano. Dopo circa un’ora di cammino sostenuto erano arrivati a coprire approssimativamente otto chilometri, in cui non avevano trovato alcun ostacolo degno di nota, a parte l’aggirare qualche smottamento del terreno che finiva a strapiombo quaranta metri più in basso in una gola solcata da quel che pareva un minuscolo ma burrascoso torrentello che serpeggiava in essa.
L’insidia più pericolosa di quel tragitto però era un’altra: la sicurezza in se stessi, la baldanza che lentamente si stava facendo largo nei loro animi, come una goccia che progressivamente e silenziosa erodeva la roccia. Un insidioso nemico di cui diffidare, persino Austin che era stato il più guardingo ormai stava smettendo di controllare con sguardo indagatore ogni centimetro quadro della grotta, persuaso che ormai non sarebbe successo niente; d’altronde quello era un luogo inaccessibile posto in una zona della Terra ancor più evitata, sicuramente i monaci che lì si erano insediati credevano di non aver alcun bisogno d’altre forme di protezione. Invece no, mai credere troppo in se stessi, bensì porsi sempre alla prova.
Fu così che quando lo stesso Keeran si trovava in testa al gruppo, che senza accorgersi cadde in un tranello. All’iniziò si sentì appena strattonare all’altezza della caviglia destra ed automaticamente perdere l’equilibrio, subitaneamente esclamò – No! -, ma era troppo tardi. Fang che aveva cercato d’afferrarlo per un braccio si ritrovò nella medesima situazione d’impiccio; nessuno dei due capì bene quel che successe però fatto sta che si trovarono sette metri più in alto di Adam e cinquanta rispetto alla gola, testa in giù a guardare il vertiginoso precipizio e completamente immobilizzati dalla vita in sotto da una corda che si era avvolta loro in torno, ancorata alle caviglie da un saldo nodo.
Pessima situazione…, pensò Keeran guardando in basso, quasi nauseato dall’altezza che induceva pure in lui un terribile senso di vertigine. Non aveva ancora finito di fare il punto della situazione che cominciò ad oscillare contro la sua stessa volontà; guardò Fang , come lui era diventato un pendolo umano, si stavano avvicinando sempre più.
- Non c’è mai fine al peggio – commentò Keeran davvero molto contrariato dal genere di situazione, Fang contrariamente al solito reagì in maniera scorbutica: - Potevi fare più attenzione, no? Ora non saremmo nei casini! – gli latrò contro.
- Senti io t’avevo avvertito, se solo tu ascoltassi una buona volta! – lo rimproverò Keeran accaldato. Fang come lui aveva una strana sfumatura violacea in volto, in parte per il sangue che arrivava alla testa un po’ per la rabbia.
– Ora vediamo di chi è la colpa – replicò Fang tirandosi su le maniche, ormai erano arrivati davvero vicino l’uno all’altro, e quello fu il più svelto tirando un destro in faccia a Keeran. – Bastardo m’hai rotto il naso! – esclamò il colpito portandosi una mano al setto sanguinante. Ma presto arrivò il secondo turno di quello strano scontro aereo di boxe, questa volta fu Keeran a colpire sull’occhio Fang che ebbe l’occasione di ribattere: - Tu invece m’hai rovinato la vita! -.
Andarono avanti così per altre due o tre volte, fino a quando intervenne Adam che fino a quell’istante era rimasto impotente ad assistere all’autodistruzione dei due compagni – Smettetela! Guardate a destra, quel vostro pendolare non fa altro che portarvi ad una morte più prossima! – gridò indicando qualcosa d’indistinto posto su d’un ammasso roccioso che scaturiva improvvisamente dalla parete laterale, poco più in basso delle loro teste.   
Keeran e Fang smisero di bisticciare e diedero un’occhiata, il secondo domandò allarmato – Che roba è? Con l’occhio che mi hai fatto non vedo nulla! -. Keeran torse più che poteva il collo, quel che vide era uno strano e complicato meccanismo la cui funzione però era lampante: l’oscillamento era provocato da una ruota dentellata che faceva muovere la corda avanti e indietro, facendola quindi scorrere su di una alma fin troppo affilata che consumava la fune che li sorreggeva. Una volta tagliata avrebbero dovuto imparare a volare molto in fretta se non avevano voglia di fare la tipica fine del moscerino sul parabrezza.  
Keeran completamente sbiancato in volto esplicò a Fang molto celermente il meccanismo e la sua funzione, questo accolse la notizia con molte e variopinte imprecazioni, poi però si fece serio – Come ne usciamo? – domandò con un’espressione che non piacque affatto a Keeran, fosse pure stato involontariamente Fang con il volto gli stava chiedendo disperatamente aiuto e ciò voleva dire che lui di idee non ne aveva.
Come suo solito Keeran cercò di riacquistare la freddezza analitica necessaria, si estraniò dal mondo esterno e cominciò a riflettere quasi tra sé e sé: - Neppure uno scalatore esperto riuscirebbe ad arrampicarsi su di una parete così levigata senza adatta attrezzatura, quindi Adam non può far nulla per aiutarci… -, sottolineò quest’ultimo passaggio per togliere da subito qualsiasi rimorso da colpevolezza al ragazzo, poi riprese – Credo che la cosa più importante da fare al momento sia riuscire a liberare le gambe dalla corda e tenerci con le sole mani, in seguito penseremo a come rimettere i piedi per terra -, prima però di mettersi al lavoro sulla propria fune fece una raccomandazione a Fang – Attento a non oscillare più di quanto fai già, consumeresti più in fretta la corda -.  
La fune che li teneva sostenuti a mezz’aria era davvero coriacea e non potendo neppure usare il coltello che era imprigionato nel groviglio di cordame, entrambi misero a dura prova denti ed unghie arrivando fin a ferirsi le mani pure d’allentare anche solo d’un insignificante millimetro i nodi. Intanto però non dimenticavano di fare un po’ di sana conversazione, Keeran sapeva che in quel genere situazione un fidato compagno fosse quanto di più utile ci potesse essere, e Fang aveva sempre dato prova d’essere la migliore persona che si potesse desiderare in caso di morte imminente; insieme ne avevano passate troppe per non considerarsi l’uno con l’altro come neanche fratelli, ma di più, degli altri sé.
Tra loro persino il silenzio era in realtà un’intricata e spesso ilare conversazione composta da gesti ed occhiate; il primo però a prender parola fu Keeran: - Mi dispiace d’averti fatto un occhio nero – disse sommessamente mentre mordeva un pezzo di fune. Fang si fermò un istante, - Non ho ben sentito –
- Ho detto che mi dispiace del pugno sull’occhio e anche d’averti rovinato la vita – ripeté Keeran, questa volta più forte. Fang inclinò soddisfatto la testa – Anche a me dispiace del mio occhio nero però non mi pento d’averti rotto il naso, te lo meritavi, era un po’che desideravo farlo – fece sprezzante, poi però soggiunse – Un’altra cosa di cui non mi rammarico, come ti ho già detto, è che tu mi abbia rovinato la vita… Ed ora basta con queste storie: cazzo, sembriamo due amichette del cuore – disse sputando un pezzo di fune, infastidito da tutte quelle dimostrazioni d’affetto, lui uomo era allergico e non tollerava tali smancerie. Keeran lo provocò mandandogli un bacio con aria maliziosa e sbattendo convulsamente le ciglia. Riprese sempre più freneticamente a spezzare il cordame, ormai era libero fin al ginocchio e anche se di tanto in tanto gettava un’occhiata al meccanismo che inesorabilmente logorava la fune che li sorreggeva, cercò di non pensare d’avere una scadenza.
Keeran nei minuti successivi notò come Fang fosse strano, mentre tentava di slegare i propri nodi continuava a guardarsi intorno sconsolato. – Che c’è? – gli domandò Keeran con un po’ d’apprensione, ma Fang scosse la testa dicendo – Niente -; non era mai stato capace di mentire a Keeran e neppure quella volta vi riuscì, ogni fibra del suo corpo faceva intendere d’essere in fremente attesa di qualcosa.
Dieci minuti d’intenso lavoro di mani e perpetuo oscillamento e giunsero entrambi al nodo intorno alle caviglie, quello che ancora li ancorava alla fune. Entrambi sapevano cosa dovevano fare: Keeran protendendosi in avanti al massimo delle proprie capacità, gli pareva che l’omero gli stesse per uscire dall’articolazione tanto tese il braccio, lesto di mano slegò l’ultimo semplice nodo, in quella minima frazione di secondo che precedeva la caduta afferrò la parte terminante della fune girandosela immediatamente intorno al polso; per un momento tutti i suoi ottantun chili gravarono soltanto sulla spalla destra facendolo gemere un poco. Subito pensò a Fang. Come avrebbe fatto lui che aveva ancora il braccio sinistro praticamente fuori uso?  
Quello però non parve farsi troppi problemi, appena vide che Keeran era stabile compì pure lui la medesima operazione con risultati però ben più scarsi, e che fecero inorridire: Fang capendo di non poter permettersi d’usare la mano dominante aveva optato per la meno reattiva destra, ed ora teneva la corda per la sfilacciata fine e ad ogni secondo che passava perdeva un po’ di presa. Keeran aveva appena cominciato una nuova oscillazione e si trovava nel punto più lontano possibile da Fang; in automatico si fece dondolare verso l’amico e prendendolo per una manica provò ad aiutarlo tirandolo su.
Fang ora stringeva con entrambe le mani la fune, tutto era andato per il meglio, tranne un particolare che Keeran notò subitaneamente: l’improvvisa accelerazione con relativo strattone aveva tranciato di netto tre quarti del pezzo di corda che ancora aveva a disposizione.   
- Grazie – ansimò Fang che aveva creduto per più d’un momento d’esser perduto, Keeran in risposta gli sorrise – Tu non saresti stato da meno… -, non aveva ancora concluso la frase che le parole si fermarono in gola, smise di parlare perché oltre le spalle di Fang aveva scorto qualcosa che sarebbe persino stato in grado di fermargli il cuore, credette di sognare perché non poteva trovarsi nella realtà se quello stava accadendo, anche soltanto perché lui non aveva fatto niente perché accadesse ed i desideri, ne era certo, non si realizzano per conto loro. 
Lyn avanzò dall’oscurità con passo svelto, era un poco emaciata ed appena poté capire cosa stesse succedendo, perché Fang e Keeran stessero appesi ad una fune dieci metri sopra di lei, si portò involontariamente le mani alla bocca. Corse al fianco di Adam che non riuscì neppure ad articolare una valida spiegazione, pure lui incredulo nel vedere una persona di cui era certo non avrebbe nemmeno più sentito la voce. L’aveva vista andarsene in un modo che non lasciava speranze.     
Keeran si voltò a fissare Fang, cercava una risposta, voleva sapere se era reale ciò che poteva vedere o se fosse stato un brutto scherzo giocatogli dalla stanchezza. Fang però era tutt’altro che sorpreso dalla magnifica visione femminile che ancora bagnata pareva una ninfa appena uscita da un lago che poteva esistere solo nella fantasia. Sorrideva con aria fintamente colpevole, poi serio guardò il meccanismo che li sosteneva: la corda di Keeran era quasi completamente consumata, calcolò che gli sarebbe rimasto meno d’un paio di minuti ed allora prese la decisione sui cui aveva a lungo meditato, nelle settimane precedenti era riuscito con duro lavoro a convincere Lyn del fatto che Keeran le avesse soltanto mentito. Se era stato capace di far fare a lei migliaia di chilometri, certo sarebbe stato in grado di far fare a Keeran una decina di metri.
Per questo cercando di trovare le parole giuste, di mantenere un’espressione serena cominciò a fare il discorso più complicato della sua vita – E’ qui visto? In realtà speravo che ti menasse ancora po’ quanto t’avesse visto, ma pazienza… Lei per te è quella giusta, quando troverai ancora una ventisettenne colta, esotica, con natiche che parlano, che russa come un camionista e, soprattutto, canta sotto la doccia Frank Sinatra? Approfittane! – esclamò, poi fece una breve pausa continuando però a tenere sott’occhio la fune di Keeran che piano piano si stava accorgendo dove l’avrebbe portato quel discorso, poi però prima che potesse dire qualcosa Fang riprese
– D’avventure insieme ne abbiamo vissute tante, questa volta però ti precedo io, una volta tanto. Ci rincontreremo stanne certo, infondo due canaglie come noi dove possono mai finire? –; appena ebbe finito di parlare cominciò a dondolarsi acquistando sempre più forza e velocità, prima che la corda si spezzasse fece in modo d’andare a scontrarsi con Keeran, questo che per un istante aveva pensato di non mollare la corda, alla fine la lasciò ricevendo da Fang abbastanza spinta per superare quei cinque metri che li dividevano dalla salvezza.
A Keeran, durante il breve volo, torcendo il collo parve d’intravedere un mezzo sorriso sul volto di Fang, che come lui ora stava cadendo, unica differenza che li separava il fatto che percorsi i sette metri che li allontanavano dal fermo terreno uno sarebbe andato a sbattere contro questo mentre l’altro sarebbe scomparso oltre il crepaccio.
 
Fosse stato anche merito dell’adrenalina che aveva in circolo, ma Keeran appena andò a sbattere contro la roccia non sentì male, o forse non ne avvertì perché era troppo impegnato ad imprecare contro la sua sventatezza, ad imprecare contro Fang che l’aveva lasciato solo. Fang, com’era possibile? Non c’era davvero più questa volta? Durante tutto il viaggio aveva già pensato due volte d’averlo perso per sempre, ma ora era diverso: non era ferito, non stava affogando, era semplicemente morto. E se sull’aereo di Ian e nella grotta allagata aveva potuto se non altro affidarsi alla speranza, al fato o alla Provvidenza, in qualsiasi modo si potesse chiamare, perché si risolvesse tutto per il meglio. 
Ora non poteva fare nulla, comune sorte dell’essere umano che non può far altro che stare inerme e vivere… Vivere, sì, ma come? Se non aveva mai, neppure nei momenti peggiori, pensato ad una vita in cui non ci fossero le mille cazzate di Fang, che eppure erano grande cosa, non a caso lui diceva che il riso ed il sarcasmo erano il Prozac dei poveri; d’altronde qual era l’uomo che si sveglia al mattino e comincia a figurarsi la propria vita senza braccia o gambe. E Fang valeva sicuramente molto più d’un paio d’arti.
Certo Fang, a quanto pareva, aveva considerato Keeran molto più della sua stessa vita. Lui aveva sì avuto la possibilità di portar a casa la pelle tuttavia non l’aveva fatto.
Keeran dopo essersi alzato dolorante, ma senza aiuto, prese inevitabilmente a chiedersi se ciò che era accaduto era vero, ed ogni qualvolta arrivava ad una risposta affermativa si poneva nuovamente lo stesso quesito, soltanto in fremente attesa che qualcosa nel responso mutasse.
Sentì la mano di Lyn sulla spalla, l’altra se l’era portata a coprirsi parzialmente il volto, da sotto le dita di tanto in tanto sfuggiva una lacrima oppure un impercettibile mugolio. Adam era più indietro, i piedi incollati a terra da una forza misteriosa ed i grandi occhi scuri giusto un po’ umidi e arrossati che gli donavano se possibile, un’aria ancor più fanciullesca. Keeran non voleva avvicinarsi al crepaccio, non voleva vedere il suo corpo, non voleva vedere niente; la scena se l’era già immaginata nella propria testa, non c’era bisogno d’altre più crude conferme.   
Aveva chiuso gli occhi per non vedere, ma non per questo non riusciva a sentire oltre i singhiozzi di Lyn ed i propri maggiormente silenziosi pensieri, udire il più strano dei versi, a metà tra un penoso lamento ed un’esclamazione di gioia, il tutto amplificato dall’eco della grotta, provenire dal più strano degli uomini.  
- Dan – disse piano e quasi tra sé, quella che avrebbe dovuto essere un’ esclamazione – Danny! – ripeté più forte tanto che Lyn alzò lo sguardo colmo d’indulgenza.
Keeran si precipitò sull’orlo del baratro vertiginoso, d’istinto cercò tra le rocce infondo ad esso, a si sentì redarguire con tanto d’imprecazione: - Cazzo, si commemorano i morti, non i vivi! Però se aspetti ancora un po’ forse t’accontento! -.
Keeran guardò proprio a filo dell’aclive precipizio: Fang se ne stava cinque metri più sotto, seduto in qualche maniera su di una piattaforma di legno di pochi metri quadrati, che prima certo non c’era.
Keeran non badò né alla caviglia distorta né alle ormai numerose costole rotte, e saltò giù a raggiungere Fang. Non avrebbe potuto sentirsi più onorato e meravigliato nemmeno se avesse sollevato e si fosse ritrovato fra le braccia il Bambin Gesù. Invece sorreggeva un pesto trentenne, con tanti brutti vizi, con un lunga lista d’errori alle spalle, con alle volte un pessimo carattere e che il tribunale del Maryland aveva liquidato con un anno e mezzo di carcere e la definizione di rifiuto della società. Tuttavia quell’orfano, scarto di una società che giudica fin troppo, era più uomo di molti, fosse stato anche solo perché in tutta sincerità non si reputava molto più importante della terra che calpestava e che almeno di certo non si prendeva sul serio.
Dan Fang non era uno stinco di santo, però quella notte un po’ d’incosciente santità l’aveva dimostrata pure lui.   
Quella sera, su di un appoggio precario sospeso al di sopra d’un precipizio situo nell’ultima delle grotte del deserto del Taklamakan, per la prima e quasi sicuramente ultima volta Keeran abbracciò per davvero Fang e facendogli quasi perdere l’equilibrio affondò il volto nella spalla dell’amico, gli sarebbe pure uscita una lacrima se non l’avesse soffocata nel riso, poi continuò a stringerlo finché l’altro non disse – Figlio di brava donna mi fai male, che m’hai preso per un antistress? -.
- Scusa… Ma credevo d’aver perso la mia amichetta del cuore – replicò Keeran tenendogli ancora una mano stretta sulla spalla forse inconsciamente per sincerarsi che ci fosse veramente.
- Anche io, ma a quanto pare ’sti cinesi avevano ben pensato che valeva la pena di salvare chiunque fosse disposto a sacrificare la propria vita…- mormorò battendo un piede sul ponteggio centenario che gli aveva evitato un gran brutto volo.    
- Come stai? – domandò Keeran, riuscendo bene nel mascherare una certa apprensione della voce, infondo Fang aveva fatto un volo di tredici metri e forse aveva riportato qualche lesione interna.   
- Come uno che si è spiaccicato a qualcosa come quaranta chilometri orari contro un muro di legno… Ah, e ho una leggera emicrania, dici che c’entra qualcosa? – disse ironicamente, poi osservando Keeran proseguì – Sai non hai un gran aspetto -
- Neppure tu –
- Niente che non sia guaribile con qualche giorno di riposo e della tequila – rispose Fang tutt’altro che preoccupato. Keeran aggrottò le sopraciglia – Sai, mi dispiace dirtelo, credo che non ci sia medico o superalcolico che possa fare qualcosa su quel brutto muso. Ci vorrebbe un miracolo! -
- Me ne farò una ragione… Liam però non hai pensato ad un piccolo particolare: come facciamo a tornare su? – domandò Fang mettendosi a sedere poggiato contro la scabra parete dello strapiombo, - Io non ho intenzione di farmi cinque metri di scalata -.
- Mah, prima o poi Adam si ricorderà d’avere una fune da scalata nello zaino. Io certo non glielo ricordo, faccio fatica a respira, figuriamoci urlare… - asserì lasciandosi cadere sull’impalcatura di legno che scricchiolò sinistramente, quindi soggiunse fissando davanti a sé il vuoto – Ma reggerà? -. Fang si strinse nelle spalle e con tono noncurante, lo stesso che avrebbe riservato per riferire e previsioni del meteo, rispose
– Sono appena caduto da una decina di metri, c’è poco che mi può ancora impressionare. Comunque come dici tu: adesso lo scopriamo -. Appena dette queste parole una fune improvvisamente dispiegata dall’alto dondolò tra i due.
Keeran dapprima aiutò Fang ad ancorarsi saldamente alla fune che tenuta da Adam e da Lyn lo issarono su. La cosa procedette prolissa e solo svariati minuti dopo pure Keeran aggrapparsi alla corda per essere sollevato.
Avrei preferito l’ascensore, ma ci si adatta
Lyn lo stava abbracciando spasmodicamente, ma Fanh appena si accorse della presenza di Keeran si ritrasse dalle attenzioni della ragazza e in un finto sussurro le disse – Tranquilla pupa ci becchiamo dopo, ora non posso c’è quella testa del tuo moroso -.    
- Attento… Comunque hai visto Dan? Poco più d’un mese che la conosci e già sei riuscito a farla piangere! – esclamò Keeran, intanto aiutava Adam a ripiegare la fune ed ad infilarla nello zaino.
- Che ci posso fare: è questo l’effetto che faccio sul gentil sesso -.
Decisero di ripartire immediatamente, presto le varie ammaccature, le fratture e quant’altro avrebbero cominciato a farsi sentire; intanto però che l’adrenalina era ancora in circolo ed assopiva ogni dolore bisognava approfittarne, avrebbero fatto riposare le membra nelle due settimane di vacanza che ancora avevano a disposizione. E poi si sentivano attratti dalla vicinanza del tesoro, api al miele, come un bambino che la mattina di Natale non può aspettare a scartare i pacchi ricevuti. Keeran non aveva né la voglia né la pazienza di passare la vita in flemmatica attesa, per i suoi gusti si aspettava persino troppo nella vita: troppi gli anni passati sui banchi, troppe le ore vissute in ufficio, troppi anche i mesi passati nel ventre materno; anche se ormai si era reso conto di una cosa: è opinione comune che la vita è breve, e su questo concordava, però non è breve se ogni suo minuto è pieno. A lui che aveva trent’anni pareva d’averne vissuti cento, soltanto quel mese era valso un anno. La vita è breve solo se  vuota, lui ad esempio da vecchio avrebbe impiegato millenni per raccontare la propria esistenza, era un po’ come Mozart, morto giovane eppure aveva già scritto migliaia di spartiti.
Continuò a camminare, anzi per l’esattezza a saltellare cercando di mantenere in un certo modo una qualunque dignità e di non dar la possibilità né ad Adam né a Lyn di dire: “ Ok, ci fermiamo ”.
 
Ci sono cose per cui una persona non è preparata, non tanto fisicamente ma quanto più mentalmente. Ecco, Dan Fang non era pronto per vedere oltre l’aspro pendio di terra sanguigna su cui s’erano arrampicati; lui era nato senza avere neppure in dote un nome, aveva vissuto fino all’età di sette anni indossando vestiti che nel caso migliore erano già passati da tre proprietari. Per un po’, quando era stato adottato da una ricca famiglia ebrea si era crogiolato nell’aver alle spalle un mucchio di soldi, ma appena raggiunta l’età della ragione aveva capito di non poter neppure accettare un penny da delle persone che avevano tentato di portargli via persino quel poco d’identità che ancora conservava. Da lì in poi era stato un accumulare debiti su debiti, per l’università, per l’affitto, e così via… solo a Keeran doveva ottomila dollari; giusto nell’ultimo anno e mezzo il suo conto aveva cominciato a non segnare rosso ed il direttore di banca a salutarlo. Ora un uomo così non è minimamente preparato a pensare che in una grotta dimenticata nel deserto, ci possa essere stato per secoli la soluzione al problema suo e di tanta altra gente.
Ora, due statue rappresentanti draghi della lunghezza approssimativa di sette metri ciascuno lo stavano fissando dritto negli occhi, la loro peculiarità non stava tanto nelle dimensione quanto nel fatto che fossero stati forgiati in scintillante oro massiccio. Occhi di smeraldo nelle orbite e denti di diamante scoperti di sotto le fauci aperte, e poi tra gli artigli tempestati di gemme una sfera d’opale grande il doppio d’un pugno. Guardiani fatti con una tale cura e precisione nei dettagli da poter sembrare vivi, incutevano timore tanto sembravano pronti a scendere dal piedistallo sui s’ergevano per prendere di sorpresa il viaggiatore sprovveduto che avesse tentato d’oltrepassarli; parevano solamente assopiti in un sonno caduto su di loro per incanto. Questa fu l’impressione  che regalarono a tutti appena fissarono i draghi nei loro orgogliosi occhi smeraldini. Fang però che era nato nel ventesimo secolo rimase più meravigliato per come tanta ricchezza avesse potuto rimanere nascosta agli occhi umani per così tanto ed immemore tempo, dato che qualcuno aveva abitato quelle grotte: esattamente dietro i draghi sorgeva un tempio scavato nella roccia rossa ed ancora qualche edificio di dimensioni e probabilmente di importanza minore.
- Oh, Signore -, furono le uniche parole che Fang riuscì a pronunciare prima di mettersi praticamente ad abbracciare la statua, a studiarla in ogni sua minima squama e soprattutto a tentare di staccare, senza successo alcuno, qualche pietruzza dalla coda frastagliata del drago. Adam cominciò a scattare rullini e rullini di fotografie, immortalando così la statua in tutte le angolazioni possibili ed immaginabili per poter documentare il momento della scoperta. L’informazione prima di tutto.
Lyn aveva intanto scorto sulle sfere d’opale delle iscrizioni ed accoccolata tra le zampe anteriori del drago s’era subito messa a tradurre, non ci sarebbe voluto molto, ormai cominciava a padroneggiare la lingua in maniera straordinaria.
Keeran invece dopo aver fronteggiato ed ammirato i draghi per un po’ aveva deciso d’andare ad esplorare il tempio e gli altri edifici, anche se il tesoro l’aveva già trovato dato che non riusciva nemmeno a calcolare il valore d’un opera così preziosa sia sotto il punto di vista del materiale in cui era stati modellati, ma ancor più dal punto di vista artistico, storico ed artigianale.
Ora però voleva esplorare l’interno del tempio e parve che nessuno s’accorse del suo silenzioso allontanamento, zoppicando superò i due draghi guardiani e s’avviò verso la ricca ed imponente entrata dell’edificio, lui aveva visto Petra con il palazzo chiamato tesoriera dei faraoni, ma questo, anche se somigliante, era ancor più impressionante e ridondante: la ricchezza di fronzoli e cornici strideva fortemente con dietro il contrasto della parete liscia da cui era stato ricavato. All’apice della costruzione, sormontanti ogni tetto stavano quattro cupolette con camminamenti agibili, più sotto altre due balconate. Il portico esterno a spiovente era sorretto, frontalmente, da tre paia di colonne torte e poi altre sei lisce più addietro; il soffitto di questo decorato a motivi vegetali tanto grandi da apparire chiari persino a Keeran che stava venti metri più in basso con il naso all’insù.
Stava per entrare nel tempio attraverso uno dei tre titanici portali di legno ricoperti di bronzo cesellato con immagini tipiche della religione buddhista, quando s’accorse con la coda dell’occhio che alla sua sinistra, oltre il portico, stava una bassa tettoia di legno un po’ concia con le travi ed i pilastri tenuti insieme da del logoro cordame già un po’ marcio. Vedendo ciò Keeran si dimenticò immediatamente del tempio, il suo intuito gli diceva che se c’era qualcosa d’importante era là, non certo in un vistoso palazzo scavato nella roccia, già tanto che i monaci avevano dato indice d’abbondante originalità. Fece una rapida inversione e prese a camminare più velocemente, il passo attutito dalle fughe delle finte piastrelle che erano state scalpellate dalla roccia nuda, attraversò la tettoia che come si poté accorgere quando fu più vicino sorreggeva e puntellava la volta del tunnel scavato nella parete, questo degradava dolcemente verso una grotta più piccola adiacente alla maggiore, quella dove stava il tempio insieme con gli altri due edifici.
Fang non era stato pronto alla splendida visione dei draghi d’oro, ma non ci sarebbe stato uomo sulla Terra preparato a scorgere quello che Keeran vide. Il sguardo subito si proiettò sulla parete di fondo, lì incassate in apposite rientranze della roccia erano posizionate dodici armature che sarebbero state scintillanti come il sole se non fosse stato per il leggero strato di polvere che le ammantava; quello però non sarebbe stato niente di speciale, belle, magnifiche le armature, però a Keeran bastò abbassare di poco gli occhi per vedere l’inimmaginabile in una grotta. A momenti non riuscì neppure a contarli tanti erano. 

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Capitolo 18
*** Where Did It All Go Wrong? ***


Più di sessanta ordigni di dimensione e tipologia diversa stavano sotto gli occhi di Keeran. – Oh porca… -, non riusciva neppure a fare un’imprecazione.
Dal suo passato militare gli parve di riconoscerne almeno trequarti di questi, che gli fecero venire un tuffo al cuore tanto che dovette indietreggiare tremante e sedersi lungo una parete, lui non voleva classificarli quegli ordigni perché non gli pareva possibile. Però sapeva che c’era una sola persona che gli avrebbe potuto dare la conferma.
S’alzò lentamente ancora troppo stupito e spaventato per parlare, poi però quando raggiunse l’uscita del tunnel urlò – Dan! Vieni, ho bisogno del tuo aiuto! Sbrigati per l’amor del cielo -. Passarono quattro o cinque minuti prima che un riluttante Fang arrivasse, – Più interessante di due lucertoloni d’oro massiccio? – domandò scettico e con un largo sorriso stampato sul volto. – Che ci sarà mai, Marylin Monroe o… -, appena fu arrivato il sorriso vacillò lasciandogli la bocca semiaperta, la chiuse di scattò ma aveva già fatto in tempo a scappargli un sussurro involontario – L’atomica – disse sbalordito e turbato allo stesso tempo. Certe cose proprio non pensi mai di vederle in vita tua.
Keeran ricevette la conferma malaugurata che tanto già si aspettava, entrambi rimasero muti a fissare con sguardo assente gli ordigni atomici che distavano da loro meno di tre metri.
Si dice che certe cose non si possono capire se non le si vivono sulla propria pelle, ma Keeran sapeva quanto era l’orrore che quei grossi cilindri metallici portavano con loro sebbene la parola atomica rimanesse sempre qualcosa d’astratto per i più. Nagasaki ed Hiroshima, disastri d’immane proporzione che però alla fine si dimenticano lasciandoli tra le pagine ingiallite d’un qualsiasi noioso libro di storia, non si pensa mai realmente che duecentotrentamila persone siano morte così, in uno schioccare di dita e che non siano solamente caratteri stampati su carta. Lui quando per la prima volta aveva letto cos’era la bomba atomica era rimasto strabiliato ed attonito, aveva visto un filmino e la sola idea che ci potessero essere altri lanci d’atomica gli avevano fatto ghiacciare il sangue nelle vene, ma d’altronde era solo un ragazzino. Solo più tardi ne avrebbe vista scoppiare una per davvero e non c’era stato nulla di spettacolare nel vedere gonfiarsi quel grosso fungo, fu anche uno dei pochi spettatori insieme a Clayton a non plaudire; con gli occhi della mente poteva vederlo e con lo stomaco riusciva sempre a sentire le stesse sensazioni che l’avevano attanagliato.
Guardò ancora quei mostri di metallo, ci passò accanto, lì toccò uno ad uno: M-72, M-73, M-74, e così via finché non arrivò quasi all’ultimo. – Cosa credi che ci facciano qui? – chiese assente Fang
Keeran che fino a quel momento se n’era completamente scordato, indicò i cinque scheletri che stavano rannicchiati vicino all’entrata, c’era andato a sbattere quando stava indietreggiando però non aveva ancora riservato a loro un solo sguardo.
Si avvicinò a quelli che un tempo dovevano essere stati uomini nel fiore degli anni, ora invece erano poco più che mucchietti d’ossa e pelle giallastra tirata su di esse. Se loro non erano perfettamente conservati, le orbite vuote e niente capelli, le loro uniformi verde scuro parevano appena uscite dalla fabbrica, sui taschini stavano ancora ricamati in nero i cognomi. Lì avevano un ammiraglio d’armata, un colonnello, un paio di tenenti colonnello ed ultimo un capitano d’armata, almeno così li identificò Keeran dalle mostrini ed i galloni che tenevano sulle spalle. Quelli non erano certo gli ultimi soldati dell’esercito URSS, anzi tutta gente arrivata ad un certo livello di gerarchia.
- Non sono un medico legale, però mi azzarderei a dire che questi sono passati a miglior vita da un bel po’ di tempo. Erano loro le bombole che abbiamo rinvenuto – disse tenendo ancora tra le dita la piastrina del tenente colonnello Šklovskij che in vita non doveva neppure esser stato un brutto ragazzo, a giudicare dai lineamenti che anche se degradati dal tempo mantenevano una naturale finezza, al contrario dei suoi commilitoni.
- Lapalissiano! – esclamò Fang con tono ironico – E come avrebbero fatto a portar qui gli amici di Little Boy e Fat Man? -
Keeran che era stato accoccolato vicino ai cadaveri s’alzò e rispose risoluto – Ci deve essere un’altra entrata che permetta il passaggio di qualcosa di ben più grande d’un uomo. Sicuramente non hanno fatto la nostra stessa strada -, poi soggiunse fermo e ben deciso – Io non so cosa ha portato qui ordigni russi, ma credo che sia nostro dovere avvertire almeno Clayton, lui saprà che fare -. Keeran di questo c’avrebbe messo il braccio intero sul fuoco, il suo capo era un uomo serio che spesso camminava sul filo della legalità, oppure l’aggirava direttamente senza farsi troppi problemi di politica, ma d’altronde l’aveva sempre ammesso: lui era un militare, non il lecchino di qualche senatore. Se ce n’era bisogno era il primo a fottersene, come era assiduo a dire lui, degli ordinamenti ministeriali.  
Poco dopo, incuriositi dall’improvvisa scomparsa di Fang, pure Adam e Lyn li raggiunsero, infine dopo le debite e minime spiegazioni Keeran se ne uscì dal tunnel dato che il telefono satellitare si trovava vicino ai draghi.
Si avviò verso il tempio con tutta calma, solo per andare a fare la telefonata avrebbe impiegato più di un’ora, intanto gli altri sarebbero tornati alle loro mansioni e Fang avrebbe cercato di capire che cos’erano le altre venti bombe che costituivano quell’arsenale sotterraneo. Svoltò a destra per discendere la piccola scalinata che portava al portico del tempio, ma capì immediatamente che avrebbe dovuto rinunciare per via di cinque neanche troppo piccoli problemi tecnici. Erano ormai più di tre settimane che non scorgeva quei lineamenti, e anche se aveva tentato di dimenticarli relegandoli in un passato che cominciava a saper di stantio, sembrava che il fato non fosse d’accordo con questa sua scelta dato che continuava a riproporgli gli stessi incontri. C’erano proprio tutti: Bill nei cui occhi di ghiaccio regnava il consueto distacco, Juan sul cui collo era ben visibile la cicatrice riportata durante lo scontro nelle fogne, l’ottuso Lucas ed infine Mitch dalle mani guantate e tutta l’aria di voler vendetta su Fang. Keeran però notò immediatamente che c’era una new entry nell’allegra compagnia, un uomo distinto sulla sessantina, il volto dalla pelle olivastra incorniciato da corti capelli scuri, il naso aquilino e gli occhi di falco che alla luce calda delle torce brillavano di mille pagliuzze d’oro. Ma soprattutto Keeran s’avvide del fatto che egli non era certo un povero malcapitato, anzi il moro dava l’impressione d’aver lui in mano le redini della situazione e ancor più la paga dei mercenari che seguivano ogni suo movimento, persino Bill dava l’idea di sottostare completamente ai suoi ordini.
- Stia, stia – ammonì Keeran benevolmente il moro, poi con passo agile e scattante salì la scalinata per tendere la mano al giovane, questo la rifiutò, conosceva fin troppo bene quegli atteggiamenti di scherno e non aveva la benché minima intenzione di far divertire quel’uomo. Jabbar per un istante si corrucciò beffardo, poi però riprese la solita immutevole espressione che però trasudava un poco di soddisfazione, - Su non se la prenda, infondo era più che plausibile che vincessi io. Anche se devo ammettere che per un momento mi ha fatto vacillare, stava per battermi. Davvero molto bravo, degno di nota. Però a me non piace perdere, quindi… - fece un ampio sorriso, i denti candidi lampeggiarono per un momento, ma in quel sorriso non c’era nulla d’affabile – Su mi faccia un po’ da cicerone! – lo esortò Jabbar.
Keeran prese a camminare a fianco del moro, l’avrebbe portato all’arsenale, sapeva che era questo che stavano cercando, i draghi d’oro non gli interessavano di certo. Discese lo scosceso pendio, le travi di legno che sfilavano sopra le loro teste ed il rumore dei loro passi che veniva amplificato dall’eco tanto che quando entrarono nella grotta minore Fang, senza farne parola ma soltanto mettendosi accanto Lyn, aveva già capito cosa era successo. 
Stranamente il cuore di Keeran non s’era messo a fare le bizze come al solito ed egli non dovette quindi cercare di calmarsi, si mise pacifico al fianco dei suoi compagni e s’appoggiò ad una parete.
Jabbar dopo aver fatto un breve conto degli ordigni ed aver alzato le braccia al cielo, le fece ricadere con un tonfo leggero lungo i fianchi della casacca azzimata e linda. Subito si voltò verso i prigionieri ed esordì con un discorso d’assoluta lucidità e totalmente imbevuto di razionalità, - Chiariamo immediatamente le cose: voi siete in quattro, un ragazzo imberbe, una donna e due uomini malconci che fan fatica a reggersi in piedi. Non avete armi al di fuori d’un paio di pistole che molto ragionevolmente mi darete. Non ci sono vie di fuga, e questa volta non questione di spirito di sopravvivenza o attaccamento alla vita. In breve siete persi. Qualsiasi manovra sovversiva sarà repressa nel sangue, parlo con te ragazzino… -, indicò Adam che intanto stava dando prova d’estrema fermezza – Concludendo sarò franco con voi: io sono un uomo che non dovrebbe avere nome né volto, voi mi avete visto e quindi siete un problema. Io sono uso eliminare i problemi -, Jabbar s’abbassò a prendere da un’elegante valigetta di pelle un quaderno ed una penna, poi soggiunse molto tranquillamente – Detto questo, io catalogherò gli ordigni e poi darò a questi gentiluomini l’avviso d’ammazzarvi. All’incirca mi servirà un quarto d’ora; pregate il vostro dio se lo avete, e se non l’avete be’… è ora di trovarsene uno. Fate pure come volete – disse agitando una mano come per scacciare un mosca – Sono un cosmopolita -.
Keeran sapeva d’aver una sola ed ultima carta da giocarsi, in un modo o nell’altro doveva riuscire a divenire motivo d’interesse per quell’uomo, non era certo di quel che in seguito avrebbe potuto ricavarci, però tanto valeva tentare.
Partì dalla prima cosa che gli venne in mente, doveva intraprendere una conversazione, più intima possibile. – E io che credevo che lo facesse per Allah! – cominciò con tono spavaldo, senza riservare una sola occhiata agli uomini di Bill s’alzò e prese a seguire Jabbar, - Dunque non lo fa per la guerra santa -.
Jabbar prendendo appunti sul suo quaderno lasciò che Keeran s’avvicinasse, - No, non ho mai ben sopportato certe questioni – disse scotendo il capo – Guerre sante, non sante, giuste o no, la guerra è sempre e comunque guerra. Ed io combatto la mia quella in cui l’unico vincitore e mai vinto sono io. Pensi, io sono ritenuto un disertore al mio paese e per mia fortuna questo è l’unico capo d’accusa che penda sulla mia testa! -.
- Ed è per questo che tra… -, Austin controllò fugacemente l’orologio - Tredici minuti ci ammazzerà -
Il moro passò alla terza bomba nucleare, M-74, - Esatto! Lei mi comprende ed io comprendo lei: cerca d’ammaliarmi con i suoi modi tanto noncuranti e la sua parlantina svelta. Nobile tentativo. Ma l’avverto l’ultimo uomo che è riuscito ad incantarmi in tale prodigiosa maniera, è stato trucidato nel sonno per mia stessa mano – proseguì continuando a scrivere fitti appunti e nel fare quel suo strano giro di ronda. Keeran  però si mise a sbarrargli la strada avvalendosi di tutta la sua slanciata mole – Non ci sente nessuno. E lei sa meglio di me quanto io voglia sapere per quale motivo siano qui questi ordigni e che fine faranno quando usciranno da questa grotta. Non può rifiutare la richiesta d’un uomo che infondo non è molto più d’un cadavere che cammina, tanto più che ha dato mostra di valore! – esclamò Keeran concitato, Fang che s’era poggiato ad un angolo della grotta gli lanciò uno strano sguardo inquisitorio chiedendo risposta del suo atteggiamento.
- Sa non sopporto la gente che parla di sé in terza persona -.
- Allora siamo in due – convenne Keeran che stava praticando l’estremo tentativo di non sembrare a Jabbar uno dei tanti che aveva incontrato, in dieci minuti avrebbe dovuto cercare una ragione per far sì che un carnefice di tale risma scegliesse di risparmiargli la vita. Era il colloquio più complicato che avesse mai affrontato. Decise d’essere schietto, non avrebbe preso in giro il moro per un istante di più – Io sto cercando di salvarmi la pelle o almeno quella delle persone a cui tengo. Non so neppure io cosa sto tentando di fare o dove voglio arrivare, sono certo d’una cosa però: se riuscirò ad impressionarla avrò forse una speranza in più. Una su un milione, però è sempre qualcosa e per quella sono pronto a giocarmi persino la mia dignità dicendole queste cose -. Sbottò tutto d’un colpo, parlò a mitraglia per la paura che ormai rimanesse troppo poco tempo.
Jabbar molto lentamente lo plaudì battendo le mani – Tentativo davvero ammirevole. Io riconosco un mio simile, per far strisciare per terra quelli come noi due prima bisognerebbe strapparci le gambe e lei lo ha appena fatto; proprio ammirevole! – gli concesse, e per una volta non vibrava scherno nella voce dell’armeno, poi aggirando Keeran continuò a catalogare le bombe, ne mancavano circa la metà, però proseguì pure nel discorso: - L’accontenterò… Ma partiamo da principio: quei russi arrivarono qui nei primi anni Cinquanta con una partita di nucleare rubata proprio al suo paese. Dio benedica gli Stati Uniti d’America! – ghignò gioviale per poi riprendere – Serviva loro un posto dove nascondere la refurtiva dato che era in pieno corso la Guerra Fredda, le spie erano ovunque e serviva appunto un luogo sicuro. Si da il caso che proprio il tenente colonnelloŠklovskij, rampollo di nobile famiglia, aveva appena ritrovato durante un viaggio privato questa grotta; solo lui ne conosceva la posizione, così insieme ad altri cinque fu incaricato dai compagni di nasconderci questo piccolo arsenale – si bloccò di colpo, molto enfaticamente e si toccò la tempia per un istante come se stesse cercando d’agguantare un pensiero che gli sfuggiva – Attenzione! Per motivi di sicurezza loro erano gli unici a conoscere l’esatta ubicazione del nascondiglio, così quando tutti s’ammalarono d’un morbo, probabilmente un attacco di meningite fulminante, il segreto morì con loro –.
A Keeran i conti non tornavano, le mummie erano cinque, però gli uomini di cui parlava il moro erano sei, quindi che fine aveva fatto l’ultimo? L’espressione del suo volto però precedette la domanda. – Un soldato semplice prima che le forze l’abbandonassero riuscì ad uscire nel deserto dove si perse e morì. Con sé aveva un diario, nelle cui pagine descriveva la missione e parlava d’un gran tesoro appartenente a monaci cinesi. Io ho trovato il diario e facendo due più due ho capito che per trovare le bombe dovevo trovare il tesoro. Non credo Mr. Keeran di dover andare avanti, la storia la conosce -. 
Ora tornava tutto, a nessuno importava il tesoro in sé quanto più il luogo dove era tenuto; se l’istinto non l’ingannava Jabbar era un trafficante d’armi e a lui chissà quanto sarebbe fruttato il vendere un tale arsenale, quanto più che i costi di produzione erano praticamente nulli. Quanti stati avrebbero voluto accaparrarsi l’atomica illegalmente, di nascosto e soprattutto già pronta all’uso. Malgrado si stesse dando un contegno dal volto di Keeran trasparì parte dell’orrore che provava. 
Jabbar sorrise gaio – Ed io sono l’unica persona al mondo che sappia cosa accadrà nei prossimi mesi o forse anni, chi può dirlo? Venderò l’atomica al miglior offerente e le dico pure come la vedo io: l’Iran, il volenteroso Iran acquisterà la bomba atomica per cancellare Israele dalla carta e sarà allora che interverranno gli USA ed i caschi blu, ma io molto opportunamente metterò sul mercato quelle laggiù – indicò gli ultimi quindici ordigni, quelli che Keeran non aveva ancor capito cosa fossero.
- Armi chimiche, le famose scie chimiche, realtà o fantascienza? – domandò Jabbar in preda ad una folle frenesia – Realtà! Sono vere le tocchi! Immagini: un solo stato che può manipolare il clima, le siccità, le alluvioni a suo completo piacimento. Persino un paese ricco come il suo sarebbe messo in ginocchio nel giro di tre mesi. Niente acqua, niente contrattacchi -.
Jabbar notò l’ombra d’odio che passò negli occhi di Keeran per un secondo e quindi soggiunse – Non si preoccupi, io sto solo dalla mia parte. Perciò se l’Occidente avanzerà la proposta più alta, io sarò ben disposto ad accettarla. Al massimo incenerirà solo Israele! - 
A trattenere Keeran dal saltar al collo di quell’uomo fu solo la presenza delle pistole puntate sui propri amici, una mossa falsa e gli uomini di Bill avrebbero premuto il grilletto con grande piacere. Jabbar aveva detto soltanto Israele. Secondo lui soltanto sette milioni di persone sarebbero morte, che infondo poi sono poca cosa per la ricchezza. Keeran si ritrovava ad essere l’unica persona su quel pianeta a saper cosa sarebbe successo e provò un angoscia terribile nel non poter far niente di utile, riuscì soltanto a dire convenendo – Sarà una guerra di proporzioni colossali… -.
- Esatto, esatto! Visto alla fine sarò io l’unico a vincere quando gli altri staranno a scannarsi e sa qual è la parte divertente? Io sono uno, se non il più importante trafficante d’armi al mondo e l’unica volta che sono stato agguantato dai servizi segreti, i vostri, la CIA, mi hanno rilasciato con comando diretto dalla Casa Bianca. Senza farmi una foto o prendermi le impronte digitali-, fece una pausa per ricontrollare un dato che aveva preso, il sorriso folle non si cancellava dal volto. Infine disse una verità di cui Keeran inseguito avrebbe avuto ancora la conferma.
- Anche ai buoni a volte serve giocare sporco e pure loro voglio professionisti come me, gente che possa arrivare dove sarebbe illegale per voi. Tutti vogliono avere le mani pulite – sentenziò Jabbar con la voce che era ormai un sussurro, soltanto Keeran l’avrebbe potuto udire anche se non avrebbe voluto perché sapeva che anche il suo era un governo edulcorato, ma non credeva fino a quel punto. L’armeno rise ancora, sempre più soddisfatto – La colpa sarà mia quando succederanno tutti quei fatti che le ho appena descritto. Però sarà anche dei governi ipocriti, di quei finti buoni che sono peggio dei veri cattivi. Voi volete apparire solo meglio di quel che siete, lo vogliamo tutti quanti. Ma ricordi, è come voler indossare una camicia bianca appena uscita dalla sartoria quando sotto s’indossa ancora una t-shirt lorda di sangue. Non si disperi, è sempre stato così e lo sarà fino alla fine. Si dice che il male c’è perché nessuno lo combatte, in realtà c’è e basta. Questa è la polizza sulla mia vita e quella di tanta altra gente -.
Keeran guardò assente l’orologio che gli disse che aveva ancora due minuti, osservò Jabbar che come se niente fosse stato stava finendo di prendere appunti a proposito dell’ultima bomba. – Ora dopo averle rivelato tutte queste cose, converrà anche lei che mi toccherà ammazzarla. Non pensi male di me né del suo governo; io ho trattato con tutti i maggiori politici e uomini d’affari della terra e mi creda, hanno una moralità tutta loro, davvero particolare. Ebbene penso che la loro morale sia al di sotto d’un paio di tacche rispetto a quella d’un maniaco, per il resto però sono davvero brave persone… soprattutto il vostro başkan yardımcısı, non mi sovviene come si dice nella vostra lingua. Però è una persona davvero meschina, invischiata in tutto e un po’… -.
Detto questo il moro prese Keeran per un gomito e lo riportò davanti all’entrata insieme agli altri, questo si fece condurre docilmente, quanto Jabbar aveva detto prima d’andare a censire gli ordigni era la pura verità; questa volta serviva un miracolo per tirarli fuori da guai e Keeran non era capace di compierli.
L’unica cosa che ora desiderava visceralmente era essere il primo, si sentiva troppo vile per poter stare a vedere gli altri cadere uno alla volta. Così quando furono tutti in riga, prima ancora che Jabbar avesse detto qualsiasi cosa, si tirò fuori dal gruppo e silenziosamente, dando solamente un’ultima occhiata a Lyn, si mise esattamente davanti all’entrata; il moro rimase interdetto per un secondo però poi assentì inclinando il capo, infine si posizionò alle spalle di Keeran.
L’ultima cosa che egli vide furono le luccicanti armature da samurai, poi fu buio.
Aveva chiuso gli occhi Keeran ma nella retina gli era rimasta impressa ancora l’immagine di Lyn. Sentì dietro di sé il rumore del cane della pistola che veniva armato; il sangue gli correva impetuoso al cervello, sentiva battere all’impazzata le tempie e la carotide nel collo, gli pareva d’aver ogni percezione offuscata e perciò avvertì due volte il rumore stesso della pistola carica.
Pensò di prendere l’ultimo respiro della sua vita, invece gli arrivò sfuggevole alle orecchie una frase che in quella circostanza non c’entrava niente, - Mai fidarsi d’un inglese, Mr. Jabbar -.

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Capitolo 19
*** Prae Mortem ***


Ancora inconsapevole avvertì lo sparo, acuto nelle orecchie ma per fortuna non nella carne. Qualcosa d’improvviso schizzandogli addosso gli bagnò la schiena e gli ci vollero un paio di secondi prima che raccogliesse il coraggio necessario per toccare con una mano la grossa macchia, quando la ritrasse le dita erano rosse e umide. Non c’erano dubbi qualcuno era morto e lui non era di certo.
Non fece in tempo a voltarsi che udì nuovamente uno sparo, questa volta d’istinto gli venne di buttarsi a terra, ma non c’erano proiettili da evitare, almeno non per lui. – Che fai lì!? – lo rimproverò aspramente una voce da dietro, questa dopo un paio di fini intercalari riprese – Alzati e renditi utile una volta tanto! Che qua mica posso tutti tenerli io a bada! -. Se Keeran ne avesse avuta la forza avrebbe preso a schiaffeggiarsi energicamente per capire quanto era realtà e quanto era invece la sua fervida immaginazione. Poole, appoggiato alla parete del tunnel, teneva in mano un vecchio revolver ancora fumante, davanti a sé steso stava il moro indubbiamente morto. La casacca immacolata che come le rocce tutt’attorno lentamente si stava imbevendo del sangue del proprietario. Alla fine persino Jabbar per la prima volta in vita sua era stato sconfitto, peccato che avesse perso la battaglia sbagliata, quella decisiva.
Tra i mercenari di Bill stava un altro morto, quello che un tempo era stato l’ottuso Lucas, ora neppure la madre sarebbe stata in grado di riconoscerlo. – Voleva provare a farmela. Inutile dire che non ce l’ha fatta – addusse Poole come causa del secondo cadavere, quando avvertì addosso lo sguardo inquisitore di Keeran, poi soggiunse in direzione degli altri uomini – E voi, non v’azzardate a fare una mossa falsa perché stasera ho il dito che mi prude -. Ma non c’era bisogno di nessun monito, quegli uomini erano stati praticamente folgorati dalla rapidità di movimento del vecchio e non avevano il benché minimo barlume d’idea di portare la mano alla cintura. Ed ora i pavidi, a parte Bill, si stavano quasi stringendo tra di loro a farsi piccoli, quasi neanche fossero agnelli sotto il famelico sguardo d’un lupo; ma anche ben attenti a sfuggire il sangue del compagno che stava colando verso i loro piedi, quasi non volessero esser minimamente associati con colui che per poco non li aveva fatti ammazzare tutti, non importava se poi erano stati loro ad esortarlo a sparare.
Keeran s’alzò, quasi stupito della grazia di poter trovarsi ancora una volta in piedi e di non far parte invece delle persone che per sempre sarebbero rimaste in orizzontale non beneficiando più delle gambe. S’avvicinò a Poole, al momento non si chiese neppure come egli avesse fatto a trovarli nel deserto e a salvarli, però l’avrebbe ringraziato se non fosse stato che quello dopo aver detto – Aspetta a dirmi anche una sola parola -. Quella frase fu come un muro per Keeran che però all’instante non ne afferrò il significato, ma la scambiò per una delle tante dimostrazioni d’affetto che Poole in molti anni gli aveva continuamente dispensato. Poi il vecchio cominciò a parlare serio ai mercenari, anzi più precisamente si rivolse a Bill, - MacFarlane le propongo un affare che lei non rifiuterà: mi fornisca lo stesso servizio di trasporto aereo che avrebbe offerto a Jabbar ed io salderò la parte di conto che l’armeno doveva ancora a lei ed ai suoi uomini. Mi aiuti a portare fuori di qui gli ordini BF-3, BF-15, BF-16, BF-17 ed BF-19 e potrà prendersi anche metà delle armature da samurai laggiù, le frutteranno abbastanza per curare suo figlio a vita; lei naturalmente però mi deve assicurare fedeltà assoluta dai suoi uomini, niente rappresaglie -, parlò speditamente quasi gli premesse finire il prima possibile, poi senza cercare alcuna scusante si voltò verso Keeran che aveva ascoltato e si ritrovò sempre più confuso e costernato.
- Mi dispiace ma ho paura che dovrete prolungare per un paio di mesi la vostra permanenza qui, almeno fino a quando non avrò finito - prese a dire l’inglese con il volto che era una maschera d’assoluta indifferenza.
- Fino a che James? Abbi quanto meno il coraggio di dirlo, dopo questo la faccia tosta non ti mancherà di certo! -, Keeran s’era appena liberato d’un demone per ritrovarsi a tenerne per mano un altro di ben più grande portata. Gli parve che Poole si stesse arrovellando alla ricerca della risposta giusta, combattuto tra il nascondere la verità a Keerano invece sbattergliela in faccia, alla fine si risolse per quanto gli suggeriva la propria natura – Fino al sedici d’ottobre -, non aggiunse altro tanto era sicuro che la data dicesse a Keera molto più che centomila parole.
Sediciottobre… la riunione degli enti
Ogni sei mesi si teneva una grande riunione collettiva tra i servizi segreti anglosassoni, solo del GST, che in fin dei conti era un organizzazione ancora piccola, partecipavano quasi cinquanta persone. E poi c’erano i politici, un sacco di politici. Alla fine per tre giornate sarebbero state riunite insieme qualcosa come duemila persone.
Keeran anche s’aveva capito qual’era l’obbiettivo di Poole ancora non riusciva ad afferrare il movente, perché avrebbe voluto far scoppiare degli ordigni contro gente che lui non aveva neppure mai visto?
- Qualsiasi cosa tu voglia fare, ti fermeranno prima ancora che tu possa aver pensato d’iniziare – dichiarò Keeran, non stava bluffando sapeva che l’evento era organizzato minuziosamente, se anche solo un passerotto si fosse poggiato al parapetto d’una delle finestre dove aveva luogo la convention, i servizi segreti che s’adoperavano per la salvaguardia di altri servizi segreti lo avrebbero saputo.
Poole appoggiò la mano alla fronte pensieroso e quasi preoccupato, ma era tutta una finzione; indicò Keeran, - Tu credi che non ne sia capace? Forse hai tralasciato il fatto che io sia stato in grado di trovare uno degli uomini più ricercati della Terra, quando i servizi segreti che tu tanto elogi non sono stati capaci di farlo in più di trent’anni. Senza contare che io ho poi imbrogliato quell’uomo, quello che si credeva il migliore… - disse riflettendo ancora meditabondo, poi con mano febbrile cominciò a lisciarsi i baffi – Ed egli stesso, se noi potessimo avere a godere della sua compagnia, confermerebbe ciò di cui tu dubiti. L’essere in grado di soggiogare la sicurezza è l’ultimo dei miei problemi – concesse Poole, intanto i suoi occhi non mollavano per un secondo lo spostamento degli ordigni che avveniva per mano e soprattutto braccia dei mercenari. Anche se poteva parer assorto nella discussione con Keeran, il suo cervello continuava a tener conto di qualsiasi dettaglio.
- Quale sarebbe allora per te il problema? – s’azzardò Keeran, il suo era un gioco di sguardi con Poole che aveva della maestria, sebbene il vecchio avesse di natura il potere di sottomettere gli altri con una sola occhiata, Keeran non gli era certo da meno; lui stesso aveva infondo imparato dal migliore, lo stesso Poole. Ad un tratto gli asettici occhi azzurri dell’inglese brillarono in una vampata, allungò un dito grinzoso ed asserì – Tu. Perché sono certo che anche se ti spiegassi i miei più che nobili motivi, mi daresti contro. Tu potresti al massimo compartirmi, e di compassione ne ho avuta più che a sufficienza negli ultimi anni, ma t’assicuro che da questa scaturisce il risentimento, lo fa maturare trasformandolo in sete di vendetta - gettò una celere occhiata intorno, squadrando persino le rocce e commentò sprezzante, quasi nauseato
- La compassione è come una spazzola ruvida passata su d’una ferita aperta. Certamente non è il miglior metodo per guarire -.
Keeran era perplesso, Poole vaneggiava parlando a proposito di vendetta, ma in tanti anni di frequentazione lui non s’era mai accorto che nell’inglese stesse fermentando del rancore. Poole era scorretto e agro come pochi, ma con un comportamento impeccabile; come poteva esser diventato così, di punto in bianco un assassino, anzi sarebbe stato definito persino terrorista. – Tu vecchio ti sei ammattito! Parli di vendetta ma la realtà è che sei pazzo, non riesci più a discernere ciò che è bene da ciò che è male! – esclamò Keeran sconvolto, non poteva credere che l’uomo scorbutico che un tempo l’aveva tenuto sulle ginocchia ora volesse compiere un atto di tale scelleratezza.
Poole questa volta però aveva la risposta pronta, in canna, - Il giorno in cui colpirò nella stessa stanza ci saranno e di conseguenza moriranno esattamente duemilacentosessantasette persone. Io non sono pazzo, so quel che faccio, so che è orribile. Ma almeno ci sarà giustizia! Perché loro hanno distrutto la mia di vita, quella di lei e quella di molta altra gente, e loro venerdì sedici ottobre saranno là! -.
Fang guardò Keeran in cerca di una risposta plausibile che lui fino a quell’istante non aveva trovato e soprattutto della risoluzione a quel problema. Perché se Keeran voleva capire cosa fosse successo a Poole, tutti gli altri desideravano soltanto invece il poter uscire da quell’incubo.
- Loro chi?!? – domandò Keeranal culmine dell’esasperazione, era stanco di quel farneticare, ma se nello sguardo fiacco di Fang aveva letto la volontà comune d’un intervento di forza, lui non avrebbe mosso un dito contro Poole.
– Gli stessi che non hanno esitato a far incolpare e poi uccidere tuo padre, quand’egli era l’unico vero, e soprattutto inerme, innocente -; questa fu la risposta dell’inglese, ma Keeran la reputò errata: Poole poteva farsi di beffe di lui quanto voleva, ma non doveva in nessun modo usare come scudo per la propria coscienza una falsità, solo per conquistare il suo consenso. Fu esattamente questo a far scattare la scintilla, Keeran in un batter di ciglia colmò la distanza che lo divideva da Poole, ma soprattutto infranse la reverenza che per anni aveva caratterizzato il suo rapporto con il vecchio. Mai e poi mai nessuno, tanto meno lui, si era permesso di parlare o comportarsi nella stessa maniera in cui fece Keeran.
Prese l’inglese per il polso della mano armata, e anche se non era andato là per far del male a Poole, lo strinse con forza sovraumana. Fissò di sotto in sopra il vecchio e con il volto trasfigurato in una maschera da far rabbrividire, completamente sconvolto da qualcosa che andava ben oltre la semplice rabbia o l’odio, disse in un roco mormorio gutturale fin troppo simile ad un ringhio – Potevi dire qualsiasi cosa, qualsiasi ed io t’avrei creduto! -, le labbra gli si increspavano convulsamente, - Lui è morto calunniato nel letto d’un ospedale federale; non ti devi permettere di tirarlo in ballo per ripararti dalla tua coscienza quando lui non c’entra niente -.
Keeran ritrasse la mano che aveva stretto il polso di Poole, era come se fosse stato nauseato anche dal solo toccare l’inglese, - Tu non devi minimamente associare il suo nome alle tue scellerate pazzie. Lui si fidava ciecamente di te, lui ti credeva il migliore e non si sarebbe mai aspettato questo da te – asserì con forza, intanto senza accorgersi i due seguiti da Fang, Lyn, Adam ed i mercenari, insomma un’intera processione, s’erano sempre più spostati nel tunnel sotto la tettoia di legno.
- Sai cos’è che mi fa specie? Eri tu quello che aveva detto che sì, il mondo faceva schifo, ma che infondo non ci sono colpe se non la nostra. Bell’ipocrita che sei! – esclamò schernendo l’inglese.
Poole si guardò intorno, forse per la prima volta in vita sua messo alle strette; lui che odiava gli ipocriti era entrato a far parte di essi, e lo riconosceva pure. Però sapeva anche che la ragione per cui lo faceva era il miglior ideale che avesse avuto in vita sua, e quella volta non era per i soldi, un’euforia momentanea o una classifica di Forbes. – Non puoi ancora capire. Quelle erano parole astratte in cui nemmeno io credevo probabilmente, una frase senza senso, bella solo da dire, ed infondo detta ad un ragazzino di dieci anni… - disse con la voce cedevole e malleabile ad un tratto, infine soggiunse - E poi diciamocelo, chi ci credeva?! -.
- Io –. Keeran rispose così a quella che non era nemmeno una domanda, un singulto che li uscì automatico; si era fatto più cupo che mai improvvisamente, era come un cielo estivo, di quelli tersi d’agosto che repentinamente si rannuvolano. Poole scosse sconsolato il capo ed ammise – Allora non potremo mi essere d’accordo, su questo punto di vista. Non arriveremo mai ad una conclusione; sappi però che io sono irremovibile -.
- Pure io – concesse mestamente Keeran che quella notte aveva perso quasi tutte le speranze, perché il male a quel mondo era terrificante e senza mezzi termini o concessione; però aveva pure ricevuto la conferma, se necessario, che qualcuno ci sarebbe sempre stato e senza alcuna riserva. Keeran si riavvicinò a Poole, e con voce che ormai s’era fatta ferma e certa disse – Sai che facciamo, visto che non trovi soluzione? Ora mettiamo alla prova i tuoi nobili ideali e vediamo fino a che punto sei andato fuori di senno -. Si accostò a Poole, che questa volta però gli puntò addosso l’arma con mano tutt’altro che tremante, Keeran però non reagì, anzi accostò la canna sotto il proprio mento ed aggiunse
- Sparami ed ora vediamo se ne hai le palle -. Keeran non temeva minimamente la risposta che Poole avrebbe dato a quella sentenza; aveva avvertito la scossa gelida della paura che l’aveva attanagliato quando s’era trovato nella grotta delle Scilly, stessa cosa per la Camera del Tesoro e l’essere appesi su di un dirupo.
Ora non aveva paura di morire perché era conscio del fatto che se persino un uomo integro come Poole avesse avuto il fegato di premere il grilletto ciò avrebbe significato che non c’era speranza o possibilità per un uomo di vivere incorruttibile, per Keeran avrebbe voluto dire che alla fine Jabbar era l’unico ad aver avuto ragione.
E lui era certo di non voler vedere gli anni a venire.
Keeran aspettò fremente, quella era già la seconda volta in meno di un’ora che aspettava una decisione altrui che avrebbe significato tutto. Teneva fisso il proprio sguardo in quello di Poole, ma questa volta non cera una tattica, niente era premeditato, solamente tentava di capire cosa stesse pensando l’inglese. E quella notte forse per la primissima volta riuscì a permeare i pensieri del vecchio che per trent’anni erano sempre stati terreno occulto, una zona di non ritorno mai stata esplorata. Poole se ne accorse e cercò di riprendersi, ma non c’era modo per mascherare la graticola d’emozioni che lo stava torturando, almeno non agli occhi di qualcuno che per più di due mesi s’era trovato immerso nella medesima situazione, continuamente a contatto minuto dopo minuto con un indecisione straziante. Almeno non agli occhi di Keeran.
- Tu ti fidi di me, Christopher? – domandò in un bisbigliò Poole; Keeran pensò subito quanto quella domanda fosse inopportuna, ma conoscendo Poole ne cercò immediatamente il vero significato, il trabocchetto che l’inglese poneva sempre all’interno delle proprie frasi. Ma non lo trovò, per quanto s’arrovellasse non gli riusciva di trovarlo. Che fosse una domanda senza sotterfugi? Una domanda e basta?
- Sì, purtroppo non hai ancora perso la mia fiducia –
Poole si morse il labbro, un gesto così inadeguato per un tipo come quel vecchio - Allora dovresti sapere che se lo faccio ci sono dietro un milione di buone ragioni -.
- Non ce ne è una giusta se per raggiungere i tuoi scopi devi ammazzare così tanta gente innocente… Io ho sempre desiderato di diventare un giorno come te. James ti prego, non farmi cambiare idea – ribatté Keeran sempre sussurrando, anche se a lui pareva che tutte le parole di quel discorso stessero rimbombando incessantemente nella galleria. – Tu se ti trovassi nella mia situazione faresti esattamente la stessa cosa… - cominciò a dire Poole e Keeran era sicuro che in quella frase ci sarebbe stato un ma, perché dopo così tanti anni di frequentazione conosceva a menadito le movenze, il gesticolare ed i tic dell’inglese.
- No! – esclamò istintivamente Keeran quando vide spuntare dal nulla, protette dal favore dell’oscurità due mani nerborute e forti come l’acciaio che cercarono d’afferrare la pistola di Poole, che però fece in tempo a reagire.
Bill più protetto dalla disattenzione generale che dal buio, lentamente e con passo felpato degno d’un gatto, s’era avvicinato invisibile. Nei minuti precedenti, durante cui aveva trasportato gli ordigni insieme a i propri compagni, aveva iniziato a maturare un pensiero che nelle settimane precedenti aveva sempre ricacciato indietro: dare una mano a quelle persone. Aveva visto Poole sparare con una freddezza che avrebbe fatto impallidire persino un killer, l’aveva più volte sentito parlare con Jabbar e mai aveva dato segni di pentimento o rimorso; l’inglese quando aveva saputo del piano distruttivo del trafficante d’armi non aveva alzato neppure un sopracciglio. Quel’uomo non aveva coscienza, avrebbe freddato il proprio figlioccio; Bill lo sapeva, l’aveva visto rinforzare la presa sulla pistola, perciò era intervenuto perché era seccato dal veder sempre che alla fine erano i giusti a perire ed ora che ne aveva la possibilità non avrebbe esitato ad intervenire. A Keeran doveva ancora la vita, infondo forse non si sbagliava, gli uomini d’onore esistevano.
Vi fu un attimo fallace in cui tutti cedettero che lo scozzese avesse avuto, come era prevedibile la meglio; invece Poole lottò come una tigre e tirando fuori una grinta colma d’orgoglio fu capace di resistere strenuamente. La pistola svuotò in aria tutto il caricatore con un risultato disastroso perché i proiettile andarono a conficcarsi nelle travi putride e smangiate dal tempo oppure tranciarono il cordame già logoro. Ci vollero un paio d’istanti dopo gli iniziali scricchiolii e cedimenti prima che tutti capissero che la tettoia insieme alla volta che essa sorreggeva, stava cedendo.
Fu il fuggifuggi generale, tutti tentarono di raggiungere l’uscita che distava ancora una decina di penosi e lunghissimi metri; Juan e Mitch decisero di riparare nella più prossima grotta delle armature, tutti gli invece si arrischiarono nel raggiungere la vera salvezza: il tempio.
Keeran per istinto cominciò a correre, tra la polvere ed i primi detriti che cominciavano a franare a pioggia dalla volta distinse davanti a sé, a contrapporsi con la luce proveniente dall’esterno Adam e Lyn, ormai erano praticamente in salvo. Poi però si ricordò di una cosa: Poole durante la collazione con lo scozzese era caduto, non sarebbe riuscito mai ad alzarsi in tempo senza l’aiuto di qualcuno. Stava per tornare indietro quando si sentì avvinghiare per un braccio, era Fang che nella corsa l’aveva strattonato perché sapeva cosa Keeran aveva in mente; questo a quel punto fu costretto a seguirlo e l’ultima cosa che poté intravedere nel turbinio del pulviscolo prima di voltarsi fu la sagoma nera di Poole.

Appena furono fuori tutti cominciarono a tossire più o meno convulsamente nel tentativo di liberarsi da quella polvere rossastra che durante il crollo della galleria aveva saturato l’aria, e che ora otturava le vie respiratorie. Keeran dopo aver lanciato in giro una rapida occhiata ed aver constato come il loro numero si fosse drasticamente ridotto, si piegò per un attimo sulle ginocchia per poi subito rialzarsi e dirigersi verso il cumulo informe di macerie polverulente.
Non c’era nulla. Gli pareva di star eretto davanti ad un gigantesco monumento funebre, di quelli in commemorazione ai caduti di guerra, in Europa negli ultimi due mesi di aveva visti a frotte. Oltre a travi spezzate ed a massi di forma grottesca, non c’era proprio nulla; o forse sì: mano a mano che la polvere cominciava a dipanarsi, in netto contrasto con il terreno sanguigno spiccava un bastone nero laccato.
Keeran iniziò immediatamente a spostare i detriti perché era certo che il proprietario del bastone fosse proprio lì, non gli passò per la mente nemmeno per un istante che forse non ci sarebbe stato nulla da fare, ormai cominciava a credere nei miracoli. Al suo fianco ben presto arrivò Fang poi Adam ed infine Lyn, mentre Bill se ne stava in disparte a guardare, non perché non avesse voluto aiutare pure lui bensì perché era rimasto scioccato. Per una volta che aveva agito, forse aveva sbagliato perché non gli era certo sfuggito lo sguardo che Keeran per un istante nella galleria gli aveva riservato.
Keeran si lasciò cadere a terra sulle ginocchia, erano riusciti ad aprire uno spiraglio ed ora spuntava la mano che stringeva il bastone e guardando guancia a terra più in là, oltre l’oscurità si scorgeva anche un viso dai capelli canuti. – Ehi James dimmi qualcosa – mormorò Keeran cercando di meglio vedere come stesse il vecchio.
- Vai a farti fottere – disse l’inglese la voce più rauca del solito – Ti basta? -.
Keeran non poté trattenere il sorriso a quelle parole, ma immediatamente si rese conto che se non si fossero sbrigati sarebbe stata la fine. – Ora ti tiriamo fuori da lì – lo assicurò, ma prima che potesse rialzarsi per spostare anche un solo sasso Poole intervenne: - Non dire palle! Lo sai che non lo sopporto, e poi lasciami morire in pace con un po’ di dignità -.
Keeran stava per ribattere quando però il vecchio proseguì sempre più fermamente – Non sto scherzando, non è una puttanata da vecchio eroe scorbutico da graphic novel. Anche se mi tiraste fuori i rinforzi non arriverebbero in tempo, è inutile! -. Quella che avrebbe dovuto essere un ruggito da leone ferito, fu invece poco più che una roca protesta; dopo un paio di colpi di tosse il vecchio riprese con un abbozzo d’amara risata – Indovina un po’ per che cosa sono incastrato? Le gambe, queste luride bastarde vogliono rendermi indietro tutti i maltrattamenti che hanno subito quando ancora funzionavano! -.
Malgrado le parole di Poole, Keeran fece almeno un tentativo, spostò tutti i massi che riuscì finché non poté se non altro guardare negli occhi l’inglese anziché starsene a mangiar la terra e questo lo fece soprattutto per lui. Non disse nulla quando vide la macchia purpurea che s’allargava sulla giubba del vecchio, né diede l’impressione d’averla vista perché se Poole aveva detto di voler morire degnamente, allora lui si sarebbe prodigato perché tutto gli andasse a genio. Quindi bisognava partire dal comportamento: niente frasi per redimersi perché è cosa da lasciare a gente insicura, mai chiedere scusa, mai far capire cosa si prova realmente e così via proseguendo in un decalogo di regole degno d’un istruzione reale.
- Devo dirti una cosa. Però senza gente attorno – disse d’improvviso Poole spezzando il silenzio che aveva attorniato la grotta. A quel punto Fang, l’unico ad esser rimasto accanto a Keeran, fedele compagno, se ne andò senza far rumore ma prima di voltarsi completamente con un gesto naturale ma del tutto inaspettato fece come per salutare alzando un cappello che però era invisibile, un saluto in direzione di Poole che non era un addio bensì un arrivederci. Un arrivederci in cui non c’era nulla d’ironico al contrario del solito di Fang.
Appena quello si fu allontanato Poole cominciò immediatamente a parlare, sforzandosi per farlo il più in fretta possibile – Tu potrai pure non credermi ma non stavo mentendo prima riguardo a tuo padre. Non è morto per il cancro, è stato avvelenato -, l’inglese notò l’insofferenza negli occhi di Keeran, ma in qualche modo doveva riuscire a convincerlo. – Stava guarendo, la chemio faceva effetto; allora come mai un così repentino cambiamento? Neppure i medici riuscirono a spiegarselo, eppure non sono mai arrivati i referti dell’autopsia di routine. Non ti sei mai chiesto perché? – domandò Poole, un barlume d’energia gli attraversò come folgore gli occhi e prima che Keeran potesse porre una sola parola, l’inglese si portò una mano alla gola alla ricerca d’una catenella d’argento da cui pendeva scintillante chiavetta. – Questa apre la mia cassetta di sicurezza a Londra -, poi la consegnò a Keeran.
Poole cominciò a spiegare celermente e sempre più incalzante: - Ricorda bene: 951995 è il numero della cassetta il cui codice è 11979. Là troverai tutto ciò che ti potrà servire e comunque un uomo ti verrà sicuramente a trovare: è un buon amico, ma attento a non farti fregare perché è anche scaltro, il suo nome è Jean-Alain Givet ma tu forse lo conoscerai come Ribot – concluse scosso dalla tosse, un rivolo di sangue gli spuntò all’angolo della bocca.
Keeran rimase profondamente turbato da tutte quelle frasi, ed anche se era portato a credere a Poole, non sapeva cosa pensare. Non capiva perché proprio quella notte dovessero accadere così tante cose, ed ora che aveva risolto il mistero del tesoro, capito chi aveva messo loro alle calcagna dei sicari e sistemato ogni cosa, Poole ora desiderasse stravolgere il suo instabile e quanto mai precario mondo.
Però voleva anche sapere, era facile rifugiarsi nell’incredulità e mettere la testa sotto la sabbia, ma lui non era il tipo da farlo e non importava se aveva appena concluso una specie di triathlon del rischio.
- Se riuscissi a scoprire chi l’ha ucciso potrei anche riscattarlo? – chiese Keeran concitato, vedeva che Poole stava mollando, ed ora che si era persuaso delle parole dell’inglese questo lo stava mollando con la sola eredità di una chiave, una cassetta di sicurezza e troppi punti interrogativi.
Il vecchio strinse i denti cercando di sopportare il male, per la prima in volta in vita sua avrebbe anche potuto anche ammettere d’essere stato uno stupido e porgere le proprie scuse però non aveva tempo.
Aveva ragione quel tizio quando diceva che troppo tempo va sprecato nelle attese…
- Sì, ci riuscirai. Non ti preoccupare ti spiegherà tutto Ribot, io non ne ho il tempo… - fece una pausa, la vista gli si annebbiava, doveva trovare le parole adatte per non dover ammettere che forse in fondo a Keeran ci teneva – Ricorda la password è 11979, ricordalo bene. Non puoi dimenticarlo -.
Keeran non capì perché il vecchio gli stesse continuando a ripetere quel numero; non riuscì più a trattenersi e prese la mano dell’inglese, che suo malgrado accettò la stretta e soggiunse - Basta leziosaggini, diamine ho fatto la guerra io! Quindi se devi dire qualcosa che non siano cazzate… -
- Cosa vuol dire başkan yardımcısı? -
- Vicepresidente… 11979… – mormorò Poole, le sue ultime parole, poi socchiuse le palpebre, il volto rivolto verso l’alto a scorgere in lontananza oltre un’altra specie di lucernario naturale il cielo notturno. Gli parve di udire Keeran che lo ringraziava, ma ormai l’inglese aveva abbandonato l’amore dei vivi, il tocco di Keeranper aver la possibilità di farsi cullare da uno bene più grande.
Keeran dopo aver lasciato il corpo esanime di Poole raggiunse tutti gli altri che s’erano lasciati cadere a terra stremati, l’unico a mancare all’appello era il volenteroso Adam che s’era offerto per tornare all’oasi e fare la telefonata a Clayton.
- Uno, uno, nove, sette, nove… - continuò a ripetere tra sé e sé nella speranza che all’improvviso quel numero gli dicesse qualcosa in più rispetto a quell’unica strana sensazione che gli si era sedimentata nello stomaco e che non pareva volersene andare.
Lyn quando era arrivato non gli aveva detto nulla, soltanto gli si era poggiata contro e si era addormentata pacifica al suono di quell’improbabile cantilena, Fang invece dopo un po’ sbottò stancamente – Amico sei proprio egocentrico! Guarda che lo so quando sei nato, perché continui a ripetere la tua data di nascita? -.
Ecco cos’era! Era quello il motivo per cui quelle cifre non gli sembravano nuove ed ora riusciva anche a capire il perché Poole avesse continuato a ripeterle fino alla fine.
Non poté fare a meno di sorridere al ricordo del vecchio che era riuscito fino in fondo a prenderlo in giro, quando l’aveva visto morire aveva pensato che James Poole non sarebbe mai stato in grado di comportarsi come un essere umano normale perché sarebbe stato troppo banale, troppo e basta per una persona fiera ed orgogliosa dei propri modi di pensare l’ammettere d’esser attaccato a qualcuno.
Invece per tutto il tempo che gli era rimasto l’inglese non aveva fatto altro che ripeterglielo, gridarglielo nell’orecchio. Alla fine aveva pure avuto ragione su di un’ultima verità: per dimostrare certe cose tante volte non c’è bisogno di grandi manifestazioni, di spettacolo o grandi frasi. Bastava farlo nel momento opportuno, bastava farlo con un numero.
Keeran non rispose a Fang che ancora lo fissava stranito, bensì ribatté dicendo: - Hai il whisky? -.
Fang senza batter ciglio, ormai vaccinato alle stramberie tirò fuori da sotto la muta una fiaschetta di metallo contenente il bel liquore ambrato che proveniva dalle bottiglie che Clayton a Natale regalava ai conoscenti importanti. Il capo della CIA stranamente però non la riceveva mai.
- A che si brinda? – chiese scontatamente Fang dopo aver porto la fiaschetta a Keeran.
- Al miglior uomo che abbia mai tentato d’uccidermi – disse prima di versare un sorso in terra, poi ne bevve pure lui. Infine la passò a FAng che dopo aver ripetuto – Sempre e comunque -, non ne lasciò nemmeno una goccia.
Keeran osservò il whisky scorrere sul terreno in pendenza, poi rivolgendosi a Fang soggiunse – Non è che mi presteresti lo smeraldo che ti sei imboscato? –

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Capitolo 20
*** None Cloud has a Silver Lining ***


Le 4.25… Dio mio non sento più la testa…
Keeran aveva appena guardato le lancette dell’orologio di Fang e non poteva credere che fosse passato così poco tempo, s’era addormentato ed aveva tanto sperato di risvegliarsi che fosse già mattino, così almeno avrebbero potuto uscire da quella maledetta grotta e rivedere la luce del sole.
Quando si guardò intorno s’accorse però di non essere il solo insonne, Lyn se ne stava a prendere fogli e fogli d’appunti di fronte ai due draghi. Di soppiatto la raggiunse senza far neppure il minimo rumore, la prese dal dietro per i fianchi e le disse – Per il bene della cultura si fanno le ore piccole, eh? -
- No, sto solo qui a guardarli. Li adoro, hanno qualcosa di magnetico. Me ne porterei via uno – rispose lei totalmente assorta nel fissare i freddi occhi di smeraldo dei due draghi. Keeran aggrottò la fronte - Be’ si potrebbe fare, l’unica cosa non so se in giardino ci starebbe… Da dove viene fuori questo tuo lato oscuro? –
- Sai com’è, frequentando brutte compagnie – sospirò lei voltandosi verso Keeran per poi accostarsi al suo petto ed aggiungere più seria – Come fate tu e Dan a sopportare tutte queste cose? Io sarei già impazzita o come minimo avrei mollato tutto da un pezzo –
Keeran fissò un attimo pure lui il drago che li dominava dall’alto dei suoi tre metri e mezzo, poi andò oltre: rivide il cumulo di macerie color sangue, Poole, Jabbar e persino quell’incosciente di Lucas. Una notte, tanto era bastato per distruggere tre vite e probabilmente se non fosse successo il bilancio sarebbe stato ben più alto. – Ti ci ritrovi in mezzo e non sai mai cosa potrebbe accadere, bisogna solo aspettare. Pure tu hai vissuto questa sera ed hai visto come possono essere gli uomini del male, in un certo senso gli hai visti tutti. Ho vissuto abbastanza per sapere che gli amici che mi credono uno perfetto 007 non mi conoscono veramente; io al massimo sono Money Penny – disse passandosi una mano sugli occhi stanchi e pesanti, eppure lo sapeva quella notte sarebbe stata senza sonno.
- Sì però là fuori c’è tutta una vita. Il mondo non finisce qui -, più che un’affermazione quella di Lyn era una protesta, perché non poteva davvero credere che tutto si riducesse infondo ad una grotta e nient’altro.
Keeran scosse la testa e soggiunse rassicurandola – No per fortuna c’è dell’altro. Ed è per questo che anche se non sono portato per le seconde volte… aspetta un secondo -, prese qualcosa e lo nascose nel pugno, poi s’inginocchiò e passando una mano a ravviarsi i capelli esordì dicendo – So che non è il massimo, non è da sogno, io non sono da sogno però – fece una pausa e schiuse la mano liberando da quella specie di gabbia uno smeraldo, grande come un uovo di gallina e scintillante più d’una stella, poi proseguì – Giuro che avevo preso un anello da Bulgari, ma ora mi rimane solo questo; quindi mi vuoi sposare? -.
Keeran aveva ragione, non era affatto da sogno, lui era conciato così male che probabilmente persino un barbone incontrandolo gli avrebbe fatto la carità ed il momento forse non era esattamente dei più propizi, però Lyn non ebbe esitazioni, la risposta poteva essere una sola. Keeran però non s’accorse neppure che lei gli aveva annuito anche se quasi impercettibilmente, era troppo agitato, le mani gli sudavano e per poco non fece cadere persino lo smeraldo; se solitamente era un uomo brillante, ora gli pareva che la lingua gli si fosse incollata arida al palato e che non avesse mai imparato una sola parola. Perché lei non parlava?
- Sì – dovette ripetere lei quando s’accorse che Keeran non aveva ben recepito il messaggio e che un filo di panico s’era insediato nella sua espressione.
Uomini…
Appena capì, prima un pensiero gli saltò alla mente: Donne, perché accidenti non parlano?! Bisogna sempre tirare ad indovinare…
Poi saltò subito su a baciarla, almeno quella era stata l’intenzione, invece presero entrambi una testata incredibile.
- Hai ragione fai davvero schifo come principe azzurro – concesse Lyn tra il riso, due lacrime le stavano scendendo lungo le guance per via dell’imprevista e violenta botta. – Guardati un po’ tu! – replicò Keeran prendendole tra le dita una ciocca degli arruffatissimi capelli, mentre la pelle d’albastro era ancora in gran parte coperta da polvere rossiccia.  
- Be’ però è una gran prova d’amore se dici d’amarmi anche se ho i capelli che sembrano stati masticati da dei cani – osservò arricciandoli tra le dita a sua volta, poi s’accostò nuovamente contro lui.
- Ed io che mi ero preparato pure un bel discorso, persino Shakespeare volevo citarti… Senti un po’: due luminose stelle, tra le più fulgide del firmamento avendo da sbrigar qualcosa altrove, si son partite dalle loro sfere e han pregato i suoi occhi di brillarvi fino al loro ritorno -, Keeran recitò a memoria quelle poche righe senza sbagliare una virgola ed anche se sapeva che Lyn avrebbe dato poco conto a quelle parole, infilate in un discorso scherzoso e quasi per caso, lui però le sentiva per davvero al contrario di Shakespeare e se ne fosse stato in grado per lei sarebbe riuscito a comporre frasi e versi d’una bellezza ancor più grandiosa.
Lyn corrugò la fronte fintamente perplessa ed aggiunse – Ed io che m’ero convinta d’aver per fidanzato un allitterato! -    
- Un che? –
- Lasciamo perdere - sospirò lei – M’accontenterò dei pettorali, della folta chioma e basta…- proseguì guardandolo con sguardo condiscendente.
- Sai le uniche cose che ci separano dall’essere due vecchi pensionati bisbetici è che io non ho ancora perso i capelli e che tu non hai le scalmane, per il resto siamo una coppia di settantenni -.
Passarono più o meno così il seguente quarto d’ora tra chiacchiere, baci ed effusioni d’amore che furono bruscamente interrotte quando Fang dopo essersi svegliato cominciò a suggerire qualcosa a Keeran decisamente con poca discrezione, da principio quello cercò d’ignorarlo continuando a tenere tra le braccia Lyn, poi perse la pazienza e prontamente estratta una scarpa la scaraventò contro il sopracitato amico, facendo immancabilmente centro. – Mi stavo dimenticando, c’è una piccola clausola matrimoniale che ho dovuto barattare in cambio dello smeraldo; cito testuali parole: io, Daniel Isaac Fang ogni mercoledì e giovedì notte avrò a mia libera disposizione il divanoletto coniugale, posto sotto il tetto della barca coniugale, nonché l’adiacente televisore cinquanta pollici. Causa vicini che producono rumori molesti… Ambasciator non porta pena – concluse saggiamente Keeran dopo aver riferito il tutto. Si domandò se Lyn avrebbe accettato, insomma convivere con l’amico del tuo ragazzo per un mese era una cosa; ma vivere a stretto contatto con Dan Fang, rumoroso e indiscreto inquilino per due sere a settimana, che come minimo si sarebbero duplicate, non era affatto facile.
Lyn aggrottò e sopracciglia, fece finta di ponderare la cosa pensierosa, faccia da poker – Ok, accetto. Però allora metto io una clausola: ti toccherà rimediare a tutti i compleanni con delle gardenie -.
- Va bene, dissiperò tutti i miei risparmi in gardenie, una carrellata di gardenie bianche! Però per ora dovrai aspettare – fece Keeran, convinto che quello non fosse soltanto un bieco ricatto come poteva parere, ma un rimando a quella volta, la loro prima uscita, a cui s’era presentato trafelato, ricorso come sempre dai suoi guai e con in mano un impresentabili mazzo di sciupate gardenie strappate in fretta e furia dal giardino adiacente alla casa di Lyn.   
- Per ora m’accontento di tornare a casa. Portami a casa, Liam - disse Lyn, scossa all’improvviso dal tremendo desiderio di barricarsi nel suo studio, derogare a qualcun’altro il compito d’occuparsi dei dragoni e del tempio. Voleva solo occuparsi dei suoi amati vasi dell’epoca Mancia, dei preparativi per il matrimonio e nient’altro. Era troppo stanca per bramare qualcosa al di fuori di casa sua, ora le ambizioni riguardo la scoperta d’un meraviglioso tesoro gli parevano lontane millenni, stravaganti follie che sarebbero dovute appartenere solo ai pazzi perché a quel punto riusciva solo a pensare che chiunque anelasse al successo, all’avventura era perché non avesse mai vissuto una vera avventura, mai assaporato la paura reale. Non c’era nulla di divertente ad essere la versione venuta male di Indiana Jones.
Ora, cominciava persino ad essere sferzata da ondate d’incredibile spossatezza, ma non i sarebbe concessa il lusso d’addormentarsi, non almeno finché Keeran era sveglio perché dietro il suo apparente fare disteso e rilassato, la sua isola di pace, sapeva nascondersi un mare di pensieri e riflessioni che da qualche mese a quella parte era perennemente in tempesta. Certamente non avrebbe fatto parola su ciò che era successo, ma Lyn sapeva di dover stare sveglia anche solo per far vedere che lei c’era.
Non si capacitava di come Keeran riuscisse a dissimulare qualsiasi cosa, a seppellirsela dentro ed almeno in superficie ad ignorarla malgrado si percepisse di tanto in tanto che chissà che gli stava come ribollendo all’interno gettando urla strazianti. Lui questo però non lo avrebbe mai fatto capire, e se ogni ora con Keeran portava un mistero era forse perché egli stesso era il più grande ed impenetrabile.
A Lyn rimaneva solo la forza per un’ultima frecciatina a Keeran, - Sai – esordì con voce falsa e lusinga, peculiarità femminile – Cindy m’ha chiamato -, si portò una mano dietro al collo ben attenta che gli occhi di Keeran stessero seguendo ogni singolo movimento – Hanno preso una casa nuova, altro che l’hangar… Be’ ma d’altronde con un bambino in arrivo che dovevano fare se no? –
Il cervello di Keeran da parecchi secondi ormai s’era già perso lungo il flessuoso collo chilometrico di Lyn, così che l’unico volenteroso neurone rimasto allerta impiegò qualche attimo prima di registrare l’informazione, sommarla allo sguardo della ragazza e quindi chiamare in aiuto i compagni per fare sinapsi.
Keeran saltò piè pari l’intercalare “che intendi”, per passare al più sincero e quasi incosciente “no” che gli sbottò in un singulto. Guardò Lyn, la cui espressione era sospesa tra serietà e sorridente beffa.
- Non dicevi per davvero – fece titubante. Nessuna risposta, l’espressione di lei che non mutava e questo l’impensieriva non poco. Non era pronto per un figlio, Lyn stava certamente scherzando, o forse no.       
Dubbio tremendo. – Dan! – chiamò all’indietro voltando solo la testa, Fang fece capolino da dietro le rovine che anticipavano l’entrata al tempio, - Una parola soltanto: bambino –.
- Ho di meglio da fare. L’hai voluta? Arrangiati -. Questa fu la lapidaria risposta di Dan Fang, infame miglior amico. 
Fino a quel punto Keeran era ancora realmente convinto della veridicità delle parole di Lyn, almeno finché non si voltò verso la ragazza che stava trattenendo a stento il riso – Dovevi vederti, eri disperatamente incredulo – mormorò facendo scendere Keeran dal mondo delle nuvole, ora lui però era pronto ad attuare la vendetta: la sollevò, anche se con qualche problema da terra tenendola per le gambe, se la caricò su una spalla e cominciò a dirigersi verso il dirupo.
Era una cosa che le dava la nausea, chissà perché il discostarsi dal suo metro e sessantacinque era una cosa che non riusciva a sopportare, ma non ci poteva essere malessere in grado di farla smettere nel prendere in giro Keeran. – Se è maschio – cominciò a dire, intanto lui prima d’iniziare a roteare su se stesso disse – Vediamo se resisti -.
 - Se è maschio lo chiamiamo Liam Keeran III! – esclamò mentre Keeran la sballottava a mezz’aria, i lunghi capelli corvini della ragazza che gli sferzavano il viso ad ogni giro; - S’è femmina la chiamiamo come te. Eh Rosalynd, che dici? – ribatté  l’uomo.        
- Schifo di nome… Ok hai vinto, dai uomo delle caverne ora però mollami! – intimò Lyn facendo segno di resa, lo stomaco sotto sopra e la chioma ordinata come un cespuglio in cui fosse appena avvenuta una lite tra cane e gatto.
Keeran la soppesò ancora per un attimo tenendola sospesa tra le mani, prima però che potesse anche solo muovere un muscolo un sibilo acuto gli giunse all’orecchio, come d’una lama che fendesse l’aria. Quell’improvviso, breve sibilo presto si tramutò in grido, in richiamo che riecheggiò a lungo nella grotta finché non si spense nel silenzio più muto.
Morta.

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Capitolo 21
*** Post Mortem ***


Hello! Se sei arrivato sino a qui vuol dire che sei arrivato alla fine, e presumibilmente hai letto pure gli scorsi capitoli. Essendo questo l'ultimo mi farebbe molto piacere ricevere la tua opinione anche solo sull'intera storia! Grazie e buona lettura!
The White Lady


Il tempo che fino a quel momento gli sembrava quasi scomparso, aveva lasciato come scia, il solo segno del suo ormai lontano passaggio una sottile bruma. Questa congelava ogni frammento d’immagine che vedeva, ed ognuna gli si imprimeva a fuoco nella memoria, nell’anima: le decine di figurine nere che si avvicendavano, tutte nello stesso punto, le betulle spoglie con i loro rami esangui protesi all’infinito, cupe sentinelle in una giornata fantasma. A incorniciare tutto era la pioggia, con la sua opprimente onnipresenza, abituale, silenziosa testimone nel più oscuro e misterioso dei giorni.
A poco a poco come la folla scemava via dal cimitero, cominciò a prendere coscienza di quel che succedeva, a svegliarsi dal coma profondo che in quei giorni lo aveva avvolto, l’unica possibile protezione contro la malinconia e il vuoto insaziabile che lo assaliva in profondi tremiti, purtroppo già conosciuti. Continuò a fissare da lontano quel puntino marrone, posto sotto una quercia dall’aria stanca e affaticata almeno quanto la sua, lo guardò senza battere ciglio finché non sentì dolere gli occhi.
L’attenzione da quel fulcro fu distolta solo per un attimo quando vide del movimento ai lati del suo campo visivo. Non si voltò, né fece caso a chi fosse. Non importava, poteva essere la morte stessa che gli veniva a fare visita, ma quella ormai, si disse, non poteva più fargli niente. Strinse il bordo della panchina e osservò la bara che veniva calata nella fossa. Poi qualcosa si frappose fra lui e quello che ormai era diventato un rituale che conosceva fin troppo bene. Ma sta volta era diverso, nel feretro c’era lui o comunque quanto ne era rimasto.
Dan Fang vestiva molto di rado elegantemente, eppure in quel genere di occasioni era sempre il più accurato: completo blu scuro appena gessato, giacca dal bavero corto, camicia bianca con riga sottile celeste accompagnata da cravatta Regimental con nodo St. Andrew.
Si era fermato davanti a lui a bloccargli la visuale. Keeran mosse la mano convulsamente, come per scacciare una mosca alquanto fastidiosa, ma quello rimase immobile.
Voleva la sua attenzione. Alzò lo sguardo a fissare Fang in volto, portava ancora il braccio sinistro fasciato per colpa della lussazione alla spalla ed una ingessatura al polso. Entrambi messi vicini tra ossa rotte e medicamenti vari potevano sembrare due evasi da terapia intensiva. Ma la sua attenzione fu catturata dagli occhi dell’uomo, solitamente di un verde brillante che esprimeva intelligenza e gioia del vivere, erano invece quasi grigi come se qualcuno avesse spento la lampadina che da dietro li illuminava. Anche se molto più probabilmente era il riflesso della luce.
- Non ti ho visto alla funzione, insomma ti capisco. Odio anch’io i funerali in cui a dispiacersi sono pochi e a sbadigliare in troppi…Non hai voglia di parlare e lo so. Ma mi metto qui comunque, tanto per riconfermare il mio status symbol di persona più inopportuna della storia – parlò con un filo di voce, tanto che quasi il suono delle parole venne cancellato dal rumore della pioggia. Poi chiuse l’ombrello e aggiunse
– Addio al completo di Hugo Boss, ma almeno ci bagnamo in due –
Si sedette accanto a Keeran, e stettero in silenzio per alcuni minuti, poi scrollando la testa Fang iniziò a parlare – Non ti dirò che ti capisco, che so cosa provi, perché sparerei una cazzata. Perciò non andrò per il sottile: è morta, Dio mio, è morta tra le tue braccia! C’ero anche io! Lei è morta e non tornerà, ma tu sei capace di resistere, in ogni caso, con la bonaccia e la tempesta –
- Probabilmente dovrei stare zitto, ma ti dico un’ultima cosa – sorrise amaramente – Una sera di circa quindici anni fa, era proprio un settembre come questo, terribilmente piovoso e con un tempo infame. Ero arrabbiato con il mondo intero, ma un uomo mi disse una delle cose che più hanno influenzato la mia vita negli anni a venire, quell’uomo era tuo padre Liam. Tu non c’eri, ti aveva mandato a prendere non so che cosa… Mi fece un bel discorso, di quelli rimpinzati di bei sentimenti e grossi paroloni, poi però vide che non lo ascoltavo e così scoppiò in un imprecazione tremenda, lui così candido, forse l’unico irlandese che non si sia mai accalorato in vita sua, aveva fatto tremare le fondamenta della casa. Poi cominciò a dirmi: ‘ Sai Danny io spero tutto il meglio del mondo per te, sei un grande puoi fare quello che ti pare: sei geniale, un’intelligenza fuori dal comune la tua e poi nelle dita hai la musica. Certo ti sono capitate sfighe che non augurerei neppure al mio nemico peggiore. Però tutto serve nella vita, niente è da buttare o da rinnegare; spero che ti capiti un po’ di tutto, spero davvero che tu troverai le lacrime sia per le cose belle che per quelle brutte. Perché alla fine troverai sempre l’allegria, questo certo non vale per tutti, ma per te sì. Tu stesso sei l’allegria, vedi Dio provvede ’ - disse con quel suo tono, un po’ tipico, di quando è veramente serio e convinto.
Keeran rise amaramente, cinico ancor meglio; una fossetta gli rigò il viso inasprendolo, si voltò verso l’amico e dopo aver fatto un ampio gesto con il braccio fino ad arrivare a indicare il cimitero disse – Dio provvede, eh? Ma bene ed allora questo è il risultato! Certo però non voglio lasciargli tutto il merito, infondo è colpa pure mia e di Poole –.
Fang scosse piano la testa, vedeva quella maschera e non riconosceva l’amico, il gelo che normalmente era confinato nella parte più profonda dei suoi occhi s’era ora diffuso a tutto il volto spaventosamente segnato.
Keeran prese il gesto di Fang come un diniego, perciò riprese – Dove lo vedi? Dimmelo, dove lo vedi? Dimmelo perché abbia anch’io a rallegrarmi della novità! Lo vedi nelle azioni che questo mondo scellerato compie? O forse, ho capito: nel sostantivo che hai per cognome, una parola presa a caso dal vocabolario! Che Dio è mai questo? E noi uomini che lo incolpiamo siamo pure peggio. Che ironia il cane che si rincorre la coda… -.
- Sì sai che ti dico, lo vedo pure lì perché ho la stramaledetta fortuna d’essere vivo, perché oramai ho rischiato così tante volte la pelle in situazioni estreme che mi viene difficile pensare che sia solo fortuna o merito mio. Io sono un ingegnere, le ho studiate ’ste cose e non credo nel calcolo delle probabilità, nel caso, perché è impensabile il credere d’esserci per la stessa motivazione per cui esiste i caffè macchiato e non! – esclamò, e se si fosse pure dubitato del vero fervore che animava quelle sue parole, si sarebbe trovata una conferma nelle sue movenze.
Poi soggiunse – Le cose accadono, io non ti posso dire il perché Lyn sia morta oppure come mai sono orfano. La ragione forse verrà più avanti, ma di certo non la capirai chiudendoti nel silenzio o peggio… -. Keeran sapeva che erano vere quelle parole, non avrebbe certo replicato dicendo che lui che ne sapeva, Lyn non era la sua fidanzata, ma solo perchè vedeva il viso emaciato di Fang. Soffriva pure lui.
- Tu in Dio non ci credi più, però… - stava cominciando a dire Fang quando Keeran intervenne brusco – Io ci credo ancora, vedi, è proprio questo il problema… - fece un lungo sospiro, raccolse una manciata di sassolini dal ghiaietto che stava per terra e cominciò a lanciarli; quando li ebbe finiti tutti, si voltò ancora a guardare Fang, gli occhi grigi che bucavano l’atmosfera – Sai, avrei preferito che mio padre avesse detto a me quella frase. Pazienza, un ricordo in meno –.
Fang contraccambiò con stessa intensità, l’iride verde che sembrava riprendere un po’ del colorito d’un tempo - Io sono la prova vivente di due cose: la prima è che l’uomo è diretto discendente delle scimmie e la seconda, la più importante è che solo noi decidiamo da che parte deve andare la nostra vita. Noi siamo gli autori del domani. Non possiamo lamentarci di niente, anche perché soddisfatti o no, qui non ci rimborsa mai nessuno – cercò di sdrammatizzare, la mano che tormentando l’orlo della giacca tradiva l’inquietudine.
Scrutò l’intera figura dell’amico, poi giunse al viso, rigido, scolpito, dall’espressione non traspariva la benché minima emozione sembrava completamente distaccato. Solo la mascella leggermente contratta e il pomo d’Adamo che fremeva impercettibilmente, lasciavano presagire il dolore interno che provava ed a cui nessuno mai sarebbe stato reso partecipe. Era nella sua natura allo stesso tempo orgogliosa e schiva. Lo sapeva fin troppo bene.
Fang capì che la conversazione stava per giungere al termine perciò si sbrigò a dire un ultima cosa – Ti posso dare un consiglio? Quando abbiamo ancora la fortuna di essere qui, non dovresti divorarti l’anima. Va be’ che al giorno d’oggi non va più così di moda avere un cuore o almeno la gente non si sforza nell’ostentarlo -.
Keeran girò in torno lo sguardo, le palpebre che si muovevano convulse per scorgere oltre la cortina di fitta pioggerellina. – Ora mi rimane una cosa sola da fare – mormorò fiocamente, le parole faticarono ad arrivare all’orecchio di Fang che subito si sentì ghiacciare il sangue che solo poco prima era stato magma. Cosa voleva dire quella frase?
Ormai non poteva più dire o fare nient’altro che potesse anche solo minimamente esser utile a Keeran, la sua parte l’aveva portata a termine, dopo si sarebbe dovuto vedere e già aveva il presentimento che i mesi a venire sarebbero stati duri. Solo non capiva come potesse esser andata a finire così, infondo erano solo due veterani del rischio in cerca d’un po’ di divertimento.
Fang si alzò, aprì l’ombrello. Fece un mezzo saluto militare e si rigirò, ma Keeran prontamente gli afferrò l’avambraccio – Lunedì, dai questa a Clayton - gli disse consegnandogli una busta sigillata un po’ malconcia per via dell’acqua. Fang strinse le labbra e assentì – Non venirmi a cercare, torno nello Yorkshire a sistemare un paio di cose, starò via qualche mese… James infondo aveva ragione, io sono identico a lui – pronunciò quelle parole come una mite sentenza, a cui non erano ammesse contraddizioni. Infine l’altro se ne andò. A Keeran era parso che le sue labbra avessero detto qualcosa: “ Guardati, non sei tu ”.
Keeran lo guardò scomparire avvolto nel banco di nebbia; sgranchì il collo piegandolo all’indietro, quindi si ritrovò a fissare il cielo plumbeo e offuscato dalle nuvole, malgrado il progredire della giornata il tempo non appariva intenzionato a cambiare. Di colpo fu assalìto da una gran rabbia, nei due giorni precedenti aveva provato una moltitudine di emozioni e stati d’animo, passava da un inconsistente nichilismo a stati di incontrollabile sconforto. Invece in quel preciso istante, era arrabbiato con se stesso perché non riusciva nemmeno a versare una lacrima, a disperarsi, ad essere sopraffatto da quella grandezza di pensieri ed impressioni che incessantemente lo attorniavano, una cortina incorruttibile che lo divideva dalla triste realtà. Si torturava all’idea di non riuscire a trovare uno sbocco reale per il vuoto che aveva dentro, aveva il cuore di pietra, pensò, se non riusciva neppure a piangere la persona che più in assoluto era riuscita a riempire la sua vita
Una vecchia deformazione professionale, capita… rifletté, cercando in quella frase sarcastica la ragione per cui stava accadendo tutto quello.
Quando si riprese poco dopo Keeran si alzò a sua volta. Infilò le mani in tasca, quella mattina faceva un freddo da lupi e malgrado fossero soltanto i primi di settembre. L’autunno era già presente nell’aria tagliente che penetrava fin nelle ossa, stritolando le membra in una gelida morsa che gli faceva pensare che a quel momento non ci sarebbe mai stata una fine. Scrollò la testa cercando di riacquisire un po’ di lucidità e si mise in cammino lungo il viale.
Per ritornare sulla strada principale della città bisognava per forza passare vicino alla nodosa quercia centenaria e quindi vicino a dove era stato sepolto poco prima il feretro. Ci passò accanto per guardare quel punto, un ultima volta, sapeva che non si sarebbe mai più voltato a guardarlo, non vi sarebbe mai più tornato in quel luogo per nulla al mondo. Al collo teneva la catenella argentea che era appartenuta a Poole, sentiva battere la chiave fredda sul petto; si passò una mano trai capelli provando a risistemarli, si sfregò gli occhi per scacciare via quei pensieri. Infine riprese a camminare lungo il ghiaietto, in fondo era sempre bastato a se stesso, quella volta non sarebbe cambiato niente, si disse, ce l’avrebbe potuta fare ancora da solo. Come aveva detto Fang lui era forte, lui ci sarebbe riuscito a superare quel tranello che la vita beffarda gli aveva teso ed anzi sarebbe stato in grado di fare come si suol dire occhio per occhio e dente per dente.
Però stava solo mentendo a se stesso, il 29 d’agosto aveva perso davvero qualcosa, una di quelle cose che non ti riporta indietro nessuno, una persona speciale, di quelle che, mi dispiace, non si dimenticano. Non si possono lasciare in un cassetto come vecchie foto ingiallite e sdrucite dal tempo, perché comunque qualcosa di loro ti rimane impresso, una frase, un gesto, anche il più insignificante degli sguardi che solo a quella persona apparteneva; a Keeran di Poole gli era rimasto il carattere. E malgrado che siamo miliardi mai si ripeterà perché siamo stati creati per essere, avere una ed una sola anima irripetibile. Alla fine si è ciò che si perde, nel bene e nel male.
Esattamente sotto le fronde della quercia stava una lapide di marmo color alabastro sferzata, come Keeran, dalla pioggia e dal vento. Accanto ad essa era stato poggiato un magnifico mazzo di gardenie, dai grossi fiori candidi proprio come la pietra.
E più infondo ancora dietro la lapide, stava un piantina gracile, figlia della grossa quercia. Era scossa dal vento che la tormentava in continuazione. Era nata con le condizioni sbagliate però se avesse superato il rigido inverno che si prospettava all’orizzonte, forse un giorno sarebbe fiorita rigogliosa.

Epilogo
Era stato come se due mesi e mezzo prima fosse salito a bordo d’un aereo di cui era pilota, aveva cominciato a volare spinto dalla voglia di sapere che cosa c’era oltre il solito. C’erano state turbolenze che gli avevano fatto tremare le vene, spesso era stato lui stesso a volersi arrischiare compiendo qualche vite verticale, a fare giri della morte; nonostante tutto era però sempre riuscito a mantenere il controllo del velivolo.
Ora che aveva visto abbastanza, che aveva sperimentato oltre il giusto, aveva però voglia di tornarsene a casa. Ma quella notte nella grotta era stato come scoprire all’improvviso che non cera abbastanza carburante per tornare. Sarebbe precipitato di sicuro. L’unica cosa che gli rimaneva da fare era rendere epica la sua fine, avrebbe fatto un’ultima acrobazia aerea, ormai non importava più l’andare a schiantarsi, perché quella era una certezza, ma il come.
Solo una cosa, un domanda gli turbinava ancora dentro. Come aveva fatto a spingersi così in là senza accorgersi?

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