Recordar. Dolerse. Volver

di EffieSamadhi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Here Without You [3 Doors Down] ***
Capitolo 3: *** 2. T'Innamorerò [Gigi D'Alessio] ***
Capitolo 4: *** 3. Can't Take My Eyes Off Of You [Gloria Gaynor] ***
Capitolo 5: *** 4. Insomnia And The Hole In The Universe [Live] ***
Capitolo 6: *** 5. Come Se Io Fossi Lì [Mina] ***
Capitolo 7: *** 6. You Raise Me Up [Josh Groban] ***
Capitolo 8: *** 7. C'E' Una Melodia [Eros Ramazzotti] ***
Capitolo 9: *** 8. Ho Voglia Di Ricominciare [Giorgia] ***
Capitolo 10: *** 9. Como El Sol Inesperado [Laura Pausini] ***
Capitolo 11: *** 10. Don't Cry [Guns'n'Roses] ***
Capitolo 12: *** 11. Electricity [Elisa] ***
Capitolo 13: *** 12. La La Song (Non Credo Di Essere Al Sicuro) [Giorgia] ***
Capitolo 14: *** 13. You'Re Still You [Josh Groban] ***
Capitolo 15: *** 14. Quello Che Le Donne Non Dicono [Fiorella Mannoia] ***
Capitolo 16: *** 15. I'M Only Me When I'M With You [Taylor Swift] ***
Capitolo 17: *** 16. Life Is A Highway [Rascal Flatts] ***
Capitolo 18: *** 17. One Moment In Time [Whitney Houston] ***
Capitolo 19: *** 18. Giù Le Mani Dal Cuore [Raf] ***
Capitolo 20: *** 19. Incredibile Romantica [Vasco Rossi] ***
Capitolo 21: *** 20. Love Story [Taylor Swift] ***
Capitolo 22: *** 21. Here We Go Again [James Blunt] ***
Capitolo 23: *** 22. La Prima Cosa Bella [Malika Ayane] ***
Capitolo 24: *** 23. Punto [Jovanotti] ***
Capitolo 25: *** 24. Total Eclipse Of The Heart [Bonnie Tyler] ***
Capitolo 26: *** 25. Tenendomi [Max Pezzali] ***
Capitolo 27: *** 26. Listen To Your Heart [DHT] ***
Capitolo 28: *** 27. Spiriti Degli Antichi Eroi [Koda, Fratello Orso OST] ***
Capitolo 29: *** 28. Binario 36 [Marco Masini] ***
Capitolo 30: *** 29. 10,000 Years (Peace Is Now) [Live] ***
Capitolo 31: *** 30. Voce Existe Em Mim [Josh Groban] ***
Capitolo 32: *** 31. Le Chemin [Kyo feat. Sita] ***
Capitolo 33: *** 32. Al Di Fuori Di Me [Phil Collins] ***
Capitolo 34: *** Epilogo. Cinque Anni Dopo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Recordar. Dolerse. Volver

L'Avana (Cuba), 1959
Notte di Capodanno

 

            Le mani di Javier vagavano senza fretta lungo i contorni delle sue spalle: era una sensazione ancora nuova, ma non per questo spiacevole. Insieme avevano appena condiviso un momento magico, uno di quegli eventi che accadono una sola volta nel corso di un’esistenza.

            “Forse qui non sarà così terribile come dici” azzardò la ragazza, alzando appena la testa verso di lui.

            Javier fece un cenno di diniego. “Batista non era certo un santo, ma Castro… rischiate troppo, stando qui.”

            “A sentirti dire così, mi viene da pensare che di me non ti importi nulla.”

            “E’ proprio perché mi importa che lo dico! Katie, non potrei sopportare di vedere tuo padre rinchiuso in carcere. Senza contare quello che potrebbero fare a te, a Lucy. E a tua madre.”

            Katie si arrese. Se amare Javier significava doversene andare da Cuba, allora lo avrebbe fatto. Appoggiò la testa sul petto del ragazzo. Il vento gonfiava la tenda, mentre il mare continuava ad infrangersi sulla spiaggia ad intervalli regolari.

            “Quando credi che potremo ritornare?”

            “Non lo so. Forse tra pochi mesi sarà tutto a posto. O forse non sarà mai più come prima. Non lo so.”

            Katie non disse nulla. Il groppo che aveva in gola le impediva di rispondere. Non rivedere più Javier era un’eventualità che non riusciva ad accettare.

            “Ma ti prometto” riprese lui, dopo qualche minuto di silenzio, “che se non potrai tornare, sarò io a venire da te.”

            La ragazza tornò a guardare il ragazzo, che a sua volta sorrise.

            “Te lo prometto, Katie Miller. In un modo o nell’altro, danzeremo ancora insieme.”

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Capitolo 2
*** 1. Here Without You [3 Doors Down] ***


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New Jersey, 1959

Febbraio

 

            Finalmente, dopo un tempo infinito, Lucy distolse gli occhi dai propri piedi, e li fissò sulla sorella. “Ne sei assolutamente certa?”

            Katie annuì e, dopo aver ricacciato indietro le lacrime, aggiunse: “Al cento per cento.”

            Trenta secondi di silenzio.

“Forse dovresti dirlo a mamma…”

            “No. Mamma non deve sapere niente.”

            “Allora a papà. Sono certa che lui…”

            “Papà non capirebbe. Nessuno può capire.”

            Altri trenta secondi di silenzio.

            “Però a me lo hai detto.”

            “Dovevo. Non potevo continuare a tenere questa cosa per me.”

            “Così mi rendi tua complice” osservò Lucy con un sorriso.

            Katie cercò di nascondere un sorriso, senza successo. “Beh, non è un crimine.”

            “Ma ti comporti come se lo fosse.”

            Un lunghissimo minuto di silenzio.

            “Comunque, che hai intenzione di fare?”

            Katie fece spallucce, ricominciando a tormentare il fazzolettino che teneva tra le mani. Lucy la osservò per un paio di minuti, poi ricominciò a fissarsi i piedi. Dall’altra parte della strada, il signor Ferguson faceva ritorno a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Il signor Ferguson guidava una Pontiac, che lucidava ogni sabato mattina. I Ferguson erano benestanti, ma vivevano in maniera semplice. La signora Ferguson si tirava su i capelli con un foulard e sbatteva i tappeti ogni giovedì. Ogni domenica l’intera famiglia andava a messa: il signor Ferguson, la signora Ferguson e i loro figli, Thomas e Rebecca. Il signor Ferguson e il signor Miller a volte giocavano insieme a golf, prima che i Miller si trasferissero a Cuba. Da quando erano tornati, i Miller non avevano ancora avuto tempo di farsi vedere in giro. Ritrasferire tutti i loro beni da L’Avana e rimettere a posto il loro piccolo angolo di New Jersey li stava sfiancando.

            “Continuo ad essere convinta che mamma capirebbe” commentò Lucy sottovoce, abbracciandosi le gambe e appoggiando il mento sulle ginocchia.

            “E io continuo ad essere convinta che mi ucciderebbe” rispose Katie, alzandosi e sedendosi sul letto della sorella. Iniziò a sfilarle i bigodini, con mano meno ferma del solito.

            “Katie, mi dispiace.”

            “Di che cosa?”

            “Di non poterti aiutare.”

            Katie sorrise. “Non devi dispiacerti, Lucy. Io mi sono infilata in questo pasticcio, e io me ne devo tirare fuori.”

            Dall’altra parte della strada, Thomas Ferguson raggiunse il padre in giardino. Il ragazzo incrociò lo sguardo di Katie e alzò una mano in segno di saluto. Katie rispose con un cenno educato. Lucy ne approfittò per sbirciare. “Ehi, mi sono persa qualcosa?”

            “Sì, le lezioni di buona educazione di mamma” scherzò Katie.

            Lucy rise. “E’ bello vedere che non hai perso il sorriso.”

            “Perché, dovrei averlo perso?”

            “Beh, lasciare Cuba è stato doloroso per te. E poi, adesso che…”

            “Lucy, ti prego, non… non parliamo di Cuba.”

            “Io invece penso che ne dovremmo parlare. Insomma, è di lì che è iniziato tutto, giusto?”

            “Sì, ma…”

            “Niente ma, Katie. So che Javier ti manca. E so che non puoi dimenticarlo, specialmente in questa situazione. Non puoi dimenticarlo, anche se è quello che mamma e papà vorrebbero.”

            “Ma si può sapere quanti anni hai?”

            “Quasi quindici” rispose l’altra sorella, con aria fiera.

            Katie non poté trattenere l’ennesimo sorriso. No, non era semplice essere di nuovo in America. Non era semplice essere in America senza Javier. Ma finché avesse avuto Lucy al suo fianco, sentiva che nulla poteva davvero sconfiggerla.

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Capitolo 3
*** 2. T'Innamorerò [Gigi D'Alessio] ***


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New Jersey, 1959

Due settimane più tardi

 

            Thomas Ferguson era più grande di Katie di sei anni, era studente di Legge, aveva ottimi voti ed era prossimo alla laurea. Thomas sarebbe diventato un ottimo avvocato. Era alto e slanciato, e probabilmente lui e il signor Miller avrebbero potuto trascorrere insieme lunghi pomeriggi all’insegna dello sport: golf, cricket… e poi, era biondo. La signora Miller adorava i ragazzi biondi. Forse era questo il motivo per cui non aveva mai visto di buon occhio Javier. Thomas sembrava davvero il ragazzo perfetto per Katie, ed era una fortuna che lui fosse il figlio dei loro vicini di casa.

            Katie era andata a cercarlo all’università. Aveva urgenza di parlargli, ma non poteva farlo a casa: troppi occhi indiscreti. Thomas aveva il portamento di un uomo destinato al successo, ma in quel momento, chino sul proprio caffè, aveva l’aria preoccupata. Quasi… quasi spaventata. Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco le parole di Katie Miller.

            “Katie… tu mi piaci. Questo lo sai, vero?”

            La ragazza deglutì. “Sì, Thomas. L’avevo sospettato.”

            “Bene. E’ un punto di partenza.”

            “Thomas, se non l’avessi sospettato non sarei venuta a cercarti per parlarne.”

            “Katie…”

            “Thomas, lo so che questa situazione può sembrarti un po’ strana, ma…”

            “Strana? No, non la definirei strana. E’ semplicemente da pazzi, ecco tutto.”

            Katie sospirò. “Per me lo è ancora di più, Thomas.”

            Il ragazzo si portò la tazza alle labbra, per poi riappoggiarla senza aver bevuto. “Quello che mi stai chiedendo è… insomma, non è come chiedermi se mi va di fare quattro passi.”

            “Lo so, Thomas.”

            “Almeno ne sei consapevole.”

            “Pensavo che apprezzassi la mia sincerità.”

            “Oh, io apprezzo la tua sincerità. Apprezzo il fatto che una ragazza” abbassò la voce “mi riveli di essere incinta, prima di chiedermi di iniziare una frequentazione assidua con lei.”

            Katie non aveva parole per rispondere. Il nodo alla gola si strinse. Si mosse sulla sedia. Thomas avvertì il suo disagio.

            “Scusa. Non intendevo essere sgarbato.”

            “Non sei stato sgarbato. Sono stata una sventata. La colpa è solo mia.”

            “Katie…”

            “Sposarmi è l’unica soluzione plausibile, ma devo farlo entro breve. Se non puoi essere tu, non importa. Mi rendo conto che non posso approfittare dei tuoi buoni sentimenti… è solo che, trovandomi costretta a farlo, preferirei che fosse qualcuno che apprezzo.”

            Un minuto di silenzio, rotto dalle chiacchiere degli studenti in pausa.

            “Lo farò, Katie.”

            “Come?”

            “Ti sposerò.”

            Le labbra di Katie si dischiusero in un sorriso. “Grazie, Thomas, io…”

            “Ti sposerò, ma ad una condizione” la interruppe lui.

            Katie si zittì e deglutì, aspettando.

            “Mi rendo conto che quello che provi per me non va oltre il semplice affetto, almeno per ora” iniziò Thomas, cercando di cancellare dalla propria voce ogni traccia di incertezza. “E non mi illudo che, anche con il passare del tempo, tu possa arrivare ad amarmi. Sarei davvero molto fortunato, se questo accadesse. L’unica cosa che desidero è che tu risponda sinceramente alla domanda che ti farò.”

            Trenta secondi di silenzio, durante i quali si fissarono con intensità.

            “Tu lo ami ancora?”

            Ancora un minuto di silenzio, durante il quale Katie ripensò ad ogni singolo istante trascorso con Javier. Un minuto durante il quale Katie cercò di convincersi che nulla di ciò che c’era stato tra loro era stato dettato dall’amore.

            “Penso a lui come al mascalzone che ha approfittato della mia ingenuità, ma non lo amo. Non l’ho mai amato.”

            Una fitta al centro del petto. Una pugnalata al cuore. Javier era l’unico uomo che avesse mai amato oltre a suo padre.

            Thomas sorrise. Con la propria mano cercò quella di Katie. Dopo qualche timida carezza, la strinse con decisione.

            “Puoi contare su di me, Katie.”

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Capitolo 4
*** 3. Can't Take My Eyes Off Of You [Gloria Gaynor] ***


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New Jersey, 1959

Marzo

 

            “Katie, sei sicura di quello che fai?”

            “Lucy, ne abbiamo già parlato.”

            “So che ne abbiamo già parlato, ma… ecco, non sopporterei di vederti infelice.”

            “Non sarò infelice, Lucy. Con Thomas starò bene.”

            La ragazzina si finse interessata ai ricami del vestito che indossava. Non riusciva a sostenere lo sguardo della sorella maggiore, sapendo che questa stava sacrificando la propria felicità. Per non perdere punti agli occhi dei genitori.

            “Lucy, so che cosa stai pensando.”

            “Lasciamo stare. Tanto non cambierai idea, giusto?”

            Katie scosse la testa, accennando un sorriso.

            “Appunto.”

            Due colpi alla porta attirarono la loro attenzione. Il signor Miller entrò, raggiante. “Allora, la sposa più bella del mondo è pronta?”

 

            In qualche modo, Katie e Thomas erano riusciti a convincere le rispettive famiglie di aver sempre avuto un debole l’uno per l’altra, così da non far sembrare troppo strana la loro fretta di diventare marito e moglie il più in fretta possibile. Naturalmente, le malelingue avevano seminato la voce che i due sposini avessero consumato la luna di miele prima del tempo, e che il matrimonio servisse a coprire il fattaccio. Se soltanto avessero saputo che ciò corrispondeva a metà della verità…

            Katie percorse la navata della chiesa aggrappata al braccio del padre, terrorizzata all’idea di svenire durante la cerimonia. Lucy li precedeva, in qualità di damigella d’onore, vestita di un abito azzurro che, incredibilmente, le donava. Thomas aspettava la sposa in piedi davanti all’altare, con un grande sorriso dipinto in volto. Sembrava davvero avere l’aria di un uomo che per tutta la vita non ha aspettato altro.

            La cerimonia parve durare ore. Katie non resistette all’impulso di gettare un’occhiata in direzione della propria famiglia, trovando la madre in preda ad un pianto incontrollato, più adatto ad una madre che abbia perso un figlio in guerra che non ad una che veda sposarsi la figlia maggiore. Suo padre, al contrario, sprizzava felicità da tutti i pori. E Lucy… Lucy aveva ragione. Lucy aveva una specie di radar per certe cose, e se sentiva che una cosa era sbagliata… beh, allora quella cosa era sbagliata. Ma non aveva importanza: ormai Thomas stava facendo scivolare una sottile fede d’oro attorno al suo anulare. E lei stava facendo la stessa cosa. E il reverendo aveva appena presentato all’intera comunità il signor e la signora Ferguson.

            Il signor Miller strinse la mano al genero, poi gli diede un’affettuosa e paterna pacca sulle spalle. “Lascio Katie in mano tua. È uno dei tesori più preziosi che io possieda. Trattala come merita.”

            “Mi prenderò buona cura di sua figlia, signor Miller.”

 

            Katie e Thomas non sarebbero partiti per il viaggio di nozze: avevano accampato una serie di scuse, tra le quali l’imminente laurea di Thomas, che doveva quindi concentrarsi al massimo, senza distrazioni. Avrebbero vissuto in un appartamento di proprietà della famiglia Ferguson, almeno fino a quando non si sarebbero potuti permettere una casa tutta loro. E, considerata la buona volontà del ragazzo, non ci sarebbe voluto molto, prima che questo accadesse.

            “Aspetta, Katie.”

            La ragazza si fermò in cima alle scale, aspettando il marito.

            “Dobbiamo rispettare la tradizione.”

            “La… tradizione?” domandò lei, osservandolo aprire la porta e spingere dentro le valigie.

            “La sposa deve attraversare la soglia della propria casa tra le braccia dello sposo. Non dirmi che non la conoscevi.”

            “E’ vero, che stupida. Ma non sei obbligato a…”

            “Non farlo porta sfortuna.”

            Katie si lasciò sollevare da Thomas, che le fece oltrepassare la soglia senza sforzo. La ragazza sorrise, e non appena si fu ritrovata con i piedi per terra prese la propria valigia e iniziò a sistemarne il contenuto negli armadi. Thomas rimase a fissarla per qualche minuto, prima di decidersi a parlare.

            “Katie, mi sembri molto stanca. Faresti meglio a riposare. Avrai tempo per mettere a posto.”

            “Sì, forse hai ragione. Domani sistemerò tutto per bene. Domani sarò meno stanca.”

            Iniziarono a prepararsi per la notte.

 

            Un’ora più tardi, si ritrovarono entrambi distesi a letto, l’uno di fianco all’altra, perfettamente immobili. Erano entrambi appoggiati al proprio fianco destro. Thomas fissava la nuca di Katie, che fissava la sottile carta da parati. Thomas mosse una mano e le accarezzò i riccioli biondi. Katie non si ritrasse, ma sospirò. E tirò su col naso, come se stesse piangendo.

            “Thomas…”

            “Sì?”

            “Vorrei… vorrei chiederti scusa. Sono molto stanca, e tutta questa situazione mi sembra ancora molto strana. Mi dispiace, ma stanotte io non…”

            “Non preoccuparti, Katie. Aspetteremo fino a quando non ti sentirai pronta. Mi rendo conto che fidarti degli uomini è molto difficile, per te.”

            “Già.” In realtà, Katie non voleva che Thomas rendesse proprio ciò che era stato di Javier. Almeno per i primi tempi, aveva intenzione di rimandare la cosa. E poi, più avanti, avrebbe usato come scusa la gravidanza. Forse per una decina di mesi sarebbe riuscita ad evitare l’intimità con suo marito.

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Capitolo 5
*** 4. Insomnia And The Hole In The Universe [Live] ***


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New Jersey, 1959

Settembre

 

            Un’infermiera in divisa rosa porse alla signora Miller una tazza di the. “Vedrà, signora Miller, andrà tutto bene.”

            Il signor Miller sedette accanto alla moglie e annuì. “Sì, tesoro, l’infermiera ha ragione. Katie è forte e ce la farà. E poi, sai meglio di me che il primo parto è il più difficile.”

            Lucy si alzò per sgranchirsi le gambe. I medici erano con sua sorella da più di sei ore, e il bambino non era ancora nato. Guardò verso Thomas, seduto in fondo al corridoio. Lasciò soli i propri genitori e raggiunse il cognato. “Come ti senti?”

            “Bene.”

            La ragazzina notò che aveva gli occhi arrossati dal pianto. “Stai mentendo. Hai paura. È normale. Hai paura che possa succederle qualcosa.”

            “Io la amo, Lucy.”

            “Lo so.”

            “Sono suo marito, è mio dovere proteggerla.”

            “So anche questo. Ma non c’è niente che tu possa fare. A meno che tu non sia un medico.”

            “Credi che andrà tutto bene?”

            Lucy annuì. “Ne sono sicura.”

            “Se le succedesse qualcosa, io… io…”

            “Tu cosa? Andresti a Cuba a prendere per il collo Javier?”

            “Tu come lo sai?”

            “Katie e io siamo sorelle. È normale che si sia confidata con me.”

            “Non… non lo sa nessun altro, vero?”

            Lucy scosse la testa. “No, nessun altro.”

            La stessa infermiera che aveva portato un the alla signora Miller si accostò a loro. “Serve niente?”

            “No, va tutto bene” risposero, quasi in sincronia, i due giovani.

 

            Due ore più tardi, verso l’una del mattino, il medico che aveva in cura Katie li raggiunse nel corridoio, con un grande sorriso dipinto sul volto. “E’ andato tutto per il meglio. La signora Ferguson ha partorito una femminuccia sana e bellissima, ma è molto debole. Ha chiesto di vedere suo marito e sua sorella. Ma è solo per pochi minuti.”

            Lucy seguì Thomas nella stanza dove Katie stava riposando. Era molto pallida, ma sorrideva. L’uomo si precipitò subito accanto a lei, e prese ad accarezzarle il volto. La ragazzina si avvicinò più lentamente, senza smettere di sorridere. “Non offenderti, tesoro, ma passerà molto tempo prima che io decida di partorire un’altra volta.”

            “Tutto il tempo che vuoi, Katie. Tutto il tempo che vuoi” la rassicurò Thomas, senza smettere di accarezzarla.

            “Come stai, sorellona?”

            “Lucy… è bellissima, ma fino a domani non potrai vederla.”

            “Una femmina… come se non ci fossero già abbastanza donne, in questa famiglia.”

            “Che cosa dicono le stelle?”

            Da qualche tempo, Lucy aveva iniziato ad interessarsi di oroscopi e astrologia, per cercare di scoprire come sarebbe stata la sua nipotina. “Ha ritardato il parto di due ore per nascere il primo giorno d’autunno. Indubbiamente avrà un bel caratterino.”

            “Katie” le interruppe Thomas, “non hai ancora detto come si chiama.”

            “Beh, volevo aspettare di poterne parlare con te.”

            “Beh, adesso sono qui.”

            “A me piacerebbe Marie. O Isabella.”

            “Isabella… mi piace.”

            “Allora sarà Isabella.”

            Il dottor Travis entrò nella stanza. “Perdonatemi, signori, ma devo chiedervi di lasciare sola la paziente. Ha bisogno di riposare.”

            “Certo” annuì Thomas, prima di baciare la fronte della moglie. “Ci vediamo domani mattina, tesoro.”

            “Ciao, Katie.”

 

            Katie non riuscì a riposare molto, quella notte. Non riusciva a smettere di pensare alla sua bambina, che in quel momento probabilmente dormiva beata nella nursery, coccolata dalle infermiere. Isabella, continuava a ripetersi. Isabella, Isabella, Isabella… Isabella Ferguson. Isabella sarebbe cresciuta con due genitori che la amavano, in una bella casa con un giardino. Thomas era stato un tesoro ad occuparsi del trasloco. Restava soltanto lei, da trasferire. Ma per fortuna, Isabella si era decisa a nascere, risparmiandole l’incombenza di un lungo tragitto in macchina fino alla nuova casa. Isabella… Suarez, si ritrovò improvvisamente a pensare. C’erano ben poche speranze che quel ciuffo di capelli scuri si schiarisse, col tempo. E sarebbe stato quel ciuffo a ricordarle, per l’eternità, chi fosse il vero padre di Isabella.

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Capitolo 6
*** 5. Come Se Io Fossi Lì [Mina] ***


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New York, 1960

Settembre

 

            Thomas e Katie si erano trasferiti a New York ormai da un anno. Erano andati ad abitare nella loro nuova villetta poche settimane dopo la nascita di Isabella, appena Katie aveva capito come comportarsi con la bambina. Thomas era stato assunto in un importante studio legale, e la loro vita insieme procedeva bene. Per essere un matrimonio dettato dalla necessità, e non dall’amore, i due coniugi andavano piuttosto d’accordo.

            Katie aveva appena sfornato una torta, quando Thomas rientrò dal lavoro. “Ciao, tesoro. Ehi, che profumino!”

            “E’ per il compleanno di Isabella.”

            “Dov’è la mia principessa?”

            “Sta dormendo. La sveglierò più tardi, quando arriveranno i nostri genitori.”

            I signori Miller e i signori Ferguson, infatti, sarebbero arrivati di lì a poco, per una cena in onore della piccola. Thomas appoggiò la valigetta su una sedia e si avvicinò alla moglie per darle un bacio sulla guancia, come faceva ogni giorno appena tornato dal lavoro. Ma quel pomeriggio, Katie voltò la testa, per far incontrare le labbra di Thomas con le proprie. Il giovane avvocato, in un primo momento, non riuscì a credere ai propri occhi: nonostante fossero sposati ormai da un anno e mezzo, non si erano mai baciati, se non in pubblico, e certamente non avevano mai condiviso momenti di intimità.

            “Katie, io non… non capisco.”

            “Thomas, io non ti ringrazierò mai abbastanza, per quello che hai fatto. Se non fosse stato per te, probabilmente Isabella non sarebbe mai nata, e…”

            “Katie, l’ho fatto con piacere.”

            “No, tu hai sacrificato la tua vita per me. Per un mio sbaglio. Non tutti lo avrebbero fatto.”

            “Sì, questo forse è vero… ma non spiega ancora perché tu mi abbia baciata.”

            Katie lo fissò a lungo negli occhi, prima di dargli una risposta, ma quando si fu decisa, il campanello la interruppe.

            “Dannazione, i miei genitori sono in anticipo, e io sono in ritardo! Ti dispiace farli accomodare?”

 

            La cena si rivelò ottima, e grazie a questo successo le capacità culinarie di Katie furono appurate. Sia i Ferguson che i Miller si dichiararono soddisfatti, e Isabella sembrò gradire le attenzioni delle due zie, che non le avevano tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Dopo essere diventate cognate, Lucy e Rebecca avevano scoperto di avere molto in comune: d’altra parte, tra le due c’erano solo quattro mesi di differenza – Rebecca era più grande –, e quindi era perfettamente normale che avessero iniziato un’amicizia.

            Rimasti soli, Katie e Thomas misero a dormire la piccola, poi iniziarono a rigovernare.

            “Vai pure a dormire, Thomas. Posso riordinare da sola. Non voglio che tu faccia tardi al lavoro, domani.”

            “Mi fa piacere darti una mano, Katie. E poi sono tuo marito, è mio dovere aiutarti.”

            “Tu fai anche troppo per me, Thomas.”

            “Quello che faccio, lo faccio perché… beh, perché ti amo” ribatté lui, trattenendola dolcemente per un polso. “E come ho detto quando ho accettato di sposarti, non mi aspetto che anche tu mi ami. A me basta questo, sul serio.”

            “Thomas…” sussurrò lei, il viso a pochi centimetri dal suo.

            “Sì?”

            “Io… io voglio fare l’amore con te, questa notte.”

            “Non sei obbligata, Katie.”

            “Non mi sento obbligata, Thomas. Voglio farlo. Desidero fare l’amore con te.”

            Le loro voci si erano ridotte a sussurri, e continuavano a diminuire d’intensità a mano a mano che i loro visi si avvicinavano.

 

            Tra le mani di Thomas, Katie si sentì protetta, difesa. Si sentì al sicuro, come non si era più sentita da quella notte sulla spiaggia. Nonostante fossero trascorsi quasi due anni dall’unica volta in cui aveva fatto l’amore con qualcuno, Katie riconobbe ogni sensazione all’istante. Lasciò che fosse il marito a condurre l’azione, esattamente come aveva lasciato che fosse Javier a farlo la prima volta. Un brivido le attraversò la schiena, nell’attimo in cui le mani di Thomas si posarono sulla sua pelle. Un’improvvisa sensazione di calore si diffuse per tutto il suo corpo, quando le labbra dell’uomo iniziarono a percorrere la curva del suo collo, scendendo verso il seno. Chiuse gli occhi, e subito le apparve l’immagine di Javier. Tentò di rispondere alle carezze di Thomas, ma non riusciva a togliere dalla mente il volto di Javier. Nonostante Thomas le stesse dimostrando tutto il suo amore, lei non riusciva a dimenticare Javier.

            “Ti amo” sussurrò. Quasi non riusciva a riconoscere la propria voce.

            “Ti amo” sussurrò ancora, più avanti.

            “Ti amo.”

            Ti amo, Javier.

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Capitolo 7
*** 6. You Raise Me Up [Josh Groban] ***


Recordar. Dolerse. Volver

New York, 1965

Dicembre

 

            “Mamma, ma se vado dai nonni, come farà Santa Claus a trovarmi?”

            Isabella aveva da poco compiuto sei anni, e per fortuna stava iniziando ad assumere i tratti della nonna materna.

            “Non preoccuparti, tesoro” la rassicurò Katie. “Ho scritto a Santa Claus e l’ho avvertito che tu sarai nel New Jersey. Avrai i tuoi regali, pulcino mio.”

            Una volta rassicurata in questo senso, la piccola accettò volentieri di salire sulla macchina del nonno per raggiungere casa Miller. Dalla finestra del salotto, Katie guardò l’auto allontanarsi, mentre Thomas la raggiungeva e la stringeva in un abbraccio.

            “Katie, per la cena di gala di domani sera, se non te la senti possiamo…”

            “No, Thomas. Abbiamo confermato la nostra presenza, e ci saremo.”

            “Sei sicura di farcela?”

            Katie annuì con fermezza, senza staccare gli occhi dal vialetto appena imbiancato di neve. Due settimane prima un aborto spontaneo le aveva tolto la speranza di diventare ancora madre. In cinque anni, era la terza volta che accadeva. Forse era la punizione per essere rimasta incinta al di fuori del matrimonio. Forse Dio le stava lanciando un avvertimento: non ti darò altri figli perché non sei una brava madre, Katie Ferguson.

Eppure, nonostante tutto, Thomas continuava a starle accanto e ad amarla. Stava facendo carriera, e c’era la possibilità che decidessero di nominarlo socio entro due anni. Katie era fiera di lui. La sera seguente avrebbero presenziato ad una cena di gala organizzata dallo studio legale presso il quale Thomas esercitava, e per questo avevano mandato Isabella dai nonni, con il progetto di raggiungerla il giorno di Natale.

“Thomas, io… io ho paura di non riuscire a darti dei figli.”

Seguì un lungo minuto di silenzio, attutito dalla neve che iniziava a cadere più intensamente.

“Katie, io ho già una figlia.”

“Thomas, Isabella è…”

“Isabella è mia figlia. Non avrà i capelli come i miei, il taglio degli occhi è diverso, ma… io le voglio bene, lo sai. Vi amo entrambe.”

“Non capisco come fai ad amarmi, sapendo che…”

“Katie, non voglio che tu faccia brutti pensieri. È Natale, non… non roviniamo questa bella atmosfera.”

“Grazie, Thomas. Tu mi hai salvata.”

Le braccia del marito la strinsero più forte.

“Io ci sarò per sempre, Katie. Potrai contare sempre su di me.”

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Capitolo 8
*** 7. C'E' Una Melodia [Eros Ramazzotti] ***


Recordar. Dolerse. Volver

New York, 1976

Novembre

 

            Isabella strinse la mano dell’avvocato Austen, che insieme a suo padre aveva aperto uno studio tre anni prima. “La prego di perdonare mia madre, avvocato, ma è ancora molto scossa.”

            “Posso comprendere alla perfezione le condizioni in cui si trova sua madre. La prego di porgerle le mie più sentite condoglianze.”

            Isabella annuì. Aveva compiuto diciassette anni da due mesi, e da due giorni aveva perso suo padre, coinvolto in un grave incidente d’auto. La zia Lucy le passò un braccio attorno alle spalle e la guidò verso le scale. Erano appena tornate dal funerale, e la casa sembrava insolitamente tetra e vuota.

            “Zia, non è necessario che tu resti qui con noi…”

            “Non dire cretinate. Resterò qui per tutto il tempo necessario.”

            Lucy Miller aveva trentadue anni, non si era mai sposata e non aveva avuto dei figli. Con grande disappunto da parte di sua madre, si era trovata un lavoro, e si manteneva da sé. Sicuramente non avrebbe abbandonato la sorella e la nipote nel momento del bisogno.

            “Vai a stenderti, tesoro. E cambiati: non riesco a guardarti, vestita così, tutta di nero.”

            “La nonna mi ucciderà.”

            “La nonna non è qui.”

            Isabella obbedì, e si chiuse in camera. Lucy proseguì fino alla porta in fondo al corridoio. La socchiuse, e gettò un’occhiata alla figura distesa sul grande letto matrimoniale. Avrebbe potuto pensare che Katie dormisse, se solo non avesse notato il movimento delle spalle. Katie stava piangendo ancora. Probabilmente non aveva ancora smesso.

            Lucy si chiuse la porta alle spalle e si sfilò le scarpe. Camminò lentamente fino al letto, poi si stese accanto alla sorella, circondandola con le braccia.

            “Aveva promesso” singhiozzò la vedova. “Aveva promesso che ci sarebbe sempre stato.”

            Sempre è una promessa piuttosto stupida, non credi?”

            “Lucy…”

            “Katie, dovevi aspettarti che prima o poi sarebbe successo.”

            “Lucy, aveva quarantun anni! Avrei dovuto aspettarmi che un uomo nel fiore degli anni, perfettamente sano…”

            “Sai che cosa intendo dire, Katie. Prima o poi vi sareste dovuti separare.”

            Katie non rispose. Lucy si curò di abbassare la voce.

            “Katie, so che lo amavi. So che gli eri grata per tutto quello che ha fatto per te. Si è preso cura di te e di Isabella, vi ha amate, e…”

            “Lucy, che farò adesso?”

            “Non lo so, Katie. Ma qualunque cosa tu decida di fare, puoi contare su di me. Lo sai. Hai sempre potuto contare su di me.”

 

            La lettura del testamento, la settimana successiva, rivelò che Thomas aveva saputo gestire il proprio patrimonio con moderazione, ammassando una piccola fortuna, che a Katie e Isabella sarebbe bastata per vivere più che dignitosamente.

            Dopo l’appuntamento con il notaio, madre e figlia ne approfittarono per fare una passeggiata a Central Park, nonostante l’aria frizzantina.

            “Mamma, il notaio ha detto che la somma lasciata da papà aumenta ogni anno, giusto?”

            “Sì, tesoro. Quello che è depositato in banca aumenta ogni anno. Comunque, dovremo usare quel denaro con parsimonia.”

            “Sì, è vero. Ma… ecco, stavo pensando… credi che una parte di quella somma potrei utilizzarla per… beh, ecco, io…”

            “Tu cosa, tesoro?”

            “Stavo pensando che mi piacerebbe frequentare l’università.”

            “La trovo una splendida idea, tesoro. E il testamento dice che il capitale può essere utilizzato per finanziare i tuoi studi. Comunque, il tuo obiettivo primario deve essere quello di diplomarti, adesso. Poi penserai al college.”

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Capitolo 9
*** 8. Ho Voglia Di Ricominciare [Giorgia] ***


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New York, 1977

Luglio

 

            “Oh, no, zia. No. Assolutamente no.”

            Isabella accompagnò la risposta con un movimento deciso del capo. Non si sarebbe mai prestata ai piani di Lucy.

            “Cara, non ti sto chiedendo di uccidere qualcuno. Voglio solo portare tua madre in vacanza.”

            La ragazza distolse gli occhi dalla sorella di sua madre, per far correre lo sguardo lungo la folla. Aveva accettato di allontanarsi per qualche minuto da quello stupido party organizzato dalle sue nonne per festeggiare il suo diploma ancora fresco di stampa, ma quello che le stava chiedendo Lucy esulava dalle sue capacità.

            “Mia madre non si è mai presa una vacanza” asserì poi, giocherellando con il braccialetto che portava al polso destro.

            “Non da quando ha avuto te, forse” ribatté l’altra. “Ma ti assicuro che i nostri genitori ci hanno portati in vacanza, qualche volta.”

            “Beh, sentiamo. Dov’è che vorresti andare?”

            “Cuba” rispose Lucy con aria di sufficienza, prima di sorseggiare la sua bibita.

            “Cuba” ripeté Isabella con voce piatta.

            “Cuba” confermò Lucy.

            “E perché non lo stai dicendo a lei?”

            “Beh, lei direbbe di no, se glielo chiedessi io.”

            “E quindi vorresti che glielo chiedessi io?”

            Lucy sorrise. “L’ho sempre detto che avevi ereditato il mio cervello.”

            Isabella la ignorò. “Sentiamo, che cosa ti fa pensare che a me darà retta?”

            “Sono sua sorella. La conosco da trentatré anni, e so più cose di lei di quante tu ne potresti imparare in tutta una vita. Sei il suo unico punto di riferimento da quando Thomas è morto. A te darà retta.”

            “Certo” fece Isabella, scettica.

            “Trova una scusa plausibile. Dille che vuoi fare un viaggio insieme prima di iniziare il college. Dille che vuoi stare un po’ di tempo sola con lei.”

            Isabella distolse di nuovo gli occhi scuri da quelli azzurri della zia, facendoli vagare sulla marea di sconosciuti che avevano invaso la casa in cui era cresciuta.

            “Ti prego, Isabella. È importante.”

            “Perché proprio Cuba, zia?”

            “Non posso dirtelo.”

            “Perché no?”

            “E’ un segreto tra me e tua madre, e le ho promesso che lo avrei mantenuto.”

            “Va bene” si arrese la ragazza. “Proverò ad accennarle qualcosa stasera.”

 

            Nonostante il carattere estroverso e l’indole decisamente vivace, Lucy Miller aveva del relax un’idea molto precisa: una tazza di the e un libro era tutto quello che le occorreva per essere felice. Quella sera si stava per l’appunto rilassando, quando il telefono prese a squillare. Sorrise, sapendo di chi si trattava.

            “Pronto?”

            “Ciao, sorellina.”

            “Ehi, Katie. Scusa se ho lasciato il party così di corsa, ma avevo un po’ da fare…”

            “No, non ti preoccupare. Avrei voluto potermene andare anch’io.”

            “E’ successo qualcosa?”

            “No, niente di particolare. Beh, se escludi tutte quelle vecchie matrone e i loro mariti che si sono avvicinati per farmi le condoglianze. Ancora. Diavolo, sono passati nove mesi, e la sola cosa che vorrei fare è dimenticare, e andare avanti, ma loro non fanno che…”

            “…risvegliare il dolore. Sì, è tremendo.”

            “Già.”

            “C’è qualcosa che posso fare per te?”

            “No, non credo.” Pausa. “Beh, in realtà sì. Potresti spiegarmi perché mia figlia vuole portarmi in vacanza?”

            “Non saprei. Forse vuole staccare la spina, e farla staccare anche a te. Sono diciotto anni che non pensi ad altro che a lei e alla tua famiglia.”

            “Mmm. Ha detto che vuole portarmi a Cuba.”

            “Wow” fece Lucy, simulando sorpresa. “Bello. Beh, non è più pericolosa come quindici anni fa, sai?”

            “Sai, mia figlia non ha mai dimostrato un grande interesse per i viaggi. E sicuramente non per l’America Centrale.”

            “Ah no?”

            “No. E, in tutta sincerità, mi chiedevo se l’idea di questo viaggio fosse completamente sua, o se magari qualcuno potesse… averla aiutata.”

            “Ma non scherzare, Katie. E chi potrebbe essere stato?”

            “Oh, non saprei. Forse sua zia?”

            “Rebecca in effetti potrebbe averle…”

            “Ma io parlavo di te.”

            “Suvvia, Katie, credi che potrei architettare una tale messinscena?”

            “Sbaglio o sei un’attrice? Sei abituata a fingere, a dissimulare.”

            “Questo è vero, ma non sono certamente così brava da ingannare mia sorella” ribatté Lucy, cercando di trattenere le risate.

            “Tu credi che sarebbe una buona idea?”

            “Una vacanza è quello che serve ad entrambe.”

            “A Cuba?”

            “Non credi che sarebbe interessante vedere com’è cambiata nel corso degli anni?”

            All’altro capo del filo, Katie sorrise. “Già. Non lo troveresti interessante?”

            “Indubbiamente, ma… che cosa c’entro io?”

            “Oh, sai, ad Isabella farebbe piacere se ti unissi a noi.”

            Fregata, pensò Lucy. Mi ha fregata. Però forse è meglio. Quelle due insieme si caccerebbero sicuramente in qualche guaio.

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Capitolo 10
*** 9. Como El Sol Inesperado [Laura Pausini] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Primo agosto, primo giorno di vacanza” cinguettò Lucy, scendendo la scaletta dell’aereo con aria felice e passo deciso. “Ed è anche lunedì. Non è tutto perfetto?”

            “Già, tutto perfetto” commentò Isabella, un po’ sciupata dalle ore di volo. Raggiunta la pista, si stiracchiò. Un giovane inserviente le sorrise. Imbarazzata, la ragazza rispose al sorriso, poi si voltò a cercare la madre con lo sguardo.

            “Ci sei, mamma?”

            “Sì, tesoro, sono qui. Mi stupivo soltanto del fatto di essere viva. Conoscendo tua zia, temevo ci avrebbe fatto viaggiare su qualche carretta.”

            “Grazie per la fiducia” commentò Lucy, infilandosi un paio di occhiali da sole e gettandosi la sacca sulle spalle. “Gambe in spalla, gente. Ci aspetta una vacanza meravigliosa!” cinguettò, prima di dirigersi trotterellando verso l’interno dell’aeroporto.

            Ma che diavolo speravo di ottenere, obbligandola a venire con noi?, si chiese Katie, sempre più vicina ad una crisi. L’allegria della sorella era imbarazzante. Imbarazzante nel senso che era decisamente sgradevole rendersi conto di non potersi elevare al suo stesso stato d’animo.

 

            Avrebbero alloggiato nello stesso hotel che aveva accolto i Miller all’epoca del loro trasferimento, diciotto anni prima. Non era cambiato così tanto, in fondo. La gestione era passata nelle mani di Marcos Ruiz, figlio del precedente direttore, che si era prodigato in ogni modo per attirare un maggior numero di turisti. Ruiz era un uomo sulla cinquantina, piuttosto elegante, che presentava lo stesso contagioso sorriso del padre. Lucy si avvicinò al banco della reception e prese a conversare con il concierge. Buenas dias. Soy la señorita Lucy Miller. Tengo una reserva para tres habitaciónes a partir de hoy.”

            Isabella sussurrò alla madre: “Da quando la zia Lucy parla spagnolo così bene?”

            “Credimi se ti dico che non ne ho la benché minima idea.”

            “Señorita Miller!” la apostrofò Ruiz, come comparso dal nulla. “Vi stavamo aspettando.”

            “Señor Ruiz, è un vero piacere rivederla.”

            “Diciotto anni, se non sbaglio. E lei è rimasta uguale ad allora.”

            “Lei è troppo buono. Mi permetta di presentarle mia sorella maggiore, Katie, e sua figlia Isabella.”

            “Encantado. Mi permettano di accompagnarle personalmente nelle loro stanze.” Schioccò le dita all’indirizzo di un fattorino. “Ricardo, prendi le valigie delle signore, per favore.”

            Il signor Ruiz si dimostrò entusiasta quanto suo padre, e insistette per accompagnare le ospiti al loro piano, mostrando loro tutte le migliorie apportate alla struttura, nonché tutti i comfort di cui avrebbero potuto godere. “Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, non dovete che chiamare. Per ospiti come voi, niente è mai abbastanza.”

            Lucy, Katie e Isabella ringraziarono, poi iniziarono a sistemare le loro cose. Un intero mese in quel magnifico hotel… pareva un sogno. “Isabella, tieni. Dai questi al fattorino, come mancia” sussurrò Katie, mettendo in mano alla figlia una banconota da dieci dollari.

            Isabella raggiunse il ragazzo, che stava arrivando proprio in quel momento con l’ultima valigia; attese che la appoggiasse a terra, poi gli porse i soldi. “Gracias, señor.” Il ragazzo scosse la testa e sorrise. “E’ stato un piacere, señorita.” Isabella si sentì arrossire fino alla punta dei capelli. E dire che non era mai stata un tipo timido. Ma c’era qualcosa, in quel sorriso… seguì con lo sguardo la ritirata del ragazzo, poi chiuse la porta e iniziò a disfare la valigia.

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Capitolo 11
*** 10. Don't Cry [Guns'n'Roses] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            ¡Hola, tío!” esclamò Ricardo, entrando nell’officina dello zio, alla fine del turno in hotel.

            “Ricardo, che ci fai qui? Sei in anticipo, oggi” rispose lo zio, immerso nel motore di una grossa auto americana.

            “Il signor Ruiz mi ha fatto uscire prima. Era contento” spiegò il ragazzo, avvicinandosi alla parete dove lo zio teneva gli attrezzi del mestiere.

            “Davvero? Sono felice per lui.”

            “Sai, sono arrivate tre americane, oggi. Sono molto carine.”

            “Buon per te.”

            “Sai, una di loro assomiglia molto alla ragazza della foto.”

            “Quale foto?”

            “Non fare finta di niente. La ragazza della foto che Luis tiene appesa alla Rosa Negra.”

            “Ce ne sono tante di foto, alla Rosa Negra.”

            Ricardo sbuffò. “Beh, sai benissimo di quale foto sto parlando. Quella della tua regina.”

            Javier Suarez si raddrizzò e lanciò via lo straccetto lurido che teneva tra le mani. “Dubito che l’americana di cui parli sia Katie Miller” mormorò.

            “Forse non lo è, ma si chiama Katie. E deve avere… trentacinque anni, credo. Insomma, ha l’età per essere lei.”

            Javier era confuso. Non sapeva se sperare che si trattasse di Katie, o se sperare che non lo fosse. Se davvero era lei, perché non era ancora venuta a cercarlo? Ok, era arrivata da poco. Ma sarebbe venuta a cercarlo? Si ricordava di lui? Diavolo, era stato il suo primo amore, come poteva averlo dimenticato? Lui non aveva dimenticato niente della loro breve storia. Nemmeno un secondo, nemmeno un misero dettaglio gli era sfuggito. Forse Ricardo si era sbagliato. Forse la Katie di cui parlava lui assomigliava solo alla sua Katie. “E’ sola?”

            Ricardo scosse la testa. “C’è un’altra donna, avrà trent’anni, bionda, carina. Si chiama Lucy.”

            Le speranze di Javier crollarono come un castello di carte. Katie e Lucy Miller erano tornate a Cuba.

            “E poi c’è una ragazza” proseguì il ragazzo, ignorando l’espressione disorientata dello zio. “Carina, anche lei.”

            “Come si chiama?”

            “Mmm… Isabella. Avrà sì e no quindici anni. È la figlia di Katie, credo. È l’unica delle due che abbia un anello.”

            Se Ricardo avesse sospettato di infliggere tanto dolore allo zio, non avrebbe parlato con tanta sufficienza. Javier quasi non riusciva a crederci: nonostante tutte le promesse, nonostante avessero giurato di ritrovarsi, in un modo o nell’altro, Katie si era sposata. Aveva messo in piedi una famiglia. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto uccidere quell’uomo così fortunato. Represse il pianto, e con voce dura continuò a interrogare Ricardo: “Sono in vacanza con la famiglia?”

            “Non so che razza di vacanza sia. Ci sono solo loro.”

            Il cuore di Javier si aprì. Beh, il marito di Katie si fidava a lasciar partire tre donne sole per Cuba… doveva essere un tipo in gamba. Forse Katie non aveva vissuto tanto male. Forse Katie si era resa conto di amare quello sconosciuto più di quanto amasse lui. Forse lui era ricco, e lei non era mai stata la ragazza in gamba che Javier aveva creduto. O forse era successo qualcosa, qualcosa di grave o brutto, e lei si era dovuta sposare.

            “Ehi, domani potresti venirmi a prendere al lavoro. Magari riesci a vederla e a salutarla” propose Ricardo.

            “No” ribatté duro Javier, tornando a lavorare al motore. “E loro non devono sapere che sei mio nipote. E nemmeno che mi conosci.”

            “Ma perché, zio?”

            “Perché te lo dico io. Ti ho mai fatto fare qualcosa di sbagliato?”

            “No, ma…”

            “Fai come ti dico, Ricardo. Per favore. Un giorno ti spiegherò.”

            Il ragazzo annuì. Voleva troppo bene a Javier per disobbedirgli. Era stato Javier a crescerlo, nonostante non ci fossero legami di sangue tra loro. Era stato Javier a prendersi cura di lui, da sempre, già da quando sua madre aveva fatto credere a Carlos, fratello maggiore di Javier, che Ricardo fosse il frutto di una loro relazione. Poi Carlos era morto, sua madre era morta. Ma Javier era rimasto, e lo aveva adottato. Gli aveva dato da mangiare, lo aveva vestito, lo aveva mandato a scuola. E non aveva mai chiesto nulla in cambio.

            “Va bene, zio.”

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Capitolo 12
*** 11. Electricity [Elisa] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Las trés Americanas, come le chiamavano nel quartiere, erano arrivate a Cuba ormai da una settimana, e stavano seguendo il protocollo delle perfette turiste. Ruolo che iniziava a stare stretto a Lucy, che aveva attirato la sorella sull’isola con ben altri scopi, e a Isabella, che voleva godere al massimo di quell’ultimo mese di libertà prima del college. Per questo, all’alba della seconda settimana di permanenza a L’Avana, Isabella decise di parlare con la zia, per sapere se esistesse una qualsiasi forma di svago su quell’isola.

            “Beh, in effetti ci sarebbe la… ma non so se tua madre approverebbe.”

            “Che cosa, zia? E perché mamma non dovrebbe approvare?”

            Coraggio, Lucy, sputa il rospo. Tanto ormai hai parlato. “Beh, ci sarebbe la Rosa Negra. Tua madre e io ci siamo andate qualche volta, quando ci trasferimmo qui con i nonni…”

            “Wow, un locale anni Cinquanta” ribatté la ragazza, sarcastica. “Proprio quello che mi ci vuole.”

            “Non deprimerti prima di aver visto con i tuoi occhi di che cosa si tratti” la ammonì la zia. “Quel posto ha un non so che di… magico.”

            “Magico? Addirittura?”

            “Non fare l’impertinente, signorina. Basterà convincere tua madre che non c’è nessun pericolo…” Lucy finì la frase quasi bisbigliando, come se stesse parlando a se stessa. Sapeva benissimo che la paura più grande di Katie non erano i pericoli, ma…

 

            “E se ci fosse Javier? Ma che dico, sicuramente ci sarà Javier! Ha sempre vissuto per quel posto…”

            “Katie, non puoi continuare a vivere con la paura di incontrarlo. Prima o poi dovrai tornare da lui, e parlargli. Non ricordi? Ve lo siete promesso quando…”

            “Lucy, è stato diciannove anni fa. Probabilmente mi ha dimenticata.”

            “Beh, se davvero ti ha dimenticata, non dovresti avere alcuna preoccupazione. Puoi benissimo permettere a tua figlia di…”

            “Lucy, io ho paura.”

            “Katie, non è necessario che ci sia anche tu. Puoi restare in albergo, se preferisci. Ma io ci andrò. Per favore, permettimi di portare Isabella con me. Sarà difficile spiegarle perché non vuoi che ci vada.”

            La maggiore tra le due sorelle Miller si lasciò cadere sull’ampio divano e iniziò a torturarsi una ciocca di capelli.

            “Puoi pensarci su finché vuoi, Katie, ma in fondo al cuore sai che ho ragione io.”

            “E va bene” si arrese l’altra, dopo un tempo infinito. “Vai in quel maledetto locale e porta mia figlia con te. Ma per favore, cerca di tenerla lontana da Javier Suarez.”

            Lucy promise, poi raggiunse la nipote nel giardino dell’hotel.

            “Isabella, ho il permesso! Tua madre ha detto che posso portarti alla Rosa Negra con me, stasera!”

            “Dici sul serio? Niente discorsi del tipo ‘La mia bambina deve essere protetta dai pericoli’ e cose del genere?”

            “Ci ha provato, ma sono stata piuttosto brava. Avrei dovuto fare l’avvocato.”

            Isabella sorrise. Non stava più nella pelle dall’emozione, e avrebbe desiderato che la sera arrivasse immediatamente.

            “Su, adesso andiamo” aggiunse Lucy, staccandosi dall’abbraccio della nipote. “Devo comprarti un vestito adatto all’occasione, non puoi andare alla Rosa Negra con quei vestiti da collegiale.”

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Capitolo 13
*** 12. La La Song (Non Credo Di Essere Al Sicuro) [Giorgia] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Isabella era nervosa. Continuava a sistemarsi il corpetto dell’abito rosso, come se avesse potuto caderle da un momento all’altro. E di tanto in tanto si grattava la gamba con la punta della scarpetta, cercando di nascondersi allo sguardo indagatore della zia. Lucy represse un sorriso, e le si rivolse con il tono più dolce di cui era capace: “Tesoro, se vuoi possiamo tornare in albergo.”

            “E darla vinta alla mamma? Nemmeno morta.”

            Lucy si concesse un sorriso. Isabella aveva il temperamento dei Miller, non c’era alcun dubbio. E la testardaggine dei Suarez. Passò un braccio dietro le spalle della nipote e la guidò oltre l’ingresso della Rosa Negra.

            Era rimasto tutto esattamente come un tempo: il lungo bancone del bar, dietro il quale, come sempre, troneggiava il fedele Luis; la pista gremita di ballerini; la piccola orchestra che non smetteva di suonare mai, se non per pochi secondi; la penombra, in netto contrasto con le luci colorate; l’aroma del legno della pista da ballo, il rumore delle scarpe che lo calpestavano, il ritmo dei cuori di chi, su quella pista, lottava per conquistarsi il titolo di re della Rosa Negra. Lucy sapeva che Isabella ne sarebbe rimasta affascinata, come lei e Katie diciannove anni prima.

            “Allora, che ne dici? Non male, per essere un locale anni Cinquanta, no?”

            “Zia, sei sicura che questo posto non sia cambiato, da quando ci venivi con la mamma?”

            “Nemmeno di una virgola, tesoro.”

            Si avvicinarono al bancone e ordinarono da bere. Per Isabella, un succo di frutta, e per Lucy un drink leggero. Presero posto su due sgabelli piuttosto alti, osservando l’intero locale. Lo sguardo della ragazza cadde sulla parete dietro il bancone, gremita di fotografie scattate nel corso degli anni. “Zia, voi siete stati qui nel 1957, vero?”

            Lucy scosse la testa, bevendo un sorso. “Era la fine del 1958. Ce ne siamo andati poco dopo Capodanno.”

            Isabella annuì, e tornò a guardare le fotografie. “Zia, non trovi anche tu che quella ragazza…”

            “Cosa, cara?” le domandò Lucy quando la nipote si interruppe.

            “Santissimo Iddio, quella è mia madre!” esclamò Isabella, puntando il dito contro la fotografia che ritraeva Javier e Katie impegnati in un complicato passo.

            Lucy sorrise. “Ottimo spirito d’osservazione.”

            “Ma che… aspetta, c’è qualcosa scritto sotto. Javier Suarez y Katie Miller: El…

            El Rei Y La Reina De La Rosa Negra” completò una voce profonda e familiare soltanto a Lucy. “Il re e la regina della Rosa Negra.”

            Lucy si voltò, sorridendo. “Luis!”

            “Señorita Miller, non pensavo avrei avuto il piacere di rivederla qui” la salutò lui, prendendole la mano e sfiorandola con le labbra.

            “Mi sono concessa una vacanza, e ho portato con me mia nipote. Le presento Isabella. Isabella, questo è Luis Santoro, è il padrone della Rosa Negra.”

            Encantado. Lei non assomiglia a sua madre.”

            “No, in effetti no” confermò Isabella.

            Luis si voltò a guardare la fotografia. “Ma scommetto che ha lo stesso talento della señorita Katie.”

            “Non saprei, non ho mai ballato. Mi perdoni, signor Santoro, ma potrei sapere chi è l’uomo con mia madre, in quella foto?”

            Luis Santoro sorrise. “E’ Javier Suarez, el rei de la Rosa Negra.”

            “Viene ancora qui?” si informò Lucy.

            “E’ per questo che ho detto che è il re della Rosa Negra. Raul è morto, e Javier era il solo che potesse prendere il suo posto. Eccolo là!” esclamò, puntando il dito grassoccio verso il centro della pista, dove un uomo di circa quarant’anni e una donna della stessa età stavano danzando forsennatamente, al ritmo della piccola orchestra.

            “Non è Esmeralda!” osservò Lucy.

            “Esmeralda non danza più, da quando Raul è stato ucciso dalla polizia castrista. Gli ha dato l’addio ballando un’ultima volta con Javier, poi non si è più vista. Poverina, ha sofferto così tanto…” osservò Luis, improvvisamente intristito.

 

            Rimasero a chiacchierare con Luis per parecchio tempo, senza curarsi del resto del locale. Nessuna delle due si accorse che molti degli sguardi dei ragazzi presenti si stavano posando su Isabella, e sul suo bel vestito rosso. Uno di loro mise insieme il coraggio necessario, e si avvicinò per invitare la ragazza a ballare. Ricevette un rifiuto che non ammetteva repliche. Si fece avanti un altro. E poi un altro. E un altro ancora. Ma Isabella aveva una sola risposta per ciascuno di loro: “No, grazie.”

            Proprio quando sembrava che i pretendenti avessero desistito, si avvicinò un giovane alto, dallo sguardo profondo e con un sorriso sornione stampato sul volto. “¿Quieres bailar, americana?” Isabella non conosceva lo spagnolo, ma non ebbe difficoltà a comprendere quella domanda. Vuoi ballare, americana? Avrebbe voluto dire di no. Avrebbe dovuto dire di no. Ma non si trattava di uno dei tanti: era il fattorino dell’hotel. Si erano incrociati un paio di volte, durante quella settimana, e ogni volta lui le aveva sorriso. E a ogni sorriso, il cuore solido di Isabella si era squagliato come neve al sole. Si limitò ad annuire, facendo scivolare la sua mano su quella di Ricardo.

            Lucy rimase a guardare, mentre la ragazza si allontanava con il giovane fattorino. Sorrise, pensando che probabilmente sarebbe finita come sua madre. Finì il proprio drink e rimase a guardare la pista da ballo, cercando di cogliere le mosse della nipote. Si stupì: Isabella non aveva mai ballato, nemmeno per scherzo, eppure si stava rivelando piuttosto brava. Certo, forse non sarebbe diventata la regina della Rosa Negra quella sera, e forse nemmeno entro Capodanno, ma era certo che avesse un certo talento. O forse era solo quel fattorino, quel Ricardo, ad avere un enorme potenziale. Probabilmente ogni donna si sarebbe trasformata in una provetta ballerina, stretta tra quelle braccia. Non riuscì a non provare una fitta di invidia, al pensiero che la sorella e la nipote, se solo avessero voluto, avrebbero potuto avere tutti gli uomini del mondo, mentre lei… non che non avesse avuto anche lei dei pretendenti, anzi: suo padre aveva ricevuto un paio di proposte, ma nessuno era mai riuscito a colpirla al cuore come Javier aveva fatto con Katie, o come Katie aveva fatto con Thomas. Coraggio, Lucy, forse un giorno arriverà qualcuno anche per te. Per adesso accontentati di innamorarti soltanto sul palcoscenico.

            Persa nei suoi pensieri, non si era accorta che la musica fosse cambiata, e che Isabella era stata passata ad un altro ballerino. Un ballerino dal fisico asciutto e dai capelli scuri, più basso del fattorino, ma con il medesimo talento. “Oh mio Dio…” sussurrò Lucy, rendendosi conto di chi si trattasse.

            Isabella stava ballando con suo padre.

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Capitolo 14
*** 13. You'Re Still You [Josh Groban] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Però, quella ragazza ha talento” osservò Luis, rapito dalle evoluzioni che Javier e Isabella stavano compiendo. “Davvero non ha mai ballato?”

            “Nemmeno un passo” confermò Lucy. “Non credo ai miei occhi” aggiunse, rivolta a se stessa.

            Javier ballava con Isabella come avrebbe ballato con qualsiasi altra donna. Gli occhi scuri costantemente puntati in quelli della partner, i piedi che si muovevano veloci sulla pista, le mani che sapevano rendere ogni donna una ballerina provetta. Se solo Katie fosse stata lì… Mi ammazzerebbe, pensò Lucy. E poi ucciderebbe anche Isabella. E per ultimo Javier. E poi tutti i testimoni.

            La musica finì. Javier si inchinò e baciò la mano di Isabella, che aveva l’aria di non sapere dove si trovasse. Lucy rimase a guardare finché il fattorino non si fu di nuovo avvicinato, ed ebbe preso la ragazza per mano. Ora Isabella e Javier stavano andando in due direzioni diverse. Isabella e Ricardo stavano ricominciando a ballare, e Javier stava per risollevarsi con una bevuta.

            “Pago io la sua consumazione, Luis” intervenne, mentre Javier porgeva una banconota al barman.

            “Non è il… ¡que diablo! Lucy? Lucy Miller?”

            Lucy sorrise. “Hanno ragione, allora. Non sono cambiata affatto.”

            Javier abbracciò la donna, poi la scostò da sé e rimase a fissarla. “Dio, sono passati diciannove anni! Non puoi essere così… non sei cambiata, eppure sembri così diversa…”

            “E’ perché sono truccata. Ti assicuro che ho le mie rughe” scherzò lei.

            Javier rise, poi il suo volto tornò a farsi serio. “Lucy, lei…”

            “No” lo interruppe. “Katie non è qui, stasera. Aveva mal di testa, ha preferito rimanere in hotel” mentì. “Comunque dovresti essere contento. Hai conosciuto sua figlia.”

            “Davvero?”

            “La bruna vestita di rosso” ammiccò lei.

            “Mi stai dicendo che quella è la figlia di Katie?”

            Lei annuì. “Non le assomiglia per niente, lo so. Non so che dirti.”

            Javier rimase a fissare Isabella e Ricardo, sorridenti sulla pista. A sua volta, Lucy fissò lui. Era invecchiato, come lei, come Katie. Se non ricordava male, doveva avere almeno quarant’anni. Era invecchiato, ma come loro non era cambiato: poche rughe leggere attorno agli occhi e agli angoli della bocca, un velo di barba e mani macchiate di grasso. Ma la corporatura era rimasta la stessa: era ancora il ragazzo basso e dal fisico asciutto che aveva fatto innamorare sua sorella. Le labbra di Javier si dischiusero in un sorriso, poi si sciolsero in una risata, mostrando due file di denti bianchi e regolari.

            “Che c’è?” domandò Lucy, senza capire.

            “Katie sa che sua figlia è alla Rosa Negra?”

            “Certo. Comunque Isabella è quasi maggiorenne, può fare quello che crede.”

            “Cosa? È maggiorenne?”

            “Quasi. In inverno” mentì ancora Lucy. “Gennaio.” Un’altra bugia. A questo punto, una in più o una in meno, che differenza poteva fare?

            “Katie si è sposata.”

            “Già.”

            “Poco dopo il vostro ritorno.”

            “A marzo.” Verità. “Soffriva molto per la vostra… per la separazione.” Verità. “I miei non ce la facevano più a vederla così.” Verità. “L’hanno convinta a frequentare gente nuova.” Verità. “Ha sposato il figlio del nostro vicino di casa.” Verità. “Ha vissuto una vita serena.” Mezza verità.

            “E’ un uomo molto fortunato.”

            Lucy annuì. “E’ morto. L’anno scorso. In un incidente.”

            “Oh. Mi dispiace.”

            “Non lo conoscevi.”

            “Non posso essere dispiaciuto perché non lo conoscevo?”

            “Ha sposato la donna che amavi.”

            “E tu che ne sai?”

            “Katie è mia sorella. Parliamo di certe cose.”

            “Come sta?”

            Lucy fece spallucce. Proprio in quell’istante i due giovani si avvicinarono, sudati e stanchi per i troppi balli. Isabella parve arrossire, nel trovarsi davanti agli occhi il Re della Rosa Negra. Ci fu un istante di imbarazzo, durante il quale nessuno osò iniziare a parlare. Fu Lucy a prendere in mano la situazione, come al solito. “Isabella, ti presento Javier Suarez, il Re della Rosa Negra. È…”

            “…l’uomo della foto” completò la ragazza, porgendogli la mano e accennando alla foto sulla parete del locale.

            Javier seguì la direzione del suo sguardo. “Già. Sono io. Lucy Miller, ti presento mio nipote, Ricardo Suarez. Ricardo lavora al vostro hotel.”

            Lucy gli strinse la mano e lo fissò attentamente, cercando di nascondere la sorpresa. “Piacere, Ricardo. Javier, lui non sarà quel bambino che…”

            “Esattamente. Quello che stava sempre in braccio a me diciannove anni fa.”

            “Zio, io devo tornare a casa. Domani mattina sono di turno, e…”

            “Certo, devi andare. Vengo con te. Lucy, io…”

            “Certo, vai pure. Tanto andiamo anche noi. Non avevo notato che si fosse fatto così tardi. Katie mi ucciderà, se torniamo tardi.”

            Javier sorrise ancora, abbassando lo sguardo. Lucy non poté fare a meno di confermare il proprio giudizio: Javier Suarez stava invecchiando davvero bene.

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Capitolo 15
*** 14. Quello Che Le Donne Non Dicono [Fiorella Mannoia] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Lucy e Isabella tornarono in hotel a piedi, approfittandone per scambiarsi qualche opinione sulla serata appena trascorsa.

            “Allora, pensi ancora che la Rosa Negra sia un patetico locale Anni Cinquanta?”

            “Come potrei? Non immaginavo ci fossero locali così, da queste parti. E a dire il vero, non riesco a immaginare che la mamma… insomma, il massimo che si sia mai concessa erano le cene organizzate dallo studio di papà.”

            “Beh, diciamo che tua madre ha dei piccoli segreti, come tutti.”

            Isabella annuì. “Quel Javier… come lo avete conosciuto?”

            “Lavorava all’hotel, faceva il cameriere. Fu licenziato poco dopo il nostro arrivo.”

            “E come sono finiti lui e la mamma a ballare insieme alla Rosa Negra?”

            “Beh, a tua madre dispiacque molto il fatto che lo avessero licenziato. Venne a sapere di una gara di ballo che metteva in palio un ricco premio in denaro, e gli propose di partecipare.”

            “Accettò?”

            “Sì, ma durante la finale, la notte di Capodanno, furono interrotti, e la gara restò senza un vincitore.”

            “Fu quando Castro rovesciò il governo di Batista, giusto?”

            “Esatto. Poco dopo tornammo in New Jersey. Qui non c’era più posto per gli americani.”

            Parlando, erano arrivate a destinazione. Lucy mise una mano sulla spalla della nipote. “Ascolta, Isabella, se non ti dispiace vorrei che non parlassi a tua madre di Javier.”

            “Perché no? In fondo erano amici…”

            “Lo so, ma… fidati di me, tesoro. Avrai occasione di farlo, ma per il momento credo che dovresti evitare l’argomento.”

            “E va bene, va bene. Non gliene parlerò. Spero solo mi spiegherai perché, un giorno o l’altro.”

 

*

 

            Lucy bussò alla porta della stanza occupata dalla sorella. Era sicura che Katie fosse ancora sveglia, in attesa del loro ritorno.

            “Ehi, siete tornate finalmente! Com’è andata? Isabella dov’è?”

            “Era stanca, è già in camera sua. Katie, noi dobbiamo parlare” rispose Lucy, entrando e chiudendosi la porta alle spalle.

            “Hai incontrato Javier, vero? Lo sapevo, lo sapevo! Non dovevo permetterti di…”

            “Katie, siediti e ascoltami. Sì, ho incontrato Javier, alla Rosa Negra. Mi ha chiesto di te.”

            “Lui ha chiesto di me?”

            Lucy annuì, prendendo posto sulla poltrona, in modo da trovarsi di fronte alla sorella. “Katie, dovresti vederlo. Lui è… non è praticamente cambiato. Balla in modo meraviglioso, e dovresti vedere come lo guardavano le altre donne…”

            “Lucy, non…”

            “Katie, lui non si è mai sposato. Non ha mai avuto una relazione seria, in questi vent’anni.”

            “Non puoi esserne sicura.”

            Lucy continuò imperterrita. “Basta guardarlo negli occhi quando parla di te. Non ti ha dimenticata.”

            Katie sospirò, coprendosi gli occhi con una mano. Lucy prese fiato per la rivelazione successiva. “Ha ballato con Isabella.”

            “Che cosa?”

            “Javier ha ballato con Isabella” ripeté l’altra donna, con calma estrema.

            “Isabella non balla.”

            “Invece sì. E ha molto talento, lasciatelo dire. Ma con i genitori che si ritrova, credo sia perfettamente normale.”

            “Come… perché ha accettato di ballare?”

            “E’ stata invitata.”

            “Da chi?”

            “Il fattorino, Ricardo. Quello che ha portato su le nostre valigie quando siamo arrivate.”

            “Sì, mi ricordo di lui. Sembra un bravo ragazzo.”

            “Lo è. Ricordi il figlio di Carlos Suarez?”

            “Il bambino che stava sempre in braccio a Javier, intendi? Che cosa c’entra adesso?”

            “Quel bambino è lui. Ricardo Suarez.”

            Katie scattò in piedi. “Mi stai dicendo che” si interruppe, cercando di moderare il tono di voce. “Mi stai dicendo che Isabella è stata invitata a ballare da suo cugino?”

            “Esattamente” confermò Lucy, senza perdere la calma. “E ha accettato, perché non sa che quello è suo cugino.”

            Katie si lasciò cadere di nuovo sul divano, prendendosi la testa tra le mani. “Non può essere, non può essere… lo sapevo, lo sapevo che sarebbe andato tutto storto. Almeno dimmi che le cattive notizie sono finite.”

            “Beh” iniziò Lucy, tentennando, “in realtà ci sarebbe ancora una cosa.”

            “Spara. Tanto, peggio di così…”

            “Non ti farà piacere saperlo, ma… quel ragazzo ha lo stesso fascino di suo zio.”

            “Che cosa stai cercando di dirmi?”

            “Niente. Ma sappi che tua figlia ha rifiutato una dozzina di ragazzi, prima che lui le chiedesse di ballare.”

            Katie non sapeva come replicare. Se c’era una possibilità che Ricardo e Isabella si innamorassero, era suo dovere fare qualcosa per impedirlo. Ma quel qualcosa equivaleva a raccontare la verità su lei e Javier. Ma non era pronta. Nonostante diciannove anni di attesa, non era pronta.

            “Avevi la sua età, quando sei rimasta incinta. Non puoi continuare a nascondere lo sporco sotto il tappeto. Devi parlare.”

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Capitolo 16
*** 15. I'M Only Me When I'M With You [Taylor Swift] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Isabella aveva ottenuto dalla madre il permesso di fare un giro da sola per il quartiere, nonostante la poca conoscenza della lingua da parte della ragazza e l’eccessiva apprensione di Katie nei confronti della figlia. In più di un’occasione, Isabella si era mostrata entusiasta di Cuba, e aveva sostenuto la zia nel definire L’Avana una città meravigliosa, quasi magica. C’era qualcosa, nel clima, nell’aria, nella gente, che la faceva sentire bene, quasi a casa. Da quando era a Cuba, Isabella aveva avuto sempre più difficoltà nell’immaginarsi rinchiusa in un freddo college del Nord, infagottata in una stupida e grigia divisa, attenta alle noiose lezioni di qualche vecchio e barboso docente. Da quando era a Cuba, Isabella aveva iniziato a pensare che forse, andare all’università poteva non essere la cosa più giusta per lei.

            Si era fermata ad osservare un gruppetto di musicisti di strada, rapita dalla loro musica. Lucy le aveva detto che quella era un’altra tradizione che non si era persa nel tempo, anche se fino a vent’anni prima la maggior parte delle canzoni trattava di politica, e si poteva finire in carcere già solo per essersi fermati ad ascoltare. Improvvisamente, si ritrovò a dondolarsi al ritmo dell’esigua orchestra, mentre una voce a lei familiare attirava la sua attenzione. “Ti piace questa musica, americana?”

            Isabella si voltò, sorridente. “Se solo capissi quello che dice la canzone…”

            Ricardo Suarez si avvicinò alla ringhiera in ferro alla quale lei si era appoggiata, e si sistemò accanto a lei. “E’ molto semplice: un uomo molto innamorato di sua moglie le dice tutti i motivi per cui stanno ancora insieme dopo tanti anni.”

            “Sembra bella.”

            “Lo è. Non conosci lo spagnolo?”

            Isabella scosse la testa. “Non bene come zia Lucy.”

            “Siete a Cuba in vacanza?”

            “Sì. Abbiamo ancora due settimane. A settembre inizierò il college.”

            “Sembra interessante.”

            Isabella non rispose subito, cercando di aggirare la domanda. “Come fai a conoscere così bene l’inglese?”

            “Me lo ha insegnato zio Javier.”

            “Gli vuoi molto bene, vero? Si vede che siete molto legati.”

            “Mi ha cresciuto lui, da solo.”

            “E i tuoi genitori?”

            “Mia madre è morta quando ero molto piccolo. Mio padre non l’ho mai conosciuto. Beh, in realtà Javier non è nemmeno mio zio.”

            “Non… non credo di capire.”

            “Mia madre fece credere a Carlos, il fratello maggiore di Javier, di essere mio padre. Così andammo a vivere con la sua famiglia. Quando Carlos morì, mia madre disse la verità a Javier. Non era Carlos Suarez mio padre. Ma nonostante questo, Javier disse che si era affezionato a me, e quindi decise di adottarmi quando rimasi solo.”

            “Sembra un uomo buono.”

            “Lo è. Ma ha sofferto tanto. Suo padre fu ucciso perché lo sospettavano di essere un castrista. In realtà il ribelle era Carlos, ma la polizia di Batista non poteva saperlo.”

            “E poi, che è successo?”

            “A vent’anni, incontrò la donna della sua vita, e tutto sembrava andare per il verso giusto. Erano entrambi molto giovani, ma sapevano di amarsi. Ma la famiglia di lei non voleva che si frequentassero. Loro non si fecero… come si dice? Mettere le lance…”

            “Mettere i bastoni tra le ruote?”

            “Esatto. Non si fecero mettere i bastoni tra le ruote, e continuarono a frequentarsi. Ma poi scoppiò la rivoluzione, Castro salì al potere e cacciò tutti gli americani dall’isola.”

            “Lei era americana?”

            Ricardo annuì. “Non l’ha più rivista, da allora.”

            “Non l’ha più rivista?”

            Ricardo scosse la testa. “E non si è più innamorato.”

            “Non è possibile.”

            “Lo giuro sul mio onore. Quasi ogni sera va alla Rosa Negra e balla. Balla per dimenticare, o forse per ricordare. Non lo so. Balla con tutte le donne del locale, ma non si innamora mai.” Il ragazzo fece una pausa, mentre l’orchestra cambiava ritmo. “Ma non parliamo più di cose tristi, va bene?”

            Isabella annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dal profilo del ragazzo.

            “Ti è piaciuta la Rosa Negra?” domandò lui, voltandosi improvvisamente verso di lei.

            “Molto” rispose in fretta lei, distogliendo lo sguardo. “E non riesco a credere che ci andasse anche mia madre.”

            Il ragazzo rise, immediatamente imitato da lei.

            “Io ci vado spesso, con Javier. È uno dei posti più belli del mondo. Stasera sarò lì. Ti vedrò?”

            “Non lo so. È un invito?” domandò Isabella, tornando a guardarlo.

            Ricardo fece spallucce.

            “Beh, io… ci proverò.”

            “Ti aspetterò” ribatté lui, staccandosi dalla ringhiera. “Adesso devo andare. A stasera” concluse, posandole un bacio leggero su una guancia.

            Isabella si sentì avvampare, ma per fortuna lui si stava già allontanando. Sorrise, pensando che sarebbe stato semplice convincere Lucy.

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Capitolo 17
*** 16. Life Is A Highway [Rascal Flatts] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Andare alla Rosa Negra? Io voto a favore, ma credo sia tua madre a doverti dare il permesso” rispose Lucy, scoccando un’occhiata alla sorella.

            “Isabella, non mi dirai che quel posto ti è davvero piaciuto?”

            “Perché non mi sarebbe dovuto piacere? È fenomenale! E poi… beh, sarei stata invitata” confessò, abbassando la voce.

            “Non sarà quel fattorino?”

            “Oh, mamma, e se anche fosse?”

            “Tesoro, a fine mese ce ne andremo, lo sai, e…”

            “Mamma, non sto parlando di matrimonio. Sto facendo amicizia, niente di più. Sono diciotto anni che ti lamenti perché sono troppo solitaria… non vorrai dirmi che adesso non vuoi che esca.”

            Lucy incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della poltrona, fissando Katie con aria trionfatrice. Isabella aveva spinto la madre in un angolo, senza possibilità di scappare. Katie intercettò lo sguardo di superiorità della sorella minore, e represse l’istinto di farle una linguaccia. “E va bene” si arrese. “Puoi andarci.”

            “Bene” ribatté la figlia, “ma siccome non ti fidi completamente di me, pretendo che ci venga anche tu.”

            “Cosa? Scordatelo.”

            “Oh, mamma, ma perché non vuoi venirci? Zia Lucy mi ha detto che una volta passavi più tempo lì che a casa…”

            Lucy dissimulò una risata con un piccolo colpo di tosse, mentre Katie le rivolgeva uno sguardo a dir poco assassino. “Che cosa ti avrebbe detto tua zia?”

            “Niente. Solo che ballavi benissimo e stavi sempre alla Rosa Negra. Dai, vieni con noi! Siamo qui da due settimane e ancora non abbiamo fatto niente insieme!”

            “Non abbiamo fatto niente insieme? Ma se abbiamo visitato tutti i monumenti della città!”

            “Forse intendeva dire niente di divertente” intervenne finalmente Lucy, sottovoce. “E dai, sorellina, non hai motivo di rifiutare” continuò, alzandosi. “Non vorrai deludere la tua unica figlia, che il mese prossimo partirà per il college e sarà molto, molto lontana?”

            Katie si arrese nuovamente, coprendosi gli occhi con una mano. “E va bene, ci verrò. Ma torneremo in hotel ad un’ora decente.”

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Capitolo 18
*** 17. One Moment In Time [Whitney Houston] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Katie era nervosa. E non aveva alcun problema nell’ammetterlo. Aveva paura. Aveva paura di incontrare Javier, paura di trovarsi a faccia a faccia con il proprio passato. Aveva paura che Javier le rivolgesse la parola, e allo stesso tempo aveva paura di essere ignorata. Aveva paura di non vederlo. “Forza, sorellina, non essere così tesa” le sussurrò Lucy, stringendole la mano. “Prima o poi doveva succedere” aggiunse, abbassando ancora la voce.

            Entrarono, e come sempre si avvicinarono al bancone. Isabella aveva comprato un nuovo vestito, piuttosto economico, di un verde che faceva risaltare la sua carnagione. Si sistemò su uno sgabello e iniziò a tormentare il ciondolo che teneva al collo, cercando con lo sguardo il ragazzo che l’aveva invitata. Lucy prese posto accanto a lei, e Katie accanto alla sorella. Luis si avvicinò per un saluto, ma rimase senza parole alla vista di Katie. “Señorita Miller! È un piacere rivederla!”

            “Salve, Luis” rispose lei, cercando di sorridere in modo naturale.

            “Sua figlia ha il suo stesso talento nella danza, lo sa?”

            Katie sorrise, cercando di evitare una risposta. Non poteva saperlo, non aveva mai visto Isabella ballare. Lucy decise di interrompere il silenzio ordinando da bere, ma nello stesso momento l’uomo dietro al bancone decise di rendere nota a tutti la presenza di Katie.

            “Signore e signori, un attimo d’attenzione!” tuonò Luis. Katie si fece piccola sullo sgabello. Avrebbe voluto scomparire. “Dopo diciannove anni, sono felice di annunciarvi che la Regina della Rosa Negra è tornata! Dov’è il Re? Dov’è Javier?”

            La musica si era bruscamente interrotta, e il silenzio sembrava aver cancellato anche le voci della gente. Tra tanta gente immobile, una figura si mosse. Dal centro della pista, Javier si avvicinò al bordo, e di lì al bancone. Katie trovò il coraggio di alzare gli occhi, scoprendo che Lucy aveva ragione: Javier non era cambiato. Era più vecchio, sì, ma non era cambiato. Non erano cambiati i suoi occhi, ancora neri come diciannove anni prima. Non erano cambiate le sue mani. Non era cambiato il suo sorriso.

            Stava sorridendo. E le tendeva una mano. “Quieres bailar, mi reina?

            Katie rimase a guardarlo per una manciata di istanti. Sapeva di non poter rifiutare. E poi Lucy la stava spingendo già dallo sgabello. Katie non riusciva a staccare i propri occhi da quelli di Javier. Ma davvero non si era accorto che Isabella era sua figlia? Erano così simili… e i loro occhi erano praticamente identici.

            Fece scivolare la propria mano su quella di Javier. Lasciò che lui la stringesse. Lo seguì fino al centro della pista. Indossava il vestito rosso, quello usato per la gara di ballo di vent’anni prima. Incredibilmente, le stava ancora bene. Lucy lo aveva conservato con cura e lo aveva infilato in valigia all’ultimo momento, sperando in un’occasione per farglielo indossare.

            Javier si fermò al centro della pista. Lei si fermò. Javier si voltò e la guardò ancora una volta. Katie trattenne il respiro, mentre la mano di Javier scivolava sulla sua schiena. Si lasciò stringere, e finalmente trovò il coraggio di respirare di nuovo. E di guardarlo davvero negli occhi. E di pensare a qualcosa di intelligente da dire.

            “Sei tornata” lo sentì sussurrare, tra i brusii della folla.

            Sentì la propria bocca piegarsi in un sorriso, mentre l’orchestra ricominciava a suonare. Katie non ballava da molto tempo, ma non aveva dimenticato niente. Ogni passo, ogni giravolta, ogni mossa: era tutto inciso nella sua memoria, e pian piano tutto riaffiorava. Le mani di Javier la guidavano sulla pista, sotto gli occhi di gente che li applaudiva, di gente che sorrideva, di gente che inneggiava al “Rei y a la Reina de la Rosa Negra”.

            Isabella, ancora seduta al bancone, osservava rapita la madre, che mai avrebbe immaginato così in gamba. “Zia Lucy, ma quella è davvero mia madre?”

            Lucy annuì, incapace di dire qualsiasi cosa. Nel vedere la sorella tornare a volteggiare sulla pista della Rosa Negra insieme a Javier, non aveva potuto fare a meno di commuoversi. In fondo al cuore, sapeva che sarebbe andato tutto a posto. In qualche modo, tutto si sarebbe aggiustato. Sarebbe andato tutto a posto, perché il posto di Katie era su quella pista, tra le braccia di Javier.

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Capitolo 19
*** 18. Giù Le Mani Dal Cuore [Raf] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Presto anche Ricardo arrivò alla Rosa Negra. Si avvicinò a Isabella e Lucy e con un sorriso le salutò. “Signore, buonasera. Ehi, ma quella è…” si interruppe subito, cercando la definizione adatta.

            “…mia madre” completò Isabella, sorridendo a sua volta.

            “Wow. Insomma, è molto brava. Sono molto bravi. Non ho mai visto Javier ballare così.”

            Le due donne risero. In effetti, Javier sembrava mettere molta più passione in quel che facevo, per quanto ballare fosse l’unica attività nella quale metteva tutto se stesso, senza riserve. Lucy avrebbe saputo dare nome a quel cambiamento. Amore. Javier amava ancora Katie, e lo stava dimostrando a lei e al mondo intero. Per lui non era cambiato niente. Aveva ancora vent’anni, teneva ancora tra le braccia la donna della sua vita e sognava di trascorrere con lei il resto dei suoi giorni. Semplicemente amore. E il fatto che Katie avesse voluto evitare quel momento a tutti i costi, nella mente di Lucy poteva voler dire una sola cosa: anche Katie amava ancora Javier. Anche Katie era ancora indissolubilmente legata al ricordo di quei giorni. Anche Katie stava rivivendo quei momenti.

            “Sono contento di vederti qui” stava dicendo Ricardo.

            “Sì, è stata una lotta” rispose Isabella, accennando con la testa verso sua madre. “Ma ho vinto io.”

            “Ti andrebbe… ti andrebbe di ballare?”

            La ragazza guardò Lucy, che rispose con un’alzata di spalle. “Non sono tua madre.”

            Isabella sorrise e seguì Ricardo sulla pista. Lucy rimase seduta al bancone a fissare le due coppie, che si confondevano sempre di più con il caos della pista. Dietro di lei, Luis sospirò. “Ah, chi l’avrebbe mai detto? Non avrei mai pensato di rivedere qui sua sorella. Dopo tutti questi anni…”

            Lucy non riuscì a trattenere una risata. Sì, in effetti era strano rivedere Katie alla Rosa Negra. Era difficile rivedere Katie a Cuba. Era difficile vedere se stessa adulta, in quel luogo che l’aveva affascinata tanto quando era ragazzina.

 

            Finalmente, l’orchestra fece una pausa. Un applauso del pubblico si levò a colmare l’improvviso silenzio. Fasciata dal suo vestito rosso, ancora stretta a Javier, Katie alzò gli occhi. E improvvisamente, parve riscuotersi da un sogno. “S-scusa” balbettò, staccandosi da lui. Iniziò ad allontanarsi, quando il suo sguardo intercettò Isabella, sorridente tra le braccia di Ricardo.

            Katie deviò in direzione della figlia. “Isabella, vieni con me.”

            “Che cosa? Ma siamo appena…”

            “Non discutere” ribatté la donna, sottovoce, fissandola. “Andiamo.”

            “Ma io…”

            Katie prese Isabella per il gomito e si allontanò con lei in direzione dell’uscita. Lucy le raggiunse. “Katie, che cosa stai facendo?”

            “Lucy, io… devo andare.”

            “Katie, non fare così. Può tornare tutto a posto. Parla con…”

            “Lucy, smettila di vivere nei sogni. Non è così facile rimettere le cose a posto.”

            La sorella minore si fermò, ferita da quelle parole. Guardò la nipote allontanarsi con sua madre. Isabella continuava a guardare indietro, cercando di intercettare lo sguardo di Ricardo. Lucy soffrì per lei. E poi per sé. Davvero Katie la riteneva una stupida sognatrice? Va bene, forse sarebbe stato difficile spiegare tutto a Javier, ma almeno bisognava provarci! Per quel che ne sapevano, magari lui sarebbe stato felicissimo di sapere che Katie aveva portato in grembo e partorito una bambina, che aveva cresciuto con tutto l’amore possibile. Magari non aveva mai smesso di amare Katie, e avrebbe amato anche Isabella, se solo…

            “Stai bene?” La voce di Javier le arrivò all’orecchio delicata, come un sussurro proveniente da un mondo lontano.

            Lucy scosse la testa, e sistemò meglio i gomiti sul bancone della Rosa Negra. “No. Ma non importa. Scusa se mia sorella…”

            “Non devi scusarti per lei. E poi la capisco. Non credo che essere gettata in mezzo alla pista in quel modo rientrasse nei suoi piani.”

            “Come fai a perdonarla? Ti ha appena piantato in asso!”

            Javier alzò le spalle, facendo un cenno a Luis. “Non lo so.” Luis gli servì un bicchierino di rum. “So solo che le perdonerei qualunque cosa.”

            “Anche se ti avesse mentito? O nascosto una cosa importante?” gli domandò lei a bruciapelo, senza nemmeno riflettere troppo su quanto stava dicendo.

            “Tipo?”

            “Non… non saprei.”

            “Secondo me lo sai.”

            “Se anche fosse, non potrei dirtelo. Sarebbe un segreto. E lei è mia sorella. Tu avresti mai tradito Carlos?”

            “No” rispose Javier. “Anche se un paio di volte mi sarebbe piaciuto farlo.”

            “Davvero? Perché?”

            “Per ripicca.”

            “Ripicca?”

            Javier sospirò. “Tutto ciò che faceva era per la Causa. Per il Paese. Hasta la revolución.”

            “Me lo ricordo” sorrise Lucy.

            “Non era mai a casa. Non si curava della mamma, né di Ricardo. Era sempre tutto sulle mie spalle. Tutto perché lui passava le sue giornate a organizzare il golpe. Se solo a quell’epoca avessi saputo, non lo avrei mai accusato di trascurare suo figlio.” Sembrava quasi che Javier stesse parlando a se stesso.

            “Non credo di capire.”

            “Ricardo non è figlio di Carlos.”

            Lucy sentì un’improvvisa sensazione di calore allo stomaco. Quella semplice frase significava che Isabella e Ricardo non erano cugini. Ed essendo liberi da qualsiasi legame di sangue, potevano stare insieme. Potevano amarsi. “Ricardo non è figlio di Carlos?”

            Javier scosse la testa. “Sua madre mentì. Aveva avuto una relazione con Carlos, quindi era plausibile che Ricardo fosse suo figlio, ma… non lo era. Me lo rivelò quando Carlos fu ucciso. Ricordo ancora la sua espressione. Aveva paura. Aveva paura che la cacciassi via. Aveva paura che allontanassi lei e Ricardo.”

            “Ma tu non lo hai fatto.”

            “Come potevo? Quella donna non aveva altro posto dove andare. E poi aveva un bambino con sé. Non potevo essere così crudele.”

            “Scommetto che ti è grata.”

            “Lo era. È morta anche lei, qualche anno fa. Ho formalmente adottato Ricardo. È per questo che mi chiama zio, anche se sa di non essere mio parente.”

            “Sei stato molto buono con lui.”

            “Non potevo fare altrimenti.”

            Rimasero in silenzio per qualche manciata di secondi. “Javier?”

            “Sì?”

            “Tu ami ancora Katie, vero?”

            Javier alzò rapidamente la testa, poi riabbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette attorno al bicchierino ancora pieno. “Se amarla significa non aver smesso di pensare a lei in tutti questi anni, allora sì.”

            Lucy annuì. Si aspettava una risposta del genere. “Javier…”

            “Sì?”

            “Qualsiasi cosa succeda, non… non arrabbiarti con lei. Va bene?”

            “Adesso sono io a non capire.”

            “Capirai.”

            Questa volta fu Javier ad annuire. “Si è fatto tardi per me. Devo andare. Grazie per la chiacchierata.”

            “Grazie a te.”

            L’uomo se ne andò, lasciando Lucy da sola con i suoi pensieri. Ricardo era sparito da tempo. Forse era il caso di tornare in hotel. Prese le sue cose e si alzò, quando la voce di Luis la richiamò. “Aspetti, señorita Miller! Non vorrà andare via da sola a quest’ora?”

            Lucy non si era accorta che fosse così tardi. “Oh, non credo ci sia da preoccuparsi, Luis. Posso cavarmela…”

            Il gestore del bar la interruppe. “E leggere sul giornale di domani che è stata rapinata? Non ci penso nemmeno. Enrique, accompagna la señorita Miller in albergo!”

            “Sì, papà.”

            Lucy sgranò gli occhi. Non sapeva che Luis Santoro avesse un figlio. Non sapeva che il figlio avesse occhi così…

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Capitolo 20
*** 19. Incredibile Romantica [Vasco Rossi] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Enrique Santoro aveva la stessa età di Javier, e i due avevano addirittura frequentato la scuola assieme. Alla fine Lucy aveva ceduto, e aveva accettato di essere accompagnata a casa dal figlio di Luis. Era bello, sì. Era un bell’uomo. Ma quello che affascinava Lucy erano i suoi occhi: così scuri, così profondi, così magnetici. C’era di che sentirsi a disagio, a sapersi osservata da quegli occhi. Ma Lucy sapeva dissimulare le emozioni piuttosto bene, e stava cercando in tutti i modi di non dare a vedere le proprie paure.

            “Allora, Enrique, lei di che cosa si occupa?”

            “Sono un pescatore. Ma a volte aiuto mio padre alla Rosa Negra. Quando andrà in pensione prenderò il suo posto. Se mai andrà in pensione” aggiunse, con una risatina.

            Anche Lucy sorrise. “Sì, è un uomo in gamba. Se penso che mi ha riconosciuta dopo diciannove anni, dopo avermi vista soltanto un pugno di volte…”

            “Forse perché ha un viso particolare. Insomma, non si vede tutti i giorni una come lei. Insomma, quello che voglio dire è che… ah, mi scusi, non credo di essere molto bravo con l’inglese.”

            “No, non importa. Ho capito” lo rassicurò lei.

            “Lei di che cosa si occupa, invece?”

            “Sono un’attrice. Di teatro” specificò subito.

            “Davvero? Sembra interessante.”

            “Lo è. Mi piace molto.”

            “Scommetto che è molto brava.”

            “Me la cavo.”

            Parlando, erano arrivati nei pressi dell’hotel. Si fermarono a qualche metro dall’ingresso.

            “Ecco. L’avevo detto a suo padre che non mi avrebbero aggredita.”

            “Non si è mai abbastanza sicuri, non crede? Signorina Miller” continuò, senza darle il tempo materiale per rispondere, “so che ci siamo appena conosciuti, ma crede che potremmo darci del tu?”

            “Oh, beh, io… io credo” iniziò lei, balbettando. Quella richiesta la coglieva completamente alla sprovvista, “io credo che potremmo, sì.”

            Enrique annuì, sorridendo. Poi tornò a posare gli occhi su di lei.

            “Grazie di avermi accompagnata, Enrique.”

            “E’ stato un piacere… Lucy.”

            Rimasero immobili a fissarsi.

            “Credo… credo andrò nella mia stanza. Ho bisogno di riposare.”

            “Sì, anch’io devo… riposare.”

            “Buonanotte, allora.”

            “Buonanotte. Ah, Lucy?” la richiamò, facendola voltare immediatamente.

            “Sì?”

            “Io…” iniziò, avvicinandosi, “io speravo che magari potessimo… vederci. Domani.”

            “Sarebbe carino.”

            “Possiamo vederci alla Rosa Negra. Domani sera.”

            “Va bene.”

            “Ok” sussurrò lui. Un attimo dopo, annullò la distanza tra loro, e posò le labbra su quelle di Lucy. La donna sentì le mani di Enrique racchiuderle il viso, e non poté fare a meno di abbandonarsi a quel gesto.

            Finì troppo presto. Enrique guardò Lucy con i suoi grandi occhi brillanti, sorrise e le augurò di nuovo la buonanotte. Lucy lo guardò allontanarsi, finalmente sorridente. Poi si voltò e si rifugiò in hotel. Non voleva illudersi, ma… quell’illusione la affascinava.

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Capitolo 21
*** 20. Love Story [Taylor Swift] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Isabella non riusciva a prendere sonno. Sua madre l’aveva trascinata via dalla Rosa Negra senza un motivo, e nemmeno una volta tornate in hotel aveva avuto la decenza di fornirle una spiegazione. Lucy non era andata via con loro, ma era comprensibile: il rapido scambio di battute tra madre e zia le aveva fatto capire che doveva essere successo qualcosa… o che qualcosa, piuttosto, non era successo. Isabella aveva cercato di capire, ma senza qualche indizio sarebbe stato impossibile. Sua madre non le avrebbe mai detto nulla. E sua zia non era lì. Ad Isabella non era rimasta altra soluzione che lasciarsi cadere sul letto, ancora vestita, e mettersi a fissare il soffitto in cerca di risposte a domande che nemmeno conosceva.

            Quello che le bruciava di più era che si stava divertendo, alla Rosa Negra. Ricardo le aveva da poco chiesto di ballare, lei aveva accettato e lui le stava mostrando un passo nuovo, forse un po’ difficile da imparare, ma sicuramente non impossibile. Si stava divertendo, era a suo agio, e sua madre l’aveva trascinata via. Eppure era stata lei la prima a concedersi un lungo ballo appassionato con un uomo praticamente sconosciuto.

            Un rumore improvviso attirò la sua attenzione. Rimase in ascolto per qualche istante, finché non comprese che qualcuno le stava lanciando dei sassolini contro la finestra. Forse era Lucy che voleva sapere se la madre si era calmata. Si avvicinò e aprì le ante. Riconobbe senza difficoltà la figura di Ricardo.

            “Che ci fai qui?” gli domandò, cercando di non farsi sentire dalla madre, le cui finestre si trovavano a poca distanza.

            “Volevo vedere come stai.”

            “Sono arrabbiata con mia madre.”

            “Vuoi fare una passeggiata? Aiuta, a volte.”

            “Non saprei…”

            Ricardo sorrise. “Ti aspetto davanti all’ingresso.”

            Isabella chiuse la finestra e si fermò a riflettere. Uscire con Ricardo a quell’ora di notte non sarebbe stata una buona idea, secondo sua madre… ma Ricardo Suarez era un bravo ragazzo. Aveva già avuto parecchie occasioni per approfittare di lei, e non lo aveva mai fatto. Non sarebbe successo nemmeno questa volta. Ci sarebbe andata. Doveva solo organizzarsi in modo da non essere scoperta.

 

            “Finalmente! Stavo invecchiando, ad aspettare che…” iniziò Ricardo, felice di vederla.

            “Andiamo via, presto!” lo interruppe lei, prendendolo per un braccio e spronandolo a correre. “Sono uscita senza permesso.”

            “Lo avevo capito. Tua madre non ti avrebbe mai lasciata uscire a quest’ora di notte. Non da sola con me.”

            Si fermarono soltanto quando cedettero di essere abbastanza lontani dall’hotel. Ripresero fiato, parzialmente nascosti da un cespuglio, quando Ricardo richiamò l’attenzione di Isabella: “Ehi, quella non è tua zia Lucy?”

            Sì, la donna bionda che stava parlando con quell’uomo alto, che Isabella non conosceva, era proprio Lucy Miller. “Sì, è lei. Lui non lo conosco. Tu sì?”

            Ricardo annuì. “E’ Enrique Santoro, il figlio di Luis. Fa il pescatore, ma ogni tanto aiuta suo padre. Sarà lui a gestire la Rosa Negra, quando Luis andrà in pensione.”

            “Sembra uno a posto.”

            “Uno a posto?”

            “Un brav’uomo. Come Javier.”

            “Oh, lo è. Andavano a scuola insieme.”

            In quel momento, Enrique baciò Lucy. Isabella non poté fare a meno di arrossire e distogliere lo sguardo. Era l’unica ragazza della sua classe a non essere ancora stata baciata da nessuno, anche se alle sue amiche aveva raccontato un’altra verità. Ricardo emise un debole fischio, sicuro che la coppia non lo avrebbe udito. “Wow. Non pensavo fosse così coraggioso. Dai, andiamo” continuò, rivolgendosi alla ragazza, “una passeggiata sulla spiaggia è quello che ci vuole per far sbollire la rabbia.” Le porse la mano.

            Dopo un attimo di indecisione, Isabella la strinse.

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Capitolo 22
*** 21. Here We Go Again [James Blunt] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Lucy salì al proprio piano con il sorriso stampato sulle labbra. Labbra che continuava a sfiorare, di tanto in tanto, come per assicurarsi che il bacio di Enrique non fosse stato soltanto frutto della sua immaginazione. Se non fosse stata sicura del contrario, avrebbe detto che se n’era innamorata. Innamorata a prima vista. Non le era mai successo. Non si era mai innamorata. Aveva stretto qualche relazione di poco conto – e forse anche per questo sua madre l’aveva quasi ripudiata –, ma non si era mai innamorata. Se avere lo stomaco in subbuglio a quel modo significava essere innamorata. Poteva anche essere un’intossicazione alimentare. No, non poteva. Era amore.

            Si trovò improvvisamente di fronte alla sorella. Cercò di cancellarsi rapidamente il sorriso dal volto. “Ciao, Katie.”

            “Ero un po’ preoccupata…”

            “Scusa, mi sono trattenuta.”

            “Sei tornata da sola? È un po’…”

            “…pericoloso? Sì, lo ha detto anche Luis. Ha chiesto a suo figlio di farmi accompagnare.”

            “Luis ha un figlio?”

            Lucy annuì. “Si chiama Enrique, ha la stessa età di… beh, di Javier. Andavano a scuola assieme.”

            “E’ stato gentile” rispose Katie, ignorando la parte della frase che riguardava Javier.

            “Sì. È un uomo interessante. Lo rivedrò. Domani sera.”

            “Sono contenta.”

            “Sì, anch’io.”

            Ci fu un minuto di silenzio.

            “Lucy, mi dispiace di essere scappata così dalla Rosa Negra, ma…”

            “Katie, non è a me che devi chiedere scusa.”

            “Lo so. Domani andrò da Javier, e…”

            “Non parlavo di Javier, ma di Isabella.”

            “Lucy, non potevo lasciarla lì… con quel ragazzo.”

            Una sensazione familiare di vuoto allo stomaco colse Lucy all’improvviso. Ci sarebbero voluti trenta secondi per spiegare a Katie che Isabella e Ricardo non erano cugini, ma… non aveva voglia di parlarne. Non più. “Katie…”

            “Lucy, mi dispiace per quello che ti ho detto.”

            “Non preoccuparti. Forse hai ragione. Comunque sia, non sono arrabbiata. Sono solo stanca delle tue paure.”

            “Lucy, anche tu avresti paura, se fossi nella mia situazione, e…”

            “Katie, capisco benissimo la tua situazione. Ho di nuovo parlato con Javier, stasera. E sinceramente, credo che dovresti farlo anche tu. Per il bene di tutti.”

            “Per il bene di tutti? Non riesco a…”

            “Vai a parlare con Javier, Katie. Parla con lui, parla con tua figlia. Smettila di parlare con me. Scusa, ma sono stanca.”

            Lucy superò Katie e si infilò nella propria stanza. Katie indugiò sulla porta della propria stanza ancora per un paio di minuti, poi si diresse verso la stanza della figlia. Bussò un paio di volte, senza ottenere risposta. Poi spinse la porta. Era aperta. Entrò e si sedette sul bordo del letto.

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Capitolo 23
*** 22. La Prima Cosa Bella [Malika Ayane] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Katie, che succede?” domandò Lucy, preoccupata, aprendo la porta alla sorella.

            “Isabella… Isabella è sparita. Non è nella sua stanza.”

 

            Sulla spiaggia non faceva freddo, ma Isabella aveva fatto bene a portare un golfino. Lei e Ricardo stavano camminando lentamente sulla sabbia, a piedi nudi, raccontandosi a vicenda episodi delle proprie vite e ridendo come bambini.

            “Te lo giuro, mia nonna mi trattava come un vaso di cristallo!” stava dicendo il ragazzo. “Aveva una paura matta che mi succedesse qualcosa. Non permetteva a nessuno di toccarmi, guai a prendermi in braccio. Non voleva che mi si avvicinasse nemmeno Carlos, che era convinto di essere mio padre!”

            Isabella rise. “Magari si comportava così perché ti voleva bene.”

            “Sicuramente, ma poi una volta che stavo in braccio a lei mi fece cadere. Accidenti, me lo ricordo come se fosse ieri. Sono caduto battendo la testa. Ha fatto un male cane. Mi è rimasto il bernoccolo! Javier glielo ricorda ancora, qualche volta…”

            “Beh, almeno tua nonna non ti ha mai vestito da bambola.”

            “Perché, la tua sì?”

            “Tutte e due. Mi hanno sempre trattato da bambola da esposizione, con quei vestiti pieni di fiocchetti e nastrini da tutte le parti…”

            “Scommetto che eri molto carina.”

            “Ero bellissima, ma poi non mi lasciavano fare nemmeno due passi. Non ho praticamente mai giocato con gli altri bambini…”

            “Non dev’essere stato tutto perfetto.”

            “No, infatti. Insomma, voglio molto bene ai miei nonni, ma loro non… non hanno mai pensato molto a quello che avrebbe potuto rendermi felice.”

            Senza accorgersene, si erano fermati. Isabella guardò il mare, poi una domanda improvvisa di Ricardo la fece voltare.

            “Che cosa ti renderebbe felice, in questo momento?”

            “Io… io non lo so.”

            “Andiamo, ci deve essere qualcosa che vuoi fare. Qualcosa che desideri.”

            “Non… non saprei.”

            “La prima cosa che ti viene in mente.”

            Isabella distolse gli occhi da quelli di Ricardo, fissandoli prima sulle proprie mani, poi sul mare, poi sui propri piedi nudi, e poi di nuovo sulle proprie mani. E solo dopo un’eternità, di nuovo in quelli del ragazzo. “Beh, ci sarebbe una cosa. Ma mi sentirei stupida.”

            “E perché?”

            “Perché… beh, perché è una cosa da bambini.”

            “Non è una cosa da bambini, se la desideri davvero, e se pensi che potrebbe renderti felice.”

            Isabella prese fiato. “Beh, io… io non sono mai stata baciata da un ragazzo. E non credo ci sia mai stato un ragazzo che abbia desiderato baciare… fino ad ora.”

            “Tu vorresti che io ti baciassi?”

            “Solo… solo se lo volessi anche tu. Ma non…” si interruppe, quando l’indice destro di Ricardo si appoggiò sulla sua bocca.

            Le mani del ragazzo racchiusero dolcemente le sue guance e l’avvicinarono. Isabella sentì che ogni fibra del suo corpo era attratta da Ricardo. Sentì il suo respiro leggero sul viso, e poi le loro labbra incontrarsi, lentamente e con dolcezza. Lasciò cadere le scarpe, che teneva ancora in mano, e si lasciò abbracciare dal ragazzo, mentre continuava a baciarlo. Uscire di nascosto non era poi stata una cattiva idea.

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Capitolo 24
*** 23. Punto [Jovanotti] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “E’ andata da lui, ne sono sicura!” esclamò Katie, asciugandosi una lacrima e scattando in piedi. “E’ andata da lui!”

            “Katie, adesso calmati” ribatté Lucy, incredibilmente calma. “Siediti.”

            “Lucy, mia figlia è scomparsa! Dobbiamo avvisare il signor Ruiz, chiamare…”

            “Katie, siediti!” ripeté Lucy, alzando il tono.

L’altra donna obbedì, e si lasciò cadere sul bordo della poltrona con aria affranta. “Lucy, io devo trovarla…”

“Innanzitutto, dobbiamo essere razionali. Sicuramente sta bene. E non deve essere molto lontana. Non è passato molto tempo da quando siete rientrate…”

“Dove potremmo cercarla?”

“Non lo so. E non conosciamo Cuba così bene, quindi non conviene avventurarci in giro da sole.”

“E allora che facciamo?”

Lucy smise di passeggiare su e giù per la stanza e si voltò verso la sorella, incrociando le braccia. “Noi non faremo un bel niente.”

“Ma…”

“Presumi che sia con Ricardo Suarez? Allora devi cercare lui. E sai benissimo dove puoi trovarlo.”

Katie scosse la testa, con aria decisa. “No. No, Lucy. No. Non andrò da Javier.”

Lucy represse un sorriso. Stava giocando con le paure di sua sorella. Sapeva che Katie era terrorizzata all’idea che accadesse qualcosa tra Isabella e Ricardo, eppure continuava a tacerle la verità sui loro rapporti. Katie l’avrebbe uccisa, nello scoprire che lei era al corrente della verità. Lucy era consapevole che avrebbe dovuto parlare, ma non intendeva farlo. Tacere sarebbe servito a spingere la sorella verso Javier. “Katie, Javier lo conosce da vent’anni. Sicuramente saprà dirti dove potrai trovarlo. E dove potrai trovare Isabella… sempre che sia con lui.”

“E dove altro potrebbe essere?”

Lucy fece spallucce.

“Ma non posso andare da lui adesso. È l’una di notte!”

“E allora aspetta domani mattina.”

“Ma Isabella…”

“E’ in gamba. Credo troverà un posto dove passare la notte.”

 

Ricardo passò un braccio attorno alle spalle di Isabella, aiutandola a sistemarsi contro di lui. Le loro mani si ricongiunsero sul petto di lui. La spiaggia era deserta, il solo rumore quello delle onde che si infrangevano lungo il litorale. “Mi dispiace di non poterti dare di più…” sussurrò lui.

“Mi basta questo. Solo perché mio padre era un avvocato, non vuol dire che io sia una viziata.”

“Hai ragione, non lo sei.” Fece una pausa. “Tua madre sarà preoccupata.”

“Non mi importa.”

“Non dire così. Non lo merita.”

“E invece sì. Mi ha trascinata via dalla Rosa Negra senza spiegarmi perché. Si comporta in modo strano, da quando siamo a Cuba. E lei e zia Lucy… beh, credo abbiano litigato. O che stiano per farlo.”

“Io credo… credo che non dovresti preoccuparti di loro. Insomma, sono adulte, sanno quello che fanno.”

Isabella non rispose, e strinse di più la mano di Ricardo.

“Qualcosa non va?”

“Sono un po’ preoccupata. La nostra vacanza è quasi finita.”

Ricardo non rispose.

“Ho paura… ho paura di non vederti più. Ho paura di dimenticarmi di tutto questo.”

“Non devi avere paura, Isabella. Mi rivedrai.”

“Forse… forse non dovrei andare al college. Il prossimo mese sarò maggiorenne, potrò decidere della mia vita. Potrei restare qui.”

“No, questo non te lo permetterei mai. Tu devi andare al college, Isabella. Hai faticato tanto per andarci, non puoi rinunciare. Troveremo una soluzione per noi. Per me sarà difficile lasciare il Paese, ma potresti venire qui per l’estate. Fino a quando non ti sarai laureata. Poi ci penseremo. Ma non roviniamo questo momento con le nostre preoccupazioni.”

“Ricardo… hai detto noi?”

Il ragazzo sorrise. “Sì, ho detto noi.”

“Quindi ci sarà un noi?”

“Se lo vorrai, ci sarà.”

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Capitolo 25
*** 24. Total Eclipse Of The Heart [Bonnie Tyler] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            L’alba arrivò troppo presto. Isabella si svegliò ancora stretta nell’abbraccio di Ricardo. Erano ancora soli nel loro angolo di spiaggia. Ricardo le scostò una ciocca di capelli dagli occhi, poi le posò un bacio sulla fronte. “Buenas dias, americana” sussurrò.

            “Buongiorno” sussurrò lei in risposta, mettendosi a sedere e spazzandosi via un po’ di sabbia dal vestito. Il sorriso le si cancellò dal volto non appena il suo sguardo incontrò il mare.

            “Che succede?” le domandò preoccupato il ragazzo, mettendosi a sedere a sua volta.

            “Mia madre mi ucciderà.”

 

            Katie si fermò e lesse l’insegna, per assicurarsi di essere nel posto giusto. Sì, era l’officina di Javier. Katie sospirò, fece un passo avanti, poi dietrofront. Si voltò di nuovo verso l’officina, sospirò ancora e si avvicinò. Mancavano circa cinque metri all’ingresso. Poteva ancora girare i tacchi e andarsene senza farsi problemi: in fondo, secondo Lucy, Isabella sarebbe tornata in hotel al massimo entro quel pomeriggio. Ma il suo istinto di madre fu più forte.

            Il brusco passaggio dalla luce del sole alla penombra dell’interno le creò qualche problema, ma dopo qualche istante i suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce. Javier era sdraiato sotto una grossa auto. Katie si schiarì appena la voce. Javier si affrettò a rialzarsi. “Buenas dias, que…” iniziò, per interrompersi alla vista di Katie. “Ciao” concluse, strofinandosi le mani con uno straccio.

            “Ciao, Javier.”

            “Non pensavo di vederti da queste parti.”

            “Beh, non era… non era previsto, ma…”

            “Posso fare qualcosa per te?” la interruppe, senza toglierle gli occhi di dosso.

            Katie cercò di fissare lo sguardo su qualcos’altro. “Beh, ecco… Isabella, mia figlia… ieri sera è uscita di nascosto. Non è tornata, e ho pensato che potesse… beh, che forse poteva essere…”

            “…con Ricardo?”

            Katie annuì, la gola asciutta.

            “Ricardo non è rientrato. Non so dove sia.”

            “Non sai dove sia tuo nipote?”

            “Ha ventidue anni” ribatté Javier. “Non è necessario che gli stia con il fiato sul collo in ogni momento. Sono ragazzi, bisogna lasciarli crescere” proseguì, rimettendo le mani nel motore di una vecchia Ford. “Comunque non devi preoccuparti per tua figlia, sempre che sia con Ricardo. È un bravo ragazzo.”

            “Sì, certo” borbottò Katie.

            “Dico sul serio” ribadì lui, fissandola. “Gli ho insegnato ad avere rispetto per le donne. Mi pare di essermi sempre comportato bene.”

            “Sì, questo è vero.”

            Ci fu una lunga pausa, durante la quale Javier continuò a lavorare. Nonostante il nodo che avvertiva alla gola, Katie sapeva di dover parlare. Pregando che non fosse troppo tardi. No, non poteva essere tardi. Isabella era una ragazza per bene e Ricardo… sì, voleva fidarsi anche di lui. “Javier…” cominciò, titubante.

            Lui alzò la testa. “Sì?”

Erano a due metri di distanza. Quando si erano avvicinati? “Javier, la ragione per cui non voglio che Isabella passi il suo tempo con Ricardo è che lui è tuo nipote.”

“E allora?” Sì, in effetti non aveva senso.

“Ricardo è tuo nipote, e Isabella… Isabella è tua figlia.”

Silenzio. Ti prego, Javier, dì qualcosa. Dì qualcosa, per favore.

Javier scoppiò in una risata fragorosa. Katie lo osservò per qualche istante, senza capire.

“Javier, che cosa…”

“Tranquilla, non sono cugini.”

“Come?”

“Non sono cugini” ripeté Javier, asciugandosi una lacrima. “Ricardo non è figlio di Carlos.”

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Capitolo 26
*** 25. Tenendomi [Max Pezzali] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Isabella e Ricardo non… non sono cugini?” ripeté Katie, senza riuscire a credere alle proprie orecchie.

            Javier scosse la testa. “No, non sono cugini, perché Ricardo non è figlio di Carlos. Sua madre aveva mentito.” Fece una pausa, e si lasciò andare ad un piccolo sorriso sarcastico. “Certo, chi l’avrebbe mai detto che dopo vent’anni avrei scoperto di avere una figlia? Quand’è nata?”

            “Metà settembre.”

            “Lucy mi aveva mentito. Dovevo immaginarlo.”

            “Hai parlato con Lucy di Isabella?”

            “Diciamo piuttosto che non me ne ha parlato. Mi aveva detto che era nata a gennaio. Immagino volesse scongiurare il pericolo che io dubitassi della sua paternità.”

            “Mi dispiace di avertelo detto così.”

            “Non importa. Certo, avresti potuto avvertirmi di essere rimasta incinta. Sarebbe stato… carino, da parte tua.”

            “E come? Con una telefonata? Con una lettera? Avrei voluto dirtelo, Javier, ma i miei genitori credevano…”

            “Lascia fuori da questa storia i tuoi genitori, Katie! Eri abbastanza grande per avere un figlio, avresti dovuto esserlo anche per prenderti le tue responsabilità.”

“Non parlarmi di responsabilità! Non ho fatto altro che prendermi delle responsabilità, in questi anni!”

“Beh, avresti potuto trovare un attimo di tempo per dirmi che avevo una figlia, non credi? Ma forse non potevo essere un buon padre. Forse ero solo un povero cubano straccione buono soltanto come amante…”

            Durante la discussione si erano avvicinati. A quell’ultima frase, sputata fuori con incredibile rabbia, Katie reagì colpendo Javier sul viso, con una forza di cui non si sarebbe mai creduta capace.

            “Io ti amavo, Javier. Dio solo sa quanto ti amavo. Ho dovuto quasi implorare il figlio dei nostri vicini di casa perché mi sposasse. Per non disonorare la mia famiglia, per evitare che quel bambino fosse additato come un figlio illegittimo. Mi è costato più di quanto credi, mantenere questo segreto per diciannove anni.”

            Javier la guardò fare dietrofront e lasciare l’officina. Quando se ne fu andata, si portò una mano alla guancia offesa. Aveva una figlia. Isabella, quella ragazza americana che aveva fatto ballare poche sere prima alla Rosa Negra, era sua figlia. Non riusciva a crederci. Ripensò a lei. Il vestito rosso, così simile a quello di Katie. Gli occhi scurissimi, quasi neri, che sicuramente non aveva preso dal ramo materno della famiglia. Il talento per la danza, quell’abilità naturale di seguire la musica, nonostante la totale inesperienza. L’età. Come aveva potuto non prestare attenzione a tutti quei dettagli?

            E poi, c’era quello che Lucy gli aveva detto, o meglio, quello che Lucy non gli aveva detto. La perdoneresti anche se ti avesse mentito? Anche se ti avesse nascosto una cosa importante? Soltanto in quel momento Javier capì di che cosa stesse parlando Lucy. Parlava di Isabella. Parlava di Katie. Parlava di lui. Parlava di un passato che mai, come la sera prima, gli era sembrato così nitido e vicino.

            So solo che le perdonerei qualunque cosa, aveva risposto lui. E allora perché l’aveva aggredita a quel modo, accusandola di avergli tenuta nascosta la verità? Perché non era stato capace di perdonarla? Katie gli aveva mentito, gli aveva tenuto nascosta la verità. Lui aveva fatto la stessa cosa con Lucy. E probabilmente Lucy aveva fatto la stessa cosa con Katie: era il solo modo in cui riuscisse a spiegarsi perché Katie non sapesse che Ricardo non era davvero suo nipote.

            No, Katie, non posso perdonarti. Non ora, non così facilmente. Perché se mi avessi detto la verità, se mi avessi detto di essere incinta, non avresti dovuto sposare il figlio dei vicini. Avresti potuto sposare me.

 

            Ricardo Suarez si fermò a pochi metri dall’hotel. “E’ meglio che mi fermi qui.”

            “Conoscendo mia madre, è un miracolo che non abbia ancora chiamato la polizia.”

            “Preferirei essere arrestato, piuttosto che finire tra le grinfie di tua madre.”

            Isabella strinse più forte la sua mano. “Spero di poterti vedere ancora” sussurrò. “Spero che mia madre non mi faccia salire sul primo aereo per New York.”

            “Non lo farà. O almeno lo spero. Deve avere un po’ di cuore, no?”

            Isabella annuì.

            “Comunque, stasera io sarò alla Rosa Negra. E ti vedrò” fu l’ultima risposta del ragazzo, prima di salutarla con un bacio.

 

            Isabella salì le scale con circospezione, sperando di non incappare nella furia della madre. Perché sapeva che sarebbe stata furiosa. Aprì lentamente la porta della propria stanza, guardandosi in giro con fare sospetto. Per fortuna, ad aspettarla in camera c’era soltanto Lucy. La ragazza si concesse un profondo sospiro di sollievo.

            “Isabella, tesoro! Come stai?” la accolse la zia, abbracciandola.

            “Sto bene, zia. Scusa se vi ho fatte preoccupare. So di aver fatto una cosa molto stupida, ma il fatto è che Ricardo è venuto qui, e io ero arrabbiata con la mamma, e…”

            “Calma, calma tesoro” la interruppe Lucy. “Capisco perfettamente le tue ragioni.”

            “Dov’è la mamma?”

            “Beh, lei… sarà di ritorno tra poco.”

            “E’ arrabbiata, vero?”

            “Un po’, forse. Ma prima di tutto era preoccupata.”

            “Zia, perché mi ha trascinata via dalla Rosa Negra a quel modo, ieri sera?”

            “Beh, credo di saperlo. Ma non posso spiegartelo io. Sono cose personali. Ma piuttosto” aggiunse in fretta, “perché non mi racconti che cosa hai combinato stanotte?”

            Isabella arrossì. “Non ho fatto niente di cui la mamma potrebbe rimproverarmi. Abbiamo fatto una lunga passeggiata, ci siamo sdraiati sulla spiaggia e ci siamo addormentati. Ma se non sbaglio, anche tu hai qualcosa da raccontare.”

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Capitolo 27
*** 26. Listen To Your Heart [DHT] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “E’ tornata?” si interessò Katie, non appena tornata in hotel.

            “E’ tornata un’ora fa. È in camera sua. Katie, non… non vai da lei?” si stupì Lucy, vedendo la sorella tirare dritto verso la propria stanza. La seguì oltre la porta. “Ti senti bene? Hai parlato con Javier?”

            Katie gettò la borsetta sul divano e si lasciò cadere sul letto. “No” sospirò.

            “Non hai parlato con Javier?”

            “Non mi sento bene.”

            Lucy calciò via le scarpe e si sedette sul letto della sorella. Piegò le gambe e si abbracciò le ginocchia. E iniziò a fissarsi i piedi, proprio come quel pomeriggio di febbraio di diciotto anni prima, quando Katie le aveva confidato di essere incinta. Come allora, Katie stava piangendo.

            “Ho parlato con Javier. Mi ha detto che Ricardo non è davvero suo nipote.”

            “Sì, lo so. Me lo ha detto ieri sera, ma poi con tutta quella confusione…”

            “Gli ho detto che Isabella è sua figlia.”

            “Come l’ha presa?”

            “Si è arrabbiato. No, anzi. Era deluso. Deluso dal fatto che per tutti questi anni avessi mantenuto il segreto.”

            “Gli hai detto che non avresti potuto fare altrimenti?”

            “Ci ho provato, ma… non lo so, è come se in fondo avesse ragione lui. Aveva il diritto di saperlo. E io invece sono stata così egoista…”

            Lucy allungò le gambe e si distese vicino alla sorella. Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Lucy parlò.

            “Senti, Katie, lo so che probabilmente questa è l’ultima cosa che vorresti sentirti dire, ma… Isabella è innamorata.”

            “Lo credo. Quel ragazzo è a dir poco affascinante.”

            “E credo che lui ricambi.”

            “Non lo conosci, come puoi dirlo?”

            “Ho iniziato a conoscerlo attraverso le parole di Isabella.”

            “Isabella non è attendibile. È innamorata, l’hai appena detto tu.”

            “Forse è proprio perché è innamorata che dovremmo darle ascolto.”

            “Lucy…”

            “Katie, hanno dormito insieme sulla spiaggia, stanotte. Non sono andati più in là del bacio. Se avesse soltanto voluto approfittare di lei, lo avrebbe fatto, non credi?”

            La sorella maggiore non rispose, ma continuò a fissare il soffitto con aria assente.

            “Comunque, si sono dati appuntamento per stasera, alla Rosa Negra.”

            “Va bene, può andarci.”

            “E anch’io ho un appuntamento alla Rosa Negra, stasera” aggiunse Lucy, dopo qualche secondo di silenzio.

            “Sì, me lo hai detto ieri sera. Il figlio di Luis Santoro, vero?”

            “Già.” Fece una pausa. “Ehi, stavo pensando che potresti venire anche tu con noi.”

            “Per fare cosa? Stare seduta a guardare due belle coppie felici?”

            “Ci sarà Javier. Potresti approfittarne per chiarire la situazione.”

            “Non abbiano nulla da chiarire.”

            “Certo. Piangi perché non avete nulla da chiarire?”

            Katie non rispose.

            “Comunque, credo che prima di stasera dovresti dire la verità anche a tua figlia. Non credo che Javier riuscirà ad evitarla, se la vedrà alla Rosa Negra.”

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Capitolo 28
*** 27. Spiriti Degli Antichi Eroi [Koda, Fratello Orso OST] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Katie bussò alla porta della stanza di Isabella.

            “Ciao, mamma” la salutò la ragazza, tenendo gli occhi bassi. “Mi dispiace per ieri sera. Non volevo farti preoccupare, ero solo arrabbiata, e non…”

            “Non parliamone più, tesoro. Stai bene, è questo l’importante.”

            Isabella annuì.

            “Vuoi… ti va di fare due passi, tu e io da sole? C’è… c’è qualcosa di cui vorrei parlarti.”

            “Va bene. Dammi cinque minuti per cambiarmi.”

 

            “Sai, quando… quando il nonno ci disse che ci saremmo dovuti trasferire, fui l’unica a non fare salti di gioia” iniziò a raccontare Katie, mentre percorrevano l’intera lunghezza della spiaggia, con lo sguardo rivolto verso il mare. “Lucy era entusiasta, e anche la nonna era contenta. Io invece non credevo sarei riuscita ad adattarmi. I primi tempi qui furono difficili: mi sembrava tutto troppo caotico, troppo chiassoso, troppo colorato.”

            “Zia Lucy mi ha sempre detto che eri un tipo riservato.”

            “Sì” confermò Katie, con un sorriso. “Preferivo un buon libro alla compagnia della gente. Lucy era completamente diversa da me. In hotel vivevano altre famiglie di americani, che erano arrivate a Cuba per motivi di lavoro, esattamente come noi. Lucy iniziò subito a fare amicizia con gli altri ragazzi, ma io no. Erano soltanto un branco di snob, e io non mi sentivo a mio agio, con loro. Anche tua nonna iniziò a fare amicizia con le altre donne dell’hotel, e se ne uscirono con il folle piano di farmi sposare James.”

            “James?”

            “James era il figlio del capo di papà. Sarebbe stato un ottimo matrimonio, secondo le loro menti perverse.”

            “Non ti piaceva?”

            Katie scosse la testa. “Non aveva un minimo di cervello. Era presuntuoso, e ancora non riesco a capire come la nonna si sia potuta illudere di farmi mettere con lui.”

            “Glielo dicesti?”

            “Magari... purtroppo non potevo andare da mia madre e dirle che James non mi piaceva e che non avevo intenzione di sposarlo. Così, decisi di uscire con lui almeno una volta. Andammo al country club che frequentavano le nostre famiglie. Fu un completo disastro. Mi sentii in imbarazzo per l’intera serata, soprattutto perché mi resi conto di non essermi vestita nel modo giusto per l’ambiente.”

            “Che cosa avevi indossato?”

            “Hai presente il vestito rosso che indossavo ieri sera?”

            Isabella sgranò gli occhi. “Stai scherzando, vero? Tu hai messo quel vestito al country club?”

            Katie annuì, ridendo. “Sì, e non è stata una bella esperienza. Comunque, dopo essere andati via dal country club, chiesi a James di portarmi in un locale di cui avevo sentito parlare.”

            “Immagino che fosse la Rosa Negra.”

            “Esatto. Alla Rosa Negra incontrai Javier Suarez.” Katie fece una pausa, e in un istante le tornò in mente ogni dettaglio di quella sera. “Comunque, dopo poco decisi di farmi riaccompagnare in hotel. E fu allora che scoprii che James non era il bravo ragazzo che tutti vedevano.”

            “Che cosa stai cercando di dirmi?”

            “Beh, lui… ci provò, credendo che ci sarei stata soltanto perché mio padre lavorava per suo padre. Per fortuna si fermò quando lo respinsi. Comunque decisi di non tornare con lui. Rientrai alla Rosa Negra, e rincontrai Javier. Mi riaccompagnò lui, e durante il tragitto iniziammo a parlare. Mi scusai per averlo fatto licenziare, e poi gli proposi di partecipare ad una gara di ballo che metteva in palio un premio molto ricco.”

            “Accettò?”

            “Accettò, e da allora iniziammo ad allenarci di nascosto.”

            “Come facesti a nasconderti dalla nonna?”

            “Le raccontai che uscivo con James.”

            “E come facesti a convincere James?”

            “Lo minacciai di raccontare quello che aveva cercato di farmi in macchina. Minacciare la sua reputazione di ragazzo per bene fu sufficiente a fargli dire di sì.”

            “Dove vi allenavate? Alla Rosa Negra?”

            “Alla Rosa Negra, nell’officina di suo fratello, sulla spiaggia, per la strada… ovunque ci capitasse. Volevamo vincere quella gara ad ogni costo.”

            “Ma non ci siete riusciti, me lo ha raccontato zia Lucy. Durante la finale scoppiò la rivoluzione.”

            “Già. Ma fino a quel momento eravamo stati grandiosi. Credo proprio che avremmo potuto vincere.”

            “Mamma, perché mi stai raccontando tutto questo?” le domandò Isabella, dopo qualche istante di silenzio.

            “Beh, quella notte tornammo in hotel piuttosto scossi. Litigai con la nonna. Scappai, e mi rifugiai a casa di Javier. Un po’ come hai fatto tu ieri notte” aggiunse, con un lieve sorriso.

            “E poi?”

            “Lui mi fece ragionare, mi fece capire che dovevo tornare dai miei genitori. Mi riaccompagnò in hotel, e…”

            “E?”

            Katie si sentì arrossire, anche a diciannove anni di distanza. “Beh, noi… noi facemmo l’amore.”

            “Oh.”

            “Già. Oh.” Katie fece una pausa, poi smise di camminare. “Isabella” si voltò, per guardarla negli occhi, “io ho voluto bene a Thomas, ma… non è lui tuo padre.”

            Isabella distolse lo sguardo dalla madre e lo fissò sull’oceano. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza riuscire a dire nulla. Una parte di lei voleva gridare, una parte di lei voleva confessare che qualche sospetto, anche se remoto e infondato, c’era sempre stato, e una parte di lei voleva solo lasciarsi cadere sulla sabbia senza una parola. Fu l’ultima parte a vincere.

            Katie si sedette accanto alla figlia. “Tornammo in New Jersey a metà gennaio. Scoprii di essere incinta il mese successivo. I Ferguson abitavano dall’altra parte della strada, e sapevo che Thomas aveva sempre avuto un debole per me. Era l’unico ragazzo con la testa sulle spalle che conoscessi, non sapevo a chi altri rivolgermi. Parlare con i miei genitori non sarebbe servito. Papà forse avrebbe capito, ma la nonna mi avrebbe ucciso. Thomas accettò. Mi disse che non gli importava che io fossi incinta, né che io non lo amassi. Disse che mi avrebbe sposata, se solo gli avessi assicurato di non essere più innamorata di Javier.”

            “Ma tu lo amavi ancora, vero?”

            Katie annuì. “Sì, pensavo ancora a lui, anche se cercavo di convincermi che l’avrei dimenticato, con il tempo. Zia Lucy cercò di convincermi a confessare tutto ai nostri genitori: non voleva che dividessi la mia vita con qualcuno che non amavo. Non… non fraintendermi, Thomas è stato un marito fantastico, e gli ho voluto molto bene, ma non… non sono mai riuscita ad amarlo davvero.”

            “Zia Lucy lo sapeva?”

            “Lo ha sempre saputo. Sono stata io a chiederle di mantenere il segreto. Dio solo sa quante volte è stata sul punto di confessare tutto... a te, ai nonni, a Javier…”

            “Javier lo sa?”

            Katie annuì ancora. “Sono stata da lui, stamattina, e gliel’ho detto. È questo il motivo per cui non volevo che frequentassi Ricardo Suarez… credevo che fosse tuo cugino.”

            “Ma non lo è.”

            “No, non lo è. Quindi puoi uscire con lui, se è quello che vuoi.”

            “E’ quello che voglio.”

            “Allora va bene così. Non voglio fare gli stessi sbagli dei miei genitori, e non voglio che tu faccia gli stessi sbagli che ho fatto io. Non voglio che ti ritrovi sola, a trentasei anni, pensando a come sarebbero andate le cose se avessi agito in modo diverso.”

            “Come credi che dovrei comportarmi, quando vedrò Javier?”

            “Non lo so, tesoro. Sii naturale. Andrà tutto bene.”

            “Stasera verrai alla Rosa Negra con me?”

            “Io… io non so se…”

            Isabella le strinse la mano. “Mamma, per favore.”

            “Va bene, tesoro. Verrò con te alla Rosa Negra.”

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Capitolo 29
*** 28. Binario 36 [Marco Masini] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            La Rosa Negra non era mai stata così gremita di gente: Lucy, Isabella e Katie, entrate sorreggendosi l’un l’altra, faticarono a trovare un posto a sedere vicino al bancone. Ordinarono da bere, e con un po’ d’imbarazzo Lucy si accorse della presenza di Enrique dietro il bancone. Rispose con un sorriso al cenno di lui, mentre Luis preparava i loro drink. “Come mai tutta questa gente, Luis?” domandò Katie, cercando di distrarsi e non pensare a Javier.

            “Oggi è il diciotto agosto, e alla Rosa Negra si festeggia Santa’Elena con una grande gara di ballo.”

            “Una gara di ballo?” si interessò Isabella.

            “Una bellissima gara di ballo” ribadì Luis. “La coppia vincitrice sarà regina della Rosa Negra per una settimana. Le signore dovrebbero partecipare” concluse, ammiccando verso di loro.

            “Se solo avessimo un cavaliere…” sospirò Isabella, tornando a guardare verso la pista. In quel momento il suo sguardo si posò su Ricardo, che la salutò e iniziò ad avvicinarsi. Isabella non ebbe tempo di dire nulla, perché il ragazzo si rivolse subito verso Katie.

            “Signora, mi dispiace molto per quanto è successo ieri sera. Non avrei dovuto convincere sua figlia ad uscire di nascosto, e sicuramente non avrei dovuto tenerla fuori con me tutta la notte. Mi vergogno di essermi comportato così.”

            “Non importa, Ricardo. Isabella e io abbiamo parlato molto, e… non è colpa tua. Comunque apprezzo che tu sia venuto a chiedere scusa, anche se sono io a dover chiedere scusa a te.”

            Il ragazzo sorrise, poi tese la mano a Isabella. Quieres bailar con migo, americana?

            “Non vorrai farmi partecipare a quella gara?”

            “Certamente.”

            Katie e Lucy rimasero a guardare i due ragazzi mentre si allontanavano verso la pista, sorridenti. Lucy lanciò un’occhiata dietro al bancone, ma non trovò più Enrique. Per un attimo, delusa, si chiese dove potesse essere andato, poi si voltò verso il centro della sala e lo vide avvicinarsi a lei, reggendo qualcosa tra le mani. “Buenas tardes, Lucy” la salutò, con un sorriso.

            Buenas tardes, Enrique. Posso presentarti mia sorella Katie?”

            “E’ un piacere conoscerla, Katie. Sono Enrique Santoro, il figlio di Luis.”

            “Il piacere è tutto mio, signor Santoro. Mia sorella mi ha parlato molto bene di lei.” Strinse una mano forte e coperta di calli, e confermò la prima impressione di Lucy: aveva davvero degli occhi stupendi.

            “Crede… crede che potrei avere l’onore di partecipare a questa gara di ballo con sua sorella?”

            Katie sorrise. “Credo dovrebbe chiederlo a lei, ma… Lucy ne sarebbe felice.”

            Lucy non seppe che rispondere. “Io… io non… non so se… io…”

            “Bene, allora è deciso” sentenziò Enrique. “Ti dispiacerebbe attaccarmi questo sulla schiena, Lucy?” le chiese, mostrandole quello che teneva tra le mani.

            Piuttosto riluttante, Lucy gli applicò il numero sulla schiena e si alzò, seguendolo al centro della pista. Mentre la osservava allontanarsi, lanciandole ogni tanto qualche occhiata scontrosa, Katie alzò i pollici in segno di approvazione.

            “Lei non partecipa, Katie?”

            Lei scosse la testa. “Mi spiace deluderla, Luis, ma credo proprio che resterò qui a far compagnia a lei.”

            “E’ un vero peccato, sprecare un talento come il suo” la ammonì l’uomo.

            Katie non rispose, ma rimase a guardare le coppie che si preparavano alla gara, non senza provare un po’ di invidia verso sua figlia e sua sorella, che avevano entrambe trovato qualcuno che le apprezzasse. Dopo qualche minuto, sentì il bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria.

            Uscì dalla Rosa Negra e inspirò a pieni polmoni l’aria della notte. Guardò in alto: milioni di stelle la stavano osservando da un cielo scuro e avvolgente come velluto. Sospirò, ripensando a quella mattina. Ripensò alle parole di Javier, alla sua mano che scattava veloce a colpirlo. Ripensò al silenzio. Pensò a Isabella, che stava ballando con Ricardo, nello stesso modo in cui lei aveva ballato vent’anni prima con Javier. Sentì una lacrima rigarle la guancia, e si diede immediatamente da fare per asciugarla.

            “Ti ho trovata.”

            Katie non si voltò, ma si lasciò andare a un sorriso. “Mi serviva un po’ d’aria.”

            Javier la raggiunse e si mise di fianco a lei. “Io… mi dispiace per quello che ho detto stamattina. Non ho mai pensato di essere solo un amante, per te.”

            “E’ a me che dispiace. Non avrei dovuto reagire così.”

            “Ti ho praticamente dato della… beh, della sgualdrina. Credo fosse il minimo.”

            “Non giustificarmi, Javier. Ti ho tenuto nascosto il fatto che avessi una figlia. Non è così che ci si comporta. Mia madre si sarebbe comportata così.”

            Javier non rispose subito. “Credo che l’importante sia che la verità è venuta fuori.”

            “In ritardo di vent’anni.”

            “Non è mai troppo tardi per certe cose.”

            Katie alzò gli occhi su di lui. “Che cosa stai cercando di dirmi, Javier?”

            “Ho quarant’anni, Katie. E tu trentasei. Non siamo vecchi. Possiamo… potremmo ricominciare da dove siamo stati interrotti. Se lo vuoi.”

            Katie abbassò lo sguardo. “Non lo so, Javier. È passato tanto tempo, non so se…”

            “Va bene” la interruppe lui, prima di sentirsi ancora respinto. “E’ vero, forse è troppo presto per parlare di questo, ma… almeno balla con me, Katie. Balla con me” ripeté, prendendola per mano e mostrandole il numero necessario per la gara di ballo.

            Katie prese il numero e sorrise. “Voltati.”

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Capitolo 30
*** 29. 10,000 Years (Peace Is Now) [Live] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            Javier e Katie raggiunsero il centro della pista appena in tempo. Si erano appena sistemati, quando l’orchestra iniziò a suonare. Javier la strinse di più a sé, e Katie ebbe un flashback delle loro prime lezioni insieme. Le sfuggì un sorriso, mentre si muovevano a ritmo di musica, come la sera precedente, come avevano fatto decine di volte in quell’inverno vecchio di vent’anni. Era impossibile seguire uno schema: tutto si basava sull’improvvisazione, quella sera. I balli, i passi, gli sguardi, le conversazioni, i gesti: tutto sarebbe stato lasciato al caso, quella sera.

            L’orchestra finì il pezzo, e la cantante annunciò le cinque coppie finaliste. Javier e Katie furono scelti, senza sorpresa alcuna. Tra le coppie che si sarebbero contese il titolo di quella sera, incredibilmente, figuravano anche Isabella e Ricardo, che nonostante l’inesperienza di lei se la stavano cavando molto bene. Le coppie ripresero a danzare, non appena l’orchestra ebbe ricominciato a suonare. Katie lasciò che fosse Javier a guidarla lungo la pista, in ogni singolo passo, rivivendo ogni sensazione che credeva ormai dimenticata.

            Poco alla volta, tre coppie vennero eliminate, lasciando sulla pista soltanto Katie, Isabella e i loro rispettivi cavalieri. Un’ultima melodia concesse loro la possibilità di vincere il titolo. Al termine di quell’ultima prova, la cantante riprese il microfono e comunicò i risultati dei giudici. Durante quella fase di stallo prima di conoscere il verdetto, Javier si voltò a guardare Isabella. Era bellissima, proprio come sua madre. Eppure somigliava anche a lui. Come ho fatto a non accorgermene?, si chiese ancora. Poi, all’improvviso, lei si sentì osservata e si voltò nella sua direzione. La vide sorridere, e poi tornare a guardare la cantante.

            “E’ stata una decisione difficile, perché sono tutti davvero bravissimi. Ma i giudici hanno deciso che Javier avrà tante altre occasioni per essere il Re della Rosa Negra, quindi, per questa settimana, il Re e la Regina della Rosa Negra saranno Ricardo e Isabella Suarez!”

            Gli altri avventori applaudirono, e Javier tornò a guardare la ragazza. Un altro sorriso confermò i suoi dubbi: lei sapeva di essere sua figlia. Si congratulò con Ricardo e abbracciò la ragazza, mentre l’orchestra tornava a suonare. “Complimenti, Isabella” le sussurrò, mentre ancora la stringeva tra le braccia.

            “Devo ringraziare i miei genitori. Ho il talento di mio padre.”

 

            Ore dopo, quando la stanchezza iniziava a farsi sentire, Isabella chiese alla madre il permesso di farsi accompagnare in hotel da Ricardo, mentre Lucy se n’era andata con Enrique qualche minuto prima. Katie approvò, senza pensare che così facendo sarebbe rimasta sola con Javier. Ma quando si accorse della fretta nel licenziare la figlia, era ormai troppo tardi.

            “Credo che dovremmo andare anche noi.”

            Katie annuì. “Sì, si sta facendo tardi per me. Mi… mi accompagneresti?”

            Javier le prese la mano, deciso a non lasciarla finché non fossero arrivati a destinazione. Decisero di passare per la spiaggia.

            “E’ stato bello ballare ancora con te. Ma sono contenta che stasera abbia vinto Isabella.”

            “E’ bravissima” commentò Javier. “Ma con due genitori come noi, credo fosse inevitabile.”

            “Già… e pensare che non aveva mai ballato, prima di quest’estate.”

            “Katie…”

            “Sì?”

            “Parlami di tuo marito.”

            “Che cosa vuoi sapere?”

            “Tutto. Voglio sapere tutto quello che hai fatto in tutti questi anni.”

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Capitolo 31
*** 30. Voce Existe Em Mim [Josh Groban] ***


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L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Conoscevo Thomas da sempre” iniziò Katie, fermandosi e volgendo lo sguardo verso il mare. “I Ferguson abitavano dall’altra parte della strada. Avevano due figli. Thomas aveva sei anni più di me, Rebecca ha la stessa età di Lucy. Thomas era beneducato, e sempre gentile con noi. A febbraio scoprii di essere rimasta incinta, e lo confidai a Lucy. A lei e a nessun altro.” Fece una pausa. “Era l’unica persona con cui volessi parlare. Avrei voluto dirlo anche a te, ma non sapevo come raggiungerti. Lucy cercò di convincermi a parlare con i miei genitori, certa che avrebbero capito e mi avrebbero aiutata.”

            “Ma tu sei sempre stata testarda” commentò Javier, rimasto dietro di lei.

            “Mi venne in mente Thomas. Alcuni suoi comportamenti mi avevano fatto pensare che… beh, che potevo piacergli. Mi feci coraggio e andai a cercarlo all’università. Stava per laurearsi in Legge. Gli spiegai la mia situazione, e gli chiesi aiuto.”

            “Accettò?”

            Katie sorrise. Isabella le aveva fatto la stessa domanda, con il medesimo tono di voce, poche ore prima, su quella stessa spiaggia. “Accettò. Fu buono con me. Non pretendeva che lo amassi. Voleva solo che gli assicurassi che… che non amavo più te. E fu quello che dissi. Gli dissi che non pensavo più a te, che non contavi nulla. Gli ho mentito. Ho mentito a me stessa.”

            “E poi, com’è andata? I tuoi genitori come reagirono?”

            “Fu più facile del previsto, far credere ai miei genitori che eravamo davvero innamorati. Convinsi mia madre che la mia riluttanza ad uscire con James era dettata dal profondo affetto che mi legava a Thomas.”

            “E’ stato un matrimonio felice?”

            “E’ stato un matrimonio sereno. Lui era molto felice. Ha cresciuto Isabella come se fosse stata sua figlia, senza mai rinfacciarmi la storia con te. E confesso che… a un certo punto, ti avevo quasi dimenticato.”

            “Quasi?”

            Katie deglutì e si voltò a guardarlo, trovandolo seduto sulla sabbia. “Volevamo altri figli. Volevamo una famiglia numerosa, tanti fratelli e sorelle per Isabella. Ma non ho mai potuto dargliene. Iniziai a pensare che fosse una specie di castigo divino, perché ero stata con te senza essere tua moglie. Pensai di essere una cattiva madre, pensai… ah, non riesco più a ricordare quante cose pensai in quel periodo.”

            “Mi dispiace.”

            Katie tornò a guardare verso il mare. “Non importa. Superammo quella fase. Thomas stava facendo carriera, e tutto andava per il verso giusto. Ma l’anno scorso… l’anno scorso fu coinvolto in un tremendo incidente, e morì. Se non fosse stato per Lucy e Isabella, forse non l’avrei mai superata.”

            Javier si alzò e strinse le spalle di Katie con le sue mani grandi, cercando di trasmetterle tutta la sua comprensione.

            “Ma non mi pento di quello che ho fatto” riprese lei, con voce più ferma. “Non mi pento di nessuna scelta. Se Isabella è la ragazza che è, è anche grazie a Thomas.”

            “Mi sarebbe piaciuto conoscerlo” sussurrò Javier.

            “Ti sarebbe piaciuto, ma non credo sareste andati d’accordo.”

            Javier sorrise. “Anche tu e io, all’inizio, pensavamo che non saremmo mai andati d’accordo.”

            Katie si voltò di scatto, trovandosi più vicina a Javier di quanto avesse voluto.

Erano sulla spiaggia. Di nuovo.

Erano soli. Di nuovo.

La luna era alta in cielo. Di nuovo.

E, come allora, non c’erano più segreti tra di loro.

Katie percepì le labbra di Javier farsi più vicine, mentre le sue mani si posavano delicate sul suo viso, racchiudendolo dolcemente come un tempo. Si lasciò stringere come era accaduto soltanto sulla pista da ballo. Attraverso i loro vestiti, sentì i loro cuori battere insieme.

Di nuovo.

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Capitolo 32
*** 31. Le Chemin [Kyo feat. Sita] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

Agosto

 

            “Quindi partirete il ventisette?”

            Lucy annuì. “Isabella inizierà il college la settimana successiva. Dovremo tornare per forza il ventisette.”

            “Vorrei che potessi rimanere di più.”

            “Lo vorrei anch’io.”

            “Non ho mai conosciuto una donna come te.”

            “Non prendermi in giro.”

            “Non ti prendo in giro. Hai qualcosa di diverso dalle altre. Tu… tu sei così vera…”

            Lucy rise. “Vera? Sono un’attrice!”

            “Sarai anche una brava attrice quando sei sul palcoscenico, ma quando sei con me sei te stessa. So che è così. E so che mi mancherai, quando sarai partita.”

            “Anche tu mi mancherai, Enrique.”

            Lui la guardò a lungo negli occhi, prima di baciarla. Lasciarsi sarebbe stato doloroso, ma era l’unica soluzione.

 

            “Ti prometto che mi darò da fare, mentre tu sarai al college. Studierò, mi darò da fare, e quando tornerai non sarò più un fattorino.”

            “Ti amerei anche se non avessi un lavoro.”

            “Lo so, ma voglio cambiare. Voglio darti il meglio. E se dovessimo avere dei figli? I fattorini non guadagnano molto…”

            Alla parola figli Isabella avvampò.

 

            “Hai mantenuto la promessa” sussurrò Katie, stringendosi di più a Javier.

            “Quale promessa?”

            “La prima volta che abbiamo fatto l’amore, mi hai promesso che in un modo o nell’altro, avremmo ballato ancora insieme.”

            Javier sorrise. “E’ vero, l’ho mantenuta. Ma ci sono voluti diciannove anni.”

            Katie alzò gli occhi su di lui, senza staccare la testa dal suo petto. “Credo che l’importante sia che l’hai mantenuta.”

            “Katie… tra una settimana partirete.”

            “Sì, è vero.”

            “Non partire.”

            “Non posso. Isabella inizierà il college tra due settimane.”

            “Vuole ancora andare al college?”

            “Credo di sì. Ha faticato tanto per essere ammessa.”

            “Non credo di poterti lasciare andare un’altra volta, ora che ti ho ritrovata.”

            “Tornerò, Javier. Te lo prometto. E non aspetterò altri diciannove anni.”

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Capitolo 33
*** 32. Al Di Fuori Di Me [Phil Collins] ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1977

27 Agosto

 

            Isabella si sciolse dall’abbraccio di Javier, e teneramente gli sorrise. “Ti scriverò, lo prometto. E per le vacanze di primavera forse riuscirò a tornare. Sicuramente passerò qui l’estate. Ti voglio bene, papà.” Era la prima volta che lo chiamava così.

            Ricardo salutò Lucy e Katie, poi si allontanò di poco con Isabella, iniziando a salutarla a modo proprio. Javier rivolse allora la sua attenzione alle sorelle Miller. Salutò Lucy con un profondo abbraccio, augurandole tanta fortuna. A Katie riservò un abbraccio più intenso e un caloroso bacio. “Tornerai presto, me lo hai promesso” sussurrò, a pochi centimetri dalle sue labbra.

            “Tornerò presto.”

            “E non andrai più via.”

            “Ci proverò.”

            Enrique non era all’aeroporto. Lui e Lucy si erano salutati la sera prima, alla Rosa Negra, entrambi allergici agli addii strappalacrime dell’ultimo minuto. E poi Enrique sarebbe dovuto uscire in barca per pescare, quel mattino. Improvvisamente, la donna provò una fitta al cuore, vedendo sorella e nipote impegnate a salutare gli uomini che le amavano, mentre l’uomo che lei amava – e che in un paio di occasioni le aveva dato a intendere di essere interessato – stava pescando degli stupidi pesci in uno stupido oceano.

            “Dobbiamo andare” disse, piuttosto brusca, costringendo le due parenti a focalizzare l’attenzione su di lei.

            Katie e Isabella la precedettero sulla scaletta. Lucy le stava raggiungendo, quando una voce a lei familiare – troppo familiare, troppo amata – pronunciò il suo nome. “Lucy! Lucy Miller!”

            Lucy si voltò. Enrique era lì. Ma non poteva essere Enrique. Enrique doveva essere in mare. Iniziò a riflettere. Enrique aveva lasciato perdere il suo lavoro per correre da lei. Enrique stava chiamando a gran voce il suo nome. Enrique, quell’uomo alto con gli occhi più dolci che avesse mai visto, stava chiamando lei. Si voltò verso Katie, che si era bloccata a metà nell’udire le grida dell’uomo, e scosse la testa. “Scusa, Katie.”

            “Scusa? Non capisco…”

            “Scusa, non posso partire con voi.”

            Percorse a ritroso i tre scalini che si era concessa e corse incontro a Enrique, gettandosi tra le sue braccia. Si sentiva come una di quelle stupide eroine dei film, bellissime e buonissime, che si gettavano con slancio tra le braccia del loro amato. Si sentiva bene, al sicuro, protetta dal corpo dell’unico uomo che avesse mai amato.

            “E che cosa dirò a mamma e papà?” le chiese Katie, ancora ferma a metà della scaletta.

            Lucy staccò il volto dal petto di Enrique, guardò l’uomo e si voltò verso la sorella. “Dille che sto lavorando al suo nipotino!”

            Katie scoppiò a ridere, rivolse un ultimo sguardo a Javier e spinse Isabella, piuttosto riluttante, sull’aereo che le avrebbe portate a New York.

            No, quello della notte prima non sarebbe stato l’ultimo ballo.

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Capitolo 34
*** Epilogo. Cinque Anni Dopo. ***


Recordar. Dolerse. Volver

L’Avana, Cuba, 1982

Settembre

 

            Dopo una serie di attimi infiniti, Lucy guardò la sorella. “Ne sei sicura?”

            Katie annuì. “Al cento per cento.”

            “Glielo hai detto?”

            Katie scosse la testa. “No. Le altre volte è sempre andata male.”

            “Ha comunque il diritto di saperlo.”

            “E se dovesse andare male? Non posso illuderlo così.”

            “Non sarebbe un’illusione. E comunque, già una volta gli hai nascosto una gravidanza.”

            Katie sbuffò. “Ma sono vecchia! Ho quarantun anni. Isabella ne ha ventitré.”

            “E allora? Scommetto che sarà entusiasta all’idea di avere un fratellino.”

            Katie non riuscì a reprimere un sorriso. Guardò il pancione della sorella, arrivata quasi al termine della terza gravidanza. Lucy doveva essere l’unica attrice al mondo ad aver rinunciato ad una brillante carriera per gestire un locale a Cuba. Luis era andato in pensione, e aveva lasciato la Rosa Negra in mano al figlio Enrique e alla nuora. Pensò a Isabella, da poco laureata, che a partire da ottobre si sarebbe trasferita a Cuba. Era probabile che entro Natale Ricardo la sposasse.

            Lucy prese la mano della sorella e la strinse forte. “Lo sapevo che sarebbe finita così.”

            “Così come?”

            “Sapevo che ti saresti ricordata del tuo passato con Javier. Sapevo che ti saresti pentita di averlo perso di vista. Sapevo che saresti tornata.”

            Katie sospirò. “Glielo dirò stasera.”

            Lucy sorrise, mentre le ricordava le tre parole chiave: “Recordar. Dolerse. Volver.

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