Nihil est reale, licet omnia

di Flaminia_Kennedy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Lasciatemi spiegare. ***
Capitolo 2: *** Anno Domini 1191 -Quattro giorni prima ***
Capitolo 3: *** Una schiava per Sibrando ***
Capitolo 4: *** Presente - Soggetto 18 ***
Capitolo 5: *** Salto nel Vuoto ***
Capitolo 6: *** Meritato Riposo ***
Capitolo 7: *** Il Viaggio e l'Illusione ***
Capitolo 8: *** Mondo che crolla ***



Capitolo 1
*** Prologo - Lasciatemi spiegare. ***


Il sole alto nel cielo bruciava la poca pelle rimasta scoperta dai lunghi e freschi vestiti degli abitanti che affollavano le strade strette e polverose di Gerusalemme.
Mentre nel distretto povero la vita continuava a fluire tranquilla tra le bancarelle e i versi di animali, in quello più ricco gli Eruditi e i mercanti passavano davanti a uno strano spettacolo che si teneva tutt’attorno alla più grande moschea del luogo.
L’aria che circonda l’enorme edificio dalla cupola dorata è satura di aspettative e contrattazioni: i Crociati di Riccardo I Cuordileone sono immobili sotto la canicola meridionale del paese -sudati nelle loro cotte di maglia- affiancati dai saraceni di Saladino, questi in abiti più consoni alle alte temperature del Paese.
Racchiusa in un dispiegamento di tali forze, la moschea era silenziosa, se si escludeva il debole raschiare di una piuma che scriveva sulla ruvida superficie di una pergamena.
Un atto di pace stava per essere firmato dai due grandi schieramenti, in modo che cristiani e musulmani potessero far visita alla Città Santa senza dover uccidersi a vicenda, perché la Terza Crociata stava per finire.
Proprio quando Re Riccardo stava intingendo la piuma nell’inchiostro, un paio di urli da parte delle guardie al di fuori del palazzo lo fecero fermare dal poggiare la punta della penna sulla pergamena.
Il boato che successe alle grida di allarme fu quello dell’enorme porta di legno, spalancata senza ritegno per far entrare la luce sfolgorante, quasi abbagliante, del sole.
Il Re inglese e quello saraceno si alzarono in sincrono, guardando l’ombra scura che stava correndo all’interno; entrambi avevano la mano sull’elsa della propria spada, ma nessuno dei due l’avrebbe sfoderata se non in caso di vero pericolo.
La persona che entrò indomabile come un cavallo ammattito era la stessa persona che crollò ai piedi di Re Riccardo e ne prese la lunga veste bianca adornata da una croce rossa.
Quella persona ero io, Caterina di Francia, figlia illegittima del Re inglese.

Lasciatemi spiegare perché mi precipitai a interrompere un così importante incontro politico-religioso, il volto e la cotta imbrattati di sangue scuro e ancora fresco.
Lasciatemi spiegare perché, fuori dalle mura della moschea, il mio cavallo si era inginocchiato al suolo con la bava che scendeva dal morso di ferro, spinto ogni oltre limite.
Lasciatemi spiegare perché implorai a gran voce che un medico mi seguisse, che impedisse a Dio di prendersi la vita di un uomo troppo valoroso per finire tra i Santi del Cielo.
Per mettervi a conoscenza della mia angosciosa fretta, racconterò come venni a contatto con l’uomo la cui morte avrebbe sollevato grida di dolore in tutta la Terra Santa.
Prima ancora, sarebbe meglio spiegare quali motivi mi portarono a entrare nelle forze armate dei Crociati, luogo parecchio curioso per una giovane donna il cui dovere era -ai tempi- perlopiù legato a creare progenie fino al giorno della sua naturale sterilità.
Nacqui da Adele di Francia, figlia di Luigi IV, che per volere dell’allora Re padre di Riccardo, doveva diventarne la moglie e per questo tenuta come ospite nella reggia dei regnanti inglesi.
In quel lasso di tempo, Riccardo aveva trovato passione per la donna, la stessa passione consumata in un paio di notti, ma quando si venne a conoscenza che poco a poco stavo crescendo nel grembo di mia madre, Riccardo non volle far sapere a nessuno della mia esistenza -sarebbe stato uno scandalo, una figlia fuori dal matrimonio- e nacqui in totale segreto.
Venni consegnata a un servo fidato che ebbe il compito di recitare una parte molto importante: avrebbe dovuto riferire di aver trovato l’orfanella alle porte della reggia, una bambina abbandonata da un uomo non timorato di Dio.
Riccardo era sempre stato orgoglioso di me, per essere così in salute e con buone possibilità di sopravvivere ai miei primi anni di vita, ogni volta che parlava di me ai nobili della corte, asseriva che se avesse avuto una figlia, l’avrebbe voluta come me.
Così la mia esistenza divenne qualcosa di meno impudico di un’unione fuori dal matrimonio e la mia vita sociale fu tranquilla, attorniata ogni tanto dalla noia che la nobiltà comportava.
Ora vi chiederete perché mai volli partire come Crociato quando tutti all’interno della reggia aveva accettato di buon grado la mia presenza tra loro.
Un motivo abbastanza semplice, in verità: ogni giorno che passava divenivo sempre più simile a mia madre -complice il fatto che anche lei viveva nel maniero dei Cuordileone- e il volto da bambina si trasformava, assumendo le fattezze nobili del lignaggio di Luigi e un lieve accento francese portato attraverso la consanguineità con Adele.
Nessuna scusa mi avrebbe salvato dalle domande che sarebbero sorte, nemmeno Dio avrebbe potuto trovare un pretesto a quella strana somiglianza.
I miei sorrisi divenivano sempre più identici a quelli di Riccardo e gli occhi scuri erano acuti come i suoi.
No, non potevo restarmene a corte, così il Re inglese -chiamato padre solo nei momenti d’intimità genitoriale- affidò il mio addestramento nelle mani di Roberto di Sable, ottimo combattente e fidato soldato del mio regnante genitore.
Solo lui conosceva il segreto che mi portavo nel sangue e grazie ai suoi consigli, riuscii a cambiare di poco e di molto il mio aspetto: gli allenamenti resero il mio corpo meno delicato e nobile, i capelli scuri rozzamente accorciati con un pugnale rendevano il mio volto meno raffinato e più atto alla guerra.
Roberto divenne mio mentore e mio fratello, durante la mia adolescenza passata a imparare come calibrare un colpo di spada o usare un cavallo senza dover ondeggiare sul suo dorso.
Alcuni fabbri furono chiamati al castello per rimpicciolire alcune cotte di maglia, in modo che mi fasciassero il busto senza appesantirmi troppo e una sciarpa ricavata dai resti della cotta stessa che mi avrebbe coperto il volto dal naso vino al collo «i tuoi occhi sono affilati come una spada, non riusciranno a capire di che sesso sei realmente solo attraverso di essi» mi disse una volta Roberto, mentre mi agghindavo per la prima uscita in comitiva.


Angolo dell'Avvocata

Ecco qui, nuova storia xD Questa volta Altair Al-Blabla (non ricordo mai il cognome xD) non sarà proprio l'unico protagonista da come avete potuto leggere. Diciamo che questo è il diario di qualcuno dall'altra parte della trincea.
Spero piaccia, dopotutto Assassin's Creed ha riscosso molto successo -soprattutto per farmi fiondare in negozio a prendere il secondo il giorno dopo aver finito il primo xD- e ho trovato il personaggio di Altair molto affascinante, seppur menomato di un anulare molto importante...ma dopotutto fa vissuto e più shecshi un dito in meno XD
Fatemi sapere!

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Capitolo 2
*** Anno Domini 1191 -Quattro giorni prima ***


Anno Domini 1191 - Quattro giorni prima.

Ero stata richiamata dalle retrovie dell’esercito da Roberto per conto di mio padre, per qualche celato motivo.
Appena arrivai -dopo qualche ora di cavallo affiancata dal mio mentore- ad Arsuf, dove le prime linee stavano preparandosi a passare la notte, mi diressi verso la tenda del mio signore e genitore.
C’era tensione nell’aria, come una greve foschia «Caterina» mi chiamò Riccardo, sollevato di vedermi «Mi fa piacere saperti in salute, padre» risposi io, abbassandomi dalle labbra la sciarpa di maglia che mi mascherava il viso «Mi avete mandato a chiamare. Perché?» aggiunsi curiosa, rimuovendo dalla mia testa il peso dell’elmo di metallo un po’ ammaccato per i combattimenti.
Il Re annuì e mi parve molto più vecchio del solito «Ho bisogno di qualcuno realmente fidato per il compito che ho in serbo. Roberto è troppo occupato a riordinare le truppe e qualcuno ha in mente di prendersi la sua vita» disse, pinzandosi la radice del naso aquilino tra indice e pollice «Il suo volto è più conosciuto del tuo, saresti un’ottima spia per l’uomo che penso stia tradendo la nostra causa».
In un moto d’ira sguainai la spada e la tenni dritta d’innanzi a me «Il nome, padre, e vi porterò il loro sangue» dissi in un ringhio, scatenando ilarità in Riccardo «niente sangue, Caterina.
Dovrai solo controllare le mosse di Guglielmo del Monferrato e informarmi via piccione dei suoi piani, cosicché io possa evitare qualunque attacco» mi sorrise il mio Re.
Dopo qualche altra istruzione uscii dalla tenda e vidi Roberto foraggiare il mio cavallo con acqua e avena «grazie» dissi una volta recuperate le redini «davvero qualcuno vuole versare il tuo sangue? Non me lo avevi detto» aggiunsi, guardandolo mentre prendeva a saziare anche il proprio destriero «si, ma non renderò loro il compito facile.
Sono una setta di Assassini, hanno già ucciso alcuni personaggi importanti -o almeno è uno di loro a farlo- e io rientro nella lista stilata dal loro Maestro» mi disse come se stessimo perlopiù parlando del maltempo che aleggia sempre su Acri «ma…ma Roberto! Qualcuno ti vuole morto e tu sei così rilassato??» sbottai io «eppure io ti ho insegnato la calma e la pazienza Caterina.
Io, nel mio piccolo, ho in qualche modo meritato la spada che sta pendendo sulla mia testa, non me ne pento, ma spero che colui che mi toglierà la vita lo faccia anche al vero traditore di tutta questa faccenda.
Ora non posso dirti oltre, hai un compito da svolgere.
Vai in Nomine Patri et Fili et Spiritus Sancti…e per carità di Dio ritorna viva» mi disse, indicandomi la groppa del mio cavallo con un dito ricoperto di maglia.

Tre giorni e qualche ora prima.

Appena arrivata seppi che Guglielmo era morto per mano di un Assassino.
Il mio dovere era finito ancora prima di cominciare e sentii l’insoddisfazione nascere dentro il mio petto femminile camuffato da della stoffa stretta a impedirmi il seno.
Ero perfettamente a conoscenza che mio padre era comunque in salvo da eventuali tradimenti, ma Guglielmo del Monferrato era potente e le sue forze armate avrebbero preso possesso della città se lui fosse morto.
Le stesse forze armate che dovevano aver riconosciuto il simbolo che portavo sul petto e sulla schiena.
Una freccia scoccata da un tetto arrivò a ferire il collo dell’animale che montavo, facendolo imbizzarrire per sbalzarmi via.
Atterrai illesa in una pozzanghera e veloce mi tirai in piedi, prima che un’altra freccia venisse deviata dal metallo del mio elmo.
Dannazione, la presa della città era già stata messa in atto, pensai, e trovare un piccione viaggiatore sarebbe stato difficile in una situazione come quella: una freccia avrebbe potuto abbattere l’uccello in volo come aveva abbattuto il mio destriero e il messaggio sarebbe mancato di arrivare al Re, con conseguenze inimmaginabili.
Veloce come una scheggia balzai sotto un porticato di legno per ripararmi dall’attacco e guardai in alto, verso il sole pallido e malato che fendeva le spesse nuvole sopra la città: la figura dell’arciere stava incoccando l’ennesima freccia, prima che un’ombra l’assaltasse.
Un grido fu l’unica cosa che squarciò lo strano silenzio piombato sulla via, poi il rumore del corpo che si sfracellava al suolo con il gorgoglio del sangue e il fragore delle ossa.
L’ombra che aveva messo fine alla vita dell’arciere si era dileguata com’era venuta, sparendo oltre il dosso del tetto spiovente «laggiù!» gridò qualcuno, uno dei soldati che stavano occupando la città.
Il dito indicava nella mia direzione, sfortunatamente per me «è uno degli uomini di Riccardo!» urlò lo stesso e in un moto d’ironia pensai che la frase non era propriamente esatta «uccidetelo, prima che possa riferire al suo signore!» il Capitano del gruppetto armato aveva sguainato la spada esattamente come avevano fatto gli altri cinque.
Una bestemmia mi tagliò la mente per qualche secondo, prima che le mie gambe agili cominciassero a correre lungo la via, dall’altra parte rispetto alla posizione dei soldati.
Spintonai parecchia della gente affollata davanti ad alcuni oratori e con un balzo che mi sembrò impossibile riuscii ad attaccarmi per un soffio al cornicione di una finestra «maledetto! Prendetelo!» si udirono ancora le grida degli uomini sotto di me e il ciocco di alcune pietre tirate a un soffio dalle mie mani mi diede la forza necessaria a issarmi fino al tetto, da dove potei vedere quasi tutta la città, con la grande Cattedrale in lontananza come un gigante avvolto dalla nebbia.
Sentii i miei inseguitori domandarsi dove fosse finito l’uomo di Riccardo, finchè qualcuno non alzò la testa per vedermi immobile e col fiatone su quel tetto grigio dalle tegole sdrucciolevoli «lassù!» e a quell’urlo gli altri soldati presero a scalare la parete, usando lo stesso cornicione che avevo usato io in precedenza.
Sarebbe stato più difficile lasciarmeli alle spalle su quei tetti, io non conoscevo per niente la morfologia della città, al contrario dei miei inseguitori che avevano dalla loro la conoscenza di quelle zone.
Corsi più forte che potei, superando in un balzo una stretta via del Distretto Povero e atterrando con una piccola capriola sul pianeggiante tetto che avevo puntato «dov’è finito!» «cercatelo! Non dobbiamo farlo scappare!» sentii le guardie lontane abbastanza da prendere un profondo respiro per calmare il galoppare del mio cuore.
Sarei riuscita a scendere anche da quel tetto, se solo una mano non mi avesse afferrato da chissà dove per trascinarmi indietro.
Caddi di schiena all’interno di un anonimo giardino pensile, vuoto e con dei tendaggi frusti e logori, che però forniva un’ottima protezione.
La mano che mi tappava la bocca attraverso la sciarpa di maglia era calda e gentile, in un certo qual modo.
Un’altra mano emerse dalla penombra del luogo per raggiungere un viso messo in ombra da un cappuccio bianco, dalla vaga forma di una testa d’aquila, e un dito si posò dove in teoria avrebbero dovuto esserci delle labbra.
“Fa silenzio” m’intimava quel gesto, mentre lo sconosciuto che continuava a trattenermi, immobile, muoveva la testa di appena qualche centimetro, un movimento che gli permise di sentire meglio il tonfo di alcuni piedi attorno al nascondiglio «dannazione!» esclamò uno «l’abbiamo perso!» «controllate al Distretto Nobiliare! Metterò in guardia gli altri nel caso rispuntasse» furono i commenti che scemarono per poi sparire del tutto, in lontananza.
Mi aspettai che lo sconosciuto vestito di bianco mi lasciasse andare, ma non fu così: mi trattenne lì dov’ero -con la schiena schiacciata contro il pavimento duro del tetto- per altri cinque minuti, in attesa che ogni qualsiasi altro rumore sparisse.
Un soffio di vento spostò un lembo lacero del tendaggio e un raggio di luce pallida colpì di traverso l’uomo incappucciato, mettendone in risalto le labbra interrotte da una cicatrice sul lato destro di esse.
E con mio orrore, illuminò lo spazio angosciante tra il medio e il mignolo della mano sinistra, ancora alzata sul volto.
Tentai di mugugnare qualcosa, ma la mano venne premuta di più sulle mie labbra, schiacciandomi la carne contro i denti «fate silenzio, se vi è cara la vita» sibilò l’uomo, alzando la sinistra per scostare la stessa tenda che poco prima era stata rapita dal vento: l’orizzonte di tetti era deserto, se non si contavano gli uccelli che volavano pigramente sopra di essi.
Finalmente venni liberata e io ne approfittai per lanciarmi contro una parete legnosa del piccolo giardino pensile, guardando l’uomo con paura «siete un uomo di Riccardo, dovreste tornarvene dal vostro Re.
Questa città tornerà vostra se porterete con voi più soldati» suggerì lui, poggiando la mano menomata sul legno, chiaro segno che di lì a pochi secondi sarebbe saltato fuori e sparito veloce come il vento.
Non riuscii nemmeno a parlare. Ero rimasta immobile, silenziosa e i miei occhi tremavano nella ricerca estenuante di particolari dell’uomo che avevo davanti «mi avete capito, dunque??» stava innervosendosi al mio silenzio.
Con molta lentezza abbassai la sciarpa di maglia, mostrando il mio mento appuntito e femminile «una donna…perché Riccardo dovrebbe mandare una donna a fare un lavoro da uomo?» aggiunse e alla mia risposta parve scocciato «a controllare le mosse di Guglielmo, in sua vece».
Uscì da quel privé senza nemmeno un rumore, il passo felpato sull’argilla dei tetti e il frusciare dell’abito bianco come le ali di un uccello silenzioso.


Angolo dell'Avvocata

Ecco il primo vero capitolo, sperando che sia piaciuto!

Ama_: Non ti preoccupare per il titolo, è un po' come l'Eureka di Archimede....e il Requiescat in pace di Ezio xDD Grazie per averla messa tra le seguite! :3
Lady_Kadar: Beh non è proprio dalla parte dei Templari, diciamo dalla parte dei Crociati, perchè Caterina non è una Templare -non ne conosce nemmeno l'esistenza- però vedremo come si svilupperà la storia xD
Sese87: Assassin's Creed è diventato il miglior gioco storico, secondo me.
Non se ne vede tanti -ha persino superato God of War nella mia classifica personale, che è a un bel 4 posto-. Spero di leggere presto la recensione più dettagliata ^^

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Capitolo 3
*** Una schiava per Sibrando ***


Il sole era sceso dietro i tetti di Acri e avevo appena finito di leggere il messaggio di risposta di Re Riccardo: avrei dovuto indagare anche su Sibrando, il suo secondo in carica nella città presa agli arabi, e di ucciderlo se mai avessi scoperto un suo raggiro contro il sovrano in guerra.
Non avevo risposto, la città in tumulto mi aveva concesso di uscire solo il tempo di recuperare il piccione viaggiatore dalla sua gabbia comune e di leggere la lettera che ora mi stavo apprestando a bruciare nel piccolo angolo riparato lontano da qualsiasi strada o via della città in cui stavo programmando il resto della mia nottata.
Ero venuta a conoscenza, ascoltando delle persone mentre reperivo degli abiti anonimi, che Sibrando era lacerato dalla paura dopo che Guglielmo era perito per mano di un Assassino -l’uomo che avevo incontrato, quindi- e si era trasferito al molo principale di Acri.
Scendeva dalla sua nave solo per giustiziare persone che riteneva colpevoli dell’assassinio del suo superiore o per strigliare i suoi uomini.
Pensai che in tempo di guerra, uomini così reclusi dovevano trovare sollievo in mezzo a mappe cartacee e vino in compagnia di qualche donna.
Mi sarei dovuta introdurre come dama di compagnia -o donna oggetto, dato il credo che vagava in quelle terre arabe- e riuscire a estrapolare qualcosa attraverso l’uomo magari imbevuto di alcolici fino alle pupille degl’occhi.
Nella modesta tunica color ocra che avevo rubato a una bancarella, ringraziando il caos generale del bazar, camminai fino al molo, dove la città finiva bruscamente tagliata dalle mura che la proteggevano.
Alcuni uomini di Sibrando erano a guardia dell’entrata e sembravano ostinati a non far passare nessuno se non alcuni uomini con in braccio delle casse di merce di prima necessità…e solo allora notai che un plotone di soldati stava scortando alcune donne strepitanti aiuto verso gli ormeggi delle barche.
Una di esse si stava divincolando talmente tanto che le mani coperte dai guanti di una guardia gli avevano lasciato un segno rossastro sulle braccia scoperte.
Perfetto.
Mi guardai attorno per un attimo, poi notai un altro plotone di guardie senza alcuna donna che si stava guardando in giro, come alla ricerca di esse; partii alla carica e mi avvicinai fingendo indifferenza «hey! Tu!» urlò uno dei soldati appena ebbi superato il battaglione, avvicinandosi.
Simulai timore e incurvai un po’ le spalle, guardando l’uomo «cosa volete da me?» chiesi, la sicurezza dentro di me crebbe quanto la mia bravura come attrice «vieni qui zuccherino, ti porteremo in un bel posto» un’altra guardia seguì la prima, mentre le altre mi accerchiavano.
Subito un paio di mani si chiusero sui miei polsi, mentre una terza si faceva strada nel mio vestito per accarezzare e tastare il mio corpo «questa è perfetta!» esclamò colui che aveva palpato la carne pallida sotto la tunica e il mio corpo allenato dalle battaglie rimase quieto mentre mi divincolavo debolmente «lasciatemi!» gridai, giusto per non sembrare troppo felice di venir presa e tastata senza ritegno.
Per tutto il tragitto dal portone del molo fino al grande veliero dove Sibrando rimaneva rintanato, continuai a inveire e strepitare contro i soldati che stavano andando troppo oltre con la loro ispezione corporale «sentite che pelle fine! Mi dispiace portarla al capo, con tutte le idee che ho per la testa!» esordì uno mentre gli altri ridacchiavano «anche il viso non è male, nonostante al di sotto del collo non sia tanto prominente» «solo a te piacciono scarne, Barduf!» esclamarono in coro tutti i soldati a quello che mi aveva esaminato per primo, ma si zittirono quando -da lontano- sentirono le urla adirate di Sibrando.
Inghiottii a vuoto, non sapendo se il mio piano sarebbe mai andato a buon fine o meno «accidenti, il capo ha gli attributi che paiono in fiamme, per quanto strepita» disse un soldato di ritorno dalla nave, ai cinque che mi stavano quasi trasportando di peso «forse con questa giumenta, il torello smetterà di muggire» continuò lo stesso, indicandosi le spalle con un pollice «muovetevi e poi ritornate a cercare quell’Assassino, prima che ci faccia fuori tutti quanti».
A quanto pareva lo sconosciuto di cui avevo avuto l’onore d’incontrare era un essere abominevole, voglioso di sangue umano esattamente quanto i saraceni dall’altra parte del fronte di mio padre, nonostante il suo volto e le sue intenzioni mi erano state nascoste: perché non mi aveva ucciso? Forse sosteneva la causa di Riccardo?
Le mie domande vennero falcidiate da un singolo rumore, quello degli ormeggi di corda che vibravano ogni volta che la nave si allontanava dalle mura per un’onda o per un soffio di vento «portatele nella stiva con le altre» disse Sibrando, al plotone che avevo incontrato solo qualche tempo prima con le donne che strepitavano.
Appena l’uomo si voltò, potei vedere gli occhi cerchiati dalla paura e dalla follia fissarmi corrucciati, per poi aprirsi in una strana espressione «questa lasciatela qui, scaricherò un po’ di tensione su di lei» abbaiò Sibrando, minacciando le guardie che sarebbero finite impiccate al posto dei criminali se non se ne fossero andati immediatamente.
Io rimasi immobile davanti al Comandante, con il lento beccheggiare della nave a togliere ai miei piedi un po’ di supporto «bene bene…abbiamo una giada araba qui…anche se la tua pelle e i tuoi occhi non sembrano per niente come quelli di questi diavoli infedeli» disse lui, prendendomi il mento tra le dita come avrebbe fatto con un animale in vendita.
Avrei solo dovuto fargli mettere la mano alla bottiglia di vino e forse qualche informazione sarebbe uscita da quelle labbra lucide per la prematura voglia di sesso.
Lo stomaco fece mezzo giro di disgusto «no, mi signore» dissi io, abbassando gli occhi come una brava schiava farebbe «non sono di queste terre…ma ci sono stata condotta con la forza…» alzai i miei occhi scuri e sperai di poter averla vinta su quel bastardo traditore.

Qualche ora dopo correvo sul legno marcio delle piccole imbarcazioni che circondavano il grosso veliero di Sibrando, il rumore della campana d’allarme che picchiava contro le pietre delle casupole attorno al porto.
Davanti a me la tunica bianca dell’assassino che stavo inseguendo, sebbene con qualche fatica.
Il suo nome e il suo scopo ultimo mi erano totalmente sconosciuti, ma sapevo che il motivo che muoveva la sua lama era di certo un motivo che poteva stare dalla mia stessa parte della barricata: aveva già ucciso parecchi uomini di Saladino, sebbene avesse stroncato la vita dei più valorosi uomini di Riccardo, e ciò lo rendeva ai miei occhi un possibile alleato «fermati!» urlai, mentre lui saltava su un palo e atterrava senza un rumore sul pontile di legno più vicino «fermati ti supplico!» continuai, saltando con un po’ di difficoltà su una barchetta che dondolò parecchio prima di darmi il tempo a passare sulla parte in pietra che circondava la baia artificiale.
Salii rapidamente gli scalini, impacciata dal vestito lungo, e guardai attraverso la folla in panico: la schiena bianca era appena visibile attraverso la gente, come sprazzi di luce attraverso il soffitto di un bosco «Assassino, fermati!» esclamai, attirando l’attenzione di un paio di guardie, che subito si accodarono alla mia corsa, scostando malamente le persone sul loro cammino.
Dannazione, pensai, non so nemmeno se stanno inseguendo lui o me.
Dopo quella corsa incessante appresso al cappuccio bianco dell’uomo, mi ritrovai in una piazza quasi deserta, se non si contava la piccola processione di monaci che passava sulla sinistra.
Svanito, era completamente svanito e io avevo ancora le guardie a inseguirmi come se fossi stata io ad uccidere Sibrando.
Forse gli schizzi di sangue sul tessuto ocra della tunica non aiutavano la mia situazione, dopotutto avevo assistito alla morte negli occhi lussuriosi dell’uomo proprio mentre i miei si focalizzavano su quelli scuri come la pece dell’Assassino.
Sibrando mi era caduto addosso nel suo lento morire, mentre borbottava qualcosa d’incomprensibile «gli altri…» avevo distinto in mezzo ai gorgoglii del sangue nella gola.
Per la seconda volta mi ritrovai inseguita, in quella città, e le casupole di pietra non offrivano nessun riparo, solo alcune tettoie sopra gli architravi delle porte, ma nessuna rientranza che mi avrebbe aiutato a scampare alle guardie sguinzagliate dalla morte di Sibrando.
Con un grugnito scocciato ripresi a correre, lanciandomi nella direzione in cui avevo visto sparire i monaci: pensai che si stessero dirigendo verso qualche moschea o qualche chiesa in cui avrei potuto trovare rifugio.
Corsi quanto veloce potessi, il peso della piccola lama che tenevo nascosta sotto le vesti non m’impicciava per niente, ma se avessi dovuto estrarla non avrei potuto avere alcuno scampo «fermati o morrai!» urlò una guardia dietro di me e ridacchiai, in un moto isterico.
Se mai mi avessero preso sarei morta comunque, perché dunque fermarmi? Avrei voluto rispondere al soldato, ma prima che potessi dire qualsivoglia cosa anche solo nella mia mente, una freccia sibilò pericolosamente vicino al mio orecchio e il dolore pungente della sua punta in ferro mi sconquassò le vertebre della schiena, mentre la freccia finiva il suo volo nella mia spalla, poco distante dalla scapola.
Un urlo strozzato uscì dalla mia gola prima che cadessi in avanti «prendetela!» urlò qualcuno dietro di me, ma ormai il danno era fatto: ero stata ferita, condannata a una morte lenta in cui o la perdita di sangue o la cancrena avrebbero avuto la meglio sul mio cuore.
Tentai di alzarmi, ma ansimai e i polmoni pieni d’aria mi fecero avvertire ancora di più la punta della freccia nella carne «eccola! Non può fuggire!» altre grida, più vicine, ma questa volta con qualcosa in più nel sottofondo del caos della città in allarme.
Sentii il frusciare di una lama che scatta fuori dal suo fodero di pelle, dopodichè un salto silenzioso e frusciante diede vita a uno scoppio di grida instupidite assieme alle ossa del collo che cedono sotto il ferro battuto del pugnale sottile e letale.
Alzarsi in piedi era inutile, il dolore era insopportabile, nonostante avessi già sopportato qualche ferita da lama durante gli addestramenti del mio passato, così tentai di voltare il viso alle mie spalle, rotolando sul fianco opposto alla freccia per evitare di spezzarla dentro la ferita: un cappuccio bianco come la testa di un’aquila spiccò tra gli elmi grigi delle guardie e una di esse, presa dalla folle paura di morire, corse verso di me.
Inciampò nel mio corpo, scontrando la freccia che sentii scorrere più a fondo, e cadde in avanti, prontamente raggiunto con un salto dall’Assassino.
La lama nascosta nel suo polso sinistro fece il resto, mozzando la vita al pauroso soldato privo di qualsivoglia onore.
Appena si alzò in posizione eretta, il mondo venne avvolto da una lattiginosa nebbia bianca che coprì qualsiasi cosa, persino il volto che mi si era fatto vicino per controllare la ferita e la seconda freccia volata a qualche passo dal ginocchio piegato dell’Assassino.
Una voce rimbombò qualche secondo nella vastità di quel luogo bianco e azzurrino, fatto di nebbia e un suolo inesistente «per oggi abbiamo terminato signorina Hills.
La faccia uscire».
Un tono seccato e nervoso di un uomo sulla cinquantina e tanti rumori tecnologici.


Angolo dell'Avvocata
Non so se sono riuscita ad antichizzare bene questo capitolo, ma spero che sia piaciuto ^^

Lady_Kadar: Beh dovranno per forza fare conocenza xD Sono contenta di aver trasmesso tali sensazioni, miro a fare un po' come il cinema in 3D, ma con lo scritto anche se penso fallirò la missione -e Al Mualim mi toglierà il portatile come punizione v.v-
Curiosità: ma il tuo nik c'entra con il fratello morto di Malik? O_o Giusto per sapere

Ama_: non ti preoccupare ^^ Ricordati però che sono le cattive recensioni che fanno di uno scrittore un vero scrittore ^^ non ti abbattere!

Sese87: Mi dispiace di averti lasciata un po' così nella prima parte del capitolo scorso, ma smaniavo ad arrivare ad un incontro xD lo ammetto, non ho proprio dato il meglio di me -e temo che finchè Altair non sarà costantemente presente non si migliorerà xD- ma spero che ti piaccia questo capitolo!

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Capitolo 4
*** Presente - Soggetto 18 ***


Un paio di occhi scuri si aprirono contro lo schermo dell’Animus in fase di spegnimento “Ending completo, professore” disse la voce di una giovane ragazza e appena quella frase terminò, il bip proveniente da un terminale sembrò quasi sottolinearne le parole.
Warren Vidic sbuffò irritato, appena vide il soggetto 18 mettersi a sedere lentamente, la testa tra le mani.
Da quando il 17 era fuggito assieme a quella maledetta Lucy Stillman si era dovuto affrettare a trovare un sostituto mentre le forze dell’Abstergo cercavano quel Desmond Miles.
La ragazza che avevano trovato sarebbe stata solo un aggancio temporaneo alla figura di Altair “ah, prof, anche lei qui a guardarmi soffrire” disse la ragazza, i capelli corti scarmigliati dal nuovo sistema a elettrodi dell’Animus 1.3.
Vidic storse il volto, strinse di più il manico della tazza di caffè ancora fumante e le girò le spalle “vada a riposarsi, senza storie” disse lui uscendo dalla stanza.
La ragazza, dall’anonimo aspetto cittadino, strinse le palpebre e ci passò sopra le dita fresche, quasi congelate “quanto sono stata dentro, traditrice?” si rivolse il Soggetto alla nuova assistente di Warren, una ragazza grassoccia e tremebonda, ma che sapeva fare un po’ di tutto col computer.
La cosa più importante, però, era che la nuova assistente di Vidic era la sorella del Soggetto “Andrea…ti prego non parlarmi in quel modo” mugugnò lei, contrita.
Sembravano due gocce d’acqua, anche se una era più magra e dell’altra e solo la montatura differente degli occhiali le poteva distinguere “quanto sono stata dentro quell’affare, piccola farabutta” abbaiò il Soggetto, passandosi la mano sul resto della faccia.
Si sentiva assonnata e fiacca al tempo stesso “beh, da stamattina..quindi sono più di diciotto ore in riga” disse l’assistente, tamburellando le dita sulla sottile tastiera del pc accanto all’Animus.
Il Soggetto scosse la testa e si rimpossessò del proprio peso, mettendosi in piedi “perfetto…magari la prossima volta Vidic mi darà meno rispostacce se muoio sotto i ferri” borbottò prima di infilare le mani a fondo nella felpa bianca e nera a quadri che indossava.
Strisciò le scarpe fino alla porta ad auto scorrimento della propria camera e lì venne chiusa dall’esterno, come ogni volta che vi era entrata.
Vidic doveva avere una telecamera da qualche parte, magari nascosta sopra l’armadio di acciaio consunto.
Tutto di quella camera gli diceva di ‘già usato’ come se parecchie persone l’avessero usata: per quanto le lenzuola e le federe fossero bianche, lei ci posava la testa con la convinzione di poter sentire i bisbigli delle altre diciassette teste che si erano posate lì.
Poi i muri, dipinti di grigio quasi a nuovo, era come se le sussurrassero delle frasi in lingue che lei non conosceva, come se dietro la vernice ci fosse uno strato marcescente.
Una sensazione brutta e lei doveva dormirci…avrebbe preferito prendere cuscino e coperta per andare a dormire nella doccia.
Il Soggetto 18 attraversò la stanza in velocità di crociera ed entrò nel bagno, una camera molto più tranquilla, riguardo alle sensazioni.
Il cesso non le parlava e quello era un passo avanti.
Si guardò allo specchio e sbuffò da davanti agli occhi una ciocca scura più lunga delle altre, arricchita da dei fili di un rosso carminio che lei adorava perché le ricordava un po’ il velluto -il suo tessuto preferito-.
Altre ciocche rosse erano sparse in quel caschetto sfilacciato e gli occhiali neri e spessi incorniciavano degli occhi rotondi che in quel momento erano chiusi a fessura, un po’ per l’autocritica e un po’ per la rabbia che la prendeva.
Per una settimana era stata forzata dentro quel macchinario e per una settimana si era ritrovata a essere una figlia illegittima di Re Riccardo I, in più aveva dovuto passare una settimana -quasi sempre collegata alla macchina- a imparare come usare una spada, come difendersi e come tendere imboscate.
L’Effetto Osmosi, come l’aveva chiamato Vidic, sarebbe stato molto utile nel caso fossero finiti senza guardie: avrebbero usato le sue capacità medioevali per proteggere qualcosa che nemmeno conosceva.
Nel caso contrario, l’avrebbero semplicemente uccisa “sempre se l’Animus non mi mandi al manicomio” borbottò a se stessa.
I primi giorni di quello strano viaggio nel passato li aveva passati costantemente nell’Animus, senza tempo per mangiare o per dormire, tantomeno fare una capatina al bagno.
Il corpo del Soggetto veniva sedato per non incorrere in problemi corporali e il cervello poteva rimanere a portata della macchina, in una specie di bolla di coscienza.
E dopo quei tre giorni di maratona, la sua testa aveva iniziato a vedere e sentire cose strane, come fantasmi che poi se ne andavano.
Le ricordavano le ombre che si ottenevano fissando una lampadina accesa per trenta secondi “bah…” mugugnò mentre prendeva un po’ d’acqua e se la gettava sul viso “altro giorno, altri dolori…quand’è che mi sveglierò e mi ritroverò morta?” chiese all’immagine dello specchio che rimase muta.
Era un po’ come una risposta positiva, il silenzio della propria immagine: se mai ti avesse risposto, avresti capito che era ora di andare a nanna per sempre.
Si voltò quando avvertì un certo calore alla spalla destra, come una mano appoggiata su di essa, delicata e rassicurante.
Poi magicamente il calore si spostò sul collo, qualcosa di soffice lo stava solleticando, massaggiando e per un attimo il Soggetto si ritrovò a pensarsi come una persona vera, come Andrea Hills, la pazza della scuola che aveva allontanato qualsiasi ragazzo dall’essere il proprio.
“Meglio andare a letto” bisbigliò, la testa piegata all’indietro “queste allucinazioni stanno diventando troppo…reali”.
Fece come aveva detto e ritornò nella camera, senza sentire più il calore di un abbraccio fantasma “che strano” pensò “perché ricordo senza Animus? Domani lo chiederò a Vidic”, ma non riuscì nemmeno a finire la frase nella sua testa che chiuse gli occhi.
Altro giorno, altra sessione.



Angolo dell'Avvocata
Eccomi qui col quarto capitolo, scusate l'attesa ma ho dovuto formattare il laptop a causa di un virus e -nonostante sia riuscita a salvare praticamente tutto- alcune cose più recenti tra cui la storia qui sopra sono andate perse, quindi ho dovuto riscriverla partendo da questo capitolo qui.
Beh, ora vado a rispondere alle recensioni, che mi fanno sempre felicina ^^

_Zazzy: E ora manco più Cascade xD Tranquilla, tanto ormai ho visto che sei mia affiliata e quindi ti potrò riconoscere in un futuro cambio di nik!
Si si, l'Hashashin è uno che inizia per A e a cui piace scassare le scatole a un povero handicap -leggere Malik, sia fatto santo immediatly- xD
Lady_Kadar: Si meschinetto, anche perchè Kaddy è morto senza manco sapere una cippa di quello che stava succedendo O_o l'hanno messo un po' random, credo. Se Altair non si prende cura del mio personaggio sa quello che succederà: lo potrei citare in tribunale xD
Manga_darlin: Ciao! Quanto tempo! Beh, sinceramente non avevo voglia ne ispirazione per inscenare l'omicidio e poi sai -se hai giocato al gioco- più o meno come muore Sibrando...ovvero come tutti gli altri xD Grazie per il commento, però, la prossima volta metterò un bello sgozzamento in prima linea XD
Sese87: Beh, il passaggio temporale è un po' come un sogno, più che un passaggio a una dimensione intermezza tra passato e presente, quindi mi sono riferita a quello ^^ Grazie e non ti preoccupare! Ho dovuto aggiornare tardi per i motivi sopra scritti, quindi don't worry!

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Capitolo 5
*** Salto nel Vuoto ***


La mattina dopo non feci molta fatica a svegliarmi, anche perché la sensazione di una mano menomata sulla testa non era cosa da tutti i giorni.
L’Assassino mi aveva scosso il capo brevemente “è ora di partire” disse lui, forse un po’ scocciato nel portarsi addietro una donna, ma sembrava che il suo ‘amico’ lo avesse praticamente obbligato.
Mi voltò le spalle mentre io tentavo ancora di alzarmi dalla mia posizione seduta e un lamento indolenzito mi uscì dalle labbra a causa della ferita che tirava e doleva.
Altri aspetti dell’Assassino mi salivano agli occhi: leggermente egoista, borioso e arrogante erano i tre sinonimi che mi balzarono alla mente, mentre quello risaliva il muricciolo della fontanella veloce come un’aquila che risaliva una scogliera a precipizio, senza nemmeno sbattere le ali.
Come avrei fatto io, con una spalla ridotta in quello stato, a seguirlo fino alle porte della città? Mi fermai dalla fontana e guardai la parete con astio, i piccoli cornicioni che avevano dato supporto a mani e piedi dell’Assassino sembravano prendermi per i fondelli “d’accordo…” mugugnai scocciata, misi un piede sul bordo della fontana e allungai le mani per tentare la scalata.
Non era poi così difficile, la spalla doleva ma la forza delle mie braccia poco a poco riuscì a tirarmi su fino a metà del muro e potei vedere almeno in parte il torso dell’Assassino.
Mi stava aspettando? Parecchio gentile da parte sua, pensai, mentre mi perdevo a osservare la linea delle sue spalle, quella del cappuccio che di profilo assomigliava alla testa di un rapace.
Il sole era riuscito a squarciare le perenni nubi sopra Acri e i raggi nebulosi andarono a far scintillare l’elsa della sua spada, i piccoli pugnali assicurati nel cinturone sulla schiena assieme a un pugnale che sembrava fatto d’argento.
Non soffiava vento, ma la toga si muoveva dolcemente attorno ai suoi piedi mentre spostava il peso da una parte all’altra per controllare le strade sottostanti.
Tutto in lui mi sussurrava forza, agilità…e le due caratteristiche urlavano assieme la parola LETALE da ogni dove.
Allungai la sinistra e tentai di aggrapparmi al bordo della inusuale uscita di quell’edificio, ma una scarica provenne dalla spalla ferita e inaspettatamente scivolai all’indietro, cadendo di schiena nella fontanella sottostante “Dio mi fulmini se non è vero che è in collera con me!” urlai, alzandomi e guardandomi grondare acqua.
Mentre stavo irosamente strizzando le maniche e i bordi della tonaca, sentii uno sbuffo sopra la mia testa “mi domando perché ti ho lasciata in vita” disse l’Assassino, il suo volto compariva dal quadrato che dava sul cielo e io lo fissai a occhi stretti “me lo domando anche io, Assassino” risposi di rimando e sciaguattai via, nell’altra camera.
Ignorai lo sguardo divertito dell’altro, quello senza un braccio, mentre sentivo l’Assassino borbottare qualcosa contro l’intelligenza femminile “non c’è una dannata scala in questa dannata trappola per lumache??” esclamai, poi mi portai una mano al viso mentre mi appoggiavo contro il tavolo dove la giornata prima ero stata privata della freccia.
Mi ritornarono alla mente i commenti degli altri soldati riguardo a ‘quel mingherlino’ che sarebbe potuto essere una donnicciola, se solo non avesse avuto tanta rabbia in quello sguardo.
Ma cosa ci facevo lì? Non ero adatta a fare il soldato, per quanto avrei potuto metterci.
Non ero un uomo, non possedevo la stessa forza e quello che i miei compatrioti al fronte chiamavano ‘un bel paio di attributi‘.
Iniziai a pensare che se mai fossi uscita da lì avrei detto a mio padre che aveva fatto male a fidarsi.
Non ero forte come pensavo di essere, se al minimo imprevisto il cuore mi cadeva in fondo ai piedi.
Sollevai il viso e guardai lo Sconosciuto-Senza-Braccio sostarmi davanti, una scala lunga pressappoco un metro e mezzo appoggiata alla spalla sana.
Nel silenzio lo guardai e oltre a una piccola lacrima che sostava nell’angolo del mio occhio, si formò anche un sorriso “grazie” sussurrai, allungando una mano verso la scala rudimentale.
“Malik” mi rispose lui, il suo nome era finalmente un punto fermo dal quale partire.
Mi sembrava abbastanza maleducato definirlo un individuo solo per la sua menomazione “grazie, Malik” mi corressi.
L’Assassino non si era mosso dal tetto dell’edificio, che raggiunsi silenziosamente qualche minuto più tardi “Alla buon’ora” mi disse lui, gli occhi ancora coperti dall’ombra del cappuccio, prima di darmi le spalle e prendere una breve rincorsa prima di saltare da un tetto all’altro, atterrando sofficemente sui soffitti piatti di terra battuta ed essiccata dal sole, in punta di piedi su delle travi di legno.
Nonostante fossi a terra in fatto di emozioni e con una spalla che aveva preso a pulsare sotto il debole sole di Acri, dovetti riconoscere che quell’Assassino si stava scavando una fossa nella mia mente.

Con un po’ di difficoltà riuscii a tenere il passo dell’Assassino e prima che il sole compisse mezzo del suo arco nel cielo, raggiungemmo le porte di Acri.
Avevamo percorso un tratto delle mura della città -l’Assassino aveva ucciso e nascosto le poche guardie che stavano facendo la ronda in quel momento- e quando venne il momento di scendere, lui fece un passo sul basso parapetto della muraglia di cinta “che vuoi fare??” chiesi e l’Assassino si voltò, per la prima volta un ghignetto gli deformava le labbra.
La cicatrice divenne un po’ più chiara in quello storcimento di labbra “no…non avrai intenzione di…” venni interrotta dal suo braccio che mi afferrò come una morsa per la vita, l’aria che avevo nei polmoni venne espulsa in un attimo e senza che capissi come stavamo volando.
Il fruscio del vento nelle orecchie e nelle vesti bianche dell’Assassino mi confuse ancora di più, perché nel salto verso l’esterno delle mura girammo di schiena verso la terra, o almeno così riuscii a capire.
Improvvisamente avevo visto il cielo coperto di nubi, il bordo del muraglione dove poco prima eravamo e qualche bandiera sventolare, poi l’atterraggio nel morbido mi fece sussultare: se avessi respirato durante quell’acrobatico salto, in quel momento avrei urlato.
Era pazzo, pazzo da legare…un matto suicida, altro che Assassino!
La mano priva di un dito si posò un po’ rudemente sulle labbra mentre l’uomo acquattato nel fieno scrutava l’esterno tra una pagliuzza e l’altra.
Eravamo invisibili, eppure potevamo vedere le guardie pattugliare annoiate per il piccolo mercato esterno alla città.
Mi accorsi solo dopo qualche secondo che non stavo respirando, così velocemente alzai le mani per allontanare la sua e prendere un profondo e silenzioso respiro, pieno di quel buon odore che solamente il fieno poteva avere.
Qualche cavallo guardò il mucchio di paglia, ma con una scrollata di coda decise d’ignorarci e ritornare a brucare quello che aveva nella mangiatoia “c-cosa…?” tentai di chiedere in un sussurro, ma l’uomo sfuggì alla domanda uscendo dal covone e dirigendosi verso un paio di cavalli lasciati liberi, uno bigio e uno color avorio.
Lo seguii borbottando maledizioni tra me e me: stavo iniziando a odiare il dolore alla scapola.
Odiavo le frecce e odiavo gli Assassini, dannazione a lui.



Eccoci ritornati ad Acri! Sempre tempo curioso in quella città, ma ogni tanto il sole deve splendere! -E illuminare un Assassino preso a caso xD-. Non picchiatemi, il capitolo era un po' corto, lo ammetto v.v

Zazzy: Mi fa piacere sapere che ho uno stile riconoscibile XD Mi sono divertita anche io a scrivere quel chapter, ma in testa ho già il finale, quindi mi sa che il meglio lo darò solo in quello grazie anche ad alcune pic che ho trovato girovagando per internet XP

BumBj:Ahaha ok, la tua recensione mi ha fatta scompisciare xDD Beh si, perchè Altair è un arrogante rompiscatole e il massimo della sua dolcezza è guardarti un po' meno male del solito xD Però prima o poi l'amore arriva. Perchè, chi scrive che Altair è un galantuomo? O.o Si che ha risparmiato Maria nel gioco...ma prima l'ha mazzuolata di botte, eh! xD Grazie per i complimentoni ^^

Lady_Kadar: Malik proprio secondario non lo sarà, diciamo che sarà il classico amico che tenta di non far scoppiare casini tra i due xD Beh, una che dal palazzo è passata al fronte, direi che qualche trauma lo deve pur subire, soprattutto in presenza d'un così prestante omo qual'è l'Assassino in questione! XD Grazie per la recensione! :D

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Capitolo 6
*** Meritato Riposo ***


Stavo gridando, urlavo perché c’era qualcosa che mi lacerava le carni all’altezza della spalla.
Il mio petto era pressato contro qualcosa di duro e solido, di un materiale che mi ricordava molto il legno "tienila ferma" disse una voce profonda, che avevo già sentito, mentre un braccio si posava attorno al mio collo per farmi premere la guancia contro il ripiano dov’ero sdraiata, bocconi.
I miei occhi videro un volto straniero, la pelle del mento ricoperta da una sottile peluria nera che avrebbe dovuto formare un pizzetto, ma non era ancora molto cresciuto.
Rabbrividii quando vidi che dall’altra parte del petto fasciato nel vestito blu, la manica era stata arrotolata perché l’altro braccio era mancante "per l’amor di Dio" stava borbottando, mentre sentivo un’altra mano, con quattro dita, appoggiarsi nel centro della mia schiena "una donna al servizio di Riccardo…cos’altro inventeranno gli inglesi?".
Quella frase m’infervorò: come si permettevano di fare giudizi sulla mia persona? Roberto mi aveva insegnato la pazienza, ma mai io avevo avuto molta voglia di tenerla in conto come un’opzione, durante le battaglie "sono…un soldato di Riccardo…fatevelo bastare…" riuscii a malapena ad esalare con voce roca, mentre il secondo uomo alle mie spalle avvinghiava con la destra la freccia ancora conficcata nella mia spalla.
L’uomo che mi teneva immobile con il gomito conficcato nel collo ridacchiò, anche se quel basso rumore venne coperto dal mio ennesimo urlo: la punta della freccia liberò le mie carni dalla sua intossicante presenza, lasciando che il sangue fluisse via dal piccolo squarcio creato "un soldato incapace di brandire una spada, a quanto pare" disse l’uomo dietro di me, dalla voce arrogante.
Se avessi potuto avrei fatto come mia madre aveva sempre detto: se un uomo ti prende alle spalle, scalcia come un mulo e vedrai che distruggerai il suo punto nevralgico.
Fino a quel momento non avevo ancora capito cosa avesse realmente inteso Adele con quella frase "puoi lasciarla, non credo si muoverà" aggiunse l’Assassino, perché di quello si trattava, e sia la mano menomata che il braccio si allontanarono dal mio corpo "devo…ritornare" dissi, cercando di alzarmi anche se ogni tentativo si rivelò vano "Riccardo…deve sapere" ma appena dissi quella frase la mano menomata di nuovo mi spinse giù con forza inaudita -o apparentemente ero io completamente priva di forze- per permettere all’Assassino di fasciarmi la ferita "Se tu partissi adesso e in queste condizioni, il tuo cavallo non riuscirebbe a fare nemmeno mezzo miglio: gli uomini di Sibrando ti abbatterebbero immediatamente" disse serio, mentre la mia ferita veniva coperta di parecchi strati di stoffa tirata stretta per impedire al sangue di uscire.
Prima che io potessi far valere la mia posizione, l’Assassino se ne andò dall’unica porta della stanza, lasciandomi a me stessa e allo strano uomo senza braccio destro "ancora mi chiedo perché una donna…" borbottò mentre tornava dietro a un bancone carico di cianfrusaglie, per mettere via gli oggetti serviti a curare la mia ferita.
Mi misi a sedere con difficoltà sul ripiano di legno del tavolo e appena le mie gambe ripresero il peso del mio corpo, la stanza vorticò per qualche secondo: dovevo aver perso parecchio sangue "sarà di ritorno in poche ore, cercherò di convincerlo a scortarti fino ad Arsuf" disse l’altro, appoggiando l’unico gomito al bancone.
Perché questa disponibilità? Il disappunto e la confusione erano chiaramente dipinti sul mio volto "ringrazia di aver trovato noi, femmina. I Templari, al posto nostro, ti avrebbero uccisa".
Templari? Era la prima volta che ne sentivo parlare. Chi erano? "Chi sono i Templari?" chiesi.
Ricevetti in risposta una risatina saccente e nient’altro.

Durante tutta la giornata, quello strano individuo senza braccio non mi aveva più rivolto la parola, troppo impegnato a fare calcoli su mappe cittadine o scrivere lettere per i piccioni viaggiatori.
Io rimasi seduta nell’altra stanza dell’edificio nascosto, dove una griglia coperta di viticci ne delimitava le dimensioni. Un paio di fontanelle rallegravano l’aria altrimenti stagna di silenzio e la mezz’ombra che creata la vegetazione mi invogliava a riposare gli occhi per un paio di minuti.
Quando finalmente il sole aveva iniziato la sua discesa colorando il cielo di rosso, il rincorrersi muto dei miei pensieri venne fermato da un tonfo leggero sopra la grata, a malapena il fruscio di qualche foglia calpestata e poi i rumori regolari di mani e piedi in scalata.
L’Assassino comparve sotto la luce frammentata della luna, come un fantasma e si fermò alcuni secondi per guardarmi, i suoi occhi fatti d’ombra in quel momento.
Chinai la testa in avanti in segno di saluto e quando la ritirai su, l’Assassino era già sparito nella stanza adiacente per comunicare con l’amico.
Anche se non sembravano molto amichevoli l’un l’altro.
Sospirai, ripensando a come mio padre sarebbe rimasto deluso nel sapere che avevo fallito in una missione così importante e vitale: magari mi avrebbe spedito da qualche parte in un luogo sicuro della nuova terra conquistata e là sarei marcita.
Mi dispiacque parecchio e mi sentii pressoché inutile: Roberto sarebbe rimasto deluso? Anni di addestramento e poi non mi ero rivelata altro che una donnicciola come quelle alla reggia?
Nascosi il viso tra le mani, per quanto la spalla ferita mi stesse mandando mille spilli lungo il braccio, e sospirai.
Sarei dovuta restare a casa, magari farmi buttare dell’acqua bollente in volto così da lenire la somiglianza tra me e il sovrano inglese “questo è per te” disse una voce fuori dal mio spesso guscio di pensieri.
Sollevando il volto vidi una mano priva di un dito stretto a un disco di argilla cotta, su cui erano posate alcuni tipi di cibo e quello che doveva essere pane.
Da quanto tempo non vedevo del cibo preparato a quella maniera? Tra i fronti il cibo non era cucinato con molta dovizia “domani mattina dovrai essere in forze e non ho tempo per starmi a tirar dietro una donna debole. Mangia” aggiunse l’Assassino, posando il piatto accanto ai miei piedi, dopodiché si sedette tra due sacchi a qualche metro da me e fece sparire nell’ombra del cappuccio un paio di datteri e niente più.
Se gli Assassini andavano avanti a datteri, avrei dovuto proporre quella frutta zuccherina come alimento base nei ranghi “grazie” risposi quasi senza pensarci, poi afferrai quella specie di piatto un po’ rustico e iniziai a mangiare, lentamente come mi era stato insegnato.
Certo, non c’erano tre forchette diverse da scegliere a seconda della pietanza e non vi erano clavicembalisti attorno per far annoiare di meno i soli commensali della stanza, ma quella pietanza fatta di carne cotta poco e patate schiacciate mi saziò più di un pranzo in pompa magna nella reggia.
Con il pane raccolsi il poco cibo che mi era impossibile raccogliere con le mani, gesto assai maleducato alla lunga tavola dei nobili, e quando ebbi finito mi lasciai andare a un sospiro estasiato.
Posai il piatto accanto a me e appoggiai la testa sbarazzina contro il muro, tenendomi lo stomaco con le mani: da esso si dipanava un calore confortante e che mi conciliava il sonno.
La luna sopra le nostre teste non era nemmeno a metà del suo viaggio nel cielo e osservava il silenzio che c’era nella piccola stanzetta coperta di viticci: l’Assassino non sembrava invogliato a parlare, nemmeno lo ero io perché non lo conoscevo abbastanza per intavolare la discussione.
Inoltre, pareva avere molti più pensieri di me, anche se altrettanto angosciosi.
Il volto nel cappuccio era solo un’ombra indistinta che lo faceva assomigliare a quella figura mortifera che infestava i racconti dell’orrore dei giovanotti di strada, una Grande Falciatrice.
Anche se era un uomo dalle grandi capacità, fosse stato la personificazione della morte io non sarei sopravvissuta abbastanza da poter assaggiare nemmeno un piatto locale, cosa che avevo appena fatto.
No, pensai, quest’uomo non è un assassino, anche se il nome con cui lo chiamano è tale: quest’uomo è un cavaliere, un araldo della gente. Nemmeno Riccardo si era mai definito un araldo della popolazione per quanto fosse un Re buono e lungimirante e quel pensiero mi fece arrossire.
Elevare un straniero al di sopra del mio genitore sovrano era strano a pensarsi, figurarsi nel dirlo.
Per salvarmi da ogni strigliata da parte della mia coscienza mi misi a dormire, piegando il capo contro il braccio sano sollevato sulle ginocchia raccolte: la figura dell’Assassino scomparve, ma non lo fece la sensazione che mi dava averlo dirimpetto a qualche metro.
Aveva un carattere talmente forte da diventare quasi un guscio fisico che lo avvolgeva ed era impossibile, una volta conosciuto e nel caso avesse voluto lui stesso, non notarlo.
Forse le guardie e le sue vittime mancavano di acume, oppure lui era piuttosto bravo ad annullare se stesso durante le sue missioni.


Ecco qui il capitolo. Scusate il ritardo ma mi sono impallata nel Brotherhood e ho perso di vista Altair XDD

_Zazzy: beh non saprei, tutto sta nel fatto che se non riesco a continuare devo rigiocarmi tutto il primo AC xD quindi un po' di tempo mi ci vuole. Comunque la storia è sempre qui pronta a essere riletta quanto vuoi xD
Lady_Kadar: Eh purtroppo sono domande a cui non posso ancora rispondere...lo farà la storia per me, andando avanti -anche perchè fino ad adesso non ho tutto chiaro in mente °-°;- Spero che ti piaccia questo nuovo capitolo Back in the Past xD
Enio: Allora, mi è piaciuta parecchio la tua recensione :) Devo concordare con te sul fatto che preferisco scrivere più di Caterina che del soggetto 18, ma ci vuole un po' di presente, in tutto questo passato. La sorella non è al 100% sicura di quello che sta facendo e di più non posso rivelare, anche perchè lo spiegherò più avanti la loro situazione. Caterina non era sicura di essere subito scelta da Sibrando, diciamo che è stato un colpo di fortuna, forse perchè Sibrando è uno di quegli uomini paurosi che per rifarsi del loro cuor di coniglio cercano di sottomettere quelli che sembrano più forti all'apparenza -una donna un po' maschiaccio diciamo-.
Sese87: Grazie per la correzione, ma ora come ora non lo vedo il 'gli' al posto del 'le'. Sarà che sto scrivendo anche altre storie in cui a parlare è un ragazzo quindi a volte mi scappa xD

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Capitolo 7
*** Il Viaggio e l'Illusione ***


Cavalcammo per tutta la giornata e il sole aveva poco a poco iniziato a intensificare il suo calore mentre ci allontanavamo da Acri.
Quando quello terminò il suo quotidiano viaggio e si trasformò in un disco rosso sangue, l’Assassino si voltò verso di me e diede un piccolo strattone al cavallo per farlo fermare: eravamo giunti a un paesello probabilmente senza nemmeno un nome.
Capii i suoi motivi -stavo ciondolando sulla sella e i miei occhi facevano fatica a stare aperti-, ma se fosse stato per me avrei continuato fino a notte fonda, finché non fossi caduta da cavallo “potremmo continuare…posso andare oltre” dissi all’uomo, che mi fissò oltre il cappuccio bianco “tu puoi continuare a cavalcare con tutte le probabilità che al tuo cavallo spuntino le ali e inizi a parlare. Ci fermeremo qui” disse serio, per poi scendere dall’animale e portarlo verso una mangiatoia sgangherata.
Il cielo viola iniziò a pesare sulle mie spalle, segno che l’Assassino aveva perfettamente ragione. Dovevo fermarmi o sarei finita per rompermi l’osso del collo.
Eppure mi premeva arrivare quanto prima ad Arsuf, dire a mio padre che tra le sue schiere c’erano dei cospiratori, che avrebbero potuto ucciderlo.
Un pensiero mi trapassò come una lama mentre scendevo dal cavallo, con un piede ancora nella staffa: e se fosse già accaduto?
Nel caos della battaglia il corpo del mio genitore sovrano avrebbe potuto comparire tra quello degli altri soldati, come se fosse morto in azione…ma se invece un coltello fosse spuntato dietro la sua schiena?
Un’uccisione a tradimento, come successe a Cesare Imperatore?
Scossi la testa, i capelli corti che stavano leggermente crescendo, per togliermi quelle nefaste domande dalla mente: dovevo solo pensare a riposarmi e ripartire al galoppo, il più veloce che potevo.
Avevo visto l’Assassino scomparire oltre la mangiatoia, nella piccola piazza del paesello e ci misi parecchio per scorgere il suo cappuccio bianco in mezzo alle poche persone che sostavano sulle panche lì sparse.
Era quella l’abilità principale degli Assassini, pensai, scomparire alla vista.
Lo raggiunsi e presi posto sulla panca accanto a lui, guardando le stelle e la luna che stavano iniziando a spuntare poco a poco che il cielo scuriva; se non fosse stato per la sua troppa immobilità, avrei pensato che si fosse addormentato, così con i gomiti appoggiati alle ginocchia “ripartiremo quando la luna sarà alta. Vedi di riposare quanto possibile” disse prima di ripiombare nel suo silenzio.
Lo guardai e annuii “parlami di questa tua setta” dissi io.
Ricevetti un leggero movimento delle mani intrecciate in risposta.
La luce della luna appena sorta illuminò il moncherino del dito mancante nella sinistra, prima che quella venisse nascosta nel palmo dell’altra mano come in preghiera “perché dovrei?” “siete nemici di Riccardo?”.
Quella domanda era sbocciata sulle mie labbra senza passare dalla testa, dopotutto dovevo sapere se stavo portando un pericolo al campo oppure no “Sono nemico dei Templari” un’altra risposta criptica.
Quell’uomo avrebbe resistito alle peggiori torture, me lo sentivo, pur di proteggere chi serviva “chi sono i Templari?” domandai a catena e lo sentii serrare un po’ di più i denti con uno scricchiolio “i nostri nemici. Ora dormi” e dalla sua gola non uscì più la voce bassa e arrogante che mi aveva tenuto compagnia fino a quel momento.
Lo accontentai, appoggiando la schiena al muro di una casupola in argilla e chiusi gli occhi, sentendo il nero dell’incoscienza macchiarmi le palpebre in pochi schizzi.
Quasi subito le prime immagini di un sogno iniziarono a vagarmi nella mente, come fantasmi che avevano perso tutti i loro colori ma non i loro contorni.
Vedevo città impossibili, palazzi ricoperti di vetro scintillante che quasi sparivano in mezzo alle nubi, persone in groppa a cavalli di metallo che viaggiavano più veloci di una freccia o carrozze senza animali al traino.
L’aria lì era irrespirabile, dal cielo cadeva una pioggia fatta di piombo e dalle strade salivano miasmi velenosi.
Quello non era un sogno, era un incubo!
Tante persone camminavano tra quei fumi bianchi e vaporosi, senza morirne, e correvano.
Correvano per ogni dove e non si fermavano mai.
Solo una macchia era ferma in mezzo a quell’andirivieni di vestiti scuri o multicolori: una macchia bianca e stoica, che mi fissava.
Lo riconobbi, ma non mi diede il tempo di dire qualcosa che già se ne correva via in mezzo alle persone, lasciandomi sola in quella terra strana e sconosciuta.
L’avrei rincorso, se solo non avessi aperto gli occhi e avessi visto la piazzetta vuota di quell’anonimo paesello.
In quei pochi attimi in cui ringraziavo il cielo di esser tornata a respirare l’aria pulita e un po’ calda di quel posto, il sogno scivolò via e ricordai che l’Assassino era seduto accanto a me.
Perché avrei dovuto inseguirlo, se non scappava?
Voltai la testa e lo guardai, non aveva cambiato posizione, ma i suoi occhi scuri mi osservavano pungenti attraverso le ombre del suo cappuccio.
Quello sguardo mi mise in imbarazzo, era come se mi avesse strappato di dosso i vestiti e la pelle, guardandomi attraverso fino all’anima “è tempo di ripartire” disse lui.
La luna era alta nel cielo e l’Assassino non mi aveva concesso un minuto di più su quella panca un po’ sbilenca.
Si alzò per andare a recuperare i cavalli e io rimasi a guardare le sue spalle allontanarsi, in un angosciante senso di abbandono.
Perché, poi? Era solo un uomo arrogante e maschilista -che termine era, poi, quello? Mi era uscito nella testa all’improvviso- che camminava come se tutti avessero dovuto baciare il suolo dove camminava.
Eppure scoprii, sotto i molteplici e disidratati strati del cuore umano, che una piccola e rigogliosa piantina era sbocciata, il verde brillante delle foglie mi sussurrava una parola che non riuscivo a percepire.
Mi alzai e raggiunsi la mangiatoia, i cavalli…e l’Assassino.

[Avanzamento rapido a un ricordo più recente]

Ero stata forzata a seguire l’Assassino -ancora il suo nome mi era sconosciuto e me ne rammaricavo- fino alle porte di Masyaf, una cittadina pacifica dove la setta degli Assassini organizzava le sue battute.
Non mi aveva detto perché doveva recarsi dal suo Maestro così urgentemente, ma non ottenni il permesso di entrare nel villaggio.
Rimasi a cavallo, mezzo miglio dalla porta cittadina, con alcune guardie incappucciate di grigio che mi osservavano con occhi taglienti.
Mi sentivo abbastanza fuori luogo e avevo voglia di girarmi e andarmene: perché non farlo, mi chiesi? Stavo meglio, la spalla era solo un po’ indolenzita e potevo benissimo cavarmela da sola, fino ad Arsuf.
Eppure mi sembrava di disobbedire a un ordine diretto di mio padre, nonostante quella sottospecie di ordine fosse venuto fuori dalla bocca arrogante di un Assassino a cui mancava un dito.
Sbuffai in silenzio, sentivo la mancanza della mia divisa, della sciarpa di maglia per nascondere le mie labbra femminili e l’elmo per coprire i capelli scuri e scompigliati, corti rispetto a quelli delle dame che ero stata abituata a vedere.
Mi mancava avere al fianco il peso di un’arma, anche se la spalla non avrebbe retto più di un paio di colpi “oh al diavolo” mugugnai, tirando le redini del mio cavallo e schioccando la lingua contro i denti per farlo voltare e iniziare un piccolo trotto verso la piccola strada che portava fuori dalla gola in cui era incastrata Masyaf.
Che l’Assassino facesse quello che doveva, anche io avevo un lavoro da fare: avvertire mio padre che poteva venir tradito.
Alcune persone mi guardarono confusamente, si chiedevano se io fossi un ragazzo molto giovane o una donna volitiva, ma non ci feci caso; sentivo che Arsuf era sempre più lontano e inesorabilmente ad ogni schiocco secco degli zoccoli del mio cavallo, il cuore mi sprofondava tra le costole.
Avevo paura di dover tornare solo per accendere una pira sotto il corpo del mio regnante genitore.
Dovevo smetterla con quelle stupidaggini: mio padre era un abile combattente, così come lo era Roberto e sapevo che lui lo avrebbe protetto sempre, fino a che avesse avuto fiato in corpo.
Ero quasi arrivata al limite del terreno di Masyaf, quando il rumore vibrante di un cavallo in corsa mi fece voltare: l’Assassino era dietro di me e si stava avvicinando “la fretta fatta donna” mi disse in modo presuntuoso, una volta che mi ebbe raggiunto e affiancato “potrei dire lo stesso” risposi dando un colpo di tacchi al mio cavallo per iniziare un galoppo veloce e sostenuto…e dando inizio a una gara tra me e l’uomo.
I due cavalli si pareggiavano sia in velocità che in agilità, ma il poco di vantaggio che mi ero presa con l’effetto sorpresa venne annullato da un abile salto della bestia montata dall’Assassino, che atterrò davanti alla mia cavalcatura facendola impennare.
L’Assassino non si fermò, ma rallentò soltanto in modo da farsi raggiungere “se solo ci fosse Roberto, vedrebbe quanto poco c’è da scherzare in una guerra” mormorai al cavallo per tranquillizzarlo “perché non ho ereditato la forza di mio padre? Vorrei esser nata uomo” aggiunsi afferrando meglio le redini e usandole come frustino improvvisato per impartire l’ordine al cavallo di trottare e galoppare in direzione di Arsuf.
Solo quando il rossore del cielo diventò come quello del sangue versato sul campo di battaglia, mi permisi di rallentare, accomodarmi meglio sulla sella e appoggiarmi al collo del mio destriero, chiudendo gli occhi. Avrei dormito un paio di ore, giusto il tempo di riposarmi e ritrovarmi abbastanza attiva da non dimenticare le tante cose che avevo da dire a Riccardo e a Roberto.
L’Assassino, per contro, sembrava non aver bisogno di dormire: prese le redini del mio cavallo e lo condusse sempre al trotto, sotto il cielo che si stava scurendo.
Perché era così gentile? Avrebbe dovuto lasciarmi morire -o peggio, in mano a Sibrando- molto prima, ad Acri.
Qualcosa muoveva il suo animo a non fermarsi mai, qualcosa che andava oltre la cieca riverenza verso il proprio Credo: forse era curioso di sapere, forse voleva finire il prima possibile per allontanarsi da me.
Questa evenienza non mi piacque affatto, ma non la cancellai dalla lista delle ipotesi.
Non dovevo farmi illusioni di alcun genere.


Altro capitolo, altre novità anche se mi rammarico di aver visto solo un paio di recensioni molto accette. Speriamo in un capitolo più fruttifero.

BumBj: Ahahah Che si sappia Altair non uccide nessuna donna -a parte le mendicanti con cui a volte mi lascio scappare la mano XD- Beh Malik arriverà un po' più avanti, ma arriverà a salvare la situazione XDD Mi stava sulle balle all'inizio del gioco, ma poi si è riscattato ed è diventato il mio Amicone-Senza-Braccio xD

Zazzy: Ueeeei non si tocca Altair xD Se fosse ganzo come Ezio non sarebbe Altair, dopotutto...e poi dai, l'uomo altero e irraggiungibile fa gola! XD Contenta che ti sia piaciuto il capitolo ^^

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Capitolo 8
*** Mondo che crolla ***


A qualche miglio da Arsuf mi svegliai di soprassalto, sconvolta dalla visioni di cadaveri di persone a me care, ma capii che era solo il rumore della battaglia in lontananza ad aver creato quei miei incubi.
Il cozzare di mille spade e l’urlo di agonizzanti soldati, che fossero siriani o miei compatrioti non era rilevante: quel lontano rimbombare era la voce della Morte che chiamava.
Guardai oltre la testa ondeggiante del mio cavallo e vidi le fiaccole accese dalle truppe di Riccardo illuminare delle torrette di vedetta.
Per me fu una fortuna che il buio profondo della notte nascondesse ai miei compatrioti le mie fattezze femminili “Non attaccate!” gridai, mascherando la mia voce attraverso la mano.
Sentivo l’Assassino immobile al mio fianco, il suo cavallo innervosito dai rumori della battaglia e dall’odore del sangue che scorreva “Sono Giasone di Galles di ritorno da Acri!” continuai “ho il bisogno di parlare con il nostro sovrano e signore Riccardo! Porto con me un alleato!” e dopo qualche secondo una delle fiaccole -un puntino luminoso nel buio- si mosse per darmi l’accesso al campo di Riccardo, a metà fra la retrovia e le avanguardie.
Parecchi mi salutarono al suono della mia voce e nessuno scoprì che in realtà ero una donna “Riccardo ti aspetta alla sua tenda, oggi ha onorato il nome che porta combattendo come una belva” mi disse uno dei Luogotenenti di mio padre e quella frase tranquillizzò i tremori del mio cuore: era ancora vivo.
M’infilai veloce nella tenda, ringraziando che le mezze ombre del fuoco danzante non facessero notare le mie forme troppo aggraziate al di sotto della tunica che indossavo.
Il mio regnante genitore era in piedi accanto a un tavolo, dove una mappa mostrava le città perse e quelle conquistate, un po’ come quei giochi di società che facevano i signori a corte, solo che lì si giocava con la vita di molti giovani soldati “padre” sussurrai sollevata di vederlo vivo e mi lanciai verso di lui, abbracciandone la forma indurita dalla battaglia ma calda e accogliente come era sempre stata “Caterina, spero tu stia portando buone nuove.
Saladino ci da parecchio terreno da mordere ogni giorno di più” disse ricambiando il mio abbraccio.
La mia mente dimentica dell’Assassino si risvegliò “padre, due dei vostri uomini ad Acri complottavano contro di voi e temo che qualcun altro qui al fronte possa fare lo stesso.
Temo per la vostra vita” dissi, annaspando nelle parole “vi porto un membro di una setta del luogo, detti Assassini, che parla di un agente Templare nelle nostre fila…non so chi siano questi Templari, ma non ho fatto altro che pensarvi deceduto” continuai, affondando ancora una volta il viso nel petto di mio padre e gioendo nel sentire il suo cuore battere forte e fiero.
La sua rauca risata mi rese felice “Caterina, la tua premura nei miei confronti mi rende un genitore felice, ma se ciò che hai detto è vero, devo colloquiare con questo Assassino, per poi chiedere a Saladino di terminare questa lotta inutile.
Oggi ho ucciso parecchi ragazzi che avrebbero potuto avere la tua età e me ne sono rammaricato” e si diresse verso il fondo della tenda, raccogliendo una delle armature ch’erano state forgiate apposta per la mia corporatura, solo che quella mi sembrava in qualche modo più elegante.
Aveva il leone rosso di Riccardo dipinto sulla pettorina frontale “porta questa, altrimenti i nostri sforzi sarebbero stati vani e potresti non essere più al sicuro assieme ai tuoi compagni uomini” me la porse e io la indossai subito.
Mentre stavo per infilare l’elmo, sentii alcune grida al di fuori della tenda e appena scostai un lembo di tessuto spesso e sgualcito dell’entrata, vidi un cerchio di soldati attorniare Roberto e l’Assassino, entrambi concentrati per trovare un punto debole nella difesa dell’altro.
Le lame si scontravano e creavano scintille che si perdevano sul terreno calpestato, ma gli occhi dei contendenti non sembravano farci caso “se quello è l’uomo che indicavi poco prima, di sicuro è un valido guerriero, se incrocia le lame con Roberto” disse lui tranquillo, a dispetto di me.
Conoscevo l’abilità di entrambi e la mia mente stava calcolando chi sarebbe caduto per primo…e io temevo entrambi i risultati “fermi!” tentai di gridare, ma i soldati attorno ai due contendenti chiedevano sangue a gran voce e il mio urlo si perse tra i loro.
Scappai dalla tenda e corsi, spintonai in mezzo ai miei compagni per poter raggiungere i due, fermarli e chiarire ogni cosa, ma da come si muoveva l’Assassino intuivo che era intenzionato a uccidere Roberto.
Non potevo permetterlo “Tu sei solo un burattino. Ti ha tradito, ragazzo, così come ha tradito me” sentii la voce di Roberto salire verso l’alto e i miei occhi stentarono a credere di vedere il mio mentore steso al suolo, parecchie ferite aperte ma ancora il cuore palpitante “Parla chiaro, Templare, o te ne farò pentire” la voce profonda e dura dell’Assassino era come una sciabolata, forse più dolorosa della freccia nella spalla.
Era Roberto il Templare? Per tutto quel tempo aveva aspettato che mio padre si voltasse per trafiggergli la schiena?
Con mani tremanti e nervose afferrai la cotta in maglia del soldato di fronte a me e lo scaraventai di lato liberandomi la vista per guardare l’enorme squarcio che Roberto aveva nel ventre “Ti ha mandato a uccidere nove uomini, vero? I Nove che custodiscono il segreto del tesoro” un rivolo di sangue gli cadde dalle labbra durante quella frase e la sua pelle era cianotica, sotto la lama a scatto dell’Assassino.
Il mio corpo si mosse come se fosse stato in acqua, rallentato dolorosamente fino allo spasimo fino a che, in un balzo che sembrò durare una vita, afferrai la tunica bianca e un po’ logora dell’Assassino per rotolare a terra con lui, lontano da Roberto ancora in vita, ma sulla via della morte.
Non mi ero accorta di aver urlato e di aver estratto uno dei piccoli pugnali dalla cintura dell’uomo, ma me ne accorsi solo quando ripresi fiato, a cavalcioni sopra l’Assassino “sta lontano da lui!” avevo esclamato in un attimo di disperazione, per poi scivolare via nella terra rammollita dal sangue fino al corpo di Roberto.
Gli afferrai il volto tra le mani e cercai di tenerlo sveglio “chiameremo un dottore, sopravvivrai” dissi adoperandomi per bloccare l’uscita di sangue dal suo addome, ormai del tutto inutile: sentivo la sua vita scivolarmi via tra le dita, Roberto di Sable che era stato un fratello e una guida per me stava morendo “Non erano nove coloro che hanno trovato il tesoro, Assassino.
Non nove, bensì dieci…” continuò, senza staccare gli occhi dall’uomo incappucciato di bianco, lontano solo qualche metro.
Sentii il corpo di Roberto irrigidirsi in un attimo di dolore intenso e accorgersi di me solamente perché le mie lacrime colpirono la sua fronte sudata “Ha preso la mia vita e di conseguenza condannato la sua…” mi disse “la mia morte non sarà vana, se riuscirà a sottrarre il tesoro al decimo”.
Mi sentii prendere per il collo e venir brutalmente trascinata via da Roberto, era l’Assassino che -furioso come mai lo avevo visto- stava minacciando il mio mentore di rivelargli il nome di quel fantomatico decimo: ero finita in una questione che nemmeno sapevo cosa fosse “Il tuo Maestro, Al Mualim.
Lui ha interesse nel tesoro e a differenza mia, lui non lo condividerà. Credi che ti lascerà in vita dopo quel che è successo, Assassino? Siamo pedine…nient’altro”.
Spirò lì, nel fango tra i soldati che ormai stavano pensando a chi sarebbe andato il comando del loro battaglione una volta che Roberto di Sable fosse morto.
Io sentii il mio mondo crollare, tutte le certezze che avevo divennero come sabbia su cui soffia un vento talmente forte da disgregarne anche il granello più piccolo.
L’Assassino si era alzato e parlava con mio padre, riferiva che i Templari avevano a cuore la pace, ma cercavano di raggiungerlo in modo orribile “se Roberto era un traditore, così verrà trattato il suo corpo.
Ti ringrazio Assassino” sentii mio padre mentre io rimanevo nel fango, le mani tentavano in ogni modo di strappare via il corpo pesante e senza vita di Roberto dall’abbraccio appiccicoso della terra.
Ero finita, Roberto rappresentava per me l’unico appoggio in quella battaglia, tra i soldati.
Non conoscevo ancora bene l’arte della spada, ogni mio piccolo errore sarebbe diventato oggetto di scherno e poi il mio cuore si era come diviso, mi sentivo tradita.
Avevo imparato a fidarmi di quell’Assassino quel tanto che bastava per affidargli la mia vita durante il breve viaggio verso Arsuf…e in quel momento avrei voluto affondare la mia spada nel suo petto.
Se solo fossi nata uomo, sarei morto prima di vedere lo scempio di un cadavere lasciato a marcire assieme agli altri “dimmi il tuo nome, così da poter ringraziare un valido guerriero”.
Altair Ibn La-ahad, quello era il suo nome.
Avrei voluto gridarlo e accompagnarlo da minacce di morte, ma non potevo far altro che piangere, distrutta.
Ringraziai solo per un momento che almeno a mio padre fosse stata risparmiata la vita.



Angolo dell'Avvocata

Ecco qui, un altro capitolo che include la morte dell'odiato/amato Robby di Sable xD Ringrazio chi ha sparso per il web le citazioni del gioco, mi sono venute veramente bene ^^"

BumBj: E sangue di donna benestare avrà, Altair, molto presto >D Ma non sarà della protagonista xD Dai, prima o poi la morta ci scappa...e sarà cattivaaaa! xD

_Zazzy: Durante la tua recensione credevo di aver sbagliato qualcosa coi nostri amici cavallini -avevo saltato la parentesi chiarificatrice nella foga di leggere xD- e beh, non sarebbe male un po' di lezioni ^^
Mi salvo perchè anche la mia migliore amica ha fatto equitazione e se potesse vivrebbe in una mandria di cavalli xD Grazie per i consigli utili, li terrò a mente -e magari li userò per insultare un po' il nostro arabo presuntuoso nella storia XD-

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