Do not follow me di JoJo (/viewuser.php?uid=4512)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sweet Home...Alaska ***
Capitolo 3: *** Hanged Man ***
Capitolo 4: *** Not good at all ***
Capitolo 5: *** Overprotective ***
Capitolo 6: *** Chapter 5, page 97 ***
Capitolo 7: *** Nameless face ***
Capitolo 8: *** Last chance ***
Capitolo 9: *** Wake up! ***
Capitolo 10: *** Back to reality ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
La
libertà
dell'individuo va limitata
esattamente
nella misura in
cui può
diventare
una minaccia a
quella degli altri
- John
Stuart Mill
La ragazza chiuse gli
occhi, lasciando
che i raggi tiepidi del sole le accarezzassero il viso.
L'inverno era alle porte e l'aria
frizzante e fresca aveva fatto sì che le si arrossassero le
guance, creando dei pomelli rossi all'altezza degli zigomi alti.
Si sfregò le mani una contro
l'altra, per scaldarsele leggermente e poi tornò a sfogliare
con attenzione il libro che si era appoggiata in grembo.
Lo sfogliava scettica, come se non
comprendesse realmente il significato delle parole che riempivano, in
righe fitte ed ordinate, le pagine ingiallite di quel tomo.
Alzò di nuovo lo sguardo e i
suoi occhi vagarono su ogni particolare del parco che la circondava,
ignara del fatto di essere osservata così attentamente.
Non era vicino a lei, ma dall'obiettivo
della fotocamera poteva vedere distintamente ogni singolo
particolare.
Che collana indossava, il portachiavi
di peluche attaccato alla borsa, la marca della bibita in lattina che
aveva appoggiato di fianco a sé su quella panchina.
Se avesse attivato lo zoom nel modo
ottimale, era certo che sarebbe potuto anche riuscire a leggere le
parole sulla pagina di quel libro che stava leggendo concentrata, la
fronte aggrottata per lo sforzo.
Critica della ragion pura. Non era il
suo genere, pensò.
Lui la conosceva, a lei non piacevano
quel tipo di libri.
Tornò a concentrarsi sul suo
volto e le mille espressioni che lo attraversavano.
Stava sorridendo.
Per un attimo gli sembrò anche
che si fosse voltata verso di lui e si ritrovò a chiedersi
se
lo avesse fatto veramente.
Dopo essersi sistemata meglio in testa
un basco di lana giallo limone, la giovane si alzò e lui
spostò l'inquadratura di modo di seguirla.
Le estremità del cappotto rosso
le ondeggiavano intorno alle ginocchia, in una danza ipnotica che
seguiva il ritmo dei suoi passi piccoli e veloci.
Mentre schiacciava il tasto per
scattare la foto e fermare per sempre quell'immagine, uno strano
brivido gli scese lungo la spina dorsale.
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Capitolo 2 *** Sweet Home...Alaska ***
Per
tutti la vita è
come un ritorno a casa: commessi viaggiatori, segretari, minatori,
agricoltori, mangiatori di spade, per tutti...
tutti
i cuori irrequieti
del mondo, cercano tutti la strada di casa.
-
Patch Adams
Da qualche parte sopra il cielo della
Georgia...
“Non sei un po'
grande per giocare a
videogiochi del genere, ragazzino?” la voce di Derek gli
arrivò
gioviale all'orecchio, proveniente dal sedile di fronte al suo.
Poco più in là Rossi
scriveva come al solito nel suo misterioso taccuino ed Hotch stava
dando l'ennesima lettura al rapporto del caso di cui si erano appena
occupati a New Orleans. Emily era totalmente immersa nella lettura di
un libro voluminoso e JJ sonnecchiava al suo fianco.
“Beh, c'è un ossimoro di fondo
nella tua affermazione e nel modo in cui mi chiami basato sul fatto
che...” rispose, mettendo in pausa il gioco ed alzando lo
sguardo
sul collega.
Morgan non potè impedirsi di far
roteare gli occhi “Reid...”
“Me l'ha regalato Alaska.” capitolò
quindi il giovane, con un sorriso che spuntò automaticamente
sul suo volto non appena pronunciava quel nome.
“La tua ragazza ti ha regalato Puzzle
Bubble?” rise l'uomo, divertito.
“Sì. Dice che giocarci
accrescerà la mia coordinazione occhio mano.”
spiegò
il ragazzo, riportando le parole che le aveva detto l'antropologa
quando le aveva dato quel regalo.
Per quanto non lo credesse possibile la
sua vita con Alaska stava procedendo a gonfie vele. Fino a quel
momento, oltre ai reciproci viaggi di lavoro, si erano separati
solamente durante le festività natalizie. Lei era andata a
passare il Ringraziamento in Alaska, dal padre, mentre lui si era
recato come al solito dalla madre a Las Vegas: si erano ricongiunti a
Natale, in Kansas, dove avevano passato la festa con l'originale e
caotica famiglia dell'antropologa. Aveva rivisto i due brillanti
fratellini gemelli di Alaska, aveva fatto la conoscenza della sua
bellissima e biondissima madre Olga, finlandese fin nel midollo, e
del suo nuovo marito, Karol, un polacco grande e grosso quanto un
orso bruno, ma decisamente più affabile.
Fra loro due tutto procedeva alla
perfezione, senza neanche una nube ad intaccare il clima perfetto che
si era creato fra di loro.
“E' un vero peccato che non eravamo
in città quando ha compiuto gli anni...”
commentò
Morgan, particolarmente in vena di chiacchiere. Erano dovuti partire
per quel caso a New Orleans proprio il giorno prima del ventiseiesimo
compleanno della giovane.
Spencer si strinse nelle spalle “Dice
che non importa. Ha detto che così organizzerà
una
festa di non-compleanno e che sarà più divertente
perchè dice che trova più bello ricevere dei
regali in
un giorno che non è il compleanno.”
Derek annuì, come se trovasse
davvero che quel tipo di ragionamento fosse logico e proprio nel
momento in cui stava a chiedere al giovane profiler se le aveva
già
consegnato i biglietti per Las Vegas che, insieme ad una vacanza il
cui scopo principale era farle conoscere la madre di Reid, era il
regalo scelto dal collega per la propria ragazza, il suo cellulare
iniziò a trillare, diffondendo nel jet l'allegra musica di
Hakuna Matata.
Spencer si affrettò a portarsi
il telefono all'orecchio.
“Indovina?” trillò Alaska,
saltando a piè pari ogni tipo di saluto.
“Indovina cosa?” le fece eco
Spencer, un po' confuso da quell'esordio.
Alaska rise, divertita “Quello che
devo fare oggi!”
Reid sbattè le palpebre, sotto lo
sguardo incuriosito di Morgan “Uhm...non so...Organizzi uno
scavo
per lo Smithsonian?”
“No.-disse con impazienza- Oggi sarò
praticamente una donna d'affari!”
“Una donna d'affari?” ripetè
il profiler, scettico.
“Sì!C'è un finanziatore
che vuole fare una nuova donazione e la vuole fare proprio al mio
reparto. Solitamente di queste cose si occupa Jeff. Ti ricordi di
Jeff?L'avevi conosciuto alla cena per festeggiare l'anniversario
dell'istituto, quel tipo basso e tarchiato con quel paio di baffi da
vichingo!”
Spencer aggrottò la fronte, in
seguito alla parlantina svelta della giovane “Sì,
credo di
ricordare. Come mai non può occuparsi lui di questa
cosa?”
“Ha preso la varicella, ci
crederesti?- continuò a snocciolare allegra Alaska- Non va
mai
a prendere sua figlia piccola all'asilo e quando ci va, riesce a
prendersi l'unico virus per cui non ha ancora sviluppato anticorpi e
per cui non è vaccinato. Tu hai fatto la varicella,
Spencer?Io
non mi ricordo, credi che sono a rischio di contagio?”
“Non credo, Al.- la rassicurò,
curioso di sapere quale fosse il vero nocciolo della questione- Vai
avanti, spiegami che devi fare oggi.”
“Incontrerò questo
finanziatore e lo convincerò a fare una cospicua donazione
al
reparto di antropologia!” rivelò, la voce acuita
dall'eccitazione.
Spencer sorrise, orgoglioso “Ci
riuscirai ne sono certo.”
“Grazie.- la voce di Alaska era
incerta, leggermente titubante- Uhm, per puro caso: sai dirmi quali
sono i miei appuntamenti di oggi?”
“I tuoi appuntamenti?” Reid era
interdetto da quella strana richiesta.
“Sì, quelli sulla mia agenda.-
spiegò alla svelta- Te l'ho fatta leggere proprio per
emergenze come questa. L'ho persa e credo di avere qualcosa di
importante da fare, ma non ricordo cosa.”
“Forse è proprio
l'appuntamento con questo finanziatore?” azzardò,
alzando un
sopracciglio
“No, ricordo esattamente che devo
incontrare Mr.Cashman, so luogo ed ora!”
“Ma non ricordi il suo nome...” la
punzecchiò, divertito.
“Beccata!-rise Ross- Tu lo sai?”
Reid fece velocemente mente locale
prima di parlare “Devi incontrare il signor
Gillian.”
“Il signor Gillian!- esclamò
tronfia Alaska, battendosi una mano sulla fronte- Ecco
perchè
quando pensavo a lui continuava a venirmi in mente Gollum!”
“E che cosa c'entrerebbe?” domandò
il profiler, non capendo il nesso fra le due cose.
“Gillian...Gollum...- spiegò
la ragazza con ovvietà- Sono nomi piuttosto simili,
no?”
Reid scosse la testa, un sorriso
divertito sulle labbra sottili e in quel momento di distrazione si
sentì sfilare dalle mani il cellulare.
Alzò lo sguardo e incontrò
il ghigno di Morgan, che stava mettendo la comunicazione in viva
voce.
“Quarantanove, smetti di perdere
tempo con il ragazzino e parla un po' con me.- la esortò il
bell'uomo di colore- Mi fate sentire escluso se fate
così!”
“Derek!- esclamò stupita la
giovane antropologa, dall'altra parte del filo- Sei anche tu
lì?”
“Perchè, dove pensavi che
fossi?- Mica pensavi che sarei tornato da New Orleans a
piedi.”
“Certo che no.- assicurò Alaska facendo una
breve pausa- Ero certa avresti utilizzato il teletrasporto!”
“Spiacente, Quarantanove- continuò
Derek, utilizzando per l'ennesima volta quel soprannome da lui
adorato- questa volta mi sono adeguato a mezzi più
usuali.”
“Ok, visto che sono in viva voce
propongo un sondaggio.- esordì con voce frizzante la
ragazza,
dopo che ebbe esaurito una risatina divertita- Sareste più
disposti a sganciare centomila dollari a una donna vestita con un
triste tailleur blu oppure con un vestito a pois bianchi?”
“Alaska, l'appuntamento ce l'hai fra
mezz'ora!- le ricordò Spencer- Sei ancora a casa a
prepararti?”
“Certo che no, sciocchino!Mi sono
portata al lavoro un borsone con i vestiti che potrei indossare:
così
ho più tempo per pensarci, no?”
Morgan inarcò un sopracciglio
“Non è molto pratica la cosa.”
“Certo che sì: il borsone è
un trolley!” lo contraddisse immediatamente Alaska, con
convinzione.
L'uomo scosse la testa, sapendo ormai
che discutere con lei non avrebbe portato a niente di buono
“Io
voto il vestito a pois, non ti ci vedo proprio in un comune
tailleur...”
“E' quello che hai preso insieme a
Garcia?” si informò quindi Reid, cercando di
ricordare.
“Esatto!”
“Anche io preferisco quello.”
concordò quindi.
Alaska trillò
contenta“Aggiudicato: lo metto subito!”
“Ahia!” piagnucolò, subito
dopo che un fragoroso rumore di scatole che cadono arrivò
alle
loro orecchie.
“Quarantanove, dove sei?” domandò
Morgan, allarmato da quel rumore.
“In uno sgabuzzino dello
Smithsonian.- borbottò la ragazza mentre si massaggiava la
testa- Sto cercando di cambiarmi, ma credo che ci sia un terremoto
perchè mi sta crollando tutto addosso.”
“Insieme alle mummie?” chiese di
nuovo il profiler, che come al solito non si capacitava di come
quella ragazza così svagata e dolce potesse stare per la
maggior parte del tempo con cadaveri, scheletri e corpi carbonizzati
senza battere ciglio.
“Tranquillo, non hanno occhi.- gli
ricordò Alaska- Devo ricordarmi di farle mettere in
esposizione: credo che qui dentro si sentano sole...”
“D'accordo, Al.- la interruppe
Reid-Credo che sia arrivato il momento di salutarci.”
“In bocca al lupo per il tuo
colloquio, Quarantanove.” la salutò Derek
“Crepi il cacciatore.- ribattè
l'antropologa con una risata- O per lo meno dimentichi le cartucce
del fucile a casa!”
“Ah, Spencer?” si affrettò
ad aggiungere prima di chiudere la comunicazione.
“Passa da casa mia quando torni.”
Sul volto di Reid comparve un sorriso
dolce, ignaro che per quell'ultima frase della sua ragazza sarebbe
stato tormentato da Morgan fino alla fine del volo.
Casa di Alaska Ross.
Washington DC.
Reid suonò il
campanello per la
seconda volta ma, come quella precedente, non ottenne risposta.
Stava per sfilarsi dalla tasca del
cappotto il mazzo di chiavi che gli aveva consegnato Alaska, ma non
appena appoggiò la mano sulla maniglia la porta si
aprì
con un cigolio inquietante.
Si fece un appunto mentale di chiedere
a Morgan di passare a oliarla: lui non era bravo nelle faccende
manuali e l'ultima volta che aveva provato a fare un lavoro in casa
aveva combinato un gran disastro.
“Al?” chiamò, mentre
appendeva il cappotto e la borsa all'appendiabiti all'ingresso dopo
essersi richiuso la porta alle spalle.
Non ottenne nessuna risposta, ma la
musica ad alto volume e un profumo dolce e accattivante proveniente
dalla cucina erano degli indizi abbastanza concreti riguardo a dove
si trovasse la sua ragazza. Sospirò paziente prima di
raccogliere una portadocumenti abbandonata tristemente sopra al
tappeto ed appoggiarla sul tavolino poco distante. Ancora non capiva
come Alaska potesse vivere in quel caos totale: semplicemente
abbandonava qualsiasi cosa dove ritenesse fosse più
opportuno,
senza seguire la logica convenzionale. Non era raro che, in questo
modo, perdesse anche le cose più importanti. La casa
dell'antropologa sembrava la casa del coniglietto pasquale: ovunque
ci si girasse si poteva trovare, in un posto assolutamente
inaspettato, un dolcetto di qualsiasi tipo. Spencer sorrise mentre
trovava una caramella al miele sul ripiano dove solitamente
appoggiava la sua borsa. La scartò piano e se la mise in
bocca, mentre osservava la foto di loro due in una delle gite in cui
lo trascinava Alaska non appena entrambi ne avevano il tempo: lei
rideva spensierata, gli occhi socchiusi e un cappello di paglia
calcato in testa, mentre lui sembrava rigido e fuori luogo di fianco
a lei, con sullo sfondo uno degli acquari di Atlanta. Ancora si
domandava come facesse quella ragazza a trovarlo anche minimamente
interessante, ma non appena incrociava i suoi occhi azzurri non
poteva che accantonare quei pensieri: erano semplicemente destinati a
stare insieme. Non aveva mai creduto a certe cose eppure...in quel
momento gli sembrava l'unica spiegazione logica.
“Marco?” sentì chiamare
dalla cucina, dalla voce frizzante della giovane antropologa.
Gli sfuggì una risatina prima di
rispondere a quel richiamo che faceva parte di uno dei giochi
preferiti dell'infanzia di Ross “Polo!”
Spencer non fece in tempo a mettere
piede nella cucina che venne travolto dalla ragazza, assieme ad un
delicato profumo di torta.
“Mi sei mancato!” gli disse, il
volto premuto sul suo petto in un abbraccio da orso.
“Anche tu.”
E quando Alaska alzò il volto
sorridente verso di lui, vedendo gli occhi dello stesso colore di un
cielo terso illuminati dalla felicità, il significato delle
proprie parole colpì il profiler come uno schiaffo.
Reid chinò il viso per lasciare
un bacio leggero sulle labbra dell'amata, ma quando si ritrasse la
sua espressione era leggermente cambiata.
“Alaska cosa avevamo detto riguardo
al fatto di lasciare la porta aperta?” la
rimproverò,
lanciandole un'occhiata preoccupata.
La giovane non si scompose “Che ti fa
risparmiare il tempo di suonare il campanello?”
“Io ho le chiavi.- le ricordò,
facendo roteare gli occhi- E poi lo sai che è pericoloso. Se
entrasse un ladro?O peggio?”
“Tipo un vampiro?- scherzò
Ross, iniziando a parlare velocemente e gioviale- Perchè
quelli so che se non vengono invitati non possono entrare nei luoghi
chiusi.
E i lupi mannari si sentono prima perchè puzzano di
cane bagnato, e inoltre ci sono solo nelle notti di luna piena e
poi...”
“Alaska sii seria.” la richiamò
Spencer, alzando un sopracciglio e imponendosi di non ridere.
“E' stata solo una piccola
dimenticanza. Dottor Reid ha intenzione di mettermi in castigo per
questo?” gli sussurrò a fior di labbra, mentre
allacciava le
braccia attorno al suo collo.
Sul volto del profiler si allargò
un sorriso sornione “Dipende...”
mormorò, prima di
chinarsi leggermente per incontrare le labbra morbide di Alaska ed
abbandonarsi ad un bacio appassionato.
Fece scorrere le proprie mani lungo la
sua schiena, riuscendo infine a sollevare leggermente il maglione e
trovando così un contatto con la sua pelle setosa e calda.
Alaska si mosse contro di lui, cercando
di far aderire ancora di più il proprio corpo a quello
snello
e longilineo del ragazzo. Le sfuggì una risatina quando,
dopo
avergli mordicchiato il labbro inferiore e posato le mani sul petto
per separarsi da lui e tornare alla propria occupazione in cucina,
sentì la stretta di Spencer farsi più forte.
“La tua torta si brucia, tesoro.”
lo informò, con un sussurro melodico nell'orecchio.
Reid sentì un brivido scorrergli
lungo la schiena “Non voglio una torta.- replicò,
restio a
lasciarla andare- Voglio te.”
L'antropologa rise di nuovo “Abbiamo
tutta la sera davanti, Spencer. E poi preparare quella torta mi ha
preso tutto il pomeriggio e lo sai che l'ultima volta che ho bruciato
qualcosa in cucina la mia vicina ha chiamato i pompieri...”
Spencer annuì, sciogliendo
riluttante l'abbraccio, ma non riuscì a non sorridere
divertito al ricordo di quella vicenda. Una di quelle tipiche
situazioni folli a cui si stava abituando nel vivere sempre
più
in simbiosi con quella buffa ragazza dagli occhi azzurri e profondi.
La vide indaffarata aprire il forno per
controllare la cottura del dolce e, con ancora un sorriso fra le
labbra, si sedette comodamente su uno degli sgabelli che attorniavano
il bancone della cucina.
Accanto al libro di ricette troneggiava
un grosso tomo che per lui aveva un aspetto decisamente familiare.
“Vedo che hai ancora il mio libro.”
commentò, alzando un sopracciglio.
“Oh, sì.- disse Alaska, dopo
essersi girata con in mano la teglia su cui aveva riposto la torta
ancora fumante- L'ho letto oggi nella pausa pranzo.”
Spencer spalancò gli occhi
scuri, stupito “Tutto, nella pausa pranzo?”
“No.- rise la ragazza, scuotendo la
testa e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli corvini- Volevo dire
che nella pausa pranzo l'ho iniziato a sfogliare ma a pagina cinque
mi sono detta: è la mia pausa pranzo,
accidenti!Perchè
la passo a leggere Kant e non a mettere qualcosa sotto i
denti?Così
sono uscita per andarmi a prendere un gelato!”
Reid si unì alla sua risata
spensierata “Ma perchè hai voluto che te lo
prestassi se
continui a trovare scuse per non leggerlo?”
Alaska si strinse nelle spalle,
appoggiandosi coi palmi al caotico ripiano di marmo
“Perchè
volevo sapere che cosa stai studiando. Solo che per me è
come
un linguaggio alieno: capisco le parole prese singolarmente ma quando
cerco di capire il significato del discorso, bum!Il mio cervello va
in tilt. Non credo di essere abbastanza intelligente per capire
quella roba.”
Spencer scosse la testa, sorridendole
conciliante “Tu puoi fare tutto quello che vuoi, Al, anche
capire
Kant.”
“Sei davvero tenace.- sospirò
la ragazza, allungando una mano per dargli un buffetto sul braccio-
Non capisco come tu ti possa essere convinto del fatto che ho le
capacità di capire la filosofia...”
“Perchè lo so.- rispose
semplicemente il giovane agente FBI- E poi me l'hai chiesto tu di
spiegarti cosa sto studiando.”
“Perchè mi piace il tuo
modo di spiegare le cose.- gli rilevò sorridendo-Sei davvero
carino quando sei concentrato.”
A quel complimento, uno dei tanti che
gli arrivavano inaspettati dalla ragazza e che lo facevano sentire
costantemente amato, si ritrovò ad arrossire leggermente,
come
al solito.
“Morgan vuole sapere quando ti
deciderai a festeggiare il tuo compleanno.” disse, cambiando
argomento.
Alaska alzò un indice “Il mio
non-compleanno!- precisò- Credo che organizzerò
una
cena quando verrà a trovarmi mio padre dal gelido
Quarantanovesimo stato.”
Reid deglutì, preoccupato: non
aveva conosciuto il padre di Alaska e i discorsi di Rossi su quanto
fosse protettivo e affezionato alla primogenita non contribuivano
certo a vivere con tranquillità la prospettiva di
quell'incontro.
“Ha deciso quando vuole venire a
Washington?”
“Non ancora.- rivelò Ross,
prima di continuare a parlare- Dunque, il piano è questo:
inviterò alla cena anche tutta la squadra. In questo modo
mio
padre sarà meno tentato a fare qualcosa di spiacevole
all'uomo
che sta insidiando la sua bambina.”
“Che..che cosa vuoi dire?”
chiese Spencer, leggermente preoccupato.
“Che sei il primo ragazzo che gli
presento e lui è leggermente possessivo con me.-
spiegò
Alaska con una scrollata di spalle- E con leggermente intendo molto.
E con possessivo intendo che non esiterebbe a usare il suo fucile da
caccia se fosse necessario.”
“In effetti, penso che la presenza di
qualche altro agente federale non sarebbe così
male.” si
affrettò a dire il profiler.
“Visto?In più la
presenza di Dave dovrebbe metterlo di buon umore. Dovresti
sopravvivere alla serata senza problemi.” concluse, con un
gesto
vago della mano.
“E' quel condizionale che mi lascia
perplesso...” mormorò Spencer.
Alaska rise, sporgendosi verso di lui e
lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra.
Il giovane sorrise per quel contatto e
si ricordò infine di un particolare che aveva notato
all'andato “Ah!Ti ho portato la posta, la tua cassetta stava
per
esplodere: da quando non la controlli?”
“Uhm...una settimana, forse qualche
giorni di più.” meditò l'antropologa,
picchiettandosi
l'indice sul mento.
“Alaska, dovresti ritirarla più
spesso.- la rimproverò per niente convinto Spencer- Come fai
con le bollette?”
Per tutta risposta la ragazza alzò
gli occhi al soffitto “D'accordo, dopo gli darò
un'occhiata.”
“Dopo?” ripetè Reid, ben
sapendo che nel linguaggio di Alaska quel dopo significava.
“Se non ti fidi allora puoi aprirla
tu, così se è importante me lo dici
subito.” lo
stuzzicò la ragazza, divertita.
Reid annuì, mentre si alzava per
recarsi nell'atrio, dove aveva lasciato il mucchietto di lettere
“Va
bene.”
“Aspetta!” lo richiamò la
voce cristallina di Ross, che si era alzata a sua volta per seguirlo.
Spencer aggrottò le
sopracciglia, notando lo strano sguardo della giovane “Che
c'è?”
“Accidenti, Spencer, sembri davvero
esausto.” mormorò seria, facendogli scivolare le
mani dal
collo al petto.
“Non mi sembra...” ribattè
il ragazzo, la fronte corrugata.
“Invece sì.- ribadì
Alaska, mentre lo tratteneva con una stretta sui lembi della camicia-
Hai assolutamente bisogno di riposare.”
“Ah, sì?- la assecondò
Spencer, con un sorriso che gli si allargava sulle labbra- E che cosa
mi consiglieresti.”
Alaska gli rivolse un'occhiata
maliziosa, avvicinandolo ancora più a sé mentre
iniziava a sbottonargli la camicia “Beh, direi che dovresti
concederti una bella doccia rilassante...”
“E dopo starò meglio?”
sussurrò, mentre assecondava i movimenti dell'antropologa.
“Sicuro.- assicurò Alaska con
voce soave- Solo che c'è un piccolo problema.”
“Quale sarebbe?”
“Che sulla terra le risorse d'acqua
dolce si stanno esaurendo a un ritmo vertiginoso.- spiegò
fingendosi dispiaciuta- Se tu fai la doccia qui poi io non credo di
poterne fare un'altra. Sai, mi sentirei troppo in colpa verso
l'ambiente...”
Spencer non riuscì a trattenere
una risatina prima di parlare “Ho un'idea!E se, sempre per il
bene dell'ambiente, ti unissi alla mia doccia rilassante?Risparmieremmo
abbastanza acqua?”
“Accidenti!Questa sì che è
un'idea geniale!Come ti è venuto in mente?”
domandò
Alaska, alzandosi sulle punte e iniziando a baciarlo, mentre gli
faceva scivolare la camicia lungo le braccia.
“Sai- rispose Reid, interrompendo la
frase più volte per lasciare baci languidi alla ragazza- ho
un
QI...di 187...e mi piace...tenere la mente allenata...”
Alaska gli tappò la bocca con un
bacio appassionato e poi gli posò le mani sui lati del viso
“Spencer?”
“Mmm?” mormorò il giovane,
troppo intossicato dalla sua presenza per poter pronunciare altro.
“Credo che a volte tu parli troppo!”
gli rivelò con una risatina, mentre lui l'aveva stretta
ancora
di più a sé e la stava trascinando insieme a lui
nel
bagno.
Più tardi Reid
faceva ritorno
dall'atrio dell'appartamento di Alaska con in mano un voluminoso
gruppo di lettere, buste e riviste.
“Al- la chiamò- non avevi
detto che avresti controllato la posta?”
In salotto la giovane scosse la testa
con convinzione “No, tesoro. Sei tu che l'hai
detto!”
Spencer alzò gli occhi
esasperato “Potrebbe esserci qualcosa di
importante.” riprovò.
“Ora non posso, Spencer.- continuò
Ross sorridendo birichina- Sto preparando la cena.”
“Da quanto chiamare il ristorante
all'angolo per farsi portare un menù d'asporto è
preparare la cena?” la punzecchiò, alzando un
sopracciglio
mentre varcava la soglia della stanza.
“Da quando quest'azione porta sulla
nostra tavola del cibo!” rispose la ragazza, sorridendogli
amabile.
Reid sospirò, scuotendo il capo
e facendo ondeggiare i capelli castani, prima di sedersi in poltrona
e cominciare ad analizzare quella posta.
C'era una lettera da parte di Olga, la
madre di Alaska, e una da parte di una sua amica di Baltimora. Poi
una serie di cartoline, per lo più di colleghi in trasferta
per qualche spedizione all'estero. Come sospettava, in mezzo ad una
pila di cataloghi, nuovi menù dei ristoranti da asporto
della
zona, e campioni gratuiti di shampoo e cosmetici, c'erano anche delle
buste di bollette che dovevano essere pagate al più presto.
Stava per avvertire, trionfante, la
propria ragazza, quando lo sguardo gli cadde su una grande e pesante
busta gialla. A parte l'indirizzo di Ross scritto a macchina su un
adesivo bianco incollato in alto a destra, non vi era nessun'altra
scritta, di nessun genere.
L'aprì lentamente, facendone
scivolare il contenuto sulle gambe per iniziare a farlo scorrere fra
le dita.
Man mano che sfogliava quei fogli,
sentiva crescere un nodo fastidioso alla bocca dello stomaco.
“Allora?- sentì chiamare, da
una voce che gli sembrava ovattata e proveniente da un altro pianeta-
Trovato qualcosa che valeva la pena che leggessi prima?”
Alzò lo sguardo su Alaska, che
lo guardava sorridente, le mani sui fianchi coperti a malapena dal
tessuto leggero della maglietta oversize che indossava.
“Che c'è Spencer?- gli domandò
preoccupata, quando riconobbe una sorta di panico negli occhi scuri
ed espressivi del ragazzo- Sembra che tu abbia visto un
fantasma.”
“Domani vieni a Quantico con me.”
sentenziò, facendo tornare lo sguardo da quanto teneva
ancora
fra le mani.
_____________________________________________________________
Wow!Direi che sono stata
straveloce nella pubblicazione del nuovo capitolo, ma forse quello
precedente non valeva visto che era solo un prologo, eheheh...Dai, sono
contenta che il prologhino vi sia piaciuto, spero che vi piaccia anche
la storia vera e propria!:) Prima di rispondere alle recensioni dico un
megathanks a takara Luna
Viola e Maggie_Lullaby
che hanno commentato l'ultimo capitolo di Deadly Wrath:
ho adorato le vostre recensioni!:) Soooooooo....Che ne dite di questo
primo capitolo?Fatemi sapere!Un bacione e un buon weekend!!JoJo
Giunone : grazie mille di aver letto tutte
le mie storie su CM, sono contenta che ti piaccia il mio stile di
scrittura!:) Spero che continuerai a seguire questa storia: a
presto!Baci
Luna Viola
: detto
fatto!Dai, che sono stata veloce veloce!Spero il primo capitolo ti sia
piaciuto!Besos
Maggie_Lullaby
: Wow,
millemila domande!....ma io sono cattiva dentro quindi non rispondo
neanche a una!mwahahah!Questo capitolo non è affatto
inquietante: mi dispiace toglierti l'opportunità di
utilizzare una delle tue parole preferite!eheheh!Gracias as usal per i
complimenti!Al prossimo capitolo!Kisses
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Capitolo 3 *** Hanged Man ***
La fiducia nella bontà
altrui è
una notevole testimonianza della propria bontà.
- Michel de Montaigne
Ufficio di Derek Morgan,
Unità di
Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.
Gli occhi di Derek erano seri e
concentrati e
saettavano velocemente dalle due profonde e limpide pozze azzurre sul
viso di Alaska alle iridi scure di Spencer.
Se gli occhi dell'antropologa trasmettevano
quanto fosse rilassata, seduta sul bordo della sua scrivania nel
piccolo ufficio che aveva arredato per lui Penelope, quelli di Reid,
sulla sedia di fronte a lui, erano cupi e pieni di preoccupazione. E
lui, tornando a fissare lo sguardo sui fogli che teneva fra le mani,
non poteva che dargli ragione.
Erano diverse foto e tutte avevano un unico
soggetto.
Alaska che usciva dal portone del proprio
palazzo. Alaska che prendeva un frappè. Alaska che cercava
qualcosa nella propria borsa. Alaska che sceglieva un paio di jeans
in un negozio. Alaska che sfogliava un libro seduta su una panchina
al parco. Alaska che saliva sull'autobus.
Ce ne erano quasi un centinaio e man mano che
le sfogliava Morgan sentiva un brivido gelido scendergli lungo la
schiena, paralizzandolo sul posto. Lo stesso che aveva sentito Reid,
moltiplicato all'infinito, la sera precedente, quando si era
ritrovato la stessa busta fra le mani.
“L'avete
trovata ieri sera, mi hai detto?” domandò al
giovane
collega.
Spencer annuì rigido “Già, ma
potrebbe essere stata messa lì chissà quando.
Alaska
spesso si dimentica di ritirare la posta dalla cassetta.”
“Hey,
se avessi saputo che vi sareste preoccupati tanto non ti avrei
nemmeno lasciato avvicinare alla mia posta.” si
lamentò
scherzosamente la ragazza, sperando di riuscire così a
stemperare la tensione che era scesa pesante in quell'ufficio. Le sue
parole, però, non vennero ascoltate e i due profiler
continuarono a parlare fra loro, serissimi.
“La
cassetta è controllata?” si informò
ancora Derek.
“No.-
scosse la testa Reid- Nel palazzo di Alaska non c'è il
portiere, niente telecamere di sorveglianza e ogni altra forma di
sicurezza come antifurti e affini è affidata alla
discrezione
degli affittuari.”
“E'
un buon sistema!Se avessi voluto tutte quelle cose sarei andata a
vivere in un bunker, no?” rise l'antropologa, a cuor leggero.
Anche quel suo commento venne completamente
ignorato. Morgan abbandonò gli scatti sulla propria
scrivania,
lanciandogli un'ultima, avvilita, occhiata.
“Hai
fatto bene a portarle qui.- disse l'uomo, rivolgendosi a Spencer-
È
meglio prendere in mano la situazione prima che degeneri.”
Alaska scrollò le spalle “Forse
gli state dando troppa importanza.- pigolò- Sono solo delle
foto, niente di allarmante.”
“Alaska non minimizzare.- sbottò
Reid, voltandosi verso di lei- C'è qualcuno che ti sta
seguendo da settimane!”
“E' un po' stressato perchè
non abbiamo potuto festeggiare insieme il mio compleanno.”
disse a
bassa voce, portandosi una mano di fianco alla bocca e sporgendosi
verso Derek.
“Alaska!” la rimproverò di
nuovo il giovane profiler, che sentiva di stare per impazzire.
“Va bene, mi arrendo!-capitolò
la ragazza alzando le braccia, ma senza riuscire a togliersi dalla
faccia l'espressione tranquilla- Sono seria e davvero preoccupata da
questa situazione.”
Reid fece roteare gli occhi,
esasperato, e rivolse di nuovo l'attenzione al proprio collega.
“Di solito questo tipo di molestatori
si attaccano a qualche particolare gesto che è stato fatto
nei
loro confronti.- iniziò a spiegare Morgan, cercando di
catturare anche l'attenzione dell'antropologa- Se, incrociandolo per
strada, gli hai sorriso distrattamente lui si auto-convince che l'hai
fatto di proposito e che desideri le sue attenzioni.”
Spencer si voltò verso la
propria ragazza e la vide alzare un sopracciglio, scettica.
“Quindi vuoi che ti dica di tutte le
persone con cui sono stata gentile nelle ultime settimane?”
Derek scosse la testa “Dimmi solo
degli avvenimenti particolari.”
“Allora...ho comprato un frappè
a una coppia di fratellini al parco perchè mi sembravano
tristi...” cominciò ad elencare, alzando gli occhi
e
cercando di ricordare.
“Erano soli o c'era magari un
fratello maggiore o un genitore?” chiese Morgan con tono
professionale.
“Non ci ho fatto caso, perchè
avrei dovuto?- Alaska gli aveva rivolto un'occhiata strana per quella
domanda che le sembrava assurda- Ah, e poi ho aiutato un tizio a cui
è caduto un raccoglitore a mettere a posto i
fogli.”
Reid si mosse sulla sedia, agitato “Ti
ricordi che faccia aveva?”
“Aveva un'architettura facciale molto
particolare, con gli zigomi molto pronunciati e il naso storto.
Probabilmente l'ha rotto diverse volte.”disse la ragazza,
sfoderando una briciola della propria conoscenza della fisionomica
umana.
“Quindi potremmo avere un identikit.-
annuì l'agente di colore soddisfatto- C'è qualcun
altro
di particolare con cui sei venuta in contatto di recente?Forse una
nuova conoscenza?”
Alaska riflettè qualche secondo,
picchiettandosi l'indice sul labbro inferiore “Beh,
c'è
Mandy.”
“Mandy?- ripetè Reid
aggrottando le sopracciglia- Non mi hai detto di aver conosciuto
nessun Mandy.”
“Non ci siamo conosciuti conosciuti.- continuò
a spiegare la giovane, gesticolando animatamente- Ha chiamato a casa
mia qualche settimana fa credendo che il mio fosse il numero di un
idraulico e ci siamo ritrovati a chiacchierare. Chiama due o tre
volte a settimana da allora.”
Derek la fissò preoccupato “Due
o tre volte a settimana?”
“Alaska!!” esclamò Spencer,
scioccato.
L'antropologa fece saettare il proprio
sguardo innocente fra i due uomini “Che
c'è?”
“Potrebbe essere lui ad averti
mandato quelle foto.” le fece notare Morgan.
“Il signor Mandy?Andiamo!- rise la
ragazza, prima di spiegare- Il signor Mandy ha ottantanove anni, la
cataratta e non esce mai di casa per via di un problema all'anca che,
sommato alla sua gamba di legno che ha come ricordo della guerra del
Vietnam, gli rendono impossibile quasi ogni movimento. È
solo
un uomo molto solo e io gli ho detto che mi fa piacere chiacchierare
con lui di tanto in tanto se la cosa lo rende felice.”
Derek sospirò “Non puoi essere
sicura che ti abbia detto la verità.”
“E voi non potete essere certi che mi
abbia mentito.” ribattè tranquilla Ross, alzando
leggermente
le spalle.
“Faremo un controllo.- disse Morgan,
facendo un cenno a Reid- Ci sono casi particolari a cui stai
lavorando di recente?”
“Niente di particolare. L'FBI mi ha
chiamato solo per delle identificazioni, ma ancora qualche settimana
fa.- spiegò l'antropologa, facendo un vago gesto con la
mano-
Sapete, in inverno la natura offre a noi antropologi una sorta di
vacanza: il freddo congela i corpi mantenendoli adatti alle
valutazioni dei medici legali.”
“Che mi dici invece dei casi già
chiusi?- indagò di nuovo il profiler- Devi testimoniare a
dei
processi, giusto?E so che a volte vieni chiamata da difesa o accusa
come consulente...”
Alaska si strinse nelle spalle “Non
ho trattato casi particolarmente scottanti, ultimamente...”
“Controlleremo anche questi.”
assicurò Morgan, più a Reid che ad Alaska, che
sembrava
prendere la situazione decisamente sotto gamba. Il giovane genietto,
invece, se ne stava seduto rigidamente sulla propria sedia, le
braccia incrociate intorno all'esile torace e le labbra strette in
una linea dura. Non occorreva certo essere un profiler per capire che
lui, invece, era decisamente scosso da quella situazione.
“Deve
esserci qualcos'altro di significativo a cui possiamo
collegarci.”
sbuffò Reid, che impaziente aspettava delle conferme, di
qualsiasi tipo, che lo facessero venire a capo di quella situazione.
“Sapete una cosa?- disse
improvvisamente Alaska, facendo schioccare le dita per attirare
l'attenzione su di sè- Forse potrebbe essere stato uno dei
miei studenti!”
“Perchè dovrebbero avercela con te?”
domandò Spencer spiazzato: di certo la dottoressa Ross non
era
affatto la tipica insegnante acida facile da odiare.
“Beh, io mi occupo dell'ammissione
dei tirocinanti ai progetti di ricerca in antropologia dello
Smithsonian e ho rifiutato parecchie richieste.- gli
ricordò-
Uno degli studenti ci è rimasto particolarmente
male.”
Derek
annuì, prendendo in considerazione quell'ipotesi
“Come si
chiama?”
“Perchè?” lo sguardo di
Alaska si era fatto confuso, i grandi occhi cerulei spalancati: se
quella era la soluzione più probabile, si domandava, che
bisogno avevano di altre informazioni?
“Così lo rintracciamo, lo
denunciamo, e io lo farò pentire talmente tanto di aver
fatto
una cosa del genere che resterà lontano a vita da qualsiasi
tipo di macchina fotografica.” elencò Morgan,
enfatizzando
l'ultima frase.
“Tutto questo è esagerato.-
sorrise Ross, sperando di convincerli- Sapete come sono i ragazzi, ha
voluto vendicarsi e divertirsi un po' alle mie spalle.”
Spencer
sembrava però di tutt'altro avviso “E' una cosa
sbagliata,
inopportuna e anche punibile per legge.”
“E' solo una ragazzata!” ribadì
la ragazza con una scrollata di spalle.
“Qua dentro siamo noi gli agenti FBI,
quindi la decisione spetta a noi!” le ricordò
Morgan, con un
tono che non ammetteva repliche.
Fu in quel momento che JJ fece capolino
nella stanza, affacciandosi dalla porta lasciata socchiusa
“In
sala conferenze fra cinque minuti!-annunciò, prima di posare
lo sguardo su Alaska- Hey, Al!Che c'è, oggi è il
giorno
del porta la tua ragazza al lavoro?”
Alaska rivolse alla nuova arrivata un
sorriso smagliante “Non che io sappia. All'FBI avete davvero
giornate del genere?”
JJ rise, scuotendo la testa facendo
ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi “Magari!Cinque
minuti,
ragazzi.”
Morgan si alzò, indicando però
la busta ancora sul suo tavolo “Di questo dobbiamo
riparlare.”
“Voi siete troppo stressati.-sospirò
l'antropologa alzando gli occhi al soffitto- Avete bisogno di una
vacanza!”
Derek colse lo sguardo preoccupato di
Reid e capì che aveva bisogno di parlare da solo con la
ragazza. Fece un cenno di saluto col capo, dicendo al giovane collega
che l'avrebbe aspettato fuori dall'ufficio.
“Non è niente di importante,
uh?” borbottò imbronciato, fissando i propri occhi
scuri in
quelli di Alaska.
“No, infatti.- ripetè Ross
posandogli una mano delicata sul braccio- Solo una ragazzata, uno
scherzo un po' stupido e troppo elaborato...”
Spencer sospirò, abbassando lo
sguardo “Tu credi davvero a quello che stai dicendo,
vero?”
“Ma certo. Sono solo foto...” le
dita della giovane si contrassero un poco intorno al suo avambraccio,
in una stretta che doveva essere rassicurante.
“Che avresti fatto se avessi trovato
tu la busta?” si informò quindi Reid, alzando un
sopracciglio e fissandola indagatore.
“Probabilmente l'avrei aperta,
controllato che non ci fosse davvero l'indirizzo del mittente e visto
che le foto non sono la mia passione l'avrei buttata.-
spiegò
con noncuranza- Semplice.”
Gli occhi di Reid si spalancarono
“L'avresti buttata senza pensare al perchè
qualcuno ti ha
mandato una cosa del genere?!”
“Se lo dici con quel tono la fai
davvero sembrare una cosa sbagliata!” ribattè la
ragazza,
cercando di riportare la conversazione a toni leggeri.
“Alaska io sono solo preoccupato per
te!- ribadì Spencer, prima di massaggiarsi le tempie con le
dita- Non puoi continuare a fare così...”
Ross si mordicchiò l'interno
delle guance “Così come?”
“Fidarti di chiunque ti capiti a
tiro.- spiegò Reid tornando a fissarla- Non tutte le persone
sono buone come te le aspetti.”
“Ma non sono nemmeno tutti dei
mostri, sai?”
Il sorriso disarmante che era comparso
in seguito a quelle parole sul viso di Alaska strappò al
giovane genietto un sospiro rassegnato.
“Reid?- chiamò Morgan da
fuori- Dobbiamo andare.”
“Arrivo subito.- gli rispose il
ragazzo, prima di tornare a rivolgere la propria attenzione
all'antropologa- Aspettami alla mia scrivania, d'accordo?Ne
riparliamo più tardi.”
Alaska rimase a guardarlo mentre si
allontanava con ampie falcate, affiancato da Morgan, e non
riuscì
a impedirsi di rivolgergli un sorriso dolce per via di quel senso di
protezione che tirava sempre fuori nei suoi confronti, prima di
uscire dall'ufficio di Derek per fare quanto gli aveva detto.
Stava camminando spensierata nell'open
space quando sentì dietro di sé una voce
conosciuta.
“Accidenti!Direi che quel maglione mi
ha quasi bruciato le retine: credo sia illegale indossare un colore
del genere, lo sai?”
Alaska si voltò ridendo,
trovandosi di fronte David Rossi che ancora additava il suo maglione
giallo limone con una finta espressione disgustata sul volto.
“Dave!” lo salutò,
fiondandosi fra le sue braccia per un abbraccio.
“Finalmente ci rivediamo. Sei
latitante da un pò!” la rimproverò
bonariamente
l'uomo.
Ross fece dondolare la testa “Lo so.
Ho un sacco di cose per la testa: l'università, lo
Smithsonian, le indagini cui faccio da consulente...”
“Dovresti ritagliare un po' di tempo
per un vecchio amico, comunque.” le ricordò David
strizzandole l'occhio.
“Lo farò di certo.- assicurò
la giovane, facendo un passo indietro e scrutandolo attentamente, con
le braccia incrociate- Avrei qualche domanda riguardo le tue nuove
amicizie, infatti...”
Rossi le rivolse un'occhiata allibita
“Le mie che?”
“Beh, Spencer mi ha raccontato che ad
una riunione improvvisa ti sei presentato in smoking e c'è
qualcosa in te che mi fa pensare che probabilmente hai fatto una
nuova conoscenza.- snocciolò, prima di sfoderare un
sorrisetto
saputo e aggiungere- Femminile.”
“E tu come fai a...” tentò
di domandare, ma Alaska lo interruppe con una risata.
“Sono segretamente una profiler!”
Dave scosse la testa divertito “Non
dirlo troppo ad alta voce, qui dentro, od Hotch potrebbe metterti ai
lavori forzati.”
“In realtà è per via
del profumo.” spiegò di nuovo l'antropologa,
indicandolo con
un gesto della mano.
“Quale profumo?” domandò
Rossi, aggrottando la fronte.
“Quello della tua nuova fiamma.-
spiegò la ragazza con un sorriso- Il tuo dopobarba non lo
copre perfettamente. È Dior?”
“Dimenticavo il tuo superolfatto.”
rise l'uomo, scuotendo piano la testa.
Ross annuì soddisfatta, dandogli
una pacca sul braccio “E tu che credevi che fosse una cosa
inventata!”
“Allora, Alaska, come mai qui?- si
informò quindi Rossi-Ho visto che Reid e Morgan erano
piuttosto seri prima mentre ti parlavano.”
“Niente di
importante.- rispose scrollando le spalle la ragazza- Piuttosto, sto
organizzando una cena per presentare Spencer a mio padre, sei dei
nostri?”
“Servono testimoni per non indurre
tuo padre ad usare il fucile?” azzardò l'uomo,
ricordando
quanto il padre della ragazza fosse protettivo verso di lei e
tendesse a diffidare di chiunque vi si avvicinasse.
Alaska si strinse nelle spalle “Non
credo che arriverà a questo, ma non si sa mai.”
“Mi
piacerebbe molto.- acconsentì, prima di puntare lo sguardo
sulla sala riunioni dove probabilmente tutti gli altri lo stavano
aspettando- Ora devo andare ma tu non sparire, ok?”
“Userò il mantello
dell'invisibilità in un'altra occasione, allora.”
disse a
mo' di saluto, facendo sventolare una mano, prima di spostare una
sedia e sedersi alla scrivania di Reid.
Alaska allontanò
il foglio da
sé, per osservare la propria opera. Non era un disegno
accurato, ma un semplice schizzo in cui erano ancora ben visibili i
tratti della struttura di base. In ogni caso le delicate sfumature
fatte a matita ricalcavano alla perfezione il viso squadrato della
donna che in quel momento era impegnata a fascicolare un centinaio di
fogli al tavolo di fianco alla fotocopiatrice, non molto distante da
dove si trovava lei in quel momento. L'antropologa sbuffò,
appallottolando il foglio e facendo canestro nel cestino poco
lontano, dopodiché ruotò sulla sedia, iniziando a
fissare intensamente la porta, ancora chiusa, della sala conferenze.
Si stava annoiando e sperò che i
profiler non ne avessero ancora per molto.
Strinse gli occhi chiari,
concentrandosi ardentemente su quanto desiderava che quella riunione
finisse in fretta. Aveva visto un programma con ospite un sensitivo
qualche giorno prima, e quello aveva detto che la forza di
volontà
era estremamente importante per esercitare i propri poteri psichici.
Non era certa di averne, ma il pensiero la divertiva e, dopotutto,
non aveva niente di meglio da fare.
“Uscite di lì!- sussurrò
rivolta all'uscio, agitando le dita come aveva visto fare a qualche
illusionista- Uscite, uscite, uscite...”
Un uomo seduto a qualche scrivania più
in là le lanciò un'occhiata stranita, soprattutto
quando, qualche minuto dopo la porta venne spalancata dalla figura
slanciata dell'agente Hotchner, la giovane antropologa proruppe in un
gridolino gioioso.
“Ciao Aaron!” trillò
alzandosi di scatto ed attirando su di sé l'attenzione
dell'uomo.
“Alaska.- disse Hotch, voltandosi
verso la giovane- JJ mi ha detto che eri qui, come mai questa
visita?”
Ross scrollò le spalle con noncuranza “Niente
di che, sono passata a salutare.”
“Certo.” interloquì
semplicemente, assecondandola. Ma gli era bastato osservare
l'espressione preoccupata del giovane agente e gli sguardi sfuggenti
che gli lanciava Morgan per capire che sotto doveva esserci
qualcos'altro.
“Partite?” domandò la ragazza, con tono
casuale.
L'uomo annuì “Già,
abbiamo un caso urgente a Roswell.”
“La città degli alieni, fico!-
trillò Alaska- Se ne vedete uno fategli una foto!”
“Sicuro.- ribattè Hotch
abbozzando un sorriso- Partiamo tra mezz'ora, non trattenere troppo
Reid.”
Ross mimò un saluto militare
“Agli ordini, capitano!”
Quando stava per abbassare il braccio
che aveva alzato, si sentì afferrare le spalle da delle mani
affusolate.
“Attenta Alaska!- la avvisò
Emily, da dietro la sua schiena- Credo che Reid voglia metterti in
castigo, aveva una faccia durante la riunione...”
Ross si fece scappare una risatina
“Spero che non mi tolga i dolci, non posso vivere senza
quelli.”
“Beh, se vuoi potrei condividere con
te la mia scorta di cioccolato e dartene un po' di
contrabbando.”
la rassicurò scherzosamente la profiler.
Il volto di Prentiss tornò serio
“Sul serio, però, dovresti parlargli. Il caso ci
terrà
via per un po', e ci occorre il nostro genietto al massimo delle sue
capacità. La regola non è che non ci si deve mai
separare se si è arrabbiati l'uno con l'altro?”
Alaska sbattè le palpebre “Ma
io non sono arrabbiata con lui.”
“E neanche io con lei.” assicurò
Reid raggiungendo le due donne.
Morgan, che insieme a Rossi e JJ stava
uscendo dalla stanza, sfilò loro di fianco, afferrando Emily
per un braccio per trascinarla via “Andiamo, Prentiss- la
esortò-
Lasciamo i piccioncini qua a tubare per un po' prima della
partenza.”
La mora spalancò gli occhi
confusa ma, come gli altri, si affrettò a seguire Hotch
fuori
dall'open space per prepararsi alla partenza.
I due aspettarono che le porte
dell'ascensore si chiudessero dietro la squadra e poi tornarono a
fissare i propri occhi l'uno in quelli dell'altra.
Reid sospirò prima di iniziare a
parlare “Alaska...”
“Spencer.” gli fece eco
l'antropologa con un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo le posò le mani sulle
spalle “Io non sono arrabbiato con te.- spiegò
accorato-
Vorrei solo che ti rendessi conto che ricevere una busta con delle
foto di quel genere non è affatto normale.”
“Spencer, io capisco che tu sia
preoccupato, ma credo che la tua reazione sia un pochetto esagerata,
non trovi?- ribattè Ross con voce posata- Io sono qui, sto
bene, e non mi è successo niente a parte essere stata
fotografata a mia insaputa.”
“Ma Alaska...” cercò di
protestare Reid, ma lei gli posò l'indice sulle labbra.
“Respira, Spencer, respira e calmati
un po'.- gli ordinò sorridendo- Pensa
all'Inghilterra!”
Spencer l'assecondò, prendendo due
grossi respiri prima di continuare a parlare “E'
che...insomma
Alaska io una storia così l'ho già
sentita.”
L'antropologa sollevò un sopracciglio
“Cioè?”
“Si conobbero, si innamorarono e vissero
felici e contenti finchè il lavoro macabro di lui
portò
nella loro vita un folle sociopatico che riuscì a rovinare
tutto portando a un finale tragico.” buttò fuori
Reid tutto
d'un fiato, finendo per fissarsi i piedi.
“Per prima cosa...- disse Alaska,
abbassandosi per incontrare di nuovo i grandi occhi scuri del
ragazzo- da oggi comincerò a controllare le tue letture e,
in
secondo luogo, anche il mio è un lavoro macabro e, terzo, io
non credo affatto nei finali tragici.”
“Sai di che cosa sto parlando.”
borbottò Spencer imbronciato.
“Sì, lo so.- ammise
l'antropologa con una scrollata di spalle- E penso che tu stia
preoccupandoti troppo per un problema che ancora non esiste.”
Reid
non sembrava voler lasciar cadere l'argomento “Ma...se
dovesse
succedere qualcosa, invece?Mentre sono via?”
“Non preoccuparti, starò bene.
È stato solo uno scherzo di pessimo gusto.” gli
assicurò
Ross facendo sventolare una mano con noncuranza.
“Sicura?” disse di nuovo scettico,
alzando un sopracciglio.
“Certo.- sorrise gioviale, dandogli
una carezza leggera- Stasera prima di andare a letto devi immettere
in Google la parola cuccioli, salvare un po' di immagini tenere e
dimenticarti di questa storia.”
Reid si concesse una risatina “Ci
proverò.”
“Faresti meglio.- gli consigliò Alaska
con voce dolce mentre gli accarezzava di nuovo il viso. Poi si
alzò
sulle punte e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra- Stai
attento.”
“Come sempre.” soffiò Reid,
prima di sciogliere l'abbraccio in cui si erano allacciati e
dirigersi con passo affrettato verso l'ascensore per raggiungere gli
altri.
Stazione di polizia di
Roswell.
Roswell, New Mexico.
Reid si
allontanò furtivamente
dal team di profiler per cercare un angolo tranquillo in cui poter
fare la propria telefonata. Si intrufolò nella fatiscente
sala
per gli interrogatori della stazione di polizia di Roswell e compose
velocemente il numero che desiderava chiamare trovandolo, con suo
dispetto, occupato.
La verità era che la carriera di
Alaska si era sviluppata più velocemente di quanto si
sarebbe
aspettato, una volta che si era inserita all'interno del reparto di
antropologia dello Smithsonian. Aveva passato un primo periodo in cui
si era limitata a svolgere le proprie mansioni di ricerca, pur non
senza collaborare con i propri colleghi il cui lavoro riteneva
interessante. Dopo di che aveva assistito un collega che lavorava
all'istituto di medicina legale di DC durante delle indagini di
polizia e da lì, in seguito ad una sua idea brillante che
prevedeva la riproduzione di un teschio che era andato perduto grazie
all'uso delle TAC, era iniziata la sua collaborazione fissa con il
dipartimento. Se c'era un caso che implicava cadaveri decomposti,
scheletrizzati, carbonizzati o decisamente irriconoscibili e senza
tessuti, l'antropologa che veniva chiamata era lei: le era perfino
stato assegnato un partner ufficiale dal quartiere generale dell'FBI,
nel caso avesse dovuto collaborare con casi di competenza federale.
Quindi, fra il lavoro allo Smithsonian e la collaborazione con la
sede di Washington dell'FBI, le giornate di Alaska spesso erano
caotiche quanto le sue, rendendola poco rintracciabile.
Quando finalmente sentì che
dall'altra parte avevano finalmente alzato la cornetta, Reid non le
diede il tempo di parlare.
“Va tutto bene, Al?” domandò
accorato.
“Certo, tutto nella norma.- lo
rassicurò Ross con tono leggero, prima di assalirlo con una
chiacchierata veloce- Come all'ultima chiamata che mi hai fatto, del
resto. Neanche un'ora fa. Non che non mi faccia piacere sentirti
così
spesso, anzi, se lo avessi saputo prima probabilmente mi sarei
inventata questa storia da sola, solo che credo davvero che tu ti
stia stressando troppo per una cosa che è poco importante
e...”
Spencer non la lasciò finire di
parlare “Hai più ricevuto lettere
strane?Telefonate
anonime?Incontrato tizi dall'aria sospetta che stranamente si trovano
sempre negli stessi posti in cui ci sei tu?”
“No, no e no.- rispose Alaska alle
tre domande- A meno che tu non consideri strana una lettera in cui
Davon mi comunica che si vuole trasferire alle Hawaii per rimettersi
a lavorare nonostante sia in pensione, e sospetto il nuovo look del
mio assistente di laboratorio: sinceramente il look heavy metal
è
un po' sopravvalutato, non trovi?Oh, e si può considerare
una
telefonata anonima quella della lavanderia per il ritiro dei vestiti
che ho dimenticato là?Perchè, tecnicamente, chi
ha
chiamato non mi da detto il suo nome e io....”
Reid tirò un sospiro di
sollievo. L'ennesimo in quei tre giorni in cui era in New Mexico
“D'accordo, Alaska, d'accordo: hai vinto!Ammetto di essere un
tantino iperprotettivo.”
“Sarà deformazione
professionale.- ipotizzò l'antropologa con una scrollata di
spalle- Sei stato molto dolce, comunque, a preoccuparti così
per me...”
“Sì, certo. Stai ancora da
Garcia, vero?”
Prima di partire Spencer aveva
praticamente consegnato Alaska alle cure di Penelope, convincendo la
collega a tenere la sua ragazza agli arresti domiciliari fino al suo
ritorno.
“Certo. Io e Penny ci facciamo un bel
pigiama party ogni sera da quando siete via.- gli rivelò
contenta- In effetti ci divertiamo molto: ieri le ho tinto i capelli
di rosso e lei a me di blu, ma solo una ciocca, sulla nuca,
così
se tengo i capelli sciolti non la vede nessuno...”
“Bene. Sai, preferisco comunque che
tu aspetti che ci sia io prima di tornare a casa tua. Sai, non vorrei
trovassi qualcos'altro...”
“D'accordo, Spencer, come vuoi.- Ross
non sembrava infastidita dal suo comportamento- Ora ti devo salutare,
sono su una scena del crimine.”
Al sentire quelle parole
l'attenzione del profiler si spostò su un nuovo argomento
“Un
nuovo caso?Lì a Washington?”
“Esatto.- confermò la giovane-
Strano per il periodo, no?”
“Già.” interloquì
Reid.
“Il tuo caso come procede?- si
informò quindi Alaska, interessata- L'avete preso?”
“Ci siamo quasi. Abbiamo un
sospettato, ormai.- le rivelò il profiler, prima di
aggiungere- Devo andare ora, stai attenta.”
“Come sempre.” gli fece eco, prima
di mettere termine alla chiamata.
Constitution Avenue.
Washington, DC.
L'agente Gordon fece finta
di non aver
sentito nulla della conversazione telefonica che aveva appena avuto
la ragazza. Le posò una mano sulla spalla, guidandola in
mezzo
alla folla di poliziotti, membri della scientifica e semplici curiosi
e alzò con gesto galante il nastro rosso che intimava a
chiunque non appartenesse alle forze dell'ordine di non avvicinarsi.
Non appena li vide avvicinarsi il
detective Donovan si congedò dall'uomo che stava
interrogando
cosa che fece con piacere, oltretutto, considerando il fatto che
aveva tutta l'aria di non essersi mai fatto una doccia in vita sua e
l'odore nauseabondo che lo accompagnava confermava quell'ipotesi.
“Agente Gordon. Dottoressa Ross.-
disse, accompagnando il proprio saluto con un cenno del capo-
Benvenuti nel Paese delle Meraviglie!”
Allargò le braccia magre,
facendo aprire così la giacca grigio fumo che stava
indossando
sopra una camicia azzurra da quattro soldi, per mostrare con finta
ammirazione il sudicio vicolo in cui si trovavano.
Gordon fece una smorfia che gli deformò
leggermente il viso rubicondo “Francamente, quando leggevo
quella
storia ai miei figli me lo immaginavo diverso.”
“Credo che il detective stesse
facendo dell'ironia.” lo informò Alaska,
mettendosi una mano
davanti alla bocca per non essere sentita dal poliziotto.
L'uomo si passò una mano sulla
faccia, esasperato, e si fece un appunto mentale che gli avrebbe
ricordato, in futuro, di cercare il sarcasmo il meno possibile quando
era in presenza della giovane antropologa.
“Allora- esordì, ignorando
volutamente il commento della ragazza- che cosa abbiamo?”
Il detective non rispose, ma fece loro
segno di seguirlo mentre si addentrava ancora di più in quel
vicolo poco raccomandabile. Certo, la zona di per sé non era
certo una delle migliori di Washington, considerando l'alto numero di
piccoli criminali, barboni e tossicodipendenti che la frequentavano
abitualmente, ma quei palazzi fatiscenti e ormai abbandonati da tempo
potevano considerarsi la cigliegina sulla torta di quello che,
l'agente federale ne era certo, sarebbe stato un caso difficile da
trattare.
Alaska e Gordon seguirono lo sguardo di
Donovan, che stava osservando accigliato il cadavere.
“E'...su una scala antincendio.”
gli fece notare Ross, inclinando la testa per osservare il corpo che
pendeva tristemente attaccato a una corda.
“Sì.” confermò il
poliziotto annuendo.
“Impiccato.” precisò Gordon
incredulo.
“Esatto.” assentì di nuovo
Donovan.
“Nessuno se ne è accorto
prima?- domandò di nuovo l'agente FBI- Quel cadavere
è
piuttosto...sì, insomma, è bello
rinsecchito!”
“Di certo non è morto
qui.-spiegò Alaska- Il livello di decomposizione non
coincide
con questo clima: fa troppo freddo. Il cadavere sarebbe dovuto
rimanere in condizioni ottimali.”
Il detective fece schioccare le dita
“Doc ha ragione: il nostro amico è comparso
stamattina
presto, verso le cinque.”
Gordon aggrottò la fronte “Come
sarebbe a dire comparso?”
“Che si è reso visibile
inaspettatamente e improvvisamente. È apparso, sbucato,
spuntato, si è manifestato, si è presentato,
è
all'improvviso...” elencò la ragazza velocemente.
Si interruppe presto, però,
sentendo su di sé gli sguardi severi dei due uomini
“Scusate.
Ultimamente mi diverto con il gioco dei sinonimi.”
“Diceva che è comparso?-
ripetè la propria domanda il federale- In che
senso?”
“Che da quanto ci ha raccontato un
barbone che bazzica in zona, prima non c'era e quando lui è
tornato dal suo giro, puff!- Donovan aprì i palmi con un
gesto
d'effetto- Mucchietto di ossa era qua ad aspettarlo.”
“Non vorrei entrare nei rami del
vostro lavoro,- commentò Ross aggrottando la fronte- ma
questo
mi sembra un po' strano.”
I due uomini le lanciarono un'occhiata
stranita “Solo un po' strano?”
“Direi che siamo in presenza di un
caso di sindrome di Cabot Cove, cara dottoressa
Ross.”aggiunse
Gordon mentre, alle loro spalle i tecnici del laboratorio di medicina
legale rimuovevano il corpo dalla posizione originaria e lo
disponevano su un telo bianco steso poco lontano dal terzetto.
“Non ho mai sentito parlare di una
cosa del genere.” disse Alaska dopo qualche attimo di
silenzio
meditabondo, mentre si avvicinavano allo scheletro.
“Andiamo: La
signora in giallo, Jessica Fletcher!- elencò l'uomo,
spazientito dal fatto che l'antropologa continuava a rivolgergli
occhiate confuse- Quella vecchia che trovava cadaveri e omicidi
ovunque si recasse!”
Alaska alzò un sopracciglio,
ancora incerta “Era una patologa?”
“No, il personaggio di un
telefilm: era una scrittrice di gialli e in ogni puntata si ritrovava
per caso sul luogo di un omicidio.- spiegò animatamente
l'agente, prima di sospirare rassegnato- Davvero, Ross, a volte mi
domando in che mondo tu viva.”
“Pianeta Terra, per ora dicono sia
l'unico abitabile...” ribattè la ragazza con un
sorriso.
“Devo ricordarmi che con te qualsiasi
forma di ironia e sarcasmo va sprecata.” sbuffò di
nuovo
Gordon, sotto lo sguardo allibito del detective Donovan.
“Dov'è Nate?” domandò
quindi Alaska, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno.
L'agente storse la bocca in una
smorfia: non sopportava l'agente Crowford, che di solito era l'agente
capo dei casi di cui si occupava l'antropologa. In effetti, lo era
anche di quello ma se ne era andato poco prima che la dottoressa
arrivasse.
“Crowford è tornato al
quartier generale dell'FBI.- spiegò con tono piatto- A
quanto
pare il nostro scorbutico collega ha scoperto qualcosa che aveva
fretta di verificare e che ha ritenuto più importante della
tua consulenza.”
L'antropologa si piegò per
iniziare una prima analisi sommaria dei resti “Che cosa ha
scoperto?”
“Non ne ho idea. Come al solito si è
espresso solo a monosillabi, troppo incomprensibili per poter capire
quali fossero le sue intenzioni.”
Alaska alzò lo sguardo sull'uomo
“Oh, andiamo. Nate non è così
male.”
“Non
quando lo prendi nelle sue giornate migliori, sai allora può
effettivamente essere...- Gordon si interruppe, fingendo di
riflettere sulla cosa-nah, neanche in quel caso è di buona
compagnia.”
“A me piace lavorare con lui.”
disse invece Ross, mentre tastava il corpo alla ricerca di qualche
segno particolare.
“Sei l'unica a cui abbia mai sentito
dire una cosa del genere.- borbottò il federale con una
scrollata di spalle- E in secondo luogo, a te piace lavorare con
chiunque, non fai testo.”
“E' una donna.”
Donovan aggrottò la fronte
all'affermazione della ragazza “Chi?”
“La vittima, è una donna.”
specificò quindi Ross.
“Una donna. Almeno una cosa la
sappiamo.- disse l'agente appuntando la cosa sul suo taccuino-
Altro?”
“Ci sono dei segni lasciati da morsi
di animali.- continuò Alaska, concentrata- Carnivori, o al
massimo necrofagi. Sono troppo grossi per essere associati ad animali
di quest'area, anche se potrebbero essere stati fatti da dei randagi.
In ogni caso sono piuttosto sicura che si tratti di canidi.”
“Come fai a dirlo?” si informò
quindi il detective Donovan. A lui non sembrava altro che una specie
di mummia mal ridotta.
“Per via dei solchi lasciati dai
canini.- spiegò l'antropologa, prima di puntare su di lui i
suoi occhi azzurri- Sai, è per questo che si chiamano
così.”
“Solchi?” azzardò l'uomo che
stava perdendo il filo del discorso.
Alaska rise divertita “Canini.”
“Giusto, giusto.- borbottò
Gordon, riattirando su di sé l'attenzione- Che altro puoi
dirmi?”
“So che sembra assurdo ma...- iniziò
a parlare con tono pensieroso, mentre si alzava e con un cenno del
capo dava il permesso ai barellisti di portare via il corpo- A
giudicare dallo stato dei resti sembrerebbe che il cadavere abbia
raggiunto questo grado di decomposizione in un deserto.”
“Un deserto?” ripeterono
all'unisono i due uomini.
“Sì, sapete, una di quelle
aree geografiche quasi completamente disabitate, dove le
precipitazioni atmosferiche sono praticamente assenti e...”
iniziò
a spiegare con tono leggero l'antropologa.
“So che cos'è un deserto,
Ross!- sbottò Gordon interrompendola- Ma qua intorno non ce
ne
sono molti, no?”
La ragazza alzò le spalle
“Evidentemente allora la vittima non è di queste
parti.”
“E come ha fatto ad arrivare fin
qui?” domandò quindi Donovan.
Alaska si strinse nelle spalle. Le sue
idee a riguardo erano del tutto assurde e coinvolgevano l'intervento
di creature soprannaturali e capaci di volare come Superman o il cane
volante della storia infinita. In effetti, c'era un motivo se non
aveva mai neanche lontanamente pensato di entrare nella parte
investigativa della polizia.
“Che mi puoi dire di quei segni sulla
schiena?” chiese quindi Gordon, additando il cadavere che
veniva
portato via.
“Non saprei.- rispose Ross,
inclinando la testa di lato, pensierosa- Sono piuttosto
astratti.”
“Di certo non è arte
contemporanea.- ribattè l'agente con una smorfia- Ma quello
che intendevo è se hai idea di che cosa possono essere
fatte.”
“Intendi se so se si tratta di
qualche materia organica?- ricapitolò quindi l'antropologa-
Direi di no, ma farò fare delle analisi di
laboratorio.”
Gordon ammiccò nella sua
direzione“E io sarò il primo che saprà
di che si
tratta anche se il caso è di Crowford?”
Alaska rise: non capiva affatto perchè
l'agente, ormai prossimo alla pensione, fosse così in
competizione con Crowford “Manderò un messaggio in
contemporanea a tutti e due!” assicurò infine,
seguendolo
alla macchina, ben contenta di avere un passaggio fino ai laboratori.
Istituto di Medicina
Legale.
Washington, DC.
“Buongiorno,
dottoressa Ross!” la
salutò cordiale la receptionist dell'istituto di medicina
regale, facendo rimbombare la propria voce nasale per tutta la hall.
“Buongiorno a te, Meredith!” la
ricambiò Alaska, avvicinandosi al desk e appoggiandosi al
piano con le braccia incrociate.
“Come va?” domandò con tono
chiacchiericcio, mentre scrutava la scrivania alla ricerca della
cartella del suo caso.
La donna agitò la mano “Solite
cose: cadaveri entrano, cadaveri escono. Qua è sempre un
manicomio, il dottor Shawn e la dottoressa Gonzales si stanno
contenendo la sala autopsie grande. Di nuovo.”
Ross scosse la testa “Che ci puoi
fare?Quei sono davvero come cane e gatto.”
“Non me lo dire.- sbuffò la
segretaria, prima di afferrare un post-it volante e leggendoglielo-
Ha chiamato quel cafone di Crowford, senza salutare e parlandomi come
se fossi l'ultima ruota del carro, come al solito, e mi ha lasciato
un messaggio per te.”
“E' molto stressato in questo
periodo.- si scusò Alaska al suo posto- Che
voleva?”
“Dice che hanno trovato dei
documenti, sul cadavere e che quindi presto ti spediranno impronte
dentarie e campioni di DNA per un confronto. La vittima si chiamava
Sandra Tarrash e...
“Meredith!-tuonò una voce
dall'interfono- Ho bisogno di te ora!”
La segretaria fece roteare gli occhi
platealmente “Subito, signore.- rispose lapidaria, prima di
tornare
a rivolgersi ad Alaska- Ti ho scritto tutto nella cartella. Ti
dispiace fare da sola, cara?”
Alaska scosse la testa, esortandola ad
andare e poi girò attorno al bancone, per raggiungere il
porta
documenti alla ricerca del proprio fascicolo.
Fece passare le dita scostando le
cartelle una a una. Non riuscì a fare a meno di leggere
degli
altri casi in attesa, affidati ad altri medici legali e patologi.
Una donna era stata picchiata a morte
dal marito violento.
C'erano tre corpi carbonizzati in
seguito ad un brutto incidente stradale dovuto ad un camionista
ubriaco.
Un ladro che aveva tentato un colpo in
banca aveva avuto la peggio in una sparatoria con la guardia giurata.
Sospirò piano, scuotendo la
testa e, finalmente trovò quello che stava cercando.
Corpo scheletrizzato non identificato.
Sala autopsie 4.
Afferrò il fascicolo e se lo
portò con sé nella stanza di laboratorio e, dopo
essersi infilata un camice azzurro di plastica, un paio di guanti e
una cuffietta, azionò il tasto del registratore e
iniziò
ad analizzare i resti.
“Sono la dottoressa Alaska Ross e sto
procedendo con l'autopsia del corpo ritrovato a Constitution Avenue.-
spiegò, riportando ciò che stava per fare-
L'analisi
del DNA ci confermerà se si tratta di Sandra Tarrash,
scomparsa nel Nevada in seguito ad un'escursione nella Valle della
Morte, i cui documenti sono stati trovati sul cadavere.”
Girò attorno al tavolo di
acciaio per esaminare i resti “Il cadavere si presenta come
parzialmente scheletrizzato. Sui resti sono ben visibili dei solchi
lasciati da denti di animali necrofagi.”
Rimase in silenzio per un po',
appuntando delle note sulla cartella e poi ricominciò a
parlare.
“La donna è morta da almeno
due o tre settimane. La causa della morte è disidratazione,
conseguente a una perdita di coscienza dovuta a un trauma cranico sul
lobo frontale, provocato probabilmente da una pietra. La condizione
di ciò che resta dei tessuti esterni concorderebbe con
l'ipotesi che il cadavere è rimasto per diverso tempo in
balia
delle condizioni atmosferiche tipiche della zona desertica, cosa che
coinciderebbe con il luogo della scomparsa. Sul corpo si possono
osservare diversi segni dovuti ad animali necrofagi, probabilmente
coyote o volpi.”
Scosse la testa, confusa. Quell'ultima frase
l'aveva già detta.
Sbattè gli occhi, cercando di
ritrovare la concentrazione. Di solito non faceva errori del genere,
ma in quel momento si sentiva come se una nebbia densa le si stesse
avvolgendo attorno ai pensieri.
“C'è qualcosa spinto dentro il
cavo orale.” disse, ritornando ad operare sul cadavere.
Prese un paio di pinze e spostò
la mandibola di modo di recuperarlo senza danneggiare i resti. Quando
ebbe estratto quello che sembrava un sacchetto di plastica
trasparente, contenente un foglio di cartoncino accartocciato, lo
posò su un vassoio di metallo poco distante, pronta a
consegnarlo alla scientifica.
“Lascio il reperto da analizzare alla
squadra di tecnici di laboratorio.”
Fece di nuovo una pausa, cercando di
respirare con il naso. Aveva degli strani giramenti di testa e uno
strano senso di nausea.
Strinse le mani intorno al ripiano del
mobile addossato alla parete, cercando di ritrovare il controllo.
Sentiva il cuore batterle all'impazzata
e uno strano dolore, acuto e violento, all'addome.
C'era qualcosa che non andava.
Trascinò i piedi vicino alla
porta del laboratorio e premette la mano contro un pulsante rosso.
Immediatamente un allarme iniziò
a suonare in tutto l'istituto e in poco tempo i dottori che stavano
operando nelle stanze attigue si precipitarono di fronte alla porta
di vetro, ormai sigillata dal sistema automatico che si attivava
ogniqualvolta veniva schiacciato l'allarme per le sostanze tossiche.
“Dottoressa Ross!- si sentì
chiamare Alaska da un uomo dai capelli brizzolati che, a fatica,
riconobbe come il dottor Shawn- Che succede?”
Le parole le uscirono a fatica dalla
gola “Credo...credo che ci sia qualcosa di tossico,
qua.”
“C'è
una maschera antigas nell'armadio!” l'avvisò
preoccupata una
donna.
La dottoressa Gonzales?, si ritrovò
a domandarsi, mentre si avvicinava al mobile.
Aveva le gambe molli e la testa le
girava ormai vorticosamente. Senza che se ne rendesse conto,
urtò
contro il carrello di acciaio di fianco al tavolo operatorio, facendo
cadere tutti i suoi strumenti di lavoro, e ritrovandosi
improvvisamente a terra e incosciente.
Le voci dei dottori, fuori dalla sala,
le arrivavano ovattate alle orecchie, ma presto, sopraffatta dal buio
che le si era creato alla vista, si lasciò andare in uno
stato
di oblio.
Stazione di polizia di
Roswell.
Roswell, New Mexico.
Spencer abbassò
lo sguardo sul
cellulare che aveva iniziato a squillare insistentemente. Prima di
rispondere alzò un sopracciglio, incuriosito: non conosceva
il
numero sul display.
“Il dottor Reid?” disse una voce
sconosciuta dall'altro capo del filo.
“Sì?” ribattè, sempre
più confuso.
“Sono la dottoressa Tragger,
dell'Howard University Hospital. La chiamo per informarla che Alaska
Ross è stata ricoverata qui e lei è il numero da
chiamare in caso di emergenza.”
Reid sentì la terra mancargli
sotto i piedi. Si ritrovò inchiodato sul posto, il volto
pallido come un lenzuolo “C-cosa?Ricoverata?Che cosa
è
successo?Sta bene?”
“Non posso dirle molto, al momento.-
continuò la donna- È arrivata da poco ed ora
è
al Pronto Soccorso, nella sala emergenza.”
“Nella sala emergenza?Ma cosa....”
Tutto quello non aveva senso. Spencer chiuse gli occhi con forza,
pregando che fosse solo un brutto incubo.
“Senta, non posso dirle di più,
ora.- la dottoressa Tarrash era evidentemente di fretta- Forse
è
meglio che venga qua al più presto.”
Rimase così, col cellulare
stretto convulsamente in mano e appoggiato, ormai inutilmente,
all'orecchio.
Fu dopo qualche minuto che si accorse
che il brusio che sentiva di sottofondo altro non erano che le voci
dei suoi colleghi.
“Hey, Spence, che succede?- domandò
JJ preoccupata- Hai una faccia...”
“Reid?- chiamò di nuovo,
Hotch, questa volta- Va tutto bene?”
“No.- fu tutto quello che riuscì
a dire, con voce debole e sottile-Alaska è in
ospedale.”
______________________________________________________________________________________
Ok, lo so. Adesso voi mi odiate,
vero? Ma non è colpa mia, davvero: il fatto è che
io sono una sociopatica, non afferro le regole sociali, quindi non
è colpa mia. Io lo so che non si fa di lasciare un finale di
capitolo così, solo che non posso farci niente. Quindi, via
ogni forma di arma: asce, pistole, cerbottane, immagini di Barbara
d'Urso, e riappropriamoci della nostra pace interiore. Fatto?Bene!
Eheheh, finito il cazzeggio, vi dico che questo voleva essere in
realtà un aggiornamento-gift in onore del ritorno di
Criminal Minds su mamma rai stasera!Quindi...buona visione, niente mail
minatorie all'autrice e: buon week-end!Al prossimo capitolo, bacini
baciotti. JoJo
lillina913
: Heylà!Uhm...direi
che questo capitolo esplicativo di ciò che accade ad Alaska
non è come te lo aspettavi, vero?Sorry, è che
sono sadica dentro, credo che ormai sia irreversibile...Dai, comunque
grazie mille per i complimenti!Ho messo un pochetto di lovely time
anche a inizio capitolo se no ciao, qua!Vabbè, fammi sapere
che pensi di questo capitolo, besos!
Maggie_Lullaby
: La
risposta alla tua domanda è: vd. sadismo dell'autrice. Ecco,
direi che è l'unica spiegazione. Potrebbe anche essere una
sorta di sindrome di Jessica Fletcher che ha contagiato la nostra
povera e ignara antropologa!Chi può dirlo,eheheh!Al soltio,
Thanks per i complimenti, cercherò di spedirti un Reid
appena ne ho uno sottomano!Al prossimo capitolo!Kisses!
Luna Viola
: Postato
ho postato perchè non voglio averti sulla coscienza, non so
se sarai molto felice del finale di capitolo, però!*me
malvagia* In ogni caso thanks per tutti i lovely diretti alla mia
storia, gracias davvero!!Il papy di Alaska si vedrà solo
all'ultimo capitolo, ma ce lo devo mettere per forza!Eheheh!Al prossimo
capitolo, bacibaci!
|
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Capitolo 4 *** Not good at all ***
Ci
sono veleni così
sottili che per conoscerne le proprietà è
necessario
avvelenarsi.
-
Oscar Wilde
Howard University Hospital. Washington,
DC.
Penelope Garcia non amava
gli ospedali.
Innanzitutto perchè al loro
interno accadevano perlopiù cose spiacevoli, che
consistevano
soprattutto in persone malate e sofferenti, e lei sapeva di non
essere particolarmente portata a vedere gli altri soffrire. Derek
aveva chiamato questa sua caratteristica empatia, lei non aveva idea
se fosse davvero quello o cos'altro, sapeva però che gli
ospedali non facevano per lei. In secondo luogo, poi, tutti i ricordi
che aveva degli ospedali tendevano ad essere spiacevoli. C'era stata
quella volta in cui Reid era stato sequestrato da un SI, per esempio,
o quando era stato infettato dall'antrace o quando gli avevano
sparato al ginocchio. Si ricordava di quando Hotch era stato
pugnalato da Foyet e, ovviamente, di quando avevano sparato a lei
stessa. L'unico ricordo piacevole legato alle strutture ospedaliere,
quindi, era la nascita di Henry e quando JJ le aveva chiesto di
essere la sua madrina.
Quindi, esistevano parecchi motivi per
cui Penelope Garcia potesse affermare di non amare gli ospedali, e a
buon ragione, oltretutto!
Tuttavia, non appena aveva ricevuto la
chiamata di Morgan che gli aveva spiegato con tono concitato e non
senza una certa preoccupazione che Alaska era stata ricoverata in
ospedale e che Reid era saltato sul primo areo per Washington per
raggiungerla, si era precipitata immediatamente all'Howard University
Hospital, pronta a mettersi al capezzale dell'amica.
O perlomeno era quello che progettava
di fare se un'infermiera dittatoriale non l'avesse dirottata verso la
sala d'attesa, dove aveva passato praticamente tutta la serata a
tamburellare nervosamente le dita sulle proprie ginocchia,
passeggiare su e giù lungo il perimetro della stanza e bere
caffè di qualità scadente.
Dopo quelle ore di completa omertà
riguardo le condizioni di Alaska, però, Garcia aveva deciso
di
abbandonare l'edificio e di agire e finalmente era riuscita ad
ottenere le informazioni che desiderava.
Schiacciò il tasto di chiamata
rapida per mettersi in contatto con Morgan e attese pazientemente che
l'uomo rispondesse.
“Si riprenderà!” annunciò,
saltando i convenevoli, non appena ottenne la linea.
La squadra di analisi comportamentale
trasse un respiro di sollievo, prima che David ponesse la fatidica
domanda “Ma cosa è successo?”
“Hanno chiamato Alaska per analizzare
dei resti che sono stati trovati mummificati e parzialmente
scheletrizzati.-spiegò, riportando pari pari il racconto
della
segretaria dell'istituto di medicina legale- Mentre stava facendo
l'autopsia si è sentita male perchè, a quanto
pare, il
cadavere era velenoso: le tossine non hanno avuto effetto subito
perchè tutti là dentro usano guanti e mascherine,
ma
Alaska è rimasta a contatto con i resti per troppo tempo e
la
tossina è stata assorbita anche a livello cutaneo.”
“Adesso come sta?” si informò
JJ con tono preoccupato.
“E' fuori pericolo, le hanno ripulito
il sangue dalle tossine in tempo, ma la tratterranno comunque in
ospedale per degli accertamenti.” continuò a
parlare
Penelope.
Un senso di sollievo si diffuse fra i
profiler.
“L'hai vista?” chiese Rossi, che
avrebbe desiderato avere informazioni più approfondite.
“Solo per poco e di sfuggita.-
borbottò l'informatica imbronciata- Il medico mi ha
consigliato di andarmi a fare un giro mentre applicano la terapia
visto che è ancora incosciente, ma non intendo schiodarmi da
questo ospedale.”
Derek ridacchiò “Brava,
bambolina, fagli vedere chi sei!”
“Hai avuto notizie di Reid?”
domandò Emily, alzando un polso per guardare il proprio
orologio e fare un rapido calcolo mentale su dove potesse trovarsi in
quel momento l'aereo preso dal collega.
“Non ancora, ma mi ha detto che mi
chiamerà non appena scenderà dall'aero.-
spiegò,
prima di esclamare- Oh, ecco!Hanno aggiornato di nuovo la sua
cartella clinica.”
“Garcia!- la richiamò Hotch- Non sei
entrata nella rete informatica dell'ospedale, vero?”
“No!” rispose Penelope, troppo
velocemente, però.
Il capo dell'unità di analisi
comportamentale fece roteare gli occhi “Allora?Che
dice?”
“Fuori pericolo, ha risposto
perfettamente alla terapia.- lesse Garcia, facendo scorrere gli occhi
sul monitor del proprio portatile che si portava in grembo-
Starà
in ospedale due giorni, e la prognosi è di quattro o sei
giorni.”
Al leggere quelle parole Penelope si
sentì immediatamente più rilassata. Certo,
quell'esperienza non le avrebbe certo fatto cambiare la propria idea
sugli ospedali, ma era contenta che tutto si stava risolvendo
velocemente e bene. A quel punto era pronta a tornare a casa per
raccogliere qualcosa che sarebbe stato di certo utile ad Alaska,
certo, non prima di aver parlato un'infermiera per avere la certezza
che l'amica non si sarebbe svegliata durante la sua assenza.
Howard University Hospital.
Washington,
DC. Qualche ora dopo.
Rallentò il
passo solo quando
intravide il numero della stanza che gli era stato indicato
dall'infermiera. Quando si ritrovò sulla porta rimase
immobile, appoggiato lo stipite, ad osservare la ragazza, mentre
sentiva dentro di sé la preoccupazione lasciare un piccolo
spazio alla gioia e al sollievo che si erano creati non appena
l'aveva vista.
Alaska era sdraiata nel letto, la
schiena leggermente sollevata appoggiata al cuscino voluminoso e un
leggero lenzuolo bianco a coprirle le gambe e l'addome. Stava
sfogliando una rivista che probabilmente le aveva portato una delle
infermiere e le sue labbra, rosse e screpolate, spiccavano sulla
pelle troppo pallida. Gli occhi azzurri erano circondati da delle
occhiaie scure che le davano un'aria malata e stanca.
“Sembra peggio di quello che è.”
Nel sentire all'improvviso quella voce
familiare, leggermente arrochita e decisamente stanca,
sobbalzò
sul posto.
Alaska gli rivolse un sorriso
amorevole. Si era svegliata da poco ed era contenta che la prima
persona ad arrivare da lei, subito dopo il dottore, fosse stata
proprio Reid.
Il ragazzo tossì, per schiarirsi
la voce, mentre si avvicinava al suo capezzale “Come...come
è
successo?” domandò, anche se Garcia ormai glielo
aveva
raccontato fino alla nausea.
“Le ossa erano tossiche.- disse,
riportando la breve spiegazione che le aveva dato il medico quando le
aveva chiesto che cosa fosse successo- Fortunatamente gli altri non
hanno passato abbastanza tempo in laboratorio da rimanere colpiti dal
veleno.”
La testa di Spencer si alzò di
scatto, incredulo di quanto aveva appena sentito “E
tu?”
“Sto bene.- lo rassicurò
Alaska, allungano una mano per dargli un buffetto sul braccio- Mi
sono svegliata mezz'oretta fa e un dottore mi ha visitata subito. Ha
detto che devo aspettare ancora un paio d'ore per le ultime analisi e
poi mi rispediscono a casa.”
“Di già?” domandò
scettico il profiler, alzando un sopracciglio.
“E' più di un giorno che sono
qua dentro, Spencer, e avere un po' di nausea non è certo un
sintomo che richiede l'ospedalizzazione.” gli fece notare la
ragazza. L'incidente al laboratorio era avvenuto la mattina
precedente, prima di mezzogiorno e in quel momento erano già
le cinque di pomeriggio del giorno successivo. Nella mente di Alaska
quello era un tempo decisamente troppo lungo da passare in un
ospedale.
“Forse dovrei parlare col tuo
dottore.” borbottò Reid meditabondo, mentre faceva
vagare
gli occhi scuri lungo la parete di vetro che si affacciava sul
corridoio alla ricerca di un camice bianco.
“Oh, sì!-concordò
allegra l'antropologa, iniziando a parlare velocemente come suo
solito- Phil è davvero simpatico. Sai che questo
è un
ospedale universitario?Ho appena contribuito alla formazione di un
giovane medico, sento di aver fatto qualcosa di buono per
l'umanità,
come quando uso i sacchetti di carta al posto di quelli di plastica o
quando ti convinco a comprare block notes fatti di carta riciclata o
quando chiudo il rubinetto dell'acqua mentre mi lavo i denti
o...”
“Cosa?!- esclamò Reid
raddrizzandosi sulla sedia- Non hai avuto un medico vero?”
“Phil è un vero dottore.- gli
ricordò la ragazza- Deve solo fare la specializzazione
e...”
“Ma guarda un po' quei begli occhioni
azzurri!- chiocciò una paffuta infermiera entrando nella
stanza- Ho fatto solo una pausa caffè e tu sei
già
tornata da noi, cara?”
I due si voltarono verso la donna che
piroettava in fretta da una parte all'altra della stanza,
controllando le flebo e i tabulati dell'elettrocardiogramma.
“Sissignora.- confermò Alaska
rivolgendole un sorriso aperto- Avrei dovuta aspettarla?”
“No, tesoro.-la rassicurò
l'infermiera con aria bonaria- Solo che avrei voluto farti io il
controllo di routine, mi sono occupata io di te ieri.”
Reid prese la parola “E' passato il
dottor...- fece una pausa, cercando di ricordare se la ragazza gli
avesse detto il cognome del medico-uhm...Phil?”
“Ah, certo.- la donna fece dondolare
la testa, i riccioli ribelli liberati da quel gesto- Il dottor Lodge,
caro ragazzo.”
Alaska annuì “Mi ha
punzecchiato, stuzzicato, misurato la febbre e fatto altre strane
cose da medico.”
L'infermiera guardò la cartella,
sorridendo soddisfatta “Sembra proprio che il peggio sia
passato.”
“Oh,sì!- confermò Ross-
Mi sento molto bene, in effetti.”
Spencer si rivolse all'infermiera,
preoccupato “Ha detto che ha un po' di nausea: è
normale?”
“Direi di sì.- la rassicurò
la donna, dando un buffetto al piede di Alaska sotto le coperte- In
fondo questo povero angelo è stato intossicato da veleno per
topi. Povera cara, com'è che è potuto
succedere?”
“Un...piccolo incidente sul lavoro.”
spiegò, senza entrare nei particolari che coinvolgevano un
cadavere scheletrizzato, stringendosi nelle spalle.
“Mi hanno detto che sei una
ricercatrice allo Smithsonian...” riepilogò
l'infermiera,
meditabonda.
“Evidentemente qualcuno ha preso
troppo sul serio l'espressione topi da laboratorio.”
scherzò
Alaska, riuscendo a strappare una risata all'infermiera, prima che
lasciasse la sua stanza.
Reid, invece, le rivolse
un'occhiataccia a causa di quella battuta. Si domandava come potesse
anche solo pensare di scherzare su una situazione del genere: che
avrebbe fatto lui se il veleno fosse stato troppo potente?Se Ross non
fosse riuscita a schiacciare il pulsante delle emergenze e i soccorsi
non fossero arrivati in tempo?
Un brivido gelido gli scese lungo la
schiena a quei pensieri, facendolo rabbrividire nonostante il
riscaldamento nella stanza fosse piuttosto alto.
Allungò una mano sopra il letto
e strinse quella di Alaska, portandosela poi alle labbra per posarle
un leggero bacio sul palmo.
Nate Crowford non
sorrideva. Mai. Le
uniche volte in cui le sue labbra sottili si piegavano leggermente
all'insù era per dimostrare maggiormente agli altri la
propria
superiorità umiliandoli con un'espressione beffarda. Nate
Crowford non era ben visto dai suoi colleghi dell'FBI. I suoi metodi
erano troppo duri, spesso ai confini della legalità, e il
suo
atteggiamento in generale era decisamente troppo aggressivo.
Per questo motivo in molti, quando
erano venuti a conoscenza del fatto che a Crowford era stata
assegnata come consulente Alaska Ross, avevano pensato ad uno
scherzo. Invece, probabilmente, il karma esisteva davvero e la
giovane antropologa forense con la sua allegria spesso fuori luogo e
la sua gentilezza verso il prossimo era semplicemente il contrappasso
per uno dei molti peccati del burbero agente dell'FBI.
Quando Reid lo vide entrare nella
stanza di Alaska, con la testa rasata, i muscoli pompati stretti
nella giacca di pelle e sul viso la solita espressione ostile, non
riuscì ad impedire a un brivido di scorrergli lungo la
schiena.
La sua ragazza, invece, sorrise
smagliante: a quanto pareva quell'aspetto minaccioso non le faceva
alcun effetto “Ciao Nate!” trillò, come
se non fosse
affatto reduce da un avvelenamento.
Crowford strinse le labbra. Alaska era
la sola a cui permetteva di chiamarlo con quel soprannome, tutti gli
altri, compresi i parenti stretti, lo chiamavano semplicemente
Nathaniel.
“Che ti è successo?”
domandò, ignorando completamente Spencer. Aveva un forte
accento di Boston e una voce cupa e profonda.
“Non posso dirtelo con precisione
perchè non mi fanno leggere la mia cartella clinica.-
rispose
la ragazza, mimando un piccolo broncio- Dicono che non sono una vera
dottoressa.”
“Infatti non lo sei.” tagliò
corto Crowford, avvicinandosi al letto, ma rimanendo in piedi, le
spalle rigide.
Alaska sorrise, rassicurandolo come
aveva fatto con Reid poco prima “Ma sto bene,
davvero.”
L'uomo alzò un sopracciglio “A
giudicare dalla quantità di aghi che hai infilati nella
pelle
non direi che bene è la parola esatta.”
L'antropologa ignorò quel
commento e fece un gesto per indicare Reid, ancora seduto di fianco a
lei “Hey, lui è Spencer!Spencer, lui è
Nate, il mio
partner nelle indagini in cui serve un'antropologa forense.”
L'agente lanciò un'occhiata
penetrante al profiler, scrutandolo da capo a piedi con sguardo di
sufficienza, cosa che fece imbarazzare il ragazzo non poco.
“Crowford.” balbettò a mo'
di saluto, il viso color porpora.
“Dottor Reid.” gli fece eco
annoiato l'altro, che non sembrava per niente entusiasta di quella
nuova conoscenza.
“Sono così contenta che
finalmente vi siate conosciuti, anche se speravo non succedesse per
un motivo del genere.” ciarlò allegra la ragazza,
incurante
del fatto che sembrava l'unica nella stanza a non notare quanto la
presenza di Crowford avesse incupito l'atmosfera. A Spencer sembrava
perfino che nell'intero corridoio ci fosse meno vitalità
rispetto a quando era arrivato.
Scrutò il volto dell'agente
federale. Era serio, terribilmente: la bocca stretta in una linea
dura e gli occhi grigi senza traccia di sentimento. A giudicare dai
tratti il profiler considerò che dovesse avere
più o
meno l'età di Morgan, o perlomeno essere di qualche anno
più
giovane rispetto il suo collega. Ostentava una sicurezza estrema e
aveva atteggiamenti tipici da maschio alpha, inoltre, come poteva
notare dalla posa militaresca anche nel semplice stare in piedi,
intuì che doveva avere sempre il controllo della situazione.
Si riscosse non appena un uomo in
camice bianco entrò nella stanza, lasciando così
a metà
il proprio profilo iniziale sullo scorbutico collega della sua
ragazza.
“Hey Phil!” lo salutò Alaska
gioviale.
Il dottore prese la cartella, anche se
sapeva già che non c'erano novità
“Alaska. La mia
paziente preferita!Sai, sei quella che mi da più
soddisfazioni
in questo reparto.”
L'uomo fece un gesto vago della mano.
In effetti, l'aria che tirava di solito in terapia intensiva non era
il massimo e poter dire di aver stabilizzato e rimesso in piedi una
paziente in soli due giorni era di certo una vittoria.
“Nel senso che mi stai dando l'ok?-
domandò Ross eccitata- Il grande via libera, semaforo verde,
pollice in su, foglio di via, libertà totale
d'azione?”
Il dottore scosse la testa ridendo
divertito, mentre anche i due agenti FBI sembravano impazienti di
sapere la risposta.
“Non ancora, temo.-disse infine il
dottor Lodge- Devi aspettare le ultime analisi, ma sono più
che certo che domani mattina verrai finalmente dimessa.”
“Domani mattina?” piagnucolò
Alaska, lasciandosi cadere all'indietro sui cuscini.
“Potrei sapere come avete agito?”
domandò Spencer, impaziente.
Il dottore strinse gli occhi, cercando
di ricordare “Il dottor Reid, giusto?Alaska mi ha parlato di
lei.
Una specie di genio che nel tempo libero diventa un mago, no?”
“Non esattamente, però...”
“Insomma possiamo sapere che cosa è
successo?- sbottò Crowford interrompendolo- Vorrei far
partire
le indagini!”
“E immagino che lei è l'agente
Crowford. Mi ha parlato parecchio anche di lei: scommetto che questa
ragazza riesce a snocciolare più di duemila parole al
minuto.”
“Non mi hanno mai fatto test a
riguardo ma potrebbe essere.” confermò Alaska
divertita.
“Per curare l'avvelenamento acuto da
tallio le abbiamo somministrato furosemide e successivamente abbiamo
sottoposto la signorina Ross ad emodialisi. Non c'è niente
per
cui preoccuparsi, quindi, la tossina è stata rimossa
completamente dal suo organismo.”
“Niente complicazioni, quindi?”
chiese di nuovo conferma Reid, ancora preoccupato.
Lodge scosse la testa, prima di
rivolgersi alla ragazza “D'accordo signorina. Quello che devi
sapere è che ti sentirai un po' intorpidita per i prossimi
giorni, come se fossi convalescente da una brutta influenza. Quindi,
dacci dentro con le vitamine, bevi tanti liquidi e se dovessi
riscontrare affaticamento o difficoltà respiratorie devi
ritornare qui a fare un controllo. Tutto chiaro?”
Alaska gli rivolse un sorriso
radioso“Annullerò gli allenamenti per la maratona
di New
York.”
“Potresti ripiegare su un torneo di
scacchi.” la assecondò il dottore, appuntando
qualcosa sulla
cartella clinica.
“O coltivare la mia innata abilità
nel lancio dei coriandoli.” continuò Alaska.
Vederla
scherzare in quel modo aveva rassicurato un po' Spencer sulle sue
condizioni, ma di certo non sul perchè si trovasse
lì.
E dall'espressione grave sul volto di Crowford il profiler
ipotizzò
che anche la mente dell'altro agente era rivolta alle indagini che si
sarebbero aperte il più presto per trovare il colpevole di
quell'atto.
“Vedo che sei un'ottima creatrice di
piani alternativi.- continuò a chiacchierare il medico-
Dovrei
farti conoscere la mia sorellina, si sta struggendo da settimane
riguardo a cosa potrebbe fare se non venisse ammessa alla
facoltà
di legge.”
“Fossi in lei mi aggregherei a un
circo e farei la funambola. Certo, solo se potessi avere un vestito
di paiettes rosse e un ombrellino in tinta.”
“Glielo proporrò.- ribattè,
prima di dirigersi verso la porta puntandogli addosso un dito
ammonitore- Mi raccomando, basta avvelenamenti, sei troppo
divertente.”
“Me lo segnerò in agenda: veleno?Mai
più,
grazie.” rise Alaska, salutandolo con una sventolata leggera
di
mano.
“Ti dispiace restare sola per un po',
Ross?- domandò Crowford con voce piatta- Credo di dover
parlare un attimo con il dottor Reid.”
Spencer girò di scatto la testa
verso l'uomo, interdetto da quella richiesta, mentre la mora non
sembrò notare la stranezza di quella domanda.
“Ma certo, fate pure!- concordò
con un sorriso smagliante, accennando con la testa al televisore
della stanza- Ho saputo che hanno la tv via cavo, magari riesco a
trovare un programma interessante: forse ci sono le repliche di Happy
Days.”
Reid lanciò un'ultima occhiata
ad Alaska e, con un sospiro rassegnato, si ritrovò a seguire
l'uomo fuori dalla camera, socchiudendo alle proprie spalle la porta
a vetri scorrevole.
Crowford incrociò le braccia
muscolose al petto, inchiodandolo sul posto con uno sguardo grave
“Ho già fatto partire un'indagine. Ho i nomi di
chiunque sia
stato in contatto con il cadavere, anche per un secondo, e ho
già
proceduto con gli interrogatori di alcuni di loro. Per ora posso
escludere che si tratti di un attentato di un lavoratore interno ai
laboratori di medicina legale. Devo ancora interrogare i poliziotti e
i portantini dell'ambulanza e poi procederò con un'indagine
esterna al dipartimento.”
Il profiler ascoltò attento “Ti
hanno affidato il caso?”
“Me lo sono preso.- precisò
Crowford- Quegli idioti del dipartimento di polizia non sanno neanche
da che parte sono girati.”
Il ragazzo aggrottò le
sopracciglia e sgranò gli occhi, esterrefatto
“Ma..ma-
balbettò, agitato dalla presenza di uno degli agenti
federali
più temuti- la procedura dice che...”
“Al diavolo!- sbottò Nate
combattivo- Se qualcuno tenta di fare fuori la mia partner è
decisamente affar mio!”
Spencer strinse le labbra: sentirlo
chiamare Alaska “la sua partner” in modo tanto
possessivo gli
aveva fatto inconcepibilmente montare dentro una strana rabbia.
“Quindi quale è la tua
teoria?” si informò, cercando di darsi un po' di
contegno.
Crowford si umettò le labbra
sottili, lo sguardo penetrante fisso sulla figura di Alaska al di
là
del vetro “Credo che si tratti di un possibile attentato
all'istituto di medicina legale.”
Reid annuì, pensieroso,
considerando quell'ipotesi. Era realistica: dopotutto il dipartimento
si occupava di tutti i casi di omicidio, suicidio e morti sospette di
Washington, e spesso anche di quelle provenienti da piccole
città
limitrofe. Non era da escludere che qualcuno avesse architettato un
piano del genere per scostare l'attenzione da un caso in analisi,
oppure come forma di avvertimento. Spencer si torturò le
mani
lunghe e affusolate, mentre continuava nei propri ragionamenti.
Probabilmente, pensò, doveva essere l'opera di un esperto,
data l'accuratezza dell'intera operazione.
“Quindi...-azzardò, tornando a
fissare l'uomo di fronte a sè- ti serve aiuto con le
indagini?”
Crowford lo guardò come se
avesse raccontato una brutta barzelletta “No.-
tagliò corto-
Mi serve che tieni Ross fuori dai guai e che la convinci a lasciar
perdere il caso che stava trattando. È tremendamente
cocciuta
e ha quella sua stupida fissa del non...”
“...abbandonare mai un caso.”
concluse Reid al suo posto.
“Già.- confermò Nate,
passandosi una mano fra i corti capelli neri- Insomma, vorrei che la
facessi ragionare come i comuni mortali, per una volta.”
Spencer annuì “Cercherò
di convincerla a lasciare spazio alle indagini.”
Crowfrod annuì, senza accennare
a ringraziarlo per l'aiuto “Bene, torno al lavoro. Salutami
Ross.”
Fece un cenno col capo alla ragazza
che, da dentro la stanza, li stava osservando con accesa
curiosità
nello sguardo, e dopodiché camminò veloce lungo
il
corridoio, pronto a guadagnare l'uscita, ignorando Reid come aveva
già fatto in precedenza.
Il ragazzo scosse la testa, incerto su
cosa pensare su quello strano personaggio.
“Nate se ne è andato?” gli
domandò Alaska, quando ritornò a sedersi al suo
fianco
nella camera d'ospedale.
Spencer le rivolse un sorriso
stropicciato “Aveva da fare. Ha detto che ti saluta,
però.”
L'antropologa annuì, i grandi
occhi azzurri che spiccavano particolarmente sul pallore da malata.
“Pensate che qualcuno abbia avvelenato il cadavere per
colpire il
dipartimento di medicina legale?” domandò quindi,
lasciando
che un'espressione di sorpresa attraversasse veloce il volto del
profiler.
“Stavi origliando?” ribattè
Reid, alzando un sopracciglio.
“Esattamente.- confermò lei
con un sorriso smagliante- So che non si dovrebbe fare, ma stavate
parlando di un argomento che reputo interessante senza coinvolgermi.
In più, a mia discolpa chiamo il fatto che la porta era
socchiusa, il che è praticamente un invito ad
ascoltare.”
“Quindi hai anche sentito delle
indagini di Crowford e del fatto che vuole che ti fai un po' da parte
nel caso...” continuò Spencer allusivo.
Alaska annuì di nuovo, alzando
le mani in segno di resa “Una settimana.- decretò-
E' il
tempo di riposo che mi ha consigliato il dottore. Quindi per una
settimana farò la brava bambina ubbidiente che lascia che
papà
orso faccia il proprio lavoro, ma dopodiché
tornerò al
mio caso.”
Reid gli rivolse un sorriso amorevole
“E' stato più facile di quanto pensassi,
convincerti. Forse
ci sono stati più danni del previsto.”
cercò di
scherzare, anche se il suo tono non rispecchiava la spensieratezza
delle proprie parole.
Ross rise, facendogli una linguaccia
“Rimarrai qua con me, stanotte?” chiese poi
speranzosa.
Spencer le afferrò entrambe le
mani, avvicinandosele alla bocca “Non me ne vado da nessuna
parte.”
le assicurò, posandogli un bacio leggero sulla pelle
diafana.
Uffici
dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Spencer Reid fece il suo
ingresso
nell'open space con passo svogliato, trascinando i piedi e con delle
occhiaie che rendevano noto a chiunque lo osservasse che aveva
passato una nottata in bianco. In effetti, era proprio così.
Non che lui non fosse in grado di addormentarsi su una sedia di
ospedale, per quanto potesse essere scomodo dopo aver passato le
quarantotto ore precedenti senza dormire sarebbe stato decisamente in
grado di addormentarsi anche su un letto di spilli, probabilmente. Il
fatto era che Alaska, contrariamente a quanto aveva detto il dottor
Lodge, non sembrava affatto affaticata o stanca, anzi. Dopo aver
passato diverse ore in stato di incoscienza era decisamente
più
arzilla del solito, decisa a chiacchierare con lui di svariati
argomenti che partivano dagli studi di un suo collega su una specie
piuttosto rara di bruchi, alla nuova pubblicità del
caffè
solubile passando perfino sul probabile finale di una delle soap
opera più seguite che lei non aveva però mai
guardato.
Lui amava parlare con Alaska eppure, senza nemmeno accorgersene, si
era addormentato con la testa appoggiata alle sue gambe e quella
mattina si era svegliato con un raggio di sole sugli occhi e la mano
affusolata di lei che passava piano e ritmicamente fra i propri
capelli.
Individuò i propri colleghi,
tornati da poco dal New Mexico, intenti a parlottare fra loro vicino
alla scrivania di Prentiss e gli si avvicinò lentamente.
“Aw, ragazzino, hai un aspetto
orrendo!- fu il saluto di Morgan- Credevo fosse Alaska quella
malconcia.”
Reid gli rivolse un'occhiata fulminante
“Alaska sembra stare meglio di tutti noi messi insieme.-
borbottò
in risposta- E in questo momento si starà probabilmente
preparando per essere dimessa. Mi ha convinto a venire qui, visto che
ha convinto il suo partner ad accompagnarla a casa.”
Ai presenti non sfuggì lo strano
accento che aveva messo sulla parola partner, ma nessuno lo
interruppe.
“E poi non è affatto comodo
passare la notte su una sedia di ospedale.” concluse, con un
piccolo broncio sul viso.
“Il partner di Alaska non è-
JJ fece una piccola pausa, picchiettandosi l'indice sulle labbra
mentre cercava di rievocare il nome dell'agente- Nathaniel
Crowford?”
Sul volto di Spencer si dipinse una
smorfia insofferente mentre annuiva.
Rossi fece roteare gli occhi “Odio
quel tizio.”
“Non sei il solo.” gli fece notare
Emily, stringendosi nelle spalle.
“Sbaglio o è stato da poco
richiamato dalla commissione disciplinare?- domandò Hotch, a
nessuno in particolare- Credo sia per via di quando ha dato in
escandescenze con un sospettato.”
Reid si lasciò scivolare
sconfitto su una sedia “Grazie per darmi tutte queste notizie
meravigliose sull'uomo che sta accompagnando a casa la mia ragazza e
che passa con lei la maggior parte del tempo durante le sue
consulenze per l'FBI. Grazie, davvero.”
Morgan gli diede una pacca sulla spalla
esile e stava per aprire bocca per dire qualcosa quando fu interrotto
dall'arrivo di Garcia in una nuvola coloratissima e vistosa.
“In sala conferenze fra dieci
minuti.- disse perentoria, ma con voce estremamente ansiosa- Anzi,
cinque minuti...Anzi...forse è meglio che veniate
immediatamente!”
JJ la seguì immediatamente,
stranita dal fatto che Penelope avesse usato una frase che di solito
era lei a pronunciare “Ma che sta succedendo?”
Garcia camminò su e giù
per la stanza, aspettando che Morgan, ultimo ad entrare, si chiudesse
la porta alle spalle.
“Lo so che mi avete detto un milione
di volte che non dovrei ficcanasare nelle indagini federali altrui-
disse parlando talmente velocemente che le parole rischiavano di
uscirle accavallate- ma qui stiamo parlando di Alaska, ok?Insomma, la
sorellina che ho sempre desiderato, la fatina dei dentini che non ho
mai avuto occasione di vedere, la prova vivente che i discorsi
coerenti sono una perdita di tempo e...”
“Garcia, vuoi arrivare al punto?”
domandò leggermente spazientito Rossi.
La rossa annuì, facendo
ondeggiare la propria capigliatura “Insomma, volevo solo
vedere
come procedevano le indagini dopo tutta quella storia
dell'avvelenamento, e volevo vedere se avevano già coperto
chi
è quel folle che ha cercato di fare del male alla mia
Nocciolina e ho visto...insomma è successo...”
Hotch fece rotare gli occhi “Cosa
è successo?”
Penelope schiacciò un pulsante
sul telecomando che stringeva nervosamente tra le mani, accendendo
così il monitor della sala conferenze “E'
successo...questo.”
Gli occhi dei profiler si fissarono
sullo schermo, increduli di ciò che era comparso davanti ai
loro occhi.
Da qualche parte per le
strade di
Washington, DC.
Crawford si ricordava
esattamente della
prima volta che aveva visto Alaska Ross. Si occupava di un caso in
cui la vittima era stata ritrovata troppo tardi, considerando il
fatto che non ne era rimasto altro che lo scheletro, malconcio
oltretutto.
Di solito, quando trattavano casi del
genere, al medico legale si affiancava un patologo che aveva avuto
anche formazione archeologica, ma tutto dipendeva di quali consulenti
avevano a disposizione. Quella volta gli era stato annunciato che
avevano assunto un consulente esterno fisso, un antropologo forense
che lavorava allo Smithsonian. Si aspettava un borioso luminare con
barba e rughe e invece gli era comparsa davanti questa ragazza dal
sorriso largo che chiacchierava incessantemente di argomenti che non
avevano niente a che vedere con l'antropologia forense.
Lui ovviamente aveva cercato di
cacciarla via dalla scena del crimine all'istante, ma Alaska l'aveva
stordito con le sue parole e, inoltre, l'agente Gordon gli aveva
assicurato che era sicuro che fosse lei la consulente che gli era
stata affidata. Così, l'aveva lasciata fare, osservandola
mentre si avvicinava allo scheletro senza battere ciglio e
analizzarlo attentamente prima di farlo portare via dai ragazzi
dell'istituto di medicina legale.
“Allora?- le aveva domandato
spazientito- Che cosa puoi dirmi su quel corpo?”
L'antropologa
non si era fatta impressionare dal suo sguardo raggelante e dalle sue
parole secche, gli aveva sorriso amabilmente e poi l'aveva invitato a
pranzo per discutere. Quando lui aveva rifiutato, decisamente
arrabbiato per il suo atteggiamento poco professionale, Alaska aveva
taciuto finalmente per diversi secondi.
“Sei strano.” aveva sentenziato
infine, scrutandolo con attenzione con le mani sui fianchi.
Lui le aveva rivolto una delle sue
occhiate fulminanti, di quelle che di solito facevano scappare la
gente con una scusa qualsiasi.
Lei invece gli aveva sorriso
apertamente e aveva aggiunto “Mi piaci.” prima di
andarsene con
passo leggero, in una nuvola multicolor.
E lui, Nate Crowford, l'uomo di
ghiaccio, era rimasto lì, praticamente paralizzato a
guardare
la sua schiena che si allontanava.
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe
legato talmente a lei da considerarla un'amica, tanto da viaggiare
fino all'altro lato della città soltanto per darle un
passaggio fino a casa.
“Ti ho portato un regalo.” disse
Crowford, con tono indifferente, la mani ben strette intorno al
voltante. Con la coda dell'occhio, però, non si
lasciò
sfuggire l'illuminarsi dello sguardo della giovane antropologa.
“Davvero?” trillò Alaska, un
sorriso radioso sul volto.
Nate annuì, facendole cenno di
aprire lo scompartimento sul cruscotto.
Le mani di Ross si strinsero pochi
secondi dopo attorno ad una boccetta piena di pillole colorate.
“Le vitamine masticabili alla
frutta!- esclamò contenta- Le adoro!”
Crowford non accennò a togliere
lo sguardo dalla strada, anche se sapeva che quel piccolo regalo le
sarebbe piaciuto “Ci sono anche quelle all'ananas. Le tue
preferite, giusto?”
“Esatto!” confermò Alaska,
portandosene una alla bocca.
“Non esagerare, però.- la
ammonì- Non voglio vederti iperattiva e ingestibile. Non
più
del solito, perlomeno.”
La mora spinse in fuori il labbro
inferiore “L'hai sentito il dottore, no?Devo rimettermi in
forze!E
questo vuol dire vitamine, dolci, persone che ti viziano coi loro
pensierini e, possibilmente, anche la possibilità di passare
una giornata in ozio sul divano a guardare cartoni animati mangiando
gelato al biscotto!”
Crowford fece roteare gli occhi
“Credevo che il tentato avvelenamento mi avrebbe permesso di
vederti almeno un po' preoccupata, Ross.”
“Ora sto bene, non
ho bisogno di stressarmi inutilmente.” rispose la ragazza,
scrollando leggermente le spalle. L'agente annuì: sapeva
benissimo che la filosofia di vita della ragazza consisteva nella
ferma convinzione che il passato dovesse rimanere tale e pertanto
considerava superfluo continuare a pensarci.
“Dì un po', esiste al mondo
qualcosa che ti spaventa davvero?- continuò a indagare- Che
so, i ragni, gli insetti, i serpenti, le grandi altezze...”
“Non ho fobie, anche se....- Alaska
si mordicchiò l'interno delle guance, pensierosa- Sai, trovo
piuttosto inquietanti gli zoo.”
Nate gli puntò addosso i
suoi occhi grigi “Gli zoo?”
“Già.” confermò Ross
annuendo.
“Sei strana.” le fece notare
l'uomo, ritornando a guardare davanti a sé.
In effetti, se Crowford avesse
conosciuto effettivamente il background della ragazza, probabilmente
non si sarebbe stupito più di tanto. Aveva letto il suo
fascicolo, ovviamente, non appena le era stata affidata come partner
fissa nei casi in cui era necessario l'intervento di un esperto in
antropologia forense, ma oltre a una piccola nota di uno psicologo
che l'aveva avuta in cura quando era ancora una bambina in seguito ad
un'esperienza traumatica che aveva vissuto, non aveva trovato niente
di rilevante. Sapeva che ciò che era successo, se era stato
menzionato sul suo fascicolo, doveva essere stato ritenuto rilevante
da chi l'aveva assunta, ma lui si era limitato a relegare
quell'informazione in qualche angolo della propria mente, senza
procedere con indagini più approfondite. Indagini che con
ogni
probabilità lo avrebbero portato ad un fascicolo risalente a
una quindicina di anni prima conservato negli archivi dal BAU, allora
unità ancora in via di sviluppo, e che riportava i crimini
di
un uomo dall'aspetto banale ma con una mente perversa che l'aveva
spinto a rapire e torturare, rinchiudendole in una gabbia, delle
ragazzine della sua città. Probabilmente, se avesse
affrontato
quella ricerca, Crowford si sarebbe stupito del fatto che il nome
della sua giovane partner coincidesse esattamente con quello
dell'unica sopravvissuta a quell'aguzzino.
“E anche le armi mi spaventano.”
continuò l'antropologa con tono leggero, alzando un indice
per
accompagnare le proprie parole.
“Non essere ridicola: passi la
maggior parte del tempo in compagnia di persone che portano un'arma,
Ross.- le ricordò Crowford aggrottando la fronte- E poi, le
usi anche tu per le tue ricostruzioni a volte!”
“Lo so, ma la cosa che mi spaventa è
l'idea delle armi.-spiegò Alaska- Insomma, gli uomini sono
gli
unici esseri che hanno pensato di utilizzare degli strumenti per fare
del male al prossimo. Tutto questo è inquietante anche se,
lo
devo ammettere, antropologicamente interessante.”
Con uno scatto sporse una mano davanti
a lui, per indicare un palazzo di mattoni rossi “Siamo
arrivati!-
annunciò con voce frizzante- Io abito
lì.”
Con delle manovre fluide Nate
parcheggiò l'auto nel parcheggio libero più
vicino al
portone del complesso in cui si trovava l'appartamento di Ross e,
dopo aver recuperato dal bagagliaio il borsone che conteneva gli
oggetti della ragazza, la seguì con passo sostenuto mentre
lei
lo guidava trotterellando verso la propria casa.
Quando raggiunsero il pianerottolo del
terzo piano, Alaska tirò fuori dalla propria borsa un
voluminoso mazzo di chiavi, decorato da un piccolo peluche a forma di
tartaruga “Sono così contenta che tu sia qui,
Nate.- gli
rivelò con un sorriso ampio sul volto- Non posso credere che
non ti ho mai invitato a casa mia prima d'ora.”
“Dipende dal fatto che hai sempre la
testa fra le nuvole.- considerò l'agente, stringendosi nelle
spalle larghe- Vuoi che ti lasci qualche minuto per dare una
rassettata?”
Ross scosse la testa “Non servirà-
assicurò, mentre spalancava la porta, rivelando un caotico
ingresso- Et-voilà!”
Crowford mosse dei passi lenti
all'interno dell'appartamento, seguendo Alaska fino al salotto. Fece
vagare lo sguardo sul divano rosso fuoco, sommerso da una coperta di
pile, numerose riviste aperte e qualche cuscino colorato, per poi
spostarlo sugli scaffali in cui riconobbe, infilati fra soprammobili
e cornici con foto di famiglia, anche degli indumenti di varia
natura, e infine soffermandosi sulla moltitudine di oggetti
semplicemente abbandonati sopra la moquette che ricopriva il
pavimento.
“Hai avuto i ladri in casa forse?”
domandò Nate, incerto, fissando una pila di libri che stava
in
piedi per miracolo addossata alla parete.
Alaska gli rivolse uno sguardo
perplesso “No.”
“Allora stai traslocando?” chiese
di nuovo Crowford.
“No.- ripetè la ragazza,
inclinando la testa di lato- Perchè me lo chiedi?”
L'agente federale si guardò
intorno facendo un giro su se stesso “Perchè ho
appena
capito come è il caos.”
Ross proruppe in una risata frizzante,
riempiendo completamente l'ambiente, prima di ricominciare a parlare
“Ora devo andare a recuperare Bruto.”
“Chi è Bruto?”
si informò l'uomo inarcando un sopracciglio.
“Il mio pesce rosso.- rispose Alaska,
la voce cristallina- Quando sto via per un po' porto il suo acquario
in bagno, sai, là ci sono le piastrelle blu e si sente
più
a suo agio, e prima di essere ricoverata stavo da Penny, conosci
Penny, vero?Comunque, credo che Bruto sarà contento di
riprendere il suo posto in salotto ed avere un po' di
compagnia...”
“Credo che dovrei segnalare il fatto
che tu hai un pesce alla protezione animali.”
sentì
borbottare l'agente, mentre lei infilava il corridoio per recarsi
nella stanza da bagno.
Stava ancora ridendo quando vi entrò
con passo svelto e, prima ancora che potesse accorgersene, si
ritrovò
a fissare lo specchio, la risata che prima si stava diffondendo
nell'aria circostante improvvisamente ferma in un punto a
metà
fra la sua gola e la sua bocca.
Cercando di rimanere calma, si diresse
in cucina, alla ricerca dei suoi guanti di lattice, che si
infilò
mentre tornava ad esaminare quanto aveva inaspettatamente trovato.
“Che c'è, Ross?- sentì
dire a Crowford con tono scherzoso mentre la seguiva- Il piccolo Nemo
ha tirato le cuoia?”
Appena varcò la soglia, lo
sguardo attento dell'agente federale si fisso sul lavandino, sul cui
ripiano giaceva un teschio, le orbite vuote e senza espressione fisse
su loro due. Lo osservò attentamente per qualche secondo,
incerto su cosa pensare, prima di alzare gli occhi sul grande
specchio illuminato: lesse la scritta dai caratteri incerti e
traballanti, le lettere deformate dallo sgocciolamento del liquido
color cremisi.
“Sangue.” disse infine, guardando
attentamente la sostanza rossa che colava sulla superficie di vetro.
“No.- lo contraddisse immediatamente
Alaska, con lo stesso tono che aveva di solito su una scena del
crimine- È succo di ribes o qualcosa del genere. Il sangue
coagula mentre questo no.”
Crowford le rivolse un'occhiata incerta
“Succo di ribes?”
“O qualcosa del genere.- ripetè
la ragazza tranquilla, sollevando il teschio e avvicinandoselo al
naso per annusarlo- Il cranio non puzza, vuol dire che al suo interno
il cervello è completamente decomposto: risale a
più di
tre anni fa. L'angolo del naso e l'altezza degli zigomi ci
suggeriscono che appartiene a un nativo americano.”
Nate notò che la collega aveva
acceso immediatamente la modalità antropologa e si
affrettò
ad afferrarle i polsi, guidandola nell'atto di posare di nuovo il
teschio dove lo aveva trovato.
“Frena un po', Ross.- le intimò-
Dobbiamo chiamare la scientifica e raccogliere tutte le tracce
possibili prima che tu inizi a maneggiare quell'affare!”
Alaska puntò i suoi grandi occhi
azzurri su di lui “Perchè?”
“Perchè?!- Nate si sentì
cadere le braccia- Perchè. Perchè qualcuno si
è
introdotto in casa tua mentre tu non c'eri per lasciarti un cranio
come souvenir e un messaggio inquietante fatto con del sangue
e...”
“Succo di ribes.” precisò la
ragazza, facendolo sospirare sonoramente.
“Quel diavolo che è!Non è
questo il punto!- sbottò l'uomo, prima di riprendere il
proprio discorso- Quello che volevo dire è che tu ora mi
segui
di là, ti siedi tranquilla su una sedia se ne trovi una in
mezzo a quel caos, e aspetti con me l'arrivo di una pattuglia e della
scientifica.”
Ross inarcò un sopracciglio
sottile “Ma io ho già in casa tutto l'occorrente
per fare i
primi rilevamenti e le capacità per farli, devo solo
ricordarmi dove ho messo la borsa da lavoro e...”
Crowford la bloccò, afferrandola
per un braccio e trascinandola con sé in salotto, e la
ragazza
lasciò cadere la frase a metà.
“Tu non farai nient'altro.- le disse,
guardandola severamente- Chiamo la scientifica e poi ti porto con me
all'FBI.”
“A Quantico?” domandò lei
speranzosa, con voce sottile.
“A Washington, all'Hoover Building.”
precisò invece Nate.
Alaska scosse la testa “Preferirei
che mi portassi da Spencer.”
“Io sono l'agente, tu il topo da
laboratorio: si fa come dico io.” tagliò corto
l'uomo,
tagliando l'aria con una mano come per mettere fine alla questione.
“Tu non capisci, Nate: Spencer è
molto protettivo nei miei confronti e già la storia
dell'avvelenamento l'ha scosso parecchio. Non voglio che venga a
sapere questa cosa da qualcun altro e che si agiti ancora di
più
finchè non mi vede.- spiegò, per poi posargli una
mano
sul braccio prima di pronunciare l'ultima frase- Ti prego.”
Crowford fissò serio i grandi
occhi color cielo dell'antropologa “E va bene.-
acconsentì,
distogliendo lo sguardo- Aspettiamo quelli della scientifica e Gordon
e poi partiamo.”
Uffici dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Alaska Ross, nonostante
nessuno
l'avrebbe creduto possibile, sapeva due o tre cosette riguardo il
dolore, quello emotivo, che ti entra nelle ossa e riesce a spezzarti
il respiro. La prima volta l'aveva provato a sei anni, quando era
morta sua nonna paterna e lei aveva passato settimane a domandarsi il
perchè non potesse più averla al proprio fianco.
La
seconda volta si era impossessato di lei quando ad otto anni era
stata strappata dal suo mondo spensierato ed aveva vissuto dei giorni
di inferno nelle mani di un aguzzino. Quello che aveva capito del
dolore, nonostante fosse ancora una bambina, era che esso riusciva a
riflettersi sulle persone che più ti vogliono bene. Aveva
osservato come, ogniqualvolta lei stava male, un'espressione
sofferente compariva sul volto delle persone che le erano
più
care e, una volta che la giovane Alaska aveva capito di avere quel
potere sugli altri, aveva deciso di usarlo per migliorare le cose,
facendo in modo che nessuno di quelli a cui voleva bene dovessero
soffrire.
Era per questo che, mentre entrava in
quell'open space che ormai le era diventato così familiare,
sul volto aveva la stessa espressione scanzonata di sempre,
nonostante al suo interno sentisse crescere una sorta di panico ogni
volta che si ritrovava a pensare al teschio che aveva ritrovato nel
proprio bagno e alla scritta minacciosa che lo accompagnava.
Scortata da Crowford, come sempre
imbronciato e dall'aria minacciosa, si vide ben presto venire
incontro una Emily piuttosto preoccupata che, dopo averla abbracciata
stretta, le aveva tenuto le mani ben ferme sulle spalle e l'aveva
scostata leggermente da sé per scrutarla con attenzione.
“Ero così preoccupata!- la
informò- Come ti senti, Alaska?”
Ross le rivolse un sorriso ampio e
rassicurante “Molto bene, Em, davvero!Sai, in effetti credo
che
siano più rischiose le intossicazioni croniche rispetto a
quelle acute che sono più facilmente individuabili e
curabili,
perciò...”
La donna le rivolse un'occhiata
ammonitrice “Non fare Reid con me, Alaska!Un avvelenamento
non è
uno scherzo, sai?”
“Lo so, ma non c'è davvero
niente di cui preoccuparsi: il dottore mi ha assicurato che sono sana
come un pesce!- assicurò, prima di indicarsi il volto con un
indice- Guarda, non ho nemmeno più quel colorito ingrigito
da
ospedalizzazione!”
Emily la scrutò di nuovo: in
effetti sembrava che stesse bene, nonostante il suo viso fosse
più
pallido del solito. Di certo, fra i due, sembrava che fosse Reid
quello più sconvolto dall'intera faccenda ma in fondo, si
ritrovò a pensare la donna, Alaska non era ancora al
corrente
delle ultime e per niente positive novità.
La donna si mordicchiò il labbro
inferiore, incerta su quale sarebbe potuta essere la reazione
dell'antropologa e notò finalmente la figura massiccia di
Crowford che, con il suo metro e novanta, incombeva su loro due come
un'ombra.
Prentiss lanciò un'ulteriore
occhiata sospettosa all'agente che accompagnava Ross, cosa che parve
non sfuggire agli occhi attenti dell'uomo.
“L'ho accompagnata.- spiegò
con voce piatta in risposta alla domanda che Emily non aveva osato
fare- Non mi sembrava il caso di farle prendere i mezzi pubblici dopo
quello che ha passato.”
La mora annuì, cercando di non
far trapelare troppo quanto non sopportasse l'agente, e
tornò
a rivolgere lo sguardo ad Alaska.
“Avete visto qualche alieno a
Roswell?” domandò con tono leggero la ragazza,
sorridendole
amabile.
Emily fece dondolare la testa “Non ne
abbiamo avuto il tempo. Eravamo troppo impegnati a catturare un SI e
a preoccuparci da morire per te.”
Ross fece roteare gli occhi “Tempo
sprecato.- mormorò, prima di rendersi conto che la propria
frase poteva essere mal interpretata- Voglio dire, tempo sprecato per
quanto riguarda la parte della preoccupazione, mentre siete stati
come al solito fenomenali a catturare l'Uomo Sospetto, solo che
andare a Roswell senza nemmeno cercare di avvistare un Ufo è
davvero uno spreco...Dove sono gli altri?” aggiunse,
guardandosi
intorno alla ricerca dei volti familiari degli altri membri della
squadra.
Emily le fece un cenno col capo
“Seguimi.” disse, camminando lungo l'open-space e
salendo in
fretta i pochi scalini che portavano alla sala conferenze.
Una volta entrati Crowford e Ross si
trovarono di fronte il team al completo e si domandarono
immediatamente quale fosse il problema. Che la notizia
dell'intrusione a casa della ragazza fosse già arrivata?
L'antropologa fece scorrere uno sguardo
nella stanza. Hotch se ne stava seduto composto, le gambe accavallate
e le mani appoggiate sul ripiano dell'ampio tavolo; JJ era seduta
poco più in là, le mani abbandonate in grembo che
spiccavano nel contrasto con la sua gonna blu scuro; Morgan aveva la
schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate in petto;
mentre Garcia sembrava particolarmente impegnata a spostare il
proprio peso da un piede all'altro, agitata. Lo sguardo della ragazza
si soffermò soprattutto sulla figura longilinea di Spencer
che, con la mascella contratta e lo sguardo stranamente vacuo,
sembrava il più scosso di tutti.
Alaska li scrutò di nuovo
attentamente uno per uno. Avevano tutti delle espressioni gravi e
un'aria decisamente troppo seria “Uhm...Sono nei
guai?” si
ritrovò a domandare, titubante.
Non ottenne risposta, se non un invito,
fatto con voce gentile da Rossi “Siediti, Alaska.”
La ragazza fece quanto gli era stato
detto, mentre Crowford rimase in piedi, di fianco alla porta con le
braccia conserte, per niente intenzionato ad andarsene, nonostante
non avesse ricevuto ufficialmente l'invito a restare.
“Allora...- esordì Ross con
tono casuale- di che stavate parlando?Avete delle facce...”
Hotch le rivolse un'occhiata seria,
quella che usava sempre sul lavoro “In effetti, stavamo
discutendo
del tuo caso.”
Alaska alzò le sopracciglia,
stupita “Sono diventata un caso?”
JJ parve soppesare bene le parole prima
di spiegare quanto detto dall'uomo “Alaska ricordi che cosa
stavi
facendo prima di svenire?”
“Ero in laboratorio ad analizzare
un cadavere.-spiegò, aggrottando la fronte in quanto non
capiva ancora il motivo di quelle domande- Avevo lasciato per la
scientifica un foglio che ho trovato infilato nel cavo orale e poi ho
iniziato a sentirmi male...”
“La scientifica ha analizzato quel
foglietto.” la informò Morgan, staccandosi con un
colpo di
reni dalla parete e avvicinandosi al resto del gruppo.
“Ok.”
annuì Alaska, sempre più confusa. Sentiva alle
proprie
spalle la figura alta e robusta di Nate farsi rigida e inquieta.
“Non era un foglietto qualsiasi.-
continuò l'uomo di colore- Era una fotografia.”
“Oook.” ripetè la giovane,
prolungando il suono della prima lettera.
“Una tua fotografia.” concluse
Prentiss al posto del collega.
“Oh.” fu tutto quello che uscì
dalle labbra dell'antropologa, non appena realizzò quanto le
era appena stato detto.
“Era lì per te.- disse Rossi,
una leggera inclinazione nella sua voce di solito calda e calma che
faceva intuire quanto quell'intera storia lo facesse infuriare- Il
cadavere, la foto, il veleno. Chi l'ha messo sapeva che avresti
esaminato tu il corpo e ha cercato di avvelenarti...”
Alaska rimase in silenzio per qualche
secondo prima di parlare di nuovo “Forse dovremmo vedere il
lato
positivo di tutto ciò...”
“Il lato positivo?!” sbottò
Reid, incredulo. Era rimasto in silenzio fino a quel momento, troppo
sconvolto da quell'intera situazione per parlare, ma al sentire
quelle parole si era alzato di scatto e aveva spalancato la bocca per
lo stupore.
“Nessuno ha preso di mira il
laboratorio di medicina legale, il che fa ridurre il numero delle
persone in pericolo da centinaia a una.” si
ritrovò a
spiegare la ragazza, con tono incerto nonostante la convinzione nelle
proprie parole.
“Ross, ti prego, non andare oltre.-la
interruppe Crowfrod, scocciato, parlando per la prima volta- Il
bastardo è stato al suo appartamento.” aggiunse,
guardando
gravemente la squadra di analisi comportamentale.
“Cosa?!”esclamò Garcia, le
sue parole accompagnate da un'espressione stupita e preoccupata allo
stesso tempo che si poteva leggere sui volti di tutti i presenti
nella stanza.
Gli occhi di Reid erano diventate due
pozze scure enormi e colme di panico mentre si avvicinava alla
propria ragazza e le stringeva un braccio intorno alle spalle con
fare protettivo.
“Nel suo bagno c'era un teschio e una
scritta fatta di sangue finto sullo specchio.”
continuò a
spiegare il burbero agente, incrociando le braccia muscolose al
petto.
“Non era sangue finto, era succo di
ribes.-precisò Ross, col suo tono usuale- E il teschio non
è
recente. È di un nativo americano e sembra abbastanza
vecchio.
Non appena mi daranno il via libera per le analisi ne saprò
qualcosa di più...”
Hotch la interruppe “Che diceva la
scritta?”
Crowford fece una breve pausa prima
riportare le parole che erano come tatuate nella sua mente
“Tu
sarai la prossima.”
Spencer sentì l'aria mancargli
dai polmoni e la sua stretta intorno alle spalle di Alaska si fece
più forte, come se la ragazza potesse sparire da un momento
all'altro.
“Quindi a questo punto abbiamo il
corpo scheletrizzato e il tentativo di avvelenamento che, a giudicare
dalla foto, era un chiaro messaggio per Alaska.”
ricapitolò
Hotch, che ormai considerava quell'intera situazione come un caso da
affrontare.
“E il messaggio decisamente più
esplicito sullo specchio di Ross.” aggiunse Nate con tono
grave.
Morgan lanciò un'occhiata
preoccupata a Reid e alla ragazza prima di parlare “E anche
una
busta di foto che l'SI ha spedito a Ross poco tempo fa.- disse,
rivelando quel particolare che gli altri ancora ignoravano- La sta
seguendo da settimane.”
“Ecco cosa ci facevi qui il giorno in
cui siamo partiti per il New Mexico!” esclamò
David, come se
fosse appena venuto a capo di una brutta equazione.
JJ guardò Alaska con l'ansia che
trapelava dallo sguardo “Perchè non ce ne hai
parlato?”
L'antropologa si strinse nelle spalle,
cercando di ignorare lo sguardo fulminante che le aveva lanciato
Crowford, deluso per non essere stato informato di quelle foto
“Non
lo ritenevo importante, suppongo...” borbottò con
il tono di
una bambina appena richiamata dalla maestra.
“Quindi...- cominciò a parlare
Emily, leggermente titubante- quindi l'SI ha già scelto lei
come sua vittima. Lei e nessun altro.”
Il silenzio calò nella sala
conferenze mentre tutti gli sguardi erano puntati su Alaska, in
attesa di una sua reazione. Sul suo volto comparve un'espressione
pensierosa, che raramente avevano avuto occasione di contemplare: la
fronte era aggrottata, le labbra strette in una linea orizzontale e
gli occhi chiari fissi sulla punta delle proprie scarpe mentre, nella
sua mente, i pensieri rimbalzavano da una parte all'altra come
impazziti.
Alla fine alzò lo sguardo,
lasciandolo vagare per qualche secondo su ognuno dei presenti.
“Direi che la mia nuova consulenza
capita a proposito, dunque.” disse, informandoli della
conclusione
a cui era arrivata col suo ragionamento.
“La tua nuova
consulenza?- ripetè Morgan prima di scuotere la testa- Non
credo proprio, Quarantanove.”
“Oh, ma questa è fantastica.-
assicurò l'antropologa, stupendo tutti con la
vivacità
del suo tono di voce- Ascoltate gente: San Francisco. Buttando
giù
un palazzo hanno trovato dei resti umani risalenti ad almeno una
decina di anni fa, stando a quando è stato costruito lo
stabile, perlomeno.”
“Alaska...” tentò di
interromperla Rossi, con tono paterno.
“Ma la cosa fantastica è
che l'FBI deve affiancare la polizia locale.- continuò a
raccontare Alaska- E la polizia locale ha un consulente fisso che si
occupa dei casi di omicidio più intricati e questa
è la
cosa interessante.”
“Ross...” la richiamò Hotch,
anche se la sua voce risultò sopraffatta da quella
squillante
e entusiasta della ragazza.
“Il consulente è Adrian Monk!”
esclamò.
Garcia si morse il labbro inferiore
“Credo che ti convenga mettere i freni, Nocciolina.”
“Adrian Monk, avete presente?-
domandò agitando i palmi, non capendo come mai gli agenti
non
condividevano il suo entusiasmo- Quell'uomo è un genio, una
leggenda!Risolve i casi in maniera talmente brillante...Dicono che
sia un po' strano, sapete, fissato con l'ordine e la pulizia e la
simmetria e...”
Reid le rivolse un'occhiata preoccupata “Tu
non andrai da nessuna parte.” sentenziò, riuscendo
ad
ottenere l'attenzione dell'antropologa.
“Ma...”
“Niente ma.-gli diede man forte
Morgan- Non è il caso che tu te ne vada in giro per gli
Stati
Uniti con questo tizio intenzionato ad ucciderti.”
“Ma lui è
Adrian Monk!” cercò di protestare nuovamente la
ragazza.
“Potrebbe anche essere il Padre
Eterno.- sbottò Crowfrod in un ringhio- Niente San Francisco
per te, Ross. Almeno non per il momento.”
“Ma...Monk?”
Rossi le rivolse un debole sorriso:
capiva che Alaska si era fissata su quella consulenza solo per non
pensare alla situazione che avrebbe invece dovuto affrontare a
Washington “Ho degli amici a quel dipartimento.- la
rassicurò-
Quando questa storia sarà finita, ti arrangerò un
incontro.”
“Grandioso!-continuò a parlare
velocemente Ross, cercando di concentrarsi sulle proprie parole-
Sarà
fantastico, già lo so!Certo, dovrò studiare la
lista
delle sue fobie e evitare tutte le cose che lo infastidiscono, ma
credo che dovrei piacergli: insomma, sono abbastanza simmetrica e lui
ama la simmetria e poi anche a me piacciono i numeri pari
e...”
“Ross, chiudi il becco!” sbottò
di nuovo Crowford, ottenendo finalmente il silenzio.
“Che c'è?” domandò
Alaska, incerta.
Reid prese una sua mano fra le sue
“Dobbiamo parlarti di quello che ti è successo
negli ultimi
giorni e di quello che accadrà nei prossimi.”
La ragazza sembrò notare
immediatamente il tono grave nella sua voce, così si
limitò
ad annuire, dando quindi la possibilità ai profiler di
spiegarle tutto quanto.
Hotch scambiò con Reid
un'occhiata carica di significato, in cui sembrò chiedere il
permesso di mostrare alla ragazza la foto incriminata, quella che lei
stessa aveva asportato dal cadavere scheletrizzato. Spencer
annuì
piano: non voleva sconvolgere la sua ragazza, ma credeva che sarebbe
stato decisamente meglio se avesse avuto un'idea completa riguardo
l'intera faccenda, cosa che, sperava, gliel' avrebbe fatta
considerare con meno leggerezza.
Il capo dell'unità di analisi
comportamentale fece un cenno a Garcia, che accese il monitor della
sala conferenze.
Nella foto Alaska era stata catturata
nell'atto di voltarsi, la folta massa di capelli corvini mossa da
quel movimento improvviso sembrava quasi un'aureola nera intorno al
suo volto pallido. Certo, il suo viso era l'unica cosa che rimaneva
ben visibile dell'immagine. La sua testa era attorniata da un cerchio
rosso fuoco, che sembrava il disegno stilizzato di come l'immagine
potesse apparire attraverso il mirino ottico di un fucile di
precisione. E poi c'erano quelle parole, piene di odio e scritte con
mano rabbiosa. Puttana. Stronza. Assassina.
La fissò senza guardarla
veramente per un lungo minuto, ma alla fine tornò a
rivolgere
il suo sguardo ad Hotch.
“Il modo con cui ha disegnato sulla
foto.- iniziò a spiegare l'uomo- È personale,
Alaska,
non un semplice sconosciuto che può aver sviluppato
un'ossessione per te.”
“Intendi che è qualcuno che ce
l'ha con me per un motivo reale?- si informò quindi Ross-
Qualcuno che mi conosce?”
L'agente Hotchner sospirò
“Crediamo di sì.”
La ragazza si mordicchiò il
labbro inferiore, meditabonda e prese un grosso respiro prima di
appoggiarsi meglio allo schienale della sedia. Poi, finalmente,
parlò
di nuovo “Quindi ora che succede?”
“Succede che sei sotto protezione,
per prima cosa.-chiarificò Crowford con tono risoluto-
Finchè
non salta fuori il bastardo che vuole farti del male tu non passerai
un minuto da sola, chiaro?”
Gli angoli delle labbra rosse della
ragazza si piegarono all'insù “Spero che quando
dici che non
passerò un minuto da sola tu abbia usato un'espressione
metaforica perchè, per quanto io adori la compagnia, non
credo...”
“Crowford ha ragione.- concordò
Prentiss, sovrastando la voce di Alaska- Avrai una scorta ed
è
meglio se non torni a casa tua finchè questa storia non
sarà
finita. La zona dove abiti è troppo frequentata e sarebbe
difficile individuare dei movimenti sospetti.”
“Verrà a stare da me.” disse
immediatamente Reid, senza accorgersi che stava stringendo sempre
più
forte le mani della propria ragazza.
Hotch annuì “Va bene. Su casa
tua abbiamo fatto il controllo di sicurezza quando sei stato assunto:
conosciamo tutte le possibili entrare e uscite e le
peculiarità
della zona. Sarà più facile individuare l'SI se
si
avvicinerà troppo.”
“Ho già dato ordine ad una
pattuglia di occuparsi del suo caso.-li informò Crowford- Ci
saranno due uomini ventiquattrore su ventiquattro.”
Ross fece saettare i propri occhi di
qua e di là, come se stesse seguendo una partita di tennis,
mentre i profiler e il suo collega stavano organizzando nei minimi
dettagli il modo migliore di proteggerla. Vide lo stress per quella
situazione sul bel volto di JJ, negli occhi scuri di Morgan, nei
movimenti nervosi delle mani di Garcia, nel continuo passare delle
dita di Prentiss fra i propri capelli scuri e nel ticchettare nervoso
del piede di Rossi.
“Davvero non sarebbe meglio se io
andassi in California per quel caso?” domandò,
pensando che,
se fosse sparita per un po', sarebbe stato meglio per tutti.
“No,
Alaska.- scosse la testa Derek- Questo tipo è un
pianificatore: ha fatto arrivare qui un corpo dal Nevada
chissà
come, solo per farlo trovare a te. Non esiterebbe a seguirti e senza
la sorveglianza sotto cui ti potremmo mettere a Washington saresti
una preda fin troppo facile.”
Alaska prese una grossa boccata d'aria,
prima di votarsi per trovare il volto di Spencer e, cercando di
scacciare l'ansia da quel volto che tanto amava gli rivolse un
sorriso confortante.
“Credo di voler andare a casa,
adesso.” annunciò, ben sapendo che i giorni
seguenti
sarebbero stati caotici e stressanti.
_________________________________________________________________________
Questo capitolo
è....accidenti, è davvero lunghissimo!Ma visto
come vi ho lasciato con quello precedente ho cercato di farmi perdonare
in questo modo!Spero che non sia stato troppo pesante da leggere,
però mi sembrava più giusto pubblicarlo tutto
insieme piuttosto che spezzarlo, anche perchè credo che non
avrebbe giovato alla lettura...Anyway, che ne pensate?Sì,
sono particolarmente cattiva, alla povera Alaska ne faccio passare
davvero di tutti i colori e giure che sento un pò di
rimorso. Sono assolta?Amen!E ho finalmente introdotto il personaggio di
Nathaniel Nate Crowford, menzionato brevemente nel precedente e che
d'ora in poi sarà decisamente più presente. Che
ne pensate di lui?Personalmente (e non perchè l'ho creato
io) lo adoro: è la nemesi di Alaska, in pratica!Eheheh! Va
bene, my dears, al solito: grazie di aver letto, fatemi sapere che cosa
pensate del nuovo capitolo e soprattutto kisses e buon fine
settimana!JoJo
P.S. Scusate la citazione su
Monk ma io adoro lui e le sue salviettine igienizzanti!:)
Unsub : hai perfettamente ragione,
Alaska è fuori di testa, completamente fuori dal mondo
e...sì, direi che Reid ha avuto effetti piuttosto negativi
sul proprio sistema nervoso nel conoscerla!eheheh!Besos e al prossimo
capitolo (ps il tuo nick mi inquieta un pò, eh! XD )
Maggie_Lullaby
:
My dear, io te lo dico: il mondo è ingiusto e io sono la
mano destra del diavolo, e anche la sinistra, oltre che il suo forcone
che punzecchia gli innocenti!eheheh!Però lo ammetto, un
briciolo di magnanimità ce l'ho: ho addirittura aggiornato
con un giorno d'anticipo rispetto al tuo ultimatum, sono stata brava,
eh?:) Sono contenta che il capitolo precedente (finale tronco a parte)
ti sia piaciuto, i tuoi complimenti mi fanno sempre piacere, e spero
che anche questo cap sia di tuo gradimento!Al prossimo capitolo quindi,
bacioni
Luna Viola
: *coff
coff* uhm...io...davvero ho paura di riceve lettere minatorie,
ritrovarmi una bomba sotto casa o altro, però te lo devo
dire...ecco, questo dovrebbe davvero essere l'ultimo sequel della
storia di Alaska e Reid. Ora, visto che la storia in sè ha
dei toni piuttosto dark, diciamo, e che i membri della squadra si
meritano un pò di sano divertimento ho deciso che
accorperò a questa storia circa 8 capitoli/bonus che
tratteranno un tema più leggero...Spero di essermi
guadagnata la tua approvazione, con ciò. *me si inchina e
chiede pietà* Anyway, spero che il capitolo ti sia piaciuto,
e sono contenta che quello precedente ti abbia creato ansia: era quello
che volevo, mwahahah!Alla prossima, kisses!
|
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Capitolo 5 *** Overprotective ***
provv
Se
vuoi liberarti da ogni
preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi
e, qualunque sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta
attentamente la tua paura: sicuramente ti renderai conto che il male
temuto o non è grave o non durerà a lungo.
-
Seneca
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
Aaron Hotcher
lanciò un'occhiata
veloce al proprio orologio da polso.
Di solito a quell'ora si trovava già
in ufficio, perciò gli sembrava strano essere lì,
in
quel momento. Senza contare, poi, il fatto che si trovava fuori
dall'appartamento di uno dei suoi sottoposti che era rimasto
inevitabilmente coinvolto da quel nuovo ed inaspettato caso. In
effetti, in tutta quella situazione che vedeva la ragazza di Reid,
Alaska, invischiata con uno stalker particolarmente impegnato ad
attentare alla sua vita c'era poco di chiaro o di normale.
Sentì spalancare la porta di
scatto e si ritrovò davanti Alaska in persona, che gli
sorrideva gentilmente.
“Ciao Aaron!” lo salutò
allegra. Era già vestita e pettinata, pronta per uscire, e
la
cosa lo stupì leggermente. Non aveva mai pensato che fosse
una
persona mattiniera.
Entrò in casa velocemente e non
potè impedirsi di lanciarle uno sguardo severo.
“Avresti dovuto lasciare venire Reid
ad aprire.- la ammonì richiudendosi la porta alle spalle- E,
inoltre, devi verificare l'identità di chi suona,
prima.”
“Ho guardato dallo spioncino.”
disse velocemente la ragazza, dopo essersi mordicchiata il labbro
inferiore.
Aaron alzò le sopracciglia, lanciandogli
un'occhiata significativa “Questa è una
bugia.”
“Come
hai fatto a scoprirlo?” domandò Alaska, sbuffando
divertita.
“Primo, faccio questo lavoro da un
sacco di tempo, secondo, sono stato un avvocato e terzo, ho un
bambino che ha appena iniziato le elementari. Direi che non avevi
chances di non essere scoperta.-elencò l'uomo, alzando un
dito
ad ogni punto dell'elenco- Reid dov'è?”
Ross le fece cenno di seguirla in
salotto e poi lanciò uno sguardo al corridoio
“Sarà
qui fra un attimo. Si stava ancora preparando.”
Come richiamato da quell'affermazione,
Spencer uscì di corsa da una stanza, una mano ancora alzata
sulla propria cravatta stretta che stava sistemando all'interno del
gilet di maglia. Quando riconobbe la figura di Hotch nel proprio
salotto si fermò, lanciando lo stesso sguardo di
disapprovazione alla propria ragazza.
“Al!- la richiamò- Ti avevo
detto di aspettare e lasciar andare me ad aprire.”
Alaska fece roteare gli occhi chiari
“Lo so, lo so. Ma non credete di stare
esagerando?C'è una
pattuglia qua sotto e sono certa che non farebbero entrare nessuno di
sospetto.”
Reid borbottò un “Sì,
certo.” e tornò a fissare intensamente il proprio
capo che
non sembrava intenzionato a parlare. La ragazza guardò prima
uno poi l'altro, aspettando che qualcuno dei due iniziasse a parlare,
ma nessuno lo fece e nel salotto calò uno strano e pesante
silenzio.
Era un silenzio particolare, carico
d'aspettativa, e sembrava chiaro che i due profiler avessero voglia
di interromperlo il prima possibile. Anzi, continuavano a lanciarsi
delle occhiate allusive e sembrava davvero che avessero bisogno di
parlare, da soli possibilmente.
“Al, credi di potere...” iniziò
a chiedere Spencer, ma lei parlò nello stesso istante.
“Io credo che andrò un po' in
cucina a fare colazione e guardare l'ultima puntata di
Spongebob.”
annunciò, saltellando nella stanza attigua dopo aver fatto
sventolare la mano a mo' di saluto.
Hotch la seguì con lo sguardo
finchè non sparì nella porta che dava alla cucina
e poi
posò i propri occhi scuri su Spencer.
“Immagino che ieri avrai notato la
peculiarità della foto che è stata ritrovata nel
cadavere avvelenato.- iniziò a dire, sedendosi sul divano su
invito di Reid- I ricalchi e le scritte sono più che dei
semplici avvertimenti o i pensieri di uno stalker qualsiasi. L'SI
sembra conoscere Alaska.”
Il ragazzo annuì debolmente,
lasciandosi scivolare sulla poltrona “Lo so.”
“E sembra che
ci sia qualcosa nel suo passato che è per lui il fattore
scatenante dell'ossessione nei suoi confronti.”
continuò
Hotch, serio.
Reid fece dondolare di nuovo la testa,
in segno affermativo.
“Quello che voglio sapere ora, Reid-
disse di nuovo Aaron, guardandolo intensamente- è se posso
contare sulla tua presenza nella squadra.”
Il giovane genio alzò la testa
di scatto, stupito da quell'affermazione “Certo che
puoi.”
“Reid,
questo caso ti tocca molto da vicino. Scaveremo nel passato di
Alaska, dovremo comportarci come se fosse una vittima qualsiasi,
indagare come faremmo con qualsiasi altra sconosciuta. So che questo
potrebbe non risultarti facile...”
Spencer deglutì, la gola
improvvisamente secca “Io posso farcela. Voglio fare tutto
quello
che posso per far finire questa storia al più
presto.”
Hotch annuì “So che lo farai.
Ma devi ricordarti che per aiutarla devi essere un profiler
soprattutto, e non il suo ragazzo.”
Il giovane genio si mosse agitato sulla
poltrona “Alaska ha già vissuto una situazione del
genere.-
gli ricordò, dopo essersi passato stancamente una mano sugli
occhi- Io...io voglio soltanto che lei non soffra più del
dovuto. Sai, che...che non gli torni in mente quello che ha
già
passato.”
“Nessuno di noi lo vuole, Reid- lo
rassicurò Hotch, capendo le sue preoccupazioni- Ma l'uomo
che
la perseguita è già riuscito ad avvicinarsi
troppo al
suo obiettivo. Dobbiamo trovarlo in fretta e per farlo non possiamo
trascurare nessun elemento.”
“Certo, capisco.” borbottò
Spencer, torturandosi le mani.
Aaron gli rivolse un mezzo sorriso
“Andrà bene, vedrai.”
Il suono dei tacchi di Ross sul parquet
fece voltare i due uomini nella direzione da cui stava arrivando,
sorridente e tranquilla.
“Avete deciso che cosa posso sapere o
devo guardare anche la pubblicità della batteria di
pentole?”
domandò la ragazza con tono frizzante, avvicinandosi per
porgere a ognuno dei due una tazza piena di caffè fumante.
Hotch le rivolse un mezzo sorriso
mentre la ringraziava e poi iniziò a parlare
“Siediti,
Alaska.- la invitò, additando la poltrona che Spencer aveva
liberato per andarsi a sedere di fianco a lui- Vorremmo farti qualche
domanda.”
L'antropologa rivolse ad entrambi
un'occhiata intensa, uno sprizzo di curiosità in fondo ai
suoi
occhi color cielo, ma fece quanto le era stato detto.
“Ma certo.- concordò,
accavallando le gambe e appoggiando i gomiti ai braccioli imbottiti-
A che proposito?”
Reid si schiarì la voce prima di
parlare “Dalla prima analisi che abbiamo potuto effettuare
sulla
foto che è stata ritrovata nel cadavere scheletrizzato
abbiamo
estratto alcuni elementi che...”
Si interruppe per qualche secondo,
cercando di focalizzarsi su qualcosa che non fosse lo sguardo
interessato e carico d'aspettativa della ragazza che aveva di fronte.
“...che ci farebbero pensare che l'SI
sia qualcuno che ti conosce, probabilmente una persona del tuo
passato che ti ritiene responsabile di qualcosa che gli ha cambiato e
peggiorato la vita.”
Alaska ripensò alla foto
incriminata e nella sua mente comparve, ingombrante e minacciosa, la
parola assassina, scritta a chiare lettere di
fianco alla
propria immagine.
“Io non ho mai ucciso nessuno.”
dichiarò, cercando di scagionarsi da quell'accusa guardando
i
due uomini che aveva di fronte con sguardo sincero.
“Questo lo sappiamo, Alaska.- la
rassicurò Aaron- Quello che Reid voleva dire è
che l'SI
ti vede come un transfert su cui far ricadere tutte le sue esperienze
negative del passato e...”
Ross agitò i palmi,
interrompendolo “Un momento, per favore. Non fate i profiler
con
me, io mi occupo di ossa e tessuti e eventi causa/effetto
scientificamente dimostrabili; ho passato l'esame di psicologia per
un soffio quindi se poteste parlarmi senza usare termini troppo
freudiani vi sarei estremamente grata.”
Spencer le sorrise, come al solito
vinto dalla sua sincerità, e si affrettò a
riformulare
la frase appena pronunciata dal suo capo “Il soggetto che
stiamo
cercando sta dando a te la colpa di quello che non va nella sua vita.
Si ricorda di te per un particolare evento del passato, che lui
considera la causa di tutto ciò che di male gli è
capitato in seguito.”
“Ti ha chiamato assassina perchè,
probabilmente, ti ritiene responsabile indirettamente della morte di
qualcuno che gli era caro.” concluse Hotch, scrutandola
intensamente per indagarne le reazioni.
Alaska si mordicchiò il labbro
inferiore, lo sguardo basso “Beh, mi dispiace, io non
volevo...”
“Al, ti prego!Nessuno ti sta accusando o dando
ragione a quel tizio.” sbottò Spencer, sporgendosi
in avanti
da dove era seduto per avvicinarsi di più a lei.
L'antropologa annuì “Lo so,
solo che mi dispiace. Voglio dire, se davvero è rimasto
così
negativamente colpito da qualcosa che posso avere fatto...Io ho
sempre cercato di non fare nulla che...”
Hotch la interruppe immediatamente,
cercando di farle perdere il filo di quel ragionamento che la stava
portando a un senso di colpa non necessario “Probabilmente si
tratta di una cosa di poco conto, che la maggior parte delle persone
avrebbe considerato quasi normale.”
“Quindi cosa...” iniziò a
domandare, le sopracciglia aggrottate.
“Devi darci i nomi delle persone che
possono essere arrabbiate con te per qualsiasi motivo, anche poco
importante.” le spiegò Reid, allungandosi verso di
lei per
strizzarle leggermente la mano in un gesto incoraggiante.
Lo sguardo limpido di Alaska incontrò
gli occhi scuri di Hotch, che annuì come per spronarla, e
poi
si spostarono su un angolo imprecisato all'incrocio della parete del
soffitto. In realtà non stava guardando il colore scialbo e
desideroso di essere tinteggiato a fresco, ma un punto indefinito
nella propria mente alla ricerca, nel proprio passato, di qualsiasi
elemento che potesse essere utile ai profiler.
“Beh...- cominciò a parlare
titubante, dopo diversi minuti di riflessione- ad esempio io sono
stata ammessa al tirocinio al laboratorio di antropologia forense di
Stein grazie a una borsa di studio.”
“Unica?” domandò Hotch
interessato, raddrizzandosi sul divano.
“Già.- confermò Alaska
annuendo- Davon accettava solo chi riusciva ad ottenerla: selezionava
personalmente gli studenti e creava un concorso per la borsa di
studio fra quelli che riteneva più preparati nelle materie
scientifiche.”
Reid strinse le labbra: poteva essere
quello che stavano cercando “Quanti erano quelli che non sono
stati
ammessi?”
“Cinque.- rispose immediatamente la
ragazza- Ma credo che a voi interessi un solo nome. Carl Scott era
solo un punto sotto di me nella classifica e ha impiegato davvero
molto nel progetto di ricerca per l'ammissione...”
“Direi che chiederemo a Garcia di far
partire un controllo su questo Scott, quindi.- la interruppe Hotch-
Vorremmo sapere anche delle tue relazioni passate. Persone che ti
erano particolarmente vicine ma con cui hai tagliato i ponti.”
Alaska inclinò la testa, confusa
“Io mi sono trasferita spesso, prima d'ora, e alcune amicizie
non
sono più come erano prima...Devo dirvi tutti i loro
nomi?”
Spencer si schiarì la voce,
imbarazzato “Credo che Hotch intendesse le persone con cui
avevi un
legame più forte. Intimo, diciamo.”
“Con chi ho avuto
degli intercorsi sessuali, quindi?” chiarificò
Ross, per
niente imbarazzata dall'argomento.
Reid iniziò a tossire
convulsamente, dopo essersi ingozzato con la propria stessa saliva, e
Hotch si limitò ad annuire.
“Ho avuto due sole relazioni prima di
quella con Spencer.- spiegò stringendosi nelle spalle- Una
durante il liceo, con un ragazzo della mia scuola di un anno
più
grande, si chiama Walt Morrison e ci siamo lasciati dopo qualche mese
che mi ero trasferita in California per frequentare il college e poi
sono stata per tre anni con Gael O'Neil, poi mi sono trasferita di
nuovo e abbiamo preso strade diverse e...”
“Sono state separazioni consensuali
oppure sei stata tu a lasciare loro?” si informò
Hotchner.
“Sono stata io.” rispose, confusa
dalla domanda.
L'uomo scambiò uno sguardo con
Reid “Faremo un controllo anche su di loro.”
“Nessuno di loro due farebbe mai una
cosa simile.- protestò immediatamente l'antropologa,
incredula- Siamo rimasti amici, ci scriviamo ogni Natale e ai
compleanni!”
“Alaska è solo una verifica.”
sospirò Spencer, che aveva capito dove stava portando quel
discorso.
“Walt...Walt è un pompiere!-
rincarò la dose, iniziando a gesticolare animatamente- E
Gael
è troppo impegnato a salvare le tartarughe d'acqua per poter
anche solo avere il tempo di immaginare una cosa del genere.”
“Perfetto.- disse Hotch dopo che la
ragazza ebbe concluso- Allora non sarà un problema se
facciamo
un piccolo controllo, no?”
“D'accordo.-sbottò, esausta,
lasciandosi sprofondare in poltrona- Vado a prendervi un'altra tazza
di caffè.”
Non fece in tempo di finire a
pronunciare quella frase che era già schizzata in piedi,
pronta a sparire nella porta che dava alla cucina.
Reid fece l'atto di alzarsi, per
seguirla e calmarla, ma Hotch scosse la testa nella sua direzione.
“Aspetta. Forse è meglio che
le parli io.”
Il ragazzo si fece ricadere seduto sul
divano, mentre il suo capo camminava con passo fermo fino alla stanza
attigua. Non era certo di come sarebbe andata la conversazione fra i
due.
Aaron entrò in cucina di soli
pochi passi, trovando la giovane antropologa a riempire di
caffè
le loro tazze, proprio come aveva detto.
“Va tutto bene, Alaska?- domandò,
attirando la sua attenzione su di sè- Non era nostra
intenzione turbarti, prima. Stiamo solo cercando di fare il nostro
lavoro.”
“No, non fa niente, non sono
arrabbiata.- assicurò Ross voltandosi verso di lui, agitando
una mano come per scacciare quel pensiero- È solo che...io
li
conosco da così tanto tempo e sono miei amici e...Insomma,
questo non è il mio mondo, Aaron. Io non riesco a credere,
nemmeno a immaginare, che possiate pensare che loro potrebbero essere
implicati in questa storia.”
Sul volto di Hotchner spuntò un
mezzo sorriso “E' per questo che tu sei un'antropologa e non
una
profiler.”
Alaska sorrise ampiamente “Giusto.”
“Senti, Alaska, so che tu vuoi
fidarti delle persone e vedi solo il loro lato buono, ma noi dobbiamo
controllare.- continuò a parlare l'uomo, incrociando le
braccia- Questo non è uno scherzo, lo sai, vero?”
Lei fece roteare gli occhi, ma alla
fine annuì “Credo di essermene accorta quando mi
sono
ritrovata in un letto di ospedale.”
“Non ti accadrà più
niente del genere- le assicurò immediatamente il profiler,
che
aveva sentito tremare leggermente la voce di lei, già
sottile
di per sè- ma devi avere pazienza, collaborare pienamente
con
noi e fidarti.”
Alaska lo fissò intensamente,
per poi portare lo sguardo verso l'uscio, dove Spencer aspettava la
fine della conversazione. Lo guardò passarsi una mano fra i
capelli, che aveva tagliato leggermente, e non potè impedire
a
un sorriso lieve di salirle alle labbra.
“Fiducia accordata.- sentenziò,
puntando i suoi vivaci occhi cerulei su Hotch- In rotta per
Quantico?”
Uffici
dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Durante il viaggio per
Quantico Hotch e
Reid avevano parlato poco e avevano lasciato che Alaska ciarlasse con
loro del più e del meno, per assicurarsi che fosse
più
rilassata una volta arrivati alla sede dell'FBI. Aveva anche chiamato
suo padre per rimandare la visita che aveva in programma per quei
giorni ad un'altra data da destinarsi, e sembrava davvero che non ci
fosse più nulla a turbarla dopo che aveva chiuso la
conversazione con il genitore.
Eppure, mentre seguivano Hotch fuori
dall'ascensore verso l'open space del BAU, Spencer non potè
impedirsi di scrutare la propria ragazza, che camminava in fianco a
lui, alla ricerca di qualsiasi segno di cedimento. Non gli parve di
trovarne alcuno ma, quando stavano per entrare nella sala conferenze
dove tutti gli altri li stavano aspettando, si sentì
trattenere a qualche passo dalla porta.
Alaska avvolse le proprie dita attorno
a quelle di Reid, che sobbalzò a causa di quel contatto
improvviso e inaspettato. Quando si voltò verso di lei, la
trovò con la testa leggermente inclinata, come se stesse per
sussurrargli un segreto.
“Mi sento strana a...uhm...- fece una
pausa, per cercare meglio le parole per spiegarsi- stare dalla parte
opposta. Non che io sia mai stata dalla vostra, ma...”
Sul volto di Spencer comparve un
sorriso, mentre lasciava un bacio leggero e veloce sui capelli scuri
della ragazza. “Andrà tutto bene.” le
assicurò,
cercando di entrare nel ruolo di protettore. Gli sembrava strano
doverlo fare, in quel momento: sapeva di aver passato gran parte
della propria infanzia e adolescenza ad occuparsi della madre malata
e, quindi, di essere in grado di prendersi cura e proteggere una
persona cara. Con lei lo aveva fatto, inconsciamente, dopo pochissimi
giorni dal loro primo incontro, eppure in quel momento gli sembrava
decisamente impossibile. Alaska non avrebbe mai dovuto avere bisogno
della sua protezione, non in quel modo.
“Lo so. Solo che, mi domandavo: è
davvero necessario tutto questo?” fece un ampio gesto della
mano,
per indicare la stanza di fronte a loro.
Sul tavolo c'erano già i
fascicoli di Carl Scott, Walt, Gael e di quello studente di cui aveva
parlato a Morgan e Reid. Alla parete era già appesa una
cartina della città, in attesa che venisse predisposto un
profilo geografico. Alaska contò mentalmente il team dei
profiler, cui aggiunse poi Garcia, Nate, Gordon e quei quattro agenti
che si davano il cambio per farle da scorta ventiquattr'ore al
giorno. Erano quasi una dozzina di agenti speciali dell'FBI,
qualificati, competenti e molto richiesti che si stavano occupando in
massa del suo caso. La cosa la faceva sentire decisamente
più
sicura, ma le creava anche parecchie domande.
Reid le rivolse un'occhiata
inquisitoria “Che cosa intendi?”
“Il benessere di molti è più
importante di quello di pochi, ricordi?E' una frase di Star
Wars.”
gli ricordò
“Star Trek.” la corresse
immediatamente il giovane profiler.
“Il concetto resta lo stesso,
Spencer.- sospirò Ross, puntandogli addosso i suoi grandi
occhi chiari- Ho visto l'ufficio di JJ: ci sono pile di casi che
aspettano di essere presi in considerazione da voi e ora vi state
occupando di questo caso in sei tralasciando altre persone che
avrebbero più bisogno di voi. Persone che sono là
fuori, senza una scorta, in balia di pazzi a cui la polizia da sola
non riesce a stare dietro e...”
“Alaska, smettila immediatamente, per
favore.- la bloccò Spencer, voltandosi verso il resto del
team
che continuava a lavorare nella stanza, ignaro di quella
conversazione- Ci occuperemo del tuo caso. Punto.”
L'antropologa gli posò una mano
sulla spalla, cercando delicatamente di farlo voltare di nuovo verso
di sé “Perchè?- domandò di
nuovo-Non vi dico
di lasciarmi al mio destino, c'è già Nate che ha
sotto
controllo la situazione, e Gordon e gli altri ragazzi della loro
squadra. Sono gente in gamba, lo sai anche tu.”
Reid si passò stancamente una
mano sul viso, sfregandosi gli occhi “Al, davvero non
capisci?Io
devo fare qualcosa. E anche gli altri la pensano così. Come
credi che ci sentiremmo sapendo che possiamo essere la squadra
migliore per aiutarti e non poter farlo?”
Alaska si mordicchiò il labbro,
soppesando bene le parole che aveva appena sentito “Immagino
non
poi così bene.- ammise- Probabilmente come mi sento io
adesso
sapendo che non potrò occuparmi dei miei casi in sospeso per
un po'.”
Spencer non potè impedirsi di
sorridere al sentire quel tono leggermente imbronciato
“Esatto.
Quindi, discorso chiuso?”
La ragazza annuì “Discorso
chiuso.” promise, facendosi una croce sul cuore come per
sancire un
giuramento.
Reid prese un bel respiro e le aprì
la porta per darle accesso alla ormai caotica sala conferenze. Anche
se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, sapere che era Alaska al
centro delle loro indagini gli faceva andare le gambe in gelatina.
“Alla buon ora, Ross.- la accolse la
voce profonda di Crowford- Sai che ore sono?”
Prentiss aggrottò le
sopracciglia, incredula di aver davvero sentito una nota bonaria nel
rimprovero dell'agente più burbero nella storia del Bureau.
Alaska sorrise apertamente “L'ora che
io mi compri un orologio?” ribattè, ripetendo
l'accusa che
gli muoveva sempre il collega quando si presentava in ritardo ad un
appuntamento.
Nate le rivolse un ghigno strafottente
e grazie a quel gesto lei notò immediatamente una leggera
escoriazione che deturpava lo zigomo dell'uomo. Allungò un
braccio e strinse leggermente fra le dita il mento del riluttante
agente, per voltarlo di lato leggermente e ispezionare quella ferita
insignificante.
“Nate...”iniziò a parlare
Ross, con tono preoccupato.
Crowford si divincolò piano da
quella stretta, fingendosi infastidito “Una cosa di
lavoro.”
tagliò corto, ben sapendo che la giovane antropologa non
sarebbe stata contenta di sapere che aveva torchiato un interrogato
talmente tanto, e usando il peggio del proprio repertorio di pessime
maniere, che quello gli si era rivoltato contro, colpendolo con un
pugno improvviso. Certo, quello che gli aveva ritornato lui era stato
decisamente più forte e mirato, considerando il fatto che
gli
aveva rotto il naso.
“Garcia ha già fatto partire i
controlli sui nominativi che ci hai mandato.”
spiegò Morgan,
rivolgendosi a Hotch, la fronte aggrottata per lo stupore che gli
aveva causato vedere l'atteggiamento della ragazza verso Crowford.
“Ha trovato qualcosa di utile?” si
informò l'uomo, prendendo fra le mani uno dei fascicoli.
“O'Neil è rintracciabile solo
per i suoi arresti per reati minori: è un ambientalista
piuttosto attivo e pare partecipi a ogni manifestazione del
continente.- si affrettò a riferire Prentiss, che aveva
analizzato la sua fedina penale- A parte questo non abbiamo i
movimenti di carte di credito né altro che possa confermarci
la sua posizione attuale. Garcia sta approfondendo la
ricerca.”
Alaska borbottò qualcosa
riguardo al fatto che probabilmente si trovava in Florida ad
occuparsi degli strascichi ambientali causati dalla perdita di
petrolio avvenuta recentemente, ma nessuno parve notare il suo
commento.
“Morrison non si muove da Denver da
mesi.- aggiunse Rossi, lanciando la cartelletta sul tavolo- Direi che
possiamo metterlo da parte.”
Ross esultò, lanciando
un'occhiata soddisfatta ad Hotch, che però sembrava
decisamente più impegnato ad ascoltare il riepilogo fornito
dalla squadra.
“Quindi l'unico sospettato che
abbiamo fin ora è l'ex fidanzato abbraccia alberi di Ross?-
sbottò Nate: tutto quello gli sembrava una perdita di tempo,
il suo approccio era decisamente più terra a terra e
prevedeva
interrogatori snervanti per chiunque fosse coinvolto nelle sue
indagini, raccolta di informazioni sul campo grazie a mezzi di ogni
tipo e le buone e vecchie minacce federali- Non mi sembra molto
promettente.”
Crowford passò accanto a Reid
per andarsi a sedere, rischiando di urtarlo nell'atto. Spencer non
era del tutto certo che non l'avesse fatto apposta per farlo spostare
più lontano da Alaska.
“Trovo strano il fatto che tu ti
trovi qui.- ammise squadrando l'uomo- Avevi detto di voler condurre
le indagini da solo.”
Lui incrociò le braccia al
petto, annoiato “Precisamente. Anzi, di solito mi trovo molto
meglio a lavorare in quel modo.”
“Certo.- ribattè Morgan,
alzando un sopracciglio- Immagino che sai anche fare un profilo
dell'uomo che stai cercando giusto?”
“Avete già qualcosa in mano?”
si informò Ross, interessata. Sembrava che l'atmosfera
pesante
all'interno di quella stanza non la scalfisse minimamente.
Emily
annuì nella sua direzione “Abbiamo lavorato a un
profilo.”
“Oh, certo, un profilo.- sbuffò
Nate, che non aveva mai creduto all'utilità della psicologia
in campo criminale- Fatemi indovinare: uomo, bianco, fra i trenta e
quarant'anni, da piccolo si divertiva a torturare gli animali e
probabilmente aveva problemi coi genitori.”
“Nate, non hai la preparazione adatta
per creare un profilo.-gli ricordò Alaska, che sembrava non
aver notato il suo tono pesantemente ironico- E' come se io cercassi
di fare la detective.”
Hotch rivolse all'agente uno dei suoi
sguardi più freddi, che si andò ad unire a quelli
colmi
di disapprovazione del resto del team “Signor Crowford, la
inviterei a tenere il proprio sarcasmo per sé oltre che a
ricordare che i profiler, e la mia squadra dunque, contribuiscono a
risolvere dei casi ingestibili alla maggior parte delle forze
dell'ordine.”
“E tu smettila di pensare ai
fascicoli nel mio ufficio: ti posso assicurare che non ci sono casi
urgenti, al momento.” aggiunse JJ, come se fosse riuscita a
leggere
nella mente della giovane in base all'aria incerta che aveva dipinta
sul volto da quando era entrata nella sala conferenze. Reid non
potè
fare a meno di voltarsi verso la collega e mimare la parola grazie
a fior di labbra.
L'antropologa annuì, stupita,
fidandosi delle parole della bionda, e poi fissò impaziente
il
gruppo di agenti introno a sé, aspettando che dicessero
qualcosa riguardo a quel caso che la toccava in prima persona.
David le si avvicinò, posandogli
una mano sulla spalla mentre iniziava a parlare “Alaska,
sarebbe il
caso che tu...”
“Lo so, lo so: Nate me lo dice
sempre. Io sono solo un topo da laboratorio, quindi quando si parla
di indagini devo limitarmi a stare zitta, ascoltare ed annuire.
Niente domande fuori luogo e niente che disturbi gli addetti ai
lavori.”
Emily sospirò “Alaska, quello
che David stava per dire è che non dovresti stare qua a
sentire il profilo: di solito le vittime non partecipano alle
indagini.”
“Ricevuto, comandante.- trillò la giovane,
sfiorandosi la fronte con due dita per mimare un saluto militare-
Vado a farmi un giro.”
La voce di Hotch la inseguì mentre
si allontanava “Garcia sta lavorando al caso.”
“Oh.- Alaska
rallentò il passo, incerta- Allora andrò...non
so, ai
laboratori?” domandò, come se stesse chiedendo
loro il
permesso.
“Avevi detto che dovevi finire delle
relazioni e controllare le tesine dei tirocinanti dello scorso
trimestre.” le ricordò Reid, rammentandole le
parole che lei
stessa gli aveva detto in ospedale quando aveva giurato che avrebbe
utilizzato quei giorni di malattia per rimettersi in pari col lavoro.
L'antropologa fece schioccare le dita
“Giusto.”
“C'è un computer nel mio
ufficio.- le suggerì Rossi- Puoi lavorare
lì.”
“Quindi fino all'altro giorno ero la
povera piccola Alaska che è stata avvelenata e deve
riposarsi
e ora invece la dottoressa Ross che niente può fermare dallo
svolgere i suoi compiti?” domandò loro, un
sorrisetto furbo
e divertito a decorarle il viso.
Derek fece roteare gli occhi
“Allora puoi startene tranquilla nell'area relax
finchè non
avremo finito.” Era più una sfida che un
suggerimento,
sapeva che non avrebbe resistito mezz'ora da sola a far niente.
“So
cosa state facendo: state usando quella cosa...- fece una pausa per
cercare le parole giuste- la psicologia sottosopra, giusto?”
“La che?” le fece eco JJ, confusa.
“Massì, voi mi dite di fare
una cosa per farmi fare quella opposta.- spiegò annuendo
saputa la ragazza- La psicologia sottosopra!”
“Si chiama psicologia inversa,
Quarantanove.” rise Morgan, scuotendo la testa.
“Quello che ho
detto.- confermò Alaska, prima di sventolare una mano con
noncuranza e dirigersi verso l'ufficio di Rossi- Comunque, funziona.
Vado nell'ufficio di Dave.”
“Sappiamo dove trovarti in caso
avessimo bisogno di te, allora.” la inseguì la
voce del
profiler più anziano, prima che si chiudesse la porta alle
spalle.
Senza Ross nella stanza sembrava che il
paciere si fosse appena allontanato dal campo di battaglia, lasciando
le due fazioni a guardarsi in cagnesco, in attesa che una scintilla
facesse scatenare il peggio.
“Perfetto, allora.- esordì con
voce piatta Crowford mentre prendeva un blocchetto degli appunti
dalla tasca interna della giacca di pelle- Fatemi sentire questo
mirabolante profilo di cui andate tanto fieri.”
“E' un uomo, fra i trentacinque e i
cinquant'anni...” iniziò a spiegare Prentiss.
“Ma per
favore!” sbottò Nate che, evidentemente, era
particolarmente
esperto nell'alimentare l'odio che gli altri provavano già
istintivamente verso di lui.
“E' un maniaco del controllo.-
continuò la mora, ignorandolo- Non ha semplicemente
attentato
alla vita di Alaska ma prima l'ha seguita per settimane per studiare
le sue abitudini.”
“Inoltre le ha lasciato la busta con le
foto e il messaggio col teschio in casa sua.- continuò
Morgan-
Vuole farle sapere che le sta dando la caccia.”
“Non capisco.- commentò
Crowford, finalmente deciso ad essere più collaborativo- Se
la
vuole morta perchè non le ha semplicemente sparato?Dopotutto
ne ha avuto l'occasione durante il periodo in cui la seguiva
costantemente, giusto?”
“L'SI non vuole semplicemente
ucciderla.- spiegò Reid, parlando il più
velocemente
possibile per evitare di perdere il controllo della propria voce al
pensiero di ciò che stava dicendo- È convinto di
avere
subito un torto da parte sua quindi vuole avere un confronto diretto
con lei, cercare di parlarle prima e fargli capire il motivo delle
sue azioni.”
Nate alzò un sopracciglio, scettico “E voi
credete davvero che Ross abbia potuto fare qualcosa di così
grave da attirare su di sé la rabbia di un bastardo
qualunque?”
“No.- rispose Rossi- L'SI attribuisce
a lei delle colpe che probabilmente non ha in base a un torto che
crede di aver subito da parte sua.”
L'agente annuì, scarabocchiando
qualcosa sul suo blocchetto “E' già stata fatta
un'indagine
sul passato di Ross?” domandò.
Hotch alzò un dito per fargli
segno di aspettare e poi digitò un numero interno sul
telefono
posizionato al centro del tavolo.
“Mi sembra strano analizzare così
il passato di Alaska.- disse dopo pochi secondi la voce di Penelope
dall'amplificatore- Come se fosse una sconosciuta qualsiasi.”
“Garcia, è per il suo bene.”
gli ricordò JJ.
Dall'altro capo del filo la donna annuì
“D'accordo. Alaska Prudence Ross...
“Prudence?” domandò in un
sussurro Emily.
“...nata a Denver, in Colorado, il
cinque ottobre di ventisei anni fa. Sua mamma è
un'insegnante
di disegno, suo padre un veterinario. A parte un'operazione alle
tonsille non c'è niente di rilevante su di lei
finchè,
a otto anni, venne rapita da...”
La voce di Rossi sembrava provenire
dall'aldilà mentre precedeva le parole di Garcia
“Jason
Foller.”
“Esatto. È stata portata in
salvo otto giorni dopo la sua scomparsa, due dopo il suicidio in
cella del sospettato. È stata in ospedale per una settimana
e
poi ha avuto delle sedute settimanali con un terapista infantile per
i due anni successivi. A parte questo non c'è niente di
particolare:una tipica ragazza americana. Ha frequentato il liceo a
Wichita, dopo il divorzio dei suoi genitori e il trasferimento dal
Colorado, ed era presidentessa del club scientifico delle superiori,
ha lasciato il Kansas a diciassette anni per trasferirsi in
California per frequentare l'università. È stata
ammessa alla Berkeley ma ha cambiato l'iscrizione all'ultimo per
andare all'UCLA, probabilmente a causa del trasferimento improvviso
del dottor Stein. Ha vinto l'ammissione al suo tirocinio esclusivo
grazie a una ricerca su come influisce la chirurgia estetica nelle
modificazioni post-mortem...”
“Un certo Carl Scott ha perso
per un soffio e se l'è presa, giusto?”
azzardò
Morgan.
“Già, ho già fatto partire un controllo
più approfondito su di lui.- confermò Penelope,
gli
occhi che vagavano veloci sulle informazioni che trasmettevano gli
schermi che aveva di fronte- Comunque dopo la laurea Alaska
è
diventata l'assistente fissa di Stein: l'ha seguito in un laboratorio
di medicina legale a New York prima del trasferimento definitivo a
Baltimora e, come sappiamo, alla fine si è ritrovata qua a
Washington.”
“Hai notizie di quegli studenti
scontenti di cui parlava?” domandò quindi Reid.
Nel suo ufficio Garcia scosse la testa
“Sto facendo un controllo anche su di loro, ma sembrano
puliti.”
“Nient'altro?” si informò
Rossi.
“Sto facendo un confronto incrociato
per vedere se ci sono stati recentemente trasferimenti a Washington
di persone che hanno vissuto vicino ad Alaska, ma sembra una cosa
più
lunga del previsto...” si affrettò a spiegare
Penelope,
impaziente di poter comunicare i risultati di quella ricerca.
Hotch annuì, la mente già
concentrata su come avrebbero proceduto “D'accordo: Reid e
JJ,
lavorate a un profilo geografico. Partite dalle foto e cercate di
individuare da dove sono state scattate. Dobbiamo vedere in che zona
agisce e fino a che punto seguiva Alaska.”
I due annuirono e il
capo dell'unità si voltò verso Rossi
“Io e Dave
andremo nel quartiere di Alaska e cercheremo di trovare qualcuno che
abbia notato qualsiasi cosa e...”
“Io andrò dagli studenti.”
mise in chiaro immediatamente Crowford alzandosi di scatto. Da quando
aveva sentito la storia della vita della sua collega, soprattutto
della parte della sua infanzia di cui era fino a pochi minuti prima
all'oscuro, si era sentito ribollire il sangue nelle vene: era certo
che spaventare un paio di studentelli universitari per ottenere delle
informazioni e sfogare poi il resto della propria rabbia su un sacco
da box in casa sua sarebbe stata la miglior cura per quella
sensazione.
“Prentiss, vai con lui.” disse Hotch, facendo un
cenno ad Emily.
Le spalle di Nate si irrigidirono e sembrò
palese la sua irritazione “L'avete sentita Ross, prima:
preferisco
agire da solo.”
Aaron non sembrava per niente impressionato dal
suo atteggiamento da bullo, però “Non questa
volta,
Crowford.”
L'uomo fece roteare gli occhi,
infastidito, mentre usciva dalla stanza con passo svelto.
“Spero solo che tu riesca a starmi
dietro.” borbottò, rivolto alla mora che lo stava
seguendo.
“Morgan...” chiamò di nuovo
Hotch.
All'uomo bastò fare solo un
cenno di assenso, prima di affrettarsi a seguire gli altri due
agenti.
L'indagine stava per entrare nel vivo.
Casa di Spencer Reid.
Washington, DC.
“Questa
è stata la giornata
più noiosa della mia vita!” sentenziò
Alaska,
stringendosi intorno al braccio di Spencer non appena ebbero messo
piede fuori dalla vettura.
“Dico sul serio- continuò con
voce frizzante- è stato peggio di quando all'asilo mi
avevano
messo in castigo per una giornata intera per aver pitturato un
compagno di classe. Sai che sono stata completamente isolata?”
Durante quelle ore dall'apparenza
interminabili il team aveva appurato che Ross poteva camminare
tranquilla per strada, perchè di certo l'SI non usava armi
da
fuoco. In effetti, avevano scoperto un sacco di cose che non poteva
essere: non era un sadico, probabilmente non aveva mai ucciso prima,
non era una persona che si faceva notare, non aveva un carattere
aggressivo.
Ad ogni non cui riuscivano ad
arrivare con il loro profilo a Reid sembrava che si stessero
allontanando sempre più da ciò che cercavano, e
non
viceversa.
Lui e JJ erano riusciti ad individuare
le zone della città in cui l'SI aveva seguito Alaska e
avevano
già predisposto un sopralluogo per il giorno seguente e
quello, in effetti, era l'unico traguardo raggiunto durante la
giornata. Hotch e Rossi non avevano concluso niente, così
come
Morgan e Prentiss. In effetti loro avevano avuto occasione di
scoprire che ogni singola voce che circolava su Crowford era vera:
era davvero un bastardo violento e poco collaborativo, ne
più
ne meno.
Reid si rendeva conto di stare
sviluppando un'antipatia sempre maggiore verso il collega della
propria ragazza e sapeva che non era, nonostante continuasse a
ripeterselo, solo a causa dei suoi modi da cavernicolo.
Era ancora perso nei propri pensieri
quando senti trillare la voce di Alaska “Nate!”
Sbattè le palpebre confuso
mentre si sentiva trascinare verso una macchina parcheggiata poco
distante dal portone del suo palazzo.
“Che cosa ci fai qui?” non potè
fare a meno di domandare, stupito, quando riconobbe Crowford al posto
di guida.
“Aspetto di avvistare un'aquila
reale.” ribattè l'uomo, sarcastico.
Alaska proruppe in
una risatina “Ma, Nate, in città non è
facile vedere
degli animali selvatici e...”
“Ross!- sbottò Crowford,
esasperato- Sono qua a farti da scorta.”
“Da solo?”si informò la
ragazza, allungando il collo all'interno dell'abitacolo.
Nate le rivolse un ghigno “Mai
sentito il detto: chi fa da sé, fa per tre?”
“Ma...ti sentirai solo!- protestò
lei- E poi non avrai freddo, a passare la notte in auto?”
“Tanto so che passerai domani mattina
a portarmi una cioccolata calda come hai fatto con la pattuglia che
è
rimasta stanotte.” rispose con una scrollata di spalle
Crowford.
“Ma tu sei uno dei miei migliori amici!Non posso
permettere che ti vada in ipotermia. Dormirai sul divano.”
Spencer rizzò il capo, scioccato
“Come?”
“Sul serio?” gli fece eco l'altro
agente.
Alaska sorrise “Ma certo, è
comodissimo, lo posso assicurare.”
“Sei sicura che il dottor Reid sia
d'accordo?” domandò, alzando un sopracciglio. In
realtà
non gli importava molto della sua opinione.
“Certo.- confermò
l'antropologa, strizzando il braccio di Reid e rivolgendogli un
sorriso radioso- Vero, Spencer?”
“Sì, certo...” borbottò
lui in risposta, con lo stesso tono con cui avrebbe acconsentito alla
rimozione di un dente del giudizio senza anestesia.
Seguì Alaska e Crowford fino
all'interno del proprio appartamento, trattenuto dallo scappare dalla
parte opposta di quell'uomo sgradevole solo grazie alla mano morbida
della ragazza stretta intorno alla sua.
Vide l'agente guardarsi intorno
indagatore mentre Ross continuava a chiacchierare allegra, senza
rendersi conto di essere la sola persona allegra in quella stanza
“Fortuna che l'altra sera abbiamo ordinato da mangiare
qualcosa in
più, altrimenti ora non avremmo niente da offrirti. Hai
fame?Abbiamo cibo cinese, thailandese, indiano e qualcosa di qualche
altra nazione esotica che non ricordo.”
Crowford poggiò la propria
giacca sullo schienale del divano, stringendosi nelle spalle
“Va
bene qualsiasi cosa, Ross. Voi non mangiate?”
“Abbiamo già mangiato a
Quantico.” rispose Spencer, ma nemmeno l'aver preso la parola
fece
distogliere lo sguardo di Nate da Alaska.
L'antropologa parve ignorare il fatto
che il suo collega non degnava il profiler neanche di uno sguardo
“Ho
saputo che sei andato ad interrogare gli studenti che ho escluso dal
tirocinio con Emily e Derek. Non ti ho visto tornare con loro,
però.”
Crowford scosse le spalle larghe “Già.
Dopo l'esperienza di oggi Gordon ha deciso che deve essere lui il
membro di contatto fra le nostre due unità.”
Il commento di Reid gli uscì
dalle labbra più secco di quanto volesse
“Strano.”
“Davvero!-
concordò Alaska- Quindi non verrai più a
Quantico?”
“Non ho detto questo.” ribattè
Nate con un sorriso obliquo.
Ross fece sventolare una mano, per poi
assumere una finta aria imbronciata “Beh, comunque spero che
non mi
mettiate in castigo anche domani.”
“No, domani io e te non andremo a
Quantico.- la contraddisse Spencer- Crediamo che sia meglio che tu
resti qui, anche se ci sarà sempre qualcuno con te oltre
alla
scorta in strada, è meglio. Resterò io con
te.”
“Oh, perfetto.” sbottò Nate,
facendo roteare teatralmente i suoi occhi grigi.
Reid aggrottò le sopracciglia
“Come, scusa?”
“Credo che se la caverebbe meglio
senza di te che ti aggiri apprensivo per casa.”
chiarificò
senza mezzi termini.
Reid serrò la mascella con
forza, infastidito da quelle parole mentre Alaska fece roteare gli
occhi platealmente “Nate...”
“Voglio dire,- continuò a dire
Crowford- non mi sembri certo il genere di agente adatto per essere
messo di guardia a qualcuno.”
“Nate.” ribadì Ross, la voce
pericolosamente più secca. Spencer intanto non
potè
fare a meno di riflettere sulle parole dell'uomo. Si
mordicchiò
il labbro inferiore, mentre l'altro continuava imperterrito,
chiedendosi se in fondo non potesse avere ragione.
“Certo, puoi anche essere un
cervellone e via dicendo, ma...”
“Nate, adesso basta!”
I due agenti osservarono confusi verso
la ragazza, che aveva inaspettatamente alzato la voce. Aveva
afferrato il polso di Reid e lo stava trascinando con sé
fuori
da quella stanza, per dirigersi verso la camera da letto dove contava
di barricarsi.
“Andiamo, Al.- la richiamò
Crowford- Stavo solo mettendo in evidenza l'ovvio.”
Quando
l'antropologa si fermò, lanciandogli un'occhiata che non
aveva
quasi mai riservato a nessuno nella sua vita, Crowford sentì
la gola seccarsi. I grandi occhi di Alaska avevano la stessa
espressione di quelli di Bambi dopo che il cacciatore gli aveva
ucciso la madre ma, oltre a quello, si poteva intravedere anche una
buona dose di delusione ed un accenno di rabbia. Né lui
né
Spencer potevano dire di aver mai visto quell'espressione sul volto
della spensierata giovane e fu per quello che restarono ammutoliti
per un po'.
Non passarono che pochi secondi che
Alaska si voltò verso Reid, lo sguardo raddolcito come al
solito “Credo che andrò a farmi una doccia e poi
me ne andrò
a letto. Mi aspetti in camera?”
Quando la vide emergere dal
corridoio,
i capelli ancora umidi per via della doccia, con indosso un paio di
pantaloni di felpa dal motivo a quadretti e una semplice canottiera
rossa, Crowford non potè impedirsi di sorriderle.
“Devo dedurre che non sei più
arrabbiata?” le domandò.
Alaska posò sulla poltrona un
fagotto colorato non meglio identificato “Non avresti dovuto
dire
quelle cose.- sospirò, guardandolo con una forte
intensità
negli occhi chiari- Io mi fido di Spencer, metterei la mia vita nelle
sue mani senza farmi problemi, e tu non dovresti mettere in dubbio
questo.”
Crowford fece roteare gli occhi,
cercando di scherzare “Quel tizio non saprebbe difenderti da
un
ragno aggressivo.”
“Nate, smettila, davvero.” pigolò
Ross, mordicchiandosi il labbro inferiore.
L'agente la fissò per qualche
istante, pensieroso. Alla fine si passò una mano fra i corti
capelli scuri e le lanciò un sorriso che doveva essere
incoraggiante “Una cosa seria, uh?”
“Sì.- rispose semplicemente
Alaska, con un certo sollievo per quella comprensione nella voce
sottile- È chiedere troppo che tu finga almeno di capire? Di
assecondarmi?”
Crowford scrollò le spalle
muscolose “Mmm”
La ragazza gli rivolse un sorriso più
rilassato mentre indicava ciò che aveva lasciato sulla
poltrona “Ti ho portato una coperta e un cuscino. Se hai fame
in
cucina c'è qualcosa da mangiare, puoi anche prendere una
fetta
di torta, l'ho fatta stamattina. Il bagno di servizio è di
fianco all'ingresso e ti ho messo là uno spazzolino pulito e
un tubetto di dentifricio.”
Nate le fece un cenno di assenso“Ok.”
Alaska si sporse verso di lui e gli
lasciò una carezza leggera sul braccio
“Buonanotte, Nate.”
sussurrò prima di avviarsi verso la stanza di Reid.
“'Notte Al.” sentì dire alle
proprie spalle, mentre spariva lungo il corridoio.
Quando entrò in camera trovò
Spencer già sotto le coperte, che gli sorrideva dolcemente.
“Avete fatto pace?” domandò
interessato.
Alaska si strinse nelle spalle, mentre
si infilava a letto e si accoccolava contro di lui “Quasi.
Sto
cercando di addomesticarlo, sai?”
Reid alzò le sopracciglia
“Impresa impossibile.”
“Non credo. Con me si comporta
benissimo, è una brava persona...”
Il profiler non
commentò quell'affermazione, si limitò a passarle
una
mano fra i capelli “Sai, mi sono sentito una principessa in
pericolo portata in salvo da un cavaliere senza macchia e senza paura
all'attacco del drago cattivo.”
Ross rise per quella descrizione
“Non mi è piaciuto come ti ha parlato. Nessuno
potrebbe
difendermi meglio di te: sei la persona migliore che io
conosca.”
Spencer annuì distrattamente,
prima di iniziare a parlare, balbettando suo malgrado
“Volevo...uhm...sì, insomma, so che forse non
è un
buon momento ma...ecco, volevo chiederti una cosa...”
“Tutto quello che vuoi.” rispose la
ragazza, mentre placidamente giocava con le sue dita fra le mani.
“Come...-continuò, prima di
schiarirsi la voce che gli era diventata troppo acuta- come ti trovi
qui?Voglio dire, lo so che non ti piace essere intrappolata in questa
casa, ma mi domandavo come...sì, come ti trovi...”
“Mi piace, ma non so se il sentimento
è reciproco.” commentò Alaska, non
notando la
stranezza di quella domanda.
Reid aggrottò la fronte
“Perchè?”
“Suppongo che i lividi che ho sugli
stinchi potranno dimostrare quanto la tua cucina mi detesti.”
spiegò lei, alzando lo sguardo divertito per incrociare il
suo.
Il profiler rise “Potremmo mettere
quegli smussa angoli usati per i bambini...”
“E' una buona idea.- concordò
Alaska annuendo- Si vede che fra noi due sei tu il genio.”
“Comunque, mi chiedevo...- continuò
Spencer, riprendendo le redini del discorso-Ti piacerebbe restare
anche dopo che questa situazione si sarà risolta?Insomma,
rendere tutto questo definitivo...”
Gli occhi dell'antropologa si
spalancarono “Che cosa mi stai chiedendo, Spencer?”
Reid la fissò intensamente “Di
venire a vivere qui. Con me.”
“Davvero?” chiese con il sorriso
che già le si allargava sul volto.
“Davvero.” confermò il
ragazzo.
“Wow!- esclamò Alaska felice-
Sei consapevole che sarà come abitare con uno di quei
folletti
che incasinano tutto, vero?”
“L'avevo considerato.” ammise
Spencer, anche se in realtà aveva pensato che sarebbe stato
più come vivere insieme a un tornado.
“Ti amo!” trillò lei
gioiosa, prima di piegarsi su di lui per dargli un bacio
appassionato.
La risata di Reid restò
soffocata da quel bacio e, non appena ebbe un momento di tregua,
sussurrò contro le labbra morbide dell'amata “Lo
prendo per
un sì?”
Alaska non rispose, ma continuò
a lasciare una scia di baci lungo la linea della sua mascella.
Spencer sentì la propria temperatura corporea aumentare
vertiginosamente e la testa annebbiata dalle sensazioni che
emergevano prepotenti ogni volta che la sua ragazza lo sfiorava in
quel modo. Tuttavia non potè fare a meno di pensare che,
quella volta, non erano soli in casa.
“Alaska?” la chiamò
titubante, cercando di non badare alle scariche elettriche che
sentiva sotto la pelle.
“M-mm?” mormorò lei, senza
staccare le labbra dal suo collo.
“Crowford...- balbettò,
cercando di rimanere lucido- Sai, Crowford è di
là, e
non vorrei che lui sentisse...”
La risposta dell'antropologa risuonò
nel suo orecchio come le fusa di un gatto “Nate
dorme.”
Reid si agitò leggermente nella
stretta soave della ragazza “Non sarei troppo stupito di
scoprire
che ha il sonno leggero, e nemmeno che sia in grado di sentire
attraverso le pareti...”
“D'accordo.- Alaska si arrese con una
risata, dandogli un bacio a stampo sulle labbra e sistemandosi meglio
sul letto, con la testa appoggiata alla sua spalla- Mi
comporterò
bene.”
Spencer sorrise e le posò un
bacio fra i capelli, e mentre godevano l'uno del caldo abbraccio
dell'altra, il sonno li accolse nel suo mondo tranquillo e senza
pensieri.
Da qualche parte nella
periferia di
Denver, Colorado.
Alaska deglutì
piano, mentre
fissava il volto rubicondo del dottor Morris. Era indubbiamente
invecchiato dall'ultima volta che l'aveva visto: ai lati degli occhi
si aprivano a ventaglio una serie di rughe profonde, le palpebre
erano più cadenti di come le ricordava e la barba, una volta
rossa come i capelli, era spruzzata di peli bianchi. Tuttavia, nei
suoi occhi verdi, riusciva a riconoscere la stessa calma e
compassione che vi vedeva quando, diversi anni prima, frequentava le
sedute di terapia individuale al suo studio di psicologo.
“Allora, Alaska, sei pronta?” le
domandò l'uomo, una punta di dolcezza nella voce.
L'antropologa si umettò le
labbra, leggermente imbarazzata “Non ricordo che cosa devo
fare.”
Il dottor Morris le sorrise comprensivo
e lei si voltò quindi verso Spencer che le si era avvicinato
a
sua volta, facendo scivolare una mano nella sua.
“Niente di speciale, Al- la rassicurò
il ragazzo- Vogliamo solo che entri lì dentro e ci dici se
ti
ricordi qualcosa.”
Alaska annuì piano, seguendoli
lungo un sentiero che si era formato su quel prato poco curato,
probabilmente in seguito ai continui viaggi di qualcuno. La stradina
portava a una specie di capanno, una sorta di rimessa che si trovava
dietro al cottage. Era fatta di legno scuro e, a giudicare dalla
polvere accumulata sulla maniglia della porta, sembrava che fossero
passati anni da quando qualcuno vi aveva messo piede per l'ultima
volta.
“E' lì dentro.- indicò
lo psicologo con la sua mano paffuta- Ti ricordi di questo posto,
piccolina?”
Ross scosse la testa, confusa. Il
dottor Morris usava quel soprannome quando aveva iniziato la terapia,
a otto anni. Le sembrò strano che lo utilizzasse ancora, ma
pensò che probabilmente doveva essere una strategia usata di
proposito per metterla a suo agio.
“Va bene lo stesso.- le sussurrò
all'orecchio Spencer, con voce soave- Non importa se non ti viene in
mente tutto subito.”
“Ma cosa?” domandò incerta
Alaska, mentre muoveva qualche passo all'interno della piccola
costruzione in legno. Al suo interno poteva sentire odore di chiuso e
di muffa, aveva ragione, quindi: nessuno non vi metteva piede da
parecchio tempo.
La luce, che entrava a sprazzi dalla
porta aperta e occupata dai due uomini che l'accompagnavano, non
riusciva a illuminare l'intero ambiente. Riconobbe una sedia,
impolverata e rovesciata di fianco a un tavolo altrettanto mal messo
e, pendente dal soffitto, c'era una lampadina nuda e ormai fulminata
da tempo. L'arredamento sembrava esaurirsi con quei pochi elementi
ma, con la coda dell'occhio, Alaska notò qualcosa
nell'angolo
più lontano del capanno.
Non ne capiva il motivo, ma la cosa la
inquietava un po'. Si voltò, alla ricerca degli sguardi
confortanti del dottor Morris e di Reid.
“Avanti, piccolina.- la incoraggiò
l'uomo più anziano- Devi ricordare.”
La ragazza aggrottò la fronte
incerta, ma gli occhi scuri e amorevoli di Spencer la rassicurarono
quanto bastava per farle compiere gli ultimi passi verso quello
strano oggetto nascosto nell'ombra.
Mosse dei piccoli passi e piano piano i
suoi occhi furono in grado di riconoscere quello che stava guardando.
Le sbarre di ferro arrugginito che si
arrampicavano fino a non più di cinquanta centimetri dal
terreno.
Il fondo protetto dal ferro da una
tavola di legno scheggiato.
La catena di fianco alla piccola
apertura, insieme alla tenaglia che l'agente speciale David Rossi
aveva usato per liberarla.
Si portò la mano alla bocca,
incapace di parlare o anche solo di pensare a qualcosa di coerente.
Stava per voltarsi, per correre a
trovare rifugio nel caldo abbraccio di Spencer, quando sul fondo di
quella gabbia, che molti anni prima era stata la sua prigione,
notò
qualcosa.
Si avvicinò ancora, spinta da
una curiosità strana e morbosa a cui non riusciva a dare il
nome, e si trovò di fronte a qualcosa di estremamente
famigliare.
La pelle rinsecchita del cadavere
scheletrizzato riluceva di una strana luce sinistra. Strinse gli
occhi per vedere meglio quella schiena martoriata, su cui la vernice
rossa tracciava segni strani e irregolari.
Stava appoggiando una mano su una
sbarra di ferro, per evitare di perdere l'equilibrio in seguito a
quel sovraccarico di informazioni, quando il cadavere si mosse,
facendola sobbalzare.
Poco dopo due orbite vuote la fissavano
con insistenza, mentre le dita scheletriche si posavano su quelle che
un tempo erano state labbra, come se volessero suggerirle di stare in
silenzio.
Un sibilo freddo le risuonò
subito dopo nelle orecchie “Sssh!”
Casa di Spencer Reid.
Washington, DC.
Alaska aprì gli
occhi di scatto.
Non urlava mai alla fine dei propri
incubi né, quando si svegliava, si ritrovava piena di sudore
freddo o in presenza qualche altro fenomeno che mostrasse che aveva
avuto un incubo.
Il suo cuore batteva con la solita
regolarità, senza alcuna fretta causata dalle immagini che
aveva appena visto.
Sospirò, cercando di scacciare
la sensazione di agitazione che però le aveva preso la bocca
dello stomaco.
Nei suoi sogni, la casa e il capanno
non erano mai le stesse, così come chi cercava di portarcela
dentro per ricordare. Una volta ricordò perfino di aver
sognato di Rossi che la andava a salvare, ma era certa che non fosse
un ricordo. I particolari cambiavano ogni volta, suggerendole che la
maggior parte delle cose che popolavano i suoi incubi erano frutto
della sua mente e di quanto aveva elaborato in seguito all'esperienza
che aveva vissuto.
Si ruotò sul fianco, trovandosi
così faccia a faccia con Spencer che, ignaro di tutto,
continuava a dormire, il viso sereno e rilassato. Alaska sorrise
teneramente nel guardarlo e passò piano una mano sul suo
torace che si alzava piano al ritmo del suo respiro.
Dalle tapparelle filtrava una luce
leggera e discreta, che suggeriva come la notte avesse già
terminato il suo corso e il sole stesse già albeggiando.
Provò
a chiudere gli occhi, ma sapeva che ormai il sonno l'aveva
abbandonata, così si alzò leggermente, facendosi
perno
con un gomito e rimanendo per diversi minuti ad osservare la figura
dormiente di Reid, allungando la mano libera per farla passare
delicatamente fra i suoi capelli sottili e morbidi. Le piaceva
vederlo dormire: era uno dei pochi momenti in cui era completamente
rilassato, senza che miliardi di pensieri gli vorticassero in testa.
Inclinò un poco la testa e gli rivolse un'altra occhiata
amorevole.
Prima di alzarsi, gli posò un
bacio leggero sulla fronte, dopo di che si diresse scalza nello
studio di Spencer, che si trovava nella stanza attigua, sperando che
il ragazzo potesse dormire tranquillo ancora per un po'.
Crowford scostò
la coperta e si
alzò dal divano con un colpo di reni. Nonostante fosse
mattina
presto, la sua mente era completamente lucida: da quando era stato
nell'esercito aveva dei piccoli rituali che ripeteva ogni giorno.
Appena sveglio eseguiva una serie di flessioni, piegamenti ed
addominali a cui di solito aggiungeva anche una serie di colpi al
sacco da boxe che troneggiava in camera sua. Quel giorno, ovviamente,
aveva dovuto rinunciare a quest'ultima parte del suo allenamento
quotidiano e, quando ebbe finito i propri esercizi, lasciò
vagare il proprio sguardo attento per la stanza, analizzandone ogni
piccolo particolare. Osservò i titoli dei libri raccolti
ordinatamente negli scaffali: tomi voluminosi, enciclopedie e saggi
scientifici o letterari che destavano poco il suo interesse.
Alzò
le braccia sopra la testa e stirò i possenti muscoli della
schiena, ma girò la testa di scatto non appena
sentì
dei rumori provenire da una porta lungo il corridoio. Notò
allora una luce soffusa e azzurrognola provenire dal suo interno e vi
si avvicinò piano. Aveva già sul volto
un'espressione
ostile, pensando che si sarebbe trovato davanti il petulante dottor
Reid impegnato con del lavoro extra con cui mettere alla prova le
proprie cellule grige troppo sviluppate, ma cambiò volto
immediatamente non appena varcò la soglia della piccola
stanza.
Alaska era seduta alla caotica
scrivania, e osservava corrucciata e ansiosa lo schermo del computer
acceso di fronte a lei. Le gambe, avvolte dal tessuto felpato del
pigiama, erano strette contro il suo petto, e aveva il mento
appoggiato alle ginocchia. C'era qualcosa che non andava, in
quell'immagine, ma non riusciva a cogliere immediatamente cosa.
“Già sveglia?” domandò,
la fronte aggrottata, mentre si avvicinava piano ad Alaska.
La ragazza alzò velocemente la
testa verso Crowford, chiudendo il computer con uno scatto.
“Non riuscivo a dormire.” spiegò,
sorridendogli amabile.
Nate fece dondolare la testa, in segno
d'assenso, “Perchè, il ragazzino russa
anche?”
Il sorriso sul volto di Ross scemò
all'istante “Nate!”
“D'accordo, d'accordo!- capitolò,
alzando le mani in segno di resa- Argomento chiuso.”
“Sarebbe meglio, non mi piace
arrabbiarmi con te.- disse Alaska, prima di fargli una linguaccia
scherzosa- Vuoi la colazione?”
Crowford le rivolse un ghigno “Sicuro,
ho una fame da lupi.”
L'antropologa si alzò in un
balzo e trotterellò allegra fino alla cucina, seguita
dall'agente FBI. Sembrava aver completamente accantonato qualsiasi
attrito si era creato fra loro in quelle ultime ore e Crowford ne fu
immediatamente felice. Gli era sembrato quasi intollerabile pensare
che lei fosse arrabbiata con lui, gli piaceva vederla allegra,
solare, e con il suo sorriso largo sul volto.
Assecondò come al solito le sue
chiacchiere folli e veloci, che saltavano da un argomento all'altro
come le palline di un flipper, e si sedette al bancone della cucina
sentendo piano piano allargarsi nell'ambiente il dolcissimo profumo
dei pancakes che stava cucinando.
“Sciroppo d'acero?- offrì
Alaska gioviale, agitando un tubetto pieno di un liquido denso color
miele- Ho anche gli zuccherini colorati.”
“Il dottor Reid non ha certo paura
delle calorie, vedo.” commentò alzando un
sopracciglio.
La ragazza si strinse nelle spalle
“Spesso faccio io la spesa per lui e cerco di rimpilzarlo
più
che posso: hai visto quanto è magro?”
Crowford annuì soprappensiero,
mentre mangiava un boccone del delizioso dolce. Sulla sedia di fianco
alla sua, Alaska lo guardava come una mamma orgogliosa guarda
mangiare e crescere il figlioletto.
“Sai, i pancakes sono i miei
preferiti.” le rivelò, con la bocca mezza piena.
Il sorriso sul volto di Ross si allargò
“Lo so.”
“Ah, sì?” ribattè,
alzando un sopracciglio.
“Certo.- annuì con convinzione
l'antropologa- Come so che il tuo colore preferito è
l'arancione, che sei nato il dieci agosto, che hai preso gli occhi da
tua madre e la fossetta sul mento da tuo padre. Tu sei molto
importante per me, è logico che sappia queste
cose.”
Crowford tornò al proprio
piatto, piacevolmente stupito. Ma l'immagine che aveva visto poco
prima nello studio di Reid gli ritornò in mente,
sovrapponendosi a quella che aveva ora di fronte.
“Sei sicura di star bene, Ross?” le
domandò a bruciapelo, quando ebbe finito di mangiare.
La giovane sbattè le palpebre
diverse volte, spaesata da quella domanda.“Certo...”
Alzò gli occhi al soffitto,
facendoli roteare platealmente, mentre si avvicinava a lei con lo
sgabello.
Aveva capito quale potesse essere il
problema e così cominciò a parlare con tono
conciliante
“Sai, quando ero piccolo e avevo paura...”
Sul volto di Alaska si aprì
un'espressione sinceramente stupita “Tu provi
paura?”
“Ho usato il passato.- tagliò
corto Crowford, sfilandosi la placchetta militare che penzolava sopra
la canottiera bianca che indossava- Comunque, averla al collo mi
faceva sempre sentire meglio.”
Ross spalancò gli occhi: sapeva
che la catenina che stringeva Nate fra le mani in quel momento gli
era stata regalata da suo nonno, un ex-marine, e che da quando questi
era morto il suo collega non se ne separava mai. “Non posso
accettarla, Nate.- protestò, mentre Crowford gliela porgeva-
Era di tuo nonno!Mi conosci, perdo qualsiasi cosa, ma se dovessi
perdere una cosa così importante neanche scavare una fossa e
buttarmici dentro mi farebbe sentire meno in colpa.”
Nate fece roteare gli occhi mentre le
infilava la catenina al collo dalla testa. “A meno che non
dimentichi la testa da qualche parte- disse, le labbra solcate da un
sorriso obliquo- non credo che riuscirai a perderla.”
Dalla soglia della porta della cucina,
Reid osservò quella scena, immobile suo malgrado. Si era
svegliato poco prima e aveva trovato il posto accanto a sé
vuoto, aveva sentito le voci provenire dalla cucina e si era alzato
ancora intorpidito dal sonno, seguendo la scia dello scampanellio
della risata di Alaska. E una volta sull'uscio era rimasto
pietrificato nel notare lo sguardo che l'agente federale stava
lanciando alla sua ragazza.
Quando vide la mano di Crowford
indugiare sul collo di Alaska che, ingenuamente, stava rigirandosi
fra le dita le due placchette di metallo, sentì una
sensazione
amara alla bocca dello stomaco e, immediatamente, decise di rivelare
la sua presenza, tossicchiando.
La ragazza alzò gli occhi su di
lui non appena sentì quel suono, lasciando che sulle sue
labbra si schiudesse un sorriso aperto e allegro “Ciao,
Spencer!”
lo salutò gioviale.
Crowford sostenne lo sguardo del
profiler per diversi secondi, prima di far scivolare via le mani da
lei e mugugnare qualcosa che non somigliava neanche lontanamente a un
buongiorno.
“Ti sei svegliato presto.” commentò
Alaska, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulle labbra.
Sentire il calore del suo abbraccio intorno alla vita gli aveva fatto
scemare leggermente quella spiacevole sensazione che aveva appena
provato.
“Non quanto te.” borbottò,
lanciando l'occhiataccia peggiore che potesse a Crowford.
“Lo so.-sospirò Alaska, senza
rendersi conto della battaglia non dichiarata che stava avvenendo fra
i due uomini- È che...credo di dover parlare con Hotch al
più
presto.”
Una domanda salì alle labbra di entrambi gli
agenti FBI “Perchè?”
La ragazza non rispose, ma qualcosa nel
suo sguardo faceva trapelare che ciò di cui avrebbero
discusso
non avrebbe portato a niente di buono.
________________________________________________________________
Una fatica, gente. Una. fatica.
In pratica sono stata lì per due giorni, con il capitolo
quasi pronto per essere pubblicato, ma con una particina
piccina-picciò mancante. La litigata Alaska/Nate. E' che io
sono un'istintiva e nelle litigata sono violenta e senza
filtro fra bocca, mani e cervello, quindi non riuscivo ad elaborare
bene una lite calma e attutita dal carattere di Alaska. Spero di aver
dato l'idea e di non aver incasinato il capitolo. Anyhow...Che pensate
del capitolo?Io ho notato che in questa storia non c'è molto
team e ho deciso di rimediare: ho già progettato un capitolo
in cui ci saranno solo loro, cari, che faranno il loro mestiere
seriamente senza che Alaska li distragga troppo!Croce sul cuore!E poi
voglio mettere un pò più di JJ visto che le
è rimasta solo una puntata (nella sesta stagione
già in onda negli USA quella di settimana prox
sarà l'ultima del suo pg, sigh e sob!). Detto questo...il
solito: leggete, se vi va recensite che rendete happy una povera
autrice derelitta, abbiate un buon fine settimana and have fun! Bacini
baciotti, JoJo!
Luna Viola
: ordunque,
tu devi sapere che dirmi che sei in ansia mi crea una certa
soddisfazione!Yep!Perchè io ho messo suspance nel genere, ma
quando l'ho fatto mi sono detta: bah, tentiamo anche se non credo di
essere in grado. Ma se tu mi dici così fai salire di una
tacchetta il livello della mia autostima. Grezie davvero :) Uhm...direi
che stropicciare le guanciotte di Nate sarebbe azzardato, ma se l'idea
di continuare la tua vita senza l'ausilio delle mani non ti da
problemi, fai pure!eheheh! Cmq sono contenta che il personaggio ti
piaccia! E...ti informo che ho un giubbotto antiproiettile...di
seconda, uhm, terza, mano...un pò bucherellato e...Oh, Dei,
sono spacciata!Perchè, davvero, non ci sarà
sequel, ma io ti giuro, GIURO, che ci sarà un bonus di ben
nove capitoli. Non ti basta?Please?Sono troppo giovane per morire e poi
vorrei vedere la sesta stagione di CM!Pleasssssssssse!!al prossimo
capitolo dear, besos (anche se mi minacci di morte!)
Giunone : Grazie per alimentare la mia
autostima, eheheh!Sono contenta che la storia ti piaccia,
così come le citazioni e la mia fantasia da psicopatica. Ma
sai che stavo davvero pensando a una carriera da SI?Insomma, con la
crisi e tutto il resto...E poi c'è bisogno di quote rosa
anche in questo campo, no?eheheh!A parte gli scherzi, dai, sono
contenta che continui a seguire la storia!Al prossimo capitolo, kisses
Maggie_Lullaby
: Tu
rischierai di farmi uscire pazza!Davvero!Perchè da quando mi
hai detto che stavi cercando un volto per Alaska mi è
partita l'ossessione e ho cercato attrici/modelle/cantanti/personaggi
pubblici etc...che potessero dare un'idea di come la immagino e alla
fine sono arrivata
(qui )
Guardavo
calma calma, schiscia schiscia, YES MAN e ho visto lei e mi sono detta:
cavolo, potrebbe essere Alaska. Stesso stile pazzo, occhi enormi e
azzurri/blu, capelli neri, sembra che stia sulle nuvole...Quindi,
aggiudicato in pieno. Che ne dici? Per il resto...uhm...non intendo
spoilereggiare la mia storia, nonono!Resti coi dubbi fino alla
fine!eheheh(me malefica!)Il sequel non ci sarà,
però in coda a questa storia metterò una specie
di storia-bonus dai toni più leggeri (saranno circa 9
capitoli) in cui ci saranno tonnellate di Alaska/Reid!Yep
yep!Contenta?:) Non sono riuscita ad aggiornare in tempo per l'inizio
della 6^a stagione negli USA ma spero di non averti tenuto in ansia per
troppo...Che ne dici del capitolo?Fammi sapere!Baci baci
|
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Capitolo 6 *** Chapter 5, page 97 ***
provv
Come
si fa a uccidere la
paura, mi domando?
Come
fai a sparare a uno spettro dritto nel cuore,
tagliargli la sua testa spettrale, prenderlo per il suo spettrale
collo?
- Joseph Conrad
Uffici dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Derek Morgan
notò immediatamente
che c'era qualcosa di strano quando entrò nell'open space.
Era
piuttosto presto, quindi non c'era quel fermento che era abituale in
quegli uffici, eppure nell'aria c'era una certa tensione e non ci
mise molto a capirne la causa. Nate Crowford sembrava stesse
aspettando qualcosa, la schiena muscolosa appoggiata alla parete e le
braccia strette rigidamente intorno al petto. Lo sguardo grave era
fisso sulla porta dell'ufficio di Hotch.
Rallentò il passo solo quando fu
abbastanza vicino alla scrivania di Reid, che sembrava allo stesso
modo calamitato dallo stesso punto in cui volgeva gli occhi lo
scorbutico agente federale.
“Che sta succedendo?” domandò,
ottenendo soltanto che Spencer sobbalzasse sulla propria sedia,
spaventato da quelle parole udite all'improvviso.
Morgan vide il suo giovane collega
sospirare pesantemente prima di voltarsi verso di lui con i grandi
occhi scuri carichi di ansia “La verità
è che non ne
ho la più pallida idea.”
Con un cenno del capo Reid indicò
l'ufficio di Hotchner “Alaska è là
dentro: ha detto
che doveva parlare con lui.”
“Di cosa?” domandò Derek,
stranito, mentre si appoggiava al bordo della scrivania.
La bocca di Spencer rimase aperta per
un po' prima di emettere effettivamente suono “Non lo so, non
me
l'ha voluto dire.”
“Nel senso che è
effettivamente riuscita a non dirti niente?” cercò
chiarificazioni l'uomo di colore, alzando un sopracciglio incerto:
Alaska non era certo un asso a tenere segreti.
Reid sospirò
“Nel senso che non ha parlato per tutto il viaggio fino a qui
pur
di non farsi sfuggire qualcosa.”
“Oh.- esalò Derek,
passandosi una mano sulla testa rasata-Questo è...piuttosto
strano, in effetti.”
Il giovane genio non potè che
annuire, dandogli ragione “Già. Sto decisamente
impazzendo.”
“Ma lei sta bene?- indagò di
nuovo Morgan- Voglio dire, la sua reazione a tutta questa situazione
non è decisamente normale.”
“Sai com'è fatta:
per lei il mondo è un parco giochi, non la casa degli
orrori.”
Spencer si strinse nelle spalle esili. Quello era di certo uno dei
motivi per cui amava la sua ragazza così tanto, eppure in
quel
caso non desiderava altro che aprisse gli occhi per capire la
gravità
della situazione in cui si trovava.
“M-mm.- annuì Derek, per poi
indicare l'agente poco distante con un cenno- E Crowford che ci fa
qua?”
La voce di Reid sembrava provenire
dall'oltretomba mentre rispondeva “Ha passato la notte a casa
mia.”
Morgan alzò le sopracciglia,
estremamente stupito “Cosa?!”
“Ha ben pensato di aggiungersi alla
scorta, Alaska l'ha visto e l'ha invitato a casa per non fargli
prendere freddo.” continuò a spiegare il giovane,
imbronciato.
“Ow. E com'è stato?” domandò
quindi Derek, aspettandosi il peggio.
Reid gli lanciò un'occhiata
eloquente.
“Ricevuto. Un disastro.”
“E' che...-la voce di Spencer era
salita di un'ottava, a causa del fastidio che provava- io quel tipo
lo detesto sul serio, più di quanto è
razionalmente
accettabile, e non capisco perchè!”
“Si chiama gelosia, ragazzino.”
spiegò Morgan, dandogli una pacca sulle spalle che lo fece
sbilanciare in avanti.
“E tu credi che non dovrei esserlo,
lo so.- lo anticipò Spencer- Ma ti sembra normale il
comportamento di Crowford?”
Derek gli rivolse un ghigno “Quel
tipo non è mai normale.”
Spencer prese un grosso respiro
e scosse la testa come per schiarirsi le idee prima di iniziare a
spiegare “Voglio dire: è sempre stato scontroso e
non
parlava mai con le persone più del necessario e poi ha
conosciuto Alaska e...beh, rimane sempre lo stesso, ma con lei parla,
scherza, sorride...Stamattina l'ho visto mentre gli regalava una
placchetta militare e sembrava addirittura...dolce!”
L'uomo annuì, soppesando le
parole dell'amico. Certo, non occorreva essere un profiler per
cogliere l'interesse che palesemente Crowford provava verso la
giovane antropologa, ma era anche vero che, essendo amico della
ragazza, poteva essere più che sicuro dei suoi sentimenti
verso Reid.
“Puoi fidarti ciecamente di
Quarantanove.” lo rassicurò, posandogli una mano
sulla
spalla.
Spencer gli rivolse un'occhiata “Non
è di Al che mi preoccupo, ma di Crowford.”
“Ti conviene rispolverare le lezioni
di corpo a corpo e quelle di tiro, allora.- scherzò Morgan,
sperando di alleggerire la situazione, prima di tornare serio- Quindi
ora aspettiamo che escano di là?”
Reid annuì “Quindi ora
aspettiamo.”
Alaska entrò
nell'ufficio di
Hotchner come una furia, stando ben attenta a chiudersi la porta alle
spalle. L'uomo alzò gli occhi dai fogli che stringeva fra le
mani e alzò un sopracciglio osservandola mentre posava sulla
sua scrivania un computer portatile e iniziava a camminare avanti e
indietro per tutta la lunghezza della stanza.
Quando si accorse che non sembrava
intenzionata di spiegare il perchè del proprio comportamento
decise di parlare.“Alaska. Va tutto bene?”
La giovane lo guardò, gli occhi
grandi e confusi, come se fosse stupita della sua presenza
lì.
“No.- disse, per correggersi qualche
secondo dopo- Forse. Non ne sono sicura.”
Hotch sospirò e mise da parte
ciò a cui stava lavorando “Posso
aiutarti?”
“Devo dirti una cosa.” sentenziò,
dopo aver preso una generosa boccata d'aria.
L'uomo le fece un
cenno con la mano, esortandola a continuare
“D'accordo.”
“E' che...” iniziò a parlare
di nuovo, interrompendosi quasi subito. Scosse la testa con veemenza
e tornò a camminare su e giù per la stanza,
cercando di
raccogliere le idee.
“Accidenti, non credevo che fosse
così difficile.” sbottò, senza smettere
di muoversi.
“Che cosa, Alaska?” chiese di nuovo
il profiler, preoccupato da quel comportamento.
“Insomma, quello
che devo dirti magari è una stupidata, forse un delirio da
stress se esiste qualcosa del genere. Esiste?-domandò
voltandosi verso di lui per una frazione di secondo, per poi tornare
ad eseguire quei movimenti veloci e ritmati senza aspettare la sua
risposta -Perchè se esiste probabilmente io ce
l'ho...Però
spero davvero che sia così. Che sia tutta una mia idea folle
e
basta, magari sto diventando paranoica. Nessuno me lo ha mai detto
prima, ma forse la situazione e tutto il resto...Sembro
paranoica?”
Alaska si fermò e guardò
Aaron con sguardo ansioso.
“Sembri molto agitata.- le rispose
l'uomo, indicandole la sedia di fronte alla propria scrivania-
Perchè
non ti siedi, fai un bel respiro e ti calmi, prima di dirmi
ciò
per cui sei qui?”
La ragazza si mordicchiò il
labbro inferiore, ma finì per fare esattamente quanto gli
era
stato detto. Torturandosi le mani che teneva strette in grembo, prese
un grosso respiro e iniziò a spiegare tutto quanto dal
principio.
“So che avevo detto che avrei
lasciato stare il caso che stavo trattando al momento dell'incidente
del veleno, ma non l'ho fatto.- rivelò- Non abbandono mai un
caso e non mi sembrava giusto e...”
Hotch la interruppe “Hai scoperto
qualcosa che potrebbe portare a una pista più
concreta?”
Alaska annuì debolmente “Non
so se hai avuto modo di vedere il cadavere scheletrizzato, sai,
quello avvelenato...In ogni caso, i resti presentavano una strana
caratteristica: all'altezza della schiena c'erano disegni
apparentemente astratti fatti di vernice rossa.”
“Sì, l'ho letto nella cartella
e ho visto le foto.” confermò, esortandola a
continuare.
“Non sono disegni astratti ma...- si
schiarì la gola, improvvisamente secca- insomma, io credo
che
abbiano un significato ben preciso.”
“Ovvero?”
Il profiler non staccò gli occhi
dal volto di Ross, stranamente serio e vagamente preoccupato, mentre
l'antropologa apriva il computer portatile e iniziava a muovere le
dita sulla tastiera.
“C'è un motivo per cui sono
venuta da te, Aaron, e non ho detto ancora niente a Spencer, Nate,
Dave o qualcun altro: voglio il tuo parere senza inzuccherinamenti
per farmi sembrare la cosa meno grave. Vorrei la verità pura
e
semplice, anche se quello che sento potrebbe non piacermi.”
Hotch annui, un po' preoccupato da quel
preambolo, mentre Alaska batteva le mani diverse volte sui tasti
facendo così apparire sullo schermo la schiena della vittima.
“Guarda.” disse voltando il monitor
per agevolare all'uomo la visuale.
I disegni svettavano sulla pelle
raggrinzita grazie al loro rosso vermiglio.
Nessuno dei due commentò e la
ragazza impostò dei nuovi comandi. Per prima cosa l'immagine
venne sostituita da una nuova foto, che ritraeva una schiena
decisamente più umana, deturpata qua e là da
delle
cicatrici più chiare della pelle stessa. Bastarono poche
altre
impostazioni e le due immagini si sovrapposero, rivelando
ciò
che aveva portato Alaska a rivolgersi al profiler: i segni rossi e le
cicatrici coincidevano alla perfezione.
“Chi è quella?” domandò
quindi Hotch.
La risposta della giovane risuonò
come una condanna “Sono io.”
La testa del profiler scattò
verso di lei e i suoi occhi scuri cercarono di indagare la reazione
di Ross alla sua stessa affermazione, ma lei teneva la testa bassa,
lo sguardo rivolto alle proprie mani.
“Sono io.- ripetè con un filo
di voce- Quello è il risultato di quello mi ha fatto l'uomo
che mi ha rapito da bambina.”
Dopo aver detto quella frase alzò
lentamente il viso per incontrare lo sguardo di Hotch e, per la prima
volta da quando era iniziata quell'intera situazione, negli occhi
chiari di Alaska potè leggere il panico crescere lentamente.
Quando Hotch
uscì dal suo
ufficio e, contrariamente a quanto si aspettava, Alaska non lo stava
seguendo, Spencer si alzò dalla propria scrivania e con
passo
svelto andò incontro al proprio capo.
“Dov'è Alaska?” domandò
con tono ansioso.
Lo sguardo di Aaron era serio, forse
più del solito “Alaska ha bisogno di stare un po'
da sola.”
Reid aggrottò la fronte confuso
e tentò di andare a raggiungere la propria ragazza, ma la
mano
forte di Hotch si posò sul suo braccio, trattenendolo.
“Reid- spiegò con tono calmo
ma determinato- lei ora deve riflettere su alcune cose e deve farlo
da sola. Inoltre, siamo arrivati ad una svolta nel caso ed ho bisogno
di tutta la squadra.”
Spencer strinse le labbra e lanciò
un'ultima occhiata al vetro dell'ufficio del superiore, scorgendo a
malapena la figura della giovane antropologa che svettava come
un'ombra in prossimità della scrivania, ma alla fine
annuì
e seguì l'uomo che aveva raggiunto Morgan, Prentiss e Rossi.
“Che cosa sta succedendo?” domandò
Emily.
Hotch aveva uno sguardo grave mentre
rispondeva “Alaska ha trovato una corrispondenza fra i segni
disegnati sulla schiena del cadavere scheletrizzato e le ferite che
gli sono state inferte durante la prigionia da bambina.”
La reazione dei profiler fu unanime,
nonostante dimostrassero lo shock per quella scoperta in modo
diverso.
Reid spalancò la bocca, mentre
gli tornavano alla mente le cicatrici sulla schiena di Alaska, di cui
lei si vergognava nonostante cercasse di non darlo a vedere. Morgan
incrociò le braccia muscolose al petto, stringendo i pugni
così forte che le nocche gli diventarono bianche. Emily si
lasciò sfuggire dalle labbra un sospiro, mentre abbassava il
capo e scuoteva la testa. Rossi rievocò nella propria mente
immagini di quel caso di numerosi anni prima, pensando che non era
certo di come Ross avrebbe potuto prendere tutto ciò.
La voce profonda di Crowford, della cui
presenza si erano dimenticati, li strappò immediatamente ai
loro pensieri “Credete che il tizio che cerchiamo fosse
coinvolto
nel caso di Ross?”
“Questo è impossibile.- sbottò
l'agente federale, avvicinandosi ai membri della squadra di analisi
comportamentale- Quel caso è stato chiuso, il colpevole
è
morto.”
“In effetti non c'è nulla di
certo riguardo quel caso.- spiegò David con tono mesto-
Foller
ha confessato gli omicidi e il rapimento?Sì. Teneva
prigioniere le bambine prima di ucciderle?Sì. Era
ossessionato
da ragazzina che gli ricordavano la sorellina prematuramente
scomparsa?Sì. La verità è che non
sappiamo molto
altro. Possiamo solo immaginare cosa facesse loro durante i giorni di
prigionia, ma non abbiamo certezze.”
“Non capisco.- disse Crowford, la
fronte aggrottata- Perchè non lo chiediamo direttamente a
Ross
cos'è successo, allora?”
“Perchè non se lo ricorda.-
continuò Rossi- Alaska soffre di PTSD o disturbo
post-traumatico da stress. Non ha memoria dei fatti di quei
giorni.”
Nate spalancò gli occhi grigi
“Intendi dire che non ricorda nulla?Tabula rasa?”
Reid annuì prima di cominciare a
spiegare.
“In effetti la stima generale è
che questo disturbo colpisca il 6,8% della popolazione che ha vissuto
un evento traumatico, ma dipende dalle variabili a cui esso
è
associato, ai fattori psicosociali e a...”
Crowford lo interruppe in modo brusco
“E Ross avrebbe questa roba?Non mi sembra affetta da nessuna
psico-cavolata, perlomeno niente di negativo.”
Prentiss sospirò “Il PTSD è
caratterizzato da una triade sintomatologica che prevede le
intrusioni, l'evitamento e l'hyperarousal. Quest'ultimo non
può
considerarsi attinente al nostro caso dato che prevede insonnia,
irritabilità, ansia e aggressività, ma gli altri
sintomi potrebbero riscontrarsi nel caso di Alaska.”
“E quali
sarebbero?” domandò l'uomo, incrociando le braccia
al petto.
“L' evitamento è la tendenza
inconscia ad evitare tutto ciò che ricorda l'esperienza
traumatica vissuta.- continuò a parlare Morgan al posto
della
collega- Alaska non ha paura del buio o degli spazi chiusi
però...”
“Dice di avere una strana fobia per
gli zoo.” concluse Nate, ricordandosi di quanto la ragazza
gli
aveva detto quando avevano toccato l'argomento.
“Esatto.- confermò l'uomo di
colore- Gli zoo sono indirettamente e simbolicamente attivatori di
ricordi del suo rapimento.”
Hotch prese la parola, continuando
nella spiegazione “E poi ci sono gli incubi, che fanno
rivivere
durante il sonno l'esperienza vissuta, spesso in maniera piuttosto
vivida. Alaska ha degli episodi di questo genere piuttosto
spesso.”
Crowford sospirò e si passò
con foga una mano fra i capelli rasati mentre rifletteva su quanto
aveva appena sentito “Quindi che si fa?Voglio dire,
è
evidente che le cose che non sappiamo sono molto più
rilevanti
di quelle che sappiamo già.”
“Ho
già parlato ad Alaska di qualcosa che potrebbe esserci
utile,
ma la decisione sta a lei.”
I profiler
lanciarono delle occhiate interrogative al proprio capo, mentre Nate
sembrava sempre più contrariato.
“E
fino allora ce ne staremo qui a girarci i pollici?”
sbottò
esasperato.
Morgan scosse la
testa “Noi lavoreremo su un nuovo profilo in base alle nuove
informazioni in nostro possesso.”
La squadra di
analisi comportamentale iniziò ad allontanarsi per
raggiungere
la sala conferenze dove avrebbero discusso meglio del caso, mentre
David indugiò, fermandosi per un ultimo scambio di parole
con
Crowford.
“Non importa quello quanto credi di
tenere ad Alaska, di certo non conosci la sua storia abbastanza per
esserle davvero d'aiuto.”
Nate lo seguì attentamente con
lo sguardo corrucciato, mentre si dirigeva verso la scrivania di Reid
e prendeva uno dei libri che il giovane genio teneva sempre vicino al
computer. Alcuni erano suoi.
“Capitolo cinque, pagina
novantasette.- disse Rossi, porgendogli un libro sulla cui copertina
si poteva leggere Menti Criminali - È
il capitolo di
Alaska. L'ho chiamata Daisy per la privacy e perchè era il
nome della sua bambola preferita.”
Mentre il profiler più anziano
si allontanava Crowford si rigirò il tomo fra le mani per
qualche secondo e poi, incerto, iniziò a sfogliarlo
finchè
non trovò la pagina che gli era stata indicata. Non era
sicuro
di voler sapere quanto vi era scritto, ma non aveva altra scelta.
Capitolo
5
Daisy.
La strada
di
Daisy non si sarebbe mai dovuta incrociare con quella di Jason
Foller, sarebbe stato troppo ingiusto. Ma, sfortunatamente, il mondo
in cui ci ritroviamo a vivere è pieno di cose ingiuste e il
mio lavoro all'Unità di Analisi Comportamentale mi ha solo
confermato ciò che, infondo, sapevo già. Eppure,
quando
giorni dopo che avevo contribuito a salvarla da quell'uomo folle sono
andato a trovarla all'ospedale dov'era stata ricoverata, vedere il
suo sorriso aperto e la spensieratezza infantile dei suoi occhi color
cielo mi aveva ricordato ancora una volta perchè mi
ostinassi
a fare quel lavoro.
Daisy era una bambina allegra, con una fervida immaginazione e
un'intelligenza vivace. Non c'era niente che la rendesse diversa dal
resto delle bambine della sua età, la sua vita era serena e
tranquilla, esattamente come avrebbe dovuto essere. Tuttavia Daisy
era minuta, con grandi occhi blu e un folto caschetto di capelli
corvini e, se questo poteva risultare banale in circostanze normali,
non lo era più da quando a Denver quello era diventato il
target di un SI che avremmo poi identificato come Jason Foller.
Ci sono dei casi che, non appena riportati alla polizia,
vengono
subito considerati di rilevanza federale; la scomparsa di bambini
è
uno di questi. L'FBI, pertanto, stava già lavorando in
Colorado da circa una settimana quando è stata chiamata in
causa anche la mia unità.
Mentre camminavo dall'auto al luogo del ritrovamento cercavo
di
preparare me stesso a quanto avrei visto. Chiunque faccia questo
lavoro lo fa. La verità, però, è che
nessuno,
nonostante gli anni di carriera che ha alle spalle o gli orrori che
ha visto in precedenza, è mai pronto per vedere spezzata una
vita, soprattutto se si tratta di quella di un bambino.
Il corpo di Abigail Raynols era stato abbandonato poco
distante
dalla strada statale che portava dal centro di Denver alla periferia.
Il suo corpo di ragazzina era avvolto dagli stessi vestiti che
indossava al momento della sua scomparsa, per quanto fossero mal
ridotti dopo i giorni passati in prigionia, e la sua pelle pallida
portava i segni delle torture. Il medico legale mi aveva rivelato che
sul corpo di Abigail aveva potuto individuare segni di tagli,
abrasioni e bruciature causate da corrente elettrica. Fortunatamente,
se così si poteva dire in un caso del genere, non c'erano
segni di aggressione sessuale.
Mentre osservavo quei occhi azzurri ormai vacui e privi di
vita,
raccolsi le idee riguardo a quel caso che, sapevo, si sarebbe
rivelato problematico, e iniziai a redigere nella mia testa un primo
profilo preliminare.
L'uomo che stavamo cercando era un assassino organizzato,
intelligente, metodico nella pianificazione dei propri crimini. Le
sue vittime erano accomunate da caratteristiche fisiche particolare,
cosa che poteva suggerire che probabilmente nel suo passato esisteva
una bambina fisicamente simile a loro e che continuava ad
ossessionarlo a tal punto da ricreare la sua presenza. Le torture
ripetute ci dicevano invece che il nostro SI era un sadico che
provava piacere dalla sofferenza inferta alle proprie vittime: sui
polsi di Abigail vi erano segni di legatura e ciò mi fece
pensare che quello che cercava davvero l'uomo che cercavamo era
l'avere un controllo totale sulle bambine che rapiva.
Stavamo tornando alla centrale di polizia, pronti a rendere
noto
questo profilo alle forze dell'ordine incaricate delle ricerche,
quando arrivò una telefonata. In un quartiere non molto
distante a quello dove abitava Abigail Raynolds, era appena scomparsa
una bambina di otto anni.
Daisy stava giocando nel giardino antistante alla propria
casa,
intenta a disegnare coi gessetti colorati sopra il vialetto asfaltato
ed era scomparsa in meno di cinque minuti, il tempo impiegato da sua
madre per rispondere una telefonata all'interno dell'abitazione.
Quando aveva fatto ritorno la bambina non c'era già
più.
Daisy aveva dei grandi occhi blu e un caschetto di capelli neri.
“Lurido
bastardo!” sbottò
Crowford, scagliando il libro dalla parte opposta della stanza
attirando su di sé numerosi sguardi confusi e spaventati.
Non poteva andare avanti a leggere
quella storia, di certo non sapendo che era Alaska quella che aveva
subito quegli orrori.
Per quanto gli riguardava, i profiler
potevano arrovellarsi il cervello quanto volevano, ma lui era un uomo
d'azione. Aveva finito di starsene seduto in un angolo, era pronto ad
agire. Se c'era qualcosa che aveva imparato nella vita era che non
era conveniente attirare un topo con una trappola, rischiando di non
prenderlo mai, sprecando invece tempo e fatica. Bisognava
incendiargli la tana e sarebbe uscito da solo. E Nate Crowford era
pronto a mettere a ferro e fuoco tutta Washington pur di trovare
l'uomo che aveva preso di mira Ross.
Uscì con passo svelto dal
quartier generale del BAU ed aveva negli occhi grigi lo sguardo
determinato di un uomo pronto a tutto pur di ottenere ciò
che
voleva.
Quando Alaska
uscì dall'ufficio
dell'agente Hotchner le porte dell'ascensore si stavano chiudendo,
pronte a portare via un furibondo Crowford.
Lei, tuttavia, non vi fece caso.
Camminava piano verso la sala
conferenze, come se le persone che stava per raggiungere non fossero
affatto un gruppo di amici di cui si fidava ciecamente.
Bussò piano alla porta di vetro
e, trattenendo un sospiro, entrò.
Il vociare che pochi istanti prima era
palesemente percepibile anche dall'esterno scemò
immediatamente e gli occhi dei profiler si puntarono sulla giovane
antropologa.
“Alaska.” sussurrò Reid, non
appena i suoi occhi scuri si posarono sul volto teso della ragazza.
Ross abbozzò un sorriso a tutti
i presenti prima di iniziare a parlare “Disturbo?”
“Assolutamente no.- assicurò
Emily con espressione dolce- Che cosa ti serve?”
“Veramente- cominciò a dire,
spostando lo sguardo verso Hotch- ho preso una decisione.”
Morgan alzò un sopracciglio.
Aaron non aveva ancora spiegato loro di cosa avessero parlato lui e
la giovane durante il loro colloquio privato ed era certo che era
arrivato il momento di saperlo “Riguardo cosa, a
proposito?”
Alaska si strinse nelle spalle
“Riguardo al cercare di capire che cos'è successo
davvero
quando sono stata rapita.”
Spencer spalancò gli occhi e,
istintivamente, si alzò dal proprio posto per affiancarsi
alla
propria ragazza.
“Come?” domandò di nuovo
Derek.
“Con l'ipnosi.- spiegò Hotch,
benchè fosse consapevole che era una tecnica sperimentale-
Se
si lasciasse ipnotizzare potremmo riuscire a ricavare direttamente da
te le informazioni che ci servono e scoprire chi è che vuole
farle del male.”
Gli occhi dei profiler si posarono di
nuovo su Alaska che si stava mordicchiando il labbro inferiore.
“Io...- la ragazza sospirò,
come se stesse combattendo un'intricata battaglia interiore, e poi
riprese a parlare, passandosi a disagio una mano sul braccio- Mi
dispiace, ci ho pensato, ma io preferirei di no.”
Non potevano biasimarla, ma
l'incertezza diede ad Hotch un punto d'appiglio “Alaska,
questa è
rimasta l'unica strada che ci resta da percorrere.”
“Non c'è un altro modo?”
chiese titubante.
“Abbiamo provato a cercare ogni
collegamento possibile.- continuò a spiegare l'uomo- Garcia
ha
smosso mari e monti per cercare una traccia lasciata dall'uomo che ti
perseguita, senza risultato. Lo stesso è da dirsi per
l'assoluta mancanza di tracce né di indizi di alcun tipo.
Onestamente, Alaska, il collegamento che hai trovato tu è
l'unica cosa che abbiamo in mano per ora quindi dobbiamo sapere che
cosa è successo quando sei stata rapita..”
Ross fece dondolare la testa, movimento
che fece ondeggiare i suoi lunghi capelli corvini
“Perchè?”
“Crediamo che l'uomo che ti ha rapito
non abbia agito da solo.” rispose Rossi, rammaricato come se
fosse
colpa sua.
“Quindi...il suo complice si sarebbe
messo sulle mie tracce?- domandò incerta, aggrottando la
fronte- Sono passati anni.”
“Può darsi che sia stato
arrestato per qualche motivo, che sia andato all'estero in attesa che
si calmassero le acque intorno alla vicenda...” si
ritrovò
ad elencare Reid.
“Quindi...”
“Quello che ci serve sapere è
nella tua mente.” concluse Hotch, lo sguardo grave.
Alaska sospirò ed annuì
“Non c'è altro modo, vero?”
“Vorrei che ce ne fosse.- le assicurò
il profiler- Mi dispiace.”
La ragazza parve riflettere
intensamente per diversi attimi e alla fine alzò lo sguardo,
stavolta più determinato, sul capo dell'unità
“D'accordo, allora.”
Spencer spalancò la bocca,
scioccato “Cosa!?No!”
“Reid, è l'unica soluzione.”
cercò di calmarlo Emily, preoccupata da quella reazione.
“No!Questa non è una
soluzione!- sbottò il ragazzo, furente- Questa
è...questa
è...”
Rossi agitò i palmi verso di lui
“Reid, calmati ti prego.”
“Tu non hai idea di cosa le stai
chiedendo di fare!” ringhiò Spencer, rivolto ad
Aaron.
L'uomo non si scompose “Questo è
l'unico modo che abbiamo...”
“C'è sempre un altro
modo.” ripetè cocciuto il giovane genio.
“Non fa niente, Spencer.- lo
rassicurò Alaska, posandogli una mano sul braccio- Lo voglio
fare.”
Reid si scostò di malo modo,
sconvolto “Non è vero. Dici così solo
perchè
vuoi essere d'aiuto e perchè pensi che in questo modo questa
storia finirà prima. Non è questo quello che
vuoi.”
“Basta così, Reid.- tagliò
corto Hotch- L'ultima parola è la sua.”
Ross annuì, cercando di essere
convincente “Ho preso la mia decisione. Lo
farò.”
Mentre Alaska pronunciava quelle parole
Reid aveva gli occhi fiammeggianti fissi su Hotch, e non
potè
impedirsi di uscire dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle,
troppo infuriato per restare anche un solo secondo di più.
Alaska sobbalzò sul posto in
sincronia con quel rumore sordo e si strinse le braccia intorno al
petto.
Puntò i grandi occhi azzurri su
Morgan “Derek, tu sei il suo migliore amico,
potresti...”
L'uomo le diede un buffetto sul braccio
mentre le passava accanto per seguire il giovane collega
“Vado a
parlargli.”
Spencer aveva le mani
ancorate al
ripiano di legno del bancone dell'area relax. Le nocche erano
talmente bianche che sembrava che le ossa potessero uscirgli dalla
pelle da un momento all'altro.
Derek era stato alle sue spalle,
silenzioso, per lunghi minuti, lasciandogli il tempo di riflettere su
quanto era appena successo.
“Andiamo, Reid.- disse, quando non
potè più trattenersi dal parlare-
Parlami.”
Quando il ragazzo si voltò verso
di lui i suoi grandi occhi scuri erano colmi di panico
“L'ipnosi
non farà altro che peggiorare i suoi incubi, la
farà
stare male.”
“E' il metodo più veloce che abbiamo per
aiutarla.” fu la risposta più razionale che Morgan
fu in
grado di formulare, anche se in realtà poteva capire come si
sentisse.
“No!- disse, scuotendo la testa e facendo in questo
modo arruffare i suoi leggeri capelli castani- Noi dovremmo aiutarla,
non dovrebbe essere lei ad aiutarci a farlo.”
L'uomo di colore
sospirò “Reid...”
“Tu non capisci. Voi tutti non
capite!- continuò testardamente il ragazzo- Non ci sarete
voi
quando si sveglierà in piena notte, tutte le notti, e non
riuscirà più a rimettersi a dormire per paura di
vedere
quelle cose.”
Derek gli si avvicinò risoluto
ed afferrò quelle spalle esili con le proprie mani forti
obbligando il giovane genio a ricambiare il suo sguardo determinato
“Ascoltami bene, Reid. Io capisco che tutto quello che vuoi
fare è
proteggere Alaska. Ti capisco, lei è anche amica mia,
ricordi?
Ma quello che ha deciso di fare è la semplicemente la cosa
più
saggia.”
Gli occhi di Spencer che avevano vagato
nervosamente per la stanza fino a quel momento si fermarono. Sembrava
addirittura che fosse più disposto ad ascoltare, o
semplicemente esausto a causa della tensione accumulata fino a quel
momento.
“Quel tizio non è uno stupido,
ce lo dimostra il fatto che è quasi riuscito ad avvelenare
Alaska.- continuò a parlare l'uomo- E' determinato e sta
seguendo un piano preciso e quello che lei sta per fare ci
aiuterà
a far finire questa faccenda il più presto
possibile.”
Reid abbassò lo sguardo e si mordicchiò
nervosamente il labbro inferiore prima di parlare
“Io...-mormorò-
io voglio solo che lei stia bene.”
Morgan annuì “Lo so,
ragazzino. È quello che vogliamo tutti. Ma tu sei il suo
ragazzo e sei la sola persona su cui lei deve sapere di poter contare
incondizionatamente. Devi essere forte, per lei.”
Il ragazzo annuì piano e alla
fine, con gratitudine, rivolse al collega, all'amico, un sorriso
sottile e tiepido.
La testa bionda di JJ fece
capolino
nella sala conferenze, attirando l'attenzione su di sé.
“Il dottor Greene è arrivato.-
annunciò la donna cercando di rivolgere ad Alaska uno
sguardo
incoraggiante- Ti aspetta nell'ufficio di Rossi.”
“Il dottor Greene?” ripetè
la ragazza, incerta.
“E' uno psichiatra forense che spesso
collabora con l'FBI.- le spiegò Hotch- Inoltre, è
anche
un esperto nell'uso della terapia ipnotica come mezzo per recuperare
ricordi latenti.”
Ross spalancò gli occhi “Wow.
Sembra in gamba.”
“Lo è.- gli assicurò
Dave, facendole cenno di seguirlo vero il proprio ufficio- Andiamo,
ti accompagno.”
Alaska lo seguì, riflettendo.
Non era del tutto nuova ad un'esperienza del genere, quando era
piccola era stata da un terapista infantile, ma di certo non poteva
paragonare quelle sedute a quella del tutto particolare che stava per
seguire a breve. Sentiva il cuore battere più veloce del
normale e inziò approvare un'angoscia crescente man mano che
si avvicinavano all'ufficio di Dave.
Al suo interno li aspettava un uomo
sulla sessantina. Era magro, quasi scheletrico, con le guance scavate
e degli occhialetti rotondi calcati sul naso. Il cartellino puntellato
al maglione marrone infeltrito che indossava recitava,
insieme alla scritta “visitatore”, il suo titolo e
il nome.
Dottor Andrew Greene.
“Dottor Greene.” lo salutò
Rossi con una forte stretta di mano che, contrariamente a quanto
chiunque avrebbe creduto, non spezzò le sottili e scarne
dita
dello psichiatra.
L'uomo sorrise, mostrando una fila di
denti non molto dritti “Agente Rossi. Lieto di rivederla.-
ricambiò
il saluto, prima di voltarsi verso l'antropologa- Immagino che lei
deve essere la dottoresse Ross di cui ho sentito parlare.”
Alaska gli rivolse un sorriso caloroso
“Piacere di conoscerla.”
David fece saettare lo sguardo prima
sul medico e infine sulla ragazza, soffermandosi su di lei per
diversi istanti.
“Forse è meglio che vada e vi
lasci soli.” disse infine, muovendo un passo verso la porta.
La mano di Alaska lo fermò,
appoggiandosi sul suo braccio con un tocco leggero.
“Dave?- chiamò, con una voce
debole, quasi da bambina- Ti dispiacerebbe assistere?Non vorrei
essere da sola e Spencer...”
“Certo, Alaska.- rispose
immediatamente, per poi voltarsi verso Greene- Va bene, vero?”
L'uomo annuì “Non c'è
problema. Immagino che conosca la prassi, giusto?”
Rossi annuì “Me ne starò
zitto ad aspettare in un angolo.”
Greene gli fece un cenno d'assenso e
poi trascinò una sedia dalla scrivania del profiler per
avvicinarla al divanetto addossato alla parete, infine
invitò
Alaska a sedersi.
“Dottoressa Ross...” cominciò
a parlare, rivolgendosi alla giovane, mentre si sedeva sulla sedia a
fianco a lei.
“Alaska.- lo corresse, iniziando a
parlare velocemente- Preferirei essere chiamata Alaska.. Anche se
è
una bella sensazione avere quel titolo in seguito agli anni passati a
studiare e fare ricerca preferirei essere chiamata semplicemente
Alaska, altrimenti mi sento una di quelle luminari che se ne vanno in
giro con occhiali da lettura e camice bianco tutto il giorno. E mi
dia del tu.”
“Alaska, allora.- le sorrise Greene,
cercando di essere più rassicurante possibile- Ti hanno
spiegato cosa succederà ora?”
La giovane annuì “Preferirei
sentirlo di nuovo.”
“Tu soffri di un disturbo che chiamiamo
stress post-traumatico.” spiegò lo psichiatra,
sotto gli
occhi attenti di David che osservava dalla parte opposta
dell'ufficio.
“Così dicono.” asserì
Ross cercando di respirare piano per calmarsi.
“Questo disturbo ti impedisce di
ricordare quanto ti è successo quando sei stata rapita da
Jason Foller, ma questo non vuol dire che queste informazioni siano
state cancellate dalla tua testa.- continuò l'uomo, senza
interrompere mai il contatto visivo con il duplice scopo di
tranquillizzarla e ottenere la sua fiducia per la parte successiva
della seduta- In realtà sono state semplicemente
accantonate,
per il tuo bene. È come quando le madri mettono la sicura ai
cassetti che contengono i coltelli per evitare che i bambini si
facciano male per sbaglio.”
Alaska si lasciò sfuggire una
risatina “Accidenti, lei sì che parla chiaro.
Insegna, per
caso?”
“Ho lasciato qualche anno fa.-
confermò Greene prima di andare avanti e continuare il
proprio
discorso- In ogni caso, quello che vogliamo fare ora è
tirare
fuori quel ricordo.”
“Sì, è quello che
vogliamo fare...” ripetè l'antropologa, per niente
convinta.
“E per farlo useremo una tecnica di cui certo avrai
sentito parlare: l'ipnosi.”
“Tipo quella che usano i maghi per
far credere alle persone di essere delle galline?- domandò
Ross alzando un sopracciglio- Qualcosa del genere?”
Greene scosse la testa, ridendo “Stai
tranquilla, non ti farò niente del genere. Ciò
che
useremo noi è l'ipnosi regressiva, una tecnica sperimentale
che serve per far venire a galla dei ricordi dall'inconscio.”
“Sembra complicato.” interloquì
Alaska, stringendosi nelle spalle.
“Più di quanto è in
realtà, perlomeno se uno ha padronanza della tecnica.-
assicurò lo psichiatra, prima di fare un gesto per indicare
il
divano- Ora sdraiati pure, Alaska. Dovrai essere estremamente
rilassata.”
La giovane si mordicchiò il
labbro inferiore, titubante “Vorrei sapere una cosa
prima.”
“Cioè?” indagò il
dottore, mentre Rossi tratteneva il fiato, preoccupato.
“Dopo...tornerà tutto come
ora, vero?- chiese Alaska, abbassando lo sguardo- Non si
sbloccherà
niente nella mia memoria?Giusto?”
David sospirò e Greene gli fece
eco “Non posso assicurarti niente, Alaska. Le reazioni della
psiche
sono imprevedibili e soggettive.”
Fece una pausa, lasciando
all'antropologa il tempo per riflettere “Vuoi che andiamo
avanti?”
Alaska sospirò e lanciò
un'occhiata intensa al profiler, per poi annuire con convinzione
“Certo.” confermò, sdraiandosi e
mettendosi comoda.
Greene le prese la mano e la posò
sul proprio polso “D'accordo, allora. Ti ho fatto afferrare
il mio
braccio di modo da avere un contatto con te, così
potrò
capire quello che provi e farti risvegliare in caso di
necessità.”
Alaska annuì, i suoi occhi
azzurri sembravano enormi per quanto erano spalancati.
“Andrà tutto bene e tu devi
essere molto rilassata.- continuò a parlare, la voce calda e
avvolgente in grado di catturare tutta l'attenzione della ragazza-
Immagina di scendere i gradini di una lunghissima scala. Ad ogni
gradino ti si scrollano di dosso tutte le preoccupazioni e ti senti
sempre più leggera e rilassata. Vedi i gradini?Contiamoli
insieme.”
Iniziò a contare mentre gli
occhi di Alaska si chiudevano piano e il suo respiro diventava sempre
più regolare
“Cento...novantanove...novantotto...novantasette...”
Quando ebbe finito il conto alla
rovescia la giovane antropologa era caduta in uno stato di
incoscienza, la mano stretta dolcemente attorno al polso di Greene
che continuava a parlare “Adesso possiamo vagare nella tua
memoria,
Alaska, andare avanti e indietro e cercare anche quelle cose di cui
non ricordi più.” spiegò calmo.
“E' così, Alaska.- continuò
Greene- La tua memoria è come un film: possiamo andare
indietro e fermarci sulle scene che ci interessano. Ora siamo tornati
al giorno del tuo rapimento. Sei nel tuo giardino e stai giocando coi
gessetti colorati sul tuo vialetto. Ricordi?”
“Sì.- confermò la
ragazza, la voce sottile e percepibile a stento- Sto disegnando un
arcobaleno e una fata. C'è un po' di vento è ho
freddo,
ma non voglio andare in casa a prendere la giacca. La mamma ride e
dice che gli piace il modo in cui uso i colori.”
“Squilla il telefono, giusto?- disse
lo psichiatra, che aveva letto attentamente il fascicolo riguardante
il suo caso- E tua mamma va a rispondere. Che cosa succede
dopo?”
Alaska aggrotta la fronte, come se
fosse estremamente concentrata “Mi dice che devo rimanere
dove
sono, che torna subito. Io non l'ascolto molto perchè sono
impegnata col mio disegno...”
La sua voce era diventata debole, ed
iniziò ad agitarsi leggermente sul divanetto, la mano che
stringeva il polso di Greene.
“Continua Alaska.” la esortò
l'uomo.
“Qualcuno...qualcuno mi ha afferrato
da dietro. Provo ad urlare ma lui mi mette una mano davanti alla
bocca. Non capisco cosa succede.”
Si poteva sentire il panico nella voce
di Ross e David si scoprì a trattenere il fiato, combattendo
l'istinto che gli diceva di far interrompere la seduta.
“E' un solo uomo?” domandò
Greene.
“Non lo so. Non riesco a vedere
niente, e lui mi mette nel retro di un furgone. Inizio a urlare tanto
ed ho paura e....” l'antropologa si mosse nervosamente sul
divano,
in preda all'agitazione.
“Va tutto bene, Alaska, va tutto
bene.- la voce dello psichiatra era calma mentre cercava di
tranquillizzarla- Niente di quello che è capitato
può
farti male adesso, è solo un ricordo. Respira piano, va
tutto
bene.”
Alaska fece quanto gli era stato detto
e in pochi secondi ritornò a respirare piano, di nuovo ferma
ed apparentemente in pace.
“Proviamo ad andare leggermente
avanti nel tempo.- suggerì Greene dopo qualche minuto- Sei
in
un piccolo capanno di legno, la luce entra nonostante le finestre
siano sbarrate con delle travi di legno. Descrivimi tu
qualcos'altro.”
Bastarono quelle parole per far sì
che la ragazza si agitasse di nuovo, la voce acuita da una sorta di
isterismo “Sono in una gabbia. È tanto piccola e
mi da
fastidio restare qua dentro e non riesco a muovermi e mi fa male la
schiena e i polsi. È stato l'uomo cattivo a farmi questo ed
io...ho paura.”
Si interruppe per qualche istante e poi
continuò a parlare “Ho paura ma non devo piangere
o sarà
peggio. Me l'ha detto lui.”
Greene poggiò la mano sopra
quella di Ross, stretta convulsamente attorno al suo polso
“Lui
chi?”
“Lui è sempre qui con me
quando l'uomo cattivo se ne va.” spiegò Alaska
velocemente,
mentre scuoteva la testa sopra il cuscino del divano. Stava
peggiorando.
“Chi è lui Alaska?” chiese
lo psichiatra, preoccupato dalla piega che stava prendendo la seduta.
“Non lo so. Sembra un ragazzino. Non
lo vedo in faccia è troppo lontano da me.”
“Puoi avvicinarti.- disse l'uomo-
Descrivici com'è.”
“No.- sbottò Alaska, la voce
tramante- Non posso. Lui mi ha detto di stare ferma, se mi muovo si
arrabbierà.”
“Non può farti niente,
Alaska.- le assicurò Greene- Sei al sicuro ora.
Avvicinati.”
Il corpo di Ross era teso e delle
convulsioni casuali scuotevano di tanto in tanto la schiena della
giovane, facendola muovere a scatti “Qua dentro non si
può
parlare. Ci deve essere silenzio. Sempre.”
Lo psichiatra lanciò un'occhiata
a Rossi, che ricambiò preoccupato mentre si avvicinava ai
due
“Adesso puoi parlare, Alaska.” continuò,
rivolgendosi alla
giovane.
“Ssh!”
Greene fece un ultimo tentativo per
avere l'identikit che cercavano “Alaska, puoi avvicinarti.
Descrivici questo ragazzino.”
“No. Sta tornando.- dagli occhi
chiusi di Alaska cominciarono a scendere lacrime copiose, mentre
muoveva il capo con disperazione- Si arrabbierà, si
arrabbierà!”
“Alaska, stai calma!” esclamò
il medico, fermando il braccio con cui la giovane cercava di
liberarsi da lacci invisibili.
“Mi picchierà di nuovo!-
singhiozzò-Lo farà, lo farà!”
“Faccia qualcosa, adesso!” ordinò
David in un ringhio, mentre cercava di tenere ferma Ross che si
muoveva convulsamente.
“Calmati, Alaska, ascoltami:
conteremo fino a dieci e poi ti sveglierai.”
I suoi urli erano disperati mentre
stringeva la mano con forza intorno al polso di Greene“No,
no!Sta
arrivando!”
“Uno, due, tre, quattro, cinque...”
contò lo psichiatra.
“Ti prego!Ti prego, sarò
brava!” gridò di nuovo, fra le lacrime, mentre
affondava le
unghie nel polso dello psichiatra.
“...sei, sette, otto, nove, dieci!”
I lamenti di Alaska cessarono
all'istante, così come il suo pianto disperato e nella
stanza
calò un silenzio irreale. Gli occhi di Rossi e dello
psichiatra erano fissi sulla ragazza, in attesa di una sua reazione
di qualsiasi tipo.
Alaska sbattè le palpebre
diverse volte e si stupì di trovarsi seduta con il cuore che
le batteva all'impazzata e il volto umido di lacrime. Si
sfregò
occhi e naso con la manica e continuò a guardarsi intorno
confusa. Sentiva nella testa lo strano fastidio che accompagnava un
pianto troppo forte e aveva il respiro troppo affannato per poter
parlare.
“Va tutto bene, Alaska?” domandò
il dottor Greene, posandole una mano sulla spalla.
A quel contatto non potè fare a
meno di sobbalzare, gli occhi spalancati, ma alla fine annuì
“Credo...credo di sì. È stato
utile?Abbiamo scoperto
qualcosa di utile?”
David scosse la testa “La seduta
stava prendendo una brutta piega. Eri troppo agitata, abbiamo
preferito interrompere.”
Alaska prese dei grossi respiri “Sono
stata io a farle quello?” domandò mordendosi
colpevole il
labbro inferiore, mentre con il dito indicava i graffi sul polso
arrossato del medico.
Greene le rivolse un sorriso gentile
“Oh, mi è capitato di peggio durate sedute di
questo genere,
te lo posso assicurare.”
“Mi dispiace.- si scusò Ross
con un sorriso- Ho dei cerotti in borsa, ma credo che siano di
Topolino. Li vuole lo stesso?”
“Sono a posto così,
grazie.- assicurò l'uomo con sguardo compassionevole- Sicura
di stare bene?”
L'antropologa aggrottò la fronte
mentre annuì “Sono un po' stordita, ma credo di
cavarmela.”
“D'accordo.- disse Greene alzandosi e
poi voltandosi verso Rossi - Vado a parlare con l'agente Hotchner,
quindi?”
Il profiler gli fece un cenno d'assenso
“Certo, vada pure.”
Con gli occhi seguì la figura
scheletrica dello psichiatra mentre si allontanava.
“Mi dispiace, Dave.” mormorò
l'antropologa, lo sguardo basso, non appena l'uomo uscì
dalla
stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Dave le si avvicinò con due soli
passi e le posò le mani sulle spalle, incrociando il suo
sguardo “Alaska ci hai aiutati più di quanto
avresti
dovuto.- le assicurò, cercando di rendere il tono della
propria voce più rassicurante possibile- Ora sappiamo che
Foller aveva un complice e probabilmente è lui l'uomo che ti
perseguita. Lo rintracceremo.”
Ross gli rivolse un sorriso
stiracchiato, i grandi occhi azzurri liquidi e arrossati dal pianto.
Al profiler si strinse il cuore nel vederla così fragile e
indifesa e, istintivamente, le accarezzò la testa con fare
paterno.
“Ora vai a sciacquarti la faccia e
prendi qualcosa di caldo da bere.- le suggerì- Immagino che
sarai stanca.”
Alaska annuì e, dopo avergli
dato un buffetto affettuoso sul braccio, lasciò il suo
ufficio
con una camminata lenta e un po' strascicata che non le si addiceva
minimamente.
Quando Alaska
entrò nella
piccola area relax vi trovò all'interno Spencer, decisamente
più calmo di quando l'aveva visto l'ultima volta.
Incontrarlo
aveva fatto sciogliere qualcosa, dentro di lei, all'altezza del cuore
e perciò non potè che sorridergli dolcemente,
nonostante fosse ancora agitata.
“Ciao.” disse, in un sussurro.
“Ciao.” gli fece eco lui.
Ross iniziò a muoversi con
naturalezza in quello spazio quasi familiare, intenta a prepararsi
una camomilla di cui sentiva la necessità “Sai-
cercò
di essere chiacchiericcia- mi hanno ipnotizzato!”
“Sì, è una tecnica
sperimentale ma piuttosto efficace.- disse, prima di iniziare a
spiegare, seguendola in ogni suo movimento nella piccola sala
ristoro- Sai, è stato Milton Erickson a inventare una
propria
forma di ipnoterapia che permette di giungere all'inconscio del
paziente. Non è una metodologia approvata da tutta la
comunità
scientifica, ma comunque è molto promettente. Oltre ad
essere
il fondatore della Società Americana di Ipnosi Clinica,
è
anche membro dell'Associazione Americana di Psichiatria e
dell'Associazione Americana di Psicologia. In effetti la sua
concezione dell'inconscio come parte autonoma della mente è
decisamente interessante.”
Quando ebbe finito di parlare rivolse
all'antropologa un sorriso spensierato, ma la trovò con lo
sguardo fisso nel vuoto. Quando si accorse dei grandi occhi scuri di
Spencer fissi su di sé abbozzò a un sorriso.
“Scusa, non stavo ascoltando.”
Se c'era una cosa che Alaska Ross non
sapeva fare era mentire. Riteneva che raccontare bugie fosse troppo
impegnativo e complesso, per il suo cervello incline a dimenticarsi
perfino di mettersi le scarpe prima di uscire di casa,
perciò
la sua politica ufficiale era quella di non mentire mai. Aveva
imparato ad ovviare a questa mancanza semplicemente omettendo quelle
parti del discorso che non voleva rendere pubbliche e aveva imparato
a farlo subito dopo il rapimento in cui era stata coinvolta quando
aveva otto anni. Durante le sedute con lo psicologo che Rossi aveva
consigliato ai suoi genitori si apriva e raccontava le proprie paure,
ma quando tornava a casa, alla fatidica comanda
“C'è
qualcosa che non va?” scuoteva piano la testa e si apriva in
un
grande sorriso rassicurante. In fondo, per quanto fosse cresciuta,
non riusciva ancora a perdere quell'abitudine di tenere per
sé
i problemi più gravi.
“C'è qualcosa che non va?”
gli domandò Spencer, afferrandole dolcemente un braccio.
Alaska scosse piano la testa “No,
io...devo solo andare in bagno a rinfrescarmi un po'.” disse,
facendo comparire sul proprio volto il suo solito sorriso. Ma non
occorreva certo il super-cervello di Reid per vedere che quel sorriso
non era arrivato agli occhi, illuminandoli come era solito fare.
Il giovane profiler fece passare solo
qualche secondo prima di seguirla e quando varcò la porta
del
bagno la trovò accucciata in un angolo.
Quando lo vide Alaska si tolse il
sacchetto di carta, che aveva recuperato poco prima, da davanti alla
bocca, cercando di prendere qualche respiro autonomamente senza
cadere di nuovo in iperventilazione. Le capitava di rado di agitarsi
in quel modo, ma quando accadeva era una vera e propria crisi di
panico. L'ansia le saliva al cervello e lei poteva giurare di
sentirsela scorrere nelle vene, facendole andare in tilt l'organismo.
“Meglio?” domandò Spencer,
lanciandole un'occhiata attraverso lo specchio, preoccupato.
La ragazza alzò le spalle
ritmicamente, seguendo l'andamento del proprio respiro, e poi scosse
la testa.
“No. Ho paura e sono così...-
i suoi occhi saettarono da una parte all'altra della stanza mentre
cercava la parola adatta- così arrabbiata!”
Reid aprì la bocca per dire
qualcosa ma, nonostante si aspettasse una reazione del genere, non
sapeva che dire. La vide alzarsi e andargli incontro, continuando a
parlare.
“Sono arrabbiata perchè tutto
questo...non è giusto. Io non ho mai fatto niente di male
e...non è giusto. Non è giusto!”
“Perchè non me ne hai parlato
prima?” domandò dopo essersi umettato le labbra.
“Io non volevo che tu ti preoccupassi
ulteriormente, suppongo.- borbottò stringendosi nelle
spalle- Io...io immagino di aver pensato che, se tu avessi saputo del
fatto
che quando ho trovato quel teschio nel mio bagno e letto la scritta
sullo specchio e poi visto quella foto mi si sono rizzati i capelli
alla base del collo e non sono ancora tornati a posto da allora, beh,
credevo che avrei solo peggiorato la situazione...E che poi se tu
avessi saputo che ho pensato: Dio, ti prego, non ancora, non a me,
saresti letteralmente impazzito e io...io ho bisogno di te adesso
e...”
Spencer si avvicinò di slancio a
lei, accogliendola fra le proprie braccia e stringendola più
forte possibile.
“Lo so che è dura per te,
Alaska.” sussurrò, la labbra premute contro i suoi
capelli
setosi.
“Sì...” soffiò la
ragazza cercando di premere sempre più il volto contro il
suo
petto magro.
“Hey.- la chiamò Reid,
afferrandole delicatamente le spalle e scostandola da sé di
modo da guardarla in viso- Hey!Andrà tutto bene, ok?Sai,
è
statisticamente impossibile che un fulmine cada due volte nello
stesso punto.”
“Davvero?E questo mi aiuterà
in questa situazione?” Alaska lo fissò
intensamente, gli
occhi cerulei pieni di fiducia nella persona che aveva di fronte.
“Mi prenderò cura di te.” le
assicurò Spencer, posandole un leggero bacio sulla fronte e
poi stringendole scherzosamente le guance fra i palmi delle mani.
Dalle labbra della giovane uscì
una risata divertita “Lo so.”
“Sai- gli confidò, mentre
tornava a posare la testa contro il suo petto magro- a volte vorrei
essere io quella che si prende cura di te.”
Reid le accarezzò i capelli “Ma
tu lo fai sempre, Al. E poi, con tutti i dolci buonissimi che mi
prepari, non potrei chiedere di più.”
Alaska rise, prima di alzare lo sguardo
verso il suo viso per incontrare i suoi occhi
“Spencer?”
“Cosa, Al?” esalò il
ragazzo, perso in quello sguardo color cielo.
“Puoi stringermi ancora un po'?-
domandò con un sorriso-Ho bisogno di sentire che ci
sei.”
“Io ci sarò sempre per te.”
le assicurò, forte di quell'affermazione.
Ross tornò a rifugiarsi nel suo
abbraccio quasi come se lui fosse l'ancora che gli impediva di andare
alla deriva.
“Al?” la chiamò, dopo dei
minuti che gli sembravano decisamente troppo corti, Spencer.
Lei non si scostò da lui
“Mm?”
“Dobbiamo uscire di qui.- disse tossicchiando- Sei una
donna nel bagno degli uomini.”
Fu allora che Alaska alzò lo
sguardo verso di lui e finalmente i suoi occhi chiari brillavano di
allegria, come avrebbe dovuto essere sempre. Spencer gli sorrise e
dentro di sé giurò a se stesso che avrebbe fatto
di
tutto per mantenere quell'espressione spensierata sul volto della
propria ragazza e, per prima cosa, l'avrebbe fatto risolvendo quella
situazione il prima possibile.
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Aehm...Ok,
sorry sorry sorry sorry!Il tutto elevato al quadrato, anzi al cubo, e
poi moltiplicato all'infinito. Sono in ritardo di una settimana
nell'aggiornamento ma giuro che ho avuto una week impossibile fra
esami, stress e altre faccende. Potete perdonarmi?Please? Me fa gli
occhioni sberluccicosi!
In ogni caso eccoci qua con il nuovo capitolo. Dico subito che tutto
quello che so sull'ipnosi gunge da internet/film/telefilm/lezioni di
psicologia e che quello che so sull'argomento è
un'accozzaglia di nozioni di cui non sono nemmeno sicura. Ergo, se
qualcuno di voi è un ipnotista (esiste questa parola?bah!)
abbia
pietà e chiuda entrambi gli occhi!eheheh!Ordunque, che altro
dire...Ah!Ebbene
sì, gente!Metascrittura: ho provato a mettere una pagina di
uno
dei famosi libri di Rossi nella fanfiction. Che ve ne
pare?Perchè, sinceramente, ho visto in libreria libri di
Jessica
Fletcher e Richard Castle, quindi se esistono autori che scrivono
spacciandosi per scrittori dei telefilm io voglio assolutamente
scrivere nella realtà i libri di David
Rossi.Sìsì!Quella è la mia vocazione!!
Uhm...poi...qualcuno (non
faccio nomi ma so che sta leggendo!) mi ha fatto venire le fissa sul
come potrebbero essere i personaggi che creo nelle mie storie e alla
fine ho trovato questo...
Che ne pensate?Corrispondono
alle vostre aspettative?Sì, no, forse, non ve ne frega
niente?Fatemi sapere.
Ok, visto che mi sto accorgendo che sto sclerando, vi saluto. Al solito
fatemi sapere che ne pensate del capitolo e, non so se ve l'ho mai
detto, ma vi adoro tutti: da chi legge in silenzio senza commnetare, a
chi ha messo le storie fra i preferiti e a chi si prende la briga di
scrivermi qualcosa. Siete fantastichevolissimissimi!:) Un bacione a
tutti, al prossimo capitolo, JoJo.
Maggie_Lullaby
: ok,
basta io divento tua fan!Sei un mito!XD In ogni caso, sono contenta che
concordi con la scelta dell'attrice :) Ho anche messo una immagine di
Nate in questo capitolo perchè tu mi hai spinto in questa
piega folle e ora sono spacciata!Quindi direi che è colpa
tua, ecco, se sono condannata a trovare rassomiglianze nella
realtà dei miei personaggi. Mi hai sulla coscienza!Adoro le
foto che hai messo nei commenti, non le avevo mai viste ma sono
fantastiche!:) Maaaaaa...Te mi fai anche pubblicità?Tu
adoro, thanks a lot!Al prossimo capitolo dear, besos!
Luna Viola
: Ebbene
sì, io sono una di quelle folli che si guarda i telefilm in
streaming in lingua originale o in doppiaggi folli in spagnolo od
ostrogoto!eheheh!Però alla sesta non sono ancora arrivata,
visto che sono rimasta indetro con la quinta...Cmq, sono contenta di
avere una punizione così magnanima da parte tua....almeno
credo!:D Come al solito grazie mille per tutti i complimenti che mi fai
ogni volta, thanks thanks thanks. Visto che sei così gentile
direi che mi mobiliterò per quella gigantografia di Nate per
il tuo compleanno (in fondo, se lui non lo scopre potrei
salvarmi!eheheh)Al prossimo capitolo, kisses!
TrueLife : Heylà!Wow, allora in
questi casi dovrei fare tipo gli onori di casa?eheheh Benvenuta!:) Sono
contenta che la storia ti piaccia, e anche i miei personaggi!Mi fa
davvero piacere sentirlo e sapere che ti sei presa la briga di
leggerla!Thnaks a lot! Alla fine l'aggiornamento è arrivato,
a fatica, ma fra pc demoniaco, università, esami e tesi sono
nel caos più totale, chiedo venia!Ancora grazie mille e,
spero, al prossimo capitolo!Baci baci
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee special guest star nelle recensioni in questo
capitolo
Antu_ : Cavolo. Io non so davvero che
dirti!Le tue recensioni sono state davvero fantastiche, non ti dico che
piacere ho avuto nel leggerle. Lo giuro!:) Davvero, quello che hai
detto su come scrivo, sulla storia, i personaggi e via dicendo mi ha
davvero emozionato quindi grazie mille. In effetti, non sono una
scrittrice ma mi piacerebbe diventarlo, in un modo o nell'altro, e
spero davvero di riuscire a farlo, un giorno, e sentire le tue parole
è stato molto incoraggiante. Un grandissimo in bocca al lupo
per la tua nuova avventura universitaria a Pisa, sono contenta che
continui a seguire la mia storia e che ti sei addirittura presa la
briga di partire da Invisible Women. Un grosso bacio, dear!:)
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Capitolo 7 *** Nameless face ***
Puoi scoprire ciò che più teme il tuo nemico
osservando i mezzi di cui si serve per spaventarti.
Eric Hoffer
Sala interrogatori 34/b, Hoover Building. Washington, DC.
Goofy non era il suo vero nome, eppure tutti ormai lo chiamavano così. Probabilmente era per via della sua camminata strana, con le gambe che andavano sempre di qua e di là come se nemmeno gli appartenessero. Oppure, quel soprannome dipendeva dal fatto che non aveva un'espressione particolarmente sveglia, cosa che forse lo accomunava con il goffo personaggio inventato da Walt Disney. Nelle schede della polizia lui era Paul Ward, ma persino fra i poliziotti quello che veniva ricordato era il suo buffo soprannome.
Goofy si guardò intorno, intimorito.
Non era la prima volta che finiva in una sala interrogatori, eppure si sentiva decisamente inquieto.
Per prima cosa, era la prima volta che lo fermavano quando non aveva fatto effettivamente niente di male. In secondo luogo, poi, c'era il fatto che era stato letteralmente prelevato a forza dal bar in cui era solito bivaccare di prima mattina da un federale grande quanto un armadio e particolarmente negato nell'esercitare le buone maniere.
Crowford gli girava intorno come un avvoltoio, gli occhi grigi ridotti a due fessure che sembravano lanciare fiamme.
“Ti ripeterò la domanda- disse, con vece profonda e leggermente minacciosa- Hai notato qualcosa di anormale?”
Il delinquentello deglutì a fatica “Amico, io non so davvero di che cosa tu stia parlando!”
“Risposta sbagliata.” sentenziò l'agente, spingendogli la testa contro il tavolo. Il suono sordo provocato da quello scontro rieccheggiò nella sala per qualche istante.
Goofy alzò la testa, percependo nettamente il sapore metallico del sangue all'interno della propria bocca “Questa è polizia violenta!Ti potrei denunciare!”
Gli angoli della bocca di Crowford si piegarono leggermente all'insù, in un ghigno “Per prima cosa, sono dell'FBI e non della polizia. In secondo luogo, perchè dovresti denunciarmi?Non è colpa mia se non riesci a stare in piedi.”
Il ragazzo corrugò la fronte, incerto “Cos...”
“Insomma, trovo davvero che sia stato un peccato che tu sia caduto dalle scale mentre ti portavo in cella.- continuò a spiegare Nate, gli occhi seri fissi sul suo volto sudaticcio- Ci vorrà un po' per far guarire quel naso rotto, e il braccio e...”
“Io...io non sono caduto dalle scale!” gli fece notare Goofy, con voce tremante nonostante stesse cercando con tutta la propria forza di darsi un contegno e mantenere la calma.
Sul volto del federale si aprì un sorriso freddo “Non ancora.”
“Non puoi trattenermi.- protestò il ragazzo, alzandosi- Non ho fatto niente di male.”
“Oh, di questo non ne sarei poi tanto sicuro.- disse Crowford, spingendolo di nuovo sulla sedia con le sue mani forti- E poi, qualora ti rilasciassi, potrebbe capitare una disgrazia, sai, di quelle che si sentono tutti i giorni al telegiornale.”
Goofy si ritrovò a deglutire di nuovo, la gola secca “Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che io verrei da te, un giorno, per interrogarti di nuovo, e ti troverei con questa.- spiegò con tono freddo Nate, estraendo una pistola che teneva nascosta in una fondina sotto il tessuto dei jeans, all'altezza della caviglia- Non è registrata, sai?Comunque, ti troverei con questa, e la legge dice che ad un uomo armato si può sparare e...bum!”
“Si può sapere che diavolo vuoi da me?” frignò il giovane, mettendosi le mani nei capelli sudici.
“Informazioni, te l'ho già detto.- ripetè Crowford incrociando al petto le braccia muscolose- So che bazzichi a George Town, nella zona universitaria, voglio solo qualche informazione. Fatti venire in mente qualcosa e io potrei dimenticarmi della tua esistenza, d'accordo?”
L'altro sembrò riflettere sulle sue parole. Aveva aggrottato la fronte e si stava grattando nervosamente una mano, con tanta foga che avrebbe potuto scorticarsi la pelle. Nate pensò che avesse bisogno di una dose e fu contento di avere anche quel fattore dalla propria parte.
“Che...che genere di informazioni?” balbettò Goofy, con un'espressione interrogativa negli occhi vacui.
Nate picchiettò l'indice su una foto formato A4 di Alaska che aveva già posizionato sul tavolo precedentemente, quando l'aveva fatta vedere per la prima volta al ragazzo.
“Vedi questa signorina?- domandò, scrutando attentamente ogni sua reazione- Frequenta spesso il parco vicino all'università, guarda caso lo stesso in cui bazzichi tu e in cui porti a termine uno dei tuoi traffici di quella polverina bianca che piace tanto ai figli di papà in cerca di un brivido in più nella loro vita da ricconi.”
“Io...io non ricordo di averla mai vista!” si affrettò a riferire Goofy, mentre cercava di ricordare un qualsiasi particolare che potesse tirarlo fuori da quella situazione.
“Non ti ho ancora fatto la mia domanda.- sbottò Crowford con tono duro, prima di continuare a spiegare- So per certo che nello stesso periodo in cui questa ragazza frequentava il tuo parco c'era anche un altro tizio, uno che la tallonava. Capisci cosa intendo?”
L'altro si limitò ad annuire, gli occhi sgranati per cercare di capire cosa davvero volesse da lui.
“Senti, Goofy, io so che tu sei un tipo sveglio, nonostante all'apparenza perfino un'ameba potrebbe vincere una gara di intelligenza con te.- disse l'agente federale, facendo roteare gli occhi disgustato- In ogni caso, capisco che dopo qualche anno di esperienza con i simpatici amici della polizia hai sviluppato una certa abilità ad individuare qualcosa che non va. Un tizio che passa le giornate facendo foto a qualcuno con una macchina fotografica professionale, ad esempio?”
Gli occhi sfuggenti di Goofy saettarono qua e là mentre cercava di ricordare.
“I-io non...non so, non ricordo!” balbettò infine.
“Facciamo così.- Crowford sospirò, cercando di darsi un'intonazione compassionevole- Vado a prendermi un caffè e ti lascio riflettere su quanto sai, dopodiché tornerò a vedere come si evolve la situazione.”
Quando aveva già la mano sulla maniglia della porta si voltò di nuovo verso il ragazzo, scuotendo la testa piano “Sai, spero proprio che ti venga in mente qualcosa. Non hai idea di quanto sia difficile eliminare il sangue dai tessuti...”
Il federale sbattè la porta dietro di sé con fare teatrale e si avviò tranquillamente nella stanza attigua, dove avrebbe aspettato pazientemente che le proprie parole facessero effetto.
Ad aspettarlo di fronte al vetro unidirezionale della finestra che spiava nella sala interrogatori, c'era l'agente Gordon, che aveva assistito all'intera conversazione.
“I tuoi bluff non mi piacciono.- lo informò il suo collega, guardandolo severamente- Perchè era un bluff, vero?”
“Ovvio.- confermò Crowford- Non si toglie il sangue dei tessuti, se ci si sporca con quello il più delle volte è tutto da buttare. E quella pistola è registrata.”
“Se qualcuno sapesse che un agente federale agisce in quel modo...” lo avvisò Gordon con tono preoccupato.
L'uomo più giovane alzò le spalle, scocciato “Non mi importa. E poi il mio metodo è veloce ed efficace, proprio quello che ci serve in questo momento.”
“Efficace?- sbottò l'altro allargando le spalle esasperato- I sospettati ti dicono solo quello che tu vuoi sentire perchè li terrorizzi!”
Il volto di Crowford era una maschera impassibile “Che importa?Questa gente è la feccia dell'umanità, dovrebbe essere trattata come faccio io più spesso. Inoltre quello che ottengo sono sempre informazioni di prima qualità che ci aiutano a risolvere centinaia di casi.”
Gordon stava per aprire di nuovo bocca, come al solito cercando di essere il più eticamente corretto possibile per cercare di contagiare il proprio collega e convincerlo ad usare metodi di indagine e di interrogatorio più convenzionali, ma fu interrotto da un bussare nervoso.
Goofy stava sbattendo le nocche delle sue mani ossute sul vetro spesso della finestra della sala interrogatori, cercando di attirare l'attenzione di chiunque potesse trovarsi dall'altro lato “Hey?C'è nessuno?Io...io credo di poter farvi sapere qualcosa!”
Prima di tornare da Goofy Crowford rivolse a Gordon un ghigno supponente.
C'era un motivo per cui si comportava in moto tanto anticonvenzionale nonostante le critiche e i rimproveri costanti : il suo metodo era infallibile.
Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.
“Abbiamo un identikit!” annunciò JJ entrando nella stanza proprio nel momento in cui Emily aveva deciso che sarebbe stato più utile e salutare per lei tornarsene a casa e farsi qualche ora di sonno prima di rimettersi al lavoro sul caso di Alaska.
L'antropologa e Reid erano andati via da un pezzo, incoraggiati da Dave che sosteneva che, dopo quello che aveva passato durante la seduta di ipnosi, la ragazza avesse estremamente bisogno di riposo e tranquillità.
“Davvero?- domandò Morgan immediatamente reattivo- Come?”
La bionda puntellò sulla bacheca di sughero un ritratto fatto a matita e spiegò velocemente quanto aveva appena saputo dall'agente Gordon “Crowford ha stanato un tizio che ha visto questo tipo aggirarsi spesso nel quartiere di Alaska. Dice che aveva sempre con sè una macchina fotografica che coinciderebbe con quella da cui sono state scattate le foto ad Alaska.”
“D'accordo.- annuì Hotch- Passane una copia a Garcia e fallo passare al riconoscimento facciale con i pregiudicati.”
“Il testimone dice che aveva anche degli strani tic piuttosto inquietanti.- riferì ancora JJ prima di affrettarsi a raggiungere Penelope per comunicarle le ultime novità- Dice che sembrava che fosse in crisi di astinenza o qualcosa del genere.”
“Questo spiegherebbe il motivo per cui la sua ossessione per Alaska è così recente: potrebbe averla sviluppata in seguito alla fine dell'utilizzo di qualche tipo di psicofarmaco.” osservò Rossi, passandosi una mano sul pizzetto.
Emily annuì, prima di tornare a riepilogare il profilo che avevano individuato fino a quel momento “Era un preadolescente o un adolescente all'epoca dei fatti, probabilmente orfano di padre, della cui figura ha trovato un sostituto in Foller.”
“La madre doveva per forza avere un lavoro a tempo pieno che la teneva fuori di casa per la maggior parte della giornata.- continuò Morgan- altrimenti si sarebbe accolta della persistente assenza del figlio.”
“E a questi termini di ricerca possiamo aggiungere anche la dipendenza da psicofarmaci, cosa che ci suggerisce che probabilmente è stato ricoverato in un istituto psichiatrico oppure che ha avuto un analista che gli ha prescritto una terapia piuttosto pesante.” concluse Hotch.
In quel momento JJ tornò nella stanza, trafelata “Penelope ha trovato dei riscontri!”
“Dei riscontri?” ripetè David alzando un sopracciglio. Era sorpreso dall'uso del plurale.
La bionda annuì, i grandi occhi azzurri covavano un'espressione incerta “Già. Garcia ha trovato due nomi.”
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
Reid entrò in cucina con espressione ansiosa. Aveva dormito poco nel corso della notte a causa del fatto che continuava a svegliarsi per controllare Alaska. Ogni volta l'aveva trovata profondamente addormentata e ciò l'aveva rassicurato, al momento, tuttavia non appena si era svegliato quella mattina non l'aveva trovata di fianco a sé. Certo, sentiva irrorarsi nell'appartamento un profumo dolce ed invitante, indizio del fatto che la sua ragazza stava cucinandogli un abbondante colazione, esattamente come accadeva ogni volta che si fermava a casa sua per la notte, ma lui non poteva fare a meno di preoccuparsi. Continuava a tornargli in mente l'immagine del giorno precedente e la loro conversazione. Ricordava i suoi occhi cerulei colmi di paura e non riusciva a impedirsi di rievocare quell'immagine ogni volta che pensava a lei e a quanto stava passando.
Fu un sorriso radioso, però, quello che lo accolse, non appena Alaska si voltò verso di lui per salutarlo.
“Buongiorno tesoro!” trillò allegra. Nel voltarsi, fece svolazzare la gonna a pieghe che indossava con disinvoltura sopra delle calze arancioni.
“Al...- ribattè confuso, osservandola attentamente mentre si sedeva-Non...non ti ho sentito alzarti.”
“Lo so!- confermò esaltata- Sto diventando silenziosissima ed estremamente quatta. Potrei fare la spia o diventare un ninjia!Esistono donne ninjia?”
Le parole squillanti della ragazza lo confusero sempre più “Non lo so. Quando ti sei svegliata?”
Alaska gli diede un buffetto in testa, quando gli passò accanto per posargli davanti un piatto con un pancake a forma di squalo “Non presto quanto immagini, tranquillo. Caffè?”
“Certo.” annuì, accettando anche una tazza fumante.
L'antropologa lo osservò mentre sorseggiava il caldo liquido scuro e appoggiò le mani al mento, sorridendogli radiosa “Allora, anche oggi si va a Quantico?”
“Ecco, veramente...- disse titubante posando la tazza sulla penisola della cucina- credo che sia meglio che tu rimanga qui. Sai, starai più tranquilla.”
“D'accordo, non c'è problema.- annuì Ross- Sono sicura che troverò qualcosa da fare.”
Reid le rivolse un sorriso timido “Probabilmente passerà JJ per stare un po' con te...” assicurò, come per farsi scusare del fatto che l'avrebbe lasciata sola.
“Fantastico!- sorrise Alaska- Un po' di tempo di qualità fra donne!”
“Già. È solo che non mi piace l'idea di saperti qua da sola.” Soprattutto sapendo che c'è uno psicopatico redivivo che ce l'ha con te, aggiunse mentalmente.
La osservò attentamente mentre mordicchiava con poca convinzione i bordi del proprio french toast, e alla fine si decise di porre la fatidica domanda.
“Va tutto bene, Al?”
La ragazza si umettò le labbra prima di parlare “Sì, solo che...”
“Hai avuto degli incubi?” si informò immediatamente Reid, preoccupato dagli effetti negativi che poteva aver avuto la seduta di ipnosi del giorno precedente.
“Non è questo, è solo che...” Ross lasciò cadere la frase a metà, scuotendo la testa come per schiarirsi le idee.
“Cosa?” incalzò il profiler, sporgendosi verso di lei.
Alaska si lasciò sfuggire un sospiro “Sono preoccupata per Nate.”
L'espressione di Spencer mutò immediatamente da ansiosa ad estremamente stupita “Come?”
“E' da ieri che non ho sue notizie e non risponde al cellulare.” spiegò, arrotolandosi intorno all'indice una ciocca di capelli corvini.
“Crowford se la sa cavare.” cercò di rassicurarla, stando ben attento a non farsi sfuggire dalle labbra lo sbuffo infastidito che gli aveva provocato il solo sentire quel nome.
La giovane fece roteare gli occhi “Lo so, lo so: è grande, grosso e vaccinato. Ma si sta prendendo questo caso più a cuore di qualsiasi altro e lui tende ad essere un po' irruento, soprattutto nella scelta dei metodi di indagine.”
“Credo che un po' irruento sia un grande eufemismo.” ribattè Reid, alzando un sopracciglio.
Ross sapeva a cosa si riferiva “Nate è un brav'uomo. Un'ottima persona.- specificò- E' solo che bisogna dargli la possibilità di aprirsi un po'.”
Spencer si impose di non commentare, perciò si limitò a punzecchiare con la forchetta ciò che rimaneva della sua colazione.
“Ed è un buon amico.- continuò con convinzione la ragazza- Lo dimostra semplicemente in modo diverso dal resto delle persone.”
“Suppongo sia così, in fondo sei tu quella che lo conosce meglio di chiunque altro.- borbottò leggermente infastidito- So che tu gli vuoi bene ma non credo che io entrerei mai nel suo fan club.”
Alaska annuì. Per quanto si sforzasse non aveva ancora convinto nessuno con la sua crociata sulle buone qualità di Nate, tuttavia non mancava occasione per spezzare una lancia a suo favore.
“Sono solo preoccupata.- ripetè, gli occhi grandi e speranzosi- Vorrei solo sapere che è tutto a posto e lui sta bene.”
Reid sospirò e scosse la testa, ormai vinto “Potrei chiedere a qualcuno quando arrivo a Quantico e poi farti sapere...”
L'antropologa si alzò con un balzo e gli gettò le braccia al collo, facendo un gridolino “Sei il migliore.”
Spencer sorrise, ricambiando quella stretta, ma poi si scostò da lei, lanciando uno sguardo all'orologio.
“Che c'è?” domandò Alaska, confusa.
“E' meglio che inizi a scendere. Morgan mi ha mandato un messaggio stamattina, dicendomi che sarebbe venuto a prendermi.- spiegò, mentre recuperava il proprio cappotto e la sua inseparabile tracolla di cuoio invecchiato- Ormai sarà qui a momenti.”
La ragazza piegò le labbra all'ingiù “Non può salire per un caffè?”
“Dobbiamo andare a Quantico.- spiegò, sorridendole conciliante- Sai, così lavoriamo al tuo caso, lo risolviamo e finalmente non sarai più una reclusa sotto scorta.”
La mora fece dondolare la testa mentre soppesava le sue parole “Sembra una prospettiva interessante.” concluse rivolgendogli un sorriso radioso.
Reid le sorrise di rimando, prima di sporgersi verso di lei per un veloce bacio a fior di labbra.
“Ti chiamo.” disse, prima di voltarsi per uscire.
“Hey, Spencer?” lo chiamò di nuovo Ross, quando lui aveva già le dita strette intorno alla maniglia della porta d'ingresso.
Reid si voltò, le sopracciglia alzate e un'espressione interrogativa sul volto, ma non fece in tempo a chiedere qualcosa che Alaska gli fu addosso.
Lasciò scivolare le mani lungo il suo collo, fino a perdersi nei suoi sottili capelli castano dorati. Il ragazzo non potè fare a meno di rabbrividire a quel contatto, sia perchè l'antropologa aveva le mani un po' fredde, sia perchè aveva sfiorato con le dita una zona estremamente sensibile.
Istintivamente, la attirò ancora di più a sé, gettandosi sulle sue labbra morbide. Fece vagare le proprie dita lunghe ed affusolate sulla sua schiena, riuscendo a sentire il calore della sua pelle attraverso la stoffa sottile della camicia di cotone che indossava. Spencer accarezzò con la lingua i contorni delle labbra vellutate della ragazza, e lei le schiuse, permettendogli così di approfondire quel bacio appassionato.
Fu solo perchè sentiva di avere bisogno di ossigeno che, qualche istante più tardi, Reid si separò da lei, rimanendo a fissarla intensamente con il respiro affannato.
“Wow.” sussurrò Alaska, un sorriso sul volto leggermente arrossato e una luce brillante negli occhi.
Spencer non disse nulla, ma alzò una mano per sfiorarle con dolcezza una guancia.
“Mi mancherai oggi...” constatò semplicemente l'antropologa, mentre posava le proprie dita sopra quelle che il ragazzo teneva ancora sul suo viso.
“Anche tu.” le fece eco, posandole un delicato bacio sulla fronte prima di uscire di casa.
Scese le scale due gradini alla volta e accolse con gioia l'aria frizzante di ottobre sul viso che sentiva ancora rovente.
In effetti, aveva ancora il cervello annebbiato da quel bacio focoso, e dalle sensazioni che gli aveva scatenato, che quando sentì squillare il proprio cellulare sobbalzò sul marciapiede dove stava aspettando Morgan.
Alzò un sopracciglio mentre guardava il display prima di rispondere “Pronto, Alaska?Va tutto bene?”
“Ciao Spencer!- trillò la ragazza, dall'altro capo del filo- Come facevi a sapere che ero io?”
“Identificazione di chiamata.- rivelò il profiler con semplicità- Al, sono appena uscito di casa...”
Sentì un risolino sfuggire da quelle labbra che aveva baciato solo pochi minuti prima “Lo so, volevo tenerti un po' di compagnia mentre aspetti Derek.”
“Morgan sarà qui a momenti, non credo di morire di solitudine nel frattempo.” la informò Spencer.
Ross sbuffò, vinta “E va bene, lo ammetto: sentivo già la tua mancanza.”
“Al, solitamente passiamo le giornate separati e, quando sono via per un caso, stiamo lontani per interi giorni.- le fece notare Reid con tono bonario- Direi che siamo abbastanza abituati a non vederci per un po'.”
“Forse ho la sindrome del nido vuoto?” propose la ragazza, dopo averci penato per qualche secondo.
Reid allungò il collo verso la strada mentre rispondeva: gli era parso di vedere l'auto di Morgan “E' quella che colpisce i genitori quando i figli lasciano la casa per vivere per conto proprio...”
“Ok, forse non è quella.- concordò l'antropologa, prima di proporre qualcos'altro- Sindrome dell'abbandono?”
“Credevo avessimo appurato che non ti lascerò mai.” Spencer si complimentò con se stesso per essere riuscito a dire una frase così intima senza balbettare nemmeno una volta.
“Aw, mi piace così tanto quando lo dici!” cinguettò Alaska, felice.
“Sì, ecco, io...”
Le sue parole successive furono coperte dal suono acuto di un clacson. Reid sobbalzò sul posto, lasciando il tempo a Derek di parcheggiare e sporgersi verso il sedile del passeggero per aprirgli la portiera.
“Lasciami indovinare: sei al telefono con Alaska.” sentenziò, saltando i saluti. Indossava un paio di occhiali da sole e il suo solito sorriso strafottente che sfoderava nelle numerose occasioni in cui punzecchiava il giovane genietto.
“Come fai a dirlo?” domandò, sulla difensiva, mentre saliva sull'auto.
“Sei rosso come un peperone, come ogni volta che lei ti dice qualcosa di tenero o intimo che tu non ti aspetti.”
Reid non ebbe la prontezza di rispondergli a tono, e si lasciò strappare di mano il cellulare.
L'agente di colore mise la chiamata in viva voce e poi sorrise ampiamente “Hey, Quarantanove!Come stai?”
“Decisamente bene, nonostante io sia appena stata abbandonata in un appartamento ormai sprovvisto di cioccolato e perciò inabile a far salire propriamente il livello delle mie endorfine.” ciarlò allegra la giovane, per niente interessata alle spiegazioni riguardo quel cambio di interlocutore.
Derek sorrise come se lei potesse vederlo “Chiederò a JJ di portarti qualcosa quando passerà da te.”
“Perfetto!- gioì Alaska- Credo di stare per avere una crisi di astinenza.”
“Che fine ha fatto il cioccolato che hai preso alle macchinette di Quantico prima di tornare a casa?” si informò Reid, aggrottando la fronte: era certo che ne avesse fatto rifornimento il giorno precedente, prima che tornassero a casa.
“Non ho idea di cosa tu stia parlando.- disse velocemente, forse troppo, l'antropologa- Inoltre, quando verrò a vivere con te creerò una riserva segreta in caso di emergenze come questa!”
Morgan sgranò gli occhi, mentre si fermava a un semaforo rosso “Frena un attimo, Quarantanove: tu e Reid andrete a vivere insieme?”
Ross annuì, senza rendersi conto che nessuno dei suoi interlocutori poteva vederla “Già, me l'ha chiesto l'altra sera ed io ho detto sì.”
“Questo non me l'avevi detto, ragazzino!” protestò l'uomo, voltandosi verso Reid.
“Beh, tecnicamente non sono cose che ti riguardano...” balbettò incerto il profiler più giovane, imbarazzato.
“Non dire così, Spencer:- lo interruppe Alaska- Derek è un amico e queste cose un po' lo riguardano.”
Lo sguardo di Morgan si illuminò mentre lanciava all'altro un sorriso compiaciuto “A-ah!”
“In ogni caso, Al- continuò a parlare Spencer, cercando di sviare l'attenzione del collega- dovresti cercare di rilassarti ora. Trovati qualcosa da fare, leggi un libro...”
“Reid ha ragione.- concordò Morgan- Prova a prenderla come una giornata di riposo.”
“Credo che proverò a imparare a giocare a scacchi.” rivelò quindi la giovane antropologa.
Derek lanciò un'occhiata di disapprovazione a Reid, come se fosse colpa sua se Alaska si interessava a qualcosa di così noioso “Oh, dai, Quarantanove. Non puoi davvero pensare di passare una giornata così. Non tu.”
“Certo, invece.- confermò la ragazza allegra- Hey, Spencer, dov'è che tieni quella cosa...quella tavoletta coi quadratini bicromatici alternati?”
“Intendi...la scacchiera?” domandò Reid, alzando un sopracciglio.
“Quella!”
“E' in una scatola sulla libreria, di fianco all'enciclopedia scientifica.” le disse quindi.
“Perfetto!Scommetto che se mi impegno, già da stasera riuscirò a farti scacco folle in un tempo da record!” esclamò spensierata.
“Scacco matto.” la corresse Spencer, sotto lo sguardo divertito di Morgan.
“Sì, quello che ho detto.- confermò la ragazza- D'accordo, adesso vi lascio lavorare. Buona giornata a tutti e due!”
Quando il silenzio dall'altro capo del filo annunciò che Ross aveva ormai chiuso la chiamata, Reid si lasciò sfuggire un sospiro.
“Che c'è?” si informò immediatamente Morgan.
Il giovane profiler scosse la testa “E' per Alaska. Credo che quello che stia succedendo l'abbia sconvolta più di quanto voglia farmi credere...”
“Si è comportata in modo strano?” domandò di nuovo il bell'agente di colore.
“No, è sempre la stessa, solo che...- si interruppe e si torturò nervosamente le mani- Stamattina sembrava quasi non volesse farmi andare via. Lei è sempre così affettuosa, solo che stavolta c'era...non so, una specie di nota disperata nel suo comportamento. Capisci?”
Morgan tolse per qualche secondo gli occhi dalla strada per rivolgergli un'occhiata intensa “Reid, credo che sia normale.”
“Lo so.- sospirò il ragazzo, prima di iniziare a snocciolare velocemente una spiegazione plausibile a tutto ciò- Lei mi ha preso come punto riferimento ed ora cerca costantemente il mio appoggio. Insomma, Alaska è un'antropologa forense, è abituata a vedere gli effetti della crudeltà degli uomini, ma non è mai davvero in contatto con queste persone e...”
“Frena, ragazzino.- lo interruppe Derek scuotendo la testa- Non era questo che intendevo.”
Reid alzò un sopracciglio, perplesso “No?”
“No.- ribadì, prima di spiegargli il proprio punto di vista- Tu sei la persona che gli è più vicina, sei l'uomo che ama, quindi considerando che sta passando un periodo difficile è normale che cerchi prima di ogni altra cosa il tuo appoggio e la tua presenza.”
“Oh.- esclamò Spencer, spiazzato da quella prospettiva inaspettata-Giusto, anche questo.”
Rimase in silenzio per qualche secondo e poi si decise finalmente ad alzare lo sguardo, osservando la strada che stavano percorrendo per la prima volta da quando erano partiti.
“Da qui non raggiungeremo mai Quantico.” fece notare all'uomo alla guida.
Derek annuì “E' perchè non ci stiamo andando. Siamo diretti all'Hoover Building.”
“Perchè?” indagò il giovane, aggrottando la fronte.
Morgan sospirò sommessamente, già consapevole a cosa sarebbe andato incontro nel riferirgli gli avvenimenti delle ultime ore “Pare che Crowford abbia, uhm, trovato un testimone e che sia riuscito ad ottenere un identikit dell'uomo che seguiva Alaska.”
Reid spalancò gli occhi, leggermente sconvolto da quella notizia, ma il suo silenzio diede all'altro l'occasione di continuare a parlare.
“Garcia ha fatto partire una ricerca con le coordinate che le abbiamo fornito in base al profilo di un possibile complice di Foller nei rapimenti e un'altra con l'identikit che ci ha fornito Crowford. Ha trovato due nomi.”
“Due nomi!” esclamò Reid, la voce acuita dall'agitazione.
“Due nomi.- ripetè, stringendo i pugni- Avete trovato ben due sospettati e non avete pensato che avessi voluto saperlo?Che mi sarebbe interessato sapere che ci sono stati degli sviluppi nell'indagine per trovare l'SI che sta ossessionando la mia ragazza?Perchè non me l'avete detto prima?”
Morgan lo fissò intensamente: era preparato a una sua reazione del genere, perciò non sembrava particolarmente colpito da quella nota di isterismo nella voce del giovane collega. Quando iniziò a parlare per spiegare le motivazioni che avevano spinto il team ad occultargli momentaneamente quelle informazioni, la sua voce era perfettamente calma “Perchè. Perchè Alaska era sconvolta e aveva bisogno del tuo appoggio e saresti stato in grado di darglielo se ti fossi concentrato sui sospettati, lasciandola sola in casa dopo quello che aveva passato ieri?Se non ti abbiamo detto subito le ultime novità, lasciandoti la possibilità di essere in grado di esserci davvero per la tua ragazza, l'abbiamo fatto soprattutto per aiutare lei.”
Spencer soppesò attentamente le sue parole, senza fare commenti. Non gli aveva dato ragione, ma quando tornò a guardarlo in faccia sembrava a aver riacquistato la solita razionalità “Quindi che cos'è che ha scoperto Garcia?”
“Gabriel Sanchez corrisponde perfettamente al profilo dell'aiutante di Foller, inoltre, in una delle sue cartelle cliniche il suo psichiatra parla dei suoi racconti ossessivi riguardo fatti che sono del tutto simili a quelli dei rapimenti come quello di Alaska: descrive luoghi, fatti e persone in modo piuttosto preciso.” spiegò rapidamente Derek, cercando di essere conciso.
“C'è dell'altro?” domandò di nuovo Reid, indagando l'espressione del proprio collega.
“Già.- confermò l'altro, con una scrollata di spalle- Parlavo di cartelle cliniche, giusto?E' perchè Sanchez è stato rinchiuso in un centro di riabilitazione psichiatrica quando alle superiori ha sfregiato una compagna di classe e ha iniziato a trasmettere chiari segni di sadismo.”
Reid strinse le labbra “Quindi...non può essere lui l'SI.”
“No, ma ci sarà utile parlare con lui per scoprire chi altri potrebbe essere a conoscenza delle informazioni più riservate riguardo al caso Foller, come l'entità delle ferite inferte dall'uomo alle ragazzine che rapiva.”
Il giovane genio fece un distratto cenno del capo “A chi corrisponde l'altro nome?”
“E' una faccia, a dire la verità.- precisò Morgan- Abbiamo ricevuto da Crowford l'identikit di un sospettato e Penelope ha trovato una corrispondenza con un altro identikit fatto dalla vittima di un' aggressione. Ha approfondito la ricerca e ha scoperto il suo nome: Charles Danko. Hotch e Rossi sono già andati all'istituto detentivo dove è rinchiuso Sanchez, Emily è ancora a Quantico e sta controllando insieme a Garcia i movimenti delle carte di credito intestate a Danko.”
“Noi stiamo andando all'Hoover Building per parlare con il testimone di Crowford?” ricapitolò quindi Reid, passandosi una mano nei capelli sottili.
Derek annuì “Già. Quel tipo ha detto che gli sembrava che Danko fosse affetto da tic particolari, come se fosse in crisi di astinenza. Forse riusciamo a scoprire qualcosa di più specifico.”
“Può darsi che Danko sia stato ricoverato in una struttura sanitaria di qualche tipo, o che la abbia frequentata per una terapia psichiatrica.- snocciolò velocemente Spencer- Il fatto che abbia una reazione così forte alla mancata assunzione dei farmaci è indice che ne assuefatto ormai da tempo...”
Derek arcuò le sopracciglia “Sai quanti istituti psichiatrici statali e privati ci sono solo in Virginia?”
“Vuoi i numeri separati o la somma?” ribattè il giovane, incurante del fatto che quella era una domanda retorica.
“Perchè, li sapresti?” si informò di nuovo il profiler.
Reid annuì “Entrambi.”
L'uomo scosse la testa, sebbene fosse da tempo abituato alla vastità delle conoscenze del giovane genio anche negli ambiti più inaspettati, e stava ancora facendo roteare gli occhi quando schiacciò il tasto del viva voce sul proprio cellulare, dopo che questi ebbe squillato per due sole volte.
“Che c'è, bambolina?”
La voce di Penelope dall'altro capo del filo era agitata “Ho trovato l'indirizzo della residenza di Charles Danko!”
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
Quando JJ entrò nel salotto della casa del più giovane membro del team di profiler cercò di non dare a vedere quanto fosse sorpresa.
Nel salotto, che ricordava di aver visto sempre ordinato, o comunque vivibile, sembrava fosse passato un piccolo uragano.
Sul tavolino da caffè di legno scuro c'era un computer acceso, una serie di libri lasciati aperti e ammonticchiati l'uno sull'altro e una scacchiera, le cui pedine erano sparse qua e là senza un apparente ordine logico. Le poltrone erano state spostate rispetto al loro ordine originale per fare posto a un tappetino di gomma per lo yoga e la ginnastica e sul divano giaceva una coperta di pile così attorcigliata che era certa che nessuno al mondo sarebbe riuscito a venirne a capo per rimetterla in ordine.
Nonostante ciò, il sorriso di Alaska era caldo e luminoso come sempre mentre la invitava a prendere posto ovunque desiderasse.
“Grazie.- disse, accettando di buon grado la tazza che la ragazza le stava offrendo- Vedo che ti sei tenuta occupata, stamattina...”
Ross si strinse nelle spalle “Un po'. La verità è che non riesco a fare la stessa attività per più di dieci minuti di fila...”
JJ annuì, prendendo un sorso della calda bevanda e, dopo aver poggiato la tazza sull'unico punto libero del tavolino, guardò intensamente la giovane antropologa.
“Come ti senti?” le domandò, e dal tono che aveva usato era chiaro che volesse una risposta completamente sincera.
Alaska parve capirlo al volo “Frustrata. In colpa. Arrabbiata. Spaventata.- elencò, aiutandosi con le dita- E poi frustrata e in colpa di nuovo.”
La bionda si sporse verso di lei e le diede un buffetto affettuoso sul ginocchio “Andrà tutto bene, Alaska. Te lo prometto.”
“E' che io non voglio essere così...- continuò a spiegare la giovane- una vittima, sai?Una sopravvissuta...”
“Alaska...”
“Io non volevo sentirmi così mai più. Mai più.- concluse, con una scrollata di spalle- Da quando mi hanno portato in ospedale, sai, subito dopo che la squadra di Rossi mi aveva ritrovato, tutti hanno iniziato a trattarmi come un'eroina. Mi dicevano: che bambina coraggiosa che sei stata, cose di questo genere, ma non erano cose vere. Insomma, io in quella situazione mi ci sono trovata mio malgrado. Io...io non ho fatto niente di speciale. Sono semplicemente sopravvissuta e questo non dovrebbe essere un merito.”
JJ strinse le labbra, capendo perfettamente come poteva sentirsi. Per il suo lavoro si ritrovava spesso a contatto con le vittime o con i loro familiari ed era abituata a vedere le loro reazioni, eppure vedere Alaska in quel modo rendeva il tutto più complicato.
“Hai ragione.- confermò seria- Non dovrebbe esserlo. Te lo assicuro, Alaska, noi stiamo facendo tutto...”
Si dovette interrompere a causa del trillare insistente del proprio cellulare. Alzò un dito in direzione della sua ospite, facendole segno di aspettare, e poi si allontanò con un breve cenno di scusa.
“Jareau.” rispose, con tono professionale.
Dall'altra parte gli arrivò la voce frizzante di Penelope, che gli spiegava gli ultimi risultati delle sue ricerche. Era riuscita a risalire all'indirizzo di Charles Danko e in quel momento Morgan, Reid e Prentiss stavano dirigendosi alla sua abitazione. Inoltre, la tecnica era piuttosto sicura che anche l'agente Crowford e Gordon stessero andando là.
“JJ, c'è bisogno della tua capacità diplomatica, laggiù: hai presente che cosa potrebbe succedere con due maschi alpha come il mio muffin al cioccolato e quel Crowford?Se ci aggiungi anche il piccolo genietto geloso e la grinta di Prentiss, mescoli per bene e lasci in forno a 180° per venti minuti è probabile ottenere la terza guerra mondiale.” snocciolò Garcia in fretta.
La bionda agente FBI sporse il capo oltre la sagoma della porta in cui si era infilata per rispondere a quella chiamata e osservò la ragazza che si guardava intorno, la mente proiettata in chissà quali pensieri “Garcia, sono qui con Alaska in questo momento.- spiegò JJ- Sta iniziando ad aprirsi sinceramente su quanto sta accadendo e credo davvero che abbia bisogno della presenza di qualcuno vicino a lei in questo momento. É davvero necessario che vada anche io?”
“Dolcezza, sai che per me il benessere di Nocciolina viene prima di tutto, ma Hotch e Rossi non ci sono, quindi credo davvero che dovresti andare.- confermò a malincuore Penelope- In ogni caso, potrei tenere occupata Al facendole una telefonata strategica non appena la lasci sola, telefonata in cui parleremmo di cose completamente senza senso in grado di farla distrarre per un po'. Che dici?”
JJ sospirò, prima di assicurare a Penelope che l'avrebbe richiamata. Quando tornò in salotto Alaska aveva un'espressione interrogativa.
“Problemi?” domandò, sorridendole incoraggiante.
Alla bionda agente FBI si strinse il cuore all'idea di non poter continuare il discorso che stavano affrontando prima della telefonata, perciò cercò di scacciare quel pensiero, scuotendo la testa e rispondendo alla domanda di Ross “Temo di sì. Devo tornare in ufficio.” disse, con un sorriso di scuse stampato sul bel viso.
Alaska le fece un cenno noncurante con la mano “Capisco. Il lavoro è lavoro.”
“Sei sicura che vada bene per te rimanere qua da sola?- incalzò, preoccupata- Forse, potrei restare ancora un po', per continuare il discorso di prima e...”
La giovane antropologa scosse la testa “Non c'è problema, JJ, davvero.- le assicurò- Mi hai portato da mangiare, abbiamo chiacchierato un po', direi che hai rallegrato la mia giornata da reclusa in modo egregio.”
JJ la scrutò attentamente alzando un sopracciglio, mentre l'accompagnava alla porta d'ingresso “Ha detto Penelope che ti chiamerà tra un po', per tenerti compagnia.”
Alaska le rivolse un sorriso radioso “Davvero?Fantastico!-trillò, prima di dargli un abbraccio prima di lasciarla andare- Siete davvero gli amici migliori che mi potessero capitare.”
L'agente ricambiò quella stretta con un sorriso sulle labbra: a quanto pareva era davvero impossibile turbare la serenità di Ross.
In effetti, si ritrovò a pensare mentre scendeva le scale del palazzo dove abitava Reid, il problema più grave in quel momento era appunto il motivo per cui qualcuno volesse con tutte le proprie forze fare del male a una persona tanto innocua.
Angolo fra Virginia Avenue e la 24esima strada. Washington, DC.
Non c'era nessun particolare effettivo che dimostrasse che dietro quella porta si trovasse lo squallido bilocale che aveva affittato ormai da tre mesi Charles Danko. Vicino al campanello non vi era nemmeno una misera etichetta per segnalare che abitasse affettivamente qualcuno al di là di quella porta, e davanti all'uscio il decrepito zerbino lasciato dagli inquilini precedenti sembrava augurate tutt'altro che un benvenuto.
Morgan fece un cenno a Reid e Prentiss. Alle loro spalle, anch'egli con la pistola in pugno, Crowford sembrava non aspettare altro che fare irruzione in quell'appartamento.
Con un calcio ben assestato Derek buttò giù la porta “FBI!” gridò, seguito a ruota dai propri colleghi.
“FBI!” gli fece eco Nate, spalancando la prima porta che si era trovato davanti: il suo interno era inesorabilmente vuoto.
Emily scosse la testa, mentre si guardava intorno. Sembrava che nessuno abitasse lì dentro da molto tempo, ormai. “Direi che Danko non torna a casa da un po'.”
“Già.- concordò Morgan, riponendo l'arma nella fondina- Probabilmente sapeva che saremmo riusciti a risalire al suo nome.”
Voltò la testa più volte, alla ricerca di Spencer, e notò solo allora che non era ancora uscito dalla camera che avrebbe dovuto ispezionare “Hai trovato qualcosa, Reid?”
“Reid?- chiamò di nuovo Derek, entrando nella stanza che il giovane collega stava controllando- Reid hai trovato qualc-...”
Le parole gli morirono in gola non appena posò lo sguardo sulla parete della camera.
Non si poteva riconoscere un solo centimetro dell'intonaco ammuffito che avevano visto nel resto della casa poiché l'intera superficie era stata tappezzata da foto ritraenti il medesimo soggetto. Alaska Ross.
Qua e là si leggevano anche nitidamente scritte fatte a mano, la grafia distorta dalla rabbia, in un rosso acceso. C'erano numerosi insulti, ma la parola più ricorrente, la stessa che in quel momento stava fissando Reid con occhi vacui, era una : muori.
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
JJ se ne era andata solo da pochi minuti quando il campanello dell'appartamento suonò di nuovo.
Alaska corse ad aprire, immaginandosi che potesse essere la donna che magari aveva dimenticato qualcosa, invece si trovò davanti una ragazzina di sì e no nove anni.
“Hey!” la salutò con un sorriso luminoso.
La bambina la scrutò attentamente “Tu ti chiami Alaska Ross?” si informò con un tono che doveva sembrare professionale, ma che non faceva quell'effetto a causa della sua vocina acuta.
“Proprio così.” confermò l'antropologa, incuriosita.
“Un poliziotto mi ha detto che dovevo darti questa busta.” recitò a memoria.
Alaska prese la cartelletta che gli stava porgendo e alzò un sopracciglio “Un poliziotto?”
La ragazzina annuì “Mi ha detto che tu avresti capito. Ha detto che è uno di quelli che ti stanno seguendo in questi giorni.”
Ross annuì: probabilmente doveva essere un messaggio di uno dei membri della sua scorta e l'avevano consegnato a quella bambina per evitare di destare sospetti di qualsiasi tipo.
“Sei stata molto gentile a portarmelo.- sorrise nella direzione della piccola- Posso offrirti qualcosa per ringraziarti?”
La bambina le rivolse un sorriso sgangherato, che mostrava una buffa finestrella al posto degli incisivi superiori “Mi ha detto che mi avresti offerto una fetta di torta!”
Alaska rise, facendole segno di seguirla “Ma certo, tesoro. Sai, ormai sono famosa per la mia torta al cioccolato alla seconda.”
“Alla seconda?” ripetè confusa, mentre Ross le consegnava una porzione abbondante di dolce.
“Già. Raddoppio le quantità di cioccolato consigliate.- rivelò, strizzandole l'occhio- Allora, che ne pensi?”
La ragazzina parlò con ancora la bocca un po' piena “E' buonissima!”
Alaska rise soddisfatta mentre la piccola si avviava di nuovo verso la porta “Ora devo andare. Grazie della torta. Ah, il poliziotto ha detto che devi leggere quello che c'è scritto nella busta al più presto, ha detto che è urgente.”
“Eseguirò immediatamente!” assicurò l'antropologa mentre la salutava con una sventolata di mano.
Angolo fra Virginia Avenue e la 24esima strada. Washington, DC.
“Reid...” si sentì chiamare di nuovo, stavolta dalla voce dolce di JJ. Dal canto suo, nemmeno si era accorto del suo arrivo.
Era rimasto semplicemente fermo, paralizzato dalle immagini affisse sulla parete di quel sudicio appartamento.
Il tocco delicato della mano della donna sul suo braccio non riuscì nell'intento di fargli togliere lo sguardo da quelle foto: come poteva qualcuno, si domandava scioccato, aver preso di mira in quel modo la sua dolce, tenera e sensibile Alaska?
Sentì un telefono squillare e poco dopo la voce Penelope.
“Che c'è Garcia?” le domandò Morgan, era così frustrato dal buco nell'acqua che era risultato essere quell'irruzione che non aveva neppure voglia di usare uno dei suoi vezzeggiativi.
“Ho scoperto una cosa che di certo non vi farà piacere sapere.- buttò fuori tutto d'un fiato- Charles Danko è morto cinque anni fa.”
Gordon spalancò gli occhi “Come è possibile?”
“Non è il vero nome del nostro uomo, probabilmente ha acquistato l'identità in vista del suo piano.” continuò a spiegare Garcia.
“E' probabile.- confermò Crowford con tono grave- Il traffico d'identità, con tanto di numeri di previdenza sociale, si sta espandendo sempre di più...”
La voce di Reid, tuttavia, sembrò essere ancora più cupa di quella dell'uomo “Lui sapeva che lo avremmo trovato. Sapeva che saremmo venuti qui.”
“Come puoi dirlo?” domandò di nuovo Gordon, incerto.
“La denuncia per aggressione è recente, probabilmente l'ha fatto apposta per depistarci, per farci avere un nome, che non corrisponde alla sua vera identità, e continuare a procedere indisturbato con quella.” riepilogò velocemente il giovane profiler.
“Sta giocando con noi?” chiese Nate, la rabbia palpabile nel suo tono di voce.
Emily scosse la testa e si scostò una ciocca di capelli corvini dagli occhi “Non credo. Non corrisponde al profilo tipico del sadico, non è una soddisfazione per lui giocare con le forze dell'ordine. Vuole togliere da sé l'attenzione, sviare le indagini per raggiungere il proprio scopo.”
“Abbiamo comunque l'identikit, giusto?” fece notare Gordon dopo qualche istante di riflessione.
“Giusto.-confermò Morgan- Dobbiamo far partire un nuovo controllo con le registrazioni delle telecamere della zona che ha già analizzato Penelope e cercare di estrapolarne qualcosa.”
JJ annuì “Chiamo Garcia.”
Mentre uscivano dall'appartamento Derek strizzò con una mano l'esile spalla di Reid, cercando di essere incoraggiante “Lo troveremo, ragazzino.”
...
Ci sono sacrifici, a volte, che non ci si aspetterebbe mai di essere in grado di fare. Sono i sacrifici più duri, quelli che devono essere fatti all'improvviso, senza seguire un piano d'azione preciso. Si calcola velocemente l'entità delle potenziali perdite e se ne prende atto, andando incontro a una battaglia che ha scelto noi e non viceversa.
I sacrifici, a volte, sono necessari e vanno affrontati da soli, nonostante la fiducia posta nelle persone care.
Mentre varcava il portone di quell'edificio fatiscente, Alaska continuava a ripetersi che non aveva altra scelta. Sentiva i propri passi scricchiolare sull'asfalto della pavimentazione e, quando si decise ad alzare lo sguardo dalle punte dei propri piedi, riconobbe non molto distante da sé una figura umana.
Il cuore le batteva all'impazzata, tanto che si stupì di essere in grado di sentire le parole che le stava rivolgendo al di là di quel suono martellante che le rimbombava nelle orecchie.
“Eccoti, finalmente.- la salutò l'uomo, con un ghigno obliquo sul volto- Sono contento che tu non mi abbia fatto aspettare troppo.”
So che a questo punto genuflettermi al vostro cospetto non è piùsufficiente ma, vi prego, abbiate pietà di una povera ragazza con il gene dellasfiga dominante e potenziato in laboratorio! La pubblicazione di questocapitolo ha dovuto affrontare delle avversità epiche, che nemmeno Omero inpersona (se fosse vissuto nel Ventunesimo Secolo e fosse stato informato dellarivoluzione tecnologica) avrebbe potuto immaginare. Per prima cosa mi è mortoil modem. RIP. E quindi ho dovuto aspettare qualche giorno per la sostituzione(leggi: perchè quelli del call center capissero che non è vero che sono unacippa lippa con la tecnologia ma che si rendessero conto che c'eraeffettivamente un problema). Nel frattempo, come se quello non fosse già statoun ostacolo sufficiente, il pc è andato in crash mentre scrivevo. Il file wordsu cui lavoravo (e su cui c'erano tutte le storie di Alaska, compreso ilseguito di questa; l'altra storia che avevo iniziato a pubblicare e che ora stomodificando e un'altra che penso di pubblicare a breve o quando avrò finitoquesta) è diventato irrecuperabile. Giuro che mi è venuta una crisi istericadato che erano più di 300 pagine!In ogni caso, non so se per mezzo di qualedivinità, ma sono riuscita a recuperare tutto, in una forma orribile, senzapunteggiatura nè dialoghi o formattazione, ma comunque ho recuperato illavoro...Perciò, membri della giuria, spero che possiate perdonarmi e che nonmi condanniate ad una terribile pena che in fondo non merito!Spero di aversuscitato la vostra compassione, perciò, prima di continuare, proporrei diriporre qualsiasi fucile a canne mozze, bisturi chirurgico, motosega, asciabipenne, o a qualsiasi altra arma abbiate sfoderato e tornare ad essere leaffabili personcine di sempre. FFFFFFFFFatto?Bene!:) A questo punto...TA-DAN!Il nuovo capitolo, finalmente!!Che ne pensate?Hodovuto riscrivere totalmente delle parti che ho perso durante il crash del pc,ma spero che non sia così pessimo come credo (sono in un periodo di pessimismocronico...) e scusatemi per gli errori di battitura che prbabilmente ci sarannoqua e là...A parte questo: che ne pensate?Ormai siamo in dirittura d'arrivo, cisaranno ancora 3 o 4 capitoli alla fine della storia e dopo, via con labonus-story!:) Dunque, mi sono stati segnalati problemi con l'immagine di Nate, perciòne ho cercata un'altra, spero che questa volta riusciate ad aprirla NathanielCrowford in ogni caso, se dovessi aver di nuovo fallito miseramente nel mioobiettivo, ho trovato il nome dell'attore: Wentworth Miller (NB cercare sueimmagini con la faccia incazzosa se no non vale!) AH, ho cambiato editor html perciò se c'è qualcosa di strano nellaformattazione della storia date la colpa ad Amaya (quello nuovo) e NVU (che hadeciso di non collaborare più con me). Bacionissimi, e fatemi sapere che nepensate del tanto atteso (spero) nuovo capitolo!JoJo :) lillina913 : Hey, sono davvero contenta che hai trovatocomunque il tempo di recensire!Mi fa davvero piacere!:) Spencer e Alaska sonouna coppia fenomenale, coi loro caratteri così diametralmente opposti sonocerta che potrebbero risolvere tutto, ed io, ovviamente, da autrice malvagiaquale sono, li faccio passare attraverso un milione di disgrazie prima difargli ritrovare la meritata serenità!Spero che l'evoluzione della storia, coni suoi personaggi, continui a piacerti!Ah, ti ho aggiunto a MSN, però ho avutoseri problemi con pc e internet quindi non sono potuta entrare molto...di certotroveremo occasione per parlare un pò!Bacioni Maggie_Lullaby : Oddio, ora ti ho sulla coscienza: hocreato un addicted!XD Mi sa che sei andata in crisi di astinenza con tutto iltempo che ti ho fatto aspettare!Povera!In ogni caso...wow, devo dire che ora misento decisamente onorata sia per la pubblicità che per la recensionepositiva!!!Wow!(ora vado in panico perchè ho l'ansia da prestazione con i nuovicapitoli!urgh!) Mi segnerò la tua richiesta per Babbo Natale, metterò una buonaparola per farti avere un Reid funzionante ed efficiente sotto ogni aspetto,altrimenti andrò a rapirti l'originale...ho sempre sognato di diventare unSI!Sto sclerando, ora smetto di scrivere se no sfaso e...sì, quel qualcuno seiproprio tu!!Maledetta, è diventata un'ossessione!(spero che l'immagine stavoltasi apra!)Besitos, dear, alla prossima! Unsub : Hey!Sono contenta che ti piace questo contrasto dicaratteri, anche a me piaceva l'idea e credo davvero che un tipo come Reidavrebbe davvero bisogno di una persona spensierata e anche un pò svampita comeAlaska, giusto per fargli un pò schiodare i piedi da terra ogni tanto!PoveroNate, nessuno lo ama!:( e Alaska...beh, è Alaska, quindi è praticamenteimpossibile che si possa accorgere dell'eventuale cotta che lui ha per lei edel fatto che questo possa disturbare Spencer...E' fatta così!:D Al prossimocapitolo!(Spero di postare velocemente davvero, questa volta!) Antu_ : Hola!So che il tuo non era un commento a questocapitolo, ma sto seguendo l'ordine cronologico dei commenti, così...Al solito,thanks per i complimenti, sei davvero gentile e mi fa piacere leggere i tuoicommenti...Nate...beh, ho notato che ha suscitato la tua stessa reazione anchein altre persone, poveretto, un incompreso: non è che vuole essere cattivo èche...uhm...ok, un pò cattivo lo è. Capita!eheheh (quel soprannome...uhm, stopensando di metterlo in bocca ad Alaska, credo che sia nelle sue corde chiamareReid in quel modo!XD Ho il tuo permesso di utilizzarlo?Giuro che uso ilcopyright!!pleaseeeeeeeee, mi è venuta in mente una scena or ora!) In ognicaso: sono sempre felice di leggere i tuoi commenti, al prossimocapitolo!Baciotti TrueLife: Come puoi notare dall'immenso ritardo con cui hopostato, gli impegni stanno sommergendo anche me in questo periodo, quinditranquilla!:) Mi fa molto piacere che continui a leggere la mia storia,comunque, e che abbia superato l'esame di puntigliosità. (Ti capisco, anche iosono una che quando vede un errore, anche sul giornale, tira fuori unapignoleria inimmaginabile) Adesso mi hai messo un pò d'ansia, però,
ricontrollerò i capitoli diecimila volte per non farmi sfuggire nemmeno un
errore di battitura!eheheh!Spero di aver creato un link decente per l'immagine
di Nate stavolta, e sono contenta che ti piaccia la scelta che ho fatto per
Alaska. Una fan di Hotch, eh?Anche io lo adoro ma dato che quando ero piccola
guardavo Dharma&Greg ogni volta che seguo Criminal Minds guardo Hotch, ma
veo Greg: un disastro!eheheh!Grazie mille per i complimenti, al prossimo
capitolo (o a quando avrai tempo di commentare) Kisses
Giunone : Lo so, lo so, lo so. Mi metterò nell'angolo, in
ginocchio sui ceci, indossando il cilicio e fustigandomi da sola come punizione
per i miei ritardi cronici, ma davvero non riesco fare altrimenti. Scusa, abbi
pietà!;) In ogni caso, grazie mille per i complimenti, sono contenta che le mie
idee per la storia ti piacciono, mi fa molto piacere sapere di essere
ricreativa :) Al prossimo capitolo, dear, baci baci!
PS.C'è qualcosa di sbagliato in questo capitolo, non so...l'ho provato a editare con una miriade di editor html diversi e nessuno è come il mio nvu che non funziona più, sigh e sob!Qualcuno conosce un buon editor html visuale, facile da usare e che sia collaborativo e non dotato di una propria personalità malvagia?Fatemelo sapere, vi prego, in qualsiasi modo! Detto questo, vi saluto (davvero stavolta)E scusate se nei commenti ci sono parole appiccicate, colpa dell'editor malvagio e ora non ho tempo per metterle a posto:scusate scusate scusate!...Bye Bye by JoJo-depressa e bistrattata dalla tecnologia
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Capitolo 8 *** Last chance ***
Gli uomini sono più disposti a ripagare un torto che un favore, perché la gratitudine è pesante mentre la vendetta è un piacere.
- Tacito
Obici Psychiatric Care Center. Suffolk, Virgina.
Alla signora Johnson piaceva lavorare in quel centro, anche se non erano molte le infermiere che potevano dire lo stesso. Aveva lavorato in ospedale fino a una decina di anni prima, al reparto maternità e poi a quello di oncologia. Alla signora Johnson piacevano le sfide, perciò quando le avevano proposto di lavorare in quel centro di igiene mentale e che grazie allo stipendio annuale lei e suo marito sarebbero finalmente riusciti a mandare al college tutti e tre i loro figli non aveva dovuto pensarci due volte prima di accettare. I matti non le facevano paura. Non tutti, perlomeno. Sapeva che alcuni dei pazienti ricoverati avevano un passato burrascoso e che, probabilmente, erano riusciti a fare del male ad altri, oltre che a se stessi, prima che gli venisse diagnosticata una malattia mentale. Era per questo, quindi, che non si era stupita più di tanto quando dalla reception le avevano annunciato che c'erano due agenti dell'FBI.
Li riconobbe immediatamente, e non solo perchè la hall era vuota. L'uomo dall'aria troppo seria e quello con il pizzetto non sarebbero potuti sembrare più formali nemmeno si fossero tatuati in fronte “agenti federali”.
“Gli agenti Hotchner e Rossi, immagino.” disse a mo' di saluto quando fu abbastanza vicina.
Hotch allungò una mano verso la corpulenta donna di colore, subito dopo imitato da David.
La signora Johnson si presentò e fece loro cenno di seguirla, avviandosi veloce in uno di quegli asettici corridoi in cui il ticchettio ripetuto dei suoi zoccoli bianchi risuonava al ritmo dei suoi passi.
“Vi accompagno alla stanza di Gabriel.- spiegò spicciola- Abbiamo posticipato la sua terapia di gruppo di un'ora per lasciarvi un po' di tempo per parlare.”
“Non dovrebbe essere una cosa troppo lunga.” le assicurò Aaron scambiandosi uno sguardo con il collega che lo affiancava.
Si fermarono di fronte a una stanza numerata, fuori dalla quale li aspettava già un inserviente mastodontico con una casacca blu, probabilmente colui che sarebbe dovuto intervenire qualora nel caso i fattori di stress a cui veniva sottoposto il paziente avessero reso necessario l'uso di un calmante.
“Gabriel è molto migliorato negli ultimi mesi- spiegò la signora Johnson gesticolando pur tenendo le braccia attaccate al busto- meno chiuso in se stesso e più consapevole delle proprie azioni e delle conseguenze di esse. So che fate parte dell'Unità di Analisi Comportamentale, quindi presumo di non dovervi ricordare di procedere con una certa calma con lui.”
“Non si preoccupi, sappiamo trattare con soggetti del genere.” disse Rossi.
La donna annuì “Era la risposta che mi aspettavo. Potete chiamare il signor Mead, che aspetterà qua fuori, in caso di problemi. Se vi serve altro non esitate a chiamarmi.”
Hotch le allungò un foglio che aveva estratto prontamente dalla cartelletta che reggeva fra le mani “In effetti volevamo chiederle se ha mai visto quest'uomo. È per caso venuto qualche volta a trovare il signor Sanchez?” domandò.
La donna aggrottò le sopracciglia folte ma ben depilate “Sì, l'ho già visto.”
Si prese ancora qualche secondo per riflettere prima di continuare a parlare “Chuck Zann. Era questo il suo nome.”
“Che cosa sa dirci su di lui?” incalzò David.
“Ha iniziato a frequentare il centro due anni fa, ma ormai sono parecchi mesi che non si presenta alle sedute.” rispose la donna con una scrollata di spalle.
Hotch annuì “E' mai entrato in contatto con Gabriel Sanchez?”
“Sì, partecipavano alla stessa terapia di gruppo.” confermò la signora Johnson annuendo piano.
“Possiamo vedere le sue cartelle cliniche?” continuò quindi l'agente federale.
“Certo, ve le prendo subito.- disse la donna, prima di spiegare ciò che si ricordava di quel paziente- Chuck è un ragazzo estremamente intelligente, i test dicevano che il suo QI si aggira attorno ai 130 punti. Aveva dei forti disturbi ossessivi e persecutori quando è arrivato da noi, ma il dottor Langdon lo ha sottoposto ad un'ottima terapia. Quando si è abituato ai farmaci che gli venivano sottoposti è diventato completamente autonomo e in grado di essere reinserito nella società, tuttavia è sempre stato perfettamente innocuo.”
Rossi si ritrovò a far roteare gli occhi: se gli psichiatri che consideravano i propri pazienti perfettamente innocui avessero imparato a riflettere di più prima di concedere loro totale libertà d'azione forse ci sarebbero stati meno omicidi.
La donna bussò alla porta e fece brevemente capolino nella stanza “Gabriel, ci sono le persone che ti avevo detto sarebbero passate a parlarti.” annunciò, prima di far cenno ai due uomini di entrare.
“Signor Sanchez siamo gli agenti Hotchner e Rossi dell'FBI.” si presentò Aaron per entrambi.
Gabriel Sanchez stava per compiere trentacinque anni, ma ne dimostrava molti meno. Era gracile, per molti aspetti, con un viso ossuto e gli occhi castani infossati ed indossava un maglione a costine marrone che gli ricadeva abbondantemente sui jeans consumati.
“FBI?” domandò, e se anche la sua espressione facciale diceva che era piuttosto stupito, la sua voce era piatta, quasi atona.
David spostò l'unica sedia della stanza per posizionarla davanti al letto dove si trovava Sanchez “Siamo qui per parlarti di Jason Foller” spiegò.
Un guizzò di vitalità sembrò saettare negli occhi del giovane “Jason è morto anni fa.”
Aveva pronunciato quel nome con una tale reverenza che bastò per confermare la loro teoria: Gabriel Sanchez aveva trovato in Foller un sostituto della figura paterna e aveva fatto tutto ciò che gli veniva detto senza porsi domande pur di ottenere il suo apprezzamento che riteneva inconsciamente un surrogato di quello del padre che l'aveva abbandonato da piccolo.
“Vogliamo sapere quello che ricordi di Alaska Ross.” rivelò quindi Hotch.
“Alaska Ross?- ripetè Sanchez confuso- E chi sarebbe questa Alaska Ross?”
“Alaska Ross è la bambina che tu e Foller avete rapito e torturato e che è rimasta intrappolata in quella gabbia senza acqua né cibo per due giorni prima che la trovassimo!” sbottò Rossi in un ringhio. Hotch gli posò una mano sulla spalla, come per contenere quell'eccesso d'ira.
“A me non importava niente di quella ragazzina.- continuò a parlare il giovane- Io lo facevo per Jason. Era fiero di me.”
“Lei è Alaska Ross.- disse David allungandogli una foto dell'antropologa- Te la ricordi, ora?”
“Alaska Ross.- ripetè Gabriel, facendosi scivolare il nome fra le labbra come se fosse stupito che quella ragazzina potesse avere un nome- Jason la chiamava Jill.”
“Come sua sorella.” aggiunse Aaron, ricordando l'ossessione che l'uomo provava per la sorellina minore prematuramente scomparsa.
Sanchez strinse convulsamente le dita intorno alla foto “Io ho cercato di aiutarla.- spiegò, storcendo le labbra come se fosse disgustato- E lei stava imparando ad essere brava, non come le altre. E poi? L'avete preso e per colpa sua si è ucciso!Non voleva vedere sprecati i progressi che aveva fatto!”
Il suo tono era accusatorio “E' colpa sua se si è ucciso!” ripetè, accartocciando l'immagine che stringeva fra le mani.
Rossi ricacciò indietro tutte le accuse che voleva snocciolargli in faccia sull'uomo e gli strappò di mano la fotografia, per fargli vedere lo stesso identikit che avevano fatto vedere all'infermiera.
“Conosci quest'uomo?”
Sanchez lo guardò per pochi secondi prima di rispondere “E' Chuck.”
“Hai raccontato a Chuck del rapimento?” incalzò Hotch.
Il giovane annuì distrattamente, voltando la testa verso le finestre di vetro rinforzato “Sì. Chuck era l'unico che sembrava credermi. Gli piaceva ascoltarmi.”
I due agenti si scambiarono un'occhiata “Gli hai raccontato anche i particolari?” domandò David.
Gabriel si strinse nelle spalle “Mi piace raccontare a chi sa ascoltare.”
Si voltò di nuovo verso di loro “Ha detto che avrebbe vendicato Jason.”
Sede centrale dell'FBI, Hoover Building. Washington, DC.
Avevano un nome. Chuck Zann.
Garcia aveva fatto partire una ricerca su di lui, ma non avevano trovato niente di utile.
Di terribilmente inquietante, quello sì. Da quello che avevano scoperto Zann aveva disturbi ossessivi e inoltre non prendeva le medicine che gli erano prescritte da tempo.
“Ancora niente?” domandò Emily voltandosi verso Spencer che aveva chiuso con uno scatto il cellulare per poi sospirare rassegnato. Aveva sentito l'urgenza di chiamare Alaska non appena aveva ricevuto le ultime notizie ma la ragazza non aveva risposto al cellulare, e al telefono di casa era scattata la segreteria che con un messaggio preregistrato l'aveva invitato a richiamare.
“No.-rispose, alzando lo sguardo dal cellulare- Forse dovrei chiedere a qualcuno della pattuglia di scorta di salire da lei a controllare.”
“Sono stati giorni stressanti questi, per Alaska.- gli fece notare JJ, memore delle parole che si erano scambiate prima quel giorno- Magari si è addormentata e non ha sentito il telefono.”
“Già.- acconsentì quindi Reid- Probabilmente è così.”
Il giovane profiler si appoggiò stancamente alla scrivania di Crowford, mentre ripensava a quanto era stato scoperto nelle ultime ore. Garcia era riuscita a scoprire una traccia dei movimenti di Zann che da quando aveva finito la terapia aveva girato praticamente metà Stati Uniti. Aveva rintracciato dei movimenti nel nord della California e da lì alla zona desertica del Nevada, dove poteva aver ritrovato il cadavere che aveva usato come trappola per Ross, il passo era breve. Aveva smesso di usare la carta di credito non appena arrivato a Washington, segno che non era uno sprovveduto e che sapeva che sarebbero stati in grado di individuarlo attraverso l'analisi dei pagamenti, ma il furto di un teschio al National Museum of the American Indian, risalente a qualche giorno prima dell'irruzione nell'appartamento di Alaska lo collocava in città, così come la testimonianza di Goofy.
Quando ritornò a prestare attenzione a ciò che stava accadendo intorno a sé, Crowford stava borbottando qualcosa, infastidito.
“Insomma, siete voi gli strizzacervelli criminali!- sbottò, additando Prentiss, Morgan e Reid- Non potete estrapolare il suo schema d'azione e cercare di capire quale sarà la sua prossima mossa?”
Morgan fece roteare gli occhi, mentre Emily si prendeva la briga di rispondergli “In effetti non è così semplice come potrebbe sembrare.- disse- Zann ha dimostrato di essere dotato di una mente complessa e di una gerarchia cognitiva elaborata.”
“Scusate, una cosa?” domandò il burbero agente, alzando un sopracciglio.
“Gerarchia cognitiva.- ripetè Reid prima di spiegare a cosa si stesse riferendo la donna- Nella prima fase l'SI opta per un'azione banale ma comunque difficilmente attribuibile. Nella seconda usa qualcosa di plateale e riconducibile a lui. Nella terza potrebbe optare per una qualsiasi delle due.”
“In pratica mi state dicendo che a questo punto non sappiamo ne dove si trovi Zann ne come potrebbe agire?” riepilogò Nate, con una sorta di accusa nella voce. Tuttavia, non continuò oltre il proprio discorso, dato che il suo cellulare iniziò a squillare insistentemente.
“Credevo che Rossi ed Hotch ottenessero di più con l'incontro con Sanchez.- mormorò JJ, passandosi una mano fra i capelli- Il collegamento fra il vecchio caso e questo sembrava fin troppo ovvio.”
“Ma certo!” Spencer spalancò improvvisamente gli occhi, mentre un'idea lo colpì come un fulmine a ciel sereno.
Gli altri tre membri del BAU si voltarono verso di lui, incuriositi dal suo tono.
“Lo scheletro avvelenato è stato trovato impiccato, giusto?- domandò retoricamente il giovane genio, agitando le mani- Può...Può darsi che Zann abbia rielaborato la fantasia di Sanchez su Foller.”
Morgan colse al volo a cosa il collega potesse riferirsi “Crede che sia suo padre?”
“E quindi che Alaska sia la causa del suo suicidio.” aggiunse immediatamente Emily.
“E' plausibile.- confermò Reid alzando i palmi- Zann ha finito di prendere i suoi farmaci e ciò ha riportato a galla le sue ossessioni ed ha passato così tanto tempo con Sanchez che ha assimilato tutto quello che gli è stato detto: sta rivivendo in prima persona tutto il suo risentimento, solo che ha trovato un modo per dargli sfogo.”
“Cazzo!” imprecò Crowford, chiudendo il cellulare con uno scatto secco e stringendolo fra le mani talmente forte da essere sul punto di frantumarlo.
Si voltarono tutti verso di lui di scatto, sorpresi da quella reazione inaspettata.
“Che c'è?” gli domandò JJ.
Nate puntò sul gruppetto lo sguardo, che aveva abbandonato la solita espressione insofferente per sostituirla con una preoccupata.
“Ho mandato Gordon a controllare Ross.- spiegò con voce cupa- Non è più in casa.”
Potomac Avenue. Washington, DC.
Aveva paura, una paura ingovernabile. Sentiva le gambe tremarle distintamente, quasi come se non fossero affatto appoggiate a una superficie stabile e sapeva di non essere più in grado di muoversi. Probabilmente era per via degli occhi dell'uomo che si era trovata davanti.
L'uomo che la stava seguendo da settimane, mesi probabilmente, aveva due occhi grandi e neri che caratterizzavano un viso altrimenti anonimo, ma non era questo che la spaventava, piuttosto la luce folle che vi era nascosta. Folle, nell'accezione più negativa del termine. E, inoltre, quei tic incontrollati che gli facevano contrarre le labbra in modo asimmetrico e scattare le mani e le spalle riuscivano a farla sobbalzare sul posto ogni volta, in preda ad una paura quasi infantile.
Zann mosse una mano, rivelando ciò che stava impugnando “Forza, muoviti!” ordinò in un ringhio, indicando con la canna della pistola quello che un tempo doveva essere l'ufficio di quel vecchio deposito industriale.
Incredibilmente, Alaska scoprì di riuscire ancora a muoversi.
Il capannone in cui si trovavano era abbandonato ormai da anni. Era rimasto poco di quello che un tempo vi era contenuto e le pareti metalliche erano decorate con numerosi graffiti malfatti, i più riportanti slogan politici o qualche volgarità.
Inciampò più volte nei propri passi, ogni volta che l'uomo alle sue spalle le assestava una pacca al centro della schiena per costringerla a muoversi più in fretta e, dopo un tempo che le sembrò infinito, entrarono in quella stanza.
Zann la obbligò a inoltrarsi ancora di più in quell'ufficio abbandonato con una forte spinta e poi rimase a fissarla con quello che sembrava odio puro per diversi istanti.
Alaska si scoprì totalmente inerme. Non riusciva a parlare. Non riusciva a muoversi.
A malapena spiegava a se stessa per quale assurdo motivo fosse ancora in grado di respirare.
“Adesso scrivi.” disse di nuovo l'uomo, spingendola a sedere su una sedia addossata ad un tavolo che aveva vissuto di certo tempi migliori, uno dei pochi elementi d'arredo dell'intero stabile.
Ross lo fissò impaurita mentre le allungava quella che sembrava carta “Che cosa?” fu l'unica cosa che gli uscì dalle labbra, la voce strozzata e debole.
“Il tuo addio alla persona cui tieni di più al mondo.”
Alaska spalancò gli occhi, improvvisamente terrorizzata. Non aveva mai considerato fino a quel momento le reali ripercussioni di quello che stava facendo quando si era sottratta alla sorveglianza della propria scorta. Sapeva che assecondare quell'uomo non avrebbe portato a niente di buono, ma aveva dovuto farlo e di certo non se ne pentiva. Eppure, quando Zann aveva pronunciato la parola “addio”, si era conto che quella poteva davvero essere la fine.
Prese un grosso respiro e chiuse gli occhi per un attimo, cercando di riacquistare una calma che sapeva già di non riuscire a ritrovare, e infine allungò una mano tremante verso la penna dall'inchiostro blu e il semplice foglio strappato da un quaderno a righe larghe.
Ignorò gli occhi folli che ispezionavano ogni suo piccolo gesto e cominciò a scrivere.
Stabile in cui si trova l'appartamento di Spencer Reid. Washington, DC.
Non c'era una sola parola per poter descrivere come si sentissero mortificati i due agenti di scorta, tuttavia non gli si poteva dare completamente la colpa per quanto era successo. Alaska aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e, nonostante non fosse una persona particolarmente macchiavellica, riusciva a elaborare soluzioni a problemi complessi, soprattutto quando veniva messa alle strette ed era in una situazione di pericolo.
“L'unica persona che è uscita da quel palazzo è stata la signora Shawn, del quinto piano, ma non c'è stato niente di inusuale.” assicurò di nuovo un agente a Crowford, cercando di non balbettare troppo.
“Ogni giorno esce a fare jogging, quindi non c'è stata nessuna interruzione delle abitudini del palazzo.” continuò a spiegare il collega, sotto lo sguardo al vetriolo del massiccio agente FBI.
“Oh, certo!- sbottò, facendo roteare gli occhi, mentre si dirigeva verso la propria auto- Quindi Ross si è semplicemente volatilizzata?”
l'uomo deglutì rumorosamente “Ecco, veramente...”
“Sta zitto almeno, ok?- ringhiò di nuovo Nate, prima di salire in auto- Sta. Zitto.”
Partì sgommando, lasciando di stucco i due membri della pattuglia.
Dall'altra parte della strada, nell'atrio del palazzo, Reid camminava avanti e indietro agitato come non mai.
“Come è potuto succedere?” domandò per l'ennesima volta.
JJ gli rivolse un'occhiata costernata: poteva solo immaginare il panico che poteva provare in quel momento. Gli appoggiò una mano sul braccio, cercando di calmarlo un po' “Non ne ho idea, Spence. Ma dall'appartamento non ci sono segni di lotta e nemmeno tracce di sangue. In qualsiasi posto si trovi ora Alaska possiamo solo sperare che stia bene.”
Spencer si morse nervoso il labbro inferiore “Non voglio sperare.- ribattè sommessamente- Io voglio sapere che sta bene.”
Nello stesso edificio, al quinto piano, Emily si rimise il cellulare in tasca dopo aver scambiato un'accesa conversazione con Hotch.
“Stanno arrivando.” disse semplicemente a Morgan, che aveva già messo mano al campanello.
La signora Shawn era sottile e minuta, con una cascata di capelli corvini ad incorniciarle il viso.
“Sì?” domandò incerta, alzando un sopracciglio, mentre fissava interrogativa i due sconosciuti che le avevano bussato alla porta.
“Salve signora, siamo gli agenti Morgan e Prentiss- spiegò Derek mostrando il proprio documento- Stiamo indagando sulla scomparsa di una ragazza.”
Emily le allungò la foto di Ross e la donna impiegò pochi secondi per riconoscerla.
“Sì, certo che mi ricordo di lei.- disse- Mi ha raccontato che c'è stata un'invasione di termiti a casa sua e che ha dovuto trasferirsi momentaneamente all'appartamento del suo fidanzato. Mi ha chiesto se potevo prestarle una tuta dato che doveva andare a fare il bucato e non aveva vestiti puliti da mettersi. È stata molto cortese, ma si vedeva che era piuttosto agitata. In fondo, credo sia normale, le disinfestazioni sono molto stressanti...”
“Quanto tempo fa è successo?” domandò Prentiss, concentrata.
La signora Shawn si strinse nelle spalle “Un'ora fa, forse di più...Non ricordo con esattezza.”
Morgan annuì “Per caso oggi è uscita per fare jogging?”
La donna parve confusa da quella domanda “Non ne ho ancora avuto il tempo...Che cosa c'entra con la vostra indagine?”
I due non persero tempo per fornirle una spiegazione, si congedarono in fretta e corsero velocemente lungo al tromba delle scale.
“Come sarebbe a dire che si è allontanata volontariamente?” chiese JJ. Reid era troppo scioccato da quelle ultime notizie per poter anche solo pensare di articolare una frase.
“Non ho idea del motivo per cui possa aver fatto una cosa del genere- continuò a dire Derek scuotendo la testa- ma è l'unica spiegazione possibile. La signora Shawn ha detto di averle prestato una tuta da jogging.”
“E lei ed Alaska hanno più o meno la stessa corporatura e i capelli lunghi e neri. Vestite nello stesso modo e con un cappellino o un paio di occhiali da sole sarebbe stato difficile per chiunque distinguerle.” concluse Emily al suo posto.
Spencer scosse la testa. Per quale assurdo motivo Alaska avrebbe dovuto sottrarsi alla propria scorta? Certo, non era una bella situazione, ma non gli aveva dato nessun motivo di pensare che avesse potuto orchestrare una cosa del genere. Per andare dove, poi?
Le domande si susseguivano rapide all'interno della sua testa e sentiva che di lì a poco gli sarebbe venuta l'emicrania, eppure non riusciva a fare a meno di pensare.
Si riscosse quando sentì Penelope parlare in viva voce dal cellulare di Derek “Ho fatto un controllo su tutte le telecamere di sorveglianza della zona.- spiegò- Alaska si è allontanata per un paio di isolati e alla fine è salita su un taxi della Yourway Taxicab. Sto cercando di entrare in contatto con l'autista per cercare di capire dove è scesa ma si sta rivelando una cosa più lunga del previsto e quel tipo di auto non è provvista di gps quindi non posso far nulla per il momento.”
La voce di Garcia era densa di preoccupazione mentre continuava a parlare “Da una delle registrazioni si vede Alaska buttare una cartelletta per documenti in un cestino della spazzatura. Ho già mandato qualcuno a controllare.”
“Una cartella portadocumenti?” ripetè Prentiss, alzando un sopracciglio.
I profiler si scambiarono un'occhiata “Forse era un messaggio dell'SI. Una minaccia o una negoziazione. Può essere che gli abbia fatto credere di poter arrivare a qualcuno a cui tiene se non riuscisse ad avere la sua vendetta con lei.” ipotizzò Morgan.
JJ sgranò gli occhi chiari “Quindi potrebbe essere da lui adesso?”
“Dobbiamo trovare i posti più probabili in cui potrebbe trovarsi Zann e mandare degli agenti!” disse Emily, esprimendo il pensiero di tutti.
Evitò di dire che, agire alla cieca in quel modo, poteva portare a innumerevoli buchi nell'acqua cosa che avrebbe aumentato le possibilità di fallire dal loro intento.
A quelle parole Reid iniziò a parlare velocemente, in preda all'agitazione più totale “Deve trovare un posto dove possa agire indisturbato per tutto il tempo che ritiene possa servirgli. Magari vicino a qualcosa di particolarmente rumoroso, per coprire eventuali...uhm...eventuali...E probabilmente un posto abbandonato o incustodito, dove possa entrare e uscire a suo piacimento senza aver bisogno di dover fornire chiarimenti o dover rivelare la propria identità e...”
Stava rievocando nella propria mente ogni singolo fattore legato a quel caso. Visualizzò la mappa della città e la posizione di ciascuno degli elementi incriminati. Il parco dove Alaska è stata fotografata più volte. L'appartamento che Zann ha usato per depistarli. Il museo di storia indio-americana in cui ha rubato il teschio. L'appartamento di Alaska. Lo Smithsonian. Il laboratorio di scienze forensi dell'FBI.
Spalancò gli occhi, all'improvviso attraversato da un'intuizione “Garcia come hai detto che si chiama il taxi che ha preso Alaska?”
“Yourway Taxicab” rispose velocemente la rossa.
Reid spalancò la bocca, prima di rendere partecipi gli altri membri del team del perchè del suo atteggiamento “Ho capito dove si trova.”
Potomac Avenue. Washington, DC.
La zona portuale di Washington era immensa. Comprendeva le sponde del fiume Potomac e il suo delta con cui si congiungeva con l'oceano. Alaska era scesa dal taxi al deposito della Yourway Taxicab vicino a National Park quindi con ogni probabilità lei, e l'SI ovviamente, si dovevano trovare in quella zona. A parte l'eliporto e un centro per il riciclo, quell'area era piena di capannoni industriali destinati agli usi più svariati. Molti erano abbandonati, altri incustoditi. Se l'intuizione di Reid si fosse rivelata esatta, ci sarebbe voluto un bel po' di tempo, forse troppo perfino per una squadra intera di agenti, per trovare Ross.
Ma Nathaniel Crowford credeva fermamente nel detto “chi fa da sé, fa per tre” e aveva una determinazione tale da credere di riuscire a ritrovare la propria partner da solo, inoltre doveva esserci una motivazione superiore per spiegare il fatto che era stato il primo a giungere sul posto e non era solo perchè si trovava in zona a causa del fatto che si era messo in testa di girare tutta DC pur di trovare la sua partner.
Strinse ancora di più le dita intorno ai bordi di quel cappotto sdrucito e sbattè con violenza il suo proprietario contro la parete di mattoni, curandosi di usare tutta la propria forza.
“Allora, Mr.Eleganza, hai notato niente di anomalo in questa zona?- ripetè per l'ennesima volta quella domanda, questa volta ad un barbone alcolizzato, a giudicare dall'odore di alcool che emanava- Una ragazza per bene per esempio?”
“Ahi!- si lamentò l'uomo, prima di di riuscire ad articolare una frase di senso compiuto- Io...Ne passano un sacco di ragazze di qua!Quelle per bene non sono poi così per bene e ci sono uomini a cui piacciono quelle acqua e sapone e quindi...”
Nate lo spinse di nuovo, con più forza “Andiamo, amico, secondo me ti ricordi qualcosa, vero?Hai per caso visto una ragazza mora, alta circa uno e settanta, in tenuta sportiva?”
Il senza tetto strinse le palpebre “Io...io non ricordo!!”
“Io dico che ti conviene se vuoi che la tua faccia rimanga com'è ora.” ringhiò l'agente, riservandogli una delle sue occhiate peggiori
“Non puoi farlo.- biascicò l'uomo- Sei uno sbirro!”
“E qui non ci sono testimoni. Crederanno a un ubriacone o a un agente federale nonché sopravvissuto ad un attacco terroristico in Afghanistan?” disse prima di caricare un pugno.
“No!Io...forse, forse ho capito di chi parli!- si affrettò a dire per fermarlo, mentre incassava la testa fra le spalle- Ho visto qualcuno entrare nel capannone 613. Mi sembrava strano perchè quel posto è abbandonato.”
“Una ragazza?” incalzò Crowford.
Il barbone annuì con convinzione “Sì!Con cappellino con visiera e occhiali!”
“Bene.” ribattè semplicemente l'agente, prima di lasciarlo andare come se niente fosse accaduto. Si Mentre alle sue spalle l'uomo si accasciava a terra sospirando sollevato, Crowford impugnò il cellulare.
“Agente Crowford?” domandò la voce incerta di Garcia, dall'altra parte del filo, che non si aspettava affatto una chiamata da lui.
“Sì. So dove si trova Alaska. Potomac Avenue, capannone 613.- spiegò labidario- Riferisci ai tuoi che intendo agire immediatamente, non credo ci sia il tempo di aspettare i rinforzi.”
La ragazza era nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata prima di uscire per compiere un'ultima piccola missione prima di impartirle la lezione che riteneva si meritasse. Come quando se ne era andato, Alaska si stava rigirando fra le dita la placchetta di metallo che penzolava dalla catenina che portava al collo.
“Smettila.- sibilò- Smettila immediatamente.”
La vide sobbalzare vistosamente al suono della sua voce.
Ecco un'altra cosa che faceva paura ad Alaska. La sua voce. Zann parlava a scatti, interrompendo frasi e parole al di là del loro significato. Aggiungendo questo al fatto che era armato, psichicamente instabile e che ce l'aveva a morte con lei, la ragazza si ritrovò a pensare che era di certo la persona più terrificante che avesse mai incontrato. Deglutì a vuoto e strinse ancora di più le dita intorno alla targhetta militare di Nate.
“Sai, ti ho osservato molto, in questi mesi, ma non ti ho mai visto spaventata come lo sei adesso.-spiegò l'uomo, stringendo gli occhi mentre la fissava- Credevo che fossi una di quelle persone fuori di testa che si credono invincibili.”
“Credo...- il primo tentativo di rispondere fallì miseramente, così Alaska si schiarì la voce prima di riprovare- Credo sia normale provare paura quando si sta per morire. Perchè sto per morire, vero?”
“Direi che è il minimo, dopo quello che mi hai fatto passare.” rispose Zann, come se ciò che stava per fare fosse la risposta più logica.
“Io non ti ho fatto niente.” ribattè immediatamente Ross con voce acuta.
“E' tutta colpa tua.- disse l'uomo, nonostante una nota di incertezza fosse udibile nel suo tono- È tutta colpa tua!”
“Io...io non ti ho fatto niente.- ripetè in un singhiozzo la giovane antropologa- Io non ti conosco.”
Zann sembrò riacquistare la propria sicurezza “Sì, invece!- ringhiò-Tu hai ucciso mio padre!E' tutta colpa tua!”
“Non ho mai ucciso nessuno.- gli assicurò di nuovo Alaska, in un ultimo tentativo disperato, mentre lo vedeva maneggiare una spessa corda- Non ho mai conosciuto tuo padre!”
Il sentire questa frase sembrò far infuriare ancora di più Zann, che la fissò con odio mentre faceva passare la corda su due travi del soffitto, creando una leva, e infine le si avvicinò e, tenendola ferma con una stretta forte e dolorosa, le avvolse il cappio intorno al collo sottile.
“Ti prego...” lo supplicò per l'ennesima volta, cercando di divincolarsi in qualsiasi modo.
Zann ignorò le sue parole “Avrai lo stesso trattamento che ha subito lui. Te lo meriti.” disse, prima di tirare con forza la corda spessa, sollevando la ragazza con facilità. Fece un nodo intorno a un tubo poco distante e si mise ad aspettare: era intenzionato a non perdersi un solo attimo della sua morte.
Alaska sentì salirle agli occhi delle lacrime di dolore quando il collo le lanciò delle fitte lancinanti per il trattamento ricevuto. Portò le mani alla fune, cercando di allentarla in ogni modo e iniziò a scalciare violentemente: i polmoni già le bruciavano infinitamente per via della mancanza d'aria. Sentì la testa diventare leggera come un palloncino e per poco nemmeno si accorse dell'urlo che seguì al crollo della porta.
“FBI!” gridò Crowford, buttando giù la porta dell'ufficio dismesso con un calcio ben assestato.
La prima cosa che notò erano le gambe di Ross che penzolavano a pochi passi di distanza da lui. Alzò lo sguardo e vide che i suoi occhi erano vacui e socchiusi e dai leggeri scatti che la ragazza faceva con gli arti inferiori sembrava ancora semi-cosciente- viva!- perciò Zann doveva averla impiccata da poco.
Le sue cellule cerebrali iniziarono a lavorare ad un ritmo frenetico, spinte dall'adrenalina “Alaska!” urlò di nuovo Corwford, facendo voltare l'uomo che ancora stava sorridendo soddisfatto della propria opera.
Forse fu anche per via di quel sorriso che, senza pensarci due volte, l'agente FBI fece partire un colpo in direzione dell'uomo che cadde immediatamente a terra. Non si curò di vedere dove e come l'aveva colpito. Corse verso Alaska e le afferrò le gambe, sollevandola. Allungò un braccio verso l'alto e riuscì ad allentare il nodo che le stringeva la corda intorno al collo, dopodiché le fece scivolare in fretta il cappio sopra la testa.
La distese a terra con delicatezza, come se stesse maneggiando un oggetto di un vetro pregiato.
“Respira piano, Al, piano!” le consigliò con fare concitato, mentre la sentiva tossire violentemente, i suoi polmoni non ancora riabituati allo scorrere dell'ossigeno.
Alaska, confusa e intontita, provava a fare quanto le era stato detto mentre cercava di mettere a fuoco il volto di Nate, preoccupato come non l'aveva mai visto. Il petto le bruciava terribilmente e nonostante sentisse l'estremo bisogno di respirare, quasi per compensare la mancanza d'aria degli ultimi momenti, quell'operazione di solito così semplice le causava un forte dolore.
“Nate...” gracchiò, la voce arrochita, mentre fissava gli occhi grigi dell'uomo, ancora incapace di capire chiaramente quanto era successo.
Nel sentire la sua voce Crowford si rilassò “Stai bene, Ross.” esalò, come semplice constatazione.
Lei stava bene, si sarebbe ripresa, stava bene, non le sarebbe più capitato niente di male, stava bene.
Sembrava un finale perfetto, ma qualcosa ancora non quadrava.
Agli occhi di Alaska tutto accadde troppo velocemente.
“No, no!!- fu il grido che arrivò dalle loro spalle- Hai rovinato tutto, tutto!”
Lei e Crowford si voltarono simultaneamente e la giovane antropologa riuscì a vedere solo con la coda dell'occhio, dalla propria posizione sfavorevole, Zann che perdeva sangue da una gamba, ma che nella mano stringeva ancora saldamente la propria arma.
Subito dopo lo sparò le rimbombò nelle orecchie e la lasciò di stucco.
Crowford, invece, afferrò con prontezza la seconda pistola che portava alla caviglia e la puntò contro l'uomo colpendolo alla gola.
Alaska non avrebbe poi saputo dire quando era stato il momento in cui aveva capito che qualcosa non andava. Forse era stato quando Nate aveva fatto cadere la propria arma. Oppure quando si era alzata di scatto, vincendo i dolori che ancora sentiva trapassarle il petto e il collo. O, ancora, quando aveva visto il suo partner accasciarsi al suolo, invertendo così i ruoli di pochi attimi prima.
Se qualche istante prima avrebbe giurato che il tempo avesse iniziato a scorrere al doppio della velocità, nel momento in cui aveva notato il foro d'entrata sull'addome di Nate e quella macchia vermiglia allargarsi troppo velocemente doveva essersi congelato.
“O santo cielo, Nate!” si ritrovò a dire, mentre si chinava su di lui e premeva le mani sulla ferita pulsante.
“L'avevo detto che non avrei permesso a nessuno di farti del male.” borbottò Crowford, cercando di focalizzare il volto dell'antropologa, che invece era fisso sul suo busto nel tentativo di capire quali danni avesse provocato lo sparo.
“Resta con me, Nate.- disse Alsaka con voce accorata, alzando lo sguardo dalle ferite con cui premeva convulsamente le mani- Resta con me!”
Lui fece una smorfia sofferente prima di rispondere con un filo di voce “N-non sono in grado...di alzarmi. Dove credi che potrei andare?”
Ross abbozzò a un sorriso, mentre faceva perno sulle proprie ginocchia per sollevare leggermente l'uomo. Non vi erano fori d'uscita ma, una volta che ebbe scostato la maglietta, notò un ematoma sulla parte bassa della schiena. Ricacciò indietro il panico che sentiva crescere dentro di sé, e si sfilò velocemente la felpa con cui tentò di tamponare l'emorragia.
Il respiro di Nate si stava facendo più affannoso mentre gli estraeva dalla tasca il cellulare e componeva con dita tremanti e insanguinate il numero del pronto intervento.
“Ho bisogno di un'ambulanza a Potomac Avenue, nel capannone numero 613. C'è...C'è un agente federale a terra, ferita da arma da fuoco all'addome.- spiegò velocemente al centralinista dall'altra parte del filo- Non c'è foro d'uscita. Sto tamponando la ferita ma credo che la pallottola abbia colpito la milza, forse anche un rene...Fate presto, vi prego!”
Quando chiuse la telefonata sentì la mano di Crowford spostarsi sul suo polso, cercando di stringerlo debolmente “Alaska” riuscì ad sillabare a fatica.
“Andrà tutto bene, Nate, i soccorsi stanno arrivando.- gli assicurò, fissandolo intensamente- Mi hai sentito, Nate?Andrà tutto bene, te la caverai, te lo prometto.”
Crowford, però, non rispose. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sul suono della voce ancora un po' roca di Alaska. Gli sembrava rassicurante e piena di speranza, nonostante tutto. Ma lui si sentiva troppo stanco anche solo per pensare di rispondere...
Il SUV frenò, fermandosi proprio davanti ad un'ambulanza, le cui luci lampeggianti rosse illuminavano quella strada laterale poco frequentata. Avevano cercato di fare il più in fretta possibile per arrivare nel luogo trovato da Crowford, e avevano attraversato la città a velocità folle e sirene spiegate ma quel furgoncino bianco e rosso comunicava implicitamente che avevano fatto troppo tardi.
Reid si fiondò fuori dall'auto ancora prima che questa fosse completamente ferma e bloccò due portantini che uscivano in quel momento dall'edificio con una barella. Il corpo che portavano era coperto completamente da un telo bianco. Un cadavere, quindi.
Il cuore gli si fermò nel petto mentre scostava il lenzuolo e riprese a battere al doppio della velocità normale quando riconobbe il volto di Chuck Zann.
“Ci sono ancora un uomo e una ragazza nell'edificio.” spiegò uno dei due uomini.
Spencer annuì e corse all'interno dello stabile. Gli sembrava di essere in uno di quegli incubi in cui, nonostante corresse all'impazzata, la distanza che lo separava dalla propria meta non diminuiva mai.
Entrò nell'ufficio dismesso e la barella con Crowford gli sfrecciò accanto, mentre i paramedici si urlavano a vicenda ordini e aggiornamenti sulle condizioni dell'uomo.
Tuttavia, non una sola di quelle parole lo raggiunse. Il suo sguardo era fisso su Alaska, che se ne stava immobile in chiaro stato di shock, gli occhi talmente sgranati sul viso pallido di terrore da sembrare ancora più grandi del solito. Il sangue di Crowford le sporcava le mani e le braccia fino all'altezza dei gomiti ma non c'era segno apparente che fosse ferita fisicamente.
Come attratto da una calamita, lo sguardo di Alaska si mosse piano verso di lui e in quel momento lei sembrò tornare in sé. L'espressione del suo viso si sciolse, le lacrime iniziarono a sgorgare copiose dai suoi occhi e sembrò che il peso di tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni la stesse travolgendo, quasi come se gli argini che tenevano sotto controllo tutte quelle emozioni fossero crollati in quell'istante.
Reid non seppe dire in che modo se la ritrovò fra le braccia, aggrappata con una forza incredibile alle cinghie del suo giubbotto antiproiettile. Sapeva solo che era lì, stretta convulsamente a lui, e che piangeva a dirotto, come non le aveva mai visto fare. E tutto quello che fu in grado di fare per consolarla era stringerla ancora di più, facendole passare una mano sulla nuca in una carezza rassicurante, mentre le continuava a sussurrare all'orecchio, come un mantra “Va tutto bene, Al. Ci sono io ora. Va tutto bene. Ti ho presa.”
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[Inserire qui scuse patetiche e poco convincenti dell'autrice per spiegare l'incredibile ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo della storia.]
Ultimamente sono imperdonabile, lo so. Ma anche molto impegnata e, a mia discolpa, posso solo aggiungere che questo capitolo è abbastanza lungo da farmi perdonare (spero?) e da giustificare un maggiore tempo di stesura (forse...). In ogni caso devo dire che è stato un po' strano da scrivere...Insomma, nel finale volevo esprimere un accavallamento di eventi che si susseguono molto velocemente e non sono certa di essere riuscita ad esprimere completamente quanto volevo (colpa imputabile solo a me stessa, dato che mentre scrivevo ascoltavo Elvis che non è decisamente adeguato alla situazione, eheheh). Spero di non aver buttato alle ortiche il capitolo clou, semi-conclusivo della storia, però.
Uhm...Che altro dire?Ah, già: gente, siamo a -2 capitoli alla fine di “Do not follow me” ma non sperate di liberarvi di me così facilmente perchè ho già in cantiere un'altra storia (commedia!) che avrà come protagonisti sempre Alaska e Spencer e si intitolerà “Just for a week, right?”.
Un'altra cosina prima di salutarvi che se continuo a ciarlare perdo la bussola,eheheh....Dunque, volevo ringraziare le dolci fanciulle che mi hanno contattato fuori dalle mura di EFP: Antu_ , lillina913 e Viola è stato un vero piacere fare quattro chiacchiere con voi! :)
Ah, avrete notato che la formattazione della storia è un pò diversa dai capitoli precedenti. Il motivo è che NVU ha tirato davvero le cuoia e non ho ancora trovato un editor html degno di questo nome perciò ne sto usando uno on line. Spero che questo non causi troppi problemi di lettura o altro, fatemi sapere se avete qualche consiglio... Orbene, vi saluto, promettendo di essere più celere nella pubblicazione degli ultimi due capitoli (croce sul cuore!). Fatemi sapere che pensate del capitolo, bacioni JoJo
Luna Viola : Heylà!A Lourdes mi hanno ricacciato indietro a pedate!eheheh!Comunque, dopo averti tenuto sulle spine per un bel po' ecco finalmente il capitolo in cui l'SI ha quel che si merita!Poco Spencer/Alaska quindi, ma mancano ancora due capitoli, quindi...Un bacione
Antu_ : Permesso di usare la frase sui sacrifici accordato!:) Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!Alla fine ti ho tenuto sulle spine un po' di più rispetto a quello che ti avevo detto,eheheh la solita ritardataria cybernetica! Visto, a disprezzare Nate che gli succede poi, povero cucciolo?Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e prometto di aggiornare al più presto (anche perchè ormai mi fai da sveglia anche su faccialibro, eheheh!) Kisses
Maggie_Lullaby : Ok, prima cosa: ti devo assumere come agente?Perchè mi fai una pubblicità pazzesca!eheheh, davvero, grazie mille, son proprio contenta che la storia ti piaccia così tanto da consigliarla in giro!Quindi ti giuro, non ti voglio morta, sono semplicemente sadica di natura, probabilmente con una piccola vena di sociopatia, eheheh!Spero che questo capitolo non ti lasci di nuovo in sospeso, anche se giuro di aggiornare più velocemente. Dunque, rispondendo alla domanda sulla nuova storia: di questa ci saranno ancora due capitoli e poi ne pubblicherò un'altra su Alaska/Reid e dopo di quella credo che pubblicherò ancora qualcosa su Criminal Minds con protagonista Derek Morgan, però!Ah, son contenta che la scelta che ho fatto per il volto di Nate ti piaccia (ora vado alla ricerca di un volto adatto agli altri personaggi, dato che mi hai fatto venire questa fissa...)Al prossimo capitolo, besos
TrueLife : Lo ben so, sono un disastro negli aggiornamenti, ma sono contenta che mi capisci lo stesso!Ma...ma dai!!Voi siete folli, povero il papi di Alaska!Gliene ho già combinate troppo a quella ragazza, almeno il padre glielo lascio sano e senza alcuna forma evidente di psicopatia!eheheh!Spero che ti piaccia anche questo capitolo, anche se ammetto che è stato un po' più complicato degli altri da scrivere per via del fatto che è, in certo senso, quello risolutivo...Ci ho faticato parecchio fra una cosa e l'altra e spero ne sia valsa la pena. Promettendo di aggiornare più in fretta, ti saluto!:) Baci
Dreamer_girl : Hey!Wow, davvero, son proprio contenta che ti sia piaciuta la storia (sto pensando di prendere Maggie come manager vista la pubblicità che mi fa!eheheh) tanto da leggerle tutte e tre di fila!Mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione, sono felice che ti piaccia tanto Alaska e il mio stile di scrittura. Ormai la foto di Nate ha vinto la battaglia, quindi rinuncio direttamente a pubblicarla, in ogni caso ti lascio il nome dell'attore se vuoi andare a dargli un'occhiata “Wentworth Miller”. Spero che continuerai a seguire la storia. Un bacione |
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Capitolo 9 *** Wake up! ***
Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo.
Non è ancora giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria.
I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti finchè la masnada dei furfanti dominerà.
- Maximilien de Robespierre
Reparto di terapia intensiva, George Washington University Hospital. Washington, DC.
Le dita bianche di Alaska si muovevano leggere fra i corti capelli di Crowford. Doveva esserci qualcosa di ipnotico nel ritmo calmo che seguiva, perchè Reid non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Sentiva la sua voce sottile sussurrare qualcosa piano vicino al volto dell'amico: ce la stava mettendo tutta per mettere nei propri discorsi la propria solita vitalità.
“Ti ricordi che cos'è successo dopo, Nate? Tu hai cercato di cacciarmi via dalla scena del crimine e mi hai caricato in spalla come un sacco di patate!- Alaska rise, mentre le sue dita continuavano ad accarezzare la testa dell'agente- Fortuna che Gordon ha ritrovato il mio tesserino altrimenti credo proprio che mi avresti fatto arrestare per intralcio alle indagini...”
Da quando era entrata in quell'ospedale, la vita intorno alla sua ragazza aveva iniziato a scorrere senza essere percepita completamente. Era, per lei, come il fastidioso ronzio di un'ape che continua a sbattere inesorabilmente contro il vetro chiuso di una finestra: un rumore di sottofondo, che cercava di ignorare con tutte le sue forze. Reid non l'aveva persa di vista un solo attimo. L'aveva trattenuta quando un medico del pronto soccorso cercava di visitarla, mentre lei continuava a ripetere febbrilmente che doveva andare a vedere come stava Crowford. Più tardi, le aveva stretto la mano fredda mentre, fuori dalla sala operatoria, aspettavano che il chirurgo uscisse a dar loro notizie. Infine, l'aveva accolta fra le proprie braccia per lunghissimi minuti dopo che il medico le aveva riferito che gli avevano dovuto asportare la milza e un rene e che, dato che aveva perso tanto – troppo- sangue, avevano dovuto metterlo in coma farmacologico. Erano passati ormai cinque giorni da quando Crowford era stato trasferito in una stanza singola del quinto piano, al reparto di terapia intensiva, e da allora Alaska non si era mai allontanata dal suo capezzale, continuando a chiacchierare con lui come se davvero potesse sentirla.
Dall'uscio aperto sul corridoio silenzioso, Spencer la osservava accigliato.
Era certo al cento per cento che quel comportamento non fosse salutare per Alaska, eppure non aveva il cuore di dirle di tornare a casa e prendersi un attimo di pausa, come invece lui aveva dovuto fare. Il resto del team gli era stato molto vicino, prendendo il suo posto ogniqualvolta Reid sentisse il bisogno di lasciare l'ospedale, e di conseguenza Ross, giusto per il tempo di tornare a casa per una doccia e cambiarsi d'abito. Quel pomeriggio si era offerto Rossi.
L'uomo gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla per rivelargli la sua presenza. Era andato a prendersi un caffè proprio nel momento in cui Spencer aveva fatto il suo ingresso nel reparto.
“Non so quanto potrà andare avanti così.” mormorò Dave, puntando i propri occhi scuri su Alaska che in quel momento stava sprimacciando il cuscino di Crowford mentre lanciava un'occhiata attenta ai valori trasmessi dal monitor cui il suo partner era collegato.
Reid annuì concorde “Lo so, Al non è una roccia, non dovrebbe fare così...”
Il ragazzo sospirò pesantemente mentre osservava il volto impassibile e per una volta rilassato dell'agente FBI che aveva salvato Alaska. Crowford non era rimasto con le mani in mano, si era gettato nella mischia, aveva agito anche se sapeva che non aspettare i rinforzi sarebbe potuto essere rischioso.
“Dovrei essere io, su quel letto.” disse a mezza voce.
David fece roteare gli occhi platealmente, anche se sapeva che il senso di colpa che provava il giovane profiler prima o poi sarebbe uscito in superficie “Reid...”
“Dico sul serio.- sbottò Reid voltandosi verso di lui- Non ti fa pensare che sia stato il suo collega a rischiare il tutto per tutto per salvarla e non io, il suo ragazzo, che dico di amarla più di ogni altra cosa?”
“Sei stato tu a scoprire la possibile posizione di Zann.- gli ricordò- E' grazie a te se Crowford è stato in grado di agire in tempo.”
Spencer strinse i pugni lungo i fianchi “Ciò significa che se fosse dipeso da me ora Alaska sarebbe...”
Le parole gli morirono in gola e rabbrividì al solo pensiero. Scosse la testa, come se in quel modo potesse scacciarlo via anche fisicamente, e si infilò una mano nella tasca interna del cappotto che ancora indossava nonostante all'interno dell'ospedale facesse piuttosto caldo.
“Mi è arrivata questa lettera oggi.” mormorò lapidario mentre consegnava a Rossi quella che aveva tutta l'aria di essere una busta da corrispondenza.
“Che cos'è?”
Reid non rispose ma il collega più anziano notò che le mani gli tremavano prima che le nascondesse incrociando le braccia. La mente del giovane genio vorticava ancora a causa del turbinio di emozioni che quel semplice foglio, e le parole che vi erano scritte, gli aveva portato.
“E' la lettera d'addio di Alaska. Zann ha ricreato completamente lo scenario della morte di Foller: prima di suicidarsi aveva spedito una lettera a Sanchez.”
David sbattè le palpebre confuso quando ritornò a guardarlo, dopo aver letto sommariamente qualche riga scritta a mano “Che cosa dovrei farci?”
“Non lo so.- ribattè Reid scrollando le spalle esili e facendo una smorfia- Buttala, leggila, fai quello che vuoi. Io non voglio vederla mai più.”
Sospirò, rassegnato. Ormai ciascuna delle parole scritte su quel foglio di carta spiegazzato, inclusa la punteggiatura incerta, erano marchiati a fuoco nella sua mente e non se ne sarebbero mai andati.
Rossi gli posò una mano sulla spalla “Capisco quello che stai provando.”
“Non credo.” lo contraddisse immediatamente Reid, con convinzione.
L'uomo fece un vago cenno col capo, mentre si metteva una mano in tasca per recuperare il proprio portafoglio dal quale sfilò un foglio accuratamente piegato. Si poteva dire che era piuttosto vecchio perchè la carta era ormai diventata morbida e il bianco non era più così brillante.
Quando glielo consegnò, Spencer lo aprì lentamente. Era un foglio in formato A4, un comunissimo foglio da fax piegato a metà, la cui pagina di copertina era decorata da un disegno molto colorato fatto da un bambino. Era un paesaggio, un campo di fiori sorvolato da farfalle gigantesche dai colori sgargianti che volavano in un cielo attraversato da nuvole bianche e un sole abbagliante e sorridente. Nella pagina interna in stampatello c'era scritto Grazie per avermi trovata. Il cuore gli sobbalzò quando lesse la firma. Alaska.
“Ci sono state un mucchio di cose che sono andate per il verso sbagliato in quel caso a Denver, ma tutte le volte che ci ripenso le metto da parte e leggo questo biglietto, perchè è questo quello che conta davvero. L'ho trovata.- spiegò Rossi con voce calma e sicura- Ed è questo quello a cui devi pensare, Reid: l'hai trovata. L'hai salvata.”
“Crowford l'ha fatto.” puntualizzò, scuotendo piano la testa.
“Può essere stato lui a farlo concretamente ma sei stato tu a intuire dove Zann poteva essersi rifugiato. Continuare a pensare a quanto sarebbe potuto succedere non ti sarà d'aiuto, anzi. Farà male a te, ad Alaska e alla vostra relazione.”
Reid si mordicchiò il labbro inferiore mentre pensava a quanto gli era appena stato detto e Dave approfittò di quel silenzio per continuare a parlare.
“So che sei un genio e tendi a razionalizzare tutto, ma ci sono delle situazioni in cui non puoi farlo e questa è una di quelle. Sei anche un essere umano, ricordatelo.”
L'uomo gli rivolse un sorriso incoraggiante e, dopo aver chiamato Alaska per salutarla se ne andò, sperando che il giovane avesse capito il significato delle sue parole.
Non era propriamente uscita dalla stanza, quando si era alzata per salutare Rossi con un caldo abbraccio. In effetti, erano giorni ormai che non ne varcava l'uscio, se non per lo stretto necessario che comunque la faceva assentare per non più di cinque minuti di fila, tuttavia aveva perlomeno abbandonato il capezzale di Crowford e Reid ne approfittò immediatamente.
Quando Alaska fece l'atto di sciogliere l'abbraccio che aveva seguito il dolce bacio di saluto che si erano scambiati, il ragazzo mantenne la stretta intorno al suo braccio sottile, trattenendola.
Ross lo guardò interrogativa “Che c'è, Spencer?”
Lui sospirò e si schiarì la gola “Al, dobbiamo parlare.”
La giovane antropologa spalancò gli occhi stupita “Oh. Ok.”
“Sono cinque giorni che non esci da questa stanza e...” cominciò a parlare, incerto, per poi interrompersi immediatamente.
Non era sicuro al cento per cento che la ragazza lo stesse davvero ascoltando. Ad ogni venti secondi girava la testa di lato per lanciare uno sguardo a Nate da sopra la spalla. Deglutì a vuoto un paio di volte mentre osservava il livido scuro che le circondava il collo come un'orrenda collana viola.
Le era stato diagnosticato un trauma cervicale, dovuto al colpo ricevuto quando è stata sollevata dalla corda, e tecnicamente avrebbe dovuto indossare il collarino, ma se lo toglieva spesso, perchè la sensazione di quel corpo estraneo intorno al proprio collo la rendeva inquieta, ricordandole l'effetto che le aveva fatto quella fune ruvida.
“Alaska?” la richiamò, attirando di nuovo su di sé la sua attenzione.
Ross si voltò verso di lui di scatto, cosa che le provocò una fitta di dolore “Sì?” domandò, cercando di nascondere una piccola smorfia.
Spencer le prese le mani e gliele strinse “Al, sono cinque giorni che non esci di qui. So che tu vuoi stare accanto a Crowford perchè è un tuo buon amico, ma fare così non lo aiuterà.- buttò fuori tutto d'un fiato- Anzi, credo che continuare così non faccia bene nemmeno a te.”
Alaska aggrottò le sopracciglia e gli lanciò uno sguardo interrogativo.
“Vieni a casa con me, Alaska.- le propose quindi Reid- I medici hanno detto che non si sveglierà ancora per un po', puoi tornare a casa, cambiarti, farti una doccia, mangiare qualcosa e poi torneremo qui. Non si accorgerà che non sei con lui.”
“Me ne accorgerò io, però.” mormorò la ragazza, mordendosi l'interno della guancia.
“Alaska, ti prego.- la supplicò Spencer cercando di farla ragionare- Sei esausta e quello che hai passato in questi giorni...”
Alaska lo interruppe con voce debole ma disperata “Lo so, Spencer, lo so. Ma lui è Nate, ed è in quello stato per colpa mia!”
“Non è colpa tua.” ribattè immediatamente, spalancando gli occhi per lo stupore.
“Sì, invece.- ribadì cocciuta- Devo stare con lui finchè non si sveglia, e dirgli che mi dispiace per essere stata così stupida...”
“Alaska...”
“...E se lui mi perdonerà, o mi dirà che non vuole più avere a che fare con me, insomma, quando mi avrà parlato, tornerò a casa.- continuò abbassando lo sguardo, la voce rotta- E se ti va potrai anche assistere a un'imbarazzante crisi emotiva, dato che sento che appena mi lascerò un po' andare esploderò...”
Reid l'abbracciò di slancio, stringendola forte a sé “D'accordo, Al.” soffiò, prima di darle un bacio sui capelli e cullarla pigramente fra le proprie braccia.
La prima cosa che Nate percepì furono i suoni, anche i più sommessi. C'era un bip ripetuto e basso, che seguiva lo stesso ritmo del suo cuore e poi un respiro pesante, come se qualcuno stesse dormendo non troppo lontano da lui. La seconda cosa che sentì fu un piacevole calore che gli scaldava la mano destra. Era avvolta da dita sottili e immediatamente volle sapere a chi appartenessero. Prese un grosso respiro, scoprendo immediatamente che ogni singola parte del proprio corpo era dolorante e cercò di sollevare le palpebre. Il primo tentativo andò a vuoto, ma non si arrese minimamente. Si prese qualche attimo per concentrarsi meglio e, alla fine, aprì gli occhi.
Il profilo che riconobbe accanto a sé gli era estremamente familiare, perciò non impiegò molto a riconoscere Alaska. Aveva lo sguardo basso, fisso sulla mano che stava accarezzando piano e con dolcezza e l'aria di non aver chiuso occhio da giorni.
Crowford schiuse la labbra per parlare e scoprì in quell'istante che la propria gola era estremamente secca e che desiderava con tutto il cuore un po' d'acqua. Tuttavia cercò di schiarirsi la voce e di cominciare a parlare per attirare finalmente su di sé quegli occhi chiari che aveva sognato così spesso durante il suo sonno forzato.
“Tu...tu parli troppo.- disse con voce roca- Mi hai stordito con le tue chiacchiere!”
Alaska alzò la testa di scatto, per poi voltarsi in fretta verso di lui “Hey.” lo salutò, mentre un sorriso le si allargava sul volto.
Nate strinse leggermente gli occhi mentre la scrutava “Sei un disastro.”
“Lo so.” rise Alaska, passandosi una mano fra i capelli arruffati.
“Saresti potuta tornare a casa, per renderti presentabile almeno.- riuscì a dire, prima di bere un sorso dell'acqua che la ragazza le stava porgendo come se avesse intuito immediatamente le sue necessità- Sono il tuo salvatore, avrei dovuto vedere qualcosa di estremamente bello appena ho aperto gli occhi.”
Ross gli rivolse un sorriso luminoso: era felice che fosse in grado di parlare e scherzare come sempre “Beh, non hai ancora conosciuto la tua infermiera. È davvero carina e simpatica, se non fai il burbero come al solito potresti rimediare un appuntamento.”
“Era il mio piano iniziale quando mi sono beccato una pallottola, in effetti.- stette al gioco l'uomo, pur fallendo nel tentativo di far roteare gli occhi platealmente- Sapevo che quelle più carine si trovano al reparto rianimazione.”
Al sentire quella frase l'espressione sul volto di Alaska cambiò repentinamente, diventando dispiaciuta e triste. Per quanto Crowford scherzasse senza problemi non poteva non pensare di essere lei stessa la causa principale della sua condizione.
“Mi dispiace, Nate.” sussurrò, la voce più sottile del solito.
“Perchè?- cercò di scherzare l'uomo- Sei anche riuscita a trovarmi una papabile fidanzata.”
Ross puntò su di lui i suoi grandi occhi lucidi “Nate, davvero: mi dispiace.”
Sul volto di Crowford comparve un sorriso appena accennato, ma comunque dolce “Lo so, Al.”
“Sei stato così stupido!Perchè non hai aspettato i rinforzi?Avresti potuto...avresti potuto...” la voce gli morì in gola. Non riusciva neanche a considerare come ipotesi la morte del proprio partner.
“Il passato è passato, me lo dici sempre tu.- sbottò Nate con tono di rimprovero- Perchè non la smetti di pensarci e ti prendi un po' cura di me?Sono un povero moribondo.”
Alaska non potè fare a meno di scoppiare in una risata cristallina al sentirlo dire una cosa del genere “Il magnifico Nate Crowford che si definisce un povero moribondo?Chiamo l'infermiera e le chiedo di metterti in lista per una tac, perchè evidentemente devi aver riportato anche un danno cerebrale per dire una cosa del genere. Magari ne potremmo approfittare anche per farvi conoscere: sareste una bella coppia.”
Crowford fece roteare gli occhi “Oh, sì, non vedo l'ora. Magari potremmo fare un'uscita a quattro col tuo bello.”
“Sarebbe carino.” confermò l'antropologa, non cogliendo l'ironia nella frase dell'amico.
Nate fece una smorfia mentre lanciava uno sguardo fulmineo al dottor Reid, appisolato sul divanetto della stanza.
“Siete rimasti qui per tutto il tempo?” si informò.
“Io sì, gli altri si danno il cambio per farmi da baby-sitter.- spiegò Alaska scrollando le spalle- Si aspettano il crollo emotivo.”
L'uomo le rivolse un ghigno “Hai intenzione di darglielo?”
“Forse quando starai meglio. Voglio che sia tu la star, ora: non voglio toglierti le luci della ribalta.”
Nate provò a stringere leggermente le dita, che già erano avvolte dolcemente dalle mani dell'antropologa, ma la sua stretta risultò incerta e debole.
“Io ti amo, lo sai, vero?” disse, fissando i propri occhi grigi e seri in quelli di Alaska.
Lei sostenne il suo sguardo per un po', accennando un sorriso, ma poi voltò leggermente la testa, per guardare il volto rilassato di Reid, che dormiva tranquillamente sul divanetto addossato alla parete.
“Lo so, Nate.” sospirò, tornando a guardare il proprio interlocutore.
Crowford sapeva già di non essere ricambiato, ma lì, su quel letto di ospedale, con la consapevolezza che Ross era rimasta lì per lui tutto il tempo, non aveva potuto fare a meno di dirglielo.
“Non avrei mai creduto che sarei stato battuto da un dottorino con insufficienza toracica...” borbottò, scuotendo leggermente la testa.
“Lui è davvero una persona straordinaria e io lo amo.” ribattè Alaska, con un tono tanto tranquillo e sicuro che sembrava stesse semplicemente rivelando una verità indiscutibile.
“Già, l'avevo capito.- sbuffò Nate, prima di fissarla gravemente- È per lui che ti sei comportata come un'idiota, giusto?”
Ross spalancò le labbra, confusa “C-come?E tu come...”
“Senti, Al, so che non sono un fottuto profiler che riesce a capire come fa tic-toc la mente degli assassini più malati e, sinceramente, credo che la cosa sia meglio per me.- spiegò Crowford- Ma ti conosco e mi sono fatto un'idea di come sei: tu ami le persone che ti stanno intorno e so che faresti qualsiasi cosa per loro.”
“Sono così trasparente?” sospirò la ragazza, abbozzando a un sorriso colpevole.
“Decisamente. Quindi, anche quello psicopatico deve averlo capito: ti avrà fatto credere che poteva arrivare alla tua famiglia in Kansas o in Alaska e tu gli hai creduto...”
Alaska si mordicchiò il labbro inferiore, sentendosi un'ingenua irrecuperabile “Io...”
“Ma tu non sei stupida, anche se passi la maggior parte del tuo tempo con la testa fra le nuvole.- continuò a parlare l'uomo, facendo il punto della situazione- Sapevi che quelli del Bau potevano rintracciarlo prima che andasse da loro, quindi, probabilmente, a preoccuparti era qualcuno che stava qui.”
“Nate, mi dispiace io...- si scusò la ragazza, affondando il viso fra le mani, esausta- Non è che non mi fidassi di voi, lo sai, solo che...”
“Solo che il dottor Reid non aveva una scorta e di certo non è il primo della classe quando si parla di difesa personale, giusto?”
Alaska abbassò lo sguardo e annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore. Ripensare a quanto era successo quelli che in realtà erano solo pochi giorni prima, ma che nella sua mente sembravano anni, le faceva ancora girare la testa.
Quando aveva aperto la busta si era ritrovata in mano delle foto che la avevano fatto perdere percezione della realtà per qualche secondo. Erano identiche a quelle che aveva ricevuto qualche tempo prima, solo che i soggetti erano diversi. Alcune ritraevano i suoi fratelli minori durante le loro lezioni di calcio e baseball, altre sua madre mentre dipingeva nel parco, oppure suo padre mentre spaccava legna in giardino, altre ancora sua sorella adolescente mentre faceva shopping con le amiche. Se si era sentita gelare il sangue nelle vene quando aveva visto quelle immagini, non appena le sue dita avevano sfiorato le foto che ritraevano Spencer circondato dal mirino di un fucile di precisione aveva perso qualsiasi cognizione riguardo ciò che la circondava.
Il Kansas era lontano, aveva pensato, e l'Alaska ancora di più, ma Reid si trovava a DC esattamente come Zann. Non ci aveva messo nemmeno un secondo per decidere che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare che quell'uomo si avvicinasse a lui.
La voce di Crowford la strappò dai propri pensieri “Allora, quali danni ho riportato?”
“Ti hanno dovuto asportare la milza e il rene sinistro dato che entrambi sono stati compromessi dallo sparo.” spiegò Alaska.
“Mi sentivo più leggero, in effetti.” ghignò l'uomo, cercando di alleggerire quella conversazione.
La giovane antropologa scosse la testa “Senti, mi dispiace tantissimo, è tutta colpa mia.”
Nate fece roteare gli occhi e poi le rivolse un'occhiata severa “Ross, non costringermi a cacciarti fuori di qui.”
“Scusa.- ripetè la ragazza, con tono più leggero e un sorriso sulle labbra- Almeno sono riuscita a donarti il sangue...”
“Fammi indovinare, sei uno zero negativo, donatrice universale?” domandò Crowford, pensando che sarebbe decisamente stato nella sua natura.
Alaska scosse la testa con foga, mentre iniziava a parlare velocemente “No: abbiamo lo stesso gruppo sanguigno!B negativo! Certo, non avrei mai voluto scoprirlo in questo modo, ma non trovi che sia fantastico? Ho anche fatto fare dei test e, apparentemente, saremmo compatibili come donatori, quindi ho deciso: quando avrai bisogno di un organo che ti posso donare te lo darò, come segno di gratitudine per avermi salvata, ok?”
Nate aggrottò la fronte, stordito da quel fiume di parole e dal loro significato “Io...credo che tu abbia davvero bisogno urgente di farti una dormita, Ross.”
La ragazza sembrò ignorare apertamente il suo commento, mentre continuava a ciarlare “Oh!Sai che cosa dovrei fare adesso?Andare a dire all'infermiera che ti sei svegliato e andare a chiamare i tuoi genitori!”
“I...i miei genitori?” balbettò Crowford scioccato.
“Certo!- confermò Alaska con un sorriso radioso- Sono delle persone adorabili, tua mamma è così simpatica e tuo papà dolcissimo.”
L'uomo la scrutò interrogativo “Sei sicura di parlare dei miei genitori?”
Ross gli diede un buffetto sul braccio “Certo, di Phyllis e Frank.”
“Ti permettono di chiamarli per nome?” si informò ancora Nate, alzando un sopracciglio.
“Sì. Che c'è di strano?” ribattè Alaska, aggrottando la fronte.
Crowford fece l'atto di scrollare le spalle, fallendo nel tentativo “Niente, a parte il fatto che di solito sono calorosi come un cubetto di ghiaccio in un freezer del Polo Nord.”
“Non credo che al Polo Nord abbiano la necessità di usare il freezer...” gli spiegò la giovane pazientemente. Come al solito non aveva percepito affatto il sarcasmo che il suo partner aveva messo in quella frase.
“Credo sia meglio che tu vada.” sospirò Crowford rassegnato, facendo sprofondare meglio la testa sul morbido cuscino.
Alaska annuì sorridendo e si mosse verso la porta, scattante come una molla e vivace come una palla di gomma.
“Ross?” la richiamò l'agente FBI quando lei stava già per schizzare fuori dalla stanza.
La ragazza si immobilizzò all'istante e tornò a fissarlo intensamente “Sì, Nate?”
“Il collarino sul mio comodino è tuo?” chiese Crowford indicando l'oggetto con un dito.
“Sissignore.” confermò Ross, sorridendo.
“Allora indossalo.” le ordinò con voce ferma.
Alaska annuì,tornando a prendere il collarino e mettendoselo intorno al collo senza riuscire a trattenere una smorfia di dolore e fastidio. Fece un breve saluto militare come congedo e poi saltellando uscì dalla stanza, pronta a svolgere le mansioni che aveva elencato poco prima.
Spencer sospirò pesantemente prima di azzardarsi ad aprire gli occhi. Aveva il collo un po' intorpidito, ma ormai poteva dire di aver fatto il callo a quel piccolo divanetto d'ospedale tanto che dormirci sopra, notte dopo notte, non era più un problema per lui.
Alzò le braccia sopra la testa e si concesse un profondo sbadiglio. Si aspettava un commento di Alaska seguito dal suo melodico “buongiorno” ma quella mattina non trovò la sua solita accoglienza.
“Era ora che ti svegliassi.- berciò una voce maschile- Credevo fossi caduto in coma anche tu.”
Come se fosse stato punto da uno spillo, il profiler si alzò di scatto, ritrovandosi in piedi ed impacciato in mezzo alla stanza con gli occhi seri di Crowford puntati addosso.
“Sei sveglio.” constatò Reid, incerto su cosa dire.
“Evidentemente.” ribattè piatto l'uomo.
Il ragazzo annuì piano prima di parlare di nuovo, anche solo per riempire quel silenzio pesante “Alaska...”
“E' andata a chiamare l'infermiera e i miei genitori.” lo informò.
“Giusto.” Spencer sospirò e si sedette infine sulla sedia vicino al letto di Crowford.
“Le ho fatto mettere quello stupido collarino.- gli disse quindi l'uomo- A quanto pare il regime sotto cui si trovava mentre ero incosciente non era abbastanza rigido da farle rispettare gli ordini più elementari...”
Reid strinse le labbra, incerto su come cominciare “Io...io devo ringraziarti.- iniziò quindi a dire, balbettando- Per aver salvato Alaska, intendo. Per aver ignorato la procedura, non aver aspettato i rinforzi e per aver rischiato la vita pur di salvarla. Grazie.”
“Non l'ho certo fatto per te.” ribattè immediatamente Crowford, con tono vagamente ostile.
Spencer sospirò e si scrollò leggermente le spalle “Giusto. Ma ti ringrazio comunque.”
Nella stanza cadde un silenzio profondo, ma Nate si accorse presto di non poter sopportare oltre gli occhi scuri del profiler fissi su di sé “E così Alaska è rimasta qui per tutto il tempo?” domandò, giusto per fare conversazione.
“Infatti.” confermò Reid, annuendo piano.
“Credevo che in posti come questo ci fosse un orario delle visite.” commentò Crowford.
“C'è, infatti.- il ragazzo non potè che ridere sommessamente al pensiero- Ma Alaska sa essere molto convincente quando vuole...”
“Posso immaginare.- borbottò Nate, con un sorriso appena accennato sulle labbra- Lei sta bene davvero, uh?”
Spencer aprì la bocca per parlare e in quel preciso momento si accorse che non aveva una risposta a quella domanda. Come poteva esprimere a parole il fatto che non sapeva davvero cosa passasse per la testa alla sua ragazza?Che, nonostante fosse un profiler con una discreta esperienza alle spalle, non era nemmeno in grado di andare oltre al sorriso dolce che lei gli rivolgeva e allo “sto bene” che gli rifilava di tanto in tanto per calmarlo?Come poteva anche solo ammettere con Crowford, l'uomo che non aveva esitato a rischiare la propria vita per salvare quella di Ross, che aveva una tremenda paura di sapere che in realtà le cose non andavano affatto bene?
“Ecco, io...” balbettò incerto.
Nate fece roteare gli occhi “Non mi sembra una domanda tanto difficile, dottor Reid.”
“Lo so, lo so, solo che...- continuò a parlare il ragazzo, torturandosi le mani-...che non è così facile capire che cosa sia passato per la testa ad Alaska in questo periodo...”
Crowford si sistemò meglio fra i cuscini “Certo che per essere un tizio con un quoziente intellettivo di 190...”
“187.” precisò immediatamente Reid.
“Quello che è!- sbottò Nate prima di continuare il proprio discorso- In ogni caso per avere un QI così dannatamente alto sei piuttosto stupido!”
Spencer sbattè gli occhi, allibito: nessuno l'aveva mai chiamato in quel modo.
“Sì, stupido.- confermò Crowford, in risposta all'espressione interrogativa del giovane- Se continui a comportarti in questo modo, guardandola come se fosse un puzzle che non sei in grado di capire e di risolvere, rischiando così di farla sentire ancora più in colpa di quello che si sente già per ciò che ha fatto...beh, allora sei uno stupido.”
“Non posso farne a meno.- mormorò il profiler stringendosi nelle spalle- Vorrei sapere perchè l'ha fatto.”
“Alaska ti ha mai mentito?” gli domandò quindi Crowford.
Reid aggrottò le sopracciglia, spiazzato da quella domanda “Come?No, lei...”
“Hai avuto modo di credere che abbia mai mentito a qualcuno?” chiese di nuovo l'uomo.
“Direi di no.”
“Appunto. Se tu glielo chiedessi, quindi, avrai ottime probabilità di sapere la verità, giusto?”
Spencer chiuse gli occhi, riflettendo sulle parole dell'agente FBI. Quando li riaprì, aveva ancora gli occhi grigi e seri di Crowford puntati su di sé.
“Credo che tu abbia ragione.-capitolò, prima di mordicchiarsi il labbro inferiore- C'è...uhm, c'è una cosa di cui vorrei parlarti, prima...”
Nate lo guardò interrogativo mentre sembrava stesse soppesando bene le parole prima di continuare a parlare.
Reid si schiarì la voce “Senti, io...io l'ho capito, sai?Quello che provi per Alaska. Posso capirlo. Insomma, lei è...un arcobaleno dopo un uragano, fa sembrare tutto migliore e io capisco che stando in contatto con lei non si possa fare a meno di provare qualcosa per lei ma...io non la lascerò mai e...”
“Credo che lei abbia già fatto la sua scelta, dottorino.- lo interruppe Crowford con tono annoiato- Puoi anche evitare di sfidarmi a duello.”
Il profiler arrossì imbarazzato “I-io...non intendevo quello, io...”
“Spencer!Ti sei svegliato!- trillò la voce di Alaska dalla porta e in meno di un secondo saltellava per la stanza chiacchierando allegra, mentre rassettava qua e là- Finalmente posso aprire un po' le tende, sai Nate, sono riuscita a farti avere una camera con la vista sul parco, è più rilassante. I tuoi stanno per arrivare, gli ho detto di finire la colazione con calma dato che prima dovrai essere visitato. Ah, e domani ti porterò qualcosa da leggere, che ne dici?Riviste, libri, tutto quello che vuoi. Garcia mi presterà il suo lettore di dvd portatile se vuoi, anche se credo che troverai comunque qualcosa da guardare, hai la tv via cavo. I cuscini vanno bene?Ne vuoi altri?Senti freddo?Caldo?Vuoi qualcosa da mangiare?Hai pensato a come...
“Ross!” tuonò Crowford, interrompendo quel fiume di parole.
La testa di Alaska scattò immediatamente verso di lui, le mani ancora appoggiate al davanzale della finestra “Che c'è?”
Nate scrollò le spalle “Niente, stavi diventando blu.”
“Questo non è vero.” lo contraddisse Ross con un sorriso.
“Infatti, volevo semplicemente farti tacere.” spiegò Crowford, mentre lei si avvicinava al suo letto e posava una mano sulla spalla di Reid e gliela strizzava con dolcezza.
“Tra un po' l'infermiera sarà qui, è andata a chiamare il dottore.” spiegò la giovane.
Crowford alzò un sopracciglio “Ti prego, dimmi che non rimarrai qui a tenermi la mano durante la visita.”
“Ecco, io...”
“Ti prego, lasciami un po' di dignità. Avanti!Vai a casa, ora, fatti una doccia e renderti presentabile per la prossima volta che passi di qua!” la esortò, facendo roteare gli occhi come se fosse stanco della sua presenza.
Spencer aveva già recuperato la propria giacca e quella della ragazza e si stava avviando alla porta, una mano posata sul braccio di lei per guidarla.
“Non vedevi l'ora di liberarti di me, vero?” Alaska sorrise e si avvicinò di nuovo a Nate in fretta, per dargli un bacio sulla fronte come saluto “Comportati bene con le infermiere, o finirai in castigo.”
Nate sorrise mentre la giovane antropologa gli strizzava l'occhio prima di sparire oltre la porta. Una volta rimasto solo abbassò lo sguardo verso la propria mano dove Alaska aveva fatto scivolare la medaglietta militare che le aveva prestato. Se gliela aveva restituita significava che non aveva più paura e Crowford pensò che se aveva dovuto perdere un rene e la milza perchè ciò fosse possibile era ben contento che fosse successo.
“E, dottor Reid?” chiamò di nuovo l'agente FBI, facendo riapparire Spencer nel quadro della porta.
“Sì?” domandò il giovane confuso.
“La nostra chiacchierata di prima non cambia niente, lo sai?Credo ancora che tu sia un ragazzino con troppa materia grigia dentro la scatola cranica.”
“Per me cambia tutto, invece.- sorrise Reid imbarazzato- Da ora tu sei l'eroe che ha salvato la donna che amo.”
Il ragazzo gli rivolse un nuovo sorriso timido, che Crowford non ricambiò, ma mentre seguiva Alaska lungo il corridoio e ripensava allo sguardo del burbero agente FBI, Spencer non potè fare a meno di pensare che in fondo anche lui sapeva che qualcosa era cambiato.
Non appena mossero qualche passo fuori dalle porte a vetri dell'ospedale, Alaska e Spencer vennero colpiti in pieno viso dall'aria fresca e frizzante di inizio ottobre. La ragazza spalancò le braccia immediatamente e prese un grosso respiro: erano giorni che non usciva all'aria aperta e fino a quel momento non si era nemmeno accorta di quanto le fosse mancata.
Reid non potè fare a meno di sorridere quando poi la giovane gli si aggrappò al braccio, mentre procedevano piano verso il parcheggio dei taxi.
“Sarà un disastro trovare un taxi in zona.- commentò, prima di snocciolare qualche informazione aggiuntiva come suo solito- Sai, gli ospedali sono uno dei luoghi pubblici con il maggior flusso di taxi, eppure sono anche uno dei luoghi in cui è più difficile accaparrarsene uno e...”
“Mi piacerebbe fare una passeggiata.- disse Ross, interrompendolo e alzando lo sguardo verso di lui- Che ne dici?”
“Una passeggiata?- ripetè Spencer- Certo, perchè no?”
“Perfetto!” Alaska sorrise, stringendosi ancora di più al suo braccio e iniziando a incamminarsi lungo il marciapiede con lui a suo fianco.
Il silenzio che si era creato fra loro non era un problema, non per Reid. Il silenzio può essere confortante. Non ti comunica brutte notizie, non piange di tristezza, non ti accusa. Il silenzio è neutrale. Quello che si nasconde dietro il silenzio, però...Quello rappresenta un mondo a parte.
Il giovane profiler stava ripensando alle parole che gli avevano rivolto Rossi e Crowford poco prima e stava per aprire bocca per cercare finalmente di mettere fine ai propri dubbi e alle proprie insicurezze. Fu la voce di Alaska, però, la prima a farsi sentire.
“Spencer, posso dirti una cosa?” pigolò piano, come se fosse una bambina che a scuola chiede il permesso di parlare.
Il ragazzo sbattè le palpebre “Certo, Al. Tutto quello che vuoi.”
Le spalle esili della giovane antropologa si alzarono vistosamente, mentre prendeva un grosso respiro prima di iniziare a parlare “Mi dispiace tanto, Spencer...” mormorò infine, i grandi occhi cerulei velati da uno strato di sincero dispiacere.
Reid aggrottò la fronte. Sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui lui e Alaska avrebbero dovuto parlare di quanto era successo e lo aveva aspettato con crescente angoscia, eppure, sebbene fosse finalmente arrivato e nella propria testa avesse già immaginato ogni scenario e argomento possibile, non sapeva cosa dire. Continuò a camminare appoggiando la propria mano su quella che lei teneva stretta attorno al suo braccio.
“Mi dispiace di averti trascurato in questi giorni. Non sono stata il massimo della compagnia, anzi, devo essere stata piuttosto insopportabile...”
Spencer si fermò di colpo, obbligando Alaska, che ancora lo teneva per un braccio, a fare altrettanto.
“Che cosa hai detto?” domandò allibito.
Ross lo guardò stranita “Che mi dispiace e...”
“Ho sentito cosa hai detto.- la interruppe Spencer- Solo che non posso credere che tu l'abbia detto.”
“Non ti seguo.”
“Al, io lo capisco benissimo che è stato un periodo duro per te. Crowford è tuo amico e dopo quello che è successo...io credo che tu ti sia comportata come un'ottima amica. La migliore.”
Sul volto della giovane si aprì un sorriso incerto “Ah, sì?”
“Certo.” confermò Reid, senza riuscire a nascondere quanto si sentisse orgoglioso di lei.
“Oh. Ok.- rise quindi Alaska, riprendendolo a braccetto e continuando a camminare- Grazie, allora.”
Reid si morse il labbro inferiore. Non era questo quello che si aspettava dicesse, ma era pur sempre un inizio. Decise che avrebbe aspettato ancora qualche passo prima di fare la fatidica domanda, e chiederle finalmente per quale motivo avesse deciso di assecondare l'SI.
“Nate mi ha detto che mi ama.” disse Alaska con voce calma, interrompendo i suoi pensieri.
Spencer ignorò l'irrigidimento che lo aveva preso alla mascella “Lo so.”
“Eri sveglio, quindi?” chiese la ragazza, lanciandogli un'occhiata interrogativa.
“No, ma sono un profiler.- ribattè con una scrollata di spalle Reid- L'avevo capito da un po'.”
“Non si può nascondere niente a voi, uh?- rise Alaska, dandogli un buffetto sul braccio- Quando Nate scoprirà di non essere così imperscrutabile come crede si arrabbierà un sacco.”
“Forse tu avresti bisogno di un uomo come lui.” mormorò il ragazzo, gli occhi bassi.
Ross si fermò di colpo, obbligandolo a fare altrettanto “Cosa?”
“Insomma, Crowford ti ha salvato. Ha rischiato la vita per te.- spiegò imbronciato- E' questo che dovrebbe fare il ragazzo che ti ama, giusto?Difenderti e proteggerti ed evitare che una cosa del genere ti possa accadere e...”
Alaska scosse piano la testa e posò un dito sulle sue labbra per farlo smettere di parlare.
“Ma io non ho bisogno di questo, Spencer.- disse semplicemente, accarezzandogli leggermente una guancia- Non mi serve uno scudo che mi difenda dai mali del mondo. Io ho bisogno di te. Io voglio solo te.”
Spencer spalancò occhi e bocca. Sapeva che Alaska lo amava, certo, eppure...Eppure aveva sempre pensato che non appena fosse spuntato un ragazzo più in gamba e atletico di lui, uno che non avesse problemi di iper-razionalità e goffaggine, i suoi sentimenti sarebbero potuti cambiare. Crowford era quel ragazzo, ma ad Alaska non importava. Se da una parte il suo cervello gli continuava a dire che tutto ciò andava completamente contro ogni logica, il suo cuore stava esplodendo per la felicità e, ne era certo, se avesse continuato a battere in quel modo gli sarebbe schizzato presto fuori dal petto.
Ross rise spensierata, probabilmente per via della sua reazione a quella dichiarazione d'amore incondizionato, e si alzò sulle punte dei piedi per sfiorargli le labbra con un soffice bacio.
Lo sentiva rigido nel suo abbraccio, quindi si scostò, guardandolo preoccupata con i grandi occhi blu sgranati.
“Che c'è?” pigolò incerta.
Reid non mollò la presa gentile intorno alle sue spalle, mentre si mordicchiava il labbro inferiore. Dopo quello che aveva appena sentito, aveva deciso di togliersi l'ultimo peso che gli era rimasto sul petto “Alaska stamattina mi è arrivata una lettera.”
“Ah, sì?Di tua madre?Come sta?” domandò incalzante la giovane antropologa.
Spencer scosse piano la testa “No, era...Era una tua lettera.”
“Ah, capisco.- commentò Ross stringendosi nelle spalle- Probabilmente è quella che mi ha fatto scrivere quel tizio prima di...”
Il profiler non potè fare a meno di interromperla, nonostante il suo tono fosse colloquiale come al solito “Alaska quella lettera mi ha lasciato perplesso.”
“Perchè?- chiese Alaska, inarcando un sopracciglio- Ho fatto errori ortografici?”
“No, è per via di ciò che vi era scritto e di come era scritto: la tua scrittura era ferma e siura e poi... Beh, erano tutte le cose che hai scritto erano sensate. Assurde, considerando la situazione in cui ti trovavi, avresti dovuto essere spaventata e in panico.”
Alaska gli rivolse un mezzo sorriso “E lo ero, all'inizio. Ma poi mi sono ricordata che ero lì per salvare le persone che amo e mi sono detta che se davvero quelli sarebbero stati i miei ultimi momenti, non volevo sprecarli con la paura.”
“Tu sei...tu sei davvero incredibile!” la frase gli uscì dalle labbra stiracchiata e incerta, e anche lui non sapeva se fosse un complimento o meno.
“Volevo che fossi fiero di me...” spiegò la ragazza, strizzandogli la mano.
Spencer spalancò gli occhi “Ma io lo sono, Al!- si affrettò a dire- Io sono orgoglioso di te, di tutto quello che fai, di come sei...”
“E poi sapevo che sareste arrivati.- continuò a parlare la giovane sorridendogli dolcemente- Mi fido di voi.”
“E allora perchè non ci hai lasciato fare il nostro lavoro?Perchè l'hai assecondato?” domandò Reid esasperato.
“Perchè non potevo neanche pensare che per colpa mia potesse in qualche modo arrivare alla mia famiglia.- spiegò Alaska tranquillamente- Era già stato da loro e voi sembravate non avere ancora in mano niente così...Ho semplicemente pensato che fosse giusto così e...mi aveva fatto capire che sarebbe arrivato da te e...”
Spencer sgranò gli occhi, scioccato “L'hai fatto per proteggere me?!”
“Non era solo quello, Spencer.- continuò a spiegare Ross- Tu, la mia famiglia: siete le persone a cui tengo di più al mondo e...io lo so di non essere una persona particolarmente combattiva, non lo sono per niente, ma...Farei qualsiasi cosa per proteggere le persone che amo. Qualsiasi cosa, davvero. I miei fratelli hanno otto anni, la stessa età che avevo io quando sono stata rapita, mia sorella ne ha quindici e l'unica cosa di cui si dovrebbe preoccupare sono i compiti in classe e trovare un modo per attirare l'attenzione del ragazzo che le piace, i miei genitori sono già passati da una situazione del genere e la cosa li ha devastati e tu...so che tu vivi questo genere di cose spesso, ma non potevo permettere di aggiungere dell'altro ai pesi che ti porti già sulle spalle. Non per colpa mia...”
Reid non la fece continuare oltre, la abbracciò di slancio stringendola più che poteva. Alaska alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise dolcemente.
“Non devi preoccuparti, tesoro.- gli disse sfiorandogli una guancia con le dita infreddolite- Non devi struggerti pensando a quello che mi sarebbe potuto accadere e al fatto che avresti dovuto impedirmi di fare una cosa del genere. Io sto bene, tu stai bene. È tutto quello che conta...”
“Lo so, ma...” Spencer sospirò e prima di andare avanti a parlare afferrò la mano della giovane, avvicinandosela alle labbra e lasciando un bacio leggero e dolce sulla punta delle dita che prima lo avevano accarezzato.
“Non riesco a credere a quello che hai fatto.” concluse, fissandola intensamente.
“Con me non ci si annoia, mai,uh?- sdrammatizzò Alaska, strizzandogli l'occhio- Ed ora Nate starà bene e noi andremo a vivere insieme. Sarà tutto perfetto, vero?D'ora in poi tutto andrà bene...”
“Certo.” confermò Reid annuendo.
“Lo so.” sorrise la ragazza, appoggiando docilmente la testa sul suo petto.
Spencer chinò il capo, per lasciarle un bacio leggero fra i capelli e in fondo sapeva che aveva perfettamente ragione, che da quel momento in poi tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Ciao Spencer.
Non sono mai stata brava negli addii. Anzi, che io ricordi, non credo di aver mai detto addio a nessuno. In questo momento, non vorrei farlo. Vorrei vivere e rivedere te e tutti gli altri.
So che probabilmente questo non sarà possibile e voglio che tu sappia che non è colpa tua, o del resto del team, o di Nate: è stata una mia scelta e anche se avrà delle conseguenze drastiche so che la rifarei, quindi ti prego di accettarla.
Ok, quindi, ecco le regole di sopravvivenza a cui ti dovrai rivolgere in mia assenza: ama, incessantemente, e lasciati amare perchè io so quanto lo meriti; goditi la vita perchè è bella e piena di cose stupende, so che a te spesso sfugge, perchè cerchi nell'oscurità troppo a lungo, ma in giro ci sono un mucchio di cose fantastiche e tu non devi perdertele; e lasciati andare, ridi, scherza, gioca!
E per favore, non dimenticarmi. Mai, mai, mai. Ma non fare che il mio ricordo ti impedisca di vivere. Ricorda quello che ha scritto Dorothy Thompson: Il coraggio, sembrerebbe, non è altro che il potere di affrontare il pericolo, le avversità, la paura, le ingiustizie, mentre si continua ad affermare che una vita pur con tutte le sue amarezze è giusta...Che ogni cosa ha un significato, anche se è al di là della nostra comprensione...e che ci sarà sempre un domani.
Ricordatelo, Spencer, ci sarà sempre un domani. Potrai piangere e essere triste per me, ma non dimenticarti di andare avanti, di continuare a vivere. So che lo farai, perchè tu sei una delle persone più coraggiose che io conosca, nonostante tu non lo creda affatto.
Voglio che tu sappia, infine, che non ho avuto paura. Non ho paura della sofferenza, o della morte o di quello che sta succedendo, quindi non pensare troppo, come fai spesso, a quello che potrei aver pensato. L'unica cosa che devi sapere è che sono triste che la nostra vita insieme sia durata così poco.
Non ne sono più così sicura, ora, ma spero davvero che il paradiso esista e che un giorno possa rivedere te e tutti gli altri. So che ricorderai ogni sillaba di questa lettera, perciò voglio che tu sappia che le due parole più importanti di tutte e che dovrai tenere in considerazione più di ogni altra cosa sono quelle che scrivo ora.
Ti amo.
Per sempre tua, Alaska Prudence Ross.
_________________________________________________________
Ok, ora potete dire di non aver niente da rimproverarmi, giusto?E' passata solo una settimana e due giorni dall'ultimo aggiornamento, direi che sto ritornando ai miei standard originali riguardo il tempo di pubblicazione!Eheheh, devo ammettere che mi sento piuttosto fiera di me per questo traguardo.
Orbene, la storia giunge al termine...Nate è sulla via della guarigione e pare abbia addirittura riposto l'ascia di guerra, Alaska e Spencer sono ritornati nella loro bolla di amore e tenerezza...Quasi un happy ending se non fosse per il gusto un po' agrodolce che si è creato nell'ultima parte, ma non disperate, c'è ancora un capitolo, giusto?; ) E vi assicuro che sarà decisamente più leggero.
Annuncio qui che la settimana prossima (se tutto va bene e non incappo in ulteriori ritardi cybernetici riguardo la pubblicazione) ci sarà quindi on line l'ultimo capitolo di “Do not follow me” e in contemporanea anche il primo di “Just for a week, right?”. Spero che, se vi è piaciuta questa storia e volete sapere che cosa succede alla coppia Alaska/Spencer in contesti meno drammatici, continuerete a leggere anche quel piccolo sequel (che doveva essere inizialmente di nove capitoli ma che sto meditando di portare fino a dieci).
Bon, bando alle ciance, ora: fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e passate una buona settimana!: ) Baci, JoJo
Antu_ :Eheheh, hey io ho la sindrome della fata madrina, rispondo sempre alle richieste accorate! Sono contenta che il capitolo precedente, spero che sia così anche con questo :) Eh, Nate doveva per forza farci la figura dell'eroe e, anche se è uno tosto, trovo che dopo quello che gli è successo sia diventato più umano, quindi è un bene...In questa sede giuro solennemente che non farò accadere più niente di male ne ad Alaska ne a Spencer, direi che dopo quello che gli ho fatto passare fino ad ora possano godersi un po' la vita, poveracci pure loro!eheheh! Eh,sì, dopo “Just for a week, right?” metterò fine alla serie dedicata ad Alaska e Spencer, però ho già in cantiere un'altra storia, su Morgan questa volta e probabilmente ne riprenderò in mano un'altra che avevo cominciato a pubblicare tempo fa ma che ho abbandonato. Ok, fammi sapere che pensi di questo capitolo, kisses
Dreamer_girl :Heylà!Eh, sì ormai sto preparando un contratto da manager, eheheh...Visto?Nate si è ripreso e ha accettato Spencer (anche se credo che dentro di sé lo detesti ancora un po',eheh): una sorta di miracolo di Natale un bel po' in anticipo!Non preoccuparti, ho già intenzione di pubblicare una nuova storia (9 o 10 capitoli) su Alaska e Reid, credo che pubblicherò il primo capitolo non appena finirà questa storia quindi...ce ne vorrà ancora un po' prima di liberarsi di me, eheheh. Al prossimo capitolo, besos
Maggie_Lullaby : Ahah, eccellente!La mia buona sorte (ma dove?) mi ha fatto risparmiare la tua ramanzina per il ritardo!Son contenta, eheh :D Ho postato abbastanza presto, stavolta, vero?Direi che non ti ho lasciato in ansia per molto sulle condizioni di Nate...Sai, un po' mi aspettavo una domanda del genere da te,eheh, e in effetti è una buona domanda, anche per visualizzare un po' i personaggi su cui non mi soffermo troppo nelle descrizioni perchè son quelli già conosciuti. Dunque, nella prima storia su Alaska ad un certo punto le avevo fatto fare un commento sul fatto che Reid non camminasse ancora normalmente sul ginocchio a cui avevano sparato quindi quella era ambientata nella 5 stagione, stando ai fatti. Nel primo sequel avevo detto che da quel momento erano passati un paio di mesi e all'inizio di questa storia che Alaska si è trasferita a DC da circa un anno (inoltre quando parlo di Penelope la descrivo come rossa di capelli). Indi ragion per cui oserei affermare che questa storia è ambientata nella sesta serie, prima dell'abbandono di JJ, e il Reid di cui disponiamo è quello coi capelli corti. Che ne dici? Al prossimo capitolo, kisses
TrueLife : Heylà!Guarda, non me lo dire, io sto diventando campionessa mondiale in “scarsa capacità di gestione di se stessa”, quindi ti capisco benissimo...In quanto a Zann, io sono per il “ciò che semini, raccogli” quindi non potevo fare altro che lasciarlo morire così, ecco!Come ho fatto con Maggie, glisso abilmente sulla domanda sullo sviluppo futuro della relazione Alaska/Reid. Son contenta che già il titolo della prossima storia ti ispiri, spero che sia divertente come sembra a me mentre la sto scrivendo :) Per gli errori di battitura, o le sviste, a volte mi capita e purtroppo è solo per mera pigrizia, dato che spesso non ho tempo di rileggere bene tutto il capitolo. Al prossimo e ultimo capitolo, quindi. Baci
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Capitolo 10 *** Back to reality ***
Uffici dell'unità di analisi comportamentale. Quantico, Virginia.
Morgan inclinò piano la testa mentre, dall'uscio della piccola area relax, osservava il più giovane membro del team rovesciare ossessivamente nel proprio caffè dei grossi cucchiai di zucchero.
“Sei un disastro, ragazzino.- commentò, facendolo sobbalzare- Già distrutto dalla convivenza?”
Reid gli rivolse un'occhiata stanca “Dal trasloco, vorrai dire.”
“Potevi chiedermi una mano, lo sai.” gli ricordò, mentre lo affiancava per prendersi una tazza di caffè.
“Non è questo il problema, a portare le cose di Alaska in casa hanno pensato i traslocatori.- disse il ragazzo scrollando le spalle- È che lei ha un concetto di ordine anticonvenzionale.”
Derek non riuscì a trattenere una risata “Ma non mi dire?Ha già sconvolto il tuo caos organizzato?”
“Il mio è ordine razionalizzato e logico.- ribattè piccato Spencer, prima di spiegare quale fosse la causa principali dei suoi grattacapi- Il problema è Bruto.”
“Bruto?” ripetè il bell'uomo di colore, inarcando un sopracciglio.
“Il suo pesce rosso.- specificò quindi Reid di fronte alla sua aria perplessa- Pare sia particolarmente sensibile alla posizione in cui viene messo il suo acquario e che preferisca trovarsi in una stanza con le pareti blu. In casa mia non c'è nessuna stanza con le pareti di questo colore e così abbiamo creato una tenda con un lenzuolo blu, solo che a questo punto il salotto è praticamente inagibile fino a quando non decideremo di dipingere la lavanderia, che pare essere la stanza che Bruto apprezza di più.”
“Stai scherzando, vero?” domandò quindi Morgan, dopo qualche secondo di silenzio.
Spencer l'aveva guardato stranito “No, è un pesce molto esigente.”
“E' solo un pesce!” gli ricordò quindi l'amico, scuotendo piano la testa.
“Beh, tu non l'hai visto mentre prende a testate il suo acquario perchè è arrabbiato.” borbottò Reid, imbronciato. Capiva perfettamente il punto di vista del collega perchè, prima dell'arrivo di Alaska, e di conseguenza Bruto, a casa sua, lo condivideva pienamente.
La voce di Emily Prentiss precedette di una frazione di secondo il suo ingresso nella piccola area relax. Non aveva sentito l'argomento della conversazione fra i due colleghi, ma aveva intuito che avesse a che fare con Alaska dalla faccia di Reid e dal fatto che lo sport preferito di Morgan sembrava essere quello di intromettersi nella sua vita privata.
“Sembra che Alaska ti abbia già sconvolto l'esistenza.- disse allegra- Pentito di averle chiesto di venire a vivere con te?”
“No, per niente.- rispose immediatamente e con convinzione Spencer, attirandosi uno sguardo dolce di JJ che aveva seguito a ruota Emily- È solo che...vivo solo da quando avevo diciotto anni e mi sembra strano avere qualcuno a casa che mi aspetta. Piacevolmente strano.”
“Ci scommetto, ragazzino. Secondo me c'è anche un altro motivo per cui hai sempre quell'aria stanca...”ipotizzò Morgan, ammiccando nella sua direzione.
Reid diventò all'istante color pomodoro, della stessa tonalità di rosso della tazza che reggeva fra le mani magre e affusolate “Questi non sono affari tuoi!”
“Spence, lo fa apposta per metterti in imbarazzo.- rise JJ, andando come sempre in suo soccorso- Non dargli corda.”
“Ho sentito che Crowford dovrebbe essere dimesso questa settimana, giusto?” domandò quindi Emily, appoggiandosi pigramente al bordo del tavolo in legno vicino a cui si erano fermati a parlare.
“Già, domani.- confermò Spencer annuendo distrattamente- Alaska gli sta preparando una piccola festa al suo ufficio all'Hoover Building.”
“Lei invece quando riprenderà a lavorare?” chiese invece JJ.
“Stamattina aveva appuntamento con lo psicologo dell'FBI per il reinserimento alle indagini e allo Smithsonian.”
Morgan scosse piano la testa “Chiunque sia avrà un gran bel da fare a cercare di farla restare concentrata durante la seduta.”
Studio del Dottor Matt Zuller, specialista in psicoanalisi e psicoterapia. Washington, DC.
Alaska si mosse di nuovo sulla comoda sedia imbottita che fronteggiava l'ampia scrivania presidenziale del dottor Zuller.
“Ed ora che si fa?- domandò curiosa, dopo aver posato la penna che aveva usato per firmare i documenti che il medico le aveva dato- Devo...uhm...devo parlare di quello che è successo due settimane fa?Della mia famiglia?Del divorzio dei miei genitori?Del fatto che non ho mai potuto avere un cane perchè mia madre è allergica al pelo?”
“Se sono argomenti che ritiene importanti, sì.” confermò l'uomo, mentre metteva mano ad un piccolo blocco per appunti.
La ragazza annuì. Non appena era entrata in quello studio raffinato, ma dall'arredamento antico e vissuto, e quando aveva stretto la mano calda e avvolgente dello psicanalista, aveva deciso che quell'uomo dai folti mustacchi e lo sguardo gentile le stava decisamente simpatico.
“Preferirei avere un chiaro punto di partenza.- mise subito in chiaro Ross, con un sorriso scanzonato sul volto- La mia mente tende ad essere leggermente labirintica e potrei parlare di cose poco attinenti o rilevanti...”
Mentre sorrideva gli occhi del dottor Zuller diventarono due mezzelune dietro le spesse lenti dei suoi occhiali “Lasci decidere a me cosa è importante, signorina Ross, e si rilassi soprattutto. Credevo avesse già fatto terapia in precedenza.”
“Già, ma avevo otto anni.- disse l'antropologa con una scrollata di spalle- Lo psicologo mi ha fatto fare dei disegni e qua non vedo pennarelli. In effetti è la prima valutazione riabilitativa della mia vita. Non dovrei sdraiarmi?”
“Se lo ritiene più comodo.” rispose gentile il terapista.
“Credo di sì, è più conforme all'idea che ho di una seduta da uno strizzacervelli.- continuò a chiacchierare Alaska, guardando interessata il divanetto in pelle addossato a una parete- Potrebbe indossare una barba finta e degli occhiali a mezzaluna al posto di quelli che indossa?Oh, e magari mettersi una pipa in bocca.”
L'uomo fece roteare gli occhi “Dottoressa Ross...”
“Dottor Zuller.” gli fece eco lei, con un sorriso radioso sul volto.
“Credo che sia meglio che io faccia le domande e lei prenda questa seduta più seriamente. Lo Smithsonian confida nell'esito di questa seduta e nella mia valutazione.”
“Lo so.- ammise Alaska, agitando i palmi- In effetti un mio collega mi ha dato una lista su come affrontare una seduta di terapia. Dice di scrivere ciò di cui si vuole parlare, ma io non so di che cosa parlare quindi finirei per pasticciare un foglio per niente quindi ho saltato questo passaggio. Poi dice che dovrei farmi guidare dal mio terapista e su questo concordo, ma la terza e quarta regola?Azzera le tue aspettative e preparati per ogni seduta?Sono praticamente impossibili da mettere in atto: se le saltassi sarebbe tanto grave?Ah, e poi ci sono gli ultimi due punti. Pensa al tuo terapista come il tuo maggiore confidente, insomma lei mi sembra una persona fantastica e sicuramente portata nel suo lavoro ma io ho altri confidenti che, dovendo creare una classifica immaginaria, si troverebbero al di sopra di lei...Oh, l'ultima regola è di chiedere al terapista di leggere quotidianamente il proprio blog o la pagina di Facebook, ma io non ho niente del genere. Dovrei aprire un account per rendere attuabile questo punto?”
Il dottor Zuller scosse la testa “Dottoressa Ross, vorrei ricordarle che questa è solo una seduta valutativa, quindi non è ancora deciso se lei diventerà mia paziente a tutti gli effetti, tutto dipende da come andrà oggi e se deciderò che lei è idonea al reinserimento lavorativo. È tutto chiaro?”
“Sicuro.- assicurò Ross, annuendo con foga- Possiamo iniziare.”
“Fantastico.- sospirò l'uomo, prima di scribacchiare qualcosa sul suo taccuino- Vorrei che lei rispondesse alle mie domande in tutta onestà. Mi rendo conto che il suo fidanzato lavora nell'unità che ha creato i test per identificare i disturbi da stress postraumatico ma...”
Il volto dell'antropologa si illuminò “Loro hanno creato quei test?Davvero?E' una cosa fenomenale!”
Lo psicologo scosse la testa, deciso ad ignorare l'ultimo intervento della giovane “Ha avuto qualche problema a dormire, di recente?Incubi?Insonnia?Sonno leggero e discontinuo?”
“No, no, no e no.- disse Alaska, scandendo la risposta ad ogni domanda, prima di sporgersi verso l'uomo- Vanno bene risposte così sintetiche o preferisce che sia più descrittiva?”
“Risponda come preferisce, dottoressa.- rispose paziente lo psicoterapista- Com'è stato il suo reinserimento nella quotidianità?”
Ross fece dondolare la testa “Un po' stressante, in effetti. Mi sono trasferita a casa del mio ragazzo e poi ogni giorno passo in ospedale a trovare Nate, il mio partner...In effetti sono stati giorni piuttosto impegnativi.”
“Si è trasferita?Come mai?Trova difficile ritornare a casa sua?” domandò incalzante Zuller, fissandola incuriosito.
“Oh, no. Era un bell'appartamento, solo che in questo modo passerò più tempo con Spencer ed è questo quello che voglio davvero. Vivere con lui, intendo.” aggiunse con un sorriso amorevole.
“Che mi dice di Crowford?- indagò di nuovo il dottore- Come sono i vostri rapporti dopo la sparatoria?”
“Come prima, direi.- rispose Alaska, stringendosi nelle spalle- A parte il fatto che ora lascia che io mi prenda cura un po' di lui, anche se la maggior parte delle volte fa decisamente troppa resistenza. Spencer dice che è perchè è un maschio alfa e non vuole che la sua immagine ne risenta...”
Zuller annuì, fissandola concentrato “E lei come sta?”
La domanda parve spiazzare la ragazza, che aggrottò la fronte, confusa “In che senso?”
“Dopo tutto quello che è successo.- specificò l'uomo, facendo un vago cenno con la mano- Lei come si sente?”
“Bene, ovvio.- ribattè Alaska, stranita- È Nate quello a cui hanno sparato, giusto?”
Zuller arricciò le labbra, pensieroso, mentre sfilava dalla cartella personale di Ross un foglio spiegazzato che ripose con cura sulla scrivania davanti a sé “Ho letto la sua lettera d'addio al suo fidanzato. Mi dispiace, ho dovuto farlo per la mia valutazione, non avrei voluto invadere la sua privacy.”
“Non importa.- lo tranquillizzò immediatamente Ross, con un sorriso gentile sul volto- Non sono cose private, solo cose che avrei voluto ricordare a chi rimaneva se davvero quell'uomo fosse riuscito ad uccidermi.”
Il dottor Zuller sbattè le palpebre sorpreso. Parlare con l'antropologa fino a quel momento lo aveva portato alla conclusione che la giovane cercasse di rimuovere completamente quanto le era accaduto, ma il realismo di quella frase pronunciata con tono leggero lo aveva colpito.
“Sembra molto consapevole di quello che sarebbe potuto accadere.” disse, dando voce alle proprie nuove impressioni.
Alaska annuì con fermezza “Sì, lo sono.”
“E' la sua reazione che mi lascia perplesso, dottoressa Ross.- espose quindi i suoi dubbi il terapeuta- Gli avvenimenti delle ultime due settimane sono stati sconvolgenti, e ricalcano episodi spiacevoli ricollegati alla sua infanzia, eppure...Eppure eccola qui, allegra e smaniosa di tornare alla propria vita di tutti i giorni, senza nemmeno più quel collarino ortopedico come indizio di quello che è accaduto. Può capire, immagino, che tutto questo mi sconcerti un po'.”
Alaska gli rivolse un sorriso ampio, come se stesse spiegando una cosa molto semplice a un bambino “C'è un' unica cosa che posso dire di aver imparato con certezza dalla vita, dottor Zuller , ed è ciò che ho imparato dalla mia, di vita, da quello che ho vissuto: il mondo va avanti, qualunque cosa accada.”
Zuller la guardò con interesse“Quindi è questo che sta facendo?Sta andando avanti?”
“Già.- rise la ragazza, allegra- Non sono certo un gambero, giusto?”
“Presente e futuro.- ricapitolò l'uomo, con tono carico di approvazione- Una bella prospettiva. Ma non si cancella il passato con una passata di spugna, ne è consapevole, vero?”
“Immagino di sì.- concordò Ross, prima di perorare di nuovo la propria causa- Ma è anche inutile continuare a pensarci e perdersi la vita vera.”
“Ha ragione.- interloqui quindi, mentre scribacchiava qualcosa sul suo taccuino. Quand'ebbe finito, tornò ad osservare la giovane- Mi parli un po' del suo lavoro. È un'antropologa forense, giusto?Immagino che si sia avvicinata alla disciplina per un interesse archeologico...”
Il volto di Alaska parve illuminarsi ancora di più mentre parlava del proprio lavoro “In effetti, ho iniziato a lavorare su casi prettamente archeologici solo di recente. Io ho studiato specificatamente per utilizzare l'antropologia a scopi di indagine.”
“Quindi cosa fa, esattamente?- si informò di nuovo Zuller- Fornisce alla polizia e altre istituzioni perizie su tutti i ritrovamenti sospetti di ossa?”
“Qualcosa del genere.- confermò Ross entusiasta- So che può sembrare strano o macabro, ma io...Insomma, l'unica cosa che so fare alla perfezione è ricostruire volti e storie partendo da ciò che agli occhi di molti non sarebbero altro che semplici scheletri.”
Il dottore annuì lentamente “Capisco.”
Nel piccolo studiolo calò un leggero silenzio, per niente fastidioso, mentre il dottor Zuller pareva concentrato nell'analisi dei propri appunti e della cartella di Alaska.
“Quindi sono pazza?” domandò la giovane con tono interessato, non appena l'uomo chiuse la cartelletta con un gesto secco.
Zuller le rivolse un sorriso ampio “La definizione di pazzia è piuttosto ariosa, comunque, se quello che mi sta chiedendo è l'esito di questa seduta posso dirle che a mio parere lei è riabilitata alle indagini e al lavoro allo Smithsonian.”
“Niente più strizzacervelli?” chiese conferma di nuovo Ross, mentre un sorriso smagliante le si apriva sul volto.
“Non per ora.” confermò l'uomo, sorridendole gentile.
“Perfetto.- trillò Alaska felice- Non è stato poi così male, giusto?”
Zuller si alzò, porgendole la mano per congedarla “Invierò la mia valutazione al suo responsabile ai laboratori FBI e allo Smithsonian. E' stato un piacere conoscerla, dottoressa Ross.”
“Piacere mio, dottor Zuller.” ribattè immediatamente la ragazza, stringendogli la mano in una stretta calda e uscendo dalla stanza quasi danzando.
L'uomo sorrise fra sé, mentre tornava a sedersi. Aveva ancora sulla scrivania la copia della lettera di addio della dottoressa Ross al suo fidanzato, reperto che le era stato inviato dall'agente speciale David Rossi. Prese il foglio fra le mani e infine scosse la testa mentre lo appallottolava e lo lasciava scivolare nel cestino dei rifiuti del suo ufficio. Erano cose che non avrebbe mai dovuto sapere.
Casa di Spencer Reid e Alaska Ross. Washington, DC.
Reid gettò le chiavi di casa nello svuota tasche di fianco all'appendiabiti nell'ingresso. Gli ci volle un po' per frenare l'istinto di chiamare a gran voce il nome di Alaska, ansioso com'era per il fatto di non averla sentita per tutto il giorno, ma la vista del cappotto rosso di lei, sovrastato disordinatamente dal basco di lana giallo e dalla voluminosa sciarpa color verde pino che le aveva visto indossare quella mattina stessa prima di uscire di casa lo tranquillizzarono un po'.
Prese quegli indumenti dalla sedia su cui erano stati abbandonati e li ripose con calma al loro posto, vicino al suo cappotto già placidamente penzolante dall'appendiabiti, dopodichè si mosse lungo quello spazio piccolo ma accogliente, facendosi strada verso la stanza attigua cercando di evitare alcuni scatoloni il cui contenuto non aveva ancora trovato una collocazione in seguito al trasloco.
“Al?Sei in casa?” chiamò Spencer entrando in salotto e guardandosi intorno guardingo.
Non fece in tempo a finire la frase che Alaska gli corse incontro, gettandogli le braccia al collo.
“Sei tornato presto!” trillò la ragazza, alzando lo sguardo verso di lui e abbagliandolo con un sorriso prima di posare le labbra sulle sue.
Reid restò intossicato dalla sua presenza per qualche secondo prima di rispondere “Sì, in ufficio non c'era molto da fare, e poi ero un po' preoccupato...”
“Preoccupato?Perchè?” domandò Alaska curiosa.
“Ti ho chiamato tutto il giorno e non hai mai risposto e a casa continuava a scattare la segreteria. Non sapevo dove fossi e...”
Ross lo interruppe, facendo dondolare la testa mentre scioglieva l'abbraccio “Lo so, lo so. Ma il cellulare è scappato!Giuro!Non ho la più pallida idea di dove possa essersi nascosto, questa volta.”
“I cellulari non hanno volontà propria, Al.” ribattè Spencer, senza riuscire a soffocare una risatina divertita.
“Ma questo sì.- continuò la ragazza con convinzione- Questo è malefico: hai visto quante funzioni ha?Non mi stupirebbe scoprire che sia a capo della tanto temuta ribellione delle macchine di cui si parla in tutti quei film di fantascienza!”
“Non dirò a Rossi che parli così del suo regalo di compleanno.” rise di nuovo Reid.
La giovane antropologa agitò le mani “A parte la sua personalità malvagia mi piace molto, davvero. Trovo molto carina quella sua custodia arancione e viola.”
Spencer scosse piano la testa, pensando a cosa avrebbe potuto dire David sapendo che più che il cellulare da cinquecento dollari, Alaska aveva apprezzato il suo astuccio comprato alle bancarelle.
“Indovina!” la sentì esclamare, mentre si faceva cadere a gambe incrociate sulla poltrona.
Il profiler sbattè le palpebre, spiazzato “Cosa?”
“Non posso dirtelo, devi indovinare!” puntualizzò immediatamente Alaska.
“Dimmi almeno l'argomento, le probabilità che io riesca a indovinare quello che tu mi vuoi dire senza nessuna ulteriore informazione sono decisamente basse, se non nulle.”
Ross gli lanciò un'occhiata divertita “Tu sai esattamente il numero di quella probabilità, vero?”
“Può darsi.- tergiversò Reid- Allora, di che si tratta?”
“Non sono pazza!” rivelò quindi l'antropologa, accompagnando le proprie parole con un battito di mani.
“Certo che non lo sei.” ribattè immediatamente Spencer, stranito da quell'affermazione.
“Lo so, ma ora non lo sono ufficialmente.- spiegò quindi Alaska velocemente- Ti ricordi quando la Tanaka mi ha chiesto se sono pazza e io le ho risposto che non potevo saperlo visto che non ho fatto test per verificarlo?Beh, il dottor Zuller mi ha detto che non lo sono e ora ho un documento che dice, nero su bianco, che non sono pazza!E che posso tornare al lavoro, quindi!”
“Wow. Congratulazioni, credo.- disse incerto- Quindi dobbiamo festeggiare?”
Ross gli rivolse un sorriso colpevole, mentre si mordeva nervosamente il labbro inferiore.
“Devo dirti un'altra cosa, prima.- pigolò- Promettimi che non ti arrabbierai.”
“Non mi arrabbierò.” promise, aggrottando le sopracciglia incuriosito da quel preambolo.
“Croce sul cuore?” domandò quindi la ragazza.
“Croce sul cuore.” ripetè Reid annuendo e mimando una x sul petto, dopo aver decifrato lo sguardo carico di aspettativa della ragazza.
Alaska iniziò a parlare velocemente, alzandosi e iniziando a camminare su e giù lungo la lunghezza del divano “E' che prima di tornare a casa ho incontrato una mia amica e mi ha detto che la sua vicina deve cambiare casa e trasferirsi in un appartamento ed è una vera tragedia perchè quella donna aveva un sacco di animali. Davvero, almeno una trentina fra cani, gatti, pesci rossi e furetti...Comunque, le ho chiesto se per caso avesse bisogno di una mano per qualcosa e alla fine ho preso una decisione che forse avremmo dovuto prendere insieme...”
“Quale decisione?” domandò il profiler confuso da quel discorso.
“Spencer, ti presento Pappa: verrà a vivere con noi.”
Reid osservò la ragazza chinarsi velocemente e, una volta rialzata, notò fra le sue braccia un batuffolo gigantesco di pelo nero, rosso e bianco. Gli ci volle un po' per individuare un paio di occhi verdi che lo scrutavano con attenzione e alla fine, di fronte al suo silenzio, il gatto proruppe in un miagolio acuto e lamentoso.
“Pappa?E' un nome?” fu tutto quello che riuscì a domandare, mentre la osservava accarezzare la testa del felino che, più che un animale domestico, sembrava una piccola tigre siberiana dal pelo lungo e arruffato.
“Gli piace, quando dico pappa lui si gira sempre, vero piccolino?” spiegò Ross, grattando il mento dell'animale.
Spencer inclinò la testa di lato, guardandolo riluttante “Vuoi davvero tenere questo gatto?”
“Un passo importante per la nostra relazione, non trovi?Quasi come avere un figlio!Ho fatto mettere una lettiera nella lavanderia, e la cuccia in salotto ma possiamo spostarla dove vuoi. In camera, forse, così non si sente solo...”
“Alaska, non possiamo tenere animali.- cercò di spiegare il profiler, senza nemmeno provare ad avvicinarsi al gatto- Lo sai che viaggio molto, no?E tu passi lunghe giornate allo Smithsonian e...”
“Derek ha Clooney e non ha mai avuto problemi, con lui.” gli ricordò l'antropologa.
Reid spalancò la bocca, rimanendo impacciato per qualche secondo. Si sentiva come un genitore che doveva proibire qualcosa a un bambino, solo che lui aveva a che fare con qualcuno che riportava argomentazioni perfettamente logiche “E' diverso e poi...”
“Ti prego!- lo implorò allora Alaska, piegando le labbra all'ingiù- I gatti sono incredibilmente indipendenti...”
Spencer sospirò, scuotendo la testa “Alaska...”
“E poi lui è così carino: lo sai che fa le fusa?” continuò imperterrita a parlare l'antropologa.
“Alaska...” ripetè ancora una volta Reid, non riuscendo però a fermare le argomentazioni della sua ragazza.
“Sai che accarezzare un gatto può ridurre il livello di stress?”
“Alaska...”
“Hey, lo sai che è stato Newton a inventare la porticina per i gatti?”
“Alaska...”
“Le persone che vivono con un gatto vivono di più, sono meno stressate e meno soggette ad attacchi di cuore...”
“Alaska...”
“Tipregotipregotipregotipregotiprego!” lo implorò, apparentemente a corto di nuovi argomenti, mentre saltellava su e giù con le mani giunte.
Spencer alzò un sopracciglio, non riuscendo a non sorridere “Ti sei davvero informata parecchio sui gatti, per convincermi, vero?”
“Ho fatto una ricerca su Google prima che arrivassi.” ammise Ross, stringendosi nelle spalle.
Il profiler annuì, lanciando un'occhiata di sbieco al felino, che si era già impossessato della sua poltrona preferita “Quindi ci tieni davvero molto a questo gatto...”
“Certo.- rispose Alaska con un sorriso radioso sul viso- Pappa è speciale.”
Reid annuì distrattamente “Non vorrei deluderti, ma tutti i gatti fanno le fusa.” le ricordò.
“Ma lui le fa a ritmo di musica.” specificò orgogliosa la ragazza.
“Davvero?” domandò incredulo Spencer, anche se non sapeva se fosse un fatto reale o un'esagerazione dovuta all'entusiasmo della giovane.
“Certo- confermò Ross annuendo- se gli canti una canzone lui comincia a fare le fusa tenendo il tempo.”
“Te lo stai inventando?” chiese di nuovo, alzando un sopracciglio.
Alaska scosse la testa “Certo che no. Ti prometto che mi occuperò io di lui: visite dal veterinario, pulizia della lettiera, ricerca della pappa che preferisce. Non ti accorgerai nemmeno che c'è, a meno che non vi troviate nella stessa stanza e lui non decida di volere un po' di coccole e...”
“D'accordo.- sospirò quindi Reid, interrompendola- Rimane.”
“Davvero?” il volto della giovane antropologa parve illuminarsi mentre pronunciava quella singola parola.
“Certo.- confermò Spencer, il suo sorriso che faceva da specchio a quello che aveva di fronte- E poi, sai, sto iniziando a sviluppare una certa difficoltà a non esaudire le tue richieste.”
“Attento, potrei approfittarne.- lo avvertì Alaska, mentre gli stringeva la vita in un abbraccio- A volte mi domando perchè sei così buono con me...”
Lui gli lasciò un bacio leggero sulla sommità del capo “Perchè ti amo, suppongo.”
Alaska rise, prima di alzare lo sguardo verso di lui “Bene. Ricordati di questo mentre ti dico un'altra cosetta...”
“Perchè sento che non porterà a niente di buono?” domandò, con un tono leggermente inquieto.
“Mio padre mi ha fatto una sorpresa: è arrivato oggi dall'Alaska e stasera ci ha invitati a cena!”
Bristot Du Coin. Dupont Circle, Washington, DC.
Se i veri amici si riconoscono davvero nel momento del bisogno, allora Spencer aveva avuto quella sera la conferma che i suoi colleghi del Bau erano i migliori amici che potevano capitargli.
Morgan gli aveva detto che era decisamente ridicolo preoccuparsi così tanto per un semplice incontro, ma Spencer era certo al cento per cento che l'amico non avesse affatto il quadro completo di quello che sarebbe successo quella sera. Lui, Spencer Reid, sarebbe stato esaminato e giudicato dal padre di Alaska, uomo rigoroso e decisamente iperprotettivo nei confronti della figlia.
Quando aveva rivelato le proprie paure, Emily gli aveva ricordato che aveva già conosciuto alcuni membri della famiglia di Ross l'inverno precedente durante le festività natalizie, ma Spencer sapeva benissimo che le due cose non erano minimamente paragonabili: Olga, la bellissima mamma finlandese di Alaska, condivideva con la figlia un'attitudine ottimista e spensierata; il suo nuovo marito Karol, era un polacco bonario ed affettuoso; e i suoi due fratellini, gemelli omozigoti con cui non era riuscito a passare molto tempo a causa della loro vivacità incontenibile, erano amichevoli e simpatici. Dai racconti che aveva sentito, sia da Rossi che l'aveva conosciuto anni prima, che da Alaska, non poteva dire altrettanto del signor Ross.
“Non fare quella faccia, Spence.- disse JJ, sottraendolo dai suoi pensieri- Andrà tutto bene.”
Reid le rivolse un sorriso incerto “Sì. Certo.”
“Insomma, non può essere così male, no?” si azzardò a domandare Emily, alzando un sopracciglio.
“No, ma è diametralmente opposto ad Alaska, per quanto ricordo.- intervenne Rossi- Un uomo molto disciplinato, un po' rigido e molto attento alle regole. Un leader naturale, sarebbe stato un buon soldato, probabilmente.”
“Non fargli il profilo!” sbottò immediatamente Reid, ancora più agitato dopo aver ascoltato le parole del collega più anziano.
“In Nocciolina c'è il cinquanta per cento del suo DNA!- gli ricordò quindi Penelope, usando il suo soprannome preferito per la giovane antropologa- Dovrà pur aver ereditato qualcosa!”
Spencer scosse la testa, affranto “Solo i capelli e il colore degli occhi, a quanto ho visto dalle foto.”
“Andiamo, in fondo Alaska gli avrà già tessuto ampiamente le tue lodi.- tentò di rassicurarlo Morgan, con un sorriso scanzonato sul volto- Hai sicuramente la strada spianata!”
“Dici che quindi sorvolerà sul fatto che lei non gli ha ancora detto che si è trasferita da me?” domandò incerto Reid, alzando le sopracciglia in un'espressione preoccupata.
“Che cosa?- sbottò Prentiss incredula- Non gliel'ha ancora detto?”
“Non ne sono sicuro.” mormorò il ragazzo pensieroso.
“Qualcuno è nei guai!” canticchiò Penelope, facendo dondolare la testa a tempo.
“Eccoli, sono loro.” annunciò Hotch, additando una coppia che stava attraversando la strada e camminava nella loro direzione.
Reid non potè impedirsi di deglutire a vuoto mentre seguiva con lo sguardo Alaska che si stringeva al braccio di un uomo alto, il fisico asciutto ben fasciato da un cappotto nero molto elegante.
Il padre di Alaska era più minaccioso di quanto si aspettasse. Aveva già visto il volto dell'uomo, ovviamente, in una delle numerose foto di famiglia della ragazza. Peter Ross aveva un volto duro e spigoloso, parzialmente coperto da una folta barba nera, ben curata, che nascondeva alla vista le guance magre e scavate e il mento sporgente. Gli occhi erano azzurri e brillanti, dello stesso colore di Alaska, con una forma a mezzaluna che terminava in un ventaglio di rughe d'espressione. Era stato un bell'uomo, probabilmente, e gli anni avevano aggiunto al suo aspetto un pizzico di quel fascino dell'uomo vissuto, tuttavia, ciò a cui riusciva a pensare Spencer in quel momento era quanto l'uomo assomigliasse al pirata Barbanera o, perlomeno, all'immagine che da bambino si era sempre fatto del filibustiere. Anzi, mentre lo guardava stringere con possesso le spalle esili della figlia, poteva giurare che fosse addirittura più minaccioso.
“Signor Ross.- lo salutò immediatamente e quasi con reverenza non appena fu a portata d'orecchio- Sono felice di conoscerla, finalmente.”
“Dottor Reid.” gli fece eco l'uomo con una voce profonda, mentre stringeva la mano che gli veniva offerta.
Spencer si sentì stritolare le dita da quella stretta potente e, al contempo, cercò di ignorare gli occhi penetranti dell'uomo che sembravano scandagliarlo con la minuzia di una macchina ai raggi X. Al suo fianco, Alaska sorrideva felice di quell'incontro, incurante dello sguardo inquisitorio che il genitore stava rivolgendo al suo ragazzo.
“Dave!- esclamò quindi l'uomo, voltandosi verso Rossi- Sono davvero felice di rivederti!”
“Anche io, Peter.- ribattè David, stringendogli la mano sorridendo- Sei ancora capo di quella fabbrica che produce stivali da pioggia nell'Oregon?”
Il signor Ross si strinse nelle spalle “Ormai sono anni che l'ho affidata a uno di quei manager dalla faccia antipatica ma che sanno fare il proprio lavoro. Ora mi dedico a quello che mi piace davvero.”
Alaska gli avvolse un braccio intorno alla vita, orgogliosa “Papà ha preso il brevetto di pilota quando si è trasferito in Alaska.”
“Beh, congratulazioni, allora.” si complimentò Rossi.
Peter sorrise, gesto che gli fece strizzare gli occhi chiari, e poi si voltò a guardare il resto del team che aveva assistito in silenzio a quei saluti “E questi devono essere gli strizzacervelli sotto steroidi al soldo dell'FBI dei quali mi hai parlato tanto, giusto tesoro?”
Alaska aggrottò le sopracciglia, confusa, mentre ricambiava lo sguardo del padre “Non credo di aver parlato di nessuno con quella definizione. Lavorano alla sezione di analisi comportamentale, sono colleghi di Spencer.”
“Alaska, devo davvero trovarti qualcuno che ti insegni come riconoscere le battute all'interno di un discorso...” sospirò l'uomo, scuotendo piano la testa.
“Ci stiamo lavorando.- sorrise amichevolmente Morgan tendendogli la mano- Molto piacere, signore, io sono...”
“Derek Morgan.- lo precedette Peter, ricambiando la sua stretta- E voi dovete essere Emily Prentiss, Penelope Garcia, Jennifer Jereau detta JJ e Aaron Hotchner.”
“Ci ha googlati?” si informò con un sorriso Penelope, che aveva già deciso che quell'uomo dall'aria austera e l'ironia sottile le stava simpatico.
“No, non ne ho avuto bisogno. Mia figlia mi ha tessuto talmente tanto le vostre lodi che mi sembra già di conoscervi.” rivelò, rivolgendo uno sguardo amorevole ad Alaska.
“Vogliamo entrare?- aggiunse poi, additando l'ingresso del ristorante francese alle loro spalle- Ho prenotato un tavolo.”
La tavolata proruppe in una risata divertita quando Peter Ross finì, con una battuta ad effetto, di raccontare una storia legata alla propria giovinezza. Nonostante parlasse sempre con il tono di un generale intento a descrivere una missione del passato, il padre di Alaska si era rivelato un uomo ironico. Questo, tuttavia, non era servito a tranquillizzare Spencer che, seduto di fianco alla propria ragazza, aveva faticato a toccare il piatto raffinato che si ritrovava davanti.
Alaska fece roteare gli occhi platealmente, divertita “Papà, ti prego. Non usi questo aneddoto dai tempi dei balli scolastici.”
“E funzionava perfettamente, allora.- confermò orgoglioso Peter- I tuoi cavalieri ti hanno sempre riportato a casa cinque minuti prima del coprifuoco.”
“E dal giorno dopo non avevo più loro notizie.” aggiunse la ragazza, rivolgendo il proprio sguardo verso il team di profiler.
“Finchè non è arrivato quel Walt Morrison.- continuò a borbottare il genitore- Ragazzo tenace, una tempra di ferro: se non sbaglio fa il pompiere ora, giusto?”
Alaska si strinse nelle spalle “Già, credo sia diventato capo del suo dipartimento da poco.”
Peter non commentò quella risposta, si sfregò le mani in modo teatrale e rivolse un'occhiata globale ai presenti, per poi posare i propri occhi chiari e indagatori su Reid che, vedendo quello sguardo, sentì improvvisamente seccarsi la gola.
“Direi che come preamboli ci siamo: mi sono imposto come una figura paterna iperprotettiva e minacciosa, vi ho rifilato qualche aneddoto per fare intuire cosa potrei fare a chi fa soffrire la mia bambina e confermato così di essere un padre temibile.- elencò soddisfatto il signor Ross- Direi che ora possiamo passare a qualcosa di più interessante.”
“Oh!Sapete che allo Smithsonian sono finalmente arrivati dei macchinari che ci permetteranno di ricostruire completamente uno scheletro andato perduto semplicemente basandoci su...” stava già cominciando a raccontare Alaska, provocando così un sorriso rassegnato del genitore.
“Alaska, intendevo qualcosa di più interessante per tutti.- specificò, ammiccando in direzione dei profiler- Immagino che l'aspettativa generale sia che io torchi un po' il qui presente dottor Reid, giusto?”
“Finalmente, signor Ross!- esclamò quindi Penelope gioviale- Mi sono portata i popcorn da casa apposta per questo!”
Morgan annuì concorde “E' per questo che ho scelto un posto con una buona visuale sul nostro G-man!”
“Un' esecuzione in stile moderno, insomma.- commentò Hotch con un mezzo sorriso- Sei sicuro di essere pronto per una cosa del genere Reid?”
Gli occhi del giovane genio sembravano urlare una risposta negativa, ma la sua voce disse “Sì...credo.”
Peter annuì gravemente, come un professore pronto a torchiare un alunno poco preparato “Partiamo con un argomento a piacere: parlami di te.”
“Papà, credo di averti già parlato ampiamente di lui, non trovi?” gli ricordò Alaska con un sorriso.
“Tesoro, silenzio, papino sta cercando di torchiare il tuo fidanzato.- tagliò corto il signor Ross, muovendo un dito ammonitore in sua direzione- Allora, dove hai studiato, ragazzo?”
“Uhm, io...- Spencer si schiarì la voce,imponendosi di non balbettare, cosa che riteneva impossibile considerando il fatto che si sentiva estremamente sotto pressione- M-mi sono diplomato alla Public High School di Las Vegas, poi ho proseguito gli studi a Yale. Sono laureato in matematica, chimica e ingegneria e ho due dottorati, in psicologia e sociologia. Presto discuterò la tesi del dottorato in filosofia e...”
Peter spalancò gli occhi, sinceramente colpito “Allora non esageravi come tuo solito quando dicevi che il tuo ragazzo è un genio!”
“Certo che non esageravo.- confermò Alaska sorridendo- Sai, Spencer ha una quantità enorme di libri, stiamo facendo una fatica impressionante a fare entrare nell'appartamento anche la mia roba.”
Al loro tavolo calò immediatamente il silenzio. Peter Ross aveva stretto immediatamente le labbra in una linea dure che scomparve nella barba corvina, gli occhi spalancati per lo stupore.
Hotch non potè fare a meno di scuotere piano la testa, così come Rossi, per l'ennesima volta incredulo per l'eccessivo candore della giovane antropologa.
“Tu...Tu sei andata a vivere con il dottor Reid?” domandò, con il fiato corto Peter.
“Oh-oh.” commentò Emily a bassa voce, mentre JJ faceva saettare i propri occhi blu dai due Ross a Spencer, che sembrava stesse trattenendo il respiro.
“Oh, sì.- confermò Alaska sorridendo e mettendo una mano su quella di Reid- Da due settimane ormai.”
“Da due settimane.- ripetè gravemente il signor Ross, fulminando letteralmente il giovane genio- Non trovi che sia presto per andare a convivere?”
“No, non credo.” ribattè immediatamente Alaska, scrollando le spalle.
Peter scosse la testa, come per riacquistare lucidità, e tornò a guardare incredulo la figlia “Voglio dire, da quanto è che state insieme?Un anno?E vi conoscete da poco di più!Direi che è stata una decisione troppo avventata, e tu dovresti essere un genio?”domandò infine, fissando di nuovo Spencer con aria accusatoria.
“Beh, ecco, io...” si ritrovò a balbettare Reid, spiazzato da quella reazione.
“A me non sembra poi così poco.- continuò a dire Alaska, con calma- Tu e Bianca vi siete sposati dopo due mesi dal divorzio, giusto?”
Il tono della ragazza era talmente serafico e colmo di ovvietà che quel ragionamento parve mettere in difficoltà l'uomo. In effetti, Peter Ross aveva conosciuto la moglie esattamente una settimana dopo essersi separato dalla madre di Alaska e, nel giro di due mesi, si era trasferito ad Anchorage con lei, l'aveva sposata ed era diventato di nuovo padre nel corso di un anno.
“E' diverso.” provò a dire, ricomponendosi.
Morgan alzò un sopracciglio, mentre aspettava la risposta di Alaska, che non tardò ad arrivare.
“Perchè?”
Peter aggrottò le folte sopracciglia “Perchè...Perchè io e Bianca eravamo due adulti, con già alle spalle un buon bagaglio di esperienze. Alaska tu sei ancora così giovane e mi sembra che il qui presente dottor Reid lo sia altrettanto e non so se...”
“Io amo sua figlia.” lo interruppe Spencer d'impulso, spiazzando tutti i presenti tranne Alaska.
“Come?” riuscì ad articolare il signor Ross, sbattendo le palpebre confuso.
“Io amo Alaska.- ripetè Reid, ignorando la vocina nella sua testa che lo informava che il discorso che stava per fare sarebbe diventato tema di dibattito e ironia da parte di Derek, Penelope ed Emily- Più di qualsiasi altra cosa al mondo. E, in effetti, so che tutta la nostra storia è stata caratterizzata da una certa impulsività e che non ci conosciamo ancora come se stessimo insieme da anni, ma ci amiamo. Davvero. E io non sono mai, decisamente mai, impulsivo, ma con lei non ho potuto farne a meno di esserlo perchè la amo. Davvero.”
Il padre di Alaska non rispose, ma continuò a guardarlo, in silenzio, per diversi secondi. Il suo sguardo era talmente profondo e imperturbabile che fu difficile per tutti i presenti intuire a cosa stesse pensando.
“Visto perchè lo amo?” trillò Alaska, interrompendo con tono allegro il silenzio che era calato sulla tavolata.
Peter Ross sospirò, si passò una mano sulla tempia e tornò a rivolgersi alla figlia. I membri del team trattennero il fiato, non sapendo cosa aspettarsi.
“Allora, che novità ci sono nella tua vita, Alaska?- domandò, ben intenzionato a lasciar perdere l'ultima parte della loro conversazione- A parte, ovviamente, il fatto che sei andata a vivere con il qui presente dottor Reid senza nemmeno dirlo al tuo vecchio.”
Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma quella confessione accorata gli aveva fatto capire che stava lasciando la propria bambina in buone mani. Spencer accennò ad un sorriso nervoso, in cuor suo rallegrato dal fatto che Peter Ross avesse finalmente deviato l'attenzione da lui.
“Beh- cominciò Alaska raddrizzandosi sulla sedia eccitata e lanciando ai presenti un'occhiata allegra, apparentemente incurante del cambio di argomento- oggi io e Spencer abbiamo adottato un gatto...”
Penelope proruppe in un gridolino, mentre batteva le mani entusiasta “Aw, sono diventata zia!”
“...e mi sono iscritta a un corso all'università.” concluse l'antropologa, infilandosi in bocca una forchettata dell'insalata variopinta che aveva nel piatto.
“Lo sapevo, è successo!” sbottò Derek, con tono fintamente drammatico.
“Cosa?” domandò JJ, alzando un sopracciglio
“Il nostro G-man, qui.- spiegò con un ghigno- L'ha plagiata e trascinata nel suo folle mondo fatto di studio permanente!”
“Il mio mondo non è fatto solo di studio.” protestò immediatamente Reid.
“Giusto, c'è anche la magia della fisica.” confermò Rossi, ironico.
Peter scosse la testa, divertito da quello scambio di battute “Ignorali e dicci a che corso ti sei iscritta.”
“Arte e disegno.” lo informò Alaska orgogliosa.
“Arte?- ripetè suo padre, prima di iniziare a raccontare- Il dottorino non c'entra, direi che è decisamente influenza materna, sapete, Olga...”
Casa di Spencer Reid e Alaska Ross. Washington, DC.
Spencer sospirò pesantemente dopo essersi chiuso la porta alle spalle. Doveva ammetterlo, la serata non era stata disastrosa come se l'era aspettata. Certo, non poteva dire che il padre di Alaska l'avesse preso in simpatia, ma perlomeno aveva sotterrato l'ascia di guerra, ben deciso a dargli una possibilità.
Qualche passo davanti a lui, Alaska si era già sfilata sciarpa e cappotto.
“E' stata una bella serata, vero?” domandò la ragazza, ruotando su se stessa al centro dell'atrio, facendo roteare la gonna del vestito.
Spencer rimase catturato da quel gesto e dalla felicità dipinta sul suo viso per il semplice fatto di aver condiviso una cena con il padre e gli amici più cari e, mentre stava contemplandola come fosse un'opera d'arte, lei gli si avvicinò, posando le sue mani fresche ai lati del suo viso. Baciò Spencer a lungo, con dolcezza, e quando interruppe quel contatto fece passare piano il proprio indice sulle sue labbra, tracciandone il contorno.
“Sì- confermò quindi Reid- E' stata una bella serata.”
Lei rise.
E lui pensò che non c’era lavoro più importante, e più gratificante, del riuscire a farla ridere ancora.
- Helen Simonson
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Finto! Incredibile, vero? Per prima cosa perchè ho scritto ben 10 capitoli: insomma un numero praticamente perfetto che, se mi ci fossi impegnata e mi fossi imposta di scrivere una storia dandomi questo numero come punto d'arrivo non ci sarei mai riuscita. E poi perchè, in effetti, questo capitolo mi è rimasto sul pc per diversi giorni, già concluso e solo in attesa di una revisione che continuavo a rimandare. Ma alla fine ce l'ho fatta: finito. Che poi, finita finita la storia di Alaska e Reid non lo è, perchè siccome soffro d'insonnia, ho una fantasia indomabile e quando mi metto sui libri il mio cervello pensa a tutto fuorchè quello su cui dovrebbe davvero concentrarsi ho già un'altra storia in cantiere. Più leggera (di sicuro), più divertente (spero), senza sangue, psicopatici e casi raccapriccianti (con enorme sollievo dei protagonisti). Insomma, non volevo lasciare questo universo senza prima mettere davvero la parola fine, e magari anche un happy ending, alla storia che ho creato e ai personaggi che ho deciso di introdurre nel mondo di CM.
Tuttavia, anche se il vero finale sarà nell'ultima storia di questa serie (che inizierò a pubblicare questo fine settimana, sabato o domenica secondo i miei calcoli...) “Just for a week, right?”, ho deciso che anche “Do not follow me” aveva bisogno di un epilogo allegro e non agrodolce come l'ultimo capitolo che ho pubblicato: in poche parole questo finale è giusto un quadretto generale che ho voluto darvi di come i personaggi sono rientrati nella propria quotidianità.
Non mi dilungo oltre: ringrazio chiunque abbia letto, commentato, messo fra preferiti/seguiti/ricordati questa storia, e spero che continuate anche a seguire il continuo.
Un bacione a tutti quanti, fatemi sapere che cosa ne pensate di questo finale e...
STAY TUNED!! ;)
Kisses JoJo
Oh! P.S. Mi son dimenticata di dirvi che alle recensioni di questo capitolo non risponderò nel primo capitolo della nuova storia, ma *rullo di tamburi* userò finalmente la nuova funzione di risposta alle recensioni messa a disposizione dal sito. Besos di nuovo, JoJo!
Antu_ : Ormai ti sei guadagnata la pole position delle recensioni!:) Ti devo dire che mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, con ciò che pensi dei personaggi, quello che hanno vissuto e come hanno reagito. Come dici tu, Alaska preferisce ricordare l'arcobaleno che la tempesta e questo è la cosa che più mi piace di lei. Una volta ho letto una frase di Chuck Palahniuk che diceva (più o meno) “E' difficile dimenticare la sofferenza, ma è ancora più difficile ricordare la dolcezza. Non abbiamo cicatrici che mostrino la felicità. Impariamo così poco dalla pace.” Devo dire che mi ha fatto molto pensare e che, probabilmente, ho voluto capovolgere questa visione nel creare Alaska...La lettera che le ho fatto scrivere è stata piuttosto difficile, per me, semplicemente perchè io sono una specie di Nate in gonnella (ok, non così drastica, eheheh) quindi pensare di dover esprimere sinceramente e completamente i sentimenti di una persona in una lettera d'addio è stato un po' complicato. Sono contenta che nel complesso non sia stato un disastro totale. Orbene, ti lascio ora: alla prossima storia!Bacioni
Maggie_Lullaby : Heylà!Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e anche la lettera, che ho trovato abbastanza difficile da scrivere. Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, anche se breve è stato decisamente efficace. Alla prossima storia, spero!Un bacio
Tempest_the_Avatar : Salve!(Notare il saluto generico per non incappare in sbagli di fuso,eheheh) Che dire?Sono davvero contenta che il cazzeggio ti abbia condotto alle mie storie e che apprezzi così tanto la coppia Alaska/Reid. Spero che continuerai a leggere anche il seguito!Kisses
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