L'abitudine di Shinalia (/viewuser.php?uid=68696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salveeee, voi
direte? Un'altra storia? Ma sei impazzita?
Ammetto
che è
stato un incidente... ieri ero particolarmente abbattuta,
così ho aperto la pagina di word, bianca, e ho iniziato a
scrivere senza sapere cosa o come. Alla fine è sbucata fuori
una trama XD bha... Vederemo cosa ne uscirà! Un bacione a
tutti voi che passerete di qua!
Sulla mia pagina su Fb:
Questa troverete spoiler, le
foto dei personaggi (che sto caricando proprio ora) ecc XD
Abitudine?
« Questa
è una
bufala grande come una casa.» sentenziai, senza impelagarmi
in futili
maledizioni o in epiteti offensivi.
Un inutile
spreco di fiato, a parer mio.
« Tutto
qui?»
mormorò incredula.
Probabilmente
lei non concordava con me.
Avvertii il suo
sguardo trapassarmi, irritato ed irrequieto, ma non vi diedi peso. Non
in quel
momento almeno.
Ero a
metà di
quel dannatissimo quadro. Dopo due settimane ero riuscita a raggiungere
finalmente quel livello, che con mio disappunto si stava rivelando
anche più
arduo dei precedenti.
Porcaccia
la
miseria. Imprecai a denti
stretti, premendo con
irruenza una combinazione di tasti, accelerando e provocando un
testacoda,
facendo così uscire di strada il povero Super Mario. Dannazione… riparti, riparti!
«
Cristina, ti
ho appena detto che all’università gira voce che
tu sia stata con Mattia e tu
stai lì a perdere tempo con quel cazzo di video
gioco?»
Alzando gli
occhi al cielo per l’esasperazione, fui costretta a mettere
in pausa il quadro.
Non tanto perché ritenessi giusto prestarle attenzione, ma
semplicemente perché
le sue urla stridule avevano la stupefacente capacità di
deconcentrarmi.
Abilità
che non
perdeva occasione di sfruttare, oltretutto.
«Cosa
altro
dovrei dirti?» mormorai, poggiando il joystick in terra,
volgendomi verso di
lei, seduta a gambe incrociate sul pavimento freddo della mia stanza.
«Sentiamo.» la incoraggiai cercando di non ridere
della sua espressione
frustrata.
Detestava la mia
costante parvenza di calma.
Non era la prima
a cui facevo quell’effetto, ma almeno era la prima a non
piantarmi in asso dopo
anni di amicizia.
La osservai
sorridendo divertita. Era una bella ragazza, con il viso un
po’ tondo e due
occhi vispi color menta. Se non fosse stato per qualche chiletto di
troppo
avrebbe avuto ai suoi piedi chiunque, ma il suo amore per il cibo
andava ben
oltre quello per gli uomini ed in verità questi ultimi non
rientravano nei suoi
interessi.
« Dovresti
fare
qualcosa. - bofonchiò. – Non puoi permettere a
quell’idiota di spargere certe
voci. Dannazione, come se tu potessi abbassarti a stare con uno come
lui! »
esclamò stizzita, arricciando le labbra in una smorfia di
puro disgusto,
seriamente esilarante.
Era una persona
incomprensibilmente
teatrale, un motivo in più per adorarla. Il suo modo di fare
riusciva a
strapparmi un sorriso anche nelle situazioni più critiche, e
di quelle ne
avevamo affrontate in abbondanza, insieme.
« Forse tu
non
te ne rendi conto ma quello ha ai
suoi piedi mezzo corso di letteratura, credo che tutte quelle ragazze
abbiano
una percezione ben diversa dalla tua. »
Arcuò il
sopracciglio destro, fissandomi con disapprovazione.« Vuoi
dire che ci andresti
a letto?»
« Ha il
cervello
che è l’equivalente di una nocciolina ed
è un bastardo rompipalle di dimensioni
epiche. » obiettai, sbuffando. Certo era carino, con un bel
fisico e un
fondoschiena da urlo, ma a tutto
c’è un
limite. Magari se non fosse un narcisista convinto di poter
aver tutto ciò
che desiderava e soprattutto se fosse stato in grado di stare
zitto… uhm.
« Il tuo
è un
no?»
« Mi pare
ovvio.»
mormorai pacata, gettando lo sguardo allo schermo della tv, sperando di
aver
placato una volta per tutte le sue lamentele.
Speranza
vana. La sua
cocciutaggine era sempre stata
un’arma a doppio taglio e questa era una di quelle volte in
cui ne avrei
volentieri fatto a meno.
«Allora
dovresti
fare qualcosa.» asserì, incrociando le braccia al
petto. Già… qualcosa! Suggerimento
piuttosto
generico. Non che la mia mente non vagliasse ipotesi stuzzicanti , quel
bastardo meritava certamente una lezione, ma alla fine sarebbe stato
come lottare
contro i mulini a vento. Bhe, Don Chiosciotte non era certo il mio
modello di
vita.
«Vuoi che
vada
da lui a tirargli un bel calcio nelle palle, zittendolo finalmente una
volta
per tutte? – proposi alzando gli occhi al cielo. - L’idea
è allettante, ma sai benissimo che non sono il tipo e poi
una simile scena
finirebbe per alimentare il vociare su di noi. Scommetto dieci a uno
che mi
scambierebbero per la ragazzetta sedotta e abbandonata. »
« Anche
questo è
vero.» fu costretta ad ammettere riluttante.
Come sempre
avrebbero tratto da quella stronzata tutti i pettegolezzi
più assurdi e
succulenti che sarebbero stati in grado di montarci e io mi sarei
impelagata in
una specie di romanzo rosa, indossando le vesti della pulzella
bisognosa di
attenzioni che si è rivolta al bastardo di turno,
illudendosi di avere dinanzi
il principe azzurro.
…
Come se credessi
ancora nelle favole.
«
Già, lo so. –
commentai caustica. – se tu ti dessi la pena di riflettere
prima di agire
riusciresti a risparmiarti un gran numero di guai.»
Scrollò
le
spalle con noncuranza. «Forse, ma in questo modo riesco a
togliermi un bel po’ di
soddisfazioni. – sospirò, massaggiandosi le tempie
con studiata lentezza.
- Io proprio non ti
capisco. Se Michele
lo scoprisse? Non credi si arrabbierebbe a morte?»
Scrollai le
spalle. Già Michele.
Il mio fidanzato
da tre lunghi anni. Un ragazzo dolce, di bell’aspetto, ma
noioso come pochi. La
sua mente era costantemente proiettata sui libri e sullo studio,
trascorreva gran
parte delle giornate recluso nella sua stanza, degnandosi di uscire
solo per i
pasti o se costretto. Vivendo nello stesso palazzo avevamo modo di
vederci
spesso, di trascorrere almeno un paio di sere a settimana insieme,
guardando un
film o chiacchierando. O meglio, io parlavo e lui ascoltava.
Ma… c’era qualcosa
di stantio nel nostro rapporto. Una routine insopportabile che iniziava
a
pesarmi, più di quanto fossi disposta ad ammettere.
Talvolta
cerchiamo
di ignorare i segnali,
fingiamo di non vedere quello che sappiamo potrebbe stravolgere le
nostre
certezze, troppo preoccupati per le conseguenze.
Bhe, per me
Michele era una certezza.
Lamentavo
l’impulsività di Luana, ma internamente ammiravo
la sua capacità di affrontare
tutto a testa alza, senza pensar troppo. Era una qualità che
a me mancava del
tutto.
Saltare
nel vuoto?
No grazie…
«
Capirà! –
asserii, sventolando la mano fingendo noncuranza. – Sa
benissimo che non vado
dietro il primo sgallettato che mi capita a tiro. Tra parentesi
conoscendolo
non lo saprà mai. Non è tipo da ascoltare i
pettegolezzi.»
«Certo,
vive in
un mondo tutto suo. – bofonchiò, tirando fuori una
busta di patatine dalla
borsa. – Stamattina ho parlato per oltre due ore al muro.
Inutile dirti che
cercare di convincerlo a rinunciare al corso di Martucci
perché il programma
era il doppio è stato tutto fiato sprecato. La sua unica
risposta è stata il
professore è un luminare nel suo
campo.
- borbottò imitando alla perfezione il suo tono. –
Che poi mi domando luminare
di che? È un professore di antropologia, mica di
astrofisica.»
Scrollai le
spalle, per nulla sorpresa, reprimendo un sorriso. Era una persona
estremamente
silenziosa, con un senso della morale e del dovere decisamente fuori
norma per
un ragazzo della sua età. Non che me ne
lamentassi… o almeno non sempre, ma
sapeva essere oltremodo irritante, in certe situazioni. A confronto con
lui io
mi sentivo costantemente come una bambina sorpresa con il braccio nel
barattolo
dei biscotti. «Sai com’è fatto.
– sospirai arrendevole, gettando lo sguardo sul
quadrante dell’orologio a muro. Le 19:30. – Si
è dimenticato di chiamarmi.»
notai, storcendo le labbra.
La mia amica mi
scrutò attentamente, corrugando la fronte in
un’espressione fin troppo
consapevole. « Sbaglio o neanche ieri?»
«Ci sono
gli
esami. – lo giustificai d’impulso. –
è una settimana che non ci vediamo.»
«Per
stasera
piantalo ed esci con me.» propose, passandosi distrattamente
le mani tra i
capelli che le ricadevano in una massa arruffata sul viso.
«Qualche
idea?»
alzai gli occhi su di lei, in attesa. Forse un po’ di
distrazione mi avrebbe
aiutata.
«Che ne
dici di
un giro nel pub di Sebastiano? Potremmo prenderci una birra
stasera.»
Annuii,
afferrando il cellulare ed inviando a Michele un messaggio. Neanche per
quella
sera non ci saremmo visti.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Holaa!
Eccomi con il primo capitolo di questa storia! ^^ Da
premettere che la descrizione della casa riprende quella di una mia
compagna di corso all'università ahahahah la prima volta che
la vidii rimasi impalata all'ingresso, temendo di vedermi cadere il
tetto in testa ahahahah Roba da panico. Questa di seguito è
la cover della storia... infatti nelle due foto vengono ritratti i due
attori che ho scelto per interpretare Michele e l'altro... che
arriverà nel prossimo capitolo. hihiihi Non aggiungo altro.
Vi ringrazio per i vostri commenti, sperando vivamente che questa
storia possa piacervi. é nata dal nulla, ma in essa ci sono
molte cose che mi rispecchiano... chissà. Un bacio!
♥
ps:
Link mia pagina su FB, con spoiler e foto dei personaggi:
Link
Capitolo
1
La
mia storia con Michele era nata tre anni prima. Ero al
mio primo anno di università. Città nuova, casa
nuova, gente nuova e senso di
abbandono e smarrimento totale. Mi ero trasferita in una palazzina
adibita a
casa studenti, in un quartiere di Napoli, di cui all’epoca
conoscevo poco. Meglio,
considerando che non avrei mai
deciso di risiedervi se mi fossi adeguatamente informata.
Quando
entrai in quella casa il mio primo impulso fu quello
di prendere bagagli e scatoloni e fuggire il più lontano
possibile, correndo a
perdifiato. Naturalmente fui costretta a sopprimere quel folle
proposito,
salutando con un sorriso stentato la ragazza in pigiama che camminava
per il
corridoio con uno spazzolino penzoloni da bocca.
Luana.
Ancora
mezza addormentata si limitò a squadrarmi sorpresa,
allontanandosi
nuovamente verso il bagno, dopo aver bofonchiato un frettoloso “Ciao.”
Non
un cenno. Non una parola di benvenuto.
Rimasi
lì impalata cercando di attribuire a quel
comportamento un significato recondito. Solo in seguito avrei scoperto
che
Luana e le convenzioni sociali erano come due rette parallele,
destinate a non
incrociarsi mai. Se fosse stata allevata da un branco di lupi non ne
sarei
stata sorpresa, ma al contrario proveniva da un’affabile
famiglia di ceto
medio. Suo padre lavorava in un’azienda agricola, sua madre
gestiva un
negozietto di antiquariato in provincia di Caserta, dove vivevano. Li
conobbi
il Natale successivo, in onore delle feste, quando fecero visita alla
loro
figlia. Mi piacque osservare la dolcezza con la quale si rapportavano a
lei, le
premure che le rivolgevano, temendo non mangiasse abbastanza proteine,
che non
si coprisse adeguatamente nonostante il rigido inverno.
Lì
percepii il calore di una famiglia.
La
mia infanzia trascorsa in compagnia di una o di un’altra
badante, mi rendevano estranea a quel genere di sensazioni e di
coesione.
Certo, volevo un gran bene a Lucilla, la vecchia signora che si era
occupata di
me negli ultimi dieci anni, ma… io non ero sua figlia e
neanche una sua
parente.
Non
ponevo in dubbio il suo affetto per me, ma credo che per
quanto si possa voler bene a qualcuno, l’amore e la dedizione
di una famiglia
non possano avere eguali. Il senso di protezione che possono donarti,
quel
calore indiscusso dovrebbe essere qualcosa di stabile e insostituibile,
quel
qualcosa su cui si sa di poter sempre contare. Nonostante i problemi,
nonostante gli errori.
La
mattina del mio arrivo a Napoli rimasi lì, impalata nel
corridoio di entrata, tremolante e a disagio, per quel contesto tanto
nuovo e
altrettanto bizzarro, implorando mentalmente l’arrivo di una
figura amica che
potesse trarmi d’impaccio.
Purtroppo,
o almeno così ritenni all’epoca, l’unica
a
giungere in mio soccorso fu Luana.
«
Che ci fai ancora qui? – bofonchiò perplessa,
addentando
una ciambellina. Mi osservava con un cipiglio sorpreso dipinto in
volto, mentre
masticava frettolosa. – Non credo ci sia molto da contemplare
in questo
ingresso, ma se ci tieni tanto almeno posa le valige in stanza.
»
«
Non so dove andare.» mormorai timidamente, imbarazzata da
quella ragazza che mi parve tanto strana e dalla situazione in
sé. Ero
cresciuta in quella bolla di vetro che i miei genitori avevano
costruito per
me, protetta da tutto e da tutti. Scuole private, una tata
che sopperiva alle loro mancanze e il mio gatto.
Troppo
introversa per instaurare un vero rapporto con qualcuno,
avevo ben poche amiche, con cui ero praticamente cresciuta. Essendo
rapporti
che si protraevano sin dall’infanzia erano per me alla
stregua di sorelle. Le
adoravo, ma l’aver sempre fatto troppo affidamento su di loro
mi aveva sempre
isolata dal resto del mondo.
Non
ero mai stata una fan dei luoghi affollati. Prediligevo
il silenzio e la pace della mia stanza, magari in compagnia di un buon
libro.
Detestavo
internet e qualsiasi scempiaggine elettronica,
considerando insulsi i social network di cui tanto sentivo parlare e
soprattutto pericolose le amicizie che si potevano stringere in quel
modo. Non le
trovavo reali.
Erano
per me qualcosa di artefatto. Se non osservi
il viso di una persona, le espressioni che ti rivolge,
il suono della sua voce quando ti parla, come puoi valutare la
sincerità del
suo affetto?
Lo
consideravo inconcepibile. Sono le piccole cose a far
sorgere un’amicizia, la condivisione di esperienze, di una
realtà simile, di sensazioni
positive o negative che siano. L’interazione
diretta… nulla nasce dal nulla. L’amicizia,
proprio come l’amore, è il
frutto di un percorso, con i suoi ostacoli che talvolta appaiono
insormontabili, ma quando l’affetto c’è
anche il muro più alto più rivelarsi
alla stregua di uno steccato.
Con
Luana tutto partì da qualche frase scostante, mormorata
a mezza bocca… eppure con il tempo avrei imparato ad amare
anche questo. Anche
le sue reazioni bizzarre e inspiegabili, per il resto del mondo, anche
gli
attimi in cui pareva isolarsi, estraniando tutti dalla sua
realtà. Perché, in
fin dei conti, il bene che le donavo era contraccambiato da
un’amicizia pura e
sincera.
Certo
all’epoca del nostro primo incontro non avrei mai
scommesso a nostro favore. Tutt’altro.
«
Potresti indicarmi la mia stanza? Non sono mai stata qui.
» le domandai, quel mattino, dondolandomi nervosamente sulle
gambe.
Parve
riscuotersi, annuendo impercettibilmente. «Non
c’è
molto da dire. Lì c’è la cucina,
lì il bagno e quelle sono le tre stanze. La
tua è quella in fondo, con il poster di Hello Kitty, reduce
dalla precedente
inquilina, sia chiaro.»
Annuii
disorientata, mordendo il labbro inferiore. Continuai
ad ascoltare il suo farfugliare svogliato, osservando le sue braccia
agitarsi
scompostamente, cercando di assimilare tutte le informazioni, senza
proferire
parola.
«
Non far caso alle condizioni della casa, avrebbe bisogno
di una ristrutturata totale, ma il padrone non intende sentirne
parlare, almeno
fino a quando non ci tireranno fuori dalle macerie.»
borbottò stizzita
lasciandomi lì, nel bel mezzo del corridoio.
Le
sue parole non mi sorpresero. L’abitazione era realmente
in condizioni precarie. Le pareti tappezzate da carta da parati,
probabilmente
più vecchia di mia nonna, erano percorse da crepe e
completamente scolorite.
Qua e là erano affissi quadretti di nature morte
intervallati da poster di
quelli che presupposi essere gruppi rock. Ma il pavimento era il peggio
del
peggio. Le mattonelle erano rialzate in più di un punto e
più di una volta
incespicai con le valige, quella mattina, per raggiungere la mia stanza.
La
prospettiva che Luana mi dipinse all’epoca non fu
allettante ma effettivamente non potei in alcun modo biasimare i suoi
timori.
Per le prime tre notti osservai le crepe sulle mura della mia stanza
con il
reverente terrore di vederle crollare sulla mia testa.
«Dove
sono finita?» sussurrai sospirando con aria
agonizzante.
Se
le
prime impressioni sono quelle che contano
posso affermare con certezze che nessuna
persona sana di mente avrebbe
trascorso in quel luogo più di dieci minuti.
Purtroppo
per me non avevo alternative. Telefonare ai miei
per spiegargli la situazione avrebbe involontariamente posto fine a
questo mio
tentativo di distacco. Erano stati necessari tre mesi di preghiere al
vento e
di salamelecchi inutili per indurli a darmi abbastanza fiducia per
farmi vivere
da sola, così lontana da casa.
Perché,
se è vero che la loro presenza fisica era
un’optional, la loro apprensione per
la sorte della loro unica bambina era spropositata.
Facendo
leva sul mio spirito di avventura, in realtà
inesistente, trascinai i bagagli verso la stanza che mi era stata
assegnata
mentre, ad ogni passo, lanciavo immani maledizioni ai miei genitori
che,
suggestionati dall’annuncio, avevano considerato uno spreco
di tempo visitare
la casa.
Viva
la
coerenza.
Ma
le sorprese quella mattina non erano certo terminate.
Quando
passai dinanzi alla cucina vidi un ragazzo con il
busto riverso sul tavolo, addormentato su di un cumulo di libri spessi
come
mattoni. Il viso era completamente coperto da una massa informe di
capelli
riccioluti, color castano scuro.
Michele.
Lo
osservai con perplessità domandandomi il perché
della
presenza di un uomo in un appartamento per studentesse. Poteva essere
il
ragazzo di una delle mie coinquiline, ma allora perché
dormiva sul tavolo alle
sei del mattino, dando l’impressione di aver trascorso la
notte in quel modo?
I
vestiti erano completamente stropicciati, il respiro
profondo e regolare e le braccia poggiate sotto il capo.
«Frequenta
biologia con me. – mormorò Luana avvicinandosi e
porgendomi una tazza fumante di caffè. La prima gentilezza
ricevuta da lei quella
mattina. – è un bravo ragazzo.»
« Non vive qui?
»
Scosse
il capo. «
Terzo piano, scala A.»
Volsi
nuovamente lo sguardo verso di lui, portando la tazza
calda. – troppo calda – alle labbra. «Non
dovresti svegliarlo? » bofonchiai
arricciando il naso per il dolore, mentre la mia lingua implorava
pietà. Complimenti Cristina, prima
figura da
stupida, adesso ti scotti anche con il caffè. Mi
ammonii esausta,
fortunatamente per me la ragazza non parve far caso alla mia
sbadataggine.
«
Abbiamo lezione questo pomeriggio.»
«Ma
non starebbe meglio su un divano? Non oso immaginare i
mal di schiena che avrà al suo risveglio.»
obiettai con una certa
preoccupazione. In realtà quella scena mi allarmò
anche per un altro motivo.
Ero terrorizzata dall’idea di iniziare
l’università, una parte di me non si
sentiva in grado di affrontare un simile percorso e, osservare quel
ragazzo,
sfiancato dallo studio, non mi lasciava presupporre nulla di buono.
Avrei
retto una simile mole di lavoro? Orari sballati e
l’opprimente
preoccupazione di poter deludere i miei?
Uhm…
«La
prossima volta ci penserà due volte a costringermi a
passare la notte sui libri. Cretino! » esclamò
seccata, allontanandosi verso la
sua stanza.
Aveva
la pessima abitudine di interrompere a suo piacimento
una conversazione, dileguandosi. Con il tempo mi ci sarei abituata, ma
in
quell’istante trovai la cosa assolutamente bizzarra, oltre
che inquietante.
Scuotendo
il capo decisi finalmente di raggiungere la mia
camera, ignorando lo strano ragazzo che dormiva nella nostra cucina.
Quando
fui faccia a faccia con l’enorme poster di hello
kitty fui seriamente timorosa di aprire quella porta. Mi domandai se
per caso
dall’altro lato non avrei trovato il cappellaio matto intento
a prendere il the
con il bianconiglio. Vista la
situazione non mi sarei sorpresa di nulla.
Con
mia gioia, più o meno, scoprii che quella in cui avrei
vissuto era una camera normale. Lo stato
di usura era pari al resto della casa, le pareti
però erano state
malamente ridipinte di un rosa antracite decisamente deprimente, che
però non
aveva ricoperto le innumerevoli crepe.
Una
mano di stucco, no?
O
forse
sarebbe più opportuna una tanica di benzina ed una scatola
di fiammiferi.
«
Che disastro.» mormorai avvilita, abbandonando la valigia
sull’uscio. Avrei dovuto apportare non poche modifiche. Il
mobilio era quasi
inesistente, solo una cassettiera dall’aspetto logoro pronta
a sbriciolarsi da
un istante ad un altro. Il letto sembrava in condizioni decenti e con
una
riverniciata avrebbe acquistato uno stato quantomeno dignitoso.
Per
il resto… bhe, mancava praticamente tutto.
Abituata
com’ero alla mia stanza, con tutti i suoi confort, quella
era una vera e propria topaia, che sperai vivamente di non dover
dividere con
una famiglia di ratti, anche perché alla vista di una coda
probabilmente mi
sarei lanciata dal balcone, senza neanche pensarci.
Rabbrividii
involontariamente, percependo i tremiti
attraversarmi la schiena, al pensiero di quei roditori disgustosamente
pelosi e
dei loro occhietti piccoli e astuti.
Una
delle
mie peggiori fobie.
«Se
vuoi posso aiutarti a ridipingere. » mormorò una
voce
calda e morbida, dietro di me.
Sobbalzai
vistosamente, portandomi le mani al petto, mentre
mi voltavo.
Fu
allora che lo vidi per la prima volta.
Aveva
un bel viso, dai lineamenti dolci, le labbra piene, le
sopracciglia folte e due occhi piccoli e scuri. Un accenno di barba gli
colorava il mento e le guance un po’ scavate, sul quale era
inciso il segno del
libro su cui si era addormentato. Il fisico smilzo era avvolto in
vestiti larghi
e decisamente fuori moda. Era palesemente trascurato e nel complesso
aveva un
aspetto quasi buffo.
Non
era quello che avrei definito un bel ragazzo, ma nel
complesso aveva qualcosa di interessante. Carino,
forse.
«Mi
dispiace, non volevo spaventarti! – esclamò
contrito. -
Io sono Michele. »
Lo
scrutai attentamente, soffermandomi sugli abiti sgualciti
e sui ricci ribelli. « Il ragazzo che dormiva in
cucina.» asserii,
riconoscendolo.
Arrossì
vistosamente, grattandosi il capo imbarazzato, non
so se per la mia analisi un po’ troppo sfacciata o per le mie
parole. S0lo dopo
un po’ notai di averlo fissato un po’ troppo
intensamente, distogliendo lo
sguardo.
Non
avevo ancora disfatto le valige e avevo già collezionato
un bel po’ di figuracce. Un record
anche
per me…
«
Già, mi dispiace, non devo aver fatto una buona
impressione. Luana non mi ha detto che oggi sarebbe arrivata la nuova
coinquilina oppure avrei avuto il buon cuore di non farmi trovare in
questo
stato.»
«
Luana?»
Increspò
la fronte. «La ragazza in pigiama. –
spiegò
indicando un cenno la porta della camera accanto alla mia. –
Non dovrei
stupirmi non si sia neanche presentata. »
Soffocò
una risata, scuotendo il capo bonariamente.
All’epoca mi persuasi fosse il suo ragazzo, visto il suo tono
affettuoso e
dolce. Naturalmente sarebbe stato impossibile, ma questo lo scoprii
solo in
seguito.
«Ah,
giusto, siete compagni di corso. »
Annuì
incuriosito, ma non mi pose domande, limitandosi a
sorridere impacciato, prima di congedarsi. Lo rividi spesso nei giorni
a
seguire. Frequentava la nostra casa con assiduità e fu
proprio grazie a lui che
riuscii a comprendere come relazionarmi con Luana. I suoi comportamenti
bizzarri iniziarono quasi ad acquisire un senso.
Quasi.
Eppure,
quel suo essere anticonvenzionale, in un certo qual
modo, facilitava molto le cose. Non pretendeva nulla, non si
abbandonava ad
inutili recriminazioni.
Rapportarmi
con lei era semplice perché Luana lo era.
Una
semplicità genuina, non falsata da uno sforzo o da una
qualunque imposizione. Con lei non c’erano significati
reconditi, i suoi gesti
– nel bene e nel male – erano quelli, lineari e
coincisi. Sapeva essere brusca,
talvolta, ma mai malevola.
Non
temeva ripercussioni ed esprimeva i suoi pensieri totale
serenità, anche se la sua sentenza era negativa. Potevo
essere certa che se mi
esternava un suo giudizio, questo coincideva esattamente con le sue
riflessioni.
Per
una persona impacciata e timida come me, soprattutto
all’epoca, fu stranamente d’aiuto. Avevo sempre
temuto il giudizio altrui,
timorosa delle impressioni che poteva risvegliare la mia timidezza, il
mio modo
impacciato di espormi quando ero a disagio, la mia riservatezza.
Fu
quasi tranquillizzante scoprire che con lei tutto questo
non era necessario.
Per
quanto riguardava Michele, invece, inizialmente trovai
un po’ strana tutta quella gentilezza.
Solo
tempo dopo scoprii che Maria, l’altra coinquilina, lo
inviò da me con il proposito di ingraziarsi la mia simpatia.
Trascorrendo molte
ore nella nostra casa temevano che io fossi una di quelle rompipalle
che
avrebbe avuto da obiettare sulle sue continue visite. Ovviamente non
era il mio
caso, ma loro non potevano saperlo.
La
settimana seguente, quando mi presentai a casa con
pennelli e pittura, lui si ripropose nuovamente di aiutarmi. Con un
sorriso
stampato in volto trascorremmo una domenica pomeriggio tra barattoli di
vernice
bianco panna, teli per ricoprire il mobilio e tanto tanto
stucco.
Ciò
a cui inavvertitamente condusse quella prima gentilezza andò
ben oltre le loro intenzioni. La compagnia di Michele si
rivelò piacevole.
Chiacchierammo e, nonostante la mia iniziale titubanza, parlai davvero
molto. Dei
miei interessi, della mia famiglia, delle mie amiche.
Lui
non si sbottonò particolarmente, non snocciolò
dettagli
della sua vita, al contrario di me, ma non parve mai annoiato dalle mie
chiacchiere. Pose numerose domande, si interessò di
conoscere le mie
opinioni in merito al trasferimento, ai
nuovi compagni di corso, ad alcuni libri che aveva letto di recente.
Non tentò
mai di creare imbarazzi, e quando un argomento risvegliava in me un
certi
imbarazzo, si affrettava a distogliere la mia attenzione con qualche
frase
semplice o un’altra domanda.
In
fin dei conti non ci furono battute di spirito o grasse
risate, eppure fu piacevole.
Custodirò
sempre nella mia mente il ricordo di quel giorno e
con esso la tenerezza che risvegliò in me, sin da allora.
Con
il tempo scoprii molte cose di lui, alcune piacevoli
altre meno, ma fu la sua dolcezza e quel suo sguardo un po’
da bambino, quasi
innocente, a farmi innamorare di lui.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Salveee! Eccomi con
il secondo capitolo di questa storia XD Ne sono venute fuori 10 pagine
ahahhah più lungo di quanto pensavo. *O* ahahahah questa
storia non so neanche dove voglia andare a parare, ad essere sincera!
Come ogni mia storiellina soprattutto originale non ha uno schema o una
scaletta da seguire, semplicemente apro word e scrivo quello che mi
passa per la testa! O.o Qui stanno venendo fuori personaggi uno
esauriti a dire il vero ahahaha
Comunque ci tengo a
ringraziarvi per i vostri bei commenti, a cui ho risposto con il nuovo
sistema di risposta per le recensioni di EFP hihihi utilissimo!
♥ Vorrei anche lasciare il link al mio gruppo su fb, dove
inserisco spoiler e cose simili e ci sono anche le foto dei personaggi
di questa storiella. Se vi interessa, link: Storie
di Shinalia
Kissssssssss
Delle volte mi
piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per
alcuni ogni
avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse
non ci
appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque
nonostante tutto esiste.
Per me il
destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue
marionette,
ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e
che
porteranno con loro solo scompiglio.
Il mio incontro
con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi
se fosse incappato sulla
mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia
malefatta, una
prova… qualcosa, un segno.
Talvolta penso
fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse
perché
nonostante tutto portò con sé quella ventata
d’aria fresca di cui necessitavo,
probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro,
più avanti, e
le cose avrebbero preso comunque quella piega.
Forse…
Non tutti i mali
vengono per nuocere.
La prima volta
che lo vidi ne fui folgorata. Non solo dalla sua bellezza, a dire il
vero,
quella la notai soprattutto in un secondo momento.
Ironico
direi…
perché il suo aspetto difficilmente passava inosservato ed
in realtà fu ciò che
mi spinse verso di lui, quando ebbi modo di porre da parte la mia
iniziale
titubanza.
Un’affermazione
superficiale?
Si, ma non
è
forse vero che prima di risvegliarsi un interesse intenso necessita di
alcune
basi? Non ci si innamora con uno sguardo. Il colpo di fulmine non
è che
un’infatuazione momentanea che ha la durata di uno schiocco
di labbra e si spegne
in breve, come una debole fiammella sotto la pioggia.
Talvolta
però da
quel primo barlume nasce altro. Non saprei dire, in realtà,
se quello fu o meno
il mio caso. Probabilmente in lui, inizialmente, cercai una via di fuga.
Tanto diverso da
Michele da essere la sua perfetta nemesi, mi attirò a
sé come una calamita. Un
bel ragazzo, sveglio, allegro, desideroso di godere a pieno la sua
giovinezza e
la sua vita. Una persona impulsiva, ma non per questo stolta o poco
accorta. Certo,
neanche i suoi difetti passavano inosservati, ma nel complesso
apparivano
mitigati dalla sua capacità di valorizzare le
virtù che possedeva.
Mi piacque, mi
piacque vedermi rivolte attenzioni, mi piacque scoprire una percezione
di un
rapporto tanto diversa da quella che stavo vivendo con Michele.
Mi piacque la
novità… ma anche la
novità alla fine
svanisce.
«Cristina!»
La porta si
aprì
con uno scatto secco, rivelandomi la figura di Luana ancora in pigiama,
con i
capelli arruffati sulla fronte e la sciarpa stretta alla gola.
Eravamo ad
ottobre, un caldo ottobre a dire il vero. Il sole era ancora forte e
personalmente io vestivo ancora con abiti leggeri, ma non Luana. Lei
era
freddolosa per natura.
«Ma che
male ho
fatto per trovarti sulla mia strada?» brontolai stretta al
mio cuscino, per
nulla incline ad abbandonare il letto confortevole ed il suo tepore
rassicurante.
«Tanto lo
so che
mi adori.»
«L’importante
è
crederci.»
Sorrise
melliflua, incrociando le braccia al petto, con palese soddisfazione.
«Oggi è
il tuo turno di fare la spesa.»
«
Rettifico: ti
detesto.»
Si
avvicinò al
mio armadio, spalancando le ante, tirando fuori alcuni abiti a
casaccio,
neanche minimamente turbata dalle mie parole, anzi appariva quasi
divertita.
Adorava
indispettirmi,
soprattutto a quell’ora del mattino, quando mi svegliava
nonostante l’assenza
di lezioni.
Bastarda.
«Vado
più
tardi.» brontolai assonnata, nascondendo il volto al di sotto
delle lenzuola
azzurre ed il copriletto con i pinguini. Il mio preferito.
«Svegliati.
Ci
sono novità. – sentenziò gettando i
vestiti sul letto, prima di accomodarsi
accanto a me. - Nuovo coinquilino!»
Ovvero
un’altra persona che gironzola per
casa, occupa l’unico bagno, si lamenta della spesa
e…
Assunsi
un’espressione corrucciata, rinunciando completamente al mio
intento di
rimettermi a dormire. «Aspetta, hai detto nuovo? Un
maschio?»
Scrollò
le
spalle con indifferenza. «Si, perché? Ti crea
qualche problema?»
«Considerando
la
mia abitudine di girare in accappatoio per casa direi di si.
– bofonchiai, stropicciandomi
stancamente gli occhi. – Oltretutto ti rammento che questa
è una casa per
studentesse?»
«Quell’aguzzino
del proprietario non deve essere riuscito a trovare nessuna ragazza
disposta a
vivere in questo tugurio e avrà deciso di ripiegare su
qualche maschietto.»
Sbuffai riluttante.
Sempre la solita solfa, quell’uomo era il più
avido bastardo rompipalle si
fosse mai visto in giro. Eravamo state costrette a trascorrere tre
mesi,
quell’inverno, senza termosifoni. Si era rifiutato di far
revisionare
l’impianto, nonostante spettasse a lui.
Non avrebbe
dovuto sorprendermi quella novità.
«Marta?»
proposi
alzando lo sguardo sul volto tondo della mia amica, implorandola di
proporre a
lei l’ultima camera della casa. Era la più
spaziosa, ma tra le tre aveva la
vista peggiore, affacciando sul cortile di un groviglio di palazzine
deturpate,
il che la rendeva abbastanza buia.
Ma in fin dei
conti era carina e, con qualche lampada, si sopperiva al problema.
Ovviamente una
smorfia di disappunto piegò le sue labbra. «E
rinunciare totalmente alla mia
libertà? Neanche morta, se così è
ossessiva non oso immaginare se dividessimo
anche casa. »
Trattenni una
risata divertita. Marta era la ragazza di Luana.
Era una tipetta
carina che frequentava il terzo anno di lettere, avevo con lei qualche
corso in
comune, ma non avevamo mai legato particolarmente. I motivi potevano
essere vari,
ma avevo la sensazione che fosse un po’ gelosa del mio
rapporto con Luana,
nonostante fosse palese il mio interesse per gli uomini. Il povero
Michele era
costretto a sopportare non poche voci su di me e, sebbene non paresse
interessato a dare conto a ciò che si diceva in giro, temevo
la cosa potesse
infastidirlo.
O forse quella
sua apparente noncuranza infastidiva me… non avrei saputo
dirlo con precisione.
Molte donne
sostengono che avere accanto una persona tranquilla, dolce, che non
crea mai
problemi sia la fortuna più grande che si possa mai avere.
In realtà siamo
tutte tendenzialmente incontentabili… cerchiamo qualcosa che
non esiste. Un
connubio di qualità che in una stessa persona non potrebbero
mai convivere,
tranne che non si tratti di uno schizzo-frenico che soffre di
personalità
multiple, e anche in quel caso avremo di certo da ridire.
In quel periodo,
quando Gabriele entrò nella mia vita, avvertivo lo
spasmodico bisogno di dare
al mio rapporto con Michele uno scossone, in grado di frantumare
quell’abitudinaria relazione che iniziava a stancarmi.
Avrei voluto una
qualche reazione, un segno di un interesse che non fosse superficiale,
un
accenno di passionalità che non si limitasse semplicemente
al sesso.
Desideravo un
cambiamento.
Bhe, fui
accontentata, anche se non come desideravo.
In seguito alle
lamentele di Luana, sebbene riluttante, mi preparai per recarmi al
supermercato,
munita di una lista della spesa che sembrava scritta da un bambino di
una
decina d’anni. Gran parte degli alimenti erano grasso, unto e
potenzialmente
nocivo.
Se mia madre
avesse saputo cosa mangiavo per sopravvivere mi avrebbe diseredata. Lei
era una
di quelle persone con l’ossessione per la salute e di
conseguenza per il cibo
sano, molto sano. Quando ancora vivevo con lei la mia alimentazione era
esclusivamente a base di prodotti erboristici e controllati;
possibilmente coltivati
sul cucuzzolo di qualche montagna sperduta o allevati in zone montane
dai nomi
improbabili.
In
sintesi… uno
schifo.
La zucca non
aveva sapore di zucca, il tofù sembrava gomma ma il
caffè decaffeinato era il
mio incubo peggiore.
Il corpo
è un tempio e come tale va
trattato.
Bhe, il mio
corpo era impossibilitato ad assumere cibo vero se non fuori di casa
mia,
quando ospite da una delle mie amiche o in giro per ristoranti e pub mi
concedevo di nutrirmi come qualsiasi persona perfettamente consapevole
che
anche sulle montagne non mancavano problemi e che molte di quelle
mucche o
pecore o bestie di dubbia natura brucavano erba in terreni
probabilmente
inquinati da scorie o immondizie gettate lì abusivamente.
Dettagli che
ormai, dopo anni, non mi davo pena di ribadire.
Cercando comunque
di non tenere completamente fede alla lista di Luana, terminai la spesa
velocemente, aggiungendo al cibo spazzatura anche alimenti realmente
nutritivi.
Fortunatamente per me il supermercato era a meno di dieci metri dal
palazzo
dove vivevamo e questo mi concedeva di non sopperire sotto il peso
delle buste.
Probabilmente
dovevamo
smettere di fare la spesa una volta a settimana, iniziando a
ridistribuire il
carico.
Probabilmente…
Fu proprio sulla
soglie del portone che lo vidi.
Gabriele.
Era imbardato
con una kefia, avvolta al collo che lo ricopriva fino il mento, e degli
occhiali da sole che celavano due occhi azzurro-verde a dir poco
spettacolari,
che in quel momento non potei ammirare. Aveva con sé solo un
borsone ed
indossava abiti stropicciati a causa della notte trascorsa in treno.
Nonostante tutto,
compresa la stanchezza che appesantiva i lineamenti del suo volto, il
suo
profilo perfetto mi lasciò basita per qualche istante, ma
furono le sue labbra
ad attirare il mio sguardo.
Cavolo! Fu il mio primo
pensiero.
Voltai il capo
imbarazzata quando appurai di averlo osservato con sin troppo interesse
e
stanca dei pesi alle braccia, poggiai le buste della spesa in terra,
dirigendomi verso le cassette della posta.
Meglio distrarsi.
In quei giorni
attendevo una lettera di Nana, una delle mie più vecchie
amiche.
In realtà
il suo
nome di battesimo non era certo Nana, ma Carmela e lo detestava a tal
punto da averlo
rinnegato sin da bambina, attribuendosi i nomignoli più
strani. Nonostante la
comoda invenzione delle e-mail noi eravamo amanti della vecchia
corrispondenza,
poco affidabile e più dispendiosa, ma certamente meno
impersonale.
Ci scambiavamo
una lettera una volta al mese, raccontandoci quello che sfuggiva alle
nostre
rare chiacchierate al telefono o alle frettolose chat che ci
concedevamo di
tanto in tanto, la sera.
Purtroppo per
quanto possa essere profonda un’amicizia la lontananza
incide, e con essa gli
impegni della giornata che si accumulano e si accumulano, fino a quando
non si
crolla sul libro di turno.
Solo bollette e
volantini pubblicitari.
Con un sospiro
sommesso richiusi la cassetta della posta, dopo aver appurato
l’ennesimo
ritardo delle poste. Sai che
novità!?
Udii il suono
dell’ascensore che si fermava al piano e mi voltai per
recuperare le buste
della spesa prima di salire, avviandomi verso di esso. Purtroppo lo
sconosciuto
con il fondoschiena da paura non
parve prestare attenzione alla mia presenza.
«Un
attimo.»
borbottai affrettando il passo, ma invano. La porta
dell’ascensore si chiuse
dinanzi al mio naso con uno scatto secco, lasciandomi impalata.
Quell’idiota
con
le cuffie nelle orecchie mi aveva appena chiuso la porta in faccia?
Imbecille!
«Ma che
cazz…»
imprecai, mordendomi la lingua per non iniziare ad inveire nel palazzo,
attirando gli inquilini del piano terra, due tranquilli vecchietti che
sarebbero inorriditi dinanzi alle esclamazioni colorite che premevano
per venir
fuori dalla mia bocca.
Inspira, espira,
inspira espira…
Pensai spesso al
nostro primo incontro, in seguito. Quella porta sbattuta in faccia
poteva sintetizzare
perfettamente quello che fui costretta a subire a causa sua. O almeno
quello
che mi convinsi a sopportare, ammaliata da quella persona
così particolare e
apparentemente interessante. Non che non lo fosse.
Era carismatico,
molto carino, sagace e con la battuta pronta in ogni occasione, ma a
queste
buone qualità si sommavano una serie di pessime
caratteristiche come la
superficialità intrinseca in ogni suo atto o pensiero,
l’ostinazione e
l’egocentrismo maniacale che mi impediva di restare nella
stessa stanza con lui
senza ribattere acidamente. Soprattutto agli esordi della nostra
conoscenza.
Il nostro non
poteva dirsi un rapporto idilliaco, per nulla.
Quel giorno, con
le buste della spesa ai miei piedi e le braccia incrociate al petto,
attesi che
l’ascensore si decidesse a scendere, mormorando imprecazioni
di ogni genere su
quello sconosciuto, ipotizzando potesse essere un amico di quella
sgallettata
al quarto piano, con il seno palesemente rifatto.
Era decisamente
il suo tipo.
Quando
finalmente raggiunsi la porta della mia abitazione trafficai con le
chiavi
senza però avere il tempo di usarle. Dalla
velocità con la quale si spalancò
supposi che Luana era appostata al di là dello stipite.
«
Cristina,
finalmente sei a casa, dannazione! » esclamò,
venendomi incontro con il suo
incedere barcollante.
Quella mattina
era caduta dalla scala mentre litigava con la cassa del suo impianto
stereo. Il
tonfo si era avvertito forte e chiaro anche nella mia camera, accanto
alla sua.
« Sono
andata a
fare la spesa.» borbottai portando le buste nella nostra
piccola cucina e
poggiandole sul tavolo per svuotarne il contenuto. Con il caldo di
quella
giornata temevo seriamente per le condizioni degli yogurt.
«Mi serviva un po’ di
tempo per cercare di porre rimedio alla tua lista della spesa oltremodo
inutile.»
«Il nuovo
inquilino è arrivato.»
mi comunicò con
uno sbuffo, ben attenta a non rispondere alle mie provocazioni, ponendo
la
macchinetta del caffè sul fuoco. Santa
donna… mi aveva aspettato prima di prepararlo ben
consapevole della mia
inclinazione a bere caffè bollente anche il quindici agosto,
con quaranta gradi
all’ombra.
Ecco spiegato
perché era tanto nervosa,
non aveva
bevuto la sua dose mattutina.« E che ha detto? »
mormorai, gettando un fugace
sguardo alla porta.
« Piacere.
»
« E poi?
»
Scrollò
le
spalle. « E poi basta. »
«Tipo
loquace.»
«Meglio,
non
avrei sopportato un rompipalle chiacchierone.»
commentò tirando fuori dalle
buste una scatola di biscotti al cioccolato, con ripieno di cioccolato
e glassa
di cioccolato. A quel punto tanto valeva attaccarsi alla zuccheriera e
buttare
tutto il contenuto giù per la gola.
«
Vabbè dal
chiacchierone al mutismo ce ne passa. » ghignai mentre
riponevo la pasta nella
dispensa, scuotendo il capo divertita. Luana di per sé non
era una persona che
amava ciarlare e scambiarsi convenevoli con sconosciuti, quindi in fin
dei
conti la cosa non mi sorprese. Mi domandai se avesse abbandonato anche
lui
sulla porta.
« Che tipo
è?»
« Bello,
simpatico, intelligente, ma potresti scoprirlo da sola semplicemente
voltandoti.» la voce sconosciuta alle mie spalle, mi
sbeffeggiò facendomi
trasalire.
Oh porca
miseria…
Chiusi gli occhi
imprecando mentalmente per l’ottimo esordio di questa
conoscenza, ovviamente
fui costretta a ricredermi quando voltandomi lo vidi.
Lo riconobbi
subito ed il mio volto espresse eloquentemente il mio repentino cambio
d’umore.
Irritazione allo
stato puro.
Senza quegli
occhiali avvolgenti e l’ampio cappotto era ancora
più bello. Alto, più di un
metro e ottanta, fisico asciutto, labbra carnose ed occhi di una
tonalità
straordinaria, tra il verde e l’azzurro. Il viso era
ricoperto da una barba
appena accennata, che ricopriva la mascella squadrata. Aveva dei bei
lineamenti, difficili da definire, abbastanza marcati, ma non troppo.
Bhe, era
decisamente uno dei ragazzi più carini avessi mai avuto modo
di incontrare.
Certo, quel
sorrisetto serafico che piegava le sue labbra lasciava presupporre la
piena
consapevolezza di questo dettaglio.
« Tu sei
quello
dell’ascensore. » commentai caustica.
« Non so
di cosa
tu stia parlando. – ribattè placidamente
avvicinandosi alla credenza alla
ricerca di uno spazio vuoto. – Dove posso riporre le mie
cose? Non intendo conservarle
nella mia camera rischiando un’invasione di
formiche.»
«Tu sei
quell’idiota che mi ha sbattuto la porta
dell’ascensore sul naso.»
Si voltò
scrutandomi con una certa perplessità. « Non ti ho
notata.»
Repressi un grugnito
esasperato, non è di certo il genere di frase che una
ragazza adora sentirsi di
rivolgere. «Uno scusa sarebbe gradito.»
«Certo
scusa…»
mi liquidò, come se fossi una pazza isterica a cui era
opportuno dare ragione
solo per farla tacere, con sguardo di sufficienza che mi fece fremere
dall’ira.
Io questo lo
strangolo…
Mi morsi la
lingua lasciando la cucina con quel minimo di dignità che mi
restava, cercando
di mitigare la mia irritazione. Dannazione avrei dovuto dividere la
casa con
quel tizio, una prospettiva che in quell’istante mi parve
tutt’altro che lieta.
Dieci minuti
dopo Luana si intrufolò nella mia stanza, ovviamente senza
bussare,
rivolgendomi quel sorrisetto di scherno che avevo imparato a detestare
perché
celava qualche commento sarcastico che probabilmente non avrei gradito.
«
Spara!»
esclamai con voce colma di esasperazione. « Aspetto la
stronzata della
giornata.»
«
È sexy.»
commento avvicinandosi al letto e porgendomi la tazza di
caffè ancora caldo.
«A te
piacciono
le donne.»
«A te
piacciono
gli uomini.»
«Grazie
per
avermelo rammentato, iniziavo ad avere dubbi sulle mie inclinazioni
sessuali,
miss ovvio.»
Si lasciò
scappare una risatina divertita. « Semplicemente sottolineavo
il fatto che è un
bel ragazzo, anche se sembra un imbecille totale.»
«Sarà
una
tragedia vivere con lui.»
«Temi di
saltargli addosso?» mi stuzzicò sempre
più divertita.
Sbuffai scuotendo
il capo.
All’epoca
i suoi
commenti non erano che un tentativo di distrarmi, con la speranza di
farmi
dimenticare la piccola schermaglia avuta in cucina. Con il tempo
avrebbe avuto
modo di pentirsi di quel suo sbeffeggiarmi, soprattutto
perché si sentì in
dovere di rimproverarmi piuttosto di frequente, a causa di Gabriele.
Fortunatamente per
me in quel momento qualcuno bussò alla porta, un tocco
esitante che ben
conoscevo.
«Entra!
»
esclamai con un sospiro sommesso, sperando finalmente di avere un
po’ di
supporto in quella gabbia di matti.
Michele fece il
suo ingresso nella mia camera da letto, facendo scorrere lo sguardo
stralunato
dal mio volto a quello di Luana. « Chi è il tizio
che mi ha aperto la porta?»
domandò indicando al di là della mia stanza, con
un’espressione perplessa.
« Il
nostro
nuovo coinquilino.» spiegai, increspando le labbra in una
smorfia.
Ah… si
limitò a rispondere leggermente accigliato. «
Simpatico?»
Non un commento
salace, non sottolineò il per nulla futile dettaglio che era
un uomo e che io non
lo avevo avvisato. Non mostrò alcun segno di turbamento se
non una certa
perplessità.
Avrei diviso la
casa con un uomo e a lui non interessava.
« La tua
piccola
Cristina ci ha appena litigato. – ghignò Luana,
con un sorriso divertito
decisamente fuori luogo. – E poi dicono che tra noi due sono
io quella
polemica.»
«Nessuno
ti dà
della polemica, tutti dicono semplicemente che non possiedi alcun
filtro tra
cervello e bocca e che dici tutto quello che ti passa per la
mente.» ribeccai
acida.
« Sono pro
sincerità estrema.»
Mi morsi la
lingua per evitare di protrarre quel battibecco inutile. «
Fuori di qui Lu,
prima che decida di prenderti a calci.»
La mia amica
uscì dalla stanza portando con sé la tazzina di
caffè ormai vuota,
richiudendosi la porta alle spalle. Con un sospiro sommesso accolsi la
sua
scomparsa, battendo energicamente la mano sul letto, invitando Michele
a
sedersi accanto a me.
Mi
assecondò,
accomodandosi. «Sei nervosa.»
Alzai gli occhi
al cielo, sulla soglia dell’esasperazione. «Oggi
è la giornata del “facciamo
commenti ovvi”.»
«Sei buffa
quando ti arrabbi. – sorrise sporgendosi verso di me per
stamparmi un veloce bacio
sulle labbra. – Mi spieghi cosa ti irrita? Il fatto che
è un uomo?»
«No,
semplicemente che è uno stronzo.» bofonchiai
piccata, tirando il lenzuolo fin
sopra la testa. Avevo
una gran voglia di
recuperare il sonno perduto di quella mattina, di rilassarmi con doccia
bollente e di una tazza di cioccolato caldo alla cannella. Non di un
nuovo
coinquilino, uomo e borioso, che avrebbe occupato il bagno, che si
sarebbe
preso gioco di me e di cui avremmo dovuto tener conto costantemente.
«Ha fatto
qualcosa…»
Mi scoprii il
volto, notando il suo tono esitante e la sua espressione preoccupata,
comprendendo che stavo decisamente esagerando. Ero maledettamente
permalosa, in
ogni occasione, e mal digerivo situazioni come quelle, ma in fin dei
conti non
era accaduto nulla di talmente rilevante da giustificare quella
tragedia che
stavo inscenando.
Grattandomi il
naso imbarazzata cercai di abbozzare un sorriso. « Solo un
piccolo battibecco
da nulla. – mormorai, facendo scorrere una mano tra i suoi
ricci ribelli. I
capelli ormai erano abbastanza lunghi, lui diceva di doverli
assolutamente
tagliare, ma a me quell’aspetto da scienziato pazzo piaceva.
Gli conferiva un
aspetto dolce. – A te com’è andata la
giornata? »
Chiuse gli occhi
assaporando le mie carezze, prima di distendersi accanto a me,
avvolgendo il
braccio attorno alla mia vita per stringere il mio corpo al suo.
«Ho studiato,
come al solito. »
«La tua
vita è
noiosa.»
«
Avrò il tempo
di godermi la vita quando sarò laureato e avrò
una posizione.»
Sospirai
sommessamente per nulla incline a credere nelle sue parole.
Conoscendolo si sarebbe
trasformato in uno di quegli stacanovisti che lavorano anche di notte e
si
portano fascicoli e fascicoli a casa, visionandoli anche nel letto.
Quando si è
tanto inclini al perfezionismo difficilmente si cambia quando si trova
un
lavoro, al contrario spesso si può solo peggiorare.
Restammo stesi
uno accanto all’altro in silenzio. Non ribattei, consapevole
quanto fosse
inutile. Avevamo discusso spesso su questo punto, quando cercavo di
farlo
ragionare, mostrandogli come la sua giovinezza stesse sparendo negli
anni,
schiacciata dal peso dei libri e delle responsabilità che si
auto affliggeva.
Delle volte
quando lo osservavo mi balenava
in mente
un’immagine mentale piuttosto bizzarra, con il suo Super Io a forma di omino della Michelen,
bianco e ciccioso, che
tentava di soffocare con un cuscino il suo Es.
Un pensiero che
mi permetteva di avere un biglietto di sola entrata in una clinica
psichiatrica.
«Stasera
sei di
turno al locale? » domandai voltandomi verso di lui, cercando
di scacciare
quella assurda rappresentazione che, per quanto eloquente, avrei fatto
bene a
tenere per me.
Il silenzio fu
tutto ciò che udii.
Non ebbi
risposta, Michele si era addormentato.
______________________________
Trascorsi il
pomeriggio sottolineando uno dei libri dell’esame di
sociologia generale,
distesa prona sul mio letto, mentre Michele dormiva al mio fianco.
Doveva aver
trascorso la notte sui libri, quella non era certo una
novità.
Tutta quella
situazione non era una novità.
Sfiancato dalla
sua vita, quando ci vedevamo, non era raro crollasse addormentato come
un bambino e, se la
cosa all’inizio della nostra
storia mi era parsa quasi dolce, nell’ultimo periodo mi
appariva esasperante.
La noia della
sua vita incideva inesorabilmente sulla mia.
Non eravamo
soliti uscire in gruppo, entrambi eravamo abbastanza solitari, poco
inclini
alle amicizie. Detestavamo discoteche e ambienti sovraffollati, quindi
raramente partecipavamo a feste, come quelle organizzate
all’università.
Trascorrevamo spesso le nostre serate in casa, guardando qualche film o
di rado
qualche passeggiata sul lungo mare, per un caffè o un gelato.
La nostra vita
era definibile con un unico termine… noiosa.
Intricata in una
routine logorante e senza via di uscita.
Con un sospiro
abbandonai il libro, richiudendolo con uno scatto secco. Ero brava a
rimuginare, ma non altrettanto ad agire.
Avrei potuto
pretendere da Michele maggiori attenzioni ma ero ben consapevole delle
sue
aspirazioni ed ero certa che renderlo partecipe delle mie aspettative
deluse
non avrebbe portato a nulla.
Lo osservai
placidamente addormentato, come un bambino. Era un ragazzo favoloso e
per certi
versi il migliore a cui si potesse aspirare. Sempre dolce, cortese,
disponibile
in caso di bisogno.
Ma, per ottenere
qualcosa da lui, era necessario chiedergliela.
Ogni gesto
derivava da una richiesta di attenzione che io stessa gli esponevo,
nulla
partiva direttamente da lui.
La sua mente era
costantemente proiettata al futuro, alla costruzione del suo futuro. Io
ero la
sua ragazza, quella alla quale si rivolgeva per sfogarsi, quella con ci
trascorreva del tempo, con cui faceva l’amore. Ero uno dei
suoi punti fermi.
Ma…
potevo accontentarmi di questo?
… non
credevo.
Erano trascorse
tre ore.
L’ora di
pranzo
era passata da un pezzo ed io avevo decisamente bisogno di
sgranocchiare
qualcosa. Il languore allo stomaco ed il suo gorgoglio ne erano palesi
dimostrazioni.
Con un sospiro
sommesso mi sporsi verso di lui, baciandogli la guancia, la linea della
mascella, le labbra morbide, tentando di svegliarlo con la maggiore
dolcezza
possibile e vidi un sorriso dipingersi sulle sue labbra dopo un
po’. Uno di
quelli caldi e dolci che mi rivolgeva tanto spesso.
Lui mi amava, di
questo ne ero certa. Proprio come ero consapevole del fatto che non si
rendesse
conto di quanto la nostra storia fosse monotona e abitudinaria.
Lui mi amava
davvero, ero io a non esserne più tanto sicura.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Salvee! Eccomi con il nuovo capitolo di questa storia grrr sono tre
giorni che ci sto lavorando, ma per l'esasperazione lo sto postando
anche se è letteralmente pietoso! *sospiro esasperato* ç__ç vi lascio
alla lettura sperando non mi lanciate i pomodori sigh sob. Io e le
originali abbiamo un rapporto decisamente conflittuale.
Capitolo 3
È strana, la vita è
davvero strana.
Ci affanniamo per
raggiungere un
equilibrio, lavoriamo per dare alla nostra vita una parvenza di
stabilità
eppure anche se l’imprevisto ci spaventa, esso ci attrae.
Inesorabilmente.
Accompagnai Michele alla
porta, aveva una
relazione da preparare per il corso di calcolo ed io avrei trascorso
probabilmente la serata con Luana. Si era ripetutamente scusato per
essersi
addormentato in quelle poche ore che avevamo a disposizione ed io, come
al
solito, avevo annuito tentando di dissipare le sue preoccupazioni.
Peccato che fossi
contrariata,
estremamente contrariata.
Nel tempo avevo però
appreso come
reprimere le spiacevoli emozioni, totalmente deleterie. Discutere
avrebbe
generato in lui sensi di colpa che non intendevo risvegliare, non
quando non
avrebbero condotto a nulla di buono.
Perché?
Perché io non ero una
delle sue priorità.
Dopo aver recuperato una
merendina dalla
credenza avanzai trotterellando verso la camera della mia amica,
bussando ed
entrando, senza attendere risposta.
Pessima abitudine che
avevo assimilato da
lei, inizialmente per ripicca alla sua invadenza, in seguito mi ci ero
adagiata
per pura e semplice comodità.
Non di rado a causa delle
cuffie nelle
orecchie non percepiva alcun suono attorno a lei, oltre la musica. Se
la casa
ci fosse crollata sulla testa, probabilità che non mi permettevo di
escludere,
lei non si sarebbe accorta assolutamente di nulla.
« Lu!» salutai, notando
la sua figura
attorcigliata in un immenso accappatoio di spugna verde mela. La camera
profumava del suo bagnoschiuma al muschio bianco, che aleggiava nella
stanza
mescolandosi all’essenza dell’incenso liquido che bruciava sul
davanzale della
finestra. Lei adorava quegli odori forti, io li detestavo.
Non riuscivo neanche a
tollerare il
profumo sulla mia pelle, a causa dell’emicrania cronica e non riuscivo
a
comprendere come lei potesse sopravvivere in quella cappa di odori che
si
creava.
Abominevole,
per non dire disgustoso.
Mi schiarii la gola,
arricciando il naso
per limitare al minimo i respiri. «Esci?»
«Mi vedo con Marta.»
spiegò
tranquillamente, tirando fuori dall’armadio alcuni vestiti dopo quello
che mi
parve un accurato esame. Non che ne possedesse molti, al contrario.
Detestava lo shopping,
era solito
definirlo uno spreco di tempo, il risultato di una mentalità
consumistica che
stava logorando la nostra società fino a condurla progressivamente
verso le
soglie di un’implosione.
Sapeva essere
maledettamente
catastrofica, talvolta.
Sospirai, assorbendo con
disappunto le
sue parole. «Stasera?» domandai, lagnandomi con quel tono petulante che
la mia
amica detestava.
Bhe, io odiavo
trascorrere le serate da
sola in casa. Era deprimente.
Si voltò scoccandomi
un’occhiata
perplessa e, notando il mio broncio deluso, trasse immediatamente le
ovvie
conclusioni. Forse perché non era una novità o forse perché mi
conosceva sin
troppo bene. Probabilmente per entrambi i motivi. «Michele è andato
via?»
Sbuffai annuendo. «Doveva
studiare.» addentando l’ultimo morso della
merendina al
cioccolato e arancia, spudorata imitazione della Fiesta.
Ci si potrebbe
sorprendere da tutto
quello che sono in grado di taroccare al giorno d’oggi.
«Quel ragazzo morirà
giovane.»
Su
questo non ho alcun dubbio.
Mi accomodai sul bordo
del letto,
giocando distrattamente con il pon pon del suo parka blu notte. «In fin
dei
conti credo che a lui piaccia molto studiare, quando termina uno dei
suoi
lavori sembra davvero felice.» mormorai sovrappensiero. Il sorriso
soddisfatto
che si dipingeva sulle sue labbra in quelle situazioni era impagabile,
considerando i suoi successi accademici avrebbe dovuto essere ormai
abituato.
Eppure non esisteva nulla al mondo in grado di indurre in lui le
medesime
emozioni.
«Intendi che preferisce
lo studio alla
sua ragazza? Non credo sia così strano.» borbottò iniziando a vestirsi
con
un’accuratezza insolita per lei. Doveva essere una serata speciale per
lei e
per Marta.
Sospirai.
Delle volte mi sarebbe
piaciuto avere
accanto una persona come lei.
Caratterialmente ero
sempre stata
taciturna, restia alle relazioni e ai legami, chiusa e bhe, forse anche
eccessivamente attaccata alla mia routine. Per tale motivo avrei dovuto
affiancarmi a qualcuno diverso da me, capace di spronarmi a mutare quei
miei
atteggiamenti inadeguati.
Qualcuno
ben diverso da Michele.
Non era il suo corso di laurea ad imporgli quei ritmi, era lui a
desiderarlo.
Era una sua scelta.
«Tu studi con lui,
dovresti averlo notato
anche più di me.» contestai, porgendole gli orecchini.
Mi scrutò con uno sguardo
stranamente
comprensivo, addolcendo leggermente il tono. « È un bravo ragazzo, solo
un po’
ossessivo. Desidera farsi una posizione, ha quella strana fissazione di
emulare
le orme paterne.»
Già.
Voleva bene a Michele.
Erano amici sin da
prima del mio arrivo, compagni di corso e di studio. Talvolta ancora mi
domandavo come fossero riusciti a stringere amicizia, viste le loro
personalità
tanto divergenti, ma ero consapevole dell’affetto che li legava.
Nonostante Luana fosse
ormai la mia
migliore amica, una parte di lei lo avrebbe sempre difeso, anche quando
obiettivamente comprendeva i suoi eccessi e i problemi della nostra
coppia.
Per questo generalmente
evitavo di discutere
con lei della mia relazione. Ma, talvolta, il bisogno di uno sfogo era
tale da
indurmi a porre da parte quella delicatezza, rivolgendomi ugualmente
alla mia
amica, pur consapevole che non avrei mai ottenuto quella consolazione
di cui
necessitavo.
« Lo so.» ammisi,
indulgente. «Ti lascio
agli ultimi ritocchi, buona serata e salutami Marta.» mormorai
richiudendo la
porta della sua camera alle mie spalle.
In cucina afferrai
distrattamente una
zuppiera in vetro di medie dimensioni, con l’intento di riempirla fino
all’orlo
di popcorn conditi con il burro fuso.
Intendevo uccidermi
innalzando il mio
colesterolo? No, ma il cibo era sempre un’ottima consolazione quando
non avevo
altro, almeno per me era sempre stato così.
Avrei rivisto il diario di Bridget Jones spaparanzata sul divano del
minisalottino
che avevamo abbozzato, ingerendo fino alla nausea quei burrosi
concentrati di
grassi.
Una
seratina allegra.
Trafficai con le padelle,
alla ricerca
degli ingredienti e degli utensili necessari. Nella credenza c’erano
ancora i
resti di una scatola di popcorn dell’erboristeria che mia madre mi
aveva
costretta a portare durante il mio ultimo ritorno a casa. Non erano
male, ma mi
appariva quasi contro natura utilizzare uno dei suoi acquisti.
Probabilmente li
aveva pagati tre volte di più di una normale confezione del
supermercato.
Diamine…
i popcorn sono popcorn, che differenza può esserci?
Quello restava uno dei
maggiori interrogativi
della mia esistenza, esteso però a tutti gli altri alimenti che mia
mamma si
ostinava a farmi mangiare.
Donna
bizzarra.
Canticchiando una canzone
dal titolo
ignoto, che avevo ascoltato alla radio quella mattina, iniziai a
muovermi per
la cucina, pronta a soddisfare il mio bisogno di cibo spazzatura.
Fu in quel momento che
avvertii dei passi
stranamente leggeri dietro di me, comprendendo immediatamente non
fossero di
Luana. I suoi erano equiparabili a quelli di un elefante, con quegli
zoccoli in
legno che si ostinava a portare e che erano divenuti l’incubo dei
poveri
inquilini al piano inferiore.
Il viso di Gabriele mi
apparve accanto,
portando con sé uno strano profumo, molto leggero e muschiato. «
Popcorn!»
esclamò afferrando la strana scatola, probabilmente a lui per nulla
familiare,
visto il suo tono sorpreso.
«Già.» asserii, senza
neanche voltarmi.
Ignoralo.
Non intendevo dare inizio
ad un’ulteriore
scambio di opinioni, soprattutto considerando che quel mattino avevo
abbondantemente esagerato, dando il meglio di me. Forse avrei dovuto
porgergli
le mie scuse, ma non intendevo farlo. Purtroppo era mia abitudine
irritarmi a
morte con chiunque tendesse in qualche modo a ferire il mio orgoglio,
con una
parola, un gesto, anche solo un sorriso di scherno.
In passato dinanzi ad un
simile evento
avrei chinato il capo, fingendo di non vedere o di non restarne ferita;
la mia
amicizia con Luana mi aveva invece insegnato che reagire ed esternare
le mie
emozioni, permettendomi di scoprire quanto ciò fosse meravigliosamente
liberatorio.
Ovviamente non intendevo
raggiungere i
suoi livelli di sincerità estrema - come la definiva lei - mandando al
diavolo
le convenzioni sociali e il buon senso, in compenso non biasimavo più
completamente
il suo atteggiamento e tendevo ad emularlo, anche se nei limiti.
«Mi dispiace per
stamattina, non era mia
intenzione chiuderti fuori dall’ascensore.»
Scrollai le spalle,
tentando di non
palesare la mia sorpresa. «Scuse accettate.»
Uhm…
forse non è uno sbruffone del cavolo, come immaginavo. Rimuginai tra me e me,
indecisa. È pur vero che sono le prime impressioni
quelle che generalmente quelle che contano, ma non di rado si rivelano
errate.
Non particolarmente
convinta, comunque,
decisi di tacere per il momento, riservandomi per il futuro la
possibilità di
cambiare idea.
Peccato che lui non
intendesse demordere.
«Logorroica, e pensare che tu e la tua amica criticavate me.» tentò,
schiarendosi la gola. In seguito avrei compreso che quello era un suo
modo per
provocarmi, per attirare la mia attenzione e cercare di rimediare a
quella
piccola defaillance mattutina; in quell’istante mi parve semplicemente
un
rompipalle strafottente. Il che poi non era del tutto inesatto.
Razza
di…
Mi voltai ancorando le
mani ai fianchi in
una posa stizzita. «Senti, io e Luana non stavamo sparlando di te,
stamattina.
Non ho niente di cui scusarmi. Credo sia piuttosto logico chiedere
informazioni
con una persona con cui si dovrà dividere la casa.» sbottai
infervorata,
abbandonando le mie buone intenzioni.
«Io non stavo reclamando
le tue scuse,
hai la coda di paglia?» sorrise, mettendo in mostra una bella
dentatura, quasi
perfetta, se non fosse stato per un canino leggermente scheggiato.
Solo allora notai che si
era rasato,
indossava una tuta dell’adidas ed un’ampia felpa, di almeno una taglia
più
grande, ma nonostante ciò non aveva un aspetto trasandato. Appariva
meno perfettino rispetto a quella mattina,
con camicia e maglioncino, ma era ugualmente attraente.
Ok,
vuoi controllargli anche la marca dei boxer e fargli una TAC, così da
essere
certa di averlo studiato a sufficienza?
Digrignai i denti,
volgendomi nuovamente
verso il fornello, scuotendo la pentola in modo tale da smuovere i
popcorn sul
fondo e permettere anche agli altri chicchi di aprirsi.
Restammo in silenzio
mentre lo
scoppiettio riecheggiava nella piccola cucina ed il profumo
caratteristico e
caldo dei popcorn si diffondeva nello spazio angusto, saturandone
l’aria e
tranquillizzandomi.
Mi piaceva, evocava
nostalgici ricordi
dei pochi natali passati con la nonna che tentava in ogni modo di
viziarmi, per
sopperire all’assenza dei miei genitori. Si rammaricava per il loro
atteggiamento, per i viaggi con gli amici e colleghi organizzati
all’ultimo
istante, lasciando me a casa, perché troppo piccola. Personalmente ero
più che
lieta di quelle loro partenze, solo con la nonna il natale era
realmente tale.
Solo con lei percepivo il
tepore
rassicurante e familiare.
«Cosa studi?»
Mi accigliai, scuotendo
il capo per
scacciare i pensieri malinconici evocati dal mio spuntino, rivolgendo
nuovamente attenzione al mio interlocutore.
«Hai detto che è ovvio
voler conoscere
qualcuno quando sarai costretto a dividerci la casa… io sto solo
cercando di
fare conoscenza.» commentò tranquillamente, aprendo la credenza e
tirando fuori
miele e fette biscottate.
Increspai le labbra e
annuii a
malincuore. Il bastardo arrogante forse non aveva tutti i torti.
«Letteratura.»
«Io psicologia.» rispose
mesto.
«Non hai l’aspetto di uno
psicologo.»
ribattei sovrappensiero, sistemando i fazzoletti di carta sul fondo
della
zuppiera di vetro.
«Lo so, mi dicono tutti
che ho l’aspetto
di un modello mancato. – sospirò teatralmente. – Ma il fatto che io sia
bello
non implica che sia stupido.»
Mi volsi verso di lui con
un’espressione
ironica dipinta in volto. Che razza di
tipo… « Punto primo: alla faccia della modestia, punto secondo non
ti ho
dato dello stupido, al massimo del megalomane.»
«Io sono bello, ne sono
consapevole e non
apprezzo la finta modestia. Perché dovrei affermare che non mi piaccio
o
fingere che gli altri non trovino il mio aspetto gradevole?»
Increspai le labbra in
una smorfia,
osservando i suoi occhi divertiti che mi studiavano.
Non sembrava intenzionato a schernirmi e
probabilmente una parte di lui adorava veder confermata la sua
avvenenza. Forse
era anche un modo per crearmi imbarazzo, per appurare se il suo aspetto
mi
facesse o meno effetto. Personalmente non intendevo concedergli una
simile soddisfazione;
era un bel ragazzo ed io ero tranquillamente capace di ammetterlo senza
arrossire o imbarazzarmi… più o meno.
«Effettivamente non ne
avresti motivo, ma
affermarlo apertamente trasmetti l’immagine di un egocentrico.»
sentenziai a
capo chino, dedicando un’attenzione quasi maniacale alla cottura dei
popcorn.
Si
fa quel che si può…
«Lo sono.» sorrise
addentando la fetta
biscottata stracolma di miele, provocandomi uno spasmo allo stomaco,
per il
disgusto.
«Buono a sapersi.»
Restammo in silenzio per
qualche minuto
mentre lui completava il suo spuntino ed io mi premuravo di non
bruciacchiare
la mia cena, sistemando la fiamma, ma soprattutto di non farmi
scoppiare un popcorn
sulla fronte.
Lui ripulì il bancone,
lentamente,
riponendo tutto in ordine prima di voltarsi nuovamente verso di me.
Qualcosa mi
disse che aveva atteso invano un mio tentativo di fare conversazione,
oppure io
stavo diventando paranoica. In compenso non comprendevo perché non
tornasse
nella sua stanza, rinunciando a quel tentativo di conoscenza che per
quella
sera non mi premuravo di assecondare.
«Adesso tocca a te, quali
sono i tuoi
difetti?» incrociò le braccia al petto, adagiandosi con la schiena al
frigorifero, a pochi passi da me, in una posizione che gli permetteva
di
scrutare facilmente il mio viso, anche se cercavo di dargli le spalle.
«Dovresti dirmelo tu, sei
tu lo
spettatore esterno, quindi per te sarebbe più facile una valutazione.»
Tolsi il coperchio dalla
padella,
inspirando a fondo il buon profumo con un sorriso e ne riversai
lentamente il
contenuto nella zuppiera, attenta a non spargerlo sul piano della
cucina.
«Sei permalosa e
petulante.»
Assimilai le parole
indignata. «Grazie.»
mormorai ironica, increspando le labbra in una smorfia. Detto
da uno spaccone come lui…
«Mi hai chiesto tu i tuoi
difetti. –
ghignò divertito. – Io ti sto solo rispondendo.»
«Ci vai giù deciso, ed io
che credevo che
gli psicologi dovessero essere forniti di tatto.»
« Non sono ancora uno
psicologo e con te
non sto comunque parlando in quelle vesti. – mi corresse
scherzosamente. - Quel tizio che è venuto
oggi, Michele mi
pare, è il tuo ragazzo?»
«Non credo che la cosa ti
riguardi.»
ribattei velocemente, a disagio.
Michele.
Non era quel genere di
argomenti di cui
mi piaceva discutere, soprattutto in quei periodi nel quale quella
relazione mi
pesava particolarmente. Non era sempre così, però.
Talvolta riuscivo ad
adeguarmi a quei
ritmi con maggiore facilità, soffermandomi meno su quei suoi
comportamenti
particolari. Forse dipendeva dalla mia voglia di sopportare o dagli
impegni che
si accumulavano, o semplicemente dal riuscire a trascorrere con lui un
po’ più
di tempo senza che si addormentasse o si vedesse costretto a studiare.
Purtroppo però
ultimamente erano più i
periodi no, che quelli si, e ciò incideva inevitabilmente sul mio umore.
Stavo diventando
nevrotica.
«Siete stati ore in
quella stanza ma non
ho sentito alcun rumore molesto e, considerando le mura così sottili,
mi sono
insospettito.»
Spalancai la bocca, senza
parole. «Ma che
diamine… sei una specie di maniaco?» domandai inorridita, lasciando
perdere il
condimento dei popcorn.
Perfetto,
mancava solo il coinquilino depravato per completare il quadro della
disperazione. Non bastava fosse maschio?
Alzò le mani sorridendo
sornione. «No, ma
devo pur premurarmi, la tua camera è vicina e se arriva il tuo ragazzo
potrei
accendere lo stereo.»
Arricciai il naso, in
quel tic involontario
che esprimeva il mio nervosismo.
«Io ti avviserò quando
avrò compagnia,
così potrai accendere lo stereo.» continuò con un tono tanto pacato ed
indifferente che mi domandai se stesse o meno scherzando.
Non
mi sta chiedendo di avvisarlo quando faccio sesso, vero?
«Grazie…» mormorai non
propriamente
convinta.
«Allora è il tuo ragazzo?»
Sospirai. Meglio
stare al gioco e non fare la parte della sciocca. «Si, ma
non sarà necessario accendere lo stereo ogni volta che lo vedrai.»
ribattei
titubante.
Ghignò. «A giorni
alterni?»
«Sto per decidere di
picchiarti con
questa pentola vuota.» lo minaccia avvertendo l’imbarazzo prendere il
sopravvento. Ok, non c’è il limite al
peggio. Questa non era proprio il genere di conversazione che
volevo
intrattenere con un bel ragazzo che avrebbe vissuto nella mia stessa
casa e che
per tale motivo, per quieto vivere, dovevo imparare a vedere come
asessuato.
« È anche calda, potresti
ustionarmi.»
ribattè scrutandomi fintamente accigliato.
Aveva un’espressione
buffa, quella di chi
non sa se scoppiare a ridere o preoccuparsi realmente.
«Un ulteriore punto a
favore per l’idea
di picchiarti con la pentola.»
Si alzò dalla sedia,
sorridendo sornione.
«Tre tocchi al muro e capiremo, sarà il nostro segnale segreto.»
Gli lanciai dietro una
manciata di
popcorn, mentre lui sgattaiolava fuori dalla cucina. «Basta!» urlai,
scuotendo
il capo divertita.
Forse non era tanto male
come temevo.
______________________________
Quella mattina la sveglia
suonò alle
sette in punto, strappandomi brutalmente dal mondo dei sogni. Avevo
dormito più
di otto ore, eppure il desiderio di non alzarmi era talmente grande che
per un
istante pensai di mandare al diavolo lo studio e godermi il tepore
confortante
del letto.
Ovviamente le urla di
Cristina alla mia
porta ruppero l’idillio.
Io
la detesto!
Mi sciacquai il viso e a
passo pesante la
raggiunsi in cucina, scoccandole un’occhiataccia, mentre afferravo il
mio Sacro
Grall: il caffè.
Senza,
al mattino, posso diventare la peggior stronza acida dell’universo,
dopo la
prima tazza invece mi ammansisco con la velocità di un saluto.
Inquietante, ma
almeno chi mi conosce ha compreso che non è mai il caso di rivolgermi
la parola
prima di aver assunto la mia dose minima di caffeina mattutina.
«Com’è andata ieri sera?»
mi domandò
Luana, spalmando accuratamente la nutella su un paio di fette
biscottate.
Scrollai le spalle
indifferente, portando
la tazza alle labbra ed inspirando il suo meraviglioso profumo. «Film e
popcorn.»
«Allegria!»
Sorrisi. «A te?»
«Cinema e ristorante
cinese.»
Sbuffai, avvertendo il
mugugno del mio
stomaco vuoto. «No, adesso ho voglia di involtini primavera.»
«Io preferirei un caffè,
di prima mattina
la cucina cinese non è il massimo.» Gabriele entrò in cucina a passo
svelto,
completamente sveglio e già perfettamente abbigliato. Una vera vergogna
per me
e Luana ancora in pigiama e con i capelli sfatti dal sonno.
Detesto
avere un uomo per casa.
Fosse stata una ragazza, come la nostra ex coinquilina, avrei appena
notato
quel dettaglio, ma con un ragazzo sorgeva il fattore imbarazzo, da non
sottovalutare.
Yuppy!
Pensai
ironica,
mordendomi la lingua, per evitare di ribattere sarcastica.
Bevi
il tuo caffè, Cristina. Mi
ammonii.
«I gusti sono gusti. –
commentai,
passandomi una mano tra i capelli tentando invano di conferirgli un
garbo.
Inutile spreco di energie, ovviamente. – Buongiorno, comunque.»
«Buongiorno. – replicò,
versandosi del
caffè, mentre un sorriso sfacciato piegava le sue labbra. - Stasera
probabilmente busserò tre volte al muro della tua stanza.»
Oddio
no… come diamine è possibile? Si è appena trasferito.
Increspai le labbra in
una smorfia colma
di disgusto. «Dannazione, che schifo, non voglio sapere quando farai
sesso.»
«Meglio semplicemente
saperlo che
sentirlo, credimi.» replicò portando la tazza alle labbra, mentre si
accomodava
con noi attorno al tavolo.
Non replicai perché…
cavolo, aveva
decisamente ragione, ma personalmente avrei preferito evitare entrambe
le cose.
Quel problema con Luana non si era mai posto. Lei viveva con le cuffie
alle
orecchie e la musica a tutto volume, il che eliminava alla radice il
problema.
Non mi ero mai posta la domanda se quella sua abitudine fosse sorta per
i
medesimi motivi che portavano Gabriele a richiedermi di avvisarlo prima
delle
mie attività sessuali o fosse una sua abitudine pregressa.
Comunque non intendevo
indagare.
Scossi il capo, decisa a
soprassedere su
quei discorsi inappropriati di prima mattina, quando il cervello non è
ancora
abbastanza sveglio per elaborare risposte pungenti. Quel pomeriggio
avrei
acquistato dei tappi per le orecchie.
Ovviamente avevo
dimenticato un piccolo
dettaglio. «Posso sapere di che state parlando?» intervenne Luana
completamente
all’oscuro del tema del nostro scambio, non avendo avuto modo di
aggiornarla,
non era informata sulla conversazione sera precedente.
«Il
nostro segnale pre sesso!» ammisi con una scrollata di spalle.
Fu il suo momento di
restare spiazzata,
evento decisamente raro che in quel momento non ebbi modo di godermi,
troppo
impegnata a dissipare le sue folli conclusioni. «Voi due fate sesso?»
«Ehi. – scattai
imbarazzata. – Non io e
lui! Che cavolo, Luana.»
Gabriele, dal canto suo,
si limitò a
ridacchiare decisamente divertito. Iniziava a darmi sui nervi quella
sua
capacità di non scomporsi mai. «Le nostre mura sono sottili e vorrei
evitare di
ascoltare rumori molesti durante la notte, o il pomeriggio o la
mattina.
Sinceramente non so a che ora tu faccia sesso gen…»
«Smettila! - esclamai
avvilita. – Quando,
come e perché faccio sesso sono cose che non ti riguardano! Eviterò di
fare
qualsiasi cosa qui in casa. Contento?»
« Il come non mi
interessa, il perché mi
pare ovvio… ma è il quando che preferirei sapere. – ribattè in tono
conciliante. - Non vorrei impedirti di divertirti qui in casa tua,
sarebbe
scortese.»
«Non preoccuparti, tanto
è un raro
evento.» commentò innocentemente Luana, lasciandomi basita. - Comunque ho lezione, vado a prepararmi. Voi
non fate sesso sul tavolo, io qui ci mangio.»
Concluse la sua arringa
alzandosi e
allontanandosi tranquillamente dalla cucina, sotto il mio sguardo
sbigottito.
Ero consapevole stesse
scherzando, sia
per la sua amicizia con Michele che l’avrebbe costretta ad ammonirmi se
un
simile pensiero mi avesse sfiorata, sia perché conoscendomi era
consapevole
dell’assurdità di una tale prospettiva. Almeno era quello che speravo…
Luana sapeva essere… indecifrabile.
« Che tipino…
divertente.» commentò
Gabriele, stiracchiando le braccia svogliatamente, con gli occhi chiusi
e le
labbra increspate. Con quel gesto mise inconsapevolmente in risalto il
collo
flessuoso ed i muscoli delle braccia avvolte in una maglia piuttosto
aderente
che sottolineava perfettamente ogni curvatura.
Oh
porca miseria…
Mi schiarii la gola,
stranamente a
disagio, alzandomi e forzandomi a distogliere immediatamente lo
sguardo. Sparecchiai
velocemente la tavola con gli avanzi della colazione, perché quella
mattina
toccavano a me i piatti e stavo proprio per dedicarmi al contenuto del
lavabo
quando il campanello suonò.
Non mi scomposi,
limitandomi
semplicemente a chiudere l’acqua ed asciugarmi le mani. Gabriele si
mosse per
dirigersi verso la porta, ma lo bloccai. «Adesso entra.» spiegai,
pacata.
«Non era chiusa a
chiave?» borbottò con
uno sguardo indignato.
Feci spallucce.«A
quest’ora arriva
Michele, quindi la lasciamo socchiusa così da non dover correre se ci
stiamo
vestendo.»
«Alla faccia della
sicurezza, io in
questo quartiere metterei sottochiave tutto.» contestò e, diamine, era
stato
uno dei primi pensieri quando mi ero trasferita in quella casa. Con il
tempo
avevo però compreso che in quella particolare zona, paradossalmente, i
furti
erano estremamente rari, per motivi a me ignoti.
«Fifone.» lo schernii.
«No, realista.»
«Buongiorno.» Michele
entrò in cucina,
interrompendo il nostro scambio, ostentando un sorriso che parve
vacillare per
un istante quando ci notò.
Luana fece capolino
subito dopo di lui,
ancora senza scarpe e con i capelli spettinati e gonfi. «Dammi cinque
minuti.»
borbottò in direzione del mio ragazzo, sbuffando come un treno a
vapore, mentre
correva verso il bagno, lì accanto.
Lui non parve quasi darle
peso. Si limitò
ad asserire con il capo, prima di avvicinarsi a me e stamparmi
un bacio a fior di labbra, con un
atteggiamento quasi possessivo. «Buongiorno amore.» mormorò.
Un tipo di comportamento
che gli era
completamente estraneo. Mi parve quasi di essere uno di quegli
irrigatori che i
cani marcano al loro passaggio, per contrassegnare il territorio.
Sperai non iniziasse a
fare pipì per
casa. Vista la bizzarria della situazione sarebbe stato quasi normale,
tralasciando il fatto che non aveva alcun motivo per agire in questo
modo. Considerando
i pettegolezzi che si erano diffusi sul mio conto, anche negli ultimi
tempi,
non comprendevo il motivo di un tale cambiamento.
Stamattina
avrà dato una testata in un palo.
Mi accigliai palesando la
mia
perplessità. «’Giorno.»
«Signori io mi dileguo,
le lezioni
mattutine mi attendono.» esordì Gabriele, riponendo la tazza di caffè
ormai
vuota nel lavabo, forse a disagio per la strana. Come dargli torto? «A
più
tardi, piacere di averti rivisto… ehm, Michele.»
«Piacere mio.» ribatté
mesto,
quest’ultimo.
Osservai Gabriele
allontanarsi verso la
sua camera, sotto lo sguardo del mio ragazzo. «Sei preoccupato? –
mormorai
incredula. – Si può sapere che ti è preso?»
«Tutto bene. – replicò,
ignorando la mia
domanda. - Stamattina hai lezione?»
«No, lo sai che il
mercoledì è il mio
giorno libero.»
«Vuoi venire
all’università con noi?
Potresti studiare in biblioteca? Noi abbiamo lezione fino alle sette.»
Fu allora che compresi,
vagamente
sorpresa.
«Temi di lasciarmi da
sola in casa con
lui?» fu più una domanda che un’affermazione, ma non me ne curai.
Sbuffò, passandosi una
mano tra la massa
di ricci, irrequieto. «Non sappiamo nulla di questo tipo, potrebbe
essere uno
stupratore, un serial killer…»
«… un semplice studente
di psicologia. –
sorrisi divertita. – Ti comunico che ieri sera sono stata sola in casa
con lui
e come vedi sono intera, viva e vegeta.»
Trasalì. «Mi avevi detto
che avresti
visto un film con Luana.»
«Credevo che avrebbe
trascorso la serata
con me invece aveva preso appuntamento con la sua ragazza. Ti sembrerà
strano
ma le persone normali non si chiudono in casa a studiare tutte le
sere.» reagii
sulla difensiva. Non mi piacque quel suo tono insinuante, non quando
era stato
lui a piantarmi in asso per l’ennesima volta.
Si incupì colpito
probabilmente dalle mie
parole, ed un po’ di dispiacque, benché fosse la verità. «Lo sapevi che
avevo
una relazione da fare.»
Fu il mio turno di
sbuffare, stanca di
udire sempre la solita solfa, le stesse giustificazioni. «C’è sempre
una
qualche relazione, un libro da studiare, un progetto da completare. È
sempre
così. Mi domando come possa Luana essere al tuo stesso corso di laurea,
aver
scelto i suoi stessi moduli e condurre una vita sociale dignitosa.»
«Lei si accontenta.»
ribatté come se
fosse ovvio, come se aspirare costantemente all’eccellenza potesse
essere
normale.
È bello porsi grandi
obiettivi, ma è
fondamentale comprendere quali sono i propri limiti ma soprattutto
quali sono quelli
che il mondo ci pone.
Non si può avere ogni
cosa.
Bisogna combattere per
ciò che si
desidera e non dare mai nulla per scontato, ma anche comprendere quando
si
eccede e quando questo può incidere negativamente sul resto della
nostra vita.
Bisogna raggiungere un
equilibrio, o
almeno tentare.
Gli esseri umani sono
complessi,
multidimensionali. Non possono accontentarsi solo dell’amore o solo del
lavoro,
o di un altro aspetto della loro quotidianità, perché quando questo
accade
percepiscono una sorta di incompletezza.
Purtroppo però quando si
è certi, anche
erroneamente, di possedere qualcosa la si trascura. La si pone da parte
per
dedicarsi a ciò a cui ancora si aspira. Almeno sino a quando non la si
perde.
La mia presenza per lui
era
indiscutibile, nonostante non si desse la pena di accertarsi che io
concordassi. Io ero lì per lui, sempre.
Lottava per crearsi un
avvenire che
potesse soddisfarlo tralasciando tutto ciò che restava al di fuori di
esso,
tutto ciò che pur essendo parte della sua vita non aveva per lui il
medesimo
valore.
Io non avevo valore. I
compromessi, anche
se piccoli, sono fondamentali in ogni relazione e, per quanto lui
potesse
essere dolce e probabilmente amarmi, non era realmente disposto a
compierne.
La sua non era
cattiveria, non lo era mai
stata, ma io iniziavo ad essere stufa di aspettare.
«Certo… hai sempre
ragione.» sentenziai
alzandomi. « Adesso se non ti dispiace andrei a farmi una doccia e a
studiare,
nella mia stanza. Buona lezione amore.» mormorai ironicamente melliflua
prima
di allontanarmi.
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