Since I Kissed You

di Exentia_dream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scommessa ***
Capitolo 2: *** Ogni cosa ha suo prezzo... ***
Capitolo 3: *** Nella stanza delle necessità ***
Capitolo 4: *** Tra i corridoi ed in una stanza ***
Capitolo 5: *** Nutella a colazione ***
Capitolo 6: *** Fraintendimenti e mezze verità ***
Capitolo 7: *** Esplicite ed implicite richieste ***
Capitolo 8: *** La partita di Quidditch ***
Capitolo 9: *** Ipotesi e verità ***
Capitolo 10: *** Decisioni e dubbi... ***
Capitolo 11: *** Silenzi e assenze ***
Capitolo 12: *** In prima pagina ***
Capitolo 13: *** Passi in avanti ***
Capitolo 14: *** Ritorno a quel dormitorio ***
Capitolo 15: *** Una giornata tranquilla ***
Capitolo 16: *** Rewind ***
Capitolo 17: *** Verità incerte ***
Capitolo 18: *** E' solo l'inizio ***
Capitolo 19: *** Frasi sconnesse di discorsi lontani... ***
Capitolo 20: *** Nei dubbi e nelle certezze… ***
Capitolo 21: *** Un passo avanti... mille indietro. ***
Capitolo 22: *** Ma ieri... poi, domani ***



Capitolo 1
*** Scommessa ***


Salve a tutti, lettori e lettrici.
Lo so, vi ho rotto le scatole ho almeno due storie da portare avanti e me ne esco, di domenica sera, alle 22,17 a pubblicare un altro capitolo.
Ma, vi prego, cercate di capirmi.
Per quanto riguarda la storia, ho da dirvi solo che non ho letto nessun libro di Harry Potter e ho visto solo qualche spezzone di film, ma non saprei mettere insieme la storia.
Comunque, vi lascio a questa pazzia e vi ringrazio anticipatamente.
Un bacio, la vostra Exentia_dream




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Since I Kissed You

 


La videro entrare come una furia nella Sala Comune di Grifondoro. I capelli ricci e indomabili
si muoveva al passo con lei, con il suo stesso passo. Era arrabbiata. No, di più era infuriata.
Camminava a passo di marcia, come farebbe un soldato umiliato dal proprio generale e fissava un punto di fronte a sé.
Il Ragazzo Sopravvissuto si sentì attraversare da una paura simile a quella che aveva provato di fronte a Tu-Sai-Chi, la prima volta che l’aveva incontrato.
Quando finalmente la riccia arrivò a destinazione fece cadere su tavolo, con un tonfo sordo, il grande libro che teneva tra le mani. Poi, fissò il suo migliore amico con gli occhi ridotti a due fessure, dalle quali però, se solo la riccia avesse potuto farlo, sarebbero usciti dei fulmini che avrebbero polverizzato il malcapitato che le era di fronte.
Si avvicinò lentamente al viso del giovane, fino a che non riuscì a vederne addirittura la trama della pelle. –Spiegami cosa ti è saltato in mente.
-Di cosa stai parlando?
-Lo sai bene, Harry.
-No, che non lo so.
-Voci di corridoio hanno parlato di una scommessa, il cui premio sarei io.
-Oh.- Harry si sistemò gli occhiali sul naso e tentò, toccando qualsiasi oggetto ci fosse sull’enorme tavolo della biblioteca, di prendere tempo e di non darle la risposta che l’amica le aveva chiesto.
-Harry Potter, hai la fama di essere il Bambino, prima, e il Ragazzo Sopravvissuto poi. Però, ti avverto, stai ad un passo dal diventare il Ragazzo NON Sopravvissuto.- disse, puntando la bacchetta in mezzo agli occhi del ragazzo.
-Oh, calma, eh. E’ successo all’improvviso…
-Se fosse stato premeditato da te, sarebbe ancora peggio, Harry. Ma ti privo di tanta intelligenza, visto quella che mi dimostri adesso.- Sapeva che non era partito tutto dal suo migliore amico, sapeva che dietro ad una cosa tanto vile avrebbe potuto esserci solo la mente contorta e sadica di Draco Malfoy. Il Re delle Serpi, il Re degli inganni, il Re dei tranelli. Proprio come quello in cui era caduto Harry che, insieme a sé aveva trascinato anche lei.
-Comunque, stai tranquilla, Herm: vincerò io. Quindi, non corri affatto il rischio di…
-Dì?
-Di passare una serata con Malfoy.
-Oh Merlino, Harry. Tu sei impazzito.
-Mi… dispiace, ma questo è il premio.
-E se vincessi tu? Quale sarebbe il tuo, di premio?
-Questo non lo so.- rispose lui, grattandosi i capelli.
-Confermo quello che ho detto sulla tua intelligenza, Harry. Potrai anche essere il Salvatore del Mondo Magico, ma sei una frana.- Poi, si sedette al suo fianco, come se niente fosse successo. Apparentemente. Agli occhi degli altri. Ma lui la conosceva bene e sapeva che non sarebbe stato più come prima tra di loro.
Harry la guardò e arrossì di rabbia per le parole che le aveva mosso contro la sua migliore amica. Ciò che, però, gli faceva più rabbia era il fatto che davvero fosse una frana: aveva tirato Hermione come premio in una stupida scommessa, fatta con uno stupido Serpeverde, che tanto stupido non si era rivelato. In più, più di tutto, non aveva affatto chiesto quale fosse stato il suo premio.
Come si poteva essere tanto stupidi?
Il ragazzo si voltò alla sua destra e vide la sua migliore amica che scuoteva il capo, segno che si era posta la sua stessa domanda.
In quell’istante, Ron entrò nella Sala Comune e si avvicinò con passo svelto al fianco del suo compare, facendogli segno di avvicinarsi ancora di più a lui.
Harry si spostò. –Che succede Ron?
-Shh, abbassa la voce.- disse il rosso, soffocando quasi per quanto la gola gli bruciasse a parlare in quel modo. –Credi che così ci senta?- indicò infine la ragazza.
Harry si voltò ancora una volta a guardarla. –No, non dovrebbe almeno.
Risposta sbagliata. Hermione Granger aveva sentito tutto. L’avrebbe sentito comunque, anche se quei due avessero sospirato nelle loro orecchie.
Avrebbe capito anche se quei due si fossero parlati in serpentese.
-Dimmi della scommessa.- disse, infine Ron.
-Non lo so. E’ iniziato con il solito battibecco Sfregiato-Malferret, poi, quell’idiota, mi ha detto “Senti, Potter. Invece di farmi perdere tempo a sfotterti, ti sfido a duello. Sul campo di Quidditch.”- disse Harry scimmiottando il Serpeverde.
-E poi?
-Poi ha detto che se avesse vinto lui, il premio sarebbe stato una serata con Hermione.
-Hermione?
-Sì.
-Ma lui è Malfoy e lei è…
-E’ sembrato strano anche a me, Ron, ma che ci vuoi fare. In fondo, è una sfida.
-E il tuo premio?
-Non l’ho pattuito, ma non mi preoccupo: vincerò io.
-Se lo dici tu.- concluse il rosso, facendo spallucce.
Nel frattempo, Hermione si era avvicinata a loro, tanto da toccarli. Quasi.
Per non far accorgere ai suoi amici che aveva ascoltato tutto, si alzò di scatto e uscì dalla Sala Comune.
Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di lei, per la sfuriata che prima aveva riservato al suo migliore amico. In tanti anni, in cui lei e i suoi amici avevano fatto parte di Hogwarts, non si era mai visto nulla di simile: Hermione Granger non era mai stata così fuori di sé. Non con Harry, almeno.
Quando finalmente fu fuori, nel corridoio, si permise di fare un respiro profondo e prepararsi ad essere il fulcro di ogni pettegolezzo, fino a che non ne sarebbe arrivato un altro.
Maledetto Furetto borioso e viziato, pensò.
Sì, perché era a causa della sua presunzione verde se si sentiva superiore agli altri tanto da poter pretendere, invece che chiedere.
Era a causa della sua perdizione argentea che ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.
Hermione si ridestò dai suoi pensieri e si incamminò nell’aula di Pozioni.
A quell’ora della giornata, tutta la scuola, di certo, sapeva della stupida scommessa tra i Harry Potter e Draco Malfoy e, in quell’aula, sicuramente, tutti avrebbero parlato di lei e della vicinanza forzata che la vedeva collaborare insieme al Serpeverde, durante le lezioni di Piton.
Qualcuno, addirittura, avrebbe ipotizzato ad una reazione positiva da parte sua, visto che, già in precedenza, erano girate voci su un’ipotetica cotta delle Grifona verso il Serpeverde. Una voce infondata, in ogni particolare che era stato costruito su di essa.
Per non parlare, poi, delle scommesse che sarebbe nate dal momento in cui la sfida fosse stata vinta.
Nei corridoi, il vociare sul suo conto, sembrava rimbalzare prima sulle pareti e finire nelle sue orecchie, poi.
Tutto quel mormorio la distraeva dal suo camminare dritta e a testa alta. Tutto quel vociare, inutile e sciocco, le infastidiva il suo orgoglio Grifondoro.
Soprattutto, quel vociare parlava di lei e Malfoy, come se fossero una cosa sola.
Impossibile. Era impossibile che si sarebbero anche solo sfiorati.
Era impossibile che si fossero rivolti uno sguardo se non per disprezzarsi.
Era impossibile che Malfoy avesse vinto la scommessa, perché Harry era il miglior cercatore del Mondo Magico. Il più giovane cercatore che la squadra di Grifondoro avesse mai avuto da quando la scuola era stata fondata.
Perché Harry avrebbe vinto.
Poi, come se un lampo le fosse piombato avanti, scansandola per un pelo, si fermò e fece un giro veloce su sé stessa.
Afferrò per il colletto il primo che le passava accanto e lo attirò vicino al suo viso, tanto da poter sentire sulla bocca il respiro dell’altro. –Harry vincerà, vero?

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Capitolo 2
*** Ogni cosa ha suo prezzo... ***


Ogni cosa ha suo prezzo...






Quando finalmente era arrivata alla porta dell’aula di Pozioni, si rilassò per un attimo.
Avrebbe voluto saltare la lezione, ma non era di certo nella sua etica di migliore studentessa di Hogwarts, quindi, fece il segno della croce e si avviò nell’aula, respirando rumorosamente.
-Cinque punti in meno a Grifondoro.
Lo avrebbe scommesso: Piton la odiava. Piton avrebbe tolto punti a qualsiasi casa per un qualsiasi motivo pur di vedere i suoi beneamati Serpeverde in cima alla lista.
Hermione decise di sedersi e il posto accanto a lei era già occupato da Draco Malfoy. Sul suo viso il solito ghigno.
-Smettila di avere quell’espressione, Furetto. Harry vincerà.
-E’ tutto da vedere, Mezzosangue.
Si voltò verso di lui, nascondendo il terrore che aveva provato dopo quelle parole, con un sorriso fiero. –Harry Potter è il miglior cercatore. Tu gli sei secondo.
-Quando c’è qualcosa di importante, in gioco, posso essergli anche primo.
Si voltò a seguire la lezione, ora che Piton aveva cominciato a parlare. –Per la prossima settimana, dovrete prepararmi la pozione Restringente perfettamente. Vi concedo del tempo per trovare tutti gli ingredienti. Ovviamente, per ognuno che non riuscisse, verranno tolti cinque punti alla casa di appartenenza.- concluse con una smorfia soddisfatta che voleva somigliare ad un sorriso e guardando con sguardo sprezzante ogni componente di Grifondoro.
Hermione Granger si voltò verso Neville, il più scarso in quella materia, e tentò di rassicurarlo con lo sguardo. Ricevette in cambio un sorriso timido.
-Cinque punti in meno a Grifondoro.- Piton sbatté forte la bacchetta sul tavolo su cui Hermione e Draco avevano i componenti per preparare le varie pozioni.
-Merlino.- proferì la riccia.
-Ha detto qualcosa, signorina Granger?
-Sì, professore. Non trovo affatto giusto che lei tolga punti in questo modo.
-Cosa intende per “questo modo”? Ha mai visto qualcuno di Serpeverde comportarsi come si comporta lei? Entrando rumorosamente in aula. –aveva solo respirato. –Voltandosi al compagno di casa per suggerire. –l’aveva solo tranquillizzato. –O, magari, criticando il mio modo di insegnare.- voleva solo che tutto ciò finisse.
-Mi scusi professore.
-Perfetto. Ora, abbiamo a disposizione gli ingredienti per preparare una pozione Cura Ferite, quindi… ah, signorina Granger… questa volta, cerchi almeno di arrivare a preparare qualcosa di mediocre.
Si sentì ferita nel vivo: lei, Hermione Jane Granger, era la migliore studentessa di Hogwarts. Vantava i più alti voti in tutte le materie e non si sarebbe di certo accontentata di un mediocre in Pozioni.
Prese comunque tutti gli ingredienti per la pozione e cominciò a sistemarli sul banco nell’ordine in cui avrebbe dovuto versarli.
-Vuoi una mano, Mezzosangue?
-Spostati, Furetto.
-Va bene. Volevo solo aiutarti.
-Da quando vuoi aiutarmi?
-Da mai. Ma si dà il caso che siamo seduti vicini e che i voti vengono affidati alla… come dire…
-Coppia?- osò, rendendosi conto di quanto quella parola suonasse forzata.
-Coppia.- Malfoy atteggiò la bocca in un ghigno nuovo, guardandola fissa.
Qualcosa di diverso balenò in quegli occhi grigi, qualcosa che aveva un colore troppo in contrasto con quelle iridi.
Impossibile.
-E sia, Malfoy. Aiutami.
-Dovrò avere qualcosa in cambio, però.
-Lo immaginavo.
-Beh, tutto ha un prezzo, no?
-Dipende dal prezzo.
-Niente di che, Mezzosangue.
-Devo essere io a valutare “quanto di che” sia questo prezzo.
-Se ti chiedessi di darmi ripetizioni?
-Hai voti alti in tutte le materie.
-In una no.
-Quale?
-Questo non deve importarti.
-Non sono degna di saperlo, Purosangue?
-No.
-Ma se non so di cosa si tratta, non posso aiutarti, Malfoy.
-Forse, si tratta di qualcosa di cui neanche tu sai tanto.
-Vedremo. Comunque, ci sto.
-Ci stai?
-Certo: lo studio non è mai un prezzo troppo alto da pagare per me. Bensì, è un passatempo piacevole.
Il biondo alzò gli occhi al cielo esasperato da tanta fedeltà verso qualcosa che, in molti atri cervelli, avrebbe portato una tilt.
Però lei non era molti altri cervelli. Lei era la Mezzosangue saccente ed antipatica, dubbiosa verso gli altri e sicura di sé. La Mezzosangue dagli occhi castano-dorato, dai ricci castani e indomabili e dalla parlatina esasperante.
Quando la pozione mirò al viola e cominciò a fumare, Draco Malfoy le avvisò che era tutto pronto e finito, così Hermione sorrise guardando la boccetta di fronte a sé.
Avrebbe dovuto ringraziarlo? Certo, ma non lo fece.

 …ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.

All’uscita dell’aula, altri occhi erano puntati su di lei: Harry la guardava allibito. –Hai parlato con Malfoy.
-Devo parlarci per forza, Harry: siamo vicini in queste ore di lezione.
-Sarà.
-E’.
-Ho una fame da lupo mannaro.- disse Ron, appendendosi letteralmente al collo dei due amici. –Mangerei…
-Qualsiasi cosa sia commestibile, Ron.
-C’è del buono anche nel ferro, sai?
-Ne dubito. Comunque, ho fame anche io.- disse la Grifona, massaggiandosi la pancia.
I tre si avviarono alla Sala Grande, accompagnati dal solito mormorio che era tipico esserci quando Harry Potter attraversava i corridoi della scuola.
Chiunque si aspettava che succedesse qualcosa di terribile da un momento all’altro. Però questa volta, il vociare sul Ragazzo Sopravvissuto era stato sostituito dal vociare sul Ragazzo Sopravvissuto Che Si Era Scommesso La Migliore Amica.
Vero.
Hermione sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma fissò il pavimento e scosse il capo per non sentire quelle parole, per non sentirsi così poco importante per una delle persone che per lei erano fondamentali.
Alzò il capo solo quando arrivarono alla Sala Comune. All’interno, la situazione le sembrò ancor più tragica: Corvonero, Tassorosso pronunciavano il suo nome come se fosse una parola ordinaria, usata ogni giorno: aria, acqua, fuoco.
Tentò di mangiare, ma lo stomaco le si era attorcigliato dalla rabbia.
-Cosa c’è, Herm? Non hai fame?- le chiese il moro.
-No, Harry. Per colpa tua non ho fame.
-Cos’ho fatto questa volta?
-Quella stupida scommessa, Harry. Per colpa tua, sono sulla bocca di tutti.
-Sei sempre sulla bocca di tutti.
-No, quello sei tu e sei abituato a tutto questo.- indicò con la mano l’intera sala.- Io no. Io sono… l’aiutante dell’eroe, così come lo è Ron.
-A me piacerebbe essere l’eroe.- disse il rosso, sputando qui e lì un po’ di cibo che stava masticando.
-Chiudi la bocca, Ron. Io odio sentirmi oggetto di chiacchiere inutili. E mi sento indignata.
-Per così poco?
-Lo chiami “poco” essere il trofeo di una stupida scommessa messa in piedi da Draco Malfoy e il mio migliore amico?
-Hermione ha ragione, Harry. Il tuo non è stato un comportamento da buon amico. Eppure, Merlino, sei il Salvatore del Mondo Magico.
-Mi dispiace Ginny, ma Draco Malfoy è un calcolatore nato e sa bene come confondere le persone.
-O forse, sei tu ad essere un coglione, Harry. Non eri sotto incantesimo.
-No.
-Quindi, la mia teoria trova la sua conferma.
-Quale teoria, Ginny?- chiese Ron, sputando il cibo, come al suo solito.
-Che Harry è un coglione.
Hermione fece per alzarsi dal tavolo ed uscire dalla Sala Comune.
Si appoggiò pensierosa all’arco di pietra umida all’esterno della scuola e si rinchiuse nei suoi pensieri. Quelli più in profondità, quelli che le erano talmente dentro che le impedivano di sentire i rumori dell’esterno.
Non si preoccupò di controllare se fosse sola.
Sbagliato.
Un dito, poco lontano da lei, premette più volte e da angolazioni diverse sul tasto per scattare la fotografia.

In Sala Grande, i Grifondoro erano rimasti in silenzio ad ascoltare quali voci circolassero in quell’istante.
Molte di queste, ammonivano Harry per il comportamento poco corretto nei confronti di Hermione, altre, ancora, parlavano di un’azione del Ragazzo Sopravvissuto per annullare la scommessa e porgere il guanto di sfida su un altro trofeo. Altre, invece, scommettevano sull’innamoramento di Draco ed Hermione, nel caso questi avesse vinto.
Ginny non riuscì a sopportare oltre, e si alzò rumorosamente dalla sedia, per spostarsi e cambiare di posto. Si accostò ad Harry. –Ma dico, ti sei davvero bevuto il cervello?
-Non metterti anche tu, adesso.
-Mi ci metto, eccome. L’ultima frase che ho sentito, prima di venire a parlarti, mi ha fatto accapponare la pelle e spero che non si realizzi mai una cosa del genere.
-Cos’hanno detto?
-Hermione e Draco Malfoy innamorati.
-Oh no!
-Oh sì! L’hanno detto. Quindi, da questo momento in poi, per te, caro capitano, gli allenamenti di Quidditch si raddoppieranno, si triplicheranno, si quadruplicheranno, si quint…
-Ho capito, Ginny.
-Mi pare il minimo che tu possa fare.
-Vincerò io.
-Se dovessi perdere, invece, ci sarà un premio anche per te.
-E sarebbe?
-Non sarai più il capitano di Grifondoro.
-Non ti sembra un prezzo troppo alto da pagare?
-Nessun prezzo è troppo alto, quando concedi al nemico la tua migliore amica su un piatto d’argento. Ops, d’oro.
Harry abbassò gli occhi, colpevole, rassegnato e timoroso: se avesse perso, non solo avrebbe perso la carica di capitano, ma anche l’affetto della sua amica.
Mancava una settimana alla partita. Solo sette miseri giorni e poi, forse, tutto sarebbe caduto nell’abisso della sua depressione. –Vincerò, Ginny. Promesso.- non ci credeva neanche lui.
Sapeva che, se avesse voluto e se ci fosse stato in gioco qualcosa d’importante, Draco Malfoy, sarebbe stato il primo a prendere il Boccino.
D’altra parte, però, non credeva che il premio che aveva richiesto in cambio fosse importante per lui.
Forse, la Serpe aveva messo su quella messinscena solo per tenerlo sottopressione.

Il cielo si era scurito e la giornata scolastica era giunta al termine, quindi tutti gli studenti si concessero il meritato riposo che tanto avevano atteso.
Uno in particolare, invece, si rilassò solo apparentemente, poiché la sua mente era intenta ad inventare un nuovo attacco per prendere per primo il Boccino.
Nella Sala Comune di Serpeverde, Blaise Zabini e Theodore Nott erano intenti a tenere una conversazione su quale fosse la mossa migliore per mettere scacco matto al Re.
-Ti dico che è il matto del barbiere.
-Che cosa?
-Il matto dello studioso, Theo.
-Ah. Per me è il matto dell’imbecille.
Certo. Come aveva fatto a non pensarci prima? Due semplici mosse che lo avrebbero portato alla vittoria: sarebbe bastato un colpo alla scopa dello Sfregiato, la sua caduta e scacco matto.
-Grazie.- disse il biondo, alzandosi di scatto dalla poltrona verde e argento su cui era seduto, lasciando i suoi compagni di casa meravigliati da tale comportamento.
Blaise decise di seguire a ruota il suo compare e si sentì deluso quando, prendendo il corridoio, notò che il biondo era scomparso.
Decise, quindi, di recarsi in camera sua.
-Draco?
-‘Cazzo vuoi, Blà?
-Mi hai ringraziato.
-Ed è strano?
-A dire il vero, è molto strano.
-E con questo? Perché sei qui?
Il moro gli posò una mano sulla fronte, poi lo guardò. –Sicuro di star bene?
-Sei diventato imbecille o cosa?
-Ti serve qualcosa, vero?
-No.
-Non ringrazi mai!
-Ed ora l’ho fatto.
-L’ho notato, ma deve per forza esserci qualcosa che non va.
-Come mai questa supposizione?
-Più che altro, è una certezza.
-Capisco.
-Io no, quindi, se me lo spieghi, mi fai un favore.
-Ti riferisci al mio grazie?
-No, alla scommessa con Potter e al premio che hai richiesto.
-Una perdita di tempo.
-Ti piace la Mezzosangue?
-Sicuro di star bene?
-Benissimo.
-A me non sembra.
-Ti piace la Mezzosangue.
-Devi per forza essere sotto incantesimo.- disse il biondo, puntando la bacchetta contro l’amico. –Finitem Incantatem.
-Ti piace la Mezzosangue.
-Ti si è fuso il cervello, Blà. Ti fanno male troppe notti fuori dal letto.
-Non mi hai risposto, quindi lo prendo come un sì.
Il moro fece per andarsene ed aprì la porta, trascinandola mentre usciva dalla camera di Draco, ma fu interrotto. –E’ un modo per distrarre Potter e vincere.
Osservò l’amico che aveva parlato con lo sguardo rivolto al pavimento, poi chiuse la porta e tornò in Sala Comune.
Un modo per distrarre Potter? Una frase detta con gli occhi bassi non era mai una verità, anche se Draco Malfoy sapesse fingere alla perfezione, il moro sapeva che qualcosa davvero non andava.

°°°

La sera scesa tranquilla su Hogwarts e i suoi studenti, che si ritrovarono ai propri tavoli a cenare allegramente.
I commensali sembravano aver dimenticato già la questione della scommessa o, forse, erano tutti in attesa che fossero presenti tutti i protagonisti di quello stupido, stupidissimo gioco.
Hermione Granger si sedette al centro, tra Ron e Harry e indirizzò uno sguardo infastidito verso il tavolo di Serpeverde.
Draco Malfoy la stava fissando e lei sostenne con fierezza lo sguardo. Un’idea le balenò nella mente: avrebbe chiesto, in cambio alle ripetizioni, di sospendere quella scommessa.
Certo, Malfoy aveva già pagato il suo prezzo aiutandola con la pozione, ma per corromperlo, Hermione decise che gli avrebbe passato il prossimo compito.
Questo non rientrava affatto nelle caratteristiche di una Grifondoro, ma, quando le conveniva, la riccia si scusava dicendo che il capello era indeciso se smistarla a Corvonero: la sua intelligenza l’avrebbe portata alla salvezza.
Abbassò lo sguardo, studiando il cibo che aveva nel piatto, poi cominciò a mangiare.
Un colpo di tosse, poco distante da lei, le fece alzare il capo e vide Ginny con il volto paonazzo che boccheggiava per riprendere fiato.
-Cos’è successo?- chiese a Harry.
-Non lo so.
La rossa, intanto continuava ad indicare un punto sulla testa della riccia.
Il tavolo, finalmente decise di orientare lo sguardo nella direzione indicata dalla piccola Weasley.
Hermione li imitò e finalmente il gufo lasciò cadere la pergamena che teneva tra le zampe.
La prese con cura, rigirandosela tra le mani, fino a che una striscia di inchiostro non rapì la sua attenzione: una calligrafia elegante e ordinata le ordinava di leggere il contenuto della pergamena da sola.
-Non sei curiosa, Herm?- chiese il rosso mentre qualcuno si occupava di non far soffocare sua sorella.
-La leggerò in dormitorio, Ronald.
Atteggiò il viso nella solita aria da so-tutto-io, ma la curiosità la stava divorando.
Continuò a mangiare, fingendosi tranquilla, anche se il vociare attorno a lei era di nuovo ad avere il suo nome come argomento centrale di discussione.
Guardò la Sala Grande in ogni angolo, in cerca di un ipotetico mandante, di qualcuno che mostrasse i segni della propria colpevolezza. E lo trovò: ancora una volta, Draco Malfoy la stava fissando, con un ghigno a storcere la bocca sottile e aristocratica.
Mosse le labbra, mimandole la frase che era scritta sulla curva della pergamena. –In camera da sola.


Quando la cena finì, Hermione Granger si diresse lentamente al suo dormitorio.
Si guardò intorno e quando si vide sola, aumentò il passo fino a correre per chiudersi quanto prima la porta alle spalle e leggere il contenuto della pergamena.
La trasse lentamente dal mantello, facendo attenzione a non sgualcirla, poi la spiegò e la lesse.

Stanotte. Stanza delle Necessità. E’ il prezzo da pagare.

Era un ordine a cui non avrebbe potuto sottrarsi. Per questo, la Serpe le aveva chiesto di leggere la pergamena in camera.
Hermione sbuffò, tentando di spostare dagli occhi l’ennesimo ricciolo ribelle che le solleticava il naso.
Poi, si gettò sul letto di peso.

Maledetto Furetto borioso e viziato.



***
Angolo Autrice:
Eccomi qui, con il secondo capitolo.
Cavoli, questa storia mi rende davvero felice: 33 seguite,  8 preferite e 4 ricordate solo al primo capitolo.
8 recensioni ** Non posso crederci.
Senza contare le 355 visite al capitolo.
Insomma, vi ringrazio per le aspettative che dimostrate verso questa storia e spero davvero di non deludervi.

Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le seguite/ preferite/ ricordate e ovviamente chi ha commentato.
Un "Grazie!" va anche ai lettori silenziosi.

Spazio AUTOpubblicità: mi pare giusto fare un pò di pubblicità anche qui ^^
Per chi ama la coppia Draco/ Hermione, nella mia pagina troverete Ancora Noi: interamente OOC per quanto riguarda il mondo in cui la storia è ambientata e per la totale assenza di magia, se non si conta quella dell'amore;
Per chi ama la coppia Edward/ Bella, troverete Revenge and love. Lo stesso OOC vale per questa storia e per i poteri che i personaggi non hanno, ma soprattutto per le relazioni che tra essi intercorrono.
A presto, la vostra Exentia_dream





 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Nella stanza delle necessità ***


Nella Stanza delle Necessità

Attese che il dormitorio femminile fosse pieno e che tutte, soprattutto Ginny Weasley, si addormentassero.
Poi, uscì in punta di piedi e prese le scale, trattenendo il fiato ad ogni rumore che non fossero i suoi passi.
Dopo circa dieci minuti, sentì dei passi avvicinarsi e si nascose dietro ad una statua. Si sporse leggermente quando le sembrò che i passi si fossero allontanati e riconobbe la camminata di Blaise Zabini che, probabilmente, aveva il turno di ronda.
Appena il ragazzo voltò l’angolo, Hermione lasciò il suo nascondiglio e si diresse all’ultima rampa di scale che, da lì, l’avrebbe condotta al piano della Stanza delle Necessità.
Arrivata lì, la porta era già apparsa sul muro ed Hermione si fermò per riprendere un po’ di fiato.
Solo allora, a pochi metri dalla porta dietro cui, sicuramente, l’avrebbe attesa Draco Malfoy, si rese conto di cosa veramente potesse significare quel che stava facendo.
Malfoy aveva sicuramente calcolato tutto, nei minimi particolari: forse, avrebbe approfittato di lei immobilizzandola con un incantesimo e poi l’avrebbe obliviata.
Entrò comunque e, intenta a metter su una maschera di totale indifferenza, non si accorse che il biondo era steso su un divanetto.
Per prima cosa, diede un’occhiata alle sembianze della stanza: era totalmente diversa da come l’aveva immaginata.
Su di una parete, c’era una finestra chiusa e poco più in là, un caminetto rustico in cui il fuoco ardeva tranquillo.
Le poltroncine erano due, rosso-oro e verde-argento, disposte intorno ad un tavolino che arrivava all’altezza delle ginocchia.
Il divanetto era accanto alla poltrona verde ed aveva un colore neutro.
Draco era lì e dormiva.
I suoi lineamenti le sembrarono persino dolci e si trovò impreparata alla strana voglia di accarezzarlo.
La sua mano si mosse prima e si trovò sulla pelle gelida del ragazzo. –Accio Coperta.
Così, sistemò la coperta sul corpo del giovane e si concesse almeno dieci minuti per guardare la stanza nei particolari.
C’era anche una scrivania, su cui Draco aveva poggiato dei libri ed un tavolo più lungo, simile a quelli presenti in biblioteca.
Scosse la testa, quando le venne l’idea di poter trovare lì dentro un letto e una luce che illuminava le pareti di rosso, come se fosse stato una specie di harem.
Si avvicinò alla finestra ed osservò il Lago Nero e la Foresta Proibita che si perdevano nel buio della notte.
Un mugolio la riportò con i piedi per terra e la fece voltare.
-Mezzosangue, ‘cazzo ci fai qui?
-Sono venuta a farti da baby-sitter, Furetto.
-Giusto.- ghignò.
Anche appena sveglio non perdeva il suo atteggiamento da strafottente e i tratti dolci che aveva durante il sonno si andavano man mano perdendo.
-Allora, qual è questa materia in cui non  eccelli?
-Storia della magia. E, Mezzosangue, non è che non eccello in quella materia: è noiosa.
-Credi? Io non lo penso così. Forse sei tu ad essere limitato, visto che non riesci a ricordare date e quant’altro.
-E’ una materia ad essere noiosa, non un Malfoy a non apprezzarla.
-Ah, certo.
Si sedettero entrambi al tavolo più grande, uno accanto all’altra ed aprirono il grosso tomo di Storia Della Magia ed Hermione cominciò a leggere.
Draco, nel frattempo, aveva cominciato a fumare vicino alla finestra.
La riccia lo guardò con aria truce e lui sorrise. –Non dire niente, Mezzosangue. Fumo lo stesso.
Lei tornò al libro e cercò di non prestare attenzione al ragazzo.
Quando lui la raggiunse, dopo aver fatto sparire la sigaretta lasciata a metà, lei si sentì travolta dal forte profumo alla menta che aveva il suo respiro.
Non le dispiaceva affatto.
-Proviamo a rispondere a qualche domanda?
-Su?
-Su quello che ho appena letto.
-Non ho seguito.
-Fatti tuoi, Malfoy.
Gli porse un foglio con le domande su cui tempo prima avevano fatto un compito e lui lo osservò a lungo, prima di prenderlo e posarlo di nuovo sul tavolo.
-Accio matita.
-Bene, Malfoy. Vedo che cominci a capire.
Lui ghignò e cominciò a leggere le domande, muovendo soltanto le labbra.
Hermione, invece, prese un foglio bianco su cui avrebbe scritto altre domande.
Quando la matita cadde a terra, lui si sporse per prenderla e da sotto al tavolo riuscì a vedere le gambe della riccia.
Erano toniche e non troppo magre e, quando lei accavallò involontariamente le gambe, la gonna si alzò un po’, lasciandogli intravedere un altro triangolo di pelle.
Scosse la testa e tornò al suo foglio, cercando di concentrarsi.
I suoi occhi però, volevano vederla e,allora, Draco si girava quel po’ che bastava per poter studiare i tratti della ragazza: non era per niente regali, ma molto più dolci di quanto potessero esserli quelli di una Purosangue.
Il naso, leggermente all’insù, gli occhi di una strana sfumatura tra il castano e il dorato che sembravano riscaldare qualunque cosa sfiorassero, le labbra carnose al punto giusto, color delle rose.

-Ti piace la Mezzosangue?
-Sicuro di star bene?

No, era solo la situazione ad essere bizzarra, perché mai lui avrebbe chiesto aiuto a lei.
Eppure l’aveva fatto. Eppure, adesso era nella Stanza delle Necessità ad osservare i piccoli nei sul viso della Mezzosangue.
Blaise stava sbagliando di grosso: a lui non piaceva Hermione Granger.
Quelli che adesso gli ronzavano per la testa, erano solo stupidi apprezzamenti. Tutta quella confusione era dovuta al fumo, alla stanchezza che aveva accumulato durante la giornata.
Non avrebbe mai nemmeno sfiorato il pensiero di farsi piacere una Mezzosangue.
Il fatto che lei potesse piacergli era solo una supposizione che aveva avuto il suo compagno.

-Più che altro, è una certezza.

Era rimasto imbambolato e non se ne accorse finché Hermione non lo strattonò. –CAPITO?
-‘Cazzo urli? No, non ho capito.
-Ho detto che devi muoverti a rispondere: non ho tempo da perdere.
-Certo. Sei così acida anche con i tuoi amichetti?
-Sono acida con chi lo merita.
-Sai una cosa? Sei davvero… indegna.
-Di cosa?
-Del fatto che tante persone credano in te in quel modo: sei una Mezzosangue e non hai di certo i poteri di Voldemort.
-Prima di tutto, da quanto ne sappiamo anche Voldemort era un Mezzosangue, quindi questa storia della purezza è un’idiozia stratosferica.
-Poi?
-Poi… chi disprezza vuol comprare.
-Che lingua è?- chiese con un ghignò indispettito.
-E’ un modo di dire gabbano. Vuol dire che chi critica una persona, lo fa perché vorrebbe avere le sue caratteristiche o avere proprio quella persona.
-Stronzate.
-Lo credo anche io, a volte.
-Quando, per esempio?
-Per esempio, con te: io ti disprezzo e basta. Non ho alcun secondo fine.
-E’ esattamente lo stesso per me, Zannuta.
-Non ho mai detto il contrario, Malferret.
Sorrisero entrambi, poi Draco tornò al suo questionario e cercò di concentrarsi per dare le risposte corrette.
Si accorse di conoscere tutte le date che erano richieste nelle domande, tutti i particolari delle rivolte dei folletti.
Allora perché le aveva chiesto ripetizioni?
Quando anche l’ultima risposta era stata scritta elegantemente, Draco consegnò il suo compito alla riccia che lo osservò attentamente.
I suoi occhi erano grandi per la meraviglia, visto che ogni risposta era esatta.
Quando era attenta, il suo viso si tirava nell’espressione di concentrazione: le sopracciglia erano incrinate e si abbassavano sulle palpebre domate. Lo sguardo era serio e meticoloso. I denti mordevano il labbro inferiore, distorcendolo buffamente.
Draco sorrise, sospirando ed Hermione distolse lo sguardo dal foglio per puntarlo su di lui. –Cosa c’è?
-Sei…carina, quando non parli.
Hermione non rispose. Si limitò soltanto a guardare gli occhi del suo interlocutore.
Aveva paura: era proprio così che iniziava un atto di violenza?
Allora, la nomina che era stata affibbiata al Furetto era fondata: il Dio del sesso che ignora i sentimenti di chi è nel suo letto.
Si alzò di scatto ed andò via.
Sentiva le lacrime premere per uscire e strinse gli occhi, per non lasciare loro uno sfogo.
Era stata una stupida ad accettare un compromesso con Malfoy. Una stupida a credere che, dietro tutto quello, ci fosse davvero l’interesse per la materia.
Arrivata alla seconda rampa di scale, una mano fredda la afferrò per il polso, stringendo, ma con delicatezza. –Fermati. Non serve che scappi.
-Vaffanculo, Malfoy.
-Era questo che intendevo quando ho detto che eri carina quando non parlavi.- lei tacque. –So a quello che stai pensando, Mezzosangue… ma, credimi, non arriverei mai al livello di desiderarti.
-La nomina che porti…
-Chiacchiere. Chiunque viene a letto con me, è consenziente e sa a cosa va incontro.
-Non m’importa, Malfoy. Non m’importa di niente.
-Allora perché sei fuggita via? Hai avuto paura?
-No.
-Mi farebbe piacere se fosse davvero così. Ti ho chiesto ripetizioni, niente di più. E ricordatelo, sono sempre un Purosangue e, da tale, sono stato educato per essere un gentiluomo: non alzerei mai un dito su una donna per farle violenza.
-Belle parole, davvero!
-E’ tardi Mezzosangue: vai a riposare.
La lasciò lì, senza aspettare alcuna risposta.

Quando arrivò nei corridoi di Serpeverde, Draco Malfoy avrebbe voluto sapersi spiegare i proprio comportamenti, i propri pensieri, ma non ci riusciva.
Ricordava quanto gli aveva dato fastidio lo sguardo impaurito della riccia quando era scappata via, come si era sentito un verme di fronte a quegli occhi accusatori, come, quel gesto, gli aveva impresso dentro la voglia di chiarire quel malinteso.
Aveva notato il modo in cui aveva pronunciato la parola Mezzosangue: senza disprezzo, senza cattiveria.
Aveva anche notato come si fosse davvero preoccupato quando aveva visto gli occhi della Grifondoro lucidi e aveva scorto le occhiaie che li circondavano.
Chiuse la porta del suo dormitorio e si sistemò di peso sul grande letto. Poi, fumò una sigaretta con rabbia. –Drà?
-Ancora qui?
-Dove sei stato?
-In giro.
-L’avevo capito.
-Ronda?
-Sì. Mi toccherebbe segnarti, sai?
-Ero andato al cesso, Blaise.
-Hai un cesso personale: non te ne serve un altro.
-Ero con Hermione.

Hermione. Hermione?

-Eri con?
Il moro era del tutto sbalordito, perciò volle assicurarsi di aver sentito bene: Draco Malfoy, rinomato principe delle Serpi e figlio di un Mangiamorte, aveva chiamato per nome una ragazza che la sua educazione gli aveva imposto di disprezzare.
-Con la Mezzosangue.
-L’hai chiamata per nome.
-Impressione tua.
-Ovvio.
-Blaise, ricordatelo: Non è un Malfoy a chiamare per nome una Mezzosangue…
-…sono gli altri che credono di averlo sentito?
Per un po’, il biondo guardò il soffitto, con aria assorta, come se stesse soppesando le parole del compagno.
-Esatto.
-Sai che con ‘sta cosa hai rotto un po’?
Il moro alzò le mani, forse in segno di resa. Momentanea.
Si sedette sul letto.
-Non hai sonno, Blà?
-Sai cosa penso?- disse calmo. –Penso che quando ti piace in questo modo una persona, dovresti fare in modo di piacere a lei, allo stesso modo.
-A me NON piace la Mezzosangue.
-Non parlo di te, coda di paglia. Per esempio, non so, se a me piacesse… la Piattola, certo, all’inizio sarebbe difficile anche per me… ma, se quel piacere fisico diventasse qualcosa di più forte, sarebbe più facile scavalcare i pregiudizi che la nostra educazione ci ha dato, non credi?
-Ti piace la Piattola?
-No, ho fatto un esempio.
-Ho sonno, Blà. Fuori dalle palle.
Zabini uscì dal dormitorio di Draco e si diresse nel suo, sorridendo: lo sguardo del compagno era assorto in chissà quale mondo mentre lui parlava e, di certo, quel mondo aveva gli occhi color del cioccolato.

Era entrata in punta di piedi, facendo attenzione a non fare rumore e a non urtare contro nessuno stipite.
Ci riuscì con fatica e si mise a letto, tirando le coperte fin sotto al naso.
Si guardò per un po’ intorno e, quando vide le spalle di Ginny che si muovevano al ritmo del respiro pesante del sonno, tirò un sospiro di sollievo.
La rossa, però, si girò rumorosamente e si sistemò, nella posizione migliore per dormire.
In quel frangente, che a lei parve eterno, Hermione trattenne il fiato e chiuse gli occhi.
Ci volle un po’ di tempo prima che prendesse coraggio a riaprirli, ma le palpebre si ribellarono fino al punto che la riccia decise di tenerle chiuse.
Ed era fastidioso, perché stampato sul sottile strato di pelle che ricopriva le pupille c’era il disegno di quegli occhi grigi che la guardavano sognante e quelle labbra che si muovevano veloci, mentre le chiedeva di non scappare.

-E’ tardi Mezzosangue, vai a riposare.

Era il suo modo di augurarle buonanotte.
Aveva detto che non si sarebbe mai abbassato al livello di desiderarla, eppure quegli occhi sognanti non potevano essere ignorati. Non potevano non  significare niente.
Poi, ripensò alle parole che lei stessa aveva pronunciato.

Chi disprezza vuol comprare.

Non lo aveva mai disprezzato, in termini di bellezza, ma nemmeno si era prodigata in complimenti, per ovvi motivi: Malfoy era uno dei ragazzi più belli della scuola e, anche se detestava dirlo o condividere qualche pensiero con alcune ragazze di Hogwarts, i suoi occhi erano davvero spettacolari.
Un punto per Serpeverde.
I suoi modi di fare, anche se nei suoi confronti erano una forma di disprezzo, erano sempre signorili e, questo, la incuriosiva non poco.
Due punti per Serpeverde.
La sua camminata ricordava quella di un re che passeggiava fiero nei suoi giardini in primavera.
Tre punti per Serpeverde.
Prima ancora che potesse dare un’altra spiegazione al perché non si complimentava con Malfoy, anche i suoi pensieri cominciarono a balbettare e il suo respiro si fece pesante, fino a diventare uguale a quello della sua compagna di dormitorio.


°°°

La Sala Grande era, come ogni mattina, colma di alunni.
Hermione posò il suo succo di zucca sul tavolo e si sedette accanto a Ron. –Buongiorno.
-Caspita, che occhiaie!
-Grazie, Ronald.
-Ma, dico, hai dormito stanotte o no?
-Diciamo che ha fatto le ore piccole.- intervenne Ginny.
-Eh sì, un po’. Mi sento… offesa per la storia della scommessa e questo non mi da pace.- disse, anche se sapeva che stava mentendo, almeno in parte: la causa della sua mancanza di riposo era dovuta a tutt’altro.
Il suo non sentirsi in pace dipendeva, in parte, ancora realmente alla scommessa: continuava a sentirsi un oggetto e questo la ferita più di ogni altra cosa.
La cosa che le aveva dato maggiore fastidio era stata la reazione del suo migliore amico alla richiesta di Draco Malfoy.
Alzò gli occhi dal tavolo, semplicemente per guardare Harry, ma il suo posto era ancora vuoto.
In compenso, però, incrociò due occhi grigi e stanchi almeno quanto i suoi.
Il ghigno, sul viso del biondo, era appena accennato e lei ricordo quanto fosse dolce, mentre dormiva.
Lo fissò per un po’ o, forse, per molto tempo, fino a che l’immagine di Harry che si sedeva non le coprì la visuale.
-Buongiorno, Herm.- disse il Ragazzo Sopravvissuto.
Hermione non lo degnò di uno sguardo, anzi, come faceva da un po’ di tempo, in presenza dell’amico si allontanava.
Uscì fuori dalla Sala Grande, non prima però di aver notato che anche Blaise Zabini la stava guardando. Il suo sguardo però, era diverso da quello di Draco: era consapevole, saggio.
Decise di non pensarci e si recò in aula di Trasfigurazione, in anticipo almeno di un quarto d’ora.
Si sedette al primo banco, nella fila centrale, occupando il posto che era suo dal primo anno in cui era entrata a far parte della scuola.
Poco alla volta, l’aula si riempì e la professoressa McGranitt si diresse alla cattedra e li guardò ad uno ad uno.
Quando Draco Malfoy entrò in aula, con cinque minuti di ritardo, la professoressa fece finta di non vederlo. Hermione invece, l’aveva visto eccome e, in realtà, un po’ le pesava che la sua professoressa preferita non avesse buon occhio per i Serpeverde come Piton ne aveva per i Grifondoro.
La lezione iniziò ed Hermione si impegnò con tutta se stessa per riuscire nell’incantesimo di evanescenza che a loro era stato affidato.
Quando puntò la bacchetta sull’oggetto, si sentì come se un vortice la stesse risucchiando.
PUF!


***
Angolo Autrice:
Benvenute o bentornate. Spero che abbiate passato un bel Natale.
Eccoci qui con il terzo capitolo.
Qualcosa si sta muovendo, visto? Non dovrete aspettare molto prima che i due si rendano conto di piacersi xD
Beh, che dire?
Ringrazio le 49 seguite, le 14 preferite e le 8 ricordate.
Il mio regalo più bello di Natale siete voi, davvero: mi sostenete, anche se in silenzio, e mi rendete, per quanto possibile, felice di ciò che scrivo e quindi spero di non deludervi.
Buon Santo Stefano a tutti e auguri agli Stefani e alle Stefanie!

A presto, la vostra Exentia_dream.

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Capitolo 4
*** Tra i corridoi ed in una stanza ***


Tra i corridoi ed in una stanza

Cadde, di sedere, al centro esatto della stanza.
Il rumore che fece il suo corpo, una volta toccato il pavimento, rimbombò sulle pareti e tornò alle sue orecchie accompagnato da vari echi.
Il buio intorno non le permetteva di scorgere alcun lineamento di qualcosa che le fosse familiare, quindi, decise di rimanere seduta lì dov’era.
Costrinse gli occhi ad abituarsi a quelle tenebre, fino a che non intravide qualcosa di quadrato che saliva lungo tutta la parete.
Portò le mani alla gonna. –Per Merlino!- esclamò quando si accorse di non avere la bacchetta.
Probabilmente, le era caduta di mano, quando era stata risucchiata.
Sapeva che, oltre quelle mura, il sole splendeva alto su Hogwarts, per questo le era sembrato strano che non ci fosse neanche un raggio ad illuminare l’ambiente.
Doveva per forza trovarsi in una stanza, quindi, da qualche parte, doveva esserci un pulsante per la luce, no?
No, forse no.
Si alzò e decise di appoggiarsi al muro e camminare lungo tutta la parete, quando si scontrò con qualcosa.
-Ahi.- anzi, qualcuno, si corresse mentalmente.
-Chi va la?
-Lumos.- gridò l’altra voce.
Un piccolo raggio di luce partì dalla punta della bacchetta e, pian piano, la stanza prese ad avere dei contorni definiti: a destra una finestra sbarrata e, a sinistra, un letto a baldacchino di legno scuro e pesante.
Il pavimento di pietra era pulito e libero da qualsiasi ingombro, se non nella parte subito a ridosso delle pareti.

Quando si ricordò di essere in compagnia, Hermione decise di guardare chi ci fosse in quella stanza, oltre a lei.
-Malfoy! E’ vietato smaterializzarsi all’interno della scuola!
-Chi si è smaterializzato, Granger? Forse, il tuo cervello non ci è arrivato, ma ci sono anche io qui dentro e, se avessi voluto portarti da qualche parte, di certo non sarei finito qui.
-Maledetto Furetto.- puntò i piedi a terra come avrebbe fatto una bambinetta viziata a cui non era stato regalato il giocattolo richiesto.
-Smettila Mezzosangue. Sai che posto è questo?- disse, indicando con la mano l’intera stanza.
-No.
-Bene! Siamo nella stessa merda.
-Davvero non sei stato tu?
-Ovvio.
-Allora perché hai la bacchetta?
-Perché l’avevo nel mantello e non l’avrei cacciata prima della fine dell’ora, Granger.
-Ah…
-Certo che chi parla della tua intelligenza in quei termini è proprio un mitomane!
-Ti piacerebbe avere la mia intelligenza, Furetto.
-Fottiti, Mezzosangue.

 

 Erano passate forse due ore e nessuno si era dato pena di andarli a cercare, né loro avevano potuto fare qualche incantesimo per capire dove fossero finiti o per comunicare con l’esterno.
Quindi, si sedettero entrambi sul pavimento, spalle al muro, impedendosi di guardarsi: la scenata del giorno prima era ancora troppo viva nei loro ricordi per far finta che non fosse successo nulla ed entrambi preferirono il silenzio.
Lei aveva ancora stampati nella mente gli occhi grigi di lui e quello sguardo strano con cui l’aveva studiata e il tono di voce con cui si era rivolto a lei. Lo guardò, girando leggermente il capo verso di lui, attenta a non farsi scoprire in quel gioco che forse non era mai iniziato.
Draco giocherellava con la bacchetta -ancora impegnata ad illuminare la stanza- creando strani giochi di luce grazie ai movimenti delle sue mani.
I suoi occhi avevano vagato a lungo all’interno della stanza, senza però posarsi mai attentamente su nulla, fino a che non avevano incrociato sul loro cammino il braccio di chi gli teneva una compagnia muta e mal disposta: la mano era aperta, tanto da far combaciare il palmo con il pavimento.
Il braccio era avvolto dal maglioncino della divisa e cadeva perfettamente sulla gonna.
Negli anni precedenti, la Granger aveva preferito di gran lunga abiti di una taglia superiore alla sua, nascondendo così le sue forme graziose agli sguardi maschili. Ora, però, il maglioncino era più aderente, la camicia aveva i bottoni dal collo al seno slacciati e la gonna era leggermente più corta.
Molti degli alunni di Hogwarts, quindi, avrebbero potuto ammirare le sue grazie.
Lui, invece, si limitò, dopo aver squadrato per bene la riccia, ad osservare il polso minuto e fragile della ragazza.
Ripensò a quando l’aveva stretto poche ore prima, per impedirle di scappare, per dirle che non avrebbe dovuto avere paura di lui e poi l’aveva lasciata andare.

 

Si rigirava la bacchetta tra le mani, mentre la Professoressa McGranitt cercava invano di tranquillizzare gli urli che Harry Potter lanciava al Serpeverde. –Sei impazzito, Zabini?
-Ho sbagliato a puntare la bacchetta ed è uscito questo strano incantesimo.
-Dove diavolo li hai mandati adesso?
-Non lo so, Potter. Non l’ho di certo programmata questa sparizione!- in cuor suo, il ghigno soddisfatto gli si era dipinto addosso, ma, agli occhi degli altri, aveva un’aria seriamente dispiaciuta.
-Suvvia, Harry, non può di certo averli mandati fuori dalle mura della scuola.
-Ma, professoressa, è anche vietato far smaterializzare persone o oggetti all’interno della scuola.
-Non l’ho fatto di proposito, Potter. E’ partito tutto dalla bacchetta.
-Mi faccia vedere.- disse la McGranitt tendendo il braccio verso il moro.
La professoressa poggiò la bacchetta sulla scrivania e formulò qualche incantesimo su di essa. –Per Merlino!
-Cos’è successo?- chiesero all’unisono Ron, Harry e Blaise.
-Questa bacchetta è sotto una maledizione.
Tutto il vociare che si era creato intorno a Blaise Zabini cessò e, ancora una volta, il suo ego compiaciuto si mosse nelle sue vene.
-Chi può essere stato?- il Ragazzo Sopravvissuto, preoccupato, si sistemò gli occhiali sul naso.
-Non saprei dirlo: è una maledizione molto semplice, che può essere annullata solo dal mago che l’ha imposta. E’ di livello quasi elementare e ciò mi fa pensare che sia stato qualche novellino ad imporla… Oppure, il mago in questione è un veterano e questa maledizione elementare è un modo per depistarci.
-Ma com’è possibile?- chiede il moro Serpeverde.
-Non lo so… devo parlarne con… con qualcuno.

Avrebbe voluto sorridere, fino a farsi arrivare le labbra dietro alla nuca, ma si limitò ad annuire serio.
In fondo, era stato un gioco da bambini: aveva dovuto leggere un bel po’ di libri quella notte, però, alla fine, avevo trovato l’incantesimo che gli serviva.
Aveva portato il libro con se, su uno dei tavoli della biblioteca e aveva poggiato la bacchetta accanto al libro. In cambio di qualche spicciolo, aveva avuto in prestito un’atra bacchetta che era affine a lui almeno quanto la sua.
Aveva puntato la bacchetta nuova su quella che doveva ricevere l’incantesimo e aveva pronunciato le parole come se fossero state una nenia.
Aveva deciso, quella notte stessa, che avrebbe approfittato delle lezioni della McGranitt, dato che erano le uniche che permettevano l’evanescenza degli oggetti e li avrebbe fatti trovare insieme nella sua stanza, che avrebbe chiuso a dovere.
Mai come in quel momento aveva amato il turno d ronda.
Sorrise ripensando a quanto le cose gli fossero riuscite alla perfezione.
-Dobbiamo cercarli.
-Sì, ma dove?
-Potremmo richiamare i poteri delle loro bacchette.
-Quella di Hermione è lì.- disse Ron, indicando l’oggetto della discussione.
-Quella di Draco invece non c’è, quindi deve averla con lui.- aveva detto il Serpeverde, per non dare motivi di diffidare di lui, ma aveva anche pensato ad eliminare dalla bacchetta del compare qualsiasi potere di richiamo: gli aveva lasciato la possibilità di effettuare solo incantesimi semplici, come Lumos e Accio, nulla di più.
-Proviamo a richiamarlo, sei pronto?
-Sì.- asserì il moro e si concentrò per trovare la bacchetta del biondo.

 

 -Alohomora.
-Sono ore che ci provi, Furetto. Dalla tua bacchetta esce solo luce.
-Defondio.
-Anche questo l’hai già fatto.
-Ci deve essere un modo per uscire di qua.
-Certo che c’è, è ovvio.
-E’… ovvio?
-Sì: è ovvio che ci sia un modo per uscire, così come c’è stato un modo per entrare, no?
-Vuoi che provi a smaterializzarmi?
-D’accordo, proviamo.
Draco si concentrò, seguendo la regola delle tre D: Destinazione: pensò all’aula di Trasfigurazione. Determinazione: pensò di occupare il posto su cui era sempre stato seduto. Decisione: girò su se stesso.
Aprì gli occhi e si trovò nello stesso posto, insieme alla stessa persona.
-E’ inutile.- disse rassegnato.
-Non ci voleva proprio… essere qui, con un Serpeverde.
-Non ci voleva proprio essere qui con una Mezzosangue.
Si guardarono per un po’ con aria di sfida, poi lei per prima abbassò lo sguardo e sospirò.
-Voglio andare via da qui…
-Anche io Mezzosangue, ma lamentarsi non serve a niente, quindi sta zitta: infetti l’aria.
-Idiota.
Passarono altro tempo che a loro parve infinito a rovistare sotto il letto, ma trovarono solo granelli di polvere.
-Vorrei solo sapere dove cazzo siamo finiti.
-Credo che basta rovistare nei cassetti, no?
-Ottima idea, Zannuta. Andiamo.
Aprirono il primo cassetto, rovistando per un po’ tra le camicie, ma niente sembrava riportare al possessore di quegli indumenti.
Aprirono il secondo cassetto ed Hermione prese un maglioncino scuro tra le mani e guardò per un po’ lo stemma sul lato destro dell’indumento e boccheggiò, come se non volesse credere a quello che stava
vedendo.
-Lo sapevo che c’entravi tu, maledetto Furetto.
-Io non c’entro un cazzo, Granger.
-Qui c’è lo stemma di Serpeverde.
-Sono l’unico Serpeverde in questa scuola?
-No, ma sei l’unico che potrebbe fare una cosa del genere.
-Che cazzo ne sai tu di quello che potrei fare io, eh?
-Sei solo capace di fare del male.
Le strinse con forza i gomiti e posò le labbra fredde su quelle di lei, chiedendole con prepotenza di lasciar entrare la lingua e poterla sfiorare con la sua.
Quando lei smise di agitare le mani, nel tentativo inutile di allontanarlo, dischiuse le labbra e gli permise di entrare, venendo subito investita dal quell’odore di menta e nicotina.
I sensi sembrarono abbandonarla per un po’: le gambe le vennero meno, ma Draco le impedì di cadere, mantenendola per le braccia.
Il cervello le si annebbiò tanto che non riusciva più a formulare. Tanto che le uniche immagini che riusciva a focalizzare erano il suo viso e le sue labbra.
Si lasciò andare quasi forzatamente, ma presto si accorse che quel contatto era un modo per conoscere a fondo il ragazzo che si trovava di fronte: quel bacio era delicato e forte allo stesso tempo.
Era passionale e violento. Desiderato e proibito.
Sapeva che c’era qualcosa di sbagliato in quel bacio, eppure non riusciva a staccarsi da quelle labbra, da quella voglia strana di sentire ancora quel sapore.
Schiuse gli occhi, quel tanto che bastava per guardare i muscoli della guancia di lui muoversi al tempo di quel bacio, ma decise di richiuderli quasi subito.
In quello stesso istante, lui si staccò e inchiodò il suo sguardo di ghiaccio sciolto a quello dorato di lei: la stava studiando.
Voleva conoscere le sue emozioni, il suo stato d’animo e la guardava attentamente, per non lasciarsi sfuggire niente.
Aveva visto gli occhi di lei prima pieni di rabbia e poi, dopo pochi secondi, colmi di un’emozione nuova che le aveva visto poche volte sul viso: commozione.
Hermione Granger aveva pianto dopo aver sconfitto Voldemort, dopo aver salvato uno dei suoi amici. Insomma, si commuoveva solo dopo aver fatto qualcosa che per lei fosse di importanza vitale.
Possibile che quel bacio avesse per lei la stessa importanza della salvezza del mondo?
Aveva continuato a tenere gli occhi fissi su di lei, fino a che lei non aveva posto gli occhi su un punto indefinito alle sue spalle.
La vide tremare e le tirò il maglione che aveva tra le mani, posandoglielo sulle spalle piccole e tremanti.
-Copriti bene, Mezzosangue. Credo che dovremmo star qui per un bel po’.
-Cos’era quello?
-Un bacio.
-Non ne ho mai dato uno…
-La Donnola non bacia?
-Non ne ho mai dato uno così…
-Cos’ha di diverso?
-Il sapore…- ed una lacrima le scivolò dagli occhi sulle guance.
Lui le posò le mani sul viso,pulendolo dalla lacrima che lo aveva rigato e le asciugò gli occhi più volte, per impedire a lacrime nuove di bagnare la pelle morbida della ragazza. Sorrise. -Ognuno ha un sapore diverso,
Granger. Arrivi a conclusioni davvero ovvie.
-E…
-E?
-Niente.- La passione con cui era diventato un bacio desiderato.
-Non è solo il sapore a rendere diverso un bacio: è la voglia che si ha di darne o riceverne altri.
Ecco! Aveva colto in pieno il filo dei suoi pensieri e lo aveva seguito. Oppure, quel pensiero era solo un dato di fatto. -Ah, beh, non mi pare di poter fare lo stesso discorso in questo caso.
-Lo dici tu.
-Vorresti dire che hai ancora voglia di baciarmi?
-Chissà…
Hermione Granger lo guardò ancora un po’, poi si strinse nel maglione e il tremore che aveva in corpo si affievolì di poco.

 
Erano usciti dall’aula di Trasfigurazione per cercare i propri compagni di Casa.
Harry Potter aveva già immaginato il peggio: avrebbe scommesso sul ritorno del Signore Oscuro in qualche altra forma richiamata da qualche potente incantesimo proibito.
Ron cercava di tranquillizzarlo inutilmente, visto che il vittimismo e la mania di voler che le cose andassero male per poter avere il merito di aver salvato il mondo del compare non avevano limiti.
Blaise Zabini, invece, sorrideva di tanto in tanto compiaciuto dal nervosismo dei Grifondoro: nessuno avrebbe mai dato la colpa a lui di quanto successo e questo lo rendeva fiero di sé.
Nei corridoi le loro voci quasi si perdevano mentre chiamavano i nomi di Hermione e Draco, eppure, nonostante l’impazienza, nessuno riusciva a smettere di chiamarli e di controllare in ogni angolo della scuola.
-La Stanza delle Necessità.
-Credi davvero che chiunque abbia apposto l’incantesimo li abbia mandati nel posto più ovvio di questa scuola.
-Ricordati che potrebbe anche essere un modo per depistarci.
Harry Potter camminò per un po’, in direzione a lui sconosciuta.
-Cosa c’è, Harry?- chiese il rosso che fino a quel momento aveva preferito stare in silenzio.
-Non so Ron: è tutto così strano!
-Già!
-Ricordi quando  è stata aperta la Camera dei Segreti?
-Sì, quando Hermione è stata immobilizzata dal Basilisco.
-Esatto… Potrebbe essere la stessa cosa.
-Non dirmelo, ti prego.
-Una creatura che miete vittime facendole sparire.
-Sta zitto, Harry, ti prego.
-Non fate i melodrammatici: andrà tutto bene. Magari, la Granger e Malfoy hanno voluto un po’ di tempo da dedicarsi, per chiarire o per capire.
-Cosa stai insinuando?
-Io niente, ma sai… ad un certo punto della vita c’è il bisogno di capire tante cose, per esempio, perché quei due si disprezzano tanto.
-Hermione lo odia perché Malfoy è fissato di essere superiore a lei.
-Può darsi, ma non crediate che la vostra amica si chiede il perché di tanto odio immotivato da parte di Draco?
-Lei non spreca il suo tempo con persone inutili.
Quando Harry si sentì stringere da due braccia sottili, rimase per un po’ senza respirare tanto era grande la sua paura.
-Ho saputo di Hermione. Dov’è finita?- chiese la più piccola della famiglia Weasley.
Il Ragazzo Sopravvissuto la osservò e si rese conto di quanto fossero riconducibili i suoi lineamenti a quella famiglia: chiunque avrebbe visto Ginny, avrebbe scommetto sulla sua appartenenza alla famiglia Weasley.
Il fiato corto non era di certo un peso per lei che continuava a fare domande a raffica ai tre presenti. –Perché siete ancora qui? Cercate anche nei sotterranei, alla Guferia…
-Arriveremo anche lì, Ginny…
-Ricordatelo Harry Potter: mancano cinque giorni alla partita, ma, se non sarai capace di trovare la mia migliore amica, ritieniti il ragazzo più fallito di tutta la storia della scuola.
-Ma… ma…
-Nessun ma: potrai vincere tutti i tornei di questo mondo, Harry… ma… lascia perdere! Vado a fare anche io un giro per controllare.
-Sta attenta, Ginny.- le disse Ron preoccupato. –Harry crede che ci sia qualche mostro da qualche parte che fa sparire gli alunni…
-Dì a Harry che se così fosse, spero proprio che lui sia il prossimo ad incontrare questo mostro.
-Stai esagerando…- disse Harry, per difendersi dalle cattiverie gratuite che la rossa gli stava riservando, eppure, riusciva a capire quanto anche lei stesse male per la scomparsa di Hermione.
-Ho da fare: devo trovare la mia migliore amica, perché io non ho intenzione di perderla.
Girò i tacchi e si diresse verso i dormitori di Grifondoro, decisa a trovare la riccia, lasciando Harry Potter a bocca spalancata che quasi non respirava più.


***
Angolo Autrice:

Per prima cosa, buon inizio d'anno a tutte, anche se con due giorni di ritardo xD
Ho ritardato solo di un giorno la pubblicazione: abbiate pietà di me.
Allora, devo spendere due paroline per questo capitolo: gli incantesimi di privazione della magia e la maledizione non so se esistano davvero, ma, il copione li richiedeva e quindi... eccoli lì!
Che altro dire? Ah sì, cosa ne pensate?
Ringrazio le 69 seguite, le 19 preferite e le 9 ricordate.
Un grazie enorme va a chi recensisce e mi incoraggia a continuare la storia. Ovviamente, ringrazio anche i lettori silenziosi che mi dedicano parte del loro tempo.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 5
*** Nutella a colazione ***


Nutella a colazione


Avevano passato l’intera notte stesi sul letto, facendo attenzione a non toccarsi.
Quando il sonno aveva pesato sui loro occhi fino a farli chiudere, i loro muscoli si erano rilassati  e i respiri erano pesanti e regolari.
Hermione Granger dormiva in una posizione strana e scomoda: un braccio faceva da appoggio alla testa e passava tra i capelli fino a toccare l’orecchio.
L’altro braccio, invece, era appoggiato sul ventre piatto. Le gambe erano incrociate tra loro e piegate in un’angolazione di almeno quaranta gradi.
Draco Malfoy, invece, era disteso a pancia in su, mani dietro alla nuca e gambe stese.
Si mosse un po’, sistemandosi su un lato, per sfuggire ad uno spiffero di vento e le sue mani andarono incontro alla fonte di calore che le richiamava: si rese conto di averle sulla schiena della Grifondoro.
Sul suo viso si dipinse l’espressione disgustata che era tipica di lui, poi, però decise che per scaldarsi sarebbe sceso a compromessi anche peggiori di quello.
D’altro canto, la compagnia della riccia non gli dispiaceva come aveva sempre creduto.
Rimase per un po’ a guardarla, con gli appannati dal sonno.
Forse, se non fosse stato ciò che era, avrebbe potuto trattarla diversamente. Il suo nome, però, aveva ancora un peso e il Marchio Nero sul suo braccio glielo ricordava chiaramente: non bruciava da molto –da quando il Ragazzo Sopravvissuto aveva sconfitto Voldemort- ma molti Mangiamorte volevano il suo ritorno e altrettanti volevano la morte del traditore.
Torno a dormire, avvicinandosi sempre di più alla ragazza, fino a che il suo petto non combaciò perfettamente con la schiena di lei.

Al contatto freddo, Hermione sorrise.
Il suo sogno era simile a quello di una bambina: gli unicorni le ruotavano intorno e l’arcobaleno si rifletteva in una copia perfetta e senza increspature nell’acqua limpida del lago lì vicino. Gli unicorni erano intorno a lei che giocava a schizzarli e sorrideva.
Il cielo, ad un tratto, si era scurito e le nuvole avevano coperto il sole. Hermione aveva iniziato ad indietreggiare, guardando sempre gli unicorni, fino a toccare qualcosa di duro che le arrivava all’altezza dei reni.
Si voltò lentamente nel letto ed aprì gli occhi appena.
Balzò dal materasso, urlando in modo disumano, senza sosta.
Draco Malfoy, colto in contropiede, cadde e trascinò con sé le coperte. Si rialzò qualche minuto dopo -giusto il tempo di capire per quanto fosse possibile a quell’ora che probabilmente per lui rappresentavano le prime luci dell’alba e tra le urla della Mezzosangue- cosa fosse successo.
Gli occhi erano ridotti a due fessure. –Sei impazzita o cosa?
-Tu sei un pervertito.
-‘Cazzo stai dicendo?
-Mi hai abbracciata e quel coso…- disse, indicando il giovane all’altezza del bacino e arrossendo più del lecito. -…quel coso è duro.
-E’ così per tutti gli uomini, la mattina.
-Sei… sei… un pervertito!
-Ancora?
-Cosa mi hai fatto?
-Non ti ho neanche sfiorata.
-Sì, invece. Dimmi immediatamente cosa mi hai fatto.
-Volevo scaldarmi e ho messo le mani sulla tua schiena.
-Io…- disse quasi in lacrime. -…io stavo sognando gli unicorni.
-Tu cosa?- chiese Draco, alzando un sopracciglio. Stava trattenendo una risata e la mascella iniziò a tremargli prepotentemente.
-Oh, no. Non ridere di me.
-Stavi sognando cosa?
-Gli unicorni.- Hermione abbassò il capo, rossa in viso e sentì la risata del giovane scoppiare e riempire la stanza.
Si meravigliò, però, non tanto del gesto che il biondo non aveva mai fatto, ma del suono dolce che aveva il suo riso. –Gli uni… gli unico… gli unicor… gli unicorni.
Il suo viso era così dolce e libero da qualsiasi ruga di preoccupazione e serietà che i ricordi di Hermione si riempirono immediatamente dell’immagine del viso che Draco aveva mentre dormiva.
Gli posò una mano sulla guancia, non riuscendo a dominare la voglia di accarezzarlo e lui era tornato serio.
-Hai una macchia qui.- disse la mora strofinando le dita sulla pelle perfettamente pulita.
-Non toccarmi, Mezzosangue.
Ma lei non lo ascoltò.
Draco le puntò gli occhi addosso, sapendo ciò che lei vedeva nelle sue iridi. Contrasse la mascella per assumere un’espressione più dura, ma sentiva i muscoli vibrare al tocco caldo e morbido di lei. Smise di respirare per un po’ e, allora, lei lo guardò. –Perché mi hai baciata?
-Non avevo altro da fare.
-Lo rifaresti?- Lui tacque e lei sorrise. –Un detto babbano dice che ci tace acconsente.
-Il silenzio non ha lo stesso significato per tutti: ci sono tante sfumature, saputella.
-Come il bagliore che ti è passato negli occhi?
-Quale bagliore?
-Quello del desiderio.
-Non ho nessun desiderio, a parte uno.
-E sarebbe?
Tacque, troppo a lungo. –Uscire di qui.
-Certo.


Sul giornale della scuola, la fotografia magica di Hermione che si passava una mano tra i capelli appoggiata all’arco di pietra faceva bella mostra di se.
Poco sopra l’immagine, il titolo era scritto a caratteri cubitali:

 Hermione Granger preoccupata: stava forse progettando la sua fuga con Malfoy?

Mancano meno di quattro giorni alla tanto attesa partita di Quidditch, durante la quale verrà deciso chi, tra Harry Potter e Draco Malfoy vincerà la sfida lanciata dal Re dei Serpeverde.
Premio della sfida sarà, per quest’ultimo, una serata insieme alla Grifondoro più istruita di tutta Hogwarts.
Il fatto che, però, ha sconvolto l’intera scuola è stata la sparizione del mandante del guanto di sfida, Draco Malfoy, e il premio , Hermione Granger.
Che sia stato tutto programmato?
Come possiamo spiegare la sparizione dei due Caposcuola, coinvolti in questa sfida?
Ed Harry Potter? Cosa ne pensa della fuga (volontaria?) della sua migliore amica?
Secondo fonti non certe, la Caposcuola di Grifondoro…


Ginny lesse l’articolo fino all’ultima riga e per poco non le si drizzarono i capelli rossi sulla testa.
Lesse il nome del fotografo e sapeva che, se Hermione fosse stata in giro, Dennis Canon non se ne starebbe di certo seduto tranquillo al suo posto accanto a Demelza Robins che, dopo il matrimonio di Hannah Abbott,  aveva preso il suo posto come direttrice e scrittrice del giornale.
Se la ridevano loro e Ginny li affiancò. –Sentite un po’, voi due.
-Noi?- chiese la ragazza.
-Sì, voi.
-E’ successo qualcosa?
-Oh no, niente di particolarmente importante o pericoloso per voi, visto che Hermione è sparita…
-Ah, questo lo sapevamo.
-Ah, questo l’avevo capito da sola. Comunque, guardate un po’ qui.- disse la rossa, indicando la fotografia.
-Meraviglioso, non trovi?
-No, non trovo, Dennis.
-Ho scritto solo verità su questa storia, Ginevra e non vedo perché ti disturbi tanto…
-Stammi a sentire, Demelza. Momentaneamente, sono il capitano della squadra di Quidditch…
-Harry?
-Non dargli retta. Comunque, come tale, posso metterti in panchina alla prossima partita.
-Non puoi farlo.
-Oh, certo che posso.
-No.
-Sì.
-No.
-D’accordo, fallo. Quando Harry tornerà ad essere capitano…
-Dubito che accada.- la interruppe Ginny. –Quindi, se davvero credi nei miracoli, prenditi anche la briga di non smentire la notizia della fuga.
-Non lo farò, Ginevra.
-D’accordo.
Si alzò e rimase i due al tavolo e andò incontro ad Harry che, quella mattina, era entrato in ritardo nella Sala Grande e gli mise il giornale davanti agli occhiali, talmente vicino che lui riusciva a stento a distinguere il giallognolo della carta da giornale.
-Cos’è, Ginny?- chiese il moro, spostando dagli occhi il giornale e sbattendo più volte le palpebre per riuscire a vedere meglio.
-L’articolo del giorno. Senti, gira voce di una fuga volontaria di Hermione e Draco Malfoy, ma io so che non è così. E ti giuro, Harry Potter, che se Hermione, in un modo o nell’altro, si innamorerà di Draco Malfoy, io ti uccido.
-E come?- chiese lui, con un cipiglio di sfida.
-Avada Kedavra, scommetti? Ormai ti viene così facile.

Nei sotterranei di Serpeverde era rimasto da solo e, ora che poteva, era andato nel suo dormitorio a controllare che tutto fosse a posto.
Blaise Zabini si era accorto che le urla dei due ragazzi cominciavano a sentirsi e, quindi, rinnovò l’incantesimo che rendeva le pareti insonorizzate.
Controllò che la porte fosse ancora chiusa e, poi, andò via.
Era riuscito perfettamente a far credere agli altri che la porta del dormitorio era stata bloccata e non c’era magia alcuna che avrebbe potuto aprirla.
Provò più volte con la sua bacchetta maledetta e si finse preoccupato.
Inchiodò Theodore Nott con lo sguardo quando questi suggerì di provare con l’incantesimo Alohomora. –Credi che non ci abbia provato già?
-Forse, visto che la tua bacchetta è maledetta, il tuo Alohomora è meno potente.
-No, Theo, no.
A questo non ci aveva pensato quando aveva privato Draco della bacchetta della sua magia, perciò decise di chiudere la porta con un lucchetto e di renderlo invisibile: in questo modo, nessun Alohomora avrebbe potuto aprirla.

Dopo la colazione, Harry Potter si era diretto al campo di Quidditch ad allenarsi ad acchiappare dei bolidi che Ginny gli lanciava: di certo, non erano potenti come quelli che lanciavano i giocatori di Serpeverde, ma non erano neanche delicati.
Il Ragazzo Sopravvissuto, infatti, ebbe qualche difficoltà a prenderli e ad individuare il boccino che, in realtà era una sfera qualunque che Ginny aveva incantato.
Quando, finalmente, Harry bloccò il bolide, lo gettò ai suoi piedi e si diresse verso la sfera.
Aveva volato in alto, oltre la torre dello speaker ed era tornato giù, diretto sugli spalti. Harry non si era schiantato per poco, ma riprese subito a seguire la sfera.
La pallina volante si diresse verso i cerchi delle porte della squadra avversaria e tornò indietro, verso il centro del campo ed era tornato a sfiorare il suolo.
Gli corse dietro per parecchio, ma non riuscì a prenderlo e, allora, planò sul terreno e scese dalla scopa stizzito e lasciò Ginny da sola sul campo di gioco.
La rossa si era arresa ed aveva raggiunto il moro poco dopo, negli spogliatoi.
-Sono nudo, Ginny.
-Ti ho visto così svariate volte, Harry.
-E’ stato tanto tempo fa.
-Non credo che sia cambiato molto da allora.
-Già.
-E comunque hai ragione: è passato così tanto tempo che sarebbe imbarazzante vederti nudo.- disse, fermandosi in un angolo da cui non poteva vedere il ragazzo.
Ripensò a quel periodo, prima e durante la Guerra Magica, a quando si erano dati una possibilità…
Quante cose erano cambiate da quel momento: Harry, in primo luogo, era diventato ossessionato dalla paura del ritorno del Signore Oscuro e, per questo, aveva trascurato lei e i suoi migliori amici.
Lei era sempre stato lì a rassicurarlo, a dirgli che, anche se Voldemort fosse tornato, lui l’avrebbe di nuovo sconfitto, ma Harry Potter era diventato anche irascibile e aveva cacciato Ginny dal suo letto e dalla sua vita, dicendole che era inutile consolarlo se stava con lui solo per la fama.
Ginny si era sentita tradita, perché lo aveva amato dal primo momento in cui l’aveva visto e il moro lo sapeva bene. Quindi, dopo quelle parole era sparita davvero dalla sua vita, non facendosi vedere neanche in Sala Comune di Grifondoro.
Riavvicinarsi era stato difficile e, dopo che ciò era avvenuto, la rossa non mancava occasione per rinfacciare ad Harry la sua stupidità che lo portava solo ad allontanare le persone che gli volevano bene: l’aveva fatto con lei e l’aveva fatto anche con Hermione.

-Senti un po’, Mezzosangue…
-Sì?
-Visto che siamo chiusi qui dentro e che non si sa fra quanto ne usciremo, perché non… ripetiamo?
-Sì, mi sembra un’ottima idea.
-Troppo spesso in accordo. Così non va bene…
-Accio libri.- e una pila di libri apparve accanto alla riccia che sorrise alla vista dei tomi voluminosi che, da li a poco, avrebbe sfogliato, quindi si sedette sul pavimento.
-Perché “Accio” funziona?- chiese il biondo, parlando più a se stesso che alla ragazza.
-Non lo so.
-Cosa?
-Non so perché questo incantesimo funzioni.
-Però, se riusciamo ad usarlo, forse… potremmo richiamare la chiave del dormitorio ed uscire di qui.
-Bell’idea, Malfoy. Ma sai di chi è questa camera?
-Le chiavi sono tutte uguali, Granger.
-D’accordo, prova.
-Accio chiave.- Draco aprì la mano, in attesa che qualcosa di freddo e sottile si posasse sul suo palmo, ma non accadde nulla.
Ci provò ancora e, svariati minuti dopo, si arrese.
-E’ inutile, Malfoy… qualcuno voleva toglierci di mezzo.
-Ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Quello Sfregiato del tuo amico Potter…
-Potrebbe essere.
-Sei di nuovo d’accordo con me?
-Sì: se così fosse, giuro che non mi meraviglierei più di tanto.
-E, sentiamo di grazia, perché l’avrebbe fatto?- si accomodò accanto a lei, sedendosi sul letto per poterla guardare dall’alto. Per esprimere anche nella postura la sua superiorità.
-Per via di quella stupida scommessa: ha paura che tu possa batterlo, quindi ti ha fatto sparire.
-E perché ha fatto sparire anche te?
-Perché, se io avessi capito che era ricorso a questo trucchetto per non perdere e per avere ancora la mia amicizia, probabilmente lo avrei accusato di essere un vile e uno stupido e non gli avrei neanche più rivolto un pensiero.
-Fila!
-Cosa?
-Come ragionamento… fila.
-Ah. Cominciamo.- disse, indicando la pila di libri.
-Sì.
-Questo è un’altra specie di test che ho preparato per te.
-Dai qui.- e prese il foglio tra le mani della riccia. –Accio matita.
Lui cominciò a leggere, mentre Hermione sembrava che stesse sfogliando distrattamente un libro di spiegazione teorica di Trasfigurazione. –Anche in Trasfigurazione...
-Sì, un po’.- ammise il biondo, spezzando a metà la domanda della Grifondoro.
-Se vuoi, posso aiutarti anche in quello.
-Ci ho passato una notte intera con te: passare qualche ora per Trasfigurazione non mi ucciderà.
Hermione aveva annuito ed era tornata al libro che teneva tra le mani. Un’idea di qualche giorno prima le tornò a balenare per la testa e si morse il labbro inferiore. –Malfoy?
-Che c’è, Granger?
-Perché quella scommessa?
-Per divertirmi.
-E perché quel premio?
-Cazzi miei, Granger.
-Sono la diretta interessata e ho il diritto di sapere.
-Non lo so, Granger, ma non farti strane pippe mentali.
-Posso chiederti un favore?
-Dipende: odio abbassarmi a fare o a chiedere favori ai Mezzosangue.
-In realtà, hai già chiesto un favore ad una Mezzosangue. E, comunque, non ne va della purezza del tuo sangue.
-Ne sei sicura?
-Sì.
-E sentiamo un po’...
-Perdi quella scommessa…
-Stai pensando che potessi battere Potter?
-In realtà, ho sempre pensato che ad un certo ti rompessi i coglioni di correre dietro al boccino e, poi, credo anche che tu ci tenga alla tua pelle.
-Perspicace. E volgare.
-Realista, direi: anche io non rischierei la vita per prendere una stupida palla con le ali.
Lei sorrise e lui si limitò a storcere la bocca nel solito ghigno.
-Perché mai?
-Mi pare ovvio.
-A me no.
-Non voglio passare una serata con te, in modo diverso da questo e credo che quando hai richiesto il tuo premio, tu abbia pensato tutt’altro.
-Ho fame, Mezzosangue.
-Anche io. Accio succo di zucca.- ed apparvero due boccette contenente il liquido arancione. –Cos’altro?
-Non ne ho idea.
-Hai mai assaggiato la Nutella?
-La cosa?
 -Lascia perdere, sarebbe difficile da spiegare.- e con l’incantesimo precedente chiamò a se il barattolo di Nutella, due cucchiaini. –Accio pane.
-Pane?
-Sì. Secondo i miei calcoli, dovrebbe essere finita l’ora di colazione…
-Mah.
Hermione prese una fetta di pane morbido e ne spalmò su una bella quantità di Nutella e lo porse al Serpeverde. –Tieni.
-E’ avvelenata?
-E’ buonissima.
-Mangiala prima tu.
-D’accordo.- Hermione preparò anche la sua colazione e ne prese un bel morso. Dopo aver ingoiato e cercato con la lingua di pulire i denti da possibili residui di cioccolata, sorrise. –Vedi, sono ancora viva.
-Sì, ma quella è la tua fetta di pane. Chi mi assicura che la mia non sia avvelenata?- e le porse la sua fetta di pane.
Hermione addentò anche quella e, dopo aver compiuto la stessa azione di pulizia, sorrise ancora e confermò di sentirsi bene, perché la cioccolata non era avvelenata.
Draco prese la fetta di pane dalle mani della riccia e si trovò a saggiare il sapore dolce e vellutato della Nutella. Gli piacque molto, nonostante fosse un prodotto babbano e si meravigliò di essere sceso ad un altro compromesso pur di sopravvivere.
Hermione, dal canto suo, rimasi più meravigliata del biondo. –Stai mangiano il pane che ho morso io.
-Devo sopravvivere.
-E stanotte mi hai abbracciata.
-Dovevo scaldarmi.
-Cosa ti prende, Malfoy?- chiese lei, alzando un sopracciglio.
-L’hai detto anche tu che ci tengo alla mia vita.

…ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.

-Sì.- concordò la Grifondoro, dopo essersi ripresa dallo shock iniziale.
Sentirono qualche voce che chiamava i loro nomi e si guardarono negli occhi.
Un istante dopo erano “poco regalmente” -a detta del Serpeverde che si era ricomposto dopo i primi minuti di delirio- quasi schiacciati contro la porta a urlare “Siamo qui.”
Nessuno pareva sentirli, eppure loro riuscivano a sentire quelli che erano al di fuori di quella maledetta stanza.
-Giuro sul mio nome che quando prenderò chi ha combinato questa cosa, gli cavo gli occhi e poi lo uccido.
-Hanno insonorizzato la camera solo sulle nostre voci.
-Hanno avuto un’idea di merda anche a mandarci qua dentro.
-Prenditela con i tuoi amici, Malfoy, non con me.
 Il loro guardarsi e sfidarsi a chi avesse lo sguardo più minaccioso fu interrotto dalla voce di Blaise che li chiamava a pieni polmoni.
Il biondo Serpeverde parve illuminarsi. –Zabini, quando esco di qua ti faccio a brandelli, pezzo di merda!


°°°
Angolo Autrice:

Oddio! Io non so davvero cosa dire! Ringrazio infinitamente, una per una, le 84 seguite, le 21 preferite e le 10 ricordate!
Sono davvero davvero senza parole!
Ringrazio anche i lettori silenziosi e, spero vivamente, che chiunque passi di qui mi lasci un commentino, uno piccolo! Od anche un commentone, non  mi offendo!
Cos'altro dire? Questa storia, solo al quinto capitolo, mi sta dando tante soddisfazione e spero di non deludervi.
Grazie davvero a tutte.
Ps: alle recensioni spero di rispondere in giornata, altrimenti... risponderò lo stesso xD
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 6
*** Fraintendimenti e mezze verità ***


Fraintendimenti e mezze verità

-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?
-Perché dovrei sentirmi così?- chiese il Serpeverde dall’alto del tavolo su cui era seduto, guardando la sua compagna di sventura che si era accomodata sul pavimento.
Durante quella specie di esilio, Draco Malfoy aveva potuto vedere in che modo Hermione fosse insicura ed aveva imparato a riconoscere i gesti con cui lo dimostrava: si sedeva a terra, perché si sentiva inferiore al resto del mondo; portava le ginocchia al petto quando stava male e nascondeva lì il capo quando aveva voglia di piangere, perché non voleva che nessuno vedesse le sue lacrime o l’avrebbero presa in giro.
Era così fragile e piccola vista da lassù, eppure, quando alzò gli occhi castani e li fissò in quelli di lui, Draco riuscì a vedere la forza di volontà che caratterizzava quella ragazzina riccia che il tempo aveva trasformato in una piccola donna. –Non lo so… io mi sento come se il tempo fosse finito.
-Magari, Mezzosangue.
-…come se fossi l’ultimo granello di sabbia in una clessidra…
-Tu sei l’ultimo granello di sabbia.
-E tu saresti il primo?
-No, il penultimo.
-E perché?
-Così ti sono vicino.
Ed era stato così semplice scoprirsi, almeno un po’. Non era di certo ciò che avrebbe voluto, ma negarsi la sincerità era diventato quasi impossibile.
-Per prendermi in giro, vero?- e lei ancora una volta l’aveva salvato dal suo pestarsi i piedi da solo.
-Ovviamente.
Lei continuò a guardare il pavimento, come se ci fosse una strana scrittura che cercava di interpretare ad ogni costo, visto che costringeva gli occhi a due fessure.
Quando il suo sguardo dorato si levò dal pavimento, incrociò gli occhi di Draco Malfoy che la studiavano.

Oro.
Erano i suoi occhi, mentre le pupille si dilatavano per la sorpresa e mentre le sue guance le si coloravano dell’imbarazzo rosa che ancora provava quando si sentiva osservata.

Argento.
Erano gli occhi di lui, mentre nella sua retina si andava pian piano disegnando l’immagine di lei che sarebbe rimasta lì, come un tatuaggio che non sarebbe andato più via.
Come il marchio nero sul suo braccio.
Scosse il capo e tornò ad indossare la sua maschera di strafottenza, il ghigno stampato sul viso aristocratico.


Blaise Zabini aveva fatto bene i conti, ma una settimana -voltata ormai al termine- ora, non gli sembrava abbastanza per far innamorare chi da una vita si odiava.
Eppure, lui credeva che l’amore potesse far crollare i muri più solidi, l’odio più profondo.
Ma la sua teoria aveva mai trovato conferma? No.
-Credi che sia bastato?- chiese al suo compare seduto al tavolo di Serpeverde nella Sala Grande.
-Che ne so io.
-Non urlare, Theo! Solo tu sei a conoscenza di questa cosa…- disse il moro, bisbigliando.
-Sembri una ragazzina isterica quando ti comporti così.
-Shh, Theo.
-D’accordo, Zabini.- e Nott fece segno con le mani di cucirsi la bocca.
-Perfetto così.
In quel momento, entrò in Sala Grande Harry Potter, seguito dal fido compare rosso, Ron Weasley.
Del rosso non si era mai parlato tanto, se non quando aveva lasciato Hermione Granger per un motivo sconosciuto a tutti.
Girava voce nei corridoi di Hogwarts che fosse stata lei a lasciarlo e, per questo, lui aveva deciso di farle una scenata durante i minuti di spacco tra le ore di lezione. Le aveva detto che la stava lasciando e che tra loro non ci sarebbe più stata la possibilità di salvare un qualcosa.
Hermione lo aveva guardato con un sorriso tranquillo sulle labbra, segno che chiunque interpretò come un sorriso di sollievo.
I due si sedettero al loro tavolo e fissarono gli occhi al lato opposto, guardandolo con nostalgia poiché quello era il posto in cui sedeva la terza componente del trio.
Blaise ricordò che il prossimo pomeriggio avrebbe avuto luogo la partita di Quidditch e allora trascinò Theodore lontano dal loro tavolo, per i corridoi della scuola, fino a giungere nei sotterranei ed, infine, in un qualsiasi dormitorio.
 La Sala Comune di Serpeverde sembrava troppo affollata.
Quando Theo chiuse la porta dietro di sé, guardò Blaise con occhi sbarrati e il fiato corto. –Ma ti è dato di volta il cervello?
-Domani ci sarà la partita.
-Sì.
-E quei due dovranno uscire da lì.
-E?
-E Draco mi ucciderà.
-E’ probabile che lo faccia… quando scoprirà che sei stato tu a creare questa situazione… e se lo scoprirà.- enfatizzò il giovane, calcando e scivolando volontariamente sulle esse.
-Lo sa già.
-E… chi gliel’ha detto?
-Ci è arrivato da solo.
-E a te chi l’ha detto?
-Ero andato a controllare e, ad un certo punto, ho sentito che urlava il mio nome.
-Sei nella merda, Blà.
-Grazie per il sostegno morale.
-Figurati.- sorrisero.


Al tavolo di Grifondoro era calato un silenzio tombale. Un silenzio che nessuno osava spezzare, come se fosse stato sacro o come se questo avesse potuto far tornare tra loro la Grifondoro per eccellenza.
Harry Potter aveva lo sguardo vuoto perso nei meandri della sua mente e, che gli occhi erano fissi sul posto in cui sedeva Hermione era una pura casualità.
In cuor suo, stava ripensando a quel bacio che aveva dato a Ginny e che avrebbe voluto rappresentasse un addio, ma che non ne aveva affatto avuto il sapore.
C’era speranza, in quel bacio. C’era la rabbia e il desiderio e il retrogusto era un po’ amaro, ma non sapeva di addio.
Strinse le mani a pugno, fino a far diventare le nocche bianche e fino a che la pelle non sembrava potersi screpolare da un momento all’altro e ricordò tutte le cose che aveva perso nel corso di quegli anni ad Hogwarts: per primo, aveva perso l’unico amore della sua vita, a causa del suo stupido ego da eroe; in secondo luogo, aveva perso la sua migliore amica, a causa della sua insensata voglia di stare sempre al centro dell’attenzione e, terzo, avrebbe perso il suo ruolo di capitano.
L’aveva capito da poco, quando la sua mente aveva provato a rispondere alla domanda che tutti si ponevano: perchè Malfoy aveva chiesto Hermione come premio della scommessa?
Perché provava qualcosa per lei, perché dietro l’odio si nascondeva sempre il desiderio di avere ciò che si disprezzava.
-Buongiorno!- la voce cristallina della rossa lo riportò alla realtà e lui la guardò negli occhi.
L’allegria che Ginny esprimeva nella voce era solo formale perché lì, dietro quelle iridi chiare, c’era la tristezza più assoluta.
Una tristezza talmente grande che lui si sentì annegare e portare giù nel buio più profondo di quell’anima che ancora amava tanto.
-Ciao Ginny.
-Ti-ti… ti devo parlare, Harry.
E lui sentì la terra tremare sotto ai piedi e il suo cuore perse più di un battito.
I polmoni sembrarono essere troppo piccoli per contenere l’aria necessaria per respirare come si doveva e, in più, le mani gli presero a tremare.
Vide gli occhi della rossa riempirsi di preoccupazione e allora le sorrise, per tranquillizzarla. –Va bene.
-Adesso.
-Non possiamo parlare più tardi?
-Cambia qualcosa?
-Sì.- cambiava che se si fosse alzato in quel momento, sarebbe caduto perché il terrore di quella frase gli aveva reso le gambe deboli.
Cambiava che se Ginny gli avesse detto che tra loro era finita davvero, sarebbe stato più difficile che accettare il solo pensiero. Perché in quei mesi, Harry Potter aveva solo avuto a che fare con il pensiero e la sensazione di aver perso l’amore della sua vita.
Fare i conti con quella certezza sarebbe stata tutt’altra cosa.


-Verità.
-Perché Weasley ti ha mollata?
-Perché credeva che fossi un giocattolo e, quando si è reso conto che non era così, ha deciso che era troppo difficile per lui tenermi a bada e allora mi ha lasciata!
-Non gliel’hai data, eh?
-Può darsi. Ma se così fosse, ci sarebbe stato anche un motivo valido: non merita altro da me. Tocca a te.
-Verità.
-Perché mi hai baciata?
-Non voglio rispondere.
-Devi.
-Non sono obbligato a farlo, Mezzosangue. Ho scelto verità!
-Devi comunque rispondere, Malfoy!
-Sarà stata l’atmosfera: il buio, il restare chiusi qui dentro.- e si avvicinò con un movimento impercettibile al viso di lei. –Ora, tocca a te.
-Verità.- voleva scoprirsi e farsi conoscere da lui, come forse non aveva mai fatto con nessuno che non fossero i suoi due migliori amici.
-Mi odi?
Lei parve soffermarsi su quella domanda, cercando in quelle parole qualcosa di sinistro e nascosto che la facesse cadere in una delle solite trappole di Malfoy. –Non so… non mi sono mai chiesta cosa provo realmente per te: mi è indifferente.
-Però mi rispondi a tono.
-Per difendermi.
-Hai paura che possa ferirti?
-Non mi ferisci, Malfoy. Non l’hai mai fatto e mai lo farai. Tocca a te.
-Obbligo.- concluse il biondo, dopo aver soppesato ogni possibile domanda che la mora gli avrebbe fatto nel caso avesse scelto verità. –Questo gioco è noioso.
-Invece, a me piace molto. Comunque… hai detto obbligo? Uhm…- Hermione portò un dito alle labbra schiuse e alzò gli occhi al soffitto per permettersi di pensare meglio, ma nulla gli pareva abbastanza da chiedere a Draco-sono-migliore-di-ogni-singolo-Grinfondoro-Malofy
Poi, una specie di lampadina le si accese nel cervello e allora sorrise, imitando quasi il ghigno che era solito usare il biondo Serpeverde. –Perdi la partita, Furetto.
-Non vale, Granger: il patto era che qualsiasi cosa- verità od obbligo che sia- venga risposto qui dentro.
-Possiamo fare a meno di questa regola.
-Per Salazar! Si è davvero capovolto il mondo.
-Non direi.
-Io direi eccome: stai proponendo di non rispettare una regola.
-E’ uno stupido gioco, Malfoy. Comunque, sei obbligato a perdere!
-Sarei obbligato se fossi fuori, in mezzo a quel campo. Ma sono qui, insieme a te. Tocca a te.
-Obbligo.- forse, le avrebbe chiesto di ritirare la sua richiesta, di lasciargli vincere la partita.
-Baciami.- e la guardò con occhi di un colore più intenso e scuro del suo solito grigio e la freddezza glaciale con cui si mostrava agli altri aveva lasciato spazio ad una strana luce carica di aspettative.
Si inginocchiò di fronte a lei, scendendo dal tavolo e la guardò.
Le sfiorò le guance e lei boccheggiò in cerca d’aria. –Non… non…- provò a dire debolmente, ma le labbra di lui la costrinsero al silenzio.
Sentiva i leggeri morsi con cui Draco torturava le sue labbra e i tocchi caldi della lingua che le carezzavano, ma si sforzò di non farsi sopraffare dalla cecità di quel momento.
Quando sentì il contatto umido della sua lingua con quella di lui, chiuse gli occhi per cercare di trattenere un briciolo di lucidità, ma sentiva allontanarsi assieme al controllo che aveva dei suoi sensi.
E allora, aprì di più la bocca e gli permise un miglior accesso.
Portò le mani dietro al collo di lui e lo attirò di più a sé, baciandolo come forse non aveva mai fatto in vita sua.
Con Ron, i baci sembravano forzati e poco piacevoli.
Il bacio che aveva dato a Krum, invece, l’aveva disgustata al punto da giurare che non avrebbe mai più baciato nessuno.
Ora, però, quel bacio sapeva di un sapore che lei non avrebbe dimenticato facilmente.
E l’odore di lui- pensò dopo essersi fermata e dopo aver allontanato le labbra da quelle di Draco- sarebbe stato uno dei suoi preferiti.
Lui non le tolse le mani dal viso, anzi, continuò a tenerle lì.
E si avvicinò di nuovo, in cerca della sua bocca morbida e la attirò a sé, baciandola ancora e ancora, pure se i polmoni replicavano la mancanza d’aria.
E ancora un bacio, prima che un rumore li spaventasse.
Hermione si strinse al petto freddo di Draco e lui la tenne tra le braccia, per proteggerla.
 
-Non mi ferisci, Malfoy. Non l’hai mai fatto e mai lo farai.

Sorrise pensando alle parole di lei di poco prima: sulla prima, c’era molto da discutere.
Dire che Malfoy non avesse mai fatto piangere Hermione Granger sarebbe stata una bugia colossale.
Sulla seconda, invece, c’era molto su cui Draco si sentisse in dovere di ragionare: parte di lui, sapeva che sarebbe stato così, perché sentiva il bisogno di difenderla e più di tutto, sentiva crescere in lui il desiderio di non ferirla più.

-Non mi ferisci, Malfoy.

Hermione Granger gli puntò gli occhi lucidi e accusatori nei suoi. –E ora perché mi hai baciata?
Lui sorrise e si allontanò da lei, stendendosi sul letto morbido.


Tra dieci minuti, alla Guferia. Harry.


Aveva avvolto la pergamena e l’aveva legata alla zampa di un piccolo gufo, poi l’aveva visto mentre spiccava il volo e si dirigeva alla finestra della destinataria.
Si era seduto ed aveva poggiato la testa al muro, chiudendo gli occhi.
Rimandare quell’addio non aveva più senso: il dolore sarebbe stato lo stesso o, forse, anche più forte, perché in quei minuti che aveva chiesto, si era concesso di pensare ad un’alternativa in cui lui e Ginny insieme non fossero solo un ricordo del passato né un’illusione del futuro.
La voleva con sé, per sempre.
Il rumore delle ali dei gufi che si muovevano e il ticchettare delle loro zampe sui piedistalli di legno lo allontanò da quei pensieri e fece appena in tempo a vedere Ron che entrava nella Guferia e legava alla zampa di un gufo una pergamena. –Che ci fai qui, Harry?
-Nulla… stavo aspett… ho mandato un gufo a Demelza.
-E perché?
-Hai notato che non c’era all’allenamento?
-In effetti… sì. E perché?
-Non lo so, per questo le ho mandato un gufo. Ho pensato che stesse male e volevo assicurarmi sulla sua salute, dato che sono il capitano di Grifondoro.
Ron era lì da soli due minuti, ma Harry sentiva che il tempo scorreva troppo in fretta e allora si affrettò ad uscire dalla Guferia e si nascose dietro ad una statua per assicurarsi che il compagno fosse davvero andato via.
Passarono altri minuti e di Ron nemmeno l’ombra, poi udì alcuni passi avvicinarsi dalle scale e perdersi nel corridoio laterale.
Quando capì che quei passi erano di Ginny, si scorse quel po’ che gli bastava per prendere il braccio di lei e nasconderla dietro alla statua. Le coprì la bocca con una mano e le disse, sospirando, di non dire alcuna parola.
Si trovarono ancora una volta a guardarsi negli occhi e a perdersi nei loro colori chiari. Trattenevano il respiro per impedire alle parole di uscire tremule e scoordinate.
O, forse, preferivano il silenzio che non poteva essere mal interpretato, come invece –e con un’alta probabilità- sarebbe successo con le parole.
Harry distolse per un secondo lo sguardo verso la porta semiaperta, poi tornò a guardare Ginny.
Allora, la rossa si liberò dalla mano del moro e mise su la solita aria imbronciata che aveva quando non le dicevano cosa stava succedendo.
 Era così tenera nella sua posa da bambina: le mani ai fianchi, gli occhi piccoli che volevano sembrare minacciosi, le guance leggermente gonfie e le labbra un po’ all’infuori.
Harry sorrise e le accarezzò i capelli.
Quando finalmente Ron uscì dalla Guferia, Ginny capì lo strano comportamento del Ragazzo Sopravvissuto e si diresse a passi lenti verso la sala da cui era appena uscito suo fratello.
Attese che Harry la raggiungesse e, poi, si voltò a guardarlo. –Perché hai voluto aspettare?
-Avevo bisogno di… coraggio… per dirti una cosa.
Lei sbarrò gli occhi e nella sua mente si fece immediatamente strada la frase che aveva sempre detto ad Hermione, ogni qualvolta la riccia si era illusa che Ron potesse cambiare. “Te l’avevo detto che sarebbe andata così!”
E lei aveva parlato a lungo con sé stessa ed una parte della sua anima avrebbe scommesso sul fatto che il bacio di Harry avesse significato solo un addio. –Per dirmi cosa?- chiese infine, con un filo di voce sottile proprio quanto il suo coraggio in quel momento.
-Volevo chiarire… quel bacio.
-Non importa, Harry, davvero.
-Non vorrei averti ferita e non voglio che tu fraintenda.
-Non ho frainteso, Harry: so bene come stanno le cose e va bene così.
-Davvero?- allora, anche lei non voleva dirgli addio? Anche lei voleva dare l’ennesima possibilità alla loro storia?
Però, quando Harry tornò alla realtà -dopo un viaggio mentale in cui si vedeva con Ginny in una chiesa a giurarsi amore eterno- si accorse di essere rimasto solo.
Sentì i passi, fuori da quella sala, farsi sempre più lontani e si rese conto che aveva sbagliato a pensare di poter riavere Ginny con sé: lui le aveva appena confessato di amarla ancora e lei gli aveva appena confermato il suo addio.

Come si poteva essere tanto stupidi?





***
Angolo Autrice:
Lo so, sono in un ritardo tremendo e vi capisco se avete smesso di seguire questa storia... ma ORA eccomi tornata e giuro che non ci saranno mai più ritardi!
Giuro che prima di domenica posterò un altro capitolo per recuperare all'immenso ritardo :S
Cosa ho da dire su questo capitolo?
Nulla di che: come potete vedere, la storia ruota attorno sì ad Hermione e Draco, ma anche a Ginny e Harry.
Ci sono state delle incompresioni e non saranno facili da chiarire (ci vuole un pò di pugno per certe situazioni xD).

Ringrazio le 117 seguite, le 30 preferite e le 17 ricordate.
Ovviamente, i miei infiniti "Grazie" vanno anche a chi commenta e a chi semplicemente si ferma a leggere, restando in silenzio.
A presto, la vostra Exentia_dream



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Capitolo 7
*** Esplicite ed implicite richieste ***


Esplicite ed implicite richieste

Un altro giorno era passato dentro alla stanza sconosciuta in cui i due stavano scontando la loro pena, senza aver commesso alcun reato.
-Sono stanca di stare qui dentro.
-Peggio di te, Mezzosangue, ma non per questo mi lamento.
-E sono stanca anche dei tuoi modi altezzosi, Malfoy. Non ne posso più di respirare sempre la stessa aria viziata…
-Io mi lavo, Mezzosangue e non puoi di certo dire che ho un cattivo odore.
No, questo proprio non poteva dirlo.
Di notte, ogni notte, non era mancata occasione per lei di respirare il profumo di lui, della sua pelle. Nebbia, pioggia, inverno.
E si era trovata ad osservarlo mentre si sedeva sul pavimento ed appoggiava la schiena al legno del letto.
Una sigaretta alle labbra, lo sguardo perso, ma sereno…
Sembrava così diverso in quella situazione.
La fiamma debole della candela – se l’erano procurata nei giorni precedenti con un “Accio” di Malfoy- gli illuminava il viso per metà. Per quella metà dove l’angolo delle labbra era leggermente all’insù.
Un sorriso?
Una ruga di preoccupazione gli attraversò la fronte e Hermione si ritrovò a chiedersi cosa ci fosse che improvvisamente gli aveva procurato quella preoccupazione. Qual era il pensiero che lo aveva privato dell’espressione angelica di cui lei si stava beando?
Sentì un calore all’altezza del petto ed i battiti del suo cuore accelerarono, ma probabilmente, aveva iniziato a soffrire di claustrofobia ed ancora non lo sapeva.
-Vado a fare una doccia.- esordì la riccia, alzandosi dal pavimento su cui aveva sistemato un cuscino.
-Finalmente.
-Fanculo, Malferret.
Lei odorava di buono. Di grano, di sole, di primavera.
Nessun profumo era bello quanto il suo, quanto quello della sua pelle.
Era così da lei essere buona in tutto: nel carattere, nel pensare… ed anche nel profumo.
Però, un po’ di primavera nei polmoni non poteva di certo sciogliere tutta la neve che albergava lì dentro.
Un po’ di sole tiepido non poteva di certo sciogliere un ghiacciaio. No, però lo scaldava.
E a lui piaceva essere scaldato, provare quella sensazione di benessere nelle vene. In quei tubicini in cui scorreva il suo sangue puro, gli stessi tubicini di lei, in cui scorreva un sangue sporco.
Eppure, Draco Malfoy non riusciva ancora a spiegarsi con cosa si potesse sporcare il sangue di qualcuno. Un nome? Non faceva di certo la differenza.
Un cognome? Nemmeno.
E neanche essere nati ricchi può dare ad una persona il diritto di far sentire inferiori gli altri.
L’aveva letto in qualche libro, tanto tempo fa, ma non aveva capito il significato di quelle parole. Solo mentre era rinchiuso lì, stava capendo quanto davvero fosse inutile giudicare gli altri. In pochi giorni, tutte le certezze che aveva avuto nella vita avevano cominciato a strisciarsi, a rompersi… stavano quasi crollando.


Mancavano ormai due giorni alla partita di Quidditch, ma Harry Potter aveva rinunciato ad allenarsi e si era comodamente seduto sugli spalti, mentre la sua squadra lavorava per tenersi in forma.
Ginny, Ron… erano tutti lì. O quasi. Infatti, all’appello mancava Demelza Robins: non era neanche sulla panchina.
Semplicemente, non presenziava all’allenamento.
Era così assorto nei suoi pensieri, che, quando Ginny si sedette accanto a lui e gli sventolò in faccia la mano, lui sobbalzò e trattenne il respiro. –Ti faccio compagnia?- gli chiese lei, dolcemente.
La osservò, mentre lei stendeva le labbra in un sorriso e gli occhi diventavano più piccoli e brillavano al sole.
Era stato davvero stupido a lasciare che lei andasse via a quel modo e ricordò quanto gli fosse costato fare l’indifferente e cercare di dimenticarla, stando con altre persone che erano solo interessate alla sua fama.
Eppure, proprio grazie a queste aveva capito quanto realmente Ginny lo amasse.
Chissà se è ancora così…
Probabilmente no, per questo lo aveva rifiutato quando lui era tornato da lei, chiedendole scusa per una volta sola. Per questo, con il tempo aveva deciso di restargli amica e per questo ora lo invogliava ad allenarsi.
-Sì.- le rispose, un po’ freddamente forse, ma poteva ancora permettersi di credere che tra loro si potesse salvare qualcosa?


Non riusciva più a trovarla.
Aveva cercato nei cassetti, sotto al materasso, nella federa del cuscino, sotto al letto, nel bagno, insomma dovunque, ma non l’aveva trovata.
-Ma l’ho messa qui!- disse, urlando contro le pareti.
Theodore uscì dalla doccia, coperto in vita dall’asciugamani di lino. Guardò il compagno come se fosse stato impossessato –Perché urli?
-Non trovo la mia bacchetta.
-Oh…- e gli voltò le spalle, andando verso il suo armadio. –Intendi questa, Blà?
-Dammela subito.
-Io credevo fosse l’altra la tua bacchetta.
-Anche quella è mia.
-Allora ne hai due.
-Sì, cioè… no.
-E’ girata voce in corridoio e, per Salazar, sono stato io il primo a cui è giunta la voce…
-Quale voce?
-Quanto hai pagato per quella bacchetta?- chiese Theo, indicando la bacchetta che Blaise teneva tra le mani –quella non maledetta.
-E’ mia.
-Allora è questa quella che hai pagato?
-No, quella è mia.
-Cosa stai combinando, Blà?
-Nulla.
-Ho fatto un incantesimo alla persona che mi ha rivelato questa cosa: non potrà dirlo a nessuno e neanche ricorderà questo avvenimento, perciò, da te voglio la verità.
-Non sto combinando nulla.
-Sai che esistono incantesimi per far rivelare la verità a qualcuno?
-Emh… ascoltami. E posa la bacchetta.
-Precauzione, Blaise. Non ho nulla contro di te.
-Bene. Allora, ricordi la storia del dormitorio e la sparizione di Draco e della Granger?
-Sei stato tu?
-Sì.- abbassò il capo, colpevole.
-E perché?- Nott si era fatto curioso, voleva saperne di più e magari combinare qualcosa insieme al compare, ma questo non lo lasciò trasparire e costrinse il suo entusiasmo a restare nella gola.
-Perché… credo a Draco piaccia Hermione.
-E?
-E allora li ho sigillati per un po’ nel nostro dormitorio.
-Per?
-Staranno a stretto contatto, ventiquattro ore su ventiquattro, fino al giorno prima della partita.
-Domani?
-Sì. E… io so che lei è quella giusta per lui, perché gli tiene testa e non si ficca nel suo letto per essere cacciata. E credo che anche a lei piaccia Draco…
-Vuoi farli innamorare?
-Beh, mi piacerebbe. Mal che vada, avranno parlato un po’ e gettato le basi per un rapporto più civile.
-Potrebbe anche accadere il contrario, lo sai?
-Ci ho pensato, ma mal che vada…
-Si lanceranno maledizioni in qualsiasi luogo.
-In effetti- ammise il moro.- a questo non avevo proprio pensato.
-Bene, amico mio… armiamoci di arco e frecce.
-Eh?
-Cupido ha l’arco e le frecce.
-Ma Cupido non era il dio dell’erotismo?
-No.
-Senti, Eros è il dio dell’amore ed Imeros è il dio dell’erotismo… e Cupido non è il rispettivo romano di Imeros?
-Mi hai confuso le idee, Blaise… non m’importa chi è dio di cosa…
-Ah, come vuoi. Non importa neanche a me.- e sorrise, con aria indisponente.


-Una cosa mai vista, Silente. Mai, in tutti gli anni in cui sono stata qui…
-Il ragazzo ha visto del buono in loro due.
-Ma si odiano!
-Tra l’odio e l’amore, Minerva, il confine è sottile.
-Rinchiuderli in una stanza non ha senso. Dovrei togliergli almeno cento punti.
-Sei troppo severa... Dai il tempo a quel ragazzo di guardare crescere i frutti della sua semina.
-Senti, Silente, si sono sempre disprezzati e lanciati insulti in ogni occasione…
-Minerva, ascoltami, ti prego. La volpe che non arrivò all’uva, disse che questa era acerba.
-E’ diverso.
-E’ la stessa cosa, invece. Solo che i due ancora non lo sanno.
-Hai troppe aspettative, Silente… da quei due insieme io non mi aspetto niente di buono.
-E tu sei troppo pessimista, Minerva.
Delusa, la professoressa uscì dall’ufficio del Preside e si recò nella sua aula di Trasfigurazione.
Quel vecchio ne aveva scampate davvero di tutti i colori e non era ancora sazio di veder davanti agli occhi realizzate cose impossibili.
Ci vorrebbe un miracolo, per quei due… e chiuse la porta dell’aula.
Si sedette alla scrivania ed osservò a lungo i banchi in cui sedevano i suoi due alunni scomparsi: una, Hermione Granger, che eccelleva nella sua materia e le era simpatica in modo assurdo per quella sua aria da saccente. L’altro, Draco Malfoy, che a stento arrivava alla sufficienza e che si sentiva superiore a tutti.
Erano gli antipodi l’uno dell’altra e, forse, Silente, in fondo ma molto in fondo, aveva ragione: si sarebbero completati e avrebbero trovato il proprio equilibrio nella loro unione.


-Senti, Ginny… volevo chiederti scusa.
-Per?
-Un po’ per tutto, sai… la storia di Hermione, la scommessa e… e quant’altro.
-Oh… Fi- figurati, Harry. Devi chiedere scusa a lei per questo, non a me.
Aveva creduto che si sarebbe scusato per quanto avesse fatto a lei, per il dolore che le aveva inflitto e invece, anche se titubante e imbarazzato, aveva chiesto scusa per quella stupida scommessa.
Qualcosa di buono, in tutta quella storia, però c’era: si erano riavvicinati, senza imporselo. Il loro essere amici era diventato quasi automatico in quella situazione, perché Ginny non voleva che lui perdesse la sua migliore amica.
-Hai ragione, dovrei proprio farlo. Mi chiedo dove sia finita adesso. Sono davvero preoccupato per lei: potrebbe anche essere stata rapita dai Mangiamorte ancora liberi. Secondo te, esiste qualche incantesimo per riportare l’anima di un morto in un altro corpo?
-Non lo so, forse. Potrebbe esistere ed essere una Magia Proibita…Perché?
-Beh, Hermione è una mezzosangue, come dice Malfoy, e anche Voldemort lo era.
-Mi pare una giusta osservazione, Harry… ma non credo che… insomma, non l’hanno rapita loro.- però il suo corpo tremava a pronunciare quelle parole.
Sentiva il gelo della paura bloccarle le gambe e bloccarle la voce.
-Ginny, non avere paura, ti prego… se… se anche fosse, vinceremo ancora noi.- e sentì le braccia di Harry cingerle le spalle e stringerla al petto muscoloso e tonico.
Aveva alzato gli occhi, colmi di lacrime, per assicurarsi che davvero Harry pensasse quelle cose e sperava di trovare nei suoi occhi la certezza che le sarebbe rimasta vicino.
Invece, nei suoi occhi, scorse un lampo che la intimorì ancora di più del ritorno di Voldemort. Un bagliore che sembrava brillare di luce propria e che era rimasto nei suoi occhi fino a che lui non li aveva chiusi.
Harry le prese il viso tra le mani e la guardò a lungo. Troppo a lungo.
Poi, posò le sue labbra su quelle di Ginny, senza darle il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Si baciarono per un tempo che a loro parve immenso, senza respirare, con la frenesia di chi per giorni interi non ha respirato o non ha bevuto.
Con la rabbia di chi per troppo tempo si è negato la felicità.
Poi, Harry si staccò e la guardò per un altro attimo negli occhi. –Scusami.
E corse via.
Lei era rimasta lì, le mani strette a pugni e le lacrime che le rigavano il viso. Era quello il significato di quel lampo negli occhi verde e smeraldini di lui: era l’addio e quel bacio lo sigillava in quel momento che lei avrebbe odiato sempre.
Lo lasciò andare. Un’altra volta. E come aveva sempre fatto, d’altra parte.


-Perché quel premio?
-Quante volte devo ripetertelo?
-Finché non ne sarò convinta.
-Hai un pessimo approccio, Mezzosangue.
-Non voglio conversare, Furetto. Voglio sapere perché.
-Sei l’unica persona di cui Potter si interessi davvero. A parte la Piattola, ma lì sarebbe un discorso a parte.
-Avresti potuto scommettere su Ron.
Rabbrividì per il disgusto e la guardò. –Non sono omosessuale.
-Avresti potuto fargli perdere la sua carica di capitano.
-E per cosa? Sono capitano anche io. Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
-Quindi, mi vuoi?- Hermione aveva tremato e sentiva l’imbarazzo posarsi sulle guance calde.
-Non ho detto questo.
-Ah no? E cosa avresti detto?
-Hai capito male, Mezzosangue.
-Senti, che tu sia un Malfoy o meno e che io sia una mezzosangue o meno, il significato della tua frase è quello. E non ho capito male.
Draco, invece, era rimasto in silenzio e l’aveva guardata, spalancando gli occhi.

Chi tace acconsente.

-Ed anche se fosse?
-Mi piacerebbe saperlo.- commentò lei, serena.
-Davvero?
-Sì.
-Mi dispiace deluderti, ma non è così.
-Io dico il contrario.
-Mettila come vuoi.
-Infatti…
-Vuoi davvero credere che sia così?
-Sì.
-‘Cazzi tuoi, Granger.
-Vedremo, Malfoy.
-O forse è il contrario?
-Scusa?
-Sei tu che vuoi me…
-Ti lascio il beneficio del dubbio, Furetto.
Lei non aveva taciuto, ma non aveva neanche ammesso di non desiderarlo e lui ricordò quel detto babbano che lei stessa gli aveva citato una volta, nella Stanza delle Necessità.
-Ti stai nascondendo?
-Non ho bisogno di farlo.- arrossì. –E poi, la domanda l’ho fatta prima io.
-Giusto. Perché volevi che perdessi?
-Te l’ho già detto: non voglio passare altro tempo con te e poi, a dirla tutta, mi pare che il tuo premio tu lo abbia già riscosso. In misura anche maggiore.
-Mh.
Lasciarono cadere lì il discorso, per non compromettersi più: i silenzi e le mezze parole cominciavano a pesare e ad assumere un significato totalmente diverso da quello che avrebbero avuto al di fuori di quelle quattro mura.
Avevano chiuso i libri su cui da un po’ stavano studiando e lui si era steso sul letto, contento di potersi rilassare.
Chiuse gli occhi e immaginò Hermione in accappatoio, con i capelli bagnati legati in una coda alta.
Era stato strano vederla in intimo, quando l’accappatoio le si era aperto… ed eccitante.
Impensabile anche per lui che la Mezzosangue potesse fargli quell’effetto, eppure le il seno sodo, i fianchi morbidi e le gambe totalmente nude gli avevano provato un dolore non tanto piacevole al basso ventre e allo stomaco.
Per questo, si era chiuso in bagno e gettato solo il getto d’acqua gelato.
-Ti credevo diverso…
-Io sono diverso.
-Allora, diciamo che ti credevo diverso dal diverso.
-E cioè?- aveva alzato la testa per guardarla. Era ancora seduta sul pavimento e lo guardava dritto negli occhi.
-Ti credevo stronzo, bastardo e approfittatore.
-E invece?- inarcò un sopracciglio, beffardo.
-Invece, sei stronzo sì… e alcune volte bastardo. Ma approfittatore no. Insomma, non mi hai mai sfiorata, se non mettiamo in conto gli abbracci notturni.
-In quei momenti non sono conscio di me stesso.
-E poi, mettendo che sei l’unico che può usare una bacchetta, avresti potuto farmi quello che volevi ed io non avrei potuto oppormi.
-Tu l’avresti fatto, Mezzosangue?
-Può darsi…
Touchè. Anche questa volta non aveva né ammesso né negato.
Un rumore interruppe il loro studiarsi a vicenda, ma non staccarono gli occhi da quelli dell’altro. Semplicemente, prestarono più attenzione al rumore e a ciò che ne seguiva.
Nulla. Era stato un colpo di porta che sbatteva o, forse, di una finestra.
-Tra due giorni ci sarà la partita di Quidditch.
-Perderai?
-Farò del mio meglio.
-In che senso? Cioè, perderai o ti impegnerai per vincere?
-Forse, in entrambi i sensi.
E lei era rimasta disorientata e spaventata: il gioco che aveva cominciato le si stava ritorcendo contro.
Certo, da Malfoy non aveva mai ricevuto una risposta chiara, ma adesso le pesava non sapere o non avere teorie su cui creare i suoi castelli.
-Che ore sono?
-Non ne ho idea, Mezzosangue. Ma io voglio dormire.
-Concordo con te.
-Allora, vieni qui.- ed allargò le braccia, facendole spazio sul letto.
Hermione si stese e lasciò che lui l’abbracciasse e che l’avvolgesse con le sue braccia fredde. Poi chiuse gli occhi già stanchi.
La mente era già impastata dal sonno, ma voleva essere educata sempre, proprio come le aveva insegnato sua mamma. –Buonanotte, Draco.
-Buonano…- rimase a bocca aperta, faticando a riprendere un respiro regolare. Poi sorrise. –Buonanotte, Hermione.- e le baciò la tempia.

Draco, Draco, Draco…
Hermione.


***
Angolo Autrice:
Eccomi tornata. Puntuale questa volta, ma PURTROPPO i tempi rallenteranno causa forze maggiori (leggete: pc andato in fumo)
Per quanto riguarda questo capitolo, devo chiarire alcuni punti: siamo dopo la seconda guerra magica, ma Piton e Silente sono vivi e vegeti.
Avrei dovuto dirlo prima.
Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio infinitamente le 97 seguite, le 23 preferite e le 11 ricordate.
Grazie infinitamente.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 8
*** La partita di Quidditch ***


La partita di Quidditch

-Zabiniii!- l’eco risuonò in ogni angolo del sotterraneo.
Hermione, intanto si era allontanata dalla tana delle Serpi, correndo come se si trovasse in un covo di briganti e prostitute e, a sua detta, era proprio quello che nascondevano lì giù.
Draco, dal canto suo, non aveva dato importanza a quella parole,  bensì, i suoi occhi, la sua mente e tutto ciò che in lui poteva uccidere, erano intenti a trovare Blaise.
-Ti- ti ho detto che non lo so, Draco. Lo giuro, io non l’ho visto.
-Te lo chiedo per l’ultima volta, Pansy, poi ti Crucio: dov’è Blaise Zabini?
-Ti ho detto che non lo so.
-Pansy…
-Lo so io.- lo interruppe una voce profonda e maschile, sicura.
Si voltò lentamente verso il nuovo interlocutore e lo guardò da capo a piedi. –Tu?
-Esatto, Draco.
-Nott, non ho tempo da perdere.
-Neanche io, perciò, se vuoi saperlo, fa presto.
Lo trascinò con sé tra i corridoi umidi, prendendo più volte strano che poi ripercorrevano all’indietro. –Mi stai confondendo, Theo.
-In realtà, è un modo per non dare nell’occhio: sanno tutti che stai cercando Zabini.
-E tu non vuoi far sapere che mi hai aiutato, giusto.
-Voglio solo pararmi il culo.
-Capisco.
In realtà, Nott non aveva alcuna intenzione di tradire il suo fido compare di marachelle, bensì, aveva architettato insieme all’altro un nuovo piano, in cui avrebbero spiegato tutto a Malfoy e lo avrebbero indotto ad accettare quanto successo, senza farlo ricorrere a qualche maledizione.
Se non ci fossero riusciti, avrebbero tirato fuori il loro piano B di cui, però, avevano appuntato appena l’inizio.
Theodore attirò Draco in buio più degli altri e lo trascinò fino a quando non si fermarono di fronte ad una porta.
Draco la studiò a lungo e parve irrigidirsi quando la riconobbe come la porta dietro cui per una settimana era stato rinchiuso con la Mezzosangue. –Mi prendi in giro, Nott?
-No. Sei stato chiuso qui, no?
-Sì.
-Ed è la camera di Blaise! Credi che abbia potuto nascondersi in qualche altro posto? Sapeva che questo sarebbe stato l’ultimo nascondiglio a cui avresti pensato e si è chiuso qui. L’ho visto entrare qualche ora fa, poco dopo la tua apparizione.
-Già.
Era stato risucchiato di nuovo da quella specie di turbine di cui era stato vittima la settimana precedente, ,mentre si stava concentrando attentamente a non seguire una lezione della McGranitt.
E, come la settimana precedente, si era ritrovato Hermione a qualche metro da lui.
-Entra, Draco.
E il biondo seguì il suo amico Serpeverde, chiudendosi la porta alle spalle.


-Oddio, come stai?- le chiese immediatamente Ginny, fondandosi su di lei un secondo dopo averla vista.
-Sto bene, Ginny. Davvero, calmati.
-Dove sei stata? Con chi sei stata? E cosa ti ha fatto?
-Ginny! Sono stata chiusa in una camera, di un Serpeverde. Con Malfoy e… non mi ha fatto niente, Ginny, anzi, è stato… gentile.
-Oh, ti prego. Raccontala a qualcun altro.
-Ma è vero.
-Beh, se è così… No, non può essere così e lo sai anche tu.
Allora ci pensò su per bene e decise che non sarebbe stato il caso di dirle anche di quei baci che a lei erano piaciuti tanto e in cui anche lui pareva averci preso gusto.
Non le avrebbe neanche raccontato delle notti trascorse tra le sue braccia, senza che lui se ne approfittasse.
-Sì, hai ragione.- esordì, infine.
-Allora ti ha fatto qualcosa?- la rossa assottigliò lo sguardo.
-No, non mi ha fatto nulla Ginny.
-Ma avevi la bacchetta con te?
-No.
-Allora ti ha fatto qualcosa: ti avrà sicuramente cancellato i ricordi e avrà abusato di te.
-Merlino, Ginny… ti ho detto che non è successo niente.
-O, forse, ti ha fatto qualcosa e tu neghi perché ti è piaciuto? Guarda che io non ti giudicherei…
-Davvero?
-Certo, Hermione.
-In effetti… qualcosa c’è stato…
-Cosa? Cosa?
-Qualche… bacio.
-Oh, cosa vuoi che sia qualche bacio. Hai detto bacio?
-Sì.- la riccia indirizzò lo sguardo altrove, pur di non incrociarlo con quello dell’amica.
-Hai detto bacio.
-Sì.
-E suppongo che si tratti di un bacio sulla mano.
-No.
-Sulla guancia.
-No.
-Sulle labbra, senza lingua.
-No.
-Sulle labbra, con tanto di lingua e…e…
-Sì.
-Hermione Granger come hai osato baciare Draco Malfoy?
-Ma è successo, Ginny e non ho pensato a chi fosse…
La rossa scosse il capo e si allontanò dal letto, dirigendosi all’armadio in cui aveva sistemato i suoi abiti dopo essere tornata ad Hogwarts. Poi uscì dalla camera.


-Dobbiamo essere concentrati e attaccare quanto più in profondità. Non dobbiamo dimenticare la difesa e, Ron, tieni d’occhio chi vola basso.
-Sì, capitano.
-Cercate di non barare… non all’inizio, almeno.- li guardò ad uno ad uno ed in ogni sguardo vide comparire la sorpresa e l’eccitazione per ciò che aveva appena detto. –Questa vittoria deve essere nostra assolutamente: non voglio perdere la mia carica di capitano, né la mia migliore amica.
-Non facevi questa stronzata, capitano.- lo canzonò Ginny che si stava in quel momento unendo al gruppo. –Hermione è tornata e il mio incubo peggiore sta per diventare realtà, perciò prega Godric, Priscilla Corvonero, Tosca Tassorosso ed anche Salazar Serpeverde che non avvenga nulla di quel che credo che accadrà.
-Non ci ho capito quasi nulla, Ginny, ma mi spieghi perché bisbigli?
-Vuoi sapere davvero la verità?
-Certo.
-Malfoy e Hermione si sono baciati. Più di una volta…
-Oh, Merlino.
-Sì, Merlino. Malfoy però non ha seguito alcun allenamento: è rimasto per giorni interi a poltrire e a ripetere, quindi varrà meno di mezza cartuccia.
-Grazie.- infine, Harry si sistemò gli occhiali sul naso e tornò a prestare attenzione alla sua squadra e a spiegare quale tattica di gioco avrebbero assunto.
Gli schemi erano stati ideati da Ginny e Ron e, per questo, furono loro a spiegare.


-Ti dico che sono tornati.
-E chi te l’ha detto?
-Dennis, ti dico che è così.
-Sì, ma chi te l’ha detto?
-Me l’ha detto un ragazzino del primo anno a cui l’ha detto una di Corvonero del secondo…
-Voci di corridoio, Demelza.
-E quindi?
-Non è mai nulla di sicuro ed io voglio lo scoop!
-Ma la ragazzina ha detto di aver visto Hermione Granger uscire dalla Sala Comune di Serpeverde e…
-Potrebbe non essere vero: voglio gli scatti, voglio poter stampare le fotografie sul giornale... Colin lo avrebbe fatto.
E lui la sentiva la mancanza di Colin: il suo basso e magro fratello biondo che girava per i corridoi della vecchia scuola sempre con la macchina fotografica e sempre con dito pronto a scattare.
Una volta, la macchina gli aveva salvato la vita, perché gli aveva impedito di guardare il basilisco dritto negli occhi ed era rimasto solo pietrificato… certo, ce n’era voluto di tempo per farlo tornare tra loro, ma almeno era vivo.
Altre volte, invece, la macchina fotografica gli aveva portato solo noie: il più delle volte, tornava nell’aula che avevano addobbato come una sede giornalistica con un occhio nero o vari graffi a causa di incantesimi che gli venivano fatti addosso.
Però a Colin non importava: voleva il suo scoop e lo trovava, lo pubblicava e dopo riusciva anche a ricevere un grazie.
E Dennis da lui aveva imparato ad amare la fotografia.
-D’accordo. Cercherò di avere più informazioni.
-Io  mi avvio al campo di Quidditch.
-A dopo, Dennis.
-A dopo, Demelza.


-Ascoltami, ti prego.
-Certo, parla.
-Slegami, però… non riesco a parlare a testa in giù. Theo, diglielo anche tu.
-Non posso fare molto, Blaise: sono legato anche io come un salame!
-Avanti, parlate.- disse con calma il biondo.
-L’ho fatto per te.
-Per me… interessante. E cosa avresti voluto che succedesse, lì dentro?
-Non lo so, ma volevo… che tu avessi il tuo premio, anche in caso avessi perso.
-Già sentita, Zabini. Credo che il cappello avrebbe dovuto smistarti a Grifondoro per il tuo altruismo…
-Ma a te piace.
-Se così fosse, sarebbe comunque un problema mio e  non ti ho chiesto aiuto: ho piena fiducia nel mio sex appeal.
-E questa parola?
-Me l’ha insegnata la Mezzosangue.-  gliel’aveva insegnata durante una sera, in cui lui era intento a leggere un classico babbano e si era chiesto come avesse fatto Romeo a far innamorare di lui Giulietta, in meno di mezz’ora. “Il sex appeal”, aveva risposto la Caposcuola e poi si era prodigata in lunghe e dettagliate spiegazioni su quale fosse il significato di quel termine.
-Usi parole babbane, Draco?
-Niente affatto, Theo. Ma siamo qui per un altro motivo, mi pare.
-Certo.
-La mia spiegazione te l’ho data e posso assicurarti che è la verità. Quindi, fammi tornare a mettere i piedi sul pavimento.
-Mi dispiace, amici, ma mi avete sequestrato per una settimana. Permettete che faccia lo stesso con voi.
-Non lo farai davvero.
-Oh sì.
-Oh no.
-Oh sì.- e chiuse la porta dietro di sé, rimanendo i due compari legati a testa in giù dopo un Incarceramus.
Theo era rimasto in silenzio per quasi tutto il tempo ed ora, continuando la sua aria funebre, fissava il moro appeso di fronte a lui: i suoi occhi erano piccoli e lo accusavano, ma sapeva che di quel pasticcio aveva voluto far parte lui, senza che nessuno lo avesse costretto.
Blaise, invece, cercava in tutti i modi di prendere la bacchetta dalla tasta dei pantaloni, ma aveva le mani legate da corde rigide e strette e non poteva muovere le gambe, nemmeno di un millimetro.
I suoi “Accio” non sarebbero comunque serviti e se n’era reso conto dopo aver fatto cadere la bacchetta sul pavimento, ancora più lontano da lui.


-Benvenuto popolo di Hogwarts: quest’anno sul campo di Quidditch, la prima novità sarà la mia telecronaca. Per chi non mi conoscesse, sono Anthony Goldstein e loro sono la squadra di Grifondoro.- un giubilo di applausi riempì l’aria intorno ed Hermione si sentì stringere lo stomaco dalla tipica morsa dell’emozione.
Tanta agitazione, però, era dovuta a tutt’altro: aveva deciso di chiedere al suo acerrimo nemico di perdere. –Capitanata da Harry Potter, la squadra avrà l’arduo compito di vincere la partita ed impedire al capitano di perdere la sua carica e la sua migliore amica, Hermione Granger, contro alla squadra dei Serpeverde.
I giocatori erano tutti di fronte all’uscita che porta al campo e la imboccarono uno alla volta, solo Malfoy si trattenne, perché la riccia gli strinse un polso. –Ti prego, perdi. Fallo per me.
-Non ho alcun interesse a fare il tuo bene, Zannuta.
Quando anche il capitano biondo uscì dagli spogliatoi, le urla eccitate delle ragazzine dei primi anni superò il rumore dei battiti di mano.
-Pluffa al centro eeee FISCHIO D’INIZIO!
Immediatamente, i due capitani si lanciarono a rincorrere il boccino in alto, parecchi metri oltre le torri.
Hermione Granger aveva lo sguardo attaccato alla schiena del Serpeverde che faceva su e giù a causa del respiro affannoso.
Stare chiuso in una camera, senza allenamento non gli aveva giovato né al fisico né alla vista, visto che il boccino d’oro sembrava prendersi gioco di lui.
Per Harry il discorso era diverso: aveva potuto allenarsi e provare i moduli di gioco.
Lui aveva potuto rincorrere per ore ed ore il boccino e studiarne le traiettorie.
La voce di Anthony Goldstein continuava a raccontare minuto per minuto, ma Hermione non lo ascoltava, anche mentre si dirigeva a sedersi sugli spalti: i suoi pensieri continuavano a correre dietro al mistero che per lei rappresentava Draco Malfoy.
Era incoerente e bastardo, eppure c’era qualcosa in lui che la attirava.
Non i capelli lisci e setosi, morbidi, non i muscoli appena accennati e sodi, ma gli occhi sempre nascosti, sempre illeggibili.


La distanza era minima, gli sarebbe bastato allungare la mano e fermare il battito d’ali di quel dannato boccino ed avrebbe vinto ed avrebbe avuto ciò che Potter da quel momento avrebbe perso.
Ma cosa gli sarebbe cambiato?
Cosa avrebbe significato obbligare la Mezzosangue a passare una notte con lui?
Ora sentiva che voleva che anche lei desiderasse averlo, come lui desiderava lei e i suoi ricci indomabili, il suo bel corpo ma non perfetto.
Perché, in fondo, era proprio tutto l’insieme e i piccoli particolari che di lei lo avevano rapito: gli occhi grandi e la bocca carnosa, i denti davanti leggermente più sporgenti e la vita sottile, le gambe sode ma non chilometriche.

–Ti prego, perdi. Fallo per me.

Ma il boccino era così vicino.
Calò gli occhi verso il basso, per guardare cosa stessero combinando quelli della sua squadra: una cacciatrice aveva appena rifilato un altro punto ai Grifondoro e stavano decisamente vincendo la partita con almeno cinquanta punti di differenza.
Ma non erano i punti che avrebbero fatto la differenza.
Il boccino si spostò verso gli spalti, facendo spostare all’indietro un bel po’ della tifoseria rosso-oro.
Draco Malfoy si gettò all’inseguimento e si ritrovò di fronte gli occhi castano-dorati della sua compagna di sventura e si fermò per un po’ a mezz’aria.
Quando le labbra di lei si mossero e lo invogliarono a proseguire, lui riprese e si massaggiò la fronte con la mano con cui non stringeva il manico di scopa.

–Ti prego, perdi. Fallo per me.

Non accettare la sua richiesta avrebbe significato correre il rischio di perderla, ma in cambio avrebbe avuto la certezza che, per una notte almeno, lei sarebbe stata sua.
Invece, perdere la sfida includeva dei rischi ben maggiori e più reali: l’avrebbe persa comunque, probabilmente, e non avrebbe mai avuto l’occasione di passare almeno una notte con lei.
E ricorrere all’aiuto di Blaise per farsi rinchiudere nuovamente in quella stanza non era affatto nelle sue idee.
Un coro si levò dagli spalti e questa volta il punto fu segnato da Ginevra Weasley che esultò abbracciando i suoi compagni di squadra.
-Che schifo.- commentò la serpe bionda e tornò ancora una volta a prestare attenzione al boccino.
Su e giù, a destra e a sinistra. Il boccino lo beffava, lo confondeva e lo stesso faceva con Potter.
Più di una volta aveva quasi rischiato di scontrarsi con lo Sfregiato pur di rincorrere quel boccino.
La piccola sfera dorata si fiondò al suolo, schizzando a velocità impressionante.
Draco indirizzò la sua scopa, prendendo subito la stessa traiettoria del boccino ed allungò la mano.

-Il tuo premio lo hai già riscosso…

Sentì i muscoli del braccio e della mano tendersi, fino a fargli male, mentre con le gambe incideva una maggiore forza alla scopa.
Ma non voleva obbligarla. Voleva che anche lei volesse.

-Perché mi hai baciata?

Se l’era chiesto tante volte, anche mentre la baciava, ma non aveva ancora saputo rispondersi.
Il braccio tremò visibilmente, ma lui non smise la sua posizione e continuò a tenere la mano tesa, quasi chiusa attorno al boccino.

–Ti prego, perdi. Fallo per me.

E ritirò la mano, chiudendola a pugno e fondandosi al suolo.
Cambiò la direzione pochi istanti prima di potersi schiantare, poi scese lentamente fino a toccare il terreno con la punta delle scarpe.
-E la partita si conclude con la vittoria dei Grifondoroooo! Complimenti Harry Potter: sei ancora un capitano.
Il biondo si allontanò dal terreno dove si era poggiato per scendere dalla scopa e il rivale lo raggiunse. –Hai perso, Malfoy… mi sei secondo.
-Me l’ha chiesto lei, Potter.



°°°
Angolo Autrice:

Eccomi qui.
Mi dispiace di non aver postato prima, come promesso, ma ho avuto l'influenza e non riuscivo davvero a tenere gli occhi aperti.
Innanzi tutto vorrei ringraziarvi di vero cuore e dirvi che senza il vostro sostegno questa storia non avrebbe un continuo perchè mi sembra sempre troppo banale, già letta...
Insomma, mi risulta davvero difficile dire che sia "originale".
Ogni vostra singola parola o preferenza mi da la forza per continuarla e mi fa credere in me stessa, cosa che in questo periodo proprio non riesco a fare.
Sto perdendo tante persone nella mia vita, ma voi siete sempre qui a sostenermi e a dirmi cosa ne pensate della mia storia, quindi grazie infinitamente a voi che recensite!

E grazie anche alle 126 seguite, le 37 preferite e le 21 ricordate.
A presto, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 9
*** Ipotesi e verità ***


Premessa: Mi dispiace tantissimo di questo enorme ritardo, sono imperdonabile e, se volete, prendetemi a picconate e non commentate più questa storia, perché immagino quanto può essere deludente aspettare tanto il continuo…
Ora, la smetto di perdere tempo e vi lascio al capitolo. Ci vediamo giù.

Ipotesi e verità

 
 
Non si parlava d’altro,da giorni ormai, nei corridoio della scuola: il vociare sui loro nomi era molto più pressante di quanto lo fosse stato dopo la Guerra Magica, dopo l’apertura della Camera dei Segreti… Insomma, era quasi insostenibile, per lui, al suo passaggio, sentire il suo nome pronunciato che faceva eco finché non usciva dal luogo in cui si trovava o continuare anche dopo la sua uscita di scena.
-Avrà perso di proposito?
-Secondo me, Harry Potter l’ha maledetto.
-No, io credo che sia successo perché era fuori allenamento.
-Secondo me, avrà fatto un’altra scommessa con qualcun altro.
-Forse, il premio che aveva chiesto non gli piaceva più.
Erano queste le domande che rincorrevano i suoi passi, le domande a cui gli altri potevano solo trovare risposte ipotetiche. La verità la conosceva solo lui e la verità era tutt’altra:  sì, aveva perso di proposito e nessuno lo aveva maledetto, nemmeno Harry Potter, perché il Salvatore del  mondo era troppo codardo per ricorrere ad un rimedio tanto subdolo per poter vincere. E, inoltre, non c’era nessun’altra scommessa, né il suo premio non gli andava più a genio, anzi. Il problema era proprio quello: stava discutendo con il suo peggior nemico e ferire la persona a cui il Ragazzo Sopravvissuto teneva più al mondo sarebbe stato come ferire lui, perciò avevo tirato in ballo quella scommessa. Però, poi, si era  ritrovato chiuso in un dormitorio qualsiasi con la migliore amica di Harry Potter e l’aveva conosciuta.
Il premio che aveva chiesto in cambio della vittoria, forse, gli piaceva anche troppo o, forse, pensava di continuo a lei perché in quei giorni di esilio aveva avuto a che fare con le più svariate sfaccettature del suo carattere.
Sì, doveva essere per forza così.
-Signor Malfoy?
Si voltò lentamente per guardare in faccia la sua interlocutrice e fece un mezzo inchino in segno di saluto. –Professoressa McGrannit.
-Non ho avuto modo di dare il benvenuto al figliol prodigo, vuole seguirmi nell’ufficio del Preside?
Le fece segno con la mano di anticiparlo, poi si incamminò al suo seguito.
Una giornata peggiore non sarebbe potuta cominciare. Strinse le mani e pugno e, da un arco che lasciava scoperto il paesaggio, si ritrovò perso a rimirare la bellezza di quei prati verdi e infinti.
 
-Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
-Quindi mi vuoi?
 
-Maledetta Mezzosangue.
-Ha detto qualcosa signor Malfoy?
-No, professoressa.
 
 
 

Harry Potter era ancora al centro degli apprezzamenti dei suoi compagni di Casa, ma era lontano da tutta quella popolarità: montarsi la testa, lo avevo portato alle sconfitte peggiori. E vincere non era servito a molto, visto che Hermione ancora non gli rivolgeva la parola e Ginni era sempre meno disposta ad avere a che fare con lui: si incontravano solo durante gli allenamenti e, dalla partita decisiva, era stato quasi impossibile incrociarla nei corridoi.
Il succo di zucca che teneva stretto tra le mani, probabilmente, sarebbe rimasto su quel tavolo a far bella mostra di sé, perché, oltre alla voglia di allenarsi, quella vittoria gli aveva portato via anche la fame.
Il discorso opposto, andava fatto per Ronald che continuava a mangiare la stessa quantità di cibo che avrebbe consumato un esercito. Niente avrebbe mai scalfito la sua fame, neanche la più grande delusione amorosa e di questo ne aveva avuto prova tutto il Mondo Magico.
 -Credi che, prima o poi, Hermione e Ginny faranno colazione con noi?- chiese, con tono indifferente.
-Non ne ho idea.- il rosso sputò qualche briciola qui e li e sorrise, mettendo in bella mostra i residui di cubo sui denti.
-Chiudi la bocca, Ron. Fai venire il voltastomaco.
-Io non sento la mancanza di nessuna delle due. Insomma, tu le imiti alla perfezione.
-Sei un imbecille Ron: ho avuto molta paura per Hermione.
E Ron era quello che veniva sempre frainteso, di cui nessuno si preoccupava  e su cui nessuno si interrogava: Ron poteva passare semplicemente per stupido, ma mai qualcuno che capisse che, dietro quella maschera da idiota felice, si nascondeva il dolore di chi aveva amato e perduto.
Il rosso sorrise, un po’ triste, un po’ allegro. –Hai ragione, Harry…
Quando, però, il silenzio calò, i pensieri dei due componenti del Trio Miracoli tornarono al proprio posto ed ognuno tornò ai propri dubbi, alle proprie domande.
 
 
 

-Perché sei così silenziosa?
-Non mi va di parlare, Ginny.
-O, forse, ti sei abituata a tenere la bocca chiusa…
-Difficile.
-Magari, non chiusa, ma occupata dalla lingua di qualcuno…
-Dove vuoi andare a parare?
-Mah, da nessuna parte. Le mie, credimi, sono semplici supposizioni.
-Non stiamo insieme, io e Malfoy. C’è stato qualche bacio, nulla di più.
-Certo.
Dopo la risposta con la quale fu liquidata, Hermione Granger capì che essersi confidata con la sua migliore amica era stato uno sbaglio enorme.
Cercò per un po’ di stare in silenzio, ma le pesava troppo ascoltare i suoi pensieri che correvano sempre a lui, a quella bocca, a quel profumo… perciò, cercò di cambiare argomento. –Con Harry?
-Harry? Chi è Harry?
-Cos’è successo?
-Nulla.
-D’accordo.- e si appoggiò allo schienale del letto.
La rossa le si stese ai piedi ed assunse la posizione che era solita quando dormiva: aveva le ginocchia piegate e poggiava sul fianco destro. –Non lo so!- esordì. –Non ci capisco più niente: prima mi bacia, poi dice che non voleva ferirmi e che non voleva che io fraintendessi e, allora, sono scappata, perché un “Addio” non lo sopporto.
-Sei sicura che volesse dire questo?
-Sì. Quando mi ha baciata, nei suoi occhi, ho visto una luce di dolore e…
-Non hai pensato che quel dolore fosse dovuto al fatto che non sa cosa provi per lui?
-Conosce bene i miei sentimenti.
-Credi?
-Sì…
-Magari ti sbagli.
-Harry Potter era un capitolo chiuso per me.
-E’ proprio questo che intendo.
-Cioè?
-Magari è questo ciò che vede lui: la tua determinazione.
-Dovrebbe vedere più in là delle maschere.
-Mostragli il tuo vero viso, allora.
-E’ difficile.
Già! Chi meglio di Hermione Granger poteva sapere quanto era difficile indossare una maschera per tanto tempo e poi scoprirsi al mondo o alla persona di cui il giudizio è quello più temuto?
Solo lei sapeva, però, quanta soddisfazione si provava a vedere qualcuno calare la maschera e scoprire il vero sé stesso a chi non avrebbe mai pensato di rivelarsi.
L’aveva provato con Draco, chiusi in quel dormitorio, in cui il mondo e il tempo erano tutto ciò che, al di fuori di quelle quattro mura, non erano mai stati.
Sorrise e guardò Ginny che si era stesa accanto a lei, sistemandosi meglio.
-Provaci, almeno.
-Ho paura, Herm.. gli occhi azzurri le si erano riempiti di lacrime e ne aveva lasciate scivolare qualcuna, stringendosi forte alla sua amica e nascondendo il viso in quei ricci che profumavano di shampoo.

 
 
-Come ho già detto, signor Malfoy, ai suoi compagni di Casa spetterebbe una punizione,  ma non siamo sicuri che il tutto sia stato architettato da loro. Come ben sa, le voci di corridoio non sono affidabili. La verità, forse, può dirla solo chi ha mosso questa idea.- le parole del Preside suonavano lontane, tanto che quasi non le sentiva.
Stava ripensando a quando, dopo la partita, lei lo aveva trattenuto e lui era scappato.
Si chiedeva, tutt’ora, cosa volesse dirgli, cosa avrebbe dovuto leggere in quegli occhi, se non la soddisfazione che lui avesse fatto ciò che lei gli aveva chiesto.
-Ha capito, signor Malfoy?- la voce stridula della professoressa di Trasfigurazione lo fece balzare dalla sua seduta.
In quei momenti, sentiva infinitamente il bisogno della fedeltà cieca che aveva il professor Piton nei suoi confronti.
-Sì, ho capito. Grazie Preside. Grazie anche a lei professoressa.
Aveva solo capito che non sarebbe stato espulso, né punito,- e lo stesso sarebbe stato con la Mezzosangue- in quanto vittima di un incidente escogitato da un colpevole che ancora non aveva volto per i professori…
Per lui, il colpevole un volto ce l’aveva, anzi, ne aveva due e passava ore a pensare ad un modo per far capire loro cosa si poteva provare ad essere rinchiusi per una settimana, senza possibilità di vedere il sole. Ogni suo piano, però, veniva interrotto dall’immagine di Hermione che si faceva pian piano strada tra i suoi pensieri e lui la rivedeva lì, in quel letto, stesa a dormire.
Il sorriso sulle sue labbra, quando riusciva a zittirlo, le sue ginocchia piegate al petto, le sue mani magre e delicate mentre sfogliava un libro.
Doveva vederla, assolutamente. E dare un nome a quello strano mal di stomaco che provava da quando aveva cominciato ad evitarla.
 
 

Fuori da quella camera, era stato facile per lui fingere che lei non esistesse, proprio come per lei era stato facile cedere ai suoi baci, quando per loro due esisteva un solo letto.
Però, a lei mancava il suo petto freddo che aderiva perfettamente alla sua schiena pallida e calda e, se lo avesse incontrato, sarebbe stato difficile dimenticare quegli attimi e far finta che non fossero mai esistiti, perciò, aveva deciso che, per un po’, non avrebbe preso parte alle lezioni che Grifondoro e Serpeverde avrebbero avuto in comune.
Certe notti, però, sembravano non passare mai e tutto in lei aveva voglia di tornare a qualche giorno prima, quando il mondo si era capovolto davvero e quando aveva due occhi di ghiaccio puntati su di lei.
 
-Mi odi?
-Non so… non  mi sono mai chiesta cosa provo realmente per te: mi è indifferente.
 
E, d’altra parte, avevo un problema più urgente da risolvere: Harry Potter.
L’ipotetico Salvatore del Mondo Magico che si era venduto la migliore amica per avere in cambio un altro po’ di gloria. In realtà, era da molto che Hermione credeva che il merito della vittoria non dovesse andare ad Harry, ma a chi, pur nascondendosi, aveva permesso all’esercito di Silente di scoprire quali fossero gli attacchi che in nemico avrebbe sferrato.
 
-Buonanotte Draco.
-Buonanotte Hermione.
 
Erano arrivati a chiamarsi per nome ed ora forse, neanche si sarebbero guardati.
Non riuscivano più a fare a meno di dormire abbracciati ed ora si sarebbero evitati come se il solo contatto li potesse ridurre in cenere.
Ed erano arrivati a baciarsi, come se fossero stati una coppia vera, ed ora…
Quante cose che erano cambiate e quante ancora avrebbe dovuto vedere lei che aveva trovato il suo rifugio nel suo dormitorio, al sicuro dalla presenza di Draco.
Fisicamente, almeno.
 
 
 

-Ci lascerà uscire prima o poi, vero?
-Non te lo auguro, Zabini: fuori di qui, sarò io a ucciderti.
-Continuiamo a cercare aiuto?
-D’accordo.
-Aiiiuuuutoo!
-Aiuto!
-Più forte, Theo. Così non ti sente nessuno.
-Aiiiiuuutooo!
-Perfetto. Va molto meglio adesso.
-Aiiiuuutooo.
Sentivano la gola arsa e la voce, ormai, era graffiata dalla sete e dal dolore che un solo respiro poteva provocare in loro, ma avrebbero continuato ad urlare, a reclamare la loro libertà e la loro innocenza.
-Se avessi saputo che sarebbe stato questo il suo ringraziamento, avrei passato il tempo ad asciugare le gocce di rugiada dall’erba, piuttosto che aiutarlo.
-Beh, passerai il tuo tempo in altra maniera. Magari, contando quante specie di vermi ci sono sottoterra.
-Hey, hai voluto unirti tu al mio piano, non ti ho costretto.
Il silenzio calò tra i due e i loro sguardi vagarono per l’enorme stanzone vuoto, in cerca di qualche idea che li potesse tirar fuori di lì.
-Non c’è niente, cazzo.
-Veritaserum.
-Cosa?
-Sì, potremmo suggerire a Draco di usare il Veritaserum su di noi, così ci ascolta, capisce e ci libera.
-Certo, genio. Magari si inchina di fronte a te e ti ringrazia pure.
-Perché no.
Theodore Nott scosse il capo, conscio, ormai, che i piani del compare erano quasi sempre delle missioni suicide. Decise che mai più ne avrebbe preso parte e che, Cupido, che sia stato lui o meno il dio dell’amore, avrebbe potuto sbrigarsela da solo.
-Aiiiuuutooo!
Le loro urla, però, nei corridoi, risuonavano più deboli del cinguettio degli uccellini in primavera sui rami degli alberi nei pressi del Lago Nero.
 
 
 
-Ciao.
-Ciao.
-Hai gli occhi rossi, hai pianto?
-No, un po’ di vento.
Non sapeva come comportarsi: sentirsi dire addio e poi essere trattata con tanta premura la confondeva e tanta confusione non la aiutava a sciogliere i nodi che sentiva dentro.
Era un intreccio troppo difficile quello in cui aveva chiuso il suo cuore e stare al fianco della persona che aveva sempre amato, così, come se fosse un semplice amico per lei, dava a tutto ciò che c’era intorno una consistenza irreale e dolorosa per i suoi sensi troppo deboli: era un po’ come imporsi di restare a galla in un vortice che risucchiava giù. E lei tutto quello spirito di sopravvivenza l’aveva perso tempo addietro.
-Vuoi parlarne.
-Non mi và.
-Io sono qui.
-Sì.- c’era, ma non come lei avrebbe voluto, perché non avrebbe potuto piangere sulla sua spalla e raccontargli il suo amore.
 
 
 


Mise i piedi uno dietro all’altro, perfettamente in linea tra loro, stando sempre sulle punte, per non fare rumore.
Un'altra notte era scesa sulla scuola di magia di Hogwarts e Hermione aveva fame, perché da giorni non toccava né acqua né cibo.
Voleva evitare di incontrarlo, per paura che tutti i ricordi che aveva di lui potessero svanire da un momento all’altro, proprio come parte di quei pensieri che erano andati via con lui quando aveva strisciato il braccio sul suo palmo fragile, per sfuggire alla sua presa debole e inesistente.
Arrivata alla Sala Comune, si scontrò con qualcuno e gli cadde addosso si peso.
Sentì il petto del ragazzo contrarsi all’impatto con il movimento e la sua voce soffocare qualche insulto. Non riusciva ancora ad osservare i tratti del viso di colui che aveva di fronte, però, quando il suo viso fu tanto vicino al corpo del giovane, le tornarono alla mente le notti passate a dormire abbracciati.
 
Nebbia, pioggia, inverno.
 
I ricordi l’assalirono e quasi si sentì soffocare dalla potenza con cui si presentarono. –Malfoy!
-Mezzosangue, guarda un po’ dove metti i tuoi luridi piedi.
Erano cambiate così tante cose ed ora poteva vederle meglio da vicino: in quella stanza, il disprezzo nella voce che lei aveva imparato ad ascoltare non c’era, ora, c’era il disprezzo ed anche la rabbia.
 
 


L’aveva tenuta addosso per un po’, respirando il suo odore, tenendola stretta a sé, più che poteva, frenando la voglia che sentiva di baciarla e la scostò malamente.
I suoi occhi si erano sforzati di vederlo, fino a che non l’aveva riconosciuto a lo aveva chiamato per nome.
La sua voce bassa e meravigliata, dolce e con un pizzico di rimprovero, sarebbe stata perfetta da ascoltare nelle sue notti insonni.
Era stretta nel suo mantello, i capelli legati in una coda disordinata e gli occhi gonfi.
Forse, aveva pianto o, forse –e gli sembrò la spiegazione più plausibile- aveva dormito parecchio.
Si erano guardati ancora un po’, senza dire nulla: lui si aspettava una risposta tagliente, una battuta che era solita fare la sua compagna di sventura, ma nulla uscì da quelle labbra. Allora, lui la spostò su un lato, senza grazia, e lei continuò a restare in silenzio.
Quando le aveva dato le spalle, la sua voce, ridotta ad un sussurro, era sembrata un tocco di campana in una chiesa vuota. –Scusami.
Era andata via, correndo. Però, gli aveva fatto un ultimo regalo, un ottimo motivo per passare la notte sveglio a pensare di lei e a cercare di dare un nome alle sensazioni che provava: gli aveva fatto sentire di nuovo la sua voce e tanto gli sarebbe bastato per mandare all’aria il suo intento di non darle confidenza e di far finta che lei non esistesse.
Non sarebbe stato più lo stesso, nemmeno disprezzarla sarebbe stato più appagante come lo era stato fino a qualche settimana prima.
Si sistemò nel suo letto, lasciando le coperte poggiate sul lato del materasso su cui aveva dormito lei durante la loro restrizione involontaria.
E si girò, poggiando il naso proprio lì, dove, se ci fosse stata lei, ci sarebbero stati i suoi capelli.
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Eccomi, sono tornata e, come sopra, mi scuso per l’immenso ritardo e, anche se sono stata la prima a dire che non merito di non essere seguita, spero che continuiate a commentare.
E’ stato un  periodo nero –che non è ancora finito- ma non è per questo motivo che non ho più scritto. Il problema era il pc rotto L
Va bene, la smetto di sproloquiare e vi saluto, promettendovi un aggiornamento più rapido.
 
Ringrazio le 148 seguite, le 35 ricordate e le 25 ricordate. Grazie di cuore a tutte.
 
Alla prossima, la vostra Exentia_dream 

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Capitolo 10
*** Decisioni e dubbi... ***


Decisioni e dubbi
 

Li osservava, realmente interessato: aveva voglia di ascoltarli, per allontanarsi un pò dai pensieri che non gli lasciavano la mente.
Da troppi giorni, ormai, non sentiva più il silenzio che, di notte, aveva semrpe accompagnato il suo sonno. Anzi, proprio nelle ore di buio, una voce che non aveva provenienza gli impediva di dormire.
E il freddo che sentiva sul petto non migliorava la situazione ed era strano soprattutto per lui che al gelo del suo corpo era abituato. Però, nonostante la conoscenza assoluta di sè stesso, si sentiva incompleto, come se gli mancasse qualcosa e, avvolgendosi nelle coperte, credeva che quel qualcosa fosse un pò di calore.
Ma non era abbastanza.Gli mancava lei.
-Hai capito, adesso?- gli chiese Blaise, speranzoso.
Draco scosse il capo,lasciando che i fini capelli biondi gli cadessero sugli occhi. Ancora una volta il pensiero di Hermione lo aveva allontanato da tutto ciò che lo circondava. -Potresti ripetere?- ma il suo tono era autoritario ed austero.
-Prima ci liberi?- avevano chiesto in coro i due giovani legati al soffitto, respirando a fatica.
-No.


Aveva visto di tutto nella sua vita,di tutto e di più. E, spesso, era stato capace di conoscere gli avvenimenti prima ancora che accadessero e, quella in cui si trovava, era una situazione analoga: sapeva che tutto ciò che sarebbe successo nei giorni a seguire sarebbe stato utile e necessario per sperare in un mondo migliore.
Niente più dell'amore avrebbe potuto far girare il mondo nel verso giusto, ma, allo stesso tempo, l'amore avrebbe potuto generare odio.
-Professor Piton. Prego, si accomodi.
-Grazie.- appena si fu seduto, l'uomo spostò i ciuffi neri dagli occhi e li sistemò ai lati del viso. -Per quale motivo mi ha fatto convocare con tale urgenza?
-Con calma, professore. Ci sono molti punti su cui discutere e, alcuni, non saranno di suo gradimento.
-Non mi piace tutto questo...
Il Preside sorrise, riducendo gli occhi a due piccole fessure dietro gli occhiali rotondi.



Aveva troppo poco da perdere ora che i rapporti con l'unica persona che avesse mai amato si erano ridotti ad essere inesistenti. Ora che gli sguardi e le attenzioni che lei gli dedicava erano meno di niente.
Eppure, quei sentimenti erano esistiti, insieme li avevano vissuti e non potevano essere scomparsi da un momento all'altro, come i residui di una gomma da cancellare soffiati via dal foglio su cui giacevano.
Le avrebbe parlato. Era una decisione su cui aveva riflettuto a lungo e su cui, per molto tempo, non aveva saputo esprimere un parere. Poi, Hermione era scomparsa con un PUF!e lui si era deciso.
Anche mentre camminava nei corridoi che lo avrebbero condotta alla Sala Comune di Grifondoro, ripensava ai momenti in cui credeva di essersi abituato alla sua lontananza e ai momenti in cui l'angoscia per la sua assenza gli impediva di respirare.

-Ti amo anche io, Ron.

Gleilo aveva detto, glielo aveva promesso. Quei sentimenti dovevano solo essere riscoperti...
La Signora Grassa- fiera della sua cornice dorata tanto da decantarne la magnificenza- smise per un attimo la sua posa altezzosa. -Cosa cerchi?
-Devo entrare.
-Ti sei perso e non sai dove cercare ed è per questo che sei...
-Muffin alla carota!
Così, le parole del ritratto andarono perse per l'immenso corrodoio, mentre la cornice di spostava per lasciare libero accesso al portiere della squadra di Quidditch.
L'idea di usare i nomi di alcuni dolci come parola d'ordine gli era sempre sembrata stupida, anche perchè il suo stomaco brontolava di continuo.
Ron strinse i pugni e chiuse gli occhi, mentre il passaggio che lo aveva condotto all'interno si richiudeva alle sue spalle.
Aveva troppo poco da perdere e troppo da salvare.



Era distratto, glielo avevano fatto notare tutti i suoi compagni di squadra. Quelli presenti, almeno.
Tutti gli attimi che aveva trascorso gli passavano nella mente come fotografie che gli facevano notare i particolari che, dall'angolazione in cui era mentre Ginny era appoggiata al muro di pietra delle scale, non era riuscito a cogliere.
Gli occhi azzurri di lei, arrosati dal pianto, la sua bugia per sfuggire ad una verità palese.

-Hai gli occhi rossi, hai pianto?
-No.


Quando l'aveva vista lì, indifesa, fragile, aveva sentito lo stomaco torcersi e far male. Allora, le si era seduto accanto, aveva preso coraggio e le aveva parlato, deciso a conoscere il motivo per cui Ginny aveva pianto.

-Vuoi parlarne?
-Non mi và.


Era davvero pronto a starle vicino, sempre? Nel momento in cui aveva fatto quella specie di promessa, ci aveva creduto. Ora, a mente lucida e lontano da quegli occhi grandi, colmi di dolore, si rendeva conto che, forse, non sarebbe stato capace di sopportare le lacrime che Ginny avrebbe versato sulle ferite che lui non avrebbe mai potuto lenire.
-Scusate ragazzi, credoche...che sia meglio che io vada. Non mi sento bene...- uscì dal campo velocemente, senza neanche dare agli altri il tempo di preoccuparsi per lui.


La testa le doleva e le pulsava in maniera impressionante.
Non aveva mai alzato la voce, soprattutto con Ron. Mai, prima di quel momento.
-Mi hai gridato in facciaì!?- disse il rosso, con gli occhi spalancati per la meraviglia.
-Sì, l'ho fatto. E allora?
-Come allora?
-Mi hai detto che valgo quanto l'ultima persona su questa terra, Ronald.
-Non chiamarmi Ronald. Hai passato una settimana con Malfoy che si ritiene migliore di chiunque altro e urli con me?
-Cosa c'entra Draco?
-Ma sentitela: Draco.
-Cosa c'entra lui?
-C'entra che crede di essere la prima persona su questo mondo.
-Mi dispiace, ma sai? si ritiene il penultimo granello di sabbia.
-Lo ha detto a te?
-Sì.
-Vedi? Hai occhi solo per lui!
-Io... io...- era intenzionata a rispondere, ma le parole le si erano bloccate in gola.
Negarlo ancora a sè stessa sarebbe stato inutile e controproducente, ora che anche gli altri si erano resi conto che lei era cambiata: sapeva bene che il suo sguardo vagava nella Sala Grande fino a che non trovava ciò che stava cercando e, allora, smetteva la sua ricerca e sorrideva.
Sapeva che, di notte, non era lo stesso addormentarsi senza il freddo del suo petto dietro alla schiena e, allo stesso modo, sapeva che, durante le ore di lezione che Grifondoro e Serpeverde avevano in comune, lei studiava il respiro del biondo attraverso il movimento della sua schiena.
Ron prese il suo viso tra le mani, premendo le labbra su quelle di lei con una pressione tale da farle male. Lottò a lungo contro la resistenza di Hermione, ma non riuscì ad aprire uno spiraglio di quella bocca e, quando lei riuscì ad allontanarlo, si guardarono negli occhi.
-Sei una traditrice.- la rabbia trasudava dalle parole.
Lo schiaffo lo colpì in pieno viso, forte, secco.
Ron andò via, consapevole di aver perso anche quel pò che, fino ad allora, aveva tenuto stretto tra le mani.
Hermione si sedette sulla poltrona, vicino al camino, preda di una crisi di pianto: non le importava chi l'avessa vista. Voleva piangere e far andare via da lei il dolore che le aveva causato il dubbio di esseri innamorata di Draco Malfoy.

-Tu sei l'ultimo granello di sabbia.
-E tu saresti il primo?
-No, il penultimo.
-Perchè?
-Così ti sono vicino.



Angolo Autrice:
Ben ritrovate carissime lettrici.
Come avete visto, in questo capitolo c'è stato spazio anche per Ron. Che casino che ha combinato.
Ringrazio chi ha recensito la storia, anche se sono stata imperdonabile nel mio ritardo.
Bhe, spero che il capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate.

Ringrazio le 161 seguite, le 39 preferite e le 25 ricordate. Siete aumentate ancora e ne sono felicissima.
Un ringraziamento va anche ai lettori silenziosi.

A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 11
*** Silenzi e assenze ***


Silenzi e assenze…

 
Fuggire da sé stessa non era la cosa giusta da fare in quel momento e lo sapeva perfettamente, ma rimanere lì, a cercare di interpretare i suoi dubbi la spaventava.
Si sentiva inerme, fallita, perché aveva paura di un qualcosa che, almeno fisicamente, non le avrebbe potuto far male, né avrebbe potuto ucciderla: aveva paura di scavarsi a fondo, di scoprirsi e di accettarsi.
Non era come la paura che aveva provato di fronte al Signore Oscuro: lì, su quel campo di battaglia, l’unico timore era quello di lasciare qualcosa in sospeso.
Quando provò a sistemarsi su un fianco, una fitta le tolse il respiro.
Ginny era di fronte a lei e la guardava con gli occhi spalancati. –Credo che dovremmo parlarne.- disse.
-Di cosa?
-Di questi silenzi che ci stanno allontanando. Sta accadendo qualcosa e non ce ne stiamo rendendo conto.
-Non è nulla, Ginny.
-E’ grave, invece. Molto grave: hai baciato Malfoy e non ho fatto alcuna scenata.
-Non hai motivo di farmi scenate, non sei mica il mio ragazzo?
-No, ma sono la tua migliore amica, sorella del tuo ex fidanzato.
-E’ vero…
-Cos’è Herm?
-Cosa?
-Tutto questo: gli occhi lucidi, il corpo che trema.
-Sarà un po’ di influenza.
-Speri che ci creda, vero?
-Anche tu hai gli occhi lucidi, gonfi e stai tremando.
-La miaè influenza.
-Certo, una febbre d’amore per Harry Potter.
-E la tua per chi è?
-Ho paura di scoprirlo.
-Non ci sarebbe niente di male.
Hermione tacque. Sentiva il caos dentro di lei dominarle la mente, scoordinarle i pensieri: nulla era più come prima, da quando Ron le aveva messo davanti agli occhi una teoria che lei ancora si preoccupava di negare.
Non le sembrava possibile, reale, immaginabile… erano solo pensieri che il rosso aveva provato per gelosia. Sì, era vero: cercava lo sguardo di Malfoy, ma non perché le piaceva tenerlo addosso, come quando erano chiusi in quel dormitorio, in cui esistevano solo loro due.
Era anche vero che lo aveva chiamato Draco, ma solo perché quella settimana di reclusione li aveva messi in confidenza tanto da chiamarsi per nome.
E, di notte, non riusciva a dormire, perché si era abituata al fresco del corpo del suo compagno di sventure. Non c’era altra spiegazione logica…
-Non sono innamorata di lui, Ginny.
-Sei stata in silenzio per tanto tempo, sai?
-Davvero?
-Sì, davvero.
-Non mi è sembrato.
-Se avessi potuto cronometrarlo…- disse la rossa, con tono fintamente melodrammatico.
-Mi manca Harry.
-Perché non la smetti di tenergli il muso?
-Sono arrabbiata con lui.
-Perché?
-Per tante cose…
-Strano! Io credevo fosse solo per la scommessa.
I pensieri di nuovo le impedirono di parlare: era arrabbiata con Harry solo per la scommessa? No. Lo era perché, per colpa sua, era stata al centro dei discorsi di ognuno e lei odiava essere al centro dell’attenzione; perché non aveva potuto studiare come avrebbe voluto, in biblioteca, in mezzo a file e file di libri; era arrabbiata con lui, perché, per colpa sua Malfoy aveva perso la sfida.
Si colpì la fronte con il dorso della mano e, mentalmente, si diede della stupida.
-Sì.
-Sì, cosa?
-E’ per la scommessa.
-Capisco. Sai, anche tu manchi a lui…
-Davvero?
-Sì.
-Quanto gli manchi tu?
-Io non gli manco, credimi.
-Certo.- il sorriso le si disegnò sul viso pallido. –Per quanto sia idiota, io so che lui ti ama davvero, Ginny e dovresti dargli un’altra possibilità.
-Mi ha detto che è finita.
-Te lo ha detto chiaramente?
-No.
-Magari, hai solo interpretato male le sue parole. Conosci Harry: fa un discorso di ore, per dire una cosa che avrebbe potuto dire in pochi secondi.
-Non ci sono state quelle ore.
-Hai aspettato che finisse di parlare?
-No.
 
 
 
 
 
Il vento batteva forte sulla finestra, ma il suo silenzio faceva molto più rumore, ora che lo aveva ritrovato nelle sue notti: nemico perché gli imponeva di pensare a lei; amico perché non seguivano commenti imbarazzanti sulla sua smania di tenerla sempre presente nei suoi occhi e nei suoi ricordi.
Troppe erano le domande a cui gli sarebbe piaciuto trovare una risposta, ma non erano domande a risposta aperta, in cui il tema sarebbe potuto essere deviato, portando l’argomento su altri punti di vista. No.
Le domande che Draco si poneva includevano una risposta, sulle sole opzioni di “sì” o “no”. E, nella maggior parte delle domande che si era posto, la risposta era affermativa.
Gli mancavano le lezioni di ripetizioni che Hermione aveva deciso di tenere solo per lui, le sue manie di perfezione, la sua dedizione allo studio e il suo rispetto ossessivo delle regole.
Gli mancavano troppe cose di cui, fino a quel momento, era riuscito a fare a meno e, addirittura ad odiare.
 
-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?


A sé stesso, prima o poi, avrebbe dovuto fare un bel discorso, perché era stanco di ritrovarsi i ricordi dei momenti passati con Hermione a qualsiasi ora della giornata.
 
-Obbligo.
-Baciami.
 
Sorrise, chiudendo gli occhi, mentre i sensi e i muscoli si abbandonavano al ricordo di quel sapore, di quella morbidezza, di quell’odore che solo lei aveva addosso.
Ne aveva baciate tante, ma nessuna, prima di Hermione lo aveva interessato tanto, perché di lei si era soffermato a studiare le increspature che aveva sulle labbra, gli aveva accarezzato il palato con la lingua.
La pioggia cominciò lentamente a cadere su Hogwarts, mentre la bionda Serpe decise di tagliare corto con il suo cervello e di staccare la spina.
Il silenzio era stato suo compagno per tanto tempo, ma stava urlando troppo e lo avrebbe reso sordo.
Un giorno, lo avrebbe ascoltato, con calma, ma non aveva proprio voglia a quell’ora, quindi, chiuse gli occhi e lasciò che il ritmo incalzante della pioggia lo cullasse nel suo sonno.
 
 
 
 
 
-E’ quasi pronto Dennis.
-Perfetto.
-Per domani, sarà tutto finito.
Il giornale- sulla cui copertina c’era raffigurato, in una fotografia magica, il momento in cui, durante la partita di Quidditch, Draco ed Hermione si erano guardati negli occhi- faceva bella mostra di sé.
-Sarà uno scoop eccezionale.
-Ovviamente.
-Brava Demelza.
 -La foto l’hai scattata tu, il merito è tuo.
Dennis sorrise, fiero di sé stesso e lasciò la copia del giornale poggiata su una scrivania poco distante da lui.
Un po’ si sentiva in colpa, perché aveva rubato la passione a suo fratello e magari, lo stava anche deludendo: a volte, dubitava che le sue idee fossero originali come quelle di Colin, ma la voglia di somigliargli, di essere come lui era troppo forte e lo spingeva in imprese, a volte, pericolose per le sue ossa.
In quel momento, provò con il pensiero il dolore che avrebbe provato se Draco Malfoy lo avesse preso per fargli pagare tutto ciò che aveva scritto in quell’articolo.
Demelza guardava estasiata la fotografia e sospirò. –C’è qualcosa che non va?- le chiese il giovane.
-Non è meraviglioso?
-Cosa?
-Il modo in cui si guardano.
-Sì…
-Chissà cosa si prova ad essere così innamorati…
-Io lo so.
-Sei innamorato?
-Molto.
-Ed è bello.
-Beh, sì, quando sei accanto alla persona che ami è bello, ma quando sei lontano, i dubbi e le paure ti squarciano l’anima.
-E fa male?
-Tanto.- si piegò, fino a far arrivare le ginocchia di lei al suo petto. –E tu? Non sei innamorata?
-Io…io… no-non…- Demelza arrossì e la balbuzie la assalì, come se fosse stata in piena crisi di panico.
Dennis le si avvicinò lentamente, facendole poggiare la testa nell’incavo del suo collo, cullandola, come se fosse stata una bambina indifesa.
Fu, in quel momento, che qualcosa in lei si mosse e le sciolse i muscoli: alzò la testa, per poterlo guardare negli occhi, poi gli poggiò le labbra sulle sue, facendo pressione leggermente.
Era spaventata da quel gesto, ma vide gli occhi di lui illuminarsi e poi chiudersi, e, quando lui le appoggiò le mani sulle guance e la attirò ancora di più a sé, il bacio divenne più profondo, ma sempre dolce e delicato.
 
 
 
 
Il boccino sembrava non volerne sapere e continuava la sua corsa, mentre Harry faticava a stargli dietro: era notte e c’era la pioggia, ma erano i pensieri e le lacrime che gli riempivano gli occhi che gli impedivano di avere una visuale perfetta.
Si diresse verso le torri, girando attorno ad esse e si fermò al centro del campo, intenzionato a trovare la traiettoria del boccino.
Strinse gli occhi, per vedere meglio nel buio e, quando intercettò la sfera dorata, grazie ad uno spostamento di aria che gli mosse i capelli, Harry si diresse nella direzione opposta da cui il boccino era arrivato.
Allungò più volte le mani, stringendole attorno al vuoto.
Non ci riusciva: persino una stupida sfera con le ali era diventata più forte di lui.
Il peso di quell’assenza lo rendeva stanco, inutile, ma il coraggio che non aveva di dire quelle cose alla persona interessata lo schiacciava fino a farlo diventare un tutt’uno con la terra che aveva sotto ai piedi.
Decise di tornare a terra, di lasciar perdere e scese lentamente verso il terreno.
Certi notti le avrebbe cancellate dai suoi ricordi, perché facevano male e bruciavano più della cicatrice che aveva sulla fronte. Avrebbe cancellato soprattutto le notti in cui pioveva, perché i ricordi che la pioggia portava con sé non avrebbe più potuto riviverli.
Vacillò quando nella sua mente si disegnò l’immagine di Ginny che gli stringeva le spalle, quando il piacere era tale da farla gemere più forte.
Tolse con stizza gli occhiali dal naso e asciugò le lacrime con il polsino della manica, lasciando cadere la scopa poco lontana dai suoi piedi.
Tutto intorno, cominciò a perdere i contorni e, quando toccò il suolo con tutto il corpo, anche la coscienza dei muscoli lo abbandonò: lentamente, la luce fioca della luna si affievolì fino a sparire; il rumore della pioggia divenne meno forte a mano a mano che il tempo passava e, persino le gocce, sembravano essere più leggere.
Poi, chiuse gli occhi.
 
 
 
 
Aveva paura dei tuoni e se ne vergognava.
Da bambina, correva ad addormentarsi nel letto dei suoi genitori, ma loro non c’erano più a proteggerla e la sua paura non l’aveva abbandonata.
Ormai, era una costante della sua vita.
Un lampo illuminò l’intero dormitorio e lei vide distintamente il profilo di ogni oggetto che c’era intorno al suo letto e strinse gli occhi, contando i secondi che separavano il suono dalla luce.
Quando il buio tornò, si avvolse più forte nelle coperte e le tirò su, fino a coprire i viso e i capelli.
Forse, i dubbi che le attanagliavano la mente e lo stomaco non erano la cosa peggiore che avrebbe dovuto affrontare, perché, prima o poi, l’avrebbero lasciata in pace, sarebbero andati via.
In quel momento, era confusa e spaesata: la sua vita si stava sgretolando lentamente e tutte le persone che amava, in un modo o nell’altro, stavano andando via, stavano abbandonando la campana di vetro sotto cui lei li aveva sistemati per proteggerli ed anche il vetro stava andando in frantumi.
Per questo i tuoni riuscivano ad entrare nel suo mondo; per questo i dubbi erano diventati parte di lei, come i suoi polmoni, come il suo cuore.
Desiderò di ricevere un abbracciò e, quando immaginò la scena, il primo volto che vide fu quello del Serpeverde che da sempre aveva odiato.
 
 
 
 
 
°°°
 
 
Posava su qualcosa di morbido ed era avvolto in qualcosa di caldo, ma non riusciva ad aprire gli occhi per vedere in che posto si trovasse realmente.
Pensò che fosse solo un sogno, per questo, non diede molta importanza quando sentì una leggera pressione sulla sua mano.
Sentiva i muscoli intorpiditi, un formicolio fastidioso salirgli la schiena e un acuto mal di testa, ma forse, faceva tutto parte del suo sogno. D’altra parte, si sentiva intontito tanto da non riuscire a formulare nessun altro pensiero e da non trovare nessun’altra soluzione per spiegarsi quella circostanza.
Poco alla volta, i sensi tornarono ad essere presenti: i suoni sembravano di nuovo forti; la luce accecante, anche se lui era ad occhi chiusi. Sentiva solo uno strano sapore acido riempirgli la bocca.
-Credete che stia bene, Madama Chips?- una voce, quella voce.
-Certo, cara. E’ solo svenuto.
-Ma a cosa è dovuto?
-Non lo sappiamo. Su, lascia che gli misuri la temperatura.
-Ha la febbre?
-E’ probabile.
Aprì lentamente gli occhi, ma rimase deluso quando di fronte a sé, vide solo l’infermiera della scuola.
Forse, stava diventando pazzo, visto che sentiva la voce di Ginny anche quando lei non era presente.
Doveva fare qualcosa e cercare di uscire quanto prima da quello stato di incoscienza e di estraneità in cui  la mancanza di lei lo aveva condotto: non poteva rimanere ancora lì, nel mondo che aveva diviso con lei. Senza Ginny, quel mondo non sarebbe mai stato lo stesso.
Ripensò al momento in cui, dopo che lui l’aveva baciata, lei lo aveva lasciato andare, non lo aveva trattenuto ed Harry aveva interpretato quel gesto come la decisione di chiudere per sempre quella storia.
Sentì il petto lacerarsi dal dolore, gli mancò il respiro e tutto intorno sembrò perdere di nuovo di consistenza: i contorni divennero indefiniti e i suoni lontani.
Solo il battito del suo cuore sembrava stonare con il tutto, perché si sentiva ed anche forte.
Quando sentì nuovamente quella stretta alla sua mano, tutto intorno tornò alla normalità e fu allora che la vide: con il sorriso stampato sul viso, gli colmi di lacrime e la mano stretta nella sua. –Ginny…
-Mi hai fatto prendere uno spavento, capitano.
-Stai piangendo?
-No.
-Come stai?
-Dovrei chiedertelo io…
-Sì.- la voce era poco più che un sussurro, ma per Ginny quelle flebili risposte valevano quanto la vita: aveva avuto paura!
Era andata nel suo dormitorio per parlargli, per capire cosa fosse rimasto di quello che erano stati un tempo, ma lì non c’era e allora lo aveva cercato ovunque. Quando lo aveva trovato disteso sul campo di Quidditch, privo di sensi e con il respiro appena udibile, aveva pensato di poterlo perdere per sempre. E, in quello stesso momento, la disperazione, la rabbia per le parole non dette e per le occasioni mancate, gli avevano dato la forza di portarlo di peso in infermeria.
-Questa ragazza ti ha salvato la vita, giovanotto.- si intromise Madama Chips.
-Più di una volta, in verità, vero Ginny?
-Davvero?
-Sì.- in qualche modo, cercò di fare segno a Madama Chips e questa colse immediatamente il segnale del giovane, quindi si allontanò dal lettino su cui era disteso.
-Non mi pare, Harry.
-Mi hai salvato, eccome.
-In quale occasione?
-Quando ti sei innamorata di me. Quando hai rischiato di morire per salvare me e quando ti sei trovata faccia a faccia con Voldemort. Quando mi hai lasciato sbagliare e mi hai perdonato, quando mi hai lasciato andare, senza darmi alcuna colpa…
-Hai la febbre, Harry: stai delirando.
-Non  sono mai stato così serio, credimi!
-Già…- disse, esibendo le labbra in una specie di sorriso forzato.
Il tentativo andò a vuoto, ma Harry sorrise di gusto. –Sei bellissima quando fai così.
-Non riesco a crederti… l’ultima volta che mi hai baciata, poi mi hai detto che non volevi che io fraintendessi, poi ti comporti da amico…
-Sapevo che avresti frainteso.
-Come?
-Sì… dimmi cosa hai pensato quando ti ho baciata.
-Non so…
-Che significato ha avuto per me, secondo te, quel bacio?
-Sapeva di addio.
-Sbagliato…
-Cosa?
-Non sapeva di addio, per me.- si avvicinò a lei e la baciò, trovando per prima la sua resistenza.
Si allontanò, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi, per quel tempo che per lei sarebbe stato necessario a capire, poi la baciò di nuovo.
 
 
 
 
 
-Credi che abbia funzionato?- chiese Blaise.
-Cosa?
-Il mio piano.
-Sei intrappolato qui, legato a testa in giù… tu cosa pensi?
-Beh, io credo di sì: insomma… usa parole babbane!
-Questo non c’entra niente.
-Ah no?
-No.
-Evita sempre il discorso, quando si parla di lei.
-Questo neanche c’entra.
-La chiama per nome…
-Beh, forse, questo potrebbe essere un sintomo.
-Io gli voglio bene, sai? E’ arrogante, antipatico, stronzo, ma... in fondo, mi fa anche un po’ tenerezza.
-Perché?
-Beh, perché… hai mai conosciuto qualcuno che lo ami per quello che è?
-No.
Quella mattina, Draco aveva deciso di dover parlare ancora con i suoi compagni di Casa, per chiarire alcuni punti con loro, per capire cosa ci avevano visto i due nella Mezzosangue che li aveva portati a mettere su quel piano da matti.
Però, si era trovato a passare in quel corridoio nel momento giusto, tant’era che avrebbe avuto le sue riposte, senza porre alcuna domanda.
-Pansy… è brava solo a portarselo a letto; Astoria è obbligata a sposarlo e, forse, lo farà anche, ma questo non significa che lo ami.
-E la Granger cosa c’entra?
Aveva sentito il cuore salirgli in gola, solo sentendo quel cognome.
-Secondo me, lo completa, perché non gliela da vinta, gli tiene testa e poi… dai, è imbarazzante parlare di queste cose.
Caddero, battendo forte la faccia sul pavimento di pietra. –Che cazzo è succ….?
-Continua, Zabini.- disse Draco, facendo la sua entrata in scena.
-Cosa?
-Quello che stavi dicendo.
-Mi stavo chiedendo cosa stesse succedendo.
-Intendo prima…
-Oh… stavo dicendo che è imbarazzante…
-Cosa?
-Essere legati a testa in giù.
-Digli la verità, cazzo. Vuoi tornare di nuovo come prima?- intervenne Nott, arrabbiato, preoccupato per la prima volta.
-E d’accordo. Stavo parlando della Granger e stavo spiegando a Theo perché credo che sia quella giusta per te.
-Hermione non fa per me.
-Vedi? La chiami per nome.
-Questo non c’entra.
-Ah no?
-No.
-E’ una lurida Mezzosangue.
-Hey, regola i toni!
Il silenzio calò nella sala vuota e quattro occhi erano puntati sulla figura magra del biondo che guardava i suoi compagni come se stessero bruciando e lui non potesse fare niente.
-Draco…
 
-Ti piace la Mezzosangue?
-Sicuro di star bene?
 
-Perché quel premio?
-Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
-Quindi mi vuoi?
 
 
 
 
 
Non aveva voglia di far niente, se non di rompere tutto ciò che aveva davanti.
Harry quella notte non era rientrato e lui si era dato alla pazza gioia: gli specchi erano andati in frantumi, in più di mille pezzi, visto la sua insistenza di non voler vedere più la sua immagine riflessa.
Lo stesso, era stato con i vetri delle finestre.
Non sapeva cosa provava verso sé stesso, troppe emozioni lo investivano ogni volta che ripensava a ciò che aveva detto ad Hermione.
Più di tutto, provava disgusto per tutta la situazione. E si sentiva tradito, perché essere sostituito con un Serpeverde era l’affronto peggiore che lei avesse mai potuto fargli.
La gelosia lo stava logorando, tanto da renderlo insensibile al dolore che avrebbe dovuto provare quando un suo pugno colpiva qualche oggetto e la rabbia lo rendeva cieco tanto da non fargli accorgere del sangue che gli scorreva lungo il braccio.
Il legno del letto, prima, si divise in due, lasciando che qualche scheggia ferisse la pelle pallida del rosso, poi cadde sul pavimento con un tonfo sordo.
Era talmente in collera che non si preoccupò neanche che qualcuno potesse sentirlo.
-Sei un illuso, Ron. Credevi che ti volesse ancora? Credevi che avesse dimenticato, eh? Che guardando nei tuoi bellissimi occhi azzurri, si sarebbe innamorata di nuovo di te?- diede un altro pugno, al muro questa volta e la sua mano divenne ancora più rossa.
Se fosse stato abbastanza lucido da preoccuparsi per sé, avrebbe pensato che gli si era rotta la mano, ma non era in quella condizione mentale, perciò continuò a colpire e a colpire. E a ripetersi di essere un illuso.
Guardò per un attimo verso la porta, stringendo le mani fino a far diventare bianche le nocche, poi sorrise: aveva deciso.
Quella, sarebbe stata davvero la cosa giusta da fare, per lui e per chiunque altro.
 

 
 
 
 
Angolo autrice:
Salve a tutti!
Sono tornata e, come potete vedere, questo capitolo è abbastanza lungo!
Devo dire la verità? E’ il capitolo che finora mi piace di più.
Sono un po’ dispiaciuta perché le recensioni sono calate tantissimo, ma vi capisco e vi chiedo ancora una volta scusa per l’enorme ritardo.
Ora, spero vivamente che questo capitolo piaccia anche a voi e che mi facciate sapere cosa ne pensate, se ho sbagliato qualcosa, se la storia è scontata… non so, fate voi xD
 
Ringrazio le 166 seguite, le39 preferite e le27  ricordate.
Aumentate ogni volta di più e ne sono felicissima! **
Grazie anche ai lettori silenziosi…
A presto, la vostra Exentia_dream 

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Capitolo 12
*** In prima pagina ***


In prima pagina

 
 
Stava impazzendo, non riusciva a pensare ad altro: ogni fibra del suo essere era dedicato a lei e alle incertezze che sentiva di avere ogni volta che qualcuno pronunciava il suo nome.
Da quando era finito il loro tempo di esilio, tutto era tornato alla normalità di quei sette anni. Tutto o quasi: lui era tornato ad essere il solito Malfoy di sempre, freddo e menefreghista, pronto a metterla in difficoltà e a disprezzarla, anche se senza cattiveria, ma per il semplice gusto di battibeccare insieme; lei, invece, non gli rispondeva più a tono, lo evitava ogni volta che lui voleva parlare, ma lo cercava con lo sguardo, quando ne aveva l’occasione, quando credeva che nessuno potesse vederla.
 
 
-…mi rispondi a tono.
-Per difendermi.

 
Forse, non voleva più difendersi da sola. Forse, aveva calato le sue barriere perché anche dentro lei era cambiato qualcosa e voleva che lui lo scoprisse.
Scosse la testa, dandosi dello stupido.
Non era possibile che gli stesse succedendo tutto ciò, né era possibile che le ipotesi di Blaise si rivelassero vere: a lui non piaceva la Mezzosangue e quello strano senso di protezione che provava nei suoi confronti erano solo un riflesso condizionato da ciò che i suoi compagni di casa gli stavano inculcando nella mente.
-Drà?
-Cosa vuoi?- era arrabbiato, era furioso.
-Che hai?
-Non ho niente. NIENTE. Smettila di voler entrare per forza nella mia mente.
-Io non voglio entrare nella tua mente: non ci sarebbe spazio. La Granger è magra, ma occupa tanto spazio lì dentro.
-Smettila!
-Di fare cosa?
-Di mettere Hermione nelle mie giornate.
-Non lo faccio io, Drà. Sei tu che la vuoi presente in ogni cosa che fai…
-No, io non la voglio nella mia vita.
-Ancora devi capirlo.
-Fanculo!
 
 
 
 
 
La SalaGrandeera piena e quasi nessuno mancava all’appello. Il loro ingresso, mano nella mano, destò non poca sorpresa: Luna Lovegood per prima, aveva gli occhi- già grandi naturalmente- spalancati e fuori dalle orbite.
I due si guardarono e si sorrisero complici. Chissà quante persone credevano che il loro rapporto non sarebbe tornato a quello che era prima della Guerra Magica ed, invece, il loro amore, ancora una volta, era andato contro a quello che doveva essere il destino della loro storia: avevano litigato, si erano allontanati e avevano provato ad essere amici; si erano fraintesi, avevano rischiato di perdersi per sempre, poi erano tornati insieme.
-Buongiorno, ragazzi.- disse Harry sedendosi al solito posto, affiancato immediatamente da quella che era di nuovo la sua ragazza. Si voltò a guardarla.
Ginny era davvero bella quando sorrideva.
Quando i suoi occhi azzurri si persero in quelli verdi di lui, sentì una leggera fitta allo stomaco che non faceva affatto male.
Il formicolio alle mani, il tremore del respiro e il battito accelerato del cuore erano tutti sintomi che presentava la sua felicità e li aveva riconosciuti subito, anche se non li provava da tanto.
Si era chiesta, più volte, come un solo sorriso di Harry potesse renderle migliore un’intera giornata, ma sapeva che quella domanda non aveva bisogno di risposte, perché nessuna parola, nessuna frase avrebbe potuto rendere giustizia a quella gioia.
Anche Hermione, quella mattina ,era seduta al loro tavolo e li guardava sorridendo: era arrabbiata con Harry, ma gli voleva bene e vederlo felice era ciò che gli avrebbe augurato sempre.
-Harry?-la rossa lo chiamò piano.
-Dimmi…
-Credo che dovresti parlare con lei.
-Lo credo anche io.
-Sono con te.
-Ti amo.
Nulla nella vita valeva più di quella certezza che entrambi avevano nelle vene. Nulla.
 
 
 
 
Ci stava pensando su da un po’, ma niente sembrava accettabile: Silente doveva aver perso qualche rotella.
No, non era possibile ed anche contro le regole: lui non poteva intromettersi e non poteva di certo chiedere al suo beniamino di dargli il permesso di scavare nei suoi ricordi… per cosa poi?
Per fargli rendere conto che tutto quello che provava era reale e doveva accettarlo?
-Il ragazzo sarà capace di capirlo da solo, Silente.
-No, Piton: Draco non accetterà i suoi sentimenti, li nasconderà e diventerà debole.
-Perché dovrebbe stare male?
-Perché ha paura di amare.- così gli aveva risposto il vecchio Preside ed aveva taciuto ogni altra sua domanda, facendolo tornare alle sue lezioni.
Ma, a mente lucida, il tutto sembrava ancora più assurdo, senza senso.
Come poteva Draco Malfoy avere paura dell’amore se, proprio lui aveva salvato l’intero Mondo Magico?
La paura era qualcosa che quel ragazzo non conosceva: non la provava verso il male, non l’aveva provata neppure mentre puntava una bacchetta contro Silente per ucciderlo, figurarsi se l’avesse provato per qualcosa di positivo.
No, non lo avrebbe fatto: non avrebbe privato nessuno di dare l’interpretazione desiderata alle sensazioni che provava.
 
 
Tenere lo sguardo chino su quei fogli di pergamena era diventato quasi impossibile.
Quella mattina, era arrivata in ritardo alla lezione di Storia della Magia e non aveva potuto guardarlo in faccia e sentiva le mani tremare.
Avrebbe voluto vedere la sua espressione, per capire come stava, ma non ci era riuscita e lui aveva il viso ben nascosto.
-Draco.- lo aveva chiamato, con un filo di voce, ma lui non si era voltato. Forse, non l’aveva neanche sentita.
Le spalle si mossero più velocemente, al ritmo del suo respiro ed Hermione si sentiva osservata da occhi che non erano grigi e apparentemente freddi.
Si voltò, guardando alla sua destra e trovò conferma al suo pensiero: Ron la guardava con lo sguardo colmo di ira.
La odiava. La odiava con tutto sé stesso e con tutto l’amore che in passato aveva provato per lei. Aveva la mano ingessata, non avrebbe potuto giocare a Quidditch per un tempo indefinito- ma non era questa la cosa che gli importava, perché aveva preso una decisione e l’avrebbe rispettata- ed era tutto colpa di Hermione.
Qualsiasi cosa gli sarebbe successa, sarebbe stata per colpa sua e del suo amore non corrisposto per un infido Serpeverde.
La riccia posò nuovamente lo sguardo sulla pergamena, spaventata.
Non sapeva come interpretare le parole scritte negli occhi di Ron, ma sapeva che c’entrava qualcosa con lei. La rabbia che popolava quelle iridi azzurre era qualcosa di sovraumano, qualcosa che da solo, il rosso, non avrebbe potuto combattere.
Forse, aveva bisogno di aiuto e lei non poteva offrirglielo; quella sarebbe stata l’occasione giusta per tornare a parlare con Harry.
Per la prima volta in vita sua, Hermione Granger cercò di allontanare l’attenzione dalla lezione e bagnò il pennino nel calamaio.
Strinse la pergamena nella mano destra e cominciò a scrivere, preoccupandosi poco di avere una scrittura ordinata e comprensibile: Harry avrebbe capito comunque.
I pensieri si scomponevano nella sua mente un momento dopo che li aveva formulati, quindi si accorse di aver ripetuto più volte gli stessi concetti, ma li lasciò scritti lì, senza cancellarli e senza dare loro troppa importanza.
Appose il punto all’ultima frase e firmò in apice al foglio, poi lo arrotolò e lo nascose sotto al mantello: non sapeva esattamente cosa avesse scritto; l’importante, però, era far arrivare quella lettera al Ragazzo Sopravvissuto ed accettarsi che lui la leggesse.
 
 
 
 
 
 
 
La giornata era trascorsa lentamente, senza intoppi.
Theo era stato attento a tutti gli atteggiamenti del compare di marachelle e si era reso conto di quanto fosse doveroso ringraziarlo, perché, grazie ai suoi discorsi sull’amore, gli aveva fatto trovare il coraggio di confessarsi.
Non si somigliavano in nulla: né nel carattere, visto che lei aveva bisogno di apparire per forza, né fisicamente: lui era magro, ma alto e ben piazzato; lei era piccola nella statura e nella stazza fisica.
Eppure, Daphne Greengrass era una delle persone più forti che lui avesse mai conosciuto, perché non si era mai abbassata a chiedere scusa, né a chiedere un favore: se l’era sempre cavata da sola ed era sempre riuscita in tutto.
La stava aspettando da un po’, poggiato allo stipite della porta del suo dormitorio, ma lei tardava a rientrare. L’avrebbe aspettata comunque, perché si era tenuto dentro quelle parole per troppo tempo e rimandare gli avrebbe fatto solo più male.
Un fruscio leggero attirò la sua attenzione e lui tornò nella sua posizione ordinata e composta.
Ricordò quella volta in cui, sulle sponde del Lago Nero, Nott aveva costruito un’altalena, nei primi anni ad Hogwarts, e Daphne aveva trascorso interi pomeriggi a dondolarsi e studiare lì, in compagnia del giovane.
Gli mancavano davvero quei tempi in cui era tutto più semplice, in cui aveva il coraggio di ammettere che gli piaceva quando i capelli biondi di lei, mossi dal vento, gli solleticavano il viso, quando aveva il coraggio di dirgli che, quando sorrideva, lei era davvero meravigliosa.
Si chiedeva perché non lo avesse mai detto, quando era stato facile; perché si era costretto al silenzio e aveva reso tutto più intricato: sapeva che Daphne aveva avuto una cotta per lui, ma poi, si era complicato tutto e lei era finita con uno qualunque che per lui non aveva neanche nome.
Si chiedeva se lo amasse davvero, se quella simpatia che da bambina provava per lui esistesse ancora.
 
 
 
 
-Cosa ti succede, Ron?
-Nulla.
Era stravaccato sul letto, una sigaretta a penzoloni tra le labbra. –Non hai mai fumato.
-Beh, ho iniziato.- tossì, quando il fumo gli scese in gola. Si chiedeva cosa ci provasse Malfoy in quelle asticelle schifose che sapevano di tutto, tranne che di buono.
-Capisco. E come mai?
-Cazzi miei, Harry.- aveva visto Hermione, nascosta dietro Harry e, allora, aveva assunto le peculiarità che distinguevano Malfoy dagli altri.
Gli piaceva tanto il Furetto biondo? Beh, allora la Donnola rossa avrebbe acquisito il carattere del Serpeverde per riconquistare l’amore della sua vita.
-Che ci fai con quei pantaloni neri?
-Ah, questi?- disse, stringendo la stoffa tra il pollice e l’indice, sollevandola dalla pelle, mettendola in bella mostra e chinandosi quel tanto che gli bastava per mettere bene in mostra gli addominali. –Li ho fatti comprare da mamma. Le ho spedito un gufo con dei soldi e le ho chiesto questo favore.
-Quanto hai speso?
-Questi pantaloni non hanno prezzo: sono di buona fattura e li pagherei anche oro.
-Senti, Ron… ho un po’ da fare. Ci… ci vediamo dopo, eh! Ciao.
Il rosso sorrise, tirando su solo un angolo della bocca.
Harry strinse il polso di Hermione e la trascinò in un corridoio lì vicino. –Mi fai male, Harry.
-Scusami. Herm, cosa gli è preso?
-Non ne ho idea. Abbiamo litigato e lui crede che io sia innamorata di Malfoy.
-Questo spiegherebbe tutto.
-Già!
-Hey, aspetta un attimo. Sei davvero innamorata di Malfoy?
La riccia abbassò lo sguardo, ringraziando la luce fioca di quella candela che illuminava quella parte del castello, visto che impediva ad Harry di cogliere il rossore delle sue guance. –Io… oh, ma questo non è importante. Piuttosto, cerca di farlo tornare in sé.
-Hai ragione, ma io e te dobbiamo parlare un po’.
-Certo.- sorrise.
-Cos’è quello?
-Cosa?
-Quella cosa che hai fatto con la bocca?
-Cosa ho fatto?
-Somigliavi terribilmente a Malferrett.
-Smettila, Harry.- disse, con tono di rimprovero, ma in cuor suo, si sentì quasi lusingata di somigliare a Draco.
Scosse la testa e, concordando con il suo migliore amico, decise di tornare alla Sala Comune di Grifondoro.
 
 
 
 
Essere ciò che non sarebbe mai potuto essere era la cosa peggiore che una persona potesse chiedere a sé ed era proprio quello che Ron aveva fatto.
Voleva in ogni modo riconquistare Hermione e averla accanto, ad ogni costo, ma piuttosto che vendere l’anima al diavolo, aveva fatto un patto con la sua coscienza: sarebbe stato infame e senza cuore con lei, l’avrebbe persino fatto pesare di essere nata e, in questo modo, forse, tutto sarebbe tornato a quei tempi felici.
Fece sparire la sigaretta e strofinò forte le mani sulle gambe, perché i pantaloni di stoffa gli davano prurito.
-Idiota Purosangue. Ma cosa ci trova in lui? E’ pure vecchio: somiglia a suo padre con quei capelli platinati.
Si guardò allo specchio, portando le mani sotto al mento e mettendo in mostra il collo e le mascelle: non era di certo bellissimo, lo sapeva, ma gli occhi compensavano i capelli rossi e tutto ciò che di lui non poteva essere attraente.
Aveva il cuore in pezzi, anzi, era stato disintegrato e nulla di lui sarebbe stato più lo stesso: voleva solo piacere a lei.
Tornò a sedersi sul letto, levandosi i pantaloni e prendendo l’accappatoio, si diresse in bagno per fare una doccia: aveva bisogno di levarsi dalla pelle quell’odore nauseante di fumo e di distrarsi, bagnandosi i capelli e frizionando sulla nuca. Era un gesto semplice che gli permetteva di allontanare i pensieri e di sentirsi più leggero: ogni volta che le sue dita eseguivano il tipico gesto circolare dello shampoo, andava via un po’ della sua preoccupazione e lui si sentiva più tranquillo.
Ron aveva sempre pensato che l’amore facesse male, ma non aveva mai pensato che il dolore arrivasse a quell’intens
ità. In quel momento, promise a sé stesso che Hermione avrebbe dovuto soffrire allo stesso modo e nessuno avrebbe potuto leccare le sue ferite, tranne lui. Ma quel momento non sarebbe arrivato facilmente.
 
 

Quando l’amore non ha bisogno di parole.
 

Hermione Granger e Draco Malfoy erano spariti ad una settimana dalla partita di Quidditch che si sarebbe tenuta per decretare il vincitore, tra Harry Potter e il Principe dei Serpeverde, di una scommessa lanciata da quest’ultimo.
Il giorno in cui la partita avrebbe avuto luogo, magicamente, i due dispersi ricompaiono. Ma dove saranno stati?
E cosa sarà successo?
Di ipotesi, cari lettori, possiamo farne tante, ma guardate un po’ la foto: cosa ne pensate?
Dai loro sguardi si capisce che tutto quello che è potuto succedere in quel luogo a noi sconosciuto abbia contribuito a far nascere tra i due un sentimento meraviglioso e che nessuno avrebbe pensato potesse esserci tra loro: l’amore.
E il loro amore non ha bisogno di parole, perché comincia a spiegarsi con uno sguardo e parla con il luccichio e il tremore delle loro pupille.

Perciò, cari lettori, non abbiate paura di ammettere i vostri sentimenti: urlateli, non teneteli nascosti perché l’anima di chi non accetta i propri sentimenti, scende a compromessi con la parte sbagliata del sentimento più bello di questo mondo.
 
 
 

Pansy Parkinson boccheggiava di fronte a quella fotografia che, per la prima volta nella storia della stampa di Hogwarts , rappresentava esattamente la realtà di quelle parole scritte.
Demelza e Dennis si erano resi conto prima di tutto di cosa stava succedendo tra Hermione Granger e Draco Malfoy. Come aveva potuto essere cieca, lei che era sempre la prima a scovare queste storie clandestine?
Comunque, decise di chiedere spiegazioni al protagonista di quell’articolo e si fiondò nel suo dormitorio.
Bussò alla porta, finchè non ricevette il permesso di entrare dalla voce stufata del suo compagno di casata. –Hey, guarda un po’ qui.- gli lanciò il giornale sul materasso.
Draco indirizzò un’occhiata distratta a ciò che gli aveva dato Pansy e voltò il capo dalla parte opposta, poi, come illuminato da una folgorazione, si mise a sedere in modo poco elegante e prese tra le mani la copia del giornale. –Cazzo.
Lesse l’articolo tutto d’un fiato: sentiva il cuore pulsare più forte, i brividi percorrergli la pelle.
Pansy lo guardò. –Hai gli occhi lucidi, Draco.
-Io-io…
-Tu la ami!
Lui alzò lo sguardo e corse fuori dal suo dormitorio: voleva solo scappare!
Anzi, voleva prima rompere una ad una le ossa di Dennis Canon e poi scappare per sfogare la sua rabbia in altro modo: nessuno poteva permettersi di sindacare sui suoi sentimenti o di cercare di interpretare i suoi pensieri.
Nessuno, nemmeno lui stesso sapeva spiegarsi cosa provasse ogni volta che incrociava il suo sguardo o ogni volta che qualcuno pronunciava il suo nome o ogni volta che  sentiva il suo profumo.
Percorse i corridoi con passo marziale e, senza neanche rendersene conto, si ritrovò nella Sala Grande. –Caaaanoooon, dì le tue preghiere: sei morto!
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Grazie infinitamente per tutto il calore che mi trasmettete attraverso le vostre parole; sono felicissima che la storia vi piaccia tanto!
Spendiamo qualche parolina a proposito di questo capitolo?
Beh, come avete visto, vi siete preoccupate per niente o quasi: Ron non ha intenzioni omicide xD
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia non stia diventando troppo scontata e deludente.
 
Grazie alle 178 seguite, alle 45 preferite e alle 28 ricordate!
Grazie a chi commenta, a chi mi segue in silenzio e grazie alle 15 persone che mi hanno inserito tra gli autori preferiti: mi rendete felicissima!
 
A presto, la vostra Exentia_dream 

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Capitolo 13
*** Passi in avanti ***


Passi in avanti

 

Ancora una volta, si era svegliata in piena notte, con il respiro affaticato e il cuore che batteva all’impazzata. I sogni continuavano a non avere senso da quando era uscita da quel dormitorio, ma credeva che, con il tempo, tutto sarebbe tornato alla normalità, invece, ogni notte che passava, quei sogni sembravano sempre più reali e lei si avvicinava sempre di più a quelle labbra.
Nel suo mondo, quello in cui la magia non esisteva, i sogni rappresentavano i desideri più nascosti di una persona, ma nel mondo in cui viveva, non poteva essere così.
In quel mondo, tante cose non erano realmente ciò che sembravano.
-Cos’hai, Herm?- le aveva chiesto Ginny, poggiandole una mano dietro la schiena.
-Non lo so.
-Hai fatto un brutto sogno?
-Non lo so.
-Cosa significa non lo so?
-Significa che non lo so, Ginny. Non so più niente.
-Hey, non piangere. Dai, vieni qui.
Si rifugiò nelle braccia dell’amica e cercò di dare un freno alle lacrime. –Ho sognato di baciarlo.
-Chi?
-Draco Malfoy.
Ginny trattenne il fiato e cercò di non farsi accecare dal disprezzo che provava verso il biondo. –E ti è piaciuto?
-Io-io… desidero farlo…
In fondo, l’amore era cieco ed era vero, perciò, andare contro alla sua migliore amica non avrebbe fatto altro che renderla più debole. –Ne sei convinta?
-Non lo so.
O, forse, la mente di Hermione non era del tutto bendata da quell’amore malsano. Se, però, così non fosse stato, non avrebbe potuto abbandonarla. –Lo ami?
-Mi manca. Sai, quando ero chiusa in quel dormitorio, era diverso: era quasi dolce e… tante volte ho immaginato che se si fosse comportato così anche al di fuori, magari…- si era fermata. Quell’improvvisa voglia di sfogarsi e dialogare doveva restare in lei e, inoltre, aveva paura del giudizio di Ginny, di colei che amava la persona più giusta al mondo.
-Voglio solo che tu sia felice, Herm… non mi importa con chi.- Anche lei aveva le lacrime agli occhi: per quanto non sopportasse per niente il Purosangue di cui avevano parlato, sapeva bene che l’amicizia e i sentimenti che la legavano ad Hermione erano molto più profondi di qualsiasi pregiudizio.

 

 Il posto accanto a lui era vuoto e così sarebbe rimasto, ma sentiva l’ansia crescere in lui: si sentiva in dovere di sperare che quell’attesa non fosse vana e continuava a girarsi, ad intervalli regolari, a guardare la porta.
Nessuno più l'avrebbe aperta.
Gli ingredienti per la pozione erano già pronti accanto al calderone, così come il foglio su cui veniva descritto il procedimento per eseguire correttamente il compito dato, ma la sua mente era altrove, ferma su un sorriso dolce e due occhi castani.
Scosse il capo e, quando lo scricchiolio della porta riempì l’aula, Draco si voltò a guardarla. Trattenne il respiro, ma rilasciò dopo poco che l’aria uscisse dai suoi polmoni.
Quando il professore entrò nell’aula, il senso di vuoto che aveva provato non vedendola al suo posto era aumentato, perciò strinse i pugni.
-Drà?
-Che vuoi?
-Posso stare qui?
-Stai dove vuoi…
Si sentiva osservato più del solito, ma avvertiva la mancanza assoluta di avere addosso lo sguardo di chi lottava internamente con sé stessa per spostare gli occhi dalla sua figura: era convinto che lei fosse attratta da lui e, allo stesso modo, era convinto che tutto quello sarebbe finito di lì a poco. Avvertì uno strano tremore allo stomaco, poi, tornò alla sua pozione.
-Questa non ci vuole, Drà.
Si fermò con l’ampolla inclinata in modo tale da non versarne il contenuto nel calderone, poi si voltò lentamente a guardare il compagno di banco. –Cos’hai detto?
-Che questa non va nella pozione, è scritto anche sulla tua pergamena.
Diede un’occhiata al foglio che aveva di fronte e si rese conto che, effettivamente, Blaise aveva ragione. –Dove ho la testa?
-Signor Malfoy.-il professor Piton lo guardava dritto negli occhi.
-Sì?
-La attendo nel mio ufficio, appena terminata la lezione.
Annuì, calando la testa sulle ginocchia. Per una piccola distrazione, stava mandando a puttane i voti più alti che aveva.
Per una distrazione che tanto piccola non era ed aveva un peso definito, un nome e un profumo bellissimo.



-Tu non puoi capire, Ginny: non vedi come la guarda…
-Potrei farlo, se volessi.
-E come?
-Basterebbe che lo osservassi in Sala Grande, Harry.
-E’ tutta colpa mia: non dovevo accettare quella stupida scommessa.
-Se Hermione si è innamorata di Malfoy non è colpa tua, perché sarebbe successo comunque.
-Si è innamorata sul serio? Lo ha detto a te?
-Non è chiaro neanche a lei, ma io so bene quali sono i sintomi…
-Cosa dobbiamo fare?
-E’ la mia migliore amica, quindi la sosterrò, qualsiasi scelta farà.
-Ma stiamo parlando di Malfoy! E poi, Ron è tuo fratello.
-Sì, ma è un coglione, un cretino e uno stupido.
-E’ cambiato, sai?
-Ho notato: credo che tra un po’ si tingerà i capelli e comprerà delle lenti a contatto grigie.
-Addirittura?
-E’ impazzito, Harry: non sa cosa fa. Mi stupisce solo che creda davvero in quello che sta facendo.
Era preoccupata per Ron, ma sapeva bene che la fine della storia tra lui ed Hermione era avvenuta solo per colpa sua e sapeva anche che imitare Draco Malfoy non lo avrebbe di certo aiutato, anzi, secondo lei, tutto ciò lo avrebbe solo portato ad allontanarsi ancora di più alla possibilità di far pace con la riccia.
A quell’ora, il castello era deserto, poiché era ora di pranzo e lei aveva una gran fame, per questo, quando Harry si fermò di fronte al ritratto della Signora Grassa, rimase imbambolata.
Lo guardò negli occhi, mentre la paura che tutto si stesse di nuovo sgretolando fluiva nelle sue vene come il più potente dei veleni: non avrebbe sopportato un altro addio, un’altra fine. Non sarebbe stata capace di fingere di essere felice e di nascondere un dolore tanto immenso dietro ad un sorriso altrettanto falso.
Lo vide sorridere, nervosamente. La paura divenne pura, fino a farle dolere lo stomaco.
Le labbra sottili di lui tremavano impercettibilmente, ma da quei movimenti quasi invisibili al mondo intero, Ginny aveva imparato a conoscerlo e ad amarlo. –Harry… cos’è successo?

-Ho dimenticato una cosa in dormitorio.
-Vuoi che ti accompagni?
-D’accordo.

 

 -Signor Malfoy, devo chiederle un favore.
-Mi dica, professore.
-Non voglio usare la Legimanzia con lei, perciò le chiedo di darmi il permesso di guardare i suoi ricordi, attraverso il pensatoio.
-Non se ne parla proprio.
-La prego, signor Malfoy, si calmi e cerchi di capire: non voglio entrare nei suoi pensieri con la forza, perciò, preferisco che lei, insieme a me, guardi quelle scene.
-E a che proposito, scusi?
-Il preside Silente dice che ci sono sfumature che lei non riesce a vedere ed io, che sono stato come lei, devo aiutarla.
-No.
-Signor Malfoy.
-Professor Piton, mi dispiace rifiutare, ma avete scavato fin troppo nei miei pensieri quando ero ancora nelle schiere del Signore Oscuro e poi quando ho deciso di tradire la causa di mio padre. Potevo ben capire che in quel momento non avevate piena fiducia in me, ma ora è diverso.
-Ci sono sentimenti che lei non conosce ed è mio compito farveli scoprire.
-Conosco tutti i sentimenti di questo mondo.
-Anche l’amore?- in quell’istante, il Preside fece la sua entrata nell’ufficio del professore di Pozioni.
Il sorriso stampato sul viso, gli occhi colmi di aspettative e speranze.
-Credo che sia una cosa che non vi riguardi e che io sia in grado di scoprire da solo.
-Va bene.
-Ora, se permettete…
-Prego, Signor Malfoy.
-Arrivederci.
-Mio caro Piton…
-L’avevo detto che non avrebbe accettato.
-L’amore alberga già nel suo cuore. Presto se ne renderà conto.
Ancora una volta, si era soffermato ad origliare ciò che si diceva di lui.
Troppe domande gli vorticavano nella mente. Troppe domande che non avrebbe mai posto a nessuno premevano il suo cuore e le sue labbra per avere voce, ma lui le costringeva a restare in fondo alla gola mute compagne della solitudine in cui si stava rifugiando per fuggire al ricordo di lei, di quegli abbracci notturni che troppo spesso, in quell’esilio costretto, si erano scambiati.
Tirò su un angolo delle labbra, ripensando a quando avevano giocato a quello stupido gioco babbano, quello durante il quale lei gli aveva chiesto di perdere la partita volontariamente: aveva rifiutato all'inizio, ma, poi, l’aveva accontentata e non a causa dei suoi occhi spaventati o della voce che tremava.
Non solo, almeno: aveva perso per vederla felice, ma, nonostante questo, non aveva visto più un sorriso o sentito un "Grazie" indirizzato a lui.

Si rabbuiò quando giunse alla sua memoria anche il ricordo della tensione a cui aveva sottoposto i suoi muscoli per prendere il boccino, alla fatica che, inutilmente, aveva imposto di tenere al suo corpo.
Si rese conto di essersi fermato al centro del corridoio solo quando qualcuno gli urtò contro la spalla, facendolo spostare di qualche millimetro. –Allora è vero: la Granger ti ha proprio rimbambito.
-Canon!
-Scusami, devo andare.- e lo vide correre con le ginocchia che gli arrivavano al petto e i piedi dietro la nuca con una velocità impressionante.
Non era possibile che tutti vedessero ciò che lui neanche dubitava che esistesse: sapeva che non era innamorato di lei, sapeva che tutto quello che provava non era reale.

 

 A ora di pranzo, la Sala Grande era gremita di gente, anche se la mancanza di qualcuno si faceva notare eccome. –Beh, secondo me, ora che hanno fatto pace staranno recuperando tutto quello che… insomma, avete capito.
-Un po’ di contegno ragazzi: sono il fratello di Ginny e queste cose potrebbero darmi fastidio.
Hermione alzò gli occhi dal piatto che aveva di fronte, da cui non aveva preso neanche una briciola e guardò il rosso che per un tempo indefinito aveva creduto di amare: la freddezza che teneva nella voce non gli si addiceva affatto.
Anche i lineamenti del viso perdevano la loro dolcezza e questo non giovava affatto alla sua immagine.

Non era brutto visto che, nel tempo che erano stati insieme, si era ritrovata ad essere gelosa di qualche ragazzina del terzo anno che lo guardava e gli sorrideva, ma non era neanche eccessivamente bello. Non come Malfoy, almeno.
Si morse la lingua, tenendo per sé il gemito che avrebbe voluto emettere e stringendo gli occhi per non lasciare che quell’unica lacrima scendesse sul viso, poi tornò ad osservare le sfumature di dorato che avevano le patate nel suo piatto.
-Senti, Ron, ma tra quanto tornerai a giocare?
-Non ne ho idea, ma so che resterò comunque il miglior portiere di Hogwarts.
-E questo cosa significa? Sei il miglior portiere…
- Intendo, anche senza allenamento.
-Beh, fossi in te, non oserei dirlo.
-Non sono mica come qualcuno che lancia una sfida e non è capace di vincere il premio che ha chiesto in palio.- le aveva indirizzato uno sguardo gelido, fin troppo, tanto che i componenti di Grifondoro che gli erano più vicini si erano voltati a guardarlo con aria quasi terrorizzata.
Lo guardavano allo stesso modo di come guardavano il beniamino di Serpeverde.
In sé e per sé si sentì fiero e sorrise, regalando ai compagni di casa felice e amichevole, totalmente diverso da quello che aveva riservato a lei.
Era strano ed era cambiato in peggio, lo pensavano tutti, ma Hermione non ce la faceva più a sopportare quel cambiamento tanto radicale e decise di lasciare il tavolo e il suo pranzo lì, segno che anche lo stomaco le si era rivoltato di fronte ad un tale affronto.
Come aveva potuto Ron abbassarsi a quel livello? Per cosa?
Rifiutarlo, forse, era stata la cosa migliore che avesse mai fatto e, tutt’ora- dopo che si era resa conto che lui di carattere ne aveva sempre avuto poco- era fiera di sé stessa.
Stava correndo tra i corridoi, vogliosa, decisa a lasciarsi alle spalle lo squallido spettacolo che il suo ex ragazzo aveva dato a pranzo e, soprattutto, voleva andare via perché si continuava a parlare di Malfoy e tutto questo non l’aiutava a chiarire e a far diventare di nuovo un’armoniosa melodia il rumore che aveva dentro.
La distanza dal punto in cui si trovava e il quadro che l’avrebbe condotta al suo dormitorio sembrava aumentare mano a mano che lei correva e, per un attimo, aveva creduto che lei stessa non si stesse muovendo realmente, quindi respirò a fondo e si appoggiò ad una colonna che affacciava sull’immenso giardino di Hogwarts.
Chiuse gli occhi, nel tentativo di fermare il vorticare del suo stomaco, poi si avviò lentamente verso il ritratto della Signora Grassa, rinunciando all’idea di correre a nascondersi dal mondo, visto che il solo pensiero di non riuscire a farlo le metteva ansia.
Sforzò la vista quando una figura indefinita cominciò ad entrare nella sua visuale e, poco a poco che i secondi passavano, quella figura assumeva i lineamenti che lei per tanto tempo aveva cercato di non ricordare.
I capelli biondi si muovevano lentamente al suo camminare elegante; la schiena dritta e la sua posa fiera, lo sguardo di ghiaccio che neanche per un attimo la sfiorò la fecero venir voglia di urlare o di battere i piedi per terra, per reclamare almeno con il corpo la sua presenza, la sua esistenza, perché, da quando erano usciti di lì, lui sembrava non ritenerla neanche più degna dei suoi insulti e la evitava o, per meglio dire, la trattava come se lei non esistesse affatto.
Il dolore allo stomaco si fece intenso e la testa cominciò a pulsare.
Il biondo continuò a camminare, senza guardarsi intorno: i suoi unici pensieri ruotavano attorno alla richiesta assurda che gli aveva fatto Piton e, proprio perché tutto era provenuto da quello che lui riteneva il miglior professore, si sentiva offeso.
Chiuse gli occhi solo per un secondo, mentre altre domande si aggiungevano a quelle che già lo tormentavano: come pretendevano di poter guardare quei ricordi che lui custodiva con tanto riserbo solo per sé stesso?
Quei ricordi erano suoi, gli appartenevano e nessuno ne avrebbe potuto far parte, tranne loro due che li avevano vissuto, che avevano rese reali quelle immagini che affollavano nella sua mente e che lui riviveva ogni notte, prima di addormentarsi.

 

 Tutti gli alunni di Hogwarts avrebbero voluto sapere cosa realmente stesse succedendo. Il mondo sembrava essersi capovolto: Draco Malfoy aveva smesso di disprezzare chiunque si trovasse sotto tiro, come se, tutto d’un tratto, i suoi principi morali e quelli che suo padre gli aveva imposto fossero crollati sotto il peso di qualcosa molto più forte; Ginevra Weasley e Harry Potter erano sempre intenti a chiacchierare in ottave poco più alte del suono che avrebbe avuto il silenzio assoluto, come se fossero in procinto di scappare dalla scuola di magia e stregoneria; Ronald Weasley aveva preso le sembianze che Malfoy aveva abbandonato volontariamente.
Insomma, non mancavano le scommesse sul perché tutti questi cambiamenti fossero avvenuti dopo la ricomparsa dei due Prefetti che si erano smarriti.
Blaise Zabini avrebbe scommesso sempre sull’amore che era nato tra i due- che i due interessati non fossero ancora resi conto era solo un piccolo particolare- e che li aveva condotti ad evitarsi a vicenda per paura di scoprirsi.
Sì, ci avrebbe scommesso l’anima.
Era seduto al solito posto al grande tavolo della Sala Grande e quando vide entrare il suo compagno di casata, si alzò, portando con sé qualcosa da mangiare.
Gli andò incontro e lo prese per un braccio. –Vieni con me.
-Ho fame, Blaise.
-Ho tutto qui, con me. Tu seguimi e sta zitto.
-Cos’altro hai in mente?
-Nulla, devo solo parlarti.
-Di cosa?
Lo trascinò per i corridoi che, ormai, conoscevano a memoria e si fermò di fronte al ritratto che faceva da passaggio ai loro dormitori. –Salazar.
Theo aveva l’aria spaventata e nella sua mente già andavano a formarsi idee su quale altro strano piano il compare avesse in mente.
Quando si sedettero sui propri letti, il moro sospirò. –Allora?
-Cosa?
-Dovevi parlarmi, no?
-Sì.
-Mi serve una boccetta di Veritaserum.
-Per?
-Non ci sto capendo più niente: non vuole ammettere che sia innamorato di quella lì.
-Blaise, perché vuoi a tutti i costi che Draco si innamori della Granger?
-Lui è innamorato già, Theodore, come fai a non vederlo? L’ha detto anche Pansy che…
-Cosa?
-Quando gli ha fatto leggere l’articolo di Canon, lui aveva gli occhi lucidi. E, poi, anche tu hai visto la reazione che ha avuto quando ho insultato Hermione.
Theo posò l’indice e il pollice sotto al mento ed assunse l’aria di uno che da un po’ aveva qualche strana idea per la testa. –Senti, non è che piace a te?
-Chi? Ma sei impazzito? C’è già troppa contesa tra il rosso e Draco…
-Paura di perdere?
-No: mi pare ovvio che vincerei io, no?
-Mh.
-Anche quando è entrato in Sala Grande..
-Chi?
-Draco. Era sconvolto e sai perché?
-No, di grazia. Perché?
-Sicuramente l’avrà incontrata nei corridoi.
-Come scusa?
-Giusto, tu non c’eri. In pratica, la Granger è uscita dalla Sala Grande pochi minuti prima che entrasse Draco.
-E il Veritaserum a cosa serve?
-A fargli dire che la ama…
-Non credi che stai forzando un po’ troppo le cose?
-Non la pensi come me…
-In realtà, non sono del tutto convinto che siano innamorati, ma se Draco lo fosse, credo che dovresti dargli il tempo di accettarlo.
-Per Salazar, non ci vuole un’eternità per capire di essere innamorati.
-Si vede che tu non l’hai mai provato.
-Perché?
-Ci vuole tempo, ci vuole coraggio…
-Addirittura?
-Sì. Quando sei innamorato di una persona, Blaise, hai paura di tutto e per questo perdi la sicurezza che avevi e finchè non sai cosa prova l’altra persona per te, non riesci a trovare neanche il coraggio di guardarla mentre lei ti guarda.
Il moro rimase a boccheggiare, quasi come se fosse in preda ad un attacco di asma e con gli occhi grandi di meraviglia. –E tu cosa ne sai? Non sei mai stato solo nel letto…
-Questo non c’entra. L’amore non è sempre facile e bello.
Il discorso si concluse con un sospiro di Theo, mentre Blaise cercava di far dono delle parole che l’amico gli aveva appena rivolto.
La consapevolezza che i comportamenti di Draco erano dettati dalla mancanza di sicurezza e di coraggio, adesso, gli rendevano la situazione più chiara: aveva capito perché le occhiate che lui rivolgeva all’alunna migliore della scuola non erano più dirette e sfacciate e aveva capito che non la insultava più per paura che la sua risposta lo avrebbe ferito più del suo silenzio.
In quello stesso momento, si rese anche conto di quanto avesse sbagliato a chiedere continuamente di lei al suo migliore amico.
Lo aveva fatto per il suo bene, perché voleva vederlo felice e, invece, lo stava portando a chiudersi in sé stesso sempre di più. Stava facendo tutto ciò che un migliore amico non avrebbe mai fatto… certo, lui non era né Tiger né Goyle, ma voleva un gran bene a quel biondino dal passato un po’ traumatico.

 

 

 Si erano sistemati meglio sul letto, stando sempre abbracciati: Ginny aveva posato la testa sul petto di Harry ed aveva respirato il suo profumo.
Le era mancato tanto tenerlo stretto a lei, così, senza che nessuno lì vedessi, mentre erano chiusi nel loro mondo di amore e rose.
Tante cose li avevano allontanati: la guerra, la notorietà, le paure, l’orgoglio, ma il loro amore era davvero più forte di tutto quello che avevano dovuto subire passivamente.
Stare lì non aveva prezzo. –Harry?
-Sì.
-Giurami che non finirà.
-Certo che non finirà, Ginny.
-Giuralo.
-Lo giuro.- aveva sorriso, lui, mostrando i denti bianchi e perfetti. –Sai? Mi sei mancata da morire.- aveva poggiato le sue labbra sulla sua fronte, facendo una leggera pressione per imprimere il suo bacio, poi, aveva fatto la stessa cosa sul naso, sulle guance, sulla bocca e sul collo.
Lei inarcò la schiena quando i baci di Harry si fecero più spinti.
Il contatto della sua lingua calda con la sua pelle le provocava brividi di piacere al punto che non gemere era quasi impossibile.
Harry la attirò a sé, in modo che lei si trovasse stesa su di lui, poi sorrise di nuovo, accarezzandole i capelli. –Mi sei mancato anche tu.
-Negli spogliatoi, mentre eri nascosta dietro l’angolo per non vedermi, mi sono sentito male.
-Perché non me l’hai detto, Harry?
-Perché avevo paura: spiegarti che, in quel momento, avevo davvero capito quanto ti amassi non sarebbe stato… insomma, non mi avresti creduto.
-Io ho avuto paura quando, in corridoio ti sei fermato.
-E perché?
-Credevo che volessi lasciarmi.
-Non ti lascerò più, Ginevra Weasley.
-Anche se dovesse tornare Voldemort?
-Beh, forse, in quell’occasione, dovrei fare un’eccezione…- la sua risata riempì il dormitorio per tutto il tempo che la rossa gli aveva solleticato i fianchi, poi, stanca dalla forza che Harry opponeva, si era stesa di nuovo accanto a lui.
Quando lui l’aveva lasciata, tutto intorno a lei era diventato buio e triste e, qualsiasi sentimento provava era accompagnato dalla malinconia e dal senso di incompletezza che l’addio del Ragazzo Sopravvissuto le aveva provocato nel cuore: persino l’amicizia con Hermione era stata a rischio per questo, ma lei, da ottima amica, le era sempre stata vicina, anche in silenzio. L’aveva lasciata sfogare e imprecare, aveva ascoltato il rumore delle sue lacrime e le cattiverie che le riservava. Non era mai andata via.
Ginny sorrise a quel pensiero.
Rideva ancora e non avrebbe mai smesso di farlo perché era felice e si sentiva leggera, realizzata: finalmente, tutto cominciava ad avere un senso.
Anche le stelle, adesso, per lei avevano un motivo valido per brillare.
Chiuse gli occhi, stanca perché in quell’atto ci aveva messo tutta sé stessa, perché la forza con cui le era mancato fare l’amore con Harry era arrivata a superare ogni limite.
Si addormentò, cullata dal respiro pesante della persona che amava.

 

 

 Dalla finestra del suo dormitorio, la vista era davvero meravigliosa, forse, la migliore che Hogwarts potesse offrire: a squarci, quando c’era l’alta marea, riusciva anche a il movimento delle acque del Lago Nero.
Era meraviglioso perdersi con la fantasia in quei prati immensi, dove non c’era limite né di tempo né di spazio ed era tutto così facile: sdraiarsi nell’erba alta, ancora fresca di rugiada e guardare i raggi del sole stendersi su tutto ciò che c’era lì fuori, osservare una farfalla che si posava leggera su un fiore, un uccellino che pizzicava il terreno in cerca di qualcosa da mangiare.
Per Hermione, nulla era meglio di stare a contatto con la natura e con gli esseri che l'abitavano, perchè credeva con assoluta certezza che almeno gli animali reagivano per via del loro istinto di sopravvivenza e non per puro egoismo.
Quando un ticchettio colpì il suo vetro, lei sbarrò gli occhi per lo spavento. Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che quel rumore che l'aveva impaurita non era altro che un gufo che attendeva che lei gli aprisse la finestra, per lasciargli la busta che teneva tra gli artigli.
Prese la busta dalle zampe del gufo e lo vide allontanarsi, poi si sedette sul letto e guardò la busta.
Non c'era un colore per ogni casata per quanto riguardava la ceralacca e questa era la cosa che Hermione odiava in quella scuola: senza quel colore, non era possibile indentificare l'identità del mandante. La curiosità- ma soprattutto la speranza- si impossessò di lei, quindi staccò la ceralacca dalla carta ed estrasse il foglio contenuto nella busta.

Nella Stanza delle Necessità. Adesso.

 

Non c'era firma, nè altro, solo cinque parole dalla calligrafia che lei avrebbe riconosciuto comunque: un solo biglietto le aveva mandato prima di quello che ora stringeva tra le mani. Lo aveva conservato con cura, non lo aveva più riletto da allora, ma la sua mente ricordava bene la scrittura del Serpeverde che prima odiava e che adesso le confondeva le giornate.
Non sapeva cosa fare: voleva vederlo e chiarire a tutti costi, chiarire con sè stessa più di tutto, ma aveva paura delle sue risposte, dei suoi occhi, perchè in quelle iridi avrebbe potuto vedere quello che per tanto tempo si era negata
Guardarlo negli occhi per cercare le risposte alle sue domande era una cosa che non faceva da quando avevano lasciato quel dormitorio e non lo avrebbe di certo fatto, ma lui le aveva chiesto di incontrarlo e, per questo, le sue intenzioni di desistere e allontanarlo stavano crollando allo stesso modo di un castello di sabbia toccando dalle onde.
L'indecisione continuò a farle compagnia nei minuti che seguirono la lettura del biglietto, poi, con uno scatto che spaventò addirittura lei si levò dal letto e richiuse la porta alle sue spalle.
Lo avrebbe affrontato con il coraggio che solo una Grifondoro aveva e sarebbe andata via con l'orgoglio che la sua casata decantava tanto: era arrivato il momento della verità e lei non sarebbe scappata via.

 

 

 

 

Angolo Autrice:
Ben trovate care lettrici|
Come avete potuto vedere, non avete dovuto aspettare anni, secoli e millenni prima del nuovo capitolo. Diciamo che l'ispirazione è tornata e che io ne approfitto per rompervi un pò le scatole xD
Beh, che altro dire? Su consiglio di LaMiya, ho resoi capitoliun pò più corposi (spero di non averla delusa) e per il consiglio volevo ringraziarla.

Ringrazio le 185 seguite, le 50 preferite e le 32 ricordate.

Un grazie particolare và a chi legge in silenzio, regalando alle mie storie parte del suo tempo.
Ora, vi lascio. Vi ho annoiato fin troppo.
Alla prossima, la vostra Exentia_dream

 

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Capitolo 14
*** Ritorno a quel dormitorio ***


Ritorno al quel dormitorio
 

 
 
Erano appena le quattro del pomeriggio, quando decise che, forse, la cosa giusta sarebbe stato affrontarlo: faccia a faccia, occhi negli occhi.
Si chiedeva a cosa sarebbe servito e cosa volesse ancora da lei: non gli era bastato renderle la vita più difficile all’interno della scuola? Cos’altro voleva?
Si sentiva divisa in due: una parte di lei desiderava che lui l’amasse e che la baciasse ancora, come aveva fatto in quel dormitorio.
L’altra metà aveva solo voglia di scappare via e di rendersi conto che tutta la confusione che provava dipendeva dalla curiosità di sapere cosa provasse lui. Sì, doveva essere per forza così, per questo lo avrebbe affrontato: per capire quali fossero i suoi sentimenti verso di lei e tornare alla vita di sempre.
Sistemò i capelli, portandoli dietro alle spalle: erano cresciuti davvero tanto da quando era entrata a far parte di Hogwarts ed era cresciuta anche lei sia in altezza che nelle forme fisiche ma, soprattutto, nel cuore, perché quel minuscolo spazio si era triplicato o, magari, moltiplicato all’infinito ed aveva permesso a chiunque lei avesse incontrato in quegli anni di entrarne ed occuparne un posto.
Forse, un angolo era riservato anche a Draco.
 
Impossibile.
 
Si ritrovò ad immaginare la Stanza delle Necessità, proprio come aveva fatto la prima volta che lui le aveva inviato un gufo per dirle dell’incontro e ricordò quanto le erano parse piacevoli le lezioni in sua compagnia e quanto aveva desiderato accarezzarlo quando lo aveva visto dormire.
Scosse il capo per cacciare via quell’immagine che le aveva bloccato per un po’ il respiro, poi uscì dal dormitorio.
Probabilmente, a quell’ora, tutti gli alunni erano a lezione, per questo i corridoi erano vuoti e silenziosi e sembravano più lunghi di quanto in realtà non fossero.
O, forse, era lei che da un po’ di tempo tendeva ad esagerare in tutto e non notava più le sfumature che la vita le aveva sempre regalato: tutto intorno era diventato grigio, senza nero e senza bianco. La sua vita era diventata grigia, nessun colore al di fuori del colore degli occhi del Serpeverde.
 
…maledetto furetto borioso e viziato!
Maledetta serpe ingannatrice.
Maledetta la sua bocca!
 
Si colpì la fronte con il palmo della mano, maledicendo la sua memoria troppo allenata a ricordare i momenti più belli della sua vita e, allora, l’immagine di quelle labbra perfette e consumate dal freddo non spariva da lì.
Si rese conto, quasi a malincuore, che gli attimi vissuti con Ron non c’erano più e più li cercava, più trovava solo granelli di polvere che svolazzavano mettendo in evidenza il vuoto di quei luoghi che appartenevano solo a lei.
Si fermò per un po’ ad osservare il panorama alla finestra e, improvvisamente, ricordò che l’indomani l’intera scuola sarebbe dovuta andare a Hogsmeade, dove anni prima aveva acquistato la sua bacchetta e dove aveva bevuto la sua prima burrobirra. Sorrise, sospirando al pensiero che poche ore più tardi sarebbe stata fuori da quelle mura e avrebbe potuto lasciare i ricordi chiusi da qualche parte, perché a Diagon Alley, ai Tre Manici Di Scopa non c’era nulla che le potesse ricordare di lui.
La neve ricopriva già l’intero prato del cortile e presto sarebbe arrivato il Natale: avrebbe rivisto i suoi genitori, li avrebbe riabbracciati e avrebbe avuto tempo per sé stessa.
Si avviò nuovamente lungo il corridoio, battendo forte i piedi sul pavimento di pietra, come a voler mandar via la tensione che le permetteva di camminare a passo veloce, di pensare con tanta fretta e voglia di voler ricordare, di farle scattare la lingua al palato per contare i secondi che la dividevano da quella porta.
Quando fu di fronte alla porta della Stanza delle Necessità, si meravigliò che di tempo ne fosse trascorso così poco. Eppure, a lei sembrava che fossero passate ore.
Trattenne per un po’ il fiato nei polmoni, poi lo rilasciò lentamente e varcò la soglia.
 
 
 
 
 
Sapeva che Harry aveva qualcosa da mostrarle, eppure costrinse la sua curiosità a tacere e lo seguì sul campo di Quidditch per l’allenamento: la neve aveva smesso di scendere ed anche il vento si era calmato, per questo, non sarebbe stato né difficile né impossibile volare sulle scope ed allenarsi.
Si fermò al centro del campo e guardò gli spalti, sentendo l’emozione crescere: anche vuote, quelle sedute le davano le stesse emozioni di quando erano occupate dagli alunni di tutta la scuola che sventolavano le loro sciarpe con i colori delle rispettive case di appartenenza. Sentire gridare il proprio nome, abbracciare i propri compagni dopo aver segnato, sentire il giubilo del cronista erano avvenimenti che avevano un senso tutto loro, che permetteva ad ogni giocatore di avere un momento di gloria, di sentirsi importante.
Magari, per qualcun altro, tutto quel volteggiare sulle scope, andare avanti e indietro per il campo ad inseguire uno stupido boccino era inutile e noioso, ma per lei tutto quello era importante quanto Harry, quanto la sua amicizia con Hermione: quello sport era la sua vita.
Cavalcò la scopa e si levò, arrivando all’altezza delle porte. Fece segno ad Harry di lanciare un bolide e cominciò a librarsi nell’aria come se fosse stata una farfalla con la forza di una leonessa.
Sentiva gli occhi del Ragazzo Sopravvissuto dietro la schiena bruciarle e lenirle le ferite che aveva ancora dentro allo stesso modo.
Harry aveva uno strano effetto su di lei: la tranquillizzava e le calmava il dolore, lo faceva diventare piacevole anche se fino ad un minuto prima lei si sentiva soffocare.
La sua famiglia le mancava tremendamente; più di tutti le mancava Ron che era diventato irriconoscibile, non era più lui: non mangiava più fino ad ingozzarsi, non aveva più una domanda stupida da porre nei momenti più seri, né un’altra di riserva quando si rendeva conto che la prima non avrebbe ricevuto risposta.
Tornò a terra e, finché i  suoi piedi non toccarono il suolo, il capogiro che l’aveva colpita aveva continuato ad imperversarle anche nello stomaco.
-Ginny, cos’hai?- le chiese Harry, con la voce preoccupata e amichevole.
-Non è niente, credo.
-Dai, vieni qui.- le cinse le spalle con un braccio e l’accompagnò negli spogliatoi.
-Sto bene, Harry, davvero.
-Guardami negli occhi, ti prego.- lei alzò lo sguardo e si ritrovò persa in quel lago smeraldino in cui avrebbe viaggiato e nuotato per ore, senza fermarsi, senza provare alcuna stanchezza nei muscoli, senza staccare mai i suoi occhi da quelli del giovane.
-Ti sto guardando.- lo osservò mentre si sedeva sulla panchina che c’era negli spogliatoi.
-Dimmi la verità.
Sbuffò. –Mi manca Ron, mi manca Hermione…
-Cos’hanno che non va?
-Non sono più loro: Ron è la copia venuta male di Malfoy e…
-Hermione ha la testa altrove.
-Magari fosse solo la testa, Harry: è interamente da un’altra parte.
-Sai dove?
-Lo immagino.
-Ti amo, Ginny.
-Ti amo anche io, Harry.
-Pensiamo un po’ a noi: Hermione e Ron capiranno da soli. Non è giusto che… ci mettiamo in mezzo.
-Hai ragione: pensiamo a noi.- gli si aggrappò al collo, attirando a lei le sue labbra e le baciò con passione.
Si sedette sulle sue gambe, accogliendo tra le ginocchia il bacino di lui e avvicinandosi alla sua eccitazione che aumentava ad ogni suo movimento.
Sorrise, interrompendo per un attimo il bacio che li stava unendo. –Mi stai provocando.- disse lui con voce roca.
-E ti dispiace?
-No… mi piace. Tanto.
Si avvicinò ancora di più, attirò le labbra e le strinse in un morso delicato e tentatore.
Quando Harry le sollevò la maglia della divisa, la sua eccitazione crebbe e la pelle di entrambi fu percorsa da illimitati brividi che richiedevano di essere vissuti ed entrambi avevano il desiderio di non lasciarsi sfuggire quell’attimo e, d’altra parte, il silenzio intorno non gli suggeriva di fare diversamente.
Si staccarono per riprendere fiato e si guardarono negli occhi, in cui ognuno vide riflesso la voglia e il bisogno dell’altro, poi, un rumore metallico- come quello che avrebbe provocato un anta di un armadietto che veniva richiuso- li fece allontanare.
Ginny si levò dalle gambe di Harry, sedendosi immediatamente al suo fianco e, ancora una volta, fecero incrociare i loro sguardi.
 
 
 
 
 
-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?
 
Cos’avrebbe potuto dirle? Non guardarla da vicino impediva a chiunque la osservasse di cogliere le bellezze più nascoste del suo viso, come il piccolo neo sulla narice sinistra o il numero infinito delle sue ciglia curve e morbide.
L’aveva guardata mentre varcava la soglia con il suo sguardo curioso e spaventato; l’aveva guardata mentre camminava a testa bassa e l’aveva guardata mentre lei guardava lui: i suoi occhi si erano riempiti di stupore e sulle labbra si era formato un sorriso.
L’angolo destro della bocca era ancora più alto rispetto al sinistro e i suoi occhi erano ancora fissi sulla sua figura.
Sentiva le mani sudare e tremare, allora le nascose nelle tasche dei pantaloni, per impedire allo sguardo indagatore di Hermione di notare quei movimenti piccoli, invisibili ma che sarebbero stati capaci di tradire il suo stato d’animo, il suo imbarazzo.
 
-…come se fossi l’ultimo granello di sabbia in una clessidra…
 
Si era seduta accanto a lui e gli aveva sfiorato un braccio.
I brividi che avevano percorso quel lembo di pelle gli avevano portato il gelo nelle vene, prima e il fuoco in tutto il corpo, poi.
Forse, vederla non era stato una buona idea.
-Volevi parlarmi?- gli chiese, spezzando il filo dei suoi pensieri.
-Sì.
Abbassò leggermente la testa, come ad invogliarlo a parlare e gli sorrise.
Draco sentiva il bisogno di studiarla, di osservare quei movimenti che ancora non le aveva visto fare e trattenne l’istinto di toccarla.
Era impossibile che l’attraesse tanto: non era possibile che la Mezzosangue gli facesse
quell’effetto.
Continuò a tenere le mani nelle tasche dei pantaloni per nascondere l’eccitazione, poi, si alzò dal divano, si avvicinò alla finestrella che dava sul Lago Nero e sulla Foresta Proibita e l’aprì per permettere al vento gelido di far sbollire il suo sangue.
Aspirò a fondo il profumo dei pini e chiuse gli occhi, quando una folata del profumo di Hermione gli colpì le narici.
Lei gli poggiò le mani dietro alle spalle e gli carezzò la schiena, risalendo lungo la
colonna vertebrale.
I nervi si tesero e strinse i pugni con forza, perché provare quel piacere gli faceva paura. La paura era un sentimento che non aveva mai provato in tutta la vita, mai di fronte ad una donna, eppure il suo corpo ne era saturo, come se il suo cuore avesse finito di battere e di pompare il sangue nelle vene.
Gli mancò semplicemente il fiato.
Quando lei allontanò le mani dal suo corpo, Draco si voltò e la guardò dritta negli occhi.
-Allora?- gli chiese ancora lei.
-Sei un tappo, Granger.- aveva dovuto calare la testa mentre lei aveva il mento e lo sguardo alto e fiero su di lui.
La vide sorridere e sentì il suo solito ghigno dare una forma diversa alla linea retta che da un po’ disegnavano le sue labbra.
Era lei a dargli la voglia di sorridere?
-Ho una conoscenza e un’intelligenza molto più elevata rispetto a te, quindi, la statura non è mio problema.
Di nuovo le sue risposte impertinenti. –Essere alti ha i suoi vantaggi, Mezzosangue.
-Non mi interessano. Piuttosto, dimmi cosa vuoi.
-Aspetta.
-Non ho tempo da perdere.
No, decisamente. Ma il tempo stava correndo davvero troppo e lui voleva far di tutto per tenerla quanto più tempo possibile accanto.
I suoi occhi erano velati-  forse dal desiderio che aveva di tornare a quei giorni di esilio, forse, erano ancora coperti dal fumo della sigaretta che aveva fumato prima del suo arrivo- e lambivano il suo viso come se fosse stato un miraggio, come se fosse stato necessario guardarla per far brillare i suoi occhi e sentirli pieni di qualcosa di meraviglioso.
Scosse il capo e lei, ancora una volta, poggiò le sua mani su di lui, sul suo petto.
Il cuore batteva forte e non c’erano tasche dove nasconderlo, né altri suoni a coprire il suo battere frenetico ed incessante.
La mano di Hermione scivolò giù, fino alle costole e le accarezzò con le punta delle dita, poi risalì a sfiorare il collo.
Disegnò con i polpastrelli il passaggio di ogni vena, il disegno delle ossa e si soffermò sul pomo d’Adamo.
-Ci saranno i M.A.G.O. tra un po’ e ho bisogno di ripetizioni.
-Oh…- disse, boccheggiando.
Le aveva fatto un brutto tiro, un colpo basso, ma quella era stata l’unica frase sensata che aveva attraversato la sua mente: era sempre tutto così confuso, così difficile quando lei era nei paraggi ma, soprattutto, quando gli era accanto.
Forse, evitarla era stata la mossa migliore da fare, visto che, in sua presenza, lui non riusciva a controllare il desiderio di toccarla.
Voleva sentire la sua bocca premuta su quella morbida e perfetta di lei, sentire il calore del suo corpo sul suo petto, sentire il suo respiro addosso, le sue carezze su ogni strato di pelle e voleva stringerle le mani.
I pensieri per un attimo lo avevano allontanato dal suo essere freddo e con indosso la maschera del menefreghista ed aveva tirato fuori le mani dalle tasche, ma si era fermato in tempo, prima di toccarla: i palmi erano rivolti verso la pelle di Hermione, all’altezza dei gomiti e lei le guardava con il respiro sospeso tra la voglia di attirare a sé quelle mani e la voglia di scappare lontano.
Aveva rovinato tutto con una stupida frase ed ora la sabbia nella clessidra stava correndo per riempire l’altra metà del vetro sottostante: non avrebbe potuto più incastrarsi nel piccolo passaggio di vetro che divideva le due metà della clessidra, lui che era il penultimo granello di sabbia, perché di tutti i pensieri che aveva in mente, aveva esposto l’unico che neanche era passato tra i suoi pensieri e aveva lasciato che l’ultimo granello di sabbia andasse via, insieme agli altri, senza tenerlo per mano.
Leggeva tutto questo negli occhi castani di lei, colmi di delusione, di incanti spezzati, di speranze andate via.
-Io volevo dirti…
-Va bene. Allora, ci vediamo alle dieci. Questa sera.
Era andata via, togliendo le mani, gli occhi da lui e portando con sé il suo profumo.
Draco si sistemò sul divano, spostando i capelli dalla fronte: era sudato, nonostante fosse inverno.
C’era davvero qualcosa che non andava in lui, qualcosa che gli faceva male anche fisicamente e bruciava più di come aveva bruciato il Marchio Nero ai tempi in cui era al servizio di Voldemort.
 
-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?
 
-Ma come mi è venuto in mente? Le ripetizioni… Oh, per Salazar…
La sua mente continuava ad elaborare quel momento appena vissuto che lui avrebbe evitato o dimenticato nel tempo inferiore ad un battito di ciglia, ma non riusciva a mandare via quel maledetto replay.
Nulla era più lo stesso. Nulla, neanche lui e le ideologie con cui era cresciuto, ma non era felice di tutto quello che gli altri supponevano che gli stesse succedendo.
Si sentiva stupido: per la prima volta in vita sua, non aveva trovato le parole giuste.
 
 
 
 
 
La sua immagine, riflessa nello specchio, lo innervosiva più di quanto si aspettasse, ma aveva bisogno di mettere da parte sé stesso, il suo essere ciò che era e, magari, anche  i suoi desideri, perché non tutti si sarebbero avverati.
I capelli non riuscivano a stare fermi, neanche con il gel riusciva a modellarli nella forma che voleva.
Decise di lasciarli così, come gli erano venuti, anche se alcuni ciuffi ricadevano ancora sulla fronte e gli pungevano gli occhi. Non sarebbe mai riuscito ad essere come avrebbe voluto, ma non si sarebbe arreso alle prime difficoltà: se il gel non funzionava con i suoi capelli, avrebbe giocato le altre carte.
Era un brutto gioco quello che aveva cominciato e non sapeva quanto sarebbe stato bravo a barare nei momenti in cui avrebbe dovuto nascondere le sue emozioni.
E quando e se sarebbero arrivati i sensi di colpa, lui cosa avrebbe fatto?
Forse, stava sbagliando, ma avrebbe fatto di tutto per riaverla: se Draco Malfoy l’aveva conquistata con i suoi modi da stronzo, lui avrebbe fatto lo stesso.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi, perché la stanchezza di quella giornata gli pesava sulle spalle, nelle gambe e soprattutto nel cuore: lì c’erano solo macerie, solo polvere e solo frammenti dei ricordi che Ron aveva di lei.
Perché non gli era bastato rimanere amici? Perché le aveva mentito quando lei gli aveva chiesto perché fosse cambiato tanto?
La storia con una ragazza del terzo anno di cui neanche ricordava il nome era andata avanti per pochi mesi, prima della Guerra Magica, gli aveva fatto perdere l’amore della sua vita. Ma era stata colpa di Hermione, perché lei non era stata capace di accettare le sue scuse e di non ascoltare le sue ragione: era normale che avesse dubbi e che si sentisse schiacciato da tanti mesi di stress e di vicinanza forzata- perché era così che definiva il rapporto tra lui e la riccia-.
Il sonno scese leggero e ben accolto sulle sue palpebre e lui si lasciò andare.
 
 
 
 
 
-Ma come ho potuto, io, Hermione Granger, credere in qualcosa di illogico? Era tutto così chiaro e io credevo il contrario: ho combattuto contro Voldemort, sono stata torturata e credevo che lui fosse cambiato… ma come mi sono permessa di pensa…
-Parli da sola?- le chiese una voce che non riusciva a riconoscere, perché non apparteneva a nessuno dei suoi migliori amici, perciò, mise da parte la voce e la buona educazione che i suoi genitori le avevano insegnato e si stese sul suo letto.
Il silenzio sarebbe stata la cosa migliore da vivere: il miglior tempo, il miglior luogo.
Si stese sul letto, coprendosi il viso con le lenzuola e con i capelli che profumavano incredibilmente di shampoo, poi chiuse gli occhi per evitare che le lacrime solcassero sul suo viso qualche altro sentiero che da lì a poche ore sarebbe stato invisibile.
E poi, piangere per qualcosa di cui lei non conosceva né i sintomi né le conseguenze sarebbe stato da stupidi e poco produttivo: non sarebbe cambiato nulla, almeno in bene, perché, molto probabilmente quelle lacrime le avrebbero dato la certezza dei sentimenti che lei si rifiutava di provare.
Scosse il capo, scostando i capelli dalla bocca e dal viso, poi trasse un profondo respiro.
Mancava ancora qualche ora alle dieci e il sole stava lasciando il cielo, colorando di arancione e viola, con meravigliose nuvole di ogni forma e grandezza.
Lo osservava dal letto, dove ormai si era stesa più comodamente.
La compagnia che precedentemente aveva disturbato la ramanzina che teneva con sé stessa l’aveva lasciata di nuovo sola, ma Hermione non voleva saperne di rimettersi a parlare e ad imprecare contro la sua intelligenza che, di fronte a lui, faceva i bagagli per una piacevole gita ai piedi di una collina fiorita e l’abbandonava all’alta marea di quegli occhi grigi e meravigliosi.
Le erano sempre sembrati piatti, poco profondi.
Poi, guardandoli da vicino, si era resa conto che quegli occhi non avevano fine, che la leggera sfumatura più scura delle iridi non era altro che una profondità infinita da cui non riusciva più a risalire da quando si era tuffata in quel lago sconosciuto e incantatore. E, anche se le acque erano gelide, il suo corpo si stava lentamente abituando a quel freddo, quel tanto che sarebbe stato necessario per evitare di morire assiderata.
Ancora una volta, un gufo ticchettò alla sua finestra e, allora, Hermione si levò dal letto ed aprì la finestra, accogliendo il biglietto che l’animale teneva tra gli artigli.
Malfoy l’aveva avvisata che era già nella Stanza delle Necessità e che lei avrebbe dovuto raggiungerlo di lì a pochi minuti.
Non erano neanche le dieci di sera. Anzi, probabilmente, era poco più tardi delle sette.
Legò i capelli in una coda laterale, giusto per non tenerli indomabili e pesanti sul capo, poi, arrabbiata e poco vogliosa, uscì dal suo dormitorio.
Avvertiva il bisogno di passare un po’ di tempo lontano da tutti e dal suo inconscio, però, quel tempo non aveva intenzione di arrivare né di farsi vivere, perciò, la riccia sbuffò e strinse i pugni al pensiero che, anche durante le vacanze di Natale, si sarebbe sentita in doveva di passare qualche ora china sui libri.
A quel proposito, le mancava la libreria.
E, inoltre, aveva fame perché non aveva pranzato e il Furetto la stava privando anche della cena: non era possibile che si prendesse il lusso di comandarla come se fosse stata la sua schiava. Ma chi credeva di essere?
Quando arrivò di fronte alla porta della Stanza delle Necessità, respirò a fondo e rumorosamente e l’aprì, varcandola con passo marziale.
L’ambiente era diverso da come lo aveva visto poche era prima: la stanza era divisa in due da un pesante tendaggio chiaro e la metà che riusciva a vedere somigliava terribilmente ad una piccola libreria: un immenso tavolo era circondato da comode sedie rivestite e, accanto al camino acceso, era sistemato un divano dello stesso colore dell’enorme tenda.
Non c’erano i colori di Grifondoro, né quelli di Serpeverde, a parte la cravatta di Draco.
Le sembrò tutto terribilmente strano, ma decise di nascondere la sua meraviglia e la sua curiosità, quindi, rivolse il suo sguardo al biondo che era seduto sul pavimento, con il viso rivolto al camino. Forse, non l’aveva sentita arrivare, perché non si era voltato neanche per insultarla.
Si avvicinò, con passo felpato: se Malfoy era intento a pensare a chissà cosa, lei non avrebbe voluto disturbarlo: né si sentiva in diritto di farlo, né voleva subire una sfuriata del biondo, quindi, si accomodò sul divano.
La stoffa era calda e morbido e lei si lasciò cullare da quel piacere vellutato, con gli occhi sempre rivolti al giovane che gli dava le spalle: vedeva il fumo allontanarsi da lui e dedusse che stava fumando, mentre portava i capelli all’indietro con un gesto secco della mano.
Visto da lì, Draco Malfoy sembrava tutto ciò che non era e mai sarebbe stato: un ragazzo che non aveva pretese assurde dalla vita, che non era in cerca della perfezione di sé stesso e che non aveva pregiudizi imposti dagli altri.
Eppure, non era stupido, anzi, era anche abbastanza intelligente. Per questo, Hermione non riusciva a spiegarsi come provasse ancora tanto astio verso quelli che non erano come lui, che non vivevano nell’agio e nelle comodità di una famiglia ricca.
Forse, quelle sarebbero state domande a cui non avrebbe mai trovato risposte, perché non avrebbe mai saputo leggere quali parole fossero scritte nei suoi occhi, nei silenzi che si ostinava di portare avanti e nel suo cuore.
Sbuffò, attirando l’attenzione del biondo che, finalmente, voltò il capo per guardarla: i muscoli del collo di tesero fino a disegnare le ossa. –Ti sto aspettando da una vita.
-Sono qui da una vita, Malfoy.
Stettero in silenzio, perché ognuno si sentiva in dovere di pesare l’interpretazione a quelle parole: avrebbero potuto significare di tutto, avere significati differenti o avere lo stesso significato per entrambi, ma, al momento, l’interpretazione delle frasi non era di loro competenza.
-Dovremmo cominciare a studiare.
-Ti avevo detto alle dieci.
-Ho molto da recuperare. Stare in quel dormitorio mi ha fatto perdere una settimana di lezioni.
Si guardarono negli occhi, quasi spaventati: nessuno dei due, ad un mese di distanza, aveva mai osato neanche nominare quella settimana di esilio ed ora, era venuta fuori da sola, come se non riuscisse più a stare chiusa in qualche scatolone della memoria e pretendesse di essere ricordata.
Draco lasciò il pavimento e si recò al grande tavolo su cui aveva poggiato i libri delle materie che più lo annoiavano: era strano come quella noia che caratterizzava quello studio quando era da solo, insieme a lei lo entusiasmasse tanto da passare ore a studiarlo.
Non era possibile che tutto fosse diverso in sua compagnia, che fosse bello.
Hermione lo raggiunse percorrendo quei pochi metri che dividevano il divano dal tavolo con l’ansia che cercava di impossessarsi di lei: l’aveva costretta a rimanere a suo posto, lottando con le solite due metà di sé stessa.
Si sedette e guardò il titolo del libro che il biondo teneva tra le mani e ne prese il doppione, sfogliando le pagine lentamente, per non rovinarle.
Quando arrivò alla pagina che le interessava, lasciò che l’angolo ingiallito che teneva tra le dita si posasse, aderendo perfettamente alla forma del libro. –Cominciamo da qui.- disse, alzando il capo.
Si sentì mancare il fiato quando si rese conto che Draco la stava fissando.
-Perfetto.- gli occhi grigi sempre su di lei.
-Smettila di guardarmi così.
-Non lo faccio di mia volontà, Mezzosangue.
-E perché allora?
-Non lo so.
Hermione posò di nuovo lo sguardo sulle parole del libro, per evitare quello sguardo che la inquietava e la eccitava allo stesso momento, ma richiamare i ricordi di quell’esilio, in sua presenza, sarebbe stato sicuramente più doloroso e meno proficuo.
Non era stata affatto una buona idea dargli di nuovo ripetizioni, dopo tutto quello che c’era stato tra di loro in quel dormitorio, dopo che, in ogni giorno fuori da lì, si erano evitati e si erano comportarti come se l’altro non fosse esistito, come se quei baci e quell’intimità e quelle carezze notturne non fossero esistite.
Non era stata una buona idea e non sarebbe stato giusto nei confronti di ciò che provava, della confusione che sentiva battere nel cuore.
-Devo andare.- disse, alzandosi di fretta dalla sedia, tanto da farla cadere sul pavimento.
-Dove?- le aveva stretto un polso ed era rimasto lì a fissarla: aveva visto in lei, ancora una volta, quello sguardo spaventato.
 
-Sei…carina, quando non parli.
 
-Lontano da qui.
-Non andare via.- però, le aveva lasciato il polso ed aveva calato lo sguardo, come a voler nascondere la sua muta richiesta di non fare ciò che i suoi gesti gli avevano appena suggerito.
Invece, Hermione chiuse il libro. –Studia queste dieci pagine.
L’aveva vista allontanarsi ed uscire dalla Stanza delle Necessità e il ricordo della prima sera in cui gli aveva dato ripetizioni lo colpì in pieno petto, con un tonfo e un dolore atroce: non l’aveva lasciata andar via allora e non lo avrebbe fatto neanche adesso che sentiva crescere il vuoto fuori e dentro.
Uscì anche lui dalla Stanza delle Necessità e corse verso di lei.
Sentiva l’adrenalina riempirgli le vene, pompare forte nel cuore e dargli l’energia necessaria a respirare normalmente, nonostante la corsa.
Quando la raggiunse, le prese il polso e l’attirò a sé. –Cosa vuoi?- gli aveva chiesto Hermione con gli occhi grandi e lucidi.
-Voglio che mi aiuti a ripetere.
-Non posso. Ho altro da fare.
-Lo farai dopo.
Lei gli aveva rivolto uno sguardo furioso, poi gli aveva puntato un dito a pochi centimetri dal viso. –Io non sono la tua serva. Che sia l’ultima volta, Furetto: da domani in poi, studierai da solo.
Lo seguì di nuovo nel solito in cui erano stati soliti incontrarsi durante le ripetizioni di tanto tempo prima, con il polso ancora stretto nella sua mano.
Il cuore le batteva forte, ma non aveva paura. Si chiese cosa fossero quelle emozioni e quel vuoto allo stomaco, ma decise di non pensarci perché, comunque, non avrebbe trovato alcuna risposta: erano cose che non ave va mai provato e cercare una risposta, una soluzione sarebbe stato inutile.
Quando si richiusero la porta alle spalle, Draco la lasciò andare, sentendo immediatamente il freddo riempirgli il palmo della mano in cui fino a pochi secondi prima aveva tenuto il polso di lei.
Si erano seduti nei posti che avevano occupato prima ed avevano riaperto i propri libri: lei teneva lo sguardo basso, le pupille immobili su una parola che Draco non riusciva ad identificare, ma gli premeva studiare i movimenti del suo viso per carpirne le sensazioni, le emozioni.
La osservava e si rendeva conto che, poco alla volta, la sua mente si riempiva di domande che avrebbe voluto porle. Rinunciò a farlo, per paura che lei scappasse ancora, per questo chinò la testa sui libri e cominciò a leggere.
Pozioni era la materia che aveva deciso di studiare, soffermandosi sugli incantesimi a cui non aveva mai dato importanza e che neanche gli interessavano, ma Piton avrebbe preteso persino gli incantesimi più inutili ai M.A.G.O. : era pretenzioso, come tutti gli altri professori che li avrebbero esaminati e giudicati. D’altra parte, da quegli esami sarebbe dipesa la vita loro e le sorti del Mondo Magico.
 
-So a quello che stai pensando, Mezzosangue… ma, credimi, non arriverei mai al livello di desiderarti.
 
I momenti vissuti con lei gli attraversavano la mente come avrebbero fatto i flashback di uomo che era prossimo alla morte e si rese conto di aver mentito per tanto tempo: al suo migliore amico.
 
-Ti piace la Mezzosangue?
-Sicuro di star bene?

A lei.
 
-Perché mi hai baciata?
-Sarà stata l’atmosfera: il buio, il restare chiusi qui dentro.
 
A sé stesso.
 
-No, io non la voglio nella mia vita.
 
Eppure, tante volte la verità si era palesata ai suoi occhi.
 

-Obbligo.
-Baciami.
 
-Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
 
Gli occhi erano fissi su quei ricordi e lui non riusciva a mandarli via. –Di cosa hai paura?
La osservò mentre alzava lo sguardo dal libro che stava leggendo e i suoi occhi si riempirono di lacrime, di terrore e di verità mal celate. –Di niente.
-No?
-No.
Allora si levò dalla sedia e si avvicinò a lei, senza spostare lo sguardo dal suo.
La sovrastò con la sua ombra, finchè anche l’ultimo brandello di luce non aveva abbandonato il viso di Hermione, poi sorrise.
Sorrise di un sorriso diverso dal solito: di un sorriso innocente, bambino.
Si chinò lentamente su di lei, fino a che le sue labbra non toccarono quelle di Hermione.




 
 
 
 
Angolo Autrice:

Eccomi tornata ^^
Questa volta avete dovuto davvero aspettare pochissimo e sono fiera di me °A°
Questo capitolo, come quello precedente, è leggermente più corposo e spero che vi piaccia!
In queste poche righe succede qualcosa di bello, ma non sono molto convinta: mi pare di correre troppo con i tempi… voi cosa ne pensate?
Su, fatemi sapere mie care e fidate lettrici.
 
Ora, vi lascio ^^

Ringrazio le 195 seguite, le 55 preferite e le 35 ricordate.
Ringrazio chi mi ha inserito tra gli autori preferiti e chi mi regala un po’ del suo tempo, leggendo la mia storia e restando in silenzio!
Grazie a tutti.
 
Alla prossima, la vostra Exentia_dream 

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Capitolo 15
*** Una giornata tranquilla ***


Una giornata tranquilla
 

 

   Dedicato a Rosa di Cenere e sonoqui87…

 
    

 
 
Diagon Alley era magnifica: i vicoli stretti e magici pullulavano di vita e le botteghe -che erano state chiuse per un lungo periodo dopo la Guerra Magica- avevano ripreso  le loro attività e, finalmente, l’intero quartiere sembrava brillare di una luce bella, fresca, che nasceva dai sorrisi di chi aveva e avrebbe trascorso la vita tra quelle pietre.
Hermione si guardava intorno con aria meravigliata, come se quella fosse stata la prima volta che visitava quel posto: si rese conto che alcune emozioni non sarebbero mai cambiate e questo le faceva piacere, visto che le ricordavano il suo essere bambina ed era felice di non aver perso tutto di sé stessa in quella maledetta guerra.
-E’ tutto così bello!
-Sì.- rispose semplicemente Harry.
Ovviamente, non era tutto uguale, ma quei particolari, quelle piccole crepe ancora presenti sui muri non le davano modo di essere triste, anzi, al contrario, era orgogliosa che non tutto era stato distrutto: sia per quanto riguardava il quartiere, sia per quanto riguardava l’anima della gente che lo abitava.
Non era stato facile ricominciare da zero, ma ce l’avevano fatta. Tutti ce l’avevano fatta.
-Ho sete.- esordì Ginny, trascinando i suoi amici all’interno della bottega che da sempre li aveva visti consumare le solite burrobirre.
Si sedettero al tavolo ed Hermione provò uno strano senso di vuoto: Ron le mancava infinitamente nelle vesti di quello che erano stati prima che cominciasse la loro storia e stare seduta lì, allo stesso tavolo in cui era solito sedersi il Trio Miracoli, era alquanto strano senza il terzo componente.
C’era Ginny, certo, che era comunque un anello importante nei legami della sua vita e, forse, rappresentava quello più stabile nell’ambito delle amicizie, ma lei non era Ron, per questo, un leggero senso di colpa cominciò ad arrampicarsi alle caviglie.
Spostò lo sguardo altrove e attirò l’attenzione dell’oste, alzando una mano verso il soffitto e, quando questi si avvicinò al loro tavolo, ordinò tre burrobirre.
Tre le era sempre sembrato il numero perfetto, il numero della salvezza; ora, invece, tre le sembrava il numero dell’incompletezza, dell’indefinito e non le piaceva sentirsi divisa a metà tra i ricordi dei tempi passati e quelli dei tempi che stava ancora vivendo.
Affondò letteralmente il viso nel boccale, bevendo quasi la metà del contenuto e, quando se ne staccò, si ritrovò di fronte gli occhi spalancati di Harry e Ginny. –Stai bene?- le chiesero all’unisono.
-Benissimo.
-Ti vedo… strana.
-Figurati.
In fondo, cosa c’era da essere tesi? O tristi? O, addirittura, arrabbiati?
Nulla, se non si contava la confusione che, tra l’altro, Malfoy si era divertito a permeare in lei ancora di più con quel bacio nella Stanza delle Necessità: era stato un bacio diverso da quelli che fino ad allora si erano scambiati, veloce, urgente, quasi come se da quel tocco di labbra potesse dipendere la vita di uno dei due.
-Hey Herm, ti ricordi di quando Ginny stava con quel tipo e Ron la guardava da qui?
-Sì.- cominciò a ridere, ricordando il viso dell’amico perduto che si era tinto dello stesso colore dei capelli quando Ginny si era avvicinata di più a quel ragazzo.
Probabilmente, erano i tempi in cui Harry cominciava ad essere attratto dalla rossa, ma non lo ammetteva per paura di una reazione di Ron e degli altri fratelli Weasley: ne erano davvero tanti, troppi. A volte, lei che aveva vissuto per un determinato periodo alla Tana, faticava a ricordare i nomi di tutti i componenti della famiglia ed anche a distinguerne i volti nei ricordi, visto che quasi tutti si somigliavano.
 
 
 
 
All’interno del locale, aleggiava il caos totale e Fred e George erano, come al solito, impegnati ad elogiare i prodotti che loro stessi avevano inventato.
-Allora, mi ascoltate?
-Certo Ron.- le loro voci, all’unisono si perdevano insieme ai rumori che i loro aggeggi volanti creavano.
-E potete aiutarmi?
-Dipende quanto ci paghi.
-Ma io sono vostro fratello.
-Proprio per questo, caro Ron, dovresti finanziare la nostra attività, farla fruire, non sottrarle denaro.- disse Fred, portando il pollice e l’indice sotto al mento ad indicare che avesse pensato prima di parlare.
La realtà era che da un po’ di tempo anche lui aveva cominciato ad odiare la mano lesta e tirata di Ron e il suo essere vittima e mai carnefice lo mandava su tutte le furie.
Era sempre stato così, anche quando, alla Tana, qualcuno riceveva una coccola in più da mamma Molly: Ron era lì, pronto a piagnucolare.
-Fred ha ragione.- asserì George.
-D’accordo. Quanto volete?
-Venti.
-Ma voi siete pazzi: è un prezzo altissimo. Non lo vendete neanche alla metà…
-Ron.
-Venti.
-Niente affatto. Sapete cosa vi dico? Non lo comprerò.
-Perfetto, sbrigatela da solo.
Li guardò indignato e respirò a fondo, in modo che il petto si gonfiasse e mettesse in mostra i muscoli, ma i fratelli maggiori  non fecero una piega di fronte alla vistosa forma fisica del rosso, quindi –dopo aver cacciato l’aria dai polmoni e aver sgonfiato il petto- Ron andò via.
-Credi che abbiamo esagerato?
-Niente affatto, George: è ora che Ronald impari ad essere responsabile e, soprattutto, che impari che tutto su questo mondo ha un valore e un prezzo. Guarda qui- disse indicando l’orecchio. –questo è il prezzo che ho pagato per non morire.
-Sì, ma…
-Cosa vuoi che siano venti galeoni per un filtro d’amore?
-Potrebbe non funzionare.
-Beh, è possibile, ma dipende dai sentimenti che intercorrono tra due persone.
-Cioè?
-Se Hermione fosse innamorata… che ne so, di te e ti ama alla follia, il filtro d’amore non potrebbe nulla. Ma, se Hermione avesse solo una cotta per te, allora sarebbe tutto diverso.
-E tu cosa credi?
-Che non basterebbero cento filtri d’amore per far tornare quei due insieme.
-Ma, secondo te, di chi è innamorata Hermione?
 
 
 
 
-Dovremmo cominciare a preparare i test per i M.A.G.O. e, oltretutto…
-Minerva, per favore, rilassati.
Silente, dall’alto della sua seduta, era rilassato e quieto, intento ad osservare da lontano il Pensatoio e le boccette che contenevano i ricordi di coloro che lo avevano voluto rendere partecipe di un momento, importante o meno, delle loro vite.
Gli tornarono alla mente le volte in cui aveva condiviso quei ricordi con Harry per portarlo alla salvezza ed anche per fargli capire chi davvero intendesse aiutare il Mondo Magico e chi, invece, aveva intenzione di distruggerlo.
Quei tempi erano così lontani, ma non erano sbiaditi come se fossero stati dei piacevoli pensieri impressi nella memoria di un uomo anziano che, nella vita, aveva visto di tutto e di più e che ancora non era sazio di meravigliarsi.
-Salve.
-Buongiorno, Severus.
I convenevoli terminarono lì e furono seguiti da un silenzi ancestrale: nessuno si permetteva di spezzare quel senso di beatitudine e sicurezza di cui avevano l’animo colmo e il cuore carico.
Era una bellissima sensazione potersene stare seduti, senza preoccuparsi dei dolori prossimi e delle imminenti minacce: le uniche preoccupazioni potevano derivare dalla preparazione dei test per gli esami degli alunni dell’ultimo anno o per non aver dato da mangiare ai gufi, ma niente scombussolava Hogwarts come aveva fatto la minaccia del Signore Oscuro.
Finalmente, tutto era tranquillo.
-Crediate che ci sia qualcuno che non possa superare i M.A.G.O?- chiese Minerva, calando la testa sulla lista degli alunni che avrebbero dovuto conseguire gli esami.
-Forse sì: Ronald Weasley si sta davvero dando poco da fare e, inoltre, ha assunto un atteggiamento deplorevole.
-Sì, l’ho notato anche io.
-E, nella mia materia, c’è qualcuno che ha voti bassi: Troll e cose varie.
-Capisco.
-Dovreste essere più elastici, miei cari colleghi.
-Ma, Silente, questi ragazzi dovranno affrontare il mondo al di fuori di questa scuola e potrebbe scoppiare una guerra in qualsiasi momento: non saranno in grado di fronteggiarla.
-Lo hanno fatto più di una volta.
-Sono stati aiutati e sostenuti da noi che credevamo in loro, ma, al di fuori di qui, nessuno dirà loro che sono ottimi allievi.
-Concordo con Severus, Professor Silente.
-C’è chi ha preso sotto gamba l’impegno tra queste mura, solo perché ha avuto un ruolo importante nella Guerra Magica, ma questo non fa di loro degli eroi se non riescono a salvarsi da sé stessi.
-Quella è la guerra più difficile da condurre, signori.
Il discorso terminò ancora una volta con le parole del vecchio Preside e i suoi occhi piccoli si posarono attenti sui due professori che teneva di fronte: lo guardavano con aria scettica, ma lui sapeva di aver ragione, come sempre del resto.
Sorrise e si incamminò alla finestra per mirare del bellissimo paesaggio che si vedeva da quell’ala del castello.
 
 
 
 
 
Era stato strano vedere la neve cadere ed essere fuori a toccare i fiocchi prima che si posassero sul suolo: l’aveva guardata mentre con la felicità nel sorriso e negli occhi aveva aperto le mani a forma di coppa e aveva lasciato cadere al loro interno la neve fresca e, allora, l’aveva imitata: il freddo si era posato sulla sua pelle, ma aveva avvertito qualche brivido diffondersi lungo le dita magre e il tocco della neve era diventato quasi subito una morbida carezza.
Forse, non aveva mai provato una sensazione più bella, perché quel semplice tocco gli ricordava le mani che Hermione poggiava sul suo viso accaldato dai baci che desiderava darle e, quindi, rimase così mentre, oltre al suolo, si imbiancava anche il suo mantello.
Sott’occhio, aveva notato Blaise avvicinarsi a lui, con il suo sorriso di uomo che la sapeva lunga su chissà quale argomento e gli aveva rivolto lo sguardo strafottente che per tanto tempo aveva riservato a lei.
-Nevica.
-L’ho notato.
-E’ una bella cosa, no?
-Può darsi.
-Come vanno le ripetizioni?
Doveva per forza esserci la curiosità di Blaise nel porre una domanda simile, ma non era questo che faceva innervosire Draco, bensì era il fatto di dover condividere con qualcun altro le ore e i momenti che erano sono i suoi: di Hermione perché era lei a renderli tanto speciale e di lui perché era una sua esclusiva viverli e riviverli fino a non poterne più. –Bene.
Non sapeva ancora cosa fosse quel desiderio di averla accanto, ma sapeva che certi pensieri non gli erano mai passati per la testa con nessuna, soprattutto con lei. Eppure, si ritrovava ogni notte a sognarla e a svegliarsi con la voglia di vederla al suo fianco, di baciarla per rassicurarsi che, oltre agli incubi in cui la perdeva, c’era la certezza che nella realtà lei ci sarebbe stata.
Il pomeriggio era, oramai, calato su Diagon Alley e si era reso conto di sentirsi stanco, nei muscoli e nella mente, e avrebbe voluto dormire e svegliarsi dopo diversi giorni.
-I M.A.G.O. sono vicini.
-E?
-Beh, tra un po’ tutto questo finirà e tu non avrai più bisogno di ripetizioni.
Ci stava pensando da un bel po’ al fatto che, una volta finita la scuola, probabilmente, non si sarebbero più rivisti e non avrebbero avvertito il bisogno di farlo al di fuori delle mura di Hogwarts: forse, il loro voler stare vicini era solo dovuto ad avere un punto di riferimento fisso nei momenti di sconforto.
Il futuro era sempre così incerto e, grazie alla sua presenza, lo era diventato anche il presente: Draco non riusciva più a vivere una giornata programmata, perché c’era sempre qualcosa che lo spingeva a cambiare programma e ad andare lì, dove c’era anche lei: in biblioteca, alla guferia, non importava: l’importante era che ci fosse lei.
Chiedersi cos’erano diventati sarebbe stato fuori luogo e senza senso, perché non erano mai stati niente e mai lo sarebbero stati.
-Sì, ci ho pensato.
-Anche troppo.
Rivolse all’amico uno sguardo di rimprovero. –Non sono io che ci ho messo troppo a pensare…
-Sì, lo so: è stato il pensiero che è durato troppo.
-Esatto.
-La smetterai mai di dire queste stronzate, eh?
-Può darsi.- si sentiva in vena di non essere antipatico, perciò diede una pacca sulla spalla dell’amico.
L’eco di quel tocco risuonò per un po’ intorno a loro e, poco dopo, un leggero vento disegnò con i fiocchi di neve, delle strane alchimie di curve e sfumature di bianco: in contro luce tutto sembrava irreale, quasi come se fosse un sogno che stava svanendo, quasi come se si trovasse in una dimensione in cui non avevano terra sotto i piedi, ma fossero sospesi in bilico di un vento troppo fragile ma forte allo stesso momento.
-Ti mancherà, lo sai?
-Affatto: ho vissuto senza ripetizioni prima e potrò farlo anche dopo.
Ovviamente, Blaise non intendeva parlare di ripetizioni, ma a Draco piacque pensare che così fosse perché, nonostante i segnali che la sua mente e il suo corpo gli inviavano, preferiva ancora non interpretare quei segnali e lasciare che la verità si mostrasse a lui nella sua completezza.
 
 
 
 
Il ritorno era stato stancante più delle altre volte perché, da quando era terminata la Guerra, Hermione non aveva più visto Diagon Alley e quindi si era prodigata in un’attenta analisi visiva anche ai dettagli più insignificanti: era entrata in ogni bottega che aveva trovato sulla strada e si era soffermata a paragonare i locali per come li ricordava e per come erano diventati.
Non sarebbe cambiata mai, per questo Harry l’aveva trascinata con la forza fuori da ogni posto, tranne che dai Tre Manici Di Scopa, dove, insieme anche a Ginny, avevano intrattenuto una piacevole chiacchierata sui tempi in cui bere la burrobirra significava essere grandi.
Quante cose che erano successe da allora: erano poco più che bambini, con una voglia assurda di crescere in fretta ed ora, si ritrovavano adulti con il desiderio più che giustificato di voler tornare bambini per poter giocare, correre liberamente, guardare con meraviglia ogni cosa, senza dover dare spiegazioni a chi, con la crudezza dell’essere grande, chiedeva cosa ci fosse di strano in un uccellino posato sul davanzale di una finestra.
Il punto era, per Hermione, che gli adulti non riuscivano più a cogliere le bellezze del mondo: non c’era nulla di strano in un uccellino posato su un davanzale, bensì c’era l’eleganza dei suoi movimenti e il trillare allegro del suo cinguettio che la incantavano.
Quando, finalmente, erano arrivati ad Hogwarts, tutti erano scesi dal treno magico e si erano stiracchiati per rilassare i muscoli.
Di fronte a quell’enorme edificio che si stagliava contro un cielo grigio plumbeo, Hermione ripensò a Draco: non lo aveva visto neanche una volta nell’arco di quella giornata e non avrebbe voluto farlo dopo quello che era successo la sera precedente: si era lasciata andare a quel bacio con un trasporto tale che era sembrato surreale anche a sé stessa e, poi, aveva colpito con uno schiaffo il bel viso del biondo, lasciando sulla sua carnagione cerea il rossore e il disegno delle sua mano.
Scosse il capo, cercando di cacciare via quel pensiero, nella speranza anche di non arrossire di fronte agli amici. –Perché?- chiese Ginny indicandola.
-Perché, cosa?
-Sei arrossita.
La sua speranza non poteva essere che sprecata. –Credo sia per lo sbalzo di temperatura: in treno c’era così caldo.
-Già…
Harry e Ginny la liquidarono con una facilità impressionante e lei si sentì infinitamente sollevata, visto che, in loro assenza, poteva permettersi di pensare ed arrossire liberamente: non che i suoi amici la privassero di questo, ma Hermione non sopportava dover rispondere a domande di cui neanche lei conosceva le risposte.
Si sentiva inutile, nervosa perché non avere risposte, non trovare le parole per esprimersi non era affatto nella sua natura e Draco non poteva, non doveva farle quell’effetto.
Si incamminò spedita verso il dormitorio, intenzionata a fare un bagno rilassante, magari al piano superiore, nel bagno dei Prefetti.
Tra l’altro, era anche un suo diritto.
Non aveva ancora deciso il dà farsi per quanto riguardava le ripetizioni: probabilmente, non avrebbe neanche presenziato all’appuntamento, per tanti motivi.
Il principale era la paura di scoprire e capire cosa fossero quei sentimenti ancora anonimi che la muovevano verso il Serpeverde, poi seguivano le scusanti più svariate e ridicole che le correvano alla mente, ma aveva bisogno di trovare un modo di sviare quegli appuntamenti notturni e non poteva di certo farlo con la verità: era già tutto complicato e, ammettere di essere confusa, avrebbe significato prostrarsi ai piedi di chi per anni l’aveva disprezzata.
C’era anche da mettere in conto la diffidenza con cui Hermione si prestava alle attenzioni e alle richieste del biondo: era difficile credere che tutto quell’odio fosse smarrito o che Draco avesse deciso di metterlo da parte, senza un doppio fine.
 
 …ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.


Forse, dietro la richiesta di avere ripetizioni, c’era un artificioso piano diabolico per indebolire Harry e vincere la successiva partita di Quidditch o, forse, era un modo semplice ed efficace per riscuotere il premio della scommessa, nonostante la sconfitta.
Utile e dilettevole: era questo che cercava Malfoy.
Erano quei baci che non avevano né capo né coda, né significato né senso ed erano proprio questi che la confondevano.
Di nuovo, un gufo bussò alla sua finestra e Hermione prese dalle zampe dell’animale la solita busta.
 

Questa sera ho un impegno, non venire.  

 
Quel biglietto, quella scrittura dovevano per forza appartenere a Draco, perciò, rincorrendo le scuse che aveva pensato di usare per deviare l’appuntamento, la riccia tirò un sospiro di sollievo: avrebbe avuto una serata intera per dedicarsi a sé stessa, per rilassarsi ed abbandonarsi al piacere della lettura di un buon libro o, magari, di un ripasso in totale solitudine.
Aveva raccolto l’enorme asciugamani che avrebbe usato per coprirsi dopo essere uscita dall’immensa vasca ed aveva legato i capelli in uno chignon tutt’altro che elegante e raffinato: i capelli ricci erano la cosa che più odiava di sé stessi, perché non riusciva a tenerli in ordine e odiava che qualcosa si sottraesse al potere della sua magia, ma i capelli la beffano e, se era possibile, diventava ancora più difficile gestirli dopo.
Uscì dal dormitorio e in Sala Comune trovò qualche ragazza del terzo anno intenta a studiare sulle comode poltrone sistemate accanto al camino: sorrise e continuò, avanzando verso il quadro che l’avrebbe condotta sul corridoio.
 
 
 
 
 
 Non sputacchiava più quando mangiava e portava alla bocca forchette o cucchiai con una modesta dose di cibo: Ron aveva il portamento e l’eleganza di un principe di altri tempi e, nel suo completo scuro, sembrava anche più maturo.
Si sentiva osservato- e lo era davvero- da una ragazza del quarto anno: aveva i capelli castani, liscissimi e ordinati, gli occhi di un verde pallido e caldo, le labbra rosa e un po’ carnose, con il labbro inferiore leggermente più gonfio di quello superiore ed aveva un sorriso simpatico, dolce.
La osservò a lungo, prima di spostare la sua attenzione ad altro, come se al posto della ragazza ci fosse stato il niente: non voleva avere nulla a che fare con le donne che non fossero Hermione e, inoltre, il pensiero che le donne amavano essere maltrattate gli dava il coraggio di comportarsi in un certo modo.
Non avrebbe rinunciato ad essere ciò che era diventato visto che tutto sembrava andar bene: tra i corridoi della scuola stava riscuotendo una certa popolarità e non come componente del Trio Miracoli, ma come ragazzo che era cambiato in merito ad un motivo sconosciuto e, pure in Sala Grande, gli sguardi che gli venivano rivolti non erano di disprezzo. Non solo almeno, perché c’era anche chi lo guardava ammirato, chi lo osservava con lo sguardo di chi aveva visto una stella cadente.
Allo stesso modo si sentiva Ron: era stato per troppo tempo in un cielo limpido e senza nuvole, poi aveva lasciato che la luna stesse da sola lì, perché meritava di far vedere al mondo la bellezza del suo candore e della sua perfezione, ma quella bellezza era stata notata da quel sole bastardo che si era avvicinato a lei ed aveva fatto in modo che nascesse un’eclissi e lui, lui che era una semplice stella, si era lasciato cadere e si era scaraventato al suolo, riducendosi in mille frammenti che lo avevano reso irriconoscibile anche a sé stesso.
Era stato doloroso, era stato crudele, era stato insopportabilmente da stupidi cadere al suolo e rendersi conto che la bellezza della luna era superiore a quella che lui tanto decantava, perché andava oltre la sua perfezione: era bella dentro, dove c’era quella luce che non riusciva a brillare, dove c’era una voglia di amare che meritava più del dolore che Ron aveva regalato ad Hermione: l’aveva lasciata senza motivo, perché, per una volta, gli aveva detto che preferiva parlarne invece che di affrontare i problemi spogliandosi in un letto e lui l’aveva mandata via.
Era stato un idiota a non capire che, sotto le lenzuola, i problemi aumentavano e non diminuivano, perché le parole non dette restavano in equilibrio precario su un filo sottile e mal conservato.
La realtà era che la loro storia era finita da tantissimo tempo, ma entrambi, anzi, soprattutto Hermione, si sforzavano di sistemare le cose, di mandare avanti un’illusione e far in modo di farla divenire realtà. Ovviamente, era stato tutto inutile e lei era andata via per tutt’altri motivi.
Si rese conto di aver posato la forchetta nel piatto solo quando qualcuno gli chiese come mai non mangiava più. Quando si voltò verso il suo interlocutore, si trovò di fronte gli occhi grandi di Neville. –Non ho fame.- aveva concluso freddo, con un tono che non ammetteva altre domande.
Se da un lato era diventato meno imbarazzante stare accanto al rosso, dall’altro era diventato quasi impossibile sopportarlo.
Ron lasciò il tavolo e si diresse al dormitorio di Grifondoro e, durante il tragitto, nessun pensiero aveva attraversato la sua mente: semplicemente, si sentiva leggero e immune a tutto ciò che succedeva al di fuori di lui.
-Muffin alla carota.
Osservò lo spostarsi meccanico della cornice che conteneva la Signora Grassa e acuì l’udito a quel fruscio rumoroso che la cornice causava perché urtava contro il muro.
Entrò all’interno della Sala Comune e si meravigliò di trovare, seduta su una delle poltroncine, la ragazza che aveva osservato durante la cena: aveva le gambe incrociate al petto e la testa poggiata allo schienale alto della poltrona: guardava il fuoco scoppiettare nel caminetto con aria quasi assente e, probabilmente, non sentì che qualcuno stava camminando e girando per la Sala, visto che non spostò lo sguardo da dove lo teneva fisso.
Ron cercò di guardarla da una prospettiva diversa, spostandosi alla sua sinistra e si rese conto che quella ragazza aveva degli strani segni sul collo: sentì un moto di curiosità muoversi in lui e quasi decise di avvicinarsi per chiederle cosa fossero. Invece, rimase lì e continuò ad osservarla: era bella, senza dubbio, ma c’era qualcosa in lei che lo inquietava. Forse, era lo sguardo magnetico o quei segni rossi che facevano bella mostra sul collo.
Si allontanò, prendendo le scale del dormitorio e, quando si chiuse la porta alle spalle, osservò la camera vuota dei suoi compagni: i letti erano perfettamente in ordine e puliti, soprattutto quello di Harry, segno che lì passasse Ginny a pulire.
Il suo letto, invece, era rovistato, sistemato alla bell’e meglio, perché nessuna si era mai preoccupata di farlo dormire in un letto comodo, pulito e, d’altra parte, lui aveva sempre rifiutato a tali attenzioni.
Si stese sul materasso, tirando a sé le lenzuola cadute su un lato del letto, poi, si sistemò su di un fianco e chiuse gli occhi, per impedirsi di immaginare cose che non voleva vedere: aveva sentito dei passi provenire dal dormitorio femminile e una parte di lui, credeva che quei passi fossero di Hermione che correva per andare da quel pezzente di Malfoy.
Strinse forte i pugni e respirò più a fondo.
 
 
 
Non aveva alcun impegno: era semplice curiosità per mettere alla prova le idee stupide e insensate di Blaise.
L’amico gli aveva detto che gli sarebbero mancate le lezioni con lei, perciò, aveva voluto provare ed ora se ne stava sul suo letto comodo a fumare una sigaretta.
La gola bruciava un po’, ma il sapore di menta era piacevole al palato.  Fresco e bruciante gli ravvivava ed esaltava le sue papille gustative che, nonostante l’abitudine al fumo, preferivano di gran lunga il miele dei baci di Hermione.
Guardò l’orologio che portava al polso e le lancette segnavano quasi le dieci di sera, l’ora in cui avrebbero dovuto incontrarsi nella Stanza delle Necessità e, al pensiero che quella sera non avrebbe potuto guardarla, sentì un fastidioso stridio all’altezza del petto: una contrazione del cuore rese il suo battere più accelerato per un po’, ma, poco alla volta, il battito divenne di nuovo calmo e silenzioso.
Erano strane le sensazioni che provava ogni volta che pensava a lei, ma aveva capito che cercare di nascondere il desiderio di baciarla sarebbe stato inutile, sbagliato e doloroso: era un desiderio che si era fatto spazio poco a poco in lui e che, ogni volta che la vedeva, diventava più violento, più grande fino a possedere di lui corpo e ragione.
Non c’era altro da aggiungere ai suoi pensieri, se non quella certezza che si ostentava di negare agli altri, di allontanare e di tenere per sé, nelle notti insonni, nelle giornate uggiose che sembravano infinite e vuote.
Si sistemò meglio, portando la sigaretta alle labbra ancora una volta.
Buttò fuori il fumo dalle narice e dalle labbra quasi con disprezzo, come se quel sapore e quell’odore fossero un ostacolo a ricordare quelli che erano propri di lei. Il suo odore di estate, di fiori, di sole, però, erano insiti in lui, in angolo nascosto della sua anima che da fredda era diventata tiepida, ma scottava e nel suo cuore che era diventato malleabile come una mollica di pane.
Non avrebbe potuto continuare così: quella maschera pesava e, sotto quella superficie bianca, liscia e perfetta, non c’era nessun volto, nessun uomo. Non c’era niente.
E lui non era così: doveva solo trovare il coraggio di ammettere che Blaise aveva avuto ragione dal primo momento, di accettare che Pansy aveva dato un nome ai sentimenti che il biondo provava per il prefetto di Grifondoro e che lui, lui che era sempre stato abituato ad avere tutto senza chiedere, si trovava sul punto di poter perdere tutto da un momento all’altro.
Aveva paura di accettare i suoi sentimenti, perché aveva paura di lei, di quello che lei provava e pensava.
I momenti trascorsi fino ad allora con lei, le diverse facciate del suo carattere che aveva imparato a conoscere si erano fatte vive nella sua mente per essere ricordate e lui le riviveva senza scomporsi almeno all’esterno di sé stesso.
Aveva notato, giorni addietro, che Hermione aveva ricominciato a rispondergli a tono e il timore di aver sbagliato qualcosa si fece spazio in lui: forse, le difese che lui credeva di aver fatto cadere, le barriere che lei aveva imposto per non essere conosciuta per ciò che era realmente, ora, erano tornate lì, solide, alte e fortificate perché lei aveva deciso di privarlo di conoscere il meglio del suo carattere orgoglioso, coraggioso e pungente.
Scosse la testa, quando l’orologio segnava le undici di sera e lui era ancora chiuso nel suo dormitorio, a crogiolarsi nel leggero e infame dolore della sua assenza.
Andò alla porta, poggiando la mano sulla maniglia, deciso ad aprirla e ad uscire di lì, ma qualcosa gli impediva di muoversi.
Non sapeva cosa fosse, non sapeva quanto sarebbe durato, ma quello stato in cui era rimasto bloccato era terribile e logorante: stare fermo non era il suo meglio, soprattutto, stare fermo quando aveva qualcosa di importante da salvare.
Si chiese come avrebbe potuto arrivare in quel posto dove neanche Ron Weasley era riuscito ad arrivare, in quel nido sicuro, caldo e pulsante che conteneva i sentimenti più profondi e segreti della riccia.
-Dannazione!
Colpì il legno massiccio della porta con un pugno, senza lamentarsi mentre le schegge piccole e affilate gli penetravano nella carne.
Sorrise e, mano a mano che il tempo passava, il suo sorriso divenne una risata sonora e massiccia, tanto che l’eco che ne tornava dalle pareti faceva male all’udito. Poi, si sistemò sul pavimento, poggiando la schiena al muro e respirando affannosamente.
 
 
 
 
 
-Dove eravamo rimasti?
-Non me lo ricordo.
-Allora, ricominciamo.
I baci si erano fatti più profondi, irruenti e pretenziosi di andare oltre, in quel letto dove il mondo esterno era solo una cornice lontana e sfocata.
-Aspetta.- mugugnò lei, con le labbra ancora intrappolate tra quelle di Harry.
-Cosa c’è, Ginny?
-Non voglio che sia solo questo…
-Ma, Ginny…
-No, Harry, ascoltami un attimo: siamo tornati insieme da pochissimo tempo e io ti amo, adoro fare l’amore con te, ma… quand’è stata l’ultima volta che mi hai semplicemente stretto la mano o che mi hai semplicemente accarezzata. O che abbiamo dormito abbracciati, con i vestiti addosso?
-Io ho bisogno di questo.
-Anche io, ma non solo di questo.
-Non mi ami più?
-Sì che ti amo, Harry. Che domande fai? E’ solo che… ho bisogno di sapere che c’è altro, un’altra forma di amore tra noi..
Harry la strinse a sé, coprendola con il lenzuolo. –Va bene…
Ginny aveva ragione, perché non c’era stato un momento in cui non ne avevano approfittato per spogliarsi e fare l’amore, per baciarsi, per toccarsi e sentire quel senso di appartenenza che era proprio del loro amore, in qualunque posto, a qualunque ora.
Quell’amore bambino che Ginny sognava l’avevano abbandonato da un po’, per farsi trasportare da emozioni più forte, ma anche quell’innocenza aveva bisogno, ogni tanto, di respirare e di aprire gli occhi sul mondo.
Sotto le carezze che, delicatamente, Harry prodigava alla schiena liscia, pallida e perfetta di Ginny, il tempo trascorse lento e tranquillo.
Minuti, ore, forse giorni… il tempo, accanto alla sua metà non era più lo stesso: era distorto, era perfetto e sembrava volare troppo in fretta a volte, ma, in quei momenti, mentre la notte si stendeva sulla scuola di magia e stregoneria, non c’era cosa migliore di lasciarsi cullare e addormentarsi in quella ninna nanna dettata dallo scorrere del tempo.
Il respiro divenne pesante e profondo e le spalle, il petto si muovevano lentamente. Forse, entrambi si addormentarono nello stesso momento: Ginny aveva un sorriso abbozzato sul viso, tranquillo e dolce; Harry aveva l’aria di chi aveva agognato quel sonno per anni.
La neve continuava a scendere su Hogwarts, sui suoi prati, nelle sue acque, sui capelli di qualche studente che ancora era in giro per una passeggiata romantica o per un allenamento sfiancante di Quidditch.
Il Ragazzo Sopravvissuto sarebbe rimasto lì, al caldo sotto il corpo di quella che aveva sempre avuto la certezza fosse la donna della sua vita, al caldo del suo respiro, delle sue mani abbandonate lungo i suoi fianchi e delle sue labbra premute dolcemente contro il collo teso di lui.
Cos’avrebbe potuto chiedere di meglio, di più magico di lei?
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Tatatataaaaaaaa!
Salve gente. Sono tornata e, come potete vedere, il capitolo nuovo è arrivato quasi puntuale.
Abbiate solo taaanta taaanta pietà di me: esame di stato in vista e interrogazioni e compito a morire!
Non ho molto da dire su questo capitolo, perché, come potete vedere, non succede nulla di eclatante e di bello. E’ un semplice capitolo di passaggio, che spiega un po’ la confusione dei nostri amati *.*
Sono felice perché questa storia mi sta dando delle soddisfazioni meravigliose.
 
Ringrazio le 17 persone che mi hanno inserita tra gli autori preferiti.
 
Inoltre, ringrazio le 199 seguite, le 59 preferite e le 36 ricordate.
Ringrazio chi recensisce e chi semplicemente dedica il proprio tempo e il proprio silenzio alla mia storia.
Grazie infinite a voi che mi date la forza e la voglia di continuare a scrivere.
 
Alla prossima, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 16
*** Rewind ***


 

Rewind
 

 
 
-Hermione..
La voce che la chiamava le giungeva lontana, ovattata.
I suoi occhi vedevano solo quello che avevano di fronte: i capelli biondi di Draco erano sistemati con il gel, che li teneva ordinatamente pettinati all’indietro.
Stava sorridendo- intento a tenere una piacevole conversazione con Blaise Zabini e Theodore Nott, seduto accanto a Pansy Parkinson che lo guardava con i suoi grandi occhi da mangia-uomini- di un sorriso che a lei non aveva mai rivolto, neanche in quei giorni in cui loro non erano più quelli che erano stati per i sette anni precedenti. Un moto di gelosia si impossessò delle sue membra e dei suoi pensieri, ma Hermione non staccava lo sguardo da Draco Malfoy.
Sembrava così lontano, così diverso mentre tutti quelli che per lui erano importanti gli erano seduti intorno. E lei no, lei non avrebbe fatto parte di quel gruppo di persone che erano indispensabili per lui e si sentì, per un momento, delusa e triste.
Gli occhi, ridotti a due fessure a causa delle risate, erano talmente piccoli che era difficile capire se davvero lui fosse felice o meno.
Mai lo aveva visto sorridere in quel modo negli anni precedenti, mai lo aveva visto sorridere prima di quella volta in quel dormitorio.
-Hermione…
Ancora una volta sentì che qualcuno la stava chiamando, ma non riusciva a voltare il capo, non riusciva ad allontanare l’attenzione dal biondo, non riusciva a trovare nulla di più interessante di quel viso, di quei tratti regali e mascolini.
-Hermione!- qualcuno riuscì ad distaccarla dallo stato di trance in cui era caduta solo strattonandola e lei, finalmente al pieno delle sue facoltà, rivolse uno sguardo alla ragazza che era seduta accanto a lei.
-Sì?
-Lo stai fissando.
-Cosa?
-Draco Malfoy. Lo stai fissando.
-Ma figurati, Ginny… non lo fisserei mai.
-Invece sì.
-Beh, anche se fosse, nessuno sembra essersene accorto.- ma quando voltò lo sguardo al tavolo a cui era seduta, si rese conto che non era affatto come aveva creduto: tutti la guardavano con gli occhi quasi fuori dalle orbite. Tutti, tranne Ron che aveva gli occhi nel piatto che stava mangiando.
Un piccolo particolare, forse l’unico, che la fece sentire sollevata.
-Tu credi?- le chiese, infine la rossa.
-Ero soprappensiero, non stavo fissando Draco.
 
Draco, Draco.
Hermione.
 
-Lo hai chiamato per nome.
-Davvero? Non ci ho fatto caso o, magari, ti sei impressionata.
-Hermione…- intervenne Harry. -… sicura di star bene?
-Certo. Ora, però, credo che andrò in biblioteca.
Quando si alzò dal suo posto, per l’ennesima volta, rivolse gli occhi alla figura del biondo e si rese conto che quello sguardo era stato ricambiato: gli occhi grigi di lui erano allarmati- non sapeva da cosa- ma c’era fretta in quello sguardo,  fretta di capire cosa lei stesse facendo, quindi, Hermione nascose il viso dietro ai capelli ricci e andò via.
Si trovò nel corridoio buio, illuminato solo dalla debole luce del sole invernale che entrava dalle vetrate e respirò a fondo l’odore di chiuso che aleggiava tra quelle mura: aveva bisogno di staccarsi dai pensieri, dai ricordi, dalla confusione. Doveva restare sola con sé stessa e cercare di studiare un po’, davvero.
Per il tutto il tragitto, aveva avuto la strana sensazione di essere seguita, perché a intervalli quasi regolari sentiva il rumore di una scarpa che poggiava sulla pietra dura del pavimento, ma, ogni volta che si girava per guardare, scopriva di essere sola in quell’immenso corridoio.
Forse, stava impazzendo, forse, i desideri che albergavano nel suo inconscio si stavano palesemente manifestando: in fondo, aveva sperato che lui la seguisse. Almeno, per chiarire lo schiaffo che aveva ricevuto.
Invece, era sola in quel corridoio. Sola.
Guardò fuori dalla finestra i prati innevati e bianchi e ricordò il profumo di Draco, quello che aveva respirato per una settimana intera, ogni notte.
 
Nebbia, pioggia, inverno.
 
Dov’era finita quella dolcezza? Quel bisogno di stare a contatto? In lei, forse, era ben nascosta, perché la avvertiva in maniera evidente solo in sua presenza; in lui sembrava essere lo stesso. Solo che lui non si era mai incantato a guardarla, lui non sentiva il bisogno di riempire gli occhi dell’immagine di lei.
I pensieri si rincorrevano veloci e allo stesso modo la morsa allo stomaco stringeva e provocava un dolore che Hermione non riusciva a sopportare. Gemette e si accasciò al suolo, tenendo una mano aperta sul muro.
Respirò a pieni polmoni, per cercare di calmare il dolore, ma l’immagine di Draco che rideva assieme ai suoi compagni di casata si era stampato nella sua retina con una perfezione tale che il dolore si diffondeva anche nei muscoli.
No, non poteva essere innamorata di lui, perché l’amore non faceva soffrire tanto.
Scosse il capo e si alzò lentamente, poggiando entrambe le mani al muro e facendo più forza nelle gambe, per non farle cedere al peso del suo corpo.
Si trovò di fronte un corpo ben allenato, con le spalle larghe, il collo sottile e i capelli rossi.
Ron la guardava con l’aria di chi godeva a vedere gli altri soffrire, e non gli aveva allungato la mano per aiutarla a sollevarsi: semplicemente, nei suoi occhi c’era la soddisfazione, il disprezzo per chi aveva di fronte.
Nulla in lui era lo stesso ed Hermione sentì il vuoto nell’anima, quello che aveva sentito ai Tre Manici Di Scopa, farsi ancora più forte e si rese conto che quell’amicizia che aveva sempre avuto con il rosso non sarebbe tornata più, perché Ron non era più il Ron a cui lei aveva imparato a voler bene.
Hermione lo guardò, tenendo la testa alta, data l’altezza del ragazzo che aveva di fronte e si allontanò da lui, cercando di assumere l’espressione più fredda e strafottente che poteva.
L’odore di Ron le dava fastidio, così come la sua presenza, perché quello che le mancava di lui erano i ricordi, non il presente.
Ma non avrebbe potuto aspettarsi altro.
Aprì la porta della biblioteca, facendola cigolare, poi andò a sedersi al tavolo più lontano, quello più vuoto e nascosto.
Il libro che teneva tra le mani, però, giaceva chiuso sulla superficie di legno. Accanto ad esso, le mani strette a pugno e le lacrime che cadevano sul cuoio della copertina e sul legno del tavolo.
 
 
 
 
Erano l’uno accanto all’altra e guardavano entrambi nella stessa direzione: dritto, di fronte a loro, c’era solo l’enorme quadro di Beda il Bardo.
Erano seduti sulle scale, lui appoggiato con la schiena alla parete di pietra, lei con le ginocchia strette al petto.
Non parlavano, respiravano piano per impedire al respiro di interrompere quel silenzio quasi celestiale che era calato tra loro: il silenzio era sempre stato uno dei cardini più importanti del loro rapporto.
Daphne, nell’ assenza di suoni e rumori che Theo le regalava, riusciva a vedere il mondo e le situazioni da altre angolazioni; Theo, invece, da un po’ di tempo, cercava di trovare il coraggio di confessare i suoi sentimenti.
Tutto ruotava intorno alle domande che lui aveva nella mente, intorno a quei segnali che non riusciva ad interpretare, intorno alle lacrime che Daphne aveva versato per il suo ipotetico principe azzurro che, di azzurro, aveva solo gli occhi.
Ora, sembrava tranquilla, sembrava star meglio.
Stando lontana dal campo di Quidditch, forse, era riuscita a dimenticare quel cretino di Corvonero che aveva avuto il privilegio di averla sua e che, con la stessa leggerezza di un colibrì che volava sulle acque del Lago Nero in primavera, l’aveva lasciata.
Theo volse lo sguardo verso Daphne e si rese conto che, sul suo viso angelico, c’era un sorriso innocente. Sentì il cuore scaldarsi, mentre gli occhi della sua amica si riempivano di luce.
Nulla sarebbe stato più bello di quella visione, nulla più dolce, nulla più delicato.
Era innamorato di lei da quando l’aveva conosciuta, da quando l’aveva vista per la prima volta e, pur non essendo mai ricambiato, l’amore per lei era cresciuto fino a diventare incontenibile: ormai sarebbe stato palese anche ad un cieco quanto i suoi sentimenti fossero immensi e veri.
Era talmente intento ad osservare i particolari di quel viso che, quando Daphne gli sfiorò la mano, Theo balzò dal posto su cui era seduto e sbarrò gli occhi.
-Hey, sono io…
-Scusami, stavo pensando.
-Doveva essere un bel pensiero.
-Sì, ti somigliava molto.
Daphne sorrise. –Grazie di tutto.
Con lui, lei non era la stessa: era gentile, era dolce. –Di niente…
Si avvicinò a lui, fino a che le punte dei loro nasi si sfiorarono e lo guardò negli occhi, con un’intensità che spaventò lei in prima persona. -Come farei se non ci fossi tu?
-Ci sarebbe qualcun altro.
-Non sarebbe lo stesso.
-Perché lo dici?
-Perché lo so.
Ci aveva messo un po’ a capirlo, ma, dopo aver sofferto tanto e inutilmente per persone che neanche lo avevano meritato, si era resa conto di avere l’amore, quello vero, ad un passo da lei.
Forse, non era riuscita a vederlo proprio perché gli era troppo vicina.
Daphne inclinò il capo.
-Non farlo.
E lei si fermò, allontanandosi da lui per guardarlo meglio negli occhi. –Non ho scelta.
-Ce l’hai eccome, invece.
-Non è quello che voglio.
-Stai facendo una stronzata.
-Non è vero e lo sai anche tu.
-No.
-E’ una cosa che desidero. E i desideri non sono mai sciocchi.
-Questo è sbagliato.
-E’ la cosa più giusta che io abbia mai fatto.
E si avvicinò di nuovo, senza dargli il tempo di protestare. Lo baciò, ma lasciò che lui cominciasse a guidarla, a renderla partecipe di un gioco che lei non conosceva tanto bene come lui credeva.
Quando le loro lingue si incontrarono, entrambi furono percorsi da brividi che mai avevano provato sulla loro pelle, nelle loro ossa, nel battere frenetico e veloce dei loro cuori: era tutto nuovo, tutto vero e spontaneo.
-Daphne, smettila.
-Perché?
-Perché non è quello che voglio anche io.
-D’accordo.
Si allontanò, abbassando gli occhi. Proprio per questo, non vide gli occhi di lui velarsi di quel lenzuolo di lacrime che aveva sempre tenuto per sé, di quelle lacrime a cui non aveva mai lasciato libero sfogo, neanche quando sembrava impossibile trattenerle.
In realtà, l’aveva allontanata per la paura che quei gesti fossero dettati dalla rabbia e non dall’interesse reale di Daphne, ma che stava sbagliando a pensare quelle cose nessuno glielo avrebbe detto, a parte la voce delle coscienza che mise a tacere al primo sospiro.
-Devo andare.
-Theo… è tutto vero.
-Ciao.
Non rispose, lasciandola lì, da sola, nelle lacrime: non avrebbe mai pensato di essere la causa del pianto di Daphne e, ora che lo era, si sentiva come un verme che cercava di rintanarsi in un terreno troppo arido affinché potesse sopravvivere.
Cercò di allontanarsi velocemente dai sensi di colpa, correndo tra i corridoi e rintanandosi nelle ore di lezione di Pozione, nelle parole e nella voce strozzata del professor Piton, nelle formule e nelle giuste misure per fare una pozione decente.
Quando arrivò all’interno dell’aula, occupò il posto in cui era solito sedersi ed aprì il libro alla pagina che era segnata da un segnalibro di carta, su cui era scritta una dedica di Daphne: era un cartoncino che lei gli aveva regalato durante il secondo anno alla scuola di magia e stregoneria, mentre erano ad Hogsmeade, dato che era il suo compleanno e Daphne voleva fargli un regalo che gli ricordasse che lei ci sarebbe stata sempre. Niente di più azzeccato.
 
Quante cose ancora gli avrebbero ricordato di lei?
 
 
 
 
 
L’aveva vista mentre era andata via dalla Sala Grande e l’aveva seguita, fino a che non era entrata in biblioteca e non l’aveva vista più uscire: era rimasto lì ad aspettarla, nascosto, senza avere il coraggio di farsi vedere.
Si sentiva un ladro che aveva rubato un tesoro prezioso e che se ne vergognava, per questo non riusciva neanche ad aprire quella porta.
Le mani erano ferme sulle enormi maniglie, stringevano con forze l’ottone pesante, ma la forza di spingere le enormi ante di legno non c’era.
Prima di andare via, l’aveva guardato. Forse, quello sguardo voleva essere un invito a seguirla, ma se così non fosse stato?
Cosa avrebbe fatto quando si sarebbe trovato di fronte a lei, di fronte ai suoi occhi colmi di disapprovazione, di disgusto?
Era sempre stata strana la vita per lui: l’aveva odiata e disprezzata per tanto tempo ed ora si trovava a desiderarla.
 
-…credimi, non arriverei mai al livello di desiderarti.
 
Hermione forse lo aveva creduto, ma adesso lui non riusciva a credere a quello che provava, alla forza con cui tali sentimenti si manifestavano ai suoi occhi: sentiva le gambe farsi molli ogni volta che la incrociava nei corridoi e, ogni volta che lei gli era vicino, era come se gli occhi del suo cervello fossero ostruiti da quella nebbia che rendeva chiari solo i suoi lineamenti e il desiderio di averla.
Ora era tutto chiaro: quella scommessa, quel premio richiesto non erano affatto una tattica per indebolire Harry Potter. Sotto, sotto ogni scusa c’era sempre stato l’interesse di averla accanto, di sentire che lei gli apparteneva.
Scosse il capo e, finalmente, si decide ad aprire le porte della biblioteca, entrando all’interno dell’ampio salone con l’ansia che correva nelle vene e pompava nel cuore, facendone accelerare il suo battito.
Chiuse la porta alle sue spalle e si dedicò alla ricerca di Hermione: i suoi occhi vagarono a lungo a studiare i visi dei presenti all’interno della biblioteca e, quando si rese conto che lei non c’era, si sedette ad un tavolo qualsiasi e passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.
Quando la mano arrivò all’altezza degli occhi, un leggero vento attraversò la sala e lui scorse il movimento di qualche filo di capelli lunghi, ricci e castani e l’odore che proveniva dalle sue spalle gli diede la certezza che tanto aspettava: lei era lì e l’avrebbe riconosciuta anche se non avrebbe potuto vederla.
Si voltò di scatto nella direzione da cui proveniva quel profumo.
 
Grano. Sole. Primavera.
 
Quando la vide, con la testa tra le mani, si avvicinò a lei e le prese la mano. Lei alzò lo sguardo e spalancò gli occhi. –Malfoy.
-Granger… dobbiamo parlare.
-Non ho nulla da dirti.
-Allora ascoltami.
-No.
-Perché stai piangendo?
-Non sto piangendo.
-Hai gli occhi arrossati.
-E’ la stanchezza.
-La stanchezza ti fa bagnare le pagine di un libro.
-Cosa vuoi?
-Non lo so.
-Cosa significa non lo sai.
-Ieri notte… io ho riflettuto… stanotte… ci vediamo nella Stanza delle Necessità.
-Non verrò.
-Perché?
-E’ meglio che il nostro rapporto- disse, disegnando con le dita le virgolette. –termini qui.
-No.
-Cos’hai Malfoy?
-Non lo so. Io…
Prese il libro tra le mani, alzandolo fino a coprire i loro visi, poi la baciò con un impeto tale che entrambi erano spaventati.
Lui aveva talmente paura che non riusciva a tremare, ma strinse ancora più forte la mano di Hermione, poi si allontanò e, con il respiro pesante, puntò i suoi occhi grigi in quelli spettacolari di lei.
-Draco, ti prego…
-Ti aspetto lì.
Se ne andò, lasciandola in compagnia di un libro di chissà quale materia.
Quando finalmente fu fuori dalla biblioteca, si permise di battere la testa contro un muro: era peggio di ciò che credeva, perché non riusciva a trattenersi neanche per due minuti dalla voglia di baciarla, perché con lei di fronte non riusciva nemmeno a parlare.
Non riusciva a crederci: lui, il re delle Serpi, il tanto rinomato spacca cuori si era ritrovato con qualcosa di rotto all’altezza del petto.
Come poteva Hermione credere che terminare le ripetizioni potesse essere la cosa giusta? Perché, poi?
Non sapeva spiegarselo, non trovava nessuna ragione valida per farlo.
Si incamminò nei corridoi, diretto ai sotterranei, nel dormitorio in cui avrebbe potuto stare da solo, senza essere disturbato.
Da solo, con i suoi ricordi, il replay dei momenti trascorsi con lei.
I corridoi sembravano diventare più lunghi, il quadro che lo avrebbe portato al suo dormitorio sembrava farsi più lontano ad ogni passo che Draco muoveva verso di lui.
Quando, finalmente, riuscì a raggiungere il quadro, ad entrare nella Sala Comune di Serpeverde e a stendersi sul letto, sistemandosi a pancia in giù, con la guancia contro il materasso, chiuse gli occhi e lasciò che il peso che sentiva sulle spalle gli cadesse su tutto il corpo: quel dolore lo distolse per un po’ dal pensiero di Hermione, dal ricordo delle sue parole, dal gelo con cui la sua voce aveva pronunciato il suo nome.
Non gli sembrava possibile che tutto fosse diventato più complicato di come lo era stato in quegli anni: era stato difficile disprezzarla senza un motivo reale, era stato difficile cambiare idea sul suo conto, ma ancora più difficile era convivere con la certezza assoluta di provare per lei quel sentimento forte che non aveva mai provato che non avrebbe mai voluto provare, visto che lacerava l’anima dall’interno.
Tutto sembrava sfuggirgli dalle mani. Tutto, soprattutto lei.
 
 



-E’ tutto così complicato.
-Troppo.
-Lo ama, Harry.
-E’ impossibile, Ginny.
-Smettila: è possibile.
-E’ colpa mia.
-No, non è colpa di nessuno. Sarebbe successo comunque.
-Sì, ma magari lui non sarebbe stato innamorato di lei.
-La colpa è di chi li ha chiusi chissà dove.
-Comunque, adesso non importa di chi sia la colpa… le cose stanno così e non credo che potremmo cambiarle.
-Vorrei tanto aiutarla.
-Fallo.
-Cosa?
-Aiutala.
-Ma come?
-Questo non lo so.
Harry aveva capito tante cose ma, soprattutto che Sirius non aveva avuto sempre ragione: un mangiamorte non rimaneva sempre un mangiamorte.
Le parole di quel fuoco si erano impresse nella sua memoria, ma ora stavano andando via e svanendo ogni giorno di più di fronte alla verità spiegata più dai fatti che dalle parole.
Draco Malfoy era cambiato nei piccoli dettagli che nessuno conosceva, che nessuno aveva mai notato, ma lui sì. Lui lo conosceva meglio delle sue tasche, perché lo aveva visto in tutte le sue sfaccettature: mentre giocava a Quidditch e faticava a vedere il boccino; mentre era intento ad allenarsi, con il sudore sulla fronte a causa delle flessioni; mentre combatteva e cercava di tenersi stretta la vita, legandola alla sua bacchetta.
Doveva fare qualcosa e non se la sentiva di fare del torto ad Hermione: non sapeva se Draco l’avrebbe fatta soffrire o meno, ma sapeva che entrambi avevano provato per anni un sentimento talmente forte che aveva logorato i loro animi, ma quel sentimento scuro si era trasformato in qualcosa di meraviglioso che nessuno dei due avrebbe accettato e vissuto facilmente, ma, proprio per questo, sarebbe stato incancellabile negli anni a venire.
-Non vorrei essere nei suoi panni.
-Già.
Harry sapeva bene quanto facesse male lottare con i propri sentimenti, con le proprie paure e con la certezze quasi assoluta di deludere i propri amici.
Scosse la testa e sistemò quella di Ginny sul suo petto, all’altezza del cuore.
Al solo pensiero di non poter manifestare liberamente i suoi sentimenti per lei si sentì soffocare, sentì un nodo stringersi nella gola e gli occhi riempirsi di lacrime che probabilmente avrebbe versato se quel pensiero si sarebbe trasformato in realtà.
 
 
 
 
Sapeva che avrebbe dovuto parlare con lui, sapeva che era la cosa giusta da fare per chiarirsi le idee, ma aveva paura. Aveva più paura di quando Draco l’aveva baciata nella biblioteca.
Le emozioni che aveva provato, quelle che le avevano attraversato i muscoli, le ossa, il cuore erano ancora lì, dove lui le aveva sistemate.
Solo che in lei, nella sua mente, regnava il disordine che la consapevolezza di provare un sentimento portava con sé.
L’ora in cui avrebbero dovuto incontrarsi era già passata da un bel po’, ma Hermione non si era ancora decisa sul da farsi: nelle vene scorreva il terrore, la paura assoluta.
Si alzò dal letto e si diresse nei corridoi, perché, del resto, nel suo carattere era insito il desiderio di fare sempre il giusto. Lo avrebbe fatto per lui, per lei e per quello che sarebbe potuto essere.
Quando si trovò di fronte alla porta della Stanza delle Necessità, si rese conto che non aveva affatto pensato, bensì aveva contato i secondi, i passi che l’avevano divisa da quella porta. Poi, entrò all’interno di quella stanza che era stata arredata con un gusto semplice e piacevole: il caminetto era sempre lì e, poco distante, erano sistemate le solite poltrone, ma i colori erano diversi: non c’erano i soliti verde-argento e rosso-oro. Tutto era bianco, come la neve, come la purezza.
Draco era seduta sulla poltrona a destra, quella accanto alla finestra aperta -da cui si poteva guardare la neve scendere delicatamente- intento a fumare una sigaretta e la guardava, la osservava, la studiava: tutta la sua attenzione si era soffermata sul suo viso, sul cambiamento delle sue espressioni, sulle sfumature dei suoi occhi.
La guardava e aveva leggermente un angolo delle labbra tirato in su.
-Obbligo o verità?
-Che cretinata è?
-Obbligo o verità?
-Obbligo.
-Baciami.
-No.
-Devi farlo.
-No.
-Mezzosangue,- nella sua voce la pazienza, non il disprezzo. –baciami.
-D’accordo.- si avvicinò a lui e posò le labbra sulle sue, senza lasciare libero ingresso alla sua lingua. –Ora basta.
-Tocca a te.
-Cioè?
-Chiedimelo.
-Obbligo o verità?
-Obbligo.
-Lasciami andare.
-No.- si alzò dalla poltrona e le posò le mani sulla braccia, attirandola a sé. –Non vale.
-Invece sì.
-Invece no.
-Sì.
-D’accordo: vattene.- la allontanò da sé, lasciandola libera, ma lei rimase lì, impalata a guardarlo. –Non vai?
Hermione sentiva il bisogno di andare via, ma la voglia di restare lì.- No.
-Allora?
-Verità.
-Mi ami?
-Non lo so.
-Non lo so neanche io, ma credo di sì. Perciò volevo parlarti: per capire.
-Bene.
-Obbligo o verità?
-Obbligo.
-Baciami ancora.
-Smettila.
-Non mi và.
Lo baciò di nuovo, sempre senza aprire le labbra e si staccò ancora da lui. –Cosa volevi dirmi?
-Hai qualche domanda da farmi?
-Sì.
-Allora verità.
-Perché queste ripetizioni?
-Te l’ho detto già: ho bisogno di recuperare qualche brutto voto.
-Non hai bisogno di studiare con me, perché non hai nessun brutto voto.
-Invece sì. E, comunque, è finito il tuo turno.
-Verità.
-Di cos’hai paura?
-Del dopo.
-Verità.
-Qual è la materia in cui vai male?
-Quella di cui neanche tu sai tanto.
-Io ne so molto più di te in tutto.
-Anche nell’amore?
-No.
-Tocca a te.
-Voglio andare via.
-Obbligo o verità?
-Obbligo.
-Resta.
-Non puoi farmi questo.
-Posso eccome: io rispondo ai tuoi obblighi e alle tue domande e tu rispondi ai miei.
-Prima non mi hai lasciato andare via.
-Prima, tu non sei andata via: io ti ho lasciata libera.
-Qual è il prezzo da pagare, in tutta questa storia?
-Non lo so ancora, ma io ci ho rimesso un po’ di cuore.
-Non è un problema mio.
-Oh, invece credo di sì: è colpa tua se mi trovo in questa situazione.
-Non mi sento colpevole.
-Non puoi sentirti in colpa perché mi è capitata una cosa bella.
Erano passate, forse, ore, forse, piccole spaziature di tempo di pochi secondi.
Troppe parole erano state dette, troppe verità svelate con una leggerezza e una consapevolezza inaspettata, ma il peso di quella situazione era quasi nullo, visto che quella era la cosa giusta da fare: allontanarsi, mentire a sé stessi era solo un passo indietro e loro già ne aveva fatti troppi.
Molti di più dei passi in avanti che avevano compiuto durante quell’esilio.
-E’ una cosa sbagliata.
-Cosa?
-Quello che stai facendo.
Si era avvicinato a lei, tanto da poter sentire il cuore di lei battere contro il suo petto e l’aveva guardata, le aveva alzato il viso, portandole una mano sotto al mento, in modo che anche lei potesse guardarlo negli occhi.
-Vuoi andare via?
-Sì.
-Puoi farlo, Mezzosangue: la porta è lì.
-Non ci riesco.
-Io non ti fermo.
-Non sei tu a fermarmi.- disse e vide le mani di lui allontanarsi dal suo corpo. –Non sono neanche le tue mani.
-Allora vai.
-Ho bisogno di provare una cosa.
-Tutto quello che vuoi.
-Sei troppo gentile, Malfoy.
-Veritaserum.- le disse, mostrandole la boccetta che avrebbe dovuto contenere il liquido di cui Draco aveva parlato.
-L’hai bevuto davvero?
-Sì, non potrei mentirti.
-Potrebbe essere un effetto collaterale, per questo stai dando di matto.
-Anche.
-Ma potrebbe anche non essere vero.
-Chiedimi qualcosa… qualcosa che io non so che tu sai.
-Sei davvero il promesso sposo di Astoria?
-Sì, ma questo lo sanno tutti.
-Io no, credevo fosse solo una voce di corridoio.
-Non lo è, ma io e Astoria non ci sposeremo: non lo voglio io e non lo vuole lei.
-Bene. Sembra che tu sia davvero sotto l’effetto del Veritaserum.
-Già.
-Credo che sia ora che io vada.
Draco si avvicinò ancora e la baciò allo stesso modo di come aveva fatto in biblioteca, solo che, questa volta, anche Hermione si sentì bruciare da quel desiderio che non sapeva nascondere bene. Si lasciò andare, portando le mani al collo elegante di lui, attirandolo a sé anche per poter respirare il profumo della sua pelle gelida.
-Buonanotte, Mezzosangue.
-Buonanotte, Malfoy.
Uscì dalla Stanza delle Necessità e si incamminò giù per le scale, facendo a ritroso il percorso che l’aveva portata fin lì.
Non aveva chiarito molto con sé stessa, ma almeno sapeva che lui non era come sembrava: non era freddo, non era lontano dal desiderio di averla, di sentirla.
Sorrise di quella consapevolezza che la faceva sentire più tranquilla, felice.
Il buio dei corridoi sembrava essere meno buio, meno spaventoso.
Il sorriso, comunque, si spense quando un rumore sinistro giunse alle sue orecchie: ancora, come nel pomeriggio, aveva l’impressione di essere seguita, che qualcuno si divertisse a spaventarla, ma, ancora una volta, quando si voltò, si rese conto di essere sola.
Tirò un sospiro di sollievo, ma si affiancò di più al muro di pietra e si incamminò nuovamente. Con il profumo di Draco sulle mani, si sentiva quasi al sicuro, ma sapeva che tutta quell’euforia doveva sparire e non influenza nell’analisi che avrebbe fatto su sé stessa.
Era quasi nei pressi del quadro della Signora Grassa, pronta ad annunciare la parola d’ordine per entrare all’interno della Sala Comune di Grifondoro e poi nel suo letto, per coprirsi e avvolgersi nel calore delle coperte pesanti.
Quando qualcuno la attirò per il polso, Hermione gridò a squarciagola, ma fu zittita da una mano che si posò con forza sulla sua bocca.
Allenò gli occhi al buio, fino a che riuscì a vedere chiari i lineamenti di chi le era di fronte. –Ma sei impazzito, Furetto?
-In effetti, sì.
-Cosa vuoi?
-Credo di essere ancora sotto l’effetto del Veritaserum, perché mi sento in vena di dirti che ho ancora voglia di baciarti.
-Oh…- quando le loro labbra si incontrarono, quando la lingua di Draco accarezzò quella della riccia, il tempo, il mondo e i suoi oggetti, sembrarono sparire, allontanarsi e lasciarli soli, in quel frangente di pazzia che era solo loro.
Il silenzio faceva male all’udito, i loro profumi si mischiavano in quelle strane fragranze che erano sempre meravigliose, nonostante la diversa intensità.
Qualcuno tossì e la magia si interruppe.
Hermione si staccò da Draco e si voltò a guardare alla sua destra, dalla parte da cui era provenuto il colpo di tosse.
Quando le figure cominciarono ad apparire chiare ai suoi occhi, la riccia sentì il fuoco incendiarle il viso: non loro, sarebbe potuto essere chiunque, ma non loro.
La felicità che aveva provato sembrò sgretolarsi in quei pochi secondi in cui regnò il silenzio, quindi, rivolse uno sguardo a Draco.
Lo vide sorridere, di un sorriso come quello che aveva visto nella Sala Grande, poi, le strinse la mano e le bacio di nuovo le labbra, come aveva fatto lei nella Stanza delle Necessità. –Buonanotte Hermione.
Gli sorrise con la paura chiaramente leggibile nelle iridi castane e vide gli occhi di Harry e di Ginny spalancarsi, così come la loro bocca.
Poi, Draco si allontanò e lei rimase sola.
Cosa avrebbe dovuto dire? Come avrebbe dovuto giustificare il suo comportamento?
Come avrebbe spiegato che l’odio che per tanti anni aveva provato era diventato qualcosa di più forte e meraviglioso, ma che quel pensiero era una certezza solo per quanto riguardava i sentimenti di Draco?
Si preparò al peggio, strinse i pugni, portando le braccia al grembo.
-Entriamo?- chiese Harry, senza aggiungere altro.
-Sì.
Tutti e tre, a capo chino, in un silenzio religioso attesero che il quadro si spostasse e lasciasse loro la possibilità di entrare nelle Sala Comune.
Ginny salutò Harry, poi affiancò la riccia e la guardò.
Hermione si sentì trapassata da quello sguardo che non seppe interpretare e, per tutto il tempo che trascorsero a salire le scale, fu percorsa da una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
Non credeva che i suoi migliori amici avrebbero scoperto in quel modo la verità, non credeva neanche che l’avrebbero saputa, a dirla tutta, ma quel senso di disagio non la abbandonava.
Si sedettero ognuna sul rispettivo letto e, ancora una volta, si guardarono negli occhi.
Ad un certo punto, però, Ginny si alzò dal suo letto e si avvicinò a lei, inginocchiandosi in modo da poterla guardare negli occhi.
Il silenzio che ne seguì fu imbarazzante e pesante, mentre i sensi di colpa cominciarono a camminare lentamente intorno alle molecole vitali della riccia. Ingoiò  la paura che provava, paura di non essere compresa, di non essere più accettata, ma Ginny abbozzò un sorriso. –Herm… devi raccontarmi tutto.
-Non sei arrabbiata?
-Affatto… voglio solo capire.
-Non so da dove cominciare.
-Dall’inizio.
Hermione tirò un sospiro di sollievo, poi strinse la mano dell’amica. –Allora…
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Salve a tutte! Sono tornata…
Beh, sono un po’ dispiaciuta per i pochi commenti del capitolo scorso…
Era un capitolo di passaggio, forse un po’ noioso, ma mi è davvero dispiaciuto che molte di voi che io ritengo essere fedeli nelle recensioni non mi abbiano fatto sapere cosa ne pensano.
Non me la prendo con voi, che sia chiaro… probabilmente, il capitolo era anche un po’ bruttino.
Comunque, lasciamoci il passato alle spalle e pensiamo al presente.
“Rewind” è il capitolo che finora ho scritto con maggiore piacere, con maggiore entusiasmo e – a voi posso confessarlo- l’ho riletto e mi sono emozionata tantissimo.
Ora, spero che questo capitolo abbia lo stesso effetto su di voi e spero che torniate a recensire: siete voi che fate andare avanti questa storia e senza il vostro sostegno credo che non scriverei altro…
Bene, ora… ho pensato una cosuccia carina per voi: da questo in poi, dedicherò il capitolo alla prima persona che recensisce, perché per me siete importanti e dovete saperlo.
 
Questo non è stato affatto l’ angolo autrice, anzi… ha tutta l’impressione di essere un bel terrazzo con tanto di gazebo e tazze da tè xD
Scusate l’altro tempo che vi ho rubato e scusate la demenza gratuita.

Ringrazio le 206 seguite, le 63 preferite e le 35 ricordate.
Grazie a chi mi ha inserita tra gli autori preferiti e ai lettori silenziosi. Su ^^, non abbiate paura… fatemi sapere se la mia storia vi piace!
 
Alla prossima, la vostra Exentia_dream 

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Capitolo 17
*** Verità incerte ***


Verità incerte

 
 
 
Avevano continuato ad evitarsi nei corridoi e durante le ore di lezione che tenevano in comune, cercando di guardarsi il meno possibile per non cedere al desiderio di toccarsi e baciarsi come avevano fatto quattro giorni prima nella Stanza delle Necessità e come facevano ogni volta, da quella notte.
Eppure, nonostante sentisse il desiderio bruciarle dentro, la confusione che provava era ancora troppo forte per permetterle di capire cosa realmente provasse per lui, quindi, tornò alla lezione di Babbanologia e si concentrò sulle parole che giungevano alle sue orecchie: mano a mano, la voce di chi raccontava quegli importanti avvenimenti storici babbani veniva distorta dai suoi sensi che la trasformavano nella voce di Draco e, allora, la lezione divenne più piacevole ed Hermione cominciò a prendere appunti, tingendo d’inchiostro la sua pergamena ancora perfettamente pulita.
La mano scorreva veloce, scrivendo tutto ciò che il professore stava spiegando, mentre parte della mente era in tutt’altro luogo e si chiese come fosse possibile fare contemporaneamente due cose che non avevano nulla a che fare l’una con l’altra, come prendere appunti e ricordare.
Il suo profumo sembrava aleggiare in quell’aula piccola e colma di libri, così come il suono delle sue risate: quando sorrideva, Draco assumeva un’espressione che Hermione non aveva mai visto sul suo viso, perché somigliava ad un bambino felice ed innocente, con le fossette sulle guance e gli occhi illuminati.
Sorrise di quel ricordo, mentre il professore poggiò la mano aperta più volte e con forza sempre maggiore sul banco della Grifona. –Signorina Granger.
-Professore…
-Ho detto qualcosa che la diverte?
-No, professore.
-Allora perché sorride?
-Ero soprappensiero, mi dispiace.
-Torni alla lezione, signorina… o i M.A.G.O. non andranno precisamente come lei ha sempre desiderato.
Non era possibile che, poco alla volta, i professori diventassero sempre più severi, soprattutto con chi non meritava i loro rimproveri.
Guardò alla sua destra e trovò lo sguardo di Harry: stava cercando di studiarla, di capire cosa le stesse succedendo.
Da quelle sera nei corridoi, quando avevano trovato Ron stravaccato sul letto a fumare e da quando era stata scoperta a baciare Draco, non si erano più parlati e non sarebbe successo di nuovo chissà prima di quanto: lei era troppo impegnata tra lo studio per i M.A.G.O. e le ripetizioni con il Serpeverde, perciò, chissà Harry cosa stava pensando di lei.
Soprattutto, chissà se Ginny gli aveva raccontato qualcosa.
Gli rivolse un sorriso per tranquillizzarlo, quando il suo migliore amico aggrottò la fronte, e mi mimò un “Non preoccuparti” con le labbra, pur non essendo sicura che Harry riuscisse a capire.
Si sistemò sulla sedia e impugnò saldamente la sua piuma, concentrandosi solo sulle parole del professore ed allontanando dalla mente i ricordi di quelle sere che aveva trascorso con Draco e di quelle che avrebbe ancora trascorso con lui.
Chissà cosa sarebbe successo… chissà se, prima o poi, avrebbe chiarito con sé stessa, facendo ordine nel suo cuore che aveva davvero bisogno di una spolverata.
Un altro sorriso nacque sulle sue labbra, ma Hermione assunse la sua aria seria e attenta, intingendo la piuma nel calamaio.
 
 
 
 
 
Teneva la sua mano, fragile, piccola, profumata di muschio, tra le sue, vicino alla guancia e la guardava dal basso, visto che era seduto sul letto, mentre lei era in piedi, con la schiena poggiata al pilastro del baldacchino.
I capelli si erano scuriti: erano diventati di un castano leggermente ramato ed erano cresciuti tantissimo.
Il suo viso magro e bellissimo era solcato da lacrime che non riuscivano a smettere.
Theodore ancora non sapeva perché Daphne stesse piangendo, né aveva intenzione di chiederglielo, perché la loro amicizia si era sempre basata sul rispetto dei silenzi che venivano creati o rotti, a seconda delle circostante. E quello era il momento di tacere e di accollarsi il dolore dell’altra, semplicemente attraverso il tatto.
 La curiosità, però, lo logorava dall’interno, perché non sapere per quale motivo lei stesse soffrendo lo faceva sentire un inetto, un buono a nulla e, soprattutto, l’impossibilità di aiutarla gli faceva male, peggio di una maledizione, peggio del dolore che aveva avuto alle caviglie quando era stato legato come un salame: le corde bruciavano sulla pelle, la ferivano, ma quel dolore, rispetto a quello che provava quando vedeva Daphne piangere, appariva come la più dolce delle carezze.
Anche se in realtà sapeva bene perché l’amica fosse tanto disperata, ma aveva deciso che sarebbe stato meglio non  dare a lei la certezza che lui sapesse… anche perché era lui per primo a non credere a quel dolore: com’era possibile che Daphne fosse innamorata di lui?
Com’era possibile che il suo sogno si fosse realizzato e che non se ne fosse reso conto prima? Aveva aperto gli occhi più volte durante quel sonno, ma mai l’aveva trovata accanto ed ora eccola lì.
Era bella, ogni giorno di più.
La guardò mentre si levava dalla sua posizione e gli si piazzò di fronte, inginocchiandosi. –Non hai niente da dire?
-No.
-Allora, puoi andartene.
Quante volte era stato lui in quel pietoso cerchio della disperazione muta? Quante volte avrebbe voluto sentire una parola dolce da parte sua? Invece, aveva ricevuto solo silenzi, per sua scelta, perché mai le avrebbe chiesto aiuto.
-D’accordo.
Vide gli occhi di lei farsi grandi, le pupille dilatate dallo spavento, ma non si fermò: aprì la porta ed andò via.
Daphne rimase lì, in piedi, a guardare il vuoto che Theo aveva lasciato: non riusciva a muoversi, non riusciva a capire, non riusciva neanche più ad essere arrabbiata né con sé stessa, né con qualcun altro.
Avrebbe voluto prendere a pugni il muro, ma si limitò a stringere le mani, fino a far diventare le nocche bianche, poi, si sedette sul letto e respirò a pieni polmoni quanta più aria possibile: gli attacchi d’asma erano diventati più frequenti e proprio per questo aveva imparato a gestirli meglio.
Cercò di trattenere le altre lacrime che volevano uscire dagli occhi guardando in alto, verso il soffitto, ma il suo gesto non ebbe l’effetto desiderato: ancora una volta, quelle piccole gocce salate scivolarono lungo le sue guance, attraversando quei solchi che ormai erano impressi sulla sua pelle.
Non aveva mai pianto tanto in vita sua.
Sapeva che Theo l’amava, ma nonostante questo, i rifiuti che il giovane le stava regalando senza che lei l’avesse chiesto la ferivano, facevano male.
Continuò ancora un po’ a guardare il soffitto, poi chiuse gli occhi e si distese completamente sul letto, facendo combaciare in maniera perfetta la schiena con il materasso: il contatto morbido le regalò qualche istante di puro piacere, poi il dolore tornò.
 
 
 
 
 
 
Girava voce, nei corridoi, che Hermione e Draco Malfoy avevano messo da parte il loro odio, facendo di loro stessi qualcosa che non erano mai stati negli anni addietro.
La pugnalata più profonda, quella che aveva toccato il suo cuore, però, era stato sentire che tutto quello che facevano lo facevano insieme.
 
Insieme.
 
Non erano più la ragione e l’inconsapevolezza, il mare e il cielo, l’odio e l’amore, il sole e la luna: erano un’eclissi.
-Hai sentito, Ron?
-Cosa?
-Ho sentito dire che li hanno visti baciarsi.
-Beh? Buon per loro.
-Già… ce li vedo insieme quei due.
Dennis Canon si era avvicinato a lui, sorridendo vittorioso. –Cosa vuoi da me?
-Nulla. Ma… non ti sembra che qualcuno aveva già previsto questa cosa?
-Fanculo, Dennis.
-Sei per caso geloso, portiere?
-Affatto.
-Allora perché reagisci così male?
-E’ un’intervista, idiota?
-Ron.- intervenne Ginny. –Smettila.
-Di fare cosa?
-Quello che stai facendo… dove è finito mio fratello?
-Sono sempre lo stesso, Ginny.
-Non mi pare, sai?
-Io vado… ehm, ci vediamo ragazzi.
-Al diavolo, Canon.- dissero all’unisono i due fratelli, mentre il fotografo di Hogwarts si allontanava.
Si guardarono intensamente negli occhi. –Cos’hai da guardare?
-Non ti riconosco più.
-Non so cosa dirti.
-Dimmi perché sei diventato così?
-T’interessa davvero, Weasley?- il disprezzo nella voce.
-Credi di impressionarmi parlando in questo modo? Con questo tono di voce?
-Non sono affari tuoi.
-Dimmi dove è finito mio fratello.
-Non c’è più, Ginny. Se n’è andato. E’ morto, sepolto…  diventato polvere portata via dal vento.
-Mi fai pena, Ron.
Lo lasciò lì, in preda ai suoi pensieri: anche Draco era da solo, anche Draco non aveva parenti al suo fianco e stava bene ed era stato capace di far innamorare Hermione.
Ron avrebbe cambiato la rotta di quell’amore tanto sbagliato e lo avrebbe ricondotto a sé, nel posto più sicuro per lei: Hermione era sua e sarebbe tornata ad appartenergli.
Nessuno sarebbe stato capace di persuaderlo dalle convinzioni che si era creato e questo allontanava chiunque gli fosse accanto.
Persino Neville aveva dato di matto e lo aveva evitato accuratamente: dargli dell’idiota incompetente non era stato uno dei gesti più nobili che Ron aveva compiuto fino ad allora.
Si incamminò per i corridoi, diretto all’aula di Pozioni.
Quando aprì la porta la prima immagine che vide fu quella di Hermione che sorrideva a Draco Malfoy, con Draco Malfoy.
Non c’erano ombre nei suoi occhi, non c’era paura: sembravano brillare, nonostante il fumo della pozione creasse una leggera nebbia attorno ai due giovani.
Mai l’aveva vista così allegra nel periodo in cui erano stati insieme.
Si sedette al suo posto, accanto ad Harry e cominciò a leggere gli ingredienti che gli sarebbero serviti per la pozione.
Solo allora, mentre spostava dalla fronte qualche capello lasciato libero dal gel, capì cosa avrebbe dovuto fare: doveva dividerli.
Voleva averla vinta in ogni modo e non gli importava quanto fosse vile o cattiva la soluzione che aveva appena trovato.
-Vado a prendere le boccette…
-No, Harry, lascia. Vado io.
Aveva negli occhi la luce delle vittoria, la soddisfazione straripava dalle ciglia.
Harry scosse il capo e indirizzò uno sguardo lungo la traiettoria che lo avrebbe portato a guardare Hermione: sembrava felice, anche se ancora troppo confusa, ma avrebbe capito presto quale sarebbe stata, per lei, la strada giusta da percorrere.
Quando Ron tornò a sedersi, sembrava avere il mantello più gonfio all’altezza dei fianchi, ma Harry non diede peso a quel piccolo particolare e cominciò a versare gli ingredienti nel calderone.
 
 
 
 
Non aveva voglia di seguire alcuna lezione in quella giornata: sarebbe partito l’indomani e voleva godersi al meglio le ultime ore in quella scuola.
Sarebbe tornato, certo, ma quelle mura e quegli amici gli sarebbero mancati e non poco, ma un Natale più duraturo per lui e una caviglia slogata che gli impediva di camminare erano stati il regalo più bello per quell’anno.
Non aveva pensato neanche lontanamente di dedicare quei giorni di riposo per ripassare o magari studiare per gli imminenti M.A.G.O, bensì, si era prodigato ad immaginare quanto sarebbero state piacevoli le cure delle infermiere che lo avrebbero accudito, una volta giunta a casa.
Non avrebbe portato con sé neanche la valigia.
Si passò una mano sui pantaloni, per sistemare le pieghe della stoffa, poi tornò a dedicarsi all’arte che meglio gli riusciva in quel momento: fare niente, starsene sdraiato su un letto e respirare l’odore del dopobarba che aveva indosso: era più forte di quello che aveva sempre usato, ma proprio questo gli dava un odore da uomo.
Si sistemò sulla poltrona su cui era seduto, accanto al camino, nella Sala Comune di Serpeverde e guardò meglio il fuoco che bruciava il legno.
Poi, qualcuno entrò ed interruppe il flusso dei suoi pensieri: Theo aveva l’aria di uno zombie che scappava per nascondersi dalla luce del sole. –Che faccia.
-Sta zitto, Blaise.
-Cos’è successo?
-Sto bene.
-Non ti ho chiesto come stai… ti ho chiesto cos’è succe…
-Ho sentito cosa mi hai chiesto.
-Beh, allora rispondimi.
-Che ci fai tu qui?
-Torno a casa, per farmi curare.
-Capisco.
-Bravo.- disse con tono fintamente fiero.
-Mi prendi per il culo?
-Sì.
-Bene.
-Bene.
-Hai saputo?
-Cosa?
-Di Daphne.
-Cosa dovrei sapere?
Theo scosse il capo, dandosi mentalmente dello stupido: come avrebbe potuto Blaise sapere di quello che gli era successo se non glielo aveva raccontato?
Quello era un segreto, il suo segreto e lo avrebbe custodito con cura, lo avrebbe nascosto persino al suo compagno di sventura. –Che sta meglio.
-Ah sì, questo l’avevo notato, ma ultimamente la vedo sempre giù di morale.
Una stilettata al cuore, una pugnalata alle spalle. –Già…
-Sai il perché?
-No, non ci parliamo molto.
-Che strano rapporto che avete.
-E’ perfetto così.
Ed era vero: a parte la confusione che i baci di Daphne gli avevano creato, a parte la paura che gli avevano infuso, il loro rapporto era bellissimo.
-Devo andare:è ora.
-Buon viaggio.
-E buon Natale.
-Certo, anche a te.
-Se vedi Draco… lascia stare, gli manderò un gufo.
-D’accordo.
-Arrivederci Theo.
-Ciao.
Vide Blaise uscire attraverso il quadro e si guardò intorno: la Sala Comune era completamente vuota, silenziosa e pulita.
Restare da solo non era la cosa migliore per i suoi sentimenti, ma anche stare in compagnia non lo avrebbe aiutato molto, semplicemente perché non sarebbe stato in compagnia della persona con cui desiderava stare.
Avrebbe dovuto allontanarsi da lei e darle il tempo di capire che quello che credeva di provare per lui non era reale, era un riflesso dei sentimenti che aveva dovuto incubare nel suo cuore.
Lontana da lui lo avrebbe capito e gli sarebbe stata grata.
 
 
 
 
 
-Buonasera, Mezzosangue.
-Giù le mani, Furetto.
-E perché?
-Perché potrebbero vederci.
-Non fanno che parlare di noi, Granger, credi che se ci vedessero cambierebbe qualcosa?
-No, ma per il momento sono solo ipotesi, le loro.
-Se ci vedessero, avrebbero delle certezze.
-Esatto.
-E ti dà fastidio?
-Sì, perché la prima a non avere certezze su questo sono io.
La guardò, cercando di trattenere la delusione che sentiva nello stomaco e sorrise, con il solito ghigno stampato sul viso. –Allora, vai, Mezzosangue.
-Malfoy.- concluse semplicemente, congedandosi dalle sue braccia e dalle sue labbra.
Gli aveva solo sfiorato una guancia, ma non riusciva a spiegarsi perché lei fosse tanto diversa quando era in mezzo agli altri alunni e perché, quando erano da soli, sembrava che non riuscisse a fare a meno dei suoi baci.
Scosse il capo, mentre i dubbi si insinuavano nella sua mente: forse, bere il Veritaserum e parlare con lei non era stata una buona idea.
Dichiararsi lo aveva reso vulnerabile, lo aveva scoperto da quel lenzuolo di protezione che ricopriva il suo ego.
Continuò a camminare verso la Sala Grande e, anche se lo stomaco gli si era attorcigliato su sé stesso e gli era passata la fame, si sarebbe seduto al suo tavolo.
L’orgoglioso tra i due doveva essere uno ed era lei, ma su questo punto riusciva a capirla già e le avrebbe dato modo di restare da sola e capire, sciogliere la sua confusione.
Quando arrivò al tavolo, riempì immediatamente il calice posto poco distante dal piatto e bevve d’un sorso il liquido.
Si guardò intorno: molte persone quella sera non erano presenti a cena, ma nessuno di queste erano indispensabili per lui, a parte Blaise Zabini –ma decise che lo avrebbe cercato più tardi.
Primo tra quelli che non presenziavano era Ron Weasley, essere inutile e viscido: da quando le voci su lui ed Hermione avevano cominciato a popolare la scuola, il rosso era diventato quasi invisibile e, quando compariva, indossava dei pantaloni scuri di buona fattura e una camicia bianca sbottonata fino al secondo bottone, con i capelli tirati all’indietro dal gel e la postura dritta.
Non sapeva cosa gli fosse successo e neanche gli interessava saperlo, ma doveva ammettere che quei pantaloni avevano davvero un bel taglio.
-Blaise è partito, ha detto che ti manderà un gufo.
-E’ partito? E dov’è andato?
-A casa.
-Mh.
I suoi pensieri erano rivolti tutti a lei, però: era stato strano trovarla all’interno di quel dormitorio e provare quel senso di familiarità che non aveva mai provato, quella sensazione di reciproca conoscenza ultraterrena, eppure, quella era proprio la realtà che li aveva come protagonisti: si erano odiati per così tanto tempo che avevano imparato a conoscersi l’un l’altra, alla perfezione.
Solo lui conosceva i cambi di espressione della riccia, solo lui sapeva cosa leggere in quegli occhi, solo lui sapeva come farli parlare.
Era seduta al solito posto, accanto alla rossa, sorella di Ron, ma erano entrambe in silenzio, entrambe con il capo chino: sembravano chiuse in una conversazione mentale che riguardava solo loro due, ma Draco sapeva bene che non era così.
Di sicuro, Hermione stava scavando nella sua anima, per trovare una risposta.
La vide sorridere, mentre portava alle labbra il suo calice, poi la vide muovere la bocca, segno che aveva appena detto qualcosa.
Si sentì escluso per il fatto che non sapeva leggerle il labiale e perché da quella distanza non riusciva a sentire le sue parole e, soprattutto, era infastidito dal fatto di non sapere a chi fossero rivolte.
Solo quando vide Harry sporgersi sul tavolo che rivolgeva uno sguardo a Hermione e muoveva le labbra, Draco sentì calmarsi quel groviglio di leggera gelosia che sentiva attorno alle membra: era solo Harry Potter, il migliore amico della persona che aveva scelto di conoscere meglio e, magari, di avere accanto.
-Se ci fosse Blaise, ti direbbe che la stai fissando.
-Se tu fossi intelligente, sapresti che stai facendo una cazzata.
-Cosa intendi?
-Guarda lì.- disse, indirizzando lo sguardo dove era seduta Daphne: sorrideva, ma a malapena.
-Fatti i cazzi tuoi, Draco.
-Ovvio.
-Per te è stato tutto più facile: sei stato chiuso una settimana lì dentro.
-Vuoi provarci anche tu?
-No.
-Allora renditi la cosa facile e non rompere.
Theo calò lo sguardo sulle ginocchia, poi sorrise più a sé stesso che a Draco.
Intanto, il biondo era tornato a guardare Hermione: almeno, lei stava mangiando.
 
 
 
 
 
-Harry, ti prego.
-No,Ginny, questa volta no.
-Harry.
-Non facciamo altro che parlare di loro: non m’importa quello che vogliono fare, non m’importa neanche di Ron.
-Sei cattivo…
-No, sono realista: non siamo più io e te, in questa storia sono entrati Ron, Draco, Hermione… Lasciali in pace, Ginny: sono grandi, hanno la loro vita, prendono le loro decisioni…
-Come fai a parlare così?
-Credi che Ron si sia preoccupato di farci tornare insieme? Hermione ci ha lasciati sfogare, ma non ha fatto nulla per renderci le cose più semplici… lasciali vivere.
-E se sbagliano?
-Impareranno. Dai, vieni qui.- disse, allargando le braccia per accogliere il sole nel suo cielo: Ginny adorava suo fratello e i suoi amici, ma spesso era iper protettiva e questo infastidiva Harry quanto i nuovi atteggiamenti di Ron.
Scosse la testa: rimproverava Ginny di dedicare troppo tempo ai pensieri su Ron e poi era il primo a farlo.
Sentì il respiro di Ginny salire lungo il collo, come le carezze che le sue dita affusolate dedicavano alla schiena muscolosa del giovane.
Sentiva l’eccitazione crescere e allora sistemò la rossa a cavalcioni su di lui.
Ginny, intanto, aveva aggiunto altre dita alle sue carezze. –Che c’è?- gli chiese quando lo sentì ridere.
-Mi stai provocando…
-No… ti sto… invogliando.
-Qui?
-Sì…
-E’ un’aula…
-Vuota, con la porta chiusa.
-Può essere aperta.
-Solo con la magia.
-Ginny!
-Che c’è?
-Sei… perfida.
-No, ho solo voglia di fare l’amore con te…
Le tolse il maglione e le sbottonò la camicia, fino a che non riuscì a spogliarla del cotone leggero e la guardò totalmente rapito: la amava in ogni cellula.
Le sfiorò il seno, le spalle e le lasciò una lunga scia di baci sul collo, fino ad arrivare sulla stoffa del reggiseno. Lo spostò e dedicò le attenzioni più dolci alla pelle candida della rossa.
La sentì sospirare e la guardò negli occhi: non c’era pudore in quelle iridi, solo desiderio di appartenersi.
Continuarono a spogliarsi in alternanza, fino a che non si trovarono nudi uno tra le braccia dell’altra.
Harry la baciò con impeto, con prepotenza. –Stavo impazzendo…
-Già…
-Già…
Quando, finalmente, Harry entrò in lei, il mondo intorno sembrò sparire: entrambi dimenticarono di essere in un’aula chiusa dalla magia.
La completezza, la possessione aleggiava tranquilla e regnante all’interno dei loro cuori: nulla era più appagante e meraviglioso di fare l’amore con la persona che aveva sempre sognato di avere accanto.
Non era mai stata più contenta, più felice. Mai si era sentita più donna.
Le vennero i brividi quando ripensò ai giorni che si erano negati in quella separazione che li aveva solo uccisi, invece che fortificarli.
Chiuse gli occhi quando raggiunse il culmine del piacere, imprimendo le unghie nelle spalle di Harry. Il respiro era pesante, accelerato. –Ti amo.- la voce rotta dai sospiri.
-Ti amo anche io…
Si vestirono in fretta, poiché il freddo cominciava a farsi sentire, poi Harry l’abbracciò.
Ginny cominciò a ridere. –Ma ci pensi?
-A cosa?
-Siamo nell’aula di Storia della Magia.
-Mmh, finalmente qualcosa di interessante in questa materia.
-Quanto sei stupido, Harry.
-E tu sei bellissima.
La vide arrossire leggermente e sorrise.
Sentirono dei passi pesanti –forse erano più persone- avvicinarsi, così, decisero di uscire dall’aula e camminare come se niente fosse successo.
Il sorriso non spariva dai loro visi e, quasi subito dopo essere usciti dall’aula, incontrarono una decina di Corvonero che correvano verso il proprio dormitorio: erano divertiti, perciò Harry non si sentì in dovere di chiedere se fosse successo qualcosa di brutto.
-La smetti di sorridere?
-Non ci riesco: sono felice.
-Lo sono anche io, Harry… perché sono con te.- gli sussurrò all’orecchio, poi si avvicinò alla finestra.
Il cielo fuori erano pieno di stelle che brillavano e mettevano in mostra la loro bellezza e le nuvole erano lontane: durante la giornata non aveva nevicato neanche per un attimo, il sole aveva brillato alto, anche se il calore dei suoi raggi non era giunto, ma era stata una giornata meravigliosa.
-Bello.
-Cosa?
-Tutto.
-Hai perso qualche rotella?
-No, solo che è tutto bello da quando siamo tornati insieme.
La abbracciò, facendo aderire la sua schiena sottile al suo petto muscoloso, poggiando le braccia sui suoi fianchi.
Cercò di respirare il suo profumo solleticandole il collo con il naso.
Ginny sorrideva e lasciò libero accesso ai baci e alle coccole di Harry, poi si girò per guardarlo in viso: gli occhi verdi, finalmente, erano privi da ogni preoccupazione, da ogni paura.
Era felice anche lei per questo, perché finalmente avrebbero potuto vivere la loro storia senza ombre, senza minacce, con la libertà dell’amore che non aveva limiti.
 
 
 
Era da solo nel dormitorio e sorrise quando versò l’ultimo ingrediente nel calderone: ci sarebbe riuscito.
Ricordava bene dove teneva conservata la ciocca di capelli che si erano tagliati in segno di qualche stupido patto, prima che lei decidesse di lasciarlo: lo avevano fatto insieme a Harry e Ginny, una specie di promessa di amore eterno, uno stupido rito che andava di moda in quel periodo.
Ce l’avrebbe fatta e sarebbe stato di nuovo felice, insieme a lei.
Gli tornò in mente quella volta in cui, lui e Harry avevano bevuto la pozione che Hermione aveva preparato, mentre Mirtilla Malcontenta li osservava: era un’altra vita.
Gli mancavano quei tempi in cui tutto era facile, in cui Hermione gli era accanto.
Ora sembrava irraggiungibile, lontana, ma l’avrebbe raggiunta, prima o poi.
Si sistemò meglio sul pavimento, poggiando la schiena al letto di legno massiccio e osservò il cambiamento di colore della pozione.
L’odore era rivoltante e ne ricordò anche il sapore, la consistenza quasi gelatinosa e sentì lo stomaco rivoltarsi all’interno, ma cercò di allontanare il ricordo di quel tremendo sapore e chiuse gli occhi: avrebbe portato a termine quello che aveva deciso e si sarebbe ritrovato di nuovo al fianco di Hermione.
Ascoltare la discussione che lei e Draco Malfoy avevano avuto lungo i corridoi gli era servito a capire che la storia di cui tutti parlavano aveva delle basi poco solide e le pareti erano danneggiate da profondi solchi e, soprattutto, gli era servito a capire quali erano le paure di Hermione.
Non sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro, quanto tempo avrebbe impiegato nel dire certe cose, ma non sarebbe stato difficile imitare i suoi modi, i suoi gesti: la conosceva abbastanza bene.
E quell’abbastanza gli sarebbe bastato per realizzare il suo sogno.
Guardò fuori dalla finestra e vide che, ormai, fuori era buio: era ora di andare a dormire.
L’indomani o forse qualche giorno dopo, Ron avrebbe messo in atto il suo piano: aveva solo bisogno di sentire la fiducia in sé stesso pompargli nel cuore e pulirgli l’aria nei polmoni.
Lasciò scivolare le preoccupazioni fuori dal letto, così come faceva con Hermione ogni volta che voleva “affrontare l’argomento” oppure ogni volta che non aveva voglia di concedersi a lui, come lui voleva.
Scosse la testa e chiuse gli occhi, mentre il silenzio intorno occupava la sua mente: da un po’ di tempo, in realtà, il silenzio era diventato amico dei suoi giorni, delle sue notti, parte integrante di quel ragazzo che gli altri non riconoscevano più e che per primo non si riconosceva più.
Non c’era spazio nel suo cervello per i dubbi o per le paure: solo determinazione, solo lui e la voglia di tenere Hermione con sé.
Il sonno arrivò benevolo e in fretta e Ron si lasciò scivolare da esso sperando di non sognare: i sogni non gli erano mai stati simpatici, tanto meno quando gli facevano rivivere le scene raccapriccianti di Hermione e Draco insieme.
 
Insieme.
 
Insieme, mentre si sorridevano reciprocamente; insieme mentre si scambiavano dei gesti amorevoli, riservati solo a loro due; insieme mentre si baciavano in chissà quale posto.
Aveva bisogno di fumare, di sentire quel bruciore e quel prurito in gola che gli facevano venire le lacrime agli occhi, così lasciò il letto e si avviò verso l’armadio, dove teneva il pacchetto di sigarette.
L’accese con un colpo di bacchetta e aspirò a fondo, finché non si scottò le dita. Avrebbe voluto imprecare a voce alta, ma si limitò a dare un pugno al muro, come faceva da un bel po’ di tempo.
Tornò a sedersi sul letto, con la sigaretta in bilico tra il medio e l’indice, aspirando di tanto in tanto quel po’ che bastava per dargli prurito al palato.
Il tempo trascorse forse, troppo in fretta e, quando si rese conto di aver finito la sigaretta, di essere arrivato al filtro, la fece dissolvere grazie alla bacchetta.
Si stese ancora una volta, ma ancora una volta sentì il bisogno di allontanarsi dal letto, per sentirsi libero, al pieno della sue volontà: contrasse più volte i muscoli delle spalle, delle braccia e sorrise quando si rese conto che i muscoli rispondevano ai suoi comandi.
Sarebbe stata una nottata lunga e, forse, non l’avrebbe neanche trascorsa a dormire, ma poco importava: Hermione sarebbe stata sua. Sua.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Eccomi qui, con un altro capitolino di passaggio.
Il prossimo, beh, il prossimo… non posso anticipare niente, ma spero che aspetterete con pazienza e che mi farete sapere cosa ne pensate.
Ora, torniamo al mio angolino *.*, anzi al vostro…
Devo ringraziarvi infinitamente per il sostegno che mi avete trasmesso nelle recensioni del capitolo scorso e grazie perché mi seguite fedelmente, perché aspettate e non vi lamentate per i ritardi!
Sono così felice che voi leggiate questa storia, le idee sbucate dalla mia mente bacata e malata di Fanfiction, ma soprattutto sottoposta allo stress dell’esame di Maturità!!
Sono felice anche per me e per la mia VB: siamo stati ammessi tutti e tra pochi giorni cominciano gli esami *.*
Per questo, vorrei chiedervi di perdonarmi qualsiasi ritardo o mancanza… 

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Capitolo 18
*** E' solo l'inizio ***


E’ solo l’inizio…
 

 
 
 
-Cosa c'entra lui?
Era stata forse l’ultima domanda che aveva rivolto a Ron. Da troppo tempo non si rivolgevano la parola, ma poco importava visto che lui non era più quello che lei aveva amato. Non era neanche più la persona di cui lei era diventata amica.
Aveva sempre provato simpatia per Ron, e tenerezza per i suoi modi un po’ sciocchi e impacciati di essere e gestire le situazione, ma le cose erano cambiate e con loro era cambiato lui: non era cresciuto, non aveva riflettuto sui propri errori… era diventato l’anti-Ron.
 
-Vedi? Hai occhi solo per lui!
Durante l’ultima discussione, l’aveva incolpata, l’aveva ferita con le sue parole e il suo tono di voce: le sue domande erano comunque del tutto lecite, ma perché quella gelosia tornava quando lei aveva messo una pietra sulla loro storia. Ci avevano provato in tutti i modi, ma non aveva funzionato e quando avevano ritrovato l’equilibrio della loro amicizia, era andato tutto all’aria.
 
-Sei una traditrice.
Forse, più del silenzio che si erano dedicati in quei giorni, quello che faceva più male era il ricordo di un’accusa da cui lei non si sentiva di discernere: non aveva tradito nessuno, non lo avrebbe mai fatto.
Semplicemente, la situazione le era sfuggita di mano e purtroppo non aveva il potere di comandare i sentimenti.
Amava quel profumo di inverno ed era inevitabile che fosse così: ormai sarebbe stata questione di tempo, prima che anche il suo cuore le confermasse quelle ipotesi su cui ogni notte ricamava le sue idee. Non poteva farci niente… ma non riusciva a sentirsi in colpa più di tanto. Soprattutto, non verso Ron.
Decise di alzarsi dal letto e avvicinarsi alla finestra. Il Lago Nero era buio e la luna disegnata al centro delle sue acque era l’unica luce che dava un po’ di vita a quel panorama.
Non ricordava se fosse inverno o estate, perché la sua pelle non avvertiva né il freddo né il caldo. Stava bene nel suo pigiama, fuori dalle coperte, vicino alla finestra a guardare il Lago Nero.
Forse, intorno a lei non c’era niente.
-Herm?- no, qualcosa e qualcuno c’erano.
-Sì?
-Cosa stai facendo?
-Sto pensando.
-A cosa?
-Non lo so…
 
 
 
 
 
 
Non riusciva a dormire. Non sapeva bene cosa provasse in fondo allo stomaco: forse erano i sensi di colpa, forse era l’euforia o forse era semplicemente la fame, ma sapeva con certezza che niente l’avrebbe fermato.
Aveva un piano, studiato nei minimi dettagli e niente sarebbe potuto andare storto. Poi, gli avevano detto che se avesse creduto tanto in qualcosa, il suo desiderio si sarebbe arrivato, prima o poi.
Ma lui non aveva tempo di aspettare quel “poi” e il suo “prima” sarebbe dovuto essere subito.
Hermione gli avrebbe dovuto rendere conto di tante cose e gli avrebbe dovuto chiedere scusa perché sicuramente nella sua mente lui era stato paragonato a Draco Malfoy.
Cosa aveva quell’essere che lui non aveva? Cosa?
Ghignò per un istante, poi si girò nel letto. La Polisucco era pronta e lui ne avrebbe approfittato: l’indomani sarebbe stato davvero il momento perfetto.
 
 
 
 
 
 
Il sole brillava alto nel cielo e tutti gli alunni di Hogwart sembravano tirare un sospiro: l’aria era leggermente più calda rispetto ai giorni scorsi e forse avrebbero potuto prendere una tregua dallo studio per i M.A.G.O.
Anche Draco sembrava beneficiare di quel calore, perché le ricordava Hermione.
Erano giorni che non riusciva nemmeno a parlarle e non riusciva a capire il perché lei lo evitasse, ma aveva associato quella mancanza al fatto che lei fosse troppo ligia alle regole, allo studio e che se non avesse ottenuto il voto massimo ai M.A.G.O. avrebbe sicuramente tentato il suicidio.
Osservò meglio i corridoi e la vide parlare con Harry Potter e non si preoccupò di essere visto: in fondo, Potter e la sua amichetta li avevano visti baciarsi.
-Granger?- lei lo guardò prima con aria di disprezzo, poi si voltò di nuovo verso il Salvatore del Mondo Magico. –Granger?
-Cosa vuoi?
-Sei impazzita?
-No, ti ho chiesto cosa vuoi?
-Posso parlarti?- un sopracciglio alzato, in segno di incredulità: chi era quella ragazza di fronte a lui? Non era la sua Granger, non lo era per niente.
-Appena avrò un po’ di tempo.
-Mi pare che ultimamente tu abbia tempo per tutto e tutti, tranne che per me.
-Credi che dovrei?
-Sì, dopo quello che c’è stato!
-E cosa c’è stato?
Notò che anche Harry Potter sembrava stralunato e se ne andò salutandoli con la mano e un’alzata di spalle. –Parli sul serio?
-Certo, Draco.
-Cosa c’è che non va?
-Tu. Il mio problema sei tu.
-Ah, davvero?
-Sì, davvero.
-Capito. Ti aspetto al solito posto.
-Noi non abbiamo un solito posto, Malfoy. Noi non abbiamo niente.
-D’accordo Mezzosangue: non abbiamo niente… mettila così.
-Sicuramente.
-Vaffanculo.
Se n’era andato stringendo i pugni per evitare di colpire qualcosa, ma sapeva che c’era qualcosa di strano.
Non sapeva cosa si provasse ad essere lasciato, anche se non stavano insieme perché la situazione in cui si trovavano era di stallo e di incertezze… quello che però non capiva, più di tutto, era il modo in cui Hermione aveva deciso di porre fine a quello che erano.
Sentì la rabbia salirgli su per la gola e ingoiò a fatica quel nodo che si stava formando all’altezza delle corde vocali.
Il sole di quella mattina sembrava non fare più luce.
 
 
 
 
 
 
Sentiva ancora nel cuore il peso della delusione che aveva letto negli occhi della persona che amava: occhi grandi, occhi che lo volevano, che gli chiedevano di restare.
O forse, era lui che voleva leggere quelle parole in quegli occhi.
Ancora una volta Daphne era di fronte a lui e gli tendeva la mano.
-Sono stata giorni chiusa lì dentro e ho capito che avevi ragione: ero arrabbiata e volevo un po’ di conforto; avevo bisogno di sapere che nella mia vita c’è un’ancora sempre salda a cui aggrapparmi.
Il cuore si fermò e gli parve di sentirlo cadere in un tonfo sordo: non si ruppe, semplicemente perché era pieno di lei.
Tuttavia, quelle parole lo ferirono e indossò la solita maschera. –Visto? Te l’avevo detto…
-Sì, l’avevi detto.- gli occhi di Daphne però erano colmi di bugie e questo Theo non l’aveva visto.
Non era più lì con lei, ma non sapeva quanto anche lei si stesse perdendo nel suo stesso pensiero, nel desiderio di abbracciarlo forte e dirgli che quelle erano solo parole, che la verità dei suoi sentimenti era ben diversa.
-Allora ciao.
-Sì, ciao.
Era rimasto solo, come sempre… ma questa volta non aveva nemmeno la compagnia del suo battito cardiaco.
Però era felice: felice di non aver ceduto a quei baci e non averle fatto capire quanto in realtà lui l’amasse. Sarebbe stato imbarazzante e sicuramente più doloroso sentire quelle parole dopo aver dichiarato il suo amore per lei.
 
 
 
 
 
-Ehy, hai dormito almeno un po’?
-No.- non vedeva Ginny da quando si erano lasciate a colazione ed era ormai pomeriggio inoltrato. Per la prima volta aveva saltato le lezioni e provava uno strano senso di incompletezza.
-Non avevi sonno?
-Non lo so… ho solo una strana sensazione.
-E perché? Oggi ti ho vista in forma.
-Oggi?
-Sì.
-In realtà, sono solo andata in biblioteca a prendere un libro.
-Sì, ti ho vista. Ti ho vista mentre parlavi con Harry.
-Io non ho parlato proprio con nessuno.
-Allora devo averti confusa con qualcun’altra: quando vedo dei capelli ricci li associo a te, quindi…
-Sì, sicuramente ti sei confusa.- nella sua mente e nel suo stomaco quella strana sensazione che l’aveva accompagnata durante la notte precedente si amplificò.
-Va tutto bene, Herm?
-Sì.- mentì. Sapeva di non saperlo fare bene, ma aveva imparato che tenere gli occhi alti teneva in piedi una bugia, perciò si limitò a guardare la sua amica, senza abbassare lo sguardo.
-Vuoi che ti porti qualcosa?
-No, sto bene.
-D’accordo.
-Ah, Ginny…
-Sì?
Doveva parlarle del fatto che le sembrava strano che la sua migliore amica l’avesse scambiata per qualcun altro? Doveva dirle che davvero lei non aveva parlato con Harry? –Niente, lascia stare.
-Sicura?
-Sì, tranquilla.
Quando Ginny uscì dal dormitorio, si affollarono mille dubbio nella sua mente.
Non era mai stata diffidente, ma stare in compagnia di Draco le aveva insegnato che non bisognava mai fidarsi di nessuno, soprattutto se c’era un interesse di qualsiasi tipo.
Tornò a stendersi sul letto, mentre il mal di testa non le dava tregua: stava davvero male, altrimenti non avrebbe saltato le lezioni, ma non era il dolore fisico che le pesava.
C’era qualcosa in tutta quella situazione che le suonava strano, che non la convinceva e su cui i suoi sospetti stavano costruendo un solido edificio.
 
 
 
 
 
Non c’era molto da fare, a parte ascoltare le noiose lezioni dei professori, ma era sicuramente meglio che farsi domande sul perché Ron non fosse presente in aula.
Più di tutto, gli sembrava strano che Hermione fosse di fronte a lui e fosse così assente. In realtà, gli era sembrato strano anche il modo con cui si era rivolta a Malfoy: non sapeva se fosse successo qualcosa tra loro, ma sapeva che lei non si sarebbe mai rivolta così a nessuno.
C’era qualcosa che non andava in lei. Anzi, c’era qualcosa che non andava in tutti… ma cosa poteva farci? Un bel niente, per questo decise di prestare attenzione agli ingredienti che avrebbe dovuto usare per preparare la sua pozione: un brutto voto non avrebbe fatto bella figura nel curriculum di chi avrebbe dovuto salvare il mondo.
Intanto, però, il pensiero di Ginny che sorrideva mentre facevano l’amore gli riempì la mente e ancora una volta si ritrovò a chiedersi come aveva potuto perdere tanto tempo ad illudersi di poter andare avanti senza di lei.
Harry Potter era bravo a nascondere i sentimenti, a far finta che le cose andavano bene quando invece tutto intorno a lui stava crollando, ma Ginny gli aveva insegnato che mostrare debolezza non significava essere deboli, bensì significava avere il coraggio di ammettere che non si era perfetti.
Per questo l’amava, per questo si sentiva completo solo da quando era tornato con lei: quel vuoto che avvertiva prima nell’anima, quella paura di stare male non valevano quanto un suo sorriso, perché vederla ridere e vederla felice valeva molto, ma molto di più.
Quando finalmente la lezione finì, si precipitò fuori dall’aula per abbracciarla.
L’aveva vista mentre si fermava lì fuori ad aspettarlo e in quel momento i minuti sembravano scorrere più lentamente.
La baciò con impeto e le sorrise. –Ciao.
-Harry… quanto slancio.
-Mi sei mancata.
-Ci siamo visti a pranzo. Sei diventato troppo sdolcinato, Harry. C’è qualcosa che devo sapere.
-Ciao- Hermione li salutò.
Ginny guardò la figura di quella ragazza con gli occhi fuori dalle orbita: chi era quella?
-Ciao, Herm.
-Harry.
-Sì?
-Chi è quella?
-Hermione.
-No: Hermione è nella sua stanza.
-No, era qui.
-Harry, ho appena parlato con lei, credimi. Chi è quella?
-Ginny, ha gli occhi di Hermione, i capelli di Hermione, tutto di Hermione… è per forza lei.
-Credi che sia impazzita, Harry? Ti dico che non è lei.
-Certo che lo è.
All’improvviso Ginny fu illuminata da un’improvvisa folgorazione e capì che la matematica non era un’opinione, perché due più due faceva sempre quattro e che se quella non era Hermione doveva essere qualcun altro. Per forza. -Dov’è Ron?
 
 
Stava camminando per i corridoi che l’avrebbero portata alla Stanza delle Necessità: aveva ancora il compito di dare ripetizioni a Draco, nonostante lui non ne avesse bisogno.
Si scontrò con qualcuno che non le chiese neanche scusa e quando si voltò per richiamarlo, notò che era Draco. –Malfoy.
-Cosa vuoi?
-Mi hai urtata.
-E allora?
-Dovresti chiedermi scusa.
-Per cosa? Per essere stato sincero con te? O perché urtandoti ho intaccato il tuo orgoglio Grifondoro?- Hermione non capiva. –Ah, no… sicuramente ti sei offesa perché visto che tra di noi non c’è stato niente, urtarti è stata una vera mancanza di rispetto.
-Cosa stai dicendo?
-Che è stato uno sbaglio… anzi, sai cosa ti dico? Quella sera non ho bevuto il Veritaserum: ti ho mentito. Hai visto com’è stato facile? E complimenti anche a te, Granger: sei una brava attrice.
-Mi spieghi cos’hai?
-Cos’ho? Vaffanculo Mezzosangue.
Erano passati i minuti e le ore e i giorni.
Intanto, in un modo o nell’altro era stata una settimana difficile e lei e Draco si erano allontanati: lui non la guardava più e lei lo faceva di nascosto. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, a quando non si conoscevano, a quando non si volevano.
Era stato lui a ferirla più di Ron.
 
 
 
 
-Ron?
-Sì.
-Come ti è venuto in mente di farti passare per Hermione?
-Cosa stai dicendo,Harry? Hai battuto la testa?
-No. Io e Ginny abbiamo capito tutto.
-Certo che avete proprio una bella fantasia.
-La fantasia malata ce l’hai tu, Ron. Cosa credevi di ottenere?
-Fatti i cazzi tuoi, Harry Potter. Non credere che perché sei il Salvatore del Mondo Magico puoi decidere della vita di tutti noi: ognuno fa quello che crede giusto e tu non sei nessuno per farmi la predica.
-Stai sbagliando, Ron… non è così che tornerai con lei.
-E cosa dovrei fare, eh? Fare come te? Nascondermi dietro la scusa di non volerla farla soffrire e stare a guardare mentre lei si rifà una vita? No, Harry: io non sono come te. Voglio lei e me la riprenderò.
-Sei patetico, Ron.
-Dovrei chiamarmi Harry Potter per esserlo.
-D’accordo, chiudiamo questa discussione… ma ricorda una cosa, Ron: sei a tanto così dal rimanere da solo.
Ron ancora non sapeva quanta ragione avesse Harry. Ancora non sapeva che anche Ginny l’aveva odiato.
Quello che però sapeva era cosa si provava ad essere l’artefice di un piano tanto infimo: voleva che la storia tra Draco e Hermione finisse e avrebbe fatto di tutto.
Avrebbe anche continuato a prendere la Polisucco per l’eternità se questo sarebbe servito.
E magari, avrebbe portato Hermione lontano da lì… così sarebbe stato sempre con lei, così lei non avrebbe potuto pensare più a Draco Malfoy, né alle loro ripetizioni, né alla settimana di esilio, né allo sguardo che si erano scambiati sugli spalti durante la partita di Quidditch.
Sorrise soddisfatto, mentre tutto intorno a lui perdeva nitidezza nei contorni. La sua vendetta era cominciata e nessuno l’avrebbe dissuaso dal fare quello che realmente voleva.
Draco Malfoy non avrebbe più riso di lui, Hermione Granger non l’avrebbe più guardato con disprezzo, Harry Potter avrebbe cambiato idea sul suo conto e tutta la scuola lo avrebbe ammirato e per una volta si sarebbe sentito importante e conosciuto come il suo amico con la cicatrice a forma di saetta sulla fronte.
 
 
 
Angolo Autrice:
Perdonatemi, vi prego.
Sono passati mesi,forse secoli e millenni… ma il capitolo è qui e per quanto sia di passaggio, ha comunque qualcosa di importante.
Le cose si stanno davvero mettendo male e non miglioreranno. Forse.
Non so quante di voi stiano ancora seguendo questa storia, non so chi la commenterà ancora e mi dispiace che il capitolo sia breve, ma ho preferito comunque postarlo piuttosto che farvi restare in attesa.
Spero che il capitolo vi piaccia e spero di potervi ringraziare in tante.

Ringrazio ancora tutti i preferiti, le seguite e le ricordate. Siete davvero voi che ispirate le mie storie, perciò vi chiedo di non abbandonarmi.

Un bacio, la vostra
 
Exentia_dream

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Capitolo 19
*** Frasi sconnesse di discorsi lontani... ***


Frasi sconnesse di discorsi lontani…

 
 
 
 
C’era qualcosa in lei che gli era sembrata subito fuori luogo… forse erano stati gli occhi, che non erano dello stesso colore e della stessa intensità dell’ultima volta che li aveva guardati; forse era stata la sua voce che non era mai stata così tagliente, nemmeno in un passato in cui si erano odiati e che sembrava tanto lontano; forse era stato semplicemente il fatto che quella era la verità e lui non voleva accettarla.
Fatto stava che si sentiva ferito per quello che Hermione gli aveva detto, per quello che lui aveva detto a lei, soprattutto, però, si sentiva ferito per quello che provava: ancora una volta si era ritrovato a ripetere a se stesso che non erano stati insieme, che lei aveva avuto ragione quando aveva detto che tra loro non c’era stato niente.
 
Niente.
Come poteva pensare che quello che c’era stato fosse stato niente? Era poco, ma non niente.
E poi il suo comportamento strano nei corridoi che portavano alla Stanza delle Necessità..
Da un po’ pensava che c’era qualcosa in lui che non andava- un duro colpo per il suo ego-, ma sarebbe stato bravo a non farlo vedere all’esterno: sarebbe rimasto il solito Draco Malfoy, con il viso cereo e serio.
Sarebbe a breve arrivato il Natale e lui sarebbe tornato a casa. Per una volta si sarebbe davvero sentito a casa, davvero parte di quelle stanze: Malfoy Manor era perfetto e splendente nella sua facciata, ma dentro e soprattutto nei sotterranei c’erano spazi bui e pezzi di intonaco che cadevano qui e li.
 
Stronza.
Era davvero stata una stronza a dirgli quelle cose, ma lo era stata di più quando aveva finto di non ricordare niente.
L’aveva mandata via nel modo meno appropriato alla situazione, ma in altri casi aveva fatto peggio: qualche bacio, un po’ di strusciare di lenzuola, lo spuntare dell’alba e addio.
Il punto però era che lei per lui non era gli altri casi.
Gli sarebbe servito un po’ di calore, un po’ di miele.
Un po’ di Nutella.
Ci pensò su qualche istante e sorrise al ricordo di quella settimana trascorsa in chissà quale ala di Hogwarts- un bellissimo, stupendo, meraviglioso esilio-, ma il sorriso si spense quando, scorrendo i ricordi, arrivò a quella maledetta mattina.
-Accio Nutella. Accio cucchiaio.
Doveva tenersi leggero per gli allenamenti, ma qualche cucchiaiata di cioccolata non gli avrebbe di certo stroncato la carriera.
Aspirò il profumo della Nutella, affondò il cucchiaio nella dolce morbidezza che aveva assaggiato mesi fa e ne assaporò il gusto: non era lo stesso sapore, non era la stessa cremosità… non era quel gusto che aveva provato quando l’aveva assaggiato con lei.
Forse era a causa della mancanza di Hermione. O forse aveva semplicemente sbagliato il nome della cioccolata.
 
 
 
 
 
Aveva bisogno d’aria per schiarirsi le idee: non sapeva cosa fare, da quale parte schierarsi, perché quando di mezzo c’era l’affetto era sempre difficile scegliere e non importava chi avesse ragione e chi avesse torto… sapeva che in amore e in guerra tutto era lecito, ma quello che aveva fatto Ron era davvero troppo.
D’altro canto, l’aveva fatto perché non voleva perdere Hermione, perché la voleva con sé a tutti i costi. L’aveva fatto perché amava quella ragazza che in quel momento della sua vita non aveva bisogno della corte di nessuno, data la confusione che le riempiva il cervello.
E, a proposito di amore, pensò a Harry: ancora una volta lo aveva trascurato perché si preoccupava troppo di preoccuparsi per suo fratello e non era giusto: in principio, erano Ginny e Harry, poi si era aggiunto Ron, poi Hermione e infine- tanto per mettere un po’ di caos in quel disordine totale- Draco Malfoy e il loro duetto d’amore non era più un segmento chiuso tra due punti: era un pentagono.
Ginny non amava la geometria e non le piaceva sentirsi un puntino, soprattutto se questo significava far parte di un disegno per lei alquanto complesso.
Quando guardò il luogo in cui era seduta si sentì immediatamente fuori posto, però era lì che tutto era ricominciato e allora quel posto era entrato nel suo cuore, era diventato importante.
Era piovuto durante la notte e negli spogliatoi l’umidità sembrava insidiarsi nelle ossa e un po’ faceva male, ma, nonostante il fatto che il freddo pungesse, la piccola Weasley decise di restare lì ad aspettare il suo Harry.
Il tempo passava e l’odore di rugiada e di erba bagnata aveva riempito gli spogliatoi e anche i suoi polmoni e se ne beò, perché a parte il freddo, a parte la pioggia, a parte l’umidità, a Ginny piaceva l’inverno.
Si ricordò del suo bisogno d’aria, ma sapeva che seppure fosse uscita di lì l’avrebbe avvertito: quella voglia di respirare era dovuta ad una mancanza, certo, ma non alla mancanza d’aria. Non c’era bisogno di troppi giri di parole e pensieri e ricordi per sapere che solo Harry sarebbe riuscito a calmare quel bisogno di aria pura.
 
 
 
 
 
-Ho un compito da affidarti.
-Cosa vuoi, Canon?
-In realtà, è un favore che devo chiederti.
-Cosa c’è?
-Prima devi dirmi di sì.
-Canon…
-Dici sì.
-Canon…
-Dici sì.
-Canon.
-Ti prego!- gli occhi da cucciolo abbandonato e le mani sistemate in una muta preghiera.
-Canon!
-Tipregotipregotiprego!!
-D’accordo.
-Scrivi per me.
-Cosa?
-Sì. Silente mi ha chiesto di organizzare una festa in onore dei M.A.G.O. e io scatterò le foto, tu scriverai, qualcun altro penserà al cibo…
-Che genere di festa stai mettendo su? Hogwarts diventerà un bordello a luci rosse?
-Sarebbe bello, ma purtroppo non è possibile: ci saranno anche i professori e Silente.
-Capisco.
-Allora, ci vediamo domani per discutere riguardo a quello che dovrai scrivere.
-Prima ne parlerò con Silente…
-Non mi credi? Non ti fidi di me?
-Affatto, Canon.
L’idea di potersi dedicare ad altro, con la possibilità di accantonare un po’ il casino che le scoppiava nella testa, l’allettava, ma credeva che dietro ci fosse qualcosa di più losco e meschino: Hermione non aveva dimenticato quello che era stato scritto sulla Gazzetta.
In realtà, ne aveva una copia custodita nel suo baule e di tanto in tanto la riprendeva per vedere se qualcosa era cambiato dalla prima volta che aveva letto quell’articolo, ma lo faceva soprattutto per rivivere in un modo lo sguardo che si erano scambiati durante quella partita. E sì, sì era la risposta alla sua domanda: i suoi sentimenti verso quella notizia erano decisamente cambiati, perché inizialmente si era infuriata, fino a diventare indifferente, ma con il tempo quell’indifferenza si era trasformata in interesse, curiosità, fino a diventare confusione.
Era iniziato tutto da lì, da quelle maledette parole, che sembravano tanto uscite da una profezia.
 
-Non andare via.
 
Il ricordo di quella frase le riempì i pensieri come un lampo in una giornata di piena estate. Un ricordo improvviso, bellissimo. Doloroso.
Una volta, Draco le aveva chiesto di non andare via, di restare e poi l’aveva baciata. E qualche sera prima aveva esattamente fatto il contrario: l’aveva mandata via volontariamente, l’aveva allontanata e a stento le rivolgeva uno sguardo.
Cos’era cambiato?
Non era difficile credere che per lui fosse stato solo un gioco, come non era difficile credere che qualcosa li aveva legati ma era andato a finire e lui non provava più niente nei suoi confronti: in fondo, si erano odiati per tanti anni e dopo una settimana di esilio si erano sentiti attratti l’uno dall’altra, quindi era anche possibile che lui avesse di nuovo cominciato ad odiarla.
O peggio ancora: magari l’aveva sempre odiata, ma aveva semplicemente deciso di usarla a suo piacimento.
 
 …ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.
 
Anche se Hermione davvero non riusciva a capire quali benefici Draco aveva tratto da quella situazione: volente o nolente, avrebbero dovuto studiare insieme, quindi non c’era nessun motivo apparente per il quale lui avrebbe dovuto usarla.
Oltretutto, comportandosi in quel modo aveva comunque sporcato il suo orgoglio Purosangue e questo non era affatto un beneficio per lui.
Hermione scrollò le spalle e si avviò verso l’ufficio del Preside: avrebbe scritto qualsiasi cosa, ma voleva la conferma che tutto quello che aveva detto Dennis fosse reale e non un modo infelice per cavare qualche informazione.
Camminava lentamente, ma una vocina dentro di lei le diceva di andare più veloce. In realtà era lei stessa ad imporsi quel pensiero, perché sentiva sempre più vicino il profumo dell’inverno.
Non era la neve sui davanzali della scuola e nemmeno le pedate ancora umide di pioggia lasciate nei corridoi… era un inverno diverso, un inverno che c’era anche d’estate.
Continuava a camminare, ad allontanarsi, ma era come se l’inverno la seguisse, perché il suo odore era sempre più vicino, fino a che non lei non entrò in quello sprizzo di minuscole gocce di profumo.
-Stai inquinando la mia aria.
-Sei tu che mi sei venuto incontro, Malfoy.
-Non ti ho chiesto nessun parere.- disse, spostandosi con violenza da lei.
Non c’era davvero niente più su cui illudersi: erano tornati quelli dei primi anni a Hogwarts.
Quando si ritrovò di fronte alla porta dell’ufficio del Preside, Hermione bussò con la fretta di chi è inseguito e ha paura di soccombere.
-Avanti.- la voce calda e rassicurante di Silente.
-Professore…
-Oh, prego, accomodati Hermione: ti stavo aspettando.
-Grazie.- si sedette e incrociò le mani: si sentiva impacciata quando era di fronte a qualcuno più anziano e intelligente di lei, perciò rimase in silenzio.
-Per quale dei tanti motivi per cui saresti dovuta venire sei qui?
Non capì a quali altri motivi il Preside facesse riferimento, ma se anche ce ne fossero stati altri, lei non li conosceva. –Per la festa che è stata assegnata a Dennis Canon.
-Bene. Sì, gli ho chiesto di organizzare una festa: durante una settimana, sono andato a Londra, in visita ad un caro amico e ho partecipato al diploma di suo nipote e mi sono molto divertito e commosso. Mi sono chiesto: “perché non festeggiare anche ad Hogwarts?”
-Non credo che gli altri studenti approverebbero.
-Non ho chiesto il loro consenso, Hermione: sono il Preside.
-Già…
-Quale compito ti ha affidato Dennis Canon?
-Scrivere una specie di discorso.
-Non ci sarebbe stato un compito più appropriato.
Bussarono alla porta e Silente rispose, indossando ancora il dolce sorriso che aveva tenuto durante tutta la conversazione. –Avanti.- e quando qualcuno si affacciò alla porta, lui fece segno con la mano di entrare.
-Arrivederci, professore.- Hermione si incamminò verso la porta e lanciò un debole saluto al professore di Pozioni.
-Cosa c’è ancora, Silente?- sentì, mentre chiudeva la porta.
Sapeva che era sbagliato origliare, ma la curiosità prese il sopravvento e allora tese le orecchie. –I M.A.G.O. si stanno avvicinando.
-Lo so.
-Hai pensato a quello che ti ho detto?
-Non ho cambiato idea: non permetterò che tu veda nei suoi ricordi.
-Deve pur capire quello che sta provando.
-Le cose andranno come devono andare, senza il nostro aiuto.
Non capì di cosa né di chi i due uomini stavano parlando, ma capì che aveva sentito fin troppo e non volle ascoltare nessun’altra parola, così si allontanò dalla porta e si avviò verso la Sala Comune di Grifondoro.
 
 
 
 
Voleva trovare ogni modo possibile per ferirla, proprio come lei aveva fatto con lui e sapeva che rinfacciarle la sua provenienza sociale e discriminarla tanto le avrebbe fatto male.
Non era stato difficile tornare ad essere se stesso, quindi magari quell’interesse che credeva di provare per lei era solo il riflesso del troppo tempo trascorso insieme.
Draco Malfoy faceva tante ipotesi, credeva di sapere tante cose… quello che però non sapeva era che in lui era scattato un meccanismo di difesa: attaccare per non essere sconfitto, parlare per non sentire il silenzio dei propri pensieri, scappare per non essere abbandonato.
 
-Ti mancherà, lo sai?
 
Le parole di Blaise si affacciarono alla sua mente e in quel momento seppe dare una risposta a quella domanda che una risposta ce l’aveva già al tempo in cui fu posta: sì, Hermione gli sarebbe mancata, ma questo non gli avrebbe impedito di andare avanti.
In fondo, lo aveva detto anche lei: tra loro non c’era stato niente, niente su cui poter piangere e costruire patetici “sarebbe potuta andare in un altro modo”.
 
-Cosa c’è che non va?
 
Era quella la domanda che, nonostante l’orgoglio e la determinazione a non pensarci e ripensarci, Draco continuava a porsi: si era sbilanciato e lei sembrava essere sul punto di fare lo stesso, sembrava essere sul punto di lasciarsi andare… poi, era tornata indietro.
Non sapeva come funzionasse una storia seria, ma si era sempre in due e a parer di logica non era giusto che uno stesse fermo e l’altro si muovesse: se si camminava, si camminava insieme; se si rideva, si faceva insieme.
Perché per loro le cose non sarebbero dovute andare così?
Ecco, era arrivato: il patetico “sarebbe potuta andare diversamente”.
 
-Tu. Il mio problema sei tu.
 
Forse il problema, però, era davvero lui.
Possibile che avesse frainteso i suoi comportamenti? Le sue parole? I suoi baci?
Eppure, Hermione sembrava così spontanea quando era con lui- a parte l’imbarazzo iniziale. Sì, doveva per forza essere così: l’esilio lo aveva rintronato e lui aveva cominciato a vedere cose che non c’erano.
 
 
 
 
-Ne hai parlato con lui?
-Sì, gli ho detto che aveva ragione: era tutto dettato dalla rabbia.
-Ma è così?
-Certo che no, Pansy… diresti mai a Draco che sei ancora attratta da lui?
-No.
-E’ più o meno la stessa cosa.
-Ma tu ne sei innamorata.
-Questo a lui non interessa.
-Dovrebbe.
-Sì.
Daphne guardava dritta davanti a sé, per impedirsi di piangere.
Rifletté su quello che le stava intorno e soprattutto sulla persona con cui stava parlando: Pansy Parkinson non era una delle sue migliori amiche, ma in quel momento rappresentava per lei una via di scampo dal dolore.
Aveva bisogno di parlare, di avere un parere esterno e di certo non avrebbe potuto parlare con Theo di quello che provava.
Theo il suo migliore amico, Theo che l’aveva aspettata per settimane fuori la porta del dormitorio, Theo che spesso taceva, Theo che l’aveva rifiutata.
Era tante cose, Theo, per lei… ma lui non lo sapeva.
Non era da lei piangersi addosso e non l’avrebbe fatto, ma venivano giorni in cui non ce la faceva a sopportare quel dolore- dovuto all’umiliazione e al fatto che Theo non l’avesse capita- e allora smetteva la sua maschera e si lasciava andare ad un pianto liberatorio che, in realtà, la incatenava ancora di più al suo dolore.
Sarebbe passata, lo sapeva e lo ripeteva come un mantra. Ma se non fosse successo?
Quello sì che sarebbe stato un bel problema, ma ci avrebbe pensato poi e se quel problema si fosse presentato.
 
 
 
-Ciao, sono Theodore Nott.
-Daphne Greengrass.
-La sorella di Astoria?
-Sì.
-Benvenuta ad Hogwarts.
-Grazie.
-Se hai bisogno di aiuto o hai paura di perderti, puoi venire a chiedermi aiuto.
-D’accordo.
 
Si chiedeva spesso come da un semplice “ciao” le cose potessero cambiare: l’evolversi del loro rapporto era stato oltremodo impressionante: non che dall’odio profondo erano passati all’amore, ma perché si erano sempre amati da amici ed ora lei si ritrovava ad essere innamorata di lui e una parte del suo cuore sapeva di essere ricambiata.
Quello che Daphne non capiva era come mai in una parte di lei c’era quella certezza, visto che lui non dava segni né conferme ai suoi pensieri.
-Domani c’è la partita.
-Sì?
-Il solito: Serpeverde contro Grifondoro.
-Nella scorsa partita abbiamo perso.
-Sì, colpa di Draco.
-Chissà cosa gli è preso: era ad un millimetro dal Boccino D’oro.
-Non so.
Daphne non ammirava Pansy a causa dei suoi comportamenti, del suo voler apparire strafottente, ma non si sentiva all’altezza di giudicarla.
Ad ogni modo, non sapeva essere falsa e quando cominciò ad innervosirsi a causa di quel lato del carattere dell’amica, decise di andarsene per conto suo. –Ci vediamo alla partita.
-Ciao.
 
-Ciao, sono Theodore Nott. Benvenuta ad Hogwarts.
 

 
 

 °°°   °°°   °°°   °°°   °°°   °°°
Angolo Autrice:
Salve a tutte!!
Questa volta sono molto più che puntuale e spero che ne siate felici.
Sono particolarmente compiaciuta di questo capitolo, perché mette a nudo i pensieri di parecchi personaggi e, anche se è di passaggio, segna un passo importante per la storia. Non è tra quelli più corposi, ma pur essendo piccolo sarà di un'importanza assoluta e inoltre è un piccolo regalo che vi faccio, visot che ho un po' di tempo libero da dedicarvi!
Ribadisco ancora una volta quanto voi, il vostro seguirmi ancora e i vostri commenti siano fondamentali per me: questa storia non avrebbe un seguito e, nonostante il fatto che i capitoli arrivino con un ritardo immenso, volevo farvi presente che io ci sono e scrivo per voi.
Siete un po’ come la luce nel tunnel-le-le-le…
No, dico sul serio: mi sento felice quando leggo le vostre recensioni e vorrei ringraziarvi all’infinito.
Detto questo, vorrei tornare alla storia: siamo quasi arrivati al termine, purtroppo o per vostra sorte, e sono un po’ dispiaciuta… ma di questo ne parleremo arrivati all’ultimo capitolo.
Vi ringrazio ancora e vi lascio con l’augurio di una buonanotte… o meglio dire buongiorno.
Un bacio, la vostra

Exentia_dream

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Capitolo 20
*** Nei dubbi e nelle certezze… ***


Nei dubbi e nelle certezze…
Dedicato a barbarak e lily topa

La vendetta è un piatto che va servito freddo. E lui l’avrebbe servito a piccole porzioni e, tra una portata e l’altra, avrebbe dimostrato a tutti che non era quello che tutti credevano: aveva sempre indossato una maschera ed era giunto il momento di calarla.
Sorrise e accarezzò un piccolo baule in cui teneva le boccette di Polisucco. La custodiva con cura perché non voleva sprecare il tempo che aveva dedicato alla preparazione della pozione, ma soprattutto non voleva che il suo piano andasse in fumo: avrebbe fatto male e mentito a tante persone, ma alla fine avrebbe posseduto ciò che aveva sempre desiderato.
Ce l’avrebbe fatta, ripeteva a se stesso come un mantra per convincersi che sarebbe andato tutto bene, ma in cuor suo il dubbio del contrario cresceva e la storia della maschera faceva acqua da tutte le parti… Ron era troppo stupido per accettare la verità e troppo orgoglioso per tirarsi indietro prima di farsi troppo male.
Era, però, il bisogno di dimostrare agli altri che lui non era un perdente più della voglia di stare con Hermione che lo spingeva a comportarsi in quel modo.
D’altra parte, comunque, non smetteva di chiedersi cosa avesse Malfoy più di lui, in cosa era migliore, come aveva fatto a far innamorare Hermione.
Perché Hermione ne era innamorata e Ron lo sapeva: non erano stati i suoi comportamenti a dirglielo- quelli erano rimasti sempre uguali-, ma i suoi occhi che, al ritorno da quella maledetta settimana di esilio, brillavano di una luce spettacolare.
Una luce che lui avrebbe spento, perché lei non poteva e non doveva amare quel viscido Mangiamorte.
Sistemò il baule che teneva tra le mani, poi si sedette sul letto e aprì il lucchetto con una piccola chiave d’argento che teneva sempre dietro al tallone destro.
Non poteva andare male: la posta in gioco per lui era troppo alta e nonostante, a volte, gli facesse ribrezzo pensare a Hermione come un premio sapeva bene che tra lei e Draco Malfoy era cominciato tutto esattamente così.






Splendeva il sole quella mattina su Hogwarts e, quando Draco si svegliò, sembrava pomeriggio inoltrato: il cielo si presentava con uno splendido arancio e si avvertiva nell’aria l’inverno che sapeva di festa.
Il Natale continuava ad avvicinarsi, mentre la possibilità di chiarirsi con Hermione sembrava allontanarsi sempre di più: lei era sempre sfuggente, la si vedeva sempre di meno.
In giro si diceva che era intenta a studiare, così da non farlo durante le vacanze invernali e passare più tempo con i suoi genitori. Al contrario suo, che invece aveva preferito lasciare lo studio a quando sarebbe tornato a casa per non avere sempre addosso gli occhi di suo padre e per non sopportare la finta adulazione della madre: sapeva bene che, per come erano andare le cose, i suoi genitori erano tutto, tranne che fieri di lui.
Ma il sole splendeva e lui non voleva pensare a come avrebbe trascorso i giorni a seguire.
A cosa sarebbe servito d’altronde pensare e ripensare? Le cose non sarebbero tornate al loro posto, perché quegli angolini impolverati erano stati occupati da altre cose futili, altri pensieri che non aveva che un peso marginale nella mente del ragazzo.
Non aveva molta voglia di sistemarsi i capelli all’indietro, non aveva molta voglia di uscire dal dormitorio e sentire l’odore degli altri alunni: avrebbe voluto semplicemente starsene a letto con gli occhi chiusi, ma restare a letto era segno di debolezza, era una sorta di sconfitta personale che proprio non voleva sopportare, perciò scalciò via le lenzuola e, impigliando un piede nella stoffa, ricordò gli unicorni e l’imbarazzo sulle guance di Hermione.





-Cosa c’è che non va?
-Niente. Davvero.
-Allora perché sei così silenziosa?
-Perché non ho niente da dire…
-Strano… parli sempre così tanto.
-Senti, Harry sono stanca: non ho voglia di parlare.
-Hai notato com’è strana Hermione?
-No, non l’ho notato. E’ da un po’ che non parliamo per bene…
-E’ lei che non te ne dà modo.
-Ah sì?
-Sì… a volte…
-A volte?
-Mi sembra che non sia lei.
-Forse è solo troppo stanca o troppo tesa. O non vuole dar a vedere che sta male.
-Ancora per lui?
-Credo di sì.
-Glielo dirai?
Ecco. Il tasto che Ginny sperava non venisse toccato. Eccolo che suonava nella sua mente e la incolpava di omertà. Perché lei sapeva e taceva, ma ancora non sapeva da che parte schierarsi: come avrebbe potuto fare un torto alla sua migliore amica? E ancor di più, come avrebbe potuto farlo a suo fratello?
Avrebbe voluto parlarne con Harry, ma non era del tutto convinta che lui potesse capire perché Harry a volte non teneva in considerazione i sentimenti: si doveva fare la cosa giusta, in qualunque caso, qualunque persona potesse essere ferita.
-Sì, Harry. Appena avrò un po’ di tempo.
-Ginny, è una cosa importante: devi dirglielo ora.
-Sì, lo so.
-Ron sta sbagliando e Hermione deve essere a conoscenza di quello che tuo fratello sta facendo al suo posto.

Un’ altra nota stonata nella coscienza poco pulita della rossa che evitava continuamente lo sguardo della persona che amava, perché mentire a lui pesava troppo, tanto da farle abbassare lo sguardo.






Stanza delle Necessità, alle 17. Non più tardi.
Porta Pozioni.

Fissava la pergamena come se non ne avesse mai vista una.
Era da troppo tempo che non le arrivava un messaggio. Era da troppo tempo che lui non le mandava un messaggio, per questo Hermione era ancora più sconvolta: l’aveva evitata, l’aveva scansata, le aveva fatto capire che tutto quello che era successo in quel dormitorio era stato cancellato. Allora perché quel messaggio?
Perché quell’appuntamento? E, soprattutto, perché avrebbero dovuto studiare pozioni? Draco se la cavava benissimo in quella materia…
La confusione era sempre più difficile da gestire e ad essa si aggiungeva la piacevole meraviglia che aveva provato quando aveva aperto la pergamena e aveva riconosciuto la sua scrittura. E, anche se in fondo allo stomaco era contenta del fatto che lui l’avesse cercata, quando si guardò allo specchio, disegnò sul viso un’espressione infastidita.
Intanto che aspettava che il tempo scorresse e si facessero presto le 17, si sedette sul letto con in mano una pergamena pulita e una piuma per scrivere- o almeno cominciare a scrivere- il discorso per la festa che si sarebbe tenuta a Hogwart.
In realtà, cercava di non pensare a lui e a quello che c’era stato tra loro in quella piccola parentesi di tempo che forse era sembrata infinita ad entrambi… ma era sempre più difficile e i modi per distrarsi, spesso e volentieri, non richiedevano l’impegno necessario per non pensare ad altro. Doveva concentrarsi sul discorso e lo sapeva, ma Draco le riempiva la mente e tutte le parole che riusciva a scrivere nei righi del suo cervello non riguardavano altro che lui.
L’immagine di lui che la guardava con disprezzo- di nuovo- era così viva nei suoi ricordi che ogni volta che immaginava quella scena, le sembrava che la stesse rivivendo. E provava dolore.






-Credi che le sia passato?
-Non lo so, non la conosco bene. Dovresti saperlo tu: è la tua migliore amica.
-Non è mai stata un’amica.
-Lo so, ma comunque la conosci meglio di me.
-Sicuramente.
-Non le hai più parlato?
-Sì.
-E cosa ti ha detto?
-Che avevo ragione.
-Su cosa?
-Stava per baciarmi e le ho detto che erano la rabbia e la delusione a decidere per lei.
-Stava per baciarti?
-Alla fine mi ha dato ragione.
-Stava per baciarti?
-Sì.
-E tu l’hai fermata?
-Sì.
-Sei impazzito o cosa? Serve anche a te una settimana chiuso in una stanza per arrivare a qualcosa?
-Non mi serve niente, Blaise.
-Ma sei ad un passo da lei, che ti costa allungare la mano.
-Hai capito cosa ti ho detto?
-Che avevi ragione? Non avrebbe potuto dirti altrimenti, dopo che l’hai rifiutata.
-L’ho solo invitata a riflettere.
-Se le avessi dato un calcio in faccia, saresti stato più elegante.
-Sei stupido.
-Per te non esistono aggettivi.
Theo tacque e per un secondo una vena di speranza sembrò aggiungersi alle vene in cui gli scorreva il sangue. Ma fu un attimo, poi tornò nella realtà che aveva di fronte.
Quella che credeva di avere di fronte, perché Theo non lo sapeva, ma Blaise aveva ragione.
Prendeva sempre tutto come uno scherzo, forse per questo nessuno gli dava mai conto, ma in questioni amorose- per quanto non riuscisse a risolvere le sue- Zabini era il migliore e il più informato dei tre: conosceva bene le donne, conosceva i loro comportamenti reali e quelli finti.
Si alzò e lasciò lo scalino su cui si era seduto. –Fa un freddo cane qui fuori.
-Sì. Se vedi Draco, digli che ho bisogno di quella cosa.
-Cosa?
-La pozione per curare le ferite.
-Ti sei fatto male?
-Sì.
-Come?
-Quando ho parlato con Daphne, avevo in mano una fotografia intorno a cui ho messo un vetro piccolissimo. L’ho rotto, stringendo il pugno.
Blaise scosse la testa e si avviò verso l’ingresso della scuola.
-Dovresti parlarle di nuovo… ed essere sincero.
Theo scosse la testa. Cosa poteva saperne Blaise di questioni di cuore così complicate? Lui che aveva sempre avuto la strada spianata, cosa poteva saperne?





Forse si era addormentata ad occhi aperti o forse aveva proprio dormito, fatto stava che erano passate le 17 e lei stava correndo per i corridoi della scuola come se un troll la stesse seguendo a perdifiato.
Non sapeva se correva per paura di un suo richiamo o per paura che lui non la stesse più aspettando. Sapeva che tra le due, la seconda alternativa era la più probabile e nonostante la quasi certezza che aveva verso quel pensiero, una parte di lei sperava di sbagliarsi perché in fin dei conti voleva parlargli, voleva guardarlo e capire che cos’era quella morsa allo stomaco che provava ogni volta che ripensava a lui e, soprattutto, voleva capire perché ogni volta che ripensava all’ultimo incontro che avevano avuto, in cui lui l’aveva chiamata Mezzosangue, provava una delusione cieca e sorda.
Delusione, non rabbia. Delusione.
Quando arrivò alla porta della stanza delle Necessità, si precipitò ad aprirla e non fece caso a nulla: si guardò intorno, ma non vide niente e maledisse il tempo che a volte correva troppo veloce, maledisse il sonno che le veniva quando aveva qualcosa di importante da fare, maledisse Draco perché era sempre troppo pretenzioso con chi aveva intorno, tranne che con se stesso. Almeno credeva che fosse così, perché per quanto credeva di conoscerlo, non lo conosceva affatto.
Si sedette su una poltrona e, ancora una volta, si guardò intorno. Osservò con cura ogni dettaglio, osservò come Draco aveva immaginato la stanza e penso che era dolce da parte sua non schierare i colori di entrambe le squadre: tutto era tinto di colori neutri, grigio e beige. Un po’ come l’inverno… e l’estate.
Era troppo concentrata,per questo non sentì il fruscio che veniva dalle sue spalle e si spaventò quando Draco tossì. –Ma sei impazzito?
-Sei in ritardo.
-Lo so.- debole, attaccabile. Sarebbe stato il momento giusto per ferirla, ma lui tacque.
-Hai portato Pozioni?
-Perché?
-Perché hai ancora un impegno da mantenere con me. O forse per te non vale niente?
-Non ti ho mai detto quelle cose.
-Non importa. Davvero. Studiamo.
Era strano vederlo così risoluto a non parlare di quello che c’era stato tra loro, ma Hermione pensò che fosse meglio così: i rapporti indefiniti, quelli che venivano chiusi da un momento all’altro senza che nessuno degli interessati fosse o meno d’accordo, non facevano per lei.
Si sedettero al tavolo ed entrambi aprirono i libri. –Pozioni?
-Mh?
-Perché Pozioni? Tu eccelli in questa materia.
-Infatti non è per me. E’ per te.
-Cosa?
-Sarò io a darti ripetizioni: sarebbe un peccato se tu non avessi il massimo dei voti anche in questa materia, no?
-Mi prendi in giro?
-Non credo di avere la faccia di uno che prende in giro le persone.
-Infatti, tu le disprezzi, le persone.
-Hai intenzione di parlare di questo e continuare ad avere brutti voti in Pozioni?
-No.
-Bene. Allora cominciamo.
Calarono le teste sui libri e Hermione cominciò a fare domande sugli ingredienti, sulle dosi e Draco le svelò qualche piccolo trucco che aveva imparato con il tempo.
Ad entrambi parve di tornare indietro nel tempo: non all’inizio delle loro lezioni, perché la tensione nell’aria era palpabile, ma a poco tempo dopo: dopo che Hermione aveva visto Draco dormire, dopo che Draco l’aveva baciata.
Nessuno dei due parlò, perché non c’era bisogno di darsi spiegazioni, non nel momento in cui l’aria intorno era dolce e rilassata.
Una specie di orologio sistemato su una parete rintoccò le 20 e Draco, tornando a girarsi verso di lei, si passò una mano tra i capelli.
-Io… io dovrei…
-Dovresti chiedermi scusa.
-Sei fuori di testa? Perché dovrei chiederti scusa?
Hermione avrebbe dovuto chiedergli scusa per tutte le volte che gli tornava in mente, per tutte le volte che lui continuava a perdersi nei suoi occhi, per le volte in cui lui si illudeva che lei lo cercasse.
Lei gli toccò il braccio e lo guardò negli occhi. Le parole sarebbero state superflue, o forse avrebbero peggiorato la situazione, perciò la mano di Hermione rimase sul braccio, nella piegatura del gomito e sembrava che quel pezzetto di corpo fosse fatto apposta per la sua mano.
Draco la guardò: era strano sentire ancora le sue mani addosso, avendo di fronte la consapevolezza che le cose stavano in un certo modo.
-Non è vero che non ho preso il Veritaserum. Tante cose che si dicono su di me non sono vere, ma io lascio che gli altri pensino il contrario.
-Perché?
-Perché è più facile non deludere le persone quando fai quello che loro pensano che tu possa fare. E’ più facile così, Hermione.
Hermione.
-Mi hai chiamata per nome.
-Lo so.- Lo sapeva, lo voleva. Gli pesava doverla chiamare Granger o Mezzosangue. Gli pesava non sentirle dire la verità.
-Devi essere te stesso.
-Lo sono stato e mi hanno respinto. Mi chiedo perché lo hai fatto.
-Io non ti ho respinto.
-Sì, invece. Prima mi hai baciato, poi…
-Mi hai baciata tu.
-Ma a te è piaciuto. Poi, mi hai evitato come se avessi una malattia contagiosa. Mi hai detto che non avevamo un solito posto, mi hai detto che tra noi non c’era stato niente.
-Non ho mai detto queste cose.
Draco si alzò e camminò nervosamente per la stanza, passandosi la mano tra i capelli.-Perché continui a mentire? Non devi per forza essere innamorata di me, ma dillo chiaramente.
Hermione tacque, perché non sapeva di cosa stesse parlando il ragazzo, perché lei non aveva mai parlato in quel modo con lui. Non sapeva come e da cosa difendersi. –Non ho mai detto queste cose.
-Mi hai detto che non ha significato niente.
-Per te ha significato qualcosa?
Draco abbassò lo sguardo e sorrise: Hermione era tanto intelligente a scuola, ma altrettanto stupida nei rapporti umani. O forse si comportava in quel modo per non sentirsi colpevole di aver messo fine a quella specie di storia d’amore che sembrava esserci tra loro?
Lei continuava a guardarlo con i suoi occhi grandi e Draco sembrò dimenticarsi per un attimo di ogni altro pensiero. Ma, come una luce in mezzo al buio, le parole che Hermione gli aveva rivolto qualche tempo prima lo accecarono nuovamente e lui tornò anche con la mente nella Stanza delle Necessità.
-Abbiamo finito. Puoi anche andartene.
Hermione si alzò in silenzio e si avviò verso la porta. Sentiva di dover dire qualcosa, perciò si voltò ancora una volta indietro. –Sii te stesso: non deluderai nessuno.
Poi uscì dalla stanza.





Silente, seduto nella grande poltrona del suo ufficio, aspettava che tutti i professori rispondessero al suo invito.
Silente era un uomo che aveva vissuto e visto tanto, ma quello che aveva di fronte proprio non riusciva a spiegarlo: a suo parere, l’amore doveva avvicinare le persone e non allontanarle. Non capiva perché nella sua scuola accadesse proprio il contrario.
Lui sapeva tutto, sapeva sempre tutto, perché lo leggeva negli occhi dei suoi studenti.
Molti di loro non erano felici, altri invece avevano saputo cogliere l’attimo e la felicità era entrata a far parte delle loro vite e trasudava da ogni poro del loro corpo. E Silente era fiero di quelli che erano felici. Avrebbe voluto essere fiero di tutti, ma si fidava degli altri e sapeva che presto sarebbe stato fiero anche di loro.
Minerva fu la prima ad arrivare e guardava il vecchio preside con aria scettica. –Come mai quest’improvvisata?
-Dobbiamo parlare di molte cose, Minerva.
-Mi auguro che siano cose importanti.
Quando tutto il consiglio dei professori fu riunito, Silente, rimanendo seduto nella sua poltrona, impugnò il suo bastone.
-La felicità dei nostri ragazzi e la loro istruzione viene prima di ogni altra cosa in questa scuola. Sapete tutti che ho suggerito io stesso di organizzare una festa in onore dei M.A.G.O. e sapete che a questa festa siete invitati anche voi.
-Dobbiamo parlare di questo?
-Sì. Questo era quello che dovevate sapere tutti. Ora potete andare. Minerva, Severus, voi restate qui.
Il professore di Pozioni sbuffò, mentre la professoressa non si mosse dalla sua postazione. -Allora?- chiese la donna, un po’ spazientita.
-Sappiamo cosa è successo durante il periodo in cui Draco Malfoy e Hermione Granger sono stati rinchiusi?
-No.
-Dobbiamo saperlo.
-Silente, ti ho già detto che non sono per niente d’accordo.
-Un secondo. Di cosa state parlando?
-Ho chiesto a Severus di parlare con Draco e di farci dare il permesso di guardare nei suoi ricordi. So che quel ragazzo è in grado di amare, ma credo anche che non sappia ancora distinguere il bene dal male.
-E?
-Hermione Granger per lui è bene, perché lo sprona ad essere migliore: abbiamo visto quanto è migliorato il ragazzo nelle materie in cui lei gli dà ripetizioni, no?
-Le ripetizioni non hanno niente a che vedere con l’amore, Silente.- esordì Severus.
-Potreste avere ragioni entrambi, ma non possiamo costringere un ragazzo a darci i suoi ricordi. E se volesse tenerli per lui?
-E se con quei ricordi cominciasse a distorcere la realtà? Se le cose dovessero mettersi male e lui cominciasse a credere che quei ricordi sono solo una sua invenzione?
-Come può pensarlo?
-Quel ragazzo sa farsi male. Pensateci: potremmo salvarlo.
-Da cosa? Non corriamo più alcun pericolo.
-Ne sei così convinto? Non credi anche tu che una persona che non  si sente amata possa abbracciare il male?
-Mi rifiuto di guardare nei suoi ricordi.- così Severus uscì dallo studio sbattendo la porta, ancora una volta.
Minerva restò in silenzio per qualche minuto, ad ascoltare il respiro un po’ affannato del vecchio preside.
-Quando ero giovane e innamorato il mondo mi sembrava un luogo più bello. E ho dato tanto amore a chi non l’ha capito, perché comunque si è voltato al male. Non voglio che questo accada ancora.
-Potrebbe anche accadere la stessa cosa che è successa a te.
-Con lui è diverso, perché lui vuole essere amato. Vuole essere amato da lei.
-Perché ne sei così sicuro?
-Hai assistito alla partita di Quidditch? Hai visto il modo in cui l’ha guardata? Aveva gli occhi pieni di accondiscendenza, carichi di cose belle da fare e da ricordare.
-Non puoi cambiare il loro destino.
-Il destino lo scriviamo noi, Minerva. E a volta non scriviamo quello che vorremmo per paura. Loro sono giovani e hanno tanta paura, soprattutto dell’amore, perché sarà sempre un sentimento più grande di loro. Ne hanno paura oggi, ne avranno paura anche domani.
-Sono giovani e hanno una vita davanti per fare le loro scelte.
-Io non voglio imporgli di amarsi, ma voglio far capire loro cosa stanno provando. Poi saranno liberi di tornare, o fingere, di essere quelli che erano i primi anni di Hogwarts.
-Vedrò come aiutarti, se è questo ciò che vuoi fare realmente.
-Dovreste fidarvi del Preside.
-Io mi fido ciecamente, ma non vorrei condizionare le scelte di due ragazzi.
-Non condizioneremo nessuno.
-Silente, capisci che non sarebbe giusto, vero?
-Lo capisco perfettamente, Minerva. Voglio solo dar loro l’occasione di scegliere. Credo che se non facessi questa cosa, loro capirebbero troppo tardi e a quel punto non avranno più la possibilità di scegliere. Ora possono farlo, senza dover dar conto a troppi fenomeni intorno.
-Dimentichi la famiglia del ragazzo.
-E tu dimentichi che questa scuola è mia e posso accogliere chiunque io voglia.
-Parlerò con Severus. In qualche modo ti aiuterò.



Forse si era illusa di aver letto negli occhi dell’amico quell’interesse. Forse non l’aveva baciata, perché realmente per lui era solo un’amica.
Però lei li aveva guardati quegli occhi. Era possibile che avesse immaginato tutto?
Daphne sapeva che quando si è innamorati si vede solo quello che si vuole vedere, si sente solo quello che si vuole sentire, ma sapeva anche che non aveva capito di essere innamorata di Theo fino a che non era stata rifiutata.
Come aveva potuto essere tanto stupida da credere che quello che li legava potesse essere solo amicizia? Eppure per lui sembrava essere così.
Decise che sarebbe tornata quella di prima, quella che si confidava con lui e a cui lui dava consigli. Non poteva fare altrimenti: lo voleva accanto, in qualunque veste lui volesse. Lo voleva accanto ad ogni costo, anche al costo di farsi male.
Quello era il giusto prezzo da pagare per non aver capito prima quali realmente erano i suoi sentimenti.
Da quel momento in poi sarebbe tornato ad essere tutto come prima, perché non aveva senso rimuginare su cosa sarebbe successo se…
Se avesse capito prima, forse sarebbero stati una coppia; se non l’avesse capito mai, adesso non sarebbe stata così male. Si ricominciava, si andava avanti e ci si rimetteva in piedi, lo sapeva. E lo avrebbe fatto.
Sentiva che la rabbia non era del tutto placata, ma non poteva fare altro che prendersela con se stessa o forse sarebbe stato meglio metterla a tacere senza darle sfogo.
Non sapeva cosa avrebbe fatto quando lo avrebbe rivisto, ma aveva bisogno di lui. Perciò gli inviò un gufo. Si sarebbero visti poco più tardi, alla riva del Lago Nero: Daphne respirava a fatica quando c’era lui nei paraggi, perciò stare all’aria aperta era sicuramente più sicuro per lei.
Si avviò all’esterno, camminando piano, più lenta che poteva: voleva sì, parlare con lui, ma voleva anche rimandare il più possibile il momento della verità.
Aveva paura, le pareva già di sentire il dolore della delusione nelle ossa.
Si sedette all’ombra di un albero e guardava come il Lago di sera pareva più nero del solito.
Era possibile che la luce della luna non riusciva a farlo sembrare più rassicurante?
-Ciao.
-Ciao. Siediti.
-E’ successo qualcosa?
Lo guardava e vedeva il suo migliore amico. –No.
-Allora perché mi hai chiamato?
Se ne convinceva sempre di più: lui non l’amava. –Volevo un po’ di compagnia.
-Mi hai fatto preoccupare.
-Non ce n’era bisogno: ti ho scritto che non era nulla di grave.
-E’ che non voglio che qualcuno ti ferisca.
Lui non voleva che la ferissero, ma non sapeva che quello che la feriva era proprio lui. La attirò a sé per abbracciarla, sistemando la sua guancia sopra i capelli di lei.
-Già…
Sentiva il suo profumo e la voglia di baciarla sembrava diventare incontrollabile, ma la ragione che Daphne gli aveva dato era ben presente nella sua mente e forse era proprio questo che gli permetteva di restare lucido.
Se lei gli avesse detto che aveva torto, che non aveva cercato di baciarlo solo perché cercava conforto, le cose sarebbero andate diversamente: sarebbe stato lui a mandarle un messaggio in cui le diceva che voleva vederla, perché era innamorato di lei e non riusciva a non stare vicino a lei.
Ma lei gli aveva dato ragione, perciò poteva solo starsene lì a consolarla quando stava male e ad ascoltare i suoi silenzi quando non aveva voglia di parlare.
In fondo, l’amore era anche questo, no?




°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Angolo Autrice:

Buon pomeriggio!! Scusate l’immenso, l’immensissimo ritardo.
Non voglio stare qui a giustificarmi sul perché ci abbia messo così tanto a scrivere un altro capitolo… voglio solo promettervi –con la certezza che manterrò questa promessa- che da questo momento in poi i capitoli verranno postati con puntualità una volta a settimana.
Avete letto il capitolo? Vi è piaciuto?
Ultimamente vi avevo avvisate che la storia era quasi giunta al termine ed oggi vi dico che sì, è così, ma non so quanti capitoli ancora ci dividano dalla fine.
Questo capitolo è stato davvero davvero difficile da scrivere, ma tra una sigaretta e l’altra l’ispirazione tornava ed ecco a voi il mio nuovo figlioletto: non è molto corposo, ma è anche vero che non amo i capitoli troppo lunghi che ad un certo punto fanno perdere il senso del capitolo stesso e per non cadere nel banale ho preferito fermarmi qui.
Mi è piaciuto scrivere questa parte della storia, perché è la più complicata, ma anche quella che chiarisce tante cose, non credete?
Beh, ora vi lascio. Rinnovo la mia promessa e spero di poter rispondere ad altre recensioni.

Un bacio, la vostra

Exentia_dream


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Capitolo 21
*** Un passo avanti... mille indietro. ***


Un passo in avanti… mille indietro.

Dedicato a Notteinfinita,
perché è solo un forum, è vero,
ma tu lì sei mia ancora.
Grazie di tutto.



Cos’altro volesse dirle, proprio non riusciva ad immaginarlo.
Forse aveva riflettuto su quello che si erano detti il giorno precedente o, forse, era solo per riprendere la lezione terminata.
Per saperlo avrebbero dovuto parlare, perciò quando vide la figura del ragazzo di fronte a lei, cominciò a tremare, per la paura e per l’emozione.
-Mi hai voluto incontrare di nuovo. E’ successo qualcosa?
-No.
-E allora perché mi hai fatto venire qui?
-Dobbiamo parlare.
-Ne abbiamo già parlato ieri e non ne abbiamo tratto niente. Credi che sia necessario farlo ancora?
-Cosa ti ho detto ieri?
-Che non è vero quello che si dice di te.
Aveva spalancato gli occhi, come se fosse stato sorpreso, ma Hermione non diede peso a quel gesto.
-Che sono un bastardo?
-Anche.
-Ieri ti ho mentito. Sono bravo a farlo, sai?
-Questo dialogo mi ricorda qualcosa.
-Sì?
-Sì. Quella notte, nei corridoi.
-Ah.
-Tu non lo ricordi?
-Io non ricordo quasi niente.
-Come?- si arrabbiò. Si sentì ferita: non capiva come lui avesse potuto dirle determinate cose e poi dimenticarle.
-E’ così.
-Quindi non ricordi il dormitorio, la Nutella, obbligo e verità, i baci?
-No.
-Non ricordi nemmeno gli unicorni?
-No.

Maledetta serpe ingannatrice.
Maledetta la sua bocca!

Era vero, allora: aveva dimenticato tutto. –Mi manchi.
E lui aveva di nuovo sbarrato gli occhi, ma questa volta sembrava averlo fatto per la sorpresa sì, ma una brutta sorpresa.
-Devo andare.
-Dove vai? Aspetta un secondo, Draco…
-E non chiamarmi così…
-Ti piaceva quando ti chiamavo per nome.
-Mi dà fastidio quando lo fai tu.
E l’aveva lasciata lì.
Hermione avrebbe voluto piangere, disperarsi, ma non lo fece. Era successo: aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio e dare ragione ai suoi pensieri e, di conseguenza, aveva trovato il coraggio di dirgli che era innamorata di lui.
Sarebbe stato da stupidi negare ancora quel pensiero che era diventato certezza, sarebbe stato da stupidi far passare altro tempo prima di dire la verità anche a lui.
Lui che non voleva sentire quella verità, lui che non voleva nemmeno che lei lo chiamasse per nome. Dov’era finito il Draco che aveva conosciuto in quell’esilio.

-Obbligo.
-Baciami.

Forse era davvero sparito, forse davvero aveva solo finto.
Forse, aveva sempre avuto ragione lei a credere che ogni suo gesto aveva un secondo fine, che beneficiava solo a suo favore.
Per quanto tempo aveva finto? E quei baci per lui che sapore avevano avuto in quel dormitorio? E perché l’aveva trattata in quel modo, quando la sera precedente si era confidato con lei?
Altre domande che si erano aggiunte a quelle che purtroppo le vorticavano ancora nella mente. Non avevano trovato risposte a quelle, non avrebbe trovato risposta neanche a quelle nuove.
Si sentì sconfitta e non le piaceva quella sensazione, perché le ricordava la Guerra Magica, il senso d’inettitudine che aveva provato in ogni singolo istante di quel maledetto periodo.
 Strinse i pugni e si avviò verso l’aula di Trasfigurazioni.
Lei aveva fatto un passo in avanti, lui mille indietro.
Nebbia. I suoi occhi avevano cominciato a rendersi conto del senso delle parole che aveva sentito poco prima che lui andasse via e avevano nascosto la loro tristezza dietro quella spessa coltre di marrone che dava loro colore.
 Pioggia. Le lacrime che le rigavano il viso e che continuavano il loro cammino nonostante lei cercasse di mandarle via con il polsino del maglione.
Inverno. Il freddo che c’era nella scuola e quello che aveva lasciato lui. Il freddo che più del freddo invernale la faceva tremare.
Lui era tutte quelle cose. Draco Malfoy era tutte quelle cose.




-Direi che è ora di smetterla con queste cose, Dennis.
-Ma questo è il nostro lavoro.
-Sì, ma abbiamo fatto già abbastanza guai.
-Fidati di me.
-Sì.
-Non ti fidi di me?
-No. Riguardo a questa cosa no.
-Dovresti farlo.
-Starò a guardare.
-Brava.
Demelza aveva sempre avuto paura delle idee di Dennis, perché sapeva che prima o poi qualcuno gli avrebbe fatto male- con giusta ragione, tra l’altro- e non voleva correre quel rischio.
Tra i due, era quella più responsabile e quella che più si preoccupava di quello che avrebbero pensato gli altri. Dennis no. Dennis era solo intento a seguire le orme di Colin e a somigliargli il più possibile.
E lei continuava a dirgli che questo non sarebbe bastato a far tornare suo fratello in vita, che lei lo amava anche quando era solo Dennis e non Dennis-il-fratello-di-Colin-Canon.
Anzi, Demelza lo amava soprattutto quando era solo Dennis.
Sospirò, un po’ rassegnata un po’ vogliosa di fargli cambiare idea, ma non ci provò nemmeno: sapeva in partenza che il ragazzo non l’avrebbe neanche ascoltata.
 Aveva imparato a conoscerlo e sapeva che per lui era vitale diventare come suo fratello, arrivare al suo livello come fotografo e come persona.
Per questo, il più delle volte, lo lasciava fare e lo apprezzava quando riusciva in qualcosa.
Demelza era schietta, però, e gli diceva anche quand’era che sbagliava e doveva smetterla.
Anche per questo Dennis lo amava.
-Non esagerare però…
-Ho mai esagerato?
-Spesso e volentieri.
Sorrisero e lei gli allungò la mano sulla guancia e lo accarezzò. –Fidati di me.
-D’accordo.



Ginny era seduta su una delle grandi finestre e guardava verso i prati che si perdevano oltre le mura della scuola: era pensierosa.
Pensava che avrebbe dovuto essere felice e lo era, ma non del tutto.
C’era sempre qualcosa che entrava nella sua storia con Harry e che finiva per distrarli da quello che insieme dovevano costruire.
Era stanca di dover dare attenzioni agli altri, era stanca del fatto che anche Harry dovesse dare attenzioni agli altri.
Prima Voldemort, poi la Guerra Magica, ora i loro amici.
Basta.
Basta a tutto quello che non erano loro due. Perché avrebbero dovuto salvare chi non voleva essere salvato? Perché togliere dai guai chi, i guai, se li creava con le proprie mani?
Non si trattava di Hermione, perché per lei avrebbe fatto di tutto. Il problema era Ron. Ron e la sua mania di diventare Draco Malfoy; Ron e la sua mania di voler tornare con Hermione.
Ginny ne era convinta: suo fratello non lo faceva perché era innamorato di Hermione, ma perché odiava il biondo, tanto da non volere che Hermione stesse con lui. Non capiva che in quel modo, Hermione lo avrebbe odiato di più. Non lo avrebbe capito nemmeno se lei gliel’avesse detto.
Era un cavallo, Ron: guardava solo dritto e non pensava a chi lo circondava, al male che avrebbe potuto far loro.
Non era giusto. Niente era giusto in quella situazione che si stava andando a creare. Perché, poi?
Non sapeva rispondersi. O forse, preferiva non farlo.
-Ehy.
-Ciao.- un lieve bacio sulle labbra.
-C’è qualcosa che non va?
-No, stavo solo pensando.
-A cosa?
-Non mi va di parlarne.
-Come vuoi.
S’incamminarono mano nella mano verso la Sala Grande, ché era già ora di pranzo.
Poi, Ginny si fermò. –È che non ne posso più di Ron. Credo che parlerò con Hermione.
-Lascia stare, Ginny. Non sappiamo neanche cosa stia succedendo tra lei e Malfoy… magari sta andando tutto bene.
-E come può andare tutto bene, se quello stupido non fa che mettersi in mezzo?
-È successa qualche altra cosa?
-Credo di sì: ho visto Hermione che si asciugava le lacrime.
Deve’essere per forza collegata questa cosa con l’altra?
-Per forza. Mi hai detto tu che avremmo dovuto parlare con lei.
-Ascoltami: parlerò io con Hermione. Stasera, o domani. Chiariremo questa cosa.
-Va bene.
Harry le baciò una fronte, per rassicurarla. Sapeva che la ragazza aveva ragione, sapeva anche che Hermione non era mai stata tanto male in tutti gli anni che l’aveva conosciuta.
Avrebbero dovuto fare qualcosa. Sì, era arrivato il momento di far finire quello che Ron aveva cominciato.
Entrarono in Sala Grande mano nella mano. Dopo mesi, quel piccolo gesto aveva ancora l’effetto di farlo star bene.



A volte, quando era solo, si chiedeva quando avesse cominciato ad amarla.
Non avrebbe saputo dire in quale momento preciso fosse successo l’irreparabile.
L’irreparabile, sì, perché sapeva che non avrebbe saputo tornare indietro, a quello che era prima… a quello che era prima con lei.
E stava male quando ripensava alla freddezza con cui lo aveva trattato nei corridoi, di fronte al suo amico Salvatore del Mondo Magico.

-Tu. Il mio problema sei tu.
-Noi non abbiamo un solito posto, Malfoy. Noi non abbiamo niente.

Ripensare a quelle frasi era un po’ come ricevere un pugno nello stomaco e sputare, poi, sangue dalla bocca.
Non era tanto per le parole che aveva detto in quel momento, ma per quello che c’era stato prima, non solo in quel dormitorio.
Si chiedeva dove fosse finita l’Hermione dell’esilio, l’Hermione della Stanza delle Necessità che giocava con lui a obbligo o verità, l’Hermione che si preoccupava di essere visti insieme per non alimentare le voci di corridoio.

-Smettila di guardarmi così.
-Non lo faccio di mia volontà, Mezzosangue.
-E perché allora?
-Non lo so.

Forse il problema era davvero lui che si era spogliato delle sue difese e gli aveva parlato, come non aveva mai fatto con nessuna.
E, nelle notti in cui ripensava alle brutte parole, alle cattiverie, il dubbio di non doverla amare si faceva spazio nei suoi pensieri.
Il punto era che, annebbiato da quello, non riusciva a ricordare come lei lo guardava, come gli sorrideva e come lo baciava.
Non sapeva davvero come uscirne o come rientrare in quel circolo che avevano preso l’abitudine di non finire: baci, carezze, buonanotte Draco, buonanotte Hermione.
Si chiedeva come fosse possibile che dal niente si potesse passare al tutto e viceversa, perché era proprio questo che gli era successo: per anni non aveva avuto niente tra le mani, poi aveva avuto lei, poi di nuovo niente.

–Ti sto aspettando da una vita.
-Sono qui da una vita, Malfoy.

Lui, probabilmente, la stava davvero aspettando da una vita. Ma lei era stata davvero lì, in tutto quel tempo che non si era accorto della sua presenza?
Avrebbe voluto dare un significato diverso a quelle parole: sapeva che Hermione si era solo riferita alla sua presenza nella Stanza delle Necessità.
Lui no: lui si era riferito davvero a tutta la sua vita, ma lo aveva capito dopo. E forse era troppo tardi per ripeterlo.

-Ti sto aspettando da una vita.

Avrebbe voluto svuotarsi dei ricordi e avere la mente libera. In quelle notti gli mancava il silenzio della sua mente e il riposo che non riusciva più ad essere continuo e tranquillo: dormiva poco e, quando dormiva, sognava lei.
Cos’era peggio? Non lo sapeva… forse, però, erano meglio le notti insonni.
O sognare di lei.
Non voleva ricordare, quello no, ma era impossibile riuscirci.
Gli parve che qualcosa si fosse mosso all’altezza del petto, ma registrò mentalmente il suo battito cardiaco e non era quello che portava buone notizie: non era il battito dell’emozione, anzi, somigliava di più al battito delle cattive notizie.
Sapeva quanto fosse leale il battito del suo cuore con lui: era forte quando doveva succedergli qualcosa di bello ed era irregolare quando, invece, doveva succedergli qualcosa di brutto. Ancora.

-Obbligo.
-Lasciami andare.
-No.

-Verità.
-Mi ami?
-Non lo so.

-Qual è il prezzo da pagare, in tutta questa storia?
-Non lo so ancora, ma io ci ho rimesso un po’ di cuore.


-Vuoi andare via?
-Sì.
-Puoi farlo, Mezzosangue: la porta è lì.
-Non ci riesco.
-Io non ti fermo.
-Non sei tu a fermarmi. Non sono neanche le tue mani.

Voleva solo non ricordarsi di quello che c’era stato per qualche secondo, per qualche minuto. Non chiedeva tanto alla sua mente, ma quel groviglio di nervi proprio non voleva andar via. Eppure, per Salazar, lui gli lasciava il campo libero, porte aperte, ma niente: la tensione era sempre lì.
A volte, quando era da solo, desiderava che lei non facesse più parte dei suoi pensieri.
…scappare per non essere abbandonato.


Non riusciva a crederci. Se gli avessero detto che gli sarebbe successa questa cosa, non ci avrebbe creduto: era impossibile. Era una cosa impossibile e non sarebbe dovuta accadere.
E a lui? A lui nessuno pensava in tutta quella storia?
Ginny era troppo impegnata a tenersi stretto Harry, lui troppo impegnato ad accontentarla.
Hermione, invece, era troppo impegnata a sentire la mancanza di Draco Malfoy.
E nessuno sentiva la sua mancanza?
No, Hermione no.
Avevano fatto tutte quelle cose insieme, cose che lei non aveva mai fatto con lui.
Era stato difficile non fingersi meravigliato, ma quando lui aveva sbarrato gli occhi per la sorpresa, Hermione non se n’era accorta.
Avevano mangiato la Nutella, si erano baciati. Obbligo e verità. Insieme.
No, non riusciva a sopportare il peso della delusione che aveva cominciato a provare man mano che parlava con lei. Non riusciva a sopportarlo nemmeno ore dopo averla vista, mentre lui era nelle vesti di quel maledetto Serpeverde.
Gli aveva fatto schifo anche solo fingere di essere lui: di avere i suoi capelli, i suoi occhi,- e non si rendeva conto che lo imitava più di quanto fosse normale, senza che gli facesse schifo- disprezzarla e trattarla come la trattava lui.
Ma aveva visto con quanto amore lei lo guardava, con quanta ansia pendeva dalle sue parole e dalle sue labbra. Aveva visto il desiderio che Hermione provava a baciarlo e toccarlo.
Avrebbe potuto farlo, sì, ma lei avrebbe baciato sempre Draco Malfoy e non Ron Weasley, perché in quel momento, Ron aveva i capelli platinati e gli occhi grigi e la divisa con lo stemma dei Serpeverde.
Se l’era procurata negli spogliatoi e nessuno se n’era accorto. Aveva un piano e l’aveva stampato in mente nei minimi dettagli: niente sarebbe potuto andare storto.
Ma lei desiderava Draco.
Fu consolato solo dal fatto che conosceva bene Hermione- non tanto come credeva, in realtà- e sapeva che il suo orgoglio Grifondoro l’avrebbe portata lontano da chi le rinnegava un bacio e da chi non ricordava i momenti passati con lei.
Lui, lui Ron, li ricordava tutti invece.

-Ti amo anch’io, Ron.

Che fossero bugie o meno, che lei ci credesse o no in quello che diceva, lui ricordava le sue parole.
Poi, senza che lui li aspettasse, gli tornarono in mente gli occhi verde pallido di quella ragazza che lo fissò un giorno in Sala Grande, quella Corvonero del quarto anno.
Non aveva senso, lo sapeva. Che quel pensiero fosse arrivato all’improvviso per lui non aveva significato: voleva tornare con Hermione e ci sarebbe riuscito. A costo di ferirla, di farla piangere, di farla sentire inutile e fallita, lui sarebbe tornato con lei.
Forse, avrebbe pensato anche alla ragazza dagli occhi verdi. Più che forse, lo avrebbe fatto sicuramente.
Quello che più gli premeva, però, era far soffrire Hermione.

-Mi manchi.

-Bastarda.- e lanciò lontano la borsa in cui teneva sistemati i libri.
Lo aveva tradito: aveva tradito il Trio Miracoli, aveva tradito le loro lotte contro il male, aveva tradito quel nefasto settembre 1991 e l’ottobre del 1992 e il febbraio del 1994, quando Crosta era scappatp e lui si era accorto di essere innamorato di Hermione.
Lei aveva tradito tutti quei giorni e anche di più.



Blaise Zabini era stato lontano dalla scuola per qualche settimana e, al suo ritorno, non era cambiato quasi nulla.
Anzi, si era complicato tutto: si era complicata la storia tra Draco e Hermione che quasi non si parlavano più; si era complicata la storia tra Theo e Daphne che non si parlavano più.
E si era complicata la sua storia, ché con Pansy Parkinson ci aveva davvero perso la speranza.
Non che l’amasse, ma gli mancava il buon sesso e la sua compagnia di notte.
Blaise Zabini era stato innamorato una volta e non lo sarebbe stato più, perché l’amore era bello, ma faceva male.
E lui era stanco di farsi male per stare bene un po’ e poi ricominciare a stare male come prima, se non peggio.
Un’estate, tanto era durata la sua storia più importante, ma era bastato per fargli dire addio per sempre a quel folle sentimento.
E non era stata tanto quell’estate a convincerlo del dolore che avrebbe provato dopo, ma quella notte, quell’ultima notte.
Aveva deciso tutto lui, era vero... ma lei non aveva protestato: era andata via, senza opporsi.
Forse l’unico a perderci il cuore in quella situazione era stato lui, ma poco importava…
Qualcosa in lui, dopo la Guerra Magica, aveva urlato e dato calci per essere liberata e quel qualcosa era il suo vero essere che- forse per piacere agli amici, o forse perché essere quel se stesso gli pesava troppo- lui aveva sempre tenuto a bada e nascosto ben bene dagli occhi degli altri.
Ma Blaise era cambiato, era maturato ed era così solo quando era in compagnia di se stesso. Solo e nessun altro intorno.
Solo, in quel ricordo che per lui era come un sogno, un universo senza pareti, dai margini d’aria. [1]




Dopo la volta in cui lei lo aveva cercato e lui era corso ad abbracciarla, Daphne aveva capito che mettere sotto pressione il suo migliore amico sarebbe stata l’arma vincente per venire a conoscenza della verità.
Sapeva che non parlandogli e facendo finta che lui non esistesse, alla fine, Theo avrebbe dato di matto. Per questo, da giorni, ogni volta che lui le sorrideva, lei spostava lo sguardo; ogni volta che lui parlava, lei faceva finta di non averlo ascoltato; ogni volta che avvertiva forte il desiderio di baciarlo, lei si mordeva le labbra e abbassava gli occhi.
-Mi ignorerai ancora per molto?
-Sì.
-Potresti smetterla?
-No.
-Per favore.
-Cosa vuoi, Theo?
-Non ne vuoi parlare?
-Di cosa?
-Di quello che ci sta succedendo. Sei cambiata.
-No, io sono sempre la stessa.
-Non è vero.
-Ah no?
-No.
-Beh, forse hai ragione, Theo: stavo per baciare un ragazzo, ma mi ha rifiutata e dopo ha pretesa di voler essere il mio migliore amico.
-Era sbagliato.
-No che non lo era.
-Certo che sì.
-Io lo volevo e credo lo volessi anche tu: fare quello che si vuole non è sbagliato.
-No?
-No.
-Allora perché Voldemort voleva uccidere Harry Potter, avrebbe potuto farlo perché era quello che voleva?
-Cosa c’entra questo, adesso?
-Lo hai detto tu.
-Io non ho detto che uccidere qualcuno sia giusto.
-Sì, invece.
-Sai cosa c’è? È meglio quando non parliamo: stai vaneggiando e mi da fastidio quando fai così.
-Io cosa?
-Credi che ti avrei baciato solo perché stavo male? Sei così sicuro che io non provi niente per te?
-Sì.
-E tu cosa provi? Cosa provi per me?
-I-io…
-Mi ami?
Theo non rispose, troppo scosso dal fatto che lei avesse saputo leggere nel suo cuore, troppo stordito dalla voglia di voler rispondere. –I-io…
-Se tu mi amassi le cose sarebbero più facili e allora potrei baciarti. Ma se non mi ami, ti prego, non pretendere di essere il mio migliore amico, perché io non ti voglio come amico.
Avrebbe potuto farsi avanti, ma ancora una volta non riuscì a parlare. Fino a quando Daphne non lo colpì in pieno visto con uno schiaffo. –Sei impazzita?
-Ti ho fatto una domanda.
-Sì. Sì, per Salazar, ti amo. Ti amo e tu continui ad urlare e a dire cose senza senso. Volevi sentirtelo dire? Te l’ho detto.
-Bene, ora va meglio.
Daphne si era sollevata sulle punte dei piedi e aveva poggiato leggermente le sue labbra a quelle del ragazzo. –Sì, va decisamente meglio.
Il bacio era diventato più intenso, ma nessuno dei due aveva osato spingersi oltre: era ancora strana la sensazione che provavano giù, nello stomaco e nelle gambe.
Si sarebbero abituati a quel formicolio lungo tutto il corpo, ma era ancora presto. E poi, a loro non dispiaceva per niente quel leggero tremolio che li muoveva e li avvicinava l’uno all’altra.
-Non avevi ragione, sai?
-Allora perché me ne hai data?
-Non lo so... ma importa?
-Affatto.




°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Angolo Autrice:

Eccomi tornata, non proprio puntuale come avevo promesso… ma questo capitolo non voleva saperne di venir giù.
Lo scorso capitolo ha ricevuto pochissime recensioni e spero che questo ne riceva di più…
Non è molto corposo, lo so, ma ho preferito postarlo lo stesso, anche per farvi chiarire un po' le idee e non lasciarvi in bilico a causa del capitolo precendente. Sono brava, eh?
Ci sono alcune precisazioni da fare:
1)    Ho nominato Crosta, il topo di Ron, ma non so davvero se Ron abbia capito in quel momento di essere innamorato di Hermione. Ho comunque voluto dare un po’ d’importanza ai momenti passati e a quel topo di Peter xD;
2)    Parecchie situazioni fanno riferimento ai vecchi capitoli, perciò se qualcuna di voi dovesse trovare qualcosa di strano, può chiedere: io sono qui anche per rispondere alle vostre domande;
3)    Per le tifose di Nott e Daphne, finalmente le cose si sono sistemate;
4)    In questo capitolo c’è una parte in cui scopriamo qualcosa di Blaise… non ho ancora delineato il viso della ragazza che lui possa amare, ma vi anticipo che non fa parte della schiera di maghi di Hogwarts.

[1]   “Blaise Zabini era stato innamorato una volta…” da questa frase in poi, al numeretto all’apice dell’ultima frase, è un contesto che fa riferimento ad una drabble scritta tempo fa per un contest. Se vi va di leggerla, ecco il link ^^ 

A presto, la vostra
Exentia_dream


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Capitolo 22
*** Ma ieri... poi, domani ***


Premessa:  E’ stato molto importante scrivere questo capitolo e vi spiegherò alla fine il perché, anche se credo che lo capirete mano a mano che leggerete il capitolo.
Ci vediamo giù…

 

 

Ma ieri… poi, domani…

 

 

 

Se non avesse avuto costole, polmoni e quant’altro, probabilmente sarebbe caduta al suolo come un vecchio straccio e sarebbe rimasta lì. Ma le costole, i polmoni e quant’altro riuscirono a farla stare piegata su se stessa, a crogiolarsi nel suo dolore.
Era una bella giornata di sole e qualche raggio riusciva anche a scaldare gli studenti che, dato il freddo, si esponevano al caldo tenue, ma lei non riusciva a trarre un minimo di calore. Niente.
Le uniche cose che ancora riusciva a sentire vive erano il dolore e le sue parole.

-Ieri ti ho mentito.

Come aveva potuto dire di aver mentire, se nei suoi occhi lei aveva visto qualcosa di buono? Come aveva potuto dire di aver mentito se era stato lui a cominciare tutto e a finire tutto?
Non riusciva a crederci. Non ci credeva perché lei ricordava ancora il sapore dei loro baci, i suoi abbracci spontanei e i suoi sorrisi, quelli che riservava solo alle persone a cui voleva bene, quello che una volta aveva condiviso anche con lei.
Non aveva mentito, Hermione sentiva questa certezza nascere dal cuore.

-Sono bravo a farlo.

O forse sì. Forse era stato talmente bravo a mentire che, a un certo punto, anche lui aveva cominciato a credere che quelle bugie potessero essere verità. Poi, aveva capito che lo erano: erano solo bugie e tali sarebbero rimaste.
In fondo, però, parte di lei, credeva pienamente a quello che aveva sentito: aveva dimenticato gli unicorni.
Come aveva potuto dimenticare gli unicorni?
Sentì una mano posarsi sulla spalla e sussultò, ma quando si accorse che quella mano era calda e non gelida come quella di Draco, quella briciola di speranza che ancora custodiva caramente scomparve.
O forse, era lei ad essere talmente fredda che anche il freddo di una mano le dava calore.
Non alzò la testa per capire di chi si trattasse. Restò piegata su se stessa, mentre le lacrime le rigavano il viso.
-Come stai?- la voce accorata di Harry fu come uno schiaffo in pieno viso.
-Fa male. Fa maledettamente male.
-Ne sei innamorata?
Rimase per un po’ in silenzio. –Ne sei innamorata? –Sì.
-Da quanto tempo?
-Non lo so.
-Io so cos’è successo. E ne dobbiamo parlare.
-Non c’è niente di cui parlare, Harry. Ha dimenticato tutto e per lui non era importante.
-Che vuol dire ha dimenticato tutto?
-Ci sono stati dei momenti tra noi e lui li ha dimenticati. Ha dimenticato anche gli unicorni.
-Gli unicorni?- Harry aveva il viso di chi non capiva di cosa si parlava e quando Hermione si voltò a guardarlo, sorrise per un attimo.
-Sì, gli unicorni.
Erano i loro, tutti quei ricordi appartenevano a loro. Non erano di nessun altro e lei non li avrebbe raccontati a nessuno.
-Non è come credi.
-E com’è, Harry?
-Sai che io non lo sopporto, ma credo che ti ami anche lui… altrimenti perché ti ha baciata fuori al quadro del nostro dormitorio?
Hermione arrossì a quel ricordo. Le faceva male. –Sì, ma ieri…
-Ieri non ha importanza, Herm. Ieri era un altro giorno e oggi ne è un altro. Poi, domani sarà un altro giorno ancora.
-Sì, bella teoria. Ma non cambia che le cose stanno come stanno.
-Non è come credi, te lo ripeto.
-Sì, certo.
-Dobbiamo parlarne, Herm. Ma non qui. Ti mando un gufo.
Harry se ne andò e lei rimase di nuovo sola. Di nuovo il dolore lancinante che non accennava a lasciarla.
Voleva starsene da sola, senza nessuno, senza dolore.
Non voleva neanche sentire la voce dei suoi pensieri, la voce dei suoi ricordi. Niente. 
 

 

-Dovremmo far in modo di farli trovare qui, da soli. Almeno all’inizio.
-E’ una buona causa, Harry.- rispose Silente, guardando il ragazzo dagli occhiali rotondi. Era fiero di quel giovani che aveva dedicato la sua vita al giusto e sapeva che avrebbe dovuto aiutarlo, entrare nella mente di Draco Malfoy e spingerlo a decidere.
-Sì, lo so.
 Harry aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e non doveva succedere per niente al mondo che qualcosa andasse storto.
Aveva chiesto al Preside di dargli qualcosa che appartenesse a Draco, in modo che anche lui avrebbe bevuto la Polisucco. Era certo che Ron l’avrebbe fatto per diventare Hermione e allora, con una scusa o con un’altra, l’avrebbe trascinato fino all’ufficio del Preside e il vero Draco e la vera Hermione avrebbero saputo la verità.
-A dopo, Harry.- Silente lo congedò e si accomodò nella sedia. Guardò gli scaffali pieni di libri, poi guardò fuori dall’enorme vetrata e vide la sua Hogwarts.
Era sua, era cresciuto tra quelle mura e le aveva viste deboli, sul punto di crollare e riprendersi e lottare per restare in piedi. Hogwarts era sua.

 

 

 

 

Se ne stava steso sul letto. Innamorato quando tutto era finito.
Per la prima volta, forse, capì qual era il sapore della sconfitta e della perdita.
Non sapeva spiegarsi cosa stesse succedendo a lei, a lui, intorno a loro… sapeva solo che lei se n’era andata.
Lo aveva lasciato solo anche nella Stanza delle Necessità: non era rimasta per chiedergli se l’amava, per dirgli che anche lei lo amava.
Non era rimasta perché non le importava dare una risposta a quella domanda, non era rimasta perché lei non lo amava.
Draco non era mai stato debole tanto da non riuscire a reagire, ma non aveva la forza per muoversi e questo gli dava tanto da pensare: l’amore faceva così male?
Non lo credeva possibile, eppure l’unica certezza che aveva era proprio quella: l’amore faceva male.
E non riusciva a capire come aveva fatto ad innamorarsi di lei, l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto amare. Forse era una maledizione che prima o poi si sarebbe allontanata da lui, ma se non fosse successo?
Draco Malfoy sapeva solo odiare, come si era ritrovato ad amare?
Troppe domande, poche risposte, zero certezze su quello che provava lei per lui, mille certezze su quello che lui provava per lei. E paura.
Lui aveva paura di quei sentimenti, perché non li aveva mai provati, non li conosceva, non sapeva a cosa lo avrebbero spinto. Non sapeva niente.


–Noi non abbiamo un solito posto, Malfoy. Noi non abbiamo niente.


A volte, ritornava con la mente ai giorni trascorsi in quel dormitorio. A volte, sempre.
Il viso di lei era la prima immagine che gli copriva gli occhi la mattina, l’ultima che lo lasciava la sera, quella che compariva all’improvviso e faceva male nelle ore in cui non voleva pensare a lei.
Il punto era che Draco non voleva pensarla: era lei che entrava nella sua mente.
Dopo tutto quello che c’era stato tra loro, dopo tutto quello che lei gli aveva rubato, si permetteva anche di privarlo del controllo della sua mente.


-E cosa c’è stato?
-Parli sul serio?
-Certo, 
Draco.


Come poteva? Come riusciva a farlo?
Sarebbe voluto entrare nei suoi pensieri come faceva lei, ma forse a lui non era concesso essere tanto importante per qualcuno.
In quel momento prese la decisione migliore per sé: non voleva che lei lo amasse per forza, ma almeno che tenesse in conto la verità su di lui.
Si erano odiati, si erano feriti, si erano studiati e lui si era innamorato pensando che poi, domani, tutto sarebbe tornato uguale. Ma niente era più lo stesso.
Blaise entrò e si stese sul letto accanto a lui, imitandolo mentre fissava il soffitto.
Quella presenza gli dava fastidio, perché era cominciato tutto grazie a lui. Per colpa sua.
Draco era andato avanti per anni con la sua vita, senza che nessuno la intaccasse- nemmeno le scelte di suo padre, visto che alla fine si era voltato dalla parte dei buoni e si era salvato-, ma Blaise aveva sconvolto tutto.
-Come va, Drà?
Non rispose, perché non sapeva cosa dire: andava bene. Si, e perché?
Allora andava male. Perché?
Non sapeva neanche lui come si sentiva, come andava. Sapeva solo che era colpa di Blaise.
-Mh.- la risposta che più somigliava al suo stato d’animo.
-Le ripetizioni?
-Mh.
-Con la Zannuta?
-Mh.
-Perché non rispondi?
-Mh.
In realtà non lo stava ascoltando e Blaise se n’era accorto.
Blaise lo capiva, perché spesso e volentieri anche lui era stato perso nei suoi pensieri e nei ricordi tanto da non ascoltare chi gli era accanto e parlava. Blaise sapeva che mh era la risposta di chi non sapeva cosa rispondere.
Blaise sapeva che, in parte, quel Draco era figlio di una sua idea. Ma ieri aveva creduto che quella era la cosa giusta da fare, poi, domani, aveva capito che non aveva senso forzare e modellare i sentimenti altrui.
Si alzò e lasciò il biondo da solo. Capiva che il silenzio spesso aiutava più delle parole e conosceva abbastanza Draco da capire che quello era il momento di lasciarlo solo.
Prima di conoscere lei, prima di conoscere se stesso non aveva mai saputo amare e forse non era mai stato amato davvero… Poi erano stati rinchiusi in quel dormitorio e ne erano usciti e, a volte, i comportamenti di Hermione gli sembrava che dicessero “Lasciati amare, poi scordati in fretta di me.”
Aveva deciso e non perché volesse capire cosa provava- quello lo sapeva già-, ma perché voleva rivivere quei momenti, rivivere anche il particolare più banale. Voleva rivivere lei.
Non si rese conto di aver percorso tanti metri fino a che non si era trovato di fronte alla porta dell’ufficio del Preside. Bussò e, come se lo stesse già aspettando, Silente gli disse di entrare e accomodarsi.
-Draco Malfoy. Cosa ti porta qui?
-I-io… voglio vedere i miei ricordi.
-Non ci riesci da solo?
-No.- il tono cedevole di chi mente, ma sa che quella bugia sa più di verità. –A volte, il resto è sbiadito.
-Cos’è che non lo è?
Sentì un calore alla bocca dello stomaco e guardò il vecchio Preside negli occhi. Come faceva a sapere che c’era qualcosa che non fosse offuscato? –Hermione Granger.
Silente non sembrò sorpreso: lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.
-Bene. Vieni qui.- e Draco gli andò incontro. –Prima, però, devi darmi qualche oggetto a cui tieni particolarmente. L’anello, per esempio.
-Perché?
-Potrebbe essere pericoloso.
-Non lo è stato con i miei ricordi di Mangiamorte, perché dovrebbe esserlo adesso?
-Provavi paura, Draco, in quei ricordi?
-Sì.
-La stessa paura che provi quando cerchi di ricordare questi ricordi?
Draco tacque. No, non si trattava della stessa paura: nel primo caso aveva paura di poter morire; nel secondo, invece, aveva paura di dover vivere con la consapevolezza di amarla e non poterglielo dire o dimostrare. –No.
-Allora dammi l’anello.
Draco lo sfilò dal dito e lo consegnò al Preside che, subito dopo aver riposto l’oggetto sulla sua scrivania, gli puntò la bacchetta alla tempia e ne prese i ricordi.
Li chiuse in una boccetta e li versò nel Pensatoio. Draco immerse il viso in quell’acqua di memorie che non voleva perdere.
Nel frattempo, Silente consegnò l’anello a Harry che bevve d’un sorso la Pozione.

 

 

 

Daphne non era in sé dalla felicità e sperava che quella sensazione di leggerezza avrebbe continuato a tenerle compagnia. Sperava che le cose tra lei e Theo sarebbero andate incontro solo alla miglioria e lei si sarebbe impegnata affinché questo succedesse.
Alla fine di tutto, dopo infinite delusioni amorose, aveva capito che l’amore vero era lì ad un passo da lei. Non se n’era accorta semplicemente perché non aveva guardato Theo con gli occhi con cui avrebbe dovuto guardarlo: era un amico, quello che capiva i suoi silenzi, ma che non aveva capito quanto l’amore di Daphne per lui fosse vero e sincero.
Theo era sempre stato presente nei suoi anni a Hogwarts, soprattutto nei momenti difficili e forse era per questo che Daphne lo amava. Lo amava perché sapeva che lui non l’avrebbe mai abbandonata, come lei.
Guardò fuori, mentre camminava tra i corridoi della scuola e ripensava ai momenti più bui: le sembrava che si avvolgessero su loro stessi, come intorno ad un gomitolo,   rotolassero lontano da lei. Si sentì bene.
Per la prima volta, sentì che niente avrebbe potuto intaccare la sua felicità, sentì che le cose andavano nel verso giusto e che la strada che aveva cominciato a percorrere era quella che l’avrebbe condotta alla vita che aveva sempre desiderato. Tra l’altro, non avrebbe neanche deluso i suoi genitori e la sua dinastia Purosangue. Ma quello era davvero l’ultimo dei buoni motivi per stare con Theo.
Il primo, il più importante era che lo amava. Lo amava davvero.

 

 

 

 

Lisa Turpin era stesa in un letto che conosceva bene, ma che non le sembrava il suo, perché tra le lenzuola, per la prima volta, c’era qualcuno a cui lei era davvero interessata.
Quel qualcuno aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e un sorriso che le regalava allegria.
Ron, invece, se ne stava disteso accanto alla ragazza e guardava fuori dalla finestra. Fumò in fretta, come se il tempo che gli toglieva il fumo fosse prezioso, e si vestì.
Lisa lo guardò senza chiedergli cosa stesse facendo, né il perché, né gli chiese dove sarebbe andato. Ron era stato chiaro con lei: “Non è una storia d’amore, la nostra… ma non ti nascondo che potrei innamorarmi di te.” le aveva detto quando si erano incontrati.
Le aveva chiesto di vedersi in un corridoio del secondo piano e si era presentato. Era cominciato tutto da lì.
Ron Weasley si sentiva cambiato nel profondo dell’animo e non perdeva di vista neanche per un attimo il motivo del suo cambiamento: in fondo al cuore sapeva che quello che provava per Hermione si era spento, o almeno non era più forte come lui credeva.
Quello che lo spingeva a continuare e a tenere in piedi il suo piano era la voglia di vendetta: voleva far male a lei e a Draco Malfoy.
Diede un leggero bacio a Lisa, poi si avviò veloce per i corridoi che lo avrebbero portato al suo dormitorio. Era il momento di avere i capelli ricci e gli occhi nocciola.
Aveva bisogno di rilassarsi, perciò decise di fumare una sigaretta e si appoggiò con la schiena ad una colonna di vetro che reggeva un arco. Il sapore acre del fumo gli dava ancora fastidio e gli lasciava una sorta di bruciore giù alla gola, ma non voleva smettere: le ragazze amavano quei ragazzi che non avevano rispetto né per gli altri né per loro stessi e Ron sarebbe diventato uno di quelli. Era sulla buona strada.
Quello che però non sapeva era che quella strada non era quella giusta e sì, avrebbe incontrato altra gente, ma alla fine del cammino si sarebbe ritrovato solo: lo avrebbero abbandonato tutti. Probabilmente, si sarebbe abbandonato anche lui e avrebbe rimasto quella specie di marionetta che stava costruendo accasciata sul ciglio della strada.
A volte si sentiva davvero come se fosse mosso da fili invisibili che gli controllavano anche i pensieri e lo facevano parlare a sproposito, ma non era una brutta sensazione, perché i suoi spropositi facevano male ed era quello il suo intento.
Ripensò agli occhi verdi di Lisa e avvertì una fitta allo stomaco, ma non ci badò: non sapeva se fosse normale o meno, ma non voleva ancora innamorarsi di qualcun’altra. Avrebbe compiuto la sua vendetta e si sarebbe concesso di innamorarsi solo dopo che Hermione sarebbe tornata strisciando da lui… e lui l’avrebbe rifiutata.

 -Cosa c'entra Draco?

-Vedi? Hai occhi solo per lui!

 Si sedette sul pavimento del bagno e bevve la Polisucco. Quel sapore gli faceva rivoltare lo stomaco, ma poco importava che quasi vomitasse ogni volta che la bevesse: un po’ di vomito era il giusto prezzo da pagare per portare a termine il suo folle piano di far soffrire la ragazza che ormai non amava più.
Era per soddisfazione, per semplice e puro egocentrismo e nient’altro.

 

 

 

 

Hermione ricevette un gufo da parte di Harry e nel biglietto c’era scritto che doveva vedersi nell’ufficio del Preside. Le sembrò, ma non se ne preoccupò: in fondo, Harry conosceva bene Silente e lo aveva anche aiutato nella ricerca degli Horcrux.
Si tirò su e si avviò verso l’ufficio del Preside, camminando a passo veloce. Voleva sapere la verità, dare una spiegazione logica a quello che stava succedendo a lei e a Draco che c’era, ma poi spariva, poi tornava ed era lontano…
Erano stati distanti per tanti anni, poi si erano presi per mano, poi si erano allontanati di nuovo.
Era stato un continuo tira e molla muto e inconsapevole, ma entrambi ne soffrivano ed entrambi non lo sapevano: convinti di essere l’unico o l’unica tra i due a star male.
Si incontravano nei corridoi, senza neanche guardarsi, ma l’uno seguiva il ritmo dei passi dell’altra e viceversa.
Le loro mani non si toccavano più da troppo tempo e da troppo tempo le labbra di Draco chiedevano quelle di Hermione.
I loro sguardi non si incrociavano più e il cuore di Hermione chiedeva ancora di battere freneticamente alle carezze di Draco.
Quando Hermione entrò nell’ufficio del Preside si trovò di fronte un Draco Malfoy con l’affanno e sulla fronte i capelli , dalle cui ciocche scendeva qualche goccia.
-Che ci fai qui?
-Tu che ci fai qui?
-Harry mi ha dato appuntamento qui.
-Per cosa?
-Deve parlarmi: ha detto che lui sa cosa sta succedendo. Cosa ci sta succedendo. A me e te.
-Non c’è niente da sapere: è una cosa che non vuoi e va bene così.
-Io non voglio? Tu non vuoi! Sei tu quello che non ricorda niente.
-Io? Ricordo tutto e l’ho appena visto nei miei ricordi. Ho anche visto come mi hai trattato quando c’era anche Potter.
-Non ci siamo mai parlati quando c’era Harry.
-Invece sì: mi hai detto che non c’era stato niente tra noi, che non avevamo un nostro posto…
-No.
-Sì.
-No.
-Se non ci credi, guarda qui.- E Hermione immerse il viso nel pensatoio.
Intanto, in un corridoio della scuola di magia, un Draco Malfoy con il fiato corto strinse il polso di una Hermione troppo sicura di sé. –Granger?
-Malfoy, lasciami immediatamente.
-Devo parlarti, vieni con me.
Non le diede il tempo di rispondere e la trascinò nel luogo in cui sapeva si sarebbe svelata la verità.
Harry Potter sorrise, ma il suo sorriso apparve sul viso sottoforma di un ghigno.

 

 

 

-Il Natale è così bello.
Minerva McGranitt e Severus Piton lo guardavano come se fosse impazzito: Silente aveva un sorriso tranquillo e rilassato, come se non si fosse accorto delle urla e delle accuse che fino a poco prima venivano dal suo ufficio.
-Si saranno schiantati?- chiese la professoressa.
-Magari hanno solo fatto l’incantesimo del silenzio… è così snervante sentire due persone che urlano.- Severus era stanco di star chiuso in quella stanza attigua all’ufficio di Silente e non sopportava quel sorriso compiaciuto sul suo viso.
Era contento che Draco Malfoy avesse capito quali fossero i suoi sentimenti per Hermione Granger, ma era stupido e inutile sorridere tanto.
Silente si compiaceva e li fissava, si aspettava che anche loro fossero tanto entusiasti di quella specie di trionfo amoroso e non capiva perché non lo fossero. –C’è qualcosa che non va?
-No.- risposero i due professori all’unisono, ma continuavano a fissarlo con aria smarrita.
-Siete come questa giornata di Dicembre: avete la neve sul cuore, ma basta scuotersi un po’ e il cuore torna a battere.
I due credettero che Albus Silente fosse davvero impazzito.

 

 

 

 

Harry, nei panni di Draco Malfoy, spalancò la porta dell’ufficio del Preside e tirò con sé Ron, nei panni di Hermione Granger.
Di fronte ai loro occhi c’era la versione reale dei personaggi che stavano recitando.
-Cosa significa tutto questo?
-Chi è questo?- chiese Draco, indignato del fatto che ci fosse un altro lui.
-Aspettate qualche minuto e capirete.
-Hai anche la mia stessa voce!- gli occhi grandi per la sorpresa.
-Purtroppo sì.
Ridusse gli occhi a due fessure e lo squadrò da capo a piedi, ma quando il se stesso che aveva di fronte si tramutò in Harry Potter, Draco sentì una morsa allo stomaco. Capì.
Capì che Hermione non gli aveva mai detto quello cose, che non gli aveva mai detto che tra loro non c’era stato niente. Capì che Hermione gli aveva detto la verità.

La Hermione accanto ad Harry si rivelò essere Ron e Hermione- quella vera- si sentì indignata fino al midollo. –Eri tu nel corridoio, l’altra notte.
Non era una domanda, ma un’accusa che gli aveva riempito il cuore, il sangue e la gola di rabbia.
Ron abbassò lo sguardo. Era andato tutto a rotoli: il suo piano si era sgretolato man mano che le metteva a punto e Hermione non sarebbe tornata da lui. Mai più. –Sì.
-Io ti ho detto che mi mancavi e mi hai rispos…
Draco la guardò.-Ti mancava?
-Eri tu, cioè, lui in quel momento era te. Comunque, mi hai detto… ecco perché spalancavi gli occhi. Perché?
-Non lo so, va bene? Non lo so. Prima credevo di essere innamorato di te e non lo sono più… e non sono riuscito a fermarmi, voglio farti ancora male…
-Sei uno stupido, Ron.
-E tu cosa sei?
-Non lo so, ma sono felice di non essere come te. Sei un maschio viziato ed egoista.
-Maschio?- le orecchie rosse dalla rabbia. –Io sono un uomo.
-No, non lo sei.- Hermione aveva dimenticato Harry e anche Draco: in quel momento esistevano la sua rabbia, la sua delusione e Ronald Weasley.
-Non sai neanche qual è la differenza tra un uomo e un maschio.- Ron non si rendeva conto del fatto che di fronte non aveva più la sua amica, quella che gli perdonava tutto. Era diventato cieco, uno di quei ciechi che vedevano ma si rifiutavano di guardare.
-T’interessa saperla, Ron?- la calma nella voce spaventò tutti gli altri.
-Sì.
-E perché?
-Perché sì.
-Pochi maschi sono uomini… e poi, anche gli animali sono maschi.
-Io credo che si veda anche da quello che un maschio ha lì.- disse, indicandosi i pantaloni all’altezza dell’inguine.
-Fai pena, Ron.
-E tu sei femmina, Hermione. Femmina, non donna.
-Forse, ma io continuerò a crescere e diventerò una donna. Tu invece resterai sempre maschio. Maschio, Ron, nonuomo.
-Sei una stronza.
-Mi hai fatto credere che lui non ricordasse niente e io l’ho odiato!- si trovò a meravigliarsi di se stessa e ne fu felice: Draco ricordava tutto.
Ricordava il dormitorio, la nutella, i baci e gli unicorni.
Ron ghignò. –Sei proprio una stupida.
-Smettila di essere quello che non sei, Ron: non sarai mai come Draco. E smettila anche tu.- disse, rivolgendosi al biondo.
-Io non sto facendo niente.
-Appunto! Ti ho conosciuto, Draco e ora so come sei davvero, quindi smettila di non fare niente per essere come sei davvero.
-Io non faccio niente?
-No. Non ti difendi da quello che dicono su di te, non reagisci.
Draco non pensò a chi c’era intorno e con passo deciso di avvicinò a lei, le prese il viso tra le mani e la baciò.
Non esisteva Harry Potter, né la piccola Weasley che era entrata nell’ufficio del Preside mentre Hermione urlava, né Ron. Non esisteva nessuno: c’erano lui e la bocca di lei; i suoi capelli crespi; il profumo di lei che si mischiava al suo.

Grano, nebbia, sole, pioggia, inverno, estate.

-Va bene così?- le chiese staccando le labbra da lei, ma tenendo il contatto con le fronti.
-Ho paura…
-Viverla in due la rende meno spaventosa, no?
-Sì.- sorrise.
-Io non sono un bastardo.
-Questo è opinabile.
-Non lo sono con te.
-E’ vero.
-Non abbiamo fatto molta strada, prima…
-Mi chiedo il perché.
-Tempistica.
-Dici?
-Sì… è stato un anno difficile. 
-Già…
-Siamo nel 2002.
-Cosa?
-Sì… e ci stiamo incontrando per la prima volta. Voglio rifare tutto dall’inizio.
Hermione sentì le lacrime bagnarle il viso e sorrise: erano lacrime di gioia. Draco la baciò ancora.
-Ma ieri…
-Ne parliamo domani. Ora pensiamo a noi.
-Sapevo che c’era un posto anche per te.
-Tu.
-Eh?
-Il mio posto sei tu. Ma ieri non lo sapevo, oggi lo so. Poi, domani ne sarò ancora più felice.

 

 

 

 

Angolo Autrice:
Salve a tutte… sono emozionatissima.
Questo è il mio regalo di Natale per tutte quelle persone che mi hanno seguita e recensita e che mi hanno aggiunta da qualche parte nelle loro liste.
Ho amato questo capitolo dalla prima all’ultima parola e spero che possiate amarlo anche voi.
Siamo arrivati alla fine di questa storia che mi ha dato tante soddisfazione, ma anche un bel gran da fare.
La dedico a tutte voi, la dedico a chi mi ha ispirato a scriverla, a chi mi ha lasciata nel momento del bisogno e mi ha dato la forza per scrivere determinati capitoli in cui si raccontava la distanza.
Insomma, la dedico a chi in un modo o nell’altro ha fatto parte della mia vita.

 

Ringrazio le 52 ricordate, le 91 preferite e le 270 seguite.
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e che sono state in silenzio.
Un bacio immenso.

Vi saluto con un nodo in gola, con la speranza di potervi ringraziare un’ultima volta, almeno per quanto riguarda questa storia.

 

 

Buon Natale e Buon Anno Nuovo.
La vostra Exentia_dream

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