Alla scoperta della storia

di FLPP
(/viewuser.php?uid=91684)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scoprendo se stesso ***
Capitolo 2: *** La scacchiera di sabbia ***
Capitolo 3: *** Stato di guerra ***



Capitolo 1
*** Scoprendo se stesso ***


La prima cosa che Ku Gaoxin vide quella mattina, fu il lento sorgere del sole ad oriente che illuminava man mano il tempio dalle pareti dorate e poi le risaie in lontanza. Quella mattina, il precettore lo avrebbe portato nella sala del trono, a conoscere suo nonno Huang Di, una giornata che attendeva da molto tempo.

Huang Di era stato il primo imperatore a sconfiggere Chi You, inventore delle armi in metallo durante una battaglia propiziata dalla nebbia che aveva tenuto nascosto l’arrivo dell’esercito dell’Imperatore Giallo al suo nemico e nella quale era stato possibile orientarsi grazie ad uno strumento che indicava sempre la direzione del nord in ogni situazione.

L’arrivo del precettore, fece trasalire Ku, che non attendeva così improvvisamente l’eunuco della tribù degli Huaxia, prima che un sorriso apparisse improvvisamente sul suo volto dirigendosi verso il solo amico che avesse dentro quel palazzo troppo grande per un ragazzo di 10 anni.

“Oggi è il grande giorno, maestro” si limitò tuttavia a dire, prima di sorridere appena osservando l’inchino che gli veniva rivolto prima ancora che giungesse la risposta, troppo ragazzo forse per capire in pieno che se così non fosse stato, difficilmente il precettore avrebbe visto la fine di quel giorno.

“Così pare, Ku Gaoxin… oggi conoscerai l’uomo di cui un giorno dovrai ereditare l’impero e l’arte del comando, entrambe cose difficili da sopportare per uomini ben più anziani di lui. L’uomo che ha destinato me al tuo insegnamento - fu la risposta che venne finalmente pronunciata, prima di muoversi lentamente in direzione della porta che venne subito aperta da una coppia di eunuchi che non mostravano il proprio volto, mentre le guardie imperiali marciavano lentamente in tutto il lungo corridoio – sai che tuo nonno, è stato il primo ad usare la bussola in battaglia? E che ha creato questo utilissimo congegno, per poter mostrare sempre lo stesso lato delle sue statue sui carri durante i viaggi.” Venne piano piano aggiunto, continuando così la lezione anche durante questi momenti di movimento altrimenti silenzioso, prima di uscire allo scoperto ed apparire così la meraviglia del giardino curatissimo del palazzo imperiale, curato personalmente da altri eunuchi.

Un palazzo enorme, per una potenza ancora maggiore che aveva sconfitto grandi popoli in battaglie memorabili, pensieri enormi che schiacciavano il ragazzo durante questi opprimente silenzio.

“Maestro, ma se mio nonno ha fatto tutte queste grandi cose… perché gli altri bambini, non possono studiare insieme a me? Perché tutti noi dobbiamo studiare separati? Il sapere, è per tutti…” e non seguì altro a quella dichiarazione improvvisa, perché il precettore aumentò la sua andatura, così da arrivare prima al portone ed evitare una così difficile domanda, che presupponeva una risposta difficilmente spiegabile a chi era così piccolo e così ingenuo.

Arrivati davanti alla porta della sala del trono, altri eunuchi che non mostravano il proprio volto aprirono lentamente i portoni, mentre i soldati di scorta con i lunghi mantelli stavano immobili ad osservare davanti a loro in silenzio, senza notare apparentemente il ragazzo che entrava ma impedendo al precettore di entrare all’interno della sala. “Mi raccomando Ku Gaoxin, rispetta sempre la tua etichetta e ricordati che hai davanti la persona più importante e potente del mondo. Rispettalo sempre, provane stima ed ammirazione e non fare domande sconvenienti, ma rispondi a tutte quelle che ti farà. Così, avrai più possibilità di essere il suo erede. Cadi sette volte, rialzati otto.” Dopodiché, lo Huaxia si allontanò lentamente in direzione dei propri alloggi, fermandosi di tanto in tanto a controllare alle sue spalle quella sala, alla ricerca con lo sguardo di quel ragazzo cui voleva bene.

Ku Gaoxin, rimase qualche attimo immobile, passando dalla calda luce del sole al buio opprimente della sala del trono, prima di abituarsi all’oscurità che lo attanagliava lasciandoli addosso una sensazione di vecchiaia che lo prendeva, oltre che di mitico inaspettato.

“Vieni avanti, nipote… fatti vedere” furono le parole che uscirono improvvisamente dal trono, dove una figura anziana ed attenta osservava attentamente quel ragazzo, come se ne volesse scrutare ogni singolo pensiero ed ogni angolo recondito della mente. “Sì, Imperatore Giallo” fu la risposta improvvisa e quanto più possibile serena, mentre osservava attentamente quel trono sentendolo suo già in quel momento.

E quelli occhi, che avevano visto grandi battaglie e grandi vittorie, iniziarono ad osservare in ogni sua parte il volto del ragazzo, cercado sempre più di leggere i pensieri quasi. Era facile, in quel momento, capire perché Huang Di venisse ritenuto una divinità capace di grandi cose, oltre che un eroe per tutti i sudditi.

“Ku Gaoxin, tu sai chi sono io, vero? E sai quello che ho fatto e quello che ho inventato in passato, per ottenere i miei scopi?” lasciando poi il silenzio pesante dopo quelle poche frasi, in attesa di avere una risposta dal ragazzo che iniziò lentamente a meditare, attendendo il permesso di sedersi che arrivò poco dopo, permettendogli così di inginocchiarsi compostamente, prima di rispondere finalmente così “Tu sei Huang Di, Imperatore Giallo e signore delle tribù degli Huaxia e degli Hmong, colui che è riuscito a vincere le battaglie con il favore degli dei ed avendo modo di usare le armi moderne di battaglia, colui che ha sconfitto il mostro Bai Ze e che per primo ha mostrato sempre lo stesso volto della sua statua, indipendentemente da come il carro che la trasportava fosse curvato.” Tutto d’un fiato improvvisamente, lasciando poi che il silenzio tornasse per alcuni attimi nella sala, mentre il volto del vecchio imperatore veniva improvvisamente diviso da un sorriso che si formava lentamente sul volto.

“Noto con piacere che il tuo precettore, ti ha insegnato bene Ku Gaoxin… esatto, io sono tutto quello che hai detto e sono anche tuo nonno, non lo dimenticare mai. Ho voluto incontrarti quest’oggi, perché tutti i miei consiglieri insistono affinché io scelga il mio erede sul trono del nostro impero. Tu, sei di tutti i miei nipoti, quello che maggiormente mi assomiglia e che maggiormente ama come me, la cultura pur non sopportando che altri possano contendere il nostro primato. E, per questo motivo, io ho intenzione di scegliere te come mio successore – venne annunciato improvvisamente, seguito dall’ingresso nella sala di alcune guardie imperiali che iniziarono ad osservare attentamente il prossimo imperatore – a te, io lascio in eredità quello che da solo, ho saputo costruire e l’obiettivo di aumentarlo e migliorarlo dove ho sbagliato.”

Il silenzio che ne seguì, durò per molti minuti probabilmente, poiché il ragazzo divenuto futuro imperatore non era certamente capace di capire quello che gli era appena accaduto, mentre il saggio che sedeva sul trono all’epoca, attendeva una replica qualunque alle sue parole con pazienza che da un uomo con il suo potere, nessuno si sarebbe mai potuto attendere. Quando finalmente giunse la risposta, il silenzio era quasi palpabile ormai per tutti i presenti.

“Accetto, Imperatore Giallo. Prometto che sarò all’altezza della tua eredità e che migliorerò in tutto quello che potrò – inchinandosi poi lentamente dopo queste parole dette con serietà che nessuno si sarebbe atteso da quel ragazzo – ed adesso, chiedo quale è il tuo primo ordine per me, Imperatore Giallo.”

L’incontrò, ebbe termine poco dopo. Dopo alcuni mesi, Huang Di morì seduto sul suo trono, come avrebbe sempre voluto e Ku Gaoxin divenne così imperatore. Ricordò sempre le richieste di suo nonno, istituendo per primo le scuole cinesi e favorendo la diffusione della cultura. In onore del nonno, fece redigere il Bai Ze Tu, un libro illustrato nel quale erano contenuti tutti i mostri dell’Impero Cinese e sotto il suo Regno, la pace regnò sovrana per molto tempo.


Come ho scritto nell’introduzione, erano capitoli della raccolta “Parlando nel buio” che adesso, diventano capitoli di questa nuova raccolta per restituire interesse all’altra ritenendo io per primo questi racconti inferiori agli altri. Buona lettura

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La scacchiera di sabbia ***


Fu veramente strano per Rotprando, tornare in quella valle dopo tutto questo tempo.

Quel monaco dall’aspetto dismesso, passeggiava lentamente osservandosi attorno con le mani congiunte sotto le maniche del saio, il volto coperto che lasciava intravedere solamente due occhi azzurri profondi ed anziani come aspetto che parevano essere velati da alcune lacrime, mentre la bocca non vista si muoveva leggermente al ritmo di alcune preghiere sussurrate.

 

Cavalieri. Tanti cavalieri che si muovono all’unisono dirigendosi verso questa valle, l’ideale per un accampamento notturno. Riparata a nord, un fiume a sud ed una pianura continua che spazza da est a ovest permettendo così di vedere per miglia e miglia. Su di un cavallo nero, è un cavaliere teutonico dall’aspetto nobile e dalla statura imponente. Gli occhi azzurri e profondi si guardano attorno, studiando tutto quello che lo circonda e memorizzando ogni particolare così da potersi poi orientare se dovesse restare da solo.

Uno scudiero si avvicina timidamente, osservando il cavaliere titubante prima di allungare dolcemente una mano per afferrare le briglie del cavallo ed aiutarlo a scendere, se necessario. Un calcio, segue quel gesto e giunge proprio da questo cavaliere con gli occhi azzurri che si ritrae e si volta ridendo verso un altro cavaliere che lo affianca.

 

“Padre… cosa dobbiamo fare qua?” domanda improvvisamente un ragazzo, scuotendo così dal torpore il monaco che sembra tornare lentamente in sé e che per alcuni istanti rimane silenzioso ad osservare chi lo ha scosso, senza parlare.

“Quella costruzione che si vede poco lontana, è un monastero… andate là a nome mio e chiedete di poter trascorrere la notte là… vi raggiungerò prima dell’alba sicuramente” e detto questo, rimase silenzioso ad osservare il gruppo di pellegrini che lentamente si muoveva nella direzione indicata senza chiedere niente.

 

Lo scudiero che ha subito il calcio, cade all’indietro e non ha il coraggio di alzare lo sguardo, mentre un altro cavaliere smonta di cavallo e lo va a soccorrere. Il teutonico invece, continua a ridere di quello che ha appena fatto, prima di smontare lentamente di sella e muoversi in direzione dello sventurato colpito poco prima. “Nessuno, può toccare il mio cavallo fuori che me… sono stato chiaro?” e senza nemmeno attendere la risposta si dirige lentamente in direzione di altri cavalieri dall’armatura simile e dall’aspetto altrettanto austero e nobile.

Si avvicina lentamente un uomo dall’aspetto trasandato, osservato con disprezzo da tutti quanti e che pare quasi sentirsi onorato dell’odio che la sua figura scatena in tutti i nobili che lo vedono passare e nel terrore più puro che prende tutti gli scudieri e paggi vari. Re Tafur si dirige proprio accanto al cavaliere Teutonico, che così tanto ama il suo cavallo da prendere a calci uno scudiero, sorridendo non appena gli è accanto ed osservando con attenzione il gruppo verso il quale si è avvicinato.

 

Lacrime… ora che è rimasto solo, sono proprio lacrime quelle che improvvisamente cadono dagli occhi dell’anziano Monaco. Gli occhi sembrano persi dietro a ricordi che il tempo non ha sbiadito, mentre l’espressione è di chi oramai fatica a distinguere il vero dai sogni. Non riesce a restare ulteriormente in piedi, è costretto a mettersi seduto ed osservare quella vallata così da vicino. Gli sembra quasi, di sentirla vibrare ancora.

 

Rumore di ferro, terra che trema e dietro di loro, una scia di terrore e morte che nessuno avrebbe mai immaginato. Davanti, l’armata dei tafur, ciò che resta della crociata dei poveri che adesso, volevano combattere con loro e che seminavano morte e distruzione ancora più che l’esercito vero e proprio. E ancora più oltre, la terra promessa da liberare. Eppure, in quel momento tutti i cavalieri Teutonici sono riuniti e stanno parlando per conto loro di donne, birra, buon cibo ed armi. “La porta della Terra Santa è Acri. Ma, il cuore è Gerusalemme… e così, le donne migliori sono là…” e così via, con altri discorsi dello stesso tipo. Re Tafur, autonominatosi re dei tafur, ascolta senza dire nulla, ma sempre sorridendo divertito da quello che sente. Nessuno, osa cacciarlo via e nessuno osa dire niente contro di lui.

Il tempo scorre, forse troppo velocemente. O, forse alcuni ricordi sono un po’ svaniti con l’avanzare dell’età. Il cavaliere, adesso è improvvisamente in una tenda, che si sveglia improvvisamente nella notte perché sente dei rumori fuori della sua tenda. La mano destra prende la spada, prima di muoversi lentamente per uscire così dal giaciglio ed avanzare in direzione dell’apertura. Un uomo, sta scappando mentre qualcosa si trova davanti alla sua tenda per terra, con una sostanza scura che sgorga e si spande sulla bianca sabbia illuminata dalla luna piena.

 

Lacrime ancora più copiose sgorgano adesso, al ricordo di quello che accadde.

 

Un cavallo nero privo di testa, uno scudiero che scappa velocemente vestito da straccione. I tafur, non accettanotorti, siano essi alleati o meno. Il giorno dopo, i cavalieri scoprendo l’accaduto, iniziano a discutere tra di loro. Quand’ecco, che la terra inizia improvvisamente a tremare ed il rumore del ferro si sente, mentre all’orizzonte appare una nube di polvere. Il silenzio cala improvvisamente su tutti i presenti, prima che si inizino a strillare ordini da una parte all’altra. Cavalieri scattano come molle a prendere quanto più velocemente possibile armi ed armature, paggi e scudieri corrono a prendere cavalli. Eppure, nessuno dei due attacca. Il nemico si ferma al di là dal fiume in attesa. Un’attesa palpabile, che fa sentire il panico crescente. Cavalieri vomitano improvvisamente, mentre dall’altra parte nessuno si muove e tutto pare fermarsi.

 

La mano destra va a toccare lentamente il terreno, prima di chiudersi a pugno e sollevare un po’ di argilla ed avvicinarla al volto, per annusarla ancora una volta.

 

È il silenzio che si diffonde sempre di più, rotto unicamente dal nitrire dei cavalli e dal rumore del lento scorrere del torrente. L’eternità che avanza secondo dopo secondo senza arrestarsi.

 

Un torrente che continua ad avanzare anche adesso che sono passati molti anni da quella battaglia. Un torrente che ha fatto parte della storia per un giorno, ma che adesso è tornato muto per l’uomo.

 

Nessuno da l’ordine di varcare il corso d’acqua. Da nessuna delle due parti, si decide di ingaggiare battaglia. I cavalieri Selgiuchidi montano il campo e la vita riprende lentamente per tutti adesso.

 

Le mani tornano a toccare il terreno, le narici sono però impregnate dell’odore dell’argilla e dentro di sé, Rotprando si convince quasi di essere tornato giovane.

 

È già buio, quando improvvisamente un cavaliere attraversa il torrente lentamente a piedi e si dirige verso l’accampamento teutonico. Incontra per primo il cavaliere a cui è stato ucciso il cavallo la sera prima, che lo osserva senza dire nulla, immobilizzato dal terrore improvviso. È stato lui il primo a vomitare quel pomeriggio, così non è riuscito a cenare adesso. “Partita a scacchi?” è la domanda improvvisa fatta dal Selgiuchide, che lascia sbigottito il teutone alcuni istanti, prima di annuire lentamente ed accettare questa sfida.

 

Le lacrime tornano improvvisamente a cadere copiosamente, mentre i ricordi di un vecchio tornano a galla con forza.

 

“Io sono Yurdakuli” furono le parole che disse dopo, mentre preparavano la scacchiera. “Piacere… Rotprando…” fu la timida risposta che ottenne, prima di iniziare la partita. E non visti, molti altri teutoni e segiulchidi si avvicinavano lentamente ad osservare la sfida.

Una sfida piacevole, nella quale si parlò molto a lungo e nella quale, non visti, i tafur arrivarono nel silenzio assoluto fin dentro l’accampamento musulmano. Il massacro, iniziò dalle famiglie dei cavalieri che seguivano l’esercito, quindi toccò a tutti i servitori e rimasero poi in attesa.

 

Un numero ancora maggiore di lacrime inizia a cadere. Le narici iniziano ad essere impregnate di un altro odore lentamente, che dopo tutto questo non è mai riuscito ne a cacciare ne a dimenticare.

 

Yurdakuli vince la partita, si alza sorridendo e lentamente, si avvia per tornare al suo accampamento. Tutti lentamente si muovono per tornare alle proprie tende, ma allora  il vento si alza improvvisamente ed ecco che arriva quell’odore di sangue acre e pungente, che prende le narici di tutti. È allora, che le grida dall’accampamento di là dal torrente iniziano ad essere altissime assieme al rumore di spade che vengono sguainate nel buio della notte.

 

Il mattino dopo, il monaco non raggiunse il monastero come promesso. Lo trovarono seduto in riva al torrente, davanti aveva disegnato una scacchiera all’apparenza e sorrideva felice.


Questa è pura invenzione di chi scrive. La valle del racconto, non so se esista o meno, non so se vi siano mai stati ad affrontarsi personalità con questi nomi ne altro. Tutto è storico, ma rielaborato completamente in base anche ad una raffigurazione creata dopo la battaglia di Poitiers, nella quale si vedono un cristiano ed un musulmano giocare a scacchi dopo il tramonto. Buona lettura a tutti

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Stato di guerra ***


5 aprile 1992

 

Persino all’interno del carcere militare, fu impossibile non rendersi conto di quello che stava succedendo nelle vicinanze della città. Le detonazioni in lontananza, il rumore continuo dei colpi di mortai, le esplosioni che dilaniavano le case ed il suono incessante delle sirene dei mezzi di soccorso che laceravano l’aria nei brevi attimi in le armi da guerra tacevano.

 

Possibile che soldati che fino a pochi giorni prima erano nelle stesse caserme ed erano alleati, adesso si sparassero contro in una guerra tra fratelli difficile da capire? Eppure, per la prima volta tutti gli slavi si scontravano in una città da tutti vista da sempre come il campione dell’integrazione culturale tra religioni e popoli diversi.

 

Jovan Divjack cercò di osservare per alcuni istanti dalla finestra della sua cella quel poco che da dietro le sbarre era visibile, prima di desistere e dirigersi alla porta per attendere il passaggio del soldato di guardia e chiedere chiarimenti su quello che stava succedendo. Ma non fece nemmeno in tempo a chiedere, perché uno dei suoi carcerieri passò quasi subito davanti alla cella per informarlo di quello che stava succedendo nel centro della città.

 

“I bosniaci hanno iniziato una marcia verso la sede dei nazionalisti serbi, per tutta risposta le truppe serbe hanno mitragliato la folla uccidendo sul ponte alcuni manifestanti… è iniziata la guerra signore, ho l’incarico di liberarla e condurla al quartier generale Jugoslavo”.

 

Queste parole ebbero l’effetto di una doccia fredda, lasciandolo a bocca aperta mentre osservava brevemente il mondo che si apriva davanti a lui, soppiantando del tutto quello che fino allora aveva conosciuto e servito. Eppure, non si mosse nemmeno quando gli fu rinnovato l’invito, ma preferì rimanere immobile alcuni istanti, prima di sedersi improvvisamente su di una sedia nei pressi della porta stessa.

 

“Soldato, lasciami qualche istante per pensare - disse semplicemente, prima di continuare improvvisamente con una domanda inaspettata - dimmi, tu sei serbo, bosniaco o croato?”

 

“Signore, ma io ho l’ordine di… cosa? Ah… beh, sono bosniaco signore, ma al momento devo ubbidire agli ordini per non rischiare più di quanto lei immagini…”.

 

E seguì il silenzio, che fece sentire ulteriormente la ripresa di quella guerra. Giunsero persino dei colpi di mitra adesso, sparati non molto lontano, insieme al rumore di aerei che sorvolavano la città.

 

“Soldato, io sono serbo sai? Sono nato a Belgrado, ho studiato nelle scuole di Belgrado e ho prestato giuramento a Belgrado, per difendere però questa nazione contro tutti i nemici, esterni o… interni… e a quel che so, la costituzione prevede che ogni repubblica possa uscire dalla federazione, quindi mi spiace per i tuoi ordini, ma adesso andrò al quartier generale bosniaco e che ti piaccia o no, sia io sia te lotteremo per difendere questa città durante l’assedio, chiaro? E sappi, che essendo io un generale, anche se agli arresti, il mio ordine vale più di tutti quelli che hai ricevuto, quindi muoviti!” E senza nemmeno attendere per controllare che fosse seguito, Jovan si diresse senza pensarci due volte verso il municipio di Sarajevo.

 

8 aprile 1992

 

“Generale Divjak, perché lei ha deciso di schierarsi con noi? Insomma, lei è serbo… il suo governo non è questo…”.

 

Il sindaco di Sarajevo non era ancora così convinto sulla buonafede del neo-nominato.

Vice Comandante della Difesa Territoriale della Bosnia-Erzegovina e non lo nascondeva certamente.

 

“Signor sindaco, dobbiamo pensare all’alimentazione dei bambini della città, di qualunque etnia siano… e dobbiamo anche provvedere ai doni per le festività che comunque incontreremo, indipendentemente dalla religione praticata. Inoltre, ho scoperto che in alcuni quartieri della città, non si vendono alimenti ai serbi e viceversa. Dobbiamo porvi rimedio, non credete? Anche perché, non possiamo continuare a mantenere aperti i mercati cittadini, sono a rischio bombardamento. Le consiglierei, inoltre, di disdire le partite di calcio non crede? Lo stadio è in una zona facilmente raggiungibile da parte delle truppe che ci circondano…”.

 

Tutti suggerimenti validi, eppure l’interlocutore del generale non parve prenderli eccessivamente sul serio perché scosse la testa e se ne uscì dalla stanza rispondendo solo sulla soglia della porta con una frase purtroppo tipica nei confronti del militare che trasmetteva tutto il suo odio etnico… “Quando vorrò ascoltare dei consigli di un serbo, lo chiederò, non creda!”

 

2 maggio 1992

 

Il telefono quella mattina stranamente non sonò, così come la luce non si accese e l’acqua non entrò in circolo quando aprì il lavandino. L’assedio raggiunse purtroppo la fase peggiore, eppure non era ancora arrivato il peggio. Alla riunione dello stato maggiore di quel mattino, Jovan si presentò come tutti gli altri senza essersi potuto rasare correttamente. Eppure, tutti loro erano al proprio posto.

 

“Generale, si alzi in piedi – esordì il primo ministro bosniaco – data la capacità dimostrata a tutt’oggi di respingere gli attacchi nel resto del territorio nazionale, le affidiamo l’incarico di supervisore della difesa per la città di Sarajevo, poiché ormai è chiaro che è solo questione di tempo e noi saremo attaccati pesantemente dall’armata popolare jugoslava”.

 

“Grazie signor primo ministro… vi suggerisco allora, come ho già detto al sindaco il mese scorso di modificare la normativa sui mercati all’aperto e sulle attività sportive, poiché una città sotto assedio e sotto bombardamento come la nostra, non può permettersi il lusso di mantenere queste attività pubbliche continue… inoltre, dovremo trovare una soluzione all’assenza di acqua, luce e gas… il caldo sta per arrivare e potrebbe aumentare i problemi che abbiamo. E mi creda, ne abbiamo già troppi per non desiderarne altri ancora”

 

Dette queste poche parole, se ne uscì dalla stanza e si diresse presso le batterie installate per rispondere agli attacchi controllando la disposizione delle truppe. Solo al termine dei controlli, si ritirò nel proprio ufficio per redigere un verbale diretto al governo ed al sindaco. Una delle sole buone notizie della giornata, fu la decisione dell’ONU di riaprire un aeroporto militare in disuso per rifornire di alimenti e di acqua imbottigliata la città.

 

1992/1993

 

La difesa sotto la guida del generale divenne più efficace, grazie anche alla collaborazione preziosa di volontari bosniaci che si arruolarono nell’esercito serbo, trafugando di notte granate anti carro e missili anti aereo e portandoli poi a rischio della propria vita nella città, incrementando l’armamentario difensivo così da poter contrastare maggiormente le azioni serbe.

 

“Generale… i serbi hanno conquistato un quartiere cittadino e… bombardato il palazzo del parlamento…”.

 

“Che quartiere hanno conquistato?”

 

“Novo Sarajevo… e sono riusciti a piazzare alcuni cecchini sui palazzi di quel quartiere, colpendo così le strade principali…”.

 

1 giugno 1993

 

“Una partita di calcio non dovrebbe essere ricordata per i suoi morti… dovrebbe essere ricordata per lo sport che si vede… quanti morti vi sono stati?”

 

“15 morti e ottanta feriti…”

 

Il generale rimase alcuni istanti immobile ad osservare la mappa che aveva davanti a sé, prima di dirigersi verso l’ufficio del sindaco con passo marziale e tutt’altro che sereno. Bussò educatamente alla porta, ma quando si sentì rispondere che là dentro non avrebbero voluto ricevere nessuno, sfondò la porta con alcuni colpi ben assestati sulla porta.

 

“Generale, è impazzito? Come si permette di agire così? Esigo che se ne vada subito dal mio ufficio!”.

 

“Mio caro sindaco, le ho consigliato oltre un altro fa di impedire eventi sportivi e mercati all’aperto, lei non ha fatto né l’una né l’altra… le ho consigliato di aiutare i bambini di entrambe le etnie, ma ho scoperto che i bambini serbi non ricevono gli aiuti ONU… le ho consigliato di non discriminare i serbi, eppure ho appena scoperto che in questi giorni persino i miei connazionali che hanno deciso di collaborare con il nostro governo, sono stati abbandonati nei quartieri conquistati dove sono stati massacrati… intende continuare ancora a lungo a combattere le mie decisioni?”

 

E qualcosa nel tono e nelle parole del militare erano così potenti, da impedire primo cittadino di replicare, ma solo di pronunciare alcune parole purtroppo innegabili.

 

“Con tutti i negozi chiusi, non posso impedire i mercati all’aperto purtroppo… le famiglie devono rifornirsi in qualche modo e nessuno può sostituirsi a questi istituzioni…”.

 

E quelle, furono le prime parole alle quali il generale non fu in grado di rispondere né di obiettare in qualunque modo. Erano, purtroppo le parole della realtà che non poteva essere negata.

 

5 febbraio 1994

 

L’esplosione in quell’occasione fu più vicina del solito. I rumori furono impressionanti, mentre si avvicinavano rapidamente a quella zona della città. Quando i boati passarono sopra al bunker in cui era riunito lo stato maggiore, la polvere iniziò a cadere copiosamente dal soffitto, mentre le luci oscillavano ampiamente sul soffitto mostrando così tutti i volti terrorizzati. Maggiore era la vicinanza all’ingresso, maggiormente le detonazioni erano potenti. Jovan si diresse in quella direzione correndo, noncurante di quello che stava accadendo là fuori e di quello che gli era strillato dalle persone che lo circondavano. Voleva vedere di persona quello che era successo.

 

Arrivato alle scale, iniziò a salirle notando subito che le luci erano saltate e che ai soldati di guardia erano esplosi i timpani per il rumore. Uno di loro era chinato su se stesso piangendo per il dolore, eppure alzò ugualmente il volto quando vide dall’ombra che una persona si era fermata davanti a lui e cercò disperatamente di salutare il generale, in segno di rispetto. La sola cosa che il militare notò, fu l’età giovanissima di quel ragazzo, intorno ai diciotto anni massimo. Un volto giovane, incorniciato da sangue e polvere, che difficilmente avrebbe dimenticato.

 

Lo riportò alla realtà, il rumore improvviso delle ambulanze che accorrevano e dei camion dei vigili del fuoco che si dirigevano rapidamente verso una zona purtroppo affollata… Markale, dove si teneva il mercato quotidiano di frutta e verdura.

 

Non era la prima volta che durante l’assedio erano colpiti posti particolarmente affollati, pochi mesi prima era stato colpito durante un bombardamento un centro di distribuzione dell’acqua dove erano in fila soprattutto giovani madri con figli piccoli. Tuttavia, quella fu forse la peggiore di tutte poiché in quei giorni, presso alcune bancarelle si vendevano anche costumi per il carnevale e così le vittime erano molte di più e proprio di quella categoria che il generale avrebbe voluto tutelare di più.

 

Come vi arrivò, vide su un lettino di ambulanza un corpicino inerme che tentavano disperatamente di rianimare. Aveva ancora addosso un costume da uomo ragno, macchiato però di sangue. Subito l’odore di morte e petrolio lo prese allo stomaco, costringendolo ad arrestarsi immediatamente all’ingresso del mercato stesso, osservando con occhi assenti tutto quello che lo circondava. Il lavoro disperato dei soccorritori, il lavoro disperato dei soldati e dei poliziotti che dovevano allontanare un numero considerevole di persone dal mercato. Eppure, un’altra volta furono alcune persone a colpirlo maggiormente ed a lasciargli un senso di impotenza superiore. Erano soprattutto madri, quelle che dovevano allontanare.

 

Per tutto il giorno, Jovan non riuscì a parlare. Improvvisamente apparve a tutti più anziano di quanto fosse appena poche ore prima, nessuno riuscì a togliersi di dosso l’immagine data dal generale mentre tornava in caserma ed andava a controllare la lista dei caduti. Ne, fu possibile scuoterlo facendogli leggere la circolare ONU nella quale si imponeva all’esercito serbo di interrompere le azioni di bombardamento sulla città.

 

Eppure, il giorno dopo lo sguardo tornò determinato, mentre decideva di accogliere tutti gli orfani della guerra in una struttura da lui scelta dove fondò l’associazione per favorire l’istruzione per tutti. Decideva così agire noncurante delle reticenti risposte che gli erano giunte fin’ora da parte di tutti coloro che lo circondavano, aiutando per quanto possibile in qualche modo proprio la popolazione non considerata né tutelata fino ad allora, nonostante le sue richieste continue e pressanti da quando aveva ricevuto gli incarichi per la difesa della città.

“L’istruzione costruisce la Bosnia” fu la sola frase che comunicò a chiunque gli avesse chiesto informazioni sul suo obiettivo, senza nemmeno alzare gli occhi dai fogli che aveva davanti.


Farò premessa ampia poiché la storia che avete appena letto è diversa dal normale. La figura è vera, i fatti storici narrati sono veri ma romanzati, poiché le riunioni dove lo hanno attaccato, non sono storicamente avvenute, il bambino che sicuramente avrete notato non so se ci sia stato oppure no. Vorrei che fosse ben chiaro che non voglio attaccare nessuno, ma solo parlarvi di un uomo (vi invito a cercarlo su wikipedia per maggiori informazioni) che nonostante fosse di un popolo diverso, volle lottare per quello in cui credeva e contro criminali che si sono marchiati di massacri ed uccisioni dettate dall'odio razziale e basta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=609489