A Natale siamo tutti più b(u)oni!

di Akuma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paris. ***
Capitolo 2: *** Montevideo. ***
Capitolo 3: *** Bangkok. ***
Capitolo 4: *** Buenos Aires. ***
Capitolo 5: *** Roma. ***
Capitolo 6: *** Tokyo. ***



Capitolo 1
*** Paris. ***


Spero di riuscire a portarvi con me, attraverso questo breve giro del mondo. E spero di riuscire a trasmettervi il famoso spirito del Natale di cui tutto il mondo è alla ricerca.
In genere, confesso, non sono portata per questo genere di cose. Sono l’ultima che lo sente, questo cosiddetto spirito natalizio e propendo da sempre per quello “capodannizio”, se proprio devo dirla tutta.  xD
Non chiedetemi quindi perché mi sono impegnata in questo progettino, non avrei precise risposte da darvi.
Strano, vero? xD
Forse, però, è perché volevo scrivere di nuovo dei nostri eroi (God, forgive me, ho persino usato Tsubasa! xD), che mi mancano infinitamente quando non mi destreggio con loro.
Forse perché ho veramente un gran desiderio di viaggiare, ultimamente, ma per ora posso farlo solo con la fantasia.
O forse perché alla fine non sono poi così cattiva. :P
Buon Natale, FANGHERLS! Questa raccolta è tutta per voi, I love you all!
~Aku


Paris.
Parigi merita a tutti gli effetti il classico appellativo di Ville Lumière; Parigi ammaliatrice ti conquista, ti rapisce, ti eleva. Come il mare incanta, come tempesta scuote, come amore seduce.
E una volta che ti è entrata nel cuore, è certo che la porterai con te dovunque andrai. Per il resto della vita.
- E’ una di quelle cose che non ti scolli più di dosso.-
Il commento di Louis Napoleon, spaparanzato su una panchina in legno con le mani guantate ben ficcate nelle tasche del giubbotto, non poteva essere più appropriato.
- Di che stai parlando?- El Cid Pierre, al suo fianco, si sistemò elegantemente il cappotto nero, ravviandosi la folta chioma dietro le spalle.
Il principe e il pirata, se vogliamo. Mai allegoria fu più azzeccata.
- Di questa roba.- gli rispose l’altro, ammiccando alle luci che s’inerpicavano gioiose tra i rami degli alberi lungo tutti gli Champs-Elysées.
- Ma che dici? E’ bellissimo.-
Il capitano della nazionale francese, da buon francese, era ovviamente di parte.
- Indubbio. Ma è un po’ eccessivo.- e Napoleon, da buon campagnolo, era naturalmente maldisposto.
- Questo perché da dove vieni tu il massimo che festeggiate è il Mardi Gras.- Pierre alzò gli occhi al cielo - E smettila di fare il guastafeste, goditi un po’ l’atmosfera!-
- Ehi! Solo perché sono cresciuto fuori dai tuoi amati Arrondissements, non vuol dire che sia meno parigino di te!- si ribellò Louis, il cui ciuffo biondo guizzò fulmineo verso il suo improvvisato avversario da sotto il berretto di lana.
- Ah, mon ami, se non apprezzi Parigi nelle sue mille sfaccettature, non sarai mai un vero parigino.- replicò invece l’altro che, aggraziato come una volpe bianca, si alzò in piedi.
L’Arc de Triomphe faceva capolino dal terminare del celebre viale, imponente come le idealizzate colonne d’Ercole, come se al di là di esso il mondo avesse termine.
- Se non ti conoscessi bene, potrei dire che tu sia un po’ deviato, Pierre.-
- Sono un amante del bello, mio caro.- El Cid scosse il capo come un cigno - Bei luoghi, belle donne, belle cose.-
Dinnanzi a lui, in lontananza si stagliava il faro perenne della Tour Eiffel, richiamo per le stelle.
La notte era limpida, il giorno dopo probabilmente avrebbe nevicato: bianco Natale, nel buon rispetto della tradizione.
Napoleon alzò gli occhi al cielo.
- Ma guardami, è la vigilia di Natale e me ne sto seduto su una panchina al freddo e al gelo con il mio capitano. Sono proprio ridotto male!- si lamentò, sospirando - E siediti, razza di edonista! Ti avrei dovuto regalare un cilindro da dandy, invece che questa roba!- concluse infine, gettandogli tra le gambe un pacchetto striato di blu.
Blu come il riverbero delle luminarie sugli alberi dell’infinito viale, blu come le sciarpe appese alle porticine di una caratteristica bancarella poco lontano, blu come le striature della bandiera della Grecia, che torreggiava sul tetto in legno del chiosco di un venditore di dolciumi.
Commercianti e manifattori venivano da tutto il mondo con le loro stramberie per contribuire allo splendore di una notte magica. E si dividevano per i quartieri più famosi, come Saint-Sulpice, Saint-Germain-des-Près o La Defense, anche se il vero spettacolo per gli occhi erano proprio gli Champs-Elysées che, facendo il pieno di luci e colori, ospitavano una rassegna di bancarelle le cui merci andavano dai classici berretti in lana ad oggetti bizzarri e stravaganti, provenienti dal più incredibile folklore.
- Che cos’è?- gli occhi cristallini di Pierre si spalancarono in maniera inverosimile, accogliendo tutti i bagliori circostanti e colmandosi così di luci.
- Di certo non un cilindro da dandy, genio!- protestò l’altro, stringendosi nel giaccone e ruotando gli occhi dall’altro lato.
Ma El Cid era così stupito dal fatto che il suo nevrotico amico gli avesse comprato un pensiero per Natale, che non udì per nulla il suo commento.
- Mi hai... fatto un regalo?- riuscì a tradurre in parole.
- Ma dai?- esclamò Napoleon, burbero - Se devi fare tutte queste scene, ridammelo e facciamo finta che non ti abbia dato proprio niente!-
Stavolta Pierre gettò all’indietro il capo e rise, genuino.
- Questa da te proprio non me l’aspettavo, Louis!-
Dalle sue labbra piene fuoriuscì un refolo di condensa bianca che, vivace, si levò al cielo, raggiungendo le incorporee risate dei bambini, le chiacchiere allegre dei passanti, il frusciare di giacche e cappotti e il suono delle centinaia di passi che si susseguivano lungo la via. Tutti doni per il cielo dalla brulicante terra.
Scartando il pacchetto, scoprì un astuccio foderato che conteneva un paio di guanti in pelle lucida, eleganti e signorili, proprio come lui.
E allora la bocca di El Cid si distese in un’espressione benevola, gettandosi alle spalle il riso esilarato di poco prima.
- Sono favolosi.- commentò, calzandone immediatamente uno.
- Guarda che non devi dirlo per forza.- buttò là Louis, scomparendo nelle spalle del giubbotto.
- Ah, non fare il difficile, Napoleon!- Pierre lo spintonò con decisione - Non lo direi se non lo pensassi. E comunque... potrei perfettamente abbinarli al mio cilindro da dandy, questo è poco ma sicuro!-
- E’ che il tuo eccessivo entusiasmo a volte sembra un po’ farlocco.- cercò di giustificarsi l’altro, scuotendo il capo nel rendersi conto di aver appena esordito con una frase alquanto infelice.
Fortuna che Pierre era superiore a questo tipo di cose.
- E piantala di fare il complessato!-
Appunto.
- Ti offro due giri di Kir Royale, andiamo, mescoliamoci ai turisti!- poi s’infilò deciso anche il secondo guanto ed alzò di peso Louis dalla panchina, dirigendosi verso il famoso Fouquet’s.
Una volta raggiunto l’altro lato dell’enorme viale alberato, si lasciò andare ad una nuova risata vivace, ripetendo volontariamente le parole con cui Napoleon se n’era uscito poco prima di consegnargli il suo regalo di Natale.
- Guardami, è la vigilia di Natale e mi sto godendo gli Champs con il mio migliore amico. Sono proprio fortunato!-
Poco avvezzo a ricevere cenni e parole d’affetto dal suo prossimo a causa del suo ego spropositato e della spacconeria che non teneva nemmeno troppo nascosta, Louis non riuscì nemmeno a brontolare da quanto fu stupito dall’uscita di Pierre.
- Il tuo...?-
Ma El Cid, preda della propria ilarità, continuò a ridere spensierato senza badare alla sua reazione stupefatta.
- Facciamo tre giri!- puntualizzò Napoleon, lasciandosi finalmente contagiare dall’allegria del capitano.
Oh, pardon, dell’amico.

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Capitolo 2
*** Montevideo. ***


Montevideo.
Montevideo dai mille colori, Montevideo dai mille fuochi.
Il Natale non è certo fatto di latte e biscotti, pacchi e stelline, pupazzi e palle di neve, a Montevideo.
La capitale dell’Uruguay si anima come un carnevale fatto di musica e fuochi d’artificio. E’ spettacolo puro.
E mancava poco perché Ryoma Hino fosse certo di non aver mai assistito a niente di così festoso e scenografico, tanto che nemmeno il Capodanno a Tokyo sarebbe risultato tanto incredibile in confronto a ciò che stava per vedere.
- E piantala con questo Capodanno a Tokyo, non hai ancora visto niente di veramente spettacolare!- Ramon Victorino lo distrasse dalle sue considerazioni, tanto che il platinatissimo cannoniere si rese conto di aver parlato ad alta voce.
- Ehi, rispetto per la patria, amico.- asserì, tornando ad accostare il capo al poggiatesta del sedile passeggero.
- Ma quale patria, imbecille dagli occhi a mandorla! Te lo ripeto: quando rimarrai senza parole, dovrai darmi per forza ragione.-
Ramon sapeva essere molto gentile, quando voleva.
Inutile dire che quel momento non rappresentava una di quelle occasioni.
- Ti sei svegliato con un porcospino nelle mutande, stamattina? O sei semplicemente entrato nello spirito del tassinaro?- ridacchiò Ryoma, voltandosi verso il compagno.
La Pantera Nera sterzò e cambiò rapidamente marcia.
- Buona questa.- annuì - Ma mi dispiace deluderti, a Montevideo non vale il detto “a Natale si è tutti più buoni”.-
- Neanche a Tokyo, se è per questo.- ribatté il Bomber Giapponese, tutto tronfio per aver dato una stoccata allo spirito selvaggio di Ramon.
- E vuoi farla finita con questa Tokyo? Non fare come le ragazzine, ti prende la nostalgia sotto le feste?-
Ryoma scosse il capo e abbassò il finestrino, l’aria cocente e penetrante dell’estate gli invase i polmoni. Non si era ancora abituato a quella stranezza, per lui dicembre rappresentava da sempre il mese chiave dell’inverno e invece in Sudamerica si moriva dal caldo, il sole tramontava tardi e le cicale cantavano ininterrottamente da mattino a sera.
- Può darsi.- buttò là in tutta risposta, facendosi aria con la mano.
Victorino sorrise tra sé, aguzzando lo sguardo verso il primo parcheggio utile, non mancando di abbagliare con un colpo deciso di fari un ignaro pretendente all’area di sosta che aveva adocchiato lui per primo.
- Tassinaro al cento per cento, amico.- commentò Ryoma, sporgendosi dal finestrino per assicurarsi che l’improvvisato contendente non fosse sceso con la ferma intenzione di prendere Ramon a manganellate.
Certo era che se si fossero trovati a Tokyo, non avrebbe avuto vita facile. O meglio, non avrebbe avuto modo di comportarsi da pirata della strada, visto l’etica del rispetto per il prossimo che vigeva nel paese del Sol Levante.
O perlomeno così credeva, non ne era molto sicuro. Iniziava a dubitare dei propri ricordi, anche di quelli legati alle cose più sciocche. E forse, che diavolo, non aveva nemmeno mai badato all’etica del rispetto per il prossimo!
Forse, convenne tra sé, la doveva piantare di pensare al Giappone, dopotutto si trovava quasi dall’altro lato del mondo, circondato da gente dalla mentalità e dalle tradizioni opposte.
Sospirò.
La notte era appena nata, il cielo coperto di stelle sembrava respirasse a pieni polmoni da quanto era vivo e scintillante.
Con uno strattone al freno a mano, Ramon arrestò la marcia dell’auto e si affrettò a scendere, richiudendo la portiera dietro di sé.
- Ci sei?- diede una voce a Ryoma, il quale se la stava prendendo piuttosto comoda.
- Ehi, ehi, un attimo, perché stiamo correndo?- ribatté questo, stiracchiandosi.
- Quanto sei noioso, Hino! Datti una mossa e basta.- intimò l’altro, ruotando i suoi grandi occhi verdi con impazienza, tanto che il bomber decise di assecondarlo, qualsiasi cosa l’irrequieto amico avesse in mente.
C’era da dire che era piuttosto insolito il fatto che lo stesse trascinando in giro per Montevideo la vigilia di Natale, quando era ben noto che durante tutta la giornata la città fosse deserta.
Ciò che Ryoma non si aspettava era che questa si popolasse improvvisamente, al calar del sole.
Infatti, stranito, si lasciò guidare da Victorino su per una via di mattonelle squadrate sino a che questa non si spalancò inaspettatamente in uno spiazzo ampio ed i muri delle case si fecero d’un tratto sabbia, l’aria s’impregnò di salsedine, il brusio sino ad allora leggero ed impalpabile si trasformò in risate festose e chiacchierii vivaci e le luci dei lampioni divennero scintille di fuochi allegri e scoppiettanti.
Dinnanzi a loro si aprì improvvisamente l’Oceano Atlantico, le cui onde, infrangendosi sulla spiaggia chiara, offrirono loro uno spettacolo che riconciliava col mondo: la luna, meravigliosa, ardeva come una stella fiammeggiante, color dell’ambra più pregiata. Era enorme e irradiava la marea come una madre irradia d’amore il proprio figlio.
La brezza marina che risaliva per la Rambla, calda ed avvolgente come un abbraccio, scosse Ryoma da capo a piedi.
Allo stesso tempo Ramon si gettò alle spalle le scarpe che si era prontamente sfilato e cavò da una tasca dei calzoncini una manciata di quelli che al compagno parvero dei botti da armeria clandestina, troppo spropositati per essere dei normali petardi.
- Ti metti a fare anche il terrorista bombarolo, adesso?- fu il suo commento spassionato, facendo tanto d’occhi.
Ma Victorino questa volta sorrise sornione, invece di rimproverarlo di nuovo e si affrettò a passargliene un paio.
- Siamo arrivati appena in tempo!- fece, mentre la spiaggia fu inondata da un coro di voci trepidanti.
Era un conto alla rovescia.
- In tempo per cosa?- domandò Ryoma, gli occhi spalancati e l’aria smarrita.
Ramon fece scattare l’accendino e lanciò.
- Per questo!-
E mentre pronunciava l’ultima frase, le mille voci scoppiarono in un grido di tripudio.
I singoli botti lanciati dalle persone che affollavano la spiaggia esplosero quasi contemporaneamente, in un crepitio festoso: era scoccata la mezzanotte.
Quasi simultaneamente, la notte si tinse di rosso. E poi di giallo. E di verde. E di blu.
Nella volta stellata deflagrarono i primi fuochi d’artificio e tutt’un tratto gli occhi di Ryoma si spalancarono ancor di più, colmandosi dei loro lampi vivaci.
E per un attimo, un fugace e folle attimo, gli parve di essere stato catapultato a Tokyo, dove le luci illuminavano a giorno il cielo stellato. Eppure, inspiegabilmente, il calore e la genuinità dell’Uruguay gli rimbalzarono nel petto, finché non avvertì il cuore martellargli in gola, palpitante di vita.
La similitudine con il suo paese natio era sottile, astratta ed a tratti improbabile, eppure d’un tratto divenne talmente reale, tanto tangibile da intenerirlo.
Fu così che scoprì che, incredibilmente, a Montevideo il Natale si celebra con festeggiamenti per le strade, sulle spiagge e nei locali più disparati con fuochi d'artificio, musica e risate colme di sogni e speranze fino al mattino.
- Ti senti un po’ più a casa, ora?- sorrise Victorino, i cui occhi di smeraldo illuminati dai bagliori dei fuochi parevano ancor più inverosimilmente verdi.
Ryoma si voltò verso di lui, la bocca aperta dallo stupore.
- A casa.- annuì in risposta, distendendo poi le labbra in un sorriso grato.

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Capitolo 3
*** Bangkok. ***


Bangkok.
La Thailandia è sconosciuta ai più.
Molti di quelli che credono di sapere qualcosa su questo magico paese, in realtà conoscono soltanto qualche informazione estrapolata da dei programmi tv incrociati per caso durante una seduta intensiva di zapping o da qualche rivista sfogliata per sbaglio in qualche improbabile sala d’attesa.
C’è solo una cosa da dire su Bangkok: per quanto caotica, contraddittoria e disorganica sia, nessuno è mai rimasto indifferente di fronte ai suoi mille colori che saltano all’occhio come grilli impazziti, ai suoi odori caratteristici e penetranti che pungono le narici come spilli, ai suoi millenni di storia, di tradizione, di leggende.
- Sei sicuro di volerlo fare?-
Faran Konsawatt si stiracchiò mollemente, portandosi le braccia dietro la nuca.
- Certo!- esclamò Bunnaku in tutta risposta, accompagnando la determinata affermazione con un energico cenno d’assenso del capo. L’altro si appoggiò con il bacino al muretto in pietra dietro di sé.
- Ti ricordo che potresti ricevere un due di picche clamoroso.- commentò, sincero come la Bocca della Verità, forse troppo sincero, dal momento che il compagno gli conferì una non troppo gentile gomitata tra le costole.
- Ah, grazie mille, tu sì che sei un amico, Faran!-
- Prego.- rispose quello, alzando le spalle e seguitando a fissare il cielo terso con gli occhi scuri.
I due erano appena riusciti a lasciarsi il modernissimo centro alle spalle ed eludere il viavai di gente a zonzo, la maggior parte tutta presa nell’importare la tradizione straniera del Natale e quindi immersa nello shopping selvaggio, foraggiando il consumismo.
Il centro commerciale principale era gremito e la sua facciata esterna proiettava su un enorme schermo con il volume alle stelle un Babbo Natale in bermuda che cantava del folclore estero con una naturalezza - e quindi di un’incoerenza - che aveva dell’incredibile, tanto da incantare i passanti a piedi sulle strade o i passeggeri che attendevano bus e taxi sulle sconfinate sopraelevate di cemento, costruite con scarsa considerazione per l'impatto ambientale.
Tra le smisurate vie, infatti, si rincorrevano modelli d’automobili ultramoderni, carrettini in giunchi e legno ed infine i tipici Tuk-Tuk, senza badare ai numerosi ristoranti che davano direttamente sulle strade, i cui tavolini e terrazze sui marciapiedi offrono da sempre una selezione di carne e pesce cucinati all’aperto praticamente a un metro dalle auto ferme nel traffico.
Erano giusto riusciti a sfuggire dall’aria irrespirabile del centro, che ben presto avrebbe indotto le loro gole a bruciare e, lontano dal traffico assordante, Bunnaku aveva appena deciso che pranzare in un esclusivo ristorante al settantasettesimo piano di uno dei grattacieli più in vista della città non sarebbe stato certo mozzafiato come passeggiare davanti ai templi di meditazione nella città vecchia.
Ovviamente dal grattacielo avrebbero potuto godere di una vista senza eguali sull’intera Bangkok, ma la presenza del leggendario Buddha di giada e oro zecchino era sicuramente preferibile a qualsiasi altra meta.
Era lì che aveva dato appuntamento a Tehea, la dea dei cieli. Nella cappella reale.
- Sveglia, bisonte, ti sei incantato di nuovo.- lo punzecchiò Faran, sospirando lievemente.
- Oh. Ah, già...- replicò il diretto interessato, riprendendo cognizione del mondo - Stavo pensando a Tehea.- ammise infine, gongolante.
Il maggiore dei Konsawatt roteò gli occhi, soffiandosi via la frangia dalla fronte.
- Ah, ma allora sei proprio partito!- commentò, mentre sul rio dietro di sé una barca transitò lieve con la grazia di una libellula, scivolando per il canale del centro storico. Qui i business men che affollavano le vie moderne erano visioni lontane e dominava la sola presenza sacra degli abitanti della città vecchia, i quali perpetravano nel tempo le proprie tradizioni con armonia e onore.
Davanti a loro sciamò un gruppo di turisti probabilmente europei, armati di cappellini e macchine fotografiche, osservanti del silenzio che aleggiava nei pressi del Palazzo Reale - forse la meta più importante della città - al cui interno si trova il Wat Phra Kaew, la cappella reale, dove Bunnaku attendeva con ansia che la figura esile di Tehea, fasciata nell’abito cerimoniale, discendesse la scalinata con grazia e gli rivolgesse uno dei suoi sorrisi gentili.
Come se l’avesse chiamata a sé, la ragazza comparì come per magia dopo che la folla si fu allontanata abbastanza perché l’aria sacrale della pagoda d’oro ritornasse a circondare completamente la città fatata.
Bunnaku trattenne il respiro, tanto fu colpito dalla celestiale visione.
Tehea avanzava lentamente per il porticato con i lunghi capelli castani sciolti oltre le spalle coperte dalla stoffa bianca dell’abito che le copriva mani e piedi come una lunga stola decorata d’argento e lilla, con un’eleganza tale da farla sembrare parte integrante del meraviglioso mondo dei templi dalle immense vetrate multicolori, i tetti spioventi e decorati e le enormi statue a guardia degli edifici sacri, laddove il caos e l’inquinamento non erano nient’altro che un ricordo.
- Bunnaku.- la sua voce soave lo raggiunse e allora l’imponente bomber sussultò.
- Oh, ah, err... ciao. Tehea. Ciao.- balbettò, interdetto.
- Stai bene?- lo incalzò immediatamente quella, socchiudendo i suoi grandi occhi a mandorla in un’aria apprensiva.
- Sì. Cioè no, cioè sì.- scosse il capo, rendendosi conto di non essere stato molto chiaro - E’ che, è che... sei una meraviglia.- riuscì a soffiare poi, sbattendo ancora gli occhi per riaversi da una tale visione.
Lei rise, portandosi una mano davanti alle labbra dipinte di tenue rosa.
- Ti ringrazio.- si esibì in un lieve inchino - Posso dire lo stesso di te.-
E allora Bunnaku fu certo di arrossire fino alle orecchie.
Si slacciò il primo bottone dell’elegante camicia scura che aveva indossato per l’occasione e poi si portò le mani ai fianchi, sulla cintura laccata che fermava gli altrettanto ricercati pantaloni. Non si era mai vestito a quel modo, neanche durante le premiazioni ufficiali.
Ma per Tehea, la dea, era disposto a fare questo ed altro.
- Ciao Faran.- poi la ragazza si rivolse al capitano della nazionale thailandese, con un cenno confidenziale.
- Fai la brava, Tehea, questo qui è un tizio poco raccomandabile.- rise questo in tutta risposta, guadagnandosi così una ennesima gomitata tra le costole.
Lei sorrise affabilmente, tornando poi a rivolgersi al possente centravanti.
- Sai, credevo che non mi avresti mai chiesto di uscire.- disse, appoggiando delicatamente le mani al suo braccio per tornare sui propri passi.
- Volevo che... tutto fosse perfetto.- soffiò lui, tentando di non rompere l’atmosfera.
Dopotutto stavano per entrare nel sacro Wat Phra Kaew, dov’è custodita la straordinaria statua del Buddha di Smeraldo, tanto rilevante per il paese che il re stesso, al cambio delle stagioni, provvede al cambio delle sue vesti dorate.
- In questo caso ti ringrazio di nuovo. Phra Kaeo Morakot, il nostro palladio di diaspro verde, è la più completa perfezione a cui tu possa aspirare.- replicò Tehea, ravviandosi la lunga chioma scintillante di rame al sole del primo pomeriggio ed avanzando serena verso la cappella.
- Ehi, Bunnaku!- d’un tratto l’esclamazione di Faran richiamò l’inaspettatamente tenero bisonte col codino, inducendolo a voltarsi - Trattala bene, è la mia unica sorella!-
- Lo farò! Sarò il miglior unico cognato che tu abbia mai avuto!- rise Bunnaku, gettando il capo all’indietro con rinnovata sicurezza, per poi stringere la mano alla sacerdotessa e lasciarsi condurre all’interno del Palazzo Reale.

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Capitolo 4
*** Buenos Aires. ***


Buenos Aires.
In Argentina a Dicembre è piena estate.
Il che la dice lunga sui festeggiamenti natalizi, dal momento che la tradizione di scambiarsi dei doni è piuttosto moderna.
A Buenos Aires, megalopoli di undici milioni di abitanti, il Natale si celebra ingozzandosi di anguria e ciliegie, spaparanzati al sole e ballando il tango per le vie in festa.
- Diaz, sei ubriaco.-
Sbottò d’un tratto Alan Pascal, acchiappando al volo l’amico per le spalle, appena in tempo per evitargli un rovinoso capitombolo per terra.
- Ma quale ubriaco! E’ Natale!- replicò quello, sghignazzando come un pazzo e congedandosi con un inchino dalla sua corpulenta compagna di ballo di mezz’età, con la quale si era appena esibito in un passo a due da brivido.
Talmente da brivido che Pascal non aveva avuto il coraggio di guardare.
- E questo non esclude il fatto che tu sia ubriaco.- ribatté, scuotendo il capo con fare intellettuale.
- Ah, andiamo, Pas! Lasciati andare anche tu e basta!- ribatté Diaz, contrariato.
Si appoggiò stancamente alla staccionata più vicina, asciugandosi il sudore dalla fronte.
C’era da dire che era piuttosto provato: veniva da una mattinata in cui si era dovuto cimentare con i campioni indiscussi di Pentolaccia. Non era stato affatto facile spuntarla, quei bambini avevano del talento da vendere!
Poi, verso l’ora di pranzo, era stata allestita un’enorme tavolata di asado, la carne alla brace più succulenta di tutti i tempi. Ed anche lì aveva messo a dura prova sé stesso, dal momento che aveva buttato giù un bel po’ di vino per accompagnare la deliziosa vivanda tipica della Vigilia.
Senza contare l’improvvisata gara di ballo a cui aveva partecipato senza farselo ripetere due volte, danzando come un matto con la sua ex maestra delle elementari, un robusto donnone tutto riccioli e allegria.
E’ così, Buenos Aires.
E’ amicizia, è risate, è spontaneità.
Buenos Aires è famiglia.
E nonostante la maggior parte delle persone sia troppo povera per potersi permettere un banchetto natalizio come si vede in televisione, nulla vieta alle persone di riunirsi per i rioni, gustando dalla stessa tavola - e talvolta dallo stesso piatto - i frutti che la terra ha donato loro, madre comune.
Juan prese un gran sospiro e si schermò gli occhi dal sole bruciante.
- Fammi fare un sorso.- buttò là Alan, alludendo col mento alla bottiglia di vino rosso che Diaz stringeva in una mano.
- Ah, eccoti! Ora ti riconosco!- rise il numero dieci, alzandola in alto al cielo - Salute!-
Pascal ne trasse due lunghe sorsate, rispondendo all’augurio dell’amico con egual entusiasmo. Juan allora rise di nuovo, non riuscendo a trattenersi.
- Ma quanto ti voglio bene, Pas!- esclamò, gettandogli le braccia al collo e lasciandosi trasportare dalle risa, totalmente preda di un mare infinito d’ilarità, le cui perpetue onde si infrangevano sugli scogli e sulla rada con straordinaria vitalità, tanto che ad Alan parve quasi di visualizzarle, quelle risa, farsi flutti, divenire umane.
Diaz, la personificazione della spensieratezza, suo fratello da sempre, si era appeso al suo collo con la spontaneità del un bambino mai cresciuto qual era.
La musica festosa inondava le vie, mentre dal chiosco più ampio ancora proveniva l’odore stuzzicante della carne, che sarebbe stata servita senza interruzioni fino a tardi. Le strade in festa erano drappeggiate di corone e ghirlande rosse e bianche e di luci colorate che quella sera avrebbero dato il loro coreografico apporto alla scenografia già parecchio briosa e folkloristica, dall’aria di casa.
Alan bevve un altro sorso dalla bottiglia, prima di restituirla al compagno, che l’afferrò quasi al volo.
Fece poi per parlare di nuovo, quando improvvisamente due ragazzini tagliarono loro la strada, correndo come razzi verso la porta di un’abitazione poco distante.
Tutti affaccendati come folletti dalla pelle scura, uno incrociò le mani per permettere all’altro di posarvi un piede e darsi la spinta per raggiungere le proprie spalle.
Diaz distese improvvisamente le labbra e del suo esagerato sorriso non rimase che un lieve sospiro.
I bambini ci misero un po’ per assicurare l’incerto equilibrio, poi quello che stava sopra si cavò di tasca un vecchio chiodo arrugginito e lo incastrò stabilmente tra le assi della porta, dove quasi certamente l’anno prima era rimasto fissato per il lungo periodo delle feste.
Allora anche il tempo intorno ad Alan cessò di scorrere e lui divenne sordo alla musica e insensibile agli odori, cosciente solamente dell’operosità dei due ragazzini.
Quello che aveva piantato il chiodo si sfilò poi dal collo un paio di scarpe a punta che aveva annodato per i lacci e le appose su di esso, mentre l’amico lo reggeva saldamente sulle spalle, arpionandogli le gambe con le braccia: erano le scarpe di Babbo Natale.
- Ti ricordi, Pas?- Juan soffiò leggermente, per paura di far svanire una visione così fragile - Lo facevamo anche noi.-
Alan annuì con un sorriso malinconico.
- Sì, mi ricordo.- rispose con un filo di voce.
Un refolo d’aria calda satura di salsedine scosse la frangia di entrambi, incantati ad assistere al rito che si stava consumando sotto i loro occhi.
- Mi ricordo quando preparavamo l’acqua e il fieno per i cammelli dei Re Magi.- concluse, gli occhi ridotti a due fessure.
- E quando mettevamo il Babbo Natale in cima all’albero.- gli fece eco Diaz, deglutendo a fatica.
D’un tratto il mondo si tinse dei toni di seppia, facendosi dapprima sfocato, poi più nitido. I muri delle case, le strade, le luci, tutto divenne più vecchio e più nuovo allo stesso tempo ed i volti dei bambini si scoprirono essere quelli di Alan e Juan, attivamente impegnati nel fissare le scarpe al chiodo, punzecchiandosi per decidere chi dei due avrebbe fatto da sostegno all’altro e ridendo a crepapelle una volta realizzata la tradizionale decorazione.
- Perché abbiamo smesso di farlo?- soffiò Diaz, quasi impercettibilmente.
- Non lo so.- fu la risposta che gli giunse dall’amico, che sussultò.
Un lungo istante carico riportò tutto al presente e gli sgargianti colori, gli aromi e la musica ripresero ad intrattenere i presenti, anime della festa.
Poi Juan si voltò di scatto con rinnovata allegria e Alan fece lo stesso quasi nel medesimo istante. Si fissarono brevemente negli occhi e, come sempre, l’intesa fu stabilita.
Qualche istante dopo Juan aveva preso in braccio uno dei due ragazzini e lo stava aiutando a fissare le scarpe al chiodo, mentre Pascal aveva preso a fare il solletico all’altro, rincorrendolo per la piazzetta, riportando il sogno al presente e rinnovando la magia di una tradizione che non si sarebbe persa mai, bensì si sarebbe perpetrata di generazione in generazione, per sempre.
 

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Capitolo 5
*** Roma. ***


Roma.
Roma è eterna per mille differenti motivi: non c’è magia che tenga, l’essenza stessa delle cose immortali è permeata all’interno di ogni singolo marmo, di ogni strada, di ogni mattone.
E la si percepisce immediatamente, la si respira, la si avverte nel sangue non appena la si sfiora. Ci si sente infiniti, proiettati verso l’alba dei tempi, mai più soli, ma parte della storia, parte dell’umanità intera.
- Wow, Gino! Ma è favoloso!- gli occhi di Shingo Aoi non furono mai così sgranati come nel giungere al principio del Ponte degli Angeli.
Trotterellando svelto verso Castel Sant’Angelo, si fece largo tra la folla come se stesse dribblando gli avversari.
- Cavoli!- esclamò di nuovo, non badando minimamente alle persone che avevano preso a guardare al suo eccessivo entusiasmo con aria stupita - Sembra di essere stati catapultati in un altro tempo!-
Così lontano dal suo mondo e dalla sua cultura, Aoi non aveva smesso un attimo di voltarsi meravigliato qualsiasi cosa incontrasse.
Era successo quella mattina di fronte al Colosseo, al cospetto della Fontana di Trevi e nel Foro Imperiale. Per non parlare del Vaticano: aveva appena fatto il giro di tutto il colonnato del Bernini per la terza volta, ovviamente dopo aver fatto a gara con un gruppetto di ragazzini cinesi che si erano messi in testa di guadagnare la cima della cupola di San Pietro prima di tutti.
Inutile dire che invece ci era arrivato prima lui.
Se gliel’avessero domandato, Hernandez sarebbe stato disposto a scommettere sul fatto che si fosse persino commosso, all’interno della Cappella Sistina.
- Grazie per aver organizzato questa bella gita, Gino!-
Questo sorrise gentilmente, annuendo un poco.
- Figurati. Sapevo che ci saresti andato matto.- rispose - Ci sono posti dell’Italia che non puoi non visitare.-
Il suo volto sereno accoglieva i raggi del sole del tramonto e quando Shingo si voltò verso di lui, per un attimo non fu in grado di riconoscerlo, tanto sembrava pacifico e integro, perfetto proprio come un antico nume italico.
E d’un tratto il Principe del Sole realizzò quanto incredibilmente limpido e luminoso doveva essere lo spirito di Hernandez e quanto allo stesso tempo solido e vigoroso. Allora, mentre il sole scendeva orizzontale sul Tevere e gli schiamazzi dei bambini riempivano l’atmosfera, Gino divenne Apollo, onesto ed irreprensibile come in realtà era.
Se lo ricordava bene: quand’era appena arrivato dal Giappone, Gino era stato la sua guida. Non l’aveva abbandonato, aveva avuto fiducia, era stato un compagno vero dal principio e l’aveva guidato, facendo svanire ogni insicurezza e ogni attimo di smarrimento, proprio come Apollo conduceva caparbiamente il carro del Sole attraverso la volta.
Dio delle arti, si destreggiava con la propria virtù d’uomo irreprensibile e di capitano incorrotto, guidato unicamente dalla propria sconfinata passione.
Gli era stato accanto, era stato un vero amico.
Ed anche allora, dopo anni, dopo che il loro legame aveva avuto modo di rafforzarsi e divenire stabile come roccia, si trovò a stupirsi della sua immensa integrità. Gino per lui sarebbe sempre stato un punto di riferimento, qualcuno su cui contare, solido come gli angeli di pietra, qualcuno che non sarebbe crollato mai.
Improvvisamente, una bambina vestita di rosso urtò contro di lui, nella sua allegra corsa lungo il ponte.
- Ehi, attenzione!- fece Shingo, aiutandola a rialzarsi. Questa tirò su col naso, scosse il capo biondo e raccolse la bambola di pezza dalle sembianze di un Babbo Natale sorridente che le era scivolata, riprendendo la sua corsa e sparendo tra la folla.
- E’ la loro festa.- fece Gino, scuotendo il capo con aria bonaria - Il Natale, dico, è tutto per i bambini.- concluse poi, notando l’aria interrogativa di Aoi.
- Oooh!- esclamò lui, afferrando - Sì! Sai, anche in Giappone è così: i grandi si impegnano a dimostrare l'amore nei confronti dei bambini e tutte le grandi città vengono addobbate con una miriade di lanterne e con dei giganteschi alberi tutti illuminati!-
Il suo trasporto fu tale da indurre Hernandez a sorridere intenerito.
- Davvero?- domandò, più per incitare il compagno a non perdere l’entusiasmo, che per vera e propria curiosità.
- Sì!- Shingo annuì convinto - E tutti bambini si scambiano dei biglietti colorati che riportano delle preghiere.-
- E’ una bella cosa.- annuì Gino, portandosi le mani alla bocca per scaldarsi con il fiato.
Un carillon suonava una melodia natalizia, ma era lontano, probabilmente accanto ad una delle bancarelle di caramelle e dolciumi che avevano appena superato prima di raggiungere il ponte.
- Lo è eccome!- rise l’altro, procedendo lentamente - Siamo molto generosi noi! Pensa che c’è una tradizione che vuole che le vecchie cose siano donate ai bisognosi. Ah, ma non solo! Le famiglie che possono permetterselo fanno dei regali utili alle persone povere e gli stessi bambini si recano negli ospedali a trovare i malati e cantare delle canzoni di Natale!-
- Accidenti, è la patria dell’altruismo!- questa volta il portiere rise, immaginandosi uno Shingo bambino fare capolino in un coretto di ragazzini, stonato come non mai, far rivoltare nei letti i poveri ammalati con la sua vocina penetrante.
- Già, anche se io non sono mai stato molto bravo... - ammise Aoi, concretizzando la visione dell’amico.
- Chissà come mai me l’aspettavo!- Gino seguitò a ridere con affabilità e con la tipica serenità di un’anima in armonia con sé stessa.
Era una roccia, Shingo non avrebbe potuto definirlo in maniera migliore.
- Oh, la parte più bella però è quando arriva Hoteiosha e porta regali in tutte le case!- concluse il Principe del Sole, con un sorriso sfavillante.
- Hote...- tentò di ripetere Gino, ma Aoi lo scandì per lui.
- Ho-te-io-sha!- annuì di nuovo, agitando vistosamente il capo bruno - Un po’ come il vostro Babbo Natale!- si spiegò infine, alzando un dito verso il punto in cui era sparita la bambina con la bambola di poco prima.
- Non si differenziano poi così tanto, allora, queste nostre feste.- commentò l’altro, procedendo accanto al compagno - Noi lo chiamiamo “spirito natalizio”, è qualcosa che ti spinge a tirare fuori il buono che c’è in te.-
La camminata dei due procedette sotto gli sguardi muti degli Angeli di pietra, sacri e meravigliosi, indorati dal bagliore del tramonto. Poi, improvvisamente, li colse un intenso dolciastro ed altrettanto all'improvviso Shingo partì in quarta.
- Guarda, Gino! Zucchero filato!-
Hernandez si strinse nelle spalle e sorrise di cuore: non pensava che fare il turista con Aoi fosse buffo come fare il babysitter!

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Capitolo 6
*** Tokyo. ***


Tokyo.
Tokyo, il più grande agglomerato urbano del mondo, la città per eccellenza ricca di storia e contrasti, durante il periodo natalizio si trasforma in un caleidoscopio di colori ancor più ridondanti del normale.
All’insegna del vento portato dai continenti occidentali, delle contaminazioni bizzarre prendono vita e non è raro vedere un presepe le cui statuette sfoggiano dei tratti somatici orientali. Persino la figura di Babbo Natale crocifisso non è una rarità.
I locali e le discoteche sono migliaia e offrono veglioni a base di sakè e musica techno: un altro di quei connubi senza capo né coda, ma del tutto affascinanti, se vogliamo, una stramberia che può trovarsi solo a Tokyo.
Tutto è portato all’esagerazione, dalle parate in costume ai fuochi d’artificio e neppure la leggendaria Torre di Tokyo si risparmia degli addobbi sfolgoranti come le centomila luci che l’adornano ogni anno sotto Natale, rendendola incredibilmente simile ad un gigantesco albero sfavillante.
Eppure il Natale in Giappone non è accompagnato da lunghe giornate di riposo dal lavoro o dallo studio come in Europa, dal momento che non è nemmeno riconosciuto come festa tradizionale, in quanto solamente una percentuale bassissima della sua popolazione è cristiana - e la restante parte raramente ne conosce il significato.
- Corri, Tsubasa!- il piccolo Daichi si spostò rapidamente lungo il marciapiede, mantenendo un’andatura spedita.
- Aspetta, Dai!- lo rincorse il fratello maggiore, afferrandogli la mano appena in tempo per evitare che gli sfuggisse di nuovo - Stai diventando più veloce di me, lo sai?-
Il piccolo rise di cuore, cominciando a tirare Tsubasa verso il centro cittadino. Aveva appena finito di gustare la sua grossa festa di torta natalizia, preparata con tanto amore dalla mamma, poi, tutto impaziente, si era infilato il giubbottino ed aveva spalancato la porta di casa, partendo come un razzo verso il giardino.
Tsubasa aveva faticato a stargli dietro, ma dopotutto aveva proposto lui di accompagnarlo fino alla Torre, dove li avrebbe attesi uno straordinario spettacolo di luci e colori.
Una promessa è una promessa, soprattutto se a farla è il fratello maggiore ritornato da poco a casa, dopo un lungo periodo di trasferte e, nonostante in Giappone il Natale sia un giorno solitamente da trascorrere in compagnia della persona amata e non dei parenti, per Daichi Tsubasa aveva rinunciato a una romantica passeggiata con Sanae.
Ma lei aveva compreso, da buona compagna speranzosa qual era ed aveva acconsentito con un sorriso gentile, ripromettendosi di cucinare una cenetta coi fiocchi per il ritorno del suo principe: dopotutto era diventata una donna, e come ogni donna che si rispetti, era fiera di sé stessa e delle maniere garbate che aveva imparato a padroneggiare.
- Corri, corri!- l’irrequieto fratellino lo strappò dalle sue considerazioni, già figurandosi la miriade di caramelle e dolciumi che lo attendevano.
- Ehi, ti ho visto!- Tsubasa rise di cuore, afferrandolo per i fianchi e sollevandolo da terra - E’ inutile che ti lecchi i baffi, ti ho preso!-
Quando arrivarono nei pressi della Torre, già diverse decine di persone stavano affollando le vie e i piazzali, immersi in un chiacchierio allegro. Le mille luci delle lanterne tradizionali accostate ai più moderni neon sfavillavano di mille sfumature, la fragranza inconfondibile dei dolci si diffondeva armoniosamente tra la folla dai banchi allestiti per l’occasione e già diversi bambini si stavano rincorrendo su e giù per lo spiazzo principale.
Daichi si era appena guadagnato un palloncino a forma di scoiattolo, che sfoggiava fiero come fosse una medaglia e che Tsubasa gli aveva legato al polso perché non lo perdesse.
- Allora sei pronto?- gli domandò poi, chinandosi verso di lui e passandogli una liquirizia.
Il piccolo annuì energicamente, scuotendo il capo dai folti capelli neri con un sorriso a trentadue denti.
Non era una vera e propria tradizione, quella di accendere la Torre di Tokyo con migliaia di luci, piuttosto un classico sfoggio alla giapponese. Eppure l’evento attirava grandi e piccini, anche se questi ultimi ne erano certamente più affascinati.
E Daichi Ozora non era certo immune all’influsso della magica occasione, soprattutto con la prospettiva di una razzia di giocattoli e caramelle.
Nell’alzare il capo, Tsubasa si imbatté in un paio di occhi neri troppo famigliari per passare inosservati: un bambino tutto serio e impettito se ne stava fieramente in piedi a pochi metri da loro, nell’attesa del momento clou. Stringeva la mano ad un altrettanto serio e impettito ragazzo, che fissava la sommità della Torre come se da un istante all’altro dovesse compiersi il miracolo tanto atteso.
- Hyuga!- esclamò Tsubasa, stupefatto.
Questo si voltò dapprima ancora con la sua tipica aria corrucciata, poi lasciandosi andare ad un’espressione allegra sorpresa.
- Ehi!- rispose, facendosi più vicino - Sei tornato? Quando? E come stai?- gli domandò, stringendogli amichevolmente la mano.
- Qualche giorno fa, in Spagna si ferma tutto per festeggiare il Natale, per cui ne ho approfittato!- Tsubasa si era fatto improvvisamente raggiante - E tu? Come va la vita, Hyuga?-
- Abbiamo avuto la stessa idea.- commentò Kojiro, passandosi una mano tra i capelli scuri - Anche in Italia è tutto congelato sotto le feste e così ho pensato di tornare a trovare i miei fratellini e i vecchi amici.-
Improvvisamente Tsubasa colse una nota di estrema maturità e dedizione nel limpido sorriso della Tigre, segno che la sua avventura italiana doveva averlo fatto crescere parecchio. E di questo non poteva che andare fiero.
- Sono riuscito persino a salutare Wakashimazu, Sawada e qualche altro della vecchia squadra.- aggiunse Hyuga - E addirittura il mister Kira, sono arrivato in tempo prima del Bounenkai!-
Tsubasa si lasciò trasportare dall’ironia di Kojiro, dal momento che la festa del Bounenkai, celebrazione per dimenticare le delusioni e gli insuccessi dell’anno passato, porta da sempre con sé fiumi di sakè, tanto che non è affatto raro trovare per strada molte persone ubriache durante la notte di Natale.
- Sono contento per te, amico!- rise, battendogli una mano sulle spalle in segno d’affetto.
- Già, e tu cos... - fece per domandare Hyuga ma il fratellino gli aveva già strattonato una manica cercando la sua attenzione - Che c’è, Takeru?-
Questo gli stava indicando con convinzione lo scoiattolo di cui Daichi andava tanto orgoglioso, non nascondendogli affatto il desiderio di volerne uno tutto per sé. Ma ancor prima che la Tigre potesse azzardare una replica, il piccolo Ozora gli aveva già proposto di scambiare il pacchetto di praline per il palloncino.
- Due piccoli imprenditori, non c’è che dire.- commentò Kojiro, mentre i due bambini effettuavano il baratto con una serietà impensata.
- Già, accidenti! Le nuove generazioni sono davvero così sveglie come dicono!- proprio nel momento in cui Tsubasa scoppiò a ridere di nuovo, scattò un breve conto alla rovescia, seguito dalla repentina accensione delle centomila luci.
La Torre di Tokyo sfolgorò in tutto il suo splendore, abbagliando gli innumerevoli spettatori con il naso all’insù e strappando loro un esclamazione di meraviglia. Come il sole, indusse qualcuno a coprirsi gli occhi, accecato da tanto fulgore.
- Buon Natale, Hyuga.- sorrise il numero dieci, il volto illuminato d’allegria.
- Buon Natale, Tsubasa.- replicò allo stesso modo Kojiro, con un sereno, conciliante sorriso.

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