Unclassificated

di Falling_Thalia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ch 1 - 26 Novembre 2010 ***
Capitolo 2: *** The Beginning Of The End ***



Capitolo 1
*** Ch 1 - 26 Novembre 2010 ***


 

Ecco l'Intro della mia nuova Fic. Tratta di tematiche un pochino forti, ma non troppo, quali sesso e sindromi psicologiche che lascerò a voi individuare.
Spero si dia vostro gradimento, continuerò presto!

 
 
Sei mesi. Erano passati sei mesi e ancora non era riuscita a liberarsi di quell’ossessione. Si, perché ormai era diventata un ossessione per Lauryn. Un peso che non riusciva più a sopportare, una confessione che doveva fare. Ma non avrebbe mai pronunciato quella frase nemmeno sotto tortura.
Purtroppo per lei la situazione era diventata insostenibile, a casa, al lavoro, ovunque andasse tutti la guardavano male.
“Stupida gente con stupidi pregiudizi”
Lo pensava sempre, ogni volta che uno sguardo indiscreto si posava su di lei, ogni volta che un commento poco piacevole sulla sua situazione le arrivava all’orecchio.
L’ambiente lavorativo era diventato da sei mesi a quella parte solo un luogo come tanti, pieno di persone come tante, che facevano cose inutili. Almeno per lei lo era. E, per una poliziotta, pensare questo era piuttosto preoccupante. Il suo lavoro e quello dei suoi colleghi non era insignificante. La loro sezione era indispensabile. Senza il loro lavoro centinaia di persone sarebbero morte. Molte le dovevano la vita, e lei doveva la vita a molti dei suoi colleghi, al suo partner in particolare.
Robbie l’aveva sempre supportata, non l’aveva mai definita “malata”. Forse lo pensava, ma almeno aveva il buon senso di tenersi certi pensieri per se.
Lauryn aveva sempre pensato a Robbie come un collega fidato, al massimo come ad un amico. Si fidava cecamente di quell’uomo e gli aveva affidato la sua vita circa un centinaio di volte. Ok, era un concetto contradditorio ma meglio di così non poteva essere espresso.
Ma torniamo indietro, a quel dannato 26 Novembre. Quello fu il giorno in cui la sua vita cambiò. Doveva essere una giornata come tante alla sede centrale di Houston, le solite scartoffie da compilare a caso risolto, le solite battutine tra colleghi e l’assegnazione di un nuovo caso da seguire. In effetti, andò così, tutto normale. Almeno fino a quando si ritrovò davanti alla casa di Shelley Montgomery.  Doveva avvisare la famiglia che non avevano ancora ritrovato la loro adorata bambina, che probabilmente non l’avrebbero ritrovata. Ma la casa della famiglia Montgomery era vuota. Anzi, era piena. I due coniugi erano sdraiati a terra in un lago di sangue. Lui con gli arti inferiori mozzati, lei nuda e senza testa; probabilmente aveva subito violenze prima di essere decapitata. Lauryn stava per vomitare, era disgustata e spaventa ma allo stesso tempo affascinata dal riflesso rosso che ancora splendeva al contatto con la luce. L’odore ferroso del sangue dilaniava la pace che si era creata in quel posto. All’improvviso una mano l’aveva afferrata saldamente per il collo, obbligandola a girarsi verso il suo assalitore. L’uomo ancora imbrattato di sangue la fissava negli occhi con tempestivo furore che provocò alla donna un brivido lungo la spina dorsale. Ancora prima di capire quello che stava succedendo era stata catturata da quel pazzo e portata via sulla sua stessa auto rimasta aperta sul vialetto della villetta. Il suo rapitore la portò in un posto isolato dove la violentò per sei giorni di fila. Lauryn non aveva la cognizione né dello spazio né del tempo. Sapeva solo che era in un posto e che questo uomo faceva sesso con lei. Perché per lei era di sesso che si trattava, non di violenze. Dopo giorni dentro di lei sentiva nascere uno strano sentimento, non di paura, ma di appagamento. Appagamento per quel rapporto di pura estasi che ogni notte, o almeno pensava ogni notte, la travolgeva. Il sesso, il sangue, la pazzia, l’estasi la facevano star bene. Era come vivere in un sogno. Non aveva paura di quell’uomo che aveva ucciso in modo così crudele i due coniugi, al contrario provava un’attrazione morbosa nei suoi confronti. Il settimo giorno, senza sapere come e perché, il suo rapitore la liberò, lasciandola davanti a una stazione di polizia di Somerville, a circa 89 miglia da Houston.  

 

Ecco l'Intro della mia nuova Fic. Tratta di tematiche un pochino forti, ma non troppo, quali sesso e sindromi psicologiche che lascerò a voi individuare.
Spero si dia vostro gradimento, continuerò presto!

Qui il link dove troverete i miei adorati Pg: http://akana-no-chii.deviantart.com/art/Unclassificated-189689116

 
Sei mesi. Erano passati sei mesi e ancora non era riuscita a liberarsi di quell’ossessione. Si, perché ormai era diventata un ossessione per Lauryn. Un peso che non riusciva più a sopportare, una confessione che doveva fare. Ma non avrebbe mai pronunciato quella frase nemmeno sotto tortura.
Purtroppo per lei la situazione era diventata insostenibile, a casa, al lavoro, ovunque andasse tutti la guardavano male.
“Stupida gente con stupidi pregiudizi”
Lo pensava sempre, ogni volta che uno sguardo indiscreto si posava su di lei, ogni volta che un commento poco piacevole sulla sua situazione le arrivava all’orecchio.
L’ambiente lavorativo era diventato da sei mesi a quella parte solo un luogo come tanti, pieno di persone come tante, che facevano cose inutili. Almeno per lei lo era. E, per una poliziotta, pensare questo era piuttosto preoccupante. Il suo lavoro e quello dei suoi colleghi non era insignificante. La loro sezione era indispensabile. Senza il loro lavoro centinaia di persone sarebbero morte. Molte le dovevano la vita, e lei doveva la vita a molti dei suoi colleghi, al suo partner in particolare.
Robbie l’aveva sempre supportata, non l’aveva mai definita “malata”. Forse lo pensava, ma almeno aveva il buon senso di tenersi certi pensieri per se.
Lauryn aveva sempre pensato a Robbie come un collega fidato, al massimo come ad un amico. Si fidava cecamente di quell’uomo e gli aveva affidato la sua vita circa un centinaio di volte. Ok, era un concetto contradditorio ma meglio di così non poteva essere espresso.
Ma torniamo indietro, a quel dannato 26 Novembre. Quello fu il giorno in cui la sua vita cambiò. Doveva essere una giornata come tante alla sede centrale di Houston, le solite scartoffie da compilare a caso risolto, le solite battutine tra colleghi e l’assegnazione di un nuovo caso da seguire. In effetti, andò così, tutto normale. Almeno fino a quando si ritrovò davanti alla casa di Shelley Montgomery.  Doveva avvisare la famiglia che non avevano ancora ritrovato la loro adorata bambina, che probabilmente non l’avrebbero ritrovata. Ma la casa della famiglia Montgomery era vuota. Anzi, era piena. I due coniugi erano sdraiati a terra in un lago di sangue. Lui con gli arti inferiori mozzati, lei nuda e senza testa; probabilmente aveva subito violenze prima di essere decapitata. Lauryn stava per vomitare, era disgustata e spaventa ma allo stesso tempo affascinata dal riflesso rosso che ancora splendeva al contatto con la luce. L’odore ferroso del sangue dilaniava la pace che si era creata in quel posto. All’improvviso una mano l’aveva afferrata saldamente per il collo, obbligandola a girarsi verso il suo assalitore. L’uomo ancora imbrattato di sangue la fissava negli occhi con tempestivo furore che provocò alla donna un brivido lungo la spina dorsale. Ancora prima di capire quello che stava succedendo era stata catturata da quel pazzo e portata via sulla sua stessa auto rimasta aperta sul vialetto della villetta. Il suo rapitore la portò in un posto isolato dove la violentò per sei giorni di fila. Lauryn non aveva la cognizione né dello spazio né del tempo. Sapeva solo che era in un posto e che questo uomo faceva sesso con lei. Perché per lei era di sesso che si trattava, non di violenze. Dopo giorni dentro di lei sentiva nascere uno strano sentimento, non di paura, ma di appagamento. Appagamento per quel rapporto di pura estasi che ogni notte, o almeno pensava ogni notte, la travolgeva. Il sesso, il sangue, la pazzia, l’estasi la facevano star bene. Era come vivere in un sogno. Non aveva paura di quell’uomo che aveva ucciso in modo così crudele i due coniugi, al contrario provava un’attrazione morbosa nei suoi confronti. Il settimo giorno, senza sapere come e perché, il suo rapitore la liberò, lasciandola davanti a una stazione di polizia di Somerville, a circa 89 miglia da Houston.  

 

 

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Capitolo 2
*** The Beginning Of The End ***


Lauryn era disperata. L’uomo che l’aveva tenuta con se per una settimana l’aveva abbandonata. Era rimasta per un tempo indefinito sul marciapiede disorientata prima di decidersi a prendere il suo cellulare e chiamare Robbie…

- Lauryn!! Dove sei? Come stai? –

- Ehi…sto bene. Sono a Somerville, puoi venire a prendermi? –

- Somerville? Va bhe aspettami da qualche parte, sto arrivando! –

- …Ok. –

Circa due ore dopo Robbie era arrivato nella cittadina. Trovò la donna seduta su una panchina alla fermata dell’autobus. Subito le andò incontro e l’abbracciò. Notò anche che era stanca, anzi no, depressa. Come se avesse appena detto addio alla persona della sua vita. L’uomo non fece domande, fece salire Lauryn in macchina e la riportò nel suo appartamento di Houston.

Nei giorni successivi nessuno aveva osato dirle una parola. Era palese che fosse stata rapita dall’assassino dei coniugi Montgomery, ed era altrettanto palese che si fosse infatuata del suo aggressore vista la mancanza di denuncie da parte sua. Però nessuno osò ire niente. Passò un mese prima che certe voci cominciarono a circolare…

“ Quella poveretta soffre della Sindrome di Stoccolma!”, oppure, “ Quella donna è una sadica, ha fatto sesso con un assassino!”.

E più il tempo passava più certe accuse si facevano pesanti.

Lauryn non dava peso a queste stupide voci. Nella sua testa c’era un solo chiodo fisso: ritrovare quell’uomo. Non per arrestarlo, non per ucciderlo. Non sapeva davvero cosa avrebbe fatto se e quando l’avesse ritrovato.

Durante quei sei mesi aveva preso contatto con tutte le agenzie governative chiedendo se nei loro archivi ci fossero degli omicidi il cui Modus Operandi fosse uguale a quello dell’omicidio dei Montgomery. Niente. In sei mesi di indagini private non aveva fatto un passo avanti. Poi, una mattina di aprile le era arrivato un messaggio: “ DA--> Tim, Oggetto--> Assassino Misterioso, Contenuto--> nella cittadina si Somerville, Texas, sono stati ritrovati due coniugi uccisi con lo stesso Modus Operandi del tuo A.M. La polizia di Somerville è stata avvisata del tuo possibile arrivo.”

Lauryn si preparò in fretta e furia. Preparò un piccolo bagaglio a mano e ci mise dentro tutta la documentazione che possedeva su quell’uomo misterioso. In meno di dieci minuti era già dentro la sua Ford Ka CGI viola e in altrettanti minuti era già sulla trentaseiesima strada diretta a Somerville. Un’ora e mezza dopo era davanti al distretto di Polizia di Somerville. Ad attenderla c’era un uomo, alto e affascinante.

- Salve, lei deve essere la signora Allen. –

- Si, ma chiamami Lauryn, il mio cognome non mi piace. –

- A me piace. Comunque sia, io sono Blake Marx. –

- Marx? È davvero il tuo cognome? –

- No, ma il mio non mi piaceva così l’ho cambiato. –

- Ah. Ho capito. –

- Va bhe, ora andiamo, ci stanno aspettando. –

- Chi ci sta aspettando? –

- I miei uomini, naturalmente. –

- …I tuoi uomini…quindi tu saresti il commissario di questo posto… -

- Già, difficile da credere vero? –

- In effetti, sei giovane… -

- Grazie. Ma ho anche io i miei trent’anni, anche se non sembra. –

- Veramente li dimostri tutti…. –

- Ah, bhe grazie per la sincerità Lauryn… -

- Di niente Blake. –

Nel frattempo si erano avviati verso la scena del crimine, ancora intatta. L’unica cosa che era stata rimossa erano i cadaveri; impossibile lascarli li dentro, il puzzo di morte e sangue era insopportabile. Appena varcarono la soglia della casa Lauryn si sentì invasa da un sentimento indescrivibile: non era ripugnanza, era nostalgia. Si nostalgia. Appena formulò quel pensiero la bocca dello stomaco le si chiuse e una forte nausea cominciò a manifestarsi. Come un razzo corse di fuori e cominciò a respirare a pieni polmoni. Blake preoccupato la seguì per vedere come stava.

- Tutto ok, scusami. –

- No, colpa mia. Non avrei dovuto portarti qui così, in questo stato. –

- Penso che tu non sia al corrente della mia storia. Sono stata io la prima a vedere i coniugi Montgomery, e quella scena non mi ha provocato nessun disturbo.  –

- E allora cosa ti ha sconvolta questa volta? –

- La nostalgia. –

- Nostalgia? –

- La nostalgia del sangue, della morte e della firma dell’assassino. –

- Sindrome di Stoccolma. –

- Eh? –

- Soffri della Sindrome di Stoccolma.  –

- …No…non è vero! –

L’agitazione cresceva ad ogni respiro. Odiava sentirselo dire. Odiava il significato di quelle parole. Odiava chiunque le pronunciasse. Sempre più inquieta Lauryn si diresse verso la sua macchina e una volta seduta davanti al volante accese il motore. Era pronta ad andarsene.

- Ehi, che stai facendo? –

- Me ne vado. –

- Ma come, non volevi seguire questo caso? –

- Quello che voglio non sono affari tuoi. –

Blake si era fermato davanti alla macchina con le mani appoggiate sul tettuccio e la fissava negli occhi. L’aveva notata subito, appena aveva varcato la soglia della centrale di polizia. La sua bellezza non passava di certo inosservata: quegli occhi verdi che penetravano tutti, quei capelli rossi tenuti corti, quel seno non troppo grande ma nemmeno inesistente, quelle gambe lunghe e slanciate….

Per un attimo l’uomo si perse nelle sue fantasie.

Anche Lauryn rimase a lungo a fissare Blake. L’unica cosa che pensava di lui, che avesse potuto capire in quel poco tempo era che aveva un forte intuito e che non sapeva farsi gli affari suoi.

Lauryn spense la macchina e uscì, obbligando Blake a spostarsi.

- Hai già cambiato idea? –

- Zitto. Non voglio sentire una fottuta parola uscire da quella bocca. –

- Come siamo pungenti. –

- Fottiti. –

- …Gentile. –

- …E non azzardarti più a dire quella cosa. –

- Cosa? Che soffri della Sindrome di Stoccolma? –

La donna annuì infastidita dal suono di quelle parlo.

- Ok. Però vero, tu ne soffri…-

Blake cominciò a incamminarsi di nuovo verso la casa. Lauryn gli si parò davanti e lo fissò con un’espressione terrificante.

- Non dirlo mai più. –

Quegli occhi pungenti si allacciarono a quelli grigi e profondi di Blake in una morsa che non lasciava via di fuga.

- Come vuoi. –

- Bene e ora fatti da parte. Da adesso tu dipendi da me. –

- …….Ho qualche scelta? –

- Direi di no se vuoi trovare quell’uomo… -

- Visto? Avevo ragione. –

Lauryn si fermò di nuovo voltandosi verso di lui.

- SdS. Tu ne soffri. –

La donna, arrivata al massimo della sopportazione, si alzò sulle punte per colmare la differenza d’altezza tra lei e il suo interlocutore e lo afferrò per il collo della camicia.

- Senti infimo stronzo che non sa tenere la bocca chiusa….mi pare di avertelo già detto, no? Non dirlo mai più! In nessunissimo modo: né a sillabe né con le iniziali. Non pensarlo nemmeno. Spero di essere stata chiara. Alla prossimo giuro che ti faccio male sul serio. –

- Ok, ok. Mea culpa. –

Lauryn lo lasciò andare e rientrò nella casa.  

Blake rimase fuori a pensare. Doveva aiutare quella donna a dimenticare, a uscire da quella sua ossessione…ma come fare?

Inutile farsi domande. La risposta era una: trovare quell’uomo e ucciderlo.

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