Do you know what worth fighting for?

di MangakA_BakA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

 

 Ci sono dei giorni… dei giorni che ti sembra non finiscano mai… e quando poi finalmente cala la sera ti metti a letto, e l’unica cosa che riesci a pensare, sotto le coperte, è che sarebbe stato meglio se quella mattina non ti fossi svegliato.

 Quello era stato uno di quei giorni.

Sin dalla mattina, Max si era reso conto che quel giorno non sarebbe stato dei migliori, anche se certo non si immaginava che sarebbe stata quella che avrebbe ricordato come la prima di una lunga serie di giornate da incubo.

Si svegliò tardi, con la luna storta, e arrivò a scuola che il portone era già stato chiuso. Ovviamente si mise a piovere. Perché una giornata di merda non può essere veramente di merda, se c’è un bel sole che splende nel cielo e ti riscalda, mentre un venticello fresco primaverile ti scompiglia i capelli. Quindi ci deve essere quella bella pioggerella –no, non il temporale con tuoni, fulmini e nuvoloni neri, quello è da film dell’orrore, non da semplice giornata di merda- dicevo, quella bella pioggerella, non tanto forte da farti la doccia, ma abbastanza da farti gonfiare a dismisura i capelli e girare la scatole in maniera impressionante.

La seconda parte quel giorno venne accentuata dal fatto che per la successiva ora se ne sarebbe dovuto rimanere fuori da scuola al freddo e al gelo.

<< Cazzo… >> imprecò a bassa voce, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa per coprirsi dall’acqua.

Si infilò nuovamente le cuffie dell’ ipod nelle orecchie e fece partire la canzone che, da ormai due settimane, lo stava ossessionando: Almost Easy degli Avenged Sevenfold. Sotto le note della canzone dei quattro ragazzi californiani si avviò a testa bassa verso il piccolo bar all’angolo della strada. Era un locale piccolo e non particolarmente bello, ma l’atmosfera era accogliente, e i baristi simpatici, quindi i ragazzi ci si trovavano bene e ci andavano spesso.

Entrò aprendo la porta con un calcio ed appoggiò il suo Eastpack nero a terra accanto ad un tavolo, ordinò un caffè e si sedette, togliendosi una cuffia dall’orecchio, mentre la differenza di temperatura gli faceva arrossare le guancie.

Tirò fuori dallo zaino il libro di chimica, e fece per mettersi a studiare, cosa fin troppo sensata per il suo cervellino atrofizzato, visto che il giorno prima non l’aveva fatto per niente, ma la sua attenzione venne subito catturata dal ragazzo –perché era un ragazzo, vero?- seduto al tavolino nero di fronte al suo. Aveva un viso ovale dai lineamenti femminili e dalla pelle pallida, incorniciato da una massa di spettinati capelli neri lunghi fino a metà collo.

Lo sguardo di Max però sfiorò soltanto la sua pelle, i suoi capelli, il suo naso a punto per poi perdersi negli occhi di quel ragazzo: erano di un colore indefinito, verdi, ma con delle pagliuzze dorate che gli davano una profondità decisamente eccessiva, e lo fissavano.

Quando se ne accorse, il ragazzo trasalì e prese ad osservarsi le unghie mangiucchiate.

Era strano davvero, quel tipo... non tanto di aspetto, per quello era abbastanza normale, eccessiva femmineità esclusa, più che altro era strana la sensazione che ti metteva addosso, era strano il modo curioso in cui lo stava osservando...probabilmente in un fumetto l’avrebbero disegnato con una qualche inquietante aura che lo avvolgeva... ma quello non era un fumetto, era la realtà, e Max era solamente irritato dal fatto che quello sconosciuto continuasse a fissarlo come se si aspettasse che da un momento all’altro lui si mettesse a fare qualcosa di molto strano.

Scosse la testa e mormorò un ringraziamento al cameriere che gli aveva appena portato il caffè. Osservò per qualche secondo la tazza bollente, indeciso se bersela tutta perché aveva un aspetto decisamente invitante o buttarla in faccia al ragazzo davanti a lui, imprecandogli contro e assestandogli un calcio nello stomaco perché era davvero insopportabile.

Aveva ormai deciso per la seconda opzione, quando una voce proveniente dall’entrata del bar lo distolse dai suoi piani malefici e lo fece voltare.

Sulla soglia della porta c’era, intento a metter paura alla gente che passava di lì, un ragazzo alto dai capelli neri e gli occhi azzurro, tatuato dalla testa ai piedi e dall’aria parecchio inquietante.

 Era Jimmy Sullivan, il migliore amico di Max.

<< Jimmy! >> lo chiamò, agitandosi in modo parecchio strano sulla sedia –forse il tipo aveva ragione a fissarlo in quel modo.

Lui si voltò, e quando i suoi occhi assurdamente chiari incontrarono quelli di Max, la sua bocca si stese in un ghigno divertito.

<< Ehy piccoletto! Si può sapere perché ti trovo sempre qui?? >> esclamò, andando verso di lui.

Il piccoletto in questione sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

<< Non è colpa mia! Mi si è rotta la sveglia! >> borbottò, a mo’ di giustificazione.

Jimmy scoppiò in una risata fragorosa. In effetti le risate di Jimmy erano sempre fragorose... non sapeva ridere in nessun altro modo.

<< Strano... >> commentò, ancora ridacchiando.

Sarà stata almeno la quarta sveglia che rompeva in una sola settimana, e altrettante erano state le volte che era dovuto entrare alla seconda ora.

<< Ma non è colpa mia se non trovo mai il tasto per spegnerle!! >> protestò Max, ma Jimmy non riuscì neanche a sentirlo. La sua voce fu interamente coperta da uno stridere di freni, seguito da un boato agghiacciante, provenienti dalla strada. Ci furono delle urla. Urla ovunque, anche all’interno del bar, ma le orecchie di Max le percepivano lontane, ovattate, mentre si girava lentamente verso la vetrina, con gli occhi spalancati e un brivido freddo che gli correva lungo la schiena.

Lo spettacolo che lo accolse dall’ altra parte del vetro lo lasciò a bocca aperta, senza parole: due macchine si erano scontrate in mezzo alla strada. Entrambe erano accartocciate su se stesse, ridotte ad un cumulo di lamiere grondanti benzina e sangue. Anche da lì Max riusciva a vedere il denso liquido rosso colare lentamente lungo i vetri rotti del finestrino di una delle due auto.

Non aveva mai visto niente del genere, uno spettacolo così cruento...

E lo affascinava. Ne aveva paura, ma allo stesso tempo era affascinato da quello che stava succedendo in quella strada in quel momento. La gente che si affollava tutto intorno al punto dell’incidente, chi chiamava la polizia, chi cercava di capire se le persone all’interno dei veicoli fossero morte, chi si limitava a guardare la scena preoccupato.

Solo un ragazzo guardava da tutt’altra parte.

Max lo notò quasi subito: se ne stava immobile in piedi sul marciapiede e osservava un punto al sue spalle. Il ragazzo perplesso si voltò, per seguire il suo sguardo,e vide, ancora seduto allo stesso posto di prima, il ragazzo dagli occhi verdi. Si era quasi dimenticato di lui.

Quello distolse lo sguardo da Max e lo portò sul tipo in strada, che sorrise.

Un sorriso freddo, quasi un ghigno. Poi senza alcun preavviso scoppiò a ridere e scomparve.

Max si strofinò gli occhi.

Era..era scomparso...?

Si voltò nuovamente verso il ragazzo del bar, ma non c’era più neanche lui.

 

 

Salve a tutti! Questa storia la iniziai un saaacco di tempo fa, e sta nel mio pc a fare la muffa da allora. In questo periodo sono in vena di postare roba a caso, quindi ho deciso di postare pure questa.  XD

Comunque sappiate che è una storia a cui sono abbastanza affezionata, quindi spero tanto tanto che vi piaccia u.u

Quanto allo slash, in questa storia ce ne sarà, ma, devo dirvelo subito sarà molto più avanti.

 I personaggi sono anche vagamente ispirati agli Avenged Sevenfold, quindi credo ce ne siano un paio che ne portano lo stesso nome, ma la maggior parte sono inventati, quindi ho preferito lo stesso metterla tra le originali. Che dire d’altro? Boh, niente, spero solo che vi sia piaciuto il prologo almeno! XD

Goodbye <3

Ale

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Capitolo 2
*** Chapter 1 ***


CHAPTER 1

 

La East High era una scuola privata molto costosa. Contava all’incirca 300 iscritti, di cui più o meno il 97% era composto da figli di papà, fighetti e secchioni.

Era una delle scuole che ogni anno sfornava più giovani promesse del football dello stato .

Mi sembra inutile dire che i ragazzi come Max non erano visti esattamente di buon occhio dagli altri. A volte capitavano anche degli...incidenti - come li chiamava di solito la preside nel tentativo di mantenere  il buon nome della scuola- da cui qualche ragazzo usciva con un occhio pesto, se gli andava bene. Si diceva che fossero caduti dalle scale, o dal motorino che non avevano, o da una finestra piuttosto, ma la verità la sapevano tutti comunque senza bisogno che gliela dicessero gli insegnanti o la sopracitata preside. Spesso capitava anche a Max di cadere dalle scale, ma questo accadeva solo quando non c’era Jimmy nei paraggi -cosa che ultimamente capitava davvero troppo spesso per la salute del naso di Max. Tutti i ragazzi a scuola avevano paura di Jimmy.

Era grande e grosso, e su di lui circolavano strane storie.

Per esempio si diceva che avesse passato due anni in riformatorio per aver quasi ucciso a pugni un ragazzo in una rissa... naturalmente non era vero, ma certo era utile a tener calmi i giocatori di football un po’ troppo esagitati e violenti.

 Quello e il fatto che girasse con un coltello a serramanico in tasca.

Purtroppo per Max però andavano in due classi diverse, e Jimmy non poteva stare sempre a parare il suo desiderabilissimo fondoschiena di maledetto piccolo attaccabrighe.

Cosa che decisamente quella mattina gli sarebbe tornata parecchio utile, ma alla seconda ora aveva educazione fisica, quindi a metà del percorso si dovettero separare. Max iniziò a camminare in direzione dello spogliatoio maschile con una bruttissima sensazione all’ altezza dello stomaco, e di solito certe sensazioni non lo tradivano mai. Era una cosa che aveva sin dalla nascita, quando stava per succedere qualcosa di brutto iniziava ad attorcigliarsi il suo stomaco senza una motivazione apparente. Non era un superpotere o qualcosa del genere, non poteva prevedere cose e neanche fare nulla per evitare che qualcosa accadesse, erano solo dei piccoli avvertimenti che gli mandava il suo stomaco – e che spesso venivano scambiato per un eccesso di cioccolata o viceversa, quindi non erano troppo utili. Quel giorno però aveva bevuto solo un caffè.

Freddo, visto che prima di decidersi a berlo era rimasto mezz’ora ad osservare il punto in cui era scomparso il ragazzo in strada, chiedendosi se fosse impazzito completamente.

Comunque un mal di pancia da troppo cibo non poteva essere, perciò si ritrovò a pensare di essere ancora sconvolto per l’incidente cui aveva assistito prima, e che la brutta sensazione fosse dovuta solo a quello, anche se solitamente il suo stomaco lo avvisava prima che qualcosa di brutto accadesse, non dopo. In fondo anche lui poteva sbagliarsi, no? Scosse la testa. Non doveva pensarci. Cosa sarebbe mai potuto succedere di così brutto? Niente. Al massimo avrebbe preso un 2 in educazione fisica, che certo sarebbe stata una catastrofe degna di quei crampi allo stomaco.

Una voce che lo chiamava lo fece trasalire, e lo distolse dai suoi pensieri catastrofistici riguardanti parallele asimmetriche e cavalline troppo alte per le sue gambine corte.

Si fermò in mezzo al corridoio, voltandosi verso la ragazza che lo aveva chiamato e che stava correndo verso di lui.

<< Cazzo Max... è la quinta volta che ti chiamo! Sei sordo o cosa?! >> esclamò Hailey, raggiungendolo e fermandosi accanto a lui con un po’ di fiatone.

<< sei riuscita ad in seguirmi di corsa urlando? Davvero riesci a fare entrambe le cose nello stesso momento?? >> la prese in giro Max, con un espressione fintamente stupita.

<< ah ah... simpatico... >> rispose lei con una smorfia a metà tra lo scocciato e il divertito.

<< Comunque non è questo il punto! >> esclamò poi, battendosi il pugno sulla mano.

<< Ah, okay, e qual è allora? >>

Hailey aprì la bocca per rispondere, lo guardò un attimo perplessa, e la richiuse.

<< Non mi ricordo più... >> borbottò, abbassando lo sguardo con aria pensierosa.

Prese a grattarsi il mento, fissando un punto imprecisato a metà tra una lampada e il muro a cui era attaccata con gli occhi stretti e la bocca arricciata.

<< Vabbeh, quando ti torna in mente fammi un fischio, eh... >> sospirò dopo qualche secondo di attesa Max, voltandosi e riprendendo a camminare.

<< Aspettaaa! Era di importanza vitaleee! >> gli piagnucolò dietro Hailey, inseguendolo per qualche passo. << Tanto non te lo ricordi! >> disse lui, allargando gli occhi e agitando una mano per aria. Ignorò completamente la ragazza che si era fermata in mezzo al corridoio, guardandolo male. << Te ne pentirai! Ti pentirai di non avermi ascoltato! >> gli urlò dietro lei, con un pugno alzato e un espressione che doveva essere minacciosa, ma che ricordava soltanto una di quelle vecchie pazze dei film che pretendono di fare profezie sul futuro.

<< Ma se non te lo ricordi!! >> esclamò Max, spalancando gli occhi e voltandosi a guardarla allibito.  << Dettagli... >> rispose lei, annuendo convinta per sottolineare quello che aveva detto.

Lui inclinò appena la testa e la guardò, chiedendosi se fosse davvero così pirla come stava dando prova di essere oppure no. Poi decise che non gli interessava così tanto da costargli un 2 in educazione fisica, che i suoi crampi allo stomaco indicavano molto più vicino di quanto potesse immaginare, e si voltò, entrando nello spogliatoio maschile.

Spalancò la bocca. All’interno lo aspettava più o meno metà della squadra di football della scuola, e a capo dell’allegra combriccola c’era Johnathan Arthur Evans, meglio conosciuto come Johnny, il quarterback della squadra! Il ragazzo di Hailey! La rampa di scale sulla quale una quantità spropositata di gente era caduta! << Stavamo aspettando proprio te Green! >> esclamò Johnny con un sorriso falso come pochi, e per un momento l’idea di girare i tacchi e correre alla velocità della luce il più lontano possibile da lì sfiorò la parte normale del cervellino di Max, ampiamente appoggiata dal suo stomaco, ma poi ebbe la meglio la parte folle a metà tra il masochista e l’attaccabrighe, come al solito. E come al solito non fu un bene.

<< Se volete fare un’orgia sappiate che io non ho di quei gusti... >> rispose infatti, senza pensare al fatto che a quei grossi e muscolosi ragazzi non avrebbe fatto piacere sentirsi dare dei finocchi da lui. O forse pensandoci e fregandosene. In ogni caso non era una grande idea in nessuno dei due casi.

Il sorriso sul viso di Johnny si incrinò leggermente, diventando più simile ad un ghigno schifato.

<< Oh, lo so, anche se non l’avrei mai detto, se devo essere sincero… >> disse, e la cosa suonò parecchio strana alle orecchie di Max, dal momento che fino a quel momento dargli del frocio era stato il suo passatempo preferito.

<< Già, ci hai provato con Hailey, che, per quanto ne so, non è un uomo! >> intervenne, assolutamente fuori luogo, uno degli intelligenti e acuti amici di Johnny.

Max spalancò gli occhi per l’ennesima volta nel giro di un’ora.

<< Chiudi quel cesso Cole! >> sbottò il quarterback, guardandolo male, poi si rivolse di nuovo al ragazzino che continuava a fissarlo sconvolto.

<< Con chi ci avrei provato iooo??? >> esclamò, quando ebbe finalmente ritrovato la voce che fino a qualche secondo prima era andata a fanculo da qualche parte all’altezza dei suoi piedi.

<< Oddio! Ma voi siete completamente andati! >>

<< Ti ha visto Grey l’altra sera… >> disse Johnny, con un sorriso falsamente conciliante.

<< E chi cazzo sarebbe Grey??? Io non ci ho provato con la tua ragazza! Ma sei idiota o cosa? Non sono masochista, e neanche un aspirante suicida!! >> In effetti per un secondo la sera prima l’idea che Hailey fosse davvero fottutamente carina aveva attraversato il suo cervellino bacato, ma non ci aveva provato con lei. Assolutamente no. Okay, forse gli mancava qualche passaggio di quello che era successo. Okay, forse gli mancavano parecchi passaggi. Okay, forse aveva bevuto troppo.

E ora non ricordava un cazzo della sera prima, e poteva benissimo essere che ci avesse provato, e la cosa non gli piaceva affatto. Perché significava che Johnny aveva ragione. E ciò era male.

Il ragazzo lo guardò per un momento dall’alto, come se stesse leggendo nei suoi pensieri, poi sorrise appena. Quel sorriso provocò un brivido lungo la schiena di Max.

<< Cole! Tyler! Tenetelo fermo! >> ordinò, e il ragazzino non poté far altro che indietreggiare leggermente, quando Cole gli prese il braccio destro e glielo girò dietro la schiena.

Sarebbe stato inutile cercare di difendersi, lo sapeva benissimo, quel ragazzo era il triplo di lui.

<< Non prenderla sul personale Maxie >>

Max fece una smorfia. Niente di personale, certo, intanto però lo stava per pestare…

La vita era stata decisamente ingiusta con lui.

Ne era certo, quanto era certo del fatto che Johnny avesse dei seri traumi infantili.

Tyler, un altro giocatore di football enorme e con le mosche laddove solitamente la gente ha il cervello, gli si avvicinò con aria scocciata e gli bloccò il braccio ancora libero.

<< È solo… diciamo una dimostrazione… >>

<< Sì, di quanto tu sia incredibilmente idiota… >> borbottò Max, scuro in volto, guardando a terra.

Non si stava muovendo, né stava cercando di liberarsi, ma quando finì la frase sentì la presa di Cole stringersi sul suo braccio, facendogli male. Ma non fece neanche in tempo a lamentarsi. Non che comunque avesse intenzione di fargli presente che lo stava stringendo un po’ troppo forte, ma anche se avesse voluto farlo non avrebbe potuto.

Sentì il dolore esplodergli sullo zigomo come se tanti spilli lo stessero trafiggendo, mentre la pelle si apriva sotto il pugno di Johnny. Il ragazzo strizzò gli occhi in una smorfia di dolore, mordendosi un labbro, ma non emise neanche un verso: era abbastanza abituato a prendersi qualche botta ogni tanto, ma il non poter muovere in alcun modo le braccia lo stava uccidendo.

Gli dava una frustrazione assurda e, Dio, lo faceva sentire impotente e piccolo, come una bambola nelle mani di quei ragazzi.

Johnny gli si avvicinò appena e gli alzò il volto con due dita.

Max lo vide sorridere appena, guardando il suo zigomo, che era sicuro si stesse gonfiando e probabilmente aveva anche un brutto colore a metà tra il viola, il rosso e il nero.

<< Allora Maxie, com’è? Fa male..? >> chiese, ancora con le labbra curvate in quel sorriso appena accennato, lasciandogli il viso.

Max alzò lo sguardo su di lui, ritrovando un po’ della dignità che fino a quel momento sembrava essere completamente scomparsa, e fece un ghigno inquietante.

<< Figurati, ci sono abituato, no? >>

Il quarterback rise, una risata fredda che non si accompagnava affatto bene al suo bel viso dai lineamenti regolari, poi si passò una mano sul volto.

Il secondo pugno arrivò dritto alla bocca dello stomaco, ancora più inaspettato del primo.

Un verso strozzato lasciò le labbra del ragazzo, che si piegò in due cercando di respirare dell’aria che non riusciva a raggiungere i suoi polmoni.

Era una delle sensazioni più brutte che avesse mai provato, come se avesse il petto stretto in una morsa, che gli impediva di inspirare e che lo stava uccidendo.

Strinse di nuovo gli occhi e digrignò i denti. Non era la prima volta che si prendeva un pugno nello stomaco, sapeva che sarebbe passato, ma faceva un male d’inferno comunque.

Si morse un labbro, doveva solamente aspettare che finisse, ma Johnny non gli lasciò il tempo.

Quasi non si rese conto di quello che succedeva, sentì solo un dolore al braccio, accompagnato da una rumore di ossa rotte. La stretta intorno ai suoi polsi si allentò e il sangue riprese a scorrere nelle sue mani. Lui si lasciò cadere a terra accovacciato, con le gambe raccolte al petto, si teneva il braccio dolorante con l’altro e respirava a fatica, una lacrima che gli scivolava lenta lungo la guancia. Non l’aveva mai fatto. Sin dall’asilo Max era sempre stato quello un po’ strano, il ragazzino che si veste in un altro modo, che ascolta altra musica, e viene preso in giro dai suoi compagni, ma mai, mai, aveva lasciato che lo facessero piangere.

Li prendeva in giro a sua volta, ci rideva sopra, si incazzava anche, ma non piangeva.

E invece eccolo lì, seduto per terra, in lacrime come una stupida ragazzina solo per qualche pugno.

Solo l’idea di star presentando un tale spettacolo a quegli idioti gli faceva venir voglia di vomitare –o forse quello era più dovuto al fatto che era appena stato preso a pugni, il suo stomaco- ma non riusciva a farne a meno. Le lacrime avevano preso a scendergli incontrollate, senza che lui potesse in alcun modo fermarle. Johnny si inginocchiò accanto a lui e avvicinò la bocca al suo orecchio.

<< Non provare a raccontare a nessuno che siamo stati noi, se non vuoi finire male… >> sussurrò, poi si rialzò, e lui e i suoi amici se ne andarono, lasciando Max per terra, con il braccio pulsante e un rivolo di sangue che gli scivolava dallo zigomo pesto.

Rimasto solo alzò il viso, cercando invano di pulirlo con il dorso della mano, ma finendo solo per fare  un impensabile disastro di sangue e lacrime su tutte le guancie.

Tirò su col naso e si sedette con la schiena contro il muro, reprimendo un leggero singhiozzo.

Con una piccola smorfia di dolore si tirò su la manica della felpa e tolse il polsino rosso: lungo tutto l’avambraccio si era allargato un rigonfiamento viola e nero dall’aria piuttosto preoccupante.

<< Porca troia… >> imprecò sottovoce, mordendosi distrattamente il labbro, accigliato.

Non gli piaceva lamentarsi. Non era un tipo melodrammatico, né fatalista, e mai, quando lo avevano picchiato, ne aveva fatto una tragedia, ma questa volta aveva proprio la netta sensazione che quello fosse molto più che un semplice livido. Erano passati appena un paio di minuti, quando iniziarono ad arrivare i suoi compagni di classe, facendo un gran chiasso, per cambiarsi prima dell’ora di educazione fisica. Max era ancora nelle stesse condizioni pietose, ma non voleva che loro si accorgessero di quello che gli era successo, non voleva che lo compatissero, quindi nascose il braccio, coprendolo nuovamente con la felpa, e coprì in qualche modo l’occhio con la frangia.

<< Ehy Max! >>

Andrew Davis era un bravo ragazzo, sotto ogni aspetto. Era di buona famiglia, era un bel ragazzo, andava bene a scuola ed era popolare, ma nonostante questo era anche il genere di ragazzo che si guarda intorno, senza credersi migliore di qualcun altro, e che fa caso quando una persona sta male, o è arrabbiata, insomma il genere di ragazzo che fa caso a cose cui altri non fanno caso.

<< Che vuoi Davis? >> si limitò allora a rispondere, inclinando leggermente la testa verso sinistra, per nascondere meglio il livido alla vista del ragazzo, facendo ricadere la frangia su tutto l’occhio.

Lui lo guardò un attimo accigliato.

<< Che ti sei fatto all’occhio? >> Appunto. Fa caso a certe cose...

Max non rispose. Che cosa voleva quel ragazzo da lui? Non erano amici, perché non lo lasciava in pace e basta?

<< Fammi vedere… >> disse ancora il ragazzo, prendendogli il viso, fece per voltarglielo.

Perché non spariva?

<< Lasciami! >> Sparisci.

Fu una cosa strana. Come se un lampo di odio lacerante lo attraversasse, qualcosa che non aveva mai provato prima. Il suo cuore accelerò i battiti, è un brivido lo percorse.

I due ragazzi spalancarono gli occhi nello stesso momento, e in un attimo Andrew era a terra, immobile, gli occhi rivoltati all’insù. Max lo guardava, senza capire, e mentre tutti gli si affollavano intorno, solo tre parole continuavano a riaffacciarglisi nella mente: sono stato io.

Non sapeva perché, e non capiva come, ma nello stesso istante in cui le aveva pensate aveva saputo che quelle parole erano vere.

 

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