Portò la morte a Zanarkand

di crimsontriforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 La fine di tutto, fuorché Sin ***
Capitolo 2: *** 1.2 La fiamma che brucia la ragione ***
Capitolo 3: *** 1.3 Una caratteristica della spirale ***
Capitolo 4: *** 2.1 Assoluzioni lineari ***
Capitolo 5: *** 2.2 Due risultati per la stessa incognita ***
Capitolo 6: *** 2.3 Stati intermedi di mente e materia ***
Capitolo 7: *** 3.1 Chiudi gli occhi, il viaggio è finito ***
Capitolo 8: *** 3.2 Negazione, rinuncia e fuga ***
Capitolo 9: *** 3.3 Sotto una coltre di stelle ***
Capitolo 10: *** Extra: Moonflow e Macalania ***



Capitolo 1
*** 1.1 La fine di tutto, fuorché Sin ***


Ed ecco infine la pappardella che rimugino da anni e scritta in occasione del Big Bang Italia, challenge molto sfiziosa che dà un paio di mesi per cacciar fuori più di 10000 parole su un singolo progetto a piacere, fanfic o original. C'è tutto il gusto dello strapparsi i capelli per consegnare per tempo, il lamentarsi coi compagnucci di quanto è venuta scacia la fic e di quanto sei un cane a plottare perché credevi di raggiungere a stento il limite minimo e invece veleggi sulle 63000 (solite piacevolezze di challenge, insomma XD), e poi c'è un'incredibile e amorevolissima schiera di persone volenterose pronte a fare un regalino agli scribacchini. A me il regalino l'ha fatto El Defe ed è un bellissimo fanmix scaricabile qui, che vi consiglio di cuore... magari senza leggere il booklet che per ora, ovviamente, spoilera^^
Ora, OC protagonisti. Spero che entro la fine della fanfic parlino da sé, anche se non sono sicura di averli espressi al meglio. Quello che so è che questi eventi di cui voglio parlare non potevano essere una storia su Yuna o avrei usato ben volentieri Yuna. Non potevano essere una storia su Braska, su Yocun, Ohalland e men che meno Gandof, non potevano essere su Isaaru, su Zuke, su Ginnem né potevano essere su Seymour. Sarebbero potuti essere un What if su Dona o su Belgemine (che comunque non ha perso occasione per un po' di sano presenzialismo), tirandoli un po' per le orecchie. Ma avevo più voglia di restare in canone usando due miei personaggi storici in vesti spirane.
Solita solfa sui termini specifici, che essendo la fanfic luuuunga ricorrono tipo tutti, qui.











PORTÒ LA MORTE A ZANARKAND





1. Un passo oltre il precipizio


(Non fare il passo più lungo della gamba, pellegrino. Vedo che né Yevon né gli Eoni sono tuoi padroni, ma ricorda che tu non sei il loro.)
(Farò ogni passo che mi porterà a Zanarkand, madama evocatrice.)
(E tu? Sei il suo guardiano? Tienilo d'occhio, ché non si perda in sciocchezze.)
(È quello che faccio.)





La fine di tutto, fuorché Sin


Il cielo sopra la montagna sacra era sereno. A quelle altitudini capitava che per trovare le nuvole si dovesse guardare in basso, dove i cumuli riempivano canaloni e strapiombi nascondendo il mondo al di sotto.
Sert guardava in basso. Seguiva distratto i voli rotondi degli uccelli che s'inseguivano sopra le coltri nere. L'evocatore si reggeva appena alla sporgenza di roccia: non sentiva più il freddo nelle mani guantate che stringevano a vuoto la neve e le ginocchia non gli rispondevano. Guardava l'abisso. Guardava in fondo, guardava gli uccelli, rifuggendo le macchie di sangue che segnavano una traiettoria lungo la scarpata. Accettare che esistessero le avrebbe fissate e rese reali, mentre tutto quello che poteva fare per restare vivo e aggrappato alla terra ghiacciata era convincersi di essere immobile nel tempo, che quando si fosse rialzato questo si sarebbe riavvolto a suo comando e sarebbe tornato a pochi istanti prima, quando il suo guardiano respirava e viveva sotto i suoi occhi. O prima ancora, prima degli ultimi scontri, alle pendici di quella montagna maledetta. O a casa, nella lontana Kilika assolata, pianificando un futuro che sembrava breve e semplice.
Sert possedeva un talento naturale per convincersi, affinato negli anni e culminato nella peregrina idea di poter raggiungere Zanarkand e dare così un senso ai suoi giorni. Costruire una fede cieca nel proprio successo era, in fondo, privilegio da evocatore. Ma se tutto era sotto controllo, e Sert ne era certo – il tempo è fermo, aspetta me – perché sentiva un dolore lancinante al cuore?

“Il peggio deve ancora venire”, commentò una parte di lui che si era tenuta in disparte dalla cappa di nulla che gli era crollata addosso e lo osservava quieta. “La realtà busserà alla tua porta e piangerai e strillerai tutte le tue ingiustizie fino a che avrai voce, ma per l'amor di quel che è sacro non a voce troppo alta, per favore, o ti arriveranno addosso tutte le fiere del Gagazet e non hai più nessuno che ti difenda, o che ti curi. E fa' veloce che siamo in ritardo, la gente là sotto aspetta una Calma da tutta la vita.”
Sert strinse i pugni. Era abituato anche ad avere voci che riecheggiavano nella sua testa, sogni non suoi, frammenti di immagini cui non dava un senso da quando aveva stretto il patto con Lord Ifrit, anni addietro, ma mai così chiare né così spiacevoli. Fece una smorfia e trattenne il fiato. Piangere e strillare, che sciocchezza.

Il peggio venne. L'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio quando Sert sentì che presto, da un momento all'altro, il suo castello di assurdità avrebbe ceduto e si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza, e si gettò all'indietro rannicchiandosi in mezzo alla neve per non scivolare nel vuoto quando venne scosso dai primi singhiozzi. “Grion”, piangeva. “Non doveva andare così.” Non strillò, perché la voce della sua coscienza (o dell'autopreservazione o dell'autoinsulto, o c'era una possibilità remota che fosse Ixion ma no, non era Ixion: troppo diretto per chiunque di loro, perfino per la sua irruenza) era stata ingrata e sentiva di doverle dare torto, ma aveva ragione. Non poteva fermare il tempo, così rivisse in silenzio la lotta che avevano perso, un combattimento così comune dopo tanti ostacoli superati insieme: l'assalto del Bashura, forse un piede in fallo – mantenere reale l'evocazione impegnava tutta la sua concentrazione, non stava guardando, dannazione non stava guardando e ora non avrebbe mai saputo, nemmeno un ultimo ricordo – e i due corpi avvinghiati che rotolavano sgraziati verso il fondovalle.
Nel presente restava solo lui, che avrebbe voluto scomparire nella pace ovattata della montagna e non era lontano dal riuscirci, con le vesti bianche che si confondevano col ghiaccio e solo una fusciacca e la pelle scura a spiccare sul suolo.

Il peggio venne. La coscienza di evocatore ebbe la meglio quando Sert si arrese all'idea che tutti i pianti di Spira non avrebbero riportato indietro il suo guardiano e che in virtù del suo ruolo avrebbe dovuto imparare più di chiunque altro ad accettare la fine di una vita. I pianti non l'avrebbero riportato indietro – ma potevano impedirgli di proseguire verso un'esistenza più serena, lontana da Sin e dalla spirale di morte.
Una vita fa, a casa, quando aveva un letto cui tornare e persone concrete cui badare, il suo compito era stato quello di accompagnare i morti oltre il dolore e il rimpianto che li legavano a Spira, insegnare loro il distacco e offrire la sua compassione nell'arco di una danza, prima di tornare alla realtà infreddolito e stanco ma con la consapevolezza di aver scongiurato la nascita di nuove fiere. L'aveva evitato alla sua città, evitato ai viaggiatori, evitato agli spiriti stessi dei morti che non meritavano di marcire nell'invidia per il mondo disgraziato dei vivi fino a venirne sopraffatti. Grion, fra tutti, non lo meritava. Doveva un ultimo onore al suo guardiano, il più difficile: ricordava di aver sentito evocatori falliti parlarne con orrore, durante una sosta: la perversione del senso stesso del pellegrinaggio, dicevano. Si era sentito così fiero del suo protettore, allora. Così stupido in quel sentimento di invincibilità.
Si fece forza, imponendosi di smettere di tremare. Si alzò in piedi, grato di avere con sé un'asta robusta cui potersi appoggiare, e tornò ad affacciarsi al precipizio. Sentì la vista appannarsi: tutto il male che credeva di aver buttato fuori gli era strisciato nuovamente addosso, togliendogli ogni forza. Si trovò ancora in ginocchio. Si intimò di alzarsi. Ancora una volta, la testa girava e le gambe non volevano sostenerlo. Per te, si fece coraggio. “Se puoi sentirmi”, disse ad alta voce, “aspettami, di là. Manca poco, in un modo o nell'altro.”

Iniziò la concentrazione rituale, inspirando a fondo e terminando bruscamente il tentativo in un accesso di tosse e singhiozzi. Alzò l'asta in un primo movimento ma si trovò a terra, ancora, a prendere a pugni il terreno e la sua incapacità di mettere in fila due pensieri senza che quel grumo di emozioni si mettesse in mezzo spaccandogli il cuore, quelle stesse emozioni che gli urlavano di portare a termine il rito o di considerarsi più indegno di Sin, che almeno sapeva concedere una morte veloce alle sue vittime. Ma non ci riusciva. Il pensiero di allontanarlo del tutto da Spira, di accettare di nuovo la sua morte e saperla eterna pesava come pietre su ogni suo muscolo. Sapeva che stava compiendo un errore atroce ed era pronto a rinunciare a ogni dignità, ma restò nella neve a piangere, ancora, mentre i suoi pensieri schizzavano impazziti a cercare una ragione di quello che era accaduto.















Un po' calcata sull'emo per necessità di wordcount e anche per sfogo di avvenimenti recenti, non direttamente sulla mia pelle ma troppo vicini per uscirne illesa.
Sopportatemi, c'è anche una trama e Possibili Punti d'Interesse Generico sparsi qua e là. A mio gusto, il primo sarà già qui appena voltata la pagina. I capitoli saranno 9, un po' più lunghi di questo, e penso di aggiornare un paio di volte a settimana. :)

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Capitolo 2
*** 1.2 La fiamma che brucia la ragione ***


...your mileage may vary ma questo capitoletto mi garba assai. :3 Un grosso grazie a Ros e Aufhebung per il sostegno!







La fiamma che brucia la ragione


Venne anche il buio e, col buio, la neve.
Gli sembrò di essere di fronte a un'unica scelta razionale (o istintiva o anche solo ovvia, ma 'razionale' suonava confortante ed era la parola che avrebbe scelto un tempo), dato che il fuoco gli pulsava già nelle tempie, nei polmoni, nelle mani intirizzite che faticavano a serrare la presa sull'asta e a rispondere ai suoi ordini.
Doveva sopravvivere alla notte e chiamò a sé il sogno di Ifrit, che lo avvolse in una vampata violenta prima di tremolare fra i fiocchi sempre più fitti. Sert boccheggiò per la sorpresa. Credeva di aver mantenuto una presa salda sull'evocazione, ma il fondo di tutti i suoi pensieri colava verso il precipizio e vide la forma abbozzata dell'Eone farsi sempre più fragile, sempre più sottile.
“Resta”, mugugnò a denti stretti. “Almeno tu, restami vicino.”
Raccolse le sue angosce con una spazzata circolare dell'asta e le ricondusse al centro abbassandola di punta. Doveva riuscire ad escludere Grion dal suo mondo per qualche istante. Doveva e sapeva che ci sarebbe riuscito, si disse, per il suo viaggio e la sua meta. Privilegio da evocatore.
“Tu che per primo mi hai concesso il tuo sogno”, lo invocò, sfruttando una qualunque litania per spingere la concentrazione, “vieni a me nell'ora più buia.”
E fu la luce.
Il corpo massiccio di Ifrit si formò infine di fronte ai suoi occhi, tutto corna e artigli e manto fiammeggiante, e allargò un braccio per riscaldarlo nel suo fuoco eterno, tenendo a freno il ghiaccio e la tempesta. Sert cadde in ginocchio, scosso da tremiti per lo sforzo, infradiciandosi le ginocchia sul ghiaccio sciolto, ma con la mente era già altrove. La sua scommessa aveva pagato.

Si abbandonò al sogno senza ritegno e il fuoco divenne tutto il suo mondo. Non c'era più freddo nelle ossa e nella testa, non c'era più ristagno. Poteva pensare in volute dorate. C'era un mondo ribollente e magmatico ed era casa, ricoperta di cerchi e di raggi come un sole splendente. Era casa e non era solo. Si aggrappò come un naufrago al sogno millenario di Ifrit, vide Kilika negli anni, vide una saggezza inumana costruita col tempo, a volte infranta come palizzate di legno sotto un attacco di Sin ma sempre solida nei suoi pilastri che traevano energia dalla terra incandescente. E se anche la Fede lo guardava con la comprensione che si concede a un bambino non gli negava il suo sostegno, aprendogli i suoi sensi eterni finché non ne fu ebbro.

Sert ne colse un'idea. Faceva fatica a girarci tutto attorno con la testa – non era un'idea prevista dalle Scritture e in piena onestà doveva ammettere che tutto quello che la sua testa desiderasse era tornare ad abbandonarsi sotto quella trapunta di immagini calde di braci. Il punto era... c'era un punto da qualche parte, non solo quello in fondo a “e, perso l'unico guardiano, il suo pellegrinaggio fallì”. No, c'era un punto guizzante ed era: in questo momento sono protetto. Si immaginò l'indomani discendere il sentiero, proseguendo il giorno dopo ancora, e si vide arrivare vivo e illeso fino alle terre dei Ronso seguendo la scia del suo Eone come una fiaccola nella notte fonda.

Si fermò a riflettere, aggrottando le ciglia e scostando per abitudine la treccia di capelli dall'orecchio. Era difficile pensare diritto: pensava in fiamme. Si abbandonò allora ad altre immagini fino a che il pensiero effimero che gli serviva guizzò e lo colse: perché tornare indietro?, recitava. Davvero, che idea graziosa. Perché? Finché fosse stato abbastanza lucido (heh, lucido. Il vetro caldo fuso è opaco, poi diventa lucido) da mantenere concreto il contatto con la Fede e al contempo mettere un piede davanti all'altro, avrebbe potuto continuare lungo la strada per Zanarkand senza venire meno ai suoi doveri. Dietro a Ifrit o sulla sua spalla; al passo con Shiva che l'avrebbe riconciliato col ghiaccio, insensibile sotto il suo scialle; stretto alla criniera di Ixion in un galoppo terso sul rombo del temporale. Planando su ali spesse e sacre fino alla città al confine estremo del mondo. Perché no? Sapeva di averne le capacità. Poteva farlo, si diceva, senza rendersi conto che già quelle poche ore lo stavano bruciando come cera.
Sarebbero potuti avanzare come una lenta processione fantastica e nessuna fiera avrebbe osato disturbarli; i suoi sogni lucidi avrebbero avuto tutti i colori delle luci fatue e avrebbero tenuto a bada i sensi di colpa durante quel poco che gli restava da vivere, permettendogli di proseguire. Alla fine del viaggio sarebbe caduto esausto al primo contatto con dell'erba fresca – portando con sé Sin. Perché no?

È per questo che esistono i guardiani?, ragionò. Per accompagnare i deboli di spirito? Ma il pensiero lo rese immediatamente più sobrio: non si era mai sentito così vicino ad aver bestemmiato e lo stomaco si chiuse in una morsa. E si era fatto silenzio d'improvviso in quell'angolo di coscienza dove era solito trovare i sogni delle Fedi. Va bene, si scusò con loro, con se stesso, con i ricordi che tornavano a gelarlo. Era onesto nel cercare il loro perdono; non altrettanto con se stesso. Non è un'idea prevista dalle Scritture, ne prendo atto, anche se Yevon solo sa perché non si possa attuare. Non che mi rimanga molto altro da fare. Se potessi diventare più saggio forse un giorno lo capirei, ma l'unico tramite per la conoscenza è Zanarkand, che non lascia tempo per far maturare i suoi frutti. Datemi voi le vostre risposte.
Tutto taceva. Come sempre: sentiva la loro presenza, la compagnia e ricordava le parole scambiate nell'intimità dei templi, ma non si erano mai espressi da allora. L'Eone davanti a lui lo squadrava con un'espressione di pietà dipinta sulle zanne: fece spazio affinché l'evocatore potesse accoccolarsi sotto il suo calore e ancora una volta gli concesse i suoi sogni, proteggendolo dalle immagini della sua coscienza. Distillò per lui dei sogni di ceneri tiepide che lo accompagnassero nel riposo. Sert chiuse gli occhi prima ancora di aver poggiato la testa sulle ginocchia raccolte e precipitò in un dormiveglia di pace artificiale.



















...perché l'atto dell'evocazione com'è spiegato in FFX mi affascina da sempre, ma purtroppo il pov è di Tidus e non di Yuna quindi resta un narrato poco mostrato. Volevo scriverne da un po'.

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Capitolo 3
*** 1.3 Una caratteristica della spirale ***


Grazie ancora ad Aufhebung e a chiunque mi stia seguendo in questa tirata nerdaccia e settoriale^^ Qui fa tipo finta di partire una trama, almeno...







Una caratteristica della spirale


Si svegliò che era ancora buio, sferzato dal freddo, sentendo la presa sul sogno della Fede scivolargli di mano e tornare dietro al velo della realtà. Non aveva la forza di richiamarlo. Si trascinò a prendere un altro mantello e una coperta dalla sacca che giaceva intonsa dal giorno prima, cacciandovisi sotto con un brivido. La neve, almeno, era cessata.
Era stanco, ma se si fosse addormentato da solo sarebbero arrivati i suoi veri sogni, quelli fatti di emozioni e memorie recenti e aveva ancora abbastanza senso pratico da evitarlo. Restò accucciato sotto una rientranza della roccia, con gli occhi fissi sul sentiero. Il tempo era mite per quelle altitudini e il vento del giorno era calato. Aveva finito le energie per disperarsi: l'indomani avrebbe proseguito, ragionò, perché qualunque alternativa era ridicola, irrispettosa o entrambe. L'ultimo avamposto di civiltà era ragionevolmente raggiungibile in qualche giorno di marcia, abbandonando tutto quello che non fosse necessario alla sopravvivenza a breve termine, ma a cosa avrebbe giovato? A chi? Se rinunciare fosse stata la sua via, avrebbe potuto farlo assieme a Grion. Chiese a Yevon la forza di concentrarsi sui momenti passati insieme senza crollare di nuovo. Di fatto, comunque, gli avvenimenti del giorno passato non potevano che suggellare la sua scelta, così avrebbe abbandonato tutto quello che non fosse necessario alla sopravvivenza a breve termine (perché suvvia, di quello si trattava) e avrebbe affrontato la vetta nascondendosi, evitando gli scontri. Si chiese quanti si fossero trovati nella sua situazione. Nessuno era tornato a raccontarlo, non da Zanarkand, ma d'altronde nessuno parlava dei guardiani di Lord Ohalland o Lady Yocun durante la battaglia finale. Forse anche loro avevano compiuto l'impresa da soli. Il pensiero gli diede coraggio.

Pensare a piani, disfarli e confrontarli, pensare a cose concrete o alle astrazioni più ardite, pensare a che storie nascondessero i Ronso sull'Evocazione Finale, esplorare possibilità, interrogarsi e contraddirsi: Sert ricominciava timidamente a sentirsi se stesso. Vuoto e dolente, ma se stesso. Il peso sul cuore doveva spronarlo, non immobilizzarlo e sapeva, anche se era così difficile crederci, che col tempo sarebbe svanito. In ultima analisi, poco importava: entro breve tempo sarebbe svanito tutto. Poteva resistere. Privilegio da evocatore.

Il cielo iniziava a rischiararsi quando la testa di un gruppo di pellegrini comparve da oltre il costone di roccia. Un altro evocatore! Sert si chiese se si fossero già incontrati più a sud, se sarebbero stati il genere di persone che potesse accettare uno strappo alle regole ammettendolo nel loro gruppo, ma la sua attenzione venne presto distratta dal fatto che, oltre alla prima figuretta a stento distinguibile nella scarsa luce del mattino, il sentiero sembrasse restare deserto. Un guardiano in avanscoperta? I gruppi di tre non erano troppo mal visti da Yevon: ricordava di averne visti passare sei o sette durante i suoi anni al tempio. Un altro sciagurato nella sua condizione? La montagna esigeva tributi pesanti in quei mesi, a sentire le storie dei Ronso che non parlavano altro che di slavine e tempeste della stagione appena passata. Un'allucinazione? Yevon non portava memoria di follia causata dai vapori delle sorgenti sacre, ma Sert iniziò a dubitare di se stesso quando riconobbe nella sagoma la falcata lunga del suo guardiano.
“Grion...?”, chiamò incerto. Il passo era veloce, da soldato e arrivò presto a una distanza tale da togliere ogni dubbio irragionevole in merito alle sue apparenze: c'era la mano ferma sulla spada, c'era il cappuccio del suo ordine, marrone scuro come aveva scelto di portarlo, sotto cui ondeggiava la lunga coda di capelli neri e c'era l'armatura semplice e scintillante – troppo scintillante dopo il lungo viaggio, eppure pareva appena uscita dalla forgia del fabbro.
I dubbi ragionevoli invece restavano in abbondanza ma, tutto considerato, gli risultarono irrilevanti. Un'allucinazione sarebbe stata una compagna di viaggio eccellente, finché fosse durata (lei, il viaggio, il viaggiatore). Che Yevon si prendesse cura del suo senno, Sert vi rinunciava: ad accettare la perdita poteva pensarci all'altro mondo. Si alzò ad accogliere il suo guardiano e amico, sfuggito alla morte per non lasciarlo solo di fronte alla sua. E difatti:
“Amico mio... Non potevo lasciarti solo”, bisbigliò l'altro come recitando le sue fantasie. La sua voce era fioca come di consueto, ma insolitamente roca. Sembrava che parlare lo affaticasse; per la precisione, era come se lottasse per cavare un suono da uno strumento nuovo. Sert non rispose e non se ne curò: teneva una sua mano al petto stretta fra le sue, sentendo gli incubi della notte dileguarsi fino a lasciare un calore diffuso cui si abbandonò con un brivido.
“Proseguiremo”, proclamò senza lasciare la presa.
“Tutto andrà... bene.”
“Ma va bene, Grion?”, chiese, storcendo il collo per poterlo guardare negli occhi sotto il cappuccio calato. “Sei ancora ferito? La tua mano è gelida... ti mancano i guanti! Vieni, dovremmo avere qualcosa di riserva.”

Da sotto il cappuccio, aveva ricambiato la sua preoccupazione con uno sguardo attento. Attento e preoccupato a sua volta per il benessere del suo evocatore, certamente; stanco, com'era ovvio che fosse (scacciò la voce insistente che diceva che nemmeno una guida Ronso avrebbe coperto quel dislivello in una sola notte, tralasciando l'impatto e le ferite: smetti di ricordarmi che è un'allucinazione, voglio crederci e posso farlo). Ma sembrava sempre il soldato tranquillo e la presenza solida e sincera che aveva imparato a conoscere negli ultimi anni.
“Già. I guanti”, lo sentì dire mentre cercava fra le loro cose. Sembrava stupito e un po' deluso, come si può esserlo da una piccolezza, non dall'assenza di una protezione indispensabile per quel clima. Sert lo imputò al fatto che non era reale – in alternativa, si poteva pensare che il giorno passato avesse lasciato il suo segno profondo su entrambi. Erano scossi e confusi: qualche ora di marcia fianco a fianco, rassicurandosi della presenza reciproca in un tranquillo silenzio, avrebbe sanato la frattura che sentiva ma che non riusciva a definire del tutto.

Ore dopo, la strada condivisa era tornata a essere la loro unica realtà. Sert prese coraggio e si schiarì la gola, preparandosi a dare voce alla domanda che non poteva lasciare inespressa, allucinazione o meno – miracolo o meno ed era sempre più propenso a credere a quest'ultima ipotesi, dato che le allucinazioni non vedono e non sentono veri mostri prima che lo faccia chi le immagina, né combattono con efficienza o richiudono i lembi delle ferite altrui. Ma doveva sapere.
“Grion?”
“Sì.”
“Perdonami. Non vorrei ma... la caduta... la fiera?”
Non ricevette risposta.
“So che la tua spada è salda e così la cura delle tue mani, ma...”
Si voltò a osservarlo. Grion irrigidì le spalle e continuò a camminare come se non avesse sentito.
“Eppure sei qui, sei tornato, posso vederti, sentirti, toccarti: Yevon arride alla nostra missione, ci ha concesso un miracolo...”
Sempre silenzio. Al sentir menzionare Yevon, il guardiano si coprì il volto.
“Grion. Qualunque cosa sia successa, sono dalla tua parte. Lo sai, vero?” E un sospetto strisciante iniziò a farsi strada, ma non avrebbe mai ricevuto una risposta diretta da quel muro impenetrabile.
Restò indietro di due passi e allungò una mano in direzione del compagno. Si chiese se quello che aveva in mente non fosse una violazione troppo grave del ritegno dell'altro, ma prima era stato onesto (l'onesto-onesto delle occasioni importanti, non i suoi soliti 'onesto', davvero) nel garantirgli il suo sostegno. E doveva sapere. Strinse l'asta con l'altra mano; si concentrò. Dall'orlo della casacca di Grion si librarono due luci fatue.
“Oh”, si lasciò scappare a mezza voce, con la bocca aperta in un ovale stupito.
Non si era neanche fermato a chiedersi se se ne sarebbe accorto, in verità: i suoi clienti abituali erano solitamente troppo – cercò un aggettivo più cortese, ma – morti per protestare. Il guardiano però si bloccò sui suoi passi, teso più che di fronte a un attacco. Si voltò verso di lui con un'espressione stravolta che Sert lesse come terrore e vergogna. Vergogna per aver commesso una tra le massime eresie, senza dubbio. Terrore per...? Cos'altro gli sarebbe potuto capitare di peggio? Cercando risposte, lo sguardo si soffermò sull'asta e capì.

“Qualunque cosa ti sia accaduta significa veramente qualunque cosa, testa dura. Qualunque. Sarò sempre dalla tua parte, come tu sei dalla mia. Mi senti quando parlo? Grion, guardami, ti prego”, disse, con le lacrime agli occhi ma senza riuscire a reprimere un sorriso, perché tutti i misteri rientravano al loro posto e l'unico risultato che gli importava era di poter esser certo che la persona al suo fianco fosse concreta e reale. “Credevo di stare ancora sognando.”

“È stata una lunga strada”, confessò infine. “Ma le fiere aprono il passaggio a chi sentono che sta per ingrossare i loro ranghi.”
“Ma non sei uno di loro.”
“Non potevo lasciarti solo.”
“Sarebbe stato più semplice?”
“Infinitamente.”

Lo vide rilassarsi muscolo dopo muscolo – idea di muscolo dopo idea di muscolo, si corresse, considerato che il suo vero corpo era rimasto senza vita decine di metri più in basso. Sapeva che avrebbe dovuto provare orrore: così dicevano le Scritture, con buona ragione, definendo quelle esistenze innaturali e pericolose, facili prede della loro stessa rabbia. Di tutto quello che dubitava e quello ancora maggiore che non capiva, quel precetto gli era sempre sembrato limpido come acqua di fonte. Fino a due mesi prima, Sert era certo che avrebbe provato un orrore genuino nel vedere un amico resistere così alla morte e avrebbe fatto quanto in suo potere come evocatore per condurre ogni simile aberrazione (del verbo di Yevon, ma soprattutto dell'ordine naturale) nel piano di esistenza che le competeva.
Quel giorno, scoprì che non gl'importava poi tanto.

“Lo sarebbe ancora, più semplice?”, chiese per conferma. “Lasciarti andare, dico. Diventare un...” Lasciò cadere la frase.
“Non posso ancora lasciarti solo.” Prese fiato: anche lui cercava qualche certezza, un rimasuglio della paura paralizzante di prima che l'aveva portato a cercare di mantenere il suo segreto. “Non... devi continuare... dunque. Quello che stavi facendo. Come evocatore.”
Fiato sprecato.
“Non lo farei per nulla al mondo. L'hai detto tu: non puoi lasciarmi da solo, giusto?”
“Credevo che fosse parte dei tuoi voti.”
Sert scrollò le spalle. “Siamo sempre parte della spirale di morte. Sai cosa fa un punto in una spirale, se lo guardi dall'alto?”
Grion buttò indietro il cappuccio e guardò in alto, verso il cielo azzurro.
“Torna.”
“Già.”

Proseguirono. La vetta era vicina.










Interludio: la speranza è altrove, parte prima


Un anno prima, fuori dalle mura di Bevelle, in piedi su una banchina dei trascurati moli commerciali, un sacerdote scomunicato di Yevon si poneva delle domande. La nave da Sanubia sarebbe dovuta arrivare da giorni – il sacerdote non aveva lasciato la sua postazione da allora, salvo che per chiedere delle coperte e del cibo.
Aveva gli occhi stanchi. Al di fuori di piccole concessioni irregolari al sonno, che lo ripagava con angosce anche maggiori della veglia, teneva sempre lo sguardo fisso verso ovest, ma ora dopo ora il suo orizzonte sembrava chiudersi in una disperazione uniforme: sua moglie non sarebbe tornata. Così aveva iniziato a pensare al futuro, l'unico che gli era rimasto. I pensieri turbinavano cupi come la tempesta di cui si ammantava Sin, senza dargli tregua, scontrandosi e addensandosi nelle rughe sulla sua fronte, ma le grandi correnti erano tre, una legata all'altra in una spirale discendente di dubbio.
Per prima cosa si chiedeva se Bahamut avrebbe accettato la sua supplica, concedendogli la grazia dell'evocazione. Il Lord protettore di Bevelle aveva fama di essere severo nella scelta e aveva già rifiutato uomini validi e devoti, le cui colpe erano inezie in confronto allo scandalo che l'evocatore aveva portato sul clero di Yevon. La sua speranza era che gli esseri al di là di questo mondo non si curassero delle divisioni meschine che lo spaccavano e che credente o Al Bhed fossero pari ai loro occhi – o Crociato o Blitzer, come la storia insegnava, ma almeno la fede di Lord Ohalland era leggendaria quanto la sua esuberanza durante il gioco e il sacerdote scomunicato temeva che per lui non si potesse dire lo stesso.
La seconda era chi l'avrebbe accompagnato nel suo desiderio di morte. Era rimasto solo.
La terza era cosa sarebbe stato di sua figlia Yuna. Ma non poteva tollerare che altri restassero ad attendere su un molo vuoto.




















E tre, fine prima parte. Qualcuno dubitava che ci avrei ficcato il +1 in fondo, soprattutto chi avesse orecchiato che la fic è ambientata un dieci anni prima degli eventi di gioco? XD Oltre che per far bello, il paragrafino su Braska è inteso un po' come parallelo riguardante un momento di perdita. Seguiranno altri paralleli e... oh, a chi voglio darla a bere, I write what I must because I can, W Braska e finita lì X°D Note:
@ che storie nascondessero i Ronso: sembra una pubblicità mica troppo occulta ma in realtà è andata al contrario, con la flashfic nata in seguito alle riflessioni di questi capitoletti.
@ vapori allucinogeni delle sorgenti sacre: Yevon no ma l'X-2 sì, a quanto pare: non saprei come altro spiegarmi una nuotatina in costume da bagno nelle sorgenti sacre suddette. Transeat...
@ arrampicate lessicali sugli specchi: Guarda, mamma, senza mani! Mi mancano giusto giusto le parole per Sending, Unsent e Farplane... XD

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Capitolo 4
*** 2.1 Assoluzioni lineari ***



Eee inizia la seconda parte.
Una sola cosa: facciamo finta che le prove del Gagazet siano più enigmose e simili ai Trial effettivi dei templi, per l'amor di Yevon, perché una che richieda un'arma da lancio e l'altra come minimo un party a tre (quando i precetti paiono spingere il guardiano singolo, per ovvi motivi) sono tanticchia ridicole.










2. Accanto al presente e alla realtà


(Cosa sognano?)
(Non lo so. Mi rifiutano: è un gioco privato.)
(C'è un mostro nel cielo, grande come cento Eoni...?)
(Eppure sembrano in pace. No, non può essere così semplice... ho paura, amico mio. Sento tirare una rete di verità nascoste.)





Assoluzioni lineari


La via oltre la vetta passava sotto una coltre di pietra. Grion ne apprezzava il silenzio: sentiva il vento salire selvaggio e ululare al di fuori, ma il complesso di grotte del Gagazet era muto e accogliente come la cantina di casa in cui era solito scappare da bambino. Seduto a gambe incrociate su un fungo di roccia, osservava Sert arrovellarsi di fronte a un passaggio subacqueo poco più in basso. Il suo evocatore non era un pensatore paziente, o sereno, e sembrava camminare sui carboni ardenti mentre con le dita dipingeva nell'aria la sua mappa mentale del problema. Sembrava che la loro sosta sarebbe stata più consistente del previsto e, accettando ma non del tutto condividendo il senso di urgenza che muoveva Sert (nel pellegrinaggio come in tutte le cose, in verità), ringraziò Yevon per la pausa concessa.
Si guardò il dorso della mano. Era una riproduzione concreta e minuziosa, fino all'ombra delle vene, al pallore e alle piccole cicatrici. Alzò le spalle. Evidentemente, il suo corpo si conosceva meglio di quanto lui stesso non avrebbe saputo ridire a memoria: si sarebbe aspettato un lavoro non proprio approssimativo, perché di natura sapeva essere puntiglioso, ma nemmeno così verosimile. Tanto più coglieva questi dettagli spontanei, tanto più si rassicurava di non essere rimasto riverso sul corpo di un Bashura e che a proseguire fosse solo un'ombra inerte.

“Pensi che sia una punizione?”, chiese a mezza voce, sempre concentrato su come quella pelle irreale si tirasse piegando e distendendo le nocche. Più flessibile. E prima quel dito scrocchiava in modo sgradevole, muovendolo così.
“Punizione?” Sert guardò in alto, nella sua direzione. “E punizione per cosa?”
“Non so.” Più distaccato? Non più di prima. Più macabro? Forse. D'altronde, le circostanze erano un'attenuante? “Besaid, ad esempio.”
“Ancora con quella storia?”
Fece un cenno affermativo, non troppo enfatico. Sert si alzò e si arrampicò sul paio di sassi che li distanziava, finendo per appoggiarsi con le braccia incrociate sulla sporgenza su cui Grion era seduto. Si sentì squadrato dal basso in alto.
“Non ne avevo bisogno”, puntualizzò. “Non sono partito alle prime armi, fresco del primo patto. Dopo anni di pratica mi attendevano comunque Djose, Macalania e Bevelle, a che pro scendere rischiando anche la vita per mare? Come se Sin stesse ad aspettarci.”
“Sin ha aspettato durante gli anni di pratica.”
Sir Grion, è tardi per dar voce a simili rimpianti. La rotta è stata tracciata insieme”, disse aggrottando le sopracciglia, “e non ho sentito, che so, Lord Ixion lamentarsi di questa cosa.”
“E?”
“E temevo che rivedendo casa mi si spegnesse il fuoco sotto i piedi, suppongo”, aggiunse con una smorfia più accentuata. “Comunque potevi dirlo prima. Sei il mio guardiano, decidiamo insieme. Quel poco che ci resta, almeno.”
“Ho fiducia nel tuo giudizio. È solo la situazione attuale. Mi dà da pensare, nulla più.”
“E poi, punire te per i miei peccati? Che scempiaggine. Non può funzionare così.”
“Si dice che evocatore e guardiano siano uno agli occhi di Yevon. Inoltre...” Si fermò ad osservarlo. Facendosi da cuscino con le mani, Sert aveva appoggiato la testa di lato così da non dover sostenere il suo sguardo, ma così voltato le fosforescenze delle rocce che li circondavano gettavano ombre malsane sui segni marcati sotto i suoi occhi. Il dolore dell'ultima tappa l'aveva marchiato con un'intensità che non si sarebbe sollevata prima diell'ultimo giorno. Non più di una settimana, ormai. “Inoltre, ha punito te.”

“Ma no, no”, rispose stanco scacciando il pensiero. “Non voglio crederci, Grion. La riuscita di un pellegrinaggio non può essere una faccenda così di conti spiccioli come dici, non avrebbe un senso. Peraltro è presto dimostrato: hanno fallito così tanti appartenenti alle schiere dei pii e dei giusti che non può essere quello il criterio. È un fatto. Forse secondo altre regole”, aggiunse come con un ripensamento. “Ma non quelle che conosciamo scritte nei templi.”
“Riesci a ricondurre tutto a quei tuoi ragionamenti lineari, a quei se questo e questo, allora quello?”
“Quasi tutto quello che mi circonda, sì”, sorrise. “Non tutto, però! Il fatto che un guardiano abbia deciso di seguirmi, ad esempio.” Si issò del tutto sul masso e si mise a sedere al suo fianco, tendendo la testa all'indietro finché non toccò la sua spalla. “Quella Fede sterminata, attiva e muta. O Sin.” Lo sentì tremare. “Il Distruttore sfugge alle distinzioni umane. Alla sua punizione eterna, sì, posso credere. E per quanto la purezza sia lontana dalla portata delle mani protese e unite delle genti... se ogni singolo uomo conta, la mia presenza di certo non la avvicina. Meglio levarmi platealmente dalle scene e portare una Calma per tutti gli altri, non trovi?”
“Non me ne hai mai parlato.” Si fermò a riflettere. “Tu non hai mai creduto alla Calma Eterna, Sert.”
“E non ho realmente iniziato stamattina. Ma sono venuto meno ai miei voti.”
“Non...”
Non continuare quel discorso, tu. Sono venuto meno ai miei voti, non alla mia coscienza. E mi sono dovuto soffermare su peccati ed espiazioni.” Si rannicchiò e si strinse a lui, pesando tutto sulla sua spalla. “che sono brutte faccende e mi fanno ragionare come un sacerdote di Yevon. Per chi vive sotto l'ombra del tempio, ogni cosa è peccato. Lo stesso ragionarci è peccato e lo sai quanto me. Se avessero ragione? Se fosse tutto un concatenarsi di peccati e non ci fosse scampo nel mondo come lo conosciamo?”
“Sempre la questione degli Al Bhed?”

Per carattere ed educazione, Grion non era in grado di mentire, raggirare o anche solo arrivare a comprendere tutti i sottili legami di potere che sembravano interessare tanti dei suoi commilitoni (il che poteva spiegare perché dopo otto anni di onorato servizio fosse ancora di stanza agli antipodi da casa, probabilmente): dalla sua espressione sempre seria e distesa si era portati ad aspettarsi, a ragione, la verità e nient'altro che la verità. Ma aveva i suoi modi per sviare un discorso, quando necessità lo richiedeva, con il minimo esborso di fiato.
“No, sì, quasi”, abboccò infatti il suo evocatore, che avrebbe voluto vedere arrivare a testa alta fino al sacrificio finale e non così combattuto. Per Sert quello era un argomento trito, stesse vecchie premesse, conclusioni immutate da mesi, ma uno cui non sapeva rinunciare. C'era una premessa: il limite del concetto di 'machina', dato che tutti sanno che un tornio non vi appartiene e i marchingegni malefici che si possono incontrare ancora attivi attraversando lo stesso Gagazet certamente sì, ma certe armi da fuoco no e certe altre sì secondo una stretta demarcazione nota solo a Yevon. Ma i congegni voluti da Lord Gandof, che poi sconfisse Sin? La premessa veniva poi regolarmente accantonata considerato che, quale che fosse quella demarcazione, gli Al Bhed stavano comunque con gran margine dalla parte sbagliata della stessa. D'altra parte il flagello di penitenza era stato inflitto al mondo intero, non ai singoli popoli o alle persone,come qualunque elenco eterogeneo di vittime poteva dimostrare. Pertanto, finché quel popolo recluso non fosse stato pronto ad abbandonare le sue vie per integrarsi con la società comune, la Calma Eterna sarebbe rimasta un miraggio per bambini. Nel minimo.
Oppure, considerato che le loro intenzioni erano sì eretiche ma non malvagie, l'intero sistema era da buttare, le Scritture millenarie travisate, e la gran massa di speranza offerta ogni giorno a un futuro migliore veniva rivolta all'ignoto.
Grion ascoltava, annuiva quand'era corretto annuire, rifletteva nelle pause. Aveva l'impressione che la situazione potesse essere più complessa, ma gli mancavano le parole per i suoi dubbi. Giunti a quel punto, ad ogni modo, non aveva più molta importanza.

“Poi c'è ieri.”
“Sert, non...” Ogni tanto, 'sviare il discorso' era solo quello: una piccola tregua di deviazione.
“Eri morto.”
“Fra qualche giorno lo saremo entrambi.”
“Non è la stessa cosa”, rispose truce.

Grion indicò i glifi luminescenti che sarebbero dovuti essere la sua priorità, ultima sponda prima che tornasse ad affondare nelle colpe che si era costruito. Avrebbe voluto aiutarlo, ma si sentiva già così lontano da quegli avvenimenti: era stato suo l'errore, suo il piede in fallo e da lì gli eventi avevano solo seguito il loro corso. La preoccupazione era un'altra, tutta interna, viscosa come colla fra le luci fatue che lo tenevano insieme, ma non doveva essere affare dei vivi. Sarebbe rimasto se stesso, in equilibrio nel mezzo, senza cedere al nulla né alla rabbia.
“Scusami, non volevo angustiarti”, rispose Sert vedendolo incupirsi. Con una pacca sulla spalla, era andato. “Dammi due giri di clessidra e ne saremo fuori, avevo l'enigma quasi in testa.”
“Io? Non curarti tu di quello che è successo. Sono il tuo guardiano.”
Sert si girò di scatto. “E io il tuo evocatore! Salvo la gente, non la porto alla rovina...” Scosse la testa e imprecò, poi tornò a immergersi nella logica lineare e comoda delle Prove.
















Niente da dire stavolta salvo il consueto GRAZIE alle recensioni... e che a me gli Al Bhed piacciono assai. È lui che tende a farsi gran giri mentali su tutto, in particolare quel che non conosce bene (e chi l'ha mai visto un Al Bhed?). Chiedetegli cosa ne pensa degli Hypello e... non so cosa potrebbe venirne fuori XD

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Capitolo 5
*** 2.2 Due risultati per la stessa incognita ***


Giro di boa! Sempre grazie a chi sta seguendo e mi scuso per l'aggiornamento tardivo, ma in questi giorni sto correndo in circolo con urletti isterici. Ancora.











Due risultati per la stessa incognita


Come se fosse possibile, non portare la gente alla rovina.
“Parto”, aveva detto un giorno di punto in bianco, di ritorno dai moli.
Grion lo ricordava come se fosse accaduto quella mattina stessa: era uscito portando una pila di lenzuola a stendere e le poteva ancora sentire accartocciarsi sotto la sua presa improvvisa. Non era più un ragazzetto, né tantomeno impressionabile, e non aveva lasciato cadere tutto con gesto drammatico ma era rimasto lì, immobile e corrucciato sotto il sole del mattino, mentre era il mondo a cadergli tutto addosso.
Si diceva dalle sue parti che stare accanto a un evocatore garantisse una morte pulita, se prima non ti spezzava il cuore. Benedetta saggezza popolare: puntuale come Sin negli avvertimenti, non altrettanto – col senno di poi – nella consolazione.

E ancora, sei anni prima:
“È andata.”
Furono le prime parole che gli rivolse, ancora sporco del sangue della sua compagna di ronda. Strane parole di conforto per un lutto: non “Sii felice per lei, perché è uscita dalla spirale di dolori del mondo” né “È nella pace di Yevon” o una qualunque formula rituale. Solo “È andata” e un'espressione sognante, come di chi avrebbe voluto seguire lei e le altre vittime della scaglia che i Crociati avevano respinto a fatica nonostante l'Eone che combatteva al loro fianco. Strane ma adatte allo strano evocatore di quel paese che, rinchiuso nella sua bottega di vasaio salvo che nei giorni di mercato o quando erano richiesti i suoi servigi, sembrava disdegnare i comuni mortali che lo circondavano.
Adatte anche a Grion, che di tante chiacchiere non avrebbe saputo che fare. Lo ringraziò in modo conciso e apertamente grato e si avviò verso la guarnigione, elaborando in silenzio l'ultimo saluto alla donna che era stata una valida guerriera e l'unica persona, in quella terra straniera, con cui si fosse mai realmente confidato. Si chiese come sarebbe stato vivere solo con se stesso – se si dovesse essere saggi, sacerdoti o evocatori per affrontare Spira senza il conforto di una voce amica.

Non furono passati quattro giorni dall'attacco che Grion trovò tutte le sue risposte e qualche disillusione. Dovette, ad esempio, riconsiderare l'impressione che l'evocatore del villaggio fosse animato da un carattere affine al suo, controllato e di poche parole. O quella più persistente, che l'aveva colpito positivamente fin dal trasferimento a Kilika, che il suo eremitaggio fosse una scelta rigorosa di introspezione. Immancabile nelle retrovie dei Crociati come dei monaci guerrieri mentre Ifrit reggeva il primo impatto di ogni assalto, sbrigativo e impersonale e dedito ai suoi cocci invece che alle tradizionali arti curative, gli era sempre sembrato lontano dall'immagine del faro di speranza tramandata dalle Scritture. Più simile a una baia sicura prima dell'ultimo viaggio, a ben vedere. Il che era, a suo avviso, una posizione tutt'altro che deprecabile: sicurezza prima di tutto, alla speranza poteva pensare anche il clero.

Nella realtà dei fatti, pareva che Grion non fosse l'unico a corto di interlocutori: era di guardia sul promontorio est quando vide l'evocatore raggiungerlo risalendo un'ansa del sentiero. Con un saluto disinvolto con la mano, come se la sua presenza al confine dell'area protetta non fosse nulla di insolito, si appoggiò alla parete di roccia alle loro spalle e restò fermo e muto a osservare l'orizzonte.

“Se è una punizione sacra, perché lo combatti?”, esordì infine.
“...domanda un evocatore.”
“Ah, ma io non viaggio, io resto qui. Aiuto solo nelle faccende spicce, niente a che fare con i grandi ideali di speranza.”
“E nelle battaglie.”
“Non hai risposto.”
Grion si fermò a riflettere.
“Non voglio altri morti. Quando posso evitarlo.” Non c'era molto altro da dire, in verità: non si era mai neanche accorto che potesse essere una contraddizione.
“Ha senso.” Sembrava soddisfatto. Con la coda dell'occhio poteva vederlo rilassato contro il costone come una lucertola al sole.
Se ne era andato un'ora dopo, con un “Grazie”.

E ancora, il giorno dopo: “Non ti pare sciocco gettare centinaia di vite per quello che ammonta a poco più dell'alimentare una speranza?”
“Come, prego?”
“Parlo del pellegrinaggio”, spiegò col tono con cui ci si rivolge a un bambino.
Lord Sert, questa linea di pensiero non è...”
“Taglia le onorificenze. E lo sto chiedendo a te, non di là”, disse indicando il tempio.
“Cosa saremmo senza quella speranza?”
“Non lo so, per l'appunto. Me lo stavo chiedendo.”
“È possibile immaginarlo?”
“Non so nemmeno questo. Buona giornata, crociato, grazie della compagnia.”

Era un modo ben sgraziato per saggiare le acque, dopo quel primo incontro in cui solo Yevon sapeva cosa avesse visto in lui, ma Grion scoprì di non trovarlo spiacevole. I giorni si allungarono in settimane, mesi, pochi anni di compagnia reciproca nei ritagli delle loro vite, che diventarono la trama e l'intreccio di ogni giornata. Fino a che: “Parto.”
“Grion”, aggiunse, ferito, cercando il suo sguardo. “Ti scongiuro, non dirmi che l'ho sempre odiato, perché è ancora vero. Puoi... puoi capirmi?”
“No.”
Ovviamente no. Non fintanto che avesse avuto quelle lenzuola in braccio. Di quel primo discorso non riuscì a seguire che le virgole ma ne seguirono altri, infiniti altri, di fronte a una scodella di zuppa o sotto il tramonto incendiato di Kilika, sui moli, lontano dal tempio e da orecchie indiscrete. Discorsi sulle premesse, che non erano cambiate: le convinzioni di sempre, i calcoli a spanne e quel modo forse sbrigativo di mettere insieme due verità per cavarne una terza.
Un evocatore può fare del bene, aveva detto. Ha un potenziale immenso per fare del bene, nonostante nel richiedere il suo potere in quei termini, anni addietro, Ifrit si fosse trattenuto a stento dal ridergli in faccia e Sert cercasse ancora di scoprire il perché.
La Calma è sopravvalutata, aveva detto. Una vita di sforzi a casa propria, per chi si ha vicino, paga quasi come un anno per tutti senza Sin e questo senza contare la mole insopportabile di morti inutili per raggiungerla. Morti vittime della propria speranza, quindi irate. Fiere. Altre morti.
La Calma Eterna è una favola per bambini, almeno nel mondo fallato così come lo conosciamo. Sin tornerà, quindi è del tutto inutile abbatterlo per un anno. Un anno! Per la Storia è ridicolo, un battito di ciglia. Viviamo sulle spalle di migliaia di morti, aveva detto, che a milioni di persone hanno dato da spartirsi inegualmente venti mesi di pace. È giustizia questa? È speranza?

Quello era il Sert che aveva sempre conosciuto e rispettato. Dunque? Cos'era “Parto”?
“Sempre conti”, gli rispose con un volto stanco e tirato, come di chi dentro sé fosse già in viaggio da mesi, senza una meta certa. “Nient'altro che conti. Non mi fido del mio giudizio, voglio i fatti.”
E i fatti, a suo avviso, erano che quell'epoca fosse già piena di codardi ambiziosi anche in sovrannumero per garantire a Kilika la sua pace, a meno che Sin non radesse tutto al suolo, nel qual caso ogni discussione sarebbe stata resa pretestuosa. Tutti quei sacerdoti e potenziali evocatori non sarebbero partiti nemmeno come richiesta della loro madre in punto di morte: di conseguenza, la città era sicura. In quella situazione, per Spira nel suo complesso, una possibilità su mille di ottenere un risultato sarebbe stata sempre meglio di nessuna.
“E poi...”, gli disse un giorno, riaprendo d'improvviso il discorso che era diventato il sottinteso di ogni loro incontro. L'aveva trascinato in un vicolo in cui nessuno potesse sentirli; era una giornata limpida e Grion ricordava che il passaggio improvviso all'ombra gli fosse sembrato di cattivo presagio. “Tre cardini. Primo, ho capito che non vivo solo io su questa terra. Avendone il potere, ho il dovere di consegnare la speranza a tutti coloro che non capiscono che la speranza è inutile.A tutti quelli che non vivono d'altro.”
“In altre parole, tutti”, concesse Grion.
“Tranne me”, lo corresse, trattenendo il fiato nell'indecisione prima di aggiungere: “e te. Secondo, voglio sapere.”
“Sapere cosa?”
“Sapere cos'è, come accade. Una forza dentro di te, capace di ucciderti. Come ci si sente?”
Provò a immaginarla in lui, finendo solo per distogliere malamente lo sguardo.
“Soprattutto”, lo distrasse l'altro riprendendo a parlare, e Grion gliene fu grato, “voglio sapere cosa nasconde. Perché nessuno torna a dispensare la conoscenza che le nuove leve bramano. Almeno, io la bramo. I Guardiani Leggendari, ad esempio. Uccisi in battaglia uno, due, ma sei? Si dice che Sir Bessu e Dama Somia si ritirarono in un eremo, orrendamente sfigurati. Si dice poco, soprattutto, e il risultato è che i segreti di Zanarkand restano vergini per chi chiunque vi ponga piede. Che volto ha l'Evocazione Finale, Grion? M'interrogo e Lord Ifrit ride. Credo sia il suo modo di spingermi sulla via. Terzo...” La sua voce era scesa a un sussurro, sottile e tagliente da dare i brividi.
“...odio questo mondo. Non ha pietà, non ha ombre, non ha senso. Solo certezze e colori così nitidi da accecarti. Voglio andarmene.”

Così era partito per dare un corpo qualunque a quella possibilità su mille, un corpo che solo per mancanza di alternative doveva essere il suo. Così lui l'aveva seguito, perché gli sarebbe servita una lama e una mano che guarisce, una marcia regolare a rallentare il passo, una spalla su cui versare le lacrime rimaste. E se vi era stato spinto di proposito – se quel suo prepararsi senza all'apparenza chiedere nulla, come pronto ad affrontare da solo la via del pellegrino, era stato scelto nella certezza di legarlo a sé – Grion comunque non si sarebbe lamentato. Avevano condiviso la strada, i racconti, i pensieri di quegli anni e non avrebbe mai osato sperare in tanto, tutti quel tempo prima, di fronte a un secco “È andata.”

Poi era morto per lui, con la schiena fracassata e lo stomaco perforato da un artiglio. Anche di quello non si lamentava – era stata tutto sommato una morte rapida, se non pulita, come gli avrebbe sempre ricordato la prima immagine che si era impressa sui suoi nuovi surrogati di occhi che era tutta rosso e arti scomposti in angoli innaturali e quello dovrebbe essere il fegato.

Poi era tornato. Che era quello di cui il suo evocatore aveva bisogno, ma anche qualcosa che i morti non fanno. O non dovrebbero fare.


















Note:
@ “...domanda un evocatore.”: A.k.a. “da che pulpito”, versione “il mio fandom ha molte prediche ma non ha pulpiti” XD
@ Grion che osserva i suoi resti: Eeeeh... avevo letto da qualche parte che fiend e Unsent si creano attorno alla coscienza rimasta del morto, che è separata dal corpo. Non ricordo dove (beh via, il ::dove:: non è difficile, ma non so ripescare la traduzione esatta), ma ha senso perché se le fiend fossero i cadaveri veri e propri che si rianimano, beh, basterebbe bruciare i morti per risolvere uno dei grossi problemi di Spira. \/n





Piccolo extra che non saprei dove altro infilare, drabble nata per il challenge special #9 di it100. Non l'ho ancora pubblicata lì perché aspetto (e aspetto... e aspetto... blocco dello scrittore totale... ale... ale... XD) di avere anche le altre drabbline con cui voglio partecipare, ma essendo uno spin-off di questo capitolo non posso che metterla in coda a questo capitolo. La frase di riferimento è: "E se vi era stato spinto di proposito – se quel suo prepararsi senza all'apparenza chiedere nulla, come pronto ad affrontare da solo la via del pellegrino, era stato scelto nella certezza di legarlo a sé – Grion comunque non si sarebbe lamentato."



Ogni tanto basterebbe chiedere. Ogni tanto non si riesce a tollerare l'ipotesi di un rifiuto e si ottiene lo stesso risultato per vie traverse.

Una rete di silenzio



Sert saggiò le cinghie del sacco delle provviste, ne testò la resistenza, provò a mettersele in spalla senza smettere di giocherellare con le dita sulle fibbie. Registrò a stento che erano fatte di cuoio e ferro, lontano con la mente da liste e bagagli: la partenza si faceva vicina ed era ben altra la corda che stava tirando.
Come di consueto in quei giorni di preparativi infiniti, Grion apparve al margine del suo campo visivo. Camminava in circolo, inquieto, muto, fissandolo di tanto in tanto con uno sguardo ancora incredulo. La partenza si faceva vicina.
In quei momenti, l'evocatore diventava il margine del suo campo visivo, le orecchie tese a percepire ogni passo, ogni cambiamento, in attesa di–

Sentì prendere fiato. “Ti servirà un guardiano. Non ti lascio solo.”

Sert annuì lentamente, assaporando ogni sillaba.
“Cammineremo insieme fino alla fine del mondo.”








(...Grion, caro, ovvio che lo stava facendo apposta. Non è capace di non fare le cose apposta, quell'uomo. *spallucce*)

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Capitolo 6
*** 2.3 Stati intermedi di mente e materia ***


...essere paralizzati dall'idea di dover praticamente riscrivere il terzo capitolo non è una scusa per non finire di postare il secondo, in effetti. Scusate.






Stati intermedi di mente e materia
“Grazie di essere ancora qui”, mormorò Sert smettendo per un attimo di vagare sperduto attorno ai suoi glifi, col tempismo di chi avesse letto i suoi pensieri, o di chi fino a quel momento ne avesse seguiti di paralleli. Non era difficile credervi: in pellegrinaggio le idee seguono troppo spesso la stessa via dei piedi, che ha un'unica traccia e un'unica direzione.
“Grazie di avermelo permesso”, rispose secco, non sentendosi ancora del tutto lontano dall'incertezza della notte precedente.

Restare non era stato difficile – almeno non per Grion, da sempre portato a prendere un'idea alla volta e seguirla fino alla sua naturale conclusione. Con un dolore sordo alla schiena non aveva più sentito il sapore del suo sangue in bocca, la putrefazione del Bashura nelle narici, non più la stanchezza di pietra che scendeva in ogni muscolo delle gambe, il fiato rauco che rimbombava in testa. Un dolore sordo alla schiena atterrando sul ghiaccio di una sporgenza ed era rimasto semplicemente lì, in mezzo all'aria fina del Gagazet, a chiedersi che novellino avrebbe attaccato in modo così sgraziato, messo così stupidamente un piede in fallo. Soprattutto, a ripetersi che stava deludendo il suo evocatore. Tempo di mettersi in marcia.

Prima che si accorgesse di avere nuovamente due gambe con cui camminare era già tornato sul sentiero. Prendeva quello che riusciva dalla terra e dall'aria, grato alla montagna sacra mentre le luci fatue che le chiedeva in prestito gli fioccavano intorno assieme ai refoli di vento, donandogli forma e sostanza. Era parte del cielo e del mare di Spira, ora, e di tutti i pianti e i risentimenti che echeggiavano in ogni sua particella, ma era e restava Grion. Grion che restava fedele a una promessa senza fermarsi a commiserarsi per averla tradita. Grion che aveva accettato l'idea della propria morte anni addietro, ma non proprio ora, per favore, resto ancora un poco.

Non c'era spazio per altri sentimenti, davvero, per quanto il senso di colpa bruciasse come le ferite sulla sua vera carne, minacciando a volte di distoglierlo da quella concentrazione: Yevon condannava la sua scelta. Si era scritto addosso uno dei primi peccati che da quasi mille anni richiamavano sull'umanità la punizione di Sin e non sarebbe bastato il proposito di rinunciarvi non appena proprio Sin fosse caduto. Forse nemmeno Sert l'avrebbe accettato: lo conosceva come un evocatore coscienzioso, fedele ai fondamenti pratici della sua vocazione se non proprio ligio alla teoria – servitore dei vivi. Forse avrebbe guardato con disprezzo la perversione che era diventato e senza una parola l'avrebbe condotto lontano da Spira e dalla sua lunga redenzione. Ne sarebbe comunque valsa la pena, solo per percorrere quell'ultimo tratto insieme.
E invece.

“Yevon non si offenderà per un gesto d'amore. Spero”, aggiunse sottovoce il suo evocatore.
“Yevon non si offenderà...”, ripeté Grion, speranzoso. A meno che non la giudicasse una debolezza di entrambi, quella loro resistenza ai fatti del mondo per non rinunciare a... cosa, poi? Un'amicizia come ne erano esistite forse milioni di altre. E per non rinunciare a sconfiggere Sin, si corresse. Per quello li avrebbe potuti perdonare, forse. Era quella la direzione che li manteneva in piedi, come un cerchio lanciato in terra non cade fintanto che resta in moto.

Per Grion, non perdere di vista il loro obiettivo era tanto più importante dal momento in cui si era trovato a dover negoziare la sua esistenza istante dopo istante, sentendosi a volte sul punto di diventare qualcosa di non umano, ignoto e pericoloso. Non era difficile comprendere perché camminare così sul filo del rasoio fosse considerato sacrilego, ma era certo che non avrebbe messo così a rischio il suo evocatore fintanto che gli fosse rimasto accanto vedendolo così determinato. Se si fossero appoggiati solo l'uno alla spalla dell'altro, senza la necessità di proseguire, sarebbero caduti fino a svanire nel nulla. Così, era sicuro che avrebbe aspettato. Fino a quel punto all'orizzonte che era la morte di Sert.
Non temeva più di dare un nome a quel momento: esso aveva acquisito, sulla sua coscienza, un'ineluttabilità inedita che andava oltre l'accettazione con cui un anno prima si era rimesso alla scelta dell'amico. In un modo distaccato, di chi è sulla vetta del mondo e guarda indietro alle città lontane, gli doleva solo che nessun altro avrebbe più potuto godere di quella presenza unica, com'era stato suo privilegio. Sotto il suo sguardo impassibile quelle città, le coste e le valli si sgretolavano nella memoria in un tremolio di luci fatue, crollando in un mare calmo e denso, e Grion non riusciva a ricordare di essere mai stato altro che un guardiano, il suo guardiano.

Era meglio che tutto finisse davvero, quando la strada fosse finita: nessuna parvenza di vita normale da mendicare al ritorno, nessun ritmo insignificante cui riadattarsi. Solo un magnifico vuoto e la consapevolezza di aver svolto il proprio dovere.

Sentì un rumore profondo oltre il sentiero, di roccia che scorre, e Sert si avvicinò a raccogliere l'asta che aveva abbandonato durante le Prove.
Sostenne il suo sguardo.
“La via è libera. Zanarkand ci attende.”










Interludio: la speranza è altrove, parte seconda

Mesi prima, su un ponte sospeso fra due delle più alte torri di Bevelle, un giovane monaco guerriero stava per gettare al vento la sua vita. Aveva lasciato a lungo le possibilità a macerare nella sua coscienza, venendo prosciugato a sua volta fino a che, sentendosi mancare l'aria, non aveva accettato di non avere mai realmente avuto alternative. Era rimasto un precipitato di certezza piccolo e cupo da quell'opera alchemica: non una soluzione, non uno sprazzo di felicità e tuttavia un'ipotesi migliore di un futuro passato chiuso in una casa elegante a ricoprirsi di muffa. Non aveva mai realmente avuto alternative.
La porta di fronte a lui era massiccia e ricca, carica di storia e di bassorilievi – mai colpita da Sin – e chiusa. Ripassò la sua parte. Non sembrava difficile:
“Parto”, avrebbe detto semplicemente e l'altro avrebbe capito.
No, non avrebbe capito. Avrebbe colto il sottinteso, come chiunque a quel mondo l'avrebbe colto, e la rete di conseguenze cui portava, perché non era uno stupido, e dopo la paralisi della sorpresa sarebbe passato a ricoprirlo di minacce, insulti e non pensi a mia figlia, tua moglie, ma non avrebbe capito. Un sacerdote di Yevon doveva pensare alla stasi e alla preservazione: non poteva aprire gli occhi e vedere che tutto cambia, tutto muore anche entro quelle mura scintillanti e che quando la terra ti scivola da sotto i piedi non hai davvero altra scelta che rincorrerla fino alla fine del mondo (con la speranza di riportarla indietro).
Nemmeno lui poteva dire di capire del tutto. Ma avrebbe seguito il suo cuore e il suo evocatore fino all'ultimo battito di entrambi.
Soffiava una brezza gentile.
Restò stoicamente immobile di fronte alla porta opulenta e chiusa, in attesa che l'alto sacerdote gli concedesse udienza, mentre il suo mondo cadeva in pezzi e veniva trasportato dal vento oltre i confini della città, verso il Nord ignoto.




















Lo stato di Unsent mi affascina. Ma con Auron non mi azzardavo a entrare così nel dettaglio, non so perché. E a proposito di Auron... A differenza zero (prossimamente su questi schermi, se non me ne dimentico) originariamente doveva essere qualcosa di molto, molto simile al secondo interludio qui. Poi mi è sovvenuto che l'avevo appena scritta, appunto nell'interludio. D'oh! E poi per due mesi mi sono rincorsa la coda come un cane nevrotico XD

PS randomico: se c'è qualche cacciatore di fanart all'ascolto, e mi sa che una almeno c'è :grin: , consiglio vivamente di smanacciare armati di buonsenso e Google Translate finché non si riesce a farsi un account su Pixiv, poi partire da qui e darsi alla pazza gioia. Ci sono anche vecchie glorie come questa, che ricordo da... da ben prima che esistesse Pixiv, mettiamola così. O altri classici immortali... X°D

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Capitolo 7
*** 3.1 Chiudi gli occhi, il viaggio è finito ***


Io... mi scuso tantissimo per il ritardo. Dovevo riscrivere due scene in croce e, fra altre cose da fare e zero voglia di riprendere un capitolo che mi sembrava ben sotto le aspettative, ho fatto passare i mesi. Scusa(te?)mi. Terza e ultima parte, Zanarkand.









3. Sulla terra resta il rimorso


(Cos'era quel mostro? Una tale rabbia. Rimpianto...)
(Non lo so. Non so più nulla.)
(Mi nascondi qualcosa.)
(Quel rimpianto, quella rabbia – giuro che è lo stesso che proverei se fallissi ora.)





Chiudi gli occhi, il viaggio è finito


Entrarono a Zanarkand col fiato corto e la vista annebbiata, curati dalle ferite ma non dalla stanchezza, troppo provati per continuare a mettere un piede davanti all'altro o anche solo per considerare appieno il significato delle parole “Entrarono a Zanarkand”. Proseguivano in mezzo a un sogno confuso.
Grion ordinò il riposo.

Nel chiudere gli occhi, Sert rivide la fiera che li aveva aggrediti all'ingresso della città. Il ricordo s'ingigantì nel sonno e quella torreggiava come uno dei palazzi che li circondavano, impaziente, vigile, ricoperta di scaglie e zanne e simboli sacri incisi nella carne. Si era scagliata su di loro come se li aspettasse, notò con distacco rivivendo l'assalto. Poco importava. Di sicuro c'era invece il senso di compiutezza al constatare che un risentimento così potente e antico fosse stato dissipato e che, al netto delle pronte cure del suo guardiano, l'unico pegno per un tal gesto di compassione fosse stato qualche graffio. Grion l'aveva guarito, Grion l'aveva protetto, anche ora Grion montava il primo turno di guardia senza battere ciglio (non l'aveva visto riposare in tutta la discesa. Non si soffermò sul pensiero). Grion aveva sempre saputo valutare quanto e quando rischiare per uscire vivi dallo scontro – vivi quanto prima, si corresse con una smorfia. Che era comunque abbastanza.

Avrebbe voluto condurre i suoi sogni verso un passato vicino, verso quei primi giorni di viaggio che la sua memoria dipingeva già come la somma di ogni serenità, ma aveva altri doveri: quietò la sua coscienza e sentì le voci dei sogni dei suoi Eoni, ridotte a echi distanti dopo che la violenza della battaglia aveva spezzato il loro legame.
Si avviò a riabbracciarli e cadde in un sonno profondo. Le sue fantasie avrebbero dovuto aspettare.

Zanarkand– l'idea di Zanarkand – li raggiunse davvero solo quando erano già addentro alla ragnatela di vie che ancora segnavano il terreno, in una rete di cicatrici che copriva prima la terraferma e ora i promontori.
“Zanarkand”, sussurrò Sert, sentendo che in quel momento il peso di ogni singola sillaba sarebbe stato insostenibile se avesse dato loro più fiato. Le luci fatue li circondavano come tanti fiocchi di neve luminescenti e fissati nell'aria, in attesa, sospinti solo dal vento in una lenta bufera immateriale.
“La città dei morti”, gli fece eco Grion con voce abitualmente bassa.
Sert si affrettò a cercare la sua mano. “La città sacra”, lo contraddisse stringendola. “La città del miracolo.”
“Ripensamenti?”
“No. Anche se mi sembra reale per la prima volta.”
“Non c'è mai stato un ritorno.”
“Ma non c'era neanche un punto di arrivo”, disse cercando di mettere ordine fra i sentimenti contrastanti cui l'atmosfera sospesa delle rovine stava dando consistenza, ma non un senso. “Non al di fuori delle carte geografiche e ci vuole ben altro sognatore che me per riuscire a vedere la realtà dietro a quelle. Finora abbiamo avuto solo tappe, ognuna frazionabile all'infinito fino a potersi convincere che non sarebbe mai giunto l'ultimo giorno.”
“Nemmeno questo è il nostro ultimo giorno.”
“Vero, ma finisce di mettere i punti fermi nella realtà che le mappe riassumono.”
“Spaventato dalla chiarezza? Tu?”
“Non ho mai detto di essere intimorito da quello che mi attende, Grion. Solo confuso. Ho fatto la mia scelta.”
Il guardiano comprese e ricambiò la stretta, lasciandosi condurre lungo la strada. La morte aveva smesso di riguardare solo il suo evocatore.
“Restami accanto, ti prego. Fino alla fine.”
E quando tutto sarà concluso festeggia e gioisci e fa' che ne sia valsa la pena, avrebbe voluto aggiungere, ma aveva visto come Grion si voltava con disprezzo a sud, quando credeva di non essere osservato, e Sert temeva di non poterlo impegnare con una promessa.
E c'era altro. Un peso che sentiva essere condiviso da quando si erano rimessi in marcia: la città sussurrava storie, i sospiri di un mondo intero convergevano e si riunivano sotto le sue rovine e le loro voci erano appena troppo tenui per venire comprese. Sert osservava, ragionava, ricostruiva con l'occhio dell'immaginazione e l'altra verità era che temeva quel nome perché in Zanarkand stava vedendo molto di morto e ancora nulla di sacro.

Proseguirono tesi e in silenzio: sentivano di essersi già detti tutto, che quello che mancava fosse troppo grosso per i pochi giorni rimasti insieme e loro così piccoli, due puntini sperduti in cima al mondo. Le rovine delle strade orgogliose che un tempo avevano diviso il mare sembravano inghiottirli nei loro crepacci e nei vortici in cui costringevano le correnti.

“Certo che le abbiamo proprio viste tutte”, disse Sert alla fine di una breve pausa, facendo dondolare le gambe metri sopra l'acqua scura. Come argomento di conversazione valeva poco e stonava in quell'aria, ma aveva bisogno di parlare di qualunque cosa per spezzare l'attrazione magnetica della loro meta, che si iniziava a intravedere all'orizzonte. L'attesa permeava ogni respiro e la brama dell'ignoto lo bruciava, ma non voleva arrendervisi del tutto. “I canali di Bevelle, che si gettano in cascate lungo le mura rosse lucenti. Macalania che fluisce e vive sotto la sua coltre di ghiaccio.”
“I chocobo...”
“Lascia stare, vuoi?”
“Comandi.”
Risero piano. Si erano promessi di non riparlare di quella débacle.
“Quello che volevo dire è... no, in realtà non è quello che volevo dire. Quello che voglio dire ora: grazie per non avermi fermato.”
“Mi saresti stato a sentire?”
Rifletté sulla possibilità. “No. No, a meno di argomentazioni più solide di quelle che mi spingono ora. Ma sarebbe stato straziante. Nulla è per sempre, così abbiamo vissuto al meglio quello che avevamo e... no, via, non ci credo neanch'io. Scusami, è stato un desiderio egoista mascherato da...”
“Quelle tesi”, lo interruppe. “Mi distruggono. Ma ripongo ogni fiducia nella loro validità. Sono buone motivazioni. Anche... l'ultima.”
“Cosa ho mai fatto per meritarti, Grion?”

I ponti sul mare sembravano distendersi in eterno verso nord in un terreno difficile, ostile, che si apriva sull'orizzonte più intenso che il loro viaggio avesse contemplato sotto un cielo immenso e carico di stelle. Giunsero a sentirsi parte della città. Il resto perdeva consistenza, scivolando in un passato intangibile.
La fine li colse di sorpresa. Si fermarono in un ampio spiazzo, sperduti. Si era levato un vento freddo.
“Sei arrivato.”
“Siamo arrivati.”
Si appoggiò al suo guardiano.

“Tu che hai percorso il lungo cammino, rivela il tuo nome”, li accolse al termine della strada un sacerdote che dei vivi non manteneva più nemmeno le pretese. Dietro di lui si levavano le rovine ancora maestose di un'immensa cupola dalla facciata carica di statue e colonne.
“Il mio nome è Sert. Giungo da Kilika in cerca di una possibilità concreta per sconfiggere Sin.”
“Mostrami i tuoi occhi, viaggiatore. Che riflettano la strada che hai coperto.”
Gli appoggiò una mano sulla spalla, traslucida e brulicante di luci fatue, e lo squadrò piantandogli addosso due occhi che avevano visto le ere.
“Hai camminato a lungo, pellegrino. Entrate e riposatevi: il viaggio è finito.”

Ancora scosso dall'incontro, Sert si soffermò sull'ingresso senza perdere di vista Grion che, dopo aver mosso qualche passo, venne fermato per ricevere uguale trattamento. Il custode mostrò un guizzo di sorpresa, ma si ricompose.
“Mi rimetto al giudizio ultimo della nostra Signora”, disse, lasciandolo passare con un inchino rituale cui entrambi risposero.

“Nostra Signora, ha detto.”
“Difficilmente sarai riuscito a sorprendere proprio lui, amico mio. Sarà una formula rituale.”
“Si è soliti rimettersi a Yevon.”
“Non tuttavia a Macalania.”
“L'Evocazione Finale...”
“E, prima di quella, il tempio... le ultime luci al confine del mondo. Andiamo, bramo un tetto sopra la testa e un muro saldo cui appoggiarmi.”

Le luci accoglienti in cui speravano non si rivelarono altro che gli eterni, opprimenti, freddi globi spettrali dei morti. Sert rabbrividì: non c'era traccia di vita e non c'era riposo. Solo memorie infinite sotto quella cupola che da mille anni raccoglieva i giorni più bui dei suoi pellegrini e li riproponeva alle nuove generazioni come una gigantesca sfera.

“Un'altra memoria.”
“Mio Lord Gandof!”, esclamò Sert facendo strada alla forma incorporea dell'anziano costruttore che veniva loro incontro solitario, con la schiena incurvata dai dubbi. Scomparve senza una parola, sbiadito tanto quando il bambino Guado in lacrime di poco prima era sembrato vivido e reale.
“Un volto noto.”
“A cosa ci hai portati, vecchio visionario?”, disse Sert con lo sguardo ancora fisso sul luogo dell'apparizione. “Scusami, dicevi?”
“Solo che per questa visione abbiamo un nome e una storia.”
“Le luci fatue sono... eque. Trattengono tutto, proiettano tutto. Mi chiedo cosa racconteranno di noi.”
Tacque il proseguo dei suoi pensieri. Un conto era sapere con la testa che su mille – per semplificare, con stima ottimista – tutti falliscono meno una singola eccezione che riesce. Tutt'altra impressione faceva trovarsi di fronte al dolore di venti, trenta volti ignoti. Iniziò a sentirsi uno su novecentonovantanove, la millesima essendo Lady Yocun, ancora troppo poco tempo prima perché il miracolo potesse ripetersi.
E un pensiero di fondo, ricorrente in quelle ore: “Perché hanno fallito in tanti?”
“Perché qui?”, chiarificò dopo una scrollata di spalle di Grion. “Rinunce, fallimenti, morti sparsi lungo un'unica strada: tutti conoscono le storie. Ma qui? Chi sono questi evocatori che giungono fino a Zanarkand pieni di forza e determinazione? Perché non conosciamo i loro nomi?”

Oltre alla più basilare spiegazione scientifica, non riusciva a comprendere le apparizioni né a dare un senso a gran parte dei loro discorsi. Ognuna di esse, svanendo, portava con sé un pezzo della sua tranquillità.
L'immagine funerea di tre donne vestite di pelli li attraversò e scomparve oltre l'angolo. Sert si rannicchiò a terra, scosso dai brividi.
“Grion”, chiamò, cercando di non strillare.
“Sono qui.”
“Guarda gli edifici... guardali. Sotto la polvere. Machina. Machina sconosciute. E cos'è questa morte? Che filo ci unisce a tutto questo?”
“Sert.”
“Non riesco più a pensare, Grion, non ci riesco. Tutti i pensieri di questa città sono troppi per me. Voglio vederne la fine, voglio...”
“Sert.”

Grion indicò alle sue spalle. Prima di appoggiarsi su un ginocchio, voltarsi e crollare a terra con un grido strozzato; prima ancora di leggere un terrore impotente nello sguardo fisso del guardiano, prima di tutto Sert lo sentì: Sin.
Volava lento, basso e sicuro, oscurando il cielo. La pietra risuonava al suo passaggio; le luci fatue stridevano salendo nell'aria per fargli da strascico fino a disperdersi nel suo corpo sterminato. Sembrò loro, quando fu arrivato a coprire tutte le stelle sopra la cupola, di poter allungare una mano e toccarlo.
Andava a nord, verso il mare aperto. Lanciò un grido profondo e tremendo, che s'insinuò nella terra contaminandola e riempiendola dei suoi ricordi millenari di follia. Sembrava dolente. Sembrava avere una meta.
“Non veniva per noi.”
“Viene per tutti”, rispose tetro Grion che si sentiva ancora addosso l'eco di quel grido, infiltrato e moltiplicato nel suo corpo fasullo.

Trovarono un ingresso: li portò in un corridoio decorato con legno marcio e colori scrostati. Ma era un tetto sulla testa, un rifugio sicuro che chiudeva fuori la notte, i suoi fantasmi e il suo unico eterno mostro. Con un brivido, Sert varcò la soglia e si sentì arrivato.
Si accasciarono sui primi scalini.















@ intro: Auron dice che Yunalesca ha mandato il Cosolì Keeper per testarli. Ma Cosolì Keeper da dove veniva, chi l'aveva formato? Possibile che fiend così incacchiate (mi par di ricordare dalla storia di Omega che il concetto sia esattamente quello, ergo i grossi boss fiend dovrebbero essere 'over 9000!!1') siano rimasugli di pellegrini molto determinati – ma non abbastanza da restare come Unsent? E che quelli abbastanza determinati da restare come Unsent se li tenga a corte?
@ la cupola: Zanarkand dome, y'know? Cupola! È uno stadio, non un duomo...

Glu ultimi due capitoli dovrebbero arrivare molto molto a breve! Mi scuso ancora per il ritardo.

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Capitolo 8
*** 3.2 Negazione, rinuncia e fuga ***


Come promesso, ecco il penultimo capitolo... dal titolo alternativo "le verità di Zanarkand e la gente normale", "'mazza che sfiga" o "Yunalesca mobbasta veramente però". A fra pochi giorni per l'inaspettata (?) conclusione!










Negazione, rinuncia e fuga



Una figura bianca spettrale apparve nell'arco oltre la scalinata. Camminava lentamente, con lo sguardo fisso in avanti e i passi lenti come se dormisse. Videro che era una donna dalla bellezza piena e provocante, che la morte aveva solo accentuato: le luci fatue le danzavano intorno, trapuntando di baluginii iridescenti il manto di capelli candidi. Era la donna le cui fattezze di pietra vegliavano su ogni evocatore all'entrata delle Prove, la luna che illuminava Zanarkand su ogni carta geografica. “La nostra Signora” era la madre di loro tutti, ancora accanto ai vivi, sempre vigile. A Sert sembrò di stare dormendo a sua volta, perso in un sogno vecchio di mille anni.

Come? Perché?, chiese Grion richiamando la sua attenzione con un calcio leggero.
Ne so quanto te, rispose scuotendo la testa ma continuando a voltargli le spalle, lo sguardo catturato dagli occhi gialli e obliqui dell'apparizione. Si sentì messo a nudo, incapace di nasconderle un solo pensiero. La sua presenza millenaria era diventata l'unico centro di gravità della stanza.

“Tutta questa strada, evocatore”, disse scendendo l'ultimo gradino. “Tutta questa speranza, per giungere da solo alla meta.” Incurvò le sopracciglia in un'espressione indecifrabile che poteva essere pietà, disappunto o semplice incapacità di comprendere. Gli occhi restavano fissi e magnetici.
“Milady”, cercò di rispondere, schiarendosi la gola e trovandola improvvisamente secca.
Grion si era alzato e gli stava tendendo la mano.
Mia signora Yunalesca”, ritentò, accettando l'aiuto e senza lasciare la presa anche una volta in piedi, tutt'altro che certo di saper mantenere l'equilibrio. Pronunciare quel nome ad alta voce aveva reso fin troppo reale la situazione e gli aveva dato le vertigini. “Sarò solo di fronte a Sin, se è questo che intende. Quel che ho da opporgli è il mio intento – e la mia vita. Dono il mio futuro per...” perché non so che farmene. E per la possibilità di sentire una e tutte le verità di questo luogo impossibile dalle tue labbra. “...le genti di Spira.”
“Segui i miei passi.”

Yunalesca si voltò e risalì la gradinata, fino a scomparire oltre l'arco. La seguì, reggendosi a Grion.
“Vorrei poterti seguire fino alla Camera della Fede.”
“Preoccupato?”
“Doveva giudicarmi e non mi ha nemmeno guardato. E una Fede non necessita di custodi. Tu non lo sei?”
“Terrorizzato. E confuso. Soprattutto confuso. Stammi vicino.”

Seguendo la sua guida oltrepassarono delle stanze buie che parvero loro attrezzate come Prove, al cui centro li attendeva una piattaforma mobile già sollevata. Scesero nelle profondità dell'ultimo tempio. Yunalesca li precedette in una piccola sala, camminando intorno alla statua riversa che ne riempiva il pavimento.Si voltò e si fermò a braccia conserte di fronte all'altra uscita della stanza, da cui filtrava una luce calda.
“Questa è pietra morta”, disse Sert con un nodo in gola.
“Eppure fu piena di vita.”
Soppesò le parole.
“L'Evocazione Finale ha terminato la sua efficacia?”
Yunalesca annuì.
“Novecento, ottanta e nove anni fa, quando Sin sorse per la seconda volta dalle rovine della mia patria.”
“Ma questo non è possibile.”
“Taci ciò che non conosci, evocatore. Mio marito Zaon mi servì da Eone. Il nostro legame fu la luce che squarciò l'armatura di Sin, la sua viva carne tramutata in sogno vivente. Consumò Sin, consumato a sua volta – il suo conforto mi fu levato”, sospirò.
“Senti la morte nel sogno di Bahamut, Ifrit o Shiva”, riprese inflessibile, “che è insieme scisso e uno e ti ha guidato fino a questa soglia? O, piuttosto, esso è così vitale da invadere i tuoi?”

Un legame. Acuto, vitale, fra animi affini, quale è fra moglie e marito o fra chi condivide la strada del pellegrino, non meno intensa. Poi dissolto e ricreato a nuovo, sembrava dire Yunalesca con le sue parole, a ogni battaglia contro Sin. Il sacrificio era doppio. Evocatore – si voltò verso Grion, che ascoltava impassibile – e guardiano.
“Comprendi. La tua competenza nell'Arte è passabile, giovane Sert da Kilika, ma il tuo guardiano ti fallisce. L'Evocazione Finale ti è preclusa.”
“Se posso fare ammenda...”, disse Grion in un filo di voce, trasalito al sentirsi addossare tutto il peso del disastro. “Perdonatemi. Perdonami.”

Yunalesca sembrò accorgersi di lui per la prima volta. Scosse la testa, guardandolo dall'alto di secoli di stanchezza e sopportazione.
“Non ce n'è ragione. Riposa.”
Posso tornare”, propose Sert sentendola stanca e delusa, ma non irata e avendo passato istantaneamente al vaglio tutte le possibilità che era riuscito a immaginare. “Sono arrivato fino a qui, posso... rifarlo”, anche se sentiva le gambe cedere al pensiero di ripercorrere la stessa strada al fianco di qualcun altro – di chi, poi – per poter stringere di nuovo un legame così intenso, gravato dalla consapevolezza che proprio quel passo fosse necessario. Ma, se la necessità era quella, avrebbe tentato senza battere ciglio. Grion avrebbe capito. E da lontano avrebbe visto Sin cadere. Certo avrebbe messo a conoscenza dei fatti il nuovo guardiano, e non solo: aveva appreso anche troppo (non l'entità del peccato che Spira stava scontando e sì che era tutto quello che avrebbe voluto chiedere, ma non trovava il momento né le parole), sarebbe stato prezioso condividerlo con gli evocatori incontrati per strada, i templi, la gente che...
“No!”, gridò quando si scostò dal filo lineare dei suoi pensieri e considerò il senso delle ultime parole di Yunalesca. Si buttò in avanti senza un senso e senza un piano, sperando forse di intercettare un colpo, ma l'evocatrice tenne fede alla sua carica e agì nel modo che Sert era stato addestrato ad aiutare, non certo a contrastare, se anche fosse stato possibile opporsi alle arti di colei che aveva sconfitto Sin e ancora camminava sul suolo di Spira. Le luci fatue intorno a loro avevano già iniziato a vibrare. Disdegnando i canti, i fuochi e i sostegni effimeri dei principianti, la sua danza fu fatta di gesti minimi del braccio e delle lunghe dita affusolate, assieme a guizzi di dolore intenso sui suoi lineamenti quando lei stessa dovette resistere al richiamo imperioso del suo rito.
Fu questione di secondi. Sert non ebbe il coraggio di voltarsi, mentre il suo stomaco si stringeva in una morsa glaciale. Sentì un tocco lieve sulla spalla e seppe che nella stanza erano rimasti in due.
Il tempo è fermo, aspetta me. Si era detto così pochi giorni prima, sulla montagna, ma l'evocatrice continuava a muoversi e tutto vorticava e le luci davanti ai suoi occhi, dietro le palpebre, tutto una danza, e convincersi che tutto andava bene richiedeva così tanto tempo ed energie. Forse aveva urlato. Non sentiva più. Non importava più. Non respirava più.

“Non aveva ragione di continuare a vivere”, commentò Yunalesca. “Fallito lo scopo in cui aveva creduto, un'esistenza prolungata e vuota è... gravosa. Ho posto fine al suo tormento.”
Doveva rincuorarlo?, si chiese mollemente, come gettando un sasso in una massa d'acqua immota di pensieri, ma nulla si mosse perché non sapeva più pensare e restò con una mano alzata e gli occhi sbarrati, senza capire.
“Ma non così tu, evocatore. Zanarkand saprà apprezzare i tuoi servigi, per la speranza delle generazioni future.”
Continuò a parlare, di speranza (sempre speranza, ma che speranza?) e di servire le rovine, ma Sert non l'ascoltava. Si ritrovò su una sporgenza del Gagazet, a guardare in basso ma non troppo o avrebbe dovuto affrontare la realtà. Codardo. O prima ancora, sull'altopiano, quando quell'evocatrice autoritaria aveva intimato al suo guardiano di impedirgli di fare sciocchezze. Fiato sprecato. A casa, Talla del peschereccio l'aveva preso a male parole per aver tolto alla guarnigione crociata un ufficiale valido così per nulla, con quel vezzo migratorio che coglieva lorsignori evocatori. Altro fiato sprecato. Ancora sulla montagna, la notte era stata così lunga. Ancora a casa, perché si aspettavano che partisse, se finiva per tutti così? Quattro eccezioni, uno su novecentonovantanove. Novecentonovantanove stupidi falliti che trascinavano altri nel baratro. Il baratro. Grion. Ancora sulla montagna.
Ma Per la speranza delle generazioni future, aveva detto Yunalesca in mezzo a un mucchio di parole senza capo né coda e su quell'unico anelito potevano trovarsi d'accordo. Era sempre più chiaro, ignorata la sua flebile proposta in favore di “custodire” e “servire” ed “eternità”, che il segreto dell'Evocazione Finale fosse sempre stato rinchiuso con grande cura entro i confini di Zanarkand: per la speranza delle generazioni future, doveva portarlo fuori. Col pensiero era già risalito dalla piattaforma, oltre le Prove, oltre la montagna, semplicemente oltre. Le gambe seguirono. Attivò la risalita e non si voltò a guardarsi indietro.






















@ doversi legare ben a un'altra persona zomgcomefaròmai: razza di drama queen, la storia insegn...erà che si può partire anche in tre arrivando a filarsi a sufficienza la new entry, ma sul momento Sua Melodrammaticità non l'ha nemmeno considerato. Provvederò a fargli un disegnino esplicativo.
@ "stai piegando il canone al tuo angst": ...forse? è vero che Jecht è tranquillamente diventato Fayth senza essere di carne e ossa. Tuttavia! Tidus (stessa situazione di Jecht) entra nel Farplane senza problemi. Auron (stessa situazione di Grion) sa di non poterlo fare. C'è una differenza fra le due situazioni e sembra essere a sfavore degli Unsent. Volevo scrivere di un evocatore che arrivi a Zanarkand senza la materia prima per ottenere l'evocazione finale e questa è l'idea che mi è venuta.

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Capitolo 9
*** 3.3 Sotto una coltre di stelle ***


...un po' mi mancheranno i sensi di colpa ogni volta che la vedevo in cima alla cartella. Ci avevo quasi fatto amicizia, va'.





Sotto una coltre di stelle



Corse con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, con l'aria che bruciava nei polmoni, aria troppo fredda, troppo morta, corse sentendo le ultime ferite riaprirsi e sanguinare appiccicandosi alla tunica strappata, corse fra edifici diroccati e stradine, sotto archi e sopra la polvere di dieci secoli. Corse con salti affannati e deviazioni improvvise, per confondere le tracce e presto confondendosi lui stesso. Corse fino a quando la vista si oscurò e inciampò fra le macerie e la notte di Zanarkand trapuntata di stelle gli pesò addosso intrappolandolo a terra. Tossì. Prese fiato.

Dov'era la strada che riportava fra i vivi? Era il Gagazet quello che torreggiava alla sua sinistra o una montagna più selvaggia, che aveva perso il suo nome? Sentì la frustrazione scendergli nelle vene: non sarebbe mai riuscito a tornare alla civiltà, non da solo, non sotto il peso di quel fallimento. Eppure proprio quello lo obbligava ad agire. Discendere fino alle terre dei Ronso senza provviste e senza guardia era impresa degna di un folle, ma non aveva scelta (e, quando la morte l'avesse colto, avrebbe saputo proseguire – l'esempio di Grion l'avrebbe mantenuto sulla strada) . Non c'era più 'Sert' ma solo un mucchietto logoro di obblighi, un'informazione da consegnare. Era più facile considerarsi così, senza dover fissare lo sguardo – ancora – sull'orrore da cui era fuggito. Un'informazione scomposta e confusa, ma ci avrebbe ragionato più tardi. Per il momento...

Sembrava aver seminato i suoi inseguitori, se mai ne aveva avuti alle calcagna. Si costrinse in piedi, appoggiandosi a dei resti metallici al centro della strada, e barcollò fino alla piccola piazza in cui quella confluiva, circondata da poco più che sagome tracciate al suolo dei palazzi di un tempo. Si poteva vedere, in lontananza, la linea buia del mare. Respirò a fondo mentre il silenzio della città gli premeva sui timpani.

Alle sue spalle giunse una voce marmorea.
“Da bambina correvo per queste strade.”
Raggelò.
“Diedi il mio primo bacio sotto quel portico. Da oltre l'angolo giungeva un profumo di dolci appena sfornati.” Yunalesca avanzava a piedi nudi, avvolta nei capelli con la stessa grazia con cui si era mostrata nel cuore del suo dominio. La sua pelle risplendeva sotto la luce delle stelle come lo spettro di un passato lontano; le lunghe ciocche candide toccavano terra dischiudendosi come radici ad assorbire l'essenza stessa di Zanarkand. Era l'essenza stessa di Zanarkand.
E lui aveva pensato di sfuggirle.

Gli parlò del passato, indicando spazi vuoti con le mani affusolate, di come conoscesse ogni vicolo e ogni percorso della città natale cui aveva donato il cuore. La vedeva inseguire fantasmi vecchi mille anni come se, ai suoi occhi, quella notte fosse ancora inondata dalla luce dei grattacieli. Soffriva. Era un mostro e non avrebbe smesso di vederla come tale, mentre faticava per reggersi in piedi e affrontarla da pari a pari, ma sentiva la solitudine che risuonava in ogni sua parola, riescheggiando fra le strade vuote con nessuno altro che lui ad ascoltarla, e si disgustò di se stesso nel sentirsi morbosamente affascinato dallo spiraglio che gli veniva mostrato su vite lontane e perdute.

“Comprendi il perché di questo racconto?”
Si avvicinò di pochi passi, seguita da un manto di luci danzanti e colori, frastuono vitale, riflessi. Ma era tutto morto da secoli. Sert cadde in ginocchio su una terra fredda e dura, la terra dell'oggi, dei fatti, che aveva da tempo perso la sua anima. Quello che Yunalesca invocava era scomparso per sempre.
“Perché?”, chiese con le lacrime agli occhi, senza trovare le forze di aggiungere che no, non capiva, perché insisteva sul passato? Perché non poteva lasciarlo andare – perché non aveva potuto lasciarli andare entrambi? Perché non si poteva conoscere tutto alla partenza e si rinchiudevano invece i segreti in quella tela di ragno distesa all'estremo delle mappe?
“Così tramando la speranza. Evocatore. Dovresti capire.”
“Con la richiesta di un sacrificio ignaro?”, si oppose con una voce flebile. “Posso portarla fra la gente, la speranza. Posso tornare fra loro, col Suo permesso. Sapere qual è il vincolo che sconfigge Sin sarebbe...” Sarebbe stato inutile, perché non aveva realmente capito quale fosse il senso e quale l'origine di tutta la sofferenza della sua terra, inutile salvo che per rinforzare fin da principio quel legame cui proprio in quel momento non doveva pensare o si sarebbe spezzato – Sert resta nel presente, si intimò, qui e ora, da solo, piangersi addosso può aspettare. Era sicuro, da qualche parte in fondo ai suoi pensieri, di aver ascoltato e osservato più di quanto riuscisse a collegare in un unico fascio di idee e che applicarvi della razionalità vi avrebbe gettato tutt'altra luce. Non lì, però, non in quel momento.
“Ma il sapere è crudele, evocatore. Uccide l'illusione. Ciò che dono a Spira non è la Calma, è quel che vi conduce. La speranza della morte di Sin culla le vostre vite; quella della sua vita, l'esistenza di Zanarkand.”
L'esistenza di Zanarkand? Sert corrugò la fronte. Un altro tassello inutile a macerare fra le sue conoscenze, soppiantato da altro, più urgente: l'ineluttabilità della voce di Yunalesca non lasciava spazio ad altrenative, non parlava di peccato e redenzione ultima, non prevedeva la fine di un ciclo. Rinnovava la speranza come valore autonomo, non essendoci di meglio cui aspirare.

“È davvero eterno, allora.” Rise piano.
“Non ha importanza per te.” I suoi capelli si mossero come sospinti dal vento, sollevandosi nell'aria notturna, ma non c'era vento: le ciocche serpeggiavano minacciose come pungiglioni, acquistando consistenza e tingendosi in punta di un nero malato.
Sert deglutì e alzò la testa, guardandola negli occhi. In ginocchio, con le spalle aperte e il collo scoperto, si vide infine come una vittima sacrificale di fronte al suo carnefice. Lo era sempre stato, fin da prima di cedere alle lusinghe della partenza, e come unica possibile conseguenza al termine del suo viaggio si trovava solo, esausto, di fronte ai resti ben più che umani di colei che già in vita aveva sconfitto Sin (come aveva pensato di poter riuscire nella stessa impresa?). E lui non era nemmeno un guerriero, solo un vasaio di Kilika che si era cullato in illusioni troppo grandi. Estrasse il pugnale che portava alla cintura, la sua unica arma, lo alzò puntandolo contro l'Alta Evocatrice e lo gettò ai suoi piedi con un gesto molle e sottomesso. Aveva lottato troppo. Restò in attesa con le palpebre socchiuse, mettendo a tacere tutti i sensi che gli urlavano di fuggire, reagire, fare.

Il colpo non giunse. Yunalesca avanzò fino a toccargli la fronte con due dita e accennare una carezza. La sua mano era gelida, vecchia e morta quanto le rovine che li circondavano, e Sert rabbrividì al contatto. Si morse un labbro, cercando il sapore del proprio sangue. Il tocco si trasformò in un richiamo e sentì la sua vita scorrervi attraverso, risucchiata fino a lasciarlo accasciare a terra senza forze.

Lasciò scoppiare una breve risata fra i respiri affannosi. “Avevo ragione. Non c'è un senso.” Un ultimo sforzo, Sert. Solo un ultimo sforzo.
L'evocatrice lo osservava dall'alto, senza lasciar scivolare la maschera d'impassibilità che si era incrostata sui suoi lineamenti artefatti. Negli ultimi istanti si chinò a sorreggerlo, con una fluidità che poteva sembrare dolcezza.
“Mi prenderò cura del tuo rancore”, gli sussurrò, tornando a sfiorarlo in viso. “Sei parte di Zanarkand, ora. Custode eterno dei suoi segreti.” Gli chiuse le palpebre
“Solo colori così nitidi... da accecarti...”

Si lasciò andare al suo abbraccio, all'aria fredda della notte, al vuoto, lasciandosi scorrere addosso tutta l'inutilità e l'ingiustizia e la solitudine e il fallimento e anche gli affetti, che non aveva più ragione di invidiare ai vivi. Sentì dei filamenti dolorosi legarlo ancora a terra ed erano l'immagine di Sin indifferente e vivo, l'incapacità di comprendere quella città dei morti, saluti mancati, parole da rivolgere, la guida austera di Yunalesca che rimescolava le sue ambizioni fino a renderle dense e mostruose.
Ti piacerebbe.
Sentì di essere in bilico, trascinato verso il basso da tutto ciò che di brutto aveva in corpo. Una massa scura di zanne e artigli serrava braccia e gambe, graffiandogli la schiena, ma Sert si era dato un turno di vantaggio e aveva deciso che sarebbe stato sconfitto secondo le sue regole. La ignorò fino a che non perse la sua presa.
Si lasciò andare ma c'era coerenza nel suo abbandono, guidata con l'intento ferreo di anni di pratica. Un ultimo sforzo, come aveva fatto tante volte per aiutare gli altri nel passaggio. Il mondo si scompose alle sue spalle in frammenti sempre più piccoli, sempre più lontani e insignificanti, fino a svanire in un bianco scintillante.

“È un tuo privilegio, evocatore”, disse Yunalesca sentendolo scivolare dalla sua presa. Piegò le labbra perfette in una smorfia. “Hai scelto bene. Porta i miei omaggi a Zaon”, aggiunse con una nota di tristezza, “ricordagli che il mio amore è eterno come il sogno del Nord.”
Era rimasta di nuovo sola. Il ciclo continuava immutato.

Eppure.









Interludio: la speranza è qui, ora, inizia, nulla è più vano


In quel momento, in acque fredde e non mappate, un blitzer cercava di distanziare ogni goccia d'alcool che avesse in corpo inseguendo furiosamente una palla nelle profondità dell'oceano. Il mare aperto era il suo ultimo rifugio, silenzioso e immutabile.
Non quel giorno.
L'onda cadde. L'acqua ribollì e si rovesciò e lo spinse verso il fondo, mentre la luce che filtrava dalla superficie veniva coperta da una sagoma scura. Persa ogni concezione di luce o buio, alto o basso, l'uomo trattenne l'aria che aveva nei polmoni, lasciò che il mare si calmasse e con movimenti controllati nuotò nella direzione in cui la spinta dell'acqua lo guidava. Ma non trovò la superficie che si aspettava, con aria fresca di cui riempirsi i polmoni. Non aveva nuotato verso l'alto. Ogni singola particella del suo corpo era attratta dalla massa nera al centro dell'onda, irresistibilmente, fino a che sentì la pelle staccarsi dai muscoli e i muscoli dalle ossa fino a diventare una cosa sola con quell'apparizione impossibile. Considerò l'ipotesi di essere ancora ubriaco, molto ubriaco.
Si passò una mano davanti agli occhi e la vide svanire in un frullio di luci colorate.
Sbronzo perso e solo oltre il litorale, ma che importava? Scoppiò a ridere, spargendo bolle d'ossigeno e inspirando un fluido denso che non era più acqua né nulla di reale. Se la sarebbe cavata. Se la cavava sempre. Non per nulla, era la stella degli Zanarkand Abes.

Grion sedeva su un tappeto di fiori sotto un sole nero, che era anche un mare caldo e accogliente e forse il nulla prima di un nuovo ignoto. Osservava attento ogni cambiamento, ogni fluttuazione. Osservava per sé e osservava per due, in attesa. L'onda giunse e lo colpì come uno schiaffo.
Quando sentì una serie di passi avvicinarsi la indicò senza voltarsi, facendo cenno con la testa al ritardatario di accomodarsi al suo fianco. Al di sotto, nel mondo concreto, l'onda si ritirava portando con sé il suo prigioniero. Il mondo si fermò col fiato sospeso, allineandosi tutto verso quell'unico punto imprevisto. Un cambiamento, l'inizio che non erano riusciti a donare a chi viveva di speranza. Un inizio che giaceva ben oltre la loro portata, come scoprirono contemplando l'altra città, sfavillante di luci e di segreti, ma che ebbero il privilegio di vedere svolgersi fino alla sua conclusione, quando una nave nel cielo guidò tutte le voci di Spira unite in un'unica canzone.
Augurarono buon viaggio a quel pellegrino. Da oltre un velo di luci fatue, restarono a osservare. Li attendevano tempi interessanti.
























Ghh... finite le revisioni. Scusate ancora i ritardi, sono stata pessima e sconterò la pena a suon di oneshot. :( Spero che il finale non abbia rovinato tutto, io e i tempi narrativi siamo... ancora in fase di convenevoli. Note:
@ invocare: il senso è sempre quello... ...trololololol...
@ attacco di Yunalesca: o hai Absorb. Comunque 'sta donna è una delusione, non ha un cappio di attacchi fisici, nella mia testa la scena era un po' diversa...
@ Jecht: Ogni tanto lo odio. Ho circa cinque versioni di questa scena, ognuna più densa e significativa e tutto dell'altra, ma non mi convincevano. Alla fine l'ho lasciato fare e CI HA RISO SOPRA e l'ha chiusa lì. ...ogni tanto lo odio. *va via mugugnando*

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Capitolo 10
*** Extra: Moonflow e Macalania ***


Mi è capitato di ritornare sui due signori in occasione del Multifandom Drabble Fest, con due drabbline-prequel a Moonflow e Macalania. Ve le propongo qui in coda. :)



Prompt: "Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti..." (da "Il piccolo principe")

Sin ha aspettato a lungo, ma è pericoloso fermarsi per strada qualche ora più del necessario (sarà il timore di non ripartire). Sert non ha la stoffa da Alto Evocatore, ma fa del suo meglio per non venire meno ai suoi voti.


Quello che faccio, con qualche rimpianto



“Potremmo...”
Sert si fermò sulla banchina d'attracco dello shoopuf e gettò a terra la sua sacca, guardando il cielo. Era un caldo primo pomeriggio su Djose e sulle terre confinanti, appena velato dalle nuvole.
“Ma suppongo che non possiamo.”
“Non ti seguo.”
Nemmeno lui sapeva perché avesse dato voce a quella sciocchezza: il pellegrinaggio chiamava.
“Dovremmo avere un motivo per fermarci.” Si voltò a fissare negli occhi il suo guardiano.
“Dovrei avere un motivo per fermarci. Non per un tramonto”, continuò piano. “Non per una notte.” Tornò a sentire l'inutilità che lo opprimeva e l'aveva spinto a fuggire via da Kilika fino a gettare la sua vita sull'altare di un sacrificio in cui non aveva mai creduto.
Grion non distolse lo sguardo. “Esiste un tale motivo?”
La domanda era onesta, come sempre. E la tranquillità del suo guardiano era la sua àncora, come sempre. Chiedeva spiegazioni e si offriva di fornire rimedi, ma “No”, dovette rispondere con voce spezzata. Non c'era un singolo motivo valido che avrebbe potuto anteporre alla speranza di tutta Spira. Anche quando non era la sua.

“Dicono che quando si è molto tristi si amino i tramonti”, disse quando si furono lasciati alle spalle la riva settentrionale del fiume. “E noi l'abbiamo appena perso.”
“Forse non siamo molto tristi.”
“Forse.”













Prompt: Ho come l'impressione che il cuore diventi sempre più debole in modo direttamente proporzionale a quanto si desidera diventare forti (Hamasaki Ayumi, Fated)

Aveva sperato di non spezzarsi fino alla fine.


Ghiaccio sottile rinforzato



Macalania è un punto di svolta per molti. C'è quel fatto – quel tornare a battere strada già percorsa, quel bivio che indica la sicurezza di Guadosalam. C'è il calore di quattro mura in mezzo a una distesa ghiacciata e per molti evocatori diventa uno specchio fin troppo fedele del deserto che si sono scavati dentro. Tornano a casa per salvare l'ultima fiaccola rimasta.
“Fermami”, chiese infine Sert, sconfitto. Salutò l'ultimo straccio di dignità che l'aveva accompagnato in quel viaggio. E anche mentre si arrendeva all'evidenza e con la voce supplicava il suo guardiano, e si odiava a ogni sillaba, dentro di sé sapeva che non si sarebbe fermato, non fino a distruggersi alle porte di Zanarkand, forse oltre. Era stata la sua scelta e il suo dovere, ma. “Sorreggimi”, avrebbe dovuto chiedere invece (non che Grion avesse mai fatto altro da quando l'aveva conosciuto, ma non bastava più). Reggimi. Sopportami.
Si sentì studiato. In silenzio. Sempre in silenzio.
Grion gli porse infine una mano aperta – che non era “Vieni, torniamo a casa insieme, lasciamoci alle spalle quest'incubo” e non era un abbraccio cui abbandonarsi serrando fuori tutto il resto, d'altronde Grion non era nessuna delle due cose. Quell'offerta era un sostegno e se la fece bastare.

Seguì docile le orme sulla neve fresca e s'impose di non pensare né sentire fino a sera.

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