La mitica Mem

di Gloom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1! ***
Capitolo 2: *** 2) Old Boy ***
Capitolo 3: *** capitolo 3! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4! ***
Capitolo 5: *** capitolo 5! ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6! ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7! ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8! ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9! ***
Capitolo 10: *** capitolo 10! ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11! ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12! ***
Capitolo 13: *** capitolo 13! ***
Capitolo 14: *** capitolo 14! ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15! ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16! ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1! ***


-Benvenuto! Sei il nuovo compagno di classe?
-Sì.
-Spero che ti troverai bene qui... avevamo già un posto libero, vicino a Mem.
-Oh, ti piacerà Mem!
-Già! Quella ragazza è troppo forte.
-Lo sai che ha gli occhi viola? La prima volta che io l'ho vista, mi è preso un colpo...
-Occhi viola! E poi è anche una bella ragazza...
-Bah, frena, questo non lo puoi dire così sicuro. Più che altro, ha il suo fascino...
-E che fascino! Magari non è bellissima, ma fa girare la testa a un sacco di ragazzi.
-Eh già...
-Ve lo ricordate quando quei due del secondo D hanno litigato per lei?
-Sergio e Adriano? Terribile. Erano migliori amici, ma davanti a lei...
-Sono ancora migliori amici. Mem non ha permesso loro di tagliare i ponti.
-Come è finita...?
-Semplice: si è levata dalle palle lei.
-Che mito, che mito!
-Perché, quando ha picchiato la truzzetta del terzo E?
-Epico! Alla fine non c'era rimasto niente...
-Ahahah, è stato bellissimo! Mai vista Mem così arrabbiata.
-Beh, stiamo parlando di Mem: quella è capace di andare in giro coperta di borchie dalla testa ai piedi.
-Ihihih!
-E pure così ha il suo bell'effetto. Voi l'avete mai vista con un pullover?
-Mem? Ma fammi il piacere! Lei odia i pullover.
-Ma sa essere elegante, a modo suo. Al compleanno del fratello mozzava il fiato...
-Sempre lo stesso discorso di prima... è affascinante.
-Non solo. Lei è l'unica che riesce a farsi capire da tutti. Non so cos'abbia, ma...
-Carismatica?
-No...
-Ha la parlantina?
-Neanche...
-Non è che parli. E' un po' come Clint Eastwood nei film di Sergio Leone, avete presente?
-Caspita.
-Già.
-Vedi quella ragazza bionda, seduta all'ultimo banco? L'anno scorso non parlava con nessuno. Un giorno però ha incontrato Mem, per caso, e da allora è cambiata. Certo, se ne sta sempre sulle sue, ma è molto più tranquilla.
-Mem c'è sempre per tutti, ma non ti viene a cercare. Lei va per la sua strada, ma, se hai bisogno, basta che lanci un segnale e lei si precipita ad aiutarti.
-A volte è imprevedibile: se esageri, non esita a maltrattarti. Ma non va mai troppo oltre...
-Chissà da dove prende la voglia.
-Le piacciono le persone, le piace prendersi cura degli altri.
-Ssssh, eccola!

Il nuovo compagno di classe si aspettava di ritrovarsi davanti una specie di supereroina, ma fu deluso: la ragazzetta che gli si parò davanti era esile, piccola di corporatura e non aveva neanche una borchia addosso. Piuttosto, camminava dentro anoimi jeans e si muoveva dentro una felpa di un paio di taglie più grande.
 -Piacere- gli disse con un sorriso timido, -io sono Filomena-.
 Lui rimase un po' interdetto, e lei lo guardò con un cipiglio perplesso.
 -Che c'è?- chiese.
 -Ehm... mi avevano detto che ti chiamavi Mem- rispose.
 -Oh, sì. Mem è il diminutivo, mi chiamano tutti così.
 -In realtà mi avevano anche detto che avevi gli occhi viola- continuò, dopo aver fatto caso -con un po' di delusione- agli occhi marroni di lei.
 -Beh... mi mancano un po' di gradi, abbastanza da aver bisogno di lenti a contatto. Quando ne ho voglia, mi presento con delle lenti colorate-.
 -Oh. Sai, di te dicono anche che vai in giro piena di borchie, e che picchi le altre ragazze-.
 -Non solo ragazze. Una volta ho dato un calcio a uno che mi rompeva sull'autobus. E le borchie le ho prese in prestito da mio fratello, quando a carnevale mi sono voluta vestire da zecca.
 Il ragazzo fissò Mem: non si poteva dire che fosse brutta, ma tutto il fascino di cui gli avevano parlato non lo vedeva.
 Non ancora.

 Ma presto avrebbe capito il segreto di Mem: era una di quelle persone la cui immagine corrispondeva a quella che aveva creato lei stessa nella mente degli altri, non a quella che vedeva riflessa nello specchio ogni mattina.
E venir vista dagli altri come una bella persona era il suo orgoglio più grande.
 


Torno ad imbrattare carta virtuale, questa volta con un personaggio in costruzione che mi piacerebbe sviluppare... Se qualcuno recensisce, lo porto a prendere un gelato!! Scherzi a parte, mi fareste immensamente felice, e mi fareste sentire meno fallita :)


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Capitolo 2
*** 2) Old Boy ***


Che nel corso della vita tutti siano stati vittime di metamorfosi, è un dato di fatto.
Nel caso di Mem, in quel lasso di tempo dai quindici ai diciassette anni la nostra eroina cambiò come cambia un cucciolo che crescendo diventa un grizzly: i vestiti si scurirono, i capelli diventarono sempre più corti, i lobi delle orecchie si riempirono di buchi e i polsi di cuoio.
Contemporaneamente i fianchi si scolpirono e il seno crebbe, i lineamenti del viso si fecero più marcati e le gambe più sode.
Ci volle un po' perché i ragazzi si accorgessero di lei e, quando successe, era troppo tardi: ormai nel cuore di Mem c'era un ragazzo, un Old Boy che l'aveva conquistata con quello sguardo profondo che sembrava in grado di leggerle dentro, come nessuno era mai riuscito a fare.
 In realtà Mem stessa non era sicura che lui sapesse davvero tutto di lei, ma provava del sentimento per lui. E se quel sentimento lo maneggiava con cautela, era unicamente a causa della loro giovane età -al fatto che a quell'età le cose cambiavano velocemente come il prezzo del petrolio.
 L'Old Boy ovviamente era perso: più la guardava, più si stupiva. Quando l'aveva baciata per la prima volta Mem ancora non era diventata quella che era, ma presto era fiorita, sbocciata: era diventata l'invidia di tutti i ragazzi del quartiere.

 -Mem, stai progettando qualcosa per ferragosto?
 -Penso di sì, papà. Vediamo chi riusciamo a radunare e saliamo al bosco, a cuocere un po' di ciccia.
 -... E a bere come le spugne.
 -Beh, non penso... insomma...
 -Lasciamo stare. Chi siete?
 -Non li conosci.
 -Potrei conoscerli.
 -Levatelo dalla testa e mettitelo ai piedi.
 -Starei molto più tranquillo!
 -Ma tu devi stare tranquillo comunque.
 -E come? Ancora non ho mai visto neanche il tuo...
 -Non ricominciare, dai. Fatti bastare una cosa: una volta che sei la ragazza del mio ragazzo, sei in una botte di ferro.
 -In che senso?
 Come si fa a rispondere a una domanda del genere, posta da un padre? Gli adulti spesso non capiscono che ci sono dei limiti oltre i quali non si possono spingere. Cercare di superarli è controproducente: gli adolescenti hanno regole che gli adulti non possono capire, neanche volendolo.
 Gli adulti non sono mai stati adolescenti.
 Ed era esattamente questo il terrore di Mem: arrivare all'età adulta senza ricordare un emerito di quando aveva diciassette anni, un ragazzo e le scampagnate al bosco con gli amici innaffiate di birra.

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Capitolo 3
*** capitolo 3! ***


(E puttanelle e lamentele e sofferenza e forza e sperimenti di identità e due ragazzi belli come solo loro sanno essere) 

-Mem...-
 -Mem di 'sto grandissimo cazzo-
 L'Old Boy sospirò: non sopportava di vederla soffrire. Eppure, inevitabilmente, succedeva.
Sebbene lui non si fosse fatto la barba da un po', e sebbene lei non vestisse altro che un vecchio maglione sformato dal fratello, entrambi apparivano estremamente belli alla luce del sole mattutino. 
 Avevano tranquillamente fatto sega a scuola e si erano rifugiati lì dove tutto era cominciato: c'era l'imponente facciata di una chiesa del XIII secolo, davanti la chiesa un immenso prato e oltre il prato un vasto parco. 
 Mem e l'Old Boy avevano oltrepassato i cancelli del parco, avevano percorso il viale centrale e si erano buttati sul prato, neanche lontanamente curato come quello antistante la chiesa. Somigliava più a un campo incolto, con l'erba primaverile che arrivava loro alla vita, ma andava benissimo così: erano soli, erano nascosti, erano liberi ed erano al sole.
 -Mem, non ne vale la pena...-
 -Perché quella puttanella continua a torturarmi? Perché non si rende conto di quello che ha, invece di starsi sempre a lamentare per quello che non ha? Ma, soprattutto, perché deve venirlo a dire a me, che sto messa mille volte peggio di lei?-
 -Ti va di raccontarmi tutto dall'inizio?-
 -No. No, non ne ho la minima intenzione. Io non vado a scaricare le mie frustrazioni sugli altri-.
 -E io ti servo solo per divertirti un po' quando ne hai voglia?- l'Old Boy incrociò le braccia.
 -No, tu mi servi per... oh, tu mi servi. Ho bisogno di te, fatti bastare questo-.
 -Io invece ho bisogno di vederti tranquilla-.

 Mem si lasciò cadere all'indietro: ora uno spettatore non avrebbe potuto vederla, affondata tra l'erba. L'Old Boy però sì: seduto a gambe incrociate vicino a lei, si concentrò per un attimo sui suoi tratti. Le carezzò uno zigomo.
 -Dimmi cosa è risuccesso-.
 Mem sospirò:
 -La solita storia: la puttanella si lamenta, e io devo sorbirmela. Per carità, fino a quando le serve per star bene, faccio volentieri la parte del punching-ball... ma non quando esagera. Non quando sa come sto messa io, e... oh, al diavolo!-
 -Puoi piangere se vuoi- sussurrò lui.
 -Io non piango mai-.
 -Non sei di ferro-.
 -Non sono neanche di vetro. Sono ciccia, come tutti, solo un po' più cruda-.
 -Al sangue...-
 -Mai come in questo periodo-.
 L'Old Boy sghignazzò:
 -Questo spiega molte cose... non posso avvicinarmi, vero?-
 -Non sai quanto lo vorrei, ma lascia perdere. Non ti conviene. Diamine, è per questo che sono così nevrotica oggi-.
 -Sei comunque bella-.
 -Vaffanculo-.
 L'Old Boy si chinò e le diede un leggero bacio sulla guancia.
 -Non  è per la puttanella che stai così, vero?-
 Mem si morse il labbro.
 -No. Non me ne frega niente di lei. Si lamentasse pure, sputasse anche sopra a tutto quello che ha. Il fatto è che rosico, rosico come una merda... io non voglio la luna, chiedevo solo una vita normale-. Sia detto a suo onore, Mem non cacciò neanche una lacrima. Era proprio carne cruda, cruda e tosta.
 L'Old Boy sospirò, per l'ennesima volta: completamente disarmato.
 Cosa puoi rispondere a un'affermazione del genere? Come puoi consolare chi non può essere consolato?
 Se Mem ancora era viva, lo doveva solo alla sua forza di volontà; se non aveva ceduto al dolore, se riusciva talora a sorridere, era solo perché aveva trovato dentro di sè la forza per andare avanti. E dove altro altrimenti?
Era per questo che lui la ammirava: Mem aveva radunato quelle poche cose che le erano rimaste (lui, un paio di genitori sgangherati e una manciata di buoni amici) ed aveva sorriso alla vita con aria di sfida.
 Ma a volte crollava: aveva la sventura di incontrate persone poco sveglie, o totalmente prive di tatto, e ogni volta rischiava di precipitare.
 -Scusa, non dovrei parlare così. Lo so che tanto sbandierare il proprio dolore non serve, perché tanto le cose non cambiano. Perché non mi freni quando parto in quarta? Alla fine, finisco sempre col farti sentire a disagio, senza parole-.
 -Mem... se non ti fermo, è perché voglio sentirti parlare. E' perché sei talmente forte che assistere alla tua ira è uno spettacolo fenomenale-.
 -Ma quella non era ira, era tristezza...-
 -Sei triste perché sei arrabbiata, o sei arrabbiata perché sei triste?-
Mem arricciò il labbro: quelle parole le ricordavano la vecchia Lina.
 -Quello che ti ho detto resterà tra noi, sia chiaro. Parlo così con te solo perché sei tu... per il resto, il dolore è una cosa troppo intima per farla correre in giro, come invece piace fare a un sacco di gente-.

 -Tu pensi che qualcuno riuscirà mai a capire cosa ti ha fatto così soffrire nella vita?- l'Old Boy sogghignò.
 Mem si tirò su, si spazzò via dal maglione alcuni steli d'erba secca e gli si pose di fronte:
 -Mai. Sto facendo un buon lavoro con la mia identità: tutti conoscono la mitica Mem, e io non mi sono neanche dovuta sforzare. E' bastato essere me stessa. Non è fantastico?-
 L'Old Boy la fissò, a metà tra il divertito e il preoccupato:
 -Credo di sì. Però attenta: l'identità non è qualcosa con cui giocare. E neanche la cavia per i tuoi esperimenti-.
 -Grazie. Ma mi sento abbastanza forte da poter sperimentare ancora-.
 Il ragazzo sorrise, poi la strinse:
 -Se ti diverti così, fai pure. Nella peggiore delle ipotesi, io sarò lì a raccoglierti col cucchiaino-.

Mem e il suo Old Boy si alzarono da quel campo qualche mezz'ora dopo. Non risalirono il vialetto mano nella mano, ma non per fare gli alternativi: stavano solamente facendosi il solletico. Correvano, inciampavano, sparivano nell'erba alta e poi riemergevano, e ricominciavano.
 Io che li ho visti posso dirlo: erano fottutamente belli.
 E non belli come due modelli -al contrario: lei aveva i capelli arruffati, i denti un po' storti e il maglione che le minimizzava le forme, lui se non era basso era vicino all'esserlo-, ma come due ragazzi che hanno fatto sega a scuola e si stanno rincorrendo per un prato che poco somiglia agli ordinati prati inglesi.
 Insieme si completavano, spaccavano il culo al mondo.
 Un po' volgari nel parlare, sempre più disinvolti nel confidarsi, incredibilmente timidi nello scoprirsi.  
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4! ***


(E lei e ricordi e Monica e l'errore e il biasimo)

A volte lui la guarda e deve riflettere un attimo prima di realizzare che è sua figlia.
Non gli sembra quasi possibile: si chiede se davvero abbia contribuito anche lui. Spesso si risponde di no: c'è poco di lui in Mem.
 Mem è più come lei.
E' stata lei a portarsela dietro nove mesi, lei a nutrirla e ad allattarla e a farla giocare quando non sapeva balbettare che poche parole. Era lei che la prendeva in braccio come se fosse naturale, come se quel corpicino di neanche un anno fosse ancora complementare al suo; Mem si incastrava perfettamente tra le sue braccia, come non si è mai incastrata in quelle del padre.
Tutt'ora, lui non l'abbraccia quasi mai: non quando era lei ad abbracciare Mem.
 Fino a quando Mem aveva dieci anni, tutto era andato per il meglio: era una bambina forse un po' svampita, con spessi occhiali da vista e i gomiti sempre sbucciati.
Suo padre riusciva a starle dietro abbastanza facilmente: anche senza nessun altro aiuto, gli riusciva ancora facile farla divertire e mandarla in giro vestita come si deve.
Fin quando era bambina, Mem era ancora Filomena.
Forse sentiva la mancanza di sua madre, forse no. L'unica cosa sicura era che ricordava perfettamente quel breve periodo in cui aveva vissuto con lei... e furono proprio quei ricordi, che custodiva gelosamente, la causa del suo precoce sviluppo.
 Tutto ebbe inizio con la voglia di suo padre di consolazione: ora che la sua bambina era cresciuta, perché avrebbe dovuto temere di rimettersi in gioco?
 La nuova donna era arrivata nelle loro vite all'improvviso: prima Mem giocava con le bambole, poi si era ritrovata chiusa in camera, con le lacrime agli occhi, a scrivere furiosamente sul primo foglio che le era capitato sotto mano quanto la odiasse.
 La nuova donna si chiamava Monica.
 Era più giovane della madre di Mem, più magra e più elegante. A detta di Mem (che ora aveva dodici anni e tanto tanto rancore) era anche più stupida, ma tant'è.
Non aveva né potuto né tantomeno voluto fare niente per ostacolare l'unione: da tempo suo padre non era più la colonna portante della sua vita e, se Monica lo faceva stare felice, che facesse pure. 
 Era stata Monica il motivo? Era a causa sua che Mem si era allontanata così tanto da lui?
 No, Monica non c'entrava. Alla lunga, forse Mem sarebbe anche riuscita ad andarci d'accordo.
 Il problema fu che Monica era arrivata proprio nel momento in cui Mem aveva più che mai bisogno di suo padre.
E lui aveva commesso invece l'errore madornale di dedicarsi a Monica, considerando che ormai sua figlia fosse abbastanza cresciuta da poter pensare un po' a sé.
 Nessuno si accorse in tempo di quell'errore: persino Mem era intimamente convinta di potersela cavare da sola.
Stava entrando nella pubertà, mio dio. Nel suo corpo stavano accadendo cose troppo intime da poter essere confidate a un padre... no, meglio farsi i fatti propri.
Papà aveva Monica.

 Ed ora eccoli lì: di nuovo soli, di nuovo insieme.
Legati dal sangue che scorreva loro nelle vene, ma estranei quanto due passeggeri di un autobus.
A volte lui la guarda, e non la riconosce. Gli sembra che sia cresciuta in un minuto: il tempo di assentarsi un attimo e sua figlia era diventata una persona diversa. In casa sua. 
A volte lui la guarda e si morde le labbra: ha paura. Teme che non riuscirà mai a capirla, a conoscerla.
Ma lui è suo padre, per Dio! Come ha potuto lasciare che accadesse una cosa del genere? Dov'era lui, mentre Mem faceva a gomitate per ritagliarsi un posto in quella sfigatissima vita dove era capitata?
 Però tiene ancora una foto, sul comodino della sua camera, e in quella foto c'è la risposta: Monica. Ecco dov'era.
 E la cosa peggiore era che né lui stesso né Mem riuscivano a provare biasimo per lui.

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Capitolo 5
*** capitolo 5! ***


(Le brutte storie)

-A volte mi sento incredibilmente fortunato: è possibile che io sia l'unico a conoscerti sul serio?-
-Pare di sì. Mi passi l'olio?-
 L'Old Boy aprì uno sportello di fianco alla cappa fumaria e le passò una bottiglia verde scuro.
Mem la aprì, sopportando a stento l'unto che le si appiccicava ai polpastrelli.
 -Sei sicura di riuscire a...-
 -So cuocere una cotoletta, stolto!- ringhiò lei. Fece colare un filino d'olio sulla padella.
L'Old Boy fissò teneramente il suo sguardo concentrato, poi sorrise e le levò dolcemente la bottiglia dalle mani.
 -Tuo padre dovrebbe lasciarti sola a pranzo meno spesso. Sei un pericolo!-
 -Stavo semplicemente versandolo...-
 -Invece di fare danni qui -so che ne faresti- metti la tavola, che ne dici?-
 Mem arricciò le labbra fingendosi stizzita, poi gli schioccò un bacio sulla guancia e cominciò a cacciare le stoviglie.
 L'Old Boy mise al sicuro il loro pranzo, poi si appoggiò al bancone e si fermò a contemplarla.
 Era bella, sì. Non bella come lo sono le modelle, ma lo stesso bella.
 Si sentì incredibilmente fortunato a considerare che era sua.
 -Odio le donne che non sanno cucinare- le disse. Mem si voltò, facendo svolazzare quel caschetto arruffato che erano i suoi capelli.
 -Be', fottiti-.
 -Burbera...-
Mem sorrise, gli si avvicinò e lo abbracciò: -tanto non mi lasci. Sei talmente sfigato che l'unica che ti si è cagato sono stata io!-
 L'Old Boy la baciò delicatamente e lei rispose alzandosi sulle punte (sebbene non fosse necessario). Si staccarono solo quando le cotolette dietro di loro cominciarono a sfrigolare, come se volessero richiamarli all'ordine.
 -Si arrabbiano!- esclamò spaventata Mem, nascondendosi dietro la schiena del ragazzo.
 -Mettiti al riparo, dovessi correre il rischio di morire- sghignazzò lui, dandole un pizzicotto.
 Mem si sedette a tavola, aspettando di essere servita. Sembrava una bambina educata vista così... anzi, no. Mem non sembrava mai una bambina.
 -Dove hai detto che sta tuo padre?- le chiese.
 -Un congresso dalle parti di Perugia. Bella Perugia. Comunque, torna stasera-.
 -E se non ci fossi stato io, saresti rimasta tutto il tempo da sola?-
 -Ma anche no. Penso che avrei radunato un po' di gente della classe e ce ne saremmo stati qui a cazzeggiare...-
 -Se vuoi posso levarmi dalle palle...-
 -No, voglio stare con te oggi. E poi... sarebbe stata una rottura far sparire tutte le foto da ogni angolo di questa casa-. Mem sospirò.
 L'Old Boy capì.

 La prima volta che era entrato in quella casa, era ovviamente emozionato. Insomma, i suoi amici avevano scommesso su di lui -anche su Mem- e, anche se aveva cercato di mascherare l'imbarazzo come meglio poté, era pur sempre un ragazzo. Un maschio.
Però qualcosa era riuscito a fargli dimenticare per un attimo la sua impazienza... e meno male, perché Mem non aveva la minima intenzione di assecondare le più rosee previsione di quei pervertiti che conosceva l'Old Boy.
 In ogni caso, lui era entrato e la prima cosa che aveva visto, sulla mensola del camino, era una foto. Una foto molto bella, che ritraeva una donna altrettanto bella: era seduta e non si capiva se era alta o bassa, ma faceva mostra di un'orgogliosa scollatura, capelli tagliati all'altezza delle spalle un po' mossi e labbra morbide di rossetto.
E subito la domanda più ovvia: dopotutto, conosceva Mem da qualche mese... abbastanza per sapere che sua madre "non c'era più", pochi per osare scendere nei dettagli... almeno con una come Mem.
 -Mem, lei è tua mamma?- aveva chiesto.
 Mem si era avvicinata, senza rispondere, e aveva preso la foto. L'aveva fissata con una smorfia sul volto che riservava solo a quella foto.
 -No. Lei era Monica-.
 L'Old Boy era rimasto senza parole.
 Mem, che per quanto burbera nel parlare era comunque oltremodo sensibile nel percepire, aveva capito il disagio dell'Old Boy. Era per quello che, ogni volta che aveva qualche ospite (sempre quando suo padre non era in casa) nascondeva la foto: voleva evitare l'imbarazzo.
 -Monica era la seconda moglie di papà. Dopo che mamma... se ne è andata. In Grecia-.
 -In... in Grecia?- l'Old Boy era quanto mai confuso.
 -Questioni di lavoro. Mamma ha preferito quello a papà... e a me. Figo, vero?- 
 L'Old Boy aveva sentito l'aria scappargli dai polmoni, ed aveva avuto improvvisamente bisogno di respirare.
 -Oh...-
 -Non preoccuparti. Tanto, il resto l'avrai capito...-
 -Non so cosa mi spaventa di più. Se quello che mi hai raccontato... oppure realizzare che della seconda moglie di tuo padre parli al passato-.
 Mem sospirò e rimise la foto al suo posto.
 -E' andata così. Un incidente in macchina. C'era la neve, e ghiaccio sulla strada...-
 -Non devi raccontarmelo per forza-.
 Mem si era rifugiata tra le sue braccia, inquieta: cazzo.
Avrebbe dovuto fare piazza pulita. Non le piaceva che qualuno si avvicinasse troppo a quelle storie...
 -Ma io Monica non la soportavo. Ed è stato solo un colpo enorme di sfiga... non volevo che andasse a finire così-.
 L'Old Boy la coccolò, senza sapere cosa dire.
 -Mi spiace che tu sia venuto a sapre queste brutte storie... non avrei voluto raccontartele-.
 -Non fa niente... quanti lo sanno?-
 Mem sospirò: forse fu quasi vicina alle lacrime.
 -Solo tu-.

Era stato un caso, un errore: una decisione presa all'ultimo momento, così non aveva avuto tempo di far sparire la foto. Di evitare le domande.
Era stato un caso che l'Old Boy si fosse avvicinato così tanto.
 


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Capitolo 6
*** Capitolo 6! ***


Mem era tanto legata all'Old Boy, quanto non lo era a suo padre.
Cosa anche abbastanza strana: nessuno dei due uomini in questione lo sapeva, ma in realtà dal punto di vista caratteriale si somigliavamo molto. Quando lei ci aveva fatto caso ne era rimasta un po' infastidita... ma la differenza era che uno lo amava, l'altro no.
 Cazzate: voleva bene anche a suo padre.
Dopotutto, tra tutte le donne che aveva avuto lei era l'unica che gli era rimasta vicino. Mica come sua madre che era volata via in Grecia, mica come Monica che...
Gli voleva bene, ma non glie l'avrebbe mai confessato. Preferiva lasciare che lui si macerasse nel dubbio.
 A volte si chiedeva perché continuava ad essere così sadica, ma poi ripensava a quando lui era preso da Monica invece che da lei. A quando si portava Monica sempre dietro, a quando lei improfumava tutto il bagno con il suo stupido profumo, a quando cucinava sui loro fornelli i suoi stupidi cibi (non avevano più mangiato così bene), a quando spostava gli oggetti durante le sue stupide pulizie, a quando cercava di piantare le sue stupide piante che tanto poi morivano sempre e restavano lì, sui davanzali, per intere stagioni.
 Non aveva mai accettato la sua presenza in casa.
 Non nella casa in cui aveva abitato sua madre. E non le si venisse a raccontare che sua madre era stata davvero una stronza: ci arrivava da sola, ma vallo a spiegare al cuore.
 Ma, se pensava che la situazione non sarebbe potuta peggiorare, non aveva messo in conto quello che sarebbe successo: un incidente stradale.
Un banalissimo incidente stradale, stupido come tutto quello che aveva sempre riguardato Monica. E chi se lo sarebbe aspettato? Le notizie del telegiornale succedono sempre agli altri, no?
 A quel punto, il padre era rimasto dilaniato dal dolore. E la cosa peggiore era che questa volta sarebbe stato solo nel lutto: Mem l'aveva presa male, forse aveva pure pianto al funerale, ma non aveva potuto condividere quello stesso dolore... Monica era solo la sua quasi-matrigna: il legame che le legava non era neanche lontanamente paragonabile all'amore li stava per condurre all'altare.
 
 La prima cosa che si notava entrando a casa loro ormai era la palese mancanza di una presenza femminile. Una donna delle pulizie faceva il possibile il mercoledì mattina, ma poco ci voleva perché tutto tornasse il solito guazzabuglio in poche ore.
C'erano piatti che aspettavano di essere lavati (il padre aspettava che li lavasse Mem e Mem aspettava che si lavassero da soli) e tavolini ingombri di incarti delle tavolette di cioccolata, posaceneri pieni e fondi di vino lasciati la sera prima.
Il padre di Mem non aveva mai oltrepassato il limite: da qualche parte sua figlia avrà pur dovuto riprendere la forza.
Però faceva comunque uno strano effetto vedere le bottiglie di alcolici il cui livello si abbassava sempre più velocemente.
 Suo padre non la capiva: non era un uomo stupido, aveva avuto anche lui diciassette anni ed era uno di quei pochi adulti che provava a ricordarsi cosa si provava ad essere adolescente.
Aveva intuito le cause del loro distacco, sapeva che c'entrava Monica e tutto quello che aveva portato con sé e poi spazzato via... ma, lo stesso, non capiva come avvicinarsi a sua figlia.
 Lei era spesso silenziosa: non parlava, se non sporadicamente, e sempre di argomenti leggeri. Eppure, la parlantina non le mancava: una sacco di persone la cercavano e lei aveva sempre una mezz'ora per chiacchierare con chi aveva bisogno di lei.
 Certo, ne era orgoglioso.
 Ma non lo era altrettanto di sé stesso.

 Un pomeriggio in cui lei non c'era, quando l'inverno è profondo e il cielo è già scuro anche se sono le cinque del pomeriggio, si ritrovò in salotto, con del tempo per pensare. 
 Lo aveva preso all'improvviso una sensazione di déjà-vu: forse era il salotto ordinato (la donna delle pulizie aveva addirittura lavato le tende!), forse era la luce principale accesa, forse era il periodo dell'anno - i momenti più belli, sia con la madre di Mem sia con Monica, li aveva vissuti in inverno, al caldo del camino.
Non avendo nient'altro da fare, aprì il mobiletto in legno scuro, quello antico che era della nonna, e prese l'album delle foto.
 Una scena altamente patetica, ma da qualche parte sarebbe pur dovuta scaturire l'idea.
 Guardala, Filomena: era stata una palla di grasso fino ai due anni di vita, poi aveva cominciato a slanciarsi. Il ritratto della salute.
 L'uomo, appoggiato al divano con un bicchiere di Brandy in mano, continuò a sfogliare le foto: Filomena aveva sempre avuto lo sguardo incazzato... su una bambina l'effetto era più che buffo.
 Continuava a voltare le pagine, ma non c'erano molte foto; la maggior parte giaceva sul fondo dei mobili e dei cassetti, gettate alla rinfusa, ma comunque non era mai stata una loro priorità fare foto alla loro bambina.
 Da aggiungersi il fatto che, tempo di farle compiere cinque anni, sua madre già era lontana: a quel punto la voglia di fare foto era passata a entrambi.
 Quando Mem rientrò, trovò suo padre sommerso tra varie pile di foto, sempre più vecchie.
 -Cos'è quella roba?- chiese la ragazza.
 -Foto- rispose lui.
 Mem si avvicinò incuriosita.
-Anche questo schifo?- sghinazzò alzando una foto di lei da piccola.
 -Eri spettacolare-
 -Ma vi eravate dimenticati di mettermi il costumino...-
 -Non vedi che begli occhi?-
 -Non avevo i capelli-.
 -Neanche ora. Te li sei tagliati quasi tutti...-
 -Ma che dici!-
 Si misero insieme a scartabellare le foto e passarono un'oretta piacevole. Erano entrambi tranquilli.
 
Quella sera, il padre di Mem prese una decisione: se Mem non voleva raccontarsi di sua spontanea volontà, ci avrebbe pensato lui ad avvicinarla. Lei non gli concedeva di conoscerla? In tal caso, si sarebbe rivolto a chi la conosceva sul serio. 
Si registrò il numero dell'Old Boy e andò a dormire con una missione per il giorno dopo.
Sarebbe bastato poco: una chiamata, una birretta e una chiacchierata.


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Capitolo 7
*** Capitolo 7! ***


Fuori faceva indecentemente caldo per essere gennaio; la giornata era cominciata nel più splendido dei modi, con un'alba mozzafiato dalle tinte sgargianti, e pian piano il cielo era diventato azzurro come se volesse fingersi estivo. Bastardo: ci pensava un vento malefico a ricordarti che era inverno.
 Solo che era arrivata la sera e il cielo non si vedeva più. C'erano un po' di stelle, ma non bastavano per essere romantiche.
 Non era neanche necessario che lo fossero: già c'era abbastanza imbarazzo tra i due uomini, dentro il pub.
Era un giovedì sera e tutti gli universitari si stavano dando da fare, come al solito. Il locale era pieno di giubbotti neri, birra, giovani e meno giovani.
Un posto perfetto per loro, insomma.
 Il padre di Mem era arrivato con qualche minuto in anticipo sulla sua auto nera che puzzava costantemente di fumo. Aveva aspettato che l'orologio digitale scattasse a segnare le diciotto e trenta, poi era sceso ed si era acceso una sigaretta. 
 Conosceva di vista il ragazzo di sua figlia: i due stavano insieme da abbastanza tempo per poter essere stati beccati in giro. Ogni tanto, il sabato sera, lo riaccompagnava pure fino a casa sua.
 Però al telefono era stato abbastanza simpatico: imbarazzato, sì -so per certo che tra i due era stato lui il più stupito-, ma lo era anche lui, quindi non ci aveva fatto caso. E poi voleva trovare più pregi possibili a quel ragazzo... dato che era riuscito in quello che a lui era stato negato: ottenere la fiducia di Mem. 
 Appoggiato alla portiera della macchina, lo vide scendere da un autobus qualche minuto dopo. Prendeva l'autobus: mmm.
 Lui lo riconobbe e, con lo sguardo basso, si avvicinò titubante. Poi si ricordò di doversi mostrare all'altezza, quindi alzò il viso e porse la mano all'uomo.
 -Buonasera- disse, cercando di apparire sicuro.
 -Buonasera- rispose il padre di Mem.
 Imbarazzo: non c'era parola più adatta per descrivere i secondi immediatamente successivi.
 -C'è un posticino qui vicino...- tentò l'Old Boy.
E fu così che si ritrovarono nel pub. A ordinare due birre, a guardare le ragazze poco dignitose e a stropicciarsi mani e dita sempre più sudate.
 -Come va con lo studio...?- chiese il padre di Mem.
 -Non vado all'università, lavoro in una pizzeria. E' quella in centro, che fa angolo con via Cinelli...-
 -Oh. Be', interessante- risose secco l'uomo. Mmm.
 -Non molto in realtà... ma sto spedendo delle tavole ad alcune case editrici, avere una possibilità in quel campo sarebbe una cosa che mi piacerebbe molto di più...- l'Old Boy rispose con quel tono sofisticato che in genere si usa durante le interrogazioni o gli esami.
 -Direi proprio di sì. E' una tua passione, il disegno?-
 -Sì. Per questo mi piacerebbe riuscire. Insomma... essere pagati per qualcosa che piace è una doppia soddisfazione: per me, e per chi usufruisce del mio lavoro... dato che i risultati saranno sicuramente migliori. Ehm... giusto?-
 -Giustissimo-.
 L'Old Boy esultò intimamente.
 Arrivarono le birre e la cameriera sorrise all'Old Boy. Lui distolse lo sguardo: non era proprio il caso.
 -Be'... brindisino a Mem- disse l'uomo.
 -A Mem- sorrise l'Old Boy.
 Trassero un primo sorso; l'Old Boy misurò attentamente il momento esatto in cui posare il boccale: prima del padre di Mem sarebbe stato perfetto.
 -Sai che ti dico, non è il massimo questa birra- disse l'uomo.
 -Be'... a me piace-.
 Istante di silenzio: i due stavano iniziando a tracciare i propri territori.
 -In Germania ho bevuto birre divine-.
 -Oh... la invidio. L'anno scorso io e un po' di amici stavamo pensando di andare all'Oktoberfest, ma poi non se n'è fatto più nulla-.
 -Come mai?-
 -Impegni universitari degli altri, soldi... le solite cose-.
 Il padre di Mem arricciò un angolo del labbro e se l'Old Boy non sentiì quell'ennesimo mmm fu solo per il chiasso del pub.
 -Avresti portato Mem con te?- chiese poi a tradimento.
 Il ragazzo si morse il labbro: era il momento di dire esattamente la cosa giusta.
 -Non stavamo ancora insieme. Ci conoscevamo, ma solo di vista...-
 Ecco, aveva sbagliato: se ne accorse subito dopo aver parlato.
 -...E se foste stati insieme?- chiese infatti il padre di Mem.
 -Be'... penso di no. A parte che Mem ha ancora la scuola, non può assentarsi all'inizio dell'anno per due settimane, e poi... lei ha i suoi spazi. Non credo che sprizzerebbe di gioia a dover passare diversi giorni in compagnia di altre persone ventiquattro ore su ventiquattro-.
 -Credo di no, hai ragione-.
 -Lei mi ha chiamato per parlare proprio di Mem, vero?- chiese l'Old Boy.
 -Sì, esattamente. Credo che tu ne sappia molto più di me-.
 L'Old Boy si sentì in un certo senso colpevole. Non era nell'ordine naturale delle cose, che un padre non conoscesse la propria figlia...
 -Lei è pur sempre suo padre- mormorò.
 -Questo sì... sai, la conosco da quando era piccola e lo so che non è mai stata molto affettuosa. Ho sempre pensato che crescendo sarebbe stata... solitaria. Invece, è successo proprio l'opposto: è estremamente socievole, con tutti gli amici. Almeno a quanto risulta a me...- 
 -Oh, è così-. L'Old Boy si sentiva inquieto a parlare di Mem davanti a suo padre, ma capiva che era l'unica cosa da fare. -Mem è... be', agli occhi di tutti è mitica. Estremamente forte... ma di tutta le gente che conosce, pochi sanno molto di lei. Ha ragione quando dice che è socievole: le piace stare con le persone, le piace che stiano bene; ma quando si avvicinano troppo, inizia a fissare dei paletti e non permette che si oltrepassino. Le piace stare sola-.
 -Stare sola... sai, lei è stata sola molto spesso. Quando sua madre se n'è andata io lavoravo a turni pieni, e lei restava a casa in compagnia di una babysitter a cui non ha mai dato troppa confidenza. Poi... la storia la sai-.
 -Già-.
 -Ma è forte-.
 -Immensamente-.
 -Da un lato è una colpa. Colpa mia, di sua madre e di quello che le abbiamo fatto passare-.
 -Lei dice che era così che dovevano andare le cose. Che il suo futuro non prevedeva due genitori uniti... e quindi si era adattata, cercando di farsene una ragione-.
 -Non ho mai capito se ci è riuscita-.
 L'Old Boy ci pensò un po' su:
 -Io penso di sì. E' tranquilla quando si tratta di spiegare che i suoi non stanno insieme... ma nell'intimo qualcosa le manca. Manca un po' a tutti i figli in queste situazioni, no?-
 Al padre di Mem non piacque quell'"Io" all'inizio della frase. E per questo rincarò il tono: voleva chiarire che Mem era prima di tutto sua.
 -Ci abbiamo pensato a lungo, io e sua madre. Ma certe cose non sono prevedibili, e quando succede... tu sei giovane, ma lo capirai.
 Se a lui non era piaciuto un semplice pronome, all'Old Boy non piacquero le ultime due frasi: come se lui fosse ancora così immaturo.
Ma c'era una gerarchia da rispettare: Mem era prima di tutto del padre.
 -Ne sono sicuro...- Be', Mem era del padre, ma lui sapeva tutto ciò che a lui mancava. Teoricamente era più in alto il padre, ma praticamente il comando lo teneva l'Old Boy. -Ma Mem è venuta su così, e nessuno può farsene una colpa... anche perché Mem tutto rappresenta, tranne che una colpa. Anzi... se fosse mia figlia, ne sarei orgoglioso-.
 Il padre ebbe bisogno di un attimo, così tracannò un sorso di birra.
 -Infatti ne sono orgoglioso. E' di come è stata costretta a crescere che non lo sono-.
 L'Old Boy prese anche lui un po' della sua birra.
 -Ma quello che è stato, è stato. Non serve starsi a recriminare le cose... ora ci sono altre questioni, giusto?-
 -Giusto. Ecco, io... mi piacerebbe che tu me la descrivessi. Che me la descrivessi come la vedi tu, come la vedete voi... fuori da casa-.
 L'Old Boy bevve ancora un po', poi posò il boccale.
 -Mem...- non voleva sbagliare, voleva dire tutto chiaramente. Solo che, tenendo presente Mem, la cosa era un po' difficile... però ci provò: -Mem è una brava ragazza. Brava nel senso che è buona: una piacevole novità, quando tutte le ragazzine fanno di tutto per essere delle...- non mi pare proprio il caso di uscirmene con un...
 -Puttane?-
Questione risolta.
 -Ecco, quello. Mem si sforza per essere buona. E' la sua caratteristica principale. Non che ci riesca sempre, ovvio... E poi è forte: è una cosa che notano tutti, non appena le parlano un po'. E' buona, è forte... è riservata. Ad alcuni sembra fredda-.
 -Questo è quello che so anche io...- lo interruppe il padre di Mem.
 -Questa è Mem. E non ci credo che lei non la conosca: è suo padre. Forse la conosce anche meglio di quanto si conosca lei stessa...-
 -Qualcosa mi avrà pur spinto a cercarti, non credi?-
 -Sicuro. Ma io non posso aiutarla più di quanto non possa fare lei-.
 Se fosse stata presente, Mem sarebbe stata percorsa dai brividi per tutta la conversazione, fino a sarentare il terrore a quest'ultima battuta: l'Old Boy stava allargandosi troppo.
Ma lei non c'era e lui era solo a fare i conti con limiti che non conosceva.
 -Siamo punto e a capo, allora...- l'uomo cercò di non sembrare troppo aggressivo.
 -Non credo- L'Old boy in realtà era ormai convinto di aver capito quale fosse il problema dell'uomo che aveva davanti: paura.
Paura di sbagliare, di perdere per sempre l'unica donna che era rimasta nella sua vita... ma non aveva la minima idea di come farglielo capire: non poteva certo dirglielo così.
 -Se vuole, posso parlarle io- propose.
 -No, so cavarmela. Grazie comunque della chiacchierata...-
 -Faccio io- disse l'Old Boy non appena l'uomo fece per cacciare il portafoglio.
 -Non dire sciocchezze-.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8! ***


Passò una settimana, poi un'altra, poi un'altra ancora. Il tempo scorreva, anche se stava diventando sempre più difficile rendersene conto; le ore a scuola sembravano infinite ed estremamente lunghe, ma poi Mem si rendeva conto che l'inizio del mese era passato da almeno tre settimane. 
 Una mattina si ritrovò in palestra, insieme alla sua classe e ad un professore che cercava di far valere la sua autorità, troppo spesso messa in dubbio dal potere che i colleghi di greco e latino riuscivano ad accaparrarsi in un liceo.
A volte gli studenti dovevano fare uno sforzo per ricordarsi che, a livello di gerarchia, il prof di ginnastica e quella di greco e latino erano sullo stesso livello... aggiugiamo anche questa alla lista di ingiustizie della vita per i poveri prof di ginnastica.
 Le due ore settimanali stavano per finire e ai ragazzi erano stati concessi quindici minuti di libertà.
Mem si era appallottolata in un angolo, seduta a terra, mentre guardava i compagni di classe uccidersi a vicenda giocando a pallavolo.
Appallottolata è il termine giusto: in realtà sentiva di non poter fare alcun tipo di movimento senza cacciare un urlo, dato che un dolore lancinante dalle parti delle ovaie la costringeva a restare piegata in due.
 No, non avrebbe davvero voluto maledire quel dolore, dato che le ricordava di essere donna. Ma, cavolo... era raro che le prendesse così forte.
Lei era Mem: non poteva lasciarsi vincere da un semplice ciclo.
 Un gruppo di compagne era seduto accanto a lei; le ragazze ciarlavano allegramente, senza curarsi di prestare attenzione al gioco. Mem non si era unita alla conversazione; un po' perché era certa che ad aprirre bocca avrebbe vomitato anche l'anima, un po' perché non ne aveva la minima intenzione.
Non l'avrebbe avuta anche se fosse stata bene: durante quelle settimane si era sentita inspiegabilmente volubile, tanto da preferire l'isolamento. Restava sempre vicina al suo gruppo di amici, ma non prendeva parte attiva alle conversazioni e ai giochi: semplicemente, si scostava e restava ad ascoltare, ad osservare.
 Gli amici la lasciavano fare: la conoscevano abbastanza per sapere che era meglio non forzarla. Inutile chiedere se potessero fare qualcosa... se Mem, la Mem estremamente forte, aveva bisogno di quiete, che quiete fosse.
 Mem socchiuse gli occhi, incurante delle probabili schiacciate che avrebbero potuto colpirla. Stava quasi per raggiungere uno stato catartico, quando sentì una voce più vicina.
 -Mem, come stai, un po' meglio?- chiedeva una compagna di classe.
 Mem alzò la testa dalle ginocchia e la guardò sofferente, con i capelli ancora più arruffati del solito. Scosse la testa, sofferente.
 -Sicura di non voler prendere niente? Magari le bidelle hanno qualcosa...-
 -Grazie, ma non serve... passerà- Mem si sforzò addirittura di sorridere. La ragazza le fece un paio di grattini sulla nuca.
 -Be', guarda il lato positivo: è sempre buon segno quando il ciclo arriva-.
 -Ah ah, divertente. Io sono al sicuro...-
 L'amica sorrise maliziosa:
 -Pura e casta come la monaca di Monza. A proposito... ho visto il tuo Old Boy, l'altra sera-.
 Mem si fece interessata, cercando di non badare all'improvvisa salivazione dalla parte delle guance.
 -Dove?-
 -All'Aquilotto... ma tranquilla, non stava facendo niente di che- si affrettò a dire.
 -Figurati. Per curiosità... con chi stava?-
 L'amica si strinse nelle spalle:
 -Ci credi se ti dico che stava chiacchierando con tuo padre?- rise.
 Mem dovette ingoiare un nodo alla gola. Il suo ragazzo in un pub con suo padre?!
 -Che cosa?!- cercò di reprimere una fitta alla pancia e si strinse ancora di più le ginocchia verso il petto, circondandole con le mani. 
 -Ne sono sicura... ma perché si sono visti?-
 -E io che ne so?! No, ma io li sdrumo, tutti e due, uno dopo l'altro...-
 -Dai Mem, tranquilla... magari si sono incontrati...-
 -Papà, all'Aquilotto?! Ma andiamo! No, sotto deve esserci lo zampino di uno di loro due... no cazzo, no, non mi va che si vedano!-
 -Ma magari era solo quella sera, per caso...-
 -Stavano con altri? Hai visto gli amici dell'Old Boy?-
 -Ehm, non mi pare...- l'amica era ora piuttosto imbarazzata: non pensava di poter scatenare una reazione simile... non voleva far preoccupare Mem, soprattutto non se era in quello stato.
 Mem contrasse il viso in un'ennesima smorfia di dolore, gemette e nascose la testa tra le ginocchia.
 -Questa cosa non mi quadra- riuscì a dire, -qualcuno mi dovrà dare spiegazioni-.
 
 Mem si  trascinò a casa, più morta che viva. Il mal di pancia si era un po' attutito, ma più volte sull'autobus era stata sul punto di vomitare. E che brutta scena sarebbe stata quella...
 Suo padre era rientrato prima dal lavoro e stava facendo sfrigolare il loro pranzo sui fornelli. Non appena si accorse di Mem, la salutò allegramente.
 -Buongiorno! Come è andata la scuola?- chiese. Sempre la solita domanda, da quando aveva sei anni. Riflettendoci, era una delle poche cose che erano rimaste invariate nel corso del tempo.
 -Male-.
 -E' successo qualcosa?-
 -Mi è tornato il ciclo stamattina e sono stata tutto il girno piegata in due a soffrire in silenzio- rispose secca lei.
Sapeva che era buona creanza non informare tutti - e soprattutto non informare individui di genere maschile - su quello che succedeva alle donne una volta al mese, ma Mem provava un sadico divertimento a mettere suo padre di fronte a certe situazioni: sapeva che avrebbe potuto fare poco, vuoi per l'imbarazzo, vuoi per l'ignoranza in materia. E allora quale occasione migliore per farlo sentire poco opportuno, se non quel giorno in cui era incazzata come una biscia?
 -Oh. Ehm... se ti fa tanto male, vediamo se c'è qualcosa nel cassetto dei medici...-
 -Io non ho bisogno di medicine- ribatté lei fieramente. 
 Era una cosa su cui non transigeva: era raro che stesse male, ma quelle poche volte faceva di tutto per non cedere alle medicine. Un comportamento forse un po' infantile, ma non sopportava che fosse qualcosa di inanimato e sconosciuto ad aiutarla.
A stare meglio ci riusciva benissimo da sola, il suo corpo era fatto apposta per quello.
 Suo padre ogni volta commentava con un sospiro... e, nei casi peggiori, le infilava le aspirine a tradimento nel bicchiere subito dopo il pranzo.
 Ma per quella volta decise di lasciar perdere. Di mal di pancia da ciclo non era mai morta nessuna.
 Quando si sedettero a tavola, davanti alla tovaglia macchiata del giorno prima e una cotoletta striminzita, Mem piantò gli occhi in quelli del padre, concentrato sul tegiornale.
 -Sai, mi è venuta in mente una cosa- disse.
 -Dimmi- ripose lui.
 -Non ti ho mai chiesto cosa ne pensi del mio ragazzo-.
 Bam: il padre di Mem si voltò verso di lei, stupito e preso in contropiede.
 -Io... perché?-
 -Per sapere-.
 -Be'... sai- cercò di imporsi un tono paterno e quasi formale. Un tono da papà che parla alla figlia del primo fidanzato. -Sai, ne sono un po' invidioso. Lui di sicuro sa molte più cose su di te di quante ne sappia io...-
 -Interessante. Insomma, immagino che sarebbe stimolante quindi per te farci quattro chiacchiere...-
 -Direi proprio di sì-.
 -Magari davanti ad un po' di birra, in un pub frequentato dai miei amici-.
 Il padre restò per un attimo spiazzato, poi capì di essere stato sgamato e cercò una via per ribaltare la frittata e girarla dalla parte giusta. Anzi, dannazione, la sua era già la parte giusta: era Mem che la stava rovesciando.
 -Sei sagace, ragazza-.
 -Pensi di sistemare tutto così?!- esclamò lei.
 -Che problema hai? Ci siamo semplicemente visti...-
 -Vi siete semplicemente visti?! Ma ti pare normale?!-
 -Direi di sì! Non vedo perché ti stai arrabbiando così tanto...-
 -Perché questa è la mia vita, e se rosichi perché non sai i fatti miei non vai a chiederli in giro, ma te ne fai una ragione!- strillò Mem. Forse troppo dura, ma non le importava: da tempo aveva smesso di farsi scrupoli con suo padre... almeno da quando lui e sua madre non se ne erano fatti nei suoi confronti.
 -Filomena, abbassa i fari!-
 -Ma anche no! Come ti è venuto in mente, me lo spieghi?-
 -Se solo ti sforzassi, lo capiresti! Ma no, tu non parli con me! Non ti sprechi! E allora mi spieghi come mi devo comportare? Spiegami tu, spiegami dove devo sbattere la testa, dato che ogni cosa che viene fatta per te, è uno sbaglio!-
 -Cosa avresti fatto per me ora? Niente! Sei andato in giro ad indagare sui fatti miei, ma era una curiosità tua!-
 -Ma cosa ne sai? Ne hai parlato con lui?-
 -Non mi prendere in giro!-
 -Filomena, prima di accusare me, fatti delle domande. Tu non mi aiuti! Mi dici come dovrei comportarmi?-
 -Parlandone come me, senza andare a cercare gli altri!-
 -Se avessi potuto, l'avrei fatto! Non capisci? Lui è stato l'ultima spiaggia! Te lo sei voluto tu!-
 -Ah, pure?! Ma smettila! Se non sei sulla mia stessa lunghezza d'onda, fattene una ragione!-
 -Credi davvero? Ti ho fatta io, ti ho cresciuta io, so quella che sei meglio di te!-
 -Non dire stupidaggini! Mi hai fatta insieme a mamma e, se non sei stato in grado di tenerti lei, non ti scandalizzare se non vai d'accordo neanche con me!-
 Mem si alzò da tavola, premurandosi di far strusciare pesantemente la sedia al pavimento, e si rifugiò in camera.

 L'ultimo rumore che si sentì fu una porta che sbatteva.
 Oltre la porta, dentro una stanzetta grande come una fetta di pane, c'era Mem.
Non aveva neanche avuto la decenza di arrivare al letto: si era rannicchiata con la schiena contro la porta, aveva abbandonato la testa all'indietro e ora lottava con tutta se stessa per non far scendere le lacrime.
 Ma no, quelle facevano di testa loro: scavalcarono gli occhi sempre puliti, si lanciarono in discesa sulle guance e in poco tempo le avevano circondato il volto.
Quante parole cattive riesce a sparare la bocca di una diciassettenne?
Quanto male può fare tutto il dolore assorbito per anni quando lo sputi addosso agli altri?
 Merda, merda, merda, non può incrinarsi tutto così... io sono invincibile!


Here I am! Mi spiace per il ritardo, ma ho avuto un paio di questioni da sistemare. Diciamo che non è mai piacevole la chiusura del primo quadrimestre... soprattutto se tutto quello che il tuo organismo comprende è la parola sonno, alla strafaccia dei libri e delle materie che si accumulano.
Ma niente è pari alla potenza di una sana botta di culo, ogni tanto :D

 Non so se ho soddisfatto le aspettative di quella manciata di lettori, anche se penso di no. Però voi fatemelo sapere lo stesso, perché ho una trama in mente, checchè se ne pensi :)
 In questo capitolo in Mem ci ho messo un po' di me... mi riferisco a quando si parla di medicine: non chiedetemi perché, ma le odio. Non le voglio. E se disgraziatamente ne ho bisogno, faccio di tutto per svincolare. Puah.
 Vi prego in ginocchio, lasciatemi qualche commento... ho bisogno di sapere dove scricchiola la storia!!!
 Grazie a chi legge, a chi si ferma, e a chi mi regala qualche battito cardiaco con una recensione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9! ***


Nella bocca di Mem c'era ancora il sapore del pranzo, misto a quello salato delle lacrime che aveva ingoiato.
Dovevano essere passate almeno un paio d'ore, ma non poteva esserne certa: non era mai stata tipa da orologio da polso. Tutto quello di cui era conscia erano i muscoli che le si erano addormentati sul pavimento, da cui non si era ancora spostata, e le guance incrostate di sale.
Si sarebbe volentieri andata a lavare la faccia, ma non osava uscire da quella camera.
Non quando fuori c'era lui.
 No, molto meglio restare in quella cameretta, che poco aveva di amichevole: non c'erano più bambole o peluches, né altri potenziali testimoni del fatto che anche Mem potesse aver avuto avuto un'infanzia. Molto era sparito durante un'imprecisata e poco chiara pulizia di primavera, diversi anni prima, ma lì per lì Mem ne era stata contenta: meno cose ci sarebbero state in grado di sollevare ricordi, meno avrebbe ricordato. Perché soffrire più del necessario?
 Solo che c'erano momenti, tipo quello, in cui la camera le pareva così cupa da sembrare una cella. La sentiva malsana, come se negli anni le pareti avessero assorbito qualche sostenza tossica.
Pensò a tante cose, quel pomeriggio: pensò a quanto amasse suo padre e allo stesso tempo a quando non volesse dirglielo, pensò a sua madre e chissà dov'era ora, cosa stava facendo, dove abitava - tenere vivi i rapporti con una madre solo tramite facebook era una cosa talmente penosa da farla vergonare -, pensò a quanti amici effettivamente avesse e risultò che a praticamente nessuno avrebbe potuto raccontare del perché stesse così male... ma non pensò all'Old Boy.
L'unica volta che il suo pensiero aveva provato a deviare verso quella direzione, la mente di Mem aveva risposto con un gemito: oh no.
Non voleva renderlo partecipe di quello che era accaduto.
Non voleva e basta.
 Ovviamente, studiare era fuori discussione.

Altrettanto ovviamente, la mattina dopo pensò bene di andare a scuola; Mem forse non era particolarmente diligente, ma per quello che poteva si era sempre impegnata. Faceva festa raramente, e solo se la situazione era davvero tragica.
 Quella volta però non le venne in mente niente di meglio che presentarsi in classe, pur non avendo studiato. Aveva la mente così obnubilata da non riflettere sulla cosa più saggia da fare, perché era ancora totalmente assorbita dalla litigata del giorno prima.
Se solo ripensava alle parole che aveva lanciato, rabbrividiva.
E dimenticava persino di aver saltato cena e colazione, dimenticava che per quelle poche ore di sonno che era riuscita a guadagnare aveva dormito malissimo, dimenticava che quel giorno sarebbe stata a rischio di interrogazione.
Insomma, ci sono cose più importanti della scuola. E se siete ancora di quelli per cui un nove è tutto, buon per voi. Tanto ne sopravvivono comunque in pochi.
 Ci era voluto poco perché i compagni di classe si accorgessero che Mem stava poco bene... e, come al solito, tentarono di starle vicino a modo loro: senza insistere (causa mancanza della confidenza necessaria), ma facendole capire che erano lì. Ciò implicò che Mem si godette le prime ore stupendamente sola, senza nessuno a romperle le scatole. Ok, era raro che si chiudesse in quel modo... ma, per quelle poche volte, la lasciavano fare; recuperava in altri modi o, almeno, era sempre stato così.
Dopo quattro anni insieme, capisci un bel po' di cose di una persona.
 Pian piano si fece strada in Mem la consapevolezza che era entrata a scuola completamente impreparata: vedeva i compagni tesi per l'imminente interrogazione di letteratura, e lei invece a malapena sapeva quali canti della Divina Commedia avessero fatto.
 -Mem, hai studiato?- le chiese un compagno di classe.
 -No. Non ho aperto libro ieri... non mi si creava davvero-.
 -Oh...- fece un altro. -Be'... dovrebbe chiamare chi ha un'interrogazione vecchia, quindi dovresti essere al sicuro, no?- cercò di continuare.
 Mem sospirò, poi gettò uno sguardo sconsolato all'enorme libro della Divina Commedia: -non lo so. Spero che non mi chiami, che altro posso fare...-
 -Dai, terremo le dita incrociate per te- sorrire una ragazza lì vicino.
Mem cercò di restituire la cortesia, pensando che tutto sommato era circondata da persone incredibilmente buone. Chissà cosa aveva fatto per ritrovarsi degli amici così...
 La prof entrò, carica di borse. Scaraventò i suoi effetti sulla cattedra e, dopo un ultimo, disperatissimo quarto d'ora, fu pronta per interrogare.
 -Estraggo un numero a caso...-
 -Prof- Mem aveva alzato improvvisamente la mano. La prof ci mise un po' per accorgersi di quella tipetta spettinata, che sembrava aver bisogno di una bella doccia.
 -Sì?-
 -Potrei giustificarmi?- tentò Mem. Era la sua ultima speranza: sapeva perfettamente che la sua giustificazione già l'aveva usata, ma sperava che la prof capisse che...
 -Mi spiace, ma già ti sei giustificata a novembre-.
 Mem abbassò la mano, cominciando a mordersi la lingua.
 E invevitabilmente venne chiamata.
 Poverina! sentì sussurrare al suo passaggio.
 Sconsolata, si appoggiò alla parete, in attesa che la prof chiamasse il secondo interrogato.
Venne scelta una delle secchie. Mem non avrebbe neanche potuto sperare in un suggerimento, sapendo che con quella boria la secchia non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione di brillare, a suo discapito.
 La prof partì proprio dalla secchia, e questa riuscì a descrivere perfettamente i canti della Commedia che le venivano chiesti... Mem si maledisse: cavolo, l'argomento le interessava pure. Perché non aveva studiato?
Sentì qualcosa bruciare all'interno dei suoi occhi e pregò con tutte le sue forze di riuscire a trattenere le lacrime; ma era disperazione la sua, cazzo... lo sapeva perché non aveva studiato! Lo sapeva, ed era sicura che se una cosa del genere fosse successa alla secchia che le stava vicina, questa come minimo sarebbe rimasta una settimana a casa! Perché invece lei doveva essere sempre così maledettamente stoica? Perché la sua vita era sempre così maledettamente complicata? Perché? Perché tutti gli altri le vite ce le avevano perfette? Perché per gli altri tutto era così facile? 
 -Filomena, parlami del sesto canto del Purgatorio: a chi si rivolge Dante?-
 Non appena sentì la voce della prof rivolgersi a lei, Mem smise di sostenersi alla parete e cercò di reggersi in piedi.
 Successe tutto sommato in fretta: ebbe il tempo di sentire un cerchio di ferro stringerle la fronte e tutta la testa, si spaventò quando il freddo la invase completamente e le ultime cose di cui si rese conto furono gli occhi che si rovesciarono, le ginocchia che cedevano e il pavimento che si avvicinava. 
 -Oddio!-
 La prof vide una sua studentessa svenirle davanti e, finalmente, tutti si resero conto che Mem era arrivata allo sfinimento.


Giuro che è successo: mi sono presentata a scuola senza aver aperto libro di greco, certa del fatto che non avrebbe interrogato chi aveva già il voto a latino, e invece... "numero 9: che sfortuna, aveva pure tentato di giustificarti! Accomodati".
Ah, ma io non sono mica svenuta: sono riuscita a prendere un dignitosissimo 6+, e guai a chi me lo tocca: è il mio orgoglio
*_*
 Commentate? Ho rinunciato a parecchio del mio sonno per questo capitolo, spero sia riuscito bene :)

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Capitolo 10
*** capitolo 10! ***


-Ehi! Avete sentito che è successo?
-Cosa?
-La storia di Mem...
-Fa' sentire anche me!
-Che dice?
-Non dice proprio niente...
-Ma si è ripresa?
-Sì. Dopo che è svenuta, la prof ha chiamato le prime persone che le sono capitate a tiro. Sono arrivati subito una bidella e il prof di ginnastica; lui l'ha presa e credo che l'abbiano portata in aula professori.
-Possibile che in questa scuola non ci sia un'infermeria?
-Che vuoi farci, non siamo in una di quelle scuole americane, già è tanto se abbiamo la carta per i cessi. Comunque...
-Insomma, si è ripresa... ma io ho visto suo padre che a un certo punto passava!
-Eh, se mi fai finire! Si è ripresa, sembrava stare bene, ed è tornata a casa con suo padre. L'ho chiamata quella sera stessa, per vedere come stava, e lei ha detto che era passato tutto. Ha detto che era stato solo un calo di zuccheri, perché non aveva mangiato prima.
-Tutto qui?
-Non è finita! Pare che dopo Mem si sia ammalata, perché non è venuta a scuola per un po' di giorni. Dice che le si è alzata la febbre, le è presa l'influenza e robe così...
-Mem?! Mem la conosco, non si ammala mai! L'ultima volta che ha avuto un po' di tosse, è stato in seconda media!
-Non esagerare, è umana anche lei.
-Ma fidati, che...
-Ehi, non ho finito di raccontare!
-Su, sbrigati.
-Insomma, ha la febbre. Anche alta, a quanto pare... ma, essendo una che non si ammala quasi mai, è normale che anche solo per qualche decimo stia malissimo; figuriamoci con 39!
-Povera...
-Sì, ma lo sapete il fatto strano? All'Old Boy non ha detto nulla!
-Cosa?!
-Cosa?!

-Assurdo, vero?
-Ma... perché? E tu come lo sai?
-In realtà non l'ho fatto apposta... ma ero su facebook e lui era in linea. Ho pensato di chiedergli se Mem stesse meglio... e lui mi ha chiesto perché, se fosse successo qualcosa. Mi sono sentita troppo in imbarazzo, non potete capire!
-Vorrei vedere! Che gli hai detto poi?
-Ho pensato che Mem stesse così influenzata da non averlo sentito, quindi gli ho detto del malore e del fatto che poi si era ammalata...
-E...?
-E niente: ha ringraziato, e si è disconnesso.
-Uuuh, che situazione spinosa...-
-Non vorrei che la situazione degenerasse. Insomma... Mem non si incazza mai. Ma se si incazza...



Mem non aveva avuto neanche la forza di mettersi in pigiama: si era infilata a letto direttamente con i pantaloni della tuta e la felpa che usava per casa, dato che affrontare un cambio di indumenti era fuori discussione.
Si era rannicchiata sotto il piumone, stretta in posizione fetale, con gli occhiali poggiati sul comodino e l'abat-jour ancora accesa. Così, si sentiva quasi normale.
 Si era perfino scordata di possedere un cellulare; con la testa che a momenti le scoppiava, non le era passato neanche per l'anticamera del cervello di chiamare o scrivere a qualcuno. Evidentemente però qualcun altro se lo ricordava bene... fu per quello che l'apparecchio cominciò a squillare, e meno male che la suoneria l'aveva scelta Mem stessa (i Sum 41 facevano miracoli), altrimenti la nostra eroina non avrebbe esitato a lanciarlo dall'altra parte della stanza pur di farlo tacere.
 -Pronto?- rispose con una voce da cadavere.
 -Mem?-
 Oh no. Mem aveva riconosciuto la voce dell'Old Boy.
 -Ciao...-
 -Dove sei finita?!- esclamò lui.
 -Parla piano, ti prego... sto poco bene-.
 -Oh, wow. Da quanto tempo?- chiese lui. Era un'impressione di Mem, oppure sembrava davvero ostile?
 -Be'... da una manciata di giorni. Da martedì-.
 -Allora sono quattro giorni-.
 -Oh. Be', allora quattro giorni-
 -Bene-.
Ci fu un momento di silenzio, abbastanza perché Mem capisse che quella non era telefonata da liquidarsi in pochi minuti e si rizzasse a sedere.
 -Sei incazzato?- chiese stupidamente. Forse, in fondo in fondo, voleva proprio farlo incazzare.
 -E me lo chiedi?!-
Mem chiuse gli occhi: non l'aveva mai visto incazzato, ma era come se se lo aspettasse...
 -Mem, già che me ne sono stato tranquillo quattro giorni senza che tu ti sia fatta sentire è tanto, ma non puoi tirare così tanto la corda. Sono venuto a sapere da una tua compagna di classe che sei svenuta e che poi ti è venuta la febbre alta, e tu non mi hai detto niente!-
 
-Hai ragione... ma non volevo che tu ti preoccupassi troppo-.
 -Stronzate, bionda. Non mi dici le cose: ti pare normale?-
 -Ma non è niente di grave...-
 -Perché non mi hai detto niente? E voglio la verità-.
 -Perché...- Mem sospirò. E ora che vai a dire? Come lo spieghi che meno gente hai intorno e meglio ti senti? -Perché voglio stare tranquilla-.
Parlò sapendo che quelle sarebbero state le ultime che avrebbe dovuto dire all'Old Boy. Lui era un ragazzo d'oro... ma non meritava affatto di essere messo in secondo piano.
Invece, era come se nella mente di Mem si stesse delineando un piano ben preciso, un piano che non prevedeva nessun Old Boy.
La ragazza si sentì atterrita da quel pensiero, ma allo stesso modo ne era ormai certa.
 -Tu... tu vuoi stare tranquilla- disse lui.
Mem fece cenno di assenso.
 -Mem, ti conosco. Vuol dire che... che vuoi stare sola, vero?-
Mem sentì le prime lacrime, le ennesime per quella settimana, rigarle il volto.
 -Rivediamoci almeno un'ultima volta, ok? Al telefono, così, non...-
 -No Mem. Non ce la farei a rivederti-.
 Mem rimase a piangere, senza osare rispondere.
Non piangeva per se stessa, quanto per lui: non se lo meritava. E non si meritava neanche lei, che era così cattiva.
 -Mi dispiace... mi dispiace sapere che stai male, davvero...-
 -Lo immagino-.
 -Davvero. Non mi credi?-
 -Io...- l'Old Boy prese un grande respiro, poi buttò fuori tutta l'aria e il telefono frusciò. -Io credo che sia difficile stare con te, ma forse stavo bene proprio per questo. Ma non posso costringerti, è vero. Ci penserò da solo a stare meglio, un giorno...-
 -Old Boy...-
 -Non chiamarmi così. Se vuoi stare sola, perché ti importa di me?-
 -Perché non mi piace che tu stia male. E' difficile da capire, ma non me la sento di andare avanti. Mi odierai, lo so...-
 -Proverò a non odiarti-.
 -Mi dispiace davvero-.
 -Vuoi rifletterci ancora un po'?-
 -Penso di no. E' difficile da spiegare...-
 -Proverò a capire-.
 Quell'ennesimo sforzo da parte sua fece scendere un'altra lacrima sul volto di Mem.
 -Ci rivedremo, un giorno?- chiese lei.
 -Io... forse. Se ne avrò voglia-.
 -Ok...-.
 -Ciao Mem-.
 -Ciao... ciao-.
 




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Capitolo 11
*** Capitolo 11! ***


Quando di notte tutto è buio ed anche la sagoma dell'armadio sembra una minaccia di morte, l'ultima cosa che vorresti fare è svegliarti di soprassalto.
Mem spalancò gli occhi, ma non aveva il coraggio di alzarsi: la luce che entrava dalla finestra era poca e di quell'arancione spettrale dei lampioni, di certo non contribuiva a tranquillizzarla.
Tranquillizzarla... da cosa? Cosa c'era che non andava, dopotutto? Era finalmente sola. Finalmente poteva vivere senza fare danni, ora che si era allontanata dalle persone che più si erano avvicinate a lei e più le avrebbero potuto far male.
Certo, allontanarsi definitivamente da suo padre era difficile - Mem aveva pur sempre diciassette anni, era minorenne e suo padre non sarebbe stato certo disposto a buttarla fuori di casa-, ma almeno ora non c'era più l'Old Boy.
Povero Old Boy. A ripensarci, Mem un po' si odiava: lui non meritava di stare male, soprattutto non per lei. Avrebbe davvero voluto stringerlo un'altra volta, avrebbe davvero voluto tornare a scherzare e a ridere con lui, come del resto continuava a fare con gli altri amici. Eppure, non se la sentiva: uno strano meccanismo dentro di lei aveva fatto sì che allontanasse le persone a lei più care, e Mem non capiva come fermarlo. 
 Tutte queste sensazioni si rincorrevano in lei, mescolandosi in un'inquietudine tale da far risalire la bile su per la gola. 
 Si alzò a sedere, scostando il piumone sul grembo. Oddio, le stava venedo da vomitare davvero?
Non avrebbe davvero voluto farlo, ma pensò che forse una camomilla le avrebbe fatto bene, quindi scese dal letto e si avviò verso la cucina. Forse avrebbe svegliato suo padre, ma tant'era...
 Una volta in piedi, si rese conto che la sensazione di vomito non accennava a diminuire. Sicuri che una camomilla le avrebbe fatto bene? Non sarebbe stato più saggio pazientare riversa sul water, fino a quando non avesse rovesciato l'anima?
Eppure si stava avviando verso la cucina: trasalì quando la porta della sua camera scricchiolò, e scoprì che il corridoio buio non le piaceva per niente.
Il cuore le batteva forte, più del dovuto; al diavolo, cosa aveva da temere in casa sua?
A piccoli passi, tentava di avanzare il più leggermente possibile. Forse era a causa dell'ora tarda, ma le sembrava importante fare poco rumore... come se fosse in un albergo, o in casa di un estraneo.
 Bum. Sentì uno sportello sbattere in cucina e sussultò. Perché uno sportello avrebbe dovuto sbattere, se nessuno lo aveva aperto?
 Rumore di stoviglie.
Mem ora era circospetta sul serio: la porta della cucina era chiusa... e la porta della cucina non era mai chiusa.
 Un parlottare sommesso.
Strano come le cose sembrino più inquietanti se non sono illuminate. Ma, grazie al cielo, a Mem non era mai mancato il coraggio. Certo, sapeva che la differenza tra coraggio e incoscienza era sottile come un capello, ma in genere riusciva a distinguere le due; stavolta, restare ferma era fuori discussione.
 Prese un bel respiro e spalancò la porta, ma la paura la invase: c'erano delle persone, uomini grandi e dal volto coperto! Ma erano al buio! Chi erano? Cosa ci facevano lì?
E perché ora urlavano? Tutto quel casino avrebbe svegliato suo padre!
Il petto di Mem si gonfiò, sentiva il terrore e non riusciva a muoversi, forse stava per scoppiare a piang...
 
Mem si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi allo stesso modo di come aveva fatto all'inizio dell'incubo.
Giaceva a pancia in giù, con il viso premuto sul materasso e il cuscino scaraventato lontano durante il sonno.
Maledizione... incubi di merda. Ok che erano tutto sommato rapidi, ma il batticuore riusciva sempre a durarle anche ore. E, quando poi riusciva a distrarsi, se per caso durante la giornata le capitava di ripensarci la paura e il terrore tornavano, mettendola K.O. per parecchi minuti. 
 Povera la nostra Mem: la vita le sembrava sempre più ridursi all'alzarsi dal letto la mattina per andare a sopravvivere.
Tra lei e l'Old Boy, apparentemente quello che ci era rimasto più male era lui... era lui che gli amici vedevano triste e nostalgico. Eppure lui si sarebbe rialzato molto più facilmente. Mem invece...
 Mem si era davvero allontanata anche dal padre: se prima si limitavano a poche parole, ora neanche quelle. Durante i pasti si sentivano solo le forchette e il ciarlare della televisione, poi subito Mem svincolava per rifugiarsi in camera sua - a studiare e a sentire musica e a scrivere.
 Era vero, dentro di sè avvertiva un meccanismo che si era messo in moto, e più andava avanti più Mem si isolava: aveva cominciato a non esserci più neanche per gli amici e loro se ne erano accorti... ma non sapevano dove mettere mano.
La vedevano addormentarsi a scuola, regalare sorrisi sempre più rari e tirati, stropicciarsi le occhiaie e incantarsi fuori dalla finestra sempre più spesso... io so che in realtà la mitica Mem immaginava il sole e qualche spiaggia greca, di quelle che soleva vedere tra le foto del profilo Facebook della madre. 
Poi pensava effettivamente a quella che negli ultimi tempi stava diventando un'ossessione per lei, e le saliva la disperazione. Non piangeva mai, no, ma forse la sua faccia era ancora peggio delle lacrime.
 Eppure, se la chiamavano "mitica" qualche motivo doveva pur esserci: arriva un momento in cui se non ti raccogli col cucchiaino da solo non lo farà nessuno per te, e Mem non era tipa da lasciarsi calpestare dalla vita... anche se doveva ancora rendersene conto. 


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12! ***


La prima volta in cui Mem si sentì sollevata per aver lasciato l’Old Boy fu a San Valentino.
La giornata era cominciata con una gloriosa mattina di sole, con le cime delle montagne splendenti di neve e il cielo che pareva smalto. Mem non aveva mai passato il San Valentino con qualcuno al suo fianco e, fino ai quindici anni, la cosa l’aveva sempre fatta sentire un po’ sfigata. Ma quando effettivamente era arrivato l’Old Boy, la prospettiva di venir portata a cena fuori l’aveva sempre atterrita.
Ora che il giorno era arrivato, era l’Old Boy a non esserci più. Problema risolto.
 Niente rose per Mem, niente cioccolata: la nostra eroina, ascoltando le amiche fidanzate che le raccontavano dei loro ragazzi e di dove le avrebbero portate, non riusciva a provare altro se non sollievo: davvero, non se la sarebbe sentita di festeggiare. Non quando sapeva che il suo cuore era un po’ bacato.
Le altre ragazze invece erano tutte un frizzare: una con gli occhi sognanti, una delusa, una scettica, una speranzosa… ma quel clima curiosamente la faceva sentire tranquilla e in pace col mondo.
Come se tutto era effettivamente come sarebbe dovuto essere.
 In classe, le ragazze sembravano tutte più carine del solito -non solo quelle certe che in terza ora sarebbe arrivato un mazzo di rose per loro.
Mem in genere si accompagnava con le solite persone, a cui si aggiungeva non di rado il gruppo di ragazzi (piuttosto ampio, pur frequentando una scuola a prevalenza femminile… “è la selezione naturale”, sogghignavano quando la gente faceva notare la pecunia di ragazzi al classico).
 Ed era proprio con loro che stava passando la ricreazione. Mentre cercava di inghiottire il suo panino, insieme ad alcuni amici si stava rilassando fuori al cortile, facendo fumare chi ne aveva voglia.
Si era messa le lenti a contatto viola, dopo tanto.
 -Se i bidelli sono così contenti di distribuire rose, perché ogni volta che lo chiedo non mi fanno mai arrivare un cornetto o un cappuccino? Il bar è qui di fronte, come il fioraio!- borbottò una ragazza riccia alla sua destra.
 -Magari oggi lo fanno solo perché è un giorno speciale…- le rispose un’altra, appoggiata al muro della scuola.
 -Che palle!- esclamò il ragazzo al loro fianco. Poi però sorrise, quando la sua ragazza fece per pestarlo.
 -Tutti soddisfatti qui in mezzo, quindi?- chiese una tipetta seduta sul bordo di un’aiola.
 Cenni di assenso, squittii soddisfatti da parte della ragazza che aveva cercato di pestare il suo fidanzato, un “ovvio” dalla più orgogliosa.
 Solo il vicino di banco di Mem non rispose subito.
 -E tu?- chiese la tipetta.
 -Io sto a posto- rispose lui, sviando la domanda.
 -Contento tu… io ormai ho perso la speranza: avrei voluto che lo schifoso mi mandasse una rosa, solo per infilargliela su per il naso con tutte le spine!- continuò lei con gli occhi che scintillavano ancora per un antico rancore.
 I ragazzi si avviarono in classe al suono della campanella; li attendevano due ore di assemblea di classe, una pausa dolce e rilassante incastrata tra le lezioni di inizio quadrimestre.
 Eppure quel giorno qualcosa andò storto: forse una rosa non recapitata che aveva fatto storcere l’umore di una delle ragazze della classe, in ogni caso volò una parola di troppo da un gruppo all’altro dell’aula.
 Antipatie costrette da ragioni burocratiche a stare cinque ore al giorno insieme: che tortura. Spesso restano addormentate per anni, e poi si svegliano all’improvviso per cacciare i denti e mordere.
 A poco valsero le suppliche dei rappresentanti di calmarsi (“andiamo, non ci daranno più l’assemblea se facciamo troppo casino!”): la tipetta con cui Mem e gli altri avevano chiacchierato a ricreazione e un’altra ragazza, più bella e legata alla tipetta da un odio che perdurava negli anni, cominciarono a litigare furiosamente.
 Chissà perché poi: Mem non l’aveva mica capito. Neanche i ragazzi presenti erano al corrente della storia, ma non appena videro la situazione scaldarsi subito saltarono su elettrizzati, sperando che si prendessero per i capelli pur di farsi quattro risate.
 -Cos’è, badi solo a sistemarti i fattacci tuoi?- gridava la tipetta.
 -Quando mai qualcuno non si è fatto prima di tutto i fatti propri? Il problema tuo è che te la sei sempre presa dietro, e allora te la prendi solo perché a me è andata sempre bene!
 Mem cominciò a disinteressarsi, insieme a una manciata di compagne. Era difficile seguire un discorso di cui non sapevano l’inizio.
 -Quello che dici non ha senso!-
 -Come quello che dici tu!-
 I ragazzi sghignazzavano, Mem e le altre osservavano senza capire, i rappresentanti assistevano al tutto con le mani ai capelli.
 -Ma tanto è sempre così, in questa classe! Ognuno si sistema gli affaracci propri, e chi s’è visto s’è visto, chi se ne fotte degli altri! Tutti, vero? Anche chi si fa tanto l’amicone di tutti- la tipetta lanciò uno sguardo di fuoco a Mem.
 -E io cosa c’entro ora?- chiese lei, confusa.
 -Cosa c’entri? C’entri che non te ne frega degli altri!-
 Mem spalancò la bocca, attonita. Sperò che la tipetta andasse avanti, e grazie a Dio lo fece:
 -Ti fai tanto la simpaticona, ma quando poi si tratta di mostrare un po’ di gratitudine per quando ti si è stati vicini, niente, zero! Bella roba!-
 Mem era senza parole.
 -Scusa, ma tu non te la stavi prendendo con lei? Ecco, torna a litigare per le tue cazzate, invece di prendertela col primo che passa- le venne in mente di rispondere. Prima di tutto zittirla, poi il resto si vedrà.
 E questa fu la prima sberla della giornata.

Uscendo da scuola, Mem era sempre accompagnata dai soliti amici e sembrava quasi tranquilla. A chiudere la sanguinosa assemblea era intervenuta la vicepreside che, allarmata per le grida che aveva sentito provenire dalla classe, aveva fatto capolino.
Risultato: niente più assemblee di classe e una soporifera ora di chimica. 
 Mem cercava di non pensare alle parole della tipetta… non ancora, almeno: il tempo per riflettere ce l’avrebbe avuto a casa.
 Ma la giornata ancora non era finita: prima di tornare, le venne voglia di andare a prendersi un panino con un paio di amici; suo padre non sarebbe tornato per pranzo e non aveva voglia di mangiare qualche veleno da lei cucinato.
 Si fermarono da un kebabbaro. I tre mangiarono, parlarono un po’ dell’accaduto in classe, di fecero quattro risate e poi si salutarono.
Mem si ritrovò sola, mentre camminava per arrivare alla fermata dell’autobus… ma fu lì che ricevette la seconda sberla.
 Lui.
 L’Old Boy
.
 Mem si fermò su marciapiede opposto, seminascosta da un albero, e non riusciva a staccare gli occhi da quella scena: lui, l’Old Boy, con un’altra.
 Un’altra?! Si era consolato in fretta.
Mem lo vide chinarsi su di lei (quando stavano insieme loro due non aveva mai potuto farlo, perché lei a momenti era più alta di lui) e darle un leggero e dolcissimo bacio sulle labbra.
Mem assottigliò lo sguardo, gettando distrattamente la carta del panino per terra. Aveva intenzione di cercare un cestino, ma le era improvvisamente passata la voglia.
 Ok, l’aveva lasciato lei e a dirla tutta ne era pure sollevata.
Ma venir rimpiazzata così in fretta, dopo tutte le volte in cui lui le aveva detto quanto diamine stesse soffrendo per lei…
 L’Old Boy sorrise e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Grazie a Dio non la conosceva.
 Mem si concentrò di più su quella ragazza: era più grassa di lei, più bassa e aveva i capelli così scuri da essere sicuramente tinti.
 Non erano tinti, io lo so; quanto al grassa e bassa però aveva ragione.
 Mem si ravviò i capelli e uscì dal suo nascondiglio, attraversando la strada per raggiungere la sua fermata.
 L’Old Boy la vide.
 Cazzo.
 Passandogli vicino, Mem lanciò un’occhiata di fuoco a lui e alla tarchiata che si teneva stretto:
 -Premio di consolazione?- sibilò prima di voltarsi e proseguire per la sua strada.

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Capitolo 13
*** capitolo 13! ***


(la sorpresa e pattinare pericolosamente)

Una vecchia Alfa verde bottiglia entrò in una rotonda, la percorse sgommando e prese l'uscita a destra.
Il ragazzo alla guida si divertiva un sacco a prendere le rotonde, c'era poco da fare.
 La macchina si fermò davanti ad un cancello in ferro battuto, un po' arrugginito, e si sistemò abilmente senza occupare troppo spazio. Il ragazzo che ne scese la chiuse con un bipbip del telecomando, si passò una mano tra i capelli, scaricò pochi bagagli e, ancora un po' emozionato, suonò un paio di volte al citofono.
Era raro che facesse sorprese: a lui piacevano le decisioni prese per tempo, in cui era meno probabile venir presi alla sprovvista, ma quella volta... insomma, aveva dato tutti gli esami che doveva dare, lì in Padania, e i suoi coinquilini erano tutti tornati alle rispettive case: perché non seguire il loro esempio? Qualche giorno in montagna gli avrebbe ridato un po' dell'aria buona di cui sentiva sempre la mancanza.
 -Chi è?- gracchiò suo padre dall'altra parte del citofono.
 -Papà, sono io!- esclamò lui, mentre un sorriso gli si allargava sul volto. Era a casa.
 -Oh, sei tornato! Sali-. Probabilmente anche suo padre era contento, dato che il suo tono di voce si era alzato improvvisamente.
 Il ragazzo si mise uno zaino sulle spalle ed impugnò il trolley, spinse il portone e si avviò vero l'ascensore. Com'era bello vedere tutti quei dettagli a cui era abituato essere ancora al loro posto... scoprì che, durante i mesi di lontanaza, aveva quasi dimenticato come fosse la fantasia del pavimento che stava calpestando in quel momento.
 La porta di uno degli appartamenti si aprì e ne uscì un uomo, talmente sorridente che pareva avesse appena vinto alla lotteria.
 -Ciao!- salutò il figlio, prendendogli il trolley e facendogli strada.
Era sempre stato così: niente effusioni, solo tanta felicità. Una caratteristica di quella famiglia da sempre un po' orsa...
 -Come vanno le cose?- chiese il ragazzo, dopo essersi liberato dei bagagli ed aver preso scompostamente posto sul divano del soggiorno.
 -Si tira avanti... ma com'è che sei qui? Non dovevi scendere verso febbraio?- suo padre era raggiante.
 -Ho un po' di giorni di pausa... c'è qualcosa da mangiare?-
 -Se avessi saputo che saresti venuto, avrei comprato qualcosa di più; intanto, prenditi un bicchiere d'acqua-.
 -Coca cola?-
 -La compreremo-.
  Padre e figlio rimasero a chiacchierare per un bel po': il vecchio voleva sapere tutto quello che era accaduto al suo pulcino durante quei mesi in cui non si erano visti, si informava dei suoi risultati all'università, ascoltava alcuni aneddoti sui suoi compagni di stanza. Si sentiva sereno, ed era grato al suo ragazzo per il clima che aveva portato.
 Chissà se avrebbe sortito qualche effetto anche su...
 -Mem dov'è?- chiese il ragazzo.
 -A scuola... dovrebbe tornare fra un po'-.
 -Ah-.
 Poche parole: il rapporto tra lui e sua sorella non aveva mai amato i dialoghi.
 Poco dopo, sentirono la porta sbattere e qualcuno entrate. Mem, appunto.
 La nostra amica si era accorta della macchina parcheggiata sotto casa e già si aspettava chi trovare in casa. Peccato che quello non fosse il periodo giusto per i ricongiungimenti.
 -Ciao- disse fredda quando si ritrovò suo fratello davanti. Si sistemò lo zaino di scuola sulle spalle e si rifugiò in camera, come se non vedesse il fratello da quella mattina e fosse ancora abituata ad averlo sempre per casa.
 Lui si voltò interrogativo verso il padre:
 -Ma... tutto bene?- chiese imbarazzato.
 Il padre sospirò: -ha diciassette anni. E' un'età complicata...- si inalberò.
 -E' successo qualcosa?- indagò il ragazzo.
 -Storia lunga... è a causa del suo ragazzo-.
 -Cosa?- il fratello presagì il peggio.
 -No no, puoi stare tranquillo. Mi sono solo preso un po' troppe libertà io...-
 Il ragazzo si fece raccontare la storia dall'inizio, per poi rimanerne scioccato. Non seppe come rispondere, quindi decise di lasciar cadere l'argomento. Cavolo, dopo tutto era appena tornato a casa: non aveva voglia di avvelenarsi da subito.
 Eppure, durante il pranzo si ritrovò ad osservare Mem; d'accordo che, per tutto il tempo in cui avevano vissuto insieme, non se l'era poi filata molto, ma... erano solo due anni che era lontano, com'era possibile che si fosse traformata così tanto?
 La vedeva più sciupata, più magra. I jeans le cadevano addosso, minimizzandole ancora di più le forme che -il ragazzo se ne accorse subito- altrimenti sarebbero potute essere molto più provocanti. Incosciamente, si sentì sollevato nel sapere che Mem non possedeva leggins (o almeno, così credeva). 
I capelli si erano accorciati ancora dall'ultima volta che l'aveva vista (il caschetto le copriva a malapena le orecchie e, sempre incosciamente, fu grato di sapere che sua sorella non amava i capelli troppo corti), e le occhiaie erano leggermente più scure.
Nel complesso, non sembrava star bene.
 Se ne dispiaque, ma lo stesso non pensò di intervenire; cosa avrebbe potuto fare, lui?

Grazie al cielo, ci sono gli imprevisti. Altrimenti, Mem sarebbe davvero precipitata nel baratro di depressione sull'orlo del quale stava pattinando. 

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Capitolo 14
*** capitolo 14! ***


Il fratello patentato garantiva a Mem coprifuochi più elastici, e ciò era sicuramente un bene, soprattutto perché quello era l'anno delle feste: il quarto, quello in cui la maggior parte degli amici raggiungeva i diciotto anni.
 Mem era una sfigata di dicembre: alle feste ci andava da minorenne. Però si divertiva lo stesso; certo, non era tipa da tacchi e vestito, ma a volte era costretta a cedere -solitamente quando le festeggiate erano le sue amiche più strette- e in quelle rare occasioni faceva il suo bell'effetto... anche se si sentiva poco libera nei movimenti.
 Quella sera aveva tirato fuori il suo solito vestito nero ed era salita su dieci centimetro di tacchi senza plateau (cercava di non far notare il dolore che le provocavano, e si era ripromessa di mettere in borsa le converse alla prossima festa: tanto, ad una cert'ora tutti sarebbero stati troppo bevuti per accorgersi che si sarebbe abbassata da un momento all'altro). Le amiche le avevano fatto i complimenti - le più intime l'avevano anche presa in giro per quella scollatura forse troppo osè-, mentre gli amici avevano sospirato, ricordando che averla in tiro era un privilegio da una sera e stop. Che spreco.
-Mem, assaggia questo!- le disse un'amica mettendole sotto il naso un drink.
Lei sorseggiò il liquido scuro, poi ritrasse la testa schifata:
 -Che porcheria è mai questa?! C'è talmente tanto alcol che, se ci metto un dito dentro, quando lo caccio è senza smalto!- esclamò ridendo.
 L'amica annuì convinta: -infatti fa proprio schifo!- disse a voce un po' troppo alta, poi ne tracannò un sorso generoso.
 Mem e un altro paio di amici si guardarono e sghignazzarono.
 C'erano luci psichedeliche attorno a loro, erano le uniche cose che permettevano loro di guardarsi in faccia. Parecchi invitati stavano ballando.
 Una piccoletta, più bassa di quando era entrata, si avvicinò saltellando:
 -Amore, tieni- disse al proprio ragazzo, con una voce da bambina.
 Il ragazzo allungo automaticamente le mani, e quella gli ficcò le proprie scarpe in mano.
 -Ma che cazz...-
 -Reggile, io vado a ballare!- sorrise lei, sempre con la stessa vocetta. Poi fece un'inversione a U e si buttò nella mischia, con lo stesso passo saltellante.
 -Oddio- disse lui, poggiando le scarpe in un angolo nascosto, -mi toccherà riportarla a casa barcollante...- poi sghignazzò.
 -Ha bevuto?- chiese Mem.
 -Mem, guardati in giro... chi non ha bevuto?-
 Lei rise, dandogli ragione.
 -Già che ci siamo, propongo un brindisi!- urlò una ragazza che si era aggiunta alla conversazione. Tirò fuori dalla scollatura della camicia tre bigliettini ed ordinò tre drink al barista.
 -Che hai preso?-
 -Sorpresa!- sorrise lei.
 Mem adorava i compleanni di diciotto: sembravano tutti così felici
.
 Il barista riempì tre bicchieroni e la ragazza li passò ai due amici. Poi alzò il suo:
 -Brindiamo! A... ehm... a Mirsilo che è morto! Ognuno beva a forza, una tazza tiri via l'altra!*
 Mem e l'amico risero, poi alzarono a loro volta i bicchieri: a volte anche il greco antico era piacevole a studiarsi.
 Si calarono il drink, fino a quando le budella non protestarono per il bruciore. Mem resistette egregiamente: ce ne voleva, per atterrare una mitica come lei.
 
 Ovviamente, il fatto che ce ne volesse non voleva certo dire che non era possibilie. A Mem non piaceva perdere coscienza di sé, né tantomeno non controllare le proprie azioni e la propria lingua, e riusciva a reggere l'alcol senza troppi problemi -d'altronde, i suoi geni erano gli stessi del padre, e tra i due non si sapeva chi fosse il più duro.
 Eppure... la festa era di un amica che aveva conosciuto quell'estate. Quell'estate, quando ancora stava con l'Old Boy. A quel tempo, erano indivisibili... ma, se tra loro ora le cose erano cambiate, non era lo stesso per la festeggiata, che giustamente aveva invitato anche lui. 
E quando Mem lo vide entrare (a tre ore dall'inizio della festa, come le star), mano nella mano con la sua ragazza, lo sguardo le si asssottigliò come a un miope che non legge la lavagna.
 Che faccia tosta, pensava l'alcol nella sua testa: lui aveva giocato con lei come se fosse una specie di animale da studiare, facendole un male cane, ed ora invece si era ripreso alla grande, con quella pera che galleggiava su tacchetti a spillo gravati da tutto quel peso.
 Ma dopotutto, ribatteva la parte sana del cervello, era stata lei l'esagerata: se non avesse avuto il caratteraccio che aveva, avrebbero potuto affrontare insieme quella difficoltà. Magari...
 -Mem? Ci sei?- le chiese l'amica.
 Mem assottigliò le labbra. L'Old Boy aveva abbracciato la pera, ed ora stavano ballando.
 Ballare? Lui? Come Mem, non ci aveva mai ballato. E al diavolo che lei si sarebbe comunque rifiutata fino alla morte: con lei non ci aveva mai neanche provato.
 Non le aveva mai voluto così bene, non l'aveva mai amata come stava amando quella pera.
 -Oh...- l'amica si era accorta dell'Old Boy. Cercando qualunque pretesto per distrarla, le ficcò un bicchiere di birra in mano. -Tieni, su, bevi, e andiamo fuori...-
 Mem prese la birra, senza distogliere lo sguardo dalla scena, e la bevve fino a strozzarsi quasi.
 Ma, d'altra parte, chi le aveva mai voluto effettivamente bene? Non quegli amici che non l'avrebbero mai capita, non quelo schifo che stava pomiciando con una pera sui tacchi, non suo padre che tanto la stava lasciando pian piano perdere, non un fratello che da quando era tornato non se l'era filata di pezza, né tantomeno quella stronza di sua madre che l'aveva lasciata in mezzo a tutto quello schifo...
 Si ricordò che non era bene bere birra dopo un superalcolico solo quando era troppo tardi.
 -Dai Mem, usciamo...- l'amica e l'altro ragazzo ora la stavano conducendo fuori.
 -Perché uscire?- chiese Mem -voglio rimanere qui, guarda, là c'è l'Old Boy... è una pera quella con cui si è messo, vero che è una pera?-
 L'amico la tenne per le spalle:
 -Sei partita?- chiese, senza riuscire a trattenere un sorriso.
 -Io non parto mai!- esclamò lei.
 -Seee...- l'amico scoppiò a ridere.
 -Cosa succede?- si erano avvicinati altri due ragazzi. Una stava sorseggiando un ennesimo drink.
 -Dice che sono ubriaca, ma non è vero. Ehi, posso assaggiare?- aggiunse Mem rivolta all'amica. Questa le passò una cannuccia.
 Mem bevve, come un bambino attaccato al proprio biberon. Quando lasciò la cannuccia, barcollò.
 -Su, usciamo, prendi un po' d'aria...-
 -Voglio restare qui-.
 -Ma fidati che è meglio...-
 -Noneee**! Guarda, guarda come la tiene... a me non mi ci ha mai tenuta, stretta così...-
 -Mem...-
 Ma Mem non ascoltava nessuno, a meno che non avessero qualcosa da bere da offrirle. L'ultimo suo pensiero fu che avrebbe dovuto lasciarsi almeno un decimo di cervello sobrio, per evitare di confessare particolari imbarazzanti... per il resto, volò via.

 Era domenica da appena due ore. Se la festa pareva più calma, era solo perché metà degli invitati era troppo ubriaca per fare casino.
Mem era seduta su un muretto, senza giacca. Di fianco a lei, una compagna di classe nelle medesime condizioni.
 -Non hai freddo?- chiese un loro amico alla ragazza. Lei mugolò, così lui si levò la giacca e glie la mise sulle spalle.
 Io ho più freddo di lei, avrebbe voluto dire Mem. Ho molto più freddo di lei. Lei neanche lo sa cos'è il freddo! Perché nessuno la offre a me, la propria giacca?!
Ma non disse niente; si limitò a cacciare una lacrima.
 -Mem, addirittura la sbronza triste!?- rise un amico di fianco a lei.
 No, non è una lacrima, io non piango mai...
Non rispose, ma si abbandonò sulla spalla dell'amico e cacciò un altro paio di lacrime. Lui rimase spiazzato, ma non riuscì a pensare niente di meglio che darle alcune pacche affettuose sulla spalla.
 -Andiamo, ti metti a letto e domani è tutto finito...-
 Una macchina verde frenò giusto davanti all'entrata del locale. Ne scese chi sappiamo noi: il fratellone aveva passato una serata con gli amici, ma si era fatto fin troppo tardi.
 Tutto si sarebbe aspettato, meno che quella scena; dopotutto, la Mem che ricordava lui non beveva niente di più che succo di frutta. Be', la Mem che ricordava lui aveva anche un paio di anni e di taglie di reggiseno in meno. Non era possibile che fosse diventata improvvisamente così...
 -Mem-.
 Gli amici della nostra eroina alzarono lo sguardo -e quello sulla cui spalla stava piangendo Mem arrossì furiosamente. Mem li imitò poco dopo.
 -Oh- disse vedendolo.
 Il ragazzo rimase impietrito. Ok, non gli era mai piaciuto vedere la gente ubriaca, ma sua sorella... era sua sorella!
 -Tirati su e sali in macchina- disse. Non sapendo come comportarsi, tutto quello che riusciva a tirar fuori era un tono impietosamente duro. 
 Mem mugolò, poi si alzò titubante. Si accorse di non avere le scarpe, e ci mise un po' per infilarle nei piedi giusti.
 Non permise a nessuno di aiutarla a camminare dritta.
 E al fratello non venne in mente neanche lontanamente di sorreggerla.

 -Vai piano- mormorò Mem mentre erano in macchina.
 -Sto andando piano-.
 -Vai più piano!-
 -Non rompere!-
 -Vaffanculo! Ti spiaccicherai contro un muro, e non ti aspettare lo stesso- che ho dovuto patire io dopo Monica! Dopo che tu te ne sei andato, e mi hai lasciato nella merda! Tu sei come mamma, tu fuggi e te ne sbatti del resto!
 Meno male che si era lasciata un decimo di cervello sano.
 -Ma che cazzo stai dicendo?- sibilò lui.
 -Non lo capisci, ovvio. Che ne sai tu!-
 -Ma di cosa?!- lui battè la mano sul volante.
 -Di quello che succede qui! Non te ne frega niente!- si rese conto che era l'alcol nelle sue vene a farla parlare. Ma lo stesso non riusciva a fermarsi. -Te la sei filata, vero? E torni qui, trovi tutto questo casino e te ne sbatti!- ora stava piangendo. Di nuovo.
 -Ma cosa...-
 -Abbi almeno la decenza di sembrare dispiaciuto! Almeno, fai finta di provare a capirmi! Fai almeno finta di volermi bene, perché qui tutto è un inferno! Non te ne andare come quella stronza di mamma!-


Persa, ubriaca persa. E, per sua sfortuna, non era partita abbastanza da risolvere la questione con una vomitata e nessun ricordo.

*Questa è l'altra faccia del Classico: il programma del II liceo non è mai stato così divertente... quello che cito è Alceo, cui un certo Mirsilo stava sulle palle, abbastanza per brindare alla sua morte. Figo eh?

**tipica espressione abruzzese: "none" (pron. "none"), vuol dire "ho detto no ed è no!", così come -per esempio- "sine" è "ho detto sì ed è sì".

Scusate per il ritardo. E scusate anche se non ho recensito più niente, ma ho avuto un po' da fare. Quando avrò un minuto, ne scriverò sul blog (se ora mi rispondete "esticazzi non ce li metti?", vi rispondo... vi rispondo). Il prossimo atto sarà recensire tutto quello che mi sono persa, promesso.
 Nel frattempo, ho bisogno di sapere se la storia vi piace... i pray you!! :)

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Capitolo 15
*** Capitolo 15! ***


Come non aveva permesso a nessuno di aiutarla a salire in macchina, Mem non permise al fratello di sostenerla mentre rientrava in casa. C’è da dire che lui non insistette neanche più di tanto; non si sentiva tranquillo a toccarla, non avrebbe neanche saputo come passare il braccio attorno ai suoi fianchi. Quindi lasciò perdere e si limitò a seguirla da dietro, pronto a raccoglierla se le caviglie avessero ceduto.
 Mentre faceva girare le chiavi nella toppa, Mem appoggiò la fronte al muro, come se si trovasse al cospetto del Muro del Pianto. Il fratello entrò in casa, incitandola a riprendersi con un “oh” basso e roco. Mem mugugnò, poi si chinò per sfilarsi i tacchi, troppo rumorosi ora che non erano più in mezzo a tanti altri simili.
 Si trascinò fino al divano, rannicchiandosi su uno dei cuscini. La gonna del vestito ora le lambiva le cosce in modo fin troppo libertino, ma non era più un problema; era a casa, non doveva più preoccuparsi di darsi un contegno.
 Il fratello accese la lampada sul comodino ( lo stesso che custodiva le foto foriere della strampalata idea che avrebbe portato la nostra eroina a troncare con l’Old Boy) ed osservò Mem.
Dio, com’era ridotta. Era davvero dimagrita, ma non in quella maniera sana che valeva complimenti a chi aveva avuto la costanza di seguire una dieta regolata. Era dimagrita come se si stesse sgonfiando, a poco a poco. . . Non era magra, era sciupata. 
Si stava addormentando, abbracciata a quel cuscino. Si era appallottolata, con i piedi avvolti nelle calze color carne che cercavano di scaldarsi sotto il cuscino e la testa reclinata, in modo da lasciar cadere ciuffi di capelli sulla fronte, sul naso e sulle orecchie. Lui si fece più avanti: ora si accorgeva che Mem aveva provato a fare del proprio meglio con il fondotinta, ma non era riuscita a nascondere del tutto le occhiaie.
Il mascara stava macchiando la fodera del cucino, ma lei non sembrava curarsene; piuttosto, si era addormentata profondamente. Riusciva a vedere la schiena che si abbassava e si abbassava regolarmente, seguendo il ritmo del suo respiro.
 Il fratellone sospirò, notando che almeno sembrava tranquilla. Ma non poteva dire lo stesso per lui. Com’è che dicevano gli antichi? In vino veritas. Ahi ahi. . . ci era voluta una pezza del genere per smascherare Mem.
 Il ragazzo prese una coperta e la buttò addosso alla sorella, badando a rimboccare ogni lembo.
 Mem si agitò, poi aprì improvvisamente gli occhi.
 -Dormi- le disse lui.
Mem lo fissò grave, poi scosse la testa. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
 -Su, dormi. Sei ubriaca-.
 Mem si tirò la coperta fino al mento, continuando a scuotere la testa.
 -Non più come prima. Mi sto riprendendo-.
 -Domani vomiterai l’anima. E comunque, ancora non ti è passata, dato che continui a piagnucolare-. Come prima, la voce gli uscì più dura di quanto non volesse.
 -Chi ti dice che non siano lacrime vere?-
 Il fratello deglutì. Non era abituato ad affrontare un faccia a faccia del genere, con una persona che aveva smesso di conoscere da quando questa aveva dodici anni.
 Non che Mem fosse più tranquilla, badate. Effettivamente stava smaltendo la sbronza, ma ormai il danno era fatto. Non era neanche sicura di tutto quello che aveva detto, ma ricordava perfettamente come l’alcol avesse distrutto la barriera che si era premurata di costruire attorno a tutto quello che in quegli anni l’aveva fatta soffrire.
Maledizione.
Ma, almeno, davanti aveva suo fratello. Un fratello più sulla carta che nel sangue, per quello che sentiva lei, ma pur sempre suo fratello.
 Il ragazzo sospirò di nuovo, poi si abbassò fino a sedersi sul tappeto. Così era alla stessa altezza del viso di Mem.
 -Dimmi un po’ che problema hai-.
 Forse fu quello il momento della svolta: entrambi, non avendo più niente da perdere,  avevano finalmente deciso di confessarsi l’uno con l’altra. Come Mem aveva fatto allusione alle sue lacrime, invece di lasciare che fossero ancora attribuite all’alcol, il fratello aveva deciso di farla sfogare, invece di farla riaddormentare.
 Scelte apparentemente futili. . . Ma quanti anni ci erano volute per compierle.
 E quanti drink.
Mem tirò su col naso, e nel farlo stillò una lacrima.
 -È che. . . Nessuno mi ha mai rimboccato le coperte- piagnucolò. Dentro di sé si trovò immensamente patetica, ma tutto quello che suo fratello vide fu drammaticità.
 -Forse l’avrà fatto papà, o mamma, quando eri piccola, solo che non te lo ricordi- rispose a bassa voce. Meno male che il loro padre ronfava beatamente, ignaro del miracolo che stava succedendo in salotto.
 -Già. . . Ma come posso saperlo? E dopotutto, che me ne importa? Tutto quello che volevo era che qualcuno me le rimboccasse ora le coperte-.
 -Sei grande-.
 -È un motivo valido per smettere ogni segno d’affetto?-
Il ragazzo sospirò un’ennesima volta. Eh sì che lo sapeva anche lui, quanto i loro genitori fossero avari di affetto. Quei pochi che avevano ricevuto da piccoli erano serviti per non farli piangere più del dovuto. . . Per il resto, non appena erano stati in grado di reggersi in piedi da soli, avevano iniziato a lesinare laddove possibile.
 -Ma loro ti. . . ci vogliono bene, a modo loro-.
 Mem emise un risolino acquoso: -parla per te, che te ne stai in Padania per cazzi tuoi. Tu forse non senti. . . Non respiri l’aria di qui. Non. . . È tutto troppo pesante-.
 -Parli di Monica?-
 -Parlo di Monica, e dico che tu non puoi capire perché, non appena se n’è andata lei, ti sei defilato anche tu da questa casa, uscendo dalle nostre vite. Forse con papà ti fai sentire, ma io per te potrei anche non esistere. E, da lassù, non puoi certo avvertire l’abisso. . . L’abisso che c’è tra me e papà. Lui l’affetto che doveva a me l’ha dato a lei. Nel frattempo che lei moriva, io imparavo a cavarmela da sola. E quando lei non c’è stata più, io e papà non ci siamo ritrovati. . .
 -Non glie ne faccio una colpa: se quello si sentiva di fare, ha fatto bene a farlo. La colpa è solo del. . . Del Caso, perché ha voluto che papà trovasse qualcuno da amare nello stesso momento in cui ne avevo bisogno io. Sono stata solo sfigata, non credi? Ed è questo che mi porto dietro. . .- 
 -Tu gli vuoi bene?-
-Sì.
 Il ragazzo arricciò l’angolo della bocca all’insù:
 -Sei mitica.
 Mem sorrise.
 -Basta che io gli voglia bene?-
 -Provaci. Male non fa. . .
 -Tu gli vuoi bene, vero?-
 -Sì.
 -E a mamma? Glie ne vuoi?
Lui restò un po’ in silenzio. Poi assottigliò le labbra.
 -Sì.
 -Bravo. Anche io.
 Il fratello si appoggiò con le mani sul tappeto, alzando lo sguardo come a fissare le stelle - anche se tutto quello che il suo sguardo incontrò fu il lampadario e il soffitto bianco che si era scurito con gli anni.
 Era strano, come funzionava il cuore: può voler bene a chiunque. . . Anche a chi ti ha abbandonato, così, per volare via.
 -Sì insomma, hai ragione, dopotutto. . . Le voglio bene. Voglio bene a lei, a papà. . . A tante persone. Tutti, in qualche modo, si meritano che qualcuno tenga a loro. Non c’è niente che possa valere il rifiuto di affetto da parte degli altri-.
 
Domenica mattina la luce delle dieci entrò gloriosa dalla finestra del salotto; tuttavia, non era riuscita a perforare le palpebre dei due fratelli, che continuarono a dormire, lei sul divano e lui sul tappeto, con la testa poggiata sullo stesso bracciolo.
 Il padre si era alzato dal letto, si era avvolto nella sua vestaglia vecchia di anni ed era uscito dalla camera da letto, con l’intenzione di farsi un caffè e poi di andare a svegliare i figli.
 Non fece nessuna delle due cose: prima di arrivare in cucina, i figli li ritrovò su divano, addormentati vicini.
 Gli salì un groppo alla gola, troppo difficile da ingoiare. La parola giusta era commozione

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Capitolo 16
*** Capitolo 16! ***


Ora che tutte le barriere erano miserevolmente crollate, sentire i passi di suo fratello che risuonavano per casa faceva uno strano effetto a Mem: come quando, in un caldo pomeriggio estivo, ti viene offerta dell'acqua in un bicchiere decorato con quei motivi natalizi stilizzati.
 
Lui ripartì un paio di settimane dopo. Fece i bagagli, ma le fece anche una promessa. Mem non chiedeva mai niente... quindi, per una volta che voleva le fosse data la parola d'onore, accontentarla veniva naturale.

 Fu così che i mesi passarono, ma dentro Mem bruciava una speranza che la promessa alimentava. Grazie a quel fuoco tutto fu più illuminato, più caldo e più sopportabile.
Bruciava tutto ciò che si frapponeva fra lei e il suo obiettivo... bruciava, ma senza distruggere niente.
 Mem tornò a riepire pienamente i suoi jeans; sparirono le occhiaie, sparirono le notti insonni e i mal di pancia lancinanti. I capelli crebbero più morbidi, fino a quando non fu ora di tagliarli di nuovo, e gli occhi pian piano si disabituarono a quelle lenti viola che tanto contribuivano al fascino della proprietaria.
Mem aprì letteralmente il culo ai prof, quando si trattò di recuperare le insufficienze; i professori furono un po' stupiti nell'assistere a quel decollo, per questo non le misero mai il massimo. Ma, nell'intimo, sia loro sia Mem sapevano che la vincitrice era lei.
 Gli amici di Mem avevano tirato un sospiro di sollievo nel vederla sollevarsi in quel modo. Si rammaricarono per non essere stati in grado di aiutarla più di tanto, ma lo stesso furono felici di non averle voltato le spalle durante quel brutto periodo. E, nel vederla sorridere, sapevano che lei era grata a loro come se avessero davvero avuto tutto il merito. Forse, ne era davvero convinta.
 
 Arrivò il caldo. Arrivò l'estate, con giugno e con abbastanza sufficienze da potersi godere le vacanze.
 Arrivò il momento che aveva sostenuto Mem per tutto quel periodo... arrivò suo fratello, di nuovo.
Stavolta con il dovuto preavviso.
 Il ragazzone entrò il casa, urlando un saluto generale che fece sorridere i due familiari. Non appena lo sentì, Mem gli corse incontro saltellante... come lui si era aspettato facesse la prima volta. 
Non ci furono abbracci o commoventi salti tra le braccia: ma gli occhi luccicanti della sorella gli bastarono per farlo sentire a casa.
 -Ce li hai? Ce li hai?- chiese lei, ansiosa.
Il ragazzo sorrise, si sfilò la tracolla e ne tirò fuori due cartoncini:
 -Eccoli. Andata e ritorno... uno per me, e uno per te-.
 Mem ne prese uno, e si stupì di non sentire neanche un velo di lacrime ad oscurarle la vista... aveva mantenuto la promessa.
 Si voltò radiosa verso il padre:
 -Mi porta in Grecia! Papà, mi porta in Grecia davvero!- strillò, al culmine della gioia.
 La gioia era troppa. Era la persona più felice del mondo.
 Era talmente felice che, se avesse potuto frammentare tutta quella felicità e iniettarla in ogni abitante della Terra, avrebbe reso ognuno il più felice del mondo.
 Era talmente felice che, finalmente, si buttò tra le braccia di suo fratello prima, e di suo padre poi.
Ecco: era il loro calore che ci voleva per farla sciogliere in lacrime.


Bene! Casualmente, Mem è felice sono proprio ora che lo sono anche io. Che cosa strana, eh?
Non vi dico neanche quanto manca, perché ci vuole poco per intuirlo. Posso solo affermare che, finalmente, questa storia sta arrivando alla fine.
Ma non è ora il tempo dei convenevoli.
 Piuttosto, volevo ringraziare una persona - che tanto non leggerà mai, ma vabbò... da qualche parte, dovrò pur scriverlo: grazie a G., che mi ha finalmente ( e questo "finalmente" ha proprio nel senso di "alla fine")
regalato la sua maglietta dei Ramones.
Chissà se l'ha fatto apposta, a darmela solo ora invece che quando glie la chiesi la prima volta.
Mah, probabilmente non ci avrà fatto neanche poi così caso.
 Alla prossima. Grazie a chi legge, a chi segue, a chi preferisce e a chi recensisce :)
 

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Capitolo 17
*** capitolo 17 ***


Una volta che ti ritrovi in mezzo a tali isole, capisci come mai Ulisse abbia preferito restare a navigare per vent'anni invece di tornare a casa: quei posti erano talmente belli da spingere quasi al pianto.
L'acqua era talmente trasparente che sarebbe potuta sembrare quella di una piscina, se non fosse stato per le alghe fluttuanti, i pesci multicolori che guizzavano sotto la sua superficie e il sale che si attaccava alla pelle.
Niente sabbia lì: c'erano sassi sul fondo, prima enormi, poi sempre più piccoli man mano che si avvicinavano alla spiaggia. Alcuni erano verdi e viscidi - all'inizio faceva un po' schifo, ma poi ci si abituava- e più volte Mem era stata sul punto di scivolarvi sopra.
 La spiaggia era piccola e riparata da una colossale parete rocciosa; mentre Mem nuotava, suo fratello e sua madre erano seduti su due vecchi teli da mare, a parlare del tempo e di quanto fosse magico quel posto. Lei stava raccontando al figlio di quando, talvolta, le capre selvatiche scendono dalla parete rocciosa: in decine e decine si inerpicano tra gli scogli, bevono l'acqua del mare e poi risalgono agili, mettendo le zampe dove sanno di poterle mettere. Balzano così aggraziatamente che fanno venir voglia di scalare la parete rocciosa anche a te.
 Mem uscì dall'acqua, emergendo in tutta la sua spettacolarità: era bella, sì. Non come lo sono le modelle, ma pur sempre bella... nessuna donna è mai brutta.
 La ragazza si avvicinò ai familiari, avvolgendosi in un telo da mare:
 -Comincia a fare fresco- disse sua madre.
 -Si è fatto un po' tardi, in effetti...- Mem gettò uno sguardo all'orizzonte, e si stupì ancora di quanto quel paesaggio potesse essere spettacolare: il sole sembrava una goccia di colore fosforescente caduto dal pennello di un pittore distratto, a macchiare il mare e le scogliere dalle tinte delicate. Stava tramontando, portando via con sé un'altra giornata passata in Grecia... Mem aveva quasi perso il conto di quante ne erano passate.
 -Copriti, ci volesse che ti prende un accidente- sua madre le gettò addosso il telo da mare su cui era seduta fino ad un attimo prima. Glie lo sistemò bene sulle spalle, e poi le frizionò i capelli bagnati.
Mem chiuse gli occhi e si godette ogni istante di quel piccolo gesto. Cercava di non far commuovere eccessivamente il suo cuoricino, ed effettivamente stava diventando particolarmente brava.
 -Andiamo a casa... ho fame! Col  tempo che ci metti tu per farti una doccia, sarà già tanto se riusciamo a mangiare per le dieci di sera- disse il fratello. Mem gli fece una linguaccia, e poi insieme seguirono la loro madre.

 Infine, l'aveva ritrovata. Sua madre. L'origine e la fine di tutti i suoi mali.
Mem quasi non ricordava come fosse: arrivati all'aereoporto, temeva di non riconoscerla. Ma poi era sembrato così naturale farsi vicina a lei, guardarla con occhi nuovi e godere dello stupore che si disegnava sul suo viso...
 -Mem... come sei cresciuta- aveva sussurrato, prima di accarezzarle una guancia.
Mem non se l'era sentita di ricambiare subito il sorriso: era stata troppo male a causa sua, per dimenticare tutto così in fretta. Aveva invece preferito rispondere:
 -Sì, sono cresciuta. Hai visto? E tutto questo lontana da te-.
Lei aveva abbassato gli occhi, mortificata, mentre intorno centinaia di vite si incrociavano e prendevano la propria strada, in quell'aereoporto.
 -Mi dispiace. Mi dispiace per come sono andate le cose. Ma io... io non ho potuto fare altrimenti. Sai, forse un giorno capirai perché me ne sono andata, capirai perché ti ho lasciata in quel modo, a te e a tuo fratello e a tutti... ma non è semplice da spiegare. Anzi, forse è quanto di più difficile da capire. Un giorno capirai, e tutte le domande con cui ti sei tormentata avranno una risposta. L'unica cosa che mi dispiace è che tu abbia dovuto soffrire così tanto... ma gli Uomini sono pezzenti, no? Hanno bisogno delle maniere forti per capire, per migliorare-.
 Mem aveva sospirato:
 -Tanto ormai so che le risposte devo cercarmele da sola. Tu potrai forse aiutarmi, darmi degli indizi, ma la verità me la devo scoprire io. Ti dirò, lo faccio volentieri: dopo quello che ho passato in questi ultimi anni, il resto mi sembrerà una stupidaggine. Eppure... tu sei mia mamma. Io sono un po' te... ti appartengo. Non posso voltarti le spalle, non posso lasciarti alla deriva. Potrò allontanarmi, potrò non vederti per mesi, per anni... ma esisti. Da qualche parte, ci sei. L'unica cosa che ho bisogno di sapere è... tu vuoi che io ti appartenga?-
 A quel punto, la donna aveva alzato il volto, lasciando che il suo sguardo luccicante stordisse quasi la figlia: in quel momento, era la mamma più bella dell'universo:
 -Certo che lo voglio. Io ti ho fatta, io ti proteggerò. Anche se a volte ti ho fatto male, anche se a volte è sembrato che ti avessi abbandonata, io sarò sempre qui-.
 Mem sorrise, di quei sorrisi che lottano per non lacrimare di gioia:
 -Bene... da adesso potrò far mangiare al mondo la mia polvere-.
 E finalmente si abbandonò a quell'abbraccio materno, la cui assenza l'aveva fatta dannare per anni e il cui calore le sciolse ogni sofferenza.


 Siccome è da un po' che mi chiamano per la cena, è il caso che mi sbrighi. Ci provo.
 Questa storia è giunta ala termine. So che magari non è particolarmente piacevole, o che il significato è piuttosto contorto (magari esiste  solo nella mia mente), ma un filo conduttore c'è... davvero! E' cominciata come un passatempo, di quelle cose che "cominciamo a scrivere, da qualche parte arriverà": ad un certo punto mi sono trovata in difficoltà - sembrava non voler arrivare da nessuna parte, in effetti -, poi mi sono resa conto che ho descritto grossomodo il mio percorso. Se avete ancora delle domande, vi lascio con questa buffa curiosità: ho cominciato a scrivere Mem in una città, e l'ho finita in un'altra città.
 Direi che basta: i richiami dal piano di sotto si fanno sempre più pressanti, e sono ancora abbastanza legata alle tradizioni da voler presenziare a cena.
 Grazie a chi ha letto/seguito/e, soprattuto, recensito. Siete pochi, ma sempre i più fighi del mondo <3

 

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