Please Come Back di FraRose (/viewuser.php?uid=93303)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bonnie ***
Capitolo 2: *** Blue Eyes ***
Capitolo 3: *** Pazzia ***
Capitolo 4: *** Amici ***
Capitolo 5: *** Partenza ***
Capitolo 6: *** The Apparition ***
Capitolo 7: *** Scomparso ***
Capitolo 8: *** Consigli ***
Capitolo 9: *** Festa dei Fondatori (Parte I) ***
Capitolo 10: *** Festa dei Fondatori (Parte II) ***
Capitolo 11: *** Solitudine ***
Capitolo 12: *** What Are You Doing Here? ***
Capitolo 13: *** Destiny ***
Capitolo 14: *** Cammino ***
Capitolo 15: *** Bugie ***
Capitolo 16: *** Perdono ***
Capitolo 1 *** Bonnie ***
1.BONNIE
Bonnie Bennett stava
nella sua camera, illuminata solo dalla luce fioca di una lampada per
bambini posta
sopra il comodino. La stanza era ancora quella che Bonnie aveva quando
aveva
dieci anni, per questo non esisteva un computer, una televisione o la
Wii. Ecco
quindi una delle due ragioni per cui Bonnie stava leggendo e studiando
il suo
libro di incantesimi alla luce debole e tremolante della lampadina
ormai
consumata. Il chiarore che riusciva ancora a emanare era appena
sufficiente per
leggere il libro aperto sulle ginocchia di Bonnie, che tentava di
decifrare e
memorizzare i complicati incantesimi. Potevano tornarle utili, un
giorno o
l’altro, e così studiava, come se fosse la
matematica o la storia.
Ma Bonnie era una
strega e doveva
sapere quelle formule magiche, e
per questo studiava come non studiava mai nient’altro. La
matematica a Bonnie
sarebbe servita fino a un certo punto, sicuramente mai quanto la magia,
di
questo ne era certa. Non voleva ammetterlo, ma era fiera dei suoi
poteri magici
e le sarebbe piaciuto, un giorno, poterli usare con destrezza e
sicurezza,
padroneggiandoli come una volta aveva fatto sua nonna.
Nonostante tutto,
però, le
palpebre di Bonnie si abbassavano sempre di più supplicando
pietà, ma lei non
voleva dormire: doveva imparare qualcosa. Tutti i casini con Damon,
Stefan e
Elena… Tutto quello che era successo negli ultimi giorni le
aveva impedito di
esercitarsi, e questa era la prima sera in cui la vita le dava qualche
ora di tregua.
Era consapevole che forse quei momenti le erano stati dati per dormire,
ma non
ci faceva caso, faceva finta di non aver sonno e ignorava i continui
lamenti
del suo cervello.
Bonnie
riuscì a distrarsi
un’altra volta, pensando alla sua amica. Alla sua migliore
amica, che ora si
trovava nei casini, ma non ne era consapevole.
Elena si era
lasciata con
Stefan… quel cretino l’aveva tradita con Caroline,
che ora non aiutava a far
sentire meglio Elena. Quando Bonnie l’aveva costretta a
scusarsi con Elena per
quello che aveva fatto aveva solamente peggiorato la
situazione:“Ma è ovvio che
preferisca me, cioè ma ti sei vista? E hai visto
me?” diceva con tono da
gallina, e poi si indicava con un gesto ampio delle braccia.
Elena a quel punto
era
scoppiata a piangere e Bonnie aveva mandato a quel paese Caroline, che
indignata e soddisfatta allo stesso tempo, era uscita sculettando dalla
porta.
Bonnie chiuse gli
occhi.
Pensava a tutto quello che era successo. E il fatto peggiore di tutta
quella
storia: Elena ora frequentava Damon “come amico”.
Era lui la ragione per la
quale ora la streghetta si trovava a casa sua. “Tranquilla
Bonnie, ci sarà
Damon con me” le aveva detto Elena, “vai a
riposarti”. Bonnie aveva annuito
lentamente, lanciandole occhiate di fuoco fulminanti e piene di
avvertimenti
silenziosi. Come faceva Bonnie a dormire se sapeva che Damon stava con
Elena?
Lui era cattivo, spietato, pericoloso…
Bonnie però doveva ammettere che Elena, da quando vedeva
Damon “come amico” era
migliorata: non piangeva così spesso, non era sempre
triste…
Ma la domanda che la
tormentava era: perché? Perché? Perché
doveva capitare a lei tutto questo?
Perché alla sua migliore amica? Perché a Elena?
Bonnie capì che la causa della
sua stanchezza e della sua mancanza di concentrazione era Elena. Era
troppo
preoccupata per lei e per la sua salute. Per i suoi sentimenti. Temeva
che Damon
l’avrebbe fatta soffrire in un futuro e Elena Gilbert non si
meritava questo.
Era buona, dolce, altruista. Damon era l’opposto.
Gli
opposti si
attraggono…
Perché
Elena
s’innamorava solo
delle persone più sbagliate? Perché? Voleva un
vampiro? Perché? Perché non
andava bene un umano comune, un comune mortale? Perché non
Matt? Perché non un
qualsiasi cretino che potevi incontrare per strada? Perché
un vampiro?
E se voleva un
vampiro,
perché voleva i due più stupidi e meno affidabili
presenti su questa maledetta
terra? Bonnie non lo sapeva. A volte non capiva la sua amica.
Perché
Damon e Stefan
Salvatore?
Perché
non Edward
Cullen?
Perché…
un momento.
Le palpebre di
Bonnie si
sollevarono improvvisamente, gli occhi diventarono grandi come delle
palle da
calcio, illuminati dalla brillantezza della sua idea. Era complicato,
lo
sapeva, e forse in quel momento, con quella stanchezza che non le dava
un
momento di tregua e che non le permetteva di camminare senza
traballare, lo era
ancora di più. Ma il pensiero di Damon e Elena insieme sul
letto, a parlare… in
ogni momento Damon avrebbe potuto approfittare di lei. Ed Elena forse
non era
in grado di capire quello che poteva succedere con Damon in camera. Il
pensiero
di Elena sotto Damon, al buio e vicinissimi le fece sparire tutta la
stanchezza
e senza alcun indugio accese la luce principale, e non le importava il
male che
le facevano gli occhi per il cambiamento. Quasi le lacrimavano, ma a
lei non
interessava. Lei avrebbe salvato la sua migliore amica dai vampiri
Salvatore.
Non avrebbe permesso che la facessero ancora soffrire.
Iniziò a
sfogliare il libro
degli incantesimi con più lena, accecata
dall’entusiasmo, ma facendo sempre
molta attenzione nel girare quelle pagine ingiallite dal tempo,
delicate e
sottili, per paura che si rompessero.
Esaminò
ogni singolo
incantesimo nel capitolo dedicato all’evocazione di persone e
agli scambi. Bonnie
non sentiva più la stanchezza come prima, e dopo
un’ora di ricerche e di
traduzione, eccolo lì, l’incantesimo che faceva al
caso suo. Saltellando tutta
contenta guardò l’orologio; segnava le 03.16 AM.
Si lasciò sfuggire uno
sbadiglio, ma a Bonnie non interessava proprio nulla, era determinata a
salvare
l’amica.
Si mise a studiare
nei
minimi dettagli l’incantesimo: non voleva che qualcosa
andasse storto. Dopo
aver memorizzato bene e senza nessun dubbio le parole, prese il libro e
lo posò
delicatamente sul pavimento. Accese le candele, spense la luce e si
sedette sul
tappeto, iniziando a pronunciare parole latine e incomprensibili.
Nemmeno
Bonnie stessa le comprendeva bene, riusciva ad afferrare il concetto
generale e
da quello che poteva capire l’incantesimo sembrava giusto.
La strega
iniziò a muovere
le braccia, le fiamme delle candele si allungavano sempre di
più verso l’alto,
come se ci fosse una forza che le trascinasse verso il soffitto. A un
estraneo
poteva sembrare una situazione in qualche modo pericolosa, ma non lo
era.
Bonnie era una strega esperta, sapeva quel che faceva e aveva il totale
controllo della situazione.
Improvvisamente le
due
candele si spensero, una dopo l’altra. La camera
ritornò buia.
Fuori,
Elena
si ritrovò da
sola. Per poco, la porta si aprì.
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Capitolo 2 *** Blue Eyes ***
2. BLUE EYES
Tutta la famiglia Cullen
era seduta intorno a
un tavolo rettangolare, coperto da un’elegante tovaglia
bianca ricamata e con i
bordi all’uncinetto. Era tutto perfetto. I bicchieri erano
tutti posizionati
con la giusta distanza dai piatti, le forchette pure e le lame dei
coltelli
erano rivolte verso l’interno. Tutto perfettamente perfetto.
Esme Cullen guardava
il suo lavoro con un sorrisino ebete compiaciuto, dicendosi:
“Quale nonna di
questo mondo prepara una tavolata così per la sua nipotina?
La distanza fra tutte
le forchette e tutti i coltelli è di esattamente 5,41 centimetri.
Quale nonna farebbe un lavoro del genere? Quale nonna? Qual-“
.
“Mamma,
la
vuoi piantare, stai urlando!”
sbraitò Edward Cullen, scocciato. Ultimamente era sempre
molto su di giri,
nervoso ed irritabile, soprattutto nell’ultimo mese, ossia da
quando aveva
saputo che il primo anniversario di matrimonio di sua figlia sarebbe
stato
festeggiato a breve. Aveva a malapena sopportato la notizia del
matrimonio, e
ora festeggiare l’anniversario quando non si era ancora
ripreso dall’anno prima
per lui era troppo. Jacob Black proprio non gli andava giù.
Ci aveva provato
per far felice la moglie, ma nemmeno l’amore che provava nei
suoi confronti era
riuscito a fargli piacere quel lupo puzzone.
“Uh?”
Esme alzò gli occhi, come se fosse
uscita da uno stato di trans.
“Stai.Urlando.Io.Leggo.I.Tuoi.Pensieri!”
scandì bene Edward.
“Su,
amore non
essere così maleducato!”.
Bella Cullen tirò per il braccio il marito e lo costrinse a
guardarla e a
distogliere lo sguardo dalla madre.
“Scusa,
tesoro.” disse lui, improvvisamente
dispiaciuto.
“Non
è a me che devi chiedere scusa!” rispose
Bella, come se avesse a che fare con un bambino che aveva dato uno
schiaffo a un
altro e chiedeva scusa alla madre invece che all’interessato.
Edward
fissò
la moglie e poi, abbattuto,
disse: “Scusa, mamma”.
Bella
scosse la testa,
pensando “non c’è
speranza”.
Un
rumore di passi leggeri e apparve Alice
Cullen, il folletto matto della famiglia. Aveva in mano un righello con
sensibilità maggiore di un millimetro e ricontrollava ogni
distanza fra le
forchette e i cucchiai. Era concentratissima e se qualcuno avesse osato
interromperla avrebbe potuto perdere il controllo e ammazzare tutti in
pochi
secondi.
Quando
finì
di esaminare il tovagliolo, urlò:
“Molto bene! Ora vi spiegherò come andranno le
cose. Ho previsto tutto. Dunque,
per quei cretini che suppongo non lo sappiano (e guardò i
licantropi), oggi è
l’anniversario d-“
“Della
disgrazia” l’interruppe Edward, mentre
Bella scuoteva la testa. Lo faceva così spesso ultimamente
che era da
sorprendersi che non si fosse svitata e caduta a terra.
“Sta’
zitto una buona volta!” strillò Alice,
isterica. “Dicevo” continuò,
“che oggi è l’anniversario di matrimonio
di
Renesmee e Jacob Black”.
Edward
appariva
piuttosto incavolato con il
mondo, soprattutto quando i lupi intonarono un coro stonato di
“Tra rosa e
fior, nasce l’amore, Nessie e Jaky si son già
sposati. Lei disse sì, lui disse
sì, poi non nacque un figlio chiamato…”
e scoppiarono a ridere. Edward avrebbe
potuto sgozzarli in poco tempo, questo era poco ma sicuro.
“E
per
questo” continuò Alice, ignorandoli, “deve essere tutto
perfetto nei minimi
dettagli! Quindi, datevi da fare e contribuite! Jazz, che fai
lì seduto come
una scimmia? Sta’ dritto con quella schiena!”
Alice
passò
la mezzora seguente a lamentarsi
per come Rosalie accavallava le gambe “Rose, mostri un
po’ troppo quello che
non dovresti mostrare! Questa è una cerimonia importante,
non uno strip club!”.
Emmett aveva riso divertito e aveva messo le mani sotto il vestito di
Rose, per
aggravare la situazione e quando Alice lo aveva beccato gli aveva dato
un pugno
degno di un giocatore di wrestling. Solo che lei era la metà
di un giocatore di
wrestling.
Ad
Alice non andava bene
nemmeno il vestito
che Seth Clearwater aveva indossato. Era di tessuto scadente, fatto in
Cina.
“Ma dove credi di essere??” diceva o meglio,
urlava, “Un anniversario di
matrimonio non è una serata qualsiasi! E ci si veste
decentemente. Oh ma voi
licantropi non siete capaci di indossare delle maglie, passate tutto il
tempo
mezzi nudi?!”.
Poi
aveva chiamato i
grandi magazzini Armani
e si era fatta spedire vestiti all’ultimo minuto per tutti
coloro non si fossero
vestiti decentemente, a parer suo. Il povero signor Armani era stato
minacciato
di morte se non avesse fatto come Alice aveva ordinato di fare.
Arrivarono
le 20.00 precise, e Alice andò a
chiamare Renesmee. La ragazza si aspettava di incontrare solamente i
suoi
genitori, la sua madrina Alice, il suo padrino Jazz e suo marito Jake.
Non
aveva idea che al ristorante avrebbe trovato mezza Forks.
La
porta si
aprì, e Nessie apparve in tutto
il suo splendore. Indossava un bel vestito bianco, poco sopra il
ginocchio, che
rendeva la sua pelle incredibilmente luminosa e i metteva in risalto il
contrasto con i suoi occhi color cioccolato fuso. Era innegabilmente
bellissima.
Si
avvicinò
al tavolo e appena vide la sua
famiglia al completo, i licantropi tutti rigidi per paura del folletto
organizzatore, la povera Renesmee quasi svenne.
“Ciao!”
disse, incerta. “Per fortuna che
doveva essere una cosa veloce, senza troppi festeggiamenti!”.
Guardò la zia,
con quello sguardo da “ti voglio uccidere ora” e
“lo sapevo che non dovevo
fidarmi di te”. Ma nonostante questo, tutti sapevano che si
volevano un gran
bene.
Alice
si strinse nelle
spalle, cercando di
giustificarsi: “Bhe, tesoro, ho pensato che qualche persona in più sarebbe
stata di compagnia. Ho fatto
bene, no?”
“Naturalmente,
zia Alice. Ma…se avessi
saputo, avrei passato più tempo davanti allo
specchio…”
“Sei
bellissima tesoro” disse Bella mentre
abbracciava la figlia, facendo la madre affettuosa come sempre.
Dopotutto, sua
figlia aveva sette anni e ne dimostrava 18. Era normale che una donna
non
voleva abbandonare l’atteggiamento materno nei confronti
della sua bambina. Era
accaduto troppo in fretta, la sua crescita accelerata non era mai
andata a
genio a Bella Cullen.
“Sai
che ti
dico, Nessie? Anche troppo”
brontolò Edward.
“Smettila.
Amore. Smettila” lo rimproverò
Bella, che iniziava a spazientirsi sul serio.
“Come
puoi
dirmi di smetterla se Nessie è
vestita come una dea per… per… per
festeggiare… un anno di matrimonio con quel…
verm…cioè…lombri…bruc…”
Edward aveva perso l’uso della parola.
“Non
è un verm, non è un lombri, non è un
bruc, ma è Jacob. Chiaro? J-A-C-O-B. E tua figlia lo ama.
Accettalo o sei un
pessimo padre che dovrebbe vergognarsi!” sbraitò
Bella.
“Bella
smettila anche te. Stai urlando!”
ordinò Alice, cercando di riportare tutto
all’ordine. Era disperata. Le sue
visioni stavano cambiando, erano sfumate. Non stava andando come voleva
lei e
come era stato previsto. Edward e Bella stavano litigando, di nuovo. E
doveva
essere un giorno di festa e di felicità per Nessie! Non
doveva vedere i suoi
genitori litigare o avrebbe sofferto. Dopotutto, lei aveva ancora sette
anni.
“Nessie,
amore, perché sei ancora lì in
piedi?” chiese un Jacob estremamente premuroso, dolce e
tirato a lucido come
quei modelli del gel per capelli. Era arrivato poco dopo
perché aveva dovuto
cercare un parcheggio.
La
fissò, poi
si accorse che tutti i suoi
amici erano vestiti Armani e seduti composti sulle sedie di legno
pregiato. Non
riuscì a trattenersi, e scoppiò a ridere.
“Che state facendo? Ahahahahah!” si
piegò
in due dalle risate, e Nessie senza una ragione sensata, si
unì a lui. Forse
per coprire le urla dei genitori che la facevano star male.
Perché sapeva che
se stavano litigando era per causa sua, perché aveva sposato
Jacob… E poi, la
risata del marito era contagiosa.
“Non
è colpa nostra. È colpa sua” Embry,
imbronciato, indicò il folletto impazzito davanti alla lite
famigliare.
“Ahahahahahahah…
comunque, Alice, grazie. È
tutto così perfetto!” accentuò la presa
sulla mano di Nessie e la guardò con
amore. Lei ricambiò, nonostante tutto quello che stava
succedendo.
“Non
è per te che l’ho fatto! L’ho fatto per
Nessie! Comunque” disse Alice, non riuscendo a trattenersi,
“i tovaglioli sono
perfetti al millimetro!” si vantò, improvvisamente
non curandosi di quello che
stava succedendo attorno.
“Edward
lasciami stare, sei un emerito
idiota!” scoppiò Bella.
“Che
dici,
amore?!” replicò urlando Edward.
“Fai
schifo.
Non chiamarmi amore. Sparisci,
fai solo soffrire Nessie! Idiota!”. Bella stava delirando, a
dir poco
delirando. Edward non era da meno.
“Da
quando mi
detesti in questo modo?” chiese
Edward, senza più contenersi.
“Da
quando
continui a lamentarti su Nessie e
Jacob assieme. Non fai altro che dire che non stanno bene assieme, che
sono
esagerati, che il loro matrimonio non durerà… Ma
sai che ti dico? Il matrimonio
che non durerà è il nostro, perché io
ho chiuso con te, Edward Cullen!” finì
Bella, senza smettere di urlare. L’amore di Bella per Nessie
vinse su quello
per Edward. Lei non voleva che sua figlia soffrisse perché
Edward non approvava
il suo matrimonio. Non avrebbe permesso che Nessie divorziasse o cose
del
genere. Se l’unico modo per risolvere la situazione e il
matrimonio della
figlia era lasciare Edward, Bella ne sarebbe stata in grado. Amava
troppo
Renesmee.
Calò
il
silenzio nella stanza, tutti i vecchi
nel ristorante che prima ascoltavano distrattamente, ora avevano gli
occhi
sbarrati e scuotevano la testa, scandalizzati dall’accaduto.
Una volta le
coppie non si lasciavano così, e forse Edward non aveva
considerato che il 1918
era passato. Ma Edward sperava con tutto il cuore che le intenzione di
Bella
non fossero così definitive e serie. Sperava che ritornasse
in se e se ne
potesse discutere con un po’ di più calma.
Il
silenzio tombale
venne interrotto dal
pianto di Nessie. Soffriva, e Alice voleva consolarla, ma non osava
fare un
passo in avanti. Sembrava che Edward volesse staccare la testa a tutti.
“E
dove
andresti, Bella Swan?” chiese Edward,
con un tono risoluto, curioso e cattivo allo stesso tempo, per
nascondere la
sofferenza che lo travolgeva.
“Non
lo so, ma
ovunque è meglio di qui. Andrò
dove tu non ci sarai.”
“Bhe,
sappi
che poi mi vorrai. Mi verrai a
cercare. Ti mancherò. Perché tu mi ami, e
anch’io ti amo” disse Edward, sicuro
di se.
Bella
stava per
ribattere ma, improvvisamente,
accadde una cosa assurda. Edward fece un’espressione
stralunata, si girò su se
stesso e s’incamminò verso l’uscita del
ristorante. Camminava come uno zombie,
con passi lenti e barcollanti. Ci mancavano solo le braccia in fuori e
sarebbe
potuto sembrare sonnambulo. La porta sbatté.
I
Cullen si guardarono
stupiti e spaventati.
Pure Bella era preoccupata, iniziava ad avere una strana sensazione.
Presto
la porta si
riaprì ed entrò un
ragazzo. Niente di strano, fino a quando lo sconosciuto
entrò nel ristorante.
Ma poi, egli s’incamminò deciso verso il tavolo
dei Cullen, come se li
conoscesse.
Si
posizionò
nello stesso posto dove prima
stava Edward, che era vestito elegante nel suo completo D&G
apposta per l’occasione.
Ora il “nuovo Edward” era vestito con una camicia
nera, sbottonata sui primi
tre bottoni. Da sotto quel tessuto leggero si intravedevano dei muscoli
scolpiti. I jeans fasciavano delle gambe ancora più
muscolose di quelle
dell’Edward di prima. Erano completamente diversi i due
ragazzi, non avevano
nulla in comune se non la bellezza disarmante e il pallore.
Gli
occhi non erano
più color dell’oro fuso,
ma di un azzurro intenso e ardente, i capelli non erano più
ramati ma neri. Lo
sconosciuto era anche leggermente più basso di Edward.
Quel
ragazzo apparso da
chissà dove avrà
avuto circa vent’anni, forse un po’ di
più. I Cullen capirono all’istante che
era un vampiro, per il colore della sua pelle e per i canini che si
intravedevano dal sorriso a 250 Watt che era spuntato sul viso del
giovane.
Erano appuntiti, tipici di quelli della loro specie.
La
domanda era: era vegetariano? Nessie
poteva star tranquilla? Non aveva gli occhi rossi, ma neanche dorati e
nemmeno
neri, tipici dei vampiri affamati. Erano azzurri, come se la
trasformazione da
umano a vampiro non avesse cancellato il loro colore originale. Jacob,
comunque, non ci pensò due volte a pararsi davanti a
Renesmee. Bella, invece,
era troppo sconvolta per muoversi.
La
domandissima era:
dove diavolo era finito
Edward?
In
quel momento le donne
Cullen non ci
pensavano più di tanto: Alice, Esme, Rosalie e Bella Cullen
avevano allungato
il collo nel momento esatto in cui il sorriso era comparso sul volto
del
vampiro sconosciuto. Era abbagliante.
Renesmee
continuava a
piangere sulla camicia
di Jake e guardava stralunata con gli occhi arrossati il nuovo
arrivato. Non
perché lo trovasse attraente, ma perché aveva
sostituito il suo amato papy.
Gli
uomini Cullen
cercavano di attirare
l’attenzione delle mogli, senza grandi risultati.
“Ehm…
Salve, gente!” iniziò lo sconosciuto.
Aveva una voce forte, profonda e, Bella l’aveva notato
subito, molto sensuale.
Voleva rispondergli, attirare la sua attenzione, ma non poteva parlare.
Per due
ragioni: uno, non trovava la voce. Era sparita, forse per la vista del
vampiro
supersexy. Due, Nessie non avrebbe mai dovuto vedere la madre fare
qualsiasi
cosa che assomigliasse alla traditrice di papà deficiente.
Vedendo
che nessuno gli
rispondeva, lui
continuò, sempre con quella voce: “Scusate,
cos’è questa puzza?”.
Bella
scoppiò
a ridere e ricevette uno
sguardo fulminante dalla figlia che, per niente abbagliata dalla
bellezza del
vampiro, non si diede contegno di dire: “Non
c’è nessuna puzza qui. Ora se ne
torni a casa”. Questa affermazione le costò
quattro paia di occhi gialli femminili
spalancati come palle da tennis e un coro di: “Ma Nessie, non
essere
maleducata!”
La
ragazza
guardò le zie, la nonna e la mamma
con disprezzo. Si pulì le lacrime con un tovagliolo (Alice
sussultò quando lo
piego senza rispettare le pieghe precedenti), si alzò,
tirò il marito per una
manica e si allontanò dal tavolo. Jacob la seguì,
guardando dispiaciuto e
mormorando scuse. Poco dopo si sentì la porta
d’ingresso del ristorante
sbattere. I vecchi, stupefatti per quanto che avevano visto, iniziarono
ad
avviarsi verso casa, convinti che avessero bisogno di una bella dormita.
“Oh,
ora
c’è meno odore. Era davvero
insopportabile” disse allegramente il ragazzo.
Bella
ritrovò
l’uso della parola. “Scusaci,
ma siamo un po’ sorpresi dal tuo arrivo. Prima…
Bhe, diciamo che prima al tuo
posto c’era… Un po’ difficile da
spiegare e comprendere, lo so, ma è la
verità!” concluse tutto d’un fiato.
“No,
capisco
benissimo. Dove vivo io c’è pure
una strega. Sono abituato a queste cose assurde… maledizioni
e compagnia bella.
Quindi, bellezza, non devi preoccuparti…” il tipo
ammiccò a Bella, che non poté
non esserne grata.
“Io
sono Bella
Cullen” si presentò lei,
tendendo una mano.
“Damon
Salvatore, piacere”. Si sorrisero, un
sorriso pieno di intesa, nonostante non si conoscessero neppure. Fra le
loro
mani si sentì una scarica elettrica. Non come quelle che
Bella aveva talvolta
con Edward, quelle erano imbattibili, ma comunque forte.
“Bhe,
loro
sono i miei parenti… mio padre
Charlie, sua moglie Sue, poi le mie cognate Alice e Rosalie, e i mariti
Jasper
e Emmett. Sono tutti figli adottivi di Esme e Carlisle. Loro sono
Embry, Paul,
Jared, Seth, Leah, Quil, Sam, Emily… e quelli che se ne sono
andati poco fa
erano Jacob e mia figlia Renesmee. A proposito, scusala per il suo
comportamento…”Bella iniziava a dimenticare quello
che stava dicendo. Lo
sguardo di Damon la mandava in tilt. E questo non doveva accadere: era
una
donna sposata.
“Naturalmente
è già perdonata. Ma, è figlia
tua e di…?” chiese Damon, alquanto interessato.
“Ehm…
di Edward.” Rispose Bella, rimanendo
sul vago. Non le piaceva ammetterlo, ma quella litigata con suo marito
l’aveva
lasciata piuttosto scossa.
“E
sarebbe?” chiese Damon, guardandosi
intorno per riconoscere nei parenti qualcuno che Bella aveva presentato
col nome
di Edward.
“Ehm…
lui non c’è. È…in
bagno” improvvisò
Bella, non volendo dirgli la verità.
“Ah,
allora lo
conoscerò più tardi!”. Damon
sorrise. “Da bere?” chiese, allegro.
“Ehm…non
so” mormorò Bella. Era imbarazzata a
dir poco. Stava semiflirtando con quel Damon che chissà da
dove veniva davanti
alla sua famiglia.
“Insisto”.
Damon insisteva proprio. Forse era
meglio dirgli che era sposata, perché quello sguardo era
molto da “playboy che
ottiene sempre quello che vuole”.
“Credo
che
sarà meglio iniziare a mangiare!”
Alice era un dono divino.
Bella
ne
approfittò e si sedette a tavola, e
per educazione fece accomodare Damon vicino a lei, al posto di Edward.
Damon
non fece nessuna
domanda su Edward.
Chissà cosa stava pensando… Bella al suo posto
avrebbe di certo riflettuto dove
era finito il misterioso tipo del bagno: “Sarà
caduto nel water? Lo sciacquone
l’ha inghiottito?”
Il
cameriere
arrivò con l’antipasto che i
licantropi divorarono affamati. Ormai non si curarono di mantenere una
posizione eretta e composta e Alice non pensava a rimproverarli. La
serata era
rovinata, in ogni caso. Mancavano gli sposi, mancava il padre che
doveva fare
il discorso. E in una cena intima come quella, era presente questo
Damon
Salvatore che cercava di rimorchiare Bella, la quale cercava di
resistere con
tutte le sue forze alle sue provocazioni. Perché Bella,
odiava ammetterlo,
adorava guardare quegli occhi blu. L’avevano rapita al primo
impatto. I
rimpianti però iniziavano a farsi sentire e il desiderio di
chiarire con Edward
si faceva sempre più forte.
A
Damon non
sfuggì che i Cullen non
mangiavano niente, ma bevevano del misterioso liquido rosso che si
erano
portati dietro. Tuttavia, decise di imitare i puzzoni e mangiare. La
vera cena
l’avrebbe fatta dopo…
Rosalie
si
versò un bicchiere di sangue di
cervo, ma qualche goccia rimbalzò nel bicchiere e
finì proprio vicino a Damon.
Gli occhi si annerirono, i canini pungevano. E questo non
sfuggì a Bella. “Ne
vuoi un po’?” chiese, gentilmente. Era anche
tuttavia stupita dal fatto che Damon
potesse mangiare cibo umano senza vomitare, ma lo avevano capito tutti
ormai che
era diverso dai Cullen.
“Mi
farebbe
molto piacere, dolcezza” rispose
Damon, grato che Bella avesse intuito il suo bisogno e avesse capito
tutto
all’istante e che soprattutto non avesse fatto domande.
Afferrò il bicchiere
che lei gli porse e lo finì in un sorso. Lo
appoggiò poi sul tavolo e schioccò
le labbra, soddisfatto a metà. Poi mormorò
all’orecchio di Bella: “Mmmmm…
cervo?”. Lei annuì, lievemente imbarazzata. Se
fosse stata umana sarebbe
arrossita dalla testa ai piedi; non era normale rispondere a una
persona
apparentemente umana che stava bevendo del sangue di cervo.
“Ammetto
che
non rientra nei miei favoriti”
disse Damon con uno sguardo ammiccante. I suoi denti erano
così bianchi che
avrebbero potuto illuminare una stanza buia.
“Già,
nemmeno nei miei… io adoro le puzzole”
rispose Bella, senza accorgersene. Damon per tutta risposta
scoppiò a ridere.
“Le puzzole?” riuscì a dire, in mezzo
alle risate. Un’altra volta Bella si
sentì imbarazzatissima, e nascose il viso sotto i capelli.
Annuì leggermente
con la testa, cercando di farsi notare il minimo indispensabile.
Poi,
improvvisamente
vinta dalla curiosità,
chiese: “Bevi sangue umano?”
Damon
rispose, senza
alcun timore: “Rubo il
sangue dall’ospedale, ma non uccido”.
La
testa di Carlisle
Cullen si girò di
scatto, poco certo di quello che aveva sentito. Cercava una conferma
che il suo
udito non stava peggiorando nei secoli. E se l’avesse
trovata, un vampiro in
meno avrebbe girovagato per la Terra.
“Come
scusa?” sibilò il dottore, mentre la moglie
lo tirava per un braccio, cercando di fermarlo.
“Che
rubo il
sangue dall’ospedale. Mio
fratello Stefan preferisce la dieta Bambi, ma io la sopporto ben poco.
Così,
ecco una strada alternativa che potete intraprendere anche voi, se vi
va. Ah,
l’ho inventata io. Copyright 2009”
aggiunse sorridendo.
“E
prima del
2009 cosa facevi?” Carlisle
stava perdendo il controllo.
“Oh,
uccidevo
qualche persona qua e là…”
rispose Damon, rimanendo sul vago. Non si era accorto che Carlisle gli
si stava
avvicinando dall’altro lato del tavolo come una serpe.
“Io.Ti.Ammazzo!”
urlò Carlisle. Damon voltò
la testa verso di lui e lo guardò sorpreso, cercando di
capire cosa aveva detto
di tanto brutto.
Bella,
che aveva assistito alla scena senza
interromperla, non pensando che Carlisle sarebbe arrivato a tanto,
prese la
mano di Damon e senza pensarci due volte corse via, lontano, insieme a
lui. Non
voleva che pure questo misterioso vampiro fosse coinvolto in quel
casino.
I
Cullen non provarono
nemmeno a seguirla.
Era giovane, forte e veloce. E pensarono anche che aveva bisogno di
riflettere,
di stare da sola. Forse quella sera sarebbe andata a trovare Nessie,
oppure a
cercare Edward. L’unica cosa che speravano era che non si
lasciasse andare con
quel Damon. Non era proprio il caso di rovinare ulteriormente la vita
di
Renesmee.
Decisero
di lasciarle il
suo spazio.
Quando
i due se ne
furono andati, i rimanenti
Cullen fissarono Carlisle ad occhi spalancati, che era nel frattempo
ritornato
in se e aveva borbottato qualche scusa e qualcosa riguardo al fatto che
la
scomparsa del figlio lo aveva un po’ scosso.
Rosalie
Cullen guardava
Emmett Cullen con uno
sguardo che comunicava una sola cosa “andiamocene via di
qui”.
Charlie
Swan e Sue
Clearwater si alzarono
senza dire niente a parte qualche scusa e si allontanarono verso La
Push. I
licantropi li seguirono a ruota.
Alice
Cullen
guardò la sala svuotarsi. Le si
velarono gli occhi di lacrime che non poteva far scendere; era la prima
volta
che qualcosa organizzato da lei falliva miseramente. Sua madre Esme
l’abbracciò
in quel modo di cui solamente una madre è capace. Intanto,
il proprietario del
ristorante stava dicendo a Rosalie e ad Emmett, che avevano tentato di
scappare, di riferire ai famigliari di pulire il ristorante per
l’eccessivo
disastro.
I
Cullen passarono la
sera così, a pulire
come tante Cenerentole.
Bella
Cullen invece, era
arrivata con Damon a
un caffè piuttosto lontano da lì e si era messa a
raccontare tutto quello che
doveva dire per sentirsi meglio. Damon ascoltava interessato. Quella
sera
ascoltò e basta.
Edward
Cullen era fermo
nella stessa
posizione da un’ora buona, davanti a una ragazza carina sui
vent’anni, in quel
che doveva essere il bagno di casa sua. Entrambi, avevano lo sguardo
sconvolto
e non erano in grado di aprir bocca.
Angolino della Matta Fra o.O
Bhe, che
dire? Siete fantastiche ragazze, grazie per tutte
le recensioni che mi avete lasciato. Sono super eccitata per il
successo di
questa storia nata dalla mia mente malata dopo aver studiato per due
ore
tedesco… Grazie, grazie mille! Posterò appena
posso, credo che ora con le
vacanze di Natale (grazie Dio per aver inventato le vacanze di Natale,
J)
riuscirò a postare forse entro
venerdì… Vi amo, grazie per tutto il sostegno
che mi date.
Ringraziamenti
particolari a…
…che
hanno inserito la mia storia fra le seguite
Sono
le recensione che mi danno la forza, la voglia di
andare avanti e scrivere, perché so che qualcuno legge.
Quindi grazie, spero di
ricevere altre bellissime recensioni da parte vostra e di altri.
Questo
capitolo è dedicato a: fra3 per
le sue recensioni a raffica, a kiss88 perché mi sta
regalando momenti delena
con la sua fan fiction e saruxxa per il suo entusiasmo che mi ha fatto
impazzire per questa storia!
Grazie ragazze siete
mitiche!
W THE VAMPIRE
DIARIES & TWILIGHT
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Capitolo 3 *** Pazzia ***
3.
PAZZIA
Elena Gilbert era
nella sua stanza. Erano le 19.00 e lei,
come aveva fatto per tutto il mese, piangeva e soffriva. La ragazza non
capiva,
nonostante si sforzasse in tutti i modi, perché la sua vita
doveva essere un
disastro del genere. Fra tutti i ragazzi che potevano piacerle, quelli
che lei
amava erano due vampiri. Due vampiri che l’avevano avvicinata
più di una volta,
seppure senza volerlo, alla morte. Come se non bastasse la sua migliore
amica
Bonnie era una strega. E l’altra sua amica Caroline, che poi
tanto amica non
era più, era diventata un vampiro da qualche mese.
E Elena aveva un
fratello, Jeremy, il cui il passato era
molto doloroso. Si era innamorato di Vicky Donovan, la sorella drogata
del suo
ex Matt. Che fine aveva fatto lei? Morta. E poi Jeremy si era ripreso
dalla sua
perdita, ma poi si era innamorato di nuovo, questa volta di Anna, una
vampira.
Che fine aveva fatto lei? Morta. Povero Jeremy, sicuramente soffriva
non meno
di lei.
E Stefan…
Elena aveva amato Stefan. Di questo ne era certa,
ma negli ultimi tempi le sensazioni e le emozioni che lei provava
quando una
volta si trovava accanto al vampiro erano sparite. Fra di loro non
c’era più
passione, nessun tipo di scintilla.
Elena avrebbe
facilmente ignorato quello che stava accadendo
fra di loro, non le sarebbe interessato più di tanto,
avrebbe pensato che fosse
normale se quei brividi che una volta la travolgevano in sua presenza
ora non
l’assalivano più. Avrebbe pensato che fosse
completamente normale fra una
coppia di innamorati, dopo un po’ di tempo, non provare
più quello che si provava
il primo giorno. La cosa che preoccupava Elena era che quei brividi che
ora
erano spariti con Stefan sembravano essere molto più
frequenti con Damon, il
fratello di Stefan.
Il fratello cattivo
di Stefan. “Ma”, rifletteva Elena, “non
più tanto cattivo”.
Damon aveva capito i
suoi errori, non uccideva più gli umani
come quando lei lo aveva conosciuto. Di certo non seguiva la dieta di
Santo
Stefan o come la chiamava lui, ma comunque era diventato più
buono e più
compassionevole. Elena era certa che si fosse pentito di ciò
che aveva fatto in
passato, e per questo, nonostante tutto quello che aveva fatto,
l’aveva
perdonato.
Poteva sembrare una
follia l’atto di perdono compiuto dalla
ragazza; dopotutto il vampiro aveva tentato di uccidere Jeremy e se lui
non
avesse avuto indosso l’anello sarebbe sicuramente morto. Ma
Elena non poteva e
soprattutto non voleva ignorare più quello che il suo cuore
e il suo corpo
urlava ogni volta che vedeva il vampiro, nella vita reale ma anche nei
suoi
pensieri: “Ti amo!”.
Ogni volta che Elena
vedeva quegli occhi azzurri profondi,
quel viso così pallido ma non troppo, quel corpo muscoloso e
dannatamente
perfetto, quelle labbra così… rosse e tentatrici,
quei capelli neri che
sembravano urlare “toccaci!” ogni volta che Elena
li fissava.
Elena aveva
realizzato di amare Damon come non aveva mai
amato nessuno, ed era determinata a dirglielo, a confessarglielo.
Lui sarebbe dovuto
arrivare a momenti. Era sempre stato
presente da quando lei aveva lasciato Stefan per il suo tradimento con
Caroline. Damon l’aveva consolata, abbracciata nei momenti di
malinconia
estrema e l’aveva sopportata quando non faceva altro che
lamentarsi della vita
incasinata che aveva. E chissà per quale strana ragione lui
si rompeva a fare
tutto questo per lei. Bonnie diceva che Damon rimaneva con lei anche a
dormire.
Vegliava su di lei, le sussurrava parole tranquillanti quando si
agitava nel
sonno. Ed Elena non poteva non trovare tutto questo veramente dolce e
carino da
parte sua.
Però non
riusciva proprio a capire perché Damon tenesse
così
tanto a lei.
Elena adorava
pensare a lei e a Damon insieme, e negli
ultimi tempi era determinata a voler realizzare le sue fantasie.
Sarebbe stato
difficile che lui comprendesse quello che lei voleva comunicargli;
Damon non
era tipo da confessioni romantiche. Elena, da parte sua, non era
neppure
convinta di riuscire a confessargli tutto quella sera. Non aveva mai
dichiarato
il suo amore così apertamente a qualcuno e non era certa di
esserne in grado.
Le tende della
stanza di Elena si mossero, distogliendola
dalle sue riflessioni. La ragazza controllò di aver aperto
la finestra per
lasciar passare Damon, come ogni sera.
Improvvisamente lui
apparve dal nulla davanti a lei. La
ragazza presto si ritrovò fra le sue braccia muscolose,
avvolta da un abbraccio
possessivo e da una sensazione di pace che solamente Damon riusciva a
provocarle. Lui infilò la testa fra i suoi capelli, fino ad
arrivare al collo e
a posarci sopra un bacio delicato. Elena venne scossa dai soliti
brividi che le
attraversavano la schiena ogni volta che lui la sfiorava.
Quell’abbraccio così
stretto e intimo le permetteva di sentire meglio il suo profumo di
dopobarba e
la ragazza riusciva solamente a pensare che tutto era perfetto in lui.
Tutto
quanto. Non c’era nulla di sbagliato.
L’abbraccio
si sciolse, con grande rammarico di Elena. “Tutto
bene? Scusa se non sono arrivato prima, ma ho avuto un po’ di
difficoltà con le
serrature dell’ospedale…” e fece quel
sorriso da 250 Watt che mandava in tilt
anche una vecchia rugosa e pensionata. Figurarsi l’effetto
che faceva a
un’adolescente innamorata persa di diciotto anni.
“No,
è tutto ok. Non preoccuparti. Sono contenta che tu sia
qui. Sai, credo che mi andrò a fare una doccia”
disse lei. Non aveva la forza necessaria
per dirgli quello che doveva dirgli e stava cercando tutte le scuse
possibili
per sfuggire al temuto momento.
“Va bene.
Io ti aspetto qui, a meno che tu non voglia
compagnia…”
Elena
arrossì, afferrò un cuscino e glielo
tirò per
distrarlo. Non voleva che i suoi occhi la tradissero, perché
era piuttosto
certa che stavano urlando “vieni con me sotto
l’acqua calda”.
“Ehi! Mi
vendicherò…” Damon fece quella faccia
da
semicattivo, che fece scoppiare a ridere la ragazza, la quale
afferrò
l’asciugamano e si chiuse dietro la porta del bagno, non
prima di avergli fatto
una linguaccia.
Elena stava ancora
ridendo mentre apriva il getto d’acqua e
aumentava la temperatura al massimo. Si spogliò ed
entrò sotto la doccia.
Presto il vapore avvolse la stanza, appannando lo specchio.
Elena si
insaponò per bene il corpo con il bagnoschiuma alla
mora che tanto adorava e si lavò i capelli cura,
massaggiandoli. Poi li pettinò
per bene, sciogliendo tutti i nodi che riuscì a trovare.
Intanto, fuori dal
bagno Damon passeggiava per la stanza impregnata
dell’odore, o meglio del profumo, di Elena. L’amava
tantissimo, Dio se l’amava…
ma sapeva che era anche sbagliato, lui era il vampiro cattivo che
cercava di
essere buono. Come poteva Elena, la dolce, gentile e altruista Elena,
perdonarlo per tutto quello che le aveva fatto? Presto quando lei
sarebbe
uscita da questa crisi sentimentale lo avrebbe mandato via. Non lo
avrebbe più
voluto vedere. E lui non avrebbe biasimata, perché lui
sarebbe stato quello
dalla parte del torto. Per questo doveva godersi gli ultimi momenti con
lei,
perché sapeva che sarebbero finiti presto. Presto lei non lo
avrebbe più
voluto.
Intanto,
però, pensava anche alla sua vendetta.
Naturalmente, sarebbe stata una vendetta “per
gioco”. Non voleva che la sua
principessa soffrisse ancora di più. Più che una
vendetta sarebbe stato uno
scherzo.
Decise di uscire
dalla finestra della stanza e di rientrare
dalla finestra del bagno. Silenziosamente, si sedette sopra il
lavandino e
sbirciò Elena sotto l’acqua. Il box doccia la
rendeva una figura sfocata, ma
Damon non guardava dove avrebbe guardato il vecchio Damon o qualsiasi
altro
ragazzo: il nuovo Damon rispettava la privacy di Elena e si limitava a
fissare
il suo viso.
Lei non pareva
essersi accorta che qualcuno la stava
fissando incantato e abbagliato dalla sua bellezza mozzafiato.
Elena spense il
getto d’acqua, prese l’asciugamano e se lo
avvolse intorno al corpo. I capelli lunghi le ricadevano sulle spalle,
facendo
cadere piccole goccioline che discendevano lungo il collo.
La ragazza
uscì dalla doccia, guardandosi i piedi. Quando
alzò lo sguardo per vedere quanto appannato era lo specchio,
lanciò un urlo. La
ragione? Semplice, il ragazzo-vampiro che le piaceva, o meglio amava,
la stava
fissando. E lei aveva addosso solamente un asciugamano.
“Tu…
pervertito che non sei altro!” urlò Elena, con un
tono
scherzoso. Nonostante le sue scenate, non ce l’aveva
realmente con lui. Si
trovava in una situazione imbarazzante, ma allo stesso tempo lei
era… felice che lui
avesse scelto quel modo
per vendicarsi.
“Ehi,
calma. Non ho guardato nulla!” la tranquillizzò,
mentre scendeva dal lavandino.
Lei lo
guardò diffidente, poi decise di lasciar perdere. Una
battaglia con Damon era persa in partenza, sempre, e la ragazza lo
sapeva bene.
Poco dopo, il
cervello di Damon andò definitivamente in
tilt. Ora che la guardava da più vicino, Elena era davvero
splendida e sexy con
solo l’asciugamano a coprirla. Aveva poi stampato in faccia
quel sorriso
fintamente arrabbiato che tentava di nascondere il leggero imbarazzo
che
l’aveva assalita. E a Damon piaceva tanto
quell’espressione, e sommata alla
vista del suo corpo, il cervello del vampiro andò a farsi
benedire; non
riusciva più a formulare dei pensieri che non fossero:
“Perché non glielo dici
ora? Fallo e basta. Dille che la ami…”.
Anche Elena trovava
quella situazione adatta per dirgli
quello che doveva dirgli. La tensione fra loro due in quel momento
c’era, ed
era pure forte. La si poteva percepire da kilometri; nessuno sapeva che
cosa
dire. Perché non riempire quel vuoto con le parole che lei
doveva dire
assolutamente?
I due aprirono la
bocca nello stesso momento, ma poi accadde
una cosa assurda che nessuno dei due aveva potuto prevedere: gli occhi
di Damon
si velarono, la sua bocca si richiuse. Come un robot telecomandato da
chissà
chi, lui si voltò senza nemmeno salutare Elena, che era
troppo stupefatta e
preoccupata per parlare. Intanto, il vampiro si era incamminato verso
l’uscita
della casa. Si sentì la porta sbattere e poi dei passi che
si avvicinavano
sempre di più al bagno.
Elena aveva paura e
provò a chiamare il nome di Damon, ma
nessuno rispose. Si sentivano solo quei passi che si avvicinavano
sempre di
più. Poi Elena udì il cigolio della porta della
camera che si apriva, lo
scricchiolio delle assi di legno del pavimento e infine la porta del
bagno che
si apriva.
Pochi secondi prima
nel bagno di Elena Gilbert c’erano: una
doccia nell’angolo, un lavandino circondato da creme, profumi
e prodotti di
bellezza al centro, un water e la proprietaria del bagno che stava in
piedi,
immobile, con addosso solamente un asciugamano. Niente di fuori dal
comune.
Dopo che la porta
venne aperta, nel bagno si era aggiunta
un’altra statua. Quella di un ragazzo. Il ragazzo non
conosceva la ragazza e la
ragazza non conosceva il ragazzo. Eppure, si trovavano nello stesso
bagno. E
questo rientrava nella categoria di “strano”.
La ragazza era
ovviamente Elena, ragazza dai capelli scuri,
lisci e lunghi fin sotto le spalle. Aveva un corpicino magro ed esile,
che
nascondeva una personalità coraggiosa e sicura di se.
Di fronte a lei
stava il ragazzo, bellissimo. Non era l’ex
Stefan Salvatore, il bel ragazzo muscoloso con i capelli castano
chiaro, alto e
con gli occhi verdi. Non era nemmeno il fratello di
quest’ultimo, Damon,
altrettanto bello se non di più, con gli occhi azzurri e
intensi e i capelli
neri. Il ragazzo non era nessuno di questi due vampiri di Mystic Falls. Non ci assomigliava
nemmeno. Era
completamente diverso, l’unica cosa che si poteva dire che
avesse in comune era
la bellezza disumana tipica dei vampiri. Sì
perché, Elena l’aveva capito
subito, lo sconosciuto era proprio un vampiro.
Quel ragazzo
misterioso dai capelli bronzei e dagli occhi
color dell’oro fuso, era indubbiamente e innegabilmente
bellissimo e
misterioso. Un’aura di mistero lo avvolgeva
tantoché sembrava essere racchiuso
in una bolla che gli impediva di rivelare qualsiasi dettaglio
superficiale
della sua vita.
Questo Elena
l’aveva notato subito, ma quello che non sapeva
era che quella bolla che lo circondava e che le impediva di studiarlo
fino in
fondo, lui riusciva a trapassarla senza alcuna difficoltà.
Lui riusciva a
leggerle i pensieri. Un po’ insolito, ma lui ne era in grado.
Era il suo dono.
Era il dono di quel
vampiro.
La cosa sconvolgente
era che quel vampiro non doveva
trovarsi lì. Doveva essere alla cena per il
primo anniversario di matrimonio di Renesmee e Jacob Black.
Ed Elena Gilbert
invece avrebbe dovuto finalmente ammettere
a Damon Salvatore che lo amava.
Tutto era sbagliato
in quella situazione. Non c’era nulla di
giusto, ma era successo e non si poteva cambiare l’accaduto.
Perché era successo
tutto questo? Nessuno lo sapeva, tranne una streghetta chiamata Bonnie
McCullough…
Elena
riuscì a biascicare qualche parola, poco
comprensibili: “Io, tu… che…
Damon…”.
Il vampiro
però non
riusciva a rispondere.
Poi Elena rimase
ferma per un altro quarto d’ora buono, non
muoveva un muscolo, come se fosse incapace di compiere qualsiasi tipo
d’azione.
Anche le più semplici, come muovere un dito. Era immobile.
Si vedeva a malapena
il petto che si alzava e abbassava per respirare.
Il vampiro
non era
da meno, ma lui era un vampiro. Non era poi così strano.
Rientrava nella sua natura,
ma non in quella di Elena, una comunissima umana.
Il vampiro non
riusciva nemmeno a leggere i pensieri della
sconosciuta, da quanto era sconvolto.
Improvvisamente,
senza nessun tipo di preavviso, Elena si
mosse velocemente verso il lavandino e iniziò ad afferrare i
suoi profumi e li
spruzzò sugli occhi del ragazzo. Non poteva sapere che il
profumo non glieli
pizzicava nemmeno.
Vedendo presto che
lo sconosciuto non soffriva, provò a
tirargli addosso i vari bagnoschiuma, gli shampoo, i pettini, le
creme… tutto
quello che le capitava sottomano andava a finire contro il corpo del
vampiro.
Ma non sembravano nemmeno dargli fastidio. Ed Elena non lo sopportava.
Voleva
che quel cretino, bello senz’altro, ma cretino, soffrisse per
aver sostituito
Damon. Dov’era finito il suo vampiro? Dove? Dove? Dove?
Lo sconosciuto
doveva uscire da quel bagno con almeno cinque
lividi, ed Elena non si sarebbe mai arresa al suo scopo.
Poco dopo la ragazza
non riuscì più a reggere la situazione
e scoppiò a piangere. Le sue gambe cedettero e lei cadde a
terra, facendosi
male. Elena si coprì meglio con l’asciugamano,
mentre lo sconosciuto si
risvegliava dal suo stato di trans. Evidentemente le lacrime femminili
erano un
suo punto debole. (N.d.A. Edward è un personaggio di un
famoso libro, Twilight,
e non è mai stato rappresentato in un film ed è
per questo che Elena non lo
riconosce. Invece la storia di The Vampire Diaries non è mai
stata un libro o
un telefilm, è la realtà).
“Tutto
bene?” chiese lo sconosciuto stupidamente, ma
dopotutto lui poco prima si trovava a litigare con sua moglie a una
cena di
famiglia e ne era rimasto piuttosto scosso. Il suo cervello non
elaborava
ancora bene gli avvenimenti delle ultime ore. Erano troppo assurdi per
essere
digeriti in poco tempo, anche per un vampiro.
“Secondo
te? Da dove spunti fuori? Dove hai messo Damon?”
strillò lei, in mezzo alle lacrime.
“Chi?
Scusa, ma non ti seguo… anch’io sono leggermente
confuso.
Prima ero a-“ il vampiro era sconcertato da quello che stava
succedendo. I due
non si conoscevano, e nessuno dei due voleva conoscersi. Nessuno sapeva
perché
lui si trovava lì. Entrambi volevano riavere qualcuno che
chissà dov’era.
“DOV’ERI?
DIMMELO! SENTIAMO DA DOVE VIENI, IDIOTA!” gridò
Elena, diventando sempre più isterica.
Edward
indietreggiò, colpito
dall’aggressività: “A Forks!
Ora mi puoi fare la grazia di dirmi dove mi trovo ora?”
chiese forzatamente gentile,
ma iniziando a perdere la calma.
“Siamo a
Mystic Falls, deficiente che non sei altro. E non
ti credo, tu non vieni da Forks! Lì vive Edward Cullen, non
gli sfigati come
te!” Elena delirava. Ricominciò a tirare i balsami
che erano caduti per terra
vicino a lei quando erano rimbalzati sul corpo dello sconosciuto.
Lui le
sfiorò a malapena un braccio e si sedette accanto a
lei. “Io-…” incominciò lui.
“NON MI
TOCCARE!” strillò, scrollandosi di dosso il
vampiro.
Corse fuori dal bagno e entrò in camera sua.
Iniziò a svuotare gli armadi fra
le lacrime. Presto, accanto a lei c’era una pila di vestiti
ammucchiati in
disordine. Controllando che quel vampiro fosse ancora in bagno, si
infilò una
maglietta e un paio di pantaloncini. L’importante era
coprirsi in fretta,
l’intimo l’avrebbe indossato dopo.
Delusa per non aver
trovato Damon nell’armadio, attraversò i
vestiti inciampando più volte. Cadde a terra e ne
approfittò per guardare sotto
il letto, ma non trovò nulla. Si alzò e si
guardò attorno. Il tipo la fissava.
Lei
borbottò qualcosa di incomprensibile e si sdraiò
sul
letto, apparentemente sfinita e innocua dopo il
suo momento di follia. Il vampiro riprovò a
dire qualcosa: “Veramente,
lo sfigato in questione si chiama proprio Edward Cullen e non sa
proprio che cosa
sta succedendo”.
Lei
sbarrò gli occhi e lo guardò come se fosse un
matto
psicopatico. Quel tipo, alla fine, aveva appena detto di essere lo
strafigo
Edward Cullen di Twilight, uno dei libri preferiti di Elena.
“Ahhhhhhhhhhhh,
sei un bugiardo che non è capace di mentire!
Ahhhhhhhh io ti ammazzoooo!” strillò Elena. Si
rialzò dal letto,
improvvisamente accesa da un’energia apparentemente
inesauribile. Afferrò
Edward per la cravatta e lo buttò giù dalla
finestra. Lui la lasciò fare, tanto
non si sarebbe fatto nulla. Così forse almeno si sarebbe
calmata.
“Però”
pensò Edward mentre l’aria gli sfiorava la pelle
durante la caduta, “come ragazza è
forte”. Quella di cadere e volare allo
stesso tempo era una delle sue sensazioni preferite. Era come perdere
il
controllo di tutto ma sapere allo stesso tempo di avercelo
completamente.
Il vampiro
atterrò a piedi uniti, con la sua solita grazia,
inclinando appena le ginocchia.
Percepì i
pensieri di Elena, che apparivano lontanissimi.
Vedeva chiaramente la sua immagine che strabuzzava gli occhi e che non
riusciva
a spiegarsi come lui aveva fatto a sopravvivere dopo una caduta di
dieci metri.
Corse verso il muro
della casa, si arrampicò e in meno di
mezzo secondo fu accanto a Elena. “Sono Edward Cullen e sono
un vampiro.
Piacere”. Le tese una mano. Lei non fece lo stesso,
alzò il mento, incrociò le
braccia e scoppiò a piangere di nuovo.
“Ehi, mi
spieghi perché ce l’hai tanto con me? Mi spieghi
che ti ho fatto?” chiese lui, senza più curarsi di
usare le buone maniere.
“Perché…”
iniziò Elena.
“No, non
te lo dico. Prima dici come hai fatto a non
morire!” cambiò idea lei.
“Perché
sono Edward Cullen e sono un vampiro”ripeté
Edward.
Lui la faceva facile… Elena era abituata ai vampiri e alla
loro presenza, ma
lui era diverso. Aveva degli occhi gialli piuttosto insoliti ed era
più pallido
rispetto a Stefan e a… Damon…
Il solo pensiero del
suo vampiro le fece annebbiare la mente
e i suoi occhi si velarono di altre lacrime amare.
“Ok”.
Elena annuì, mantenendo la calma. Si voltò e
iniziò a
passeggiare per la stanza. “Vuoi uccidermi?”
Edward appariva
sorpreso, sconcertato e impaurito allo
stesso tempo. Quando mai una ragazza umana avrebbe mantenuto la calma
alla
presenza di un personaggio letterario che tutti credevano inventato e
che fra
l’altro era un vampiro?
“Cioè…
tu non stai correndo per tutta la casa urlando aiuto?
Non hai paura che la storia del vampiro vegetariano sia qualcosa di
davvero
inventato?” le chiese.
Elena
alzò le spalle: “Il mio ex è un
vampiro. E ora sono
innamorata di suo fratello. È un vampiro anche lui,
ovviamente. Ci sono
abituata. E lui non è esattamente
vegetariano…”. Elena alzò le spalle,
con fare
ovvio. Come se fosse normale vivere con i vampiri e innamorarsi di
loro, dei
vari fratelli e non aver paura che ti possano prosciugare da un momento
all’altro.
“Sì,
ma io non ti conosco. Questi vampiri ti conoscono, sono
tuoi amici, immagino. Forse è per questo che non bevono il
tuo sangue. Non hai
paura di un vampiro che non ti conosce nemmeno un
po’?” le chiese, seriamente
interessato e colpito.
“Se sai
che sono innamorata di Damon Salvatore e che farei
di tutto per trovarlo o per farlo felice, allora conosci una gran parte
di me…”
disse lei, sicura di se.
Edward era colpito
dalla sicurezza di questa ragazza.
Sorrise e poi le chiese, scherzando: “Molto
poetic-…”.
Venne interrotto da
un bagnoschiuma alla pesca che lo colpì
in piena faccia. “… ma non trovi che forse la cosa
principale per conoscerti è
sapere come ti chiami” concluse, seccato.
Gli occhi di Elena
si aprirono in due grandi cerchi e si
fece rossa in viso. Edward si ricordò la sua Bella da umana,
che arrossiva per
niente. Bastava farle un minimo complimento e si sarebbe potuto
distinguere il
rossore sui suoi piedi, nonostante fossero coperti dai calzini e dalle
scarpe.
Lui sorrise al ricordo, e venne riportato alla realtà dalla
ragazza: “Uh,
giusto… ehm, io sono Elena. Elena Gilbert”. Tese
la mano e Edward la strinse,
moderando la forza. Lei ritrasse la mano e se la mise in tasca.
“Ho fatto
qualcosa che non va?” chiese lui, seriamente
preoccupato, poi aggiunse con un sorriso: “Non ho la
peste…”. Ho la spagnola,
pensò lui.
“No,
è solo… La tua mano è…
molto fredda…” mormorò lei,
imbarazzata.
“Oh, i
tuoi vampiri sono caldi?” chiese lui, sempre più
interessato.
“Certo!
Come gli umani! Voi siete così freddi, sempre?
Intendo, voi Cullen?”
“Tutti
quanti!” confermò lui, annuendo.
Elena
annuì più volte, per assimilare il sovraccarico
di informazioni.
Poi alzò lo sguardo, fissò Edward e
ricominciò a tirargli addosso roba, senza
tregua e senza pietà. Grazie a Dio Jenna era uscita con
Alaric e Jeremy era
andato al Grill, altrimenti in quel momento Elena si sarebbe trovata
molto
probabilmente in un manicomio.
“Tu mi hai
portato via Damon!” strillò lei, ricominciando a
piangere.
“Chi
scusami?” domandò lui, cortesemente mentre evitava
un
cuscino che cadde poi giù dalla finestra.
“D-A-M-O-N!”
sillabò bene lei, parlando come se avesse a che
fare con una scimmia.
“N-O-N S-O
C-H-I È!” gridò Edward, ormai anche lui
disperato.
“Non fare
finta di niente!”. Un vaso volò per la stanza.
“Non sto
fingendo un bel niente!”. Il vaso si spaccò in
mille pezzi.
“Invece
sì”. L’acquario dei pesci
attraversò la stanza.
“Adesso,
smettila, Elena Gilbert!”. I pesci iniziarono a
cercare ossigeno e a rimbalzare sul letto, soffocando.
“Io amo
Damon, non lo vuoi capire?” singhiozzò Elena.
“Ho
capito. Anch’io ho perso una persona che amo tanto”
la consolò
Edward.
“Chi?!
Bella? Ma voi siete sposati, vi siete detti che vi
amate! Io stavo per dire a Damon che lo amavo e poi è
sparito e sei arrivato
tu” Elena puntò un dito accusatore contro Edward.
“Sì
è vero, ma non è colpa mia. Non capisco niente di
quello
che sta succedendo! Qualche minuto fa ero con i miei parenti ed ora
sono qui
con te. Io ho perso Bella, Nessie e la mia famiglia, tu hai perso
Damon. Punto,
fine della storia. Non accusarmi di tutto questo casino”
gridò Edward.
Elena
sbarrò gli occhi, capendo tutto, o almeno una parte.
“Ho
capito. C’è stato uno scambio fra te e Damon. Lui
ora si
trova dove ti trovavi tu!” disse lei, la voce improvvisamente
illuminata dalla
speranza. “Dove ti trovavi tu?” chiese poi.
“A
Forks…” iniziò lui.
“Giusto,
come ho fatto a non pensarci prima?” Elena si
batté
una mano sulla fronte e iniziò a muoversi velocemente per la
stanza non sapendo
bene dove andare, ancora confusa dal delirio di prima. Forse la cosa
migliore
era andare a farsi una bella dormita, ma Elena doveva andare da Damon e
dirgli
che lo amava…
“Senti,
Elena, non vorrei essere…” cominciò a
dire Edward.
“Sì
ho capito. Vuoi che vada a dormire, giusto?”
sbuffò la
ragazza.
“Ti
farà bene. Poi credo che domani potremo iniziare la
nostra ricerca… non sono sicuro di quanto
durerà…” le disse Edward,
evidentemente nascondendo qualcosa.
“Come?
Credo che in qualche giorno dovremmo farcela, giusto
il tempo per il viaggio e per trovarli in una cittadina più
piccola di questa.
Tu avrai Bella e io avrò Damon. Problema risolto.”
Elena sorrise al ricordo di
Damon; usava spesso quell’espressione. La prima volta che
l’aveva usata con lei
era quando voleva dirle di abbandonare le cheerleader. Per lui era
sempre
facile: uccidevi la persona che ti creava problemi e il problema era
risolto,
sempre.
“Ehm…
non esattamente. Senti, mi fai vedere una foto di quel
Damon” chiese lui, gentilmente, ma sempre con quel tono che
nascondeva
qualcosa.
“Certo,
aspetta che la trovi”. Elena si guardò intorno e
sospirò vedendo il disastro che aveva combinato. Edward
ridacchiò, beccandosi
un’occhiata fulminante da parte della ragazza.
Elena
attraversò valorosamente il lago d’acqua,
ignorò i
cadaveri dei pesci, rivoltò tutti i vestiti ammucchiati e
spostò gli oggetti
caduti dagli armadi, fino a quando non trovò la sua foto
preferita di Damon.
Raffigurava loro
due, abbracciati. Stefan non appariva in
quella foto, perché essa risaliva all’ultimo
periodo, quando Damon l’aveva
aiutata a riprendersi dalla rottura con Stefan…
[Flashback]
Elena fissava Damon,
incantata. Lui stava leggendo uno dei
libri preferiti di lei, Orgoglio e Pregiudizio. Lei ascoltava, rapita
più che
dalla storia dalla voce profonda e sensuale di Damon.
“Elizabeth:
Fin dall’inizio avete resistito alla
mia
bellezza e, per quanto riguarda le mie maniere, il mio comportamento
nei vostri
confronti è sempre stato al limite della scortesia e non vi
ho mai rivolto la
parola senza desiderare di offendervi piuttosto che il contrario. Ora
siate
sincero: mi avete ammirato per la mia impertinenza?
Darcy:
Vi ho ammirato per
la vivacità della vostra intelligenza, questo
sì…”
“Dio, ma
ci vuole così tanto a capire che c’è
attrazione?
Tutto questo casino per capire che lui piace a lei e lei piace a lui?
Insomma,
tutti questi dialoghi dove si danno del voi… che robe da
matti. Lo leggo solo
per te, sai, Elena. Neanche si baciano, nessuna scena
piccante… Che palle”
stava criticando Damon.
Elena aveva una
voglia matta di saltargli addosso, di
togliergli quel libro dalle mani e di tirarlo dall’altra
parte della stanza. E
baciarlo. Toccare quelle labbra estremamente provocanti, farle
finalmente sue.
Ma non ci riusciva perché sapeva che era sbagliato. O almeno
era quello di cui
Elena stava cercando di convincersi.
“No,
Damon. Insomma… è una storia d’amore
antica, dove
l’amore veniva inteso in un modo diverso da come lo
intendiamo noi oggi…” Elena
si rendeva perfettamente conto di dire cose scontate, ma cosa mai
poteva dire
con gli occhi di Damon che la stavano fissando. Quegli occhi blu,
intensi e
profondi…
“Tutto
ok?” chiese lui, sinceramente preoccupato. Damon
l’amava troppo, e ne era perfettamente consapevole, ma non
poteva rovinare la
loro amicizia, soprattutto quando lei aveva così tanto
bisogno di aiuto.
“Sì,
certo…” rispose lei.
Damon la
fissò per un attimo, cercando di convincersi che
stesse dicendo la verità. Poi distolse lo sguardo che si
posò invece sulla
macchina fotografica. “Ehi, che ne dici se ci facciamo una
foto?” suggerì lui.
Elena sorrise e
annuì, felice. Damon adorava vederla
sorridente dopo tanto tempo. Si avvicinò a lei, le mise un
braccio intorno alla
schiena e con l’altro scattò la foto.
La prima venne male:
la faccia di Elena era venuta tagliata.
I tentativi successivi non furono migliori. Finalmente, la quindicesima
foto venne
bene: Elena sorrideva in modo naturale e guardava Damon ridendo, mentre
lui
fissava l’obiettivo, anche lui sorridendo.
Sembravano una
coppia felice, e chiunque avesse visto la
foto avrebbe detto che i due erano fidanzati e innamorati persi. Lo si
capiva
dalla luce che illuminava i loro occhi.
Damon, appena vista
l’ultima foto, chiese il parere a Elena.
“Mi piace.
È davvero bellissima” disse lei. Lui si
alzò e
andò verso il computer, mentre Elena già soffriva
di nostalgia per qualche
metro di distanza.
Pochi minuti dopo
Damon ritornò con la foto stampata.
Afferrò la cornice vuota che una volta conteneva la foto di
Elena e Stefan e ci
infilò dentro quella nuova. Poi la posò sul
comodino di lei e le disse piano:
“Così quando non ci potrò essere ti
ricorderai di me”.
“Grazie,
Damon. Ti voglio bene.”
“Anch’io,
Elena”.
Rimasero abbracciati
per chissà quanto tempo, felici perché
erano vicini e perché erano insieme, senza nessun altro che
li poteva
interrompere.
Edward
fissò la foto e riuscì solamente a dire:
“Mi sa che
ci serviranno più di qualche giorno…”
“Perché?”
chiese curiosa Elena, ma anche preoccupata. Che
avrebbe detto a Jenna? Doveva studiare per il diploma, la zia non le
avrebbe
mai permesso di scappare con uno sconosciuto per andare a cercare Damon.
“Perché
il tuo caro Damon è… beh, un figo da
paura” concluse
Edward, non trovando dei sinonimi adatti.
Elena sorrise
orgogliosa, all’inizio non comprendendo fino
in fondo il significato di quello che le stava cercando di dire Edward.
“No, Damon
non lo farebbe mai…” iniziò, ma poi si
rese conto
che quella che lo amava era lei. Lui non amava lei, e questo poteva
risultare
un problema. Ma non poteva credere che Bella avrebbe tradito Edward,
anche se
Damon poteva risultare molto persuasivo a volte.
“Ma
perché Bella dovrebbe andare via con lui?” chiese
Elena.
“Abbiamo
avuto una discussione” rispose semplicemente
Edward, con un tono che voleva chiaramente mettere fine alla
conversazione.
“Oh Dio.
Questo potrebbe complicare le cose… credo che me
andrò a dormire. Ne ho bisogno” mormorò
a se stessa Elena. Ormai Edward non la
stava più ascoltando, annebbiato dal ricordo di Bella e
della loro figlia.
Elena si
infilò sotto le coperte e poco prima di cadere in
un sonno profondo riuscì a mormorare: “Ehi
Cullen!”
Lui si
voltò, sorpreso che Elena riuscisse ancora a tenere
gli occhi aperti. “Sì?”
“Ti odio,
anche se non hai fatto niente” disse lei.
Lui sorrise:
“Anch’io, Elena.”.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao
a tutti! Beh, devo dire che mi aspettavo più recensioni
visto il grandioso risultato del primo capitolo… sono
comunque contenta e
ringrazio dieci milioni di volte le tre grandiose ragazze che mi hanno
recensito.
Ringrazio
chi ha aggiunto la storia fra le seguite, le
preferite e da ricordare.
Ringrazio
chi legge in silenzio.
Vi
auguro di trovare tantissimi bellissimi regali sotto
l’albero domani mattina… e io spero di trovare
tante recensioni! Che ne dite?
Beh, comunque vada, vi ringrazio sempre e tantissimo per leggere questa
storia
che sta prendendo pure me, incredibile!
Bacioni
e tantissimi auguri di Buon Natale e di felice 2011,
anche se spero di riuscire a rinnovare gli auguri per l’anno
nuovo in tempo
postando il 4 capitolo!
Bacioni
enormi a tutte,
♥♥
Fra
|
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Capitolo 4 *** Amici ***
4.
AMICI
Bella aveva
afferrato la mano di Damon ed era fuggita dal
ristorante, non voleva più affrontare tutto quello che stava
succedendo; Edward
era sparito, ora c’era Damon. Bella sentiva di doversi
assolutamente prendere
una pausa per riflettere e sfogarsi. Lei non voleva più
stare a contatto con la
realtà per almeno qualche minuto. Non aveva più
la possibilità di dormire e
sognare per isolarsi dal resto del mondo, come faceva da umana; poteva
solamente distrarsi nei modi più assurdi: quello di Alice
era fare shopping,
quello di Emmett era cacciare e il suo era correre. Bella adorava
sentire il
vento gelido e l’aria che le sfiorava la pelle del viso e
delle braccia
scoperte. A differenza di quand’era umana, amava sentire le
sue gambe muoversi
con agilità sul terreno. Non le venivano mai dolori da
nessuna parte per il
troppo sforzo e Bella adorava ogni aspetto della corsa da vampiro. Non
aveva
mai amato così tanto correre in tutta la sua vita.
Non sapeva con
esattezza perché si era portata via Damon, uno
sconosciuto a tutti gli effetti. Bella sapeva soltanto che quando aveva
visto
Carlisle dare i numeri lei aveva capito che non avrebbe retto quella
situazione
così troppo insolita ancora per molto, e aveva approfittato
del momento per
andarsene e scappare. E si era portata via Damon per… non
per metterlo in salvo
da Carlisle, perché sapeva che comunque il dottore non
avrebbe esagerato e
avrebbe ripreso presto il controllo di se, ma perché aveva
un bisogno
insaziabile di parlare con
qualcuno,
di sfogarsi con uno sconosciuto,
con
qualcuno che non finisse per preoccuparsi per lei.
Correvano lungo la
strada fra gli alberi, per non farsi
notare dalle macchine che sfrecciavano accanto a loro. Bella aveva
lasciato la
mano di Damon, perché improvvisamente era stata assalita
dalla sensazione che
forse era meglio così, per se stessa ma anche per lui.
Bella era veloce
come un puma, e Damon iniziava a fare
fatica a tenere il suo passo. Sentiva la stanchezza che lo assaliva,
dopotutto
la cena non l’aveva ancora fatta e questo cambio di programma
non facilitava le
cose. Aveva un disperato e insaziabile bisogno di bere. Gli sarebbe
bastata
anche una puzzola…
Lui
iniziò a rallentare sempre più visibilmente e la
distanza che separava i due vampiri era sempre più evidente.
Bella pareva non
accorgersene; era troppo occupata a bearsi della sensazione
dell’aria sulla
propria pelle. E Damon aveva capito che lei non si sarebbe distratta
dalla
corsa nemmeno a pagarla, così si fermò e le
urlò, piegato in due per lo sforzo
immenso: “Ehi! Bella, per favore…”.
Damon prese un respiro profondo e riprese a
parlare il più forte possibile, prima che Bella si
allontanasse troppo. Era una
fortuna che lei avesse deciso di zigzagare un pochino per godersi
meglio il
paesaggio, nonostante fosse sempre lo stesso che vedeva ogni giorno, ma
oggi le
appariva diverso. “Senti… fermati!”
ansimò Damon.
L’orecchio
vampiresco di Bella si accorse che lui la stava
chiamando e si voltò, curiosa di quale fosse il problema.
Poi lo vide
accasciato a terra, ansimando per la corsa.
“Oh mio
Dio! Perché non mi avevi detto che voi vampiri dagli
occhi azzurri avete un limite?” esclamò Bella,
avvicinandosi preoccupata e
posando una mano sulla spalla di Damon.
“Mi
piacciono le… sfide” ansimò Damon.
Bella
alzò gli occhi al cielo: sarebbe perfettamente andato
d’accordo con Emmett.
“Sì,
anche se poi svieni a terra semi-morto?” chiese lei.
“Meno…”
rispose Damon, iniziano a riprendere fiato.
Bella sorrise. Damon
le stava simpatico. “Dai, ora
camminiamo”disse lei, con un tono dolce tipico di quando
parlava con Nessie.
Damon pareva così piccolo in quel momento.
“Dove
andiamo?” domandò lui.
Bella
improvvisò, visto che il suo programma era vagare per
il bosco e poi iniziare a tormentarlo con i suoi problemi:
“Ehm… a una
caffetteria”.
“Ok…
ma qui siamo in mezzo al nulla. Ti rendi conto? Non
arriveremo mai” le fece
notare Damon.
Bella apparve un
po’ persa, poi capì: a questo non ci aveva
proprio pensato…
Damon parve capire
che qualcosa non andava e propose il suo
“metodo”, senza spiegarglielo.
Probabilmente Bella
si sarebbe opposta.
La prese per un
braccio e la trascinò proprio sul ciglio
della strada, mentre lei era chiaramente dubbiosa e esitante.
“Ehm… Damon? Che
diavolo stai facendo?” chiese lei.
Lui non rispose.
Fece il suo sorriso migliore, quello che
illuminava la notte, e si sistemò dove un automobilista
avrebbe potuto chiaramente
vederlo. Gli serviva una donna al volante, con un uomo non avrebbe di
certo
funzionato.
Passarono qualche
auto, e poi una si fermò. L’autista
abbassò il finestrino e i due vampiri videro una ragazza sui
trent’anni, non
troppo giovane ma nemmeno vecchia.
“Ehi, che
fai lì?” gli disse, in tono seducente, facendo un
cenno col chiaro invito a salire.
Bella lo guardava ad
occhi aperti; quando lo vide
avvicinarsi al finestrino abbassato quasi le
“mancò il respiro”. Cosa stava
facendo?
“Ehi, chi
è quella?!” chiese la ragazza, indicando Bella,
con un tono fra l’infastidito e il sorpreso.
“Nessuno
che ti interessi. Avvicinati.” le ordinò Damon,
con
quella voce così tremendamente sexy e provocante.
La ragazza, come una
calamita, raggiunse Damon sedendosi sul
sedile del passeggero senza mai staccare gli occhi da lui. Erano come
incatenati. Bella assisteva a tutto quello spettacolo senza avere il
coraggio
di interromperlo.
“Come si
chiama la caffetteria?” chiese Damon, voltandosi
velocemente verso la vampira.
“Ehm…
Caffè Forks” sussurrò Bella. Un
millesimo di secondo
dopo lui stava già soggiogando la ragazza.
“Noi siamo
tuoi amici, e ora tu ci porterai al Caffè Forks
all’istante, e poi ci lascerai lì e te andrai a
casa e non ricorderai niente di
questa conversazione e di quello che è successo
stasera”
“Sapete?
Vi accompagno al Caffè Forks se è lì
che dovete
andare!” annunciò la ragazza, con un sorriso
smagliante.
“Bene,
credo che accetteremo il tuo passaggio, non è vero,
Bella?” chiese Damon, girandosi verso la vampira, che
annuì incerta.
Salirono in macchina
mentre la ragazza li portava e li
lasciava davanti al Caffè Forks. Nessuno dei due aveva
parlato durante il
viaggio. Avevano solo pensato: Bella pensava a come fare con Edward,
voleva
risolvere i suoi problemi con lui.
A pensare a lui le
si velavano gli occhi di lacrime che non
poteva più versare; Edward, suo marito, colui che
l’aveva sempre resa felice.
Per tutti quegli anni, il vampiro di cui si era innamorata era sempre
riuscito
a farla sentire più che amata, e lei non aveva mai smesso di
ricambiare il suo
amore. Mai. Nemmeno ora, nemmeno per quella litigata. Nonostante tutto,
lo
amava e lo avrebbe amato per sempre. Non sapeva perché prima
aveva detto quello
cose così cattive, aveva bisogno di chiarire e di
abbracciarlo. Le mancava.
Il cuore di Bella
era sempre stato pieno di amore per Edward
e per la loro figlia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro. E in
questo momento
lei si trovava con un ragazzo incredibilmente sexy, ed era sbagliato. Lei voleva Edward, e non aveva
la più pallida idea di
dove si trovasse.
Damon intanto
pensava a Elena; poche ore prima si trovava da
lei, come ogni sera. Amava consolarla e vederla sorridere. Desiderava
vedere il
suo sorriso in ogni momento della giornata, quel sorriso che lui, Damon
Salvatore, era riuscito a far ricomparire dopo giorni sul volto dolce e
innocente di Elena. Quel viso che amava così tanto e a cui
pensava sempre.
Quegli occhi che ora gli mancavano così tanto. Era
innamorato e ne era
pienamente consapevole.
Non è che
non gli piaceva stare con Bella; era stata carina
con lui, lo aveva accolto piuttosto bene ed era riuscito a entrare
nella
conversazione con i Cullen, sempre per merito di quella vampira
piuttosto
strana. Non poteva nemmeno soggiogare la gente, da quello che aveva
capito
dalla faccia che aveva fatto poco prima. Non sapeva nemmeno
perché quando
l’aveva vista avrebbe voluto socializzare
“intimamente” con lei… era bella, su
questo non c’era dubbio. Ma questo non lo giustificava.
Però
aveva la certezza che se Bella non avesse opposto
resistenza a lui, lui si sarebbe fermato. Il volto di
Elena sarebbe apparso così vividamente da
fargli capire che stava facendo la cosa sbagliata. Il cuore di Damon
apparteneva solamente a Elena. E Damon, nonostante non stessero neanche
insieme,
non l’avrebbe tradita.
Bella da quel
momento, sempre che lei fosse stata d’accordo,
sarebbe stata solamente un’amica. Niente di più.
La ragazza
parcheggiò con un’abile manovra davanti al
Caffè
Forks. Bella non se ne rese conto fino a quando non vide la pilota
girarsi e
strillare allegra: “Siamo arrivati!”.
Damon scese senza
fare troppe storie, mentre Bella fu un po’
più lenta. Quando finalmente riuscì ad aprire la
porta e a mettere le gambe
fuori dalla vettura, trovò Damon appoggiato a un muro.
Lo raggiunse mentre
la ragazza se ne andava con la sua
macchina.
“Ma…
che hai fatto a quella ragazza?” chiese lei, scioccata.
“Nulla.
L’ho solamente soggiogata. Credo che la vostra
specie di vampiri non possa farlo”. Damon alzò le
spalle.
“Ma…
starà bene? Non ricorderà niente?”
domandò Bella,
preoccupata per la ragazza.
“Certo!
Non preoccuparti per lei, l’ho fatto solamente
perché altrimenti saremmo arrivati domani, per colpa mia. E
io ho trovato il
rimedio” disse Damon, sorridendo a 250 Watt.
“Ehm…
grazie” mormorò Bella, non ancora del tutto
convinta e
confusa da quel sorriso.
“Di
niente” rispose il vampiro, mentre entravano nella
caffetteria. Lui si guardò attorno, mentre Bella ne fece a
meno visto che
conosceva anche dove stava ogni singolo granello di polvere.
Una cameriera bionda
e mascherata dal trucco si precipitò
verso di loro per assegnarli un tavolo. Avere Damon voleva dire avere
la
garanzia sul posto al ristorante, se beccavi la cameriera femmina.
“Salve,
ecco a voi”. La cameriera porse due listini a Damon
e a Bella. Li fece accomodare a un tavolo appartato e Damon
ordinò subito due
cioccolate, per evitare di rivederla una volta in più.
“Spero che
vada bene” si scusò Damon, “ma quella
proprio non
la sopporto” aggiunse.
“Sì
figurati…” rispose in un sussurro lei.
Per un momento
nessuno parlò, poi Bella perse il controllo e
iniziò a parlare. Doveva parlare e sfogarsi, era venuta
lì per quello, giusto?
Non avrebbe voluto tartassare Damon con i suoi problemi, ma non
riuscì a
resistere, doveva assolutamente liberarsi di tutti i problemi che le
pesavano
troppo.
“La mia
vita… non fa schifo. Stiamo scherzando? È
bellissima, ma… insomma, Edward mi ha sempre dato tutto
quello che volevo. Mi
ha amata, io lo ho amato. E ci amiamo ancora, ma non può
andare avanti così…”
attaccò Bella. Damon, inizialmente sorpreso per quello
scatto dopo minuti di
imbarazzante silenzio, decise di ascoltarla.
“Ecco le
vostre ordinaz-“ annunciò la cameriera, ma venne
interrotta da una Bella infastidita per essere stata interrotta da una
tipa con
una cioccolata che neanche poteva bere.
“Sì,
ok. Ora vattene. Non vedi che sto parlando?”
domandò
Bella, seccata. La cameriera la guardò indignata; dai suoi
occhi si vedeva che
avrebbe voluto farsi scivolare “accidentalmente” la
cioccolata di mano sulla
camicia di Bella.
“Oh
scusami, sai”. La cameriera se ne andò tutta
sculettante, cercando di attirare l’attenzione di Damon, che
aveva occhi solamente
per Bella e le cioccolate.
Bella proseguiva con
il suo monologo da un quarto d’ora. Damon
ce l’aveva messa tutta a provare a distoglierla dal suo
discorso con gentilezza,
ma senza successo, nonostante tutto l’impegno che ci aveva
messo. Damon aveva qualche
domanda su quello che Bella stava dicendo, ma lei non gli permetteva di
chiedere niente.
Dopo venti minuti
Damon crollò. Il monologo era sempre più
monotono e noioso, Bella si stava ripetendo.
“…
Nessie non deve soffrire. Si sentirà in colpa; lei pensa
che la causa dei nostri litigi è lei, perché ha
sposato Jacob, ma in realtà è
Edward la causa di tutto questo casino. Lui è
così testardo: non ci prova
nemmeno seriamente a farsi piacere Jake. Non vuole proprio capire che
è un
bravo ragazzo, certo… è un licantropo ma che
c’entra? Lui mi aiutata tantissimo
quando Edward mi aveva lasciata…”
Damon voleva far
riposare le sue orecchie per qualche
benedetto secondo, e non gliene fregava niente se sarebbe suonato
scortese: “La
bevi la tua cioccolata? Diventa fredda, sai?”.
Bella lo
fissò con gli occhi dilatati, come se si rendesse
finalmente conto che stava parlando da un tempo esageratamente lungo e
non
aveva minimente coinvolto il suo compagno nella conversazione.
D’altro canto,
come avrebbe potuto? Damon non ci capiva niente di quello che stava
dicendo
lei: erano tutti nomi sconosciuti, eventi ammassati e confusi fra di
loro, come
se ogni anno della vita di Bella fosse stato caratterizzato da una
tragedia o
da un evento particolarmente memorabile per la sua bellezza o bruttezza.
“Uh, ehm,
sì… giusto la cioccolata”
balbettò Bella, nella
sua insicurezza.
“Siamo
messi male”, pensò Damon, “questa
è così scossa da
non saper afferrare una tazza”.
Damon voleva capire
questa ragazza, anche se temeva che se
le avesse fatto una domanda il monologo sarebbe ricominciato per non
finire
mai. “Allora… non bevi? Non ne hai voglia? Se
preferisci qua hanno anche il
caffè, succhi…” disse Damon, gentile,
scorrendo con l’occhio il listino della
cameriera-mascherata. Vedendo Bella sempre più in
difficoltà non sapeva cosa
pensare: era spaventata per una bevanda? “…Vodka,
Tequila…” continuò con un
sorriso dei suoi, cercando di persuaderla.
“Senti, io
non bevo” disse lei, dopo aver preso un profondo
respiro.
Lui la
guardò interrogativo: “Beh, ma qui hanno anche
Coca,
Fanta…”
Lei scosse la testa:
“No, no. Mi hai frainteso; io non bevo
proprio, non è che non bevo alcolici”.
Damon
aggrottò la fronte e riuscì a pronunciare un
semplice
e sonoro “ah”. Si riprese velocemente e propose un
gelato.
“No, Damon
io… non mangio e non bevo” sussurrò
lei,
avvicinandosi con la testa per non farsi sentire dai tavoli vicini.
Effettivamente poteva suonare un po’ da matti.
“Oh…
ho capito! Tu vuoi Bambi!” disse Damon, battendosi una
mano sulla fronte come per dire “ma perché non ci
ho pensato prima?”.
“Già,
ehm… potresti non urlare?” chiese lei timidamente.
“Ma certo.
Beh qui non hanno Bambi, mi dispiace…” la
informò
lui, sorridendo.
“Non
importa, non ho sete”.
“Allora,
se non bevi…” Damon sorrise, complice.
Afferrò la
tazza di cioccolata e la bevve velocemente, mentre Bella accennava a
una
risatina.
I due rimasero per
qualche lungo minuto in silenzio. Damon
riusciva solamente a pensare a Elena, a dove fosse e se fosse sparita
anche
lei. Chissà cosa sarebbe successo in quel bagno se non fosse
successo quel
casino. Magari lui le avrebbe detto che l’amava, e lei
avrebbe detto che lo
amava anche lei, e si sarebbero baciati con passione…
“Basta, Damon. Basta”
s’impose mentalmente lui.
Invece Bella pensava
a come avrebbe fatto a risolvere i
problemi con Edward. Non sapeva dov’era, non sapeva dove
andarlo a cercare…
“Senti, lo
so che ti sto rompendo come non so cosa, ma… è
che non ho mai nessuno con cui parlare. Nessie ci sarebbe, ma non posso
dirle
quello che sto dicendo a te ora, non credi? Dimmi di te, dai”
lo incitò lei.
Damon
aggrottò le sopracciglia e si strinse nelle spalle,
cercando nella mente che cosa poteva dire. Non aveva mai detto
apertamente a
qualcuno come stavano le cose e aveva paura di farlo con una
semisconosciuta.
Bella lo
fissò, chiaramente attendendo una risposta.
“Non
c’è molto da dire, davvero” disse lui,
sperando di
essere convincente.
Ma non fu
così, perché Bella subito gli fece notare che i
suoi occhi parlavano chiaro. “Tu sei uno di quei ragazzi che
appaiono
superficiali e non vogliono ammettere di provare dei sentimenti. Lo so
che sei
una persona profonda, Damon. Lo capisco. E comprendo perfettamente
anche il
fatto che vuoi nasconderti e non parlare con nessuno di ciò
che provi e dei
tuoi problemi ma, credimi, non funzionerà. Soffrirai sempre
e comunque. Non
posso garantirti che saprò darti una soluzione al tuo
problema, e nemmeno che
ti sentirai meglio ma, davvero, mi piacerebbe provare
ad aiutarti” lo esortò di nuovo Bella, cercando di
essere
convincente e sembrare il più dolce possibile, come se
avesse a che fare con un
bambino impaurito. Perché dentro, molto profondamente, Damon
era proprio così:
un bambino, che non capisce completamente quello che gli sta accadendo.
Damon
provò a convincerla che non c’era proprio niente,
che
non aveva problemi, ma senza successo. Ancora una volta, i suoi
bellissimi e
profondi occhi blu parlavano chiaro.
“Non
parlerò, Bella. Scordatelo” brontolò
lui risoluto.
“E se ti
faccio le domande partendo dalle basi?” lo
supplicò
lei. Anche senza gli occhi da cucciolo indifeso, Bella sapeva
influenzare la
gente e farla cedere in tempi piuttosto rapidi.
“Va bene,
ma sappi che sarò sintetico… molto,
sintetico”
sbuffò Damon, sconfitto e amareggiato dalla sconfitta. In
genere lui non
perdeva mai, e il fatto di non poter nemmeno usare il potere
dell’influenza
mentale su un vampiro lo faceva imbestialire più del solito.
Ma, chissà, forse
Bella aveva ragione. Forse avrebbe saputo dargli dei consigli, e lui si
sarebbe
sentito meglio. Si convinse che forse stava prendendo la strada giusta.
“Ok. Come
ti chiami?” domandò Bella.
“Damon
Salvatore” rispose lui, alzando gli occhi al cielo.
“Ah ah,
non fare quella faccia. Io ti ho dato la possibilità
di fare il tuo bel discorso, ma tu hai rifiutato” disse lei,
sorridendo
divertita.
“No, no va
bene così” mentì Damon. A dir la
verità, nessuna
delle opzioni da lei proposte andavano bene, e sin da subito Damon
iniziava a
trovare l’intera faccenda sempre più ridicola.
“D’ora
in poi ignorerò le tue lamentele, sia chiaro. Bene,
Salvatore… cognome interessante. Vieni
dall’Italia?” chiese Bella, sinceramente
interessata. Chissà se aveva dei legami con i
Volturi…
“Sì,
Firenze” rispose lui, guardando da un’altra parte.
Sì.
La confessione con prete Bella stava davvero abbassando la sua
autostima.
“Mmmmm…
conosci un certo Aro? O Caius? O Marcus?”. Gli occhi
di Bella si fecero grandi e luminosi, accesi da un insensato entusiasmo.
“No, temo
di no. Mi dispiace” disse lui, “è da
tanto che non
ci vado”.
“Oh, beh,
non importa” rispose lei, alzando le spalle.
“L’interrogatorio
è finito?” sbuffò Damon, cambiando
argomento.
Bella si
risvegliò dalle sue riflessioni e fece un cenno
negativo con il capo. “Ho solamente iniziato!”.
“Età,
hobby e famiglia. Parti” ordinò lei, con un tono
autoritario.
“Ok…
bene sono vampiro dal 1864. Ero figlio di Giuseppe
Salvatore… ho un fratello Stefan. Lui è a Mystic
Falls, dove poco fa mi trovavo
anch’io. E… non ho hobby, ad essere
sinceri” raccontò lui, anche se sembrava
che quello che diceva l’aveva imparato a memoria e lo stava
semplicemente
ripetendo, perché il suo tono era privo di qualsiasi tipo di
emozione.
“Chi ti ha
trasformato?” chiese Bella.
“Una
donna. Katherine”. Damon fece una pausa, prese un bel
respiro e non riuscì a trattenere una lacrima. Se
l’asciugò velocemente,
fingendo di doversi pulire la bocca. Quella stronza gli ricordava,
ovviamente
fisicamente, in modo intenso la sua Elena.
“Oddio,
Damon! Scusami, non volevo. Sul serio, davvero, mi
dispiace!” mormorò Bella.
“No, non
preoccuparti. Sto bene. Lei era… beh, la donna
più
bella che avessi mai visto. Non avevo mai visto una donna del
genere… era
divertente, unica, ma anche molto egoista.
Era venuta in visita
dai Salvatore, nobili, e mio fratello
si innamorò di lei. Ma anch’io. Lei fece credere a
entrambi che il suo unico
amore fossimo noi. Ci controllava la mente, ci impediva di farci fare
qualsiasi
cosa che noi volevamo fare. Eravamo completamente al suo servizio.
Poi… beh
ci trasformò e… ecco tutto. Ho passato i
successivi
duecento anni pensando che lei pensasse a me, che mi stesse cercando.
In
realtà, poi ho scoperto che lei sapeva benissimo dove mi
trovavo ma non gliene
importava niente. L’ho amata per ottenere nulla in cambio
della mia sofferenza.
Ora sono innamorato di un’altra ragazza, Elena. Per
misteriose ragione e molto
complicate, loro sono identiche fisicamente. Ma dentro… sono
completamente
diverse. Elena è dolce, gentile,
altruista…”. Damon si perse ad aggiungere i
dettagli della sua storia di sofferenze e di amore intenso, mentre
Bella rideva
e si commoveva a seconda del momento. Damon raccontò di come
Elena l’aveva
cambiato, di come il piacere di uccidere non faceva più
parte del suo stile di
vita. Raccontò di Stefan, che in fondo gli vuole bene, ma
che quello che ha
fatto a Elena non glielo ha ancora perdonato.
Damon pianse mentre
riviveva tutto quello che aveva passato,
e Bella lo abbracciò. Avrebbe voluto piangere con lui,
fargli capire che non
era solo.
“La
ritroverai” promise Bella. “Io ti
aiuterò. Te lo
prometto, Damon”. Improvvisamente, i problemi che
l’avevano tormentata fino a
pochi minuti prima non avevano più tanta importanza. Bella
riusciva solamente a
pensare a Damon, che l’aveva incantata dapprima con i suoi
modi provocanti e i
suoi occhi azzurri, ora per la profondità dei sentimenti di
quel ragazzo. Aveva
capito il perché di tante cose che erano successe quella
sera e non avrebbe
permesso che Damon soffrisse ancora, sarebbe riuscita a riaccompagnarlo
da lei,
anche a costo di non tornare a casa per mesi. È vero,
c’era Nessie di cui
preoccuparsi, anche se non era più una bambina. Magari Bella
sarebbe ritornata
a salutarla per qualche ora mentre Damon dormiva, ma niente di
più. Sì, i
vampiri di Mystic Falls dormivano. E Mystic Falls era il posto da cui
Damon
veniva, glielo aveva detto prima.
Di una cosa era
assolutamente certa: Damon Salvatore era un
suo nuovo grande amico e lo avrebbe aiutato, proprio come fa
un’amica sincera.
Damon si
asciugò le lacrime che da parecchi minuti, con sua
grande sorpresa e stupore, erano iniziate a sgorgare dai suoi occhi e
avevano
rigato le sue guance, fino a scendere sul collo e a bagnare la camicia
nera.
“Grazie, non me lo merito, davvero”
sussurrò Damon.
“Scherzi?
Hai fatto cose sbagliate, ma l’importante è che
hai capito i tuoi errori. E poi, ami davvero Elena: ogni volta che
l’hai
nominata o solamente accennata nel tuo discorso, prima, ho visto come
ti si
illuminava il viso. La ami, Damon, ti credo”
dichiarò Bella.
“Io…”
mormorò Damon, stupito dal suo imbarazzo. Damon
Salvatore imbarazzato? Non era mai accaduto prima d’ora.
Bella
allungò una mano fino a coprire quella del vampiro, e
la strinse forte, ma nel modo per solidificare una grande amicizia che
è
solamente agli inizi, e che entrambi sapevano sarebbe durata per
l’eternità,
anche quando non sarebbero più stati legati dal casino che
era successo poche
ore prima.
“Ehi, sai
che prima al ristorante ho detto che Edward, mio
marito, è sparito?” disse Bella, per alleggerire
la tensione, cambiando
argomento.
“Ehm…
sì. Oddio!”esclamò Damon.
“Ho
capito! Come può essere successo?” chiese Bella,
stupita.
Damon stava
scuotendo la testa, sforzandosi di pensare come
era potuta accadere una cosa del genere, ma l’unica frase che
gli venne da dire
fu l’ovvio: “Io e Edward siamo stati…
scambiati. Quindi lui è a…”
“…Mystic
Falls e tu invece sei qui con me…”
“…a
Forks, il che significa che…”
“…Elena…”
“…è
con Edward” concluse Damon, improvvisamente agitato.
“Non devi
preoccuparti. Edward non le farebbe mai del male.
Scusami la domanda… hai letto Twilight?” chiese
lei.
“Sì…
Dio che libro assurdo!” rispose lui, alzando gli occhi
al cielo. Poi la risata di Bella lo risvegliò da
chissà quale tipo di
dormiveglia. Come aveva potuto non pensarci prima?
“I Cullen,
Bella, Edward… il leone e l’agnello, uh, che
scemo!” esclamò lui.
Bella rideva come
una matta.
“Ehi, ma
tu mi hai detto che hai una figlia…” disse lui,
non
capendo.
“Ehi, mi
sa che ti sei perso Breaking Dawn!” rise lei.
“Ops, ma
è il terzo?”
“No, il
quarto!”. Bella rideva sempre di più.
“Sai che
ti dico? È meglio che mi racconti un po’ di
te!”
disse lui, divertito, lasciando i soldi per il conto sul tavolo. Prese
per mano
Bella, ovviamente come amica, mentre lei iniziò a raccontare
tutta la sua
storia coinvolgendolo, a differenza di come aveva fatto prima.
E insieme si
avviarono verso la strada, senza una meta.
L’importante era conoscersi fino in fondo, e più
sarebbe durato quel momento
magico, più sarebbero stati felici.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ehilà!
Mi scuso per l’enorme ritardo e per questo schifo che
avete potuto leggere. Se ho scritto tutto questa sera dovete
ringraziare la
mitica TVD (non sta per The Vampire Diaries, è un nickname
di una bravissima
scrittrice qui su EFP) che mi ha incoraggiata con un messaggio che mi
ha
illuminato il viso e fatto accelerare il battito cardiaco.
Ringrazio
per le 6 recensioni. Dico, voi mi volete far
morire! Ho ricevuto 14 recensioni in 3 capitoli? Vi amo, ognuna di voi!
Mi
scuso se a voi non piace particolarmente il cambiamento
che ho fatto nei personaggi di Twilight, ma ho trovato che sarebbe
stato più
divertente. Mi dispiace se alcuni di voi non hanno fatto altrettanto.
Ringrazio
per gli infiniti complimenti che ho ricevuto, vi adoro.
Alla
prossima (spero di riuscire ad aggiornare un po’ prima
XD)
Mi
scuso se avete letto errori, ma ieri volevo postare ma
non avevo più tempo. Ora ho riletto il capitolo, ho corretto
un tempo verbale
da pelle d’oca e ho aggiunto le immagini (spero che vengano
fuori!).
Baci
Fra
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Capitolo 5 *** Partenza ***
5.
PARTENZA
Bonnie si
alzò tardi la mattina dopo. L’incantesimo era
stato piuttosto faticoso e le aveva richiesto un grande sforzo. In quel
momento
voleva solamente dormire, dormire e dormire, ma non poteva. Doveva
avere la
conferma che l’incantesimo avesse funzionato, e non
c’era altro modo che andare
a scuola. Probabilmente, conoscendo Elena da sempre, lei avrebbe
iniziato la
conversazione con “ho fatto un sogno
stranissimo…” e glielo avrebbe raccontato
dopo averla pregata di farlo per qualche minuto. Se Elena avesse detto
di aver
sognato, per quanto assurdo potesse sembrare, proprio
l’Edward Cullen di
Twilight, allora Bonnie avrebbe avuto la conferma che il suo
incantesimo aveva
avuto un esito positivo. E non vedeva l’ora di scoprirlo.
Con quel pensiero,
si alzò, indossò le sue ciabattine rosa e
scese le scale, pronta per fare colazione e andare a prendere la sua
migliore
amica.
Bella stava
guardando Damon dormire. Erano andati a casa sua...
e di Edward. Cercò di non pensare troppo al marito, senza
troppo successo.
Sperava solamente che lei e Damon erano sulla strada giusta e Edward si
trovava
davvero a Mystic Falls. Se così non fosse stato…
Bella non voleva nemmeno
pensarci.
Bella ovviamente era
rimasta sveglia per tutta la notte, per
controllare che nessuno arrivasse; non era il caso che qualcuno la
vedesse con
Damon Salvatore. No, non era proprio il caso. Qualcuno avrebbe potuto
farsi
venire in mente strane idee e interpretare male la vista di Damon nel
suo letto,
fra l’altro senza camicia. Non era successo assolutamente
niente fra di loro,
lei non avrebbe mai tradito suo marito, anche se non poteva fare a meno
di
pensare che quella Elena era davvero fortunata ad avere un amico e
probabilmente un futuro fidanzato del genere. Sarebbe stata invidiata
da mezza
città da cui provenivano. Damon era bello, in poche,
semplici e riduttive parole.
Innegabilmente bello, ma Bella non provava nemmeno un briciolo di
attrazione
nei suoi confronti.
Era strano vedere un
vampiro dormire, ma si era abituata
alle stranezze della specie di Damon in una sola serata: aveva un
limite per
gli sforzi, non aveva gli occhi rossi o gialli, poteva soggiogare la
mente
delle persone… sì, era proprio diverso da lei.
L’unica cosa che gli accomunava
era la perdita di una persona e il fatto che entrambi appartenessero
alla
classe “vampiri”.
Damon si
rivoltò fra le coperte, e Bella capì che si era
svegliato.
“Buongiorno!
Vuoi fare colazione?” lo salutò Bella.
“Eh? Come?
Ah… hai A positivo? Oppure AB negativo? Ho una
certa voglia… e se fosse a temperatura 37.6° ancora
meg-“ cominciò lui, ma
Bella lo interruppe con la sua risata cristallina. “No, caro
mio. Qui abbiamo
alci, puma…”.
“Sì
anche puzzole, probabilmente…” borbottò
lui, ricordando
un dettaglio simpatico della sera prima. Vide Bella imbarazzata; se
avesse
potuto sarebbe diventata rossa come un pomodoro maturo.
“Sì, ci sono anche
quelle…” mormorò, cercando di
nascondersi nei capelli.
“Lo
immaginavo. Ehi, va bene tutto. Basta che non sia…
piumato” disse Damon, disgustato al solo pensiero di
dissanguare un pettirosso
o un gufo.
“Sì
non preoccuparti. C’è ampia scelta. Un lupo, ti
va?”
chiese Bella, mascherando un sorriso.
“Uh,
perfetto. Non troppo peloso, possibilmente” rispose
Damon.
“Te lo
sconsiglio. Qui i lupi sono licantropi, sai? Nemici
dei vampiri. O meglio, lo sarebbero, se non avessimo una tregua. Credo
che
capirai che se noi li mangiassimo, la tregua verrebbe infranta. Non so
se dalle
tue parti ci sono dei lupi mannari” ridacchiò
Bella.
“Uno…
forse di più. Una tregua? Perché? Comunque, come
fate
a resistere al sangue dei lupi? Cioè, deve essere buono, in
confronto a quello
di un procione” rifletté Damon.
“No, fa
schifo. Puzza da morire. E comunque, la tregua ha
una lunga storia. Ah, oggi andiamo a trovare mia figlia. Devo avvisarla
che
parto, o andrà fuori di testa. Lei vive nella riserva di La
Push. È piena di
licantropi. Ora… il marito di mia figlia è un
licantropo…” iniziò Bella.
“Che cosa?
Come hai potuto permettere che tua figlia
sposasse un licantropo?! Se puzza…”
domandò Damon, scandalizzato.
“Imprinting,
comunque dicevo che…” ricominciò Bella,
ma
venne nuovamente interrotta.
“Imprinchecosa?”
ripeté Damon.
“Imprinting!
Vuol dire… colpo di fulmine. Ecco ti stavo
dicendo che visto che Nessie è sposata con un licantropo,
allora i Cullen,
ossia io e la mia famiglia, hanno il permesso di andare alla riserva un
po’ di
volte alla settimana. Ma tu non sei un Cullen, quindi…
è meglio che non entri,
per sicurezza” spiegò Bella.
Damon
però l’ascoltava solo con un orecchio. Era invece
intento a pensare al fatto che forse questo imprinting era venuto anche
a lui,
con Elena, se significava colpo di fulmine. Sin dall’inizio
fra loro due c’era
stata dell’intesa, un qualcosa di unico. Avrebbe a chiesto a
Bella di questa
cosa durante il viaggio, ora doveva assolutamente bere.
“Damon?”
lo chiamò Bella.
“Uh, eh,
sì? Eh?” disse lui, risvegliandosi dal suo stato
di
riflessione in un altro mondo.
“Andiamo a
caccia? Ti senti bene?” chiese Bella,
preoccupata.
“Sì,
sì… andiamo a bere puzzole!”
ridacchiò Damon,
ritornando il solito vampiro con uno strano senso
dell’umorismo. Prese la
camicia, la indossò e Bella sorrise, incoraggiante. Poi
uscirono, pronti per
cacciare qualche puzzola.
Elena Gilbert si
alzò la mattina grazie a sua zia Jenna, che
aprì la porta e si mise a gridare: “Che hai
intenzione di fare? Dormire tutto
il giorno? Devi andare a scuola!”.
Elena era andata a
dormire tardi la sera prima. Con tutto il
casino che era successo si era messa sotto le coperte verso
l’1.00 di notte e poi
aveva impiegato ore prima di addormentarsi. Era chiaro che non riusciva
nemmeno
ad alzare le palpebre. Era distrutta.
Poi il pensiero di
Edward Cullen nella sua stanza la fece
alzare di scatto.
“Oh, ce
l’ho fatta a svegliarti! Cento punti per zia Jenna!
Woah!” festeggiò zia Jenna, saltellando e
chiudendo la porta e continuando a
balzellare fino in cucina.
Elena, appena la
porta si chiuse, si alzò. Aprì gli armadi e
chiuse la finestra. Questo perché voleva controllare che
quel pazzo che
assomigliava tanto a Edward Cullen, sì proprio il figo di
Twilight, non fosse
nella stanza e si nascondesse negli armadi nella speranza di poter
sbirciare
qualcosa. E chiuse la finestra per impedire che quel maniaco entrasse,
nel caso
fosse fuori.
Prese un bel
respiro, si vestì e indossò vestiti scuri per
far capire che il suo umore era pessimo e che era meglio non andare da
lei a
disturbare. Doveva trovare un modo per fuggire da Mystic Falls e
arrivare a
Forks. Non contava sull’aiuto di Jenna e di Jeremy, forse
poteva sperare in
Bonnie. Era la sua migliore amica, sperava che avesse capito.
Scosse la testa,
come per allontanare i pensieri che la
turbavano e scese le scale per fare colazione. Trovò Jenna e
Alaric già seduti,
mentre Jeremy era probabilmente ancora nel letto.
“Salve a
tutti. Dormito bene?” salutò Elena.
“Benissimo,
te?” chiesero in coro Jenna e Alaric.
“Da
schifo…” borbottò Elena, mentre
afferrava la scatola dei
cereali e ne rovesciava un po’ nella ciotola piena di latte.
“Oh,
vedrai che domani dormirai meglio. Inizia a studiare
per il diploma, ok?” le ricordò la zia.
“Sì,
perché io non faccio favoritismi”
scherzò Alaric.
“Ok,
studio” mentì Elena. Che studio? Doveva andare a
cercare Damon e poi doveva trovare qualcuno che le dicesse che non
fosse pazza.
Edward Cullen a casa sua? Mah! Prima aveva persino chiuso la finestra
per
evitare che un personaggio di un romanzo entrasse in casa! Non
è che ieri si
era fumata qualcosa? A Elena iniziavano a venire dei dubbi…
Le sue riflessioni
vennero interrotte da Bonnie che suonò al
campanello. Elena non si era nemmeno lavata i denti, ma non le
importava; non
ne aveva voglia e forse Bonnie le avrebbe detto che lei era normale,
solamente
un po’ strana, ma non pazza.
Andò
quindi ad aprire di corsa e la salutò senza troppo
entusiasmo:
“Ehi, Bonnie!”. Chiunque avrebbe chiaramente
intuito che Elena fosse in uno
stato depressivo.
“Ehi, che
hai? È successo qualcosa?” chiese lei preoccupata
ma eccitata allo stesso tempo: quello sarebbe stato il momento in cui
avrebbe
saputo se il suo incantesimo aveva funzionato oppure no. Salirono in
macchina, Bonnie
accese il motore e partì.
“Guarda…
è meglio non parlarne. Mi sembra di vivere in un
incubo. Ho fatto un sogno assurdo e non so se magari era
realtà… sono confusa
al millesimo” disse Elena mettendosi le mani nei capelli,
come faceva sempre quando
era disperata.
Bonnie sorrise di
nascosto, per fortuna Elena non la vide.
“Dai, ti posso aiutare. Parlane” la
incitò la sua migliore amica.
“Mi
prenderesti per pazza…” sbuffò Elena.
“No,
davvero. Non lo farei mai” rispose Bonnie, prendendola
per mano mentre con l’altra teneva il volante. Elena la
guardò con una faccia
molto diffidente e Bonnie aggiunse: “Senti. Sono una strega,
tu… beh hai a che
fare con dei vampiri. Abbiamo affrontato maledizioni, pietre e
compagnia. Non
ci può esserci nulla di più strano di tutto
questo”.
Elena si
lasciò convincere e disse tutto quello che aveva da
dire in uno fiato: “Ho sognato, o è successo, non
lo so, che Edward Cullen è
venuto in camera mia. E Damon allo stesso tempo è scomparso.
Poi credo che si
siano scambiati e… oh Bonnie, sono così
disperata. Devo andare a cercarlo!”. Ed
Elena scoppiò a piangere.
Bonnie trionfava.
Finalmente la sua migliore amica avrebbe
avuto qualcuno di sano di mente con cui stare, un bravo ragazzo. Bonnie
aveva solamente
aiutato la sua amica, l’aveva messa in buone mani. E Damon
non faceva parte
della vita di Elena e non avrebbe più disturbato la sua
esistenza. I Salvatore
non avrebbero più avuto nessun rapporto con Elena. Mai
più.
“Se mi
stai chiedendo di aiutarti, no. Non verrò a cercarlo
con te. È giusto così Elena, tu non puoi stare
né con Damon e ovviamente né con
Stefan. E io ti credo. Penso che sia davvero successo, ma non so
come” mentì
Bonnie.
Per fortuna Elena
non si accorse della bugia. Una cosa però
Bonnie la notò: Elena era delusa e furiosa con lei.
Effettivamente, come darle
torto? Bonnie non aveva fatto domande sull’accaduto, aveva
solo detto “ti
credo” e “non ti aiuterò”. Era
normale che Elena ne fosse rimasta ferita.
Le due arrivarono al
parcheggio del Liceo Robert Edward Lee
e prima che Bonnie spegnesse il motore, Elena era già scesa
e s’incamminava
verso l’aula, ignorando tutti.
Poi si
bloccò: quello che vide fu così
straordinariamente
assurdo che non riuscì più a muovere un passo.
Lui. Lui. Davanti. A. Lei. E
circondato da una marea di ragazze
sbavanti.
“No. Non
è possibile. È lo stesso”
sussurrò fra se Elena.
Bonnie intanto
l’aveva raggiunta: “Senti Elena, non vorrei
essere un po’ così, ma per consolarti guarda chi
c’è? Dio guarda che viso. Vai
a chiedergli come si chiama, no?” la incitò
Bonnie, sperando che quello fosse
un buon modo per farsi perdonare, quando sapeva benissimo
dall’inizio che era
un tentativo penoso.
Elena si
girò: “Bonnie” disse solo.
Lei mosse la testa
incitandola ad andare avanti col
discorso. “Sì?”.
Elena mosse appena
le labbra che pronunciarono un debole “è lui”.
Bonnie fece uno
sguardo interrogativo. “Lui chi?”
“Edward
Cullen” sussurrò flebilmente Elena.
“Che
coosa?” chiese Bonnie.
“Sì,
è quello che ho sognato. Ma
a questo punto, credo che non l’abbia
sognato. Era vero!” sussurrò Elena, spaventata.
“Beh vai a
dirgli ciao, che aspetti?” disse Bonnie.
Elena
annuì, guardò l’amica e
s’incamminò dritta verso di
lui. Marciava diretta, senza nessuna paura. Arrivò davanti a
lui dopo aver
superato l’orda di fan che gli stavano attorno.
“Tu!” gridò lei. Non era ancora
certa al cento per cento che fosse lui quello che quella notte aveva
fatto
visita a casa sua, ma non le importava molto in quel momento.
“Io?”
chiese lui stupidamente. Aveva indosso gli occhiali da
sole, forse per nascondere gli occhi così
particolari… era innegabilmente
bellissimo.
“Sì,
tu!” gridò ancora Elena, che a quel punto si
iniziò a
chiedere che cosa diavolo stava combinando. E se non fosse stato lui
Edward?
Dio, non voleva pensare alla figura che avrebbe fatto.
Elena lo
fissò per qualche secondo in silenzio poi, non
sapendo cosa dire, disse solo: “Come ti chiami?”.
Il ragazzo
così terribilmente somigliante ad Edward le passò
accanto e le sussurrò in un orecchio: “Io sono
certo che tu lo sai già”, le
fece l’occhiolino e si incamminò verso la porta
principale. Ok, era Edward.
La gente intorno a
Elena cominciò a ridere. Era raro che
Elena Gilbert venisse umiliata in quel modo. Lei si guardò
attorno mandando sguardi
di fuoco fulminanti e seguì il ragazzo, che ormai era
sparito.
Elena si sedette al
suo posto nell’aula di latino. Presto
arrivò Bonnie, ma era ancora arrabbiata con lei, per lo
scarso aiuto (no, per
l’aiuto inesistente) che le aveva offerto. Credeva davvero
che questo nuovo
ragazzo sarebbe stato la soluzione? Pensava sul serio che lei avrebbe
affrontato il periodo della sua vita senza Damon con
serenità? Beh, se lo
pensava, allora non la conosceva affatto. Appena Bonnie si
accomodò sulla sedia
al suo fianco, Elena prese i suoi libri, lo zaino e si diresse verso il
primo
banco libero che trovò lontano dalla sua migliore amica.
Si sedette e
appoggiò tutta la sua roba.
“Ehi, ci
incontriamo di nuovo” la salutò quella
voce. Quella voce che non voleva
sentire neanche sotto pagamento. Quando
la sentiva i suoi peggiori pensieri popolavano la sua mente. La
scomparsa di
Damon e l’arrivo di lui.
Elena si
voltò lentamente, preparandosi a mandare saette con
gli occhi. “Tu. Che vuoi?”
Lui la
guardò un po’ divertito e un po’
fintamente
impressionato. “Ciao. Sei la mia compagna di banco. Non vuoi
sapere come mi
chiamo?” chiese lui gentilmente, facendole
l’occhiolino.
Elena
sbuffò, alzando gli occhi al cielo e voltandosi,
improvvisamente interessata a una versione impossibile che aveva
provato a fare
in tutti modi ma non c’era riuscita.
“Beh io te
lo dirò lo stesso” ricominciò lui,
“mi chiamo
Anthony Masen” aggiunse ridacchiando.
Elena
scaraventò nell’astuccio la penna che stava
rosicchiando e lo guardò a bocca aperta:
“Anthony… Masen? Dio che idiota che
sei!”. Elena alzò ancora una volta gli occhi al
cielo; voleva ritornare vicino
a Bonnie in quel momento, peccato che era troppo tardi.
Elena Gilbert non
era una codarda: avrebbe affrontato la
situazione.
La lezione
incominciò. “Anthony”
aveva conquistato il cuore del professore con il suo latino perfetto.
Ed era
stato perfino invitato ad aiutare la sua vicina di banco non
altrettanto brava
con la versione che non era riuscita a fare. E a detta di Anthony e del prof, era così
semplice che l’avrebbe saputa fare
anche un bambino.
L’ora
successiva Elena aveva geometria. Ancora una volta il
destino fu crudele con lei: anche Anthony
- l’idiota aveva
geometria. Le
dimostrazioni che nei giorni scorsi aveva fatto, non andavano bene
secondo Anthony. Mancavano
dettagli, troppe
imprecisioni.
Tutti
l’avevano già inquadrato come un completo cretino
leccaculo dei prof. Quando aveva fatto il suo discorso sulla
“precisione” il
professor Banner era andato completamente fuori di testa, pretendendo
l’applauso da parte della classe e rimproverando Elena
perché aveva sbuffato. A
quel punto, anche lei era stata costretta a battere le mani e lo aveva
fatto… alla
velocità di un bradipo e con l’entusiasmo di uno
che sta per venire impiccato.
La terza ora:
storia, con Alaric. Elena era entrata
imbufalita, sbattendo i piedi. I vestiti neri non erano che una
conferma del
fatto che oggi lei ce l’aveva col mondo.
Purtroppo, Alaric
era al corrente di ciò che era successo
fra lei e Stefan. Così, credendosi generoso, gentile e un
bravo professore e
fidanzato-della-zia, propose che il nuovo studente Anthony
Masen si sedesse accanto a Elena. Lei quando lui aveva
fatto questo annuncio lo aveva fulminato, ma lui aveva sorriso,
scambiando la
sua occhiataccia come una smorfia di imbarazzo.
Presto aveva capito
il vero significato di quello sguardo:
Elena aveva iniziato a occupare il banco di Anthony
con i quaderni, facendolo andare fuori di testa. Era un maniaco
dell’ordine.
Poi Elena prendeva
il suo astuccio e ci frugava dentro.
Scambiava i tappi delle penne, facendo andare su tutte le furie Anthony, che ad un certo punto era
scoppiato e andato in bagno. Elena avrebbe voluto alzarsi sul banco e
urlare
“ho vinto io!”, ma non lo fece. Aveva una
reputazione.
Le ultime due ore,
grazie a chissà quale dio, furono senza Anthony
Masen. Elena aveva mandato un
bigliettino a Bonnie durante algebra:
Senti,
se ti rifiuti
di aiutarmi e se pensi che con Anthony Masen alias Edward Cullen
sarò felice e
mi riprenderò, ti sbagli di grosso.
Chiunque
è meglio di
Damon.
Sono
comunque tutti
uomini dentati (nel caso il bigliettino fosse letto da
qualcun altro)
Non
importa. Non
ritornerai a cercare Damon.
Ci
andrò da sola.
Credo di avere una vaga idea di dove sia.
Ah
sì? Dove?
E
secondo te, te lo
dico? Fammi un piacere, in questo momento
non voglio neanche più vederti Bonnie, ok? Io amavo Damon e
lo amo ancora. Devo
trovarlo.
A quel punto Bonnie
non aveva saputo replicare. Elena amava
Damon? E da quando? Amare era una
cosa grossa! Sapeva che erano molto amici, che lui l’aveva
aiutata. E lui era
affascinante, ma… amare?
Ma quello che
l’aveva ferita di più erano quelle parole, in
mezzo a una frase: “in questo momento non voglio neanche
più vederti”. Faceva
male. Molto male. Soprattutto perché il casino, tutto
questo, l’aveva combinato
lei con l’intenzione di fare qualcosa di buono. E solo ora
aveva capito che era
stato un grosso errore. Stava perdendo un’amica. Si era
rifiutata di aiutarla e
le stava mentendo. Ogni minuto che passava era una bugia.
Decise che avrebbe
sistemato le cose con un incantesimo, poi
avrebbe spiegato tutto a Elena. Sì, avrebbe fatto
così. Tutto sarebbe ritornato
a posto.
Perché,
doveva ammetterlo, Anthony era
proprio un cretino. Probabilmente Edward stava fingendo
e si divertiva a fare lo scemo, sicuramente era così, ma
Elena non sarebbe mai
potuta essere felice con lui e Bonnie si dava della stupida per averlo
pensato
anche solo per un attimo.
La campanella
suonò. Bonnie non aveva il coraggio di parlare
con la sua migliore amica, così se ne andò in
fretta, mentre la povera Elena
doveva fare i conti ancora una volta con Anthony
alias Edward l’idiota.
“Che vuoi?
Smettila di rovinarmi la vita, Edward!” sbuffò
Elena.
“Io sono
Anthony, comunque. Senti… ok, oggi sono stato uno
stronzo, è vero. Ma credimi, io non sono
così!” le disse lui.
“E allora
perché ti comporti così?” chiese lei,
esasperata e
guardandolo torva.
“Perché…
boh, sono ritornato al liceo e…” tentò
di spiegare
lui.
“La parte
dell’adulto che torna al liceo la fa meglio Zac
Efron in 17 Again, te lo posso assicurare…”
borbottò Elena.
“Dio, ma
perché non mi ascolti?” le gridò lui.
“Perché
non mi interessa ascoltarti!” rispose.
“Tu non
vuoi andare a Forks per il tuo Damon?” le domandò.
“Sì.
Ecco, mi accompagni?” rispose, improvvisamente carina e
gentile.
“Questa
sera, si parte. A dopo” la salutò lui, e se ne
andò
a grandi passi. Lei rimase lì impalata, poi si decise a
muoversi. Se avesse
trovato qualcuno che l’accompagnasse a Forks prima di quella
sera… il
tramonto era ancora troppo lontano. Chissà
dov’era il suo vampiro.
Bella
suonò nervosa al campanello di casa Black, alla
riserva di La Push.
Damon stava al
confine, con la macchina della sua nuova
amica. Era meglio che un vampiro non autorizzato a entrare stesse fuori
dalla
riserva.
Mentre Bella
iniziava ad avere i suoi ripensamenti, aprì
Jacob, un po’ assonnato e indolenzito. Bella
l’aveva svegliato…
“Ehi,
Bella! Come va?” la salutò Jacob, con il suo
sorriso ancora
un po’ spento per la stanchezza, mentre
l’abbracciava.
“Ehm…
tutto ok, voi?” rispose lei, ricambiando
l’abbraccio
un po’ titubante.
Jake si strinse
nelle spalle: “Sì tutto ok…”.
“Tesoro,
chi è?” urlò Renesmee che
già stava arrivando.
Quando vide la madre senza Edward si fermò, come se si fosse
congelata.
“Ciao
Nessie. Sono venuta per parlarti di una cosa
importante” iniziò Bella.
“No! Non
dirmelo! L’ho già capito!”
gridò Nessie, sofferente
mentre iniziava a piangere.
Bella scosse la
testa, avvicinandosi per tranquillizzarla:
“No, no, non è come pensi!”.
“Non ti
voglio ascoltare! Dio, tu e papà divorziate vero?
Non voglio che tu me lo dica, l’ho già capito. Per
favore, non dirlo!”
singhiozzò Nessie.
Bella le mise una
mano sotto il viso, cercando di farglielo
alzare per poterla guardare negli occhi. La fissò
intensamente, guardò i suoi
occhi di quand’era umana, color cioccolato: “No.
Papà… è scomparso. È stato
fatto uno scambio” disse Bella, rendendosi conto che avrebbe
dovuto spiegare
molto di più. Appariva strano quello che stava dicendo, e lo
sguardo interrogativo
di sua figlia fu una conferma piuttosto chiara. Anche Jacob era
perplesso.
“Scambio?”
chiese Jacob.
“Scomparso?”
balbettò Nessie.
“Sì…
ricordi ieri? Quel tipo che è arrivato quando
papà se
ne è andato? Ecco. Uno scambio, qualcuno ha fatto una specie
di… magia. Credo…”
spiegò Bella, aiutandosi un po’ con le mani.
“Oddio. E
dov’è finito?” domandò
Nessie, improvvisamente
agitatissima.
“Non ne
siamo sicuri…” mentì Bella. Ne erano
sicuri, forse
non al cento per cento, ma quasi. Ma non voleva coinvolgere Nessie in
quella
storia.
“Aspetta…
siamo?” chiese la ragazza.
“Ehm…
sì, Damon è
rimasto qui, giustamente”, Bella optò per la
verità, perché poi sarebbe venuta
a galla comunque.
“Dov’è?”
ringhiò Jacob. “E’ un vampiro, non
è così?”
aggiunse,
Bella si
staccò dalla figlia e andò a trattenere Jacob per
le spalle, mentre lui stava già andando fuori di casa per
beccare Damon intento
a uccidere qualcuno.
“Sì,
ma è al confine. E ha detto che non si sarebbe
avvicinato alla riserva” lo rassicurò Bella.
“Non ne
sarei così sicuro” ringhiò ancora lui.
“Smettetela.
Tutti e due. Mamma: questo Damon non sa niente?
Non è che sia lui il colpevole?” chiese Nessie,
con quello sguardo da
investigatrice preoccupata.
“No, non
è stato lui” la rassicurò sua madre.
“Sì
ma lui è un vampiro strano oppure è come
noi?” chiese
ancora Nessie.
“Un
pochino diverso da noi. Ha dei poteri diversi…”
spiegò
Bella, ma venne interrotta: “Appunto! Mamma, non possiamo
credere che lui non
c’entri niente con questa magia o come la vuoi chiamare. Non
ha i nostri stessi
poteri! Chi sa cosa sa fare?” cercò di convincerla
Nessie.
“Anche lui
ha perso una persona, tesoro. Sarebbe stupido
venire qui in questo posto se poi sa che soffrirà di
nostalgia” rispose Bella,
cercando di far ragionare sua figlia.
“Che ne
sai tu? Magari mente” disse Nessie.
“Vuoi
andare da lui? Così vedrai tu stessa!” la
sfidò Bella.
“Bene.
Andrò da l-“ accettò Nessie, ma venne
bloccata da
Jacob: “No, tu non vai da un vampiro che beve sangue umano.
Proprio non se ne
parla!”.
“Scusami,
amore, ma devo andare” scandì bene Nessie,
superando Jacob senza fare troppe storie.
S’incamminò
diretta e veloce verso il confine, salutando i
bambini che incontrava sulla sua strada. La adoravano, Nessie con i
piccoli era
veramente dolce.
Arrivò
davanti al vampiro che aveva visto la scorsa sera.
Come se lo ricordava: vestito di nero, occhi azzurri e sguardo da
perfetto
idiota. Per quanto lei si sforzasse, in lui non ci trovava niente di
affascinante, a differenza delle sue zie e di sua nonna.
“Sentimi
bene, tu!” iniziò Renesmee, puntando un dito verso
di lui.
Bella intanto
l’aveva raggiunta e le aveva intimato di
essere più educata. Nessie non le aveva dato molto ascolto;
Damon o come si
chiamava doveva essere trattato in quel modo: probabilmente era un
bugiardo,
uno scemo e uno psicopatico.
“Io”
rispose Damon, fingendosi indifferente. In realtà si
stava sforzando di non ridere: la faccia angelica di Nessie e quel tono
di voce
sembravano incompatibili.
“Sì,
tu. Sentimi bene. L’abbiamo capito tutti che sei un
bugiardo. Tu hai combinato tutto questo casino…”
gridò Nessie, ritornando in
crisi di lacrime insensate.
“Ehi,
bellissima, calma” sorrise il vampiro, facendo
imbestialire Jacob. Sembrava che gli stesse uscendo il fumo dalle
narici e
dalle orecchie, come un toro impazzito che stenta a controllarsi.
“Io non ho la
più pallida idea del perché mi trovo qui e, per
tua informazione, non ho la
dote del bididibodidibu. Quindi… non sono stato io. E non
provare di nuovo ad
accusarmi, altrimenti…” la minacciò
Damon.
“…altrimenti?
Che mi fai?” lo sfidò la ragazza.
Damon non sapeva
come continuare la frase. Raramente
succedeva, ma Bella gli aveva detto quanto bene
voleva a Nessie. Non poteva minacciare la
figlia della sua amica; lei non era come la prima ragazza che trovi per
strada
che potevi soggiogare e di cui potevi approfittare.
Damon
abbassò lo sguardo verso la sabbia, mentre la ragazza
ghignava trionfante: “Ecco, visto? Non puoi farmi niente, e
lo sai questo.
Perfettamente” e lanciò un’occhiata a
sua madre, che assisteva alla scena
impassibile.
“Beh sai,
ragazzina, tu puoi credere quello che vuoi, sai?
Ma la verità è una sola e io la so: non sono
così scemo da lasciare la ragazza
che amo per venire qui in mezzo a occhi gialli e lupi puzzolenti
quindi… ora me
ne vado. E Bella, grazie di tutto, ma io vado. Ora. Da solo. Non ho
tempo da
perdere. Devo ritornare da Elena” concluse Damon. Uno dei
discorsi più seri e
lunghi della sua intera esistenza.
Bella lo
fissò, all’inizio non comprendeva bene quello che
aveva detto. Lo capì solo quando il suo nuovo amico vampiro
si girò,
allontanandosi sempre di più da loro.
“Ehi,
Damon! Che fai?” gridò lei, raggiungendolo con la
sua
velocità vampiresca sotto lo sguardo stupefatto di Renesmee.
“Mamma che
stai facendo?” le urlò dietro la figlia.
“Me ne
vado. Il tuo posto è qui, non posso costringerti a
venire!” spiegò Damon.
“Ho
promesso Damon. Ho promesso che ti avrei seguito fino a
quando non avresti trovato Elena, e mantengo le mie promesse.
Soprattutto se le
ho fatte ad un amico. Quindi, vengo con te” concluse lei. Si
voltò verso la
figlia che la guardava stupefatta: “Nessie mi dispiace, ma io
credo che Damon
non sia un bugiardo e lo aiuterò perché
l’ho promesso” disse Bella lentamente.
Probabilmente sua figlia avrebbe interpretato tutto questo come se
Bella
preferisse un nuovo amico a sua figlia.
“E
così forse troverò papà”
continuò Bella, “tornerò appena
potrò. E ti prometto anche questo. Ma ho fatto una promessa
a Damon, e io
mantengo sempre le mie promesse” aggiunse lei.
Detto questo, Bella
si avviò all’auto facendo a Damon un
cenno di seguirla. Damon prese posto al volante, mentre la vampira
andò al
sedile del passeggero. Si sentì il rombo del motore che si
accendeva, si
sollevò un po’ di polvere e in un attimo la
macchina sparì.
Renesmee Cullen, in
lacrime, andò a rifugiarsi fra le
braccia calde e possenti del suo bellissimo e premuroso marito.
Bonnie
arrivò a casa di corsa, con il fiatone. Elena poteva
combinare cose stupide da un momento all’altro e lei doveva
agire in fretta.
Prese il libro degli
incantesimi, lo aprì alla pagina della
scorsa sera e cercò di tradurre la formula inversa. Doveva
annullare tutto nel
minor tempo possibile.
Eccolo,
l’incantesimo. Bonnie era riuscita ad individuare le
parole magiche. Prese la sua inseparabile candela e
pronunciò le parole
magiche. La fiamma della candela traballava, fino a quando essa si
spense del
tutto. Dal naso di Bonnie incominciò a scendere una goccia
di sangue, ma Bonnie
lo stava facendo per la sua amica, avrebbe aiutato Elena. Questa volta
Bonnie
era certa di fare la cosa giusta.
Poi tutto
finì. Bonnie svenne per il troppo sforzo, ma era
certa di avercela fatta.
Tutto era ritornato
a posto. Forse.
Angolino
o.O della matta Fra
Ciao
ragazze!
Wow
vi ho mai detto che vi amo? Adoro letteralmente ognuna
di voi, tutte quelle che hanno aggiunto la mia storia alle preferite,
alle
seguite e alle ricordate. Grazie, grazie un milione di volte:
Ovviamente grazie a chi ha
recensito, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ho inserito
più
vicende ed è venuto un po’ lunghetto. Ho
già preso appunti per i prossimi
capitoli, preparatevi a un intrigo di vicende davvero spaventoso!
Mi scuso per l’enorme
ritardo,
ormai credo che vi siate abituate…
Sto pensando con la mia mente
malata anche ad un’altra storia che posterò quando
l’avrò scritta tutta, quindi
state all’erta!
Mi scuso con le ragazze di cui
seguo alcune storie se non ho ancora recensito, in particolare con la
mitica
kiss88 e la grandiosa TVD, arrivo! Arrivo, ci provo,
arriverò! Ma dovevo
postare, mi capite?
Spero possiate perdonarmi…
Alla prossima, bacioni a tutte!
Uh, e iniziamo il conto alla
rovescia per The Descent e il 27 Gennaio. Non vedo l’ora!
|
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Capitolo 6 *** The Apparition ***
6.
THE APPARITION
Bonnie
all’improvviso si
risvegliò dal suo svenimento. Sbarrò gli occhi e
si guardò attorno come se la
sua stanza avesse il potere di darle una conferma che il suo
incantesimo avesse
funzionato.
Si
sollevò faticosamente da
terra, cercando l’interruttore della luce. Quando la camera
si illuminò per
quanto lo permetteva la lampadina consumata, Bonnie si
guardò attorno. Capì che
la stanza non aveva nessun potere magico e afferrò il
cellulare, per chiamare
la sua migliore amica.
Elena
era nella sua stanza e
stava afferrando qualche borsa dal fondo dell’armadio. Doveva
sceglierne una
capiente, che potesse contenere tutto lo stretto indispensabile. Quando
ebbe
fatto la sua scelta, prese i vestiti più comodi e facili da
abbinare fra di
loro e ce l’infilò dentro. Non aveva molto tempo
per prepararsi una valigia come
si deve; quella sera (o forse prima, anche se molto difficilmente)
sarebbe
partita con quell’idiota sbucato fuori da un romanzo per
adolescenti.
Quando
ebbe finito di
preparare la valigia, si buttò sul letto e chiuse gli occhi,
tentando di esiliarsi
dal mondo.
Venne
interrotta dallo
squillo del suo cellulare sul comodino. Elena sospirò, un
po’ infastidita; al
momento non voleva sentire nessuno. Vide il nome di Bonnie sullo
schermo e
decise che con lei non ci voleva proprio parlare. Ignorò la
chiamata e
riappoggiò il telefono sul comodino.
Dopo
qualche secondo
ricominciò a squillare. Ancora una volta, era Bonnie. A quel
punto Elena decise
che la sua “cara” amica non le avrebbe dato tregua
fino a quando non avrebbe
risposto, quindi tanto valeva sentire quello che aveva da dire.
“Che
vuoi Bonnie? Non
voglio né parlarti né vederti!”
sbuffò
Elena.
“Senti,
Elena. Mi dispiace.
Io…” provò a dire Bonnie.
“Tu
cosa? Ti ho chiesto di
aiutarmi, ti ho detto come sto! E tu? Niente. Non hai nemmeno preso in
considerazione l’idea di aiutarmi o di accompagnarmi a Forks.
Non volevo che mi
dicessi di sì, so che non l’avresti mai fatto.
Abbiamo il diploma, lo capisco.
Ma speravo almeno che ci pensassi. Sei la mia migliore
amica!” singhiozzò
Elena, travolta da una crisi di pianto. Non amava litigare con Bonnie,
si
conoscevano dall’asilo.
“Lo
so… Elena. Io…” mormorò
Bonnie.
“Tu
cosa?” sibilò Elena.
“Lo
so che è complicato e
non me lo perdonerai mai. Però…”
provò a dire Bonnie.
Il
campanello di casa
Gilbert suonò. Elena colse la scusa al volo:
“Scusami, qualcuno ha suonato alla
porta. Devo andare”. Elena premette sul tasto rosso e non
poté fare a meno di
pensare che tutto era così difficile e ingiusto. Aveva perso
la sua migliore
amico, Damon. Dov’era finito? A Forks? Era tutto
così assurdo, ma era la sua
unica speranza e la sua unica idea.
Prendendo
un profondo respiro,
scese dal letto, andò giù per le scale e
aprì la porta. Si trovò davanti un
ragazzo dalla pelle abbronzata con due occhi e dei capelli neri
scurissimi. Aveva
un bel viso e un bel fisico messo in mostra da… beh,
praticamente niente.
Quello
sconosciuto indossava
dei jeans lunghi fino al ginocchio sporchi e consumati. Non aveva una
maglia,
era a petto nudo. E aveva dei muscoli… ma Elena lo trovava
ridicolo. Fuori
saranno stati 10°C
e questo tipo se ne andava in giro seminudo? Attirare
l’attenzione era
evidentemente il suo obiettivo principale, e ci riusciva benissimo. Le
donne
superficiali sarebbero cadute ai suoi piedi all’istante, ma
Elena non lo
avrebbe fatto. Se confrontava lui al suo Damon (no, non era suo, doveva
imparare ad accettare l’idea), quella specie di indiano
avrebbe fatto la figura
della talpa vecchia e raggrinzita.
Poi
vide la fede all’anulare
sinistro e qualche dubbio l’assalì: quale moglie
faceva andare suo marito fuori
in strada a mostrare i suoi pettorali scolpiti? Forse lei non ne era al
corrente… gli uomini, tutti uguali.
“Ehm…
salve. Ecco, io… non
hai idea di quanto tempo ho impiegato a suonare il
campanello…” disse lui,
insicuro. Al primo sguardo non sembrava affatto un tipo timido, ma a
quanto
pareva, lo era.
“Troppo
freddo?” chiese
Elena, ironica e sgarbata. Timido lo era, antipatico pure, nonostante
non lo
conoscesse nemmeno.
Lui
sorrise: “No, ecco. No,
si sta bene” rispose.
Elena
annuì, anche se non
concordava affatto con lui, nonostante avesse indosso una maglia
pesante di
lana e dei pantaloni lunghi e felpati.
“Senti…
io sono…” cercò di
presentarsi lui.
“Non
mi interessa chi sei.
Che vuoi? Perché sei qui?” domandò
Elena. Poi si rese conto di essere stata
scortese a dir poco: “Senti, scusami… ma il
ragazzo che amo più di me stessa è
scomparso e al suo posto è arrivato un idiota. Non puoi
nemmeno immaginare che
casino… e io sono un po’ fuori di me, capisci
questo?” si scusò Elena.
Nella
mente del ragazzo
scattò un sospetto.
“Certo…
ecco… uno scambio,
dicevi?” domandò lui.
Elena
lo guardò curiosa.
Come aveva fatto a capire che Damon era sparito nello stesso momento in
cui
Edward era arrivato?
“Non
mi pare di aver detto
“scambio”” disse Elena, socchiudendo gli
occhi.
Il
ragazzo iniziò a
strofinarsi le mani, evidentemente in una situazione difficile: aveva
capito
che aveva sbagliato parola. “Ehm… io, non
so…” balbettò lui.
“Chi
sei?” sibilò Elena,
minacciosa. Era strano vedere una ragazza così minuta e
apparentemente
innocente sottomettere un ragazzo così grosso.
“Jacob”.
Le
rotelle del cervello di
Elena iniziarono a lavorare, sempre più velocemente.
Qualcosa le diceva che
questo Jacob avrebbe potuto aiutarla se solo fosse stato quel
Jacob.
“Jacob
cosa?” chiese Elena,
tagliente.
“Jacob
Black, ma perché?
Vuoi sapere se sono quello di Twilight? Beh sì, noi
esistiamo anche nella
realtà. E siamo finiti in un libro”
spiegò velocemente lui, sperando che la
ragazza gli dicesse qualcosa riguardo a un certo Edward…
Elena
sbarrò gli occhi; già
l’aveva intuito, ma sentire la conferma la faceva sentire
confusa, entusiasta,
triste, felice. Tutte le emozioni possibili nello stesso momento.
“Bene.
Senti… tu… non so…
hai visto Bella negli ultimi giorni?” chiese agitata Elena.
“Oh.
Mio. Dio. Tu sei la
ragazza che quel Damon ama!”. Jacob sbarrò gli
occhi, improvvisamente
consapevole che la ragazza che aveva davanti era la causa della fuga di
Bella
con il suo nuovo amico Damon.
Elena
si bloccò. Tutto il
mondo attorno a lei sembrava non esistere più.
“Cosa?” mormorò lei, con un tono
di voce così basso che persino lei faticava a sentirsi.
Jacob
la guardò
interrogativo: “Che? Sì, insomma…
Edward, Edward Cullen, è sparito e al suo
posto è arrivato questo Damon. E Bella è rimasta
a Forks, mentre Edward, credo
che sia qui…” spiegò Jacob.
Ma
Elena non riusciva a
parlare, non era certa di quello che aveva sentito. Aveva di sicuro
capito
male. “No, cioè, sì, lui è
qui ma… cos’hai detto prima? Quella cosa su
Damon…”
sussurrò lei.
Jacob
pensò a quello che
poteva aver detto: “Non mi pare di aver detto qualcosa di
importante. Cioè
quello che sai anche tu, che Damon, il tuo ragazzo, si trova a
Forks” disse
Jacob. Non poteva sapere quanto ci fosse di più di tutto
questo.
“Chi
ti ha detto che Damon è
il mio ragazzo?” domandò Elena, sconvolta
dall’eccesso di novità e confusa da
tutte quelle emozioni che le riempivano il cuore.
Jacob
alzò le spalle: “Beh,
quando ha detto che sarebbe partito per andare a cercarti ha fatto una
faccia.
Quasi piangeva, mi spiego? Si vedeva che ti ama come non so cosa.
Oserei dire
più di Edward e Bella. Mah, comunque, perché ti
colpisce tanto?” domandò alla
fine Jacob, alzando le spalle.
Elena
era senza fiato dalla
sorpresa: quelle emozioni provate nel bagno di casa sua, forse allora
le aveva
provate anche lui?! Tutte quelle notti che passava assieme a lei, per
tranquillizzarla. Lo faceva perché l’amava? E ora
erano separati da un qualcosa
che si opponeva alla loro amicizia e al loro amore. Se Elena pensava a
tutti i
momenti in cui si era voluta trattenere dal baciarlo, o tutti i momenti
che
avrebbe voluto che non la lasciasse per andare a cacciare. Per lei lui
aveva
smesso di uccidere. Per lei Damon era cambiato. E lei lo aveva fatto
soffrire,
scegliendo Stefan e solo Stefan, fino a quando aveva capito che era
Damon il
ragazzo che amava e non suo fratello. Se l’avesse capito
prima, sicuramente in
quel momento non si sarebbe trovata in quella situazione. O forse
sì, ma di
certo non si sarebbe tormentata con tutti quei sensi di colpa,
rimpianti e
pensieri.
“Ehi,
ti senti bene?” le
domandò preoccupato Jacob.
Elena
venne scossa da quelle
braccia calde come il fuoco.
“Sì.
Ehm… andiamo a Forks?
Insomma, tu avrai nostalgia di Nessie e allora…”
lo incitò Elena.
“Sì,
hai ragione. Ma tu hai
qualche idea di come sono arrivato qui?” chiese lui.
Elena
scosse la testa:
“Dev’essere un qualcosa di simile allo scambio fra
Edward e Damon” riflettè
Elena.
“A
proposito, Edward è qui?”
domandò curioso Jacob.
“Sì,
è qui. Ma lasciamolo
stare. Dobbiamo partire. Ah, io sono Elena” si
presentò lei, tendendo la mano.
Lui la strinse forte.
“Come
andiamo a Forks?”
chiese lui. Elena meditò per un attimo e poi disse:
“Là c’è la vecchia moto di
mio fratello. Non la usa mai, ora ha la macchina. Cerchiamo di arrivare
all’aeroporto con quella e poi da lì arriveremo a
Forks con il primo volo che
c’è. Che ne dici?” propose Elena.
“Penso
che sia un’idea
grandiosa” rispose lui mentre si avvicinava alla moto.
Fortunatamente era
ancora in buone condizioni e non ci volle molto per farla partire.
Intanto
Elena era corsa a
scrivere un biglietto a Jenna e a prendere la sua borsa.
L’aveva un po’
svuotata per agevolare il viaggio. Aveva controllato che ci fosse il
passaporto
e tutti i documenti, poi aveva raggiunto Jacob, chiaramente eccitato
all’idea
della partenza.
Ma
poi accadde un
imprevisto: la voce della sua migliore amica. Perché Bonnie
doveva sempre
immischiarsi? Non voleva parlarle, era tanto complicato da capire?
“Che
stai facendo, Elena?”
domandò Bonnie, urlando con una voce sorpresa tremendamente
acuta e
cinguettante.
Elena
si voltò, ormai già
salita sulla moto: “Non sono affari tuoi, Bonnie”
disse lei, seccamente.
Bonnie
la guardò sconvolta:
“Certo che lo sono. Sono la tua migliore amica e tu sei con
uno sconosciuto su
una motocicletta!” esclamò lei.
Elena
chiuse gli occhi e
prese un profondo respiro: “Lo credevo anch’io,
Bonnie. Ma tu non hai nemmeno
preso in considerazione l’idea di aiutarmi nella mia ricerca.
L’hai trovata
un’idea assurda, senza fondamenti e pazza. Io amo Damon, ok?
E sono stupida per
averlo capito solo adesso. In realtà l’avevo
capito già da quando lui mi aveva
iniziato ad aiutare per la storia di Stefan, ma non pensavo che anche
lui mi
amasse…”.
Bonnie
a quel punto aveva
gli occhi fuori dalle orbite: “Che cosa?”
esclamò, “come puoi credere che Damon
sia davvero innamorato di te? Dico, sei pazza?”.
Elena
scosse la testa: “No,
Bonnie. Lui”, e indicò Jacob,
“è coinvolto in parte in questo casino. Lui
conosce Edward Cullen, lui viene da Forks, e anche lui è
stato teletrasportato
a Mystic Falls. Qualcosa sta accadendo… e io me ne vado,
perché Jacob ha detto
che Damon è là, con Bella. E lo so che
è incredibile, ma è quello che sta
succedendo e se tu non mi vuoi aiutare, bene. So arrangiarmi”
concluse Elena.
Bonnie
avrebbe voluto
urlare: “Elena, sono stata io. È tutta colpa
mia!” ma non ne aveva il coraggio.
Elena era dell’umore da “oggi uccido
tutti”. Se avesse scoperto che la sua
migliore amica aveva combinato un casino così…
Poi
le riflessioni di Bonnie
vennero interrotte dalla voce di Elena: “Forza Jacob.
Partiamo”. Si sentì il
rombo del motore e poi scomparirono dalla vista della strega, senza che
lei
potesse fermarli, ancora scioccata per le rivelazioni che popolavano la
sua
mente:
Jacob.
Viene da Forks.
Conosce Edward. Oddio.
Jacob.
Pantaloncini
corti, petto
nudo. Aveva caldo, effettivamente…
…
licantropo…
…
Jacob Black.
Che
ci faceva lì? Come era
potuto arrivare lì?
E
se… oh no. Non voleva
nemmeno pensarci. Non poteva essere successo davvero. Doveva avere una
conferma. Doveva andare a cercare Edward. All’istante. Dove
poteva essere? A
scuola?
Bonnie
corse via dalla casa
di Elena e cercò il più fretta possibile di
arrivare a scuola.
Quando
raggiunse il cortile senza
fiato e piegata in due dallo sforzo, era in corso la preparazione della
festa
dei fondatori di Mystic Falls. Alcuni studenti, probabilmente costretti
dai
genitori, facevano volontariato per preparare e organizzare
l’evento. Edward
probabilmente trovava il tutto molto insolito e divertente. Quindi,
probabilmente,
era lì ad attaccare cartelloni.
Bonnie
si guardò attorno,
salutando le persone che incontrava velocemente e senza guardarle in
faccia.
Doveva controllare ogni singolo angolo del cortile del Liceo.
Poi
lo vide. Stava
dipingendo un cartellone con scritto “Giorno dei
Fondatori”. E si divertiva da
pazzi, nonostante fosse solo. Canticchiava, ridacchiava come uno scemo.
Sicuramente l’Edward Cullen del libro era stato reso meno
cretino, perché la
storia d’amore fra un’umana e un vampiro deficiente
non avrebbe mai avuto
successo e non sarebbe mai potuto diventare un bestseller mondiale.
Bonnie
si avvicinò a grandi
passi decisi, ignorando le occhiate di avvertimento dei suoi compagni.
Edward a
quanto pareva si era rivelato molto fastidioso e leggermente
insopportabile.
“Bonnie,
giusto? Come
andiamo? Tutto ok? Mi vuoi dare una mano?” disse Edward, con
un ampio sorriso.
Bonnie
alzò gli occhi al
cielo: “Ed-…”.
Edward
la interruppe:
“Anthony, il mio nome è Anthony” disse,
sempre con quel sorriso irresistibile
ma allo stesso tempo insopportabile.
“Ah,
giusto… Anthony. Senti,
una domanda. Ma sei davvero così idiota? Intendo, sempre,
tutto il tempo?”
domandò Bonnie.
Lui
non si toglieva quel
sorriso dalla faccia per un secondo. “La tua amica mi ha
fatto la tua stessa
domanda” disse lui, tendendo un pennello sporco di tempera
blu, “e io ho
risposto: è il Liceo che mi fa quest’effetto. E
lei ha avuto il coraggio di
paragonarmi a Zac Efron. Veramente sfrontata” e fece una
smorfia, mentre Bonnie
afferrava il pennello e iniziava a dipingere la
“F”.
“Spero
che abbia detto che
Zac è meglio” borbottò Bonnie.
“Sì, lo ha detto. Mi ha ferito nel profondo del
cuore e il mio dolore…” recitò Edward,
con fare fintamente drammatico.
“Piantala
di fare il
pagliaccio. Non ti viene bene nemmeno quello. Senti… Jacob.
Presente? Black”
disse Bonnie, fissandolo.
Al
suono di quel nome,
Edward scattò: “Sì che ha fatto? Quel
cane…” sussurrò minaccioso.
“Sì
bene. Ecco… lui ha detto
che Damon, hai presente? Ecco, lui si trova a Forks. Con Bella. Quindi
è
confermato” lo informò Bonnie.
“Lui
ha detto… che cosa?
Uno: tu come fai a sapere di questa storia? Due: come hai fatto a
parlare con
quel verme pompato?” domandò Edward,
improvvisamente mollando il pennello,
rovinando il cartellone con schizzi di tempera gialla ovunque.
“Lui…
beh è andato via, ma
prima era qui. E Elena fino a qualche minuto fa era la mia migliore
amica. Non
abbiamo reso la rottura ufficiale, ma è meglio iniziare ad
abituarsi per non
soffrire quando lo sarà” mormorò
afflitta la strega.
“Che
hai combinato?” le
chiese Edward, improvvisamente premuroso e preoccupato per la
situazione.
“Davvero
è così evidente che
la colpa è mia? Beh ecco ho combinato un casino,
cioè… io…”
balbettò Bonnie,
non più tanto sicura di volerne parlare. Poi si
ricordò il motivo che l’aveva
spinta a venire a scuola: trovare Edward. Se l’avesse
trovato, tutto questo
sarebbe significato che invece di invertire di nuovo Damon e Edward per
farli
tornare a casa, aveva mantenuto la situazione di prima. Anzi,
l’aveva aggravata:
ora anche Jacob-Black-il-licantropo era stato coinvolto nel casino.
Edward
la guardò,
incitandola ad andare avanti. Lei scosse la testa: “Scusami,
devo andare” e
Bonnie si allontanò senza voltarsi indietro. Solo un
pensiero le popolava la
testa: partire e raggiungere Jacob e Elena. Spiegarle tutto e questa
volta
senza tanta paura.
Ma
non poteva partire da
sola, aveva bisogno di un complice. Edward no, assolutamente no: primo,
non
aveva voglia di sopportarlo per chissà quante ore di
viaggio. Secondo, forse
era meglio che stesse dov’era, perché se fosse
partito probabilmente avrebbe
complicato le cose più di quanto lo erano già.
Riassumendo:
Damon si
trovava a Forks con Bella, e probabilmente erano partiti ormai. Ma
allora
perché Jacob aveva fatto la scelta stupida di portare Elena
a Forks se sapeva
che Damon stava venendo a Mystic Falls? O non lo sapeva
perché era già stato
materializzato dal suo incantesimo al momento della loro partenza, o se
ne era
dimenticato oppure aveva qualcosa in mente. Sì, su questo
Edward aveva proprio
ragione: Jacob Black era un cretino.
E
Edward si trovava a Mystic
Falls senza uno scopo. Che avrebbe fatto Edward poi? Non le interessava
più di
tanto, Bonnie aveva solo uno scopo: andare a riprendersi Elena, prima
che
perdesse di nuovo Damon il quale probabilmente stava arrivando a Mystic
Falls.
Se fosse riuscita a riportarla indietro, lei avrebbe incontrato presto
Damon e
Bella sarebbe ritornata insieme a Edward. Tutto suonava così
perfetto… Bonnie
sognava un lieto fine impossibile. Fidarsi era un vicolo cieco, tutto
dipendeva
dalle scelte di troppe persone. Ma lei non si accorgeva di tutti quegli
ostacoli, perché accecata dall’entusiasmo e dalla
preoccupazione per la sua
amica.
Bonnie
si guardò attorno,
cercando qualcuno che la potesse accompagnare in quella
“missione di
salvataggio”.
Jeremy
Gilbert stava
attaccando il cartellone all’ingresso della scuola. Era sulla
scala per
arrivare più in alto e sbuffava scoraggiato. Si
voltò e vide Bonnie che lo
fissava con intensità. Poi la vide avvicinarsi a passo
svelto, fino a quando
non fu sotto di lui.
“Ehi,
Bonnie. Come va?”
domandò lui, amichevole, contento che qualcuno fosse
arrivato a toglierlo dalla
tortura di scotch scadente e cartelloni pesanti.
“Jeremy
ti devo parlare” disse
Bonnie, ignorando la sua domanda.
“Sì,
anch’io sto bene,
grazie mille” disse il ragazzo, un po’ seccato.
Bonnie
gli raccontò tutto.
In fondo, Jeremy sapeva dell’esistenza dei vampiri e sapeva
anche che Bonnie
era una strega. Insomma, sapeva tutto. La ragazza non
tralasciò nemmeno il
“piccolo” dettaglio che il casino lo aveva
combinato lei, nonostante all’inizio
avesse avuto le migliori intenzioni del mondo.
“Andrà
tutto bene, Bonnie.
Non è stata colpa tua, no, non piangere”
sussurrò Jeremy, consolandola. Aveva
sempre avuto un debole per quella ragazza. Era così dolce,
innocente. I suoi
occhi arrossati le davano un’aria così indifesa da
cucciolo smarrito, e il suo
corpo era così minuto che a prima vista non si sarebbe
potuto dire che sotto
c’era una personalità forte e un potere immenso.
“Andiamo,
prima che sia
troppo tardi. Vedrai, ce la faremo” la incoraggiò
Jeremy, sollevandola e
portandola verso la sua macchina.
“Mi
dispiace causarti tutti
questi problemi, ma… non sapevo a chi altri
rivolgermi” balbettò Bonnie.
“Non
preoccuparti… hai fatto
bene a chiedere a me. Ora facciamo un salto veloce a prendere le borse
e
partiremo prima che quei due si allontanino troppo, ok?” la
rassicurò lui,
tenendola per mano, come un fratello maggiore estremamente premuroso.
Bonnie
annuì, rassicurata
dalle parole del fratello della sua migliore amica.
Poi
Jeremy decise di
sdrammatizzare la situazione: “Ehi, mi fai vedere chi
è Edward?”.
Bonnie
sorrise, sollevata da
quell’improvviso cambio di atmosfera: “Quello
lì, lo vedi?” e lo indicò. Edward
stava saltando su quei castelli gonfiabili che si mettevano sempre
durante le
feste, quelli tutti pieni di bambini impazziti. Sembrava un bambino.
Era diventato
il mito dei ragazzini, perché misteriosamente riusciva a
fare i salti
altissimi.
“Dio,
che scemo…” disse
Jeremy, alzando gli occhi al cielo.
Entrambi
scoppiarono a
ridere di gusto, come non facevano insieme da molto tempo.
“No,
seriamente, Jeremy. Io penso
che lui stia pensando a sua figlia, a quando era
piccola…” disse Bonnie.
“Sì…
la figlia è il Mostro di Loch Ness, no?”
ridacchiò il ragazzo.
Bonnie
gli diede un pugno
sul braccio: “Con voi maschi non si può mai fare
un discorso serio…” sbuffò.
Scoppiarono a ridere di nuovo come due bambini.
Damon
aveva acceso il motore
della Ferrari di Bella appena aveva sentito la portiera dalla parte del
passeggero sbattere. Senza esitare era partito, diretto verso Mystic
Falls. La
strada non la conosceva, ma non importava. Era un vampiro: il senso
dell’orientamento non gli mancava.
Vide
Bella che si metteva le
mani fra i capelli, con fare disperato. Quel gesto gli ricordava tanto
la sua
Elena; gli mancava così tanto, e la semicertezza di arrivare
a casa sua e poterla
di nuovo stringere fra le braccia era l’unica cosa che gli
impediva di piangere
e disperarsi. Quando sarebbe arrivato a casa, le avrebbe detto tutto
quello che
avrebbe voluto dirle nel bagno, la scorsa sera. Il tempo era passato
così
lentamente, stentava a credere che il suo arrivo a Forks risaliva alla
notte
prima.
“Che
succede, Bella?”
domandò Damon, preoccupato.
Lei
chiuse gli occhi e
rispose lentamente: “Sono così… non so
più cosa fare. Siamo certi che là
troveremo Edward e Elena?” domandò lei.
Damon
alzò le spalle: “Tanto
vale tentare. Non abbiamo certezze ma dobbiamo
trovarli. E non abbiamo altre idee quindi…”
rispose lui.
“Dimmi…
com’è fatta Elena?
Cioè descrivimela come se… come se lo stessi
scrivendo sul tuo diario” lo
incitò Bella, curiosa senza risultare troppo invadente.
Damon
sospirò: “Non c’è un
modo per descrivere Elena, davvero. Non esiste”.
Bella
scosse la testa: “Non
ci credo. Dammi una ragione per la quale descriverla sarebbe
impossibile. Dimmi
una sola ragione valida e ti lascerò in pace”
disse Bella, non ammettendo
repliche.
“Elena
è… così
troppo fantastica. È dolce,
gentile, altruista, determinata e forte. Non si scoraggia mai, pensa
sempre in
positivo. Non la sentirai mai dire qualcosa come: abbiamo perso,
è finita. Lei
pensa sempre che ci sia una possibilità, e non le interessa
se sia lontana un
kilometro o un miglio. Per lei esiste. E se la soluzione è
sacrificare se
stessa, allora è pronta a farlo. Ovviamente io glielo
impedisco, ci
mancherebbe”. Damon sorrise, pensando alla sua Elena. La sua
principessa
coraggiosa, troppo coraggiosa.
Bella
stava zitta, attendeva
che Damon continuasse. Sapeva che l’avrebbe fatto,
perché aveva bisogno di
parlare di lei. Primo perché gli mancava, secondo
perché non l’aveva mai fatto
con nessuno. E se l’aveva fatto, di certo non così
apertamente come in quel
momento.
Infatti,
il vampiro
continuò: “Stefan è stato il suo
ragazzo per così tanto tempo. E quello che non
sopporto è che lei era sempre convinta che Stefan fosse la
scelta migliore.
Sempre ed in ogni caso. Non ha mai considerato l’idea che io
potessi essere
migliore per lei” sospirò Damon.
Prese
un altro respiro,
mentre imboccava l’autostrada a tutta velocità,
poi continuò: “E il fatto che
tutti, anche Katherine, vogliano sempre Stefan mi fa impazzire. Tutti
vogliono
il fratello buono, mentre a me tocca sempre la parte del cattivo.
Effettivamente, io ero cattivo e
stronzo, ma nessuno vuole credere davvero che io sono cambiato. Grazie
a lei ora sono un’altra
persona. Non vado
più a letto con nessun altra. Perché penso a lei, sempre a lei.
Ogni
volta che faccio qualcosa di stupido mi blocco, perché Elena
appare nella mia
mente e sembra che mi stia dicendo: no, non lo devi fare. E io
l’ascolto. È
ridicolo, ma è così”. Damon continuava
a sospirare, immerso nei ricordi.
L’auto
sfrecciò accanto alle
indicazioni per arrivare all’aeroporto di Portland. Damon
borbottò qualcosa,
poi si schiarì la gola: “Che facciamo? Prendiamo
un biglietto last minute e un
volo low cost e andiamo in aereo oppure optiamo per la
Ferrari?” chiese Damon,
mentre rallentava avvicinandosi all’incrocio.
“Vada
per la Ferrari. Chissà
quando c’è un volo per la Virginia. E poi ci
toccherebbe rubare un’auto. No, ci
metteremo di meno ad attraversare gli Stati Uniti con la mia
Ferrari” rispose
Bella, con una piccola nota di disprezzo sull’ultima parola.
A
Damon non sfuggì: “Capto
disgusto per la tua macchina?” domandò incredulo.
Bella
sbuffò: “Non disgusto.
Più che altro, nostalgia” aggiunse malinconica.
Damon
la guardò,
interrogativo: “In che senso? Cos’avevi prima? Una
Aston Martin? Cosa può
esserci di meglio di una Ferrari?” meditò lui. Non
poteva nemmeno immaginare
quale fosse la risposta.
Bella
andava fiera del suo
ex-mezzo. Il suo signor pick-up aveva accompagnato i suoi ultimi anni
di liceo
e ne avrebbe conservato il ricordo per sempre.
“Ehm…
un pick-up Chevrolet
degli anni ’50…” mormorò
Bella. Si era fatta timida non per l’imbarazzo, ma per
la paura della reazione di Damon. Gli uomini erano tutti uguali, se
dicevi che
amavi di più un trattore che una macchina sportiva, dovevi
prepararti a una
scenata. Infatti…
“Cooooosa?
Tu vuoi dire che
hai nostalgia di un pick-up quando hai una Ferrari ultimo modello?
Ecco, nemmeno
tu sei tanto normale…?” la informò
Damon.
Bella
annuì scoraggiata da quella
solita reazione maschile: “Siete voi uomini che siete
patetici…” sbuffò lei.
“Ok,
non parliamone più. Ora
preparati! Hai la cintura di sicurezza, piccola?”
ammiccò Damon.
Lei
fu scossa
improvvisamente dalla voglia di fare qualcosa di pazzescamente folle e
annuì,
dondolandosi per quanto poteva sul sedile. Damon le lanciò
un ultimo sorriso,
le fece l’occhiolino e premette con tutta la forza che aveva
sul pedale
dell’acceleratore.
Poi
aprì il tettuccio della
decappottabile e mise a tutto volume All_I_Need
dei Within
Temptation. Non era esattamente il genere di canzone che uno metteva
mentre
sfrecciava sull’autostrada con tutti che gli urlavano dietro
e clacson ovunque.
Ma quella melodia aveva un significato profondo per lui; era la canzone
che gli
ricordava Elena. La prima volta che avevano ballato assieme. Un momento
magico.
Il ricordo delle sensazioni che quella ragazza gli provocava e che ora
gli
mancavano tantissimo lo assalì, ma poi venne distratto:
Bella rideva come una
matta: “Tu sei pazzo, Salvatore!”.
Anche
il vampiro rideva di
gusto, divertito da quell’azione folle e matta. Pensava a
Elena, al momento in
cui l’avrebbe rivista. “Lo so!” rispose
lui, alzando ancora di più il volume.
Bella
continuava a ridere
come una pazza: aveva voglia di alzarsi in piedi sul sedile e mettersi
a
urlare: “Edward sto arrivando!”, ma non era
l’idea migliore che poteva venirle
in mente. Decise di starsene seduta buona.
“Tu
devi finire di
raccontarmi di Elena!” strillò Bella.
“Finiremo
più tardi! Ora
divertiamoci!” urlò Damon in risposta.
“Più
tardi quando? Stai
guidando come un matto, arriveremo in tre ore invece di
sette!” gli fece notare
lei.
“Davvero
pensi che questa sia
l’ultima volta che ci vediamo? Quando tutto si
sarà risolto, manterremo i
contatti” disse Damon serio, improvvisamente rallentando,
“non dimenticherò mai
tutto quello che stai facendo per me. E avremo
l’eternità, per raccontarci le
nostre vite” aggiunse poi.
Rallentò
ulteriormente: “E
voglio che tu conosca Elena. Appena la vedrai… sono certo
che andrete molto
d’accordo” disse Damon, sicuro e pensieroso.
“Ne
sono certa” mormorò
Bella, lusingata da tutte le promesse fatte da Damon riguardanti il
futuro.
“Ora
che dici? Andiamo
avanti o facciamo una pausa all’Autogrill?”
domandò ironico Damon.
“Credo
che potremmo farne a
meno, tu che dici?” rispose Bella.
Damon
scrutò un punto alla
sua destra: “Là, vedi quelle insegne? Mi pare una
discoteca molto affollata…
che ne dici di-?” ridacchiò Damon, ovviamente con
lo scopo di farla arrabbiare.
Ci riuscì: “Damon, non farai mica sul
serio?” domandò lei, scioccata.
Il
vampiro si stava piegando
in due dal ridere: “Ovvio che no, Bellina!”.
Bella
digrignò i denti:
“Sapevo che tu potevi andare benissimo d’accordo
con Emmett!” borbottò.
“Emmett?
Lo scimmione?”
chiese Damon, interessato. “Sì”
sbuffò Bella.
“Eddai…
su con la vita,
Belluccia!” la prese in giro Damon, alzando ancora di
più il volume e
ricominciando a sfiorare il 300 all’ora.
“Tu
devi dormire, caro.
Passa qui il volante” lo esortò Bella, cercando di
cambiare argomento.
“Non
se ne parla. Se guidi
tu saremo ancora qui fra due giorni. Abbiamo fretta,
ricordi?”. Damon non
ammetteva repliche, nonostante nel profondo fosse piuttosto stanco. Ma
non
voleva sentirsi colpito nell’orgoglio vampiresco che lo
caratterizzava.
“Ti
prometto che quando ti
sveglierai saremo a Mystic Falls” disse Bella, solenne.
“Ok…”
mugolò il vampiro, che
accostò l’auto. Si scambiarono di posto e Bella
conquistò la posizione del
pilota.
“Conosci
il detto: donna al
volante, pericolo costante?” chiese Damon, fingendosi
preoccupato per la sua
sicurezza.
“Maschilista,
io sono una
vampira al volante. Giovane e sveglia, con i riflessi altissimi. Credo
che non
hai scuse e ti toccherà correre il
rischio…” annunciò lei.
“Ok,
parti” ordinò Damon,
mentre si sistemava comodo sul sedile, pronto per addormentarsi. Bella
alzò gli
occhi al cielo e riaccese il motore. Fissò Damon chiudere
gli occhi e abbassò
la musica, per farlo addormentare prima. Ma venne bloccata:
“No, non farlo.
Tieni questa canzone, fino a quando dura” la
implorò.
“Va
bene” rispose lei,
chiedendosi per quale ragione Damon volesse addormentarsi con quella
canzone in
particolare.
Accelerò
al massimo, per
mantenere la promessa fatta a Damon e per raggiungere Mystic Falls in
tempo.
Dopotutto, anche lei avrebbe ritrovato la felicità,
laggiù.
Angolino
della Matta Fra O.o
Ciao
come state?
Ecco
qui il 6° Chappy! Come avevate
intuito dal “forse” finale dell’altra
volta, le cose non si sono affatto
sistemate. Anzi… sono così complicate che
potreste trovare un po’ di confusione
nei nomi perché sono comunque le 22.41 e sto un
po’ fondendo…
Allora
che ne pensate? Fatemi
sapere…
Vi
ringrazio per le 10
recensioni! Oddio, mi fate morire…
Amo
tutti coloro che hanno
aggiunto questa storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate.
Grazie
anche a chi legge in
silenzio, ovviamente!
Spero
che recensiate sempre
in tante, perché come vedete ho postato prima del previsto,
proprio grazie a
una cifra mai raggiunta di recensioni. Grazie, grazie di ♥,
siete
importantissime per me. Mi fate amare i momenti quando scrivo come non
li ho
mai amati, grazie veramente.
Ora
vi prego aiutatemi: come
si mettono le immagini nei capitoli? HELP! Ditemelo, perché
io ci provo, ma non
ci arrivo proprio.
Spero
di aver recensito
tutte le vostre storie che seguo e di non essermene perse alcune, siete
bravissime anche voi! Vi ringrazio ancora per tutti i vostri
complimenti!
Bacioni
Fra
PS
The Descent e il 27
Gennaio si avvicinano…
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Capitolo 7 *** Scomparso ***
7.
SCOMPARSO
Renesmee Cullen
poteva
ritenersi una delle più fortunate persone del mondo. Era
stata una bambina
amata in tutti i modi possibili dai parenti: zia Rosalie aveva sempre
curato il
suo aspetto e l’aveva portata al parco insieme a zio Emmett,
il simpaticone che
le faceva fare le capriole e la prendeva in braccio, facendola
volteggiare
nell’aria. Adorava quando lui lo
faceva:
il vento le scompigliava i capelli color del bronzo e le sembrava
davvero di
poter volare.
Nessie aveva poi zia
Alice,
che le aveva comprato tantissimi bellissimi vestiti colorati e
femminili. Il
suo guardaroba era pieno e vario: da semplici paia di jeans a gonne a
palloncino, dalle t-shirt agli abiti eleganti.
Zio Jasper era il
suo
compagno preferito di caccia, ovviamente dopo Jake: ogni volta che
voleva
cacciare qualche puma, zio Jazz c’era sempre stato. Nessie
adorava la
competizione con lo zio, e quando zio Emmett si univa a loro tutto
risultava
ancora più divertente.
I nonni Esme e
Carlisle
erano così dolci e affettuosi nei suoi confronti e lo
dimostravano in tutti i
modi: le davano regali, la portavano nei posti dove lei voleva,
facevano tutto
quello che lei voleva. E poi, ovviamente, c’erano i suoi
genitori: quando era
una bambina li vedeva sempre assieme, abbracciati. Talvolta li aveva
beccati
pure a baciarsi. Ma lei era felice e per niente schifata o
scandalizzata da
quei gesti intimi: per lei contava solamente che fra i suoi genitori ci
fosse
quell’amore indistruttibile e invincibile, che niente avrebbe
mai potuto spezzare.
E infine
c’era Jake: l’amico
di infanzia con cui aveva condiviso tutto, che poi era diventato il
fidanzato
premuroso e perfetto durante la sua adolescenza. Il destino li voleva
assieme,
e Nessie era contentissima che Dio le avesse dato una persona
così speciale che
si prendesse cura di lei. Amava Jake con tutto il cuore, e le
dispiaceva che a
suo padre non andasse a genio. Contava però sul fatto che ci
fosse l’eternità
per farselo stare simpatico, ma a quanto pareva la mamma non la pensava
allo stesso
modo. Ultimamente, Edward era sempre più nervoso per la
storia
dell’anniversario fra Nessie e Jake e continuava a fare
critiche, battute di
cattivo gusto… e questo a Bella non stava affatto bene,
così iniziavano le
liti. E Nessie si sentiva in colpa, perché si sentiva
responsabile di quello
che stava accadendo fra i suoi genitori. Alla fine, chi era sposata con
Jacob?
Non la mamma, non il papà, ma lei. Solo lei.
Ultimamente li
vedeva sempre
più distaccati e Nessie aveva assistito alla partenza di sua
madre con quello
sconosciuto, con quel Damon, che ora era partito con la Ferrari di
Bella
alzando un polverone da terra e facendo stridere le ruote. Non era
ancora del
tutto convinta che la madre andasse con lui solo per una semplice
promessa, ma comunque
si fidava; si fidava del rapporto sincero fra di loro e si fidava
dell’amore
della sua mamma per Edward. Se lei diceva che tutto si sarebbe risolto
e che lo
stava andando a cercare, ci credeva.
Abbracciata a Jacob
ricominciò a piangere per tutto quello che stava succedendo.
“Nessie,
su, non piangere…”,
la consolò lui.
“No,
è che… che succederà?
Come andrà a finire tutto questo?”,
singhiozzò lei.
“Andrà
tutto bene. La
rivedrai, ne sono certo. Te lo prometto, Nessie”,
sussurrò rassicurante Jacob.
Lei lo
fissò con quei suoi
enormi occhi da cerbiatta color cioccolato, quegli occhi che Jacob
amava con
tutto se stesso. “Ti va di vedere un film?”,
propose lui.
Renesmee
annuì, mentre si
lasciava trascinare verso casa dal suo bellissimo e dolcissimo marito.
“Allora…
sappi che non ho
intenzione di sopportare film strappalacrime un’altra
volta”, la ammonì lui,
ridacchiando.
“Sono
così belli… ma nemmeno
io ho voglia di piangere adesso quindi sei fortunato. Guardiamo un
horror?”,
suggerì Nessie.
Jake la
guardò storto: “Fai sul
serio?”, chiese.
“Perché,
hai paura?”, lo
punzecchiò lei.
“Certo che
no. Io non ho mai
paura”, si vantò Jake.
“No,
comunque guardiamo… un
cartone. Ho voglia di vedere un film per bambini”,
annunciò Nessie.
“Sei
sicura di sentirti
bene, tesoro?”, chiese lui.
Nessie
annuì energicamente:
“Ok… O Piovono Polpette, o Up, o Mostri contro
Alieni o Rapunzel… scegli tu”,
disse lei, tirando fuori dal reparto dei dvd per i bambini della
riserva i vari
film.
“Wow, sono
tutti così belli
che non so davvero cosa scegliere…” la
schernì Jake, che ricevette un pugno in
pancia. “Smettila. Allora decido io: si guarda
Rapunzel”, annunciò seccata
Nessie.
“Ok.
Guardiamo Rapunzel… tu
inizia tranquilla, io prendo i popcorn”, disse Jacob.
“No ti
aspetto, non c’è
problema”, lo rassicurò lei.
“Davvero,
non vorrei che
attendessi troppo per un film così bello. Ti raggiungo
subito, tu comincia”, la
incitò lui.
Jacob
tornò nel momento in
cui una bella ragazza stava facendo calare i suoi capelli dalla torre.
Quel film era
così noioso
che in un quarto d’ora di film aveva finito i popcorn, come
gli fece notare la
sua bella moglie che si stava apparentemente godendo ogni singolo
secondo del
film: “Dio, ma come hai fatto a finire i popcorn in dieci
minuti?”, domandò
incredula.
Jake alzò
le spalle: “Ne
vado a prendere altri”, annunciò lui, mentre
Rapunzel dava padellate a
qualcuno.
Passarono i minuti,
dieci,
quindici…
“Jake?”
chiamò Renesmee dal
divano. Era da un po’ che si era alzato per andare a prendere
i popcorn. Ok che
il film non gli piaceva, ma almeno avrebbe potuto portarglieli.
“Jake,
tesoro?”, lo chiamò
ancora Nessie. Perché non rispondeva? Voleva farle prendere
uno spavento? Non
era divertente; doveva smetterla con questi giochetti infantili. Se un
giorno
sarebbe scomparso davvero, chissà come avrebbe reagito lei e
come si sarebbe
comportata. Sicuramente avrebbe fatto qualche follia.
Nessie si
alzò, iniziando
seriamente a preoccuparsi. Dov’era finito il suo amore?
Fermò il film proprio
nel momento in cui il cavallo stava volando facendo una faccia
buffissima, ma
Nessie, che normalmente avrebbe riso, questa volta non lo fece.
Si infilò
le sue ciabattine
azzurrine con i pompon e andò in cucina. Si
guardò attorno e quello che vide
fu… tutto normale. Il pacchetto dei popcorn era aperto e
stava appoggiato sul
tavolo, accanto ad una ciotola semipiena che Jake stava finendo di
riempire, a
quanto pareva. E poi l’aveva lasciata lì.
Perché? Forse era dovuto andare urgentemente
al bagno.
Nessie allora
controllò
tutti e due i bagni della casa. Ma di Jacob non c’era
traccia.
Ora Renesmee non era
più
preoccupata, di più. Si sentiva il cuore battere forte;
stava impazzendo e
poteva tranquillamente uscire dal petto se le pulsazioni fossero
aumentate
ancora di più. Che l’avessero rapito? Era assurdo,
ma Nessie non sapeva più
cosa pensare.
Afferrò
un coltello dal
cassetto della cucina e si preparò a difendersi da chiunque
avesse potuto
incrociare.
Ma non
trovò nessuno. Nessun
malintenzionato, nessun rapitore, nessun ladro, nessun pericolo. Ma
soprattutto, non trovò suo marito.
Quando Nessie
realizzò che
Jacob era scomparso, se ne era andato chissà dove,
crollò a terra e ricominciò
a piangere. Venne assalita da un attacco di vomito e di nausea,
così corse in
bagno accovacciandosi sul water.
Disgustata,
afferrò lo
spazzolino e si lavò i denti, e per un attimo
riuscì a dimenticare quello che
stava succedendo. Poi però ritornò accanto alla
scatola dei popcorn e non
riuscì più a trattenere le lacrime.
Scoppiò a piangere, disperata. Si chiedeva:
perché, perché, perché a lei doveva
succedere tutto questo? Che aveva fatto di
male?
Suo padre era stato
scambiato con uno psicopatico, il quale aveva trascinato sua madre alla
ricerca
della sua amata e suo marito era sparito. Scomparso, smaterializzato
nel nulla.
Nessie era scossa
dai
singhiozzi, continuava a piangere e le lacrime le solcavano il viso,
rendendolo
arrossato come gli occhi spenti e tristi. I capelli erano tutti
appiccicati al
viso, dandole un aspetto leggermente spaventoso.
In quel momento a
Nessie
vennero in mente solamente due cose: la prima era quello che doveva
fare in
quel momento. Non c’erano molte alternative: avrebbe chiamato
la famiglia, le
sue zie, con cui aveva un rapporto speciale. Erano le uniche persone
che
rimanevano nella sua vita. La seconda cosa era la motivazione di quel
casino:
Renesmee Carlie Cullen poteva ritenersi una delle più
fortunate persone del
mondo. Aveva una famiglia che l’amava, un marito che la
seguiva da tutta la
vita, due genitori che si amavano… Aveva gli zii
più generosi e simpatici del
mondo: Alice, Rosalie, Emmett e Jasper. Voleva tantissimo bene anche a
nonno
Charlie e a nonna Renèe, anche se lei non l’aveva
mai conosciuta. E adorava
ogni singolo bambino nella riserva di La Push, così come
loro adoravano lei.
Dalla vita, Nessie
l’aveva
capito ora, non si poteva avere tutto. Se l’infanzia e
l’adolescenza erano
andate a gonfie vele, i problemi sarebbero iniziati a età
adulta. Infatti, era
successo. Per una volta nella vita, Nessie avrebbe voluto essere
completamente
umana e non avere a che fare con gli eventi soprannaturali come le
scomparse
improvvise.
Strascicando i
piedi, Nessie
si alzò e andò a prendere il telefono, per
chiamare zia Alice e tutti i
parenti. Aveva bisogno di una mano, non voleva essere sola in una
situazione
del genere.
Damon stava dormendo
e
sognava su una bellissima Ferrari rossa scintillante. Pensava ai
momenti più
belli della sua vita, quegli attimi che non avrebbe mai potuto
dimenticare. A
volte una vita dannata per l’eternità riservava
delle sorprese, delle persone
entravano nella tua vita e ti facevano dimenticare chi eri, chi eri
stato e chi
volevi essere. Elena era una di quelle persone. Lei lo aveva cambiato:
se prima
il progetto di Damon Salvatore era riavere Katherine, ora tutto quello
che
aveva sognato negli ultimi 150 anni gli sembrava stupido. Non
c’era niente,
nemmeno il sangue, che poteva desiderare più di Elena. Ogni
volta che la
sfiorava, ogni volta che le parlava… sapeva che forse il
destino non li voleva
assieme, ma lui si sentiva in dovere di proteggerla. Se ne stava dietro
le
quinte, in attesa che lei un giorno capisse quello che c’era
fra di loro.
[Flashback]
“Vieni al
parco?” domandò
Damon, giocherellando con un anello trovato sul comodino di Elena.
Elena lo
guardò: “Non credo
proprio. Sto troppo male…”, rispose lei.
Damon si
alzò, si avvicinò a
lei per prenderle una mano: “Dovresti smetterla di chiuderti
in questo modo. Ti
fa sentire solo peggio. Esci, dai” la incitò lui.
Elena scosse la testa. Era
davvero testarda. E Damon adorava anche questo lato del suo carattere.
“Facciamo
qualcosa di
tremendamente folle, avanti”, cercò di convincerla
lui. Vedendo che lei non
aveva alcuna intenzione di cedere, recitò la parte
dell’offeso e ritornò a
sedersi sul letto, che intanto era divorata dai sensi di colpa.
Elena
sospirò: “Va bene… ma
solo perché sei tu”, sbuffò. Damon
adorava quando faceva quell’espressione scocciata.
“Sì,
lo so che sono
tremendamente affascinante, sexy e…” si
vantò lui, ma poi fu costretto a
smettere perché gli arrivò una cuscinata dritta
in faccia.
“Smettila
di essere così
egocentrico. Mi dà i nervi” disse Elena, seccata.
Ma dentro, non poteva essere
più d’accordo con lui: era davvero troppo
affascinante e sexy; per
resistergli le serviva tutta la forza di
volontà che possedeva.
“Mi scusi,
Miss Gilbert.
Allora, andiamo?” domandò lui.
Lei, per quanto
avesse
voluto fare la dura, non riuscì a non dire di sì.
Damon l’afferrò per le gambe
e se la caricò sulla schiena. A velocità
sovrumana, si buttarono fuori dalla
finestra. Normalmente Elena avrebbe avuto paura e si sarebbe messa a
urlare, ma
sapeva che Damon non l’avrebbe mai fatta cadere.
La strada era
deserta a
quell’ora del mattino; tutti erano a lavorare o a scuola,
così Damon non si
fece problemi a correre a quella velocità folle sul
marciapiede.
Elena rideva come
una matta:
forse Damon aveva ragione; lei aveva davvero bisogno di uscire. Si
sentiva la
pelle riprendere colore, da pallida e malaticcia la sentiva arrossarsi.
Iniziava a sentirsi meglio, molto meglio. Si sentiva viva.
Dopo qualche minuto,
Damon
si fermò e la fece scendere con delicatezza dalla sua
schiena.
“Dove
siamo?”, domandò Elena
guardandosi attorno, non riconoscendo bene il posto in cui erano
finiti. C’era
un grande prato verde, un po’ più ingiallito in
alcuni punti. Erano circondati
dagli alberi: alcuni erano davvero alti e li sovrastavano
completamente. La
loro imponenza faceva quasi paura. C’erano qualche cespuglio
e qualche panchina
sparse per la radura.
Poco a destra si
trovava un
parco giochi con delle altalene e uno scivolo. Elena ci si
precipitò.
“Uh, un
posto poco a Nord di
Mystic Falls”, rispose Damon, alzando le spalle, mentre
fissava Elena correre
verso lo scivolo.
“Fai sul
serio? Noi in due
minuti abbiamo percorso kilometri?”, chiese Elena, incredula.
“Niente di
che. Una decina
di kilometri…”, confermò Damon.
Elena
guardò il cielo:
quella mattina, appena alzata, era sereno. Il sole splendeva e
l’aria era
calda. Ora invece, era stato coperto da nuvole scure che avrebbero
portato di
certo pioggia, e faceva più freddo, tantoché
Elena si lasciò sfuggire un
lamento.
“Hai
freddo?” chiese Damon,
premuroso come sempre, raggiungendola sullo scivolo e scendendo assieme
a lei
facendo il “trenino”. Elena non capiva
perché con lei si comportava così dolcemente,
la trattava così bene e la aiutava come nessun altro aveva
mai fatto.
Elena scosse la
testa, ma
Damon ovviamente non le credette. Si sfilò la giacca di
pelle nera, a sua compagna
immancabile di avventure, e la mise sopra le spalle della ragazza.
“No,
Damon. Ora avrai freddo
tu…”, tentò Elena.
Damon
alzò gli occhi al
cielo: “Dimentichi che sono un vampiro, cara la mia
Elena”, le ricordò lui. Per
quanto avesse voluto farlo, Elena non riuscì a restituire la
giacca al suo
proprietario. Forse perché aveva davvero troppo freddo, o
forse perché avere
così vicino il profumo di Damon le piaceva troppo da non
poterne fare a meno.
“Vieni
qui”, sussurrò il
vampiro, ed Elena andò a rifugiarsi fra le sue braccia
muscolose. La facevano
sentire protetta, al sicuro.
Damon si diresse
verso una
panchina in mezzo al prato e ci si sedette assieme a Elena, che stava
sulle sue
gambe. Da lontano sarebbero potuti apparire come la coppia perfetta e
innamorata.
Qualche goccia umida
iniziò
a scendere dal cielo. Stava cominciando a piovere.
“Ehi,
dimmi a che pensi”,
sussurrò Damon.
“Se sei un
vampiro dovresti
avere il dono della lettura del pensiero” gli fece notare
Elena.
Damon
scoppiò a ridere:
“Devi smetterla di leggere Twilight. Ti fa male. Io non sono
un vampiro glietterato,
ne sei consapevole?” domandò lui.
Elena
sbuffò: “Sì, lo so. Ma
a me piacciono di più i vampiri che
luccicano…”, lo stuzzicò lei.
Damon aveva uno
sguardo
scherzosamente sconvolto: “Non farai sul serio?! Preferisci
Cullen a me? Elena
credo che ora faremo una visitina
all’ospedale…” la avvisò lui.
Elena
scoppiò a ridere come
una bambina: “Voglio ben vedere come gli spieghi i miei
sintomi…”.
“Oh, non
sarà difficile.
Senti qui: la mia amica Elena preferisce un personaggio inventato a me,
le pare
corretto?”.
Elena non la finiva
più di
ridere: “Per me chiameranno i poliziotti per la presenza di
uno psicopatico
all’ospedale”, disse lei.
“Che ci
provino…”, sussurrò fintamente
minaccioso Damon.
A quel punto nessuno
sapeva
più cosa dire. Elena provò a sbloccare quel
silenzio imbarazzante che si era
creato: “Sei sicuro di non avere freddo?”,
domandò preoccupata, fissando la
maglia a maniche corte che Damon indossava in quel momento.
“Elena,
smettila di
preoccuparti. Ok?”, la rassicurò lui.
Elena
annuì: “Prima mi avevi
chiesto quello che stavo pensando…” disse,
rimanendo vaga.
Lui
abbassò il viso al
livello di quello di lei: “Sì. Hai intenzione di
rispondermi?” chiese, senza
curarsi di nascondere la curiosità.
“Sì,
te lo dirò. Solo se tu
non mi prenderai in giro”, gli fece promettere lei.
“Promesso”,
disse solo
Damon, con quel tono solenne che usava spesso per fare lo spiritoso.
“Ecco…
pensavo alla mia
vita. È ingiusta. Cioè, Stefan è un
cretino e Caroline mi ha ferita. E devo
ringraziarti Damon, per non rendere la mia vita uno schifo totale. Se
non fosse
per te, chissà dove sarei ora…”,
sussurrò Elena.
Damon la
fissò: “Lo faccio
volentieri. Sappi Elena, che se tu avrai bisogno di me, ci
sarò in qualsiasi
momento. Non dimenticarlo mai, ok? Ricordatelo per sempre.
Promettimelo”,
aggiunse poi.
Elena lo
guardò, incantata
da quegli occhi così dannatamente belli:
“Promesso”.
Rimasero in quella
posizione
ancora per qualche minuto, poi la pioggia si fece più
insistente e si
costrinsero ad alzarsi.
“Ho sempre
sognato di trovarmi
sotto alla pioggia e non avere fretta di andare. Come nei film. Mi
piace stare
qui, non andiamocene subito”, Elena pregò Damon.
“Diventerai
un ghiacciolo. E
ti verrà la febbre e mi sentirò in colpa per
giorni. Quindi, no, ce ne
andiamo”, disse risoluto il vampiro.
“Daaai,
per favore. Damon,
daaai. Io ti voglio bene!” lo supplicò lei,
tirando fuori l’arma degli occhi da
cucciolo bastonato. Come poteva Damon resisterle?
“D’accordo”
cedette lui, “ma
faremo a modo mio” aggiunse. Si chinò raccogliendo
una palla di fango e la tirò
addosso a Elena, che non riuscì a schivarla.
Anche la ragazza si
preparò
alla battaglia e iniziò a tirare palle di fango da tutte le
parti, sperano di
centrare Damon. Passarono dieci minuti a giocare così, come
due bambini. E, per
quanto il vampiro si sentisse in colpa per il raffreddore che si
sarebbe preso
Elena, Damon si era divertito come non faceva da tempo. Quando stava
con Elena,
si sentiva umano. E giocare con lei era magico.
“Ok,
chiedo tregua”, gridò
Damon, sconfitto.
“Ma dai!
Damon Salvatore che
si arrende così? Chi l’avrebbe mai
detto?” lo provocò Elena, ricominciando a
correre per il prato. Sentendo che Damon non la stava seguendo, si
voltò e lo
guardò. Il vampiro sembrava piuttosto strano: aveva gli
occhi spalancati, come
se avesse visto chissà che cosa.
“Tutto
ok?”, domandò Elena,
incerta sul da farsi.
Damon non
rispondeva. “Terra
chiama Damon”. Niente, Damon non sembrava avere intenzione di
alzarsi e
risvegliarsi. Elena si sedette accanto a lui, in attesa.
Poi, quando Elena
iniziava
seriamente a preoccuparsi per il vampiro, sentì un gemito e
un sussurro: “La…
mia… giacca…”.
Eh? Elena era
leggermente
confusa. La sua giacca?
Poi si
ricordò che l’aveva
indosso lei ed era completamente marrone e incrostata di fango.
“Ops,
scusami”, mormorò lei,
temendo di morire da un momento all’altro. Damon era disposto
a dare la vita
pur di salvare la sua giacca di pelle. Chissà cosa poteva
farle…
“Elena…
oh mio Dio. Che
faccio ora?” gemette lui.
Elena si sentiva in
colpa
come mai si era sentita: “Che ne dici se ne andiamo a
comprare un’altra?”
propose.
Damon era ancora
scosso:
“Lei era l’unica…”
“Lo
so…”
“Lei era speciale…”
“Lo
so…”
“Non ci
sarà mai un’altra
giacca come lei…”
“Lo s-,
cioè… sì che ce ne
sarà un’altra…”
“No”
“Sì”
“Era fatta
a mano…”
Elena
alzò gli occhi al
cielo: “No, era made in China…”
“Come osi
dire una cosa del
genere?”
“Scusami,
ma c’è scritto
sull’etichetta… senti, andiamo a cercarne una
simile, ok?”
“Ok…
uguale, però”
“Sì,
sì, uguale. Vieni,
alzati. Dai, ok. Andiamo”.
[Fine
Flashback]
Edward
stava ancora saltando
sul castello gonfiabile quando non poté fare a meno di
essere attirato da un
odore, o meglio un profumo, che proveniva da… da poco dietro
di lui. Si voltò
di scatto, pronto a seguire i suoi istinti.
Chissà
dov’era finita
Bonnie… non riusciva a leggere i suoi pensieri,
chissà perché. E Elena? Non
l’aveva vista ad aiutare per il Giorno dei Fondatori. Che lo
odiasse così tanto
per la sua piccola commedia della mattina?
Ma Edward non
riuscì più a
pensare quando vide un bambino che stava sanguinando dal ginocchio. Si
avvicinò
a passo felpato, pronto a cedere alla sua natura. Poi, come un lampo,
si
ricordò che lui non era quel tipo di vampiro: lui era
vegetariano. Notando che
non andava a caccia da ben quattro giorni, cambiò direzione
e svoltò verso il
bosco, lasciando la Festa dei Fondatori.
Mentre afferrava un
piccolo
scoiattolo decisamente poco soddisfacente, vide che non era solo.
C’era qualcun
altro che si stava dedicando alla sua stessa attività. Un
vampiro? Un altro vampiro?
La sua attenzione
venne però
distratta da una piccola puzzola che stava attraversando lo spiazzo di
terreno sotto
al ramo sul quale stava seduto: quella piccola creaturina gli ricordava
in modo
troppo chiaro e marcato la sua Bella. Appena l’avrebbe
rivista si sarebbe
scusato a non finire; le mancava decisamente troppo. Ogni follia che
faceva,
ogni cosa che stava facendo che non apparteneva alla
personalità di Edward
Cullen era causata dalla nostalgia verso la moglie. Non poteva fare a
meno di
lei, e quello che stava accadendo in quei giorni non era che
l’ennesima prova
di questo.
I suoi occhi si
fecero
lucidi ma non scesero lacrime. Poi di nuovo vide quel vampiro, e
ritornò a
concentrarsi.
Scese dal ramo e lo
inseguì.
Poi lui si fermò ed Edward poté finalmente
guardarlo in faccia. Lo aveva già
visto, ma non sapeva dove…
“Ciao”,
lo salutò il vampiro
misterioso.
“Ciao, sei
di qui, tu?”,
chiese Edward.
“Sì.
Io non ti ho mai visto…
da dove vieni?”, domandò a sua volta il vampiro,
pulendosi con la manica la
bocca sporca di sangue.
Dove diavolo
l’aveva già
visto? Edward non riusciva proprio a capirlo, ma si sentiva la risposta
sulla
punta della lingua…
“Da
Forks”, rispose
distrattamente Edward, concentrato al massimo nella sua ricerca mentale.
“Ah,
comunque io sono
Stefan”, si presentò lui. E a quel punto Edward
capì: era l’ex di Elena, lo
aveva visto nei suoi pensieri e forse lei stessa lo aveva accennato
indirettamente nelle loro animate discussioni.
“Piacere.
Io sono Edward”,
rispose lui, stringendo la mano dell’altro vampiro.
Nessie teneva in
mano la
cornetta del telefono, sperando con tutta se stessa che gli zii e i
nonni non
fossero a caccia. Grazie a chissà quale dio, erano a casa.
“Pronto?”,
rispose Alice
Cullen, allegra come sempre.
“Ehi, zia
Alice. Come va?”,
chiese Nessie, con la voce un po’ cupa.
“Sì
tutto ok, grazie Nessie.
Te?”, domandò la zia, che sembrava non essersi
accorta dell’umore della nipote.
“Non va
bene, zia Alice. È
successo un casino… dovete venire qui a La Push, subito.
Oppure vengo io… devo
parlarvi”, annunciò Nessie, seria.
“Oddio, mi
fai preoccupare.
È meglio che venga tu, sai come sono i licantropi,
no?”, le ricordò Alice.
“Sì,
hai ragione. Solamente
qualche secondo e sono lì da voi…”.
Nessie chiuse la chiamata e partì a velocità
sovrumana verso casa Cullen. Appena arrivò, Alice aveva
previsto il suo arrivo
e l’aspettava con la porta aperta e uno sguardo ansioso.
Dietro di lei stavano
tutti gli altri parenti.
“Che
è successo, Nessie?
Dove sono Edward e Bella?”, chiese Carlisle, calmo come
sempre.
Renesmee
scoppiò a piangere,
e prontamente Rosalie e Alice andarono da lei e la sorressero prima che
potesse
cadere a terra. “Io… vi ricordate quel tipo del
ristorante…”, singhiozzò
Nessie.
“Il ladro
dell’ospedale?”,
mugolò Carlisle.
“Quello
sexy?”, domandò
Rosalie.
“Si ce lo
ricordiamo. Che ha
fatto?”, tagliò corto Alice.
“Ecco…
non so perché e non
so come, ma… lui e Edward sono stati… ehm,
scambiati”, balbettò Nessie. Dopo
quell’affermazione si ritrovò sei facce di sei
vampiri pieni di domande.
Così
Nessie raccontò tutto,
dallo scambio alla scomparsa di Jacob.
“Quindi tu
pensi che Jacob
sia sparito e sia andato dove stava prima Damon… ma non sei
certa che è stato
scambiato. Quindi… smaterializzato?”, chiese Esme.
Nessie
annuì. Non riusciva a
parlare. Aveva la nausea.
“Basta con
le chiacchiere.
Che facciamo?”, domandò Emmett. Adorava le sfide e
le missioni di salvataggio.
“Non ne ho
idea…”, rispose
Jasper.
I sei vampiri e la
semivampira passarono le ore successive sul divano a prendere una
decisione. Ma
non erano comunque certi di niente. Non c’erano certezze in
quello che stava
accadendo.
“Ehi,
Damon?”, chiamò una
voce.
Lui non voleva
uscire dal
sogno, gli piaceva troppo. Pensava a Elena, la vedeva. Era come se
fosse
accanto a lui, non voleva andarsene.
“Damon”,
sentì ancora
chiamare. Poi si costrinse ad aprire gli occhi e a ritornare alla
realtà:
Bella, non Elena, stava sopra di lui e lo stava fissando leggermente
preoccupata.
“Che
c’è, Bella?”, domandò
lui, cercando di nascondere senza molto successo il fastidio.
“Siamo
arrivati”, annunciò
lei.
Damon si
guardò attorno,
ancora confuso dal meraviglioso sogno che aveva appena lasciato:
“Arrivati
dove?” chiese.
Bella sorrise:
“A Mystic
Falls. Ti avevo promesso che saremmo arrivati entro la mattina quando
ti
saresti svegliato, quindi eccoci qua”, concluse lei.
Damon
iniziò a ricordare:
“Quindi… qui c’è
Elena?”, chiese lui, improvvisamente entusiasta e trovando
finalmente
un lato positivo nel suo risveglio.
Bella
annuì, anche se dentro
sapeva che non era sicuro, ma non voleva rovinare la mattinata a Damon.
Preferiva illuderlo, dopotutto la probabilità che avrebbero
trovato Elena (e
Edward) era molto più alta di quella che non gli avrebbero
trovati. Bella
Cullen era molto fiduciosa.
“Allora,
non mi dici dove
abita?”, chiese lei, sorridendo.
Damon si
raddrizzò sul
sedile della Ferrari, e cominciò a dare le istruzioni per
arrivare a casa
Gilbert.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Ok,
lo so che volete uccidermi per il mio immenso ritardo.
Ma io mi sono ammalata, carissime. E lo sono tuttora e sto affrontando
il mal
di testa perché vi voglio tantissimo bene!
♥♥
Allora,
non è un granché, lo so. Visto che pure a me
mancano
i Delena, allora ho deciso di mettere un flashback, spero che comunque
vi
piaccia e vi faccia placare l’attesa per il gran finale, che
non so quando
avverrà.
Così
Stefan e Edward si incontrano. Nel prossimo capitolo ci
saranno i dettagli e ci sarà anche una grande delusione per
il nostro vampiro
preferito, come avrete intuito.
Mi
scuso di nuovo per il ritardo e per il fatto che non ho
ancora risposto ad alcune recensioni (9, vi voglio bene, ragazze!), ma
ho la
febbre e non posso stare al computer troppo…
Il
capitolo 5
ha raggiunto quota 11
recensioni: quando l’ho visto ho amato Fantasticgirl
(ti
rispondo appena posso!).
Grazie
per tutti i preferiti, per i
seguiti e per le ricordate e grazie anche a chi legge in silenzio.
Grazie
a Nada950, come vedi non ho
messo le immagini. Non ho più voglia di stare al computer,
sperimenterò la
prossima volta il tuo consiglio. Rispondo anche alla tua recensione
appena
posso.
E…
sì, abbiamo tutte visto The
Descent? Dio quanto ho atteso il 27 Gennaio. Stupendo!
Ora
vado, la mia testa urla.
Bacioni
e fatemi sapere che ne
pensate,
Fra
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Capitolo 8 *** Consigli ***
8.
CONSIGLI
Jenna Sommers e
Alaric Salzman avevano una relazione da
tantissimo tempo ormai. Nonostante tutti i segreti che Alaric che
doveva tenere
al sicuro per il bene di Jenna, loro erano felici. E da tempo lui
pensava di
rendere il tutto più ufficiale di quanto già lo
era. Ma aveva paura: non voleva
che andasse a finire come con Isobel, anche se sapeva perfettamente che
Jenna
non faceva ricerche sui vampiri nel suo tempo libero e aveva molto da
fare e di
cui occuparsi con i suoi due nipoti Elena e Jeremy.
Alaric, che era
insegnante dei due nipoti della fidanzata,
iniziava davvero a considerarli come due specie di figli. Non figli, ma
comunque era affezionato a loro e li voleva bene. E per questo, in quel
momento, a casa Gilbert, Jenna non era l’unica ad essere
preoccupatissima per
Elena e Jeremy.
La ragazza aveva
lasciato un semplice biglietto con su
scritto: “Ciao Jenna… io devo andare. È
importante. Tornerò presto, scusami.
Bacioni. Salutami Alaric e Jeremy”. Non c’era
scritto dove era andata, con chi
era andata, quando sarebbe tornata
con precisione e perché
era andata.
Una cosa l’aveva indirettamente detta, però:
“Salutami Jeremy”. Quindi, Elena
non era al corrente che Jeremy non era più a casa ed era
scappato, e
sicuramente lei non era con lui. Una cosa di tutto quello che stava
succedendo
era sicura, ma rendeva il tutto ancora più preoccupante. Per
di più, Jeremy non
aveva lasciato nessun messaggio, a differenza della sorella. Jenna
stava
letteralmente impazzendo e Alaric non sapeva come consolarla o
tranquillizzarla;
non voleva fare promesse che non era sicuro al cento per cento di
mantenere.
“Dove
può essere finita? Elena saprà badare a se
stessa, ma
Jeremy…”, singhiozzò Jenna. Aveva
accanto a se un rotolo di carta igienica,
come nei film. E ai suoi piedi stava un cumulo di notevoli dimensioni
di
fazzoletti usati. Alaric era lì in mezzo a quella montagna e
abbracciava con
affetto Jenna e tentava di consolarla: “Vedrai che li
troveremo. Aspettiamo
ancora un po’…”. Ma non prometteva
niente.
Jenna aveva esaurito
le parole, non sapeva più cosa dire
senza diventare monotona. E lo stesso Alaric. Erano ammutoliti dagli
eventi.
Elena non aveva voluto saperne di uscire da casa per le ultime due
settimane.
Ora improvvisamente scappava senza avvisare?
Improvvisamente i
due sobbalzarono facendo svolazzare a
qualche centimetro da terra dei fazzoletti, perché sentirono
qualcuno bussare
alla porta. Chi poteva essere? Elena? Jeremy? Se fosse stato Jeremy,
Jenna gli
avrebbe dato una bella lezione e si sarebbe fatta sentire: un
biglietto, un
qualcosa? No, ovviamente no! Adolescenti immaturi!
Jenna corse ad
aprire la porta, entusiasta ed eccitata, ma
rimase delusa: Damon e una… la sua nuova fiamma.
“Jenna.
Elena è qui?”, domandò lui cortese.
Lei lo
guardò con odio: “No, non è qui. Se ne
è andata. Ha
lasciato un biglietto”, lo informò lei.
Damon
sbarrò gli occhi, spaventato: “Che cosa? Dove
è
andata? Posso vederlo?”.
“Non ha
detto dove è andata. Ha detto che sarebbe tornata
presto, ma non so quanto è per lei presto. Non so nemmeno se
è andata da sola
oppure è stata accompagnata da
qualcuno…”, sussurrò Jenna,
ricominciando a
piangere.
“Damon.
Questo è il biglietto che Elena ci ha lasciato”.
Alaric raggiunse il gruppo e gli tese un post-it giallognolo. Damon
riconobbe
all’istante la stretta e piccola calligrafia di Elena.
“Lei chi
è?”, chiese curioso Alaric.
“Oh,
ehm… io sono Bella. Un’amica di Damon”,
si presentò lei
tendendo la mano.
“Piacere,
Alaric Salzman. Amica, dicevi, eh?”, chiese
discretamente il professore.
Bella se avesse
potuto sarebbe arrossita: “Oh, sì, amica.
Amica e basta”, chiarì sorridendo innocentemente.
Poi fece in modo che
l’anulare sinistro passasse disinvoltamente sotto
l’occhio di Alaric, per
fargli capire che era sposata. Lui parve notarlo e cambiò
subito argomento.
“Oh molto
piacere. Sei nuova, non ti ho mai vista qui”,
osservò
educatamente Alaric senza essere invadente.
Bella sorrise
imbarazzata: “No, io in realtà… sono
qui per
una specie di vacanza, mi spiego?”.
Alaric
annuì, comprensivo: “Vecchie
conoscenze”, disse facendo l’occhiolino e dando un
particolare accento alla parola “vecchie”, come se
avesse intuito la vera
natura di Bella.
“A dir la
verità non proprio vecchissime”,
ribatté Bella.
“Infatti”,
intervenne Damon, “Rick dobbiamo parlare.
Urgentemente”, lo informò.
Ci fu
un’occhiata significativa fra i due e incominciarono a
parlare l’uno vicino all’altro, impedendo agli
altri, soprattutto a Jenna, di
sentire una sola sillaba.
“Quindi…
no, tu scherzi, vero?”, domandò incredulo Alaric,
dopo aver sentito tutto il racconto molto sinteticamente.
Damon scosse la
testa: “No. Qui da qualche parte ci deve
essere Edward. L’hai visto?”, chiese Damon,
preoccupato.
“No,
no… c’è un nuovo studente,
però. Uno pignolo e anche
piuttosto bravo in storia che ha fatto impazzire Elena questa
mattina”, ricordò
Alaric pensieroso. Damon non capì più niente
quando sentì parlare di Elena e si
mise a sorridere come un ebete; poi si rese conto che Alaric aveva
parlato di
un qualcuno che l’aveva disturbata. Improvvisamente aveva
voglia di fargli del male,
molto male: nessuno doveva importunare la sua
Elena.
“Chissene
frega se è bravo in storia. Piuttosto… il tipo ha
un nome?”, chiese Damon.
“Anthony…
Anthony Masen, mi pare”, tentò di ricordare
Alaric.
“Scusa?
Anthony? Masen? Oh mio Dio, come era fatto? Capelli,
occhi?”, intervenne Bella, che aveva origliato tutta la
conversazione con il
suo superudito da vampira.
“Sì…
ehm, capelli bronzei, occhi di uno strano giallo oro”,
descrisse
il professore.
“Oh santo.
È Edward. Ha usato il suo secondo nome e il suo
vero cognome per non farsi riconoscere dalle ragazzine! Damon ci siamo:
sicuramente Edward è stato qui, ma…”,
Bella si interruppe non sapendo come
continuare.
“Elena ha
detto che se ne andava per qualche giorno, ma non
ha detto con chi”, rifletté Damon.
“Elena
sapeva chi era Edward? Non è che ha parlato seriamente
con lui e anche lei ha intuito che c’è stato uno
scambio?”, pensò Bella.
“Rick hai
visto occhi-gialli questo pomeriggio?”, domandò
preoccupato Damon.
“Io…
non lo so. Mi sembrava di averlo intravisto alla Festa
dei Fondatori a dare una mano, ma non lo so!”, disse
disperato Rick.
“Qualcuno
vorrebbe spiegarmi che succede?”, intervenne
seccata Jenna.
“Che bella
casa, Jenna giusto? Sono rose quelle?”. Bella
salvò
la situazione colpendo il punto debole di Jenna, essendo la prima a
farle i
complimenti per le rose.
“Sì,
le ho comprate ieri. Le annaffio ogni giorno tre volte
o anche di più”, le spiegò Jenna tutta
orgogliosa, mentre Bella annuiva
interessata.
“Quindi
che si fa?”, domandò Alaric appena le donne se ne
furono andate.
“Facile.
Andiamo alla Festa dei Fondatori per vedere se
Edward è là. Se non c’è,
allora sappiamo chi è il rapitore”, concluse
Damon,
alzando le spalle.
Uscirono dalla
porta: “No, ripensandoci… tu rimani qua, non
voglio umani di mezzo. Niente responsabilità”, lo
ammonì Damon con un sorriso.
“So badare
a me stesso”, ribatté seccato Alaric.
“Non ne
sono così sicuro”, disse Damon ponendo fine alla
conversazione. “Bella, dobbiamo andare”, la
chiamò Damon. Bella arrivò. “Promettimi
che verrai di nuovo qui, Bella!”, strillò Jenna
mentre la vampira si stava
allontanando.
“Certo
Jenna! A presto!”, la salutò Bella, pensando
seriamente di regalarle uno di quei concimi potentissimi. Quella donna
era
davvero simpatica.
“Che si
fa, allora?”, chiese lei, ritornando alla realtà.
“Ma
davvero ascoltavi Jenna e non noi?!”, domandò
Damon
colpito.
“Era
interessante”, si difese la vampira.
Damon
annuì alzando gli occhi al cielo e accese il motore
della Ferrari.
La decisione a casa
Cullen era stata presa. Nessie sarebbe
partita alla ricerca di Bella e Jacob. Non potevano rimanere senza loro
notizie
per così tanto tempo. E ovviamente speravano di trovare
anche Edward o
perlomeno qualche sua notizia: come stava, che stava facendo, se tutto
era ok…
cose così. La famiglia si stava davvero preoccupando per lui.
Ma Nessie non
sarebbe partita da sola: sarebbero venute con
lei zie Rosalie e Alice. I nonni, per quanto sapessero bene che Nessie
era forte,
non si fidavano a mandarla da sola fino a Mystic Falls, in Virginia,
dall’altra
parte degli Stati Uniti.
Rosalie e Alice
avevano preparato le valigie in fretta, e si
stavano dirigendo a La Push dove Nessie stava preparando le sue.
Renesmee,
però, non riusciva a fare i bagagli. Era troppo
preoccupata per la sua famiglia. Tutte le persone più
importanti erano in
pericolo. Lei non poteva assolutamente permettere che Jacob scappasse o
che
ritornasse, o che venisse rapito o chissà che cosa. Doveva
vederlo, toccarlo.
Aveva bisogno di avere la certezza che stesse bene e che non fosse
ferito, che
non fosse capitato chissà dove. Probabilmente era a Mystic
Falls, ma chi poteva
esserne certo? L'unica certezza era che Forks e quella cittadina della
Virginia
erano legate più che mai nel modo più assurdo in
quel momento, e se Nessie e i
Cullen volevano fare un tentativo di salvataggio, allora dovevano
proprio
cominciare da lì.
Rosalie e Alice si
presentarono davanti alla porta della
casa di Nessie con due valigie enormi fra le mani. Dovevano pesare una
tonnellata, ma non sembravano darlo a vedere con la loro forza
vampiresca.
Nessie non aveva avuto tempo per fare una valigia decentemente, era
troppo
agitata a pensare al suo bel marito. Non riusciva a concentrarsi su
altro, e
aveva quindi preso i primi vestiti che le erano capitati fra le mani e
nient'altro di più. Se
avesse
dimenticato qualcosa, lo avrebbe comprato per strada se fosse stato
fondamentale, e sennò ne avrebbe fatto a meno. Jake aveva la
priorità in quel
momento.
"Solo quella
valigetta? Sembra quella di un
bancario!", esclamò Rosalie guardando storta la piccola
valigia di Nessie.
"Non riuscivo a
prepararmene una. Non riesco a
concentrarmi!", si giustificò disperata Nessie.
Rosalie continuava a
guardarla male. "Alice, dille
qualcosa!".
Alice disse
solamente: "Dobbiamo darci una mossa! Non
posso avere visioni e non so che stia succedendo. Jacob mi offusca
tutto!". Alice aveva lo sguardo perso nel vuoto, tipico di quando aveva
delle visioni. Peccato che quando si trattava di Nessie e di Jacob, il
futuro
era imprevedibile e completamente ignoto. Non poteva sapere quello che
sarebbe
successo a loro e alle persone che gli stavano attorno.
Rosalie scosse la
testa demoralizzata: se nemmeno Alice
voleva rimproverare la nipote per la valigia, allora doveva rinunciarci
subito.
"Allora, andiamo?", sbuffò spazientita Rose.
"Sì.
Andiamo subito", rispose Nessie, afferrando
la valigia e chiudendosi dietro la porta di casa. Fece qualche rapido
giro di
chiave e raggiunse le zie alla macchina. Avrebbero usato la BMW di zia
Rosalie.
La Porsche era anche più veloce, ma dove avrebbero messo le
valigie? Non
avevano tempo per noleggiare un rimorchio...
Dopo aver caricato
con molta fatica i bagagli, Rosalie
accarezzò il volante della sua piccolina e accese il motore,
che iniziò a fare
le fusa, pronto a partire. Rosalie pigiò l'acceleratore e la
macchina partì a
tutta velocità.
"Allora...
Alice. Ci sarà un volo per la Virginia?", domandò
Rosalie.
"Io... credo di
sì, però dovremmo arrivare in tempo a
Portland. Ce la facciamo per le 19?", chiese Alice.
Rosalie
guardò l'orologio e annuì: "Naturalmente
arriveremo. Non ho mai fallito una missione del genere!".
Ammiccò e rivelò
una serie di denti perfetti, poi accelerò di scatto ancora
di più, superando
una serie di macchine che le intralciavano la strada.
Alice
iniziò a prenotare il volo in Internet, mentre la
povera Nessie stava sul sedile posteriore a disperarsi e a singhiozzare
silenziosamente. "Ce la faremo?", balbettò lei.
Alice si
voltò dalla sua parte: "Certo che ce la
faremo. Lo troveremo vedrai", la rassicurò dolce la zia.
Nessie
annuì e incominciò a soffiarsi il naso senza
smettere
per tutto il viaggio.
"Siamo arrivati!",
annunciò Rosalie parcheggiando
con un'abile manovra. Scese dall'auto facendo voltare di scatto le
teste degli
uomini, che lei ignorò prontamente.
Anche Nessie scese
insieme alla zia, presero tutte le
valigie e si avviarono verso l'aeroporto di Portland.
Dopo aver fatto il
check-in, Nessie voleva solamente
mangiare. Comprò una brioche alla marmellata che
divorò in pochi minuti,
accompagnandola con una bella tazza di tè. Era cibo
dell'aeroporto, non era poi
così buono, ma soddisfacente comunque per il suo povero
stomaco brontolante.
Rosalie e Alice assistevano alla scena disgustate da quell'odore e
cercavano di
distrarsi con uno stupido giochino sul cellulare.
Improvvisamente,
Nessie venne colpita da forti conati di
vomito. Mettendosi una mano sulla bocca, corse a cercare il bagno. Lo
trovò
facilmente, anche perché la gente le liberò la
strada terrorizzata al pensiero
del vomito sui loro vestiti. Nessie si accovacciò sul water
come aveva fatto
quel pomeriggio. Questa volta non aveva però lo spazzolino a
portata di mano,
ormai aveva consegnato la valigia, così bevette un po' di
disgustosa acqua
calda dal rubinetto. Guardò il suo volto riflesso nello
specchio e, sentendosi
orribilmente male, tornò dalle zie che la scrutavano con
aria a dir poco
preoccupata.
“Tutto
ok?”, domandò ansiosa zia Rosalie.
“Sì…
io è da un po’ di giorni che ho questi conati di
vomito
ma... non è niente di che. Passerà”, le
rassicurò Nessie.
“Cibo
umano…”, borbottò zia Alice. Zia
Rosalie annuì
energicamente: “Non dovresti mangiare quelle
schifezze”, la rimproverò,
annusando l’imballaggio della brioche.
“A me
piacciono le schifezze”,
si difese Nessie.
“Va bene,
fai come vuoi”, concluse Rosalie. Lasciò cadere la
plastica sul tavolo e si diresse verso un negozietto di profumi. Presto
Alice e
Nessie la raggiunsero: Nessie adorava spruzzarsi i profumi dappertutto
e in più
gratuitamente… peccato che poi era una nuvola di gas.
“Dopo non
ti siedi vicino a me”, l’ammonì zia
Alice.
“E nemmeno
vicino a me”, sì unì zia Rosalie.
Nessie le
guardò male e si annusò: “Non puzzo
mica così
tanto”, tentò di convincerle.
Rosalie la
guardò storto: “Ti sei messa almeno cinquanta
profumi e hai davvero il coraggio di dire che non puzzi?”,
esclamò sorpresa.
Nessie in risposta si nascose nel collo alto del suo dolcevita. Rosalie
sorrise, intenerita da quel comportamento così infantile:
“Dai, sopporterò…”,
le disse.
“Grazie
zia Rose! Ti voglio così tanto bene!”,
strillò
Nessie, abbracciandola.
“Non
dovresti cedere così in fretta, Rosalie”,
sbuffò Alice
mentre andava a pagare un profumo Chanel.
“Lo so,
infatti tutto ha un prezzo. Non comprerai proprio
niente, Nessie”, l’avvisò la zia.
Nessie la
guardò con gli occhi spalancati: “No! Come sarebbe
a dire?!”, chiese incredula.
“No! Puzzi
all’aeroporto che è enorme. Pensa a casa quanto
puzzeresti. Non se ne parla. Così la prossima volta non ti
spruzzerai cinquanta
profumi diversi”, concluse soddisfatta.
Nessie era furiosa.
“Bene, ho pagato. Adesso chiameranno il
nostro volo… Infatti”, annunciò Alice
tutta saltellante con una borsetta nuova
di zecca.
“I
passeggeri diretti a Richmond sono pregati di venire
al…”, annunciò una voce nasale.
“Bene si
parte! Alice, Rosalie e Nessie Cullen in una nuova
strabiliante avventura-missione di salvataggio per il
lupacchiotto”, strillò
Alice, attirando l’attenzione di mezzo aeroporto.
“Che stai
facendo, Alice?”, domandò Rosalie.
“Sto solo
dicendo che…”, spiegò Alice, ma Nessie
le prese
per le braccia e le trascinò via dalla profumeria, pronta
per andare a salvare il
suo Jacob o come diceva la sua pazza zia, il lupacchiotto.
I due vampiri si
fissavano nel bosco, senza sapere bene che
cosa dire. Era una situazione alquanto bizzarra, visto che la loro
dieta non
era normale e casualmente due rari vampiri vegetariani si incontravano
a caccia
nel bosco di Mystic Falls.
“Così…
tu, sei…”, iniziò Stefan indicando il
cervo accanto a
loro che sanguinava abbondantemente.
Edward
annuì: “Sono vegetariano. Anche tu?”,
chiese poi.
Stefan
scoppiò a ridere: “Vegetariano? Che?
Ahahahahah!”.
Stefan cadde dal ridere. Non ce la faceva; come poteva quel vampiro
definirsi
“vegetariano”? Ahahahahahahah! Questa era buffa sul
serio. Era da tempo che non
rideva così.
Edward lo guardava
male, non capendo cosa ci fosse di buffo
di due persone che ammazzavano animali del bosco.
“Che
c’è da ridere?”, domandò
seccato Edward.
“Vegetariano?”,
chiese Stefan a scatti per il ridere.
“Oh,
ehm… sì, io e la mia famiglia ci chiamiamo
così”,
sbuffò Edward capendo che cosa faceva tanto ridere.
Stefan iniziava a
trovare il tutto ancora più divertente:
come i Cullen? Quelli là dei libri che legge Elena? No, non
doveva pensare quel
nome. Assolutamente no. Come quelli che legge Caroline, si corresse. Ma
chi era
quell’Edward? Cioè si chiamava anche come il
protagonista della saga. La vita
riservava delle sorprese e delle coincidenze davvero strane, a volte.
“Fai sul
serio? Leggi Twilight? Sei un Cullen? Li trovi così
affascinanti?”, lo schernì Stefan.
Edward lo
guardò storto: “Veramente… io sono
Edward Cullen”,
rivelò Edward.
Stefan ci rimase di
sasso: la vita era proprio stranissima
a volte. Chi diavolo gli
mandava il vampiro per le adolescenti nel bosco?
“Ah
ah… non è divertente. E da quando Edward Cullen
vive a
Mystic Falls?”, domandò ironico Stefan.
“Da quando
qualcuno ha fatto uno scambio fra un certo Damon
e me…”, lo informò altrettanto ironico
Edward.
“Damon?
Sii serio, per favore. Sai come fa di cognome questo
Damon?”, chiese curioso Stefan.
Edward scosse la
testa: “Mi pare… Salvatore, qualcosa
così.
Insomma… non lo so. Perché lo vuoi
sapere?”, aggiunse poi aggrottando le
sopracciglia sospettoso.
“No, non
è possibile. Damon?”. Stefan non poteva
assolutamente crederci. Il suo povero fratello era stato scambiato con
l’eroe
delle adolescenti? Oh, se la doveva passare proprio male.
“Sì.
Il tipo di cui quella Elena è cotta. A proposito: tu
dovresti conoscerla!”, esclamò Edward dandosi una
pacca sulla fronte.
Stefan la conosceva,
e bene. Ma probabilmente si sbagliava:
non poteva essere quella Elena. Elena cotta di Damon? “Come
fai a sapere che la
conosco?”, chiese Stefan agitato.
“Me
l’ha detto lei, ovvio. Come se no? Ho avuto l’onore
di
conoscerla meglio oggi a scuola”, spiegò ironico
Edward.
“Vai a
scuola? Fai sul serio? Comunque… come fai a
conoscerla?”, chiese di nuovo Stefan, iniziando a
spazientirsi davvero. “Te
l’ho detto! Uno scambio. Quel Damon era lì da lei,
poi qualcuno ha fatto uno
scambio e puf. Io ho abbondato la mia cena e sono capitato nel bagno di
Elena in
asciugamano…”, lo informò Edward,
iniziando a rompersi di quell’interrogatorio.
“Tu vuoi dire che Elena era in asciugamano e tu hai preso il
posto di Damon?”,
domandò incredulo Stefan. “Questo vuol
dire… che Elena era in asciugamano
davanti…”, aggiunse Stefan.
“…davanti a Damon, sì. Sveglia la
mattina! Driiiin!”,
Edward finì la frase per lui annuendo con energia e sempre
meno pazienza.
“Oh mio
Dio”, scandì perso Stefan, scioccato da quelle
rivelazioni.
“Non
metterti a fare il fidanzatino geloso perché rischio
davvero di impazzire in modo irrecuperabile”, lo
informò Edward.
“Non sono
geloso. Io non amo Elena, ma l’ho amata e ci tengo
a lei”, si difese Stefan.
“Sì,
ci tieni così tanto che l’hai tradita con Caroline
o
come si chiama. Non ricordo bene i nomi che leggo nel
pensiero…”, disse Edward
sedendosi su un sasso e sporcandosi i pantaloni di sangue.
Stefan sarebbe
arrossito da umano: “No, io… ecco, sono solo
attratto
da lei. Punto”, disse distogliendo lo sguardo. Non aveva
voglia di ammettere che
aveva sbagliato a andare a letto con Caroline, anche se lo sapeva
perfettamente.
“E ora ti
frequenti con lei? Sentimi bene… non potevi prima
rompere con Elena e poi andare a letto con Caroline?”, chiese
seccato Edward.
“Io…
non lo so. Però credo di amare Caroline”,
confessò
Stefan tutto d’un fiato.
“Che cosa?
Solo perché è bella, bionda e sexy?”,
domandò
incredulo Edward. Per lui era inconcepibile l’idea di
tradimento e di essere
attratti da una donna che non fosse la propria fidanzata.
“No. Amo
il suo essere quella che vuole essere. Non ha paura
di nascondere se stessa e dice sempre le cose come stanno. A volte
mente, ma
lei è quella che è, vede i suoi difetti e cerca
di correggerli. Ma poi, quando
si rende conto che non può cambiare quella che è,
ci rinuncia e si accetta. Non
tutte le ragazze sono così”, confessò
Stefan. Da una normale discussione fra
vampiri sconosciuti, quello era diventato una specie di confessione da
peccatore a prete. E Edward, con sua grande sorpresa, iniziava davvero
a
interessarsi a fare il prete per Stefan. Un ragazzo tormentato,
quello.
“Senti…
devi chiarire con Elena”, gli consiglio lui.
Stefan
annuì: “Lo so. Ma Damon mi impedisce di entrare in
casa sua, le sta continuamente addosso e non capisco perché
sinceramente.
Perché è così fissato con lei, non
capisco che cosa…”, Stefan iniziò a
esprimere i suoi dubbi. Non poteva farlo con Caroline perché
lei non voleva
sentire nominare Elena durante le loro conversazioni.
Edward lo
fissò: “Hai mai pensato che Damon è
innamorato di
lei?”, domandò.
Stefan scosse la
testa: “Non credo che Damon sia in grado di
amare, a dir la verità. Tu non lo conosci. È
malvagio. Ama uccidere. Lo
considera normale. E ha ragione, è la nostra
natura ma non prova a reprimerla. E questo lo rende
una…”, Stefan prese un
profondo respiro, “… una delle persone peggiori
che conosca. Anche se è mio
fratello, questo non cambia niente”, aggiunse.
“Come fai
a dire una cosa del genere? È tuo fratello!”,
esclamò Edward. Per lui l’odiarsi fra fratelli era
una cosa inconcepibile.
“Lo so.
Edward”. Per Stefan fu uno sforzo immane pronunciare
quel nome. Non sapeva perché, ma avrebbe preferito non dirlo.
“Senti…
io sono stato una persona orribile in passato. Mi
rifiutavo di imparare a resistere al sangue umano. Da quel che ho
capito, ero
un po’ Damon, con l’eccezione che io uccidevo solo
chi… beh, diciamo che
uccidevo solo chi se lo meritava. Capisci?”,
spiegò Edward.
Stefan
annuì: “Ma tu appunto uccidevi chi se lo meritava.
Damon uccide la prima persona che gli capita sotto tiro. Fa strage di
povere
ragazze che cedono al suo fascino”, disse demoralizzato
Stefan.
“Io penso
che tu dovresti iniziare a capirlo. E non dovresti
sorprenderti così tanto se lui amasse qualcuno”,
disse Edward.
“Ma io non
posso permettere che lui rovini la vita a
Elena!”, spiegò esasperato Stefan.
“Io penso
che invece dovresti dargli una possibilità. Lui
non ti ha ucciso perché hai fatto soffrire Elena, la ragazza
che ama”, ragionò
Edward.
“Non sono
ancora del tutto convinto che lui ami Elena”,
borbottò Stefan.
“Io
sì, per quello che posso capire da questa storia”,
rifletté Edward.
“Tu pensi
dunque che io dovrei concedergli una chance con
Elena per il suo bene e perché io possa stare con
Caroline?”, rifletté Stefan.
“Sì”,
ripeté Edward, paziente.
“Anche a
costo di farla soffrire un’altra volta”
“Sì”
“Non ce la
faccio a fidarmi di lui”, esplose Stefan.
Edward lo
guardò: “Allora fidati di me”.
Stefan non sapeva
che cosa scegliere: fissava gli occhi del
suo interlocutore con fare sospettoso, come se si aspettasse che da un
momento
all’altro iniziasse a schernirlo in tutti i modi possibili.
Ma Edward non lo
fece e così, di malavoglia, si costrinse ad annuire.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao
ragazze!
Dire
che sono di fretta è poco. Sono di frettissima!
Vi
dirò che sono rimasta delusa dalle 6 recensione, dopo
essere riuscita a toccare le 11! Comunque, grazie ragazze. Siete
mitiche e non
finirò mai di ringraziarvi abbastanza!
Come
potete vedere ho messo la mia immagine per la storia,
spero vi piaccia. Ringrazio Nada650 per i suoi preziosi consigli.
So
di non aver risposto alle recensioni, arrivo appena
posso! Scusatemi!
Mi
scuso in particolare con kija_salvatore per non aver
recensito “impossibile”. Arrivo, tesoro!
E
dedico il capitolo a Giuls_Salvatore, perché è
davvero una
ragazza speciale!
Bacioni
a tutte e fate un salto qui
,
Deleniane! È una mia raccolta solo all’inizio di
Delena! Fatemi sapere che ne
pensate, vi prego!
Vi
voglio bene e sognate un bel Damon in doccia… e al posto
di Andie, sperate di esserci voi! Bacioni
Fra
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Capitolo 9 *** Festa dei Fondatori (Parte I) ***
9.
FESTA DEI FONDATORI (PARTE I)
Damon
parcheggiò l’auto con una sgommata che fece
voltare
parecchie teste verso di loro. Bella non parve essere spaventata dalla
pazza
guida del suo amico e appena la vettura si fermò, si
slacciò la cintura di
sicurezza e scese con la sua solita grazia vampiresca dalla macchina.
“Wow…
W i fondatori”, commentò Bella guardandosi
attorno. Si
trovavano nei pressi della scuola superiore di Mystic Falls; la
palestra era un
buon posto per allestire una sala da ballo per i giovani. Carol
Lockwood non si
fidava ad organizzare una discoteca nella villa di famiglia. Delle
lucette e
dei cartelloni decoravano le entrate e gli alberi, che scintillavano
come se
fosse Natale. I tavoli e le panchine erano imbanditi di ogni bibita e
dolcetto
trovabile sulla Terra. Il prato era pieno di studenti che bevevano e
ballavano
a ritmo di musica. Nell’aria si percepiva solamente
divertimento, svago,
nessuna preoccupazione. Le uniche persone che erano prede
dell’ansia erano
Damon Salvatore e la sua nuova amica Bella Cullen.
“Sì…
qui è così. Ogni giorno c’è
una qualche celebrazione.
Da questa parte”, disse Damon senza guardare in faccia
l’amica e analizzando
ogni angolo del cortile.
Damon prese per un
braccio Bella. “Senti… tu manco l’hai
mai
visto Edward. Cioè forse in qualche foto ma… non
pensi che dovrei essere io a
cercarlo?”, domandò la vampira.
Damon si
fermò, ragionando sulle sue parole:
“Sì… beh in
effetti… forse hai ragione”, rifletté
lui.
Bella lo
fissò sorridendo: Damon faceva una strana
espressione quando doveva ammettere che era lui quello dalla parte del
torto.
La vampira si
concentrò al massimo. Sapeva che c’era un modo
per trovarlo che avrebbe sicuramente funzionato: doveva separarsi dal
suo
scudo, in modo che Edward potesse sentire i suoi pensieri.
Così lui l’avrebbe di
certo trovata.
Stefan e Edward
erano seduti su un tronco e avevano smesso
di parlare. Perché non c’era assolutamente niente
da dire: Stefan aveva
accettato di fidarsi di Damon e Edward stava pensando con orgoglio che
aveva
compiuto la sua buona azione quotidiana. Pensava che Nessie e Bella
sarebbero
state fiere di lui, del papà scomparso.
Gli mancava
così tanto, Bella. Gli mancava il suo sorriso, i
suoi occhi che si illuminavano alla vista della loro figlia, gli
mancava tutto
di lei. E non riusciva più a sopportare la distanza dalla
persona che più amava
al mondo. Fra poco sarebbe dovuto andare da Elena per partire. Diede
un’occhiata all’orologio e si rese conto che doveva
andarsene all’istante:
“Ehi, amico. È stato bello conoscerti, devo
andare”. Edward salutò Stefan, che
si alzò per stringergli la mano. “Anche per me.
Grazie, Edward”, aggiunse poi,
sinceramente riconoscente.
Edward
annuì, leggendo nei suoi pensieri la sua autentica e
vera gratitudine nei suoi confronti: “Stefan, aiuto
volentieri le persone. Per
me è stato un piacere”, rispose il vampiro. Si
voltò, pronto a partire ma una
voce lo distrasse. No, non una voce: era un pensiero, che conosceva
benissimo
nonostante lo avesse potuto leggere poche volte: Bella. Era
là, da qualche
parte. Doveva trovarla, assolutamente, all’istante.
“Oh mio
Dio”, sussurrò Edward. In quel momento Elena e il
suo Damon avevano perso tutta l’importanza, perché
a dirla tutta lui avrebbe
accompagnato Elena a Forks solo perché sapeva che
là avrebbe trovato Bella, e
non perché tenesse davvero così tanto a quella
povera ragazza. Ma ora la
domanda era: che ci faceva Bella lì? Non doveva essere a
Forks con Damon?
“Tutto
ok?”, chiese Stefan leggermente preoccupato. Poi vide
Edward scattare verso la festa a velocità massima; senza
nemmeno pensare a
quello che stava facendo, lo inseguì tentando di tenere il
suo passo. Doveva
però ammettere che era davvero velocissimo, nonostante
bevesse sangue animale
come lui.
Arrivarono nei
pressi della festa e rallentarono un po’ la
velocità, giusto per salvare le apparenze. Edward era
sparito. No, guardando
meglio non era sparito: era abbracciato a una ragazza. E, accanto a
loro,
l’ultima persona che si sarebbe mai aspettato di vedere: suo
fratello.
“Che ci
fai qui?”, ringhiò Stefan, avvicinandosi.
Damon
ringhiò a sua volta: “Io che ci faccio qui? Tu
piuttosto! Dovresti vergognarti di uscire di casa! Non hai la biondina
a tua
disposizione oggi?”, domandò Damon ironico e allo
stesso tempo minaccioso.
Stefan era furioso:
“Stai zitto. Ora giochi a Santo Damon?”,
chiese lui.
“Hai fatto
soffrire Elena. Idiota!”, sibilò Damon.
Stefan, per quanto
fosse dispiaciuto di quello che aveva
fatto, non poté fare a meno di rispondere ironicamente:
“ Wow, che novità.
Santo Damon ora la protegge, la aiuta a riprendersi?”, chiese
divertito.
Damon iniziava
davvero a perdere il controllo: “Dov’è
Elena?”, sibilò.
Stefan si
guardò attorno: “Non l’ho vista. La
chiamiamo?
Elenaaaa? No, non risponde. Credo che non sia qui”,
sogghignò Stefan.
Damon iniziava a
credere di averla persa per sempre; al solo
pensiero le lacrime iniziarono ad accumularsi, pronte a scendere. Ma
lui non
doveva assolutamente piangere, lui era Damon Salvatore, non Stefan il
santarellino.
“Piangi?
Fai sul serio?”, chiese incredulo Stefan.
Damon si
voltò e quasi avrebbe voluto vomitare: Bella si
stava baciando appassionatamente con il suo Edward dagli occhi gialli.
E in
quel momento si sentì più solo che mai: ora che
Bella aveva trovato il suo
amore per quale ragione al mondo lei avrebbe dovuto rimanere con lui
nella sua
ricerca? Elena non c’era, e chissà
dov’era. A quel punto le lacrime scesero a
cascate. Perché capitavano tutte a lui? Perché
Bella e Edward si erano
ritrovati, e lui e Elena no?
Bella si
staccò dal suo Edward. Rivederlo, toccarlo
nuovamente, sentire il suo respiro affannoso sul suo viso, le faceva
rendersi
conto di quanto gli era mancato.
“Tu. Devi
assolutamente chiedere scusa”, cominciò Bella
puntandogli un dito contro.
Edward
abbassò il viso, colpevole: “Lo so. Mi dispiace
Bella. Amore, non so cosa mi è preso negli ultimi giorni,
anzi nell’ultimo
mese. Insomma, l’anniversario mi ha fatto andare fuori di
testa e io ho perso
il controllo… perdonami, Bella io ti amo. Lo sai. E da
adesso mi farò piacere
il lupo”, promise il vampiro. Alzò lo sguardo e
incontrò gli occhi di Bella,
che avevano una strana luce, tipica di quando lui diceva qualcosa di
sbagliato.
Ripensò a quello che aveva detto: “Uh, mi
farò piacere Jacob”,
si corresse lui con un enorme sforzo fisico.
“Bene.
Ricorda che hai promesso”, gli ricordò Bella. Poi
la
vampira sentì un rumore di lacrime e si voltò:
Damon piangeva.
Si staccò
immediatamente da suo marito e corse dal suo amico
e lo abbracciò, suscitando la gelosia di Edward:
“Chi è lui?”, domandò lui,
acido.
“Un amico.
Damon”, rispose lei, mentre lo stringeva forte a
se.
Edward
improvvisamente capì: era il fratello di Stefan,
quello di cui Elena era innamorata. E Damon? Era innamorato? Edward lo
capì
presto.
“Elena…
non c’è. Perché non
c’è?”, singhiozzava Damon.
“La
troveremo, Damon non piangere. Edward tu hai mai parlato
con Elena?”, chiese Bella senza smettere di abbracciare il
vampiro. Intanto
Stefan assisteva alla scena un po’ scioccato dal
comportamento del fratello e
un po’ disgustato dal quadretto che si era formato.
Edward
pensò a tutto quello che aveva scoperto in quella
giornata: “Allora… ho parlato con Elena e le avevo
detto che stasera partivamo
per Forks, per andare da voi due. Ma poi… non so”,
disse Edward preoccupato e
agitato. Un amico di Bella soffriva? Lo avrebbe aiutato anche lui. Per
lui
funzionava così.
“Bonnie”,
sussurrò poi. “Bonnie era strana oggi. E ha
detto…
che Jacob era stato qui”, aggiunse.
Damon, fra le
lacrime riuscì a imprecare contro la strega:
“Quella… che ha detto? Jacob il lupo? Ah
sì lui, quello che abbiamo visto con
Nessie!”, ricordò Damon.
“Sì!”,
mormorò Bella. “Dev’essere arrivato non
da
tantissimo. Questa mattina o questo pomeriggio, noi ieri
l’abbiamo visto…
quindi lui si è materializzato a Mystic Falls”,
ragionò Bella.
“E Bonnie
ha detto che se n’è pure andato via. Ma per quale
ragione? Per Nessie, probabilmente. Ma lui sapeva che qua
c’ero io…”, disse
Edward.
“Sì
lo sapeva. Ma non è che siete migliori amici, voi
due”,
gli fece notare Bella.
“Ok. Ma
quello che sta accadendo è la cosa più strana che
può succedere. Insomma, io avrei voluto sapere che ne
pensasse un'altra persona
coinvolta”, esclamò Edward.
“Ok, su
questo hai ragione. Non è che… è
andato via con
Elena?”, suggerì Bella.
Damon
alzò gli occhi verso di loro. “Quel verme? Con
Elena?
Oh mio Dio. Siete sicuri?”, chiese Damon., sinceramente
preoccupato.
Bella scosse la
testa: “Qui niente è sicuro, Damon. Ma
è
probabile. Elena non è a casa sua”. Bella
informò Edward, che la guardò
incredulo.
“Aveva
detto che partivamo assieme!”, esclamò lui. Poi
pensò
a quanto fosse innamorata di Damon e quanto voleva avere la certezza
che lui
stesse bene. E, trovando una persona che doveva andare a Forks, ne
aveva
sicuramente approfittato. “Sì, sono quasi certo
che sia andata così”, disse
risoluto Edward. Se pensava a quanto quei due si amavano ma non
volevano
dichiararsi, gli veniva da ridere.
“Dobbiamo
capire un’altra cosa: Jeremy”, disse Bella.
“Chi,
scusa amore?”, domandò Edward.
“Jeremy.
Il fratello di Elena. È sparito anche lui. Il punto
è che non è con lei…”,
spiegò lei.
Damon li interruppe:
“Scusa… tu, avevi detto che hai parlato
con Bonnie”, rifletté il vampiro. Edward
annuì: “Questo non cambia niente. Che
vuoi che c’entri Bonnie in questa storia?”.
“Quella
piccola streghetta… nasconde qualcosa. Ne sono
certo”, dichiarò Damon, riflettendo.
“Ok…
Edward, prima quando hai parlato con questa Bonnie… lei
dopo se n’è andata o cosa ha fatto?”,
indagò la vampira.
Edward la
fissò, tentando di ricordare i dettagli, anche
quelli più insignificanti: “Lei… si
effettivamente aveva qualcosa da
nascondere. Diceva che lei e Elena non erano più amiche
perché lei era stata
una stupida, aveva fatto qualcosa che non doveva fare. Io a quel punto
le ho
chiesto che cosa aveva fatto, ma non me l’ha voluto dire. E
poi, la situazione
si è fatta imbarazzante e complicata, quindi… se
n’è andata”, concluse Edward,
non sapendo cos’altro poteva aggiungere.
“Dove?”,
chiese Damon, ragionando.
“Credo che
te l’avrei detto se lo sapessi”, ringhiò
Edward.
Quel vampiro gli stava sulle scatole. Aveva viaggiato attraverso gli
Stati
Uniti con sua moglie e non sapeva con certezza che cosa avevano fatto
durante
il viaggio. Per ora si fidava di Bella, ma poi le avrebbe fatto un
bell’interrogatorio.
“Scusami
tanto, sai?”, ringhiò a sua volta Damon.
“Smettetela.
Bonnie… non è che Jeremy era qui a dare una
mano?”, ragionò Bella, guardando suo marito.
“Non so
nemmeno come è fatto questo Jeremy”,
sbottò seccato
da tutte quelle domande.
“Genio
leggi il pensiero di uno di loro”, esclamò Bella,
indicando Stefan e Damon. Edward si concentrò, dandosi dello
stupido per non
averci pensato prima. Visualizzò la mente di Damon e vide il
volto di un
giovane adolescente, dai capelli castani e occhi castani. Era piuttosto
alto e
magro. Non assomigliava poi così tanto a Elena, ma doveva
essere lui. Damon non
aveva di certo voglia di scherzare in quel momento; l’unica
cosa che voleva era
Elena e avrebbe fatto di tutto per lei; di certo non si sarebbe mai
messo a
rallentare tutta la ricerca.
“Non ne
sono certo, ma mi pare di averlo visto sulle scale,
prima”, disse Edward, incerto.
“Oh ma
perché facciamo tutte queste storie?”,
esclamò Damon,
lasciando il gruppo e avvicinandosi a una ragazza che passava di
lì. La afferrò
per un braccio e la fissò negli occhi: “Tu. Questo
pomeriggio hai visto Jeremy
Gilbert ad aiutare per i preparativi?”, domandò
Damon.
Lei rispose di
sì. “E poi l’hai visto andare
via?”, continuò
il vampiro.
Lei annuì
di nuovo. “Con chi?”, sussurrò
minaccioso Damon.
“Bonnie
Bennett”, mormorò la ragazza. Damon la
lasciò andare
con uno strattone. Lei, spaventata, si allontanò
velocemente.
“Bene. La
streghetta se n’è andata con Jeremy
Gilbert… la
domanda ora è dove”,
disse Damon,
ritornando nel gruppo.
“Ma come
hai fatto?”, esclamò Edward, allibito.
“Ho usato
quello che ti manca”, spiegò Damon.
Edward lo
fissò: “Se intendi il cervello, sappi
che…”,
iniziò ma venne interrotto.
“A dir la
verità… intendevo il fascino”,
lo informò Damon, con un sorrisetto.
Edward
ringhiò. “Basta, smettetela!”,
ordinò Bella.
“Sì,
Damon smettila. Hai rotto con il tuo comportamento
ossessionato verso Elena”, disse seccato Stefan, che
ricevette un’occhiata
fulminante. “Sono più forte di te, fratellino, lo
sai questo?”, lo minacciò
Damon.
“Uh che
paura… comunque io ho Caroline. Almeno con lei ci si
diverte un po’ di più quindi… addio,
buona ricerca”, li salutò Stefan,
lasciandoli soli.
“Brutto
idiota figlio di…”, cominciò Damon
fissando il punto
in cui suo fratello era sparito con ferocia.
“Ora
smettila. Damon, che facciamo?”, chiese Bella.
Poco lontano dalla
scuola, tre ragazze parcheggiarono
davanti all’unica casa con le luci accese. Si avvicinarono e
bussarono,
attendendo sulla veranda. Poco dopo, una giovane donna e un uomo
vennero ad
aprire: “Salve… cercavate qualcuno?”,
domandò Alaric Salzman.
Le tre ragazze si
guardarono… “Ehm… a dir la
verità, sì.
Stiamo cercando Damon Salvatore”, disse incerta la ragazza
più giovane, con i
capelli bronzei.
“Oh, Damon
sì… ehm, probabilmente non è a casa.
Dovete
andare verso la scuola. Non è lontana e si vede anche da
qui: è là dove ci sono
tutte quelle luci. C’è una festa. Lo troverete
quasi sicuramente lì e in caso…
beh, tutti sanno dov’è il pensionato dei
Salvatore. Chiedete alla prima persona
che incontrate”, spiegò Alaric con un sorriso.
“Ok,
grazie mille”, lo ringraziarono le tre ragazze.
“Di
niente. Siete nuove di qui? Da dove venite”,
domandò
senza invadere troppo Alaric.
“Veniamo
da Forks. Non abbiamo intenzione di fermarci per
molto comunque”, disse la bionda. Sorrisero e salutarono
un’ultima volta, poi
se ne andarono. Rosalie, Alice e Nessie Cullen erano dirette alla Festa
dei
Fondatori, dove avrebbero finalmente trovato delle risposte.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Questo
capitolo è un po’ più corto degli
altri, altrimenti
veniva davvero troppo lungo…
Sono
davvero delusa, ragazze! Ho capito che vi mancano i
Delena, che voi volete solamente loro e cose così. Sappiate
che anch’io
concordo con voi! Però fatemi sapere che ne pensate! Da 11
meravigliose
recensioni sono arrivata a 5 per un capitolo. Non sono poche, non
fraintendetemi! Ma mi demoralizza, capite… sento che sto
sbagliando qualcosa.
Pazientate per favore. I Delena sono il gran finale. Ho progettato
tutto e la
storia non finirà assolutamente con loro due ce si
ritrovano, ci saranno altri
capitoli molto Delena per riprenderci dall’astinenza che ci
ha accompagnate
durante tutta la storia! Fatemi sapere, vi prego…
Ringrazio
tutte coloro che hanno recensito, in particolare
Giuls_Salvatore, GlobulesROUGE, kija_salvatore, kiss88, Laura the
vampire
slayer che non mancano mai. Grazie di cuore!
E
grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra
le preferite, tra le seguite, tra le ricordate e ovviamente anche a chi
legge
in silenzio. I vostri pareri sono sempre graditi, fatemi sapere!
E
per chi passa S.Valentino a casa sua a studiare e a
scrivere in uno stato depressivo, leggete le mie prime OneShot Delena: qui
avete
le risate assicurate! Lasciatemi anche lì un bel commentino,
se vi va
ovviamente. Critiche ben accettate!
Ok
ho detto tutto, grazie mille come sempre
xoxo Fra
|
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Capitolo 10 *** Festa dei Fondatori (Parte II) ***
10.
FESTA DEI FONDATORI (PARTE II)
Nessie, Rosalie e
Alice Cullen arrivarono al Liceo di Mystic
Falls. Il cortile e quella che doveva essere la palestra erano gremiti
di gente.
Si scambiarono un’occhiata piena d’intesa e
iniziarono a scrutare la folla, in
cerca di chi stavano cercando.
Nessie si guardava
attorno, preoccupata mentre cercava il
suo unico amore. Allo stesso tempo, però, voleva rivedere la
sua mamma e il suo
papà. Perché le mancavano
e voleva
vederli trovare un accordo. Solo quando quello
sarebbe successo, lei sarebbe stata completamente
felice.
“Non li
vedo!”, esclamò Alice seccata.
“In che
senso non li vedi? Nelle visioni oppure…?”,
domandò
Rosalie allungando il collo ancora di più, in cerca di un
paio di occhi gialli.
“In
entrambi i sensi! Ed è così frustrante!”,
disse Alice sbuffando di rabbia.
“Smettetela”,
ordinò Nessie. “Sto cercando di
sentire”,
aggiunse sussurrando e chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio.
Sentiva
delle voci indistinte, soffuse. Provenivano da…
“Là!
Là c’è qualcuno!”, le
informò la ragazza. Loro
fissarono il punto indicato da Nessie e si diressero in
quell’angolo del
cortile senza esagerare troppo con la velocità.
“Bella…
Io provo ad andare a casa di Elena. Magari… non so.
I lupi puzzano, vero?”, chiese Damon a Edward.
Il vampiro
annuì: “E tanto. Fidati, se tu passi dove
è
passato un licantropo, te ne accorgi”, gli garantì
lui con una smorfia.
Dovevano puzzare proprio tanto…
Damon
pensò a come si poteva fare: “Ok. Io vado
là e spero
di trovare qualcosa. Se tu dici che me
accorgerò…”, disse Damon.
“Assolutamente.
Non puoi sbagliarti”, disse Edward. Poi si voltò
verso Bella: “Bella… noi dobbiamo
parlare”, le sussurrò. Lei annuì,
capendo che
il bisogno di parlare era forte in lui quanto era forte in lei.
“Aspettami
solo un attimo”, mormorò Bella.
La vampira raggiunse
Damon che si era già incamminato vero
casa Gilbert per lasciarli soli: “Ehi! Ti aiuterò,
lo sai? Te l’ho promesso”,
gli ricordò lei, continuando a camminare.
Lui la
fissò intensamente e poi sbottò, sempre senza
smettere di camminare: “Perché lo fai Bella?
Perché? Dimmi solo perché fai
tutto questo quando hai ritrovato il tuo Edward. Torni a Forks e sono
certo che
troverai tutti gli altri. Ormai non ti servo più niente. Perché
sei ancora qui?”.
Lei lo
guardò, non capendo come Damon potesse essere
così
insicuro e testardo: “Damon: non ti ho mai usato. Avevamo la
stessa meta e…
siamo andati assieme. Ma ti ricordi? Ho fatto una promessa:
ti avrei aiutato. Sempre. E la sto semplicemente
mantenendo. Io non me ne vado da nessuna parte. Ora vai a casa di Elena
a
fiutare l’aria e a vedere se c’è puzza
di licantropo; io devo parlare con
Edward. Hai capito?”, domandò poi Bella,
afferrandolo dolcemente per un
braccio. Poi l’abbracciò, sentendo che era la cosa
giusta da fare.
Lui
annuì, la guardò un attimo, si staccò
da lei e poi
riprese a camminare. Lei rimase a fissarlo e prima che potesse tornare
indietro
Damon si voltò: “Grazie”,
sussurrò.
Bella rispose:
“Prego”. Si sorrisero.
“Ancora un
po’ più in qua! Ecco… o mio
Dio!”, gridò Rosalie
mettendosi subito una mano sulla bocca per attutire l’urlo
agghiacciante. Le
altre due la fissarono non capendo che cosa avesse. Rosalie
indicò un punto di
fronte a loro: Bella e… quel Damon. Abbracciati.
“Lo
sapevo”, ringhiò Nessie, ricominciando a camminare
in
direzione della madre.
“No!
Magari non è come sembra”, cercò di
fermarla Alice.
“No? E
allora com’è? Ho sopportato abbastanza fino a
adesso.
Ora non ne voglio più sentir parlare. Ammazziamo quel Damon.
Ci sta rovinando
la vita”, continuò Nessie, sfiorando i confini
dell’isteria.
“Senti…
Nessie, forse stai un po’ esagerando. Che ne sai?
Magari sono solo amici…”, provò
Rosalie, ma senza successo. Nessie quando
voleva era davvero molto testarda.
“Non
trovare scuse. È la terza volta che li becco assieme.
Sono proprio curiosa di quello che dirà questa volta mamma.
Un’altra bugia:
siamo solo amici, lo devo aiutare, ha perso quella, ha perso
questa…”,
cantilenò Nessie, imitando malamente la voce della madre.
Ormai mancavano
pochi metri a Bella; l’altro vampiro se
n’era andato chissà dove. Nessie sperava per lui
che se ne fosse andato
lontano, perché altrimenti non sarebbe servito tanto tempo
per raggiungerlo e
farlo fuori una volta per tutte.
“Mamma!”,
gridò Nessie.
Bella si
voltò, sorpresa e felicissima di sentire la voce
che più le era mancata in quei giorni.
“Tesoro!”, esclamò, andandole incontro
con le braccia allungate pronte a prendere la
“piccola”.
Nessie
schivò le braccia della madre. Non voleva che la
toccasse. Perlomeno doveva lavarsi le mani, visto che poco prima aveva
abbracciato quel vampiro schifoso.
“Non mi
abbracciare, non mi toccare. Non fare niente”,
ordinò Nessie mettendosi proprio di fronte a lei. Ora le due
erano faccia a
faccia: Bella era dir poco stupita dal comportamento della figlia,
mentre
Nessie aveva uno sguardo minaccioso stampato sul viso.
“Non
esagerare, Nessie. Tesoro…”, la avvisò
dolcemente zia
Alice, vedendo che Bella non riusciva a spiccicare una parola.
Di tutta risposta
Renesmee si voltò verso le zie e ringhiò;
era davvero molto arrabbiata.
“Non
ditemi cosa devo fare e cosa non devo fare”, disse con
un tono cattivo, poi ritornò a dedicarsi alla sua mamma
vampira.
“Tu. Ora
sono stufa delle bugie, mamma. Se c’è qualcosa fra
te e Damon, devi dirmelo!”, dichiarò Nessie,
tentando di mantenere la calma.
Bella, vedendo che
Nessie era tornata più o meno normale,
prese un profondo respiro e parlò: “Non
c’è niente. Proprio niente… siamo solo
amici”, rispose lei, cercando di far emergere la sua
sincerità da ogni punto
della sua pelle.
Nessie la
guardò diffidente: “E allora mi spieghi come mai
ogni volta che ti vedo ti trovo sempre abbracciata a lui?, chiese
Nessie
iniziando a sentire le lacrime nei suoi occhi.
Bella la
fissò, in cerca della risposta giusta: “Senti,
amore… c’è stato uno scambio. Non so
come è potuto succedere ma è successo,
ok?”, cominciò la vampira sedendosi sul prato e
invitando la figlia a fare lo
stesso.
Nessie
annuì: fin lì c’era arrivata anche lei.
Si sedette di
fronte alla mamma.
Bella prese un
profondo respiro: “Quello che hai visto alla
cena… non so come spiegare il mio comportamento. Ero furiosa
con Edward e tu
sai benissimo il perché ma voglio che tu sappia una cosa:
non sei tu la causa
dei nostri litigi. È lui, papà. Lui non ci ha mai
provato sul serio a farsi
piacere Jacob, ma in fondo sa che tu lo ami e lui ti ama. Ma non riesce
a
farselo piacere e io mi sono arrabbiata con lui per questo. Ok? Tu non
c’entri
niente. e già che siamo in argomento, io non intendevo
davvero divorziare”,
precisò Bella.
Nessie
alzò lo sguardo verso la mamma: “Davvero
voi… io…
pensavo che tu…”, singhiozzò lei; le
lacrime avevano ceduto.
“No,
tesoro. Te l’ho detto: non so come mai mi sono
comportata così e mi dispiace che tu abbia dovuto assistere.
Ti prometto che
non accadrà mai più”, promise Bella.
“Ok…
quindi… beh mamma, tu credi che con tutto quello che
sta succedendo papà si farà piacere
Jake?”, chiese Nessie, con il tono di una
bambina indifesa che non sa come cominciare a fare qualcosa ed
è terribilmente
spaventata per questo.
Bella
annuì e prese la mano della figlia:
“Sì. Io sono certa
di sì”, disse.
“Ok…
puoi andare avanti?”, domandò timidamente Nessie.
Quella ragazza furiosa di prima era sparita alla stessa
velocità di come era
comparsa.
“Sì,
certo. Dopo questo scambio io e Damon siamo andati a
bere un caffè… beh lui l’ha bevuto. E
mi ha raccontato tutto quello che era
successo a lui: stava per dire alla ragazza che amava che lui era
innamorato di
lei da troppo tempo, ma poi è avvenuto lo scambio e non ha
potuto dirglielo.
Ora Damon è tormentato dai sensi di colpa per non averglielo
detto prima. E
soffre. Soffre Nessie. Tu hai avuto la fortuna unica di non soffrire
per amore
e ti assicuro che sei davvero molto fortunata”,
dichiarò Bella.
Nessie iniziava a
capire: “Quindi lui ti ha raccontato
tutto. Stava davvero male?”, domandò la ragazza.
Bella
annuì: “Sì. E gli ho promesso che
avremo fatto di
tutto per trovare Elena. Sia lui che io dovevamo andare a Forks dove
sospettavamo che ci fossero Elena e Edward. Infatti… ma
Elena non c’è. Pensiamo
che sia andata via con…”, Bella prese un profondo
respiro e poi aggiunse:
“Jacob”.
Nessie
spalancò gli occhi: “Jacob? Come…
allora è finito
qui! Io, zia Alice e zia Rosalie siamo venute qui per vedere se tu eri
qui e
speravamo di trovare anche Jake”, esclamò Nessie
voltandosi per guardare le
zie, che apparivano molto stupite. Com’era possibile tutto
questo?
“Vuoi dire
che Jacob si è… smaterializzato da Forks?
È
davvero andata così?”, domandò
incredula Bella.
Nessie
annuì vigorosamente: “Sì. Volevamo
guardare un film e
lui è sparito. Nel nulla”, confermò la
ragazza. Poi rifletté un attimo: “Hai
detto che Jake è partito con Elena…”,
disse.
Bella
annuì: “Sospettiamo che sia andata
così. Ma non lo
sappiamo. Edward aveva detto a Elena che sarebbero partiti questa sera,
ma
Elena è sparita. E ora sappiamo per certo che Jacob
è stato davvero qui…
dobbiamo solo avere la conferma che è passato a casa di
Elena. E a quel punto
sapremo dove sono Jacob e Elena”, rifletté Bella.
Nessie e le zie
Cullen si sforzavano di capirla:
“Cioè?”,
chiesero in coro.
Bella le
guardò: “Pensate. Se Elena si è
ritrovata Edward
Cullen a casa sua proprio nel momento in cui prima c’era
Damon Salvatore, deve
aver fatto uno più uno. Ha capito che Damon si era
materializzato a Forks, dove
prima si trovava Edward. Poi ha deciso di partire con Edward il giorno
dopo per
raggiungere Damon, ma si è presentato Jacob Black che doveva
andare a Forks
anche lui. Elena ne ha sicuramente approfittato per arrivare prima a
Forks. Mi
seguite?”, chiese poi Bella.
Loro ripassarono
tutto quello che aveva detto da Bella e poi
annuirono: “Quindi tu vuoi dire… che Jacob
è partito con Elena per Forks?”,
chiesero poi.
Bella
annuì: “Sì ne sono quasi certa. Ma non
è finita qui:
anche Jeremy e Bonnie sono spariti”, le informò
con tono tragico. Loro si
scambiarono occhiate interrogative: “Chi
sarebbero?”, domandarono.
Bella si
ricordò che loro effettivamente non potevano sapere
chi fossero Jeremy e Bonnie: “Jeremy è il fratello
di Elena. Bonnie è la
migliore amica di Elena. Sono partiti… e crediamo che siano
partiti assieme”,
annunciò Bella.
Rosalie sorrise:
“Mi sembra ovvio: Elena avrà detto loro che
era diretta a Forks. E loro stanno cercando di fermarla”,
disse battendosi due
dita sulle tempie come per dire “io sì che sono
intelligente”.
Bella scosse la
testa: “Primo. Non è detto che siano diretti
a Forks. Secondo. Elena era arrabbiata con Bonnie e con Jeremy non
parla più
molto spesso, si sono parecchio allontanati da quanto mi è
stato detto. Terzo.
Bonnie e Jeremy, invece, si sono molto avvicinati nell’ultimo
periodo. Potrebbe
benissimo essere una specie di “fuga
d’amore””, spiegò Bella.
Rosalie
sbuffò, delusa.
“Tu non
dici niente, Nessie?”, domandò con dolcezza Bella.
Nessie aveva lo
sguardo perso nel vuoto e sembrava voler
dire qualcosa, ma non lo diceva per qualche strana ragione:
“Hai detto che
Elena ha incontrato Edward”, disse solamente, piano.
Bella
annuì e poi capì: “Vuoi vedere
papà, vero?”, disse
contenta.
Nessie
annuì, sorridendo. Era un po’ incerta
perché non
sapeva come avrebbe dovuto comportarsi con lui: pochi giorni di
lontananza e il
loro rapporto poteva cambiare a tal punto da non capire più
molto.
“Vieni,
è di là”, disse Bella sorridendo,
ricordandosi che
anche lei avrebbe dovuto parlare con Edward per risolvere alcune
questioni.
Nessie si
alzò e si lasciò guidare dalla mamma, entusiasta
e
felice di poter finalmente chiarire con suo padre.
Edward era rimasto
lì da solo ed era da un po’ che
aspettava. Si era messo a girovagare per il cortile, non sapendo bene
che cosa
fare. Aveva messo tutto l’impegno possibile per
“spegnere” il sistema della
lettura dei pensieri. Non voleva leggere quelli di Damon, quelli di
tutti gli
abitanti di quella cittadina misteriosa. Voleva semplicemente esiliarsi
dal
mondo per qualche minuto, per poter star da solo con i suoi
pensieri.
In quel momento
voleva due cose: la prima era chiarire con
la sua Bella. Non poteva credere che dopo tutti quegli anni di
matrimonio,
d’amore e di felicità fossero riusciti a litigare
in quel modo. Era davvero tragicamente
incredibile.
La seconda, ma non
meno importante, era rivedere Nessie. Con
lei aveva da chiarire ancora di più di quanto doveva
chiarire con Bella. In un
certo senso, avrebbe voluto alzarsi da quel dannato prato, lasciare la
festa e
correre in direzione di Forks, per riabbracciare la sua piccola.
Sentii qualcuno
avvicinarsi a lui e sedersi accanto a lui.
Aprì gli occhi e si voltò: Stefan Salvatore.
“Che ci
fai tu qui?”, domandò Edward, seccato.
Stefan
sospirò: “Senti… sono uno stronzo. Sono
peggio di mio
fratello fino a qualche mese fa. Mi sento peggiore di quello che ero
all’inizio
della mia non-vita”, dichiarò.
Edward
sbuffò: “E tu pensi sul serio che mi possa
interessare?”, sbottò il vampiro.
“No. Non
t’interessa. Ma io te lo voglio dire lo stesso. Ho
fatto cose terribili quando ero stato appena trasformato. E Damon
invece era…
buono”, raccontò Stefan.
Edward non aveva
molta voglia di sentire l’autobiografia di
un vampiro tormentato, ma se proprio non c’era niente da fare
l’avrebbe
ascoltato.
“Poi sono
riuscito a trovare la mia strada. Ho smesso di
uccidere”, confessò Stefan. In quel momento Edward
si ritrovò in quel vampiro:
anche lui all’inizio non voleva essere qualcosa che non
apparteneva alla sua
natura, ma poi aveva imparato a combatterla.
“E Damon
invece è diventato… non so. Uccideva cameriere,
le
seduceva per poi mangiarsele a colazione. Era un vampiro
a tutti gli effetti”, disse Stefan immerso nei ricordi.
“Io ero il
fratello buono. Lui quello cattivo. Ma da quando
è arrivata Elena… prima mi hai dato da pensare;
hai detto di dare a Damon una
chance. Ho riflettuto e ho deciso che lo farò,
perché mi sono reso conto che
mio fratello è una persona migliore da quando vede Elena. Ha
smesso di uccidere
perché… è come se volesse essere un uomo migliore”,
spiegò Stefan, faticando a trovare i termini giusti per
esprimere correttamente
quello che voleva dire.
“Mentre io
sono uno stronzo”, aggiunse poi. “Ho fatto
soffrire Elena. Però sono anche felice; perché
adesso so che Elena ha capito
che ama Damon e mio fratello è meglio per lei. Io nel mio
cuore ho ancora
Katherine e sinceramente adesso c’è anche
Caroline. Lei può sembrare davvero
superficiale, ma sta cambiando. Ora che è vampira sta cambiando”, disse Stefan.
“Perché
mi dici tutto questo?”, domandò infine Edward.
Stefan prese un
profondo respiro: “Perché… senti. Sono
uno
stronzo e…”.
“Questo
l’hai già detto”, lo interruppe
borbottando Edward.
“Sì,
lo so. Ma io penso che tu… abbia bisogno di vedere
qualcuno. Solo che… sei come bloccato”,
spiegò Stefan fissandolo.
Edward si
voltò verso di lui e annuì: “Hai
ragione. È vero”,
confermò lui.
“Devi
andare da chi vuoi vedere. Affronta le tue paure”, lo
incitò Stefan.
Edward si mise le
mani nei capelli: “Non so… ho paura che
Nessie non mi vorrà più vedere e… non
voglio affrontarla ora”, confessò il
vampiro.
“Lo so. Ma
per Forks ci si vuole qualche ora o no? Mentre
correrai avrai il tempo per pensarci. Te lo dico perché ti
sono davvero grato
che tu mi abbia fatto riflettere su mio fratello e su Elena”,
disse Stefan.
Edward
annuì: “Tranquillo. Sai? Penso che
seguirò il tuo
consiglio. Non posso continuare a scappare e a rimandare.
Però fammi il favore
di dire a Bella che sono andato a Forks e che potremo parlare appena ci
ritroveremo?”, chiese Edward.
Stefan gli diede una
pacca sulla schiena: “Tranquillo,
amico. Lo farò”, lo rassicurò.
“Grazie”,
disse Edward, sinceramente riconoscente.
“Di
niente”, rispose Stefan.
Poi Edward se ne
andò di corsa, verso Forks. Là avrebbe
parlato e chiarito con Nessie. Finalmente.
“Edward?”,
chiamò Bella.
Nessie si guardava
attorno preoccupata: dov’era papà?
“Edward?”,
riprovò Bella.
Zia Alice e zia
Rosalie avevano teso le orecchie al massimo
per poter sentire il loro fratello che magari stava parlando con
qualcuno. Ma
niente.
“Sono
sicura di averlo lasciato qui!”, esclamò stupita
Bella. Si erano appena ritrovati e poi spariva? Allora era davvero duro
di
comprendonio.
“Dove
può essere finito?”, chiese Nessie, preoccupata
sul
serio.
“Bella!”,
si sentì gridare. Per un piccolo, meraviglioso
attimo le donne Cullen si illusero che fosse Edward a chiamare. Poi
comparve
Damon Salvatore e la delusione le invase.
“Ehi,
Damon! Hai visto Edward?”, domandò preoccupata
Bella.
Lui scosse la testa:
“Non dirmi che è sparito di nuovo?”,
domandò stupito Damon.
Bella
annuì: “Non so come devo spiegargli le cose.
Sembra
che non parli la mia stessa lingua”, esclamò la
vampira seccata. “Trovato
niente?”, aggiunse poi.
“Sì.
Una puzza… non era più così forte,
prima non l’ho
sentita perché sono passate alcune ore. Ma se ti concentri
la senti ed è…
tremenda”, disse Damon con una smorfia disgustata.
“Ok…
quindi Elena è a Forks con Jacob”, concluse Bella.
“Fratellino?”,
chiamò qualcuno. Damon si voltò e vide Stefan l’idiota.
“Che vuoi,
Stefan?”, ringhiò Damon.
“Il caro
Edward mi ha detto di avvisarvi che lui è partito
per Forks per abbracciare una certa Nessie. Anche se sinceramente ho
pensato
che si fosse sbagliato e intendesse dire Loch Ness”,
sghignazzò lui. Poi, prima
che qualcuno potesse staccargli un braccio, se ne andò.
“Dobbiamo
andare a Forks”, annunciò risoluta Nessie.
“No! Se
c’è una cosa che abbiamo imparato fino a adesso
è
che non dobbiamo rincorrere la gente. Perché dopo non li
ritroveremo mai.
Stiamo qui e aspettiamo che Edward si rendi conto che Nessie
è qui e non a
Forks. È la cosa migliore”, disse Bella.
Intanto Damon si
crogiolava nel senso di colpa: “Mi
dispiace. È tutta colpa mia”, disse lui.
Nessie a quel punto
fece un gesto del tutto inaspettato: lo abbracciò.
“Non è vero. Damon, andrà
tutto bene”, disse dolcemente, stringendolo forte a se.
Rimasero
abbracciati per un po’, ma poi Nessie venne
assalita da un conato di vomito e fu costretta a staccarsi e a correre
nel
bosco.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Allora
ragazze come va?
Lo so
che non aggiorno da parecchio
tempo, ma ora ho le mie OneShot Delena (fateci un salto: ♥Damon&Elena♥)da
portare avanti! Grazie per le bellissime 8 recensioni! Davvero molte
grazie
alla mitica GLObulesROUGE,
a cui dedico questo capitolo. Ti adoro compagna di pazzie. Grazie anche
a Giuls_Salvatore,
che mi fa sognare con quella fantastica storia di Giulia e Roberta. E
che mi
recensisce sempre. Grazie! Un benvenuto e un grazie speciale anche
a elviraj,
che legge
tutte le follie che scrivo. Ovviamente anche alla mia Laurathevampireslayer
(scusami se scrivo tutto attaccato, solo che… oddio, non so
come spiegarlo.
Robe da computer comunque XD), che mi segue sempre. E anche grazie
a kiss88!
E a kija_salvatore!
E
a Samirina!
E a tutte quante! Grazie grazie grazie!
Ora
ecco l’elenco di chi ha aggiunto la storia alle
preferite:
Di
chi l’ha aggiunta alle seguite:
E di chi l’ha aggiunta alle
ricordate:
Vi ringrazio di ♥!
Al prossimo capitolo. Spero che
questo vi sia piaciuto! Bacioni
La matta
Fra
|
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Capitolo 11 *** Solitudine ***
11.
SOLITUDINE
Nella vita non
sempre va tutto correttamente e secondo i
piani.
Ogni mattina ti alzi
con il buon proposito di non fare
cazzate, ma appena ti trovi in quella
situazione, tutte le cose che più detesti di te stessa
vengono fuori, per
quanto tu ti sforza di reprimerle. È sempre così.
Così la
sera ti dici: da domani basta fare quello, smettila
di dire questo. Ma la mattina del giorno dopo alle ore 10.00 hai
già sbagliato
una mossa e a quel punto ti dici: rimandiamo a domani; da domani
sarò migliore.
E va sempre avanti così, all’infinito, senza mai
una fine.
Questo è
più o meno quello che Caroline Forbes pensava di
sé
stessa.
Per fare una sintesi
del groviglio di pensieri nel suo
cervello si potevano dire tre parole: sensi di colpa.
Sì,
perché tutto quello che Caroline pensava di aveva
combinato nella vita erano guai.
Se pensava a quella
che era stata da umana avrebbe avuto
voglia di sprofondare in un buco nero e non fare più
ritorno. Era stata
civettuola, vanitosa, superficiale. Aveva usato la gente,
l’aveva offesa e
trattata come giocattoli da quattro soldi. Come se fossero nulla. Tutto per essere popolare, bella e
fare la parte della star.
Caroline aveva
voglia di vomitare pensando a quella che era
stata; per reprimere il conato di
vomito ordinò un altro bicchiere di scotch al
barista. Lo scolò tutto in un sorso e
riappoggiò il bicchierino sul
tavolo con un tonfo.
Se Caroline pensava
a quella che era ora, aveva bisogno
dell’intero patrimonio alcolico del Mystic Grill
per evitare di vomitare. Era una stronza di prima categoria.
Si era innamorata
dell’ultima persona di cui doveva
innamorarsi: Stefan Salvatore. Il ragazzo di Elena. Beh, tecnicamente,
l’ex
ragazzo di Elena, ormai. Ma è Elena! Come aveva potuto fare
questo alla sua
migliore amica? Perché Elena è la sua migliore
amica, insieme a Bonnie. Le
uniche amiche che aveva erano loro; erano le uniche a conoscere il suo
“piccolo” segreto vampiresco. E cosa aveva fatto?
Le aveva deluse, soprattutto
Elena. Le aveva perse. Per sempre.
La tentazione di
chiedere al barista un paletto di legno era
opprimente, ma Caroline riuscì a reprimere nel profondo
l’istinto suicida che
le faceva compagnia da troppo tempo.
Stefan…
beh, lo conosceva da tanto tempo. Le era stato
vicino, l’aveva aiutata. Era stato un carissimo amico. Come
aveva potuto
innamorarsi di lui? Non riusciva a darsi una risposta, e sinceramente
non
voleva nemmeno darsela: l’avrebbe solo fatta stare peggio.
Caroline non aveva
la forza necessaria per soggiogare il
barista; per questa volta avrebbe lasciato due banconote sul banco.
Dopo aver lasciato i
soldi, s’incamminò verso la pensione
dei Salvatore.
Caroline
arrivò. Non c’era nessuno; per forza,
pensò.
Saranno tutti alla Festa dei Fondatori a divertirsi. Stefan stava con
lei
praticamente tutto il tempo, ma aveva già messo in chiaro
che doveva prendersi
una sera per riflettere se stava facendo la cosa giusta. E Caroline lo
aveva
assecondato e lo aveva lasciato andare alla festa, sperando che si
sarebbe
chiarito le idee sul loro rapporto e su quello ormai finito con Elena.
Andò
nella camera da letto di Stefan, che ora poteva
tranquillamente considera anche sua, dove aveva il suo reparto
personale per
metterci i suoi vestiti e le sue cianfrusaglie. I vestiti erano tutti
piegati e
appesi, mentre i beauty, le spazzole e i profumi erano ammassati su uno
scaffale, in completo disordine. Fra tutta quella roba, Caroline
custodiva il
suo diario. Lo aveva cominciato a scrivere da quando era vampira, per
scrivere
le memorie di un’eternità. Aveva pensato che fra
qualche secolo, sarebbe stato
interessante leggere quello che la sua mente partoriva anni prima.
Durante la sua
ricerca trovò un calzino a righe che non le
apparteneva. “Elena…”,
sussurrò a se stessa Caroline. E quello non fece che
ricordarle quanto era stata stupida, egoista e impulsiva.
Chiuse gli occhi e
gettò il calzino sotto il letto, dove
avrebbe potuto impolverarsi e dove non l’avrebbe
più trovato. Non aveva motivo
di andare a spolverare sotto il letto, non
erano lavori da lei, quelli. “Smettila, Caroline.
Perché non dovrebbero
essere lavori per te?”, si rimproverò Caroline per
la sua solita
superficialità.
Aprì il
diario, ma non per scrivere: per leggere.
Caro diario,
sono innamorata di
Matt. Me lo sento. Insomma… quando ero
all’ospedale e l’ho trattato male, beh…
dopo sono stata così triste per averlo mandato via. Ma
voleva aprire la tenda e
farmi bruciare! Che dovevo fare? Ok che lui non sa quello che sono
diventata,
ma non potevo bruciare davanti a lui. Poi alla festa l’ho
raggiunto, e sono
dovuta andarmene. La sete. Questa dannata e stupida sete. Mi tormenta,
ho la
gola che arde ogni minuto di ogni lungo giorno. È una
tortura che non riesco a
placare se non a un caro prezzo. Uccidere. Riesco a malapena a
controllarmi,
ma… diario, Stefan. Sì lui, Stefan Salvatore. Mi
ha aiutata, mi ha spiegato
come fare a non uccidere (sì, ho ucciso un ragazzo
innocente). Mi ha spiegato
come essere me e basta, rimanere legata alla mia umanità.
È un grandissimo
amico, diario. Mi aiuta. Elena è davvero fortunata!
Buona notte
Care
Già…
Caroline pensava a quanto era stato facile quel giorno,
in confronto a quello che stava passando ora. Il ricordo della sete che
la
perseguitava, del battito del cuore di Matt, l’istinto di
penetrare il suo
collo con i canini… Ma in confronto a quello che stava
affrontando adesso,
quella era una passeggiata in discesa. Voltò la pagina del
diario.
Diario!
Oggi sono un po’ fuori
di testa. Ho provato a mangiare (a cacciare, ma non mi piace questa
parola),
dei coniglietti. Sì, hai capito bene. Coniglietti. Stefan mi
ha aiutata, mentre
Damon e Elena erano chissà dove a fare qualche ricerca, mi
pare di aver capito…
boh. Non capisco perché Elena si ostini a dire che non sia
cotta di Damon.
Cerca di negare tutta quell’attrazione innegabile con la
solita e noiosa storia
di Stefan. Stefan di qui, Stefan di là.
Non voglio dirglielo io, lo deve capire da sola. Vedo Damon soffrire,
perché
lui è davvero innamorato di lei. Non che me ne freghi molto
di quello che provi
o passi lui, anzi. Ma lo vedo davvero così preso da Elena.
È protettivo nei
suoi confronti. Le si parerebbe davanti e morirebbe al suo posto.
È dolce, ma
Elena deve fare attenzione: è dolce, ma è pur
sempre Damon! Ma se si mettessero
insieme io allora potrei stare con Stefan?
Care, che vai a pensare?
Devo dormire, la
caccia ai conigli mi ha distrutta.
Baci
Tua Care
Caroline si rese
conto che l’interesse per Stefan era
incominciato presto. Era strano innamorarsi di qualcuno solo
perché le aveva
mostrato come ammazzare dei coniglietti, ma lei non la vedeva
esattamente così:
per lei Stefan non era stato un insegnante, bensì colui che
le aveva spiegato
che c’era una strada alternativa. Perché si ha
sempre una scelta. C’è quella
facile noto anche come il sentiero di
Damon, e c’è quella in cui bisogna
combattere a lungo, ma che però
garantisce una vita normale e umana nei limiti del possibile. Non
uccidere non
significava per lei rinnegare la sua natura; era semplicemente un altro
modo di
vivere. Come dire un vegetariano: non è che uno smette di
mangiare carne perché
vuole rinnegare il fatto di essere umano.
Caroline riprese a
leggere.
Caro diario,
ho cominciato ad avere
un rapporto piuttosto strano con Tyler. Lo sto aiutando: è
un lupo mannaro.
Capisci? Si è trasformato questa notte e io… sono
rimasta con lui. E sapevo
benissimo che mi avrebbe potuto uccidere con un solo morso.
Eppure… sono rimasta con lui. Sono così fiera di
me
stessa e inizio davvero a capire cosa intendeva mamma prima che le
cancellassi
la memoria: sono davvero un’altra persona, mi sento migliore.
Come se per la prima volta facessi del bene, aiutassi le
persone. Non sono più così superficiale e penso
agli altri prima di tutto. Sono
una nuova Care. Me lo sento. E ne vado fiera. Spero di continuare
sempre così.
Augurami buona fortuna
Care
Caroline si
ricordava il piacere che l’aveva avvolta quando
si era sentita migliore. Aveva potuto sentire tutti i nuovi lati
positivi del
uso carattere splendere orgogliosi sulla sua pelle, pronti a rendersi
utili e a
farsi valere nei momenti di bisogno.
Caroline
voltò la pagina, questa volta con un certo timore e
con le mani tremolanti: la pagina dove tutto era cominciato stava per
arrivare.
Mi sento uno schifo.
No, di più. Diario, ho combinato un casino.
Sai, con tutte le
persone con cui potevo andare a letto, sai chi ho scelto?
Sì, lui. Stefan
Salvatore. Il ragazzo di Elena.
Ma non è finita qui:
lei mi ha (o meglio, ci) ha beccati. È rimasta paralizzata,
ed è corsa fuori
dalla stanza. Ci credo! Dio che idiota che sono stata.
Care migliorata? Ma
che avevo bevuto? Questo gesto cancella tutte le buone azioni che ho
compiuto
negli ultimi mesi… Sono andata a scusarmi, ma… mi
sono comportata ancora
peggio. Ho dato a Elena della vecchia raggrinzita e ho fatto il
paragone con
me. Posso essere così deficiente? Da quello che ho sentito
ha lasciato Stefan.
Effettivamente, non
capisco perché lui non mi abbia fermata; ho agito
d’impulso, senza sapere con
esattezza quello che stavo facendo. E lui non era ubriaco o
chissà che cosa
(Stefan ubriaco? Per favore…)! Che si sia davvero innamorato
di me? No, Care.
Ma che vai a pensare? Però inizio a credere che sia
così, perché anch’io sento
qualcosa di nuovo nei suoi confronti. Mi ha aiutata, mi ha confortata,
mi ha
fatto sentire meno sola. Tutto questo credo che mi abbia portato
all’amore.
Era da tempo, inoltre,
che il mio radar aveva captato cose che non andavano fra Elena e
Stefan: meno
passione, meno sguardi intensi, meno scambi di effusioni. Forse
è per quello
che Stefan si è lasciato andare?
Diario, ho perso
Bonnie ed Elena: le mie migliori amiche. Tyler è partito.
Sì. Proprio così. E
non so per dove. L’unica mia consolazione è che
Bonnie ha Elena, una buona
amica. E Elena ha Bonnie per riprendersi da quello che ho combinato. Ma
non
solo: ha Damon. Spero che lui riesca a rimettere a posto e a ricucire
il cuore
di Elena: perché lei amava Stefan e io l’ho
delusa. Ho deluso tutti quanti.
Matt, mamma, Tyler, Bonnie, Elena. Non ho più nessuno.
Care
Caroline chiuse di
scatto il diario e lo lanciò dall’altra
parte della stanza, facendolo rimbalzare sulla parete per poi farlo
ricadere
sul tappeto con un tonfo appena accennato.
La vampira stava
guardando il suo triste riflesso nello
specchio, e appena vide una lacrima solcarle la guancia, distolse lo
sguardo.
Non voleva piangere per la sua solitudine; solitudine che si era creata
da
sola. Sì, perché era colpa sua se aveva fatto
lasciare Elena e Stefan. Era
colpa sua se Bonnie non le mandava più i messaggi prima di
andare a dormire.
Era colpa sua se Matt non la voleva più nemmeno stare a
sentire. Era colpa sua
se Tyler se n’era andato. Era colpa sua se mamma non le
parlava praticamente
mai. Era colpa sua se era così sola. Nessuno voleva sapere
come stava, che
faceva, quali erano i suoi programmi per il sabato sera. Nessuno le
telefonava,
le mandava messaggi o le lasciava qualche parola sulla segreteria.
Caroline si
alzò dal letto e frugò di nuovo dentro
l’armadio, cercando il suo adorato coniglietto rosa, Pinky.
Era morbido,
soffice, caldo. Quando era bambina amava metterselo davanti a se e
provare a
insegnargli le materie che imparava a scuola, usando libri e quaderni.
Quando era
cresciuta, Caroline lo aveva tenuto come
consigliere segreto sui ragazzi.
Ma Caroline mai
avrebbe pensato che lo avrebbe dovuto
chiamare per la solitudine, perché Caroline, la bella e
popolare Caroline,
aveva sempre avuto qualcuno su cui contare. Ora non più.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Chiedo
umilmente perdono per questo immenso ritardo. Scusatemi,
ma questo capitolo lo ritengo davvero importante. Non potevo
assolutamente far
passare Caroline per una stronza senza almeno farle dare le sue
motivazioni,
più o meno valide.
Come
vedete, Care è in conflitto con sé stessa. Non
può
chiamare Stefan perché gli ha dato la sera per riflettere. E
a parte lui non ha
nessun altro.
Spero
che non vi abbia annoiato troppo, ma come ho già detto
è un capitolo importante ed è stato molto
difficile da scrivere perché quando
non ci sono dialoghi, è molto complicato per me non
addormentarmi davanti al
computer XD! Il prossimo capitolo… tutti a Forks. E
lì ci saranno dei passi
avanti importanti nei prossimi capitoli!
Ringrazio
tutte coloro che hanno aggiunto la storia tra le
preferite, le seguite e le ricordate. Grazie a chi legge in silenzio e
grazie
un milione di volte a chi recensisce.
Ovviamente
le pazze che mi seguono ovunque sono quelle a cui
dedico il capitolo insieme a SalamancaTreeHiddle,
che nonostante abbia paura di essere ripetitiva nelle recensioni ha
recensito
lo stesso. Grazie di ♥.
E
infine le altre mitiche ragazze Samirina,
che non
manca mai. Ti voglio bene. E ovviamente a kija_salvatore,
che
c’è sempre! Grazie infinite.
Uh
e anche a kiss88
che arriva
sempre, prima o poi. In questo ci assomigliamo molto. Veramente grazie!
Bacioni
e al prossimo capitolo!
Fra
Uh
e vi segnalo ♥Damon&Elena♥,
la mia raccolta di OneShot demenziali. Visto che in questa storia i
Delena non
ci sono per un bel po’, ho deciso di pubblicare questa
raccolta “deleniosa”. Spero
vi piaccia! Fatemi sapere!
|
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Capitolo 12 *** What Are You Doing Here? ***
12.
WHAT
ARE YOU DOING HERE?!
“Senti…
la storia di Twilight io l’ho letta migliaia di
volte. La amo, sul serio. Ma è tutta vera? Dalla prima
all’ultima parola?”,
chiese curiosa Elena mentre scendevano dalla vecchia moto di suo
fratello.
Erano arrivati all’aeroporto in poco tempo, grazie alle
grandiose abilità di
guida pazza di Jacob.
“Uh,
sì. Diciamo di sì. Quasi”, rispose il
licantropo,
spegnendo il motore.
Elena
annuì: “Quindi… i
Volturi…”, cominciò.
Jacob
annuì a sua volta: “Sì, esistono. E
sono davvero
brutti. Cioè… puzzano”,
spiegò con un sorriso accecante. Ma mai come quelli di Damon, il suo
Damon.
“Uh,
capisco. Di spazzatura?”, chiese interessata Elena.
Jacob
storse il naso: “Non proprio di spazzatura. Credo…
più
di cibo andato a male. Con i moschini sopra. Ci capiamo, non serve che
vada
avanti, vero?”, domandò. Elena scosse la testa con
vigore e con una smorfia
disgustata stampata in faccia.
Arrivarono
al check-in e supplicarono di avere dei biglietti
last minute. Jacob riuscì a corrompere l’impiegata
facendo quel suo sorriso del
cavolo e lasciando un autografo. Consegnarono le valigie e andarono a
prendersi
un qualcosa da bere.
“E
tu, invece?”, domandò Jake.
Elena
si strinse nelle spalle: “Non ho una vita normale.
Sono Elena, genitori morti, un fratello. Ex migliore amica strega, ex
vampiro.
E… sono di nuovo innamorata di un vampiro”,
confessò sospirando Elena. Era la
prima volta che lo diceva così apertamente. Era come essersi
liberati di un
grosso peso nel cuore. Si sentiva molto più leggera.
Jake
annuì, sorseggiando la sua Coca. “Uh. Capisco. Mai
pensato di scrivere un libro su questo? Farebbe successo! Comunque, mi
dispiace
che i tuoi siano morti. È successo tanto tempo
fa?”, chiese, cercando di essere
sensibile.
Elena
scosse la testa: “Non troppo. Me li ricorderò per
sempre. A volte ci sto male, ma la vita va avanti”,
sospirò la ragazza.
“Già”,
concordò Jacob. “A che ore è il nostro
volo?”,
aggiunse poi.
Elena
diede un’occhiata al suo biglietto: “Fra circa due
ore. Che facciamo? Mi porti in profumeria?”, propose lei,
facendo gli occhi da
cucciolo bastonato.
Lui
alzò gli occhi al cielo: “Solo perché
sono due ore”, si
arrese.
“Beh…
Bonnie. Hai combinato un casino, su questo sarò chiaro
e diretto ma… non è irrimediabile.
E
comunque da quello che ho capito tu volevi solamente fare del bene a
Elena. Ti
capirà e ti perdonerà, ne sono certo”,
disse Jeremy a una Bonnie divorata dai
sensi di colpa.
La
strega scosse la testa: “Non ne sono così certa.
Lei…
beh, ho fatto la cosa sbagliata. Non dovevo impicciarmi nei suoi
affari. Io non
sapevo che fra lei e Damon ci fosse… questo tipo di feeling.
Insomma, è di
Damon che stiamo parlando. Capisci, Jer?”, domandò
Bonnie.
Jeremy
rimase piacevolmente sorpreso dal modo in cui Bonnie
lo aveva chiamato; di solo “Jer” lo usava solamente
la sorella, sua zia, lo zio
John e magari qualche amico. Ma lei, Bonnie, non l’aveva mai
usato. Cominciava
davvero a ricredersi sul fatto che per lei fosse solamente
“il fratellino di
Elena”. E non poteva che esserne felice, contento, estasiato.
“Certo…
il fatto è che, beh. Nemmeno io pensavo che Elena
potesse innamorarsi davvero di quel verme, ma è successo.
Spero solo che siano
felici assieme”, sospirò Jeremy.
“Loro non sono assieme.
Ho ostacolato quella che poteva essere una bella storia
d’amore. Capisci come
mi sento in colpa? Non voglio la mia migliore amica assieme a quello
lì, ma se
lei lo ama io… io
non posso ostacolarla.
Perché l’amore è irrazionale, non ci fa
ragionare. E se il destino ha voluto
che lei, Elena Gilbert, dovesse stare con Damon Salvatore,
beh… io che posso
fare?”, rifletté ad alta voce Bonnie.
Arrivarono
al check-in dell’aeroporto, sperando con tutto il
cuore di poter avere dei biglietti all’ultimo minuto. Non
avevano avuto il
tempo di prenotare, così speravano sulla fortuna. Se il
destino gli si sarebbe
proprio messo contro, Bonnie avrebbe potuto fare uno stupido
incantesimo per
rivoltare la situazione a loro favore.
“Salve…
c’è un volo per Portland?”,
domandò incerto Jeremy,
mentre Bonnie parlottava ancora fra sé.
La
ragazza bionda ossigenata lo guardò male: “Ma che
avete
tutti oggi?”, sbottò.
Jeremy
aggrottò le sopracciglia: “In che senso, mi
scusi?”,
chiese.
Lei
alzò gli occhi al cielo, schiacciando qualche tasto sul
suo computer: “Siete la seconda coppia che si presenta qui
senza biglietto.
Siete fortunati, comunque… vi faccio questo maledetto
biglietto. Ma solo
perché… te mi stai simpatico”, disse la
ragazza facendo l’occhiolino a Jeremy.
Lui
non si sentì né lusingato, né offeso.
Però non poté fare
a meno di notare che Bonnie alla parole dell’impiegata aveva
smesso di
borbottare da sola.
“Grazie”,
disse solo Jeremy. Consegnò i bagagli e se ne
andò
insieme a Bonnie.
“Quanto
manca al volo?”, domandò sbuffando dalla noia la
strega.
Lui
diede una rapida occhiata al biglietto: “Circa
un’ora e
mezza. Che facciamo?”chiese lui, guardandosi intorno in cerca
di qualcosa da
fare.
Bonnie
saltellò: “Andiamo in profumeria!”,
propose lei.
Jeremy
alzò gli occhi al cielo e si fece trascinare in
quella dannata profumeria.
“Quanto
cavolo manca, Jacob?”, chiese Elena. Nemmeno il
nuovo profumo di Chanel le aveva tirato su l’umore. Era a
pezzi: voleva andare
dal suo Damon.
“Un’ora
e tre quarti. Che facciamo adesso? Il profumo non ti
è bastato?”, chiese lui, ironicamente.
Elena
scosse la testa come una bambina: “Andiamocene in
libreria. Volevo prendermi un libro…”,
cominciò, lasciando la frase in sospeso
visto che non sapeva nemmeno lei come continuarla.
“Quello!”,
strillò Elena indicando un libro esposto in
vetrina.
“Quello
quale?”, chiese Jacob, esausto. Allora Nessie non
era l’unica femmina a comportarsi così.
“Quello!”,
continuava a ripetere Elena.
Poi
entrarono nella libreria e la ragazza ne uscì con in
mano un libro piuttosto grosso, con la copertina viola.
“Fairy Love!”, esclamò
lei entusiasta, incominciando già a leggere.
“Fairy
che?”, borbottò Jacob.
“Fairy
Love! Parla di un ragazzo figo che diventa una fata, in
poche parole. Me
l’aveva consigliato secoli fa un’amica”,
disse Elena tristemente, ripensando ai
tempi in cui lei e Caroline erano davvero inseparabili.
“Se
ti piace questa roba qui…”, disse Jacob.
“Che facciamo
ora? Manca ancora un’ora”, la informò.
“Andiamo
ad aspettare l’aereo. Così quando è ora
di
imbarcarci, saremo già là”, disse
solamente, troppo presa da quel libro che era
davvero appassionante dalla prima pagina.
“Bonnie,
lasciatelo dire: questa cosa puzza da pazzi”,
sbottò Jeremy, annusando il polso che la streghetta gli
porgeva tutta
saltellante.
“Ah,
voi maschi non capite niente. Come puoi non adorare
questa dolce fragranza dei divini Dolce & Gabbana?”,
domandò estasiata
Bonnie.
Jeremy
scosse la testa; adorava Bonnie nella sua follia, ma
a volte proprio non la capiva.
“Quanto
manca?”, chiese distrattamente la strega.
Jeremy
guardò il suo iPhone: “Mezz’ora, santo
Dio. Quanto ci
hai messo per prendere quel profumo?”, esclamò lui.
Bonnie
si strinse nelle spalle, non sentendosi poi così
colpevole. Se aveva un profumo, tutto il resto non contava. No, giusto:
quella
volta tutto contava. Doveva spiegare a Elena tutto.
Corsero
a perdi fiato verso il luogo di imbarco. Persero
minuti preziosi perché Bonnie si rifiutava di togliersi la
cintura al controllo
raggi X.
Arrivarono
appena in tempo a salire sull’aereo. Appena si
furono accomodati nei posti davanti, passarono cinque minuti che
già si
ritrovarono per aria.
Elena
si stava lamentando della scomodità della seconda
classe da quelle che parevano ore. “La vuoi piantare, Elena?
Neanche uno stereo
incantato è più ripetitivo di te”, si
lamentò Jacob.
“Ma
questi sedili! E per di più il motore! Siamo nei posti
più in fondo dell’aereo e non ci danno nemmeno la
Pepsi gratis!”, sbottò
seccata Elena, tirando la sua lattina in faccia al licantropo.
“Ok,
ma non devi assolutamente prendertela con me!”,
spiegò
con calma lui.
“E
con chi sennò? Non ho più nessuno!”,
mugolò Elena,
iniziando a sentire le lacrime negli occhi.
Dio,
perché qualcuno le aveva tolto Damon? Perché non
avevano ammesso il loro sentimenti prima? Perché?
Perché?
Jacob
sapeva che pregare Dio ogni tanto solo quando serviva
non funzionava. Ma voleva davvero avere delle risposte a tutte quelle
domande
che lo tormentavano. Non poteva fare a meno di incolpare Elena se ora
si
trovavano in quella situazione. Tutto partiva da loro: Damon e Elena.
Lui era
come lo strumento magico che aiutava il protagonista di una fiaba a
raggiungere
il suo obiettivo. Lui non c’entrava niente in tutto quello;
era solo lo sfigato
che era stato prescelto per quel ruolo.
“No.
Elena calmati. Vuoi qualcosa?”, chiese dolce Jacob.
Ovviamente non le avrebbe detto che la considerava la causa di tutto.
Le
conseguenze le avrebbero pagate entrambi, se lui lo avesse detto.
“Sì”,
singhiozzò lei.
“Che
cosa?”, continuo a chiedere Jake, paziente.
“Domanda
sbagliata”, replicò Elena.
Jacob
sospirò: “Vuoi Damon, vero?”.
Elena
annuì.
“Adesso
stiamo andando da lui, vedrai. Lo ritroverai presto.
Tutto tornerà come prima. Ora riposati un po’, che
ne hai bisogno”, sussurrò
lui.
Elena
si sdraiò sulle gambe muscolose di Jacob, tentando di
esiliarsi da quello che le stava attorno e cadere in un sonno profondo.
[Qualche
ora dopo…]
“Elena,
svegliati. Siamo arrivati”, sussurrò una voce
profonda e calda all’orecchio di Elena.
“Mmmmm
no, ancora un po’”, mugolò lei.
Jacob
sorrise: sembrava tanto la sua Nessie. “No, è ora.
Piccola,
siamo a Portland. Manca poco a Forks”, mormorò
ancora lui.
Elena
si rizzò a sedere, si slacciò la cintura di
colpo.
Jacob si spaventò per quello scatto pauroso. “Su,
op! Che fai ancora lì
impalato? Sbaglio o hai detto che siamo quasi a Forks?
Alzati!”, ordinò lei.
Probabilmente faceva come i cammelli: loro immagazzinavano cibo, Elena
immagazzinava energia.
“Sì,
ok. Calmati”, esclamò Jacob.
Poco
dopo si ritrovarono su quegli autobus pidocchiosi che
ti trasportano per cinque metri dall’aereo
all’aeroporto.
“Ok,
ora dobbiamo prendere le valigie. E poi prendiamo un
taxi, paghiamo bene il tassista e ci porta a Forks”,
annunciò Jacob attendendo
che le valigie cominciassero a circolare. Nonché dovessero
prendere molta roba:
lui proprio niente, Elena uno zaino un po’ più
grande del normale.
“Dove
cavolo saranno le nostre valigie?”, chiese seccata
Bonnie, attendendo la sua Carpisa giallo evidenziatore a righe fuxia.
“Calmati
Bonnie, per favore. Ci sono”, la rassicurò Jeremy.
“Eh
tu che ne sai? Io una volta ho perso la valigia.
Dovevamo andare a Buenos Aires e sai dove era arrivata la valigia? Al
Cairo!”,
disse lei indignata, esultando quando vide i lacci verdi elettrici
della sua
amatissima valigia.
Jeremy
si vergognava a prenderla, ma lo fece per amore della
sua Bonnie. Sul serio aveva pensato “per amore”?
Sicuramente il sentimento che
provava verso la streghetta era cambiato negli ultimi tempi, maturato
ma… era
amore?
“Andiamo.
Dobbiamo andare a Forks, giusto?”, chiese conferma
Jeremy.
Bonnie
annuì, saltellando e trascinandosi dietro la sua
amata compagna di viaggio, attirando gli occhi dei passanti.
Uno,
due, tre, quattro, cinque…
No,
Elena non stava contando le colonne fuori
dall’aeroporto. Nemmeno le nuvole nel cielo. Stava contando i
tassisti che si
rifiutavano di portarli a Forks.
“Non
se ne parla. C’è una coda là
nell’autostrada. No!
Arriverò domani a casa!”, aveva sbottato il primo.
“Mi
piacerebbe, ma uno mi ha offerto il doppio per portarlo
in centro. Gli affari chiamano”, aveva detto con un sorriso
beffardo il
secondo.
Gli
altri avevano ignorato Jacob e Elena, lasciandoli di
sasso sul ciglio della strada. Antipatici.
“Ma
tu sei di questo posto, no? Sono sempre tutti così
cordiali?”, chiese scocciata Elena.
“Sì.
Devi solo beccare quello giusto…”,
spiegò Jacob mentre
fermava l’ennesimo uomo occhialuto e barbuto. “Mi
scusi… quanto vuole per
Forks?”, domandò il licantropo, mettendo bene in
mostra le banconote.
“Mi
basta. Saltate su”, rispose il tipo.
Elena
ringraziò Dio per averla salvata dall’ennesima
crisi
isterica.
Bonnie
e Jeremy si trovavano nella stessa situazione. Non
sapevano come convincere quegli odiosi tassisti a farsi trasportare a
qualche
chilometro di distanza. “Vanno bene questi?”, aveva
chiesto Jeremy supplicante.
Ci mancava poco che si mettesse a baciare i piedi e a stringere le
ginocchia
del tassista.
Aveva
ripetuto la frase cinque volte a cinque tassisti
diversi. E la risposta era stata: “Spero che stai scherzando,
ragazzino!”, per
cinque volte.
Jeremy
fece l’ultimo tentativo: “Signore, dobbiamo andare
a
Forks! Le bastano questi?”, domandò.
Lui
guardò i soldi: “Assolutamente sì. E
poi stavo proprio
andando a Forks. Qui dietro ci sono altri passeggeri che vanno proprio
là. Però
non ci starete. A meno che… non andate nel baule”,
aggiunse imbarazzato il
tassista.
Jeremy
lo guardò male e rimase sorpreso quando Bonnie disse:
“Certo! Sarà fico!”.
Il
signore annuì cordiale e aprì il baule del taxi,
spostandosi di lato per farli entrare. Fico? Fico un cazzo…,
pensava Jeremy.
“Cosa
ti salta in testa, Bonnie?”, chiese Jeremy.
“Aspetta…”,
sussurrò lei, con quella sua tipica di voce
precedente gli incantesimi.
E,
improvvisamente, lo stretto e angusto baule si allargò.
Dato che il tassista non disse niente, Jeremy capì che la
macchina all’esterno
manteneva le dimensioni normali, mentre dall’interno
risultava enormemente
ampia.
“Fico!
Grande Bonnie!”, sussurrò Jeremy. Non voleva che
gli
altri passeggeri, che non era riuscito a vedere, si insospettissero.
“Grazie.
Ora speriamo di arrivare a Forks presto”, disse
solo lei, sdraiandosi e cercando una posizione abbastanza comoda.
Dopo
circa un’ora passata nel più totale relax (Bonnie
aveva
fatto apparire qualche cuscino), il tassista annunciò
l’arrivo. Tutti scesero
dal taxi e finalmente Jeremy e Bonnie videro i misteriosi passeggeri
dei sedili
posteriori.
“Tu!”.
“Tu!”.
“Voi!”.
“No!”.
“Eh?”.
“Che
diavolo fate qui?”
“Bonnie
non ci posso credere. Non voglio parlare con te! Mi
hai capita? Che fai? Mi segui?”, urlò Elena,
iniziando a riperdere il
controllo.
“No,
io… dovevo fermarti. Non volevo che andassi a Forks con
lui… non mi fidavo”, tentò di spiegare
Bonnie.
Elena
la guardò furiosa: “E tu? Che ci fa Jeremy qui?
Anche
tu adesso partecipi alla missione: salviamo Elena dai
cattivi?”, domandò lei,
senza smettere di urlare.
“No
io… non volevo che tu partissi e facessi cose stupide.
Ne hai già fatte abbastanza Elena. Sei qui per amore. Lo sai
che quando si
tratta di amore te non capisci più niente”,
tentò di farla ragionare Jeremy,
con il solo risultato di farla arrabbiare ancor di più.
Intanto
Jacob salutava cortesemente l’autista, che aveva
assistito allibito alle prime battute del dialogo Elena-Bonnie-Jeremy.
“Ok…
ho capito! Tu l’hai costretto ad accompagnarti, vero?
Idiota! E saresti la mia migliore amica? Vergognati. Jake andiamo a
casa
Cullen, per favore”, lo supplicò Elena.
“No!
Elena ti sbagli! Io… “, singhiozzò
Bonnie.
“Lei
non mi ha costretto. L’ho fatto perché
è una mia amica,
Elena”, concluse Jeremy.
Elena
li fissò a bocca aperta: non aveva capito che fra loro
c’era questo tipo di rapporto.
“Elena,
dobbiamo andare da questa parte… per prendere la
macchina e arrivare alla casa dei Cullen. Probabilmente Nessie non
sarà a casa
e starà passando del tempo con le zie e i nonni”,
spiegò piano Jacob, timoroso
di dire anche due sillabe.
Tutti
si diressero alla macchina seguendo Jacob, e ogni
tanto Elena non mancava di rivolgere a suo fratello e a Bonnie delle
occhiate
di fuoco.
Salirono
sulla vecchia Golf rossa arrugginita, proprio come
Elena la immaginava dalla descrizione del libro. A stenti il motore
riuscì a
farli arrivare a casa Cullen, che si trovava in mezzo a quella folta e
rigogliosa vegetazione.
Appena
scesero dall’auto, Elena non poté fare a meno di
sentire l’odore di pioggia, l’umidità
che caratterizzava quel posto. Dalle
fronde degli alberi cadevano goccioline ininterrottamente facendo uno
strano
ticchettio. Le strade erano punteggiate da pozzanghere di piccole e
medie
dimensioni. E davanti a loro troneggiava la meravigliosa villa bianca e
luminosa. Esattamente come Elena la immaginava: enorme, lussuosa, con
un ampio
giardino appena visibile sul retro, pulita e curata. Il bianco era
immacolato,
letteralmente. Forse Esme davvero la puliva ogni giorno? Quando hai
l’eternità
davanti e non sai cosa fare…
Jacob
si avvicinò e fece un cenno agli altri di seguirlo.
Elena lo vide storcere il naso; probabilmente lo infastidiva la puzza
tremenda
di vampiro che era costretto a sopportare.
Il
licantropo suonò il campanello ultramoderno; Elena
sospettava che ci fossero cinquemila telecamere nascoste per vedere chi
stesse
suonando. Si era sempre immaginata i Cullen come vampiri
tecnologicamente
avanzati.
La
porta si aprì e apparve un uomo giovane, biondo e dai
capelli corti e ben pettinati. Aveva gli occhi color ocra, esattamente
come
quelli che Elena aveva visto in Edward: oro fuso.
“Jacob!
Che fai qui?”, chiese evidentemente sorpreso.
“Nessie è con te?”, aggiunse poi,
scrutando la gente sconosciuta che stava alle
spalle del lupo.
Jake
fece una faccia stupita e confusa: “Che cosa? Lei non
è
qui?”, domandò.
L’uomo
scosse la testa: “No! È partita assieme a Rosalie
e a
Alice per venirti a prendere, insieme a Bella e a Edward!”,
spiegò.
“Chi
è tesoro?”, domandò una voce dolce come
il miele,
tenera e innocente come quella di una madre premurosa. Elena
l’aveva
riconosciuta al volo: quella era Esme. E di conseguenza
l’uomo che aveva aperto
la porta era Carlisle.
“Jacob…
e alcuni suoi amici, suppongo”, rispose Carlisle.
“Loro
sono… Elena, la ragazza che stava cercando Damon. E Damon
è quello che è stato scambiato con Edward. Ora
noi ci stiamo chiaramente
chiedendo dov’è Damon. E Bella. E Nessie. Mentre
loro sono… beh, Bonnie e
Jeremy, che non so bene perché sono qui”,
spiegò rapidamente Jake.
“Quindi
tu saresti la ragazza di Damon”, rifletté Carlisle.
Elena
scosse la testa: “No, non esattamente”,
sussurrò
imbarazzata.
“Ok…
quindi. Allora, Nessie si è spaventata tantissimo
quando sei sparito ed è venuta da noi. Ha capito che eri
finito in quel posto insieme
a Edward. Così Alice e Rosalie sono partite con lei per
Mystic Falls o come si
chiama. E voi siete qui quindi… loro saranno molto deluse,
direi”, ragionò
Carlisle.
“Basta
caro, parlare. Facciamoli entrare, così rifletteremo
meglio davanti a… beh, una tazza di tè.
Gradite?”, chiese dubbiosa Esme.
“Certo!”,
risposero in coro i quattro.
Entrarono,
ansiosi di avere qualche risposta.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Ad
essere sincera non ricordo se sono in ritardo o no…
comunque questo capitolo mi è piaciuto un mondo,
intendo… da scrivere.
Ovviamente leggerete presto le discussioni dei Cullen e di Bonnie,
Jeremy,
Elena e Jacob. Sappiate che ci stiamo avvicinando ai Delena, quindi
faranno la
cosa giusta… Sono così contenta che questa storia
stia avendo il successo che
ha. Guardavo l’altro giorno così per caso nelle
storie più popolari e ho visto
che c’è anche questo pazzo crossover! Grazie
grazie grazie, per me è
fantastico. Scrivere è bello e rilassante, ma è
ancora più meraviglioso se la
gente legge, apprezza e commenta. Veramente grazie. anche
perché ♥Damon&Elena♥
è una delle storie più popolari. Sono veramente
contentissima che tutto quello
che scrivo viene apprezzato. Veramente grazie.
È
la prima volta che arrivo al 12° capitolo di una storia e
non sono stufa, e questo lo devo proprio a voi. Non finirò
mai di ringraziarvi.
Continuate
a commentare,
vi
voglio bene!!
Purtroppo
non ho tempo per citare tutte le meravigliose
persone che mi sostengono sempre. La classe è stata punita
di scienze per aver
utilizzato una giustificazione. Eheh giustificazione generale di tutta
la
classe, la prof si è arrabbiata! E allora… il
doppio di roba da studiare per
mercoledì! Sarà da pazzi…
Grazie
grazie mille ancora. Risponderò alle vostre
bellissime recensioni questa sera.
Baci
Fra
|
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Capitolo 13 *** Destiny ***
13.
DESTINY
Damon
decise che avrebbe portato tutta la bella compagnia vampiresca
a casa sua: lo spazio era più che sufficiente, di letti
quelle vampire non ne
avevano bisogno, e per quel che riguardava il cibo non sembrava che
Nessie ne
avesse molta voglia. Era ininterrottamente assalita da quei fastidiosi,
rumorosi e puzzolenti conati di vomito.
“Tutto
ok, Nessie?”, domandò Damon mentre salivano tutti
sulla Ferrari di Bella; stavano tutti stretti come delle sardine, e se
fossero
stati umani avrebbero seriamente sofferto di claustrofobia.
Lei
gemette e annuì leggermente; non aveva la forza sufficiente
per spiccicare una parola: stava davvero male. E questi problemi
andavano
avanti da un bel po’ di tempo: all’inizio leggeri,
poi sempre più frequenti e
fastidiosi.
Damon
non voleva che Nessie stesse male. Per quanto gli
costava ammetterlo, gli stava a cuore la salute, la vita di quella
ragazza che
a malapena conosceva. Prima lo aveva colpito quando lo aveva
abbracciato in
quel momento di tristezza. Lo aveva avvolto tra le sue calde braccia
come se si
conoscessero da anni e fossero amici dai tempi dell’asilo. E
inoltre era
sorpreso dal cambiamento di umore della ragazza: prima lo mandava a
quel paese
senza troppi problemi; dopo veniva lì e lo abbracciava. E
Damon non riusciva a
trovare una ragione valida che motivasse quel comportamento alquanto
incoerente
e assurdo.
Si
consolava che in quel mondo non era l’unico lunatico.
“Si
parte”, annunciò Damon premendo il piede
sull’acceleratore.
“Per
favore, facciamo in fretta”, sbuffò Rosalie che si
sentiva tirare il vestito attillato da tutte le parti.
“Sì,
Nessie sta male, Damon. Fai in fretta”, lo incitò
Alice.
Bella
invece meditava dove diavolo poteva essere quel
cretino di suo marito: si erano appena ritrovati e ripartiva solo
perché gli
girava? Era quasi certa che fosse andato a Forks per Nessie, ma non
poteva
aspettare due minuti? In ogni caso, non gli sarebbero andati dietro;
avrebbero
solamente rischiato di perdersi un’altra volta e la
situazione sarebbe
peggiorata, come se non fosse già abbastanza complicata.
“Bella,
a che pensi?”, chiese Damon mentre guidava verso la
pensione dei Salvatore.
Lei
sospirò: “Che ho sposato un uomo che amo con tutta
me
stessa, ma a volte mi sorprende per quanto sia stupido”,
confessò. Nessie sorrise
sui sedili posteriori: sua madre aveva davvero detto che amava
papà.
Damon
ridacchiò e parcheggiò fuori dal pensionato. Si
sentivano delle urla; probabilmente anche Rosalie la gnocca, Alice la
matta e
Bella le avevano sentite. Non era ancora sicuro di quanto si
estendessero le
capacità soprannaturali di Nessie. Lei non era una vampira
completa, ma una
semivampira. Un ibrido.
“Damon,
che succede?”, domandò Alice guardandosi attorno e
fissando la porta dei Salvatore.
Damon
aguzzò l’udito e distinse la voce di suo fratello
e
quella di Caroline. Forse stavano affrontando la loro prima crisi di
coppia.
Il
vampiro alzò le spalle: “Santo Stefano ha i suoi
primi
problemi amorosi”, spiegò avvicinandosi alla porta
e infilando con disinvoltura
la chiave nella toppa. La porta si spalancò, rivelando
Caroline con i capelli
arruffati e due cuscini in mano e a piedi scalzi sulla moquette. Stefan
aveva
le braccia spalancate, segno che stavano davvero affrontando una
situazione
critica.
Caroline,
notò Alice, aveva l’eye-liner colato sulle
guancie, misto a lacrime. Sembrava una specie di mostro imbufalito.
Stefan
e Caroline guardarono i nuovi arrivi e si sedettero
imbarazzati sul divano. “Scusate”,
mormorò Alice, seguita a ruota da Rosalie e
Nessie.
Damon
le guidò su per le scale salutando con un “ciao
fratellino” Stefan. Alice ridacchiò sotto i baffi
e aiutò Nessie a salire le
scale. Bella guardò un attimo Stefan e, non sapendo bene
cosa dire, raggiunse
gli altri su per le scale.
“Va
meglio, amore?”, domandò Bella, sempre premurosa.
Nessie
annuì lievemente; sembrava che stesse facendo uno
sforzo disumano. Probabilmente mentiva: non stava affatto bene.
“Ma
che può avere?”, chiese scocciata Rosalie.
“Hai mangiato
qualcosa che non dovevi? Sangue di maiale avariato? Pomodori marci?
Nessie,
diccelo, dai!”, la incitò ancora la vampira bionda.
Nessie
prese un profondo respiro: “Io… non so. No, sono
sana. Non ho mangiato niente di strano”, rifletté
lei. Poi si ricordò di una
cosa: aveva un ritardo di due settimane…
Gli
occhioni espressivi color cioccolato di Nessie parlavano
da soli. “Hai scoperto qualcosa? Che hai mangiato,
tesoro?”, chiese Alice. “Un
attimo… provo a vedere il tuo futuro! Perché non
ci ho pensato prima? Ecco un
attimo…”, disse Alice, concentrandosi.
Chiuse
gli occhi, ma poco dopo li riaprì: “Non.
È.
Possibile.”, sputò, digrignando i denti.
Nessie
ora non aveva più dubbi: era incinta.
Oh. Mio. Dio.
“Oh.
Mio. Dio”, ripeté Nessie, questa volta non nei
suoi
pensieri, ma ad alta voce.
“Che
succede?”, sbuffò spazientita Rosalie. Quando
Alice
aveva le visioni e Nessie faceva quelle facce, lei veniva esclusa
completamente
dalla conversazione, come se non esistesse. Detestava quando succedeva,
soprattutto perché si ricordava che lei non aveva nessun
dono. Non poteva
leggere i pensieri, non prevedeva il futuro, non aveva lo scudo.
“Nessie,
dicci che succede. Noi non possiamo capirlo”,
sussurrò con dolcezza Bella.
“Non
riesco a vedere niente!”, esclamò Alice scocciata.
La
sua faccia parlava chiaro: voleva una spiegazione; e l’unica
che poteva dare
una spiegazione era Nessie.
La
ragazza prese un profondo respiro e disse: “Sono
incinta”.
Silenzio.
Silenzio. Silenzio.
Bella
spalancò gli occhi. Rosalie si mise una mano sulla
bocca come per dire: oh mio Dio. Alice scattò in piedi:
“Ma come si è permesso
quel… quel… cane?”, sputò
urlando.
“Come
ha potuto… come…”, strillò,
indignata. “Quel Jacob…
non ne combina una di giusta. Mettere incinta una ragazza che in fin
dei conti
ha solamente sette anni? Si deve vergognare”,
esclamò Alice, che poi cercò
sostegno nella sorella: “Rose?”,
domandò. Era implicito il messaggio: di’
qualcosa, per favore.
Rose
annuì con vigore: “Assolutamente. Come si
è permesso,
come ha potuto?”, domandò, con tono scandalizzato.
Bella
si riprese velocemente dallo shock iniziale. Quelle
reazioni non facevano che spaventare la sua bambina.
“Smettetela. Tutte e due.
Sono sposati. È ovvio
che prima o poi
sarebbe dovuto succedere”, tentò di farle
ragionare.
Le
due vampire scossero la testa: “Ma non ora! Non quando
Nessie è ancora così giovane! Lo sapevo che per
il tuo compleanno dovevo
regalarti quei preserv…”, rimpianse Rosalie.
Nessie la bloccò: “Zie ma che
state dicendo? Così avrete un altro nipotino, non
è fantastico?”, provò a
convincerle.
Loro
scossero la testa: “Assolutamente no”, dissero in
coro.
Nessie
amava chiunque le stesse crescendo dentro. La stava
facendo stare male fisicamente, ma il fatto di avere un esserino dentro
di sé
la faceva sentire felice, contenta. Perché
quell’esserino era frutto dell’amore
fra lei e Jacob, il suo lupo, il suo tutto. Erano destinati a stare
assieme,
era stato scritto dal primo momento. Già dalla nascita di
sua madre, il fato
aveva voluto che lei e Jake stessero assieme. Amava quel piccolo che
era
riuscita ad avere assieme al suo amore. E come se non bastasse, il
piccolo
nella sua pancia ammortizzava la nostalgia del suo lupacchiotto peloso
e
soffice, perché il piccolo Jake Junior era parte di lui. Se
lo immaginava con
gli stessi suoi occhi scuri, quasi neri. Intensi ed espressivi. Quegli
occhi
che al primo sguardo riescono a farti capire se la persona che ti sta
davanti è
triste oppure se sprizza gioia da tutti i pori. I suoi
occhi…
I
capelli li immaginava esattamente dello stesso suo colore:
ramati. Come quelli di papà Edward. E pieni di dolci
boccoli. Sarebbe stato il
bambino più bello del mondo.
Nessie
dichiarò che la voglia di parlare degli accaduti era
pari a zero e se ne andò a dormire, sotto lo sguardo
stupefatto delle zie e
della mamma. L’unico che sembrava avere una luce di
comprensione negli occhi
era Damon, ma Nessie si costrinse a vedere degli splendidi occhi
azzurri colmi
di qualsiasi cosa che non fosse comprensione.
[La
mattina seguente…]
“Scusa”,
mormorò Caroline, abbattuta. Era così a pezzi che
riusciva a ignorare le urla di Rosalie e Alice al piano di sopra. Di
nuovo.
Urlavano e basta, come se non sapessero fare altro. Cosa stava
accadendo nella
loro stanza, lei proprio non lo sapeva.
Stefan
ignorò Caroline, indeciso sul da dirsi. Cosa doveva
dire? Caroline ti amo? Oppure Caroline ti detesto? Perché la
prima era vera, e
quella dura e passionale verità era davvero difficile da
dire. Mentre la
seconda era una grande e spudorata bugia. Eppure erano solamente due
parole. Due
stupide e semplici
parole.
Da
quando Stefan Salvatore impiegava tanto per dire “ti
amo”? L’aveva detto innumerevoli volte a Elena;
perché risultava tanto
difficile dirlo a Caroline? Perché non trovava la forza di
parlare in quel
momento? Perché? Perché? Perché?
Intanto,
di sopra si sentivano strilli acuti femminili. Che
diavolo stavano facendo? Era tutta la notte che continuavano.
Stefan
prese un profondo respiro, si impose di dirglielo e
aprì la bocca. Rimase un attimo con la bocca spalancata,
dimenticandosi cosa
volesse dire e poi parlò: “Caroline io…
io… ti… ti… perdono”,
concluse
rapidamente lui. E nell’animo di Stefan scoppiò
una tempesta: “perché non
glielo hai detto, perché?!?”,
pensò Stefan maledicendosi e tentando di mantenere
un’espressione normale sul
viso.
Gli
occhi di Caroline si illuminarono leggermente:
“Davvero?”, sussurrò sorpresa.
Stefan
annuì. Ma lo fece non perché si stava rivolgendo
a
Caroline, ma perché aveva bisogno di farsi coraggio e
riprovare a dirglielo. Ma
Elena come avrebbe reagito? E se… se lo avesse detestato?
Ti detesta già, idiota.
Ma dopo mi detesterà
di più.
Ti importa? Ti
detesterà comunque. Non badare al
“quanto”. Diglielo.
I
dilemmi con le vocine interiori non erano un buon affare.
Significavano delirio per un umano, figurarsi cosa significavano per i
vampiri.
Probabilmente biglietto di sola andata per il manicomio.
“Caroline
io… ti… io ti…”,
ricominciò Stefan.
Lei
lo guardava, impaziente. Detestava quando la gente per
dire qualsiasi cosa la tenevano sulle spine in quel modo.
Forza, vai!, disse
la vocina stupida della coscienza.
“Ti
amo”, concluse. L’
ho detto, l’ho detto!, esultò Stefan. Un
sorriso si dipinse sul suo volto.
Era stato più semplice di quanto avesse mai pensato. E si
sentiva più leggero
di cinquanta chili. Ora capiva quanto era stato forte il bisogno di
dirlo.
Lei
apparve sorpresa, all’inizio, come se stesse assimilando
bene le parole con cura, per capirne appieno il significato. Poi, il
suo viso
si illuminò di un sorriso accecante.
“Davvero?”, domandò sussurrando Caroline.
Stefan
annuì.
“Ripetilo”,
disse Caroline chiudendo gli occhi e
avvicinandosi.
Stefan
questa volta non fece nessuna fatica a dire quelle
due paroline elementari: “Ti amo, Caroline. Per
sempre”, dichiarò lui. Si
avvicinò fino a quando le loro labbra non si toccarono.
Quel
bacio fu diverso da tutti gli altri. Prima di quel
bacio Caroline si era sempre sentita
in colpa e divorata dalla vergogna per essere felice mentre la sua
migliore
amica soffriva a causa sua. E Stefan invece era sempre stato dubbioso
su quello
che stava facendo e su quello che provava per Caroline.
Ma
ora non c’erano più dubbi.
Tutto
era chiaro.
Caroline
si sentì la ragazza più fortunata del mondo, in
quel momento. Stava baciando il ragazzo che era certa,
l’avrebbe resa felice.
Non era Matt o Tyler quello giusto. No, era lui, Stefan. Colui che
l’aveva
aiutata nei momenti di difficoltà, l’unico che si
era mai davvero preoccupato per
lei. E sapeva, in quel momento, che lui pensava le stesse cose di lei,
in
qualche modo. E aveva ragione. Stefan sentiva che Caroline era sempre
stata
quella giusta. Il suo interessamento verso di lei non gli era
più indifferente
da mesi, ormai.
L’unico
rimpianto che aveva era quello di aver fatto
soffrire Elena più di quanto lei si meritasse.
Le
loro labbra giocavano, si cercavano, si amavano. C’era
passione, ma non troppa. Caroline e Stefan attendevano quel momento da
troppo
tempo. Lo volevano assaporare fino alla fine, senza tralasciarne un
attimo.
“Stefan.
Io ti… amo, anch’io
ti amo”, dichiarò Caroline fra un bacio
e l’altro.
Gli
occhi di Stefan, seppur chiusi, luccicavano di felicità
sotto le palpebre abbassate: davvero Caroline aveva detto che
ricambiava il suo
amore? Un po’ se lo aspettava, ma non pensava che lo avesse
detto così
chiaramente e in quel momento. Credeva che le sarebbe servito del tempo
per
assimilare e digerire la notizia. Invece, aveva avuto una splendida e
radiosa
sorpresa.
“Caroline.
Ti amerò per sempre”, disse solo lui prima di
rimpossessarsi delle sue labbra. Poi si fermò un attimo:
“E non so come ho
fatto ad accorgermi solo ora… sei sempre stata importante
per me, sempre”,
confessò.
Si
lasciarono sprofondare nel divano, fino a quando si
sentirono dei passi che scendevano le scale.
“Ma
wow. Santo Stefan si lascia trasportare dalla passione
con Barbie vampira”, sghignazzò Damon facendo la
sua solita entrata trionfale mattutina.
Per quanto fosse cambiato, le sue battute non mancava mai di farle,
soprattutto
nelle occasioni speciali.
Stefan,
mentre si sistemava la camicia e si riprendeva,
tentava di trovare qualcosa da dire: “Perché tu
non l’hai mai fatto?”, disse
lui sarcastico.
Damon
alzò le spalle: “Non con Barbie
vampira”, spiegò lui
sorridendo mentre sorreggeva Nessie.
Caroline
si avvicinò al vampiro con il cardigan messo al
rovescio, pronta a dirgliene quattro.
“Il
cardigan, tesoro. Nuova moda?”, le fece notare lui
sghignazzando.
Lei,
furiosa, si guardò la maglia e notò che
effettivamente
aveva messo l’aveva messa al rovescio, e litigando con i
bottoni se la sistemò,
sotto lo sguardo divertito del vampiro.
“Tu!
Non dire che non sei venuto a letto con me! Ammetti
almeno le cose schifose che mi hai fatto, razza di
scem…”, cominciò lei.
“No,
tesoro. Io sono andato a letto con Barbie umana”,
sottolineò Damon con un sorriso.
Caroline
digrignò i denti e si buttò sul divano, stufa di
discutere con uno psicopatico. Stefan la consolò mettendole
un braccio attorno
alle spalle e fulminò suo fratello con
un’occhiataccia.
“Bene,
Damon… hai qualcosa per le nausee o cose
così?”,
chiese Bella preoccupata per la figlia.
Damon
parve leggermente disorientato: era già tanto se
sapeva cosa era la nausea, figurarsi ciò che poteva curarla.
Insomma, alla fine
che gliene importava a lui di disturbi umani?
Elena…
Sì,
beh, forse avrebbe dovuto cominciare a informarsi per la
sua piccola umana.
“Credo
di no”, rispose Damon, imbarazzato.
Bella
iniziò a entrare in una crisi di panico: che poteva
fare? Rosalie, Alice e Bella stavano attaccate a Nessie come cozze.
“Mamma!
Zie… non respiro. Sto meglio”, le
rassicurò Nessie mentre
si sedeva su un gradino per la stanchezza. Quella notte aveva dormito
poco o
niente, a causa delle urla soavi delle sue amate zie.
“Sicura?”,
domandarono in coro le vampire.
La
ragazza annuì, con la testa persa nei suoi pensieri:
stava ancora pensando al suo bambino. Come avrebbe potuto chiamarlo?
“Di
cosa hai voglia, tesoro?”, chiese premurosa Rosalie,
pronta a fare i salti mortali pur di dare alla nipotina quello che
desiderava.
Nessie
ci pensò su per un po’, poi le venne in mente di
cosa
aveva voglia: shopping.
“Di
shopping!”, annunciò Nessie, ricevendo come
risposta tra
paia di occhi gialli stralunati.
“Ne
sei proprio sicura, tesoro?”, domandò incerta
Bella.
Nessie
annuì decisa. “Ti farai male!”,
l’ammonì Alice.
“Vomiterai
sui vestiti!”, disse Rosalie, in ansia al solo
pensiero.
“Basta!
Se lei vuole fare shopping, ce la porto io!”, le
zittì tutte Damon.
Tutte
le persone nella stanza lo guardarono straniti.
Caroline bisbigliò qualcosa all’orecchio di Stefan
e lui scosse la testa, come
per dire “hai ragione”.
“Grazie,
Damon. Sei davvero un amico”, disse Nessie
alzandosi lentamente.
“Di
niente”, rispose Damon prendendola delicatamente per un
braccio. Stava davvero per cadere. Era incredibilmente instabile.
Ignorando
le occhiate allibite delle vampire, di suo
fratello e di Barbie vampira, condusse Nessie fuori dal pensionato e
salirono
sulla sua, di Ferrari.
“Ahahahahah!
No, questo è orribile”, gridò Nessie
fissando
un orrendo vestito rosso da sera per donne incinte. Sembrava davvero
fatto su
misura per una donna obesa e Nessie non si trovava ancora in quelle
condizioni
estreme.
“Ma
dai! Sicuramente potrà servirti!”, le fece notare
Damon
ridendo come un cretino. Era contento di aver portato fuori Nessie:
sembrava
davvero quello di cui lei avesse bisogno. Quella povera ragazza aveva
la
necessità di uscire e godersi l’aria aperta, fare
qualcosa di ricreativo.
Nessie
fece una smorfia: “Sì, figurati. Piuttosto che
andare
a cena con quel coso, resisto alla fame e mi invento un’otite
acuta. E me sto a
casa”, esclamò lei, mettendo via quel confetto
alla fragola di poliestere.
“Vuoi
davvero dirmi che preferisci questo”, domandò
scandalizzato Damon, scegliendo un vestito color giallo cacca e
mettendolo in
bella mostra davanti agli occhi della ragazza.
Lei
simulò l’ennesima vomitata, e quasi Damon ci
cascò; era
incredibile quanto si sentisse in dovere di proteggere Nessie. Forse
perché sua
madre per lui aveva fatto davvero tanto?
“Ti
prego, Damon. Ho solo bisogno di un gelato”, disse
Nessie rimettendo a posto il vestito e dirigendosi verso
l’uscita del negozio.
“Ti
raggiungo subito”, le disse Damon.
Nessie
annuì e si incamminò verso la gelateria del
centro
commerciale.
Quando
Damon la raggiunse al tavolino circolare fuori dal
locale, egli le porse un piccolo pacchetto regalo. “Non
dovevi”, disse Nessie,
commossa dal pensiero. Ci voleva così poco per farla
piangere.
La
ragazza scartò il pacchetto e ne uscì fuori una
piccola
copertina ripiegata più volte. Era bianca, semplice ma allo
stesso tempo
incredibilmente unica e originale.
E
sarebbe andata bene sia se il bimbo fosse stato un maschio
o una femmina, visto che Damon aveva scelto davvero un colore neutro,
che
andasse bene in entrambi i casi.
“Ho
scelto il bianco perché… beh, non sappiamo se
è un
maschio o una femmina. Comunque, congratulazioni”,
sussurrò Damon.
Nessie
annuì, non sapendo bene cosa dire: “Sei stato
molto
gentile, Damon. Grazie mille”, rispose solamente.
Damon
annuì a sua volta; non riusciva nemmeno lui a trovare
le parole. “Vuoi il gelato?”, domandò
poi con un tono più distaccato.
Nessie
scosse la testa: “A dir la verità… non
ne ho più
voglia. Andiamo a casa, ti va?”, propose lei.
Damon
annuì ancora una volta, si alzarono e ritornarono alla
macchina. Era ora di tornare a casa: se Elena fosse tornata lui avrebbe
dovuto
esserci. Lui doveva esserci.
Intanto,
al pensionato, le vampire si risvegliarono dal loro
stato di sonnolenza.
“Ma
l’ha davvero portata a fare shopping?”,
urlò Rosalie.
“Mystic
Falls non è il luogo dove c’è il grande
magazzino di
Loubotin? Come ha osato? Doveva
portare
anche me!”, strillò Alice, più
preoccupata di vedere Nessie con l’ultima borsa
Louis Vuitton che invece lei non aveva, piuttosto che Nessie sofferente.
“Davvero,
non me lo sarei mai aspettato…”, stava dicendo
Stefan.
“Ma
ti rendi conto di quanto è cambiato?”,
osservò incredula
Caroline.
“Una
volta beveva il sangue della prima umana che gli
capitava sotto mano!”, notò allibito Stefan di
nuovo. A quelle parole le
vampire, compresa Caroline, impallidirono per quanto fosse possibile:
“Oddio.
Possiamo fidarci?”, domandò Caroline preoccupata.
Le
altre fremevamo in attesa della risposta della persona
che lì lo conosceva meglio: “Sì.
È davvero cambiato”, rispose Stefan.
Tutte
tirarono un sospiro di sollievo e si rilassarono sul
divano, attendendo il ritorno di Damon e Nessie, non ancora del tutto
calme.
E
Caroline si spostò più verso il suo Stefan,
finalmente non
sentendosi più sola e per la prima volta percependo che
aveva trovato il suo
posto nel mondo.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao
a tutte!
Prima
di tutto mi scuso miliardi di volte perché:
-
Sono in ritardo con il capitolo
-
Sono in ritardo con il capitolo di ♥Damon&Elena♥
-
Sono in ritardo con il leggere le vostre
storie…
Mi
dispiace davvero tanto, ma sono davvero molto impegnata e
per me è stata un’impresa riuscire a scrivere
questo capitolo e postarlo oggi.
Vi
avviso che per le OS pazze ci vorrà ancora almeno una
settimana… mi dispiace!
Comunque,
lasciando perdere i miei dilemmi…
11
recensioni! Wow che traguardo! Mi raccomando continuate
così, vi voglio bene! È un’enorme
soddisfazione per me e ad essere sincere sono
quelle che mi spingono ad accelerare la stesura dei capitoli,
perché penso “la
gente legge, quindi…”, capite vero?
Ok…
mi sa che con questo capitolo voi mi odierete un po’ di
meno, o no? Caroline e Stefan sono sistemati, ora mancano i Delena e un
po’ di
cosette. E Nessie è incinta: maschio o femmina? =)
Attendo
tutti i vostri pareri con ansia…
E
il capitolo va tutto a GLObulesROUGE,
nada650
e Giuls_Salvatore.
Glo
perché mi fa impazzire, Nada perché condividiamo
la nostra assenza al concerto
di Taylor Swift qualche giorno fa e Giuls… perché
Giuls è Giuls ed è una delle
persone più fantastiche che conosco qui su EFP. Siete tante
ragazze, non posso
elencarvi tutte. Sappiate che vi ringrazio una per una e vi mando un
grosso
bacione, ovunque voi siate.
Fra
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Capitolo 14 *** Cammino ***
14.
CAMMINO
Era
circa mezzanotte. Probabilmente era passata da un po’.
Tyler Lockwood stava al Grill, seduto su uno sgabello traballante a
fissare
sette bicchieri vuoti che fino a pochi minuti prima erano stati pieni
di
liquidi dai colori più svariati.
Tyler
sbuffò, esausto e davvero poco lucido. Lasciò sul
banco qualche banconota e si avviò barcollante verso
l’uscita.
Era
migliorato; nel senso che una volta non era così
instabile dopo una sbornia del genere. Se c'era una cosa che Tyler
Lockwood
aveva imparato negli ultimi mesi era sopportare il dolore.
All’inizio aveva
tentato di ignorarlo nel modo più naturale e sano possibile,
ma poi si era
arreso all’alcool. Ogni sera si recava al Grill e ci mancava
poco che il
barista gli preparasse in anticipo i bicchieri sul bancone. Ormai
andare a
ubriacarsi era un rito sacro serale per Tyler.
Aveva
provato davvero a combattere il pianto, ma aveva
imparato ad arrendersi ad ogni lacrima che spesso solcava le sue
guance. Erano
lacrime amare e difficili da accettare, poiché Tyler sapeva
benissimo che, dopo
tutto quello che era successo, era lui la ragione dei suoi stessi
pianti.
Tyler
camminò dondolando leggermente, sperando di trovare
una panchina al più presto. Aveva bisogno di riflettere da
seduto, per evitare
che i suoi pensieri pungenti lo facessero definitivamente cadere a
terra.
Riusciva solamente a pensare al fatto che non si fosse mai comportato
da amico,
che non avesse mai trattato sua madre come meritava. Se ora si trovava
in
quella condizione, era tutta colpa sua. Era se stesso
l’artefice di tutti i
casini di cui ora Tyler si ritrovava sommerso.
Aveva
fatto molti errori nella vita. Probabilmente
"molti" era un eufemismo. Non vuol dire che la gente normale non fa
errori, anzi: le persone normali fanno errori. Ma Tyler sapeva di
essere stato
un vero stronzo con gli altri e raramente aveva rappresentato il ruolo del vero amico
per qualcuno. Era
sempre stato il figlio del sindaco, che tutti imparavano a sopportare
sin dai
tempi dell’asilo. Forse da bambino era stato anche simpatico,
gentile e
disponibile verso il prossimo, ma non aveva nessun ricordo della sua
infanzia. E
comunque, nessuno si ricordava come fosse stato da bambino: quello che
contava,
era che cosa fosse ora.
Nella
sua mente era però rimasto impresso il fatto che fosse
sempre stato un ragazzo viziato che aveva la
“fortuna” di vivere nella villa
più maestosa della cittadina.
Ma questo
non significava assolutamente che lui amasse essere questa persona,
perché in
realtà Tyler detestava essere quello che era stato e quello
che era in quel
momento.
Odiava
il fatto che
la gente lo
detestasse ma
fingesse di tenere a lui; ricordava il giorno della morte di suo padre:
quando sua
madre aveva organizzato un ritrovo in memoria di Richard Lockwood nella
villa
di famiglia, centinaia di persone erano venute da lui e gli avevano
stretto la
mano con finta compassione. Aveva dovuto sorbirsi migliaia di false
condoglianze; la metà di quella gente non conosceva nemmeno
suo padre e
soprattutto non conosceva lui. E
pensare
che probabilmente quelle persone che lo avevano consolato lo stessero
circondando! Tyler digrignò i denti e si alzò,
sentendosi già leggermente più
lucido.
Camminava
per il vialetto senza sapere bene dove fosse
diretto; succedeva spesso che non avesse una meta precisa e lasciava
che
fossero i suoi piedi a guidarlo. Chissà dove lo avrebbero
condotto questa
volta.
Tyler
odiava il fatto che avesse un atteggiamento spesso
scorretto nei confronti degli altri. Non era una cosa che riusciva a
controllare, perché se ne fosse stato in grado, si sarebbe
comportato bene
tutto il tempo. Il problema era che, per quanto si sforzasse di essere
un bravo
ragazzo, finiva sempre per mettere le mani addosso agli altri, fare
cazzate,
offendere. Ricordava perfettamente quella volta dove ci aveva provato
con la
madre di Matt, appena tornata in città. Kelly era sempre
stata così, per quanto
lui riuscisse a ricordare. E non riusciva a capire come avesse potuto
fare una
cosa del genere al suo unico vero amico, quando sapeva perfettamente
che stava
soffrendo e nutriva una sincera speranza che sua madre ritrovasse la
retta via.
Inoltre
detestava la facilità con la quale si arrabbiava.
Bastava un attimo, una leggera provocazione; bastava che qualcuno lo
irritasse
un momento e lui scattava sempre: iniziava una rissa, in cui la maggior
parte
delle volte aveva la meglio, altre volte andava tragicamente male.
Quando tutto
finiva, gli dispiaceva di aver cominciato a fare a botte con gente che,
lo
sapeva bene, non gli aveva fatto proprio niente che giustificasse il
suo
comportamento così esageratamente impulsivo.
In
passato Tyler non aveva idea che questi scatti d’ira
facessero parte del gene del lupo mannaro. Ma soprattutto, non poteva
minimamente sospettare che questo gene esistesse davvero.
Continuava
a camminare e si accorse di passare davanti a
casa di Elena; forse lei era stata sua amica, un tempo. Forse lo
rimaneva
tuttora. Tyler era convinto che Elena, in qualche modo, volesse bene a
tutti.
Lo trovava affascinante; Elena sapeva anche perdonare chiunque, per
quanto lui
potesse saperne. Forse aveva perdonato anche lui? Tyler scosse la testa
a quel
pensiero ridicolo e continuò a camminare.
Dopo
gli amici, c’era la famiglia, sulla quale in genere si
può sempre contare. Per Tyler non era stato esattamente
così: voleva bene alla
madre, ma non sopportava suo padre. Era anche a causa sua se ora lui
era quella
persona che tutti conoscevano; perché i nostri punti di
riferimento nella vita,
come mamma e papà, influenzano in modo incredibilmente
gigantesco la persona
che diventeremo. Ci trasmettono i loro ideali. E onestamente il sindaco
Lockwood non era assolutamente stato un buon modello da imitare, Tyler
se ne
rendeva perfettamente conto. Quel giorno dove aveva avuto una
discussione con
Jeremy Gilbert si era davvero vergognato di avere Richard Lockwood come
padre:
come poteva un uomo maturo spingere due stupidi ragazzini a prendersi a
botte?
A
volte Tyler si chiedeva perché sua madre avesse sposato un
coglione del genere, ma poi arrivava sempre alla solita risposta:
l'amore non
ci fa ragionare razionalmente. Carol stessa glielo aveva detto: aveva
sposato
un coglione, ma lei lo amava. E il
matrimonio fra sua madre e Richard ne era la chiara prova. Tyler
sperava un
giorno di trovare qualcuno da amare, di cui prendersi cura. Voleva
provare quel
sentimento potente, forte e intenso di cui si sentiva parlare solamente
nei
romanzi e nei film. Quel sentimento che si chiama amore.
Per
orgoglio maschile, ovviamente, Tyler non avrebbe mai
ammesso una cosa del genere. Neanche se gli avessero dato miliardi di
dollari.
Però sospettava che in fondo, tutti i ragazzi avevano questo
profondo e
nascosto desiderio. Ma era molto ben nascosto, come un bambino piccolo
che
gioca a nascondino e che non vuole farsi scoprire.
E,
come se qualcuno avesse davvero ascoltato il desiderio di
un idiota, Tyler si era innamorato. Si era sentito felice e come se
finalmente
avesse trovato la ragione della sua esistenza. Prima vedeva se stesso
come uno
scherzo della natura che non sarebbe mai dovuto nascere; ora trovava un
senso a
tutto ciò che lo circondava.
C’era
solamente un piccolo problema che rovinava l’atmosfera
di quella bella favola che era riuscito a costruire: lui era un lupo
mannaro,
che ad ogni bellissima ma inquietante luna piena si tramutava in un
animale dalla
forza disumana. Non si era mai visto quando assumeva le sembianze del
lupo;
mettere uno specchio nei sotterranei dei Lockwood non era proprio
quella che si
chiamava una buona idea: primo, Carol avrebbe fatto non poche domande.
Secondo,
l'avrebbe spaccato nel giro di qualche minuto. Ad un lupo non
interessava di
certo specchiarsi, su questo Tyler era certo.
Voleva
riuscire ad essere se stesso durante le notti di luna
piena e ogni volta si riprometteva di sforzarsi fino allo stremo, ma
ogni volta
cedeva. Perché lottare era troppo difficile. A quale fine
per di più? Ora non
aveva davvero più ragioni per lottare e mascherare la sua
natura. Caroline non c'era
più.
L'unica
cosa che splendeva nella sua fiaba era lei, la
ragazza che conosceva dai tempi dell'asilo. Solare, allegra, entusiasta
di
vivere, sorridente, ottimista. Una volta a Caroline si poteva anche
attribuire
gli aggettivi "egoista" e "vanitosa". Ma un giorno, tutto
d'un tratto, era cambiata in positivo. E Tyler ne era rimasto
incantato,
letteralmente.
Non
avrebbe mai creduto che Caroline Forbes potesse offrire
il suo aiuto. E invece, l'aveva confortato e sostenuto durante la sua
prima
notte di luna piena, durante la sua prima trasformazione. La
più dolorosa e la
più inquietante. Quella dove non sai cosa
succederà, non ne hai la più pallida
idea perché nessuna persona di tua conoscenza l'ha vissuta e
può raccontarla.
Il video che suo zio Mason era stato prezioso, certo, ma Tyler era
più che
convinto che senza Caroline lui non avrebbe mai potuto farcela.
La
cosa scioccante era che Caroline fosse una vampira.
Una vampira che poteva venire
uccisa tranquillamente con un solo
morso di un licantropo. E lui era
un
licantropo. Quindi, per quale diavolo di ragione Caroline aveva speso
una notte
a sorvegliare Tyler quando era perfettamente consapevole di poter
rimanere
uccisa da un momento all’altro?
Tyler
ricordava che lei l’aveva abbracciato, ad un certo
punto. Le sue braccia incredibilmente fresche avevano avvolto il suo
corpo in
fiamme. Ogni attimo che aveva preceduto la trasformazione Tyler si era
sentito
bruciare, e il sollievo che aveva provato quando Caroline era
intervenuta era
indescrivibile. Come quando stai morendo di sete e dopo ore riesci a
venire a
contatto con dell’acqua.
Ma
ora Caroline non gli voleva più parlare, giustamente. Il
fatto che non l’avesse aiutata nelle situazioni difficili, il
fatto che avesse
permesso a quell’idiota di Jules e a quel suo amico di
rapirla e farle passare
la notte più orribile e dolorosa della sua vita, il fatto
che avesse persino
esitato davanti alla possibilità di liberarla dalla sua
prigionia lo faceva
sentire nuovamente egoista e stupido. Non meritava di vivere. Non
meritava
Caroline.
Chissà
dov’era ora Care; sapeva che non lo voleva più
vedere
e che non voleva più saperne di lui. Ma non aveva idea se
avesse trovato
qualcun altro. Se fosse stato rimpiazzato davvero, avrebbe seriamente
voluto
parlare con il nuovo fidanzato. Dirgli che Caroline non si merita di
soffrire e
che lui ha clamorosamente fallito nei suoi tentativi. Tyler voleva
assicurarsi
che la sua Caroline fosse in buone mani.
I
suoi piedi si fermarono improvvisamente. Tyler alzò lo
sguardo da terra e si voltò, per orientarsi meglio. In alto
splendeva la luna;
mancava circa un quarto per diventare piena. Tyler sospirò.
Poi riconobbe il
posto: la casa di Caroline.
Le
luci erano spente, tutti dormivano. Caroline dormiva.
Tyler
si avvicinò furtivo, attento a non far rumore. Sapeva
a memoria quale fosse la finestra della camera di Caroline. Le tende
erano
alzate; lei amava avere i vetri scoperti per lasciare filtrare il sole,
che
poteva godersi pienamente grazie a un incantesimo. Glielo aveva detto
uno dei
tanti pomeriggi che avevano passato assieme.
Tyler
scrutò la camera, ma lei non c’era. Allora lui
capì
che forse la sua Caroline era felice, dopo tutto quel tempo e tutto il
dolore
che aveva provato a causa sua.
L’ennesima
lacrima scese. Tyler si voltò e ritornò a casa,
non sapendo bene perché si fosse lasciato guidare a casa
Forbes.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Allora,
quanto mi detestate da 1 a 10? Spero non
dieci, dai.
Perdonatemi! Ho avuto molto da fare e spero davvero che voi
comprendiate,
nonostante il mio ritorno sia segnato da questa cacchetta che avete
avuto
l’”onore” di leggere. Che ve ne pare,
sinceramente? A me non piace. Però fa è
importante per il mio famoso gran finale. Eheh
Allora
mi sento in dovere di ringraziare qualche persona: TVD, Nada650, Giuls_Salvatore, GLObulesROUGE, Laurathevampireslayer, kija_salvatore, elviraj, dreem, Samirina.
Grazie per
le vostre bellissime recensioni! Particolari ringraziamenti a Marghe,
con cui
ieri ho messaggiato un pochino, Nada che… non so cosa hai
fatto! Sarà la tua
mitica storia che mi piace così tanto (che vi segnalo qui!
Leggetela è stupenda!) o sarà la tua ossessione
per la mitica Taylor, oppure
sarà che mi hai inviato qualche messaggio super affettuoso,
non lo so. Ti amo!
Grazie a Giuls che c’è sempre! Grazie amore. Glo
perché la stimo in tutti i
sensi e che mi sopporta. E Vale che mi insegna lo spagnolo! Grazie
mille.
Grazie
a cui ha aggiunto la storia tra le seguite, le
preferite, le ricordate e grazie a chi legge in silenzio. Sono tra le
autrici
preferite di 13 persone che amo. Grazie.
E
ora pubblicità!
La
storiella di Elena con i superpoteri di Marghe
(qui!)
La
storia di Stivalazza Graham e di Ian in delirio di
Glo (qui!)
La
storia che vi farà sognare di Ian, Giulia, Steven e
Roberta di Giuls (qui!)
I
nostri Delena a New York City di Silvia (qui!)
Non
volete mica perdervi Damon che torna umano della cara
dreem? (qui!)
Beh
questa la leggerete già tutte perché è
famosa qui su EFP
ed è strabella. Glo ti adoro. (qui!)
Il
seguito di Tutte le strade portano a te… stupenda la
prima e il seguito meraviglioso. Grande Sara! (qui!)
Damon
e Elena umani. Bellissima e della mia cara prof di
spagnolo! (qui!)
Un’altra
storia meravigliosa tra Ian e la cara Bibi. Dede! (qui!)
E
sempre di Dede (ma anche di Giuls! XD) questa meravigliosa
Ian x Avril (Lavigne). Bravissime! (qui!)
E
infine una bella e originale storia tra i Delena! Di Giuls
(qui!)
Tengo
a precisare che non sono assolutamente in ordine di
preferenza, ma sono in ordine di aggiornamento (ho preso i link dalla
pagina
delle mie storie preferite). Leggetele, sono tutte meravigliose. La
storia
super bella, una delle più belle, l’ho messa prima
nei ringraziamenti. Leggete
leggete è meravigliosa. Ma vedete quanto mi piace? XD
Infine
ne approfitto per pubblicizzare le altre mie due
storie, che spero andrete a leggere e mi lascerete un commentino: la mia storia seria e
Delena. Dateci
un’occhiata se vi va! ( qui!)
e la
raccolta matta di OneShot Delena:
♥Damon&Elena♥.
Grazie
mille per l’attenzione! E scusate eventuali errori;
presto provvedero a rivedere tutti capitoli. Appena ho un po' di tempo.
Recensite
in tanti e tanti bacioni
Fra
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Capitolo 15 *** Bugie ***
15.
BUGIE
Bonnie,
Jeremy e Elena
entrarono in casa Cullen guardandosi attorno, leggermente intimoriti da
quei vampiri
così pallidi e da quelle pareti che sembravano non avere una
fine. Quella villa
era a dir poco immensa.
Elena
lanciò uno sguardo
fugace a Jacob, che però sembrava tranquillo e a proprio
agio. Effettivamente
lui passava in quella casa gran parte del suo tempo; sicuramente non
aveva più problemi
ad entrarci e riusciva a rimanere rilassato con un vampiro alle proprie
spalle.
Ma il trio di Mystic Falls aveva immediatamente cambiato idea riguardo
all’entrare in casa, e in quel preciso momento avrebbe tanto
preferito rimanere
nel giardino a parlare.
Si
era creata una certa
tensione che Elena avrebbe tanto voluto rompere, peccato che avesse
perso l’uso
della parola.
"Esme
fa il tè più buono
del mondo!", scherzò Emmett. Ecco: un'altra ragione per aver
paura: quel
vampiro era delle dimensioni di un bisonte che poteva tranquillamente
sbriciolarti
con un pugno. E poi aveva stampato quel sorriso giocherellone che
spaventava a
morte chiunque non avesse molta confidenza con lui. Come Elena, Bonnie
e
Jeremy.
“Ehi,
amico. Come ti
chiami?”, domandò ancora lo scimmione rivolto a
Jeremy, vedendo che la sua
battuta non aveva avuto molto successo.
Jeremy
impiegò un po’ di
tempo di troppo per rispondere, visto che non aveva nemmeno capito che
la
domanda era indirizzata proprio a lui. “Jeremy”,
farfugliò lui dopo qualche
secondo.
Emmett
sorrise divertito:
“Non mordo mica, tranquillo”, lo
rassicurò il vampiro sghignazzando. Jeremy
annuì lievemente e seguì Bonnie, sperando di
sfuggire a quel sadico. Sarebbe
stato più tranquillo vicino a Damon arrabbiato e affamato.
“Ehi,
Jer! È la tua
ragazza?”, chiese ancora Emmett, senza preoccuparsi troppo di
essere invadente.
Jeremy
si sentì avvampare e
abbassò lo sguardo, timoroso che qualcuno lo notasse. Forse
davvero stava
iniziando a provare qualcosa per Bonnie? Elena si voltò,
incuriosita dalla
domanda di Emmett: “Che cosa?”, chiese lei,
incredula.
“No,
noi… non, niente. Siamo
solo amici”, biascicò Jeremy.
“Meglio
così”, commentò
Elena, lanciando uno sguardo omicida alla sua ex migliore amica, che si
era
voltata improvvisamente interessata ad un quadro ottocentesco.
“Davvero
molto bello!”,
esclamò la strega.
Carlisle
notò il suo
interessamento e cominciò a blaterare qualcosa sui pittori
del secolo, fino a
quando Esme li salvò, chiamandoli in cucina.
"Allora...
volete un
infuso o un tè normale?", domandò la vampira,
premurosa.
Elena
non aveva nemmeno
capito la domanda, era un tantino terrorizzata da Jasper che stava
facendo dei
respiri molto profondi: "Ehm... va bene tè", disse. Bonnie e
Jeremy
la imitarono a ruota. Esme
annuì e si
mise ad armeggiare con il bollitore.
Nel
frattempo, il dottor
Cullen li aveva raggiunti e si era seduto di fronte a loro. Voleva
sapere tutta
la storia, era evidente. La sua curiosità traspariva
chiaramente dal suo volto.
"Allora: spiegate tutto dall'inizio",
sottolineò.
Elena
prese un profondo
respiro, esausta di dover ripetere tutto quel romanzo per l'ennesima
volta.
Raccontarlo le faceva pensare a Damon, e pensare a Damon la faceva
soffrire
tanto da farle male il cuore. Si sentiva completamente idiota per non
essersi
dichiarata prima a lui. Poi si sentiva stupida solamente per aver
pensato che
Damon potesse realmente ricambiare i suoi sentimenti.
Ma
nonostante questo,
cominciò: "Allora... io e Damon eravamo nella mia stanza
qualche giorno
fa. Improvvisamente, Damon è uscito, sparito. L’ho
cercato, ma non c’era più. E
poco dopo è apparso quello che poi si è
presentato come Edward Cullen".
Carlisle
aveva il volto
contratto per lo sforzo di non perdersi nemmeno un dettaglio: "Ok...
tutto
combacia. Insomma... noi invece abbiamo visto sparire Edward ed
è arrivato
quello che poi si è rivelato Damon", rifletté.
Bonnie,
mentre la sua ormai
ex migliore amica e uno dei protagonisti dei libri che più
amava parlavano, si
crogiolava nel suo senso di colpa divorante e crescente parola dopo
parola di
Elena e Carlisle. Come poteva starsene zitta mentre i suoi amici si
scervellavano per trovare una motivazione a quell'assurdità?
Non si sarebbe
sorpresa se l'avessero
smascherata senza
alcun indizio da parte sua. Probabilmente la sua faccia lasciava
trasparire
tutto, o buona parte. Non le piaceva mentire e non ci riusciva nemmeno
bene. E
comunque in quel casino era coinvolta pure lei; presto le avrebbero
fatto delle
domande. E lei che avrebbe risposto?
"Il
giorno dopo Edward è
arrivato alla mia scuola e ha fatto finta di essere Anthony Masen. Era
davvero
un idiota patentato", aggiunse Elena, sapendo perfettamente che la sua
precisazione
era inutile, ma sperava che riuscisse ad alleggerire l'atmosfera di
quel
momento.
Emmett
non rinunciò alla sua
solita battuta: "Edward il santo va alla ricerca di pollastrelle?",
domandò stupito.
Elena
scosse la testa:
"Faceva semplicemente il cocco del prof", spiegò divertita.
"Oh,
per questo non
finirò mai di prenderlo in giro. Hai fatto un video,
Elena?", chiese
ancora lo scimmione.
Elena
aveva bisogno di
sollevarsi il morale e andava bene anche quel vampiro spaventosamente
divertente; si mise la mano sulla bocca, stando al gioco di Emmett e
fingendosi
dispiaciuta: "Oh, no! Non ci ho pensato! Peccato, ma posso convincerlo
a
farlo di nuovo", aggiunse con un occhiolino. Emmett scoppiò
a ridere:
"Contaci sorella!", esclamò.
I
due si diedero un cinque,
ma poi Carlisle li interruppe: "Avanti ragazzi! Non siate
così
stupidamente scemi! Dicevamo... quando Damon è arrivato da
noi io… ehm, ho
perso il controllo e poi... Damon è fuggito con Bella. Non
so dove siano
andati, sta di fatto che il giorno dopo Nessie ci ha raccontato che si
sono
presentati a casa sua per dirle che andavano a Mystic Falls. E poi sono
partiti", spiegò il dottore.
Elena
ritornò seria:
"Ecco. Poi c'è stata la festa dei Fondatori di Mystic Falls
e Edward è
andato a dare una mano, ve l'ho detto: era davvero cretino. Un
autentico esemplare
di cretino. Avrebbe dato una
mano solamente perché voleva
infastidirmi, visto che gli avevo detto che avevo una certa urgenza di
andare a
Forks. Mi disse che saremmo partiti quella sera”,
continuò a spiegare Elena.
“Ma
Jacob arrivò prima di
lui”, intervenne Carlisle.
“Esatto”,
confermò Elena.
“Non ragionavo. Volevo solamente ritrovare Damon,
così accettai di partire
prima insieme a Jake”, disse con un sospiro lei.
“Inutile
dire che abbiamo
fatto un grande errore”, sospirò Jacob.
“Ma
cosa è successo? Voglio
dire, tu eri in casa con Nessie e poi, puf?”,
esclamò Elena incredula. Jacob
alzò le spalle: “Non saprei, a dir la
verità. So solo che ero andato a prendere
dei popcorn in cucina e non sono mai tornato indietro
perché… quasi non me ne
sono accorto, è stato così veloce. Davvero, non
ricordo”, mugolò sconsolato
Jake.
Tutti
in quella stanza
stavano facendo sforzi immensi per capire cose che per Bonnie,
l’artefice di
tutto, erano banali e elementari. Se solo si fosse decisa a dire la
verità…
“Non
importa, Jake”, lo
consolò Esme.
“Bene.
Poi voi due siete
partiti. Nessun altro dettaglio?”, domandò
Carlisle. Sembrava un interrogatorio
poliziesco.
Elena
fece per scuotere la
testa in cenno negativo, ma poi si bloccò e
guardò Bonnie: “Sì. Lei” e la
indicò in modo accusatorio. Bonnie
si
sentì talmente osservata che abbassò lo sguardo.
“Non
serve essere così
diretti”, le fece notare seccato Jeremy.
“Sta
zitto, Jeremy!”, ordinò
Elena. “Lei! appena stavo partendo assieme a Jacob si
è presentata e mi ha
pregato di non andare, che era la cosa più sbagliata che
potessi fare e tutte
cose del genere. E poi… poi ci avete seguiti!”,
esclamò Elena, arrivando solo
in quel momento alle conclusioni di quel labirinto.
Bonnie
scosse la testa: “No!
Non è vero, io… Jeremy era ad aiutare per la
festa, come potevo trascinarlo con
me se non si trovava neppure a casa tua? Sono andata a scuola e ho
parlato con
Edward e poi ho deciso di seguirvi, trascinando Jeremy con
me”, concluse
colpevole Bonnie.
Carlisle
sobbalzò alle parole
della strega: “Ma tu hai parlato con Edward?”,
esclamò stupito.
Lei
annuì, rendendosi conto
che forse avrebbe dovuto dirlo prima.
“Che
ti ha detto?”, continuò
lui con gli occhi spalancati, eccitati all’idea di scoprire
qualche notizia del
figlio a cui teneva di più.
“Niente
di importante. Gli ho
detto che Jacob era arrivato e che avevo litigato con Elena. Lui non
è rimasto
troppo dispiaciuto alla notizia, visto che doveva essere lui
l’accompagnatore
di Elena a Forks”, spiegò Bonnie.
“Evidentemente non ne aveva voglia di
trascinarsi dietro Elena. Comunque, davvero, non mi ha detto niente di
importante”,
aggiunse.
“Figurati”,
borbottò Elena
diffidente.
Bonnie
la ignorò, sentendo di
meritare ogni singola offesa e insulto che Elena le stava rivolgendo.
Carlisle,
felice di avere
avuto qualche insignificante ma preziosa notizia del figlio,
continuò ad
indagare: “Bene… da quel punto lì non
sappiamo
più niente di quello che è successo
a Mystic Falls se non che Rosalie,
Nessie e Alice sono andate là”,
rifletté il dottore.
A
quelle parole Jacob
sobbalzò; Nessie era a Mystic Falls?
“Non
ci posso credere!”,
esclamò furioso. Prese un vaso di fiori e lo
lanciò dall’altra parte della
stanza. Ringhiava, terrorizzato al pensiero che non si trovava dove la
sua
anima gemella era in quel momento.
“Calmati,
Jake”, ordinò
Jasper. Il vampiro se ne era stato in disparte fino a quel momento, con
l’aria
leggermente annoiata. Questa era la prima volta che interveniva,
utilizzando il
suo potere del controllo dell’umore per calmare il lupo, che
si sedette di
nuovo sul divano senza protestare.
“In
teoria loro sono
arrivate. Anzi sono sicuramente arrivate. Probabilmente ci aspettano
là. Avranno
parlato con Bella, chissà che è
successo!”, esclamò esasperato Carlisle.
Esme
lo guardò preoccupata;
perdere la calma non era da suo marito. Capitava un po’
troppo spesso
ultimamente.
“Dobbiamo fare
qualcosa”, intervenne improvvisamente
Emmett. Era stato zitto quasi tutto il tempo, e sentire la sua voce
potente in
quella conversazione così intima fece uno strano effetto a
tutti. “Sì, è
ovvio”, sbottò Elena. Tutto quello che si pensava
di fare non andava mai a buon
fine. Sempre. Dio, se scopriva chi aveva combinato tutto questo
casino…
“Ma
che cosa?”, domandò
Jeremy. Avrebbe fatto di tutto pur di aiutare la sorella, nonostante la
colpa
fosse di Bonnie; Damon non gli piaceva poi così tanto, ma
amava Elena e avrebbe
dato la propria vita per la sua.
“Intanto
dobbiamo stare
calmi”, disse Carlisle, per convincere per primo se stesso,
poi gli altri
membri della famiglia e infine tutti gli altri coinvolti nel caos.
“E
poi?”, continuò a chiedere
Emmett. Era davvero sempre pronto all’azione.
“Calmati,
Emmett”, ordinò
Jasper e le pupille dei suoi occhi si dilatarono leggermente. All’improvviso
Emmett si afflosciò sul
divano, molto meno agitato.
“Potremmo
mandare qualcuno di
voi a Mystic Falls per evitare che le ragazze tornino indietro o cose
del
genere. Intanto noi aspetteremo qui e il gioco è fatto.
Prima o poi, tutti ci
ritroveremo qui a Forks e sarà tutto molto più
semplice. Elena, Damon, Jeremy e
Bonnie torneranno a Mystic Falls mentre gli altri rimarranno qui e le
nostre
vite ritorneranno normali”, propose impeccabilmente Esme.
Donna brava in cucina
e nei lavori domestici e con un’intelligenza davvero niente
male.
Elena scosse la testa:
“Questo è l’errore più grande
che potremmo fare”, sbuffò.
Esme
la guardò un attimo,
tentando di capire quale fosse la pecca nel suo piano:
“Cos’ha che non va la mia
idea?”, chiese stupita.
Elena sospirò e spiegò:
“Finora non abbiamo fatto altro che rincorrerci da una parte
all’altra
dell’America. Questo perché ci siamo fatti guidare
dai nostri sentimenti e
volevamo essere certi che i nostri amici e parenti stessero bene. Ma
questo non
ha fatto altro che separarci e creare ancora più confusione.
Quello che faremo
è stare qui, fermi in questa casa fino a quando loro non si
decideranno a
venire qui e solamente a quel punto avremo risolto la
questione”, concluse
Elena senza fiato.
Esme
ragionò su quello che
aveva detto la ragazza ma poi scosse la testa: “Gli altri
avranno ragionato nel
tuo stesso modo; aspetteranno che noi andiamo da loro, ma se noi
facciamo come
hai detto tu, non andremo mai da loro. E finiremo bloccati qui per
sempre. Non
è una cosa molto positiva, non trovi? Qualcuno di noi deve
agire, altrimenti
non finiremo mai”, constatò Esme.
Elena capì che la vampira
centenaria aveva vinto la gara di cervelli e si lasciò
cadere sul divano,
abbattuta dal pensiero che non riusciva mai a vincere contro le vampire
centenarie.
Erano vecchie e anziane; perché lei, giovane e bella, non
vinceva mai contro di
loro? Forse proprio per il fatto che loro erano vampire, esseri
immortali e
(quasi) indistruttibili. Mentre lei era mortale e fragile. Sognava
spesso il
momento in cui Damon l’avrebbe trasformata; se lo immaginava
come un punto di
svolta, dove la sua vita sarebbe radicalmente cambiata e non avrebbe
più avuto
possibilità di ritornare come prima. Sarebbe stato un
momento perfetto,
assolutamente unico. La svolta, il momento in cui avrebbe detto addio a
tutto e
a tutti per amore. Solo per amore.
E, anche se molto meno
importante, la trasformazione le avrebbe donato la forza immensa, la
bellezza
disarmante e il poter considerarsi all’altezza di Damon.
“Bene,
allora. Faremo a modo
tuo”, concluse Elena, sconfitta.
Vedendo la sorella così
demoralizzata, Jeremy aggiunse: “Forse è davvero
l’idea migliore, Elena”,
tentò. Bonnie fece la sua timida presenza con un
“Sì, Elena. Forse è davvero
meglio così”, che a Elena non sfuggì.
“Te!
Come hai potuto
coinvolgere mio fratello in questo casino!”, urlò
d’improvviso la ragazza.
Bonnie
balbettò qualcosa di
incomprensibile.
“No,
non rimuginarti nei tuoi
sensi di colpa, perché non ha alcun senso. Potevi chiedere a
chiunque e tu vai
a chiedere a mio fratello. Ti avevo detto che detesto che sia coinvolto
in
questi fatti soprannaturali!”, gridò Elena,
iniziando a cedere delle lacrime.
“Scusami
Elena. Io…”,
balbettò Bonnie. Voleva dirglielo, davvero, tutto quello che
aveva combinato,
ma non ne aveva la forza. Aveva paura di Elena, nonostante si
conoscessero da
una vita. Ma qui c’era in ballo il codice
dell’amicizia: Bonnie non si era per
niente comportata da amica con Elena in quell’ultimo periodo.
Sperava davvero
che la sua amica capisse, perché le amiche devono capire gli
errori dell’altra.
Vero?
“Non
dire una sola parola di
più!”, urlò Elena e corse su per le
scale, senza bene sapere dove stesse
andando.
Si
sentì una porta sbattere,
ma i Cullen non si curarono di andare a vedere in che stanza Elena si
fosse
rifugiata. Probabilmente non avevano particolari segreti da nascondere,
se non
il fatto che fossero vampiri.
“Lasciatela
sfogare”, disse
solamente Carlisle, “ne ha bisogno. Povera
ragazza”, aggiunse con un sospiro.
“Bene, faremo come ha detto Esme”,
annunciò.
“Ma
come? Non possiamo andare
tutti a Mystic Falls. E se qualcuno
di
loro stesse venendo qui?”, obiettò Emmett.
L’effetto calmante di Jasper era
purtroppo terminato.
“Infatti
andrà solamente
qualcuno di noi…”, spiegò paziente
Carlisle.
Bonnie
riusciva solamente a
pensare al disastro che aveva combinato, doveva dirlo a Elena. Il prima
possibile; stava disperatamente cercando di comunicare ai suoi piedi di
muoversi verso il piano di sopra, ma loro non ne volevano proprio
sapere.
“Chi?”,
esclamò entusiasta
Emmett. Jasper assunse uno sguardo più interessato;
probabilmente aveva pensato
alla possibilità di rivedere Alice, la sua amata Alice.
Carlisle
li fissò per un
attimo, riflettendo: “Andranno Jacob e Emmett”,
annunciò.
Emmett
quasi saltò sul divano
dalla contentezza, mentre Jasper ritornò quello di prima,
senza quella luce di
speranza negli occhi. Era perso della sua Alice.
“Suvvia
Jazz!”, lo consolò il
fratello scimmione. “Vedrai che troverai da
divertirti”, aggiunse sornione
fissando Bonnie. Era incredibile come riuscisse a trovare dei lati
positivi in
quella situazione così assurdamente disastrosa.
Jasper
annuì; a volte era
meglio assecondare Emmett se volevi evitare di alzarti dal divano per
fare a
botte.
“Andiamo,
lupo! Abbiamo una
missione di salvataggio!”, urlò Emmett, entusiasta
del suo compito. Jacob
sbuffò, esausto di andare avanti e indietro. Ma quando
pensò che avrebbe
rivisto Nessie cambiò idea e corse da Emmett, pronto a fare
tutto quello che
Carlisle avrebbe detto. Non aveva idea di cosa avrebbe trovato a Mystic
Falls,
proprio no.
“Bene.
Voi due dovete andare
semplicemente a Mystic Falls a dire a Bella e a chiunque sia coinvolto
di stare
là fermi e di non muoversi. Vi daremo tre giorni: allo
scadere dei tre giorni
vi raggiungeremo”, spiegò il vampiro Carlisle. I
due annuirono, pronti a
memorizzare tutte le sue sagge parole, colme di secoli di esperienza.
“Bene,
ora partiamo”,
annunciò Emmett strofinandosi le mani. Adorava le missioni,
soprattutto quelle
di salvataggio, perché poi avrebbe potuto interpretare la
parte dell’eroe della
situazione.
Aprirono
la porta d’ingresso
e cominciarono a correre; dopo cinque minuti furono così
lontani che nemmeno
l’orecchio potente dei vampiri fu più in grado di
percepire il loro passo.
“Se
ne sono andati”, annunciò
Carlisle ritornando sul divano. “Ma voi non avete idea di
come possa essere
successo?”, chiese ancora.
“Staranno
bene?”, domandò
interrompendoli Esme, con la sua solita premura esagerata.
Carlisle
la tranquillizzò con
un abbraccio e le disse: “Certo che staranno bene,
tranquilla”.
Con
lo sguardo poi incitò
Jeremy e Bonnie a dire tutto quello che sapevano. Jeremy non sapeva
cosa aveva
intenzione di fare Bonnie, ma lei non parlava. Sembrava che avesse la
bocca
cucita con il filo, così decise di dire qualche bugia
clamorosamente falsa:
“Noi no, non ne sappiamo proprio niente. Siamo venuti a
sapere di questa cosa
con l’arrivo di Edward e con qualche soffiata di Elena quando
ci trovavamo
ancora a Mystic Falls. Ci siamo uniti nelle ricerche, non pensavamo che
il
nostro aiuto sarebbe stato così insignificante e che avrebbe
aggravato ancora
di più la situazione”, spiegò
tranquillo il fratellino di Elena.
Carlisle
sospirò: “A volte
abbiamo buoni intenti, ma poi va tutto a finire nel peggior modo
possibile”,
disse sconsolato.
Bonnie
sobbalzò a quella
frase tremendamente vera. Non ce la faceva più, non poteva
sopportare di
rimanere ancora in quella stanza. Non poteva stare a sentire Jeremy che
la
copriva con storielle inventate lì sul momento. Prima o poi
sarebbe venuta a
galla la verità, e più tardi sarebbe arrivata,
più Elena si sarebbe arrabbiata.
Forse
era davvero ora di
agire.
Questa
volta il tentativo di
comunicazione con i piedi funzionò: Bonnie si
alzò suscitando l’attenzione dei
Cullen. Decisa, si diresse verso le scale, guardò un attimo
in su e poi corse,
fino ad aprire tutte le porte del piano.
All’ultimo
tentativo, riuscì
ad aprire quella giusta, dove si trovava Elena in lacrime, sul letto.
Bonnie
si avvicinò,
lentamente e timorosa di quello che sarebbe potuto succedere.
Perché non aveva
una garanzia che Elena non le avrebbe staccato la testa o
chissà cos’altro.
Un
passo, un altro, un altro
ancora.
Bonnie
arrivò a toccare la
mano dell’amica, la strinse forte e con suo stupore Elena non
la respinse.
Forse si è sempre pronti a perdonare, perché
l’amicizia va sopra ad ogni altra cosa.
Ma si può
perdonare la
menzogna?
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Ma
lo sapete che vi amo? Vi
amo vi amo vi amo! Siete dei tesori preziosi come… non so
che cosa. Come la mia
colazione la mattina (vi assicuro che lo è), come il mio
computer
(importantissimo), come il mio letto (fondamentale).
Vi
ringrazio una ad una per
tutto il sostegno che continuate ininterrottamente a darmi, siete degli
angeli
con le ali. Che poetica che sono, o no?
Vi
informo che per le vacanze
di Pasqua scappo a Londra e dubito che riuscirò ad
aggiornare, ma ho già
scritto parecchia roba quindi tenetevi pronte che appena torno vi
massacro. Beh
una volta tanto è bello che succeda o no?
Questo
capitolo non è una
gran cosa. Incasiniamo ulteriormente ma vedrete che fa la nostra
Bonnie.
Qualche idea magari? Vi dico solo che manca pochissimo, ormai. Se non
dovessi
raccontare quello che succede a Mystic Falls, già il
prossimo capitolo sarebbe
quello decisivo per i Delena. Grazie per essere arrivate fino a qui,
ormai
stiamo venendo a capo del labirinto. Ma mi dovrete sopportare ancora un
po’,
infatti dovrà nascere il piccolino o la piccolina.
Vi
saluto tutte quante,
grazie a chi ha aggiunto la storia tra le seguite, le preferite, le
ricordate,
grazie particolari a chi ha recensito e grazie anche a chi legge in
silenzio.
Sappiate che anche due parole sono gradite per dirmi quello che
pensate,
bacioni
Fra
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Capitolo 16 *** Perdono ***
16.
Perdono
“Elena”
cominciò indecisa Bonnie. Mille diverse emozioni ronzavano
dentro il suo corpo,
ma doveva pur cominciare, no? Era obbligata
a metter da parte la timidezza e la paura e a tirar fuori il coraggio
che
talvolta emergeva nella vita, lasciandola sempre senza parole.
È questo quello
che succede quando scopri di possedere un lato della tua
personalità che non
avresti mai creduto di possedere. Bonnie sapeva per esperienza che ce la poteva fare a confessare tutto.
La
sua amica non la guardava, aveva occhi solamente per il copriletto.
Quel
dannato copriletto a quadri blu e verdi. Lo fissava così
intensamente da urtare
i nervi.
“Elena,
ascoltami. Devo parlarti” ripeté Bonnie, sempre
più nervosa. Cominciò a giocare
con le mani, intrecciando le dita nelle posizioni più
assurde.
Elena
si decise a guardarla: la strega poté finalmente vedere i
suoi occhi lucidi e
rossi di pianto. Bonnie non era più tanto sicura di voler
affrontare un
discorso così serio, perché sapeva che ogni
lacrima versata da Elena era per
colpa soltanto sua. Elena stava
soffrendo, era ovvio, e lei non riusciva, e non voleva, perdonarla per
ciò che la strega le stava
facendo passare.
Primo,
Elena aveva problemi a trovare quella persona che aveva combinato quel
disastro:
non aveva la più pallida idea di chi potesse essere e non
immaginava nemmeno
che quella ragazza era proprio davanti a lei.
Secondo,
Bonnie aveva coinvolto in quel caos anche suo fratello.
Terzo,
era preoccupata per Jeremy: era evidente, almeno per Elena, che suo
fratello era
cotto della sua ormai ex amica strega. Ma Bonnie poteva renderlo
felice? Poteva
non farlo soffrire? Dopo tutte le ragazze che aveva dovuto perdere,
Bonnie
poteva essere quella giusta?
“Bene,
Bonnie” farfugliò. “Che vuoi ora da me?
Vuoi darmi inutili spiegazioni
inventate sul momento sul perché sei qui con
Jeremy?” continuò lei
ricominciando a singhiozzare.
“No!
No, io voglio solamente…” provò a dire
la streghetta.
“Ti
prego! Ti conosco da quando avevi cinque anni, anzi prima. Ti conosco dalla nascita, Bonnie. Non fingere con
me” l’ammonì Elena, stringendo un
cuscino tra le braccia.
Bonnie
abbassò di nuovo lo sguardo: “Non sto fingendo un
bel niente, Elena. Anch’io ti
conosco da una vita ed è proprio per questo che capisco che
tu stai davvero soffrendo
molto” rispose lei.
“Ma
dai!” esclamò Elena, alzandosi e cominciando a
camminare avanti e indietro
davanti al letto. “Sul serio credi di conoscermi fino in
fondo?” domandò
ancora, “beh ti sbagli. Sai qualcosa su quello che provo per
Damon?” continuò a
chiedere, fermandosi finalmente di camminare.
Bonnie
sussultò al suono di quel nome: “No, non ne ho
idea” ammise.
Elena
annuì: “Già. Non ne hai la
minima idea”
confermò.
“Sì,
infatti. Ma se io avessi saputo, se lo avessi saputo non avrei mai fatto quello che ho fatto”
cominciò.
La verità stava cominciando a venire a galla: la bomba era
stata sganciata; ora
bisognava attendere quanto sarebbe stata potente
l’esplosione.
Elena
la fissò con uno sguardo pieno di domande: “Che
cosa non avresti mai
fatto?” chiese sospettosa, ritornando
a sedersi sul letto con una lentezza disarmante.
Bonnie
riusciva solamente a pensare al dopo, ma se non lo diceva il dopo non ci sarebbe mai stato. Il punto
era che lei lo voleva dire perché era la cosa giusta da
fare, ma aveva paura
del dopo. Come avrebbe reagito
Elena?
“Io…”
tentò. Primo tentativo: fallito.
“Tu…”
la incitò Elena, impaziente. Ora la rabbia era stata coperta
dalla curiosità;
sentiva che quella rivelazione era qualcosa di grosso, qualcosa che
voleva
sentire ad ogni costo, ma che avrebbe avuto un prezzo enorme alla fine.
“Io…”
riprese Bonnie. Secondo tentativo: fallito.
Elena
sbuffò e ritornò alla sua passeggiatina nella
camera: “Che perdita di tempo! Ci
conosciamo da una vita, Bonnie” ribadì lei,
esasperata.
Bonnie
colse la verità in quelle parole. Quella ovvia
verità che avrebbe dovuto
toglierle almeno un po’ della paura per il dopo.
L’amicizia fra loro due era nata diciannove anni fa e durava
tuttora. Stavano
solo attraversando un brutto periodo.
“Ok,
hai ragione. Sarò… ok, lo dico. Io… sono
stata io”
ammise Bonnie tutto d’un fiato.
Elena
non capiva, il suo cervello lavorava, correva per capire quello a cui
si stava
riferendo la sua amica. Sentiva che la risposta era lì
davanti, che dondolava
con lena e canticchiava per farsi notare. Ma per quanto Elena si
sforzasse di
capire quello che l’intuito e l’intelligenza le
stavano comunicando, non
riusciva ad arrivare ad una conclusione.
“A
che ti riferisci?” domandò Elena, socchiudendo gli
occhi con sospetto. Di cosa
stava parlando?
Bonnie
chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e li riaprì,
guardando Elena piena
di scuse: “Sono stata io. Io ho
fatto
l’incantesimo che ha scambiato Damon e Edward, io
ho mandato Jacob a Mystic Falls, io
sono l’artefice di tutto questo disastro
ma” aggiunse, prima che
Elena potesse cominciare a urlarle contro, “Elena
l’ho fatto con tutte le buone
intenzioni del mondo. Pensavo che non provassi certi sentimenti nei
confronti
di Damon! Lui ti aveva fatto del male in passato, e lo vedevo come una
cattiva
presenza nella tua vita, ma mi sbagliavo!” spiegò
disperata Bonnie. Aveva le
lacrime agli occhi da quanto era dispiaciuta.
Elena
sentiva acqua salata che stava per ricominciare a scendere a bagnarle
le
guance. Tentava di parlare, ma non ci riusciva. Apriva la bocca, e
invece delle
parole usciva un singulto, un singhiozzo pieno di comprensione e di
dolore.
Delusione. Confusione. Voglia di perdonare, che Elena tentava di
reprimere con
tutte le sue forze. Come poteva davvero perdonare una cosa del genere?
Aveva
sofferto giorni; ogni singolo minuto era stata una ferita durante
l’assenza di
Damon. E ora era distrutta, sì. Distrutta
dal dolore.
Non
erano mancati i momenti in cui era riuscita ad alleviare tutto quel
male.
Emmett, i Cullen, Jacob. Non sapeva come avrebbe fatto senza di loro.
Era vero
che erano in grado di sentirti meglio in modo incredibile; nonostante
non si
conoscessero nemmeno, erano grandi amici. L’avevano aiutata.
Era debitrice nei
loro confronti.
Elena
tentò nuovamente di parlare: “Quindi
tu… tu hai fatto tutto questo” ragionò
infine.
Bonnie
annuì: “Ma per…”
tentò di dire.
“Tu
non hai la più pallida idea vero? Tu non sai come mi sono
sentita!” gridò
Elena, scoppiando nuovamente a piangere.
“Io
no, non ne ho idea! Ma voglio rimediare! Sono pentita di quello che ho
fatto!”
rispose Bonnie.
Elena
scosse la testa, asciugandosi le lacrime: “No, tu non lo
sei” sussurrò. Non
sembrava che quella fosse un’affermazione rivolta
all’amica che le stava di
fronte, in lacrime e quasi inginocchiata a terra; no, sembrava che
quella frase
fosse rivolta a sé stessa, in un disperato tentativo di non
voler accettare la
verità.
Bonnie
cadde a terra: “Sì che lo sono”
farfugliò, stringendo le mani di Elena fra le
sue. L’amica non le ritrasse perché, per quanto le
costasse ammetterlo, le
erano mancate quelle mani. Quella pelle leggermente secca e ruvida, ma
così
piacevole e che le ricordava tanto che la vita aveva un
senso. Le faceva pensare a una persona con
cui poteva confidarsi, con cui poteva parlare di tutto. Ma non lo aveva
fatto:
Elena non aveva parlato di Damon a Bonnie.
Era
colpa sua, in fondo.
Elena
spalancò gli occhi tremanti: “Scusami”
balbettò; sembrava che le sue palpebre
potessero cedere da un momento all’altro.
Bonnie
scosse la testa, confusa: “Per che cosa, Elena?”
domandò, stringendo più forte
le mani dell’amica. Le erano mancate così
tanto…
Elena
prese un profondo respiro: “In fondo è colpa mia:
io non ti ho mai parlato di
Damon prima. È solo che… la storia di Caroline,
Stefan… Damon era sempre con me
e non ne avevo avuto l’occasione. Mi dispiace
Bonnie” concluse con un
singhiozzo la ragazza.
Fissò
per un ultimo istante gli occhi neri pece di Bonnie e poi si
catapultò tra le
sue braccia. Immerse la testa nei suoi capelli e la strega fece lo
stesso nei
suoi. Finalmente si erano ritrovate.
In
quel momento, Elena capì che non aveva solamente sofferto
per Damon in quei
giorni, come si era invece ostinata a credere. Le era mancato il
fratello, la
zia, la migliore amica e Damon. E, pian piano, tutti i tasselli del
puzzle si
stavano mettendo a posto.
“Mi
perdoni?” domandò Elena, abbracciando
più forte Bonnie.
“Certo.
E tu perdoni me?” chiese lei.
Elena
annuì: “Certo! Come non potrei?”
sussurrò, inspirando il profumo dei capelli
dell’amica. Improvvisamente lei si staccò:
“Devo fare una cosa” annunciò.
Frugò
negli armadi in cerca di qualcosa, e ne venne fuori con qualche
candela.
“Che
stai facendo?” domandò Elena, storcendo il naso.
Bonnie
sorrise, indaffarata: “Mi faccio perdonare meglio”
disse, senza chiarire i
pensieri confusi di Elena, che continuava ad avere uno sguardo
interrogativo
stampato in faccia.
“Vedrai”
disse solo Bonnie.
Elena
si fidò; e quella scelta fu la migliore che aveva fatto
negli ultimi giorni.
*
Caroline
era così felice di essere accanto a Stefan. Avere la persona
più importante
nella sua vita tutta per sé era una sensazione
già provata sicuramente, ma in
modo completamente diverso. Non si era mai sentita così
libera e felice di
essere se stessa, ma allo stesso tempo con il peso di mille
responsabilità per
far funzionare quella relazione.
La
vampira continuava a sorridere ogni volta che pensava a un futuro
contorto dove
c’erano solo lei e Stefan, circondati da amici e parenti, con
lo sfondo di
mille paesaggi diversi. Come un album fotografico che scorreva a
velocità
allucinante.
Caroline
non si curava di Alice, Bella e Rosalie che giravano per la casa, in
attesa che
Damon tornasse con Nessie alla pensione. Non le importava se la
vedessero
sorridere come un’idiota. Perché non ti importa di
niente quando sei felice. Sei felice; punto e
basta.
“Perché
sorridi?” chiese Stefan, giocando con un boccolo di Caroline.
Lei
sorrise di nuovo per tutta risposta e tentò di trovare le
parole più giuste per
esprimere la sua felicità. “Io… io sono
solo felice. Solamente molto, tanto
felice” spiegò lei. Le sembravano
parole talmente scarne in confronto alla contentezza che sentiva dentro
di sé,
che aveva paura che si sarebbe arrabbiato un po’.
“Anch’io
lo sono. Perché ti amo” dichiarò
Stefan. Perché lui riusciva a comunicare i
propri sentimenti con così tanto trasporto, mentre Caroline
non ne era in
grado? Per la prima volta dopo ore, la vampira si lasciò
andare una smorfia.
“Ora
non sei più felice quando ti dico che lo sono
anch’io?” chiese divertito
Stefan, anche se leggermente preoccupato per i tremendi sbalzi di umore
inspiegabili della sua nuova fidanzata.
Lei
scosse la testa: “No, ovvio! È solo
che… tu sei così bravo a dire ti amo,
mentre io sono davvero incapace!” confessò
imbarazzata, abbassando la testa e
coprendola per bene con la folta chioma bionda.
Stefan
ridacchiò: “Non è vero! E comunque,
anche fosse, ti amerei anche per questo”
disse dolcemente, tentando di alzare la testa di Caroline la quale,
cocciuta
fino al midollo, non intendeva guardarlo negli occhi.
“Avanti,
Care! Avrai l’eternità per imparare a
migliorare… e non devi fare tanta strada!
Io ti credo quando mi dici ti amo, anche se magari non è il
modo in cui
vorresti dirlo! Sai, non siamo tutti perfetti e grazie a Dio siamo
tutti diversi,
se tutti dicessimo ti amo nello stesso modo uno finirebbe per
annoiarsi, non
trovi?” cercò di farla ragionare ancora Stefan.
Solo in quel momento Caroline
alzò la testa, gli occhi leggermente lucidi e lo
guardò, annuendo
impercettibilmente.
Stefan
sorrise, contento che la sua Care avesse cambiato opinione sui suoi
modi di
fare. A volte bastava così poco per convincerla.
Sentirono
bussare alla porta. Si scambiarono un’occhiata e Stefan si
alzò di malavoglia
per andare ad aprire a chiunque fosse quel cretino che fosse arrivato a
disturbare. Casa Salvatore era grande e su questo non c’era
dubbio, ma non
voleva che fosse stata scambiata per un Bed & Breakfast.
Aprì
la porta e davanti a sé trovo l’ultima persona che
avrebbe voluto vedere: Tyler Lockwood.
“Ciao,
Stefan!” lo salutò il licantropo tenendo le mani
nelle tasche per l’imbarazzo.
Lui e Stefan non avevano mai avuto molto da raccontarsi e
c’era della tensione
all’ingresso della casa.
Stefan
annuì in cenno di saluto a Tyler, che sorrise nervoso. Dopo
secondi che
sembrarono un’eternità, nella quale Caroline si
stava chiedendo disperatamente
cosa volesse il suo ex, cosa ci facesse lì e cosa lei
avrebbe dovuto fare,
Tyler riprese a parlare: “Senti, non è che sai
dov’è Caroline?” chiese sempre
più con la voce tremolante. Probabilmente, pensò
Caroline, aveva lo sguardo
rivolto al tetto della casa per non fare trapelare
l’imbarazzo che lo invadeva
dalla testa ai piedi, accumulato particolarmente sulle guance.
Stefan
a quella domanda cominciò a digrignare i denti, furioso
solamente per aver
fatto il nome della sua nuova ragazza. Si erano appena messi assieme,
questo
doveva proprio venire a rompere le scatole durante quel momento
perfetto?
“Oddio,
amico. Non serve essere così furiosi. Ho solamente fatto una
domanda…” cercò di
calmare le acque Tyler, cominciando ad arretrare. Forse non era stata
una buona
idea venire in quella casa. No, forse la prossima volta sarebbe stato
meglio
ignorare quei dannati piedi che lo spingevano in una direzione e usare
la
testa, che sicuramente ne sapeva di più.
Caroline
agì d’istinto, senza sapere bene perché
lo stesse facendo e si presentò
all’entrata della casa, in modo che Tyler la potesse vedere
bene. “Sono qui,
Tyler” disse, sicura di sé come non lo era mai
stata in passato.
Lui
strabuzzò gli occhi, confuso. Che ci faceva Caroline a casa
Salvatore? “Ah, io…
non lo sapevo” farfugliò lui in preda alla
confusione. Guardava Stefan e vedeva
l’odio nei suoi occhi, come se gli avesse detto qualcosa di
incredibilmente
offensivo. E Caroline lo squadrava con una luce negli occhi che non le
aveva
mai visto. Aveva visto egoismo, gentilezza, rabbia,
felicità, tristezza negli
occhi di Caroline Forbes, ma quella sfumatura delle sue iridi proprio
non l’aveva
mai notata in tutti gli anni che si conoscevano.
Era…
preoccupazione, forse? Premura, forza di volontà?
Non
riusciva ad arrivarci per quanto si sforzasse e a distrarlo forse era
il
mistero sul perché Caroline si trovasse a casa di Stefan.
Doveva
capire: sentiva di avere il diritto di ricevere delle spiegazioni.
Cominciò ad
indicare i due con le dita, muovendole velocemente: “Voi
due… così, state…
siete” farfugliò, mettendo le mani in tasca a
scatti.
Caroline
si sentiva in colpa; meritava di sapere, ma non voleva sbattergli in
faccia la
grande novità del secolo. Sapeva anche, però, che
se fosse stato Stefan a
dirgli la verità, sarebbe stato molto meno delicato di
quanto lo sarebbe stata
lei.
Aveva
bisogno di una scusa; all’istante. Per grazia divina, vide
spuntare da dietro
l’angolo una macchina piuttosto nota. Appena conducente e
passeggero uscirono,
Caroline colse l’occasione al volo.
“Ciao,
Damon!” urlò Caroline. Corse verso di lui e Nessie
che stavano chiacchierando animatamente.
Lui la teneva d’occhio, come se fosse una preziosa gemma di
vetro che potesse
cadere da un momento all’altro e spezzarsi in mille pezzi.
Tyler
seguì con gli occhi la corsa di Care e la vide allegra. Si
aspettò di vederla
tra le braccia di Damon, ma invece stava abbracciando con delicatezza
qualcuno
che stava accanto al vampiro, che intanto faceva delle strane smorfie
disgustate e si stava allontanando a passo svelto.
Passò
accanto al fratello e sbottato qualcosa ironicamente su: “Le
donne, fratello” e
poi aveva alzato gli occhi al cielo.
Si
stava dirigendo verso il suo tavolino preferito su cui teneva con
estrema cura
la sua scorta di alcolici, ma poi si accorse di essere passando davanti
a…
“Lupacchiotto”
esclamò con un sorriso, tornando all’ingresso
della casa.
“Damon”
lo salutò Tyler, osservando il punto dove Caroline stava
ancora abbracciando
quella persona che ancora non riusciva a distinguere chiaramente.
“Oh,
non lo sai lo scoop?” lo provocò ancora il
vampiro, che nel frattempo era
riuscito ad andare a prendere due bicchieri e una bottiglia di scotch.
Tyler
scosse la testa e Damon gli si avvicinò, cominciando a
parlare con un tono da
vecchia pettegola che raccontava alla vicina l’ennesimo
scandalo della
settimana: “Presente quel libro per povere ragazzine
arrapate? Twilight? Ecco, i
personaggi sono
arrivati a Mystic Falls” concluse con un tono misterioso.
“E quella lì è la
figlia del vampiro tormentato e della Bella” aggiunse,
indicando la ragazza
emersa dai capelli biondi di Caroline.
Tyler
rimase colpito dalla sua bellezza così innocente: aveva
lunghi capelli mossi
color del bronzo, occhi marroni come il cioccolato fuso e un viso
pallido. Due
braccia e due gambe fine e… una pancia enorme.
Il
licantropo non riusciva a trovare le parole adattate per un commento:
“Wow… la
generazione va avanti. Nuovo libro?” commentò
sarcastico per coprire quanto
fosse incantato da quella ragazza. Una forza lo stava attirando verso
di lei,
un qualcosa che non riusciva a toccare, a vedere, a respirare, a
sentire con le
orecchie. Sì, perché la riusciva a percepire
solamente con il cuore.
Qualcosa
di cui Tyler sentiva di potersi fidare lo stava trascinando verso
quella
ragazza. Non era attrazione vera e propria, sentiva che era molto di
più. Un
sentimento che non poteva essere paragonato all’amicizia, ma
nemmeno era così
potente come l’amore. Era una forza d’attrazione a
cui non riusciva resistere.
Tyler
si sentiva come un elastico: una forza lo trascinava verso Nessie, e
lui
tentava con tutto quello che poteva fare di resistere a quel richiamo
così
dolce.
“Speriamo
di no… quelli che ci sono bastano e avanzano”
rispose sarcastico Damon. Poi,
vedendo che Tyler stava cominciando ad apparire un po’
strano, cominciò a
destare qualche sospetto: “Ehi lupo. Tutto ok?”
chiese prendendo per una spalle
e scuotendolo.
Tyler
ritornò in sé, dopo un po’. Scosse la
testa e mormorò delle scuse.
“Figurati
amico” disse solo Damon, senza smettere di fissarlo con
preoccupazione.
“Nessie!”.
Il coro delle tre vampire del Nord America fece la sua trionfale
comparsa.
“Mamma!
Zie!” strillò lei in risposta. Corse incontro a
loro e le abbracciò. Mentre lei
correva goffamente, Tyler seguì ogni suo singolo passo con
lo sguardo, come se
i suoi occhi e i piedi di lei fossero poli che si attraggono.
“Guardate!
Damon mi ha regalato questa per il piccolo!”
esclamò tutta contenta lei,
saltellando goffamente per il peso che era costretta a portare in
grembo.
Le
tre vampire guardarono il regalo di Damon meravigliate, e si aprirono
in un
“oh” collettivo, fastidiosamente acuto.
“Damon
non dovevi. Grazie” disse affettuosamente Bella a Damon.
Lui
alzò le spalle, cominciando a bere: “Un piccolo
pensierino per il piccolo”
disse tranquillo.
Bella
lo fissò intensamente: “Davvero: grazie”
ripeté più decisa. Poi lo abbracciò, e
Damon si sentì un amico. Sentì che Bella lo
considerava un vero amico.
“Già
Damon! Grazie!” strillarono Alice e Rosalie, correndo ad
abbracciarlo.
Dopo
essere stato stritolato per bene, Damon decise di correre verso la casa
di
Elena. Avrebbe dormito nel suo letto, quella notte. Avrebbe respirato
il suo
profumo, sarebbe stato circondato dalle sue fotografie. Sì,
lo avrebbe fatto.
“Bene,
io me ne vado” si congedò. Non aggiungendo altro,
si andò confondendo nella
foresta.
Tyler,
che era stato muto tutto il tempo, non riusciva a trovare la forza di
andarsene. Voleva abbracciare una sconosciuta e lei non sembrava
mostrare
particolare interesse nei suoi confronti. Stefan si avvicinò
a lui e gli batté
con una mano sulla schiena: “Voglio dirti che io e Caroline
stiamo assieme e
che non ti voglio di mezzo” mormorò minaccioso, ma
senza guardarlo negli occhi.
Caroline voleva essere lei a dirlo a Tyler, ma Stefan ci teneva alla
sua
relazione e voleva allontanare il concorrente da subito.
“Caroline
vuole dirtelo per prima, ma io non mi fido di te”
spiegò rapidamente il
vampiro. “Quindi non metterti in mezzo e trovati qualche
altra lupa” concluse
Stefan. Gli lanciò una rapida occhiata e se ne
andò.
Tyler
decise in quel momento che sarebbe rimasto a conoscere Nessie; doveva
farlo.
Per rimediare alla ferita lasciata da Caroline, per capire meglio
quello che
stava succedendo alla sua mente e al suo corpo.
Era
come se quella di conoscere Nessie fosse la sua unica strada. Non aveva scelta.
*
Damon
entrò dalla finestra a casa Gilbert. Passando attraverso le
tendine leggere
sentì il profumo di Elena invadere le sue narici. Era una
sensazione che non
provava da giorni, giorni eterni che gli parevano anni.
Si
sdraiò sul letto e fissò il soffitto, incantato
dalle stelle luminose che Elena
non aveva voluto staccare durante l’adolescenza
perché le ricordavano i bei
tempi dell’infanzia.
Improvvisamente
Damon sentì che in quella stanza non era più
solo. Qualcuno era apparso.
Ma
sentiva che non c’era nulla di spaventoso.
Non
aveva paura.
Perché
lei era lì con lui.
In
tutti i sensi.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Vedete
che sto aggiornando a tempo record! Ieri sono tornata con I
Feel You
e oggi, finalmente dopo quasi due mesi, ritorno con il mio pazzo
crossover!
Mi
dispiace tanto, ma sono stata molto occupata e spero di esservi mancata
(perché
significa che ciò che scrivo vi piace J) ma la scuola mi stava uccidendo.
Per
inaugurare l’ultima verifica del mio primo anno di Liceo J, ecco un nuovo fresco capitolo. E
finalmente ci
siamo! Voglio recensioni a palate, ok? =)
Spero
che abbiate intuito cosa è successo nella terza parte, che
si collega con la
prima…
Il
prossimo capitolo sarà quello che voi attendete da molto
tempo, spero di non
deludere le vostre aspettative.
Vi
ringrazio davvero per tutto il vostro sostegno, grazie a chi ha
aggiunto questa
storia tra le ricordate, le seguite e le preferite. Grazie anche a chi
legge
solamente in silenzio.
Grazie
soprattutto a chi recensisce… purtroppo sono piuttosto in
ritardo con le
risposte alle recensioni, quindi corro a rispondervi e a farvi i
ringraziamenti
persona per persona.
Grazie
ragazze! Spero di aggiornare prestissimo!
Bacioni
Fra
PS
Vi segnalo qualche mia storiella più qualche altra che adoro:
Una
mia OS deprimente che spero leggiate… qui
La
mia pazza raccolta demenziale…
qui
E
infine… Impossibile
di kija_salvatore,
che
(come me J) è appena tornata da
una lunga assenza. Presto recensirò! Bentornata Vale! =)
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