Le luci di Manhattan.

di Lara Rye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. ***



Le luci di Manhattan.

[Jason - Nathaniel]

Le luci di New York splendevano ancora alle tre di mattina: quella città non smetteva mai di brillare, di emanare la sua luce, di illuminare i lontani turisti europei e di portare alla disperazione i propri cittadini.
Jason si svegliò lentamente, avvolgendo la coperta attorno al corpo nudo ed osservando i pub ancora aperti dal suo appartamento al quindicesimo piano, mentre sentii il ragazzo nel suo letto svegliarsi ed avvicinarsi lentamente a lui, in tutta la sua stupenda nudità che però, non scosse minimamente Jason.
“Ti chiami Jason, bellissimo?”
Non aveva mai amato i ragazzi particolarmente effeminati ma spesso, soprattutto nell’ultimo periodo, ci passava oltre se l’attrazione e il fisico del ragazzo erano abbastanza soddisfacenti.
Sesso. Era l’unica cosa che animava ancora Jason, che non rendeva solamente il suo corpo un involucro vuoto. Spesso era convinto che il sesso spingeva la sua anima sempre più a fondo, nascondendola dentro di sé, in modo da far finta che essa non esistesse nemmeno, eppure era lì, all’interno di lui e talvolta bruciava ancora, portandolo alla disperazione lacerante.
“..Non importa.”
Il ragazzo si scostò, offeso, non solo per la conversazione assente ma anche perché in tutta la nottata, tra le vari grida d’entusiasmo dovute all’orgasmo, quel Jason non gli aveva mai chiesto nemmeno il suo nome.
Per lui era solo una buona scopata, come per la maggior parte dei ragazzi di Manhattan.
Si mise velocemente i jeans, chiudendo la cinta di pelle marrone. “Un medico eh?”
Jason s’irrigidì ancora di più, lanciando per la prima volta un serio sguardo al ragazzo: sembrava veramente interessato a lui, alla sua vita. Voleva conoscerlo e magari far nascere qualcosa. Aveva sbagliato ragazzo: lui non stava con nessuno, non più perlomeno. I tempi per amare erano finiti tanto tempo prima, quando il suo cuore emetteva ancora qualcos’altro oltre ai battiti fisici normalmente accettabili.
“Lo ero un tempo. Ho ancora l’abilitazione ma, non pratico più.”
Il ragazzo lo guardò, annuendo. Era chiaro che non doveva andare oltre, che non poteva.
Sapeva benissimo capire quando le sue parole si erano imbattute in una ferita evidentemente non ancora del tutto guarita: quella di Jason sembrava ben aperta e ancora sanguinante.
“Io vado.” Disse con un tono lieve e simile al sussurro, lasciando un piccolo biglietto sul comodino.
Jason sentì il rumore della porta, quando voltandosi per un secondo chiese: “Come ti chiami?”
“Nathaniel.” La porta sbatté, lasciando Jason da solo, di nuovo.
[…]
L’incontro con Nathaniel –non tanto la notte di sesso, ma particolarmente la minuscola conversazione seguente- aveva fatto agitare Jason, smuovendolo dal suo solito stato di indifferenza verso il mondo.
Era un ragazzo, era stato del sesso, come molte altre notti eppure Jason si sentiva diverso, un po’ meno apatico. Era un giorno strano, uno di quelli che gli avrebbero cambiando la vita, soprattutto quando, girando un angolo a Soho, si ritrovò davanti a qualcosa di inaspettato e terribile, qualcosa per cui non era ancora pronto.
“Un medico! Qualcuno chiami l’ambulanza!” Una donna particolarmente minuta stava chinata, mentre gridava, sul corpo di un uomo abbastanza corpulento ricoperto dal sangue.
Jason non poteva aspettare. Non era questione del suo cuore, della sua paura o del suo passato ma del motivo per cui aveva passato cinque anni a Stanford, laureandosi in medicina e che l’aveva portato alla specializzazione in chirurgia: l’unico scopo della sua vita erano gli altri, poter salvare qualcun altro, combattere contro la morte prematura.
Jason fece un lungo respiro, poi iniziò a correre verso l’uomo. Ogni secondo era importante.
“Sono un medico.” Disse solamente, prima di cercare di fermare l’emorragia. Mentre le sue mani si sporcavano di sangue e i ricordi gli mischiavano la paura ai suoi stessi battiti, cercò di non fermarsi, di combattere per un uomo innocente.
[…]
La giornata nella sala operatoria passò velocemente: assisté il chirurgo, cercando di salvare la vita di quell’uomo.
“è bello rivederti da queste parti, Jase.” Kendra –la sua migliore amica e capo infermiera del suo vecchio ospedale- gli sorrise. “Sai che puoi tornare quando vuoi, Jas?”
“Lo so.” Si tolse i guanti macchiati di sangue. “Ma Ken, non credo di essere ancora un medico.”
“Dopo tutto questo, Jason? Dopo oggi? Non esiste nessun’altro al mondo che è più medico di te. Se non vuoi farlo per te, fallo per me ma soprattutto fallo per Alec.”
Jason sussultò. Sentire il nome di Alec era ancora qualcosa di penetrante e doloroso.
“Ci penserò. Devo andare ora, Ken!” Jason prese il biglietto dalle tasche dei pantaloni. Per la prima volta dopo Alec, voleva vedere un ragazzo.
Abitava a Soho.
Appena suonò il campanello, Nathaniel si presentò davanti alla porta.
“Jason, cosa ci fai qui?”
Jason si toccò i capelli biondi, quasi agitato. “Volevo chiederti se ti andava di andare a prendere una birra, o magari un Daiquiri.”
“Hei, mica sono una femminuccia. L’ombrellino nel cocktail non è la mia passione! Vada per la birra.”
Jason gli sorrise. “Ok, Nathaniel!”

“Chiamami solo Nate.”

...
Questa storia partecipa alla Challenge dal nome alla storia (only Slash)  di Nonna Papera.
Jason: medico che guarisce.
Ho cercato di puntare sulla cura di se stesso, del suo essere medico che guarisce gli altri e se stesso. Nel prossimo capitolo si capiranno più cose, soprattutto su Alec.
Dovrebbe essere composta da tre capitoli.
Spero vi piaccia ^^

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo. ***




Le luci di Manhattan.

[Jason - Nathaniel]



Quella birra -bevuta su una panchina sotto casa di Nate- non era andata come entrambi avevano previsto.

Avevano passato delle ore semplicemente a parlare, a chiedersi le cose più imbarazzanti, a ridere. Avevano incominciato a conoscersi, andando all'indietro, partendo dal sesso e poi arrivando all'anima, lentamente, senza avere troppa fretta.
"Coming Out?" Nate bevve un sorso dalla birra, accarezzando con la lingua il bordo di vetro della bottiglia, mentre alzò il sopracciglio. 
"Domanda spigolosa, cazzo. Quando ero più piccolo, i miei portavano me e mia sorella, Cleo, in questo enorme residence al di fuori della città. Era bellissimo tanto che sembrava di essere in un panorama paradisiaco, poi un giorno, scoprì con Cleo questo piccolo rockmusic club. C'era un piccolo palco e tantissimi libri, tutti legati ai grandi cantautori rock. Al residence poi, c'era una famiglia enormemente snob che aveva questo figlio, Theodore, il quale era sradicato, eccentrico e bellissimo. Ogni sera scappava da casa e andava in quel club. Dopo una delle tante nottate passate a guardarci gli diedi il mio primo bacio sotto le notte di Love Me Two Times dei Doors, cantata da un gruppo di adolescenti. Fu la serata più eccitante di tutta la mia vita, anche perchè nella saletta invernale, posta proprio dietro il locale, feci l'amore con lui per la prima volta: tutto in quella maledetta notte." 
Nate bevve ancora, lasciando scendere per la gola un lunghissimo e quasi bruciante sorso. Probabilmente doveva evitare di dire quel particolare, ma infondo si erano promessi di dire la verità, anche se era del tutto scomoda e vergognosa. "Theodore aveva sedici anni, io tredici."

Gli occhi di Jason si aprirono totalmente, perplessi e spaventati, come se quell'informazione equivalesse a un enorme bugia, anche se non gli occhi del ragazzo poteva notare l'assoluta serietà. "Tredici?"
"Già."
"Beh, sei prematuro. Io a tredici non sapevo neanche come funzionasse il mio cazzo, oltre alla pipì intendo."
Nate sorrise, liberando la tensione del suo corpo che lo caratterizzava ogni volta che scopriva quel piccola particolare della sua vita sessuale. Jason l'aveva presa sul ridere. Era la prima persona ad averlo fatto. "Beh Jason, pressoche neanche io. Theodore me l'ha insegnato."

Jason scoppiò a ridere, imbarazzatissimo. "La tua frase aveva un non so che di profondamente erotico." disse, formulando un sorriso malizioso e incredibilmente affascinante. "Quindi, non sei mai stato con una ragazza?" 
"Mai. Tu si?" Jason si raddrizzò un attimo. Quei discorsi avevano provocato in lui un piccolo movimento nelle sue parti bassi, e la cosa lo faceva vergognare enormente anche perchè erano solo discorsi. "Oh si, tante, veramente tante!"
"Da come l'hai detto sembra che ti sia scopato tutta la generazione femminale!"
"..Più o meno." Nate scoppiò a ridere, non riuscendo più a distogliere lo sguardo dagli occhi azzurrissimi di Jason. Infondo non poteva biasimare quelle ragazze, dato che Jason riusciva a brillare nella notte con quel suo fascino sorprendente e delicato. "Cioè, aspetta, non intendevo dire che.. insomma.." Le parole di Jason si fermarono: Nate gli aveva poggiato un dito sulle labbra, zittendolo. Avvicinò il suo viso accanto a quello di Jason, lentamente, finchè non toccò le sue piccole rosee labbra, accarezzandole, assaporandole, facendo di quel loro bacio pura magia. 
La lingua di Jason s'intrufulò nella bocca di Nate, vivace e pronta a giocare con quella del ragazzo, felice di assaporare la sua dolce saliva. 
Velocemente le mani di Nate si appoggiarono sulla vita di Jason, fino a scendere poco più in basso,provocandogli ancora più eccitazione mentre i loro baci si facevano sempre più insistenti e passionali, come se l'uno avesse bisogno delle labbra dell'altro.  "..Vieni."
"Non dovevamo andare lentamente?" 
"Possiamo fermarci e vederci domani per un altra birra, se vuoi." Lo sguardo di Nate era serio: per quanto fosse eccitato e desideroso di averlo dentro di sè, sapeva benissimo aspettare perchè come la stessa mattina, Nate voleva lui, voleva conoscerlo ed imparare a volergli bene, ad amarlo, ad ascoltarlo, a vivere un giorno con lui, sfruttandone ogni possibilità. Jason, però, sapeva che anche se quella sera era stata molto bella e Nate gli piaceva veramente, lui non era interamente lì.  La sua indifferenza era coperta solo dall'eccitazione forte, dal desiderio del sesso e di vita, di quella che lui non aveva da moltissimo tempo. 
Si passo velocemente una mano tra i capelli biondi, pensando alle varie possibilità ma soprattutto a quella giornata stramba, a come era iniziata e a come stava per finire. Non gli capitava da tempo di iniziarla e finirla accanto alla stessa persona, una tra l'altro per cui provava un notevole interesse. Perchè buttare tutto quello? Perchè permettere a se stesso di rovinare ancora tutto? Fece un lungo respiro prima di pronunciare quel maledetto nome.
"Alec."
"Cosa?"
"Nate, prima devo parlarti di una persona. Ho bisogno che tu capisca che dopo non potrai più tornare indietro, che non è tutto semplice come pensi, che io assomiglio più alla persona di stamattina che a quella di stasera. Ok?"
Lo sguardo di Nate divenne cupo. Non era un ragazzo impressionabile, ma conosceva perfettamente la distinzione tra serietà e divertimento, tra l'essere gay e l'essere uomo. Nathaniel conosceva la paura e il viso di Jason ne era coperto. "Racconta."
"Era l'ultimo anno di specializzazione. Il mio lavoro era tutto ciò per cui vivevo ed ero sereno dalla mattina alla sera perchè salvare vite era sempre stato il mio scopo, tutto ciò che avevo sempre desiderato fare. Ero parte dell'ospedale, ero vita e poi a completare il mio quadro di serenità c'era Maraj. Era una ragazza inglese di origini russe, bellissima. Non era solo la donna più bella che avessi mai visto, ma era un oncologa affermata, intelligente, furba, leale. Vivevamo insieme già da qualche anno e il nostro futuro era perfettamente delineato fin quando lui non si presentò sotto le sue mani: Alec Furbey. 
Alec era un militare, congedato perchè aveva il linfoma di Hodgkin. Ricordo la prima volta in cui l'ho visto, accanto a Maraj. Sembravano il paradiso unito, un insieme sublime di intelligenza e fascino. Ricordo che li avevo visti ridere e in quell'istante, m'innamorai subito. Quel singolo secondo fu la sensazione più emozionante di sempre. Desideravo quel momento, quella passione. Desideravo prenderlo e farlo mio, completamente, anche se la mia compagna rimaneva il mio mondo, la mia pace, la mia amata quotidianeità.
Io ed Alec cominciammo a ridere insieme, a diventare l'uno parte dell'altro, fino a quando, facemmo l'amore nella sua stanza, durante il mio turno notturno. Quel piacere, quell'intensità, quell'amore fu la cosa più sorprendente della mia vita, più vera. Avevo sempre creduto di essere etoressessuale, mal dal momento in cui lo incontraì tutto nella mia vita cambiò, persino il mio stesso io. M'innamorai per la prima volta nella mia vita, perchè anche se avevo amato Maraj non mi ero mai innamorato di lei, mai."
Il viso di Jason si ricoprì di lacrime veloci e silenziose. Raccontare quella storia era come scavare all'interno della sua anima bruciata, dilaniata e distruggerla ancora di più, riportando quei ricordi nella sua mente da tanto tempo completamente apatica.
"Io ed Alec stemmo insieme per cinque mesi ovvero lungo la durata della sua chemioterapia. Il tumore sparì ma subito dopo ripartì, rimanendo ucciso la settimana stessa.
Ebbe un tumore maligno e guarì, ma il suo stesso lavoro, quello che non accettava il suo vero io, lo uccise. Lui era il mio vero amore, il mio primo. " Nate non aveva distolto lo sguardo da Jason nemmeno per un secondo, assorbito dal suo racconto, dall'amore che traspariva dalle sue parole. "Nate, lui è stato il mio unico ragazzo. Certo, il sesso è continuato ad esserci e forse è stato proprio il modo in cui ho espresso quel dolore, ma ..ma non ho mai avuto nessun'altro ragazzo perchè dopo la morte di Alec non sono più riuscito a vivere, ad essere un dottore, ad essere un uomo."
Nate si alzò e rovesciò tutta la birra rimanente per terra, nel piccolo giardino del condominio. Prese quella di Jason e fece lo stesso. 
"..Ma? Nate?"
"Uno, se te lo stessi chiedendo non ho alcun tipo di problema mentale e beh, due, non ti chiedo di essere il mio ragazzo. In effetti non ti chiedo nemmeno di essere un uomo, Jase. Ti chiedo solo di vivermi, giorno dopo giorno. Nessun ragazzo si è mai aperto così con me e questo significa che hai un anima accessibile e per questo fragile e meravigliosa. Voglio riuscire a permetterti di lenire quel dolore lentamente, come le nostre birre rovesciate nel giardino.
Andiamoci piano, ok? Come volevi tu. Una birra di sera, un caffè di mattina."
"Domani mattina dovrei andare in ospedale."
Gli occhi castani di Nathaniel si illuminarono, vivaci e sereni. "Ne sono contento."
Si diedero un ultimo piccolo bacio poi Jason s'incammino verso casa. Stava facendo dei passi, anche se erano piccoli.









Missing Moment {Jason - Alec}
Un anno prima.

"Non è un addio questo, sai?" La barba di Alec toccò il viso liscio e coperto dalle lacrime di Jase.
"E cosa sarebbe allora?" Le loro mani si sfiorarono, delicatamente e velocemente si lasciarono, quasi come se fosse stato un errore, un malinteso e non un piccolo gesto di vita.
"Baciami." La voce di Alec era pronunciata, diversa dai soliti sussurri a cui Jase era abituato a causa dell'assurda segretezza della loro storia d'amore.
A volte Jase non riusciva nemmeno a pensare che fosse una vera storia d'amore dato che era tutto talmente nascosto da fargli paura.
"Alec, qualcuno potrebbe vederci."
Gli occhi color smeraldo di Alec brillarono per un secondo - entusiastato dalla visione sublime del suo ragazzo. Sapeva che sarebbe venuto in guerra con lui se solo glielo avesse permesso. Sapeva che dividendosi, sarebbero andati incontro alla morte interiore perchè l'uno amava altro pienamente, senza sosta, senza farsi alcuna domanda, solamente ringraziandosi a vicenda. Per quanto fosse più grande di Jase, in quel momento Alec si sentì un bambino allontanato dalla sua casa, dai suoi genitori, dai suoi primi amori.
"Non m'interessa. Ho bisogno che tu mi baci, Jase."
Jason non aspettò altro. Forse quella era la prima volta in cui non si assicuravano di non essere visti e in cui il loro unico tormento era ricordarsi di quelle sensazioni per l'eternità.
Le labbra di Jase si incollarono a quelle di Alec, decise e fiere, pronte a lasciare il segno in quell'ultimo bacio bagnato dalle lacrime, mentre il viso si Jase veniva ricoperto dal suo tanto amato raspare della barba del suo uomo.
Lentamente Alec s'allontanò, pronto a ritornare in quella guerra che non sentiva sua perchè aveva trovato il vero amore.
"Alec?"
Si girò, un ultima volta, confondendo il verde dei suoi occhi con il celeste di quelli di Jase. "Si?"
"Amami." Alec annuì, senza dire nient'altro. L'avrebbe amato per il resto dei suoi giorni, anche se sentiva che non sarebbero stati ancora tanti.
Non gli aveva chiesto di aspettarlo principalmente perchè sapeva che non sarebbe tornato, che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio.


Alec Furbey , Morto il 7 Marzo 2009 all'età di 34 anni.
Alec Furbey era morto amando.




....
Note dell'autrice:
Devo ammettere che questo capitolo è stato per me particolarmente difficile e complicato, anche se mi è molto caro.

Il Missing Moment finale è un mio gesto di egoismo probabilmente, perchè essendomi innamorata di un mio personaggio quale Alec non potevo non dargli voce, un finale, un vero addio.
Spero che vi sia piaciuto.
Grazie mille a chi l'ha messa fra le seguite, a chi ha commentato (risponderò personalmente) e a chi la legge.
Spero che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Penso che si concluderà con il prossimo capitolo, al massimo altri due, non di più.
Lara

 












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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


3JasonNateAlec


Le luci di Manhattan.

[Jason - Nathaniel]




"Jason McLean. Sembri quasi un miraggio di questi tempi."
Il ragazzo emise solo un flebile sorriso, senza aggiungere una parola, come risposta all'affermazione del suo vecchio capo reparto. Osservava il corridoio bianco aprirsi davanti a lui, movimentato dagli infermieri che correvano da una parte all'altra, pronti ad aiutare i pazienti a non morire, quando possibile.
Sin dalla sera prima aveva sperato che, tornando in quel posto e rivedendo tutte le persone a cui era profondamente legato, dentro di lui sarebbe scattato qualcosa di profondo, come un segno o un avvertimento che quell'anno passato lontano dal suo lavoro era stato tutto uno sbaglio per cui era pronto a rimediare.  
I passi lenti che percorreva, ascoltando il rumore delle sue scarpe che toccavano l'asfalto tra quel reparto che per lui aveva sempre rappresentato la sua vera casa, si mostravano inutili, come quella stessa mattina, quel tentativo.
Sentiva il suo cuore pulsare ad un ritmo totalmente naturale, indifferente e quindi privo di qualsiasi emozione.
Essere un chirurgo non era più l'essenza della sua vita e non corrispondeva più alla sua totale felicità: probabilmente tutto quello che lui aveva fatto prima dell'incontro con Alec non era nemmeno stata felicità perchè quella vera, quella che ricordava lui, durava pochissimi secondi, inafferabili ed irrecuperabili.
Eppure, dietro quel suo essere vile, Jason sapeva che si trovava in quel posto per un motivo preciso ovvero perché era esattamente quello il punto da cui poter ricominciare. In quell'ospedale tutto era iniziato e in esso tutto era finito.
"Dannie, ci vediamo dopo. All'una, giusto?" Osservò l'amico annuire, prima di andarsene in un altro reparto che per quanto ci avesse provato, non gli era mai appartenuto.
Attraversare quella porta era come una metafora terribile con Dante Alighieri: era la porta dell'inferno. Quando si varcava l'entrata, bisognava sapere che niente, nell'animo e nel cuore, sarebbe stato come prima perchè si mostrava, come un quadro, l'immagine di tantissime persone private della propria dignità e del proprio futuro.
Jason si posò davanti a quel maledetto cartello verde, pronto a mostrare le indicazioni -a lui non neccessarie- per un reparto in cui, come in nessun'altro, si capiva il vero significato della parola malattia.  
Oncologia.
Fece un lungo respiro, profondo e denso, poi toccò la fredda maniglia di ferro ed aprì la porta, consapevole di quello che era e di quello che sarebbe diventato.


"Perchè ti fa così tanto paura quella maniglia?"
Jason guardò la porta, tremando leggermente, fermandosi davanti ad essa, mentre spingeva la carozzina di Alec.
"Là dentro c'è la perdita della speranza, là dentro ci sono le persone.."
"Come me, Jason?"
Alec era ferito. Sapeva di non avere più nulla. Sapeva che tutto gli era stato portato via, persino la sua stessa vita.
Il suo sguardo si abbassò, fermo e deciso, verso il cemento. "Alec, scusami.  Io non intendevo."
Alzò gli occhi, fermo nell'azzurro del ragazzo. "Sappiamo entrambi cosa intendevi. Il punto è che non capisco come tu riesca a stare con una persona per cui provi pena. Davvero, non ci arrivo."
Jason non ribattè. Non sapeva cosa dire, come giustificarsi e se c'era davvero un giustificazione per tutto ciò.
"Forse è meglio che non mi accompagni, oggi." disse infine, aprendo la porta e facendosi strada, muovendo la carozzella manualmente, anche se con qualche difficoltà.
Non avere il possesso delle sue gambe era disintegrante.


I suoi passi erano intensamente delicati, come dei piccoli saltelli, come se fosse in procinto di volare: si sentiva estremamente piccolo davanti a tutto quello, ai malati che avevano la forza che non aveva mai visto in nessun altro, alla malattia più disintegrante che ci fosse, per lui molto più distruggente dell' Alzheimer o di un Ictus.
Gli infermieri, passando, lo guardavano: erano certi di riconoscere in lui qualcuno che era già stato lì, che aveva attraversato quella porta e ne era uscito illeso, o perlomeno ancora vivo, anche se Jason spesso ne dubitava.
All'improvviso si ritrovò davanti a quella stanza, a quella che per mesi era appartenuta ad Alec. Dalla porta mezza aperta, poté vedere ancora i ricami azzurri sulle tende bianche ed ingiallite, la scrivania rossa, la televisione mezza distrutta la quale si vedeva completamente in verde ed in azzurro, il calorifero ormai nero.
Osservò il letto.
Un ragazzino di non più di diciassette anni ci dormiva dentro, con il cuscino mezzo alzato e con il corpo completamente teso anche nel sonno.
Jason avanzò, camminando lentamente, impaurito dal pensiero di poterlo svegliare, di poterlo disturbare in quei pochi momenti che sicuramente il ragazzo riusciva a concedersi, liberandosi dal dolore.  Prese in mano la cartella, osservano i termini che gli passavano sotto le dita, mentre scorreva le pagine.  
Samuel Denay: sedici anni non ancora compiuti, tumore in prossimità del cuore e dei polmoni.
"Chi sei?"  Il ragazzo lo fissava dai suoi occhi azzurrissimi, molto simili ai suoi.
"Sono un chirurgo specializzato in cardiochirugia." Il ragazzo si alzò, cercando di tirarsi su con la forza che non aveva nelle braccia. Ci riuscì in qualche modo, tentennando.
Jason lo osservò bene: nella sua magrezza e debolezza, aveva una bellezza intrinseca che gli circondava il viso, semplice e delineato, come se esso fosse completamente distaccato dal dolore che circondava e caretterizzava il corpo. I suoi occhi, azzurri come il cielo, come una specie di paradiso celeste, esprimevano serenità, curiosità e un incredibile voglia di vivacità e vita. Moltissime persone situate in quel reparto erano vuote, perse, chiuse in una baratro, ma Samuel no.
Sembrava che ciò che traspariva dalla sua anima gridasse vita a piena voce.
Samuel aprì il cassetto inferiore del comodino posto accanto al suo letto e porse una foto a Jason, dicendo solo: "Penso che appartenga a te."
Jason la prese tra le mani, osservando bene quella fotografia, raffigurante lui ed Alec stretti in un forte abbraccio.

"Non abbiamo neanche una foto." sussurrò Jason, steso sul letto, mentre Alec si preparava per una visita importante.
"Quando te ne andrai, non avrò neanche una foto di te, di noi." concluse infine il biondo.
Alec era davanti allo specchio, possente e scuro nel viso, come sempre. Avanzò verso la scrivania, estraendo una polaroid.
"Facciamola."
"Abbracciami." sussurrò Jason.
"Cosa?"
"Abbracciami. Voglio potermi ricordare di un tuo abbraccio."
Alec lo strinse a sè, forte e deciso, mentre il viso sembrava rigato dalle lacrime. Era una specie di pre-addio, una foto per ricordarsi della verità.


"Grazie" disse Jason, riportando gli occhi sulla cartella del ragazzo.



Soho, Casa di Nathaniel. Ore 21.20
Nathan stava male.
I colori lo stancavano, come sempre. Volse gli occhi attornò al soggiorno di casa sua, color bianco e nero, come un vecchio filmato di Jim Morrison o un vecchio film, colmo di quella magia che il mondo gli aveva tolto, smembrandolo.
I suoi libri si aprivano in un perfetto ordine alfabetico, mostrandosi perfetti e delineati, come una pura ossessione. Talvolta, quando stava male e si sentiva perennemente solo, si beveva un bicchiere di vino leggendo qualche pagina, quelle che gli serviva per superare, per andare avanti.
"Come stai, Nate?" Nathan alzò lo sguardo verso la ragazza, bionda e con un viso troppo giovane e spontaneo per i suoi trent'anni di età.
"Sto, Chloe."
"Devi perdonarla. Prima o poi dovrai farlo."
Nathan sbattè il pugno sul tavolo, violentemente, causando la fuoriuscita di un pò di sangue. Lui e sua sorella si erano ripromessi di non affrontare più quell'argomento così doloroso eppure lei, proprio quel giorno, era ritornata a sbatterglielo in faccia, brutalmente.
Aveva cercato di estraniarsi da tutto ciò, di vivere e crescere senza che nessuno potesse fargli o rinfacciargli il suo passato, la sua vita precedente.
"Si tratta della mamma, Nate."
Gli occhi castani di Nathan cambiarono, assumendo un tono scuro, raggiungendo quasi il nero, l'oscurita. Quella persona non era sua madre, non più, non da quando suo padre era morto e lui si era ritrovato a combattere contro una persona malvagia, indifferente nei confronti di suo figlio, di lui.
"Sarà tua madre. Non è più la mia da molto tempo."
Il campanello suonò, interrompendo la discussione tra i due fratelli. Nate guardò oltre la porta, emettendo un sospiro di sollievo. Era arrivato il suo adorato ospite proprio nel momento perfetto.
Appena Nate poggiò lo sguardo sul corpo di Jason, si sentì al sicuro, pronto a ritornare nella sua falsa serenità.

...
Sono giorni che sono su sto benedetto capitolo e finalmente pubblico, non ce la facevo più a lavorarci sopra. Tanto è comunque orribile.
A dir la verità è la meta di un capitolo: ho deciso di dividerlo in due.. Il prossimo sarà totalmente dedicato a Nate.
Comunque ho deciso di allungarla un pò.
Grazie a tutti, come sempre :)


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