Capitolo 2
Ritorno alla civiltà
Harry trascorse il giorno seguente come al solito:
rivivendo i suoi incubi e tormen- tandosi incessantemente. Aveva completamente
rimosso dalla mente la lettera della giovane Weasley. Confidava nel pessimo
carattere di suo zio Vernon per farli mandare via, ma sapeva fin troppo bene
che tutti i membri dell’ordine conoscevano il modo di intimidire un uomo
burbero come lui. Comunque non se ne preoccupava più di tanto, ci avrebbe
pensato in seguito.
Non si curava nemmeno di tener d’occhio l’ora, tanto ormai
non si curava più di niente. Non gli importava cosa avrebbe detto mamma
Weasley, vedendo il suo bar- bino incolto, o Hermione vedendo la stanza, o
tutti gli altri vedendo le mille lettere e regali spezzettati o frantumati sul
pavimento.
Arrivarono le quattro e naturalmente Harry non se n’era
accorto. Sentì suonare alla porta e inutilmente sperò che fosse qualche amico
degli zii o di suo cugino Dudley, ma le sue speranze erano vane. Dopo qualche
minuto arrivò zia Petunia a bussare alla sua porta: “Ragazzo, ci sono delle
persone che chiedono di te, dicono di essere venute a prenderti…”. La voce
della zia era timida. Anche lei come i suoi amici era preoccupata per Harry, a
modo suo.
Ma Harry rimaneva sulle sue e disse: “Mandali via, non
voglio vedere nessuno, inventati qualche scusa…”.
Zia Petunia doveva essere stata intimidita quanto zio
Vernon, perché non lasciò perdere: “Mi dispiace, ma hanno detto che se non
permettiamo loro di vederti verranno a prenderti di persona!”
Harry stava per infuriarsi terribilmente: “Allora dì loro
che sono io che non voglio vederli!”
Zia Petunia se ne andò, la sentì parlare…ma poco dopo
sentì innumerevoli piedi risalire le scale decisi e una mano forte bussare alla
porta: “Harry apri siamo noi, ti vogliamo portare a Grimmould Place!”
Quello era l’ultimo posto dove Harry desiderava andare,
tornare nella casa del suo padrino. L’unica persona che avesse mai potuto
chiamare famiglia, ma come i suoi genitori l’aveva lasciato solo. Lanciò
un grugnito alla persona che aveva parlato, che riconobbe come Remus Lupin, il
migliore amico dei suoi genitori e del suo padrino Sirius.
I suoi amici tornarono alla carica, ma questa volta fu la
signora Weasley a parlare: “Harry, caro, facci entrare, vogliamo solo aiutarti!”.
Harry sapeva benissimo che la signora Weasley diceva la verità, ma non poteva
fare a meno di essere cattivo: “Mi lasci in pace! Lei non è mia madre!”
Sentì al di là della porta i singhiozzi della signora
Weasley e quelli riuscirono a farlo sentire in colpa. Non sapeva come mandarli
via, si mise a camminare su e giù per la stanza, poi si rannicchiò in un angolo
sperando di sparire improvvisamente dalla faccia della terra. Tornò a parlare
Lupin: “Va bene Harry, se non ci fai entrare tu, butteremo giù la porta!”
Ci fu un lieve tramestio nel corridoio, poi un forte boato
e un fiotto di luce, che la stanza non accoglieva da molto tempo, la inondò.
Entrò nella stanza una moltitudine di persone: la famiglia Weasley al completo,
Hermione, Lupin, Tonks e altri membri dell’Ordine della Fenice. Rimasero tutti
inorriditi dal caos che regnava in quella camera, la signora Weasley si mise di
nuovo a piangere e Hermione si portò le mani alla bocca. Nessuno aveva notato
il fagotto di cenci che respirava in un angolo della stanza, finche Ron urlò:
“Harry!”.
Il ragazzo alzò la testa d’istinto e la luce gli colpì gli
occhi, abituati al buio. Vide gli sguardi sbigottiti dei suoi amici e riabbassò
la testa. Anche se voleva rimanere indifferente non poté fare a meno di notare
il suo aspetto e il cattivo odore che emanava. Ron gli si avvicinò e con uno
sforzo enorme lo tirò in piedi, per niente aiutato da un Harry riluttante a
seguirlo: “Oddio che puzza! Ma da quanto tempo non dai aria a questo posto? C’è
un fetore orribile!”.
“Ma stai zitto…” ringhiò Harry con uno sguardo di fuoco.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno erano commenti. Si accasciò sul letto
coprendosi il viso con le mani e Hermione gli andò vicino: “Harry, dai alzati,
ti portiamo via”.
Harry non aveva più voglia di attaccare tutti, come non
aveva voglia di lasciare quel posto, anche se solo poco tempo prima avrebbe
pagato per andarsene: “Vi prego, lasciatemi qui! Non mi interessa più un cavolo
della scuola”. Non sapeva perché ma improvvisamente si sentiva molto debole e
lo colse un capogiro. All’improvviso sentì tutto il fetore che c’era nella
stanza e si ricordò che non mangiava da almeno due giorni. Tentò di alzarsi
senza sapere bene cosa fare e cadde a terra svenuto.
Era in una stanza circolare, circondata da alte scalinate.
Esattamente al centro della stanza, dove finivano le scalinate, c’era una
piattaforma su cui fluttuava un sinuoso velo nero. Sulla piattaforma c’era una
persona, aveva il volto coperto di sangue e si reggeva a stento in piedi. Lo
riconobbe: era il suo padrino. Sirius sussurrò con un filo di voce: “Harry
aiutami!”. Harry iniziò una corsa disperata verso l’unica persona che fosse mai
riuscito a capirlo, che gli era sempre stato vicino anche se lui non lo sapeva.
Più lui si avvicinava più Sirius si allontanava, fin che scomparve dietro il
velo e Harry disperato si tuffò cercando di afferrare il padrino e in quel
momento si svegliò urlando. Quando gridò si svegliò anche un’agitatissima Ginny
che si era addormentata su una sedia al fianco del suo letto. Qualcuno gli
aveva tolto gli occhiali e il suo viso era bagnato dal sudore e dalle lacrime
di cui era impregnato anche il cuscino. Ginny si alzò in piedi e gli chiese:
“Stai bene? Vuoi che chiami la mamma o qualcun altro?”. Alla preoccupazione della
giovane Weasley a Harry scappò un sorriso:
“No, non chiamare nessuno. Non sopporterei gli sguardi che
mi lanciano; e poi non voglio rischiare di aggredire di nuovo tua
madre…Comunque ci sei già tu a farmi compagnia, però se vuoi andartene fa pure,
ti capisco!” Si lasciò cadere sul cuscino. Si sentiva sfinito, come se avesse
camminato per giorni interi. Ma non sapeva perché tutta l’amarezza di quelle
settimane era scivolata via. Tutto era dovuto al salvataggio dei suoi amici.
Certo la tristezza per la morte di Sirius non era sparita e neanche la
situazione di smarrimento per la scoperta della terribile profezia fatta su di
lui e Voldemort, il terribile mago oscuro responsabile della morte dei suoi
cari e di molti altri maghi e babbani. Era come immerso in un beato torpore,
come se fosse convalescente da una lunga malattia.
Chiuse gli occhi per rilassarsi nel suo letto, mentre
Ginny gli stringeva la mano e ad un certo punto sentì le sue calde lacrime
bagnargliela. Si riscosse dal sonno che gli era rimasto addosso e con una mano
le alzò il viso per guardarla negl’occhi. Era diventata veramente molto carina
e prima dall’ora non se n’era mai accorto: “ Ehi, piccola perché piangi? Non
fare così, altrimenti mi sentirò male di nuovo!”
“Scusa Harry, ma non riesco a vederti così, mi fai paura.
Io so come ti senti e mi fa sentire uno schifo non sapere cosa fare per
aiutarti”
“Ginny, non voglio essere cattivo, ma non penso proprio
che tu sappia come mi sento, per cui non dirlo”
“Hai ragione non lo so, ma lo immagino. Tu sei distrutto
da tutto quello che è successo, odi con tutte le tue forze Voldemort perché ti
ha portato via le uniche persone che abbiano avuto ruolo di genitori per te e
sei preoccupato che se la possa prendere con le persone a cui vuoi bene, ma non
vuoi essere compatito per questo…”
“Grazie per avermi ricordato che sono solo…” sussurrò
Harry sarcastico.
“Io voglio solo farti affrontare la realtà, e poi non sei
solo…ci sono io.”
“GINNY, TU PENSI CHE IO NON ABBIA PRESENTE LA REALTA’? NEL
CASO NON LO SAPESSI E’ TUTTA L’ESTATE CHE C’E’ L’HO BEN PRESENTE NELLA MENTE!
LO SCORSO GIUGNO HO COMBINATO UN SACCO DI CASINI, SONO STATO DI IMPICCIO A
TUTTI E PER COLPA MIA UNA PERSONA E’ MORTA! E QUELLA PERSONA ERA L’UNICA CHE MI
AVESSE MAI DATO UNA FAMIGLIA! IO NON SONO NEMMENO RIUSCITO A SALVARLO, E’ STATA
TUTTA COLPA MIA! SECONDO TE QUESTA REALTA’ NON L’HO PRESENTE?” senza
accorgersene Harry si era alzato in piedi sul letto e quando finì di parlare,
si fece cadere seduto e si coprì la faccia con le mani.
“Scusa Ginny non volevo urlarti contro, è che sono stanco
di urlare e di dare spiegazioni!” guardò la ragazza negli occhi e una
sensazione strana lo invase, una sensazione che non aveva mai provato prima e
in quel momento la ragazza si mise a parlare senza prendere fiato:
“Harry, io non ti ho chiesto niente, voglio solo che tu ti
fidi di me! Senti, so che non sono solo i sensi di colpa che ti tormentano, ma
anche quella profezia. So che sai che cosa diceva, ma se non vuoi parlarne non
importa perché l’unica cosa che m’importa sei tu…” non aveva fatto in tempo a
terminare la frase perché Harry si mise in ginocchio sul letto, le prese il
viso e la baciò. Era un bacio forte, che faceva trasparire tutta la
frustrazione di Harry, ma nello stesso tempo molto dolce. Harry fece passare
delicatamente la sua lingua tra le labbra della piccola Weasley e si mise a
cercare quella della ragazza. Quest’ultima non si fece attendere e iniziò ad
accarezzare la lingua del ragazzo con la sua. Harry stava abbracciando Ginny
con entrambi le braccia e fece scivolare una mano sotto la sua maglietta fino
ad accarezzarle la pelle morbida della schiena. In quell’istante il momento
magico dei due ragazzi fu spezzato, perché la porta della stanza si aprì ed
entrò la comitiva di salvataggio di Harry al gran completo.
I due ragazzi non se ne accorsero fin che il signor
Weasley non si schiarì la voce molto rumorosamente: “Ehm…ben svegliato Harry,
ti abbiamo sentito urlare e abbiamo pensato che ti fossi ripreso…”
Harry e Ginny si staccarono imbarazzati, Ginny era
paonazza, ma stranamente Harry era tranquillissimo, come se stessero
semplicemente parlando e disse ironicamente: “Esattamente in che parte del
bacio siete entrati senza bussare?”
Fu un irritato Ron a rispondere: “Mah…più o meno quando
hai infilato la lingua in bocca a mia sorella e la stavi palpeggiando…”
Harry e Ron scoppiarono a ridere e così fecero anche gli
altri. La tensione fu spezzata e la signora Weasley si rivolse a Harry: “Caro,
probabilmente sei affamato, di sotto è pronto il pranzo…”
Harry la interruppe bruscamente: “Scusi, ma per quanto
sono rimasto svenuto?”
“Be’, quasi un giorno! Comunque hai dormito bene?”
Harry e Ginny si scambiarono un’occhiata veloce: Harry era
sicuro che oltre ad essersi svegliato con un urlo aveva anche parlato nel
sonno, però rispose: “Benissimo!”. Ma sapeva che nessuno gli aveva creduto.