La strada per ritornare

di orual
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ghermidori ***
Capitolo 2: *** Lungo il fiume ***
Capitolo 3: *** Un posto ospitale ***
Capitolo 4: *** Rimediare ***
Capitolo 5: *** Fleur ***
Capitolo 6: *** Lo Spegnino ***
Capitolo 7: *** Inseguendo le tracce ***
Capitolo 8: *** Alla fine della notte ***



Capitolo 1
*** Ghermidori ***


  La fiction nasce dalla curiosità di indagare su quello che è stato il percorso di Ron, durante il periodo da lui trascorso lontano dai suoi amici, nell’anno della ricerca degli Horcrux.
Il personaggio di Ron merita, secondo me, per la sua bellezza e complessità, un’intera fanfiction centrata su di lui... Se pensate che sia un insopportabile demente, per di più costantemente tradito da un’Hermione in estro perenne, che adora spassarsela con Malfoy, non credo sia la storia adatta a voi!
Non sarà molto lunga (forse sette capitoli, ma non posso ancora dirlo)... e prevedo di aggiornare, se va tutto bene, con cadenze non superiori alla settimana.
Spero che vi divertirà. Sono in rodaggio, e le recensioni (come a tutti) mi fanno molto piacere!
Si intende che i personaggi della storia non mi appartengono: sono di Joanne Kathleen Rowling, la mitica Zia Jo!
Buona lettura!

 
1. Ghermidori
 
Smaterializzarsi non era mai stato il suo forte, ma quella volta, forse perchè la rabbia che pulsava feroce sotto le tempie gli faceva desiderare davvero di essere altrove – lontano, quanto più era possibile, da lì- bastò volerlo, proprio come l’insopportabile Twycross aveva proclamato ripetutamente alle lezioni dell’anno precedente. Mentre la sensazione di soffocamento lo stringeva, comprimendogli i polmoni, quasi involontariamente la mano gli si contrasse, vuota, intorno ad una mano che non c’era. Non si era mai smaterializzato senza Hermione, se non durante le esercitazioni autorizzate per prepararsi all’esame... quell’esame poi fallito, come tutte le cose a cui metteva mano. “E’ stata solo sfortuna, Ron”, lo aveva consolato lei in quell’occasione, con l’aria gentile e leggermente imbarazzata che assumeva quando qualcosa le riusciva meglio di lui. Cioè sempre.
Destinazione, Determinazione, Decisione. La destinazione veramente non era stata poi così ponderata, ma le altre due D di Twycross dovettero essere sufficienti, perchè atterrò in perfetto equilibrio nell’aia deserta di una vecchia fattoria abbandonata, dove avevano campeggiato poche sere prima. Il primo posto che gli era saltato alla mente, prima che le grida di Hermione lo vincessero: aveva temuto che la rabbia nel suo petto sfumasse, impedendogli di andarsene davvero. I passi di lei, nel buio, lo avevano spinto a correre fino all’esterno del cerchio di protezione, e prima che la sua mano riuscisse ad afferrarlo per la spalla, a riportarlo alla ragione, pieno di una specie di gioia perversa per poter ferirla, le si era sottratto.
Se ne era andato.
Trasse alcuni lunghi respiri affannosi. Ancora il cuore non smetteva di battere impazzito, ancora la bocca gli tremava per l’esplosione d’ira che aveva avuto. Il luogo solitario dov’era atterrato, buio e silenzioso, echeggiava del frusciare del lembo aperto della sua giacca, che il vento sbatteva e sbatteva ancora contro il suo fianco.
Un altro respiro tremulo, mentre la vista si snebbiava e gli occhi rimettevano a fuoco quanto lo circondava, come riemergendo da una nube rossastra di collera.
Se ne era andato.
Se ne era andato...
Che idiota.
Che idiota! 
Lo aveva davvero fatto?
Adesso spiegarsi e scusarsi sarebbe stato mille volte più difficile.
“Ma perchè non me ne vado?”era stata la domanda  ricorrente di quei giorni, quando il peso dell’Horcrux tingeva ogni attimo di sconforto e dispiacere. Era come essere solo, lui che solo non era mai stato; perchè il medaglione gli rendeva insopportabile la vista e la compagnia dei due a cui più teneva. Preferiva appartarsi al vederli parlare tra loro, perchè non riusciva sostenere la vista dei loro sguardi che si intrecciavano. Sembravano carichi di sottintesi e di messaggi che lui non voleva dover leggere. Quando la catena dell’Horcrux lasciava il suo collo, l’aria sembrava tornare trasparente, chiara: Harry riprendeva il suo sguardo miope e pensieroso, Hermione la sua aria ansiosa e penetrante. Ma quello che era stato pensato, temuto e sospettato era meno facile da rimuovere dal cuore. E poi, sempre troppo presto, era di nuovo il suo turno. E tutti i giorni erano uguali. E non sapeva niente dei suoi. Ed il braccio gli faceva ancora male. E non mangiava in modo decente da settimane.
“Ma perchè non me ne vado?”... perfino con l’Horcrux addosso, questa idea lo aveva sfiorato solo come uno sfogo mentale e non come una vera volontà. Mai aveva creduto che la sua rabbia verso Harry e verso Hermione potesse esplodere così determinata, così travolgente.
“Tu cosa fai?” aveva chiesto ad Hermione.
Non che avesse mai pensato che avrebbe acconsentito a lasciare Harry.
Era stata una domanda di pura retorica, formulata solo per sottolineare quanto fosse giusto essere arrabbiato: per farla sentire in colpa. Perchè avrebbe dovuto venire? Lasciare Harry da solo, dopo che era apparso chiaro che solo la missione di Harry avrebbe potuto salvare tutti loro?
Hermione non aveva voluto venire. Perchè non era stupida come lui stesso. E gli parve di averlo saputo già mentre le sputava in viso quelle altre parole... quelle che non voleva ricordare, che bruciavano, vere o false che fossero. “Capito. Scegli lui.”
Che idiota!
Il vento continuava a fischiare intorno allo scheletro del granaio crollato ed alla stalla, che chiudevano l’aia sui due lati opposti, affiancati alle estremità della casa colonica in rovina.
“Devo chiedere che per un po’ di tempo non facciano tenere l’Horcrux a me. Quel dannato affare mi fa male.”
“Forse se lavo tutti i piatti Hermione mi perdonerà.”
“Mi scuserò.”
“Mi scuserò e cercherò di controllarmi.”
“Con Harry è in ballo ogni cosa, sono in ballo anche le vite dei miei...”
“...e poi è il mio migliore amico.”
Era strano che questo pensiero lo colpisse solo adesso. Erano troppi giorni che lo fissava con occhi ostili, come se gli avesse fatto un torto. Proprio come durante il torneo Tremaghi. Era uno specialista, lui, ad offendersi con gli amici nei momenti meno opportuni.
Che idiota.
Con decisione, si riscosse, sollevò la bacchetta e si preparò a Smaterializzarsi.
Destinazione.
Determinazione.
Dec...
-Bene bene!-
Una voce gli esplose nelle orecchie, mentre nell’aia si accendevano una dopo l’altra bacchette puntate verso di lui. Sulla sua spalla, pesante, era calata una mano, e lo sforzo di interrompere fulmineamente la Smaterializzazione, per non rischiare di portare lo sconosciuto con sé fin dentro la protezione di Hermione, lo fece barcollare. Sentì che la bacchetta gli veniva strappata di mano, e la resistenza gli fece perdere del tutto l’equilibrio: inciampò e cadde a terra.
-Un maghetto tutto solo, a quest’ora, qui... che ne dite, ragazzi, starà facendo un giretto di piacere?
Chi parlava era un mago basso e tarchiato, con una bocca innaturalmente grande piena di denti storti e giallastri, stirata in un tremendo sorriso.
-Età da Hogwarts, Gideon! Anche stasera torniamo a casa presto- sghignazzò un altro.
Gli occhi di Ron, abituatisi gradualmente alla luce delle bacchette, poterono contare cinque facce chine su di lui, tutte di aspetto equivoco. Anche uno che non avesse passato gli ultimi mesi della sua vita braccato avrebbe capito di essere in una situazione sgradevole. Chi diavolo fosse quella gente, però, gli sfuggiva.
-Non ho niente con me...- cominciò, cercando di alzarsi in piedi. Come aveva potuto essere così sfortunato da incappare in delinquenti non Babbani nel bel mezzo della notte?
I cinque risero sguaiatamente. Fu solo dal tono più acuto della risata che Ron si rese conto che del gruppo faceva parte anche una donna, una vera megera, con lunghi capelli sudici che il vento faceva svolazzare sul viso giallastro: era lei che aveva in mano la sua bacchetta, e ne roteava l’impugnatura ossessivamente, tra pollice ed indice.
I vestiti di tutti loro erano uno strano miscuglio di miserevole splendore, come se alla robaccia abituale avessero potuto di recente aggiungere qualche pezzo di lussuosa volgarità. Il tipo di nome Gideon, davanti a Ron, per esempio, indossava un elegante panciotto di seta ricamata sopra la lurida camicia lisa, e la donna aveva le mani coperte di brutti anelli d’argento massiccio, come sbilenchi contrappunti alle unghie listate di nero.
-Certo, certo...-stava dicendo Gideon. –Cosa ci fai da solo di notte, ragazzo, con la tua bella bacchettina? Perchè non sei a scuola?
-Affari miei- ansimò Ron.
-Ah, questo è il punto... non sarà che hai il sangue un po’ sporco e ti nascondi?
Le parole “Sono Purosangue” erano quasi sulle sue labbra, ma chiuse la bocca d’istinto. Dirle gli ripugnava. Con un brivido capì che non si trattava di delinquenti comuni.
Braccia possenti lo tirarono in piedi, tenendolo fermo, ed un vero fetore gli colpì le narici.
-Tienilo stretto, Beowulf!
Un grugnito rispose, proveniente dal grosso uomo con gli occhi bovini che stava trattenendo Ron.
-Allora, come ti chiami?- chiese la donna, avvicinando la brutta faccia a quella del ragazzo.
-S... Stan Picchetto.
Era una bugia troppo palese, troppo mal fatta perchè ci credessero.
-Oh, sì... certo!- Gideon ridacchiò.
-Mi sto congelando, Gideon, portiamolo via!- intervenne il più magro del gruppo con voce lamentosa, sfregandosi le mani.
-Deficiente! Se ce n’è uno ce ne saranno degli altri! E’ meglio se ti cuci la bocca, Lance, se non puoi evitare di vomitarci addosso le tue scempiaggini!
-Ma qui non c’è nessuno... questo basta e avanza, solo per l’arresto ci daranno dieci Galeoni, lo Stato di Sangue possono benissimo controllarlo loro al Ministero, ed anche l’identità...
-Chiuditi la bocca, deficiente! Non è Picchetto, io lo conosco quello là! E se usa un nome falso è qualcuno di interessante, vero? ... non solo un piccolo stupido Nato Babbano!
 I pensieri di Ron sfrecciavano attraverso la sua mente ad una velocità per lui insolita. La testa gli trillava di mille campanelli d’allarme, mischiati ai soliti, frustranti pensieri: “Perchè sono così sfortunato? Questa è gente del Ministero!”
-...l’ultimo che abbiamo preso ci è scappato proprio perchè non riuscivamo a tener fermo l’altro, più di due alla volta...
Gideon puntò il dito lurido verso il suo interlocutore.
-E’ da un po’ che mi stai seccando con queste tue manie di mettere bocca su tutto, sottospecie di Doxy sciancato! Il capo sono io, e decido io cosa si fa!
Beowulf lo teneva fermo per le spalle, alitando sul suo collo il tremendo fetore del suo respiro, un cocktail di calzini vecchi e burro rancido (forse con una goccia di Sorcier Pour Homme), immobile come uno dei gargoyle di pietra a guardia dell’ufficio di Silente, ma gli altri quattro furono ben presto impegnati in una discussione che minacciava di trasformarsi in lite.
-...allora valli tu a cercare, questi altri fuggiaschi che dici, Gideon, perchè se credi che...
Se doveva fare qualcosa, doveva farlo subito. Al Ministero avrebbero scoperto chi era in meno di un secondo. Avrebbe messo in pericolo tutta la sua famiglia, e soprattutto Harry ed Hermione... lo avrebbero Cruciato per costringerlo a parlare di loro, della missione... avrebbe potuto non farcela a tacere. Deglutì.
Poi, fulmineo, divincolandosi diede una violenta gomitata nello stomaco al suo carceriere, che seguiva la discussione degli altri affascinato come se stesse assistendo alla finale della Coppa del mondo di Quidditch. Quello, sbigottito, si piegò in due con un sonoro “Ouff!” che gli altri quattro nemmeno udirono (Gideon e Lance stavano venendo alle mani). Ron gli strappò di mano la bacchetta, spessa quasi come un turacciolo, la puntò verso la donna ed urlò, la voce stridula per la tensione:
-Expelliarmus!
La sua stessa bacchetta gli volò in mano, insieme a quella della strega: nell’afferrarle entrambe gli cadde quella di Beowulf. Brancolò frenetico per impugnare la sua, mentre i suoi avversari esplodevano in esclamazioni rabbiose.
-Protego!- gridò agitandola, e lo scudo argenteo si allargò intorno a lui appena in tempo per intercettare gli Schiantesimi che i tre ancora provvisti di bacchetta gli avevano scagliato. L’onda d’urto lo fece barcollare, mentre girava su se stesso, terrificato, per Smaterializzarsi.
 

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Capitolo 2
*** Lungo il fiume ***


 Eccomi con il secondo capitolo: stavolta ho fatto presto ad aggiornare, vediamo se sarà sempre così...
E’ stato un po’ una sfida giocare l’intero capitolo sul solo personaggio di Ron senza rendere la narrazione monotona... ditemi voi se sono riuscita a rendere il tutto avvincente e coinvolgente! Mi sono divertita moltissimo a scriverlo... spero che divertirà anche chi lo legge!

Ringrazio i miei due preziosi recensori... che mi hanno incoraggiata in questo progetto pro-Ron (...viva Ron!!)... sperando che diventino presto un po’ di più! ;-)

Buona lettura!
 
2. Lungo il fiume
 
La famiglia di cinghiali che grufolava indisturbata nel sottobosco si stava probabilmente godendo la nottata calma e tranquilla, quando a pochi metri, con un rumore amplificato dal silenzio circostante, apparve piombando a terra un mago. I cinghiali naturalmente non potevano sapere che di un mago si trattava, e si spaventarono a morte: trottarono via con striduli versi suini, scomparendo tra gli arbusti della boscaglia.
Ron si mise a sedere a fatica, guardandosi intorno stordito. Indubbiamente la Smaterializzazione era la più grande invenzione del mondo magico dopo la bacchetta. Non poteva credere di essere riuscito a sfuggire alla cattura: solo un istante prima gli erano addosso in cinque, ed ora non avrebbero mai potuto rintracciarlo.
Poi fissò con più attenzione il posto dove si trovava.
Non era il greto del fiume dove aveva lasciato gli altri.
Aveva sbagliato: probabilmente la fuga era stata troppo precipitosa, con quei farabutti che volevano venderlo a peso d’oro. Si portò la mano alla testa, per massaggiarsi il punto dove aveva sbattuto atterrando, e si rese improvvisamente conto di quanto quella mano fosse calda e pulsante. Abbassò lo sguardo.
Oh, no! Non di nuovo!
La Smaterializzazione non era affatto la più grande invenzione del mondo magico dopo la bacchetta, era la più grande fregatura dell’universo!
La mano destra era coperta di sangue, che imbrattava già la bacchetta e l’orlo della manica della giacca. Qualche goccia era caduta a terra, screziando le foglie che ricoprivano il suolo del bosco.
Brandendo la bacchetta impiastricciata con la sinistra (e non era affatto facile), balbettò “Lumos”, ed alla lieve luce che scaturì dalla punta esaminò la mano ferita, che tremava incontrollabile. Ora che se ne era accorto, si chiedeva come aveva fatto a non rendersi subito conto del dolore penetrante che proveniva dal medio e dall’indice.
“Almeno... a-almeno le dita ci sono tutte...” si disse deglutendo, dopo averle assurdamente contate. Proprio bello se fosse rimasto un dito laggiù nell’aia, oh, sì... come quello di Peter Minus.
Raccolse il coraggio di guardare meglio e mormorò “Tergeo”, sempre brandendo goffamente la bacchetta con la sinistra. Il sangue che ancora non si era coagulato sparì, ma la mano rimase impiastrata di grumi rosso scuro (forse perchè il movimento eseguito con la sinistra non era perfetto... o forse perchè non ricordava di aver mai pulito niente prima in vita sua). Ad ogni modo, adesso poteva vedere chiaramente qual era il problema: a medio e anulare mancavano le unghie.
Tipico di lui procurarsi una ferita così assurda, e tuttavia, la parte rossastra, pulsante e simile a carne viva che era rimasta allo scoperto gli dava il voltastomaco. Alla base delle unghie erano rimaste due schegge che diventavano rapidamente nere, e sotto ad esse continuava a sgorgare sangue, senza che nulla facesse prevedere che si sarebbe fermato.
Il viso coperto di sudore, la mani tremanti, si rese conto di non conoscere neanche uno di quegli incantesimi curativi che fatti da Madama Chips parevano una vera sciocchezza.
Così agitò ancora la bacchetta, Evocando una benda, che comparve, invece che bianca, di una strana stoffa rosa a fiorellini. Ron, disgustato, le diede qualche colpetto, tentando di farle mutare colore, prima di rendersi conto dell’assurdità di ciò che stava facendo.
-Aguamenti!
L’acqua sciolse parte del sangue, e lavò approssimativamente le ferite che pulsavano in modo insopportabile, poi Ron avvolse la benda intorno alle dita, stringendola quanto più gli era possibile con i denti e la mano sinistra.
“Hermione me la sistemerà”, pensò, alzandosi a fatica in piedi.
“Beh, forse. In effetti, potrebbe anche staccarmi le altre tre.”
Aveva ancora due cicatrici dietro le orecchie, per via di quei canarini.
Ma, che lo curasse o che gli procurasse lesioni peggiori, prima doveva trovarla. Quello non era il posto giusto, e non se la sentì di ritentare a Materializzarsi più vicino: se sbagliava ancora e si feriva, magari gravemente come la volta precedente... era veramente rischioso.
Nel silenzio del bosco notturno, appena rischiarato dalla luna coperta dalle nubi, sentì un rumore d’acqua.
Aveva avuto la dannata Destinazione di Twycross bene in testa... non era possibile che fosse finito troppo lontano! Raccolse la bacchetta che aveva vinto alla strega e la ficcò in tasca, poi, sdrucciolando ed inciampando, si diresse verso l’acqua, scendendo un’erta fangosa e scoscesa.
Un torrente tumultuoso scorreva nel buio, gonfiato dalle piogge autunnali, tra due argini alti ed inselvatichiti. Doveva essere il fiume accanto al quale si erano accampati, un po’ più a monte, visto che sembrava più stretto.
“Lo seguirò, e dovrei trovarli presto... che altro posso fare?”
Non poteva fare proprio nient’altro. A parte, naturalmente, quello che si era proposto di fare quando neanche un’ora prima (non poteva credere che fosse trascorso così poco tempo!) aveva commesso la sciocchezza di Smaterializzarsi sotto le mani di Hermione. In poche parole, poteva veramente andarsene per i fatti suoi. L’idea era così assurda, adesso, da suonare irreale. Com’era possibile, com’era possibile che gli fosse passato per la mente di abbandonarli?
Certo, il litigio era stato insopportabile... ancora sentiva che le orecchie gli divenivano bollenti mentre la voce sarcastica di Harry lo scherniva.
...torna da loro, fai finta di guarire dalla spruzzolosi e mammina potrà rimpinzarti e...
 Ed Hermione, con quei grandi occhi marroni, dilatati dall’ansia di vederli litigare, come dilaniata dalla spaccatura che le loro parole aprivano.
Era rimasta con Harry.
Era rimasta con Harry...
Cos’era, quella scia calda e salata sulla sua guancia? Era un bene che nessuno potesse sentire il singhiozzo soffocato che gli scosse il petto.
Improvvisamente si sentì esausto. Era notte fonda, e la mattina precedente si erano svegliati all’alba, la mano gli faceva tremendamente male e non aveva nulla nello stomaco (il disgustoso pezzo di pesce mal cotto era rimasto intatto nella sua scodella). Non poteva perdere tempo a rimuginare sulla lite e la sua rabbia, su Harry, l’Horcrux, e tutto il resto. Doveva raggiungerli in fretta, e mosse i primi passi quasi senza volerlo. Presto fu lontano dal punto del suo atterraggio, ed i cinghiali poterono tornare guardinghi alla loro notte indisturbata.
 
Ben presto, come portate dal vento umido che continuava a spingergli i capelli negli occhi, gelandogli il sudore di poco prima, le immagini di un altro ritorno lo circondarono, scandite dal rumore dei passi.
Nel cortile della Tana, quando lei lo aveva abbracciato ficcandogli in bocca i suoi capelli resi crespi dall’aria notturna, e aveva ascoltato Tonks lodarlo per come si era saputo difendere, stupita ma con gli occhi brillanti.
“Sul serio?”
“Sempre questo tono sorpreso...”
Quella sera, dopo che lo spavento per l’orecchio di George si era un po’ sopito, sostituito dalla plumbea tristezza per la notizia della morte di Moody, l’aveva incontrata nel vestibolo accanto al bagno, mentre andava a dormire con gli occhi rossi di pianto. Senza pensarci troppo sopra, senza osare pronunciare parole di conforto, si era limitato a stringerle delicatamente il braccio.
Hermione piangeva di frequente, e lui spesso l’aveva vista farlo con irritazione o disagio: perchè, un numero imbarazzante di volte era stato lui a provocarle il pianto. Ma c’erano dei momenti in cui le sue lacrime lo commuovevano profondamente, come durante il funerale di Silente, o quella sera, mentre ancora risuonava loro nelle orecchie l’ultimo “Vigilanza costante!” del loro vecchio professore.
Così erano rimasti nell’angusto disimpegno del bagno, uno accanto all’altra, con nessun’altro contatto che la mano di Ron sul braccio di lei, che teneva gli occhi chiusi ed aveva la bocca stretta, come sempre quando cercava di frenare le lacrime.
Infine aveva alzato lo sguardo con un sospiro tremulo, a guardarlo:
-Non ero sorpresa, prima.
-Come?
-Non ero sorpresa. Io lo so bene che tu sei bravo a fare tante cose, Ron.
Le sue maledette orecchie (quasi desiderò essere al posto di George, possibilmente colpito da due Sectumsempra, che lo avrebbero liberato per sempre di quella specie di sottotitolo per le sue emozioni, che in quel momento stava lampeggiando: RONALD WEASLEY E’ IN PREDA ALL’IMBARAZZO) erano diventate caldissime, e Ron ringraziò che la luce nel vestibolo fosse molto bassa.
-Ah... ehm, grazie. Mai quanto te.
Lei, con un piccolo sorriso sulla faccia gonfia di lacrime, si era alzata sulle punte dei piedi per scoccargli un bacio umido sulla guancia ed aveva mormorato:
-Buonanotte.
Era strano quanto fosse nitido nella notte quel ricordo, adesso. Sembravano trascorsi anni interi.
 
L’alba grigiastra e gelida circondava ogni cosa di una nebbia umida già da tempo, quando Ron si rese conto che poteva spegnere la bacchetta, e lo fece con un gesto stanco della mano.
Camminava da ore, e non era mai stato tanto esausto. Il fango del greto del fiume, che non aveva mai abbandonato per timore di perdere la direzione, gli appesantiva l’orlo dei jeans, e le vecchie scarpe da tennis erano diventate fradice. Aveva temuto più volte nel corso della notte, durante intervalli di lucidità che emergevano dalla bruma di stanchezza, di aver semplicemente sbagliato posto e fiume. Ma la destra, con le dita gonfie e dolenti che avevano lentamente impregnato di sangue la benda rosa, lo distoglieva dall’idea di Smaterializzarsi, e l’unica altra opzione era arrendersi, accasciarsi dove si trovava e rinunciare a raggiungere Harry ed Hermione. E l’idea era insopportabile, per cui continuava ad avanzare, un passo dopo l’altro.
Sul tallone sinistro, lo sfregamento della scarpa bagnata gli stava provocando una galla grande come un piattino da caffè.
E lentamente, nel cervello si stava facendo strada un terrore che era più nitido di minuto in minuto, come la luce del giorno attorno a lui.
Poteva anche non fare in tempo a raggiungerli.
Se non riusciva a tornare all’accampamento entro le otto di mattina, si sarebbero smaterializzati, e allora sarebbe davvero finita. Non li avrebbe più trovati...
L’orologio, regalo dei suoi per i diciassette anni, batteva nella tasca interna della camicia, ma non aveva il coraggio di guardarlo.
Cosa poteva fare? Come poteva fermarli? Mandar loro il suo Patronus a pregare che lo aspettassero? Non era in grado, non aveva idea di come ci riuscissero i membri dell’Ordine della Fenice... dubitava che perfino Hermione...
Il cuore gli si contrasse dolorosamente.
Doveva raggiungerli.
Così proseguì per un tempo che gli parve interminabile: settimane, forse mesi di passi ormai rigidi come quelli di un automa, con i piedi che protestavano urlando e la mano contratta per il dolore, e nello stomaco un buco enorme, per mancanza di cibo o per dispiacere...
Infine, quando il giorno era ormai troppo pieno perchè potesse illudersi che fosse ancora presto, tirò fuori con mano tremante l’orologio.
Le nove. Le viscere gli si contrassero come una spugna. Se tutto era stato regolare, avevano lasciato il posto già da un’ora. Li aveva persi.
I piedi avevano continuato a muoversi da soli mentre fissava il quadrante con sgomento, e d’improvviso, fra banchi di nebbia aleggianti sul terreno fradicio, svoltando l’ultima ansa del fiume, si trovò davanti la zona pianeggiante dov’erano stati accampati. Immobile per lo stupore, vide, a quasi duecento metri da sé, la macchia bianca della tenda.
Ce l’aveva fatta... ce l’aveva fatta! Per qualche ragione erano ancora lì. Vedeva la tenda perfettamente, e scorse anche due figure scure, lì accanto.
Ma se li vedeva... se li vedeva era perchè... avevano già rimosso gli incantesimi di protezione...
...se ne stavano andando!
Col panico che montava, cominciò a correre, i piedi che schiaffeggiavano il fango ed una fitta acuta al fianco: ma le gambe non sostenevano il suo sforzo.
Era come un incubo, uno di quegli incubi dove corri e corri, e resti come inchiodato al tuo posto: vide la tenda afflosciarsi, e gli parve di vedere le due figure dei suoi amici, le teste vicine... di certo stavano riponendo la tenda nella borsa di perline e...
-Hermione! Her...- gracchiò, quasi singhiozzando per lo sforzo, l’ansia, il terrore.
Cadde rovinosamente a terra, inciampando su un ramo fradicio e finendo con grandi spruzzi nell’acqua bassa, che gli invase il torace come un’onda gelida.
Quando alzò ancora lo sguardo, nella piana non c’era più nessuno.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Un posto ospitale ***


Non sono convinta al 100% da questo capitolo, ma non c’era modo di pensarlo diversamente (almeno per me). E’ venuto fuori un po’ troppo lunghetto.
Fino ad ora le cose sono state relativamente facili, perchè in HP7, al suo ritorno, Ron racconta cosa gli è successo subito dopo essersi smaterializzato. Si trattava solo di contestualizzare ed approfondire il suo racconto, immaginare cosa potesse essere successo in concreto. Da ora, invece, abbiamo un solo “indizio”: sappiamo che ha deciso di andare da Bill e Fleur, e poi settimane di silenzio. Il mio cervello è già al lavoro per “ricostruire” la vicenda, e le mie dita picchiano sulla tastiera appena ho un momento libero.
Intanto, godetevi questo capitolo, che spero non giudicherete troppo severamente (si intende che le osservazioni sono sempre bene accette).
Ringrazio tutti i miei recensori, che con mia grande gioia sono aumentati, e sono tutti molto lusinghieri, e tutte le persone che hanno inserito la storia fra le seguite... e che invito caldamente a recensire, se non l’hanno già fatto!
I personaggi non mi appartengono. Sono della nostra cara JKR.
Spero di riuscire ad aggiornare con una certa velocità, ma vedremo.
A presto!

 
3. Un posto ospitale
 
Quando, in seguito, Ron avrebbe ripensato all’accaduto, non sarebbe stato in grado di ricostruire con precisione eventi e pensieri. Quello di cui era sicuro era che, ad un certo punto, si era addormentato, raggomitolato contro un albero, molto vicino al punto in cui era caduto. Considerato lo sgomento nel vedere quanto tutto gli fosse sfuggito di mano, c’era da stupirsi che avesse trovato la volontà per fare alcunché. Ma quando si era visto ormai solo, senza alcuna possibilità di raggiungere o rintracciare Harry ed Hermione, più che la disperazione l’aveva vinto una stanchezza enorme, invincibile. Non dormiva da ventiquattr’ore, ed aveva camminato tutta la notte. La tensione che l’aveva tenuto in piedi fino a quel momento, nello spasimo dell’urgenza di raggiungere i suoi amici, era crollata addosso a lui come un tendone a cui si tolga il palo centrale, afflosciandoglisi sopra come una coperta pesantissima. Le gambe gli tremavano per la debolezza, gli occhi erano appannati, e non solo per le poche lacrime che non era proprio riuscito a trattenere. Rimettersi in piedi fu uno sforzo che andava quasi oltre le sue possibilità. Si era trascinato fuori dal greto, sotto un albero spoglio, fra gli arbusti ispidi, e si era accasciato a terra.
“Li ho persi. Li ho persi. Li ho persi. Li ho persi...”
Il suo cervello gli sembrava incapace di formulare altro che la prima, evidente verità di quello che era successo.
Li aveva persi, e non solo nel senso che per un soffio non era riuscito a raggiungerli. Quando aveva alzato lo sguardo disperatamente, ed aveva visto le loro figure cancellate dalla piana, come se non ci fosse mai stato nessuno nel posto dove avevano piantato la tenda, aveva avuto la sensazione che fossero stati strappati anche dalla sua vita. Era come se un universo parallelo li avesse inghiottiti, perchè gli era spaventosamente chiaro come non avrebbe mai potuto ritrovarli.
Da tempo, come loro, si era abituato a eliminare, letteralmente, il futuro dall’orizzonte dei suoi pensieri: era appeso ad un filo così labile che era sciocco tenerlo in considerazione. Così, non gli passò neppure per la testa l’idea che forse li avrebbe rivisti in futuro, magari a guerra finita: era una dimensione così lontana che somigliava alle frasi come “un giorno lo rivedrai”, che non consolano quando pronunciate ad un funerale. Esisteva solo il presente, quella condizione di fuga perpetua, ed in quel presente lui li aveva persi, persi, persi: non avrebbe mai potuto varcare ancora quella distesa di spazio siderale che si era improvvisamente allargata tra loro.
Mentre questi pensieri si accavallavano appesantendogli la testa, si era addormentato, cadendo in un sonno disturbato ancora dall’urgenza della notte appena trascorsa, come se il suo io assopito non potesse credere che ogni sforzo era stato inutile.
 
Aprì gli occhi nel primo pomeriggio. Il cielo continuava ad essere coperto, ed i vestiti gli si erano asciugati sullo stomaco, provocandogli con tutta probabilità un’infreddatura. Sentiva la gola gonfia e dolorante, ed i muscoli troppo a lungo sforzati gli facevano male in ogni centimetro del corpo. Tutte queste sensazioni, piombate insieme su di lui appena era riemerso dal sonno, confermavano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che tutto quanto era accaduto nelle ultime ore era reale... peggiore del peggiore degli incubi. L’angoscia gli stringeva la gola infiammata come una morsa.
Si fissò la destra, irrigidita dal sangue secco.
-Tergeo!- tentò di dire, e la voce uscì stridula e flebile, raspando orribilmente le corde vocali: il tuffo ed i piedi bagnati lo avevano reso quasi afono.
Svolse le bende rosa, ridotte ad uno straccio sanguinolento, ed esaminò la mano. Il sangue, con suo sollievo, si era fermato, e non ritenne prudente rimuovere la crosta marrone scuro che gli avvolgeva, ancora leggermente pulsante, la punta delle due dita ferite. Evocò un’altra benda, che venne fuori a disegnini di aeroplani, come quelle che sua madre usava quando lui e i gemelli erano piccoli e qualcuno di loro si faceva male.
Il ricordo della sua famiglia lo fece sussultare, e gli venne in mente che il suo cosiddetto intento, la sera precedente, era stato proprio quello di raggiungerli. Ora che Harry ed Hermione erano spariti, forse era proprio questo che avrebbe dovuto fare. Ma naturalmente era del tutto assurdo.
 Negli ultimi sei anni aveva passato molto più tempo con i suoi compagni che con la sua famiglia, ed era raro che un soggiorno alla Tana non comprendesse anche la presenza di Harry, e soprattutto di Hermione.
Cosa doveva fare? Tornare a casa?
Sua madre sarebbe stata lieta di vederlo sano e salvo, ma persino lei, persino lei non avrebbe potuto essere contenta di riavere il figlio al prezzo dell’abbandono dei suoi amici. Non sarebbero riusciti a credere a quello che aveva fatto. E suo padre, che l’aveva sostenuto di nascosto durante l’estate, quando progettava la partenza, che l’aveva aiutato a stregare il demone... cosa avrebbe detto? Deglutì.
E Fred e George. Deglutì ancora.
E Ginny. Si drizzò di scatto, le orecchie rosse di vergogna come se la sorella si trovasse già davanti a lui, con lo sguardo duro ed incredulo che avrebbe avuto al rivederlo, e poi con la rabbia esplosiva che avrebbe riversato su di lui.
“Li hai abbandonati? Li hai abbandonati?
No, non poteva tornare. Era assolutamente impossibile.
Questa constatazione gli sembrò il capolinea di ogni pensiero, come se la sua mente fosse arrivata davanti ad un vicolo cieco.
Non poteva raggiungere Harry ed Hermione.
Non poteva tornare a casa.
Molto bene.
Sarebbe rimasto lì, appoggiato a quell’albero, a morire di raffreddore. O di fame. Il suo stomaco urlava.
Sì, sarebbe rimasto lì.
 
No, non sarebbe rimasto .
Il tronco era pieno di ragnetti sottili, che camminavano in su e in giù.
La morte sarebbe stata benvenuta (forse), ma non i ragni.
Schizzò in piedi, allontanandosi di qualche passo, e muoversi diede una scossa alla sua mente, completamente impantanata.
“Io lo so bene che tu sei bravo a fare tante cose, Ron”
Chissà di cosa parlava Hermione, quella sera.
Non era bravo neanche a restare fermo in un posto quando non c’era altro da fare che restare fermo in un posto.
“Io lo so bene che tu sei bravo a fare tante cose, Ron”
Hermione non sarebbe rimasta sotto l’albero. Hermione, come Harry, aveva sempre mille risorse che le davano una via d’uscita. Si rese conto che non aveva niente con sé, tranne la bacchetta. Non aveva denaro magico, né babbano (anche se fosse stato capace di usarlo), non aveva vestiti di ricambio, e tutto ciò che indossava era umido, e lo faceva rabbrividire alla minima raffica di vento.
“Io lo so bene che tu sei bravo a fare tante cose, Ron”
Doveva provare a Smaterializzarsi.
Non c’era altro modo per andarsene di lì: non aveva la minima idea di dove si trovasse e quanto fosse distante l’abitato più vicino, e anche ammesso che ci arrivasse... sporco e infangato e senza un soldo, avrebbe incuriosito i Babbani, e poteva anche incappare in qualcosa di peggio, come la sera prima.
Smaterializzarsi. Sì. Per dove, però?
Non la Tana. Grimmauld Place? Forse, congetturò frenetico, se fosse riuscito ad entrare, e avesse mandato Kreacher a cercare Harry, e... ma si ricordò che Grimmauld Place non era più un posto sicuro: certamente era sorvegliata, dal Ministero o direttamente dai Mangiamorte.
Annaspò alla ricerca di un altro posto ospitale: era terribile vedere che la lista delle possibili destinazioni era così corta e si era già esaurita.
Potrei andare a Villa Conchiglia.
Il pensiero, balenatogli nella mente per un attimo, restò ad aleggiare nel panorama vuoto che lo circondava. Da Bill. Era un posto sicuro. Avrebbe avuto notizie dei suoi. E forse Bill non si sarebbe mostrato così terribilmente deluso.
Al massimo... poteva dirgli che non era il benvenuto. Rifletté che in tal caso gli avrebbe lanciato un Incantesimo di Memoria per evitare che raccontasse a tutta la famiglia l’aberrazione commessa dal figlio minore.
Improvvisamente, stava ricominciando a pensare.
Cosa voleva fare?
“Voglio ritrovare Harry ed Hermione. Non so come. Ma per farlo, devo andarmene da qui. L’unico modo per andarmene da qui è trovare un posto ospitale. L’unico posto ospitale che mi viene in mente è Villa Conchiglia. L’unico modo per arrivare a Villa Conchiglia è Smaterializzarmi.”
Uao! Procedimento logico. Hermione sarebbe stata orgogliosa di quel ragionamento. Cioè... sempre ammesso che riuscisse mai a venirlo a sapere, o che gli rivolgesse mai più la parola.
Brandendo la bacchetta, strinse i denti.
Tanto valeva farlo subito.
“Io lo so che tu sei bravo a fare tante cose, Ron”
 
Ci era riuscito.
Quando se ne rese conto, il primo pensiero fu di rammarico: se solo ci avesse provato, quella notte! Ma forse, con la stanchezza e la testa confusa dalle troppe emozioni, non avrebbe funzionato.
Si trovava su una collina prospiciente il mare: sul terreno l’erba si mescolava già alla sabbia. Era lì che era atterrato con Bill l’estate precedente, con una Passaporta posizionata appositamente. Era stato quando avevano trasferito gli scatoloni con la roba del fratello, troppo pesanti per portarli in una Smaterializzazione, dalla Tana alla casa ancora spoglia, due settimane prima del matrimonio.
Il cottage era vicinissimo, vedeva già il tetto, ed il camino fumante indicava che qualcuno era in casa.
Prima che la paura per la reazione che la sua comparsa avrebbe potuto provocare prendesse il sopravvento, scese il fianco della collina, fino a che non si trovò davanti la casa, con i suoi muri bianchi incrostati di conchiglie.
Esitò, poi bussò alla porta.
Subito (troppo velocemente: già era forte l’istinto di scappare), sentì  passi che si avvicinavano, e la voce di Fleur chiedere guardinga:
-Chi è?
Sapeva, anche senza vederla, che aveva la bacchetta in mano ed era pronta a Schiantare un eventuale assalitore, magari attraverso il buco della serratura, come suggerito dai vecchi opuscoli del Ministero.
-Sono... sono Ron.
La sua voce, con la gola gonfia, non era familiare neanche a lui stesso.
Silenzio. Lo stupore, dal lato opposto della porta, era evidente. Poi la voce di Fleur, con una nota battagliera, riprese:
-Tres bien. In tal caso... che creature avevano catturoto mia sorela Gabrielle duronte la seconda prova del torneo Tremaghi?
-Delle... ehm, delle Sirene.
La porta si aprì, e Fleur, sorprendentemente bella anche in abiti da casa e con i capelli argentei legati in una lunga coda di cavallo, lo fissò ad occhi sgranati.
-Ron! Ma... sei solo!
-Io... sì. Posso... posso entrare?
-Ma... ma certainement.
Gli fece spazio, arretrando sulla soglia.
-Cosa ti è suscesso?
I suoi occhi saettavano dalla mano fasciata ai vestiti inzaccherati di fango, al suo viso, che doveva essere davvero pallido.
-Harrì, Hermiòn... stanno bene, loro?- chiese, colta da un terribile sospetto.
Ron sentì il cuore stringersi.
-Sì, io... immagino di sì.
Fleur chiuse la porta. Era chiaro che si stava chiedendo cosa diavolo ci facesse lì il suo giovane cognato, invece di essere impegnato a salvare il mondo magico.
-Bill non sc’è, dovrebbe tornar tra poco...
Ancora un attimo di esitazione. Poi parve prendere la decisione di rimandare le richieste di spiegazioni.
-Ronnie, sei tuto bagnato. Vieni in sojorno.
Lo trascinò, prendendolo per mano, perchè lui rimaneva impalato, fino al piccolo soggiorno con le finestre che guardavano il mare, dove il fuoco scoppiettava nel camino. Il tepore, dopo ore e ore di vento freddo, fu un sollievo quasi insopportabile, ma lo inebetiva. Rimase fermo, in piedi, instupidito dalla spossatezza fisica e mentale.
Fleur gli stava togliendo la giacca bagnata. Con un solo colpo di bacchetta, fece volar via la benda con gli aeroplanini, esaminò le ferite con attenzione, colpì la mano con un Incantesimo Refrigerante e scomparve, per tornare con una boccetta di dittamo a velocità inquietante.
-Grazie- riuscì a biascicare Ron. Il calore del soggiorno stava diventando insopportabile. Crollò su una poltrona celeste mentre davanti agli occhi gli esplodevano strani fuochi d’artificio, e le orecchie rombavano.
Una fiammata più alta, il fuoco del camino che diventava verde, un’esclamazione di sorpresa.
-E’ arrivato qui pochi minuti fa...- sentì dire a Fleur, e poi: -...sì, è lui. Ho già controlato.
-E’ ferito?
Sentiva la voce tesa di suo fratello, ma gli sembrava che la bocca, come tutto il resto del suo corpo, fosse diventata pesantissima: non riusciva a rispondergli.
La mano fresca di Fleur gli sfiorò la fronte:
-La mano non è grave, mais il à un peu di febre...
-Aspetta, tesoro, portiamolo di sopra.
-Levicorpus.
Sentì che fluttuava leggero, e finalmente, perse conoscenza.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Rimediare ***


 Eccomi di nuovo. Con questo capitolo, “si comincia a ricominciare”: siamo all’inizio del soggiorno a Villa Conchiglia.  Senza troppe premesse vi lascio alla lettura, non senza ringraziare le persone che seguono la storia e le tre che l’hanno inserita tra le preferite.
Per favore, ricordatevi che una recensione mi farebbe molto felice!

 
4. Rimediare
 
Ron si svegliò in un lettino nella camera degli ospiti di Villa Conchiglia la mattina del giorno seguente. Il tepore del letto soffice era come una densa nuvola di ovatta, all’interno della quale galleggiassero i suoi tentativi di mettere a fuoco la stanza. Solo dopo un po’ di tempo si accorse che Bill era presente, seduto su una poltrona di vimini accanto al letto ed intento a leggere La Gazzetta del Profeta, che titolava sulla prima pagina, a caratteri cubitali: “Nuove Norme per il Contenimento dei Nati Babbani”.
Si schiarì la gola, tirandosi a sedere sui guanciali, e Bill si volse subito verso di lui, mettendo da parte il giornale con un gran fruscio.
-Sei sveglio, finalmente. Come ti senti?
-Quanto... quanto tempo è passato?
-Sei arrivato ieri sera.
-Mamma, papà, Ginny...
-Tutti bene, tranquillo. E tu? Fleur ci terrebbe a sapere se le sue cure ti hanno giovato, per questo mi ha messo di guardia qui.
-Credo di sì, io... mi è tornata la voce.
-E le dita?
Ron se le guardò. Due rosee cicatrici occupavano il posto delle sue unghie spezzate alla base.
-Non fanno più male.
-Altri dettagli? Avrai fame.
-Sì!- esclamò Ron, con un certo entusiasmo. Ma subito dopo, con terribile realismo, piombò nella sua mente l’idea di Harry ed Hermione seduti a mangiare pesce bruciacchiato nella tenda, ed il senso di colpa si affrettò a fargli aggiungere:
-...cioè... insomma, non tanto.
-Spero che il tè vada bene.
Bill gli mise una tazza bollente in mano, attese che Ron avesse bevuto qualche sorso, poi sospirò e disse:
-Ron, potresti darmi qualche spiegazione?
Ron si aspettava la domanda da un momento all’altro, ma il sorso di tè gli andò ugualmente di traverso.
-Fleur dice che hai detto che Harry ed Hermione stanno bene.
-Sì, sì... beh, credo.
La verità era che non poteva essere sicuro. Nel tempo trascorso da quando li aveva visti da lontano, la mattina precedente, potevano essere stati attaccati, intrappolati, arrestati, feriti, torturati e... non osava neanche pensarci.
-Perché vi siete separati? Hai un compito da svolgere da solo? Vi hanno attaccati?- chiese Bill ansioso.
Il fatto che la verità fosse tanto più umiliante di quelle ipotesi fece ammutolire Ron, che assunse un’espressione infelice che il fratello fraintese:
-Non preoccuparti, se non puoi dirmi nulla. Sono nell’Ordine, so come stanno le cose. Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi. Non l’ho detto neanche a papà, ieri.
La fiducia di Bill era una specie di lenta tortura, come se qualcuno gli girasse con perizia un coltello dopo averglielo infilato per bene nella pancia. Sentì che le orecchie andavano a fuoco.
-Se te la senti di alzarti scendi. Potresti aiutarmi a preparare la cena. Fleur è andata in paese.
Bill si alzò e si avviò verso la porta della stanza, e Ron si rese conto che se non avesse detto la verità al fratello adesso, poi sarebbe stato tutto più difficile.
-Abbiamo litigato- sparò, con una strana vocetta, certo non dovuta all’infreddatura che Fleur aveva curato così bene.
Bill si fermò sulla porta. Non tanto quello che Ron aveva detto, quanto il tono con cui le due parole erano state pronunciate, dovevano averlo colpito profondamente, perchè si volse a scrutarlo con attenzione. Le cicatrici profonde che l’attacco di Greyback gli aveva lasciato sul viso gli donavano un’aria sempre indecifrabile, eppure era evidente, in quel momento, quanto fosse colpito.
-Sono venuto qui perchè non avevo il coraggio di andare a casa. Abbiamo litigato e ho perso la testa e mi sono Smaterializzato e sono finito in mezzo a dei tizi che volevano portarmi al ministero per dieci galeoni e sono riuscito a scappare ma sono finito troppo lontano e quando sono riuscito ad arrivare erano già...
-Ghermidori.
-Come?
-Ghermidori. Si chiamano così. Sono bande di delinquenti da poco, che hanno capito subito che consegnare gente ricercata al Ministero può rivelarsi una carriera facile e redditizia. Giusto ieri un editoriale della gazzetta del Profeta riportava che il ministero incoraggia apertamente questa pratica, ehm- raccolse il giornale - “nata dalla nobile volontà dei cittadini di contribuire al rispetto della legge”. Non ne sapevate niente?
-Cosa... certo che no! Non abbiamo...- si interruppe -...avevamo... alcun contatto con l’esterno da settimane. Comunque- si riscosse -...non è questo il punto! Io...
-Ho capito che non è questo il punto.
Ron spostò le coperte con un gesto rabbioso, e scese dal letto.
-Li ho persi, capisci? Sono il più grosso idiota dell’universo. Se vuoi che me ne vada, io...
Bill continuava a guardarlo, e lentamente si rimise a sedere sulla seggiola di vimini.
-Sono tutt’orecchi, Ron.
-Abbiamo litigato.
-Sì, questo l’ho capito- rispose Bill, con appena un’ombra, per la prima volta ,di irritazione nella voce, -avete litigato.
-Abbiamo litigato... e... è difficile da spiegare...- più che altro impossibile, visto che non poteva menzionare l’Horcrux –...comunque mi sono arrabbiato e me ne sono andato, finendo dritto in mezzo ad una banda di questi...
-Ghermidori.
-...esatto. Sono scappato, ma tornando indietro ho sbagliato qualcosa... sono finito lontano dal posto giusto, e non volevo Smaterializzarmi ancora... mi sono ferito la mano così, e poco tempo fa mi ero Spaccato di brutto, avevo perso un mare di sangue quella volta e quindi... insomma, sono arrivato nel posto giusto a piedi, solo la mattina. E loro... se ne erano già andati.
Non volle dire che li aveva visti, l’idea era ancora troppo dolorosa.
Guardò Bill, cercando il coraggio per sostenerne lo sguardo. Lui però si fissava con attenzione le mani, girandosi piano la sottile fede d’oro all’anulare sinistro.
Continuò, lasciando passare quasi un minuto, fino a che Ron non si volse bruscamente, e batté un pugno contro il muro.
-Dì qualcosa, dannazione!
-Calmati, Ron!
-Io... ho fatto una dannata stronzata!
-Non sarò io a negarlo.
-Bene... lo so... me ne andrò appena sarò riuscito a rivestirmi, sono venuto qui solo perchè non ero in me e non sapevo dove altro...
-Non dire sciocchezze, Ron! Dove vorresti andare?
Bill lo fissò, e se qualcun altro fosse stato presente nella stanza sarebbe rimasto colpito dalla somiglianza tra i due, nonostante le cicatrici e la coda di cavallo di Bill e l’aria pallida e devastata di Ron.
Ron, in piedi per tutta la sua lunghezza, parve afflosciarsi come uno straccio, le mani abbandonate lungo i fianchi.
-Non lo so. Non a casa.
-Puoi restare qui.
-Bill, ho fatto una...
-Lo so. Sono d’accordo. Ora basta ripeterlo, però, va bene? Rimedierai in qualche modo.
Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, Bill sorrise, e non era un sorriso di compatimento. Trovava solo buffo che Ron avesse ripetuto il concetto l’ennesima volta. E lui si sentì stranamente sollevato: in un certo senso, questo rendeva la frase del fratello più vera e credibile. Rimedierai, in qualche modo.
-Bill! Avevi detto che la scena sarebbe stota en tavola quando sarei tornata!
Bill si alzò di scatto.
-Devo andare- disse con un altro sorriso, a cui Ron rispose quasi senza accorgersene. -Come vedi, c’è sempre qualcosa da rimediare per tutti.
Uscì dalla stanza, e Ron lo udì scendere le scale del villino.
 
Villa Conchiglia era un posto isolato e molto bello, e la vita vi scorreva costantemente accompagnata dal rumore della risacca del mare, che in quei giorni tra novembre e dicembre era tempestoso, spesso sferzato dalla pioggia e di un grigio profondo.
Ron non dubitava che Bill e Fleur si fossero consultati in merito alla condotta da tenere nei suoi confronti, e la conclusione doveva essere stata quella di lasciarlo in pace, perchè nessuno lo disturbava mai.
Il secondo giorno aveva scoperto la radio. Bill e Fleur la ascoltavano in silenzio, con espressione serissima, seduti sul divano dopo cena, quando era sceso per dar loro la buonanotte, ed il rumore della frequenza era stato come una calamita: si era meccanicamente seduto su una poltrona accanto a loro, ed avevano ascoltato tutto il giornale radio del Ministero senza un rumore, se non quello dei denti digrignati dai due Weasley e gli sbuffi sprezzanti di Fleur ad ogni affermazione dello speaker.
Quando la sigla di chiusura si fece sentire, Bill si volse verso il fratello:
-Stanno bene, Ron. Harry ed Hermione...
-Cosa? Ma non hanno detto nulla su...
-Appunto! Credi che la radio governativa si lascerebbe sfuggire l’occasione di annunciare che Harry Potter è stato catturato o è morto? E' sempre sui giornali, accusato, denigrato... ti porterò qualche copia del Profeta. Se fosse morto, credimi, non vedrebbero l'ora di dircelo.
Era ragionevole. Ma Ron non poté reprimere l’interrogativo che gli martellava il cervello: avrebbero fatto così anche con Hermione? Avrebbero ritenuto una notizia sufficientemente importante la cattura o la morte di una Sanguesporco?
-Bien. Passiamo ale cose serie, mon amour- disse Fleur bruscamente, con una voce carica di aspettativa che fece inorridire Ron. Si alzò di scatto, arrossendo fino alla radice dei capelli.
-Ehm... vi lascio soli. Buonanotte.
-Ron... Fleur sta parlando della radio.
-Ah...ehm...- Sua cognata non doveva avergli sistemato bene la gola. La voce stridula tornava ad una frequenza preoccupante. E non capiva di che parlasse Bill.
-Non lo sai? Mais c’est incroyable! Ah, presto, Bill, quale era l’ultima mot de passe?... sentirai, Ron!
-L’ultima parola d’ordine era fenice.
Così dicendo Bill aveva armeggiato con la radio, colpendola con la bacchetta, finché ne era emersa, disturbata dalla frequenza ma fin troppo riconoscibile, la voce di Lee Jordan, identica a quando faceva le cronache delle partite di Quidditch della scuola.
«...siete su Radio Potter, amici sostenitori della resistenza contro Colui che non Deve Essere Nominato... »
-...ma cosa?
-E’ l’informazione della resistenza. Per sintonizzarsi occorre la parola d’ordine... gli speaker hanno tutti nomi in codice, ma li riconoscerai facilmente... sono queste le vere notizie!
Se solo lo avessero saputo, pensò Ron, mentre Lee, e poi Fred e George, e Kingsley parlavano della resistenza, delle morti, del sostegno a Harry... Si sarebbero sentiti più allegri, meno soli e forse... forse l’Horcrux avrebbe avuto meno effetto su di lui...
 
Prima di andare a dormire, Fleur gli aveva detto:
-Ron, ho lavato e stirato i tuoi vestiti. E’ tuto sul tuo letto, comprosa la roba che avevi in tasca. Volevo tinjere il cardigàn, perchè quela fontasia marron è talmonte orenda... comunque...
-Grazie... grazie mille, Fleur.
-De rien. Bonne nuit.
In camera, ordinatamente piegata, c’era tutta la sua roba: tutto quello che aveva con sé quando aveva bussato alla porta di Villa Conchiglia. Accanto alla giacca asciutta e smacchiata, ed ai jeans ordinatamente ripiegati, Fleur aveva delicatamente posato sul letto gli oggetti che aveva avuto in tasca. A parte l’orologio, non ricordava assolutamente di averli avuti con sé, e li fissò, colpito.
Lo Spegnino regalato da Silente, nella sua preziosa fattura argentea, imprimeva sulla trapunta del letto una conca, nella quale era rotolato, addossandosi, un altro oggetto più piccolo. Ron trasalì al vederlo: Fleur doveva averlo trovato nella tasca dei jeans.
Era un semplice cerchietto d’argento, un orecchino, compagno di un gemello di cui Hermione aveva rammaricato la scomparsa, in uno dei giorni che avevano trascorso a Grimmauld Place.
Lui se lo era trovato impigliato ad un maglione, e quando lo aveva mostrato ad Hermione lei aveva detto:
-E’ mio, naturalmente... la cosa noiosa della borsa di perline è che i piccoli oggetti si perdono in mezzo al resto...
Si era messa a frugare nella borsa per quasi mezz’ora in cerca dell’altro, tirandone fuori una tale quantità di oggetti da coprire il pavimento del salotto.
-Non ci sarà un buco, Hermione? Magari l’Incantesimo Estensivo Irriconoscibile ha una perdita da qualche parte.
Lei lo aveva guardato scandalizzata:
-Certo che no... ho fatto le cose per bene!
-Allora vedrai... salterà fuori.
-Immagino di sì... oh, scusa, Kreacher! No, lascia stare, metto a posto io!
Aiutandosi con la bacchetta aveva cominciato a far tornare nella borsa tutto quello che aveva tirato fuori, per impedire all’elfo domestico di intervenire. Quando il pavimento fu sgombrato, Ron le aveva teso l’orecchino
Con un attimo di esitazione, lei aveva sorriso.
-Conservalo tu, visto che dubiti tanto delle capacità della mia borsetta. Me lo rendi quando salta fuori l’altro.
-Non salterà mai fuori... c’è una perdita, Hermione... l’altro giorno non riuscivi a trovare neanche il mio spazzolino da denti...- l’aveva presa in giro Ron.
-Veramente l’ho trovato! E’ nel bicchiere del bagno da due giorni, non te n’eri ancora accorto?
-Ehm...
-Ronald! Sono due giorni che non ti lavi i denti? Ma...
-Vado adesso, ok?
L’orecchino lo aveva messo in tasca, scappando alle sue rampogne su placca e tartaro (Harry gli aveva ricordato che i genitori di Hermione curavano i denti ai babbani).
Lì per lì non ci aveva pensato neanche troppo. Ma nei giorni successivi spesso lo aveva gratificato il contatto liscio e fresco dell’argento sulle dita, quando metteva le mani in tasca. Era diventata un’abitudine quando, con l’Horcrux al collo, trovava insopportabili le lunghe conversazioni che Hermione aveva con Harry.
Anche adesso lo prese in mano, sfiorando con l’indice la lucente superficie circolare.
Avrebbe voluto essere con loro, poter riferire quello che aveva sentito alla radio, tutte le novità che sapeva, e che avrebbero potuto vagliare parola per parola, seduti al tavolo nella cucina della tenda.
Si chiese se loro pensavano a lui quanto lui a loro. Probabilmente ritenevano che avesse davvero deciso di abbandonarli, visto che non era più tornato. L’idea gli faceva venir voglia di urlare. Forse stavano meglio senza le sue continue rampogne, la sua ottusità, la sua lentezza a capire?
Con un sospiro, sfiorò ancora l’orecchino, che brillava alla luce del suo comodino.
Se avesse avuto un’altra opportunità... tutto sarebbe stato diverso. Lui sarebbe stato diverso. Se avesse potuto rimediare...
Spense la luce, infilandosi sotto le coperte con un sospiro.
Poi la riaccese, si alzò ed andò a lavarsi i denti.
 
 
Al prossimo capitolo, cari! Fatemi sapere che ne pensate, vi prego!;-)
 

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Fleur ***


Eccomi di ritorno! Stavolta l’aggiornamento ha richiesto tempi un po’ più lunghi. In parte ciò è dovuto ad una settimana particolarmente dura, in parte al fatto che questo è il capitolo chiave della storia, ed è stato molto difficile da scrivere, anche per questioni prettamente stilistiche (Fleur parla a lungo, e riprodurre l’accento cercando di non rendere il testo pesante è stato arduo). Nel complesso sono molto soddisfatta, ma anche ansiosa di confrontarmi col vostro parere. Con questo capitolo mi sono tolta un altro sassolino dalla scarpa (oltre al sassone che, come sapete è all’origine di questo progetto pro-Ron): quello di approfondire la figura complessa di Fleur, che la Rowling caratterizza con pochi ma significativi tratti. Ditemi se sono stata convincente! Buona lettura!
 
5. Fleur
 
Se solo un anno prima avesse pensato che avrebbe trascorso un periodo di tempo come ospite a casa di Bill e Fleur sposi novelli, come eterno terzo incomodo, Ron si sarebbe sentito male. Ma rimase colpito di quanto la vita che conducevano fosse tranquilla. Bill andava a lavorare la mattina e tornava a metà pomeriggio. Fleur studiava ancora l’inglese, e restava a casa, Ron immaginava, in attesa di tempi più propizi per proseguire la sua carriera lavorativa nel paese, e nel frattempo curava l’andamento domestico con un piglio matronale che si orientava verso grembiuloni da grandi pulizie e manuali d’alta cucina. Vedendola così bella, sofisticata e sempre perfettamente elegante, nessuno, pensava Ron, avrebbe potuto immaginare quanto fosse anche efficiente.
Naturalmente non gli ci volle molto, dopo il sollievo dei primissimi giorni, ad accasciarsi nuovamente, depresso dalla sensazione della sua inutilità e completamente disorientato riguardo a ciò che avrebbe dovuto fare. Passò buona parte dei giorni delle prime due settimane  attaccato alla radio, saltando in continuazione dai programmi governativi a Radio Potter e viceversa, ossessionato dall’idea di sentire qualcosa sulla sorte di Hermione ed Harry. Oppure, giocherellava con lo Spegnino lasciatogli da Silente, passando dalla luce alla penombra nella sua stanza ad intervalli regolari che si mischiavano ai suoi pensieri cupi, sin quasi ad ipnotizzarlo.
Fu così che Fleur lo trovò un’ennesima mattina, con lo sguardo vuoto e nervoso, lo Spegnino che scattava in mano e la testa inclinata verso la radio come se temesse di non sentire bene, o di perdere qualche parola importante nel pomposo discorso che qualcuno stava pronunciando.
Indossava un grembiule da cucina con grandi macchie, e fece uno sbuffo eloquente, talmente rumoroso da riuscire a distogliere Ron dalla sua trance.
-Sai, Ron, se non hai di che empiegar il tuo tempo, non è che manchino le cose da fare, compris?
Ron si riscosse, guardandola fisso.
-Star lì ala radio non ti farà tornare da loro per magia.
Fleur non aveva mai aperto bocca sulla sua permanenza o sul suo comportamento, da quando Ron era arrivato: o su raccomandazione di Bill o per personale intuizione, sembrava aver capito che non era il caso di stargli troppo addosso.
Adesso, però, ritta nel vano della porta del salottino, alta, bella, orgogliosa e con in mano un coltellaccio sporco di sangue, lo guardava con aria decisa e vagamente minacciosa. Ron deglutì.
-Cosa stai...- mormorò, accennando alla mannaia.
-Cuscino per Bill. Fascio qualcosa. Ho mucchi di cose da fare, Ron.
Era un invito a darsi da fare? Hermione lo aveva sgridato tante volte sul suo completo disinteresse per le poche faccende che si accollava sempre lei (beh, qualche volta Harry) nella tenda. Semplicemente, gli era sempre parso di essere totalmente incapace di occuparsi di quel genere di cose.
-Io non so fare nulla di queste cose, Fleur... non ho mai...
-Ah, scerto! Perchè tu pensi che io sia nata sapendo? Non ho mai mosso un dito fino ai disciassette anni proprio comme toi, sai? A Beaubatons avevamo anche il servizio in camera...
-Beh, non... non te la cavi male, direi...
Non sapeva che dire. Era come fronteggiare un drago che si fosse appena svegliato, del tutto inopinatamente, ed apparisse molto nervoso. La guardò, speranzoso, pregando che il complimento, uno dei Modi Infallibili per Sedurre una Strega, avesse qualche effetto anche sulla cognata.
-Scerto che no! Ho imparato. Potresti cominsciare anche tu!
Avanzò nella stanza (sempre col coltello in mano), puntò la bacchetta in direzione di Ron, che si ritrasse, e con un gesto spense la radio.
-Bill vuole che ti lasci in pace, ma ti consumerai i nervi se stai encore attacato a quella radio. Persciò... – un altro rapido gesto di bacchetta e la porta di una bella credenza di legno chiaro si spalancò, mostrando al suo interno un servito di delicati piatti celesti, -... cominscia ad apparecchiare per la scena di stasera, perchè io ho davvero troppo da fare.
Anche se non avesse avuto coltellaccio e bacchetta in mano, il tono di ineluttabilità con cui Fleur parlava era più di quanto Ron credesse di poter fronteggiare. Sospirò (con cautela) e si alzò, dirigendosi verso la credenza, mentre Fleur, borbottando in francese parole che lui non capiva, sparì di nuovo in cucina, da dove ripresero, ad intervalli regolari, rumori violenti di una lama sul tavolo di marmo.
Decise di apparecchiare senza l’aiuto della bacchetta. L’idea di fare cadere uno solo di quei sottili capolavori di porcellana, senza Bill in casa e con Fleur armata di trinciante, gli faceva venire il sudore freddo.
Lei tornò dopo dieci minuti, guardò il tavolino apparecchiato per tre, agitò la bacchetta e tutto cambiò in un attimo posizione.
-Cominscia ad imparare, Ronnie... forchette a sinistra, coltelli e cucchiai a destra. Oh, e per Bill sci vuole...- il coltello liscio sparì dal posto di Bill, per essere sostituito da una sorta di spadone seghettato.
Bien. Adesso, mentre io finisco di occuparmi della scena, dai per favore una passata alla tua stanza. Cambiati le lenzuola del letto... sono le stesse da più di una settimana...
Ron, che dormiva da qualche mese nello stesso sacco a pelo prima di arrivare a Villa Conchiglia, trovò che Fleur sposandosi aveva raggiunto un’ossessione maniacale per la pulizia. Comunque salì le scale, e riuscì a completare l’operazione entro la cena, chiedendo, imbarazzatissimo, istruzioni continue alla cognata, che dal basso rispondeva con tono sempre più esasperato, come un vulcano sul punto di esplodere.
Quando Ron era fermo da cinque minuti, affacciato alla ringhiera, cercando di raccogliere il coraggio di chiedere a Fleur per la seconda volta dove riponeva le federe pulite, udì con immenso sollievo il rumore dell’arrivo di Bill in soggiorno.
-Bill, amour... com’è andata in uffiscio?
-Come sempre, tesoro. Ma ho una bella notizia... dov’è Ron?
-Sta facendo un peu di faccende per me- rispose Fleur, in tono assolutamente naturale.
-Ah... davvero?
-Ma scerto! Stava diventondo matto, con quella radio, come ti discevo ieri sera... chiamalo, mentre vai a lavarti le mani. La scena è in tavola.
Bill si affacciò nell’ingresso e gli venne incontro sulle scale, con il consueto lieve sorriso.
-Dove stanno le federe pulite?- chiese Ron al fratello, con un tono che suonò lievemente isterico.
-Seconda anta del nostro guardaroba. Ron... Fleur ti ha minacciato?
-Non proprio... beh, non me l’ha proprio chiesto... più che altro...
-...ordinato.
-Sì, beh... aveva un coltello in mano...
-Capisco. Comunque, ha detto che si cena. Vieni giù, ho una notizia per entrambi.
Subito la mente di Ron, che da qualche ora era persa nella contingenza del problema “faccende domestiche” da risolvere, piombò sonoramente a terra, nel pieno della realtà che stava vivendo. Ho perso Harry ed Hermione. Eccolo di nuovo, il tarlo che gli trapanava il cervello, e che aveva quasi scordato, per un po’. Quante volte aveva pensato quella frase, l’ultima settimana?
-Non fare quella faccia, è una cosa bella!- esclamò Bill, vedendo il suo volto mutare rapidamente espressione –Scendiamo, non vorrai far arrabbiare Fleur?
Certo, non voleva.
 
La cena era squisita, come sempre.
Ron non aveva mai avuto modo di rendersi pienamente conto, prima di quella convivenza, di quanto i pasti di Bill fossero più... selvatici nello stile, dopo la ferita di Greyback. Mangiava la sua bistecca al sangue con un entusiasmo che lo rendeva simile ad un grosso leone. Fleur, dal canto suo sorbiva la sua parmentier in perfetta compostezza, e seduti l’uno a fianco dell’altro formavano un quadro dalla strana armonia, dal quale era difficile staccare gli occhi.
“Sono così diversi... come fanno a piacersi?”
-Remus è tornato!- esordì Bill, dopo che ebbe placato i primi morsi della fame –Ho ricevuto il gufo di papà in ufficio.
-Era ora...- esclamò Fleur –Oh, tesoro, è meravilioso, Tonks è viscina alla scadensa, ormai, era vergognoso che lui...
-Ron- si informò Bill –Sapevate che Remus aveva lasciato Tonks?
-Beh, lo abbiamo incontrato a Grimmauld Place... lui sembrava... non troppo felice che Tonks fosse incinta... ma non sapevo che fino ad ora non fossero tornati insieme.
-Una vera sciocchessa. Lei lo ama. Sta a lei giudicare se lui sarà un buon marito o meno. Quanto al bebè... mille storie, come se non sapessero che...- proseguì Fleur, imperterrita, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
-Remus aveva paura che il bambino possa nascere con qualche conseguenza legata al fatto che lui è un lupo mannaro...- spiegò Bill, interloquendo.
-Beh, se è per questo- scosse la testa Fleur, con il suo tipico gesto sprezzante –Nemmeno noi possiamo esser del tutto sicuri. E alora? E comunque... a chiunque può suscedere che il proprio figlio, sano come un pesce, venga morso da un manaro come Greyback. E alora che si dovrebbe fare? Remus si preoccupa sompre delle cose sbaliate: di quello che potrebbe suscedere al figlio, come se potesse farsci qualcosa, invesce di quello che può far per sostenere sua molie e stare vicino al suo piccino quondo nascerà!
Fleur aveva sempre avuto la tendenza a pontificare, ed a fare affermazioni apodittiche, ma Ron si sentì colpito da quanto fosse giusto il suo punto di vista. La sua brusca cognata sembrava avere una limpidezza di sguardi e di idee che lui invidiava. Si ricordò di come aveva aggredito sua madre, nell’infermeria di Hogwarts, meno di un anno prima, quando nell’aria era anche solo aleggiato il pensiero che lei avrebbe potuto non sposare più Bill a causa dell’incidente con Greyback.
Bill la guardava con uno sguardo profondo, pieno d’amore e di vera adorazione, che però, per la prima volta, non imbarazzò affatto Ron.
Era come rendersi conto che Fleur non era affatto un piccioncino che tubava con suo fratello; ma un’aquila, che Bill ammirava ed amava per motivi che andavano ben più in là della sua conturbante bellezza da Veela. Si chiese come aveva fatto a non accorgersi di quell’evidenza.
-Hai ragione, tesoro. Comunque, è tornato. E’ andato a prendere Tonks a casa dei suoi ed hanno riaperto il loro appartamento.
-Dov’era stato, fin’ora?- si interessò Ron.
-Ha insistito per continuare i suoi contatti con i mannari al soldo di Greyback, e si è fatto affidare due o tre missioni davvero pericolose per conto dell’Ordine... in realtà, penso che se Silente fosse ancora vivo non gli sarebbe stato permesso di farlo. Sposato, sua moglie incinta... ma dopo la morte di Silente, per l’ordine è difficile coordinarsi... e Voi-Sapete-Chi ha preso il potere così in fretta...
Sì, tutto era andato troppo in fretta, dopo la morte di Silente. Li aveva lasciati deboli, indifesi, impreparati. Ron si era chiesto più volte se il vecchio preside sapesse quello che faceva, quando aveva affidato la missione a loro tre. Troppa fiducia nelle persone, aveva Silente: si era fidato di Piton, che l’aveva ucciso, si era fidato di lui stesso, sospirò tristemente... che se n’era andato...
La sua mano corse al cerchietto d’argento nella sua tasca, caldo del calore della sua gamba attraverso la stoffa fine dell’interno della tasca.
Tonks aveva perdonato Lupin. Anche Lupin l’aveva abbandonata. E lei... lei, se fosse riuscito a tornare? Come stavano, che cosa facevano... pensavano mai a lui? La domanda lo tormentava di continuo, con un’insistenza insopportabile. Ed era solo il coperchio di una pentola piena di domande che gli facevano dolere il petto.
Hermione era da sola con Harry. Da sola con Harry. Da sola con Harry.
Si disprezzava per la bassezza dei suoi timori, ma non riusciva a smettere di torturarsi con quei pensieri. Harry era coraggioso, disinteressato. In qualche modo, riusciva sempre ad essere cortese, e quando non lo era, era solo per cause giuste o verso persone che lo meritavano. E se Hermione... Harry ed Hermione si volevano molto bene, l’aveva sempre saputo. Erano da soli, e probabilmente si completavano benissimo a vicenda. Non c’era più bisogno di spiegare qualcosa a lui, sempre costantemente in ritardo sulle loro intuizioni, sulle loro decisioni.
Non avevano bisogno di lui... nessuno dei due.
E se... e se... e se...
 
Nei giorni seguenti, Fleur lo mise al lavoro.
E Ron obbedì, prima per paura (il trinciante sanguinolento era ancora vivido nella sua memoria).
Poi per senso del dovere, visto che ancora non si abituava al fatto che Bill e Fleur lo avessero ospitato con così generosa discrezione a casa loro.
Infine, dopo qualche giorno, con vero piacere. Lavorare, occuparsi di banali faccende domestiche, sempre così uguali e ripetitive, gli distoglieva la mente dal circolo sempre uguale dei suoi pensieri. Era nata una specie di strana complicità con la sua bella cognata. Una sera l’aveva sentita dire a Bill, in tono deciso:
-Credimi, caro, gli fa solo bene pensar meno e far di più. Cosa può pensar ora, se non che è stato uno stupido? Tuo fratello deve imparare che se sci sta attonto anche lui può far bene le cose.
Una mattina tranquilla, di gelida trasparenza, a metà di dicembre, riempita come al solito del rumore del mare, Fleur gli chiese di aiutarla a stuccare le due finestre del salottino. Infagottati nelle giacche, mentre il vento frustava le loro guance rendendo Fleur radiosa e Ron paonazzo, si misero ad applicare un sottile strato della Magica Pasta Sigillante per Infissi ed Inferriate di Nonna Acetosella agli stipiti verniciati di una tenue tinta azzurrina.
-Sei stato utilissimo in questi giorni, Ronnie- esordì Fleur, e dopo un momento di silenzio, aggiunse:
-Sei diventoto un vero ometto di casa. Da sposare.
Ron sentì un calore pericoloso in zona orecchie, e biascicò un ringraziamento.
Da sposare. Parole semplici, una battuta comunissima, che subito aveva riavviato la catena dei pensieri ossessivi. Nessuno mi vorrebbe. Lei non mi vorrebbe...
Urtò il flacone di Pasta Sigillante, che si rovesciò per terra, spandendosi con un sinistro scintillio e provocando l’istantaneo ingiallimento dell’erba sotto il davanzale.
Ron imprecò, e si chinò, cercando di sospingere di nuovo il liquido nel contenitore con la bacchetta e facendo così scoppiare l’involucro.
-Ron!- Fleur risucchiò rumorosamente con la sua bacchetta il disastro, la sbatté sul davanzale e mise le mani sui fianchi. Lui deglutì, preparandosi ad una sfuriata.
-Tu pensi che chiunque au monde sia melio di te, non è così?
Ron la fissò a bocca aperta.
-Non è così?
-In questo periodo... beh, più o meno sì...- ammise lui, cedendo all’incalzare della ragazza.
-Sei uno sciocco! Tu sei bravo a far tante cose, Ron.
Io lo so che tu sei bravo a fare tante cose, Ron...la voce di Hermione suonava nitidissima nella sua testa, sovrapponendosi a quella di Fleur, e lo fece infuriare.
-Cosa?- gridò Ron, furibondo. –Cosa, vorrei davvero sapere cosa sono bravo a fare, Fleur! Non fate che ripetermelo, e non so neanche stuccare una finestra, non so piegare una federa senza combinare un disastro. Non so far bene le cose, né trattare bene le persone. Neppure quelle che.. quelle che amo!
Si tolse i guanti da lavoro con uno scatto di rabbia e si allontanò, verso il margine del giardino, dove sedette su una pietra liscia e bianca che delimitava un’aiuola.
Il tocco gentile di Fleur lo raggiunse in breve tempo su una spalla. Pulì con un movimento della bacchetta la pietra vicina, prima di sedervi, composta come sempre.
-Te lo spiego io, in cosa sei bravo. Ecco un ragazzo che vive sei anni a fianco di una celebritè, la più grande celebrità del mondo magico, e ne diventa il miliore amico sensa ricavarne alcun interesse... solo perchè questa grande persona gli piasce, gli sta simpatica. Ecco un ragazzo che sta sei anni a fianco di una ragazza assai più brillante di lui, e che le vuol bene, sensa prendersela perchè riesce melio in tutto, ma anzi ammirondola ed apprezzondola prima di ogni altro. Ecco uno che ascetta di essere sompre il secondo in tutto, sonza però che gli sia risparmiato nemmeno uno dei pesi e dei dolori che spettano ai primi. Qui sc’è un ragazzo che per amicizia ha messo a rischio sa vie più volte in sei anni di quanto molte persone fanno nella loro intera esistenza. Non per una chiomata del destino, o perchè non poteva evitarlo, o perchè era il Prescelto, ma solo per amicizia. Qui sc’è un ragazzo che di rescente ha ascettato di lasciar tutto, per darsi alla macchia ad aiutare un amico. Uno che a soli disciassette anni si è fatto carico della salvezza del mondo magico spontaneamonte, e sapendo bene che ne avrà molti più oneri che onori... Ron, tu devi imparar quonto vali.
Il cuore batteva furiosamente nel petto di Ron, mentre il vento impetuoso portava via con le sue raffiche le parole di Fleur, stranamente chiare nel loro accento strano.
-Ma io... io li ho abbandonati, Fleur!
Non poteva, non poteva proprio trattenersi dal ripeterlo, come  per negare tutto quello che lei aveva detto.
-Ron, per correggere un errore devi capire che è sbaliata una descisione, non la persona che la prende o tutta una vita! Quondo li ritroverai...
-Non li troverò mai, Fleur! Ed anche se li trovassi...
-Ah, ecco il punto! Tu non vuoi trovarli! Tu hai paura di trovarli! Perchè?
Perchè? Perchè temeva che l’avrebbero cacciato? Sarebbe stato terribile se non fossero stati disposti a perdonarlo. O forse... o forse una paura più profonda ancora... mentre il suo sguardo si perdeva nel giardino spogliato dall’inverno e battuto dal vento, Ron si trovò a pensare a timori così nascosti che perfino la sua mente sembrava formularli a bassa voce. La paura che fosse troppo tardi per... per l’amore di Hermione. Ecco, l’aveva pensato. E se fosse riuscito a tornare, e tutto fosse andato bene, ma quella sofferenza interiore (dovuta solo in parte all’Horcrux),vedere la complicità di lei con Harry, aumentata da quelle lunghe settimane trascorse da soli... fosse tornata a tormentarlo, come prima?
-Io... ho paura che sia tardi.
-Per cosa?- Fleur era inesorabile, e Ron si chiese come facesse Bill a tollerare la pressione di una mente così rigorosa ed incalzante.
Beh, come quella di Hermione.
-Per... per...
-Ron- e Fleur lo guardò bene in faccia –Per aver qualcosa, bisonia volerlo. Che sia tornare dai tuoi amisci, o che sia... qualsiasi altra cosa.
Per caso Fleur era una legilimante? O più semplicemente una ragazza? Hermione diceva sempre che le ragazze sono più brave a capire i sentimenti.
-Perché dovrebbe volere me?- si lasciò sfuggire, prima di rendersene conto e arrossire.
-Ah!- esclamò Fleur, scuotendo la testa nel suo gesto caratteristico, per allontanare dal volto i capelli dalla pallida luminosità che il  vento le aveva spinto in viso.
- Non vorrai che ricominsci con l’elenco. Ma ti dirò una cosa: prima sci sarà da vedere quanto tu la vuoi!
Si alzò di scatto, e si avviò a grandi passi verso la casa, mentre Ron la guardava, inebetito. Quando fu sulla soglia, si girò ed ammonì:
-Se non cominsci a scercarli, non li troverai mai, Ron.
E sparì, lasciandolo solo con i suoi pensieri confusi, tra i quali emergeva il ricordo insistente di Hermione, dei suoi occhi castani, delle mani piccole sempre chiuse saldamente intorno alla costola di un libro.
“Prima ci sarà da vedere quanto tu la vuoi.”
Quella stessa sera, Ron trovò uno zaino aperto e vuoto, deposto sul letto insieme alla solita biancheria stirata.
 
 
Prima di salutarvi fino al prossimo capitolo, ringrazio tanto le persone che hanno inserito la storia fra le seguite e le preferite, e le prego con tutto il cuore di lasciare una recensione, che mi farebbe molto felice!
Ai miei fedeli recensori, non posso che dire grazie di cuore, e pregarli di accompagnarmi anche stavolta con i loro commenti preziosi!

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Capitolo 6
*** Lo Spegnino ***


 Miei cari,
incredibile ma vero sono di nuovo qui! Non ci sono giustificazioni per il mio ritardo vergognoso, se non il fatto che, dopo aver interrotto per la frenesia dei giorni immediatamente precedenti a Natale, non sono più stata in grado di ricominciare. Mi ci è voluto un tempo spropositato per ripartire, scrivere e concludere questo capitolo. Spero che lo sforzo potrà ripagarvi dell’attesa.
Ringrazio i miei fedelissimi recensori, in particolare ArgentoVivo, alla quale, poverina,  a Capodanno avevo promesso un rapido aggiornamento... (rossore, mal di pancia, senso di colpa lancinante...). Sempre nella speranza che diventino un po’ di più... per favore, tutti voi che avete inserito la storia tra le seguite, ricordate o addirittura tra le preferite: se avete voglia di farmi un bel regalo di buon anno, commentate con due righe!
Ma, recensioni o meno, godetevi il capitolo.
Vi prometto che sarò più brava, ora che sono ripartita. Del resto, la storia si sta avviando alla conclusione.
Un bacio e felice anno a tutti voi.

 
6. Lo Spegnino
 
La terza settimana di dicembre aveva portato un cielo che prometteva neve anche così vicino al mare. Per Ron, in effetti, era strano che non ce ne fosse ancora traccia: sia la Tana che Hogwarts, dove aveva trascorso ogni suo precedente Natale, erano lontane dal mare e molto più a nord.
Bill rientrò presto la sera del 21, e si gettò sul divano con un sospiro:
-Bene! Fino a dopo capodanno sono in ferie.
Le aveva chieste anticipate, per seguire il progetto nel modo migliore. Fleur, che stava attaccando ghirlande natalizie sopra il camino, si avvicinò per dargli un bacio.
-Amour, hai parlato con ton pére?
-Sì- rispose Bill, volgendosi poi verso Ron, che stava togliendo la tovaglia dal cassetto per cominciare ad apparecchiare -Stanno tutti bene. Ginny tornerà a casa domani per le vacanze di Natale. Ho detto a papà che noi non ci saremo, la Vigilia ed il 25.
-Come l’ha presa?
-Beh, non è stato molto contento... ma quando gli ho detto che era per passare un po’ di tempo io e Fleur da soli, ha detto che avrebbe trovato lui il modo di dirlo a mamma. Ha detto che il loro primo Natale niente li avrebbe convinti a stare a casa dei loro genitori...- aggiunse con un sogghigno.
-Forse dovrei partire prima, Bill... magari dopodomani. Voi potreste andare alla Tana e...
-Abbiamo già desciso altrimenti, Ron. Non devi preoccuporti.
La radio, accesa a basso volume in sottofondo, prese a trasmettere l’inconfondibile, acuta voce di Celestina Warbeck, e Fleur l’azzittì con un colpo di bacchetta. Poi fece un gran sorriso, trasfigurando la smorfia che le era nata sul viso:
-Ah, non sarà poi un gronde sacrifiscio, Ronnie...
Avevano deciso che Ron sarebbe partito il 26 dicembre. Non aveva una meta precisa, né molte speranze di rintracciare Harry ed Hermione, a dire il vero, ma nessuno dei tre abitanti di Villa Conchiglia si voleva soffermare troppo su questo pensiero.
Lui e Fleur, con l’aiuto di Bill quando tornava esausto dall’ufficio, avevano passato la settimana precedente a preparare adeguatamente il viaggio. Il Sacco a Pelo Autotemperante, risalente agli stages di Bill in Egitto per conto della Gringott, era stato tirato giù dalla soffitta e revisionato.
-Laggiù usavo soprattutto la modalità Refrigerante, e non vorrei che quella Riscaldante fosse fuori uso- aveva detto Bill, prima di stendersi sul pavimento del salotto, imbacuccato nel bozzolo a righe gialle e viola da cui fuoriuscivano nuvolette di vapore.
Fleur, dal canto suo, aveva fornito Ron di un guardaroba praticamente completo, seguendo entusiasta le istruzioni di un manuale intitolato Maglia Magica per Principianti e mettendo ben tre coppie di ferri da calza a lavorare autonomamente in salotto. In qualche giorno, avevano prodotto per Ron tre maglioni (e nessuno color melanzana), varie paia di calzerotti, due cappelli ed una sciarpa di sette metri e mezzo (il terzo paio di ferri era sfuggito al controllo, ed erano riusciti a fermarlo solo dopo due giorni ed un’accurata lettura del capitolo “Cosa fare se il Lavoro dei Vostri Ferri sembra non Rispondere alle Vostre Aspettative”), che era stata suddivisa in quattro sciarpe più corte.
Gli aveva anche approntato una montagna di biancheria, Geminando più volte una canottiera ed un paio di boxer di Bill e commentando che sperava che il grigio gli avrebbe donato come a suo fratello (Ron avrebbe voluto sprofondare).
Il giorno seguente, tutti e tre occuparono la mattinata a decorare l’abete che Bill aveva portato con sé dall’ufficio (nei dintorni di Villa Conchiglia non crescevano abeti). La radio diffondeva carole tradizionali, e Ron pensò che era incredibilmente facile illudersi per qualche momento che quello fosse un Natale come tutti gli altri, anzi, quasi più bello, con le decorazioni nuove di zecca della giovane coppia che cantavano quando qualcuno ci passava davanti, senza stonare logorate dagli anni come quelle della Tana, e certi squisiti dolcetti francesi sui vassoi, sotto le finestre che la notte fredda intarsiava di cristalli di ghiaccio. Ma Bill scelse proprio quel momento per raccontare a Fleur dei Natali alla Tana, quando ancora erano tutti bambini, e Molly li riuniva in salotto ad ascoltare le fiabe di Beda: e subito lo assalirono i ricordi del Natale di casa sua, rosso di decorazioni e marrone delle croste dei grossi pudding di sua madre, del profumo di agrifoglio, e di Ginny che lo svegliava la notte per vedere se i regali erano già arrivati ai piedi del letto... a che ora della notte di Natale arrivavano i regali? In tanti anni, non era mai riuscito a scoprirlo.
-Prima di arrivare ad Hogwarts, Harry non aveva mai ricevuto un regalo- disse a voce alta, seguendo il filo dei suoi pensieri. Bill e Fleur lo guardarono, colpiti non solo dalla triste informazione sull’infanzia di Harry, ma soprattutto, a quanto sembrava dai loro visi, dal fatto che lo avesse nominato.
-Quest’anno credo che non riceveranno regali, vero?- continuò Ron guardandoli.
-Beh... è impossibile: il Recapito Natalizio può avvenire solo se si conosce il luogo dove si trova la persona a cui vogliamo mandare il nostro dono- rispose Bill, scuotendo la testa.
-Già, lo so.
Molti, probabilmente, avrebbero desiderato mandare un regalo ad Harry la notte di Natale: a Radio Potter, proprio il giorno prima, Lupin aveva invitato tutti gli ascoltatori a non tentare di spedire regali a caso al Ragazzo Sopravvissuto, e piuttosto a tenere alta la speranza che quel Natale fosse il primo e l’ultimo di guerra, perchè nessun regalo sarebbe stato migliore per Harry Potter, ovunque si trovasse, e per chiunque altro. Ron si chiese se qualcuno si ricordasse anche di Hermione. Gli si strinse il cuore pensando che i suoi genitori erano da qualche parte in Australia, privi del ricordo di lei: probabilmente, razionale com’era, non sperava affatto non solo di ricevere regali, ma neanche di essere pensata da loro.
-Sai, Ronnie, potresti portàr loro i tuoi regali a mano...- stava dicendo Fleur, che parlava sempre come se Ron stesse partendo non per una ricerca praticamente alla cieca, ma per una tranquilla trasferta verso un luogo ben noto che avrebbe recato sullo zerbino la scritta “Bentornato Ron”.
-Non ho pensato a nessun regalo... e poi... non saprei come procurarmeli.
-Il regalo più grande sarà il tuo ritorno, Ron- disse Bill, e Ron non poté fare a meno di sentirsi molto scettico in proposito.
 
Il giorno della Vigilia Fleur sfoderò il meglio della sua arte culinaria, e la casa si riempì di odori invitanti che provenivano dalla cucina, tassativamente vietata. Con grande delusione dei due Weasley, in tavola fu portata una minestrina in brodo totalmente insignificante.
-Non fate quele fasce. Il resto è tutto per demain!- brontolò Fleur, che si richiuse poi ermeticamente nella cucina, lasciandoli alle prese con l’ozio della Vigilia e le ultime decorazioni dell’albero, che fu riempito di nani canterini.
A metà pomeriggio, il fuoco scintillò di fiamme verdi, e Ron fece giusto in tempo a tuffarsi dietro il divano, prima che il viso di sua madre emergesse dalle fiamme. La voce di lei, dopo tante settimane, gli rese le viscere come piombo per quanto era incrinata e sofferente sotto la maschera di allegria che cercava di mantenere.
-Bill, caro...
-Mamma! Ciao!
-Volevo... volevo salutarti, visto che domani non... non ci sarete.
-Come state, mamma? Gli altri sono già tutti a casa?
-Charlie ha mandato un gufo... è arrivato oggi. Manda saluti ed auguri. Fred e George sono venuti oggi pomeriggio dal loro appartamento di Diagon Alley... stanotte dormono qui, e Ginny è a casa già da qualche giorno, naturalmente...
-Allora starete in buona compagnia, mamma...- rispose Bill allegramente, osservando con prudenza il volto della madre.
-S-sì, noi... papà mi ha raccomandato... staremo benissimo anche se voi... non... e penseremo tutti a... insomma, caro- si riprese la signora Weasley, con una certa difficoltà –volevo augurare buona vigilia a te e Fleur... e dirvi che se anche all’ultimo minuto ci ripensate, e domani volete... a noi farebbe tanto piacere... ma non... senza alcun problema...
-Grazie, mamma.
La voce di Bill era stranamente malferma. Quanto a Ron, accasciato dietro il divano, la testa rimbombava dei suoi sensi di colpa. Sua madre doveva aver sperato di riunire la famiglia il più possibile, quel Natale. Ed invece, con Charlie lontano, Percy ancora in rotta con loro e lui stesso alla macchia (per quel che lei ne sapeva), doveva essere difficile da mandar giù anche l’assenza del figlio maggiore. Balzò in piedi non appena il lieve flop della comunicazione che si chiudeva gli annunciò che il viso di sua madre era scomparso dal camino.
-Credo che dovreste andare- disse, guardando fisso Bill.
-Ron...
-La mamma sarebbe più tranquilla... non è il caso che la facciate preoccupare ancora di più e...
-Ron, la mamma vuole che tutti i suoi figli stiano bene. Se potesse sapere perchè non veniamo sarebbe la prima a dirci di non farlo.
-Ma non fa niente, io...
-Secondo me passare il giorno di Natale da solo non ti farebbe affatto bene, tanto per parlare chiaramente.
-Posso farlo.
-Puoi, ma non devi, se noi restiamo a casa. E comunque... è davvero il nostro primo Natale da sposati.
Davanti al ghigno di Bill, che le cicatrici rendevano sempre un po’ inquietante, Ron non poté fare a meno di sorridere.
-E’... in gamba- si lasciò sfuggire quasi contro la sua volontà –Fleur, voglio dire.
-Lo so- la smorfia di Bill si accentuò –Non l’ho mica sposata per niente.
Ron annuì. Era strano provare, d’improvviso, così poco imbarazzo.
-Infatti tutti si chiedono perchè lei abbia sposato te- scherzò, sedendosi di nuovo sul divano.
-Ah, è un mistero. Sarà il fascino Weasley. Fidati, una grande risorsa.
Ron si studiò le unghie. Le due mancanti della mano destra cominciavano a ricrescere lentamente.
-Non ho idea di cosa tu stia parlando.
-Invece sì. Le ragazze... prima o poi impazziscono.
Scettico, Ron fissò il fratello, che giocherellava con la bacchetta, creando sbuffi di vapore blu e rossi.
-Impazziscono per cosa?- si informò cautamente.
-Non lo so di preciso.
Ron sbuffò: -La tua è stata solo fortuna, Bill... fortuna sfacciata.
-Ne riparliamo fra qualche anno.
Ammesso che fossero stati tutti vivi, naturalmente. Cosa piuttosto improbabile.
Ron emise un grugnito scettico, mentre Bill si alzava e si dirigeva verso il piano di sopra. Immediatamente prima dell’arco del salotto si girò.
-Pensaci bene. Il profilo corrisponde. In gamba. Carina. Beh... non proprio così carina come Fleur... ehi!
Il cuscino che Ron gli aveva scagliato gli sfiorò la faccia ed infranse rumorosamente un grazioso soprammobile in porcellana bianca.
-Che sta succedendo?
La voce acuta di Fleur esplose da dietro la parete della cucina. Bill mormorò
Reparo”, e la statuina si ricompose, anche se ora una gamba della fatina di porcellana le spuntava dall’orecchio.
-Niente, tesoro...-si volse a Ron -...e come stavo per dire... un carattere amabile...
Ron rise, decidendo di stare al gioco.
-Una propensione per le cause perse... tipo gli elfi domestici.
-O me...- disse Bill, le cicatrici come splendenti sul volto, mentre l’orecchino a zanna dondolava ritmico.
-O me- concluse Ron. E si chiese se la sua fosse un’affermazione o una domanda.
 
Quella sera cantarono persino alcune carole, prima di andare a dormire.
Nel suo letto, Ron rimase a lungo con gli occhi spalancati nel buio.
Il giorno dopo sarebbe stato il primo Natale senza Harry da quando lo conosceva. Si chiese se lui ed Hermione si stessero scambiando i regali nella tenda... ma no, era impossibile. Se ancora vivevano in tenda come quattro settimane prima, non avrebbero avuto modo di procurarseli. Forse, però, Hermione era riuscita a cucinare qualcosa di decente, ed avevano fatto una cena un po’ diversa. Era difficile tenere il conto dei giorni, durante una vita come quella. Magari non si ricordavano neanche che era Natale...
...o forse avevano trovato il modo di distruggere l’Horcrux, e stavano festeggiando. Forse ne avevano già trovato un altro... forse due. Quanto avrebbe voluto essere con loro, condividere il calore della loro presenza, la difficoltà della ricerca. Poterli aiutare...
Subito prima di assopirsi, immerso in quei pensieri, allungò la mano per riporre nel cassetto del comodino lo Spegnino di Silente: aveva fatto scattare le luci con il solito gesto convulso, ormai abituale, per quasi un’ora, prima di spengerle del tutto.
 
Spalancò gli occhi quello che gli parve un attimo dopo. L’orologio dei diciassette anni ticchettava sul comodino. Biascicò “Lumos” per vedere che ora fosse, e le lancette rivelarono le cinque del mattino. Ancora nessuna luce filtrava dalla finestra... ma era Natale.
Mentre i piedi cercavano a tentoni le pantofole per andare in bagno, si accorse di qualcosa di strano sullo scendiletto. Accese l’abat-jour incrostata di conchiglie sul comodino. C’era un regalo. Un regalo! Anche quell’anno non era riuscito a scoprire a che ora arrivassero i regali di Natale. Con mani tremanti lo raccolse, ed aprì il bigliettino d’auguri.
Naturalmente sapeva che non poteva essere che di Bill e Fleur. Solo loro sapevano che si trovava lì. I suoi pensieri, schizzati ad incredibile velocità in direzione della tenda bianca, in qualche punto sconosciuto del mondo, riatterrarono altrettanto velocemente a Villa Conchiglia. Il biglietto recava solo le firme del fratello e della cognata, sotto lo svolazzante Joyeux Noel di Fleur. Strappò delicatamente la carta decorata a fatine vestite di fiocchi di neve, che svolazzavano e salutavano, e si trovò in mano una radio. Una piccola radiolina portatile, ma con le manopole e la grata proprio come quella del salotto.
-Forte!- mormorò, compiaciuto e sorpreso. La accese con un colpo di bacchetta, ruotò la manopola un paio di volte ed il silenzio notturno fu squarciato dal vocalizzo di una carola a volume stratosferico:
-GLO-OOOOO-OOOOO-RIA...
Si affrettò a spengere tutto, e la radio gli sfuggì, atterrando morbida sul letto.
-Oh, cavolo...
Spense l’abat-jour e si bloccò, immobile. La casa, però, rimase immersa nel silenzio.
-Muffliato- mormorò Ron, puntando la bacchetta contro la sua porta e poi verso l’abat-jour per riaccenderla. Li avrebbe ringraziati più tardi, ad un’ora decente: ora voleva godersi la sorpresa senza disturbare il loro sonno. Era pieno di gratitudine per il regalo: avrebbe potuto ascoltare la radio in viaggio, ed era così piccola da entrare comodamente nella tasca della sua giacca a vento. La accese, regolando il volume ad un livello accettabile, e si mise subito a cercare Radio Potter, saltando qua e là tra le stazioni che riusciva a ricevere, dove gli speaker facevano i primi auguri di Natale agli ascoltatori più mattinieri. L’ultima parola d’ordine rilasciata era Malocchio, e prese a borbottarla mentre manovrava la manopola, tutto teso a riconoscere tra i fischi e gli spezzoni di frasi la frequenza giusta.
Poi udì il suo nome.
...ricordi Ron? Quando.... rotto la sua... dendo con l’auto? Non è più stata la stessa, ha dovuto procurarsene una nuova...
Era la voce di Hermione.
Inconfondibile. Lo shock gli impedì quasi di respirare.
Guardò la radiolina tra le mani tremanti, ma sapeva che la voce non proveniva dalla radio, che, con la manopola a metà tra due frequenze, si limitava a continuare a fischiare. Guardò il comodino: era impossibile, impossibile, ma la voce sembrava essere venuta da lì. L’aveva sentita con tale nitidezza che non poteva essere stata la sua immaginazione. Gli rimbalzava ancora nella testa, le parole formulate con la pronuncia precisa e scevra da qualsiasi accento di Hermione. Aveva parlato velocemente, come quando era ansiosa o dispiaciuta.
Sto impazzendo. Sto impazzendo, è incredibile...
Allungò la mano e tirò a sé il cassetto del comodino, col pomolo d’ottone brunito. Dentro, lo sapeva, c’era solo lo Spegnino di Silente, che rollò dolcemente mentre il cassetto si apriva. Era lo stesso di sempre.
Non è più stata la stessa, ha dovuto procurarsene una nuova...
Di che stava parlando, Hermione? Che senso aveva quella frase, perchè l’aveva sentita? Parlava di qualcosa che si era rotto. Lo sguardo gli cadde sulla bacchetta abbandonata sul letto. La bacchetta, parlava della bacchetta di Percy che aveva rotto al secondo anno, quando erano atterrati sul Platano Picchiatore con la Ford volante di papà.
E la sua voce veniva dal cassetto del suo comodino, che conteneva solo lo Spegnino di Silente. Prese in mano l’oggetto, sentendo il contatto freddo dell’argento, e, come aveva fatto milioni di volte da quando l’aveva ricevuto in dono, senza neanche pensarci, lo fece scattare. La luce gialla dall’abat-jour, come era prevedibile, si spense.
La stanza rimase al buio, e Ron si sentì svuotato di ogni energia. Si lasciò cadere a sedere sul letto, e spense d’un colpo la radio che, nella sua mano sinistra, non aveva smesso di fischiare per tutto il tempo. Il silenzio sembrò riportare, amplificata mille volte, la voce di Hermione
Ricordi Ron? Quando... rotto la sua...
“Sto impazzendo. E dire che sembrava andare tanto meglio, negli ultimi giorni... Possibile che non...”
Anche il flusso dei pensieri parve bloccarsi quando si accorse che fuori dal vetro della sua finestra pulsava una luce. Era come uno dei globi che uscivano dallo Spegnino quando lo faceva scattare per rimettere le luci al loro posto, ma aveva una strana colorazione azzurra che gli ricordava quella della Passaporte. Fece scattare lo spegnino, incerto. La luce dell’abat-jour tornò al suo posto, ma quella blu rimase dov’era, facendosi più luminosa e pulsante. Capì che era stata provocata dallo Spegnino. Pulsava proprio come una Passaporta, e si abbassò lentamente, fino a sparire alla sua vista. Ron si precipitò alla finestra, ma la luce era solo scesa più in basso. Irradiava i suoi raggi bluastri a poco più di un metro e mezzo da terra.
“Che devo fare? Che devo...”
Strano, sapeva benissimo cosa doveva fare. Era una sensazione che gli sembrava di non aver mai provato prima, ed il cuore prese a battergli di una sconosciuta euforia.
Doveva seguirla. Nella sua mano, lo Spegnino vibrava come se desiderasse raggiungere la luce che aveva prodotto.  Le curve barocche della fine cesellatura gli carezzavano le dita come la stretta di una mano sconosciuta eppure familiare. Nella sua testa, stranamente nitido, affiorò il ricordo lontano di un sorriso enigmatico in un viso lungo e dal naso adunco, di due occhi azzurri che lo guardavano indagatori, nello studio del Preside, quasi cinque anni prima.
Si guardò intorno febbrile. Lo zaino giaceva in un angolo: dentro c’era solo il Sacco a Pelo Autotemperante. Sul cassettone stavano i mucchi di biancheria che Fleur aveva prodotto e stirato, e Ron, sempre stringendo lo Spegnino, cominciò a buttarla dentro lo zaino, alla rinfusa. Mise anche i maglioni ed i calzerotti, poi si tolse il pigiama e scaraventò dentro anche quello, insieme alla bacchetta che aveva vinto nello scontro con i Ghermidori. Seguì, con più cura, la sua radio nuova di zecca. Si vestì, mettendo uno dei tre maglioni di Fleur, di un bel celeste chiaro. Sciarpa, cappello, giacca... dal piano del comodino afferrò l’orologio, alla cui catenella aveva appeso il finissimo cerchietto d’argento di Hermione. Li mise in tasca e si guardò intorno smarrito, nella stanza improvvisamente vuota: gli sembrava che ci fosse voluto non più di un attimo per raccogliere tutto quello che gli serviva. Controllò dalla finestra che la luce fosse ancora al suo posto. Continuava a fluttuare in giardino, là sotto, mentre il cielo si striava dei primi riflessi di un’alba rossastra.
Aprì la porta, che cigolò sul pianerottolo, e scese lentamente le scale del cottage. Non c’era tempo di svegliare Bill e Fleur, di spiegare... non sapeva nemmeno bene cosa sarebbe successo.
Anzi, probabilmente non sarebbe successo proprio niente, e lui sarebbe tornato a dormire un paio d’ore nel suo letto, per poi alzarsi ed affrontare la mattina di Natale più deprimente della sua vita, pensò rapidamente. Ad ogni modo, con una previdenza che Hermione avrebbe apprezzato, entrò in cucina, dove ancora aleggiava il delizioso profumo della cottura del tacchino di Fleur e prese dalla credenza del pane e qualche scatoletta di tonno, pensando che avrebbe potuto sempre Geminarle se non gli fossero bastate.
Poi, uscì senza rumore nell’alba gelida del giardino.
La pallina di luce sembrava aspettarlo, fluttuando lieve di fronte a lui, vicino all’aiuola delle rose. Ron ristette, guardandola ipnotizzato. La voce di Hermione sembrava riempire tutto il silenzio dell’aurora, non ancora salutata dal canto degli uccelli, rotto solo dal consueto sottofondo della risacca.
Ricordi Ron? ...non è più stata la stessa, ha dovuto procurarsene una nuova
Come un indovinello di cui non conosceva la soluzione, era più la speranza intravista nel benessere fisico che gli provocava sentire ancora, dopo tanto tempo, il suo nome pronunciato da lei, che un preciso progetto, a guidarlo.
Harry, Hermione, il litigio, la nostalgia di loro, la nostalgia di lei, il discorso di Fleur, le parole di Bill, tutto si fondeva in un enigma irresolubile: e la chiave del problema era introvabile, perchè non sapeva come tornare... come risalire in sella alla sua vita, che l’aveva disarcionato grazie ai suoi stupidi errori.
Possibile, si chiese, possibile che la via d’uscita dall’enigma sia la magia? Esiste una magia del genere?
Lo Spegnino vibrava ancora nella sua mano. Sembravano i sussulti di una risata repressa.
Se esisteva, certo solo Albus Silente poteva averla scoperta ed indagata.
La sfera di luce bluastra si avvicinò pulsante. Si avvicinò ancora e ancora, finché fu alla distanza di un millimetro, ma Ron strinse i denti e non indietreggiò.
Entrò in lui, all’altezza del cuore, ed era calda. Era bollente, e lo riempì del suo calore: era come tornare a casa, come ridere dopo un lungo pianto.
Voglio tornare da Harry ed Hermione, pensò intensamente.
Brandendo la bacchetta, girò su sé stesso.
E nel giardino di Villa Conchiglia, d’improvviso, non rimase nessuno a guardar sorgere, in una gloria di nubi rosate, il giorno di Natale.
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Inseguendo le tracce ***


 Eccomi! Sono stata più brava o no? Senza perdere tempo vi lascio alla lettura. Ci vediamo in fondo al capitolo. Buon divertimento!

 
7. Inseguendo le tracce
 
C’era molta neve, e questo sembrava tutto ciò che era necessario dire a proposito del posto dove lo Spegnino aveva portato Ron.
Sul momento, infatti, era molto più sorprendente il fatto di aver appena compiuto una Smaterializzazione perfetta (nessuna parte del suo corpo mancava all’appello) senza una delle fondamentali D di Twycross: la Destinazione. Un vero moto di rivalsa gli gonfiò il petto: quando quell’odioso ometto dal cervello di prugna secca l’aveva bocciato all’Esame per la Smaterializzazione, non si sarebbe mai immaginato che un giorno avrebbe potuto infischiarsene delle sue D del cavolo.
Beh, non che lo Spegnino di Silente fosse stato particolarmente attento a scegliere per il viaggio una meta attraente.
Per la prima volta, Ron diede un’occhiata intorno a sé. Si trovava sull’estremo limite della sommità di una vasta collina, che si ergeva in mezzo a molte altre: il panorama era delimitato ed ornato dalle brulle sommità imbiancate. Verso nord, però, c’era lo scorcio di una vallata che si apriva fra i pendii, e nella luce biancastra dell’alba, molto diversa dalla rossa aurora marina che aveva appena lasciato, il piccolo villaggio che vi sorgeva al centro si scorgeva appena, confusi com’erano i tetti coperti di neve nel biancore circostante.
Gli alberi che coprivano il versante erano neri e spogli, con solo qualche foglia morta penzolante dai rami che arabescavano il cielo bianco. Si accorse che la spinta dell’atterraggio l’aveva fatto sprofondare nella neve fino quasi al ginocchio, e ringraziò mentalmente Fleur che aveva insistito per applicare un Incantesimo Impervius alle sue scarpe giusto qualche giorno prima. La brezza lieve era gelida, ed il silenzio completo.
Forse aveva per un momento immaginato che sarebbe piombato giusto in mezzo ai suoi amici. Il richiamo che gli aveva fatto vibrare il cuore era stato così forte ed intenso che era certo di stare andando da loro. La completa solitudine del luogo lo disorientò, ma gli ci volle solo qualche attimo per calmarsi. Lo Spegnino era stato fatto da Silente. Diamine! Se lo aveva portato fin là ci doveva essere un motivo.
Si tolse lo zaino, lo appoggiò contro il tronco contorto di un albero e vi sedette sopra, tirando su la zip della giacca per ripararsi dal freddo: nella silenziosa quiete del bosco innevato, i pensieri sembravano scivolare lisci. Si sentiva tranquillo e piuttosto fiducioso. Di fatto, in pochi minuti, il pensiero che aveva tormentato la sua mente come un cancro nell’ultimo mese, quello della sua impotenza, era svanito nel nulla quando la pallina di luce l’aveva portato via.
Solo un paio di settimane prima, la sera in cui Bill aveva portato a casa la notizia che Lupin era tornato da Tonks, aveva pensato che Silente, pur con tutta la sua genialità, avesse sempre sbagliato a fidarsi troppo delle persone. Eppure, a quanto pareva era stato uno sciocco a dubitare che Silente non sapesse quello che faceva. Lo Spegnino non era stato solo un regalo eccentrico fatto per accrescere la sua fama di eccentricità. Persino la mancanza di spiegazioni si... spiegava: come avrebbe reagito in luglio ad un lascito testamentario che spiegasse che a lui, Ronald Bilius Weasley, veniva lasciato in eredità un oggetto in grado di riportarlo dai suoi amici, visto che Silente aveva motivo di ritenere che li avrebbe vigliaccamente e stupidamente abbandonati?
Come ogni cosa che riguardava Silente ed i suoi progetti, lo Spegnino aveva rivelato le sue capacità solo quando ce ne era stato bisogno. Questo naturalmente non garantiva il successo. Però sembrava essere abbastanza rassicurante per il futuro. Ron pensò che il racconto di quello che era accaduto avrebbe potuto sollevare Harry ed Hermione, se erano ancora immersi nello smarrimento di quando lui se n’era andato, se si sentivano perennemente in fuga da qualcosa che sapeva trovarli benissimo mentre cercavano qualcosa che non erano assolutamente in grado di trovare.
Era immerso in questi pensieri quando, di colpo, gli attraversò la mente il motivo per cui non si vedeva né sentiva nessuno: stava testando dall’esterno l’efficacia degli incantesimi protettivi di Hermione, con tutta probabilità. Potevano essere ovunque su quella collina, anche vicinissimi... magari dietro quell’albero...
Piuttosto inutilmente, mosse qualche passo avanti, agitando le braccia davanti a sé come se sperasse di toccare qualcosa di invisibile. Le sue mani frustarono l’aria.
-Hermione?- tentò, senza osare alzare troppo il tono di voce.
Nessuna voce rispose da quel silenzio, e quasi desiderò che lo Spegnino parlasse di nuovo con la voce di lei dalla sua tasca. L’avrebbe fatto sentire meno solo.
Comunque, rifletté, li avrebbe visti quando sarebbero usciti allo scoperto per partire... come quella mattina terribile, quasi un mese prima. Stavolta però non se li sarebbe lasciati scappare. Raccolse lo zaino e prese a camminare sul pianoro vasto e irregolare, fino ad individuare un punto che gli garantiva una visuale quasi perfetta di tutta la cima della collina. Appoggiò la schiena ad un alberello e si mise ad aspettare, cercando di calmare la sua agitazione e l’urgenza di vedere i suoi amici. La mattina avanzava impercettibile, nel silenzio freddo ed innevato.
 
Nessun movimento ruppe la quiete del panorama per molte ore, nessun rumore tranne il suono lontano di campane, proveniente dal paesino che aveva visto, e chi gli ricordò che era Natale. La mattina se ne era già andata da un pezzo, come gli dicevano l’orologio ed il suo stomaco, ma Harry ed Hermione non si erano visti da nessuna parte. Era ben coperto, ma stare fermo al freddo era diventato insopportabile: varie volte aveva dovuto alzarsi e fare una breve camminata, battendo le mani intirizzite e strofinandole sulle braccia e sulle gambe. Verso le due del pomeriggio il cielo, che l’avanzare della giornata aveva reso sempre più compattamente bianco, prese a nevicare a lenti fiocchi, grandi come bioccoli di bambagia. Il vento praticamente assente li faceva cadere in traiettorie quasi perfettamente verticali.
“Li devo aver persi” si disse Ron, sconcertato. Tirò fuori lo Spegnino dalla tasca, lo fissò con attenzione e lo fece scattare. Non c’erano luci nei paraggi, e il piccolo strumento non era in grado di spengere il sole, anche ammesso che ci fosse il sole da qualche parte oltre la cortina di nubi. Tuttavia, da quando la voce di Hermione aveva parlato attraverso i suoi delicati ingranaggi, lo Spegnino sembrava aver attivato anche un’altra modalità di funzionamento, perchè produsse di nuovo il globo di luce azzurrina.  Ron afferrò lo zaino e lasciò che la sfera entrasse ancora in lui, ma a parte la sensazione di bruciante calore nel cuore, e nonostante che la sua testa quasi gridasse nello sforzo di pensare intensamente ai suoi amici perchè lo Spegnino lo portasse da loro, niente accadde. Era ancora sulla collina, e capì che anche loro dovevano essere lì. Per qualche motivo, quel giorno avevano deciso di non spostarsi.
Rassegnato, aprì lo zaino e tirò fuori il fagotto di provviste che aveva preso dalla cucina. Aprì una scatoletta di tonno, mentre il suo stomaco ruggiva per la fame, e si rese conto di non aver preso neanche una posata. Tentò di Evocare una forchetta. Apparve un cucchiaio, però aveva il manico ornato di una cesellatura molto fine, per cui pensò che tutto sommato stava migliorando. La professoressa McGranitt gli avrebbe dato un A+ per quel lavoro. E comunque, serviva allo scopo.
Ed ecco: il suo pranzo di Natale consisteva in una scatoletta di tonno gelido ed in un po’ di pane, e lo stava consumando in mezzo ad una bufera di neve. Non era il massimo, però si sentiva molto più allegro di quanto non fosse stato nell’ultimo mese. Era disposto ad aspettare in quello squallido paesaggio invernale anche una settimana, sapendo che loro erano da qualche parte nei pressi e che prima o poi li avrebbe trovati, piuttosto che un solo giorno a Villa Conchiglia senza avere idea di come fare a ritrovarli. Certo, Bill e Fleur erano stati fantastici. Gli dispiaceva di non aver lasciato loro alcun messaggio, ma pensò che forse avrebbero immaginato qualcosa. Magari, visto che lui se n’era andato, avrebbero passato il Natale alla Tana, e sua madre sarebbe stata un po’ più contenta. Il pensiero lo fece sorridere: aveva l’impressione che tutto stesso cominciando a girare nel verso giusto.
Tirò fuori il Sacco a Pelo, perchè stava davvero gelando, e si infilò dentro al bozzolo vestito di tutto punto, attivando con un colpo di bacchetta la modalità Riscaldante. Doveva solo avere pazienza.
 
Il giorno trascorse lentamente, volgendo presto in una sera buia e sferzata da raffiche di neve che turbinavano furibonde ora che il vento si era alzato. I rami dell’alberello sotto cui si era sistemato non bastarono più a riparare lui e la sua roba dalla neve, e dovette alzarsi per stendere un telo impermeabile, probabilmente di Bill, che aveva trovato in una delle tasche dello zaino, aiutandosi con la bacchetta a fissarlo ai rami ed a terra per creare una sorta di spiovente riparo improvvisato. Prima di rientrare, fece un giro, senza nemmeno accendere la bacchetta tanto era luminescente la notte, con tutta quella neve. Il rumore della bufera lo spinse a scacciare in parte la prudenza. Vagò a lungo sulla collina chiamando Harry ed Hermione, sperando che lo sentissero e si facessero vedere. Quando desistette, tornò al riparo ed accese la radio, per sentirsi un po’ meno solo: trovò Radio Potter quasi subito.
«...il giorno di Natale volge al termine, cari ascoltatori... speriamo che abbiate potuto passarlo con i vostri cari. Per noi di Radio Potter, qui, è stato così, e speriamo che questo ci scuserà per la nostra assenza dalle frequenze in queste ore...» disse la voce di Lee Jordan.
«In effetti, non credo di poter muovermi troppo, River...» disse quello che sembrava Fred, anche se non poteva esserne sicurissimo «Ho lo stomaco troppo pieno per arrivare al microfono. Qualcuno può avvicinarmelo?»
«Certo, Rodente. Quando vuoi, se il pranzo di Natale te lo permette, puoi trasmettere ai nostri ascoltatori alcune raccomandazioni, con l’aiuto del nostro Royal.»
«Io sono pronto, River» disse la voce profonda di Kingsley Shackelbolt.
«Anche io. Dunque, gente: speriamo che abbiate seguito il consiglio di Romulus di non mandare regali ad Harry Potter per Natale: sarebbe solo uno spreco di tempo... e di regali. Ma riguardo ai regali, vorremmo invitarvi a non abbassare la guardia, anche in questo giorno di festa: spedire graziosi presenti, tipo Maledizioni in Scatola, sembra sia stato il divertente passatempo di alcuni rampolli di Mangiamorte vicino a Ponty Pree.»
«Tutto quello che entra in casa vostra, anche se impacchettato in carta oro, dovrebbe essere sottoposto ad un Incanto Supersensor prima di essere aperto» commentò calmo Kingsley, «la formula, lo ricordiamo, è Supersenseo. Anche Homenum Revelio può essere utile, per scoprire fatture o maledizioni nascoste negli oggetti già scartati»
«Bravo, Royal. Una bella E in incantesimi per te! Ora, poiché Radio Potter si prefigge come primo scopo quello di tenere alto il morale della comunità magica che resiste a Voi-Sapete-Chi...»
«Scusa, River, vogliamo ricordare ai nostri ascoltatori perchè non facciamo il nome di questo simpaticone? Non vorrei che pensassero che questa bella perifrasi sia dovuta solo al nostro amore per gli indovinelli... voi "sapete" chi intendiamo, vero?»
«Giusto, Rodente. Ricorderò io a tutti gli ascoltatori che sul nome di Voi-Sapete-Chi è stato imposto il Tabù. Chi lo pronuncia viene immediatamente localizzato dai Mangiamorte: se inizialmente avevamo dei dubbi, siamo ormai in grado di dirvelo con certezza. Naturalmente l’obiettivo primario di questa misura è Harry Potter, che, come è noto, usava pronunciare il nome di Voi-Sapete-Chi normalmente.»
«Se sei all’ascolto, Harry, sta’ attento! E naturalmente, anche tutti voi
Ron ascoltava a bocca aperta. Improvvisamente era chiarissimo come avevano fatto a rintracciarli in Tottenham Court Road, il giorno del matrimonio di Bill. Un brivido di urgenza lo percorse. Era un miracolo che non li avessero ancora scovati, con quel sistema. Sia Harry che Hermione avevano l’abitudine di pronunciare il nome di Voldemort, e si erano trattenuti solo perchè a lui dava fastidio... poi qualcosa lo richiamò incredulo all’ascolto.
«Bene, come dicevo, lo scopo principale di Radio Potter è quello di tenere alto il morale di voi, maghi inglesi della resistenza a Voi-Sapete-Chi. Per questo, nel giorno di Natale, una collaboratrice specialissima ha accettato di contribuire a farci sentire un po’ più in festa regalandoci una ricetta strepitosa: da preparare subito e gustare stasera a cena brindando ad Harry Potter ed alla sconfitta del nostro nemico! Prego, Lolly!»
Ron sgranò gli occhi, mentre la voce di sua madre si sostituiva a quella di Lee al microfono. Sua madre! All’inizio un po’ esitante, poi sicura, diede alla radio la ricetta dei Muffin Magici al Mirtillo, che preparava sempre sotto Natale. Erano un suo segreto culinario, di cui era gelosissima, ed il fatto che avesse vinto riservatezza professionale e timidezza per parlare alla Radio e rallegrare gli ascoltatori, riempì il cuore di Ron di affetto per lei.
«Grazie, Lolly! Lolly ha diviso con noi un vero e proprio segreto! Prendete esempio, passate questi giorni di festa insieme, tenete alti i cuori, gente! Non vorrete dare al simpatico Senza-Naso la soddisfazione di deprimervi anche a Natale!»
«Ed i Muffin sono superlativi... garantisco io!» fece Fred, a mezza voce.
«Vorresti dire qualcosa prima di salutarci, Lolly?»
«... devo... devo parlare? Oh, caro, no, io... beh, magari... vorrei dire a Harry, ovunque si trovi, che stia certo che noi... noi tutti lo pensiamo... che questo Natale non è solo e abbandonato, perchè noi tutti... pensiamo sempre... a lui ed a...»si interruppe.
«A quelli che gli sono più vicini?» suggerì Kingsley con dolcezza.
«Sì... a quelli che... che gli sono più vicini. Buon Natale, cari.» disse Molly con voce rotta dalla commozione.
«E buon Natale a tutti, da tutti noi!» concluse Lee. Poi la trasmissione si interruppe, e rimase solo il fischio della frequenza.
Ron spense la radio, con un groppo in gola. Era come se, attraverso la distanza, una carezza di sua madre fosse giunta fino a lui, e si dispiacque che anche Harry ed Hermione non avessero potuto sentirsi per un attimo al sicuro nella maternità di quelle parole.
 Poi decise di dormire, imbacuccato nel Sacco a Pelo che, sbuffando vapore, serviva egregiamente allo scopo. Non poteva stare sveglio tutta la notte, e del resto, se quei due avessero deciso di farsi vedere proprio a quell’ora, la neve che continuava a cadere nel buio gli avrebbe impedito di scorgerli anche ad un metro di distanza.
 
Dormì fino alla mattina inoltrata: lo svegliò la neve che gocciolava sul suo naso, da una fessura del telone, appesantito al limite dello strappo. Faticosamente si alzò, e diede qualche manata per scrollarlo, liberandolo dal peso. La bufera era passata, ed il cielo era limpido: il biancore del mare di neve che lo circondava era quasi accecante. Qualche uccello cantava, e poteva udire distintamente il concerto delle falde di neve che coprivano i rami degli alberi, mentre gocciolavano, sciogliendosi lentamente sotto il sole. Di Harry ed Hermione non c’era traccia.
Lo stomaco gli si rivoltò all’idea di dover far colazione con il tonno in scatola, e preferì prendere solo un po’ di pane, non prima di averlo Geminato con successo, visto che le provviste si stavano esaurendo.
Non c’era altro da fare che aspettare, e si azzardò a chiamare i nomi dei suoi amici un paio di volte nel corso della mattinata, senza che però nessuno rispondesse. La solitudine cominciava a innervosirlo, ma non voleva perdere la calma. Dopo pranzo fece un ennesimo giro di perlustrazione, sprofondando fino al ginocchio, e finalmente la sua attenzione fu attratta da un segno di presenza umana. Dietro una piccola macchia di giovani pioppi, nella neve c’era un buco- una specie di piattaforma vasta e rettangolare attorno alla quale la neve, cadendo si era accumulata. Ron fremette: era stata sicuramente la tenda! Vicino, ancora nette, c’erano due diverse serie di impronte, che, dopo vari giri in un raggio di un paio di metri, si avvicinavano, si posizionavano una accanto all’altra e... sparivano.
Dovevano essersene andati al massimo la mattina presto, rifletté Ron, quando la neve aveva già smesso di cadere, o tutto sarebbe stato nuovamente ricoperto. Si inginocchiò per terra, fissando le piccole orme di Hermione, una leggermente più profonda dell’altra, per la spinta che aveva dato girando su se stessa nella Smaterializzazione. Era la prima traccia tangibile di lei che vedesse da settimane, e non riusciva a smettere di contemplarla. Accanto, le impronte di Harry erano più grosse. La neve era così fresca e perfetta che riconosceva benissimo la suola consumata delle vecchie scarpe da ginnastica dell’amico, con un buco sotto il tallone destro. Un’ondata di nostalgia lo prese, così forte da impedirgli persino di immalinconirsi nel vedere quanto fossero stati vicini, loro due. Sicuramente si erano presi per mano, per Smaterializzarsi.
Corse verso il suo accampamento improvvisato, e rifece, frenetico, lo zaino. Cancellò con la bacchetta tutte le tracce che poté, preso da uno scrupolo improvviso. Tornò anche sul posto dove era stata la tenda, per togliere dalla neve le impronte dei suoi amici. Poi fece scattare lo Spegnino, che produsse per la terza volta la luminosa sfera azzurrina. Lasciò che entrasse in lui, e si Smaterializzò.
 
I grandi alberi di una foresta avevano riparato in parte il suolo dove atterrò qualche istante dopo. Larghe chiazze di terreno, marrone di foglie morte, si aprivano intorno ai tronchi degli alberi, circondati da uno strato bianco e ghiacciato di neve caduta già da qualche tempo: era secca e dura. Ancora nessuno in vista o a portata d’orecchio: e Ron sospirò, ma non si lasciò sfuggire alcun moto di stizza. Doveva essere paziente. Qualcuno si sarebbe fatto vedere di certo... prima o poi. Era pomeriggio ormai inoltrato: le giornate erano brevi, e la foresta un luogo molto più in penombra della sommità della collina dove era stato fino ad un attimo prima. Si sedette sotto un albero, e lasciò che i minuti scorressero, diventando ore, accompagnati dai suoi pensieri. L’intensità del desiderio di ritrovarli, ora che erano così vicini, sembrava aver cancellato ogni altra sensazione o timore. Non avvertiva più la paura di essere rifiutato, come spesso nelle ultime settimane, né l’ansia di non riuscire a trovarli mai. C’erta solo la struggente nostalgia di loro: persino la gelosia per Hermione, tarlo opprimente da cui le parole di Fleur lo avevano un po’ liberato, non era che una vaga ed indistinta preoccupazione.
Con l’avanzare dell’oscurità, si sistemò nel Sacco a Pelo, pur senza l’intenzione di dormire. Però si assopì più volte, immerso in sogni confusi pieni delle loro voci e delle loro facce, e di infiniti inseguimenti per paesaggi innevati, lungo tracce che non sembravano fermarsi mai.
Verso la mezzanotte, lo svegliò un rumore vicinissimo. La mano si chiuse di scatto intono alla bacchetta, pronto a lottare contro eventuali Ghermidori... o peggio. La notte era così scura che persino la neve non mandava alcun riflesso. Tuttavia, a meno di dieci metri da dove era, scorse un bagliore argenteo, accompagnato dal mormorio di qualcuno: c’era una persona, e non si trattava di un Babbano! Scivolò fuori dal Sacco a Pelo lentamente: ogni fruscio che produceva sembrava rimbombare in tutto il bosco. Era appena riuscito a mettersi in piedi, madido di sudore per la tensione, quando lo splendore argenteo si mosse, e tra i profili degli alberi gli passò vicinissimo.
Era un Patronus.
Un grande animale d’argento, che camminava lieve, senza lasciare orme sulla neve ghiacciata. Era una sorta di cerbiatto, e per un attimo Ron pensò che fosse il Patronus di Harry. Ma era molto diverso, senza l’imponente palco di corna che il cervo di Harry aveva sempre avuto. Indeciso tra il controllare da dove venisse e dove andasse, Ron rimase per qualche istante inchiodato al suo posto, seguendo la figura con lo sguardo. Poi le andò dietro: fu una camminata svelta attraverso il bosco, che sembrava incantato nella sua oscurità, spezzata dall’argentea luce del Patronus. La cerva (ora la vedeva bene) si fermò, guardando di fronte a sé per qualche istante, prima di voltarsi e cominciare a tornare indietro.
Poi lo vide. Sentì le ginocchia cedergli. Era Harry! Con la giacca sbottonata, era apparso dal nulla, brandendo la bacchetta e camminando svelto, quasi in corsa. Aveva senza dubbio oltrepassato le protezioni di Hermione: per questo aveva potuto vederlo all’improvviso. Il Patronus tornava nella sua direzione con un trotto privo di rumore. Anche Harry camminava rapido, ed i suoi passi sulla neve e sulle foglie rompevano il silenzio del bosco. Fece appena in tempo a ritrarsi, più per istinto che per un movimento ragionato, che entrambi lo avevano superato: si mise a correre dietro di loro, seguendoli a ritroso sul percorso appena compiuto.
Passarono vicinissimi al posto dove giaceva abbandonata la sua roba, ma Harry aveva occhi solo per la cerva, e neanche la notò. Lei lo condusse nel punto dove Ron l’aveva vista nascere. Poi fu tutto buio. Doveva essere sparita. L’improvvisa oscurità lo fece incespicare: la bacchetta gli sfuggì di mano. Sentì la voce di Harry –la sua voce!- dire “Lumos!”, a circa venti metri di distanza da lui. Tastò per terra, cercando di non fare rumore, per prendersi magari uno Schiantesimo dall’amico, ma allo stesso tempo incalzato dall’urgenza. Harry non sapeva che c’era qualcuno, dietro quegli alberi. Chi aveva Evocato la cerva? Amico o nemico? Nemico, probabilmente: i loro amici si contavano sulla punta delle dita, e per quel che ricordava Ron,nessuno aveva un Patronus che assumesse quella forma. Finalmente sentì la liscia consistenza della bacchetta, e, senza accenderla, avanzò guardingo in direzione della luce della bacchetta di Harry. Era pronto al duello, ma quando arrivò ai margini della radura non vide nessuno, tranne Harry, che, in piedi presso la riva di uno stagno ghiacciato (Ron avrebbe giurato che prima non c’era) si stava togliendo l’ultimo maglione. Rimase a guardarlo a bocca aperta, inebetito dallo stupore, mentre lui, tremante, in mutande e canottiera, spezzava il ghiaccio dicendo “Diffindo” e, con qualche esitazione, entrava nella pozza attraverso la larga spaccatura che aveva prodotto.
-Ma... ma cosa... Harry!- gridò, ritrovando la voce. Avanzò fino allo stagno, illuminato dalla bacchetta accesa che Harry aveva lasciato a riva. Si chinò sulla superficie nera, cercando di vedere l’amico: lo sentiva muoversi nell’acqua, ma non riemergeva. Gli istanti passavano lenti come anni, mentre, con gli occhi sbarrati, Ron cercava di decidere cosa fare. Alla superficie salivano cerchi concentrici sempre più lievi: là sotto Harry stava smettendo di muoversi.
-Oh, al diavolo!- esclamò alla fine. Si tolse lo zaino dalle spalle, e prima di pensare a qualcosa –qualsiasi cosa- si buttò a sua volta nello stagno, con la bacchetta accesa in mano.
L’acqua era gelida, naturalmente. Un tormento che gli sembrò intollerabile, mentre cercava di vincere il suo corpo che, quasi contro la sua volontà, cercava di tornare a riva. Lo stagno era perfettamente limpido, privo di alghe, erbe o altro: sicuramente era opera di magia. La bacchetta accesa lo illuminava spettralmente di verde, ed Harry era poco sotto di lui, immobile, contratto in uno spasimo nel tentativo di strapparsi dal collo la catena dell’Horcrux –Ron lo riconobbe subito- che era tesa come se una mano invisibile lo stesse strangolando. L’altra mano stringeva l’elsa di una spada: ma le dita persero la presa proprio in quell’istante, e quella fluttuò lenta verso il fondo.. La spada di Godric Grifondoro. Senza poter riflettere,  Ron si slanciò verso di lui attraverso l’acqua, e lo afferrò, abbrancandolo per il petto. Harry non fece alcun movimento. Sembrava svenuto. Ron si sporse verso il basso, afferrò l’elsa tempestata di rubini che si era adagiata di nuovo sul fondo, con la mano che già teneva la bacchetta, poi nuotò verso la superficie, mentre i polmoni sembravano scoppiargli, ed emerse infine nella notte del bosco, tossendo, brancolando finché non trovò appiglio sulla riva. Uscire dall’acqua e trascinare fuori Harry richiese un immenso sforzo. Alla fine, giacquero entrambi sul terreno spoglio, chiazzato di neve, la spada gettata poco lontano. Ron si sollevò sui gomiti, e strappò l’Horcrux dal collo di Harry con difficoltà, lasciando un segno sanguinolento sul suo collo. Non riusciva a smettere di tossire, ma con un sollievo che gli parve di non aver mai provato in vita sua, vide Harry riprendere i sensi, sputacchiando e tossendo a sua volta. Non sollevò neanche la testa: la mano destra corse al collo, e tastò il solco che la catena aveva lasciato.
Era vivo, l’aveva ritrovato. Ron non riusciva a pensare ad altro. Sembrava incredibile, ma ce l’aveva fatta. Gli sembrò di accorgersi solo in quell’istante quanto l’amico gli fosse mancato. In quel mese aveva pensato soprattutto ad Hermione. Ma ecco Harry, Harry con quel suo coraggio incosciente, Harry con la canottiera a righine per la quale l’aveva preso in giro milioni di volte, la bianca cicatrice “Non devo dire bugie” sul dorso della mano destra, che continuava a tastarsi il collo... un fiotto d’affetto e di sollievo sembrò esplodere nel petto di Ron, che aprì la bocca, diede un ultimo colpo di tosse e gracchiò:
-Ma... sei... scemo?

 
Bene, carissimi lettori... come vedete con questo capitolo ho chiuso il cerchio e sono tornata a riallacciarmi alla narrazione di Zia Jo, alla quale naturalmente non ho la presunzione di sovrappormi ulteriormente. La storia però non è finita... abbiamo ancora una questioncina in sospeso, vero!? Per risolverla, come vi immaginerete, ho riservato l’ultimo capitolo, con cui ci saluteremo.
Intanto, spero di aver scritto una avventura parallela per Ron che fosse all’altezza del personaggio! E di essere riuscita a mostrare la sua crescita. Il Ron del primo capitolo non è lo stesso del settimo, o almeno così mi è parso... di questo sarete voi i giudici migliori.
Ho anche una questione lessicale da porvi: ho usato sempre Spegnino, seguendo senza accorgermene Marina Astrologo, che così traduce nel primo libro; mentre in effetti la traduzione di Beatrice Masini propone Deluminatore per il settimo. Quale pensate che sia il nome più adatto?
Vi ringrazio per le sempre lusinghiere recensioni e l’attenzione e vi do appuntamento per... il gran finale! Un bacio a tutti! Oru

 
 
 

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Capitolo 8
*** Alla fine della notte ***


 “Avventura, Introspettivo, Romantico”. Queste sono le tre indicazioni di genere che ho messo nella presentazione della storia. Mentre delle prime due abbiamo avuto abbondanti dimostrazioni negli scorsi capitoli, la terza si manifesta soprattutto qui.
Non è stato facile scrivere questo capitolo. Ho cercato di restare rigorosamente IC per tutta la storia, perchè volevo impostarla come un missing moment il più possibile realistico. Dunque, spero che non sarete delusi: non vi aspettate troppo miele o troppo fluff. Ron ed Hermione non sono mai stati molto espansivi.
Amore, però, ce n’è. E tanto. Perchè se c’è una cosa da dire su Ron ed Hermione canon, è che si amano davvero!
Ci vediamo in fondo per salutarci. Buona lettura!

 
8. Alla fine della notte
 
La brandina di Harry cigolava tremendamente, e Ron si svegliò quando sentì l’orrido scricchiolio sopra la sua testa, mentre l’amico si arrampicava per tornare a letto, dopo la fine del suo turno di guardia. Sporse la testa, e vide affacciato sopra il suo il viso di Harry, che disse sottovoce:
-Mi dispiace di averti svegliato. Domani, prima che andiamo da Lovegood, chiedo a Hermione di dare una sistemata alle molle.
-Non c’è problema... ‘notte- biascicò Ron. Lui, però, non si rimise a dormire: si alzò e fece rapido i tre passi che lo separavano dal minuscolo bagnetto, lanciando un’occhiata rapida all’apertura della tenda, oltre la quale, lo sapeva, Hermione vegliava facendo il suo turno di guardia.
Lo specchio rovinato sopra il lavandino gli rimandò un’incerta immagine di se stesso, nel pigiama che Bill gli aveva prestato e che lui aveva portato con sé nello zaino da Villa Conchiglia, i capelli arruffati in ciocche rosse, nel nuovo taglio corto che Fleur aveva insistito per fargli e che, aveva detto, esaltava l’eleganza della sua testa. “Tu non sei comment Bill, Ronnie... lui sta bene con i capeli lunghi, gli donno un’aria così sauvage...”
Era tornato. Quella era già la seconda notte che trascorreva nella tenda, dopo il salvataggio di Harry e la distruzione dell’Horcrux. Hermione era ancora arrabbiata con lui. Del resto, era già stato un sollievo che Harry lo avesse accolto a braccia aperte. Era stato come tornare a casa.
Abbassando lo sguardo, vide qualcosa che gli strappò un sorriso sonnolento.
Sul ripiano del lavandino, la sera prima, aveva ritrovato il suo spazzolino da denti, ancora al suo posto assieme agli altri due dentro un bicchiere reso opaco dal calcare. Quando se ne era andato lo aveva lasciato là, come tutta la sua roba, ed infatti ne aveva un altro, assieme al pettine, nello zaino. Vedere che quello vecchio era ancora là, che nessuno lo aveva spostato o gettato, gli aveva fatto salire il morale alle stelle: tutta la giornata appena trascorsa era stato difficile ostentare un’aria di compunzione per tentare di rabbonire Hermione quando lei era presente. Il buonumore e la soddisfazione per averli ritrovati, per essere ancora con loro, sprizzavano da sotto la maschera seriosa che portava per schivare la furia di Hermione, e che cadeva non appena si trovava da solo con Harry. Il litigio era dimenticato, le offese perdonate: l’avventura dello stagno stregato aveva cucito lo strappo che la fuga di Ron aveva provocato nella loro amicizia come un rammendo incantato, di quelli suggeriti in Maglia Magica per Principianti. In un certo senso, Harry aveva chiuso definitivamente la questione con quelle parole mormorate senza vederlo in faccia, dopo che la creatura che abitava l’Horcrux era stata distrutta dal colpo di spada di Ron.
E’ come una sorella per me... le voglio bene come a una sorella... credevo che lo sapessi.”
Non era tanto venirlo a sapere... quanto più che altro il fatto che, in quel breve momento solo loro, lui ed il suo migliore amico, nel silenzio di quell’angolo isolato nel bosco, avessero chiarito le cose una volta per tutte. Non c’era stato neanche bisogno che Ron parlasse. Harry aveva detto tutto, con quelle parole brevi.
E immagino che per lei sia la stessa cosa.”
Sì, anche Ron lo credeva. In realtà lo aveva sempre saputo. Ma la gelosia era stata irrazionale, alimentata dallo stress, dal medaglione, dalla lontananza.
Accanto agli spazzolini, sul ripiano, c’era un astuccio ormai consunto, con alcune delle cose di Hermione: una spazzola, alcuni fermagli per capelli, una boccetta quasi vuota di acqua di Colonia, il profumo severo e pulito che Ron ricordava di averle sentito addosso da sempre (non aveva mai usato l’eccentrico profumo al caprifoglio che lui le aveva regalato un Natale precedente, però ritrovò anche quella boccetta, intatta in fondo all’astuccio). Gli venne spontaneo sfiorare le sue poche cose, i simboli della sua ostinazione a vivere da profuga con dignità. Non doveva essere facile, per una ragazza, condividere quella vita raminga e scomoda con due maschi. Lo intenerì la discrezione di lei, sempre attenta a non far pesare loro niente del suo disagio. Si chiese come facesse a mantenersi sempre in ordine e pulita, senza passare in bagno un tempo sensibilmente maggiore di quello suo o di Harry.
Si ripromise di regalarle una boccetta nuova di acqua di Colonia, non appena ne avesse avuto la possibilità. Doveva imparare dai suoi errori. Anche in fatto di profumi.
Uscì dal bagno: nello stretto vestibolo si  udiva solo il suono del respiro pesante di sonno di Harry. Dall’ingresso della tenda filtrava una luce, che proiettava sulla tela il profilo perfettamente delineato di Hermione, il viso chino sicuramente su di un libro, la fronte molto alta ed il naso dritto.
Ron rimase qualche istante immobile, poi prese il golf azzurro di Fleur dalla pila dei suoi abiti su una sedia, se lo mise e trasse l’orologio dalla tasca della giacca, per controllare l’ora. Erano le due di notte.
Hermione sedeva a gambe incrociate su una coperta, e ne aveva un’altra posata sulle spalle. Il verandino della tenda la proteggeva un po’ dalle raffiche di vento, ed in una scodella davanti a lei ardeva un fuoco color pervinca, che irradiava un lieve tepore. Non alzò la testa dal libro che stava leggendo (quello delle fiabe di Beda), quando Ron scostò il lembo di stoffa ed uscì. Anzi, si premurò di avvicinarla ancora di più alla pagina.
-Ehm... ciao- tentò lui, sedendole accanto. Aveva in mano la bacchetta, in caso diventasse violenta.
-Dovresti essere a letto, Ron- disse lei di rimando, gelida, senza alzare gli occhi.
-Volevo... dirti che mi dispiace- mormorò Ron, in preda all’imbarazzo, ma deciso a non muoversi prima di ottenere una riconciliazione. Gli era bastato non poterla vedere per un mese, senza che ora la facesse troppo lunga con quella storia e continuasse a non parlargli.
Lei sollevò finalmente gli occhi dalla pagina, con lentezza esasperante, e lo fissò. Ron si chiese se avesse mai conosciuto una persona con gli occhi così grandi. Si mosse, a disagio.
-Questa l’ho già sentita.
-Sì, ma tu sei ancora arrabbiata con me.
-Ron, certo che sono arrabbiata con te. Te ne sei...
-...andato, lo so. Hermione, ho fatto un errore idiota. Avrei voluto tornare subito, e se non fosse stato per quei Ghermidori...
-Non puoi pretendere che di colpo mi dimentichi quanto sono stata male, Ron!
-Beh, Harry lo ha fatto.
Lei si morse le labbra.
-E’ diverso, e lo sai. E comunque sono affari di Harry.
Per qualche minuto rimasero in silenzio. Ron giocava con la catena del suo orologio, ancora stretto in mano, mentre Hermione aveva riabbassato lo sguardo sul libro, senza però riprendere a leggerlo, visto che non voltava le pagine. Aveva le labbra strette e le narici dilatate, come se trattenesse un’esplosione di rabbia.
Ron riprese a parlare cauto.
-Quando... la mattina dopo la lite...- si fermò per deglutire -...vi... vi ho visti. Stavo... stavo arrivando a piedi e vi ho visto da lontano smontare la... la tenda. Ho cercato di gridare. Però... non mi avete sentito.
Non c’era una ragione particolare che lo avesse spinto a raccontarle il più grande dolore che aveva provato, da quando si erano separati. Era la prima volta che ripensava a quel momento lui stesso: fino a quella notte era rimasto chiuso nell’angolo dei ricordi troppo orribili per poter essere rivissuti. Ricordare l’angoscia di allora gli arrochì la voce. Ma voleva disperatamente che lei capisse quanto fosse stato tormentato per quello che aveva fatto.
Hermione lo fissava silenziosa. Quando Ron riuscì ad affrontare il suo sguardo, vide che le tremavano le labbra.
-Ti abbiamo aspettato. Ti abbiamo aspettato quanto più è stato possibile...
La sua voce era diversa, ora: sottile e incrinata come un vetro ghiacciato.
-Lo so.
Ancora silenzio.
-Scusami, Hermione.
La notte si stendeva silenziosa tutto intorno a loro, illuminata solo debolmente da una sottilissima falce di luna crescente.
-Ron...- mormorò Hermione –Non si trattava di “scegliere lui”.
Ci volle qualche istante perchè Ron capisse a cosa si riferiva. Poi gli tornarono alla mente le parole che le aveva detto subito prima di andarsene.
“Capito. Scegli lui.”
Aprì la bocca per rispondere che certo, lo sapeva, che non pensava davvero a quello che stava dicendo, ma lei lo prevenne:
-Non osare mai più farmi questa specie di basso ricatto morale, capito, Ron? Tu, tu...- ecco, riaffiorava la sua rabbia, mentre la voce le si spezzava definitivamente –Tu, idiota insensibile... come hai potuto... dirmi...
Ora piangeva, finalmente. Un pianto rabbioso che scuoteva tutta la sua piccola stazza con singhiozzi furibondi.
-Hermione...- tentò debolmente Ron, ma lei fece un brusco gesto con il braccio, per imporgli di tacere.
Allora, incerto sul da farsi, cercò automaticamente le tasche per trovare un fazzoletto, e quando si rese conto di essere in pigiama, agitò la bacchetta e ne Evocò uno. Gli riuscì proprio bene (ormai stava diventando bravo): apparve piegato e stirato, con un fiore ricamato a piccolo punto sul risvolto. Glielo porse timidamente, e lei lo afferrò, con un altro gesto brusco e rabbioso, e si soffiò rumorosamente il naso.
La notte li circondava, quieta e silenziosa. Dentro la tenda Harry russava leggermente, ed Hermione continuava a tenere le labbra strette ed a soffiarsi il naso, ormai liberissimo, mentre Ron, cercando invano di passare inosservato, la scrutava.
Era difficile trovare le parole giuste.
Poi lo vide.
Seminascosto dalle ciocche ondulate dei capelli castani di Hermione, appeso al suo orecchio destro, stava un orecchino spaiato, un sottile cerchietto d’argento, liscio e semplice come tutti i suoi sobri monili. L’altro orecchino.
-L’hai ritrovato!- disse improvvisamente, e quando Hermione lo guardò accigliata, senza capire, allungò la mano verso l’orecchio.
-Oh!- disse lei. E, di colpo, arrossì intensamente.
-Sì- disse poi, appena troppo velocemente –Certo che l’ho trovato, Ron, il mio Incantesimo Estensivo Irriconoscibile era fatto a regola d’arte, come ti avevo detto. Non c’era nessun buco.
Non disse che un pomeriggio, mentre Harry era fuori a cercare qualcosa di commestibile, aveva vuotato la borsetta di perline di tutto il suo contenuto, cercando freneticamente il piccolo oggetto, seduta per terra in mezzo alla montagna di roba ammucchiata sull’impiantito consunto della tenda. Ron, però, la immaginò proprio così, ed un fuggevole sorriso gli passò sul volto.
-Allora... allora posso...- cominciò, armeggiando con l’orologio che ancora teneva in mano, e staccando con delicatezza l’orecchino dalla catena d’argento, -...restituirti questo.
In realtà gli dispiaceva separarsene, e pensò che gli sarebbe mancato il gesto ormai abituale di sfiorarlo nella sua tasca.
-Lo hai conservato- osservò Hermione con una strana voce stridula, che lasciava trapelare la lotta tra l’essere sostenuta, la curiosità ed una tremula commozione.
-Sì, io... mi avevi detto di tenerlo finché tu non avessi... trovato l’altro.
-Credevo che lo avresti perso- rispose lei, acida.
-Grazie, Hermione. No. Come vedi...
-Sì.
Perchè portava l’altro orecchino, se era spaiato? Non era una cosa da Hermione, che amava l’ordine e la simmetria, soprattutto per quanto riguardava il suo aspetto. Beh... se non si consideravano i capelli. La domanda gli era appena passata per la testa, e già aveva aperto la bocca per formularla, quando gli venne in mente che poteva aver messo l’orecchino con lo stesso scopo col quale lui l’aveva portato sempre nella sua tasca. Per ricordarsi di lui. Chiuse la bocca di scatto, sentendosi rinfrancato e confuso ad un tempo.
-Ecco...- disse, porgendoglielo  sulla mano aperta, e poi, visto che lei aveva esitato un attimo ad allungare la sua per prenderlo, continuò:
-Aspetta...
Si sporse in avanti, scostò i riccioli castani dall’orecchio sinistro con un gesto che era anche una carezza impacciata, e con infinita cautela, fece scivolare l’orecchino nel foro vuoto del lobo di Hermione, che stava immobile a testa china e respirava (gli parve) molto rumorosamente. Lo chiuse lentamente, per prolungare il più possibile la sensazione della sua pelle liscia e tiepida sotto le dita.
-Certo che l’ho conservato, Hermione...- ribadì poi. Lei rimase zitta. Lo interpretò come un invito a continuare.
-Mi importa delle tue cose. Mi importa di te. Aspetta!- esclamò, perchè lei, stavolta, aveva già aperto la bocca per ribattere.
-Credo... di aver sognato la vostra morte ogni notte di questo mese. E’ stato orribile.
In realtà, soprattutto le prime notti, aveva fatto anche sogni di altro genere, su di loro. Quasi altrettanto orribili. L’Horcrux, la notte prima, aveva letto bene nel suo cuore e nella sua mente.
-Beh, non è che ci siamo andati troppo lontano, dal morire- Hermione era rimasta tagliente.
-Lo so.
Lei strinse le labbra.
-Ogni... volta che parlavano alla radio di Harry e non nominavano anche te, io... avevo sempre il terrore che tu fossi morta.
Il fazzoletto che le aveva dato, appallottolato nel pugno, fu portato bruscamente agli occhi.
-...ma non sapevo come fare a tornare, fino a quando lo Spegnino di Silente...
-Non abbiamo pronunciato il tuo nome per settimane- interloquì lei –se lo avessimo fatto prima...
-Già.
Ma forse, prima non sarebbe stato ancora pronto, si disse fuggevolmente Ron.
-Però... è davvero una magia incredibile- osservò Hermione, col tono scolastico di quando parlava di qualcosa di difficile che la interessava molto. I cambiamenti di registro nella sua voce erano vagamente inquietanti.
-Silente era un genio. Voglio dire, pensavo che il suo fosse un regalo senza senso, e invece...
-Lo so...  è per questo voglio andare da Xenophilius Lovegood. Non mi sembra il caso di lasciare intentata alcuna strada. Se il tuo lascito aveva uno scopo preciso... di certo dovrebbe averlo anche questo- disse Hermione accennando al libricino ancora aperto in grembo.
-Sai... non penso più che poteva anche renderci le cose più facili... voglio dire, dopo quello che è successo a me con lo Spegnino... ecco, spiegare prima sarebbe stato assurdo, no? Ora penso che se non ci ha detto qualcosa... lo ha fatto con scopi precisi.
Hermione sospirò, pensosa.
-Harry non è nello stato d’animo giusto per una riflessione del genere, dopo che ha letto questo.
Gli mostrò, raccogliendolo da terra, il libro di Rita Skeeter, la copertina con gli squallidi colori da best seller di bassa lega. Ron ne aveva letto una recensione sul Profeta portato a casa quotidianamente da Bill, e storse il naso.
-Sì, oggi mi ha detto della lettera a Grindelwald. E’ piuttosto suscettibile su questo.
-Non ha tutti i torti. La lettera ha sconvolto anche me.
-Però, se adesso cominciamo a dubitare di Silente... non ha senso stare qui.
Hermione fece un piccolo sorriso, annuendo. Ron non aveva fatto altro che pensare a quanto sarebbero stati bene insieme Harry ed Hermione senza di lui, durante la sua assenza. Fu in quel momento che gli venne in mente che Hermione doveva essersi sentita oppressa anche dalla fatica di reggere da sola la pesante parte della spalla di Harry. Entrambi amavano Harry, ma sapevano da anni che affiancarlo e sorreggerlo era un fardello da portare almeno in due.
-Per fortuna alla fine si è deciso ad acconsentire ad andare. Era stupido non chiarire questo punto, no?
-Giustissimo- fece lui, con un po’ troppo entusiasmo.
-Ron... smettila di essere così condiscendente. Mi innervosisci.
-Giustissimo. Scusa...
-Ron!
Ma Ron stava ridendo, ed anche lei non poté trattenere un sorriso.
L’aveva fatta sorridere! Non poteva crederci. Ed avevano parlato! Chiacchierato come un tempo! Sentendo che la pace, in un modo o nell’altro era appurata, Ron non poté reprimere uno sbadiglio.
-Vado a dormire, ora... Ho ancora un’oretta prima che tocchi a me.
Si alzò in piedi, stirandosi.
-Allora buonanotte...- aggiunse, avviandosi verso l’ingresso della tenda. Aveva appena scostato il lembo di stoffa dell’apertura, e chinato la testa per entrare, quando la voce di lei lo bloccò.
-Ron!
Si volse, e vide che si era alzata in piedi a sua volta. Gli stava di fronte, pallida e minuta, infagottata nei jeans ed in un golf di Harry, che portava sopra il pigiama per poter andare a letto velocemente quando fosse finito il suo turno. Ron, immobilizzato, la fissò, indugiando sui suoi occhi spalancati.
Quando, senza alcun preavviso, lei si slanciò verso di lui, fece appena in tempo ad aprire le braccia per accoglierla e stringerla gentilmente, quasi paralizzato dallo shock. Hermione, invece, gli si avvinghiò, i capelli increspati dall’aria umida della notte che, come quella sera alla Tana, gli finivano in bocca, fino a che non riuscì a posarle il mento sulla testa. Con il viso premuto contro il suo collo e nell’incavo della sua spalla, lei respirava pesantemente, finché non mormorò, con voce fragile:
-Non... promettimi che non... mai... più!
C’erano tante richieste mescolate in quella frase: di non scappare ancora, di non metterla di nuovo davanti ad un ricatto crudele, di non rifiutarsi ulteriormente di vedere quanto lei tenesse a lui, o di mostrare quanto a sua volta teneva a lei. Ron era stato accusato dalla stessa Hermione di avere la sensibilità di un cucchiaino, ma quella volta capì ogni sfumatura. Annuì contro la sua testa.
-Mai più. Promesso.
Lei non lasciò la stretta, e per Ron, lentamente, tutto si riempì della presenza di Hermione, della sensazione del suo corpo minuto premuto contro di lui, e del respiro irregolare, dell’umido delle guance di lei contro il suo collo. Era tanto più bassa di Ron che lui doveva chinarsi leggermente per permetterle di abbracciarlo, e questo gli dava l’impressione di racchiuderla tutta in sé.
Era diverso da quando l’aveva tenuta stretta al funerale di Silente: quella volta un dolore esterno aveva avuto bisogno di essere confortato. Ora, invece, una ferita interna a loro due veniva lentamente ricucita, tra i gesti e le parole, nella semplicità della stretta.
Hermione profumava vagamente di acqua di Colonia. Si ricordò del giorno in cui, nel sotterraneo di Pozioni, aveva riconosciuto quel profumo nell’Amortentia del professor Lumacorno. Hermione aveva la pelle liscia, le mani allacciate dietro la sua nuca fredde per la lunga veglia all’aperto. Tutto in lei era schietto e pulito, perfino la naturalezza dei suoi capelli, contorti in riccioli disordinati che le incorniciavano il viso, perfino la sua voce chiara, la sua mente penetrante, retta e brillante come una straordinaria pietra preziosa. Ogni desiderio di giustizia, ogni speranza per il futuro, per Ron si concretizzavano nella vicinanza di Hermione. Era impossibile non amare Hermione: era come non amare l’acqua pulita o la luce del sole. Forse per questo era sempre così goffo con lei. Come si tiene in mano la luce, o l’acqua?
Infine, troppo presto, lei respirò profondamente e si allontanò. Era rossa in viso come mai l’aveva vista, se non in qualche accesso di rabbia per una litigata. Ron la lasciò andare con riluttanza, trattenendole una mano, e gli occhi marroni di lei gli si spalancarono ancora in viso, enormi. Pensò che non gli era mai sembrata più bella, pur con gli occhi gonfi di pianto ed i capelli arruffati. Hermione era più che bella. Era... una forza della natura.
Non aveva senso, o così gli sembrava, aspettare ancora.
-Hermione- disse, prendendo fiato, con voce rauca ma determinata -Hermione, io...
Si bloccò, però, quando la vide scuotere la testa, piano.
-Ma...
-No...- il viso di lei era appena contratto -...Ron, è meglio... finire prima questo... questo lavoro.
-Ma...
Ancora il suo sguardo, così brillante che quasi non poteva sostenerlo, mentre si fissava con aria di scusa nei suoi occhi celesti.
-Ora dobbiamo finire qui... Tutto... tutto è così fragile... dipende da come noi tre restiamo... in equilibrio, capisci? Quando te ne sei andato...
La sua mano piccola si contrasse in quella lunga e con le nocche sporgenti di Ron.
-...e comunque- riprese lei –E’ troppo importante... non voglio che Harry...
Alzò gli occhi, come spaventata da quello che aveva appena detto. Lo sguardo di Ron, però, era calmo, anche se un po’ velato di rammarico. Continuò lui:
-...si senta a disagio. Giusto?
Incredula, mentre sul volto le si spandeva il sollievo, lei annuì con foga.
-Riesci a... a capirlo?
Ron diede un brevissimo sospiro. Poi mormorò.
-Sì
Semplicemente sì. Un tempo, rifletté, non ne sarebbe stato capace.
Ci fu un lungo silenzio, privo di parole. Fu Hermione a romperlo. Le lacrime avevano ripreso a sgorgarle dagli occhi, ma non sembrava triste.
-Allora...- riprese, il volto mutevole come un cielo di marzo, incerto tra la serietà ed il sorriso –Allora... ci vediamo alla fine della notte.
Quale notte? Quella che stava passando veloce intorno a loro, o quella della guerra?
-Sì- rispose Ron, pensando ad entrambe le cose.
-Sì- ripeté Hermione.
Una raffica improvvisa di vento gonfiò il telame della tenda, scuotendola tutta. Lei rabbrividì.
-Vai a letto- le disse Ron –Ormai è quasi il mio turno.
-Ma...
-E’ meglio che tu sia lucida, domani.
-Oh... e va bene- ribatté Hermione, subito ripresa dalla responsabilità della loro missione. Ristette un momento, poi si sollevò sulle punte dei piedi, e gli diede un bacio, lieve e delicato, che gli sfiorò l’angolo della bocca. Ron sentì le mani contrarsi per il desiderio di stringerla ancora, ma lei già sollevava la tela dell’ingresso.
-Buonanotte, Ron.
Sparì leggera oltre la cortina bianca.
E Ron rimase.
A vegliare presso le fiamme pervinca sul calore della casa ritrovata e dell’amicizia riallacciata. E... sull’amore. Ci sarebbe stato da aspettare ancora, ma... era diverso, adesso.
Aveva vinto. Aveva vinto tutto.
Vincere anche la guerra, in quel momento, sembrava quasi una formalità.
Col cuore pieno di troppi doni, si mise paziente in attesa che la notte lasciasse spazio al mattino.
 
...Fine.


Allooora... com'è andata?
Mentre ci pensate su, lasciatemi dire qualcosa di solenne (più o meno) per concludere.
Scrivere questa storia è stato davvero divertente. E’ la mia prima fanfic, e me la sono goduta pienamente. Zia Jo ha creato dei personaggi splendidi, e poter “giocare” con loro è un privilegio!
E’ stata una vera felicità vedere che il mio divertimento ha provocato il vostro interesse, le vostre emozioni.
Grazie.
Grazie per il vostro sostegno. Grazie ai trenta che l’hanno seguita, alla decina che l’ha messa nelle preferite,a chi l’ha messa nelle ricordate. Ma soprattutto grazie ai recensori! Ogni vostra recensione è stata letta circa cinquemila volte.
Ora che è finita, vorrei tanto (angolo desideri arditi e irrealizzabili... forse) un giudizio complessivo da ogni lettore. Oltre che un giudizio su questo singolo capitolo, è ovvio;).
Oddio, sono quasi in lacrime...
Ragazzi, che altro dire? Alla prossima storia: tenete d’occhio la mia pagina, perchè ho molte idee che frullano, tra il cuore, le dita e la tastiera!
Un grandissimo bacio a tutti!
La vostra
Orual
 
PS: alla fine ho tenuto “spegnino”, anche se ci ho pensato su parecchio. Ha un’aria vintage che secondo me è adatta al mondo di Harry Potter, “deluminatore” mi suona un po’ strumento chirurgico. Ma la questione non è chiusa... magari in futuro modificherò.
 


 

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