Il passato nel presente di AliceInHeartland (/viewuser.php?uid=117132)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Prima parte ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Seconda parte ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Parte Prima ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Che cos’è, questa?
Una benedizione? Una maledizione?
Un premio? Una punizione?
Davvero non lo so.
Ma, una cosa è certa: ancora adesso mi chiedo come sia potuto accadere…
***
“Lo sai che la signora Kitano è sempre disponibile, vero? Per ogni evenienza,
puoi sempre rivolgerti a lei”
“Sì, mamma”
“Ah, e ricordati che le nuove divise sono tutte nell’armadio del soggiorno”
“Sì, mamma”
“Arline, stai attenta alle persone che introduci in casa! Accertati sempre che
sia brava gente!”
“Sì, mamma”
“E, mi raccomando, attenta al gas, agli aggeggi elettronici e…”
“Mamma, ho capito! Può bastare!” esclamò, esasperata, la ragazza alla madre,
che stava dall’altra parte della cornetta. “ Ho diciassette anni. E non è la
prima volta che parti per stare così tanto fuori di casa, a causa del lavoro”.
“Lo so, lo so. Ma è la prima volta che ti lascio da sola! Da quando la nonna è
morta, non possiamo contare su nessuno…” . La voce della donna sembrava
alquanto insicura da come vibrava. “E poi, è da poco più di un mese che ci
siamo trasferite a Kyoto, quindi…”
“Non preoccuparti, mamma. Starò bene” cercò di tranquillizzarla, lei. “A scuola
andrà tutto bene. Mi sono già ambientata alla perfezione!”
“Oh… Sono davvero contenta di sentirtelo dire, Arline!” . La donna sembrò
rincuorata della risposta ricevuta dalla giovane. “Bene, allora suppongo che
vada tutto bene. Posso partire tranquilla?”
“Tranquillissima”
“Perfetto! Ah… Hanno chiamato il mio volo! Allora, ci si sente!”
“Mh! Va bene!”
“Ti chiamerò appena arrivo. Un bacione, Arline! Ricorda che la mamma ti vuole
sempre bene!”
“Sì, mamma. Anch’io ti voglio bene. Fai buon viaggio”.
Detto ciò, riagganciò la cornetta del telefono e tirò un sospiro di sollievo.
Finalmente era partita. E finalmente poteva finire di mentirle, per
tranquillizzarla.
Le aveva confermato che non sentiva alcun disagio nel rimanere completamente da
sola per Dio neanche sapeva esattamente quanto tempo... Invece ne provava.
Eccome se ne provava!
Non era la prima volta che la madre partiva e stava via per tanto tempo, causa
lavoro.
Ma era sempre stata con la nonna e, quindi, mai effettivamente lasciata a sé
stessa.
Dopo la morte di quest’ultima, però, da Tokyo la loro famiglia (composta
unicamente dalla madre e da lei) si era trasferita a Kyoto, nella loro casa
d’origine.
Dunque si trovava in una nuova casa e senza più la sua adorata nonna, con cui
si sentiva tranquilla.
Non era per niente a suo agio e non era per niente sicura che ce l’avrebbe
fatta!
Ma non poteva certo dirlo alla madre, no? Non voleva farle pesare quel viaggio,
più di quanto non se lo stesse facendo pesare già da sola.
Era per motivi di lavoro e non poteva rifiutare. Lo faceva per garantir loro
una vita adeguata alle loro necessità.
Era sempre stata lei la colonna portante di tutto, dato che suo padre era morto
quando lei aveva soltanto tre anni, a causa di un infarto fulmineo.
Morì nel giro di poco tempo. Così poco, che la bambina non se ne poté neanche
rendere conto. Nel giro di qualche ora, la sua vita cambiò dalla A alla Z.
Ma entrambe – sia la madre, che Arline – furono abbastanza forti da superare
tutto.
Arline si era resa forte. Aveva imparato a gettarsi alle spalle i problemi e a
superare gli ostacoli, impegnandosi più del dovuto. Tutto per non dare fastidio
alla sua mamma, che già stava facendo tutto ciò che era in suo potere per
mantenere le redini della famiglia. Sia dal punto di vista economico, che educativo.
Ecco perché voleva tranquillizzarla. Anche a costo di dirle qualche piccola
bugia. Voleva che fosse sicura che andasse tutto bene.
Ma, in realtà, non andava tutto bene.
Per niente.
Le aveva detto che nella nuova scuola – dato che si era trasferita – ci si era
ambientata subito e aveva trovato anche tante amiche, ma non era affatto così.
Era da un mese che frequentava quel nuovo istituto, eppure era da un mese che
non riusciva a stringere amicizia con nessuno.
Restava sempre da sola, seduta al suo posto, al suo banco, mentre tutto il
resto della classe si riuniva in gruppetti di cinque, o sei persone, per
parlare e anche pranzare tra di loro.
Lei, coi suoi capelli castani, raccolti in due trecce che faceva cadere sulle
spalle, i suoi occhi azzurri nascosti da quegli occhiali da vista con la
montatura sottile (per farsi notare il meno possibile e non farsi appellare
“occhialina”, come alle medie), il fisico esile e la tipica aria da brava
ragazza (anche un po’ secchiona), invece, non riusciva mai a parlare con
nessuno. O, meglio, il problema era un altro.
Quando era al liceo di Tokyo, molti dei suoi compagni, dopo aver saputo del suo
trasferimento a Kyoto, le dissero di stare attenta, perché loro non vedevano di
buon occhio i cittadini della “Grande metropoli” e molto spesso li prendevano
di mira.
Arline era arrivata, dunque, già nella scuola con il pregiudizio che tutti la
giudicassero male e non la volessero tra loro.
Così, non appena qualcuno le si avvicinava per tentare di farci due
chiacchiere, lei si metteva sulla difensiva.
“Wow… Che pettinatura strana, Arline! Non credi sia un po’ antiquata? Eppure
vieni dalla città. Mi pare strano che lì si usino ancora le trecce!” le aveva
detto una volta, una ragazza, semplicemente per parlare con lei e darle un
parere sulla sua acconciatura, ma l’atteggiamento di Arline fu a dir poco sconsiderato:
“Certo! Giustamente! Solo perché provengo dalla città, non mi è permesso farmi
delle trecce! Ma cos’avete che non va? Adesso dovete anche dirmi come
pettinarmi la mattina?!” aveva risposto all’altra, lasciando tutti di sasso,
per il suo atteggiamento esagerato e permaloso.
Da quel giorno, nessuno tentò più di avvicinarla.
La ragazza non si era resa conto che era proprio il suo atteggiamento ad
allontanare tutti, più che la sua persona.
Così, fu iniziata ad additare in classe come secchiona (dato che, anche se
appena arrivata, era una delle più brave della classe), asociale, irascibile, permalosa e aggressiva, nonché stupida snob
proveniente dalla grande metropoli.
Il che non era vero. Non era niente di tutto ciò. Ma oramai la sua fama era
diffusa in tutta la scuola e ci sarebbe voluto un miracolo per superare i
pregiudizi che si erano venuti a creare su di lei.
Ahhhh… Non ne posso più!
Arline sospirò, guardando fuori dalla finestra. Nonostante si trovasse in
classe , quella lezione era davvero noiosa. Matematica non l’era mai piaciuta.
Inoltre, non aveva mai effettivamente usufruito delle lezione dei prof, dato
che risolveva quei problemi come fossero puzzle per bambini di cinque anni.
Nonostante fosse una materia che non le piaceva, vi era molto portata. Come la
madre.
“…ura-san…”
Mamma… Perché non mi hai portato con te?!
“… imura-san…”
Mi sarei dovuta introfulare di nascosto nella sua valigia!
“Yukimura-san!” la riprese una voce ben definita e con tono austero. La
voce dell’insegnante.
“Sì!” rispose lei, sobbalzando e alzandosi in piedi, una volta interpellata.
“Si può sapere che stai facendo? Sogni ad occhi aperti?”
“No, ecco… Io… stavo solo…” … sperando di
scappare via da qui? Vorrei tanto, ma non posso, sensei!
“Capisco che, essendo un genio venuto dalla città, tu non abbia bisogno
delle mie umili lezioni, ma… Ti spiacerebbe prestare lo stesso attenzione?
Almeno per buona educazione?” chiese con impertinenza, l’insegnante.
Risa. Eccole.
Giustamente non potevano mancare a quella battuta.
Perfetto! Adesso anche i professori ce
l’hanno con me…
Scommetto che adesso sono tutti contenti che io sia stata ripresa… Scommetto
che se la ridono sotto sotto e che si sentono soddisfatti!
Tra poco anche gli alberi di questa scuola si volteranno verso di me ed
insinueranno: “Non guardarci! Non erano meglio gli alberi di Tokyo?!?”.
Sospirò, la povera ragazza.
Non ce la faccio più… Mamma, vienimi a
prendere! Io non ce la faccio proprio più!
***
Arline Yukimura.
Diciassette anni.
Liceale.
Single.
Provvidenzialmente perseguitata dalla sfortuna.
***
Era domenica, quel giorno. E il sole splendeva ardentemente, per essere una
giornata d’autunno.
Dopo aver ricevuto la telefonata della madre ed averle fatto il rapporto degli
ultimi giorni, averla tranquillizzata, mentendole ancora, e aver chiuso la
chiamata, decise di rimettere ordine in quella casa.
Erano passati due mesi, oramai, da quando si erano trasferiti lì, ma non aveva
ancora ben sistemato la sua roba e tanta altra, in generale.
Nell’ingresso c’erano ancora scatoloni imballati e chiusi ermeticamente.
Non avevano avuto neanche il tempo di arrivare, che già la mamma era dovuta partire
e lei aveva dovuto affrontare un problema più grande di un altro.
Per quanto ancora la sfortuna l’avrebbe perseguitata?
Beh, ad ogni modo… Oggi non voglio
deprimermi con questi pensieri! Oggi si lavora! Bisogna sistemare tutta questa
roba!
Arline si era da subito trovata bene in quella casa, anche se un po’ di
disagio non mancava mai: era grande, molto più grande di quella che avevano
avuto a Tokyo. Ed era tutta in stile antico, con le porte scorrevoli su cui vi
erano sopra riportati dei dragoni, delle fantasie floreali, o anche dei
paesaggi caratteristici di Kyoto.
La mamma le aveva detto, in macchina, quando erano sulla strada per arrivare in
città, che quella casa era appartenuta alla bisnonna di suo padre, in cui ci
era anche vissuto fino al giorno della sua morte.
“La bisnonna di papà?” aveva chiesto la ragazza, incuriosita.
“Già. Sai, la verità è che non ha avuto figli” le aveva spiegato, la madre. “Ha
adottato un ragazzino a cui poi, successivamente, diede il suo cognome”.
“Adottato? A quel tempo lo si poteva fare?”
“Per una donna era difficile, certo. Ma, ancora non so in che modo, riuscì ad
ottenere il permesso. Era una donna di grande carisma”
“Davvero?”
“Tua nonna lo diceva sempre” ricordò con nostalgia, parlando della madre del
marito, la donna. Oramai aveva imparato ad amarla come se fosse stata la sua di
madre. E quando era morta, era stata quella che ne aveva sofferto maggiormente.
“Però, nonostante questo, sembra non abbia avuto alcuna storia”
“Possibile? Mamma, secondo me stai delirando. Non si è mai sentito che una
donna di grande carisma non abbia avuto almeno una storia, in tutto il corso
della sua vita!”
“Invece sembra proprio che sia stato così. Si diceva che avesse amato un uomo,
ma che quell’uomo morì in battaglia, prima di lei. Addolorata, dunque, decise
di rinunciare per sempre all’amore. Si ritirò in questa casa in cui stiamo
andando ad abitare noi, e lì visse fino all’ultimo dei suoi giorni, in sola
compagnia di suo figlio adottivo e del suo gatto”.
L’aveva impressionata con quanta enfasi le avesse raccontato quella storia e ne
rimase leggermente stupita.
Ricordarlo ancora adesso le fece aumentare i battiti del cuore.
E quella sensazione le rimase durante tutte le pulizie di casa e la
sistemazione degli oggetti e indumenti vari.
La bisnonna, eh? Una donna carismatica
che, dopo aver amato un unico uomo, tanto intensamente, e dopo averlo perso, ha
rinunciato all’amore. La sua vita è stata colma di solitudine se non fosse
stato per il bambino che aveva preso sotto la sua ala e quel suo gatto, Toshi.
“Ogni tanto andava qualcuno a trovarla, sai?” aveva aggiunto la madre,
mentre stavano scaricando i pacchi nel corridoio della nuova casa.
“Eh? Qualcuno?” . Arline le era sembrata davvero interessata all’argomento.
Ecco perché aveva deciso di riprenderlo in mano.
La donna aveva annuito. “La nonna mi ha detto che, da quel che si raccontava,
alcuni uomini, a volte, andavano a trovarla. Erano diversi uomini. Alcuni
pensavano fossero suoi amanti occasionali, dato che andavano a farle visita ogni
due, o tre anni”
“Sempre tutti assieme?”
“Oh, no, piccola mia. No. Uno alla volta. Quando capitava. Si alternavano. Non
si seppe mai chi fossero quegli uomini.
Una volta, una vicina di casa della tua bisnonna le chiese: “Ma chi sono quelle
persone? Amici? Conoscenti? Parenti?”
E lei sai che rispose?”
La ragazza aveva scosso la testa, per indicare che non ne aveva la minima idea.
“Lei le sorrise gentilmente e le rispose: “No… Loro sono molto, molto di più…
Sono persone con cui ho un legame indissolubile…”.”
Un legame indissolubile, eh?
Ancora adesso, mentre sistemava nella stanza per gli ospiti il futon
nell’armadio a muro, ci pensava.
Nonostante si dicesse che fosse sola, però… Alla fine non lo era così tanto, se
c’erano persone con cui poteva vantarsi di avere “un legame indissolubile”.
Pensò alla bisnonna e la confrontò a sé stessa, alla sua situazione
attuale.
Un legame indissolubile… Come potrei
sperare di trovare qualcuno con cui avere un legame indissolubile?
Non scherziamo!! Come potrebbe mai accadere che…
Mai
sfidare il destino… Tutto viene a chi sa aspettare…
“Ma cosa…?” . Arline si era piegata sulle ginocchia,
posando il futon sul tatami, per prendere quell’oggetto, caduto da quell’anta
dell’armadio a muro.
Non sapeva di cosa si trattava, ma doveva essere molto vecchio, dato il grumo
di polvere che vi era sopra.
La ragazza aveva scoperto quell’armadio unicamente perché vi si era infilato,
al di sotto della fessura, uno dei suoi dischi preferiti e, cercando di
recuperarlo, aveva trovato il tesoro.
Ma, all’interno, non vi era nulla di speciale se non qualche oggetto di
antiquariato: qualche vecchia katana, delle fasce con un distintivo d’acciaio
che oramai, logorato dal tempo, era irriconoscibile, qualche pezzo di stoffa
strappata.
Tutto ciarpame! Ed io che pensavo di
trovare gioielli e diamanti!
Ahhh! Sono davvero sfortunata!
Aveva pensato in quel momento, ripromettendosi di sbarazzarsi di quella
roba al più presto. Ma in quei giorni era stata tanto occupata che proprio non
ne aveva avuto il tempo.
Quella domenica, però, se n’era ricordata: aveva tolto tutta quella roba
inutile, posandola per terra e stava posando il futon nell’armadio, quando,
all’improvviso, un’anta era caduta e da essa era fuoriuscito questo oggetto.
Dopo averlo preso tra le mani, girandolo e rigirandolo la ragazza poté notare
che, sotto lo strato impensabile di polvere, vi era un libro.
“Cough, Cough” tossì la giovane, ripetutamente, dati tutti i batteri che si
erano annidati su quella copertina per anni e che lei aveva smosso con tanta
celerità. “Cough, cough! Ma quanti anni avrà questo diamine di libro? Un
millennio? Sembra non lo si tocchi dall’età Edo!”
Arline si rigirò il libro tra le mani, domandandosi che cosa ci fosse scritto
all’interno.
Onestamente la tentazione di lasciarlo perdere fu grande, ma anche la sua
curiosità non era da meno.
Dunque, lo aprì.
Lo scrutò attentamente e, inizialmente, non riuscì a capirci un granché. Oltre
al fatto che l’inchiostro si fosse, in parte, sbiadito, ma anche il modo di
scrivere era abbastanza antiquato.
A giudicare dal linguaggio, sembrava scritto da qualcuno che aveva vissuto vero
la fine dell’800.
Possibile che…?
“Non ci credo…” . La ragazza ebbe un sussulto. “Questo… non è un semplice
libro…” constatò. “Questo è… un vero e proprio diario…” .
Incredula di ciò che aveva trovato, la ragazza si sedette sul tatami,
sfogliando accuratamente le pagine ingiallite del diario, per paura di poterne
staccare una pagine, con un movimento troppo avventato delle dita.
“E’ incredibile come si sia conservato per così tanto tempo… Chissà a chi
appartiene…” non poté fare a meno di chiedersi la giovane. “Vediamo… Se solo
riuscissi a leggere qualcosa…”.
Ma niente da fare. Quasi tutte le pagine di quell’antica reliquia erano
illeggibili.
“Ah!” esclamò, ad un certo punto. “Ne ho trovata una in condizioni migliori!
Vediamo un po’…”.
Dopo aver cercato l’inizio del capitolo, Arline si sistemò meglio gli occhiali
e incominciò a leggere ad alta voce: “Scritto nel 24 luglio del 1891.
Caro diario,
oramai non so più che fare con Toshi. Quel gatto combina davvero troppi danni.
Anche stamani, come al solito, l’uomo che si apposta qui, all’angolo, per
vendere il pesce, è venuto a lamentarsi del fatto che “quel pestifero esserino”
– come lo chiama lui – gli avesse rubato delle sardine.
Non sapevo più come scusarmi col pover’uomo e ho dovuto, necessariamente,
consegnargli qualche soldo, per ripagare, almeno in parte, il danno.
Per fortuna il mio piccolo Ryuuki, ora come ora, lo sta tenendo a bada,
giocandoci un po’.
Ieri sera è venuto a trovarmi Harada-san. E’ stato gentile. Ci ha portato dei
dolci occidentali e qualche gioco per Ryuuki. Non gli sarò mai abbastanza
grata.
Mi ha parlato dei suoi viaggi e del fatto che, ogni tanto, gli venisse
nostalgia dei bei vecchi tempi, quando la shinsengumi era ancora in piedi. E di
quando… Beh, lo sai, di quando il mio adorato Hijikata, Okita-san,
Yamazaki-san… erano ancora vivi.
Quanti compagni avevamo perso…
Ah, non va bene… Solo a pensarci, mi viene nuovamente da piangere. Sto iniziando
a diventare paranoica, vero? Sarai stanco di sentire le mie rimembranze sui
tempi ormai andati.
Solo che, con tutta la buona volontà, non riesco a farne a meno…
Beh, cambiando argomento, sai che…”.
Vuoi vedere che questo diario appartiene
a…
La ragazza non riuscì a proseguire nella lettura. Vi era una parte troppo
ingiallita. Quindi la saltò e riprese a leggere quasi verso fine pagine: “…io
non ci credo onestamente. Quella donna mi ha detto che, con quegli oggetti che
ho raccolto, e pronunciando quell’haiku – a suo dire – magico, possa
rincontrarli ancora una volta, tutti quanti.
Già… Che tentativo poco concreto di realizzare un sogno, vero?
Solo che… se non si sogna, come si fa a continuare a vivere, una volta che la
vita è così desolata?
Beh, non importa. Anche se non ci credo, i versi di quella poesia sono davvero
dolci.
Perché non riportarli? Sarebbe davvero un peccato:
Il tempo che passo con te è sorprendente.
Ho finalmente realizzato che il nostro
appuntamento è finito.
Non voglio andarmene, non voglio più
andarmene.
Fermiamo il tempo così da rimanere
insieme per sempre.
Ogni volta, ogni giorno, in tutto…
Anche se siamo distanti, ci troveremo entrambi ancora insieme.
Ogni volta, ogni giorno, in tutto…
Credimi, anche se il tempo non può essere fermato,
e’ destino, c’incontreremo sempre un’altra volta, vero?
Ma, anche così, se potessi esprimere un solo desiderio:
Dio, ti prego, ferma il nostro tempo.”
Fu allora che… Dio fermò il tempo e
che mandò indietro le lancette dell’orologio.
Fu allora che la preghiera della ragazza fu ascoltata.
Il problema era che…
si trattava della ragazza sbagliata.
Arline rimase sconcertata: quella luce abbagliante che aveva avvolto i vecchi
oggetti che si trovavano sul tatami (e che aveva trovato nell’armadio) e che
successivamente invase tutta la stanza, scomparve senza lasciare tracce.
O, meglio, di tracce ne aveva lasciate, ma…
“Che…. Che…”
Dei ragazzi… ed anche molti… erano comparsi nella camera… e la guardavano tutti
con arie un po’ perplesse e stupite.
Indossavano dei kimono molto antichi e la maggior parte avevano i capelli
lunghi raccolti in strane acconciature.
L’attenzione di tutti quegli uomini cadde su di lei che, si spinse con la
schiena contro il muro, più che spaventata.
“Che… Che… CHE DIAMINE STA SUCCEDENDO QUI?!?”
***
Che cos’è, questa?
Una benedizione? Una maledizione?
Un premio? Una punizione?
Davvero non lo so.
Ma, una cosa è certa: ancora adesso mi chiedo come sia potuto accadere…
Bisnonna Chizuru… ma che mi hai combinato?!?
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Dio… Dimmi che è solo un’allucinazione, una visione…
O, mi va anche bene se sto sclerando! L’importante è che…
QUELLO CHE VEDO DAVANTI A ME NON SIA REALE!!!
Difficile che il desiderio della ragazza potesse
realizzarsi: sette uomini erano piombati, tutto d’un tratto in quella camera,
dopo che quella luce abbagliante aveva invaso tutto, accecandola.
Il problema era fondamentalmente che erano troppo reali per essere soltanto
pura immaginazione.
E tutti, indistintamente, si guardavano tra loro con aria perplessa, anche un
po’ disorientata.
“Hey, ma… dove siamo?” chiese, all’improvviso, un ragazzo che aveva,
apparentemente, circa la sua età. Aveva dei capelli castani, molto lunghi,
raccolti in un’alta coda di cavallo, e degli occhi verde-acqua, molto intensi.
“Questa non è la sala di riunione della base, o sbaglio?”
“Che sia uno dei sogni di Shinpachi?” un altro, ora, con i capelli rossicci, e gli occhi color
oro, aveva parlato. “Onegai, Shinpachi, non trascinarci nei tuoi sogni
assurdi!”
“Baka!” esclamò un uomo dalla corporatura muscolosa, i capelli rossi e gli
occhi azzurri. “Chi mai sognerebbe una cosa del gener…”
“Neh neh, minna-san… Perché non chiediamo a quell’ojou-chan laggiù?” . Un
ragazzo dall’acconciatura a dir poco assurda, i capelli castani e gli occhi
verde-foglia, le si era avvicinato e la guardava con aria quasi divertita, ma,
nel contempo, diffidente.
“Neh, ojou-chan…” esordì, avvicinandosi a lei ancora di più. “Per caso sai
niente di come abbiamo fatto a finire qui?”
Oddio… Oddio, oddio, oddio, perché mi hai
fatto questo?!?
Questo tizio è pericoloso! Ha… Ha… una katana con sé! E vera, per giunta!
“E… E…Ecco… I… Io…”
Un… Un momento! Perché sono loro che
minacciano me? Questa situazione non ha senso!!!
“Che… Che… Che cosa volete che ne sappia io?!” scattò lei, smettendo di
tremare e raccogliendo tutto il coraggio che aveva. “Anzi, dovreste dirmelo voi
com’è che ci siete finiti qui! Cosa ci fate in casa mia? Come siete entrati?
Chi vi ha dato il permesso di farlo, eh?!”
“Mh?” . Il ragazzo che prima le si era avvicinato, la guardò con aria perplessa
e disorientata.
“Ragioniamo con calma…” . Una voce più profonda e pacata, saltò fuori
all’improvviso. Proveniva da un giovane dai lunghi capelli corvini, legati in
un altrettanto interminabile coda di cavallo, e dagli occhi color ametista.
“Eravamo riuniti nella sala riunioni per discutere di alcuni argomenti molto
delicati, circa i nuovi ordini dello Shogunato, quando, ad un tratto, una luce
abbagliante ci ha avvolto tutti, accecandoci.
Quando la luce è scomparsa, ci siamo ritrovati qui, in questa camera, con
questa ragazza. La spiegazione può essere solo una…”
“Demone” .
Arline non riuscì neanche ad udire bene la voce del ragazzo che aveva parlato
che subito si ritrovò la sua katana al collo.
Coooooooooooooosa?!?
Il giovane aveva i capelli neri che i riflessi della luce sembravano
tingere di blu, raccolti in una coda scesa che faceva cadere sulla spalla
destra. Inoltre, aveva degli occhi del colore del mare.
Ma la ragazza non poté concentrarsi molto sulla sua figura, dato che era più
preoccupata della katana che le stava puntando alla gola.
“Si… Si… Si può sapere che diavolo stai facendo?!” esclamò la ragazza, che
stava sudando freddo dal timore che quella lama potesse sfiorarla.
“Elimino il demone” si limitò a rispondere lui.
“De… Demone? Quale demone?” . Ora sì che stava davvero perdendo la pazienza!
Non solo questi tizi si erano intrufolati in casa sua, ma si permettevano anche
di chiamarla “demone” e puntarle una katana contro!
“Sei cieco, o cosa? Non lo vedi che sono un’umana?”
“Devo ammettere che sei bravo a fingere… Più di quel che sembri, demone…”
“Fingere?! Ma… Io non sto fingendo! E ti ho già detto che non sono un demone”
“Saitou-san, credo dovresti ritirare la lama. Ho la sensazione che la ragazza
stia dicendo il vero…” . Un giovane uomo dai capelli castano scuro, gli occhi
nocciola nascosti dietro un paio di occhiali, e l’aria più rassicurante di
tutti, era intervenuto per difenderla (salvarla) dall’altro ragazzo.
Difatti, dopo il suo intervento, l’altro aveva abbassato l’arma, non
rinunciando a guardarla ancora arcignamente.
Arline non trattenne un sospiro di sollievo.
Forse c’era qualcuno di normale in quel branco di pazzoidi armati e vestiti
alla samurai style.
Beh, forse non erano proprio divise da samurai, ma una cosa era certa: erano
dei vestiti vecchi quanto la sua bisnonna!
Eh? Quanto la bisnonna…?
“Sono terribilmente spiacente per il
comportamento dei miei compagni” . L’uomo che prima l’aveva aiutata a scampare
dalle grinfie dell’ ultimo samurai,
si era piegato su un ginocchio, davanti a lei, e le aveva posto la mano per
aiutarla a rimettersi comodamente in ginocchio. “Solo che, deve capirci, sono
alquanto disorientati dal susseguirsi degli ultimi eventi” .
Okay, assodato: quel tipo era il più simpatico di tutti.
O, se non altro, il meno schizzato.
Arline si era fidata dell’uomo e gli aveva afferrato la mano che lui
gentilmente le aveva posto. Tornata, in seguito, ad una posizione quasi
decente, si schiarì la voce e guardò il “branco” di giovani riuniti intorno a
lei.
Oh, mamma… quanti sono! E tutti troppo
vicini, per giunta!
Già non li sopporto più.
“Ehm… Ecco… Io… Graz…” aveva deciso di ringraziarlo, ma fu interrotta da
un’altra voce, più potente che asserì: “Mhhh… Parlando di cose strane… I suoi
vestiti non sono un po’ inusuali?” .
A quell’osservazione fatta dall’uomo muscoloso e con gli occhi azzurri, tutti
la osservarono meglio.
“In effetti Shinpatsu-san ha ragione! Indossa dei vestiti stranissimi! E, poi,
perché indossa un umanori hakama*? Se è una donna, perché non
indossa un kimono, o, quanto meno, un gyōtō
hakama*?” . Il ragazzo più giovane del gruppo, le si fece più vicino per
osservarla meglio. “Inoltre… questo hakama non è un po’ stretto?” .
Il giovane sembrava davvero stranito da
quel tipo di abbigliamento. “Non ti fa male, indossare vestiti del genere?” le
chiese, speditamente, con sguardo anche alquanto preoccupato.
“Perché dovrebbe farmi male? E’ un jeans!”
Starà scherzando, spero.
Spero per loro che abbiano soltanto ricevuto una forte botta in testa e che si
siano rincitrulliti, di conseguenza, altrimenti… questi sono schioppati forte!
Cioè… Non conoscono i jeans?!
“Un che…?!?” avevano esclamato, all’unisono, il ragazzino, il gorilla e il
rosso dagli occhi dorati.
“Ma… Mi state prendendo in giro, vero?”
I sette la guardarono con aria perplessa, per poi guardarsi tra di loro, in
cerca di risposta.
“Non è che, per caso, viene dall’Occidente?”
“Sannan-san, vuole dire che è una straniera?”
L’altro annuì. “Eppure è strano. Parla molto distintamente il giapponese. E non
ha l’aspetto di una straniera”.
“Straniera? Ma che straniera!” . La ragazza aveva sentito il loro discorso in silenzio. Ma
quando era troppo era troppo! “Voi siete tutti matti! Io sono Giapponese! E,
comunque, pretendo una spiegazione! Chi siete voi? E perché siete a casa mia?”
“In effetti, stiamo cercando di capirlo anche noi…” . Il giovane dai capelli
rossastri non trattenne un sospiro. “Beh, almeno possiamo distrarci un po’ dal
lavoro, neh?”
Il ragazzo, suo coetaneo, gli lanciò un’occhiataccia. “Harada-san… la fai
facile tu…” .
Eh? Harada-san?
Dove l’ho già sentito questo nome?
“Sto cercando di sdrammatizzare… Neanche a me piace questa situazione,
sai?”
Harada… Harada…
“Non sappiamo neanche dove ci troviamo. Saremo ancora a Kyoto?”
Una mia compagna di classe si chiama
Harada!
Ah, no… ma c’è qualcun altro che…
“Io mi preoccuperei, piuttosto, di chiedermi se siamo ancora in Giappone” aveva
iniziato a supporre l’uomo dalla corporatura muscolosa, con una bandana verde
che gli circondava la il capo.
Harada… Harada…
Ma… un attimo…
“Shinpachi, certo che sei più idiota di quel che credevo!”
“Eh? Hai detto qualcosa?”
Non sarà mica…?
Possibile…?!?
“Oltre che idiota sei anche sordo. Inizierei a preoccuparmi, se fossi in
te, vecchio mio!”
“Sano… razza di bastardo…”
“Sano, Shinpachi!” li riprese, il corvino dagli occhi ametista. “Futaritomo,
yamet…*”
“Trovato!” lo interruppe, ad un tratto, la giovane, ponendosi al centro della
sala.
Tutti i sette uomini la guardarono con aria decisamente stupita, nonché
perplessa, mentre Arline manteneva il diario della bisnonna tra le mani, con
l’affanno.
“Ho capito tutto!” ripeté, quasi come se desse per scontato che gli altri non
avessero capito ciò che aveva detto precedentemente. “O, almeno, credo…”
“Neh, neh, la tipa dai vestiti strani dice di aver capito che ci è successo!” .
Il giovane, suo coetaneo, dagli occhi verde-acqua, ancora una volta non aveva
perso occasione di mandarla su di giri.
Chi sarebbe la “strana”? Proprio lui mi
va a parlare di stranezza? Si è mai visto allo specchio? Ha dei capelli che
sembrano la coda di uno scoiattolo!
Voleva dirgliene quattro, ma decise di astenersi. Tirò un profondo sospiro
e di voltò, in maniera sicura, verso l’uomo dai capelli rossi e gli occhi color
oro, che l’aveva portata all’uscita di quel tunnel oscuro. “Tu sei…
Harada-san!”
Tutti la guardarono, mentre la ragazza lo indicava con l’indice ed uno sguardo
penetrante.
Silenzio tombale.
“Fin qui, credo ci fossimo arrivati tutti…” commentò Sanosuke, anche un po’
deluso.
“Puoi dirci qualcosa che non sappiamo, ragazzina?” le chiese, quell’uomo che
aveva capito chiamarsi Shinpachi, con aria divertita.
“No, no, voi non capite!” . Arline sembrò disorientata. “Harada-san, tu hai
portato dei dolci alla bisnonna e hai anche regalato dei giocattoli a suo
figlio!”
“Cos’è che avrei fatto, io?” . Il giovane non ci vedeva chiaro. Proprio per
niente. E la sua espressione di puro stupore lo dimostrava.
“Sano” lo chiamò, ad un tratto, l’uomo dai lineamenti gentili e i modi
tranquilli. Forse il più tranquillo, oltre quel Sannan che l’aveva salvata, tra
tutti quanti. “Hai fatto visita a qualcuno di recente? Non mi avevi informato a
riguardo. Pensavo di essere stato chiaro sul fatto che, durante i
pattugliamenti, non devono esserci soste, o distrazioni”
“Distrazioni…? Non posso permettervi di insinuare oltre!” ribatté, l’altro.
“Sapete anche sin troppo bene che non sono tipo da distrarmi con donne, o robe
simili, durante i pattugliamenti, Hijikata-san!”
Eh? Cosa? Arline ebbe un sussulto,
sentito quel nome. Hijikata-san?
“Sono perfettamente consapevole di questo. Ad ogni modo…”
“Lei è… Hijikata-san…?” lo interruppe per la seconda volta, la ragazza.
Non sapeva perché gli aveva dato del lei. Era l’unico con cui l’aveva fatto.
Ma, forse perché era uno dei due che gli ispirava fiducia, forse perché aveva
capito di chi si trattava… ritenne sia la cosa migliore da fare.
Il giovane, nel frattempo, aveva preso a fissare Arline con aria diffidente e
nello stesso tempo perplessa. “Anche se fosse?”
“Quindi… è lei…” . Mentre sillabava quelle parole, Arline gli si avvicinava
sempre di più. “Allora… Allora è lei che…” . Corse tempestivamente verso di
lui, con uno scatto talmente poco rassicurante, che lo shinsengumi preparò la
katana, pronto a difendersi da un ipotetico attacco. Anche tutti gli altri
(specialmente quello dall’acconciatura strana, i capelli castani e gli occhi
verdi, e quello che precedentemente le aveva puntato la katana alla gola – quel
certo Saitou –) misero mani alle loro armi. Ma, vanamente, dato che la ragazza,
non appena gli fu di fronte, si inginocchiò ed affermò: “E’ lei l’amante della
bisnonna!” .
Fatta quest’affermazione, nella stanza regnò il silenzio più totale.
Forse neanche nel vuoto dell’universo ci sarebbe stato un silenzio così
assoluto.
Tutti i giovani – specialmente Hijikata-san – la guardarono increduli ed alcuni
(come Heisuke) anche stupiti.
Solo dopo pochi secondi, si udì un rumoroso sovrapporsi di altrettanto sonore
risate.
“Questa è buona! Hijikata-san l’amante di una donna!”. Harada sembrava non
porsi troppi problemi, anche sparlando (perché sì, stava sparlando di lui) del
proprio superiore.
“Dopo questa rivelazione, posso anche morire felice!” continuò a sbeffeggiarla
Shinpachi. “Perché, ne sono sicuro, potrei anche morire per l’assurdità della
cosa!”
Il corvino, dagli occhi ametista, rivolse un’occhiataccia ad entrambi, si
schiarì la voce, facendo due colpi di tosse che copri con un pugno, per poi
rivolgersi ad Arline con tono serio e distinto: “Ascoltami bene, ragazza. Non
so se il tuo obiettivo è quello di disorientarci, o se stai semplicemente
vaneggiando. Tuttavia, gradirei – e non soltanto io – che cessassi
immediatamente di creare equivoci e, di conseguenza, divergenze tra di noi”
“Ma… è vero! Lei è veramente l’amante della mia bisnonna!” insistette lei,
ostinatamente.
Alla riaffermazione della giovane, Sano e Shinpachi tornarono a ridersela.
“Mh… La nostra ojou-chan è
insistente, eh?” intervenne quel ragazzo dalla capigliatura strana e gli occhi
verdi, con aria quasi divertita, appoggiandosi con un braccio sulla spalla di
Hijikata. “Può essere che… infondo stia dicendo la verità?”
“Souji, sta’ zitto” lo riprese l’altro. “Non ti ci mettere anche tu”
“Su, su, non te la prendere. Sto soltanto esprimendo il mio punto di vista”
“Beh, sappi che il tuo punto di vista non mi sta aiutando affatto”
Se prima quel tizio le era risultato davvero antipatico, adesso stava
riacquistando punti: sembrava l’unico che le credesse.
“Inoltre,” riprese Hijikata, scrutando Arline con aria severa, incrociando le
braccia al petto. “hai affermato che fossi l’amante della tua bisnonna. Non
credi sia un po’ improbabile che un giovane diventi l’amante di una donna
anziana?”
Arline non sapeva come spiegarlo. In effetti ciò che aveva pensato lei non
stava né in cielo, né in terra, ma… Era davvero sicura di aver capito tutto. Ci
era arrivata. Anche se lentamente, ma c’era arrivata.
Beh, ho fatto trenta. Tanto vale fare trentuno.
Tanto già mi credono mezza-schizzata…
oltre che un “demone”…
Peggio di così non può andare.
“Ascoltate, lo so che può sembrarvi strano, a primo impatto, ma dovete
sapere che, con molta probabilità, appartenendo voi al passato e dopo aver recitato
un haiku particolare letto sul diario della bisnonna, siate stati trasportati
qui attraverso gli oggetti che vi appartenevano” cercò di chiarire
frettolosamente, senza neanche fare una sosta per riprendere fiato.
Nuovamente il silenzio.
Tutti la guardarono con perplessità e, nel contempo, stupore.
Gli occhi erano spalancati.
“Eh?” riuscì solamente a sillabare, Heisuke, con aria frastornata.
Arline sospirò nuovamente e, sedutasi sulle ginocchia, inspirò profondamente e
spiegò con chiarezza: “La città dove vi trovate in questo momento è sempre
Kyoto. Ma è diversa dalla Kyoto che conoscete voi.
Lo so che vi sembrerà assurdo, ma… questa è la Kyoto del 2010, non della metà
dell’800!” . Gli sguardi ancora più disorientati dei giovani la fecero
tentennare un po’, ma alla fine si decise a proseguire: “Insomma, quello che
sto cercando di dirvi è che … vi trovate nel futuro! Non so come, esattamente,
abbiate fatto, ma siete riusciti a varcare la soglia del tempo e a raggiungere
quest’epoca”.
In un primo momento, dopo questa rivelazione, tutti la guardarono con aria
sconvolta. Poco dopo, però, Sano batté un colpo sulla spalla dell’amico, non
trattenendo una risata: “Questa ragazza è straordinaria! In mezz’ora è riuscita
a dire più idiozie di quante ne dici tu, Shinpachi, in un giorno intero! Sei
stato superato. Vergognati”
“Ah! Devo ammetterlo. Mi ha battuto” confessò l’altro, ridacchiante. “Non
saprei inventarmi menzogne migliori!”
“Non sono menzogne! Sto dicendo la verità!” scattò Arline, ferita nell’orgoglio.
Non era mica una pazzoide qualunque che se ne andava a raccontar idiozie al
primo che le capitava sott’occhio!
Era davvero agguerrita. “E voi dovete credermi!”
“Ma… ti senti quando parli?” le chiese, spavaldo, Heisuke. “Ti avviso: se non
la smetti di prendere in giro le persone, qualcuno prima o poi ti prenderà
veramente per pazza. E allora sì che sarai nei guai”
“P…Pazza? Io non sono pazza! E non sto prendendo in giro nessuno! Io…”
“Sapete qual è la cosa peggiore?” chiese Shinpachi, generalmente. “Che con
quell’aria rigida e seria, sembra davvero convinta di quel che dice”
“Ma io sono convinta di quel che dico!” insistette, ancora più furiosa, la
giovane. “Siete voi che non capite! Siete soltanto degli idioti!”
“Su, su, ojou-chan” , intervenne il
tipo chiamato Souji, sorridendole comprensivamente. Un sorriso quasi di
biasimo. “Non prendertela così tanto”
Impossibile!
Fu quello che pensò la ragazza, non risparmiandogli un’occhiataccia.
Mi chiedi qualcosa d’impossibile! Come
faccio a non prendermela? Ho a che fare con dei veri citrulli! Te compreso!
“Frena, frena. Vediamo se ho capito bene…” esordì Harada, facendosi, d’un
tratto, tutto serio. “Noi apparteniamo al passato. Tu ad un’epoca futura. Hai
trovato, per caso, un diario che hai scoperto essere quello della tua bisnonna.
Leggendolo hai capito che la tua bisnonna aveva un rapporto con tutti noi e
conosceva tutti i membri della Shinsengumi. Inoltre la tua antenata avrebbe
riunito degli oggetti che ci appartenevano. E sempre questa tua bisnonna ha
scritto un haiku che è stato in grado, assieme agli oggetti che un tempo ci
appartenevano, di riunirci”
“E così saremmo arrivati qui” concluse Hijikata, seguendo il filo logico (se
così poteva definirsi) della questione. “Giusto?”
“S…Sì… Più o meno…” . In realtà non è
andata proprio così. Ma non c’è bisogno che sappiano ogni particolare con
precisione. Sorvoliamo – che è meglio – .
“Non ho mai sentito una sciocchezza più grande!” affermarono all’unisono
Shinpachi ed Heisuke.
Okay, adesso è ufficiale: non li sopporto
più, questi idioti!
Non sapeva quante volte se l’era ripetuto in quell’ultima oretta in cui era
accaduto tutto quel casino.
“Siete davvero odiosi!” . Arline non era soltanto ferita nell’orgoglio, ma
anche delusa. In qualche modo, era davvero delusa. “Non so proprio perché si
sia legata a voi… Non riesco davvero a capire cosa la bisnonna Chizuru ci abbia
trovato di tanto speciale in voi!”.
…
Silenzio.
Una calma che, quasi, le sembrava strana.
A cos’era dovuto, tutto quel silenzio?
Arline non riusciva a capire.
Dopo la sfuriata aveva aperto lentamente gli occhi per guardarli.
Non sapeva perché… Forse per la strigliata, o forse per quello che aveva detto,
i sette giovani erano rimasti interdetti, a fissarla con gli occhi sgranati e
un volto di purissimo stupore.
Heisuke era a dir poco sconvolto.
Ma la cosa che la spaventò di più era l’espressione assunta da quel Saitou e da
quell’altro, Souji.
Mentre il primo – da quando erano piombati lì – lo aveva sempre visto con una
maschera d’indifferenza e inespressività totale, l’altro aveva sempre quel
sorriso malizioso e quello sguardo furbo e astuto. Lo sguardo di uno che era
sempre superiore a tutto e tutti. E, soprattutto, che prendeva tutto non troppo
sul serio.
Vedere questi due con quell’aria sconvolta, non le dette affatto coraggio.
Che stava succedendo?
“Chizuru?” domandò, ad un certo punto, Hijikata, avvicinandosi a lei...
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Capitolo 3 *** Capitolo III - Prima parte ***
Dunque, prima di tutto ringrazio le persone che hanno commentato, che hanno inserito la ff tra le ricordate, le seguite e le preferite! ^-^ Per quanto riguarda questo capitolo, ho deciso di dividerlo in due parti. Non piace neanche a me farlo, ma onestamente veniva troppo lungo, e dato che sono ancora in viaggio non ho neanche il tempo di finirlo XD Qui la nostra cara Arline è ancora alle prese con l'ottusità del gruppo (anche se penso lo sarà un pò per tutto il corso della ff XD) che ancora non le crede. Però... ha trovato un modo per farsi dare ragione!!
Spero davvero di essere riuscita a mantenere i personaggi IC. Purtroppo non è semplice ^-^" Ma ho cercato comunque di fare del mio meglio! Spero che il capitolo sia di vostro gradimento!
********************************
“Hai
detto… Chizuru?”
Un po’ intimorita dall’improvviso avvicinamento del giovane, Arline
indietreggiò di poco. “S…Sì… La mia bisnonna… Yukimura Chizuru…”
Un nuovo sussulto da parte di tutti.
Ma Arline notò soprattutto quello di Hijikata che la fissava con aria sconvolta
e le labbra leggermente dischiuse.
“Non… Non può essere…” aveva sillabato Heisuke, che continuava a guardarla
shockato.
“Yukimura-san…?” . Anche Sannan-san sembrava davvero scosso dal nome della
donna nominata.
“Ma insomma! Mi spiegate perché siete impalliditi tutti di colpo?!” scattò la
ragazza, che non riusciva a capire il motivo di quella reazione sconsiderata.
Che aveva detto di così osceno? Era solo il nome della bisnonna!
Un momento. Il nome della bisnonna?
Forse ci sarebbe arrivata, se avesse
avuto un po’ più di tempo per rifletterci su.
Ma il tempo le era stato rubato. Anzi, fermato, dato che il corvino dagli occhi
ametista l’aveva praticamente intrappolata contro la parete (come un povero
topolino messo in trappola dal gatto) e la stava fissando con aria rigida.
“Come fai a conoscerla?” le chiese, con tono austero. “Cosa sai di Chizuru?”
Oddio! Per… Perché adesso è arrabbiato?
“Cosa… so…?” sibilò, intimorita, ma con un tono di voce che non lo lasciasse
intendere.
Stava venendo fuori la sua vera indole.
Infondo Arline era il tipo minuto che non vuole farsi notare troppo e quanto
più può stare per i fatti suoi, ci sta.
Fare la spavalda, la coraggiosa, l’aggressiva… erano tutti modi d’essere che
aveva acquisito col tempo (specialmente da quand’era arrivata a Kyoto), ma non
facevano parte della sua vera natura.
Erano tutti modi d’essere creati nel momento in cui aveva bisogno di proteggersi
dal mondo esterno e dalle persone che lo abitavano.
“Prima, hai nominato Yukimura Chizuru. Perché la conosci? Cosa sai di lei? In
che rapporti siete?”
Eh? Ma… perché tutte queste domande? E
perché è ancora più arrabbiato di prima? Io… proprio non li capisco questi
tizi!
“Beh, non è che la conosca proprio alla perfezione, ma… lei è la bisnonna
di cui vi ho parlato” . Detto ciò, gli mostrò il diario della donna, che aveva
tenuto stretto a sé, da un bel po’ di po’.
“E questo è il suo diario. E su questo che ho letto le parole dell’haiku
che suppongo vi abbiano portato in quest’epoca”.
Ancora una volta il silenzio. Un silenzio di riflessione. Un silenzio che non
riusciva a darsi una spiegazione.
“Hijikata-san…” . A sillabare il suo nome, era stato Heisuke, che gli si era
fatto più vicino. Aveva un’aria preoccupata che gli si leggeva perfettamente,
sul volto. “Questo sta a significare che…”
“Menzogne” lo interruppe, il corvino. “Stai mentendo, non è vero?” . Il tono
rigido era rivolto a lei, accompagnato da uno sguardo severo e freddo. “Può
benissimo trattarsi di una spia, che ha raccolto informazioni su di noi e che
ha scoperto tutta la verità circa il conto di Chizuru”
Ancora non le credevano?! Specialmente
Hijikata. Che cos’aveva che non andava? Perché ancora si ostinava a non
crederle?
“Hijikata-san, non sono una spia! So tutte queste informazioni perché si
tratta del passato. Del passato! Vede? E’ scritto tutto in questo diar…” .
Ma prima che potesse concludere la frase, l’uomo le diede uno schiaffo sulla
mano con cui teneva il libro, che fece, di conseguenza, cadere sul tatami.
“Non credere d’ingannarmi ancora” . Adirato. Ecco cos’era. Infuriato. Ma Arline
non riusciva a capire per quale ragione. E forse non l’avrebbe mai compreso. “Dimmi
subito a cos’è che punti. Che cosa speri di ottenere insinuando una cosa del
genere?”
“I…Io…”
“Non m’interessa quale sia il tuo obiettivo e perché continui ad ostentare
questa idiozia, ma… lascia fuori da questa storia Chizuru, mi sono spiegato?”
“Io… Io non sto…”
“O, giuro sul nome della shinsengumi, che non mi farò scrupoli a toglierti di
mezzo”.
Basta. Non ne posso davvero più…
“Io non sto mentendo!” . Il tono di voce di Arline di era fatto burbero.
Non ce la faccio più ad essere
maltrattata in continuazione!
Non bastavano i miei compagni e gli insegnanti… Adesso spuntano questi tizi dal
nulla e ci si mettono anche loro!
Io sono stanca! Non voglio più subire le ingiustizie di nessuno!
“Non ho nessuna ragione per mentire! Non ho nessun tornaconto personale!
Anche se voi non credeste alle mie parole, sapete quanto me ne importerebbe?
Per quel che mi riguarda, avrei potuto sbattervi fuori di casa, dal primo
momento in cui ci avete messo piede! Invece mi sono presa la briga di aiutarvi
a capirci qualcosa!” . Gli occhi erano lucidi. Tutti i membri del gruppo se ne
resero conto, guardandola. Sapevano che stava per piangere. Ma lei non lo fece.
Non pianse. Non voleva mostrarsi debole. Non davanti a tipi del genere. “E la
ricompensa è questa! Posso capire la sorpresa e l’iniziale stupore, ma se
continuo a ripeterlo qualcosa di vero deve pur esserci, no? Invece voi vi fate
beffa di me, mi maltrattate e…”
“Allora daccene una prova” .
Quell’interruzione suonava quasi come un invito, quasi come una sfida.
Arline, tremante per la rabbia e la frustrazione, si voltò verso Souji, che era
intervenuto, all’improvviso, frenando la sua sfuriata.
Tutti lo guardarono, mentre il castano dagli occhi verde-foglia si faceva
avanti, verso di lei, con aria sfrontata e con quel costante sorriso sulle
labbra.
“Una… prova…?” . Arline era rimasta perplessa da quell’affermazione.
Che prova?
Giunto davanti la giovane, il ragazzo si inclinò verso di lei appena il
necessario per far sì che i loro volti fossero l’uno perfettamente di fronte
all’altro. “Dato che sostieni con tale
convinzione questa tua tesi, non avrai problemi a dimostrarcela”
“Dimostrarvi … cosa?” . Ancora non aveva capito. Di che cosa stava parlando?
“Dimostraci che noi apparteniamo al passato e tu, invece, ad un’epoca futura.
Se ci fornirai una valida prova che confermi
tutto ciò, allora ti crederemo”.
Ehhhhhhhhhhhhhhh?!?Dimostrargli che erano
nel passato? Prove?Ma… che cosa…?
Arline era letteralmente sbiancata, davanti la richiesta del giovane.
“Souji, dannata volpe! Ne sai sempre una più del diavolo!” aveva affermato, con
convinzione, Sanosuke, che gli si avvicinò ulteriormente dandogli una bella
pacca sulla spalla, in segno di apprezzamento.
“Già! E’ un’ottima idea! Così noi otterremo una vera risposta e la tizia qui di
fronte si calma un po’”. Il giovane Heisuke era di buon umore. Evidentemente
quella soluzione aveva portato un’ondata di allegria in lui.
Calmarmi un po’? Qui gli unici che devono
calmarsi sono loro!
Arline non vedeva proprio di buon occhio, quel ragazzo. Era uno di quelli
che gli stava dando più fastidio.
Gli altri quattro rimasero in silenzio a fissarla costantemente. Hijikata, in
special modo, la guardava come se non aspettasse altro che un suo errore, per
metterla a tacere una volta per tutte.
La spaventava anche quell’altro tizio, Saitou, che la scrutava con aria indifferente.
Sembrava un robot, incapace di assumere espressioni differenti da quella.
Souji (la causa di tutto quel casino), dal canto suo, aveva incrociato le
braccia al petto, squadrandola con uno sguardo quasi di sfida. Uno sguardo che
voleva quasi lasciar intendere: “Vediamo cosa sai fare. Sorprendimi”.
E sia! Ti sorprenderò, mio caro!
Era troppo arrabbiata e orgogliosa, perché, lanciatole una sfida, potesse
tirarsi indietro. Specialmente quando sapeva che lei era dalla parte della
ragione e quell’ammasso di citrulli da quella del torto!
Arline si mise a riflettere: cosa poteva convincerli che si trattava di
un’epoca futura? I vestiti? No, li avevano già viste e avevano subito pensato
che appartenesse all’occidente. Che fosse una straniera. Magari il modo di
parlare? No, era meglio non rischiare. Potevano pensare che appartenesse a
qualche clan avversario. A quel tempo ce n’erano.
Un momento… Appartenendo loro al passato,
saranno sicuramente morti! Basterà far vedere loro, tramite internet, le
informazioni circa la loro morte e subito mi crederanno! Non potrebbero
affermare il contrario!
Ma subito l’espressione felice si spense sul suo volto.
No… Se usassi queste informazioni,
sicuramente cadrebbero nel panico. E la situazione peggiorerebbe. Ancora…
Sospirò. E poi, sicuramente, vedendo
il computer avrebbero pensato a chissà cosa…
…
Eh…?
Un momento… Ho detto… computer?
Si voltò verso di loro, guardandoli uno per uno.
Giusto… Loro sono vissuti nella seconda metà dell’800. Quindi non conoscono il
computer, né la televisione, né le macchine, né i cellulari…
Niente di niente di ciò che c’è in quest’epoca di innovativo!
Bingo!
“Allora, ojou-chan? Hai trovato
la prova che stavi cercando?” chiese, con un tono quasi ironico, Souji.
Aveva quel maledetto tono irrisorio! Le dava l’impressione che la stesse
continuamente beffeggiando. Ma
gliel’avrebbe fatta vedere lei!
Arline si dipinse sul volto un sorriso smagliante. Facilmente si poteva intuire
che era costruito. Non era un vero sorriso. “Eh sì. Ho trovato una prova
perfetta!”
Ohhh… Eccome se l’ho trovata!
La ragazza si alzò in piedi e fece cenno ai giovani di fare lo stesso. “Prego,
seguitemi”.
Mentre tutto il resto del gruppo, diffidente, tentennava se fare ciò che la
ragazza proponeva, o meno, Okita non ebbe il minimo ripensamento: appena gli fu
detto di seguirla, lo fece.
Sarebbe stato stupido non farlo. D’altronde era lui che aveva posto questa
condizione. Aveva pensato che sarebbe potuta esserci una trappola sotto, ma
dovevano correre il rischio. Altrimenti non ne sarebbero venuti mai fuori.
Accorgendosi che gli altri giovani non accennavano a seguirli, si voltò
parzialmente verso di loro, sorridendo con aria sicura. “Avanti, che c’è?
Credete sia una trappola? Anche se fosse? Vi fate intimorire da qualche
marachella di una mocciosa?”.
Arline fece finta di niente e si voltò verso di lui con aria sorridente.
“Vogliamo andare, o no?” .
Non è che non l’avesse sentito, ma preferì sorvolare. Voleva evitare quanti più
problemi possibili!
“Ma certo!” aveva risposto, sorridente anch’egli, Souji, continuando a
seguirla, silenziosamente e quasi allegramente.
Tutti, ancora un po’ perplessi, si voltarono verso Hijikata che poco dopo
sospirò e cominciò a seguire il sottoposto e la ragazza.
Subito gli andò dietro Saitou, seguito da Harada, Shinpachi, Heisuke e Sannan.
“Neh, Shinptsu-san, non stiamo camminando da troppo tempo?” chiese Heisuke, con
aria leggermente seccata, al compagno.
“Effettivamente la cosa inizia a puzzarmi” . Anche lui si era stancato. E stava
iniziando a sospettare qualcosa.
Sanosuke sorpassò Hajime, per avvicinarsi ulteriormente al vice-capo.
“Hijikata-san, possiamo davvero fidarci di questa ragazza?” gli sussurrò
all’orecchio, coprendosi le labbra con una mano, per rendere ancora meno
percettibile il suo commento. “Abbiamo già salito un piano. E stiamo
percorrendo questo corridoio da un bel po’”
“Non abbiamo altra scelta” si limitò a
rispondere, il corvino. Successivamente prestò attenzione alle spalle di Souji
che camminava proprio davanti a lui, con andamento sicuro e
silenziosamente. “E poi… Sembra che
Souji sia piuttosto consapevole di ciò che fa”.
Non sto preparando nessuna trappola,
idioti!
Anche se cercavano di parlare a bassa voce per non farle udire i loro
discorsi, riusciva lo stesso a sentirli. E le davano non poco fastidio.
Non posso farci niente se la mia casa è
così grande! E, comunque, siete anche troppo lenti! Sarà per la mole… Mah!
Poco le importava. Ciò che contava in quel momento era che riuscisse a
convincerli della verità.
E l’unico modo per fare ciò era…
“Siamo arrivati!” disse, con aria trionfante, voltandosi verso di loro.
E il gruppo giunse finalmente dinnanzi una porta chiusa, confinante con un muro
invalicabile.
“Qui dentro troverete la prova che state cercando”. Indi, indicò la porta con
l’indice.
I sette ragazzi rivolsero tutta la loro attenzione sulla porta.
Lei, schermandosi loro davanti, fece per aprirla. “Questa è la mia camera”
Detto ciò, senza aspettare ancora, aprì quella porta.
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Capitolo 4 *** Capitolo III - Seconda parte ***
Mentre lei vi entrò senza il minimo tentennamento, gli altri furono più cauti. Souji, che stava sulla soglia della porta, in particolar modo, rimase in silenzio, sporgendo la testa un po’ più in avanti, in modo tale da poter scrutare la stanza. A prima vista sembrava una normalissima camera. Vi era un letto in stile occidentale, un comodino, un semplice armadio, una scrivania. E sopra la scrivania vi era una specie di tendina che copriva qualcosa. Apparentemente non c’era nulla di cui preoccuparsi. Con aria sicura, il castano sorrise e fece per entrare. “Niente paura. Non ci sono trappole” affermò, per rassicurare i compagni. "E’ ovvio! Ve l’avevo detto, no?! Non sono mica un ninja!" Avrebbe voluto rispondergli in quel modo. Ma anche stavolta decise di sorvolare. Arline si era fermata proprio accanto alla sua scrivania, aspettando che tutti i membri del gruppo-vacanza entrassero. Una volta che anche Sannan-san fu dentro la sua camera e si fu chiuso la porta scorrevole alle spalle, i sette l’accerchiarono, curiosi e nello stesso tempo diffidenti di ciò che ella avrebbe dovuto mostrare loro. “Bene. La prova che mi avete chiesto… è questa qui” esordì soddisfatta, indicando la tendina che copriva un oggetto, posto sulla sua scrivania. “Un telo?” aveva chiesto, perplesso, Shinpachi. “Sarebbe questa la prova?” La ragazza scosse la testa, in senso di diniego. “Non il telo. Ma quello che c’è sotto” . Detto ciò, afferrò l’estremità della stoffa e la tirò via.
L’intero gruppo rimase a fissare – chi stupito, chi perplesso, chi sospettoso – quello che sembrava uno scatolone. Ma era uno scatolone abbastanza strano, ai loro occhi. “Che cos’è?” chiese, spaesato, Heisuke, girandovi intorno, quasi fosse un alieno. “Una… specie… di cassa?” ipotizzò Sannan, sistemandosi gli occhiali e non distogliendo neanche per un attimo lo sguardo dall’oggetto in questione. “Ma… Non sembra fatta di legno” constatò Sanosuke picchiettando sul retro dello schermo del computer. Nonostante fosse il 2010, Arline non aveva bisogno di possedere un computer dell’alta tecnologia. Le bastava un vecchio modello degli anni ’90, uno di quelli enormi, che tra case, tastiera, schermo e casse dell’audio, necessitava di un’intera scrivania. E quel modello, per l’appunto, sembrava davvero una scatola. Solo che non lo era. Ma questo, i cari giovani, non lo sapevano ancora. “E poi, anche se fosse una cassa di legno per contenere qualcosa, dov’è l’apertura?”. Aveva parlato Shinpachi, sicuro, per una volta, di quello che diceva. “Se non c’è l’apertura non ci si può infilare niente, no? E poi, cos’è quell’altra enorme cassa, lì vicino? E questa…?” domandò, ancora più perplesso, indicando la tastiera. “Eheh” . Arline non trattenne un risolino. “Miei cari! Questo è il futuro!” . Detto ciò, si sedette alla scrivania facendo loro cenno di prestarle attenzione. “Questa qui non è una scatola, né una cassa per contenere qualcosa. Non è niente di tutto ciò” “Ah no? E allora cos’è?” . Heisuke chiese con un tono un po’ stizzito, ma lasciava intuire anche che vi fosse un po’ di curiosità. “Un computer!” affermò, con aria quasi presuntuosa, sorridendo loro. “Guardate questo…” .
Arline indicò lo schermo del pc, completamente nero, in modo che tutti potessero osservarlo attentamente. “Vedete? E’ completamente nero, giusto?” “E allora?” . L’impazienza di Heisuke era snervante, ma decise di sorvolare per l’ennesima volta sulla questione. Non era il momento di mettersi a bisticciare con quel marmocchio pestifero, che poi doveva avere circa la sua età. A giudicare dall’altezza, almeno… La giovane non trattenne un risolino, pensandoci distrattamente. “Allora… guardate se premo questo che succede…” . Detto ciò, premette il tasto di accensione che stava sul case e le ventole del pc presero a girare. Un po’ tentennanti, i giovani sussultarono quasi tutti simultaneamente. Beh, tutti tranne quel robot di Saitou e quella volpe di Souji che era rimasto interdetto, senza farsi sfuggire neanche un piccolissimo accenno di preoccupazione. Beh, roba di secondi e… tutta quella apparente calma non fu più stampata sul viso di alcuno di loro. Per dirla in mezzi termini: non se ne capì più niente. Il tempo che lo schermo si accendesse e producesse la solita musichetta che segnala l’apertura di windows e… … Arline non ebbe neanche il tempo materiale di rendersi conto di ciò che stava accadendo, che si ritrovò la fredda lama della katana di Saitou aderire al proprio collo. Gli occhi azzurri la scrutavano con quell’aria gelida, senza distogliere lo sguardo neanche di un millimetro da lei, come una preda. “Lo sapevo che eri un demone” si limitò a dire, sfiorandola ancora di più con la lama, tanto da provocarle un iniziale taglio, proprio nella parte in cui era stata posata la katana. Un po’ perché non era preparata ad una reazione così esplicita, un po’ spaventata dalle intenzioni del giovane shinsengumi, la giovane sbiancò e con tutta la calma (che non aveva) possibile, cercò di togliersi da quell’enorme guaio. “N-Non sono un demone! Quante volte devo ripetertelo?!” “E allora come la spieghi questa diavoleria?” . Heisuke era un mix tra stupore, shock ed esuberanza. Indicò insistentemente il computer con l’indice, fissandolo con diffidenza. “Quel… Quella scatola contiene un gatto! Ha anche miagolato! Ma non si muove! E’ immobile, a fissarci!” “Che si tratti di qualche recente tecnica speciale degli oni che ti permette di intrappolare gli esseri viventi?” ipotizzò Shinpachi, avvicinandosi allo schermo del computer, cercando di dare una possibile spiegazione a ciò che aveva davanti agli occhi. “Ma quale tecnica speciale?! E’ solo lo sfondo dello desktop!” ribattè, alquanto alterata, Arline, per poi voltarsi verso Saitou e fulminarlo con lo sguardo. “E tu levami quella katana di dosso! Ti ho già detto che non sono un demone!” “Non m’ingannerai ancora, demone” “Per l’ennesima volta… NON SONO UN DEMONE!” “Dal modo terrificante in cui urli, si fatica a crederlo, sai?” Forse Harada stava cercando di sdrammatizzare il tutto, ma ciò che ottenne fu soltanto un’occhiataccia da parte di Arline. “Se non appartieni al clan degli oni, allora come spieghi questo… questo…” . Neanche Hijikata stesso riusciva a capire come identificare l’oggetto in questione. “Insomma… ciò che ci hai mostrato!” Arline era a dir poco spazientita. “Me l’avete chiesto voi di dimostrarvi che siamo nel ventunesimo secolo, no?! E allora che pretendete? E’ logico che dopo poco meno di due secoli le cose siano un tantino cambiate!” “Demone, questo è senz’altro uno dei tuoi trucchi. Credi che saremo così ingenui da cascarci?” . Saitou non aveva la minima perplessità su quello che affermava con tanta convinzione. Fosse per lui, mi avrebbe già mozzato la testa… La ragazza sospirò. “Ma cosa devo fare per convincerti che non sono un dem…” “Saitou-san, non devi preoccuparti. L’ojou-chan qui presente non rappresenta davvero alcun pericolo” . La voce limpida di un Souji tranquillo e sereno, si fece vicina allo spadaccino che abbassò lentamente la lama, per voltarsi verso di lui. “Okita-san, possiamo davvero fidarci?” “Penso che se avesse voluto tenderci una trappola sin dall’inizio, l’avrebbe progettato in modo più astuto e ci avrebbe colto alla sprovvista immediatamente” chiarì, il giovane, avvicinandosi al computer, fissandolo con aria incuriosita. “Be’, se questo aggeggio riesce, o meno, a catturare al suo interno qualcosa o qualcuno, non dobbiamo far altro che provare per scoprirlo, no?” “Neh, Okita-san, fa’ attenzione! Non ti avvicinare troppo… Potrebbe essere realmente pericoloso!” . Heisuke non era di certo l’unico del gruppo ad essere preoccupato, ma fu quello che per primo espose il suo timore a parole. Il castano dagli occhi verde-cervone avvicinò le dita allo schermo e accompagnato da un sussulto da parte di tutti, lo toccò. Arline sospirò, per l’ennesima volta, per poi farsi vicina al pc. “Ve l’avevo detto, o no? Come può essere pericoloso, lo schermo di un computer? E’vetro. Mai sentito parlare di vetro?” chiese, picchiettando sullo schermo. “Che cosa vi aspettavate? Che vi risucchiasse?” “Co… piu…?” cercò di ripetere, Souji. “Computer” “Ma allora come lo spieghi che c’è l’immagine di un gatto all’interno?”. Heisuke era agguerrito, non si dava tregua. Anzi, non le dava tregua. “E non è semplicemente un ritratto! E’ un gatto in carne ed ossa!” “E’ solo una foto! Foto! Una immagine che uso come sfondo!” “Foto?” chiese, inclinando con aria interrogativa, la testa da un lato Harada. “Sfondo?” . Sannan imitò lo stesso gesto di Sanosuke, quando pose quella domanda. La ragazza si massaggiò le tempie, dopo aver lanciato loro uno sguardo di biasimo, per poi voltarsi verso lo schermo e iniziare a maneggiare il mouse. “Il computer nella mia epoca ha la stessa funzione che da voi possono avere i messaggeri o anche degli informatori” “Messaggeri? Informatori?” . Shinpachi sembrava interessato. “Che intendi, ragazza?” “Col computer, attraverso Internet che è una rete di informazioni, si può comunicare con una persona che sta a fianco a te, come anche con una che sta dall’altra parte del mondo. Oppure posso anche ottenere informazioni. Di qualsiasi tipo. E tutto questo in un tempo minimo di qualche minuto” “Minuto?!” . L’unisono di voci di Heisuke, Harada e Shinpachi fu inconfondibile. “E’ impossibile!” “Demone!” esclamò Saitou, estraendo nuovamente la katana e puntandogliela contro. “Ho detto che non è così!” . Arline stava perdendo la pazienza. “So che è complicato da capire subito. Anche perché state conoscendo un oggetto saltando molti passaggi, ma non posso spiegarvi niente se ogni volta che apro bocca qualcuno deve interrompermi e devo ritrovarmi quasi con la testa mozzata da Mr. Tu-sei-un-demone!” Harada sorrise e diede una gomitata ad Hajime, per richiamare la sua attenzione robotica. “Eheh, Saitou, credo stia parlando di te” . “Immagino di sì” si limitò a rispondere lui, con tono atono e quell’espressione indifferente persino alle fiamme dell’inferno. Non dirlo con tanta indifferenza… Fa paura… Arline non riuscì ad ignorare quel brivido che le percosse la schiena. Poi si schiarì la voce più per richiamare l’attenzione di tutti i presenti su di sé, che non per una reale ed effettiva necessità. “D’accordo, credo che siamo partiti tutti col piede sbagliato. La situazione ci ha un po’ preso la mano e non siamo riusciti a fare il punto della situazione prima, ma… che ne dite se cerchiamo di venirci incontro?” . La ragazza si sistemò meglio gli occhiali per guardarli bene in faccia. “Vedrete che con la calma e la vostra fiducia, riusciremo sicuramente a venire a capo del problema. Ma se, innanzitutto, non vi fidate di me e di ciò che vi dico, saremo sempre punto e da capo” “Concordo con la nostra ojou-chan” aveva affermato Souji con aria sorridente e solitamente sfrontata. “Anche perché – guardatela – la reputereste davvero una minaccia? Con questo corpicino esile?” insistette, indicando con l’indice ai compagni, la figura esile del corpo della giovane, che subito lo guardò male. “Che… Che vorresti insinuare con ciò?” “Oh, ma niente. Sono dalla tua parte, non vedi?” . Forse il suo era un intento di rassicurazione, ma quel sorriso così inquietante, non le fu di alcun supporto. “E poi scommetto che non riuscirebbe a preparare un’imboscata, neanche se ne avesse le prestanze fisiche”. Cioè… In poche parole mi sta dando della stupida?! “Se è questo il modo in cui stai dalla mia parte, allora puoi anche farne a meno!”
*************
Ah... Cara bisnonna... Credo che d'ora in poi avro bisogno di tanta fortuna... Davvero tanta, tantissima fortuna...
************************************************************* Bene. Vorrei ringraziare tutti! ^-^ In particolar modo le persone che hanno recensito, dandomi un loro parere su questa mia ff. Chi l'ha inserita tra i preferiti, i seguiti e i ricordati. Vi ringrazio per il vostro sostegno!
Dunque questo chappy era ancora incentrato sullo smarrimento dei giovani, ma già dal capitolo successivo si andrà migliorando! Se di miglioramento possiamo parlare XD Ma non vi svelo più di tanto! Alla prossima!!! E scusate ancora se ci ho messo tanto ^-^" Ciao ciao!
Alice.
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Capitolo 5 *** Capitolo IV - Parte Prima ***
Ebbene sì sono tornata ^w^
Per l’ennesima volta in enorme ritardo! Chiedo venia!
Però con questa storia sto procedendo più lentamente dell’altra, anche se da
poco ho riscoperto il piacere degli haku-boys futuristici eheh (ride da sola).
In realtà sembrava più facile, ma mi sono ritrovata a pensare che sia più
difficile scrivere e gestire questa storia dell’altra, nonostante quella
effettivamente più complicata, rigida e contorta sia “Diventerò la tua sposa”.
Anche se ho idea che si complicherà anche questa di storia.
Per ora procediamo con le loro “avventura” e vediamo come se la cavano, anche
se non direi proprio tanto bene XD
Ma a voi giudicare!
Signore e signori, si apra il sipario! Haha! (si esalta da sola)
La
sveglia prese a suonare ininterrottamente. Un suono fastidioso, che le dava
alla testa. Beh, si supponeva fosse per quella ragione che era stata inventata:
stordire le persone per spingerle ad alzarsi. Solo che lei non ne aveva proprio
alcuna voglia.
Un po’ per la stanchezza, un po’ perché, solo a pensare ai momenti difficili
che la aspettavano a scuola, si sentiva depressa ancora prima di potersi
svegliare.
Ma quel suono insistente e squillante la stava disturbando troppo per ignorarlo
e continuare a dormire beatamente nel suo caldo lettuccio.
Con il volto ancora sprofondato nel cuscino, allungò la mano verso il comodino
e, di conseguenza, verso la sveglia ancora trillante. Ma prima che potesse raggiungerla, sentì un
rumore tanto rapido quanto sordo. Il rumore di qualcosa che impetuosamente si
scontrava contro qualcos’altro.
E poi… il silenzio.
Il suono della sveglia canterina non raggiunse più le sue orecchie.
Ma cosa…?
Un po’ interdetta e confusa, Arline alzò pian piano il volto dal morbido
cuscino con quell’aria mezza addormentata per vedere cosa fosse successo.
Eh…?
Quando aveva sentito quel rumore, si era detta che probabilmente aveva
spinto l’oggetto con la punta delle dita e lo aveva erroneamente fatto cadere a
terra.
Pensava davvero potesse trattarsi di una possibilità come quella. O forse anche
di altre, ma… Mai avrebbe immaginato che si trattasse di…
“Si può sapere che diavolo stai facendo?!” urlò la ragazza con un’aria burbera
indirizzata al giovane Saitou che impugnava (come al solito) la sua katana, la
quale lama era conficcata proprio nella sua sveglia!
“L’ha…L’ha… L’hai tagliata a metà! Ma sei fuori?!” . Non sapeva davvero come
capacitarsene. Quello lì era entrato nella sua stanza senza permesso e aveva
fatto a pezzi un oggetto di sua proprietà! Ma come gli diceva la testa?
Saitou, di parte sua, la guardò con la solita aria inespressiva per poi
puntargli nuovamente contro la katana. “Quella era un’altra delle tue
diavolerie, demone?”
“Eh? Ancora con questa storia?! Te l’avrò ripetuto almeno un migliaio di volte
che non sono un demone!”
“Saitou-san, allora? Cos’era quel rumore? Ne hai trovato la causa?” chiese
un’altra voce che comparse improvvisamente nella stanza.
La giovane la riconobbe. Era quella del giovane Heisuke che, con aria sia
timorosa che curiosa si era affacciato sulla soglia della porta, seguito da
quell’Harada e l’altro amico loro, Shinpachi.
“Allora?” chiesero all’unisono quest’ultimi due.
“Si trattava di uno degli strani oggetti in possesso di questo demone” rispose
pacatamente l’altro, che era stato interpellato. “Ecco” . E detto ciò mostrò
loro l’oggetto in questione. O, meglio dire, ciò che rimaneva dell’oggetto in
questione.
“Oh…” . Harada gli si avvicinò, prendendo in mano i brandelli di sveglia. “Che
strano aggeggio… Però, è un po’ malandato” fece notare ad Arline, ancora sotto
le coperte.
“Non era affatto malandato! E’ il vostro amico a cui manca qualche rotella che
me lo ha fatto a pezzi!” rispose, contrariata, lei.
“Chissà a cosa serve…” . Shinpachi si era affiancato a Sanosuke per esaminare
più da vicino l’oggetto in questione, mentre Heisuke restò dietro di loro di
pochi passi.
Saitou, allora, che non aveva abbassato la lama dalla gola della ragazza
neanche per un secondo, chiese con aria rigida: “Avanti, rispondi. Che utilità aveva
quell’oggetto?”
“Eh?”
“Forse intendevi usarlo per stordirci tutti e scappare?”
“Cosa?!”
“O forse per spaesarci e coglierci di sorpresa con un attacco?”
“Ma che stai dicendo?!”
“O, ancora, si trattava di un qualche tipo di allarme usato da voi oni? Ammettilo, serviva a richiamare i
tuoi compagni per radunarli tutti qui e tenderci un’imboscata”
“Si può sapere che vai farneticando? Quella era una semplicissima sveglia! E tu
me l’hai letteralmente fatta a pezzi!” . La rabbia di Arline non era
contenibile, in quella situazione. “E per di più mi stai anche puntando quella
tua dannata spada contro!”
E se non fai come ti dico, è la volta
buona che ti faccio arrestare!
“Saitou-san, forse è il caso di darle ascolto” gli consigliò Shinpachi, un po’
preoccupato dell’aria furibonda che si leggeva sulla faccia della ragazza.
Ancora un po’ tentennante, il ragazzo fece come gli era stato suggerito ed
abbassò la katana.
“Bene… Ed ora che il tuo istinto omicida si è placato… USCITE TUTTI FUORI DALLA
MIA STANZA!”
“Ma non ci hai ancora spiegato che cos’era quel…”
“USCITE IMMEDITATAMENTE FUORI!!!!!!”
*****
Cara bisnonna, non so davvero quanto
potrò resistere, se le cose vanno avanti in questo modo…
Le cose “normali”, quelle di tutti i giorni, con questi tizi diventano strane e
pericolose!
Non so più che cosa fare…
Che qualcuno mi aiuti!
*****
“Ah…” .
Arline non trattenne un nuovo sospiro, mentre si sistemava il fiocco della
divisa scolastica e indossava i suoi soliti occhiali dalla montatura sottile.
“Pensavo di essere stata abbastanza chiara ieri sera” esordì, voltandosi verso
l’intero gruppo di shinsengumi.
Erano tutti seduti sul tatami della stanza da pranzo, rifiutandosi di sedersi
sul divano che era stato posizionato lì o sulle sedie che circondavano il
tavolo. Tutti tranne Okita Souji che invece era piacevolmente disteso sul
divano come fosse stato un gatto crogiolante al sole.
Anche se la casa era in stile tradizionale giapponese, i mobili che
l’arredavano erano stati trasferiti da un appartamento di Tokyo, quindi era
impensabile che richiamasse uno stile tanto classico.
E logicamente quegli oggetti tanto moderni insospettirono i giovani shinsengumi
che non li approvarono.
Beh, eccezione fatta per Okita.
“Vi avevo detto che una delle regole da rispettare era che non dovevate entrare
nella mia stanza, specialmente di notte. E voi, di tutta risposta, mi avete
disobbedito!”
“Sì, ma non era notte…” ribatté Harada. “Era mattina presto”
“Non importa se era notte, o mattina. Se vi ho detto di non farlo, non dovete
farlo!” . La ragazza fulminò con lo sguardo i colpevoli, per poi concentrarsi
su Saitou che era in piedi a guardarla, a fianco ad un Hijikata-san calmo e
seduto tranquillamente, che prestava distrattamente attenzione alla
discussione.
“E poi… tu!” . Indicò con l’indice Saitou, che rimase impassibile. “Mi hai
fatto a pezzi la sveglia! Ti rendi conto? Ma evidentemente no, perché eri
troppo impegnato a puntarmi contro la tua katana!”.
Quei ragazzi erano incredibilmente ottusi. Ma il più ottuso di tutti era
proprio quel Saitou! Forse era quello che mal sopportava più di tutti!
Poteva anche sembrare calmo, ma aveva la katana facile.
“Quell’oggetto che mi hai ridotto in brandelli era una semplicissima sveglia,
che emette un suono all’orario in cui tu lo predisponi, per poterti svegliare
in tempo”.
Il ragazzo, per niente turbato dalla strigliata, si limitò a guardarla con aria
atona. “Capisco”.
Ahhhh! Che rabbia! Mi ha fracassato la
sveglia, mi ha puntato la spada contro e mi ha accusata ingiustamente… E tutto
quello che sa dire è “Capisco”?! Lo prenderei a calci, se solo non rischiassi
di essere fatta a fettine!
“Volete capirlo sì, o no che la situazione è questa? Siete nel futuro ed è
logico che ci siano cose che non conoscete e che vi turbano, in qualche modo.
Ma vi assicuro che tutto ciò che vi è in questa casa, non è niente di pericoloso
e/o letale”.
“Concordo con l’ojou-chan. Questo
affare è davvero comodo per dormire!” asserì Souji, stiracchiandosi sul divano,
proprio come un gatto, per poi affacciarsi su di questo per incontrare il suo
sguardo.
In quel modo Arline poté notare che aveva un leggero colorito roseo sulle guance.
Segno che il divano gli doveva essere
piaciuto. E parecchio, pure.
“Come hai detto che si chiama?”
“Divano. E’ un divano”.
“Perfetto. Allora il divano lo occupo io” dichiarò per poi tornare a
stendercisi sopra.
In quel momento le sembrò tanto un bambino capriccioso e sfacciato. E forse
infondo lo era. Un bambino capriccioso e sfacciato troppo cresciuto.
“Devi, però, ammettere, Arline-san, che la situazione non è sostenibile per
noi” esordì Hijikata-san, incrociando il suo sguardo rigido, ma tranquillo con
quello indispettito di lei.
Vorrai dire per me, forse! Qua gli unici che stanno creando disturbo siete voi,
fino a prova contraria!
“Concordo pienamente, Hijikata-san. Non solo per voi, ma anche per me
questa situazione non è facilmente gestibile. Ecco perché dobbiamo trovare
assolutamente un modo per rimediarvi”.
“E dunque…?”
“E dunque vi rimedieremo. Ma non ora” precisò, mentre finiva di farsi anche la
seconda treccia, che le cadde dolcemente sulla spalla sinistra. “Ora devo
andare a scuola. Per colpa vostra sono già in ritardo.” .
Normalmente avrebbero chiesto che cos’era la scuola, ma la sera precedente
Arline era stata previdente e lo aveva spiegato all’intero gruppo.
“Onestamente sono un po’ incerta se lasciarvi soli in casa per delle ore, ma se
starete tranquilli, senza fare nulla di pericoloso, dovrebbe andar ben…” . Ma
non fece in tempo a finire la frase, che vide Heisuke, Harada e Shinpachi
concentrati sul telecomando del televisore a cristalli liquidi.
“Chissà a che serve quest’altra cosa” si chiese Heisuke, esaminandolo.
“Potrebbe essere che sia un’altra cosa particolare di Arline-chan?” ipotizzò
Shinpachi.
“Chi lo sa…” . Anche Harada sembrava piuttosto curioso.
La ragazza li osservò ancora per un po’, per poi sospirare nuovamente.
Come si fa ad essere così idioti?
Indi si avvicinò a Sannan-san che, piegato educatamente sulle
ginocchia, stava anch’esso osservando i
tre shinsengumi un po’ perplesso.
Una volta di fronte a lui, Arline s’inchinò in segno di rispetto. “Sannan-san,
la prego di badare ai suoi compagni, per favore”.
L’uomo, allora, le sorrise cordialmente. “Ma certo, Arline-san, non dovete
preoccuparvi. Ci penserò io a badare che non facciano sciocchezze”.
“Oh… Grazie davvero!”. Per la prima volta di fronte ad uno dei sette ragazzi,
Arline aveva sorriso di cuore e aveva abbandonato quella sua aria arrabbiata,
infastidita e severa. Forse questo dipendeva dal fatto che Sannan-san le
sembrava quello più affidabile del gruppo. Non che Hijikata-san gli sembrasse
irresponsabile, ma ancora non gli era sceso giù il comportamento che aveva
avuto con lei il giorno prima. Doveva ancora capire di che pasta era fatto.
Ancora non riusciva a credere che fosse l’uomo di cui era innamorata la sua
bisnonna…
Mentre Sannan-san era stato tranquillo, coerente e gentile per tutto il tempo,
sin da quando era arrivato in quell’epoca. L’unico che, effettivamente, non
aveva dato fastidio. Certo, non aveva nessuna garanzia che anche a lui non
mancasse qualche rotella, ma per ora le era sembrato davvero il più affidabile
e, soprattutto, normale.
“Bene. Adesso vado. Ci vediamo più tardi. Mi raccomando, non combinate danni”
esordì, diretta ai giovani, che, per un motivo, o per l’altro, non le davano
ascolto; Heisuke, Harada e Shinpachi perché troppo impegnati ad esaminare il
telecomando del televisore, Okita perché occupato ad assaporare ancora la
comodità del suo divano, Hijikata-san perché troppo intento a pensare ad una
soluzione per tornare indietro nel loro tempo e Saitou… Beh, Saitou perché se
non fosse per il fatto che la credeva un demone, non teneva neanche in
considerazione il fatto che esisteva.
Solo Sannan col solito sorriso gentile sul volto la salutò con un cenno della
mano. “A più tardi, Arline-san. Andate tranquilla”.
Lei, allora, ricambiò il suo sorriso e si chiuse la porta alle spalle.
Appena fu fuori di casa, sospirò per l’ennesima volta. “Speriamo bene…”. Anche
se non voleva riconoscerlo, la giovane era un po’ preoccupata. Ma giusto un
po’.
No… Chi voleva prendere in giro? Era in ansia. Terribilmente in ansia. Chissà
che cosa avrebbero combinato. Se avevano fatto tutto quel casino per una
sveglia, non voleva neanche immaginare di che cosa erano capaci, se vedevano
qualcosa di più scandaloso.
Già erano andati in tilt per il computer, il giorno precedente.
“Ah… Non ci posso far niente. Quel che è fatto, è fatto” si disse, cercando di
convincersene. “Nonostante abbia parlato loro, sembrano quasi tutti punto e da
capo”.
Non se la prendeva troppo con loro. No. Capiva che tutta quella modernità
poteva sconvolgerli a tal punto. Si immedesimava nei loro panni, ma… Era un po’
delusa dai loro atteggiamenti ancora spaventosi, nonostante la sera prima
avessero parlato così tanto.
Eh sì, perché la sera precedente, dopo averli radunati nella sala da pranzo,
era rimasta fino l’una di notte a spiegar loro un bel po’ di cose.
Innanzitutto erano state fatte le presentazioni. Dopodiché la ragazza aveva
spiegato loro quanto tempo era passato, i cambiamenti e la vita che adesso lei
trascorreva, compreso l’andare a scuola.
Certo, non aveva dato una spiegazione dettagliata e precisa, ma era riuscita a
mettere insieme dei punti-chiave per cercare di far comprendere loro quantomeno
i cambiamenti della società.
Avevano stabilito delle regole tra le quali: non entrare nel bagno, quando lei
si lavava e non entrare nella sua camera, specialmente di notte.
Infondo stava coabitando con ben sette uomini!
E per lei che non aveva mai neanche avuto un ragazzo, la cosa era insostenibile
e l’impulso di cacciarli fuori di casa era davvero forte…
Purtroppo, però, aveva accettato di porre rimedio alla cosa. D’altra parte era
stata lei a portarli lì e non sarebbe stato corretto abbandonarli in mezzo alla
strada. Ma non lo faceva tanto per loro, quanto per le persone che li avrebbero
incontrati.
Chissà quei sette svitati (anzi, sei) che cosa avrebbero potuto fare a dei
poveri cittadini innocenti! Specialmente Saitou-san!
Ahhhhh! Basta così! Ci sto pensando
troppo. Sarà pur vero che combinano danni, ma si tratta solo di qualche ora.
Non possono mica combinare chissà cosa in così poco tempo, no? Decisamente… Mi
sto preoccupando inutilment…
Aveva appena incominciato ad avviarsi quando sentì un forte frastuono
proveniente dall’interno della casa. Il rumore di qualcosa che si rompeva e
delle voci che si soprapponevano una all’altra.
Oh no…
Nulla di tutto ciò che aveva sentito prometteva niente di buono! E aveva
anche il presentimento di sapere di cosa si trattasse.
Non dirmi che…
Inserì la chiave nella serratura e dopo aver dato lo scatto per entrare, si
catapultò nella sala da pranzo, dove li aveva lasciati.
“Ara?” esclamò, un po’ sorpreso, Sannan-san, sempre seduto educatamente e
tranquillamente sul tatami, per poi tingersi sulle labbra quel sue costante
sorriso cordiale. “Siete tornata presto, Arline-san”.
Oh no… No… Ditemi che è solo un incubo…
Forse se fosse stato tutto un incubo, sarebbe stata la cosa migliore,
perché lo spettacolo che le si apprestò davanti agli occhi fu davvero di
troppo: Sanosuke, Shinpachi ed Heisuke, sulle quali facce vigeva un’aria
allarmata, avevano formato un cerchio al centro del quale vi era Saitou che
aveva sfoderato, come al solito, la sua katana. Sarebbe stata una scena più o
meno accettabile, se non fosse stato per quello che vi era ai piedi del giovane
shinsengumi: il televisore a cristalli liquidi… a pezzi.
…
Per un attimo, solo per un attimo, Arline smise davvero di respirare. La cosa
la turbò tanto che non si sentì più le gambe e cadde sulle ginocchia.
“Ah! Arline! Non sai che cosa abbiamo scoperto!” le corse incontro Heisuke, con
aria esuberante, ma anche un po’ preoccupata. “Sai quell’aggeggio di prima?
Quello che avevamo in mano? Non sai che cosa era capace di fare!”
“Già! Hai presente quel quadro nero che c’era sopra quella specie di mensola?”
le fece presente Shinpachi, avvicinandosi anche lui alla ragazza. “Ebbene! Devi
sapere che Sanosuke ha premuto uno di quei numeri che vi erano incisi sopra e
il quadro si è colorato tutto all’improvviso!”
“E non solo sono comparsi tutto all’improvviso delle immagini, ma le immagini
cambiavano ogni secondo! Si muovevano! E a seconda del numero che cambiavi,
cambiavano le immagini!” esclamò Heisuke, misto tra entusiasmo e timore. “E
parlavano anche! Si sentivano i suoni di tutto!”
“Abbiamo pensato che potesse essere qualche diavoleria ideata da degli oni, magari per attentare alla tua vita,
Arline-chan” chiarì Harada, quasi soddisfatto. “E così ce ne siamo occupati
noi”.
Detto ciò, Saitou che li guardava con aria indifferente, ripose la spada nel
fodero. “Ho eliminato la probabile minaccia demoniaca”.
Mi ucciderà…
Pensò Arline, col capo chino e tremante.
La mamma mi ucciderà senz’altro. E tutto per colpa di questi tizi…
Il tremolio si fece sempre più vivace, tanto che anche i ragazzi se ne
resero conto.
“Hm? Che c’è, Arline-chan? Perché stai tremando?” chiese preoccupato, il
giovane Todou. “Il pericolo è scampato!”
“Già, non devi avere più paura. Abbiamo pensato noi a tutto!” cercò di
rassicurarla Shinpachi, con aria anche compiaciuta, tipica di chi aveva
compiuto un’impresa impossibile.
“Vo… Voi…” sibilò, con un filo di voce. La voce era roca e grottesca e il
tremolio del suo corpo si fece quasi esasperante. “Voi…”
“Ho-ho… Mi sa che stavolta non ve la cavate con una semplice strigliata”
osservò Souji che si era affacciato dallo schienale del divano, con aria
alquanto biasimante. Poi sorrise ai compagni. Un sorriso che nascondeva
qualcosa che non prometteva niente di buono, un sorriso non troppo
rassicurante. “Stavolta l’avete fatta proprio arrabbiare” fece loro notare,
indicando insistentemente con l’indice dalla parte della ragazza.
I ragazzi, allora, si voltarono verso Arline e… sbiancarono.
Gli occhi azzurri della ragazza attraversarono il vetro degli occhiali e li
agghiacciò. Era uno sguardo talmente freddo e terrificante da far sussultare
persino Hijikata. Uno sguardo proprio
degno di un…
“Demone!” esclamò Saitou puntandole la spada contro.
“VOI… RAZZA DI IDIOTI!!!!”
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