The Rising Sun

di TokyoRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blackbirds. ***
Capitolo 2: *** The End in the Beginning ***



Capitolo 1
*** Blackbirds. ***


Come ogni notte mi trovavo distesa sul tetto del mio chalet: quella sera d'agosto,una delle ultime che avrei passato nel luogo che per anni avevo chiamato casa,sembrava perfetta.
Le stelle brillavano di una luce diversa,più vivida,ma anche un po' malinconica. Ma probabilmente era solo la mia immaginazione e il mio entusiasmo a darmi quell'impressione: la mattina dopo sarei partita per Oxford.

Avevo ricevuto la lettera che confermava la vincita della borsa di studio per la Collins,un prestigioso collegio inglese,mesi prima: stavo rientrando da una partita di lacrosse con le mie migliori amiche,Sydney e Megan. Ancora entusiaste per aver vinto la partita contro i RedShots ci eravamo riunite per aprire le lettere che avrebbero segnato il nostro futuro: tutt'e tre avevamo fatto domanda di trasferimento in collegi all'estero e aspettavamo la loro risposta.
Per Megan non era importante vincere la borsa di studio,era figlia unica e proveniva da una famiglia assai benestante,doveva solo passare la selezione per essere ammessa nel collegio danese che aveva scelto.
Sydney voleva scappare il più possibile dalla famiglia che la teneva "prigioniera"in una gabbia d'oro: voleva che le lasciassero compiere i propri errori,perciò si era iscritta a un collegio nell'altro emisfero,Melbourne.
Io invece,proveniente da una famiglia numerosa (ho due sorelle e due fratelli),avevo disperatamente bisogno di una borsa di studio per studiare a Oxford,dove pianificavo di diplomarmi e poi laurearmi in fotografia.

Ci sedemmo sull'enorme letto di Sydney e impilammo per ordine di importanza (avevamo infatti fatto domanda ad altri tre collegi ciascuna,per evitare di rimanere bloccate nella nostra anonima città natale). Prima di cominciare ci versammo tre shot di Blue Curaçao per farci coraggio: "Pronti? Via!" disse Meg con la sua solita voce squillante. Aprimmo le lettere,cominciando dalle riserve.
Avevo vinto due borse di studio (una per la Collins e l'altra per la Wilkinson) e Sydney era stata accettata solo al collegio di Melbourne,eravamo così su di giri da metterci ad urlare come oche e a saltellare per la stanza. Molto maturo per delle sedicenni,vero?
Sydney aveva la sua solita "FacciaDellaVittoria"™: un espressione che trasmetteva sicurezza,soddisfazione e compiacimento.
Se non la conoscessi da quando eravamo in fasce l'avrei probabilmente odiata. Con lei è così: o la odi o la ami.
Quando si tratta di Sydney è sempre così e d'altra parte non aveva torto a darsi un po' di arie: era capo del comitato studentesco,capitano della squadra di lacrosse (l'equivalente del capitano della squadra dei cheerleader nella nostra città)e "reginetta" del ballo della scuola. Il viso da angelo,gli occhi color indaco e la chioma bionda la rendevano uno dei più grandi clichè della universo,si distingueva dalle altre It-Girls solo perchè aveva effettivamente un cervello che non utilizzava per architettare ricatti o macchinazioni,bensì per diventare un avvocato.
Solo Meg aveva l'aria un po' sconsolata: tutto,dalle lintiggini sul viso ai capelli bruno-rossicci,trasmettevano delusione. Le soppracciglia erano aggrottate sui suoi profondissimi occhi verde giada e la bocca,piccola e carnosa,era imbronciata: tutto perchè era stata accettata al collegio di Stoccolma invece che a quello di Copenaghen. Ma non rimase abbattuta per molto: era una persona che prendeva le cose con filosofia.

Ero al settimo cielo per la mia partenza,nonostante qualcosa mi faceva presagire che si trattasse di un addio.
Feci una smorfia pensandoci,odiavo gli addii.

Nonostante la festa fosse in pieno svolgimento e le mie amiche avevano fatto un lavoro eccellente nel realizzarla,non me la sentivo di stare dentro,anche perchè l'unica persona che avrei davvero voluto lì,non c'era.

Sto parlando di Jason,mio fratello maggiore. Nonostante i quattro anni e i dieci centimentri che ci dividevano,ci eravamo sempre considerati come gemelli; in effetti la nostra somiglianza era impressionante: stesso colore dei capelli (una tonalità color cenere,che nei mesi estivi tende al biondo e in quelli invernali al color nocciola),stessi occhi (taglio leggermente a mandorla,colore cangiante tra il verde,il grigio e l'ambrato) e entrambi abbronzati (caratteristica atipica per dei canadesi e che i nostri fratelli non possiedono).
Ma non eravamo quasi identici solo nell'aspetto fisico,anche i nostri caratteri erano molto simili,ci accomunavano il desiderio di vedere il mondo,la lealtà,il senso del dovere e un'indole solare.

Ovviamente lui non poteva lasciare la marina militare per una stupida festa,anche se si trattava di quella della sua "gemella".
Non lo vedevo da ormai tre mesi e anche se sapevo che arruolarsi era l'unico modo in cui avrebbe potuto vedere il mondo e aiutare allo stesso tempo la sua famiglia,odiavo non poterlo più vedere tutti i giorni,correre insieme,prenderci in giro...
Mio padre era orgoglioso della sua partenza e malgrado anch'io cercassi con tutte le mie forze di esserlo,non ci riuscivo.

Sentì un frusciò dietro di me. "Jeremy!" esclamai,colta di sorpresa,rischiando di sbilanciarmi e cadere giù.
Per tutta risposta,il mio fratellino (più piccolo di me di soli due anni)si sedette di fianco a me,senza parlare,cercando di imitare il modo di fare di Jason,che riusciva a leggermi dentro con estrema chiarezza e,malgrado tutto l'impegno che ci mise,fallì miseramente: aveva spezzato le pareti che mi isolavano dal resto del mondo e facendo ripartire il tempo. Lo fissai,in attesa che dicesse qualcosa.
"Ti ho portato una cosa" mi disse porgendomi un pacchetto rettangolare avvolto in della carta velina nera. Aprì il regalo: si trattava di un bellissimo quanderno di pelle nera,fatto a mano e decorato con complessi ghirigori. Stranamente sentì fin da subito che quell'oggetto mi apparteneva,una sensazione che avevo provato solo con la mia vecchia polaroid (l'"aggeggio" col quale avevo passato quasi ogni minuto del mio tempo dall'età di sei anni: alle medie l'avevo malamente dipinto di un azzurro metallizzato e col tempo lo avevo decorato con coloratissimi adesivi dai motivi indiani,non avevo mai sentito la necessità di liberarmene,nemmeno quando al mio quindicesimo compleanno ricevetti una reflex della Canon nuova di zecca).
Non ero mai stata una grande fan della scrittura,ma ho sempre attribuito un grande valore ai ricordi,infatti avevo l'abitudine di segnare i fatti più significativi della mia vita (un numero a dir poco esiguo) su un vecchio quadernetto scolorito,nascosto nel retro della cornice di uno dei mille quadri appesi nella mia stanza.
Ma quel quaderno: era davvero impressionante,esercitava su di me una strana attrazione e mi incitava a fare del mio meglio per imprimere sulla carta i miei pensieri e i miei ricordi.
Abbracciai mio fratello e gli sussurrai un semplice grazie sapendo che,per una volta,avrebbe capito l'implicito significato di quelle parole,ovvero un "MiDispiaceDiEssereStataTroppoDuraConTe,TiVoglioBene&SperoDiRiuscireAFarmiPerdonareUnGiorno".

Dopodichè rientrai in casa e mi riunì ai festeggiamenti: ballando e cantando riuscì a togliermi dalla testa i ricordi che mi avevano tormentata fino a quel momento e a liberare il mio cuore dalla morsa di un presentimento assurdo e decisamente poco gradito e cioè quello che questa sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto i miei amici e la mia famiglia.

Il mattino seguente era venuto il tempo di salutare per l'ultima volta la mia famiglia.
Stampandomi un sorriso in faccia,come facevo sempre quand'ero nervosa,
abbracciai mia madre,la cui carnagione pallida risaltava ancora più del solito.Chissà se era merito della luce o dei capelli neri che le incorniciavano il viso.
Poi venne il turno di mio padre,un uomo di mezz'età alto e abbronzato,
della mia unica sorella maggiore Amanda che,per la prima volta da molti mesi,vidi con gli occhi lucidi; di Jeremy e,infine,di Mellie che mi tese la piccola manina e mi diede un piccolo ciondolo a forma di sole. Sorridemmo entrambe e ci salutammo con un abbraccio.
"Ti porterà fortuna" mi disse,fissandomi con i suoi vivaci occhioni di un colore indefinito tra l'ambra e il nocciola.
Ma non era il momento di perdersi in chiacchere così rivolsi un'ultimo sorriso a tutti i presenti ed entrai nella jeep wrangler di Ian,il migliore amico del mio fratello preferito,rimasto nella nostra città a fare da mentore ai ragazzi più piccoli.
Avevo già caricato le valigie,così mi sedetti sul sedile del passeggero. Ian mi rivolse il suo solito sorriso fraterno e mise in moto.

Mi ritrovai sul sedile dietro,insieme alla sorellina di Ian,Bethany,e a suo cugino Tommy. Non riuscivo a sentire niente di quello che la giovane Beaulieu mi stava dicendo,ma potevo intuire che si stava lamentando per la sua pelle candida a confronto con la mia. Stavamo tornando dal mare e Tommy pel di carota non smetteva di tormentare i capelli neri della cugina. Osservavo lo spettacolo divertita,cantando a squarciagola con Ian. Poi notai degli occhi identici ai miei nello specchietto...Jason! Era proprio lì,al posto del conducente.
Stupita sorrisi e mi piegai per abbracciarlo,ma...

"Abby?" la calda voce di Ian mi riportò alla realtà: stavo di nuovo ricordando una delle estati passate con Jason. "Tutto bene?Mi sembri silenziosa oggi." mi chiese,e sapevo che la preoccupazione che sentivo nella sua voce era autentica. "Ma certo!" esclamai col tono più convincente che avessi mai simulato. Per non destargli sospetti,ma anche per farlo stare un po' zitto,l'unico rimedio era tirare fuori una macchina fotografica,così presi la mia vecchissima polaroid e gli scattai una foto: quel semplice gesto servì a rassicurare entrambi.

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Capitolo 2
*** The End in the Beginning ***


"Imbarco al gate 19 per il volo AK457 Toronto - Londra iniziato" disse una voce annoiata con un marcato accento ispanico dagli altoparlanti. Sicuramente avrebbe preferito passare la giornata in una spa invece di coprire il turno della sorella.
Dovrei smetterla di immaginare la vita di perfetti estranei mi dissi,dando una veloce occhiata al biglietto: si trattava del mio volo.

Mi girai verso Ian,incerta su come salutarlo.
Mi morsi l'interno della guancia accorgendomi di avere gli occhi lucidi: mi sarei odiata se avessi versato un'unica lacrima in quel momento rendendo ancora più difficile quell'addio.

Eravamo nello stesso punto in cui mesi prima avevamo salutato Jason.
Da quel giorno avevamo passato ogni notte sui tetti delle nostre case,cercando di farci forza e andare avanti.
Ci sfogavamo la notte per riprendere a essere i soliti Abby e Ian al mattino seguente,o almeno a sforzarci di esserlo.

Volevo ricominciare,una tabula rasa e quel viaggio mi dava la possibilità di farlo,ma allo stesso tempo avevo paura di lasciare il mio vecchio mondo alle spalle e avrei dato di tutto per poter ritardare quel momento. Ma era inevitabile e nessuna bella parola avrebbe potuto renderlo meno doloroso o più facile.
Frasi fatte,auguri,congratulazioni… No,lui era sincero,forse troppo: non mi avrebbe mentito,sapevo benissimo che anche se voleva davvero essere felice per me (e una parte di lui lo era davvero)mi odiava per essermene andata senza ammettere,nemmeno una volta,quello che cominciavo a provare per lui.

E cavolo se faceva male. Mi sentivo morire dentro perché lo stavo lasciando lì,troppo codarda per ammettere che in uno strano modo lo amavo.
Avevo la gola secca,il cuore che pompava il mio sangue a rilento,stanco e affannato. Sentivo la mia pelle abbronzata diventare fredda come il marmo,la bocca semiaperta come per dire qualcosa ma la verità era che non riuscivo a trovare le parole.
No,questa è una bugia. Sapevo esattamente quello che dovevo dirgli: solo due parole,cinque lettere. Ma non l'avrei mai fatto.
Era meglio così,mi avrebbe dimenticata presto.
Un'altra bugia.

Bugie,bugie e solo bugie.
Mentivo a me stessa e a lui.
Lo sapevamo entrambi e ci stavamo profondamente male.

Evidentemente non ero abbastanza brava a nascondere il mio tumulto interiore perché mi circondo con le sue braccia,come un fratello comprensivo.
E questo suo fare mi faceva odiare ancora di più me stessa.
Il suo sguardo ferito era tutta colpa mia.
Ero solo una sciocca e stupida ragazzina,non avrebbe mai dovuto affidarmi il suo cuore.

"Ian…" Mi guardò negli occhi,quei penetranti e famigliari occhi blu.
Sospirai. "E' come un cerotto" mi dissi, "Farà male all'inizio ma poi passerà".
"Io non ti amo." gli dissi guardandolo dritto negli occhi,sfoderando la mia "vera" faccia da poker,quella che utilizzavo quando essere credibile era una questione di vita o di morte.

"Mi dispiace,ma è così" sussurrai,trattenendo le lacrime.
Sciolse il suo abbraccio e mi guardò con rabbia,per la prima volta nella mia vita l'avevo visto così ferito,vulnerabile e pieno di odio verso di me.
E fu così che uscì dalla mia vita. Per sempre.

Sapevo di aver fatto la cosa giusta,avrebbe continuato a pensare a me per qualche settimana e quella ruffiana di Hayley lo avrebbe consolato e gli sarebbe stata accanto come un piccolo cagnolino fedele. Quella ragazza aveva un debole per Ian da anni e sarebbero stati bene insieme. Lui l'avrebbe addolcita e lei lo avrebbe rinvigorito con l'energia che un tempo possedevo anch'io.
Probabilmente si sposeranno dopo il liceo e vivranno nella casa sulla collina dei Donovan con un cane e tre figli biondi.

Mi girai verso il gruppetto di studenti che mi stavano aspettando: due ItGirls,il classico e (diciamocelo ormai banale) TipoAltoMisteriosoFintoDark™ che va tanto nei romanzetti della Mayer,lo SportivoSensibileAncheSeNonSembra™ e la TimidaIntelettuale™.

La bionda simil-barbie mi guardò con il suo sguardo vitreo e annoiato,continuando a masticare a bocca aperta una cicca alla fragola: vestita all'ultima moda,non le importava altro che delle calorie,del suo peso e dei capelli biondi (evidentemente tinti),sciolti sulle spalle.
Non ho niente contro le ragazze che si prendono cura del loro corpo: ma era evidente che quelle due avevano a cuore solo la bellezza del loro corpo e non il loro benessere fisico. Odiavo ragazze come quelle come odiavo Joan: nonostante tutte le notti che avevamo passato davanti al suo letto,le esortazioni a mangiare,i tentativi di capire,i ricoveri… Era morta. Ridotta a un mucchietto di ossa continuava a inseguire quella malsana ossessione.

Guardai la seconda ItGirl e mi senti mancare il pavimento da sotto i piedi: era la copia esatta di Joan,solo di un paio d'anni più grande e meno magra.
Alta,occhi verdi,pelle chiara e lentiggini dorate sulle guance,capelli color mogano,una volta così lisci e settori,invidiati da tutte le sue amiche,erano ridotti a pagliuzze e accuratamente nascosti da una parrucca di ottima fattura. Il rossore sulle guance era solo un tocco di fard che si applicava la mattina presto prima di colazione e un trucco nude da sfoggiare di prima mattina coi genitori per sembrargli in ottima forma. Chiaccherava velocemente mentre tagliava i pancake in tanti piccoli pezzettini,rassicurandogli su quanto le piacevano ed erano buoni,ma doveva proprio scappare e non era nemmeno riuscita a mettersi un po' di lucidalabbra quella mattina.
La giacca oversize per nascondere le braccia troppo magre era poggiata sulla sedia vicino a lei.

Il FintoDark e MisteriosoPerScelta mi afferrò prima che cadessi al suolo,battendo di pochi attimi lo sportivo,ma con nessuna traccia di cortesia nel suo gesto.
Quando vide che riuscivo a tenermi in piedi mi lasciò andare e mi ignorò completamente. Anche se consideravo quel gesto profondamente maleducato,ne fui sollevata: non ero dell'umore di dare spiegazioni ed essere carina con lo stereotipo del ragazzo che detesto. Purtroppo lo sportivo,anche se molto più piacevole,non seguì la stessa tecnica e cominciò a chiedermi se mi sentivo bene.
Troppo stanca per mentire,così mormorai un timido "non proprio". Lanciai un'altra occhiata alla doppelganger di Joan,sapendo che non si poteva trattare dell'originale: avevo visto la sua bara calare in una buia fossa,sentito l'odore acre della terra che fu usata per seppellirla,sentito i singhiozzi disperati dei suoi genitori. Non poteva essere lei.

Mi rigirai verso il ragazzo che mi aveva aiutato,cercando di essere carina a mia volta,dando inizio allo "Dolce&Solare(ForseUnPo'StorditaMaInModoCarino)Abby" Show. Una volta mi veniva naturale,ma adesso dovevo sforzarmi un po'.

Salimmo sul grande aereo della Air Canada,probabilmente un Air Bus 868.
Salendo quelle scale alzai,per l'ultima volta,gli occhi al magnifico cielo di Toronto.
Entrammo salutando le hostess,sorridenti malgrado la loro stanchezza.
Il mio posto era il 34B,tra lo sportivo (che in seguito scoprì chiamarsi Chester) e la TimidaIntelettuale™ Madleine.

La ragazza,un topo da biblioteca,non parlò molto: rimase immersa nella sua lettura cercando di evitare le poche domande che le rivolgevamo. Era piuttosto carina,anche se si nascondeva dietro alla montatura nera degli occhiali. Gli occhi grigi erano quelli di un coniglietto spaventato: mi veniva voglia di avvicinarmi a lei,inginocchiarmi e stringerle le mani dicendole,guardandola dritto negli occhi,che sarebbe andato tutto bene. Aveva delle piccole lentiggini dorate sulle guance,piccole briciole di sole impresse sulla sua chiara pelle. I dolci lineamenti del viso erano circondati da una folta chioma castano chiaro. Era vestita in modo semplice e pragmatico,la sua insicurezza la spingeva a nascondere il suo corpo il più possibile.

Chester mi parlò della sua passione: il canottaggio. Aveva guadagnato proprio grazie a quella la sua borsa di studio. Ammiravo la sua dedizione allo sport e ne ero impressionata. Lui trovava interessante le mie fotografie e io,come tutti gli artisti,avevo bisogno di poter raccontare le storie dietro le mie "opere" (non sono ancora gran chè,hanno bisogno di più tecnica e spessore,ma è proprio per questo che ho fatto domanda alla Collins: ha uno dei migliori corsi di fotografia d'Europa).
E devo ammetterlo,i suoi complimenti mi facevano sentire una vera artista,cosa che ben pochi riuscivano a fare. La maggior parte sbiascicava parole nelle quali non credeva veramente,lo facevano solo per essere gentili o qualcosa del genere. I loro sorrisi sembravano autentici,ma gli occhi tradivano emozioni contrastanti o sguardi appannati,come se in realtà non fossero qui con me,ma con qualcun'altra,elogiando cortesemente il lavoro di un'illustre sconosciuta verso la quale si sentivano in obbligo,per un motivo ad entrambi sconosciuto. Ma con lui non era così: sentivo era davvero presente e quando parlava era sincero,perché i suoi occhi mi vedevano attraverso,come una volta avevano fatto quelli di Ian. Vedevano solo la mia essenza e non le maschere che mi ero cucita addosso. Nonostante questo,però,non erano ancora pronti a vedere le mie emozioni e la mia sofferenza,anche se inconsciamente riuscivano ad avvertirle.

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