Little Red Cap

di Doralice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Vi presento i miei ***
Capitolo 3: *** Il cielo sopra Sacramento ***
Capitolo 4: *** Incontri ravvicinati del quarto tipo ***
Capitolo 5: *** Tess ti presento Kim ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note

Ed ecco l'ennesima fanfic a capitoli, che chissà come e quando finirò... ma lo sapete come sono fatta e non credo che mi passerà mai questo vizio di iniziare le cose e lasciarle a metà, sperando che si finiscano da sole.

Questa fanfic era nata come originale, ma mi sono resa conto che poteva essere convertita e inserita in The Mentalist, per cui... eccola qui, tutta per voi!

Buona lettura!






LITTLE RED CAP



Prologo


Quando la gente non si piega le cose, comincia a sparare a zero.

Dottore sento le voci, sarà mica Dio?”... no, pirla, sei semplicemente fuori come un balcone! Ma la gente si rende conto delle cazzate che dice? Lasciate stare, era una domanda retorica.

Il fatto è che mi hanno dato un soprannome: Little Red Cap. Ma vi rendere conto?! Cioè, già io aborro le favole, ma poi che brutto nome, suona malissimo ed è così luuungo. Un povero cittadino indifeso grida “Aiuto, Little Red Cap!” e fanno in tempo a banchettarci e ad usare le ossa come stuzzicadenti. Ma si è mai visto?! Andiamo!

Che poi è solo perché uso un cappotto rosso, ma nella fiaba è il cacciatore ad uccidere il lupo, mica la marmocchia. E allora potevano chiamarmi – che ne so? – Huntress... sarebbe stato molto più figo, no?

Aiuto Huntress!”... immediato, incisivo. Piombo addosso alla bestia e bang! Fine della storia.

Se solo non avessi avuto la malcapitata idea di usare quel cappotto. Ma chi si aspettava un tale rigurgito di idiozia da parte loro? Sempre saputo che i licantropi hanno poco sale in zucca (tu gli punti una pistola addosso e quelli ti galoppano incontro nemmeno gli stessi offrendo una fiorentina), ma non credevo che potessero arrivare a tanto.

E vogliamo parlare delle voci che circolano? C'è gente che racconta in giro che al momento clou declamo robe tipo: “E così la bella ha ucciso la bestia”. Ora, non voglio smentire nulla sulla mia presunta avvenenza, ma rendiamoci conto dell'assurdità della cosa. Punto primo: chi mi vede poi crepa, e la morte è un bel deterrente al raccontare in giro come svolgo il mio lavoro. Punto secondo: tra l'ansia da palcoscenico e la totale mancanza di memoria, figuriamoci se in quei momenti mi metto anche a recitare. E a voler essere pignoli, quella è una frase di King Kong: cosa centra Cappuccetto Rosso?

Sto irrimediabilmente diventando quello che ho sempre cercato di evitare. Quello che era anche mio padre. Una leggenda. E io odio le leggende: fanno sembrare tutto più figo di quello che è, poi quando la gente sbatte il muso sulla realtà gli si sgonfia l'entusiasmo.

Ah, ma tu sei quella...? E io che mi pensavo... –

Cosa, cretino, cosa ti pensavi?! Sì, ho passato la trentina, sono alta un metro e un barattolo, e di giorno faccio la cassiera al McDonald... che ti aspettavi, Angelina Jolie? –

Ma veramente... –

Ma vaffanculo! –

Bang!

Suona bene. Credo che sarà il motto dell'anno.

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Capitolo 2
*** Vi presento i miei ***


Vi presento i miei


Vi spiego un po' come stanno le cose, che vi vedo confusi.

Sette anni fa, all'inizio della mia carriera da solista, mi hanno contattata i federali. Fino ad allora ci eravamo cordialmente ignorati a vicenda, che volevano adesso? Ebbene, sentite la sparata: volevano finanziarmi.

Capirete la mia perplessità. Sopratutto quando mi sono sentita dire che quell'offerta l'avevano già fatta a papà – e più volte anche – ma che lui aveva sempre rifiutato. Conoscendo lo spirito anarchico del mio vecchio, non mi stupisco di quello, quanto della pervicacia dimostrata dall'FBI.

Ora, siccome io sono figlia di mio padre, ero lì lì per dirgli dove potevano infilarsi i loro soldi. Ma avrete capito che non è finita esattamente così.

Gli stronzi mi hanno gentilmente fatto notare le armi antidiluviane di cui dovevo accontentarmi, e come facessi fatica a sbarcare il lunario pur di finanziare la caccia, per non parlare delle difficoltà che incontravo nel dover conciliare l'ufficiale lavoro diurno con l'ufficioso lavoro notturno.


E insomma, per farla breve: mi hanno fatto un'offerta che non potevo rifiutare.

Così eccomi qua: Teresa Lisbon, agente speciale della sezione Anti-licantropi del SBI – Supernatual Bureau of Investigation, una roba tipo X-Files ma più burocratica – tessera AL004TL.

So a cosa state pensando: ciò implica che qui a Sacramento ci sono altri tre agenti che fanno il mio stesso lavoro. Be', tenetevi forte: esclusa Madeleine Hightower, l'agente-capo della nostra sezione, i miei colleghi si riducono a Wayne Rigsby, armaiolo, e Grace Van Pelt, infermiera.

Vi tolgo ogni dubbio: no, non sono cacciatori come me e, già, non hanno mai visto un licantropo in vita loro. Se ne deduce che il lavoro sporco lo faccio sempre io. Con l'aggravante di dover rendere conto al capo tutte le volte che faccio fuori uno di quei sacchi di pulci.

Come? Chi me l'ha fatto fare di lavorare per lo Stato? Mi hanno presa per fame, che vi devo dire...

Ma per lo meno adesso ho a disposizione armi di tecnologia avanzata e se mi faccio male so a chi rivolgermi senza temere troppe domande.


Papà non sarebbe contento di sapere che dipendo da qualcuno, ma lui non era una donna sola e poi aveva il chiodo fisso della vendetta che gli dava la forza per andare avanti. Per non parlare della sua bambina, la sua ragione di vita, la sua unica speranza... no, che avete capito, mica sto parlando di me. È della bottiglia di rum che parlo.

Frank Lisbon, leggenda delle leggende, erede di una delle più antiche famiglie di ammazza-licantropi, non è morto eroicamente battendosi contro il Male. Lui è morto in un letto di ospedale, dopo una lunga agonia dovuta alla cirrosi epatica.

Mio padre era alcolizzato e recidivo. E – sì, non lo nego – era anche violento. Vivere con lui era un inferno. Quando è morto ho pianto, per me che non ho mai potuto conoscerlo veramente e per lui che finalmente era libero dai suoi demoni.


Da allora la mia vita non è mutata granché. Vivo in un appartamento più piccolo e meno pulcioso, e ho un gatto di nome Coso. E continuo a spaccare il culo ai licantropi come mi ha insegnato papà.

Il fatto è che, assieme al talento per la caccia e un pessimo gusto in fatto di nomi, da lui ho ereditato anche una certa predisposizione alla vendetta. E che odio quegli schifosi mostri cannibali si è già capito, no?

Perché se io non ho mai conosciuto mia madre lo devo ad uno di loro. Uno che non è ancora stato trovato – per sua fortuna.

Ma adesso non guardatemi così: non sono un'anima dannata divorata dal terribile fuoco della vendetta. Sono solo una trentacinquenne single che cerca di dare un senso alla sua pazza vita.

E non me ne frega niente se uccidere chi mi ha resa orfana di madre non cambierà le cose, ok? Vorrei che certa gente lo capisse, invece di scassarmi le palle... che poi da che pulpito!

Parlo di Patrick Jane, ovviamente. Ex truffatore, ora prete dalla dubbia moralità, probabilmente il più grande tritacoglioni sulla faccia della terra. Il mio migliore amico.


Patrick ed io siamo cresciuti insieme. Vivevamo nello stesso quartiere e abbiamo frequentato le stesse scuole, giocavamo sotto casa e facevano i compiti insieme. È stato il mio primo amore, quello a cui ho dato il primo bacio: abbiamo resistito una settimana, poi siamo tornati ad accapigliarci e sputare dal balcone e girare in skateboard.

Tutto questo è durato finché papà non è tornato a prendermi. Quando ero piccola vivevo con mia nonna e lo vedevo solo per le feste, poi un giorno ha deciso che ero abbastanza grande da poterlo seguire nelle sue continue scorribande in giro per il Paese, alla disperata ricerca di chi aveva ucciso la mamma.

All'inizio era divertente. Quando ho cambiato scuola per la terza volta in un anno, ho cominciato a non trovarlo più così fico. In quel periodo sono scappata un sacco di volte e sempre con lo stesso risultato: andavo da Patrick, mio padre mi ritrovava e me le dava, lui stava male per me, io stavo male e basta. Le sue lettere sono state il mio unico conforto.

A diciotto anni riuscii ad imporre a mio padre di tornare a vivere a Sacramento. Ma allora era troppo tardi: Patrick si era già trasformato in una canaglia dal sorriso solare e dalla mente machiavellica. Lo tirai fuori di prigione più volte di quante ne ricordo. Non credevo che ci fosse speranza per lui e temevo di ritrovarlo accoltellato da qualcuno poco propenso a farsi fregare. Poi incontrò Angela.

Sapete com'è: l'amore ti cambia, per amore faresti follie bla bla bla. Be', non ci ho creduto finché Patrick non è venuto da me a chiedermi di fargli da testimone. Quel matto mise davvero la testa a posto, trovò un lavoro decente e si sposò. E fece tutto questo solo per Angela. Quando nacque Charlotte mi confessò che non riusciva a credere di essere così fortunato, lui che aveva fatto un sacco di puttanate nella sua vita.

Oh, so già cosa state pensando: che diavolo è successo? Perché è diventato prete? Be', è successo che il karma, amici miei, è una brutta bestia. Nel caso di Patrick, è una bestia formato lupo che gli ha portato via le sue donne.

Non mi dilungherò oltre su questo. Avrete già capito il motivo per cui ha preso i voti.


Per ovvie ragioni, Patrick è l'unica persona che sa del mio lavoro di ammazza-licantropi. Ed è anche l'unico che capisce fino in fondo il mio desiderio di vendetta, per quanto affermi di non condividerlo. Ma credetemi: conosco Patrick e so che se si trovasse davanti quelli che gli hanno tolto la sua famiglia, sarebbe più spietato di me. Alla faccia del collarino bianco.

Spesso vado a trovarlo e ogni volta mi stupisco di vederlo in questa sua nuova veste, lui che andava ai rave e si fumava le canne e ha perso la verginità a tredici anni. Ma tutto sommato non mi dispiace. Forse perché in fondo è rimasto sempre lui, il Patrick che mi faceva gli scherzi per tirarmi su quando mio padre mi menava.

Lui mi ascolta sempre e non so cosa avrei fatto se non mi fosse stato accanto. Non solo ai tempi della convivenza con papà, ma anche dopo, quando ho deciso di complicarmi la vita da sola andando dietro a certe teste di cazzo che...

Ok, no, è meglio se sto zitta.

Davvero, non ho la minima voglia di parlarne.

Oh, va bene, va bene!

La testa di cazzo succitata, al secolo Walter Mashburn, è un vampiro ed è il mio ex. Ed “ex” sta per “estinguiti xerofita (di merda)”. Tale quale un cactus: pungente e in grado di succhiarti anche l'anima. Letteralmente.

E il signorino non è mica un vampiro qualsiasi, eh – io non trovo mai persone qualsiasi. Walter è un Antico. Traduzione: una sanguisuga pluricentenaria, dotata di superpoteri e robe così. Mica pizza e fichi!

Siamo stati insieme quattro anni. E se ve lo state chiedendo, l'ho mollato io, chiaro? Quando ci siamo messi insieme sapevo che era un vampiro, ma non che fosse fedifrago e puttaniere.

L'ho odiato. E sopratutto ho odiato il fatto di non poterlo fare fuori. Innanzitutto perché è un Antico, e gli Antichi sono troppo cazzuti per esser fatti fuori da una qualsiasi ammazza-licantropi a tempo perso. Ma poi lui, come se non bastasse, è anche un Vampiro Bianco, cioè uno di quelli che non uccide nessuno per nutrirsi – una specie di vampiro vegetariano, ecco. E, insomma, ho un codice morale io e non posso spedirlo al Creatore solo perché mi ha tradita. Giusto? Giusto.


Vi chiederete come diavolo faccio a conoscere tutta questa gente assurda. La verità è che non lo so nemmeno io. Semplicemente me li ritrovo tra i piedi e, credetemi, non è facile liberarsene. Per niente.

Ci sono nata in mezzo ai casini e ormai sono anche abituata a conviverci. È un po' come avere un poltergeist in casa: all'inizio ti fa paura e poi è stressante, non riesci a dormire... però col tempo ci fai l'abitudine e dopo un po' non riesci più a concepire la tua vita senza, tanto che se la notte non sbatacchia le ante degli armadi cominci a preoccuparti.

E così sono riuscita a costruirmi una specie di routine in questa mia strana vita. La mattina mi alzo tardi e faccio le mie cose, poi dopo pranzo vado al “lavoro” e stacco a tarda sera, torno a casa, mi faccio una doccia e mi preparo. Da quel momento inizia la mia vera giornata.

La caccia si fa di notte, ovviamente. Non sempre è proficua, ma il lato positivo è che quelle bestie sono stupide e prevedibili.

Prima di tutto sfatiamo un mito: i licantropi si trasformano, sì, ma non solo durante il plenilunio. Ma ovviamente la Luna ha il suo fascino e ogni mese mi piombano addosso tutti insieme e mi tocca fare gli straordinari.

E poi, be', io sono geneticamente avvantaggiata. Quei sacchi di pulci sono dei bastardi pervertiti: essere donna fa di me una vera e propria esca vivente. Basta che il vento porti loro il mio odore e quelli, come degli idioti, corrono da me a farsi ammazzare.

Come ho detto, sono prevedibili. E ormai non so più se è un bene o un male. All'inizio, quando ero una giovane cacciatrice alle prime armi, la cosa non poteva che farmi piacere. Ma adesso... a volte trovo il tutto persino noioso e vorrei che si movimentasse un po'. Le notti passano senza che niente mi impressioni o mi stupisca più.

Troverò mai qualcuno un grado di tenermi testa? O sono davvero solo delle stupide bestie? Magari diventano idioti solo quando si trasformano... magari da normali sono dei geni laureati al MIT. Forse prima di ucciderli potrei tramortirli, aspettare che si ritrasformino e fare loro un test del QI per risolvere questo dilemma.

Ma anche no.

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Capitolo 3
*** Il cielo sopra Sacramento ***


Il cielo sopra Sacramento


Il lato seccante dell'essere un'ammazza-licantropi, è che non c'è pioggia o vento che tenga: te ne devi stare all'erta una notte intera, negli angoli più schifosi di questa putrida città, ad aspettare che qualche bestione puzzolente e sbavante ti piombi addosso con tutte le sue zanne.

E a volte prendi acqua per niente.

Così non va, Tess. –

Il lato seccante dell'essere me, è che hai sempre certi individui in mezzo alle palle.

Troppa energia negativa. –

Alzo gli occhi al cielo: – Che vuoi Walt? –

Sono venuto a trovarti. – dice con aria innocente.

Mi volto e incrocio il suo sguardo. Solo lui può restare figo anche così, arrampicato alla parete in quel modo innaturale.

Ed ecco che mi sfodera uno di quei suoi sorrisi capaci di stendere una santa.

Grazie. – gongola.

Finiscila. – gli ringhio contro.

Non lo sopporto quando si mette a leggermi nella mente.

Ti piaceva una volta. – lo sento dire mentre riprendo ad osservare i dintorni.

Si cambia. – ribatto a mezzabocca.

Già. – sospira lui.

Un rumore leggero m'informa che finalmente si è degnato di assumere una posizione più umana. È qui per parlare e a me non va per niente. Ho solo voglia di far saltare la testa a qualche bestia.

Non ti ruberò molto tempo. – dice conciliante e poi, con la sua solita coerenza, cambia discorso – Poco movimento stasera, eh? –

Sai com'è, le chiacchiere allontanano i pesci. – faccio sibillina, sperando che colga il messaggio.

Volevo solo... –

E proprio in quel momento, finalmente, si muove qualcosa.

Era ora! – esclamo trionfante, estraendo la lupara dall'imbragatura sulla schiena – Sta giù! –

La presa salda sull'impugnatura, punto le canne verso la figura deforme che si muove sul tetto del palazzo davanti a me. La pioggia mi gocciola in faccia dal cappuccio, strizzo gli occhi infastidita.

Merda! –

È troppo in alto, devi... –

Non dirmi come fare il mio lavoro! – sbotto correndo verso le scale antincendio.

Faccio gli scalini a tre a tre e arrivo sul tetto appena in tempo per vederlo atterrare sull'edificio affianco con un balzo. Il mio colpo va a vuoto e quello ovviamente è già sparito. Questo mi lascia solo un'opzione: l'inseguimento.

Merda! – sibilo.

Io odio gli inseguimenti: sono stancanti e noiosi.

E tu sei volgare. E monotona. – sento dire a Walt.

È dietro di me. Ovviamente non mostra il minimo segno di stanchezza: lo odio, l'ho già detto?

Vuoi piantarla?! – faccio esasperata – E dammi una mano, cazzo! –

Mi hai appena detto di non dirti come fare il tuo lavoro. – mi fa notare.

Braccia incrociate e posa rilassata. Quando fa così vorrei solo prenderlo a sberle.

Infatti io ti sto dicendo come fare, Walt. – ribatto assicurandomi il fucile sulla schiena e calcolando velocemente la parabola che dovrei fare per raggiungere il tetto di due edifici più in là – Lanciami. –

Tess, l'ultima volta che ci abbiamo provato... –

Ho detto lanciami! –

Un attimo dopo mi sento afferrare per la vita. L'accelerazione improvvisa mi toglie il fiato. Le mie gambe si agitano nel vuoto mentre i palazzi sotto di me si fanno di colpo piccoli e poi di nuovo vicini, sempre più vicini...

Ouch! –

Atterro sul cemento freddo e rotolo, tirando giù tutti i santi. Estraggo di nuovo il fucile e lo punto contro il nulla.

Walt si è già materializzato lì: – Stai bene? –

Dov'è andato? –

Con un gesto affettato indica la strada oltre il parapetto: cinque metri sotto di noi, il licantropo si sta allontanando. Sta per uscire dal quartiere e inoltrarsi in una strada frequentata, e io non posso permetterlo.

Guarda che non ti lancio di nuovo. – mi avverte.

Mi arrampico sul parapetto e lancio un'occhiata critica giù: – Ce la faccio. –

Almeno ti trovo a casa più tardi? – mi chiede allargando le braccia.

Ciao ciao Walt! – lo saluto ghignate, prima di balzare via.

~~~

Santo cielo, Tess, ma che hai fatto per ridurti così?! –

Non rispondo, tanto so che sarebbe inutile. Grace lavora con me da anni e ancora non ha capito che lottare contro i licantropi implica farsi la bua.

Non hai nemmeno un pezzetto sano! – esclama esaminando la mia malconcia anatomia.

Resta qui. – mi ingiunge con quella che secondo lei dovrebbe essere un'aria truce – Non ti muovere. –

Sissignora! –

Tira la tenda e si allontana. Esausta, mi stendo sulla brandina e chiudo gli occhi... solo per essere subito seccata da qualcun altro.

Lisbon. –

Signora. – borbotto riconoscendo la voce della Hightower.

Cazzo, ma questa donna non dorme mai?!

Ha consumato undici cartucce per un solo soggetto. – dice sfogliando una cartella.

Soggetto. Lei li chiama così: “soggetti”.

Era veloce. – mi giustifico – E pioveva. –

E c'era quel coglione di Walt a mettermi i bastoni tra le ruote.

La Hightower chiude la cartella e mi fissa.

Non le devo ricordare quanto ci costa in denaro e fatica ogni singolo proiettile all'argento liquido, vero? – fa in tono pericolosamente tranquillo.

No, signora. – rispondo stancamente – Ci pensa già Rigsby. –

Per l'appunto. – replica lei prima di allontanarsi – Sarà lei a comunicargli che dovrà rifornirla di un altra partita. –

Mi strofino gli occhi e rispondo con un flebile “Sì, signora”. La Hightower finalmente mi lascia in pace e in quel momento torna Grace. Com'è che mi sembra di essere caduta dalla padella alla brace?

Tesoro! – esclamo con un sorriso forzato – Che mi dici? Con Wayne come va? –

La vedo arrossire: colpita nel segno. Se sono fortunata riuscirò a deviare il discorso.

Non mi freghi. – fa lei con voce stridula.

Ok, come non detto.

Adesso mi spieghi come hai fatto ad incrinarti due costole. – mi ordina mentre si appresta a ricucirmi – Sembra che ti abbiano scaraventata giù da un palazzo. –

Be', devo concederle che ci ha quasi azzeccato. Solo che non posso dirle di Walt: non è il caso che la sezione Anti-vampiri venga a sapere che un'agente del SBI ha avuto una tresca con un succhia-sangue. Mica per altro, Walt sarebbe perfettamente in grado di tenerli a bada... sarebbero loro a vedersela brutta se si mettessero contro un Antico.

Sai com'è, quando ti piomba addosso un quintale di bestia... – ribatto stringendo i denti sotto l'ago.

Sono stufa di rattopparti. – fa nervosa.

È il mio lavoro, Grace. – sbuffo – Ed è anche il tuo: se non mi facessi male saresti disoccupata. E non avresti conosciuto il tuo Wayne. –

Mi guarda malissimo e non dice niente. Ho esagerato? Quando mi punge con l'ago fino a strapparmi una bestemmia, capisco che sì, stavolta ho proprio esagerato.

~~~

Non dirmelo. –

Guardo Wayne negli occhi e mi sento improvvisamente colpevole. Di tutte le persone che mi ronzano intorno in questo stramaledetto lavoro, lui è l'unico che non rompe e ogni volta mi dispiace venire qui a seccarlo.

Allargo le braccia: – Era tosto. –

Lo ammetto, con le scuse sono davvero penosa.

Me l'hanno detto. – sospira lui e mi fa un sorriso – Centotrenta chili, complimenti. –

Ci diamo il cinque. Mi ha già perdonata: lo adoro.

Mi siedo sul bancone: – Il record di centocinquanta è ancora imbattuto. –

Non sarà così per molto. – dice con sguardo ammiccante.

Cos'hai di nuovo per me? –

Sparisce un momento sotto il bancone e ne riemerge con un fucile, un modello nuovo. Me lo porge e resta in attesa della mia reazione.

Non ho mai visto niente del genere. – commento senza fiato.

Perché è unico. – fa lui, eccitato come un bambino – Ti ricordi cosa mi dicevi? Che il rinculo ti faceva perdere tempo e che la gittata era troppo breve... –

Annuisco e lui mi indica orgoglioso tutti i particolari: – Vedi? In questa maniera il contraccolpo si attutisce e ha una gittata massima di centocinquanta metri. –

Fico! – esclamo maneggiandolo – Ed è leggerissimo! –

È fatto apposta per una nana come te. – ribatte lui scompigliandomi i capelli.

Taci, non tutti sono un incrocio tra un gigante e una valchiria! – lo rimprovero, per poi addolcirmi immediatamente – Grazie Wayne, è... semplicemente perfetto! –

Lui mi fa un buffo inchino: – Per servirla. –

~~~

A casa mi aspetta Coso, miagolante e disperatamente affamato come sempre. Mi slaccio l'imbragatura, e lascio fucile e cartucce nel baule di papà, sull'ingresso.

Sì, sì, adesso... – mugugno togliendomi il cappotto e stiracchiandomi.

Gli riempio la ciotola con la sensazione di essere presa per il culo: è sempre più grassa questa palla di pelo.

Lo accarezzo distrattamente e butto un occhio all'orologio: sono le quattro. Ho bisogno di una doccia e di dormire – sopratutto di dormire. Mi annuso: rettifico, ho decisamente bisogno di una doccia.

Sono in mutande e canottiera, i capelli ancora bagnati, pronta per infilarmi a letto per il meritato riposo, quando sento il tipico picchiettare alla finestra. Impreco tra me: l'avevo dimenticato. Che palle...

Vedo che non sei affatto cambiata: difetti sempre di memoria. –

Mi siedo sul davanzale della finestra, le braccia incrociate sul petto.

E tu sei il solito invadente, Walt. – ribatto – Allora? –

Mia cara, devo metterti a parte di alcune... – si blocca e tasta il vuoto davanti a sé.

Lo guardo con un sopracciglio inarcato, trattenendo una risata.

Patrick è stato qui? – dice seccato e stupito.

Gli ho fatto benedire l'appartamento giusto un mese fa. Fortunatamente almeno in questo Walt è identico ad un qualsiasi vampiro: certe regole valgono per tutti.

Perdonami, ma non è che fossi molto rilassata all'idea che tu avessi libero accesso a casa mia. – faccio sarcastica.

Si porta una mano al petto e mi guarda addolorato: – Ciò mi ferisce profondamente. –

Non mi smuovo di un millimetro.

Andiamo Tess, dammi il permesso di entrare. – mi fa mellifluo come un serpente.

Ma ormai non casco più nei suoi trucchetti.

Possiamo parlare tranquillamente anche così. – dico impettita.

Ma è scomodo. – protesta.

Per me, forse. – scrollo le spalle – E questo significa che ti devi sbrigare. –

D'accordo. – sospira – C'è un po' di agitazione ai piani alti. –

Mi acciglio: – Di nuovo lotte tra clan? –

Oh, no. – sorride appena – Si stanno ancora leccando le ferite dall'ultima guerra dinastica. –

È il governo che ci preoccupa. – aggiunge tornando serio.

Cosa? – faccio stupita – Hanno violato l'accordo? –

Non sappiamo cosa stanno combinando, ma non è niente di buono. – spiega.

Non ho sentito alcuna voce di dissidi tra il governo e i vampiri. L'accordo stipulato all'inizio del secolo è stato rinnovato pochi anni fa, con qualche modifica che non ha intaccato il succo: il governo non intralcia i vampiri, finché questi si limitano a nutrirsi dello stretto necessario e non vampirizzano più di un certo numero di persone all'anno.

E sappiamo che ha a che fare con i licantropi. – lo sento precisare.

Sgrano gli occhi: – Questo non è possibile. –

Licantropi e vampiri appartengono a mondi completamente diversi e, in un certo senso, addirittura opposti. Sono da sempre rivali nella caccia e questo ovviamente ha creato un mucchio di casini, che nei millenni si sono tradotti in guerre sanguinarie. Alla fine le due parti sono arrivate alla conclusione di avere la stessa forza, il che impedisce di stabilire un vincitore. Ne è seguita una tregua a tempo indeterminato, che nessuno ha alcuna intenzione di rompere.

Walt ed io ci guardiamo e capisco che sta facendo le mie stesse considerazioni, ma è comunque turbato. A dire il vero, non l'ho mai visto così teso in vita mia.

Se tra i vertici dei licantropi si stesse muovendo qualcosa, lo saprei. – considero – Non posso dire lo stesso del governo, però. I federali sono delle merde. –

Per una volta concordo con la tua triviale definizione. – sogghigna – Non è detto che i vertici siano coinvolti. –

Sono stupidi, ma non fino al punto di farsi manipolare. – ribatto, incredula – Hanno degli accordi anche con loro, lo sai. –

E tu sai che questo non è mai servito ha fermarli. – replica senza guardarmi.

Sì, lo so bene. Ne ho sentito parlare quando sono entrata al SBI e Walt mi ha raccontato la storia. Solo una volta, ma non la dimenticherò mai.

Verso metà secolo il governo, con l'assurda convinzione di poterla avere vinta, fece uno scherzetto ai vampiri: con la complicità di una spia, tesero una trappola ai capi clan in riunione. Vennero massacrati tutti. Questo, ben lontano dall'indebolire i vampiri, li rese furiosi. Oltretutto avvenne un crollo del potere interno: l'anarchia durò per decenni, fino a che finalmente non si stabilì un nuovo assetto di potere. E la prima cosa che fecero fu una spedizione punitiva. Walt, che nell'agguato aveva perso una sua Figlia di Sangue, vi partecipò con estremo entusiasmo.

Da allora il governo ha imparato la lezione. O forse no? A pensarci bene, con i licantropi non ci hanno ancora provato.

Cosa vuoi che faccia? –

Walt alza lo sguardo su di me. E per un momento il flusso dei nostri pensieri si unisce e sento tutto l'affetto che ancora prova per me e una sconfinata preoccupazione per qualcosa che non mi è dato sapere. Ma è solo un momento, appunto: sono cose che capitano quando tra te e un Antico c'è stato qualcosa di così profondo. Esiste un legame tra di noi, e nonostante tutto non si spezzerà mai – è un fatto che mi sono messa via da tempo.

Vorrei che stessi attenta. – mi dice semplicemente.

Annuisco. Non mi è mai piaciuto questo suo modo di fare paternalistico e iperprotettivo, e lui lo sa bene, ma comprendo che agli occhi di supervampiro di cinquecento anni io debba apparire debole e indifesa come un pulcino.

Walt abbassa gli occhi e quando li rialza capisco che vorrebbe aggiungere qualcosa, ma che non può – o non vuole. Non mi da fastidio: lui ha i suoi segreti e col tempo ho imparato che ficcanasare nella vita degli altri non è così proficuo. Sopratutto quando si stratta di creature soprannaturali.

Tess, tu sei speciale. –

Sorrido tra me, colta da una specie di nostalgia.

Me lo dicevi sempre. – sussurro.

Allungo la mano oltre la finestra – oltre la barriera invisibile ricreata da Patrick – e gli consento di prenderla tra le sue.

Era vero. È vero. – dice stringendola e baciandola piano – Io... ti scongiuro, non fidarti di nessuno. E chiamami se avessi bisogno di aiuto. –

Ancora una volta sento che vorrebbe dirmi altro, ma che si sta trattenendo. Mi lascia andare la mano con occhi speranzosi.

D'accordo. – lo rassicuro – Se sento qualcosa di strano sarai il primo ad essere informato. –

Lui annuisce, l'aria un po' più tranquilla.

Buonanotte, Tess. –

Il tempo di rispondere al suo saluto ed è già svanito nel nulla. Scuoto la testa: sempre teatrale, lui.

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Capitolo 4
*** Incontri ravvicinati del quarto tipo ***


Incontri ravvicinati del quarto tipo


Non è da molto che sto dormendo. Coso mi ha svegliata balzandomi sul petto e miagolando fastidiosamente. Lo guardo truce: ma che gli prende?

Lo spingo via mugugnando qualcosa di indistinto e mi rigiro dall'altra parte. Ovviamente non si arrende: me lo ritrovo che mi gira attorno alla testa, soffocandomi con tutto quel pelo e quella ciccia.

Ma porc...! –

Un rumore dal soggiorno ci fa immobilizzare entrambi. Coso schizza in un angolo della stanza, le orecchie basse e il pelo ritto, soffiando come un matto. Non l'ho mai visto così.

Deglutisco a vuoto. Estraggo da sotto il cuscino la Magnum 38 di papà, caricata con i cari, vecchi proiettili di argento puro, e mi alzo cauta. Avanzo nel buio della stanza, l'arma impugnata nelle mani tremanti e il cuore che inizia a pompare furioso. Probabilmente è solo un ratto nelle tubature – ce ne sono un sacco in questo palazzo decrepito – ma i discorsi di Walt mi ronzano ancora in testa.

Il soggiorno è vuoto e silenzioso come l'ho lasciato. Si sente solo il mio respiro veloce nel buio. E poi eccola, la sento: quella scarica. Mi succede sempre quando nei pressi c'è uno di loro.

La presa sulla pistola si fa improvvisamente sicura, il cuore riprende un ritmo regolare. Quello che mi agita è l'ignoto, ma quel nemico io lo conosco, so come affrontarlo.

La finestra è socchiusa. Ed è lì che mi aspetta, sul cornicione. Deve essere sulla sinistra: è il punto più favorevole, meglio protetto e meno illuminato, adatto alla fuga.

Veloce e decisa, Teresa. Nessuna esitazione, dai. Adesso spalanchi la finestra, punti a sinistra e fai fuoco. La Highotwer mi rimprovera sempre che prima di premere il grilletto dovrei controllare se c'è qualcuno da colpire, che sennò spreco proiettili. Ma papà mi ha insegnato così e questo mi ha salvato il culo un sacco di volte. Papà 1 – Hightower 0.

Ok, come non detto. Hanno appena pareggiato.

Per la seconda volta in ventiquattr'ore, è al vuoto che sparo. Ritiro la pistola, confusa. Ed è lì che commetto l'errore più stupido: non controllo a destra.

Quando noto il movimento è troppo tardi. Una mano grande e forte ha già afferrato il mio polso. Mi torce così violentemente il braccio dietro la schiena, che con un rantolo di dolore devo mollare la pistola. La guardo cadere giù agghiacciata: assieme a lei se ne va via l'unica possibilità di cavarmela.

È finita. Mi viene da gridare ma non posso: verrebbero coinvolti dei civili. Mi mordo il labbro, ingoiando il terrore, e attendo.

Non sono abbastanza lucida da notare l'ovvio: chiunque mi stia attaccando non è trasformato. Me ne rendo conto solo quando mi preme un braccio sulle spalle per sbattermi contro il muro. Soffio tra i denti: nel movimento brusco mi si sono riaperti i punti sulla schiena, giusto per gradire.

È forte, così forte che anche se ci provo mi è praticamente impossibile liberarmi. Non è licantropo, non è umano, non è vampiro – mi avrebbe già morsa e non sarebbe così caldo. E allora cosa diavolo è?!

Cosa sei? –

La voce mi esce strozzata per il fiato corto e il dolore. Mi sento afferrare per i capelli e tirare la testa indietro: non vedo il suo volto, sento solo il suo respiro sulla spalla e sul collo. Mi sta annusando? Mi viene la pelle d'oca.

Tu cosa sei? – ringhia.

Non posso muovermi, non ho idea di cosa mi stia attaccando e sono sospesa su un cornicione a venticinque metri d'altezza. Oh, e oltretutto piove. Mi sa che Grace avrà molto da ridire.

Teresa Lisbon, agente speciale dell'Anti-licantropi. – ribatto a denti stretti – Con chi ho il piacere di parlare? –

Loro mi chiamano Alfa-7. –

Loro chi? – riesco a chiedergli col fiato rotto.

Ci metto un po' a rendermi conto che ha smesso di stringere come prima. Faccio per voltarmi, quando è lui stesso a prendermi e girarmi.

Peggio di prima: sono schiacciata tra il muro e il suo corpo, con un braccio largo quanto il mio torace che mi tiene bloccate le spalle, e le mani immobilizzate in una morsa d'acciaio. Con questo buio e l'acqua che ci scroscia attorno non vedo un cavolo, sento solo un guizzare di muscoli tesi e respiri forzati sotto i vestiti bagnati.

Quelli che mi hanno fatto questo. –

Alza un braccio e lo rivolge alla debole luce del lampione, come a mostrarmelo. Sulla pelle pallida dell'avambraccio è tatuata la sigla che mi ha appena detto. Non ci sto capendo niente.

D'improvviso lo sento irrigidirsi e fiutare l'aria.

Sono qui. –

Mi lascia andare bruscamente e io barcollo, per poco non cado giù. Mi aggrappo allo stipite della finestra e lo vedo balzare al lato opposto. Scruta la strada sotto di noi, appeso al cornicione come un gargouille.

Chi è qui? – gli urlo, tremante di freddo e paura – E cosa diavolo sei tu? –

Lui si volta e mi fissa. E finalmente, illuminato dalle luci della strada, riesco a distinguere i suoi lineamenti. Ho la netta sensazione che non me li toglierò più dalla testa.

Io sono come te. –

Nemmeno faccio in tempo a chiedergli di cosa diavolo sta parlando, che è già saltato giù.

Ehi! – grido esasperata – Ma che cazzo...?! Torna qui! –

E poi mi rendo conto che sto strillando al vuoto, da sola, sul cornicione, in pigiama. Altro? Ah, sì, sta piovendo. Che giornata di merda.

Incespicando riesco a rientrare in casa. Tutte a me, cazzo. Tutte. A. Me.

Mentre mi asciugo davanti al termosifone, avvolta nell'accappatoio, con Coso che mi ronfa sulle ginocchia, mi chiedo cosa mai dovrei fare adesso. Be', in questi casi s'è solo una persona a cui rivolgersi.

~~~

È così che spendi i soldi dei contribuenti? –

Patrick e il suo adorabile moralismo. Queste Blahnik tacco 12 me le sono meritate tutte. Sfodero il mio sorriso migliore e sfarfallo le ciglia.

Ho avuto un lunedì di merda. – faccio in tono zuccheroso – Quindi fanculo. –

Mi volevi vedere per le scarpe? – ribatte lanciando un'occhiata alla busta – Sono un prete, non il tuo amico gay. –

Schiocco le labbra: – Be', non è che ci sia tutta questa differenza. –

Disse la zitella inacidita che se la faceva con un pipistrello deviato. –

Ti ho già mandato a fanculo? –

Altrettanto, cara. –

Lo dice con la stessa voce che usa per le benedizioni e questo mi fa ridere ogni volta.

A proposito di Walt... – inizio prendendolo sottobraccio.

Cos'è successo? – sospira lui.

Sediamoci. – faccio indicando un locale lì vicino – Ho bisogno di un caffè. –

Tu bevi troppo caffè. – eccolo che comincia, come sempre – Il the è molto più sano. O anche le tisane. The verde e ginseng, direi... sì, sarebbero ideali nelle tue condizioni, perché hai bisogno di riequilibrare... –

Patrick? –

Sì? – s'interrompe – Ti sto riequilibrando i coglioni? –

Vedo che ci capiamo. –

Dieci minuti dopo, gli sto finendo di raccontare dello strano dialogo con Walt e del mio incontro notturno.

Fammi capire. – fa lui perplesso, intrecciando le mani sul tavolino – Walt ti mette in guardia e guardacaso la notte stessa fai la conoscenza di questo... questo... –

Questo. –

Sì, bene. – si schiarisce la voce e mi guarda di sfuggita – Non è una bizzarra coincidenza? –

Non crederai che Walt c'entri qualcosa? – salto su – Perché è uno stronzo, va bene... anzi, un grandissimo stronzo, ma... –

Concordo. Sullo stronzo, dico. – mi fa roteando la tazza di the per dare enfasi alla frase – E anche sul grandissimo. È davvero... –

Sì, ok, abbiamo stabilito che è... –

Annuisce convinto.

Un grandissimo stronzo. – declamiamo in coro.

Già, ma non mi metterebbe mai in pericolo. – aggiungo seria.

Ci guardiamo e Patrick non trova niente da ridire. E vorrei ben vedere. Sappiamo bene quello che Walt ha fatto per me, come si è sempre preoccupato che io non venissi disturbata dai suoi “colleghi”. E non è che tutte le sue amichette hanno avuto questo trattamento.

Non ti ha detto tutto. – mi fa Patrick d'un tratto – Sono rassegnato all'idea che di lui ci si possa fidare, ma questo non vuol dire che non sia capace di fare delle cazzate. Fatti dare delle spiegazioni. –

Da Walt? Pff... – lo guardo scettica – Lo sai che è l'individuo più reticente al mondo. –

E tu lo sai che non mi stancherò mai di dirtelo. – sghignazza sommessamente – Te l'avevo detto. –

Dondolo la testa e muovo le labbra sulle sue parole.

Rompipalle. –

Strega. –

Checca. –

Zitella. –

~~~

Al dipartimento non si muove foglia. Fila tutto come al solito e quasi ne sono stupita, ma d'altra parte che cosa mi aspettavo di vedere? Gruppetti di federali che complottano agli angoli lanciando occhiate sospettose qua e là? Ma per favore...

Il problema è che sono giorni piattissimi e questa notte in particolare non passa mai. Ho lucidato la lupara nuova fino a farla brillare. Ho contato sei volte i proiettili. Ho persino riordinato la mia scrivania!

La vita d'ufficio mi sta uccidendo. Vado nel cucinino ad affogare le mie frustrazioni nell'ennesimo caffè della nottata.

Ma si può sapere che ha? –

È Wayne che borbotta. E a giudicare dal profumo che sento, sta parlando con Grace.

E infatti eccola sussurrare: – Sono tre notti che non riceviamo nemmeno una chiamata... e, be', lo sai com'è, no? A stare ferma s'innervosisce, lei. –

Ma è strana, cioè... nel senso... –

Più strana del solito? –

Già. Ha fatto anche a te domande senza senso? –

Sì. Pensi che...? –

Guardate che vi sento. – sibilo tra i denti.

I due si dileguano in fretta. Scuoto la testa e sorseggio il mio caffè.

Lisbon. –

Ingoio in fretta bruciandomi il palato e salto su.

Signora? –

La Hightower mi scruta attenta: – Venga con me. –

Mi sgonfio: e io che speravo in una chiamata. Oltretutto non mi piace nemmeno un po' quel suo cipiglio. Non che lei normalmente sia giuliva come una suora in gita al Vaticano, ma in questo momento sembra una tigre in sindrome premestruale.

Quando mi guida verso la sala riunioni e dentro ci trovo uno spiegamento di colletti bianchi, capisco come mai ha quell'aria.

Un tizio coi capelli grigi si alza salutandoci con un grave “Signore”. Mi siedo nell'unica sedia libera, tra lui e la Hightower, e guardo curiosa tutti quei federali inamidati. Sembrano tanti manichini da crash test – per lo meno, l'espressione denota la stessa intelligenza.

Il tizio si schiarisce la voce e inizia a parlare: – Negli ultimi tre giorni si è verificato un repentino quanto inspiegabile calo delle aggressioni da parte dei licantropi. –

Ah, l'avete notato anche voi. – faccio, ignorando lo sguardo allarmato che mi lancia la Hightower – Perché ci stavo proprio pensando e... –

Agente, il suo lavoro non è pensare. – mi tronca lui.

Davvero? In effetti in questo momento non avrei bisogno di pensare per estrarre la Desert Eagle dalla cintura e farti saltare il cervello.

Abbiamo ragione di credere che la causa di questa apparente calma sia l'arrivo in città di un maschio alfa che ha sconvolto gli equilibri interni. – continua il coglione – Luci. –

La sala si fa scura e il proiettore si accende contro la parete bianca davanti a noi. Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva, perché il tizio ritratto in quella foto è esattamente quello con cui mi sono scontrata un paio di notti fa.

Ma ho la sensazione che non sia il caso di farlo sapere a loro. Sangue freddo, Teresa. Adesso ti daranno due o tre informazioni – probabilmente false – e poi ti sbatteranno fuori dicendoti di riportargli la sua pelle.

Kimball Cho, trentasei anni, origini coreane, nato e cresciuto a Reno. –

Ed ecco la balla numero uno: quel tizio aveva un accento assolutamente californiano.

I colleghi del Nevada ci hanno informati che era in custodia presso di loro prima che riuscisse a scappare. –

Mi mordo la lingua: adesso che fanno, mi tirano scema? Da quando in qua i licantropi “si prendono in custodia”?

Pare che il soggetto avesse delle informazioni su una nuova nidiata fuori degli accordi governativi. –

Seconda balla: nessun licantropo, per quanto torturato o allettato da ricompense, tradirebbe mai i suoi fratelli di branco.

Sappiamo che è in zona e ci è stato chiesto di catturarlo vivo. Gli è stato impiantato un chip di localizzazione, ma è riuscito a rimuoverlo. L'unico segno particolare risulta essere il tatuaggio di identificazione che gli è stato assegnato dodici anni fa, come a tutti i maschi alfa dei branchi. –

Ora il proiettore mostra un ingrandimento dello stesso tatuaggio che ho visto sul braccio del tizio.

Terza e quarta balla, una dietro l'altra. Prima di tutto i licantropi – tutti, nessuno escluso – hanno un segno particolare che li accomuna: la cicatrice del morso, che nel caso degli alfa di solito sta sulla spalla. E poi il tatuaggio: quello che ho visto quella sera era chiaramente leggibile nonostante la pioggia e la luce scarsa, quindi doveva essere stato fatto da poco, forse nemmeno un mese. Ma facciamo finta di niente, che è meglio.

Se è un alfa ci saranno presto lotte di territorio fra branchi. – intervengo, ostentando tranquillità – Ha già trovato un beta? –

Le luci si riaccendono e scopro che i federali mi stanno tutti guardando. Li odio quando fanno così: sembrano dei piccioni in attesa che ti giri per poterti cagare in testa.

Non siamo in possesso di queste informazioni. – dice il tipo coi capelli grigi, con l'aria di chi invece avrebbe un sacco di informazioni – È per questo motivo che lei andrà in avanscoperta e lo stanerà. –

Mi acciglio: – Stanarlo? Io li uccido quelli come lui. –

Forse non ha capito: ci serve vivo. – ribadisce – Quando l'avrà trovato ci penseremo noi. –

Alzo le mani: – Qui comandate voi. Posso andare? –

Quello lì si alza e gli altri lo imitano. Tutti insieme, come tanti robot. La Hightower mi fa strada fuori della sala riunioni, fino al suo ufficio. È silenziosa e potrei giurare di vedere sulla sua testa una nuvoletta scura che manda fulmini.

Passando davanti al bullpen vedo Grace e Wayne che chiacchierano: mi guardano interrogativi e io mimo “aiuto” con espressione disperata.

Il mio capo chiude la porta e si siede alla scrivania sospirando come un mantice. Mi ficco le mani in tasca, tutta nervosa.

Avevo una gran voglia di vedere se i proiettili d'argento funzionano anche sulle teste di cazzo! – sbotto d'un tratto.

La Hightower mi fulmina con lo sguardo. Evviva la solidarietà!

Basta così. Non intendo tollerare oltre il suo comportamento. – dice in tono duro – È seccante doverglielo ripetere, ma lei ha creato parecchi problemi alla sezione e questo è un caso che non ammette errori. –

Sì, signora. –

Prende carta e penna, e si mette a scrivere. Com'è che improvvisamente mi sembra di essere tornata al liceo?

Il dossier completo del soggetto. – spiega infilando il foglio in una cartella – Al lavoro. –

Me la porge fissandomi con sguardo penetrante. Borbotto un altro “sì, signora” e sgattaiolo via.

Banana Yoshimoto

Plafoniera

Notte stellata

Leggo e rileggo quelle parole, dondolandomi sulla sedia alla mia scrivania. Alla fine decido che non posso starmene tutta la notte a rimuginare sui messaggi criptici del mio capo. Piego il foglietto e lo nascondo in una tasca dei jeans, ripongo il dossier nel cassetto e afferro il cappotto.

Una chiamata? – mi fa Grace.

Scuoto la testa: – Vado a pattugliare un po'. Se succede qualcosa il numero ce l'avete. –

Indosso l'imbragatura e tiro le cinghie, assicurandomi la lupara.

E mentre aspetto l'ascensore, mi trovo a pensare che se la Hightower voleva comunicarmi qualcosa – magari importante pure – non poteva trovare elemento peggiore di Banana Yoshimoto: quel poco che ho letto di lei non mi è piaciuto. Tempo fa mi è stato regalato un suo libro e non ricordo nemmeno la trama, ho finito di leggerlo per una questione di principio e da allora l'ho lasciato lì, su una mensola della libreria, a prendere polvere... non lo tocco da almeno...

Cazzo!

Le porte dell'ascensore di aprono, ma io non ci faccio caso, imbambolata come sono. Devo fare un salto a casa – subito. O forse no? Mi guardo attorno con una punta di apprensione. Adesso sono tutti convinti che passerò il resto della nottata fuori.

Mi sporgo verso una finestra: non piove più.

Wayne, secondo te pioverà ancora? – gli chiedo speranzosa.

Lui guarda fuori con aria critica e poi scuote la testa: – Non credo, perché? –

Ouf! – sbuffo indicando gli stivali – Passo da casa e mi libero di questi! –

Lui scrolla le spalle. Io sogghigno tra me: sono un genio del male.

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Capitolo 5
*** Tess ti presento Kim ***


Tess ti presento Kim


Ne ho fatte di cose strane nella mia vita, credetemi... ma entrare nel mio appartamento armata fino ai denti come se stessi facendo irruzione in un covo di mafiosi, be', mi mancava.

C'è Coso che non miagola come fa di solito, il che non fa che aumentare la mia ansia. Potrebbe essere sul divano a fare un pisolino... sì... devo autoconvicermi sia così. Intanto fai come se niente fosse, Tess... naturale, sciolta, come sempre. Se la Hightower voleva suggerirti quello che immagino, in realtà non hai niente da temere là dentro. Non ancora almeno. E tu non devi dare l'impressione che sia così.

La serratura fa un rumore assordate. Appena apro la porta Coso mi viene incontro facendo le fusa e questo un po' mi rincuora. Gli faccio una coccola veloce, mollo la lupara e il cappotto sul baule, e avanzo con la sola pistola in pugno.

Banana Yoshimoto

Plafoniera

Notte stellata

Mi guardo intorno circospetta. Il primo obbiettivo sarebbe alla mia destra, ma le scarpe sono in camera da letto. Salto la libreria e vado di sopra.

Pur di non mollare la pistola, mi sfilo gli stivali coi piedi e infilo le scarpe con una mano sola. Fatto: l'alibi è perfetto.

Adesso girati. È proprio lì, dietro di te. La Notte stellata di Van Gogh.

Mi metto in ginocchio sul letto e la osservo sospettosa, le mani sui fianchi e la pistola sempre in pugno. Quella stampa l'ho comprata ai tempi del liceo, è stata la prima cosa che ho appeso in questa casa, prima ancora dell'orologio in cucina.

Trattengo il fiato e mi avvicino, la scruto da ogni angolazione. Sopra, sotto, di lato: niente. Allungo una mano e, cominciando a sentirmi un po' scema, la sollevo delicatamente dal muro. Non si vede un cazzo, ovviamente. Apro il cassetto del comodino e ne estraggo una pila, l'accendo e me la stringo tra i denti, puntandola sotto il quadro.

Non ho più bisogno di ricordarmi di trattenere il respiro. Io non lo so che diavolo è quella roba lì, non ho mai visto una cosa del genere in vita mia. Ma qualcosa mi dice che quella è proprio una cimice.

Mi tremano le mani quando riappoggio il quadro alla parete. Chiudo gli occhi e faccio un bel respiro. C'era da immaginarlo, no? Con quegli stronzi dei federali, che si fanno la guerra anche tra di loro e ti incriminano se prendi il decaffeinato...

E adesso che cazzo faccio? Mi sta venendo la nausea... inspira ed espira, inspira ed espira...

Quanto rumore che fa il mio respiro. Non c'è un po' troppo silenzio? Spalanco gli occhi e stringo la presa sulla pistola.

Mi butto all'indietro sul materasso e gli punto la pistola contro. Non si muove. Sono stata in situazioni ben più svantaggiose, ma mirare a testa in giù non è affatto comodo.

E lui continua a non muoversi. Le braccia lungo i fianchi, mi osserva in silenzio. E non posso parlare e se lui parla so che saremo fregati e io non saprò un cazzo di quello che sta succedendo.

Che situazione di merda!

Comincio a sentire le braccia intorpidite, quando finalmente si muove. Fa un passo e io aggiusto la mira. Un altro passo, tolgo la sicura. Si china su di me e sento il materasso inclinarsi ai lati, dove poggia le mani.

Gli punto la canna al centro del petto. Inclina la testa di lato e mi guarda. Non ho mai visto occhi così neri. Mi sforzo di non battere ciglio, come se potesse servire a congelarlo sul posto.

Ad esser sincera, mi sento un po' cretina. Se avesse voluto uccidermi ci avrebbe già provato. Non che ci riuscirebbe, ma mi farebbe un sacco di male. Ci faremmo un sacco di male a vicenda, garantito al limone.

Ok, sembra che siamo finiti in una specie di mexican standoff in pieno stile pulp. Mi verrebbe da ridere, se non fosse che mi sto cagando sotto dalla fifa. Alzo le sopracciglia e lui risponde con una buffa smorfia. Stacco la canna dal suo petto e allontano piano la pistola, tenendolo comunque sotto tiro.

Osservo i suoi movimenti cauti. Si siede ai piedi del letto e mi guarda curioso dall'alto. Prima che possa parlare, mi porto un dito alle labbra. Batte la palpebre e resta in attesa.

Ok, fantastico... e adesso che ci faccio con un ricercato federale in camera da letto? E niente battute, grazie.

Mi metto a sedere e gli faccio cenno con la pistola. Lui si alza e mi precede in soggiorno. Cerco con gli occhi qualcosa – qualsiasi cosa – che ci permetta di comunicare. Alla fine afferro un post-it e una penna.

ci sono delle cimici

Glielo passo.

non mi dire

Uh, fa anche lo spiritoso!

Glielo strappo dalle mani e scrivo stizzita: vuoi parlare o preferisci una pallottola in fronte?

Per tutta risposta, lo vedo accartocciare il post-it e lanciarlo nel cestino. Si alza e se ne va, e io non posso fare altro che afferrare il cappotto e andargli dietro. Si prospetta una bella seratina.


Fuori fa freddo e tira vento. Mi stringo nel cappotto e rabbrividisco a vederlo in maglietta. Lo guardo scotendo la testa: non è un comportamento da alfa, così attira l'attenzione.

Cosa?fa lui atono.

Siamo a dicembre. – borbotto lanciandogli un'occhiata critica.

Tu hai una pistola.mi fa notare.

Già, be'... non ha tutti i torti. La metto via ed entriamo in un locale. Non è che sia molto a mio agio a girare in mezzo a dei civili con una bestia del genere, per cui resto in piedi e lo guardo palesemente scettica. Lui si siede e resta in muta attesa.

Ok, se continuiamo così non ne usciamo.

Mi siedo davanti a lui con un sospiro. Segue un interminabile momento di silenzio, interrotto solo dalla cameriera. Le diamo le ordinazioni continuando a fissarci in cagnesco e quando se ne va torna il silenzio.

Alle medie vincevo sempre.

Batto le palpebre: Scusa?

Al gioco di chi ride prima guardandosi.precisa Vincevo sempre.

Alzo gli occhi al cielo.

Tu non te ne rendi conto della merda in cui sei finito, eh?sbuffo.

Dimmelo tu.dice lui con aria sfrontata.

La cameriera ci porta i caffè e io stringo la mascella, trattenendo l'impulso di estrarre di nuovo la pistola.

Sei entrato in casa mia. gli sibilo sporgendomi appena sopra le tazze Due volte.

Tecnicamente la prima volta eravamo fuori.ribatte versandosi lo zucchero nel caffè.

Era il mio cornicione.ribatto seccata E comunque che diavolo ci facevi lì? I federali...

Lo so.m'interrompe tutto tranquillo.

Oh, e saprai anche che io lavoro per loro.aggiungo acida.

Scrolla le spalle e io lo prendo come un sì.

Allora che vuoi da me? faccio esasperata Mi piombi in casa e guardacaso il giorno dopo mi dicono che devo portagli la tua pelliccia.

No, mi corregge loro mi voglio vivo.

Stringo gli occhi: E tu come fai a saperlo?

Sono la loro cavia.dice laconico, sorseggiando il suo caffè.

Di cosa stai parlando? La cavia di chi?

Alza gli occhi e li pianta nei miei: Tu non sai niente.

Lo dice come se l'avesse appena constatato. E sembra quasi... triste? È difficile interpretare qualcosa in quella sua faccia di pietra. Non ne ho mai visto uno così: non sembra in grado di perdere il controllo come fanno di solito le bestiacce. Mi manda ai matti! Non lo capisco e sinceramente non ho alcuna voglia di cercare di interpretarlo.

Senti, non so nemmeno perché sto qui a parlare con te.mi alzo e frugo nelle tasche in cerca degli spicci per il caffè Vattene. La prossima volta che ti vedo ti porto da loro.

È una minaccia?

Sbaglio o si sta trattenendo dal ridere?

Sbatto le mani sul tavolo e mi chino su di lui.

Non provocarmi, sacco di pulci.sputo tra i denti Con quelli come te mi ci pulisco gli stivali.

Mi guarda impassibile: L'ultima volta non è andata esattamente così.

Cristo! impreco e mi allontano Non ci credo...

Non riesco a credere che non abbia il minimo timore di me. Non mi è mai piaciuto vantarmi dei miei successi, ma modestamente sono la cacciatrice di licantropi più famosa della costa ovest, ho all'attivo il maggior numero di bestie fatte fuori del nord America e non c'è un singolo mostro in tutta la California che non abbia sentito parlare di Little Red Cap. Come diavolo fa a non conoscermi? Dov'era questo coglione negli ultimi sette anni?

E come si permette adesso di rivolgersi a me con quel sorrisino di scherno?!

Qualcosa mi dice che dovrei conoscerti.

Vattene.gli ripeto uscendo dal locale Scappa finché sei in tempo.

Mi dispiace,dice alle mie spalle ma non ci riesco proprio ad avere paura di te.

E fai male.mugugno camminando a grandi passi per allontanarmi il più possibile da lui.

Non la vuoi sentire la mia storia?

No.

Peccato, è piena di colpi di scena e ha un finale a sorpresa.

Mi fermo in mezzo al marciapiede e mi volto. È lì, a un paio di metri da me, appoggiato al muro con le mani in tasca.

Chi è il regista? faccio ironica.

Sogghigna e si stacca dal muro per avvicinarsi. E io arretro. Quei denti... sono abituata a vedere certe cose nei licantropi trasformati, ma da umani dovrebbero avere un aspetto, be', umano. E quella roba è tutt'altro che umana.

Ti piacciono?si passa la lingua sul bordo affilato dei canini Io mi ci devo ancora abituare.

Mi acciglio: Si può sapere cosa sei?

Sono come te.

Ancora quella frase. Non la sopporto. Non ha senso.

No, tu non sei come me.scandisco con una smorfia Tu sei un fottuto mostro, io sono umana.

I fottuti mostri che conosci non sono cosìribatte indicandosi E tu lo sai.

Ti avranno selezionato.faccio sarcastica Come i cani.

Adesso ha l'aria divertita: – Ci sei quasi. Vuoi sapere com'è andata o no? –

Alzo le braccia esasperata: Ho scelta?

Puoi sempre piantarmi una pallottola in fronte.

Ci guardiamo. E mio malgrado sorrido. C'è questa… cosa... tra di noi. L'ho percepita fin dal primo momento che l'ho visto, sotterrata da tutto lo schifo della paura e del desiderio di vendetta. Non voglio darle un nome, per ora mi limiterò a dire che è una specie di intesa.

Prego.lo invito.

Grazie.

Riprendiamo a camminare. Non so nemmeno dove stiamo andando, ma non possiamo tornare a casa, quindi prendiamo a girovagare.

Cosa ti hanno detto di me?

Non eri tu che dovevi raccontare?faccio guardandolo storto, ma poi gli sciorino le stesse cose che mi hanno detto i federali.

Per lo meno ti hanno dato il mio nome vero.commenta lui sarcastico Ma non sono un alfa. Non come intendi tu, per lo meno.

Inarco un sopracciglio: E come lo intendo io? Sentiamo.

Come un capo branco, la guida indiscussa, l'unico che ha la facoltà di creare altri licantropi.spiega concisamente.

Lo guardo esterrefatta. Queste cose le so da una vita, mio padre mi ha insegnato i rudimenti delle dinamiche sociali dei licantropi quando ero ancora una pivellina. Ma mai – mai – uno di loro me ne ha parlato. È pur vero che fino ad ora, se si eccettuano insulti e imprecazioni varie, non avevo mai parlato con uno di loro – ma sono dettagli.

Io non ho un branco. Non sono mai stato morso e non ho mai morso qualcuno. lo sento aggiungere.

Stronzate! sbotto Diamo anche per vero che non hai mai morso qualcuno... non ci credo, ma non è impossibile. Quello che è impossibile è che nessuno abbia morso te, caro mio.

Lui annuisce con aria pensierosa. Resta un momento in silenzio, come a valutare qualcosa.

Ok.fa d'un tratto.

E si toglie la maglietta.

Ma che cazzo stai facendo?!

Lo afferro per un braccio e lo trascino dietro un vicolo.

Ti faccio vedere.dice semplicemente, sfilandosi le scarpe e sbottonandosi i jeans.

No, senti... – balbetto inspiegabilmente imbarazzata – non ce n'è bisogno... davvero... –

Lui m'ignora.

Me li tieni? – fa passandomi un grumo di vestiti.

Basta! – strillo – Mi stai mettendo... a disagio... porca puttana, ma non ce l'ha un po' di decenza?! –

Ascoltami bene. –

Come ho fatto ad abbassare la guardia in questo modo? Non so quand'è che mi ha afferrato per il collo, né come abbia fatto a passare così velocemente dal tizio quasi amichevole di prima alla bestia letale che è adesso... ma il risultato è che sono nella merda.

Tieniti i tuoi cazzo di pudori. – ringhia – Sono stato rinchiuso in una vasca di plasma per mesi, sedato, nudo come un verme, con tubi infilati ovunque. I medici parlavano di me come se non fossi lì. Quando mi hanno tatuato, ero in fila come le vacche che vanno a farsi marchiare. Secondo te me ne frega qualcosa della decenza? –

Se capisco la metà di quello che sta dicendo è già tanto. Anche perché al momento la mia più grossa preoccupazione riguarda quella mano stretta intorno al mio collo e a seguire quei denti così vicini alla mia pelle. La presa di un licantropo è in grado di fratturare le ossa, il suo morso può spezzare di netto la carotide di un individuo adulto, l'infezione portata dalla sua saliva è contagiosa per gli uomini e letale per le donne e i bambini... è utile ripassare mentalmente le lezioni, sopratutto per mantenere la calma.

Oh, al diavolo! Sto per farmela sotto!

Adesso la pianti di fare la stronzetta acida e controlli. – mi ordina.

Annuisco. Mi lascia andare bruscamente e si allontana di molti passi da me. E per un po' ci guardiamo diffidenti, immobili, ognuno preso da paure diverse.


Tu vedi morsi? –

Scuoto la testa. Poi mi ricordo che al momento è di spalle.

No. – faccio con voce flebile, mi schiarisco la voce – No. –

Gli porgo i suoi vestiti: non mi piace che resti così nudo. Cioè, non mi piace l'effetto che mi fa vederlo così nudo... oh, porca miseria!

Come hanno fatto? – gli chiedo, strizzando gli occhi e sviando i pensieri.

Un'iniezione. Veloce e pulita. – dice secco, rivestendosi – Poi ci hanno messi in quarantena in quelle specie di vasche per cyloni. –

Parli al plurale. – noto – Quanti eravate? –

Non conosco il numero totale, nella mia stanza eravamo una dozzina, suppongo che nelle altre ne fossero contenuti altrettanti. – spiega – Ho contato venti stanze nel piano dove mi trovavo. Sette piani in totale, escluso l'ingresso al pianterreno. All'ultimo gli uffici. –

Parli come un militare. –

Perché lo sono. –

Trattengo il fiato.

No... non dirmi... – annaspo – vi siete offerti volontari? –

Lui annuisce, le braccia conserte e lo sguardo lontano. Sembra quasi vergognarsi.

Ce l'hanno venduta come un farmaco sperimentale. – accenna – Un modo per renderci più forti e reattivi in combattimento. –

Ma che idioti! – sbotto – Non vi insegnano niente i film? Non ci si deve mai fidare dei federali! –

Disse quella che lavorava per loro. – sogghigna – Comunque non hanno mentito: non c'è paragone con quello che ero prima. –

Già. – sbuffo – Allora qual'è il problema? Perché sei scappato? E i tuoi colleghi che fine hanno fatto? E che diavolo c'entro io? –

Alza le mani, vagamente divertito: – All'ultima ti ho già risposto. –

Sì, e non me la bevo. – ribatto dura – Ok, sei un esperimento di laboratorio. Ok, non sei un licantropo come gli altri. Resta il fatto che sei un mostro e io non mi fido. Sopratutto se mi vieni a dire che sono come te, quando è evidente che... –

Tu sei orfana di madre, lei è stata uccisa da un licantropo. –

Scatto all'indietro, sentendo il gelo salirmi su per le vene.

Questo non c'entra niente con... come diavolo sai queste cose di me? –

Nel centro avevano un dossier su di te. È così che ti ho trovata. Così... – s'interrompe e mi lancia un'occhiata penetrante – e con il tuo odore. Tuo padre ti ha mai detto esattamente quando è morta? –

Ero molto piccola. – taglio corto, arretrando ancora e stringendomi la braccia al petto.

Che voleva dire con quella cosa dell'odore?

È vero. – annuisce, come se conoscesse perfettamente la storia – Non eri nemmeno nata. –

Questo non ha senso! –

Eri ancora nel suo grembo quando lei venne attaccata dal licantropo. – insiste lui – Il virus è stato assorbito da te e tu sei mutata. Tua madre non morì per l'attacco, ma per il parto. –

Mi rendo conto che sono in iperventilazione solo quando cerco di parlare e non ci riesco. Ha senso: con i vampiri può succedere e ciò che nasce è un dampiro, una creatura a metà strada tra i succhiasangue e gli essere umani.

Tu sei un ibrido umano-licantropo. –

Stronzate! – balbetto pateticamente, mentre la testa inizia a lavorarmi contro.

Hai sempre avuto un sesto senso per i licantropi: li riconosci anche nella loro forma umana e prevedi un attacco anche senza vedere il tuo avversario. –

È un talento di famiglia. –

La tua dieta si basa quasi del tutto sulla carne, arrivi a stare male se non la mangi tutti i giorni. –

Ho un metabolismo particolare. –

Il tuo ciclo... –

E tu come cazzo...?! –

Il tuo ciclo – m'interrompe – è perfettamente tarato sulle fasi lunari. –

Questo non... prova niente... e tu sei un maledetto stalker! Adesso basta! –

Sta dicendo esattamente le cose che sto elaborando e l'inutilità delle mie risposte mi è chiara ancora prima di darle. Man mano che tutto viene a galla mi sento sprofondare nel panico.

Tess... –

Oh, sai anche il mio soprannome? – rido istericamente – Adesso mi dirai che marca di carta igienica uso?! –

Non ti sei chiesta perché non mi hai sparato? –

Sfilo la pistola dalla fondina e gliela punto contro.

Sono sempre in tempo. – sibilo.

Lo vedo scattare via. È velocissimo, molto più di quanto sono abituata a vedere. A stento seguo i suoi movimenti. E ancora una volta mi ritrovo immobilizzata.

Con il tuo sangue hanno creato un virus in grado di riprodurre la tua mutazione genetica. – sussurra minaccioso all'orecchio – Io sono il risultato di questo. –

Faceva meno male una sprangata sui denti. La vista mi si offusca.

Ti ho cercata per ucciderti. –

Serro gli occhi, facendo scorrere giù le lacrime.

Allora fallo. –

La sola idea che mi abbiano usata per fare questo... mi sparerei io stessa, ma sono una smidollata.

No. Tu mi aiuterai a fermarli. –

Mi lascia andare. Crollo a terra e lo guardo dal basso, esterrefatta.

Muovi il culo. – mi fa un cenno – Ci serve un piano. –

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