Leggero

di lexy90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meet Me Halfway ***
Capitolo 2: *** Make Way ***
Capitolo 3: *** Closer To The Edge ***
Capitolo 4: *** What You Need ***
Capitolo 5: *** The Other Side ***
Capitolo 6: *** Tightrope ***
Capitolo 7: *** Waiting ***
Capitolo 8: *** Carry Out ***
Capitolo 9: *** All The Right Moves ***
Capitolo 10: *** Breathe Slow ***
Capitolo 11: *** Dream In The Air ***
Capitolo 12: *** Here I Stand ***
Capitolo 13: *** Take Your Time ***
Capitolo 14: *** Walking Away ***
Capitolo 15: *** Just Like That ***
Capitolo 16: *** Castle Walls ***
Capitolo 17: *** Signs ***
Capitolo 18: *** Day N Night ***
Capitolo 19: *** Liv Tonight ***
Capitolo 20: *** Feel Nobody ***
Capitolo 21: *** One Hand ***
Capitolo 22: *** Rock Your Soul ***
Capitolo 23: *** Strangers ***
Capitolo 24: *** Lovers And Friends ***
Capitolo 25: *** Rise And Fall ***
Capitolo 26: *** Fragile ***
Capitolo 27: *** Illusion ***
Capitolo 28: *** Nature Feels ***
Capitolo 29: *** Changes ***
Capitolo 30: *** Never Say Never ***
Capitolo 31: *** I Care ***
Capitolo 32: *** Slow Dancing In A Burning Room ***
Capitolo 33: *** Hiding My Heart ***
Capitolo 34: *** I Miss You ***
Capitolo 35: *** It's A Fight ***
Capitolo 36: *** Motivation ***
Capitolo 37: *** Brand New ***
Capitolo 38: *** Show Off ***
Capitolo 39: *** One Chance ***
Capitolo 40: *** Hometown Glory ***
Capitolo 41: *** Going Away ***
Capitolo 42: *** Spotlight ***
Capitolo 43: *** What You Got ***
Capitolo 44: *** Have A Little Faith In Me ***
Capitolo 45: *** Fast Car ***
Capitolo 46: *** I Want It All ***



Capitolo 1
*** Meet Me Halfway ***




Buonasera a tutti..non ci credo ancora che lo sto facendo eppure..eccomi qui!
Dopo anni torno a pubblicare..aiuto O_O
Comunque..mi sento in dovere di specificare qualche punto su questa storia per poter inquadrare bene il contesto e non confondersi.
Tutta la vicenda avviene tenendo conto esclusivamente della prima serie, a grandi linee la storia rimane quella negli aspetti fondamentali, cambiano un po’ di cose rispetto al Monastero e a Kei (ad esempio non inserisco la perdita di memoria), ma in ogni caso nel corso dei capitoli spiegherò bene le  mie modifiche.
Delle altre serie l’unico personaggio presente sarà Hilary, mentre per motivi di copione ho eliminato il Professor K; direte “poverino”! Lo dicevo anche io, ma mentre creavo la storia la sua presenza era sempre di troppo e non riuscivo a farlo quadrare nel contesto.
Un’altra precisazione che ci tenevo a fare è sul personaggio di Kei: chi mi conosce sa quanto lo amo e può immaginare quanto sarà al centro dell’attenzione, ma vi avverto già da ora che la versione che vi presenterò potrebbe non essere molto facile da accettare! Eheh non preoccupatevi non è tremenda, ma io stessa ho fatto fatica a vederlo subito nel modo in cui l’ho dipinto. Invece ora riesco a vederlo solo così! :)  Spero che non appena coglierete quello che lo renderà tanto strano continuerete a leggere ugualmente.
Infine vi avverto che la storia è già decisa interamente nei minimi dettagli e scritta per la maggior parte e che quindi non avverrà nessuna modifica in itinere almeno che non sia estremamente necessario. Questa fiction è il risultato di anni di perfezionamento nella mia testa e su word! E’ l’unione di almeno tre storie separate che inevitabilmente si sono connesse e hanno combaciato perfettamente, quasi in modo naturale.
Ah vi avverto, davvero come ultima cosa, che questa storia potrebbe essere infinita! XD
Immagino andrà molto per le lunghe.
Sperando di non avervi stufato vi lascio alla lettura finalmente!





Meet Me Halfway




Solita giornata senza fine, solita routine, solito posto, solito ronzio nella testa, solita sonnolenza.
Stava per chiudere gli occhi e appisolarsi cullato dalla ninnananna che forse sentiva solo lui, fatto stava che era stanco e quello era il momento buono per addormentarsi, la sua testa stava già scegliendo che sogno iniziare..ecco, dolci, tanti dolci, tutti per lui, cioccolata, panna, caramelle, biscotti e..e il professore di matematica. Che ci faceva il professore di matematica in quel paradiso? E che cosa stava cercando di dirgli? Un colpo al fianco lo fece rinvenire del tutto e notò che le torte e i biscotti si stavano diradando per lasciare spazio ai volti dei suoi compagni di classe che tentavano ogni modo conosciuto per non scoppiare a ridere, e lì, in mezzo a tutti, l’unica parte del sogno che non si era dissolta: il professore lo fissava alquanto irritato.

-Ma si può sapere perché tu riesci ad addormentarti ad ogni lezione? Ma che fai la notte invece di dormire? E poi ascoltare non ti farebbe nemmeno troppo male!- Hilary stava per l’ennesima volta facendo la ramanzina al povero Takao, che si stava già disperando per quello che lo aspettava il giorno dopo: una lunga e tremenda interrogazione sul programma svolto fino a quel momento.
-Come faccio? Ero appena riuscito a recuperare quel 4 per pura fortuna!-
-Dai ti diamo una mano noi! Cioè per quello che ne capiamo..- Takao guardò Max con gli occhi colmi di gratitudine, tanto che per poco non si mise a piangere.
-Questo non vuol dire che però noi facciamo tutto e tu ci guardi mangiando come al tuo solito!-
-Tranquillo Rei..farò il bravo e mi impegnerò tanto..parola di lupetto!-
Il quartetto di quindicenni continuava a camminare verso casa cercando di consolare il giapponese: ormai dalla fine del torneo Max e  Rei si erano trasferiti da Takao e avevano iniziato a frequentare lì la scuola dove avevano conosciuto Hilary che si era inserita subito perfettamente nel gruppo.
-Mi raccomando fatelo studiare.. ci vediamo domani a scuola! Ciao ragazzi!- Detto questo Hilary si separò dal gruppo e li lasciò proseguire da soli.
Il resto del pomeriggio si rivelò una noia mortale tra equazioni, funzioni e chissà che altro: quel che era certo era che Takao e la matematica non sarebbero mai andati d’accordo e l’interrogazione si sarebbe rivelata ancora più catastrofica del previsto, il che non rendeva l’atmosfera molto felice.
Anche l’ora di cena arrivò e il racconto della disavventura di Takao fece arrabbiare non poco nonno J il quale non sapeva più che fare con quel nipote disgraziato!
-Ma nonno che ci posso fare io se quello lì ha un tono di voce soporifero..dai è impossibile ascoltarlo..-
-E allora perché Max e Rei riescono benissimo a restare svegli durante le sue lezioni, mentre te no?-
-E che ne so io.. chiedilo a loro..-
Drin Drin
-Takao basterebbe solo che ti impegnassi un po’!-
Drin Drin
-Nonno suona il telefono..-
Drin Drin
-Lo sento.. ma potresti anche rispondere te e evitare al tuo vecchio di alzarsi..-
Tre paia di occhi fulminarono il ragazzo che si alzò e si diresse verso il telefono sbuffando.
-Pronto? Casa Kinomiya..-
-Ciao Takao.. da quanto tempo..- Una voce ferma e fredda.
-Ehm chi parla? Ci conosciamo?- Takao non riusciva ad unire a un volto quella voce anche se era sicuro di averla già sentita.
-Sì scusa in effetti è passato un bel po’ dall’ultima volta che ci siamo sentiti..- Sì qualcosa di familiare c’era, c’entrava col bey, ma chi poteva essere? - ..sono Sergay!-
-Oh ma certo.. scusa non ti avevo riconosciuto.. in effetti è da un bel po’ di tempo che non ci sentiamo.. tutto a posto?- Sentiva delle voci dall’altra parte dell’apparecchio, qualcuno che era appena arrivato, oppure..
-Aspetta che ti passo Yuri..-
-Sì certo, ma che..-
-Pronto Takao?!- La sua voce invece non se l’era dimenticata, sempre controllata, sicura, come se niente e nessuno potesse contraddirlo, eppure ora c’era qualcosa di diverso, qualcosa che le aveva tolto certezza.
-Sì.. ciao Yuri da quanto tempo.. come va lì?-
-Ehm direi bene tr..-
-Sergay mi sembrava un po’ strano.. lui e Boris hanno qualche problema?-
-No no loro stanno bene..-
-Tu invece? Mi sembri un po’ provato!-
-No io sto bene..-
-Kei invece? E’ da tantissimo che non lo sentiamo.. e meno male che ci aveva promesso che saremmo rimasti in contatto.. ma conoscendolo in effetti non è che potessi sperare in più di tant..-
-Takao ascolta ti devo chiedere una cosa importante a proposito proprio di Kei.. se non vi siete sentiti è perché lui.. diciamo che non è stato molto bene nell’ultimo periodo..-
-Cosa? Sta male? Che cos’ha? Possiamo fare qualcosa?-
-Vi volevo chiedere appunto se potevate venire qui in Russia.. solo per qualche giorno.. magari la vostra presenza potrebbe farlo sentire un po’ meglio.. e poi perché vi devo chiedere un favore.. soprattutto a te Takao.. ma dovete venire di persona.. non saprei come spiegartelo al telefono!-
-Sì Yuri, ne parlo subito con gli altri, ma non credo che ci siano problemi.. ci vorrà solo qualche giorno per prepararci.. ma cos’ha Kei?-
-Diciamo che gli ultimi anni sono stati un  po’ duri per lui.. ma sapete com’è fatto.. si tiene sempre tutto dentro e ora.. beh ha avuto qualche problema con la droga e.. no tranquillo ora ne è uscito.. o almeno ci sta provando.. ma le cose non sono migliorate troppo.. dovete venire per capire!-
-Tranquillo! Veniamo il prima possibile..-
-Grazie..allora semmai ci sentiamo domani per i dettagli!-
-Perfetto.. allora a domani..-
Yuri riagganciò prima che Takao potesse aggiungere altro.
Rimase davanti al telefono a fissare il muro bianco davanti a lui per qualche secondo; non è che avesse capito molto di quello che Yuri aveva detto. L’unica cosa certa era che Kei non stava bene e questo lo preoccupava non poco perché, conoscendo il ragazzo, se aveva ammesso di stare male e aveva chiesto aiuto voleva dire solo una cosa: era grave!
Ripensò velocemente all’ultima volta che l’aveva sentito. Non si ricordava bene quand’era, erano trascorsi diversi mesi..forse alla fine delle vacanze estive..no doveva essere prima. Primavera.. sì gli sembrò di ricordare una bella giornata, l’albero del giardino in fiore e Hilary che lo punzecchiava perché tornasse subito a ripassare. Ma quella volta, pensandoci bene, non è che gli avesse poi veramente parlato. Si sentivano con i russi molto di più in quel periodo, ma chissà come mai, ogni volta che chiamavano, Kei era sempre fuori casa; solo in quel pomeriggio di aprile era riuscito a farselo passare per pochi secondi durante i quali aveva ricevuto risposte monosillabiche ai suoi “come va?” e “è da tanto che non ci si sente!” e poi basta. Vuoto totale.
Sì, era proprio aprile. Questo voleva dire che era passato quasi un anno da quella telefonata alla quale erano seguiti solo pochi tentativi sempre più radi e altamente inutili di sentirlo, tanto che aveva rinunciato sperando che fosse lui a farsi finalmente vivo! E ora lo aveva fatto..cioè, Yuri.. o meglio Sergay.. No, non ci capiva più un fico secco!
Stava ancora guardando il muro quando finalmente gli altri lo vennero a risvegliare dai suoi pensieri per chiedergli informazioni sulla telefonata.
-Ehm.. Takao chi era al telefono? Va tutto bene?-
Finalmente il suo cervello smise di rimuginare sul passato (gli stava anche venendo un forte mal di testa!) e spostò l’attenzione sui due amici che lo guardavano perplessi e la sua vena istintiva e ottimista tornò a muoverlo.
-Presto! Dobbiamo trovare un volo al più presto! Preparate i bagagli e..-
-Aspetta aspetta! Che cosa stai farfugliando?! Dov’è che dovremmo andare? E soprattutto perché?!-
-Ah sì..si parte per Mosca! Andiamo a ritrovare quel polaretto ammattito!-
-Credi che si stia riferendo a Kei?- Max guardò Rei con un sorrisetto, capendo il perché di tutta l’agitazione e la trepidazione di Takao.
-Mi sa proprio di sì!-

Questo è un assaggino..fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti!
Un bacione :)




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Capitolo 2
*** Make Way ***


 

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”





Make Way

 

 


8 ore e mezzo di viaggio sono assolutamente una sofferenza per chiunque. Per chiunque diverso da Takao Kinomiya. Lui riusciva sempre a sopportare un viaggio così lungo. Motivo? Beh tutto quello che si può fare su un aereo in volo è leggere qualcosa, mangiare o dormire. E Takao era tanto intento a impegnarsi nelle ultime due opzioni, che non aveva nemmeno il tempo di concentrarsi sulla prima, il che gli andava perfettamente bene!
Alla fine, dopo solo un’ora dalla telefonata di Yuri, avevano convinto Nonno J che saltare qualche giorno di scuola non li avrebbe danneggiati troppo, avevano prenotato il volo e quasi finito di preparare le valige; il giorno successivo Takao aveva preso la famosa (e inevitabile) insufficienza che, però, non lo preoccupava molto considerando il viaggio che si apprestava a fare, e Yuri aveva richiamato per confermare la data e l’ora del loro arrivo; Hilary, appena informata della cosa, guardò incredula i tre ragazzi, ma non aggiunse altro.
Così ora Rei, Takao e Max erano sull’aereo in atterraggio nell’aeroporto di Mosca.
-Dobbiamo regolare l’ora ragazzi!- Rei iniziò a trafficare col suo orologio da polso, mentre seguivano la folla di gente che entrava insieme a loro nel terminal, cercando di capire quale potesse essere l’ora giusta. Finalmente in mezzo a tutti quei cartelli scritti in un alfabeto incomprensibile avvistò un orologio e trionfante annunciò che era mezzogiorno e mezza.
-Ma come è possibile?! L’aereo partiva da Tokyo alle 9!-
-Takao non hai mai sentito parlare di fusi orari!?-
Rei pronunciò le ultime parole come se fossero una formula magica provocando le risate di Max e una classica espressione da “sto cadendo dalle nuvole” da Takao.
Avevano appuntamento con Yuri in aeroporto, ma iniziarono a guardarsi intorno da subito perché, sinceramente, l’idea di non trovarlo e di rimanere tutti soli in quella città dove non capivano né la lingua né la scrittura li preoccupava parecchio.
Per fortuna non dovettero fare molta fatica poiché il rosso li aspettava all’uscita del terminal appoggiato a una grande colonna. Era cambiato: stessi capelli rosso fuoco, ma più corti dell’ultima volta, molto più alto, li sovrastava di almeno 20 cm, e un’espressione più matura, non che fosse mai stato un bambino ingenuo, ma semplicemente dimostrava più dei suoi 18 anni, ma in un modo meno raccapricciante di quando lo avevano conosciuto due anni prima durante il torneo mondiale; allora era un impassibile soldatino con la maturità di un ragazzino cresciuto troppo in fretta nel modo più terribile al mondo, ora era semplicemente un ragazzo molto bello, sicuro e sereno.
-Ben arrivati! E’ andato bene il volo?-
Si vedeva che il russo era leggermente a disagio a dover intraprendere una conversazione con loro, ma per fortuna non dovette troppo preoccuparsi di trovare argomenti per continuarla: Takao fece tutto da solo ostentando il suo disappunto sul fuso orario che definiva una grande seccatura.
Presero, quindi, un treno che li portò in mezz’oretta fino al centro di Mosca dove si fermarono a mangiare qualcosa in un ristorantino economico. Una volta seduti al tavolo Rei decise che era il momento di chiedere maggiori informazioni sul motivo per cui erano stati chiamati così urgentemente, soprattutto si chiedeva come, dopo tanto tempo, potessero essere davvero d’aiuto per Kei.
-Yuri.. perché siamo qui? Cos’ha di preciso Kei?-
Yuri non batté ciglio, si aspettava che gli rivolgessero quella domanda, e prese un profondo respiro prima di parlare, socchiudendo per un attimo gli occhi, come per ricordarsi un copione che si era ripetuto più e più volte.
-Ecco.. vedete, Kei..- Decise allora di abbandonare ogni frase studiata e pacata che gli era venuta in mente nei giorni precedenti -.. Kei sta male! Dopo l’arresto di Vorkov e di suo nonno, in pratica dopo l’ultima volta che ci siamo visti, sembrava che tutto stesse volgendo al meglio, insomma eravamo liberi, invece era tutta apparenza.. io, Boris e Sergay abbiamo superato la cosa molto meglio di lui.. ha iniziato a seguire una via sbagliata, a drogarsi, questo ve l’ho già detto, poi per fortuna siamo riusciti a convincerlo che così non poteva continuare e si è convinto a smettere, è difficile, ora sono passati quasi due mesi, dall’ultima volta che.. ma sapete com’è.. è difficile per lui stare lontano dalla droga.. non sono sicuro che possa resistere..cioè ora sembra che si stia risollevando, ma ho sempre paura che si lasci trasportare dal desiderio di farsi.. e vi assicuro che è ancora forte per lui..e non so cosa fare..non sappiamo come fare!-
Sembrava che questo discorso gli fosse costato tanta fatica e il ragazzo si sentiva gli occhi degli altri tre incollati addosso.
-Speravo che magari se voi riusciste a distrarlo per un po’, fargli tornare la voglia di vivere, fare qualcosa di nuovo, magari potrebbe stare meglio..lo so mi sto illudendo, ma devo provare, devo trovare un modo per aiutarlo veramente..-
Le parole gli morirono in gola.
-Capisco.. non so cosa riusciremo a fare, ma ci proveremo.. sono contento che tu ci abbia chiamato!-
Rei rivolse un sorriso a Yuri, che, se anche con un po’ di amarezza, lo ricambiò. Al cinese sembrò che fosse moltissimo tempo che al russo non capitasse di sorridere, ma il suo pensiero si spostò automaticamente su Kei, su come doveva essere cambiato e su quanto invece fosse rimasto uguale nei suoi modi, non sapeva che aspettarsi; se c’era una persona che faceva esattamente il contrario di quello che uno si aspetterebbe quello era proprio Kei.
Per arrivare alla casa dei ragazzi, fecero una passeggiata per le vie di Mosca e impiegarono una ventina di minuti; il freddo era pungente, ma per fortuna si erano portati tutto il necessario per non soffrire il freddo inverno russo.
Takao e Max monopolizzarono la conversazione e la spostarono su argomenti abbastanza futili come il tempo, notando la difficoltà di Yuri a continuare a raccontare di Kei, nonostante tutti loro avessero la curiosità di sapere qualcos’altro sull’amico.
-Lo vedrete e capirete- furono le ultime parole che pronunciò Yuri prima di chiudersi nel silenzio ad ascoltare e a guidarli per le strade di Mosca.
Mosca era stata il teatro del loro ultimo incontro, ma, se possibile, ora era ancora più coperta di neve. Dopo la finale del torneo mondiale, i Demolition Boys si erano ritrovati finalmente liberi e avevano stretto un rapporto molto stretto con la squadra giapponese; Kei aveva avuto la possibilità di scegliere se restare in Russia o andare con Takao, ma non se l’era sentita di lasciare Yuri e gli altri, i suo fratelli, come li aveva definiti quella volta, in una delle sue rare esternazioni di affetto. Allora si erano separati con la promessa di sentirsi e così era stato per almeno un anno, fino a che inevitabilmente le telefonate, le lettere e le mail si erano fatte pian piano più rare, a distanza sempre maggiore, fino a terminare.
La situazione dei russi non aveva aiutato questa corrispondenza; per almeno un anno infatti si erano visti trasportare da una casa famiglia a un’altra, ma per fortuna erano riusciti a restare insieme; quando finalmente Sergay, il più grande, era diventato maggiorenne si era accollato la responsabilità degli altri tre ed erano riusciti ad uscire da questo continuo sballottamento da una parte all’altra di Mosca. Una fortuna in più li aveva colpiti: il nonno di Kei morì in prigione il mese prima del compleanno del colosso biondo e si scoprì aver lasciato tutta la sua eredità al nipote. Kei non voleva accettare niente da quell’uomo, ma dopo aver riflettuto attentamente, trovò il lato positivo della faccenda: scoprì qual era la più modesta proprietà del nonno in città e la trasformò nella loro nuova casa.
Erano proprio arrivati davanti a quella casa: faceva parte di una serie di abitazioni unifamiliari, il quartiere non era molto centrale, ma sembrava il classico posto per famiglie che non erano ricche, ma nemmeno facevano la fame, un posto tranquillo insomma.
-Vi siete trovati proprio un bel posticino!-
-Già.. siamo stati fortunati-
Rei si fermò sorridendo a osservare la casetta a due piani che gli si presentava davanti di un colore di un bianco spento, un po’ scrostato; per entrare attraversarono un cancelletto di ferro e un piccolo giardino ricoperto completamente di neve, se non fosse stato per il vialetto che era stato ripulito. Tre scalini e furono davanti alla porta di ingresso che Yuri aprì con una chiave tirata fuori dalla tasca dei jeans.
Entrando i ragazzi furono accolti da un piacevole tepore che li fece trepidare: decisamente un bel salto di qualità dalla fredda pietra del monastero.
Davanti a loro si estendeva un lungo corridoio con diverse porte e a sinistra le scale che portavano al piano superiore; fecero qualche passo avanti e dalla porta più lontana uscì un ragazzo altissimo, se possibile ancora più alto di Yuri, e soprattutto molto più grosso, con i capelli biondi a spazzola e un sorriso che stonava con il ricordo totalmente diverso che i tre nuovi arrivati avevano di lui.
Sergay sembrava un’altra persona, gli venne incontro a grandi falcate, e strinse la mano ad ognuno di loro, sempre col sorriso: era decisamente ingrassato dall’ultima volta, quando la sua stazza era dettata dai muscoli, ora sembrava invece che si fosse lasciato decisamente andare e ad aiutarlo non era di certo il pesante cappotto che indossava che lo ingrossava ancora di più.
-Scusate ragazzi, ma devo proprio scappare.. sono molto felice che siate riusciti a venire! Ci vediamo stasera! Ciao Yuri!-
Dette qualche istruzione al rosso e poi sparì dietro la soglia. Mentre uscì, una ventata gelida riuscì a intrufolarsi in casa, ma si dissolse dopo pochi secondi.
I ragazzi ricominciarono a guardarsi intorno mentre Yuri li invitava a fare come se fossero a casa loro. L’arredamento era essenziale e girarono due o tre volte su loro stessi prima di decidere dove posare i cappotti e gli zaini: alla fine Yuri fu sommerso dai loro soprabiti e li sistemò nella prima porta a sinistra prima delle scale, la quale si rivelò uno sgabuzzino.
Fecero per dirigersi verso la prima porta a destra, che si scoprì essere la cucina, quando sentirono dei passi provenire dalle scale.
Si voltarono per vedere di chi si trattasse nella speranza che fosse il loro amico; erano davvero impazienti di vederlo, dopo tutto quel tempo e dopo tutto quello che gli aveva raccontato Yuri, si aspettavano di veder venire giù il solito ragazzino con lo sguardo triste, i disegni sulle guance e il broncio perenne.
Chi scese dalle scale però non era Kei, o almeno, non il Kei che si ricordavano, non il Kei che si aspettavano. Per la terza volta nel giro di poche ore si ritrovarono a fissare l’altezza della persona che gli si avvicinava; sicuramente non raggiungeva Sergay, ma Yuri sì e dovettero quindi alzare la testa più del solito. Ciò che era rimasto assolutamente uguale era la sua bellezza, nessuno aveva mai messo in discussione questa sua caratteristica, ma rimasero comunque stupiti di vedere che non aveva perso nemmeno un briciolo del suo fascino che colpiva sempre chiunque, anche in quel momento che si vedeva non essere dei migliori: infatti gli occhi di quel color vermiglio tanto strano quanto affascinante, erano segnati da profonde occhiaie e si notava quasi subito il labbro inferiore spaccato. Era vestito con una tuta larga che accentuava l’eccessiva magrezza; con le mani in tasca e il cappuccio della felpa tirato su, li guardava indifferente. Era bello punto e basta. Non c’era niente da dire, poteva avere anche la pelle verde, quattro braccia e essere pieno di ferite e comunque sarebbe stato bello. Rei pensò che se gliel’avesse fatto notare sicuramente lo avrebbe ammazzato, o almeno il vecchio Kei l’avrebbe fatto considerando la sua irritabilità quando si parlava della sua bellezza. Ora non ne era più sicuro.
Dimostrava certamente molto di più dei suoi 16 anni. Continuò la discesa della scala come se tre paia di occhi non lo stessero fissando avidi di sapere cosa gli fosse successo e con noncuranza si tirò giù il cappuccio mostrando i capelli argentati, molto più lunghi di due anni prima, legati in una coda bassa. Solo allora si accorsero quanto la figura di “cattivo ragazzo”, che già aveva tempo prima, fosse marcata: non avevano subito notato il piercing al sopraciglio sinistro e, ora che aveva il collo scoperto, intravidero un piccolo tatuaggio sotto l’orecchio destro e poco più in giù il termine di un altro che doveva continuare sulla spalla.
Si fermò alla fine della scala, un silenzio imbarazzante era caduto su tutti loro; Yuri che era rimasto dietro i tre ragazzi più piccoli, osservando Kei leggermente preoccupato, come se si aspettasse chissà quale reazione. Takao fece per aprire la bocca due o tre volte prima di scoprire che da essa non fuoriusciva nessun suono. Al quarto tentativo sembrava finalmente deciso a dire qualcosa, ma fu anticipato dalla voce roca e bassa di Kei che sembrava stesse più parlando a se stesso che ai presenti.
-Avrei dovuto immaginarlo-
Rei rimase interdetto da quella frase e subito si rivolse al russo alle sue spalle.
-Gli avevi detto che saremmo venuti, vero?-
-Ecco diciamo che doveva essere una sorpresa-
Yuri sembrava leggermente in difficoltà e iniziò a massaggiarsi la testa assumendo l’aria più innocente che riusciva.
-Non sei mai stato bravo a tenere i segreti- Kei si rivolse al compagno con sufficienza, come se non gli interessasse davvero quello che stesse dicendo. – Credi che non mi sia accorto di tutti i preparativi per accogliere qualche ospite in casa.. a meno che la tua roba non si sia trasferita di sua spontanea volontà in camera di Boris..- Rimise le mani in tasca come se il suo lavoro per quel giorno fosse finito e si aspettasse di essere congedato.
Il silenzio fu di nuovo padrone.
-Vabbè..- Rei fece un disperato tentativo di ravvivare la conversazione - ..visto che ormai siamo qui.. Buongiorno Kei! E’ da tanto tempo che non ci vediamo.. spero non ti sia dispiaciuta la sorpresa- Sorrise, ma lui stesso dubitava di quello che aveva appena detto.
-Certamente..- Si limitò ad alzare le sopracciglia e Rei si disse che era già tanto quel gesto e che in fondo non si sarebbe potuto aspettare di meglio. Kei era cambiato, ma sulla loquacità non era affatto migliorato.
Takao si sentì finalmente autorizzato a parlare e dopo un entusiastico sorriso preferì alle parole un forte abbraccio. Kei non aspettandoselo rimase rigido sul posto e questo convinse il giapponese ad allontanarsi da lui quasi subito. Max optò per un saluto alla Rei e quando quei convenevoli finirono, finalmente Yuri accompagnò i ragazzi a posare la loro roba al piano di sopra. Kei si scostò per lasciarli passare.
Il primo a salire fu Rei che giurò, mentre girava sul pianerottolo, di aver visto Kei tirare uno schiaffetto sulla testa di Yuri che chiudeva la fila.
 


Eccoci al venerdì ed eccoci al nuovo capitolo!

Curiosity Time (così tanto per ciarlare in compagnia!)
Il titolo Leggero deriva dalla canzone di Ligabue (al concerto martedì scorso..fantastico! XD) dalla quale si può dire che è stata creata la storia, non che il racconto sia più di tanto inerente al testo, ma è stata comunque di fondamentale importanza. Più che altro una frase di questa canzone è importante o almeno è la chiave di volta di tutto: chiunque si vada a prendere il testo in questo momenti preso dalla curiosità può azzeccare quale sia. Buona ricerca per chi ne ha voglia!.
 
Your Space (giusto per dilettarsi malamente con l'inglese!)

@Kaifan91
La primissima a recensire.. Grandissima u.u Allora grazie di tutto..spero di non deluderti con questa storia e di mantenere alti gli standard (sì, come no). Felice di aver centrato Takao..per la storia del te/tu ho riletto e ho notato quello che dicevi, fai te che non me ne ero resa conto..credo sia un problema di inflessione dialettale O.o (e allora diamo la colpa al dialetto!) XD

Spero che questo capitolo ti sia piaciuto con la fantastica entrata in scena di colui che è XD aspetto un tuo parere! :)

@Nena Hyuga
Alla faccia del piedistallo..almeno una dozzina di righe solo per la sua entrata credo di avergliele lasciate XD
Forse mi sono un po' sbilanciata..non è scritta proprio tutta, solo una prima parte che però è consistente quanto una fic intera! XD Mi sono lasciata trasportare sai com'è!
Per l'unione delle storie..la pazzia è ormai dilagata in me! Che ci vogliamo fare..aspetto di sapere se questo capitolo ti ha incuriosita ancora o se ti ha annoiata a morte u.u

@Padme86
Grazie mille! Tu ormai sei veterana qui nello scrivere u.u dopo un bel po' da lettrice sono tornata dall'altra parte XD Allora..qui Kei è solo entrato in scena, ma presto scoprirai come l'ho caratterizzato! u.u
Spero non risulti troppo strambo O.o
Vabbè in ogni caso allora aspetto la tua sul capitolo :D

@Avly
Carissima! Sì I'm Back (giusto per continuare sull'onda dell'inglese XD)..spero che man mano che aggiornerò non deluderò le tue aspettative, a meno che no l'abbia già fatto, e che continuerai a leggere.
Ma soprattutto che commenterai perchè voglio assolutamente sapere la tua opinione u.u
Traduzione: sei obbligata! Ahaha no dai..diciamo che è un invito arbitrario XD

@Aipotu
Ahahha ti ho inserita nonostante tu, o esserino inutile, non commenti via efp, ma direttamente a voce! E nonostante tu abbia già letto tutto quello che è salvato sul mio computer! u.u
Visto che sei stata la prima a leggere e a incoraggiarmi ti dedico due righe, ma basta..speramdo che anche agli altri la fic farà l'effetto che ha fatto a te! Thanks :D

Bene..ho anche notato che a nessuno è dispiaciuto della mancanza del piccolo Kappa u.u quindi facciamo che abbia trovato un lavoro su una base spaziale che ruota intorno alla luna! Gli dedichiamo queste due righe e poi torniamo a ignorarlo XD
Scemenze a parte..

Auguri di Buon Natale a tutti quanti, chi legge, chi recensisce, chi apre la storia e poi la chiude dopo le prime due righe (che quindi non sapranno che gli ho fatto gli auguri u.u)!!!
Un bacione :)



 

 

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Capitolo 3
*** Closer To The Edge ***


 

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”






Closer To The Edge



Il piano di sopra era leggermente più ospitale di quello inferiore, si sentiva di più la presenza di solo quattro ragazzi in casa, era molto più vissuto, a Rei ricordò vagamente il risultato di un week end senza Nonno J che era bastato per rendere invivibile il dojo giapponese: certamente lì il disordine non era fino a quel punto, ma si avvicinava molto. Il corridoio era più corto, ma le porte sempre un’infinità.
- Qui c’è il bagno, ce n’è solo uno di sopra mi dispiace, l’altro è di sotto; questa invece è camera di Kei, questa di Ser, quella di Bo e quest’ultima è la mia, ma per questi giorni ve la cedo- Yuri aveva indicato tutte le porte presenti per fermarsi davanti a quella più lontana dalle scale.
-Non volevamo creare così tanto disturbo..-
-Non dirlo neanche per sogno Rei.. non c’è nessun problema.. Romperò un po’ a Boris, che intanto molte volte fa il turno di notte- Sorrise e lasciò agli ospiti il tempo di prepararsi e gli disse che se volevano riposarsi non c’era nessun problema.
Notarono che era molto più tranquillo di quando l’avevano trovato all’aeroporto e ne furono sollevati; iniziarono a  sistemarsi nella stanza che conteneva un letto matrimoniale e una brandina, che toccò a Rei: non era il posto più comodo del mondo, ma questo non lo trattenne dallo sdraiarcisi sopra e riposare, seguito a ruota dagli altri due ragazzi.
 
Rei fu il primo a svegliarsi scoprendo che ormai fuori si era fatto buio, diede un occhiata alla stanza avvolta nell’oscurità per poi cercare una fonte di luce per guardare l’ora. Si mosse goffamente fino alla finestra finendo per svegliare anche Max. Erano le 7 di sera, avevano dormito poche ore ed era ancora più stanco di quando si era addormentato. Diede ragione a Takao: il fuso orario era davvero una seccatura.
Rimase a osservare la poca visuale che aveva dalla finestra, dalla quale filtrava la poca luce di un lampione lontano; in ogni caso tutto ciò che riusciva a vedere era neve, neve e ancora neve.
Max accese di colpo la luce facendo mugugnare Takao e infastidire gli occhi di Rei che ci misero qualche minuto per adattarsi all’intensità della nuova luce.
Rei uscì per primo dalla stanza e tornò al piano inferiore dove sentiva del rumore dalla cucina, varcò la porta e si accorse che quella stanza era collegata con quella vicina, divisa solo da un piccolo davanzale.  
Chino sul frigorifero c’era una figura che subito scambiò per Yuri, ma poi, una volta che si fu rialzata, scoprì essere Boris. Finalmente qualcuno non era cambiato più di tanto: se non per la corporatura leggermente più matura, Boris era completamente uguale, nemmeno l’altezza era stratosferica come quella degli altri russi.
-Ben svegliato! Stavo giusto guardando che avevamo in frigo per la cena, ma mi sa che dovremo ordinare qualcosa!-
Si salutarono cordialmente, ma anche nei modi il ragazzo non sembrava essere cambiato molto.
-Semmai chiamerò Yuri e gli dirò di prendere qualcosa mentre torna a casa..-
Boris continuò a parlottare tra sé e Rei presto perse il filo del discorso e il suo orecchio si concentrò su altre voci che non sapeva da dove provenissero.
Indugiò lo sguardo verso la stanza adiacente e vide oltre un tavolo con diverse sedie, un divanetto e una poltrona e di fronte a esse una televisione accesa, solo in un secondo momento, essendo ancora mezzo addormentato, notò il braccio che spuntava dal divano che scoprì appartenere a un Kei dall’espressione particolarmente annoiata; continuava a cambiare canale senza concentrarsi su uno specifico, non sembrava nemmeno prestare attenzione a quello che appariva sullo schermo, la sua occupazione principale era quella di fare zapping per il solo gusto di farlo, anche se il divertimento era l’ultima cosa che si leggeva sul suo volto.
Gli si avvicinò e fece per sedersi.
-Se vuoi guardare qualcosa fai pure-
-Ehm.. no tranquillo.. co-continua pure..-
Kei si girò verso di lui con espressione scettica, come per chiedersi se credeva davvero che la sua occupazione fosse degna di essere perseguita. Tirò giù leggermente la cerniera della zip e tradì un leggero disagio: appariva accaldato, ma rimase comunque vestito di tutto punto.
Nonostante questo tornò a fare zapping noncurante di Rei che si sedeva di fianco a lui.
Solo le mezze frasi dei diversi canali riempivano la stanza: poche note di un jingle pubblicitario, una risata di una donna vestita da principessa, l’inizio dell’annuncio di un telegiornale e di nuovo una pubblicità.
Passò solo qualche minuto e, con grande sollievo di Rei, la stanza si ripopolò; prima Max e Takao arrivarono sbadigliando, poi il rumore della porta che si apriva preannunciò il ritorno del rosso che a quanto pareva, mentre loro dormivano, era uscito e ora portava in mano tre sacchetti pieni di scatole con cibo cinese e giapponese di ogni varietà per la felicità dei loro ospiti.
-Ho pensato che già sarete traumatizzati per l’ora e vi faceva piacere almeno mangiare normalmente!-
- Yuri.. ma dove sei stato tutto questo tempo?!- Takao guardava il ragazzo con lo sguardo pieno di gratitudine.
Quando si misero tutti a tavola ( Kei lo fece come se volesse fare più un piacere agli altri), la porta si riaprì per far entrare Sergay che li fece stringere per poterci stare anche lui.
Fu una cena più piacevole di quella che tutti si sarebbero potuti aspettare. Sia Sergay che Yuri si dimostrarono dei perfetti intrattenitori, dote che pareva essere riemersa dopo la ritrovata libertà, mentre Boris era molto più silenzioso, ma comunque di piacevole compagnia.
- Ser ha la ragazza! Molto carina sapete.. cucina favolosamente! Il ragazzone qui potrebbe anche abbandonarci per una vita piena d’amore!- Yuri scoppiò a ridere sulle sue stesse parole alle quali aveva dato un enfasi particolarmente zuccherosa.
-Ma se senza di me non sopravvivreste nemmeno cinque minuti.. qui sono io a mandare avanti la baracca!- Sergay si indicò fiero il petto.
Scoprirono così che il biondo era stato assunto in un ufficio di informatica e stava cercando di portare avanti la sua carriera, mentre Boris faceva il centralinista part-time e aiuto meccanico in un’officina lì vicino.
-Sì intanto quello a fare i doppi turni sono io!-
-Dai Bo, per una volta che ti rendi utile!- affermò Yuri, che invece stava continuando gli studi.
-Una volta?! Brutto ingrato..-
Yuri e Boris iniziarono a punzecchiarsi sotto lo sguardo divertito dei presenti. Era una serenità nuova che regnava in quella casa, semplice e pura, molto piacevole da vedere e da provare.
Cos’era allora che aveva richiesto l’aiuto dei giapponesi in quell’atmosfera così..di famiglia?
Rei spostò lo sguardo dalla lite giocosa di fronte a lui per soffermarsi su Kei, seduto a capotavola: osservava anche lui la scenetta e ne sembrava anche abbastanza divertito, non c’era più l’espressione vuota del pomeriggio, ma nonostante questo non sembrava sereno come il resto delle persone presenti. Ad un tratto Rei perse il suo sorriso e notò anche che Kei aveva mangiato poco e niente e che un lieve tremore gli attraversava la mano che era appoggiata sul tavolo, la vide stringersi a pugno per poi spostarsi velocemente verso la tasca dei pantaloni.
Tirò fuori un pacchetto di sigarette tutto rovinato, ne estrasse una, la portò alla bocca e l’accese per poi aspirare sollevato il fumo. La sua espressione si rilassò.
Passò inosservato, l’unico che sembrava essersene accorto era Yuri che per un secondo abbandonò Boris per concentrarsi su Kei e lanciargli un’occhiata preoccupata. In un attimo però ritornò alla sua occupazione precedente.
Solo quando avvertirono l’odore del fumo, Max e Takao notarono la sigaretta, ma non dissero niente. Il resto della serata passò tranquillamente, ma presto il sonno si impadronì di loro.
Nonostante il sonnellino pomeridiano alle dieci andavano già tutti verso la propria stanza e entro poco la casa venne immersa in un silenzio assoluto.
 
Come in un flashback, Rei aprì gli occhi nella più completa oscurità.
Non era possibile. Da quando era lì gli sembrava sempre di fare le stesse cose, sembrava che gli avvenimenti si ripetessero in continuazione. La cosa diversa era che le persiane della finestra questa volta erano state chiuse e, quindi, l’oscurità era totale.
Rei uscì dalla sua brandina più sveglio che mai e tentò di farsi strada tastando gli ostacoli che gli si presentavano davanti.
Finalmente salvo nel corridoio, osservò che tutti dovessero essere addormentati e iniziò a borbottare qualcosa sul fatto che, in tutti i suoi viaggi, non gli era mai capitato di soffrire così tanto il cambio d’orario.
Anche il piano di sotto era avvolto nelle tenebre e totalmente silenzioso. Sì, silenzioso, se non fosse stato per quello strano ronzio. Rei si chiese se se lo stesse immaginando.
Solo quando si concentrò sul salotto, riuscì a focalizzare la fonte del ronzio: Kei era seduto (o meglio stravaccato) sul divanetto di fronte alla televisione, questa volta, spenta. L’unica fonte di luce in quel momento era quella che proveniva dalle due finestre, la quale bastava per focalizzare i contorni e, perché no, di distinguere l’espressione del compagno. Ma ciò che produceva quel ronzio che l’aveva attirato era una di quelle cuffie da deejay che teneva Kei sulle orecchie, collegate a un piccolo mp3 sul bracciolo del divano: la musica era tanto alta che Rei non distinguendola l’aveva scambiata per un ronzio.
Si soffermò a osservare la figura di Kei: aveva gli occhi chiusi e per la prima volta era senza felpa e indossava solo una maglietta a maniche corte.   
Con la mano appoggiata sulla gamba teneva il tempo della musica e sembrava che stesse anche canticchiando qualcosa.
Non sapeva per quanto tempo rimase a fissarlo, ma solo dopo un bel po’ di tempo si decise a dare segno della sua presenza, che Kei avvertì subito.
Si ricompose leggermente facendogli spazio sul divano, come per invitarlo a sedersi, ma non era minimamente intenzionato a iniziare una conversazione. Classico.
Da più vicino il cinese riuscì a distinguere qualcosa della musica che proveniva dalle cuffie, ma non conoscendola lasciò perdere ogni tentativo di cogliere le parole; era un ritmo veloce e potente.
Chissà quali erano i suoi gusti musicali ora.
La sua mente vagò tra i diversi generi per poi arrivare, chissà come, a pensare a Hilary, nel periodo in cui era una fan sfegatata di una boy band giapponese e li aveva costretti ad ascoltare tutte le loro canzoni e vedere in continuazione la faccia di quello che, a detta sua, era il più figo del gruppo. Periodo relativamente breve, ma terribile per lui.
Si lasciò scappare un risolino basso che, però, nel silenzio, risultò più forte di quello che volesse.
Si voltò verso Kei, ma continuava imperterrito ad ascoltare la sua musica, come se non ci fosse nessuno accanto a lui.
Si era appena acceso una sigaretta. Non l’aveva notato, come non aveva notato il posacenere accanto a lui già riempito di diversi mozziconi. Seguì il movimento del suo braccio nel portarsi la sigaretta alla bocca, per poi tornare ad appoggiarsi sul ginocchio; con le due dita che tenevano la stecca continuò a tenere il tempo.
Seguì il profilo illuminato della sua mano e lentamente risalì verso il volto. Una volta arrivato alla spalla, però, come accortosi di qualcosa che non andava, tornò verso l’incavo del braccio e notò un segnetto nero, che poteva benissimo essere un neo, ma che a una visione più attenta si rivelò essere una specie di buchetto contornato del colore della pece.
-Non devi guardarlo se ti fa effetto-
Pensò di aver fatto un’espressione alquanto schifata che non era sfuggita a Kei, che non dava segni di essere comunque interessato al suo stesso discorso.
-No.. è.. è che non me l’aspettavo- Come una calamita, il suo sguardo era attirato da quel segnetto, nonostante si stesse convincendo che non fosse molto educato fissarlo.
Immancabilmente posò gli occhi anche sull’altro braccio non notando alcuna differenza dall’altro.
-Sono sempre costretto a portare i segni delle cose brutte che mi succedono.. in questo caso delle stronzate che faccio-
Dichiarazione che lasciò spiazzato il cinese. Non si aspettava di sentire parlare così naturalmente di quella faccenda. In fondo per lui era naturale, si disse.
Ostentò per l’ennesima volta sul braccio sinistro e sul polso intravide un altro tatuaggio, ma non capiva cosa fosse, se un disegno o una scritta; gli ricordò quelle scritte che c’erano sui muri o sui vagoni dei treni, ma non era definito bene, sembrava incompleto; infatti il disegno centralmente era reciso da quelle che sembravano due linee invisibili orizzontali, un po’ irregolari. Non sapeva dire se fosse fatto così o meno.
Il silenzio si faceva opprimente, avrebbe tanto desiderato un paio di cuffie anche lui.
-Non riesci a dormire?- Non era sicuro che l’avesse sentito, ma doveva assolutamente tentare.
Finalmente l’altro lasciò scivolare le cuffie sul collo, sempre lasciando l’mp3 acceso, e si rivolse a Rei.
-No.. quasi mai..-
Ecco spiegate le occhiaie.
-Potrei farti la stessa domanda.. sono le 4 del mattino.. non dovresti riposarti?-
-Il fuso orario mi sta scombussolando troppo! Ma non hai dormito proprio per niente?-
-..forse una o due orette..- Fece spallucce.
Ricadde il silenzio. Rei si chiese come Yuri potesse credere che loro gli sarebbero potuti essere d’aiuto. Non sapeva assolutamente cosa dire, non sapeva se poteva chiedergli come stava, se poteva indagare su quello che era successo, o se fosse tutto un argomento taboo.
In effetti quello non era il momento giusto per provarci, o forse sì.
-Senti.. stai bene?-
Detta ad alta voce, risultò una domanda altamente stupida e insensata. Era ovvio che non stesse bene. Ed era altrettanto ovvio che lui non l’avrebbe mai ammesso così su due piedi. Lui non aveva alcun diritto di piombare lì e aspettarsi che gli raccontasse tutto come se non si vedessero solo da due giorni invece che da due anni.
-No.. per niente-
Spiazzato. Rimase decisamente spiazzato dalla semplicità con cui lo aveva detto. Come se gli avesse chiesto che tempo facesse.
Ecco. Non se lo aspettava. E ora che poteva dire.
-Non devi per forza dire qualcosa.. E’ così.. –
Perfetto. Gli leggeva anche nel pensiero.
Kei finì la sigaretta, che però non sembrò rilassarlo come era successo a cena.
Se ne riaccese un’altra.
Il silenzio incombeva. Rei sentiva che quella situazione era altamente paradossale. Provò la sensazione che non ne sarebbe mai uscito, che quel silenzio sarebbe potuto durare anche tutta l’eternità e si sentì totalmente inutile.
Kei continuava a guardare nel vuoto fumando, con espressione indecifrabile.
La musica continuava a produrre quel ronzio di sottofondo.
Le palpebre di Rei si fecero per l’ennesima volta pesanti. Di nuovo quella sensazione di flashback.
Si disse che doveva restare sveglio. Avrebbe chiuso gli occhi solo per un secondo, solo per riposare la vista che si sforzava di combattere il buio.
Li chiuse un secondo. Li riaprì alla luce del sole.
Avrebbe giurato di averli chiusi per un solo secondo. Eppure le finestre facevano entrare qualche raggio di sole che si rafforzava riflettendo sul bianco della neve. Si prospettava una giornata di quelle nitide, ma freddissime.
Sentì un brivido. Gli faceva male il collo per la posizione scomoda in cui si era addormentato.
Sul divano c’era solo lui e, a quanto pare, senza accorgersene, vi si era allungato sopra.
Alzò la testa e vide Yuri intento a preparare quella che sembrava la colazione.
-Buongiorno!-
-Buongiorno Yuri -
-Comodo il divano?- Si lasciò scappare un sorrisetto divertito.
-Se avessi avuto intenzione di dormirci magari avrei anche potuto trovare una posizione più comoda-
Il tempo trascorso insieme al russo dai capelli fuoco era molto piacevole, Rei doveva ammetterlo.
Se lo ricordava molto più silenzioso e scorbutico, ma derivava tutto dalla situazione che stava passando all’epoca. Ora si sentiva molto più a disagio a parlare con Kei, con il quale invece non aveva mai avuto nessun tipo di imbarazzo.
I primi ad alzarsi furono Boris e Sergay e, solo un’ora dopo il risveglio di Rei, anche Max e Takao si unirono a fare colazione. Di Kei nemmeno l’ombra.
Rei sperò vivamente che si fosse finalmente addormentando.
-Qual è il programma di oggi?!-
Takao era impaziente di fare qualcosa, sembrava un bambino in gita che non vedeva l’ora di muoversi.
-Non lo so.. se volete possiamo fare un giro.. o quello che volete!-
- Kei dov’è?-
-Sta dormendo, ho controllato mentre scendevo-
Sergay rispose alla domanda del giapponese guardando Yuri, come se con quella semplice frase gli stesse dando un mucchio di informazioni, che l’altro sembrò cogliere.
Lo squillo di un telefono interruppe la conversazione.
Yuri annunciò di dover assolutamente raggiungere un suo compagno di corso, ma che per pranzo sarebbe tornato.
-Ti accompagno io! Intanto devo passare in ufficio un secondo-
-Ma è domenica Ser!- Takao come al solito non riusciva a tenersi per sé le domande invadenti.
-Devi sapere che c’è un lato negativo di avere orari flessibili e non determinati.. e lavorare di domenica è uno di questo!-
Yuri non si lasciò scappare l’occasione di sottolineare quanto Sergay si pompasse ogni volta che parlava del suo lavoro e della sue responsabilità, per poi rivolgersi a Boris.
-Tu non devi uscire vero?-
-In verità oggi pomeriggio sì.. ma se tornate prima di pranzo non c’è nessun problema. Tranquilli ci sto io qui!-
Rei mostrò la sua usuale preoccupazione di essere un peso.
-Ragazzi se dovete uscire non vi preoccupate di lasciarci da soli, lo capiamo non c’è problema!-
Yuri rispose al sorriso del cinese, ma assunse un espressione comprensiva e dolce.
-Ma non è per voi che ci preoccupiamo..-
Subito Rei capì a che si riferiva. A quanto pareva non si accertavano di lasciare loro da soli, ma Kei.
Per paura che potesse fare chissà cosa, che  a Rei e gli altri ospiti era ignota.
Quando i due russi si allontanarono da casa, Boris ripeté i convenevoli sul fare come se fossero a casa loro.
Alla fine lo aiutarono a sistemare la cucina dal disordine in cui l’avevano lasciata la sera prima e non si lasciarono sfuggire l’occasione di estorcere informazioni da Boris.
Yuri gli aveva anticipato che presto avrebbe chiarito ogni cosa, ma non lo aveva ancora fatto e, soprattutto, non aveva ancora fatto cenno al favore importante che doveva chiedere a Takao.
-Come mai non volete lasciare in casa da solo Kei?-
-E’ ancora più imprevedibile di quanto non lo sia normalmente, cambia umore da un momento all’altro e.. e non siamo mai sicuri che riesca a controllarsi dal fare qualche cazzata-
Nel vedere gli occhi avidi di sapere degli altri tre continuò.
-Non che non ci fidiamo di lui.. Ma a volte diventa un po’ incontrollabile e.. beh avete visto com’è conciato il suo labbro-
Si stavano giusto chiedendo come avesse fatto a spaccarselo.
-Vedete è.. in verità è stato Yuri!-
Tre paia d’occhi lo guardarono allibiti per l’ennesima volta.
-Sì.. la settimana scorsa.. non sapeva come farlo stare calmo e gli è scappato..- Si concentrò un secondo in più sulla tazza che stava risciacquando per poi tornare a parlare -.. Yuri non sa come perdonarselo.. e Kei non lo aiuta considerando che non fa altro che ringraziarlo per averlo fatto!-
Paradossale. In quella casa regnava qualcosa di alquanto paradossale e strambo.
Il discorso cadde lì.
I bladebreakers erano scossi da quello che avevano sentito. Kei era in pratica un bambino da seguire e non lo lasciavano un secondo in casa da solo.
Un tonfo sordo al piano di sopra, proprio sopra la cucina, e il rumore di qualcosa che si infrange fecero tendere le orecchie a tutti.
Boris stoppò la sua attività e alzò lo sguardo preoccupato verso il soffitto, come se potesse guardarci attraverso.
In un secondo fu sulle scale e lo sentirono spalancare molto rumorosamente una porta.
I tre ragazzi si guardarono un secondo prima di filare di sopra dietro a Boris, fino alla stanza di Kei.
Si sporsero leggermente oltre la soglia senza, però, entrare del tutto.
La stanza era abbastanza ordinata, se non fosse stato per il letto sfatto e una serie di cd sparpagliati su una piccola scrivania. La camera era molto più piccola di quella che occupavano loro e conteneva giusto un letto a una piazza e mezza, la scrivania e un piccolo armadio; alle pareti c’erano un collage di foto e dei disegni.
Kei stava inginocchiato per terra in fondo al letto, cercando di raccogliere i pezzi di quello che sembrava essere stato il vetro di una cornice, ripetendo –Non l’ho fatto apposta-.
Boris era chino davanti a lui e gli ripeteva di non preoccuparsi, ma lo guardava scettico.
Kei, raccogliendo un vetrino, si procurò un piccolo taglio sull’indice dal quale fuoriuscì una gocciolina di sangue. La osservò un secondo prima di lasciarsi cadere per terra, sedendosi e appoggiando la schiena al letto; portò i pugni chiusi davanti agli occhi e rinunciò a raccogliere quello che rimaneva della cornice, lasciando finire Boris.
-Tranquillo ti credo.. Non è successo niente..- Il russo fece per appoggiare la mano sul ginocchio piegato di Kei, ma questo, prima che potesse sfiorarlo, lo ritrasse verso di sé. Come se si fosse accorto di aver fatto qualcosa di sbagliato, spostò le mani e guardò Boris scioccato.
-No no.. non volevo.. davvero!- Stava cercando una giustificazione e cercava di convincere l’amico della buona fede di quello che, a quanto pareva, era stato un gesto che non avrebbe dovuto fare.
Boris finì di tranquillizzarlo e lo fece sedere sul letto. Gli portò un cerottino per il taglietto e poi gli chiese se voleva venire giù con loro o preferiva rimanere lì.
Alla fine rimase in camera con le cuffie nelle orecchie. Gli altri tornarono al piano inferiore un po’ scombussolati dalla scena alla quale avevano assistito. I due russi, secondo il loro punto di vista, avevano ingrossato un piccolo incidente, niente di che; quante volte Takao con la sua sbadataggine aveva urtato e rotto qualcosa, eppure non era mai rimasto tanto sconvolto.
Boris li raggiunse sospirando, ma nessuno osò chiedere spiegazioni, sicure che da lui non le avrebbero ricevute.



Eccomi con un di ritardo dovuto al Capodanno!
Per farmi perdonare ecco un capitolo più lungo..spero sia stato di vostro gradimento. Ho risposto alle recensioni via privata per adeguarmi alle novità u.u
Grazie mille a tutti.

Curiosity Time
Giusto per ulteriori chiarezze sul tempo provo a darvi qualche data: solo per capire quanto è passato da un episodio e l’altro e l’età dei personaggi..sempre secondo la versione nella mia mente malata. Ponendo che Kei sia nato nel 90 di conseguenza:
Takao, Max, Hilary, Rei nel 91
Yuri, Boris nell’88
Sergay nell’87
Il primo torneo si è svolto nella primavera del 2004
Il primo capitolo di questa storia è ambientato nel febbraio 2007

Al prossimo capitolo.
Un bacione :)

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Capitolo 4
*** What You Need ***


“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 




What You Need


Non dovettero aspettare troppo prima del ritorno di Yuri e Sergay.
Boris appena li sentì entrare abbandonò la preparazione del pranzo per raccontargli di quello che era successo in mattinata. Anche Yuri sfoggiò un’espressione preoccupata, mentre Sergay si limitò a dire che secondo lui non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Max voleva approfittare del silenzio per chiedere qualcosa, ma l’entrata di Kei nella stanza lo fece zittire all’istante.
Il ragazzo, appena fu in cucina, guardò Yuri e sembrarono intraprendere una conversazione silenziosa, come se avessero un linguaggio tutto loro per capirsi.
Pochi minuti e si ritrovarono nuovamente tutti attorno al tavolo a consumare la zuppa tipicamente russa preparata da Boris; l’aspetto non era molto invitante, ma il gusto era buono.
In fondo non potevano aspettarsi di essere in un paese così lontano e non cambiare menù, si disse Takao poco convinto.
Stavolta l’aria era un poco più tesa della sera prima e i discorsi meno coinvolgenti e allegri.
Kei mangiò di nuovo troppo poco, sotto lo sguardo preoccupato sia di Yuri che di Rei.
Finito il pranzo Boris se ne andò, mentre gli altri si riunirono nel salottino per digerire pensando a cosa avrebbero potuto fare quel pomeriggio. I tre ospiti avevano occupato il divanetto, Kei fumava la sua ennesima sigaretta seduto ancora a tavola vicino a Yuri, mentre Sergay si occupava di ripulire.
Takao partì in quarta con un dibattito sull’inutilità della matematica nella sua vita.
-Preferirei fare, che ne so, lezione di storia del beyblade, o di “come vincere un incontro di bey”! Ecco almeno di quello prenderei un bel voto! Sarei sicuramente il più bravo della classe! Supererei persino Hilary!-
-Vola basso con la fantasia Tak! Prima che tu possa superare Hil in qualcosa a scuola potrebbero passare millenni.. persino in matematica, dove lei non è bravissima, ti batte!- Max si divertiva a prendere in giro il compagno, facendogli assumere un colorito molto più simile a quello di una melanzana piuttosto che di una persona -..beh chiunque potrebbe batterti in matematica!-
-Chi è Hilary?! La tua ragazza?- si informò Sergay.
-Ma ci mancherebbe! Quella so-tutto-io.. per carità!- Tutti scoppiarono a ridere.
Poi a Takao venne un’idea.
-Ragazzi sapete che potremmo fare oggi?! Un incontro a Bey!-
Si aspettò di ricevere un caloroso assenso da parte della ex squadra russa, ma questo non avvenne.
Yuri prese parola.-Mi dispiace Takao, ma noi non giochiamo più..-
-COSA?! Ma perché? No non è giusto!-
-Mi dispiace.. ma tra il lavoro e lo studio non abbiamo più avuto tempo di allenarci e ora è da tanto che non ci battiamo più!-
Takao sembrava sconvolto e si dimenava sotto lo sguardo divertito degli altri che non si aspettavano una reazione così melodrammatica. Il giapponese si alzò e si diresse verso Yuri, facendolo quasi spaventare, e gli strinse le mani dicendo che non era possibile che avessero smesso, che fosse un peccato enorme e così via.
-Kei almeno tu! Dimmi che non hai smesso! Per favooooore!-
Anche Kei ebbe un sussulto per l’esuberanza di Takao, ma si limitò a fare cenno di no con la testa indeciso se essere dispiaciuto o divertito per gli occhi a palla del giapponese.
Ma nessun sorriso spuntò sulle sue labbra. Nemmeno in quell’occasione.
Rei si ritrovò di nuovo a fissare il ragazzo ricordando quando due anni prima avevano girato il mondo insieme: raramente spuntava un sorriso sul suo volto, ma almeno gli angoli della sua bocca si alzavano ogni tanto. Da quando erano arrivati il giorno prima invece, non aveva visto neanche l’ombra di un sorriso.
La sceneggiata di Takao ebbe finalmente fine, ma rimase ancora per alcuni minuti imbronciato per la scoperta appena fatta. Sergay sempre ridendo non riuscì a risollevargli il morale, nonostante avesse ammesso che se si fossero scontrati in quel momento probabilmente sarebbe stato battuto nel giro di pochi secondi.
-Non sono più molto in forma!- E si indicò la pancia accumulata in quegli anni.
Dlin Dlon. Il campanello suonò.
-Boris deve essersi dimenticato le chiavi!- Sergay cercò di sbirciare dalla finestra la figura presente davanti alla porta di ingresso, ma senza successo. Si decise finalmente ad andare ad aprire al secondo trillo del campanello.
Takao, Max e Rei si sporsero per vedere chi fosse il nuovo arrivato e si stupirono di non vedere Boris varcare la soglia della cucina, ma bensì una ragazza.
Era alta (tutti in quel posto sembravano essere alti), capelli lunghi biondi e occhi di un azzurro intenso; classici tratti da ragazza russa, si ritrovarono tutti a pensare; doveva avere circa 20 anni.
Era molto carina e il primo pensiero fu che quella fosse la famosa ragazza di Sergay a cui avevano accennato a cena, ma, quando questa si ritrovò dietro Kei saltellando e si sporse appoggiando le mani sulle sue spalle chinandosi per scoccargli un bacetto sulla guancia, si dovettero ricredere.
-Buongiorno a tutti! Spero non vi dispiaccia se ho fatto un salto a salutarvi!-
-Assolutamente no.. –
Yuri la accolse calorosamente con due baci sulla guancia e le cedette il posto di fianco a Kei.
Finalmente la ragazza si accorse anche della presenza di tre ragazzi estranei e non tardò a presentarsi.
-Ciao.. Piacere di conoscervi, io sono Dana!-
Uno ad uno si presentarono chiedendosi chi fosse e che rapporto avesse con i (ormai non tanto) freddi russi.
Nessuno sembrava risolvere il loro dubbio. Dovevano sempre fare tutto da soli, come al solito.
Nel frattempo la ragazza si era messa a parlottare con Kei, mentre Yuri era uscito dalla stanza con Sergay.
-Come va oggi?- Dana bisbigliava e costò non poca fatica ascoltare a coloro che volevano origliare.
La risposta di Kei furono le ormai usuali spallucce -Come sempre..-
-Senti mi è venuta un’idea! Ti va di uscire?-
Kei alzò lo sguardo dalla fantasia della tovaglia che sembrava stesse studiando nei minimi dettagli.
-Non.. Non so.. Devi chiedere al grande capo!- Nonostante la risposta scettica un moto di speranza e sollievo si era accesso nei suoi occhi.
-Però a te andrebbe? Guarda che cos’ho in serbo per te..- Detto questo frugò velocemente nella borsa ed estrasse un mazzo di chiavi che fece tintinnare allegramente.- ..sai che significa vero?-
Ecco, ora sembrava che l’umore sotto terra di Kei stesse riaffiorando piano piano.
Lei fece l’occhiolino –Lascia fare a me!-
Detto questo si alzò e raggiunse Yuri prima che potesse rientrare in cucina, rispingendolo indietro.
Non riuscirono ad afferrare gran parte della conversazione. A quanto pareva quello che avevano intenzione di fare avrebbe “fatto molto bene a Kei” e che “l’ultima volta aveva funzionato e si era sentito meglio” per finire con un “fidati di me, non lo perderò d’occhio un attimo”.
Se non avessero saputo di chi stavano parlando avrebbero pensato che si trattasse della decisione di una coppia di genitori su chi sarebbe andato a prendere il figlio a scuola o lo avrebbe portato al parco a giocare.
Di per sé Kei non dava segno di star ascoltando e aveva ricominciato a fissare la tovaglia.
Quando finalmente Dana tornò nella stanza con un sorriso estesissimo il ragazzo alzò lo sguardo e non si fece ripetere due volte –Vatti a preparare che usciamo!-.
Si alzò con calma e sparì lasciando i tre ragazzi soli con Dana.
-E così voi siete amici di Kei! Sono felice che siate venuti a trovarlo.. Gli farà bene sentire che vi preoccupate per lui!-
Strana frase. Kei che aveva bisogno di sentire qualcuno vicino. L’aveva detto come se fosse quello che Kei voleva e sperava che accadesse. Forse i suoi silenzi erano sintomo di questa voglia di affetto. Forse aveva iniziato a drogarsi perché si sentiva troppo solo.
No. Lui aveva tante persone che gli volevano bene. E questo lo sapeva. Ne era assolutamente consapevole. Cosa lo aveva portato tanto alla deriva? Chissà se lo avrebbero mai scoperto.
Il fluire dei pensieri di Rei venne interrotto dal ritorno di Kei.
Si era cambiato la tuta con.. un’altra tuta! Ma quante ne aveva? Aveva sopra la felpa un giubbotto camosciato molto largo e ai piedi un paio di Timberland mezze slacciate.
Chissà quante ragazze aveva fatto cadere ai suoi piedi con quell’aria da bello e tenebroso!
Si era anche dato una pettinata e sciolto i capelli che si scoprirono arrivargli fino a poco sotto le spalle.
Yuri iniziò a fare mille raccomandazioni per poi seguirli fino al giardino e non rientrando fino a quando la macchina di lei non si fu allontanata dalla sua vista.
-Tranquillo Yuri! Lo sai che ci si può fidare di quella ragazza!- Sergay tentò di calmare l’ansia di Yuri; era davvero iperprotettivo.
Il rosso sospirò rassegnato dando ragione all’affermazione dell’amico.
 
Erano nuovamente riuniti attorno al tavolo della cucina. Appena Kei era andato via, Max aveva approfittato per poter dire quello che non era riuscito a dire quella mattina.
E così si erano ritrovati tutti lì seduti in attesa che qualcuno parlasse e facesse chiarezza.
Sergay prese parola.
-Cosa volete sapere esattamente?-
-Perché dovete tenere Kei così sotto controllo e soprattutto cos’era la scenata di stamattina, per non parlare di quello che lo ha spinto a ridursi così..- Rei buttò in tavola tutte le questioni che gli erano passate per la testa, prima che i russi potessero cambiare idea.
-Calma calma.. Tranquilli vi spiegherò tutto!- Assicuratosi di avere tutta l’attenzione da parte dei ragazzi, Sergay continuò – Innanzitutto il controllo su di lui è dettato dal fatto che, come vi avrà già detto Yuri, la voglia di Kei di farsi è ancora presente. Non possiamo prevedere quando, come e perché gli verrà qualche crisi di astinenza.. non so se sapete già del perché ha il labbro rotto..-
-Sì ce l’ha raccontato Boris stamattina- Rei vide Yuri afferrare il portacenere che aveva abbandonato lì Kei e iniziare a giocherellarci.
-Perfetto.. e vi avrà anche detto di quanto abbia sbalzi d’umore improvvisi. Ora va molto meglio di qualche settimana fa, ma capita che è calmo e tranquillo, e il secondo dopo sembra quasi caduto in depressione e fa mille storie per nulla-
-Come stamattina?- si informò Takao.
-No stamattina era ancora un’altra cosa.. Partirò un secondo dagli antipodi per farvi capire.. Kei ha iniziato a conoscere nuove persone sia nei centri dove siamo stati, che a scuola, ma purtroppo non si è scelto compagnie molto raccomandabili; più che altro ragazzi nella nostra stessa situazione, senza una famiglia alle spalle, lasciati a loro stessi. Con loro si è avvicinato alla droga. Prima ne faceva uso poche volte, ma poi la quantità si è alzata spropositatamente e purtroppo noi non ce ne siamo accorti in tempo. Di questo mi prendo tutte le mie responsabilità: eravamo tutti intenti a ricostruirci una vita, a garantirci un futuro per prestare attenzione alle ore che Kei trascorreva fuori casa, ai suoi ulteriori silenzi, al coprifuoco che non rispettava o ai giorni di scuola che saltava.
Quando ce ne siamo accorti c’era già troppo dentro. Abbiamo tentato di farlo tornare in sé, ma dopo una lite abbastanza brutta..- Yuri e Sergay si scambiarono un’occhiata come per marcare l’intensità della lite -..Kei se n’è andato di casa-
-E’ andato via?!-
-Già e non è tornato per parecchi mesi. Riuscivamo a sapere di lui e a fargli avere quello che gli serviva solo grazie a Dana, l’unica al di fuori di quel giro con cui continuava a parlare. Anche lei era preoccupatissima e tentava di convincerlo a tornare, ma le sue parole non servivano a granché -.
-Che legame hanno Kei e Dana?-
-Lei era la migliore amica della ragazza con cui stava Kei, che poi non so se stavano proprio insieme, ma comunque erano molto legati..-
-..sì legati dalla droga.. bella roba..- Yuri non riuscì a trattenersi dal fare quel commento acido.
-..fatto sta..- Sergay riportò l’attenzione su di sé ignorando il rosso - ..che Dana ci è stata molto d’aiuto e si è impegnata tanto quando Kei aveva continue crisi. Comunque, per arrivare al punto, a convincere a tornare Kei fu proprio la morte dell’amica di Dana -
Rimasero scioccati, non aspettandosi un colpo di scena del genere.
-E’ morta di overdose.. Kei era insieme a lei quando è successo e si è fatto convincere nei giorni successivi a cercare di uscire da quel giro per non autodistruggersi come aveva fatto lei. La prima settimana è stata totalmente tremenda. La prima crisi è durata per giorni interi; non solo sentiva il bisogno di drogarsi psicologicamente, ma anche il suo corpo si era ormai abituato ad utilizzare quelle sostanze, e l’improvvisa mancanza lo ha completamente scombussolato. Tremava continuamente, non dormiva, quel poco che mangiava lo rimetteva e noi non potevamo aiutarlo con nessun farmaco, per evitare che iniziasse una dipendenza anche da quello. Il peggio, però, è arrivato quando abbiamo iniziato a capire quello che, forse, lo aveva portato a drogarsi. Quando dormiva aveva continui incubi, su quello che aveva passato al monastero, e al risveglio era ancora più agitato e non voleva più dormire, ma lo stesso non voleva stare sveglio e lasciare che i ricordi si impadronissero di lui: poi d’un tratto iniziò a non volersi più far toccare, ogni minimo contatto lo terrorizzava e non ci lasciava assolutamente avvicinare. Tra la mancanza di sonno e d’appetito iniziava a delirare e dire cose, riguardanti Vorkov, sul fatto che non voleva che lo toccasse più..- Sergay si fermò esitante come se continuare a parlare fosse doloroso -.. avete capito insomma. Non sapevamo come aiutarlo e una sera, non appena Yuri era uscito dalla sua stanza, Kei fece per alzarsi e uscire, ma fece cadere un bicchiere che era sul suo comodino. Questo andò in frantumi e inevitabilmente Kei, che era debole e non si reggeva in piedi, si tagliò e.. beh a quanto pare è rimasto molto affascinato dal dolore che aveva provato e optò per la soluzione che in quel momento gli sembrava più semplice..-
-Si è tagliato le vene?!- Yuri guardò stupito Rei per la velocità con cui aveva compreso l’accaduto e il cinese si affrettò a giustificarsi – Ho visto i segni che ha sul polso.. il tatuaggio è incompleto per quello?!- Yuri si limitò ad annuire.
-Ecco spiegato il perché della piccola crisi di stamattina. Si vede che Kei ha rivissuto nella sua testa quella scena e al tocco di Boris si è ritirato inconsapevolmente. Sicuramente oggi è stato un incidente, ma comunque il fatto che si sia lasciato trasportare ancora così tanto dalle emozioni è segno di quanto ci voglia ancora perché riesca a superare del tutto questa cosa-.
-Quindi.. questo comportamento di Kei è la conseguenza della vita al monastero? Ma è passato tanto tempo..- Fu Yuri a interrompere il ragionamento di Max.
-Non sono cose facili da lasciarsi alle spalle. Io stesso ci penso ancora, ma Kei ha sempre ricevuto una.. attenzione particolare da Vorkov, e, se all’inizio ha cercato di dimenticare tutto, la realtà dei fatti è che non si può dimenticare facilmente e si deve essere trovato a fare i conti con ciò che gli è accaduto.. in fondo siamo passati dalla prigionia assoluta a una libertà totale, ma mentre noi abbiamo saputo andare avanti, lui deve essere rimasto spiazzato e confuso-.
-Ora..- Sergay riprese parola - ..l’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è di far sì che la vita di Kei acquisti un equilibrio, che riesca a ritrovare la capacità di badare a se stesso, senza cadere di nuovo nella tentazione di usare droghe o qualsiasi altra cosa-.
Takao d’un tratto si ricordò di un piccolo particolare che, mentre ascoltava il racconto, era passato in secondo piano nella sua mente.
- Yuri.. quando mi hai telefonato, qualche giorno fa, mi avevi detto che mi dovevi chiedere una cosa..-
Yuri osservò Sergay in cerca di uno sguardo di conforto, la conferma che stava facendo la cosa giusta.
-Senti Takao, quello che ti volevo chiedere è, sempre che a Kei vada bene, se saresti disposto a far venire Kei in Giappone con voi-
Rimasero ancora spiazzati da quella proposta.
-Non è che noi vogliamo liberarcene, non immagini nemmeno quanto mi costi chiedertelo; se fosse per me non lascerei mai che Kei se ne andasse di nuovo da questa casa, ma.. ma ho paura che se restasse qui in Russia, le probabilità di cadere in tentazione sarebbero troppe. Noi stessi gli ricordiamo troppo il monastero, ogni cosa in questa città gli potrebbe ricordare i momenti brutti della sua vita, e sono davvero tanti.-
-E’ per questo che vi abbiamo fatto venire..- lo aiutò Sergay - ..per farvi vedere da vicino quello che sta passando Kei, per farvi capire che se doveste accettare potrebbe non essere tanto facile. In ogni caso sono sicuro che un ambiente più stabile, più sereno potrebbe solo fargli bene. Anche solo per pochi mesi..-
-Per il tempo che ci vorrà..- Si affrettò ad aggiungere Yuri. Stava facendo una grandissima fatica a dire tutte quelle cose, a chiedere a quei ragazzi di portarsi via il suo fratellino, ma se questo serviva a farlo stare bene, questo avrebbe fatto, con tutte le conseguenze.
-Non credo che ci dovrebbero essere problemi! Anzi sarei davvero molto felice se Kei accettasse di venire con noi.- Takao era entusiasta della proposta di Yuri e sicuramente non avrebbe detto di no.
-Certamente prima bisognerebbe chiedere a Kei, ma se lui dirà di sì, direi che non ci sarà nessun problema..- Sergay chiuse così la questione.
Yuri si sentì autorizzato ad alzarsi e andò a svuotare il posacenere che non aveva smesso di maneggiare, giusto per non stare fermo.   
Ancora il silenzio. Ognuno si perse nei proprio pensieri per qualche minuto.
-Ma quando gli viene voglia di.. cioè, come fa a resistere alla tentazione?-
-Ci sono solo due cose che riescono a distrarlo dal pensiero della droga. Una sono le sigarette, avrete notato che quantità enorme ne fuma, e l’altra.. beh l’altra anche se ve lo dicessi non ci credereste!- Sergay rimase vago sulla risposta alla domanda di Rei, e anche abbastanza divertito per la curiosità che aveva suscitato.
-Beh se mi accompagnate a prendere Kei, lo scoprirete!- Yuri si reinserì nella conversazione.
-Ma certo che ti accompagniamo! Quando si parte?- chiese Takao.
-Tra un’oretta. Se arriviamo troppo presto è la volta buona che Dana mi uccide!-

  




Ed eccomi qui..in questo capitolo nuovo personaggio e qualche spiegazione..

Allora che ne pensate di Dana?! Chissà quale sarà il suo rapporto con Kei, ma soprattutto come lo aiuta a stare meglio? Poi..ho iniziato a dare qualche spiegazione e qualche retroscena, ma se pensate che sia tutto qui, vi sbagliate di grosso..in fondo questa è solo una prima parte..
Nel prossimo capitolo poi scoprirete quell'aspetto che accennavo nelle note all'inizio della storia..spero che non vi dispiaccia più di tanto! :P

Sperando di avervi lasciato almeno un briciolo di curiosità, vi saluto e ringrazio chi ha recensito e chi ha letto soltanto..un bacione a tutti :)

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Capitolo 5
*** The Other Side ***


Leggero - The Other Side

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 






The Other Side




Erano usciti di casa da qualche minuto e già rimpiangevano il caldo della cucina dei russi.
Certo era proprio un suicidio andare in Russia a febbraio. Non potevano scegliere periodo peggiore.
La temperatura era largamente sotto lo zero; l’unica magra consolazione era che quel giorno il cielo era terso, senza una nuvola. Se il respiro non si fosse congelato all’istante sarebbe stata una giornata piacevolissima.
Camminarono per una ventina di minuti buona prima di giungere a destinazione. Davanti a loro si stagliava un grande edificio grigio e un po’ malridotto.
Yuri si diresse verso il cancello che era chiuso con una grossa catena.
Rei sbirciò verso l’insegna colorata, piena di graffiti, cercando di cogliere la natura di quel luogo, ma senza alcun risultato.
-Dai venite!- Yuri li richiamò da oltre il cancello aperto.
-Dana mi aveva detto che avrebbe lasciato aperto!-
Lo raggiunsero e si diressero verso la scalinata che da fuori portava direttamente a un piano superiore; la facciata lunga dell’edificio era coperta di graffiti ai quali si alternavano alcune porte finestre dalle quali però non si vedeva l’interno.
Arrivarono in cima alle scale e anche la porta d’ingresso era stata lasciata aperta per consentirgli di entrare: si trovarono in una stanza fredda almeno quanto l’esterno, occupata da qualche sedia e un lungo bancone simile a quelli delle reception degli hotel.
Osservando i poster e i manifesti che riempivano il ripiano e le foto alle pareti, capirono di essere appena arrivati in una palestra.
Infatti squadre di pallavolo, di calcio, sollevatori di peso, ragazze che facevano fitness col sorriso e ginnaste snodate li osservavano da ogni parte loro guardassero.
Quindi oltre alle sigarette a Kei faceva bene fare sport? Un’accoppiata alquanto insolita.
Takao si ritrovò a pensare contrariato che tanto valeva che continuasse a giocare a beyblade.
Ad un tratto il silenzio fu coperto da una musica a volume altissimo che li fece sussultare; andarono verso la grande porta dall’altro lato della sala e sbirciarono dal vetro.
Oltre vi era una classica palestra, forse un po’ più piccola del normale, di quelle che si trovano nei palazzetti o nelle scuole, con il pavimento in linoleum, le linee dei campi di pallavolo e pallacanestro e i canestri alle due lunghezze. La porta da dove loro osservavano dava sull’entrata della gradinata destinata al pubblico. 
Nonostante la grandezza della palestra l’acustica non era terribile e riconobbero una musica particolarmente forte, di quelle di origine americana, Hip Hop.
Al centro della palestra finalmente focalizzarono due persone, molto vicine l’una all’altro, e stavano ballando; ballavano come due persone potrebbero fare in club, come due che flirtano.
Tutti avrebbero giurato che entro pochi secondi si sarebbero baciati o qualcosa del genere, ma invece non accadde, anzi, successe quello che nessuno dei presenti (tranne Yuri ovviamente) si sarebbero mai aspettati: al partire della strofa della canzone i due iniziarono una coreografia, stavano ballando, ma ballando nel senso vero del termine.
Quel che era peggio era che, sebbene Dana fosse brava e decisamente piacevole da guardare, Kei attirava tutta l’attenzione su di sé, ma non perché sembrasse ridicolo, ma per quanto fosse a suo agio in quella situazione, sembrava non avesse fatto altro per il resto della sua vita.
Rimasero a fissarli da oltre il vetro come catturati fino alla fine della coreografia; ma i due non smisero ancora, ma continuarono a ballare vicini, interagendo, sfiorandosi.
Erano troppo lontani per distinguere chiaramente le loro espressioni, ma Rei avrebbe giurato che Kei fosse sereno come non l’aveva ancora visto.
-E’ incredibile..-
-Sergay vi aveva avvertito che non ci avreste creduto!- Yuri era soddisfatto dell’effetto provocato
-Quando l’ho scoperto non volevo credere ai miei occhi, l’ho anche un po’ preso in giro poverino, ma è incredibilmente bravo in quello che fa e.. beh lui è felice di farlo, quindi perché impedirglielo-
I tre ragazzi non riuscivano a staccare gli occhi da Kei, ma per parlare con Yuri dovettero staccarsi dal vetro.
-Ma come ha imparato?- Takao faceva davvero molta fatica a credere ai suoi occhi, aveva lasciato il bey per quello, allora il mondo girava davvero al contrario.
- In verità ha iniziato per strada, coi breaker che si riuniscono in piazza, ma gran parte del merito va a Dana: lei insegna in questa palestra e ogni tanto lo fa svagare quando ci sono delle ore libere-.
-….-
Rimasero alquanto senza parole. Si risvegliarono dallo stato di incredulità solo quando tornò a regnare il silenzio.
Yuri si fece avanti e superò la porta che fino a quel momento era rimasta chiusa, per farsi notare da Kei e Dana. Gli altri gli andarono dietro esitanti.
 
Non si accorsero subito della loro presenza. Kei era seduto per terra a gambe incrociate reggendosi al pavimento con le mani, mentre Dana era in piedi dietro di lui intenta a scompigliargli i capelli il più possibile. Con uno sbuffo divertito lui si riaggiustò e, togliendosi alcuni ciuffi dagli occhi, posò lo sguardo su i quattro ragazzi che scendevano le gradinate per raggiungerli.
- Yuri non pensi che sia il momento di tagliargli i capelli a questo qui?- Dana rimise una mano sulla testa di Kei, che rinunciò a farla smettere.
-Vedrò quel che riesco a fare! Tutto bene?-
Kei lo guardò come per chiedergli cosa mai poteva andare male.
Aveva solo una maglietta a maniche corte e i segni sulle braccia, compreso il tatuaggio mezzo deformato, in bella vista; immancabilmente gli occhi curiosi di Max e Takao si puntarono su quei particolari.
Questo convinse Kei ad alzarsi ed andare a recuperare la felpa per coprirsi. Era leggermente scocciato per quegli sguardi invadenti, ma a quanto pareva il ballo gli aveva davvero fatto un effetto benefico.
Ciò che fece convincere Rei della buona riuscita i quella speciale terapia fu l’espressione assunta da Kei mentre salutava Dana: aveva lo sguardo sereno, c’era una luce diversa nei suoi occhi e gli angoli della sua bocca si sollevarono leggermente, non era un vero e proprio sorriso, ma si avvicinava molto al concetto. Si avvicinarono e scherzosamente, per avvicinare la mano al viso di lei, il ragazzo fece una piccola ondina, mimando un gesto che aveva fatto nella coreografia di poco prima, e le diede un bacio sulla guancia.
-Ti passo a trovare nei prossimi giorni! E’ stato un piacere conoscervi!- Salutò tutti quanti con un gesto della mano e un sorriso enorme.
La guardarono allontanarsi prima di incamminarsi verso casa: decisero di fare una deviazione verso il centro, passando per un grande parco davvero molto suggestivo: era totalmente ricoperto di neve, però i viali erano tracciati e facilmente percorribili. Alcuni sentieri erano completamente ghiacciati e si improvvisavano a pista di pattinaggio naturale: essendo domenica era molto affollato, soprattutto di famiglie con bambini che, nonostante il freddo polare, si divertivano parecchio.
Stavano attraversando una serie di bancarelle che offrivano ogni genere di mercanzia del posto, dal cibo alle tipiche matrioske, quando Takao si fece curioso della vita sentimentale di Kei.
-Sai è proprio carina Dana!-
Kei sembrò pensarci un po’ su prima di rispondere –Sì.. direi di sì-
-E ti vuole tanto bene a quanto pare!-
-A quanto pare- Ma dove voleva andare a parare?
Yuri, curioso della situazione creatasi, si inserì di buona lena nel discorso.
-Penso che voglia dire che formereste davvero una bella coppia!-
Kei guardò male il rosso, come se fosse impazzito nel giro di pochi secondi.
-Perché quella faccia Kei? Non c’è niente di male ad ammettere che vi piacete!- Takao era entusiasta, sia perché gli piaceva stuzzicare gli altri su questi argomenti, sia perché Kei gli stava rispondendo.
Lo sguardo del russo si fece sempre più attonito, soprattutto perché Yuri si stava divertendo a dare corda al giapponese nonostante sapesse come stavano le cose.
-Eh già proprio una bella coppia!-
-Quindi non vi siete ancora dichiarati?- Max si intromise, facendo alzare gli occhi a un esasperato Kei.
-Dai in questo momento potreste essere come quella coppietta!- E Takao indicò due ragazzi che si stavano baciando su una panchina.
-Beh deve essere un modo efficace per riscaldarsi!- rincarò Yuri.
-Secondo me ormai sono un tutt’uno ghiacciato con la panchina!- Rei fu l’ultimo a unirsi al discorso.
-Ma guardate che siamo solo amici-
-Sese, dicono tutti così..- Takao partì con un’approfondita analisi psicologica della situazione -..è palese, la negazione è il primo indizio del fatto che sei cotto, e anche lei lo sembra..-
-Sì proprio cotta!- Yuri non smetteva di ridere sornione.
-Sì in effetti è proprio cotta- ammise Kei sempre con indifferenza. Se non avesse continuato a rispondere, si sarebbe potuto dire che fosse estraneo alla conversazione.
-Ah-ha! Allora lo ammetti!- Esclamò Takao esaltato.
-Sì.. del caro ragazzo che sposerà il maggio prossimo-
La delusione pervase il giapponese, che spalancò la bocca in segno di stupore.
-Che tristezza, un amore così intenso destinato a non sbocciare mai!-
Yuri si beccò un’occhiataccia da Kei contento di aver messo in chiaro la situazione.
-Ma allora siete davvero solo amici!- chiese ancora speranzoso Max.
-Sì-
Continuarono a camminare, superando le bancarelle e raggiungendo quello che in estate doveva essere un prato enorme, che ora era ricoperto da candida e soffice neve.
Takao ebbe l’irrefrenabile voglia di affondare le mani in quel candore e, a dirla tutta, lo fece immediatamente, creando un’enorme palla di neve che scagliò addosso a Max.
La guerra di palle di neve ebbe inizio, vedendo schierati da una parte Rei e Max e dall’altra Takao, che si lamentò della disparità numerica.
Yuri e Kei rimasero a guardare: il primo sorridendo, il secondo limitandosi a seguirli con lo sguardo.
-Si vede che non vedono molto spesso la neve!- Affermò Yuri per il quale la presenza di quello strato bianco era fin troppo usuale.
Max stava scappando da un Takao molto agguerrito, che brandiva in mano una palla di neve e si apprestava a tirarla; pochi passi e la neve lasciò la sua mano, ma Max prontamente la schivò e questa finì oltre di lui. Peccato che oltre di lui ci fosse Kei che non si aspettava di essere coinvolto.
La sua giacca era piena di neve, ma la sua espressione rimase imperturbabile, anche dopo le mille scuse del giapponese. Rimase indifferente fino a che la battaglia non ricominciò.
Non appena i tre ricominciarono a rincorrersi, Kei si abbassò con un movimento molto naturale ed estremamente calmo e afferrò un po’ di neve con le mani nude.
Si avvicinò sempre lentamente a Takao, che in quel momento gli dava la schiena, e, in un attimo, riversò la neve che aveva in mano nel colletto del giapponese che fu colpito da dei brividi di gelo lungo la schiena e iniziò a saltellare urlando.
Gli altri presenti risero di gusto per la scenetta.
-E tu non ridere- Yuri si beccò una palla dritta in faccia da Kei.
-Brutto..- La battaglia ricominciò senza esclusione di colpi, questa volta coinvolgendo tutti e cinque i ragazzi, che alla fine si ritrovarono zuppi dalla testa ai piedi.
Al ritorno a casa, verso l’ora di cena, si beccarono una risata da parte di Sergay che non esitò a commentare –Siete peggio dei bambini!-.


 




*Riemerge piano piano da sotto la scrivania*
Ehm..sono leggermente in ansia per questo capitolo..anzi dire leggermente è poco! Stavo quasi per sclerare e decidere di cambiare tutto..poi per fortuna sono ritornata in me e ho smesso di fare la pazza psicopatica (per modo dire..lo sono e non posso smettere di esserlo).
Comunque..in quanti siete arrivati fino a qui? O_o C'è nessuno che ha avuto il coraggio di leggere tutto e non si è fermato a metà?!
Avrete notato il piccolo (alla faccia!) dettaglio di cui parlavo che avrebbe reso Kei parecchio OOC..ehm ^^ non ci siete rimasti troppo male vero?!

Ora starò a controllare ogni cinque minuti se qualcuno ha letto e/o commentato..per fortuna che domani starò tutto il giorno fuori casa -.- vabbè in attesa di notizie da parte di qualche lettore impavido che ha deciso di non abbandonare questa fic e vuole ancora sapere come andrà avanti, vi lascio!

Alla prossima settimana..
Un bacione :)

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Capitolo 6
*** Tightrope ***


Leggero - Tightrope

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 






Tightrope


Boris arrivò quando ormai avevano già finito di cenare, quindi mangiò da solo; in verità non si poteva dire che fosse proprio solo considerando il chiacchiericcio che si disperdeva per la casa.
Takao non si era arreso. Ci era rimasto troppo male per il mancato scoop sulla coppia Kei-Dana e non faceva altro che sottolinearlo.
-Ma insomma, quanti anni ha?-
-22-
-Così grande?-
-Così piccola?- Le voci di Rei e Takao si sovrapposero nell’esprimere commenti opposti.
-Intendevo, così grande per te!- asserì Takao.
-Io così piccola per sposarsi!- lo contraddisse Rei.
-E’ inutile, tanto siamo solo amici- La pazienza infinita di Kei iniziò a dare segno di cedimento.
Era già tanto che fosse lì insieme a loro, e che per molte ore non aveva sentito il bisogno di fumare; in tutta la sera si era acceso solo due sigarette, il che per lui era un record personale.
Per quanto riguardava la proposta che Yuri aveva fatto a Takao, nonostante quest’ultimo avesse accettato, nessuno ne aveva ancora fatto parola con Kei; il rosso aveva annunciato a tutti che toccava a lui dirglielo e che l’avrebbe fatto presto.
Non bisognava fare altro che aspettare la sua risposta.
 
Quella notte trascorse decisamente meglio della precedente. Almeno per Rei era così.
L’effetto fuso orario sembrava essersi attenuato e nessuno potè negargli quelle ore di sonno normale che il suo corpo richiedeva.
Il lunedì mattina si risvegliò fresco e riposato e si diresse verso la cucina spensierato.
La piccola casa era immersa nel silenzio; Takao e Max dormivano ancora, Kei era probabilmente in camera sua, mentre Yuri e Sergay erano usciti, il primo all’università, il secondo al lavoro.
L’unico segno di vita era dato da Boris che stava stirando una pila di vestiti che sembrava infinita.
Il cinese non era ancora riuscito ad abituarsi alla vista dei russi alle prese con le faccende quotidiane, dal preparare la cena allo stirare appunto.
Le cose erano decisamente cambiate in confronto a quando li aveva conosciuti.
Allora si mostravano duri e seri verso il mondo intero; erano freddi con chiunque non facesse parte della loro piccola cerchia e tantomeno si fidavano del prossimo.
Rei si ritrovò ad aiutare Boris nel suo lavoro domestico fino all’arrivo degli altri suoi due compagni che, non appena fatta colazione, si misero al lavoro con loro.
Takao fu presto allontanato e gli furono affidati i compiti più semplici considerando che ogni qualvolta toccava qualcosa questa rischiava seriamente di finire fuori uso.
-Puoi portare questa roba di sopra?-
Boris passò una pila di vestiti a Rei che, mentre saliva le scale, si ripeteva una specie di filastrocca per ricordarsi dove doveva portarli.
Poggiò una pila di magliette nella camera di Boris, decisamente incasinata considerando che temporaneamente la doveva dividere con Yuri, e due paia di Jeans su una sedia davanti alla porta di quella di Sergay. Per ultima aveva tenuto una felpa e altre magliette che appartenevano a Kei.
Bussò alla porta del ragazzo, sicuro che avrebbe apprezzato.
Quando la aprì sperò quasi di vederlo addormentato: era sicuro che nemmeno quella notte fosse riuscito a dormire e, pensandoci, si sentì un po’ in colpa per aver dormito così serenamente.
La camera risultava ancora più ordinata del giorno prima, quando aveva sbirciato dentro durante l’incidente della cornice.
-Boris mi ha detto di portarti questi..sono tuoi vero?- chiese Rei titubante sperando di non aver sbagliato qualcosa.
-Posali pure lì- Kei lo degnò di uno sguardo di sfuggita per poi indicare con un cenno della testa il piano della scrivania.
Rei entrò e poggiò i vestiti dove gli aveva detto Kei.
Il ragazzo se ne stava seduto sul letto, con una sigaretta tra le labbra e il posacenere a portata di mano; era rivolto verso la spalliera del letto e fissava le fotografie che erano appese sul muro.
Rei provò a concentrarsi sui soggetti delle foto, ma fu subito catturato dai vari disegni che erano appesi di fianco al collage, su tutta la parete.
Sembravano degli scarabocchi colorati; erano un insieme di linee, curve, cerchi a tempera di colori vivaci e sgargianti che stonavano con il resto dell’arredamento.
Nonostante il loro significato ambiguo erano molto belli.
-Li hai fatti tu?- chiese Rei ancora fissando i colori.
-Dana..io non ne sarei mai capace-
-Sono molto belli..è davvero brava quella ragazza!-
Kei non gli rispose, sembrava che per lui quella conversazione non stesse nemmeno avendo luogo.
Rei senza accorgersene intanto si era seduto sul letto, di fianco a lui, sempre fissando i disegni.
-Che cosa rappresentano?-
-Dana non me lo vuole dire..-
-Hai una teoria?-
-Credo..- Kei assottigliò leggermente gli occhi -..credo siano ballerine, o meglio colori che danzano..-
Rei spostò un secondo lo sguardo sull’amico soppesando le sue parole: davvero le aveva pronunciate lui?
-In fondo le uniche cose a cui pensa lei sono la danza e il suo ragazzo e non penso che mi abbia appeso in camera ritratti della sua dolce metà- Si giustificò Kei.
Rei tornò sui disegni; ora che gli aveva dato questa spiegazione iniziava a vederci qualcosa del genere: che fosse davvero così? Sorrise.
-Ti ha proprio preso questa cosa della danza eh?-
Kei fece spallucce.
-Sei bravo..almeno per quello che ne capisco..- continuò a sorridere.
-Guarda che non devi dirlo per forza..- aggiunse Kei con tono più divertito che arrabbiato -..quando Yuri l’ha scoperto è scoppiato a ridere..se lo fai anche tu non mi offendo..-
-Ma dico sul serio..a me va benissimo se balli..l’unico che forse dovrai convincere sarà Takao; non credo che l’abbia presa bene che hai mollato il bey!-
Kei alzò gli occhi al cielo e spense la sigaretta nel posacenere.
Rei lo osservò tornare impassibile come quando aveva solcato la porta pochi minuti prima.
Seguì il suo sguardo fino alle fotografie, questa volta senza distrarsi.
Gli unici volti che riconosceva erano quelli di Kei e di Dana, affiancati a quelli di altri ragazzi, anzi ragazze, una soprattutto compariva molte volte: o sola con Dana o sola con Kei, era in quasi tutte le foto, anche in quella più grande, al centro del collage, dove lei, Kei e Dana erano accompagnati da un altro ragazzo con gli occhiali e i capelli biondo-rossicci abbracciato a quest’ultima.
-E’ il fidanzato di Dana?-
-Già-
-E lei chi è?- Non appena pose la domanda nella sua mente si aprì un cassettino che gli disse che non era stata la domanda più saggia da rivolgergli: il ricordo del racconto di Sergay il giorno prima gli suggerì la risposta esatta –Scusa, avrei dovuto immaginarlo..-
-Devo dire a Yuri di farsi gli affari suoi-
-Voleva solo spiegarci come stavano le cose- cercò di riparare Rei sconsolato.
-E forse dovrei togliere quel coso dalla parete.. Yuri me lo ripete da giorni-
Rei fissava il copriletto blu sul quale era seduto, dispiaciuto per aver toccato quel tasto dolente.
Sbirciò di nuovo verso il collage: quella ragazza era davvero molto bella e sembrava che avesse passato con Kei dei bei momenti. Quelle foto dovevano risalire ad almeno un anno prima.
I volti sembravano più rilassati e spensierati. Soprattutto quello di Kei.
L’idea che potessero essere completamente fatti fece capolino nella testa del cinese, ma tentò di reprimerla. Notò che quando erano state scattate il suo amico non aveva ancora il piercing al sopracciglio, ma non potè evitare ad un altro triste pensiero di consolidarsi.
Tenere quelle foto sempre in bella vista non doveva fargli un effetto positivo; i ricordi brutti, la mancanza di quella ragazza sicuramente non lo facevano stare bene.
Forse era davvero opportuno che lo staccasse dalla parete.
Sempre se ne aveva la forza e il coraggio.
-Prima o poi lo farò-
Kei si alzò e, dopo aver svuotato il posacenere, prese le maglie che aveva portato Rei e le ripose nell’armadio.
-Ti manca?-
Kei rimase fermo davanti all’armadio per qualche secondo.
-Scusa..domanda inopportuna! Tranquillo lo capisco-
-E’ complicato- rispose Kei risedendosi sul letto.
-Me lo spiegherai un giorno, se ne avrai voglia!-
Rei gli sorrise guardando il ragazzo negli occhi.
Si era dimenticato quanto potessero dire quelle iridi, quanto i silenzi e la freddezza di Kei fossero colmati da quei rubini; guardarlo negli occhi era come immergersi in uno strano mondo.
Erano in pochi però a distinguere ciò che celavano.
Il cinese abbassò lo sguardo e si alzò. Sperava di non aver turbato troppo Kei.
-Allora poi ti chiamiamo quando è pronto il pranzo!-


 





Ciao a tutti quanti!
Son felicissima di notare che non ci siete rimasti male per la svolta che ha preso la storia, Kei ballerino..dai non ve l'aspettavate vero?
Ihih..abbastanza da sbav u.u
Superato il momento critico sono leggermente più tranquilla, anche se attendo sempre con ansia l'arrivo di nuove recensioni sempre ben accette..ne approfitto per ringraziare tutti voi commentatori e anche coloro che leggono solamente e tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite o le preferite :) sono commossa!

Curiosity Time
Per la felicità di nessuno torno con questo angolino per risolvere la domanda della settimana..non che avessi mai istituito la domanda della settimana, ma questa mi è stata posta da tantissime persone quindi rispondo a tutti.
Parliamo della questione Hilary..un personaggio che,ormai per esperienza, so che divide molto..c'è chi la ama, chi la odia, chi la vede sempre e solo con Kei, chi vede Kei che la uccide a padellate, chi non si ricorda nemmeno della sua esistenza, etc etc. Bene..come la vedo io?
Che ve lo sto a dire secondo voi?! XD Ihih..come avrete notato lei c'è..è stata nominata e ha fatto un piccolo cameo nel primo capitolo, ma chi può dire che succederà dopo..potrei dimenticarmene come no, potrei farla stare con Kei, o con Takao, o Max, o Rei, o farla andare sulla luna insieme a Kappa..continuando a leggere lo scoprirete e appena penserete di avere capito probabilmente stravolgerò tutto :P
In ogni caso sappiate che è già stato deciso quindi recensioni/minacce non le faranno cambiare ruolo XD

Comunque mi scuso se i capitoli vengono un pò corti, ma quando l'ho scritta non ho fatto una vera e propria divisione..sono andata a fiume senza pensarci e mò la devo interrompere dove ci sta bene..
Aspetto i vostri pareri..
Un bacione :)

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Capitolo 7
*** Waiting ***


“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 





Waiting

Kei guardò Rei chiudersi la porta alle spalle delicatamente. Da quando era arrivato era estremamente cauto. Credeva di potergli dare fastidio con qualsiasi suo gesto.
E forse aveva ragione.
Kei era sempre stato molto suscettibile e in quel periodo lo era ancora di più.
Bastava un nonnulla per farlo innervosire, come bastava un nonnulla per farlo disinteressare ad ogni cosa gli stesse intorno. Aveva sbalzi d’umore continui, i suoi pensieri si scontravano in continuazione.
L’unico suo obiettivo in quel periodo, l’unica cosa che gli importava realmente era far passare il tempo. Sì, il tempo era la sua ossessione e la sua condanna.
Non aveva assolutamente niente da fare. Il tempo non scorreva mai. Più si concentrava per far passare la giornata, più questa si rivelava interminabile.
Tutti gli ripetevano che col tempo sarebbe andato tutto per il meglio, ogni cosa si sarebbe sistemata, sarebbe stato di nuovo in grado di vivere liberamente.
Ma questo tempo che occorreva non passava mai.
Era sempre fermo al solito punto. I secondi prima di diventare minuti lo facevano penare.
Prima che i minuti riuscissero a diventare ore credeva di essere finito ad un punto di non ritorno.
Come poteva tornare a  una vita normale e serena se non ne aveva mai avuta una veramente.
La sua vita era sempre stata tutto tranne che normale e serena, e tantomeno libera.
Le strade della libertà e di Kei Hiwatari non si erano mai incontrate.
Era come se ci fosse un cartello autostradale con scritto quanti chilometri mancano alla destinazione, ma questa non arrivasse mai.
Da quando era diventato così filosofico?
Cartelli autostradali? Stava lentamente impazzendo.
Lentamente come la lancetta dell’orologio.
Era sicuro che non fosse lì ferma sul numero 5 da ore? No aspetta. Si è mossa.
Un minuto. E’ trascorso un minuto.
Come poteva impiegare i rimanenti..quanti gliene rimanevano?
Fino all’ora di pranzo. Sì, poteva essere una tappa da considerare.
Almeno 35 minuti.. no aspetta.. 34.
Si guardò intorno.
Niente.
Si sdraiò sul letto e si mise a osservare il soffitto.
Era da settimane che lo faceva, ma non era ancora riuscito a trovare nulla di interessante in quel soffitto bianco. L’unica cosa positiva era che poteva immaginare qualsiasi cosa. Quel soffitto era una tela dove ogni suo pensiero prendeva una forma, senza il problema di avere distrazioni, non c’era nessun segno che potesse distrarlo.
L’unica cosa positiva eh? No, forse positiva non era proprio la parola giusta.
Si poteva rivelare benissimo una cosa estremamente negativa. Non era bene lasciarsi troppo andare alle immagini.
In ogni caso sarebbe sempre finito allo stesso punto, alle stesse immagini, agli stessi ricordi.
E in quel caso il tempo passava sempre più lentamente.
Non poteva nemmeno dire con certezza che stesse passando.
Si concentrò per un po’, non sapeva dire quanti secondi, sui suoni. I suoni erano meglio delle immagini.
Ora sentiva solo il vociare al piano di sotto.
Certo che Takao non riusciva proprio a stare zitto un secondo.
E Max gli dava decisamente troppa corda. Però erano allegri. Ridevano.
Rumore di stoviglie. Stavano preparando da mangiare. Forse avrebbe dovuto aspettare meno del previsto.
Sì, i suoni erano decisamente migliori. O almeno, in quel momento.
Bisogna sempre distinguere il momento. Mai per Kei era stato così importante un momento, non gli aveva mai dato così tanto peso come ora che ne coglieva l’estrema lunghezza.
Ora era piacevole ascoltare.
Fino a poco tempo prima invece era terribilmente frustrante.
Quante volte aveva sentito i discorsi di Yuri, Boris e Sergay su come comportarsi con lui, sul dividersi i compiti, su ciò che fosse meglio fare, e quelle cose lì.
Si sentiva estremamente un peso. Un peso morto.
No, magari fosse stato davvero morto. Forse era la soluzione migliore. Sicuramente lo era.
Intanto il tempo non passava. Perché aspettare quando poteva benissimo farla finita lì.
Meno male che i pensieri non potevano essere ascoltati.
Yuri gli avrebbe sicuramente detto di tutto se solo avesse potuto ascoltare i suoi pensieri.
La lancetta non aveva ancora raggiunto il 6.
Non era assolutamente possibile.
Gli sarebbe proprio servito un bel buco di qualche ora. Una bella pausa dal tempo. Non accorgersi che stava passando. Fare un bel salto.
Di dormire non se ne parlava proprio. Non riusciva a dormire di notte, figurarsi di giorno.
E poi il sonno non era mai tranquillo. Avrebbe dovuto avere la fortuna di addormentarsi e non accorgersi di aver dormito al risveglio. Quando chiudi gli occhi e il secondo dopo li hai già aperti. Un secondo lunghissimo, ma comunque un secondo. Almeno per la tua testa.
Ma la fortuna andava a braccetto con la libertà. E quindi la sua strada non prevedeva incroci con la sua.
Un buco di qualche ora. Sapeva bene come fare a procurarselo, ma non sarebbe stato molto saggio.
Come poteva sperare di superare tutto se ad ogni occasione minima gli veniva in mente quella invitante via d’uscita?
Doveva assolutamente smetterla.
L’unica sua possibilità era estraniarsi del tutto dallo spazio e dal tempo per un po’ senza dormire  e senza farsi. Se solo fosse stato facile.
Quando era al Monastero gli capitava di passare ore da solo a far niente in qualche cella e estraniarsi del tutto dalla situazione.
Riusciva ad entrare in uno stato di annebbiamento totale dei sensi.
Peccato che ora non ci riuscisse più.
Allora i pensieri che aveva erano molto ridotti. Non gli otturavano così tanto la testa.
Erano gestibili.
Ci aveva provato qualche volta, ma senza successo. Alla fine si ritrovava sempre a pensare ancora più intensamente. Poi i pensieri finivano ancora più facilmente sul Monastero.
Sul perché si era fatto punire in quelle occasioni. Tipo quando..Ecco, ci stava ricascando di nuovo.
Non poteva continuare su quella linea.
Sarebbe dovuto passare ad analizzare un altro metodo al quale sapeva già che alla fine avrebbe fatto ricorso. Perché ogni volta era sempre la stessa storia. Ripercorreva tutte queste idee, ma alla fine si metteva sempre le cuffie e iniziava ad ascoltare la musica. Bella forte.
Ascoltava le parole, il beat, cercava di carpire solo la chitarra, o solo il pianoforte; si concentrava così tanto sulla canzone da occupare ogni singola parte del suo cervello, senza ammettere alcuna distrazione.
Il più delle volte funzionava. Ogni canzone durava dai 3 ai 5 minuti e più canzoni ascoltava più il tempo passava, più si concentrava e più il tempo passava, fino a che non lo chiamavano per mangiare o fare qualcosa che lo avrebbe sollevato dal compito di dover trovare qualche altro metodo per far trascorrere i minuti.
Il più delle volte funzionava, ma c’erano anche quei casi isolati in cui la testa non reggeva un’attenzione così spasmodica verso un solo elemento.
Maledetti mal di testa. Quando la testa è talmente satura da non poterci far entrare nient’altro.
Maledetti momenti.
Era in quei momenti in cui nemmeno le sue cuffie riuscivano a risolvere la situazione che entrava in gioco quel rimedio così speciale, ma al quale purtroppo non poteva accedere ogni volta che voleva.
Con le cuffie poteva concedere tutta la sua mente alla musica e ad ogni suo accento, ma tutto andava ancora meglio quando poteva assecondare tutto questo con il movimento del corpo. In questo modo ogni singolo muscolo, dalle membra, la carne, fino al suo cervello, tutto era concentrato sul danzare.
Danzare. Che parola strana. Non si addiceva per niente a uno come lui. Non era un suono che riusciva a pronunciare liberamente, però quello che sapeva e che voleva fare era proprio quella cosa lì. Non osava neanche pensarla quella parola. Però lo faceva sentire bene.
Scaricava ogni tensione accumulata, ogni pensiero negativo veniva spazzato via.
Però non poteva sempre farlo.
La lancetta si mosse leggermente verso sinistra segnando un altro minuto in meno.
Basta così. Non poteva continuare a vagare su mille pensieri.
Accese l’mp3. Ecco. Era una di quelle volte in cui non gli bastava.
Si sforzò.
Niente. La sua testa chiedeva di smetterla, ma lui non voleva.
Lo sapeva che non si sarebbe dovuto lasciar trascinare da una marea di seghe mentali.
Eppure l’aveva fatto. Quando avrebbe imparato che non era la cosa giusta?
Si sentì improvvisamente irritabile al massimo. Scontroso e arrabbiato verso il mondo intero. Verso ogni cosa presente in quella stanza.
Si accese una sigaretta il più velocemente possibile cercando di calmare un po’ i nervi.
Era da quando Rei era venuto in camera che non ne fumava una.
Sì, forse era la mancanza di nicotina ad avergli scombussolato tutti i pensieri.
Aveva la mano che tremolava. Gli succedeva sempre quando era nervoso e sentiva la mancanza di qualcosa. Di Quella cosa.
Quando aveva le crisi d’astinenza tremava tutto. Non doveva pensare alle crisi.
Spense la musica e cacciò le cuffie in malo modo per sfogarsi.
Si concentrò sulla sigaretta che stava fumando cercando di dirottare tutta l’attenzione su di essa.
Fissava un punto indefinito davanti a lui mentre aspirava tutto il possibile. Non voleva che finisse.
Era agitato. Non doveva agitarsi. Non avrebbe dovuto agitarsi. Ma ormai era agitato.
Ma come era possibile? In fondo aveva controllato tutti i suoi pensieri, aveva fatto tutto il possibile per stare calmo e invece si era agitato.
Maledetti nervi. Maledette emozioni. Maledetto umore.
Quanti neuroni si era bruciato drogandosi per arrivare a quel punto?
Com’era possibile cambiare stato d’animo in così poco tempo con così poco?
Già quella mattina l’effetto benefico di Dana del giorno prima sembrava ormai un ricordo lontano, ma cosa aveva sbagliato?
Forse la conversazione con Rei? Non poteva incolparlo. Ma non doveva nemmeno pensarci.
Ormai aveva fatto la cernita di un miliardo di pensieri e non credeva che potessero essercene altri su cui fare affidamento.
Si risdraiò sul letto. Chiuse gli occhi. Inspirò. Espirò. Inspirò. Espirò.
Con calma, senza fretta.
Rimase così per.. momenti infiniti.
Si chiese se sarebbe stato meglio andare di sotto con gli altri e farsi distrarre. Sicuramente lo avrebbero distratto, erano dei campioni in quanto a trovare passatempi. Lo avrebbero potuto certamente aiutare. Per non parlare di quanto sarebbero stati contenti di essergli d’aiuto. Non si spiegava il perché, ma era sicuro che sarebbero stati contenti.
Provare non gli costava poi così tanto.
Si alzò velocemente, curioso di sapere se avrebbe funzionato, ma lo fece un po’ troppo velocemente.
Un lieve giramento di testa lo bloccò per pochi secondi, questa volta più normali dei soliti secondi.
Scese le scale con andamento calmo; l’euforia di poco prima lo stava già abbandonando.
Era di nuovo incerto sull’esito e incerto sulla sensatezza della sua idea.
L’odore del cibo gli arrivò non appena voltò nel pianerottolo.
Si sentì molto come quelle donne incinte alle prese con le nausee mattutine. L’odore sembrava quello di uno spezzatino o qualcosa del genere; solitamente era un piatto che gli piaceva, ma in quel momento gli procurò un senso di disagio.
Cercò ancora una volta di controllarsi e abituarsi all’odore. Ci riuscì e fece la sua comparsata in cucina dove Rei aiutava Boris a cucinare.
Il cinese si stava offrendo di preparare qualcosa quella sera per poterli ripagare dell’ospitalità.
Rei lo accolse con un sorriso, mentre Boris lo osservava leggermente guardingo.
Max e Takao erano nel salottino intenti a giocare a carte.
Kei si chiese quando erano spuntate quelle carte in casa, non sapeva nemmeno della loro esistenza.
Si sedette su una sedia vicino a loro sperando di distrarsi. Ora l’idea di chiedergli un consiglio se n’era definitivamente andata.
Incrociò le braccia al petto e ignorò le parole dei due giapponesi. Non era sua intenzione farlo, ma gli venne totalmente naturale. Voleva scusarsi, ma non fece nemmeno questo.
Provò a capire a che stavano giocando, ma ci rinunciò.
Conosceva solo un gioco e sicuramente non era quello. Ora che ci pensava non era nemmeno sicuro di ricordarsi come fossero le regole.
Continuò comunque a guardarli rifiutando il più cortesemente possibile l’invito a unirsi a loro.
Si sporse verso il tavolo e appoggiò il gomito sorreggendosi la testa.
L’atmosfera era serena, sembravano tutti sereni; si accorse che Boris ogni tanto alzava lo sguardo verso di lui per controllarlo.
Ormai ci era abituato. Erano tutti iperprotettivi e iper attenti quando si trattava di lui e non poteva di certo biasimarli. Gli aveva fatto passare letteralmente le pene dell’inferno. Non lamentarsi era il minimo.
Rei continuava a cucinare canticchiando qualcosa, Max e Takao coprivano la sua voce con le loro risate. Sarebbe rimasto a guardarli solo per quanto apparivano in pace col mondo, invidiandoli.
Però l’aria si fece pesante. Faceva caldo.
Indossava una maglia a maniche lunghe, le tirò su leggermente sperando di attenuare il senso di disagio.
Deglutì e respirò cercando di tornare nell’ottica di pensieri che aveva fino a qualche secondo prima.
La serenità sembrò essere improvvisamente sparita. Almeno per lui.
E anche per Boris che notò qualcosa di diverso in lui.
Si riappoggiò allo schienale e guardò verso l’alto.
Deglutì e respirò. Doveva assolutamente muoversi.
Si alzò di scatto facendo spaventare i presenti. Cercò di tranquillizzarli con l’espressione più serena che aveva, ma si rese conto di non aver dato una buona impressione.
Tamburellò con le dita sul tavolo prima di tornare con calma al piano di sopra.
Quando era sulle scale sentì Takao chiedere –Ma che abbiamo fatto?-
Arrivato davanti alla porta di camera sua si sentì ancora più oppresso all’idea di tornare tra quelle quattro mura. La prima destinazione che gli venne in mente fu il bagno.
Si rintanò lì dentro sedendosi per terra vicino al lavandino.
Appoggiò la schiena al muro e il contatto di tutte le parti del suo corpo con le piastrelle fredde lo fecero star meglio. L’effetto finì abbastanza in fretta, ma servì per calmarlo.
Respirò l’aria più accogliente; era la stanza più fredda del piano superiore. Il freddo lo aiutava.
Pensò che avrebbe potuto aprire la finestra per farne entrare ancora un po’.
Prima che potesse attivarsi per quell’atto suicida, perché lui non si sarebbe accontentato di solo un po’ di freddo, la porta si aprì e Boris si sedette di fronte a lui.
-Forse dovresti trovarti una ragazza-
La frase spiazzò Kei che, senza guardare in faccia l’amico, si lasciò scappare un accenno di risata.
Scosse la testa pensando a quanto Boris fosse spiazzante.
-Dico sul serio.. magari una bella scopata potrebbe calmarti i nervi!-
Rise anche Boris.
-Forse hai ragione-
-Come forse? Io ne sono convinto.. non è che Dana sarebbe disposta a..-
-Non dirlo nemmeno per scherzo-
-Scusa scusa era una battuta!-
Accertatosi che stesse realmente bene, Boris tornò di sotto affermando che il pranzo era quasi pronto e che presto sarebbe tornato Yuri.
Kei si spostò verso delle piastrelle ancora fredde.
Forse Boris aveva ragione. Certo il modo con cui se ne usciva qualche volta era davvero ridicolo, ma non era detto che dicesse una cazzata.
E anche in questo caso forse aveva ragione.
Di certo l’avrebbe distratto per qualche minuto, ma era comunque meglio di niente.
Il sesso era la risposta ai suoi problemi? Forse sì, forse no.
Come ogni cosa che prendeva in considerazione aveva i suoi lati positivi e quelli negativi.
In ogni caso se non poteva uscire era impossibile fare un tentativo. L’unica ragazza con cui aveva un contatto era Dana, ma non osava nemmeno pensare all’eventualità.
Avrebbe potuto fare da solo.
Era una cosa naturale in fondo. Scosse la testa e si alzò prima di prendere realmente in considerazione l’ipotesi.
Si bagnò il viso con l’acqua gelida facendosi venire i brividi.
Portò i suoi pensieri su quello che aveva detto Boris, sull’ultima cosa che aveva detto Boris.
Yuri sarebbe tornato da un momento all’altro e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di vederlo preoccupato per quello che aveva. Doveva assolutamente scacciare i pensieri sconvenienti e tornare ad essere sereno, o almeno a tornare a far finta di essere sereno.
Analizzò la sua immagine allo specchio prima di tornare di sotto giusto in tempo per vedere Yuri varcare la porta.


 



Eccomi qui con un altro capitolo!
Questo aggiornamento la notte tra il giovedì e il venerdì mi piace! sicuramente ora che l'ho scritto a quest'ora non riuscirò più ad aggiornare e abbandonare quest'abitudine! XD
Beh..in questo capitolo abbiamo potuto vedere un po' dalla prospettiva di Keiuccio caro..che ve ne pare?
Un po' psicotico forse..ma vabbè..in fondo stiamo parlando di Kei Hiwatari u.u

Curiosity Time
Che vi ho riservato?! Ebbene..questo è un disegno che ho fatto io di come mi sono immaginata Kei dal vero..>///< sono una profana del disegno quindi prendetelo per quello che è..un abbozzo..http://justellet.deviantart.com/#/d36zzj7 


Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono..
Aspetto con ansia le vostre opinioni e i vostri appunti u.u
Un bacione :)

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Capitolo 8
*** Carry Out ***


“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 





Carry Out




Perché Rei potesse cucinare la cenetta che aveva proposto a Boris, quel pomeriggio dovettero fare una spedizione al supermercato.
Uscirono di casa subito dopo pranzo e attraversarono le gelide strade di Mosca prima di ripararsi al caldo del grande centro commerciale.
Quella giornata non era luminosa e soleggiata come la precedente, ma una densa coltre di nubi grigie aveva ricoperto i cieli della città, mentre il freddo era rimasto sempre pungente.
Insieme ai tre giapponesi andarono anche Yuri e Kei, il quale, nonostante si vedesse non stesse molto bene, li seguì perché in casa non c’era nessuno che lo potesse tenere d’occhio e perché non voleva perdere l’occasione di muoversi e distrarsi.
Nonostante la piccola parentesi di serenità della giornata precedente, aveva ripreso a fumare un numero enorme di sigarette e sembrava particolarmente teso.
Takao e Max come al solito tentarono di portare un po’ di allegria alla piccola comitiva e risollevare il morale di tutti.
Nel grosso centro commerciale c’erano diversi negozi di qualsiasi tipo. Prima di entrare nel supermercato si fermarono in qualche negozietto di souvenir dove comprarono dei piccoli ricordini da portare in Giappone. Solo in quel momento Takao si ricordò di non aver più sentito Nonno J dal giorno del loro arrivo e, preparandosi ad una ramanzina coi fiocchi, entrò in un call center per telefonare.
Gli altri lo osservavano da fuori della vetrina e lo videro restare per la maggior parte della chiamata con il ricevitore lontano dalle orecchie.
-Sei proprio un bel tipo Takao! Non è educazione non ascoltare il povero Nonno J! Sarà stato preoccupato!- lo riprese Rei una volta riunitosi.
-Ma guarda che urlava tanto che l’ho sentito anche con la cornetta lontana!- si giustificò il giapponese.
-Chissà perché non fatico a crederlo- Sorrise Max al quale sembrava non potesse preoccupare nulla.
Yuri rise in silenzio, mentre Kei rimase impassibile, come lo era da quella mattina e, a quanto pareva, da sempre.
Solo quando passarono davanti a un tabacchino prese parola: - Ho quasi finito le sigarette-
Si diressero allora verso il negozietto dove prese almeno tre pacchetti che infilò avidamente in tasca.
Quando entrarono finalmente nel supermercato si dispersero tra gli alti scaffali. Cercavano sempre di camminare vicini per non rischiare di perdersi, ma risultò impossibile tenere fermi Takao e Max che si bloccavano a osservare tutte le cose strane e colorate che trovavano.
Quell’alfabeto sconosciuto e la tipologia diversa dei cibi in confronto al Giappone li attiravano come calamite, facendoli sembrare dei bambini piccoli.
Si beccarono anche una strigliata da una vecchietta che se li era ritrovati tra i piedi mentre cercava di fare in santa pace la sua spesa.
A capire che cosa avesse urlato però furono solo Yuri e Kei: il primo cercò di trattenere le risate finchè la signora non si fosse allontanata, mentre il secondo scosse la testa esasperato voltandosi a guardare verso gli scaffali a guardare chissà cosa.
Ricominciarono il viaggio tra le lunghe file di alimentari: Rei nominava gli ingredienti che gli servivano e Yuri glieli procurava con facilità.
Il carrello si faceva sempre più pieno e l’euforia di Takao aumentava di conseguenza, felice al pensiero di poter mangiare così tante leccornie: il suo punto debole era proprio la cucina di Rei, continuava a ripetergli che se fosse stato donna lo avrebbe sposato immediatamente.
-Ti ha fatto male il piercing al sopracciglio?- Max si avvicinò a Kei approfittando della distrazione di Takao – Volevo farmelo anche io ma mia madre non vuole!-
-Mmm non lo so in verità- rispose atono Kei guardando gli occhi confusi del biondino – Non ero molto lucido quando l’ho fatto-
Max annuì non sapendo cosa rispondere avvicinandosi a Takao, interdetto quanto lui.
Rei cercò di rispostare l’attenzione sul cibo annunciando la voce della lista della spesa a cui erano arrivati.
Si infilarono nel corridoio dove stavano diverse bottiglie alla ricerca della salsa di soia.
Rei scorreva lo sguardo confuso da tutti quei simboli, ma ci rinunciò lasciando il lavoro al rosso giusto in tempo per fermare Takao che stava per far cadere delle bottiglie di olio in esposizione.
Per fortuna anche Kei era lì vicino e riuscirono a evitare il disastro. Una volta aiutati, Kei rimase ancora qualche secondo accanto a loro senza spostarsi come faceva invece da quando erano arrivati.
Il cinese sorrise impercettibilmente.
Yuri intanto si allungò per prendere un flaconcino che stava piuttosto in alto per poi riporlo nel carrello guidato da Rei.
-Bene ora andiamo di qua..- li guidò Yuri girando l’angolo.
-Hey Kei!- Improvvisamente un ragazzo e una ragazza in fondo al settore si avvicinarono a loro.
Yuri tornò subito indietro, avvicinandosi all’erta a Kei.
I due ragazzi si fermarono a qualche metro da loro sorridenti: indossavano vestiti larghi ed erano particolarmente trascurati, avevano la stessa aria malata di Kei. Tra le braccia tenevano una scorta di bottiglie di vetro che non si faticava a capire contenessero alcolici.
Yuri bloccò Kei per un braccio guardandolo intensamente negli occhi.
Kei non era sembrato molto contento di vedere quei ragazzi; Rei pensò che il motivo per cui prima si era avvicinato era nascondersi da loro.
Nonostante tutto tranquillizzò Yuri e si avvicinò ai nuovi venuti che lo salutarono calorosamente.
-E’ da un po’ che non ti vediamo in giro.. dove sei sparito?- gli chiese il ragazzo.
-Non penso ci vedremo più- rispose con tono freddo e sicuro, ricordava molto i primi tempi in cui Takao e gli altri lo avevano conosciuto.
-Non ti sarai mica fatto incastrare vero?- aggiunse con una risata la ragazza.
-Ho smesso- di nuovo la sua vecchia aria di superiorità, sembrava stesse tornando piano piano il ragazzo di un tempo.
-Si è fatto incastrare!- Si dissero gli altri due.
-E’ un peccato!- Aggiunse la ragazza avvicinandosi – Sappi che sei sempre il benvenuto quando cambierai idea!- Si alzò in punta di piedi e gli strappò un bacetto a fior di labbra.
La sua sicurezza sembrò affievolirsi.
Con gli occhi puntati in quelli neri della ragazza si sentì sfiorare la mano sinistra; non ci mise molto a capire quello che stava cercando di porgergli. Dovette chiedere aiuto a tutta la sua buona volontà per non lasciarsi tentare e non far continuare quello scambio. Cercando di mantenere il controllo, scostò lentamente la mano della ragazza avvertendo il contatto con il mini pacchetto che lo fece deglutire.
-Non cambio idea- Le rispose provocando la sua risata ancora vicino al suo volto.
Gli fece l’occhiolino – Ti aspetto!-
-Come vuoi- Kei li guardò e si girò di scatto, lasciando i due con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.
Superò Yuri e gli altri intimandoli a muoversi.
 
Durante il tragitto di ritorno l’atmosfera era particolarmente tesa. L’umore di Yuri sembrava aver raggiunto il livello di Kei mentre gli altri cercavano di fare di tutto per non far precipitare la situazione.
Kei non aveva più aperto bocca, cosa assolutamente normale per lui; era proprio la calma e la normalità che continuava a mostrare che preoccupava tutti. Yuri particolarmente.
Nessuno si era accorto di quello che era successo in quel lieve contatto tra la sua mano e quella della ragazza, per tutti non era altro che un accompagnamento al bacio; solo un acuto osservatore avrebbe potuto cogliere lo scambio, un operazione che ormai, sia Kei che gli altri, erano esperti nell’effettuare senza farsi vedere. Quante volte aveva incontrato ragazzi per le strade, nelle piazze affollate e sui mezzi pubblici e con la scusa di scambiarsi un saluto aveva rimediato la droga.
Non aveva nemmeno provato a tenere il conto. 
Rei si ritenne fortunato ad essere occupato a cucinare perché non sapeva se avrebbe retto quei silenzi. Takao e Max cercarono di aiutarlo anche se, ovviamente, il cinese era restio ad affidargli troppe responsabilità.
Kei si rintanò in camera sua e scese solo quando fu tutto pronto. Anche Yuri sparì per un bel po’ comparendo ogni tanto per chiedere agli ospiti se avevano bisogno di qualcosa. Sembrava volesse portarsi avanti con tutte le faccende di casa tutto ad un tratto.
Quando Sergay e Boris rientrarono rimasero all’oscuro di quello che era successo al centro commerciale e portarono una ventata di aria fresca e allegria in casa.
La cena aiutò ulteriormente a portare un po’ di buon umore. Rei fu sommerso da complimenti per l’ottima cucina e non avanzò neanche un chicco di riso.
La serata continuò nel salottino davanti alla tv: nel pomeriggio infatti erano passati anche al videonoleggio dove avevano affittato un film che avesse come opzione della lingua anche il giapponese.
Si dovettero accontentare però di una classica commedia romantica americana non molto conosciuta e i presenti, solo dai primi minuti, capirono perché non avesse avuto successo, tanto che Boris uscì di nuovo per fare il turno di notte in anticipo, Sergay andò a dormire dichiarando di essere stanco per la lunga giornata e Yuri, ancora in vena molto casalinga, si mise a lavare i piatti e ripulire la cucina.
Il rosso stava ripensando a mille cose mentre sciacquava i piatti sotto l’acqua calda e si incantò diverse volte a guardare fuori dalla finestra sopra al lavandino: seguì ogni mossa dei netturbini che venivano a ritirare la spazzatura e la traiettoria dei fiocchi di neve che caddero per pochi minuti per poi smettere subito dopo.
Dopo un po’ una figura nel giardino attirò la sua attenzione.
Kei era in piedi a fumare in mezzo al vialetto: Yuri era tanto perso nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorto che fosse uscito. Se questo fosse successo qualche settimana prima se ne sarebbe dovuto pentire per tanto tempo, ancora di più che per il labbro spaccato.
Fino a qualche settimana prima infatti perdere d’occhio Kei per solo qualche minuto significava rischiare di non riuscire a portarlo di nuovo a casa. Chissà se avrebbe avuto la forza di riprovare  a smettere se ci fosse ricaduto anche solo una volta.
Sperò vivamente di non doversi mai porre quel problema.
Si ritrovò a fissarlo e d’un tratto il ricordo di una sera di inizio dicembre gli si presentò nella mente: era molto tardi ed era già in pigiama quando quella notte aveva scorto Kei immobile sul vialetto sotto la fitta neve che cadeva incessante.
Era da mesi che non lo vedeva, era il periodo che era andato via di casa, e il vederlo lì di nuovo, a pochi metri da lui, gli aveva riempito il cuore di gioia. Gioia subito cancellata non appena uscì nella fredda aria invernale: il suo primo impulso era stato quello di corrergli incontro, ma la paura di farlo scappare via lo aveva fermato.
Si era limitato ad avvicinarcisi lentamente e a mettersi a pochi metri da lui.
L’altro di per sé non aveva dato segni di averlo visto e rimaneva immobile a guardare verso il nulla; no, non era del tutto immobile, infatti tremava.
Yuri non aveva fatto in tempo a rivolgergli parola che Kei si era voltato verso di lui e, guardandolo dritto negli occhi, gli aveva trasmesso tutto il suo dolore. In quelle iridi poteva leggere disperazione e tristezza.
Yuri sapeva che quello era l’equivalente del pianto per il suo amico; come tutti loro che avevano vissuto al Monastero, Kei non piangeva, non era una cosa che fossero in grado di fare e quell’espressione era ciò che più si avvicinava alle lacrime.
-Non ho potuto fare nulla- aveva iniziato a ripetere come un disco rotto Kei, mandando in confusione il rosso che non capiva a cosa si riferisse.
-Cosa è successo?-
Non gli fu data nessuna risposta sensata, Kei continuava a farfugliare. Non doveva essere troppo lucido. Yuri aveva allora rinunciato a capirlo e si era limitato ad avvicinarsi e abbracciarlo sperando che quel contatto non gli venisse negato.
Kei non si scostò, anzi si appese all’amico e cominciò a respirare pesantemente.
-Va tutto bene!- aveva cercato di calmarlo Yuri – Ora sei qui..ci sono io!-
Quella notte Kei, dopo diversi mesi, aveva dormito nella sua stanza, ma il mattino dopo era già sparito.
Yuri apprese quello che era successo solo ore dopo, quando Dana gli diede la notizia della morte della sua amica.
Per diversi giorni nessuno riuscì a contattare Kei, fino a quando non si era presentato al funerale della ragazza. Fu in quella occasione che Yuri e Dana lo convinsero a tornare a casa e a disintossicarsi.
Le risate dei tre ragazzi in soggiorno lo risvegliarono da quei ricordi.  
Poggiò l’ultimo bicchiere nello scolapiatti e si diresse verso la porta di ingresso, indossò la giacca ed uscì.
La luce dei lampioni illuminava il piccolo giardino e la figura immobile di Kei; stava guardando verso il cielo grigio come se aspettasse che da un momento all’altro potesse accadere qualcosa di interessante a quella massa scura uniforme.
Yuri si sedette sulle scale davanti alla porta stringendosi nel cappotto, mentre Kei apriva un nuovo pacchetto.
Il ragazzo tirò fuori dal cartone vuoto l’accendino e, dopo essersi acceso una sigaretta, cercò di incastrarlo in quello nuovo.
Yuri alzò una mano verso l’amico come a richiesta di qualcosa.
Kei estrasse una stecca dal pacchetto e la porse nella mano aperta dell’altro.
-Pensavo fumassi già abbastanza te per tutti qua dentro- si accese la sigaretta e ripassò l’accendino a Kei che non dovette faticare come prima per metterlo a posto.
-Oggi è stata particolarmente dura- affermò il rosso.
-Già-
-Ma hai fatto la cosa giusta..-
Kei alzò le spalle e sospirò.
-Avrei potuto benissimo andare con loro-
-Ma non l’hai fatto-
Kei evitò di accennare al pacchettino di droga che gli era stato offerto per non preoccupare ancora di più l’amico: su quell’argomento era troppo suscettibile e non sapeva come avrebbe reagito.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul fumo, mentre Yuri cercava di trovare la forza di iniziare quel discorso difficile con lui.
-Avrei pensato a un modo per aiutarti-
-Sarebbe-
-Andare in Giappone- lo disse prima di poter cambiare idea. Buttò lì quella frase sperando che fosse davvero la scelta giusta.
Kei non gli rispose, ma ricominciò a fissare il cielo.
-Ma solo se tu..-
-Pensi possa essere la soluzione migliore?-
Kei si sedette sui gradini di fianco all’amico.
-Non.. Non lo so.. probabilmente sì!- Non avrebbe dovuto porgli quella domanda, doveva essere assolutamente sincero, non poteva mentirgli, ma doveva anche convincerlo a prendere in considerazione quell’idea. Aspirò il fumo prima di riprendere a parlare – Ti direi di no solo perché non voglio che te ne vada, solo per egoismo, ma non riesco nemmeno a dirti di sì perché essenzialmente sono una persona egoista-
-Non è vero-
-Ho chiesto a Takao e lui ha già parlato con Nonno J, oggi al telefono, di questa possibilità, e per loro andrebbe bene!- Cercò di riportare il discorso sulla reale possibilità che Kei partisse.
-Ci ho pensato anche io.. quando ho visto che li avevi chiamati-
-D-davvero?- Yuri rimase leggermente interdetto, si stava facendo sempre più reale.
Kei annuì e alzò le spalle riprendendo la sua espressione triste.
-Kei.. non vorrei mai che tu te ne andassi..-
-Ma..-
-Ma ho paura che non riuscirai a reagire se resti qui, questa.. questa città è così piena di.. di tentazioni, non vedo altre vie d’uscita..-
-Avete sopportato fin troppo..- affermò piano Kei più a se stesso che all’altro.
-No non pensare nemmeno per un secondo che ti riteniamo un peso e che non vogliamo più prenderci cura di te è.. è che mi sento davvero inutile, davvero impotente davanti a questa situazione.. ho paura di essere io una delle cause per cui non  riesci a reagire, vorrei che iniziassi a vivere la tua vita, a fare quello che i ragazzi della tua età dovrebbero fare, ad andare a scuola.. se potessi tornare indietro rifarei mille volte quello che ho fatto, anzi farei di più..-
-Hai fatto di tutto.. davvero.. non saprei che altro potresti fare.. anzi se fossi stato in te non ce l’avrei fatta..-
-No avresti fatto esattamente lo stesso-
A entrambi scappò un sorrisetto.
-Prendila solo come una possibile opzione, pensa a tutti gli aspetti, positivi e negativi, e se alla fine capirai che non è la scelta giusta io sarò ben felice di vederti ancora qui e troverei un altro metodo per farti sentire meglio..-
Kei ascoltò attentamente le parole di Yuri, ma non diede nessun tipo di risposta, lasciandolo continuare.
-..forse ci vuole solo ancora un po’ di tempo..-
Restarono seduti sui gradini gelati per almeno una decina di minuti. In silenzio. Senza guardarsi.
Era il loro modo per stare insieme, per capire che accanto a loro avevano una persona che sarebbe stata disposta a fare di tutto l’uno per il bene dell’altro. Ed era davvero così.
Un brivido attraversò la schiena di Yuri.
-Sarà meglio che rientriamo se no ghiacceremo..- si alzò stiracchiandosi -..non vorrei che Boris ci ritrovasse come parte dell’architettura!- e iniziò a scompigliare i capelli di Kei, il quale sbuffò esasperato.
-Pensaci con calma.. e stai tranquillo.. tutto si sistemerà!-
Kei emise un mugolio poco convinto.
-Di questo ne sono sicuro!-




Buonasera a tutti..ecco qui un nuovo capitolo bello pronto e fumante per voi! :)
Giornatina sempre più dura per Kei, con una bella chiaccheratina con Yuri che ormai si è trasformato in una perfetta casalinga! XD
Una mia amica mi ha detto che lo sto facendo sgobbare troppo..ma ci piace così! u.u
In ogni caso, aspetto con ansia le vostre opinioni, zizi!!! 
Grazie mille come al solito a tutti quelli che hanno recensito o semplicemente letto..
Un bacione :)
  

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Capitolo 9
*** All The Right Moves ***


Leggero - 9 All The Right Moves

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 





All The Right Moves


Se fosse stato per lui sarebbe rimasto a ghiacciare su quei gradini. Appena Yuri aveva pronunciato quelle parole, l’idea di diventare parte dell’architettura della casa non gli era sembrata tanto malvagia.
Ci mise un po’ ad alzarsi e a rientrare. Non voleva tornare tra quelle quattro mura, già che era riuscito ad uscire senza chiedere nulla a nessuno. Si era preso quella piccola libertà, una cosa da niente ora che ci pensava più attentamente, ma che fino a mezz’ora prima gli era sembrata una grande vittoria. Era da un po’ che non faceva qualcosa di sua spontanea volontà, o almeno che non prendeva una decisione e la portasse a termine.
Appena Yuri era uscito aveva pensato che lo avrebbe sgridato, ma non lo aveva fatto. Anzi si era messo a parlare di quella eventualità di andare in Giappone.
Era vero che ci aveva pensato due giorni prima, non appena aveva visto Takao e gli altri. Sinceramente aveva pensato proprio che Yuri li avesse chiamati proprio per quello e a quanto pareva aveva ragione. Lo immaginava, ma non sapeva esattamente cosa provare. Fastidio, dispiacere?
Tutti sentimenti piuttosto negativi perché in fondo non era propriamente una bella cosa: equivaleva alla volontà di spedirlo a chilometri di distanza, in un altro continente.
Ma non poteva avercela con lui per aver anche solo preso in considerazione quella possibilità, non poteva per niente biasimarlo.
Forse questo era quello che avrebbe dovuto provare appena ci aveva pensato, però, dopo il discorso che gli aveva fatto Yuri pochi secondi prima, gli sembrò una possibilità valida. D'altronde Yuri era sempre stato bravo con le parole e ci si poteva fidare ciecamente del suo giudizio: per questo gli aveva chiesto il suo parere. Ogni volta che erano in disaccordo su qualcosa quello ad avere ragione era sempre Yuri. Se Yuri gli avesse risposto subito che partire era la soluzione migliore e che lo avrebbe fatto davvero sentire meglio, avrebbe fatto immediatamente i bagagli senza pensarci.
Non avrebbe nemmeno preso in considerazione la possibilità di restare perché, se Yuri pensava fosse meglio partire, quella era la cosa da fare; aveva ormai rinunciato a prendere decisioni di qualsiasi tipo. Non era bene fidarsi di se stesso. Seguire il proprio istinto lo aveva portato completamente alla deriva e sicuramente se lo avesse rifatto avrebbe preso di nuovo la decisione sbagliata.
Però Yuri non gli era sembrato troppo sicuro della riuscita di questa nuova possibilità.
E se non ci credeva Yuri come poteva crederci lui?
Gli aveva detto di pensarci, che la decisione era sua, ma se negli ultimi mesi l’unica sua decisione corretta l’aveva presa solo quel pomeriggio rifiutando l’invito di quei ragazzi, come poteva prendersi la responsabilità di una scelta così grande?
Si diresse verso camera sua salutando distrattamente gli altri; si mise in pigiama e prese le sue cuffie sdraiandosi sul letto.
Che razza di situazione.
Da quand’era che aveva perso la capacità di scegliere della propria vita? Ma soprattutto, l’aveva mai avuta? L’unica volta se l’era giocata, non ne era stato in grado, come poteva adesso in quello stato fare la scelta giusta?
-Che palle!-
Come ogni volta che si metteva in letto, quel poco di stanchezza accumulata durante la giornata scompariva come per fargli un dispetto.
Avrebbe potuto benissimo mettersi a fare i lavori forzati per tutta la notte da quanto si sentiva carico.
Riuscì a confluire tutta l’energia che aveva in corpo alla testa e, come una scarica di adrenalina o qualcosa del genere, si ritrovò pervaso da una sottospecie di senso ottimista.
Forse la svolta di quel giorno, l’essere riuscito a rifiutare la droga nonostante ci fosse stato a contatto diretto e l’essere uscito in giardino solo per fumare al fresco, era segno che era il momento di darsi una svegliata.
Beh, sveglio lo era. Doveva solo trovare il modo di sistemare i casini della sua vita, o almeno iniziare.
 
Aveva trovato una soluzione. Se in quelle ore non avesse cambiato idea, ed era possibilissimo considerando gli sbalzi d’umore, avrebbe comunicato a tutti quello che secondo lui era meglio.
Se Yuri avesse approvato avrebbe avuto la conferma di non essere nel pieno di un attimo di pazzia, quella famosa pazzia che sentiva salire in lui ogni secondo.
Prima o poi lo avrebbero rinchiuso in un manicomio, se lo sentiva.
Fantasticando su tra quanti anni questo sarebbe avvenuto si diresse verso il piano inferiore.
Era notte fonda, tutti dormivano, ma a lui era venuto l’improvviso bisogno di farsi una doccia.
Aveva optato per il bagno di sotto per non rischiare di svegliare gli altri.
Certo non sembrava essere la cosa migliore da fare lavare via la stanchezza, visto che non aveva ancora chiuso occhio. Magari avrebbe funzionato al contrario e gli sarebbe venuto sonno.
Scettico dei suoi stessi pensieri si infilò nel piccolo bagno e azionò il getto dell’acqua.
Si fece una doccia gelata prima di miscelarla con quella calda.
Come sempre l’idea di prendersi qualche malanno e magari qualcosa di più lo sfiorava in ogni situazione, ma per fortuna il coraggio di completare la sua opera veniva sempre meno.
Solo una volta ci era andato vicinissimo. A porre fine a quei patimenti.
Ma a quanto pareva la vita aveva altro da fargli provare, magari qualche altra sofferenza o turbamento.
Non poteva dire nemmeno che fosse la mancanza di coraggio a farlo desistere dai suoi scopi autolesionisti; forse l’unica cosa che lo tratteneva era il pensiero costante di far del male agli altri.
Finchè si rovinava con le sue stesse mani andava bene, ma quando a rimetterci erano gli altri cercava di pensarci due volte prima di fare stupidate.
Le persone attorno a lui si preoccupavano e lo aiutavano continuamente, anche se non sapeva spiegarsi ancora il motivo per cui fossero così attaccati ad un attira disgrazie come lui.
Vagò ancora tra mille pensieri cercando di godersi il più possibile quel silenzio così opprimente, ma allo stesso tempo accogliente.
Uscito dalla doccia si rivestì e si diresse verso la cucina deserta. Posò lo sguardo sulla mensola con la roba per la colazione e prese in considerazione l’idea di mangiarsi dei biscotti.
Mentre si sporgeva per afferrare il pacchetto cambiò idea e optò per le sue più adorate sigarette.
Si diresse verso il divanetto ascoltando l’eco dei suoi stessi passi nel silenzio.
Era tutto così strano e irreale a quell’ora, mentre tutti dormivano e il buio regnava; tutta quella realtà però lo faceva sentire a suo agio.
Erano le 4 del mattino, avrebbe dovuto dormire o almeno trovare qualcosa da fare per passare le ore che lo separavano dal sorgere del sole.
Quando passava così la notte in bianco stava sempre nei piani inferiori della casa; erano più freschi e soprattutto erano vivibili solo quando non c’era nessuno. Inoltre non sopportava più la vista della sua camera.
Provò a guardare il dvd che avevano abbandonato poche ore prima gli altri, ma dopo una decina di minuti non sopportava già più il protagonista maschile, il classico nerd americano; convincendosi che non avrebbe trovato passatempo migliore iniziò a vagare tra le opzioni del lettore dvd.
Provò a guardare il film in tutte le lingue presenti facendo caso alle diverse voci dei doppiatori e a quanto alcune stonassero con la faccia degli attori.
Le uniche lingue che riuscì a capire furono il russo, il giapponese e l’inglese, per il resto non capiva assolutamente nulla se non qualche parola qua e là.
Annoiato dalla stessa attenzione che stava presentando alla sua attività tirò un sospiro di sollievo quando il film giunse ai titoli di coda.
Di nuovo, invece che spegnere il lettore, lasciò terminare l’immensa lista di nomi analizzando le varie personalità che lavoravano dietro un film e cercò di intuire la nazionalità di quelle persone che portavano un cognome strano.
Erano quasi le 6 quando sentì la porta di casa spalancarsi per far entrare uno stremato Boris.
Il ragazzo si diresse in cucina per prendere qualcosa da mangiare prima di andare in camera a dormire.
Salutò Kei con faccia scettica chiedendosi come fosse possibile che non dormisse mai.
Stesso pensiero attraversava il diretto interessato che rimase ancora per un tempo indefinito stravaccato sul divano come se ormai fosse stato parte integrante dell’arredamento.
Osservò la casa risvegliarsi con il passare del tempo.
Dopo la veloce comparsata di Boris, anche Sergay scese a fare colazione per poi lasciare il suo posto a Yuri.
-Non faresti meglio a provare a dormire un po’?- chiese il rosso.
Kei aveva chiuso gli occhi per un secondo e si disse che doveva avere una faccia stravolta.
Questo lo convinse a tornare in camera sua anche per evitare l’arrivo degli altri tre che, sicuramente, non sarebbero stati silenziosi quanto i suoi coinquilini nel fare colazione.
Gli era venuto mal di testa, per non parlare del torcicollo per aver lasciato i capelli bagnati.
Si trascinò su per le scale e, non appena varcata la soglia, si buttò sul letto cercando di prendere sonno.
 
-Tutti a tavola!-
Boris invitò tutti a sedersi cercando di portare il cibo in tavola.
-Ehm non sarà meglio chiamare anche Kei?- chiese preoccupato Rei.
-Deve essersi finalmente addormentato in verità..-
Non fece in tempo a portare avanti la sua tesi che Kei irruppe nella stanza massaggiandosi mezzo addormentato una tempia.
-Ok scherzavo!-
Kei si sedette al suo solito posto di fianco a Yuri con un’espressione contrariata per il tanto rumore.
-Ora che ci penso non abbiamo comprato nulla per Hilary!- tirò fuori Max.
-E che se ne frega di quella lì!- rispose Takao.
-Allora glielo dirai tu che non abbiamo pensato a lei appena torniamo?-
Takao improvvisamente cambiò espressione immaginandosi la scenata che gli avrebbe fatto se mai avesse osato dirgli una cosa del genere.
-Ok hai ragione..semmai gliene diamo uno di quelli che abbiamo preso per Nonno J!-
-Ma non sarebbe meglio qualcosa di più femminile?-
-Le prendiamo una di quelle grasse matrioske e le diciamo che le assomigliano!- sogghignò Takao.
-Anche questo però glielo dici tu!-
Come al solito l’allegria regnava sovrana.
-A proposito quando avete intenzione di tornare a casa? Non starete perdendo troppi giorni di scuola?- chiese Sergay apprensivo.
-Naah meglio!-
-Takao, Sergay ha ragione! E ti ricordo che l’ultimo tuo voto non è stato molto bello e dovrai recuperarlo!-
-Come sei cattivo Rei! Perché me lo hai ricordato?- Piagnucolò Takao –Uffa..proprio ora che mi stavo abituando alla cucina di Boris!-
-Che cosa vorresti dire?- chiese contrariato il russo.
-Niente niente!- si affrettò ad aggiungere spaventato Takao – Quando sarebbe meglio ripartire?-
-Non saprei..- Rei si interruppe e senza pensarci guardò Yuri interrogativo e subito dopo Kei, come se si aspettasse una qualche risposta da loro.
Kei alzò finalmente lo sguardo assente su di loro e si unì al discorso.
-Se ti stai chiedendo se Yuri mi ha parlato, sappi che l’ha fatto-
Rei continuò a guardarlo senza spiccicare parola, incapace di formulare frasi sensate. Quindi glielo aveva detto, ma quale era stata la sua reazione e la sua risposta non lo sapeva nessuno.
Di nuovo tutti posarono gli occhi su Yuri.
-Deve decidere lui..- il rosso puntò lo sguardo sull’amico alla sua destra.
-In effetti ci ho un po’ pensato..- decise di rispondere Kei, non sopportando più quel confuso gioco di sguardi che sembrava non portare da nessuna parte -..penso che sarebbe meglio se andassi in Giappone..- tutte le persone presenti sembravano tenere il respiro mentre Kei parlava, su Takao si dipinse un enorme sorriso, mentre Yuri si fece più cupo -..ma ad una condizione-.
Il tempo sembrava essersi fermato in attesa del resto della frase.
-Quale sarebbe?- velocizzò Yuri.
-Essendo essenzialmente un masochista, penso che sarebbe meglio venire in Giappone non adesso, ma quest’estate..-
Un’espressione confusa li attraversò tutti.
-Beh intanto se mi perdo il matrimonio di Dana, lei sarebbe capace di ammazzarmi..-
A Sergay scappò un risolino all’immagine di Dana arrabbiata.
-Beh mi sembra ragionevole, così possiamo preparare tutto tranquillamente!-
-Vero, ma una curiosità, perché saresti masochista?- chiese confuso Rei.
Kei lo guardò come se la risposta fosse ovvia.
-Ma lo sai quanto fa caldo in Giappone d’estate?-
Dopo il primo secondo di silenzio una fragorosa risata si alzò dalla tavola piena di piatti vuoti.
Altre battutine e scambi gioiosi si riversarono l’uno dopo l’altro e il fatto che tutto questo fosse partito proprio da Kei portò molta più allegria del solito.
A Kei però, nonostante fosse stato più partecipe, non era ancora passato il mal di testa e tutto quel ridere gli stava dando sui nervi. Senza pensarci due volte si mise a sparecchiare seguito a ruota da Yuri che lo aiutò.
Il rosso stava appoggiando le posate nel lavabo quando si ritrovò davanti gli occhi viola dell’amico.
Sembrava che Kei gli volesse dire qualcosa, ma non lo fece, restando a fissarlo per diversi secondi.
Quegli occhi gli stavano chiedendo qualcosa, un accenno, un consenso, un dispiacere, qualsiasi cosa riguardo a quello che era stato appena deciso.
Yuri gli sorrise semplicemente, in modo naturale, come a un fratello, senza il bisogno di dare una risposta a quella muta domanda.
Come se niente fosse successo Yuri ritornò verso la tavola per togliere i bicchieri, mentre Kei poggiò la pila di piatti che aveva in mano.


 



Buonasera a tutti!
Mentre sceglievo dove tagliare il capitolo mi sono accorta di una cosa tremenda..manca poco alla fine della parte già scritta..cioè, proprio poco no, diciamo relativamente, ma questo vuol dire che devo entrare nell'ottica di muovermia  scrivere il resto!
Non voglio che quei pazzi dei miei lettori debbano poi aspettare troppo..non sia mai!

Comunque, a proposito di pazzia, che en dite di questo capitoletto?!
Abbiamo ripreso per un po' il tour nella testa di Keiuccio nell'attesa della sua decisione che immagino avevate capito tutti quale sarebbe stata..diciamo che non era proprio scontata -.- però il problema ora è..che cosa accadrà?!  Si può considerare la pace dopo la tempesta?!
Ora andranno tutti insieme per i prati a inseguire farfalle!?
Beh manca ancora del tempo prima di scoprirlo ;)

Ringraziamenti di rito a tutti quelli che recensiscono e quelli che leggono solamente, ma comunque dal cuore.
Se qualcuno decidesse di voler lasciare un commentino sappia che è sempre il benvenuto..
un bacione :)

Ps: tanti auguri ad Aipotu! ;) ihih prima o poi ce lo faremo un vero viaggetto a Mosca :P

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Capitolo 10
*** Breathe Slow ***


“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”


 





Breathe Slow


Nel pomeriggio Rei andò con Yuri a fare i biglietti per la partenza. Avevano deciso che sarebbero tornati in Giappone il giorno dopo così da non perdere altri giorni di scuola.
Ormai il compito per cui erano stati chiamati a Mosca era stato svolto e Kei li avrebbe raggiunti a Tokyo per l’estate.
A casa rimasero solo Max, Takao e Kei. Era la prima volta dopo mesi che Kei si ritrovava in casa senza uno dei suoi tre coinquilini.
Yuri in realtà era stato un po’ restio ad acconsentire a quel cambiamento, ma la promessa di Takao e Max di essere d’aiuto lo aveva fatto un po’ sciogliere.
Il colpo di grazia glielo aveva dato Rei che aveva affermato –Dagli un po’ di fiducia, credo che se lo meriti no?-
Kei era rimasto stranito da quella frase almeno quanto Yuri, che come al solito lo guardò negli occhi prima di decidersi ad uscire.
La situazione già inusuale di per sé era resa ancora più strana dalla presenza dei tre, soli nella stessa stanza. Mentre con Rei gli era capitato di parlare qualche volta in quei pochi giorni, con Max e Takao non stava da solo dai tempi del torneo di Bey.
Erano riuniti nel salottino: Max leggeva un fumetto americano che si era portato da casa, Takao canticchiava allegramente una canzoncina giapponese con il sorriso stampato in faccia, mentre Kei lo osservava stranito.
Come era possibile che quel ragazzo sorridesse così tanto?
Si era dimenticato in quei due anni quanto potesse essere snervante quella continua allegria ostentata senza ritegno.
-Ma che hai da ridere?- Kei non riuscì a trattenersi.
-Sono contento!- Takao continuò a muovere la testa a ritmo della melodia –Saremo di nuovo i Bladebreakers al completo!-
Kei lo squadrò scettico, rinunciando a comprenderlo.
-Sarà tutto come due anni fa..risate, abbuffate, scontri..-
-Non illuderti troppo- stoppò Kei.
-Ma perché dici così?-
-Non è che credi che ricomincerò a giocare a Bey vero?-
-No..cioè..- Takao iniziò a giocherellare con le sue dita imbarazzato -..ma non c’è nemmeno una lontana speranza?-
-No-
-E daaaai.. non puoi lasciare tutto così.. eri il più forte di tutti, dopo di me ovviamente!-
Kei alzò un sopracciglio sempre più scettico.
-In verità è già da un bel po’ che ho lasciato e non vedo motivo per ricominciare-
-Per me..-
-Ribadisco che non ne vedo motivo valido-
-Come sei antipatico!-
-Allora me ne resto qui-
-No no no no no..non dirlo nemmeno per scherzo..ok ok non ricominci a giocare..ho afferrato!-
Takao abbassò lo sguardo sconfitto.
Kei lo spiò con la coda dell’occhio e gli venne naturale abbozzare un sorriso: Takao sembrava davvero un bambino piccolo, era incorreggibile. Certo che con lui riusciva a dimenticarsi del mondo reale spietato e crudele, era abbastanza contagiosa la sua visuale della vita così spensierata e innocente.
-Ma ce l’hai ancora il bey vero?- si intromise Max.
-Sì, ma NON lo userò-
-Non voglio farti cambiare idea tranquillo..volevo solo accertarmi che non te ne fossi liberato!-
Ma come facevano a vedere tutto così positivo e sereno? Come potevano ancora avere lo stesso sguardo di due anni prima?
Kei non se lo spiegava proprio, lui non era mai stato in grado di vedere le cose dal loro punto di vista, come loro non erano mai riusciti a concepire il suo.
Erano persone completamente diverse, che però potevano aiutarsi gli uni con gli altri.
-Però non te ne sei dimenticato..- aggiunse Takao.
-Di cosa?- chiese Kei che aveva perso il filo del discorso.
-Dell’Aquila Rossa! La tieni sempre con te!-
Il russo era sempre più confuso, finché non comprese la natura delle parole di Takao.
Lui non si era scordato dell’Aquila Rossa perché la portava sempre con sé, non sottoforma di bit power nel Bey, ma bensì come un disegno marchiato a vita sulla sua pelle.
Infatti sul collo, poco sotto all’orecchio, aveva il tatuaggio che raffigurava proprio l’animale sacro: se l’era fatto tatuare pochi mesi dopo la chiusura del Monastero, ma era da tanto tempo che non pensava al suo significato.  
-Certo che è fatta proprio bene!- Max gli si era improvvisamente avvicinato, come voleva fare da tanto tempo, ma non aveva ancora avuto il coraggio di fare.
-Eh? Già..-
L’americano continuava a osservare il disegno in tutti i suoi contorni neri perfetti. Ogni dettaglio dell’aquila era rifinito e preciso nonostante le dimensioni.
-Questo invece cos’è? Un tribale giusto?-
Max indicò l’insieme di linee che si intersecavano nel formare il grande tatuaggio che copriva tutta la spalla destra di Kei.
Kei si alzò la manica corta della maglietta per mostrare il tatuaggio in tutta la sua interezza.
-Certo che è grosso!-
-Ha un significato?-
-E’.. sono delle fiamme tribali..- Kei era leggermente spaesato dal grande numero di domande che gli venivano poste. Era da tanto che qualcuno non si interessava ai suoi tatuaggi o comunque a dettagli particolari di lui.
Si era scordato l’immensa curiosità dei suoi vecchi amici.
-Ne hai altri?- chiese Max saltellando.
-Sì uno..-
-Dove?-
-Sulla gamba-
-Quindi..- Max iniziò a contare sulle dita della mano -..ne hai 4! Pari..non porta sfortuna?-
-Ne farò un altro allora..- dichiarò Kei, più per fare contento Max che per altro; infatti era convinto che, anche se la sfortuna fosse esistita, non avrebbe potuto fare più tanti danni, o almeno non più di quelli che aveva fatto da solo.
-Bravo..non si sa mai!- Concluse con aria solenne l’americano prima di tornare al tavolo a concentrarsi sul suo fumetto.
Rimasero qualche minuto in silenzio.
-Vedrai che le cose si sistemeranno davvero!-
Kei rimase leggermente scioccato dal repentino cambio di discorso e dalle parole appena pronunciate dal giapponese.
Lo guardò negli occhi e riuscì a vedere tutta la sua determinazione e serenità.
Per la milionesima volta nel giro di mezz’ora si ritrovò ad invidiare quegli occhi che non erano spaventati, non erano insicuri, che osservavano la vita come una cosa meravigliosa da assaporare in ogni attimo.
Takao riusciva ad essere sempre così ottimista.
Kei posò di nuovo lo sguardo davanti a sé senza rispondere. Chissà se quell’inguaribile ottimismo sarebbe stato distrutto col suo arrivo in Giappone o se fosse riuscito a prendergliene un po’.
Solo il giusto, il minimo indispensabile.
-Non sto più nella pelle!- Takao si alzò di scatto e si mise a girare per la stanza.
-Ma ci stai un po’ fermo?-
-Non ci riesco..sono troppo contento! Che bello, che bello, che bello!-
Kei di rimando a tutta quella felicità si accese una sigaretta.
-Bah-
 
-Allora come ti trovi all’università?-
-Bene.. Anche se sono un po’ indietro con alcune lezioni..-
-Per Kei?-
-Anche..ma non gliene faccio una colpa.. viene prima lui dell’università!-
-Non vorresti che se ne andasse vero?-
Yuri rimase pochi secondi in silenzio prima di rispondere.
-So che è quello che è meglio fare..anche se non vorrei..-
-Lo pensi davvero? Che noi riusciremo a..-
-Sì..lo spero! So quanto ci tenete.. se no non avrei nemmeno preso in considerazione l’idea! So che sembra davvero che io me ne voglia sbarazzare, ma spero che capirà che non è così..-
-Secondo me lo sa già..-
-Ho paura che non sia così..-
-Perché?-
Yuri esitò di nuovo. Aveva un gran bisogno di sfogarsi con qualcuno, ma non sapeva se poteva farlo col cinese. Era così gentile e disponibile con lui che non se la sentiva di scaricargli addosso tutte le sue ansie e i suoi problemi.
-Tranquillo..sono un bravo ascoltatore sai?-
Rei gli sorrise continuando a camminare per le strade innevate di Mosca.
-E’ che.. credo che pensi che non ce la facciamo più a occuparci di lui.. di essere un peso..-
-E lo è davvero?!-
-No!- esclamò contrariato Yuri. –E’ stato difficile, ma non è così!-
Iniziò a nevicare forte di punto in bianco e i due si dovettero riparare in un bar.
Ordinarono qualcosa di caldo sedendosi a un tavolino.
Una serie di ricordi riaffiorarono ancora nella testa del rosso in quei pochi minuti di silenzio.
 
Kei guardava fuori dal finestrino dell’autobus mentre Yuri non lo perdeva d’occhio un secondo.
Aveva l’aria trasandata e trasognata. Gli occhi lucidi e vuoti. Ogni tanto muoveva la testa senza un senso preciso, o almeno senza che Yuri potesse coglierne il senso.
Per assicurarsi che lo seguisse fuori dal mezzo, lo prese per un braccio e uscirono nella fredda aria di dicembre. La fermata era a pochi isolati da casa  e la neve iniziava a cadere incessante.
Kei, che già tremava di suo, iniziò a tossire. Indossava solo una giacca leggera, non adatta per quelle temperature rigide.
Yuri si tolse il cappotto nero e glielo appoggiò sulle spalle mettendogli una mano sulla schiena come per esortarlo ad andare avanti.
Erano quasi nel vialetto quando Kei rallentò e iniziò a bisbigliare qualcosa di incomprensibile.
Ci volle tutta la forza e la pazienza del rosso per riuscire a portarlo oltre la soglia di casa.
Appena entrati furono avvolti da un piacevole calore.
-Dai vieni dentro!- Yuri si mise davanti alla porta per impedirgli di aprirla e tornare fuori.
-Cosa sta succedendo?- Sergay sbucò dalla porta della cucina per assistere ai tentativi di Kei di lottare contro Yuri per aprire la porta. Che poi non poteva considerarsi propriamente una lotta: Kei sembrava tanto debole e provato che non presentava nemmeno lontanamente una minaccia.
Mentre tentava di spostare Yuri, perdeva l’equilibrio e si prendeva la testa tra le mani.
 
-Dicevi..- lo esortò Rei.
-Che è stato difficile.. tu non puoi nemmeno immaginare quanto..-
 
-Ser aiutami!-
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e si diresse verso i due.
-Kei tranquillo..andrò tutto bene!-
-No, dopo.. ancora una volta..- Kei si sentì afferrare da dietro da Sergay -..solo un’ultima volta..poi smetto..- Si sentì sollevare e iniziò a vedere il mondo sottosopra -..una dose..una sola..- cercò di dimenarsi, ma tutto rendeva sempre più difficile distinguere il sopra dal sotto.
Sergay aveva preso Kei in spalla e lo stava portando al piano di sopra.
-Vai in bagno..-
Yuri li condusse verso il bagno aprendo la porta per lasciarli passare e permettere a Ser di posare il ragazzo sul pavimento.
Kei appoggiò la schiena contro la vasca da bagno sentendo le mani dei suoi amici che gli toglievano i vestiti. Non gli piaceva, non capiva, non riusciva a comprendere quello che stava succedendo.
Portò le mani avanti sentendo il contatto con qualcosa di caldo, una maglia, una faccia, altre mani.
Cercò di vedere, ma la confusione regnava sovrana, non distingueva contorni e colori.
Si mise le mani davanti alla faccia e cercò il contatto con l’unica cosa che riusciva a percepire chiaramente. Il pavimento era la sua unica sicurezza, era lì, ed era fresco e invitante.
Cercò di sdraiarcisi, ma veniva trattenuto. Tentò e ritentò, ma qualcosa lo fermava.
Sentiva ancora quelle voci lontane. Ma cosa volevano?
-Stai fermo!- Yuri e Sergay cercavano continuamente di tenerlo su e togliergli i vestiti per lavarlo, ma Kei non accennava a stare un secondo fermo.
Ci misero mezz’ora prima di riuscire a portarlo in camera sua, almeno presentabile.
Lo aiutarono a mettersi una vecchia tuta e lo misero sul letto. Nei suoi occhi si leggeva solo confusione. Non c’era altro in quelle iridi.
-Ora?- chiese Sergay.
-Ora aspettiamo- Yuri prese la sedia della scrivania e si sedette in attesa.
-Ti serve qualcosa?-
Yuri scosse la testa.
-Allora chiamo Boris per avvertirlo!-
Sergay tornò al piano di sotto chiudendo la porta leggermente perplesso.
Yuri rimase a guardare Kei: era steso sul letto a pancia in su e fissava il soffitto con gli occhi socchiusi, aveva il respiro affaticato, come dopo una lunga corsa, e stava sudando.
Sembrava che l’effetto della droga si stesse attenuando, probabilmente la crisi sarebbe arrivato prima del previsto e doveva accertarsi che Kei non uscisse da quella stanza.
Lo vide agitarsi minuto dopo minuto.
Sapeva che presto la bomba sarebbe esplosa e, ripensandoci, non era affatto pronto a subirne gli effetti, ma doveva almeno provare.
Kei si era mosso, continuava a cambiare posizione: si mise su un fianco, si raggomitolò, si mise seduto e si sdraiò in preda al panico. Tossì e si prese la testa tra le mani.
-Non posso.. non ce la faccio..-
Yuri si alzò all’erta in tempo per bloccare Kei che, come se avesse ad un tratto riacquistato tutte le forze, si era alzato di scatto.
-Kei..ce la puoi fare! Ne abbiamo parlato!- cercò il contatto con i suoi occhi –Kei..fidati di me!-
-No no..non posso..- sempre bloccato cercò di spingere Yuri, ma non lo smosse di un millimetro – Ne ho bisogno-
Kei dovette rinunciare presto a spingerlo, ritrovandosi sempre coi polsi bloccati e la testa sulla spalla dell’altro. Si abbandonò completamente su di lui, cadendo in ginocchio per terra.
Tossì ancora. Yuri cercò di tirarlo su e lo rimise sul letto facendolo sdraiare.
Fu allora che cominciò l’inferno.
 
-Prova a spiegarmelo..-
-Ti dico solo che il peggio credo sia passato.. ma io me le vedo sempre davanti.. quelle immagini, non riesco a cancellarle dalla mia testa..- appoggiò la testa alle mani per poi continuare -..lui che sta male su quel letto e..e urla..-
Rei gli lanciò un’occhiata interrogativa da dietro la sua tazza.
-Lo sento ancora urlare.. Urlava per il dolore e per chissà che altro. A volte nel bel mezzo della notte si agitava e urlava e io non sapevo come fare a calmarlo, ad alleviare anche solo un po’ di quel dolore, ma non sapevo e non capivo dove e perché gli facesse male. Gli stavo accanto, ma non serviva a nulla. Mi si stringeva il cuore e la gola ogni volta che lo sentivo..e soffrivo.
 
Kei tremava e sudava. Aveva freddo e caldo, era percorso da vertigini su tutto il corpo, ogni muscolo si irrigidiva e si rilassava senza sosta e i suoi occhi vedevano cose oscure a tutti gli altri.
Non dormiva e non mangiava. Non era capace di provvedere a se stesso e ai suoi bisogni naturali. Non sentiva nemmeno la differenza tra l’essere vivo e l’essere morto.
Tutto era dolore. Dolore e mancanza. Dolore e astinenza. Ricerca continua e inutile.
Per tre giorni niente cambiò. Kei stava sdraiato sul letto e stava male, si teneva la testa e si raggomitolava in posizione fetale. Strizzava gli occhi, tremava e sudava. E Yuri gli stava dietro come a un neonato: lo puliva, lo cambiava e cercava di farlo mangiare.
Ma nessuna di queste cose gli pesava o gli faceva pentire di essersi proposto di aiutarlo.
Ciò che davvero lo uccideva e lo faceva star male erano le urla.
Kei urlava, per il dolore fisico e psicologico, ad ogni ora.
E a ogni urlo lo stomaco e la gola di Yuri si chiudevano, sentiva una morsa che lo attanagliava, sentiva dolore lui stesso.
Mai come davanti a quegli urli disperati si sentiva impotente e inutile. Riusciva solo a sdraiarsi con lui e fargli sentire che era lì, vicino a lui, pronto ad aiutarlo.
E lo tratteneva da fare cazzate. Come mordersi. Mordeva tutto, lenzuola, cuscini e soprattutto l’incavo del suo braccio, si mordeva fino a sanguinare se non veniva fermato.
E quando sembrava non potesse accadere nulla di peggio avvenne qualcosa di inaspettato.
 
-Poi quando è peggiorato e non voleva essere toccato è stata ancora più dura mantenere il controllo e non scappare via; ho quasi desiderato.. sì me ne vergogno, ma l’ho fatto..ho quasi desiderato che finisse tutto lì, che morisse, che tutto quel patimento terminasse, perché non sapevo come poteva fare a vivere con tutto quel malessere.
 
Fu in quel momento che cominciò il vero e proprio delirio, frasi sconnesse lasciate a metà, allusioni a situazioni, realtà, fantasia, ricordi.
Richieste verso qualcuno di sconosciuto, verso una terza persona. Una persona anonima, con il nome sospeso tra realtà e illusione. Un nome che naturale spuntò sulle labbra di tutti non appena la consapevolezza li colpì. Un nome che col solo pronunciarlo causava dolore e timore. Un dolore passato, ma ora presente più che mai.
-Non toccarmi.. Non farlo.. Basta.. Non voglio.. Lasciami.. Non ce la faccio più.. Non lo voglio.. Non voglio che mi tocchi più.. Si allontani.. Basta..-
Una litania ripetuta all’infinito. E dolore.
 
-Anche se poi quando è andato davvero a un passo dalla morte non ho fatto altro che desiderare che vivesse..lo so, non ha senso, ma è così!
E quando finalmente ha ripreso lucidità, Dio quanto ero felice; mi ha detto due parole..’ho freddo’ o qualcosa del genere, ma mi ha parlato e guardato come non faceva da giorni, 
 
Aveva finalmente alzato gli occhi e posato le sue due ametiste nelle pozze ghiacciate di Yuri. Finalmente lo guardava e lo vedeva davvero. Era consapevole della sua presenza.
 
-.. e lì ho riacquistato piano piano tutti i battiti. Per non parlare di quando l’ho sfiorato e non si è ritratto.. ho pensato che fosse tutto finito, che presto sarebbe tornato tutto normale.
-Ho presente ogni momento e ogni sensazione di un momento, l’unico momento di sollievo.
 
Kei continuava a respirare male, era ancora affaticato e, di sua spontanea volontà, si avvicinò e appoggiò la fronte contro il petto di Yuri regolando il proprio respiro rotto con quello regolare del rosso. Pian piano il ritmo tornò normale.
 
-E poi si è addormentato.. in quel momento davvero ho pensato che sarebbe andato tutto bene. Ma ora so che l’unico modo perché tutto vada bene per davvero sia di allontanarlo..-
Yuri si raddrizzò credendo realmente per la prima volta che quella fosse la soluzione giusta.
-Scusa se ti ho annoiato con questi discorsi..-
-Non ci pensare nemmeno! Kei è davvero fortunato ad avere te!-
Come al solito, Rei con un sorriso addolcì l’altro e lo tranquillizzò.  
 
Takao e Kei avevano continuato a battibeccare fino a che Yuri e Rei non tornarono a casa.
-Finalmente!- Li accolse Takao saltellando.
-Ti prego portalo fuori, fagli fare qualsiasi cosa, ma tienilo lontano da me- Disse esasperato Kei a Rei, prendendo il giapponese per il colletto facendo per porgerglielo.
Il cinese scoppiò in una fragorosa risata.
-Ma non è mica un cane!- gli disse divertito Yuri.
-Sicuro?- rispose scettico Kei.
-A che ora abbiamo il volo?- chiese sempre sereno Max.
-Domani mattina alle 11!-




Penso sia il capitolo più lungo finora o qualcosa del genere! Spero non vi dispiaccia u.u
Abbiamo continuato il nostro viaggio nei ricordi di Yuri, ma c'è stato spazio per qualche risata con Takao e Max ^^
Attendo con ansia le vostre preziose opinioni!

Allora..per il discorsetto sulla crisi e sulla droga in generale..io mi sono informata a più non posso su tutti gli aspetti di una cosa così delicata, ma, ovviamente, non avendola mai vissuta e non avendo nemmeno il minimo sentore di cosa possa significare realmente, ho cercato di rendere il tutto il più verosimile possibile..
Spero di aver reso l'idea correttamente e di averlo anche descritto in modo da far capire quello che mi sono immaginata io!
C'è una scena in questo capitolo che mi piace molto e sulla quale mi scappa sempre un sorriso ogni volta che ci penso..chissà se piacerà anche a voi e se qualcuno me la farà notare ;)

Grazie come sempre a chi recensisce e a chi legge solamente..
Al prossimo capitolo,
Un bacione :)

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Capitolo 11
*** Dream In The Air ***


“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”

 








Dream In The Air





Quella sera per festeggiare ordinarono delle pizze e Sergay fece una bella sorpresa a tutti quando, rientrando, portò una gigantesca torta.
Non che ci fosse realmente qualcosa da festeggiare, ma ci tenevano a trascorrere l’ultima sera insieme in armonia e mangiando tante cose buone.
-Vodka per tutti!- Esclamò esultando Boris tirando fuori una bottiglia dell’alcolico in questione non appena finirono di cenare.
-Ma ti sembra il caso? Qui sono tutti minorenni!- lo rimproverò Sergay.
-Non rompere Ser..come se questo avesse mai fermato qualcuno! Dai solo un goccetto!-
Il ragazzo non riuscì nemmeno a ribattere che Boris stava già riempiendo i bicchieri di tutti i presenti.
Rei non si scompose più di tanto, mentre Takao e Max, dopo un attimo di esitazione, si esaltarono all’idea di una bella bevuta in compagnia.
-Liscia come è bene che sia!- continuò Boris dandosi delle arie da gran intenditore sempre versando l’alcolico negli ultimi bicchieri.
-Abbonda..- gli disse Kei quando toccò a lui, beccandosi un’occhiataccia da Yuri.
-Sapevo che con te avrei avuto soddisfazione!- disse commosso Boris.
-Mi arrendo!-
-Bravo Ser!-
-Na zdorovje- esclamò Yuri arrendendosi anche lui a quella iniziale follia.
-Che?- chiese confuso Takao.
-Na zdorovje, si dice per fare i brindisi!-
-Na zdorovje- ripeterono Sergay, Boris e Kei, seguiti dagli altri leggermente perplessi.
-Na zdoso..co..to..e..quella roba lì insomma!- terminò Takao aggiungendo il suo bicchiere al tintinnio che emettevano gli altri nello scontrarsi.
Boris e Kei senza pensarci due volte bevvero alla goccia il contenuto per poi rivoltare i bicchieri al contrario sul tavolo posandoci la mano aperta sopra.
-Che ubriaconi!- affermò Sergay bevendo tutta la sua vodka in un sol sorso.
-Parla l’altro!-
Dall’apprezzamento generale del primo giro, Boris tentò di mandare avanti la cosa, ma la bottiglia gli fu sequestrata prima che potesse agire.
-Non è giusto!-
-Su che domani devono fare un lungo viaggio e non vorrai mica farli ubriacare!-
-Ma se stanno benissimo!- Boris indicò il gruppetto al tavolo, ma le facce di Takao e Max non gli erano di aiuto: non sembravano stare molto bene.
-Non reggono molto l’alcol..una volta sono partiti con del limoncello!- affermò Rei.
Takao e Max passarono l’ora successiva a sparare ancora più cavolate del solito e a ridere per ogni minima cosa, ma sembravano abbastanza lucidi.
Riuscirono a trovare molto buffo anche il suono del campanello che annunciò l’arrivo di Dana.
-Ero a casa da sola e mi stavo annoiando così ho detto: perché non passare in una casa affollata? Ne ho proprio una che fa al caso mio!- si annunciò entrando in cucina.
-Aaaaaaah Vodka! Meglio di quello che pensassi!-
La ragazza riuscì a fregare la bottiglia a Sergay prima che potesse protestare e a versarsene un po’.
-Anche io..- le allungò il bicchiere Kei.
-Ma..- provò a protestare Sergay.
-Perché lui sì e io no?-
Boris di tutta risposta ottenne un’occhiata vittoriosa da Kei.
La bottiglia fu requisita di nuovo e messa sotto chiave prima che qualcun altro la toccasse.
-Sono felice che non ve ne siate già andati!-
Dana iniziò un’interessante conversazione con i tre ospiti: era curiosa su tutte le tradizioni e le caratteristiche del Giappone e se le fece elencare tutte.
Boris a metà discorso abbandonò il gruppo dicendo di essere stanco e andò a dormire, seguito poco dopo da Sergay.
-Tokyo deve essere davvero una città fantastica.. ci sono dei ballerini eccezionali, ormai è all’altezza delle città degli State!- e iniziò un grande dibattito con Max sulle differenze tra il Giappone e gli USA finché la stanchezza non prese il sopravvento.
Iniziarono i preparativi per andare a dormire, ma prima che Dana potesse andarsene Kei la fermò.
-Ti posso parlare?-
-Certo!- gli sorrise.
Si sedettero sul divanetto l’uno di fianco all’altra.
Lei gli prese la sigaretta quasi finita dalla bocca e gliela spense nel posacenere, senza che Kei protestasse.
-Hai dormito stanotte?- gli chiese apprensiva spostandogli una ciocca di capelli dal viso.
-Forse un’ora..-
-Non so se considerarla una dormita..-
-Non credo..-
Si guardavano negli occhi, appoggiati col fianco allo schienale del divano.
-Io me ne vado..-
-Vuoi andare a dormire?- fece per alzarsi, ma fu bloccata.
-No, intendo.. me ne vado da Mosca.. quest’estate-
Lei rimase sorpresa.
-Capisco..-
Kei la continuava a guardare negli occhi, aspettando che anche lei alzasse lo sguardo.
Quando lo fece, lei sorrise.
-Me lo dovevo aspettare, che non avresti potuto restare qui..-
-Non vorrei..-
-Lo so, lo so..-
Si avvicinarono e Kei poggiò la testa sulla spalla di Dana chiudendo gli occhi.
-Credo che sia la scelta giusta, sai?-
-Dici?-
-Sì, non può far altro che farti bene e poi..- iniziò a carezzargli i capelli -..noi saremo sempre qui ad accoglierti quando vorrai tornare!-
Restarono in quella posizione in silenzio per diversi minuti.
L’unico rumore era il trafficare di Yuri che metteva  a posto le ultime cose in cucina.
-Hai detto quest’estate?-
-Non prima del tuo grande giorno..-
-Ah guardavo.. non ti avrei mai perdonato per questo..-
-Lo so..-
In modo assolutamente naturale si allungò sul divano e spostò la testa dalla spalla alle gambe di Dana che continuò le sue coccole.
-Dov’era stasera Anton?-
-Doveva lavorare..-
-Ma è tutto a posto?-
-Stamattina abbiamo un po’ discusso, ma sai.. le solite cose stupide!-
-Domani vi vedrete e farete pace e poi..vabbè poi lo sai..-
-Quanto sei scemo!- sorrise e continuò nell’accarezzare i capelli come se fosse un anti stress – Al matrimonio vedrò di trovarti una bella ragazza single!-
-Ma se poi parto..-
-Credi di poter avere una storia seria allora?- affermò lei sorpresa.
-No, hai ragione..- rispose serio.
-L’avrai..-
-Forse..-
-Magari una bella giapponese.. a te piacciono le ragazze more o comunque scure giusto? Lì non sono tutte così?-
-Dici che mi piacciono le more?-
-Beh considerati i tuoi precedenti.. tra tutte le ragazze bionde che ci sono in tutta la Russia la maggior parte che hai adocchiato te erano more..-
-Anche lei..-
-Già..-
Rimasero nuovamente in silenzio. Kei si girò su un fianco senza eliminare il contatto con la ragazza e dopo pochi minuti si abbandonò completamente alla dolcezza di quel tocco.
-Dana il tuo cellulare si è illuminato!- disse Rei appena finì di aiutare Yuri a mettere in ordine.
-Me lo puoi passare?-
-Certo!- Rei prese il cellulare appoggiato sul tavolo e lo porse alla ragazza.
-Si è addormentato..non voglio svegliarlo!- si giustificò per non essersi alzata lei.
Trafficò col cellulare leggendo il messaggio che le era arrivato prima di annunciare che sarebbe tornata a casa.
Con delicatezza si alzò, mettendo al posto delle sue gambe un cuscino sotto la testa di Kei.
-Se lo sapevo che gli facevi quell’effetto ti chiamavo più spesso!- affermò Yuri vedendo finalmente Kei addormentato.
-Fosse sempre così semplice lo farei con piacere!- gli sorrise – Grazie della serata!-
Dana salutò Yuri, che si diresse al piano di sopra, prima di rivolgersi a Rei.
-Allora noi non ci vediamo più! Salutami anche Takao e Max, è stato davvero un piacere conoscervi!- disse abbracciandolo e stampandogli due baci sulle guance.
-Il piacere è stato nostro!-
-E grazie per quello che fate per Kei.. mi ha detto che verrà in Giappone con voi!-
-Già, spero davvero che gli saremo di aiuto, che ne saremo capaci!-
-Lo sarete sicuramente!- sorrise ancora una volta dolcemente e fece per aprire la porta d’ingresso, ma si bloccò non appena sfiorò la maniglia.
-Mi prometti una cosa?-
Rei perplesso le chiese di cosa si trattasse.
-Puoi fare in modo che non smetta di ballare?-
Il cinese rimase ancora più scioccato di pochi secondi prima.
-Me lo puoi promettere?- sembrava quasi che lo stesse pregando.
-Farò il possibile! Te lo prometto!-
Le ultime tre parole riaccesero il suo sorriso sincero.
-Grazie!- si voltò definitivamente e sparì dietro la soglia.
 
La mattina dopo uscirono presto di casa per arrivare in aeroporto almeno due ore prima della partenza.
Sia Sergay che Boris salutarono Max, Takao e Rei a casa poiché dovevano andare al lavoro, mentre Kei e Yuri li accompagnarono.
Erano stati insieme per pochi giorni, ma era bastato per instaurare nuovamente l’armonia che avevano due anni prima, nonostante non si fossero più visti.
-Grazie per tutto quello che avete fatto!- Ringraziò Rei con un inchino come da tradizione orientale.
-Grazie a voi!-
-Allora ci terremo in contatto per organizzare il tutto!- disse sorridente Takao.
Rimasero a chiacchierare per un po’ prima di entrare nel terminal per fare i diversi controlli per la sicurezza; quando fu il momento di andare i saluti furono più calorosi di quanto non fossero stati all’accoglienza.
Si erano tutti riscoperti. Yuri abbracciò tutti e tre i ragazzi seguito da Kei, molto più riluttante al gesto.
-Allora ci vediamo tra pochi mesi!- lo salutò sempre sorridente Takao.
-Già..-
Finalmente si decisero ad andare via definitivamente prendendo una rampa delle scale mobili, permettendo a Yuri e Kei di tornare verso casa.
-Non te ne starai già pentendo vero?- domandò Yuri mentre camminavano.
-Di cosa?-
-Di aver accettato di andare in Giappone!-
-Mmm..forse dovrei..- disse Kei ripensando a Takao.
-No, non dovresti! Sono una bella scarica di vita!-
-Non me n’ero accorto- rispose ironico l’altro.
-Serviva proprio a tutti un po’ di vita in effetti!- Yuri si stiracchiò – dai andiamo a casa!-
-Aspetta.. prima possiamo passare in un posto?-
-Dove?-
-In centro, nella Novji Arbat..-
-Cosa ci devi fare?-
Kei fece spallucce -Pensavo di fare un altro tatuaggio-






Se vi dico che considero questa come la fine dell'introduzione alla storia mi uccidete?! XD
In pratica undici capitoli per una fattispecie di prologo -.- stiamo messi bene penserete voi..ebbene, è così!
Ora che metà della combricola è partita che accadrà? Di cosa parlerò, di cosa non parlerò e via dicendo?
Beh..una settimana e lo scoprirete..se non vi sarete stufati prima u.u

Un bacione :)

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Capitolo 12
*** Here I Stand ***


Giochi in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili

 







Here I Stand


Tre mesi erano passati in fretta.
L’estate era arrivata e la scuola era agli sgoccioli. Giugno si era aperto con un caldo torrido e a Tokyo si respirava già aria di vacanza.
Kei sarebbe arrivato a momenti con l’aereo proveniente da Mosca per restare con loro almeno per tutta la bella stagione e, forse, anche per di più.
Tutto dipendeva da come avrebbe reagito al cambio di luogo.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Rei, Max e Takao varcarono l’entrata dell’aeroporto per accogliere il loro amico.
-Tra quanto dovrebbe arrivare?- chiese Hilary, che aveva scongiurato gli altri di portarla con loro per conoscere il famoso Kei.
Takao infatti, dal ritorno dalla Russia, non aveva fatto altro che parlare di lui e si era dato da fare con i preparativi per accoglierlo, o almeno aveva guardato intensamente Nonno J che si dava da fare con i preparativi per accoglierlo.
Hilary non aveva mai conosciuto quel ragazzo, ma l’aveva visto solamente in poche foto del torneo di beyblade di anni prima: lei non amava quello sport, o meglio non riusciva proprio a comprendere il divertimento nascosto dietro a delle trottole che girano, e l’idea di conoscere un altro fissato non la entusiasmata. La cosa che la rendeva impaziente di conoscerlo era la sua storia: le era stato raccontato a grandi linee il suo passato difficile e il motivo per cui si stava trasferendo in Giappone e si sentiva quindi in dovere di “aiutare le povere anime perdute lungo il cammino”.
-Tu sei totalmente pazza!- esordì Takao guardandola scettico.
-No sono altruista che è diverso!- rispose a tono la ragazza.
-Potete smetterla?! Dovrebbero annunciare il suo aereo a momenti..- cercò di fermarli Rei.
Quei due erano proprio come cane e gatto. Non si riusciva a farli stare calmi e buoni un secondo. Si punzecchiavano in continuazione, ma si volevano un gran bene.
Anche se non lo avrebbero mai ammesso, si potevano considerare come due migliori amici sempre pronti ad aiutarsi. Sì, ad aiutarsi quando non erano impegnati a urlarsi contro di tutto.
-Ecco è quello che stanno annunciando!- si intromise Max, ponendo finalmente fine al litigio.
La voce meccanica dell’altoparlante stava annunciando l’atterraggio del volo proveniente da Mosca.
Si diressero verso l’uscita del terminal annunciato e iniziarono a guardarsi intorno.
Era molto affollato a causa del grande numero di voli in atterraggio proprio i quel momento: Rei sperò di non perdere di vista Kei ancora prima di averlo accolto in Giappone.
Yuri sicuramente l’avrebbe ammazzato, o peggio.
Come avrebbe potuto dargli quella notizia terribile? Avrebbe dovuto dirglielo? Sarebbe stato in grado di tenere il segreto fino a che non avesse ritrovato Kei?
-Dov’è? Qual è?-
Il saltellare di Hilary lo ridestò dai suoi pensieri catastrofisti.
Dopo dieci minuti ancora nessuna traccia di Kei.
-E’ salito sull’aereo vero?- chiese confuso Max.
Altri cinque minuti.
-Sì Yuri ha chiamato ricordi?- ripensò Rei.
Hilary smise di saltellare e tornò calma.
-Ragazzi non so se avete notato, ma non è ancora uscito nessuno di quel volo, non preoccupatevi!-
L’osservazione della ragazza li fece calmare fino a quando le prime persone non uscirono dalla porta scorrevole del terminal.
Persone che si riabbracciavano, uomini d’affari frettolosi e persino una scolaresca affollarono il grande atrio.
Tra tutta quella gente era difficile scorgere Kei tanto che Rei dovette alzarsi in punta di piedi per cercarlo.
-Guardate se lo vedete!- Takao si era fatto all’improvviso iperattivo.
-Ecc.. no falso allarme..-
-Mi sembra sia.. no scherzavo-
I ragazzi continuavano a cercare mentre Hilary si guardava intorno confusa. A parte per le foto vecchie di Kei, non sapeva assolutamente come fosse fatto quel ragazzo e anche se scrutava i volti di tutti non riusciva ad associarli al suo.
Un ragazzino sui 12 anni, un uomo in giacca e cravatta, tre ragazzi sorridenti che parlottavano, uno di loro anche molto carino, un signore di mezza età, un..
-Wow..-
Si ritrovò a guardare un ragazzo che attraversava l’atrio annoiato, era da solo e aveva un trolley e uno zaino sulle spalle. Cercò di spostare lo sguardo da qualche altra parte, ma era attratta come una calamita verso quello splendore.
Rei, notando che la sua amica si era immobilizzata, guardò verso la sua stessa direzione e incrociò lo sguardo con colui che stava cercando.
-Avrei dovuto immaginarlo che l’avresti visto prima te!-
-Cosa?-
-Hey Kei di qua!- Rei sventolò la mano nella direzione del ragazzo che fissava Hilary.
La ragazza impiegò qualche secondo per collegare tutto; lei aveva visto Kei, ma lei stava guardando quel ragazzo bellissimo che ora si stava dirigendo proprio verso di loro.
Davvero era lui? Si ritrovò ad arrossire vistosamente.
Ma doveva avere solo un anno più di loro!
Quel ragazzo doveva essere almeno uno studente universitario.
Ormai il fantomatico Kei si era fermato di fronte  a loro e stava ricevendo il saluto di tutti.
Allora era proprio lui.
-Ben arrivato!- esordì Takao.
-Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?- chiese apprensivo Rei.
Kei scosse la testa.
-Beh allora andiamo a casa..sarai stanco!-
Hilary, che era stata lasciata in disparte ancora imbambolata e imbarazzata per aver apprezzato ad alta voce quello che si era rivelato essere Kei, emise un colpo di tosse per farsi notare.
-Ah è vero lei è Hilary! Hilary questo è Kei!- Rei li presentò.
-Piacere!- Hilary si risvegliò con la sua voce squillante facendo per alzare il braccio per stringergli la mano, ma l’altro si limitò a un cenno della testa e ad un “piacere” impercettibile.
Era anche bello, ma si dava troppe arie, si ritrovò a pensare la ragazza.
Si decisero ad uscire e si diressero verso la fermata dell’autobus.
L’aeroporto non era lontano da casa, ma tra il caldo e le valigie di Kei, nessuno aveva voglia di farsela a piedi.
-Tra quanto passa l’autobus?- chiese Kei facendo sentire la sua voce a Hilary per la prima volta.
-Una decina di minuti!- rispose Rei guardando l’orologio.
Kei senza pensarci due volte prese dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accese una.
Bello, antipatico e col problema del fumo. Hilary cercava di studiare quel ragazzo che a prima vista gli era sembrato così irresistibile.
Man mano che i secondi passavano scopriva degli aspetti che le davano fastidio.
Aveva un atteggiamento di sufficienza verso tutte le persone e le cose che gli stavano intorno.
Si era seduto sul trolley e, sempre con la sigaretta in bocca, si stava massaggiando il collo, si vedeva che aveva caldo, ma aveva comunque una maglia a maniche lunghe.
Hilary pensò che in Russia dovesse fare ancora abbastanza freddo.
Ci vollero due sigarette prima che l’autobus arrivasse. Per fortuna non era troppo pieno; si raggrupparono in fondo alla vettura.
A tenere in piedi una conversazione erano Takao e Max come al loro solito.
Kei si appoggiò alla parete e si mise a guardare fuori ignorando tutti, mentre gli altri si sedettero in alcuni posti vuoti lì accanto.
Alla fermata successiva salirono un po’ di persone, ma c’era comunque posto per tutti.
In due sedili uno di fronte all’altro si sedettero due ragazzine che dovevano avere pochi anni meno di loro, dovevano essere del primo anno di superiori e Hilary credette anche di averle già viste.
Stavano ridacchiando e parlando di qualcuno.
Certo che a quell’età si è proprio stupide! Pensò la ragazza.
A Hilary sembrò che stessero guardando verso di loro. Quella girata di schiena ogni tanto si voltava per poi tornare velocemente dritta e ridacchiare con la sua amica.
Ci mise un po’ a capire che l’oggetto di quelle risatine e di quelle occhiatine non era altro che Kei.
Avrebbe dovuto immaginarlo subito.
Beh come dargli torto. Sembrava essere messo lì apposta per farsi guardare.
Sembrava che lui non si fosse accorto di niente: continuava imperterrito a guardare fuori dal finestrino.
Che in realtà si stesse gongolando della sua bellezza? Non le degnava nemmeno di uno sguardo.
Certo che però era troppo bello. Vanitoso, antipatico, freddo, ma bello.
Era vestito largo, ma si poteva immaginare benissimo che sotto quei vestiti avesse un fisico da paura. Per non parlare del viso incorniciato perfettamente dai capelli che gli arrivavano poco più su delle spalle.
Poi come resistere al classico ragazzo dannato? Un piercing, diversi tatuaggi, uno dietro al collo e un altro sotto l’orecchio, chissà se ne aveva degli altri.
Se quello che Rei le aveva raccontato era tutto vero si poteva capire il suo comportamento, ma Hilary continuava a pensare che quello non lo giustificasse dall’essere così asociale.
Scesero dopo poche fermate, a pochi metri dall’entrata del dojo.
Non appena varcarono la porta, Nonno J li accolse a braccia aperte, o almeno, accolse Kei a braccia aperte: gli lasciò i suoi spazi senza abbracciarlo o cose così, ma si dimostrò affettuoso e paterno nei suoi confronti.
Kei si limitò a salutarlo e a ringraziarlo dell’ospitalità. Tutte cose molto formali e di circostanza che però gli fecero guadagnare qualche punto nella visione che Hilary si stava ancora facendo di lui nella sua testa.
Dopo tutti i convenevoli Takao lo portò al piano di sopra per fargli vedere la sua stanza.
-Gli sto antipatica vero?-
-Ma no, lui è fatto così..- le rispose Rei.
-Beh a me non sta molto simpatico!-
-Dovrai abituarti!-
-Ma sei proprio sicuro che siate amici? No, perché non è che siate molto affiatati!-
-Hil sul serio! E’ il suo modo di fare!-
-Se lo dici tu!- Hilary non sembrava essere molto convinta. Forse ci si sarebbe abituata, anche se le veniva difficile crederlo.

Appena arrivati in cima alle scale Takao gli indicò tutte le stanze e il bagno per poi entrare in quella che da quel momento sarebbe stata la sua. Il dojo era abbastanza grande per permettere a tutti gli inquilini di avere ognuno una stanza tutta per sé.
-Non è molto grande, ma..-
-Va benissimo-
La stanza di Kei era poco più piccola di quella che aveva in Russia, ma le dimensioni non erano di certo il suo problema, aveva avuto sistemazioni peggiori. Il solo fatto di non doverla condividere con nessuno era un vero e proprio lusso.
Takao rimase a dargli ancora qualche indicazione.
-E..niente! Fai come se fosse casa tua!- si aprì in un enorme sorriso – In fondo adesso lo è!-
Fece per andarsene, ma la voce di Kei lo fermò sulla soglia.
-Grazie..e scusa-
-Non  dirlo neanche per scherzo..sono davvero felice che siamo di nuovo tutti insieme!-
Kei abbozzò quello che doveva essere una specie di sorriso.
-Se vuoi riposare non ti sveglieremo tranquillo!-
-Volevo fare una doccia in verità-
-Ok se hai bisogno siamo di sotto!-
Detto questo se ne andò.
Kei rimase da solo al centro della stanza. Era piccola, ma conteneva lo stretto necessario: un letto, un armadio e, incastrata in un minuscolo spazio vitale, una scrivania.
La finestra era sopra il letto e dava sul davanti del dojo. La spalancò per far entrare un po’ d’aria.
Una volta aperta però non cambiò molto; non c’era un filo di vento e l’aria era calda e pesante.
Kei si sentì soffocare, l’atmosfera sembrava schiacciarlo: come avrebbe fatto ad andare avanti per tutta l’estate?
Forse non era stata una grandiosa idea venire in Giappone a giugno, ma che altro poteva fare? Non voleva andare via dalla Russia appena glielo avevano proposto, ma non poteva restarci nemmeno per ancora qualche mese.
Ormai era in Giappone e doveva almeno provare ad andare avanti con questo tentativo, anche se, ora come ora, sembrava impossibile.
Aveva fatto una promessa a Yuri e aveva intenzione di mantenerla. Di provarci almeno.
Prima che il senso di soffocamento lo ammattisse disfò velocemente la valigia e si diresse verso il bagno prendendo il necessario per la doccia.
In bagno tutto era disposto come gli aveva spiegato Takao. Per non fare confusione ognuno aveva degli asciugamani di colore diversi e a lui erano capitati quelli arancioni. Era l’ultimo arrivato e doveva accontentarsi del colore rimasto libero.
Aprì il getto di acqua fredda e vi si buttò sotto.
Finalmente il contatto con l’acqua fresca gli permise di respirare; lavò via il sudore e la stanchezza e rimase per qualche minuto a lasciarsi abbracciare dalle gocce.
Quando uscì dalla vasca godette ancora qualche secondo della freschezza prima che il caldo si riappropriasse di lui.
‘Mi ci abituerò’ continuava a ripetersi scettico.
Tornò in camera e rimase in boxer, buttandosi a peso morto sul letto.
Di solito una bella dormita dopo un lungo viaggio era l’ideale, ma l’aver passato almeno sei fusi orari non sembrava aver convinto i suoi occhi a chiudersi.
Da quell’inverno le cose erano decisamente migliorate: la notte riusciva a dormire qualche ora di più, ma non erano ancora abbastanza per poter dire che dormiva regolarmente. Almeno le occhiaie si erano attenuate.
Sentì bussare alla porta.
-Kei stai dormendo?- Rei si sporse senza fare rumore.
-No-
-Se vuoi è pronto da mangiare!-
-Sì arrivo-
Fece un respiro profondo e si tirò su.
Fuori il sole stava tramontando e il cielo si era fatto rosato. Si poteva considerare una bella vista, se non fosse stato per la cappa di caldo che Kei riusciva a percepire su tutta la città.
Indossò un paio di pantaloni di una tuta e prese una maglia dalla pila che aveva temporaneamente accatastato sulla scrivania: faceva troppo caldo per le maglie a maniche lunghe, non sarebbe resistito ancora cinque minuti con le braccia coperte, ma senza si sarebbero visti i segni sulle braccia.
Gli dava fastidio farli vedere. Sapeva come li guardavano tutti, quali erano gli sguardi e i pensieri che suscitavano, ma non poteva evitarlo.
Intanto se fosse stato lì tutta l’estate avrebbe dovuto conviverci. Prese una maglia a maniche corte.
Scese al piano di sotto e, arrivato nell’ingresso da dove era entrato, seguì il vociare per trovare gli altri.
A casa di Takao ci era stato solo una volta prima, durante il torneo mondiale quando erano tornati in Giappone per una pausa, ma non gli avevano fatto fare il giro delle stanze.
In verità quella volta non ci sarebbe voluto nemmeno andare, ma Takao lo aveva letteralmente trascinato.
Il piano superiore era completamente in stile occidentale, mentre quello inferiore era più caratteristico.
Prendendo il corridoio a destra si ritrovò nella cucina dove tutti si stavano accomodando attorno al tavolo. Si sedette nell’unico posto libero, tra Rei e Max, mentre in tavola era già pieno di piatti ricolmi di cibo.
Kei si era dimenticato completamente di tutte le tradizioni orientali. Era da tre anni che non tornava in quel paese e si sentì leggermente spaesato.
-Buon appetito!- Takao si buttò letteralmente a capofitto sul cibo come al suo solito.
Kei aspettò che tutti si fossero serviti prima di prendere la ciotola col riso e versare quello che ne era rimasto nel piatto.
Per fortuna a quel tavolo tutti lo conoscevano e sapevano quanto fosse inesistente la sua attitudine a parlare. Apprezzò molto il fatto che gli fossero poste un numero limitato di domande a cui rispose principalmente a monosillabi o comunque con frasi corte e semplici.
Kei si chiese automaticamente quanto sarebbe durata quella pacchia.
L’unica persona che a quel tavolo non lo conosceva era Hilary, che infatti ogni tanto alzava lo sguardo verso di lui.
Era abituato agli sguardi delle persone, si ritrovava sempre ad essere fissato per un motivo o per l’altro.
Guardò la ragazza seduta poco distante da lui. Non appena incrociò il suo sguardo, lei tornò a fissare il cibo nel suo piatto.
Da quello che gli aveva raccontato Rei era un’amica di Takao, anche se litigavano sempre, ed era entrata nel gruppo a tutti gli effetti.
Si chiese se in realtà non le piacesse qualcuno di loro. La sua esperienza con le ragazze gli insegnava che era difficile essere solo amici. L’unica amica femmina che aveva era Dana, ma solo perché lei aveva già il ragazzo da tanto tempo.
E quella ragazza non sembrava avere il ragazzo, o almeno, se lui fosse stato il suo ragazzo non l’avrebbe lasciata di certo trascorrere le giornate con tre maschi adolescenti.
Aspetta, com’è che si chiama?
Per fortuna Takao durante la cena ripetè diverse volte il nome di Hilary altrimenti se lo sarebbe scordato immediatamente.
Aveva rialzato lo sguardo verso di lui mentre si stava versando dell’acqua nel bicchiere.
Quello che Kei voleva evitare successe: lei notò i segni sulle braccia e fece un espressione leggermente scioccata. Kei sperò vivamente che l’avessero avvertita della situazione perché non aveva voglia di sentirsi porre delle domande da qualcuno che non sapeva quanto odiasse le persone invadenti, non ancora.
Per fortuna lei girò lo sguardo subito e si unì al discorso di Nonno J che parlava della scuola.
Mancavano solo due giorni e sarebbero iniziate le vacanze estive e la decisione di andare da qualche parte dipendeva dalla media dei voti che avrebbero avuto: i quadri con i risultati li avrebbero appesi solo la settimana successiva.
-Ma guarda che mi sono impegnato!- Takao cercava di convincere il nonno.
-Ma se mi hai fatto penare mille volte con le tue insufficienze! Ogni volta che vado a parlare con i professori mi devo arrabbiare!-
-Dai non essere così catastrofico!-
-Guarda che ha ragione!-
Hilary si intromise nella discussione generando l’ennesimo battibecco.
Si stavano letteralmente urlando contro tirando in ballo vecchi episodi.
Il buio aveva ricoperto il giardino e l’unica fonte di luce era il lampadario, ma nonostante questo il caldo riempiva ancora la stanza.
Kei si chiese a cosa servisse quello spreco di energie per litigare, gli veniva caldo solo a guardarli.
Improvvisamente gli salì una leggera irritazione, ma doveva controllarsi; era lì da poche ore e già non poteva dare di matto.
Gli servivano le sue sigarette.
Sentiva il pacchetto premergli nella tasca dei pantaloni, ma non poteva accendersene una lì; si ricordava benissimo quanto fosse contrario al fumo Nonno J, che per tutta la durata del campionato lo aveva pregato di non fumare. Lui ovviamente non lo aveva ascoltato.
Come poteva fare? Pensò che in casa era meglio non farlo, era il minimo che poteva fare visto l’ospitalità che gli avevano offerto.
Avrebbe dovuto andare fuori, ma come faceva ad alzarsi nel bel mezzo della cena? Tutti loro avevano quelle idee famigliari della cena come momento di riunione per stare insieme e cose del genere.
No, proprio non le riusciva a capire quelle ‘cose da famiglia’.
Il suo fantasticare sulle sigarette fu interrotto dallo stesso Nonno J.
-Kei a settembre ricomincerai la scuola vero?-
-Eh?- si risvegliò d’un tratto.
La scuola era un argomento molto particolare. Se fosse stato per lui non ci sarebbe mai più andato, ma aveva promesso a Yuri che ci avrebbe almeno provato; ora che ci pensava aveva promesso troppe cose a Yuri, ma forse non avrebbe dovuto lamentarsi.
-Sì credo di sì-
-Quando andremo a vedere i quadri semmai possiamo passare a chiedere per l’iscrizione!- Nonno J gli sorrise paterno, come faceva spesso, e di rimando Kei alzò le sopracciglia per riconcentrarsi sul suo piatto.
Iscriversi a scuola lì significava abbandonare definitivamente l’idea che sarebbe dovuto restare solo per l’estate. Sapeva che era impossibile, ma non aveva ancora allontanato del tutto la speranza di tornare in Russia a settembre.
-Così saremo in classe insieme!- gli ricordò Takao ridendo.
-E’ una minaccia?-
Con tre paroline, Kei riuscì a far ridere tutti, ma fu l’unico a rimanere serio. In fondo un po’ la pensava davvero come una minaccia: l’incubo diventava peggiore se si immaginava addirittura suo vicino di banco.
-Ma dai!- Esclamò Takao offeso – Allora mi metterò nel banco vicino a te!- gli fece la linguaccia.
Ma lo aveva sentito? Era davvero una punizione?
-Questo mi preoccupa davvero- lo disse col solito tono piatto e indifferente anche se lo pensava realmente.
-Hai ragione..io è da due anni che ce l’ho vicino e sono distrutto!- affermò Max.
-Ma se siete sempre a ridere!- li schernì Rei.
-Ma come fai a essere in classe con noi se sei più grande?- chiese Hilary.
-Ho perso un anno- o almeno, non ci era proprio andato nell’ultimo anno.
Mentre gli altri continuarono a parlare della scuola, l’immagine delle sue sigarette si fece di nuovo nitida nella sua mente.
Doveva assolutamente uscire a fumare.
Guardò il giardino oltre la porta con desiderio; non poteva assolutamente aspettare.
-Arrivo- Bisbigliò sperando di non essere fermato.
Si alzò e uscì, fece qualche passo per non essere sotto la visuale di tutti e si accese la sigaretta.
Man mano che aspirava il fumo, i suoi nervi si calmarono e nell’oscurità si sentì finalmente a suo agio. Le voci degli altri arrivavano ovattate, non li stava ascoltando, non voleva sapere di che cosa parlassero, non gliene fregava più di tanto.
Prima che qualcuno se ne accorgesse si accese un’altra sigaretta. Non aveva ancora finito il pacchetto che aveva iniziato in Russia, cosa assai strana per lui. Solo in quel momento realizzò l’entità del viaggio che aveva fatto.
Era  a chilometri di distanza da casa, in un posto che non gli apparteneva e con troppe differenze.
Doveva apparire come un alieno in mezzo a quella normalità. E si sentiva realmente come se lo fosse. Come se invece che in un altro continente fosse arrivato su un altro pianeta.
Il sole era completamente tramontato, ma la sua impronta non era scomparsa: tutto, dall’erba, ai sassi, alle pareti del dojo, ogni cosa emanava calore, l’aria persino era intrisa di calore.
Per fortuna un filo d’aria si insinuò nel giardinetto, ma non riuscì comunque a far sparire quella sensazione di afa che provava Kei.
Si decise a rientrare. Si risedette poiché nessuno sembrava intenzionato a spostarsi da tavola. Non poteva esserci ancora qualcosa da mangiare.
La paura di Kei non si avverrò: sembravano seduti a tavola solo per il gusto di farlo.
Come fanno ad averne ancora voglia? Kei segnò quella come una brutta abitudine da dover sopportare, anche se era convinto di non poterci riuscire.
Dopo una decina di minuti finalmente iniziarono ad alzarsi.
-Takao dove corri? Stasera i piatti toccano a te!- urlò Nonno J.
-Stavo solo andando in bagno! Torno subito!-
Prima che il giapponese tornasse Rei iniziò a sparecchiare e a ripulire la tavola.
-Dovremo inserire anche Kei nei turni!- esordì Takao rientrando.
-Che maleducato..è appena arrivato e già lo vuoi sfruttare!-
Kei sentendosi preso in causa disse che per lui non c’era problema, ma che anzi era giusto così.
In verità pensava più che altro che le volte che toccava a lui avrebbe avuto la possibilità di sopportare per meno tempo il lungo rituale dei pasti.
Per quella sera comunque nessuno gli diede lavori da fare.
Hilary tornò a casa poco dopo, quando il padre passò a prenderla.
Kei approfittò della scusa di essere stanco per il viaggio per defilarsi in camera lontano da tutti.
Aveva lasciato la finestra aperta e per fortuna sembrava che il piano superiore fosse più areato.
L’aria era molto più respirabile che nel pomeriggio.
Tirò fuori dalla valigia solo una canottiera e si buttò sul letto in boxer prendendo sonno in pochi minuti. Finalmente il peso del viaggio sembrava fargli effetto.





 Eccoci! ^^
Non ve lo aspettavate vero un salto del genere?! So che molti speravano di rimanere ancora in Russia per un po', ma ahimè se mi mettevo a descrivere per filo e per segno i tre mesi passati non avrei finito più veramente u.u
Considerate che c'ho messo 11 capitoli per i primi quattro giorni!
Ihih comunque per la felicità di Qualcuno, la tristezza di qualcun altro e l'indifferenza di un altro ancora è comparsa Hilary! Che dire su di lei?
Ora c'è..e ci ha dato una visione dall'esterno di Kei e un parere puramente femminile ^^
Comunque non vi consiglio di mettervi a fare congetture sul suo ruolo perchè, uno lo si scoprirà a tempo debito e due ho intenzione di rendere il tutto molto ambiguo e complicato XD (ovviamente non è detto che ci riesca e qualche mente superiore tra voi capirà subito dove voglio andare a finire -.-)
Poi Kei alle prese col caldo torrido (beato lui..considerando che da me in questo momento sta nevicando!) e la sua solita allegria e spensieratezza che contagia tutti!

Questo capitolo volevo dividerlo a metà in realtà, ma alla fine ho optato per tenerlo assieme per non farmi insultare..all'altro modo sarebbe stato troppo corto!
Diciamo che è un omaggio a tutte le care recensitrici e a chi legge soltanto!
Grazie ancora a tutti!
Fatemi sapere che ne pensate!
Un bacione :)

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Capitolo 13
*** Take Your Time ***


Leggero - 13 Take Your Time

Giochi in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili

 






Take Your Time





Il fuso orario è un problema per chiunque. Anche Kei si ritrovò a risentirne, anche se le sue ore di sonno non erano regolari, il suo corpo sembrava sentire la differenza tra giorno e notte in Russia e lì. Si svegliò che il sole non era ancora sorto, nonostante il cielo si stesse già rischiarando verso est.
Come prima impressione gli sembrò di trovarsi sotto sopra, era spaesato e abbastanza confuso dalla stanza in cui si trovava.
Pensò di aver sognato gli ultimi mesi, di essere ancora in piena dipendenza e essere, come gli succedeva spesso, a casa di qualcuno dei ragazzi del giro da cui non si ricordava di essere andato. Però c’erano troppe differenze con quel periodo: intanto la casa dove si trovava era troppo pulita e ordinata per appartenere a qualche bucomane, poi si sentiva padrone di tutti i suoi sensi e di tutte le capacità, a parte un po’ di stanchezza e spaesamento, poi non gli prudeva da nessuna parte, cosa che invece accadeva sempre, per non parlare della temperatura, o si era preso una febbre da cavallo o quella non poteva essere Mosca. In pochi secondi sembrò capacitarsi di dove fosse e cosa stesse facendo. Rimise a fuoco il ricordo della lunga giornata precedente.
Non era stato affatto un sogno, era davvero in Giappone.
Si mise a sedere massaggiandosi la testa. Quella di tagliarsi i capelli era stata un’ottima idea, anche se forse avrebbe potuto accorciarli di più.
Si stropicciò gli occhi per poi allungarsi verso i pantaloni che aveva abbandonato il giorno prima sulla scrivania e prendere il pacchetto di sigarette.
Gliene era rimasta solo una. Da Mosca aveva portato solo pochi pacchetti perché altrimenti non lo avrebbero fatto passare alla frontiera.
Questo lo deprimeva perché si ricordava che le sigarette giapponesi non erano assolutamente all’altezza di quelle russe e sperò vividamente che in quegli anni ne fossero entrate in commercio delle altre: voleva tenersi quelle che aveva portato per occasioni diverse.
Come prima cosa doveva farsi portare al tabacchino più vicino.
Si accese la sigaretta, sempre seduto, per poi affacciarsi alla finestra. Si ritrovò a pensare che il momento preferito della sua giornata sarebbe stato il mattino presto: l’aria era intrisa ancora della mancanza del sole e finalmente poteva respirare.
Spense la sigaretta sul pacchetto e la poggiò sul davanzale cercando di non sporcare pensando quanto gli servisse assolutamente un portacenere.
Si infilò i pantaloni del giorno prima e uscì dalla stanza. La casa era immersa nel silenzio più assoluto, dovevano essere ancora tutti addormentati: sì, la mattina sarebbe stato il suo momento preferito.
Prima di scendere andò in bagno a rinfrescarsi.
Una volta di sotto, si recò nell’unica stanza che conosceva, la cucina, e iniziò ad aprire tutti i cassetti e le ante alla ricerca di un bicchiere di plastica che ovviamente trovò nell’ultimo angolo dove guardò.
Uscì in giardino e riempì il bicchiere con un dito di terra smossa vicino a delle piante, per poi sedersi sul legno del porticato.
Fumò un’altra sigaretta che si era portato dalla stanza e se ne stette lì fermo a gustarsi quella pace conscio che sarebbe durata ben poco.
Quella pace, infatti, durò ancor meno di quanto potesse immaginare. La scuola non era finita e quindi non era ancora il momento di dormire fino a tardi.
Il primo a scendere al piano inferiore fu Nonno J che si mise a preparare la colazione per tutti.
Non appena si accorse della presenza di Kei in giardino lo accolse con un ‘buongiorno’ e gli chiese se avesse dormito bene.
Mentre annuiva arrivò anche Rei che si mise subito ad aiutare Nonno J.
Quando tutti gli abitanti della casa si riunirono in cucina Kei osservò con orrore due cose: innanzitutto la grande quantità di cibo che ingurgitavano anche a quell’ora del mattino, gliene fu offerta una grossa porzione, ma lui declinò il più educatamente possibile; in secondo luogo indossavano la divisa di scuola. Si era assolutamente scordato che nelle scuole giapponesi portavano la divisa e se lui doveva iscriversi in quella scuola avrebbe dovuto indossarla anche lui: un incubo.
Cercò di non pensarci e osservò gli altri mangiare.
Ci misero poco e per fortuna uscirono quasi subito. Non appena varcarono l’uscita piombò un silenzio irreale.
-Ah..pace!- Esclamò Nonno J passandogli accanto -A che ti serviva quel bicchiere?-
Stava per partire un discorso sul fumo, una cosa che Kei avrebbe voluto evitare sapendo come sarebbe andato a finire, ma dovette rispondere.
-Per le sigarette, non sapevo dove spegnerle-
-Oh non ci avevo pensato, forse in sala tra i soprammobili potrebbe esserci un portacenere..- si diresse verso la parte della casa che Kei non aveva ancora visto.
Sentì trafficare oltre le scale e seguì il rumore fino a quella che era la sala: era molto spaziosa, con diversi mobili e credenze, una grande televisione e un divano, doveva fungere anche da sala da pranzo per la presenza di una lunga tavola e un mucchio di sedie. Alle pareti erano appesi diversi quadri orientali.
Nonno J era accovacciato davanti a un mobiletto e frugava confuso alla ricerca del posacenere che tirò fuori poco dopo trionfante. Era abbastanza antico, sembrava un pezzo d’antiquariato e Kei si preoccupò parecchio per questo: non sembrava fatto per essere davvero utilizzato.
-Non.. non vorrei che si rompesse, posso trovare una soluzione, non c’è problema-
-Tranquillo, intanto per tenerlo lì dentro! Se lo rompi al massimo avrò una cianfrusaglia in meno..intanto in casa non c’è nessuno che fuma!-
Kei prese in mano il posacenere e restò un attimo a pensare a dove poteva metterlo: sinceramente lo avrebbe inaugurato con molto piacere in quello stesso momento, ma resistette e lo appoggiò in sala sul piano più vicino alla porta che anche da lì portava sul giardino.
-Guarda che puoi tranquillamente fumare anche in casa, basta che non esageri..-
-No, so che non approva..-
-Per carità dammi del tu ragazzo!-
-So che non approvi e non c’è problema per me-
-Beh non approvo in effetti, ma ormai sei abbastanza grande per capire ciò che è giusto e sbagliato..-
Beato lui che ne era convinto, si disse tra sé Kei.
-..e poi già ti devi abituare a molte cose nuove; dovremmo fare anche noi qualcosa per venirti incontro!- gli sorrise paterno.
-Grazie- fu l’unica cosa che riuscì a rispondere prima di continuare, già che l’argomento fumo non sembrava così taboo come pensava. – A proposito dovrei comprare le sigarette, qui vicino c’è un posto dove le vendono?-
Nonno J parve pensarci un po’ su  prima di dargli delle grossolane indicazioni sul posto indicato.
L’uomo poi tornò alle sue occupazioni lasciando Kei da solo.
 
-Sono sempre più convinta di stargli antipatica!-
-Hil ti ho già detto che è lui che è fatto così!-
Rei e gli altri erano in classe nel bel pieno del dolce far niente degli ultimi giorni.
Takao aveva appena affrontato l’ultima interrogazione dell’anno scolastico dovendo recuperare ancora una materia e ormai era come se l’estate fosse già iniziata.
Persino il professore aveva rinunciato a tenere calma la classe e li aveva liquidati per il suo più interessante giornale scientifico.
-Ma mi ha guardato male due o tre volte..- continuò Hilary testarda.
-E’ poco socievole tutto lì..- rise Max.
-Alla faccia!-
-Dai ma a parte questo come ti è sembrato?- continuò l’americano – Ti avrà guardato male, ma per accorgertene lo avrai fissato tutto il tempo!- alle sue risate si aggiunsero quelle di Takao.
-Beh sicuramente non mi romperà come fate voi..- rispose con una linguaccia.
-Intendevo..ti piace? Appena lo hai visto sei andata nel mondo dei sogni!-
Hilary arrossì vistosamente.
-Visto?! Ti piace!-
-Ma non è vero..sarà anche bello, ma ha un carattere tremendo..non è per niente il mio tipo!-
-E come sarebbe il tuo tipo? Takao?- le chiese Rei.
Takao smise di ridere e si coalizzò con al ragazza nell’urlargli di tutto per aver osato affermare una cosa del genere.
-Dai stavo scherzando! Comunque a parte gli scherzi, Hil devi solo avere un po’ di pazienza con Kei..è un bravissimo ragazzo..solo che sta attraversando un periodo non proprio facile..-
-Sì lo capisco..rinvierò il mio giudizio a data da definire!- concluse solenne.
-E fu così che la missione per salvare le povere anime perdute venne ufficialmente abbandonata!- la rimbeccò Max allegro, iniziando una nuova serie di battibecchi che non terminarono fino al suono della campanella.
 
Iniziò a disfare la sua valigia per tenersi occupato. Avrebbe voluto andare il prima possibile a comprarsi le sigarette ma, nonostante avesse un senso dell’orientamento impeccabile, non aveva capito molto delle indicazioni che gli aveva fornito Nonno J.
Aveva trasferito il bicchiere con la terra sul davanzale della camera: aveva deciso che almeno nella sua stanza non ci sarebbero stati problemi sul fumo. Non poteva assicurare di riuscire da lì ad arrivare nel giardino prima di farsi saltare i nervi.
Si stava quindi fumando una sigaretta in santa pace mentre tirava fuori la sua roba e la metteva al proprio posto.
Era una persona essenzialmente ordinata e si sentì soddisfatto solo quando tutto fu al suo posto.
Non si era portato troppa roba, intanto la maggior parte delle cose pesanti che aveva per l’inverno russo lì erano superflue e quelle estive non erano troppe.
Si sarebbe fatto spedire qualcosa se gli fosse stato proprio necessario, ma per i mesi a venire non vedeva alcun problema.
Voleva chiamare Yuri per dirgli che andava tutto bene; il giorno prima gli aveva solo mandato un messaggio ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlargli.
Non che non volesse, ma il suo rapporto con Yuri era fatto più che altro di silenzio, non gli servivano mille giri di parole per capire quello che gli passava per la testa e viceversa.
E in più non amava particolarmente quell’aggeggio che era il cellulare; già i rapporti con le persone non erano propriamente il suo forte, pensare di comunicare con qualcuno che nemmeno vedeva, di cui non vedeva le reazioni istantanee, lo irritava.
Era una persona, poi, con il quale non era facile intavolare una conversazione e se ne rendeva conto perfettamente, ma ciò che spiazzava sempre tutti e che intimidiva era il fatto che cercasse il contatto diretto con gli occhi. Non era mai quello che abbassava lo sguardo per primo, anzi probabilmente non lo abbassava mai.
Un’altra stranezza da aggiungere alla lunga sfilza di sintomi della sua imminente pazzia.
Afferrò dal comodino il suo MP3. Era abbastanza vecchio e ammaccato, ma finchè funzionava non sentiva il bisogno di sostituirlo.
Lo aveva comprato per pochi soldi un anno prima o poco più. Era ancora il periodo in cui ne maneggiava tanti. Tanti per uno che era stato solo uno dei tanti poveri ragazzi orfani usciti dal Monastero.
Appena ricevuta l’eredità di suo nonno aveva potuto ottenere un tot di soldi al mese che la maggior parte delle volte non toccava nemmeno. Fino a quando non ne ebbe proprio bisogno.
Rimise l’MP3 a posto e decise di non pensare troppo al passato.
Tornò al piano di sotto sperando che Nonno J avesse bisogno di una mano a fare qualcosa e si ritrovò occupato fino all’ora di pranzo.
Altro aspetto preoccupante della sua futura carriera scolastica giapponese era che le ore di lezione si protraevano quasi tutti i giorni fino al pomeriggio.
Di nuovo cercò di non pensarci decidendo di rimandare la disperazione a settembre.
Mangiò da solo con Nonno J e fu contento che questa volta il pasto non si protrasse a lungo quanto la sera prima, mentre dopo mangiato, pervaso dalla noia più profonda e oppresso dall’afa delle ore calde, decise di fare un giro completo del dojo.
Oltre alla cucina e alla sala, al piano inferiore si trovava anche un bagno e una stanza per gli ospiti, al piano di sopra c’erano invece le stanze dei quattro ragazzi e di Nonno J più una che doveva essere quella appartenuta ai genitori di Takao; ancora sopra c’era una piccola soffitta dove erano riposte tutte le cianfrusaglie e gli oggetti più disparati.
Ma la parte che piacque di più a Kei e nel quale si soffermò più a lungo fu la palestra.
Era piuttosto grande, sul retro del dojo, col parquet lucido e splendente; su una parete erano appese l’una sopra l’altra diverse spade da kendo, mentre in fondo, dalla parte opposta all’entrata il piccolo altare buddista.
Kei entrò togliendosi le ciabatte. Non era necessario, ma lo fece lo stesso. Gli sembrava altrimenti di rovinare quell’ambiente così perfetto.
Si sedette al centro della palestra, rivolto verso l’altarino sul quale stavano una pergamena, una spada, dei fiori e alcune fotografie. Sapeva che solitamente erano molto più spogli, ma non vi diede troppo peso: in ogni caso non condivideva il culto di un qualche Dio.
Sapeva che dopo aver trovato l’ora a lui più congeniale quella mattina, in quel momento aveva trovato quello che sarebbe stato il suo posto preferito.
A gambe incrociate e reggendosi con le mani a terra si guardò intorno. I rumori esterni avevano una forma strana, l’odore del legno era vivo e palpabile. Sembrava di stare in un posto lontano dal tempo e dallo spazio.
Con i piedi nudi percepiva perfettamente la temperatura e la consistenza del legno: era caldo, ma non opprimente come quello del legno che ricopriva il porticato esterno, ma confortevole, e poi era morbido, per quanto del legno possa essere morbido.
Kei si ritrovò a chiudere gli occhi e percepire quelle strane sensazioni che quella stanza gli provocava, si sentiva perfettamente a suo agio e in sintonia col mondo esteriore, come non gli capitava praticamente mai.
Si sdraiò sprofondando in quella piacevole sensazione per qualche minuto, prima di sbilanciarsi con gli addominali e accovacciarsi sorretto solo dai piedi.
Sentì il calore del legno salire dalle piante dei piedi fino alle caviglie, per estendersi ai muscoli delle gambe e risalire. Si tirò su lentamente, senza nessuno sforzo, perché era il calore che lo tirava su, che rendeva i muscoli capaci di sostenerlo. Fino a che lentamente non arrivò alla testa.
Riaprì gli occhi solo quando era in piedi in perfetto equilibrio.
Era una tecnica di rilassamento che gli aveva insegnato Dana, non sapeva se fosse Yoga o qualche cosa del genere, sapeva solo che lo rilassava davvero e per un bel po’ si sentiva in pace col mondo.
E un po’ di pace e tranquillità gli sarebbe servita considerando che presto Takao e gli altri sarebbero tornati da scuola.
Rimase ancora un bel po’ in palestra prima di andare a recuperare il cellulare che aveva lasciato in camera e fumarsi la sigaretta che gli serviva per mantenere i nervi saldi ancora per un po’.
Chiamò Yuri e lo informò che stava andando tutto bene. Non appena lo sentì si disse che era stato davvero uno stronzo per non averlo chiamato prima visto quanto si preoccupava, ma non appena mise giù il telefono tornò l’avversione verso qualsiasi telefonata.
A metà pomeriggio rientrano Takao, Max, Rei e Hilary.
Di nuovo Kei si chiese se quella ragazza non stesse dietro a qualcuno: la osservò per qualche secondo prima di stufarsi, era una persona ordinaria, senza nulla di speciale. Come minimo le piaceva Takao.
I gusti sono gusti, pensò divertito.
Non appena Rei si fu cambiato la divisa, Kei lo intercettò e gli chiese se poteva accompagnarlo a cercare una tabaccheria; non poteva rischiare di finire le sigarette russe e non aveva tempo da perdere a gironzolare a caso per quel quartiere sconosciuto.
Il cinese, stupito da quella richiesta volontaria, accettò subito e insieme uscirono dal dojo.


 



Eccoci qui con un nuovo capitoletto fresco fresco ^^
Diciamo che ora si avrà un periodo di stallo..dobbiamo lasciare il tempo a Keiuccio caro di ambientarsi e di annoiarsi allegramente!
Quindi abbiate pazienza..accadrà qualcosa prima o poi..il problema è cosa! u.u
Comunque come immaginavo nessuno si aspettava il salto temporale, ma per fortuna non l'avete presa troppo male!
Avviso già che questi capitoli li ho scritti relativamente di recente in confronto a tutta la prima parte, quindi potrebbero esserci molte più sviste ed errorini qua e là..scusate, ma li ho controllati poco! Dovrei fare come quelli che correggono le tesi e mettermi a leggere tutto al contrario, ma poi probabilmente mi verrebbe una crisi di nervi da fare invidia a quel tossicodipendente di Kei ^^

Vabbè..come al solito vi ringrazio a tutti infinitamente!
Aspetto con ansia il vostro parere, le vostre critiche e le vostre mille mila supposizioni più disparate u.u
Un bacione :)

ps: nessuno ha notato un dettaglino nella scorso capitolo :o eh vabbè..si vede che lo consideravo caruccio solo io u.u

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Capitolo 14
*** Walking Away ***


Giochi in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili

 








Walking Away





Camminarono per qualche isolato prima di fermarsi in una piazza piuttosto affollata.
Si trovavano nella periferia a est di Tokyo e per arrivare in centro ci si metteva quasi un’ora con i mezzi pubblici.
Era un quartiere abbastanza tranquillo, vicino al mare e con tutto il necessario.
Per tutto il tragitto Kei cercò di memorizzare bene la strada per non dover più chiedere a nessuno indicazioni: sapeva che l'avrebbe percorsa parecchie volte.
Tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni e guardò quanti soldi aveva, facendo due piccoli conti.
-Ti bastano?- chiese Rei vedendolo perplesso.
-Stavo pensando a come farmeli durare-
-Hai solo quelli?-
-Per questo mese i miei fondi sono ancora bloccati- affermò alzando un sopracciglio contrariato.
-Che vorrebbe dire?-
-Che fino al mese prossimo sono ancora al verde-
Rei era comunque perplesso e non contento di quella risposta insistette.
-Ma non sei tipo miliardario?-
-Il caro e previdente Sergay mi aveva ridotto i fondi per evitare che spendessi tutto in buchi-
Kei continuando a camminare, ottenne un ‘ah’ spaesato dal cinese che si decise a desistere.
Finalmente il russo entrò nel negozietto e fece la scorta di pacchetti sotto lo sguardo confuso del commerciante e della sua aiutante.
Si guardò intorno osservando ciò che offriva la piccola piazza dove si trovava. C’era un supermercato, un ristorante, un giornalaio e qualche negozio di vestiti oltre che alla tabaccheria appunto.
Annotò mentalmente queste informazioni e disse a Rei che potevano anche tornare per quanto gli riguardava.
Rei decise, però, che avrebbero potuto fare ancora un giro per le vicinanze, così da fargli vedere un po’ il posto.
Solo dopo qualche svolta arrivarono in un luogo familiare a Kei: da lì in poi dopo una piccola occhiata avrebbe potuto orientarsi, poiché si trovava nei luoghi che aveva frequentato nel periodo in cui aveva conosciuto Takao.
Scoprì che erano piuttosto vicini e che la parte che non riconosceva era relativamente piccola.
Si infilarono nel parco che costeggiava il mare dove c’era un belvedere che Kei riconobbe come luogo di parecchi suoi allenamenti. Ripensò finalmente al beyblade dopo tanto tempo; era strano che Takao non lo avesse ancora assillato ed era sicuro che sarebbe successo, presto o tardi.
Tempo pochi giorni e avrebbe iniziato, doveva solo aspettare pazientemente.
Rei ricevette un messaggio proprio da Takao in quel momento, che gli chiedeva di comprare due cose mentre tornavano a casa: ripassarono davanti alla piazzetta e Kei si convinse che ormai era perfettamente orientato. Entrarono nel supermercato e comprarono il necessario prima di riprendere la strada di casa.
 
Era sempre strano camminare vicino a Kei. Era silenzioso, non iniziava mai un discorso e a volte non rispondeva nemmeno alle domande, ma si avvertiva perennemente la sua presenza. E immancabilmente ci si trovava al centro dell’attenzione.
Lo aveva notato già a febbraio questo inevitabile effetto del suo passaggio.
Le persone di sesso femminile, che fossero ragazzine o ultrasettantenni, si ritrovavano a girarsi mentre gli passavano accanto o a sorridere alla sua vista.
Perfino la figlia del tabaccaio aveva interrotto la sua attività per guardarlo comprare le sigarette.
Ciò che però divertiva di più Rei era la reazione del russo: non si accorgeva assolutamente di niente, o almeno non dava segno di accorgersene.
Si disse che ormai doveva esserci abituato e che si sarebbe dovuto abituare anche lui.
Quando erano andati in Russia a febbraio aveva avvertito un grande cambiamento in lui e gli sembrava quasi di non conoscere quella persona che diceva di essere Kei.
In quel momento la sensazione era diversa, non tanto che lui si comportasse in maniera diversa, perché era più somigliante al Kei di febbraio che a quello del campionato mondiale, ma il rapporto che sentiva di avere con lui.
In Russia era a disagio e non sapeva come comportarsi, mentre in quel momento era tornato sereno e sicuro delle proprie azioni. Se fosse l’ambiente o qualche altro fattore non sapeva dirlo con esattezza.
Lo osservò a lungo durante quella passeggiatina: era estremamente attento al paesaggio circostante, forse cercava di orientarsi e ricordare quelle strade.
Lo guidò attraverso quelle vie che ormai erano la sua casa e lo portò nei luoghi dove sapeva che aveva conosciuto Takao e che potevano ricordare quel periodo, sperò che fosse lui a iniziare qualche discorso, a parlare di un ricordo o di qualsiasi altra cosa.
Non lo fece, ovviamente.
Con tutto quel silenzio ad aspettare i ricordi dell’amico, Rei si perse nei propri.
Si ricordò del campionato mondiale, della prima volta che aveva incontrato quel ragazzino così serio, della prima impressione, di come aveva imparato a conoscerlo e lasciargli i suoi spazi e del rapporto di fiducia che si era creato durante quel viaggio intorno al mondo.
Immancabilmente si ritrovò ad associare quella passeggiata silenziosa per le strade di Tokyo a una passeggiata simile per le strade di Parigi.
Avevano appena dirottato il loro viaggio verso la Russia decidendo di girare per l’Europa, quel ritardo nell’arrivo a Mosca aveva reso Kei di buonumore e solo adesso Rei riusciva a capire il perché di quello strano comportamento.
Allora gli era sembrato strano: Kei era quello che amava battersi e conoscere nuovi avversari, ma allo stesso tempo teneva alla disciplina e non pensava avrebbe accettato di buon grado una digressione dagli allenamenti.
Allora non aveva proprio capito nulla di lui.
Rei si sforzò di tornare al ricordo originale che lo aveva fatto divagare, con un po’ di sforzo lo ritrovò: stavano camminando, lui e Kei, per le strade di Parigi.
Kei, come in quel momento, era in astinenza da nicotina, ma non aveva soldi per comprarsi le sigarette.
 
-Non è che hai dei soldi da prestarmi? Appena posso te li restituisco-
Kei aveva aspettato di rimanere solo con Rei prima di chiedergli quel favore.
-No..non puoi aspettare fino a domani che li andiamo a ritirare?-
Kei sbuffò agitato guardandosi intorno. Erano nel centro della capitale francese e si confondevano in mezzo ai turisti e ai parigini che passavano quella bella giornata di sole fuori.
-Mi servono ora-
-Devi comprare le sigarette?- Il suo nervosismo improvviso poteva significare solo quello.
Il russo non gli rispose, ma continuò a guardarsi intorno.
-Dai li ritiri domani e ora chiedi una sigaretta a qualcuno!- cercò di risolvere il cinese.
-Non posso ritirarne per almeno una settimana e non posso scroccare sigarette per giorni-
-Ma come farai una settimana senza soldi?-
Kei lo guardò contrariato.
-Intendo a mangiare e quelle cose lì!-
-Finchè restiamo in albergo paga la BBA è solo se andiamo fuori che paghiamo- alzò gli occhi al cielo esasperato per quella spiegazione che doveva essere così ovvia –ieri sera in quel posto li ho finiti tutti-
Rei si sentì improvvisamente colpevole: la sera prima avevano mangiato in un ristorantino in centro per festeggiare il loro arrivo nella nuova città, un posticino carino, ma abbastanza caro e Kei si era subito opposto senza essere ascoltato.
-Scusa..- mormorò il cinese, ma non sembrava che l’altro lo stesse ascoltando.
Kei continuava infatti a guardarsi in giro e a osservare le persone che gli passavano accanto.
Camminarono in silenzio per qualche minuto finchè Kei non esclamò qualcosa di strano che Rei non capì subito.
-A mali estremi..-
Il cinese prima ancora di connettere fu spinto dall’amico e finì letteralmente addosso a quello che sembrava un turista agitato.
Cercò di ritrovare l’equilibrio, ma per farlo dovette appendersi alla giacca dell’uomo. Non appena riuscì a tirarsi su iniziò a implorare mille scuse all’uomo completamente rosso in faccia.
Il turista, però, invece che accertarsi che il ragazzo stesse bene,lo prese per il colletto e iniziò a urlargli contro frasi tipo ‘ladro’ e ‘volevi rubarmi il portafoglio’ per finire con ‘questi ragazzini spavaldi’.
Nel frattempo un capannello di persone si era fermato ad assistere alla scena alquanto stramba.
Più o meno tutti sembravano dell’idea che quello in torto fosse Rei che, completamente spaesato, cercava di balbettare qualcosa. Cercò di guardarsi intorno, ma non vide Kei da nessuna parte e andò totalmente nel panico.
Un altro uomo uscì dalla folla e cercò di calmare la situazione invitando a ritrovare il famoso portafoglio rubato.
Rei riuscì a mettere insieme qualche parola per difendersi.
-Non ho rubato nulla!-
Il turista non voleva credergli, ma fu invitato comunque a controllare dove teneva il portafoglio.
-Lo tenevo qui prima che il..- mise una mano nella tasca interna della giacca aperta e divenne completamente rosso in faccia.
Tirò fuori la mano con il portafoglio stretto fra le dita.
Un coro di voci scandalizzate da tanto fracasso per nulla sovrastarono quella del turista paonazzo.
Rei in quel trambusto riuscì a congedarsi e a allontanarsi di qualche passo.
Il cerchio che si era formato venne riempito nuovamente dai passanti che, indignati dallo spettacolo increscioso, lanciarono sguardi sprezzanti e urtarono colui che aveva creato quella situazione.
Rei stava camminando lentamente cercando Kei con lo sguardo. Doveva essere andato avanti, ma non riusciva a vederlo.
Improvvisamente gli spuntò alle spalle e il cinese si preparò a urlargli di tutto per averlo spinto e aver creato tutto quel casino.
-Ma sei paz..?!-
La frase rimase a metà non appena Rei si accorse che Kei stava camminando frugando all’interno di un portafoglio, lo stesso portafoglio che era stato accusato di aver rubato.
-MA SEI PAZZO?!- la frase gli si riformò in bocca senza problemi.
Kei si limitò ad alzare lo sguardo annoiato.
-Che problema hai? Non urlare-
Tirò fuori qualche banconota e le contò.
-Hai rubato un portafoglio- era un dato di fatto, ma Rei non sembrava esserne rassicurato.
-Ti ho detto che mi servivano soldi-
-Ma potevi aspettare!-
-Ti ho detto che mi servono ora-
-Ma..-
-Se ci tieni riportaglielo- Kei gli mise in mano il portafoglio, ovviamente molto alleggerito.
Rei si fermò a scrutare qualche secondo l’oggetto tra le sue mani prima di ridarlo a Kei spaventato.
Il russo fece un sorrisetto divertito e riprese il portafoglio riaprendolo.
-Mmm..interessante.. ha un buon lavoro.. tranquillo questi pochi soldi non lo faranno morire di fame- disse Kei come se questo dovesse essere tranquillizzante.-Magari gli dispiace per i documenti-
-Devi riportarlo!-
-Ma sei pazzo?-
Kei fece per buttare l’ormai inutile portafoglio a terra, ma fu bloccato dal cinese.
-Almeno portalo alla polizia-
Kei sgranò gli occhi come per chiedergli se diceva realmente.
-Portalo tu se proprio ci tieni-
-Ma l’hai rubato tu!-
-E allora lo butto..-
-Ok ok lo riporto io..dammelo!-
Cercarono una stazione della polizia e mentre Rei entrò a riportare il portafoglio, Kei andò a comprarsi le sigarette.
 
Quella volta si era davvero arrabbiato per essere stato usato come mezzo per rubare un portafoglio, proprio lui, ragazzo dai sani principi.
Kei gli aveva spiegato tutta la sua teoria sul metodo migliore per rubare, su come avesse scelto un turista perché di solito è quello più attento al portafoglio, ma che è più probabile abbia contanti e tante altre cose di cui non aveva compreso la logica.
Da quel momento comunque aveva sempre fatto più attenzione al posto dove teneva i soldi, avendo scoperto quanto certe persone conoscono le tecniche perfette per rubare.
Gli scappò un sorrisetto quando stavano per arrivare al dojo.
-Mmm?- Kei si rivolse verso il cinese chiedendosi se si era perso la causa della risata.
-No, niente stavo pensando..-
Rei sperò da un parte che l’altro gli chiedesse maggiori delucidazioni, ma invece si limitò a girarsi e a continuare a camminare.
Non era proprio più abituato alla mancanza di curiosità ossessiva e di chiacchiere continue.


 



E per questa volta abbiamo un bel ritorno al passato! Diciamo che ci siamo un po' ricongiunti alla storia originale ^^ (nonostante ovviamente l'episodio sia completamente di mia invenzione!)
Comunque scusate se il capitolo è un pò corto, ma era necessario *inchino di scuse*


Reader Space
Nuova rubrichetta per voi (prima e probabilmente ultima volta che comparirà!)
Nelle ultime recensioni c'è stato un tripudio di richieste di subentrare nella fic per i più svariati motivi e la conclusione è:
  • Hiromi chiede di poter disintegrare Kei
  • Avly gli vuole invece requisire le sigarette! Facciamo prima che Hiromi lo disintegri così soffre ancora un pò u.u
  • Halley Silver Comet va a prendere Max e se lo porta a casa
  • Padme e Nena fanno un pò di volontariato portando a spasso Nonno J
  • Aphrodite se ne sta a guardare il tutto comodamente seduta sul divano mangiando pop corn!
Ragazze u.u lo sapete che vi adoro, ma se lo faccio poi su che scrivo io! XD

Aspetto vostre notizie! ^^
Ihih grazie ancora a tutti quanti! 
Un bacione :)

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Capitolo 15
*** Just Like That ***


Giochi in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili

 






Just Like That





Rientrarono che era quasi ora di cena.
Più o meno la serata si svolse come quella precedente, tranne che Hilary se ne era già tornata a casa.
Kei approfittò ancora della scusa della stanchezza per defilarsi in fretta in camera.
Era stata una giornata fin troppo lunga e aveva realmente bisogno di riposarsi.
Il mattino dopo si alzò di nuovo prestissimo e ripeté la routine del giorno precedente, questa volta utilizzando il ‘nuovo’ portacenere che, nonostante l’avesse tirato fuori dall’armadio da relativamente poche ore, sembrava che fosse già stato utilizzato per mesi.
Di nuovo tutti si svegliarono per andare a scuola e lo lasciarono da solo, ne approfittò per farsi un giro nel quartiere per memorizzare ancora meglio le varie strade, e cercò di combattere la noia fino alle 4 quando tutti rincasarono.
Erano tutti particolarmente entusiasti, probabile effetto dell’ultimo giorno di scuola e quindi dell’inizio ufficiale delle vacanze: non appena arrivati Rei si mise ai fornelli dicendo che era da troppo che non cucinava qualcosa per la mancanza di tempo, cosa che gli dispiaceva parecchio, mentre Hilary si sedette fuori a prendere il sole e Takao e Max tirarono fuori i bey.
Kei sperò vivamente di non essere messo in mezzo.
Valutò la possibilità di andare ad aiutare Rei, ma il pensiero di vedere e maneggiare ancora del cibo lo fece desistere, così si mise a pochi metri da Hilary.
La ragazza non sembrava per nulla interessata all’imminente scontro, anzi lanciò ai due uno sguardo compassionevole e tornò a concentrarsi sul sole.
La sfida iniziò e i bey si scontrarono violentemente.
Era da un bel po’ che Kei non assisteva a un incontro, probabilmente anni.
Si accese una sigaretta e cercò di concentrarsi sui beyblade: li osservò girare per il prato, scontrarsi, fare evoluzioni, tutte cose che un tempo faceva anche lui con il suo Dranzer.
Gli scappò un sorrisetto ripensando a quanto fosse completamente assorbito da quello sport.
Si poteva dire che fosse obbligato a giocarci e a essere imbattibile, ma in realtà gli piaceva davvero e desiderava sul serio essere il più forte.
Cercò di ricordarsi l’ultima volta che aveva lanciato un bey, ma non gli venne in mente; era stato davvero troppo tempo prima.
Con un ultimo colpo Max batté Takao che iniziò a lamentarsi e a chiedere la rivincita.
Max continuò a vantarsi per qualche minuto prima di concedere un altro scontro al giapponese.
Mentre lanciarono i beyblade anche Rei si unì a loro sedendosi tra Kei e Hilary.
-E’ quasi tutto pronto..tra un po’ vado a dare al riso il colpo di grazia!- disse contento.
La ragazza rinunciò al sole che stava per sparire dietro alle case e si mise a chiacchierare con Rei fino a che il cinese non l’abbandonò per battersi contro Max che aveva vinto anche il secondo incontro.
-Ero distratto!- si giustificò Takao sedendosi al posto di Rei.
Immancabilmente il giapponese e la ragazza si scambiarono qualche battuta acida sotto lo sguardo esasperato di Kei che non poteva credere ai propri occhi.
Arrivò alla conclusione che probabilmente si piacessero realmente, perché altrimenti non avrebbe potuto spiegarsi un accanimento così l’uno verso l’altra.
Anche quell’incontro terminò, ma per questa volta vinse Rei.
Nessuno sembrava più interessato a battersi e anche Max si sedette aspettando che Hilary finisse di insultare Takao.
Non appena calò finalmente il silenzio, Kei si disse che finalmente la pace fosse arrivata, ma non appena vide Rei che lo scrutava come in attesa di qualcosa iniziò realmente a preoccuparsi.
Takao alla sua destra si avvicinò pericolosamente e poggiò una mano sulla sua spalla.
-Non puoi dirmi di no!-
Kei si voltò a osservare il suo sorriso parecchio spaventoso, o che almeno a lui sembrava spaventoso.
-No-
Cercò di voltarsi, ma incontrò gli occhi azzurri di Max alla sua sinistra che aspettavano una qualche sua iniziativa.
Aveva capito quello che non avevano il coraggio di dire esplicitamente e non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere.
-N O- disse il più chiaramente possibile.
-Eh dai! Non farti pregare!- insistette Takao.
L’espressione di Kei era arrivata all’esasperazione davanti a quel teatrino.
-E lascialo in pace.. se non vuole giocare con quelle trottole vuol dire solo che è più furbo di voi..-
-Quelle trottole?- Takao e Hilary ricominciarono a litigare.
Per la prima volta da quando era arrivato, Kei provò un moto di gratitudine verso la ragazza, trovando un perché della sua presenza lì.
-Alla fine lo hai fatto!-
Non capì a che cosa il biondino si riferisse finché non sentì poggiarsi le sue dita calde dietro al collo.
La capacità di Max di cambiare discorso era incredibile, ma almeno sembrò smorzare la discussione tra i due giapponesi.    
-Il tatuaggio intendo!- precisò continuando a guardare la scritta nera in cirillico alta circa due dita.
-Che vuol dire?-
- жизнь (pronunciato sgiosn), è Vita-
Max sembrò pensarci su prima di sorridere e dire – Bello!-
-Quindi con questo siamo a..cinque, giusto?- chiese Takao all’improvviso coinvolto.
-Tu sarai colui che mi aiuterà a far desistere Nonno J sappilo..-
Kei lo guardò confuso.
-Tu lo convincerai che un tatuaggio non è proprio la fine del mondo!-
-Non vuole che se lo faccia..- precisò Rei.
-E cosa vorresti fare?- chiese Kei, sollevato che l’argomento della conversazione fosse cambiato.
-Ma che domande..Dragoon!- e allargò le braccia come per indicare la grandezza del tatuaggio –Me l’hai fatto venire in mente tu col tuo!-
Kei sempre preoccupato per il gesto che aveva fatto prima il giapponese e si informò sulla grandezza e sul posto dove avrebbe voluto farselo.
-Mmm avevo pensato sulla schiena!-
-Tutta?- chiese Kei scettico.
-Mmm perché no?!- affermò compiaciuto l’altro.
Kei era certamente l’ultima persona in quella casa che poteva dirsi contro i tatuaggi, di qualsiasi tipo e dimensioni, considerando quelli che aveva lui stesso, ma l’idea di Takao con un mega drago sulla schiena lo lasciava un po’ perplesso e pensò che fosse il caso di appoggiare Nonno J.
-Che ne dici?- chiese sempre entusiasta Takao.
-Non ti ci vedo.. cioè, un po’ più piccolo no?-
-Dici? Vabbè ci penserò!-
-Hai tutto il tempo di pensarci, intanto Nonno J non ti darà mai il permesso!- disse Rei.
Mentre ricominciarono a parlottare allegramente, Kei iniziò a sentirsi leggermente oppresso ancora seduto tra Max e Takao fin troppo a contatto con lui.
Cercò spazio e si alzò per mettersi in piedi vicino a Rei e si accese un’altra sigaretta.
Già aveva resistito fin troppo con tutto quel contatto, non lo avrebbe sopportato un secondo di più.
-Non ci hai ancora fatto vedere l’altro tatuaggio però- continuò Max.
Kei ci pensò su prima di ricordarsi che in Russia non gli aveva fatto vedere quello sulla gamba, non ne aveva visto il motivo, come d’altronde non lo vedeva in quel momento, ma per farli stare buoni e zitti avrebbe fatto qualsiasi cosa.
-Certo che te ne sei fatti eh?- disse ironico Rei mentre Kei si tirava su i pantaloni fino al ginocchio destro per far vedere una scritta sul polpaccio.
Si sporsero per leggere, ma fu Max che, contento di vedere che fosse in inglese, recitò a voce alta: I believe in nothing but my own breath.
-But non significa ‘ma’?!- chiese Takao.
-Anche ‘tranne’!- lo corresse Max -..Non credo in niente tranne che al mio respiro..-
-Un po’ pretenziosa come frase..-
Tutti si voltarono verso Hilary come se avesse appena pronunciato la frase che l’avrebbe condannata a morte certa.
-Che c’è? E’ la verità!- si giustificò lei altera.
-Mmm forse è stato pretenzioso tatuarla..- disse Kei nello stupore generale -..ma in quel periodo volevo mettere in chiaro alcuni punti-
Aspirò il fumo dalla sigaretta e sempre impassibile si rimise a posto i pantaloni.
-Quindi hai cambiato idea?- chiese la ragazza.
Nessuno di loro avrebbe mai osato iniziare un discorso del genere con Kei: la reazione migliore in cui potessero sperare era che non rispondesse e liquidasse il discorso con poche parole, altrimenti sarebbe incappati in una situazione senza fine. Lui aveva determinate idee che spesso non coincidevano con quelle degli altri, se non del tutto opposte; per non parlare di quanto il ragazzo fosse irritabile su certi argomenti.
Non che fosse giusto dargliela vinta o non valesse la pena discutere con lui, solo che preferivano in quei giorni lasciarlo in pace e dargli il tempo di adattarsi al Giappone visto che il motivo per cui era venuto era che doveva affrontare dei problemi non indifferenti.
In ogni caso non potevano nemmeno zittire Hilary: lei era una persona parecchio testarda e senza peli sulla lingua.
Nessuno poteva immaginare chi avrebbe potuto vincere in uno scontro tra i due.
-No, dico che è stato pretenzioso scriverlo, ma la penso ancora così- rispose molto tranquillamente Kei e gli altri ragazzi presenti tirarono un sospiro di sollievo.
-Ma è come dire che credi solo a te stesso..- aggiunse Hilary e fece ripiombare tutti in uno stato di agitazione.
-Dai Hil..-tentò di dire Takao per una volta cauto nei confronti della ragazza.
-Non la vedo una cosa negativa- fu la risposta. Il suo sguardo da annoiato diventò freddo e impenetrabile.
-E’ triste..-
-Cosa ci sarebbe di triste?-
-Cioè per te esiste solo ciò che puoi vedere..tutta la superficialità..solo ciò che puoi comprendere?-
-Ciò che è razionale..-
-..che però è limitato!-
-Dipende cosa intendi per limitato..-
-Fermarsi al razionale, non credere che oltre a quello ci sia qualcosa è limitato..e di conseguenza triste!-
-Le persone sono limitate..- continuò iniziando a capire dove volesse andare a parare la ragazza -..hanno inventato un dio solo per incolparlo di ciò che di brutto provocavano loro stesse..poi ci hanno creato attorno tutta una architettura per auto convincersi che fosse una cosa possibile..religione e queste cose qui- rispose con un’alzata di spalle.
-Se anche fosse così allora non le considererei limitate..-
-Ingegnose e fantasiose, ma comunque limitate..-
-Perché?-
-Perché non vedono la realtà..-
-Quindi esiste solo ciò che la scienza può provare, non c’è niente dietro? Niente sentimenti, niente anima? Solo cellule, funzioni cerebrali e reazioni organiche?-
-L’anima è comunque una parte della persona, che è fatta di tutte le cose che hai detto te-
-Ma è irrazionale..-
-Non la puoi vedere, toccare, ma non è detto che non possa essere compresa-
-E con la religione e ‘queste cose qui’ è possibile comprenderla!-
-E’ una comprensione molto fantasiosa.. è pieno di paradisi, aldilà, nirvana, reincarnazioni, tutto pur di non ammettere di giungere a una fine-
-La fine non è un limite?-
-La fine è un termine..oltre il limite c’è qualcos’altro, oltre la fine no..-
-Quindi secondo te io sarei una persona limitata?-
-Quanto tu pensi che lo sia io-
Kei spense la sigaretta e finalmente distolse lo sguardo dagli occhi di Hilary.
La ragazza per tutta la conversazione aveva tentato di mantenere il contatto visivo col russo, di non cedere per prima, ma diverse volte aveva dovuto desistere.
Non era stato aggressivo o freddo, non le aveva imposto la propria idea, ma non aveva nemmeno condiviso la sua. Aveva semplicemente assunto un’aria superiore.
Arrogante nel limite del sopportabile.
Sicuramente era la prima volta che aveva parlato da sola con lui e che aveva sentito la sua voce per così tanto tempo e ne era rimasta affascinata, sotto l’irritazione immediata.
Non poteva dire ancora che quel ragazzo avesse acquistato la sua intera fiducia, una parte di lei le diceva che in realtà non era legato a Takao e gli altri come loro affermavano che fosse.
Hilary si risvegliò dai suoi pensieri dopo pochi secondi e lasciò che tutta l’adrenalina creata dalla discussione scemasse; dopo lo stupore e la soddisfazione per aver tenuto testa all’altro, le salì il nervosismo e l’irritazione per aver lasciato che fosse Kei a porre l’ultima parola.
Durante il tragitto verso la cucina le vennero in mente altre frasi con cui avrebbe potuto liquidare la faccenda, come avrebbe potuto rispondere all’ultima affermazione del russo, ma ormai era troppo tardi per poter reagire.
Takao aveva cercato di stemperare l’aria elettrica tornando a parlare di quelle stupide trottole e ormai qualsiasi cosa avesse detto sarebbe sembrata fuori luogo.
Decise di arrendersi, combattuta, e cercò di distrarsi evitando qualsiasi contatto superfluo con Kei.
 
Gli era piaciuta solo per un istante. E non si ricordava nemmeno più per quale motivo, ma per quell’istante gli era stata simpatica.
Ora non ne era più molto certo: era solo un’altra ragazzina con delle idee preconfezionate.
Era intelligente, ma estremamente limitata come qualsiasi altra persona che aveva vissuto in un bel quartiere e in una modesta famiglia.
Beh alla fine non era colpa sua se era stata cresciuta a pane e stronzate, forse non era nemmeno così antipatica e limitata: Kei come prima sensazione si era irritato delle sue risposte, ma poi, convinto delle proprie, non le aveva dato più di tanto peso.
Ripensandoci era anche abbastanza soddisfatto della piega che aveva preso il discorso e ascoltare quello che Hilary aveva da dire non era stata proprio una perdita di tempo, e probabilmente non era che non sopportasse lei, ma più che altro che non sopportasse le sue idee.
La verità era che non sopportava il mondo dal quale lei veniva, quello delle famiglie perfette, fatte d’amore e fiducia, quelle create sulla base di stereotipi, quelle dove si può tranquillamente parlare dei problemi finchè questi problemi sono legati alla scuola, agli amici e alle prime cotte.
Era certo che lei venisse da quel genere di famiglie: quando suo padre la era venuta a prendere guidava una macchina semplice e di un colore anonimo, vestiva come un padre di famiglia, aveva l’espressione dell’uomo comune, vestito comunemente, qualche ruga, capelli che iniziavano a diradarsi.
La semplicità fatta a persona. Non che fosse una cosa negativa, o almeno non per il resto del mondo.
Kei aveva una sorta di pregiudizio verso quelle persone: era sicuro che non ragionassero con la loro testa, che si lasciassero insegnare cosa fosse la vita e come fosse giusto comportarsi. Nessuna eccezione.
Che tutto questo rancore fosse derivato dal fatto che invidiasse queste persone? Non lo credeva, a volte gli veniva il dubbio, ma poi pensandoci su si rispondeva che il problema fosse che lui aveva conosciuto un modo diverso di vivere dal loro.
Non c’era mai stato nessuno a dirgli cosa fosse giusto e cosa sbagliato, che gli insegnasse cosa fosse buono e cosa cattivo, ma ci era arrivato da solo. Sbagliando più volte di quanto non avesse sperato, ma alla fine ci era arrivato. E anche se non ci fosse ancora arrivato, era sicuro che sarebbe successo prima a lui di capire la realtà che a quegli altri.
Mentre si arrovellava in mille pensieri si rinchiuse nel suo solito guscio di indifferenza, non facendo trasparire né irritazione, né convinzione.
Per tutti coloro seduti a tavola poteva essere come le serate precedenti.






Ed eccoci qui anche questa sera!
C'è stato un movimento popolare negli ultimi commenti contro l'utilizzo esagerato di sigarette XD ihih c'ho fatto caso e in questo non ne fuma troppe dai! Ce la si farà a migliorare no?! u.u
Chiamiamo anche questo un capitoletto di transizione? Sì dai XD diciamo che per adesso bisogna sistemare le cose prima di ripassare dal via!
Intanto abbiamo visto il tatuaggio che era rimasto in sospeso e quello nuovo! Hilary ha iniziato a scontrarsi con quel polaretto, mentre Takao ha portato avanti il suo piano A per farlo giocare a bey!

Grazie mille come sempre a tutti..spesso non lo scrivo nelle risposte alle recensioni, ma penso che sappiate che è scontato che vi ringrazio immensamente!
Ovviamente un grazie anche a chi legge e basta..
Vi aspetto la prossima settimana, sempre qui, sempre a quest'ora improponibile!
Un bacione :)
 

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Capitolo 16
*** Castle Walls ***


Leggero - 16 Castle Walls

Giochi in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili

 





Castle Walls







La settimana successiva trascorse piuttosto monotona.
Kei aveva accettato passivamente tutti i cambiamenti che aveva dovuto affrontare e non mostrava particolare interesse per nulla, come al solito.
La verità era che dopo quei primi due giorni si era completamente arreso all’evidenza che probabilmente non sarebbe cambiata più di molto la sua situazione.
In realtà voleva avere un riscontro immediato dei miglioramenti, ne sentiva ossessivamente il bisogno, e la completa mancanza di sicurezza lo irritava e lo abbatteva allo stesso tempo; dopo aver cercato di reagire, infatti, si ritrovò completamente sopraffatto dal pessimismo e dallo sconforto.
Non sapeva come far trascorrere le giornate, le attività dei suoi nuovi coinquilini lo annoiavano terribilmente e si ritrovò a chiudersi ulteriormente nella sua facciata di silenzio e impassibilità.
Era venerdì quando Takao e gli altri indossarono ancora una volta la divisa di scuola per andare a vedere i risultati e Kei non poteva essere più apatico di quanto lo era a colazione.
Come sempre non mangiò nulla e rispose a cenni alle domande che gli ponevano.
Uscirono tutti insieme, anche Nonno J; la scuola non era lontana quindi potevano tranquillamente andarci a piedi. Durante il tragitto da una traversa spuntò Hilary che si unì gioiosa alla comitiva.
Kei alzò lo sguardo solo quando giunsero davanti all’edificio per osservarlo perplesso.
Era una scuola normalissima che pullulava di studenti e professori: ciò che più detestava.
-Nonno non è che potresti non entrare?- chiese esitante Takao.
-Ti ho già detto che devo andare dal preside con Kei!-
Takao sbuffò. Non voleva che il nonno vedesse subito che, quello che doveva essere un buon voto, in realtà era una misera sufficienza. Gli aveva raccontato quella piccola bugia per ottenere dei soldi extra della paghetta.
Con il nonno lì a scuola, non poteva fare la sceneggiata che aveva studiato per convincerlo che fosse stata un’ingiustizia della professoressa avergli dato un voto in meno: troppi testimoni scomodi.
Entrarono e salirono al corridoio del primo piano dove erano appesi i quadri con i voti.
Cercarono quello della loro classe e fecero scorrere le dita sui risultati di fianco al proprio nome.
Anche Nonno J si avvicinò per controllare e iniziò una lunga predica al nipote davanti a tutti gli studenti che erano lì intorno.
Kei decise che non gliene poteva fregare di meno di come fossero i voti e si mise di fianco a una finestra aperta aspettando il momento di andare dal preside.
Si guardò intorno: sembravano tutti fatti in serie, tutti gli studenti che gli passavano davanti potevano essere benissimo stati fabbricati con lo stampino.
A parte qualche straniero e i suoi compagni tutti erano con gli stessi capelli, gli stessi occhi, la stessa pelle. Non sarebbe mai riuscito a distinguere più di tre persone, ne era consapevole.
Poi con quella divisa erano tutti ancora più confondibili.
Alcune ragazzine gli passarono accanto ridacchiando. Non era assolutamente un luogo adatto a lui.
Si sarebbe volentieri buttato dalla finestra e sarebbe corso via: calcolò velocemente l’altezza da terra e si disse che forse sarebbe stato meglio prendere le scale, ma la possibilità di essere intercettato e bloccato erano davvero troppe.
Rassegnato a quella prigionia improvvisa osservò Nonno J venire verso di lui e lo seguì in silenzio verso l’ufficio del preside.
Lungo i corridoi non si guardò intorno, ma riuscì a notare una sola cosa,  l’unica che gli interessasse realmente: un cartello di divieto di fumare.
Classico, ma terribilmente frustrante.
Sospirò proprio quando arrivarono davanti alla porta con scritto ‘presidenza’, Nonno J bussò e entrarono.
Kei non fece caso all’arredamento, non gli interessava, ma notò solo la finestra chiusa: insopportabile.
Solo dopo che si fu seduto su una sedia davanti a una scrivania, osservò la faccia del signore di mezza età che stava parlando. Si concentrò sul ronzio proveniente da quell’uomo serio.
-Signor Kinomija è sempre un piacere incontrarla!-
Chissà quante volte Nonno J era entrato in quell’ufficio: tra Takao, Rei e Max aveva sicuramente un gran numero di responsabilità sulle spalle, e ora si stava aggiungendo anche lui.
Il preside Fujita, questo era il nome scritto sulla targhetta sulla scrivania, iniziò a conversare con Nonno J, come se Kei non fosse esistito, prima di tirare fuori una cartellina piena di fogli.
Il russo aspettò pazientemente di essere interpellato anche se la sua irritazione stava salendo; notò che sulla cartellina che il preside aveva tirato fuori c’era scritto il suo nome e cercò di tradurre le espressioni dell’uomo.
Era serio, non sorrideva, un punto a suo favore considerando la sua avversione verso i sorrisi; parlava lentamente senza colori nella voce.
Gli occhi erano talmente a mandorla che sarebbero potuti essere benissimo chiusi, ma ciò che lo colpì di più fu quanto il signor Fujita emanasse giallo. Indossava un completo ocra con la cravatta marroncina, la sua targhetta era di un dorato opaco, le sue matite erano gialle e persino la sua penna, lo stesso computer sembrava tanto usato che si era ingiallito. Il sole poi, che penetrava dalla finestra chiusa, illuminava tutto questo giallo e lo esaltava.
Mentre esplorava tutti quei dettagli che subito gli erano sfuggiti, incontrò gli occhi semichiusi del preside che lo guardavano: probabilmente gli aveva posto una domanda che non aveva sentito.
Stava per chiedere delucidazioni, ma l’uomo continuò a parlare.
-Ho ricevuto i documenti della vecchia scuola del ragazzo e ho notato certi punti poco rassicuranti come la media del ragazzo e le parecchie assenze- disse con la sua voce strascicata.
-Come le ho spiegato al telefono, Kei ha avuto qualche problema nella vecchia scuola, ma ora è tutto a posto e il ragazzo è pronto a riprendere gli studi da dove li aveva interrotti!-
Fujita rimase ad ascoltare annuendo e dopo aver dato un ulteriore occhiata scettica alla cartellina, la richiuse.
-Io mi fido di lei e so con che impegno sta tirando questi ragazzi..- e si voltò verso Kei -..e spero che tutto ciò sia ricambiato con impegno e disciplina-
Kei senza nessun problema resse lo sguardo del preside facendolo desistere dal guardarlo negli occhi ametista.
-Questi sono i documenti per l’iscrizione che ho preparato..- fece firmare un po’ di scartoffie a Nonno J e gli diede qualche indicazione per completare la procedura.
Kei si distrasse nuovamente, guardando la libertà invitante oltre la finestra, prima di essere di nuovo interpellato.
Gli occhi di Fujita erano ancora su di lui, o almeno così sembrava sotto le palpebre pesanti.
-Ovviamente bisognerà provvedere a togliere..abbellimenti superflui..-ovviamente si riferiva al piercing -..e gradirei che i tatuaggi fossero sempre coperti-
-La divisa li coprirà- disse Kei cercando di porre fine a quella sceneggiata con quell’uomo che ormai aveva classificato come ‘viscido’.
L’incontro durò ancora pochi minuti e finalmente poterono congedarsi, non prima di aver fatto un piccolo inchino al preside il quale aveva lanciato un occhiata perplessa verso i segni neri sulle sue braccia e sui suoi vestiti.
Mentre usciva, Kei si concentrò sui propri abiti realizzando solo in quel momento quanto i giapponesi tenessero agli incontri formali e al rispetto dell’etichetta e della tradizione: aveva un semplice paio di jeans e una maglietta, forse tutto un po’ troppo largo per gli standard dell’uomo.
L’unico moto di preoccupazione per questo mancato adempimento andava verso Nonno J, ma scomparve all’istante alla vista dell’espressione serena dell’uomo.
Si riunirono agli altri nel cortile, speranzosi di tornare a casa e cambiarsi finalmente.
-Com’è andata?- chiese Rei allegro.
-Tutto bene..il preside sembra severo, ma in realtà è un brav’uomo- rispose Nonno J notando che Kei non aveva alcuna intenzione di parlare –Dovrà solo fare un piccolo test a settembre!-
-Su cosa?- si intromise preoccupato Takao.
-Sugli argomenti principali dell’anno scorso..-
Durante il tragitto discussero su cosa poteva essere considerato principale e cosa no, ma il diretto interessato all’argomento non prestò alcuna attenzione allo scambio di battute degli altri.
 
-Allora possiamo andare?- Takao stava pregando Nonno J da dieci minuti buoni, tra un boccone e l’altro della cena.
-Ti avevo detto che saresti dovuto andare bene a scuola-
-Ma sono andato bene..nemmeno un’insufficienza!- il giapponese mostrò il suo sorriso migliore –E poi non puoi fare questo a Max e Rei..loro sono andati ancora meglio!-
Il tentativo di addolcire il nonno facendolo sentire in colpa sembrò funzionare, poiché la sua espressione si addolcì.
-E poi anche Kei vorrà farsi una bella vacanza!- diede così il colpo di grazia.
Al pronunciare del suo nome, Kei prestò attenzione al discorso.
-Io ne faccio anche a meno- disse atono.
-Kei non rovinare tutto..- gli bisbigliò Takao come se Nonno J non potesse sentirlo -..chi non vorrebbe farsi una bella settimana di mare, sole,..-
-Io- lo bloccò il russo inutilmente.
Nonostante il suo dissenso tutti gli altri erano presissimi da questa idea della vacanza in campeggio sulla costa occidentale del Giappone in questa fantomatica località fantastica.
Nonno J era sul punto di cedere, sicuramente appena Takao avesse annunciato che il suo no avrebbe pregiudicato anche le vacanze di Hilary, non si sarebbe più opposto.
Nessuno sembrava capire quanto per Kei una lunga settimana di mare, sole e afa fosse equivalente a una punizione.    
Prima che potesse realmente opporsi tutto fu deciso, aveva una decina di giorni per prepararsi psicologicamente a resistere: se il caldo della città lo aveva messo a dura prova, non osava immaginare come sarebbe sopravvissuto a quello.
 
-Dimmi-
-Tutto bene?- La voce di Yuri dall’altro capo del telefono lo fece sentire per un secondo a casa. Chiuse gli occhi cercando di focalizzarsi in un qualsiasi via di Mosca, ma gli veniva alquanto difficile.
-Mh..-
-Che vorrebbe dire?-
-Quello che è..-
-Cosa stai facendo?- chiese il rosso rinunciando a tirargli fuori una risposta sensata.
-Sono in giro..- rispose atono.
Voleva dimostrarsi molto più positivo e aperto alla conversazione, ma ogni proposito che si era fissato quando aveva visto sul display del cellulare il nome di Yuri, era sparito.
Fingere avrebbe solo peggiorato le cose, doveva solo non apparire troppo sconfortato.
-E..-
-Te come va?- cercò di cambiare discorso.
-Bene, sto recuperando degli esami..e anche Bo e Ser stanno bene..certo si sente la mancanza del tuo continuo chiacchierare, ma ci stiamo facendo l’abitudine!- rispose Yuri ridacchiando.
Kei si lasciò scappare un sorrisetto senza però aggiungere altro.
-Abbi pazienza Kei- aggiunse il rosso come percependo a km di distanza le preoccupazioni dell’altro.
-Lo so..-
-E io te lo ripeto comunque..abbi pazienza..trovati qualcosa da fare, qualche passatempo, inizia a collezionare francobolli o che so io..-
-Cos’è tutta questa ironia oggi?-
-Non cambiare discorso..-
-Che palle..-
-Te lo devo ripetere?-
Kei sbuffò –Devo avere pazienza, afferrato-
Si scambiarono ancora poche informazioni prima di chiudere la chiamata.
Kei era seduto su un prato del parco poco lontano da casa, all’ombra di un grosso albero, cercando di scappare dal sole che picchiava potente.
La telefonata di Yuri gli aveva fatto piacere, sicuramente ad alta voce non lo avrebbe mai ammesso, ma gli mancava, come gli mancava Mosca e tutto quello che faceva prima.
La prigionia in casa dei primi mesi dell’anno gli sembrava quasi una pacchia in confronto a quella che provava in quella città ormai sconosciuta. Era difficile abituarsi al tempo, alle persone, alle abitudini di quella gente così diversa.
Pazienza ne aveva da vendere per non essere ancora scappato, ma iniziava seriamente ad esaurirsi.
Ogni qual volta poteva, usciva dal dojo, possibilmente da solo, ma era difficile scollarsi di dosso i suoi amici appiccicosi. Sembrava che volessero adottare la tattica che avevano visto in Russia da Yuri e gli altri, di non lasciarlo mai da solo, ma era ovvio che il risultato era letteralmente diverso. Non avevano la stessa pratica a trattare con lui e la stessa tempra nel rispondergli a tono.
Risultava troppo semplice scappare da loro e rintanarsi nel suo guscio protettivo.
Però ci stava davvero provando. Da giorni se lo ripeteva nella testa, che doveva reagire e trovare qualcosa da fare, come aveva detto Yuri. Aveva addirittura provato a dirselo ad alta voce, a fare training autogeno, ma non sembrava funzionare come avrebbe dovuto.
Il ripetersi che sarebbe andato tutto bene davanti allo specchio del bagno lo faceva sentire altamente stupido. Poi lui odiava tremendamente gli specchi.
In ogni caso doveva reagire.
Questo era il suo primo obiettivo.
Ma non sapeva come fare. Ogni volta che si interessava a qualcosa e vi prestava attenzione, la abbandonava annoiato.
Non aveva trovato nessuna azione degna di essere perseguita.
Ma doveva smetterla. Assolutamente.
Si guardò intorno prima di alzarsi e tornare verso casa.
 
-Dov’è andato?-
-Non lo so..-
Rei rispose sconfortato alla domanda dell’amico. Non sapeva assolutamente dove fosse sparito Kei. Di nuovo.
Si era defilato così, come se niente fosse; riusciva sempre a lasciarli a bocca asciutta, senza una risposta pronta, ad annaspare nel tentativo di estorcergli qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse una risposta o un cenno.
Tutto sembrava inutile; di primo acchito al gruppo era sembrato di essere tornati ai bei tempi, a quando, in giro per il mondo, ognuno aveva il suo ruolo in un gruppo affiatato e nel quale Kei era quello che spariva senza dare spiegazioni. Peccato che a lungo andare e considerando la situazione diversa, questo comportamento non risultasse più molto piacevole.
Rei cercava di convincersi che tutto sarebbe andato meglio con il tempo, ma non gli riusciva più di tanto, nonostante facesse sempre la parte dell’ottimista per non scoraggiare Takao e Max in quello che si erano preposti.
Mentre iniziava a leggere sconfortato un nuovo capitolo del libro che aveva in mano, sentì la porta d’ingresso aprirsi e poco dopo intravide Kei nel corridoio.
Rinunciò al libro, sicuro che intanto non sarebbe riuscito a leggere quel tomo noiosissimo, e andò incontro all’amico cercando di non far intravedere la sua frustrazione.
Vedendolo arrivare, l’altro gli fece un cenno di saluto con la testa e cercò di defilarsi al piano di sopra.
-Fatto una passeggiata?-
Cercò di sembrare il meno invasivo possibile, ma era sicuro che la sua recitazione non fosse da premio Oscar.
-Mh- annuì Kei, rimanendo in attesa della mossa successiva del cinese.
Il silenzio fu rotto fortunatamente dall’entrata di Takao che, con la sua grazia innata, irruppe davanti a Kei e lo guardò minaccioso. Cioè, quello che sicuramente nelle intenzioni del giapponese doveva essere uno sguardo minaccioso.
-Hey tu..dove sei stato?-
-Ho fatto un giro..- fece per girarsi e salì qualche gradino -..è una bella giornata, è un peccato stare in casa-
-Ma..- Takao non riuscì a terminare la frase rosso di rabbia, combattuto tra il volergli urlare addosso e il lasciargli i suoi spazi, come gli avevano detto gli altri.
-Non lo sopporto quando fa così!- Girò sui tacchi seguito dal compagno.
Raggiunsero Max in sala, che sospirò. Doveva aver origliato.
-Secondo me dovremmo trovare qualcosa da fare..-
-Cosa ti viene in mente adesso? Quello mi ha fatto passare la voglia di tutto!- Disse Takao buttandosi a peso morto sulla poltrona.
-Parlo di Kei.. secondo me si annoia!-
-Si annoia lui?- rispose Takao sempre più scettico.
Rei soppesò le parole del biondo, riprendendo il libro che aveva abbandonato pochi minuti prima.
Non aveva del tutto torto; dovevano fargli tornare un po’ di vitalità, ma restando sempre lì a far nulla non avrebbero ottenuto molto.
Fortunatamente sarebbero partiti presto per la vacanza. Sicuramente gli spunti che offriva una bella località turistica potevano essere d’aiuto.
Sì, forse sul trovare passatempi se la sarebbero potuta cavare, ma il problema rimaneva sempre uno.
Rei era convinto, dopo una lunga serie di seghe mentali, che finchè Kei si chiudeva in se stesso e nel suo silenzio non avrebbero cavato un ragno dal buco. Era sempre silenzioso, come su un altro pianeta e si stava estraniando dalle cose intorno a lui.
Lo vedeva completamente vuoto, senza un obiettivo.
Dovevano quindi tirargli fuori quello che sentiva, quello che aveva dentro.
L’unico problema era trovare il modo per farlo.
 
Entrò in camera sua. Ormai l’aveva completamente occupata ed era molto simile a quella che aveva in Russia.
Si buttò sul letto e si mise le mani davanti al volto, per poi infilarle nei capelli.
Aveva un flusso non indifferente di pensieri che gli giravano per la testa, che dava l’impressione di essere troppo piccola per poterli contenere tutti.
Potevano dire che era silenzioso e taciturno quanto volevano, ma la verità era che non aveva la forza di parlare dopo aver combattuto così duramente contro tutti quei pensieri.
Come faceva a parlare con gli altri, quando faticava a gestire tutte le conversazioni che faceva con se stesso. Si sentiva che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro.
Basta.
Si accese una sigaretta cercando una soluzione a quel grande problema.
Ma poteva pensare quanto voleva a mille e più soluzioni che finiva sempre al punto di partenza, era fatto così e lo doveva accettare lui stesso per primo.
 
Si ritrovò poche ore più tardi a girare per le strade della città, da solo, senza una meta e con il traffico incessante di pensieri. Di nuovo sfuggito ai suoi amici.
Era notte fonda ormai, ma di tornare a casa non ne aveva assolutamente voglia.
Cercò di avventurarsi in posti dove non era ancora stato, così che si ritrovò davanti a un grande edificio moderno piuttosto trafficato per quell’ora di un semplice mercoledì.
Edogawa era uno dei tanti quartieri di Tokyo, quello più a est, al confine con Chiba; non aveva mai capito bene l’amministrazione della capitale Giapponese, secondo lui la facevano più complicata di quanto in realtà non fosse e, a confondere ulteriormente, c’era l’architettura; si poteva passare da luoghi storici a file di grattacieli, da parchi e zone verdi a tangenziali con mille raccordi e un traffico probabilmente ineguagliabile.
Prima di pensare realmente a quello che stesse facendo, entrò nella stazione ferroviaria guardandosi intorno, manco fosse stato in visita turistica: non c’era niente di particolarmente strano o che potesse attirare l’attenzione di una persona sana, ma lui non era molto sano e ne era consapevole.
Entrò nell’atrio osservando uomini in giacca e cravatta che si dirigevano stanchi verso l’uscita, persone con valigie appresso che consultavano il tabellone degli orari, gruppi di ragazzi che ridevano e altri che girovagavano apparentemente senza meta come lui.
Si diresse verso il primo binario al quale si arrivava direttamente dall’ingresso e, di nuovo all’aria aperta, si sedette su una panchina.
Vide fermarsi e ripartire diversi treni fumando una sigaretta e chiedendosi cosa stesse realmente facendo, come sperava di cambiare qualcosa restando lì seduto a far nulla.
-Hai da accendere?-
La voce di una ragazzo lo risvegliò dai suoi pensieri.
Senza nemmeno rispondere tirò fuori l’accendino e lo porse all’altro senza troppa enfasi.
-Grazie!-
Gli rispose con un cenno, rimettendo i piedi sulla panchina.
-Ho visto che sei qui da un po’..- aggiunse il ragazzo che, dopo aver fatto per andarsene, si era nuovamente rivolto a Kei -..se vuoi unirti a noi!- aggiunse accennando con la testa a un gruppetto di ragazzi in fondo al binario, ai piedi di una gradinata che doveva portare a un’altra ala della stazione.
Il russo valutò la proposta, ma declinò, guardando l’altro allontanarsi sereno con un -..se cambi idea noi non ci muoviamo-.
Non li aveva notati, ma dovevano essere lì da un po’. Il loro aspetto era anche abbastanza familiare; non che li conoscesse, ma l’atteggiamento scanzonato e tranquillo di quello che gli aveva rivolto la parola gli ricordava persone che conosceva a Mosca, persone che vivevano giorno per giorno, senza progetti o aspettative per il futuro, che pensavano allo stare bene con gli altri e con se stessi. Beh, quelli che conosceva a Mosca ci mettevano in mezzo anche un po’ di roba pesante.
Questi al massimo fumavano un po’ di erba; sapeva riconoscere le persone che si facevano di qualche cosa. Era stato uno di loro fino a poco tempo prima.
Prima che gli venisse la strana idea di accettare quell’invito, si alzò e si convinse a tornare verso casa, l’unico luogo dove era sicuro che non ci fossero tentazioni; se avesse continuato a girovagare a caso sarebbe come minimo finito in mezzo a qualche luogo poco consono: aveva il fiuto verso i posti malfamati, probabilmente aveva nel sangue quella vita.
Durante il tragitto iniziò a ripetersi incessantemente di ricordare: ricordarsi di Yuri, di Boris, di Sergay, di Dana, di tutto quello che avevano fatto per lui, del perché fosse lì e delle promesse che aveva fatto.
Doveva mantenerle. Doveva trovare la forza di mantenerle.


 
 



Lo so, lo so.
Mi faccio coinvolgere troppo dalle seghe mentali di Kei, ma non ci posso fare nulla. Soprattutto se quello lì pensa sempre alle stesse cose.
Vi giuro che questo è l'ultimo capitolo di transizione e che la prossima volta si avranno un pò di spunti nuovi e molto più interessanti u.u
Questo capitolo non mi soddisfa granchè in effetti, ma doveva essere fatto! In fondo neanche quello scorso XD
A proposito dello scorso capitolo..ci sono delle cose che avrei dovuto scrivere in fondo, ma che mi sono venute in mente solo leggendo le recensioni..scusate ma sono fusa ^^ rimedio qui ritornando al

Curiosity Time 

Abbiamo avuto un bel dibattito tra Kei e Hilary che a me fino all’ultimo non è che convincesse, ma che a quanto pare vi ha preso molto e alcuni hanno anche osato apprezzarlo, pericolo scampato XD Comunque volevo solo dare un po’ di indicazioni, anche se ovviamente il modo in cui l’avete percepito, che foste dalla parte dell’uno o dell’altra, è giustissimo u.u
Premetto che io non la penso come nessuno dei due.. sono una via di mezzo e quindi quello che ho scritto è stato frutto di un ragionamento sulla personalità dei due personaggi: Hilary è una ragazza come tante, intelligente, con una vita normale e, lasciatemi passare il termine, felice! La sua visione è quindi quella che potrebbe avere chiunque nella sua situazione, né più né meno.
Kei, invece, sta uscendo da un periodo critico, ha vissuto un’infanzia che si può dire tutto tranne che normale e spensierata e ha visto e vissuto cose terribili, di conseguenza vede l’altra parte della medaglia e ragiona di conseguenza.
Hanno torto entrambi e nessuno. Ognuno ovviamente si trova d’accordo più con uno che con l’altro. Dipende dai singoli.
Questo piccolo sermone era solo per darvi una visione del perché l’ho scritto e seguendo quale criterio, immedesimandomi il più possibile nel personaggio e chiedendomi: se fossi al posto suo come la penserei? Come potrei vedere determinate cose?
Spero che questo sia passato almeno un po' O_o
Tutto qui..ora potete tornare a odiare l'uno e l'altro a vostra discrezione! ^^ 

Ovviamente aspetto con ansia le vostre recensioni u.u
Vi chiedo solo di avere pazienza ^^
Grazie a tutti,
Un bacione :)



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Capitolo 17
*** Signs ***


Leggero - 17 Signs


E l’odore dei fossi forse lo riconoscono in pochi

 




Signs






Scesero dal pullman con diverse sensazioni: chi era felice, chi era stanco dal viaggio, chi saltellava euforico e chi stava per avere una crisi di nervi per il caldo torrido.
Finalmente erano arrivati a destinazione e la vacanza era ufficialmente iniziata.
Entrarono nel grande villaggio turistico e si fecero guidare verso il loro bungalow: veranda, cucinino e due camere, una con un letto a una piazza e mezza e l’altra con due letti a castello. Hilary si prese la camera da sola, lasciando agli altri al divisione dei restanti posti.
-Pacchiaaaaa!!!- urlò Takao buttandosi su uno dei letti di sotto. –Vacanza, mare, divertimento, niente Nonno J e ozio totale!-
Non fece in tempo a mettere in pratica quello che aveva detto che Hilary prese in mano le redini della situazione.
-Allora, dobbiamo fare un bel po’ di cose.. pulire, mettere a posto, fare la spesa e..-
-Ma nemmeno siamo arrivati che già fai la maestrina?-
E giù a battibeccare per dieci minuti buoni.
-Chiamami quando hanno finito..- disse Kei a Rei, uscendo a fumarsi una sigaretta nella veranda.
Quando finalmente tornò il silenzio, dopo la schiacciante vittoria, Hilary, appoggiata dagli altri ragazzi, decise di dividere i compiti per fare prima.
-Chi vuole andare al market?-
Kei, che era appoggiato allo stipite della porta d’entrata, alzò la mano, seguito a ruota da Max.
Hilary era indecisa se rimanere a tenere d’occhio Takao per paura che facesse qualche danno o se controllare che Max non comprasse solo quelle porcate americane che gli piacevano tanto: valutò che Rei era capace di tenere a bada l’amico, mentre su Kei non sapeva se poteva contare. Non gli ispirava ancora tanta fiducia, non gli aveva più rivolto la parola da quel pomeriggio di due settimane prima, così si unì al gruppo della spesa cercando di capire cosa avesse spinto il russo a proporsi così prontamente.
Ci misero un po’ a orientarsi per il villaggio, ma riuscirono comunque a trovare il market.
Appena varcarono le porte scorrevoli la temperatura cambiò improvvisamente e vennero investiti da un ondata di aria fresca che fece venire i brividi a Hilary.
Anche Max rabbrividì più del dovuto con un esclamazione in inglese che fece ridere la ragazza, mentre Kei sembrava finalmente rilassarsi. Che fosse perché sperava nell’aria condizionata che si era unito al gruppo?
Si avventurarono tra i pochi scaffali. Max propose di comprare tutto quello che Hilary stava escludendo. Era una lotta continua su ogni prodotto, anche se alla fine la ragazza l’aveva vinta, sia perché non accettava le proteste dell’amico, sia perché Kei si rivelò fare scelte piuttosto sane e le stava dando man forte.
-Ma come fai a mangiare questa roba?- aveva chiesto lui con la faccia disgustata reggendo in mano una confezione contenente qualcosa simile a della carne.
Contenta di trovare un punto d’incontro con Kei iniziò a fare la spesa con lui, ignorando Max di gran carriera, ma rimase comunque un po’ diffidente, soprattutto quando, mentre prendevano da bere, lui si bloccò a guardare interessato il reparto degli alcolici. La faccia chiaramente contrariata di Hilary lo fece desistere quasi subito dalla tentazione di prendere qualcosa, non prima di aver blaterato qualcosa di incomprensibile, probabilmente in russo.
-Intanto siamo minorenni, non ce lo lascerebbero comprare- disse lei solenne.
-Riuscirei a farmi spacciare per maggiorenne comunque..- rispose Kei indifferente.
Hilary fece per ribattere, ma non aveva tutti i torti, lei per prima lo aveva scambiato per uno studente universitario appena lo aveva visto.
L’alchimia creatasi pochi minuti prima si andò a far benedire con quelle poche parole; la ragazza non riusciva ad accettare che Kei riuscisse ad avere sempre l’ultima parola con tutti e che lei non fosse mai in grado di trovare in tempo la giusta risposta.
Max si riuscì a intromettere e infilare nel carrello qualcosa, approfittando della tensione tra i due e, facendo finta di niente, riportò la serenità nel gruppetto. Kei appena usciti nell’afa si richiuse nel silenzio più assoluto.
 
Era metà pomeriggio quando finirono di sistemare tutto e, solo dopo il via libera di Hilary, si poterono dedicare alla vacanza.
Dal loro bungalow vedevano il mare, quindi nemmeno cinque minuti ed erano in spiaggia armati di asciugamani e ombrellone. Si sistemarono sulla sabbia bollente occupando i metri davanti all’ombrellone e si diedero al relax più totale.
-Crema protettiva!- esclamò Hilary.
-Se lo sapevo che sarebbe stata così, non mi sarei portato la mamma!-
-Takao, farò finta di non averti sentito, per me puoi anche bruciare sotto il sole, ma non osare lamentarti se stasera stai male!-
La crema iniziò a circolare di mano in mano.
-Kei?- disse Hilary porgendogli il barattolino col sorriso.
-No grazie..-
-Hai intenzione di metterti al sole?- rise Rei vedendolo armeggiare con l’asciugamano per posizionarlo completamente in ombra.
-Assolutamente no- disse togliendosi la maglietta e rimanendo in costume.
Hilary schiacciò troppo forte il flacone di crema, riempiendosi la mano, nel guardare di sottecchi ogni movimento del russo. Insomma, Kei non era una mostro di simpatia e nemmeno una persona di compagnia, non ispirava fiducia ed aveva tutti i difetti che odiava, ma lei era comunque una ragazza di sedici anni, in piena estate, sotto il sole cocente e con un metro e ottanta di bel pezzo di figo davanti. Cercò di darsi un contegno, evitando lo sguardo divertito che Rei le stava riservando.
-Smettila- gli sussurrò, riversandogli la crema in eccesso sulle spalle, ma lui non la smise di ridacchiare alzando le braccia in segno di resa.
Passarono l’ora successiva dedicandosi al dolce far nulla, Kei ascoltava la musica cercando di non mettere nemmeno un arto al sole, Hilary leggeva un libro, mentre Takao e Max commentavano tutte le creature presenti sulla spiaggia, dando problemi a Rei che cercava di star serio con pochi risultati.
Le creature in questione furono per svariati minuti un gruppo di ragazze, poco lontane da loro, che erano soggette di apprezzamenti alquanto strambi. Non ci volle molto prima che Max partisse alla carica col suo insano ottimismo e il suo splendente sorriso; tornò dopo pochi minuti con poche informazioni e un racconto molto colorito di quello che evidentemente non aveva veramente fatto.
-Beh almeno ora sappiamo i loro nomi!- si vantò lui.
-Ancora un po’ ed evaporo!- Lo interruppe Rei alzandosi e andando ad occupare una parte dell’amata ombra di uno scocciatissimo Kei.
-Andiamo a fare il bagno?- disse Takao.
-Ma è la quinta volta, non facevate prima a starvene in acqua invece che fare avanti e indietro!?- gli fece notare Hilary abbandonando finalmente la lettura.
-Continua a fare la secchiona acculturata e non rompere le palle a noi!- le gridò l’altro correndo verso il mare.
Quando lui e Max tornarono gocciolanti, lo spazio sotto l’ombra era sempre più affollato e Kei si era dovuto sedere per farci stare anche Hilary che si faceva aria col libro chiuso.
-Se fossi venuta a fare il bagno ora non avresti così caldo!- Takao venne fulminato con gli occhi.
La ragazza, che si era rifugiata all’ombra velocemente, propose a Kei e Rei di dividersi meglio il piccolo appezzamento al riparo e li fece alzare controvoglia per trovare una sistemazione più comoda.
Unì i loro asciugamani e assegnò i posti soddisfatta, osservando Rei risedersi, Kei mettere a posto l’mp3 dandogli la schiena, e perdendosi un altro po’ a contemplare il suo fisico, doveva ammetterlo, perfetto. Proporzionato, con la muscolatura giusta e la pelle chiara, un mix tra oriente e Europa. Il suo punteggio calava decisamente per i tatuaggi, troppi per i suoi gusti, e un fattore a sorpresa che non aveva ancora notato: una grossa cicatrice sulla schiena, una linea verticale che partiva a metà della parte destra del dorso e scendeva per venti centimetri buoni abbastanza dritta, ma coi bordi frastagliati.
Assottigliò gli occhi per vederla meglio, curiosa e intimorita allo stesso tempo.
-Ma che ti sei fatto?- esclamò senza pensarci.
Kei si voltò, capendo dalla traiettoria del suo sguardo a cosa si riferisse, e la fissò glaciale.
-Un sadico maniaco mi ha conficcato un coltello nella schiena perché non aveva niente da fare- rispose in un tono divertito che metteva i brividi.
Hilary lo guardò accennando un sorriso, ma tornando immediatamente seria quando il silenzio degli altri e lo sguardo sicuro di Kei le fecero intuire che non stesse affatto scherzando. Strabuzzò gli occhi.
-..scusa.. cioè..- cercava di biascicare lei incerta -.. non avrei dovuto..-
-La prossima volta così ti fai i cazzi tuoi- la interruppe lui con uno sguardo di sufficienza.
-Kei..- cercò di rimproverarlo Rei, ma l’altro lo ignorò e se ne andò verso il bagnasciuga stiracchiandosi, per poi entrare in acqua.
 
Certo Hilary poteva essere meno leggera nel chiedergli della cicatrice, ma Kei non poteva nemmeno aggredirla in quel modo. Quando rispondeva con quel tono faceva venire i brividi, sembrava un gangster, per non parlare della sua disumana mancanza di gentilezza.
Rei rimase un attimo interdetto, ma per fortuna sia Max che Takao avevano come al solito la battuta pronta e cercarono di stemperare l’aria e far tornare di buon umore Hilary, offesa per l’ennesima volta dall’atteggiamento di Kei.
In ogni caso, nemmeno il cinese aveva mai visto quella cicatrice pur essendo stato presente nel periodo in cui se l’era procurata e si era stupito a sua volta: ovviamente per lui doveva essere fastidioso portare quel segno indelebile. Inevitabilmente gli venne in mente una frase che Kei gli aveva detto in Russia mesi prima: porto sempre i segni delle cose brutte che mi succedono, in questo caso delle stronzate che faccio, che al tempo pensava si riferisse solo ai segni dei buchi, mentre ora acquistavano un nuovo significato. Doveva essere davvero un peso per lui, considerando anche come era accaduto, e le parole dure che aveva usato erano in fondo nulla in confronto a quello che aveva dovuto subire lui.
 
Era un ricordo abbastanza vivido. Era difficile dimenticare quelle 24 ore, 24 ore di panico assoluto come non ne aveva mai provato.
Sembrava tutto perfetto, Daitenji aveva calcolato e progettato fino all’ultima mossa, ma qualcosa era andato storto, proprio quando ormai tutti erano nel pieno dell’euforia, accadde.
Vorkov non poteva più inventarsi nulla per sfuggire al suo destino, non poteva negare tutte le atrocità che aveva commesso e non poteva rivendicare più nessun diritto su tutti quei ragazzi.
Non si sapeva come, però, era riuscito a fuggire e la retata al monastero aveva visto solo una serie di volti increduli di fatiscenti monaci immediatamente arrestati e ragazzi e bambini liberati. Era subito caccia all’uomo, l’ultimo suo avvistamento risaliva a poco più di mezz’ora prima. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
I bladebreakers erano riuniti nel cortile del monastero a osservare la polizia compiere il suo lavoro, quando riuscirono a intravedere la chioma rossa di Yuri varcare una porta insieme ad altri ragazzi. Lo raggiunsero e, nonostante fosse un po’ restio, lo convinsero ad accettare di cercare gli altri insieme.
In tutta quella confusione di persone di ogni età ci misero un quarto d’ora per ritrovare Sergay e Boris, ma di Kei nessuna traccia. Scattò l’allarme e le ipotesi iniziarono a fioccare sempre più preoccupanti: chi aveva visto Vorkov per ultimo giurava che fosse da solo, mentre altri testimoniarono di averlo visto insieme al ragazzo. Nessuna versione combaciava perché gli orari non erano precisi. Così iniziarono le ricerche all’interno del monastero.
Rei, Takao e Max si divisero con i russi per setacciare la struttura.
Il gruppo formato da Yuri, Boris, Rei e uno dei capi della polizia si diresse verso i sotterranei: una serie infinita di corridoi incorniciati da celle.
-Tu vai dritto da questa parte, poi torna indietro, così non ti perderai- Rei fu mandato da una parte mentre gli altri si spartivano le altre. L’agitazione e la preoccupazione si erano impadronite di lui tanto che non si accorse nemmeno di essersi messo a correre; lanciava sguardi veloci all’interno delle inferriate sperando di scorgere il volto dell’amico. Lo spettacolo che aveva davanti, però, lo faceva stare male; come poteva esistere un posto del genere? Come potevano i russi essere cresciuti in quel luogo così ostile?
Arrivato alla fine del corridoio, tornò indietro come gli era stato detto, fino al punto in cui si erano divisi e aspettò. Degli altri neanche l’ombra.
Un principio di attacco di panico lo pervase, ma si fece coraggio per non lasciarsi sopraffare dal torpore che gli aveva circondato la testa. Mentre si concentrava per non crollare, distinse delle voci poco lontane. Prese un corridoio senza pensarci e dopo aver svoltato un angolo, distinse i suoi compagni di ricerche.
-E’ impossibile..- diceva Yuri -..abbiamo guardato ovunque!-
-Non c’è altro?- chiedeva invece il poliziotto.
-No, solo queste..-
-Sì invece!- lo interruppe Boris.
-Cosa?-
-C’è ancora un piano!- insistette il ragazzo, all’amico incredulo per quella notizia.
-Com’è possibile? Dov’è?-
-Ci sono stato poche volte.. mi sembra sia di qui!-
E il gruppo ricominciò a correre seguendo Boris che si lasciava guidare da ricordi lontani.
Arrivarono davanti a una porta in legno seminascosta.
-Ma come..?!- Yuri si ridestò dalla sua sorpresa riprendendo il controllo e oltrepassando quella soglia.
Rei li seguiva, gli sembrava tutto così irreale e impossibile, tanto che scese lentamente quella stretta scalinata udendo gli altri che si dividevano nuovamente in quel labirinto. Si fermò indeciso sul da farsi, finchè non sentì Yuri urlare e richiamarli.
-E’ qui!-
Rei riprese a camminare nel corridoio a destra, ma fu superato da Boris e dal poliziotto che correndo si infilarono nella cella da cui proveniva la voce del rosso.
-Kei.. Kei, mi senti? Kei!-
-Ha perso tanto sangue.. dobbiamo portarlo su subito.. dobbiamo togliergli queste..queste cose.. cercate qualcosa per spezzarle..-
Il cinese fu superato nuovamente da Boris di corsa. Non aveva il coraggio di affacciarsi a quella cella dopo quello che aveva sentito, ma cercò di farsi forza e si sporse all’interno.
La luce del neon che si spegneva e accendeva a intermittenza illuminava Yuri che accarezzava nervosamente la testa di Kei e constatava –E’ gelato!- per poi togliersi la giacca e il maglione per coprire la sua schiena coperta completamente di sangue.
Indietreggiò fino ad essere in contatto col muro freddo e umido. Non aveva la forza di fare niente se non guardare impotente quella scena a cui non poteva contribuire attivamente, nuovamente la testa iniziò a girargli mentre l’agente che era con loro intimava il rosso di tenere Kei sveglio, anche se dalle sue condizioni sembrava impossibile.
Boris tornò dopo pochi minuti, seguito da un altro poliziotto, e reggeva un martello pesante recuperato chissà dove. L’uomo iniziò a colpire con un rumore sordo le catene che immobilizzavano Kei. Dopo due colpi a vuoto, il terzo beccò il ferro e lo ruppe.
Furono diversi i tentativi di alzare Kei senza fargli male.
Rei non capiva se fosse cosciente o meno, comunque Yuri continuava a parlargli come se lo potesse sentire e, quando qualcuno gli toccò la parte ferita, lo sentì mugolare dolorante. Tentarono di sorreggerlo in due tenendolo sotto le braccia, ma poi optarono per metterlo sulle spalle di uno dei poliziotti che lo portò di sopra di corsa.
Le ore successive furono silenziose e caotiche. Poté tirare un sospiro di sollievo solo quando Kei riaprì gli occhi ore dopo in ospedale.    
 
La risata dei suoi amici lo risvegliarono da quei ricordi e lo riportarono al presente.
Il caldo soffocante della spiaggia si era fatto di colpo piacevole se confrontato a quel ricordo.
Vide Kei tornare verso di loro senza dire una parola o rivolgere lo sguardo verso Hilary, ancora imbronciata. L’atmosfera gioiosa si era nuovamente guastata, così tornarono verso il bungalow.
 
Avevano deciso per quella sera di mangiare fuori e si diressero verso il centro del villaggio.
Optarono per il ristorante self service e si misero in coda: sembrava che tutto il villaggio avesse deciso di mangiare lì quella sera e presto si ritrovarono sommersi dalla folla che li trasportava attorno ai banconi col cibo. Divisi in più file, Takao e Rei erano riusciti a rimanere uniti davanti, Max si era catapultato verso carne e patatine senza pensarci, mentre Hilary stava facendo tutto con calma e non lottava nemmeno per passare come invece facevano gli altri; sembrava che non vedessero cibo da giorni, così presi dall’euforia. Anche lei aveva fame, ma la stanchezza della lunga giornata iniziava a farsi sentire.
Individuò i suoi amici sparsi per la sala, ma non tentò di raggiungerli, e tantomeno cercò l’unico che mancava alla sua visuale: quel pomeriggio le aveva risposto male per l’ennesima volta. Per non parlare di quando la guardava in quel modo, sembrava la volesse incenerire con un’occhiata e aveva il timore che ne fosse realmente capace. Lei che ne poteva sapere del suo passato in fondo; sì, era stata incauta, però c’era un limite a tutto. Le venne un brivido ripensando a quegli occhi viola, belli, strani, misteriosi, ma che mettevano in soggezione.
Credette che fu il pensarci così intensamente ad averli fatti apparire davvero davanti a lei, prima di darsi della stupida.
Kei era in coda dietro di lei e la stava guardando indifferente.
-Qua dietro scalpitano..- disse indicando con la testa la fila -..sembra che non mangino da sei mesi-
Le stava parlando tranquillamente, col suo solito modo disinteressato, come se niente fosse stato, ma Hilary era ancora inalberata per quel pomeriggio e gli lanciò un’occhiataccia prendendo il primo piatto che le capitò sotto mano; cercò di allontanarsi il più possibile da lui, ma era obbligata a seguire la coda. Kei la raggiunse tranquillo dopo pochi secondi senza accorgersi apparentemente della tentata fuga.
Sospirò stanca, chiudendo gli occhi.
-Hilary..- al pronunciare del suo nome riguardò l’altro, notò stranamente che non lo aveva mai sentito pronunciare da lui e le sembrò strano, quasi non fosse nemmeno il suo.
-..mi dispiace per oggi, l’averti risposto così..-
Si stava davvero scusando? Ne era capace?
-..è che ero nervoso e mi hai fatto quella domanda nel momento sbagliato, ovviamente tu non ne puoi sapere niente e quindi scusa- fece spallucce e ritornò a concentrarsi sul suo vassoio.
Hilary rimase impietrita, l’aveva detto semplicemente, ma le sembrò sincero. Probabilmente era stato Rei a chiedergli di scusarsi. Comunque non se lo aspettava e tutti i propositi di tenergli il broncio e le tattiche studiate per evitarlo, si andarono a far benedire con il sorriso che gli riservò.
-Accetto le scuse, in fondo è anche un po’ colpa mia..- lo disse più per circostanza e per essere carina.
-Mi rendo conto di essere complicato- ammise lui tranquillamente.
-Chi non lo è!-
Fecero il resto della coda in silenzio.
Hilary era tornata serena, non essere arrabbiata era molto meno stancante. Poi finalmente si era tolta un peso dallo stomaco, era riuscita a mettere l’ultima parola in un discorso col russo, un discorso pacifico per una volta, ma comunque un discorso.
Era un inizio.
 
Era quasi mezzanotte quando rientrarono. Dopo cena erano rimasti a guardare lo spettacolo dell’animazione, ma la stanchezza del viaggio e della giornata iniziava a farsi sentire ed erano intenzionati ad andare a dormire il prima possibile. Avrebbero rimandato le nottate pazze a quelle seguenti.
Rei era abbastanza preoccupato per quelle ‘nottate pazze’, come le aveva definite Max, perché non sapeva cosa aspettarsi. Comunque quella non lo sarebbe stata di certo guardando le facce dei suoi amici. Hilary soprattutto era seria da tutta la sera e abbastanza spenta.
Probabilmente era ancora arrabbiata con Kei; conoscendola aveva capito che era molto permalosa, anche se solo con loro, perché ci teneva al loro rapporto. Spesso alcune litigate con Takao, di quelle non giocose, la facevano stare male per giorni.
Le si avvicinò nella veranda e si accomodò sulla sedia a fianco a quella dove si era buttata lei.
-Senti Hila, per quanto riguarda oggi pomeriggio con Kei, sai, lui è fatto così, ma in fondo è buono..- sapeva come potesse stare male il russo quando si toccavano certi argomenti, ma questo non lo giustificava -..solo che bisogna capirlo..-
-Tranquillo..- lo bloccò lei -..si è scusato prima, è tutto a posto!-
-Si è scusato?-
-Sì..- disse lei confusa -..pensavo gli avessi chiesto te di farlo!-
-Io non gli ho parlato..-
-Allora è davvero meglio di quello che pensavo-
Sorrisero.
-Sono stanca morta.. devo assolutamente dormire, voi uomini forti vedete di non russare se no mi vendico..-
-Io non russo!- si inserì Takao che era appena uscito in pigiama.
-Sì che russi!- disse Rei.
-Ma non è vero!-
-Perché tu non ti senti..-
 -Come siete noiosi!-
Si prepararono e presto il silenzio si appropriò della casetta.

 



Vi avevo promesso qualcosa di diverso dalle solite turbe mentali del nostro complessato preferito..beh all'incirca missione compiuta! ^^
La domanda è: vi ha soddisfatto!? :O
Ho paura di ricevere minacce omicide..o è solo una mia paranoia u.u
Coooomunque..nemmeno a farlo apposta è iniziato il caldo nel periodo in cui i nostri eroi se ne vanno al mare *.* che invidia! Estate ti sto aspettando!
Ovviamente Kei non riesce a gioire della sua fortuna (ce lo vedo lì in spiaggia a lanciare coriandoli -.-) e fa sempre il guasta feste! Bisogna tenerselo così, che ci dobbiamo fare!? Intanto ce ne hanno ancora per una settimana piena piena..e siamo solo al giorno 1..preparatevi! ^^

Uh questo è il capitolo 17, il mio primo capitolo 17 :O che cosa tenera..nell'altra fic ero arrivata al 16, mentre qui son solo all'inizio! ^^ bene bene..lo so che sono esaltata solo io, ma sapete com'è..la pazzia degenera!

Vabbè..mentre il raffreddore mi attanaglia vi saluto!
Grazie come sempre a tutti quanti ^^
Commentate pure..non vi mangio!
Un bacione :)

 

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Capitolo 18
*** Day N Night ***


E l’odore dei fossi forse lo riconoscono in pochi








Day n Night




-Tu! Me la pagherai!-

-Signore abbiamo poco tempo..-
-NO!-
Freddo, luce, ombra, luce, ombra, caldo, luce, ombra, freddo.
-Addio..-
Spalancò gli occhi di soprassalto, col respiro affannato.
Stava sudando, per il sogno e per il caldo, e sentiva mancare l’aria. La stanza si delineò lentamente ai suoi occhi e il suono del mare in lontananza e del russare di qualcuno lo fecero tranquillizzare rispetto al posto dove si trovava.
Scese dal letto a castello cercando di non svegliare Max che dormiva sotto di lui.
Si sentì a posto solo quando raggiunse la veranda e un venticello fresco gli scompigliò i capelli.
Accese una sigaretta per calmare i nervi tesi, tranquillizzandosi mentalmente.
Fece per tornare nella stanza, ma si convinse di non aver sonno, per non ammettere di non volersi riaddormentare e rischiare qualche altro brutto sogno. Infilò una canotta e si avventurò nella pineta nel silenzio assoluto. Il display del suo cellulare segnava quasi le cinque del mattino.
Andò in uno dei bagni comuni del villaggio e si sciacquò la faccia osservando il proprio riflesso nello specchio sopra il lavabo, imprecò contro se stesso per quell’ennesimo momento di debolezza.
Basta compatirsi, basta pensare al passato. Più se lo ripeteva, meno lo metteva in pratica.
Ricominciò a camminare fino ad arrivare in spiaggia.
Si sedette sul bagnasciuga dove il vento era più forte e piacevole.
Guardandosi intorno notò in lontananza un gruppetto di asciugamani e sacchi a pelo attorno ai rimasugli di un falò, ma nessun movimento da parte dei ragazzi addormentati.
Si riconcentrò sull’orizzonte cercando di non pensare al sogno che lo aveva svegliato, o meglio al ricordo. Dov’erano quei famosi viaggi dell’inconscio in immagini inesistenti e impossibili, con facce sconosciute e luoghi sottosopra? Perché lui non faceva altro che sognare cose accadute, perfettamente visibili e, almeno per lui, quasi palpabili?
Era inutile combattere. Intanto non cambiava nulla. Doveva accettare che non ci fosse via d’uscita, che Yuri si fosse sbagliato su tutto, che lui non era altro che una causa persa che era scappato alla morte troppe volte inutilmente, che non aveva senso opporsi a quello che era: un complesso di problemi e disgrazie.
 
Non sapeva cosa sarebbe successo, ma sicuramente non sarebbe stato qualcosa di piacevole, almeno non per lui. Sapeva che quello a divertirsi sarebbe stato Vorkov, considerando che possedeva una dose piuttosto eccessiva di sadismo. Nonostante questo la sua espressione non era per nulla divertita come le altre volte che si apprestava a fargli passare ore d’inferno.
Tutto perché l’uomo era consapevole che quella sarebbe stata la sua fine, l’aveva sentito parlare con le altre guardie e lo aveva visto in collera come non mai. Urlare al telefono e radunare scartoffie e oggetti, alcuni infilandoli in una borsa altri distruggendoli nel camino.
Dopo lo aveva preso per un braccio e, con la sua solita grazia e cura, se lo era trascinato dietro per tutti i corridoi del monastero silenzioso.
 
Non tentò nemmeno di reprimere quel ricordo. Era riaffiorato all’improvviso quella notte per perseguitarlo, almeno che lo facesse fino in fondo. Non aveva intenzione di opporsi.
 
Era primo pomeriggio. L’ora in cui tutti i ragazzi, dopo aver mangiato, riprendevano i loro allenamenti e si chiudevano nella grandi stanze; i ritardi erano rarissimi e tanto meno le assenze, perché questo avrebbe procurato una punizione coi fiocchi.
Sembrava un pomeriggio come gli altri, col sole che scioglieva gli ultimi rimasugli di neve nel cortile; ma nascondeva la fine di quel grande impero, anche se pochi ne erano a conoscenza.
Il piano di Daitenji per incastrare Vorkov e suo nonno stava andando in porto, ma probabilmente avevano ignorato un piccolo particolare: il monastero aveva diversi infiltrati tra i “buoni” che non erano ancora stati scoperti: ergo, lui era ancora nelle mani di quel pazzo che, invece che scappare subito, aveva altro in mente.
Li seguivano due dei più stretti collaboratori di Vorkov, alquanto agitati. Si diressero verso le scale che portavano alle celle sotterranee; era da un po’ che non ci andava, non aveva più dato nessuna occasione a quel pazzo per farcisi mettere, peccato che i bei tempi sembravano essere finiti. Non si fermarono e oltrepassarono ancora una serie di stretti corridoi circondati da sbarre e arrivarono ad una piccola porta di legno che non ricordava di aver mai notato perché nascosta in un angolo buio.
Dietro la porta, un’altra scalinata, più stretta delle altre, che portava in un ulteriore corridoio dove non era mai sceso.
 
Si sdraiò nell’oscurità, sulla sabbia umida. Si raggomitolò su un lato chiudendo gli occhi. Il respiro pesante e notevoli difficoltà a mantenere la calma.
 
Tutti i sotterranei erano illuminati da una serie di luci al neon sporche e opache, che garantivano solo la visuale strettamente necessaria. In quel sotterraneo dimenticato da tutti, Kei si sentì strattonare ancora una volta per il braccio sinistro, che ormai era dolorante per la presa ferrea di Vorkov, che non lo aveva lasciato per un momento. Prima ancora di realizzare quello che stesse realmente accadendo, sentì i polsi impesantirsi a causa delle grosse catene che lo imprigionarono. Ancora uno strattone e si ritrovò a ridosso del muro; per non cadere si tenne alla parete goffamente a causa delle mani legate insieme.
Si voltò giusto in tempo per essere colpito da uno schiaffo in pieno viso. Di nuovo si girò, ritrovandosi a pochi centimetri da Vorkov. La sua espressione era inquietante. Rabbia cieca era ben visibile in quegli occhi, rabbia che sarebbe stata sfogata su di lui da lì a poco.
Da quando potesse ricordare, invece delle carezze aveva sempre ricevuto botte, quindi non lo spaventava, né lo stupiva, poter essere picchiato, ma, mentre in passato era sempre stato certo che ad un certo punto l’uomo si sarebbe fermato, in quel momento non ne era così sicuro. In fondo era un uomo che stava perdendo tutto e lui non era più indispensabile, anzi probabilmente era un peso.
 
Cercò di far entrare l’aria anche dalla bocca in preda a quello che sapeva essere un attacco di panico in piena regola.
 
-Tu! Me la pagherai!- le parole di Vorkov diedero conferma ai suoi pensieri.
-Signore, abbiamo poco tempo..- tentò una delle guardie che continuava a guardarsi intorno preoccupato, come se potesse irrompere qualcuno da un momento all’altro.
-NO!- urlò Vorkov adirato, non staccando lo sguardo dagli occhi di Kei –Ce ne andremo, ma non prima che questo bastardo paghi!- la sua voce diventò un sibilo –Sarai il mio messaggio per il caro Daitenji.. sai, mi dispiace non poterti portare con me, saresti un perfetto..mmm, sì, un perfetto passatempo..- Si era avvicinato tanto da sussurrarglielo nell’orecchio, per poi tornare indietro impassibile -..ma non si può avere tutto.. Radomir!-
Allungò una mano verso uno dei due uomini. Poi accaddero tante cose in fretta.
Kei aveva fatto in tempo a vedere l’oggetto che l’uomo afferrò, solo pochi istanti prima di sentire come una linea infuocata sul petto, essere girato e sentire di nuovo quella sensazione sulla schiena, più e più volte. Dopo un certo numero di frustate, i suoi ricordi iniziavano a vacillare, non tanto perché i suoi sensi risentissero di quel trattamento, ma molto più probabilmente come risposta della sua mente a quello che venne dopo. Una sorta di difesa.
Ricordava solo sensazioni, piccoli flash. La pietra fredda a contatto con le sue mani, la luce a intermittenza del neon difettoso. La schiena in fiamme sotto i colpi irregolari e decisi della verga, l’appannamento degli occhi.  Le voci confuse dei due spettatori e quella più chiara del suo carnefice. Ancora buio e dolore, poi quando il peggio sembrava passato e l’arma insanguinata venne lasciata cadere, ecco il male peggiore, ma sempre più familiare, un male che teneva sempre nascosto nella parte più lontana della sua mente, ben protetto e chiuso lontano da sguardi indiscreti. Perché oltre a male era anche vergogna e pena e frustrazione, piacere che è più doloroso del male stesso. E poi parole fredde come la pietra –Se non ti posso avere io, non ti avrà nessun altro!- e taglienti come la lama che sentì conficcarsi lenta nella sua carne. Ancora una risata, un –Addio- e dei passi svelti, il braccio che fino a poco prima lo avvolgeva e lo teneva stretto scomparì, lasciando che la forza di gravità lo schiacciasse a terra.
Da lì la realtà e il sogno erano divise da una linea sottile e fragile. Prima silenzio e vuoto. Un tempo indefinito. Poi voci e volti, difficile dire cosa si fosse immaginato e cosa invece esistesse davvero in quel momento. Yuri, Rei, Boris, facce sconosciute, voci che chiamavano il suo nome, suoni acuti e chissà che altro.
Le poche certezze arrivarono ore dopo, quando si risvegliò sdraiato in un letto d’ospedale.
 
Respirava a fatica ed era visibilmente scosso. Si portò le mani davanti agli occhi, convincendosi a calmarsi. Per non provare più commiserazione per se stesso. Si prese tutto il tempo necessario e provò a pensare a qualcosa di positivo: ben poche cose gli vennero in aiuto, ma lentamente si tranquillizzò.
Si girò sulla schiena e osservò il cielo rischiararsi lentamente, a tempo con il suo battito che tornava normale. Il blu scuro fece spazio al celeste, liberandosi delle stelle e accogliendo i colori caldi del sole che si stava annunciando.
Rimase a osservare l’alba accendendo una sigaretta e mettendosi seduto.
Alla seconda stecca poteva considerarsi relativamente calmo. Almeno così gli sembrava, ma non poteva sapere se esteriormente avesse la stessa sicurezza. Cercò di capirlo mentre una persona del gruppetto del falò si era alzata e si stava dirigendo verso di lui.
Era una ragazza, probabilmente della sua età, molto carina, capelli scuri legati in una coda e la frangetta lunga e liscia poco sopra gli occhi. Portava degli shorts e una felpa di qualche taglia più grande.
-Ciao, scusa se ti disturbo, ma non è che avresti una sigaretta?- gli chiese lei col sorriso.
Kei annuì e gliene porse una. Lei si inginocchiò a pochi centimetri e si lasciò accendere la sigaretta da lui.
-Grazie mille, sei il mio salvatore! Comunque, mi chiamo Tsuya, molto piacere!-
Il ragazzo cercò di ricordarsi perché quel nome gli fosse familiare e si presentò, stringendo la mano che gli aveva porto.
-Kei-
Tsuya lo guardò incuriosita, probabilmente valutando se parlargli o meno.
-Sei l’amico del biondino giusto?-
Kei si chiese come lo conoscesse, poi capì che quel nome l’aveva sentito il pomeriggio prima, da Max di ritorno dalla sua missione di conquista.
-Mmm..sì..-
-Sarete in spiaggia anche oggi allora?-
-Probabilmente-
-Bene.. così potrò restituirti il favore!- esclamò sorridendogli in modo strano. Che poi molto strano non era, più che altro poteva considerarlo interessato.
-Perfetto-
-Grazie ancora!- sorrise e fece l’occhiolino, prima di raggiungere il gruppo dei suoi amici che pian piano si stavano svegliando.
Kei spense la sigaretta e si massaggiò le tempie, prima di dirigersi verso il bungalow. Per fortuna nessuno aveva notato la sua mancanza, infatti dormivano ancora tutti della grossa.
Più tranquillo di poche ore prima, si coricò e prese sonno quasi subito.
 
-Svegliaaaaa..il sole è alto, la temperatura è calda e c’è un mondo là fuori che ci sta aspettandooooo!-
La voce squillante di Max poteva fare invidia a qualsiasi dj dei programmi radiofonici della mattina.
-Ancora cinque minuti!- biascicò Takao, che dovette però arrendersi all’entusiasmo dell’amico.
Dieci minuti ed erano tutti in piedi tranne Kei che non accennava a volersi alzare.
Rei fermò i tentativi del biondo di tirarlo giù dal letto. Aveva notato che durante la notte, non sapeva bene per che ora, si era alzato e voleva lasciarlo un po’ tranquillo.
Takao, però, sfuggì al suo controllo e salì qualche piolo della scaletta del letto, sporgendosi verso il ragazzo che gli dava la schiena. Con l’espressione in evidente sforzo per compiere il suo piano diabolico, allungò la mano che brandiva il dentifricio.
-Aaaah- Takao urlò spaventato quando Kei afferrò il suo polso prontamente, prima che potesse compiere un gesto di cui si sarebbe pentito amaramente.
-Vai ad ingozzarti e lasciami in pace- disse il russo mollandolo e accomodandosi meglio sul cuscino.
-Io non mi ingozzo!-
-Non rompere-
-Scorbutico!-
Takao ritornò sui suoi passi sconfitto, mentre Rei e Max ridevano di gusto.
Fecero colazione e, come aveva previsto Kei, Takao mangiò per mezz’ora, tanto che alla fine il russo era pronto prima del giapponese.
-Certo che non ti si può nemmeno fare uno scherzetto eh!- lo incalzò Takao mentre andavano verso la spiaggia.
-No, non puoi-
-Ma che noia..-
-Pensa io-
-Che vorresti dire?-
-Che sei noioso-
-Io? Ha parlato mister ‘la festa è qui’-
-E questo che vorrebbe dire?-
Continuarono finché Hilary non diede il cambio a Kei, non lasciando possibilità di replica a Takao.
Sistemarono tutta la loro roba come il giorno prima e si apprestarono a godersi il sole.
Takao, Max e Rei corsero subito in acqua accaldati.
-Kei, stavo pensando..- disse Hilary avvicinandosi cautamente all’altro -..che a quella cicatrice non fa molto bene il sole.. anche se non sei direttamente esposto!-
La ragazza si era riproposta di essere gentile con Kei e di comportarsi con lui come con chiunque altro del gruppo. Lui la guardò confuso aspettando che continuasse.
-Quando mia madre è stata operata si metteva sempre questa..- e indicò un flacone di crema, quella che sembrava la sua nuova fissa, con una protezione molto alta -..se vuoi te la passo!-
Gli sorrise e, al suo cenno indifferente, si sedette a gambe incrociate dietro di lui.
Prese l’unguento e iniziò a spalmarlo su tutta la lunghezza della vecchia ferita cercando di farlo assorbire dalla pelle.
-Che state facendo?- chiese Rei confuso rimettendosi sul suo asciugamano.
-Crema!- rispose lei concentrata.
-Ma sei fissata davvero!-
Hilary gli fece la linguaccia, ma visto che l’altro continuava a ridacchiare gli chiese cosa ci fosse di divertente.
-La sua faccia!- disse indicando Kei.
In effetti, il russo aveva gli occhi chiusi e l’espressione beata.
-C’è il massaggio incorporato- si giustificò, guardando di sottecchi il cinese.
La ragazza appena sentita quella frase, eliminò il contatto con la schiena di Kei e spalancò la bocca imbarazzata.
-Ma era un complimento..- disse Kei contrariato per la repentina interruzione.
-E pensare che Takao le dice che ha la delicatezza di uno scaricatore di porto!- rise Rei.
-Ma Takao è stupido.. non fa testo-
-Questo glielo dovresti dire!- esclamò compiaciuta Hilary.
-Solo se ricominci-
Un po’ per la novità di aver ricevuto dei complimenti e un po’ per la speranza di limare i rapporti, ricominciò il suo massaggio, questa volta con più impegno e il reale intento di farlo.
Fece scorrere le mani su tutta la sua spina dorsale, risalendo fino al collo e deviare sulle spalle, ignorando l’espressione divertita di Rei.
-Sei rigidissimo!-
Ricevette solo un mugolio in risposta e si concentrò sul modo migliore per sbloccargli il collo rigido. Kei assecondava passivo ogni suo movimento e si lasciava plasmare.
Hilary arrossì lievemente quando realizzò di essere a pochissimi centimetri dalla sua ampia schiena, sulla quale poteva vedere la forma di ogni muscolo ben delineata e sentire il profumo della sua pelle.
-Scoperei con te in questo momento-
L’uscita del ragazzo fece andare in tilt Hilary del tutto, che si spostò velocemente da quella piacevole posizione e divenne completamente rossa.
Anche Rei aveva alzato la testa con espressione indecifrabile, mentre Kei sogghignava.
-Calma, calma.. scherzo!- disse, aspettando che i battiti della ragazza si ristabilissero -..anche se..-
Si fermò prima che la faccia sconvolta di Hilary assumesse livelli troppo alti.
Rei rise per stemperare la situazione.
-Davvero, tranquilla.. e grazie del massaggio-
Ci volle tutta la sua buona volontà per ritornare a respirare e a muoversi e tentò di sembrare contrariata per quell’uscita, ma l’imbarazzo era troppo per poter reagire. Non era abituata a proposte del genere, tanto meno fatte così su due piedi e tanto meno mentre contemplava affascinata la schiena del ragazzo in questione.
Nelle due ore successive tentò di limitare il contatto visivo con Kei, dissimulando il nervosismo: per fortuna Takao era sempre pronto a punzecchiarla e lei non gli era mai stata tanto grata per quello.
Aveva sentito Rei commentare un –Non sei stato molto carino- e si sforzò per sentire la risposta dell’altro che era qualcosa simile a un –Giapponesi- detto con un velato disprezzo.
Hilary non sapeva come fosse abituato in quel paese dall’altra parte del mondo, ma sapeva che pochi in Giappone avrebbero osato scherzare a quel modo. Il peggio era che non era stato così spiacevole come poi, riflettendoci, l’aveva giudicato. Il problema risiedeva nel fatto che Kei fosse così prestante, così dannatamente bello: perché un corpo così non apparteneva a uno come Rei?!
-Domani cosa facciamo?- chiese Rei al gruppo.
-Non veniamo in spiaggia?- rispose genuinamente Takao.
-Ma potremmo fare qualcosa di diverso ogni tanto..-
-Tipo?-
-Non so, chiedevo a voi.. tipo si potrebbe provare ad andare in qualche altra spiaggia o a vedere il posto.. c’è un parco naturale poco lontano!-
-Camminare?!-
-Takao devi farti il fisico se vuoi conquistare qualche donzella!- si intromise Max.
-Quando fai così mi ricordi quell’italiano da strapazzo.. com’è che si chiamava?-
-Oh my gosh no! Come osi.. io sono molto più simpatico!-
-Su questo non ci piove! Vi ricordate come si vantava! Che odio!-
-Era impagabile la sua espressione quando la ragazza con cui ci provava al torneo non aveva occhi che per Kei!-
-Ahah.. è vero!-
Risero e rivangarono i vecchi tempi come un branco di pensionati, mentre intorno a loro alcune famiglie se ne andavano per pranzare e altri arrivavano.
Hilary vide le tre ragazze che avevano adocchiato il giorno prima Max e Takao avvicinarsi e posizionarsi poco lontano, questa volta non erano sole, ma accompagnate da altri ragazzi.
Non riusciva a concepire la mentalità che portava ad arrivare in spiaggia con i capelli stiratissimi e tutte in tiro, manco dovessero andare a una sfilata di moda.
Ringraziò mentalmente se stessa di essere una ragazza semplice.
Tentò di reinserirsi nella discussione dei suoi amici, ma questa venne interrotta da un –ciao- allegro.
La più alta delle tre si era avvicinata a loro sorridente e li aveva salutati per poi concentrarsi esclusivamente su Kei.
-Ciao Kei.. ecco come promesso!- aggiunse lei porgendogli una delle due sigarette che aveva in mano.
Ecco un’altra spasimante: da quando si era unito al loro gruppo, Kei aveva attirato uno sciame di femmine che, per il loro standard abituale, era difficile da gestire, e questa era una delle tante. Solo una cosa la differenziava, infatti conosceva il suo nome. Il perché era sconosciuto, anche se sembrava che fosse in debito con lui di una sigaretta.
-Così siamo pari!- disse avvicinandolo per accendergli la stecca.
Hilary si convinse di aver perso fin troppo tempo ad analizzare la situazione e si sarebbe volentieri soffermata su altro se la suddetta ragazza non si fosse accomodata sull’asciugamano di Kei e se Takao, Max e Rei non si fossero imbambolati a guardare stupefatti la scena.
Maschi. Bastava un po’ di cromosoma xx per mandarli in brodo di giuggiole.
Tsuya, così si era presentata finalmente, si mise a chiacchierare e fece abboccare immediatamente tutti e quattro i ragazzi, persino Kei sembrava star spiccicando qualche parola.
Sempre più incredibile.
Fu, per Hilary, la sigaretta più lunga dell’universo. Quando finalmente buttarono le cicche e Tsuya si decise a congedarsi, tirò un sospiro di sollievo.
-Voi avete già mangiato?-
-No, ma abbiamo la roba pronta qui!- rispose vivacemente Max.
-Io e gli altri andiamo al bar.. poi nel pomeriggio abbiamo affittato il campo da beach volley.. se volete unirvi! Più siamo, meglio è!- e fece l’occhiolino.
Aveva realmente fatto l’occhiolino. Hilary non poteva capacitarsene, quello era addescaggio bello e buono e quei beoti ci stavano cascando in pieno, tanto è vero che accolsero la proposta con parecchio entusiasmo.
Le sembrò anche di scorgerla gesticolare vittoriosa con le sue due amiche quando le ebbe raggiunte, ma preferì prestare attenzione al dramma che si stava consumando di fianco a lei.
-Dimmi il tuo segreto! Insegnami!- Max, da bravo pazzo visionario, aveva messo su la modalità venerazione, guardando un confuso Kei.
Almeno uno di loro si stava rendendo conto del degenero. O meglio così le sembrò di primo acchito.
Peccato che non aveva calcolato che anche Kei, nonostante la maturità, fosse uomo e probabilmente ragionasse come tutti gli altri.
Il ragazzo pescò nella tasca dei jeans e estrasse l’ennesima sigaretta e l’immancabile accendino, solo che, invece di accendersela come al solito, la porse a Max.
-E’ il metodo più banale per attaccar bottone, ma comunque il più efficace-
Max osservò la sigaretta, poi Kei, poi la sigaretta, ancora Kei e allungò la mano.
-Non ci provare!- esclamò Hilary –Ok che hai l’ormone impazzito, ma non vorrai mica iniziare  a fumare!-
-Hilary..- le rivolse il suo sguardo puro e cristallino -..è per una buona causa!- e afferrò la sigaretta.
-Ma..-
-Come si fa?-
-Non mi sembra una buona idea!- aggiunse Rei.
-Dai, che costa provare.. mica prendo il vizio!-
-Dicono tutti così!-
-Vabbè quando avete deciso avvertitemi- disse Kei riprendendo e accendendosi la sigaretta che aveva offerto.
-No no, ci sono.. lesson number one!-
Il russo passò la sigaretta a Max che la prese tra le dita e la portò alle labbra, alzando lo sguardo incerto.
-Tira il fumo-
Max eseguì e, senza scomporsi, fece uscire il fumo dalla bocca con aria vittoriosa.
-Facile!-
Kei lo guardò male –Così hai solo sprecato un tiro-
-Ah-
-Devi aspirarlo, come quando respiri con la bocca, deve andare giù fino ai polmoni-
Ci vollero diversi tentativi prima che il biondo iniziasse a tossire ininterrottamente.
-Ecco fatto- concluse Kei recuperando quello che rimaneva della sigaretta per finirla.
-Ma come cavolo fai? E’ tremendo!-
Il russo rispose con un’alzata di spalle indifferente.
-Voglio provare anche io!- si intromise Takao che aveva osservato stranamente in silenzio.
-Assolutamente no!- cercò di riprendere il controllo Hilary. La situazione stava lentamente degenerando e lei aveva il compito di mettere il freno a quella pazzia.
-Il fumo fa male!-
-Allora fai smettere anche lui!-
L’occhiata gelida di Kei fu abbastanza eloquente da farlo desistere, manco fosse stata una minaccia di morte per quell’ultima frase.
-Certo che prendere lezioni da uno come te su come si socializza sembra una barzelletta!- aggiunse Takao offeso.
-Intanto è venuta da me e non da te- lo spense il russo.
-Maschi..- sussurrò Hilary raccapricciata da quella situazione.






 
Bene bene..che abbiamo qui?! Kei ha completato le parti mancanti del ricordo dello scorso capitolo e si fa venire gli attacchi di panico -.- un caso disperato..
Almeno si consola interagendo finalmente! Allora è un pò umano anche lui..beh non illudetevi troppo u.u

Vabbè come al solito non so quanto possa interessarvi, ma volevo linkarvi un'immaginina..dove potete vedere il tatoo di Kei..quello grosso e di cattivo gusto XD http://img685.imageshack.us/i/dsc02644v.jpg/ sperando che si veda! Sarebbe da collocare nella parte iniziale, quando esce in veranda dopo il brutto sogno!

Un ringraziamento enoooorme a tutti quelli che recensiscono e che mi hanno fatto arrivare a 100 recensioni..bene, fatto questo non fermatevi ovviamente! Intanto la fic è diventata maggiorenne con questo e farà in tempo a raggiungere la mezza età mi sa tanto XD voi non demoralizzatevi e non arrendetevi mi raccomando! u.u
Ringrazio anche tutti quelli che se la leggono tranzolli senza commentare ;)
Un bacione :)








ps: ho avuto qualche problema con l'html -.- scusatemi..mi è andata persa la versione più corretta e per ora non ho il tempo di rimettermici per bene! Spero non accada mai più!




 

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Capitolo 19
*** Liv Tonight ***



E l'odore dei fossi forse lo riconoscono in pochi






Liv Tonight





Il pomeriggio lo passarono comunque tutti insieme. Avevano formato un unico grande gruppo.
Gli amici di Tsuya erano Kanko, Ichizo, Hiroji, Masao e le due ragazze che Max aveva già avuto il piacere di conoscere, Rika e Yuki.
Kei rinunciò a ricordarsi tutti quei nomi: se c’era una cosa che gli mancava, questa era proprio la memoria per i nomi. Non riusciva a memorizzarli, ma in ogni caso era sicuro che non avrebbe avuto bisogno di chiamare chiunque di loro. Non gli interessava minimamente.
La partita di beach volley si era trasformata presto in una mini battaglia tra città, Tokyo contro Sapporo, vinta dopo tre set combattutissimi da Takao e gli altri.
Dopo la faticaccia della partita, fecero un bagno in mare tutti insieme per poi darsi appuntamento quella sera dopo cena.
-Rika è mia!- esordì Max sorridente.
-Ehi!-
-Sorry Takao! Ormai l’ho detto prima io!-
-Ma.. è l’unica libera!-
-Ah sì?- si inserì Rei.
-Sì, Yuki sta con quello bassino, col costume verde- disse Takao sconfortato.
Continuarono a discutere sulle loro nuove conoscenze mentre si preparavano per andare a farsi la doccia nei bagni comuni.
Hilary si divise da loro per entrare nella parte femminile, felice di allontanarsi finalmente da quei discorsi così senza senso, mentre gli altri si infilarono nelle cabine doccia dall’altro lato dell’edificio.
Quando Kei finì, cercò di capire se gli altri fossero già andati, ma non riuscendo a dedurlo uscì con calma, scendendo i pochi scalini che rialzavano la struttura.
-Hey! Già finito?- lo fermò una voce femminile.
Annuì girandosi e guardando la ragazza che, avvolta in un grosso asciugamano, si spazzolava i capelli bagnati. Tsuya si appoggiò alla parete del bagno e gli sorrise.
Kei riflettè un attimo, prima di prendere la decisione di risalire i gradini per mettersi accanto a lei, col fianco sinistro al muro.
-Allora ti sei divertito oggi?- gli chiese sempre sorridendo maliziosamente.
-Mmm..-
-Certo che riuscire a farti parlare è davvero complicato!-
-Me lo dicono spesso-
-Non fatico a crederlo.. ti avverto che gli altri ragazzi presto vorranno una rivincita!-
-Se non abbiamo niente di meglio da fare-
-Ti svelo un segreto..- e si avvicinò di qualche centimetro verso il suo orecchio -..io tenevo per te!-
-E come mai?- chiese lui guardandola negli occhi con finta ingenuità.
-Speravo che vincendo saresti stato di buon umore!- abbassò un secondo lo sguardo da quegli occhi magnetici per poi rituffarcisi dentro –Ha funzionato?-
-Sei sulla buona strada-
Ormai erano vicinissimi.
-Ci vediamo stasera- le disse Kei, per poi prenderle il mento con la mano e dandole un bacio sulla guancia. La guardò ancora un secondo, prima di andarsene e lasciarla a calcolare mentalmente la distanza tra il punto in cui le aveva dato il bacio e l’angolo della sua bocca. Era relativamente breve.
 
Il sole stava tramontando lentamente mentre Kei varcava la porta del bungalow. Si vestì e si andò a sedere in veranda a fumarsi una sigaretta.
Erano arrivati solo Takao e Hilary intenti, caso strano, a battibeccare. Per fortuna finirono con poche battute e la ragazza si sedette poco lontano dal russo.
Kei sentendosi fissato, incrociò il suo sguardo concentrato.
-Cosa c’è?-
-Guardavo i tuoi occhi.. cambiano sempre!- rispose lei calma. Probabilmente stava ancora cercando di trovare un contatto con lui –Con questa luce sono viola chiarissimo.. l’altro giorno erano quasi rossi!-
Il ragazzo non sapeva che rispondere, non era una domanda, ma una semplice constatazione: quello che i comuni mortali chiamano una conversazione. Ma lui, da bravo alieno, non voleva e non riusciva a trovare una risposta.
-Oh.. ora hanno il contorno rossastro!- disse lei per interrompere il silenzio surreale.
Per scorgere quel dettaglio si era avvicinata pericolosamente a lui.
-Lo fanno sempre!-
-Oh quindi è una cosa normale.. all’inizio pensavo portassi le lenti a contatto!-
-No-
Max arrivò a colmare l’ennesimo silenzio col suo entusiasmo e il suo piano di conquista per quella sera, che elencò a Takao.
   
Che gli stesse dietro, se la sarebbe data anche un cieco. Il punto era decidere se darle corda oppure no. Kei cercò di pensare agli aspetti positivi e a quelli negativi.
I pro erano che Tsuya era una bellissima ragazza, con un bel corpo e, molto probabilmente, gliel’avrebbe data senza battere ciglio. Poteva considerarli ottimi aspetti positivi, che sopperivano tranquillamente il rischio che lei volesse qualcosa di più, che diventasse appiccicosa e quelle cose lì.
In effetti, la scelta fu piuttosto semplice e si lasciò guidare dal suo istinto maschile.
Gli serviva proprio qualche distrazione dai mille pensieri che lo tormentavano.
Quel metodo era sicuramente in quel momento il più piacevole e fattibile e pensò che, se fosse stato a Mosca, sicuramente avrebbe trovato l’appoggio di Boris.
Lui e Tsuya erano seduti con il resto del gruppo nei tavolini della piazza principale del villaggio; l’animazione aveva appena finito il suo spettacolo e avevano dato il via al pianobar.
Ripensando a Boris, a Kei venne un improvvisa voglia di bere e si chiese divertito il motivo.
Guardò scettico le bottiglie sparse al loro tavolo: pochissimi alcolici.
-Dove vai?- gli chiese Rei vedendolo alzarsi.
-A prendere da bere- evitò di specificare cosa.
-Ti accompagno!- esclamò Tsuya andandogli dietro dopo aver fatto l’occhiolino alle sue due amiche.
Si diressero verso il bar dall’altra parte della piazza evitando le coppie che stavano ballando. Kei notò che la ragazza stava cercando un contatto sempre più ravvicinato, tanto che si appese al suo braccio.
Ok, il metodo Boris avrebbe definitivamente vinto.
-Cosa prendi?- gli chiese lei.
Kei scorse velocemente la lista dei cocktail, troppo corta per i suoi gusti, e ordinò un Long Island.
Prese il suo bicchiere e si diresse verso il lato più in ombra e isolato del bancone.
-Mmm pensavo non te lo avrebbe servito!-
-Vantaggio di sembrare più grandi-
-Me lo fai assaggiare?- prese la cannuccia e bevve un sorso chiudendo gli occhi -E te lo ha fatto anche bello forte!-
-Dici?- rispose lui scettico.
Rimasero in disparte per diversi minuti, lei parlando del più e del meno, lui ascoltando e bevendo.
-Vuoi tornare dagli altri?- le chiese, poi, notando che continuava a guardare verso le sue amiche.
-Eh? No no! Qui si sta bene!- gli sorrise ancora una volta guardandolo negli occhi. Nonostante fosse seduta su uno sgabello alto e lui fosse in piedi, non era alla sua altezza. Tsuya si accese una sigaretta e continuò a parlargli: aveva capito benissimo che lui non avrebbe proferito parola di sua spontanea volontà.
-Allora.. da dov’è che vieni quindi?- chiese aspirando il fumo.
-Mosca-
-Mmm..te lo sei fatto sto viaggio!-
Kei le prese la sigaretta dalla bocca e fece due tiri.
-Il viaggio più lontano che ho fatto io è questo! Fai te!- disse riappropriandosi della stecca. Sfiorò la mano del ragazzo e, invece che staccarsi, la tenne stretta e appoggiò l’intreccio delle loro dita sulla propria gamba.
-Che bella questa canzone!- esclamò ad un tratto la giapponese spegnendo la sigaretta –Dai vieni!-
Scese dallo sgabello e cercò di trascinare Kei verso la pista da ballo.
Il russo riuscì facilmente a trattenerla e a riportarla indietro, ma non tornò dove erano prima, bensì si diresse ancora di più verso il buio accanto agli alberi che circondavano la piazza.
-Ma..-
Tsuya, ancor prima di protestare, si ritrovò a sorpresa a contatto col corpo del ragazzo che le guidò le braccia dietro al collo, prima di avvolgerle i fianchi con le sue.
Iniziarono a ondeggiare lentamente.
-Pensavo che non volessi ballare!-
-Non mi piace la folla- commentò indifferente.
-Credevo saresti stato il tipo da pregare in ginocchio per fare solo un passo..-
-Non mi dispiace..-
Lo guardò stupita prima di appoggiare il viso nell’incavo del suo collo sentendo il suo profumo.
Si era abituata da pochi secondi alla pelle calda, che lui la staccò e le fece fare una piroetta. Lo vide sorridere alla sua faccia confusa, fino a quando improvvisamente la distanza fu nuovamente annullata e si ritrovarono a un centimetro l’una dal volto dell’altro.
Tsuya fece per sporgersi verso le sue labbra, ma Kei si scostò e continuò a farla ballare.
-Sei uno stronzo..-
-Non volevi ballare?- chiese con un ghigno.
Continuava a far scorrere le proprie mani sul corpo della ragazza, la voltò aderendo alla sua schiena, respirando sul suo collo, per poi farla girare, trovandosi più volte a distanza minima con il suo volto.
Lei lo malediceva con lo sguardo, ma si lasciava portare rapita. Credette che sarebbe andata così all’infinito, che non lo avrebbe mai fatto, fino a quando finalmente, quando erano posizionati perfettamente, quando anche la canzone sembrava chiederlo, lui congiunse le loro labbra.
Passò le dita tra i suoi capelli e sentì la stretta delle sue braccia sui fianchi. Lo maledisse nuovamente quando riannullò il contatto troppo presto e riprese a ballare, ma non riuscì a fare altro che riprendere fiato e lasciarsi trasportare.
Tentò di riavvicinarsi, ma Kei continuava a tenere sotto controllo la situazione –Shh.. dobbiamo finire di ballare- disse divertito.
Le ultime note si dispersero per lasciare il posto al silenzio che anticipava la canzone successiva. Tsuya guardò perplessa Kei, prima di sentirsi autorizzata a riprendere quel contatto tanto bramato, che questa volta non le venne rifiutato.
-Lo ripeto.. sei un fottutissimo stronzo!- ma non lo lasciò rispondere se non con un altro bacio.
 
Le tattiche tanto studiate da Max non erano servite a molto e anche Takao dovette abbandonare l’idea di subentrare al posto dell’amico, poiché Rika non sembrava interessata a nessuno dei due.
Da tutta la sera, infatti, aveva cercato di attirare l’attenzione di Rei, oltre che a scambiare le solite occhiatine con le sue amiche.
Rei, però, non era coinvolto nell’interessamento della ragazza, ma preferiva continuare a parlare con Hilary, lasciando l’altra parecchio delusa.
-Rika, Rika!- la chiamò Yuki, che si era isolata col suo ragazzo poche sedie più in là e lo aveva scostato improvvisamente per chiamare l’amica.
-Che c’è?- chiese annoiata, prima di seguire la traiettoria del cenno della testa di Yuki e esaltarsi.
Si fecero l’un l’altra l’occhiolino e batterono il cinque prima di tornare alle occupazioni precedenti.
Anche Rei cercò con gli occhi quello che avevano visto e scorse Kei e Tsuya avvinghiati.
-Se lo dico a Takao e Max si demoralizzano definitivamente!- disse divertito a Hilary, che si astenne dal fare qualche commento acido.
-Ora glielo dico!- aggiunse vedendo i diretti interessati tornare dai tavoli da ping pong dove avevano iniziato l’ennesima partita contro i ragazzi di Sapporo.
-Non è possibile! Perché tutte a lui!- affermò affranto Takao, dopo aver visto la scena.
-Arriverà il nostro momento Tak!- disse speranzoso Max risedendosi.
  
-Stai attento che morde!-
Una voce maschile interruppe il bacio.
-Vaffanculo Hiro!- rispose Tsuya scocciata.
-Lo sto solo avvertendo..- e con un ghigno tornò dal resto del gruppo con un bicchiere in mano.
-Mi sta dietro da una vita- disse lei roteando gli occhi.
Kei la guardò divertito.
-Perché allora siete in vacanza insieme?-
-E’ il migliore amico del ragazzo di Yuki.. ma ti prego non parliamo di lui che mi rovino la serata!-
-Nessun problema- rispose Kei baciandola nuovamente.
-Forse è meglio se torniamo dagli altri!-
-Mh-
Circumnavigarono la piazza per tornare al tavolo dei loro amici.
-Non mi hai detto dove state.. tenda o casetta?- gli chiese.
-Bungalow-
-Noi tenda!-
Kei la guardò stupito.
-Che c’è?-
-Non ti facevo da tenda..-
-Ah no?-
-Più hotel a 5 stelle-
-Guarda che sono una donna forte e resistente, io!-
-Mi fa piacere saperlo- rispose lanciandole un’occhiata maliziosa che colse subito.
-Credo che inizierò sul serio a fumare!- esclamò Max mentre si risedevano al tavolo.
-Anche io!- confermò Takao.
-Quanto siete stupidi!- disse Hilary alzando gli occhi al cielo.
Passarono insieme a chiacchierare per un’oretta prima di iniziare a dividersi.
-Resti ancora un po’ con me?- sussurrò Tsuya.
Kei accettò, dicendo a Rei che sarebbe arrivato più tardi.
Rimasero in sei al tavolo.
-Andiamo a farci un giro?- chiese Masao, il ragazzo di Yuki, alzandosi seguito dagli altri.
Tsuya si aggrappò al braccio di Kei per tutto il tragitto, alternando carezze e baci a mille discorsi.
Arrivarono al parco giochi dei bambini, deserto a quell’ora, e si sedettero nel corridoio della mini fortezza che si trasformava in uno scivolo.
-Kei certo che il tuo amico è proprio un osso duro!- esclamò Rika.
-Gli parlerò-
-Ci conto eh!-
-Guarda che gli altri due non sarebbero dispiaciuti se cambiassi soggetto!- scherzò Yuki.
-Mmm.. ma è il fascino cinese!-
Kei si chiese come facesse a notare la differenza tra cinesi e giapponesi, ma non indagò oltre, tornando concentrato su Tsuya.
-Ecco..mi sa che mi dovrò accontentare di te!- disse Rika a Kanko, osservando le due coppiette.
-Io ho un’idea migliore..- disse il ragazzo frugando nella tasca dei pantaloni e tirando fuori il portafoglio.
-Che prendi già il preservativo?-
Kanko scosse la testa mostrando quello che stava cercando.
-Cannetta?-
-Ci sto!-
-Solo una perché c’ho poca roba..- disse il ragazzo iniziando ad armeggiare col pacchettino di marijuana.
-Ma che taccagno!-
Kei rimase a osservarli in silenzio. La sua teoria sull’attirare sostanze illegali era ormai ufficialmente verificata. Almeno avevano tirato fuori solo una canna altrimenti sarebbe stato un vero problema.
-Che è quella faccia? Pensavo fossi uno navigato!- gli chiese Kanko con un mezzo sorriso.
-Mh? No, è che la giri in un modo strano-
Il ragazzo lo guardò male indeciso se essere offeso da quelle parole, ma una volta completata l’opera ritornò tranquillo.
-Prima le signore!- disse porgendo la canna a Rika.
-Ecco a te..- gli disse pochi minuti dopo Tsuya non appena finì il suo turno.
Kei ebbe pochi secondi per prendere una decisione. Poteva accettarla e farsi due tiri tranquillamente, oppure passare.
Le seghe mentali delle settimane prima, l’incubo della notte precedente, il pensiero dei giorni a venire lo portarono all’azione, giusta o sbagliata che fosse, di afferrare lo spinello e concedersi qualche minuto di pace. Era talmente abituato alle droghe pesanti, che quei pochi tiri erano paragonabili al solletico, niente di che, ma abbastanza per convincersi che potesse concederselo.
Non c’era pericolo, non era niente, solo quei pochi minuti per lui.
Anche volendolo, i pensieri negativi e contrari in quel momento non lo sfioravano nemmeno.
Se ne sarebbe preoccupato poi.
Si concessero ancora un giro prima di alzarsi e andare via.
Li accompagnò fino allo spiazzo con le loro tende e salutò Tsuya calorosamente, prima di tornare verso il bungalow.
Era completamente lucido. Era solo più rilassato del solito e, anzi, l’effetto si stava già esaurendo.
In fondo era solo una sigaretta più forte ed era quello di cui aveva bisogno: l’importante era non strafare.
Arrivato alla veranda notò che Rei era lì fuori a leggere una rivista.
Gli fece un cenno di saluto cercando di defilarsi.
-Com’è andata?- gli chiese il cinese sorridendo.
-Mh.. normale..- rispose prendendo un bicchiere d’acqua.
-Allora Tsuya ti piace eh!- era ovvio che Rei stesse cercando di avviare una conversazione con lui, come faceva ormai da giorni, ma non gli aveva ancora dato la soddisfazione di rispondere più di poche battute, anche perché non sapeva dove sarebbe voluto andare a parare.
Decise di accontentarlo per metà, cambiando discorso.
-A te Rika non piace?-
-Perché?- chiese confuso.
-Non hai notato che ti ha girato intorno per tutta la sera?-
-Ah..davvero?- rispose imbarazzato –Non me n’ero accorto!-
-Beh, ti piace?-
-E’ carina, ma..-
Kei lo guardò invitandolo a continuare.
-..ma, non mi interessa, ecco..-
-Perché?-
-Penso a un’altra- disse arrossendo.
-Hilary?- si informò il russo.
-Eh? No no! Hilary è mia amica e basta..- incrociò le ametiste di Kei, ma prima di continuare e rivelare il nome abbassò lo sguardo -..Mao-
-Ah.. ancora?-
-Come ancora?-
-Non ti piaceva anche al torneo?-
-Probabilmente, ma non me ne ero ancora reso conto..-
-Ma quindi state insieme?- continuò sempre più curioso, in fondo non sapeva ancora molto di quello che fosse successo negli anni che non si erano visti.
-Non proprio.. ci siamo più o meno dichiarati questa primavera, quando è venuta a trovarmi, ma..-
-Ma..-
-Solo che poi è ripartita ed è rimasto tutto in stallo!-
Kei lo guardò perplesso di tutte quelle complicazioni per una cosa per lui tanto semplice.
-Quindi tu ora non guardi più nessuna fino a che, chissà quando, non vi rivedete?-
-Io.. lei mi piace e in questo momento non ho pensieri per nessun’altra..- rispose incerto vedendo l’altro sempre più scettico –Che c’è?-
-Niente.. solo non comprendo le relazioni a distanza.. poi visto che la vostra non è nemmeno una relazione..-
Rei rimase spiazzato dalla sua freddezza, non ci era più realmente abituato e realizzò solo in quel momento di aver lasciato spostare la conversazione da Kei a se stesso, cosa che non voleva lasciar correre.
-Beh quindi questa cosa con Tsuya? Sapporo è distante.. che hai intenzione di fare?-
-Che c’entra Tsuya?-
-Si parlava di relazioni a distanza sai..-
-Cosa che non ho intenzione di avere.. passata questa settimana, ognuno per la sua strada..-
-E a che pro?-
Kei lo guardò stranito come per chiedergli se davvero non stesse capendo.
-Quindi?-
-Lo scopo principale è portarsela a letto..- disse semplicemente; odiava girare attorno alle cose e preferiva andare dritto al punto.
-E lei che ne pensa?-
-Non credo che abbia un fine molto diverso-
-Hai un’idea molto stramba delle persone..-
-E tu sei troppo ingenuo- ribatté divertito.
-Beh io non sono come te!-
-Buon per te-
Rei si alzò e fece per entrare nel bungalow.
-La tua è una situazione diversa.. solo divertiti finchè non prendi una decisione con Mao..-
-Io l’avrei già presa..-
-Cerca di metterla in pratica allora-
Rei accennò un sorriso verso l’amico; si era dimenticato il modo strano di dire le cose che aveva Kei, c’era sempre il rischio di intendere male. Si infilò nel letto pensando che anche quella volta non era riuscito a farlo confidare. Almeno sembrava finalmente che stesse vivendo, facendo qualcosa. Anche se era per il fine che non condivideva, la relazione con Tsuya era segno che stesse provando almeno a lasciarsi il passato alle spalle.
Però era ancora convinto che confidarsi non gli avrebbe fatto altro che bene e non poteva più contare sull’improvvisazione, ma bensì avrebbe dovuto organizzarsi.




Ed eccomi qui!
Questo nuovo personaggio introdotto l'altra volta, come potete vedere si è inserito a modo suo portandosi dietro tutta l'allegra combricola! Ahi ahi ahi Kei..che mi combini! 18 capitoli per dimostrare che avevi una volontà di ferro e mi cadi su una cannetta!
Vabbè..lui sembra molto tranquillo al riguardo..dobbiamo credergli?! XD A voi l'ardua sentenza u.u
Comunque come al solito vi ringrazio tutti quanti come al solito!  
Devo dire che con lo scorso capitolo ho dedotto che tutte le qui presenti se fossero state al posto di Hilary alla frase 'Scoperei con te in questo momento'
avrebbero accettato di buon grado e sarebbero saltate addosso a Keiuccio caro! I miei vivissimi complimenti a tutte noi (ebbene mi inserisco anche io nel club u.u)
Allora ci diamo appuntamento alla settimana prossima!
Auguri di Buona Pasqua a tutti!
Un bacione :)

ps: ultimamente coi ps vado forte XD comunque vi volevo dire che le risposte alle recensioni sono un pò sbrigative e mi scuso per questo, ma vado un pò di fretta! ^^



 

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Capitolo 20
*** Feel Nobody ***


Leggero - 20 Feel Nobody
E l'odore dei fossi forse lo riconoscono in pochi 



Feel Nobody






Per il giorno seguente avevano organizzato una scampagnata nel parco naturale poco lontano.
Passarono tutta la mattinata a percorrere il sentiero tracciato fermandosi ad ammirare il paesaggio e a scattare fotografie. All’ora di pranzo si trovarono in un grande prato a diversi metri d’altezza dal quale si aveva una vista mozzafiato; presero il sole e si divertirono fino all’ora di tornare al campeggio.
Come al solito si divisero per la cena dandosi appuntamento alla sera, quando sarebbero andati nel paese vicino.
L’avevano chiamata: la giornata turistica.
Takao e gli altri finirono di cenare con calma. Il sole stava tramontando proprio in quel momento colorando il cielo di rosa e arancione.
Era una serata particolarmente tranquilla e rimasero in silenzio ad ascoltare il rumore delle ultime forchette che si posavano nel piatto e la natura attorno a loro.
I momenti di silenzio in quel gruppetto erano molto rari e spesso stavano a significare l’inizio di qualcosa.
Era da giorni che Rei cercava di far parlare Kei di quello che provava, che sentiva. Sapeva per esperienza personale che parlare dei propri problemi non li eliminava, ma almeno li alleggeriva; però sapeva anche che Kei non era una persona che si lasciasse andare a dichiarazioni personali e a frasi più lunghe di qualche parola. Non lasciava penetrare nessuno nel suo mondo.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo a sciogliersi un po’ e per questo, durante il pomeriggio, aveva chiesto aiuto agli altri ragazzi.
Ci fu un leggero scambio di sguardi tra le persone sedute al tavolo della verandina, poi Kei come d’abitudine si accese una sigaretta percependo quello strano e piacevole silenzio.
-Quando ero piccolo d’estate andavamo sempre in una casetta al mare, che ora non so nemmeno esattamente dove si trovasse..- iniziò Takao -..ho un ricordo bellissimo di quel periodo: la mia famiglia era sempre al completo, c’erano mio padre, mio fratello e poi c’era mia madre.. mi portava in spiaggia e mi spiegava tutte le cose che le chiedevo pazientemente, e poi canticchiava sempre delle canzoncine: aveva proprio una bella voce.. questo posto mi ricorda quei giorni.. era da un bel po’ che non ci pensavo, anche perché pensarci mi fa venire nostalgia e tristezza.. so che giorni come quelli non ci saranno più- concluse abbozzando un sorriso amaro.
-Anche a me manca la mia famiglia riunita..- continuò Max -..da quando sono piccolo non ricordo un giorno in cui siamo stati davvero tutti insieme, nemmeno a Natale o ai miei compleanni.. quando stavano insieme, i miei litigavano e volevo quindi vederli solo uno per volta! Però ho sempre sperato che un giorno potessimo vivere tutti e tre insieme felici e sereni.. spero davvero che in questo momento stiano risolvendo tutti i loro problemi; l’ultima volta che li ho sentiti mi sembrava andasse tutto bene, ma non  mi vorrei mai illudere troppo!-
Come in una staffetta la parola passò a Hilary che iniziò abbastanza imbarazzata.
-Beh io non è che abbia un carattere molto facile- guardò Takao sorridente – diciamo che sono sempre stata piuttosto odiosa e perfettina e questo ha sempre allontanato i compagni di scuola da me; non posso dire di aver mai avuto un vero e proprio amico per molti anni: la prima volta che mi sono veramente sentita parte di qualcosa, oltre alla mia famiglia, è stato quando mi avete accettato in questa piccola famigliola, una delle cose migliori che mi siano successe fino ad adesso!-
Arrossì ancora e fu abbracciata da Max che era seduto vicino a lei.
-Beh del mio problema con la tribù della Tigre Bianca lo conoscete..-disse Rei -..la decisione da andarmene è stata davvero sofferta perché Mao, Lai e tutti loro erano la mia vera e propria famiglia; non era una legame di sangue, ma era come se lo fosse. Dalla morte dei miei genitori non sono mai stato abbandonato grazie a tutto il villaggio, non mi hanno mai fatto mancare nulla, ma spesso ho pensato che tutto sarebbe stato meglio se a crescermi fossero stati i miei veri genitori, quell’uomo che aveva i miei stessi occhi e la donna che mi ha dato alla luce.. sono pensieri che mi vengono in mente nei momenti tristi, però non rimpiango tutto quello che è successo nella mia vita, penso solo che sarebbe potuto andare meglio!- concluse il cinese.
Kei spense la sigaretta sentendosi interpellato: dopo quel giro di confessioni sarebbe toccato a lui.
Era il punto focale di tutta quella scenetta, e lo sentiva.
-Non ho i genitori e nessuno mi ha cresciuto al posto loro- disse Kei duramente – e non sarà una riunione tipo alcolisti anonimi a farmi diventare come voi-
Il silenzio cadde come un macigno sulla tavolata. Rei abbassò gli occhi dispiaciuto e provato dalle parole fredde del russo. Avrebbe dovuto immaginarselo che non avrebbe preso bene quell’iniziativa. La voce di Kei lo risvegliò dal suo tormento.
-E questo è uno dei maggiori problemi, sono completamente incapace di provare qualsiasi cosa che voi considerate normale, qualsiasi sentimento positivo- nessuno osava incrociare lo sguardo con quello di Kei –non c’è mai stato nessuno che mi ha cresciuto, quello che so l’ho scoperto, non c’è mai stato niente prima.. ed è proprio per questo che, per fortuna vostra, non capite una parola di quello che vi sto dicendo-.
Non aveva abbandonato lo sguardo freddo e osservava gli altri quasi con sfida.
Volevano da lui una qualche dichiarazione e gliel’aveva data: era il frutto di molte giornate passate a far niente, a pensare. Non potevano pretendere di più, non da lui. Non ce l’avrebbe fatta. Nonostante ce la mettesse tutta per cambiare non poteva e non voleva lasciarsi andare.
Era vero, poi, che loro non avrebbero capito mai nulla, se lo ripeteva in continuazione.
Ma c’era qualcuno in tutto il mondo che avrebbe potuto farlo? Probabilmente sì, ma lui voleva essere capito? Probabilmente no. Gli andava bene crogiolarsi nella propria disperazione?
Non si capiva nemmeno lui, ecco qual era il grande problema.
Magari una volta che si fosse capito avrebbe potuto chiedere aiuto, davvero chiedere aiuto, magari ad alta voce; non come faceva adesso che cercava un aiuto, ma aspettava che qualcuno lo capisse.
Prima che qualcuno potesse aprire bocca e far partire un’altra filippica sul parlare dei propri problemi e cose del genere, Kei si alzò.  
-Dove vai?- gli chiese Takao vedendolo scendere i gradini della veranda.
-A farmi un giro-
E sparì lungo il sentiero.
-Avrei dovuto immaginarlo che non sarebbe stata una buona idea..- sospirò Rei affondando nella sedia.
-Stai solo provando a farlo stare meglio..- lo confortò Hilary -..devi solo aspettare che lui accetti il tuo aiuto!-
 
Si diresse verso il ristorante e si allungò verso i tavolini all’aperto.
Aveva fatto una passeggiata per calmarsi e riprendere il controllo. Voleva svuotare la testa e basta.
Quando finalmente scorse Tsuya, si avvicinò al suo tavolo senza nemmeno salutare.
-Puoi venire a fare un giro?-
La ragazza annuì, finendo gli ultimi bocconi del suo dolce e salutando il resto del gruppo.
-Che c’è?- gli chiese quando si erano allontanati –Sei arrabbiato?-
-No.. volevo solo fare un giro..-
Stavano attraversando un viale secondario circondato da piccole villette in pietra.
-Questo me l’hai già detto..- lo guardò sorridendo ingenuamente -..e avevi davvero solo questo in mente?-
-In verità no-
-Non pensi che mi meriti un po’ di corteggiamento in più?- aggiunse ridendo.
Senza preavviso Kei la prese per un braccio e la imprigionò tra sé e il muro di una villetta.
-Lo prendo per un no- disse lei tra un bacio e l’altro, per niente offesa da quell’atteggiamento.
Lui fece scorrere una mano dai suoi fianchi, sotto la sua maglia.
Tsuya abbandonò le labbra per dedicarsi al lobo del suo orecchio e, sporgendosi verso la nuca di Kei, notò avvicinarsi due bambini.
-Aspetta..- disse fermandolo a malincuore -..vieni con me!-
Gli cinse la vita, mentre lui le circondava le spalle col braccio e si lasciava guidare.
Arrivarono fino alla tenda: lei l’aprì e lo spinse dentro senza troppi complimenti.
Ricominciarono da dove si erano interrotti.
-Certo che.. tu per un bacio.. mi hai fatto penare.. dovrei.. vendicarmi-
Tsuya tentò di far valere la sua teoria, ma si convinse ad abbandonarla in pochi secondi, lasciandosi andare completamente nelle attenzioni del ragazzo.
 
-Ma non avevi detto che volevi farlo aspettare un po’?-
-Volevo.. ma non ce l’ho fatta a resistere.. cioè, ma lo hai visto?-
-Ah, io gli sarei saltata addosso la prima volta che l’ho visto!-
-Ma Rika! Giù le mani, è mio!- e scoppiarono tutte e tre a ridere.
Hilary era appena entrata nel bagno delle ragazze e aveva sentito le ultime battute della conversazione delle tre amiche. Sicuramente stavano parlando di Kei: lo avevano appena visto al tavolo degli altri ragazzi e, dopo aver sentito quelle parole, aveva capito dove fosse andato a sfogare l’irritazione per la scenetta della cena.
La ragazza non sapeva cosa andare a pensare di Kei: aveva capito che non era cattivo e che aveva un modo di pensare particolare, aveva comportamenti ambigui e altalenanti. Un secondo prima era gentile e sereno, poi si irritava e diventava scorbutico.
No, proprio non riusciva a capirlo.
-Ciao Hilary!-
-Ciao ragazze!-
Decise che pensare a quel ragazzo era una faticaccia e una perdita di tempo. Aveva già tanto da fare per sopportare Takao, figurarsi capire anche quel russo imbronciato.
 
-Andiamo in spiaggia?-
-Ma cos’è sta fissa della spiaggia di notte Yuki?-
-Beh è tranquilla ed è romantica e..-
-..e ci scopate meglio?- si intromise Hiroji acido –Poi dovete toglierli i preservativi dalla sabbia se no li trovano i bambini!-
-Almeno loro li usano.. non come te che ce l’hai nel portafoglio da una vita!- Rika e Tsuya batterono il cinque ridendo.
-Sei tremenda- le sussurrò Kei divertito mentre si avviavano alla spiaggia.
Avevano girato per le strade della cittadina, ma non avevano trovato nulla di interessante da fare, tanto che erano presto tornati in campeggio.
Si sedettero sulla spiaggia vicino agli scogli e, per far passare il tempo, si misero a fare dei giochini stupidi, tanto che Yuki e Masao presto si appartarono ignorandoli, mentre Kei convinse Tsuya a fare una passeggiata.
Quando tornarono il gruppo si era ulteriormente disgregato: Hichizo e Hiroji erano andati verso il bar per prendere da bere e Max e Takao, avendo deciso che avrebbero fatto il bagno di mezzanotte, erano andati a recuperare asciugamani e costumi.
Mentre si sedeva, Kei si vide lanciare qualcosa da Kanko e riuscì ad afferrarla per un pelo.
-Dai fammi vedere come si fa!- gli disse il ragazzo con sfida.
Kei lo guardò confuso per poi aprire la mano e vedere la marijuana: si riferiva ovviamente al commento che aveva fatto la sera prima su come ritenesse strano il suo modo di girare la canna.
Incrociò lo sguardo di Rei, che sembrava non aver capito molto della conversazione, per poi mettersi all’opera tranquillamente.
Completò lo spinello in modo leggermente diverso da Kanko il giorno prima, ci mise poco meno; aveva sentito gli occhi degli altri addosso per tutto il tempo, ma soprattutto aveva sentito Rei chiedere –cos’è?- e Hilary rispondergli un –non lo voglio sapere!-.
Kei li ignorò e si accese la paglia per poi passarla a Kanko.
-Buono a sapersi..- disse il ragazzo.
Rika tirò per poi rivolgersi a Hilary a fianco a lei –Vuoi?-
-No grazie!- esclamò interdetta.
-Rei?-
-Passo anche io..-
-Come volete.. Tsuya tesoro tieni!- si allungò verso l‘amica con un sorriso, che fece ripartire il giro.
-Ehm.. Kei..- provò Rei.
-Tranquillo-
-Sì tranquillo.. è solo una cannetta!- gli sorrise Rika.
Il cinese guardò nuovamente Kei, ma vedendolo ignorare completamente la sua preoccupazione, si alzò arrabbiato –Vado a vedere dove sono Takao e Max-.
Hilary lo seguì a sua volta e nessuno si oppose.
-Nervosetti eh!- disse Rika ridacchiando.
 
Si riunirono tutti pochi minuti dopo. L’atmosfera era parecchio allegra e gioiosa, ma Rei cercò di evitare ogni contatto superfluo con il russo. Si sentiva offeso e irritato da quel comportamento.
Misero in azione il loro piano del bagno notturno e rimasero in acqua per una mezz’ora buona.
Il cinese fu il primo a uscire, ancora con l’umore guastato. Non sopportava l’essere stato ignorato a quel modo, ma soprattutto si rimproverava di non aver avuto la tempra di dire quello che pensava e cercare di fermare Kei.
Si stava rivelando tutto più complicato del previsto. Iniziava realmente a capire tutto quello che poteva aver passato Yuri.
L’idea di quella vacanza rigenerante si stava trasformando in un completo disastro: la sera prima, quando aveva visto Kei flirtare con Tsuya, si era quasi rincuorato nel vederlo dedicarsi a qualcosa, credeva che l’aprirsi con la ragazza lo avrebbe aiutato a aprirsi con se stesso e a limare i suoi atteggiamenti. La conversazione della sera prima gli aveva fatto dubitare di quei pensieri, Kei ragionava in un modo diverso. Non che Rei volesse che il russo si mettesse con Tsuya definitivamente, ma sperava che fosse più che semplice attrazione carnale.
Poi, ci si era messa anche quella storia del fumo. Quanto poteva essere davvero innocua una canna per uno nella situazione di Kei?
L’incontro con quei ragazzi, subito così entusiasmante, si era rivelata una brutta influenza.
Mentre si avvolgeva in un asciugamano osservò due figure uscire dall’acqua e andare nella sua direzione. Li mise lentamente a fuoco e sospirò nel vedere Kei e Kanko.
Quel nuovo legame era quello che lo preoccupava maggiormente. Nei modi di fare erano abbastanza simili, anche se il giapponese era comunque più aperto e solare.
Rei incrociò lo sguardo di Kei per pochi secondi prima che questo si sedette.
Cercò di non considerarli. Era nervoso e in imbarazzo mentre li sentiva accendersi una sigaretta.
Si convinse a ignorarli, fino a che una strana frase di Kanko attirò la sua attenzione e lo fece voltare.
-Ero o coca?- chiese accennando verso le braccia di Kei, che lo guardò confuso, prima di tornare a prestare attenzione agli altri ancora in acqua.
-Ero- sussurrò.
Rei colse una nota di irritazione nella voce dell’amico. Persino la sua postura si era irrigidita.
-Mmm.. sì, sei più tipo da ero..-
-Cosa vorrebbe dire?- la freddezza nella sua voce era palpabile.
-Così.. comunque ne avresti un po’?-
Kei si innervosì vistosamente e tornò al suo fare diffidente che sembrava aver abbandonato temporaneamente fino a pochi minuti prima.
-Ho smesso-
-Ho sentito che è dura.. che ci si ricade la maggior parte delle volte..- continuò l’altro.
Rei trattenne il fiato, non sapendo che reazione aspettarsi.
-Che cazzo vorresti dire?- sibilò Kei.
-Ho delle conoscenze.. potrei procurarne..-
-Torna a giocare a fare il figo e lascia stare- lo interruppe il russo.
L’altro alzò le mani arrendevole.
Piano piano tornarono anche gli altri a riva per asciugarsi.
-Allora ci vediamo domani?-
-Va bene.. a domani in spiaggia!-
Si salutarono e si divisero.
Kei, che si era attardato a salutare Tsuya, raggiunse gli amici a metà strada e si avvicinò al cinese.
-Lo so come la pensi, ma sul serio.. non è niente-
Rei rallentò fino a fermarsi e lo guardò incredulo.
-Cosa significherebbe? Che se ti droghi quando invece dovresti smettere non dovrei preoccuparmi?-
-E’ una canna Rei, è leggera, non fa niente..- ribatté calmo Kei.
Il cinese sentiva salire il groppo che aveva in gola da tutta la serata. Non sapeva quanto sarebbe resistito ancora davanti a quell’indifferenza.
-Ma sempre di droga si tratta!-
-E’ solo una sigaretta un po’ più forte-
Il continuo negare e ribattere del russo lo fecero esplodere.
-Mi spieghi come faccio ad aiutarti io, se continui a mettermi dei muri davanti?- Sapeva di essersi preposto insieme agli altri di lasciare spazio a Kei, ma sentiva la situazione diventare sempre più paradossale, senza alcuna logica.
-Ti sto solo spiegando che di quello non  ti devi preoccupare.. che starei facendo?-
-Non mi riferisco solo alla canna, ma in generale! Tu non ti stai lasciando aiutare!- come era possibile che non se ne accorgesse?
-Cosa ti aspetti che faccia?-
-Che tu ci venga incontro.. ad esempio..-
-Come?-
-Che ne so.. tipo parlami! Parlami di quello che ti passa per la testa! Parlami di cosa hai pensato ti servisse quella canna, cosa pensavi quando Kanko ti ha detto quelle cose.. puoi iniziare da dove vuoi, guarda!-
Gli riversò addosso tutto, liberandosi di quel peso che non riusciva più a sopportare. Sperava di ottenere una risposta decente, un segno del fatto che avesse capito quel tormento che ormai condivideva con gli altri.
-Non ho niente da dirti-
-Lo vedi? Non puoi continuare a evitare il problema a questo modo!-
-Tu che ne sai di qual è il problema?-
-Non lo so, Kei! Non lo so, ma aiutami a capirlo, aiutami!-
L’effetto fu il contrario di quello che avrebbe desiderato.
Kei lo guardò freddamente; non riuscì a carpire quello che stesse provando, cosa i suoi occhi gli stessero comunicando, perché precluse, al solito, ogni possibilità di entrare dal mondo esterno.
Rei lo osservò voltargli le spalle e riprendere a camminare verso il bungalow, superando gli altri che avevano assistito come pubblico silenzioso e immobile al litigio.
Se ne stava andando. Lo stava lasciando lì con le parole ancora pronte a uscire.
-Hai fatto la cosa giusta!- lo confortò Hilary avvicinandosi.
-Credi?- rispose tranquillizzandosi.
-Credo.. credo che abbia bisogno di sentirsi dire queste cose.. non potete continuare a trattarlo come se fosse qualcosa di fragile, con la continua paura di romperlo!-
-Spero tu abbia ragione!- le disse lui distrattamente.







Mmm, non saprei.. è un capitolo per me un po' ambiguo.. sono indecisa se mi soddisfa oppure no O_o
Vabbè dovevo pubblicare quindi questo è quello che vi beccate, ma rimango comunque col dubbio!
In ogni caso facendo un punto della situazione possiamo dire che Kei sta piano piano ripiombando nell'abisso u.u che ci dobbiamo fare noi con quel disgraziato?! Tra l'altro lo troviamo sempre più maschio idiota.. forse ho esagerato con questi difettucci di fabbrica, ma il Kei che vive nella mia testolina ha fatto ciò e non sono riuscita a fermarlo -.-
La pazienza infinita di Rei nel frattempo è, beh, direi che si è esaurita e a ragione..è stato fin troppo buono! Chissà se e come riusciranno a riappacificarsi.. anche perchè senza Rei, mi sa che in pochi riusciranno a sopportare Keiuccio u.u
Intanto aggiungiamo tutte insieme una tacca all'odiosometro di Tsuya.. perchè lo so che molte di voi la stanno odiando è___é

Nuova rubrichetta..giusto perchè non so cosa fare!
Prima edizione (e ultima) del premio Miglior Personaggio Del Capitolo 19 va a.......... Rei! Con la sua tenerezza ha sciolto i cuori di tutte le lettrici.. sembra l'unico rimasto con un po' di sale in zucca e giusti valori XD

Eheh..vabbè come al solito vi ringrazio a tuuuuuuuuutti quanti!
Alla prossima settimana con un capitolo che probabilmente sarà più caruccio di questo ^^
Un bacione :)

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Capitolo 21
*** One Hand ***


Leggero - 21 One Hand
E l'odore dei fossi forse lo riconoscono in pochi




One Hand







Kei e Rei continuarono a ignorarsi per tutto la mattinata e per buona parte del pomeriggio.
In realtà la lontananza invece che appianare l’arrabbiatura portò soltanto a un altro litigio.
Avevano deciso di visitare il posto ancora per quel giorno e si erano diretti pochi km più a sud, dove le spiagge sabbiose si trasformavano in scogliere che scendevano a picco sul mare.
Mentre salivano sulla cima di una delle pareti rocciose più basse, Rei osservò quello che era diventato Kei. Quanto lo avevano cambiato in realtà quei due anni? Che tipo di persona era diventato?
In mezzo a tutti questi pensieri non poté fare a meno di continuare a controllarlo di sottecchi: lo aveva visto rimanere indietro con Tsuya e, quasi in cima, tossire lamentandosi di non essere più in allenamento.
-Hai i polmoni bruciati ormai!- lo prese in giro la ragazza ottenendo un accenno di sorriso come risposta.
Era ufficiale quanto si fosse rovinato, quanto la strada che aveva percorso lo avesse portato alla deriva. Avrebbe voluto rivederlo con lo spirito combattivo di un tempo, la voglia di vincere che gli si leggeva negli occhi prima di un incontro a beyblade.
Forse Takao aveva ragione: convincerlo a riprendere poteva essere una buona idea, ma il russo non sembrava intenzionato a lasciarsi riappassionare da quello sport.
Da quando era arrivato in Giappone, la cosa a cui aveva dedicato più tempo e attenzioni era Tsuya, o almeno l’attrazione fisica verso Tsuya. Se lo osservava attentamente, vedeva che con lei non era né più né meno partecipe del solito, più che altro era la ragazza a circondarlo di attenzioni e Kei si limitava semplicemente a risponderle.
Tutta quella situazione stava rendendo Rei insolitamente irascibile, tanto che cercò di distrarsi il più possibile con l’aiuto di Hilary.
Fortunatamente riuscì a contenersi, fino a che non tornarono al campeggio.
Fu quando si ritrovarono soli dopo cena che cercò di riprendere il discorso interrotto la sera prima.
Aveva bisogno di mettere in chiaro quella situazione e di trovare una soluzione.
-Possiamo parlare?-
Kei lo guardò con sufficienza prima di aprire bocca.
-Non ho niente da dirti-
-Io sì però! Quindi ora mi ascolti!- 
Si erano dileguati tutti. Erano rimasti solo loro due in un sentierino deserto e calmo. Il sole non era ancora tramontato del tutto e non tirava un filo d’aria.
Rei accennò con la testa a una panchina lì vicino e aspettò che Kei vi si sedette, posizionandosi in piedi di fronte a lui in modo da sovrastarlo.
Kei sbuffò e si accese una sigaretta senza vie di fuga.
-Ti ricordi vero perché sei venuto qui?-
Sentendo questo esordio, Kei alzò lo sguardo scettico e si preparò a dibattere, ma fu fermato dal cinese.
-Aspetta.. lasciami parlare.. lo sai! Tu lo sai perché, mentre io ho solo pochi dettagli! Però lo sai.. sai cosa ha spinto Yuri a fidarsi di noi, ok? Bene, comportati di conseguenza!-
Respirò a fondo guardando la reazione dell’altro. Kei si limitò a non spostare di un centimetro li sguardo.
-Non mi aspetto che tu cambi da un momento all’altro e che rispetti alla regola tutte le tradizioni giapponesi, solo..-
-Cosa vuoi allora?-
-Voglio capire dov’è finito il ragazzino che ho conosciuto due anni fa!-
-Non ti rendi conto di quello che stai dicendo..- continuò il russo sempre calmo.
-Non dico che dovresti essere esattamente come eri a 14 anni, ma al tempo avevi uno scopo, avevi voglia di lottare, di crescere, di..-
-Non so cosa vedessi tu, ma questo non ero io-
-Giocavi a bey, volevi vincere e battere Takao..-
-Ti informerò di una cosa.. sono cresciuto-
-Ma capisco che ora hai altri interessi, quello che voglio dire è che almeno al torneo avevi la voglia di vivere, eri stimolato e..-
-Quella non era propriamente la mia visione di vita e di stimoli..-
-Ma stavi bene!- Rei non riuscì a non alzare la voce.
-Ero un bambino che ubbidiva a un pazzo Rei! Non stavo meglio di adesso, cazzo!- rispose Kei alterato.
-E quando avrai intenzione di stare bene allora? Quando ti deciderai a vivere la tua vita al meglio?-
-Pensi che non voglia?-
-Inizio a pensare di no!- confessò severo.
-Pensa quello che vuoi-
-E smettila di chiudere i discorsi a questo modo.. rispondimi! Urlami addosso, ma fai qualcosa!-
-Non ne ho intenzione- Kei fece per alzarsi.
-E cosa vorresti fare? Visto che hai così voglia di rimetterti in sesto, dimostralo! Cosa sei stato in grado di fare?- rincarò sempre più arrabbiato – Io non ti ho visto muovere un dito per migliorare le cose, se non accettare passivamente tutti i cambiamenti, è legittimo che inizi a dubitare della tua volontà!-
Il cinese continuò a tirare fuori tutte le questioni che gli venivano in mente e, vedendolo cercare di chiudere il discorso andandosene, lo fermò e lo fece girare verso di sé.
-La tua visione del reagire è stare a far nulla e conquistare qualche ragazza? Fumare erba? Credo piuttosto che tu stia tornando indietro.. per quello che ne so io è successa la stessa cosa in Russia.. è così che hai iniziato!-  Sembrò farlo vacillare con quelle parole e ne approfittò -Credi di poter andare avanti a ricadere negli stessi errori? Che ci sia sempre qualcuno a tirarti su? Se Yuri non avesse capito che stavi chiedendo aiuto? Se quel giorno che ti sei tagliato non fosse salito subito in camera tua? Se non vuoi farlo per noi o per te, almeno fallo per lui!-
-Ti giuro che non la penso così- rispose il russo piano, leggermente scosso.
-Cosa pensi allora?-
-Io voglio reagire, voglio non pensarci, voglio.. sì, vivere.. ma non ce la faccio-
-Lo dicevi anche prima di tagliarti le vene, che ne so io che ora tu non faccia qualche altra cazzata? Che tu decida che non ce la fai più..- parlò freddamente come non aveva mai fatto, per poi calmarsi -..vorrei che me ne parlassi! Posso solo aiutarti.. pensi che possa essere peggio di così? Tentare ti può solo far migliorare!-
Si guardarono in silenzio per qualche secondo.
Rei si convinse a calmarsi del tutto: quello che pensava gliel’aveva detto, forse aveva calcato la mano un po’ troppo, ma non poteva più resistere.
Kei fece per parlare, ma non fuoriuscì nessun suono dalla sua bocca. Abbassò lo sguardo e sospirando si girò per tornare verso il bungalow.
Rei lo seguì in silenzio non perdendolo d’occhio un secondo; era sicuro che il suo discorso avesse fatto effetto, ma sperava in un riscontro immediato, sperava che Kei gli dicesse qualcosa. Era pronto a fermarlo nel caso avesse deviato verso il centro del campeggio per cercare Tsuya e gli altri.
Iniziava seriamente a non sopportarli.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno perché Kei svoltò nel loro viale e in pochi secondi furono davanti alla casetta.
Era buia, segno che gli altri erano andati da qualche parte. Ormai l’unica illuminazione era quella dei lampioni. Si perse a guardare le farfalline che volavano attirate dalla luce artificiale, tanto che non si accorse subito che Kei non era entrato, ma si era invece fermato nella veranda.
Rei si sedette di fianco a lui sui gradini d’ingresso.
Si sentiva in colpa per averlo fatto innervosire e per aver insistito, nonostante sapesse bene che non avrebbe ceduto, ma pensava davvero che quella fosse la soluzione migliore.
Il maggiore problema di Kei era proprio se stesso e la completa negazione degli altri.
In ogni caso sapeva di non poterlo cambiare in pochi giorni; aveva promesso a Yuri che avrebbe fatto del suo meglio, ma non aveva calcolato la personalità di Kei.
L’amico aveva bisogno d’aiuto, ma forse la tattica che aveva adottato non era quella giusta. Di nuovo.
Avrebbe dovuto dare tempo al tempo.
-Scusami!- disse Rei sospirando.
La risposta fu un impercettibile suono da parte del vicino, che si stava accendendo una sigaretta.
-Davvero..Mi dispiace di averti fatto pressione, ma penso sul serio sia la cosa giusta..- continuò il cinese cercando di spiegare la propria posizione, con toni più lievi di quelli di minuti prima -..voglio solamente esserti d’aiuto.. non so come comportarmi, ho come informazioni solo le parole di Yuri e devi capire che non mi è semplice non avere paura che tu faccia qualcosa di..beh di irreparabile..-
Silenzio. Kei continuava a guardare davanti a sé senza prestare apparentemente la benché minima attenzione verso Rei. Spense la sigaretta sul portico e iniziò a massaggiarsi le mani tradendo del nervosismo.
-Sappi solo che io ci sono..- aggiunse Rei fissando i propri piedi sui gradini.
-Non..- iniziò a bassa voce il russo -..io non volevo ammazzarmi..o almeno non era il mio obiettivo iniziale..ci ho pensato solo dopo..-
Rei alzò sorpreso lo sguardo verso il movimento delle sue mani, ma preferì non guardare l’amico in faccia, sperando che non si interrompesse e cercando di carpire ogni parola che usciva dalla sua bocca.
-Volevo solo..- continuò Kei sfiorando il tatuaggio incompleto -..tagliarmi-
Kei confessò lentamente, imbarazzato, per poi continuare a spiegare.
-Ho tagliato i polsi perché mi sembrava fosse il posto dove avrei provato più dolore..-rispose alle domande silenziose di Rei che continuava a fissare le mani dell’amico assorto nel racconto -..di tagli ne ho sempre avuti, mi sono sempre stati fatti..sono familiari, sopportabili.. il dolore dell’astinenza no-
Kei sospirò.
-Dovevo assolutamente trovare una soluzione per sopportare.. non ho intenzione di fare più niente del genere-
Il cinese si rianimò da quei minuti di standby per osservare due inservienti che passavano chiacchierando, per poi voltarsi nuovamente verso Kei. Il ragazzo lo stava guardando e si sentì spaesato, come se non si ricordasse più perché fosse lì.
Il russo alzò un sopracciglio e, continuando a torturarsi le mani, si rivolse a Rei.
-Cosa vuoi sapere? Chiedimi quello che vuoi..-
Davanti a una domanda così diretta non seppe subito cosa rispondere. C’erano tante cose che gli avrebbe voluto chiedere, ma quale sarebbe stata la più utile non lo sapeva. Kei era completamente aperto a qualche rivelazione ed era visibile quanta fatica gli stesse costando esporsi a quel modo.
-Perché ti facevi?- gli uscì naturale. Forse era difficile rispondere a quella domanda, ma voleva sapere qualcosa di quel mondo che ti intrappola a quel modo.
-Mmm..- Kei parve pensarci attentamente - ..perchè era figo-
Rei lo guardò incredulo e l’altro si corresse.
-Non in quel senso.. fammi pensare- cercò qualcosa per fargli capire quello che intendesse dire -..è come se vedessi a colori, mentre normalmente tutto è in bianco e nero.. solo che quando inizi a vederli è sempre più difficile rinunciarvi e a quel punto è già troppo tardi.. poi anche quei colori iniziano a sbiadire e tornare a vederli è sempre più difficile, ma sempre più necessario..-
-Anche ora vedi tutto in bianco e nero?- Chiese Rei assecondando quella semplice metafora.
Kei annuì lentamente.
-Cosa ti manca?-
-In che senso?-
-Cosa ti impedisce di vedere quei colori normalmente?-
-Non ne ho idea..-
-Posso chiederti ancora una cosa?-
L’altro annuì.
-Ti manca.. quella ragazza? L’amica di Dana?- pose la domanda che aveva già pronunciato mesi prima, ma alla quale l’altro non aveva risposto.
Kei accennò una risata e si passò una mano tra i capelli.
-E’ complicato..-
-Questo me l’avevi già detto-
-Non saprei nemmeno io come risponderti.. sì e no..-
-Ma non stavate insieme?-
-Andavamo a letto insieme.. non so come definirlo.. era più convenienza-
-Pensavo che.. che l’amassi..- confessò il cinese attento.
-Non so nemmeno che significa, di certo non l’amavo.. era un appoggio, era disperata quanto me se non di più.. la detestavo..- disse guardando dritto davanti a sé.
-Allora perché..- chiese improvvisamente spaesato.
-Era come me- rispose con semplicità, guardò il volto di Rei perplesso e scosse la testa amaramente –Ti avevo detto che era complicato.. ci cercavamo, ma una volta insieme era il caos-
Rei osservò attentamente il vicino. Non comprendeva quella relazione che aveva tentato di spiegargli: riusciva a non smentirsi mai, complicato fino in fondo in ogni cosa.
Parlava di quella ragazza quasi come di un nemico, però il suo tono di voce era dolce e malinconico. Difficile decidere a cosa credere.
-Come è successo a lei poteva succedere a me..-
-Non è che ti senti in colpa?-
Un fievole bip li interruppe, riportandoli alla realtà.
Rei tirò fuori dalla tasca il cellulare e osservò il messaggio di Takao che li informava su dove raggiungerli. Voleva portare avanti quel dialogo instaurato con tanta fatica, ma decise che per quella sera gli era già stato detto troppo.
Il viso di Kei era velato di una tristezza che Rei riusciva a identificare con la parola ‘fragile’, pronta a mostrare dietro di essa molte più sfaccettature di un sentimento più complesso che, però, non era in grado di  identificare.
-Allora andiamo?- chiese al russo che si era messo a guardare distrattamente il cielo.
L’altro fece un semplice cenno col capo e si alzarono per raggiungere gli altri.
Se si fosse trovato con qualsiasi altra persona, probabilmente in quel momento Rei avrebbe esternato il proprio appoggio e la propria amicizia con un gesto, che fosse un abbraccio o una semplice pacca sulla spalla, ma sapeva che con Kei non se lo sarebbe potuto permettere.
Si limitò a camminare a fianco a lui, a poca distanza, sperando che avvertisse quanto gli fosse vicino.
 
I restanti giorni della vacanza passarono veloci, troppo per i gusti del gruppetto, e sereni.
La confusione non mancava: Hilary e Takao seguitavano a beccarsi come al loro solito, Rei faceva da paciere, mentre Max, sempre intento a portare avanti la sua missione per conoscere nuove persone e fare nuove esperienze, era riuscito a conoscere una ragazza carina e simpatica.
Erano da soli in spiaggia quando Max, attivato il suo radar, aveva adocchiato una moretta che faceva le parole crociate annoiata sotto l’ombrellone. L’americano non aveva perso tempo e le aveva proposto di staccarsi dai suoi genitori per unirsi a loro.
-Non ce la fa!- iniziò Takao scommettendo contro il suo amico.
-Secondo me lei vorrebbe, ma i suoi non si fideranno!- intervenne Rei.
-E dategli un po’ di fiducia!- sorrise Hilary.
Kei si limitò ad annuire in accordo con la ragazza, aspirando il fumo dalla sigaretta.
Quando Max tornò accompagnato, l’espressione sorpresa dei due perdenti si trasformò in un caloroso sorriso pronto ad accogliere il nuovo acquisto.
Kei, invece, era sempre il solito, ma una volta appianata la divergenza con Rei appariva anche lui contagiato da quella serenità: ogni tanto stava con Tsuya, precisamente quando lei lo andava a cercare, ma, nonostante non sembrasse più di tanto interessato alla ragazza, la assecondava senza troppo entusiasmo.
Quando il venerdì sera arrivò, si poteva percepire la malinconia per i giorni appena trascorsi e al contempo la stanchezza accumulata.
Se ne stavano tutti insieme ai soliti tavolini nella piazza del campeggio a godersi l’ultima sera insieme tra una chiacchiera e l’altra.
Kei aveva Tsuya attaccata al suo braccio. Tempo poche ore e non l’avrebbe più vista, un pensiero che non lo perturbò affatto, ma che invece sembrava essere fondamentale per la ragazza.
Si concentrò sulla musica proveniente dal palco, dove una cover band suonava pezzi di un artista a lui sconosciuto: non voleva ascoltare i discorsi a suo parere senza senso di Kanko con il quale non aveva più avuto a che fare dalla serata sulla spiaggia. Non che gli fosse mai stato simpatico, però, dopo quella volta, aveva perso ogni barlume di interesse.
Ad un tratto il russo si sentì chiamare e rispose con un suono impercettibile.
-Vieni con me..-
Si lasciò guidare da Tsuya, ma non fece in tempo a capire quali fossero le sue intenzioni che si ritrovò circondato dalla folla di persone al centro della pista da ballo.
La ragazza gli intrecciò le braccia intorno al collo e, sorridendo, prese a ondeggiare.
-Stavolta ce l’ho fatta!- disse vittoriosa.
Kei si arrese alla situazione e assecondò la ragazza. La musica lenta e le luci soffuse attenuavano l’oppressione delle tante persone che ballavano abbracciate, coprendo ogni visuale del mondo all’esterno del loro metro quadrato di spazio.
-Se ti chiedessi di lasciarmi il tuo numero?- gli chiese all’improvviso Tsuya staccandosi dal suo petto.
-Non sono più loquace via messaggio.. odio i cellulari..- rispose indifferente.
-Prevedibile!- sorrise amaramente prima di continuare –Quindi il tuo è un no?-
-E’ più un ‘come vuoi’-
-Intanto non mi cercheresti più immagino..-
Aspettò qualche secondo prima di rispondere con un secco -No-
-Se ti aspettavi di scopare dopo, ti sei giocato la tua possibilità!- disse lei ridacchiando.
-Devo dirti delle bugie per farti venire a letto con me.. di nuovo?-
-Non bugie solo.. cose più carine magari!-
Continuarono a ondeggiare anche sulla canzone successiva.
Kei, come per concludere un ragionamento, la guardò negli occhi, ma invece che accontentarla con parole dolci, le diede un bacio.
-Dire, non fare!- gli sussurrò ancora a contatto con le sue labbra.
-E’ la stessa cosa- disse riprendendo il contatto.
-Non è vero..-
-Hai ragione.. è meglio-
Stavolta a cedere fu lei, abbandonandosi completamente a Kei.
Quelle parole così dure erano annullate da quel contatto così piacevole e dolce.
 
Il russo era seduto al tavolo della veranda massaggiandosi le tempie, quando gli altri rientrarono.
-Abbiamo incontrato Tsuya, ma ci ha salutati malissimo.. che le hai fatto?- chiese Max sorridendo.
-Io niente.. lei parla troppo- rispose apatico l’altro.
-Se se.. domani allora viene a salutarci?- aggiunse Takao.
-No..-
-Capito- disse il giapponese poco convinto senza indagare oltre.
-Mi mancherà questo posto!- li interruppe Hilary stiracchiandosi.
-A me non mancherà la tua neo fissa per la crema!-
-Takao dovresti solo che ringraziarmi.. se siete arrivati vivi fino a oggi è merito mio!-
-Beh.. guarda che mancano ancora parecchie ore alla partenza e potrebbe succedere di tutto!- disse catartico Rei.
-Questo è preoccupante.. ma possibilissimo!- rise Max.
Mentre entravano tutti all’interno del bungalow, Kei si fece scappare un sorrisetto prima di seguirli per andare a dormire.
Il mattino dopo avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio.






Dopo tanto tempo un capitolo che mi soddisfa (quindi a questo punto dovrei ricevere mille recensioni negative perchè se quelli che non mi piacevano a voi sì, sarà viceversa!) ovviamente però mi soddisfa solo la prima metà! Non si può chiedere troppo cari miei! XD
Comunque..siamo arrivati a 21! La vacanzina è finita, ma ci aspetta ancora una luuuunga estate davanti!
Kei sembra che abbia rimesso un po' la testa a posto..è rientrato nei ranghi grazie al sergente maggiore capo Kon, ma..quanto durerà? Vogliamo fare andare tutto avanti rose e fiori o vogliamo qualche insidia in più? Beh quello che voglio io lo so..devo solo farvelo leggere XD

Particolare degno di nota: il personaggio più amato di questi capitoli risulta il caro Rei che si riaggiudica il premio come Miglior Personaggio (questa volta) del capitolo 20! Che cinese vanaglorioso ( e nel giorno gioiglorioso.. ok basta -.- )!!!
Vediamo se arriverà qualcuno a rubargli il posto col ritorno a Tokyo! u.u
E nel tripudio di recensioni e ovazioni di folla vi dico: siate felici, Rei Kon è beato! XD eheh farlo santo è il prossimo passo..intanto procuratevi le sue icone! 

Allora vi lascio..
Vi dò appuntamento alla prossima puntata, alla stessa ora, sullo stesso canale!
Un bacione :)





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Capitolo 22
*** Rock Your Soul ***


Dici di aver visto

Sempre troppo forte

Sempre accesa la tua spia

 

 

 

 

 

 

 

Rock Your Soul

 

 

Non sapeva che provare verso quella casa.

Prima di partire l’aveva trovata opprimente e ignota: non la conosceva e si sentiva prigioniero dentro essa, come in tutto il resto della città.

Ora che invece era tornato provava una sensazione diversa.

Non propriamente di casa, ma si avvicinava molto a qualcosa di piacevole.

Doveva ammetterlo, almeno in parte, che quella settimana gli aveva fatto bene: cioè, c’erano stati degli alti e bassi, ma comunque alla fine era passata relativamente serena e aveva fatto sì che l’aria di Tokyo fosse più respirabile.

Altro fattore che aveva consolidato questa positività improvvisa era stato la creazione di una sorte di routine, di abitudine.

Sentiva come se ci fosse stato qualcosa che aveva dimenticato, qualcosa di importante e indispensabile, che era rimasto in Russia insieme al venticello fresco e alle sue sigarette preferite. Questo qualcosa doveva assolutamente riprenderselo.

Ci aveva riflettuto a lungo e la conferma finale gliel’aveva data una chiamata ricevuta pochi giorni dopo il ritorno dal mare. Era nel giardino del dojo insieme agli altri quando il suo telefono aveva iniziato a squillare e una voce dall’altro capo aveva fatto sobbalzare tutti.

-Keiiiiiiiiiiiii!- il ragazzo dovette scostare il cellulare dall’orecchio all’istante per non rimetterci un timpano.

-Non c’è bisogno di urlare.. ti sento- disse divertito, più che arrabbiato.

-Indovina dove sono, dai dai dai!-

-In viaggio di nozze-

-Davvero sagace..- disse Dana esasperata prima di riprendere il solito tono allegro -..a Los Angeles! Tu non puoi capire cosa c’è qui.. basta, mi trasferisco!-

Kei sentì la voce di Anton, il neo marito di Dana, borbottare contrariato per quell’uscita e non riuscì a trattenere un sorrisetto pensando alla pazzia dell’amica.

-Allora come va il viaggio?-

-Te l’ho detto è fantastico! Mi sto divertendo tantissimo, anche se ora fa il contenuto, questo qui è più entusiasta di me! Te come stai?-

-Mmm normale.. fa caldo-

-Kei è estate!-

Parlarono per una decina di minuti buoni di tutto e di niente.

-Ste chiamate intercontinentali mi stanno svenando! Facciamo che ci sentiamo quando torno.. magari facciamo via internet così non vado in bancarotta per sentirti musone!-

-Come vuoi.. e non far impazzire tuo marito-

-Ok capo! Farò la brava mogliettina! Ti saluta a proposito!-

-Salutamelo.. ciao-

Buttò giù e si girò verso Rei che lo stava osservando sorridendo.

-Era Dana?-

Annuì.

-Certo che urla la ragazza!-

-Mh-

Il cinese alzò gli occhi al cielo per le solite risposte criptiche di Kei e lo lasciò a perdersi nei suoi pensieri.

Fu proprio in quel momento che Kei ebbe l’illuminazione.

Ripensò a Dana, al fatto che gli mancasse almeno quanto gli mancava Yuri, Mosca e tutto il resto.

Immancabilmente associava alla ragazza determinate abitudini, luoghi, suoni e odori. E quel famoso qualcosa era proprio lì in mezzo, nascosto tra quelle sensazioni. Voleva recuperare parte di esse e sapeva che esisteva un modo specifico per farlo.

La mattina successiva diede inizio a quella piacevole abitudine. Da quando erano tornati, nessuno osava mettere piede giù dal letto prima delle 10, di conseguenza la casa prima di quell’ora era a sua completa disposizione, tranne per la presenza di Nonno J per niente invasiva. Si svegliò, quindi, presto come al solito e si recò in palestra con il lettore mp3 e le grandi cuffie. Accese la musica e chiuse gli occhi.

Lo ‘stare bene’ era uno stato che non si concedeva spesso e nemmeno facilmente, ma per quella mattina fece un’eccezione: scaldò i muscoli intorpiditi per il lungo periodo di fermo, li sentì tirare e distendersi, tornare a vivere in un certo senso. Tornare a sentire.

Senza nemmeno pensarci, iniziò a danzare sulle note che uscivano dalle cuffie dimentico di qualsiasi altra cosa intorno a lui. Quando si fermò stanco e con il respiro pesante per l’attività fisica risentì alcune di quelle sensazioni che gli mancavano: perché in quel momento, in cui i battiti erano accelerati e gli arti dolevano, provava una pace particolare.

Soddisfazione di potersi sentire, di poter vivere e respirare, sensazioni opposte al solito, quando gli stessi vivere e respirare sono azioni talmente semplici e meccaniche che non assumono nessun significato o senso particolare.

Ripeté quella terapia mattutina che rese le giornate più semplici e tranquille. I nervi di Kei erano meno tesi e affrontava gli eventi più serenamente. Persino Rei e gli altri si accorsero che qualcosa era cambiato, ma non erano ancora riusciti a comprenderne la causa. Non indagarono nemmeno, contenti che la situazione si stesse appianando.

 

Era metà luglio ormai.

Nella prima settimana di vacanza avevano redatto il programma perfetto per finire al più presto i compiti estivi e godersi al meglio la bella stagione, ma ovviamente questi non erano stati rispettati per mille e più scuse.

Probabilmente se ne sarebbero fregati altamente fino all’ultimo se nel loro gruppo non fosse stata presente Hilary. Lei ovviamente aveva mantenuto il ritmo fissato, ma non aveva nessuna intenzione di lasciare i suoi amici indietro.

Avevano dovuto arrendersi alla sua perseveranza.

Da quella mattina avrebbero dedicato almeno un’ora al giorno (lei ne aveva prefissate due, ma aveva dovuto cedere) ai compiti.

Armata di libri e quaderni si diresse verso casa Kinomiya e, una volta arrivata, salutò Nonno J che stava spazzando il vialetto d’ingresso.

-Buongiorno Hilary, come mai qui così presto?-

-Stamattina si studia!-

-Mi sa che stanno ancora tutti dormendo..- disse l’uomo accigliato.

-Ancora?-

-Credo ci sia solo Kei sveglio.. vado a tirarli giù dal letto!-

-Vabbè aspetterò..- rispose sconfortata.

-No, ogni tanto se si svegliassero prima non sarebbe una tragedia- e si allontanò fischiettando per mettere in atto il suo piano diabolico.

Hilary entrò nel dojo e posò le sue cose come d’abitudine sul tavolo della sala.

Decise di aspettare gli altri in giardino prendendo un po’ di sole: era allibita da quanto riuscissero a dormire quei ragazzi, non pretendeva che si alzassero all’alba, ma almeno ad un’ora decente. Considerava un peccato perdersi la mattina.

Non voleva stare da sola ma, dalle parole di Nonno J, l’unico in piedi era Kei e, dato che ogni suo tentativo di intavolare una conversazione veniva puntualmente smontato dalle sue risposte monosillabiche, rinunciò. I loro rapporti erano molto migliorati dopo la settimana al mare per fortuna, ma era comunque una fatica parlare con lui.

Si guardò intorno per capire se fosse lì da qualche parte: da ragazza educata quale era non gli avrebbe certo negato il saluto solo per la sua natura da asociale.

Non lo vide da nessuna parte, ma sentì dei rumori provenienti dalla palestra e decise di andare a sbirciare: come minimo Takao in sua assenza era riuscito a coinvolgerlo nuovamente con quelle noiose trottole.

Si affacciò alla porta e lo guardò stranita. Tutto si sarebbe aspettata, ma probabilmente quello non le sarebbe mai venuto in mente.

Kei ballava. Altra caratteristica nuova da associare al russo.

Sorrise impercettibilmente guardandolo: non se ne capiva, era sempre stata una persona scoordinata e maldestra, ma la figura del ragazzo che si muoveva nel silenzio la ipnotizzava. Sentiva solo il rumore dei piedi a contatto con il pavimento e del respiro..

Kei si fermò improvvisamente, mentre le cuffie gli scivolarono dalle orecchie per ricadere sul collo.

Hilary nell’improvviso silenzio si nascose oltre lo stipite senza sapere il perché.

Cercando di non farsi notare andò verso la cucina ad aspettare gli altri che si decisero finalmente a fare colazione.

-‘Giorno- le disse Rei sbadigliando.

-Buongiorno!-

-Sei già qui?- l’accolse Takao.

-Sono in perfetto orario, come vi avevo detto ieri!-

La ragazza li osservò mangiare esortandoli a sbrigarsi poiché non c’era tempo da perdere.

Mentre si recavano in sala intercettarono Kei che saliva le scale e lo incastrarono nella seduta di studio con la scusa che a settembre avrebbe dovuto sostenere il famoso test d’ingresso.

Alla fine aveva saltato dieci minuti per farsi una doccia e il restante tempo lo aveva passato a far finta di essere interessato a quello che stavano facendo.

Hilary lo osservò per alcuni minuti: era diverso da poco prima. Non lo aveva visto bene in faccia mentre ballava, ma coglieva un qualcosa che non sapeva definire.

Era vivo, mentre in quel momento quell’aria annoiata lo abbatteva e non gli rendeva giustizia.

Si accorse da sola di essersi messa a fissarlo troppo intensamente e si distrasse prima che qualcuno glielo facesse notare e prima che il diretto interessato alzasse lo sguardo.

-Uffa io la storia non la sopporto!- si lamentò Takao.

-Zitto e scrivi!-

-Quanto lungo lo devo fare ‘sto tema?-

-Almeno cinque cartelle..- rispose Max affranto.

-Ma non ce la farò mai!-

-Se non perdessi tempo in chiacchiere..-

Ci volle tutta la buona volontà di Hilary per farlo stare buono e convincerlo a rimettersi al lavoro.

Quando calò nuovamente il silenzio e si sentì solo lo sfregare delle penne sui fogli, la ragazza fu finalmente soddisfatta e si appuntò mentalmente che doveva trovare qualcosa da fare a Kei che stava guardando il foglio di Rei accigliato tenendosi la testa col braccio.

-Che vuol dire questo?- chiese improvvisamente il russo, indicando un ideogramma.

-Eh?- disse il cinese preso alla sprovvista –Questo? Kuge.. è l’aristocrazia giapponese-

-Mh..- annuì per la spiegazione, ma notando che i compagni continuavano a guardarlo aggiunse -Che c’è?-

-E’ una parola semplice, Kei!- gli disse Takao come se fosse una cosa ovvia.

-I kanji me li confondo.. sono tutti uguali- rispose alzando un sopracciglio svogliato.

-Allora ti starà simpatico il prof di storia!- aggiunse il giapponese sghignazzando.

Hilary lo riprese e lo costrinse a rimettersi a scrivere facendo cadere la questione.

Più di un’ora, comunque, non resistettero e presto misero da parte i libri e si dedicarono al dolce far nulla per il resto della giornata.

Quando arrivò l’ora di cena, il padre di Hilary la passò a prendere per portarla a casa.

-Ci vediamo domani.. Fatevi trovare svegli almeno, non dico pronti, ma svegli!- li rimproverò prima di salire in macchina.

-Com’è andata oggi, tesoro?- le chiese il padre una volta messo in moto.

-Come al solito! Se non ci fossi io sarebbero persi!- rispose alzando gli occhi al cielo.

-Chi è quel ragazzo nuovo? E’ da un po’ che lo vedo..-

-E’ Kei, quello russo, sai che ve ne ho parlato..-

-Ah, forse ricordo qualcosa!- disse l’uomo poco convinto.

-Visto che quando parlo non mi ascolti?- scherzò lei.

-Non è vero tesoro.. solo ormai ho perso il conto di quanti ragazzi il signor Kinomiya s’è preso a carico!- e risero insieme.

Arrivata a casa Hilary salutò la madre e andò a cambiarsi. Una volta entrata in camera si buttò per qualche minuto sul letto riposando la testa da tutto il baccano e la confusione che caratterizzavano la villa di Takao. Quel silenzio improvviso era ristoratore.

Svuotò la borsa sulla scrivania e mise in ordine: i libri impilati sul fondo, i quaderni che usava sull’angolo sinistro e penne e matite davanti al vecchio stereo. Guardò la sua opera fissandosi su un particolare prima di sentire la voce della madre che la chiamava per la cena.

 

Senza bisogno di una sveglia, Kei aprì gli occhi come al solito tra le 7 e mezza e le 8.

Negli ultimi giorni il tempo di pace a suo disposizione si era accorciato, poiché Hilary aveva vinto la battaglia a favore dei compiti delle vacanze ed era persino riuscita a coinvolgerlo portandogli del materiale che diceva sarebbe servito per il famoso test che avrebbe dovuto affrontare.

Peccato che a lui di quel test non è che importasse molto, lo studio non era propriamente il suo passatempo preferito, per non parlare di quanto quella lingua gli fosse ostica. Era da anni che non leggeva così tante cose in giapponese e aveva ormai rimosso molti ideogrammi: certamente quel metodo lo stava aiutando a recuperare, ma rimaneva comunque un’azione estremamente noiosa.

Andò in bagno e si rivestì, prima di andare in giardino a concedersi la personalissima colazione: una sigaretta.

Salutò Nonno J e si stiracchiò mentre si dirigeva verso la palestra.

Si sedette sul legno e roteò il collo facendo scrocchiare leggermente le articolazioni; mentre completava il movimento a occhi socchiusi notò un particolare nuovo vicino alla porta d’ingresso di cui non si era accorto entrando.

Un piccolo stereo portatile con già attaccato un cavetto per l’mp3. Si avvicinò incuriosito e scrutò l’oggetto: era grigio e rosa, con adesivi consumati e altri mezzi strappati, una piccola ammaccatura sulla porticina per le musicassette, ma per il resto in perfetto stato.

Si chiese chi potesse essere stato a portarlo, ma solo un nome gli venne in mente considerandone l’aspetto.

Doveva averlo visto una di quelle mattine, ma lui doveva essere così preso da non essersene nemmeno accorto.

Attaccò il lettore mp3 e provò ad accenderlo: il volume non era altissimo, ma era comunque una soluzione migliore in confronto alle cuffie che ogni due per tre gli cadevano, per non parlare dell’impiccio che provocavano quando provava dei passaggi a terra.

Sperimentò lo stereo e si ritrovò soddisfatto: si stava avvicinando sempre più nel ritrovare quelle sensazioni senza nomi, che pian piano si stavano delineando più chiare nella sua mente.

Quando poche ore dopo si ritrovarono tutti insieme in sala pronti a cominciare una nuova seduta di studio, Kei si avvicinò a Hilary.

-Eccoti il libro che ti dicevo!- lo anticipò porgendogli un libricino sottile.

Annuì preso alla sprovvista; fece per andarsi a sedere, ma si rivoltò subito.

-Ah grazie-

-Tranquillo intanto l’ho già letto..-

-Non per il libro.. per l’altra cosa-

-Non so di cosa tu stia parlando!- disse sorridendo.

-So che è tuo..- ribadì divertito -grazie- e si andò a sedere sul porticato.

Hilary lo vide con la coda dell’occhio accendersi una sigaretta e aprire il libricino.

-Di che stavate parlando?- le chiese Rei perplesso mentre si accomodavano vicini.

-N-niente..-

-Kei non ringrazia senza motivo.. ti sarai accorta che non parla se proprio non deve!-

La ragazza tentò di concentrarsi sul quaderno, ma l’altro continuava a guardarla in attesa.

-Ok ok.. gli ho solo prestato il mio vecchio stereo..-

-E perché mai dovrebbe servirgli uno stereo?- chiese accigliato.

-Perché le cuffie gli cadevano..-  

Rei, continuando a non capire, chiese ulteriori spiegazioni; Hilary allora gli si avvicinò e iniziò a sussurrare come per svelare un importante segreto.

-Ma scusa, non lo sai che balla?-

-Sì che lo so, ma.. aspetta! Quando?-

-Tutte le mattine!-

-Ecco..-

A Rei iniziarono a spiegarsi molte cose, a partire dalla tranquillità degli ultimi giorni.

Gli vennero immediatamente in mente i giorni passati in Russia, il cambio di atteggiamento di Kei quando era andato a svagarsi in palestra con Dana e le parole di Yuri che parlava di ballo e sigarette come le uniche cose che riuscissero a farlo stare meglio.

Come aveva fatto a dimenticarsi di un particolare del genere?

Semplicemente non ci aveva creduto più di tanto. Era abbastanza scettico al riguardo, poiché era un mondo completamente estraneo al suo.

Eppure lui era il primo che quando qualcosa andava male si sfogava attraverso le sue passioni, cucinare e il beyblade: pensava che il modo migliore per aiutare Kei fosse lasciare che Takao riuscisse a fargli rilanciare la fidata trottola. Ma si sbagliava: ora il russo aveva trovato altro e lui, chiuso all’interno delle sue mura, non aveva aperto la mente a nuove prospettive.

Dana glielo aveva detto, gli aveva lasciato una chiave di lettura per quel nuovo Kei, quello cresciuto che pensava alle ragazze, alle sigarette e alla danza. Gli aveva fatto promettere di non farlo smettere e lui se ne era dimenticato.

Avrebbe dovuto rivedere le sue tattiche, ma chissà che questa volta non sarebbe riuscito a spuntarla più facilmente che al mare, quando era stato costretto a urlargli contro.

-Perché a me hai requisito il cellulare, mentre Max può tranquillamente messaggiare?- chiese Takao infastidito a Hilary.

-Perché lui non si distrae esponenzialmente come te!-

-Ancora la tizia del campeggio?-

-Yessa!- rispose al settimo cielo il biondino.

-Uffa.. sempre più ingiustizie verso il sottoscritto!- sbuffò il giapponese.

 

 

 

 

Ecco a voi il nuovo capitoletto!

Lo so, siamo tornati ai capitoli corti, ma davvero, stiamo lavorando per voi! (noi formato da: io, me stessa e me) Abbiamo ufficialmente abbandonato il mare e i nuovi amichetti e ci stiamo avventurando verso il pieno dell’estate, in attesa di andare a scuola! Yeeee tutti felici :P

Coooomunque.. abbiamo avuto un bel ritorno: il Kei ballerino! Era un particolare che chiedevate a gran voce e avete fatto bene a non dimenticarvene.. forse sarebbe stato meglio se fosse stato Rei a ricordarsene, ma in fondo non possiamo chiedere troppo al cinesino u.u ha avuto tantissimo da fare in questo periodo!

Ihih..allora vi lascio in attesa della settimana prossima..! Sarà un giovedì notte da ricordare e da segnare sul calendario! Le stelle cadenti arriveranno in anticipo, i pianeti si allineeranno e Hercules..no quello era il cartone della Disney..vabbè! Avete capito!

Grazie come sempre a tutti quanti!

Un bacione :)

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Strangers ***


Dici di aver visto

Sempre troppo forte

Sempre accesa la tua spia

 

 

 

 

 

Strangers

 

 

 

-Ti va di andare a fare un giro?-

Rei aveva esordito così pochi giorni dopo aver avuto la grande rivelazione. Voleva assolutamente parlare con Kei e trovare il modo di mantenere la promessa fatta a Dana.

Uscirono nella confusione di metà pomeriggio, ora in cui la maggior parte delle persone usciva dopo aver cercato riparo dalla calura delle ore di punta.

Si diressero verso la zona più moderna del quartiere, la zona commerciale circondata da negozi, grandi magazzini e uffici.

-Allora come va col giapponese?-

-Comincio a ricordare qualcosa di più..-

-Guarda che Hilary è sempre disponibile ad irradiare sapere se avessi bisogno!- disse Rei con aria solenne, per poi scoppiare a ridere.

-L’ho notato-

-Ah, mi ha detto dello stereo..-

-Mh-

Il cinese continuò a camminare aspettando una qualsiasi reazione.

-Che vuoi che ti dica?- chiese il russo leggermente confuso.

-Oh.. niente, niente..-

Sapeva che Kei era sempre in guardia da quella serata in cui si era aperto a Rei: cercava di capire quando questo si aspettasse qualche confessione e tentava di essere disponibile al limite delle sue possibilità, cosa che gli costava non poca fatica.

Camminarono per le vie trafficate fino ad arrivare in una grande piazza con una misera zona verde al centro. La attraversarono fino al punto in cui l’erba si diradava e dava inizio alla distesa di cemento di un parcheggio.

Ciò che li fece fermare fu un capannello di persone fermo a osservare qualcosa e una musica che si mischiava al rumore della città.

Una donna trascinò via il figlio lasciando uno squarcio nella folla dal quale si poteva vedere un ragazzo che ballava breakdance.

-Vuoi guardare?- chiese Rei vedendo l’altro incuriosito.

Sapeva benissimo cosa avrebbero trovato alla fine di quella passeggiata; dal canto suo non conosceva niente di quel mondo e quello era l’unico modo che gli era venuto in mente per avvicinarsene.

Kei annuì intuendo qualcosa di quello che era stato il piano del cinese e decidendo di assecondarlo senza lamentarsi.

Il russo riconobbe quello come il luogo di ritrovo dei breaker del posto: un posto in strada dove ci si allenava e si dava anche un po’ di spettacolo solo per il gusto di farlo.

Dal cerchio formato dai ragazzi e dalle poche persone curiose uscì il ragazzo che aveva attirato la loro attenzione e entrò una ragazza.

Kei la osservò ballare, eseguire le sue move e poi lasciare il posto a un altro, facendosi da parte.

Perse immediatamente interesse verso il ballerino e riprese a guardare incuriosito la b-girl: sapeva benissimo quello che lo attirava, ma tentò di non ammetterlo a se stesso.

La diretta interessata si accorse di essere al centro dell’attenzione del russo e lo guardò perplessa smettendo di bere dalla bottiglietta che aveva in mano.

Kei non demorse e la costrinse, con la sua insistenza nel guardarla, ad avvicinarsi.

-Balli?- gli chiese una volta fattasi strada tra la folla trascinando dietro un’amica.

-No-

-Sì-

Le voci di Kei e Rei si sovrapposero.

-Sì balla, te lo dico io!- lo precedette il cinese.

-Vuoi entrare allora?- chiese sulla difensiva riferendosi al cerchio.

-No, non ballo..-

-Il tuo amico non mi sembra del tuo stesso avviso..-

Rei, che come obiettivo aveva solo quello di farlo assistere, si ritrovò al centro di un gioco di sguardi e frecciatine. Non era umanamente possibile che qualsiasi cosa facesse, Kei riuscisse ad attaccar bottone con qualcuna: eppure continuava a essere il solito asociale.

-Tu balli bene- le disse il russo guardandola con un mezzo sorriso.

-Grazie! Ma posso migliorare..-

Ripresero a guardare gli altri ragazzi che si allenavano, mentre le persone intorno continuavano a fermarsi e ripartire.

-Comunque piacere, io mi chiamo Mizuki.. e lei è Lelè!- disse la bruna allungando la mano.

Si presentarono tutti e quattro.

Mizuki bisbigliò qualcosa alla compagna.

-Vi va un aperitivo o qualcosa da bere?- chiese infine.

-Non so se..- iniziò Rei, ma fu fermato dall’amico.

-Va bene-

-Perfetto allora andiamo a sistemarci..- disse indicando se stessa sudata per aver ballato -..arriviamo subito!-

Presero le loro cose e si diressero verso un bar al lato della piazza.

-Ma che ti è preso?- chiese Rei appena le due si furono allontanate.

-In che senso?-

-Beh, dobbiamo avvertire a casa e..-

-Chiama Takao allora..- gli rispose pratico -..mica torniamo tardi-

Rei si arrese e mandò un messaggio a Takao.

-E comunque non è carino fissare la gente a quel modo..-

-Mh?-

-La stavi fissando.. Mizuki-

Kei di risposta scrollò le spalle.

Dovettero aspettare dieci minuti prima che le due amiche ritornassero rinfrescate e cambiate con semplice maglietta, jeans e Converse.

Il russo si accorse che uno dei breaker lo stava fulminando con gli occhi mentre si allontanavano.

-C’è un posto carino qui vicino..-

Iniziarono a camminare per le vie trafficate per fermarsi in un locale poco lontano: entrando furono portati in un piano sotterraneo illuminato da delle luci colorate e a tratti fosforescenti.

Si accomodarono a un tavolino e ordinarono da bere.

-Quindi balli o no?- gli chiese Mizuki.

-A volte..-

-Che risposta è? O balli, o no!- sorrise divertita.

-Allora sì-

-Finalmente!-

La conversazione procedette senza problemi per l’ora successiva.

Rei non poté fare a meno di notare quanto potesse essere a suo agio Kei in certe situazioni, nonostante la vita sociale non fosse la sua priorità.

La parte divertente era vedere il suo livello di interesse verso la persona in questione: mai lo aveva visto così incuriosito. Continuava a fissare Mizuki di fronte a lui con uno sguardo indagatore, piegando leggermente la testa verso destra. Sembrava intenzionato a studiare ogni centimetro del volto della ragazza, analizzarlo e ricavarne chissà che informazioni.

Quello che potesse saltare per la testa del russo non lo immaginava nemmeno lontanamente, anche se avrebbe azzardato che l’obiettivo principale del ragazzo ormai fosse il conquistare.

Rei tentò di tenere compagnia a Lelè: entrambi si sentivano estranei in quella situazione, intrappolati dai due amici che stavano instaurando quella strana relazione.

Rimasero anche qualche minuto da soli cercando di colmare lo spazio vuoto lasciato dall’assenza dei due senza molto successo.

Fu quasi un sollievo quando arrivarono ai saluti.

-Direi che si è fatto tardi..- disse Lelè con un’occhiata di intesa al cinese.

-Anche per noi!- la assecondò prontamente.

Quando capì che la loro tattica era andata in porto, Lelè fece gli fece l’occhiolino e iniziò a prendere la sua roba.

-Dammi il cellulare!- disse improvvisamente Mizuki sorridendo.

Kei ubbidì e tirò fuori dalla tasca il telefonino, appoggiandolo sul piano del tavolo facendolo scorrere verso di lei.

Mizuki lo afferrò e iniziò a digitare veloce sui tasti il proprio numero per poi far squillare il proprio.

-Ecco fatto!- disse sorridendo restituendogli l’apparecchio.

Uscirono dal locale e si salutarono prendendo due strade diverse.

Camminarono in silenzio verso casa, mentre il sole spariva completamente dietro l’orizzonte.

-Continuo a pensare che fissare le persone non sia un atteggiamento molto carino- disse Rei sorridendo del comportamento dell’amico.

-Non la stavo fissando- si difese Kei.

-Come no.. non hai smesso un secondo!- lo prese ancora in giro.

Il russo alzò gli occhi al cielo e si arrese alle accuse.

-Volevo accertarmi di una cosa- disse semplicemente.

-Di cosa?-

-Mi ricordava una persona- disse facendo spallucce.

-Posso chiederti chi?- chiese titubante Rei.

-Nataliya-

Rei rimase in silenzio un secondo prima di capire di chi stesse parlando. Quel nome non era mai stato pronunciato, non lo aveva mai saputo, ma era stato semplice collegare le due cose.

Kei lo aveva detto con così tanta naturalezza che era come se la ragazza in questione fosse stata a pochi metri da loro; aveva ripreso per quelle poche sillabe tutto il suo accento russo, come se tutte le parole in giapponese fino a quel momento non ci fossero state, come se fosse stato pronunciato al centro di una frase silenziosa in quella lingua lontana.

Il cinese si accorse di avere lo sguardo dell’altro addosso, intento a studiare la sua reazione, a quanto pareva più vistosa di quello che avesse immaginato.

Kei gli aveva confessato quel particolare per mantenere il suo nuovo proposito di farsi aiutare, di conseguenza si presupponeva che Rei fosse disponibile a recepire quelle informazioni e comportarsi di conseguenza per aiutarlo.

Analizzò velocemente la situazione e arrivò alla conclusione che in quella giornata si era lasciato troppo trasportare dall’euforia e aveva compiuto un errore clamoroso.

Lo aveva portato lì dove tutto era iniziato e non avendo calcolato questa nuova capacità di intrecciare relazioni, aveva permesso la conoscenza dell’ennesima ragazza. Se poi Kei confessava di trovarla simile alla vecchia amica, poteva dire di aver ceffato del tutto.

Come poteva porre rimedio ora?

-Penso..- iniziò il cinese -..penso che se le cose stanno così, non dovresti più rivederla!-

Tutto si sarebbe aspettato, ma non che Kei iniziasse a ridacchiare.

-Ma cosa hai capito?- disse divertito alla sua faccia confusa –Volevo accertarmi che non si assomigliassero.. e infatti sono completamente diverse-

Rei rimase senza parole e annaspò qualche sillaba prima di mettere una parola davanti all’altra.

-Ma.. ma in ogni caso hai intenzione di rivederla?-

-Può darsi.. ha detto che mi vuole chiedere un favore-

-E che favore?-

-Non lo so.. me lo deve ancora dire-

-Ma hai intenzione di riandare da quei ragazzi? Da quelli in strada?-

-Ma non sei tu che mi ci hai portato scusa?- chiese il russo saccente, facendogli capire di non aver bevuto la storia della passeggiata.

-Sì, ma.. non avevo pensato.. non avevo messo in conto che.. beh, non so se sono raccomandabili!-

-A me lo sembravano fin troppo-

-Senti, non voglio essere la causa del tuo ritorno sulla cattiva strada, mi sbagliavo..-

-La situazione è ben diversa Rei, stai tranquillo.. solo perché stanno a ballare in strada non vuol dire che siano persone poco raccomandabili-

-Ma anche in Russia..- provò il cinese, ma fu interrotto.

-A Mosca era un’altra situazione.. erano dei morti di fame e sulla via della disperazione; questi si allenano e basta.. avrai notato che Lelè era firmata da capo a piedi, non penso sia proprio una poveraccia..-

-Ma..-

-E poi quelli che sembrano a posto non sempre lo sono.. prendi solo che i ragazzi al mare..-

-Ok, ok! Afferrato..- disse Rei cercando di dargli fiducia visto tutto l’impegno che ci stava mettendo; doveva ammettere che il suo ragionamento non facesse una piega e decise di lasciare la preoccupazione a un eventuale futuro.

-In cosa te la ricordava?- cercò di cambiare discorso.

-Forse era solo il contesto..-

-Se si fosse dimostrata uguale a lei, invece, che avresti fatto?- indagò il cinese.

-Non lo so, per fortuna non è stato così- rispose dopo averci pensato su.

Quel per fortuna non lo convinceva: voleva dire che sperava non si somigliassero, che se si fossero rivelate simili non sarebbe stata una cosa positiva, ma anche che avrebbe potuto essere nuovamente affascinato e soggiogato da una persona così. Che poi forse soggiogato non era la parola giusta: per quello che ne sapeva, Nataliya era stata sì colei con cui aveva condiviso la droga, ma non era a conoscenza di come in realtà tutto fosse iniziato.

Rimasero in silenzio fino all’arrivo al dojo.

 

-Quindi quando parti?- chiese Takao disperato.

-La seconda settimana di agosto!- rispose Max sorridente.

-La stessa mia..- aggiunse Rei.

Takao boccheggiò intristito: Max e Rei avevano appena annunciato che avrebbero passato dieci giorni fuori dal Giappone, il primo sarebbe andato a trovare i suoi in America, mentre il secondo al suo villaggio in Cina.

-Siamo insieme incessantemente da anni ormai! Qualche giorno lontani non ci ucciderà!- esclamò divertito l’americano.

-Potresti cogliere l’occasione per cazzeggiare di meno e metterti sui libri seriamente..- si intromise Hilary.

-Ma non ci penso nemmeno.. a metà agosto io progetto di godermi a pieno l’estate!-

-Staremo a vedere!-

Per una volta Kei doveva trovarsi d’accordo con Takao. Come avrebbe fatto a resistere per dieci giorni solo con il giapponese? Non che gli stesse antipatico, ma semplicemente temeva quella sua innata esuberanza e tendenza a coinvolgerlo in situazioni a lui poco consone.

La vibrazione del cellulare lo fece distrarre dai suoi amici; afferrò l’apparecchio e lesse il messaggio ricevuto.

Mizuki gli aveva scritto: Ciao.. ti va di vederci oggi?

Ci pensò su prima di risponderle: Va bene

Si misero d’accordo per incontrarsi quel pomeriggio, poco lontano dalla piazza dove si erano conosciuti il giorno prima.

-Allora come va?- iniziò lei dopo essersi salutati.

-Come ieri sera..-

-Sì in effetti non è passato tanto tempo!- Iniziarono a camminare per le vie del quartiere conversando del più e del meno, fino a che non si fermarono in una gelateria.

-Che c’è?- chiese Mizuki imbarazzata sentendo lo sguardo del ragazzo continuamente su di lei.

-Niente-

-Mi stavi fissando!- aggiunse lei sorridendo.

-E’ una mia brutta abitudine.. non farci caso- rispose ripensando alle constatazioni di Rei.

-Ok..-

-Cosa volevi chiedermi allora?- disse Kei smettendo di tergiversare.

-Stavo pensando..- iniziò timidamente -..sempre se ti va bene.. hai presente quel ragazzo che c’era ieri in piazza?-

-Ce n’erano molti in verità..-

-Sì, hai ragione.. vabbè, uno di loro è il mio ex e mi sta assillando per tornare con lui..-

Kei la guardò in silenzio, invitandola ad andare avanti.

-.. beh, magari se vedesse che sto con qualcuno mollerebbe un po’ la presa!-

-E quel qualcuno dovrei essere io?-

-Sarebbe carino..-

Lui la guardò perplesso –Non facevi prima a chiedermi di uscire insieme?-

-E’ che non voglio una storia seria, non ora.. e non volevo illuderti..-

-Non c’è pericolo- aggiunse lui alzando un sopracciglio. Se c’era una persona che non si sarebbe illusa e non avrebbe voluto storie serie, quella era proprio lui.

-Quindi ti sta bene? Non pensi che sia una pazza, visto che ci siamo conosciuti solo ieri?- chiese osservandolo di sottecchi.

-No, non troppo.. e sì, direi che mi sta bene- rispose pratico.

-Perfetto!- concluse Mizuki sorridendo e dando l’ultimo morso al cono del suo gelato –Ti va di andare in piazza?-

Kei annuì e la seguì verso il ritrovo dei breaker.

Passarono il resto del pomeriggio lì: gli presentò alcuni dei ragazzi e lo invitò a ballare, ma Kei declinò e rimase semplicemente a guardarli allenarsi seduto su un muretto.

Quella scena lo riportò indietro di almeno un anno: era strano come in diverse parti del mondo vi potessero avere abitudini così uguali. Già attraverso il campionato di beyblade aveva potuto avere la conferma dell’esistenza di linguaggi comuni, di legami che andavano oltre lo status sociale e l’aspetto fisico.

Sentì come una specie di nostalgia, un senso di ritorno al passato.

Guardò Mizuki ballare e ridere con gli altri ragazzi: cosa aveva notato in lei il giorno prima? Cosa lo aveva portato a paragonarla a lei? Nell’aspetto fisico non avevano nulla in comune. I capelli castani e gli occhi scuri di Mizuki non avevano niente a che fare con la chioma corvina di Nataliya e le sue iridi azzurre. L’altezza, il taglio degli occhi, tutto era diverso. Eppure c’era qualcosa nel suo modo di fare, nel suo portamento, nella sua danza che lo portava automaticamente a lei.

Continuò a studiarla, osservandola da lontano e ascoltandola attentamente quando si avvicinava.

Più il tempo trascorreva, più la somiglianza si affievoliva. Lentamente ogni caratteristica simile veniva sostituita fino a scomparire.

Se ne rallegrò, ma allo stesso tempo rimase deluso.

-Ecco è lui..- gli sussurrò Mizuki: Kei sobbalzò nel sentire quella voce, così acuta e differente da quella che il flusso dei suoi pensieri si era per un secondo aspettato.

Mizuki sembrò non rendersi conto di nulla e gli indicò un ragazzo alto che si avvicinava al gruppo.

Era quello che il giorno prima lo aveva guardato male mentre se ne stavano andando: ora si spiegava il perché.

-Vieni qui..- aggiunse lei sorridendo per poi avvicinarsi a Kei e alzarsi sulle punte dei piedi.

Lo baciò reggendosi al suo petto.

Il russo la assecondò chiudendo gli occhi, ancora preso da quel suo test personale: il sapore di quelle labbra non avevano niente a che vedere con quello di Nataliya. Approfondì il contatto, ma socchiuse le palpebre per ufficializzare ciò che vedeva davanti a sé: Mizuki e nient’altro.

Si staccarono e tempo due minuti l’ex della ragazza si presentò davanti a loro.

-E tu chi saresti?- disse astioso.

-Dovresti dirmelo tu prima di pretendere- rispose gelido Kei.

-Questo è il mio territorio e..-

-Che sei un cane?- lo interruppe il russo.

-Dai Naoki calmati..- intervenne uno dei ragazzi che stava assistendo alla scena -..l’ha portato Mizuki, mi sembra chiaro..-

Naoki guardò con cattiveria la ragazza per poi fronteggiare Kei, di pochi centimetri più alto di lui.

Fece per dire qualcosa, ma rinunciò e si voltò portandosi il più lontano possibile dalla coppia.

-Beh come primo incontro direi che è andata bene..- disse scettica Mizuki cercando di riderci su.

-Mh- mugulò lui indifferente.

-Come sarebbe a dire mh?-

-Niente.. è tutto fumo e niente arrosto..-

Lei scoppiò a ridere prima di dargli ragione.

-Dai andiamo a fare un giro..- concluse prendendolo per mano.

 

Arrivò a casa per cena, ma riuscì ad evitare le domande di Rei solo per poche ore.

-Allora cosa voleva chiederti Mizuki?- iniziò mentre lavavano insieme i piatti.

-Niente di che..- iniziò con l’intento di chiudere il discorso, ma vedendo ancora Rei in attesa si convinse a collaborare -.. di far ingelosire il suo ex in pratica-

-Ah, quindi non la vedrai più?-

-In verità le ho detto che l’avrei fatto-

-Ah.. e perché?- chiese perplesso.

Kei fece spallucce –E’ carina-

-E ti sembra un motivo valido?-

-Abbastanza-

Rei boccheggiò un secondo prima di formulare una frase.

-Ma ti sta usando per i suoi scopi..-

Kei fece un mezzo sorriso leggendo indignazione nelle parole del cinese.

-Beh e io la uso per i miei-

Continuarono a lavare le stoviglie in silenzio, prima che Rei riaprisse bocca.

-Ma a te sta bene stare con le ragazze così, tanto per fare..?- lo guardò, ma non attese la sua risposta, consapevole che sarebbe stata comunque affermativa -.. stai attento!-

Quell’avvertimento provocò nuovamente una reazione inaspettata, tanto che Rei se ne stupì.

Infatti, Kei iniziò a ridere scuotendo la testa, prima di sospirare ancora con l’ombra di un sorriso.

-Ok- lo assecondò Kei.

Rei rispose anche lui con un sorriso, realmente contento di quella sorprendente situazione.

-Piuttosto mentre sei via, tu cerca di concludere qualcosa- aggiunse il ragazzo asciugandosi le mani a lavoro finito.

-Cosa?-

-Con Mao-

-Ah.. sì!- Rei arrossì lievemente e fece per rispondere, ma quando si girò l’altro aveva già varcato la soglia della cucina.

 

 

 

 

 

Dove passerà la banda, col suo suono fuori moda..

 

Kei e Nataliya si conobbero nei corridoi della loro scuola superiore a Mosca. Le loro classi erano l’una di fronte all’altra e ad ogni cambio ora o qualsiasi pausa improvvisata, si incontravano.

Lei era una classe avanti, ma aveva ripetuto un anno a causa della sua cattiva condotta e della sua totale assenza di voglia di studiare conosciuta da tutto il corpo insegnanti, non che a questi interessasse  più di tanto.

Kei, invece, era in quella scuola da poco. Era trascorsa un’estate dalla chiusura del Monastero e si era dovuto abituare a quel nuovo ambiente. Non conosceva nessuno, poiché Yuri, Boris e Sergay erano in altre classi in un’altra ala dell’edificio.

Aveva tutti i buoni propositi del mondo. Era finalmente libero, non doveva sottostare a nessun comando e a nessun pazzo, bensì aveva la semplice possibilità di vivere la sua vita da quattordicenne. Era intenzionato a studiare e a diplomarsi, per poi trovare un qualsiasi lavoro: voleva andare avanti.

Il beyblade, che fino a pochi mesi prima era la sua vita, rimaneva sempre più spesso fermo: lanciarlo risvegliava troppi ricordi e sensazioni che aveva deciso di spegnere totalmente, quindi era rimasto un passatempo che si concedeva solo in pochi momenti.

Tutto nella sua testa sembrava pronto ad andare bene.

Peccato solo che la realtà non andasse di pari passo con la sua fantasia.

Da quella primavera era già stato in una stanza di albergo e in due case famiglia, l’ultima delle quali si trovava in un palazzo poco lontano dalla scuola e dove stava insieme ai suoi amici e a qualche altro bambino del monastero: era un luogo comodo e accogliente, ma sovraffollato. Lo spazio era quello che era e non esisteva un posto dove stare in tranquillità a studiare o concentrarsi. Fu lì che conobbe la ragazza che lo avviò in quel mondo che era la sessualità, un mondo fino a quel momento oscuro e temibile, ma del quale presto scoprì il piacere e l’attrazione.

A questo insieme di disagi e di scoperte, si unì l’inevitabile fattore delle maldicenze. A Mosca e in tutta la Russia il caso del Monastero era una grave macchia da nascondere al mondo e di cui vergognarsi. Dopo le prime settimane in cui se ne parlò, il governo aveva messo tutto a tacere e aveva intimato alle persone di dimenticare. Per tutti era come se non fosse mai esistito un luogo del genere e non fosse mai accaduto nulla.

Tutti, però, sapevano. E tutti, in classe, a scuola, nelle case famiglia e negli orfanotrofi, sapevano chi fossero i ragazzi usciti da lì, lo sapevano, li additavano e si comportavano di conseguenza: un misto tra pietà e menefreghismo.

Così in classe Kei non si fece nessun amico. Il suo bell’aspetto intimoriva e affascinava allo stesso tempo e nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a lui. Solo qualche impavido tentava l’approccio, ma il contatto con quegli occhi viola, a volte rossi, li allontanava nuovamente.

Il suo carattere burbero e schivo non aiutava la situazione: anche se si proponeva di essere affabile e accondiscendente, appariva esattamente il contrario.

Difficile decidere se fosse un problema suo o degli altri.

Era la prima decade di dicembre quando lei abbatté quel muro fatto di pregiudizi e freddezza e gli si avvicinò. Lui era seduto sulle scale antincendio a fumare una sigaretta, mentre il cielo spruzzava i primi fiocchi neve.

-Tu sei quello del monastero giusto?- esordì lei con un sorriso furbo e indecifrabile.

Kei annuì a quella domanda così diretta che nessuno gli aveva mai posto apertamente.

La ragazza sistemò i capelli corvini sotto il cappuccio e allungò la mano amichevole.

-Piacere, mi chiamo Nataliya!-

-Kei..- rispose lui senza muovere un dito.

Lei ritirò la mano, ma non sembrò offesa, semplicemente si accese una sigaretta.

Rimasero tutto il tempo in silenzio, senza scambiare un ulteriore parola.

Il russo non riuscì a tenere lo sguardo fisso nel vuoto come era il suo solito, ma si mise a sbirciare la sua vicina con la coda dell’occhio ogni volta che poteva.

Sembrava essere a suo agio, immersa nei pensieri più disparati. Tutto quell’atteggiamento lo incuriosiva, ma non lo infastidiva.

Stare seduti sotto la neve a fumare con qualcuno in totale silenzio non era per lui imbarazzante o opprimente. Anzi.

Eppure avrebbero potuto tranquillamente parlare di qualsiasi cosa. Gli vennero persino in mente argomenti plausibili, come perché non fosse in classe, che lezione avesse degna di essere saltata a quel modo senza complimenti, dopo quanto tempo il professore avrebbe iniziato a domandarsi dove fosse. Invece, solo silenzio.

Così com’era arrivata, se ne andò. Gli sussurrò solo un –A presto, Kei- e si dileguò nell’edificio.

Fu così per le settimane a seguire. Sempre così.

Si incrociavano all’ingresso o nei corridoi, si salutavano e spesso stavano insieme, vicini, senza dirsi nulla. Scambiandosi e condividendo le sigarette e qualche canna.

Era insolita l’attrazione che Kei sentiva verso la ragazza, non l’aveva mai provata prima, e non lo infastidiva quel rapporto così indefinito.

Gli sembrò tutto ancora più insolito quando si scoprì essere interessato ad instaurare un dialogo con lei: lo fece, fu lui a parlarle per primo, seduti sul muretto del piccolo cortile della scuola.

-Perché stai con me?-

Lei lo fissò con un misto di divertimento e scetticismo sul volto.

-Sai da dove vengo- continuò Kei.

-Sì che lo so.. tu non sai cosa dicono di me?-

A quella domanda si ritrovò spiazzato.

No, non lo sapeva. Non parlava con nessuno e tanto meno ascoltava i discorsi degli altri. Le uniche persone all’interno della scuola con cui avesse contatti erano Yuri e gli altri e di certo non erano loro  argomenti preferiti i pettegolezzi e le dicerie, essendone vittime loro stessi.

Kei scosse la testa.

-Allora dovresti informarti!-

-Non mi interessa cosa dice la gente.. loro parlano, ma non sanno nulla-

Nataliya sorrise –Non ho una buona reputazione, ma ascolto i discorsi.. mi arrivano le voci.. tu no, quindi non sai nemmeno cosa dicono di te?-

-Non mi importa..- rispose in una smorfia.

-Parlano soprattutto dei tuoi occhi..- prese l’iniziativa lei, sporgendosi verso Kei e facendoglisi più vicina -..hanno delle teorie molto fantasiose!- continuò ignorando il fatto che non le fosse stato chiesto nulla.

-Alcuni dicono che sono di quel colore a forza di aver visto colare del sangue innocente..- disse con un ghigno -..altri, questa è la mia preferita, dicono che diventano rossi quando vuoi fare qualche cattiveria o peggio compiere qualche omicidio!- e scoppiò a ridere.

Non una risata cattiva, nemmeno di derisione o scherno, ma più cristallina, come a sottolineare quanto quelle parole fossero prive di significato.

-Non sono fantasiosi più di tanto.. le sento da sempre-

-Non è che sono vere?- disse lei con finto spavento.

Kei la guardò negli occhi scettico e scoppiarono a ridere.

Da quel momento il loro rapporto ebbe un’evoluzione: al silenzio furono alternate risate e conversazioni.

 

 

Una mattina di fine gennaio Kei stava per varcare l’ingresso, dopo aver salutato Yuri, quando una mano lo fermò.

-Facciamo sega!-

-Cosa?-

-Mi accompagni?-

-Ma devo..-

-Dai Kei, nessuno se ne preoccuperà.. lo sai quanto me!-

Il ragazzo non poté fare altro che darle ragione e la seguì allettato dall’idea di una giornata diversa lontano da scuola, tutori, insegnanti, bisbigli e occhiatacce.

Sarebbe stato solo per quella volta.

Fecero un giro per la città, per poi rifugiarsi in un parco a mangiare un boccone comprato da una bancarella.

Nataliya quel giorno era diversa.

Kei l’aveva osservata a lungo per quelle settimane, col suo solito sguardo indagatore che intimidiva le altre persone. L’aveva osservata e poteva dire di saper riconoscere i giorni in cui era spensierata e quelli in cui era preoccupata o impaurita per qualcosa.

Poteva mostrare al mondo intero la solita facciata imperturbabile, ma in realtà qualcosa cambiava in lei e Kei aveva imparato a coglierlo. Che fosse perché era la stessa cosa che faceva lui abitualmente, lo capì solo dopo.

-Che succede?-

Erano seduti su una panchina e lei stava mangiando il suo panino con lo sguardo perso nel vuoto e una nota di tristezza nell’espressione.

-Forse dovresti davvero chiedere cosa si dice di me.. almeno potresti scegliere se stare con me o meno!-

-Ti ho già detto che non mi interessa..-

-Dovrebbe invece..-

-Non mi interessa quello che dicono di te, come non mi interessa cosa dicono di Yuri, di Boris, di Sergay, di me o di non so chi altro..-

-Sono i tuoi amici?- disse cercando di cambiare il discorso che aveva iniziato lei stessa.

-Sì..- la assecondò.

-Loro come la vivono?-

-Non gli importa come non importa a me.. vanno per la loro strada e basta-

-A te importa.. ti importa che nessuno ti voglia conoscere..-

-Non è vero..-

-Non fingere con me-

-Tu mi hai voluto conoscere..-

-Ma io sono una disadattata come te!-

-Forse mi trovo bene solo con i disadattati-

-Stronzate!-

-Che ne sai?-

-Non dovresti.. stare con me-

Scrutò i suoi occhi azzurri -E’ un po’ tardi ormai..-

Dopo quella conversazione ricominciò il periodo di silenzio.

All’ora del suono della campanella di fine lezioni stavano a un isolato dalla scuola in attesa di ricongiungersi alla folla di studenti. Mancavano cinque minuti.

-Io vado.. non devo vedermi con nessuno..- lo salutò Nataliya - ..ci vediamo domani!-

Gli si avvicinò e gli diede un bacio sulle labbra.

-Stai diventando più alto!- disse lei in un mezzo sorriso, prima di girarsi e andare via.

Kei si rese conto in quel momento di qualcosa di strano: che avrebbe voluto che quel contatto durasse di più, che avrebbe desiderato conoscere il significato di quel gesto e che, probabilmente, per lui ciò significava che si era preso una cotta.

Proprio lui. Una vera, semplice, immensa cotta. Per lei.

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi qui! Capitolo luuuungo non trovate? ^^

Ihih..ve lo avevo detto che mi sarei impegnata ed eccovi accontentate! Ho deciso di andare oltre il solito numero di paginette per rendere meno infinita questa fic.. non che sarà servito a molto, ma è già un passo avanti! Poi mi sentivo proprio in dovere di darvi qualcosa di più.. e infatti questo capitolo è diviso in due parti: per il nesso, se non l’avete trovato, attendete.. dovreste ormai sapere che non metto flashback così a caso è_é lo so che state dubitando di me! E tra parentesi fate anche bene, ma lasciamo perdere!

Visto che sono in ritardo e non so nemmeno come riuscirò a rispondere alle recensioni la smetto di blaterare a vanvera e vi do appuntamento alla settimana prossima!

 

Ihih..fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e voi, lettrici che aspettate pazientemente la mezzanotte, ditemi se siete sopravvissute all’aggiornamento in contemporanea con Hiromi ^^

Noi ci divertiamo.. non so voi se riuscite a sopportare due storie contemporaneamente!

 

Ora che i pianeti si sono allineati e hanno dato il loro spettacolo, possono tornarsene anche al loro posto u.u è stato un piacere lavorare con voi!

 

Un bacione :)

 

  

 

 

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Capitolo 24
*** Lovers And Friends ***


 

 

 

 

..col suo suono un giorno un po’ pesante..

 

Non ne parlarono, come sarebbe stato normale fare per tutti gli esseri umani, ma per loro no.

Il loro rapporto non cambiò di una virgola se non per la differenza che al silenzio e alle conversazioni si erano aggiunti i baci. Baci semplici e dolci, baci voraci e passionali, comunque baci. E carezze e gesti.

Che si stesse facendo più alto, Kei lo notò proprio in proporzione a lei: se quando si erano conosciuti era di pochi centimetri più basso, a distanza di tre mesi l’aveva già superata e non sembrava intenzionato a smettere.

Fu quel nuovo legame, comunque, a permettergli di sopportare ciò che gli accadeva: la scuola, i compagni e i professori, e la difficoltà di trovare un posto fisso dove stare.

Sergay era impegnato in progetti per la sua imminente maggiore età di cui, però, non aveva messo a conoscenza nessuno, Boris stava considerando di lasciare la scuola e mettersi a lavorare, mentre Yuri era rimasto affascinato dallo studio e aveva iniziato a dedicarvisi totalmente.

A Kei non rimase che mantenere la sua media abbastanza decente e uscire con Nataliya.

Iniziarono a vedersi anche fuori dall’orario scolastico, solo sporadicamente saltavano le lezioni, e lei gli fece conoscere posti della città che non aveva mai visto.

Fu così che lo portò nella dorogi, che non era altro che il luogo di ritrovo dei breakers, dietro la Via Tverskaya, la strada principale di Mosca, collegata ad essa da una scalinata poco visibile a causa della vicinanza dei palazzi. Era una stradina breve e senza uscita, circondata dal retro di alcuni negozi, poco trafficata, se non dai pochi abitanti, e attraversava, in modo singolare, uno degli stessi edifici che la attorniavano, formando una specie di galleria.

Fu così che conobbe Dana: Nataliya aveva ballato fino all’anno precedente in corso con Dana che, nonostante fosse più grande, si era legata tanto a lei. Ora che Nataliya aveva smesso si vedevano solo in quel luogo insieme agli altri ballerini per allenarsi o semplicemente per stare in compagnia.

-Lei e il suo ragazzo storico si sono mollati.. quindi evita l’argomento, dobbiamo distrarla!- l’aveva avvertito prima di presentargliela.

-Balli anche tu?- gli chiese Dana dopo avergli stretto la mano.

-No-

-Che peccato.. magari potresti iniziare, sai Nat è un’ottima insegnante!-

-Non mi interessa, sul serio..-

Per il resto del pomeriggio le guardò: era strano come fossero diverse, ma allo stesso tempo in sintonia. Nataliya era calma, seria, ma imprevedibile, mentre Dana era un vulcano di energia, con la parlantina, però cristallina in ogni sua azione. Ascoltò i loro discorsi, metà dei quali non riuscì a comprendere, e le sentì parlare di scuola, di danza, di ragazzi, di questo Anton del quale Dana si doveva dimenticare e altre mille cose.

Gli altri ragazzi intorno a loro erano amichevoli, ma mai invadenti; si erano formati piccoli gruppetti che a volte interagivano, alcuni andavano altri venivano, a turno ballavano e avanti così per ore. Nessuno lo fissava in modo strano, nessuno lo guardava accusatore, nessuno lo giudicava.

Semplicemente accettavano il fatto che fosse lì.

Solo all’inizio l’avevano guardato diffidenti, ma a sorpresa era spuntata la ragazza della seconda casa famiglia, quella con cui aveva avuto quel primo incontro poco casto, che li aveva rassicurati con un –E’ messo male quanto noi.. ne viene da quel monastero!-

Per la prima volta quel particolare era stato fonte di accettazione e lo rincuorò il non dover sforzarsi di essere una persona normale, di fingere di non avere una situazione difficile alle spalle.

Le sue stesse parole si stavano rivelando veritiere: era fatto per stare con i disadattati.

Proprio in quei disadattati trovò per la prima volta dopo tanto tempo degli amici, delle altre persone con cui trascorrere le giornate.

Così, per caso e per noia, imparò a muovere i primi passi di break.

Un po’ per gioco e per scommessa iniziò a ballare.

Con attenzione e curiosità si dedicò a quell’attività, ricercando e esplorando.

Condivise per la prima volta dopo il campionato di beyblade, sudore e fatica, ma anche soddisfazione e entusiasmo.

 

Un ultimo fattore unì maggiormente la vita di Nataliya e Kei.

Silenzi, parole, baci: tutto per arrivare al sesso.

L’ennesima tappa del loro rapporto venne conquistata alle porte della primavera, a casa di uno dei ragazzi della dorogi che aveva organizzato una serata in compagnia.

Mentre circolavano acidi e erbe particolari, si rifugiarono in una delle camere del grande appartamento a coccolarsi, lei seduta sulle sue gambe.

-Perché ieri non eri a scuola?-

-Ero stanca..- rispose abbracciandolo.

-Voglio farlo con te- esordì Kei guardandola negli occhi.

Vide lo sguardo di Nataliya attraversare la sorpresa, la dolcezza e, infine, l’amarezza.

-No no no.. lo sapevo-

-Cosa c’è?- chiese lui dolcemente.

-Ti avevo detto di informarti su di me.. di scoprire perché tutti mi evitavano e ora, come posso..-

Appoggiò la testa nell’incavo del suo collo e seguitò ad abbracciarlo. 

-Lo so..-

-Cosa?- chiese lei sorpresa.

-So quello che dicono-

-E come.. quando-

-Il giorno che abbiamo fatto sega.. quando mi.. quando mi hai baciato, ho chiesto a Yuri e lui me l’ha detto- rispose tranquillo e imperturbabile.

-Cosa ti ha detto?-

-Che dicono che fai la puttana-

Lei resse alle sue ametiste e lo scrutò nel profondo.

-Perché hai continuato a vedermi?-

-Perché, se è vero, penso che ci sia un motivo se lo fai..-

Nessuno dei due abbassò lo sguardo, cercando sincerità ognuno nelle iridi dell’altro.

-Per mio padre.. lo faccio per lui, solo con quelli con cui ha dei debiti.. per lui..-

Le si inumidirono gli occhi, ma non fece scendere alcuna lacrima.

-..e con lui- ammise in un sussurro.

Kei le accarezzò i capelli e le baciò le labbra.

-Fallo con me- le sussurrò a contatto col suo viso, per poi attraversare con i suoi baci e il suo respiro caldo il suo collo teso.

-Hai un preservativo?- chiese lei lentamente.

-No- ammise senza fermarsi.

-Ce l’ho io-

 

Dici di aver visto

Sempre troppo forte

Sempre accesa la tua spia

 

 

 

Lovers And Friends

 

I giorni successivi trascorsero tranquilli.

Kei prese a uscire sempre più spesso di casa per vedersi con Mizuki e dovette tranquillizzare i presenti sul fatto che quella relazione non portasse a niente di negativo.

Continuava a ballare la mattina, quando poteva, utilizzando lo stereo di Hilary, mentre quando era in piazza con gli altri breakers non si muoveva: per lui la danza era un concetto strano e personale, ballava quando ne sentiva il bisogno, quando gli serviva e quel luogo non lo attirava ancora.

Mizuki continuava  a chiedergli di farle vedere qualcosa curiosa, ma non la accontentò mai.

Nel frattempo la situazione con il suo ex era diventata alquanto complicata: ogni volta che incrociava lo sguardo di Naoki avvertiva un astio esponenziale che non credeva una persona potesse provare per una motivazione del genere.

Se ci teneva così tanto a mettergli le mani addosso perché non lo faceva? Sicuramente lui non si sarebbe tirato indietro.

In compenso un pomeriggio il ragazzo gli si avvicinò.

-Ti sfido! Balla!-

Kei, che lo sovrastava di qualche centimetro, lo guardò con sufficienza prima di allontanarsi.

La scena venne ripetuta diverse volte: Naoki sembrava sentire il bisogno di provare la propria superiorità nel cerchio, ma Kei continuava a negargli il confronto.

-Hai paura di perdere eh?-

Il russo odiava sprecare fiato con le persone inutili e, infatti, continuò a ignorarlo. Non si sentiva di ballare e non lo avrebbe fatto, non di certo per accontentare quell’essere odioso.

Ovviamente non avrebbe sopportato una situazione del genere senza un buon motivo: per fortuna Mizuki sembrava esserne all’altezza. Era una bella ragazza che non era poi così timida e innocente come poteva sembrare all’inizio. Infatti aveva un bel caratterino, era determinata e, soprattutto, parecchio passionale.

Non poteva certo lamentarsi.

Stava lentamente costruendosi un equilibrio: quando ne sentiva il bisogno andava a sfogare i nervi in palestra, la mattina tentava di concentrarsi sul giapponese e gli ideogrammi vari, passava il tempo con i suoi coinquilini e poi si vedeva con Mizuki.

Probabilmente aveva preso a fumare di meno, solo una o due sigarette di differenza sia chiaro, ma comunque un passo avanti.

-Quindi è qui che ti alleni?- chiese un pomeriggio Mizuki mentre Kei gli faceva fare il giro della casa di Takao –Cos’è fai lo snob che si allena solo in palestra?-

-Semplicemente non mi alleno..- disse lui.

-Ah sì? E cosa faresti quindi?- lo derise.

-Ballo-

-Classica risposta da snob!- sbuffò per poi riprendere il sorriso –Non ti facevo così sai!-

-Nemmeno io ti facevo una pervertita, eppure..-

-Io non sono pervertita- finse di essere offesa.

-Oh sì che lo sei- la cinse da dietro con un braccio e prese a baciarle il collo.

Un colpo di tosse li interruppe. Takao era spuntato alle loro spalle e, trattenendo una risata, cercò di assumere un’aria autoritaria.

-Potreste gentilmente..-

-Sì ce ne andiamo..- lo interruppe Kei, facendo cadere tutta la sceneggiata che aveva montato il giapponese.

-Tu devi essere Mizuki, enchantè..- Max sbucò dalla soglia della palestra e si presentò alla ragazza.

Kei si disse che non si sarebbe mai abituato all’idiozia di quei ragazzi, riuscivano sempre a stupirlo; prima che fosse troppo tardi, afferrò la mano della ragazza e la invitò a seguirlo.

-Saranno due settimane che si vedono e non ce l’aveva ancora presentata.. che modi!- commentò Takao una volta rimasto solo con Max.

-Non ti aspettavi davvero che lo facesse?- rise l’americano.

-In effetti no.. dai andiamo ad allenarci finché il nonno è fuori!- concluse.

 

Kei scese le scale massaggiandosi le tempie, proprio nel momento in cui Rei e Nonno J stavano varcando la porta con le borse della spesa.

-Ehi Kei.. abbiamo incrociato Mizuki che se e stava andando..-

Il russo si limitò a un mugolio di risposta.

-Non mi sembrava molto contenta.. nemmeno mi ha salutato..- continuò il cinese senza ottenere risposte.

Kei, ignorandolo, prese i sacchetti che aveva in mano Nonno J e si diresse verso la cucina, lasciando libero il vecchio di occuparsi di altre faccende.

-Avete litigato?- riprovò Rei seguendolo e aiutandolo a mettere in ordine.

-Allora?-

-Sì, sì.. abbiamo litigato- rispose il ragazzo sbuffando.

Era visibilmente alterato, probabile conseguenza della litigata, di qualsiasi genere fosse lo aveva innervosito non poco, facendolo tornare intrattabile.

-Ne vuoi parlare?-

-No-

-Magari potrei aiutarti a risolvere il problema..-

-Ho detto di no..-

La pazienza, già messa a dura prova, di Kei iniziò a vacillare.

-Secondo me parlarne fa solo che bene..-

-Non lo vorresti sapere intanto..- cercò di liquidarlo.

-Ma sì che lo vorrei sapere, mi interessa il motivo del perché..-

-Preservativi!- quasi lo urlò con voce ferma e autoritaria. Sapeva che appena gli avesse detto il motivo della litigata lui avrebbe lasciato perdere per via dell’argomento.

Sicuramente il suo piano per zittirlo e levarselo di torno, lasciandolo alla sigaretta che stava agognando, avrebbe funzionato se nel momento in cui pronunciò quella parola non fossero entrati in massa gli altri abitanti della casa.

-Perché parlate di preservativi?- chiese Max sorridendo beato.

Kei, che aveva appena sistemato lo zucchero in uno scompartimento in alto, appoggiò esasperato la fronte all’anta e chiuse gli occhi, sperando che l’argomento cadesse lì.

-Non ne stiamo parlando..- disse in difficoltà Rei -..Kei mi diceva che ha litigato con Mizuki e basta.. niente di che!-

-Litigato per dei preservativi?- insistette Takao ridendo per l’atmosfera imbarazzata.

-Di cosa state parlando in casa mia?- si intromise Nonno J entrando all’improvviso in cucina.

-Niente nonno!-

-Kei ha problemi con i preservativi!- lo sovrastò Max.

-Ma non ho mai detto questo- si difese il russo esasperato.

-Ragazzi sedetevi!- esclamò serio il signor Kinomiya.

-Ma non ce n’è bisogno, noi..-

-Ho detto di sederti nipote disgraziato!-

Rei e Max obbedirono subito, Takao riluttante li seguì, mentre Kei rimase appoggiato al piano cottura cercando una via di fuga.

-E’ giunto il momento..- iniziò solenne -..di fare quel discorsino! In fondo siete degli adolescenti e immaginavo che sarebbe successo!-

-Davvero Nonno J non è il..- provò Rei, ma fu interrotto nuovamente.

-Parliamo del sesso!-

Max mantenne la sua classica espressione serena, mentre Takao si mise le mani davanti alla faccia nel sentir pronunciare quella parola dal nonno.

-Kei.. approfittiamo del tuo problema! Lo sai vero che bisogna usarlo, è giusto che lei si arrabbi se tu non provvedi a..-

-Non è quello il problema- cercò di uscirne il russo.

-Allora cosa è successo?-

Kei ebbe pochi secondi per valutare la situazione in cui si trovava: Nonno J lo fissava in attesa e non lo avrebbe lasciato andare fino alla fine di quel ‘discorsetto’ e valutò il modo per tirarsene fuori il più velocemente possibile.

La soluzione era solo una: raccontare tutto.

-Allora..- sospirò prima di iniziare -..Mizuki mi ha chiesto perché voglio sempre usare il preservativo, visto che intanto lei prende la pillola.. le ho detto che non era solo perché non rimanesse incinta, ma anche per le malattie.. che ne so io con chi è stata prima.. e già che non mi sono preso AIDS e robe del genere in tutto questo tempo non ho intenzione di rischiare per una scopata. Lei allora si è offesa perché..- iniziò a elencare con le dita -..ho pensato che potesse avere qualcosa..- tirò su l’indice -..le ho detto che è stata con tante persone..- sollevò il medio -..e le ho dato della ‘semplice scopata’- concluse con l’anulare –Di conseguenza mi ha detto che dovrebbe essere lei a preoccuparsi delle malattie considerando i miei buchi, ma, quando le ho fatto notare che è lei quella a volerlo fare senza protezioni e che comunque io il test l’ho fatto, ha preso e se n’è andata-

Rimase fermo in attesa della reazione e del momento giusto per andare in giardino a fumare.

Probabilmente non aveva mai parlato così tanto in loro presenza da quando era arrivato, anzi anche prima.

-Ecco, allora in questo caso avevi ragione tu..- iniziò Nonno J cercando le parole -..vedete l’atto sessuale..-

-Vi ascolto dal giardino- si intromise Kei prima che fosse troppo tardi, per poi lasciare la cucina.

Mentre attraversava la porta finestra che dava sul giardino vide con la coda dell’occhio Takao con la faccia schifata in attesa delle parole dell’uomo. Ovviamente non ascoltò la conversazione come aveva detto, ma si sedette sul porticato per distendere i nervi concentrandosi sulla sua sigaretta.

Si risvegliò dai suoi pensieri solo quando sentì chiamare il suo nome.

-Ah Kei?-

-Sì?-

-Gradirei che in casa mia non si dovesse rischiare di assistere a nessuna scena sconveniente..-

-Certamente- annuì trattenendo una risata.

 

-Ieri ti sei persa la scena madre!- esclamò Max ridacchiando.

-Sarebbe a dire?- chiese Hilary confusa dal comportamento dei suoi amici quella mattina.

-Nonno J ci ha fatto il discorso sul sesso!-

-Cosa? Perché?-

-Colpa sua..- disse Takao indicando Kei che se ne stava tranquillo a leggere il suo libro -..non avrei mai voluto sentire pronunciare dal nonno certe parole!-

Il russo alzò gli occhi al cielo prima di ignorarlo definitivamente.

-Meno male che non c’ero..-

-Anche perché probabilmente ti avrebbe coinvolto senza problemi!- rise Max – poi dovevi sentire la frecciatina finale!-

-Cioè?- chiese curiosa.

-A Kei, di mantenere un certo contegno- disse con la voce pomposa prima di iniziare a ridere.

Kei afferrò un foglio accartocciato che era stato un tentativo di tema di Takao e lo lanciò addosso al biondino che non la smetteva di ridere.

-Ora avrò paura a rimanere in questa casa oltre il tramonto!- continuò sulla linea del buonumore Hilary.

-Eh no.. proprio adesso che volevamo organizzare la festicciola del secolo?- esordì Rei.

-Che poi sarebbe una delle sue super cenette.. non credere ci sia dell’altro!- bisbigliò Max.

-A me va più che bene!-

-Non ne avevo dubbi Takao..-

-E quando sarebbe scusa?- chiese la ragazza.

-Giovedì sera.. visto che venerdì io e Max partiamo..-

-Uh è vero! E’ già venerdì? Non vi potete portare dietro Takao?-

-Ehi perché mi vuoi mandare via?-

Hilary e Takao presero a battibeccarsi scherzosamente. L’atmosfera non poteva essere più allegra.

 

Quando arrivò il giovedì si misero tutti al lavoro: si vedevano tutti i giorni, quindi un’assenza di pochi giorni non era certamente la fine del mondo, anzi. Eppure si impegnarono per organizzare la famosa festicciola con cena speciale gentilmente offerta da Rei Kon.

Il cinese, da bravo cuoco, comandava gli spostamenti nella cucina e cercava di non far avvicinare troppo gli amici pestiferi alle sue ‘opere d’arte’.

Mentre Hilary e Max si stavano dedicando ad apparecchiare la tavola, il cellulare della ragazza squillò.

-Pronto? Sì dimmi.. cosa?.. No uffa.. ma ve l’avevo detto che era importante.. no!.. Troverò un modo.. ma sì che glielo chiedo!-

Continuò a parlare scocciata per qualche secondo prima di mettere giù.

-Che succede?- chiese l’americano.

-Era mio padre.. non mi può venire a prendere più tardi, quindi voleva venire ora!-

-Cosa.. ma non puoi andare via ora!- disse Rei appena entrato nella sala.

-Infatti gliel’ho detto, ma sai che non si fidano a lasciarmi andare da sola..- sbuffò per poi confessare -..gli ho detto che mi avreste accompagnato..-

-Ma sì tranquilla..- annuì Max.

-Ma non dovete.. cosa volete che succeda, sono i miei che sono paranoici!- alzò gli occhi al cielo.

-Ok allora risolto!- esclamò Takao.

-Takao, dovresti fare la persona educata invece e proporti tu di accompagnarla!- esclamò Rei.

-E perché mai?-

-Ti accompagno io- la voce pacata di Kei fece calare il silenzio.

-Davvero non c’è bisogno..- disse spaesata Hilary.

-Intanto devo uscire..- fece spallucce.

-E dove dovresti andare?- chiese Takao perplesso.

-Mizuki- rispose semplicemente.

-Ma vedi ancora quella pazza?-

Kei annuì svogliato chiudendo la questione.

 

Appena si era proposto, era rimasta stupita.

Perché lo aveva fatto?

Cercò di non pensarci per il resto della serata, godendosi i fantastici manicaretti di Rei.

Sicuramente avrebbe sentito la mancanza del cinese e dell’americano: non si ricordava nemmeno come fosse passare delle giornate senza di loro. Non accadeva quasi mai, se non sporadicamente.

L’idea, poi, di rimanere sola con Takao e Kei la preoccupava abbastanza: non riusciva proprio a figurarsi come sarebbero trascorse quelle giornate.

Quando la serata arrivò al termine e iniziò a farsi tardi, Hilary salutò Rei e Max raccomandandogli di fare i bravi e di farsi sentire.

Uscì dal dojo dietro a Kei.

Una volta oltrepassato il grande portone in legno, le voci dei suoi amici si spensero e la luce bluastra della notte la trasportò come in un’altra dimensione.

La strada fino a casa sua era relativamente corta e senza alcun pericolo, ma i suoi genitori erano comunque in apprensione ogni volta che la doveva percorrere da sola, soprattutto di notte.

Chissà cosa avrebbero detto se avessero visto che ad accompagnarla non erano stati gli altri, ma proprio Kei: probabilmente era per i tipi come lui, almeno di aspetto, che si preoccupavano.

Con piercing e tatuaggi, vestito largo, pantaloni a vita bassa, scarpe mezze slacciate e cuffione sul collo. Perfetta aria da bello e dannato.

Ultimamente lo vedeva sotto una luce diversa rispetto ai primi giorni: aveva più o meno capito quello che intendeva Rei quando diceva che dimostrava i propri sentimenti in una maniera strana e diversa, che bisognava solo abituarcisi. Dal canto suo non si era propriamente abituata, ma ci stava arrivando piano piano.

Quando Kei si girò improvvisamente, Hilary arrossì. Il buio l’aiutò a mascherare quel momento di debolezza: l’aveva sorpresa a fissarlo, nonostante si fosse ripromessa di smettere quell’abitudine che aveva preso nelle ultime settimane.

Il ragazzo rallentò, lasciando che lei lo raggiungesse e prendesse a camminargli affianco.

-Devi guidare tu..-

Lei lo guardò perplessa.

-Non so dove abiti- spiegò Kei.

-Oh.. giusto! Va bene per di qua..-

Sentiva la sua presenza a pochi centimetri da lei, anche se non osava guardare direttamente verso la sua figura.

-Se passiamo di qui ci arriviamo lo stesso?- chiese lui ad un tratto indicando un incrocio.

-Sì.. ci mettiamo solo due minuti di più..-

Presero la via che aveva indicato il ragazzo.

-Quando ti devi vedere con Mizuki?- parlò Hilary convinta che la conversazione potesse attenuare quella strana sensazione di ansia che provava.

-Ha detto che si era fatto troppo tardi quindi non ci vediamo-

-Ma allora sei uscito per niente.. potevo davvero andare da sola!- esclamò preoccupata.

-Figurati.. e poi avevo un altro obiettivo-

Kei si diresse improvvisamente verso l’altro lato della stradina avvicinandosi alla serranda chiusa di un negozietto.

Hilary capì immediatamente il motivo della deviazione, osservandolo armeggiare con il portafoglio per cercare delle monete da inserire nel distributore di sigarette.

-Ah.. proprio non riuscivi ad aspettare fino a domattina?- osservò acida, prima di rendersene conto.

Kei invece di arrabbiarsi, fece una risatina e si mise a osservare le scritte luminose che indicavano le varie marche.

-No, non ci riuscivo-

Ottenuto il suo bottino, Kei le diede il permesso di rimettersi in marcia.

-Posso?- chiese con un espressione criptica, tra il divertito e l’indifferente.

-Perché me lo chiedi?- domandò spaesata.

-Mi sembrava ti desse fastidio il fumo- fece spallucce.

-Non è la mia passione diciamo!-

Era sempre più allibita dall’atteggiamento dell’altro che inaspettatamente si mise il nuovo pacchetto in tasca. Fece per dire qualcosa, ma rinunciò.

-Che c’è?- chiese Kei sentendosi nuovamente fissato.

-Hai davvero messo via le sigarette? Pensavo di starti antipatica!- decise di dirgli la verità, anche perché non avrebbe saputo come ribattere e la sincerità le era sembrata la via migliore.

-Non mi stai antipatica.. cosa te lo ha fatto pensare?-

-Sensazione.. mi guardi sempre.. sempre male!-

-Non è vero-

-Oh sì che è vero!-

-Ok, colpa mia.. mi hanno già detto che fisso troppo- rispose più a se stesso che a Hilary.

La ragazza rise di quella situazione: se lui fissava troppo, lei che negli ultimi giorni lo aveva letteralmente mangiato con gli occhi cosa doveva dire? Fermi tutti! Davvero aveva ammesso di averlo mangiato con gli occhi?

-Non mi stai antipatica davvero.. sei strana, ecco-

-Strana?- squillò lei risvegliandosi dai propri pensieri –In che senso?-

-Non riesco a comprenderti- confessò Kei squadrandola intensamente con i suoi occhi ametista.

-Pensare che mi sono sempre considerata una persona semplice!- rise lei cercando di stemperare la situazione.

-Quello sì, solo ti comporti in un modo strano-

-Ok, sono strana, afferrato! Forse era meglio se ti stavo antipatica!-

-Ma non è negativo..-

-Se lo dici tu.. sentiamo, fammi un esempio!-

-Mmm.. ad esempio non ho ancora capito se ti piace qualcuno..- affermò alzando un sopracciglio.

-Qualcuno tipo chi?- chiese lei arrossendo.

-Takao, Max, Rei?-

-Cosa? Ma per carità no! Che ti viene in mente?- scosse la testa nervosamente per allontanare quel pensiero.

-Proprio mai? Nemmeno un po’ uno di loro?- insistette criptico.

-Assolutamente no!- lo guardò con gli occhi spalancati –E poi perché ti interessa tanto?-

-Curiosità-

-E che curiosità è?-

-Testavo una mia teoria-

-Quale teoria?-

-Siamo arrivati?- cambiò discorso lui.

Hilary si guardò improvvisamente intorno.

-Sì.. come facevi a saperlo?-

-Perché ti sei fermata-

Arrossì nuovamente: non si era nemmeno accorta di essersi fermata, la sua testa iniziava a farle brutti scherzi.

-Me la dici questa teoria?-

-Davvero era solo curiosità- ritrattò Kei.

-Non ti facevo un tipo curioso!-

Il russo fece spallucce nuovamente –I tuoi non saranno preoccupati?-

-Uh.. sì..- Hilary cercò di mettere in ordine i suoi pensieri con non poche difficoltà.

Quella conversazione era riuscita a metterla in crisi, non rendendola più capace di intendere e di volere. Come comandata dallo stesso scorrere degli eventi, salutò Kei e gli augurò la buona notte, prima di imboccare il vialetto che portava alla porta di casa sua.

Mentre estraeva le chiavi dalla tasca della giacchetta non resistette e si voltò per vedere Kei allontanarsi. Si stava mettendo le cuffie sulle orecchie e aveva già tra le dita una sigaretta accesa.

Una folata di vento le fece salire i brividi lungo la schiena e la risvegliò, permettendole di varcare la porta.

 

 

 

..un giorno invece troppo leggero..

 

Nei mesi successivi credette di aver trovato un qualcosa per cui vivere. Stava bene.

Passava le giornate con Nataliya e sempre più spesso con Dana e Anton che si erano rimessi insieme dopo mille tentativi di lui di farsi perdonare.

Trascorse l’estate, tra gelati, scampagnate, lezioni improvvisate di danza di fronte alle vetrate del retro dei negozi nella dorogi; fino a che settembre si portò via il caldo, il sole e la serenità.

Sergay a fine agosto era diventato maggiorenne e aveva svelato finalmente i suoi segreti piani di prendersi la responsabilità dei tre compagni di disavventure e, poche settimane dopo, Kei aveva ereditato la fortuna del nonno morto in prigione.

Coi soldi iniziarono i guai e iniziarono ad allontanarsi le persone.

Erano settimane che non parlava con Yuri, Boris lo vedeva di rado, Sergay era sempre impegnato.

Si costrinse anche a ricordarsi di una regola fondamentale: non si può dire di conoscere realmente una persona finché non si è passato il tempo necessario insieme. Kei pensava di aver ormai imparato a conoscere Nataliya, i suoi problemi e i suoi difetti, ma presto si dovette ricredere.

L’aveva accettata, come lei aveva accettato lui. Questo non gli impedì di scoprire quante volte lei lo tradisse e quante volte gli dicesse delle bugie.

Su una cosa Kei era fermo e intransigente: la sincerità.

Odiava le bugie e la falsità e non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarle.

Si persero di vista per un mese. Poi si ritrovarono.

Kei ne sentiva il bisogno, mentre per Nataliya era come un’ossessione.

Si ripersero per qualche settimana, per poi ricercarsi.

I problemi si ripresentavano puntuali e gli scontri superavano le carezze.

Erano entrambi debilitati, oppressi e intrappolati nella loro stessa pelle che gli stava troppo stretta.

In questo tira e molla senza senso, lei trovò la sua condanna e lo avvertì, gli urlò contro e lo respinse: Non avrebbe dovuto incontrare gli aghi sulla sua strada, non doveva permetterlo.

-Stai lontano da me!-

Lo avvertì e lo allontanò, ma molti altri ci cascarono e piano piano tutto il gruppo dei suoi amici provò quella via.

Era notte fonda. Erano Kei e Liev, il ragazzo che gli aveva insegnato le prime move, stravaccati su una panchina della dorogi deserta. Avevano provato un acido presi dalla noia e dai loro problemi, ma l’effetto era durato poco.

Liev iniziò a frugare nel suo zaino ed estrasse un astuccio.

-Hai mai provato?- chiese mostrandogli il contenuto.

-No, non ci tengo-

-Che cazzo Kei, c’abbiamo una vita di merda!-

Quanto gli costò desistere? Nulla. Quanto ci volle? Troppo poco.

Presero la siringa e la prepararono meticolosamente.

Perché? Più che chiedersi perché, Kei si chiese perché no.

Aveva già sniffato qualche volta e non gli era successo nulla.

Andò fino in fondo. Si fece il suo primo buco.

Il primo di una lunga serie.

 

 

 

 

 

Ci siete ancora? Ce la stiamo facendo? Ci state capendo qualcosa?

Spero vivamente di sì u.u Spero vi piacciano questi bei flashback.. volevate di più, volevate sapere ed eccovi accontentati.. non vi lascio a bocca asciutto tranquille! ^^

A parte questo abbiamo avuto un momentino con la tanto amata/odiata Hilary e soprattutto una parentesi divertente.. ebbene sì, mi sono divertita un sacco a pensare al caro Nonno J che si dava da fare con l’argomento sesso! E’ la classica scena da telefilm americano, ma volevo dare un tocco di ironia a questo bel gruppettino di simpatici adolescenti, quindi di distrarli dalla cupezza di quel rompipalle di Kei!

 

Curiosity Time  

Mmm.. se non ne avete voglia potete anche saltare queste poche righe dove volevo spiegare solo poche cose che già volevo dire l’altra settimana, ma che alla fine mi sono scordata di inserire u.u

Parliamo dell’espressione che ho già usato in questi due capitoli, cioè ‘entrare/uscire dal cerchio’: ebbene, sembra ovvio, ma ho sperimentato di persona che a non tutti riescono a dare un significato a questa frase. I breaker solitamente quando ballano si posizionano appunto in cerchio intorno alla zona in cui si balla (pochi metri di diametro) e all’interno di questo ci si sfida e si fa vedere le proprie move (un modo per chiamare i ‘passi’). In ogni caso quando i ballerini si allenano per strada spesso sono in pochi o comunque non sempre stanno in cerchio, ma l’espressione rimane e il cerchio è immaginato (ma guai passare all’interno, il cerchio è sacro).

Avrò detto mille volte la parola cerchio, ma spero che il concetto sia passato XD

In ogni caso, se vi viene qualche dubbio chiedete.. capita che si diano per scontate certe cose perché si conoscono, senza pensare che le persone sane invece non le hanno mai sentite u.u

 

Vabbè..aspetto come al solito le vostre impressione!

Soprattutto questa settimana vi devo fare un ringraziamento gigante..per la prima volta sono arrivata a 10 recensioni per un solo capitolo in una settimana *.* sono commossa!

Un bacione a tutti! :)

PS: La frase 'Più che chiedersi perchè, si chiese perchè no' è liberamente ispirata da Radiofreccia (guardacaso film di Luciano Ligabue..poco fissata eh ;) )

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Rise And Fall ***


 

..mentre Kei si sbatte perché gli urla la vena..

 

 

 

Aveva una sua compagnia, un giro di conoscenze.

A scuola ci andava quando ne aveva voglia, anche se non poteva fare troppe assenze poiché Yuri lo aveva raccomandato di non esagerare. Il rosso aveva preso davvero seriamente lo studio e proponeva sempre di ripassare insieme o di aiutarlo in qualsiasi cosa trovasse problemi.

La sua carriera scolastica non era comunque disastrosa: tra un buco e l’altro trascorrevano alcuni giorni, a volte anche una settimana intera, ma perché aspettare tanto, perché rinunciare se l’effetto catastrofico dell’astinenza tanto fomentato non arrivava mai.

Una mattina in classe, seduto al banco nel suo angolo invalicabile, Kei valutò la sua situazione e si propose di impegnarsi nelle verifiche programmate per quel periodo, facendosi contagiare dall’intraprendenza di Yuri.

Si convinse di aver trovato finalmente un po’ di pace, il rosso stesso gli aveva detto che lo trovava meglio, senza l’incubo di Nataliya: Yuri non la sopportava, non voleva giudicarla per le voci su di lei e aveva accantonato quella sensazione negativa che aveva provato nel conoscerla solo per Kei, ma una volta che anche l’amico ammise la sua inaffidabilità confessò tutta la sua disapprovazione.

Kei era in classe, diversi giorni senza farsi, intento a capire un problema di algebra, quando la provò per la prima volta. La vista iniziò a fargli brutti scherzi e si costrinse a chiudere gli occhi. Ma non riuscì a bloccare l’improvviso tremore.

Non rispondeva del suo corpo e delle sue sensazioni: sensazioni ignote e strane.

Fu costretto ad alzarsi e uscire cercando di dare il meno spettacolo possibile; già nel corridoio estrasse il cellulare e iniziò a scorrere la rubrica.

Nel tragitto verso il bagno provò a chiamare almeno tre persone, ma nessuno di loro rispose.

Arrivato al lavandino, azionò l’acqua e bevve tentando di eliminare la saliva che gli impastava la bocca.

Il tremore non cessava e iniziò ad accettare la risposta ai suoi perché.

L’unica soluzione possibile era procurarsi un buco, ma chiunque cercasse di contattare non era raggiungibile a quell’ora del mattino. Tentò la sua ultima speranza.

Si appoggiò disorientato al muro ascoltando il bip della comunicazione.

Appena sentì rispondere dall’altro capo, non lasciò il tempo al suo interlocutore di dire alcunché.

-Sei a scuola?-

Nessuna risposta.

-Dove cazzo sei? Dimmelo!-

Una risatina prima di sentire quella voce.

-Non ci credo.. me lo avevano detto, ma non ci volevo credere..-

-Smettila di fare la troia e dimmi dove sei!-

-Kei ti avevo avvertito di..-

-Cazzo Nat.. mi serve, ora!-

Un sospiro –D’accordo, ci vediamo all’incrocio dell’edicola tra..-

-Muoviti- ordinò Kei e chiuse la chiamata.

Quando si incontrarono si squadrarono per pochi secondi.

Lui era affaticato e spento dalla sua prima crisi.

Lei era sfatta e smagrita.

Si infilarono in un vicolo buio e Kei afferrò la roba che lei gli aveva procurato.

Il tremore sempre più pronunciato lo rallentava e ostacolava.

-Lascia fare- Nataliya completò il lavoro facilmente e avvicinò la siringa al braccio di Kei.

Il ragazzo la lasciò fare.

Non appena l’eroina gli entrò in corpo si calmò e tornò la sensazione di tranquillità e calma che provava fino a un’ora prima.

-Sei un deficiente!- lo affrontò seria.

-Siamo in due.. come sempre-

-Non volevo che finissi in questa merda..- sussurrò accarezzandogli il viso -..sapevo che l’avresti voluta provare.. come l’ho fatto io, anche tu.. ma non volevo esserne la causa-

-Non lo sei..-

-..ora possiamo affrontarla insieme- rispose sorridendo.

Per l’ennesima volta la loro relazione rinacque e aggiunsero un nuovo elemento: la droga.

Il loro rapporto da eroinomani fu paradossale e problematico quanto in precedenza, ma come era aumentata la negatività, lo stesso valeva per la tenerezza e la dolcezza.

Tanto si insultavano e si deridevano a vicenda quando stavano in astinenza, tanto si facevano travolgere dalla passione e dal desiderio.

Era passato poco più di un anno da quando si erano conosciuti e, nonostante tutte le vicissitudini, erano di nuovo al punto di partenza.

Incastrati in un circolo vizioso: bisogno di attenzione e riguardo, bisogno di affetto, bisogno di droga, di mentire e di tradire. Bisogno di stare bene.

Tentarono di disintossicarsi due volte, ma entrambi i periodi puliti furono passeggeri. Rinunciarono.

Dalla ricomparsa di Nataliya, Yuri si fece più attento, ma si lasciò andare bene le scuse e le bugie di Kei, sul suo aspetto fisico e sul suo comportamento. Ma l’altro non fu abbastanza attento.

Doveva farsi, in quella mattina di primavera, prima di uscire, ma il suo corpo non era del suo stesso avviso.

La roba, probabilmente scadente, gli provocò un malore e cadde a terra: tentò di recuperare la siringa, ma riuscì solo a spingerla sotto al letto prima di perdere i sensi.

Quando si risvegliò era coricato, con le coperte rimboccate e un forte mal di testa.

Automaticamente si sporse verso il bordo del materasso e sbirciò sotto il letto.

-L’ho buttata via!- la voce gelida di Yuri lo fece tornare seduto.

-Che cazzo vuol dire? Che ti è saltato in mente?- continuò il rosso furibondo e incredulo.

-Da quanto tempo va avanti questa storia?-

Pose tutte queste domande, ma non ottenne risposte sufficienti.

Kei parlò affranto e disperato, pieno di sensi di colpa e promesse per il futuro.

Perché gli credette, Yuri se lo chiese per mesi dopo quell’accaduto.

 

 

Dici di aver visto

Sempre troppo forte

Sempre accesa la tua spia

 

 

Rise And Fall

 

 

 

Il mattino dopo, il primo ad andare in aeroporto fu Max, seguito a ruota da Rei.

Il dojo, fino a quel momento così affollato, ritrovò una calma irreale: Takao senza l’appoggio del suo miglior compagno di schiamazzi non riusciva a far regnare il caos, tanto che furono Hilary e la sua calma a prendere il sopravvento. Per non parlare del cameratismo che si era sviluppato tra lei e Kei, che lo faceva perdere in ogni disputa.

Kei, con la sua razionalità e la sua ostentata calma, infatti, non lo aiutava per nulla, considerato che ogni pomeriggio lo passava in piazza con Mizuki, il giapponese si era ritrovato a ricercare un modo per far passare il tempo: non che il poltrire tutto il giorno non lo entusiasmasse, ma aveva bisogno di qualche altro ‘brivido’ nella sua vita.

Aveva provato a seguire Kei un pomeriggio, ma il risultato fu solo quello di annoiarsi a morte: il russo non faceva altro che appartarsi con Mizuki o guardare ballare lei e i suoi amici. L’unica nota più movimentata l’aveva data un ragazzo che, sembrò a Takao, cercava in ogni modo di attaccar briga con Kei e farlo arrabbiare: sperò ad un certo punto in una bella scazzottata dove lui avrebbe potuto fare la parte dell’amico onorevole che si schiera dalla parte delle forze del bene.

Niente di tutto quello che si era immaginato accadde: Kei era l’indifferenza fatta a persona, nonostante l’avesse notato stringere i pugni come per calmarsi due o tre volte.

Il Kei combattivo e irascibile era lì da qualche parte pronto a uscire.

Aveva parlato spesso con Rei e Max al riguardo, ma mentre questi gli raccomandavano di lasciarlo scegliere della propria vita, lui era ancora convinto che fosse possibile far riaffiorare quella scintilla che sentiva mancare nel russo.

E tutto questo era irrimediabilmente legato al bey, se lo sentiva; come per ogni altra cosa, era convinto che il bey c’entrasse qualcosa, ma aveva provato ad aprirgli gli occhi più e più volte in quei due mesi senza alcun risultato.

Si ricordò di un altro discorso di Rei, riguardo al fatto che dovesse mettersi il cuore in pace e che ormai al posto delle loro trottole c’era la danza bla bla bla. Iniziava quasi a crederci pure lui, ma non voleva accettarlo. Eppure più guardava Kei e più lo sentiva lontano, su un altro pianeta.

Vivevano insieme, ma nulla era più come una volta.

Lo avevano avvertito e nonostante questo ci era cascato comunque, ritrovandosi abbattuto dalla realtà dei fatti: proprio lui, il campione del mondo di Beyblade conosciuto per la grande testardaggine e la capacità di contagiare tutti con la propria energia e allegria, stava per abbandonare ogni speranza.

Se ne stava a rimuginare su questi mille pensieri seduto sul porticato del grande giardino, capo chino a osservare l’erba mossa dai pochi fiati d’aria e le gambe a penzoloni.

Faticò ad accorgersi di non essere più solo e avvertì, come lontani mille miglia, i passi che fecero scricchiolare il legno.

Kei uscì al sole stiracchiandosi per poi accendersi una sigaretta, mentre Takao non si scompose.

Il russo guardò l’amico sorpreso. Visione insolita quella del giapponese fermo e calmo, ma soprattutto zitto.

Non era sicuro di volere sapere cosa gli stesse passando per la mente e, invece che porre domande, si sedette poco lontano da lui, studiandolo.

-Cosa c’è?- chiese ad un tratto Takao rendendosi conto della situazione.

-Dimmelo tu- rispose Kei laconico.

-Non capisco cosa vuoi dire..-

-Sei.. silenzioso- disse alzando le sopracciglia.

-E quindi?-

-E’ insolito-

-Per la cronaca non posso sempre essere allegro e iperattivo!- ammise acido.

-Buono a sapersi- aspirò il fumo dalla sigaretta puntando lo sguardo verso un punto indefinito.

Takao iniziò a fremere e, senza pensarci troppo, decise di porre fine ai suoi dubbi.

-Si può sapere quello che ti passa per la testa?-

Kei lo guardò sempre più perplesso.

-Non ti capisco più!- cercò di spiegarsi il giapponese –E ti vedo lontano mille miglia da questo pianeta!-

Kei non riuscì a non trattenere una risatina.

-Che c’è da ridere?-

-Ora sono io non capire te-

-Due anni fa, al torneo, ci siamo conosciuti e siamo diventati amici! Non capisco se mi consideri ancora tale!- ammise accigliato Takao.

-Perché lo pensi?-

-Perché non  ti riconosco! Non hai aspirazioni, non sei combattivo e.. hai lasciato il bey! Mi sarei aspettato questa cosa da chiunque, ma non da te!-

Kei sospirò –Ancora con questa storia del bey?-

-Non è solo ‘questa storia’.. è il motivo per cui ci siamo conosciuti, è stato quello che ci ha fatto legare, che ha creato tutto questo..-

-Non puoi semplicemente accettare che ho smesso?-

-No, non posso!-

-Perché no?-

-Perché sembra che ormai io non abbia più niente a che spartire con te!- alzò la voce Takao.

Kei lo fissò stupito dritto negli occhi finchè l’altro non abbassò lo sguardo.

-Volevi diventare il più forte e volevi battermi.. ora sembra che tu non voglia avere più nessun contatto con me! Sia Rei che Max non sembrano accorgersene, ma mi sento completamente tagliato fuori..-

-Sembri una fidanzatina isterica..- esordì il russo scuotendo la testa e facendo prendere fiato a Takao che stava per inveirgli contro, ma continuò prima che questo potesse iniziare -..non so come ti vengano in mente certe cose.. solo perché non gioco a bey non vuol dire che non ti considero un amico-

Appena pronunciò l’ultima parola, Takao lo guardò con un’espressione indecifrabile.

-Ma il bey è come se fosse l’ultimo nostro legame..-

-E’ per questo che insisti così tanto col farmi riprendere?-

-Sì-

Kei scosse la testa divertito, iniziando a spiegare pazientemente –Il bey è stato un fattore importante della mia vita e se ho smesso è stato perché non avevo più nessun motivo per lanciarlo e non mi faceva più stare bene come un tempo.. e ora come ora ho solo bisogno di star bene- fece spallucce.

Takao, non soddisfatto di quella risposta, sbuffò.

-Takao..- provò Kei, ma si bloccò senza sapere cosa dire per spiegarsi. In quelle settimane poteva mettersi d’impegno e cercare di aprirsi, ma non potevano pretendere che da un giorno all’altro diventasse la persona più sentimentale e loquace del mondo –Resta qui un attimo-

Senza lasciare all’altro il tempo di replicare, si alzò è sparì all’interno della villetta.

Takao dovette aspettare pazientemente diversi minuti senza sapere che cosa avesse intenzione di fare Kei. Gli venne persino il dubbio che fosse scappato via, ma quando lo vide tornare riprese a guardarlo in attesa della sua prossima mossa.

Il russo si risedette al suo fianco come poco prima e gli porse una scatola di medie dimensioni.

-Cos’è?- chiese Takao soppesandola interrogativo.

Kei lo esortò ad aprirla con un cenno e il giapponese tolse sicuro il coperchio guardando curioso all’interno.

Rimase a bocca aperta nel riconoscere la trottolina blu, che tante volte aveva rievocato in quel periodo, ma che ad un certo punto aveva perso la speranza di rivedere, e il rispettivo dispositivo di lancio.

Dranzer era proprio come lo ricordava, con il disegno della maestosa aquila rossa all’interno del bit chip. Riguardandola si rese conto di quanto il tatuaggio sul collo dell’amico fosse fedele all’originale.

Non riuscì comunque a proferire parola e rimase a boccheggiare inerte. Voleva toccarla, ma esitò, come se non fosse compito suo afferrare quella trottola, come se non fosse giusto che fossero le sue mani a maneggiarla.

-Tienilo tu-

-Cosa?- squillò il giapponese –Non posso!- e riprese e guardare il bey in trance.

Kei lo osservò curioso in ogni sua reazione: lo avrebbe definito un ebete, se non avesse saputo quanto per lui significasse quell’oggetto.

Preso da uno dei suoi attimi di pazzia/umanità, il russo borbottò qualcosa di incomprensibile prima di allungare le mani verso la scatola e afferrarne il contenuto.

-Dai.. prima che cambi idea-

-Cosa?- chiese spiazzato l’altro.

-Hai cambiato idea tu?- lo schernì alzandosi, sicuro che appena si fosse reso della sua richiesta sarebbe scattato in pochi secondi con tutta la sua vitalità.

Fu così infatti.

-No, no, no!-

-Sappi che non accadrà mai più-

Takao recuperò il suo Dragoon e si mise in posizione di fronte a Kei, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Il giapponese riprovò per quei minuti le sensazioni di un tempo: il ritrovarsi faccia a faccia col suo vecchio amico/rivale storico lo entusiasmava, dopo così tanto tempo.

Preparazione, lancio e primo scontro, dritti l’uno contro l’altro senza troppi complimenti, pochi secondi per ricaricare e poi nuovamente all’attacco in una danza senza esclusione di colpi.

-Potresti impegnarti- lo esortò Kei.

-Lo sto facendo!-

-Dovrei credere che non riesci a battermi facilmente dopo anni che sono fuori allenamento?-

Ripresero a combattere senza esclusione di colpi fino a che un violento attacco non li fece tornare entrambi nelle mani dei rispettivi blader.

Takao si prese il tempo per realizzare quanto accaduto prima di riprendere il vecchio sorriso che lo contraddistingueva.

-Lo so che lo hai fatto apposta- affermò Kei riferendosi al pareggio.

-Non è..- Kei lo guardò scettico -..ok ok! Immagino vorrai la rivincita quindi!- tentò mostrando la dentatura esaltato.

Il russo scosse la testa e si risedette sul porticato rimettendo Dranzer e il lanciatore nella scatola.

-Ora puoi tenerlo-

-No davvero Kei.. non posso prenderlo!- si difese come se fosse appena stata detta un’eresia.

-Io non lo uso più.. l’ultima volta che te l’ho dato era per il motivo sbagliato- cercò di convincerlo ricordando avvenimenti di anni prima –Tu ne farai un uso migliore..-

-Non potrei mai..-

-Almeno mettilo in un posto più degno che in una vecchia scatola al buio- insistette e spinse il contenitore verso l’altro.

Takao non aggiunse una parola, ma ricambiò il sorriso sincero dell’altro.

-E questo non significa che non abbiamo più nulla da spartire- aggiunse il russo alzandosi.

Il moro tornò a osservare i riflessi che formava il sole sulla superfice lucida di Dranzer, come catturato: l’aveva di nuovo visto ruotare e prendere vita.

Certamente quella scatola non poteva essere la dimora per un beyblade del genere. Semplicemente non poteva.

 

Sperava vivamente che in quel modo il capitolo beyblade sarebbe stato chiuso definitivamente.

Aveva provato una sensazione strana nel lanciare nuovamente Dranzer, ma anche solo nel toccarlo quando lo aveva tirato fuori dalla scatola nella quale era stato riposto anni prima.

Mentre preparava le valige a giugno, non aveva considerato di portarlo fino a quando quel contenitore aveva fatto capolino dal suo armadio mezzo vuoto. Allora non ci aveva riflettuto e, senza nemmeno alzare il coperchio, aveva infilato tutto nella borsa.

Sinceramente quell’oggettino lo intimoriva: era stato il primo a fargli provare emozioni forti, diverse e soprattutto positive, ma al contempo era diventato portatore di ricordi tremendi.

Dranzer raccoglieva in sé tutto quello che lui era stato e che gli era accaduto e, avendolo accantonato per così tanto tempo, l’aspettativa verso di lui era alquanto complicata.

La verità, invece, risultava molto più semplice: non appena Takao aveva aperto la scatola, il metallo blu del bey aveva rispecchiato il calore del sole e a Kei sembrò come quando si vede un’opera d’arte, un quadro o una statua, dal vivo dopo averla sempre conosciuta tramite immagini su dei libri. Il bey era l’opera fisica, mentre il ricordo che ne aveva era l’immagine.

All’ammirazione iniziale, si aggiunse lo stesso timore che leggeva nei gesti di Takao, quello di toccarlo, come se non gli fosse realmente concesso, come se avesse potuto rovinarlo, quindi gli costò non poca fatica decidersi ad afferrarlo; cosa lo spinse a farlo, comunque, non lo sapeva, come non si spiegava quella insana idea di lanciarlo nuovamente. Forse era la sorpresa del momento, il volto incredulo e felice di Takao, quella sensazione di ritorno al passato, la voglia di testare tutto quell’insieme di emozioni, tentare di capire se ciò che ricordava corrispondesse alla realtà.

Il metallo a contatto con le sue dita era freddo, come se fosse rimasto congelato nel tempo, e familiare: ancora di più il lanciarlo.

Ma nella velocità dei momenti e nel loro ritmo incessante avvertiva qualcosa di diverso, di nuovo, che non aveva mai provato: non era né positivo, né negativo, ma solo diverso.

I ricordi si mischiarono alle sensazioni presenti, l’aspettativa che aveva al riguardo si tramutò in sorpresa nel scoprirsi al contempo legato a quel combattimento, a quel beyblade, e allo stesso modo estraneo, come se si trovasse in un tempo sbagliato.

Arrivò alla conclusione che quello faceva parte del passato: un passato che non voleva rinnegare e che portava sempre con sé, di cui non poteva disconoscere il fascino e la passione, ma che ormai non faceva più parte di lui, non così visceralmente come un tempo almeno.

Decise di lasciare Dranzer a Takao per dimostrargli tutto questo e che, al contrario di quello che il giapponese temeva, anche se non lo riusciva a dimostrare, gli era grato di tutto quello che stava facendo e di quanto lo tenesse in considerazione.

 

Era meteoropatico al contrario: ecco la soluzione alle sue domande.

Le ultime settimane erano passate serene e senza intoppi, con un culmine di rilassatezza e calma durante un fitto temporale che li aveva colti un martedì pomeriggio all’improvviso per poi sparire e lasciare dietro di sé una scia di frescura indescrivibilmente piacevole.

Ma era bastata una notte per rovesciare la situazione e far sì che tornasse il caldo, se possibile ancora più torrido e soffocante di prima.

Era una giornata linda, senza una nuvola e con la temperatura alle stelle e Kei non poteva essere più nervoso di quanto già non fosse.

Era stata fin troppo una pacchia fino a quel momento: si era illuso che gli sbalzi d’umore non si sarebbero più fatti vivi, o almeno non in maniera così plateale. Invece era tornato intrattabile nel giro di poche ore, anzi probabilmente pochi minuti.

Decise di affrontare la giornata nel solito modo, ma dovette contenersi diverse volte per non mandare all’aria tutto quello che si era accorto di aver costruito, a partire dal legame di pace con Takao e Hilary. Mandò mentalmente a quel paese quel tempo così dannatamente bello e in collisione col suo stato d’animo mentre si dirigeva da Mizuki: sarebbe stato a casa sua prima di seguirla in piazza.

La salutò malamente, ma lei ignorò quel suo comportamento. Aspetto positivo della ragazza era la capacità di non assillarlo per continue attenzioni e con mille domande.

Rimasero in casa da soli per un’oretta prima di andare al ritrovo dei breaker: quel caldo aveva fatto rintanare tutti in casa e per questo le persone in giro erano relativamente poche. La piazza era stranamente deserta.

Si rifugiarono nell’unico angolo all’ombra dei pochi alberi che costituivano la zona verde, aspettando che si facesse vivo qualcuno con lo stereo. Solitamente erano in tre gli addetti a portarlo e finchè questi non si presentavano gli allenamenti dovevano aspettare.

Dopo una ventina di minuti uno di questi arrivò: era un tipo bassetto di cui Kei non ricordava il nome. Mizuki e il nuovo arrivato iniziarono a riscaldarsi, quando qualcun altro si fece vivo.

-Ciao Naoki!- lo salutò il ragazzo dello stereo.

Tra tutti quelli del gruppo, proprio l’ex di Mizuki: la ragazza lo salutò freddamente cercando di prestare attenzione solo a Kei dimenticandosi del caratteraccio che quel giorno lo contraddistingueva.

C’era abbastanza tensione nell’aria: il russo non era certo di potersi contenere anche quel giorno, con i nervi tesi che si ritrovava, se solo Naoki avesse tentato di infastidirlo.

Non era sicuro di poter essere padrone delle proprie azioni.

Si ripetè mentalmente di calmarsi e di stare tranquillo, ma l’altro aveva iniziato con la sua sfilza di occhiatacce: se in quelle settimane aveva imparato a conoscerlo, avrebbe scommesso che da lì a poco avrebbe iniziato con le solite frecciatine.

Kei si concentrò sul discorso di Mizuki del quale non aveva afferrato il soggetto.

-Che succede oggi mezza sega? Allergico al sole?- iniziò il giapponese riferendosi al fatto che fosse seduto nell’appezzamento di ombra.

Kei gli rifilò un’occhiataccia, ma non rispose. Doveva stare calmo.

Nei minuti successivi accaddero diverse cose: Naoki continuava a rifilare commenti fastidiosi tra una move e l’altra, per poi entrare nel cerchio sfidandolo apertamente. Lo squadrava intensamente, come ad incenerirlo con lo sguardo e ballava nella sua direzione, rivendicando quel confronto che il russo non aveva ancora accettato.

Non seppe definire quello che lo spinse ad alzarsi: l’oppressione per il caldo, la musica che inseriva nei rumori dell’estate, il nervosismo inspiegabile dei suoi vecchi e familiari cambi d’umore, la sigaretta che aveva fatto fatica ad accendersi o il fastidio verso l’espressione arrogante e detestabile di Naoki. Comunque si alzò contemporaneamente col giapponese e lo fronteggiò.

In quel paese orientale era difficile, se non impossibile trovare qualcuno più alto di lui, se non gli stranieri che affollavano il centro di Tokyo, ma quello non era il caso del suo avversario.

Cercò di reprimere la tentazione di fronteggiarlo con un cazzotto, la cui idea gli stava animando la mano destra, e cercò di convertire quella scarica di adrenalina in altri movimenti; passò la sigaretta accesa che teneva tra le labbra a Naoki che, interdetto, la prese tra le dita, per poi accettare la sua sfida.

Aveva già partecipato a delle battle in Russia, per vincere qualche soldo per la droga, e, ricordando quel periodo, affrontò quel confronto con tutti i passi che ricordava. Quei pochi minuti di entrata volarono via in un attimo.

Forse esagerò un poco, poiché quando si ritrovò nuovamente in piedi, il giapponese di fronte a lui lo guardava allibito e deluso. Lo fulminò con gli occhi prima di riprendersi la sigaretta dalle mani immobili dell’altro e tornare a occupare il suo posto all’ombra, tranquillamente e con solo un po’ di fiatone come se nulla fosse successo.

Mizuki gli si avvicinò con un’espressione indecifrabile.

-Cazzo Kei.. pensavo non volessi ballare perché non eri tanto bravo, ma.. cioè.. wow!-

Il russo le lanciò un’occhiata di sufficienza senza risponderle; dopo aver scaricato un po’ di nervoso voleva solo godersi quella sigaretta cercando di calmarsi definitivamente.

In quel momento sparirono tutti intorno a lui, non sentì nemmeno i commenti di Naoki e del tipo basso, non prestò attenzione neanche quando altri ragazzi arrivarono e furono messi a conoscenza dell’accaduto.

Semplicemente prima del solito decise di andarsene e salutò Mizuki, che aveva iniziato a pressarlo su qualcosa tipo insegnarle alcuni passi.

Era un periodo strano: tutta quella serenità che lo aveva avvolto fino a pochi giorni prima era sparita e, il tornare a quell’apatia, era stato più duro del previsto. Iniziare a reagire aveva reso le cose strane e lui incapace di affrontarle, non sapeva come comportarsi rispetto a quelle nuove sensazioni.

Lo spettacolino in piazza era stato una reazione a quel senso di inadeguatezza nel ritornare a quel momento di depressione.

Guardò verso il cielo terso, risentendo sulla pelle quella cappa di caldo che aveva avvertito al suo arrivo a giugno, ma questa volta il doppio più opprimente.

Sospirò e percorse i pochi metri che lo separavano dal dojo Kinomiya: cos’era che poco più di un mese prima lo aveva fatto tornare a respirare? Avrebbe rifunzionato, ma soprattutto avrebbe lasciato che rifunzionasse?

Cercando una risposta a queste domande attraversò il portone di legno ed entrò nella villetta, cercando Takao e Hilary. Ebbene, dovette ammettere di volerli cercare e capire se quella loro spensieratezza innata c’entrasse qualcosa con le sue domande.

 

 

 

 

 

 

..e ti vedi con una che fa il tuo stesso giro..

 

 

 

Essenzialmente le cose finsero di tornare normali.

Kei mascherò ogni comportamento sospetto e rigò dritto per qualche settimana, bucandosi sempre vene differenti per non lasciare segni.

In quel periodo Kei e Nataliya si allontanarono nuovamente, poiché la ragazza rappresentava un sospetto per gli occhi sempre più attenti di Yuri. Se doveva scegliere tra lei e la droga, Kei aveva optato per la seconda.

Quanto però le due cose erano collegate, lo capì quando Yuri scoprì che non aveva realmente smesso. Dopo varie litigate e crescenti toni, Kei se ne andò via di casa.

Disse che non sarebbe tornato, e così fece. Era senza soldi e senza un posto dove stare.

Poche erano le persone che gli erano rimaste accanto: i ragazzi della dorogi si erano divisi tra quelli che erano scampati al fascino della droga, un numero che si contava sulle dita di una mano, e quelli che invece ci erano cascati. Alcuni morirono, di AIDS, di botte, di stenti, gli altri si raggruppavano e si tradivano a vicenda, tutto pur di avere più soldi e più roba per sé.

Fu inevitabile rincontrare Nataliya.

-Ora sto da Klaus.. sono scappata di casa..- gli aveva detto e lo aveva portato con sé.

Convissero, loro due e altri tre ragazzi, tra cui Klaus, il padrone del piccolo appartamento dall’aspetto inabitabile: non c’era praticamente di mobilia, poiché era stata venduta tutta per pagare i buchi, infatti dormivano su materassi buttati per terra. Era una casa sporca e fetida, ma garantiva un tetto e un luogo sicuro.

Dalle bocche di Nataliya e Kei uscivano in quantità uguale i ‘ti amo’ e i ’ti odio’, ma quale sentimento provassero realmente non lo sapevano nemmeno loro.

Trovarono un compromesso: sarebbero stati insieme, avrebbero continuato quella relazione caotica, ma avrebbero potuto al contempo vedere altre persone e stare a regole personali.

Unico vincolo: mai mentire.

Kei conobbe nuove persone, si unì a un nuovo giro e continuò a vedere Nataliya. Cercava i soldi per le dosi, rubando e andando a letto con ragazze che potevano dividere qualcosa con lui.

Nataliya continuava a prostituirsi, questa volta usando i soldi per sé e il suo vizio.

E per Kei.

Per quanto litigassero, finivano sempre l’uno tra le braccia dell’altra, confortandosi nella loro disperazione comune: erano a conoscenza delle loro disgrazie, lei si era confessata a lui e lui si era confessato a lei.

E per quanto si prendessero cura l’uno dell’altra, continuavano ad odiarsi, poiché stando insieme potevano specchiarsi e trovarsi faccia a faccia con la parte di se stessi che cercavano di negare incessantemente.

Per diversi mesi, all’infuori del giro Kei incontrò solo Dana. La palestra dove lei aveva iniziato a insegnare era l’unico luogo dove tentasse di rimanere pulito, l’unico dove il bisogno diminuiva, ma presto la dipendenza lo costrinse a profanarlo. Era l’ultimo appiglio a quella che era la vita e non appena il suo corpo cedette e non riuscì più a sostenere quella sua danza, Kei si spense del tutto.

Aveva reciso ogni legame sano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

E ancora una volta abbiamo un po’ di passato e presente XD ormai avete capito l’andazzo.

Se per il passato lascio libero spazio alla vostra fantasia, per il presente notiamo delle cosucce.. intanto la parentesi tra Kei e Takao.. ebbene diciamo che questo è all’incirca la chiusura definitiva del capitolo bey, ha avuto il suo spazio Dranzer come era giusto, ma ora possiamo far mettere il cuore in pace al Tak u.u poveri noi!

Sulla seconda parte invece.. beh se avete domande chiedete :O se per caso dessi per scontato cose che non lo sono affatto ditemele pure che cercherò di rimediare u.u Spero che abbia reso la parte in piazza.. non ne sono totalmente convinta in verità ma vabbè dai O____o

Non voglio lasciare punti oscuri! XD

Vabbè.. vi lascio e aspetto vostre notizie.. non farò mai più notare la moltitudine di recensioni, perché l’altra volta l’ho fatto e sono automaticamente calate XD ihih però continuo a ringraziarvi come è mio dovere fare!

Alla prossima settimana..

Un bacione :)

 

 

Ps: ringraziamo tutte insieme Sara Bareilles che oggi ho deciso di ascoltare in macchina perché senza di lei mi sarei dimenticata che stasera era serata di aggiornamento XD

 

Ps2: tantissimi auguri di buon compleanno alla Pad ^^ yay

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Capitolo 26
*** Fragile ***


Dici di aver visto

Sempre troppo forte

Sempre accesa la tua spia

 

 

 

 

Fragile

 

 

 

Si era appena abituata alla calma che entro pochi giorni sarebbe tornato il caos insieme a Max e Rei.

Doveva ammettere che quel periodo di quiete era stato davvero ristoratore: con il caldo di quei giorni non sarebbe riuscita a sopportare uno spreco esagerato di energie.

Varcò la porta del dojo come sempre, ma, prima che riuscisse a rendersene conto, si vide superare di corsa da Takao.

-Dove stai andando?-

-Devo comprare una cosa, torno tra un po’!- le urlò mentre girava l’angolo.

Nonno J non c’era e quell’irresponsabile se ne andava fuori di corsa senza nemmeno chiudere la porta. Pensò che l’unica spiegazione possibile fosse che Kei fosse ancora a casa, cosa insolita considerando che a pomeriggio inoltrato era sempre difficile trovarlo.

Sbirciò in tutte le stanze canticchiando una canzone che passavano spesso alla radio in quel periodo; entrò in sala e notò un insolito disordine in una credenzina: tutti i soprammobili erano stati raggruppati in un angolo alla rinfusa, circondati da una serie di stracci, e il vetro dell’espositore in equilibrio precario. In questo scenario solo un oggetto era perfettamente al sicuro. Una di quelle trottoline, blu per l’esattezza. Hilary la riconobbe come Dranzer, il bey che il giapponese da pochi giorni a quella parte non faceva altro che ammirare e portare in giro per casa alla ricerca di un posto adatto dove sistemarla.

Cercò di non indagare oltre: quello che Takao era corso a comprare c’entrava sicuramente con quel cataclisma e non osò nemmeno immaginare quali fossero le sue malsane idee. Per fortuna o disgrazia Nonno J non era lì intorno a controllarlo e disperarsi.

Sentì un rumore proveniente da fuori e pensò che potesse essere Kei.

Probabilmente era in palestra: quegli ultimi giorni avevano portato di positivo anche l’atteggiamento del russo nei confronti della ragazza. Si sopportavano, anche se lei aveva notato che dal giorno prima il russo sembrava essere tornato di umore pessimo.

Ebbene, lo sopportava, ma prima di capirlo avrebbe dovuto fare ancora molta strada e..

-Kei!-

Hilary allarmata uscì di corsa in giardino e percorse il porticato fino all’entrata della palestra: Kei era inginocchiato sul pavimento di legno, con la fronte appoggiata a una delle colonnine portanti della struttura e prendeva respiri profondi, troppo profondi e troppo lunghi per poter essere considerati normali.

La ragazza gli si avvicinò e si accovacciò nel momento in cui Kei iniziò a tossire.

Allontanò il cellulare del ragazzo che era stato abbandonato per terra e appoggiò una mano sulla sua spalla, timorosa. Non sapeva né che gli stesse succedendo, né che cosa fare per aiutarlo.

Sembrava non riuscisse a respirare, teneva gli occhi chiusi mentre il petto si muoveva a ritmi troppo veloci in confronto alle boccate d’aria che riusciva a prendere.

-Kei! Calma.. vado- si guardò intorno spaesata pensando velocemente a un modo per reagire –vado a cercare qualcuno!- da sola non ce l’avrebbe fatta, ma se erano in casa da soli, l’unico modo per ottenere aiuto era telefonare: un ambulanza, Takao, Nonno J, i suoi genitori, chiunque purchè le dicesse come fosse meglio comportarsi.

Visualizzò il cellulare che aveva scontrato poco prima e fece per alzarsi, ma si sentì bloccare il polso. Kei, con una forza che non sembrava in grado di avere, l’aveva afferrata prima che potesse muoversi e non le permise di divincolarsi.

-Kei lasciami.. non so cosa fare, devo..- non sapeva che dirgli per convincerlo.

Le sembrò che avesse pronunciato un –no- o qualcosa di simile, ma non poteva confermarlo con certezza; l’unica cosa che riusciva a capire era che gli mancasse l’aria.

Come poteva aiutarlo se seguitava a impedirglielo?

Il russo tossì nuovamente, accasciandosi sempre di più verso terra, prima di fare improvvisamente forza sul polso di Hilary: le sembrò che le volesse staccare il braccio e per un secondo lo temette, se non fosse che si ritrovò sbilanciata verso di lui. Sarebbe caduta in avanti se non avesse incontrato il corpo del ragazzo stesso; Kei aveva appoggiato la fronte nell’incavo del collo della giapponese senza abbandonare il respiro affaticato e irregolare.

Il tempo si fermò di colpo; il caldo, l’ansia, il malore del ragazzo, il contatto tra i loro corpi, resero la situazione irreale.

Senza capire come, Hilary lo sentì normalizzare il ritmo e avvertì il panico di quei momenti scemare lentamente. Cercando di calmare anche se stessa, rigirò il polso che Kei teneva ancora stretto e riuscì a fargli allentare la presa: non eliminò il contatto, ma fece scorrere lentamente la mano sul suo avanbraccio, ancorandosi a lui con una carezza che continuò, muovendo leggermente le dita sulla pelle calda del ragazzo. Portò invece la mano sinistra sulla sua schiena, massaggiandolo lentamente con movimenti circolari.

Poteva sentire il respiro caldo di Kei sulla sua pelle, intenso e ansioso, e automaticamente quell’irregolarità la portò a controllare il proprio.

Pensò all’atto del respirare nella sua azione naturale e, senza accorgersene, diede il ritmo giusto di inspirazione ed espirazione. Avvertì la giugulare pulsare al battito del proprio cuore sulla fronte di Kei che lentamente stava cercando di imitarla.

-Con calma, ecco così- inspirò ed espirò –così va meglio- continuò a sussurrargli incitamenti e ad aiutarlo a impadronirsi dell’aria correttamente.

 

 

 

 

 

 

..e ti senti il diritto di sentirti leggero..

 

-Credo che avessero ragione- gli sussurrò Nataliya in un momento della giornata indefinito, sdraiati vicini sul loro materasso sfatto.

-Su cosa?-

-Sui tuoi occhi.. sul loro colore!- rise –Ora si contornano di nero come quelle merde di buchi!-

-Tu stai facendo trip troppo assurdi invece- rispose lui divertito, ben consapevole che le sue iridi non fossero cambiate.

-Eppure lo vedo!- continuò fissandolo, mantenendo il contatto visivo come solo lei riusciva a fare.

Si baciarono in quel momento di pace nel loro rapporto così incasinato.

-Cazzo quanto sei bello- bisbigliò lei segnando con l’indice il contorno del suo viso.

-Non dirlo..- disse lui infastidito.

-La bellezza.. che brama e che maledizione!- aggiunse allineandosi con i pensieri di Kei che sospirò –Se tu fossi nato brutto pensi che sarebbe cambiato qualcosa?-

-Probabilmente sarei già morto-

-Non c’è molta differenza da adesso.. ci stiamo uccidendo piano piano- disse lei pratica e crudele.

-Sarebbe successo prima e con meno cerimoniali..-

-Nessuno ti avrebbe mai desiderato intendi..- aggiunse Nataliya cercando conferma dei pensieri dell’altro, consapevole di aver capito tutto di lui.

-Lo sai anche tu- annuì Kei.

-Diceva che era per colpa mia.. perché sono troppo bella- e lo guardò più intensamente cercando la comprensione che le serviva. La trovò.

-Invece ora facciamo schifo- constatò lui divertito.

-Bella rivincita!- lo assecondò lei.

Ne risero insieme. Parlavano e scherzavano delle proprie disgrazie solo grazie alla dose contenuta nella siringa abbandonata a pochi centimetri da loro. Una risata di scherno verso quel quadretto così paradossale. Una risata che poteva essere benissimo pianto, ma che tramutarono in passione e sesso.

-Tu, però, non potrai mai fare schifo..- sussurrò ancora Nataliya, senza sapere con precisione se l’altro l’avesse ascoltata.

Durò ancora il tempo di una lunga serie di litigate e di riappacificazioni, ma quella sera di inizio dicembre arrivò e segnò la tappa decisiva del loro rapporto.

La vide ridere e guardarlo maliziosa e un attimo dopo morire. Qualche secondo per realizzare e per fare qualcosa. La confusione dettata dall’eroina e dalla paura.

Riuscì senza rendersene conto a trovare un cellulare sconosciuto e a comporre il numero dell’ambulanza: non sapeva nemmeno di conoscerlo, ma lo compose.

Cercò di rianimarla, ma assistette solo ai suoi spasmi e al cessare del battito cardiaco.

Gli occhi che aveva incontrato negli ultimi due anni in ogni occasione, nella felicità e nella disperazione, non gli erano mai sembrati così spenti, eppure così chiari e belli. Vi si specchiò e vi si perse.

Sarebbe restato ancora in quella posizione, accucciato al suo fianco con la mano sul suo viso, se delle braccia e delle voci non lo avessero spinto ad alzarsi e scappare. Corse via da quella casa sconosciuta nella quale non sapeva nemmeno come ci fosse arrivato e seguì quello che finalmente riconobbe come Klaus verso il loro appartamento.

A metà strada si fermò cercando di realizzare, ma non ci riuscì: perché era andato via e perché l’aveva lasciata lì?

Ignorò le domande senza senso apparente di Klaus e iniziò a camminare da solo, verso un luogo indefinito, senza prestare attenzione alla destinazione.

Si fermò ancora in confusione e fissò la coltre bianca che lo stava ricoprendo: non si era accorto stesse nevicando. Si stupì ancora di più quando vide una figura familiare uscire dalla casa davanti alla quale si era fermato.

Era Yuri. Non lo vedeva da mesi e si chiese come avesse potuto resistere senza il suo appoggio fino a quel momento. Perché le sue gambe lo avevano fatto arrivare proprio lì e perché non lo avevano fatto prima?

Non si rendeva conto di quello che stava facendo poiché si trovava ancora in piena confusione.

Si lasciò abbracciare dall’amico/fratello e lo seguì in casa in un turbinio di incertezza.

Sentì il mondo cadergli addosso quando si risvegliò ore dopo sudato nel suo letto, nella sua camera.

Ricompose velocemente tutti i tasselli di quello che era successo la sera prima e finalmente realizzò.

Realizzò, ma non accettò. Con un gesto automatico allungò la mano verso il comodino dove un tempo teneva l’ero, ma non ce n’era. Cercò in tutti i vecchi nascondigli se ne fosse rimasta ancora, ma non trovò nulla.

Uscì di casa; per fortuna nessuno lo bloccò e tornò all’appartamento di Klaus.

Evitò di rimanere lucido anche solo per un minuto per diversi giorni, fino al giorno del suo funerale. Aveva letto data e luogo su dei manifesti e, nonostante si fosse ripetuto mille volte di ignorare quel richiamo, ci andò.

Arrivò in ritardo ed entrò nella piccola chiesa ortodossa. Rimase in fondo e si appoggiò alla parete affrescata. Non ascoltò nessuna delle parole del sacerdote, né si accorse degli sguardi di disapprovazione verso la sua figura che gli riserbarono delle donnette sedute nelle ultime file.

Si limitò a osservare la semplice bara posta davanti all’altare.

Ci vedeva qualcosa di estremamente sbagliato: quel rito nel quale lei non credeva, quei fiori che non avrebbe apprezzato e persino quella tristezza ostentata dalle persone presenti.

Avrebbe voluto andare là davanti, aprire la bara e portarla via, lontano da quell’ipocrisia. Lui l’avrebbe voluto, avrebbe preferito. Ma non lo fece.

Uscì dalla chiesa prima che terminasse il rituale: era riuscito ad andarci solo grazie a una dose consistente, non poteva permettersi di far passare l’effetto. Ora come ora non poteva far altro che aspettare di raggiungere Nataliya, farsi il suo ultimo buco; loro due erano uguali, da quando si erano trovati era stato una continua scoperta di quella somiglianza, dovevano arrivare fino in fondo insieme.

Lo voleva però? Sapeva di averla sempre allontanata per quello. Ma se alla fine si ricongiungevano sempre, doveva esserci un motivo.

-Kei torna qui!- gli arrivò quella voce come da un altro pianeta.

-Torna a casa!-

Si girò e incontrò due grandi occhi azzurri. Chiari e vivi. Yuri doveva averlo visto e seguito. Probabilmente gli aveva anche detto qualcosa prima di quelle frasi.

Lo ascoltò assente. Stava dicendo tante cose contemporaneamente, tanti propositi, tante speranze. Una parte di lui gli suggeriva di girarsi e andare via, ma un’altra lo invitava a dargli retta, a fidarsi di quella persona che conosceva da una vita e non lo aveva mai deluso.

Li raggiunse anche Dana, con gli occhi gonfi di lacrime.

Senza sapere come lo convinsero a sedersi con loro su una panchina.

Di nuovo discorsi sul futuro, sul domani, sulla speranza e sulle possibilità.

Discorsi opposti a quelli che Kei aveva sentito fino a quel momento, a quelli che aveva tante volte fatto con Nataliya.

Ma a quali doveva credere.

Portò le mani davanti agli occhi confuso.

-Per favore, almeno tu, vivi!- esclamò disperata Dana –Lei non l’ha fatto, ma tu puoi ancora! Non voglio che tu finisca come lei! Non voglio perdere anche te!-

Una risposta.

-Sì- sussurrò annuendo.

-Cosa?- chiese la ragazza con un filo di voce rotta dal pianto.

-Va bene- disse annuendo ripetutamente.

In quell’attimo che credette di pazzia, poi di buon senso, poi ancora di pazzia, si convinse a dare una risposta a quei dubbi che lo avevano tormentato. Doveva spezzare quel legame con Nataliya, doveva accettare che lei non ci fosse più e che lui invece avesse ancora tempo.

Così si lasciò guidare.

 

..e ti attacchi alla vita che hai

 

 

 

 

 

-Il suo ricordo mi sta perseguitando- disse reggendosi la testa con le mani, i gomiti saldati sulle ginocchia.

Nel silenzio irreale di quel caldo afoso, Kei le aveva raccontato a grandi linee tante cose, troppe per essere assimilate in così poco tempo, ma allo stesso tempo troppo poche: non era entrato nei dettagli, le aveva concesso poche frasi che raccoglievano avvenimenti, persone, luoghi, sentimenti e sensazioni che poteva leggere nei suoi occhi. Mentre parlava, lo vedeva perdersi in immagini lontane, in dettagli e particolari che non riusciva a condividere. Le parole da lui pronunciate erano solo la superficie, il racconto sterile di più di un anno della sua vita, mesi particolarmente intensi e duri. Chissà quanti dialoghi, quanti momenti aveva omesso in quei silenzi che si forzava da solo, in cui si fermava e guardava dritto davanti a sé, per passare velocemente e senza apparente logica alla frase successiva.

Molte cose le rimanevano oscure, ma aveva capito che c’era questa ragazza, Nataliya, e che con lei Kei aveva condiviso dolore, un dolore di cui non aveva avuto spiegazioni, ma comunque intenso e palpabile.

-E’ normale Kei, è stata una persona importante nella tua vita!-

Hilary, dopo quello strano abbraccio di poco prima, non aveva più avuto contatti col ragazzo; non riusciva ad avvicinare nemmeno un arto, anche se sentiva l’impulso di allungare il braccio e confortarlo.

-Ma perché proprio adesso?- chiese impercettibilmente seguitando a torturarsi i capelli.

-Piuttosto ora come va? Sicuro di stare meglio?- cercò di cambiare discorso la ragazza, notando lo stato emotivo di Kei.

Il ragazzo annuì.

-Forse sarebbe meglio se ti facessi vedere da qualcuno- ma l’altro negò con un cenno del capo –Scoprire se è qualcosa di grave, non si sa mai, sembrava asma o..-

-So cos’è.. ho già fatto tutti i controlli possibili in Russia-

-Cos’è allora?- si informò, in attesa di sapere cosa l’avesse turbata così tanto.

-Attacchi di panico- soffiò come fosse una confessione scomoda –Era da un bel po’ che non ne avevo, pensavo fossero finiti-

Il russo si sistemò a sedere più composto, visibilmente insofferente per quella situazione.

-Non sono cose che possono terminare così..- aggiunse lei calibrando parole e tono di voce, con dolcezza per quella convinzione infantile.

-Lo so- ammise lui sconfortato.

Kei finalmente decise di girarsi per vedere l’espressione della ragazza seduta di fianco a lui: lo guardava preoccupata e accigliata, ma non appena i loro occhi si incontrarono, lei arrossì e distolse lo sguardo.

-Lo so che non vedi l’ora di raccontarlo a tutti e queste cose qui, ma.. potrebbe rimanere tra noi questa.. cosa?-

-Che? Non vuoi che sappiano degli attacchi di panico? Ma se dovessi trovarti di nuovo in..-

-E’ sotto controllo..-

-Ah sì, mi sembrava proprio tutto sotto controllo prima!- rispose indispettita Hilary.

-Tempo, ho solo bisogno di tempo per calmarmi..-

Lo fissò scettica, ma poi si arrese –Non ho intenzione di dire niente, se è questo che vuoi, anche se penso che sarebbe meglio che gli altri sapessero.. per te, non per altro-

-No, grazie- confermò Kei tornando a guardare davanti a sé.

Hilary lo osservò nuovamente, ora che quelle ametiste indagatrici erano fisse su un altro punto.

Era una stupido a non voler dire niente, ma non poteva aspettarsi altro da una persona che teneva ben segregato dentro di sé tutto quel mondo infernale a cui aveva avuto accesso solo superficialmente.

Quella sua aria da duro e impassibile era così facilmente abbattibile in pochi minuti: faceva uno strano effetto vederlo chiudere gli occhi e abbandonarsi con un sospiro alla colonnina al quale l’aveva trovato reggersi poco prima. Era strano e irreale, come in un’altra dimensione.

Era da giorni che cercava un’ottica giusta per inquadrarlo, per capire come rapportarsi e come classificarlo; tutto quello che riusciva a pensare in quel momento era a una semplicità, mascherata dietro a una complicatezza inesistente: una semplicità nel modo di parlare, conciso e diretto, nel modo di pensare, concreto e visibile, montato dietro a un impalcatura di problemi e ostacoli che si era creato lui stesso con le sue stesse mani.

Perché quella visione di insieme non le provocasse pena o dispiacere, ma al contrario la colpisse e affascinasse tanto da provare un’insolita attrazione, non se lo sapeva spiegare.

Aveva solo un brutto presentimento. Un tremendo presentimento.

 

 

 

 

-Finalmente!-

Takao accolse i due amici di ritorno dai loro paesi di origine.

Max e Rei ritornarono, infatti, a poco più di una settimana dalla fine delle vacanze, che preannunciavano l’imminente rientro a scuola.

Il giapponese era al settimo cielo per il loro arrivo e non fece altro che assillarli per sapere come fosse andata in quei giorni: voleva sapere tutto, ma allo stesso tempo non riusciva a tenere la bocca chiusa per informarli su quanto fosse successo in loro assenza, relativamente poco, ma abbastanza per essere imbastito con una buona dose di esagerazione di creazione tutta Kinomiya.

-Beh io una novità ce l’ho!- riuscì a dire improvvisamente il cinese, sovrastando la voce dell’amico.

-Sarebbe?-

-Io la so!- lo interruppe Hilary gioiosa.

-Come la sai?- chiese Rei perplesso.

-Ho ricevuto una chiamata internazionale qualche giorno fa!- aggiunse sorniona.

-Ehi lo vogliamo sapere anche noi! Com’è che lei lo sa e io no?-

-E’ che io mi sento con Mao!-

-E che c’entra Mao?-

-Vi siete messi insieme?- si inserì Max saltellando.

Rei di risposta gonfiò il petto entusiasta e annuì.

-Alleluya!-

-Let’s party!- urlò l’americano improvvisando un girotondo con gli altri ragazzi.

-Quanto mi siete mancati!- esclamò Takao nel vedere tutto quel caos.

Continuarono a saltellare fino a quando Rei non riuscì a liberarsi.

-Ciao anche a te eh!- disse il cinese con un mezzo sorriso, rivolgendosi a Kei seduto sulle scale dell’ingresso ad osservare la scena.

-Ciao-

-Non essere troppo felice di rivederci mi raccomando!- rise Max.

Il russo in risposta sventolò la mano destra in aria come per esultare, accompagnato da un poco (per niente) convinto –yeee- che, considerando la sua espressione seria e impassibile, sapeva molto di presa in giro.

Rei scoppiò a ridere: era stata una scena fin troppo spiritosa, comunque nel pieno delle sue aspettative.

-Sempre a fare il simpaticone!- esclamò divertita Hilary verso il russo che alzò gli occhi divertito per poi appoggiare la testa sulla mano.

Questo, invece, non se lo sarebbe aspettato. Da quand’era che quei due interagivano?

Beh, non si poteva certamente aspettare che in sua assenza quei tre non si rivolgessero la parola: gli balenò in testa un’immagine alquanto comica di un pomeriggio tipo, con Takao, Kei e Hilary intenti a ignorarsi nei pochi metri quadrati del giardino del dojo.

Ridacchiò tra sé mentre si recava in camera per disfare la valigia.

 

Erano trascorse poche ore dal loro rientro e sembrava che non se ne fossero mai andati: tutto era tornato al proprio posto.

-E questo che sarebbe?- chiese improvvisamente Max notando qualcosa di diverso nella sala del dojo.

Takao esultò perché finalmente qualcuno aveva notato la sua opera, passata fino a quel momento inosservata nonostante i suoi incessanti tentativi di metterla in luce.

-Ma quello è..- disse Rei avvicinandosi -..ma è Dranzer!-

Cercò con lo sguardo Kei, che se ne stava in giardino a fumare tranquillamente, mentre Takao partiva con il racconto di come il russo gliel’avesse consegnato.

-Era in una scatola, ma ci pensate? Quel bey in una scatola! Roba da matti!- continuò il giapponese scuotendo il capo.

-Basta Takao l’abbiamo capito!- si intromise Hilary senza più energie –E’ da giorni che non fa che ripeterlo.. aiutatemi!- e si aggrappò disperata al braccio di Rei.

Il cinese rimase senza parole. Qualcosa si era perso: osservò la vetrinetta, un tempo occupata da chissà cosa, ormai diventata un vero e proprio omaggio al campionato mondiale che li aveva uniti.

Erano presenti vari ritagli di giornali che parlavano delle loro vittorie e del loro percorso, tutti ritagliati sapientemente durante quei mesi lontani, e tra questi regnava la foto di gruppo scattata dopo la vittoria, con loro quattro attorno al trofeo; ultimo, ma importantissimo elemento era Dranzer, lucidato a dovere, appoggiato su un mini cavalletto. Sembrava la teca di un museo, mancava giusto la targhetta in ottone con la spiegazione del contenuto.

Sia Rei che Max lo trovarono bellissimo, perché raccoglieva tanti bei ricordi, anche se si notava lo zampino maldestro di Takao con la sua mancanza di precisione, segno comunque che tutto quello era stato realmente vissuto.

-Sono lì imbambolati da mezz’ora- disse Hilary alle loro spalle, convincendo Rei a staccare gli occhi da quella novità.

Erano lui, Max e Takao accovacciati a commentare ogni singolo articolo, foto o scritta che vedevano.

Rei si girò, quindi, per fare la linguaccia alla ragazza quando notò che a lei si era unito Kei, distante pochi centimetri, che li osservava con la stessa espressione perplessa della giapponese e a braccia conserte. Scosse la testa prima di dire –Ho fame- e andarsene verso la cucina.

-Dai che è ora di cena!- li esortò Hilary come una perfetta babysitter.

-Hai cucinato tu?- chiese allarmato Takao.

-No, ma anche se fosse?-

-Nessuno vuole morire Hil!-

-Brutto..- e gli tirò un pugnetto in testa cercando di fermare gli insulti che le stavano uscendo naturali dalle labbra.

Si diressero tutti in cucina, ma Rei, rimanendo indietro, iniziò a riflettere: c’era qualcosa di strano nell’aria.

 

-Non esci?-

Era primo pomeriggio: Max, ancora abbattuto dal fuso orario, era andato a dormire, mentre Hilary non era ancora arrivata. Takao invece doveva recuperare un bel po’ di compiti lasciati indietro e, tra una lamentela e un’altra, cercava di non staccare gli occhi dal libro di testo.

Rei, infine, aveva raggiunto Kei in giardino, in un angolino areato dove il russo si stava rilassando; prima della loro partenza il ragazzo usciva sempre verso quell’ora per andare da Mizuki e gli sembrò strano trovarlo ancora lì.

Kei scosse la testa in segno di diniego.

-Come mai? Non ti vedi con Mizuki?-

-No, mi ha mollato- rispose semplicemente.

Il cinese si sorprese di quella dichiarazione: una ragazza che aveva mollato lui e non viceversa? Proprio lui che sembrava essere conteso da tutto il genere femminile?

-Quando?-

-Mmm due giorni fa- disse pensandoci su e poi facendo spallucce.

-E come mai?-

-Ha raggiunto il suo scopo.. ora che ha ingelosito per bene Naoki penso che si possano mettere di nuovo insieme-

Rei lo guardò incredulo.

-E’ un po’ una troietta in fondo, no?- la scusò Kei con un ghigno.

-E non ti dispiace neanche un po’ scusa?-

-Oh sì, considerando che era molto brava a let..-

-Ok, ok, ok! Non lo voglio sapere! Ho afferrato!- disse il cinese sventolando le mani davanti alla faccia –E’ successo qualcos’altro che dovrei sapere mentre ero via?- continuò cambiando discorso.

Voleva capire cos’era quella strana sensazione che aveva avvertito il giorno prima nell’aria.

Kei ci pensò su, rispondendo infine di no.

-Proprio nulla?-

-Non che io sappia- rispose guardandolo interrogativo, senza capire dove volesse arrivare.

Rei pensò che: o era bravissimo a fingere e in realtà stesse nascondendo qualcosa, o davvero non era successo nulla e lui si stava facendo castelli in aria inesistenti.

-Tu piuttosto..- esordì Kei improvvisamente.

-Io cosa?-

-Tu hai novità-

Non era una domanda, ma un’affermazione che presagiva un discorso preciso e facilmente intuibile.

-E’ quello che ho detto ieri!- rispose facendo rispuntare il sorriso entusiasta del giorno prima.

-E..- lo esortò Kei evidentemente curioso.

-E che vuoi che ti dica?-

-Quello che vuoi-

Rei, che in realtà non vedeva l’ora di condividere la sua storia con qualcuno, iniziò a raccontare di quei giorni al villaggio della tribù della Tigre Bianca, di Mao, del loro imbarazzo e del loro automatico avvicinamento, trasformato poi in una vera relazione, di come avevano deciso di tenersi in contatto con telefoni, internet e qualsiasi cosa fosse utile e di quanto già gli mancasse.

-Quindi non vi rivedrete fino a Natale?- chiese Kei al termine.

-Lo so che non lo riesci a capire, ma davvero.. è quello che voglio!- rispose prontamente.

Il russo alzò le mani in segno di resa, facendogli capire che non avrebbe detto nulla sull’argomento.

-Com’è che ogni volta che cerco di far parlare te, finisco per raccontarti io della mia vita?- chiese con finta arrabbiatura il cinese.

-Esperienza- disse Kei con un sorrisetto.

 

-Qualcuno si degna di spiegarmi quel che succede?-

-Quel qualcuno dovrei essere io?-

-Vedi qualcun altro?-

Hilary si guardò intorno, fingendo di non sapere che nella stanza si trovassero solo lei e il cinese. Rise divertita della situazione.

-Dai Rei! E’ che non so di cosa tu stia parlando!-

Stavano aspettando che gli altri li raggiungessero per andare a vedere i fuochi d’artificio: eventi del genere si susseguivano durante tutta l’estate in ogni quartiere di Tokio, ma quella sera era speciale poiché era l’ultima festa prima della ripresa della scuola e perché cadeva nel giorno del compleanno di Max.

-Da quand’è che tu e Kei siete così.. così!-

-Così come?- chiese la ragazza sempre più divertita.

-Vi parlate, tu non ti lamenti di lui, lui non ti guarda male, non mantenete più la distanza di sicurezza di due metri che sembrava vi foste imposti.. potrei andare avanti sai?-

-E allora? Non eri tu il primo a ripetermi che lo avrei capito e accettato col tempo? Beh, il tempo è passato!- disse semplicemente.

-E tutto questo mentre io non c’ero?-

-Che sei geloso?-

-Ma no.. mi fa piacere- disse lui ridendo –Solo che in così poco tempo tutto questo cambiamento..- lasciò in sospeso la frase, tentando di insinuare il suo dubbio nelle parole di Hilary.

-Beh mi ha raccontato un po’ di cose..-

-Tipo?-

-Sul suo periodo.. scuro diciamo! Ho capito un po’ di più come ragiona e perché.. come mi avevi detto c’è un motivo se è così.. diverso, ecco!- confessò torturandosi una ciocca di capelli, per poi curvare le labbra in un sorriso.

-Cos’era?- quasi urlò Rei puntando il dito verso la ragazza.

-Cosa?- rispose lei allarmata.

-Hai sorriso.. cos’era quel sorriso?-

-Oh mio Dio Rei, non posso nemmeno più sorridere adesso? Che paranoia!-

-Hilary! Che ti ha raccontato Kei?- tentò ancora assottigliando gli occhi.

-Te l’ho detto.. e non ho intenzione di dirti di più, se ne avrà voglia lo farà lui!-

-Sei sulla difensiva-

-E tu sei paranoico.. secondo me l’amore ti fa male!-

-E’ già da prima di partire che l’ho notato e volevo chiedertelo, ma.. non è che ti piace Kei?-

In un attimo Hilary divenne rossa come poche volte lo era stata, il problema era capire se lo fosse per l’imbarazzo o per la rabbia.

-Cosa? Io? Cosa te lo avrebbe fatto pensare?-

-Beh.. tu!-

-Levatelo dalla testa!-

-Ok, ok, ma calmati.. solo che vi siete avvicinati molto e..- la ragazza lo fulminò con gli occhi -..ok non è così, ho afferrato!-

 

-Allora sei pronto per la vita scolastica?-

-Non vedo l’ora- rispose Kei con l’indifferenza alle stelle.

-Ragazzi! E’ il mio compleanno.. è vietato parlare di cose serie per tutta la sera!- urlò Max prendendo a braccetto i due amici e esortandoli a camminare più velocemente verso la sponda del fiume dove avrebbero assistito allo spettacolo pirotecnico.

Portava una specie di coroncina improvvisata, fabbricata con cura dall’americano stesso con l’aiuto di Takao: era piuttosto ridicola, ma Max la indossava con onore, come se fosse un’opera d’arte.

-Ecco da qui si dovrebbe vedere bene!- esclamò Takao, trovando un piccolo spazio sull’erba che circondava il fiume.

Si accomodarono, l’eco continuo delle proprie risate si mischiò al chiacchiericcio delle persone circostanti, fino a quando tutti insieme si zittirono come un sol uomo per alzare gli occhi al cielo e ammirare lo spettacolo.

Gli ultimi fuochi d’estate erano sempre i più belli, i più scintillanti, ma allo stesso tempo i più malinconici.

Varie forme si dispiegarono nel cielo formate da miriadi di scintille colorate che apparivano e scomparivano accompagnate dagli ‘oooh’ stupiti di quell’immenso pubblico.

-Estate non finireeeee!- urlò all’improvviso Takao per poi scoppiare nuovamente a ridere.

-Resta quiiii!- lo assecondò Max.

Le persone affianco a loro si dividevano tra chi si scambiava occhiate preoccupate e perplesse e chi si univa alla risata dei due ragazzi.

-Possibile che dobbiate sempre attirare l’attenzione?- chiese Hilary tra il divertito e l’imbarazzato.

-Ma solo per le figure di merda mi raccomando!- la imbeccò Rei sempre col sorriso.

Le battute si susseguirono quasi a tempo con lo spettacolo di luci: persero il conto di tutte le volte che vennero colti da un’ondata di risate e dovettero tirare indietro la testa o tenersi la pancia per l’ilarità.

Fu proprio in uno di quei momenti che Hilary si voltò alla sua destra e si accorse di quanto Kei fosse distante da loro, non tanto in fatto di metri veri e propri, quanto mentalmente.

Sembrava non sentirli, era seduto immobile con la testa alzata, fissa a guardare il cielo e il disperdersi dei colori. Sulla sua pelle si rispecchiavano quella miriade di sfumature, altalenando ombra a luce intensa.

Si perse visualizzando la pioggia di scintille ricoprire il nero del cielo e dare vita a quel volto così perfetto e così.. triste.

Era attento e completamente preso dai fuochi, gli occhi viaggiavano da una figura all’altra rapiti e distanti; lei stessa si isolò involontariamente dalle voci dei suoi amici, dal rimbombare dei botti e continuò ad ammirarlo. La attraeva ogni centimetro del suo profilo, tanto che lo studiò attentamente, notando dopo diversi secondi un movimento impercettibile delle sue labbra: stava dicendo qualcosa. Non si accorse di essersi avvicinata e nemmeno che quel suo crescere d’attenzione le aveva permesso di distinguere i suoni che fuoriuscivano dalla sua bocca, suoni sconosciuti, in una lingua lontana, una melodia più che un discorso. Doveva trattarsi di una canzone.

Rendendosi conto dell’intensità con cui lo stava fissando, distolse lo sguardo, ma non resistette più di pochi secondi.

Era sereno o triste? Tutto nel suo viso si contraddiceva, ma allo stesso tempo si sposava in completa armonia, non si sarebbe stupita né del veder spuntare una lacrima, né del nascere di un sorriso. La tremenda voglia di assistere all’apparire di una di queste emozioni era forte, anche se il solo guardarlo in quel momento le bastava.

-Ti piacciono i fuochi?-

Chiese improvvisamente Kei a voce bassa, abbandonando definitivamente la melodia.

Se Hilary non fosse stata così attenta a ogni suo movimento non lo avrebbe sentito e avrebbe perso l’occasione di rispondergli.

-Sì.. a te?- chiese incerta senza smettere di osservarlo.

Kei si morse il labbro inferiore, lo sguardo sempre fisso verso il cielo.

-Molto-

Fu come per magia che il russo si abbandonò ad un sorriso sincero.

E fu in quell’attimo così perfetto, che la consapevolezza pervase Hilary.

Forse Rei ci aveva visto giusto, se il continuare a guardarlo le provocava quella pace doveva esserci solo un motivo. Ed il suo presentimento si fece realtà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E con questo sono finite molte cose.. intanto ora dobbiamo salutare Nataliya, o comunque il racconto incentrato su di lei. E’ stato difficile rendere la sua morte soprattutto perché doveva essere improvvisa, dolorosa, ma anche sfuocata per la mancanza di lucidità. Spero di aver reso almeno qualche cosina di tutto questo.

So che molte di voi si erano affezionate alla sua figura, ma lo sapevamo tutti che sarebbe accaduto.

Altra cosa che è finita è l’estate. Presto si torna a scuola e.. beh ci saranno dei nuovi inizi, ma di questo parleremo nelle prossime settimane.

Voi amanti delle KxH lo so che siete lì da qualche parte a saltellare giulive: ora mi direte, lei è ovunque, basta è fatta, hip hip urrà. Beh continuate a farlo così vi divertite! ^^ Dai, intanto ormai si è capito che lei è caduta nella trappola del bel russo dagli occhi viola. Direi che è abbastanza chiaro o.O

Comunque ci tengo a sottolineare che, quando Kei le racconta le cose accadute nei flashback precedenti, lo fa sul serio in maniera molto superficiale; non so se ho reso l’idea, ma lui non arriva al punto da raccontarle tutto, non lo farebbe mai.. diciamo che si è solo un po’ aperto raccontandole qualche fatto. I dettagli e queste cose qui se li è solo rivisti nella sua testa!

Ora qualche rubrichetta stupida..

 

Spazi bianchi

Iniziativa stupida, balenata nella mia testa mentre combattevo i crampi alla pancia. Colpa di una full immersion nella semiotica che dice che nei testi gli autori lasciano spazi bianchi che è compito del lettore riempire.. beh, nell’ultima scena dei fuochi d’artificio troviamo Hilary che guarda assorta Kei, il quale sta pensando a chissà che! Ormai conoscete la sua storia e avete più o meno capito la mia visione di lui.. secondo voi a cosa sta pensando? Io non ve l’ho detto, ma potrebbe essere qualsiasi cosa.. brutte sensazioni, bei ricordi, Nataliya, il gatto che non ha mai avuto, ma che vorrebbe tanto, la pace nel mondo, Hiromi91 che si strappa i capelli se non si mette con Hilary, semplicemente ai fuochi, o proprio a niente.. ci sono tante possibilità!

Voi pensate alla vostra personale.. e se ne avete voglia scrivetemela altrimenti tenetela al sicuro nella vostra testolina! ^^

Ve l’avevo detto che era una cosa stupida e pazza, ma che ci volete fare! u.u

 

AVVISO

Non so se lo sapete, ma il 16 giugno dalle 20 EFP effettuerà il cambio di server, quindi il sito sarà offline per qualche ora. Ovviamente il 16 è un giovedì e ovviamente non so cosa intendono per quel ‘qualche ora’.. per forza di cose l’aggiornamento del prossimo capitolo potrà avere un po’ di ritardo. Non temete dalla mezzanotte in poi io controllerò se riesco ad aprirlo e, appena mi appare, zac pubblico il capitolo.. sperando non ci voglia troppo tempo!

 

Vabbè direi che ho sproloquiato abbastanza u.u

Alla prossima settimana!

Un bacione :)  

 

PS: il titolo del capitolo, mi raccomando, pronunciato in inglese!

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Capitolo 27
*** Illusion ***


E in faccia c’hai tutti

I pregi e i difetti

Che sono in parte condanna

E in parte un po’ compagnia

 

 

 

 

 

 

Illusion

 

 

 

 

Omologazione non era la sua parola d’ordine, anzi, e in quel momento si sentiva estremamente ridicolo.

Se ne stava da una decina di minuti davanti allo specchio della camera a osservare la sua immagine riflessa per constatare l’effetto che quella divisa faceva su di sé.

Era arrivata qualche giorno prima, nuova e splendente, ma non l’aveva tirata fuori dal cellofan fino a quella mattina: appena alzato l’aveva sistemata sul letto e aveva preso a osservarla scettico seduto sulla sedia, fumando una sigaretta di dovere. Il cerimoniale per indossarla era stato piuttosto lungo e ponderato: il gakuran era formato da giacca e pantaloni neri ispirati alle divise dell’esercito prussiano, almeno così gli aveva raccontato Nonno J entusiasta, e sotto era possibile indossare a scelta una maglietta o una camicia, rigorosamente bianca e a maniche corte non più di una determinata misura.

Kei aveva optato per una maglietta che gli consentisse di adempiere al suo dovere principale in quel momento: coprire i tatuaggi. La giacca non lasciava trasparire le braccia e il colletto rigido nascondeva parzialmente quelli sul collo ai quali in parte contribuivano i capelli, ormai cresciuti di alcuni centimetri. Il problema si presentava nel caso avesse dovuto togliersela, cosa assai probabile considerando il caldo che sentiva ancora addosso in quei primi giorni di settembre, con la stagione estiva non ufficialmente terminata; di conseguenza aveva dovuto controllare che il tribale non spuntasse dalle maniche, mentre per il polso non sapeva che inventarsi, ma sperava che in quel punto passasse inosservato.

Il colpo di grazia lo davano le scarpe: dei mocassini anonimi. Mocassini? Come si faceva a portare i mocassini? Sì, comodi lo erano, ma rimanevano inguardabili. Il russo non poteva considerarsi un fashion victim, non amava le marche o comunque non ricercava un abbigliamento specifico, portava quello che lo faceva sentire a proprio agio. Per tutto, tranne che per le scarpe. In quello era molto attento.

Si autodefinì una ragazzina malata di shopping e prima di far degenerare questi suoi pensieri, si riconcentrò sulla propria immagine. Mancava un ultimo dettaglio da eliminare: il piercing.

Non si ricordava di quando lo aveva fatto, o almeno erano solo immagini sfuocate, quindi non aveva nessun significato particolare, ma gli provocava una sensazione strana disfarsene.

-Diamoci un taglio-

Avvicinò le dita al piccolo oggettino e lo tirò fuori dai fori nella pelle: lisciò con le dita il sopracciglio per poi mettere il piercing al sicuro sulla scrivania.

Tornò allo specchio dandosi l’ultima sistemata; sprizzava ‘scuola’ da tutti i pori e non lo sopportava.

Doveva ammettere di essersi alzato presto quella mattina anche per l’agitazione, niente che riguardasse la scuola lo faceva stare tranquillo: la sua prima e unica esperienza scolastica si era conclusa nel peggiore dei modi, ma era convinto che anche se non fosse finita così sarebbe successo comunque qualcosa di brutto.

Era stato completamente escluso dalla vita di classe a priori, per la propria provenienza e il proprio aspetto, non aveva conosciuto nessuno, ad esclusione di una persona, e il menefreghismo del corpo docente non gli aveva certamente contribuito a trasmettergli l’amore per lo studio.

Questa volta era diverso, se lo ripeteva da giorni e iniziava quasi a crederci.

Abbandonò finalmente la sua stanza per andare a fare colazione: aveva speso tanto tempo con l’idea di quella stupida divisa che aveva finito per arrivare per ultimo, essendo già tutti gli altri coinquilini attorno al tavolo della cucina a mangiare.

Si sedette in attesa che finissero bevendo un semplice caffè, abitudine presa dopo le mille richieste di unirsi a loro per il primo pasto della giornata.

-Ti sta bene la divisa!- disse Nonno J cercando di confortarlo, notando l’espressione contrariata del russo.

Pochi minuti e tutti si alzarono per uscire.

Attraversarono varie traverse prima di congiungersi con Hilary; la divisa femminile consisteva in una giacca simile a quella maschile, una gonna con fantasia scozzese azzurra e un fiocco dello stesso colore che ricadeva dal colletto della camicia.

Li salutò entusiasta.

-Che c’è da essere così allegra stamattina?- le chiese Takao.

-Niente, è bello tornare a scuola!- sorrise lei.

-Cosa? E’ una disgrazia invece!-

-E’ che tu non guardi ai lati positivi-

-Ce ne sono?-

Battibeccarono fino al cancello attraversato da un altro centinaio di studenti che si ritrovavano dopo la lunga estate e si salutavano calorosamente pronti ad affrontare il nuovo anno scolastico.

Kei buttò la sigaretta che si era acceso durante il tragitto e sospirò varcando l’entrata con gli altri.

Il russo doveva passare in presidenza prima di recarsi in classe quindi salutò gli altri ripercorrendo i corridoi come aveva già fatto a giugno con Nonno J.

-Preferenze sul banco?- gli chiese Rei prima di dividersi. Avevano concordato che si sarebbero messi vicini, per salvare Kei dal grande onere di fare conoscenza con qualche altro compagno o condividere il suo spazio vitale con Takao.

-Una finestra- rispose solamente.

Il preside, che era rimasto ‘giallo’ come se lo ricordava, gli fece solo alcune raccomandazioni e controllò che avesse coperto ogni ‘abbellimento’, come aveva definito tatuaggi e piercing.

Nel giro di una quindicina di minuti gli fu concesso di andare in classe.

Nella scuola gli sembrò che non ci fosse anima viva, anche se era consapevole che oltre quelle porte chiuse una miriade di ragazzini di cui lui non voleva sapere nulla stavano seguendo la loro prima ora.

Asociale fino in fondo in ogni suo pensiero, e ne era consapevole, trovò finalmente la terza sezione della quarta classe.

Fu preso dalla tentazione di scappare prima che fosse troppo tardi, ma prese un grande respiro e bussò alla porta dalla quale una voce strascicata sillabò un –avanti-.

Entrò, trovandosi davanti una classe con una ventina di alunni e un professore vecchio e distinto: stava in cattedra come su un trono, con una serie di registri e quaderni aperti in perfetto ordine davanti a lui. Doveva essere uno di quelli noiosi e rigorosi, in fondo la campanella era suonata da poco più di venti minuti e già sembrava aver iniziato il programma.

Gli consegnò la giustificazione del preside, un foglietto con su scritti i suoi dati e il motivo del suo ritardo. L’uomo si presentò come professor Suji, l’insegnante di storia di cui aveva già sentito parlare male da Takao durante l’estate.

Fortunatamente non lo fece presentare, ma lo invitò a sedersi al suo posto impaziente di riprendere da dove era stato interrotto.

Si diresse al posto che diligentemente Rei gli aveva tenuto occupato accanto a sé e, notò con piacere, proprio accanto alla finestra, penultima fila. Non prestò attenzione a nessuno dei nuovi compagni, intercettò solo per un secondo lo sguardo di Hilary, seduta nel banco centrale.

Nelle ore successive scoprì quanto poteva essere davvero soporifera la lezione di storia e quanto fosse pignolo e tradizionalista il professore; gli altri insegnanti che conobbe erano, invece, sopportabili, anche se li fulminò quando lo invitarono a presentarsi alla classe, soprattutto quella di Storia dell’Arte che pretendeva anche una descrizione dei suoi interessi, della sua famiglia e dei suoi passatempi. Fortuito fu l’intervento di Takao che, per prenderlo in giro e sottolineare la sua asocialità, fu coinvolto e costretto a parlare al posto suo. La donna comunque, nonostante quell’imposizione, sembrava essere simpatica e alla mano, con un sorriso materno e le mani che accompagnavano con grandi gesti ogni sua parola.

-Possibile che tu riesci sempre a cavartela?- chiese Takao a ricreazione.

-Hai fatto tutto tu-

Alcuni dei ragazzi seduti nei banchi più vicini si presentarono e, dopo il primo tentativo di ignorarli di Kei, l’occhiataccia di Rei lo convinse a comportarsi almeno civilmente.

Aspetto che lo colpì molto più dei professori fu ciò che si vedeva oltre la finestra: dava sul cortile della scuola che era, però, visibile solo per metà poiché la vista era coperta da un imponente ciliegio. Ringraziò di non essere in una classe che dava sulla strada o sui palazzi della città.

-Quindi questo test quand’è che lo devi fare?- gli sussurrò Rei a metà lezione di matematica.

-Oggi pomeriggio-

-Ma non c’è lezione.. vuoi che ti aspetti?-

-Non ce n’è bisogno-

-Ma mi fa piacere-

-Come vuoi-

 

Ne approfittò per godersi quelle ultime giornate estive.

Stava sdraiato sul prato del cortile antistante la scuola, la giacca della divisa come cuscino e tutta la serenità e la calma possibile addosso.

Takao e Max erano andati a casa subito dopo la fine delle lezioni per avvertire Nonno J, Kei non aveva voluto mangiare nulla ed era andato direttamente nell’ufficio del preside, mentre lui si era preso quei minuti tutti per sé: almeno quella era stata da subito la sua intenzione, se non fosse stato che Hilary aveva insistito per restare e stesse da mezz’ora buona in fibrillazione completa.

-Si può sapere che hai? Mi stai agitando!- sbottò ad un certo punto Rei avvertendo la sua figura muoversi in continuazione.

-No niente..- rispose lei cambiando posizione per l’ennesima volta.

-Sì, come no..- Rei si mise a sedere e guardò scettico l’amica con gli occhi ancora provati dall’improvviso cambio d’intensità della luce –Sei proprio la personalizzazione della tranquillità!-

Hilary rise della faccia buffa dell’amico, prima di ritornare seria e prendersi il volto tra le mani.

-Mi vuoi dire che succede allora?- riprovò il cinese dolcemente.

-Sono una stupida! Una grandissima, gigante, emerita stupida!-

-Tu sei tutto tranne che stupida.. che sarà mai successo di così grave da non poter trovare una soluzione?- la confortò notando la sua difficoltà.

La ragazza aprì delle fessure tra le dita, ancora intente a coprirle il volto, e guardò timidamente verso Rei.

-Mi prometti che non ridi?-

-Prometto!-

Hilary lo osservò mettere la mano sul cuore solennemente, prima di valutare quali fossero le parole giuste per confessare.

-Credo.. beh, credo che tu avessi ragione..-

-Riguardo?-

-Kei!- e richiuse le dita come a farsi scudo per l’improvviso calore che le era salito alle guance.

-A cosa.. ah!- dopo un attimo di incertezza, Rei realizzò quello che intendesse la ragazza, ma non riuscì a trattenere un largo sorriso che gli fece capolino sul volto, per poi tramutarsi in una risata.

-Avevi promesso!- lo sgridò lei tirandogli un pugnetto sulla testa.

-Scusa hai ragione, ma.. non capisco cos’è tutta questa drammaticità!-

-Ah giusto, tu sei maschio.. perché vengo a parlare con te?- disse disperandosi.

-Ehi!-

-E io che pensavo di poter contare su di te.. tanto valeva andarlo a dire a Takao!- si incurvò sempre di più di pari passo con l’affossarsi del suo umore, prima di saltare nuovamente su come una molla –Oh no! E se lo scopre Takao? Quando lo scoprirà mi prenderà in giro a morte!-

-Hilary calmati!- cercò di reintegrarsi nel discorso Rei –Non essere catastrofista.. facciamo un passo per volta.. come sempre!-

Rei era sempre stato il confidente di Hilary per le questioni che riguardavano ragazzi, cotte e quant’altro in quanto lei lo considerava il più sensibile da quel punto di vista.

-Perché ne fai una tragedia?-

-Perché? Mi chiedi perché?- vedendo l’altro ancora confuso continuò –Tu almeno quando non stavi ancora con Mao sapevi che anche lei ti ricambiava.. io, invece, beh sono io! E Kei è Kei!-

-Come ragionamento non fa una grinza, ma.. non capisco: è ovvio che tu sia tu e lui sia lui!-

-Ma non ce li hai gli occhi? Siamo due cose completamente diverse.. lui è uno strafigo e io una povera capoclasse sfigata!-

Rei scoppiò improvvisamente a ridere.

-Non è carino ridere delle disgrazie altrui!- piagnucolò lei.

-Scusa.. non riuscivo a resistere. E’ che.. fa strano sentirti dire che è uno strafigo, fino a poche settimane fa lo consideravi tutto fumo e niente arrosto!-

-Ma tu lo hai visto oggi? Per poco non mi veniva un infarto.. mi ero detta che con la divisa avrebbe perso il fascino da cattivo ragazzo e invece.. dovrebbe essere illegale farlo andare in giro così a far venire sincopi alle ragazze!-

-Frena, frena, frena..- cercò di interrompere lo svarione dell’amica -.. quando hai capito che ti piaceva?-

-La sera dei fuochi.. dopo che me l’avevi fatto notare, già avevo il dubbio, ma non volevo accettarlo- ammise abbassando il capo.

-Ehi non demoralizzarti.. non sei di certo la prima ragazza che è affascinata da lui..-

-Davvero confortante Rei, davvero, inizio a pensare seriamente che Takao sarebbe stato più d’aiuto.. capisci che vuol dire che ci sono una miriade di ragazze molto più fighe di me che non se lo lascerebbero scappare? Ho perso in partenza.. che amarezza!-

-Io trovo che saresti più perfetta tu di qualsiasi altra svampitella che gli muore dietro.. ha bisogno di normalità e stabilità e io non sottovaluterei il tuo potenziale..-

Hilary rifletté qualche secondo sulle sue parole.

-Ehi.. non è che stai pensando di usarmi come terapia personale?-

-Se la metti così suona male.. penso solo che saresti perfetta per lui in questo momento!-

-Ti stai perdendo un passaggio.. io non potrò mai piacere a lui!- disse alzando gli occhi al cielo.

-Mai dire mai!-

-Mi dà sui nervi questo tuo ottimismo.. mi limiterò ad ammirarlo da lontano..- concluse facendo spallucce -..finché sono in tempo devo sottrarmi da questa.. e smettila di ridere!-

Iniziarono a scambiarsi scappellotti e solletico a vicenda.

-Voglio sentire ancora di quanto fosse figo oggi..- la prese in giro Rei meritandosi un colpo in testa -..immagino che il colpo di grazia l’abbia dato la maglia fuori dai pantaloni..- le lanciò un occhiata languida schivando un altro colpo -..o forse quando si è tolto la giacca-

Si preparò a ribattere col solletico, ma Hilary sull’ultima frase si bloccò seria.

-No.. gli dona quella giacca!- e lo prese in contropiede.

Continuarono per diversi minuti, fino a quando Hilary non decise di darsi una sistemata e annunciò di volersene tornare a casa.

-E non aspetti che esca?-

-Ma che sei pazzo?- rispose con tanto d’occhi lisciandosi la camicetta.

-Dai che lo so che lo vorresti vedere!-

-Non esageriamo.. non sono ancora fusa fino a questo punto!-

-Dai ammettilo! E poi non vuoi sapere come gli è andata? Idea: ti puoi offrire di dargli ripetizioni così..-

-Rei! Basta.. ricorda: la situazione è tragica!-

-Io vedo il bicchiere mezzo pieno!-

-Perché tu sei troppo ottimista.. facciamo che ci vediamo domani, va!-

Rei sembrò desistere e lasciarla andare, ma non appena lei fece per alzarsi, la fermò.

-Troppo tardi!- rise lui.

-Cosa?-

-Sta uscendo..- aggiunse indicando l’entrata della scuola -.. e ci ha visti! Se te ne vai chissà cosa penserà..- infierì sulla debolezza femminile del farsi mille problemi per ogni singola azione e suo corrispettivo significato -..che ti sta antipatico, che non vuoi farti vedere da lui, che..-

-Ho afferrato! Capito, resto! Ma smettila, ti prego!-

Rei le fece un grande sorriso di vittoria.

-Com’è andata?- chiese il cinese a Kei non appena si fu avvicinato.

L’altro fece spallucce, biascicando un –Normale- senza troppa convinzione.

-Aspetta di uscire dal cancello almeno prima di accenderti quella!- aggiunse divertito riferendosi alla sigaretta tra le dita del russo.

Il russo lo ignorò e azionò l’accendino imperterrito.

Presero a camminare e dopo pochi passi Kei si ritrovò in testa al gruppetto; Rei, infatti, aveva preso il passo di Hilary, la quale sembrava intenzionata a rimanere almeno un metro dietro al ragazzo dagli occhi ametista. Le indicò con gli occhi il russo, esortandola ad andare avanti, ma lei fece cenno di no ripetutamente, fino a quando il cinese non le diede una leggera spinta per avvicinarla, tanto che fu costretta a dire qualcosa; infatti, Kei si era girato avvertendo quel trambusto e aveva preso a fissarla come in attesa di qualcosa.

-Che domande c’erano nel test?- fu la prima domanda che le venne in mente e sembrò funzionare poiché lui le rispose indifferente, ma comunque le rispose.

Rei contribuì a riempire i momenti di silenzio e proseguirono fino a quando Hilary non dovette svoltare per andare verso casa sua.

Si salutarono all’incrocio, ma prima di ripartire Kei si voltò per seguire la ragazza con lo sguardo.

Il cinese scoppiò a ridere.

-Che c’è?-

-Niente.. perché la guardavi?- chiese sornione.

Kei fece per dire qualcosa, ma si fermò indeciso decidendo di riprendere a camminare e abbandonare la conversazione.

-Ora me lo dici- insistette l’altro.

-Stavate ridacchiando e.. boh, me l’avreste detto se aveste voluto quindi.. non sono affari miei- fece spallucce.

-Ma non sei nemmeno un po’ curioso?-

-Non ho intenzione di perdere tempo a pregarti di dirmi qualcosa.. se me lo devi dire lo fai ora, se no ne faccio a meno-

-Non potresti stare al gioco eh!?-

Kei lo guardò scettico e non gli rispose.

Cadde il silenzio.

Forse Hilary aveva ragione; era stato entusiasta della rivelazione della ragazza, ma non aveva messo in causa quello che invece lei sembrava aver già ben ponderato, cioè il carattere del russo. Avere a che fare con lui era complicato e comprendeva una buona dose di pazienza, ma soprattutto dello spirito giusto. Kei aveva un modo di pensare particolare e il rischio per Hilary di rimanere ferita era piuttosto alto, considerando poi come l’amico trattava le ragazze.

No, era tutto tranne che semplice; eppure la giapponese era una spalla sicura alla quale lui si era già appoggiato e conosceva la sua affidabilità, che questo potesse bastare per fargli cambiare idea?

-Posso chiederti una cosa?- tentò il cinese tornato serio.

-Mh-

-Come la vedi la possibilità di avere una relazione seria?-

-Io? Con una ragazza?-

-Sì-

-Non la vedo-

-E perché?-

-Non mi interessa-

-Non credi di essere prevenuto?-

-No, sono realista-

-Ma..-

-E’ così. Punto-

Voleva contare sul fatto che Kei, nonostante l’apparenza, fosse un ragazzo gentile e corretto e che con una ragazza come Hilary, se mai l’avesse guardata con occhi diversi, non avrebbe giocato e sarebbe stato ben attento a non farla soffrire.

Forse Hilary aveva ragione, tutto sommato: era meglio farsela passare e puntare qualcun altro.

 

Alla fine della prima settimana di lezioni, poteva considerarsi ambientato, o almeno, aveva capito l’ubicazione di tutte le classi, palestra e mensa compresa, e aveva trovato i luoghi a lui più congeniali: il parco e la terrazza sul tetto. Non era una coincidenza il fatto che fossero anche gli unici due luoghi all’interno delle mura scolastiche dove fosse libero di fumare senza rischiare la sospensione immediata. Aveva conosciuto tutti i professori e focalizzato tutti i volti dei suoi compagni di classe, non ovviamente i loro nomi.

A metà della seconda settimana, invece aveva assodato che la storia non sarebbe mai stata la sua materia preferita, soprattutto insegnata col metodo del prof. Suji, mentre sopportava la matematica ed educazione fisica, la prima poiché l’insegnante spiegava discretamente bene e non lo considerava, la seconda perché poteva muoversi e scappare da quella classe soffocante. Aveva inoltre avuto i primi problemi inevitabili col giapponese, ma per fortuna il professor Kazumasa lo aveva preso in simpatia, non si sapeva come, ma sembrava trovar interessante il fatto che venisse dalla Russia e conoscesse un terzo alfabeto a lui sconosciuto.

Il test del primo giorno era comunque andato bene: senza infamia e senza lode, prendendo la sufficienza in tutte le materie così da evitare corsi di recupero e menate annesse.

Si sentì in dovere di ringraziare Hilary per l’aiuto che gli aveva dato, ma quando le rivolse parola lei si limitò a sussurrare a testa bassa un –prego- ed eclissarsi, lasciando spazio a Takao pronto con le sue lamentele per il fatto che facendo il minimo indispensabile fosse riuscito in quello che lui trovava ancora impossibile.

Per quanto riguardava il resto della popolazione della scuola, Kei aveva capito che erano divisi in gruppi molto differenti: alcuni per età, qualcuno per appartenenza a club sportivi o artistici, per popolarità e così via. Takao, Max, Rei e Hilary formavano un gruppetto a parte al quale si univano spesso dei componenti della classe, alcuni dei quali aveva sentito nominare durante le vacanze di sfuggita: in ogni caso passavano gran parte del tempo in compagnia delle altre persone ed era difficile abbandonassero la propria aula se non durante il pranzo per andare nel cortile a mangiare sull’erba.

A Kei questa prigionia stava stretta: già la divisa lo opprimeva, l’idea di rinchiudersi tra quelle stesse quattro mura per più di due ore di fila lo rendeva nervoso. Non si ricordava di essere mai stato fisso nello stesso luogo per così tanto dai tempi del Monastero e ovviamente della sua segregazione in casa per disintossicarsi, ma entrambi erano casi limite. Lui amava l’aria aperta e il cambiamento, tanto che prese a staccarsi dagli altri e girovagare per i corridoi da solo: ogni tanto Rei si offriva di accompagnarlo, ma la maggior parte delle volte preferiva rimanere a ridere e scherzare con gli altri. Lo stesso Kei gli aveva detto di non preoccuparsi e ricordarsi che era un asociale.

In ogni caso non poteva dire di trovarsi male, le persone erano cordiali e disponibili con lui: se in Russia l’unica cosa che gli altri studenti facessero era indicarlo e raccontare storie su di lui, lì a Tokio i pochi che si avvicinavano gli sorridevano e le uniche voci che gli erano arrivate lo etichettavano come il ‘ragazzo nuovo strafigo’. Allora come mai desiderava solo scappare?

-Ehi, hai bisogno di aiuto?-

La voce di una ragazza lo distolse dai suoi pensieri: era piuttosto alta in confronto alla media, carina nella sua uniforme, differente da quella delle altre solo per il paio di calze che portava.

-No, grazie-

-Mi sembravi un po’ spaesato invece- insistette lei mettendoglisi di fianco, unendo le mani dietro la schiena.

-Stavo prendendo tempo-

Cercò di liquidarla, non aveva assolutamente voglia di parlare con qualcuno.

-Per qualsiasi cosa chiedi pure, sei nuovo giusto?-

Kei annuì impassibile.

-Comunque io sono Aiko- notando che l’altro non era intenzionato ad aprir bocca gli si posizionò davanti –E tu sei Kei! Ho sentito parlare di te.. intanto non mi scappi!- aggiunse mordendosi il labbro inferiore con un mezzo sorriso –Ci si vede in giro- e si voltò a testa alta, con un’andatura molto simile a quella di una modella.

Il russo la osservò voltare l’angolo.

Perché tutte a lui dovevano succedere?

 

-Sei arrabbiata con me?-

Kei le si era avvicinato mentre salivano le scale diretti in classe.

-N-no, perché?- chiese Hilary spiazzata.

Lo stava evitando da giorni, aveva deciso che quella doveva essere una cotta passeggera, dettata esclusivamente dalla bellezza del ragazzo, che non aveva nulla di fondato su altre caratteristiche, perché Kei era tutto fuorché simpatico, alla mano, gentile, affettuoso, premuroso, protettivo, buono e altri venti aggettivi che aveva scritto diligentemente su un foglio diviso a metà tra pro e contro.

-Pensavo di aver fatto qualcosa di male..-

-No, non hai fatto nulla, mi dispiace se te l’ho fatto pensare!- rispose abbassando lo sguardo.

Magari avrebbe potuto spostare il gentile dal contro al pro, o almeno con lei lo era.

-Nel caso fammelo sapere- aggiunse prima di superarla.

Comunque i pro rimanevano di numero nettamente inferiore ai contro; allora perché, mentre guardava la sua schiena allontanarsi, quei pochi pro acquistavano sempre più valore  e significato?

Un campanello d’allarme nella sua testa, che poi non era altro che la campanella di inizio lezioni, la risvegliò e la fece riappropriare della propria volontà persa durante il cammino.

Si era ripromessa di smettere con l’ammirazione dell’innominabile, il mondo era pieno di bei ragazzi pronti a ricevere le sue attenzioni, ragazzi accessibili e che avrebbero saputo ricambiarla. Soprattutto ragazzi con cui non aveva in comune degli amici, soprattutto con cui non aveva in comune quegli amici. Quanto fosse un requisito importante lo constatò quel pomeriggio a casa di Takao.

Come aveva fatto a capirlo quel giapponese da strapazzo con il prosciutto sugli occhi? Era così evidente? Oppure era stato Rei, l’infame, a rivelargli tutto?

Non aveva ottenuto risposte alle sue domande anche perché, nel momento in cui le pose, aveva dovuto inseguire Takao attraverso il dojo per evitare qualche cavolata delle sue.

-Dov’è Max? Appena glielo dico.. appena glielo dico..-

-Takao Kinomiya fermati!- cercò di sembrare autoritaria, ma l’imbarazzo la fece desistere –Dai Tak per favore, fermati!-

-No, glielo devo dire assolutamente.. Max dove sei?!-

Takao attraversò la porta della cucina e andò a sbattere contro una persona.

-Hai smesso di urlare?- gli chiese Kei spazientito e con aria truce.

Hilary si bloccò di colpo, pregando in tutte le lingue che quello che diceva di essere suo amico stesse zitto. La sua speranza era comunque flebile.

-Ciao Kei! Hai visto Max?-

-E’ di sopra-

Takao allargò ancora di più il suo sorriso, trattenendo a stento le risate per la faccia confusa del russo che prima guardò il giapponese e poi la ragazza, qualche passo dietro, con un’espressione a metà tra il disperato e il disagio.

-Non le puoi dare tregua ogni tanto?- gli chiese Kei infine.

-Da quand’è che la difendi?- indagò il giapponese con un tono di voce che sapeva di allusione.

-Da quando so quanto sei rompicoglioni.. quindi sempre-

Il padrone di casa rimase fermo immobile con lo stesso sorriso da ebete stampato in faccia, mentre a Hilary scappò un sorrisetto più isterico che altro.

Kei ebbe la conferma in quel momento di trovarsi in un covo di matti e se ne andò in giardino sperando di salvarsi da quella situazione paradossale.

-Sappi che tu morirai per mano mia- scandì Hilary non appena l’altro se ne fu andato.

-Ma non gli ho detto nulla!- si difese Takao.

-Ma mi hai fatto venire un colpo.. se ti prendo ti..-

Ripresero a rincorrersi su per le scale.

 

-Sai cosa si dice in giro?-

Al cambio d’ora Max si era avvicinato al banco di Kei per sgranchirsi le gambe e ne aveva approfittato per comunicargli una novità.

-Ovviamente no.. non parla mai con nessuno- si aggiunse Takao.

-Allora lo vuoi sapere?- continuò il biondo ignorandolo.

-Se ti dico di no me lo dici lo stesso, quindi..-

-La Fujiwara ti ha puntato!-

-Chi?-

-Come non sai chi è?- chiese il giapponese sgranando gli occhi –Bisogna proprio spiegarti tutto.. lei è.. beh è la più bella della scuola!-

-Secondo me c’è di meglio..- si intromise Rei.

-E’ che tu ormai non guardi più nessuna..- lo interruppe Takao contrariato -..dai Kei, non puoi non averla notata: capelli corti neri, occhi scuri..-

-Sai che tutte in questa scuola praticamente hanno occhi e capelli scuri?- gli fece notare il russo.

-Ma lei è più bella.. ed è parecchio alta.. su, tutti conoscono Aiko Fujiwara!-

Sentendo quel nome Kei iniziò ad associarlo a qualcosa, gli sembrava di averlo già sentito in effetti. Come colto da un’illuminazione si ricordò della ragazza che pochi giorni prima si era presentata nei corridoi e che da quel momento aveva preso a salutarlo quando si incrociavano.

-Ah sì, s’è presentata l’altro giorno..- disse senza troppo interesse.

-E lo dici così?- si intromise uno dei compagni di classe che stava ascoltando la conversazione.

-Non fateci caso.. fa il sostenuto- sussurrò scherzosamente Max beccandosi un’occhiataccia.

-E tu come l’avresti scoperto?-

-Me l’ha detto Tati di terza, che gliel’ha detto la ragazza dell’amico del presidente del club di Aiko!- disse tutto d’un fiato.

-Come fai a sapere sempre tutto di tutti?- chiese qualcuno scherzando.

-E com’è che nessuno si fa mai i cazzi suoi?- interferì Kei acido facendo cadere il silenzio; si voltò verso il suo banco incrociando lo sguardo di Hilary, seduta in disparte in silenzio con aria triste.

 

 

 

 

 

Transizione time! Ebbene.. dopo capitoli pieni zeppi di ricordi e quant’altro finalmente un po’ di pace!

Per voi amanti delle disavventure e sostenitori della fazione ‘Hilary al rogo’ questo capitolo sarà stato di una tremendità (parola coniata da me scema medesima) plateale.. mentre per qualcun altro no. In ogni caso questo vi beccate u.u

Comunque siamo sopravvissuti al cambio di server.. bene bene! Spero che il mio karma non ne abbia a male si questo aggiornamento fuori orario classico ^^

Per quanto riguarda questo capitolo abbiamo avuto dei flash diciamo, degli episodi qua e là per far trascorrere qualche giorno.. lascio alla vostra immaginazione scoprire cosa potrei riserbarvi alla prossima, ma non pensate di poterlo azzeccare facilmente (o anche sì)!

Ultima cosa: io ho sempre cercato di rendere il tutto il più realistico possibille, informandomi su Giappone, Russia, tradizioni, ecc ecc.. ma per alcune cose non ce l'ho proprio fatta per esigenze di copione. Ad esempio la scuola più o meno è organizzata più come la nostra perchè mi viene più semplice scriverne (diciamo che è un misto) e poi per il fumo nelle strade. A Tokio è vietato se non in appositi spazi, ma non era adatto al mio fumatore incallito personale XD solo questo!

Altro piccolo dettaglio.. la divisa che ho descritto è liberamente ispirata a quella de Le situazioni di lui e lei..perchè mi piace troppo ^^ quindi per riferimenti prendete quella u.u

 

A giovedì notte per fortuna ^^

Un bacione :)

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Capitolo 28
*** Nature Feels ***


E in faccia c’hai tutti

I pregi e i difetti

Che sono in parte condanna

E in parte un po’ compagnia

 

 

 

 

Nature Feels

 

 

 

 

-Mi spieghi come faccio a divertirmi se non rispondi alle mie provocazioni?-

Takao era letteralmente allibito dal comportamento di Hilary, se ne stava zitta e non rispondeva a tono alle sue battutacce. Che divertimento c’era così?

-Cosa?-

-Non mi stavi nemmeno ascoltando?!-

-Scusa Takao, ma non è proprio giornata..- disse lei sprofondando sulla sedia.

-Non sarà mica per Kei che stai così, vero?- chiese lui accigliato.

-No! Forse.. potrebbe.. un po’-

-Com’era la tua tattica? Ah sì, ignorarlo.. non mi sembra stia funzionando molto!-

Con quelle poche parole ottenne un effetto indesiderato: infatti, Hilary si oscurò completamente dando ragione all’amico.

-Ascoltami.. ti piace e non puoi farci niente, giusto? Ma non credi che sia meglio affrontare la situazione, invece che aggirarla?-

-Non la sto aggirando!- si oppose appoggiando la guancia sul banco.

-Invece sì! E’ come se negassi il fatto che sei attratta da lui e ti imponessi di cambiare questa cosa.. beh, è così e non puoi farci nulla quindi vivi la tua vita e succeda quel che succeda!-

-La fai facile tu..-

-No, sei tu che la fai difficile..-

Hilary rifletté sulle parole del giapponese: in effetti quel continuare a evitarlo aveva solo peggiorato la situazione e sempre più spesso si ritrovava a guardarlo di nascosto. Fino a quel momento il loro rapporto era cresciuto e si era sviluppato così per caso, senza uno schema preciso; semplicemente si erano avvicinati, perché allora non poteva continuare così naturalmente? Lei doveva solo accettare il fatto di ammirarlo dall’esterno, come un’amica e smettere di scappare da lui. Che non se ne sarebbe fatto nulla era un fattore che ormai aveva accettato, il prossimo passo era accontentarsi e convivere con questa consapevolezza.

-Da quand’è che tu ti metti a dare consigli sentimentali?-

-Ho bisogno di caos e divertimento.. che gusto c’è a prendere in giro qualcuno che si affossa da solo!?- 

 

Avvertiva qualcosa di strano aleggiare in casa Kinomiya in quei giorni: gli stavano nascondendo qualcosa, il che era strano considerando quanto fossero incapaci di mantenere un segreto. Pensò di essere diventato paranoico, magari semplicemente discutevano ancora di come comportarsi con lui, nonostante credesse che ormai fosse un argomento esaurito.

Altro fattore curioso era Hilary: il suo atteggiamento verso di lei aveva attraversato diverse fasi, dall’antipatia, all’indifferenza fino alla convivenza civile, ma non si era reso conto di quanto lei fosse integrata e incorporata nel suo concetto di gruppo fino a quando non aveva iniziato a evitarlo. Perché era chiaro che lo stesse evitando e cercasse di diminuire ogni contatto superfluo con lui: eppure aveva detto di non essere arrabbiata e, se aveva iniziato a conoscerla davvero, sapeva che in caso contrario non avrebbe avuto peli sulla lingua e glielo avrebbe detto tranquillamente.

Inoltre, più notava la sua lontananza, più volte si ritrovava a incrociare lo sguardo con lei; che cercasse di fulminarlo con gli occhi o fargli qualche cabala non lo sapeva, ma sicuramente lo osservava con espressione indecifrabile. Aveva fatto bene a definirla strana.

Sempre più convinto di essere paranoico, Kei aveva cercato di ignorare questi atteggiamenti.

Ciò che lo urtava maggiormente in quel periodo era, però, il tempo che la scuola aveva sottratto alla sua giornata: non sopportava tutte quelle ore di lezione, soprattutto il pomeriggio, e i compiti che avevano iniziato ad accumularsi.

Era appena riuscito a defilarsi dalla lezione di arte approfittando del fatto che avrebbero dovuto spostarsi in laboratorio: la prof li aspettava direttamente nell’altra aula e non si sarebbe mai accorta della sua assenza, e se anche se ne fosse accorta a lui non poteva importare di meno.

Si era rifugiato sulla terrazza, accendendo la musica che da troppo non poteva ascoltare.

In fondo era arte anche quella: abbandonandosi alle note che fuoriuscivano dalle cuffie, appoggiò la schiena alla ringhiera aspirando il fumo dalla sigaretta.

Vento, musica, nicotina e pace: in quel momento non avrebbe potuto chiedere di meglio. Il cellulare vibrò per annunciare l’arrivo di un messaggio di Rei, ma lo ignorò.

Solo una delle due ore che aveva intenzione di saltare erano passate che qualcuno arrivò a disturbare la sua tranquillità. La porta di accesso alla terrazza si aprì pronta a rivelare qualche altro studente o peggio un professore.

Kei cacciò via l’ennesima sigaretta per sicurezza, ma quando a varcare la porta fu un gruppo di studentesse si pentì di averlo fatto.

Cercò di ignorarle, ma non poté fare a meno di alzare lo sguardo quando una di quelle gli si avvicinò per dirgli qualcosa.

Fu indeciso se ignorarla completamente e far finta che non esistesse, ma quando la guardò meglio e la riconobbe si decise a levarsi le cuffie che lo isolavano da qualsiasi suono esterno e prestarle attenzione.

-Dicevo.. oggi deve essere la mia giornata fortunata!-

Aiko Fujiwara lo guardava maliziosa ancora in piedi di fronte a lui, mentre le sue amiche sembravano essersi volatilizzate nel nulla.

-Non hai lezione?- gli chiese.

-Sì- rispose dopo la ponderata decisione di rivolgerle la parola.

Da quello che gli aveva detto Max, lei ci avrebbe provato spudoratamente: era la ragazza più popolare della scuola che amava far parlare i sé. Ovviamente aveva ottenuto quel ruolo grazie a un’inconfondibile bellezza, Rei aveva ragione quando diceva che c’era di meglio, ma non era il caso di minimizzare il fascino di Aiko con il suo fisico slanciato.

Già la prima volta l’aveva notato, altrimenti non avrebbe fatto caso alle calze diverse dalle altre, ma ciò costituiva un’attrattiva solo a seconda dell’umore del ragazzo.

-Cosa ascolti?- lo interrogò inginocchiandosi di fronte a lui.

-Cosa vuoi?- si informò Kei staccandosi invece dalla ringhiera e avvicinandosi a lei.

-Fare conversazione..- lo stuzzicò.

-Non parlo molto-

-Sempre meglio..- disse appoggiando il braccio sul ginocchio piegato del russo -..ti sei conquistato il ruolo del novellino figo, posso portarti ancora più in alto facilmente sai?-

-Non mi interessa..- la troncò lui tornando con la schiena a contatto con la ringhiera.

-Ho i miei metodi di persuasione..- sussurrò Aiko facendo ‘camminare’ indice e medio sul suo petto, saltando poi alle sue labbra socchiuse.

-Ci vuole molto di più di questo, lo sai?-

-Ci speravo in effetti- fece presa sul suo collo e gli si avvicinò completamente, fino ad essere a contatto col suo orecchio –Vieni con me-

Si alzò accarezzandogli il braccio e afferrandogli la mano, prima di esortarlo a tirarsi su.

Kei la assecondò: era un pomeriggio noioso e non troppo caldo, non c’era nulla di male nel renderlo più interessante. Attraversarono il tetto fino a varcare la porta oltre la quale decine di classi erano gremite di studenti che tentavano di non addormentarsi sui libri: la stanza delle scope sul pianerottolo della tettoia sembrava offrire la possibilità di attività più allettanti e divertenti.

La seguì in quei miseri due metri quadrati colmi di scope, stracci e un banco che sembrava essere stato messo lì apposta, perfetto per un uso alternativo: il russo vi fece sedere Aiko senza troppi complimenti e cercò di farsi convincere. E lei, con le mani già ancorate alla sua maglietta e le labbra fameliche sul suo collo, era sulla strada giusta per riuscirci.

 

Ogni pomeriggio appena ritornato a casa il suo primo pensiero volava ai suoi vestiti, quelli che indossava con piacere, e ovviamente alle sue scarpe.

Era fissato a dir poco: dedicò qualche secondo al ricordo di tutti quei neuroni caduti a causa del suo periodo bucomane. Doveva ammetterlo a se stesso quanto fosse stato deficiente, così da prevenire ogni pensiero discordante.

In ogni caso aveva appena rindossato le sue adorate scarpe da ginnastica in giardino e iniziato a dare colpetti con la punta e far aderire la suola al terreno sotto i suoi piedi.

-Cosa staresti facendo?-

Hilary spuntò all’improvviso e si sedette sul porticato di fronte a Kei in attesa di una risposta.

Il russo rimase a fissarla stranito per qualche secondo: era da giorni che lo ignorava e quella era la prima volta dopo tanto tempo in cui si permetteva di rivolgergli parola senza problemi o tentennamenti, come prima dell’inizio della scuola.

Non seppe perché, ma gli fece piacere.

-Mi godo le scarpe-

Nel frattempo anche Max uscì in giardino con un pacchetto di patatine.

-Non ce le avevi fino a dieci minuti fa le scarpe?- chiese la ragazza sempre più accigliata.

-Quelle non le chiamerei scarpe..- riferendosi ai mocassini malefici -..non si sente nulla-

-Ora sì che ho capito- rispose ironica, ridacchiando.

-Non la senti la differenza?- continuò senza un motivo specifico. Era strano per lui parlare senza che una domanda gli fosse posta apertamente, ma probabilmente era la situazione e l’atmosfera di tutta la giornata ad averlo invogliato a parlare.

Hilary guardò Max seduto accanto a lei e insieme esclamarono –No!-

Kei alzò gli occhi al cielo –E’ diverso.. si sente almeno-

-Adoro le sue teorie- esclamò Max alla ragazza come se l’altro non potesse sentirlo, pescando una patatina dal sacchetto.

-Sì sono particolari- continuò lei –Ma tu le capisci?-

-Mai- confessò l’americano scoppiando a ridere.

-Avete finito?- chiese Kei segnalando la sua presenza.

-Certo capo!- rispose l’altro portando la mano alla fronte come un militare.

Di nuovo scoppiarono a ridere.

Quell’aria allegra era ristoratrice e il russo non poté fare a meno di ignorare quelle velate prese in giro e assecondarle: non si era né offeso né arrabbiato.

Era strano pensare come in quei mesi fossero cambiate tante cose, alcune troppo velocemente, altre con estrema lentezza, ma avevano finito tutte per bilanciarsi, fino a trovare un equilibrio. Un equilibrio strano, ma pur sempre un equilibrio.

Non avrebbe mai detto di potersi ritrovare nuovamente con i bladebreakers e di conoscere delle persone ‘normali’, proprio lui che di normale non aveva nulla. Si sentiva ancora conteso tra il suo vecchio mondo e quello che lo circondava adesso: completamente in antitesi.

Se poche ore prima si era ritrovato a fare del sesso con una ragazza con cui aveva scambiato sì e no poche parole, al calar del sole si ritrovava circondato da persone che tenevano a lui e che cercavano di farlo sentire a proprio agio anche solo con un sorriso.

Accavallò, nel flusso dei suoi pensieri, l’immagine di Aiko con quella di Hilary: un altro opposto. La prima non poteva essere considerata tanto diversa da quelle ragazze di cui si era sempre circondato, che appartenevano a quel mondo che lui definiva suo, che non si poneva troppi problemi per un bacio e qualcosa di più, con un’idea determinata di divertimento; Hilary, invece, era semplice e imprevedibile. Come aveva ormai imparato, era sempre pronta a girare le carte in tavola, a vedere l’opposto di quello in cui credeva lui, probabilmente il suo nero per lei era bianco: una caratteristica così insolita e così curiosa, che lo portava sempre a chiedersi cosa sarebbe successo dopo, cosa avrebbe detto e con quali parole lo avrebbe smontato.

Ovviamente, ad un’analisi del genere non poteva che concludere quanto fosse superficiale Aiko, al contrario dell’altra, ma Kei dove poteva posizionarsi?

Se non aveva dubbi sul posto di Rei, Takao e Max, vicino alla loro amica, lui non ci si vedeva, ma allo stesso tempo non voleva essere messo dall’altra. Come fare a resistere alla tentazione della semplice e allettante via che già conosceva? Come lo attraeva Aiko, allo stesso tempo lo incuriosiva quell’altro universo.

Per ora si accontentava del centro. Restare in bilico tra i due e attendere di vedere il tempo dove lo portava: Yuri glielo diceva sempre di aspettare e avere pazienza.

-Perché quell’uomo deve stressarci già a questo modo?-

Takao uscì in giardino sbuffando.

-Ancora? E’ tutto il giorno che lo ripeti!- lo incalzò Hilary annoiata.

-Ma non si era mai visto il giro di interrogazioni iniziare alla seconda settimana di scuola!-

-In effetti avrei preferito iniziasse dopo- lo aiutò Max –Le cose nuove sono già troppo complicate per me!-

-Bisogna solo mettercisi e provare..- li esortò la ragazza.

-Quindi tu le hai capite?-

-No- dovette ammettere amareggiata del suo pessimo rapporto con la matematica.

-Mister ‘sento le scarpe’ ci ha capito qualcosa almeno?- chiese Max riferendosi a Kei.

-Non so nemmeno cosa abbiamo fatto-

-Direi che siamo proprio messi bene!- concluse Takao con la stessa disperazione con cui aveva iniziato il discorso.

 

-Ehi..- lo chiamò sottovoce Max per non farsi sentire e guardandosi attorno circospetto.

La classe era stata divisa in quattro gruppi sparsi per l’aula da quel pazzo del prof di giapponese per una delle sue strambe iniziative.

Kei guardò in attesa l’altro per fargli capire che lo stava ascoltando.

-E’ vero che sei stato con Aiko?- si informò lanciando un’ultima occhiata verso il gruppo delle ragazze.

Il russo spostò gli occhi a sua volta su Rei e Takao, sicuro che stessero ascoltando anche loro insieme a qualche altro orecchio indiscreto: come aveva fatto quella voce a circolare in meno di 24 ore?

Annuì semplicemente.

A Takao spuntarono gli occhi dalle orbite, mentre Max scoppiò a ridere. Rei invece aveva distolto lo sguardo guardando un punto indecifrabile.

-Lo sanno già tutti?- si informò Kei esasperato.

-Più o meno- affermò Max.

Il pettegolezzo si era diffuso a macchia d’olio in tutta la scuola e la loro classe non era stata certamente risparmiata: a quanto pareva Aiko viveva per l’attenzione della gente.

Anche nell’altro angolo, nel gruppo formato dalle ragazze, si stava parlando dello stesso argomento.

-Secondo voi è vero?-

-Se lo fosse, non è possibile che se li prenda tutti lei-

-Che c’è stavolta?- si informò Hilary, conscia che le sue compagne erano a conoscenza di un gossip fresco fresco.

-Sempre Aiko, sempre lei, ovunque!- le rispose una alzando gli occhi al cielo.

-Ma non se ne sta mai buona?-

-No.. ma magari tu lo sai già visto che sei sua amica..-

-Di Aiko? Io?-

-Ma no.. di Kei!-

Alla giapponese si fermò per un secondo il respiro: Aiko e Kei nella stessa frase, nella stessa situazione e nello stesso pettegolezzo. Conoscendo lei, e anche lui, c’era da aspettarsi solo una cosa.

-Che.. che è successo?- chiese in preda a del sano masochismo; non voleva saperlo, appena aveva sentito i loro nomi non voleva indagare, ma era più forte di lei, doveva sapere.

-Ieri pomeriggio sai che Kei non era a arte.. beh dicono che l’hanno fatto, a scuola.. e direi che coincide tutto!- concluse l’altra fiera del proprio ragionamento: solo loro sapevano che il russo non era presente a lezione e quindi avevano un dato in più per far combaciare la versione di Aiko.

Hilary si sforzò di sorridere e continuare ad ascoltare la conversazione tra le ragazze, ma una parte di lei stava affrontando quello a cui si era preparata in quelle settimane: il momento in cui Kei si sarebbe messo con qualcun’altra.

Cercando di non farsi notare, si voltò automaticamente verso l’altra parte della classe e, nella ricerca della schiena di Kei, incrociò lo sguardo preoccupato di Rei, segno che quel pettegolezzo doveva essere vero. Tentò di abbozzare un sorriso in risposta per tranquillizzarlo, ma non era sicura di essere riuscita nel suo intento.

Si ripeté mentalmente la filosofia che aveva elaborato in quei giorni e si reinserì con qualche difficoltà nel discorso delle altre. Pazienza e sangue freddo e sarebbe andato tutto secondo i piani.

 

-Era Daitenji!- disse il giapponese riponendo il cellulare nello zaino.

Se ne stavano seduti sull’erba dopo aver pranzato in cortile.

-Cosa voleva?- si informò Rei.

-Ci ha invitato domenica sera alla BBA per l’inaugurazione di un non so che cosa..-

-Sempre il solito informato!-

-Ma che ne so.. ha detto qualcosa riguardo a una donazione con cui hanno costruito non so cosa-

-Domenica hai detto?-

-Sì-

-Il giorno dopo c’è scuola.. Nonno J ci lascerà andare?-

-Ho due giorni per convincerlo- esclamò Takao speranzoso.

-Tu vieni vero?- chiese Rei rivolgendosi a Kei.

-Che c’entro?-

-Dai sarà divertente.. poi Daitenji non ti vede da una vita-

Il russo in realtà sperava proprio di continuare a non vederlo: aveva conosciuto Daitenji quando era più piccolo poiché già da allora l’uomo stava indagando sul Monastero e anche in seguito aveva avuto diverse divergenze con lui, anche solo di pensiero. No, rivederlo non era tra le sue priorità.

-Non voglio..-

-Kei! Che sarà mai!? Prendila come una serata diversa..-

Continuare a opporsi avrebbe solo peggiorato le cose, avrebbe trovato un modo per defilarsi in seguito e, se così non fosse stato, avrebbe dovuto solo sperare che tutto filasse liscio come l’olio.

-Ok-

-Yuppi!-

-Se poi lunedì mattina il prof ti interroga rido- Hilary cercò di frenare l’entusiasmo dell’altro senza risultato.

-Studiamo già il pomeriggio come promesso, la sera almeno lasciami libero!-

Si alzarono per tornare in classe.

Hilary aveva recitato con successo la parte della studentessa normale, la solita ragazza di sempre, nonostante sentisse un certo fastidio muoverle le viscere.

Per fortuna sia Max che Takao non indagarono su Aiko come avrebbero fatto normalmente, o almeno non lo fecero davanti a lei risparmiandola da fatica inutile.

-Mi accompagni alle macchinette?- chiese Max appena varcarono l’entrata della scuola, così lui e Takao si separarono dando agli altri appuntamento a poco dopo.

I tre, invece, salirono le scale e, arrivati al corridoio del secondo piano, in attesa di salire ancora una rampa, per poco Hilary non inciampò nei suoi stessi piedi scorgendo una persona arrivargli alle spalle.

Sarebbe riuscita ad apparire normale e accettare il fatto che Kei uscisse con qualcuno senza fare scenate o deprimersi totalmente, ma vederlo insieme a quel qualcuno era una faccenda ancora ostica. Meglio rimandare a tempi più rosei.

Rei accortosi dell’incertezza dell’amica, si voltò per scoprire cosa l’avesse turbata e la prese a braccetto –Tutto bene?-

-Sì, ma andiamo per favore-

Senza dare troppe spiegazioni al russo, velocizzarono il passo e salirono le scale in tempo record.

Sparirono alla vista di Kei che rimase interdetto da quello strano comportamento; fece per seguirli mettendo un piede sul primo scalino, ma sentì una mano ancorarsi al suo braccio.

Si voltò ancora perplesso trovandosi Aiko a pochi centimetri dal volto.

-Buongiorno!-

Kei sciolse l’intreccio delle loro dita in malo modo.

-Che staresti facendo?-

La ragazza confusa insistette appoggiando la mano sul suo gomito.

-Che fai tu piuttosto- si informò lei muovendo gli occhi intenta a constatare quante persone li stessero guardando –Ti devo ricordare di ieri pomeriggio- provò maliziosa.

Erano ancora a stretto contatto, col viso poco lontano l’uno dall’altra.

-Ricordo, ma non ti autorizza a fare questo..-

-Questo cosa?- chiese lei in difficoltà –Mi sembrava che fossimo d’accordo su.. stare insieme-

-Io non ti ho mai promesso nulla..- disse cercando di allontanarsi.

-Avevi detto che volevi essere convinto- sibilò lei a denti stretti cercando di non farsi sentire dai curiosi.

-Beh non ci sei riuscita- concluse gelido fissandola.

Restò pochi secondi in attesa di una possibile risposta, ma avvertendo il silenzio assoluto si voltò e prese a salire le scale, ignorando gli sguardi indiscreti e i bisbigli.

Non sapeva bene cosa lo avesse portato a comportarsi così: fino a quella mattina era rimasto indeciso sul da farsi, se darle corda oppure no, ma quando aveva scoperto che il loro incontro del giorno prima era già di dominio pubblico si era risentito.

Aveva capito che lei puntava sull’apparenza e sulla popolarità, ma Kei non era disposto a essere il nuovo giocattolino da mostrare in giro come trofeo. Quella pretesa era troppo persino per lui.

Tornò in classe e si sedette al suo banco indifferente.

Rei gli sorrise, ma non gli chiese nulla e il russo non aveva certamente intenzione di parlargli.

Intanto, visti i precedenti, entro poche ore sarebbe venuto immediatamente a conoscenza dell’accaduto.

 

Il secondo week end dall’inizio della scuola si aprì con un sabato nuvoloso, segno che le belle giornate sarebbero terminate a momenti.

Gli ex bladebreakers comunque si prefissarono di recuperare le energie e le ore di sonno perduto, prima di dedicarsi ai compiti: la giornata passò velocemente, si portarono avanti con storia e giapponese e Takao, con sua grande gioia, convinse Nonno J a lasciarli andare alla festa del presidente Daitenji.

Incredibile come la domenica, invece, si dimostrò una giornata da dimenticare. Rei si svegliò spossato e senza forze, con nausea e mal di stomaco, e il pomeriggio fu occupato  dalla matematica e dall’inutile sforzo di comprenderla.

Ovviamente tutto questo quadro per Kei era invertito: il sabato aveva avuto problemi con ideogrammi, nomi da ricordare e quant’altro, mentre quella mattina aveva colto la palla al balzo e approfittato del malore del cinese per tirarsi fuori dalla serata alla BBA. Si propose, infatti, di fargli compagnia, lasciando tutti perplessi sul suo concetto di ‘compagnia’.

Fu così che, verso le sei del pomeriggio, Takao e Max si defilarono dalla sala del dojo e si prepararono per uscire.

-Non tornate troppo tardi!- si raccomandò Nonno J.

-Tranquillo, ma tu non aspettarci alzato eh!- concluse il giapponese salutando gli altri.

Lo scenario che lasciarono era alquanto strambo: Kei si aggirava annoiato per casa, Hilary aspettava che suo padre la passasse a prendere, mentre Rei stava ad occhi chiusi sul divano pallido e debilitato.

-Nonno J?- chiamò Hilary mezz’oretta dopo.

-Sì, dimmi cara-

-Ti dispiace se resto qui a mangiare? Mio padre ha avuto un contrattempo e ha detto che passa più tardi-

-Ma certamente! Anche se stasera con questa compagnia..- rise alludendo agli altri due ragazzi, silenziosi e annoiati –Comunque lo sai che quando vuoi puoi anche rimanere a dormire.. la stanza degli ospiti è sempre tutta tua!-

L’uomo preparò la cena e si fece aiutare ad apparecchiare la tavola; quando fu tutto pronto Rei finalmente si alzò dal divano e si diresse lentamente verso il suo posto.

-Hai proprio una brutta cera!- gli fece notare Hilary con un sorrisetto, ma a quanto pareva l’altro non aveva nemmeno la forza di ribattere.

Di fatto rimase con loro per pochissimo tempo e, a metà del suo riso, annunciò che sarebbe stato meglio se si fosse messo subito a letto.

Nonno J lo accompagnò in camera e quando tornò trovò gli altri due intenti a mangiare in silenzio l’uno di fronte all’altra.

-Allora Kei, come va la scuola?-

Domande di quel genere gli erano già state poste altre volte, ma le sue risposte erano sempre molto vaghe e, comunque, l’attenzione veniva sempre spostata sugli altri membri più chiacchieroni del gruppo.

Hilary osservò come, anche quella sera, il russo riuscì nel suo intento di pilotare la conversazione lontano da se stesso. Li ascoltò vagamente fino a quanto non arrivarono a parlare di cose a lei sconosciute per cui dovette prestare più attenzione.

-E dei ragazzi chi è più che va all’università?- si informò l’uomo mettendo in tavola altri piatti.

-Yuri-

-E cosa fa?-

-Lettere-

-Impegnativo.. e come mai l’ha scelta?-

-Gli piacciono i classici e tutta quella roba lì.. si è fissato con Tolstoj, Dostoevskij, Checov..-

-Io solo che per pronunciarli ci metto una vita!- rise Hilary notando l’accento marcato che aveva Kei quando pronunciava parole nella sua lingua.

-Meglio non nominarli quando si parla con lui altrimenti non la smette più-

La ragazza annuì al discorso dell’altro: quando era in presenza di poche persone era tutta un’altra faccenda trattare con lui, senza considerare la luce diversa che aveva nel parlare del suo amico, anche se probabilmente, si disse, la vedeva solo lei accecata dai suoi sentimenti.

Mannaggia a quegli occhi viola. Almeno li avesse avuti di un colore normale: azzurri, verdi, sarebbero stati comunque belli, ma almeno non così belli.

Cercò di distrarsi, ma non pensava che sarebbe stato così difficile in assenza degli altri suoi amici.

Aiutò Nonno J a sparecchiare, ma ben presto, non sapendo nemmeno come, si ritrovò a lavare i piatti insieme a Kei. Si era offerta di alleggerire il lavoro all’anziano, ma tutto si era improvvisamente incasinato fino ad arrivare a quella situazione altamente contro indicativa.

‘Fissa le piastrelle, non lo considerare, fissa le piastrelle, non lo considerare’ si ripeteva tra sé sperando in un esito positivo.

Sopravvisse fino all’ultima stoviglia, rischiando parecchie volte di rompere qualcosa, ma presto Kei uscì per fumare e la lasciò sola in cucina. Ne approfittò per guardare il cellulare: suo padre le aveva mandato un messaggio con scritto che avrebbe ritardato ancora e di conseguenza lei doveva trovare un modo per far passare il tempo senza disturbare Nonno J e allo stesso tempo senza rischiare figure di merda in presenza del russo.

L’uomo ben presto andò al piano di sopra per finire delle faccende e controllare Rei e Hilary decise di ritentare con gli esercizi ostici del pomeriggio: credeva di aver finalmente capito gli argomenti nuovi, ma le sue soluzioni erano ancora sbagliate e questo non lo sopportava.

Si sedette al tavolo della sala, cosparso di quaderni, penne e libri, recuperò la sua roba e si concentrò sulla consegna.

Non seppe precisamente quanto stette assorbita da quella serie di numeri e simboli, ma quando rialzò lo sguardo fuori era completamente buio e il dojo immerso in un innaturale silenzio.

Un’ombra vicino alla sua spalla la fece spaventare improvvisamente e fare un salto sulla sedia.

-Kei!- una volta girata si era ritrovata Kei esattamente dietro di lei, il braccio intento a porgerle un bicchiere e le sopracciglia arcate.

-Non volevo spaventarti..-

-Scusa, era sovrappensiero!- si giustificò lei, la mano sinistra al petto.

-Tieni.. è da mezz’ora che non alzi gli occhi da lì- le disse col suo tono piatto posandole davanti il bicchiere di succo di frutta.

-Grazie- rispose arrossendo.

Osservando il liquido ambrato le venne sete immediatamente, ma il pensiero che lui fosse lì ad osservarla le chiuse temporaneamente lo stomaco.

Kei, invece che andarsene, era rimasto fermo al suo posto, prima di sedersi accanto a Hilary e appoggiarsi al tavolo.

-Ce l’hai fatta?- le chiese improvvisamente.

-No.. non capisco dove sbaglio..- rispose torturando la penna.

-Non puoi lasciarlo così e chiederlo domani al prof?- tentò lui.

-No.. sicuramente interroga me quindi devo capirci qualcosa ora..-

-Chi ti dice che chiamerà te?-

-Chiamano sempre me per prima..-

-Perché?-

-Perché sono capoclasse.. a meno che qualcuno non si offra, ma considerando il livello la vedo dura-

-Non mi sembra un ragionamento logico quello del capoclasse-

Lei fece spallucce con un sorriso.

-Me la sono cercata-

Il russo la guardò indagatore, lanciò un’occhiata verso il foglio, fissandolo per diversi secondi, per poi alzare il braccio e indicare un passaggio dell’operazione svolta da Hilary.

-Sbagli qui- disse semplicemente.

La ragazza osservò il punto perplessa, cercando di scovare l’errore.

-Non dirmi dove, voglio trovarlo..-

Kei tacque per farle capire che non le avrebbe detto nulla di più.

Rimasero in silenzio qualche minuto finché lei non si arrese e si decise a chiedere spiegazioni che il russo le diede con poche parole.

-Se me la mettevano prima così la capivo subito!- asserì esaltata.

-I libri usano tante parole difficili inutili- disse il russo placido.

Hilary finì di completare gli esercizi prima di ringraziare il russo.

-Ti sono debitrice!- esclamò battendo le mani –Vuoi che ti do un’occhiata a giapponese?-

Kei la fissò perplesso, ma le passò il quaderno su cui aveva penato il giorno prima con un –Se ti diverti tu-.

La giapponese iniziò a leggere, mentre l’altro prese a fissarsi le dita che si muovevano sul piano del tavolo, disegnando delle linee immaginarie.

Ogni tanto Hilary alzava lo sguardo dal foglio per vedere la sua espressione come sempre indecifrabile. Corresse un ideogramma prima di rivolgergli parola.

-Ho.. ho sentito quello che è successo con Aiko, cioè l’ha sentito Max..- aggiunse vedendo un’ombra di disprezzo su quel volto perfetto -..e mi dispiace-

Kei la fissò improvvisamente stranito.

-A me no- affermò risoluto.

-Ma..- iniziò perplessa –Ma non è stata molto gentile..-

Si fissarono ancora più in confusione.

-Che avresti sentito esattamente?- si informò lui.

-Che lei ti ha lasciato davanti a tutti dicendo che era stata una botta e via e..- tentò di continuare, ma Kei prese a ridere e scuotere la testa. Una risata era ciò che non si aspettava e che non sperava di avere mai la possibilità di vedere.

-Perché ridi?-

-Dovevo immaginarmelo..- sfiorò con la mano il piercing al sopracciglio e scese fino alla guancia reggendosi sui gomiti -..è che in realtà è stato esattamente il contrario-

-Quindi ha raccontato una bugia?- chiese lei incerta.

Il ragazzo annuì.

-E che le dirai ora?- aggiunse fattasi improvvisamente battagliera per essere stata ingannata.

-Niente-

-Come niente? Ti sta prendendo in giro con tutti..-

-Non merita nemmeno di essere considerata.. se me la prendessi passerei dalla parte del torto- disse alzando le spalle –c’è chi ha visto la scena e sa la verità..-

-Ma se non dovesse uscire la verità?-

-Non mi importa quello che pensano- disse serenamente.

-Ah-

Hilary rispostò l’attenzione sul quaderno prima di rischiare di perdersi definitivamente in quegli occhi troppo vicini a lei. Lesse le ultime righe e con un –Fatto- si voltò verso l’altro, facendo strisciare il quaderno chiuso vicino alle sue mani; giusto il tempo di arrivare a una distanza di pochi centimetri tra le loro dita, che Kei portò il busto in avanti e le si avvicinò, posando le labbra su quelle della ragazza.

Durò un secondo, forse due, nemmeno il tempo di chiudere gli occhi o di realizzare, che erano di nuovo seduti perfettamente come prima: l’unica differenza stava nel petto di Hilary, prossimo all’esplosione. Sbatté le ciglia e si ricordò di respirare.

-Sei impazzito?!- urlò improvvisamente, come risvegliatasi, in preda al rossore totale.

Aveva fantasticato in quelle settimane su come sarebbe stato ricevere un bacio, ma così non se lo aspettava, che poi non sapeva se considerarlo proprio un bacio. Soprattutto, era successo davvero o in realtà stava sognando, si era per caso addormentata sui libri e quello era frutto del suo subconscio? Non sapeva nemmeno come classificare l’espressione dell’altro che la guardava a metà tra l’attesa e il divertito.

-Tante storie per così poco- soffiò lui con un sorrisetto.

-P-perché lo hai..?- balbettò senza riuscire a comporre la frase, in pieno stato di shock, man mano che si rendeva conto di essere perfettamente sveglia, ma non del tutto lucida.

-Per ringraziarti..-

-E tu ringrazi le persone a questo modo?- inveì indecisa se essere felice o arrabbiata.

-A volte anche per salutarle.. a Mosca si usa-

-Qui non siamo a Mosca.. quello per noi è un’altra cosa-

-Che vuol dire per voi?-

La stava prendendo in giro? Non era in grado di capirlo, con le guance ancora in fiamme e il battito accelerato.

-Che ti piace l’altra persona e queste cose..-

Nuovamente a Hilary sembrò di perdersi in un bicchier d’acqua: infatti Kei aveva fatto come per pensare alle parole della ragazza, per poi riavvicinarsi pericolosamente. Riannullò la distanza tra di loro, ma questa volta si soffermò più a lungo, giocherellando con il suo labbro inferiore.

Lei ebbe il tempo, dopo la sorpresa iniziale, di chiudere gli occhi e di sentire il suo sapore. Il suo buon senso aveva dato forfait ufficialmente, lasciandola in balia delle sensazioni, tanto che si sentì persa quando non avvertì più il calore di Kei.

Aprì gli occhi lentamente, ritrovandoselo più vicino di quanto pensasse.

-E’ questo per dire che ti piace l’altro-

Di cosa stava parlando? Ah sì, prima stavano parlando, ere geologiche fa stavano parlando.

Ricompose i pezzi mancanti, quelli che aveva rimosso e quelli che non era ancora stata in grado di afferrare. Fece un respiro profondo, cercando di tornare padrona di tutte le sue facoltà.

Il bacio dei suoi sogni in effetti si avvicinava molto di più a quest’ultimo, ma nei suoi sogni Kei era il ragazzo con cui si prospettava una relazione forte e duratura, mentre quello che aveva davanti l’aveva semplicemente aiutata con i compiti di matematica.

-Aspetta..- provò a parlare, sperando che la salivazione tornasse normale -..perchè?-

-Cosa?-

-Non si ruba così un bacio a una ragazza- provò a sembrare arrabbiata, ma risultava troppo difficile.

-Pensavo di piacerti- affermò lui piegando la testa di lato.

-Questo non ti autorizza comunque a..- improvvisamente arrossì come non pensava fosse possibile fare –Chi te l’ha detto? Come? Quando?-

Kei accennò un sorriso –Nessuno.. tranquilla, ci sono arrivato da solo-

Hilary era la personificazione dello stupore: ora non poteva nemmeno negare, si era intortata con le sue stesse mani.

-Beh mi fa piacere-

Si vantava pure di averla fatta cadere ai suoi piedi? Pure vanaglorioso?

-Ti vanti pure?- se ne uscì acida.

-No, è che era la spiegazione più positiva al tuo comportamento di questi giorni-

-Ah- pure le parole giuste e efficaci, non sarebbe sopravvissuta alla serata avanti di questo passo.

Come a volerla affondare ancora di più, Kei sorrise dolcemente, né divertito o ironico, semplicemente dolce, e le colpì il naso con l’indice.

-Sei strana-

-Sei ripetitivo- affermò in un altalena di pensieri discordanti.

-Ma è vero-

-E perché lo sarei stavolta?- chiese cercando di non abbandonare a fatica le sue iridi.

-Perché, anche adesso, ti comporti come non mi aspetto.. le altre di solito mi saltano addosso, tu hai delle riserve..- disse divertito di come era uscito il suo stesso discorso –E non mi voglio vantare- specificò.

-Perché non sono come le altre..- tentò di non impappinarsi.

-Spiegami- la esortò tornando serio.

-Non puoi prendermi una volta e poi lasciarmi- spiegò riacquistando piano piano il suo buon senso, assecondando quella vocina che era la sua ragione. Anche perché il suo corpo le stava consigliando di saltargli addosso anche lei.

-Cosa ti fa pensare che lo farei?-

-Perché è quello che fai di solito.. vai con le ragazze per divertirti..- gli confessò tutti i suoi timori -..per che motivo mi hai baciata ora?-

-Perché mi andava-

-Visto?-

-Io faccio le cose perché mi vanno, il fatto che con le ragazze ci vado a letto e basta è perché loro vogliono così e non mi danno altri motivi per stare con loro..-

-In che senso?-

-Che non sono interessanti..-

-E’ che te le trovi tutte di quel tipo..-

-Stasera no-

Il cuore di Hilary perse un battito.

-Questo che vorrebbe dire?-

-L’hai detto anche tu che sei diversa-

-Dove vuoi arrivare?-

-Mi sembrava chiaro- disse avvicinando ancora di più i loro volti.

-No aspetta!- esclamò lei con un tono di voce troppo alto per quel momento, allontanandosi nuovamente –E’ sbagliato-

Kei assottigliò gli occhi sempre più confuso.

-Io non posso darti quello che vorresti tu e.. e poi, beh non sono proprio quella con cui vorresti farti vedere in giro..-

-Non mi ascolti allora.. non lo faccio per quello che pensi- disse scuotendo la testa -..e poi credo che ti sottovaluti-

-Dai non sono per niente..-

-Vai benissimo come sei.. perché le persone non si accontentano di quello che hanno?-

-Detto da uno premiato così da madre natura..-

-Farei a cambio seduta stante con qualsiasi altra cosa- la interruppe serio.

Hilary abbassò lo sguardo improvvisamente, prendendo un respiro prima di rituffarsi in quel vortice viola che stava esplorando ogni centimetro del suo viso, come a studiarne ogni minima parte.

Kei alzò il braccio e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come in una perfetta scena da film romantico, le sfiorò la pelle con le dita ferme a mezz’aria prima di afferrarle la nuca e avvicinarsi, a contatto, naso a naso, guardandola negli occhi.

-Sei buffa- sorrise di nuovo così dolcemente da mozzare il fiato.

-Sei assurdo- disse lei trattenendo il respiro.

Le diede il terzo bacio della serata, in un crescendo di profondità e passionalità, costringendola ad arrendersi alle proprie emozioni.

-Ho solo una condizione..- soffiò sulle sue labbra.

-Quale?- chiese lei.

-Non chiedermi di amarti.. non ne sono capace-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

………………………………………………………………………..

 

 

 

Sarei tentata di finirla qui senza aggiungere altro.

Boh, sensazione così ^^

Lascio la parola a voi, contente, felici, entusiaste, preoccupate, perplesse, arrabbiate, traumatizzate e via dicendo u.u

 

Spendo solo una riga per salutare una persona che mi odia per una cavolata :P ciao Sunsettina! ^^

 

Alla prossima..mi sa che un capitolo così lungo non tornerà più XD

Un bacione :)

 

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Capitolo 29
*** Changes ***


E in faccia c’hai tutti

I pregi e i difetti

Che sono in parte condanna

E in parte un po’ compagnia

 

 

 

 

 

Changes

 

 

 

 

Si svegliò più tardi del solito e non era l’unico. Tutti gli abitanti del dojo Kinomiya quella mattina sembravano intenzionati a rimanere a letto.

Takao e Max erano arrivati tardi, quando già tutti dormivano nelle proprie stanze, mentre Rei era ancora un po’ abbattuto, anche se la lunga dormita sembrava avergli fatto bene.

Kei si vestì mentre fumava la sua sigaretta mattutina, azioni che solitamente compiva separatamente, e scese a tempo con il cinese.

-Vieni a scuola?-

-Sì.. ora va meglio, avevo solo bisogno di riposarmi!-

Mangiarono e uscirono in silenzio tanto che Nonno J commentò con –E’ un miracolo.. chiederò a Daitenji di invitarvi più spesso!-

Si trascinarono letteralmente per tutto il tragitto, sbadigliando a più non posso, fino all’incrocio dove Hilary li attendeva guardando l’orologio.

-Ma che avete combinato?- chiese perplessa vedendo le facce dei due amici.

-No comment.. ti racconto quando mi sveglio!- le rispose Max portando una mano davanti alla bocca.

-Tu come stai?- si rivolse invece a Rei.

-Potrebbe andare meglio.. andiamo, che voglio andare in classe e non muovermi più-

I tre amici la superarono e si diressero verso la scuola.

Hilary li guardò indecisa se ridere o disperarsi, ma presto si dovette girare per fronteggiare il quarto componente del gruppo che stava pochi passi dietro di lei.

-Ciao-

Kei la guardò perplesso, poiché la ragazza sussurrò quel saluto e abbassò il capo arrossendo: dalla sera prima non faceva che arrossire, non gli era mai capitato di incontrare una persona così timida.

Era divertito per quel comportamento, ma si stranì quando lei si girò e iniziò a camminare.

-Ehi- con due passi annullò la distanza tra di loro e le prese il polso invitandola a voltarsi –Non mi saluti?-

-Ti.. ti ho salutato!- rispose lei incerta.

-Quello non..- si fermò per l’espressione buffa di Hilary –Facciamo finta di niente ok? Rifacciamo..-

La giapponese lo guardò confusa, ma finalmente si decise a sorridergli.

-Ciao Kei..- disse facendo finta di averlo appena visto, rasserenandolo.

-Ciao-

Il russo le si avvicinò e la baciò, costringendola ad alzarsi in punta di piedi reggendosi al suo collo.

 -Hil sto parlando con te, ma cosa..- Takao si girò spazientito, già diversi metri più avanti, e osservò la scena che gli si presentò con la bocca spalancata, attirando l’attenzione di Max e Rei.

-Ehm ragazzi.. da quando..?- e indicò i due avvinghiati.

-Non lo so- rispose il cinese stupito quanto l’amico, proprio quando i diretti interessati si staccarono.

Hilary non appena notò di avere tutti quegli occhi addosso arrossì e indietreggiò impercettibilmente, ma Kei, con la mano che teneva ancora il suo polso, iniziò a camminare verso di loro, e, invece che mollarla, intrecciò le loro dita facendo una leggera pressione per invitarla a seguirlo.

Quando raggiunsero gli altri il colorito della giapponese faceva concorrenza a una melanzana, mentre il russo, sempre impassibile e controllato, li guardò tranquillo.

-Non andiamo?- chiese semplicemente, superandoli senza aspettare alcuna risposta, stringendo la mano di Hilary.

La reazione di tutte le altre persone fu all’incirca la medesima: stupore.

Percorsero tutto il cortile ed entrarono in classe mano nella mano; Hilary parlava di tutto e niente per non far cadere il silenzio, mentre Kei la ascoltava imperturbabile, senza dare adito alle occhiate degli studenti e dei loro compagni di classe.

Nessuno ebbe il tempo di chiedere delucidazioni poiché suonò la campanella non appena varcarono la soglia con il professor Suji già pronto alle loro spalle.

Kei lasciò la mano della ragazza solo in prossimità del banco, rivolgendole un sorriso accennato.

Il russo dovette ringraziare mentalmente il professore di storia perché, per la sua severità e riconosciuta malignità, riuscì a tener buono Rei e le sue domande per tutta la sua ora.

Stessa cosa non riuscì con quello di matematica.

-Quando pensavi di dirmelo?- partì in quarta il cinese mentre i due docenti si davano il cambio alla cattedra.

-Contavo sul fatto che l’avresti intuito da solo-

-Ne avresti avuto il tempo stamattina- continuò ignorandolo.

-Ma se eravate tutti fusi-

-E’ una notizia importante- bisbigliò Rei cercando di prestare attenzione al professore che aveva richiamato il silenzio in attesa di annunciare l’interrogato.

-Non te l’ho mica nascosto.. ora lo sai-

-Che è successo ieri che ha fatto cambiare così velocemente le cose?-

-Niente di particolare.. è successo- spiegò il russo puntando lo sguardo su Hilary, la quale aveva un piede in avanti già pronto per andare alla lavagna.

-Kei, Hilary è una mia amica e ci tengo a lei e..-

-Chiamo io o c’è qualche volontario?- la voce del docente lo costrinse a interrompersi, ma cercò di attirare nuovamente l’attenzione dell’altro su di sé. 

-E tengo anche a te, quindi in circostanze normali sarei felice di questa cosa, ma..-

Kei improvvisamente alzò la mano, stupendo tutti i presenti, professore compreso.

-Cosa stai facendo?- gli chiese Rei nel panico, osservandolo alzarsi.

-Mi levo il fastidio-

Il russo proseguì la sua marcia suicida ignorando gli sguardi allibiti dei compagni.

 

-E poi niente, è arrivato mio padre-

Hilary terminò il suo racconto bisbigliato a Takao durante l’interrogazione di Kei. Il giapponese aveva insistito per far cambio momentaneo di banco con la ragazza seduta vicino all’amica per venire a conoscenza dei fatti dalla diretta interessata.

Aveva ascoltato in silenzio, annuendo col capo per farle capire che stava ascoltando e osservando attentamente le sue reazioni: gesticolava e arrossiva, ma nemmeno per un secondo aveva smesso di sorridere. Per non parlare delle occhiate furtive che lanciava verso la lavagna ogni volta che ne aveva l’occasione.

Takao si limitò quindi ad ascoltarla, senza commentare o proferir parola, tanto che la liquidò tornando al suo posto, lasciandola stranita, nello stesso momento in cui Kei terminò l’interrogazione con un voto più che sufficiente.

-Preferisci farti interrogare piuttosto che ascoltarmi?- chiese Rei indispettito.

-No- rispose semplicemente guardando il compagno in attesa.

-Ah- il cinese si ricompose prima di riprendere il discorso iniziato mezz’ora prima –Vabbè, ti dicevo.. che siete miei amici e sono contento per voi, ma la faccenda mi preoccupa..-

-Silenzio che inizio a spiegare-  il vocione dell’uomo alla cattedra richiamò la classe all’ordine.

-Tu mi preoccupi..- sussurrò Rei e vedendo che l’altro non gli dava risposte aggiunse -..mi avevi detto poco tempo fa che non volevi storie serie e io non voglio che lei soffra-

-Kon devo interrogare anche te?-

Il cinese si scusò e si zittì preparando mentalmente il resto del discorso che avrebbe voluto fare.

 

Dal suo tono di voce, se Rei non fosse stato la persona gentile e posata qual era, tutte quelle cose gliele avrebbe dette urlandole.

Era strano come quella mattina si fosse evoluta la situazione: Rei, Max e Takao si erano alzati come degli zombie e così erano restati fino alla scoperta della faccenda di Hilary, da quel momento in avanti era consapevole che i loro sguardi avrebbero potuto uccidere.

In ogni caso, mentre si era già preparato mentalmente all’apprensione di Rei, certamente non si aspettava che a ricreazione Takao sarebbe stato pronto a parlargli a quattr’occhi con un cipiglio serio che non si ricordava mai di aver visto se non durante il torneo in Russia.

Kei aveva progettato di trascorrere i dieci minuti di pausa con Hilary, ma era stato costretto a seguire il giapponese in corridoio, in un punto poco affollato.

-Cosa vuoi?-

-Qualsiasi cosa tu abbia in mente non farla-

-Cosa avrei in mente?- si informò mentre Max e Rei si stavano avvicinando cauti.

-Non lo so..- Takao sembrava arrabbiato e in agitazione -..sai di piacere alle ragazze e di poterle avere schioccando le dita, ma non osare aggiungere alla tua collezione Hilary-

-Ma io non..- cercò di difendersi, ma fu interrotto.

-Se questa è la tua intenzione mollala ora prima che sia troppo tardi-

-Takao calmati.. non ho nessuna collezione e..-

-Sei mio amico, ma sappi che se dovesse succedere qualcosa prenderei le sue difese.. e non ti permetto di farla soffrire!- Takao prese un lungo respiro seguitando a guardarlo con occhi inferociti.

-Hai finito?- chiese Kei mantenendo la calma.

-Non giocare con lei.. ora ho finito-

Il russo lo osservò: era strano vederlo così serio, così come lo erano gli altri due amici, fermi in disparte ad ascoltare la disputa. Tre contro uno: era difficile difendersi da accuse che secondo il loro punto di vista erano assolutamente fondate. Non sapeva che parole usare per avvalorare la sua causa e proteggersi da ulteriori critiche.

-Non..-

Rinunciò ancor prima di tentare, guardandoli e superandoli per tornare in classe.

Hilary era circondata dalle compagne, probabilmente fameliche di informazioni su quel nuovo flirt: Kei si sedette al suo posto e non si accorse dello sguardo preoccupato che la ragazza gli riserbò poiché si voltò a guardare fuori dalla finestra, agognando il momento in cui sarebbe potuto uscire a prendere aria: quella dell’edificio era diventata irrespirabile.

Quando ricominciarono le lezioni non prestò attenzione a niente e nessuno, sentì solo un fermento generale quando nell’ora di giapponese fu annunciata la possibilità di una gita di due giorni, ma non capì né dove né quando; in ogni caso Rei non gli rivolse più parola, e così nemmeno gli altri, e nella pausa pranzo si defilò velocemente verso la terrazza.

Si accese una sigaretta: era nervoso dal momento in cui aveva parlato con Takao, o meglio dal momento in cui Takao aveva parlato con lui.

La sua decisione della sera prima di farsi avanti con Hilary aveva permesso a una crepa di formarsi in quell’equilibrio raggiunto così difficilmente: aveva agito di istinto come al suo solito, aveva semplicemente assecondato le proprie sensazioni, il proprio umore, ma non aveva messo in conto una reazione tale da parte dei suoi amici.

Si erano fatti un’immagine tremenda del suo modo di comportarsi con le ragazze, sia loro che Hilary, ma come poteva dargli torto? In definitiva era così che si era sempre posto, ma nessuno si era chiesto il perché lo facesse e nemmeno lui sapeva darsi una risposta valida.

Semplicemente era sempre stato così: per lui l’amore era al pari di una favola per bambini, entrambi non possiedono consistenza reale, e nessuno si era mai premurato di dimostrargli il contrario.

Questo era il punto di rottura: né lui, né Takao, Max o Rei credeva nella reale possibilità che le cose cambiassero, che lui potesse cambiare.

-Tieni-

La voce squillante di Hilary lo risvegliò dalle sue paturnie: gli stava porgendo un panino, probabilmente comprato al bar della scuola.

-Sei uscito di corsa e immaginavo non avessi preso da mangiare- spiegò lei.

-Grazie-

Kei afferrò incerto il panino osservandola sedersi per terra.

Hilary era sempre stata gentile con lui, anche nei momenti in cui lui aveva dato sfoggio del lato peggiore del suo carattere e, se le parole di Takao avevano un fondo di verità, non poteva approfittarsene così. Non era mai stato un bravo ragazzo e questa sua natura non poteva essere cambiata così da un giorno all’altro: avrebbe finito in ogni caso per fare soffrire le persone intorno a lui.

Quando incrociò gli occhi marroni della ragazza si decise a sederle a fianco e a iniziare a mangiare.

-Che aveva Takao prima? Era strano..- si informò lei sorridente, assaggiando il proprio riso.

-Che ti lasciassi- rispose gelido, osservandola sbarrare gli occhi mentre il boccone rischiava di andarle di traverso.

-Cosa?-

-Non vuole che tu soffra per causa mia e dà per scontato che succederà-

Hilary impallidì, senza più il coraggio di mangiare.

-E tu che gli hai detto?-

-Niente-

Aveva abbandonato anche lui il suo panino e la stava guardando, studiando ogni sua reazione.

-Tu cosa pensi?- chiese lei con calma, con la voce più ferma di quanto si sarebbe immaginato.

-Penso.. che potrebbero fare bene a non fidarsi di me- finalmente incontrò le sue iridi nocciola e non riuscì a fare a meno di essere sincero -..quello che ti ho detto ieri era tutto vero e lo penso ancora.. io non mi fido mai di nessuno e non mi stupisco che le persone non si fidino di me.. ho fatto tante cazzate e ho fatto soffrire.. non voglio far soffrire anche te-

-Se non vuoi allora non succederà..-

-Hilary, sono uno stronzo per natura..-

-Non è vero..- disse e sul suo volto tondo spuntò a sorpresa un sorriso -..cioè l’altro giorno con Aiko lo sei stato un bel po’ ora che ci penso..- scherzò lasciando sempre più sbigottito l’altro -..ieri ti ho ascoltato sai? Ti saprei ripetere ogni parola che mi hai detto..- confessò arrossendo -..mi hai già messo in guardia, so già i rischi che corro stando con te.. deve essere una mia scelta e Takao può dire quello che vuole!-

-Ti vuole proteggere.. da me.. e non ha tutti i torti-

-Senti.. tu ieri mi hai baciato perché sentivi così, giusto? Beh anche io voglio fare quello che mi sento e ora sento solo di voler stare con te!-

Non si sarebbe aspettato un’opposizione così forte: lei stava combattendo per lui, perché non si arrendesse davanti alla verità dei fatti.

-Tu vedi del buono in me?- chiese in un soffio.

-Sì..- rispose immediatamente la ragazza senza pensarci troppo -..e sarebbe il momento che iniziassi a vederlo anche tu.. io ci ho messo un po’ per capirlo, ma sei tu il primo a far fatica!-

Le sue parole erano vere, faticava tremendamente a trovare in se stesso degli aspetti positivi, mentre gli altri non facevano altro che decantare la sua bellezza e le sue doti, Kei non vedeva altro che un misero ragazzino che si è fatto da solo tanto male quanto gliene hanno procurato gli altri.

Le possibilità erano o seguire il consiglio di Takao e risparmiarle tutti i rischi che comportava la sua vicinanza, voluti e non voluti, oppure continuare a seguire quella parte di lui che lo spingeva ad avvicinarla e studiarla, fino a carpire i segreti di tanta semplicità e genuinità.

Kei non poteva garantirle sicurezza, né stabilità, non sapeva fino a che punto si sarebbe spinto, ma se ciò che più lo aveva infastidito quella mattina era la mancanza di fiducia che avevano verso di lui, non poteva fare a meno di affidarsi a quella ragazza che costituiva il suo opposto.

-Ti fidi di me?- chiese sospirando.

Hilary annuì e sorrise, lasciandosi catturare dal braccio del russo che le cinse le spalle e le fece appoggiare il capo al suo petto.

Restò ferma e rigida per qualche istante, prima di abbandonarsi a quella stretta.

-Da quando prendi le difese di Aiko?- chiese improvvisamente il ragazzo dopo pochi minuti di silenzio.

-Da quando tu stai con me e non con lei- disse affondando ancora di più il viso nella sua maglietta, mascherando il rossore delle sue gote.

Kei seguitò a stringerla e le accarezzò i capelli, lasciandole un piccolo bacio sulla fronte.

 

Quando rientrarono in classe insieme per le lezioni del pomeriggio furono fulminati dagli sguardi dei loro amici. Si chiesero quanto sarebbe andata avanti quella situazione.

Sicuramente perdurò per tutto il tragitto di ritorno: infatti si limitarono a salutare Hilary quando arrivarono all’incrocio delle rispettive vie di casa, ma non aspettarono Kei che si era attardato per salutarla.

Non che la faccenda lo irritasse più che nella mattinata, solo non era abituato alla completa mancanza di attenzione: fino al mese prima avrebbe pagato per avere meno chiacchiere nella testa, ma il passaggio all’opposto della medaglia risultava alquanto strano.

In effetti era strano che fino a quel momento agli altri tre fosse andato bene qualsiasi suo comportamento, erano persone diverse e, quando aveva deciso di lasciare la Russia, aveva quindi messo in conto di rovinare il loro equilibrio.

Quando Nonno J si accorse della distanza che si era creata nel gruppetto chiese delucidazioni, ma non gli fu data risposta da nessuno, anzi il discorso fu prontamente deviato verso altri argomenti.

Ne approfittò per stare solo con i suoi pensieri, nel buio del giardino, fresco e silenzioso.

Ripensò al cambiamento di quei mesi e a tutte le cose che erano rimaste uguali, guardò la luna, a metà del suo viaggio per diventare piena. A quanto il cielo stesso fosse diverso in quella parte del mondo, a quante volte lo aveva osservato affidandogli mille pensieri discordanti e da quanto tempo non gli si era concesso, preso da quella nuova vita così sana, ma così lontana.

-Kei-

Era tanto sovrappensiero che Max quasi lo spaventò. Si riprese da quel momento di malinconia per prestare attenzione alle parole dell’americano, già che qualcuno aveva deciso che meritava di essere considerato.

-Senti.. Takao s’è preso molto a cuore questa faccenda, capiscilo..-

Kei fece spallucce e lo osservò in attesa.

-Per quanto mi riguarda, mi basta che siano tutti felici e se tu ed Hilary lo siete insieme a me va bene.. credo di non averla mai visto sorridere tanto quanto oggi!- concluse il biondo ridacchiando.

-Niente minacce o avvertimenti?- chiese il russo con una punta di ironia.

-Niente! Magari un consiglio..- continuò assottigliando gli occhi.  

-Sarebbe?- si informò l’altro curioso e divertito.

-So che sei abituato con un altro.. genere di ragazze, ma Hilary è diversa.. con lei vanno bene le cose semplici e normali!-

Kei soppesò quel consiglio spassionato e genuino, indeciso se ridere o prenderlo sul serio.

In quella casa si poteva passare da un opposto all’altro nel giro di pochi secondi: non sapeva se sarebbe mai riuscito ad abituarcisi.

 

-Dì ai tuoi che torni più tardi-

-Perché?-

-Perché ora vieni con me-

Kei si era avvicinato al banco di Hilary alla fine dell’ultima ora di lezione lasciandola confusa.

-Dove andiamo?-

-In giro- disse lui facendo spallucce ed esortandola a fare come aveva detto.

Si allontanarono dalla scuola, avvicinandosi al centro del quartiere, nelle vie più trafficate e piene di negozi.

-Che sarebbe questa cosa?-

-Immaginavo volessi un primo appuntamento- spiegò Kei facendola arrossire.

-Ma per essere un vero appuntamento avresti dovuto avvertirmi prima, invitandomi ad uscire- lo stuzzicò lei.

-Beh in pratica è quello che ho fatto-

-L’hai imposto in realtà-

-Non puoi chiudere un occhio?- chiese perplesso; alla fine aveva deciso di seguire il consiglio di Max immaginando che un’uscita classica potesse fare al caso suo come ‘cosa semplice e normale’.

-Dipende da cosa hai progettato- aggiunse sorridendo.

-Credo che improvviserò- rispose leggermente spiazzato –Non sono molto esperto di queste cose-

-Non ci credo-

Kei fece spallucce continuando a camminare tenendola per mano: aveva intrecciato le loro dita senza pensarci e aveva continuato a tenerle e giocherellarci.

Percorsero diverse vie prima che Hilary proponesse di entrare in un negozio di musica: iniziarono a vagare per gli scaffali colmi di cd guardandosi intorno.

-Uh è uscito il suo nuovo cd!- esclamò ad un tratto Hilary, ferma davanti alla sezione pop.

-Di chi?- chiese Kei avvicinandosi.

-Lauren Bright.. Takao ne era innamorato l’anno scorso!- ridacchiò –A te piace?-

-Mh.. qualche cosa, non la conosco bene..- disse facendo scorrere gli occhi su altri nomi.

-E questi? Sono ancora in giro?- cambiò argomento lei puntando su una band di ragazzini.

-Sono sempre meglio di lui- commentò l’altro indicandogli un cd con la copertina in stile manifesto della ‘sagra della polpetta’.

-Ma conosci questa roba? Come..-

Hilary parve spaventarsi improvvisamente, come se avesse visto qualcosa attorno a lei che non andava.

-Che succede?- si informò lui calmo.

-Non so nulla..- si fermò ancora con lo sguardo nel vuoto, prima di rispondere alla tacita domanda del ragazzo -..non so nulla di te!-

Kei ridacchiò scuotendo la testa.

-E’ vero.. non so cosa ascolti, cosa ti piace, cosa non ti piace..- la preoccupazione della giapponese crebbe ogni volta che aggiungeva una caratteristica a lei sconosciuta.

-Non è la fine del mondo-

-Un po’ sì..- constatò lei sconfortata -..mi sono sempre chiesta che ascoltassi con quelle tue cuffie..- prese il cd che aveva commentato malamente pochi istanti prima -..ma non credevo ti dessi così al trash!- e scoppiò a ridere.

-Ma non mi piace infatti.. –

Hilary iniziò allora uno studio per capire che tipo di musica piacesse a Kei: afferrò diversi cd e chiese il parere dell’altro ottenendo risposte abbastanza mirate per ogni artista nominato.

-Non sapevo fossi un esperto.. li conosci tutti!-

-E’ che ho avuto parecchio tempo libero..- rispose distrattamente dirigendosi verso un altro scaffale -..sono stato chiuso in casa per mesi a far nulla-

-Giusto- aggiunse Hilary capendo che il russo si stava riferendo al periodo della disintossicazione: ne aveva parlato con così tanta naturalezza che si era stranita, ricordandole quanto davvero poco conoscesse Kei.

Uscirono dal negozio poco dopo, decidendo la meta successiva.

Alla fine puntarono verso un luogo ‘semplice e normale’, seguendo ancora una volta la teoria di Max, trovandosi quindi al belvedere.

-Com’è che ti piacciono i posti alti?-

-Cosa?-

-La terrazza, il belvedere: tutti posti alti..-

-Coincidenza-

Si sedettero sull’erba, all’ombra di una grande quercia.

Hilary respirò l’aria fresca e, stiracchiandosi, si buttò supina imitata subito da Kei.

-Facciamo un gioco..- se ne uscì lei voltandosi verso l’altro –Ora tu devi dirmi tre cose che ti piacciono e tre che non ti piacciono, poi io vado con le mie-

-Cose di che tipo?-

-Quello che vuoi: colori, cibo, stagioni o che so io!-

Kei si prese qualche secondo prima di sbuffare divertito: odiava parlare.

-Mi piace il freddo, l’inverno e la vodka.. non mi piace il caldo, la storia e.. le carote-

-Non ti piacciono le carote?- chiese ridendo.

-No-

-Ok tocca a me.. mi piacciono il giallo, le margherite e la primavera, invece non sopporto la febbre, i ragni e gli horror!-

Scoppiò a ridere continuando a richiedere informazioni su ogni cosa.

-Ora dimmi..- arrossì formulando la frase -..una cosa che ti piace di me-

Kei afferrò nuovamente le dita della ragazza, osservando il loro intreccio da varie angolazioni, pensando alla risposta da dare a quell’ennesima domanda.

-Il tuo riuscire sempre ad essere te stessa..- disse poi fissandola negli occhi -..ora dimmi la tua-

La giapponese rifletté in silenzio, staccandosi da quegli occhi magnetici: solo facendo così riuscì a non cadere nel banale e scontato impulso di rispondergli le sue iridi viola.

-Il fatto che mi tieni per mano..- l’altro la guardò perplessa invitandola a spiegarsi -.. non lo fanno tutti i ragazzi, invece tu mi prendi sempre per mano.. è bello!-

-E’ normale-

-Non per tutti!-

Kei le sorrise dolcemente.

-Respira- le sussurrò divertito, mentre la osservava trattenere il fiato, ma le diede giusto il tempo di prendere aria che annullò il distacco tra i loro volti.

Le aveva stretto la mano per tutto il pomeriggio, ma non l’aveva ancora baciata: nonostante mantenesse sempre quel contatto fisico con lei non si lasciava andare a troppi baci; ma ogni volta che lo faceva per Hilary era un colpo al cuore che le aumentava i battiti.

Ormai erano entrambi girati su un fianco, fronte a fronte, naso a naso, il viso a pochi centimetri, quando Kei fece partire una carezza dalla gota della ragazza che continuò sul collo, sulla spalla per terminare sul suo fianco.

-Posso farti una domanda?-

-Con tutte quelle che ti ho fatto io- rise lei osservandolo rapita.

-Quando l’altra sera mi hai detto che non potevi darmi quello che volevo..- iniziò facendola preoccupare -..è perché non l’hai mai fatto?-

Capì di averla turbata, notando le sopracciglia incurvate, e per rassicurarla disegnò ghirigori immaginari sul suo fianco in un lieve carezza.

-Sì-

-Perché non hai mai trovato il ragazzo giusto o per qualche regola o..-

-Perché me lo chiedi?- si informò preoccupata.

-Tu mi vuoi conoscere.. io ti voglio capire- spiegò catturando il suo sguardo.

-Niente ragazzo giusto..-

-Come pensi di capire quando arriverà?- chiese incurvando la testa leggermente.

-Credo che.. lo capirò-   

-Gli altri si sono comportati male con te o semplicemente hai capito che non erano loro?-

-Guarda che non sono un’esperta come te!-

-Io non sono per niente esperto- rise lui.

-Beh non ho avuto molti ragazzi.. uno era di scuola, direi che con lui l’ho capito, mentre l’altro.. beh voi blader siete degli sciupafemmine quando volete!- lo stuzzicò cercando di portare il discorso a suo favore e non trovarsi troppo in imbarazzo.

-Blader? Lo conosco?- chiese lui curioso.

-Non lo so.. può darsi-

-Dimmi il nome-

-No.. mi vergogno!-

Kei la guardò cercando di convincerla a rivelarle l’identità sconosciuta, ma Hilary abbassò lo sguardo e si rannicchiò per evitare che quel viso magnifico la facesse cadere nella sua trappola.

-Lo scoprirò prima o poi- si arrese lui facendola rasserenare –Hai qualche altra domanda per il tuo interrogatorio?-

Hilary ci pensò su rimettendosi supina e osservando le nuvole muoversi veloci nel cielo tinto dei colori del tramonto.

-Che ore sono?- chiese improvvisamente, sedendosi e cercando il cellulare.

-Le sette e mezza- la anticipò Kei mettendole una mano sulla nuca e attirandola nuovamente a sé.

-Devo andare a casa- affermò rattristita assecondandolo.

-Ti accompagno- si offrì il russo baciandola.

Percorse il tragitto al contrario sempre mano nella mano fino alla casa della ragazza.

Kei buttò la sigaretta che si era acceso e la salutò davanti al vialetto di entrata, mentre Hilary sbirciava verso le finestre.

-Che cerchi?-

-Niente, controllavo..- rispose evasiva prima che lui le afferrasse il mento.

-Lo sanno i tuoi?-

La ragazza scosse la testa lentamente.

-Allora gli verrà un colpo quando mi vedranno- affermò sereno.

-Ma no..- disse lei poco convinta, per quanto magnifico fosse Kei, qualsiasi genitore si sarebbe stranito alla vista della sua immagine: sperò vivamente che, se mai lo avessero visto, lui avrebbe indossato la divisa come in quel momento.

 

Rientrò poco dopo nel dojo, giusto in tempo per unirsi agli altri per cenare.

Salì le scale per andare a cambiarsi quando incontrò Rei, così che si premurò di scansarlo per entrare in camera sua.

-Com’è andata oggi?- la voce del cinese gli arrivò quando stava per aprire la porta.

Aveva quindi deciso di rivolgergli di nuovo parola e accantonare l’avversione verso lui e Hilary.

-Bene..- rispose decidendo che non valeva la pena serbare rancore per una cosa del genere, soprattutto poiché era a conoscenza del motivo per cui si era risentito.

Si scambiarono poche parole prima di riprendere le precedenti occupazioni.

Anche Takao a cena si dimostrò deciso a dimenticare la diatriba del giorno prima e tornò a stuzzicarlo come al suo solito, come se nulla fosse successo.

Tutto sembrava essere tornato alla consueta normalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uh.. ero convinta fosse venuto più corto! Bah meglio u.u

Comunque non so se esserne totalmente soddisfatta, ma questo è quello che ne è uscito.. in verità sono tutta presa dagli eventi futuri che.. beh, voi non potete ancora sapere!

Ormai molte di voi mi conoscono per la mia malvagità quindi nemmeno adesso sarò da meno u.u

Vabbuò.. grazie come sempre a tutti quanti ^^ mi avete fatto schizzare in alto il numero di letture del precedente capitolo (che supera quello dei precedenti).. lo so che Qualcuna (anche più di una ;) ) lo avrà aperto mille volte solo per Quella scena XD

Ihih vi lascio.. alla prossima settimana!

Un bacione :)

 

Ps: ovviamente cantanti, gruppi e cd sono di mia invenzione u.u anche se ho paura che la sagra della polpetta sia sempre in agguato! Ok la smetto XD

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Capitolo 30
*** Never Say Never ***


E in faccia c’hai tutti

I pregi e i difetti

Che sono in parte condanna

E in parte un po’ compagnia

 

 

 

 

 

Never Say Never

 

 

 

 

-Vediamo di risolvere il problema!-

Il professor Kazumasa si era preso a cuore quella sua avversione verso gli ideogrammi, troppo a cuore, tanto che aveva deciso di ricorrere a metodi alternativi.

Il perché Kei fosse così simpatico a quel professore ancora non lo sapeva, poiché era rimasto sempre il solito scorbutico asociale e l’unica persona con cui aveva cambiato leggermente questo atteggiamento era Hilary.

In ogni caso si era ritrovato a dover assecondare il docente di giapponese e andare alla lavagna, afferrare il gesso e attendere istruzioni.

-Allora.. prendiamo una frase da un libro a caso- l’uomo, che nel frattempo si era seduto al banco di Kei, frugò in una borsa di tela che si era portato con sé ed estrasse un grosso volume –Rei scegli una pagina per piacere- disse con un sorriso, aspettando che l’altro ubbidisse e gli indicasse una frase –Perfetto.. la frase è: “quelli volti al conseguimento dell’utile o allo sviluppo di una maggiore efficienza dell’intero sistema”.. complicata.. bravo Kon!- aggiunse dando una pacca sulla spalla al vicino.

Kei rigirò il gesso tra le mani e guardò perplesso l’adulto: che cosa ci doveva fare con quella frase senza né capo né coda?

-Ora la devi scrivere..- sembrò rispondere alla sua tacita domanda -..pensa al significato e alle parole che la compongono, una volta che è ben focalizzata nella tua mente scrivila-

Il russo era sempre più scettico e la sua espressione non contribuiva a nascondere quel suo stato d’animo, infatti alcuni ridacchiarono mentre Hilary lo incitava con lo sguardo ad assecondare il professore.

-Dai, facciamo così.. girati- rise il docente accompagnando le parole con un gesto della mano –Girati!-

Kei si girò sbuffando, trovandosi a pochi centimetri dall’ardesia.

-Ora chiudi gli occhi..-

-Ma..- tentò voltandosi, ma l’altro lo invitò a non fare storie.

-Ecco dicevamo.. chiudi gli occhi e pensa a quello che ti ho detto- disse per poi ripetere la frase in questione e invitarlo a trascriverla -vedrai che verrà naturalmente-

Il ragazzo, suo malgrado, obbedì e abbassò le palpebre, pensando al significato delle parole, analizzandole; aveva detto che sarebbe stato naturale, che doveva essere naturale e allora decise di seguire alla lettera quel consiglio, tanto che iniziò a scrivere velocemente.

Riaprì gli occhi a opera conclusa e si allontanò di pochi passi per osservare il risultato: forse era venuta un po’ storta, ma le parole erano lì bianco su nero, ben visibili e riconoscibili, o almeno per lui: era sicuro che in classe non ci fosse nessun’altro a conoscenza del cirillico.

Le lettere, in quella lingua a lui così familiare e così incomprensibile per gli altri, rappresentavano esattamente la frase che il docente gli aveva dettato e quello era stato il modo più naturale per scriverla.

Gli alunni attesero col fiato sospeso la reazione del professore: era sempre stato un uomo dalla battuta facile e cordiale, ma nessuno riusciva a immaginare come avrebbe risposto a quel comportamento.

Kazumasa aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta per la sorpresa, ma quell’espressione durò solo altri pochi secondi per tramutarsi in una fragorosa risata.

-Sei forte, Kei! Sei forte!- gli disse tenendosi la pancia.

Quando finalmente si riscambiarono i rispettivi posti, Kei si vide l’espressione allibita di Rei scrutarlo profondamente.

-Ma come ti è venuto in mente?- disse indeciso se ridere o piangere.

L’altro di tutta risposta si limitò a fare spallucce.

 

-Buongiorno Hilary!-

-Buongiorno Nonno J!-

La ragazza salutò l’uomo non appena attraversò il portone di legno.

-Sai dov’è Kei?- gli chiese poi ottenendo le indicazioni sperate. L’anziano era venuto a conoscenza della nuova relazione pochi giorni prima, dopo aver visto i due scambiarsi attenzioni diverse dal solito, e non aveva perso l’occasione per sottolineare quanto avrebbe voluto essere a conoscenza della situazione.

Ormai potevano dire di non aver segreti con nessuno, persino Aiko a scuola aveva capito di essere stata ignorata a causa di una ‘semplice ragazzina’ e ovviamente si era premurata di smentire il fatto, nonostante la verità avesse iniziato a trapelare.

Gli unici ancora all’oscuro erano i suoi genitori ai quali aveva deciso di pensare solo se ce ne fosse stata l’occasione, ovvero se si fosse ritrovata obbligata. Non voleva rischiare di dover affrontare un dramma per quella relazione fino a quel momento perfetta.

Circumnavigò il dojo per arrivare nel giardino posteriore e ritrovarsi davanti a Kei, seduto sull’erba a occhi chiusi e con le cuffie alle orecchie.

Allungò la mano e premette la punta del naso del ragazzo con il suo indice, facendogli aprire gli occhi.

Il ragazzo si sfilò le cuffie e spense l’mp3.

-Cosa ascoltavi?-

-Canzoni a random- rispose indifferente dandole un bacio.

-E a che pensavi me lo dici?- insistette.

-Tutto e niente-

Hilary sbuffò divertita con le braccia incrociate dietro il collo del ragazzo.

-Io invece pensavo che dovrei darti sinceramente delle ripetizioni..-

-Perché?-

-Perché la scenetta di stamattina è stata divertente, ma non potrai andare avanti a questo modo-

-Ah no?- chiese afferrandola e cercando di zittirla con le sue labbra.

-Dai!- si scostò a fatica –E a me serve la tua enorme sapienza matematica-

-Mh- continuò puntando al lobo dell’orecchio non potendo arrivare alla bocca.

-L’altra volta mi è andata bene solo perché me l’hai spiegata tu!- disse riferendosi alla sua interrogazione avvenuta il giorno dopo quella di Kei.

-Ok- accettò l’altro nonostante sembrava stesse pensando solo al collo dell’altra piuttosto che alla matematica.

-Aah mi arrendo..- capitolò Hilary baciandolo a sua volta.

-Sai cosa penso ora?- disse a sorpresa il russo.

-Cosa?-

-Che dovresti accettare la proposta di Nonno J-

-Quale?- chiese lei confusa non capendo a che cosa si riferisse.

-Di fermarti a dormire qui qualche volta- rispose facendola arrossire.

-Ah quella- erano passati esattamente 9 giorni da quella famosa giornata in cui l’uomo le aveva ricordato la presenza della stanza degli ospiti e stesso giorno in cui Kei si era fatto avanti con lei.

Il ragazzo la fissò in attesa di una risposta con un sorrisetto di sfida.

Hilary era assolutamente imbarazzata per quell’improvvisa proposta poiché non capiva, o non voleva capire, cosa ci fosse dietro, ma allo stesso tempo dentro di lei era sorta una voglia matta di seguire il consiglio e restare quella sera stessa.

Respingeva e agognava l’idea allo stesso tempo.

-Ci penserò-

-Bene-

 

E ci aveva pensato. Ci aveva pensato più di quanto non avrebbe voluto, per diversi giorni, ma alla fine la trovò, la scusa per rimanere al dojo e non scomodare suo padre a fare il giro largo per andare a prenderla.

In verità era stato tutto molto improvvisato e annunciato per telefono, anche perché se avesse chiesto il permesso a voce sicuramente il continuo arrossarsi delle sue gote l’avrebbe tradita.

Sentiva il costante impulso di stare vicino a Kei, anche se per lui non sembrava lo stesso, o almeno per lui sembrava essere tutto semplicissimo, ogni sua azione era ben calibrata e perfetta, la sua considerazione non troppo invasiva, ma nemmeno assente. Rispettava i suoi spazi e i suoi limiti, ma Hilary sentiva che forse non era abbastanza e desiderava ardentemente dividere il suo tempo e il suo spazio con lui, per conoscerlo e capirlo finalmente in ogni suo aspetto.

-Allora ti preparo il letto- aveva commentato semplicemente Nonno J, come a premurarsi che lei avrebbe dormito nella solita stanza degli ospiti, quella a piano terra con due corridoi e una rampa di scale a dividerla dal resto dei ragazzi.

L’unica cosa che le mancava era un pigiama; tutte le volte che era rimasta a dormire dai Kinomiya si era portata tutto il necessario, ma non aveva mai pensato di lasciare lì qualcosa nonostante vi passasse più tempo che a casa sua.

-Ti presto qualcosa io- aveva annunciato Kei non appena esposto il problema.

Se ne stava in piedi di fronte a lei, con la sua solita pacatezza e l’aveva invitata a seguirlo con un semplice cenno.

Salirono le scale diretti verso la stanza del ragazzo: Hilary si sentì improvvisamente a disagio realizzando di non essere ancora entrata in camera sua, anzi proprio di non essere mai stata da sola con lui in una stanza dall’aspetto così intimo.

Trattenne il respiro senza rendersene conto quando la mano di Kei si poggiò sulla maniglia e fece una leggera pressione per aprire la porta: davanti a lei si presentava una semplice stanza ordinata e pulita, ma che sembrava nascondere mille insidie.

Fece pochi passi all’interno senza guardarsi realmente intorno e non si svegliò dallo stato di confusione finchè il ragazzo non le porse una maglia grigia.

-E’ parecchio grande.. vuoi anche i pantaloni?- chiese guardandola.

Hilary dispiegò la maglia e la fece aderire al petto come per misurare la lunghezza.

-Direi che va bene- commentò notando che le arrivava fino a poco sopra il ginocchio.

-Non puoi dormire qui?- disse Kei improvvisamente, avvicinandosi e accarezzandole il collo.

-Nonno J credo non sarebbe d’accordo- balbettò lei baciandolo.

Si sentiva come trasportata su un altro pianeta, come se quella stanza l’avesse portata in completa balia del ragazzo, come se fosse stata vulnerabile e nuda davanti al suo sguardo magnetico.

Un colpo di tosse li fece staccare e Hilary intravide oltre la porta aperta Takao con le mani sui fianchi che li guardava tra il disturbato e il divertito.

-Almeno chiudete la porta- disse provocando nuovamente il rossore della ragazza che si sbrigò a uscire dalla camera.

Kei doveva aver fulminato con le sue ametiste Takao poiché sentì quest’ultimo scusarsi.

Quel giorno si sentiva iperemotiva e la vicinanza di Kei la rimbambiva ancora di più: si era cacciata proprio in un bel guaio, ma la cosa che la sollevava e allo stesso tempo la stordiva ancora di più era la realtà dei fatti: era il russo che la prendeva per mano, che la cercava, che la baciava e che le permetteva di stargli accanto.

Si sentiva patetica da un certo punto di vista, ma quando poi lo vedeva si dimenticava delle paturnie e dei dubbi: mentre si preparava per andare a dormire si maledisse per non avergli augurato per bene la buonanotte come avrebbe voluto e come avrebbe potuto.

Erano stati insieme per tutta la sera, per non parlare dell’oretta tutta per loro sul divano.

Annusò la maglietta che Kei le aveva prestato e risentì il suo profumo e la sensazione piacevole che aveva provato nel sentirsi stringere dalle sue braccia. La posò aperta sul letto prima di rischiare di svenire sul momento.

Forse avrebbe dovuto acconsentire alla sua proposta di andare in camera sua: perché ora che era una possibilità  lontano ne vedeva tutti i lati positivi? Non poteva pensarci prima ad accettare? Almeno avrebbero potuto studiare un piano di fuga.

Invece da stupida si era lasciata sfuggire l’occasione e se ne stava pentendo amaramente.

Si sfilò la gonna e la maglia, afferrando il suo ‘pigiama’, pensando ancora al suo possessore, e fu così che accadde una cosa strana: l’oggetto dei suoi pensieri le apparve davanti.

Ebbe pochi secondi per capire che Kei aveva appena aperto la porta senza bussare, richiudendosela alle spalle, e capire di trovarsi mezza nuda in completo imbarazzo

-Cosa ci fai qui?- chiese balbettando e usando quel misero pezzo di stoffa come scudo.

-Ti sono venuto a trovare- rispose facendo spallucce e avvicinandosi alla ragazza tanto da poggiarle le mani sui fianchi.

Hilary divenne rossa come non era mai stata e si pentì di aver fantasticato così tanto sull’altro. Ora che si trovava nella situazione che aveva sperato, era in completo imbarazzo, soprattutto nel sentire il suo tocco sulla pelle nuda.

-Kei mi stavo vestendo- sussurrò senza forze.

-Per me puoi restare anche così-

La giapponese riuscì ad alzare lo sguardo per fulminarlo e invitarlo a girarsi senza ottenere i risultati sperati.

-Dai per favore!- lo pregò.

-Ok, ok- sbuffò l’altro voltandosi.

-E poi da quand’è che fumi in casa?- chiese la ragazza infilandosi velocemente la maglia, tirandone i lembi per tentare di coprire il più possibile.

-E’ spenta- evidenziò Kei riferendosi alla sigaretta che teneva tra le labbra.

-Perché vai in giro con una sigaretta spenta in bocca?-

-Perché..- sbirciò alle sue spalle per assicurarsi che avesse terminato di vestirsi -..ho intenzione di fumarla- e si voltò definitivamente.

-Qui?-

-Era l’idea- disse avvicinandosi e sovrastandola in altezza.

-Perché non fuori o in camera tua?- disse deglutendo.

-Perché qui ci sei tu..- soffiò facendola sorridere -..se non mi vuoi però esco-

-No, no, no!- esclamò Hilary questa volta facendo spuntare un sorriso vittorioso al ragazzo.

Il russo le afferrò la nuca e la portò ad appoggiare il viso sul suo petto sussurrandole –Non ho voglia di stare da solo-

L’ennesimo istinto di toccarlo e stringerlo e baciarlo si fece largo nella testa di Hilary, bloccato però dalla ragione e dal pudore. Perché riusciva a farle quell’effetto? Come era riuscito a stregarla nel giro di quelle poche settimane?

Lo osservò dirigersi alla finestra e spalancarla, lasciando entrare un venticello fresco che annunciava l’imminente arrivo di ottobre da lì a pochi giorni; erano a piano terra, quindi non la preoccupò vederlo mettersi a cavalcioni per poi sedersi sul davanzale.

La piccola abatjour sul comodino bastava solo per illuminare fiocamente i contorni della sua figura, ma la luna ormai piena, situata proprio davanti alla finestra, completava il disegno perfetto del ragazzo.

Hilary si sedette sul davanzale di fronte a lui, guardandolo azionare l’accendino e perdersi nell’osservazione del cielo. Lo imitò, ma oltre la grande palla argentata non riusciva a figurare nient’altro che il manto blu scuro, nessuna traccia di stelle o pianeti, a causa dell’inquinamento luminoso della grande città.

-E’ un peccato per le stelle..- iniziò, ma l’altro non sembrava averla sentita.

In quei momenti in cui si focalizzava su qualcosa era arduo riuscire a distoglierlo dall’obiettivo; non riusciva a comprendere come potesse essere preso fino a quel punto da un dettaglio o da una visione, qualsiasi essa fosse, così tanto da estraniarsi completamente dalle persone attorno a lui.

Aveva affermato di voler stare con lei quella notte, ma per qualche motivo temette che non fosse tutta la verità, che ci fosse qualcos’altro dietro: quando si trattava del russo era paranoica e insicura, perennemente impaurita dalla possibilità di non essere d’aiuto, di venire ignorata e buttata via per la propria inutilità.

Le parve di tornare indietro nel tempo, alla sera dei fuochi, quando si era fermata a fissarlo per diversi minuti, mentre lui era completamente preso dal cielo, da uno spettacolo contro il quale lei non poteva competere. In quell’istante, come allora, non poteva fare a meno di sentirsi fortunata ad essere al suo fianco, ma allo stesso tempo infinitamente lontana da lui, dai suoi occhi, dai suoi magnifici occhi.

Li osservò riflettere lo splendore della luna, anch’essa immersa in quelle ametiste, in balia di quel colore, quasi inferiore a quella bellezza.

-Potrei essere arrivata a una conclusione..- ritentò Hilary alzando la voce e attirando l’attenzione dell’altro.

-Mh?-

-Dipende dalla luce.. il colore dei tuoi occhi- iniziò mordendosi il labbro inferiore –quando c’è tanta luce, al sole, diventano rossi.. al contrario, con poca intensità, sono viola-

Kei incurvò la testa verso destra, ma presto si riconcentrò sulla sua sigaretta e sulla luna.

Hilary non poteva sopportare il ripiombare del silenzio.

-Impazzirò..- ridacchiò per poi continuare -..nessuno è mai impazzito per i tuoi occhi?- 

-Solo io- disse improvvisamente fissandola seriamente –Sono una maledizione- aggiunse sospirando e chiudendo le palpebre.

-Dovresti andarne fiero invece.. sono belli- cercò di consolarlo, non capendo il perché di quello smarrimento.

Kei scosse la testa e riaprì gli occhi –Sono molto più reali i tuoi-

-Vuoi dire che tu non sei reale?- cercò di stemperare l’atmosfera con un sorriso –Saresti frutto della mia fantasia?-

-Potrei- disse aspirando il fumo –Non ti sembra mai che tutto quello che ti sta intorno sia irreale?-

Rispose immediatamente di sì, ma non gli confessò che era proprio quello che provava quando stava con lui: che tutto era troppo bello per essere vero, ma che la sua presenza glielo confermava, il trascorrere delle giornate sempre al suo fianco la tranquillizzava –A te?-

-Da mesi ormai.. è tutto così irreale-

-Cosa intendi dire?-

-Questa vita.. è così diversa, così strana che credo sempre di potermi svegliare da un momento all’altro e scoprire di essermi immaginato tutto..- confessò a voce bassa, ma con sincerità.

-Rispetto a cosa?- si informò, intuendo la risposta.

-Alla mia vita-

-Questa è la tua vita!-

Kei si massaggiò il collo, respirando lentamente –Meno male che almeno tu ne sei convinta-

Hilary resistette all’insensata voglia di approfondire il discorso, ma la paura di scavare troppo a fondo nell’animo dell’altro la fece desistere. Era curiosa e interessata a ogni aspetto del suo carattere, ma qualcosa nella sua testa le consigliava di non indagare.

-Smetterai mai di fumare?- cercò di cambiare discorso.

-No-

-Mai dire mai- lo stuzzicò.

-Le sigarette sono la mia medicina..-

-Una medicina che ti uccide?- non resistette dal commentare la ragazza.

Kei incontrò le sue iridi nocciola e la scrutò a fondo mettendola a disagio tanto che dovette abbassare lo sguardo. Hilary non avrebbe voluto cedere, ma non poteva competere con quello sguardo invalicabile, tanto che si ritrovò a fissare la mano nivea appoggiata sul davanzale.

La magia di quella notte sembrava essersi all’improvviso spenta, ma voleva ritrovarla, tanto che afferrò le dita del ragazzo e le congiunse con le sue, come tante volte avevano fatto in quelle due settimane. Le strinse e le osservò in silenzio cercando una distrazione, ma ormai in quei minuti aveva intrapreso la via tortuosa dei pensieri di Kei, confusa e complicata, e capì che non sarebbe potuta scendere da quel treno in corsa che era la mente del ragazzo, una volta salita poteva solo avventurarsi più in profondità.

Con la mano sinistra gli fece spalancare le dita, mentre la destra gli afferrò e accarezzò il palmo, per poi risalire sul polso, sull’avambraccio e finire nell’incavo del braccio, disegnando con le dita un cerchio immaginario attorno a quel punto colore della pece, ancora visibile a dimostrazione del passato del russo. Indugiò sulla pelle che lo attorniava per diversi secondi prima di decidersi a sfiorarlo, non senza timore e insicurezza.

Si bloccò, alzando lo sguardo e incontrando quello di Kei che la scrutava in attesa della mossa successiva, non arrabbiato o infastidito, ma calmo e controllato.

-Da quanto hai smesso?-

-Nove mesi e tre settimane-

-Tieni ancora il conto?-

Avevano abbassato notevolmente il tono della voce, ma il silenzio della notte non ostacolava la loro conversazione.

-Mi aiuta-

-Senti..- iniziò incerta se andare avanti, ma poi si convinse a buttare in tavola tutti i suoi dubbi -..se ora ti offrissero una siringa con della.. della..-

-Eroina- concluse per lei.

-Sì, dell’eroina.. tu che faresti?-

-Probabilmente me la caccerei in vena- rispose con il solito tono di voce che però a Hilary sembrò glaciale e disperato allo stesso tempo, probabilmente per lo stato d’animo che la pervadeva.

-Per quale motivo?-

-Mi farebbe sentire normale-

-Ora come ti senti invece?-

-Come.. in un limbo.. non so..- disse scuotendo la testa.

-Ma.. ma tu non vuoi riprovarci..- aggiunse, cercando conferma.

-No.. ma è meglio se non ci penso troppo, cerco di distrarmi.. ho bisogno di distrarmi-

-E ci riesci?-

-A volte.. con te sì..- soffiò cercando i suoi occhi.

Hilary fece scorrere la mano, che era rimasta sul segno del buco, sulla spalla fino al viso del ragazzo, afferrandolo anche con l’altra per avvicinarlo al suo petto abbracciandolo e lasciandogli un bacio sulla fronte.

Il contatto non durò più di un minuto: alla giapponese era già capitato di stringerlo a quel modo, il pomeriggio dell’attacco di panico, e, ricordando, una scarica elettrica le attraversò la spina dorsale convincendola a staccarsene. Il suo corpo si comportava in maniera strana in presenza del russo ed era ancora restia ad accettarlo.

-Come mai stasera stai così?- gli chiese.

-Sto sempre così- confessò lui tornando a guardare la luna.

-Io ci sono- disse lei prima che il silenzio piombasse sui due.

Kei fumò un’altra sigaretta prima di decidersi ad alzarsi e permettere alla ragazza di chiudere la finestra.

-Buonanotte-

Hilary si appese al suo collo stampandogli un bacio sulla guancia.

-Mi mandi via?- chiese lui stringendola.

-Ma.. Nonno J se..-

-Quando sono sceso dormivano tutti.. e domani mattina sarò uscito da qui prima che se ne accorgano- propose.

-Il letto è piccolo..- aggiunse riferendosi al materasso a una piazza, chiedendosi mentalmente perché stesse ponendo così tanta resistenza.

Kei la guardò scettico prima di vederla cedere al suo sguardo.

-Cosa fai?- chiese la ragazza improvvisamente, mentre tirava giù le lenzuola.

-Fa caldo a dormire coi pantaloni-

-Già ci sono io senza pantaloni-

-Di solito non ho nemmeno la canotta quindi..-

-Ok, ok- capitolò Hilary facendosi forza.

Kei era il suo ragazzo ed era normale che volesse dormire con lei e non era la fine del mondo se stava solo in boxer, in costume l’aveva già visto, e lui era il suo ragazzo.

Se lo ripeté nella testa mentre si sistemavano sotto le coperte; si fissarono, l’uno di fronte all’altra, entrambi su un fianco.

-La luce- le ricordò Kei vedendola in difficoltà.

-Giusto- allungò un braccio verso il comodino e spense l’abatjour perdendo la visuale degli oggetti attorno a lei, scorgendo ora solo il contorno a causa di uno spiraglio proveniente dalle tende.

Non appena si risistemò sul fianco una miriade di pensieri si fecero largo nella sua testa: che cosa si aspettava adesso Kei? Non è che tutta quella serata era stata organizzata per convincerla a fare qualcosa con lui? Ma soprattutto, lei era proprio sicura che non volesse che tutto ciò accadesse?

Quanta confusione portava quel solo e unico essere umano.

Sentiva la mancanza del suo contatto, nonostante fosse a soli pochi centimetri da lei, da qualche parte nel buio; ne percepiva il calore, ma non distingueva la figura.

-Buonanotte- la sua voce profonda le ricordò quanto vicino fosse e la convinse che il ragazzo volesse solo dormire: inspiegabilmente provò una specie di delusione che non riuscì subito a identificare e della quale si scordò ben presto poiché avvertì le braccia di Kei circondarla e stringerla.

Si ritrovò le mani a contatto con la sua canotta e involontariamente la strinse, assaporando nuovamente il suo profumo.

Un insieme di emozioni le permisero di abbandonarsi completamente: sarebbe potuto succedere di tutto nel mondo, qualsiasi cosa, una guerra, un terremoto, un meteorite e lei non avrebbe voluto lasciare quella posizione, quelle braccia che sembravano proteggerla dal mondo. Il silenzio assecondò i suoi processi mentali e iniziò a divagare tra mille pensieri: quel mondo da cui si sentiva protetta poteva essere quello da cui lui stesso era scappato, dal quale si sentiva ancora oppresso, come aveva capito dai suoi discorsi di quella notte. Kei presentava due facciate: una indifferente e impassibile, che sembrava non poter essere scalfita da niente e nessuno, la stessa che la faceva sentire così al sicuro, e un’altra fragile e instabile che la spingeva a voler invertire le posizioni, ad essere lei a proteggerlo.

Voleva mettere in pratica questo suo bisogno di tenerlo al sicuro, ma quando strinse le braccia non trovò niente, solo aria; poi nel buio qualcosa dietro di lei la spaventò e la costrinse a iniziare a correre in un corridoio scuro, un corridoio senza pareti; doveva trovare qualcosa di cui non conosceva l’aspetto, lo cercava, ma non lo trovava, poi..

-Ahi-

Improvvisamente aprì gli occhi, ma non cambiò molto poiché il buio regnava nella stanza, che però era immobile e calma al contrario di quella che aveva appena lasciato. Cercò di riconoscere il profilo della mobilia e lentamente si ricordò di essere a casa di Takao, di essersi fermata a dormire lì, quindi di trovarsi nella stanza degli ospiti, e di Kei che era rimasto con lei.

Finalmente la voce che aveva sentito acquistò un volto nella sua mente: doveva essersi addormentata e quello che l’aveva turbata doveva essere stato un sogno che già iniziava a dimenticare.

-Ehi-

Kei la cinse da dietro.

-Ehi-

-Brutto sogno?-

-Sì.. ti ho svegliato?-

-Non dormivo.. anche se non ci sarei riuscito comunque con te che ti dimenavi-

Hilary arrossì e ringraziò il buio poiché nascondeva il suo imbarazzo, per l’ennesima volta.

-Scusa-

-Tranquilla.. non dormivo-

-Se vuoi andare su ti capisco- disse lei sconfortata: doveva ammettere che la mano sul suo ventre la rassicurava.

-Perché?-

-Così magari riesci a prendere sonno-

-Sono abituato alle notti in bianco-

-Ah-

La ragazza afferrò il braccio che la attorniava e lo strinse ancora di più, affondando la testa nel cuscino.

-Sogni d’oro- le sussurrò il ragazzo.

-Magari-

Si zittirono, ascoltando solo il rumore dei respiri che si sincronizzavano.

Trascorse un tempo indefinito prima che Hilary riaprisse gli occhi.

-Non ho più sonno- esclamò piano, così nel caso l’altro si fosse addormentato non lo avrebbe svegliato.

-Potrebbe essere un problema- le rispose invece.

-Decisamente.. che si fa?- chiese ingenuamente.

-Io un’idea ce l’avrei- disse l’altro mordendole a tradimento il lobo dell’orecchio.

La ragazza si irrigidì improvvisamente.

-Tranquilla..- la rassicurò avvertendo il disagio -..non farei mai nulla senza il tuo permesso-

A quelle parole si rasserenò senza volerlo: non voleva dargli l’impressione di non avere fiducia in lui e nella sua capacità di tenere a bada gli istinti. Senza contare che una parte di lei ancora lottava per far sì che acconsentisse.

Rimase in silenzio qualche secondo prima di girarsi per essere fronte a fronte con Kei, nonostante non riuscisse a vederlo –E se lo volessi?-

-Cosa?- chiese confuso per il repentino cambio di tono di voce.

-Che tu facessi.. noi facessimo qualcosa?- disse tutto d’un fiato, complice il buio e la sua completa adorazione verso il russo.

-Cosa ti frena?- chiese lentamente.

-Non lo so.. io vorrei.. ma non voglio.. ho paura..- non riusciva a completare una frase, anche perché nella sua testa c’era una confusione di elementi discordanti. Si tranquillizzò immaginando il sorriso che spuntava a Kei ogni qualvolta lei si lasciava andare a mezze frasi e si imbarazzava.

-Ti fidi di me?- domandò il russo –Ti fidi davvero?-

Rimase in silenzio qualche secondo, prendendosi più tempo di quella volta in terrazza, prima di rispondere nuovamente –Sì, mi fido-

Si aspettava una spiegazione per quella domanda, ma invece sentì le labbra di Kei congiungersi con le sue e baciarla, dapprima dolcemente per poi approfondire il contatto. Una mano del ragazzo era sul suo volto mentre l’altra sul fianco che, con una leggera pressione, spinse verso di lui annullando la distanza tra i loro corpi. Hilary, dopo la sorpresa iniziale, si appese alla sua canotta e ai suoi capelli assecondandolo.

Avrebbe voluto vedere il suo volto, in quel momento più che mai, e maledisse mentalmente il buio che fino a poco tempo prima era stato suo amato complice. 

Improvvisamente sentì Kei muoversi e fare leva sul materasso, tanto che si ritrovò sdraiata supina con l’altro sopra di lei, con i corpi ancora come incollati, senza sentire alcun peso gravarle addosso, ma esclusivamente il suo calore e il suo profumo.

Si accorse appena di fargli pressione con le mani in modo che non si staccasse da lei e inconsapevolmente piegò la gamba su cui si era appropriata la mano di Kei che in quel momento risaliva la coscia per infilarsi sotto la maglia e accarezzarle la pelle nuda del ventre e del fianco.

Si staccarono per prendere fiato, ma il russo non si fermò e si concentrò sul collo della ragazza ricoprendolo di attenzioni.

Hilary perse la cognizione del tempo e dello spazio: era consapevole solo della presenza di Kei e, grazie a lui e alle sue mani e alla sua bocca, della propria. Sentiva come parte integrante del suo corpo solo ciò che lui toccava o assaporava; e allo stesso tempo cercava, attraverso i suoi sensi, di testare la reale esistenza del corpo sopra di lei.

Kei fece come aveva promesso tacitamente, la sua parola che avrebbe fatto bene a fidarsi di lui: l’accarezzò, le spostò i vestiti, la ricoprì di baci, ma ogni volta che il corpo della ragazza tradiva incertezza o timore o disagio, si stoppava e cambiava rotta.

Si fermarono ancora abbracciati, avanzando qualche casto bacio, e, solo dopo aver condiviso qualche respiro e qualche carezza, si addormentarono.

 

-Mmh-

Hilary mugugnò nel sonno, mentre Kei cercava di liberarsi dalla sua stretta per alzarsi.

Fuori il sole era già sorto e, dalle tende chiuse male, illuminava vagamente la stanza.

Alla fine avevano dormito poche ore, o almeno lei, poiché Kei aveva dovuto combattere contro l’irrequietezza della giapponese.

Si divertì dell’espressione imbronciata che aveva messo su e dei capelli arruffati che si disperdevano sul cuscino.

Quando finalmente riuscì a scavalcarla, la vide aprire gli occhi: tutta la fatica per non svegliarla era andata a farsi benedire.

-Dove vai?-

-Di sopra.. ricordi Nonno J e le sue raccomandazioni?- disse recuperando i pantaloni.

Hilary si guardò intorno spaesata prima di annuire non del tutto convinta.

-Dormi ancora un po’.. è presto- le raccomandò andando verso la porta.

-Bacio-

-Cosa?- chiese divertito pensando di non aver sentito bene.

-Bacio- ripeté la giapponese allungando una mano come per afferrarlo.

Kei scosse la testa, ma si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte: sembrava contrariata per non averlo ricevuto sulle labbra, ma il ragazzo essendo molto più sveglio di lei riuscì a defilarsi.

Era stata una nottata strana: la sera prima stava davvero a pezzi, era stato uno di quei suoi momenti no, ma era davvero riuscito a distrarsi.

Con Hilary provava delle sensazioni strane: era così buona e ingenua che aveva il continuo timore di portarla realmente sulla cattiva strada e, nonostante avesse assicurato a tutti il contrario, non era totalmente sicuro del suo impegno ‘niente sesso’: eppure quella notte si era contenuto perfettamente, il solo pensiero di ferirla e di perdere la sua fiducia era bastato per accontentarsi.

A lui in fondo bastava stare bene e fare dei passi avanti. E quello poteva esserlo. Magari non per il resto del mondo, ma per lui lo era eccome.

La differenza tra loro era così ampia che lo confondeva: Hilary si interessava sinceramente a lui, a quello che pensava, e concedeva sempre un sorriso ad ogni suo comportamento. Lui non sapeva risponderle nel modo adeguato e riusciva a malapena occuparsi di se stesso, figurarsi prendersi cura di un’altra persona e trattarla opportunamente. Poche ore prima aveva tentato di donarle qualcosa di sé, aprendo per poco tempo i suoi pensieri, ma si era immediatamente richiuso a guscio e l’aveva nuovamente estraniata. Prima di aprirsi completamente a quella relazione avrebbe dovuto chiudere col passato, poiché le due cose non potevano convivere.

Ma era tutto  fuorché semplice, soprattutto ammetterlo a se stesso e accettarlo.

 

Dormì ancora un’oretta dopo che Kei era uscito.

Al suo totale risveglio andò in bagno e si rivestì: provò un moto di avversione verso i propri indumenti che non possedevano quell’odore che ormai si sentiva addosso.

Solo una volta pronta iniziò a realizzare il significato delle ore appena passate: si era avvicinata a Kei come non aveva mai fatto con nessuno e si era sentita bene come non mai.

Ringraziò la parte di lei che le aveva fatto  cedere, ma anche quella che era rimasta ferma sulle sue convinzioni: sempre in balia di quello strano dualismo che si impadroniva di lei una volta a contatto con lui. Il russo continuava a ripeterle quanto fosse strana e dovette dargli ragione solo considerando un altro fattore: si comportava stranamente solo da quando lo conosceva.

Sentì oltre la porta un vociare e si convinse a raggiungere la cucina nella quale si iniziava a fare colazione: era più tardi di quanto immaginasse, ma essendo sabato mattina si autoconvinse che non fosse poi così grave.

-Buongiorno!- esclamò a un Max piuttosto assonnato, intento a spalmare della marmellata sul pane.

Rei entrò poco dopo trascinando Takao.

-Ma ti ho detto che sto male!- stava cercando di divincolarsi il giapponese.

-E cosa avresti?- si informò il cinese scettico.

-Pigrizia acuta!- affermò convinto Nonno J.

Hilary osservò il quadretto che solitamente la faceva penare, ma che quella mattina riusciva a sopportare di buon grado.

-Di buon umore stamattina?- le sussurrò Max dall’altro lato del tavolo.

La ragazza annuì alzandosi per prendere il necessario per la colazione; scorse Kei in giardino intento a finire la sua sigaretta e lo salutò facendo ondeggiare le dita.

Il russo entrò in cucina e si sedettero tutti composti al tavolo.

-Ma quale sarebbe lo scopo di questa gita?- si informò Nonno J, bevendo il suo caffè in piedi, appoggiato al piano cottura.

-Non la chiamerei proprio una gita..- rispose in stato catatonico Takao -..due miseri giorni, uno dei quali un sabato, quindi non saltiamo nemmeno le lezioni!-

-L’altr’anno non ne abbiamo fatto nemmeno di quelle da una giornata.. accontentati!- lo sgridò Rei.

-Comunque è per la festa dello sport..- disse Hilary stiracchiandosi.

La ragazza vide Max che la fissava improvvisamente attento e pensò di aver detto qualcosa di sbagliato, nonostante sapesse bene non fosse così.

Lo guardò chiedendogli tacite spiegazione, ma l’altro si limitò a grattarsi il collo.

-Ma non inizia il lunedì?-

-Sì, ma il prof vuole andare a vedere ‘sto museo in ‘sta città sconosciuta che però da lunedì sarà assediata!- si lamentò Takao.

-Dai che vi divertirete- concluse Nonno J sicuro che avrebbero trovato qualcosa da fare anche nel deserto.

-Ma è già tanto se in quel posto ci sono le case.. ho controllato su google!-

-Basta lamentarti Takao e mangia!- sbuffò Rei osservando confuso lo scambio di occhiatine tra il biondo e la ragazza.

Anche l’uomo li scrutò perplesso prima di uscire dalla cucina.

-Si può sapere che c’è?- chiese finalmente Hilary all’amico che aveva iniziato a ridere.

-Credo si riferisca al succhiotto- disse Kei calmo, dondolandosi sulla sedia con aria tranquilla.

-Succhiotto? Quale succhiotto?- soffiò incredula la ragazza, tastandosi il collo per coprirlo.

Il russo le si avvicinò e toccò con l’indice il punto incriminato.

-Scusa.. non l’ho fatto apposta- affermò il ragazzo non troppo dispiaciuto.

-Ieri sono stato l’ultimo a vederti e non ce l’avevi!- l’accusò Takao con la bocca spalancata.

-A quanto pare non sei stato l’ultimo come pensavi- rise Max prendendo in giro l’amico, mentre Hilary scuoteva la testa sconsolata nella speranza che almeno Nonno J non se ne fosse accorto.

 

 

 

>///< ebbene non ne sono capace.. ho tentato, ma ho rinunciato.. io e le lemon non andiamo propriamente d’accordo.. meglio lasciarle fare a chi le sa davvero scrivere!!! Guardate il lato positivo.. lascio ampio spazio alla vostra immaginazione!

Vabbè.. passiamo oltre.. pensavate alla gita eh come prima notte passata insieme anche solo a coccolarsi? :3 e invece no u.u c’è stata prima questa! Voi (eh sì sapete che mi sto riferendo proprio a voi) lo so che partirà il Castello Time (che probabilmente userò come prossima rubrichetta inutile XD), ma ve lo lascio fare.. intanto ormai chi vi ferma più -.-

Comunque grazie come sempre a tutti quanti :O non so se è la stagione estiva che vi ispira, ma state aumentando ogni giorno ^^ che bella cosa!

Nel frattempo, visto che è periodo di esami e dovrei studiare invece che stare al computer, mi sono messa a sistemare l’html dei primi capitoli che era tremendo (della serie: si farebbe di tutto pur di non studiare) e sono diventata un geniaccio XD cioè sono ai fondamentali, ma è già qualcosa considerando il mio livello precedente u.u

La smetto? La smetto!

Alla prossima settimana ragazzuole (non credo ci sia qualche ragazzuolo, nel caso mi scuso O_o ok basta ciarlare!)

Un bacione :)

 

Ps: nelle ultime 24 ore il Grande Demone Celeste mi ha dato del grande filo da torcere.. vediamo se metterà lo zampino anche nelle vostre opinioni è___é XD

 

Ps 2: un bacione a tutte le maturate xD soprattutto a Lily che ci teneva a un bel regalino u.u dai un pezzo di questo capitolo lo puoi prendere come  omaggio a te XD   

 

 

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Capitolo 31
*** I Care ***


E in faccia c’hai tutti

I pregi e i difetti

Che sono in parte condanna

E in parte un po’ compagnia

 

 

 

 

 

I Care

 

 

 

Una cittadella da qualche parte nella prefettura di Miè era la loro meta: le uniche attrazioni di questo luogo erano un museo riguardante le Olimpiadi del ’64 e un imponente stadio che da lì a due anni avrebbe ospitato i mondiali di ginnastica ritmica. Questo a detta delle uniche due persone che sembravano interessate al reale scopo della gita, cioè due loro compagne di classe che praticavano a livello agonistico questo sport.

Per tutti gli altri era solo un’occasione per trascorrere due giorni lontano da casa e saltare un giorno di scuola. Persino le cinque ore di viaggio in pullman erano colte come occasione per divertirsi da tutti i membri della classe.

Tutti meno che uno, totalmente indifferente a qualsiasi attrattiva di quella gita.

In confronto, anche i due professori accompagnatori erano più entusiasti di Kei nel pensare alla prospettiva di quei due giorni.

Non appena il professor Katsumasa e la professoressa Faishi, quella di arte, finirono di fare l’appello, salirono tutti sul mezzo che li avrebbe condotti a destinazione; si fiondarono in massa verso il fondo per occupare i sedili posteriori e solo qualcuno si accontentò di quelli più davanti.

Kei si premurò di salire per ultimo e, dopo una veloce occhiata, ignorò il richiamo di Takao e si sedette nel posto più isolato.

Osservò fuori dal finestrino le mani svolazzanti di alcuni dei genitori che avevano accompagnato i loro figli e tra di loro il padre di Hilary che si stava già dirigendo verso la macchina: la giapponese si era raccomandata con Kei perché facesse attenzione a non farsi vedere con lei come suo ragazzo e così aveva fatto, nonostante gli sembrasse che comunque l’uomo lo avesse guardato male diverse volte.

Il pullman partì e, dopo poche svolte, già regnava il caos.

La parte peggiore riguardava il docente organizzatore della gita che sembrava essere il meno maturo della combriccola; infatti, dopo pochi minuti in cui aveva recitato la parte della persona responsabile, si era lasciato andare completamente urlando un –Mizuhara lo hai portato?- al biondo seduto dalla parte opposta del mezzo.

Max, d’altro canto, aveva trotterellato giulivo verso il professore e gli aveva porto un cd.

-Of course!-

Kei affondò nel sedile esasperato non appena fu azionata la musica e una canzone disco iniziò a diffondersi nell’abitacolo.

Ascoltava di tutto, amava la musica, era uno dei suoi passatempi, ma non quella mattina: era piuttosto stanco poiché nell’ultima settimana aveva dormito male, gli capitava spesso di avere sonno, ma non riuscire a chiudere occhio, e la cosa lo irritava.

L’unica nota positiva di quel momento era che non era stato costretto a indossare la divisa, altrimenti la scomodità di quegli indumenti malefici lo avrebbero innervosito ancora di più.

Chiuse gli occhi, appoggiando la fronte al finestrino; cercò di isolare i suoni che provenivano dall’esterno e liberare la mente da ogni pensiero.

-Ehi-

La voce squillante di Hilary lo fece desistere dal suo obiettivo e aprì gli occhi lentamente, senza abbandonare la sua posizione.

-Ieri sera l’ho accennato a mia madre..- iniziò dopo una serie di scuse per la scenata della mattina -..e lei deve averlo detto a mio padre.. hai visto come ha scrutato tutti gli esemplari maschi della classe?- continuò sorridendo.

-Ho notato-

-Ovviamente non le ho detto che sei tu..-

Kei ascoltò i discorsi di Hilary in silenzio, annuendo ogni tanto, per farle capire che la stava ascoltando, ma non aveva la forza di rispondere più che con una sillaba. Da quando stavano insieme parlavano parecchio, o almeno lui parlava molto per i suoi standard abituali. Invece, in quel momento, aveva bisogno più che mai di silenzio, ma non  risultava possibile.

Hilary sembrò intuire il suo stato d’animo e si accoccolò in silenzio con la testa appoggiata sulla sua spalla: il russo automaticamente si spostò dal finestrino e poggiò a sua volta il capo su quello dell’altra.

In quella posizione risentì il torpore che lo aveva colto prima che arrivasse la brunetta e pensò di poter dormire per un po’, ma le canzoni che si susseguivano gli rimbombavano sempre di più nelle orecchie e lo disturbavano.

Sbuffò, facendo ridacchiare Hilary.

Rinunciò al tentativo di addormentarsi e prestò attenzione alla musica cercando di renderla più sopportabile. Inevitabilmente si ritrovò a tenere il tempo con le dita.

-Come fai?- chiese Hilary dopo un po’.

-Mh?- Kei alzò il capo guardandola, non avendo capito a cosa si stesse riferendo.

Lei non distolse lo sguardo dalle mani del ragazzo.

-A beccare tutti gli accenti.. se non vedevo le tue dita nemmeno me ne accorgevo..-

Il russo si bloccò improvvisamente cercando di capire quelle parole e trovare una risposta: gli sembrava una cosa talmente ovvia sentire determinati accenti che non comprendeva la sua perplessità.

-E’ naturale..-

-Se mi dici così mi sento handicappata..- rise lei.

-Non capisco cosa non senti..-

-Tenevi un tempo che ho faticato a sentire.. non so come si chiama..-

-Il beat?- si informò.

-Boh.. sei tu l’esperto-

Ricadde il silenzio tra i due e Kei riprese l’attività precedente come se niente fosse.

-Non ti sei mai fatto vedere..- sussurrò Hilary poco dopo.

L’avversità verso qualsiasi tipo di dialogo lo costrinse nuovamente a chiedere spiegazioni con un cenno.

-..ballare, ogni volta che arrivo tu smetti..- soffiò lei in risposta.

Era vero: le poche volte che lo aveva visto era stato di nascosto, ma quando se ne accorgeva, Kei si fermava subito. Se non glielo avesse fatto notare, non se ne sarebbe accorto.

Come ogni cosa, lo faceva senza pensarci troppo: semplicemente quando veniva interrotto smetteva.

-Perché?-

-E’.. personale- disse senza trovare parola più adatta. Si spostò dalla posizione in cui si erano accoccolati e si sedette composto.

-Si potrebbero condividere certe cose..- scattò lei con una nota di stizza nella voce.

Il ragazzo incassò la frecciatina, ma non rispose.

Prese a guardare il paesaggio scorrere oltre il finestrino e non la fermò quando la sentì alzarsi, probabilmente per cambiare posto. Era bastata una semplice mattinata storta per rovinare giorni di intesa, ma non poteva farne a meno.

Il viaggio sembrava comunque interminabile, non osò guardare l’orologio, poiché contribuiva solo a rallentare la percezione del tempo. Fissò lo sguardo nel vuoto perdendosi tra mille pensieri, ma senza riuscire a riposare, sempre più nervoso; quei periodi critici lo riportavano al passato e lo costringevano ad attivare un campanello d’allarme.

Non era propriamente voglia di farsi, quella non la avvertiva più, o almeno non direttamente: era più che altro un bisogno di fare, fare qualcosa, avere legami, avere un obiettivo: solo il non riuscirci e il rassegnarsi lo riportava indietro di mesi, lo faceva regredire: però non aveva intenzione di arrivare fino a quel punto. Doveva solo combattere l’apatia.

Si pentì di aver ignorato così malamente Hilary, ma allo stesso tempo provò un senso di disgusto verso se stesso nel pensare a lei solo per opportunismo, perché lei riusciva a distrarlo un po’ dal resto del mondo. Innescò automaticamente nella sua testa una serie di sensi di colpa.

Si sbilanciò in avanti, poggiando la testa sullo schienale del sedile davanti.

-Kei?-

Come fosse fuoriuscita dai suoi pensieri, la voce di Hilary lo fece ridestare e si costrinse a guardarla.

-Che hai?-

-Faremo una sosta da qualche parte?- chiese senza pensarci, scacciando i precedenti intenti di chiederle scusa in qualche modo.

-Penso di sì.. è più di due ore che siamo in viaggio- aggiunse lei, sedendosi timorosa.

Kei sprofondò di nuovo nel sedile massaggiandosi una tempia.

-Sei proprio insofferente!-

-Devo fumare- disse lui scuotendo la testa.

-Ora si capisce tutto- affermò Hilary risoluta, accantonando momentaneamente l’arrabbiatura.

-Sono prevedibile?-

-In questo momento sei soprattutto intrattabile-

Rimasero seduti vicini in silenzio fino a quando il pullman finalmente si decise a rallentare per fermarsi alla stazione di servizio.

-Era l’ora!- urlò Takao dirigendosi a grandi falcate verso l’uscita.

Scesero tutti e iniziarono ad accalcarsi all’entrata dell’autogrill per comprare qualcosa da mangiare o semplicemente sgranchirsi le gambe.

Kei fece pochi passi, già con la sigaretta tra le labbra e l’accendino in mano, quando iniziò a imprecare in russo facendo voltare Hilary e il professor Katsumasa.

-Kei.. vorrei sapere il significato di quelle parole?-

Il ragazzo lo guardò in tralice, cercando di comunicargli tutta la sua poca intenzione di stare a qualsiasi tipo di gioco o scherzo.

-Che succede?- gli chiese Hilary quando il docente li ebbe superati.

-Non mi va l’accendino- rispose guardandosi intorno scocciato.

Individuò una ragazza che stava fumando poco lontano e la raggiunse, seguito dalla giapponese, chiedendole in prestito l’accendino.

La ringraziò, per poi accompagnare Hilary all’entrata dell’edificio.

-Mi compri un accendino?- le chiese aprendo il portafogli.

-Vuoi che diventi complice delle tue sigarette?-

-Per favore..-

-Non puoi comprartelo tu?- continuò indispettita.

-Ho bisogno d’aria.. non farmi rinchiudere di nuovo..-

La ragazza lo scrutò con le braccia conserte, ma lentamente desistette dalla sua posizione.

-Dai.. col resto comprati qualcosa- aggiunse lui porgendole una banconota e facendola capitolare.

-D’accordo..- disse sbuffando -..sei davvero intrattabile-

 

Era assolutamente impossibile.

Quel ragazzo l’avrebbe mandata al manicomio con i suoi sbalzi d’umore: quando si trattava delle sigarette sembrava non capire più nulla del mondo esterno, che pensasse solo a quelle. Si sentì stupida per la sensazione di competizione con il fumo.

Perché poi aveva accettato di comprargli l’accendino? Quella mattina si sarebbe meritato di tutto tranne che un favore. In compenso, aveva seguito alla lettera il suo consiglio e, con il denaro restante, si era presa tutto il possibile.

Uscì dalla stazione di servizio e cercò Kei con lo sguardo: lo trovò seduto su un muretto insieme alla ragazza che gli aveva acceso la sigaretta. La competizione con il fumo in quel momento passò verso la tizia, anche piuttosto brutta, con la quale sembrava stesse parlando.

Non si degnava di avere una conversazione con lei, la sua ragazza, ma con quella se la chiacchierava allegramente: non poteva accettarlo.

Si avvicinò a passo spedito e con un sorriso fintissimo stampato sul volto.

-Eccoti!- esclamò a voce troppo alta, porgendo l’accendino a Kei.

Il russo non fece una piega e la ringraziò, buttando la sigaretta appena terminata.

-Il prof ti stava cercando- aggiunse la giapponese notando che la situazione sembrava non smuoversi e fulminando l’altra ragazza con lo sguardo.

Kei sbuffò e salutò la compagna di sigaretta.

-Dov’è?- chiese ad Hilary, dirigendosi verso il pullman.

-Chi?-

-Il prof-

-Ah..- la brunetta si guardò intorno in difficoltà per la mancanza di aiuti dall’esterno nel reggere la bugia che aveva raccontato.

-Hilary..-

Sentire il suo nome pronunciato da Kei era sempre un colpo al cuore. Perché quel maledetto ragazzo le faceva quell’effetto? Perché non riusciva a mantenere un controllo?

-Era una bugia..-

-E per quale motivo avresti..- la guardò arrossire di sottecchi -..eri gelosa?-

La ragazza guardò con intensità il pavimento, ma non poté fare a meno di sbirciare il mezzo sorriso che era spuntato sul volto del ragazzo.

-Sei appagato ora?- gli urlò contro.

-No.. è strano-

-Che novità!- affermò stanca di sentirgli pronunciare quell’aggettivo –Scusa dimenticavo che il signor Hiwatari non prova mai sentimenti umani!- sbottò acida, pentendosi subito di quella reazione.

Kei stette zitto e impassibile voltandosi verso un’altra direzione, in attesa che qualcuno li raggiungesse, mentre Hilary si diede della stupida: sentiva il bisogno di averlo accanto, come nelle ultime settimane, come quella notte a casa di Takao, ma quell’improvviso allontanamento la stava scombussolando.

 

Tentò nuovamente di dormire per il resto del tragitto, ma ovviamente non avvenne.

Non era neanche l’ora di pranzo che già desiderava il momento in cui il sole sarebbe tramontato e avrebbe lasciato posto alla notte e al silenzio.

Ritentò un avvicinamento con Hilary all’ora di pranzo quando, quasi arrivati a destinazione, si fermarono in un prato a magiare. L’unica cosa che gli riuscì fu di stare in silenzio, seduto di fianco a lei.

Cosa ci fosse in quella giornata non lo capiva, ma sicuramente non sentiva la necessità di stringerle la mano o darle qualche bacio come nei giorni precedenti, nonostante provasse sempre quella strana attrazione verso di lei.

Anche Rei si accorse di qualcosa, poiché gli chiese cosa andasse storto, ma non gli rispose, anche perché non sapeva realmente quale fosse la risposta giusta.

-Io ve lo avevo detto che qui non c’era assolutamente niente!- affermò Takao una volta che superarono il cartello che annunciava l’inizio di Ise.

-In effetti non è proprio una meraviglia!- concordò Max guardandosi intorno.

Percorsero poche strade circondate da piccoli palazzi anonimi, prima di arrivare davanti al loro albergo, che dovettero osservare bene due o tre volte prima di capacitarsene.

-Questo cambia tutto!- aveva affermato Takao allargando il proprio sorriso.

Oltre un grande cancello, un grande viale e una grande fontana si trovava un grande palazzo moderno, di almeno sette piani, che più che un albergo sembrava un resort.

-Ma è davvero questo?- chiesero al professor Katsumasa.

-Certamente.. bello, vero? E costa poco!-

-Dov’è la fregatura?- chiese qualcuno scettico.

-Mi sa che è quella..-

Guardarono tutti verso il punto indicato da Takao: gruppi di anziani sbucavano da ogni angolo, chi dalla reception, chi era seduto in giardino, chi passeggiava.

-Romperanno al minimo rumore.. con commenti tipo ‘questi giovani’ bla bla..-

-Kinomiya non dire queste cose!- lo sgridò la professoressa invitando successivamente tutti a prendere la propria roba ed entrare.

-Mentre eravamo in viaggio io e la mia collega ci siamo divertiti a decidere le stanze per voi!- annunciò Katsumasa una volta ottenute tutte le chiavi dall’uomo alla reception.

-Ma non è giusto!- cori di protesta si alzarono, ma furono zittiti dalla voce del docente che annunciava la lista dei nomi.

Kei aspettò in silenzio di sentire il proprio, totalmente indifferente a qualsiasi possibile accoppiata: intanto avrebbero avuto lati negativi tutte, quindi non c’era motivo di aspettare con trepidazione o preoccupazione.

-Hiwatari con Mizuhara- disse infine il professore e il russo valutò mentalmente i pro e i contro, seguendo l’altro verso i piani superiori, senza ascoltare la sorte dei restanti compagni.

 

Takao aveva visto giusto sull’inutilità di quel viaggio.

Una volta sistemati nelle rispettive stanze, chi a coppie, chi a gruppi di tre o quattro, i docenti avevano annunciato di essere stati consigliati da alcuni degli anziani che alloggiavano nell’hotel su dei possibili luoghi da visitare nelle vicinanze.

Kei considerò parecchio preoccupante la sintonia che avevano i due professori e che li rendeva entusiasti di qualsiasi possibilità, portandoli a sorridere imperturbabili e sollevare gli animi degli studenti: la sua allergia verso l’allegria si stava facendo risentire.

Ovviamente la scelta sull’attività per occupare quello che restava del pomeriggio ricadeva tra un museo dei trasporti, poco lontano e raggiungibile a piedi, o un parco botanico; Kei sarebbe stato ben contento di scegliere per tutti e proporre l’aria aperta, con il venticello fresco e nessuna parete o soffitto, ma il grigiore minaccioso del cielo di ottobre portò alla scelta dell’edificio al riparo.

Percorsero quindi il lungo viale e si addentrarono tra le vie della cittadina anonima.

Kei sperava invano che il tempo sarebbe trascorso velocemente e che l’ora di cena sarebbe arrivata in fretta, ma niente contribuì a questo: se si mettevano insieme le vie deserte, il museo scarno e per nulla interessante e l’estraneità da tutti gli altri ragazzi, il quadro che si presentava al russo pareva tutto tranne che confortante.

Guardò Hilary parlare con Rei: bisbigliavano e ridevano insieme, ma lei ogni tanto si voltava per incrociare i loro occhi. Se solo lui fosse stato capace di mantenere un’espressione serena e gioiosa li avrebbe raggiunti, ma non se la sentiva di guastare l’atmosfera.

Se in qualità di suo ragazzo, il russo non poteva rasserenare Hilary, poteva lasciare che fosse un suo amico a farlo: improvvisamente pensò quanto sarebbe stato più semplice per lei stare con uno come Rei, piuttosto che con lui, ma il balenare di quel pensiero non gli piacque.

Poteva imparare a comportarsi in determinati modi, considerati da tutti normali? Imparare, perché sapeva di non esserne in grado; era forte sui momenti seri e su altri aspetti, ma non sapeva davvero come far divertire una persona.

Si avvicinò ai due lentamente, mentre uscivano finalmente da quel luogo terribilmente noioso.

Il cinese non appena lo adocchiò si sbrigò a intercettare Max con la scusa di dovergli dire qualcosa, lasciandoli soli.

-Piaciuta la mostra?- chiese lei, non appena Kei le fu a fianco silenzioso.

-No-

-Come mai?-

-Non era interessante-

-Sei ancora intrattabile?-

-Non più del solito-

-Bene- terminò la ragazza leggermente sollevata.

Il russo la guardò di traverso per qualche secondo, indeciso sul da farsi, prima di alzare la mano sinistra e porgergliela, invitandola a prenderla con la sua.

Hilary scrutò prima la mano, poi il volto del ragazzo, decidendo infine di assecondarlo e stringerlo di nuovo a sé.

Un accordo silenzioso che sanciva una pace momentanea.

-Possiamo fermarci a comprare qualcosa da mangiare per stasera?- chiese improvvisamente un loro compagno riferendosi a un piccolo supermercato, esattamente di fianco al loro hotel.

-Certo.. che volete non fare il consueto pigiama party da gita?- chiese Katsumasa ridendo.

Solitamente i professori non avrebbero alimentato simili iniziative, ma sia lui che la sua collega sembravano essere un’eccezione in qualsiasi cosa.

Alcuni ragazzi entrarono nel supermercato, mentre Kei intercettò una panchina poco lontana e si diresse verso di essa portandosi dietro Hilary: vi si sedette accendendosi una sigaretta e invitando l’altra a mettersi di fianco a lui, cingendola con un braccio. Stava cercando di ritrovare la spontaneità del loro modo di approcciarsi, anche se nel fare questo si sentiva goffo come non era mai stato.

-Quindi che avresti detto ieri a tua madre?- iniziò lui, ricordandosi un frammento di conversazione di quella mattina. Come aveva previsto e sperato, Hilary prese a parlare e a colmare il silenzio tra loro.

Dopo una decina di minuti i professori accompagnarono in albergo alcuni dei ragazzi, mentre quelli che non avevano ancora concluso la spesa potevano tranquillamente raggiungerli più tardi: i due, ancora accoccolati sulla panchina decisero di tornare indietro col secondo gruppo tentando di mantenere quella calma ritrovata, estremamente piacevole e rilassante.

A guastare il loro quadretto furono, però, Takao e Max che si avvicinarono a grandi passi borbottando qualcosa di incomprensibile.

-Ci devi aiutare!- esclamarono quasi in coro una volta raggiunta la panchina.

-Riguardo?- chiese Kei disinteressato.

-Devi comprarci una cosa..- disse Takao guardandosi intorno furtivo -..che noi non siamo riusciti a prendere!-

-Potresti arrivare al dunque?-

-Alcolici.. ci abbiamo provato due volte, ma hanno capito che eravamo minorenni e tutti parte della stessa compagnia..- spiegò Max raccontando dei due tentativi falliti.

Kei alzò un sopracciglio esasperato –Dubiteranno pure di me dopo la vostra sceneggiata..-

-Inventati qualcosa.. e poi sei quello che sembra più grande.. per favore!- concluse Takao congiungendo le mani.

Il ragazzo lo guardò scettico, visionando poi l’espressione del biondo e degli altri compagni che da lontano si vedeva che aspettavano la sua risposta. Solo Hilary sembrava esserne poco interessata, anzi tentò di far lasciare perdere ai suoi due amici.

-Solo se li fate scegliere a me..- disse infine, ottenendo un urlo vittorioso dall’americano e un’occhiataccia dalla ragazza.

-Ecco i soldi.. prendi tutto quello che vuoi..- saltellò Max, raccomandandosi su alcune loro preferenze.

-Mi accompagni?- chiese a Hilary alzandosi.

-Ehm Kei.. se porti lei potrebbero darsela..- disse timoroso Takao.

-E’ molto più matura lei di te, quindi non rompere..-

Non seppe se furono quelle parole o chissà che altro a far smuovere Hilary, ma lei, al contrario di quello che diceva la sua espressione, si alzò e lo seguì verso l’ingresso.

-Stai al gioco..- le sussurrò avvolgendole le spalle con un braccio, lasciando che lei poggiasse una mano sul suo fianco.

-Ok-

Entrarono, ignorando Rei e gli altri poco fuori dal locale, e si diressero verso gli scaffali guardandosi in giro: quando finalmente individuarono il reparto alcolici vi si fermarono davanti.

Kei iniziò a scorrere i nomi scritti sulle bottiglie e a selezionare quelle che avrebbe potuto comprare. Non gli sembrava nemmeno vero di poter mettere mano su quelle bevande: da quando era in Giappone aveva avuto tali occasioni solo poche volte ed esclusivamente fuori dal dojo.

Hilary aveva un’espressione marcatamente contrariata, ma dovette concentrarsi sul veloce piano che aveva elaborato per riuscire nella sua impresa poiché una commessa del negozio iniziò a controllarli fiutando qualcosa.

Kei prese due bottiglie e si rivolse a Hilary mostrandogliele come per lasciarla scegliere e, non appena la commessa gli fu affianco, iniziò a parlare: a parlare in russo.

Osservò la brunetta fissarlo stranita, ma per fortuna lei reagì in fretta e annuì con entusiasmo come se avesse capito realmente qualcosa di quello che aveva detto: convinse persino la commessa che si dileguò, pensando che probabilmente si trattasse di turisti piuttosto che della scolaresca con cui aveva fino a poco prima avuto a che fare.

Il ragazzo continuò a scegliere la roba parlando nella sua lingua, come se la giapponese l’avesse potuto capire e non smise finchè non uscirono all’aria aperta. Fecero qualche metro verso l’hotel prima che gli altri li raggiungessero e si congratulassero per la perfetta riuscita della missione.

-Si può sapere che stavi dicendo?- gli chiese Hilary mentre percorrevano il viale oltre il cancello.

-Le prime cose che mi venivano in mente- disse facendo spallucce.

La ragazza lo guardò di sottecchi, ma accennò un sorriso.

-Farò finta di crederti-

-Che avrei dovuto dire secondo te?-

-Mmm non lo so.. magari mi sono persa il discorso filosofico del secolo..-

-Se parlare di vodka lo consideri filosofico..-

-No per niente!-

 

-Su Kei, la notte è giovane!- urlò Max, che si stava cambiando, al suo compagno di stanza, sdraiato sul letto.

-Sono le nove..- constatò il russo.

Avevano cenato alle otto ed erano appena saliti ognuno nella propria camera dopo una raccomandazione della professoressa sul non fare tardi e non disturbare gli altri ospiti dell’albergo: il tutto con accanto Katsumasa con espressione sorridente e occhiolino finale.

-Non ti facevo così vecchio!- rise il biondo osservandosi allo specchio.

-Infatti è presto.. ‘ste cose non si dovrebbero fare a notte fonda?-

-E che facciamo fino a notte fonda? Stiamo a giocare a mahjong con i vecchiardi?-

Kei si arrese: avevano deciso di organizzare la rimpatriata nella camera più grande, che dividevano Rei e altri tre ragazzi, con le cose che avevano comprato nel pomeriggio, ma la mancanza di attività li aveva portati a iniziarla immediatamente dopo cena.

Lato positivo, pensò Kei, avrebbero finito in fretta.

Max lo esortò a cambiarsi, come se avessero dovuto partecipare a un party esclusivo, ma lui si oppose e lo seguì al piano superiore senza alcun entusiasmo.

-Allora sei venuto! Io e Rei stavamo scommettendo..- lo accolse Hilary ridendo.

-Per me possiamo anche andare via..-

-Nah.. dai: vita sociale!- esclamò alzando le mani in aria stranamente entusiasta.

-Come mai così felice..-

-Boh.. così!-

La stanza dove si trovavano era più che altro un mini appartamento, infatti era formato da un corridoietto che portava a due locali separati, ognuno con due letti, e a un bagno. Avevano sistemato tutto il cibo e le bevande in quello più grande e piano piano si stava radunando tutta la classe: normalmente erano divisi in due grandi gruppi, che interagivano solo in situazioni come quella e che normalmente si limitavano alla convivenza civile.

Kei constatò di non aver ancora avuto contatti con tutti, ma per lui era cosa assolutamente normale; adocchiò immediatamente gli alcolici che aveva accuratamente scelto e vi si avvicinò.

-Fermi tutti.. quelli servono per il gioco!- esclamò Takao.

-Che?- chiese perplesso.

-Il gioco.. l’abbiamo deciso sul pullman!-

-Se non era per me non ce li avevate nemmeno..- constatò cercando di ottenere un bicchiere di vodka.

-Se vuoi bere devi giocare!- esclamò Hyosuke, un ragazzo che non aveva ancora deciso se gli stesse simpatico i meno: con quella battuta si era giocato ogni possibilità di entrare nelle sue grazie.

-Dai intanto ora iniziamo!- urlò entusiasta Max, azionando un ipod collegato a delle piccole casse.

-Ma io non voglio giocare- disse Kei, ma fu ignorato.

-Certo che sei fissato- la buttò sul ridere Hilary facendolo sedere di fianco a lei su uno dei letti.

-E’ buona.. mai assaggiato?-

-No-

-Rimedieremo- disse solenne il russo.

Con Hilary sembrava essere tornato tutto normale e si sentì sollevato per questo.

-Giochiamo?!- chiese Seki, una ragazza facente parte del gruppo che non aveva mai frequentato, una di quelle che praticava la ginnastica ritmica.

-Ci siamo tutti.. direi di sì! Tutti per terra così ci stiamo!-

-Io non gioco-

-Io nemmeno-

Lentamente molti si tirarono indietro, provocando le lamentele di chi si era premurato di organizzare tutto.

-Ma a che si giocherebbe?-

-A ‘Non ho mai..’?-

-Cos’è?-

-In pratica a turno si dice ‘Io non ho mai..’ e una cosa che non si è mai fatta e chi degli altri l’ha fatta deve svuotare il bicchiere!- spiegò Seki entusiasta quanto Max –Ovviamente più le cose sono spinte più è divertente!-

-E chi vince?-

-Dipende dai punti di vista.. io credo che sia chi beve di più!-

Dopo la spiegazione si ritrovarono in una dozzina seduti in cerchio, per terra, a dividersi i bicchieri, mentre alcuni erano andati a chiacchierare nell’altra stanza.

Hilary se ne tirò fuori, accomodandosi ancora di più sul letto, mentre Kei osservò scettico i suoi compagni: non aveva minimamente voglia di assecondarli in quello stupido gioco, ma voleva assolutamente bere qualcosina.

Alla fine, tra le mille suppliche di Takao, si arrese e si unì al gruppo sbuffando.

Max preparò i bicchieri, raccomandando di bere solo al momento giusto.

-Su iniziamo.. partiamo dalle cose semplici.. io non ho mai sciato!-

I primi bicchieri si alzarono e piano piano si svuotarono.

-Ma che roba hai preso? E’ fortissima..- esclamò Rei.

-Ci piace!- disse Hyosuke.

Altri commenti verso la sua amata vodka lo fecero rabbrividire e inevitabilmente pensò con malinconia ai bei tempi in Russia e alle bevute che accumunavano lui e Boris: se l’amico fosse stato presente avrebbe insultato tutti per cotanta blasfemia.

-Zitto e bevi- lo liquidò Kei, che non aveva ancora svuotato il bicchiere per la tipologia di esperienze fino a quel momento citate: non aveva mai sciato, né giocato a dei giochi da tavola di cui non aveva neppure capito il nome. La prima sorsata la gustò insieme alle due ginnaste sul ‘non ho mai fatto la verticale’ e altre piccolezze simili, ma piano piano che andavano avanti e gli altri iniziavano a risentire dei gradi delle bevande, il gioco si fece più interessante.

Sul ‘non ho mai visto un ragazzo completamente nudo’ iniziò il giro che Seki aspettava con ansia, con le esperienze più scabrose.

-Non ho mai giocato a strip poker!- esclamò la ragazza, facendo bere alcuni dei presenti e provocando diverse battutine.

Kei approfittò del temporaneo stallo del gioco per chiamare Hilary e invitarla a sedersi di fianco a lui.

-Dai assaggia- le disse porgendole il bicchiere.

-Non credo sia..-

Il russo insistette con un mezzo sorriso e la ragazza cedette bevendo un piccolo sorso, accompagnato da una smorfia disgustata.

-E questa sarebbe una delle cose che ti piacciono di più?-

-Perché voi giapponesi non apprezzate?- chiese retorico e divertito, tornando poi al gioco che era ricominciato.

Hilary si riallontanò e Rei la raggiunse chiamandosi fuori dal cerchio.

 

Per fortuna Rei le stava dando man forte, solo che la sua presenza accanto aiutava a stemperare la situazione; i toni si erano fatti parecchio accesi e gli argomenti tutt’altro che casti.

Quello che considerava come elemento peggiore era il grado di partecipazione che aveva raggiunto Kei: da quando lo conosceva era sempre rimasto in disparte per tutto, tranne quando c’entrava qualcosa come fumo o alcool, e questo la infastidiva.

-Non ho mai fatto sesso orale!-

E Kei bevve.

-Non ho mai avuto un rapporto a tre-

E Kei bevve.

Sembrava aver fatto qualsiasi cosa e la imbarazzava; provò a non ascoltare e a non notare le reazioni del suo ragazzo, ma non riuscì a farne a meno.

-Non sono mai andato con una prostituta-

-Non ci credo!- esclamò qualcuno rivolto al russo, l’unico ad aver alzato il bicchiere.

-Cioè hai pagato per scopare?- chiese una ragazza scandalizzata.

-Mai detto questo..- rispose il russo calmo, godendosi la vodka che scendeva in gola.

-Ma..-

-Ho parecchie amiche che fanno le puttane..- spiegò tranquillamente versandosi dell’altro alcool e bevendolo senza aspettare la frase di qualcun altro.

Hilary non poté fare a meno di fissare stranita la nuca di Kei guardandolo per la prima volta dopo tanto tempo con occhi diversi da quelli adoranti e affascinati.

Il gioco, con suo sollievo, non durò molto di più e si fermarono, iniziando a ballare sulla musica e chiacchierare a voce alta per il troppo alcool bevuto, anche se nessuno sembrava essere veramente ubriaco.

Kei le si sedette vicino, ma presto si alzò per andare in bagno, lasciandola nuovamente sola coi suoi pensieri.

 

Sgusciò tra i suoi compagni per raggiungere il bagno: reggeva l’alcool a meraviglia e non aveva molti problemi, si sentiva solamente più leggero. Erano in una ventina in quella stanza e sperò di rinfrescarsi e trovare un attimo di calma.

Chiuse la porta dietro di sé e sentì con piacere la musica ovattarsi oltre la soglia: si sciacquò la faccia, prima di girarsi verso il water. L’aprirsi della porta lo fermò a metà strada.

-Ciao- esclamò Seki, rossa in volto e con un enorme ghigno.

-Sarebbe occupato- rispose atono lui, ma la ragazza fece scattare la serratura.

-Lo so-

Kei la guardò avvicinarsi torvo.

-Davvero Hilary?- disse la ragazza improvvisamente –Perché Hilary?-

-Non sono affari tuoi-

Seki si sedette sul ripiano del lavandino accavallando sensualmente le gambe e tirandolo per la maglietta.

-Scommetto che non te l’ha nemmeno data-

-Evita..- sussurrò freddo, a pochi centimetri da lei -..sei ubriaca-

-Solo un po’ brilla, ma perfettamente cosciente..- fece per appoggiare una mano sul lavandino, ma scivolò goffamente sorreggendosi ancora di più al russo.

-Io dovrei andare in bagno..-

-Io avrei un’idea migliore..- soffiò lei poggiandogli una mano sul collo e allargando le gambe.

Kei la osservò perplesso per qualche secondo –E io ti ripeto che devo andare in bagno..-

Con facilità si staccò dalla presa della ragazza e la invitò ad uscire.

-Davvero preferisci quella sfigata?-

-Ti ho detto di uscire-

 

Quel caos lo stava martoriando, aveva bevuto poco, ma già avvertiva un leggero mal di testa: si diresse verso l’uscita della stanza sperando di trovare un po’ di sollievo, ma prima di raggiungere l’agognata libertà, una volta nel corridoietto, vide sgusciare furtiva dalla porta del bagno Seki, sorridente e barcollante.

-Ciao Rei!- esclamò lei sistemandosi i capelli.

-Tutto bene?- chiese il cinese apprensivo.

-Certo, certo..- rispose con sguardo confuso.

-Sicura?-

-Devo bere..-

-Non mi sembra il caso..- ma non ebbe la forza di fermarla e la osservò rituffarsi tra i compagni e il baccano.

Rimase imbambolato per qualche secondo, ma non appena si ricordò del suo intento principale fece nuovamente due passi verso l’ingresso, prima che un’altra persona uscisse dal bagno sistemandosi la maglia sopra i pantaloni.

-Kei?-

-Tutto bene?-

Rei cercò di connettere tutti i neuroni e non ci mise molto a comprendere quello che aveva appena visto: il suo amico, che stava con la sua amica, era appena uscito dal bagno dal quale Seki era appena uscita. In tutto questo quadro c’era sicuramente qualcosa che non andava.

-Non puoi averlo fatto..- sussurrò il cinese scuotendo la testa.

-Cosa?-

Rei riacquistò improvvisamente le forze e la lucidità che gli bastava per afferrare Kei per il polso e trascinarlo fuori; lo lasciò solo quando arrivarono nel corridoio e tentò di prenderlo alla sprovvista tirandogli un cazzotto, ma l’altro lo evitò senza problemi, anzi lo afferrò prima che rovinasse a terra per lo slancio.

-Che ti prende?-

-Ho visto Seki uscire dal bagno.. lo stesso bagno nel quale eri tu..-

Kei rimase immobile a guardarlo incredulo.

-Ci ha provato e allora?-

-Come allora? Stai con Hilary, ti vorrei ricordare..-

-Ci ha provato.. che pensi che io ci sia stato?-

-Solitamente ci stai..-

-Ci sto quando non sto già con qualcun’altra-

Rei valutò se credergli o meno.

-Non l’hai tradita?-

-E’ così difficile da credere?- chiese l’altro sbuffando.

-Purtroppo sì..-

-Si è infilata in bagno, ma l’ho mandata via.. ma che te lo sto a spiegare a fare..-

-Allora non..-

-Ho capito che pensate che sia uno stronzo, ma non pensavo fino a questo punto..-

-E’ che.. no, niente scusa.. devo aver frainteso..- affermò Rei non troppo convinto, qualcosa lo portava a non credergli totalmente.

-Non ho intenzione di giustificarmi per ogni ragazza che ci prova con me-

-Ovvio-

-Bene- disse il russo voltandosi e dirigendosi verso il piano inferiore.

-Bene- sussurrò l’altro confuso.

 

Una sigaretta era la medicina perfetta: la medicina al nervosismo cronico che lo attanagliava.

Kei se ne stava fuori nel giardino dell’hotel, conteso tra due emozioni opposte: da una parte capiva Rei e il perché fosse arrivato a delle conclusioni così affrettate considerati gli elementi di cui disponeva, dall’altra era frastornato dalla ulteriore prova della mancanza di fiducia nei suoi confronti. Non sapeva a quale pensiero dare adito.

-Rei mi ha detto che dovremmo parlare..-

La voce di Hilary spuntò all’improvviso, come la sua figura, in controluce davanti all’ingresso illuminato.

-Ah sì?- disse ancora infastidito, aspirando il fumo –A me sembra che non facciamo altro..-

-Io non credo- i toni di entrambi erano acidi e accusatori –Piuttosto io ti parlo e tu annuisci.. sono rari i momenti in cui ti lasci andare-

-Che cosa ti dovrei dire?-

-Oggi mi stai proprio sul cazzo-

-Non sono diverso dal solito..-

-Invece sì.. sei intrattabile per le sigarette, parli con tutte quelle che ti offrono un accendino, ti vanti della tua grande esperienza sessuale solo per bere..-

-Questo sono io da sempre.. forse mi hai idealizzato un po’ troppo..-

-Non credo.. ho visto come sei.. e oggi sei diverso-

-Hilary.. sono sempre uguale- scandì gelido –non sono perfetto, sono uno sfigato qualunque.. qualsiasi cosa tu abbia visto in me-

-Hai ragione.. sei uno sfigato.. perché tu soffri in silenzio, non ti lasci aiutare e volti le spalle a tutte le cose belle.. ma sei anche gentile e premuroso e so di potermi fidare di te..-

-Prima era in bagno: Seki è entrata e ci ha provato con me.. per questo Rei ti ha detto di parlarmi- sbottò lui all’improvviso facendola sbiancare.

-E..-

-E tu cosa pensi sia successo?-

-Niente..-

-Rei pensa il contrario-

Hilary gli si avvicinò pericolosamente e lo guardò dritto negli occhi.

-Dimmi in faccia quello che hai fatto- sussurrò ostentando decisione e fermezza.

-L’ho mandata via- le sussurrò, reggendo lo sguardo.

-E ti da fastidio che Rei non ci creda.. ormai so come ragioni!-

-Tu ci credi?-

-Potresti averlo fatto, ma.. io ho deciso di darti fiducia ed è quello che continuerò a fare!-

-E se stessi sbagliando?-

-Allora vuol dire che sono una stupida e tu sei uno stronzo bugiardo-

Continuarono a fissarsi immobili.

-Cos’è questo linguaggio colorito stasera?- scherzò lui improvvisamente.

-Te l’ho detto che oggi mi stai sul cazzo!- esclamò incredula Hilary voltandosi ed entrando nella hall.

Kei la seguì con calma, ma la raggiunse facilmente a metà corridoio; le afferrò la spalla e la fece voltare.

-Davvero non ho fatto nulla- le sussurrò all’orecchio.

-Ci credo-

Kei l’abbracciò, il primo abbraccio sentito veramente di quella lunga giornata.

-Hiwatari, Tachibana.. che ci fate in giro per l’albergo?- la professoressa Faishi spuntò da una porta laterale con espressione incredula.

-Scusi professoressa noi..-

Hilary tentò di giustificarsi, arrossendo per essere stata beccata tra le braccia di Kei, il quale era rimasto impassibile come al suo solito, ma sbucò anche l’altro docente che li accolse con un largo sorriso.

-Ma che bella coppietta.. dovete dirmele queste cose!- disse avanzando verso di loro.

Erano entrambi vestiti piuttosto eleganti, lei con una lunga gonna a volant e lui con un completo casual beige; si accorsero solo dopo che dalla sala da cui erano usciti proveniva della musica.

-Noi andiamo..- ritentò Hilary, ma nuovamente Katsumasa li bloccò.

-Ma unitevi a noi, su.. da questa parte!- disse trascinandoseli dietro letteralmente –Però non ditelo ai vostri compagni altrimenti..-

Kei per diverse volte si era chiesto come mai nessuno si fosse lamentato del casino che stavano facendo in camera, ma la risposta gli fu davanti in pochi secondi: gli stessi vecchietti che passeggiavano lentamente nel giardino e giocavano placidi a mahjong da tutto il pomeriggio, erano riuniti nella grande sala dell’albergo, intenti a seguire una serata danzante. Oltre a questi c’erano solo i due professori e alcuni ragazzi vestiti uguali che dovevano far parte dello staff dell’hotel.

-Noi torniamo alle nostre occupazioni..- intervenne il professore per poi rivolgersi solo a Kei -..e tu cerca di far colpo sulla tua donna!- e gli diede due gomitate scherzose sul fianco prima di allontanarsi a braccetto con la collega.

-Quello è pazzo!- esclamò Hilary con espressione allibita.

-Vieni..-

Il russo, dopo essersi guardato intorno, porse una mano alla ragazza come aveva fatto nel pomeriggio mentre stavano camminando, ma questa volta non sembrava sua intenzione passeggiare.

-Cosa hai in mente?- chiese la giapponese titubante.

Senza risponderle, le afferrò la mano e la trascinò verso la pista per poi fermarsi immobile di fronte a lei.

-No Kei! Questo no!-

-Dai..-

-Non sono in grado..-

-Che pensi che questi lo siano?- disse riferendosi agli uomini e le donne che li attorniavano ondeggiando lentamente al ritmo della musica soft e latineggiante.

-Dici di no?-

-Ondeggiano e camminano in cerchio..-

-Ok ok.. si balla in un altro modo, ma non sono capace..-

-Nemmeno io-

-E allora..- tentò di divincolarsi, ma il ragazzo le cinse i fianchi e la costrinse a legarsi a lui con le braccia.

-Segui la musica-

-Ma io..-

Kei le mise l’indice davanti alla bocca intimandola a stare zitta con un sorriso dolce.

L’unica cosa che il ragazzo sapeva era che la musica era latina, era lenta e sensuale, ma non aveva la minima idea di come si potesse ballare una cosa del genere: si limitò a seguire il suo stesso consiglio, socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle note, portando Hilary con sé. Lei poneva resistenza e cercava di stare il più immobile possibile, ma non servì a fermarlo.

Avvicinò le labbra al suo orecchio e iniziò a sussurrarle delle indicazioni.

-Vediamo.. segui la melodia..- e le canticchiò malamente quella che doveva essere la linea guida –Usa il busto e muovilo solo a tempo.. lentamente- continuò a parlarle e a indirizzarla sui passi, trasportandola in quel mondo a parte, ma le resistenze della ragazza si facevano sentire quando inciampava o pestava i piedi del ragazzo che la riprendeva ridacchiando.

Avvertì il bollore della pelle di Hilary, dovuto al caldo o chissà che altro, e il battere incessante del suo cuore, tutte sensazioni strane e vive, che non sapeva di poter concepire.

-No basta, per favore!- esplose d’un tratto lei allontanandosi dalla pista e sorpassando i professori che li guardavano sorridendo.

-Ok ok!- acconsentì Kei che, però, non si arrese a si ricongiunse in abbraccio iniziando a ondeggiare semplicemente sul posto –così ce la fai no?-

-Ahah spiritoso- sbottò lei per niente divertita.

Il russo le baciò la fronte e continuò il movimento.

-Ci cascano sempre con questo trucco?- chiese Hilary a bassa voce.

-Che intendi dire?- si informò non capendo a che si riferisse.

-Le ragazze.. farle ballare, incantarle con le tue doti da ballerino..-

-Cosa stai dicendo?-

-Lo farai con tutte immagino.. non è niente di speciale..- disse rabbuiandosi.

-E’ sempre speciale.. e poi che ne sai?-

-Beh con Tsuya lo hai fatto..-

-Chi è Tsuya?- chiese ingenuamente, cercando di stemperare la situazione nuovamente critica senza successo, poiché la brunetta gli tirò contrariata uno schiaffetto sul petto.

-Scherzo..-

-Beh con lei, chissà quante volte con Mizuki.. e tutte le possibili ragazze che hai avuto a questo mondo-

-Oggi è la giornata della gelosia- constatò lui serio.

-E’ che con loro.. mentre con me.. non capisco se io conto più di quanto contassero loro nel loro momento..-

-E’ diverso-

-Mi scoccia che tu abbai avuto così tante ragazze-

-Non posso cambiare il passato-

-Ma loro sono state con te in un modo diverso..-

-Quindi ti scoccia che io sia stato con così tante ragazze-

-Mi scoccia che tu non sia stato con me-

Kei la fissò stranito fermandosi finalmente, cercando di capire cosa volesse davvero Hilary, cosa celasse dietro quell’insicurezza e cosa si sarebbe aspettata che lui facesse dopo una confessione del genere, ma si limitò a baciarla.

 

-Kei sei qui?-

Max entrò in camera e trovò la luce del comodino accesa e il letto occupato.

-Mh-

-Solito espansivo..- disse entrando e guardando divertito l’altro -..bella serata vero?-

Kei si mise a sedere, abbandonando il cellulare con il quale stava armeggiando.

-Oggi tu e Hilary sembravate strani.. spero non sia successo nulla!- cercò di indagare il biondo.

-Senti..- iniziò Kei ignorando le parole dell’altro -..tu, Kano e Mila siete molto amici vero?-

-Sì, perché?-

-Non è che potresti andare in camera con loro?-

-E far venire qui Hilary?-

-Sarebbe l’idea..-

Max allargò piano piano il suo sorriso, prima di annuire con sguardo indagatore.

-Ma fate i bravi..- detto questo afferrò il cuscino e uscì dalla stanza in pigiama, canticchiando.

 

 

 

Ritardino di qualche ora sulla solita tabella di marcia u.u

Mi scuso con chi solitamente se ne sta ad aspettare la mezzanotte, ma era fuori casa e quindi impossibilitata ad aggiornare!

Beh è sempre la notte tra il giovedì e il venerdì quindi.. boh quindi niente.. è tardi, sono stanca e sono fusa! XD Quindi vi do appuntamento a recensioni, messaggistica varia e soprattutto alla prossima settimana!

Un bacione :)

 

Ps: risponderò in un attimo di calma a tutte le recensioni!!! (quello che non andava l’ho corretto) ^^  

 

 

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Capitolo 32
*** Slow Dancing In A Burning Room ***


Perché quello che ti spacca

E ti fa fuori dentro

Forse parte proprio da chi sei

 

 

 

 

 

Slow Dancing In A Burning Room

 

 

 

 

 

Si era appena messa in pigiama quando sentì bussare alla porta.

Mila si fiondò ad aprire e accolse con sorpresa Max che poteva sembrare pronto per andare a dormire se solo non fosse stato in giro per i corridoi.

-Che ci fai qui?-

-Ho voglia di chiacchierare, ma Kei non è proprio la persona adatta ad assecondarmi- disse entrando e rimbalzando sul primo letto che trovò, cuscino tra le braccia e sorriso smagliante.

-Hai scelto il posto giusto!- esclamò Kano avvicinandosi al ragazzo.

-Lo hai lasciato da solo?- chiese Hilary timorosa.

-Sì, ma lo sai com’è no? E’ un eremita musone.. non sentirà la mia mancanza!- rispose, per iniziare a ridacchiare con le altre due.

Hilary lo fissò incerta e combattuta: la prima cosa che aveva pensato non appena Max era comparso era che sarebbe potuta scendere subito in camera di Kei, ma il pensiero dei loro discorsi e della giornata appena trascorsa l’aveva fermata. Forse sarebbe stato meglio rimandare al giorno dopo, rivedersi con calma e tranquillità dopo una bella dormita, con i nervi riposati e le idee chiare.

L’americano si voltò improvvisamente verso di lei continuando a chiacchierare e le fece l’occhiolino: cosa voleva dirle? Quando Max ci si metteva sapeva essere davvero buffo.

Fece per sedersi insieme alle amiche, quando, a un centimetro dal materasso, si rialzò di scatto e annunciò di dover chiedere una cosa a Kei.

-Ora si dice così?- rise Mila.

La brunetta arrossì improvvisamente e valutò la possibilità di cambiare idea.

-Che aspetti? Sei ancora qui?- la incitò Max con un eloquente gesto della mano.

-Ci vediamo dopo!- disse avvicinandosi alla porta.

-Contaci..-

Hilary si addentrò nel corridoio prima di sentire le proteste dell’amico sulla sua affermazione.

 

-Sei già qui?-

Kei aprì la porta e si spostò per far entrare la sua ragazza nella stanza.

-Come sarebbe a dire?-

-Pensavo che non avresti acconsentito così in fretta- disse facendo spallucce.

-Acconsentito a cosa?-

-Ho chiesto a Max se potevate fare a cambio-

-Max.. tu.. cosa? Quell’americano da strapazzo ora lo..- si infiammò Hilary ritornando sui suoi passi, ma Kei l’afferrò per un braccio in tempo.

-Ferma..- sussurrò accarezzandole i capelli e lasciandole un bacio sulla fronte.

-Perché volevi che venissi qui?-

Il russo la guardò perplesso chiedendosi se davvero si stesse ponendo quella domanda, ma la sicurezza nell’espressione dell’altra lo portarono a rispondere.

-Stare con te..-

-Anche dopo questa lunga lunga lunga giornata?-

-Anche-

La ragazza lo guardò torturandosi le mani come in preda al nervosismo totale, ma lui non riuscì a intuire il perché; la osservò distogliere lo sguardo e girarsi, per andare a sedersi su uno dei due letti gemelli.

Kei la seguì e fece per mettersi affianco a lei, ma il suo modo di comportarsi gli suggerì di mantenere temporaneamente le distanze: era davvero troppo nervosa, così si accomodò sul proprio materasso, di fronte a lei.

-Devo chiederti una cosa..- iniziò lui stranamente.

-Cosa?- soffiò lei.

-Riguarda quello che mi hai detto prima, giù in sala-

La ragazza si irrigidì e il russo capì il motivo di quell’ansia.

-Chiedi pure..- 

-E’ come se mi avessi già risposto-

-Sarebbe a dire?-

-Non vuoi farlo-

-Cosa? Sì che voglio..-

-Non davvero-

-Sono confusa- confessò lei abbassando il capo –Sento di volerlo fare con te, ma ho delle riserve..-

-E allora non se ne fa niente-

-Ma io voglio.. Tu lo faresti con me?-

Kei la guardò incredulo per la seconda volta.

-Se me lo chiedessi non ci penserei due volte, ovviamente, ma non ho intenzione di metterti fretta..-

-E perché?-

-Per me il sesso è un gioco, ma tu gli dai un altro valore e non ho intenzione di portartelo via..-

-Ma se non credi in questo valore..-

-Ci sono tante cose in cui non credo mentre tu sì-

-Giusto.. ma non dovresti cercare di dimostrarmi il contrario? Che ho torto?-

-Se credere a certe cose ti fa sentire meglio non ne vedo il motivo.. a me le hanno portate via e non sono proprio il ritratto della felicità-

-Di cosa stai..- provò lei evidentemente confusa da quel discorso.

-Non pensarci- la interruppe, pentendosi di aver tirato fuori determinati argomenti –Se lo volessi potrei riuscire a convincerti a venire a letto con me in pochi minuti, ma non ho intenzione di farlo-

-Come fai ad essere così sicuro della riuscita?-

-Non credi che ci riuscirei?- chiese retoricamente sapendo bene che la risposta sarebbe stata affermativa, anche solo che per il modo in cui lo stava guardando in quel momento.

-Senti..- iniziò lei titubante -..le cose che hai detto di aver fatto, stasera, durante il gioco, erano tutte vere?-

Kei annuì lentamente –Che pensi al riguardo?- aggiunse notando l’espressione seria della ragazza.

-Che ci sono tante cose di te che non so e che credo di non riuscire nemmeno a immaginare-

-E..-

-E mi spaventa un po’- sussurrò impercettibilmente, tanto che a Kei costò fatica riuscire a sentire la frase.

Erano seduti a poco più di un metro di distanza, ma, per un attimo, al ragazzo quello spazio sembrò contenere un chilometro.

-Sei sempre sopra le righe, per ogni cosa..- ricominciò lei alzando timorosa lo sguardo -..non ti stanca vivere così?-

-E’ l’unico modo che conosco- rispose lui consapevole della verità di quelle parole: se lo rimproverava spesso questo fatto, ma non poteva farne a meno.

-Sai.. ‘normale’ non è brutto!- affermò lei abbozzando un sorriso.

-E’ difficile-

-E’ solo normale.. dovresti cambiare questa cosa-

Cambiare: la guardò di sottecchi pensando a quella parola. Di nuovo aveva ragione, era quello che stava tentando di fare da quando era arrivato in Giappone e, se per un certo periodo aveva perso le speranze, sentiva di potercela fare in qualche modo a lui ancora oscuro. L’unico, enorme, problema era il mancato raggiungimento di una qualsiasi tappa verso quel cambiamento, o almeno la sensazione di perdere subito qualunque cosa avesse appena conquistato.

-E’ che.. è sempre la storia dell’irrealtà dell’altra volta-

-Da quello che ho capito con questi pochi elementi.. per te realtà e normalità sono stare con mille ragazze, fare diverse esperienze più o meno condivisibili, arrovellarti nei tuoi problemi e sballarti?- aggiunse Hilary tentando di buttarla sul ridere e riuscendo a diminuire la sensazione di quel chilometro di distanza.

-Sembrerebbe di sì- rispose lui.

-E poi dici che sono io quella strana-

-Non ho mai detto di non esserlo anche io-

Un silenzio teso si impadronì della stanza: il contatto visivo tra i due era ben saldo, ma a parte quello non era presente nessun altro tipo di condivisione.

Kei si alzò improvvisamente, come spezzando una sorta di elettricità, e le si parò a pochi centimetri, in piedi.

-Quindi per stasera niente sesso, ma non puoi negarmi la notte insieme-

-Cos..- non fece in tempo a formulare una frase che Kei le prese il volto con la mano e la baciò, per poi poggiare un ginocchio sul materasso e spingerla delicatamente a sdraiarsi.

-Aspetta..- riuscì a dire lei bloccandolo.

-Che c’è?- si informò il russo guardandola arrovellarsi per trovare una spiegazione credibile a quell’interruzione.

-Non c’è il cuscino- biascicò, riferendosi al guanciale mancante che Max si era portato via per chissà quale oscuro motivo.

-No problem- sussurrò inaspettatamente Kei, prendendola stretta per i fianchi, avvolgendoli con le sue braccia.

Hilary tirò un urlo dallo stupore, quando si sentì sollevare e, per paura di cadere, si aggrappò stretta al collo del ragazzo, avvinghiandosi letteralmente a lui.

Kei fece due miseri passi, portandola da un letto all’altro, e cercò di farla sdraiare sul suo, completo di tutto il necessario.

Non appena la schiena della ragazza aderì con il piano morbido, il russo tentò di recuperare l’equilibrio, ma lei non sembrava intenzionata a mollarlo, evidentemente ancora terrorizzata dalla presa repentina.

-Se fai così però metti a seria prova le mie resistenze- scherzò lui riferendosi alle gambe della ragazza, ben ancorate attorno ai suoi fianchi.

Accortasi della posizione, Hilary si staccò subito arrossendo e tentando di nascondere l’imbarazzo.

Kei alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se la giapponese avrebbe mai smesso di arrossire per ogni minima cosa, prima di tornare serio a fissarla intensamente.

Erano seduti, questa volta sullo stesso letto, a una distanza praticamente inesistente.

Il russo alzò una mano e la posò sul collo della ragazza, ma, invece che risalire sul suo viso come al solito, la portò verso il basso, fino a posarsi sui bottoni della maglia del pigiama, che iniziò a togliere dalle asole.

-Kei..- arrivò a metà prima che Hilary trovasse la forza di parlare -..avevi detto che non..-

-Come ti ho detto prima, non ti farei mai niente senza il tuo permesso.. soprattutto questo, io non potrei mai..- spiegò, chiedendole silenziosamente di credergli -Oggi parlavi di condividere.. – lasciò in sospeso la frase, non sapendo come continuarla, non trovando le parole, ma perpetuando i gesti. Terminò di slacciarle la maglia e gliela sfilò dalle braccia delicatamente, buttandola poi sull’altro letto.

Prima che lei riuscisse a reagire, Kei fece lo stesso togliendo la propria canottiera e lanciandola a sua volta, rimanendo a petto nudo.

Diedero inizio a una strana danza, fatta di movimenti decisi e incerti, di richieste e permessi, di baci e carezze, che li portò sotto le coperte, ad abbracciarsi e a condividere qualcosa di sé: se per Kei le parole in quelle settimane erano state troppe e lo avevano messo davanti a delle difficoltà da affrontare che, per uno come lui, potevano considerarsi una sfida, quei semplici gesti lo riportarono in un territorio neutrale, semplice e conosciuto, ma allo stesso tempo diverso. Quante volte aveva condiviso il letto con qualcuno? Troppe. Ma quante lo aveva fatto semplicemente per delle coccole o poco di più? Forse mai.

Se non stava cambiando, sicuramente stava scoprendo: doveva solo capire l’entità di quelle scoperte e interpretare quello che sentiva.

 

Era stato diverso da quella notte a casa di Takao. Era stato più intimo, più semplice. Però allo stesso tempo era stato difficilissimo: perché se Kei aveva detto di non volerlo fare con lei e si era ritrovata in quella situazione emotiva, figurarsi se il russo avesse realmente deciso di mettere in piedi il tentativo di convincerla a cui aveva accennato. Hilary avrebbe capitolato, e in un tempo decisamente breve.

Difficile quella notte era stato proprio resistere, resistere alla tentazione di fermarlo e acconsentire a qualsiasi cosa, al sesso o qualunque altra. Era stata combattuta su quei pensieri per tutta la settimana, li aveva respinti e ricacciati, ignorati e accantonati, ma ormai poteva esserne certa: lo voleva. Le bastava guardarlo ormai per capirlo.

Se ne stava lì, completamente vulnerabile sotto le coperte, ad un’ora improponibile della mattina, ad osservarlo dormire.

Sembrava essere tutto al contrario rispetto alla settimana precedente al dojo: lui si era addormentato e aveva iniziato ad agitarsi nel sonno, come invece quella volta aveva fatto lei. Era strano vederlo così: sempre talmente controllato e impeccabile in ogni suo gesto quando era sveglio, tanto si era rivelato inquieto nell’incoscienza. Pensava che niente potesse scalfire quella copertura, in nessuna situazione, eppure in quelle ore aveva assistito all’incredibile. Certi momenti era fermo e immobile come una statua, come fosse privo di vita, ma con un espressione singolare, mentre altri si muoveva, sempre posato: il flusso incessante di pensieri nella testa di Hilary le aveva impedito di dormire per più di poche ore e, da quando la luce fuori dalla finestra aveva permesso di delineare i contorni del suo compagno, aveva iniziato a studiarlo e osservarlo. Malinconia, era questo che le trasmetteva e che riusciva ad associargli, almeno ciò che si avvicinava di più.

Gli sfiorò il petto con le dita, abbandonando la contemplazione del suo viso, accoccolandosi vicino a lui, senza prendere sonno ovviamente, solo sentendolo di più e desiderandolo come non le era mai accaduto prima.

Era incredibile: più faceva lo stronzo antipatico, più lei ci cascava e quella giornata ne era stata la prova. 

 

Si svegliarono definitivamente piuttosto presto, in tempo per non essere sorpresi dal telefono della camera che squillava in funzione di sveglia.

-Sognato qualcosa?- chiese lei dopo avergli dato il buongiorno.

-Non che riesca a ricordare.. tu?-

-Nada!-

Hilary si prese un bel po’ di tempo per alzarsi, ma l’idea che Max sarebbe potuto entrare da un momento all’altro per riappropriarsi della sua roba, la convinsero a staccarsi da Kei.

L’americano si era premurato di portarsi via il cuscino, ma non aveva pensato ai vestiti.

Cercò di recuperare i propri indumenti, sotto lo sguardo divertito del russo che le fece notare quanto fosse inutile continuare a provare tanto pudore nel mostrargli solo che un lembo di pelle.

Certamente non le dispiacque il fatto che invece lui non sembrasse preoccuparsi di mostrarsi in deshabillé: solo il pensiero di essere stata avvolta da quelle braccia, di aver dormito su quel petto, le provocava un mancamento.

Si allontanò da quella camera, prima di lasciare libero sfogo alla sua mente su pensieri poco puri e vagò furtiva per i corridoi per non rischiare di farsi beccare.

Finalmente salva in quella che doveva essere la sua stanza, imprecò contro Max ancora addormentato sul suo letto: quanti minuti di dolce contemplazione aveva perso per paura dell’entrata di quel biondino, mentre lui se ne stava beatamente a ronfare.

Si vendicò, ovviamente, svegliandolo in malo modo.

-Ma che ti prende?- protestò Max mettendosi seduto nella speranza di fermare Hilary.

-Te lo meriti tutto!- esclamò lei tirandogli una cuscinata in piena faccia, ma continuando a ridere.

Seguitarono a giocare per pochi minuti, poiché l’americano era ancora mezzo addormentato, e Hilary gli permise tornare in camera, invidiandolo leggermente.

In preda alla consapevolezza della propria pazzia, si diresse il prima possibile a fare colazione e vi aspettò pazientemente l’arrivo di Kei: peccato non avesse calcolato la sua consuetudine di saltare il primo pasto della giornata e preferirvi una sigaretta.

Si ritrovò a mescolare tristemente il proprio latte.

-Tutto bene?- le chiese Rei prendendo posto accanto a lei.

-A meraviglia- rispose imbronciata.

-Poi com’è andata ieri con Kei?-

-Risolto tutto..-

-Mi fa piacere- rispose il cinese sorridendo iniziando a mangiare.

Hilary si sentì come una bambina quando finalmente potè rivedere il suo ragazzo e si accertò di non staccarvisi per il resto della giornata: sembrava voler rimediare al tempo perso il giorno prima.

Maledisse mentalmente il professore quando, durante la visita allo stadio, li divise in gruppi, ovviamente scelti da lui; delusa si premurò di restare calma quando Kei non fu messo con lei, ma insieme a Seki e altri tre. La gelosia, che aveva fatto capolino in lei da pochi giorni a quella parte, la attanagliò e la fece intristire.

-Forza e coraggio- le fece forza Rei avvicinandola e invitandola a seguirlo.

-Sono gelosa marcia- confessò al suo amico, sospirando sommessamente.

-Ahi.. vuol dire che sei persa più di quanto pensassi!- scherzò il cinese.

La brunetta continuò la visita senza prestare realmente attenzione a ciò che la circondava e presto il pensiero che la tormentava da diverse ore, rifece capolino nella sua mente: ne approfittò per confidarsi con colui che le era sempre stato d’aiuto.

-Secondo te..- iniziò a voce bassa, avvicinandosi a Rei e premurandosi che nessuno degli altri compagni li potesse ascoltare -..c’è differenza tra fare l’amore e fare sesso?-

Il cinese strabuzzò gli occhi per quella domanda, facendo arrossire vistosamente la sua interlocutrice.

-Rispondi solo alla domanda- lo pregò lei.

-Credo di sì-

Hilary riprese a camminare, fingendo di prestare attenzione alla piccola stanza dove erano entrati, per poi riavvicinarsi a Rei.

-Tu e Mao lo avete.. lo avete fatto vero?-

Il cinese la guardò incerto e imbarazzato –Sì..-

-Perché vi amate-

Era più un’affermazione che una domanda, ma il ragazzo annuì comunque.

-E se tu l’avessi amata, ma lei non ti avesse ricambiato avresti lo stesso..?-

-Non lo so.. forse.. perché mi stai facendo questa domanda?- indagò lui, iniziando a comprendere dove volesse arrivare la giapponese.

Lei scrollò le spalle.

-Vuoi farlo con Kei..- chiese conferma -..o lo avete già fatto?-

-No no! Non abbiamo fatto niente.. cioè, ci siamo andati vicino, ma..-

-Tu non hai voluto-

-Ma sto iniziando a valutare l’idea..-

-Lo fai perché lo vuoi davvero o perché lui ti fa pressioni?-

-No, lui non fa nulla del genere, anzi..-

-Hai paura che ti ferisca?-

-E’ che so che per lui significherebbe qualcosa di diverso..-

-Non è che credi che facendolo riusciresti a legarlo a te?-

-Più il contrario-

Varcarono un ulteriore porta e si ritrovarono sugli spalti del grande stadio dove, sparsi in diversi punti, potevano scorgevano gli altri gruppi.

-Dovresti fare chiarezza e capire cosa vorresti davvero..-

Hilary cercò automaticamente il gruppo di Kei.

-E’ che.. boh.. guardalo, è una tentazione troppo forte..- sospirò indicandolo.

-Sono seriamente preoccupato..- sussurrò Rei guardandola di traverso.

-Perché?- chiese lei in ansia.

-Perché sei davvero persa!- e scoppiò a ridere per stemperare la situazione.

La brunetta rise insieme a lui, ma non riusciva a immaginare quanto quelle parole fossero vere per il cinese, quanto quell’invaghimento fosse pericoloso e inaffidabile per l’occhio attento dell’amico.

 

Quello che capì nei giorni a seguire fu davvero inaspettato: se in gita era stata arrabbiata, felice e impaziente, durante il viaggio di ritorno serena e triste per l’imminente separazione, anche se di relativamente poche ore, a casa agitata e su di giri, non aveva calcolato quanto sarebbe stato difficile provare tutti quei sentimenti e quelle sensazioni verso una sola persona.

Kei catalizzava ogni suo pensiero e ogni sua azione e la scoperta di quell’attrazione così forte le aveva scombussolato ogni concezione che aveva dell’amore: perché era così che probabilmente poteva chiamare quella morsa allo stomaco che provava in sua presenza, e se non era amore, sicuramente doveva avvicinarsi di molto al concetto.

Ciò che la indispettì e la colpì più di tutto fu quanto contribuisse all’allontanamento e al litigio una sensazione così positiva; la gita era stata solo l’inizio di una serie di momenti altalenanti tra i disaccordi e la pace, tra l’acidità e la dolcezza. La gelosia era stata solo la punta dell’iceberg, a cui si erano uniti la necessità di stare vicini, di vedersi e l’arrabbiatura e la delusione connessa al non raggiungimento di quelle, a prima vista, semplici richieste di stare insieme e condividere, sì sempre condividere, qualcosa con l’altro.

Ergo, le relazioni erano una cosa complicata: mai era stata così presa da riuscire a comprendere fino in fondo quell’affermazione, che aveva opportunamente modificato adattandola a sé: le relazioni con Kei Hiwatari erano una cosa molto complicata.

Lunaticità, scontrosità e sigarette: ingredienti insiti nel carattere del russo, che spiazzavano e innervosivano all’ennesima potenza. Ma come ignorare quella parte del ragazzo che la scioglieva, la faceva arrossire, la alleggeriva tanto da dimenticare il resto.

Elemento da non ignorare era la sua capacità di stupirla in ogni situazione, in bene e in male, anche quando pensava di avere il coltello dalla parte del manico.

Due giorni dopo la gita, nella pausa pranzo, gli aveva confessato di voler fare l’amore con lui, gli aveva elencato i suoi dubbi, ma anche i motivi per cui si sentiva pronta: lui non era riuscito a fare altro se non stare fermo e immobile a fissarla, non arrabbiato, non contento, nemmeno sorpreso o chissà che altro, ma semplicemente fermo. Era riuscito anche, come al solito, a farle abbassare lo sguardo al pavimento.

No, non lo avrebbe mai capito del tutto.

Effettivamente non avevano più avuto occasione per stare insieme da soli: o erano a scuola o al dojo popolato da tutti gli altri. Ovviamente, visto che Kei aveva fatto tranquillamente sesso con Aiko nello sgabuzzino della scuola, il luogo e il momento avrebbero potuto trovarlo senza fare troppo gli schizzinosi, ma, come prima volta, Hilary almeno un letto se lo aspettava.

Solo che il pensare ad Aiko e alla sua possibile prima volta le creò una serie di sentimenti contrastanti che cercò di scacciare per evitare attacchi di panico o cose del genere.

Varcò la porta del dojo ripetendosi mentalmente di non perdere la calma e si diresse automaticamente verso il giardino.

Si accorse tardi che l’edificio era avvolto in un silenzio irreale.

Kei sbucò sbadigliando dalla sala, con le cuffie sul collo e una sigaretta spenta tra le dita, che non faticò ad accendersi pochi secondi dopo aver salutato la ragazza.

-Dove sono tutti?-

-Nonno J si sta riposando, gli altri non ci sono-

Questo voleva dire che erano praticamente soli: il cuore di Hilary perse un battito.

Il russo la guardò perplesso, aspirando il fumo, e lei riuscì a creare una serie infinita di castelli in aria nel giro di pochi attimi.

Kei spense la sigaretta nel posacenere sul porticato e poi la raggiunse di nuovo, afferrandola per il polso: aveva un’espressione strana, chissà quali pensieri gli erano balenati in testa.

Non riuscì a comprenderlo, ma si lasciò trasportare attraverso il giardino, fino alla palestra.

Entrarono e, quando il ragazzo si bloccò, per poco lei non gli rovinò addosso; come al solito la superava in altezza e non eliminava il contatto visivo, costringendola a perdersi nei suoi occhi vermigli.

Forse era la palestra, forse quelle iridi, ma sentì improvvisamente caldo, nonostante la temperatura esterna si fosse ormai abbassata: cosa aveva intenzione di fare?

Il russo si mosse e Hilary non poté fare a meno di seguire ogni suo gesto con massima attenzione, per captare ogni segnale, ogni indizio, ovviamente senza risultato.

Kei infilò la mano in tasca ed estrasse il lettore mp3, il cui contenuto le era ancora oscuro, e iniziò ad armeggiare con i tasti: improvvisamente udì un suono ovattato in crescita, proveniente dalle cuffie. Il russo afferrò queste ultime e le sfilò dal collo, avvicinandole alla brunetta e posandogliele sulle orecchie, sistemandole perfettamente.

Automaticamente la ragazza lo aiutò a fargliele indossare, sistemando i capelli in modo che non intralciassero: non capiva il significato di quel gesto, ma era totalmente assoggettata da lui, tanto che non prestò subito attenzione a quel dettaglio che era la musica. Aveva tentato per giorni di scoprire che tipo di canzoni lo accompagnassero in quei pomeriggi di dolce far niente, ma così presa alla sprovvista si era dimenticata di premurarsi di quel particolare.

Kei le si avvicinò, come quando si apprestava ad abbracciarla, ma non le cinse la vita, bensì appoggiò l’orecchio sinistro sull’esterno della cuffia, come per ascoltare lui stesso, e solo in quel momento Hilary si concentrò sul suono: era una canzone non troppo veloce, poteva classificarla come R’n’B probabilmente, aveva accenti e bassi, ma anche una melodia dolce e la voce del cantante era impreziosita da dinamiche che non sapeva classificare.

Presa dall’ascolto, quasi non avvertì il movimento del ragazzo: sembrava tenere il ritmo della canzone con tutto il suo corpo, accennandolo, prima di iniziare una specie di magia. Lei rimase immobile, isolata dal resto grazie alle cuffie, concentrata su ciò che aveva davanti.

Kei ballava, non come quella sera in gita, ma più come quando lo aveva spiato, da solo in palestra; a Hilary la propria presenza sembrò superflua, avrebbe potuto tranquillamente non esserci, poiché lui non tentava di farla muovere, concentrandosi solo su di sé, non staccandosi, ma nemmeno toccandola.

Eppure poteva sentirlo interagire con lei, avvertiva il calore del suo corpo, della sua presenza, lo spostamento d’aria provocato dai suoi movimenti: tutto era con e senza di lei.

Riuscì a pensare solo quanto fosse bello vederlo ballare così da vicino, senza timori di essere scoperta o di fermarlo, quanto sembrasse un tutt’uno con la canzone, nonostante non potesse sentirla direttamente: le note per lei riempivano lo spazio, ma lui vi si legava perfettamente e le completava.

Non se ne capiva, ma come non ammirare, come non apprezzare quello che aveva davanti, quella serenità e semplicità che non avrebbe saputo riprodurre e che rendeva il tutto ancora più speciale.

Solo quando la canzone giunse verso gli ultimi accenti, e Kei iniziò a spegnersi con lei, Hilary si ricordò di quello che le aveva detto a riguardo del danzare: era personale e, nonostante non riuscisse a comprendere completamente, intuì il significato dietro quell’aggettivo.

Aveva condiviso quel momento con lei: nuovamente il verbo ‘condividere’ era tornato sulla loro strada.  

Kei le sfilò lentamente le cuffie e la riportò alla realtà.

Non sapeva che dire, che fare, come comportarsi: le sarebbe bastato rimanere a guardarlo, ma tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa la riportasse a uno stato di semi coscienza.

-Domani..- tentò la ragazza -..domani è un mese che stiamo insieme-

-Lo so- soffiò lui sistemandole delle ciocche di capelli andate fuori posto per le cuffie –mangiamo insieme qualcosa?-

-Certamente- acconsentì lei allargando gli angoli della sua bocca in un ampio sorriso.

 

Mesiversari: una faccenda piuttosto strana per lui.

Sapeva che le ragazze erano assolutamente fissate con queste ricorrenze, eppure a lui non faceva né caldo né freddo. Ovviamente questo sarebbe stato meglio non dirlo, se teneva ancora un minimo alla sua salute mentale. Regola numero 1: mai dimenticarsi un’occasione del genere e mai far notare la sua inutilità.

Se ci ripensava da un lato quel mese era stato piuttosto lungo, ma allo stesso tempo di una velocità inconcepibile: il problema maggiore di quel periodo era stata l’incondizionata attenzione di Hilary.

Proprio negativo non poteva considerarlo, però sentiva che c’era qualcosa di sbagliato, per lei più che altro, per lei che si era stata completamente catturata da quella relazione, che gli era stata accanto e che lo aveva sopportato, non senza alti e bassi. Ma lui in cambio non credeva di aver dato nulla, soprattutto per la sua incapacità di farlo.

Sentiva che quella era una relazione diversa, ma per molti versi non riusciva a concepirla veramente come differente. Uno strano squilibrio lo aveva attanagliato.

-Hey.. allora stasera si festeggia?-

Rei comparve al suo fianco nel corridoio superiore del dojo.

Il russo lo guardò stranito per poi capire si riferisse anche lui al mesiversario.

-Non proprio.. domani c’è scuola.. non può fare tardi- rispose indifferente scendendo le scale.

-Senti..- lo bloccò Rei titubante -..nell’ultimo periodo so di non essere stato proprio il miglior amico del mondo, ma.. sono davvero felice per voi due-

Kei lo guardò incerto, ma si convinse della buona fede di quella frase. Rispose con un’alzata di spalle, ma il cinese non sembrava aver terminato.

-Hilary si è confidata con me l’altro giorno..- disse abbassando il tono della voce -..mi ha detto che volete.. beh farlo-

L’altro stette in ascolto, attento all’evolversi del discorso.

-Forse è inutile dirtelo, ma..- già quel ‘forse’ a Kei suonò male, ma non disse nulla -..non farla soffrire, per lei è importante, sei importante..-

Il russo non resistette e si fece scappare un risolino che di divertito aveva ben poco.

-Dovevo immaginarlo-

-Di cosa stai parlando?-

-Non venirmi a dire queste cose.. ho capito che non ti fidi di me-

-Ma non è quello stavolta..-

-Sì che lo è- asserì fissandolo serio –continui a farmi raccomandazioni..-

-Perché so quanto lei è presa!-

-Quindi?-

-Quindi niente!- si guardarono in tralice per qualche secondo –Solo, la conosco da anni ormai, so quanto sia importante questo passo..-

-Lo so anche io-

-Infatti, non sto dicendo di non farlo, come ti ho detto sono felice per voi, solo..- cercò di scusarsi Rei -..fa attenzione-

-Pensavo che di ‘ste cose non ne volessi parlare- lo imbeccò Kei gelido.

-E’ che tu la pensi in un modo diverso, per te è diverso, tu questa scelta non..- il ragazzo si bloccò di colpo, trattenendo le parole che a fiume gli stavano uscendo dalla bocca.

-Ora vai avanti- la voce del russo  divenne un sibilo, ma l’altro tacque –Finisci la frase- continuò avvicinandosi arcigno.

-Non intendevo- il cinese si fece piccolo piccolo sotto lo sguardo minatorio di Kei.

-Non posso capirla? Non l’ho fatta? Cosa volevi dire? Illuminami- il tono del ragazzo più grande era duro e accusatorio.

-Kei, io..-

-Hey ragazzi!- la voce di Hilary arrivò alle spalle del russo.

La ragazza doveva avere appena varcato la porta, ma Kei non se ne occupò, troppo preso a incenerire col pensiero l’amico di fronte a lui.

Entrambi sapevano quello che avrebbe detto se solo non si fosse reso conto del significato di quelle parole.

Sicuramente se avesse continuato Kei avrebbe avuto il pretesto perfetto per tirargli un cazzotto, ma non era stato così e si era limitato semplicemente a incolparlo solo per aver pensato a determinate cose. Gli lesse in volto il pentimento e questo lo convinse di non aver immaginato quel riferimento.

Se lo sarebbe aspettato da tutti, meno che da Rei, che tirasse fuori quell’argomento e che lo usasse contro di lui, che glielo sbattesse in faccia a quel modo.

-Tutto bene?- ritentò la ragazza, ancora ignorata.

Rei fece per mettere una mano sulla spalla dell’altro, ma Kei lo respinse.

-Stai alla larga da me- lo minacciò gelido, indietreggiando di qualche passo, per poi girarsi e superare Hilary.

La sentì dire qualcosa, ma non vi prestò attenzione, nemmeno quando si rivolse a Rei: voleva solo uscire, prendere aria, camminare e sbollire la rabbia che gli era salita addosso.

Camminò a passo sostenuto per le varie vie del quartiere, ma solo quando rallentò e iniziò a distendere i nervi, aiutato da una buona dose di nicotina, si accorse di un’ombra dietro di lui.

La ignorò e continuò imperterrito ad andare avanti: chiunque fosse non era il momento giusto per parlare, in realtà non lo era mai, ma soprattutto in quell’istante. Maledette parole, tante e troppe parole che lo perseguitavano da mesi.

Raccontare, raccontarsi, a che serviva? Intanto lui non lo avrebbe mai fatto, mai del tutto, mai.

Aveva lasciato il dojo con il sole intento a tramontare e già i lampioni stavano iniziando ad accendersi e a illuminare ciò che il buio tentava di inghiottire.

L’aria di ottobre, già abbastanza fredda per i giapponesi, non ancora abbastanza per lui che ostentava una maglia a maniche corte, lo avvolse e l’oscurità lo aiutò a fare chiarezza in quella confusione di rabbia e delusione che era la sua mente: l’usuale passaggio veloce da un sentimento all’altro lo pervase.

Le incomprensioni avute con Rei in quelle settimane erano sfociate immancabilmente in una questione troppo grande che sapeva, prima o poi, sarebbe venuta a galla: non condivideva mai il suo passato con nessuno e aveva un motivo per farlo. Ma Rei e gli altri sapevano tutto di lui e non potevano semplicemente ignorarlo.

Alla fine dietro tutte la sfiducia del cinese c’era sempre stato quello probabilmente, ma come dargli torto. In fondo non erano quelle le sue stesse paure? Le stesse motivazione che non gli permettevano di vivere serenamente, di vivere in modo semplice e normale? Non era da quello che voleva scappare, per quello che voleva cambiare?

Non poteva liberarsi del suo passato? Passi la droga, quello era stata una lezione più che sufficiente, ma non poteva semplicemente far coincidere l’inizio della sua vita ai suoi quattordici anni, anzi facciamo quindici?

Il problema era proprio quello: non poteva.

Iniziò a rallentare.

-Torna a casa, non è serata- disse ad alta voce, senza voltarsi.

L’ombra continuò a seguirlo in silenzio.

Attraversò il belvedere e proseguì oltre, lungo la costa, verso posti che solitamente raggiungevano con i mezzi.

La persona dietro di lui non desistette e, dopo una decina di minuti, Kei si decise a rallentare ulteriormente permettendole di raggiungerlo.

Non appena le fu al suo fianco la guardò di sbieco, scuotendo la testa contrariato, per poi afferrarle la mano che lei strinse forte.

Rei aveva ragione dietro quelle accuse: Hilary era completamente presa da lui, ma lui non ricambiava allo stesso modo, forse nemmeno con un decimo di quello che provava lei.

Abbandonare quindi quella sensazione piacevole di avere qualcuno al proprio fianco per evitare di ferirla, o approfittarsene ancora?

-Sei parecchio arrabbiato- notò lei sottovoce.

Kei sospirò.

-Posso sapere che ti ha detto Rei?-

-No-

-Non vuoi nemmeno parlarne? Nemmeno a grandi linee?- provò lei.

-Non voglio parlare-

-Che vuoi fare?-

-Camminare-

-Allora camminiamo- affermò appoggiando la testa al suo braccio, aumentando il contatto tra loro due.

Camminarono ancora per un bel po’, prima di giungere a una piccola baia, da dove le case iniziavano a diradarsi per lasciare alla vegetazione campo libero per espandersi, prima che la città riprendesse poco più di un chilometro oltre.

-Hai fame?- chiese improvvisamente Kei alla ragazza, arrivati davanti a un piccolo ristorante caratteristico.

-Un po’- ammise lei, che aveva mascherato il brontolio dello stomaco per tutta la passeggiata.

Entrarono nel locale e iniziarono a osservare una lista sul bancone; Hilary si guardò intorno e propose un’idea alternativa notando un piccolo bazar all’interno del ristorante –Se prendessimo da portar via e andassimo a mangiare sulla spiaggia?-

-Ok- acconsentì Kei, grato di poter tornare all’aria aperta.

Ordinarono da mangiare e comprarono un asciugamano, per poi incamminarsi verso il mare.

-Qui ci venivo quando ero più piccola- confessò lei muovendosi tra gli scogli che avevano raggiunto –Ti porto in un posto-

Camminarono sui grandi sassi per diversi metri, seguendo il litorale che in quel punto si alzava creando una specie di promontorio.

-Eccola-

Hilary indicò una piccola lingua di spiaggia, nascosta grazie alle grandi rocce, senza alcuna illuminazione: la luna era solo un sottile spicchio, ma le luci della città che circondavano quella piccola oasi permettevano di non essere completamente immersi nell’oscurità.

Allargarono l’asciugamano sulla sabbia umida e vi si sedettero, iniziando ad aprire i cartocci del cibo.

-Gli ho detto che vogliamo farlo.. è per questo che avete discusso?- tentò Hilary approfittando di quella pace.

Kei si limitò ad annuire, senza disturbare il rumore delle onde che si allungavano sulla spiaggia, come ad abbracciarla.

-Colpa mia allora.. mi dispiace!-

-Per certi versi ha ragione- annunciò Kei terminando la sua porzione.

-Su cosa?-

-Non dovremmo accelerare le cose-

-Ti ha detto questo?- chiese la ragazza incredula.

-No, ma io sono arrivato a questa conclusione-

-Perché?-

-Per te-

-Per me?-

-Non vorrei che te ne pentissi-

-Voi uomini forti dovreste smetterla di battere su questo punto-

-Ma c’è il rischio-

-E allora? Credi che te lo avrei chiesto se non ci avessi pensato per bene?-

-Non sono abituato a queste situazioni, non lo so..-

-Beh è così.. ti assicuro che non me ne pentirei-

-Come fai ad esserne sicura?-

-Perché quello che provo per te mi sembra una motivazione più che valida-

-Anche se non è lo stesso che provo io?-

Il silenzio piombò su quella domanda, che nascondeva la conferma a molti dubbi della ragazza.

-Sì, mi basta questo-

Pochi secondi per guardarsi e Hilary si avvicinò al ragazzo per baciarlo e carezzarlo, fino a ritrovarsi sdraiata sopra di lui.

Kei si stupì dell’iniziativa presa, ma la assecondò, sentendo le sue esili mani appoggiarsi sul suo petto e infilarsi sotto la maglietta, prendendosi libertà che probabilmente fino a poche settimane prima non avrebbe avuto il coraggio di affrontare.

I loro corpi a contatto, i loro pensieri rivolti verso un fine comune: mancò poco che Kei facesse forza per ribaltare le posizioni e mandare all’aria tutti i discorsi fatti fino a pochi secondi prima.

Conscio di questa possibilità trovò la forza di mettersi seduto e staccarsi.

-Se fai così, mi rendi tutta la storia dell’aspettare difficile- disse cercando di riprendersi: poteva parlare quanto voleva, ma era pur sempre un maschio con determinati impulsi e bisogni e l’astinenza delle settimane passate iniziava a farsi sentire.

-Allora non aspettare- sussurrò lei, con un velo di malizia, trasformando l’idea che Kei aveva di lei nella sua testa, da innocente e ingenua a una ragazza che necessitava di attenzioni.

-Almeno non sulla spiaggia-

-Perché?-

-La sabbia è fastidiosa.. brutte esperienze- spiegò abbozzando un sorriso e cercando di prestare attenzione alla distesa d’acqua di fronte a lui.

Hilary però non demorse e, dopo aver ridacchiato, si appoggiò a lui in ginocchio, afferrando la sua schiena, e giocherellò con il lobo del ragazzo, come tante volte lui aveva fatto con lei.

Le ragazze, a volte, riuscivano ad essere peggio dei loro simili del sesso opposto: Kei, nonostante gli sforzi, non poté più rimanere impassibile a quelle avances.

-Ok, hai vinto- detto questo la prese alla sprovvista e la rispinse a sdraiarsi sull’asciugamano, mettendosi sopra di lei.

Passarono pochi secondi prima che i due iniziassero a spogliarsi a vicenda, loro complice l’oscurità e il luogo poco frequentato, soprattutto in un giorno a metà settimana.

Il freddo che fino a poco prima entrava nelle ossa di Hilary fu sostituito dal calore della pelle di Kei; ancora pochi baci e poche carezze che il ragazzo riafferrò i pantaloni sotto lo sguardo perplesso della brunetta. Il russo prese il portafoglio e, da questo, estrasse un piccolo involucro quadrato.

-Che..- sussurrò la giapponese prima di capire che cosa il ragazzo tenesse tra le dita.  

-Se hai ripensamenti, se mi devi fermare, fallo ora- soffiò lui a pochi centimetri dal volto dell’altra, le ametiste perse alla ricerca di risposte nelle iridi cioccolato di lei.

Hilary sembrò pensarci pochi secondi, prima di afferrare sicura la plastica e sfilare il preservativo.

Kei prese quel gesto come un via libera e la guidò verso il loro nuovo obiettivo comune: cercò di essere calmo e dolce, di accompagnarla in quella scoperta, di rassicurarla e fare in modo che la fiducia in lui non fosse tradita. Passione, desiderio, amore, non c’era divisione, tutto era un insieme unico.

L’aria fresca si mischiò al sudore, le onde contro gli scogli fecero da eco ai loro gemiti. Testarono quel nuovo campo del loro rapporto, lasciando da parte dubbi, incertezze, rancori, paure e condividendosi ancora.

 

Kei fece scorrere il palmo sulla gota arrossata della ragazza, mantenendo quel vitale contatto visivo; la strinse, poi, forte a sé vedendola tremare dal freddo.

-Tutto bene?-

Hilary si accoccolò tra le sue braccia, affondando nel suo petto, prima di rispondere affermativamente.

-Stai congelando.. sarà meglio andare- notò lui invitandola a rivestirsi.

-No- si oppose l’altra avvicinandosi ancora il più possibile.

-Non vorrai ammalarti per caso?-

La brunetta sbuffò divertita, ma non si mosse; alzò solo la testa per guardare Kei in viso.

-Facciamolo di nuovo così mi scaldo- disse facendogli la linguaccia.

-Ci hai preso gusto?-

Non rispose, ma si rituffò nel suo abbraccio.

Rimasero a coccolarsi per diversi minuti, ma quando il tremore di Hilary si fece più intenso, Kei insistette per andare via, costringendola a rivestirsi.

-Capisco quello che dicevi sulla sabbia adesso- rise la giapponese mentre si immettevano nuovamente nella strada principale.

Buttarono via i cartoni del cibo e l’asciugamano e tornarono verso casa, ripercorrendo la lunga passeggiata che li aveva portati fino a lì.

 

 

 

Buonasera ragazzuole!

Per questa volta partiamo dal fondo: è una cosa che si fa sempre ringraziare, ma è un dovere davvero sentito.. quindi ringrazio voi lettrici e lettori perché, forse non lo sapete, ma siete davvero la ruota che fa andare avanti questo mulino, e non è per niente esagerato ^^

Detto questo commentiamo un po’ il capitolo insieme: innanzitutto calmatevi, prevedo già un coro d’altura! XD Vabbè ma questo lo lascio fare a voi.

Diciamo che parola chiave del capitolo è stata ‘condivisione’ e credo che si sia capito, punti oscuri saranno poi chiariti ovviamente u.u poi volevo scrivere due righe su un personaggio che è partito col botto e che in queste ultime settimane vi sta scendendo: ebbene sì, proprio lui, colui che ha ottenuto il record di vittorie come miglior personaggio, sta rischiando di finire in fondo alla lista ahimè.. maaaa vabbè non dico nulla come al solito va!

Alla fine non è che poi ho commentato più di tanto O_o potrei evitare di farvi perdere tempo a leggere queste cavolate e passare subito alle cose serie.. sì perché anche se vi sembrerà strano quella che vi sto chiedendo è una cosa seria e importante, quindi..

 

Sondaggio Time

Ebbene, l’estate è arrivata, io ho finito gli esami, siamo tutti più felici, ma c’è un però!

Agosto è il mese di villeggiatura per eccellenza (o forse solo per me) e io mi ritirerò sui monti a mò di eremita per diverso tempo.. direte, e a noi che ce ne frega? Beh, presto detto: dove andrò non ho internet! Tatatataaaaaan

La domanda a cui vi chiedo di rispondere ora è: visto che non potrò assicurare per tutto il mese l’aggiornamento del giovedì notte, pensate sia meglio darsi appuntamento al primo di settembre levandoci ogni dubbio, o andare alla cieca e avere aggiornamenti alla c***o di cane (che potrebbe significare avere solo due settimane di pausa o tutto il mese a seconda della mia disponibilità)?

Datemi il vostro parere!

 

Intanto noi comunque ci diamo appuntamento alla prossima settimana!

Un bacione :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Hiding My Heart ***


Perché quello che ti spacca

E ti fa fuori dentro

Forse parte proprio da chi sei

 

 

 

 

 

 

 

Hiding My Heart

 

 

 

 

-Kei aspetta!-

Lo stava rincorrendo da tutta la mattina, ma il russo non gli aveva ancora dato la possibilità di acchiapparlo: lo ignorava semplicemente, tenendolo fuori dalla sua portata. Il continuo tentativo del cinese di parlargli, però, risultava alquanto fastidioso.

-Mi puoi ascoltare un attimo?- chiese per l’ennesima volta, stravolto, ottenendo di fermarlo sulla strada per la scuola.

Kei lo fissò in attesa, sembrava non respirasse nemmeno da quanto immobile risultava.

-Ti voglio chiedere scusa per ieri!-

-Mh- fu l’unica cosa che fuoriuscì dalle labbra dell’altro, che non perse tempo e si girò per riprendere il cammino.

Rei ritentò durante le lezioni, approfittando del fatto che l’altro non potesse scappare, poiché seduto di fianco a lui: ignorò persino il richiamo del professore di storia, laconico e soporifero come al solito, per non perdere l’occasione.

Kei nuovamente si limitò a intimargli con un gesto di stare zitto, continuando a guardare disinteressato fuori dalla finestra, per poi, finita l’ora, chiedere a Max se per un’ora potevano fare cambio di posto, andando di sua spontanea volontà vicino a Takao. Ci furono ulteriori spostamenti, approfittando dell’ora di arte, piuttosto libera, e Rei si ritrovò dalla parte opposta dell’aula vicino a Hilary che aveva insistito per parlargli.

-Si può sapere che gli hai detto?-

-Ho fatto un casino!- rispose il ragazzo reggendosi la testa con le mani.

-Questo l’avevo intuito- disse pratica la brunetta, ma vedendo la disperazione crescente dell’altro continuò –Devi solo lasciarlo sbollire.. vedrai che si risolverà tutto-

-Lo spero- soffiò il cinese sconfortato, prima di guardare attentamente la ragazza –Sei felice che abbiamo litigato?-

-Ma che ti viene in mente?-

-Allora sei felice per qualcos’altro?-

Hilary arrossì improvvisamente e si voltò di tre quarti per non mostrare il sorriso che non la abbandonava e che ovviamente la tradiva.

-Se tu fossi una ragazza sarebbe tutto più semplice- sussurrò lei.

-Per quello non posso farci nulla-

-E’ successo- disse a tono sempre più basso.

-Non ho capito nulla-

-E’ successo- alzò leggermente la voce.

-Di cosa stiamo parlando adesso?-

-Ieri.. con Kei..-

Rei non fece in tempo a organizzare i pensieri e a rispondere che l’altra riprese.

-So che è per qualcosa legato a questo che avete discusso, ma te lo dovevo dire e..-

-Non ti devi giustificare con me- la fermò comprensivo.

-Dovevo dirlo a qualcuno- aggiunse torturandosi le mani.

-E.. è andato tutto bene?-

-Che domande sono?- disse arrossendo ancora di più –No, non sei una ragazza e non riesco a parlartene!-

-Ma è una domanda legittima.. come ti senti?-

Hilary ci pensò su per qualche secondo, prima di rispondere –Bene-

-L’importante è questo- terminò Rei sorridendo dolcemente.

-Pensavo saresti stato contrariato-

-Non è affar mio.. è quello che stavo cercando di dire ieri a Kei, ma le cose mi sono sfuggite decisamente dalle mani e..-

-Ti perdonerà vedrai-

 

-Dovresti perdonarlo- gli disse Hilary cercando di fare da paciere.

-Non ti ci mettere pure tu- sbuffò Kei sedendosi sui gradini di una scala secondaria.

La pioggia impediva di stare all’aperto per la ricreazione e il russo iniziava a risentirne.

-Se mi dicessi che ha fatto di così grave..-

-Voglio solo che mi lasci in pace.. per un po’-

-Capisco- si arrese la ragazza –Senti.. oggi mi spieghi matematica che ha spiegato ieri?-

-Ok.. basta che stiamo lontani da quei casinisti-

-Intendi Takao e Max? E Rei nemmeno a chiedertelo-

Kei annuì sospirando.

-Se vuoi possiamo andare a casa mia- tentò la ragazza.

-Ci sono i tuoi?-

-No, mia madre prima delle sette non arriva, mio padre molto più tardi-

-Ok-

 

Rei fece l’ultimo tentativo all’uscita da scuola, prima che Kei e Hilary si allontanassero da soli, ma il russo gli aveva rivolto parola per la prima volta, rispondendogli prontamente di lasciarlo in pace.

-Domani.. lasciami stare per adesso-

Ormai la strada verso casa della ragazza la conosceva a memoria per avercela accompagnata diverse volte, ma non vi era ancora entrato.

Era un semplice edificio a due piani, con un piccolo cortile poco prima dell’ingresso: varcarono la soglia ed la ragazza lo condusse  verso la sala dove fece gli onori di casa. Bevvero qualcosa prima di salire in camera.

-Carina- commentò il russo non appena entrato.

Era ordinata, punto a suo favore, e rispecchiava la personalità di Hilary. Kei iniziò a guardarsi intorno analizzando quel luogo: una grande libreria, divisa tra volumi di diverse dimensioni e una collezione di videocassette e dvd, ricopriva un’intera parete, mentre il letto con l’armadio a ponte occupava il restante spazio, oltre alla scrivania.

Il ragazzo si stiracchiò e si sedette sul letto, aspettando che l’altra finisse di sistemare le proprie cose e cercare gli appunti di matematica.

-Non ti facevo da queste cose- esclamò ad un tratto Kei, raccogliendo una rivista da terra, l’unica cosa fuori posto.

-Di cosa..- chiese Hilary voltandosi, ma non appena scoperto l’argomento si affrettò a rispondere -..la compra mia madre-

-E tu la leggi- la corresse lui, cercando di capire di che stesse parlando la pagina alla quale era aperta.

-Un po’ di sano gossip non fa mai male- cambiò rotta lei per giustificarsi.

-Lauren? Non era la cantante che dicevi che piaceva a Takao?-

-Sì-

-Mi sembra più il tipo da Max- commentò osservando la chioma bionda della cantante.

-Infatti piace anche a lui-

-Non è che in realtà piace a te?- chiese con un sorrisetto.

-Nah.. semmai a te- cercò di cambiare discorso lei.

-Nemmeno troppo.. perché allora hai tenuto il segno?- insistette.

-Ok, mi piace il suo ragazzo, sei contento?-

Kei rise: immaginava che il motivo fosse l’uomo paparazzato insieme alla bionda, ma si stava divertendo a stuzzicarla.

-Chi è? Canta?-

-No, un attore..- rispose lei, prima di spazientirsi -..dai mettila via!- e gli prese la rivista dalle mani, buttandola in malo modo in un cassetto.

Il russo approfittò dell’improvvisa vicinanza della ragazza per afferrarla e spingerla a sedersi sulle sue gambe.

-Cosa fai?-

Kei rispose iniziando a baciarla e mostrando le sue intenzioni.

-Prima il dovere, poi il piacere- cercò di indirizzarlo lei.

-Con tutte le ore di scuola direi che è già tempo per il piacere-

-Ma..-

-Ormai non hai più scuse per dirmi di no- continuò a stuzzicarla lui, tra un bacio e l’altro, e, come nelle sue previsioni, la fece capitolare con poca difficoltà.

-Hai troppo controllo su di me..- osservò Hilary dopo che i baci si erano trasformati in passione pura e li aveva portati a condividere il letto -..dammi qualche giorno per riprendermi e sei spacciato-

Kei annuì e sistemò la testa sul cuscino, continuando a sfiorarle la pelle nuda.

-Comunque il letto è meglio- continuò la ragazza dandogli un bacio a fior di labbra sul naso lasciandolo perplesso.

-Per me possiamo provare tutti i posti finché non trovi il tuo preferito-

-Sei un pervertito- disse accoccolandosi sul suo petto, ormai dimentica dello scopo che li aveva portati nella sua casa quel pomeriggio.

-Tua madre quando hai detto che arriva?-

-Tra un’ora, un’ora e mezza-

-Allora abbiamo ancora tempo-

-Vuoi fermarti a cena?- aggiunse dopo averci riflettuto per qualche minuto.

Kei fissò il lampadario sorpreso.

-Non credo sia una buona idea-

-Mi farebbe piacere..-

-Che conoscessi i tuoi?-

-Sì-

Il russo sospirò combattuto: intuiva che quella richiesta derivasse da qualcosa di importante per lei, ma l’idea di avere a che fare con i suoi genitori lo preoccupava, soprattutto per il significato che quel gesto portava con sé, rappresentava un legame.

-Non oggi-

-Pensi di non piacergli-

-Non credo di essere il tipo ideale per un genitore, ma comunque preferirei non avere a che fare con ste cose..-

-Ste cose?- rise Hilary per stemperare la situazione –Sei proprio strano-

-Già- disse lui dandole un bacio sulla fronte –Allora questa matematica?-

Si alzarono e rivestirono con calma, per poi mettersi alla scrivania per comprendere la lezione del giorno prima.

-Ce li hai degli appunti?- chiese lei, guardando disperata i propri.

Kei tirò fuori il suo quaderno e lo aprì: matematica era probabilmente l’unica materia a cui prestasse realmente attenzione, probabilmente perché era quella che capiva meglio.

Iniziò a spiegarle i passaggi principali delle varie regole aiutandola a completare gli esercizi e poi la lasciò confrontare i loro due quaderni.

-Che vuol dire?-

Kei si sporse per individuare il punto della pagina indicato dall’indice della ragazza, a margine della pagina.

-Niente di che- si affrettò a spiegare.

-Ma non è russo?- chiese convinta indicando le parole in cirillico, sparse qua e là, su tutto il quaderno –Qui è nel mezzo degli appunti- aggiunse indicando una frase intera.

-Sì.. così le capisco meglio-

-Ma non ti confondi ancora di più?-

Kei scosse la testa, intimandola a concentrarsi nuovamente sugli esercizi.

Trascorsero una ventina di minuti tra distrazioni e tentativi di calcoli, anche se Kei preferiva le prime, i secondi dovevano avere la meglio.

-Non mi hai mai parlato della tua famiglia- sussurrò Hilary prendendola alla sprovvista, guardandolo dritto negli occhi nella speranza di una risposta.

-Perché non c’è niente da dire- rispose indifferente l’altro sperando di far cadere il discorso il prima possibile.

-C’è sempre qualcosa da dire-

-Sono morti tutti.. questo è quanto- disse pratico, senza apparente interesse.

-Però li hai conosciuti..-

-Solo mio nonno- cercò di rispondere aspettando il momento migliore per terminare la conversazione.

-E’ lui quello che ti ha lasciato tutti quei soldi?-

Kei annuì –Ma non li toccherò-

-Perché?-

-E’ morto in prigione.. non c’è finito per caso-

-Ma se..-

-Non voglio averne a che fare.. me li ha lasciati solo perché sapeva mi avrebbe fatto un torto-

-Magari la vita da galeotto lo ha fatto cambiare..-

-Penso che abbia pagato così tanto in carcere che gli sarà sembrato di essere in hotel- commentò con udibile disprezzo.

-Ah.. dei tuoi invece..-

Il cellulare della ragazza improvvisamente iniziò a squillare e fu costretta a rispondere.

-Pronto? Mamma..- guardò Kei e gli chiese se volesse restare sperando le leggesse il labiale.

Il russo scosse la testa e radunò la sua roba: le sussurrò che sarebbe andato, mentre lei era ancora bloccata nella conversazione. Le lasciò un bacio sull’angolo delle labbra e si diresse verso l’uscita con lei.

 

Sbagliato.

C’era qualcosa di assolutamente sbagliato in tutto. In lui, nella situazione, in quella strada, in quel momento.

Era già buio e per la prima volta da quando era in Giappone sentì freddo, un brivido non provocato dalla temperatura, dal vento o qualsiasi altro agente atmosferico, semplicemente un freddo così sbagliato in quel momento, in quella strada, nella situazione, in lui.

Non capiva bene da cosa derivasse quella sensazione, come gli fosse venuta o perché lo avesse colpito; sapeva solo che non era piacevole e lo metteva all’erta.

Si fermò improvvisamente e chiuse gli occhi, respirando lentamente, cercando di comprendere, ma non riuscendoci si appoggiò al muro che costeggiava la strada: si convinse a fare ancora qualche passo, ma non appena arrivò in una via secondaria si sedette per terra, sul gradino del marciapiede, reggendosi la testa con le mani. Proprio non capiva: nessuna immagine, nessun ricordo, niente di niente se non confusione derivata da chissà cosa.

Tornò al dojo mezz’ora dopo. Per fortuna la pioggia per quell’arco di tempo aveva arrestato la sua caduta, mangiò con gli altri lottando contro l’impulso di andare in camera: ciò avrebbe portato solo nuove domande e ancora più problemi.

Si defilò subito dopo cena e si rifugiò nella sua stanza, buttandosi confuso sul letto, fortunatamente ci mise poco a prendere sonno e ad abbandonarsi a una lunga nottata fatta di sogni, immagini che non era riuscito a focalizzare durante quei minuti di smarrimento e che una volta sveglio lo abbandonarono nuovamente senza alcuna spiegazione.

La presenza di Hilary lo tranquillizzò leggermente, nonostante sentisse sempre quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, mentre l’imminente scontro con Rei lasciò che lo sconforto lo attanagliasse.

Forse sarebbe stato meglio lasciarlo parlare il giorno prima, quando ancora stava bene e gli avrebbe urlato contro di tutto tranquillamente, ma non poteva sapere che in ventiquattrore sarebbe cambiata così la situazione. Aveva smesso di mettere in conto una tale possibilità nella speranza che non ce ne fosse stato più bisogno, ma, come al solito, queste genere di credenze infantili si dimostravano sempre affrettate e infondate.

Durante la pausa pranzo si erano rintanati sulle ormai usuali scale laterali del corridoio, sempre a causa del maltempo.

Kei rimase zitto in attesa delle ulteriori scuse che il cinese si apprestava a versargli addosso come un fiume di parole.

Così accadde, infatti.

-Farei qualsiasi cosa pur di avere la possibilità di eliminare quei trenta secondi di completa stupidaggine-

-Lo so- si stupì Kei stesso della propria reazione così pacata: non aveva assolutamente la forza di litigare, dibattere, cercare di far valere la propria posizione, prima di perdonarlo. Niente di tutto ciò.

-Io mi considero un tuo amico.. spero che sia ancora lo stesso per te- disse il cinese abbassando il capo come aveva fatto ripetutamente nell’ultima mezz’ora.

Kei annuì stancamente.

-Ma solo se ritorni a comportanti come tale-

-Farò tutto il possibile per riconquistare la tua fiducia.. partendo con darti la mia-

-Forse non hai così torto ad avere delle riserve-

-Invece sì-

Il russo lo sguardò di sfuggita, ma riprese a concentrarsi sul nulla.

-Hey..- iniziò Rei –Posso iniziare da ora?-

L’altro di nuovo si limitò ad annuire.

-Cosa c’è che non va?-

-Forse..- tentò Kei chiudendo le palpebre -..sto solo covando un’influenza-

-Lo credo, vai sempre in giro senza giacca.. e siamo a metà ottobre-

Il russo si autoconvinse della veridicità della scusa che aveva inventato lui stesso per spiegare la comparsa di quei sintomi e non era nemmeno detto che fosse solo opera della sua fantasia: eppure qualcosa dentro di lui si opponeva e voleva dare la colpa ad altro, ma ignorò tale sensazione.

 

Nessuna influenza si fece sentire, ma in compenso Hilary si prese un raffreddore, probabile conseguenza, ipotizzò lei, della serata in spiaggia.

Novembre arrivò in fretta e Kei non stava meglio: era solo dura avere a che fare con sempre la stessa strana sensazione con la quale aveva imparato a convivere in quelle settimane.

Con Hilary tutto sembrava andare per il meglio: si era opposto con più decisione al possibile incontro con i genitori di lei, ma questo fortunatamente non sembrò guastare il loro rapporto che procedeva calmo ed equilibrato.

-Eccoli- esclamò Hilary fissando un grande scaffale di una libreria e afferrando un piccolo volume.

-Cos’è?-

-Aforismi-

-Non ne hai a miliardi a casa?-

-Ti sei messo a leggere i titoli dei miei libri?-

Kei fece spallucce in risposta, continuando a sbirciare le etichette che indicavano le sezioni davanti alle quali stavano passando; fecero pochi passi lentamente, mentre lei iniziò a scorrere velocemente le pagine del libricino che teneva ancora in mano.

-Non lo voglio comprare.. ho solo una fissa-

Il russo si concentrò su di lei chiedendole tacitamente di spiegarsi.

-Quando vedo un libro come questi devo scegliere un aforisma a caso.. è illuminante sai?-

-Immagino- disse l’altro scettico, guardandola aprire una pagina e leggere ad alta voce la prima frase utile: un’accozzaglia terribile di paroloni eruditi che probabilmente insieme non avevano realmente senso.

-Davvero illuminante- commentò lui sarcastico.

-Dev’essere il libro poco valido- cercò di giustificarsi la brunetta, sfogliando ancora le pagine, questa volta più perplessa.

Kei la superò continuando a scorrere i titoli più per noia che per interesse, finchè la voce squillante di Hilary non attirò nuovamente la sua attenzione.

-Questo è adatto a te.. Il ballo è una manifestazione verticale di un desiderio orizzontale, Woody Allen- e lo guardò divertita –Ecco perché sei un pervertito!-

-E io ti do poche settimane prima di diventare una ninfomane-

Scherzarono e continuarono a vagare per la libreria, prendendo e rimettendo a posto diversi libri.

-Bah, io ho sempre considerato la tua cosa del ballo molto poetica e Woody mi distrugge tutto con poche parole-

-Poetica?- chiese Kei divertito.

-Certo.. tu non immagini nemmeno quanto ti cambia-

-In che senso?-

-Sei diverso.. sei calmo, dolce, sorridi..- si fermò arrossendo, prima di poter aggiungere aggettivi sconvenienti -..in pratica sei tranquillo..-

-E di solito non lo sono?-

-Non proprio.. sei sempre serio, indifferente, fai le cose così per fare-

Kei la ascoltò in silenzio ponderando le sue parole e la verità che sapeva benissimo esservi nascosta.

-Se solo fossi sempre come quando balli saresti.. sì, perfetto-

-Non c’è pericolo-

-Non dire così.. confido in te- gli disse sorridendo e alzandosi sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia.

Rimuginò ancora su quelle parole fissando un punto indefinito, continuando a guardare verso i libri, ma senza vederli davvero fino a quando qualcosa di apparentemente normale non lo stupì per la sua stranezza.

Afferrò un volume dalla copertina rigida, nera e verde smeraldo, e iniziò a sfogliarlo.

-Sto iniziando ad avere un certo rigetto verso il russo- disse Hilary, osservando le pagine scritte in cirillico.

-Invece è una bella lingua-

-Quando la parli tu sì, ma quando la vedo scritta mi fa venire i brividi-

Kei lesse una breve frase e guardò la ragazza in attesa di una reazione.

-Potrei stare ad ascoltarti tutto il giorno-

Il ragazzo scosse la testa divertito in risposta e richiuse il libro fissando la copertina.

-E’ strano-

-Cosa?- chiese perplessa lei.

-Trovare un libro in russo..- sbirciò lo scaffale di fronte a lui -..infatti è l’unico-

-Perché è strano?-

-Russi e giapponesi non sono mai andati troppo d’accordo-

-Quindi noi due siamo una coppia strana-

-Decisamente-

-Bene- esclamò lei compiaciuta, ormai abituata a quell’aggettivo, che prima non sopportava, tanto da averlo iniziato a usare in continuazione –Lo vuoi comprare?-

-No.. che resti qui in bella vista- disse rimettendolo in mezzo agli altri libri –Poi l’ho già letto-

-Non ti facevo un lettore..-

-Come ti ho già detto altre volte.. ho avuto molto tempo libero-

-Di chi era?-

-Bulgakov-

-Oltre che di matematica, andremo anche di letteratura russa da domani-

 

Parlare: comunicare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Difficile.

Affrontare: accettare questi sentimenti. Difficilissimo.

Cambiare: modificare se stessi. Impossibile.

Era arrivato a questa conclusione.

Aveva deciso di focalizzarsi su questi punti che dovevano essere la chiave di quel lungo percorso che poteva chiamare di guarigione, di se stesso e del proprio mondo, ma averci realmente a che fare era una cosa ardua.

Il problema era quanto li sentisse vicini a sé: mai come in quel periodo si era ritrovato a parlare di sé e a considerare materialmente la possibilità di cambiare.

Però stava male.

Male perché se da una parte si sentiva sollevato e in pace con se stesso, dall’altra la consapevolezza della falsità di quelle emozioni lo attanagliava. Perché poi le considerava false? Perché per uno come lui erano irraggiungibili, lo sapeva, lo aveva provato. E non aveva intenzione di ricaderci.

Poteva fare il duro quanto voleva, ma doveva ammettere di non esserlo affatto.

-Hilary è un po’ preoccupata-

-Perché?-

-Perché ti trova diverso-

Rei gli si era avvicinato nel cortile del dojo, poco prima di andare a dormire.

Kei rimase in silenzio, nella speranza di non risvegliare nuovamente pensieri, domande, risposte, parole, un fiume di parole che lo avrebbero schiacciato ancora e ancora e di cui non poteva sopportare il peso.

La sua vita era da sempre composta di silenzi, di gesti, di sguardi: non sapeva come si affrontavano le parole.

-E’ tutto a posto?-

Il russo nelle ultime settimane era rimasto sull’attenti nell’approcciarsi a Rei, nonostante lo avesse perdonato con calma e serenità, ma non poteva fare a meno di ricordare che il ragazzo era stato il primo, in quella sua esperienza giapponese, ad approcciarsi a lui, a fare dei passi avanti e tentare di aiutarlo.

Si limitò a scuotere la testa e continuare a torturarsi un braccio come nervoso.

-E me ne vuoi parlare?- tentò il cinese sedendosi accanto a lui.

Di nuovo solo un gesto di diniego.

-Il problema è Hilary?- chiese cauto.

-Io- rispose finalmente in un sussurro.

-Se e quando ne vorrai parlare io ci sarò, sai?-

Annuì silenzioso continuando a guardare davanti a sé.

-Magari senti solo il tempo- scherzò Rei sperando di rasserenarlo, riferendosi all’autunno che sembrava voler lasciare il posto all’inverno con più di un mese di anticipo.

-Sarà che sta arrivando dicembre- sussurrò Kei che, all’espressione perplessa dell’altro, si spiegò –Io odio dicembre-

 

Quello che stava cercando di capire era quanto c’entrasse Hilary: una parta sperava che non derivasse dalla sua relazione con la brunetta, ma come escludere quella possibilità se la sua vita delle ultime settimane aveva girato esclusivamente intorno a lei.

L’aveva osservata, probabilmente era più corretto dire fissata, diverse volte e aveva cercato di carpire informazioni, ma a vuoto.

Aveva provato a confrontare sensazioni conosciute con quella attuale e, purtroppo, gli riuscì, ma non appena il paragone aveva fatto capolino concretamente lo aveva ricacciato indietro come un qualcosa di terribilmente scomodo.

Hilary in tutto ciò sembrava felice, sorrideva come sempre e lo inondava della sua semplicità.

Sempre più problematica semplicità.

-Ho scritto che mi accompagni-

La brunetta era rimasta a cena in casa Kinomiya e si era affrettata a rifugiarsi nella camera di Kei insieme al ragazzo.

-Takao mi ha detto che hanno prenotato tutti i voli per Natale- iniziò lei, parlando dei progetti per il 25 dicembre che prevedevano l’arrivo di nuovi ospiti.

-Chi ci sarà?- chiese Kei sistemando il cuscino tra il muro e le loro schiene.

-Mao e Lai e poi la squadra americana-

-Anche Michael?- chiese il russo accendendosi una sigaretta con espressione indecifrabile.

-Sì.. perché?-

-Non l’ho mai sopportato-

-Ah-

-Che diceva Max su di lui e una soap opera?-

-Come sei curioso.. ma davvero non lo sai?-

Kei mise su un’espressione che chiedeva chiaramente ulteriori elementi che a lui mancavano.

-Gli hanno proposto un ruolo di attore dopo il torneo e ora recita in questa soap opera americana alla Beautiful.. tremenda tra l’altro-

-Ed è bravo?-

-Non saprei.. in America è famoso per questo, ma non saprei dirti se è proprio bravo.. il suo personaggio è piuttosto stupido..-

-Allora gli verrà bene di sicuro-

-Quanta acidità-

Il ragazzo fece spallucce sogghignando, per poi sporgersi verso di lei e darle un bacio.

-Sai di sigaretta- commentò disgustata.

-Allora stasera niente sesso-

-Guarda che sei tu quello che non ne può fare a meno- dibatté lei incrociando le braccia al petto.

-Ah sì?- rispose attaccando il suo collo.

-Ti vorrei ricordare che di sotto ci sono tutti- sussurrò Hilary consapevole che probabilmente avrebbe vinto l’altro.

-Basta fare piano- disse lui posandole l’indice sulle labbra socchiuse.

Il desiderio carnale era abbastanza difficile da trattenere e non servirono a nulla le mezze frasi di Hilary, poiché lei stessa partì all’attacco per ottenere ciò che considerava suo diritto avere, anche solo la visione della perfezione del corpo del suo ragazzo, non lasciandogli il tempo di coricarsi o di prendere il controllo della situazione: per quella volta lo avrebbe fatto lei.

 

Kei fece per alzarsi dal letto, ma la ragazza lo bloccò nuovamente afferrandolo per la vita.

-Sei una bambina capricciosa- scherzò lui arrendendosi e tornando indietro.

La ragazza non lo lasciò nemmeno quando ottenne la sua resa, ma si accoccolò appoggiata alla sua larga schiena.

Il russo restò sdraiato su un fianco, avvertendo la pelle fresca della brunetta sulla propria; sentì le braccia allentare la presa e ritirarsi entrambe verso le sue spalle.

Non riusciva a vederla, ma immaginava i suoi spostamenti, le sue posizioni, grazie a quel contatto.

Le dita sottili di Hilary iniziarono a scorrere sulle sue scapole e sulla spina dorsale, per poi spostarsi verso la parte destra, percorrendo tutta la lunghezza di quella che sapeva essere la sua cicatrice.

Lo aveva già fatto quella volta in spiaggia, quando gli aveva spalmato la crema, ma sembrò concentrarsi nuovamente sulla linea irregolare; la sentì emettere un singulto e spostare le dita apparentemente senza senso su diversi lembi di pelle.

Sperò non fosse l’inizio di altre parole, ma sapeva che la possibilità di scamparla erano poche poiché era perfettamente a conoscenza di quello che aveva attirato l’attenzione della ragazza.

-Che strani.. questi piccoli segni- iniziò come previsto, probabilmente così vicina alla sua schiena da avere la fronte appoggiata a lui –Sono cicatrici anche queste?-

-Mh- si limitò a pronunciare come assenso.

-Non saranno nemmeno di un centimetro..- continuò lei, ma presto si stoppò, non ponendo la domanda che probabilmente invece le invadeva la mente.

Kei avrebbe potuto rispondere a quella questione, ma non se la sentì di parlare di frustate o botte o qualsiasi altra cosa del genere. Prima che fosse troppo tardi si voltò e si sistemò fronte a fronte con lei.

Hilary gli poggiò i palmi sulle gote e in una carezza gli lasciò un bacio sulla fronte, prima di avvolgergli le braccia intorno alla testa e stringerlo al petto.

Lo coccolò e carezzò in un modo strano, diverso: un tocco vellutato che, però, non aveva niente a che fare con la passione o il desiderio, ma solo con la dolcezza e la protezione.  

Gli abbracci di quel tipo erano una cosa nuova per lui: gli era capitato di stringere a sé un’altra persona, ma poche volte era il ricevente di quei gesti. Sentì il battito del cuore di Hilary e si sentì bene almeno quanto sentì il bisogno di staccarsi.

Nuovamente quella terribile sensazione: sbagliato.

Si staccò lentamente, convincendosi a tornare a guardarla negli occhi: forse nelle sue iridi, nel suo riflesso avrebbe trovato il motivo di quel disorientamento, ma ciò che vi lesse lo preoccupò: forse era dolcezza, forse paura, forse venerazione. Tutto quello si tramutò in parole, le vide formarsi e arrivare alle labbra sottili della ragazza.

-Ti..-

-No-

Kei la fermò bruscamente, afferrandole i polsi con le mani, nella speranza che quell’atto fisico la convincesse realmente a stopparsi, a non pronunciare quelle poche sillabe.

-Ma Kei, io..-

-Non farlo-

Si ritrovò diversi centimetri lontano dal suo viso senza accorgersene, tutto sembrava essersi allontanato, ma non poteva assolutamente permettere che accadesse una cosa del genere.

-Non dirlo, per favore, non dirlo-

-Perché?-

-Non è giusto così.. ti avevo detto di.. non puoi farlo-

-Le tue condizioni credo si siano andate  a far benedire un bel po’ di tempo fa..-

-Hilary..-

-Cosa c’è? Non sono parole avvelenate.. possono solo che fare del bene-

-Non è vero assolutamente- soffiò Kei alzandosi dal letto.

-Di cosa hai tanta paura?- lo rimbeccò mettendosi seduta a sua volta.

-Io non ho.. ti accompagno a casa- e iniziò a raccogliere i vestiti.

-No ci vado da sola-

La brunetta lo superò e si rivestì in un batter d’occhio.

-Non fare la stupida..-

-Tu smettila di fare il bastardo allora- gli urlò a un centimetro dal suo viso.

-Ti accompagno a casa- sillabò aprendole la porta e invitandola a uscire.

 

Era quello che voleva evitare. Era ciò di cui aveva paura.

Sapeva del sentimento che covava nei suoi confronti, non ne aveva mai fatto mistero, ma dal supporlo al sentirlo pronunciare c’era tanta differenza.

Lo aveva detto chiaro e tondo che non sarebbe subentrato l’amore, che non avrebbe dovuto tirare in ballo per nulla al mondo l’amore, che lui e quella parola non avrebbero coesistito.

La riaccompagnò a casa nonostante le sue proteste; camminarono per tutto il tragitto lontani, lei qualche passo più avanti, e nemmeno si salutarono quando arrivarono a destinazione.

Stava soffrendo: per causa sua stava soffrendo e ne era consapevole e si sentiva in colpa.

Aveva promesso a tutti che non sarebbe accaduto, ma non era stato attento, non aveva tenuto sotto controllo la situazione e la stessa gli si era rivoltata contro.

Se solo avesse capito cos’era invece che provava lui forse sarebbe stato tutto più semplice da affrontare, ma come classificare tutto il casino della sua testa?

-Si può sapere che è successo?-

Rei lo aspettava sulla soglia di casa con le mani sui fianchi e il cipiglio perplesso.

Kei valutò l’idea di tirargli il pugno che gli doveva da più di un mese, ma si convinse che quella reazione avrebbe solo peggiorato la situazione e che era troppo arrabbiato e frustrato per dibattere.

Si limitò a sospirare e scuotere la testa, più a se stesso che all’altro, per poi sedersi sui gradini d’ingresso. Il cinese gli si accomodò silenziosamente accanto.

-Sono in un casino- confessò infine, disperato per la mancanza totale di certezze.

-Vuoi raccontarmi?-

-Mi ama-

-E non è una bella cosa?- chiese scettico Rei, cercando di non dare troppo enfasi al tono di voce.

Kei scosse la testa sicuro, in segno di diniego.

-Tu cosa provi per lei?-

-E’ questo il casino- rispose guardandolo passare da un’espressione seria e contrita a una risata accennata.

-Beh almeno vuol dire che qualcosa provi..-

-Non è confortante-

-Non è confortante avere la prova di essere umano?- cercò di scherzare, ma non ottenne nessuna risata –Prova a pensare a Hilary.. cosa ti viene in mente?-

-La sua faccia?-

-Davvero molto romantico, complimenti!- non resistette dal fare una battuta, ma subito tornò serio –Voglio dire.. io quando penso a Mao mi viene in mente la sua risata, il suo profumo, e sto bene-

Kei ci pensò su, cercando di non farsi coinvolgere dalla visione mielosa del cinese: non riusciva ad andare nel profondo come aveva fatto l’altro, almeno non nel profondo di se stesso, ma cercò di andare oltre.

Hilary e il suo abbraccio: questo gli sovveniva, ma la sensazione che ne derivava era complicata e paradossale.

-Prova a dare un nome alle immagini, ai tuoi sentimenti- aggiunse Rei dopo diversi secondi di silenzio, osservando il russo perdersi nei suoi pensieri.

Non era amore ne era sicuro, ma era più bisogno di lei, dipendenza in un certo senso, e questo non poteva e non voleva accettarlo.

-Trovato?-

-E’ un appiglio.. alla normalità- riuscì a rispondere in un sussurro –Me ne sto approfittando-

-Non è che lo interpreti nel modo sbagliato?- tentò il cinese.

-Mi è già successo di appoggiarmi a qualcuno.. e non è andata bene- commentò Kei.

-Ma quel qualcuno non era Hilary.. la situazione magari è simile, ma le persone sono diverse-

Solo Hilary era diversa, aveva preso il posto di quel qualcuno, ma lui era sempre lo stesso Kei, che lo accettasse o meno, era sempre lo stesso ragazzo di mesi prima.

-Cosa vorresti fare a caldo adesso?-

Il ragazzo ci pensò a lungo e cercò di ponderare la parole –La lascerei libera di trovare qualcuno che sappia apprezzare quello che ha da offrire-

-Kei pensaci con calma.. dormici su-

-Nessuna ramanzina contro di me?-

-Penso che tu ci tenga più di quanto non credi.. ma devi capirlo da solo-

 

-Ha iniziato a nevicare per bene-

-Qui è già tanto se piove-

Rispose laconico alle domande di Yuri, invidiandolo leggermente nel ripensare alle immagini della sua Mosca ricoperta di un manto bianco.

-Come va con la tua ragazza?-

-E tu che ne sai?-

-Ho i miei informatori.. se aspettassi te non saprei mai nulla-

-E con chi parleresti scusa?-

-Takao!-

-Takao? Perché vi sentite?-

-Non essere così stupito.. ma come va con la sua migliore amica?- ripropose la domanda il rosso facendo capire di quante informazioni fosse al corrente.

-Ultimamente male-

-Come mai?-

-Si è un po’ troppo affezionata a me-

-Troppo quanto?-

-Troppo troppo-

-Che bello parlare con te-

-Dai..-

-Kei, non puoi fare lo sciupafemmine anche con un’amica del gruppo-

-Ma non avevo programmato niente io-

-Ci mancherebbe.. ma aspetta.. tu quanto ti sei affezionato invece?-

-Poco-

-Beh, poco è già meglio di niente-

-La situazione è complicata-

-E perché mai?-

-Perché ci sono tante cose che non vanno bene e.. posso farti una domanda?-

-Ovviamente-

-Secondo te le persone possono cambiare?-

Un lungo silenzio li unì a migliaia di chilometri di distanza, segno che Yuri stava ragionando sulla domanda e probabilmente stava valutando se dirgli la reale opinione o limitarsi a assecondare quella che sarebbe stata la risposta migliore in quel momento per Kei.

-No.. possono migliorare, crescere, maturare, ma credo che cambiare non sia possibile-

 

 

 

 

 

 Siamo arrivati alla fine di luglio e devo dire che è davvero complicato parlare di novembre O_o fatico a trovare il mood giusto per il freddo (per la pioggia ne ho vista fin troppa in questi giorni -.-)

Vabbè non so che scrivere.. quindi per sparare cavolate come al solito lascio la parola a voi u.u

 

Piccolo regalino: questa cosa mi è venuta in mente leggendo la recensione scorsa di Lily e in un pomeriggio di noia totale mi ci sono messa.. vi dirò, mi sono anche impegnata XD Ho usato solo gli ultimi recensori, non me ne abbiano gli altri :O

http://justellet.deviantart.com/art/Leggero-Time-245161086

 

Fatemi sapere come al solito ^^

Noi ci becchiamo a random allora..vedrò quello che riuscirò a fare.. se non vedete il mio aggiornamento non disperate! Non ho abbandonato, semplicemente non ci sono!

Un bacione :)

 

PS: mi sa che ci darò un’altra leggiucchiatina appena avrò tempo u.u

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Capitolo 34
*** I Miss You ***


Perché quello che ti spacca

E ti fa fuori dentro

Forse parte proprio da chi sei

 

 

 

 

 

 

 

I Miss You

 

 

 

 

Kei chiuse la chiamata, osservando l’ora sul display del cellulare.

Aprì un messaggio non letto nella cartella ricevuti, scoprendo un ‘ciao..come va?’ di Mizuki, che ignorò senza pensarci troppo.

Parlare con Yuri gli faceva sempre venire nostalgia di Mosca, di casa sua, di alcune piccole abitudini che col periodo in Giappone aveva immancabilmente perso. Anche se non lo avrebbe ammesso apertamente, poi, gli mancavano lo stesso Yuri e gli altri: aveva sperato che sarebbero potuti venire per Natale, invece avrebbe dovuto sopportare l’affollamento dettato dalla squadra cinese e quella americana e tutti i festeggiamenti per quella festa in cui non credeva tutto da solo.

Loro lavoravano e non potevano assentarsi e nessuno aveva portato avanti la possibilità che fosse Kei ad andare a trovarli in Russia, probabilmente poiché tutti temevano che non avrebbe avuto il coraggio di lasciarla per una seconda volta.

 

Entrambe le persone con cui aveva parlato erano arrivate alla conclusione che lui provava qualcosa per Hilary e su questo poteva anche dargli ragione: non le era del tutto indifferente altrimenti l’avrebbe lasciata dopo neanche una settimana. Il problema era capire cosa.

Sicuramente Rei pensava che fosse amore e probabilmente anche Hilary se ne stava convincendo: Yuri, da persona più razionale e meno sentimentale, si limitava a parlare di affezione e Kei propendeva più per questa ipotesi.

In ogni caso cercò di fare chiarezza in questa confusione di sentimenti nella settimana successiva.

Tentò di avvicinarsi a Hilary dopo il loro scontro, ma lei sembrava essere davvero ferita: non sapeva se era riuscito a farsi perdonare interamente e da una parte sperava che non fosse così. La ragazza era visivamente più diffidente nei suoi confronti, anche se il peso dei sentimenti che aveva, quasi, ammesso di provare per lui potevano sempre farsi sentire.

Si sforzò lui e si sforzò lei, ma tutti si erano accorti che qualcosa non andava, come la giornata in gita, e ignorare quella crisi risultava più stupido che altro.

-Andiamo a fare un giro- sussurrò Kei impassibile a Hilary alla fine delle lezioni.

Si incamminarono silenziosi per le strade del quartiere, avvertendo nell’aria stessa il sentore di uno scontro, perché era l’unica cosa possibile per sbloccare la situazione: unica incertezza era l’esito di questo scontro.

Arrivarono al belvedere, luogo dove si fermarono automaticamente: si sedettero su una panchina, poiché l’erba era ancora umida per le piogge dei giorni precedenti.

Hilary si strinse nella giacca, infreddolita non solo dal vento che soffiava come per portarsi via novembre, in quelle ultime ore di quel mese grigio.

-Ho pensato a quello che è successo la settimana scorsa- iniziò Kei guardandola dritta negli occhi.

-Anche io- cercò di sillabare lei.

-Tutti i giorni sono arrivato alla stessa identica conclusione che credo sia la soluzione migliore per tutti..-

-Non farlo..- lo interruppe Hilary improvvisamente -..non prendere decisioni anche per me!-

-E’ una mia decisione-

-Non dirlo- disse lei scuotendo la testa.

-Ti sto lasciando- ribattè Kei calmo, osservandola trattenere il respiro e distogliere lo sguardo.

-Sai.. in una coppia si è in due.. prima di prendere decisioni si presume che questa coppia ne discuta insieme- affermò non senza tradire agitazione.

-I fatti mi sembrano chiari: tu provi qualcosa per me che se alimentato non può far altro che peggiorare.. non ho intenzione di dare adito a delle illusioni-

-Illusioni? Peggiorare? La smetti di parlarne come se fosse una cosa negativa?-

-Ma lo è-

-Solo perché ne sei completamente spaventato? Che ne sai che non lo provi già?-

-Non lo è per me.. dovresti riversarlo verso qualcuno che lo può davvero apprezzare-

-Non è a comando..- dibattè lei con un sorrisetto tutt’altro che divertito.

-Io non posso farlo.. non posso continuare-

-Tu non vuoi, che è diverso-

-Ci tengo a te..-

-E allora non farmi questo-

-..e non posso continuare a illuderti così-

-Che ne sai che in futuro non si sviluppino anche i tuoi sentimenti per me?-

-Perché non succederà-

-Sei impossibile..-

-Davvero io non capisco cosa ci trovi in me, cosa vedete tutti di così bello- esclamò Kei improvvisamente, perdendo un briciolo della sua impassibilità –non c’è nulla di tutto ciò, mettiti il cuore in pace-

-Non capisci che è troppo tardi?- alzò la voce lei.

-Lo sarebbe ancora di più dopo, è per questo che..-

-Kei, io ti amo e..-

-Io no-

Le due piccole parole gli suonarono cattive non appena le pronunciò, ma fu come togliersi un peso, si sentì liberato dall’obbligo di fingere, di tentare di essere qualcuno così diverso da se stesso.

Sospirò. I suoi occhi probabilmente non tradivano alcuna incertezza, poiché Hilary, nel fissarli, si zittì immediatamente. Quelle due sillabe le avevano procurato più dolore di tutte le altre frasi pronunciate fino a quel momento.

La ragazza si alzò dalla panchina lentamente, senza più guardarlo e se ne andò.

 

Era almeno riuscita a non piangere davanti  a lui: non gli avrebbe dato quella soddisfazione. L’improvviso pensiero che il pianto sarebbe stato, al contrario, un motivo di rammarico in più per il ragazzo le balenò nella mente, ma cercò di scacciarlo via. Non voleva pensare a lui in nessun modo.

Peccato che fosse impossibile: avrebbe potuto associargli qualsiasi cosa.

Era passata qualche ora da quelle parole che, se ci ripensava, ed eccome se ci ripensava, le rimbombavano in testa fredde come il ghiaccio: eppure il tono del ragazzo era uguale a quello di ogni altro giorno, ma non sapeva dargli altra connotazione.

Sentimenti contrastanti si susseguivano incessanti e sembrava impossibile gestirli tutti: nonostante avesse tentato in ogni modo, non era riuscita a nascondere alla madre il suo stato d’animo, avrebbe voluto nasconderlo, ma non ci riusciva e non poteva.

-Tesoro?- la signora Tachibana si affacciò cauta alla porta della sua camera –C’è Takao-

Hilary si asciugò velocemente le lacrime, ma era consapevole che l’effetto non sarebbe comunque stato dei migliori. Se Takao era andato a trovarla voleva dire solo una cosa: già sapeva, quindi perché disturbarsi a nascondere una cosa tanto palese. L’unico fattore che la disturbava era che, probabilmente, ne era venuto a conoscenza da Kei poiché lei non aveva ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, e si vergognò del proprio stato.

-Permesso?-

Il giapponese entrò lentamente nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Aveva un largo sorriso sul viso, ma stranamente non pieno della gioia che lo contraddistingueva: lo guardò per qualche secondo mentre si avvicinava cautamente al letto, ma non resistette a lungo, infatti Hilary si alzò velocemente e si buttò tra le sue braccia.

Takao la strinse: un abbraccio strano se paragonato a quello di Kei. Il giapponese era molto più basso e più goffo dell’altro, ma non per questo la sua stretta era meno rassicurante.

Scoppiò di nuovo a piangere rivolgendogli le sue scuse per lo stato in cui la vedeva, ma l’amico la tranquillizzò facendola sedere nuovamente sul letto di fronte a lui.

-Forza e coraggio- le sussurrò porgendole un pacchetto di fazzoletti trovato sulla scrivania.

Hilary si soffiò il naso, ma rimase zitta.

-Allora mi vuoi raccontare che è successo?-

-Non lo sai?-

-So solo che vi siete lasciati-

-Lui mi ha lasciato- sottolineò la ragazza.

-Ecco già mi mancava questo elemento-

Gli raccontò a grandi linee quello che le aveva detto Kei, ma non si sbilanciò troppo, ancora ferita, e si limitò a qualche commento colorito verso il ragazzo in questione.

-Non c’è possibilità che vi rimettiate insieme?-

-Se fosse per quel deficiente no- disse lei infervorata per poi rabbuiarsi nuovamente –mi aveva avvertita, me l’aveva detto, ma io stupida ci sono cascata comunque-

-Non sei stupida..-

-Pensavo non fosse possibile, che fosse lui ad esagerare con questa storia del non amare, ma che ne potevo sapere che per quello è realmente impossibile..-

-Ma è davvero impossibile che non ci riesca..-

-Lo pensavo anche io prima di conoscere lui-

-E’ solo diffidente-

-No, se la fa sotto-

-Per te prova qualcosa secondo me..-

-Non mi ama, me l’ha proprio detto-

-Potrebbe cambiare..-

-C’ho provato, ma è stato inutile.. come fa uno che non ama se stesso ad amare qualcun altro?-

-Che intendi dire?-

-Lui si odia-

-Non credo..-

-Si è fatto male in molti modi.. non lo considererei proprio la reincarnazione dell’amor proprio-

Hilary aveva lottato per diverso tempo con questa consapevolezza, ci aveva pensato diverse volte, ma non lo aveva mai confessato a nessuno: da una parte cercava di dare un perché a quei comportamenti, ma dall’altra aveva avuto la speranza di riuscire a cambiare lo stato delle cose, di essere la persona che lo avrebbe tirato fuori da quel circolo vizioso di dolore in cui si era intrappolato. Ma era stata sconfitta.

Si accoccolò ancora di più vicino a Takao.

 

Rei stranamente non aveva commentato: aveva ascoltato, aveva annuito e se ne era andato. Niente di più.

Che quello sarebbe stato l’inizio del suo allontanamento da tutti? Sapeva che prendendo quella decisione avrebbe dato vita a dissapori: in fondo Hilary era l’amica fidata e parte integrante del gruppo, probabilmente anche più di lui.

Una presenza alla sua destra lo fece voltare per vedere chi era uscito in giardino: Takao lo fissava, coprendo la luce cha arrivava dall’interno del dojo.

Si rivoltò aspirando il fumo dalla sigaretta.

-Non mi chiedi niente?- sapeva che era stato a casa di Hilary e quindi intuì quale doveva essere la domanda a cui si riferiva.

-Sarebbe un po’ ipocrita non trovi?-

-Forse, ma io lo considererei un gesto carino.. non per lei, ma per me..-

Kei rimase zitto, decidendo di non accontentarlo: in fondo chiedere come stesse la ragazza lo considerava davvero un gesto ipocrita.

-Non sta tanto bene.. i suoi sentimenti sono davvero reali..-

-Lo so- rispose laconico Kei sospirando.

-Secondo me stai sbagliando..- disse il giapponese piuttosto calmo, avanzando -..non dovresti lasciartela scappare-

-Meglio ora che dopo-

Takao lo guardò scettico per poi girarsi e dirigersi verso la porta.

-Dov’è tutto quello che mi avevi promesso nel caso io l’avessi fatta soffrire?- chiese con noncuranza Kei –Ora sta soffrendo no?-

Takao si fermò e lo guardò incerto.

-Sto sperando che tu cambi idea e comunque.. credo che tu ti stia già facendo del male da solo rifiutandola-

-Ragionevole- sussurrò l’altro con un sorrisetto, sentendo i passi dell’altro sparire all’interno del dojo.

Aveva davvero fatto la cosa sbagliata? Per la prima volta dopo giorni riusciva a rispondersi chiaramente di no. Quella era stata una decisione ponderata: Hilary avrebbe sofferto molto di più se l’avesse lasciata nei mesi successivi e se avesse continuato a fomentare le sue speranze, mentre lui era di nuovo da solo, condannato da se stesso. E quasi respirava.

Kei guardò l’ora: mezzanotte e tre minuti.

Dicembre era arrivato e si preannunciava come il solito, incasinato, odioso dicembre.

 

Nel week end Hilary non si fece vedere al dojo, come era comprensibile, ma comunque risultarono due giorni parecchio strani. Rei voleva andare a trovarla, ma Takao gli aveva riferito che lei non voleva vedere nessuno per un po’.

-Ma te l’ha detto proprio lei?- si informò il cinese mentre Takao metteva a posto la sua camera dopo le mille lamentele di Nonno J.

-Sì-

-Verrà a scuola domani?-

-Non lo so, stare chiusa in casa non la farà stare meglio, ma credo voglia evitare di vedere Kei-

-Capisco- Rei fece per andarsene, ma l’altro lo fermò.

-Senti Rei.. tu pensi che.. che Kei si odi?-

-Se Kei odia se stesso?-

-Sì-

-Non lo so.. ma come ti vengono in mente queste cose?-

-Me l’ha detto Hilary e mi ha fatto strano-

Il cinese rimase a rimuginare qualche secondo su quelle parole, ripensando alle varie occasioni in cui aveva parlato con il russo, ma non seppe comunque dare una risposta a quell’inaspettata domanda.

-Davvero non lo so, ma spero di no-

-Anche io.. altrimenti vorrebbe dire che non lo abbiamo aiutato in nessun modo-

 

-Lo sai che la scuola è da quella parte vero?- chiese retoricamente Rei all’amico, vedendolo imboccare una strada diversa.

-Oggi non vengo- rispose tranquillamente Kei.

-Perché?-

-Non ne ho voglia-

-Ma non puoi-

-Per un giorno.. cosa vuoi che succeda?-

Prima di riuscire a dibattere il ragazzo riprese a camminare e non si fermò ai suoi richiami: ponderò la possibilità di seguirlo, ma poi pensò che finalmente quella mattina avrebbe potuto vedere Hilary e, in quel momento, era lei la sua priorità.

Fortunatamente la trovò già seduta al suo banco: non li aveva aspettati come al solito all’incrocio tra le loro vie, un’altra abitudine modificata da quando lei e Kei si erano lasciati.

La salutò con un abbraccio e la scrutò attentamente: sembrava essere completamente normale, ma era ovvia la sua agitazione, soprattutto nel guardarsi intorno per capire se il russo sarebbe entrato da un momento all’altro. Solo quando le lezioni iniziarono tirò un sospiro di sollievo.

Rei valutò la possibilità che Kei avesse marinato scuola per lo stesso motivo, non vederla, ma questo poteva significare che lui ci soffrisse, oppure che sapeva quanto per lei sarebbe stato difficile. Erano probabili entrambe le opzioni.

-Non ti farai più vedere?- chiese Max a pranzo, più come supplica perché avvenisse il contrario, che per farla sentire in colpa.

-Ho solo bisogno di un po’ di tempo- rispose piano la ragazza con un mezzo sorriso –Ma parliamo di altro.. che avete fatto in questi due giorni?-

Per fortuna Takao accolse prontamente il cambio di discorso e la tenne occupata per un bel po’ con le sue chiacchiere e le sue solite frecciatine.

 

Vagò per qualche ora tra le vie di Tokio senza una reale meta, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa. Era dicembre e sarebbe presto arrivata: era sempre così, non era superstizioso, o almeno non troppo, ma ormai ci aveva fatto il callo. A dicembre qualcosa di brutto accadeva sempre.

Si rendeva conto dell’assurdità dei suoi pensieri, ma in qualche modo quella disgrazia incombente di cui non sapeva nulla era una specie di ancora alla quale si stava aggrappando. Ciò che stava cercando era capire chi fosse lui veramente e quella sua sfiga decembrina era una specie di legame con il Kei del passato.

Tutta la relazione con Hilary era stata una ricerca di un modo nuovo di vivere le giornate, di approcciarsi alle persone, di pensare, ma non aveva resistito: forse era scappato, forse aveva paura, forse aveva semplicemente seguito il corso degli eventi. Non importava come la pensassero gli altri, come la pensasse lui stesso, l’unico fatto realmente certo era quanto lui fosse rimasto uguale.

Uguale a se stesso, non tanto a quello che era stato negli ultimi anni: sia nel sue periodo della droga, sia in quei mesi in Giappone, era stato qualcosa di sbagliato per il suo reale modo di essere.

Tornò presto al dojo: senza inventare alcuna scusa disse semplicemente a Nonno J del fatto che non fosse andato a scuola e, come si aspettava, l’uomo si limitò a invitarlo a non prenderci l’abitudine.

Entrò in palestra e fissò lo stereo di Hilary: glielo avrebbe restituito, anche se lei, se aveva capito anche solo un briciolo di come la pensava, l’avrebbe lasciato lì.

Lo accese, ascoltò le note diffondersi nella stanza e lo rispense: staccò l’mp3 e lo collegò alle cuffie, poggiandole sulle proprie orecchie.

Lui, una palestra e la sua musica. Respirava.

 

-Puoi dire a Hilary che se non viene qui a causa mia, basta che me lo dite e mi vado a fare un giro?-

-Diglielo tu, scusa- rispose Rei alla frase di Kei.

-Non credo mi voglia nemmeno vedere-

-Prima o poi dovrete affrontarvi-

-Vabbè..- disse il russo facendo per girarsi.

-Mi avevi detto che eri alla ricerca di qualcosa che ti facesse sentire bene.. perché non potrebbe essere Hilary-

-Non posso forzarmi a stare bene-

-Ma tu stavi bene con lei, me l’hai detto-

-Nel modo sbagliato-

 

Il primo giorno che si rividero si ignorarono completamente: si scambiarono solo uno sguardo a inizio mattinata. Il secondo fu essenzialmente uguale, poi il terzo finalmente accennarono un saluto.

In realtà furono praticamente costretti dal professore di giapponese con la sua malsana abitudine di far lavorare le persone in gruppo.

Quel pomeriggio, poi, Hilary fu costretta a passare dal dojo per recuperare dei suoi quaderni, rimasti lì la settimana prima: fu così che ebbero il loro vero primo incontro.

-Come va?- chiese Kei, fermo nel vialetto a fumare, mentre lei usciva da casa Kinomiya.

-Cosa vuoi?- rispose astiosa.

-Vuoi riprenderti lo stereo?- disse il ragazzo piuttosto che rimanere senza battute.

-Tienilo pure.. te l’ho dato indipendentemente dal fatto che stessimo insieme-

-Senti..- aggiunse fermandola dopo che lo aveva superato -..non voglio che tu stia alla larga da qui solo per me, quindi se sono un problema dimmelo-

-Sei un problema, ma dovrò farci l’abitudine.. non ho intenzione di farti scenate, né di pregarti di tornare insieme, stai tranquillo..-

-Non è per questo-

-Senti.. non posso cambiare da un giorno all’altro quello che provo per te.. e prima o poi ti accorgerai del vuoto che ti stai creando attorno-

-Nel caso me lo sarò meritato-

-Cerca di superare il problema che hai con te stesso, poi inizia a pensare alle altre persone-

Lo guardò in tralice prima di voltarsi ed andarsene in modo da non permettergli di fermarla più.

 

Spense le luci.

Era notte fonda e tutti dormivano da diverse ore: era sceso al piano inferiore arrendendosi al fatto che non si sarebbe addormentato, sia perché non riusciva, sia perché non voleva.

Aveva azionato l’illuminazione solo per non andare a sbattere contro qualcosa e non fare rumore, ma una volta raggiunto il giardino fece in modo che l’oscurità avvolgesse nuovamente il tutto.

Guardò verso il cielo: le stelle e la mezza luna sembravano più vicine, che fosse così o se fosse la sua immaginazione non lo sapeva dire con certezza. Probabilmente entrambe.

Si sedette come sua abitudine sul legno, beandosi di quella pace irreale.

Pensò. A tutto e a niente, ma un pensiero in particolare lo attanagliava da diverse ore, una consapevolezza strana si faceva largo dentro di lui e gli mostrava quanto in realtà fosse fragile e solo. Sorrise spiazzato dell’effetto che quella notte gli stava procurando.

Eppure si era preparato.

Il display del cellulare si illuminò risvegliandolo: un messaggio in arrivo.

Sei sveglio?

Rispose affermativamente senza pensarci, attendendo.

Non dovette aspettare più di due minuti: il cellulare iniziò a vibrare annunciando questa volta una chiamata.

-Pronto-

-Ciao Kei-

La voce di Dana era probabilmente l’unica che avrebbe voluto ascoltare in quei minuti e la distorsione dettata dal microfono del telefono e dalla distanza non le rendeva giustizia.

-Notte strana eh?- chiese la ragazza in un sospiro.

-Bella in verità-

-Pensavo stessi dormendo.. è tardi lì-

-Invece lo sapevi che non dormivo-

-Ci speravo-

-Luna?-

-Non ce n’è-

-E’ qui-

-Ti fa compagnia-

-Come sei poetica-

-Sei da solo no?-

-Sì-

-Avresti bisogno di qualcuno con te ora-

-La luna basta-

Kei sentì dall’altro capo un singhiozzo nascosto malamente.

-Mi mancate-

Il ragazzo non rispose, ma tenne il cellulare attaccato all’orecchio, riprendendo a guardare verso il cielo, la schiena appoggiata a una colonnina.

Non parlarono: Kei sentì il pianto della ragazza consumarsi, per lasciare il posto al respiro pesante e controllato. Chiuse gli occhi immaginandola al suo fianco invece che dall’altra parte del mondo.

Era meno solo così.

Fossero stati insieme, l’avrebbe abbracciata per consolarla e poi baciato la fronte.

 

-Quando sarò triste potrò chiamarti?-

-A qualunque ora-

Ondeggiavano in mezzo alla pista, cercando di non scontrare le altre coppie e i bambini che correvano da una parte all’altra senza badare a niente e nessuno.

-Di quante ore è avanti il Giappone?-

-Sei-

Dana lo guardò negli occhi, per poi appoggiarsi al petto del ragazzo, una mano in quella dell’altro e l’altra sulla sua spalla, l’abito lungo e stretto che aveva appena cambiato dopo quello da sposa.

-Però non sarà la stessa cosa-

-Allora vai di immaginazione- disse lui con un sorrisetto.

-Mi rubi le battute?-

-Certo.. qualcuno mi dice sempre di chiudere gli occhi e immaginare una scena..- e le diede un bacio sulla fronte, mentre Anton gli passava accanto volteggiando con la nipote di sette anni tra le braccia, con un sorriso raggiante tutto rivolto alla sua neo moglie.

-Allora voglio immaginare questa-

-Con questa canzone?-

-Assolutamente.. canzone, atmosfera, vestiti- rise Dana facendo finta di sistemare la giacca elegante di Kei.

-Allora memorizziamo-

-Fatto-

-Fatto-

 

Iniziò a canticchiare la melodia della canzone che avevano danzato mesi prima, strappandole un sorriso.

Rivisse ancora per qualche minuto quella scena nella sua mente, prima di aprire nuovamente le palpebre, ancora rivolto verso il cielo, e vedere focalizzarsi davanti a sé nitidi due occhi azzurri privi di vita.

Scacciò l’immagine scuotendo la testa e portando la mano libera sul volto.

-Tutto bene?- domandò Dana, probabilmente avvertendo l’improvviso rumore dopo quei momenti di silenzio assoluto.

-Sì, solo..-

-Solo?-

-Fa male-

-Lo so..- ricadde il silenzio per qualche secondo -..danza ancora con me-

-Lo farei sempre-

-Fallo.. guai a te se smetti anche solo un secondo- lo ammonì dolcemente –Mio piccolo Kei forse è meglio se vai a dormire-

-Solo se non mi chiami mai più così-

-Ovviamente-

-Grazie che ci sei-

-Grazie che ci sei tu, grazie davvero-

Chiusero la chiamata.

Kei sapeva cosa significassero quei ringraziamenti: non per quella sera, per il conforto che si erano dati a vicenda, ma proprio per il fatto di esserci, essere presenti, essere vivi, essere ascoltati e essere aiutati.

Perché se lui non si fosse fatto aiutare, se non l’avesse ascoltata, probabilmente non sarebbe sopravvissuto, e nessuno come lei in quella notte particolare poteva essergli di conforto, non avrebbe permesso a nessun altro di condividere quelle ore.

Si diresse verso il piano di sopra, illuminando la strada con il cellulare: mancava un’ora o poco più all’alba e sperò vivamente che, una volta chiusi gli occhi, i fantasmi di quella stessa notte dell’anno prima non tornassero a perseguitarlo. Perché così li aveva visti quella notte quegli occhi, azzurri e privi di luce, ma non li voleva ricordare in nessun altro modo se non come tutte le altre notti dell’anno, se non come quella mattina, in quella scuola, su quelle scale antincendio. Sempre azzurri, ma vivi.

Peccato che non ci riuscisse.

 

Yuri gli aveva mandato un messaggio strano.

Questo non è un bel periodo per Kei. Stagli accanto, per favore.

Ovviamente aveva acconsentito, ma non per questo aveva compreso. Quella situazione se l’era creata da solo, prendendo delle decisioni di sua spontanea volontà, le quali sapeva a cosa avrebbero portato.

Si era persino stupito di quanto il rosso sapesse, considerando quanto poco Kei parlava di sé, persino a lui.

In ogni caso in quei giorni cercò di notare ogni sentore che potesse destare qualche allarme, ma l’unica stranezza era la sua stanchezza. Sembrava non aver chiuso occhio e quasi si addormentò sul banco: ovviamente era anche tornato scorbutico.

In tutto quel tempo sia Rei che gli altri erano rimasti vicini a Hilary e non avevano pensato altro che a lei come la parte lesa: nessuno aveva calcolato le reazioni di Kei, anche perché ostentava sicurezza e determinazione riguardo a quella scelta.

Conoscendolo, però, che altro si doveva aspettare? Una richiesta di aiuto, di un consiglio? No, non era nella sua indole.

Attese paziente un qualsiasi sintomo, ma non accadde nulla. Tentò un approccio, ma l’altro lo respinse, quindi non insistette.

 

La schiena aderiva con il parquet, la testa era piena di pensieri e dalle dita, per le mani, fino alle braccia, partivano disegni, movimenti, puri impulsi nati da note, immagini, suoni.

Il tatto, probabilmente il senso che preferiva.

La differente intensità tra lo sferzare l’aria e l’aderire alla terra, il calore dei muscoli e del corpo, la fatica e il sudore, tutto fuso.

Rimase ad assaporare l’immobilità in confronto al movimento di pochi secondi prima, quando sentì un movimento poco lontano da lui.

Aprì gli occhi e scorse Rei che lo scrutava dall’alto dicendo qualcosa.

Sfilò le cuffie per sentirlo.

-Cosa fai?-

-Nulla-

Il cinese lo guardò perplesso e si sedette a gambe incrociate, visto che il russo non sembrava intenzionato a muoversi dalla sua posizione supina.

-Hey..- iniziò Rei cercando di fare chiarezza -..non è che hai ripensamenti sulla storia di Hilary?-

Kei chiuse gli occhi e sospirò –Quante volte vi devo dire di no-

Sinceramente negli ultimi giorni non era riuscito a pensarci troppo, altri pensieri gli affollavano la testa portando in secondo piano la giapponese.

-Ah e Max ha comprato il regalo per Takao-

-Che regalo?- chiese il russo come cadendo dalle nuvole.

-Il suo compleanno.. tra qualche giorno!-

-Me l’ero dimenticato- ragionò Kei stupito, considerando quanto gli avevano rotto con tutti i preparativi per quella festa.

-Mi devo preoccupare?- chiese Rei ridendo.

-Ho solo altre cose per la testa- disse portando il pugno chiuso alla fronte.

-Riguardo?-

-E’..- iniziò pensando a che parole usare -..è un periodo particolare-

-Perché?- chiese Rei iniziando ad associare le parole dei due russi.

Kei rimase zitto qualche secondo prima di decidersi a parlare.

-L’anno scorso in questi giorni sono successe diverse cose- affermò mettendosi finalmente seduto.

-Che genere di cose?- indagò il cinese mentre la consapevolezza di aver interpretato male il messaggio di Yuri si faceva largo in lui.

-Oggi è il 13 dicembre.. un anno esatto fa mi sono fatto il mio ultimo buco-

-Non.. non lo sapevo-

-Non è una cosa che vado a sbandierare tipo compleanno-

-Beh ma si potrebbe anche festeggiare- disse il cinese.

-Non me la sentirei di festeggiare-

-Perché? E’ un traguardo e..-

-E sai perché ho smesso no? Cosa è successo-

Rei ragionò velocemente e un ricordo sfocato di un collage di fotografie in camera di Kei fece capolino nella sua testa.

-Me l’ero scordato.. mi dispiace-

Kei scosse la testa facendo spallucce.

-Quindi è anche un anno che è morta-

-Quattro giorni fa- ammise, mentre Rei lo guardava stupito.

-E tu stai bene?-

-Pensavo sarebbe stato meno.. meno..-

-Doloroso?-

-Forse-

-Smettila di affrontare queste cose da solo- esclamò il cinese con un tono dolce e comprensivo.

-Ho parlato con Dana-

-In ogni caso avere qualcuno vicino non fa male-

Kei nuovamente non rispose, iniziando a torturarsi le dita.

Rei spostò lo sguardo dopo tanto tempo sui segni negli incavi delle braccia dell’altro ai quali non aveva prestato più attenzione, ormai abituato alla loro vista. Era passato esattamente un anno, ma il nero si era sbiadito di poco.

-E’ per questo che odi dicembre?-

Kei annuì abbozzando un sorriso –E dicembre odia me.. sono sempre successe cose brutte in questo mese.. poi un anno dicembre me l’ha portata e un altro se l’è ripresa.. ammazzerà anche me-

-Non dire queste cose-

-Ci ho pensato tanto a questo.. forse le ho portato sfiga- disse fingendo un divertimento che evidentemente non provava.

-Tu ti senti in colpa- affermò Rei convinto: gli aveva posto la domanda mesi prima, se l’era dimenticato, ma non gli era stata data risposta, e se ora abbinava quel sentore che aveva provato alle parole del russo e a quelle di Takao di qualche giorno prima, poteva arrivare tranquillamente a quella conclusione.

Il russo guardò dritto davanti a sé senza proferir parola come in un muto consenso.

-Kei..-

-Hai mai visto morire qualcuno?-

-No, ma certe cose non si possono controllare-

-Ma io l’ho lasciata morire-

-Non devi..- Rei non sapeva più cosa dirgli per rassicurarlo, la sua convinzione sembrava radicata nel suo dolore, e non conosceva abbastanza elementi per dibattere efficacemente a quella follia.

-L’ho lasciata morire per due anni.. l’ho vista morire per due anni giorno per giorno-

-Ma non l’hai uccisa te-

-C’è differenza?-

-Credo proprio di sì- dibatté in panico -Quanti anni avevi? Eri piccolo.. sei, siamo piccoli.. non possiamo controllare tutte le vicende del mondo-

-Lo so.. so tutto quello che mi potresti dire per farmi capire quanto mi sbaglio, ma.. è più difficile metterlo in pratica-

-Provarci ne vale la pena-

-Me ne ero quasi convinto..- sospirò -è solo colpa del periodo-

-Allora riprova e non farti abbattere da una manciata di giornate no.. sei più forte di così.. devi solo ricordartelo-

Sperò davvero che quelle parole potessero bastare per tirarlo su.

Alla fine non aveva capito nulla delle parole di Yuri, le aveva fraintese, e il russo, anche a miglia e miglia di distanza aveva intuito che Kei non sarebbe stato bene emotivamente: pensò che l’unico modo per convincerlo ad affrontare questa serie di sensi di colpa fosse proprio la presenza del rosso, ma non era possibile. A Natale non poteva nemmeno venire da loro.

Lui da solo, però, poteva essere d’aiuto? Magari Hilary, che negli ultimi due mesi aveva avuto un’influenza positiva su Kei, poteva aiutarlo. Lei lo amava, ma non era ricambiata.

Fosse proprio questo il ragionamento dell’amico? Hilary lo avrebbe aiutato, ma si sarebbe così affezionata ancora di più e il distacco col tempo sarebbe stato sempre più doloroso. E sulla possibilità del russo di provare amore, iniziò a convincersi che, ora come ora, davvero non sarebbe accaduto; era troppo preso da se stesso, dai suoi problemi, dalla sua confusione per potersi dedicare a un’altra persona, per prendersi cura di lei, per amarla.

 

Per il compleanno di Takao andarono a mangiare fuori: erano una ventina, poiché il giapponese aveva invitato in pratica tutti quelli che conosceva.

Hilary stette alla larga da Kei portandosi sempre dalla parte opposta rispetto a lui, mentre il ragazzo cercava di starsene in disparte il più possibile.

Quei giorni si stavano rivelando sempre più strani: mai in tutto quell’anno di astinenza si era ritrovato a pensare al semplice gesto di preparare una siringa come in quel periodo, eppure erano tutte azioni così lontane, ma così vere. Sorrise e si schernì della sua stessa deficienza, seduto al tavolo intento ad armeggiare col cellulare per far passare il tempo.

Fece scorrere la lista dei messaggi rispondendo a uno di Dana di poche ore prima, fino a quando l’occhio non gli cadde su uno di settimane prima che aveva ignorato fino a quel momento: rispose con un ‘Bene, tu?’ e attese la risposta, per poi iniziare una lunga, muta conversazione.

 

Sorpresaaaaaaa!!!

Che poi tanto sorpresa non è perché l’avevo preannunciato su facebook, ma tralasciamo e facciamo che siete felici e contenti per questo nuovo aggiornamento in mezzo al nulla xD

Vabbè ho la connessione solo fuori di casa e intorno a me ci sono rumori sinistri che mi inquietano quindi vi lascio u.u

Risponderò alle vostre recensioni prometto! Intanto lasciatene pure di nuove! XD

Un bacione :)
ps: prossimo aggiornamento l'uno di settembre e da lì si tornerà all'aappuntamento settimanale :3 sempre che qualcuno ne abbia ancora voglia ^^

 

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Capitolo 35
*** It's A Fight ***


Perché quello che ti spacca

E ti fa fuori dentro

Forse parte proprio da chi sei

 

 

 

 

 

 

It’s A Fight

 

 

Arrivarono il 23. Rei e Max erano andati a prendere tutta la ciurma all’aeroporto.

Varcarono la porta del dojo nel tardo pomeriggio tutti insieme: loro due, Mao, Lai, Emily, Michael, Eddie e Steve.

-Ragazzi!- Takao al suo solito urlò e andò a salutare tutti i presenti calorosamente, invitandoli ad accomodarsi.

Stessa cosa fece Hilary che si concentrò maggiormente sulle due ragazze, abbracciandole.

-Meno male che sei arrivata! Rei ci stava facendo venire matti!- scherzò la giapponese con Mao, ancorata saldamente al braccio del suo ragazzo.

-Ma ci sei anche tu?!- esclamò Emily rivolta verso il soggiorno dove, sullo stipite, Kei guardava la scena impassibile, senza la minima intenzione di unirsi a quei saluti.

Si limitò ad annuire e seguitare a guardarli.

-Sono più di due anni che non ci vediamo..- si fece avanti Lai -..è un piacere rivederti- e gli porse la mano. Kei decise che un saluto del genere poteva benissimo starci e la strinse.

Passò al vaglio di tutti, cordiali e sorridenti, ma non appena incrociò lo sguardo di Michael ricordò perché gli stesse così antipatico: strafottente e pieno di sé, lo guardava con un ghigno e gli occhi indagatori. Aveva i capelli cortissimi, quasi rasati, e vestiva tutto firmato. Era il primo in quei mesi che arrivava alla sua altezza, a parte Eddie che lo superava di qualche centimetro.

-Venite.. ho preparato i futon- Takao fece gli onori di casa e li portò verso la palestra che sarebbe stata adibita a dormitorio per quei giorni.

Kei si scostò per lasciarli passare e quando fu il turno dell’americano questo lo fulminò con gli occhi, nemmeno fossero stati in guerra aperta per qualcosa di ignoto al russo.

 

-Certo che si è fatto figo Kei- ammise Emily alle due amiche, non comprendendo l’agitarsi di Mao, che iniziò a farle gesto di stare in silenzio. L’americana si guardò intorno per vedere se il russo fosse intorno a loro, ma non vedendolo continuò –Non che non promettesse già grandi cose da piccolo, ma così è proprio da..-

-State parlando di me?- Michael si frappose tra loro, avvolgendo le spalle di Emily e Hilary.

-No, di Kei e della sua figaggine- rispose la rossa facendogli la linguaccia.

-Perché guardare quello, quando potete avere questo splendore?- chiese retoricamente indicando se stesso, prima che Hilary lo mandasse a quel paese scostandosi.

-Che sei pazza?- bisbigliò Mao a Emily in modo che nessuno le potesse sentire.

-Perché?-

-Non parlare di Kei.. poi ti spiego-

Finirono di prendere possesso della palestra quando Nonno J annunciò che la cena era pronta e si diressero verso la sala da pranzo, accomodandosi alla grande tavola imbandita.

-Quindi sei in classe con i più piccoli?- Michael aveva iniziato a lanciare una serie di frecciatine a Kei da subito, ma l’altro non gli aveva ancora dato la soddisfazione di arrabbiarsi o rispondere a tono, mantenendo autocontrollo. Più che quelle battute, ciò che il russo non riusciva a sopportare erano le arie da grande uomo vissuto che si dava.

-Sapete l’altro giorno a che festa sono andato?- e prese a raccontare della villa di questo famoso regista e disquisire della sua parte nella soap opera di cui gli avevano parlato.

-Non lo fermeremo mai- sussurrò Eddie a Max seduto accanto a lui, facendosi chiaramente sentire da tutta la tavolata e provocando le risa dei presenti.

-E credo che quando tornerò mi presenteranno Austin- continuò inarrestabile Michael.

-Austin chi?- chiese Takao seduto di fronte a lui.

-L’attore, non mi ricordo il cognome- poi abbassò la voce per non farsi sentire –E’ ancora il preferito di Hilary?-

-Aah.. credo di sì- rispose Takao perplesso.

-Bene, devo ripartire alla conquista- disse l’altro fregandosi le mani.

Kei alzò lo sguardo dal piatto cogliendo quel frammento di conversazione e alzando un sopracciglio sorpreso: iniziò a collegare qualcosa, ma non indagò oltre.

Ci misero più di un’ora per finire di cenare e posare coltelli e forchette sazi.

-Ci vorrebbe un caffè- esclamò Steve.

Cori di approvazione si levarono da tutta la tavolata, ma nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi per prepararlo.

Kei colse al volo l’occasione e si propose: tutto pur di levarsi da quella sala, fare due passi, smettere di vedere cibo e di ascoltare Michael.

Ciò di cui non si accorse subito fu, però, che Hilary era in piedi intenta a prendere alcune stoviglie per liberare la tavola: avevano stretto un tacito accordo per cui lui avrebbe fatto di tutto per non starle tra i piedi e non crearle disagio durante la sua permanenza al dojo. Ciò comprendeva il non trovarsi mai da soli nella stessa stanza, limitare il contatto visivo e ancor meno quello fisico e verbale.

Quando anche la brunetta si accorse della situazione che si stava creando, sovvertì a tutte quelle regole, guardandolo dritto negli occhi in difficoltà.

-Dai a me- Max si era alzato improvvisamente, accortosi del disagio e aveva intimato all’amica di risedersi.

Finalmente nella cucina silenziosa, Kei tirò un sospiro di sollievo, avvertendo le voci degli altri ovattate, ridotte a un flusso incomprensibile.

-Stancante eh?- chiese Max sorridente iniziando a sistemare e aiutandolo a mettere su il caffè.

-Mh.. c’è un modo per far star zitto Michael?-

-Non credo!- rise il biondo.

-Perché ce l’ha con me?- chiese indifferente l’altro.

-L’hai notato anche tu, eh! Credo si senta minacciato..-

-Perché mai?-

-E’ abituato ad essere l’unico gallo del pollaio-

Kei lo guardò perplesso.

-Gli rubi la scena.. figurarsi quando scoprirà di te e Hilary-

-E’ con lui che stava?-

-Ah non lo sapevi?-

Il russo scosse la testa.

-Per poco meno di un mese l’estate scorsa..-

Di nuovo l’altro non rispose se non con un suono di evidente disapprovazione.

-Geloso?- provò il biondo.

-No, ma mi chiedo come facesse a piacergli uno del genere-

-Si vede che sono attratta costantemente da degli stronzi- la voce acida di Hilary arrivò alle loro spalle, portandoli a girarsi, per vedere la ragazza posare un’altra serie di piatti accompagnata da Mao.

-Colpito- sussurrò Kei con un mezzo sorriso, riprendendo la sua precedente occupazione.

 

-Mi volete spiegare?-

Emily, Mao e Hilary erano da sole in palestra sui loro futon a parlottare e la prima aveva approfittato per chiedere cosa le altre due le stessero nascondendo.

-E’ che..- iniziò la brunetta avvolgendosi le gambe con le braccia -..io e Kei siamo stati insieme-

-Cosa?- spalancò la bocca per la sorpresa, per poi rivolgersi a Mao –Perché tu lo sapevi e io no?-

-Perché me l’ha raccontato Rei-

-Perché non ce l’hai raccontato tu?-

-E’ successo tutto in fretta e poi non ci siamo più sentite quindi..-

-Ma aspetta.. ma ora è tutto finito?-

Hilary iniziò a raccontare alle due di quello che si erano perse e della relazione con Kei, inizio, sviluppi e fine.

-Quello è più complicato di una ragazza!- affermò la cinese convinta.

-Quindi l’avete fatto?- chiese l’americana concentrandosi su quel particolare.

-Sì-

-E te ne stai pentendo immagino..-

Hilary parve pensarci qualche secondo –Quello no.. era quello che volevo..-

-Ci stai ancora male eh?-

La brunetta annuì, avvolta dall’abbraccio delle due amiche.

-Dici che non c’è più possibilità che vi rimettiate?-

-Ho paura di no..-

-Quindi vorresti..-

-So che il problema non sono io, ma è lui..-

-Allora vediamo quello che riusciremo a fare.. con noi qua non ha scampo!- affermò Mao risoluta.

-Hil però ti devo avvertire..- iniziò titubante Emily.

-Riguardo?-  

-Michael.. credo abbia intenzione di riprovarci con te-

-Oh no, fermatelo per favore!- affermò ridendo insieme alle altre.

 

-Hai da accendere?- la voce di Eddie lo disturbò dai suoi personali momenti di pace.

Si voltò nell’ombra del giardino e porse l’accendino all’altro.

-Eccomi- dal dojo uscì anche Michael, andando incontro al suo compagno di squadra con una sigaretta tra le dita.

Lo stava perseguitando, doveva ammetterlo. Riprese l’accendino, ma non riuscì a rilassarsi, poiché l’americano tanto odiato iniziò nuovamente a parlare a macchinetta.

Cercò di ignorarlo, non ascoltando una parola di quelle che gli uscivano dalla bocca, senza prestare nemmeno attenzione a eventuali frecciatine.

Tirò fuori dalla tasca il cellulare esasperato: non aveva mai messaggiato così tanto come in quella serata, tutto pur di non sentirlo.

Sicuro di non poter allontanarti qualche ora?

Hai vinto.. Va bene qualsiasi cosa

Perfetto.. allora domani alle 3 in centro

 

-Certo che ti fai desiderare-

Si erano incontrati nel luogo che avevano frequentato quell’estate e avevano iniziato a camminare per le vie addobbate a festa.

-Perché?-

-Un mese per rispondere a un messaggio e più di una settimana per convincerti a vederci-

Kei fece spallucce –Dove devi andare?-

-A comprare il regalo per il mio ragazzo-

-E ci porti me?-

-Che ci andavo da sola?- rise Mizuki.

Era letteralmente scappato dal dojo: era bastata una serata e poche ore della mattina per fargli perdere completamente la pazienza. Si era defilato senza troppe spiegazioni per passare almeno la vigilia lontano da loro.

-Lo conosco?-

-No, è di scuola-

-Naoki?-

-Ma che sei pazzo? Con lui sono resistita una settimana, poi l’ho di nuovo mandato a quel paese-

-E con questo da quanto ci stai?-

-Un mese e mezzo.. sto migliorando vero?- rise lei –Tu sei impegnato?-

-No-

-Dopo di me qualche relazione?-

-Una-

-Durata?-

-Due mesi e mezzo circa-

-Allora sei migliorato anche tu! Perché vi siete lasciati?-

-Stava diventando troppo seria-

-Capito.. ecco entriamo qui..-

Entrarono in un negozio di abbigliamento e iniziarono a vagare tra gli espositori, fino a che Mizuki non trovò il regalo adatto e lo andò a pagare.

-Dopo che vuoi fare?- chiese la ragazza uscendo.

-Tenermi alla larga da quel branco di pazzi-

-Se vuoi andiamo a casa mia-

-Hai il ragazzo- le fece notare.

-E beh?- rise maliziosa.

-Sarebbe tradire-

-Già-

-Hai mai sentito la parola ‘troia’?-

-Sì qualche volta- e inspiegabilmente rise.

-Se facessimo solo un giro?- chiese lui.

-Mi sta bene- affermò riprendendo a camminare.

 

-Vi siete auto-dedicati un altarino?- chiese Lai ridendo, riferendosi alla credenza con le foto e gli articoli del campionato mondiale, non appena Rei spostò la tovaglia che lo copriva.

-L’ha fatto Takao-

-Che idea carina!- esclamò Mao di fianco al fratello.

-A proposito quando si fa una partitina?- si intromise Michael dal divano.

-Quando volete- disse la voce entusiasta di Takao, inserito di buona lena nel discorso.

-Ma perché c’è Dranzer?- riprese Lai.

-Non ricordarmelo- il giapponese assunse una posa e un tono da tragedia greca.

-Di cosa stai parlando?- lo incalzò l’americano avvicinandosi agli altri per controllare.

-Kei non gioca più-

-E’ pazzo?- si unì Emily.

-Quello che ho detto subito anche io!- continuò raggiante Takao –Ho provato a fargli cambiare idea, ma non c’è stato verso.. ora balla, invece che gareggiare con Dranzer, non ci volevo credere e non lo volevo accettare, ma..-

-Aspetta.. cosa fa adesso?- si informò Michael guardandolo in un modo strano che, però, l’altro non colse, troppo impegnato nella sua filippica.

-Balla!-

L’americano ghignò, incrociando lo sguardo severo di Rei, ma lo ignorò.

-E quindi ora Dranzer se ne sta chiuso qui?- disse Emily ignorando il resto del discorso.

-Sapessi prima..- e il giapponese riprese il vecchio discorso della scatola esasperando i suoi coinquilini.

 

Erano entrati in un centro commerciale situato in un grande palazzo e stavano riscendendo con le scale mobili, dopo aver mangiato qualcosa al bar all’ultimo piano.

Attraversarono una serie di relle piene di vestiti da donna che Mizuki guardò distrattamente, quando la radio del negozio trasmise le prime note di una canzone: la ragazza si rizzò di colpo e guardò Kei ridendo. Iniziò a cantare la strofa e a muovere la testa a tempo.

Il ragazzo la guardò divertito poiché una signora la fulminò per il tono troppo alto di voce. Mizuki accennò qualche semplice passo per tenere il tempo, sempre sorridendo.

-Su, a Kanye non si può dire di no!- rise per poi riprendere a cantare, alzando le braccia al cielo –Welcome to the good life-

-Sei pazza- constatò Kei divertito.

-Uh- Mizuki riprese a camminare, ma si fermò nuovamente di colpo come ricordando improvvisamente qualcosa –Balli ancora vero?-

-Perché?-

-Non so se ti ricordi di Ryo..-

Kei ci pensò su, ma non avendo perso la sua assente predisposizione nel ricordarsi i nomi scosse la testa.

-Forse l’hai visto solo una volta perché quest’anno è stato sempre in giro.. sai lui ora insegna in una scuola in centro, è bravissimo! S’è messo a lavorare proprio come ballerino..-

Il russo la fissò cercando di capire dove volesse arrivare.

-Io ho iniziato il corso con lui.. non è che ti va di venire qualche volta?- lo guardò in attesa, ma riprese a parlare entusiasta –Non fa break, quella anche lui dice che è da imparare in strada, ma è forte anche del resto-

-Sembri una fan scatenata-

-Beh è un figo.. ma non cambiare discorso..-

-Sbaglio o eri tu che dicevi che ballare in palestra era da snob?-

-Ho cambiato idea- disse facendogli la linguaccia -Allora ti va?-

-Non fa per me- rispose risoluto.

-Peccato.. hai sempre la tua palestrina personale?- lo prese in giro Mizuki.

-In verità per questi giorni è diventata un dormitorio- rispose con disprezzo.

-Futon e pigiama party?-

Kei fece una tremenda imitazione di una risata –E’ una tragedia-

-Ma sono così terribili questi?-

-Per me sì-

-Vabbè se cambi idea basta che me lo dici.. e poi se vuoi sai che posso liquidare il mio ragazzo con qualche scusa-

-Sei tremenda- scosse la testa e la convinse a spostarsi dal reparto per uscire di nuovo in strada.

-Comunque stai meglio così- aggiunse lei prima di salutarsi.

-Così come?-

-Senza piercing- riferendosi al sopracciglio ormai da settimane senza alcun abbellimento.

 

-E farlo ingelosire usando Michael?-

-Non se ne parla proprio-

-Perché dai?-

-Non voglio più avere nulla a che fare con Michael-

-Secondo me potrebbe funzionare.. già non si sopportano.. è perfetto-

-Sono abbastanza rassegnata.. non credo funzionerebbe-

-Non dire così.. dobbiamo far trionfare l’amore!-

-Mao, so che sei nel pieno della felicità, ma Kei non è Rei.. è molto, ma molto più complicato!-

Non riusciva nemmeno a guardarlo, figurarsi tentare di riconquistarlo: si chiese se non fosse stato meglio lasciar perdere quella illusione quando ne aveva avuto la possibilità, prima che quella sera lui la baciasse, o se vivere quella favola in quei due mesi in fondo ne era valsa la pena. Poteva associare tutta quella situazione alla storia dei rimpianti? E’ meglio rimpiangere di averci provato o di non averlo fatto?

Lo avrebbe mai capito? Forse solo se fosse riuscita a lasciarselo alle spalle.

 

Natale è una festa particolare: in molte parti del mondo il 25 dicembre, che sia per culto religioso, per abitudine o per semplice aggregazione al consumismo, le persone si riuniscono per scambiarsi regali e auguri.

Nel dojo Kinomiya si aveva proprio una situazione tale, ma a parte i motivi fondanti, ciò che li spingeva a festeggiare era il divertirsi e lo stare insieme come una grande famiglia allargata.

Si risvegliarono di buonumore, augurandosi fin dai primi sbadigli calorosi ‘Buon Natale’ e iniziando a contribuire alla preparazione del ricco pranzo: Hilary sarebbe arrivata solo al momento di mangiare poiché i suoi avevano insistito per vederla almeno per la mattinata, mentre Nonno J era andato a prendere il padre e il fratello di Takao all’aeroporto.

Ovviamente l’atmosfera festosa non aveva contagiato Kei, che, alzandosi, si stava ancora chiedendo perché anche lui si era dovuto trasferire in palestra e non poteva approfittare della camera solitaria al piano di sopra. La palestra conciata a quel modo gli metteva tristezza.

Natale, poi, per lui era uguale a una scocciatura.

Quello sarebbe stato il primo anno probabilmente che lo avrebbe festeggiato veramente.

La giornata procedette piuttosto lenta: le ore non si decidevano a passare e l’ora di pranzo era praticamente irraggiungibile. Solo quando la famiglia Kinomiya al completo varcò la porta si poté iniziare con le diverse portate.

Takao risultava il più allegro e spensierato di tutti, felice per l’arrivo del padre e del fratello e per il fatidico momento dell’apertura dei regali.

In realtà ognuno sembrava essere tornato bambino alla vista dei pacchetti sotto l’albero di Natale della sala. Solo una volta a tavola ripresero i soliti discorsi e le solite battute.

 

-Devi lasciare in pace Hilary- Emily aveva preso in disparte Michael: l’amica le aveva chiesto il piacere di farlo desistere dal suo scopo originario e non aveva potuto ignorarla.

-Cosa stai dicendo?-

-Ha capito come sei.. non vuole averti tra i piedi-

-Come fai ad esserne così sicura?-

-Me l’ha detto..-

-Magari ti ha mentito- disse il ragazzo gonfiando il petto.

-Ti assicuro di no.. mi dispiace, ma pensa a un altro- capì che l’unico modo era dire la verità.

-E chi sarebbe?- finalmente la degnò di attenzione seriamente.

-Non te lo dico!-

-Dai Em, siamo amici-

-Sono amica anche di Hilary- tentò lei di difendersi, ma con scarsi risultati.

-Se me lo dici la lascio perdere..-

-Promettilo-

-Croce sul cuore- fece il ragazzo con espressione angelica.

-Kei- Emily sospirò prima di pronunciare quel nome e raccontare a grandi linea la relazione che legava i due ragazzi.

-Cosa?-

-Hai capito bene-

-Quel..-

-Ora la lasci in pace-

-Non lo sopporto..- aveva promesso di non provarci con Hilary e forse avrebbe mantenuto la parola, ma nessuno aveva menzionato Kei: quel russo non riusciva proprio a reggerlo, si era appena riunito al gruppo e già gli aveva rovinato la piazza. Non poteva perdonarglielo.

 

Takao, preso dall’euforia, si fece convincere senza fare storie ad aiutare a mettere a posto la sala da pranzo da tutta la confusione: portò una serie di scatole al piano di sopra accompagnato da Hilary.

-Allora come sta andando?- chiese all’amica sorridendo.

-Mi sembra che sia stata una festa fantastica-

-Intendo con.. tu-sai-chi-

-Non è mica l’innominabile..- rise lei non del tutto convinta delle sue stesse parole –comunque direi che va avanti abbastanza indifferente-

Entrarono nella camera del giapponese e posarono i grossi pacchi.

-Mao e Emily pensano che dovrei usare la tattica della gelosia..- iniziò incerta Hilary.

-Con chi?-

-Michael..-

-Ah.. ne sei proprio sicura?-

-Affatto, solo che..-

-Cosa pensi di ottenere?- chiese dolcemente, cercando di capire le motivazioni.

-Forse.. se fosse geloso capirebbe quanto tiene a me..-

-Non so Hilary..-

-Sono perplessa anche io.. soprattutto sul soggetto-

-Intendi Michael? Per quello, lui mi ha detto che vuole provarci di nuovo-

-Lo so, ma.. lo fa per motivi tremendi..-

-Sarebbe?-

-Si diverte a conquistare.. e qui sono l’unica ragazza disponibile: Mao sta con Rei e Emily è sua compagna di squadra-

-Non dire così..-

-Ormai l’ho capito..-

-Comunque non penso che funzionerebbe.. Kei non ragiona propriamente come noi comuni mortali-

-Appunto..-

-Fai come credi, ma io non sono convinto della riuscita.. e non voglio vederti soffrire ancora-

Hilary sospirò, perché il pensiero del ragazzo era simile al suo e le stava dando la conferma che cercava, di quanto quella tattica sarebbe stata inconcludente, ma soprattutto dolorosa. Eppure non riusciva a fare a meno di prenderla in considerazione.

 

-E questo?- chiese l’americano la sera riunito con gli altri, troppo pieni per osare anche solo pensare alla cena, notando un particolare che era rimasto nascosto alla sua vista per quei giorni, in un angolo della palestra.

-E’ uno stereo, Michael- rispose ovviamente Emily, perplessa.

-Grazie della consulenza..- continuò ironico -..ma intendevo, non è che sarà della nostra ballerina?-

Il ragazzo si premurò di alzare la voce, per farsi sentire da tutti i presenti impegnati in altre faccende, ma soprattutto per farsi sentire da uno di loro.

Chi colse il riferimento iniziò a spostare lo sguardo da Michael a Kei, aspettando la prossima mossa di uno dei due: il russo, però, sembrava non ascoltare nemmeno, così l’altro, non contento, gli si avvicinò.

-Chissà, se mi guardassi un po’ in giro magari potrei trovare pure tutù e scarpette?-

-Che cazzo vuoi?- Kei si voltò con sguardo glaciale, trovandosi esattamente di fronte all’americano.

-Solo farti sapere quanto apprezzi che ti sia dato al balletto- rise in risposta.

-Si può sapere perché ce l’hai con me?- chiese il russo ignorando il contenuto del discorso, ma concentrandosi sul fatto che continuasse imperterrito a innervosirlo.

-Mi stai sul cazzo-

-Bene, è reciproco.. ora levati-

Di nuovo il ragazzo tentò di riprendere a ignorarlo, ma Michael non era dello stesso avviso.

-Ooh sei diventato proprio una femminuccia..- iniziò con un sorrisetto di scherno -..lo dai ancora il culo?-

In una manciata di secondi l’immobilità della palestra fu scossa: Kei si avventò su Michael, bloccandolo al muro pochi passi dietro di lui e tenendolo per il colletto, mentre Eddie e Rei si avvicinarono per smussare l’eventuale rissa, bloccando giusto in tempo il braccio alzato del russo, e gli altri si rizzarono attenti.

-Calma..- cercò di stemperare il cinese: quei due era da giorni che rischiavano di arrivare alle mani, ma sapeva che, nel caso fosse successo, l’amico non si sarebbe tirato indietro considerando il suo passato da teppista e la rabbia nei suoi occhi.

-Dì ancora una parola e sei morto- scandì Kei, abbandonando il piano originale e limitandosi a allentare la presa per risbatterlo contro la parete.

Fece per girarsi, cercando di ignorare gli occhi di Michael che si stringevano a due fessure e il crescere del suo immancabile ghigno.

-Non ne hai il coraggio..- riprese in un sussurro -..fai proprio la puttana isterica-

Un tonfo: Eddie non aveva fatto in tempo a trattenerlo, che Kei aveva tirato un forte cazzotto sul volto dell’americano, il quale sbatté nuovamente contro il muro e fu spinto verso terra. Steve accorse per fermare il russo, mentre Rei cercò di far restare Michael dov’era.

-Lasciami- sibilò Kei ottenendo di muoversi liberamente e di prendere la porta.

-Kei!- Rei lo inseguì attraverso le altre stanze fino all’ingresso del dojo –Fermati-

-Rei stammi lontano che non è il momento- ma l’altro non desistette –ricorda che ne devo uno anche a te-

 

Un locale, musica alta da spaccare i timpani e alcool. Questa era stata la soluzione adottata da Kei: aveva raggiunto Mizuki che era insieme al suo ragazzo e un gruppo di amici, ma si era fermato giusto il tempo di bere qualcosa, ballare con la ragazza in un angolo appartato del locale e fare in modo che tradisse la sua dolce  metà con non più di un bacio non proprio casto.

Alla fine tornò abbastanza presto al dojo, ma non entrò: si fermò sui pochi gradini che conducevano alla porta d’entrata e si accese una sigaretta in attesa.

Uno spiraglio di luce alle sue spalle annunciò che la porta si era aperta e una persona era uscita. Il ritorno dell’oscurità, pochi passi e vide Rei sedersi di fianco a lui.

-Da quanto sei qui?-

-Un po’-

-Fa freddo.. perché non sei entrato?-

-Aspettavo non ci fosse più nessuno alzato- confessò bisbigliando.

-Sono tutti a dormire, eravamo solo io e Mao-

-Allora dovresti tornare dentro-

-Kei..-

-Che vuoi?-

-Non c’è una sola persona che abbia dato ragione a Michael.. anzi gli si sono avventati contro e..-

-Sai cosa me ne faccio- lo interruppe e rimase in silenzio il tempo di fumare metà della sua sigaretta –Perché tutti dovete tirare fuori sempre questa cosa?- chiese infine –Lo hai fatto anche tu.. spiegamelo-

Il motivo per cui non dava il tempo alle persone di conoscerlo era proprio quello: per evitare ritorsioni. Si circondava di persone, di ragazze principalmente, delle quali si liberava dopo un breve periodo, quando iniziavano a fare troppe domande. Non voleva che nessuno fosse in possesso di informazioni contro di lui.

-Per quanto riguarda Michael penso che cercasse qualcosa per ferirti ed è andato a colpo sicuro-

-E tu?-

-Per stupidità- disse abbassando il capo –Se darmi quel famoso cazzotto ti fa sentire meglio, fai pure-

Kei scosse la testa finendo la sigaretta.

-Ne darei un altro a Michael però-

-Direi che l’atmosfera natalizia se n’è andata-

-C’è mai stata?- chiese il russo ironico.

-Guarda che Natale è semplicemente stare insieme alle persone a cui vuoi bene-

-Appunto..- bisbigliò con una nota di scetticismo nella voce.

-Cosa fate voi per Natale? Tu, Yuri e gli altri?-

-Niente.. al monastero non si festeggiava, nella casa famiglia c’era stato un accenno squallido di festeggiamento- pensò qualche secondo ai natali che gli mancavano –Due anni fa credo di essere stato strafatto, mentre l’anno scorso ero in crisi d’astinenza-

-Ah.. forse allora ti meritavi un Natale migliore.. ci rifaremo il prossimo-

-Preferirei di no-

-Perché?-

-Sarà pur sempre dicembre- disse accennando un sorriso.

-E supereremo anche questa cosa!- esclamò battendo il pugno chiuso sull’altro palmo –Ora vieni dentro dai-

-Raggiungi Mao.. io aspetto ancora un po’-

-E cosa aspetti?- chiese Rei confuso.

-Un’illuminazione- rispose esasperato, dandogli una spinta verso l’ingresso –E vai!-

-Ok, ok!-

Kei ragionò che realmente aspettare un’illuminazione non sarebbe stato male, in fondo ne aveva bisogno, sapere che cosa andava cercando, che cosa gli mancasse nella vita, perché quello che aveva ricevuto non gli era bastato.

Nel frattempo avrebbe solo aspettato il momento giusto per entrare.

 

Era riuscita a estorcere informazioni a Rei, Max e Takao con tanta pazienza e tanta forza di volontà, poiché i tre erano restii a raccontare: già da quando Kei era arrivato a giugno le era stata spiegata la sua situazione e il suo passato difficile, ma nessuno si era mai soffermato sui particolari. Solo il russo stesso si era dilungato di qualche parola su alcuni episodi, ma nessuno aveva mai fatto riferimento a quel piccolo particolare. E non poteva certo biasimare nessuno.

La sera prima, dopo il litigio tra Kei e Michael, era dovuta tornare a casa, ma la mattina, non appena arrivò al dojo, andò a cercare il suo ex.

Come supponeva, non aveva dormito in palestra con gli altri: conoscendolo non si sarebbe stupita se non si fosse più fatto vedere da nessuno.

Hilary decise di cercarlo e mettere da parte i suoi rancori per qualche minuto, giusto il necessario per accertarsi dello stato del russo: poteva essere in collera quanto voleva, riuscire a evitarlo, ma  non poteva spegnere da un momento all’altro i sentimenti che provava per lui e la preoccupazione che ne derivava.

Bussò lievemente alla porta della ormai familiare camera di Kei. Nessuno rispose, ma abbassò comunque la maniglia per varcare la soglia.

Il ragazzo era sdraiato sul letto con le braccia dietro la testa e le cuffie sulle orecchie.

La brunetta sospirò trovando quella scena fin troppo familiare e piacevole; richiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò, sedendosi a fianco a lui sul materasso: solo quando fu nella sua visuale, Kei si accorse della sua presenza e si sfilò le cuffie.

-Hey- sussurrò Hilary, mentre le due ametiste dell’altro la scrutavano in attesa –Come stai?-

-Normale- rispose lui senza colori nella voce.

Non resistette: senza accorgersene la ragazza posò una mano sul ginocchio piegato del ragazzo in una carezza. Non riuscì a interrompere quel gesto, mentre Kei sembrò non essersene nemmeno accorto.

-Senti, Michael è un..-

-Volevi dirmi qualcos’altro, oltre che insultare Michael?- la interruppe.

-No, volevo solo accertarmi che..- lei lo guardò negli occhi inespressivi e cambiò rotta -..fa niente-

Kei sospirò e si mise a sedere, trovandosi pericolosamente vicino alla ragazza –Scusa.. non voglio sentire parlare di questa storia, né di Michael.. tutto qui-

Si guardarono per alcuni secondi negli occhi in silenzio.

-Sai, ce l’ho con te non tanto perché mi hai ferita..- iniziò Hilary, leggendo indifferenza e apatia in quelle iridi tanto amate -..ce l’ho con te per il male che ti procuri-

-Doppio motivo.. sempre meglio-

-Non scherzare.. sai bene di cosa parlo-

-Non riesci proprio ad andare oltre?- chiese lui con distacco.

-In questo momento no.. un giorno forse-

-Sicuramente- annuì Kei –E’ tutto?-

-Sì- non poteva stare ancora un minuto di più a così poca distanza dall’altro senza sentire il cuore battere prepotente, non tanto per la felicità di averla accanto, ma per la consapevolezza della distanza che si era creata. Nostalgia del mese precedente, di gesti e di abitudini.

Si alzò in fretta e lo salutò di sfuggita, senza neanche guardarlo.

 

I giorni successivi trascorsero alquanto tranquilli dopo l’episodio di Natale: Michael aveva già iniziato a meditare vendetta dopo pochi minuti da quando Kei se ne era andato, ma Eddie e Steve lo avevano convinto a ragionare e desistere, poiché, come gli ripeterono, quell’occhio nero se lo era meritato e doveva ringraziare se il russo si era limitato a quello. Di conseguenza non mise mai in atto il piano che aveva studiato per attaccare bottone con Hilary, questa volta consigliato da Emily.

Si limitò esclusivamente a lamentarsi della quantità di trucco che avrebbe dovuto utilizzare per coprire quel segno violaceo.

Gli adulti del dojo non erano stati informati di quello scontro, ma avevano notato subito uno strano gelo tra i ragazzi.

Kei, dal canto suo, ignorò tutto e tutti, concedendo solo la sua presenza. Chi tentava di approcciarsi a lui veniva respinto o liquidato con pochi cenni o, quando era fortunato, parole. Non si aspettava delle scuse dall’americano, nonostante avesse sentito qualcuno intimargli di fargliele: in ogni caso non le avrebbe accettate, o comunque era meglio se Michael stesse a una distanza di sicurezza da lui.

In ogni caso furono proprio gli All Stars i primi a ripartire: avevano l’aereo il 30 dicembre e solo Lai e Mao si apprestavano a trascorrere il Capodanno in Giappone.

L’affollamento del dojo era diminuito e decisero che quello era il momento di tornare a dormire in dei letti: si dovettero comunque stringere e Rei e Takao si ritrovarono a condividere la stanza, il primo con Lai, il secondo con Hitoshi, mentre Mao veniva sistemata nella camera a piano terra.

Il 31 dicembre lo passarono cenando in casa e poi uscirono per unirsi ai festeggiamenti in piazza: il Natale e i suoi avvenimenti erano stati lasciali alle spalle e ignorati per permettere di trascorrere gli ultimi giorni insieme serenamente. Soprattutto Takao che assaporava la rara riunione della sua famiglia e Rei che voleva passare più tempo possibile insieme alla sua ragazza, prima di lasciarla ripartire per la Cina e allontanarsi nuovamente da lui.

Max e Kei si adeguarono alla serenità degli altri due, il primo sinceramente, il secondo più per sopravvivenza; Hilary sembrava iniziare a ignorare più facilmente il russo e evitarlo era diventata la sua specialità.

-Quindi nessun piano in vista?- si era informata Mao con la sua amica, ottenendo solo una risposta negativa.

La cinese aveva, però, insistito con Rei perché cercasse di far qualcosa, almeno capire se davvero da parte di Kei non c’era alcuna possibilità che quei due si rimettessero insieme: non sopportava che qualcun altro soffrisse per amore quando per lei quel sentimento era fonte di così tante gioie.

Rei, dal canto suo, aveva cercato di farle capire quanto un riavvicinamento sarebbe stato improbabile, ma per lei avrebbe fatto qualunque cosa, anche tentare l’impossibile.

Quanto, però, l’impossibile fosse tale lo scoprì una sera: stava attraversando il corridoio del piano superiore quando, passando davanti alla camera di Kei, lo scorse all’interno intento a prepararsi per uscire.

-Dove vai di bello?-

-In giro..-

-Un luogo più definito?- tentò scocciato dalla solita tendenza di non fornire alcun dettaglio.

-Non so, mi portano..-

Lo fissò, non ricambiato, cercare di mettersi i capelli, ormai ricresciuti, in ordine.

-Esci per caso con una ragazza?-

-Sì, Mizuki?-

-Quella Mizuki?-

-Conosciamo altre Mizuki?-

Rei si rispose ovviamente di no: già una bastava.

-Quindi ti sei rimesso con lei?-

-No, ha il ragazzo-

-E perché esci con lei?-

-Esco con lei, il suo ragazzo e i suoi amici-

-Ah- riuscì solo a dire ripensando al soggetto in questione: non era proprio quella che lui chiamava ‘brava ragazza’, anzi.

Lo lasciò uscire e non potè fare a meno di ritrovarsi sempre più scettico riguardo alle speranze e alle convinzioni di Mao.

 

-Mi ha mollato-

Mizuki lo accolse così quella sera.

-Perché mai?- chiese ironico: era questione di tempo prima che il ragazzo si rendesse conto della vera natura della persona con cui stava e non c’era da stupirsi che, appena avesse scoperto di quante corna gli erano spuntate sulla testa, la sua reazione sarebbe stata quella di lasciarla.

Perché continuasse a frequentare una persona di cui avesse un’opinione e una stima così bassa, Kei non se lo sapeva spiegare. Ripensandoci però non aveva una grande opinione neanche di se stesso quindi poteva andare benissimo così.

-Un suo amico gli ha detto che ho baciato Kris.. cioè, per quello mi ha lasciato- rispose scioccata come se la motivazione non fosse stata valida.

-Pensa se avesse scoperto degli altri- scherzò Kei.

Tirare su il morale della ragazza si rivelò sempre più facile man mano che le ore passavano: si erano incontrati con un gruppo di amici di lei e avevano iniziato a fare il giro di alcuni locali. Era realmente dispiaciuta di aver concluso quella relazione, ma questo non le privò di comportarsi come al solito.

Tentò più e più volte, come aveva fatto nelle settimane precedenti, di convincere Kei ad andare a letto con lei.

-Ora sono ufficialmente single, non c’è nulla di male-

-Da quante ore lo sei? Cinque massimo..-

-E allora?- Si avvicinava sempre di più ad ogni parola, seduti al tavolino di un locale piuttosto buio –E poi da quant’è che stai in astinenza? Non mi starai diventando un puritano, spero!-

Kei, ovviamente, desistette; nonostante la pazienza e la resistenza era pur sempre un ragazzo con qualcuno disponibile al suo fianco e un bagno a relativamente poca distanza.

-Preferirei non venire a letto con te- le disse, però, mentre tornavano verso casa.

-Mica ti sto chiedendo una relazione- si difese Mizuki.

-Lo so, ma mi andava bene come stavamo fino a stasera-

-Non ti piaccio più?-

-No, solo che questa cosa che ci vedevamo anche senza sesso non era male- cercò di spiegarsi Kei –Tu puoi sempre andare a letto con altri e io pure-

-Capito- disse lei convinta –Mi sta bene, sono felice di averti convinto stasera allora-

Camminarono fino al punto dove si sarebbero dovuti dividere e si salutarono: Mizuki gli si avvicinò e gli diede un lungo e profondo bacio sulla bocca, prima di allontanarsi e leccarsi le labbra con un mezzo sorriso.

-Ci sentiamo domani- alzò la mano in gesto di saluto e si allontanò –Notte!-

-Notte- le rispose allontanandosi.

 

 

We wish you a Merry Christmas lalala!

Lo so, vi aspettavate dell’altro u.u o almeno so che alcune di voi si aspettavano tutt’altro, ma così va la vita.. avanti di sofferenze e delusioni!

 

Blablabla Time

Sinceramente in questo momento non ricordo se nell’anime Kei e Michael si odiassero, sicuramente non si stavano simpatici, ma non so perché ho questa immagine di loro due in completa antitesi, non riesco a immaginarmeli diversamente O_o quindi vi beccate l’odio viscerale tra i due (e pure il mio odio viscerale verso Michael u.u)

Comunque Natale è passato.. non soffermiamoci sul come, ma è passato.. e non so cosa aspettarmi dalle vostre recensioni. Per non parlare del fatto che manca una settimana alla svolta, cioè.. una settimana alla comprensione totale della svolta e due a quella vera e propria O_O a quel punto mi sotterrerò definitivamente e le uniche due persone stimate che vorrebbero continuare a leggere si strozzeranno xD.

Ma andrà tutto bene, il sole sorgerà lo stesso il venerdì successivo, Goku troverà le sfere del drago, Ai Yazawa continuerà a non far uscire Nana, Italia 1 trasmetterà Mila e Shiro 2 (immagino sempre senza Shiro), l’Uomo Tigre lotterà contro il male,  le caprette faranno ciao, Heidi farà il formaggio, perché il pedaggio è il pedaggio e il formaggio è il formaggio e se nessuno ci paga il pedaggio nessuno ci vende il formaggio.

Tutto questo era per farvi dimenticare il contenuto del capitolo e mettervi in crisi riguardo la recensione che volevate lasciare di cui ora non ricordate nulla xD

 

Un bacione a tutti comunque :)

                                  

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Capitolo 36
*** Motivation ***


Ognuno a suo modo è un tossico vero

Di pere, d’affetto, di sogni, di sesso o di idee

 

 

 

 

 

 

Motivation

 

 

 

 

Mao e Lai ripartirono dopo una settimana, quando la scuola dovette ricominciare.

Rei si rabbuiò non appena la sua ragazza lasciò il suolo Giapponese, ma cercò di non pensarci concentrandosi sulle lezioni.

Lo distrassero organizzandogli una festicciola di compleanno a sorpresa, soprattutto Takao decise di cogliere due piccioni con una fava approfittando del fatto che la data di nascita del cinese veniva solo tre giorni dopo quella di Hilary. In verità fu Kei a ricordarglielo che, al contrario di ogni previsione, la mattina del martedì precedente si era avvicinato alla ragazza facendole gli auguri, non sospettando minimamente di essere stato il primo.

Fu il primo, e forse unico, contatto che i due ebbero dopo diverse settimane: in realtà c’era stato un netto distacco di Kei dal gruppo, poiché si erano tutti naturalmente avvicinati alla ragazza e dato conforto a lei. Nonostante tutti gli avvertimenti all’inizio di quella relazione, però, nessuno fece scenate al russo, tenendo conto dei fatti e di come si erano sviluppate le cose.

A metà gennaio, quindi, il dojo Kinomiya fu di nuovo riempito di festoni e si ricominciò a far baccano, nonostante fossero la metà del mese precedente.

 

Entrarono nella grande discoteca: le luci strobo e quelle colorate illuminavano a tratti l’ambiente, il bancone, le persone già accalcate nella pista, coloro che si aggiravano per lo stanzone e i bicchieri che passavano di mano in mano.

Non erano propriamente i suoi luoghi preferiti con tutta quella confusione: Kei preferiva di gran lunga i locali dove, sì la musica era comunque assordante e l’ambiente nella semi oscurità, ma si riusciva ad avere contatti solo con le persone a cui si voleva dare confidenza e non vi era così tanto affollamento.

Raggiunsero un gruppo di ragazzi che ormai aveva imparato a conoscere di faccia, non di nome ovviamente, seduti a un tavolo sul quale erano ammassati borse e cappotti.

La musica commerciale lasciò spazio a quella house e il ragazzo storse il naso cercando di abituarcisi: per fortuna presto Mizuki lo prese per mano e lo portò verso un’altra sala. Non appena attraversarono la soglia, la musica precedente si mischiò a quella nuova fino a che non la sostituì definitivamente.

-Questa mi piace di più- gli urlò Mizuki, nonostante la sua voce arrivò all’orecchio di Kei solo come un sussurro.

Non se ne preoccuparono, essendo il parlare un’attività superflua, e iniziarono a ballare vicini e a scambiarsi qualche bacio: la giapponese li aveva richiesti esplicitamente all’interno del loro accordo che, però, escludeva il sesso. Intanto entro un’oretta si sarebbero divisi e andati alla ricerca di qualcun altro.

Dopo un po’ cercarono di divincolarsi dalla massa di persone che li avevano circondati e si diressero verso il bancone per ordinare da bere.

Mizuki ringraziò i gestori delle discoteche che pur di guadagnare non facevano distinzioni tra maggiorenni e minorenni e afferrò il suo bicchiere colmo di una bibita alcolica e cercando un angolo meno affollato insieme al ragazzo.

-Ciaoo!- urlò all’improvviso facendo cambiare direzione a Kei e dirigersi verso una coppia.

-Ciao Mizuki!- e il ragazzo le diede due baci sulle guance, per poi lasciare fare lo stesso alla tizia vicino a lui.

Parlottarono per qualche minuto prima di considerare il russo.

-Ryo lui è Kei..- disse indicandolo –Kei, Ryo-

Kei cercò di ricordarsi dove aveva già sentito quel nome, ma non gli sovvenne.

-Piacere- gli strinse la mano l’altro.

-Forse vi siete già visti in piazza.. ma non ne sono sicura-

Aveva già sentito delle frasi come queste pronunciate da Mizuki, ma a che si riferiva?

-Mmm può darsi, ma ormai vedo tante persone che faccio fatica a ricordarmi di tutti- esclamò Ryo.

Il russo abbandonò il suo ragionamento e decise di soffermarsi sulla figura del ragazzo: era piuttosto basso, più o meno gli arrivava alla spalla, mentre la sua ragazza, grazie ai tacchi vertiginosi che portava, lo superava di qualche centimetro; aveva un’espressione sorridente e cordiale, ma anche piuttosto ammiccante, segno che era uno abituato a fare il marpione.

Non prestò più attenzione al discorso, continuando ad ascoltare la musica, fino a che non si sentì nuovamente interpellato.

-Già che ci sei..- aveva iniziato Mizuki -..convincilo un po’ a venire a lezione qualche volta!-

Ecco in che contesto gli era stato nominato: era l’insegnante della ragazza.

-Balli quindi?- chiese Ryo voltandosi e spalancando il suo sorriso; una strana luce gli illuminava gli occhi, probabilmente solo per colpa dell’illuminazione della discoteca –Figo!-

-Sì, ma non riesco a convincerlo a venire- rispose per lui la giapponese.

-Non fa per me- provò a dire, ma lo interruppero.

-Perché no? Guarda che è bello.. è un corso open quindi non è impegnativo..- iniziò il ragazzo -..stiamo un’ora insieme, facciamo un po’ di tecnica e qualche passo di coreografia, poi balliamo.. molto easy-

Kei rimase perplesso: non era stato per nulla convincente, ma non voleva farglielo notare sperando non lo trattenessero di più. Annuì per smorzare il periodo di stallo e li lasciò continuare a scambiarsi poche battute riguardo alla lezione.

Si separarono dopo pochi minuti e Kei e Mizuki uscirono nella terrazza del locale in modo che il ragazzo si potesse accendere una sigaretta.

-E quello sarebbe il figo?- chiese ironicamente.

-Lo devi vedere ballare- disse seria la ragazza bevendo un sorso della sua bevanda –Certo che la sua tipa è proprio antipatica..- e iniziò a trovarle latti negativi.

-Tra quanto e dove ci vediamo?- chiese poi Kei, ottenendo la risposta prima di separarsi all’interno del locale e perdersi di vista per più di un’ora.

 

Ricominciamo.

Con quel pensiero si era risvegliato una mattina di fine gennaio.

A Capodanno Rei gli si era avvicinato e, dopo una pacca sulla spalla, gli aveva detto: ‘Anno nuovo, vita nuova’. Solo in quel momento, dopo diverse settimane e varie elucubrazioni mentali, aveva deciso di prendere realmente in considerazione quel consiglio.

Ricominciare come se fosse appena arrivato in Giappone, con lo stesso spirito di rivalsa dell’estate prima, ma con degli elementi in più: un pizzico di fiducia negli altri e minore apatia; in realtà quella era sempre presente, non si era mai allontanata, ma nel tempo si era trasformata, lo coglieva sempre nelle situazioni più disparate, ma era sicuramente differente da quella precedente.

L’unico ostacolo era presentato solo da se stesso, perché, oltre che prendere in considerazione il consiglio, doveva anche metterlo in pratica.

Doveva solo approfittare di quel momentaneo stallo che aveva preso la sua vita.

Ovviamente quel ‘ricominciamo’ se lo era aspettato diverso quella mattina, comunque. Non si rese nemmeno conto di quanto fosse stato incauto nel riavvicinarsi a Mizuki: avrebbe dovuto immaginarlo da solo che sarebbe stata solo una portatrice di guai. Era una ragazza che non si dava mai per vinta, testarda e che, se si metteva in testa una cosa, non c’era modo di farle cambiare idea.

Possedeva, inoltre, una certa attitudine al comando, tanto che Kei non riuscì a opporsi a quella famosa pazzia.

Il martedì pomeriggio lei si presentò, infatti, davanti al dojo e approfittò dell’accoglienza indiscriminatamente calorosa dei Kinomiya e dell’innata propensione all’ascolto di Rei e lo prelevò con la forza per andare ad assistere a una lezione di Ryo.

In realtà quello era stato l’unico compromesso fattibile perché, fosse stato per lei, lo avrebbe fatto direttamente partecipare, ma almeno su questo punto era riuscito a farla desistere.

Presero un autobus e arrivarono in una zona più centrale e trafficata e in poco tempo si trovarono davanti a un piccolo edificio, di pochi piani, che stonava con i grandi palazzi che lo attorniavano.

-Questa è la palestra!- annunciò Mizuki allargando le braccia.

Kei in risposta emise solo un grugnito indifferente e la seguì all’interno con meno voglia di quando erano usciti dal dojo, se possibile.

Attraversarono l’ingresso e la ragazza iniziò a salutare praticamente ogni persona che incrociavano prima che, arrivati a una rampa di scale, lei gli raccomandasse di aspettarla lì mentre si andava a cambiare.

Il russo ebbe la fantastica idea di sedersi sui divanetti che riempivano la sala e sui quali alcuni genitori probabilmente stavano aspettando la fine delle lezioni dei figli. Ripensò immediatamente alla Russia, l’unico termine di paragone che possedeva: la palestra in cui lavorava Dana era molto più squallida, non c’era nemmeno una vera aula di danza, ma solo un piccolo mondo accessibile ai ragazzi dei quartieri più malfamati, nascosto nell’universo delle scuole coreutiche d’eccellenza di Mosca.

Passò dieci minuti buoni a rimuginare, fino a quando Mizuki non rispuntò insieme ad un’altra ragazza e tutti e tre insieme salirono due rampe di scale per poi fermarsi davanti a una porta a vetri con su stampato il numero 4. Scorse delle braccia tese muoversi all’unisono all’interno della stanza, ma non vi prestò troppo interesse, ormai intrappolato in una serie di strette di mano e convenevoli, poiché la giapponese aveva iniziato a presentargli le persone che aspettavano come loro sul pianerottolo, sicuramente suoi compagni di corso, il maschile d’obbligo grazie alla presenza di un solo uomo.

Passarono così altri cinque minuti prima che la porta 4 si aprisse e fuoriuscissero una ventina di ragazzine con body neri e capelli acconciati con chignon dai quali alcune ciocche si ribellavano all’ordine dettato da gel e forcine.

Entrarono e Kei conquistò un angolino laterale, sedendosi sul parquet lucido accanto a una serie di sedie impilate; Ryo si fece attendere pochi minuti, arrivando sudato e affaticato dalla lezione precedente, evidentemente in un’altra sala: sistemò la propria roba affianco allo stereo e azionò la musica. Con la partenza delle prime note Kei si rilassò, appoggiando la schiena al muro, contento di non essere stato intercettato, ma, al contrario delle sue previsioni, prima di iniziare la lezione, l’insegnante gli si avvicinò.

-Ciao! Non provi?-

Kei fece cenno di no con la testa e l’altro non insistette.

-Va bene.. magari la prossima volta dai!- e andò a posizionarsi davanti agli allievi di fronte allo specchio.

I ballerini erano dei narcisisti: era intuibile solo che dal loro spasmodico bisogno di quei pannelli riflettenti in ogni aula. Sapeva che erano utili per poter vedere l’insegnante e correggere se stessi, tutte risposte che gli aveva dato Dana quando le aveva fatto notare quanto fosse insopportabile questa fissa, però lui gli specchi li odiava, non riusciva a essere come la sua amica o come gli allievi in sala in quel momento, non sopportava guardarsi, anche in quel momento, completamente immobile al lato di tutta la scena maestra. Anche questa volta spostò lo sguardo e si concentrò sulla lezione.

L’ora trascorse piuttosto in fretta: come gli avevano spiegato quella sera in discoteca, fecero un po’ di riscaldamento, poi tecnica e infine coreografia. Lo stile di Ryo era piuttosto diverso da quello di Dana, ma interessante, e tra gli allievi vi era parecchia disparità di livello: la ragazza più brava stava davanti insieme al maestro e gli altri si aprivano intorno a loro, mentre l’unico maschio non era granché e si notava avesse parecchia difficoltà. Gli attimi di silenzio erano più unici che rari, la musica si stoppava solo quando Ryo doveva spiegare o insegnare qualche nuovo passo e nella sala si respirava un’atmosfera strana che Kei non riusciva a definire.

Al termine dell’ora Ryo annunciò di dover scappare urgentemente e, dopo l’applauso di fine lezione, corse via.

-Allora?- gli chiese Mizuki affaticata, ma sorridente.

-Allora cosa?-

-Come ti è sembrata?-

-Una lezione-

La ragazza lo guardò male, ma non aggiunse altro, dileguandosi verso gli spogliatoi.

Ci mise ancora più tempo di prima, ma riuscirono comunque a uscire dall’edificio all’aria fredda di gennaio, dirigendosi poi verso un bar per mangiare qualcosa.

-Vai col tuo giudizio-

-Riguardo?-

-Guarda che non mollo eh..- lo avvertì lei -..come ti sembro a ballare?-

Kei ragionò qualche secondo prima di risponderle –Si vede che vieni dalla break-

-In che senso?-

Di nuovo si prese del tempo per ponderare le parole –sei rigida qua- e si indicò il busto.

In realtà non la considerava bravissima, anzi: era convinto che con la break ci sapesse fare, ma da in piedi non era questo grande fenomeno, risultando anche piuttosto scoordinata.

-Non sei il primo a dirmelo quindi ci credo- disse dandogli ragione –Visto che te ne capisci così tanto perché non provi?-

-Io non è che me ne capisco così tanto.. ho gli occhi e li uso-

-Guarda che non tutti se ne accorgono di queste cose-

-Sarà-

-E smettila di cambiare discorso.. prova e falla finita!- esclamò divertita.

-Ma cosa ti importa se provo o no?-

-Ormai è questione di principio-

-Allora anche la mia-

-Non puoi.. l’ho detto prima io- disse facendogli la linguaccia.

Battibeccarono amichevolmente fino al momento di tornare verso casa, ma durante il tragitto Mizuki tirò nuovamente fuori il discorso.

-Insomma, ti piace la musica, te ne capisci, hai occhio, sai ballare.. cosa ti costa?-

-Ma ci guadagni qualcosa che insisti così tanto?-

-Se fosse così non faticherei a dirtelo e sarei molto più convincente! Voglio solo stare un po’ con te-

-Questa non me la bevo- disse divertito guardandola negli occhi fintamente dolci.

-Intanto giovedì ti obbligo- disse risoluta ricomponendosi.

-Voglio proprio vedere-

-La prendo come una sfida-

-Va bene-

-Perfetto-

 

-Da quand’è che stai dalla sua parte?-

Si erano alleati contro di lui e non vedeva vie d’uscita: Rei e Mizuki non erano mai andati d’accordo, soprattutto al primo non era mai andata a genio la seconda, ma per combatterlo su questo fronte sembravano essere diventati migliori amici, degli alleati perfetti.

-Cosa sarà mai? Potresti provare..- gli stava ripetendo sornione il cinese.

-No-

-Scusa, tu balli no? Questo è il passatempo perfetto per te!-

-Ma non sto cercando nessun passatempo-

-Bisogna coltivare i propri interessi-

-Giusto- gli diede man forte Mizuki, che annuiva a ogni sua frase.

-Oltre alla scuola non fai nulla- ricominciò Rei –a parte uscire con lei.. in questo modo puoi vederla e nel frattempo vi divertite in modo sano-

-Sembri una pubblicità progresso- gli fece notare Kei seccato.

-Ti diverti proprio a farti pregare eh- fece l’occhiolino la ragazza.

-Magari potresti imparare cose nuove..-

-Ti prego sta zitto-

-..diventeresti più bravo..-

-Ne hai ancora per molto?-

-..e faresti attività fisica..-

-Ora me ne vado-

-..che con tutte quelle sigarette ti atterri..-

-Ho afferrato! Basta!- sbottò il russo che non riusciva più a sopportare il largo sorriso sul volto dell’amico.

Così era stato incastrato, preso per sfinimento e per danneggiamento di nervi.

-Me la pagherete- soffiò in direzione dei due, mentre lasciava il dojo con la ragazza.

-Divertitevi- li salutò Rei con la mano dalla soglia, come una perfetta mammina.

 

Si chiese per quale motivo era stato così facile convincerlo, perché aveva ceduto con così poco, perché non aveva trovato le parole per dibattere o comunque un ‘no’ per imporsi.

Non era da lui. Lui era quello impassibile e determinato a non farsi dire quello che doveva o non doveva fare, a non prendere ordini da nessuno, addirittura a ignorare i consigli altrui: eppure, lo avevano convinto e ora si ritrovava braccato in una situazione senza uscita all’interno di quella palestra che in quel momento assomigliava di più a una prigione.

Non era stato così semplice opporsi a Takao per tutta la storia del bey da l’estate a quella parte? Perché non era riuscito a fare lo stesso per quello?

Quel ‘ricominciamo’ dalla teoria alla pratica stava diventando sempre meno efficace e sempre più lontano. Doveva essere un modo per sentirsi bene e non per iniziare a fare cose che non voleva, a cambiare così totalmente se stesso da cedere agli altri, da farsi convincere, da accettare passivamente quello che gli accadeva.

Ora come ora, comunque, non poteva scappare. Doveva rimandare a più tardi il ritorno al vecchio e impassibile Kei Hiwatari e accettare quella situazione come castigo per essersi lasciato trasportare da quella pazzia.

-Guarda che non muori mica- gli fece notare Mizuki rispondendo alla sua espressione afflitta.

Non le rivolse la parola, ma la seguì silenziosamente su per le scale e dentro la sala 4: erano leggermente in ritardo e Ryo stava già sfogliando dei cd, probabilmente per scegliere quale infilare nello stereo.

-Ciao!- li accolse, alzando leggermente lo sguardo e poi, vedendo Kei, aggiunse –Allora ci sei anche tu! Perfetto!-

Finalmente estrasse un cd dalla grande pila e accese lo stereo.

-Mi vendicherò- sussurrò Kei a Mizuki prima che lei si allontanasse per posizionarsi un po’ più avanti.

-Tzè- gli rispose lei con un sorriso, cercando di imitare il solito tono del ragazzo.

Ryo attirò l’attenzione su di sé e iniziò il riscaldamento; ormai Kei era lì, non poteva andarsene e l’unico modo per far passare in fretta quei sessanta minuti era non pensare agli aspetti negativi.

Seguì e imitò i movimenti dell’insegnante, avvertendo i muscoli risvegliarsi piano piano e un piacevole tepore appropriarsi di lui.

Non era poi così diverso da quello che faceva solitamente con Dana: l’unica differenza stava nella presenza di tutte quelle persone e nella mancanza della ragazza. Infatti l’amica praticamente gli dava insegnamenti privati, poiché solo poche volte si era unito alle sue lezioni vere e proprie insieme ad altri allievi: doveva quindi ignorare l’affollamento e tutto sarebbe andato liscio.

Continuarono con qualche esercizio base di tecnica per sciogliersi un po’, prima di iniziare con la coreografia, la stessa che Kei aveva visto la volta precedente.

-Oggi la ripassiamo con calma visto che abbiamo un nuovo elemento- esordì Ryo cambiando cd e costringendo il russo a ignorare tutti gli occhi che si misero a fissarlo –Loro se la portano dietro da più di una settimana, ma pulirla non farà male a nessuno- continuò rivolto al resto della classe.

Si scambiarono delle battute di spirito sul sapere o meno la sequenza, fino a che il ragazzo non trovò la traccia e lasciò in pausa la musica iniziando a spiegare.

Partì molto lentamente, per poi velocizzare mano a mano, ma comunque Kei riuscì a seguirlo facilmente: nuovamente pensò a Dana e alle abitudini che aveva con lei, alla sua mania di inventare una coreografia a settimana e di testarla insieme a lui. Non poteva esserci niente di più semplice.

Era trascorsa più di metà lezione e Kei aveva completamente perso la cognizione del tempo: se ne accorse in un momento di pausa, dopo che erano state poste alcune domande a Ryo al quale aveva risposto con pazienza e dedizione. Non appena scorse l’orologio appeso sopra lo specchio si stupì di quanto la concentrazione lo avesse distolto da tutti i dubbi di inizio lezione: prima che questi si riappropriassero di lui, Mizuki gli si avvicinò per chiedergli come stesse andando e Kei ne approfittò per farle una domanda.

-Questo..- e le mostrò una posizione della coreografia -..quand’è?-

La ragazza rifletté qualche istante prima di rispondere –All’otto*-

-Ma della musica?- ritentò.

-Sempre all’otto- rispose perplessa.

-Ho capito.. ma intendevo..-

-Sul ciak-

Ryo, che doveva averli sentiti, rispose alla domanda senza problemi.

-Odio quando parla per onomatopee- sussurrò la ragazza quando l’altro si fu allontanato.

-Almeno così si capisce- disse ricevendo dall’altra un’espressione di disapprovazione.

Gli ultimi quindici minuti si conclusero piuttosto in fretta, permettendogli di ripetere diverse volte la sequenza e applicare le correzioni adeguate.

-Lya smettila di guardarti allo specchio- fu l’ultimo appunto che Ryo fece a una delle allieve in prima fila, per poi dare il via libera a tutti per uscire.

Kei non se lo fece ripetere due volte e prese la porta, intimando a Mizuki di muoversi poiché si era soffermata a guardare il suo riflesso. Ryo avrebbe dovuto riprendere anche lei e non solo quella Lya: di nuovo quell’amore inspiegabile verso lo specchio dei ballerini.

Decise che non era il momento giusto per ragionare sulla derivazione.

Ovviamente Mizuki si fece attendere, nonostante gli avesse urlato dall’interno dello spogliatoio che avrebbe fatto in fretta; decise di aspettarla fuori, poiché il caldo per l’attività fisica si stava unendo a quello dell’ingresso senza finestre.

Uscito nell’aria invernale si accese una sigaretta e si appoggiò al muro della palestra.

-Hai un accendino a portata di mano?- una voce familiare lo risvegliò dai suoi pensieri.

-Sì- rispose, porgendolo a Ryo.

-Grazie- disse l’altro restituendoglielo e poggiando il borsone per terra, intenzionato a quanto pareva a fargli compagnia: una compagnia non richiesta ovviamente.

-Allora come è andata?-

Kei fece spallucce aspirando dalla sigaretta, iniziando a far conoscere i suoi modi schivi al ragazzo di fronte a lui.

-A me sembra che te la cavi-

Nuovamente solo un cenno di risposta, che però non lo fece desistere.

-Sei comunque avanti di livello.. da quanto balli?-

-Qualche anno- gli diede finalmente la soddisfazione di una risposta.

-Tu devi studiare- disse indicandolo con le due dita che tenevano la stecca –hai tutto, ti manca solo un po’ di tecnica-

Il russo lo guardò perplesso non comprendendo realmente il discorso dell’altro e maledicendo Mizuki per averlo infilato in quella situazione.

-Hai un bel movimento..- continuò Ryo, sembrava impossibile fermarlo arrivati a quel punto -..naturale, hai orecchio.. molti non riescono a far nulla fuori dai conteggi..-

-Non mi sembra una gran cosa- non riusciva a comprendere come facesse a prendersi così tanta confidenza dopo che si erano visti sì e no due ore in tutto.

-Ho girato parecchio nell’ultimo periodo e ho visto tanta gente.. e la differenza si nota! C’è chi divide la musica e c’è chi se la vive..-

-Non..- tentò di fermarlo in qualche modo, ma non ne trovò nessuno.

-Probabilmente lo sai già fare, ma devi solo lasciarti un po’ più andare..-

In quel momento Mizuki uscì e Kei sperò che lo portasse via, ma, invece, non appena notò che stavano parlando, o meglio che Ryo stava parlando, si unì a loro chiedendo delucidazioni sul loro discorso.

-Gli stavo dicendo che i passi ce li ha..- riprese parlando alla ragazza come se Kei non fosse stato presente -..ha una buona memoria, deve solo metterci del suo adesso.. una volta che sai la sequenza, basta pensare ai passi.. bisogna iniziare a pensare alla musica-

-Non è così semplice..- notò Mizuki che pendeva dalle labbra del giapponese.

-Assolutamente no, ma secondo me lui c’è già.. oggi sei entrato nel gruppo, ognuno ha bisogno del proprio tempo per modificare il proprio lavoro e adattarlo a quello di un altro.. da martedì so che tu andrai come un treno..-

Kei si chiese se si era perso qualche frase per strada o se realmente quel discorso fosse così incasinato e senza apparente filo logico.

Ryo buttò la sigaretta tranquillo e cambiò repentinamente argomento, di nuovo senza un senso preciso, prima di guardare l’ora e salutarli –A martedì!-

-Quello non sta bene- disse Kei a Mizuki che, invece, stava guardando il maestro allontanarsi con occhi adoranti –e tu con lui-

Il russo si voltò iniziando a camminare e la ragazza riuscì a raggiungerlo solo dopo alcuni secondi con una corsetta.

-Hey mi stavi lasciando lì!-

-Sei tu che ti eri imbambolata-

La bruna sbuffò, ma prese a camminare canticchiando una canzone, evidentemente contenta per qualcosa.

-Ok.. quando ci vediamo?- chiese Kei arrivati al solito incrocio.

-Sicuramente martedì!- disse con un sorriso a trentadue denti.

-Perché?-

-La lezione tonto!-

-Senti.. oggi è andata così perché ero in buona, ma ora basta con questa pagliacciata-

-Ma se con Ryo parlavi di tutte quelle cose da fare martedì eccetera, eccetera..-

-In verità era Ryo che ne parlava con te-

-E che differenza fa.. c’eri anche tu-

-Ma io non ho promesso nulla a nessuno-

-Dai, che ti sei divertito.. eri perfettamente nel tuo!-

-Stai delirando-

-Kei- disse sospirando, come per iniziare un discorso importante –tu martedì verrai! Questo é quanto.. non ammetto repliche!- terminò restando seria e concentrata.

-Quando hai smesso di parlare da sola chiamami- disse Kei voltandosi e dirigendosi verso casa.

-Permaloso!- la sentì urlare alle sue spalle, ma non le diede la soddisfazione di risponderle.

 

Arrendevole.

Con quel pensiero si era risvegliato una mattina di febbraio.

Ecco cosa era diventato: una persona completamente arrendevole, che si lascia condizionare e che  non si ribella alle situazioni scomode. E quella era una situazione altamente scomoda: come aveva potuto cedere ancora.

Forse l’improvviso bisogno di fare qualcosa o forse doveva solo ammettere che il suo piano del ‘ricominciamo’ gli si era ritorto contro tanto che, nonostante fosse diventato più accondiscendente con gli altri, aveva ripreso la brutta abitudine a chiudersi a guscio totalmente, non che l’avesse mai persa del tutto, ma almeno stava migliorando.

Invece Rei lo rimproverò come aveva fatto l’estate precedente per aver fatto dei passi indietro.

Il problema era che quella settimana una sorta di squilibrio aveva messo in discussione diversi punti della sua vita: febbraio si era fatto largo nel weekend e la prima settimana fu piuttosto ostica, infatti il martedì Mizuki si presentò all’uscita di scuola, con la sua divisa di un altro istituto e pedinò Kei in modo che non potesse scappare da nessuna parte, ma bensì seguirla a lezione da Ryo.

Le chiese cortesemente di andare a farsi ricoverare in qualche ospedale psichiatrico, ma ben presto si disse che forse sarebbe stato meglio se ci fosse andato lui, perché così almeno Mizuki lo avrebbe lasciato in pace, ma soprattutto perché nuovamente l’aveva davvero seguita.

Era solo un passatempo come un altro, aveva pensato; non c’era nulla di male, si era ripetuto.

Proprio questa mancata avversione era ciò che lo preoccupava.

Ryo era, nonostante tutto, una persona normale e simpatica, ma soprattutto si era concentrato per tutta l’ora di lezione su di lui e Kei non capiva il perché: gli ripeté quello che già gli aveva detto il giovedì prima, ma cercò anche di farglielo mettere in pratica. Riuscì a seguirlo meglio anche perché mancavano diverse persone: tre erano in gita con la scuola mentre un altro era ammalato.

Ritornarono sulla coreografia della volta precedente: poteva ormai dire di saperla, memoria per quel tipo di cose ne aveva e lo stesso valeva per la musica. Mancava solo quello che chiedeva Ryo: lasciarsi andare.

Kei, abbastanza provato da lunghe giornate passate a pensare a tutto e a niente, da settimane a cercare di diventare qualcosa, qualsiasi cosa, prese alla lettera quella richiesta: quello che sapeva lui della danza era, alla fine, il poter lasciare fuori qualsiasi preoccupazione, utilizzarla in modo che non sia un peso, ma semplicemente un modo per rilassarsi e estraniarsi, concentrarsi su qualcosa di neutro, su se stessi, sulla musica, su ogni cosa che potrebbe aiutare. Se ci riusciva a casa da solo, se riusciva con Dana, perché lì doveva essere diverso.

Semplicemente non lo era.

Provarono diverse volte poi, dopo una breve pausa, Ryo prese parola.

-Tutti seduti- e li invitò ad accomodarsi con la schiena allo specchio, in fila.

Kei si avvicinò a Mizuki, ma il maestro lo fermò prima che si potesse sedere e gli fece segno con le dita di avvicinarsi al centro della sala, mentre lui andava ad accendere la musica.

Il russo lo osservò perplesso, aspettando un sua mossa, ma l’altro si limitò a dirgli un poco udibile –Solo noi due-; fortunatamente l’intro della canzone era piuttosto lungo, poiché ci mise qualche secondo di troppo per riuscire a connettere.

Osservò lo specchio, la parte che più odiava di quel luogo, ma, invece che guardare la propria immagine, si concentrò su quella di Ryo che gli restituiva lo sguardo convinto.

L’ultimo otto dell’intro, l’accento che annunciava la strofa e quindi l’inizio della sequenza di passi: sapeva che non avrebbe sbagliato, non si preoccupava dei passi, di quali fossero, a quale conto, era semplicemente così, il braccio si alzava automatico, i piedi si muovevano perché così doveva essere, non c’era bisogno di fare attenzione. La differenza stava nel sentire la musica e i muscoli lavorare come un tutt’uno e così era: lo sapeva lui e lo sapeva Ryo.

Terminò la coreografia e alla musica, che ancora si diffondeva, si unì uno scroscio di applausi che scemò in pochi secondi: non fece in tempo a tornare il silenzio che gli altri furono chiamati a gruppi per eseguire la sequenza. Prima del termine della lezione, la ripeterono ancora tutti insieme prima di salutarsi per andare negli spogliatoi.

Quando uscì dalla palestra per aspettare Mizuki, Kei vi ritrovò già Ryo che, questa volta, sembrava lo stesse aspettando.

-Eccoti.. speravo non fossi già scappato-

Il russo non rispose, ma attese il seguito, temendo si trattasse nuovamente di discorsi senza senso.

-Visto che era semplice?- continuò entusiasta –Ci avevo visto giusto.. sei bravo-

Di nuovo rimase immobile, non sapendo che cosa dire, quando Ryo pronunciò delle parole inaspettate.

-Cosa vuoi fare della tua vita?-

Sicuramente non poteva sapere quanta paranoia avrebbe causato con quella semplice frase, quante volte Kei se lo fosse domandato, ma sommerso dai punti interrogativi aveva rinunciato a darsi una risposta convincente. Era convinto che l’unica cosa di cui potesse occuparsi fosse sopravvivere al presente, non aveva tempo né forza per considerare un futuro.

-Cosa c’entra?-

-Così.. volevo sapere se hai qualche sogno, qualche aspirazione..-

Kei scosse lentamente la testa confuso da quello strano interesse: parlare di sogni e aspirazioni con lui era come affrontare un altro tabù. Ormai pensava che quel genere di discorsi fossero possibili solo nei film, nei libri o comunque nella finzione, dove le parole sogno, ideali, scopo, determinazione, erano degli strumenti perfetti per dare un che di poetico al tutto.

-Niente di niente? Nemmeno.. che ne so.. cose semplici, lavorare in banca, abitare in campagna, prendere un cane?- rise dei suoi stessi esempi.

-Non direi-

-Ti va di guadagnare qualche soldo?-

-Non ne ho bisogno- rispose sempre più confuso.

-Allora devo trovare qualche altro modo per incastrarti-

A quelle parole Kei si mise subito sull’attenti: le aveva pronunciate ridendo, come fossero uno scherzo, ma tutto quello che aveva detto per arrivare a quel punto lo portava a diffidare delle sue intenzioni. La diffidenza, poi, la conosceva piuttosto bene e quindi gli veniva facile.

-Cosa intendi..?-

-No, tranquillo.. solo che.. oh, ecco Mizuki- si interruppe vedendo varcare la porta alla ragazza, alla quale si rivolse –Fai proprio al caso mio-

-Ah sì? Come mai?- chiese col sorriso, pronta a soddisfare ogni sua richiesta.

-Stavo chiedendo a Kei se avesse una qualsiasi aspirazione nella vita-

-E lui ti ha risposto?- chiese sorpresa.

-No, ovviamente..- disse come se lo conoscesse da anni -..volevo fargli guadagnare qualche soldo- riprese con le stesse frasi di poco prima.

-Uh, i soldi fanno sempre comodo..- annuì Mizuki.

-Ma dice di averne già-

-Ah davvero?- rivolse tutta la sua attenzione, che sembrava essere cresciuta nel giro di pochi secondi, verso Kei che alzò gli occhi al cielo.

-E qui si arriva a te..- concluse ripercorrendo le sue stesse parole.

-In verità in mezzo c’era un: sto cercando di incastrarti- lo corresse Kei cercando di focalizzarsi sulla sua scarsa fiducia nel prossimo.

-Che vuol dire?-

-Chiedilo a lui-

-Mizuki..- iniziò Ryo rivolgendosi apparentemente solo alla giapponese -..la prossima settimana in centro c’è un’audizione per un video, però purtroppo ho già un lavoro e, ora come ora, non posso rinunciare a nessun impiego.. tanto meno per qualcosa per cui non so se mi prenderanno.. se no ci andrei con lui, ma..-

Kei sbarrò gli occhi: non poteva credere alle sue orecchie e neppure ai suoi occhi. Aveva appena detto ‘lui’ e lo aveva indicato col capo.

Era completamente impazzito: o lui, o Ryo, entrambe le opzioni erano più che plausibili.

-Cosa stai dicendo?- lo fermò prima che potesse andare avanti con quella storia.

-Che dovresti andarci- disse calmo e sereno l’insegnante.

-E perchè?-

-Perché sei bravo-

-Non importa intanto non voglio-

-Perché no? Sarebbe figo!- si intromise Mizuki che aveva iniziato a saltellare entusiasta: ecco il suo ruolo nella vicenda, ecco perché Ryo si era rallegrato di vederla. Era parte integrante del piano per incastrarlo, nonostante lei non lo sapesse.

-Senti la tua ragazza-

-Non è la mia ragazza-

-Vabbè, la tua amica-

-Non si discute-

-Kei dai! Guarda che non è la fine del mondo-

-Sapevo sarebbe stato difficile convincerti- disse come tra sé e sé il moro, facendosi però sentire dagli altri due che battibeccavano come bambini.

-Non è difficile, è impossibile- disse Kei risoluto.

-Niente è impossibile- squittì Mizuki allegra.

-Ormai ho capito come sei- continuò Ryo come perso in un ragionamento con se stesso.

-Ma se mi hai visto tre volte-

-Quattro..- lo corresse la ragazza –Anzi forse cinque!-

-E ti sembrano tante?-

-Eh- cercò le parole lei, presa in contropiede, ma non riuscì a dire nulla.

-Ma da come uno si comporta in sala si capisce tutto di lui- si intromise di nuovo Ryo –la danza è lo specchio dell’anima-

-Non erano gli occhi?- chiese la bruna iniziando a non capirci più nulla.

-Non ha importanza- la zittì improvvisamente –Comunque, Kei non sei obbligato, ma pensaci.. sarebbe una bella esperienza e pagano bene- disse cedendo.

Rimasero in silenzio a fissarsi alcuni istanti, quando Mizuki, passando al vaglio prima l’uno poi l’altro, fissò il russo e attirò la sua attenzione.

-Devi farlo- sillabò risoluta e seria.

Kei guardò oltre la ragazza e vide Ryo allargare il proprio sorriso e mettere su un espressione trionfante: era quello il suo piano per incastrarlo. Se era vero che aveva capito tutto di Kei solo per il modo in cui ballava e in così poco tempo, allora sapeva quanto poteva essere testarda e insopportabile Mizuki quando si metteva in testa qualcosa.

Sapeva che tutta quella faccenda si sarebbe ritorta contro di lui ed era tutta colpa sua.

 

 

 

 

Questo è quanto.. so che ho creato tanta attesa su sta roba, ma probabilmente era solo per l’ansia e non ne valeva la pena u.u anzi vi dirò, sto capitolo volevo venisse meglio, ma non ci sono riuscita ç___ç vabbè.. vi lascio!

Alla prossima settimana,

Un bacione :)

Se non capite qualcosa della roba danzereccia chiedetemi spiegazioni e io mi premurerò di aggiungerle a fine di questo capitolo.. sicuramente do per scontato la conoscenza di alcune cose :O in quel caso, chiedo venia, ma non lo faccio apposta! Sono a vostra disposizione!

SPIEGAZIONI DANZERECCE TIME
All’otto*: La danza si divide solitamente in 8 tempi (ma non è detto, diciamo che questa è la regola generale perché si può anche contare in 4 o in 5 e così via) perché la frase musicale viene divisa così: è come per i quarti di chi suona uno strumento. La musica è da dividere e ogni passo corrispondere a un numero preciso della frase. Qui Kei chiede a che conteggio è un determinato passo e Mizuki risponde appunto all’otto della battuta divisa in ottavi. Ci sono però coreografi che non usano i conteggi, ma si basano sul suono della musica o sulla voce della canzone, per questo Ryo parla di ciak, inteso come suono della canzone.
"I brani però sono solitamente in 4/4, e sono proprio questi che si contano in 8, perchè per creare una frase musicale che crei una certo respiro per il corpo si mettono insieme due battute da 4/4. Quindi 4/4 + 4/4 = 8/4...ed ecco svelato il motivo per cui si conta in 8" trovata su yahoo nel caso che io non sia riuscita a farmi capire u.u cosa probabile!

 

 

 

 

 

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Capitolo 37
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Ognuno a suo modo è un tossico vero

Di pere, d’affetto, di sogni, di sesso o di idee

 

 

 

 

 

 

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Si ripromise mentalmente di non avere più nulla a che fare con lei e con qualsiasi cosa lo avesse portato a fare.

Cos’era che lo attirava poi di tutto quello che gli aveva mostrato, che lo aveva spinto a fare? Perché che lo attirasse era vero, poteva negarlo e non accettarlo quanto voleva che intanto quello rimaneva.

O forse non era il non accettarlo, ma tanto più il fatto di avvertire qualcosa di buono e, per esperienza, sapeva di fuggire da qualsiasi cosa buona gli accadesse: prova certa ne aveva avuto poco più di due mesi prima e perché, quindi, continuare a negare l’evidenza.

In ogni caso, si disse, perché proprio in quel momento doveva cedere? Perché proprio per quella cosa? Stava cedendo, questa era la verità, ma sicuramente ci avrebbe messo più tempo e avrebbe resistito di più senza il fattore Mizuki.

Invece, la ragazza quella mattina lo era andato a prendere e lo aveva obbligato a seguirla.

Una domanda riuscì a farsi largo e si impose tra tutte quelle che assillavano Kei.

Che cosa ci andava a fare?

Ecco, era la domanda che si era anche posto appena aveva parlato con Ryo, nel suo tragitto verso casa, durante tutta la settimana e che si stava ponendo anche in quel preciso istante.

Che cosa ci andava a fare? Eppure era lì, davanti alla porta della palestra; aveva affrontato un viaggio relativamente breve, si era ritrovato davanti al luogo dove si sarebbe svolto il provino e lo stava guardando con l’aria più indifferente che potesse mostrare. Non perché non voleva dare strane impressioni, ma proprio perché gli era del tutto indifferente.

Era una giornata assolata, per lui eccessivamente calda, e la sigaretta finì troppo presto per i suoi gusti.

Si ritrovò a rimuginare ancora una volta. Faceva ancora in tempo ad andarsene, già che c’era avrebbe potuto fare un giro per la città e poi tornarsene a casa. Mizuki se ne era già andata, lasciandolo solo poiché non poteva assolutamente saltare scuola. Nessuno avrebbe mai saputo né che c’era andato, né che non fosse entrato. E, a dirla tutta, anche se qualcuno l’avesse saputo, a lui non poteva fregare di meno.

Ecco lo spirito dei tempi andati che ritornava, era di questo che aveva bisogno e di cui sentiva la mancanza e si rincuorò di scoprire di non averlo perso del tutto.

Fece per girare i tacchi, ma qualcuno gli si parò davanti sorridente. Troppo sorridente per i suoi standard.

-Ciao, anche tu qui per l’audizione!?-

Provò a rispondere, ma l’altro lo bloccò subito.

-Prima volta eh?! Tranquillo, è più semplice di quel che sembra! Parli con uno che ha esperienza da vendere!- Gli poggiò una mano sulla spalla e, con una lieve pressione, lo fece avanzare insieme a lui oltrepassando la porta d’ingresso.

Perché tutti gli idioti dovevano capitare a lui? Si sentiva come una calamita per le persone sorridenti ed esuberanti. Conoscendosi si chiese come fosse possibile. Questo qui sembrava anche peggio degli altri, perfino peggio di Takao. Non la smetteva di sorridere e rivolgere la parola a tutte le persone che incontrava (tutte perplesse al suo pari): era più basso di lui, con i capelli corti neri e la pelle abbronzata esageratamente, frutto senz’altro di un numero spropositato di lampade.

Kei cercò di divincolarsi da quell’individuo irritante e cercò con lo sguardo l’uscita, bramandola, mentre si faceva sempre più lontana e lui si addentrava sempre più nell’edificio.

Ecco lo spirito dei tempi andati che lo abbandonava nuovamente.

Arrivò in una sala, sempre accompagnato dallo strano tizio che continuava a parlare a ruota libera senza accorgersi di non essere per niente ascoltato, e vide all’interno una ventina di ragazzi: ce n’era di tutti i tipi; bassi, alti, biondi, castani, rossi, bianchi, neri. Una tale diversità che in periferia avrebbe stonato, ma che nel centro della metropoli era più che naturale.

Solo quando vi si ritrovò davanti, notò una scrivania alla quale due ragazze molto carine distribuivano fogli e penne.

Una delle due, una bella asiatica dagli occhi neri profondi, gli lanciò un’occhiata di apprezzamento prima di consegnare anche a lui il foglio da compilare.

Completò tutti gli spazi e lo restituì all’altra ragazza, che, come la vicina, lo guardò con interesse per poi scattargli a sorpresa una fotografia istantanea: non appena questa fuoriuscì dalla macchinetta, fu pinzata sul foglio che aveva compilato. Si spostò e cercò di sparire dalla vista del tipo abbronzato che lo aveva trascinato dentro, approfittando della discussione che aveva intrapreso con la ragazza che aveva scattato la foto perché lasciasse che si mettesse in posa, poiché in quella che gli aveva fatto, secondo lui, non venivano risaltati i suoi bellissimi occhi.

Gli venne assegnato un numero, il 43, e fu indirizzato verso una porta che scoprì portare alla palestra vera e propria dove un altro gruppo di ragazzi stava aspettando l’inizio del provino.

Desiderò di non aver mai preso l’autobus per Tokio e di essere tornato indietro finchè era in tempo, si pentì di non essere riuscito a bloccare Mizuki e si rese conto di quanto i suoi sforzi erano stati deboli. Ma ormai era lì e doveva affrontare quella sceneggiata: alla peggio lo avrebbero preso, cosa che sperava vivamente non accadesse; in quel momento doveva solo ballare.

Posò la giacca per terra e si sedette, appoggiando la schiena al muro, di fianco a due ragazzi che parlavano riscaldandosi.

Non si curò molto di quello che accadeva intorno a lui e ignorò di gran carriera coloro che provavano a rivolgergli parola. Solo quando li fecero riunire al centro dalla palestra per cominciare notò l’assetto della stanza.

Era molto luminosa, tutte le pareti, tranne quella dove si era appoggiato lui, erano ricoperte da specchi, il parquet era lucido e splendente.

Dovevano essere una sessantina di persone o poco più e i posti disponibili solo due. Si rivolsero verso colui che stava parlando: era un uomo sulla trentina che spiegava come si sarebbe svolta l’audizione.

Ancora una volta si chiese perché si trovasse lì in quel momento, ma tentò di ascoltare: prestò attenzione alla presentazione delle tre persone che stavano al centro della parete lunga, seduti ad una scrivania. Il più anziano era il regista del video, un uomo stempiato con gli occhiali, poi al centro si trovava il cantante, il classico rapper nero, tutto muscoli e tatuaggi, e infine il coreografo, anche lui nero, muscoloso e l’espressione di uno che si appresta a divertirsi. Intorno a loro un piccolo capannello di persone, tra cui le due ragazze dell’entrata che reggevano la pila di fogli che dovevano essere le schede coi dati compilati dai partecipanti.

Un’altra ragazza spuntò dalle prime file e prese parola: era l’assistente del coreografo e avrebbe insegnato lei la coreografia.

Kei si chiuse, indifferente a tutto e tutti, ma si convinse a seguire quello che la ragazza stava insegnando: ormai era lì e avrebbe fatto quello che gli piaceva fare; non gli importava l’esito, ma avrebbe ballato, dimenticandosi di dove era e che cosa si affrontava lì dentro. Avrebbe ballato. Ballato e nient’altro.

Si concentrò sui movimenti della ragazza e li imitò. Si riscoprì uno dei primi a imparare la sequenza, non trovandovi nessuna difficoltà. Dopo quindici minuti furono divisi in tre gruppi per la prima scrematura. Kei era nel secondo, ma non si curò di accaparrarsi i posti davanti, anzi si precipitò in fondo al gruppo. Da quella posizione riusciva a malapena a guardarsi allo specchio e questo non gli faceva altro che piacere. Lui stava benissimo senza e quando la musica iniziò si rifugiò nel suo mondo fatto di note, movimenti, sensazioni sottili e impercettibili, di vibrazioni e danza.

Non si rese quasi conto delle persone che piano piano venivano scartate attorno a lui, nemmeno delle proteste del ragazzo dell’entrata che vantava il suo grande talento. Quando la musica si fermò delle venti persone che erano nel gruppo erano rimasti in quattro.

La scrematura del terzo gruppo rivelò solo tre persone: alla fine erano rimasti in dodici. La musica ripartì e quando terminò Kei guardò di sfuggita le persone alla scrivania; gli sembrò che il coreografo lo stesse guardando, ma non approfondì la ricerca.

Altri due ragazzi furono scartati dopo una piccola discussione tra i giudici: sembravano in disaccordo su qualcosa.

Per l’ennesima volta la musica riempì la stanza e i dieci rimasti ricominciarono a danzare.

Gli fu chiesto di ripeterla ancora due volte, prima di metterli in fila e annunciare i due che ottennero il lavoro.

Kei riusciva solo a pensare a quanto avesse bisogno di una sigaretta e rischiò anche di non sentire l’esito per la sua distrazione.

Avevano preso due ragazzi neri dal cipiglio abbastanza inquietante, sembravano usciti da una banda di gangster. L’uomo che aveva parlato all’inizio congedò tutti gli altri e si congratulò coi due ragazzi presi.

Kei si diresse verso la sua giacca e se la infilò tranquillamente come se stesse uscendo da scuola dopo una solita noiosa lezione di storia. Vide con la coda dell’occhio alcuni tra quelli rimasti cercare di carpire informazioni sul perché della loro esclusione, prima di imboccare il corridoio che portava all’uscita.

Gli serviva assolutamente un posto dove il fumo non fosse vietato e soprattutto aria. Voleva aria e solitudine. Si sentì per un attimo come se quello che stesse desiderando in quel momento fosse assolutamente anormale, forse avrebbe dovuto provare dispiacere, non che si aspettasse di essere preso, ma perché solitamente una persona normale ci sarebbe rimasta male, almeno un pochino, non troppo, il giusto. Invece a lui niente. Non interessava niente. Ma in fondo lo sapeva di non essere del tutto normale.

-Ehi!-

Lui era tutto tranne che una persona normale e come faceva ad aspettarsi di provare un sentimento normale come il dispiacere per non aver raggiunto un obiettivo.

-Ehi tu!-

Che poi non era nemmeno un obiettivo, almeno non il suo. Quindi un po’ normale lo era. No, impossibile. Però.. fumare. Voleva fumare.

-Kei!-

Solo al pronunciare del suo nome si accorse che quel vociare in lontananza era rivolto a lui.

Si voltò e si ritrovò davanti il coreografo. Era leggermente più basso di lui, ma molto più robusto.

-Kei giusto? Sono Jermaine Crowde!-

Gli rivolse un sorrisetto divertito e gli tese la mano.

Kei si limitò a stringergliela aspettando che fosse lui a continuare.

-Ti volevo fare i miei complimenti! Sei davvero molto bravo..- Perché voleva dirgli quella cosa? Era a pochissimi metri dalla porta e dalla sua sigaretta e quello lì lo fermava per complimentarsi.

-.. se fosse stata mia la decisione finale ti avrei preso, ma purtroppo l’artista voleva solo neri, avrai notato di essere l’unico bianco alla fine! Credimi è stato già difficile convincerli a darti una possibilità!-

Era rimasto l’unico bianco? No,  non se n’era accorto. La sua espressione rimase indecifrabile.

-Questi rapper saranno anche bravi, ma in quanto a cervello..- Jermaine roteò gli occhi -..sempre con questi pregiudizi, e poi dicono ai bianchi!-

Sigaretta, fumo, sollievo; Kei desiderava solo quello.

-Comunque ti volevo dire che il mese prossimo faccio un’altra audizione sempre qui e..-

Kei riprese improvvisamente il filo del discorso e, prevedendo il resto della frase, cercò di anticiparlo.

-No, senti grazie, ma questa era la prima e ultima volta, io non voglio..-

-Ma non puoi arrenderti al primo tentativo!- L’uomo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un palmare.

-In verità io non volevo venirci, diciamo che mi hanno costretto (non era proprio esatto forse, ma quello che ne poteva sapere) e io non voglio.. fare questo!-  Non sapeva nemmeno lui come definire ciò che aveva appena fatto; osservò l’altro trascrivere su un foglietto le informazioni che cercava sul palmare.

-Ecco questa è la data e l’ora.. è sempre qui! C’è speranza che riesca a  costringerti anche io? Davvero.. sarebbe davvero un peccato se non riprovassi! La prossima volta avrò un po’ più influenza sulla decisione, non ti posso assicurare nulla, ma se balli come hai fatto oggi considera il lavoro già tuo!- Mantenne il ghigno divertito porgendogli il foglietto.

Kei lo prese titubante e prima che potesse rispondere qualcosa per declinare l’offerta l’altro riprese.

-Almeno pensaci! Ci conto eh!- Sparì oltre il corridoio.

Non era possibile. Di nuovo. Gli era successo di nuovo.

Prima che qualcun altro potesse fermarlo, parlargli o proporgli cose che non voleva assolutamente fare, si precipitò verso l’uscita e, finalmente all’esterno, si accese la sigaretta tanto bramata.

12 marzo alle 10. Osservò il biglietto e se lo infilò malamente in tasca.

Non si sarebbe fatto incastrare un’altra volta.

 

Si chiese qual era il problema. Il suo problema. Come una persona estranea poteva avere un effetto del genere su di lui. Come era possibile che fosse diventato così convincibile in così poco tempo e con così poco. Ancora. Nemmeno gli avessero offerto una montagna di soldi, o meglio un rifornimento a vita di sigarette, di quelle buone, quelle russe che gli mancavano, quelle belle forti. Doveva essere successo qualcosa di davvero strano in lui. Non se lo spiegava.

Gli sembrava di vivere un dejavu. Quella scena l’aveva già vista.

Per forza: l’aveva già vissuta. Poco meno di un mese prima era davanti allo stesso edificio, più o meno alla stessa ora.

Quando la volta precedente aveva lasciato quel posto, era sicuro che non ci avrebbe più messo piede, sarebbe stato pronto a scommettere qualsiasi cosa, tutta l’eredità di suo nonno, che avrebbe buttato quel biglietto che stava nella tasca della giacca appena arrivato a casa. Invece sfortunatamente gli era caduto mentre tirava fuori il cellulare. Davanti a Rei. Se lui non ci fosse stato, sicuramente sarebbe andata come aveva progettato. Invece quell’infido di un cinese aveva afferrato il foglietto e aveva chiesto spiegazioni e lui, ovviamente, da bravo idiota, gliele aveva date.

Si era fatto di nuovo convincere. Eppure lui non voleva diventare un.. un ballerino.. lui ballava sì, ma solo per svagarsi, per non pensare a niente, per dimenticare tutti i problemi, non era di certo sua intenzione trasformare quegli attimi di libertà in un lavoro.

Ma si era fatto di nuovo convincere. E come la volta precedente si ritrovò a ponderare l’idea di restare con quella di tornare indietro.

Si decise a girare i tacchi, ma non appena lo fece si bloccò di colpo. Si aspettava che ci fosse un ragazzo abbronzato a bloccarlo e trascinarlo dentro parlandogli di cose assolutamente inutili. Gli sembrò quasi di vederlo. Ma non era reale, non c’era nessuno a parte lui in quella strada, davanti a quella porta. Nessuno lo avrebbe bloccato, se ne sarebbe potuto andare tranquillamente.

Era arrivato allora. Finalmente quello che aspettava da tanto era arrivato. Il momento della pazzia assoluta lo aveva colpito. Sapeva che prima o poi sarebbe finito al manicomio, che sarebbe diventato pazzo, ma a quanto pareva prima, per dimostrare fino in fondo questo suo stato, avrebbe affrontato la seconda audizione della sua vita. In fondo doveva esserci un segnale, un qualcosa che convincesse tutti della sua malattia mentale. E quella era la situazione giusta.

Entrò senza quasi accorgersene nell’edificio e, come la volta precedente, percorse il corridoio che lo portò davanti alle due ragazze che gli fecero compilare il foglio e gli scattarono la foto a sorpresa.

Come l’altra volta entrò nella sala ricoperta di specchi e aspettò.

Pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo.

Più se lo ripeteva, più se ne convinceva.

Tra le persone che li avrebbero giudicati di sua conoscenza c’era solo Jermaine, che non appena lo vide non potè fare a meno di sorridere. Ma perché la gente sorrideva in continuazione?

Quel giorno Kei si sentiva più irritabile del solito, desiderava davvero che finisse tutto al più presto per potersene tornare a casa e ripromettersi di non lasciarsi mai più convincere da nessuno a fare niente. Niente di niente.

Di nuovo l’assistente di Jermaine si apprestò a insegnare la coreografia. Molto diversa dalla volta precedente. Il provino di questa volta era per un artista molto più commerciale e soft del rapper della precedente. Kei si ritrovò a preferirlo.

Rientrò nell’ottica di idee di ballare e basta. Non pensare a nient’altro.

Questa volta i posti disponibili erano quattro e alla tranche finale erano rimasti in sette.

Kei osservò per la prima volta gli altri ragazzi, accertandosi che non fosse di nuovo rimasto l’unico bianco, per non essere preso nuovamente in contropiede se qualcuno avesse voluto farglielo notare.

Non notò nessun importante dettaglio e tornò nella sua completa indifferenza. Era sempre in fondo, cercando di non farsi troppe pene per essere notato, anche perché non gli serviva: gli chiesero di venire avanti e mentre ripeteva la coreografia con gli altri notò che Jermaine lo stava indicando alla sua assistente che non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo.

Rimasero senza far nulla per almeno 5 minuti, in silenzio ad aspettare mentre la commissione si stava consultando. Sembravano in disaccordo su qualcosa; Kei si convinse che per quella gente fosse normale non andare d’accordo. Si spazientì leggermente. Aveva di nuovo voglia di fumare.

Stavano sicuramente cercando un punto di contatto, uno iniziò a parlare al telefono, ma il coreografo sembrava aver perso quel sorriso che da un’ora a quella parte aveva sfoggiato allegramente.

Comunicarono finalmente di essere indecisi e che per scegliere si sarebbero basati su chi aveva maggiori capacità, che si tradusse in un’entrata di break: avrebbero preso chi si dimostrava più versatile.

Era palese che Jermaine si stesse preoccupando delle potenzialità di Kei perché lo guardò leggermente dispiaciuto, come se fino a quel momento fosse stato sicuro dell’esito positivo mentre ora aveva seri dubbi.

Ma Kei come al solito era troppo ossessionato dal pacchetto di sigarette nella tasca della sua giacca per tranquillizzare il coreografo con un qualche sguardo; sinceramente non si sentiva in dovere di tranquillizzare quel tipo che, chissà come, lo aveva incastrato nuovamente in quella situazione, senza sigarette.

Partì la musica e uno per volta dovettero eseguire un pezzo di freestyle (improvvisazione n.d.a.)a terra.

Kei era il quinto in ordine di entrata. Jermaine lo osservò speranzoso che tirasse fuori qualche capacità nascosta, ma non ci contava troppo.

Dei primi quattro solo due si dimostrarono capaci di osare qualche move di break, gli altri cercarono di riempire con qualche passo spettacolare in piedi.

Mentre aspettava il suo turno, che non sembrava arrivare mai, Kei sentiva crescere dentro di lui sempre più impazienza. Lo stava colpendo uno dei suoi improvvisi sbalzi d’umore; lo innervosivano quei buffoni prima di lui, quelli agitati dopo di lui, lo sguardo speranzoso di Jermaine, la pacatezza degli altri seduti a giudicarlo, l’impossibilità di accendere una sigaretta in quel preciso momento. Sfogò tutti i suoi malesseri senza nemmeno rendersene conto. Attivò la sua aria da sbruffone, si sentì improvvisamente in sfida contro tutti i presenti, che pensassero qualsiasi cosa, che fossero impegnati a guardarlo o a ripetersi a mente la lista della spesa.

Sentiva comunque di non sopportarli e di doverli sfidare. Usò quasi ogni passo che era servito per dare una lezione a Naoki alla fine dell’estate e, quando si rialzò, era a pochi centimetri dalla scrivania, davanti al punto in cui era seduto Jermaine. Gli scoccò un’occhiata di sfida alzando le sopracciglia per poi tornare al suo posto.

Ritornò indifferente. Si era sfogato e ora l’unica cosa che lo indisponeva era la mancanza di nicotina. Non si curò più delle persone attorno a lui. Non si accorse nemmeno del sorriso che era spuntato di nuovo sul volto del coreografo.

Quasi si perse la proclamazione dei quattro prescelti. E lui era tra quelli.

Aveva ottenuto il lavoro. Solo in quel momento si accorse di non volerlo. L’aveva ottenuto, ma non ne era poi così contento. Non sapeva che pensare.

Sì, era pazzo. Se non lo voleva perché si era lasciato convincere a partecipare.

Si ridestò dalle sue osservazioni sulla propria sanità mentale solo quando Jermaine gli strinse la mano e gli diede una potente pacca sulla spalla.

-Tu sei un genio!- Non credeva che qualcuno potesse sorridere così tanto -Tu non ti libererai mai più di me lo sai vero?-

L’espressione di Kei assunse un cipiglio alquanto perplesso. Uno dei suoi peggiori incubi si stava avverando, o almeno, il suo ultimo peggiore incubo.

Era rimasto solo con gli altri tre scelti e aspettava di ricevere il contratto per quel lavoro: un video con un famoso cantante pop che sarebbe stato trasmesso su scala internazionale.

Ecco, ancora peggio. No, non voleva assolutamente farlo. Ma non riuscì a rifiutarsi, nessuno gli lasciava nemmeno il tempo di elaborare un modo per rinunciare.

-Ecco devi firmare qui e qui- Una delle ragazze gli fece vedere un foglio non ancora compilato, mentre l’altra consultava la sua scheda.

-Aspetta, ma tu sei ancora minorenne!- disse la seconda.

-Davvero sei minorenne?- si introdusse Jermaine.

-Già-

-Allora devi far firmare questo a un tuo genitore o chi per esso- continuò la ragazza.

Kei afferrò il foglio e si chiese chi è che dovesse firmarlo tra quelli che si occupavano di lui.

-Devi riportarlo il giorno delle riprese, dopodomani.. iniziamo alle 9- Gli disse il nome del posto e se ne andò per spiegare qualcos’altro a un altro ragazzo.

-Allora a dopodomani geniaccio! Mi raccomando sii puntuale!- Anche Jermaine si dileguò.

Si ritrovò da solo con quei fogli in mano per la strada, dimentico della sua sigaretta.

Perché non aveva fatto niente per fermare quella follia? Perché si era fatto incastrare in tutta quella stramba faccenda? Era inutile: non riusciva a fare a meno di attirare l’attenzione verso di sé. Eppure lui voleva sempre passare il più possibile inosservato: non voleva tutte quelle attenzioni da tutti.

Vagò per il resto del pomeriggio per le strade di Tokio rimuginando, fumando tutto il pacchetto che aveva in tasca per rimediare alla dimenticanza che aveva avuto appena uscito dalla palestra.

Se ne comprò un altro e si sedette alla fermata dell’autobus più vicina.

Gli ci sarebbero voluti altri 40 minuti prima di arrivare a casa, ma non voleva dire a tutti che lo avevano preso. Non riusciva ad esserne felice e nemmeno la volta prima si era dispiaciuto di essere stato scartato. Che cosa doveva fare per provare qualcosa? Qualsiasi cosa. Un qualsiasi tipo di sensazione. Di sentimento bello o brutto che fosse. Si ritrovò a pensare alla droga. Almeno quando l’effetto finiva provava dolore, provava disprezzo per se stesso e la sua condizione. Provava qualcosa. Cercò di levarsi dalla testa quello stupido, deficiente, terribile, disgustoso pensiero dalla testa. Come era arrivato a pensarci? Cercò di indirizzare i suoi pensieri verso qualche altro tipo di sentimento. Gli venne in mente solo la danza. Subito dopo tutti quelle osservazioni dolorose sulla droga ecco tutte quelle positive verso la danza, verso quella sensazione di libertà e leggerezza che sentiva mentre ballava: si ritrovò a paragonare l’inibizione dei sensi che gli portavano le sostanze stupefacenti con quella che gli procurava ballare. Si stava drogando di danza quindi? Non riusciva proprio a non essere dipendente da qualcosa? A quanto pareva no.

-Sei ancora in giro?- Si girò verso la voce che gli aveva rivolto la parola.

Non era possibile. Lo stava seguendo: era l’unica spiegazione.

Una sensazione finalmente fece capolino. Era scocciato. Ecco, provava qualcosa ora.

Non gli rispose, ma ottenne l’effetto opposto a quello desiderato.

Invece che andarsene, Jermaine si sedette accanto a lui sul muretto della fermata dell’autobus.

-Mi stai seguendo?-

-Direi che le nostre strade sono destinate ad incrociarsi più spesso di quanto pensassi.-

L’altro non gli diede risposta, ma continuò a guardare dritto davanti a sé.

-Ho un appuntamento qua vicino tra poco e ho parcheggiato qui dietro.. Non ci crederai, ma ci siamo incontrati per puro caso!-

Kei non aveva intenzione di rispondere. Si accese una sigaretta.

-Non dovresti fumare.. Può comprometterti i polmoni..- Maledetto autobus che non arrivava - .. e per un ballerino respirare bene è importante!-

-Smettere di fumare è proprio l’ultimo dei miei pensieri e poi.. e poi io non sono un ballerino- come al solito le parole gli uscirono tanto dure quanto il suo tono era piatto.

-Ho visto persone ballare peggio di te e dichiararsi comunque dei ballerini..-

-Non è un problema mio..-

-Se non sei un ballerino e non è la cosa che vuoi fare perché ti sei presentato all’audizione?-

-Questa è un’ottima domanda.. sarebbe bello avere anche un’ottima risposta-

-Non ti conosco, ma se sei davvero ancora minorenne e balli a quel modo.. credo che tu sia uno dei ballerini più bravi che io abbia mai visto negli ultimi dieci anni!-

-Non sono un.. un ballerino-

-Verrai vero a registrare il video?-

-Non lo so..-

-Dovresti provare.. che ne sai.. magari ti potrebbe piacere! E se così non fosse, non perderai più tempo a chiederti se è quello che vuoi fare..-

Calò il silenzio per un minuto interminabile.

-Considerala come una prova.. nient’altro che una prova-

L’autobus spuntò in fondo alla strada e Kei si alzò per alzare una mano e fermarlo.

-Pensaci!-

Le porte automatiche si richiusero dietro al ragazzo e la vettura ripartì.

 

Arrivò a casa quando tutto si era già fatto buio. Peccato che però fosse ancora troppo presto per passare inosservato.

-Bentornato a casa! Era tosto l’ora!- lo accolse Takao come temeva.

-Vado a farmi una doccia-

Si liberò velocemente degli altri e si rintanò in bagno cercando di metterci il più possibile.

Quando gli urlarono per la terza volta che era pronto dovette scendere per forza. Non aveva molta fame, ma dirlo agli altri sarebbe stato un suicidio. Mille domande sulla sua salute si sarebbero unite a quelle che cercava di evitare da quando era entrato.

Si sedette al tavolo insieme agli altri. Notò solo quando se la ritrovò davanti che c’era anche Hilary, ma cercò di non unire lo sguardo con lei.

Ci vollero due portate prima che qualcuno prendesse finalmente il coraggio di chiedergli come fosse andata quella mattina.

-Allora Kei.. ehm.. com’è andata oggi?- Rei riaffondò il viso nel bicchiere.

Kei, che stava finendo di addentare l’ultimo pezzo del suo pollo, temporeggiò qualche secondo prima di parlare. Ma Rei lo anticipò pensando di aver posto la domanda sbagliata e inappropriata.

-Cioè non è poi una cosa importante, se non ce lo vuoi dire, cioè ti capiamo, noi..-

-Mi hanno preso- Alzò lo sguardo al cielo prima di rimettersi a bere dal suo bicchiere come se non fosse stato lui a parlare.

- Co-cosa? Bello.. ehm complimenti! E’ una bellissima notizia!- Rei si sentì libero di raddrizzare la schiena e mostrare una faccia compiaciuta e un largo sorriso.

Kei si alzò all’improvviso e fece per lasciare la stanza.

-Ma dove vai?- Lo fermò Takao - ..dobbiamo festeggiare!- Kei lo guardò scettico in modo molto convincente.

-Ma che festeggiare! Che mi è saltato in mente! Vai pure!- Si corresse Takao risedendosi.

Kei lasciò definitivamente la cucina scuotendo la testa esasperato.

-Ma che ho detto!- Takao affondò nella sedia affranto.

 

Si era diretto in giardino per fumare la sua ennesima sigaretta della giornata, ma sicuramente non ancora l’ultima. E come al solito qualcuno era arrivato in quel suo unico momento di pace della giornata, al buio da solo con la sua sigaretta.

-Tutto a posto?- chiese Rei.

Rispose facendo spallucce.

-Non mi sembri felice di essere stato preso-

-Credi davvero che io possa essere felice per qualcosa?-

-Ma certo che sì! Che domande sono?-

Altre spallucce.

-Quindi non sei.. contento.. di essere stato preso?-

-Mi è del tutto indifferente.. Non so nemmeno se voglio davvero fare questa cosa-

-Non hai intenzione di andare?-

-Non so.. Penso che se rinunciassi ora li metterei nei casini..- In effetti l’unico suo scrupolo era quello.

-Magari.. che ne sai.. potrebbe essere divertente..-

-Questa me l’hanno già detta-

-Perché forse è vera!-

Non gli rispose e terminò la sigaretta ricordandosi in quell’istante di un particolare.

Salì le scale fino in camera sua per poi tornare nella cucina finalmente poco affollata.

-Nonno J?!-

-Sì figliolo?-

-Dovrei far firmare questi fogli per quel lavoro.. lo puoi fare tu giusto?-

-Immagino di sì.. fammi vedere!- Si asciugò le mani e si sedette al tavolo.

Compilarono i documenti dopo aver appurato che rientrava tra i compiti dell’uomo firmare.

-Beh.. Complimenti davvero Kei.. è davvero una bella opportunità!-

Meno male che tutti lo pensavano, avrebbe finito per crederci anche lui se qualcun altro glielo avesse ripetuto.

Per fortuna nessuno ebbe intenzione di rivolgergli la parola per il resto della serata e poté rifugiarsi in camera finalmente solo e nella penombra.

Prese il cellulare per vedere se qualcuno l’aveva cercato. C’era solo un messaggio del suo operatore telefonico che gli ricordava l’importo del suo credito e uno di Mizuki che gli chiedeva come fosse andato il provino.

Non le rispose per molte ore, solo quando era sicuro che non avrebbe potuto rispondergli le inviò l’sms con quella che doveva essere la “bella notizia”.

Si chiese se fosse il caso di avvertire Yuri e gli altri di quello che stava facendo. Glielo avrebbe detto, ma in futuro, quando avrebbe avuto le idee più chiare.

Non faticò ad addormentarsi, era abbastanza stanco per abbandonarsi a una notte senza sogni.

Il giorno dopo dovette andare a scuola, più per far contento Nonno J che per altro, gli doveva molto e non sapeva come dirgli di no.

Scoprì solo alla seconda ora che avrebbero avuto tema in classe quel giorno, ma non se ne preoccupò minimamente. Intanto non sarebbe andato bene in ogni caso; per fortuna stava simpatico al professore e non avrebbe avuto un brutto voto comunque.

Il resto della giornata fu invece assolutamente monotono e il giorno dopo arrivò abbastanza presto.

Avrebbe potuto dormire di più, ma si affrettò a uscire prima degli altri perché non voleva sentire i loro mezzi discorsi che gli avrebbero fatto velocemente cambiare idea sul presentarsi.

Arrivò a destinazione in anticipo e si sedette fuori dal grande hangar in cui si sarebbe girato il video fumandosi una sigaretta: immaginava che non avrebbe potuto fumare per diverse ore e ne approfittò prima che potesse essere troppo tardi.

Appena lasciò cadere la cicca a terra e la calpestò per spegnerla, la persona che in quel periodo lo urtava di più gli si parò davanti.

-Pronto?!-

Lo guardò sconcertato dalla perenne presenza del sorriso su quel viso.

-Lo considererò come un sì! Dai entriamo!-

Kei seguì Jermaine all’interno dell’hangar che era già pieno di gente che si spostava da una parte all’altra e trasportava attrezzature, la metà delle quali Kei non sapeva nemmeno a cosa potessero servire. L’immenso spazio era stato diviso da delle paratie alte poco più di due metri, formando diverse stanze minori e una enorme in cui era montato una scenografia illuminata da diverse luci e puntata da parecchie telecamere. Il set riproduceva un locale provvisto di pista, tavolini e bancone.

Si fermarono in una delle stanzette create dalle paratie che fungeva da sala prove.

-Allora.. Hai fatto firmare l’autorizzazione?-

Kei gli consegnò il foglio firmato da Nonno J, che il coreografo sfogliò velocemente soffermandosi solo sulla firma e sulle caselle che indicavano se il firmatario fosse il padre, la madre, o chi ne faceva le veci notando marcata la terza casella e la discordanza dei cognomi, ma non fece domande.

-A questo ci penso io!-

Jermaine, con grande sollievo di Kei, fu intercettato subito da diverse persone che gli davano indicazioni sul programma e su quello che avrebbe dovuto fare e non ebbe più l’opportunità di stare da solo con Kei.

Arrivarono gli altri tre che avevano passato il provino con lui e altri ragazzi e ragazze che già facevano parte del corpo di ballo dell’artista.

Per tutta la mattinata fecero le prove della coreografia, la quale era spezzettata in diverse scene, in diversi luoghi del set e in diversi punti della canzone.

Solo verso mezzogiorno arrivò il cantante (un tipo tanto bello quanto erano le arie che si dava) per provare il suo pezzo di coreografia.

Il catering portò da mangiare prima di iniziare a girare. Finito di pranzare entrarono nella stanza guardaroba nella quale una miriade di vestiti aspettavano solo il proprio proprietario.

Le costumiste non dovettero far fatica a trovare qualcosa che stesse bene a Kei, poiché a lui stava bene proprio tutto.

Per girare, tra un ciak e l’altro, impiegarono tutto il pomeriggio.

Riuscì nell’aria fresca di marzo che gli faceva solo che piacere verso sera. Come aveva previsto non era riuscito a fumare per tutta la giornata, tranne una volta subito dopo pranzo quando si era imboscato con una delle ballerine in una porta esterna laterale per cinque minuti.

Non aveva tanto patito per la mancanza; era stato tanto occupato da non avere il tempo di pensare al fumo, tranne nella pausa pranzo nella quale aveva liberato la testa dal lavoro.

Beh, certamente la giornata si era rivelata più interessante di una qualsiasi mattinata passata a scuola e alla fine non si sentì pentito di essersi fatto convincere.

Ecco, lo stava ammettendo, anche se solo nella sua testa, che si era divertito; cioè non proprio divertito, forse svagato era la parola giusta. Era stato impegnato a scoprire tutte le cose nuove di quel mondo che aveva quasi dimenticato qualsiasi suo problema.

Era riuscito a estendere quel piacere che provava quando ballava a tutto il resto della giornata, ed era stata una sensazione piacevole.

Con gli altri non aveva scambiato più di due parole, cioè aveva annuito o risposto a monosillabi alle due parole che gli rivolgevano gli altri.

Tranne la ragazza con cui aveva fumato la sigaretta: lei ora stava camminando in silenzio di fianco a lui, con l’aria rilassata e compiaciuta.

Dovevano entrambi andare verso la fermata dell’autobus e lei, scoperta per puro miracolo quest’informazione, si era subito premurata di accompagnarlo.

Dentro all’hangar avrebbero continuato ancora a girare le scene in cui il cantante era da solo e questo aveva tenuto lontano Jermaine da Kei, nonostante fosse chiaro che volesse dirgli qualcosa prima che il ragazzo andasse via. Ma il russo si era defilato non appena gli era stato possibile con successo.

-Devi andare subito a casa?- chiese la ragazza mentre si appoggiavano al gabbiotto della fermata.

-Probabilmente-

-E’ vero tu sei quello piccino! Si staranno preoccupando!-

La guardò perplesso.

-Sei minorenne no?-

-Le voci girano- tornò a guardare la strada chiedendosi che cosa ci fosse di così rilevante nella sua età.

-Già! Dovrai farci l’abitudine, in questo ambiente non si può sperare di tenere un segreto!-

Ritornò per la seconda volta a guardarla perplesso.

-Non credo che farò questa cosa ancora-

-Perché? Mi sembravi a tuo agio.. e poi sarebbe davvero un peccato!-

-Sì, cioè non è andata male, ma..- fece spallucce prima di continuare - ..non so se è quello che voglio fare-

-E come pensi di scoprirlo?-

L’aveva preso in contropiede: come pensava di scoprirlo? Contava che provando una volta le idee si sarebbero fatte chiare, ma non era così, se possibile era ancora più confuso di prima.

-Non lo so- Kei si sentì di ripetere quella frase troppe volte nell’ultimo periodo. E non gli piaceva.

-Beh..- la ragazza era indecisa se continuare -..tra qualche settimana se non sbaglio, Jermaine lavora con Lauren Bright e credo che debbano ancora fare le audizioni, secondo me sarebbe felice se ci andassi anche tu!-

-No no no.. ferma.. Non ho intenzione di farmi incastrare per l’ennesima volta- disse portando le mani avanti, mentre le immagini di tutte le persone che nelle ultime settimane lo avevano spinto a presentarsi a quelle audizioni, da Ryo fino a Rei, gli passavano davanti.

-Ma non ti voglio incastrare!-

-Anche se non vuoi, lo stai per fare-

-Facciamo così.. se ti presenti alle audizioni e Jay ti prende, e se prende anche me ovviamente, ti concedo di uscire con me!-

A Kei scappò una risata per la situazione che si era creata.

-E chi ti dice che io vorrei uscire con te-

-Beh, come fai a resistere a una come me?- Ridendo si passò una mano tra i lunghi capelli castani mettendo su un’espressione da sostenuta.

Carina era molto carina. Sì, forse anche un po’ più di carina.

Scosse la testa esasperato anche per i suoi improvvisi pensieri.

-Allora affare fatto?-

Kei alzò le braccia in segno di resa; ormai non era più padrone delle proprie azioni.

-Perfetto!- Rubò il cellulare dalla tasca della giacca di Kei e salvò il suo numero nella rubrica. Poi si fece uno squillo e salvò quello di Kei sul suo.

-Ti scrivo un messaggio per i dettagli allora! Appena lo dirò a Jay sarà entusiasta!-

-Cosa? Te l’ha chiesto lui?-

Lei fece la faccia da santarellina.

-Ma certo che no! E’ tutta una mia idea! Solo che Jay mi ha parlato di te come un bambino parla del suo dolce preferito e penso che in questo modo saremmo tutti contenti.. lui avrà il suo ballerino, io il mio appuntamento e te..-

-..e io?-

-Beh.. – si spremette le meningi per trovare qualcosa di convincente -..tu le tue risposte!-

-Ma lo sai che potrebbero arrestarti se esci con me?-

-Non ci avevo pensato.. vabbè correrò il rischio!- Gli sorrise genuinamente.

 

 

 

 

Ed eccoci qui.. il cerchio si è chiuso.. o almeno il mio cerchio! Infatti questo capitolo, come i prossimi due, erano già stati scritti almeno due anni fa, poco dopo il pezzo della Russia u.u ebbene, questa è la conferma che tutto era già deciso e che avrebbe portato qui. Rileggendolo, comunque si nota la somiglianza con i primi capitoli, anche se ho corretto un po’ di cose qua e là!

Insomma.. quanta danza! Se la odiate me ne dolgo molto u.u

Ma vabbè.. annuncio anche che questo è l’ultimo capitolo che mando dall’Italia.. dal prossimo si diventa international! Sperando bene per la connessione che avrò :O ma non fasciamoci la testa prima di essercela rotta!

Nel frattempo recensite bimbe belle e fatemi sapere quanto mi lovvate o quanto mi odiate u.u

Un bacione :)  

 

 

 

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Capitolo 38
*** Show Off ***


Ognuno a suo modo è un tossico vero

Di pere, d’affetto, di sogni, di sesso o di idee

 

 

 

Show Off

 

 

Non appena tornato a casa mangiò qualcosa alla svelta senza scambiare troppe parole, non che solitamente lo facesse, e andò a dormire: era stata davvero una giornata lunga e, come due giorni prima, si addormentò senza problemi.

Il giorno dopo, però, non potè evitare la concentrazione di attenzione su di lui a colazione.

Gli chiesero come fosse andata, se fosse stato divertente o noioso, come gli sembrava il cantante, come fosse l’ambiente televisivo: in pratica tutto. Tutto quello che non avevano osato chiedere quando aveva fatto l’audizione glielo stavano chiedendo in quel momento.

Gli sembrò quasi normale tutta quella curiosità. Ormai era abituato e non poteva più stupirsi dell’infinità di domande che i suoi amici erano capaci di porre in così poco tempo.

Rispose a meno della metà di queste, come era suo solito fare, e ignorò le altre. Non era una novità né per lui né per gli altri.

Quello che però non aveva calcolato, che gli era completamente passato di mente era un fatto, invece, molto rilevante: che il video che aveva girato sarebbe apparso su tutte le reti musicali mondiali, per non parlare di internet.

Non avrebbe potuto evitare che chiunque volesse lo andasse a vedere e che chiunque lo potesse di conseguenza riconoscere.

A ricordarglielo fu Mercedes, la ballerina del video, due settimane dopo averlo girato, quando lo avvertì della data di uscita del video. Come aveva fatto a dimenticarsi di un dettaglio così rilevante poteva saperlo solo lui. Preso dalla stanchezza, dal tentativo di evadere le domande degli altri e l’affinità che si era creata con Mercedes, non aveva pensato a quello che era il frutto del suo lavoro.

Si sarebbe visto in televisione, e quella era sicuramente la parte peggiore di tutta la situazione.

Se il provino l’aveva sopportato e il girare lo aveva fatto sentire a suo agio, il riguardarsi invece lo terrorizzava parecchio. Non si era mai esibito in pubblico: i ragazzi della piazza a Mosca e quelli in Giappone non potevano proprio considerarsi un pubblico, e tantomeno i suoi amici, anche a Hilary aveva mostrato ben poco, qualcosa di importante, ma comunque di limitata entità.

Dalla palestra chiusa e solitaria si stava ritrovando in mondovisione.

L’unica persona che fino a quel momento poteva dire di conoscere realmente il suo modo di danzare era Dana e.. e già che pensava a Dana si ricordò di non averle nemmeno detto che aveva partecipato a quei provini: proprio a lei che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva. Era un’altra cosa che gli era passata di mente e doveva assolutamente rimediare.

Tutto il suo ragionamento era avvenuto in classe durante la sua ‘adorata’ ora di storia.

Non aspettò nemmeno che l’ora finisse e chiese di andare in bagno; una volta nel corridoio iniziò già a comporre il numero e, dopo numerosi squilli a vuoto, la ragazza rispose nel mentre arrivava sulla terrazza della scuola.

-Pronto?!- Una voce assonnata e confusa gli rispose.

-Dana?! Sono io, Kei..-

-Kei, stai bene è successo qualcosa di brutto?- sembrava anche agitata.

-No.. niente di grave tranquilla-

-Meno male.. mi fai spaventare se mi chiami a quest’ora!-

Quest’ora? Erano le 11 del mattino.. in Giappone. La sua recente abitudine di non ricordarsi le cose si era fatta sentire ancora. Lì erano le 11, ma a Mosca almeno 6 ore prima.

-Scusa.. il fuso orario. Me l’ero dimenticato completamente.. Ti ho chiamato tanto velocemente che non ho pensato all’orario-

-Proprio oggi hai deciso di comporre frasi così articolate? Parla lentamente che non sono totalmente lucida in questo momento-

-Mi dispiace ecco.. volevo solo dirti che.. diciamo..-

-Kei! Mi hai svegliato alle 5 del mattino.. vai dritto al sodo..- sembrava pronta a riaddormentarsi da un momento all’altro.

-Ho girato un video- si rese conto subito della poca chiarezza della frase.

-E tu mi chiami per dirmi che hai girato un video?-

-No.. intendevo un video serio.. di quelli che vanno su MTV.. di un cantante..-

-Tu? In che senso?- Dana stava arrivando molto lentamente alla soluzione del mistero.

-Come.. come.. ballavo nel video, ecco..-

-COSA?!?!?! Potevi dirlo subito? Quando? Di chi? Perché? Ci voleva tanto a dirlo!- Perfetto; prima sembrava pronta a riaddormentarsi, mentre dopo poche parole era sveglia e pimpante a forargli i timpani.

Sentì di fianco alla ragazza qualcuno tirare delle imprecazioni e chiederle spiegazioni, ma lei lo ignorò: doveva essere suo marito svegliato dalle urla.

-Ma te l’ho detto subito.. vabbè fatto sta che è successo.. è una storia lunga.. volevo solo avvertirti che se mi vedi in televisione non è un’allucinazione e.. in verità preferirei che tu non lo guardassi, ma visto che non lo farai..-

-Ma certo che lo guarderò! Sei pazzo? Beh a quanto pare sì se qualcuno è riuscito a convincerti a farlo! Chi era il coreografo?-

-Jermaine Crowde-

-Cosa?! Ma quell’uomo è un mito.. qualche anno fa avevo una cotta per lui!- A quest’affermazione sentì una voce dall’altro lato del telefono essere zittita.

-Mah se lo dici tu..-

-Ma sì! E’ un grande! E gli sei piaciuto quindi?-

-In effetti ora mi perseguita.. ho quasi paura che sia gay..-

-Nah tranquillo! Quindi lavorerai ancora con lui?-

-Forse.. Non lo so ancora.. cioè lo sai che non è propriamente quello che voglio fare..-

-Ah no? Dai Kei.. Secondo me sei perfetto per questo tipo di lavoro.. Sapevo che se ci avessi provato avresti fatto buona impressione! Sono troppo fiera di te! Yuri che ne dice?-

Ecco un’altra persona a cui si era dimenticato di dare la notizia.

-Non gliel’hai ancora detto?-

-Potrei provare a chiamarlo adesso, ma non penso che sarebbe così comprensivo come te se lo svegliassi così presto per questo motivo-

-Potrebbe stupirti sai?-

-Chi?! Yuri Ivanov? Quel Yuri Ivanov?-

-Sì forse hai ragione.. allora meno male che prima hai chiamato me!- Avrebbe giurato che stesse sorridendo. Se la immaginò seduta sul letto, ancora mezza sotto le coperte, con i capelli arruffati e il suo sorriso sincero. L’unico sorriso che non lo urtava più di tanto.

-Grazie-

-E per cosa?-

-Per tutto quello che hai sempre fatto per me.. devo attaccare adesso, il prof potrebbe insospettirsi, è da troppo che sono uscito dalla classe..-

-Kei mi hai chiamato mentre eri a scuola? Non si fa così..-

-Tranquilla, non era una lezione di vitale importanza.. ora vado comunque..-

-Ok.. ehi aspetta.. non mi hai ancora detto di chi è il video..-

-Vero.. vabbè a te il piacere della scoperta.. Buona giornata-

-Kei aspet-

Chiuse la conversazione. Almeno non lo avrebbe visto presto, forse stanca di cercarlo in tutti i clip esistenti avrebbe rinunciato e sarebbe stata una persona in meno a vederlo.

Non appena mise piede in classe suonò la campanella che annunciava la fine della lezione.

Non era stata una conversazione spiacevole nonostante le premesse, era riuscito anche a saltare venti minuti del racconto di chissà quale rivoluzione giapponese.

Rei non mancò di rimproverarlo per aver saltato così la lezione, ma fu totalmente ignorato, ma la notizia peggiore arrivò di ritorno dalla pausa pranzo: la professoressa di ginnastica era assente e a fare supplenza c’era proprio il caro professor Suji.

Oltre alla lezione extra chilometrica inflisse una pena ancora maggiore: il compito in classe.

La verifica scritta di storia era una crudeltà nel vero senso della parola: già raccontare i fatti storici precisamente si rivelava arduo, doverli scrivere era, se possibile, molto peggio.

Se poi si avevano problemi con la lingua e col ricordarsi i nomi esatti di tutti quei personaggi storici poteva rivelarsi un vero e proprio martirio: questo era il caso di Kei e non era sicuro di poterlo reggere.

Avrebbe potuto saltarlo, marinare scuola per lui non era un vero e proprio problema: in una sola settimana non ce l’avrebbe mai fatta a studiare tutto. Ciò che gli creava delle riserve era che forse lo scritto si sarebbe rilevato abbastanza utile: poteva fare un bel po’ di bigliettini e sperare di non essere visto.

Se fosse andato bene quel compito avrebbe evitato l’interrogazione e lui doveva assolutamente riuscire a saltare l’interrogazione. Avrebbe trovato una soluzione.

Nel tragitto verso casa ascoltò l’esperienza personale con i compiti scritti di Suji dal racconto colorito di Takao e si disse che qualche copiatura sarebbe riuscito a farcela stare.

-Però poteva darci almeno qualche giorno di preavviso in più.. come faccio a studiare tutto entro venerdì?- si lamentò il giapponese.

-Avresti dovuto iniziare a studiare un po’ prima.. ecco come avresti dovuto fare!-

-Dai Hil.. penso che qui tu sia l’unica ad aver iniziato già a studiare!-

La ragazza guardò gli altri cercando conferme del fatto che lei non fosse l’unica a prevenire certi disastri, ma non le trovò e si separò esasperata dai suoi compagni.

-Io quella non la comprendo proprio!- Takao la guardò allontanarsi molto perplessa.

-Seriamente.. domani dovremmo svegliarci presto per un ripasso di gruppo..-

-Ma è sabato Rei!-

- Takao.. preferisci dover essere interrogato?- Rei e Takao cominciarono a discutere su cosa fosse peggio: alzarsi presto o essere interrogato di storia.

Kei ripensò improvvisamente all’atto di alzarsi presto e, come un’illuminazione, si ricordò della chiamata che aveva fatto quella mattina e quella che avrebbe dovuto fare in quel momento.

Guardò l’ora, ormai doveva essere mattina inoltrata in Russia e non avrebbe corso rischi a chiamare.

Prese il cellulare e restò un po’ indietro rispetto agli altri.

-Pronto?-

-Ciao Yuri, come va?-

-Cosa hai combinato?-

-Perché dovrei aver combinato qualcosa?-

-Perché mi hai chiamato di tua spontanea volontà e hai esordito con un “come va?”-

-Non posso voler sapere come stai?-

-Cosa hai combinato?-

Si convinse di aver fatto bene a non averlo chiamato quella mattina subito dopo Dana. Sicuramente non sarebbe stato così comprensivo come lei, ora ne aveva la certezza.

-In verità non ho fatto nulla.. cioè una cosa sì, ma non è per forza una cosa brutta e..-

-Arriva al dunque..-

-Diciamo che c’è la remota possibilità che tu mi veda in televisione..-

-Cosa? Hai partecipato a qualche programma? Da quand’è che vuoi diventare famoso?-

-Non voglio diventare famoso.. è solo che, non so ancora come, mi hanno convinto a fare un.. ecco un provino.. per ballare in un video e.. beh mi hanno preso e..-

-Wow.. e ti hanno pagato bene?-

-Come sei diventato venale in mia assenza..-

-Ma è solo una domanda legittima.. ti hanno pagato bene sì o no?-

Ci pensò un po’ su. Il lunedì dopo aver girato il video erano arrivati i soldi sul suo conto: erano sicuramente più di quelli che si sarebbe mai aspettato, sinceramente non aveva proprio pensato al fatto che l’avrebbero pagato. Non riusciva a considerarlo un lavoro retribuito a tutti gli effetti.

-Beh abbastanza-

-Benissimo.. Appena lo dirò a Sergay stai tranquillo che tutta Mosca lo saprà.. ah e sì.. Boris non vedrà l’ora di vederti-

Chissà perché non gli si prospettò come fosse una cosa positiva. Sergay sarebbe stato davvero capace di dirlo a tutti e Boris avrebbe voluto vederlo per inaugurare qualche nuova battutina sarcastica. Sì, era davvero bello avere una famiglia così premurosa.

-Yuri..-

-Tranquillo stavo scherzando..- era perplesso, ma finse di credergli.

-Ok..-

-E.. sei contento di aver fatto questa cosa?-

Come domanda lo spiazzò non poco e cercò una risposta sincera, se non lo fosse stata quel dannato di un rosso lo avrebbe capito nel giro di pochi secondi.

-Direi di sì..-

-Mi fa molto piacere.. sul serio..-

-Grazie..- soffiò impercettibilmente.

-Ah a proposito.. lo so che è un po’ presto per chiedertelo, ma.. non è che quest’estate ti andrebbe di venire qui? Per quanto vuoi.. Ser e Bo non penso che possano chiedere delle ferie e ci farebbe piacere rivederti, dopo la fine della scuola ovviamente..-

-Sì certamente..-

-Non sei obbligato..-

-No è.. è che non mi aspettavo che..-

-Intanto organizzeremo più avanti.. ora pensa alla scuola e.. e beh a divertirti..-

-Ok.. ci sentiamo..-

-Ciao-

-Ciao-

Non aveva pensato di poter tornare in Russia quell’estate; non che non volesse andarci, ma semplicemente non ci aveva pensato. Appena realizzò quello che si erano detti lui e Yuri, si sentì improvvisamente più spensierato. Era inutile: la Russia gli mancava, il clima, i posti, le persone, le sigarette e lui doveva assolutamente tornarci. Non era sicuro che glielo avrebbero chiesto.

Pensava che volessero che stesse il più lontano possibile da Mosca per più tempo e infatti, per non crearsi illusioni, non aveva fantasticato di tornarci tanto presto.

Ad un tratto l’aria giapponese si era fatta soffocante come l’estate precedente quando era arrivato. Il desiderio di tornare in patria che aveva cercato di reprimere dentro di sé si fece sentire.

Massimo tre mesi e sarebbe potuto risalire su un aereo per tornare in Russia e magari anche restarci. No, quello non sapeva se lo voleva davvero. Forse non avrebbe fatto bene per lui ritrasferirsi definitivamente e sarebbe stato meglio per quello aspettare davvero più tempo.

Non era pronto.

Ma ci avrebbe pensato a tempo debito, intanto gli bastava sapere che, se avesse voluto, sarebbe potuto tornare, anche solo per un giorno e questo gli fece scordare ogni preoccupazione su verifiche, video musicali e cose del genere.

-Hey Kei.. ti muovi?-

Si accorse di essere rimasto troppo indietro in confronto agli altri e velocizzò il passo per raggiungerli.

Arrivati a casa si presero l’ultimo pomeriggio libero prima della seduta intensiva di studio che avevano progettato per il giorno dopo.

 

Non era nemmeno da un’ora che avevano iniziato e già non ce la faceva più. In quel momento avrebbe di gran lunga preferito partecipare a mille provini per chissà che lavori e invece doveva cercare di capire tutte quelle faccende politiche e militari del Giappone di secoli prima.

Non erano tanto gli avvenimenti il suo problema, tanto meno gli mancava la memoria, finchè si trattava di date ce la poteva fare, ma i nomi proprio non li reggeva, non gli entravano in testa e quello che richiedeva il professore era proprio quella serie infinita di nomi.

Solo che il titolo dell’epoca che doveva studiare gli procurava non pochi problemi: l’era Tokugawa. Più ideogramma associato, una vera agonia.

Ignorando le proteste di Rei, partì con la sua opera: la compilazione di bigliettini da nascondere in qualsiasi posto gli fosse venuto in mente.

La mattinata passò, quindi, molto tranquilla, troppo tranquilla: in realtà la noia più profonda li aveva totalmente colpiti, attanagliati senza via di scampo.

Quando arrivò alla divisione in due fazioni della vecchia alleanza tra Tokugawa Ieyasu e Ishida Mitsunari capì che non ce l’avrebbe più fatta.

Si prese una pausa. Una lunga pausa, che sapeva già come occupare: una preziosissima sigaretta gli venne in aiuto e gli distese i nervi.

Passarono il week end in quel modo: a studiare. Nel pomeriggio di sabato Hilary li aveva raggiunti, dispensando il suo sapere su tutti i colpi di stato e via dicendo, mentre i ragazzi prendevano appunti, su quelli che lei non sapeva essere bigliettini destinati a essere copiati pari pari durante il compito. Persino Rei aveva abbandonato qualsiasi riserva e buon intento.

Se possibile la domenica si rivelò più noiosa e più inutile del giorno prima e il lunedì a scuola la voglia di aprire un libro era sempre minore.

Durante la pausa pranzo Kei, al quale le sigarette stavano smettendo di fare effetto, si disse che gli serviva qualcos’altro per liberare la testa. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era una bella.. uscita con una bella ragazza.

Ripensò a quando stava con Hilary: in quel periodo la voglia di fumare si era allentata, mentre nel periodo Mizuki aveva ripreso le sigarette di differenza.

Era comunque da troppo che non stava con qualcuna e iniziava a risentire anche di quello. Si guardò intorno nel cortile della scuola: vide passare Aiko, quella sì che era una bella ragazza, ma non era sicuro che lei lo avrebbe voluto di nuovo, anche solo per una volta.

Si disse che doveva ricordarsi di tenersi strette le persone più ‘esuberanti’ in quell’ambiente dove non è che abbondassero.

Ripensò a Mercedes e al ricordo che aveva di lei: ormai erano passate tre settimane e lei non si era più fatta sentire, ma Kei ricordava bene che, anche se non aveva mostrato troppo interesse, lei era davvero molto, ma molto bella. Cioè classica ragazza latina, con le curve al posto giusto.

Stava facendo pensieri da pervertito e, quando se ne rese conto, si diede del deficiente.

Prese il cellulare e lo fissò stranito, poiché non si era accorto dell’arrivo di un messaggio. Dall’ora del ricevimento era passata mezz’oretta buona.

Era proprio di Mercedes e quindi non potè fare altro di rimproverarsi perché se avesse preso prima il cellulare avrebbe evitato di fare quei pensieri poco casti.

Il provino di cui ti parlavo è venerdì, e io per quella sera mi sono tenuta libera, ho fatto bene?

Avrebbe voluto averla lì in quel momento per ringraziarla della sua prontezza: gli aveva appena dato una notizia fantastica.

Se solo.. se solo il compito di storia non fosse stato venerdì sarebbe stato perfetto.

Il morale che gli si era finalmente risollevato tornò a rasentare terra e non se ne capacitò.

Non posso. Ho un compito in classe che non posso saltare quella mattina.

Per una volta che aveva voglia di andare a fare quegli stupidi provini, per una volta che qualcuno aveva risposto prontamente ai suoi desideri, per una volta che sembrava accadere quello che voleva.

Sospirò esasperato. Pazzo. Lo stava diventando sul serio.

Vibrò il cellulare nella sua mano e con poca voglia lesse il contenuto del messaggio che sapeva già lo avrebbe depresso maggiormente.

E chi ha detto che è di mattina. E’ alle 15. Dì a casa che mangi fuori. =)

Il suo morale si alzò cautamente. Rilesse due o tre volte il messaggio prima di essere sicuro di non avere le allucinazioni. Venerdì non sarebbe stata una giornata catastrofica come aveva previsto, o almeno, non tutta la giornata.

 

Venerdì arrivò e non sembrò iniziare proprio nel migliore dei modi.

Pioveva e la sveglia con la pioggia rendeva tutti di cattivo umore e particolarmente irritabili.

Nel dojo Kinomiya si respirava pessimismo. L’unico che sembrava non subire gli effetti del tempo era Kei, per il semplice fatto che mostrava la sua solita espressione indifferente verso il mondo e lo era davvero. Totalmente indifferente al tempo, al compito e al pomeriggio che gli si prospettava. Tutto, in fondo, andò come aveva previsto.

Il compito era alla terza ora. Si era preparato una marea di bigliettini, ma quelli che tenne nei calzini furono solo quelli con i nomi dei vari luoghi e personaggi. Rispose bene o male a tutte le domande e non avvertì tutta la preoccupazione che lo aveva preso la settimana prima.

Durante la pausa pranzo si cambiò la divisa in bagno e la lasciò, insieme ai libri, a Rei.

Si defilò in fretta fuori dall’edificio e prese l’autobus per Tokio.

Arrivato a destinazione si riparò sotto l’ombrello alla ricerca della palestra: era diversa da quella dove aveva tenuto le altre audizioni, ma non ebbe troppi problemi nel trovarla.

Non appena varcò la soglia, finalmente all’asciutto, si guardò intorno e intercettò subito la persona che stava cercando.

Mercedes era lì ad aspettarlo.

-Giusto in tempo!-

-C’era coda e l’autobus era lento-

-Pensavo che venissi con la divisa di scuola!- disse lei facendogli la linguaccia.

-Ah ah molto divertente..- La sua risata era tutto tranne che una risata, ma non era scocciato.

-Di che cos’era il compito?-

-Storia-

-Mi piaceva la storia al liceo!-

-Vorrei poter dire la stessa cosa-

Compilò di nuovo diversi fogli e si fece fotografare. Non era convinto che fossero dei geni quelli che organizzavano queste cose, non era possibile che ogni volta doveva ripetere quella routine.

Entrarono nella palestra. Era molto più grande dell’altra, ma anche questa ricoperta interamente di specchi.

Al solito banchetto c’erano seduti solo Jermaine e la sua assistente, che ormai aveva scoperto chiamarsi Monique.

-Lauren e Jay sono grandi amici, lei si fida ciecamente del suo giudizio e gli lascia massima libertà nei casting!-

Se lei si fidava di quel tipo non erano affari suoi, ma Kei non riusciva ancora a inquadrarlo come un personaggio positivo.

Nella sala erano il doppio delle volte precedenti, sia maschi che femmine, ma i posti disponibili, come al solito, molto pochi. Cercavano cinque uomini e quattro donne che avrebbero dovuto partecipare a un’esibizione live della cantante per beneficienza.

La prima scrematura, come ormai Kei aveva capito, serviva a sbarazzarsi di quelli che sicuramente non avrebbero preso e che era sostanzialmente una perdita di tempo tenere: si dimostravano sempre un numero enorme.

Rimasero in una trentina, tra ragazze e ragazzi, ad aspettare di ballare di nuovo. Mentre Monique li divideva in coppie (Kei si ritrovò, non seppe come, con Mercedes che fino a trenta secondi prima stava dall’altra parte della sala) un folto capannello di persone fece irruzione nella sala.

C’erano due o tre ragazze indaffarate tra cellulari, agende e borse enormi, un uomo vestito bene che sembrava essere un manager, due che Mercedes gli aveva indicato essere delle responsabili della palestra e un omone vestito di nero con un auricolare all’orecchio che non perdeva d’occhio l’ultima, ma più importante, persona che era entrata: Lauren Bright si era fatta spazio e aveva salutato Jermaine abbracciandolo forte.

Kei la riconobbe per averla vista diverse volte sulle copertine dei giornali di gossip che comprava Hilary: a quanto pareva erano sempre tutti molto interessati alla sua vita privata che non smetteva di stupire il pubblico.

Kei conosceva qualche sua canzone: era un accoppiata strana, aveva l’aspetto della classica icona pop, con i capelli biondissimi, la pelle lucente e gli occhi chiari, un fisico perfetto, il viso era particolare, tanto che non tutti la considerassero propriamente bella, ma che abbinato alla sua voce nera e potente la rendeva una delle rivelazioni degli ultimi anni.

-E ha solo un anno più di me.. lei ha il bodyguard e io sono qui con un minorenne, un minorenne fighissimo, sia chiaro, ma capiscimi..-

Kei guardò Mercedes perplesso e abbastanza divertito.

-Chissà come fa ad avere una pelle del genere.. un giorno o l’altro glielo chiederò..-

Mercedes iniziò a spostare lo sguardo dal proprio braccio a Lauren come per carpire le differenze tra i trattamenti per la cute che usavano.

-Dai che vai benissimo così..-

-Trovi davvero?-

-Certamente.. sei bellissima con la pelle che hai..-

-Oh che carino! Continua pure a elogiarmi.. non mi dà fastidio!-

Scherzarono insieme ignorando la nuova venuta finchè non smise di parlare con Jermaine.

Gli si sedette accanto. Sembrava che avrebbe assistito al resto del provino.

-Meno male che avevi detto che si fidava..-

-Si vede che non aveva niente da fare..-

Ricominciarono a ballare, questa volta con una piccola variazione in coppia della coreografia.

Kei si sentì molto a suo agio a ballare con Mercedes, soprattutto per la vicinanza dei loro corpi.

Non poteva chiedere di meglio. Gli sembrò anche che Jermaine continuasse a indicarli a Lauren che li guardava sorridente. Un’altra persona sorridente da sopportare. Perfetto.

Bisbigliarono per un po’ prima di assegnare il lavoro.

Lui e Mercedes, come previsto, avevano ottenuto la parte.

-Benissimo, ora mi devi un’uscita-

-Sono venuta in macchina apposta!-

 Con grande dispiacere di Kei, non poterono evitare di scambiare qualche parola con Jermaine che si complimentò con la ragazza per averlo convinto a presentarsi.

-Ci vediamo domani allora!- li salutò il coreografo.

Fuori aveva smesso di piovere e raggiunsero la macchina parcheggiata poco più in là lentamente.

-Dove mi porti?- azzardò Mercedes.

-In verità non sono per niente pratico della zona, e poi guidi tu.. a te la scelta-

-Immaginavo, allora ti fidi di me?-

-Farò un tentativo-

Fecero poca strada prima di fermarsi in un posto più in centro. Decisero di cenare in un ristorantino molto semplice e alla mano.

-Allora scorfano brontolone, che mi racconti?- Kei la guardò sempre più perplesso, ma sempre più divertito.

-Che vuoi sapere?-

-Qualsiasi cosa! Fai tu!- gli sorrise.

-Allora ti dico che in questo momento vorrei che la conversazione si spostasse da me a te-

Non dovette provare molto per riuscire nel suo intento. Senza problemi convinse l’altra a parlare di sé e a sviare ogni domanda sul suo conto; dopo anni di allenamento era una cosa che gli veniva molto naturale, in aggiunta Mercedes era la classica ballerina egocentrica.

Scoprì di essere a cena con una ragazza di 21 anni, tre anni più di lui, si accordarono sugli anni di prigione che avrebbe dovuto scontare una volta che lui l’avesse denunciata per molestie e sugli hobby di lei. Poi parlarono di danza, su quello che lei aveva fatto, di come aveva conosciuto Jermaine e cose del genere.

Alla fine dell’ottima cena si diressero alla cassa per pagare e, quando Mercedes fece per prendere il conto, Kei la precedette.

-Faccio io..-

-No tranquillo.. Non c’è problema..-

Non fece in tempo a protestare che era già stata trascinata fuori dal ristorante.

-Già ci metti la macchina e buona parte della conversazione, almeno quello lascialo a me-

-Mmm.. sì direi che è un ottimo compromesso!-

Fecero un giro per il centro di Tokio osservando le vetrine colorate, che nonostante fosse sera, erano illuminate a festa.

-Tieni..- disse Kei porgendole un cartoncino colorato tutto rifinito.

-Cos’è?-

-Me lo hanno dato al ristorante..- fece spallucce.

Lei osservò meglio e notò che sopra vi era cucito un ideogramma giapponese.

-Ma che cosa carina..-

-Che vuol dire?-

-Vuol dire.. ehi! Ma che classe frequenti? Non dirmi che non sai leggere!-

-Ho perso un anno..- gli occhi di lei si allargarono come se avessero avuto tante conferme -..ma non perché non so leggere. Ho solo qualche problema con gli ideogrammi..-

-Ma questo è semplice.. c’è scritto “Arigatou gozaimashita”.. arrivederci!-

-Non guardarmi così.. guarda che ho vissuto qui solo per due anni-

-Davvero?-

-Uno qualche tempo fa, mentre adesso sono qui dall’estate scorsa..-

-Allora sei perdonato! Ma di dove sei?-

-Mosca, Russia-

-Oh ecco spiegato tutto.. ecco perché sei un piccolo ghiacciolo imbronciato!-

-Non ti ci mettere anche tu-

-Allora te l’hanno già detto! Vuol dire che è vero.. ma non vuol dire che tu sia meno affascinante per questo!-

-Ci stai provando spudoratamente?-

-In effetti è quello che sto facendo da tutta la serata!-

-Meno male.. mi togli un bel po’ di lavoro..-

Tornarono in macchina prendendosi in giro e decidendo su chi avrebbe dovuto provarci tra i due.

Avevano considerato tutte le variabili tra cui l’età, il sesso e gli anni dimostrati, ma non avevano raggiunto un accordo.

-Beh questo penso di doverlo fare io- Kei si era appena accomodato sul sedile del passeggero accanto a Mercedes e si sporse verso di lei accarezzandole il viso con una mano. Lo avvicinò al suo e la baciò. Un piccolo bacio dolce. Lei aveva chiuso gli occhi e quando li riaprì se lo ritrovò ancora vicino con lo sguardo fisso nel suo.

L’effetto ipnotizzante dei suoi occhi violacei ebbe effetto anche su di lei che non potè fare a meno di annullare di nuovo il contatto tra di loro.

- Do-dove andiamo adesso?- chiese lei leggermente accaldata.

-Dove preferisci..-

-Se vuoi intanto possiamo andare verso Edogawa..-

-Non è molto uno spasso a quest’ora..-

-Potremmo andare a casa tua..-

-Non penso sia una buona idea.. ricordi tutta la storia sull’età?-

-Ci sono i tuoi in casa? E non hai il permesso di portare ragazze più grandi pronte a saltarti addosso?- gli sorrise.

-Non vivo coi miei.. sto da un amico.. insieme ad altri due.. più suo nonno.. in pratica è molto affollato e preferirei evitare-

-Non stai coi tuoi genitori? Non ti facevo così indipendente..-

-Piuttosto tu, donna adulta, non ce l’hai una casa?-

-Sì ma è affollata almeno quanto la tua.. le mie coinquiline stasera mi hanno bandita!-

-A me piace molto anche la tua macchina-

-Bad boy.. dai andiamo a trovarci un posticino!-

Finalmente lasciarono il parcheggio alla volta della periferia di Tokio.

Arrivati sul mare percorsero il litorale per poi imboccare strade secondarie. Alla fine trovarono uno spiazzo in uno dei pochi luoghi verdi molto appartato, dove sembrava non ci mettesse piede nessuno da anni.

La vista non era bellissima a causa della vegetazione lasciata crescere liberamente e delle costruzioni di cemento, ma intanto non era il panorama quello che gli importava.

Si sistemarono sui sedili posteriori e iniziarono a scambiarsi baci e carezze.

-L’hai già fatto vero? L’ho dato per scontato ma..- la zittì con un bacio.

-Tranquilla..-

Ancora un altro bacio e altre carezze. Senza nessun preavviso lui strinse la presa attorno ai fianchi di lei e con una lieve pressione la portò a sedersi su di lui. Messi così erano alla stessa altezza e si potevano guardare negli occhi. Mercedes arrossì vistosamente.

-Oh mio Dio, sembro io la bambina piccola!-

Le rivolse il suo primo sorriso, quel grande raro evento che concedeva solo per un buon motivo e quello gli sembrava un buon motivo, dopo la bella serata passata insieme.

Le sorrise e lei ne fu raggiante.

Quello che accadde dopo fu subito dolce come quel raro sorriso, per poi diventare passionale e intenso. Una danza che li accomunava e li univa, molto più intima e molto più carnale di quella del pomeriggio.

Quando lei si rimise seduta di fianco a lui aveva il respiro affaticato e delle gocce di sudore le incorniciavano il viso. Si strinse ancora a lui traendo calore dal suo corpo.

Si sentiva bene e appagata.

Kei sciolse lievemente l’abbraccio per poterle alzare il viso e rubarle un altro bacio.

-Dovresti farlo più spesso sai?-

-Venire a letto con te?-

-No.. sorridere..-

-Ah quello..-

-Ma anche venire a letto con me.. magari in un letto la prossima volta!-

-Sì mi sa che ti devo qualcosa di più comodo-

Rimasero stretti nel sedile posteriore per almeno un’oretta ancora e solo con molta fatica si dovettero convincere a rivestirsi.

-Domani dobbiamo alzarci presto! Dobbiamo essere alle prove alle 10!-

Kei non le rispose, ma le scoccò un altro bacio.

-Ed il posto è a Soka.. ti passo a prendere così ci andiamo insieme?-

Con molta fatica si staccò definitivamente da Kei e si rimise alla guida diretta verso casa.

Si fermò davanti all’ingresso del dojo.

-Wow.. Che bel posto.. Ecco perché i tuoi ti hanno lasciato venire a vivere qua.. ha un aspetto molto.. protettivo e sicuro ecco!-

-A domani mattina- la interruppe Kei dandole l’ultimo bacio della serata e scendendo dalla vettura.

-Buona notte!- gli rispose sorridendo.

-Notte-

Kei alzò la mano in segno di saluto e la guardò andare via, prima di attraversare la grande porta di legno.

 

Quando era tornato a casa tutti erano già addormentati e quando la mattina si alzò non sembrava essere cambiato molto.

Scese in cucina per fare colazione e vide seduto al tavolo Nonno J intento a sorseggiare il suo caffè.

-Buongiorno Kei.. sei tornato tardi stanotte!-

-Sì sono uscito con un’amica..-

L’uomo non indagò oltre. Kei era sicuro che sapesse molto più di quello che lasciava intendere, ma non voleva affrontare certi discorsi con lui, soprattutto da quella volta del discorsetto sul sesso.

Approfittò del fatto che fosse già sveglio per fargli firmare i moduli per il lavoro di quel giorno.

-Vedo che ci stai prendendo gusto..- Non sembrava un’affermazione in negativo.

-E’ per passare il tempo..-

-Certamente!-

Gli porse tutti i fogli compilati sorridendogli paterno.

Anche questa volta Kei ebbe la sensazione che con quello avesse detto mille parole in più e ancora una volta tentò di non farci caso.

-Stasera ti dobbiamo aspettare?-

-No, penso che farò tardi di nuovo.. non ti preoccupare-

-Buona giornata allora!-

Uscì dalla cucina per andarsi a cambiare il più velocemente possibile. Si fece una doccia e si vestì in tempo per quando ricevette il messaggio di Mercedes la quale era fuori ad aspettarlo. Mentre scendeva le scale incrociò Rei che biascicò un qualcosa di molto somigliante a un “buongiorno”.

Arrivò in strada  e, salendo sulla macchina, salutò Mercedes con un bacio.

Il viaggio fino a Soka durò un’ora e mezza e trovarono il teatro dove si sarebbe svolta la manifestazione quasi subito.

Parcheggiarono nel parcheggio vicino per poi recarsi nell’atrio del teatro.

Altri ragazzi erano già arrivati e furono condotti verso la sala prove dell’edificio che era a loro disposizione per quella giornata.

Durante la serata di beneficenza era stata invitata Lauren per eseguire un medley di quattro suoi famosi pezzi per arricchire il programma che altrimenti sarebbe stato troppo pesante.

Per non parlare della forte somma che a quanto pareva la cantante aveva donato a quella causa dopo che era stata invitata.

Per tutta la mattina impararono la coreografia senza Lauren che sarebbe arrivata per le prove in teatro del pomeriggio: Monique la sostituì ripetendo tutti i movimenti che avrebbe eseguito la cantante e che, a detta di Jermaine, le erano già stati insegnati.

All’ora di pranzo furono liberi di andarsene e avrebbero avuto appuntamento quel pomeriggio più sul tardi.

Se ne andarono tutti a casa tranne Kei e Mercedes che fecero un giro per la piccola città e mangiarono qualcosa in un bar.

Parlarono del più e del meno, ma Kei non riuscì a sviare troppo il discorso da sé come la sera prima: ormai sapeva ogni cosa che aveva fatto Mercedes da 21 anni a quella parte.

-Certo che quella casa sembra davvero enorme!-

-Quale casa?- chiese Kei confuso dal repentino cambio di argomento della conversazione.

-Quella dove vivi tu! E’ molto caratteristica..-

-E’ un dojo in effetti.. deve essere caratteristico-

-Simpatico..- gli fece la linguaccia -..sono tuoi compagni di scuola quelli con cui stai?-

-Sì, ma hanno un anno in meno di me..-

-Mica volevo sapere se ce n’era qualcuno maggiorenne appetitoso quanto te!-

-Guarda che io non ho detto niente.. hai detto tutto te-

-Per quanto tempo rischio la prigione ancora?-

-Fino al 21 maggio..-

-Un mese e mezzo eh? Si può fare! Non è che il nonno del tuo amico mi denuncia se ci vede insieme vero?-

-Non credo..- ripensò alla faccia saccente di Nonno J, sicuramente sospettava già qualcosa, ma non sapeva se sarebbe stato capace di una cosa del genere -..per sicurezza cerchiamo di non farci vedere da lui-

-Non sei molto tranquillizzante, sai?-

Kei alzò gli occhi al cielo, mentre passeggiavano per la via principale della cittadina.

Alzò la mano che teneva intrecciata alla sua e le diede un piccolo bacio sul dorso.

-Tranquilla.. non ti lascerò andare in prigione- Mercedes scoppiò a ridere.

-E i tuoi che direbbero se sapessero che una vecchietta come me fa il filo al loro figlioletto..-

-Nemmeno di questo ti devi preoccupare..- si decise a fare la chiarezza che si era astenuto dal fare la sera prima per non rovinare l’atmosfera -..io non ce li ho i genitori-

-Oh.. scusa non lo sapevo..- Però l’aveva rovinata ora. Mercedes aveva messo su un’espressione dispiaciuta e triste.

-Certo che non lo sapevi, tranquilla.. non è un problema.. insomma vivo in un dojo dall’aria sicura  e protettiva- Riuscì fortunatamente a farla ridere con le stesse parole che aveva usato lei la sera prima.

Riuscì di nuovo a cambiare discorso. Parlarono ancora di danza e del lavoro di quella giornata.

La città era tanto piccola che senza accorgersene si ritrovarono davanti al teatro.

Decisero di entrare, anche se era presto, e si diressero verso la sala prova della mattina.

-Chissà com’è il palco, non ero mai entrata in questo teatro! Spero vivamente che sia abbastanza grosso!- cercò di spiare attraverso le pesanti tende, ma uno sguardo di rimprovero di un uomo in nero la fece desistere dal tentativo.

-Io non sono mai stato su un palco-

L’affermazione che aveva sbattuto lì solo per non far cadere il silenzio non ebbe l’effetto sperato; infatti Mercedes si fermò a fissarlo a bocca aperta.

L’improvviso levarsi di una canzone dalla sala prove la fece rinsavire, ma non chiese nessuna spiegazione evidentemente ancora troppo sconvolta dalla notizia per parlare.

Quando entrarono in silenzio nella stanza videro che ad accendere la musica era stato Jermaine.

Il primo impulso di Kei fu quello di andare via prima di rimanere solo con lui, ma qualcosa lo fermò.

Nessuno lo stava costringendo a restare, solo non riusciva a non guardare l’uomo che, al centro della sala, stava ballando.

Tutti gli avevano detto quanto fosse bravo, ma lui non avendolo mai visto non sapeva che rispondere. Aveva sì ballato le sue coreografie e gli erano anche piaciute, ma era sempre stata Monique a dimostrarle e a insegnarle, mentre Jermaine si limitava a correggere.

Invece, ora che se lo ritrovava lì davanti a danzare su quella musica, non riusciva a credere quanto fosse in totale armonia con quello che lo circondava.

Gli abiti larghi e la sua muscolatura possente erano un valore aggiunto ai movimenti che eseguiva con una naturalezza unica. Non aveva mai visto nessuno ballare così.

Si scordò di tutto quello che aveva intorno solo per poter godere di quelle vibrazioni.

Quando, così improvvisamente come aveva iniziato, Jermaine smise di ballare, si riconciliò con il resto della sala.

-Ciao ragazzi.. che ci fate già qui?-

-Siamo rimasti qua a mangiare, ma in città non c’era molto da vedere..- era stata Mercedes a prendere parola. Non sembrava così stupita quanto lui; in fondo lei conosceva Jermaine da più tempo e sicuramente lo aveva già visto ballare.

Sembravano avere molta confidenza e il modo con cui l’uomo si rivolgeva a lei era paragonabile a quello di un fratello maggiore; solo in quel momento si rese conto di quanto il coreografo fosse grande, non nel senso grosso, nel senso adulto. Il modo di parlare e i gesti erano quelli di un ventenne, ma doveva averne almeno una trentina, se non di più.

-Stavo solo approfittando della sala libera per portarmi avanti col lavoro!-   

-Continua pure, non ti preoccupare per noi, possiamo andare via..- Mercedes fece per prendergli la mano e andare via con lui.

-No restate.. figurati!-

Si sedettero insieme per terra al centro della sala.

Iniziarono a chiacchierare. Cioè Mercedes e Jermaine chiacchieravano, Kei stava a ad ascoltarli in silenzio, con la solita espressione indifferente  leggermente attenuata.

-Prima mi chiedevo come fosse il palco, volevo sbirciare, ma un tipo mi ha guardato malissimo!-

L’uomo rise prima di continuare –No, il palco è grande e molto bello.. Tra poco lo vedrai..-

-Sì, ma che pensavano che facessi.. gli dessi fuoco? Una sbirciatina, una sola.. ma vabbè.. piuttosto..- e si rivolse a sorpresa verso Kei che se ne stava buono buono -..che vuol dire che non sei mai stato su un palco?-

-Quello che ho detto.. che non ci sono mai stato-

-Ma come.. non ci hai mai ballato?!-

-No-

-Merci, capita.. avrai fatto i saggi o quelle cose lì nei parterre!- si intromise Jay in difesa di Kei.

-No non ho mai fatto saggi.. o quelle cose lì-

-Oh.. andavi a lezione e non facevi i saggi?- Ora anche Jermaine sembrava perplesso.

-In verità non ho mai fatto lezioni vere e proprie.. intendo in scuole di danza.. l’unica volta è stato tra il gennaio e febbraio scorso per due settimane-

Due paia d’occhi lo guardavano sbarrati. Jermaine fu il primo a reagire scoppiando a ridere.

-Mi stai prendendo in giro vero?-

Kei lo guardò con un’espressione molto convincente.

-E dove avresti imparato a ballare scusa?-

-In strada.. ho iniziato con la break, poi una mia amica mi ha insegnato il resto nei ritagli di tempo-

Ricordare quel periodo gli faceva abbastanza male, ma cercò di rimanere concentrato sul discorso.

Sentì un’improvvisa voglia di fumare, ma resistette.

-Ora mi si spiega perché sei così bravo con la break.. è strano che un breaker si metti a danzare Hip Hop* però..-

Fece spallucce non sapendo che rispondere.

-Posso chiederti da quanto balli?-

-Più o meno tre anni..-

Jermaine con grande sorpresa tirò fuori uno dei suoi sorrisi enormi inspiegabilmente.

-Io l’ho detto che tu sei un genio!-

Kei era sempre convinto di essere sulla via della pazzia, ma ora che aveva conosciuto Jermaine si stava convincendo che in confronto lui poteva considerarsi normalissimo. Che c’aveva da ridere ora?!

-Se in così poco tempo e senza mai fare lezione seriamente sei così, non oso immaginare appena inizierai a studiare seriamente che fai!-

-Ma io.. non credo che questa cosa continuerà per molto..- Kei indicò la sala intorno a lui per far capire quello che intendeva.

-Ragazzo.. tu sei nato per fare questo!- Anche Jermaine indicò attorno per poi continuare -..ce l’hai dentro.. non puoi ignorare questa cosa!-

Non sapeva che rispondere, rimase a scuotere impercettibilmente la testa senza aprire bocca.

-Tu appartieni alla danza anche se non lo vuoi ammettere, ormai non ne puoi più fare a meno, ne sei pieno, c’è, ce n’è tanta e io la vedo!-

Non sapeva come guardarlo, stava dicendo tante cose che non avevano molto senso. Oltre a un perenne allegro era anche un visionario. Vedeva la danza dentro di lui. E questo che cosa significava?

Come per dargli la conferma che fosse pazzo, Jermaine si alzò in piedi di scatto incitando Kei a fare lo stesso.

Mercedes indietreggiò automaticamente verso la parete coperta dallo specchio senza fiatare.

Kei si sentì costretto ad assecondare quella pazzia generale e si alzò, ritrovandosi a sovrastare in altezza il coreografo, il quale, però, si dileguò affianco allo stereo e, altrettanto velocemente, tornò davanti al ragazzo aspettando che la musica riempisse la stanza.

La canzone era molto lenta, R’n’B, decisamente bella.

Jermaine iniziò a muoversi piano tenendo il ritmo col movimento del corpo.

-E’ qualcosa di automatico no? Parte la musica e senti il bisogno fisico di danzare.. forza..-

Si aspettava che iniziasse a muoversi, ma Kei rimase fermo e immobile sul posto, senza muovere un muscolo, per niente teso. In testa solo una sigaretta.

-Ok ok.. vediamo se riesco così.. chiudi gli occhi!-

Non aveva la minima intenzione di fare quello che gli chiedeva e rimase esattamente come pochi secondi prima, come se non avesse parlato. Voleva una sigaretta e basta.

-E’ solo per farti capire.. – Lo guardò pregandolo silenziosamente di lasciargli provare.

Esasperato, Kei chiuse gli occhi. L’immagine della sigaretta era ancora più chiara di fronte a lui.

-Prova a tralasciare ogni pensiero inutile, presta attenzione solo agli accenti musicali, alla voce, alle vibrazioni della canzone, isola tutto il resto! La senti?-

Kei sospirò, sperando che se avesse fatto come gli diceva tutto sarebbe finito molto prima.

Sentiva chiaramente ogni singolo battito della canzone, poteva scomporre ogni suono e seguirne uno solo, era totalmente parte della canzone. La voce era una componente in più di tutta la melodia, non era tanto il significato di una parola, quanto la sensazione che emanava, la vibrazione che emetteva. Si sentiva parte integrante della canzone.

-Ecco.. ci sei.. ti senti parte della musica.. potresti suonare con lei.. l’unico mezzo che hai per farlo è il tuo corpo.. questo è danzare..-

Era totalmente preso dalla melodia, sì il suo corpo avrebbe potuto suonare con lei, avrebbe potuto esserne parte. Sentiva il movimento, lo avvertiva nascere e essere pronto a fuoriuscire.

Lo fermò. Aprì gli occhi e fece in modo che la canzone gli scivolasse via dalle membra lentamente, senza violenza. Capiva perfettamente quello che diceva Jermaine, ma non voleva danzare così, in quel momento. Era un momento troppo intimo e intenso che non voleva lasciarlo andare via così, in quel momento, in quel posto.

-Lo so che c’era! Devi solo non aver paura di lasciarti trasportare, di farne parte completamente.. So che ne sei capace, ti ho già visto farlo..-

L’uomo lo guardò negli occhi, ma senza rancore per non aver visto quello che voleva.

-E’ questa la differenza tra una persona che balla e un ballerino! Tutti possono imparare una sequenza di passi, tutti.. ma solo quelli che li vivono quei passi possono essere considerati danzatori!-

Si allontanò di qualche passo da Kei.

-Posso chiedere a tutti di camminare..- fece due passi in avanti, destra e sinistra,-..di fare una wave..- e fece un’onda col braccio -..di girarsi..- e girò sul posto -..ma il punto sta in come lo si fa!-

Ripetè la sequenza che aveva appena improvvisato, ma diversamente da prima. Prima aveva semplicemente eseguito i passi che aveva pronunciato, ora li stava danzando.

Kei si sentì per la seconda volta lo sguardo incollato su quell’uomo. Per la seconda volta avvertì perfettamente quello che gli voleva dire col corpo, sentì la musica che emanava con i suoi movimenti. Sentiva tutto quello che gli aveva detto prima.

La sigaretta era scomparsa dai suoi pensieri.

Jermaine smise di danzare e si rivolse ancora a Kei.

-Avrai il tempo di capirlo, se vorrai farlo.. ma sappi che dentro di te c’è questo e non puoi ignorarlo, perché è un dono.. un dono magnifico che dovresti sfruttare!- Gli aveva appoggiato una mano sul petto, ma subito l’aveva ritirata avvertendo un tentennamento del russo.

Mercedes li guardava sorridendo, come se avesse appena assistito a un bello spettacolo.

Non ci fu più tempo per dire altro perché la porta si spalancò e fece il suo ingresso Lauren Bright.

-Ciao.. spero di non avervi disturbato.. Jay, mi hanno detto che ti avrei trovato qui!-

-Sei in anticipo, comunque immagino tu ti ricordi di Mercedes..- la abbracciò e poi indicò la ragazza che si stava alzando dal pavimento, le due si salutarono, - .. e Kei, il ragazzo che ti ho fatto vedere ieri all’audizione..- e indicò Kei che strinse la mano che la cantante gli aveva allungato.

-Come dimenticarlo, sei davvero bravo!-

Kei non sapeva che rispondere e quando il grazie gli stava per sfiorare le corde vocali altre persone entrarono nella stanza.

Era arrivata l’ora di completare la prova. Salirono sul palcoscenico per provare e non ci furono grossi problemi.

Gli consegnarono i costumi e, prima di entrare in scena, ebbero il tempo di andare a fumare.

Kei si accese finalmente la sigaretta che tanto aveva agognato e automaticamente ripensò a quello che gli aveva detto Jermaine nel pomeriggio.

Era tutto vero, quello che sentiva. Era esattamente come l’aveva descritto lui. Ma non credeva che quello fosse davvero ciò che fosse destinato a fare. Non credeva che ballare potesse diventare il suo lavoro. L’idea non l’aveva mai sfiorato e la concreta possibilità che questo potesse accadere lo spaventava.

Cercò di reprimere questi pensieri per tutto lo spettacolo, cercando di fare solo quello per cui era stato chiamato: il problema era che non voleva pensare al ballo, ma doveva ballare.

Riuscì a combinare queste sensazioni controverse e a finire il medley perfettamente.

-Allora come è stato?-

Era seduto sul sedile del passeggero nella macchina di Mercedes, già di ritorno verso casa.

-Che cosa?-

-La tua prima volta su un palco!-

La prima parte del viaggio era stata silenziosa, ma ora la ragazza si era rivolta a Kei con quel sorriso irresistibile.

-Normale- ripresentò la risposta che ripeteva a ogni nuova esperienza, come a minimizzarla.

-E..-

-E basta..-

-Uffa.. speravo in qualche dettaglio maggiore-

Kei la scrutò scettico.

-Hai ragione.. mi ero scordata che stavo parlando col polaretto silenzioso!- trattenne a stento una risata.

-Faresti meglio a ricordartelo la prossima volta- aggiunse Kei con aria solenne.

-Cosa vuoi fare ora?-

-Pensavo volessi andare a casa..-

-Beh è tardi, ormai siamo svegli, magari non ti andava di andare a casa!-

In effetti non aveva sonno e non aveva nemmeno troppa voglia di tornare da Takao e dagli altri.

Tutto quel parlare di danza gli aveva spazzato via ogni altro pensiero; anche l’adrenalina del palcoscenico, qualcosa che non provava da tanto, lo aveva leggermente scombussolato.

L’ultima volta che si ricordava di aver provato un’emozione del genere avrebbe potuto risalire a quando si faceva. E la cosa contribuiva a non voler vedere i suoi amici.

-Se vuoi possiamo fare come l’altra volta!- Mercedes lo richiamò dai suoi pensieri.

-Ti avevo promesso un posto più comodo dei sedili di una macchina-

-Se vuoi possiamo andare a casa mia.. ormai le mie coinquiline staranno dormendo!-

Detto fatto. Si erano ritrovati nell’appartamento di Mercedes a seminare vestiti per la casa; dopo che la prima maglietta toccò il suolo per fortuna si ricordarono di non essere in casa da soli e, se anche con dispiacere, Kei si staccò un secondo per raccogliere l’indumento da terra.

Resistettero fino a che non entrarono nella camera di Mercedes e, una volta chiusa la porta, ritrassero ogni freno inibitore.

Il letto era sicuramente molto più comodo del sedile posteriore della macchina e la sensazione lasciata era certamente più positiva.

Rimasero come la sera prima abbracciati in silenzio.

Mercedes iniziò a canticchiare una canzoncina con un testo alquanto stupido, ma la sua voce era comunque fresca e cristallina.

-Ti devo riaccompagnare a casa?-

-No ormai è tardi.. non ti dispiace se resto qui vero?-

-Che domande..- Si accoccolò felice della notizia sul suo petto e chiuse gli occhi. Il suo respiro regolare la cullò.

-Se accendo una sigaretta ti do fastidio?-

-No.. il posacenere è sul comodino..- la voce già impastata dal sonno di lei lo fece sorridere.

Si accese la sigaretta e sentì il peso di Mercedes sul suo petto, segno che si era addormentata.

Le prese ad accarezzare i capelli mentre aspirava il fumo.

Quel silenzio e quella pace erano una vera goduria dopo tutto il frastuono di quella giornata.

Frastuono di suoni, voci, ma anche di pensieri.

Aveva troppi pensieri per la testa per addormentarsi facilmente. Spense la sigaretta cercando di non svegliare la ragazza. Sembrava avesse già iniziato a sognare, perché iniziò a muoversi e a muovere le labbra come per parlare.

Per Kei fu più difficile lasciare da parte tutto quel traffico di pensieri controversi nella sua testa.

Gli sembrò di essere tornato a quelle lunghe e interminabili notti insonni mentre si stava disintossicando. Per fortuna la situazione era decisamente migliorata. Non stava lottando col desiderio di procurarsi una dose e nemmeno con brutti ricordi della sua infanzia, in più una bellissima ragazza dormiva vicino a lui.

Sì, la situazione era decisamente migliorata. Poteva dormire tranquillo.

 

 

Credo che questo sia ufficialmente il capitolo più lungo fino ad ora u.u o comunque se la gioca con pochi altri! Allora.. questo viaggio di Kei nel mondo danzereccio si approfondisce sempre di più! Nuovamente mi scuso per qualsiasi cosa incomprensibile e vi chiedo, in tal caso di segnalarmela :O in questo capitolo ci sono delle cose un po’ difficili da comprendere se non si è totalmente presi.. me ne rendo conto guardando le persone che si approcciano per la prima colta alla danza rimanere perplesse a questo tipo di discorsi.. la via più semplice credo sia adattare a se stessi queste sensazioni, alle proprie passioni.. sostituirle alla danza.

Ok, la smetto di blaterare.. non vi voglio sminuire sia chiaro, mi piacerebbe solo che possano capire tutti ^^

Intanto ora mi fate sapere.. di nuovo questo fa parte degli scritti della giovinezza e l’ho cambiato un bel po’ strutturalmente (ovviamente non di contenuto), ma c’è ancora quel sapore di antico xD

Vabbè.. alla prossima settimana!

Grazie a tutti e.. come dicono qui in terra britannica.. cheers!

Un bacione :)

 

 

 

*Non so se l’avevo già spiegato, nel caso saltate pure queste righe: nonostante si tenda ad associarli, il breakin e l’hip hop sono due cose diverse, la prima è principalmente a terra, mentre il secondo in piedi, anche se abbiamo ormai delle contaminazioni, chi fa una cosa di solito non fa l’altra e viceversa..o comunque si finisce per specializzarsi in solo una cosa nonostante si abbiano nozioni di entrambe! Come solitamente non si abbina danza classica a quella moderna, lo stesso vale per hip hop e breakin (che poi ci sarebbe tutta una disquisizione sull’hip hop che detto così si generalizza troppo, ma ve la risparmio XD)

 

 

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Capitolo 39
*** One Chance ***


Ognuno a suo modo è un tossico vero

Di pere, d’affetto, di sogni, di sesso o di idee

 

 

 

One Chance

 

 

Fece mille sogni, ma di questi non se ne ricordava nemmeno metà.

Quando si risvegliò, i raggi del sole facevano capolino dalle imposte chiuse della finestra e un cellulare vibrava sul comodino: impiegò un po’ per riconoscere quel cellulare come suo e altrettanto tempo per ricordarsi che, se suonava, era perché qualcuno lo stava chiamando e si aspettava che avrebbe risposto.

Fece più casino di quanto previsto, facendo cadere anche il pacchetto di sigarette: come ci era finita tutta quella roba sua sul comodino?

-Pronto?- Si accorse di quanto la sua voce fosse assonnata, tanto che non la riconobbe quasi come sua.

-Kei?! Ma dove sei? Cosa stai facendo?-

Non riusciva a riconoscere quella voce.

-Stavo dormendo..-

-Questo l’avevo intuito!-

Che glielo chiedeva a fare se l’aveva intuito. Gli sfuggiva qualche dettaglio.

-Potevi almeno avvertire che non venivi a casa a dormire..-

Rei. Era Rei. Ecco.. gli sembrava.

-Sì scusa, volevo tornare a casa, ma era tardi e mi sono addormentato-

-Per che ora pensi di tornare?-

-Non so.. che ore sono?-

-Kei non sai nemmeno..-

-Sai se stavo dormendo..-

-Sono le 11 e mezza!-

-Boh..- sinceramente non sapeva nemmeno in che quartiere fosse, non aveva fatto attenzione alla strada, e anche se avesse fatto attenzione non conosceva quelle zone - ..nel pomeriggio?-

-Se non lo sai tu! Allora non vieni per pranzo?-

-Non credo di riuscirci.. ci vediamo oggi.. ciao-

Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere al saluto che buttò giù e si lasciò ricadere a capofitto sul cuscino. Odiava dover pensare così tanto appena sveglio.

Solo dopo un bel po’ si accorse che nel frattempo Mercedes si era svegliata e lo fissava divertita.

-Che c’è? Mai visto una ragazzo appena sveglio non connettere?-

-Sì, ma tu sei buffissimo!-

-Vabbè.. buonanotte-

Richiuse gli occhi sperando che quello fosse solo un brutto sogno e di stare ancora dormendo, ma li riaprì quasi subito dopo aver sentito delle labbra sfiorare dolcemente le sue.

-Non puoi rimetterti a dormire!-

-E chi lo dice?-

-Lo dico io!-

Fece come per pensarci su, per poi annuire e ricominciare a baciarla.

Mercedes andò a carponi su di lui, senza staccare per un attimo il contatto delle loro labbra.

Essendo ancora nudi dalla sera prima, ci misero poco a eliminare la distanza totale tra di loro e unirsi per la terza volta nel giro di due giorni.

-Ecco.. tutte le sveglie dovrebbero essere così, altro che cellulari che squillano-

Mercedes rise e concordò con il compagno dandogli un altro eterno bacio.

Ad interromperli fu il rumore di qualcuno che bussava decisamente forte alla porta e dopo la voce di una ragazza che urlava: -Voi due la volete smettere? Non siete da soli!-

-Taci Missy!- Mercedes rise dopo aver urlato alla sua coinquilina.

-Forse dovremmo alzarci-

-No, ma non eri tu quello che voleva dormire?-

-Diciamo che mi hai dato un motivo per restare sveglio-

Si alzarono e si rivestirono per comparire nell’altra stanza della casa dove due ragazze si aggiravano indisturbate.

-Ragazze lui è Kei.. Kei loro sono Missy, la rompipalle della porta, e Caridee, quella che non rompe le palle con la porta-

-Piacere-

-Il piacere è nostro- la ragazza che li aveva rimproverati lo stava guardando piena di malizia con l’aria di una pronta a strusciarsi su di lui.

Per fortuna le altre cominciarono a ridere e lei tornò alle sue occupazioni; sembrava essere un comportamento abituale.

Non rimasero molto nella casa che, nonostante fosse molto carina e accogliente, era troppo piccola per contenerli tutti e quattro: pranzarono insieme e poi Mercedes accompagnò Kei a casa.

La giornata, iniziata con la migliore compagnia, però, si riserbò meno piacevole non appena il ragazzo varcò la porta di casa: Rei lo sgridò per non aver avvertito che non sarebbe tornato e lo stesso fece Nonno J a cena, anche se con toni meno forti e duri.

L’uomo anzi gli parlò con aria serena e tono calmo, come se stesse progettando una scampagnata domenicale; gli consigliò semplicemente di avvertire prima per non farli preoccupare; se a Rei non aveva dato segno di aver ascoltato, a Nonno J rivolse le sue scuse e lo rassicurò sul fatto che non sarebbe accaduto mai più.

In serata decise anche di riferire la proposta che gli aveva fatto Yuri qualche giorno prima e questo contribuì a rovinare il morale dei presenti.

Non capiva perché ci fossero rimasti così male, in fondo casa sua era in Russia, la sua famiglia erano Yuri e gli altri ed era normale che avrebbe espresso il desiderio di tornarci.

Solo quando tranquillizzò Takao che sarebbe stato solo per l’estate e non definitivamente riuscì a strappargli un sorriso: non poteva credere che avrebbe dovuto mai fare una cosa del genere, eppure vedere il viso serio e tirato di Takao lo aveva fatto preoccupare.

Per quanto odiasse quando sorrideva, odiava ancora di più quando era triste.

I giorni successivi furono assolutamente ordinari: andava a scuola e ogni tanto usciva con Mercedes.

Il mercoledì lei aveva insistito per andare a prenderlo a scuola perché, come diceva lei, voleva vedere il suo polaretto in divisa scolastica.

-Se proprio devo essere arrestata almeno che tu abbia l’aspetto di un minorenne!- Aveva commentato appena lo aveva visto, nonostante sembrasse comunque molto più grande anche con indosso l’uniforme.

In quell’occasione l’aveva anche presentata agli altri: persino Hilary le aveva stretto la mano anche se si notava la presenza di un forte imbarazzo.

-Sei stato con lei?- Gli chiese Mercedes quando furono in macchina da soli.

-Sì-

Lei lo guardò sarcastica.

-Guarda che posso stare anche con persone più vicine alla mia età-

-Assolutamente! E’ solo che.. sei davvero troppo carino con la divisa!-

Ulteriore episodio che non contribuì certamente a rendergli la vita di quei giorni facile fu l’uscita ufficiale del video.

La premiere era stata trasmessa a metà aprile e Kei era stato inquadrato più del dovuto.

Per i corridoi molti lo fermavano per fargli i complimenti, soprattutto le ragazze, mentre i maschi lo fulminavano con gli occhi ogni volta che passava.

-Almeno loro stanno zitti- commentò a Rei che invece era molto spaventato da quegli sguardi.

Si prese anche una pausa dalla danza: dalla serata di beneficenza aveva pensato qualche volta al discorso di Jermaine, ma ogni volta gli era venuto il mal di testa a pensare a ciò che voleva fare del suo futuro e aveva deciso che avrebbe lasciato scorrere gli eventi, e gli eventi in quel periodo non avevano in programma la danza.

Aprile lasciò poi finalmente spazio a maggio e un caldo devastante si abbatté su tutto il Giappone.

Quello che Kei temeva e che voleva assolutamente evitare era il caldo che ogni giorno era sempre più insopportabile, ma per fortuna i segni sulle sue braccia, dall’inizio della primavera, erano meno netti e sembravano solo degli strani nei. In ogni caso nessuno gli aveva fatto domande e questo era l’importante.

Chi invece iniziava a fare troppe domande era proprio Mercedes; la loro storia era durata anche fin troppo considerando le basi del loro rapporto. Non si stupì più di tanto se lei iniziò a non farsi più sentire, anzi fu solo un sollievo per i suoi nervi tesi.

Col caldo erano inevitabilmente aumentate anche le sigarette e la quantità di studio.

Alla fine il famoso compito di storia era andato abbastanza bene: era riuscito a prendere la sufficienza quindi non avrebbe più toccato un libro di quella materia per molto tempo.

Riguardo alle altre lezioni, invece, come al solito non risultavano troppo impegnative e, considerando che a lui andava più che bene il 6, l’importante era essere promossi, non si dette troppo da fare.

Ciò che, però, gli fece venire i nervi a fior di pelle più del resto fu il suo compleanno: il suo diciottesimo compleanno.

Finalmente era maggiorenne, ma con questo, oltre ai vantaggi, sarebbero arrivate anche le grane: l’eredità di suo nonno sarebbe passata interamente a lui e non sapeva assolutamente che farsene.

Il 21 maggio quell’anno cadeva di mercoledì e la giornata si preannunciava uguale alle altre.

L’unica differenza fu la ripetitività con cui sentiva la frase: -Auguri, buon compleanno!-

Il primo a farglieli fu Nonno J seguito a ruota da Rei e Max, per finire con Takao che, nonostante fosse da giorni che fremeva dall’emozione (nemmeno fosse stato il suo compleanno!), quella mattina se ne era dimenticato. Solo una volta arrivati a scuola il suo cervello glielo ricordò e cercò di rimediare troppo spassionatamente.

-Kei, stasera vuoi invitare qualcuno a cena per festeggiare?- gli chiese Rei che, non avendo avuto il permesso di organizzare una festa in grande stile, si era accontentato di poter preparare una cenetta speciale per tutti loro, compresa di torta.

-No, nessuno..-

-E quella ragazza? Quella.. col nome della macchina!- aggiunse Max speranzoso.

-Non ci sentiamo più..-

-Ma come..- Max era più deluso del previsto.

-E tutto il vostro grande amore?- si intromise Takao.

-Non ho mai detto che fosse amore-

L’argomento fu lasciato cadere senza troppe spiegazioni. Takao non riusciva proprio a spiegarsi perché Kei in quanto a ragazze fosse così strano, mai una volta che se ne trovasse una fissa. Paradossalmente la sua storia più lunga era stata quella con Hilary: sì la sua amica era carina, ma in confronto alle altre con cui era uscito il russo sfigurava abbastanza.

Fu proprio Hilary la quinta persona a fargli gli auguri quella mattina e fu lei l’unica persona, esterna agli abitanti del dojo, ad essere stata invitata a cena.

Il loro rapporto era davvero strano: si parlavano e potevano stare tutti e due nella stessa stanza andando d’accordo, a condizione che non rimanessero soli.

Chissà come, quasi tutta la scuola venne a scoprire che quella era la data del suo compleanno e Kei si vide rivolgere gli auguri da persone che non aveva nemmeno mai visto.

All’ora di pranzo fu Yuri a chiamarlo per sapere come si sentisse da maggiorenne.

Gli chiese anche informazioni su quello che avrebbe fatto con l’eredità del nonno, ma non ottenne risposte chiare; anche Dana lo chiamò per urlargli nell’orecchio la canzoncina russa di buon compleanno e, soprattutto, per dirgli che finalmente aveva trovato il famoso video musicale e che era fiera del suo piccolo Kei.

Non appena arrivato a casa nel pomeriggio, però, non trovò riposo e solitudine, ma bensì altre cose a cui pensare. Nonno J, infatti, aveva programmato un incontro con l’avvocato e il consulente finanziario che si occupava dell’eredità di Kei.

Si ritrovarono tutti e quattro in salotto, mentre Rei e gli altri erano stati esiliati in cucina a preparare la cena.

I punti che dovevano assolutamente chiarire erano molti: intanto, tutti i debiti che aveva contratto Hiwatari senior erano stati saldati senza problemi ( il vecchio aveva i soldi per pagarli, ma non aveva mai avuto intenzione di farlo) e, nonostante ne erano stati rilevati un grande numero, rimaneva ancora un’eredità spasmodica.

-Questo è tutto ciò che possiedi ora come ora, fino a ieri non potevi modificare in alcun modo il tuo patrimonio, ma ora hai la possibilità di vendere o comprare qualsiasi cosa- detto questo l’avvocato estrasse dalla valigetta un plico di fogli molto spesso, che Kei aveva già visto anni prima, ma che non aveva mai consultato.

Solo a vederlo gli venne la nausea pensando a quante cose fossero appartenute alla sua famiglia.

-Intanto c’è l’impresa di famiglia, finora è stata gestita da un ente privato, puoi decidere di tenerla oppure puoi venderla interamente..-

-Non voglio averci niente a che fare- lo interruppe Kei senza mezzi termini.

-Quindi la tua posizione non è cambiata, il denaro che ricaverai dalla vendita dell’impresa si aggiungerà..-

-Non voglio venderla, regalatela a questi qui, non voglio altri soldi- li fermò di nuovo il ragazzo, finendo sotto l’assedio di occhiate incredule.

-Lascia che ti dia un consiglio..- iniziò il consulente che era stato zitto fino a quel momento -..se dovessi lasciare così, senza nessun tornaconto, la ditta potrebbero pensare che tu sia vittima di ricatto o cose del genere; potrebbero essere avviate indagini che porterebbero solo grane e..-

-Sì va bene come volete, non mi importa..- Non erano ancora passati dieci minuti e già voleva scappare. A quanto pareva non esisteva nessun modo per diminuire l’ingente somma della sua eredità, ma solo di aumentarla.

-Allora questo è deciso, ce ne occuperemo noi; dovrai solo firmare qualche scartoffia, ma niente di più..- una grande parte del plico fu messa da parte -..il prossimo punto sono le proprietà immobiliari..- ed estrasse un'altra pila di fogli -..questa è la lista completa. Ci sono ville, condomini, case di ogni genere-

Che se ne faceva di tutte quelle proprietà suo nonno? Chissà quante povere famiglie aveva sfruttato.

-Non voglio nemmeno queste tranne.. tranne la casa a Mosca dove stanno Yuri e gli altri.. tutte le altre non le voglio-

-Ti avverto che sarà difficile vendere alcune di queste proprietà, c’è abbastanza crisi nel settore immobiliare, e non so quanto velocemente potremmo farlo, potrebbero volerci anni-

-Poi non dimentichiamoci che alcuni condomini sono affittati,- aggiunse l’altro uomo -dovremmo sfrattare qualcuno e..-

La testa iniziava ad essere satura di informazioni, termini finanziari, problemi con persone e cose.

Si chiese perché dovesse essere capitato a lui quando al mondo c’era tanta gente che avrebbe voluto la sua fortuna. Per fortuna Nonno J lo aiutò a trovare una soluzione a ogni cosa.

Avrebbero iniziato col vendere le proprietà più grandi cioè le ville (ne possedeva davvero troppe e in più della metà di queste non aveva mai messo piede), poi sarebbero passati piano piano a quelle più modeste cercando di non creare troppi danni alle persone che ci vivevano: non voleva causare problemi a delle povere famiglie che già, avendo avuto suo nonno come padrone di casa, dovevano aver passato non poche seccature.

Con tutte quello che c’era da vendere, come se non bastasse, il suo patrimonio si sarebbe ingrossato a dismisura e lui, come già da anni ripeteva, non ne voleva sapere.

Gli balenò in testa addirittura la malsana idea di buttare banconote giù da un elicottero sulla città che si trasformò nella più concreta possibilità di dare tutto in beneficenza.

Nonno J lo convinse anche a tenersi una discreta somma per contribuire alle spese scolastiche e della casa, anche se la somma che accordarono era abbastanza per garantirgli una vita da mantenuto per i dieci anni a venire.

Kei non fece molte storie e alla fine non protestò più per nulla pur di finire il prima possibile quell’incontro così spiacevole e stressante.

Salutò educatamente i due uomini in giacca e cravatta e scappò immediatamente a fumarsi tre sigarette prima di sedersi a tavola con gli altri.

Hilary era arrivata per dare una mano a cucinare anche se Rei aveva tenuto tutti alla larga dal suo piano di lavoro: aveva davvero fatto le cose in grande, ma, per la prima volta, Kei non se ne lamentò.

La parte migliore fu sicuramente la torta, la quale aveva un aspetto e un gusto delizioso; fu tanto di successo che non ne rimase nemmeno una fetta, soprattutto grazie allo stomaco di ferro di Takao.

Dopo cena si riunirono in salotto, dove due regali erano stati disposta sul tavolino.

-Non dovevate- disse Kei guardando preoccupato i pacchetti; si era dimenticato totalmente dell’usanza di ricevere regali per i compleanni, complice del fatto che gli altri erano riusciti a tenerglieli nascosti fino a quel momento senza menzionarli.

-E’ stata dura tenere zitto Takao, ma ne è valsa la pena!- ammise allegro Max notando l’espressione dell’amico.

Iniziò a scartarli con calma.

Il primo e più grosso era da parte di Yuri, Boris, Sergay e Dana: a quanto pareva, l’avevano spedito qualche giorno prima e conteneva una nuova felpa, sicuramente scelta dalla ragazza. Nel biglietto la scrittura di Yuri recitava: Sono sicuro che stai continuando a usare quell’altra. Sarebbe l’ora che cambiassi un po’! In effetti aveva ragione, anche se sapeva che per almeno qualche mese non l’avrebbe usata considerando il caldo assurdo: magari se fosse riuscito ad andare in Russia l’avrebbe inaugurata lì.

Il secondo pacchetto era invece molto più piccolo e quadrato ed era da parte di Takao, Rei, Max, Hilary e Nonno J: conteneva un nuovo i-pod. Certamente il suo ormai non reggeva più e quello sarebbe stato molto utile.

Li ringraziò un po’ stranito da quell’atmosfera così familiare e zuccherosa.. che non gli dispiaceva.

Accesero la televisione e rimasero a ridere e scherzare fino a tardi.

Mandò un messaggio di ringraziamento a Yuri e a Dana e ricevette ancora gli ultimi auguri da alcune delle ragazze che aveva conosciuto durante l’anno. Si accorse solo in quel momento di aver conosciuto praticamente solo ragazze, ma la cosa non lo sconvolse più di tanto.

Ciò che lo interdette fu, invece, il ricevere una chiamata da un numero sconosciuto.

Pensando che potesse essere qualcuna di cui non aveva salvato il contatto in rubrica, rispose.

-Pronto?-

-Pronto Kei?!-

Non riconosceva quella voce. Cercò di sforzarsi, ma il rumore del traffico dall’altra parte lo distraeva.

-Sì sono io.. chi parla?-

-Sono Jermaine!-

No, non era possibile, ora che la giornata aveva preso una piega positiva non poteva tornare a perseguitarlo. Uscì dal frastuono del salotto per capire quello che gli volesse dire: non sapeva se ci fosse più casino dalla sua o dall’altra parte.

-Come hai fatto ad avere il mio numero?-

-Dalla tua scheda del provino..-

Lo sapeva che gli si sarebbe ritorta contro quella malsana abitudine di compilare moduli.

-Ma non è illegale?- chiese visto che dopo l’incontro di quel pomeriggio aveva un ben ampia visione della legalità.

-Dai, l’ho preso solo per farti gli auguri! Eheh..a proposito.. Buon Compleanno!-

-E come hai fatto a sapere che oggi era il mio compleanno?- chiese retoricamente visualizzando lo spazio apposito dei moduli nel quale segnare quel particolare.

-Dettagli.. allora.. finalmente sei maggiorenne, eh?!-

-Già- fece cadere il discorso esasperato, con quell’uomo non si poteva intrattenere un discorso serio.

-Bene quindi ora il mio ballerino preferito potrà lavorare liberamente!-

-No, ti sbagli e.. e poi non sono il tuo.. ballerino-

-Tu non sai di esserlo!-

-Ma io non voglio..-

-Tu non sai di volerlo!-

Lo sentì ridacchiare: che persona irritante.

-Se non volevi dirmi altro-

-Buon compleanno era la cosa principale! E poi speravo che mi concedessi un po’ del tuo tempo solo per fare una chiacchierata!-

-Si vedrà-

-Lo prendo come un sì! Buonanotte e ancora auguri!-

-Sì grazie-

Kei buttò giù.

Quella giornata si stava rivelando troppo lunga per i suoi gusti. Davvero troppo lunga.

 

Il giorno del suo compleanno era passato e Kei pensava che da lì in poi tutto si sarebbe aggiustato, lentamente, ma si sarebbe aggiustato.

Invece sembrava solo l’inizio di un odissea senza fine.

Aveva dovuto lasciare il suo numero di telefono al suo avvocato che lo chiamava per ogni minima cosa.

Non poteva scegliere lui? Intanto la sua linea di pensiero l’aveva capita, si diceva speranzoso il ragazzo, ma era l’unico a pensarla così.

L’avvocato non osava fare nulla senza in suo consenso intimorito dalle tante accuse che gli avrebbe potuto rivolgere se avesse fatto qualcosa di male.

Come poteva quell’uomo essere avvocato se aveva così tanta paura della legge?!

Era talmente ossessivo che lo chiamava anche durante l’orario scolastico e Kei stesso si stupì di preferire seguire la lezione di storia piuttosto che rispondere al telefono.

Dopo una settimana la situazione parve finalmente migliorare e fu consultato molto meno.

Tutta la sua vita sembrava prendere nuovamente una via positiva: per prima cosa la scuola era agli sgoccioli, solo pochi giorni e sarebbe finita per dare il benvenuto a tre lunghi mesi di pausa. Seconda cosa, avevano deciso ufficialmente che il 2 luglio Kei avrebbe preso un aereo alla volta di Mosca dove avrebbe soggiornato per almeno un mese.

Si rivide anche qualche giorno con Mizuki: si doveva scusare per averla trascurata in quei mesi e soprattutto doveva ringraziare lei e Ryo per averlo spinto a presentarsi al provino a febbraio.

Erano già passati quattro mesi da quel giorno eppure gli sembravano essere trascorse solo poche settimane.

A metà giugno la scuola era già finita, ma non ne sentiva assolutamente la mancanza: finalmente aveva delle giornate intere libere, senza preoccupazioni e senza obblighi.

La sua pagella si era rivelata meno catastrofica di quanto pensasse: era sufficiente in tutte le materie con dei picchi in matematica ed educazione fisica. L’unico demerito erano le tante assenze che aveva fatto durante la seconda parte dell’anno, ma l’essere promosso lo rendeva più che soddisfatto.

Takao mostrò la sua completa disapprovazione nel vedere quanto la pagella di Kei fosse migliore della sua nonostante fosse stato sui libri un terzo del tempo che c’era stato lui.

Rei e Max invece non si potevano lamentare, mentre Hilary, ovviamente, si era dimostrata la migliore della classe, tranne in matematica.

Ma anche giugno passò più velocemente del previsto e Kei si ritrovò catapultato senza nemmeno accorgersene a quattro giorni dalla partenza: aveva già preparato tutto, doveva solo aspettare di mettere tutto in valigia e di partire.

Era una mattina assolata e calda, l’estate aveva colpito violentemente il Giappone, che non vedeva una nuvola e una goccia di pioggia da settimane.

Kei avrebbe dato qualsiasi cosa per trovare un diversivo utile per la noia o in alternativa una cella frigorifera in cui rifugiarsi.

Automaticamente pensò alle fresche giornate che lo aspettavano in Russia: si sentiva meglio solo che a ricordare la sua città ricoperta di neve. Sicuramente quando sarebbe atterrato non avrebbe visto la neve, ma si accontentava assolutamente della decina di gradi in meno che avevano previsto sul meteo di internet.

Era l’ora di punta ed era rimasto da solo in casa con Max che era occupato a leggere uno dei suoi fumetti in soggiorno, la stanza della casa più fresca; Rei e Takao invece erano usciti a fare la spesa.

Rei, che soffriva a tal punto della mancanza di attività e occupazioni durante il giorno, aveva deciso di preparare ogni giorno un pranzetto speciale seguendo diversi temi e Takao si era dimostrato sempre molto disponibile ad aiutarlo, più per controllare che non gli passasse la voglia, che per il piacere di dargli una mano.

Sarebbero comunque stati presto di ritorno, anche se prima di poter mangiare avrebbero dovuto aspettare ancora un po’.

Kei, perso momentaneamente il suo interesse verso le sigarette (non voleva finire il pacchetto e rischiare di rimanere senza), si ero messo ad ascoltare la musica dall’i pod che gli avevano regalato al suo compleanno.

Ci mise qualche secondo di troppo ad accorgersi del cellulare che squillava, in verità glielo fece notare Max poiché il volume della musica era troppo alto per poter sentire la suoneria.

Il numero era privato e rispose esasperato passando a rassegna tutte le possibili cose che gli avrebbe potuto chiedere quell’avvocato da strapazzo.

-Pronto- la sua voce suonò più svogliata di quanto volesse far trasparire.

-Non un saluto troppo caloroso, mi raccomando!-

Capì subito che non si trattava dell’avvocato e, purtroppo, individuò presto anche il proprietario della voce.

-Che cosa vuoi?-

-Quanto amore nell’aria!- Gli sembrò che Jermaine sorridesse – Comunque volevo chiederti se eri a casa!-

-Ehm sì..-

-Perfetto.. ti va di pranzare con me?-

-Ehm no..-

-Dai solo per parlare un po’-

Ci pensò su anche se non aveva voglia di vedere quell’uomo con la parlantina: ora lo sopportava un po’ di più, ma aveva più che altro paura di quello che gli avrebbe detto, le sue parole si dimostravano sempre troppo veritiere per essere pronunciate da una persona che conosceva a malapena.

Allo stesso tempo non aveva voglia di stare fermo in quel salotto a subire passivamente il caldo, magari sarebbe riuscito a mettere in chiaro una volta per tutte la sua posizione, anche se non sapeva quale fosse, e lo avrebbe avvertito di non chiamarlo più nel mese successivo poiché sarebbe stato in un altro continente.

-Va bene..-

-Preparati, dieci minuti e sono lì!-

-Ma sai dove abito?-

-Sì, ho preso l’indirizzo col tuo numero di telefono, a tra poco-

Questa volta fu Kei a sentirsi buttare giù il telefono prima di poter replicare.

Si pentì quasi subito della decisione che presa: in fondo quelle cose gliele avrebbe potute dire anche al telefono senza il bisogno di vedersi.

Ma ormai il danno era fatto e si andò a cambiare chiedendo a Max di avvertire Rei che non avrebbe potuto assaggiare il suo piatto del giorno.

Stava varcando il portone di legno quando gli venne in mente che se Jermaine ci avesse messo davvero solo dieci minuti voleva dire che era già in viaggio da un po’, di conseguenza era certo che avrebbe acconsentito.

Non ebbe il tempo di decidere se arrabbiarsi per quello o meno che una macchina tirata a lucido gli si fermò davanti. Era una Mercedes rossa, molto appariscente e che era perfetta per il megalomane che la guidava.

-Dai sali!-

Ormai si trovava in quella situazione e così salì senza fare troppe storie.

Jermaine era vestito come al solito con i suoi vestiti larghi e portava un paio di occhiali da sole, sicuramente firmati, per cui valutò che l’uomo dovesse avere tanti soldi.

Guidava molto velocemente, con i finestrini abbassati e la musica forte, comunque bella musica.

Non si scambiarono molte parole, più che altro Jermaine intraprese un lungo monologo sulla canzone che stavano ascoltando, l’artista che la cantava e come avrebbe visto una coreografia su quel pezzo.

Si interruppe solo quando posteggiò nella periferia di Tokio, in un quartiere apparentemente di classe: nella strada dove si trovavano si vedevano solo grossi palazzi moderni, negozi di marche rinomate e locali alla moda.

Entrarono in un palazzo che Kei scambiò per un semplice condominio, ma che si rivelò un edificio pieno di uffici, negozi e, all’ultimo piano, un locale.

Era molto raffinato come posto e a prima vista non risultava molto nelle corde di Jermaine nonostante lui sembrasse molto a suo agio in quel posto. La cameriera li accompagnò a un tavolino sulla terrazza, per fortuna protetti dal sole da un tendone bianco.

Ordinarono, ma la conversazione non sembrava prendere una piega definita.

-Di cosa volevi parlarmi?- chiese Kei spazientito.

-Dovevo chiederti due cose in particolare, ma speravo anche di poter scambiare quattro chiacchiere con te tranquillamente..-

Kei si dovette adeguare a quello che gli aveva appena detto: in fondo non era la fine del mondo parlare con quel tipo, o almeno cercò di vederla in quel modo.

-Allora.. come te la stai vivendo la tua maggiore età?-

-Preferirei essere di nuovo minorenne in verità-

-Di solito queste cose si iniziano a dire intorno ai 20 anni.. non bruciare le tappe!- arrivarono le loro ordinazioni e iniziarono a mangiare.

-E’ che ho un po’ di cose da risolvere-

-Ti avrei chiamato prima, dopo il tuo compleanno intendo, ma sono stato tanto impegnato!-

Per quello che gli riguardava, Kei avrebbe preferito che avesse avuto da fare per ancora un po’ di tempo, ma pensò che dirglielo non sarebbe stato molto educato.

Tra un boccone e l’altro, Jermaine cominciò un altro monologo, ma fu presto interrotto dalla suoneria del cellulare di Kei.

Il ragazzo lo tirò fuori e, notando il numero apparso sul display, appoggiò esasperato la testa sulla mano scuotendola: era da più di ventiquattr’ore che in effetti l’avvocato non lo chiamava e avrebbe dovuto aspettarsi un interruzione del genere; in quel momento avrebbe preferito ascoltare il resto del discorso di Jermaine.

-Scusa ma devo proprio rispondere-

-Tranquillo!-

-Pronto?- Il tono era se possibile ancora peggiore di quello che aveva assunto poco prima rispondendo al telefono.

Jermaine posò la sua attenzione sul piatto da cui stava mangiando, ma non poté fare a meno di sentire quello che Kei stava dicendo al suo interlocutore.

-No, lo sai che non ne voglio sapere.. e che mi importa? Cioè sei tu l’esperto.. trova una soluzione.. non mi importa quello che fai basta che la vendi.. sì sono sicuro che non la voglio.. non so nemmeno che posto sia.. se non vuoi venderla regalala, ma disfatene.. ecco appunto.. sì buongiorno-

Sbuffò sonoramente provocando le risa dell’uomo di fronte a lui.

-Le grane di cui mi parlavi prima?-

-Già- alzò le sopracciglia e riprese a mangiare cercando di distendere i nervi.

-Faceva molto uomo in carriera..- aggiunse divertito.

-Appunto.. parlare con un avvocato produce questi effetti-

-Un avvocato? Wow.. che hai combinato?- aveva l’aria da cattivo ragazzo, ma non riusciva a immaginarsi cosa avesse potuto fare per dover discutere così con un avvocato a quell’età.

-Io niente.. è mio nonno che ha pensato bene di lasciarmi un’eredità troppo alta-

Le parole gli uscirono spontaneamente, non trovò difficile confidarsi con Jermaine, anche se non gli stava particolarmente simpatico.

-Non avevo ancora sentito qualcuno lamentarsi di essere il beneficiario di un’eredità!-

-Se avessi avuto un nonno come il mio..- si fermò prima che troppe parole gli potessero scappare dalla bocca -..non voglio averci niente a che fare.. sto cercando di liberarmi di tutto-

-Wow.. ed è tanta roba? Che volevi vendere prima al telefono?- il tono era curioso, ma non invadente; Kei sapeva di non essere obbligato a rispondere, ma lo fece comunque.

-Una villa, o forse addirittura un castello, ma che se ne faceva di un castello? (lo disse più a se steso che a Jermaine) Non lo so nemmeno io sinceramente cosa fosse..-

-U-un castello?!-

-Mio nonno amava fare le cose in grande-

-Ah sì?! Non l’avrei detto.. ma che era? Un principe?-

-No, un figlio di puttana..- l’affermazione fece sobbalzare Jermaine -..ne avrai anche sentito parlare qualche anno fa-

-Come si chiamava?-

-Aveva il mio stesso cognome..-

-Ah.. Aah!- Sembrò collegare un po’ di cose in un attimo – Sì ne ho sentito parlare, ma non l’avevo collegato a te.. credevo che..- si fermò di colpo, come se fosse sul punto di dire qualcosa di inappropriato.

Kei lo guardò confuso perché continuasse.

-Pensavo che tu fossi stato adottato, sai ho visto la firma sul foglio di autorizzazione e il cognome era diverso!-

Ma quante cose aveva letto di lui su quelle maledette schede?

-No, lui è una specie di tutore e il nonno di un mio amico..-

-Capito.. Quindi devi essere molto ricco se sei parente di quel.. di quell’uomo-

-Troppo.. ma non voglio toccare quei soldi, anzi se ne vuoi un po’ te li do volentieri..-

Jermaine scoppiò a ridere, ma vedendo l’espressione seria dell’altro smise, rifiutando l’offerta.

-Quindi vuoi dare via ogni centesimo?-

-Sì anche se, ora che ci penso, mi hanno convinto a tenerne un po’ per le emergenze e spese varie.. perché ho accettato? Preferirei andare a vivere sotto un ponte piuttosto che tenere quei soldi-

-Lo dovevi odiare tanto..-

Fece spallucce, come se odiare l’unico parente che aveva fosse stata una cosa normalissima.

I loro piatti nel frattempo si erano svuotati e la cameriera era tornata per chiedere se desiderassero dell’altro: presero due caffè e Kei ne approfittò per accendersi una sigaretta.

-Di che mi volevi parlare?- Kei decise che avevano chiacchierato fin troppo per quel giorno.

-Mi chiedevo in effetti se il mio discorsetto dell’altra volta avesse avuto l’effetto voluto!-

L’ultimo discorso che avevano affrontato era sulla danza, sul fatto che Jermaine vedesse in lui l’essenza della danza, che fosse nato per danzare e via dicendo. Aveva fatto effetto? Si rispose di no, ma in un attimo si dovette correggere.

-Io credo davvero che tu possa fare grandi cose con un po’ di studio.. – riprese l’uomo non aspettando la risposta di Kei -..se decidessi di fidarti di me potrei tirare fuori cose davvero interessanti! Non lo dico così per dire! E’ da anni che non vedo qualcuno come te.. è per quelli come te che penso valga la pena di continuare questo lavoro, io ormai per me stesso non  creo più nulla, ormai io modello le coreografie sugli altri e.. e tu mi dai degli input per creare coreografie, per continuare questo lavoro!- prese un respiro prima di concludere –Se ti fidassi di me, potrei fare di te un ballerino eccezionale.. io sono sicuro che tra un anno tutti saprebbero il tuo nome!-

-Io non voglio la fama- fu l’unica cosa che riuscì a rispondere a quel discorso così intenso.

Dietro a quelle parole c’erano dei complimenti veri e sinceri, sentiva che non stava cercando di convincerlo di cose assurde, ma..

-E dovresti smettere di fumare!-

Il cambio repentino di discorso lo frastornò. Non aveva nemmeno avuto il tempo di ragionare su quello che aveva sentito che già doveva cambiare pensiero.

-Non lo farò-

-Ma ti rovini i polmoni!-

-Mi puoi chiedere di tutto, ma non di smettere di fumare.. ne ho assolutamente bisogno..-

-Ti farò smettere entro l’anno prossimo!-

-Mi sa che è più probabile che l’anno prossimo io sia famoso piuttosto che abbia smesso di fumare-

-Beh è un compromesso accettabile! Ci sto!-

Lo aveva incastrato in quel suo giochino di parole, ma non ebbe la forza di dibattere.

-Non dovevi dirmi due cose tu?-

-Oh sì, me ne stavo quasi dimenticando! Allora.. tra due settimane ho un lavoro per te! Non devi fare provini o cose così ti..-

-Non posso-

-Come?-

-Non ci sono, mercoledì parto..-

-E dove vai?- Jermaine sembrava davvero rattristito da quella notizia.

-Torno a casa..-

-Ma casa tua non è dove ti sono venuto a prendere?-

-No, è casa di un mio amico..-

-E allora dove?-

-A Mosca-

-Ah Mosca..- il suo tono tranquillo ebbe un repentino cambio non appena realizzò la collocazione della città in questione -..Mosca?! Ma è dall’altra parte del mondo!-

-Già..-

-Non puoi proprio rimandare la partenza?-

-No, ne ho davvero bisogno, non posso proprio.. sinceramente non l’avrei nemmeno lasciata se non fosse stato per un buon motivo e.. devo andarci per forza-

-E’ davvero un peccato.. ma tornerai vero?-

-Immagino di sì, non credo che sarebbe una buona idea restare..- Di nuovo parlò più con se stesso che con l’altro, cercando di auto convincersi che il tornare sarebbe stata la scelta giusta, mentre restare in Russia lo avrebbe solo danneggiato.

-Beh allora la mia seconda proposta non puoi proprio rifiutarla.. hai finito la scuola giusto?-

-In verità mi manca ancora un anno..-

-Ma non dovresti..-

-Ho perso un anno- fece spallucce. A quanto pareva gli stava dando troppe cattive notizie in una volta sola.

-Magari possiamo trovare un modo alternativo, comunque ti volevo proporre un lavoro al quale non puoi proprio dire di no!- Aspettò un entusiasmo alla notizia che, però, non arrivò.

-Cioè?-

-A ottobre parte il tour mondiale di Lauren, sai le sei piaciuto e se vuoi il posto è tuo, per lei non ci sono problemi e per me anche meno.. Sarebbe per quattro mesi.. è davvero un’opportunità irripetibile, soprattutto per te che sei così giovane.. le prove iniziano a settembre e poi.. e poi si parte!-

Kei rimase spiazzato: gli stava offrendo la possibilità di girare il mondo come ballerino per mesi, ma soprattutto gli chiedeva di lasciare la scuola.

Quello gli sembrò il problema minore; la sua esperienza scolastica non poteva dirsi proprio eccellente, anzi era sicuro che avesse imparato di più quando non ci era andato, sulla vita almeno. Quello che lo frenava era lui stesso con le sue insicurezze, le sue tante insicurezze.

-Non mi devi rispondere subito, pensaci! Ti chiedo solo di darmi una risposta entro la fine di agosto, facciamo intorno al 20, così se non accetti ho il tempo di trovare un sostituto, ma spero che non ce ne sarà bisogno!-

-Non lo so.. io..-

-Davvero, pensaci con calma, parlane a casa ai tu.. cioè a chi si occupa di te! Davvero non c’è fretta!-

Si guardarono a lungo prima che Jermaine porgesse a Kei il suo biglietto da visita con scritti i suoi contatti e pagasse il conto, nonostante le proteste dell’altro che sperava almeno di fare a metà.

Durante il tragitto in macchina restarono in silenzio ad ascoltare la musica e, al contrario di quello che pensava Kei, Jermaine si dimostrò capace di reggere tanto tempo senza parlare.

 

 

 

E pure questo è finito!

Come commentarlo? Beh, intanto ci siamo dati un po’ una mossa col tempo e siamo arrivati in un batter d’occhio all’estate u.u come al solito quando ci sono cambi di mesi così veloci mi scuso, ma come al solito non posso stare troppo su dettagli inutili e ahimè bisogna tagliare un po’! In ogni caso abbiamo lasciato da parte la danza per queste undici pagine e abbiamo avuto la conferma dell’imminente partenza per la Russia, per la felicità di qualcuno!

Comunque lascio a voi la parola.. vi dico solo che destino vuole che in questi giorni abbia conosciuto una ragazza giapponese che si chiama, udite udite.. Mizuki! XD Ok, non era interessante, ma mi andava di condividerlo u.u

Vabbè, grazie come al solito a tutti, vecchi e nuovi!

Alla prossima settimana!

Un bacione  :)

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Capitolo 40
*** Hometown Glory ***


So solo che ti dirò

Vale la pena vedrai

Da adesso in poi

 

 

 

 

 

 

 

Hometown Glory

 

 

 

 

Chiuse la portiera non riuscendo ad ignorare i saluti dell’uomo.

-Allora fammi sapere..- disse Jermaine sporgendosi verso il finestrino -..ci conto!-

Lo osservò ripartire, ma si voltò quasi subito verso l’entrata del dojo: il portone di legno era aperto e, oltre di esso, Rei lo osservava divertito con un grosso sacco della spazzatura in mano.

-Bella macchina.. chi era?- chiese con un mezzo sorriso.

-Nessuno- borbottò Kei con un filo di voce e superò l’amico.

 

Le ore in quei giorni erano trascorse in modo piuttosto strano: né lente, né veloci, ma più il mercoledì si avvicinava, più sentiva una sensazione strana farsi strada dentro di lui. Era malinconia e ansia nel lasciare il luogo in cui aveva trascorso gli ultimi intensi mesi, ma anche impazienza e voglia di tornare a calpestare il suolo russo.

Il martedì sera il dojo venne assorbito da un silenzio irreale, avvolto nel caldo, con solo il frinire delle cicale di sottofondo e le luci artificiali a illuminare quell’alone di afa. Kei, affacciato alla finestra della sua stanza, si ritrovò in una specie di déjà-vu, senza la forza di ricordare, né la voglia di pensare.

Uscì nel corridoio e scese le scale: dal salotto proveniva solo il rumore delle pagine della rivista che stava sfogliando Max stravaccato sul divano, mentre la cucina era stranamente silenziosa, nonostante la luce fosse accesa. Attraversò la soglia decidendo di bere qualcosa di fresco, quando notò che qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea: Hilary era seduto al tavolo, un bicchiere di succo di frutta davanti a sé e il cellulare tra le dita.

Abbozzarono un saluto e Kei si diresse verso il frigo: optò per la stessa bevanda della ragazza e si riempì un bicchiere.

-Pronto per la partenza?- la voce di Hilary si levò guardinga, ma chiara.

-Sì- annuì il russo, finalmente grato di aver ritrovato la sua sicurezza.

Decise di non riflettere troppo e spostò una sedia, posizionandosi di fronte alla giapponese, poggiando la bevanda sul tavolo che li separava.

-Allora.. come va?-

Un silenzio surreale riempì il vuoto lasciato dalla domanda di Kei: si poteva dire che non intrattenessero una conversazione da quando si erano lasciati e quelle poche parole, nonostante risultassero come di circostanza, risuonarono di un significato più profondo.

-Bene!- rispose convinta –E tu? Sono cambiate un bel po’ di cose in questo periodo-

-Già.. inaspettatamente-

La conversazione si districò, eliminando la distanza tra le battute dei due, rientrando in una confidenza che si poteva considerare persa fino a cinque minuti prima.

-Non troppo.. devi ammettere che ci avevo visto giusto!-

-Riguardo?- chiese lui perplesso.

-Sulla storia della danza- sorseggiò il suo succo reggendo il bicchiere con entrambe le mani e proseguì –ti avevo detto che avevi qualcosa di speciale!-

-Non devo dubitare di te.. afferrato- disse abbozzando un sorriso.

-Ricordatelo! Quindi hai altro in programma?-

Kei ripensò al pranzo con Jermaine di qualche giorno prima e alla proposta dell’uomo, cercando ancora una volta di allontanarla dalla propria mente, come aveva fatto inutilmente per tutto quel tempo.

-Non direi- mentì facendo spallucce –Tu novità?-

-Nessuna degna di nota!-

-Rei mi ha detto che ti vedi con qualcuno- appuntò con un sorrisetto.

-Già- rispose Hilary distogliendo lo sguardo, ma lasciando incurvare i lati della bocca all’insù –Da due mesi-

-Ecco perché sei qui meno spesso.. e ci stai bene?-

-Sì-

-Mi fa piacere- disse terminando di bere.

-Tu passi ancora di fiore in fiore?- Hilary cercò di portare il discorso a suo vantaggio.

-Non passo proprio-

Rimasero in un tranquillo silenzio per pochi secondi, poi Kei si alzò per risciacquare il proprio bicchiere.

-Mio padre dovrebbe essere qui a momenti- osservò lei piano, più a se stessa che all’altro.

-Allora buona notte- fece per andarsene.

-Kei..- la voce di Hilary lo bloccò -..tornerai?-

-Cosa?-

-Tornerai? Lo so che c’è già Takao a stressarti da giorni, ma.. riesci ancora a considerarla casa questa?-

Maledisse mentalmente Hilary per essere sempre così intuitiva: Takao era davvero da giorni che gli ripeteva che sarebbe dovuto ritornare a casa, che non doveva fare scherzi e via dicendo, non facendo però i conti con quello che Kei considerasse realmente come casa.

-Sì- mentì nuovamente, ma non sapeva dire se fosse stato convincente o meno questa volta.

-Allora buon viaggio!-

 

Aveva preso in considerazione la possibilità di non ricordarsi più nulla della propria terra, ma non ci credeva sul serio: sapeva che sarebbe stato tutto diverso e assolutamente familiare una volta sceso da quell’aereo. Dalle persone, alla lingua, ai negozi, persino l’aria.

Era davvero differente l’aria che dalle narici scendeva fino ai polmoni, lo riempiva e lo saziava nuovamente con profumi e fragranze familiari: sulla pista d’atterraggio buttò fuori ciò che rimaneva del Giappone e si impadronì di tutto ciò che era Mosca.

Percorse i metri che lo separavano dall’entrata del terminal, indicato da delle ragazze dall’aspetto impeccabile e sorrisi smaglianti, con il giubbino giallo di segnalazione sopra la divisa da hostess; superò diversi controlli mostrando il passaporto, fino alla dogana principale. Il suo stato di cittadino russo lo esentò da diverse scocciature e code superflue, tanto che fu uno dei primi a impossessarsi del proprio bagaglio e, finalmente, imboccare l’uscita.

Il salone principale, con l’alto soffitto sorretto da imponenti colonne, pullulava di persone dalla fisionomia familiare, due soprattutto attirarono la sua attenzione.

-Ben arrivato!-

Due grandi braccia lo avvolsero in un caloroso saluto, accompagnato dallo schiocco di tre baci sulle guance: Tatjana era alta quanto lui, ma molto più robusta, con le spalle larghe e due braccia forti risultato di anni di nuoto, anche a livello agonistico.

-E lascialo respirare- intervenne Sergay, intimando alla sua ragazza di spostarsi per poter salutare anche lui il nuovo venuto.

-Ciao Ser!-

-Hai solo questo bagaglio?-

Kei annuì.

-Andiamo dritti a casa o devi fare qualcosa prima?-

-Andiamo a casa- rispose l’altro leggermente stravolto per le ore di volo.

-Finalmente ti hanno fatto mettere su qualche chilo!- notò Tatjana, tastando il braccio del più giovane.

-Dici?-

-Sì, credevo che i giapponesi mangiassero poco e temevo che tu scomparissi..-

-E da cosa deriverebbe questa teoria?- chiese Sergay curioso.

-Beh, sono tanto piccoli.. stasera comunque cucino io! Cibo come si deve!-

La coppia parlottò fino alla macchina e durante tutto il tragitto, ma Kei, dopo i primi secondi di entusiasmo e di piacere nel ritrovare quel paesaggio urbano, si sentì totalmente rincorporato in Mosca, come se non l’avesse mai lasciata prima, come se quell’anno lontano fosse in realtà durato solo alcuni istanti: ciò che non si aspettava era la strana sensazione di essere nel posto sbagliato, nonostante tutte le aspettative e le speranze di sentirsi rinascere nella capitale russa, non sentiva ancora che quello fosse il suo posto nel mondo, come non lo sentiva a Tokio.

Il ragazzo osservò fuori dal finestrino il profilo delle case che annunciavano l’entrata nella loro via e diede la colpa di tutto alla stanchezza.

 

Non aveva potuto liberarsi per tutto il pomeriggio e varcò la soglia di casa solo dopo le sei.

Salutò Tatjana impegnata ai fornelli e, senza attendere oltre, salì le scale fino al piano superiore: solo quando notò la porta della camera di Kei semi aperta rallentò il passo e riprese controllo di sé.

Non avrebbe mai detto ad alta voce le parole ‘mi sei mancato’, ma questo non gli impediva di pensare o addirittura provare quel sentimento; prese un respiro e si affacciò oltre la soglia, osservando all’interno.

Kei era seduto a gambe incrociate sul letto,  intento a staccare delle fotografie da un cartellone e riporle all’interno di una scatola. Quell’espressione tanto impegnata in un lavoro all’apparenza semplicissimo gli provocò una risatina: sembrava un bambino che, lontano dai problemi di tutto il mondo, si concentrava esclusivamente sul proprio gioco.

Eppure, ormai, era adulto a tutti gli effetti, ma quel buffo quadretto non fece altro che risvegliare vecchi ricordi, aiutati a spuntare anche dallo stato d’animo di quel giorno.

 

La prima volta che Yuri lo vide fu poche ore dopo l’arrivo di Kei al monastero: era nello studio di Vorkov e suo nonno lo aveva lasciato lì, in piedi davanti all’imponente scrivania, da solo con la sua piccola borsa, prima di girare i tacchi e andarsene.

Quel bambino, come molti altri tra loro, aveva solo quattro anni quando aveva varcato per la prima volta le porta del monastero, il luogo che sarebbe diventato la sua casa e la sua prigione nei futuri dieci anni: prima viveva nella grande villa di suo nonno, accudito da una donna fredda e burbera, dalla quale aveva imparato tutto per mezzo di punizioni, niente premi, niente “sei stato bravo”, niente regali.

Quindi il passaggio da un ambiente all’altro non era stato più di tanto traumatico: l’unico cambiamento a cui doveva abituarsi era la convivenza con altri bambini, che fino a quel momento aveva visto sempre da lontano, ma questo il rosso non lo poteva sapere ancora.

Yuri ricevette il compito di insegnargli come funzionassero le cose in quel luogo e stargli dietro, per cui avrebbero condiviso la stessa camera.

Per il rosso quel lavoro si rivelò più semplice di quanto si fosse aspettato, infatti Kei sembrava rispettare di buon grado e senza troppe storie tutte le regole, come se fossero state normale amministrazione. Non piangeva e non si lamentava.

Kei conobbe in quei giorni quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra: per il cognome che portava aveva ottenuto il diritto di essere subito trattato come uno dei migliori del monastero, saltando quella fase di assestamento che era una vera e propria prova di sopravvivenza.

Boris era il precedente compagno di stanza di Yuri che, per colpa del suo arrivo, si era dovuto trasferire con una ragazzo poco più grande, Sergay.

Inutile dire che il rapporto che si creò tra quei ragazzi fu da subito molto simile a quella che poteva chiamarsi una famiglia.

Yuri, soprattutto, trovò in Boris un fedele amico e in Kei qualcosa di molto simile a un fratello: mentre col primo, avendo la stessa età e molte cose in comune, non aveva faticato negli anni a trovare argomenti comuni di cui parlare e interessarsi, con Kei si era sviluppata una sorta di dipendenza, gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, lo aveva seguito in quella età in cui la curiosità è padrona e aveva risposto pazientemente a tutte le sue domande, scoprendosi spesso ignorante, tanto che alla fine si ritrovavano entrambi a chiedere a Sergay.

Una mattina erano in ritardo per gli allenamenti e Kei stava armeggiando con le sue manine nelle stringhe delle scarpe senza successo: Yuri lo aveva subito aiutato e la sera, per far sì che questo non si ripetesse, avevano passato un’ora a fare e disfare nodi.

Mentre la domanda che aveva messo più in difficoltà l’espressione di superiorità che il rosso assumeva quando gli venivano posti dei quesiti, fu “che cos’è una mamma?”. Erano bambini di 5 e 7 anni, che ascoltavano le discussioni dei loro coetanei e dei ragazzi più grandi, ma che non avevano nessuno che gli spiegasse le nozioni semplici e basilari.

Kei aveva sentito spesso parlare da altri bambini e dalle guardie di questa “mamma” che tutti volevano o insultavano o comunque la inserivano nelle più disparate discussioni. Ma che cosa fosse lui non lo sapeva.

Yuri lo aveva guardato incredulo: era un concetto semplice e banale, tutti avevano una mamma ed era.. beh, era la mamma. Nessuna definizione. Ci vollero diversi giorni e tanta pazienza per accontentare Kei con una risposta decente e fin troppo articolata per la loro età.

Per la fortuna del rosso, Kei si pose il problema della figura “papà” solo tempo dopo e si accontentò delle sue scoperte personali.

Comunque Kei e Yuri ebbero la conferma di essere inseparabili dopo un anno dal giorno in cui si conobbero.

Il nonno di del più piccolo aveva deciso che per l’estate il bambino sarebbe andato con lui in Giappone, usanza che si ripeté solo per altri due anni, ma che poi cadde in disuso completamente.

In verità, la sua lontananza dal monastero era solo di un mese, ma per i bambini un mese può tranquillamente equivalere a un anno; quindi a Yuri non era andato a genio che il suo compagno di stanza si fosse allontanato da quell’inferno senza di lui.

Quando tornò, Kei fu accolto nel gelo assoluto che solo il piccolo Ivanov riusciva a emanare.

Fomentato anche dalle malelingue degli altri ragazzi del monastero aveva fatto pesare a Kei quella sua lontananza e il trattamento di favore che gli era stato riservato; probabilmente quell’episodio avrebbe compromesso irrimediabilmente quel loro rapporto in nascita, se Kei non avesse prontamente estratto dalla stessa borsa sgualcita con cui era arrivato, una serie di vestiti nuovi di zecca.

Vorkov non avrebbe nemmeno speso soldi per il cibo se questo non fosse di fondamentale importanza per la sopravvivenza, quindi la questione vestiti era presto risolta: attraverso la beneficienza ognuno poteva prendere un numero contato di indumenti smessi per tot volte all’anno. A Kei ,però, quando ancora aveva qualche favoreggiamento, fu permesso di portare dei vestiti da casa ed era riuscito a fare entrare nella famosa borsa qualcosa anche per Yuri, e si sa quanto sia facile a 7 anni fare pace.

Quella sera stessa, mentre raccontava le sue esperienze dall’altra parte del mondo con un nuovo accento divertente che avrebbe acquisito ogni volta che tornava dal Giappone, Kei gli confidò di aver parlato di lui al giardiniere della villa del nonno il quale gli aveva detto che loro erano tomodachi, parola che però non sapeva come si traducesse in russo.

Discussero per un bel po’ prima di accordare che il significato esatto fosse amico.

 

-Ehi-

Solo quando Yuri poggiò la mano sulla maniglia e aprì ancora di più la porta, Kei si accorse della sua presenza, risvegliandolo attraverso quel saluto.

-Ehi- rispose a suo volta l’altro –Com’è andato il viaggio?-

-Tutto bene..- rispose continuando la sua opera.

Il rosso lo osservò nuovamente divertito: aveva pensato di ritrovarlo cresciuto e maturato, invece l’effetto continuava a essere esattamente l’opposto. Si sedette di fronte a lui sul letto, a gambe incrociate, aspettando una qualsiasi reazione.

-Ti avevo detto che potevi staccarlo- iniziò Kei, soffermandosi sulla foto che aveva tra le dita nella quale Nataliya e Dana avevano su un espressione alquanto buffa, prima di metterla nella scatola sopra alle altre. Prima di partire aveva dato quel permesso al rosso, che a quanto pareva non aveva accolto.

-Pensavo fosse una cosa che dovessi fare tu..- iniziò guardandolo cauto -..mi sbagliavo?-

Kei alzò lo sguardo e lo fissò inarcando un sopracciglio.

-Ovviamente no-

Tornò tranquillo alla sua occupazione e Yuri si rallegrò di vederlo così in pace.

-Allora non mi racconti niente?-

-Non c’è molto da raccontare-

Questa volta ad alzare un sopracciglio perplesso fu il più grande.

-Come no?-

-Beh sai già tutto- e fece spallucce.

-Volevo sentire qualcosa da te in persona.. un tempo eri così un chiacchierone- lo prese in giro Yuri ridacchiando –Ho visto il video sai?-

-Chi non l’ha fatto..- appuntò Kei con disapprovazione.

-Sarà stata una bella esperienza, no?-

Di nuovo l’altro rispose semplicemente con un alzata di spalle.

-Hai in progetto qualcos’altro del genere?- buttò lì la domanda e Kei si decise ad alzare finalmente lo sguardo su di lui con espressione indecifrabile.

-Direi di no- sussurrò cercando di distrarsi da quella domanda che voleva assolutamente evitare.

-Sicuro?- chiese Yuri saccente, assottigliando gli occhi a due fessure.

Kei annuì, convincendolo a desistere.

Si guardarono per qualche istante, ma il rosso si decise ad alzarsi, convinto che non avrebbe estrapolato alcuna informazione: si avvicinò all’altro e gli scompigliò i capelli.

-E’ possibile che se non te lo dico io, tu non te li tagli mai?-

Ne approfittò per tirargli uno scappellotto e sorridere.

-Ben tornato..- soffiò - ..ah! E per cena preparati qualche argomento, scriviti il discorso se ti viene più semplice!- scherzò prima di dirigersi verso il corridoio.

Non gli avrebbe detto ‘mi sei mancato’, come sicuramente non glielo avrebbe detto Kei, ma sapeva che era comunque un sentimento reciproco e non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel vedere come le cose si fossero sistemate e come i tempi bui sembravano essere finalmente arrivati al capolinea.

 

Il sole non era ancora sparito oltre le case e non lo avrebbe fatto prima delle dieci e mezza: quelli erano i giorni più lunghi dell’anno, ma soprattutto quel mercoledì sembrava non dovesse mai giungere al termine.

Complice il fuso orario, la sua giornata sarebbe stata composta da almeno trenta ore, ma non sarebbe riuscito a reggerle tutte: come gli aveva promesso, Tatijana aveva preparato un’ottima cena e a tavola osservò le quattro persone sedute insieme a lui, notando con piacere quanto tutto quello gli fosse familiare, quanto la sensazione del pomeriggio fosse sparita e riconobbe tutto ciò come normalità.

-Sono sicuro che Kei ha qualcosa da raccontarci..- iniziò Yuri.

-Beh io sicuramente voglio sapere se ti sei fatto qualche ballerina!- lo stuzzicò Boris.

-Non sono affari tuoi-

-Come siamo scontrosi.. piuttosto dov’è finito il tuo piercing?-

-Non lo metto più..-

Tatijana ridacchiò inaspettatamente e Kei la guardò perplesso sentendola alzare sempre più il tono e faticare a tornare seria.

-Scusa è che.. devo fare l’abitudine al tuo nuovo accento!-

Il ragazzo sbuffò, zittendosi del tutto, mentre gli altri continuarono a prenderlo in giro.

-Dai che scherziamo- gli disse Sergay battendosi il petto per darsi un contegno.

-Come volete-

La cena tornò tranquilla nel giro di pochi secondi: dopo tanto, Kei provò la sensazione strana di voler rimanere a tavola, ma la stanchezza prese il sopravvento e, all’imperversare dei suoi sbadigli, si arrese e diede fine a quella lunga giornata.

Al buio, sotto le coperte, si rigirò parecchie volte nel letto: il materasso che conosceva e col quale non aveva mai avuto problemi risultava in quel momento troppo morbido, lo spazio che avvertiva attorno a sé, avvolto nell’oscurità, aveva dimensioni evanescenti e l’aria che lo occupava era strana.

Nuovamente la fatica del viaggio che si faceva sentire facendolo impazzire, pensò prima di prendere definitivamente sonno.

 

Oggi sei mio.

Dopo un sms che sapeva alquanto di minaccia, Dana si era presentata nel primo pomeriggio a casa dei russi: aveva suonato parecchie volte di troppo il campanello, aveva superato Yuri senza nemmeno vederlo quando aveva aperto la porta e si era fiondata letteralmente addosso a Kei.

Fortunatamente il ragazzo ebbe i riflessi pronti per reggerla e avvolgerla a suo volta in un abbraccio, meno stritolante di quello dell’altra, ma comunque forte.

-Quanto mi sei mancato- gli disse all’orecchio, mentre lui salutava con una mano libera Anton, il marito di Dana, che scuoteva la testa esasperato appoggiato allo stipite della porta.

-Pensa che me la sono pure sposata- stava dicendo a Yuri, scherzando sul carattere esuberante della ragazza.

-E hai fatto bene!- disse lei, sentendosi interpellata e staccandosi finalmente dal più piccolo –Sono riuscita a convincerlo a darci un passaggio in centro!-

-E cosa andiamo a fare in centro?-

-Lo vedrai-

Salutarono Yuri e tutti e tre entrarono nella macchina di seconda mano della coppia: Anton li accompagnò verso la parte moderna della città e li lasciò all’inizio di una via pedonale piena di negozi.

-Grazie amore!- disse Dana scoccandogli un bacio a fior di labbra e scendendo dalla vettura.

-Scusa per il disturbo- aggiunse Kei.

-Figurati.. intanto dovevo passare di qui! E’ bello, poi, rivederti!-

Kei accennò un sorriso e si avvicinò a Dana, mentre l’uomo riaccendeva il motore e partiva.

-Ora?-

-Ora shopping!- rispose lei entusiasta, indicando la via piena di persone dietro di loro.

-Cosa?-

-Hai capito benissimo!-

-Tra tutte le cose che potevamo fare..-

-Dai che mi servono delle scarpe!-

Kei ci pensò su: passare davanti a vetrine allestite insieme a una ragazza non era mai un’attività salutare, ma d'altronde era da un anno che non vedeva la sua amica e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per passare un po’ di tempo con lei.

Camminarono per una decina di minuti, fermandosi davanti a diversi negozi: Kei ci mise un po’, osservando i prezzi, a ricordarsi definitivamente che la cifra indicata fosse in rubli e non in yen, che le varie insegne fossero realmente in cirillico e che la totale assenza di ideogrammi indecifrabili fosse reale.

-Sembri un bambino sperduto- gli fece notare Dana.

-Come?-

-Niente, è che ti guardi intorno come se non ci fossi mai venuto-

-Mi sto riabituando-

-Sarà meglio..- la ragazza si fermò immediatamente -..ecco, entriamo qui!-

Si infilarono in un enorme negozio di scarpe di ogni genere.

-Per cosa ti servono?-

-La palestra-

-Meno male- sussurrò, contento di non dover osservare scarpe eleganti o col tacco di cui non comprendeva il senso se non dopo che erano state indossate.

Attraversarono diversi scaffali, fino a raggiungere la parete che avevano adocchiato sin dall’entrata: Dana individuò i modelli e colori che la ispiravano e, dopo una prima selezione, iniziò a escludere le paia con un prezzo troppo elevato.

-Queste erano belle- le fece notare Kei, riprendendo una scarpa che era stata messa al suo posto, nonostante la ragazza l’avesse soppesata a lungo.

-Sì, ma non posso spendere troppo..-

-Non ti ho fatto il regalo di compleanno-

-Era a marzo, Kei!-

-Appunto, devo farmi perdonare per bene-

-Non se ne parla- affermò Dana spostando l’attenzione su altre calzature.

-Ma ci tengo-

-Ti ho detto di no!-

-Io te le compro lo stesso- disse tornando indietro.

-Fermati subito-

-Puoi farmele comprare e spendere altri soldi per ritrovarti due paia di scarpe, o lasciarmi fare-

-Sei una testa dura!- sbuffò lei –Forse era davvero meglio se facevamo qualcos’altro-

Dibatterono per diversi minuti, ma alla fine Dana fu costretta a cedere, essendo che teneva ancora alla propria salute mentale.

-A te serve qualcosa?- chiese mentre passavano davanti alla parete del settore maschile.

-Direi di no-

-Ho visto che ora vanno di moda queste..- disse prendendo una scarpa super colorata.

-Troppo sgargianti-

Impiegarono più del triplo del tempo necessario per raggiungere le casse, poiché si misero a commentare la maggior parte dei prodotti esposti, come facevano un tempo.

-Ora possiamo andare dove volevo realmente portarti!- annunciò Dana una volta fuori e riacquistato il sorriso.

-Questa era un’illusione?-

-Rompipalle! Qui ci dovevo venire per forza, è il mio unico giorno libero-

-Tieni ancora i bambini?-

-Per questa settimana sì, la prossima ho trovato posto in una scuola dove organizzano i centri estivi e io devo far fare attività fisica ai ragazzini-

-La palestra quando riapre?-

-A settembre, però..- e gli indicò la strada che avrebbero dovuto imboccare e che Kei riconobbe subito -..ora non c’è nessuno e possiamo andarci noi!-

Dana allungò il passo e intimò a Kei di seguirla, non rallentando se non quando raggiunse l’entrata.

 

Perché stare con Dana era così dannatamente semplice? E perché ballare con lei, soprattutto, lo faceva sentire così bene?

Il loro era un legame forte, nonostante nessuno, quando si erano conosciuti, avrebbe mai scommesso che sarebbero diventati così uniti, ma allo stesso tempo nessuno avrebbe mai immaginato ciò che avrebbero dovuto affrontare.

Perché quando si è in una situazione difficile, anche se non si vede una via d’uscita, neanche in quel caso si può preventivare di quanto si possa cadere in basso, di come si possa arrivare a raschiare il fondo e nemmeno di come si possa fare, poi, per risalire.

Kei e Dana non avevano assolutamente nulla in comune fino a quattro anni prima, mentre in quel momento, in quella palestra, non potevano essere più indissolubilmente legati.

La ragazza diceva sempre che danza è condivisione, una forte emozione, paragonabile a un sentimento allo stato puro e per loro la danza poteva essere l’amicizia, l’amore unico verso un amico.

Quando poterono considerarsi soddisfatti, si sedettero sul pavimento freddo che dava una sensazione piacevole a contatto con la pelle accaldata: Kei appoggiò la schiena al muro, mentre Dana spense la musica per poi posizionarsi di fronte a lui.

-Allora.. mi dici cosa c’è che non va?- iniziò la ragazza, assumendo un’espressione seria.

-Niente- rispose confuso il russo, il quale pensava che non potesse esserci nulla a disturbare quella serenità.

-Non mentire.. ti conosco e so che c’è qualcosa che non va-

-Pensavo ci stessimo divertendo-

-Non ora, ma in generale! Che ti frulla per quella testolina bacata?- insistette accennando un sorriso.

Kei capì subito a cosa si riferisse, poiché, non appena pensò a quello che poteva turbarlo, il chiodo fisso che aveva negli ultimi giorni tornò a martellargli il cervello.

Distolse lo sguardo dall’altra automaticamente, ma Dana non demorse e gli si avvicinò, ripetendo la prima domanda dolcemente.

-E’ che sono successe tante cose in questo periodo- si decise a confessare Kei.

-Assolutamente, ma sono state cose belle!-

-Lo so però.. mi stanno confondendo-

-Raccontami..- lo incitò la ragazza, scrutandolo fino a che non si lasciò andare.

-Hai presente Jermaine Crowde? Sai che ti avevo detto che mi perseguitava?- aspetto che l’altra annuisse a entrambe le domande prima di continuare –Ecco.. l’altro giorno ci siamo visti e mi ha proposto un lavoro.. da settembre per quattro mesi o qualcosa del genere..-

Dana non riuscì a nascondere un largo sorriso, ma si trattenne dall’interromperlo.

-Sarebbe il tour di Lauren Bright.. il tour mondiale..-

-Ma è fantastico!- non riuscì più a stare zitta, rizzandosi di colpo.

-Sì, ma ci sono tanti problemi..-

-Kei, i problemi te li crei tu!-

-Ma non so se..-

-Dimmi: qual è stata la tua prima reazione alla proposta? Non pensarci su.. irrazionalmente, d’impulso, cosa avresti risposto?-

Il russo fece per ragionarci, ma l’esortazione della ragazza ad agire d’istinto lo spinse a dire –Di sì-.

Dana sorrise trionfante, ma allo stesso tempo comprendendo l’indecisione dell’altro.

-Come ti dicevo, i problemi te li crei tu..-

-E la scuola?-

-Credo che si potrebbe trovare una soluzione..-

-E il Giappone e..-

-Posso parlarti sinceramente?- lo bloccò la ragazza prima che potesse aggiungere altro e assunse un tono materno –La tua situazione è questa: sei in bilico riguardo al tuo futuro e a ciò che tu vorresti in esso, però hai una possibilità, una possibilità che hai già sperimentato quanto non possa fare altro che piacerti..- prese un respiro e si rituffò nel discorso -..tu qui non riesci a stare e credo che lo stesso valga per il Giappone.. Anche io ho avuto un’opportunità una volta, ti ricordi? Mi avevano offerto di studiare danza seriamente all’estero, ma io non ho potuto né voluto accettare perché la mia vita era qui, la mia famiglia aveva bisogno di me, c’era Anton.. non ho accettato, ho fatto una scelta, la scelta più adatta a me e non me ne pento.. tu non hai nulla che ti trattenga.. Io sarò sempre qui, Yuri sarà sempre qui ad accoglierti, ma non sei vincolato a restare..-

-E se io volessi restare?- la fermò esponendole il pensiero che lo assillava da settimane, ma che non aveva avuto il coraggio di formulare ad alta voce fino a quel momento.

-E’ davvero quello che vuoi?-

-Questa è casa mia..-

-Qui hai delle persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene, ma lo stesso vale per il Giappone.. non è così?-

-Sì, ma..-

-Dicono che casa sia il luogo dove si trova il cuore.. e io credo che il tuo cuore non sia qui, perché qui non sta in pace, non ancora almeno, nonostante a te sembri che il peggio sia passato.. e ugualmente non sta in pace in Giappone..-

-E allora?- sussurrò Kei.

-Allora potrebbe essere ovunque.. e perché non nel luogo dove hai la possibilità di danzare?-

Si fissarono in silenzio per diversi secondi in attesa dell’esito finale di quella conversazione, di sapere se avrebbe vinto la testardaggine di Kei o la sicurezza di Dana.

-Non è un male pensare al proprio futuro in maniera, come dire, originale- tentò ancora, senza però fare pressioni –Quando gli devi dare una risposta?-

-Fine agosto-

-E con Yuri ne hai già parlato?-

-No, l’ho detto solo a te-

-Allora parla con lui e poi decidi.. prova a fidarti di nuovo del tuo istinto.. te lo chiedo come favore personale!-

Come risposta Kei emise una specie di grugnito che fu subito sostituito da un sorriso non appena iniziarono a stuzzicarsi e giocherellare.

 

Non fece nulla di più che pensarci nella settimana seguente: rimandò diverse volte il momento per parlare e farsi consigliare da Yuri con la scusa di non trovare l’occasione. Invece di occasioni ne avrebbe avute a centinaia se solo avesse saputo sfruttarle.

Avevano trascorso giornate intere insieme, Kei aveva accompagnato il rosso all’università, in biblioteca, per non parlare di tutte le serate che i due, insieme a Boris e Sergay trascorrevano a casa o in giro per qualche localino tranquillo.

Non sapeva dire quale fosse la causa di tale indecisione, poiché solitamente, quando aveva qualcosa per la testa, parlarne con Yuri era considerato un modo per sciogliere ogni dubbio.

Ciò che lo distraeva, inoltre, da quel pensiero assillante e indefinito era una la brutta sensazione di sentirsi estraneo a casa sua: era zeppa di ricordi, di suoni e odori che poteva associare a immagini di ogni genere, sia positive che negative, ma era allo stesso tempo distante. Si chiese spesso se quella fosse una conseguenza del discorso di Dana, se lo aveva suggestionato a tal punto da avvertire vere quelle parole riguardo la pace interiore che non riusciva a trovare.

In ogni caso, nonostante avesse tentato di ritardare il momento di affrontare una decisione, quella decisione, si ritrovò costretto a confessare ogni suo dubbio una sera, davanti a una tazza di tè caldo: era notte fonda, avevano appena trascorso le ore serali al bar gestito da un amico di Sergay e il biondo era andato a dormire. Boris aveva spento la sigaretta nel posacenere e, augurando la buona notte, lo aveva seguito su per le scale.

Yuri aveva l’abitudine di bere quell’infuso ambrato anche d’estate e ne aveva offerto un po’ a Kei, il quale aveva accettato solo per aver la possibilità di allungarlo con un po’ di alcool.

-Dana non l’hai più vista?- chiese il russo interrompendo il silenzio della cucina.

-No-

-Lavora?-

Kei annuì seguendo con lo sguardo il cucchiaino che ruotava nella tazza comandato dalle dita dell’altro.

-Dovrei parlarti..- disse lentamente pentendosi all’istante di aver tirato fuori l’argomento: ormai non poteva tirarsi indietro o inventare qualche balla e, nonostante non riuscisse proprio a capire come mai fosse così difficile parlare, continuò -..riguardo a una possibilità che mi hanno offerto-

Utilizzò le parole di Dana cercando di farsi forza, aspettando un qualsiasi cenno dell’altro di stare ascoltando.

-Di che si tratta?-

-Un lavoro.. tipo quelli degli ultimi mesi..-

-Da ballerino?-

Kei annuì, nonostante quella parola lo facesse ancora rabbrividire se associata a se stesso.

-Me lo vuoi dire o no?- lo incitò il russo calmo.

-Sì.. sarebbe un tour di quattro mesi e..-

-Un tour dove?- chiese sorseggiando il suo tè.

-Mondiale-

-Che mesi sarebbero?-

Kei prima di rispondere si convinse che era così che doveva sentirsi un normale ragazzino a chiedere il permesso di fare qualcosa al genitore.

-Da ottobre..-

-Tu vorresti farlo?- e si concentrò esclusivamente sull’altro.

-Non lo so..-

-E per la scuola? Come pensi di fare?-

Non rispose per non sentire più quelle tre parole che uscivano dalle sue labbra, per non dare voce ancora una volta alla sua indecisione, a quell’incertezza che gli dava sui nervi e che non riusciva a sopportare.

-Perderesti metà anno così-

Kei annuì, restando ancora in silenzio.

-Non so.. questa cosa che ti sta accadendo è molto bella, è positivo che tu ci sia così immerso, però credo dovresti valutare le tue priorità..-

Iniziò a pensare che il suo non voler parlare con Yuri derivasse dall’aspettativa che riponeva nella sua risposta, perché in fondo sapeva quale sarebbe stato il punto di vista dell’altro, quello per cui avrebbe votato, ma perché lo indisponeva tanto?

Si era sempre affidato al rosso, nell’ultimo anno e mezzo aveva deciso che il suo parere sarebbe stato al di sopra di tutto, che lo avrebbe ascoltato sempre e in ogni caso, eppure non riusciva ad accettare quella come soluzione al problema.

-La scuola non è mai stata una delle mie priorità..-

-Ma dovrebbe esserlo.. Kei, questa cosa non può aspettare un anno? Il tempo di diplomarti? Non ti manca tanto.. puoi sempre continuare a ballare, solo non a tempo pieno.. per ora..-

La consapevolezza di avere già chiaro quale, per lui, doveva essere la risposta a quella possibilità fece capolino nella sua testa: lui voleva dire di sì, voleva lasciare tutto e inseguire quel qualcosa che lo faceva stare bene da qualche mese a quella parte.

-E se io non volessi aspettare?-

-Io non sono d’accordo- si fissarono a lungo, ma nessuno dei due diede la soddisfazione all’altro di abbassare per primo lo sguardo –Cosa ne pensano Takao, Nonno J, Rei?- continuò Yuri sperando di trovare man forte in altri.

-Non lo sanno..-

-Credo che la penserebbero come me..-

-Non tutti la pensano come te- disse improvvisamente con tono freddo.

-Tipo?-

-Dana- non voleva tirare in ballo l’amica, ma non sapeva in che altro modo continuare a dibattere.

-Lei ti incita così potrai realizzare ciò in cui lei non è riuscita..-

-Non è vero.. e poi non parlare di lei in questo modo-

-Ma è un  dato di fatto.. lei ti appoggia perché fa parte di quel mondo-

-E non credi che proprio per questo abbia più voce in capitolo di te?-

-No, non credo! Io ho voce in capitolo eccome, io voglio solo il meglio per te e cerco di farti capire qual è!-

-Anche lei-

-Kei, non puoi lasciare così la scuola per fare il ballerino! E’ un futuro insicuro, evanescente.. poi non credo che tu sia pronto per un passo del genere-

-Cosa credi che possa succedere?-

-Metti di non riuscire.. che dopo questo tour non ti chiamino più, che decidano che non gli servi? A te che cosa rimarrà? Un ennesimo anno perso e chissà che altro..-

-In tal caso cosa credi? Che ricominci a farmi?-

-Spero proprio di no, ma cerco di mettere in conto ogni eventualità come faccio da anni!-

-Inizi a rinfacciarmi le cose? Mi sembrava fossimo rimasti al punto in cui iniziavi a fidarti di me-

-Non ti rinfaccio nulla.. comunque mi pare di aver capito che nonostante questo discorso tu abbia già preso la tua decisione..- continuò il rosso tornando apparentemente calmo.

Kei si zittì improvvisamente seguitando a guardarlo.

-Tu ci vuoi andare..-

Aveva dibattuto negli ultimi minuti ogni qual volta si erano allontanati dalla possibilità di accettare la proposta del tour e aveva tenuto testa ai discorsi logici di Yuri: tutti gli elementi potevano far presagire la sua totale intenzione di iniziare questo nuovo percorso e abbandonare il vecchio, ma, all’avanzare di quella consapevolezza, la paura o l’indecisione o come la si vuole chiamare tornò a tormentarlo.

-Non lo so-

-Come faccio a dare la mia completa fiducia a un atto del genere, che già considero irresponsabile di suo e del quale, poi, non sei nemmeno sicuro?-

Nuovamente come ragionamento non faceva una grinza e, quindi, a chi dare retta? A Yuri e le sue logiche argomentazioni o all’istinto, che tante volte lo aveva aiutato quante volte lo aveva tradito?

Ripensò alle parole di Jermaine, a quelle di Yuri, di Hilary e, infine, a quelle di Dana: doveva davvero capire ciò che per lui era casa.

 

 

 

 

E anche questo è finito!

Siamo atterrati nuovamente a Mosca e Keiuccio è tornato confuso XD è inutile, non si smentisce mai u.u vabbè..vado un po’ di fretta e non ho molte cose da dire, al massimo le aggiungerò in seguito o mi pentirò per tutta la vita di non averle tirate fuori al momento opportuno! O_o

Visione apocalittica a parte..

Aspetto le vostre sempre adorate opinioni!

Un bacione :)

 

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Capitolo 41
*** Going Away ***


So solo che ti dirò

Vale la pena vedrai

Da adesso in poi

 

 

 

 

 

 

 

Going Away

 

 

 

 

-Avete più sentito Kei?-

Nonno J seduto al tavolo della cucina pose quella domanda ai tre ragazzi non appena finita la cena, mentre se ne stavano seduti a chiacchierare davanti a una coppa di gelato per combattere il caldo di agosto.

-L’ultima volta qualche giorno fa- rispose Max dopo averci pensato su.

-Lo sapevo che non dovevamo lasciarlo partire!-

-Takao, cosa stai dicendo?- lo rimproverò Rei.

-La verità! Sai che potrebbe non tornare!-

-In quel caso ce l’avrebbe già detto-

-Stiamo parlando dello stesso Kei?-

-Afferrato, ma non fasciarti la testa prima di essertela rotta-

-In effetti aveva detto sarebbe stato via un mese..- Max venne in soccorso del giapponese.

-..e ha già sforato di due settimane!- finì Takao reggendosi la testa con la mano.

-Vorrà sfruttare il tempo che ha a disposizione per stare con Yuri e gli altri- cercò di consolarlo Rei, ma senza riuscirci.

-Sei troppo positivo- sbuffò l’altro.

-Sarebbe una decisione legittima, comunque, quella di rimanere a Mosca..- intervenne Nonno J -..e tu in tal caso dovresti rispettare il suo volere!-

-Quindi anche tu pensi che potrebbe accadere!- esclamò puntando il dito verso il parente.

-Io metto in conto tutte le possibilità-

-Uffa.. quel ragazzo mi farà impazzire prima o poi!- concluse Takao infilando il cucchiaio nella vaschetta del gelato per prendere l’ennesima porzione, facendo scoppiare tutti a ridere.

-Affoghiamo i nostri dispiaceri nel gelato, bravo!- lo prese in giro Max imitandolo.

 

Era abituato alle occhiate delle persone che gli passavano accanto e ancora più a quelle di rimprovero o di ammonizione, non che in quel momento non se le meritasse: era seduto per terra a gambe incrociate in un luogo di passaggio e fumava una sigaretta incurante se vi fosse il divieto o meno. In ogni caso si sentiva libero di non spostarsi e non gli pesavano i borbottii delle poche persone che lo superavano con chissà quale espressione dipinta in volto.

Non faceva comunque niente che fosse degno di nota, se non osservare il nome scritto in lettere dorate sulla superficie marmorea e ogni tanto prestare attenzione alla fotografia affiancata ad essa, vecchia di qualche anno di troppo rispetto alla data segnata poco più sotto.

Lasciò cadere la cenere a terra incurante dei passi che sentiva avvicinarsi.

-Devo iniziare a pensare che tu sia diventato credente?- chiese una voce alle sue spalle.

-Non sia mai- rispose placido Kei.

-Domenica mattina, a pochi metri di distanza da una chiesa.. e non è la prima volta!-

-Sei venuta a farmi la predica?-

-No-

Dana si abbassò all’altezza di Kei e infilò un piccolo mazzo di fiori nell’apposito spazio del loculo nella fila più in basso.

-Hai mai sentito parlare dell’usanza di portare i fiori?- cercò di scherzare la ragazza.

-Sì, da qualche parte..- la assecondò con un mezzo sorriso.

-Sarebbe carino se lo facessi anche tu allora!-

-Ci penserò-

Dana si guardò intorno circospetta, prima di decidere di sedersi per terra insieme all’amico.

-Che cosa sono?- chiese lui osservando i fiori che sembravano delle margherite, ma molto più grandi e con i petali arancioni.

-Non lo so, ma mi piacevano!-

Kei spense la sigaretta a terra e alzò finalmente lo sguardo sull’altra che lo squadrava come in attesa.

-Non è che mi stai cadendo in depressione?- cercò di metterla sul ridere.

-E’ che è un buon posto per pensare.. i morti sanno essere davvero silenziosi e discreti-

Dana rise e iniziarono a parlottare, senza rendersi conto di aver alzato il tono della voce e di essersi girati fino ad essere l’uno di fronte all’altro, apparentemente dimentichi dell’ambiente nel quale si trovavano.

-Lo so che nelle ultime settimane in pratica non abbiamo parlato d’altro, ma.. hai ancora deciso?-

-Ci sto arrivando-

-Ti conviene sbrigarti.. siamo a metà agosto!-

-Ho chiesto a Yuri se potevo prendere in considerazione anche la possibilità di restare qui..-

-Davvero? Quando?-

-L’altro giorno-

-E lui che ha detto?-

-Che dipendeva da come mi sentivo al riguardo-

-E..-

-E.. non lo so.. ormai non so più nulla-

Quel mese e mezzo era stato come una rinascita: aveva temuto che la bella sensazione che gli donava la Russia sarebbe scomparsa lasciando il posto a un ricordo sbiadito di quanto un tempo si sentisse a suo agio in quella terra. Invece, come per tutte le cose ormai, aveva avuto solo bisogno di tempo.

Sarebbe stato difficile lasciarla ancora, ecco perché aveva ritardato la partenza prefissata con Takao e aveva avanzato quella proposta a Yuri, di restare.

Ma se quell’aria era diventata nuovamente respirabile, poteva dimenticarsi di quanto lo erano le altre? Non sapeva quali fattori avrebbero pesato maggiormente nella sua decisione, ma sicuramente il suo modo, la sua capacità di respirare nei diversi contesti sarebbe stata presa in considerazione.

-Ti dispiace se ora andiamo?- chiese improvvisamente Dana, prestando nuovamente attenzione a ciò che aveva intorno –Questo posto mi fa congelare!-

-Certamente-

Kei si alzò e tese la mano all’amica che, una volta in piedi, cercò di togliersi eventuale sporcizia dai pantaloni per poi riprendere quel contatto e guidare l’altro verso l’uscita.

 

-Ci vediamo dopo!- Boris uscì velocemente dal cancelletto del giardino: non si preoccupò nemmeno di chiudere la porta di casa, poiché Kei lo aveva seguito fino alla soglia.

Il russo, però, una volta risposto al saluto, non rientrò, ma lo osservò sparire lungo la strada e, rimasto solo, si sedette sui gradini di ingresso.

Frugò nella tasca e estrasse il pacchetto di sigarette e un cartoncino: iniziò a fumare, appoggiando il pacchetto accanto a sé e prendendo a osservare il biglietto.

Nome, cognome, due numeri di telefono e una mail erano stampati nero su bianco: fece scorrere il pollice sulla carta ruvida prima di decidersi a tirare fuori anche il cellulare.

Sullo schermo, sotto la dicitura dell’ora, apparve la data: 20/ago/2008. Aveva aspettato fino all’ultimo, fino al giorno di scadenza che gli era stato dato, ufficialmente perché voleva prendere la sua decisione con calma e valutando tutti pro e i contro per non rischiare una risposta affrettata e di cui, magari, si sarebbe pentito presto; ufficiosamente, invece, era perché non aveva avuto il coraggio di farlo prima.

Ne aveva parlato diverse volte in quelle settimane, sia con Dana che con Yuri, considerando che ognuno dei due tendeva per una risposta differente, ma negli ultimi giorni aveva smesso di tirare fuori l’argomento e deciso di lasciarsi scivolare addosso il peso di quella scelta.

Cercò nel registro chiamate e lo fece scorrere fino alla fine di giugno, soffermandosi sull’unico numero sconosciuto presente: non lo aveva nemmeno salvato mantenendo la sua recidività a compiere un qualsiasi passo verso quella decisione.

Lo confrontò con i due numeri presenti sul biglietto da visita e, vedendo che combaciava col secondo, lo memorizzò in rubrica: si rese conto di stare prendendo tempo, di cercare di ritardare il momento decisivo e, quasi senza pensarci, premette il pulsante verde per attivare la chiamata.

Portò il cellulare all’orecchio lentamente, cercando di scacciare via quell’ansia che non voleva permettersi di provare: non era una cosa da lui, era da debole, e debole lo era già stato abbastanza negli ultimi anni, doveva invertire quella rotta.

-Pronto?-

La voce di Jermaine lo risvegliò dai suoi pensieri.

-Pronto Jermaine? Sono Kei-

Sentì un insieme indefinito di rumori che si confusero, prima del calare di un silenzio assoluto, eccetto un lieve brusio di sottofondo.

-Kei!- l’uomo in pratica lo urlò, prima di continuare con un tono più umano –Stavo guidando e non ho guardato il nome sul display!-

-Semmai ti chiamo dopo..- iniziò quasi speranzoso.

-No, tranquillo, mi sono fermato.. dimmi tutto!-

Jermaine sapeva perché lo aveva chiamato: non poteva semplicemente porgli la domanda fatidica invece che costringerlo a iniziare il discorso?

-Riguarda la tua domanda..- iniziò restando sul vago, ma sapendo che l’altro avrebbe capito perfettamente, o almeno lo sperava: considerando la stranezza del soggetto poteva aspettarsi di tutto.

-Ti fai proprio desiderare, eh?- lo schernì l’altro, facendo funzionare il piano di Kei –Temevo non ti saresti fatto sentire.. beh, in quel caso ti avrei chiamato io comunque!-

Al russo non stupì quella frase, ma gli diede la conferma sull’infondatezza di alcuni scrupoli che si era fatto sulla sincerità delle parole di Jermaine: in tutto quel tempo poteva essersi stufato di aspettare o semplicemente aver cambiato idea.

-Allora qual è la tua risposta?- continuò l’uomo e a Kei sembrò quasi di vederlo, al pari di un bambino che aspetta le caramelle dalla mamma, all’interno della sua Mercedes rossa parcheggiata a caso chissà dove.

Si ripetè la domanda nella testa e prese un respiro prima di decretare in quel singolo istante il suo futuro, o almeno una parte di esso.

-Sì-

-Sì cosa?- cercò conferma l’altro, più per sentirlo ripetere che per altro.

-Sì, va bene-

-Accetti?-

Sospirò pesantemente e con una lieve irritazione crescente prima di ripetere per l’ennesima volta

–Sì-

-Sì!- gli fece eco l’altro evidentemente esaltato –Non te ne pentirai! Sei in Giappone?-

-Non ancora-

-Quando torni?-

-La prossima settimana-

-Perfetto! Ti mando un messaggio il prima possibile con tutti i dettagli per il primo giorno di prove.. ora non ce li ho sotto mano e sinceramente non me li ricordo.. comunque ti scrivo.. poi ti dirò lì tutto il resto!- iniziò a parlare a macchinetta, quasi senza prendere il respiro tra una frase e l’altra, in una completa apnea.

-Ok- riuscì solo a dire Kei alla fine.

-Sono davvero felice! Sarà una figata! Allora ci sentiamo.. goditi i tuoi ultimi giorni di libertà, perché non ti lascerò scappare!- lo salutò con un altro fiume di parole, prima di ricordarsi di avere un appuntamento da lì a poco e di dover riprendere a guidare.

Quando riattaccò, Kei rimase immobile qualche istante prima di ritornare a ragionare: non si era accorto di aver lasciato la sigaretta consumarsi e la spense del tutto frastornato.

Avvertiva un peso sullo stomaco: poco prima sentiva quello della decisione che doveva prendere, ma vi si era sostituito un altro, molto diverso.

Non sapeva definirlo, ma non era sicuro fosse del tutto negativo: aveva davanti delle settimane sulle quali avrebbe potuto mettere un punto interrogativo, ma questo lo preoccupava tanto quanto lo affascinava. Una sensazione davvero piacevole.

 

Alla fine era rimasto per un mese e tre settimane, molto più delle sue iniziali aspettative, ma quella vacanza doveva arrivare a un termine: era stato bello poter tornare a Mosca, città agognata per un anno e che, finalmente raggiunta, era stata una serie di alti e bassi di aspettative adeguate o meno. Tornare a vivere con Yuri, Boris e Sergay lo aveva fatto sentire nel posto giusto dopo tanto tempo, ma non erano mancati gli aspetti negativi, i tanti, troppi, ricordi e la sensazione di aver trovato dell’altro, la consapevolezza dell’esistenza di tutto un altro mondo dove la vita era degna di essere chiamata tale.

Per quello annunciò a Yuri e successivamente agli altri due quale era stata la sua decisione: non erano mancate le frecciatine e le prese in giro, ma sapeva che, se un tipo come Boris si lasciava scappare delle battute di spirito e non esponeva il suo disappunto seriamente, significava che poteva contare sul loro appoggio.

Prenotò il volo l’ultima settimana di agosto e dovette ripetere il giro di saluti che già lo avevano tenuto occupato più di un anno prima: Dana cercò di trascorrere più tempo possibile con lui nonostante il lavoro e soprattutto si manifestò la più entusiasta per ciò che lo avrebbe aspettato il mese successivo.

Chi era rimasto alquanto neutro alla grande notizia era stato proprio Yuri, o almeno fino a due giorni dalla partenza di Kei.

-Ti va se parliamo un po’?- aveva esordito il rosso quando, come al solito, erano rimasti gli ultimi in cucina.

-Sì-

-Nessun rimpianto?-

-Per ora no-

-Vedi di non averne..- lo avvertì, ma senza arroganza nella voce.

-Ok-

Kei lo guardò in tralice cercando di decifrare che cosa avesse intenzione di dirgli: probabilmente era in arrivo il suo discorso di disapprovazione a cui non era ancora stato sottoposto, ma che si aspettava da almeno una settimana.

-Di solito noi cerchiamo di evitare questo genere di discorsi..- iniziò Yuri prendendo un lungo respiro -..però voglio che tu lo sappia prima di ripartire e.. beh, sono fiero di te-

Disse le ultime parole velocemente, come per farle uscire prima che fosse troppo tardi, e Kei se ne stupì: lo osservò riprendere il controllo e parlare più lentamente.

-Non sono totalmente d’accordo con te su questa scelta, ma non è importante, perché è una tua scelta e.. mi fido di te.. è stato un anno difficile per te e credo che se sei convinto a tal punto di questa opportunità vuol dire che è qualcosa di speciale.. sinceramente ciò che conta è, e sempre sarà, che tu stia bene!-

-Grazie..- sussurrò confuso e grato al contempo.

-Ti ho osservato in questo mese.. sei maturato, il Giappone ti ha fatto davvero bene, non so che parte di questo abbia contribuito di più, se il luogo, le persone, il ballo, ma qualsiasi cosa sia non la devi abbandonare..- si prese ancora una piccola pausa -Quindi ora devi solo darti da fare..-

Kei lo avrebbe abbracciato se un gesto del genere, per uno come lui, non avesse significato uno sforzo emotivo enorme: perché era semplice sciogliersi dopo che le braccia di Dana si erano fatte avanti, assecondare gli sforzi delle varie ragazze che aveva conosciuto, ma allo stesso modo era difficile essere il primo, dare l’input di quel gesto, anche con Yuri, l’amico di una vita, ciò che più si avvicinava alla definizione di famiglia.

In fondo, però, il rosso sapeva tutto questo e non aveva bisogno di una dimostrazione di gratitudine, affetto o che altro: semplicemente erano fatti così.

 

Nostalgia non era forse la parola giusta per descrivere quello che provava per il Giappone, però, questa volta, poteva dire di non essere del tutto indifferente al ritorno in quella terra.

Si era lasciato alle spalle un capitolo, piuttosto scuro a tutto dire, della sua vita definitivamente e per la prima volta ne era sicuro; la differenza stava nel capire dove lo portasse quello che sarebbe iniziato in quei giorni e cosa gli riserbasse.

Prima di scoprirlo, però, doveva affrontare l’ultimo ostacolo, ossia riferire a Takao e agli altri ciò che aveva deciso per i mesi successivi: la difficoltà di quel passo gli sembrò sempre più enorme man mano che si avvicinava alla figura sorridente dell’amico.

Scorse infatti il giapponese saltellare per farsi notare tra la folla che occupava il grande corridoio, un’immagine che gli ricordò il suo arrivo a Tokio dell’anno prima.

Appena, per telefono, lo aveva avvertito sulla sua data di ritorno non ce l’aveva fatta a riferirgli pure quella della sua ennesima partenza, sia perché non lo sapeva ancora esattamente, sia perché non aveva avuto la forza di affrontare un lungo discorso, immaginato diverse volte in quegli ultimi giorni.

-Finalmente!- lo accolse urlando.

-Sono in perfetto orario..- gli fece notare Kei perplesso.

-In realtà sei in ritardo di tre settimane e forse anche qualche giorno di più- l’espressione del più piccolo sembrava furente, ma allo stesso tempo risultava alquanto buffa.

-Non farci caso.. è così da un mese!- affermò Rei esasperato –Com’è stata la vacanza?-

Kei rispose vagamente alla domanda incamminandosi con i tre verso il dojo: più si avvicinavano alla villa e più si addentravano nella conversazione, più il russo sentiva il leggero impulso di spiattellare tutti suoi progetti, ma anche il desiderio di non affrontare quell’argomento.

Si convinse che avrebbe dovuto aspettare almeno la presenza di Nonno J, l’unica persona che probabilmente avrebbe avuto la capacità di obiettare seriamente.

Non appena arrivarono a destinazione, Kei spinse il trolley nell’ingresso e proprio l’uomo spuntò dalla porta della cucina.

-Kei! Ben tornato.. tutto bene?- chiese frettoloso, ma con il suo solito tono paterno.

-Sì.. senti, ti dovrei parlare di..-

-Può aspettare questa cosa?- chiese dispiaciuto l’uomo.

-Certo..- rispose confuso Kei, che si stava già preparando il discorso tra sé e sé.

-Vado di fretta mi dispiace..- salutò i presenti e uscì dal dojo.

Nessuno sembrò preoccuparsi di ciò che Kei volesse dire a Nonno J e lo lasciarono andare rimpossessarsi della sua camera: solo una volta che vi fu dentro e si sedette sul letto, i pensieri ricominciarono a vorticargli nella testa a una velocità normale.

Tra l’esuberanza dei suoi amici nel riportarlo a casa e la preoccupazione per quello che invece gli avrebbe dovuto dire, non aveva avuto il tempo di rilassarsi.

Il silenzio si riappropriò dello spazio, a parte i pochi rumori di sottofondo provenienti da oltre la porta, e Kei potè tirare un sospiro e rilassare i muscoli: prese lentamente a disfare la valigia per poi spalancare la finestra e mettersi a fumare una sigaretta.

Non aveva nemmeno avuto il tempo di lamentarsi del caldo, di realizzare quanto il clima ostico di quel paese lo atterrisse; si disse che doveva ormai averci fatto l’abitudine e se ne rallegrò.

Altro fattore che non aveva preso in considerazione riguardava invece proprio il fumo, dopo la prima settimana in Russia era stato così naturale riappropriarsi delle vecchie abitudini che non aveva pensato alla differenza delle sigarette giapponesi. Solo una volta fermatosi ad osservare il paesaggio dalla finestra gli sovvennero immagini e odori che riconosceva e che associava a determinati momenti, tra questi ovviamente c’era quello che dedicava tutto a sé e alle sue sigarette e fumare in quella situazione giapponese con il sapore della sua Russia lo confuse.

Decise di approfittare dell’assenza di stanchezza, parecchio strana considerando il viaggio che aveva affrontato, e si andò a fare una doccia, ricordandosi che era stata la stessa azione che aveva compiuto al suo precedente arrivo in Giappone.

Si chiese mentalmente come mai in quelle ore si stava lasciando trasportare così tanto dai ricordi di quel periodo e, nuovamente, cercò di liberare la testa.

La preoccupazione tornò solo poco meno di un’ora dopo quando lo chiamarono per la cena: aprì la porta della camera e si ritrovò davanti a Takao che, come lui, si stava dirigendo verso la cucina.

-Ho creduto davvero che non tornassi più, sai?- gli disse inaspettatamente.

Kei si bloccò di colpo, cercando di ricordare le parole che si era preparato sull’aereo per introdurre le novità che aveva da annunciare, ma la sua testa sembrava aver fatto tabula rasa di ogni sillaba.

Il rumore delle scarpe di Takao sui gradini lo risvegliarono e lo convinsero a seguire il giapponese.

Nonno J stava portando in tavola tutte le pietanze quando Kei prese posto accanto a Rei e per diversi minuti si sentirono solo i rumori delle stoviglie.

-Cosa volevi dirmi oggi?- chiese a un tratto l’uomo sorridendo cordiale come al suo solito.

Kei alzò allarmato lo sguardo dal piatto e istintivamente osservò i volti dei suoi tre amici che mangiavano tranquillamente come in attesa di una conversazione di routine riguardante l’orario di rientro serale o il menu del giorno successivo.

-Se vuoi aspettare quando..-

-No, no..- il russo interruppe Nonno J prima di desistere lui stesso: come quando aveva parlato con Yuri, aveva delle riserve a introdurre l’argomento, con la differenza che ormai la decisione era stata presa e si trattava solo di dare la notizia di fatti certi e questo non rendeva le cose più semplici -..intanto lo devo dire a tutti..- vide Takao sgranocchiare un grissino con sguardo curioso prima di riprendere a parlare: si chiese da quando era diventato così prolisso e cercò di darsi un contegno -..non tornerò a scuola quest’anno-

Il tintinnio delle bacchette che cadevano nel piatto mezzo vuoto di Rei e l’improvviso tossire di Max a causa dell’acqua che gli era andata di traverso, convinsero Kei di essere stato fin troppo diretto.

-Cosa intendi dire?- cercò di biascicare il cinese.

-Mi hanno offerto un lavoro e l’ho accettato-

-Che lavoro? Dove? Perché?-

-Come questa primavera..- iniziò faticando ancora a pronunciare ad alta voce determinate parole -..è un tour mondiale e perderò metà anno..-

-E hai già accettato hai detto?- chiese conferma Max.

-Sì-

Nuovamente il silenzio si impadronì della cucina, mentre quattro paia di occhi seguitavano a fissare il volto, quasi, del tutto indifferente di Kei.

-Perché?- sussurrò Takao impercettibilmente, prima di ripetere la domanda quasi urlando.

-Perché lo voglio fare- rispose pacato il russo, intimorito delle sue stesse parole.

-Quindi parti di nuovo eh..- iniziò evidentemente arrabbiato, ignorando il nonno che lo chiamava per nome -..e ti rivedremo chissà quando e..-

-Takao!- si spazientì l’uomo facendolo zittire.

Kei prestò tutta la sua attenzione a quello guardandolo negli occhi.

-Non dobbiamo fare altro che prendere atto della sua decisione..-

-Ma nonno..!-

-Niente ma!- lo zittì nuovamente –Kei è maggiorenne ed è libero di decidere della sua vita!-

Il russo rilassò finalmente le spalle, tenute rigide in una posizione scomoda per la tensione, ma non potè tirare un sospiro di sollievo vedendo ancora tutti quegli sguardi su di sé.

-Ci hai pensato bene?- continuò l’anziano.

-Sì-

-Yuri che ne dice?-

-Non era del tutto d’accordo..- iniziò ignorando il brusio di sottofondo formato dalle lamentele di Takao -..però ha capito che è una decisione mia-

-E non avete pensato ad altre alternative per la scuola?-

-Di che genere?-

-Non so.. studiare e diplomarsi privatamente o qualcosa del genere..-

-In verità no..-

-Al giorno d’oggi ci sono tante possibilità!-

-Non ci ho pensato..- disse, considerando quanto poco si fosse premurato di trovare un’alternativa.

-Potresti, ma c’è tempo.. piuttosto, quando partiresti?-

-Non lo so ancora.. tra una settimana iniziano le prove e mi diranno tutto..-

-Perfetto- annuì Nonno J calmo riprendendo a mangiare come se nulla fosse stato –Forza, non mangiate?- li incitò, infine, notando che i ragazzi erano rimasti imbambolati a guardarlo liquidare il discorso in così poco tempo.

Nessuno osò fiatare: Kei fu l’ultimo a riconcentrarsi sul proprio piatto. Valutò che, in quei mesi, aveva considerato la scelta il passo più difficile da affrontare, eppure, in quel preciso istante, si accorse che la vera sfida era stata confidare a tutti quello strano percorso che si era delineato nel suo futuro: si era forse concentrato sul problema sbagliato? Probabilmente sì, poiché da subito sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, poteva identificare nello stesso momento in cui gli era stata fatta quella proposta, su quella terrazza di quel locale del centro, l’attimo in cui aveva acconsentito a tale pazzia, o almeno nella sua testa. Dana lo aveva spinto a fidarsi del proprio istinto, a dargli nuovamente ascolto e Kei, dopo tanto tempo, era stato pronto a rispondergli, a seguirlo e a fidarsi.

Rendere conto a qualcuno della propria scelta era stata la vera sfida, a tutti coloro che occupavano un posto speciale nella sua sfera dei sentimenti.

Perso nelle sue riflessioni, il russo non si accorse che tutti gli altri finirono in fretta e furia di mangiare e, in un inconsueto silenzio, iniziarono a sistemare prima di dileguarsi nel resto del dojo.

-Dagli tempo..- gli aveva sussurrato Rei, riferendosi a Takao, non appena quest’ultimo si diresse al piano superiore.

-Ah Kei..- lo richiamò improvvisamente Nonno J –Chi è il responsabile di questa cosa?-

Il russo, non sapendo se interpretare quelle parole in tono positivo o negativo, visualizzò la persona a cui si riferiva nella propria mente.

-E’ il coreografo.. Jermaine Crowde..-

-Mh.. vorrei parlargli!- disse con un tono troppo tranquillo.

-Perché?- chiese piano, temendo le motivazioni dell’uomo.

-Non voglio e non posso farti cambiare idea, ma vorrei accertarmi dell’affidabilità e della sicurezza di questa opportunità- rispose ovviamente.

Kei, pensando ancora all’immagine del coreografo, non riuscì ad associare alla sua figura né affidabilità, né sicurezza e non seppe dire se quella richiesta gli si sarebbe ritorta contro in qualche modo.

-Non lo so.. è sempre impegnato- titubò, rendendosi conto di quanto inconveniente sarebbe stato quell’incontro.

-Puoi chiederglielo?- insistette sorridente Nonno J.

-Posso provare- acconsentì l’altro, non del tutto convinto, ma incapace di negare una qualsiasi richiesta al vecchio Kinomiya.

-E pensa a quello che ti ho detto prima riguardo allo studio!- gli urlò mentre già attraversava la porta che lo avrebbe condotto nel corridoio e poi sulle scale fino alla sua camera.

Nessuno, tanto meno lui stesso, si era premurato di concedersi delle ore di sonno per il lungo viaggio che aveva intrapreso quel giorno: solo in quel momento avvertì che gli erano state prosciugate tutte le forze e che non sarebbe riuscito a stare sveglio un minuto di più.

Quella mattina si era risvegliato in Russia, su quel materasso che ormai era diventato nuovamente familiare, mentre quella sera doveva tornare ad abituarsi al letto giapponese: pensò che avrebbe dovuto fare presto l’abitudine a quei continui cambiamenti e tentò di tornare indietro coi ricordi fino al torneo mondiale di bey e alla sua esperienza in quel frangente, ma la stanchezza prese il sopravvento.

 

Il giorno successivo dovette cercare un modo di far convivere i propri continui sforzi di riabituarsi all’orario giapponese, con la passiva sopportazione dell’atteggiamento offeso di Takao.

Il giapponese cercava di renderlo partecipe in tutti i modi del proprio disappunto e tentò di non perdere nessuna occasione: gli unici momenti di stacco furono l’arrivo di Hilary, subito informata dall’amico della novità, e i tentativi di rintracciare Jermaine al telefono.

In realtà non si era propriamente impegnato nel farlo, ma semplicemente aveva provato inutilmente a chiamarlo e gli aveva mandato un messaggio: solo a pomeriggio inoltrato il suo cellulare aveva preso a squillare e sul display era apparso il nome dell’uomo.

-Dimmi che non devi partire all’ultimo per chissà che continente o qualsiasi altra cosa del genere!-

Non aveva nemmeno fatto in tempo a rispondergli che già lo aveva sommerso di fiumi di parole.

-Niente del genere- disse perplesso.

-Meno male- sospirò Jermaine, prima di parlare con qualcuno in inglese e riprendere la conversazione con Kei –Allora tutto bene?-

-Sì-

-Sei pronto per l’avventura?-

-No-

Rispose indifferente a tutte le sue domande con quelle due semplici sillabe aspettando il momento in cui finalmente si sarebbe zittito e lo avrebbe lasciato parlare.

-Comunque che volevi dirmi?-

-Sei in Giappone?- chiese, prendendola alla lontana.

-No..-

-Quando torni?-

-La sera prima dell’inizio delle prove.. perché?-

-Allora nulla..-

-No, dimmi..-

Kei si convinse a parlare, scorgendo dalla finestra Nonno J in giardino –E’ che il..- pensò con che parole riferirsi all’uomo -..diciamo il mio tutore qui in Giappone.. gli ho detto ieri del tour e credo non si fidi del tutto quindi..-

-Gli parlo io!- lo interruppe Jermaine prima che potesse arrivare al nocciolo della questione.

-Non sei obbligato.. se sei impegnato non..-

-Tranquillo! Purtroppo ora come ora non so precisamente i miei impegni, ma martedì ci mettiamo d’accordo..-

-Ok-

-Dovevi dirmi altro?-

-No-

-Perfetto.. allora alla settimana prossima! Mi raccomando!-

Chiuse la chiamata e Kei rimase interdetto come ogni qual volta avesse a che fare con il coreografo: era un esplosione di vitalità ad ogni momento della giornata e in ogni parte del mondo e questo non riusciva ancora a spiegarselo. Decise di non pensarci troppo e andò a riferire la sua conversazione a Nonno J il quale fu molto felice di dichiararsi libero in qualsiasi momento pur di avere la possibilità di parlare con Jermaine.

Il resto della settimana trascorse relativamente tranquillo: Max e Rei furono i primi ad accettare di buon grado la novità di Kei e Takao fu costretto ad assecondarli e ad unirsi alla positività generale anche grazie, a detta del cinese, a una strigliata di Hilary.

Fu così che il lunedì primo settembre i tre ragazzi lasciarono il dojo per affrontare il loro primo giorno di scuola, mentre Kei si godeva l’ultimo giorno di vacanze; cercò di tenersi occupato il più possibile per evitare di pensare, in negativo o in positivo che fosse, alle giornate che lo avrebbero aspettato, ma le cose da fare erano comunque limitate.

Nonostante questo l’indomani arrivò fin troppo presto, complice probabilmente il fatto che il russo aveva iniziato ad agitarsi al riguardo: ebbene aveva ammesso di non essere tranquillo e che qualcosa stava turbando il suo mondo, che la preparazione psicologica e la sua innata freddezza non erano bastate per placare quel sentimento umano che si era fatto largo dentro di lui.

Si alzò insieme agli altri abitanti del dojo piuttosto presto e uscì poco prima per recarsi alla fermata dove avrebbe preso l’autobus per il centro di Tokio.

Le prove si sarebbero tenute in una grande palestra, situata all’interno di un grattacielo piuttosto lussuoso, dentro al quale si sarebbe immaginato di tutto tranne che una cosa del genere: nella grande hall si rivolse a un ragazzo alto e magro dietro a un bancone il quale gli chiese nome e motivo per il quale fosse lì, controllò in una lunga lista e richiese i documenti di Kei primo di consegnargli un pass che, a detta sua, gli sarebbe servito per le settimane successive. Il russo fece allora qualche passo e seguì le istruzioni del ragazzo, dirigendosi a un tornello elettronico che si aprì al passaggio della tessera elettronica. Gli fu, poi, indicato un ascensore con il quale raggiunse il ventottesimo piano: solo quando le porte scorrevoli si spalancarono, liberandolo dalla serie di uomini distinti che occupavano l’abitacolo, riconobbe qualcosa di quell’ambiente: una serie infinita di persona gli sfrecciavano davanti indaffarate, armate di taccuini, relle e attrezzature di ogni sorta. Una ragazza con grandi occhiali gli si avvicinò trafelata e gli chiese il nome, che la giapponese trovò in un’ennesima lista.

-Trovato, perfetto! Vedi quella porta?- disse indicando l’oggetto in questione con la penna che brandiva –Attraversa tutto il corridoio e entra nella penultima stanza a destra!-

Nemmeno il tempo di elaborare l’informazione, che questa sparì nel flusso ininterrotto di gente che popolava il piano.

Kei, cercando di evitare di farsi travolgere, arrivò alla porta che gli era stata indicata e, una volta attraversata, sentì la confusione dell’altra stanza attenuarsi; cercò con lo sguardo la fine del corridoio, ma questo continuava oltre un angolo e si chiese se con ‘penultima porta’ si intendesse prima dell’angolo o prima della fine del corridoio.

Sicuro che intanto non lo avrebbe scoperto standosene lì fermo, iniziò ad avanzare e guardarsi intorno, sbirciando nelle stanze che superava.

-Buongiorno!-

Una grossa mano gli si posò pesantemente sulla spalla e, solo grazie alla sua buona dose di sangue freddo, riuscì a non spaventarsi per il modo in cui gli si era avvicinato di soppiatto Jermaine.

Era rimasto esattamente come se lo ricordava, soprattutto quel costante sorriso non gli era sparito dall’espressione, anzi se possibile era ancora più accentuato; teneva in mano un grosso bicchiere di caffè americano e vestiva dei soliti vestiti larghi e del suo cappellino. Probabilmente per la prima volta, Kei si chiese quanti anni avesse, ma evitò di domandarlo ad alta voce, rispondendo invece al saluto.

-Che confusione eh?- continuò iniziando a camminare e guidandolo sicuro lungo il corridoio –Tutto questo piano è a disposizione di Lauren per il tour e ora si entra nella fase calda della preparazione quindi sono tutti agitati!-

-Fase calda?-

-Sì, quella finale..- rispose sorseggiando il caffè e aprendo la famosa penultima porta a destra.

-Ma non iniziamo ora?- chiese confuso e, doveva ammetterlo, anche piuttosto curioso.

-Noi siamo gli ultimi a iniziare.. principalmente per colpa mia!- sorrise colpevole prima di continuare –Gli altri stanno preparando già da settimane!-

Solo quando il coreografo posò il suo borsone a terra, Kei alzò lo sguardo e osservò la stanza nella quale erano entrati: era enorme, con il parquet lucido e gli specchi alle pareti. Vi erano dentro almeno una ventina di persone e, nonostante questo, risultava piuttosto vuota.

Nuovamente si vide arrivare incontro una ragazza con una cartelletta in mano dalla quale estrasse una serie di fogli che gli furono consegnati senza troppi convenevoli: il contratto per quel lavoro lo aveva già firmato il venerdì precedente, quando era stato convocato in un grande ufficio poco distante, ma sembravano essere spuntati nuovi documenti da firmare.

-E’ la liberatoria per le riprese!- gli spiegò Jermaine vedendolo accigliato.

-Che riprese?-

-A volte può essere che vengano filmate le prove, ma più in là col tempo.. e a volte questo materiale finisce in cose tipo video, contenuti speciali dei dvd..- spiegò facendo spallucce -..niente di che! Ma serve la liberatoria!-

Kei firmò: intanto ormai doveva andare fino in fondo a quella cosa e, si disse, prima o poi ci avrebbe capito qualcosa di tutti quei meccanismi a lui sconosciuti.

Sbirciò l’altra serie di fogli e si accorse, con piacere, che erano solo note informative.

-Questi sono gli orari di queste settimane..- spiegò ancora l’uomo accanto a lui, ormai giungendo alla fine del suo caffè -..qui le informazioni sul volo e poi queste le date del tour.. non so se le hai già guardate su internet-

-No..- rispose, dandosi dello stupido: non si era nemmeno premurato di scoprire in che posti sarebbe andato, da quanto era stato impegnato a crearsi serie infinite di problemi.

Scorse la lista di città con lo sguardo, soffermandosi sulla prima, Melbourne, per poi scendere verso la fine, ma qualcosa lo fece fermare prima del previsto.

-C’è pure la Russia..- disse più a se stesso che a Jermaine.

-Già.. ma a San Pietroburgo.. tu sei di Mosca giusto?-

-Sì-

Non era stato a San Pietroburgo più di due volte in tutta la sua vita, ma era Russia e, come al solito, quando si parlava della sua terra natia, non poteva fare altro che prestarvi attenzione e sentirsi rincuorato: dopotutto avrebbe potuto fumare ancora le sue sigarette preferite prima del previsto.

-Ah, a proposito.. dobbiamo metterci d’accordo per parlare col tuo tutore!- disse improvvisamente Jermaine.

-Giusto..- ricordò Kei, al quale era totalmente passato di mente e a cui, sinceramente, sperava fosse lo stesso per il coreografo: quest’ultimo, invece, sembrava essere più deciso che mai ed estrasse il palmare dalla tasca dei pantaloni.

-Oggi ho una riunione e domani non posso.. mmm.. vediamo.. facciamo venerdì!- squillò improvvisamente iniziando a digitare qualcosa –Venerdì dopo le prove.. intanto ti accompagno a casa! Va bene?-

-Credo di sì- rispose Kei prima di vedere sparire l’altro, richiesto da una serie di ragazze e ragazzi.

La porta si aprì diverse volte nei minuti successivi, facendo in modo che un viavai di persone entrassero e uscissero: la calma si stabilì quando Jermaine attirò l’attenzione su di sé e, acquisendo un ruolo di superiorità, chiese a tutti di radunarsi al centro della stanza e di fare silenzio.

Kei seguì gli altri e si sedette per terra in attesa.

-Intanto benvenuti.. come avrete letto, gli orari delle prove sono serrati e intensi, perché abbiamo poco tempo per montare un intero spettacolo! Le prove saranno sempre qui: non sono accettati ritardi e tanto meno assenze, tutto deve essere perfetto quindi mi aspetto professionalità.. per qualsiasi problema rivolgetevi a qualcuno dello staff in modo da risolvere tutto senza intralciare lo svilupparsi del lavoro!- parlò con grande serietà, particolare che contrastava con la visione che Kei aveva di lui: continuò il suo discorso con avvisi e istruzioni e la piccola folla intorno a lui manteneva un religioso silenzio di assenso –Comunque.. io vi romperò i coglioni fino allo sfinimento, ma a parte questo ci sarà anche da divertirsi! Quindi buon lavoro!-

Una serie di risate e un applauso riempirono la stanza, prima del ritorno del brusio confuso della miriade di discorsi che si mescolavano nell’aria.

Fu a quel punto che iniziarono realmente: la musica occupò il resto della giornata, una lunga giornata fatta di passi, sudore, fatica, memoria e lavoro. Un concerto di circa 90 minuti, dei quali almeno 40 totalmente coreografati e 10 di freestyle, scaletta di una ventina di canzoni, luci, costumi, spostamenti su tutta la superficie del palco, entrate e uscite, ballerini, musicisti e coristi: tutto questo era il grande show.

A metà mattinata arrivò Lauren, la quale fece un discorso di incoraggiamento a tutta la crew e quella fu l’unica vera pausa che si concessero a parte quella dei pasti. La prima giornata non si concluse prima delle sette si sera e lo stesso sarebbe stato per le tre settimane successive: l’ultimo lunedì di settembre, invece, sarebbero partiti per completare le prove nella prima città del tour.

Tutto era programmato nei minimi dettagli e si preannunciava un’esperienza dura, nuova, ma completamente esaltante.

 

 

 

Lo so, lo so.. di nuovo in ritardo sulla tabella di marcia u.u ma almeno stavolta solo di un’ora.. in verità qui è mezzanotte adesso quindi diciamo che la colpa è principalmente del fuso orario, ma, scarica barili a parte, passiamo alla storia!

Questo bel capitoletto di transizione è il 41esimo.. vi direte: bella scoperta! Beh.. questo vuol dire che sono ben 41 settimane che vi rompo con questa storia e che, forse, anzi sicuramente, è tosto l’ora di darci un taglio.. per il mio e per il vostro bene.. più che altro mi sembra giusto informarvi che questa storia avrà una fine, ebbene sì.. arriverà il momento! E mi sembra giusto anche avvertirvi che sarà a breve.. facciamo un mesetto o poco più!

Qui siamo ufficialmente entrati nella parte finale e godetevela! O almeno spero che lo facciate ^^

Colgo l’occasione per scrivere ancora un Grazie che era da un po’ che mancava, ma spero sappiate che era sottointeso!

Alla prossima settimana, un bacione :)

 

 

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Capitolo 42
*** Spotlight ***


Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare

Inizi un po’ a morire

 

 

 

 

 

Spotlight

 

 

 

In quattro giorni avevano fatto l’impossibile e Kei era sicuro che a una persona normale servisse una vita intera per ballare così tanto come aveva fatto lui in relativamente poche ore.

Come Jermaine gli aveva accennato, loro erano gli ultimi a iniziare le prove il che poteva considerarsi un vantaggio, poiché tutto era già stato deciso e il rischio di cambiamenti improvvisi era minimo, ma allo stesso tempo uno svantaggio per il pochissimo tempo che avevano a disposizione.

Quando la sessione del venerdì giunse al termine il russo non poteva essere più stravolto: se quella mattina sull’autobus diretto verso il centro tutte le sue speranze erano orientate verso la possibilità che Jermaine si fosse scordato dell’incontro fissato con Nonno J, quando il coreografo gli si avvicinò finito di provare e lo invitò a seguirlo verso il parcheggio non poteva essergli più grato.

Non gli pesava tanto la lunghezza del viaggio, anzi a volte l’accoccolarsi sui sedili con la musica nelle orecchie lo rilassava, quanto piuttosto la scomodità e l’affollamento dei mezzi pubblici: seguì Jermaine lungo i corridoi e sull’ascensore, ma l’uomo non gli prestò attenzione, impegnato in conversazioni con persone dello staff o interlocutori misteriosi al telefono.

-Finalmente!- esclamò Jermaine abbandonandosi sui sedili di pelle della Mercedes, si rilassò pochi secondi e, dopo aver sistemato cellulare e altri oggetti nei vari scomparti, mise in moto.

-Allora? Come sta andando?-

Kei sperava di riuscire a evitare qualsiasi tipo di conversazione, ma ovviamente era un’aspettativa estremamente rosea rispetto alla realtà dei fatti.

-Mh..- disse facendo spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa rispondere: non poteva negare fosse dura, non era abituato a quei ritmi incessanti, quel sovraccarico di informazioni da tenere a mente e via discorrendo -..sto cercando di abituarmi..-

-Eh, è una cosa nuova.. è normale!- uscirono dal parcheggio e si immisero nel traffico, mentre Jermaine azionò un cd a basso volume –Ma te la stai cavando bene..-

-Se lo dici tu..-

-Non sei d’accordo?- si informò l’altro con un sorrisetto.

-Non proprio- ammise indifferente: aveva trovato diverse difficoltà in quei giorni e, come era nel suo carattere, essere a un livello mediocre lo infastidiva.

-Stai facendo fin troppo.. ovvio, sei più indietro rispetto ad altri, ma stai facendo esperienza.. tempo qualche settimana e andrà meglio! Devi solo impegnarti!-

Kei lasciò che le note della canzone si appropriassero dell’abitacolo, ringraziando mentalmente la comodità di quella macchina, ma Jermaine gli ricordò ciò che, invece, avrebbe dovuto preoccuparlo.

-Come si chiama il tuo tutore?-

-Ehm..- Kei, frastornato e stanco, pensò al nome di battesimo di Nonno J e si accorse di non conoscerlo, prima di realizzare che comunque al coreografo quell’informazione non sarebbe servita -..Kinomiya, signor Kinomiya..-

-Perfetto!-

-Mi dispiace farti perdere tempo così..-

-Figurati..-

-Intanto non è che me lo avrebbe negato..-

-E’ una cosa normale Kei..- il ragazzo si convinse di aver guardato l’altro con espressione accigliata poiché quest’ultimo continuò -..non è la professione che gli adulti solitamente si aspettano e soprattutto non è così semplice come sembra.. non è solo questione di tenersi in esercizio, ma di mente e corpo legati insieme.. un po’ di sfiducia è la norma!-

Kei ragionò su quelle parole cercando di identificare quali fossero le reali preoccupazioni di Nonno J, poiché quando gli aveva chiesto di incontrare Jermaine era stato piuttosto criptico al riguardo; gli era sembrata da subito un’esagerazione, ma se in effetti ci pensava poteva considerarla una ovvia reazione considerando che era l’uomo a occuparsi di lui e di conseguenza a preoccuparsene. Quei trattamenti paterni erano ancora parecchio strani per Kei e si potevano avvicinare solo lontanamente a quelli di Yuri o Boris o Sergay che, escluse alcune occasioni, lo consideravano loro pari.

-Devi ricordarmi la strada..- disse Jermaine quando ormai le vie si erano fatte molto più familiari; il russo gli diede alcune indicazioni e in pochi minuti arrivarono a destinazione.

-Posso lasciarla qui?-

-Sì-

Scesero dall’auto esattamente davanti al portone in legno che Kei aprì con le sue chiavi, invitando l’altro a entrare.

-Figo.. non ero mai stato in una casa del genere!- disse Jermaine guardandosi intorno, mentre attraversavano il cortile fino all’ingresso: entrarono in silenzio e a Kei risultò tutto normale, dai suoni alla temperatura dell’ambiente, eccetto uno strano disagio che avvertiva alla bocca dello stomaco.

-Eccovi!-

Nonno J gli venne incontro, uscendo dalla cucina illuminata; sicuramente avevano già cenato e gli altri erano dispersi chissà dove nel dojo, così che l’uomo fu il solo ad accoglierli.

-Buonasera Signor Kinomiya, io sono Jermaine Crowde- la voce del coreografo si levò sicura ed estremamente professionale: in quei giorni aveva conosciuto diverse sfaccettature della personalità di quell’uomo che riusciva a passare dall’essere il bambinone mai cresciuto, al professionista in carriera, fino all’insegnante dispotico maniaco per i dettagli. In quel momento, però, pensò Kei, era ancora diverso: la stranezza derivava soprattutto dall’ambiente attorno a lui. L’accoglienza orientale che Nonno J gli riserbò, in contrapposizione all’aspetto di Jermaine, lo colsero alla sprovvista: non si era mai reso conto di quanto gli ambienti che aveva frequentato nel centro di Tokio fossero occidentalizzati, rispetto alla tradizione che invece lì nella periferia era ancora palpabile.

-Per di qua-

Nonno J lo invitò verso la cucina e gli indicò un posto alla tavola, già ripulita di ogni segno della cena; degli altri ancora neanche l’ombra.

Kei si sedette a sua volta, osservando i due conversare amabilmente, temporeggiando prima di arrivare al fulcro del discorso.

-Posso sapere quali sono le sue perplessità?- si decisero una decina buona di minuti dopo.

-Kei è maggiorenne e può decidere della sua vita, io voglio solo essere sicuro che userà bene il suo tempo..- spiegò il giapponese composto e sereno come al suo solito.

-Ovviamente.. posso garantirle che non gli avrei mai offerto nulla del genere se non credessi nelle sue potenzialità..-

Kei seguì il discorso come una presenza evanescente: gli era capitato altre volte di ascoltare qualcuno parlare di lui senza essere interpellato, ma poteva considerare quella come la prima volta in cui il contesto era positivo. Si era sempre sentito trattato come l’oggetto degli adulti che decidevano della sua vita, oppure il ragazzino da riportare sulla retta via, ma mai come la persona che poteva creare qualcosa di concreto.

Probabilmente si perse qualche frase, ma comunque arrivarono piuttosto in fretta al termine dell’incontro: Jermaine, la cui giornata sembrava essere composta di più di ventiquattr’ore, aveva un altro impegno e non poteva soffermarsi di più.

-A lunedì.. riposati mi raccomando!- lo salutò sulla porta prima di prendere l’uscita.

-Personaggio singolare- appuntò Nonno J con tono neutro, tanto che Kei si stupì di vedere un sorriso sul suo volto quando alzò lo sguardo su di lui –Ma credo sia affidabile.. mangi qualcosa?-

-No, vado a dormire..- lo tranquillizzò, ripensando alla montagna di cibo che solitamente il catering portava alle prove: augurò la buona notte all’uomo e salì le scale diretto verso camera sua e, una volta imboccato il corridoio, vide la porta della camera di Max chiudersi ovattando mezze frasi e borbottii e Takao cambiare direzione guardandosi intorno.

-Oh.. ciao Kei!- squillò il giapponese facendo finta di niente.

Il russo alzò un sopracciglio perplesso, sicuro che quei tre fossero stati tutto il tempo ad origliare, ma decise di lasciar correre sentendo la stanchezza continuare ad attanagliarlo.

-Notte- borbottò poggiando la mano sulla maniglia della sua porta.

-Notte Kei!-

 

Aveva imparato diverse cose in quel periodo: che la sua memoria tanto decantata aveva solo un tot di ore di autonomia, che i ballerini erano la specie più lunatica e contradditoria dell’universo seguita solo dalle cantanti, le quali sapevano essere davvero tremende se non le si assecondava, e che la famosa unione tra corpo e mente di cui parlava Jermaine era davvero difficile da ottenere in un ambiente del genere, o almeno sicuramente si rischiava di perdere l’uso di almeno una delle due.

Dire che avevano aumentato il ritmo era esclusivamente un eufemismo, poiché davvero quel famoso venerdì era stato solo l’inizio: le prove era facile che si prolungassero oltre l’orario prestabilito, per non parlare delle pause che erano sempre più brevi, poiché montare uno show di quell’entità riguardava non solo imparare coreografie, tempi e ordine di entrate e uscite, ma anche di coordinazione tra il ballato e il cantato, l’interazione con le coriste, per non parlare dell’assoluto dovere di rendere tutto ciò congeniale esclusivamente all’esaltazione della vera protagonista: Lauren Bright.

La ragazza era sempre presente e aveva l’ultima parola su qualsiasi decisione: avevano dovuto assistere a diverbi tra lei e Jermaine, ma anche a drammi di altro genere e diverse strigliate a vari membri dello staff.

Fu allora che, a pochi giorni dalla partenza, Kei rientrò a casa totalmente ammattito, sia fisicamente che psicologicamente: varcò la porta del dojo più tardi del solito e la pace e il silenzio dell’ingresso gli parvero un toccasana per la sua testa piena zeppa di informazioni. Mosse qualche passo, ma una volta arrivato alle scale si bloccò osservando abbattuto la cima: non era sicuro di potercela fare, nemmeno ad arrivare fino lassù. Aveva appena salito il primo gradino quando poggiò esasperato la borsa a terra e, tenendosi alla ringhiera, si sbilanciò per sedersi.

Abbandonò i muscoli, sentendo le membra attirarlo inevitabilmente verso il basso, sopraffatto dalla forza di gravità; chiuse gli occhi valutando la possibilità di non muoversi da lì per il resto dei suoi giorni, ma lo scricchiolare del legno lo portò a ridestarsi.

-Stai male?- chiese la voce preoccupata di Rei fattasi improvvisamente troppo vicina, tanto che Kei quasi si spaventò.

-No, no..-

-Cosa ci fai qui seduto? Quando sei arrivato?-

-Cinque minuti fa- disse atono.

-E.. cosa hai intenzione di fare?- chiese il cinese sedendosi accanto all’altro.

-Sto valutando di dormire qui-

-Perché?-

-Non credo di riuscire ad arrivare fino in camera-

Rei continuò a guardarlo perplesso e anche abbastanza preoccupato per la sua salute mentale.

-Acido lattico- disse Kei in risposta alla tacita domanda sell’altro, sperando avrebbe capito subito la situazione.

-Capisco.. sei conciato così tanto male da non riuscire a fare nemmeno le scale?-

-Evidentemente-

Restarono in silenzio qualche secondo, prima che altri passi ruppero la pace.

-Che stareste facendo?- la voce di Takao arrivò dal piano di sopra, seguita da quella di Max.

-Uno scala party?-

-Ma come ti vengono queste cose?- chiese Rei ridendo e guardando i due amici sedersi insieme a loro due gradini più sopra.

-Generatore di cazzate attivo tutto il giorno!- disse l’americano indicandosi la tempia.

-Davvero.. che ci fate qui?- provò nuovamente Takao.

-Acido lattico..- rispose Rei indicando con il pollice Kei.

-Così tanto?-

Kei annuì stancamente valutando che, sì, sentiva ogni arto o parte del suo corpo pesantissima e indolenzita.

-Forse dovresti prenderti una pausa..- provò Rei, ma l’altro fece cenno di no col capo.

-Posso resistere-

-Ma se non..-

-E’ una conseguenza naturale.. ne vale la pena..- sussurrò sovrappensiero.

-Secondo me si è bevuto il cervello- sussurrò Takao nell’orecchio di Max, ma si fece sentire anche dagli altri due.

Kei sbuffò prima di dibattere –E’ segno che ho fatto qualcosa..-

Il giapponese continuò a scuotere la testa incapace di comprendere.

-Ma sì.. è un po’ come col bey.. quando ti alleni tanto da arrivare a fine giornata con dolori ovunque che però ti dimostrano quanto ti sei impegnato, ne sono la prova e per questo ti fanno stare bene.. lo sai benissimo di cosa sto parlando- replicò spazientito.

Takao finalmente annuì serio, prima di tirare fuori nuovamente la sua esuberanza.

-Ho capito!- quasi urlò dando una pacca sulla spalla di Kei il quale si lamentò e imprecò in russo verso l’amico per il dolore –Oh scusa.. comunque.. ho capito perché ti hanno convinto così facilmente per questo tour!-

Il ragazzo lo guardò male: l’aggettivo facile non gli sembrava appropriato, ma decise di non replicare lasciandolo continuare.

-Perché non vedevi l’ora di rivivere le fantastiche emozioni del girare il mondo come al torneo di bey!- esclamò vittorioso –Anche se senza di noi non sarà certamente all’altezza!-

Kei ci pensò su, soprattutto sulla definizione di ‘fantastiche emozioni’: non poteva dargli torto, l’esperienza del torneo aveva costituito l’inizio di una fase nuova della sua vita, era stato il suo primo vero contatto col mondo reale.

-Sì, era stato bello..- affermò senza pensarci e accennando un sorriso: sentì il silenzio cadere attorno a lui e, subito dopo, avvertì la presenza di qualcuno avvicinarsi all’altezza della sua spalla. Sbirciò con la coda dell’occhio e si ritrovò vicinissimo al volto di Takao che lo fissava con espressione indecifrabile.

-Hai appena detto ‘è stato bello’? Mi hai dato ragione?- chiese con tono sempre crescente e gli occhi spalancati per lo stupore –Ma allora sei un po’ umano anche tu!- esclamò infine dandogli un’altra pacca sul braccio, dando il via a nuove imprecazioni.

I tre continuarono a prenderlo in giro per qualche minuto, tra battute e risate, prima di decidersi ad andare a dormire.

-Se ora mi dici che ti mancheremo grido al miracolo!- rise Takao salendo le scale.

-Tu gridi sempre, non sarebbe una novità- appuntò Kei, il quale ricevette solo un ‘buona notte’ come risposta sia dal giapponese che dall’americano.

-Vuoi una mano per caso?- chiese Rei, una volta rimasti soli, visto che il russo non si era ancora mosso dalla sua posizione.

-No, tranquillo- sospirò Kei decidendosi ad alzarsi, reggendosi nuovamente al corrimano.

Si voltò come diversi minuti prima verso la scalinata e guardò la sua meta come qualcosa di irraggiungibile.

-Forza e coraggio!- lo incitò Rei prendendogli la borsa e iniziando a salire.

-Ma non ce n’è bisogno..- provò a richiamarlo l’altro, ma non ci fu verso, tanto che lo seguì facendosi forza, sentendo i muscoli tirare ad ogni scalino fino all’arrivo davanti alla sua porta.

Rei abbandonò lì la borsa dell’amico prima di salutarlo.

 

Dopo quell’occasione non ebbero più il tempo di stare loro quattro insieme e ben presto arrivò il giorno della partenza di Kei.

-Continua a non andarmi giù questo fatto!- gli fece notare Takao poco prima che il russo uscisse dal dojo.

-Cosa?-

-Che te ne vai di nuovo! Ogni volta che vai via poi non si sa mai quando e se tornerai..-

-Torno- disse sospirando, ma un’occhiata scettica di Takao lo convinse a continuare –Davvero!-

-Promettilo!-

-Prometto- assentì esasperato, ma sicuro di non star dicendo una bugia.

-Almeno ci fosse una data a Tokio ne sarei sicuro!-

-Ti ho già detto mille volte che il tour in Giappone l’ha già fatto quindi non avrebbe senso-

-Lo so, lo so, ma..-

-Takao, stai facendo esasperare pure me!- li interruppe Max a sorpresa.

-Ci sentiamo- cercò di liquidarli Kei che, fortunatamente, ottenne solo pochi altri saluti e diverse raccomandazioni da parte di Nonno J.

Non sapeva ancora come aveva fatto a convincerli a non accompagnarlo all’aeroporto, anche se gran parte del merito doveva andare alla scuola: non amava particolarmente i saluti troppo lunghi e sentimentali, soprattutto in un luogo pubblico, tanto che si diresse da solo oltre il portone del dojo.

Era difficile dire se quel non trascorrere più di qualche mese nello stesso posto gli dispiacesse, probabilmente la risposta era più negativa che altro, anche se il dubbio di aver preso la decisione sbagliata a volte rispuntava nella miriade dei suoi pensieri e lo costringeva a riproporsi in continuazione il quesito riguardante il posto che sentiva suo a tal punto da considerarlo casa.

Aveva elaborato ipotesi e supposizioni, ma non era ancora arrivato alla risposta chiara: quando si sarebbe sentito realmente bene in un posto, allora lì doveva essere casa, o almeno era quello che voleva scoprire. Nonostante girare il mondo fosse la soluzione più poetica e scontata, anche un po’ inutile se ci pensava bene, aveva optato per quella e la prima tappa era a mezza giornata di distanza.

Non appena raggiunse l’aeroporto controllò sul biglietto che gli avevano consegnato di essere al terminal giusto e, solo una volta entrato, si guardò intorno in cerca di facce conosciute, ma per fortuna fu qualcun altro a trovarlo per primo.

-Ehi!- una ragazza con grandi occhiali da sole attirò la sua attenzione: Kei la riconobbe come una delle ballerine. Ovviamente non aveva stretto amicizia né particolari rapporti con nessuno e, sinceramente, non sapeva nemmeno come quella si chiamasse.

-Ehi- rispose senza colori nella voce.

-Sai dove dobbiamo andare?-

-Sto cercando di capirlo-

-Posso affidarmi a te? Se no rischio di perdermi!- disse lei sistemandosi la borsa sull’avambraccio.

Si incamminarono insieme scambiandosi qualche parola fino a che non si unirono con altri due ballerini e finalmente, dopo aver fatto il check-in, si unirono alla grande folla composta dalla troupe.

-I miei ci sono tutti adesso!- sentì levarsi la voce di Jermaine dal gruppo, al pari di quella di un qualsiasi professore che radunava gli alunni per la gita.

Venne loro incontro con il solito largo sorriso iniziando a scherzare con alcuni dei ragazzi.

Kei rimase in disparte fino al momento dell’imbarco, ignorando persino la ragazza di cui non aveva ancora capito il nome; fu uno dei primi a salire sull’aereo riservato esclusivamente a loro e si sedette accanto a un finestrino sprofondando sulla poltroncina bianca.

-Posso sedermi qui?- chiese dopo qualche minuto Jermaine, facendo segno al posto vuoto di fianco al russo che rispose solo con un cenno d’assenso disinteressato: l’importante era che non iniziasse a parlare a macchinetta per le dodici ore successive.

Il suo desiderio sembrò esaudirsi, dato che, successivamente allo spegnimento della spia che segnalava l’obbligo di tenere le cinture allacciate, il coreografo si alzò per consultarsi con uno di quelli che aveva scoperto essere i produttori di Lauren. Iniziò a preoccuparsi dopo che, perfettamente in pace con se stesso, lo vide ritornare al posto e buttarsi letteralmente accanto a lui.

-Come va?-

L’incipit del discorso era una frase di circostanza, segno palese dell’intenzione di iniziare una lunga conversazione.

-Mh- rispose al suo solito facendo ridere l’altro.

-Ma tu non socializzi mai con nessuno?-

-Non devo rendere conto a te di questo-

-Certo, certo.. solo che mi piacerebbe che il mio gruppo fosse unito!- esclamò guardandolo col sorriso.

-Farò il possibile..- acconsentì senza aver realmente intenzione di mettere in pratica quelle parole.

Jermaine fece una pausa evidentemente intento a trovare un modo per non far cadere il discorso.

-A casa tutto bene?-

Kei annuì.

-E con avvocati e quelle cose lì? Quest’estate ti avevo lasciato in esasperazione..-

-Risolto- liquidò il discorso ripensando a quando era riuscito a vietare a quell’avvocato di contattarlo ogni cinque minuti sul cellulare.

Il coreografo lo guardò male, evidentemente stupito dalla capacità di Kei di far cadere ogni discorso con troppa facilità.

-Nessuna domanda da farmi?- tentò ancora, deciso a non arrendersi –Su programma o robe del genere?-

-Non direi..-

-C’è un modo per farti scomporre?-

Kei fece per pensarsi su, ma poi rispose tranquillamente di no.

-Sei impossibile- disse l’altro ridendo –Troverò il modo prima o poi!-

-Come vuoi-

-Ho un bel po’ di tempo.. se non ci riuscirò, ti considererò una causa persa!- continuò sempre allegro.

Cercò inutilmente per la mezz’ora successiva di scucire più di tre parole di seguito a Kei, ma presto scoprì quanto il suo avversario in quel gioco fosse vincente.

-Non sapevo fossi così tamarro!- disse infine, cercando di prenderlo in giro per ottenere qualcosa.

-Ma ti sei visto tu?-

-Sì, ma nemmeno tu scherzi..-

-In che senso?- si informò confuso quando Jermaine allungò una mano verso il suo collo: si chiese cosa volesse fare, soprattutto quando sentì le sue dita sfiorargli la pelle per afferrare poi quello a cui si riferiva, una sottile catenella che teneva sotto la maglia –Ah quella-

-Dalle mie parti fa molto tamarro!- rise ancora l’uomo lasciandola andare.

-E’ un regalo-

-Posso chiederti di chi?-

-Di un’amica-

-Un’amica speciale?-

-Non nel senso che intendi tu- lo corresse intuendo a cosa stesse alludendo: quella catenella gliela aveva data Dana prima di ripartire il mese precedente. Ne avevano due simili, comprate anni prima, ma lui aveva perso quella appartenuta  a lui e la ragazza aveva deciso di regalargli la sua come simbolo, a detta sua, della loro amicizia; inizialmente non aveva avuto intenzione di indossarla realmente, ma, una volta iniziate le prove, dopo la confusione iniziale, aveva sentito il bisogno di qualcosa di tangibile da portare con sé e aveva preso a metterla tenendola sotto la maglia.

-Mi devo fidare?-

Kei alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.

-Ok, ok, ti credo.. quindi non c’è nessuna fanciulla che ti aspetta da qualche parte?-

-No-

-Perfetto.. allora puoi darti alla pazza gioia! La vita del ballerino ha i suoi vantaggi!- esclamò facendogli l’occhiolino convincendo del tutto il russo di non voler sentire una parola di più da parte di quell’uomo; fortunatamente quest’ultimo resistette ancora poco in quel suo monologo, probabilmente poiché sfinito dalla continua mancanza di risposte costruttive.

Il viaggio continuò, quindi, pacifico e silenzioso e, quando si arrivò al momento dell’atterraggio, la maggior parte delle persone era provata dalle tante ore di volo: un pullman li venne a prendere all’aeroporto per portarli in hotel.

Non appena sceso dal mezzo, Kei notò un capannello di persone davanti all’entrata che scalpitava, ma non riuscì a identificarne il motivo, fino a quando non si accorse che la maggior parte di loro brandiva macchine fotografiche o telecamere.

-Deve essere arrivata Lauren da poco..- gli sussurrò Jermaine stiracchiandosi -..dai andiamo dentro prima che presi dalla disperazione chiedano qualcosa a noi!-

L’uomo gli poggiò una mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo dentro: solo in quel momento il russo notò il lusso che regnava in quel luogo. Possedeva tanti soldi, ma non era mai stato accerchiato da così tanto sfarzo se non nella villa del nonno e, a quel luogo, non riusciva ad associare proprio nessuna connotazione positiva: anche durante il torneo di bey era stato trattato bene in fatto di hotel, ma niente poteva superare il luogo in cui si trovava in quel momento.

Si guardò intorno accigliato, ma notò di essere l’unico in quanto gli altri si diressero semplicemente alla reception, evidentemente abituati a quel trattamento: si ricompose e li seguì, scoprendo in quale camera era stato assegnato: una volta presa la tessera magnetica si diresse, insieme al ballerino con cui l’avrebbe condivisa, fino al terzo piano.

-Mi sa che non ci siamo mai presentati- iniziò il ragazzo amichevolmente mentre erano in ascensore –Io sono Chayton!- aggiunse allungando la mano.

-Kei- rispose cercando di fare uno sforzo, ma si accorse che pretendere di sembrare una persona simpatica era più difficile del previsto.

Nuovamente, quando entrarono in camera, il russo si prese qualche secondo per guardarsi intorno e notare l’eccessiva grandezza di quello spazio considerando si supponesse fosse solo per due persone.

-E’ il tuo primo tour giusto?- chiese Chayton mentre sistemava le sue cose, ma non aspetto nessuna risposta poiché ne era già a conoscenza –Vedrai che abituarsi a tutto questo sarà semplicissimo e poi.. paga la cantante quindi è ancora più piacevole approfittarsene!-

Rise, mentre Kei si limitò ad abbozzare un sorriso, il che convinse l’altro a non parlare più; erano trascorsi poco più di venti minuti dal loro arrivo e già si stavano preparando per andare a dormire quando una serie di colpi alla porta e una voce familiare si levarono dal corridoio.

Chayton andò ad aprire, ma non vedendo nessuno si affacciò allo stipite, mentre Jermaine continuava a urlare, probabilmente facendo avanti e indietro.

-Tutti fuori a rapporto!-

Anche Kei si decise ad andare a controllare cosa stesse macchinando quell’uomo e, una volta raggiunto il suo nuovo compagno di stanza, vide il coreografo bussare a tutte le porte, probabilmente senza uno schema preciso: diverse teste spuntarono, tutte perplesse alla stessa maniera.

-Ehm.. tutti i ballerini qui fuori.. gli altri mi dispiace avervi disturbato!- disse improvvisamente Jermaine, scusandosi con una coppia di anziani che probabilmente si trovava in quell’albergo per puro caso. Altri membri dello staff si richiusero la porta alle spalle ridacchiando, mentre Kei, dovendosi includere nella categoria “ballerini”, rimase in attesa.

-Vi do dieci minuti per prepararvi! Stasera si esce!-

-Jay, domani dobbiamo svegliarci presto e..- tentò Monique, la sua assistente, ma senza risultato.

-Questa è un’uscita obbligatoria per tutti! Chi non viene lo licenzio!- esclamò l’uomo sempre sorridendo.

-Sei un tiranno lo sai?- chiese un altro ragazzo.

-Certamente! Ora i minuti sono 9.. forza! Vi aspetto qui!-

Kei maledisse mentalmente il coreografo limitandosi a cambiare la maglia e prendere la felpa, considerando che lì era appena finito l’inverno.

Uscito di nuovo in corridoio sulle facce dei suoi colleghi poteva leggere diverse opinioni riguardo quell’uscita di gruppo: alcuni, probabilmente i più festaioli, erano entusiasti, altri assolutamente contrariati, per finire con quelli che, come lui, accettavano passivamente quella decisione.

Uscirono dall’albergo che ormai erano le dieci di sera e, come ricordò a tutti Monique, il giorno dopo la sveglia sarebbe stata alle sei.

-Domani ti vieto di lamentarti se sarò mezza addormentata!-

-Su che la vita è breve!- la consolò Jermaine mettendole un braccio attorno alle spalle in un mezzo abbraccio che mantenne fino alla loro destinazione finale, un piccolo pub a pochi passi dall’hotel.

A Kei sembrò che il coreografo non conoscesse realmente la loro meta, ma che semplicemente si fosse infilato nel primo posto avvistato, presentimento che doveva essere esatto considerando come l’uomo si guardasse intorno curioso.

-Sì, è un posto carino.. può andare!-

Chiese al barista se potevano sedersi e furono sistemati in un angolo dove due tavolini condividevano un lungo divanetto: Kei si ritrovò seduto tra Chayton e la ragazza che aveva incontrato all’aeroporto di cui scoprì il nome solo quando ordinarono da bere.

Il russo la guardò per qualche secondo notando che, nonostante il lungo viaggio e il pochissimo tempo che avevano avuto per prepararsi, lei sembrava lo stesso uscita da una pubblicità di qualche marca famosa: guardandosi intorno, comunque, si rese conto che lo stesso poteva valere per la maggior parte di loro, convincendolo che, probabilmente, non era solo la bravura ad assicurarti il lavoro, ma anche l’aspetto esteriore, o comunque uno stile particolare.

Ringraziò, comunque, di non essere capitato seduto vicino a Jermaine il quale, quando incrociò il suo sguardo, allargò il sorriso vittorioso e gli diede strane occhiate indicando Carol, la ballerina a fianco a lui: quell’uscita era sicuramente parte integrante del piano del coreografo per fargli conoscere gli altri, poteva esserne sicuro, ma, d’altronde, doveva ammettere che stava funzionando considerando che in quel momento conosceva il nome di quattro delle nove persone che sedevano attorno a lui e, nel corso della serata riuscì a coglierne almeno altri tre. Non che non li avesse sentiti chiamare prima, ma semplicemente aveva sempre quel piccolo problema a ricordarsi delle persone, a meno che non facessero qualcosa che lo colpisse.

Comunque sarebbe rimasto sempre il solito asociale, di conseguenza non fu lui il primo a tendere una mano verso gli altri, ma al contrario aspettò fossero gli altri a farlo: a fine serata poteva dire di essersi fatto un’idea di tutto il gruppo come probabilmente loro se l’erano fatta di lui. Tutti erano piuttosto amichevoli, soprattutto quella Carol e Chayton nonostante fosse ovvio sperasse in un compagno di stanza più chiacchierone, Jermaine poi aveva sempre quell’incomprensibile fissa verso di lui; chi, invece, doveva trovarlo insopportabile era Monique, che fece finta tutta la sera che lui non fosse con loro e un’altra ragazza asiatica, con un nome che iniziava per N quasi sicuramente, gli aveva riserbato delle occhiatacce tutta la serata.

-Direi che è l’ora di andare!- annunciò improvvisamente Jermaine, accolto da poche proteste e molti assensi.

-Domani vi voglio tutti freschi e pimpanti!- continuò quando arrivarono nel corridoio dell’hotel.

-Ci stai prendendo per il culo vero?- chiese un ragazzo.

-Ovviamente no! Vi sto avvertendo e preparando per i prossimi mesi!-

-Prima o poi qualcuno mediterà vendetta.. quindi guardati le spalle!- disse Monique facendogli l’occhiolino e augurando poi a tutti la buona notte, seguita a ruota dagli altri.

-Dimmi che tu non hai problemi a svegliarti presto- disse Chayton a Kei una volta rimasti soli.

-No-

-Perfetto.. se domani spengo la sveglia e non mi alzo subito.. hai il permesso di fare qualsiasi cosa per svegliarmi!- lo pregò.

-Ok-

Non poteva essere compito più semplice: se riusciva a svegliare Takao, chiunque altro rappresentava solo una passeggiata.

 

I cinque giorni successivi furono assolutamente infernali. Pensava che Jermaine esagerasse quando diceva che sarebbe stato intransigente e duro e, invece, qualsiasi cosa al di sotto della perfezione non era minimamente accettata.

Il primo concerto si sarebbe tenuto la domenica sera, ma il palazzetto di Melbourne era stato affittato per tutta la settimana in modo da poter fare le prove generali sul palco, già montato dal martedì.

Kei lo vide per la prima dal parterre e subito gli fece uno strano effetto: era grande e imponente, anche senza la scenografia completa e le luci normali accese a illuminare il lavoro di un centinaio di persone che si affaccendavano tra cavi, attrezzature, costumi o qualsiasi altra cosa possibile. Confrontare, poi, quella sensazione iniziale con quella di solo poche ore dopo risultò ancora più particolare; una volta salito sul palco e guardato verso la platea vuota, metabolizzato l’effetto provocato, non ne era più sceso e quel suolo inizialmente sconosciuto, era diventato improvvisamente familiare. Pochi giorni dopo addirittura non ricordava nemmeno come fosse non conoscere quel luogo. Trascorrevano tutta la giornata dentro al palazzetto, entravano quando il sole iniziava a illuminare il paesaggio e ne uscivano a notte inoltrata.

Conoscere il resto dei ballerini risultò improvvisamente semplicissimo, poiché convivevano e condividevano tutte quelle ore a stretto contatto: consolidò l’idea che si era fatto di ognuno di loro, soprattutto ebbe la conferma di non andare a genio alle due ballerine principali, Monique appunto e Nene. La seconda soprattutto si avventò su di lui e praticamente urlò ai sette venti quale fosse il problema: a quanto pareva lo vedeva come essere inferiore non degno di calpestare il suo stesso palcoscenico.

-Che cazzo fai?- gli aveva ringhiato contro una sera.

-Potrei farti la stessa domanda-

Si erano praticamente scontrati, anche se erano riusciti a non darlo a vedere tanto che nessuno si era accorto del problema fino a quando lei non aveva dato di matto. Di chi fosse la colpa per Nene era chiaro, ma Kei non era del suo stesso avviso, anzi era sicuro al cento per cento che fosse stata lei a invadere il suo spazio.

-Tu vedi di stare al tuo posto.. sei un pivellino e..-

-Basta!- Jermaine li interruppe facendosi spiegare il problema –Nessuno se n’è accorto quindi andiamo avanti e vedete che non accada mai più!- li liquidò tornando a dare segnali agli addetti alle luci perché correggessero la direzione di un occhio di bue.

-Vedi di non intralciare.. sono una professionista e..-

-Nene, hai sentito Jay?- la riprese Monique, mentre Kei rimaneva fermo indeciso se arrabbiarsi o ridere per la pazzia di quella ragazza.

Dopo quell’episodio non ebbe comunque più il tempo di rifletterci riassorbito totalmente dai ritmi delle prove: dovevano adattare tutto ciò che avevano imparato in palestra alla larghezza del palco, memorizzare tutte le posizioni corrette e inquadrare tutte le entrate e uscite, le parti danzate erano solo un qualcosa di contorno in quella fase, considerando che si dava per scontato che ormai le avessero imparate. In ogni caso, quando non erano impegnati ad arrivare tutti esattamente nel punto predisposto, ripassavano ogni qual volta Lauren provava microfoni, luci, interazioni con coristi e musicisti. Gli ultimi giorni provarono tutto lo spettacolo senza sosta e videro per la prima volta anche i costumi di scena: Kei ringraziò il fatto che Lauren non fosse una di quelle artiste che amavano colpire con abiti strani o spettacolari, ma puntava invece più sul semplice o al massimo sullo mostrare un po’ di materia prima, di lei e del suo corpo di ballo.

Ciò di cui si rese conto fu che non aveva avuto il tempo di fermarsi a pensare. Non aveva tempo da concedere a qualsiasi altra cosa che non riguardasse quel tour, persino la domenica mattina se la prese, come tutti gli altri, per riposare e, quando aveva tentato di farsi occupare la mente da qualcosa di nuovo, ecco che il trambusto delle poche ore che li dividevano dalla prima dello show lo riassorbirono completamente.

Li vennero a prendere come al solito in albergo con un pullman, ma quella volta, una volta arrivati nella vicinanza del palazzetto, furono rallentati dalla grande folla che aspettava le aperture dei cancelli e che quella sera avrebbe assistito al concerto. Già nei giorni precedenti avevano avuto la visita di qualche curioso che sperava di rubare una fotografia o un autografo alla cantante, ma nulla in confronto alla miriade di persone che in quel momento si accalcava per la strada.

Al sicuro all’interno dei camerini iniziò una corsa contro il tempo: tutti coloro che sarebbero saliti sul palco avevano bisogno di essere sistemati alla perfezione e, completamente immerso nel vortice delirante che era il dietro le quinte, Kei non si rese quasi conto che avevano intenzione di tagliargli i capelli fino a quando non lo fecero sedere davanti a un grande specchio e un tizio con forbici e occhiali anni 50 gli si avvicinò.

-Come ti facciamo? Taglio drastico o diamo solo una sistematina?-

Il russo tentò di ragionare sulle due opzioni e dare la sua opinione, ma si rese conto che quella dell’uomo era solo una domanda retorica poiché sapeva già cosa gli avrebbe fatto.

-Per stavolta li lasciamo così..- disse spuntandoglieli solo leggermente.

Fu invitato a rialzarsi per lasciare il posto a Chayton e gli indicarono di raggiungere gli altri in un’altra stanza: si vestì a un’ora dall’inizio dello spettacolo e, finalmente pronto, si sedette su un tavolino sul quale erano appoggiati cappotti e teli dei quali non voleva neanche sapere il motivo della loro presenza. A poco meno di un metro da lui un’altra serie di specchi e sedie e, su quella più vicina, Carol era sottoposta a un’intensa seduta di trucco.

-Avremo il tempo di fumare?- chiese la ragazza quando, aperti gli occhi finemente rifiniti, vide Kei.

-Lo spero-

-Ho quasi finito..- disse la truccatrice -..però attenta a non rovinare il rossetto! Semmai ripassa da me un secondo!-

Ci mise ancora diversi minuti per finire la sua opera e rimasero in silenzio ad ascoltare il vociare e i rumori provenienti dal parterre dove ormai dovevano essere accalcate centinaia di persone: si alzarono diretti verso un luogo dove potevano fumare, quando la band supporter di quella sera iniziò il suo spettacolo.

Carol in quella settimana era diventata la sua compagna ufficiale di sigaretta, insieme a un altro ragazzo che faceva parte della security.

-Riesci a stare in piedi con tutti quei capelli?- chiese la bodyguard ridendo.

-Ma sì.. non sottovalutare le capacità di noi fashion victim!- rispose lei ridendo e passando una mano nella folta chioma: poteva essere benissimo pronta per una pubblicità di una tinta invece che per ballare considerare il colore rosso acceso e chiaramente artificiale e i boccoli perfettamente definiti.

-Auguri- disse Kei scettico.

Non ebbero molto tempo da concedersi poiché furono richiamati all’interno dove Lauren aveva radunato tutti, tra musicisti, coristi e ballerini, a pochi metri dal retro palco.

-Abbiamo lavorato tutti molto duramente e ora è arrivato il momento!- iniziò il suo discorso ringraziando tutti e incitandoli a fare del proprio meglio: fu quando chiese di prendersi tutti per mano che Kei si accigliò, ma non appena Carol e una delle corista gli afferrarono i palmi decise di assecondare quella follia e ascoltò la cantante iniziare una specie di preghiera e un ringraziamento a Dio. Il russo osservò molti chiudere gli occhi e abbassare il capo: era una di quelle classiche cose che vedeva fare agli artisti, pensò, come quando alla vincita di qualche premio si rivolgevano a qualche creatore. Lasciò la cosa evolversi incuriosito, notando la presenza delle onnipresenti telecamere immortalare il momento.

Quando finalmente il momento catartico terminò, Lauren invitò a riunire la mano sinistra al centro sopra la sua e un rito, meno religioso, ma comunque molto sentito, ebbe inizio.

-Merda, merda, merda!-

La parola ripetuta risuonò nel corridoio e poi iniziò la confusione di persone che sgusciavano da una parte all’altra per dare una pacca sul sedere di quanta più gente potessero.

Era arrivato il momento: tutti si diressero alle loro postazioni, provate e riprovate un centinaia di volte. Kei sarebbe entrato insieme agli altri ballerini uomini, solo dopo l’uscita di Lauren che, stretta nel suo miniabito sbrilluccicante, attendeva il suo momento fremendo: uno degli assistenti che stava col loro gruppo e, al cenno della cantante, parlò nel microfono unito alle grandi cuffie che portava e invitò i tecnici delle luci a dare il via allo show.

Il boato della folla che aveva capito che quello sarebbe stato l’inizio di tutto, riempì ogni angolo, ostacolato esclusivamente dalla musica che partì. Kei riuscì solo a leggere il labiale dell’assistente che doveva invece star urlando ‘fuori Lauren’.

La tempistica prevedeva che da lì a 50 secondi sarebbero entrati anche loro.

Ancora nessun pensiero che riguardasse il mondo esteriore passava per la testa del ragazzo: sentiva una morsa allo stomaco, ma anche una certa impazienza. Sapeva cosa doveva fare, era totalmente concentrato: quei pochi istanti sembravano non trascorrere mai, eppure il momento arrivò e, a quel punto, fu tutto estremamente veloce.

Era diverso: non vide le persone tra il pubblico se non quando illuminate, ma per il resto i fari accecanti rendevano i metri al di là dal bordo del palco come una distesa nera di rumore. La stanchezza accumulata quella settimana non esisteva, i momenti sul palco erano attimi di un’altra vita, ad ogni uscita, tentando di ricordare qualcosa di ciò che era accaduto in scena, veniva a galla solo il pensiero di ciò che sarebbe accaduto dopo, poche immagini, alcuni flash, alcuni addetti dello staff che si accalcavano per portare gli strumenti, facilitare il cambio dei costumi.

A metà dello show, i ballerini avevano una ventina di minuti di respiro per il momento soft del concerto: Kei scoprì che gli imprevisti erano pochi o comunque velocemente risolti tanto che si ritrovò pronto prima del tempo e si appostò in anticipo a lato del palco, spiando quello che stava accadendo oltre la scenografia. Vide con la coda dell’occhio il vestito svolazzante di Lauren, ma si concentrò su Nene e Blake, un altro ballerino, che davano inizio al loro passo a due che accompagnava il pathos della canzone: aveva già assistito a quella danza, ma da quella angolazione, con quell’atmosfera, gli sembrò che stesse nascendo in quel momento, naturalmente, come se le estenuanti prove per perfezionarla non fossero mai esistite e, per la prima volta, provò un desiderio curioso, di farne parte, anche in quel modo, lì a osservare di lato, ma voleva esserci. Fu così come era iniziato che finì riportandolo alla tabella di marcia che conosceva a memoria, in una tirata unica fino all’ultima nota e all’ultimo applauso.

 

Si allontanò dai corridoi colmi di trambusto: tutti si persero a festeggiare e catapultarsi sulle tavolate imbandite di cibo appena portato dalla ditta del catering.

Kei non aveva mai avuto l’anima festaiola e quindi cercò, come al suo solito, un po’ di pace e solitudine. Era il suo modo per rilassarsi e scaricare tutta l’adrenalina che aveva in corpo.

Riuscì quindi ad allontanarsi dal trambusto e arrivò fino nel retro palco: non proveniva più nessun rumore dall’altro lato, solo uno strano ronzio che, si disse Kei, probabilmente era provocato dalla stranezza del silenzio dopo ore di bombardamento di suoni.

Istintivamente decise di andare a dare un’occhiata: il suo ultimo ricordo era un mare indistinto di teste urlanti che si muovevano all’unisono accalcate l’una sull’altra.

Imboccò una scalinata e spuntò da una delle entrate laterali del palco che ormai conosceva bene, però non vi salì del tutto, ma restò sull’ultimo gradino appoggiandosi al corrimano a osservare una ventina di persone cercare di ripulire stage e parterre per il giorno dopo. 

Fu quello il momento in cui riuscì a pensare nuovamente, a ragionare su se stesso e sul mondo che stava oltre quel tour, quel mondo che aveva annullato in quella settimana e al quale non aveva permesso di interferire con lo scorrere degli eventi.

Semplicemente quell’esperienza era un insieme di novità continue, ma allo stesso tempo, ormai, sentiva come di far parte di quella vita da sempre: solo che lo stare sul palco era qualcosa di indescrivibile, anche in quel momento, in quello stadio vuoto, era la stessa struttura sul quale si erano esibiti il centro catalizzatore di ogni sensazione. Durante i mondiali di bey gli era già capitato di essere osservato da centinaia di persone, sotto la luce dei proiettori, ma allora tutto ciò che gli interessava era giocare e vincere, mentre adesso lui non era il centro della scena, ma faceva parte di un qualcosa di più grande. Non che non avesse mai avuto la possibilità di far parte di un qualcosa, ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, prima non lo aveva mai voluto davvero.

Cosa stava quindi a significare tale disorientamento o torpore o come lo si voleva chiamare?

-Che cosa ci fai qui?-

Come ogni qualvolta cercasse di far ordine nella sua testa incasinata, qualcuno interruppe il flusso dei suoi pensieri e ovviamente quel qualcuno era Jermaine.

-Pensavo- rispose semplicemente, facendo per scendere, ma l’altro gli si parò davanti e al contrario lo invitò a risalire.

-Vieni con me-

Lo prese per il braccio e lo guidò verso il centro del palco: Kei non potè fare a meno di notare per l’ennesima volta quanto quell’uomo fosse troppo un tipo fisico, che non si poneva problemi a prendersi confidenza.

-Se proprio devi pensare goditi per bene il panorama!- disse il coreografo compiaciuto, per poi allargare le braccia indicando il pavimento –Accomodati!-

-Cosa?-

Jermaine si sedette a gambe incrociate e, nuovamente, fece pressione sul braccio di Kei per invitarlo ad imitarlo. Non oppose resistenza e osservò l’altro tirare un sospiro osservando la platea.

-Bello vero? Dopo tutto quel baccano è un piacere!- continuò l’uomo –Fossimo in un film, ora partirebbe una musica sognante e tu mi confideresti il segreto della tua vita del tipo.. ‘un giorno riempirò anche io uno stadio come questo’ o roba del genere..-

-Non è il mio caso..-

-Immaginavo!- rise Jermaine senza poi abbandonare la sua espressione allegra –Parliamo un po’!-

-Adesso?-

-Perché no..-

-Non dovremmo andare?-

-C’è tempo! Non preoccuparti!-

Kei non trovò vie d’uscita e si pentì di non essere rimasto con gli altri: eppure sentiva ancora il bisogno della pace che provocava quel luogo silenzioso e anche un po’ surreale.

-A cosa stavi pensando prima?- Jermaine lo svegliò nuovamente dal flusso dei suoi pensieri.

-Non so..-

-Non sai a cosa pensi?- lo interruppe l’uomo.

-No.. non so come spiegarlo- disse calmo Kei, abbassando per un momento le difese.

-Mh.. ti piace qui?-

-Qui?-

-Sì, qui qui! Il palco..-

-Direi di sì..- rispose spaesato, ma anche sorpreso della rapidità con cui il coreografo aveva capito ciò che gli passava per la testa.

-Posso farti una domanda?- chiese Jermaine, dopo alcuni secondi di silenzio.

-Anche se ti dicessi di no me la faresti lo stesso, quindi..-

-Giusto! Beh.. perché quest’estate ci hai messo così tanto ad accettare?-

-Perché ci dovevo pensare..- diede la risposta più ovvia.

-In verità avevi già deciso!- se ne uscì l’altro a sorpresa.

-Non è vero..-

-Oh sì.. appena te l’ho chiesto!-

Kei lo guardò contrariato, ma l’altro non demorse.

-Tutto di te mi diceva di sì!-

-Cosa..- ma non continuò, ricordando la domanda che gli aveva posto Dana, sulla risposta che avrebbe dato d’impulso.

-Sai..- riprese Jermaine vedendolo in difficoltà -..non volevo darti tempo per pensarci, ma non potevo negartelo.. sapevo che se ne avresti parlato con qualcuno probabilmente troppi dubbi sarebbero spuntati e ti avrebbero assillato e non sapevo se avresti avuto il coraggio di buttarti..-

Kei fece di nuovo per parlare, ma l’uomo lo interruppe con una risata –Ora lo so che non sei uno che si tira indietro, ma allora non ti conoscevo..-

-E ora mi conosci?- non si trattenne dal dibattere.

-Beh, in questo mese tra le difficoltà che hai incontrato e i tentativi di boicottaggio di Nene direi che ho capito che non demordi facilmente-

In effetti aveva avuto molta pazienza e si era rimboccato le maniche nonostante si fosse ritrovato il più indietro e il meno abituato a quei ritmi totalmente nuovi, mentre su Nene le parole di Jermaine lo fecero riflettere.

-In che senso sabotaggio?-

-Diciamo che quella ragazza ha un ego esagerato, perché è brava e sa di esserlo, e di conseguenza esige il meglio da tutti quelli intorno a lei.. tu sei quello più inesperto e ti ha preso di mira.. ecco tutto..-

-Ah- non riuscì a dire altro: sospettava qualcosa, ma non credeva che fosse proprio un’opera premeditata.

-Ma non allontaniamoci troppo dal discorso principale..- lo interruppe ancora -..cosa ti ha portato a ragionarci fino all’ultimo?-

-Avevo dei dubbi..- cercò di temporeggiare Kei.

-Riguardo?-

-Non so quale sia il mio posto nel mondo- si decise a rispondere.

-Non sapevi..-

-Non lo so ancora-

-Sei proprio una testaccia dura tu!-

-Non mi piace parlare del futuro-

-Ma basta che guardi al presente.. guardati intorno ora!-

Kei, pensando fosse una frase di circostanza seguitò a guardarlo negli occhi, ma l’altro lo invitò a prendere sul serio le sue parole e voltarsi.

-Cosa dovrei vedere?-

-Quello che non mi sapevi spiegare prima!-

-Non te lo sapevo spiegare prima e non lo so fare adesso-

Jermaine inaspettatamente sembrò perdere il controllo portandosi il pugno chiuso tra i denti, ma poi scoppiò a ridere.

-Ci vuole proprio pazienza con te-

Kei sbuffò e riprese a guardarsi intorno.

-Sai.. è difficile capirti, ma a volte.. veramente poche, ma a volte sei davvero un libro aperto..-

-Cosa vuol dire?- chiese il russo confuso, non capendo a che cosa di riferisse.

-Non te lo sto nemmeno a spiegare!-

-Ma..-

-Non eri tu quello che non voleva parlare?- lo prese in giro Jermaine.

-Ora mi devi dire cosa intendevi-

-Eh no.. è l’ora di andare!- disse solennemente alzandosi e lasciando Kei interdetto e sorpreso.

Se quell’uomo non gli avesse dato una buona ragione entro pochi giorni per non ammazzarlo, avrebbe elaborato un piano per farlo sul serio.

 

 

 

 

 

Voi non vi immaginate quanto io sia fusa ç___ç devo ancora finire di scrivere la storia che già penso al discorso di commiato! Quindi l’ora in poi farò finta che Leggero durerà in eterno e voi mi asseconderete xD

 

Blabla Time

In verità non ho nulla da dire, ma mi andava di blaterare per un po’ come ai vecchi tempi ^^

Mmm.. vediamo di dare un senso a questo momento.. parliamo del caro amico Jermaine (o Jasmine o come lo volete chiamare xD) ora è lui il povero Cristo che si deve sopportare il caratteraccio del nostro polaretto preferito e come avrete notato è il suo completo opposto.. lui è un tipo che cerca il contatto, che non si preoccupa nel prendersi troppa confidenza.. diciamo che lui e Kei sono un po’ come lo stereotipo di italiano del nord e del sud XD

Poi, per quanto riguarda Lauren Bright.. beh ecco il motivo per cui mi sono inventata una cantante quel famoso giorno al negozio di dischi e non ne ho preso una esistente.. non mi sarebbe piaciuto inserire un qualcuno in ‘carne e ossa’! Ovviamente ho preso spunto e possiamo identificarla come una Britney fuori e una Beyoncè dentro, con un pizzico di Rihanna e una spolverata di Lady Gaga XD a parte questo delirio riassumo tutto in.. la classica cantante pop/commerciale che va tanto in voga in questi anni!

 

Ho blaterato abbastanza u.u aspetto i vostri pareri con tantissima ansia, sempre quella che non mi abbandona mai!

Alla prossima settimana,

un bacione :)

 

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Capitolo 43
*** What You Got ***


Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare

Inizi un po’ a morire

 

 

 

 

What You Got

 

 

 

 

La festa vera di inizio tour si tenne alla fine delle tre date consecutive a Melbourne: dopo un giorno di pausa ci sarebbero state altre quattro serate a Sidney, prima di partire per la Cina e il resto delle date asiatiche.

Kei scoprì che il tour de force che avevano appena superato era lo scoglio più grande da superare poiché dopo di questo la strada era spianata: man mano che i giorni trascorrevano e che spuntavano città alla lista, le prove diminuivano di intensità. Erano sempre ritmi esagerati, però, il tempo libero era sempre maggiore e presto si definì una routine più o meno stabile.

Il primo giorno in una nuova città vi era una prova palco per controllare che tutto fosse al proprio posto, le mattine dopo il concerto erano dedicate al riposo o al viaggio nella successiva location a seconda della distanza; gli altri pomeriggi, invece, venivano ripassate solo alcune parti dello spettacolo, mentre il resto del tempo era dedicato comunque al mantenimento in esercizio. Fu così che iniziarono ad occupare il tempo con delle vere e proprie lezioni: Jermaine, infatti, sosteneva che rinfrescare la mente con qualcosa di nuovo servisse a non focalizzarsi su ciò che si sapeva, crescere e una serie di discorsi filosofici che Kei non avrebbe saputo ripetere.

Solitamente il coreografo teneva due lezioni di un’ora e mezza l’una: la seconda, alla quale partecipavano tutti, era di Hip hop, mentre la prima di Lyrical Jazz. A quest’ultima solo la metà di loro la frequentava e il russo non era tra di loro nonostante gli fosse stato proposto.

Aveva assistito alla prima, anche perché curioso di vedere Jermaine in quella veste strana: se pensava a qualsiasi altra danza che non fosse l’hip hop si immaginava insegnanti contenuti, impostati e con un abbigliamento quanto meno differente: l’uomo, invece, non cambiava una virgola di quello che era il suo modo di essere, ma adottava semplicemente un altro stile di ballo.

Quelle lezioni, comunque, erano realmente un toccasana: erano uno sfogo, la possibilità di rilassarsi tenendosi in allenamento, per non parlare della possibilità per Kei di imparare una parte della tecnica che non aveva mai acquisito per forza di cose.

Non trovò difficile entrare nel sistema creato da Jermaine, nel suo modo di insegnare e si chiese come fosse possibile trovarsi così in sintonia con il suo modo di fare in quei momenti, quando invece di persona faticava a sopportarlo.

-Fermati un secondo!- gli disse Jermaine un pomeriggio, alla fine del tempo loro disponibile.

-Che c’è?-

-Iniziamo con le lezioni private!-

-Cosa?-

-Ti avevo detto che mi sarei occupato di te- rispose ovvio l’altro.

-Ma..-

-Niente ma, sei più indietro degli altri e ne hai bisogno!- lo riuscì a zittire.

Chayton che stava ancora recuperando la sua roba lo guardò ridendo e gli augurò buona fortuna prima di uscire.

Quando rimasero da soli nella palestra dell’hotel da loro prenotata Jermaine fece spuntare quel solito sorriso che per lui doveva essere rassicurante, ma che per Kei significava solo ‘pericolo in agguato’.

-Devo..- iniziò Jermaine alzandosi e fermandosi di blocco a guardare il ragazzo ancora a lato della stanza -..e vieni qui!- lo esortò a raggiungerlo al centro prima di riprendere il suo discorso –Dicevo.. devo decostruirti un po’!-

-In che senso?- chiese con una nota di timore nella voce.

-Che ne vieni dalla strada e si vede.. e questo è bellissimo, sia chiaro, però quello che facciamo qui è un lavoro diverso e..-

-E?-

-E quindi iniziamo dalle basi!- esclamò gioioso il coreografo, ormai vicinissimo.

Kei lo vide spostarsi dietro di lui e, continuando a seguire ogni suo movimento dallo specchio, sentì le sue mani poggiarsi sulle sue spalle.

-Intanto sciogliti..- riprese Jermaine scrollandolo leggermente: era teso e se ne sarebbe accorto chiunque -..tu inizi a rilassarti solo dopo che abbiamo iniziato.. ci metti un po’!- si posizionò di nuovo al suo fianco, una mano sempre poggiata su di lui –Io voglio che, prima delle lezioni, tu faccia sparire i pensieri inutili, abbandoni tutto il mondo fuori e entri da quella porta già rilassato!-

Kei tentò di bloccare quel discorso in diversi punti, ma non gliene fu mai data l’occasione: anche al termine cercò di appuntare qualcosa, ma subito uno scappellotto in testa dell’uomo lo fece desistere.

-Tu impari, io insegno.. ricordalo!- ne rise Jermaine, sentendo il ragazzo sbuffare sonoramente e cercare di voltarsi –E guardati allo specchio, cazzo!-

Il tono dell’uomo si era decisamente alzato sull’ultima battuta e convinse Kei a spostare tutta la sua attenzione su di lui.

-Che bisogno c’è?-

-Se gli specchi ci sono in tutte le sale da danza, non trovi che un motivo ci debba essere?-

-Non vuol dire che non ne possa fare a meno-

-Ripeto: qui non siamo in strada.. lo specchio aiuta a capire le proprie linee, le posizioni e..-

-Ma non dici sempre a tutti di non guardarsi?- cercò di salvarsi Kei intuendo che le motivazioni dell’altro avessero una base troppo solida.

-Perché loro si guardano troppo.. tu per niente, hai il problema opposto!-

Il russo tirò un altro sospiro seccato cercando di fulminare Jermaine con gli occhi.

-Guardati..- lo incitò tranquillamente il coreografo riuscendo a far voltare Kei verso la superficie riflettente.

Kei focalizzò la propria immagine e quella del suo vicino nella sua interezza, prima di tentare di guardare solo la propria espressione: non appena restrinse il campo, però, automaticamente puntò lo spazio vuoto tra il suo orecchio e quello di Jermaine. Fu così che lo vide muoversi velocemente, alzare le braccia e prendere la testa di Kei tra le mani per girarla.

-E guardati!-

Il russo incrociò per una frazione di secondo il proprio sguardo con quello della sua immagine riflessa, ma si rifiutò di mantenere quel contatto.

-Non lo fai mai la mattina di guardarti allo specchio?-

-Sì, ma..-

-Ma?- lo incitò l’altro notando l’indecisione dell’altro.

-..è diverso-

-E’ che la mattina non ti dai come fai qui!- gli venne in soccorso Jermaine, cercando di dare una voce al tentennamento di Kei, che rimase in silenzio come per dargli ragione –E’ così brutto quello che vedi?- chiese ancora più calmo, vedendo il ragazzo non esitare nel reggere il suo sguardo.

Ancora una volta il russo non proferì parola, preferendo il silenzio, o forse non riuscendo a farne a meno.

-Credo che dovresti fare pace con te stesso.. anche se non conosco le motivazioni di tutto questo astio..- si affrettò ad aggiungere prima di essere frainteso.

In quel momento, il ragazzo per la prima volta fu il primo a distogliere lo sguardo e fissarlo su un punto oltre Jermaine.

-Per oggi basta, ma sappi che non mollo!- concluse sorpassandolo e dandogli un lieve pacca sulla spalla.

 

Odiava non avere l’ultima parola, non permetteva mai a nessuno di sottrargli quel privilegio se non a Yuri.

Jermaine riusciva sempre a mettere in discussione le sue certezze, quelle poche che possedeva ancora, e faceva uscire il lato più insicuro della sua personalità: si chiese per la centesima volta se non fosse stato un errore accettare tutto quel cambiamento e per la centesima volta si rispose che, probabilmente, fosse restato alla sua solita vita avrebbe mantenuto quei passi avanti che aveva con tanta fatica ottenuto.

Quelle che aveva, però, gli sarebbe bastato? Da quando era entrato in contatto con quel mondo sconosciuto, ma allo stesso tempo così familiare, non era riuscito più a farne a meno e, a parte quei momenti di crisi dettati da quella fattispecie di sedute psicologiche del coreografo, si era sentito vivo come poche volte gli era capitato.

Guardò ancora il soffitto sconosciuto che lo sovrastava: da quando era partito aveva osservato diversi soffitti e non si erano soffermati così a lungo in un posto, tanto da attenuare quella sensazione. Non era success come col palco che, dopo pochi minuti, era già familiare: i soffitti rimanevano sempre freddi e nuovi.

Si diede per l’ennesima volta del pazzo da manicomio, convincendosi che il troppo pensare non gli facesse bene; probabilmente sarebbe stato meglio se quella sera ci fosse stato uno spettacolo, invece che essere giorni di riposo.

Si alzò lentamente dal letto cercando di non fare troppo rumore per non svegliare Chayton e uscì dalla stanza: non era tardissimo, era passata la mezzanotte da poco, ma le poche volte che avevano la serata libera cercavano di recuperare le forze perdute.

Arrivò all’ascensore premendo il tasto di chiamata, quando notò un piccolo cartello sulla parete delle scale: una freccia indicava verso i piani superiori accanto alla scritta ‘terrazza’ in diverse lingue. Le porte scorrevoli dell’ascensore gli si spalancarono davanti, ma le ignorò e prese a salire le scale fino a quando, tre piani più in alto, non arrivò a una porta non elettronica, a differenza di tutte le altre dell’albergo: la osservò ragionando sul fatto che l’ascensore arrivava solo fino al piano precedente e che, quindi, le probabilità di essere disturbato erano minime.

Abbassò la maniglia e varcò la porta ritrovandosi all’esterno su, appunto, una grande terrazza: si appoggiò alla ringhiera che delimitava il perimetro del tetto del grattacielo e guardò in basso, verso la città di Seoul. Era un insieme di luci, rumori, andirivieni di cose e persone, ma da lassù tutto sembrava meno reale, lontano a tal punto da potersene estraniare: si accese una sigaretta ancora attanagliato da mille elucubrazioni.

Era già trascorso un mese dalla sua partenza e, tra e un dubbio e l’altro, si concedeva a quella che ormai era la sua vecchia vita sempre di meno, nonostante gli sembrasse sempre impossibile staccarsene del tutto; c’era sempre qualcosa che lo legava indissolubilmente ai suoi vecchi problemi.

Un forte rumore lo colse alla sprovvista facendolo voltare: non proveniva dalla città sotto di lui, ma bensì alle sue spalle ed era derivato dalla porta della terrazza che era stata sbattuta violentemente.

Doveva essere uscito qualcuno e controllò chi avesse disturbato la sua pace quando sentì chiaramente qualcosa di molto simile a una serie di imprecazioni accompagnate da dei singhiozzi. Assottigliò gli occhi per combattere l’oscurità fino a che non riconobbe la figura che aveva varcato la porta e che, in una serie di gesti di stizza, si stava togliendo le scarpe col tacco abbandonandole sul pavimento.

Cercò di far notare la propria presenza, ma, non appena l’altra diede segno di averlo visto, si pentì di non essere restato in camera.

-E’ possibile che non esista un cazzo di posto dove poter starsene da soli?!- sbottò quella che doveva essere la perfetta Lauren Bright.

Kei, indeciso sul da farsi, continuò a fumare la sua sigaretta imperterrito, attendendo la mossa successiva della cantante.

-Che c’è? Mai visto qualcuno dare di matto?- sbottò lei allargando le braccia: il russo dovette combattere contro l’impulso di scoppiare a ridere per la scena che gli si prospettava davanti, con la ragazza scalza, arrabbiata e un’ombra scura sul volto che doveva essere provocata dal trucco colato per il pianto.

-Certo, ma se vuoi..- iniziò lui per non peggiorare la situazione.

-Ce l’hai almeno una sigaretta?- chiese cercando di asciugarsi gli occhi con i palmi delle mani.

-Tieni..- rispose lui sfilandola dal pacchetto e porgendogliela: non appena se la mise tra le labbra tirò fuori anche l’accendino, azionandolo e avvicinandosi a lei per accenderle la stecca.

Lauren fece altri due passi superandolo, aspirando nervosamente tanto che tossì come se non avesse mai fumato.

-Mi metto pure a fumare!- esclamò a se stessa, dopo un’altra serie di imprecazioni –Ci manca pure che mi rovino la voce!- un ennesimo singhiozzo e ritornò sui propri passi, poi, come accortasi di qualcosa che non andava, alzò lo sguardo verso Kei.

-Dovresti andartene adesso!- sbottò spazientita.

Il russo la fissò sconcertato per una frazione di secondo, trattenendo il poco cavalleresco istinto di tirarle addosso qualcosa: in quelle settimane aveva capito che le dicerie su artisti impossibili non erano solo leggende metropolitane e, in quel momento, non aveva voglia di sorbirsi una scenata. Diede un ultimo tiro alla propria sigaretta prima di buttarla e sorpassare la ragazza.

Quando le passò accanto un nuovo singhiozzo attirò la sua attenzione, ma non gli avrebbe dato peso se non avesse sentito l’altra rivolgergli nuovamente parola.

-Ma perché fai tutto quello che ti dico?-

Si voltò suo malgrado, guardandola braccia conserte e a rischio crisi di nervi.

-Non mi sembra il caso di contraddirti- rispose facendo spallucce e sperando di uscire da quella situazione il prima possibile.

-Perché?-

-Beh..- cercò una risposta convincente -..intanto sei il mio capo-

Incredibilmente quelle parole le fecero scappare un sorrisetto –Come?-

-Lavoro per te.. se ti ricordi- rispose iniziando a pensare che lei non lo avesse riconosciuto.

-Certo che mi ricordo-

Lasciarono cadere il silenzio e a Kei sembrò il momento giusto per defilarsi.

-Allora vado..- tentò, senza premurarsi che l’altra lo stesse realmente ascoltando.

-Perché mi trattano bene solo quelli che pago?- piagnucolò improvvisamente lei, sperando probabilmente in una risposta convincente che Kei non aveva intenzione di darle: se ne sarebbe andato sul momento se, per l’ennesima volta, lei non fosse scoppiata in lacrime attirando nuovamente la sua attenzione. La vide  appoggiarsi alla ringhiera e prendersi la testa tra le mani, prima di lasciarsi scivolare per terra e sedersi in modo scomposto.

-Vuoi che ti chiami qualcuno?- chiese il russo preso alla sprovvista da quella scenata.

-No- riuscì a rispondere con voce alterata.

Colto da un ennesimo momento di masochismo Kei le si riavvicinò.

-Sicura? Perché non mi sembra..-

-Non voglio vedere nessuno!-

Il ragazzo la fissò, con la testa affondata sulle gambe strette al petto e la sigaretta che non aveva più toccato tra le dita: sospirò, pensando che probabilmente sarebbe stato meglio andarsene subito, ma qualcosa lo trattenne.

-Questa hai intenzione di fumarla?-

-No, ma che..- rispose Lauren sollevando leggermente il capo giusto per vedere l’altro riprendersi la stecca e portarsela alla bocca -..ecco, è persino più importante una sigaretta di.. cosa fai?- riprese, lasciando perdere la sua autocommiserazione non appena vide Kei sedersi affianco a lei.

-E’ un peccato sprecarla..- rispose semplicemente, beandosi dei pochi secondi di silenzio e incertezza della cantante.

-Ce l’hai almeno un fazzoletto?- tentò tirando su col naso.

-No-

-Ovviamente.. sei uomo anche tu in fondo!- disse con disprezzo –Com’è che tutti voi di quella stronza specie siete sempre così inutili!-

Kei non riuscì a trattenere una risata, si stava già sforzando da troppo tempo.

-Non c’è nulla da ridere!- lo rimproverò gelida –Non hai un fazzoletto, ma scommetto che avrai un cellulare super tecnologico pronto a scattarmi una foto da vendere a chissà che giornale..-

-Perché dovrei?-

-Perché faresti tanti soldi con me in questo stato!- constatò indicandosi.

-Il mio cellulare non è per niente tecnologico-

-Cos’è non ti pago abbastanza?-

-No..-

-Allora il tuo piano è consolarmi per avere un aumento?-

-In verità non avevo intenzione di consolarti-

-E allora che stai qui a fare?-

-Mi sembrava ovvio..- rispose Kei mostrandole la sigaretta quasi terminata.

-Sei inutile..-

-Grazie- disse perplesso per quel trattamento.

-Sai, potrei concedertelo un aumento se rispondi a una domanda..-

-Sentiamo..-

-Perché voi uomini non concepite il concetto di monogamia!-

-Mh.. domande su delle relazioni.. non sono il mio forte..-

-Ma non è difficile..-

-Il tuo ragazzo ti ha tradita?-

-Non li leggi i giornali?-

-Se intendi giornali di gossip la risposta è no!-

-Che ci stai a fare in questo mondo se non li leggi?-

-Me lo stavo chiedendo anche io.. quindi ti ha tradita?-

Kei si pentì improvvisamente della sua estrema curiosità poiché la crisi che ormai sembrava essere terminata riprese peggio di prima.

-Io dico..- Lauren prese a massaggiarsi le mani nervosa quando sembrò accorgersi improvvisamente di qualcosa che non andava -quello stronzo..- si tolse un anello che portava all’indice e lo lanciò davanti a -..pervertito..- la stessa sorte toccò a un altro anello -..ha un debole per le aspiranti attrici lui.. gli avevo detto di smetterla..- ci mise un po’ per togliersi una collanina che seguì la traiettoria aerea degli altri gioielli -..me lo aveva promesso e lui che ha fatto? S’è fatto persino fotografare! Tutto in prima pagina..- l’ennesimo anellino venne lanciato -..brutto..-

Lauren si bloccò di colpo sbarrando gli occhi nel fissare il buio davanti a sé, prima di voltarsi allarmata verso un Kei allibito.

-Che c’è?-

-Era di mia madre!-

-Cosa?-

-L’anello..-

-Quale dei tanti?-

-L’ultimo.. oh cavolo, ora come faccio!- disse disperata cercando di alzarsi –Tutto per colpa di quel figlio di puttana!-

-Ma se l’hai lanciato tu..- non riuscì a trattenersi Kei.

-Non lo avrei fatto se quello non mi avesse fatta incazzare!- sbottò lei guardandolo furente –E tu aiutami!-

Il russo si alzò sospirando e le si avvicinò.

-Come era fatto?-

-Semplice e sottile, con una piccola pietra blu-

Fece finta di darsi da fare per cercarlo, più per non incappare in altre urla isteriche che per reale interesse, cercando di capire come avrebbe fatto a trovare quel piccolo anello su quella terrazza enorme e buia.

-Sì il tuo cellulare fa proprio schifo!- disse lei, constatando quanto il display facesse poca luce non appena lui lo tirò fuori.

-Sempre così gentile?-

Lauren non rispose continuando a setacciare il pavimento.

-Non sarebbe meglio aspettare domani con la luce?-

-E se qualcuno viene quassù lo trova e lo porta via?-

-Vieta l’accesso a chiunque.. i soldi ce li hai no?- le fece notare con un udibile nota di derisione che, però, lei ignorò.

-Giusto!- esclamò lei fermandosi improvvisamente.

-Bene- disse Kei dirigendosi verso la porta.

-Dove vai?-

-Via-

-Perché?-

-Ho finito di fumare-

-Non potresti..- iniziò la ragazza incerta -..non potresti farmi ancora un po’ compagnia?-

-Ma se è da mezz’ora che mi insulti- le fece notare inarcando un sopracciglio.

-Scusa.. è che.. non so mai di chi posso fidarmi..- confessò tornando a sedersi appoggiata alla ringhiera.

-E nel dubbio insulti le persone?-

-Di solito no.. mi hai beccato in un brutto momento!-

Lauren lo guardò ancora in piedi.

-Non sono uno di molta compagnia- tentò lui.

-Solo qualche minuto-

Kei pensò alle sue possibilità e, sempre più masochista, si lasciò convincere dallo sguardo triste della ragazza e le si risedette accanto in silenzio.

-Ti offendi se ti dico che non mi ricordo come ti chiami?-

-Kei- rispose il ragazzo per niente interessato a quella dimenticanza.

-Giusto.. eppure Jermaine mi parla in continuazione di te!-

Quella rivelazione non lo stupì, ma lo infastidì un poco: la fissazione di quell’uomo stava arrivando a livelli esagerati.

-Non vuoi sapere che dice?-

-No-

-Non sei nemmeno un po’ curioso?-

-Non mi piace parlare di me e nemmeno sentire quello che si dice su di me-

-A chi lo dici..-

-Mi sa che hai sbagliato lavoro allora- le fece notare indifferente.

-A volte lo penso.. ma è il prezzo che devo pagare per vivere questa vita!- rispose finalmente calma.

-Pochi minuti fa non lo stavi accettando così pacificamente-

-Austin vive la mia stessa situazione.. eppure non si è fatto problemi a sbandierare la sua infedeltà.. almeno non lo fossero venuti a sapere tutti che stupida che sono stata!-

-Pensavo fossi arrabbiata per il fatto che ti avesse tradita-

-Per quello sono solo delusa.. gli ho dato tante possibilità e lui le ha sprecate tutte..- ragionò ad alta voce riprendendo un flusso di pensieri che probabilmente aveva accantonato -..forse è stato meglio così però.. almeno ora ho la scusa definitiva per rompere-

-Quindi lo aveva già fatto altre volte?-

-Sì-

-Avresti dovuto mollarlo subito allora-

-Mi stai dicendo che sono stata una stupida-

-Te lo sei detta tu stessa-

-Ok te lo concedo..-

Rimasero in silenzio qualche secondo prima che Lauren riprendesse parola.

-Ehi.. non è che mi stai registrando e venderai l’esclusiva alla stampa vero?-

-Ma che sei fissata?-

-Ho ragione di esserlo..-

-E’ già tanto che so chi sia il tuo ragazzo..-

-Ex-

-Ma se non ti fidi perché vai a raccontare i fatti tuoi al primo che incontri sul tetto di un hotel?-

-Giusto.. continuo a fare errori visto? E’ che io do la mia fiducia, ma vengo sempre ingannata.. immagino che per quelli come te invece sia più semplice trovare qualcuno di cui fidarsi-

-Di nuovo argomento sbagliato-

-Perché?-

-Ricordi? Non si parla di me-

-Inizio a pensare sul serio che tu sia un reporter in incognito-

Kei sbuffò distogliendo lo sguardo dalla ragazza di fianco a sé.

-Sai, io sono entrata nel mondo dello spettacolo a quattordici anni, sono sempre stata al centro dell’attenzione, ho avuto tante cose, ma non si può dire che abbia mai avuto tanti amici..-

Il russo rimase in silenzio, chiudendo le palpebre e ascoltando la voce sommessa dell’altra.

-..forse l’unica persona che mi sia stata davvero vicina è mia madre.. tutti gli altri solo un susseguirsi di tradimenti e sfruttamento per arrivare da qualche parte..- di nuovo si interruppe prima di intraprendere un botta e risposta tra sé -..no davvero, ora che ci penso, non ho nemmeno un amico degno di chiamarsi tale.. i fans non valgono vero? Direi di no.. forse Jermaine poverino..-

-Di nuovo..- la interruppe Kei riaprendo improvvisamente gli occhi -..hai appena raccontato tutta la tua vita a un perfetto sconosciuto.. non credi di essere tu il problema?-

-Ehi.. dovresti consolarmi, non farmi stare peggio!- lo riprese offesa.

-Io non volevo nemmeno parlare con te-

-Non ti stai guadagnando proprio niente così!- aggiunse incrociando le braccia al petto.

-Non c’è già abbastanza gente che esaudisce i tuoi desideri o ti elogia per avere qualcosa in cambio? L’hai detto tu stessa..-

-Fregata.. non sei molto simpatico..- iniziò semplicemente -..però almeno mi hai fatto dimenticare quello stronzo per un po’!-

-Quindi ora me ne posso andare?-

-Non farmelo pesare!-

Kei attese in silenzio una qualsiasi altra frase, ma, dato che questa non arrivò, decise di alzarsi ed andarsene.

-Vabbè.. ciao!- prese a camminare e, una volta arrivato alla porta, continuò -..ricordati l’anello.. e le scarpe-

 

Sapeva di essere considerato una persecuzione, ma la cosa non lo disturbava affatto. In verità era abituato a essere elogiato per il suo continuo sorriso e la sua effervescente positività, nessuno aveva mai voltato le spalle al suo modo genuino di approcciarsi al suo lavoro, alle persone e alle situazioni. Ovviamente doveva arrivare il momento in cui avrebbe incontrato l’eccezione.

Jermaine aveva per l’ennesima volta coinvolto Kei in una delle sue iniziative senza dargli troppo preavviso e, come ormai era l’abitudine, aveva dovuto dare fondo a tutta la sua riserva di pazienza per non demordere e convincerlo.

-Sei pronto?- gli aveva chiesto a metà mattinata dopo aver bussato insistentemente alla sua porta.

-Sì, arrivo- lo zittì Kei prendendo la borsa e seguendo il coreografo fino alla hall nella quale Monique li stava aspettando.

-Perché viene anche lui?-

-Bella domanda..- le diede man forte il russo.

-L’ho già spiegato a tutti e due! Non vi voglio più sentire!- li zittì il coreografo intimandoli a seguirlo nel taxi che li stava aspettando fuori dall’edificio.

Come capitava spesso, aveva fissato una serie di stage nelle città che toccavano con il tour, dando la possibilità ai ballerini del luogo di studiare con lui: una delle cose che più gli piacevano del suo lavoro era proprio la continua messa in discussione di se stessi e l’importanza dello scambio di informazioni. Si imparavano sempre nuove cose, da chiunque, anche da i più piccoli.

Seduto nel taxi, si sporse a osservare la persona che in quel periodo lo aveva colpito di più: Kei se ne stava in silenzio ad osservare il paesaggio scorrere dal finestrino con quella sua solita aria disinteressata. Che si fosse letteralmente fissato doveva ammetterlo, glielo avevano fatto notare in molti, prima tra tutti Monique che gli aveva fatto notare quanto il suo comportamento fosse scorretto nei confronti degli altri ballerini. Jermaine sospettava che fosse semplicemente gelosa del trattamento di favore che, a dirla tutta, concedeva al ragazzo e che prima era riservato solo a lei, unica, in quanto sua assistente, che solitamente lo poteva seguire in queste lezioni extra.

Il problema era che non riusciva proprio ad essere indifferente  al russo: inizialmente lo aveva avvicinato perché interessato al suo modo di ballare, esclusivamente per una questione lavorativa, ma successivamente si era trovato incuriosito da quel ragazzo in continua lotta con chissà che fantasmi. Voleva comprendere da dove derivasse quel fascino che colpiva tutte le persone attorno a lui e, al contrario, perché lui fosse chiuso in quel suo guscio protettivo.

Ovviamente tutte le sue riflessioni, poi, ricadevano sulla danza, perché la vedeva, quella corazza, sgretolarsi passo dopo passo e poi issarsi nuovamente robusta e invalicabile. Si era ripromesso di capire qualcosa in quella personalità confusa e aveva intenzione di utilizzare la medicina che conosceva meglio.

Jermaine aveva messo, da quando l’aveva scoperta, la danza davanti a tutto e non poteva fare a meno di voler condividere quella sua visione a chi, secondo lui, ne avesse bisogno.

Arrivarono nel cuore di Berlino in una ventina di minuti e il taxi li lasciò davanti alla palestra in perfetto orario: entrarono nell’edificio e il coreografo si fece avanti salutando il proprietario, suo vecchio conoscente.

-Venite pure per di qua!-

Iniziarono a conversare di molte cose per far passare il tempo: Monique si unì di buon grado alla chiacchierata ordinando al bar della palestra qualcosa da bere, mentre Kei si era seduto su una poltroncina ad attendere inespressivo la mossa successiva.

-La prima è dei più piccoli giusto?- si informò l’uomo.

-Esatto.. ma tutti hanno più o meno già fatto qualcosa.. sarà una classe bella numerosa!-

-Bene bene!-

-Accomodatevi pure in sala.. tra cinque minuti faccio entrare tutti!-

I tre si diressero verso la stanza indicata e si posizionarono di fianco allo stereo.

-Per questa lezione facciamo la coreografia di venerdì scorso- li informò entusiasta collegando l’i-pod e cercando la traccia –E tu svagati un po’!- disse poi rivolto a Kei che lo fulminò con lo sguardo.

Jermaine si chiese come riuscisse sempre a evitare di rispondere, quando la sala si riempì e in pochi minuti dette inizio allo stage: non c’era nulla di più semplice, lo faceva ormai da anni ed era, anzi, un’occasione per divertirsi. Quel giorno, però, avrebbe dovuto concentrarsi su come attuare in suo piano: doveva far maturare Kei, portarlo a un altro livello e soprattutto sfondare la resistenza del ragazzo.

-Dove ca..- si fermò osservando i volti dei ragazzini intorno a lui -..volo stai andando?-

Afferrò il russo, che già si stava dirigendo verso il fondo, per un braccio e lo esortò a mettersi in prima fila alla sua sinistra, alla stessa altezza di Monique.

Riscaldamento e poi subito a insegnare i primi passi lasciando i minuti scorrere velocemente a ritmo di conteggi e musica.

-Ora prendetevi un po’ di tempo per ripassare per conto vostro.. se avete dei dubbi chiedete pure!- battè le mani per esortarli a fare come diceva, per poi appoggiarsi allo specchio per osservare la situazione della classe; rispose a una domanda di un allievo, assistette Monique per un passaggio complicato e poi sbirciò verso Kei. Come aveva sospettato non era un caso che le ragazzine più grandi si fossero messe dietro di lui, ma soprattutto si soffermò a studiare le reazioni del suo prediletto: lo vide subito corrucciato e confuso, per poi riacquisire il controllo e rispondere alle domande.

La mezz’ora finale trascorse in fretta e, dopo aver scattato le foto con chi la richiedeva, si risedettero tutti e tre a riposarsi.

-Divertente vero?-

-Mh- rispose il russo facendo spallucce.

-Ormai ho capito che questa deve essere la tua alternativa al ‘sì’!-

-Ma l’hai visto il mini Will Smith?- li interruppe Monique, colmando la solita pausa lasciata dal ragazzo.

-E’ vero gli assomigliava!- concordò Jermaine iniziando a commentare la bravura del bambino in questione –Dove vai?- chiese improvvisamente vedendo Kei alzarsi.

-A fumare una sigaretta-

-Resisti! E smetti di fumare!- ribatté: ormai aveva preso l’abitudine di invitarlo a finirla con le sigarette ogni occasione venisse fuori il discorso. Infatti il ragazzo lo ignorò per l’ennesima volta e uscì sentendo a malapena l’ultimo avvertimento dell’uomo –E fai presto che tra qualche minuto iniziamo!-

-Smettila di fare la chioccia che mi dai sui nervi! E’ maggiorenne e vaccinato!- lo rimproverò Monique.

-Non c’entra! Bisogna insegnare la retta via.. e poi ha solo diciott’anni-

-Smettila di trovare scuse!- lo schernì lei scoppiando a ridere –Ho il tempo di andare in bagno?-

-Certo!-

Jermaine rimase da solo e osservò la stanza ripopolarsi, questa volta di ragazzi più grandi e adulti; Monique tornò giusto in tempo per iniziare, mentre di Kei non vi era neanche l’ombra. Partì comunque col riscaldamento, immaginando che il ragazzo avesse raddoppiato il numero di sigarette: la sua assistente aveva ragione, era troppo protettivo, ma non ne riusciva a fare a meno, poiché vedeva in quel ragazzo il bisogno di aggrapparsi a qualcuno o qualcosa.

-Mmm.. ho appena deciso di cambiare coreografia!- esordì di punto in bianco mentre scorreva la lista delle tracce nel suo lettore.

-Cosa?- una serie di risolini accompagnarono la voce di Monique che non sapeva mai cosa aspettarsi dal suo capo.

Jermaine rise per poi continuare –Questa la sperimento con voi per la prima volta.. no, Moni, non la sai, mi dispiace! Su, divertiamoci!-

Una serie di battute scaldarono il clima della sala e tutti i presenti iniziarono a seguire i movimenti del coreografo cercando di imprimerli nella testa.

Solo dopo una manciata di minuti, l’uomo vide con la coda dell’occhio la porta aprirsi e Kei rifare la sua comparsa totalmente rilassato: fece per richiamare la sua attenzione, ma uno dei ragazzi in prima fila lo distrassero con una domanda, tanto che dovette lasciare il russo rintanarsi come al suo solito sul fondo.

Lasciò correre ripensando agli ammonimenti di Monique e concentrandosi su quelli che avevano pagato per ricevere i suoi insegnamenti.

-Dai che ci siamo quasi!- li incitò mostrando gli ultimi passi e notando con piacere quanto la classe fosse avanzata e avesse imparato in poco tempo nonostante la difficoltà –Ora lo mettiamo in musica.. attenzione che è leggermente più veloce!-

-Leggermente?- chiese qualcuno.

-Beh, diciamo molto in effetti!-

Adattare la sequenza alla canzone risultò più arduo, ma, dopo aver dimostrato la velocità corretta, Jermaine mise la traccia a ripetizione in modo da non far smettere di provare ai suoi allievi.

Dopo un’ora dall’inizio, prese a osservare e correggere la coreografia finita che all’incirca tutti aveva ormai imparato: appoggiò la schiena allo specchio e cercò Kei con lo sguardo. Come al solito poteva vedere quella trasformazione che lo compiaceva e irritava allo stesso tempo, poiché lo mandava in bestia il vederlo così in pace in determinati momenti e talmente indifferente in altri. Tentò di attirare la sua attenzione, ma il ragazzo rimase al suo posto.

-Ok, gruppi!- urlò sopra la musica Jermaine dopo un po’.

Prima li divise in due parti, permettendo così a tutti di avere più spazio, poi li fece sedere e li chiamò a gruppi più o meno numerosi a seconda di quanto avessero imparato la coreografia, da quello che aveva potuto vedere.

Mise Monique insieme ad alcuni di quelli che erano più indietro e lo stesso fece con Kei, che comunque se ne restava in disparte: il coreografo tentò ancora di chiamarlo, ma il ragazzo sembrava intenzionato a ignorarlo.

Ripeterono ancora diverse volte divisi in tranche più grandi, quando, visibilmente spazientito Jermaine alzò la voce.

-Kei, dove cazzo sei?- alcuni ragazzi si guardarono intorno confusi –Vieni qui!-

Finalmente il russo emerse dal fondo e il coreografo si scusò per la parolaccia tra le risatine.

-Tu e Monique.. forza!- esclamò con tono insofferente.

Fece partire la musica osservando i due suoi ballerini mettersi al centro della sala: li osservò guardarsi a vicenda nello specchio senza però scambiare una parola, prima di iniziare.

Jermaine maledisse mentalmente il ragazzo per quel comportamento, lo faceva dannare in continuazione, quando gli bastavano cinquanta secondi di coreografia per stupire la gente intorno a lui. Terminarono accolti dagli applausi e fecero per sedersi.

-Fermi lì!- frugò nella borsa ed estrasse il cellulare, per dirigersi verso uno dei ragazzi seduti più al centro –Puoi registrare?-

-Certamente!-

Vide lo sguardo perplesso di Kei dallo specchio, prima di mettersi a sorridere: si posizionò pochi passi davanti ai due, invitandoli a stringersi di più affianco a lui, e diede l’ok per far partire la musica.

 

-Domani lo metto su youtube!- esclamò Jermaine entusiasta dopo aver mostrato il video a Blake.

-Perché è venuto anche lui?- chiese un Kei piuttosto esasperato a un Chayton invece molto divertito.

Aveva dovuto sopportare il coreografo anche quel giorno nonostante si supponesse fosse il suo giorno libero e l’idea di averlo intorno anche la sera lo devastava: quando il suo compagno di stanza gli aveva proposto di andare a bere qualcosa aveva accettato, allettato dall’idea di dedicarsi un po’ all’alcool, ma non aveva capito che ci sarebbe stato anche Jermaine.

Entrarono in un pub e iniziarono un gran numero di giri di bevute: l’aspetto positivo era che, almeno su quello, l’uomo non aveva da ridire come sul fumo.

-E poi dici a me di smettere con le sigarette..- non potè fare a meno di notare quando l’ennesimo boccale di birra si posò di fronte all’uomo.

-Hai scoperto il mio punto debole!- confessò Jermaine –Però dovresti smettere di..-

-E basta!- lo soccorse Chayton ridendo e iniziando a chiacchierare.

-Quindi tu di dove saresti?- chiese dopo un po’ Blake.

-Russia..-

-Ma c’hai anche un po’ di giapponese giusto?-

-Sì-

-Non dirlo come se fosse una condanna..- rise Chayton per poi continuare -..qui siamo tutti dei miscugli! Prendi me: padre indiano, madre mezza americana e mezza filippina..-

-Ecco perché sei così brutto!- lo prese in giro l’altro beccandosi un insulto colorito.

-Sangue misto, migliori ballerini.. te lo dico io!- affermò ammiccando e buttando giù un lungo sorso del suo cocktail, dopo aver passato una mano tra i capelli scuri come per pavoneggiarsi.

-Che vorresti dire?- lo interruppe Blake.

-Uh.. sì è offeso perché lui è tutto americano!-

-Chi c’è più sangue misto degli americani?- si difese il ragazzo.

-Su questo hai ragione!-

Continuarono a parlottare fino a che non proposero un altro giro di bevute e attirarono l’attenzione della cameriera.

-Qualsiasi cosa dove ci sia della vodka.. tanta vodka- disse Kei.

-Lasci fare a me?-

Il ragazzo annuì e aspettò che anche gli altri ordinassero.

-Che ci provi con la cameriera?-

-No-

-Ma a chi la dai a bere!- lo continuarono a prendere in giro.

-Già che stiamo parlando di cose serie..- intervenne Chayton -..dì la verità, ti interessa qualcuna?-

-Di chi?-

-Del nostro affiatatissimo gruppo!- disse solenne il ragazzo guardando Jermaine in tralice.

Kei ci pensò qualche secondo prima di rispondere –Può darsi-

-Uh uuh sentito il pivellino!- esclamò Blake.

-Io penso anche di sapere chi sia..- ammiccò il moro -..Carol giusto?-

-E’ vero! Siete sempre a fumarvi le vostre sigarettine!-

-A proposito..- riemerse Jermaine dal bicchiere che la cameriera gli aveva appena portato -..smetti di fumare!-

-Indovinato?- lo ignorò Chayton, osservando Kei annuire.

-Se la da a te e non a me, mi offendo!- disse Blake puntandogli l’indice contro.

-Perché ci hai provato?-

-Sì, in un’altra occasione.. ma non c’è stata!- raccontò abbattuto.

-Magari le piacciono quelli più piccoli..- insinuò il moro.

-Allora io sono a posto-

-Eheh.. sai che si dice sulle rosse?-

-Guarda che lei è tinta!- gli fece notare Jermaine.

-Da così tanto tempo che ormai lo è dentro al cuore e dentro all’anima-

-Chay, smettila di sparare stronzate!-

L’altro ballerino gli lanciò alcuni arachidi della ciotolina che stava sul tavolo.

-Secondo me basta che le sbatti quei cazzo di occhi che ti ritrovi ed è fatta!- appuntò Jermaine fermando la lotta degli altri due.

-Vuoi dire che si spaventa?- chiese Kei scontento della piega che aveva preso il discorso.

-Piuttosto cade ai tuoi piedi! Pensa che credevo fossero lenti a contatto!- si reinserì Chayton.

-Non lo sono?-

-Svegliati Blake!-

-E io che ne sapevo.. quindi come me li spieghi?-

-Mica è l’unico al mondo con gli occhi viola..- lo rimbeccò il moro.

-Ma rossi sì.. o sbaglio?-

-Non lo so- ammise Kei.

-Vabbè..- riprese il controllo il suo compagno di stanza -..comunque io scommetto su di te! Sei un figo!-

-E balli.. non scordiamocelo..- si inserì Jermaine.

-Ancora con questa teoria?-

-Ma sul serio.. ascoltate la voce dell’esperienza! Da coreografo poi le cose vanno ancora meglio!-

-Non ti facevo uno che assumeva in cambio di una scopata..-

-Ma non in quel senso.. semplicemente è un ruolo che affascina le donzelle!-

-Come minimo lui con Carol ci è stato..- sussurrò Blake.

-Purtroppo non ho avuto il piacere!-

-In compenso s’è preso Monique-

-Quella è un’altra storia!- minimizzò l’uomo sventolando una mano.

-Ah sì?- chiese curioso Kei, che aveva diverse volte sospettato una cosa del genere.

-Una relazione.. poca roba, quattro mesi..-

-Poi è scappata!- lo derise Chayton.

-Ehi sono sempre il tuo capo!-

-Perchè te lo ricordi solo quando ti fa comodo?-

 

-Sei sempre il solito.. due settimane senza farti sentire!- le urla di Takao gli arrivarono dritte all’orecchio, pronte a trapanargli i timpani –E’ possibile che ogni volta che vai da qualche parte ti dimentichi di tutto il resto?-

Come dargli torto: ogni volta che lo chiamavano, perché erano sempre gli altri a telefonargli, era come cadere dalle nuvole e ricordarsi di qualcosa che si era scordato da tempo. Quella vita al dojo gli sembrava lontana anni luce e si era riscoperto incapace di ritornare col pensiero a routine ormai scomparse. Fattore che certamente non lo aiutava era la poca attenzione che prestava al cellulare: lo guardava una volta al giorno se andava bene e spesso e volentieri lo lasciava spento o buttato alla rinfusa nella borsa.

Ascoltò ancora qualche minuto le lamentele di Takao, rispose alle sue domande, suggerite in sottofondo dalla voce pacata di Nonno J, e poi riattaccò come sempre provato dalle frasi infinite del giapponese. Se ci rifletteva qualche istante di più poteva sentire dentro di sé un qualcosa di molto simile alla nostalgia, ma non aveva tempo di rendersene conto che già cambiava rotta alle sue elucubrazioni mentali.

Affondò nella poltrona della hall dell’hotel godendosi quegli attimi di pace: era una delle giornate libere e Jermaine era andato in un luogo di cui non voleva sapere nulla, se non per accertarsi fosse lontano da lui. Era insofferente verso i comportamenti di quell’uomo anche se aveva iniziato a farci l’abitudine.

Soprattutto Chayton gli aveva fatto notare quanto fosse fortunato ad avere qualcuno a guidarlo in quel nuovo mondo, cosa non da tutti, e aveva cercato di vederla anche lui così positivamente.

Era trascorsa una settimana dalla serata nel pub tedesco e ripensò ai discorsi fatti coi ragazzi: avrebbe a breve preso in considerazione l’idea di provarci con Carol, una bella ragazza, disponibile e simpatica, ciò che gli serviva da un po’ di tempo a quella parte.

-Hai visto Senia?-

Una voce odiata lo risvegliò dai suoi dolci pensieri e, riluttante, alzò lo sguardo verso la ragazza mora davanti a lui.

-E’ uscita con gli altri-

-E dove sono andati?-

-Dicevano qualcosa sullo shopping..- riferì ciò che aveva carpito da una conversazione.

-Ci metteranno una vita allora..- ragionò tra sé Nene –Quindi non c’è nessun altro?-

-No-

La ragazza sbuffò, sedendosi altera su un’altra poltroncina di fronte a Kei.

-Sai domani a che ora è l’aereo?-

-Alle 8- rispose perplesso.

-Quindi alzataccia..-

-Com’è che ti degni di parlarmi?- chiese il russo curioso da quel cambiamento: la loro massima interazione era stata quella volta alle prove generali di settembre.

-E’ che mi annoio- rispose tronfia guardandolo negli occhi e accavallando le gambe.

-E ti abbassi a relazionarti con me?- la stuzzicò, annoiato quanto lei.

-A quanto pare!-

Rimasero a fissarsi e sfidarsi per diverso tempo, lei col mento alto e atteggiamento da superiore, lui incuriosito dalla piega di quella fattispecie di conversazione.

-Vieni a letto con me- disse lui improvvisamente, senza ragionarci sul serio, staccando il busto dallo schienale.

-Ora?-

-E’ un modo per passare il tempo-

-Potrei prenderlo in considerazione-

-Sei proprio disperata, eh?- appuntò con un sorrisetto.

-Figo lo sei almeno.. magari sotto le lenzuola sei meglio che a ballare!- sbottò acida, ma anche divertita.

-La considerazione che hai di me mi stravolge- rispose ironico, riappoggiando la schiena alla poltrona.

-Cosa me lo chiedi a fare se poi ti tiri indietro?-

-Io non mi sto tirando indietro-

-Allora avrei giusto un po’ di tempo libero-

Si alzarono lentamente, incamminandosi verso gli ascensori: rimasero impassibili e austeri per tutto il tragitto, come se la conversazione appena avuta avesse riguardato il tempo o il menù della colazione. Solo quando varcarono la stessa porta della camera della ragazza, Nene si voltò a fronteggiarlo, i tacchi ad aiutarla ad arrivare alla sua altezza, una mano a tirargli la maglia e i respiri fusi per la vicinanza dei loro volti.

-Se lo dici a qualcuno, sei morto!-

 

 

 

 

Bu! Eccomi qui.. mi sa che questo capitolo era un po’ incasinato O_o un po’ un miscuglio di tanta roba, ma spero che si sia capito tutto!

Comunque.. come avete visto abbiamo avuto il punto di vista di Jermaine che lo annovera ufficialmente come un personaggio principale e importante, abbiamo sentito parlare Lauren, assistito a una chiacchierata tra uomini e Kei è tornato a flirtare come non faceva da diverso tempo u.u lo stavamo dando per malato!

Vabbè.. direi che non ho altro da dire anche perché non so in quanti siete rimasti ad ascoltarmi XD

Alla prossima settimana.. grazie a tutti!

Un bacione :)

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Capitolo 44
*** Have A Little Faith In Me ***


Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare

Inizi un po’ a morire

 

 

 

 

 

 

Have A Little Faith In Me

 

 

 

 

 

-Oh guarda.. è arrivato il maritino!-

Kei seguì la traiettoria dello sguardo di Chayton per scoprire di cosa stesse parlando il ballerino: si erano staccati dal gruppo per prendere un caffè al bar dell’aeroporto e, una volta tornati, si era aggiunto alla comitiva un uomo che il russo non aveva mai visto.

Doveva avere sui quarant’anni, aspetto distinto, abiti semi casual, ma soprattutto stava abbracciando Nene.

-Maritino?- chiese Kei improvvisamente curioso.

-Non sono proprio sposati.. non ancora almeno..-

-Ah- il russo sembrò rilassarsi per qualcosa che Chayton non aveva colto, ma sul quale non indagò.

-E’ per questo che è intoccabile.. tutta devota alla sua dolce metà.. che noia!- il moro sbuffò sonoramente, per poi guardare l’altro sempre più confuso –Che c’è da ridere?-

-No, niente..- sviò Kei.

Sentire pronunciare quelle parole gli aveva suscitato una reazione spontanea: da quel pomeriggio di noia erano stati insieme almeno altre due volte, ma, ovviamente, questa informazione aveva premurato di tenersela per sé prendendo sul serio le minacce della ragazza.

La osservò amoreggiare col suo fidanzato, piuttosto divertito: tutti pensavano che fosse completamente fedele, o forse molti altri mantenevano il suo stesso segreto, difficile dirlo. Se aveva anche solo pensato che quegli incontri clandestini fossero parte di un gioco alla pari, in quel momento si rese conto che invece era lei a tirarne le redini.

La cosa non lo colpì più di tanto, a parte la convinzione che, piuttosto che la ballerina, Nene avrebbe fatto bene a diventare attrice: il suo atteggiamento con Kei non era cambiato di una virgola davanti a tutti gli altri e aveva seguitato a trattarlo con sufficienza, se non con stizza.

-Oh mio Dio che fatica!-

L’arrivo improvviso di Jermaine interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendolo a prestare la sua attenzione verso il coreografo, stanco e affannato.

-Paparazzi!- rispose l’uomo alla domanda sul perché del suo stato posta da Chayton.

-Seguivano te?- chiese Carol perplessa, dopo essersi avvicinata al gruppetto.

-Non sia mai! Lauren.. ero con lei!- rispose Jermaine guardandosi intorno –Ecco Steve.. ci vediamo dopo ragazzi!-

-Quando succedono queste cose non posso fare a meno di pensare che sia tutto programmato..- iniziò Carol una volta che il coreografo si fu allontanato.

-Che intendi dire?- chiese Chayton curioso.

-La rottura di Lauren col suo ragazzo..- abbassò il tono di voce -..cioè, sapevano che si sarebbero interessati.. tutta pubblicità gratuita al tour!-

-Dici?-

-Non lo so.. è solo una riflessione!-

-Tu che ne pensi?- chiese il moro rivolto al russo.

-Mh? Non credo..-

-Meglio essere sempre un po’ diffidenti Kei..- gli disse Carol per poi cambiare discorso.

Sentirsi dire di essere diffidenti faceva uno strano effetto soprattutto se una frase del genere era rivolta a lui, la diffidenza fatta a persona: solitamente gli raccomandavano il contrario, ma in fondo la rossa che ne poteva sapere. In ogni caso tutto quel discorso lo aveva stranito: prima di quella chiacchierata, se così si poteva chiamare, sul tetto con Lauren non si era accorto di quante volte la incontrasse durante l’arco della giornata. Probabilmente perché prima di quel momento non l’aveva degnata di alcuna attenzione se non per il suo ruolo, mentre da quando il giorno successivo la sua sfuriata in un momento di pausa l’aveva incrociata e lei si era scusata per il suo comportamento infantile, avevano iniziato a salutarsi e a scambiare qualche parola.

Nulla di che se non discorsi da ascensore, ma succedeva sempre più spesso, soprattutto quando si trovava con Jermaine che non aveva smesso di girargli intorno, oppure con Carol, la stessa che in quel momento dubitava della sincerità della cantante, ma la quale non si faceva scrupoli a ridere e scherzare con Lauren quando erano insieme.

Forse la prima di cui diffidare era proprio lei.

Kei li ascoltò ancora confabulare fino a quando non fu annunciato il loro volo: sarebbe stato un viaggio corto, poco più di mezz’ora, ma la stanchezza era comunque presente. Erano in Europa da due settimane e ci sarebbero rimasti per altrettanto tempo, ma quel che era certo era quanto fosse frenetico quel mese. Le città erano più vicine e di conseguenza ne coprivano di più in meno tempo fino ad arrivare ad avere anche cinque giorni consecutivi di show in posti diversi senza neanche una pausa.

Il ritmo incessante, però, fornì anche la scusa adatta a Kei: non appena arrivarono nell’hotel madrileno Nonno J lo aveva chiamato al telefono informandosi su un vecchio discorso che era rimasto in sospeso per tutto quel periodo.

-Allora non c’è proprio modo di pensare alla scuola?-

-Non ho il tempo, qui è tutto veloce..- aveva iniziato il russo guardandosi attorno, osservando il viavai di membri dello staff che si avvicendavano nella hall in un quadro ormai troppo familiare, niente di più lontano da quello che si trovava al di là del cellulare -..e poi ho altre cose per la testa- confessò infine.

-Immaginavo.. però dovevo provarci!- gli rispose placido l’uomo.

-Sicuramente-

-Mi raccomando, riguardati.. e se hai qualche problema chiama!- si raccomandò prima di attaccare.

Kei raggiunse Chayton e insieme varcarono la porta della loro stanza: il russo poggiò il borsone ai piedi del letto e si buttò sospirando sul materasso.

Un soffitto celeste lo sovrastava, ancora non si capacitava di quante tinte diverse esistessero per coprire quella semplice porzione di una stanza.

-Guarda che dobbiamo uscire subito!- lo richiamò il ballerino.

-Lo so- disse facendosi coraggio –Mi sto alzando-

-Lo vedo!- rise l’altro guardandolo rimanere immobile ancora diversi secondi, prima di decidersi a tirarsi su e dirigersi verso l’ennesima serata devastante e adrenalinica.  

 

-Dobbiamo modificare quel pezzo per domani-

Le prove stavano andando avanti da già due ore quando Jermaine annunciò un cambiamento nella coreografia: il giorno successivo avrebbero dovuto aggiungere un piccolo pezzo al medley di vecchie canzoni che avrebbe cantato Lauren nell’ultima tappa europea prima di partire per gli USA, quindi anche un pezzo di coreografia doveva essere modificato.

-Eravate in coppia giusto?- l’uomo si avvicinò a due di loro per fargli capire –Vi prendete per il braccio.. ecco forte così..- afferrò l’avambraccio di uno e lo tirò verso di sé -..fai resistenza! Ecco.. vi sbilanciate e poi cambiate posizione con un salto!- tirandolo prese slancio e saltò ritrovandosi nella posizione prescelta.

Diede le nuove posizioni a tutti per poi controllare uno per uno che stessero facendo come voleva lui: come al solito tutto doveva essere impeccabile, non doveva esserci neanche un dito fuori posto.

-No, sbagliate la presa- si avvicinò a Kei e si sostituì a Blake, che era in coppia con lui, per spiegarglielo meglio.

Gli prese l’avambraccio e posizionò la mano nel modo corretto.

-Ecco la stretta deve essere in questo punto, non in quest’altro! Poi..-

Kei si chiese come avrebbe fatto il pubblico a notare che aveva messo il dito qualche centimetro più a sinistra, ma non obiettò: mai contraddire il coreografo in quelle occasioni.

L’uomo stava ancora posizionando bene la sua mano sul braccio di Kei quando, senza preavviso lo strattonò con troppa forza verso di sé e si mise a fissargli un punto tra il pollice e l’indice, proprio nell’incavo del suo braccio.

Sembrò riconoscere il segno che intravedeva e quando puntò lo sguardo sul ragazzo sembrava sconcertato e arrabbiato.

Kei resse il suo sguardo senza la minima piega intuendo che l’altro stesse arrivando a conclusioni sbagliate: proprio in quel momento doveva accorgersi dei suoi segni?

Durante il resto delle prove Jermaine non gli disse niente, ma sembrava furibondo e le prove, che erano iniziate bene, finirono con tutti di cattivo umore.

Questi ballerini lunatici, si ritrovò a pensare Kei, bastava un niente per farli innervosire.

-Kei aspetta!-

Il ragazzo si fermò e lasciò che tutti gli altri uscissero dalla sala lasciandolo solo con Jermaine.

Non si guardarono subito e Kei prese fiato per spiegargli che probabilmente era arrivato alla conclusione sbagliata, quando l’altro lo anticipò con molta veemenza.

-Si può sapere cosa ti passa per la testa?!- gli urlò contro, abbandonando ogni possibilità di parlarne civilmente.

-Guarda che non è come pensi-

-Non credere che io sia idiota! Ne ho già visti di segni come quelli, non è la soluzione! Sei fortunato ad avere tutto questo! Non essere così deficiente da buttare all’aria tutto!-

Continuava a parlare con un tono molto alto e minaccioso; se non lo avesse fatto Kei si sarebbe messo lì pazientemente a spiegare, ma quel modo di parlare lo innervosì.

Fece di nuovo per parlare, ma fu ancora interrotto.

-Ti rovini solo la vita! Che credi di ottenere così facendo!? Eh?!-

-Mi lasci parlare?- provò ancora, sentendo la propria pazienza avere dei cedimenti.

-No! Pensavo di potermi fidare di te! Pensavo che non fossi così stupido!-

Si era ripromesso di mantenere il controllo, ma diventò impossibile; tuttavia non si mise ad urlare, ma il suo tono risuonò comunque molto minaccioso.

-Tu non sai niente di me.. Non ti permetto di parlarmi così, non ti devi permettere di giudicarmi, di parlare di cose che non sai-

-Spiegamelo allora, sentiamo la tua scusa!-

-Lo avrei fatto, ma ora capisco che non ne vale la pena-

Lo guardò con astio e girò sui tacchi diretto verso l’uscita. Arrivato alla porta notò che sullo stipite, con espressione preoccupata, c’era Lauren: doveva aver sentito tutto, ma la ignorò e andò verso la sua camera con i nervi tesi.

Non ne uscì per tutto il resto del pomeriggio, non scese nemmeno a cena con gli altri; non aveva voglia di vedere Jermaine. Ogni volta che con quell’uomo faceva un passo avanti, subito dopo arretrava di due. Dovevano essere proprio incompatibili.

Non voleva rischiare di vedere qualcuno per i corridoi non essendo proprio dell’umore adatto per parlare, ma aveva assolutamente bisogno di una sigaretta, o anche due, e quindi si diresse velocemente verso la terrazza superiore dell’albergo.

Gli atri di solito stavano nei salottini a piano terra e forse lì avrebbe trovato un po’ di pace.

Quella sera il cielo era sereno e ricoperto da un manto fitto di stelle, ma nessuna traccia della luna. Fece un po’ di fatica a riconoscere la figura appoggiata alla ringhiera per la scarsa luminosità, ma quando ci riuscì le si avvicinò.

Lauren era ferma a osservare il cielo. Non era la prima volta che si ritrovavano in quei posti bui e all’aperto, avevano le stesse idee sul posto da scegliere quando volevano stare in pace.

-Era da tanto che non vedevo Jay così arrabbiato sai?-

Kei sospirò. –Non so che dire- si accese la sigaretta.

-Non so perché abbiate litigato, ma lui ci tiene molto a te, non chiedermi perché, ma ci tiene. Se ti ha detto quelle cose è perché è preoccupato..-

-Lo capisco, ma non è tanto quello, quanto il modo in cui ha parlato..- guardò la ragazza soppesando la possibilità di continuare a parlare o meno -..ha frainteso delle cose.. e glielo stavo spiegando, ma mi ha attaccato di punto in bianco..-

-E’ molto impulsivo, non lo fa apposta, ma deve dire tutto e subito, anche se sbaglia..-

Aspirò il fumo e rimase in silenzio.

Che Jermaine tenesse a lui l’aveva intuito, anche se ancora non si spiegava come potesse essere successo in così poco tempo, però quando aveva toccato quei tasti dolenti della sua vita, senza nemmeno essersene accorto, lo aveva fatto andare in bestia.

Lauren tornò dentro quasi subito, lasciandolo solo coi suoi pensieri e la sua sigaretta.

Perse la cognizione del tempo e non seppe dire esattamente quanto tempo fosse passato quando sulla terrazza fece la sua comparsa un’altra figura, questa volta indesiderata.

Jermaine appoggiò la schiena alla ringhiera di fianco a Kei che, vedendolo, si affrettò ad accendersi un’altra sigaretta.

-Scusami..-

Kei fece spallucce e gli disse che non si doveva preoccupare.

-E’ che sono molto sensibile sull’argomento, non puoi capire quanti amici ho perso a causa di queste cose..-

-Invece lo capisco..-

Stavolta parlavano molto pacatamente, sembravano soppesare ogni parola.

-Li ho già visti dei segni come quelli e Kei se tu..-

-Non mi drogo..- lo troncò prima che potesse aggiungere altro e peggiorare la situazione -..o almeno, non mi drogo più.. sono segni vecchi, ce li ho da quando ci siamo conosciuti, solo che, a quanto pare, tu non li avevi ancora notati-

-Ah, quindi non c’è nessun pericolo che..-

Lo guardò in attesa, notando la sua riluttanza nell’affrontare l’argomento.

- No. Ci ho messo tempo e fatica per smettere e non ho intenzione di ricominciare adesso. Sono esattamente un anno e undici mesi che non mi faccio e ho intenzione di continuare così-

-Non sai che sollievo.. sul serio! Mi dispiace di averti aggredito oggi, è che non sapevo..-

-E’ anche un po’ colpa mia in fondo..- si convinse ad aprirsi -..non dico mai nulla di me a nessuno..- disse divertito della sua stessa ammissione e decise di approfittare della situazione per chiarire un altro punto -..beh visto che ormai lo sai, puoi capire perché non mi puoi chiedere di smettere di fumare.. sono totalmente dipendente dalla nicotina e non posso sopportare un’altra disintossicazione, almeno non per ora-

-Oh ok.. capisco, ma che hai fatto per avere ancora i segni adesso?-

-Non se ne vogliono andare.. beh diciamo che non ci sono andato molto leggero..- alzò le sopracciglia ripensando a quel periodo.

Jermaine si mise a guardare nella direzione in cui erano puntati gli occhi di Kei che, a quanto pareva, vedeva cose che a lui erano oscure, fantasmi di quel passato di cui non era sicuro sarebbe mai stato in grado di sapere qualcosa. Era curioso di conoscere di più di quel ragazzo; gli sarebbe potuto essere d’aiuto in qualche modo, ma non riusciva mai a capire quando e se l’altro gli avrebbe risposto. L’unico modo era tentare, al massimo avrebbe deviato il discorso. 

-Come hai fatto ad uscirne? Sei stato in qualche centro?-

Kei provò di nuovo la sensazione di non essere obbligato a rispondere, ma l’aria fresca, la semi oscurità risultava confortante.

-No niente centri.. sono stati i miei amici, vivevo con tre ragazzi a Mosca, mi hanno sopportato per mesi in uno stato pietoso..- aspirò il fumo, assaporandolo, per poi continuare -..e poi mi hanno mandato a Tokio..- si accorse subito di quanto risultasse una scelta negativa e cercò di correggersi -..e hanno fatto bene sia chiaro-

-Che differenza faceva?-

-Beh in Giappone è tutta un’altra atmosfera.. diciamo che è più salutare, proprio il tenore di vita è diverso..-

-Io ci sono stato una volta a Mosca, ma non mi sembrava così.. malsana!-

-Dipende dove vai, ci sono i quartieri alti dei ricconi e poi i poveracci; solo nell’ultimo periodo le cose si stanno risollevando, ma c’è sempre tanta disparità.. dipende dove cresci-

-Ma tu non eri il plurimiliardario?- chiese confuso.

-Io non ho mai avuto un centesimo prima che mio nonno morisse.. sono solo uno dei tanti piccoli bastardi di Mosca..- pronunciò parole tanto dure con calma e ironia, tanto che stonavano con il loro reale significato -..in effetti se fossi rimasto lì non credo che sarei riuscito a uscirne del tutto, probabilmente avrei finito per ricaderci-

-Ma senti ancora il.. il desiderio di farti?-

-No, direi di no..- rispose sovrappensiero, cercando di fidarsi lui stesso di quelle parole.

Jermaine stoppò per un attimo il suo interrogatorio e Kei, guardandolo con la coda dell’occhio, notò che stava contando qualcosa sulle dita.

-Cosa stai facendo?-

-Stavo facendo due calcoli.. Tu a quindici anni ti sei messo a drogarti?- chiese incredulo.

-Il picco è stato a sedici in verità..- cercò di ironizzare.

-Che ti ha convinto a smettere?-

-Ho visto..- prese tempo, ma non si interruppe, continuando quel tortuoso percorso che aveva cominciato iniziando a parlare -..ho visto morire una ragazza con cui stavo.. ha mischiato un po’ di roba e l’unica cosa che ho potuto fare è stato chiamare un’ambulanza, ma è morta prima che arrivasse..-

-Mi dispiace.. ma non capisco che ti ha portato così piccolo a fare una cosa del genere!-

-Sono più disperato di quello che credevi eh?-

-No no..-

-Ma è vero.. la vedi questa?- tirò fuori dal pacchetto l’ennesima sigaretta e la fece vedere all’altro -..la prima l’ho fumata a nove anni e mi aveva fatto assolutamente schifo..- se la accese e la portò alla bocca per aspirare -..poi a dodici è diventata la mia salvezza e non ho più smesso.. in quel periodo ho provato a fumare anche cose tipo marijuana, roba più forte, ma non mi hanno mai entusiasmato più di tanto.. poi è arrivato il turno delle droghe più leggere e ho provato anche della cocaina, avrò avuto quattordici anni credo, ma anche quelle non mi piacevano più di tanto, sniffare è abbastanza irritante, c’è a chi piace, a me no.. le pasticche sono le migliori credo, ore di annebbiamento totale senza segni visibili, ma costavano troppo, l’ho provate solo due volte.. la soluzione più economica è sempre stata la siringa, una volta passata la paura dell’ago non è tremenda, anzi, anche se i segni poi, beh li vedi-

Jermaine non sapeva che dire di quell’analisi veloce e chiara di tutte quelle sostanze fatta da un ragazzo così giovane. Forse disperazione era davvero la parola più appropriata.

-Il problema è sempre quando l’effetto finisce, prima è tutto rose e fiori e poi torni all’inferno che, se possibile, è ancora peggio di quanto fosse prima.. io sono arrivato a non riuscire a stare nemmeno un’ora senza avere una crisi d’astinenza.. patetico..-

Guardava ancora un punto indefinito davanti a sé, disprezzando se stesso e quello che aveva fatto.

Ne aveva parlato poche volte con qualcun altro, ma lo faceva sentire un po’ meglio, riusciva ad auto convincersi sempre che non ne sarebbe valsa la pena riprovarci.

-Non dovresti dire così.. se ne sei uscito è perché hai dimostrato di essere superiore a queste cose! Conosco molte persone molto più vecchie di te che non hanno capito i loro sbagli ed si sono rovinate definitivamente; tu sei molto intelligente e meriteresti molto più rispetto di tutti quelli che si sono ritrovati la strada spianata e non hanno mai affrontato difficoltà!-

-Non sono superiore a nessuno, ho solo il merito di essere arrivato vivo fin qui, non totalmente sano di mente, ma vivo..-

-Potrai anche non crederci, ma è quello che penso, e dovresti avere un po’ più considerazione di te stesso.. guarda che hai costruito negli ultimi anni! Da quello che ho capito non avevi una vita facile, mentre ora sei in un hotel di lusso a parlare con il, modestamente, migliore coreografo in circolazione!- Sorrise tronfio, ma anche dolcemente.

-Sarà..-

-Fidati di me! E vatti a riposare che domani c’è lo spettacolo, non voglio ballerini fiacchi!-

Gli scompigliò scherzosamente i capelli; gli ricordò molto il comportamento che aveva Yuri quando lo voleva consolare di qualcosa.

Decise di non discutere e se ne andò in camera. Sembrava essere davvero tardi e infatti gli altri ragazzi in camera con lui stavano già dormendo. Fece piano per non svegliarli e si buttò in letto.

Non ci mise troppo ad addormentarsi; aveva un peso in meno sullo stomaco.

Il suo rapporto con Jermaine era davvero strano: a volte non erano per niente in sintonia, ma con lui riusciva a parlare liberamente e non si sentiva giudicato.

Un rapporto pazzo tra persone pazze, ecco che cos’era.

 

Un’immagine che ormai aveva catalogato come normale era quella di Jermaine con ancora il pugno alzato dopo averlo sbattuto ripetutamente contro la porta della sua camera: la soglia, i muri, l’hotel, la città, l’orario, i vestiti, tutto mutava tranne l’espressione del coreografo.

-Jay- constatò rassegnato in attesa di sapere che altro si fosse inventato l’uomo.

-Kei!- rispose sorridendo e facendosi largo all’interno della stanza e salutando Chayton –Dimmi che hai già la borsa pronta!-

-Quasi, ma partiamo domani mattina a che..-

-Tu parti ora!- gli comunicò più agitato del solito.

-Perché?-

-Ti ho trovato un lavoro..-

-Ma non ce l’ho già scusa?- chiese perplesso.

-Ti devi abituare ad avere più impegni contemporaneamente.. e poi mi servi!-

Kei rimase in attesa della continuazione del discorso sedendosi sul letto e osservando Jermaine camminare avanti e indietro.

-Mi ha chiamato un mio amico produttore.. gli hanno dato buca all’ultimo e gli serve urgentemente un modello per il video che deve girare quindi mi ha chiamato per chiedermi se avevo qualcuno e io gli ho detto di avere un ballerino.. tu!-

-Perché chiamano te se cercano un modello?-

-Ho tante conoscenze.. trovare qualcuno in così poco tempo è difficile!-

-Ma io che c’entro?-

-Devi iniziare a girare un po’.. e poi non dovrai fare nulla di che!-

Kei lo vide finalmente fermarsi e sventolare il suo palmare.

-Quando dovrei partire?- sospirò arrendendosi e portando avanti l’obiettivo che ormai aveva accettato di prefissarsi: vivere a fondo quell’esperienza.

Jermaine guardò l’orologio sul display facendo alcuni calcoli mentali –Ora.. mezz’ora massimo! Ti chiamo un taxi e prenoto il volo.. tu finisci di prendere la tua roba!-

Non ebbe il tempo di ribattere che il coreografo si attaccò al cellulare riprendendo a camminare avanti e indietro. Kei non aveva molte cose da mettere nel suo borsone e nel giro di dieci minuti poté tirare la zip e aspettare nuove istruzioni.

-Allora..- iniziò Jermaine facendo mente locale e iniziando a elencare tutto a partire da dove avrebbe dovuto ritirare il biglietto dell’aereo e dove era diretto, per poi cercare un foglio di carta e una penna dalla scrivania presente nella camera -..questo è l’indirizzo del posto, il nome del mio amico e tutto, ma dovrebbero venirti a prendere.. è solo per sicurezza! Poi ti diranno tutto loro..- continuò il suo resoconto cercando di non fare confusione -..tu comunque chiamami quando hai finito, a qualsiasi ora, così ti cerco il volo per il ritorno!-

In poco tempo si ritrovò catapultato in quella pazzia improvvisata, non troppo stupito o perplesso come lo sarebbe stato due mesi prima: viaggiare in aereo era diventata un’abitudine e quella vita da ‘zingaro’ non gli dispiaceva, sentiva che lentamente tutti i suoi problemi stavano rimanendo indietro e non gli dispiaceva pensarli come lontani chilometri, quanti ne aveva percorso fino a quel momento.

Fu comunque un viaggio breve e il suo aereo atterrò a fine mattinata nella cittadina californiana: come gli era stato detto, non ebbe bisogno del biglietto scritto con la calligrafia incomprensibile di Jermaine, poiché una ragazza lo attendeva all’uscita passeggeri. Come tutte le persone che lavoravano in quel settore, parlava a macchinetta di tutto, dagli impegni della giornata a discorsi sul tempo, e svolgeva ogni singola azione tremendamente di fretta.

Millicent, così aveva detto di chiamarsi, si mise alla guida della sua utilitaria e insieme si diressero verso gli studi nei quali sarebbe stato girato il video.

-Sai già di che si tratta?-

-Non proprio-

-Andrà bene vedrai.. anche se il capo è di pessimo umore!- Iniziò a descrivere le scenate a cui aveva assistito per la defezione del modello e ad elencare le scuse che questo aveva fornito, prima di cambiare discorso –Comunque sei in tour con Lauren Bright giusto?-

Kei diede segno come al suo solito di non essere predisposto alla conversazione da subito, lasciando che l’altra cambiasse ripetutamente argomento senza preoccuparsi di rispondere.

Avevano lasciato la città alle loro spalle da venti minuti buoni, quando un grande edificio si stagliò nel bel mezzo del nulla: superarono l’entrata e Millicent parcheggiò a pochi metri dall’ingresso.

-Eccovi finalmente!- un ragazzo con uno scatolone prese a parlare e li condusse nel cuore del grande hangar –Ehi John!-

L’uomo a cui si era rivolto si voltò impaziente: aveva capelli brizzolati e indossava un completo firmato, tanto che Kei intuì che quello dovesse essere l’amico di Jermaine.

-Non capisco!- esordì battendo le mani sui pantaloni esasperato, ma il motivo della sua disapprovazione non fu chiaro a Kei. che pensò di aver qualcosa di sbagliato, probabilmente di non andare bene come invece pensava il coreografo, finchè l’uomo non continuò –Io chiedo a Jay un modello e mi dice di avere un ballerino e invece mi arriva lui!-

-In verità lui è il ballerino!- intervenne Millicent cauta.

-Ah.. sei ballerino?-

Kei rimase in silenzio spiazzato da quella domanda: mesi a cercare di negare quel fatto, a non apostrofarsi nemmeno lontanamente con quel sostantivo, a non autodefinirsi tale e all’improvviso ecco una domanda diretta a metterlo in crisi. Vide John guardarlo in attesa, evidentemente irritato.

-No..- rispose senza pensarci, ma notando il cambio di espressione dell’altro prese un respiro e si corresse -..cioè sì-

-Vabbè.. non è importante ora!- riprese dopo pochi istanti di calma, lasciando che tutti si rimettessero a lottare contro il tempo –Hai mai pensato di fare il modello?- iniziò, camminando al suo fianco –No, perché sei sprecato!-

Senza aspettare risposte o cenni di assenso lo affidò nuovamente a Millicent poiché lo portasse a prepararsi per quello che avrebbe dovuto fare.

-Joan! Questo è il tuo rimpiazzo!- disse una volta che entrarono in una stanza che scoprì essere il guardaroba: al suo interno la cantante si stava cambiando d’abito aiutata da due ragazze.

-Beh meglio dell’originale!- disse lei tirandosi su i capelli corvini perché una delle assistenti le tirasse su la zip dell’abito.

Rimasto solo con Millicent gli si avvicinò un truccatore: quello era un aspetto che ancora non riusciva a digerire, ma sapeva di doversi considerare fortunato poiché, come spesso gli ripetevano, non aveva bisogno di troppi trattamenti, anzi quasi nessuno, in confronto alle sedute che toccavano ad altri. Fu infatti pronto in meno cinque minuti e fu la volta di colui che si occupò di sistemargli i capelli; ogni volta glieli accorciavano sempre di più, anche se in quel momento avvenne il taglio più drastico.

Non fece tempo a preoccuparsi della lunghezza, o meglio cortezza, del suo nuovo taglio che lo portarono a cercare un vestito di scena.

-Togliti la maglietta!- comandò una signora che lo squadrò da cima a fondo con una mano sul mento, pensierosa. Gli fece provare diverse paia di pantaloni e alla fine avevano optato per dei semplici jeans scuri: altra caratteristica di quell’ambiente ormai collaudata era l’impossibilità di provare pudore del proprio corpo, poiché era all’ordine del giorno spogliarsi davanti ad altre persone. La costumista, infatti, non si scompose nemmeno un secondo fissando ogni parte del suo corpo, finchè non prese a girargli intorno.

-Questa..?- iniziò afferrando la sottile catenella che teneva al collo –Sì, la puoi tenere, mentre.. questa non ci voleva!- disse improvvisamente da dietro alle sue spalle –Dobbiamo trovare una maglia!-

Kei potè solo intuire quello che aveva indisposto la donna, ma ne ebbe la conferma quando il produttore tornò per controllare a che punto fossero.

-Perché ha la maglia?-

-Ha una cicatrice.. se gli riprendi la schiena bisogna coprirla- rispose valutando due diversi tipi di canottiera e porgendogliene una affinchè la indossasse.

Mentre si toglieva la maglia aderente il produttore lo raggiunse per controllare lo sfregio sulla sua schiena e lo sentì condividere il pensiero della costumista.

-Ora vediamo come fare..- osservò prima di incitare tutti a darsi una mossa -..questa va bene! Su, vieni che iniziamo!-

Seguì John verso il set dove avevano appena finito di girare una scena della cantante con quattro ballerini a torso nudo.

-Allora.. come hai detto che ti chiami?-

-Kei-

-Bene Kei.. quello è il tuo set!- e raggiunsero una stanza ricoperta da un telo enorme verde –La tua parte è molto semplice.. faremo diverse riprese di varie parti della canzone con intenzioni differenti!- gli spiegò prima di mettersi a parlare con qualcun altro.

Il russo era leggermente interdetto dall’espressione ‘intenzioni’ alla quale non sapeva che significato dare, se non dopo che gli fu spiegato in dettaglio. La canzone si intitolava Afrodisiac e solo che da quello poteva intuire il perché di tutti quei ragazzi mezzi nudi di fianco a una cantante con un abito tutt’altro che casto.

Il suo compito in poche parole era quello di flirtare con Joan: non era un lavoro che necessitava di particolari abilità, se non quella di essere di bell’aspetto e Kei non la considerava propriamente un’abilità.

La prima inquadratura nel quale era coinvolto prevedeva che stessero semplicemente fermi a guardarsi, l’uno di fronte all’altra a poco più di un metro di distanza. Kei andò nel cono di luce sul grande telo e si presentò ufficialmente alla cantante, per poi voltarsi verso il produttore e il regista del video che cercavano di attirare la sua attenzione per le ultime raccomandazioni.

Solo in quel momento il ragazzo si accorse di quale sarebbe stata la difficoltà maggiore: almeno venti persone erano stagliate davanti a loro come pubblico, con l’aggiunta di diversi riflettori abbaglianti che li mettevano ancora più in luce e alcune telecamere.

Difficile essere spontanei e pretendere di flirtare con qualcuno con una platea del genere.

-Kei mostra un po’ di interesse! Bene.. e playback!-

Ci vollero diversi minuti prima che il russo si decidesse ad adottare la tattica che solitamente adoperava quando ballava: far finta di essere solo, nel suo mondo, escludere tutto ciò che era all’esterno. Se funzionava con la danza, doveva essere lo stesso in quella stramba situazione.

Le scene successive prevedevano che Joan interagisse con lui completamente fermo e poi il contrario, ma la parte più complicata fu lo stare da solo davanti alla camera da presa fingendo di guardare la bella cantante: non era un attore e nuovamente dovette dar fondo a tutta la sua buona volontà per riuscirci.

Proprio lui, colui che odiava stare al centro dell’attenzione, fingere, essere osservato o giudicato, si trovava in quella situazione paradossale e.. divertente. Perché dopo l’imbarazzo iniziale non poteva proprio negare di trovare estremamente facile comportarsi in un determinato modo; si disse che lo doveva al fatto che quelle erano azioni che nella vita reale gli riuscivano piuttosto bene e che non lo annoiavano assolutamente. Aiutava anche la bella presenza di Joan, assolutamente senza pudore e senza freni: non riusciva a credere che quello fosse considerato un lavoro e che lo avrebbero persino pagato.

-Bene, abbiamo finito!- urlò il regista invitando tutti a dirigersi verso un’altra sala nella quale avrebbero continuato con l’ennesima scena.

-Tu hai finito!- gli disse il produttore avvicinandosi e stringendogli la mano –Ci hai salvato.. grazie e salutami Jay!-

-Certo-

Andò a riappropriarsi della propria roba, rimasta nel guardaroba, e una volta che si fu cambiato cercò un posto dove lasciare i pantaloni e la maglia.

-Tienili pure..- lo incoraggiò la costumista con un sorriso -..ti stanno bene!-

Non potè rifiutare e infilò il tutto nella borsa, per poi andare a cercare Millicent, incaricata di portarlo nell’albergo dove avrebbe passato la notte.

La trovò nella stanza dove stavano continuando le riprese, nuovamente con i quattro ballerini, ma l’atmosfera non sembrava rilassata come quando giravano le sue scene, anzi il regista era piuttosto arrabbiato.

-Risolvo qui e andiamo.. non hai fretta vero?- gli chiese Millicent e lui ovviamente le disse che non doveva preoccuparsi.

Osservò l’avviarsi di un lungo dibattito e poi la ripresa a rilento della registrazione: si mise in un angolino e poggiò a terra la borsa aspettando. La canzone che ormai sapeva a memoria continuava a risuonare nell’aria, interrotta e ripresa in continuazione senza apparente senso logico. Preso dalla noia prese a tenere il tempo con le mani, finchè non iniziò ad accennare qualche passo, sempre nascosto dall’ombra della sua postazione. Scaricò un po’ della tensione di quella ormai lunga giornata, fino a quando Millicent non fu finalmente libera di andare.

Si diressero nuovamente verso l’automobile della ragazza e partirono.

-Sai, Joan ha detto a John di prendere direttamente te la prossima volta..- rise osservando l’espressione perplessa del russo -..ti ha visto ballucchiare nell’angolo!-

Kei non rispose lasciando che, come all’andata, Millicent si lasciasse trascinare da una serie infinita di discorsi. Una volta nel piccolo hotel, ma molto accogliente, salutò la ragazza e la ringraziò prima di ricordarsi di dover chiamare Jermaine per capire come sarebbe tornato insieme agli altri.

Si sdraiò sul letto osservando l’ennesimo soffitto e ascoltando i bip che avrebbero preceduto la sua conversazione.

-Avete già finito?-

-Guarda che è passata mezzanotte-

-Beh, pensavo ci avreste messo di più.. è andato tutto bene?-

-Sì-

-Perfetto.. allora, pensavo.. non sei troppo lontano dalla prossima tappa.. il treno ti va bene?-

 

Il mattino seguente abbandonò l’albergo, pagato dalla produzione, piuttosto presto per dirigersi alla stazione della cittadina. Il viaggio, come il giorno prima, non fu pesante e in due ore scarse Kei si ricongiunse con la ormai familiare crew di Lauren Bright.

-Ti ripeto che sei fortunato ad avere Jay che pensa così tanto a te!- gli disse Chayton una volta in camera –Avessi avuto io uno come lui..-

Si perse nel racconto di alcune vecchie brutte esperienze, mettendo ordine nelle sue cose buttate alla rinfusa nella valigia. Kei lo ascoltò, ormai abituato al modo ironico e divertente dell’altro di raccontare le cose, fino a quando un messaggio sul cellulare da parte di Jermaine lo costrinse ad incontrare il coreografo nel bar dell’hotel.

-Potevi direttamente bussare alla mia porta..- gli disse quando lo raggiunse al tavolino dove era seduto l’uomo -..non lo fai mai-

-Ma allora sei spiritoso anche tu!- lo accolse Jermaine con il suo solito sorriso –Allora com’è andata?- gli chiese, probabilmente sperando che il ragazzo avrebbe aggiunto qualche dettaglio maggiore rispetto a quando gli aveva posto la stessa domanda per telefono: ovviamente sbagliava.

-Te l’ho già detto..-

-Dai, raccontami un po’! Che hai dovuto fare?-

Kei minimizzò in poche parole tutta una giornata soffermando sugli aspetti generali.

-E ti saluta il tuo amico-

-Lo credo.. lo salvo sempre! Sapessi quanti favori che mi deve!-

Rimasero in silenzio qualche secondo, osservando la cameriera che portava le loro ordinazioni.

-Quindi non ci sono stati problemi? Non hanno fatto storie per la cicatrice?-

-Come lo sai?- chiese, domandandosi se il coreografo non avesse parlato per caso con John.

-Quindi ti hanno detto qualcosa?- disse prima di continuare vedendo Kei annuire –Ci ho pensato dopo.. è che di solito stanno attenti a questi particolari.. per il fattore estetico! Purtroppo è una cosa che devi specificare per questi lavori.. fosse piccola, ma la tua è bella grossa!- constatò assottigliando gli occhi –Si può sapere come te la sei fatta?-

Kei sorseggiò il suo caffè americano senza dire nulla, fissò l’altro intensamente, cercando una risposta vaga nel suo repertorio; non aveva intenzione di parlare di quello in quel momento e in quel luogo.

-Ero un ragazzino spericolato- si rabbuiò, sperando che l’altro si bevesse quella bugia e lasciasse cadere il discorso.

-Lo prendo come un no!- rise Jermaine stemperando la situazione e cambiando immediatamente discorso –Quindi Joan.. gran donna.. hai avuto l’occasione di baciarla?-

Kei annuì, rasserenandosi della prontezza del coreografo; sapeva che, in un’altra occasione, probabilmente lo avrebbe assillato fino a sfinirlo per ottenere una risposta, più o meno come faceva spesso Takao, ma in quel frangente aveva lasciato perdere e gliene fu grato.

 

 

Buonasera!

Qui le cose stanno andando troppo veloci e io.. beh io non ci sto capendo più nulla! E posso dirvi ufficiosamente che questo è.. il terzultimo capitolo! O almeno, escludendo pazzie improvvise, dovrebbe esserlo! Quindi ancora due capitoli prima di lasciarvi..

 

Blabla Time

Solo una piccola curiosità riguarda la canzone di questo fantomatico video.. la cantante ovviamente l’ho inventata, ma la canzone, ahimè, esiste u.u per chi fosse interessato mi sono figurata ‘Afrodisiac’ appunto di Brandy. Ma non so se può interessare.. era che volevo mettere uno dei miei “Time” che ormai sono entrati nel gergo comune! XD

 

Quindi.. non so che ne pensate di tutto ciò.. anche perché non scrivete più O_o ma vabbè.. si vede che non avete niente da dire e purtroppo non so che farci con questo!

Grazie come sempre a tutti quanti!

Alla prossima settimana..

Un bacione :)

 

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Capitolo 45
*** Fast Car ***


Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare

Inizi un po’ a morire

 

 

 

Fast Car

 

 

 

Sentiva chiaramente aleggiare l’inquietudine che accompagnava dicembre; la avvertiva nell’aria, nelle sue azioni, ma la teneva il più lontano possibile dai suoi pensieri.

Si era ripetuto mille volte quanto fosse solo frutto della sua immaginazione, che non c’era nulla di scritto e deciso, solo una sua convinzione troppo radicata, ma che era solo frutto di una serie di coincidenze. L’anno precedente ne era stato la prova: ripensandoci lucidamente, a distanza di tempo e con meno pesi sul cuore, poteva affermare che la depressione di dodici mesi prima se la era cercata e creata con le sue stesse mani, plasmata da lui stesso pur di non rialzarsi, per non affrontare il presente.

Cazzate le sue, di cui doveva liberarsi, dalle quali doveva assolutamente prendere le distanze: l’ambiente lo aiutava nel suo scopo, anche se un principio di influenza che lo colpì in quei primi giorni di dicembre, misero a dura propria la sua determinazione.

Salutò Chayton, pronto di tutto punto per il suo appuntamento con una delle costumiste, la sua nuova fiamma, e si buttò sul letto sperando che il mal di testa si attenuasse: girò la testa di lato osservando la finestra dalla quale poteva vedere il manto blu scuro del cielo di quel tardo pomeriggio. Amava le giornate corte invernali e si soffermò su quel dettaglio piacevole chiudendo gli occhi.

Proprio quando sembrava aver raggiunto la pace sentì il cellulare vibrare contro la superficie marmorea del comodino: si prese almeno trenta secondi prima di decidersi a rispondere.

-Pronto?-

-Ehi!- Rei lo salutò calorosamente; non parlava con lui da diverso tempo, poiché, le poche volte che si attaccava al cellulare, i suoi amici si alternavano per ottenere una rara conversazione col russo –Come va?-

-Bene, a parte un po’ di mal di testa-

-Ti stai riposando o stai strafacendo come al solito?-

-Riposo..-

-Bravo..- si interruppe e Kei riaprì gli occhi cercando di abituarsi al buio della stanza, aspettando che l’altro riprendesse a parlare -..mi chiedevo.. come procedeva..-

-Te l’ho appena detto-

-No, intendevo.. con quel piccolo problema con dicembre!-

Al russo scappò un sorrisetto constatando che Rei si fosse ricordato di quel fattore, allineandosi con la sua linea di pensiero.

-Cerco di superarlo..-

-Quindi posso stare tranquillo?-

-Direi di sì..-

-E posso contare sul fatto che ne parlerai con qualcuno nel caso..-

-Questo non te lo posso assicurare-

-Immaginavo! Ne vuoi parlare adesso?-

Kei si rigirò valutando l’offerta e accoccolandosi meglio sul materasso.

-No, dovrei aver fatto pace col mio fantasma personale-

-Se dovessi cambiare idea sappi che..-

-..ho il tuo numero-

-Ecco!-

Il russo cambiò nuovamente posizione, trovandone finalmente una comoda e favorevole per il suo mal di testa.

-Vuoi riposarti? Butto giù se..-

-No..- lo fermò senza pensarci e chiudendo gli occhi nuovamente -..tu come va?-

-Io? Bene..- rispose incerto il cinese.

-Raccontami qualcosa-

-Riguardo?-

-Quello che vuoi.. gli altri, la scuola, Mao..- elencò sovrappensiero.

-L’ultimo punto è un po’ complicato ultimamente..-

-Sì? Come mai?- prese al balzo quel dettaglio per indagare.

-Beh..- Rei prese un respiro prima di convincersi a confidarsi -..è colpa della lontananza e..- iniziò a raccontare dei problemi che lo affliggevano, dei suoi dubbi, di una nuova ragazza che aveva conosciuto, ma per la quale non sapeva cosa provava. Kei lo ascoltò in silenzio, dando solo cenno della sua attenzione ogni tanto: valutò il cambio di ritmo e di tonalità della voce dell’amico nel passare da momenti di sconforto ad altri di rabbia. Acquisì tutte le nuove informazioni anche quando il cinese cambiò discorso e portò avanti le sue opinioni sui nuovi avvenimenti che regnavano nel dojo, senza però dare opinioni o giudizi.

Non sapeva catalogare ciò che lo aveva spinto a prolungare a quel modo quella telefonata, semplicemente sentiva il bisogno di estraniarsi completamente da quel mondo che lo attorniava e allo stesso tempo di qualsiasi cosa riguardasse se stesso e le sue paturnie: voleva normalità, qualcosa da osservare dall’esterno, come sarebbe potuto essere accendere la televisione, guardare un film o ascoltare della musica. Non considerò la possibilità che affiorò nella sua mente riguardo la vaga probabilità di stare provando nostalgia del Giappone; anche fosse stato così, non lo avrebbe ammesso.

-Anche al telefono riesci a farmi deviare i discorsi su di te-

-Devi arrenderti all’evidenza-

-Mi sa che sarebbe meglio!- annuì tra una risata e l’altra il cinese –Grazie della chiacchierata!-

-Mh.. ti farò una ricarica-

-Ci conto!- scherzò Rei prima di accertarsi nuovamente che il russo stesse bene e salutarlo.

Lasciò scivolare il cellulare sul materasso, guardandolo fermarsi a pochi centimetri dal suo volto e abbandonandosi alla stanchezza del suo corpo influenzato.

Riaprì gli occhi un indefinito tempo dopo: il buio della stanza non era cambiato, le tende sempre aperte lasciavano trasparire solo le vaghe luci del parco dell’albergo.

Chayton non era ancora nel suo letto, ma Kei non si aspettava comunque che tornasse: mentre cercava di mettersi prono, urtò con la mano contro il cellulare e ne approfittò per controllare l’ora. Si era addormentato per poco meno di due ore e lo testimoniava il fatto che si sentisse completamente rintronato.

Si mise seduto lentamente, valutando la possibilità di cercare di riprendere sonno: una strana sensazione all’altezza dello stomaco lo convinse che, invece, probabilmente sarebbe stato meglio andare a mangiare qualcosa, nella speranza di recuperare le forze.

Varcò la porta con una mano sulla tempia e mugugnò quando la luce potente del corridoio gli occupò la vista: una volta abituato si diresse verso l’ascensore e premette il tasto di chiamata.

Si trovava al quarto piano di un hotel di cinque e, per questo motivo, si spazientì nel notare il lungo periodo di attesa: quando, finalmente, le porte scorrevoli del mezzo si aprirono davanti a lui dopo cinque minuti buoni, fece per entrare, ma l’ammasso di persone chiassose che vi erano sopra lo convinsero a tornare indietro. Provò a richiamarlo di nuovo, ma, dopo poco si arrese e decise che per la sua salute mentale sarebbe stato meglio prendere le scale.

Impiegò un po’ per trovarle, visto che erano state nascoste, probabilmente per valorizzare l’aspetto estetico e moderno dell’hotel: aprì la porta che portava sul pianerottolo e si accorse di non essere da solo. Pochi scalini più in basso, la chioma bionda di una figura seduta fece capolino e lo guardò rabbuiata.

-Che ci fai qui?- chiese Kei iniziando a scendere.

-Mi nascondo..-

-Ottima scelta- disse il russo arrivato alla sua altezza.

-Dove vai?-

-A mangiare-

-Quando torni su non è che mi puoi portare qualcosa?-

Kei la guardò perplesso dalle richieste sempre più strambe di Lauren: doveva persino farle da facchino?

-Possibilmente molto fritto e molto calorico!-

-Non ce l’hai una dieta da seguire?- la prese in giro.

-Ci sono momenti in cui bisogna mandare a quel paese qualsiasi scrupolo!- rispose solenne, per poi unire le mani come per pregarlo –Per favore!-

Il russo sbuffò senza darle una risposta chiara e scendere verso il piano terra.

Passò al self service, dove era possibile portare via il cibo, e riempì il vassoio con i diversi contenitori di alluminio e due bottigliette d’acqua; prese il tutto e tornò verso le scale, salendo i piani che lo separavano dalla ragazza.

-Sei già qui?- rispose lei togliendosi le cuffiette dalle orecchie.

Kei non le rispose e le porse uno dei tre contenitori, uno lo poggiò sugli scalini, mentre l’ultimi se lo tenne sedendosi e appoggiando la schiena al muro.

-Guarda che potevi mangiare giù tu!-

-C’era troppo casino di sotto..- rispose facendo spallucce -..e io ho mal di testa-

-Buon appetito allora!- trillò la cantante togliendo il cartoncino che ricopriva il suo pasto e iniziando a mangiare –Non hai detto a nessuno che ero qui vero?-

-No.. visto che ti stai nascondendo..-

-Grande..-

-Dagli insulti ai complimenti.. si fanno passi avanti- notò lui indifferente.

-Ma ti ho insultato solo una volta.. e perché ero nervosa!- ricordò la prima occasione in cui avevano parlato, la quale era stata susseguita da una serie di incontri molto più civili, ma soprattutto divertenti.

-Sai..- disse tra un boccone e l’altro -..alla fine ho scoperto chi aveva spifferato la faccenda del concerto di Vancouver..- e iniziò a raccontare di un argomento di cui avevano già discusso altre volte -..secondo te ho fatto bene?-

-Perché ti interessa tanto la mia opinione?-

-Perché sei talmente antipatico che mi dici le cose senza mezzi termini e con sincerità!- gli fece la linguaccia.

Kei non le rispose, ma, notando lo sguardo in attesa dell’altra, riprese a parlare spazientito –Sì, hai fatto bene..- raspò con la forchetta in quello che rimaneva della sua cena, per poi prestare nuovamente attenzione a Lauren –Non riesco a capire come tutti si interessino alla vita di una persona.. neanche ti conoscessero..-

-Questo è un discorso complicato!-

-No, è semplice.. è senza senso-

-Invece ci sono tante spiegazioni psicologiche interessanti!-

-Ma ti da fastidio, ne scappi, ti lamenti..-

-Per uno che è contro queste cose fai fin troppe domande..-

-Le mie sono constatazioni.. e poi stiamo avendo una conversazione, non conta-

-Sarà..-

-Ne vale la pena?- chiese Kei curioso della risposta.

-E’ vero, a volte mi lamento, ma in verità devo solo che ringraziare tutte queste persone.. te l’ho già detto: mi permettono di vivere facendo quello che amo..-

-Mi chiedo solo il gioco valga la candela-

-Assolutamente sì!- esclamò senza pensarci e lasciando un sorriso fare capolino sul suo volto –Ho la possibilità di comunicare col mondo, di fare ascoltare quello che ho da dire.. emozioni da trasmettere..-

-E c’è bisogno di farlo col mondo intero?-

-Mi andrebbe bene anche cantare in un piccolo bar di provincia, ma.. le persone hanno deciso che la mia musica vale la pena di essere ascoltata, di identificarsi con le mie canzoni.. sarei egoista a tenere tutto per me stessa.. il mio lavoro, la mia arte è riconosciuta ed è un’emozione troppo forte per lasciarla scivolare via!-

Poggiò il contenitore ormai vuoto su un gradino e fu costretta ad abbassare lo sguardo quando incontrò gli occhi indagatori di Kei.

-Questo cos’è?- chiese la ragazza riferendosi al terzo contenitore ancora intatto.

-Il dolce-

-Mi hai preso proprio alla lettera allora!-

-Se non lo vuoi lo mangio tutto io- disse il ragazzo togliendo il coperchio e rivelando due fette di torta.

-Non posso dire di no!- si affrettò a correggersi la cantante afferrando una porzione: ripresero a mangiare in silenzio –E tu? Perché proprio il ballerino?-

-Non l’ho propriamente scelto.. è successo per caso- rifletté il russo.

-Però ti sei trovato bene.. e hai continuato..- aggiunse lei cercando di addentare un pezzo del dolce che stava per cadere.

-Per ora-

-Vuoi dire che lasceresti tutto questo?- chiese stupita.

-Non lo so..-

-Parliamo francamente.. cosa c’avrai mai di meglio da fare?-

-Mh.. che ne so.. dovrei finire la scuola ad esempio..-

-Sul serio?- chiese spalancando gli occhi perplessa.

-Non lo so- rispose infastidito da quello sguardo.

-Secondo me ti mancherebbe troppo.. io non potrei mai fermarmi, ne sento proprio il bisogno fisico.. ovviamente se non è il tuo caso, non c’è molto da insistere, però.. non so..-

Kei cercò di non soffermarsi troppo sull’espressione ‘bisogno fisico’ sapendo fin troppo bene cosa volesse dire, non solo se abbinato a quel lavoro.

-Posso darti la mia opinione?- insistette Lauren.

-Dipende..-

-Hai detto che è accaduto tutto per caso..- il russo annuì lasciandola continuare, comprendendo solo in quel momento che piega avesse preso quella conversazione -..se non l’hai scelta tu direttamente questa strada.. beh, è come se la danza avesse scelto te!-

-Non metterti a parlare come Jay per piacere- sbuffò lui.

-Quell’uomo sarà anche infantile, ma su molte cose ha ragione! Comunque.. è come se il tuo percorso fosse stato scritto, tutto quello che hai fatto è stato per portarti fino a qui..-

-Non ci credo a queste cose..-

-Non credi nel destino?-

-No.. più nelle scelte..-

-Ti contraddici.. secondo la tua teoria questa strada l’avresti scelta tu..-

-Sì l’ho scelta, ma mi si è presentata per caso.. non l’ho cercata io..-

-Quindi se l’hai scelta una volta, perché non dovresti farlo anche una seconda e una terza e riempirne la tua vita?-

-Non mi piace fare progetti.. mi concentro sul presente-

-Comunque preferisco vederla in modo poetico.. la vedo bene.. una figura che rappresenta la danza che ti prende per mano e ti guida e accoglie!-

Kei alzò un sopracciglio sempre più perplesso –Hanno messo dell’LSD nella tua fetta?-

Lauren lo guardò incredula e autoritaria –Sono un’artista io.. vedo il mondo in un modo diverso!-

-Come vuoi- disse il russo impilando i tre contenitori vuoti.

-La tua freddezza mi sconvolge- constatò altera alzandosi –Sarà meglio che vada.. se no mi daranno per dispersa!-

-Sicura che ti cercassero? Non è grande questo hotel.. ti avrebbero trovata- la prese in giro dirigendosi con lei verso la porta sul pianerottolo.

-Ormai nessuno si avvicina più alle scale con la comodità dell’ascensore.. è il posto più sicuro!- gli spiegò con un sorrisetto –Ovviamente questo discorso non vale per te.. sicuro di essere una persona normale?-

-Per niente- disse tenendole aperta la porta per farla passare.

-Ah ecco, appunto.. mi era venuto il dubbio!- constatò alzando l’indice al cielo e superandolo.

Kei la salutò, constatando, una volta entrato in camera sua, che il mal di testa gli era passato: diede il merito al cibo e alla chiacchierata che lo aveva tenuto occupato. Decise comunque di andare a dormire presto per non rischiare una ricaduta, soprattutto poiché il giorno successivo sarebbe stato giorno di spettacolo.

Che quella fosse realmente la sua medicina?

 

Come aveva previsto, il giorno di Natale rimasero in pochi, la maggior parte degli altri ballerini era tornata  a casa approfittando dei tre giorni liberi proprio durante le feste.

Erano tutti contenti di poter passare quella festività a casa con i familiari, le persone care: erano rimasti solo in quattro più qualche attrezzista per motivi ignoti a Kei: questi, però, avevano organizzato comunque un pranzo di Natale nel ristorante dell’albergo poiché non volevano rinunciare a un’atmosfera serena e ai festeggiamenti.

Kei appena venutone a conoscenza se ne era tenuto fuori: se c’era una cosa che non comprendeva era proprio il Natale. Non lo aveva mai festeggiato veramente, l’unica volta era stato l’anno prima, ma non si era concluso propriamente con pace e amore, anzi si era rivelato un totale fallimento.

Non avrebbe potuto sopportare tutte quelle persone felici per la nascita del redentore che si dimostravano buoni verso il mondo intero.

I suoi piani si erano risolti in un semplice isolamento nella sua stanza, come se fosse stato un giorno qualsiasi; per lui in fondo quello era proprio un giorno qualsiasi.

Quello che però non aveva previsto era il fattore Jay. Non avrebbe dovuto abbassare la guardia nemmeno un secondo e, invece, cercare di mantenere le distanze da lui il più possibile, ma non lo fece e si lasciò coinvolgere nella conversazione che gli avrebbe, ne era certo, portato problemi.

-Dai vestiti e esci, ah portati un cambio per domani!- Jermaine costrinse Kei a fare come diceva e lo aspettò sullo stipite della porta.

Senza sapere nemmeno come, Kei si ritrovò catapultato su un taxi verso una direzione ignota.

-Ah a proposito.. buon Natale Kei!-

Il ragazzo fulminò l’altro con gli occhi non appena partirono.

-Si può sapere dove mi stai portando? Non dovevi andare a festeggiare il Natale dai tuoi?- chiese cercando di marcare il suo disprezzo verso ciò che si apprestava a fare, sicuramente qualcosa di spiacevole.

-Appunto! Abitano nella cittadina qui vicino! Vedrai ti piaceranno!-

-Mi stai portando dalla tua famiglia?!-

-Dai non farne una tragedia! Credevi davvero che ti avrei lasciato festeggiare il Natale da solo in quell’albergo?-

-Ma io non avrei festeggiato- lo guardò speranzoso che si rivelasse tutto un brutto incubo.

Lui del Natale non ne voleva proprio sapere. Da quello che aveva capito oltretutto la famiglia di Jay era religiosa e, se avessero avuto anche solo la metà della sua esuberanza, sarebbe stato davvero terribile.

-Calmati! Andrà tutto bene!-

-Ma non saranno un po’ contrariati ad avere un estraneo in casa?- lo sperava.

-Mia madre accoglie sempre tutti a braccia aperte! Sarà contenta di vedere che ho portato qualcuno.. anche se lei preferirebbe che portassi una ragazza!-

-Quindi non lo sa nemmeno? Perfetto..-

Il broncio di Kei si fece ancora più marcato mentre Jermaine continuava a tranquillizzarlo elencando tutti i parenti che avrebbe conosciuto. Cercò di ignorarlo, ma fu difficile non deprimersi.

-Com’è che da qui sei finito in Giappone?- gli domandò il russo curioso, osservando il paesaggio nel quale sfrecciavano.

-Lavoro.. vado dove mi porta la mia danza!- rispose l’uomo osservando l’altro scuotere la testa esasperato.

Arrivarono dopo un’oretta e mezza davanti ad una bella casa di periferia: l’esterno era addobbato a festa, l’esterno era tinto di un giallo acceso e tutto, dal cancello alla porta, dava la sensazione di qualcosa di zuccheroso.

Kei non tentò nemmeno di nascondere l’espressione esasperata.

Nemmeno ebbero messo piede nel vialetto che sentirono un picchiettare alla finestra del piano inferiore e aprirsi la porta di ingresso, dalla quale fuoriuscì una donnona nera che indossava un grosso vestito a fiori.

-Manny caro! Finalmente sei arrivato, ti stavamo dando per disperso..- la donna si era avvinghiata a Jermaine e lo stava stritolando affettuosamente, staccandosi ogni tanto per vedere quanto era “ingrassato il suo figliuolo”, poi finalmente si accorse di Kei. –E lui chi è?-

-Lui è Kei, il ragazzo di cui ti parlavo sai? Sarebbe rimasto da solo in albergo e allora ho pensato di proporgli di venire con me!-

Il russo non sapeva se essere più contrariato di essere già stato oggetto di discussione tra Jermaine e sua madre o per la bugia sul fatto che gli era stato proposto di venire, quando in realtà era stato costretto con l’inganno. Cercò comunque di dimostrarsi gentile.

-Piacere signora Crowde- le strinse la mano, ma fu letteralmente incastrato in un forte abbraccio.

-Sei il benvenuto, nessuno dovrebbe starsene da solo a Natale! E chiamami Fara, caro!-

Si sforzò di sorriderle mentre veniva trascinato in casa, ma ne uscì solo una strana smorfia.

L’interno era ancora più festaiolo dell’esterno, pieno di addobbi e colori, e pieno di persone, tanto che non sembrava abbastanza grande per contenere tutte le persone presenti.

Venne presentato a tutti, ma non si ricordò nemmeno un nome alla fine del giro; sperò vivamente di non essere costretto a chiamarne qualcuno perché altrimenti sarebbe stato un guaio.

Jermaine lo raggiunse dopo aver salutato calorosamente tutti i suoi familiari, e lo portò in una grande sala dove stavano stipati un grande albero e un’enorme tavola imbandita.

Era già l’ora di pranzo e si accomodarono tutti a tavola. A Kei sembrò un miracolo che ci stessero tutti; lui era capitato tra Jermaine e un signore di mezza età, lo zio di Jermaine, mentre di fronte aveva una ragazzina, che doveva avere al massimo 10 anni, molto silenziosa, ma che lo guardava incessantemente.

Quando arrivò la prima portata faceva molto caldo e tutti quei sorrisi e gesti affettuosi fecero sentire il ragazzo ancora più fuori posto.

Per fortuna la sensazione di disagio andò attenuandosi minuto dopo minuto. Cercò di non inserirsi nei discorsi se non era direttamente interpellato, cosa che accadde spesso, più di quanto Kei sperasse. Per un quarto d’ora buono si ritrovò addirittura ad essere l’argomento principale di conversazione: Jay elargì complimenti e commenti positivi sul suo modo di ballare, e su quanto si trovasse bene a lavorare con lui.

-Mi stupisce ogni giorno che passa!-

Non mancò la fatidica domanda sul colore dei suoi occhi alla quale elargì la solita vaga risposta e ripetuta ormai tantissime volte.

Per fortuna il padre di Jermaine, un uomo che di fianco alla moglie sembrava piccolissimo, con gli occhiali spessi, spostò la discussione sulla mancanza di responsabilità del figlio che non si decideva  a mettere la testa a posto.

-Sì, dov’è finita quella.. com’è che si chiamava? Kelly, Jenny, Penny?- aggiunse la sorella minore di Jermaine, una ragazza molto carina, abbastanza in carne, che, nonostante fosse la più piccola, era già sposata con tre figli.

-Ma quella è storia vecchia! E’ da tanto che non ci sentiamo più!- si difese Jermaine.

-Che peccato, era tanto cara!- rifletté Fara, mentre toglieva i piatti usati.

-Sapesse che tipo era in verità non direbbe così!- bisbigliò il coreografo all’orecchio di Kei per non farsi sentire da tutto il parentado.

Kei sperò che non ci fosse più nulla da mangiare. Si sentiva pienissimo, era tutto delizioso, ma le porzioni davvero troppo abbondanti e non poteva assicurare di riuscire a ingurgitare ancora qualcosa.

Quando gli servirono una grossa fetta di torta si sentì leggermente male, ma non poteva non assaggiare quel dolce che, a quanto gli stavano raccontando, era costato tanta fatica a Fara.

Solo mentre cercava di mangiare quella marea di panna e cioccolato si accorse di essere ancora l’oggetto continuo di osservazione della ragazzina seduta di fronte a lui. Non appena incrociò il suo sguardo, la bambina si concentrò sulla torta nel suo piatto arrossendo.

Kei diede la colpa al caldo di quella stanza e al tanto cibo e cercò di non guardarla più.

Finirono di pranzare ad un orario improponibile: nessuno si era accorto che erano arrivate le cinque e diedero la colpa alla buona cucina e al divertimento della conversazione.

Si spostarono in un salottino dove c’erano un divano e delle poltrone e ( Kei notandolo rimase allibito) un altro albero di Natale. Sotto di questo però stava una pila enorme di pacchetti e pacchettini di ogni forma e colore.

Tutta la famiglia si ritrovò lì riunita a scartare i regali ridendo serenamente e scambiandosi baci e abbracci.

Kei non poté fare a meno di notare quanto fossero affiatati come famiglia: non gli era mai capitato di assistere a un’atmosfera del genere, pensava fosse possibile solo nei film, invece era lì proprio davanti ai suoi occhi.

Anche il Natale prima si era ritrovato circondato da tante persone e tanto amore verso quella festa, ma, anche se la famiglia di Takao era molto unita e ci fossero i suoi amici, era completamente diverso: il padre e il fratello di Takao erano sempre in viaggio e Nonno J era amorevole tutto l’anno.

In quel quadretto familiare si divertì ad osservare i svariati tipi di regali che venivano aperti, dagli oggetti per la casa ai vestiti, ai giochi per i tre bambini presenti in casa.

Jermaine ricevette da sua madre una sciarpa fatta a mano con tanto amore e, anche se dalla sua espressione sembrava non esserne troppo entusiasta, abbracciò la madre calorosamente e la ringraziò.

Mentre scorreva lo sguardo sulla scena, seduto sul bracciolo del divano, incrociò di nuovo lo sguardo con la bambina di prima, Emily se aveva capito bene. Lei ebbe di nuovo la stessa reazione di poco prima, abbassando lo sguardo e concentrandosi sul suo nuovo diario segreto.

A distoglierlo dai suoi pensieri fu Fara che gli chiese se avesse portato qualche regalo.

Lui rispose che li aveva già aperti quella mattina, anche se non era vero; aveva raccomandato tutti di non fargli regali, ma era sicuro che quella risposta avrebbe solo fatto preoccupare la donna che si stava impegnando in tutti i modi per farlo sentire parte della festa.

Kei trovava molto difficile riuscirci, considerando quello che pensava a riguardo del Natale, ma si sforzò per non rattristarla: aveva un viso tanto buono e gentile che non se la sentiva di rovinarle la giornata. Kei si disse che quella era l’espressione che avrebbe dovuto avere una madre; di nuovo non aveva termini di paragone perché anche a Takao mancava la figura materna, ma era convinto che anche lei doveva aver avuto quello sguardo.

Fara, però, non era la sola a cercare di far sentire a suo agio Kei, infatti anche Jermaine non perdeva occasione per stargli vicino e cercare di infondergli un po’ di spirito natalizio.

Fu molto soddisfatto quando vide spuntare un sorriso sul volto del ragazzo, uno di quelli sinceri, quelli che riservava sempre per le occasioni davvero speciali, mentre il nipote più piccolo dell’uomo, che doveva avere solo 3 anni, battezzò il suo orsacchiotto nuovo col nome del nonno.

Si fece ancora più tardi e nessuno sembrava intenzionato a fermarsi anche per cena, sempre che qualcuno avesse ancora avuto bisogno di cenare.

Piano piano la casa si svuotò e a Kei sembrò che, ad ogni persona che varcava la porta, la stanza si facesse sempre più grande.

Gli ultimi ad uscire furono la sorella di Jay con la sua famiglia. Sia lei che suo marito salutarono il ragazzo con due baci sulle guance e esortarono i figli a fare lo stesso chiamandolo ‘zio Kei’.

I due più piccoli si dovettero far convincere e ci misero un po’ ad acconsentire, a Kei sarebbe andato bene anche evitare, ma non obiettò: mentre Emily, che non aveva smesso un secondo di fissarlo, gli si avvicinò contenta e con un sorriso da un orecchio all’altro senza esitazioni.

Gli scoccò un bacetto sulla guancia e gli augurò ancora ‘Buon Natale’.

La bambina si allontanò ancora più contenta e sparì dietro la porta.

Kei, che si era dovuto abbassare per essere all’altezza dei bambini, si rialzò confuso; quando si girò si ritrovò faccia a faccia con un Jermaine più sorridente che mai.

Non potè fare a meno di notare quanto somigliasse a quella bambina.

-Che c’è?-

-Hai fatto colpo!-

-Cosa stai dicendo?-

-Me l’ha detto prima quando non guardavi!-

-Ma di cosa stai parlando?-

-Di mia nipote! Le piaci!-

Molte cose si spiegarono con quelle semplici parole. Aveva fatto battere il cuoricino di una bambina, gli mancava giusto quello.

Lasciò cadere il discorso cercando di allontanarsi da Jermaine; ora che erano rimasti solo in quattro in casa doveva ammettere che l’ambiente era molto più respirabile e spazioso.

Fara si offrì di scaldare qualcosa per cena, ma Kei le assicurò che stava benissimo anche così e che non sarebbe riuscito a mangiare più nulla.

L’unica cosa di cui aveva bisogno era una sigaretta, ma non sapeva come allontanarsi.

Cercò di non pensarci tenendosi occupato decidendo quindi di aiutare Fara a mettere in ordine la sala da pranzo.

Iniziarono a sparecchiare e portare tutto nella grande cucina dove caricarono la lavastoviglie.

-Spero ti sia trovato bene oggi!-

-Sì molto- non poteva considerarla una bugia, anche se non era il suo habitat ideale aveva trascorso una giornata diversa e piacevole, anche se molto (troppo) zuccherosa.

-Volevamo anche invitare la cugina di Manny, ma lei ha altri quattro bambini e non avrei saputo dove metterli!-

Kei si stupì alla notizia dell’esistenza di parenti mancanti all’appello, per di più con altri quattro bambini, anche se ciò che notava divertito era sempre il nomignolo con il quale la donna si rivolgeva al figlio.

-Come avrai capito la nostra è una famiglia numerosa, l’unico che sembra non voler portare avanti la tradizione è quello screanzato di mio figlio!-

Jermaine sentendosi interpellato cercò di difendersi, ma si arrese dopo poche battute scoccando un bacino alla madre.

Stavano togliendo le ultime cose rimaste sul tavolo, quando Fara partì con un resoconto dettagliato di tutte le attitudini della famiglia, di quando i suoi figli erano piccoli e di quanto fossero vivaci e cose così.

-Jermaine dammi una mano a riportare di là questo tavolo!- Jay partì con suo padre col tavolo in mano, che doveva essere portato in un'altra stanza.

Al loro ritorno le pulizie erano già terminate e Kei era sommerso da una serie di album e fotografie varie sparse.

-Mamma! Non mi dire che sono le mie!-

-Ma certo che sono le tue! Guarda caro, qui mio figlio era al suo primo saggio!-

Kei prese in mano una foto che ritraeva un piccolo bambino nero, molto magro e con i vestiti troppo larghi per lui e un riconoscibile sorriso, che sembrava lo stemma di famiglia. 

Le foto con il piccolo Jay con indosso diversi costumi di scena erano infinite; già da piccolo aveva iniziato a studiare danza e sembrava averle provate in pratica tutte. Dalla classica al tip tap, dall’hip hop ai balli da sala, una moltitudine di immagini testimoniavano quel grande amore che viveva ancora in lui.

Finalmente le foto a carattere artistico finirono e iniziarono quelle normali, dei suoi compleanni e della scuola. Era sempre attorniato da una folla di gente, che fossero amici o parenti erano sempre tantissimi: ciò che accumunava tutte le foto era comunque quel grande sorriso amichevole e a volte un po’ sfacciato. Jermaine prese a commentare tutte le situazioni con foga, indicandosi  anche se Kei lo avrebbe potuto riconoscere in mezzo a mille solo che da quel dettaglio.

Dopo svariate ricerche, trovò finalmente una foto in cui era serio, cioè aveva solo un principio di sorriso e non guardava in camera. Era girato a tre quarti ed era seduto su quello che poteva essere un grande prato: doveva avere all’incirca l’età di Kei.

-Questa è la mia preferita!- disse la madre del coreografo osservando fiera la foto. All’improvviso si chinò a cercare qualcosa tra la miriade di scatti che teneva in una scatola di scarpe.

Quando ne uscì, aveva in mano una fotografia molto più vecchia, doveva essere stata scattata con una delle prime macchine a colori e rappresentava un ragazzo sui diciott’anni appoggiato ad uno steccato in un paesaggio di campagna. Era incredibilmente uguale all’altra foto di Jermaine, ma era troppo vecchia per poter rappresentare lui.

-E’ mio fratello! Non sono uguali?-

-Molto..-

-Manny ha preso tutto dal mio lato della famiglia, mentre Janice è tutta mio marito!- Guardò Kei con affetto –Anche la passione per il ballo l’ha presa da me! Io volevo diventare ballerina, ma non avevo il fisico adatto! Il mio ragazzo ha fatto abbastanza per tutti e due direi!- Stavolta guardò con amore il figlio che ricambiò con un sorriso, abbandonandosi stravolto su una sedia dietro Kei.

-Ci siamo divisi equamente i figli cara! Ma a me è capitata la più bella!- disse il signor Crowde.

-Anche io sono bello, papà!- biascicò contrariato Jay.

-Ma certo che lo sei! Non ascoltare tuo padre..- mollò un buffetto al marito per poi rivolgersi a Kei che era stato lasciato in disparte -..tu sei figlio unico?-

-Sì-

-Tua madre deve essere una donna bellissima..- Kei intravide delle mani agitarsi dietro di lui -..anche tuo padre! Per avere un ragazzo bello come te..- avvertì anche un colpo di tosse forzato -..devono essere proprio belli!- Fara concluse con un occhiolino.

Le mani continuavano a sventolare e Kei si voltò guardando divertito verso Jay che aveva un espressione davvero buffa: affaticato per il tentativo di fermare la madre e dispiaciuto per non esserci riuscito.

-Immagino che lo fossero..-

-Oh mi dispiace..non lo sapevo!- Fara mise una mano davanti alla bocca intuendo la situazione dall’uso del verbo al passato e Jay sembrava ancora più a disagio.

-Non c’è problema davvero..- la sua espressione serena li convinse della veridicità delle sue parole, anche se risultava parecchio strano.

-Comunque non so da che parte della famiglia devo aver preso, non ho mai visto foto di mio nonno da giovane però non mi sembrava ci fossero molte somiglianze..- Kei continuò normalmente a parlare dell’argomento per tranquillizzare anche gli altri presenti.

-Come non lo sai?- Fara non resistette alla tentazione di chiederglielo.

-Non li ho mai visti, sono morti che ero troppo piccolo per ricordarmeli-

-Ma li avrai visti in foto!- si aggiunse Jay un po’ confuso.

-No non ne ho mai viste-

Kei notò l’atmosfera che era calata nella stanza. Sia Jay che i suoi genitori lo guardavano dispiaciuti per avergli parlato di quelle cose.

-Scusatemi..- iniziò il ragazzo -..mi dimentico sempre che non è una cosa normale. Cioè per me è normale, ma per gli altri non tanto..Non volevo rovinarvi la giornata-

-Non ti devi assolutamente scusare per questo!-

-Davvero non vi preoccupate- sperò di infondere un po’ di sicurezza nelle persone di fronte a lui, mantenendo l’espressione che aveva da tutta la serata.

Li convinse, o almeno così sembrava; comunque Fara mise via in fretta le foto come se non fosse conveniente lasciarle lì.

Andarono a dormire quasi subito dopo quella conversazione.

Kei era stato sistemato in una camera al piano superiore, molto spaziosa e con un candido soffitto dai colori caldi. Aveva completamente dimenticato che voleva fumare e solo nel buio della camera se lo ricordò.

Fece un ultimo sforzo per resistere e cercò di addormentarsi, nonostante si rivelò una operazione più complicata del previsto.

Dormì solo poche ore.

Si svegliò molto presto e ne approfittò per sgattaiolare in giardino ad accendersi una sigaretta.

La via in cui si trovava era molto tranquilla; vide passare solo un signore in bicicletta e una ragazza che passeggiava col cane nella mezz’oretta che rimase fuori.

Quando rientrò la casa si era riempita di un dolce profumo.

Lo aspettava una colazione abbondante, in perfetto stile americano, di quelle che ogni tanto si preparava Max.

Non era sicuro di aver ancora digerito il cibo del giorno prima, ma mangiò lo stesso.

La confessione della sera precedente sembrava non essere mai avvenuta, invece che imbarazzata, la madre di Jermaine si dimostrò ancora più affettuosa e materna nei suoi confronti, cosa che lo spiazzò leggermente: non era abituato a quel tipo di affetto. Cercò, quindi, di non dare a vedere troppo quello che provava.

Quando il coreografo finalmente nel pomeriggio chiamò il taxi, i saluti si rivelarono lunghissimi: fu di nuovo abbracciato e baciato dai signori Crowde e vide che lo stesso trattamento era riservato al suo compagno di viaggio.

-Torna presto a trovarci! Sei sempre il benvenuto caro!- lo aveva salutato Fara, rimasta insieme al marito nel giardino ad osservare la vettura che si allontanava.

Solo quando non furono più visibili, Jermaine smise di salutare dal finestrino.

-Ci tiene che la saluti fino alla fine!- si giustificò l’uomo.

Passarono metà del viaggio in silenzio, ma questa volta Kei non era più imbronciato, anzi si rivelò più sereno del previsto.: il Natale per quell’anno non aveva riservato troppe brutte esperienze e aveva solo dovuto sopportare affollamento, affetto e mancanza di nicotina.

-Mi dispiace di averti costretto a venire!-

L’improvvisa dichiarazione di Jermaine lasciò l’altro spiazzato.

-Come mai questo cambio di rotta?-

-Non avevo pensato che magari per te non fosse piacevole..- Kei cercò di interromperlo il prima possibile.

-Cosa dici? Non è mica stato così tremendo. Ho conquistato anche il cuore di tua nipote-

L’uomo si lasciò scappare una risatina prima di continuare –Dico per ieri sera.. Pensavo che passare il Natale in compagnia ti avrebbe fatto piacere, cioè è stato un po’ crudele da parte mia farti sopportare la mia famiglia così invadente..-

-Ma non è stato crudele davvero..Solo perché io non ho una famiglia non vuol dire che tutti gli altri non possano essere felici-

-Lo so, ma..-

-Ascolta, davvero per me è una cosa normale..fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno cosa fosse una famiglia..per me è normale dire di non aver mai visto i miei genitori e queste cose qui..-

-Non so come fai!- affermò Jay smettendo di guardare il paesaggio scorrere dal finestrino.

-Alla fine sono gli altri a soffrire per le cose che dico più che io- rispose divertito -..è abbastanza paradossale non pensi?-

Non gli rispose.

-Non mi da fastidio vedere come sono gli altri.. mi ci vuole solo un po’ per abituarmici, ma non ci sto male..- osservò l’espressione scettica dell’altro -..non lo dico solo per farti piacere-

-Poi guardando la tua famiglia ho capito molti tuoi comportamenti-

-In che senso?-

-Forse si da per scontata come cosa, ma ognuno è lo specchio della propria famiglia e ora capisco perché sorridi sempre così fastidiosamente e ti affezioni facilmente a tutti..- si prese qualche secondo prima di continuare -..anche a me..-

-Ti irrito quando sorrido?- chiese stupito Jermaine.

-Un po’..- il ragazzo si concentrò sul paesaggio.

Il coreografo rimase ancora allibito per l’affermazione sul suo sorriso che di solito piaceva a tutti e poi ripensò a quello che Kei aveva detto, non solo pochi minuti prima o la sera precedente, ma anche le altre rare volte in cui avevano parlato, e iniziò a ricomporre i pezzi.

Non aveva mai conosciuto una persona che affascinasse così tanta gente con così poca stima di se stessa: ricordò quando qualche settimana prima Kei si era definito ‘uno dei piccoli bastardi di Mosca’, allora non aveva ben capito perché parlasse così, sapeva che non aveva i genitori, ma non pensava fosse stato così da sempre, era convinto che magari fosse accaduto dopo: anche la storia di suo nonno non gli quadrava, era suo parente biologico eppure Kei lo odiava e non aveva nessun tipo di rapporto con lui. Perché gli aveva lasciato quell’eredità immane allora? E soprattutto perché non aveva nemmeno mai visto una foto dei suoi? Perché non gliel’avevano fatta vedere? O lui non l’aveva cercata? Ripensò al volto di sua madre e pensò che lui, al suo posto, avrebbe voluto conoscere l’aspetto dei suoi genitori se ne fosse stato sempre separato. Pensò a come si poteva sentire Kei, a cosa proverebbe se fosse stato nella sua situazione e ancora si pose mille domande. A partire dal come Kei facesse a parlarne così tranquillamente, poiché sembrava davvero tranquillo quando lo faceva. Gli pose la prima domanda che gli balenò nella testa.

-Non vorresti sapere come erano i tuoi genitori?-

-No..-

-Perché?-

-Perché non mi importa molto..-

-E non ti mancano?-

-No..-

Quella volta Jermaine guardò Kei con insistenza e incredulità. Era imperturbabile: come poteva essere così insensibile?

-Non capisco..-

-Non devi capire..-

-Ma voglio farlo.. fammi capire.. come puoi non provare nulla verso chi ti ha dato alla luce?-

-Non ho mai fatto nulla in loro funzione, ho vissuto con persone nella mia stessa situazione, nessuno mi ha mai detto come sarebbe dovuto essere, l’ho scoperto solo dopo..-

Jermaine si mostrò insoddisfatto e più sconcertato ancora, scrollando le spalle come per allontanare qualche brutto pensiero.

-Beh a te mancherebbero perché tu sai come è la tua vita con loro.. io non lo so come sarebbe stata, come mi può mancare qualcosa che non ho mai avuto? So che sarebbe stato tutto diverso se ci fossero stati per me, sarebbe stato meglio di sicuro, ma non è successo e non mi mancano..-

Jermaine rimase ancora stupito, come al solito le parole di Kei erano come una doccia fredda, erano così crude e così vere che facevano paura; decise di non indagare oltre.

-Non ti rovinare le feste per colpa mia-

-Non è colpa tua! Non mi hai rovinato le feste! Anzi mi fa piacere quando ti apri così con me! Quando mi fai entrare nel tuo mondo.. sono gli unici momenti in cui me lo permetti! E so che c’è un mondo immenso dentro di te!-

-Questo me l’hai già detto- aggiunse Kei sollevato che non fosse arrabbiato con lui.

-Perché è vero..- 

  

Anno nuovo, vita nuova.

Questa era la frase che Rei gli aveva detto il 31 dicembre dell’anno prima, pochi secondi antecedenti alla mezzanotte, e mai come in quel momento le sue parole si erano rivelate così profetiche.

Quella era tutta un’altra vita ed era la sua: la sua routine, le sue abitudini. Eppure riusciva sempre a trovare aspetti nuovi e sconosciuti e, soprattutto, si ritrovava come sempre coinvolto nel mondo fatto di danza di Jermaine: anche quella, probabilmente, doveva rassegnarsi a considerarla al pari di una routine.

-Unisciti a noi!- lo aveva incoraggiato il coreografo alla fine di una delle loro sessioni di Hip Hop per rilassarsi e tenere la mente fresca e allenata: diverse volte gli era stato proposto di prendere parte alla lezione successiva, ma aveva sempre declinato.

Quel giorno di un nuovo ennesimo anno, invece, in una sala non troppo grande rispetto al solito, con le grandi vetrate che mostravano una metropoli illuminata a giorno e una strana e familiare tranquillità ad avvolgerlo, acconsentì. Fino a quel momento aveva sempre e solo osservato, non aveva mai preso parte a niente del genere e quindi il Jazz Lyrical era per lui un completo estraneo: la loro conoscenza non iniziò nei migliori dei modi.

Mentre Jermaine cambiava la traccia, da quella potente e ritmata precedente, a una melodica e struggente, in sala rimasero solo in cinque: Kei, Blake, Nene, Monique e Senia.

-Lezione con quelle? La vedo dura..- lo prese in giro l’assistente del coreografo mentre gli passava accanto, riferendosi alle scarpe che ancora aveva indosso. Il russo si limitò a guardarla esasperato e a rimediare, rimanendo solo coi calzini. Ondeggiò sulle piante dei piedi per abituarsi a quella nuova sensazione.

-Perché continui..?- sentì nuovamente la voce di Monique, questa volta diretta a Jermaine che la zittì scrollando una mano e girandosi.

Iniziarono con un veloce rilassamento a terra per preparare i muscoli a un diverso tipo di lavoro rispetto a quello precedente, per poi passare alla lezione vera e propria.

-Ricordami perché ho accettato- sbottò Kei, con le mani sui fianchi e un cipiglio perplesso, a Blake, che invece non poteva trovarsi più a suo agio.

-E’ normale la prima volta sentirsi idioti.. per tutto! Rilassati!- cercò di tranquillizzarlo tirandogli una pacca sulla spalla e rimettendosi al lavoro.

Essendo in pochi quel pomeriggio, Jermaine era partito come un treno, accennando poca tecnica e passando direttamente a una coreografia.

-Non è complicata.. è solo questione di dinamica e di intenzione!- li aveva incoraggiati mostrando una serie di passi e l’unico che sembrava come un pesce fuor d’acqua era proprio Kei.

Diverse volte, durante il corso di quell’ora e mezza, ebbe la tentazione di mettersi a sedere e osservare il resto della sessione, ma strinse i denti e non rinunciò.

-Da qui..- urlò Jermaine, battendo le mani per attirare l’attenzione già focalizzata su di lui -..piroette, seconda, chaines, chaines, respiro e..- continuò con quella serie di parole che non avevano alcun significato per lui che si limitava ad apprendere per immagini.

In quei mesi aveva scoperto i suoi limiti, ciò che riusciva a imparare e quello che invece doveva lavorare, ma soprattutto gli era stato ricordato un principio fondamentale che aveva dovuto adottare anche da bambino, nonostante fosse in un ambiente totalmente differente: non esiste ‘non ce la faccio’ o ‘non sono capace’.

Rimase tutto il tempo in fondo, lasciando che i primi metri fossero occupati da coloro che si sentivano a loro agio in quella situazione e, per fortuna, Jermaine lo lasciò pensare a quello che doveva fare per conto suo, senza stargli col fiato sul collo; la memoria, come sempre per quel tipo di cose, non era un problema, necessitava solo di tecnica ed esperienza e, quella, non poteva ottenerla nel giro di mezz’ora purtroppo.

-Riposatevi un minuto..- intervenne Jay ad un certo punto -..poi provate a gruppi così avete più spazio e ve la vivete!-

Kei bevve qualche sorsata d’acqua e si mise a sedere con la schiena allo specchio, osservando Nene e Blake prendere il centro: erano in assoluto i due più bravi in quello stile, a dimostrazione di questo loro avevano ottenuto il passo a due durante il concerto, il loro momento che, a opinione del russo, era perfetto.

Si dimenticò di ripassare a mente la coreografia nel guardarli e, quando terminarono, si unì all’applauso degli altri, ma non si alzò insieme a Monique e Senia per far parte del secondo gruppo: sapeva riconoscere e ammettere i momenti in cui fosse meglio farsi da parte e Jermaine, nuovamente, non gli disse nulla, ma azionò semplicemente la musica, mandandola avanti, verso il finale, dove iniziava il pezzo coreografato.

-Ancora tutti insieme!- urlò l’uomo sormontando il volume della musica e della seconda serie di applausi. Fecero come aveva detto il coreografo, fino a che, a pochi minuti dalla fine, Jermaine non si diresse verso la porta e spense tutti i faretti che illuminavano la stanza, escludendo una serie più fioca che permetteva a tutti solo di riconoscere i propri vicini.

-Su, senza pensieri..- iniziò ritornando alla sua postazione vicino allo stereo e accendendo la musica -..vivetevela!-

La traccia iniziò, ma, al contrario delle aspettative, la lasciò andare dall’inizio.

-Chiudete gli occhi!- li invitò Jermaine.

-Sei prevedibile!- scherzò Blake dalla prima fila.

-Zitto e ascolta!-  

La canzone era un crescendo di pathos, dalla melodia remissiva iniziale si liberava nota dopo nota, lasciandosi alle spalle il primo ritornello, emetteva le vibrazioni che conducevano inevitabilmente a un’esplosione di suoni e parole. Il coreografo, facendo avanti e indietro per tutta la sala continuava a consigliarli.

-Fate quello che volete, ma ascoltate! Pensate alle parole, alla musica, al significato.. ascoltate e fatela vostra!-

Kei, che ormai aveva compreso quanto piacesse a Jay quell’esercizio, lo prese in parola: doveva ammettere che era rilassante e aiutava a fregarsene di tutto. Al buio in quella sala esistevano solo loro e la musica e in pochi secondi il ‘loro’ divenne un ‘lui’: esistevano solo lui e la musica.

Non si rese più conto dei movimenti di Jermaine: l’uomo, infatti, aveva smesso di parlare e si era diretto verso Monique, poggiandole una mano sulla spalla e scoccandole un lieve bacio sulla guancia.

-Ti dispiace fermarti?- le sussurrò, così che lo potesse sentire solo lei.

-Certo che no- rispose riaprendo gli occhi e lasciandosi guidare dal coreografo che la invitò a indietreggiare verso un angolo della sala.

-Vivetevela!- ripeté ancora l’uomo a tutti gli altri, annunciando l’arrivo del punto di inizio della coreografia, prima di concentrarsi nuovamente sulla sua assistente –Guarda..- alzò la mano, col palmo verso il soffitto, in direzione del gruppo che, con gli occhi nuovamente aperti e la mente sgombra e leggera, iniziava a danzare.

Corresse subito la direzione dello sguardo di Monique, facendo una lieve pressione sul suo mento e portandola a osservare Kei anziché Blake.

Quello che intendeva Jermaine era chiaro: era un uomo con tanta esperienza ed i molti anni di lavoro in quel campo lo avevano reso tutt’altro che uno sprovveduto. Se si era impuntato a quel modo con una persona era perché vi vedeva qualcosa e, fino a quel momento, lei non aveva capito cosa fosse: Kei non aveva le basi, la sua tecnica era altamente limitata, ma staccargli gli occhi di dosso era ugualmente impossibile. Il coreografo le aveva ripetuto mille volte che lo avrebbe convinto a prendere lezioni di qualsiasi cosa, che c’era tanto lavoro da fare, ma che ne sarebbe valsa la pena, perché era possibile modellarlo e aiutarlo a crescere nel modo giusto. Il corpo del russo aveva qualcosa da dire e si esprimeva in quell’istante davanti ai suoi occhi con una semplicità che, se canalizzata, poteva trasformarsi in ricerca della perfezione del movimento. Aveva detto di non sapere cosa fossero quei passi, eppure in quel momento erano suoi, gli appartenevano, come tutto il resto.

-..per questo continuo!- le disse Jermaine a voce alta, apparentemente soddisfatto, quando la canzone terminò, dirigendosi verso l’interruttore e passando davanti a un Kei perplesso per le parole appena udite.

-Abbiamo finito!- urlò Jermaine facendo partire l’ultimo applauso e dando una pacca sulla spalla al russo mentre tornava al suo posto, senza però guardarlo in faccia.

 

 

 

E questo è il penultimo! Sono in completa crisi per il prossimo.. e magari qualcuno di voi anche u.u ma magari per altri motivi!

 

“E’ quasi l’ora..” Time

E’ da giorni ormai che mi vengono in mente cose da dire nel mio discorso di commiato.. perché ci sarà un discorso di commiato.. e se sto ad ascoltare la mia mente malata potrebbe risultare più lungo del capitolo u.u (tranquille non sarà così)! Comunque vorrei portarmi avanti e dire qualcosa già in questo.. intanto avrete notato come le cose si siano velocizzate! E’ già passato Natale quando quello dell’anno prima era solo dieci capitoli fa.. arriccerete il naso per questa cosa..e l’ho fatto anche io, ma ripensandoci.. ha tutto un senso! Mi sento scema ad analizzare la mia stessa ‘opera’, ma in fondo questo c’è davvero.. diciamo che ha fatto tutto il signor Inconscio e tutti dovremmo sapere che il signor Inconscio ha il controllo e il potere! Direte.. ce lo dici questo senso? Beh, no! Come al solito XD Semplicemente non voglio dirvi come interpretare/leggere la mia fic.. vi lascio il piacere personale della ricerca! Se non trovate nulla non preoccupatevi.. è possibile che io parli a vanvera!

Una cosa da specificare a riguardo di questo capitolo è, comunque, il significato di questo Jazz Lyrical: è un misto tra il moderno e il contemporaneo e altri elementi a seconda dell’insegnate.. nel caso del nostro Jermaine potremmo avere una contaminazione con l’hip hop ;) beh, se siete interessati chiedete a me e facciamo prima u.u

Sempre parlando di Jermaine.. il suo rapporto con Kei si è sviluppato velocemente e vorrei dire in mia difesa che: sì, è possibile! A parte alcune cose, per questa storia ho sempre ricercato realismo e i rapporti tra le persone sono da includere in questo.. ne ho le prove e controprove.. sembrano frasi fatte o da cioccolatini perugina, ma davvero la danza unisce, fa condividere e il tutto con dei ritmi diversi dal normale!

 

Scusatemi.. mi lascio trasportare! Il mio piccolo ritardo è dovuto alla stesura di tutto questo blaterare (figuratevi la prossima settimana)!

Intanto intorno a me accadono cose strane.. i pianeti si stanno allineando sul serio probabilmente! xD intanto questo capitolo ve lo beccate il 11/11/11 e.. chissà che accadrà! Probabilmente nulla u.u

Sì.. ok, la smetto! Aspetto i vostri pareri..fatemi sapere!

Grazie a tutti..

Un bacione :)

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Capitolo 46
*** I Want It All ***


 

 

 

 

 

 

I Want It All

 

 

 

 

 

 

Era rimasto da solo in sala: Jermaine gli aveva detto di aspettarlo e, quindi, si era avvicinato alla sua roba, sedendosi per terra in attesa. Fece per appoggiare la schiena alla parete dietro di lui, ma il contatto con la superficie fredda dello specchio lo fece rabbrividire.

Non era mai stato troppo sensibile e quella sensazione lo convinse a osservare ciò che stava alla sue spalle: un semplice ragazzo, seduto e in attesa, in una grande sala vuota la cui aria era ancora impregnata della presenza di altre persone e del loro calore. Da così vicino, la sua immagine risultava piccolissima in confronto a quello che lo attorniava, ma, comunque, era sempre troppo presente per lui: abbassò automaticamente lo sguardo.

Cos’era che dicevano? Nessuno riusciva a reggere il suo sguardo ametista: perdeva lui stesso davanti al riflesso delle sue iridi.

Osservò le assi del parquet lucido e automaticamente poggiò il palmo aperto su di esso, tastando la consistenza del legno e avvertendo le piccole venature che lo caratterizzavano sulla pelle: si sentì un bambino che, per conoscere gli oggetti, ne tocca ogni piccola parte curioso.

Se la sua ultima fissa riguardava i soffitti, per tutta la sua vita la sua attenzione era sempre stata catalizzata dal suolo: che fosse pietra, marmo, terra, erba, legno, poteva dire di conoscere ogni tipo di pavimento esistente.

La terra era sempre stato il suo punto di riferimento l’unica cosa che riusciva a percepire chiaramente.

Il pavimento era la sua unica sicurezza, era lì, ed era fresco e invitante.

Da lì era partito tutto: quante volte vi si era sdraiato, vi si era accasciato, vi aveva trovato riparo, era stato punto di appoggio e sempre più spesso punto di ritorno.

Anche la sua danza era partita da lì: spostò la mano lentamente, come in una carezza. Il breaking riguardava un rapporto stretto con la terra, il riuscire a farsela amica, compagna e alleata, lavorarla in modo che possa reggere anche nelle trick più impensabili. Però sempre a testa alta.

Questo era stato il suo problema per troppo tempo: non aveva mai capito quanto quel rapporto potesse essere equo solo se avesse puntato al mondo che quel suolo reggeva, ma Kei al contrario quel mondo lo temeva, ne aveva paura, non lo voleva e non lo sapeva guardare. E il pavimento lo sopraffaceva.

Si era crogiolato per anni nella sua debolezza, se al monastero non aveva la capacità e la possibilità di emergere, quando aveva trovato la libertà semplicemente non l’aveva saputa cogliere ed era rimasto a quell’infimo livello.

Scomparì, lasciando che la forza di gravità lo schiacciasse a terra.

Viveva nella convinzione di essere da solo, nonostante le tante persone che gli volevano bene, non riusciva a fare a meno di allontanare da sé gli altri ed era sempre stato più semplice dare retta a chi alimentava quella convinzione piuttosto che a chi cercava di negarla.

Dai Kei, nessuno se ne preoccuperà.

Fece scivolare ancora la mano sul parquet, ritirandola poi velocemente sul suo ginocchio, come scottato dal legno. Invece, era semplicemente scottato dai ricordi, perché non era più tempo di rinnegarli e allontanarli, ma affrontarli con sincerità: la verità era che si era relegato da solo al pavimento, perché era la sua certezza, il quieto persistere della sua esistenza, senza sforzi e con tutto ciò che più gli era familiare: dolore e solitudine.

Sono sempre costretto a portare i segni delle cose brutte che mi succedono.. in questo caso delle stronzate che faccio.

Spostò lo sguardo dalla sua mano, che ancora era il centro del suo interesse, fino all’incavo del suo braccio dove i suoi leggeri segni potevano essere fatti passare a un occhio non attento per qualcos’altro e, a pochi centimetri di distanza, il suo doppio faceva lo stesso, mostrandogli ciò che la sua pelle aveva da raccontare.

Si era sempre illuso di aver tentato di rialzarsi ogni qual volta fosse caduto, ma non poteva considerarli propriamente tentativi, non finché si rendeva conto di quanto invece fossero stati gli altri a porgergli mani che non aveva stretto.

Per favore, almeno tu, vivi.

Distese le dita e le fece aderire alla superficie riflettente: ebbe per un secondo l’impressione di poterla attraversare, di poter toccare realmente la mano di quell’altro Kei, magari più sicuro e meno stupido di lui. Fantasticò sul possibile mondo oltre lo specchio, quello dove lui realmente vinceva lo sguardo di tutti, dove non conosceva la paura.

Dopo il monastero lui non aveva saputo fare altro che ributtarsi in un baratro, poi era scappato dall’eroina cercando la normalità che leggeva negli occhi dei suoi amici, infine aveva attraversato mezzo mondo per lasciarsi alle spalle un’esistenza grigia, sperando nei mille colori del Giappone.

Kei, tranquillo, andrà tutto bene.. fidati di me.

Non aveva capito quanto fosse inutile cercare negli altri, la loro approvazione e attenzione, quando invece doveva partire da sé. Perché i suoi amici erano più lungimiranti, erano capaci di cose che lui non poteva neanche immaginare. Yuri, Takao, Rei, Max, lo avevano chiamato per nome tante volte, ma lui era rimasto a guardarli, maledicendosi e restando attaccato saldamente a quel pavimento che era la sua prigione.

Non chiedermi di amarti, non ne sono capace.

Hilary era la chiara dimostrazione della sua cecità, del suo rifiuto verso quelle lettere marchiate a sangue e inchiostro sulla sua pelle: un altro proposito non mantenuto. La testimonianza delle energie e della vita che aveva rinnegato.

Le sue dita che risalivano lo specchio lasciarono un leggero alone al loro passaggio.

Non dovresti stare da solo.

Quella corazza la credeva indistruttibile, ma, se si guardava bene, delle crepe la indebolivano e permettevano a degli spiragli di luce di oltrepassarla: quegli spiragli si stavano facendo giorno dopo giorno più grandi, ma non tutti erano stati capaci di individuarli. Poteva nuovamente fare i nomi di quelle persone, entrambe che avevano conosciuto il Kei ballerino, piuttosto che quello blaider. Se Hilary l’aveva respinta, però, Dana rimaneva la prima testimone di quel cambiamento.

Dicono che casa sia il luogo dove si trova il cuore.. allora potrebbe essere ovunque.. e perché non nel luogo dove hai la possibilità di danzare?

Eppure la danza era disciplina, la stessa che aveva imparato al monastero, era regole, dolore fisico, ma era vivere il pavimento come potenziale per arrivare oltre. Negli anni in cui si era perso, quindi, aveva sostanzialmente dimenticato tutto ciò che significava essere un blader: aveva rimosso le parti positive della sua infanzia, poche e memorabili, e aveva lasciato che l’odio e la disperazione lo accecassero.

Si era quindi ritrovato? Aveva recuperato il buono che gli aveva permesso di conoscere gli amici e la famiglia di una vita?

Fermò la mano, rendendosi conto di cosa nascondesse il movimento successivo, quando la sua attenzione si sarebbe spostata dalla sua pelle chiara al volto del suo nemico giurato.

E’ così brutto quello che vedi?

Era arrivato il momento di prendere una posizione e di lasciarsi il peggio alle spalle: Jermaine gli aveva ripetuto mille volte di entrare in sala come se entrasse nella propria casa, nel proprio mondo, di lasciare fuori ogni preoccupazione, di osservare se stesso e credere nel proprio lavoro. Ascoltare il proprio corpo, dargli la possibilità di esprimersi.

Per quanto quelle frasi, a inizio della sua avventura, gli sembrassero campate in aria, aveva imparato la loro verità, l’aveva provata e, finalmente, non l’aveva rinnegata.

Quando era questione di fiducia, lui era il primo a tirarsene fuori, ma se davvero aveva fatto pace con i suoi fantasmi, con quei volti di un passato in bianco e nero, osservato dal basso del pavimento, non poteva più permettersi di scappare da se stesso.

Credo siano.. colori che danzano.

La risposta era sempre stata lì, davanti ai suoi occhi, nel modo in cui vedeva il mondo esterno, come interpretava le parole degli altri, quando si appoggiava al petto di Yuri per regolare il ritmo del proprio battito o ascoltava il respiro di Hilary o teneva il conto dei tentativi di Rei di instaurare un contatto con lui. Poteva leggere persino nell’ennesimo spostamento della sua mano sullo specchio una sorta di danza accompagnata da un silenzio ricco di input e accenti.

Sì.

Spostò la mano e si vide: era lui, Kei e il suo volto e i suoi occhi tanto odiati e la sua insicurezza, li osservò, potevano benissimo essere quelli di un estraneo se solo non vi avesse letto all’interno tutta la sua vita.

Si era sempre astenuto da decisioni secche, le risposte affermative e interessate le poteva contare sulla punta delle dita, ma aveva accettato di farsi travolgere da quei pazzi mesi ed era arrivato il momento di dare un volto a quella persona pazza e masochista e, finalmente, con un senso.

-Eccomi!-

La voce squillante di Jermaine rimbombò ancora più potente tra quella fiera di ricordi e sensazioni, facendolo sobbalzare.

Kei lasciò la mano ricadergli sul ginocchio e si voltò come risvegliato da un trance: guardò il coreografo avvicinarsi a grandi falcate e sedersi a fianco a lui brandendo un pacchettino.

-Ancora due date ed è finito il tour..- si spiegò -..e questo è l’ultimo momento di pace, fidati! Un regalo per te!-

-Perché un regalo?- chiese allarmato e perplesso il russo.

-Tranquillo non è nulla di che.. aprilo!- lo esortò entusiasta.

Kei strappò la carta e osservò l’oggetto che aveva tra le mani: una agendina con la copertina rigida color porpora e il dorso mogano.

-Ha un significato..- assicurò l’uomo.

-E vorresti spiegarmelo?-

-Apri!- lo invitò ancora esaltato.

Il ragazzo sfogliò le prime pagine senza trovarvi nulla di strano, fino a che non arrivò alla fine di gennaio e inizio febbraio dove la calligrafia contorta di Jermaine aveva riempito parecchi spazi bianchi.

-Sarai molto impegnato sappilo.. ti servirà!-

Kei scorse gli orari e gli impegni che il coreografo gli aveva appuntato.

-Queste sono le mie lezioni a Tokio.. poi il resto potrai riempirlo tu!- disse l’uomo indicandogli diversi giorni e dandogli alcune indicazioni in più.

-Fortuna che mi era preparato a non ricevere una reazione troppo calorosa!- lo risvegliò Jermaine dal silenzio nel quale era caduto per continuare a leggere.

-Cosa? No.. grazie- disse sovrappensiero mantenendo l’agendina aperta: nero su bianco si trovava la prova che tutto quello non sarebbe terminato -..davvero-

-Poi con quel cellulare arretrato che ti ritrovi.. questa è in attesa che tu diventi tecnologico!- scherzò Jermaine rialzandosi.

Gli occhi di Kei per alcuni minuti vagarono nuovamente sulle pagine scarabocchiate lasciando una marea di nuovi pensieri affollargli la testa.

Ormai non ne puoi più fare a meno.. avrai il tempo di capirlo, se vorrai farlo.

Si alzò finalmente e prese la borsa, l’agendina ben stretta tra le dita, si diresse verso la porta, ma, poco dopo aver superato il centro della sala, come essendosi ricordato improvvisamente di qualcosa, si voltò verso lo specchio osservando il proprio profilo per poi allargare la visuale: ad oggi quel tipo di pavimento e quel tipo di soffitto erano assolutamente i suoi preferiti.

   

 

 

 

 

 

 

L’ormai familiare boato che si alzava dalla platea una volta iniziato il gioco di luci che apriva lo show si levò per l’ultima volta, Lauren nel suo miniabito sbrilluccicante di sempre si lasciò scappare un sorriso d’intesa quando incontrò gli occhi di Kei, poco prima di entrare in scena: i cinquanta secondi di routine ed era il turno dei ballerini e a seguire niente di nuovo per nessuno se non gli spettatori, diversi ogni sera, ma quella volta in particolare trattati da privilegiati perché sarebbero stati gli ultimi. Poi la pausa di venti minuti che permetteva il cambio d’abiti e la riacquisizione di un po’ di respiro, per l’ennesima volta si permise di assistere al passo a due di Nene e Blake e ritornare a far parte della frenesia dello show.

Si dimenticò che sarebbe stata l’ultima messa in scena, solo pochi attimi random glielo ricordarono, ma durarono giusto il tempo di un battito di ciglia. Così come era iniziato, velocemente terminò. Riuscì a godersi gli ultimi flash, le ultime immagini realizzando ciò che significavano quelle luci che si spegnevano e il buio che scendeva sulla platea che applaudiva imperterrita.

-Da domani siamo tutti disoccupati!-

Carol alzò il bicchiere come per brindare, mentre erano tutti seduti su uno dei divanetti del locale affittato per festeggiare degnamente la fine del tour.

-Parla per te! Io ho già pronto un altro contratto!- sogghignò Chayton.

I due battibeccarono tra una risata e l’altra, alzando il tono di voce per sovrastare la musica che si faceva sempre più forte.

-Una foto con i miei bellissimi ballerini!- arrivò Lauren saltellando sui suoi tacchi altissimi, seguita a ruota da un fotografo e una telecamera: si infilò sul divanetto lasciandosi circondare e dando il via a una serie infinita di scatti.

Kei cercò di resistere, ma se ne tirò fuori relativamente presto osservando divertito la scena: quando Lauren andò a intrattenere un’altra parte della sua crew tornò la pace e tutti si divisero, chi a ballare, chi a riempire i bicchieri. Il russo uscì nella veranda del locale per fumare insieme al ragazzo della security che aveva conosciuto sin dalle prime date.

Quando rientrò erano ancora tutti sparpagliati e decise di dirigersi verso il balcone: si fece largo tra la folla, superò Jermaine e Monique che ballavano insieme e si sedette su uno degli alti sgabelli ordinando il suo drink.

-Non abbiamo avuto più occasione di vederci- esclamò al suo orecchio una voce che, nonostante arrivasse ovattata, poteva riconoscere.

-E ti dispiace?- chiese a Nene alzando un sopracciglio.

-Dipende!- esclamò ordinando a sua volta da bere –Sai, dopotutto un po’ mi mancherai-

-Che ne sai che non ci rivedremo?-

-Per carità, la mia era una frase di circostanza!-

-Come volevasi dimostrare-

-Tu cerca di migliorare e poi ne riparleremo!- concluse la ragazza con la sua solita aria altera, prima di dileguarsi nuovamente tra la folla.

-Ah..-

Si sentì toccare la spalla e si voltò pronto a fronteggiare il ritorno alla carica della mora.

-Ma basta..- si bloccò di colpo non trovandosi davanti Nene.

-Cosa ti avrei fatto per essere così scortese?- chiese Lauren accigliata.

-Pensavo fossi un’altra persona-

-Allora va bene.. ehi!- qualcuno le arrivò addosso, spingendola e facendole quasi perdere l’equilibrio –Fai attenzione!- urlò in direzione della folla dietro di lei, ma non avrebbe saputo dire chi l’avesse urtata.

-Tutto bene?- chiese Kei reggendola per un avanbraccio.

-Sì.. spostiamoci un attimo- disse intimandolo a seguirla verso un angolo con meno ressa.

-Scarpe da ginnastica mai?- le fece notare il russo una volta fermatosi.

-Naah! Anni di allenamento!- rispose lei sventolando una mano come per allontanare un pensiero inutile –Piuttosto.. ti stai divertendo?-

-Abbastanza.. come mai sei interessata?-

-Ricerca sul campo.. testo la soddisfazione del personale!-

Lauren ghignò guardandosi intorno come per cercare qualcuno: quando finalmente lo trovò, accalappiò la sua assistente e le chiese di darle il cellulare che, a quanto pareva, le stava conservando.

-Sei stato scelto per far parte della mia lista di contatti.. – esordì porgendogli il cellulare -..scrivi il tuo numero!-

Kei digitò le cifre e restituì il telefono.

-Devo ricordarti come mi chiamo o mi salverai con un soprannome?-

Lauren spalancò la bocca fingendosi offesa –Ma guarda te.. solo perché è successo una volta! Uomo di poca fede! Dai, foto con l’antipatico!- disse improvvisamente richiamando l’attenzione del fotografo, rimasto a qualche metro di distanza, che la seguiva come un cagnolino da più di un’ora.

Il russo sbuffò, ma si ritrovò comunque a mettere un braccio attorno alle spalle della ragazza, concedendole quello scatto.

Non le chiese a cosa servissero quella miriade di fotografie, anche perché la cantante fu riacchiappata dalla sua assistente e lo lasciò nuovamente da solo.

Fecero mattina: ogni occasione in quell’ambiente era buona per organizzare una festa e, come in quel caso, quando questa occasione aveva delle basi solide, si andava fino in fondo.

Kei si rese conto di non aver mai dormito le otto ore di regola in quei quattro mesi, anche se per lui si poteva estendere quell’andazzo a tutta la sua vita, e questo accadde quando al suonare della sveglia ci mise relativamente poco a rimpadronirsi della propria lucidità, non diversamente da altre mattine almeno. Non dovette neppure faticare per svegliare Chayton e si riunirono nella hall dell’albergo in perfetto orario.

Nell’attesa, abbastanza caotica nonostante tutti avessero fatto le ore piccole, scorse Lauren andarsene per prima, senza considerare nessuno e con un paio di grandi occhiali da sole e un cappellino a nasconderla dai flash dei possibili paparazzi.

-Serata devastante!- esclamò Jermaine sedendosi affianco al russo e stropicciandosi un occhio.

-Bevi troppo- gli disse guardandolo divertito annuire.

-Ognuno ha i suoi vizi!- rispose ammiccando e convincendo l’altro a non aggiungere altro.

Nelle ultime due settimane il tour aveva toccato le città mediterranee nelle quali non erano stati a novembre, di conseguenza il volo fino a Tokio sarebbe durato una ventina di ore e, considerando il fuso orario, l’atterraggio era previsto per il pomeriggio del giorno successivo: la traversata fu tranquilla e si respirava nell’aria la stanchezza, non solo di quella notte, ma dei mesi spesi a vorticare da uno stato all’altro senza sosta. C’era chi pensava al meritato riposo, chi al prossimo impegno, chi dormiva, chi non riusciva a stare fermo e chi, come al suo solito, si lasciava cullare dalla sua buona dose di seghe mentali quotidiane escludendo il mondo attorno a lui. Il russo, però, non ne era preoccupato o disturbato, anzi quelle paturnie erano materiale nuovo per la sua mente malata e non poteva fare a meno che accoglierle con curiosità.

Prese dalla tasca della giacca l’agendina che gli aveva regalato Jermaine e la aprì come aveva fatto diverse volte in quei tre giorni: vi aveva appuntato qualche nota in diverse giornate di tutto l’anno, ma non era andato oltre pochi simboli e aveva ridotto la presenza delle parole, tanto che per qualcun altro comprendere l’importanza di quelle giornate sarebbe stato impossibile.

-Proprio al caso mio!- gli arrivò la voce di Jermaine alle spalle, ma non se ne preoccupò fino a quando non sentì la presenza del coreografo nel posto accanto a sé.

L’uomo tirò fuori dalla tasca una penna e rubò l’agenda a Kei scrivendo un orario e tre parole indecifrabili sulla pagina di quella settimana.

-Ecco fatto!- disse soddisfatto al termine della sua opera.

-Dovresti fare un corso di calligrafia- gli consigliò il russo accigliato nel vano tentativo di decifrare la scrittura dell’altro.

-Tranquillo, intanto ti vengo a prendere così ci andiamo insieme!- e iniziò a informarlo della festa al quale lo avevano invitato e alla quale nemmeno Kei poteva mancare poiché erano presenti diverse personalità importanti del campo –Andremo lontano, mio caro!-

Non fece altro che assecondare Jermaine, anche perché ormai aveva iniziato ad ammettere che la riluttanza della primavera precedente stava lasciando spazio a qualcosa di nuovo al quale non sapeva dare un nome: come descrivere una sensazione positiva? Il suo vocabolario non era abbastanza vasto, non ancora.

Imparerai, si disse cercando di non sorprendersi dei suoi stessi pensieri.

Atterrarono all’aeroporto di Narita in perfetto orario e, per la prima volta, non presero tutti insieme lo stesso mezzo, né si diressero verso la stessa meta, ma si divisero. Ci furono abbracci e saluti che non mancavano già da diverse ore, ma che finalmente si consumavano. L’inizio della fine era stato il discorso di commiato di Lauren durante la festa, mentre l’epilogo prendeva forma con i saluti di Carol, Chayton e Blake per primi, poi di alcune persone che aveva conosciuto e col quale aveva trascorso più tempo: Jermaine ovviamente non si lasciò scappare l’occasione di rubargli un abbraccio nonostante, secondo la sua stessa tabella di marcia, si sarebbero rivisti da lì a pochi giorni.

Quando Kei uscì dal terminal e si ritrovò da solo, si concesse un lungo sospiro e valutò le sue possibilità: per prima cosa, fumò tranquillamente una sigaretta sedendosi su una panchina.

La giornata era assolata, i rumori della città frenetica arrivavano confusi da oltre la grande piazza davanti all’aeroporto, mentre il freddo risultava piuttosto pungente per gli standard della capitale giapponese; era arrivato al punto di partenza, da dove aveva iniziato a considerare quel possibile percorso che lo avrebbe portato a definire se stesso e il suo mondo, aveva girato e visitato ogni possibile meta, aveva respirato, respirato davvero, e mancava solo un piccolo passo che lo avrebbe portato a capire finalmente.

Spense la sigaretta e si incamminò sulla strada asfaltata ponderando l’idea di prendere l’autobus, per poi convincersi che, ancora per una volta, poteva concedersi il lusso di chiamare un taxi.

Impiegò più di un’ora per arrivare al dojo a causa del traffico, ma, non appena scese di fronte al familiare portone di legno gli sembrò che fosse trascorso un giorno da quando lo aveva varcato l’ultima volta. Provò a rievocare quel momento, sovrapponendolo al presente, trovando, però, difficile associarli: eppure non era cambiato molto, se non forse il suo approccio verso quel ricordo.

-Kei!- l’urlo del suo nome lo accolse già dal viale d’ingresso.

-Ciao Takao- disse con un tono molto più basso il russo.

-Stavolta sei in orario! Stiamo migliorando, eh!- si inserì Max, accorso insieme al giapponese.

-Dove sono i capelli?- gli chiese Takao saltellandogli davanti.

-Tagliati-

-Lo vedo!-

Riuscì a far avanzare i due, almeno per arrivare all’interno del dojo, dove Rei e Nonno J lo accolsero calorosamente. Lo lasciarono, quindi, andare a sistemarsi nella sua camera e rinfrescarsi, prima di svelare una cena in grande stile preparata per festeggiare.

-Bentornato!- gli disse Hilary spuntando poco prima che tutti si mettessero a tavola.

-Grazie- rispose abbozzando un sorriso che la ragazza accolse con uno sguardo perplesso.

-Che c’è?-

-No, niente- minimizzò lei prendendo poi posto alla tavolata.

Quella riunione con la tradizione giapponese, contaminata dalle diverse nazionalità di ognuno di loro, lo coinvolse ricordandogli quella quotidianità che, nel corso di quei mesi, si era trasformata. Gli vennero poste una miriade di domande e, cercando di non smentirsi in onore dei vecchi tempi, rispose vagamente, ritrovando il disappunto di Takao e degli altri che, però, non si lasciarono scappare l’occasione di aggiornarlo con le loro novità.

Kei ascoltò e non si perse neanche una parola dei lunghi e coloriti racconti del biondo e del giapponese, subito corretti da Rei e Hilary. Doveva quindi ammettere che già quella volta al telefono con Rei quel branco di casinisti gli fosse mancato?

 

Il mattino seguente si risvegliò confuso, soprattutto quando riconobbe il soffitto che lo sovrastava e la mobilia della stanza nella quale si trovava.

Quel giorno non ci sarebbe stato nessuno spettacolo, nessuna prova, alcun viaggio, niente di niente, se non tranquillità e normalità. Solo dopo poche ore si rese conto di quanto quella normalità che la sera prima aveva lodato risultasse strana, piacevole, ma comunque strana.

Fece colazione, si fumò una sigaretta e, poi, quasi sovrappensiero attraversò la sala, guardò di sfuggita la credenza nella quale era custodito Dranzer, percorse il porticato di legno e si diresse in palestra: lo stereo di Hilary era ancora lì, pieno di polvere, ma sempre pronto per essere utilizzato.

Osservò le pareti, le spade da kendo, l’altarino buddista e neanche l’ombra di uno specchio.

Si tolse le scarpe e si sedette: sentì l’odore del legno, vivo e palpabile, la sua consistenza, caldo e morbido, e si sentì nuovamente in pace con il mondo esterno.

Sentì il bisogno di riportare un po’ di quegli ultimi mesi in quella giornata e, senza rifletterci troppo, prese ad allenarsi, dimentico della miriade di coreografie imparate, degli ultimi lavori, di quella parte della danza che era considerata un lavoro, ritrovando quello che, in fondo, erano le parole di Jermaine, ciò che gli ripeteva e gli riconosceva.

Continuò fino a quando gli altri non tornarono da scuola e insistettero per passare del tempo con lui: fecero un giro per il quartiere, aggiornandolo di ciò che si erano dimenticati il giorno prima, incontrarono la ragazza che stava insinuando dei dubbi allo stoico Rei e poi si fermarono in un bar.

-A me sembra carina- commentò Kei, vedendo affondare la testa del cinese nelle sue mani.

-Credo che sia proprio questo il problema!- sussurrò con fare ovvio Max.

-Molto carina- rincarò il russo. 

-Da che parte stai?- chiese Rei riemergendo dalla sua disperazione.

-Intendi se sto nella fazione Mao o altra ragazza?-

-Mi sa che non lo voglio sapere!- disse incerto l’altro sperando che il discorso cadesse lì.

-Sicuro? Perché ho la mia opinione e..-

La suoneria del suo cellulare lo interruppe e lo costrinse a rispondere.

-Pronto? Ciao.. no.. sì, ok.. quando?..- ci fu una lunga pausa, poi Kei allontanò un secondo il cellulare dall’orecchio per sussurrare a Rei –Comunque sto nella fazione altra ragazza- per poi prestare attenzione nuovamente alla misteriosa chiamata.

Il cinese si appellò agli altri due amici cercando appoggio, ma finì solo per deprimersi ancora di più.

-Vi dispiace se torniamo a casa?- chiese Kei una volta terminata la chiamata.

-No, intanto s’è fatto tardi..- disse Max.

-E io non voglio più sentire opinioni!- aggiunse Rei melanconico.

-Chi era?- chiese Takao mentre si incamminarono.

-Jermaine-

-Che voleva?-

-Dirmi di uscire..-

-Quando?-

-Stasera..- rispose il russo osservando l’ora sul display sul cellulare -..o meglio tra poco-

-Ma tu lo odiavi o sbaglio?- chiese l’americano.

Kei rispose con una semplice alzata di spalle quando arrivarono davanti al portone; entrò dietro agli altri per poi annunciare i suoi piani a Nonno J, sicuro che avrebbe apprezzato. Solo alla risposta affermativa dell’uomo si rese conto di quanto fosse risultata come una richiesta di permesso.

Jermaine arrivò mezz’ora più tardi, ma, invece che aspettare Kei in macchina, si avvicinò alla porta d’ingresso e salutò cordialmente gli abitanti del dojo.

-Buonasera signor Kinomiya!-

Il russo accigliato lo osservò conversare con Nonno J, chiedendosi quali fossero le sue intenzioni e, soprattutto, si stupì della memoria del coreografo nel ricordarsi il cognome di Takao.

-Volevo solo avvertirla che in queste settimane ho in programma diverse cose e spesso e volentieri sono di pomeriggio o sera, spero non le dia fastidio che Kei possa arrivare tardi..-

Kei spalancò gli occhi dalla sorpresa per quelle parole e le altre che seguirono, non riuscendo a coglierne il significato.

-Perché?- domandò una volta che furono saliti in macchina.

-Cosa?-

-Perché gli hai voluto parlare?- si spiegò mentre partirono.

-Volevo solo accertarmi che non ci saranno problemi..-

-Ma..-

-Kei.. finchè vivi a casa sua è giusto che rispetti le sue regole..- il ragazzo tentò nuovamente di ribattere, ma non gli fu lasciato il tempo di farlo -.. non siamo più in tour, qui devi rendere conto a lui, non puoi fare quello che vuoi!-

-Lo so-

-Quello è un brav’uomo.. mi sembrava solo doveroso informarlo!- concluse il coreografo accendendo la radio –Sai, potresti prendere in considerazione l’idea di trasferirti più in centro..-

Kei si voltò improvvisamente, non credendo alle sue orecchie, ma non ebbe il tempo di formulare un pensiero concreto che l’altro cambiò discorso.

 

Se nelle ventiquattr’ore seguenti il suo ritorno in Giappone aveva avuto modo di assaporare e annoiarsi della normalità, da quella serata con Jermaine non ebbe più un attimo di respiro.

-Cosa fai?- chiese Takao affacciandosi alla stanza di Kei, mentre questo riempiva il suo borsone velocemente.

-Esco- rispose fissandosi su un punto pensieroso per pochi secondi, prima di tornare ad aprire il guardaroba.

-Ma perché.. sei mai stato in casa?- chiese ironico il giapponese sbuffando.

-Cosa stai dicendo?- 

-Fa niente!-

Kei lo salutò e uscì, realizzando solo in quel momento le parole dell’amico: effettivamente non era più stato per più di due ore nel dojo, se non per dormire, poichè per il resto le sue giornate le trascorreva nel centro di Tokio, tra diverse lezioni, di Jermaine e di altri consigliati da lui, feste, tappa importante e non saltabile a detta del coreografo, e lavoretti vari.

Diverse volte Takao e gli altri volevano organizzare qualcosa con lui, ma, anche quando dava la sua disponibilità, poi si era ritrovato a dover annullare: si sentiva in colpa per questo, ma gli impegni si affollavano nel giro di pochi giorni, senza troppo preavviso. Una sera addirittura dovette partire per una trasferta di due giorni con solo dodici ore di anticipo.

L’agendina di Jermaine si rivelò profetica e soprattutto utilissima, poiché senza di essa non sarebbe riuscito a far combaciare nulla. Non ebbe neanche il tempo di chiedersi se non l’avesse fatto apposta.

Un aspetto che lo stupì fu quando, due settimane dopo, il coreografo gli confidò di non aver più messo nessuna parola per lui se non i primi giorni e che, quell’improvvisamente interesse, era dovuto esclusivamente al suo lavoro.

La sua lista di contatti lievitò e la frenesia del tour lo investì nuovamente: sembrava fatta su misura per lui e questo fu il motivo per cui, quando Nonno J cercò di riportarlo alla realtà, il mondo che conosceva gli sembrò ribaltato, tanto da non considerare normalità quello che l’uomo gli stava offrendo.

-Devo dare una risposta definitiva al preside!-

Kei rimase in silenzio, spiazzato, cercando le parole corrette.

-Non hai intenzione di provare a finire la scuola, vero?-

-No- disse il russo cercando di sembrare convincente.

-Sei sicuro di questa scelta?- chiese ancora sereno.

Kei si limitò ad annuire, deglutendo –Mi dispiace se..-

-Non devi scusarti.. è la tua vita, hai il diritto di viverla come vuoi!- continuò l’anziano sorridendo –L’importante è che a te vada bene!-

Quei minuti surreali furono di nuovo sovvertiti dalla lista di impegni, ma, nemmeno per un secondo, Kei sentì di aver preso la decisione sbagliata. L’unica riserva riguardava Nonno J, che aveva messo una buona parola per lui al riluttante preside e temeva di non avergli dimostrato abbastanza la sua gratitudine per quel gesto che, ad occhio non attento, poteva sembrare di poco valore.

-Ehi antipatico!- una voce squillante lo risvegliò dai suoi pensieri mentre usciva dallo spogliatoio di una delle palestre di Tokio.

Si voltò e si stupì di scorgere Lauren che salutò con un veloce abbraccio.

-Cosa ci fai qui?-

-Devo tenermi allenata!-

Kei la guardò scettico, poiché era sempre nella sua tenuta impeccabile con tanto di tacchi vertiginosi ai piedi.

-Non eri in vacanza?-

-Io non sono mai in vacanza!-

-Lauren è arrivato Milo!- spuntò puntualmente la sua solita assistente.

-Arrivo..- le rispose la cantante, voltandosi poi verso Kei –Il tuo numero ce l’ho vero?-

Il russo annuì aspettando il seguito.

-Beh, allora se mai sarò libera potremmo vederci per un caffè!-

-Ok..-

-Se vuoi possiamo anche trovare delle scale così ti senti più a tuo agio!- continuò lei facendogli la linguaccia ricordando i loro strani incontri.

-Spiritosa-

Non potè aggiungere altro poiché l’altra fu portata via, lasciandolo nuovamente alle sue turbe mentali e al cellulare che, per l’ennesima volta, prese a suonare.

Un altro impegno in arrivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Si svegliò senza troppe pretese, la linea che divideva la realtà dal sogno era troppo sottile. Niente di ciò che era intorno a lui era abbastanza interessante e a fuoco da essere preso in considerazione, ma intanto non era quello l’importante: l’unica immagine perfettamente chiara e rilevante era quel piccolo astuccio blu, abbandonato chissà quando sopra un tavolino.

Si mise a sedere faticando più del dovuto e si sporse sul bordo del materasso, allungando il braccio per afferrare il contenitore e aprirlo. Incrociò le gambe e iniziò a disporre meticolosamente l’occorrente sul lenzuolo, avvertendo l’ansia che sopraggiungeva a ogni movimento tanto da costringerlo a velocizzare.

 

Quella mattina aveva osservato l’ennesimo nuovo soffitto: questa volta color pesca, in tinta con il resto dell’arredamento della stanza, con un lampadario etnico e alquanto strambo. Il materasso era comodo e le coperte emanavano la giusta quantità di tepore. Gli provocò lo stesso effetto piacevole l’attraversare il resto della casa, fino in cucina, dove si era seduto al tavolo cercando di armeggiare con il cellulare: dalla sera prima, quando aveva controllato per l’ultima volta il display, gli erano arrivati tre messaggi, su ognuno dei quali era appuntato un nuovo impegno che doveva marcarsi da qualche parte non avendo con sé la preziosa agendina.

 

Un movimento sul materasso gli annunciò che qualcuno si era seduto di fianco a lui: non avrebbe saputo dire però se questo fosse stato sempre nella stanza o se fosse invece rincasato solo in quel momento. Nulla aveva importanza fuorché la sua siringa.

L’avambraccio teso di Nataliya entrò nel suo campo visivo, disturbandolo, e lo cacciò via malamente rifiutando quel silenzioso, ma chiaro invito a farle una pera.

 

-Vuoi deciderti a comprare un cellulare nuovo?- disse la padrona di casa, lasciandogli davanti una tazza di quello che sembrava caffè e latte e dirigendosi verso il frigorifero.

-Mai sentito parlare di consumismo?- la apostrofò Kei –Tra te e Jay non so chi è peggio-

Lauren gli fece la linguaccia, voltandosi nuovamente: il ragazzo non poteva fare a meno di pensare quanto fosse buffa con i capelli in disordine e una maglietta extralarge improponibile, arancione di una delle vecchie edizioni dei Teen Choice Award, tutta un’altra cosa rispetto alla facciata di perfezione che mostrava al mondo esteriore.

 

Al secondo tentativo della ragazza, biascicò un –Aspetta- seguito da una serie di insulti dalla voce roca di lei. Li ignorò, come cercò di ignorare il suo tentativo di piantargli le unghie nella spalla per attirare nuovamente la sua attenzione e reclamare quello che, secondo lei, le spettava di diritto.

Eppure Kei era convinto che fosse lui a dover essere il primo e nemmeno la russa gli avrebbe fatto cambiare facilmente idea. Fu così che si legò il tubicino di plastica al braccio, tamponò alla meglio l’incavo del braccio con le dita e lasciò che l’ago gli penetrasse la vena, iniettando al suo interno l’eroina.

 

Era trascorso ormai più di un mese dalla fine del tour e gli eventi lo avevano trasportato in una direzione totalmente inaspettata: forse, più che gli eventi, avevano contribuito una bella serata trascorsa insieme, qualche bicchiere di troppo e la sua inclinazione al sesso. Il fatto era che Lauren non aveva obiettato, alimentando quella pazzia che prevedeva incontri, più unici che rari a causa degli impegni, clandestini, il più possibile segreti.

 

Sentì un sussurro all’orecchio, non comprendendo il significato di quei suoni, poi un morbido tocco, le sue labbra probabilmente, che gli sfioravano il lobo, ma null’altro esisteva all’infuori del piacevole abbraccio della droga, tanto che non si lamentò quando Nataliya entrò in possesso della siringa.

Si lasciò cadere disteso sul materasso, ma qualcosa di strano lo terrorizzò: non faceva più effetto come una volta, provò ad arrabbiarsi nell’annebbiamento di quei minuti, lamentarsi e maledirsi poiché quella dose non era abbastanza, non più, ancora.

 

Su quell’aspetto non sarebbe cambiato facilmente e, a dirla tutta, non era una delle sue priorità in quel momento: non credeva ancora di poter provare amore o cose del genere, nonostante si fosse incamminato sul sentiero tortuoso della guarigione, e non voleva impelagarsi in una relazione seria con un personaggio pubblico. Era già abbastanza sotto i riflettori per conto suo.

Bevve il restante contenuto della tazza, mettendo via il cellulare, quando sentì un peso sulla testa e dei capelli biondi invadergli la visuale.

-A che pensi?- chiese Lauren che, alle sue spalle, aveva intrecciato le dita sulla nuca del ragazzo, poggiandovi poi il mento.

 

Dei capelli corvini gli sfiorarono il viso quando Nataliya si cacciò al suo fianco: non esistevano altro che lui, il suo malessere, le sue botte altalenanti di tranquillità e timore, le dita della ragazza che si intrecciavano alle sue e immagini confuse di un rifugio che faceva male proprio per quanto fosse surreale. Solo qualche attimo e tutto ciò si fece appannato, fino a scomparire. 

 

Come racchiudere un vorticare frenetico di immagini in poche parole? Pensava alla loro tresca e agli impegni che gli si prospettavano nelle ore a seguire: aveva in mente la palestra dove insegnava Jermaine, quella dove doveva provare per il suo nuovo ingaggio, le lezioni di ogni branca dell’hip hop e quelle di Jazz sulle quali Jay insisteva, i pranzi, le cene, le feste, le audizioni. Se non era vita quella, non sapeva dove altro andare a cercarla, ma soprattutto non riusciva a trovare qualcos'altro che per lui corrispondesse a vita, la sua vita.

Lo aveva negato, vi si era nascosto, aveva avuto problemi a pronunciarlo, ma ormai si era dovuto arrendere all’evidenza: lui era un ballerino e come tale avrebbe vissuto finché ne avesse avuto la possibilità. Quindi a cosa pensava? Prese un respiro prima di rispondere.

-Che sto bene-

 

 

 

 

 

 

 

“Era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria..

 

..ringrazio di possedere un corpo per danzare cosicché io non possa sprecare neanche un attimo del meraviglioso dono della vita.”

 

 

 

 

 

 

FINE..

 

 

 

 

 

 

 

 

Discorso di Commiato Time

 

La cosa che mi conforta è che ho ancora un po’ di righe di commento adesso perché, non appena ho scritto la parola FINE, mi è salito il magone!

Intanto spieghiamo il perché di quei puntini: come vi ho sempre detto Leggero è solo una piccola parte di una storia infinita, per questo mi sembrava doveroso darle un senso di continuità, nonostante il pezzo che ne verrà dopo non lo scriverò.

Ma che ne dite di tirare un po’ le somme?

Sono passati due anni nella cronologia del racconto, il secondo più veloce del primo, ma pur sempre due anni nei quali ne sono successe di cose e nei quali il nostro protagonista è cambiato. Per noi, invece, sono trascorsi undici mesi, né più né meno.. dal 17 dicembre 2010, dritti dritti fino al 18 novembre 2011, sono state 49 settimane per 46 capitoli: innanzitutto vado fiera di essere riuscita nel mio intento di pubblicare con regolarità (se non contiamo un disguido alla terza settimana e la piccola pausa di agosto) poiché mi ero ripromessa di non farmi attendere e così è stato. Sono successe tantissime cose da quando è iniziata questa avventura: è stato qualcosa di improvviso, che capitolo dopo capitolo ha raccolto persone di ogni genere. Lo so, forse è stata un’impresa titanica, potreste dire che mi è sfuggita dalle mani, che è durata troppo, ma la verità è che così doveva essere. Avrei potuto interromperla in altri momenti, ma sapevo che, a seconda di dove sarebbe terminata, avrebbe acquisito un significato diverso.

Guardando indietro credo che molte cose avrei potuto svilupparle meglio, come per ogni cosa, ma a dirla tutta, poteva anche uscirmi di peggio: mi sono maledetta diverse volte per essermi imbarcata in questa impresa, per non aver prima completato di scriverla e poi, solo dopo, decidermi a pubblicare, ma in quel caso sarebbe uscita sicuramente diversa e non per forza migliore.

L’ultima parte comunque è stata la più difficile, nonostante fosse quella che sentivo più vicina, ma la spiegazione è presto detta: è fatta di immagini. Le parole a volte non sono il mezzo più efficace, anzi in questo caso erano il più complicato, ma ho comunque fatto del mio meglio.

Altra puntualizzazione sta nella frase che conclude questo capitolo e che avevate già trovato nei primi undici: è l’unica non di Ligabue e non vi ho mai dato troppe spiegazioni proprio perché parla da sola. E’ tratta da ‘Lettera alla danza’ di Rudolf Nureyev, leggermente modificata per adattarla alla storia: consiglio personale è di andare a leggerla se ne avete voglia.

Come dicevo, comunque, in questi undici mesi sono successe tantissime cose, ci sono stati alti e bassi, con alti rari e bassi che toccavano i minimi storici, credo di ricordarmi esattamente ogni capitolo quando è stato scritto e con che umore, per non parlare di tutto quello che è cambiato (vi assicuro che la lista sarebbe lunghissima) e, se guardo indietro, devo solo che ringraziare della presenza di Leggero. Iniziamo quindi da qui la lista di ringraziamenti..

 

            Grazie a Leggero, la fanfiction che mi ha dato gioie, dolori, patimenti, risate e tanto, troppo ancora, che mi ha accompagnato in lungo e in largo, che mi ha dato una distrazione, un obiettivo, e la canzone che ha dato un nome a tutto un periodo (il mio personale Leggero Time)..

            Grazie a Ligabue, di conseguenza, per aver condiviso la sua musica e il suo mondo, perché le sue parole sono state d’ispirazione..

            Grazie a Trenitalia, ebbene sì, prima e ultima volta che accadrà di ringraziarla, perché Leggero è nata tra i vagoni, ad ogni ora del giorno, dalla mattina presto, all’ultimo treno della giornata, tra i mille ritardi e quant’altro che mi hanno dato il tempo e lo svago di creare questo mondo..

            Grazie ai restanti mezzi di trasporto, da autobus ad aerei, fino alla mia macchinina, perché Leggero ha viaggiato su tutti questi..

            Grazie alle mie cuffie che hanno trasmesso la musica, fondamentale carica e fonte di tutto..

            Grazie a scrittori, registi e quant’altro presso i quali mi sono informata per non scrivere cavolate (nonostante alcuna sia scappata comunque)..

            Grazie alla danza.. e su questo non ci sono parole..

 

E qui arriviamo al clou..

 

            Grazie alle persone che mi stanno attorno, che inconsapevolmente sono protagoniste di Leggero, perché loro hanno vissuto, hanno provato, hanno respirato, hanno danzato e soprattutto hanno condiviso le loro esperienze dandomi il sentore di un mondo che altrimenti non avrei saputo ricostruire e perché in Kei e in Jermaine c’è un pezzo di loro..

            Grazie ai lettori che hanno commentato sin dall’inizio e che mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui e mi hanno ispirato tanto che, probabilmente, alcune delle parti più belle di questa storia sono venute così grazie alle loro recensioni..

            Grazie ai lettori che sono stati in silenzio, perché ogni giovedì notte, per mesi, anche quando ritardavo, erano lì davanti al loro pc/cellulare/robochesiconnetteainternet a far lievitare il numero delle visite al capitolo nei primi dieci minuti di pubblicazione..

            Grazie a tutti quelli che hanno iniziato a leggere, per poi abbandonare la storia, per i più svariati motivi, perché è sempre un fattore di conoscenza in più..

            Grazie a quelli che si sono emozionati, hanno vissuto queste righe, si sono annoiati, sono rimasti delusi, hanno pianto, hanno riso, mi hanno mandato a cagare..

            Grazie a tutti quelli che non hanno capito, che non capiscono, perché così ho potuto realizzare quanto io invece sia fortunata a riuscirci..

            Grazie a Hiromi, perché è stata la prima lettrice che ho conosciuto, colei che mi ha aperto le porte della persona oltre il nickname, della quale ho aspettato per mesi in trepidante attesa il commento e con la quale mi diverto sempre a chiacchierare..

            Grazie a Lily perché.. all’inizio non lo avrei mai detto, non avrei mai scommesso neanche un centesimo su questo, eppure è diventata una presenza importante che con il suo modo di fare mi ha conquistato..

            Grazie a SunsetBoulevard perché è stata la prima cavia che ha sperimentato Leggero e che mi ha donato un po’ della fiducia che mi serviva per pubblicare e dare vita a tutto questo, che si è sorbita tutti i miei scleri durante i viaggi in macchina e non solo..

            Grazie a Aphrodite perché è stata sempre sincera, mi ha riempito il cuore con alcune sue recensioni, mi ha fatto crollare come un castello di carta in altre, che si è appassionata al lato più sommerso della vicenda dandomi tante soddisfazioni..

            Grazie a Padme che è La recensitrice di tutti, ma proprio tutti, i capitoli di Leggero..

            Grazie a Avly, Nena Hyuga, Charlene, Halley Silver Comet, Dark Hiwatari, SouLenzi, Lady Kiryu, Lenn Chan, Nika_night, scarlettheart, Dark_Fairy92, LoveDolphin, Hilly89, luna di perla, B r e e, HeartInRussia, Iria, Faith Yoite, keri, per aver commentato più o anche solo una volta..      

 

Detto questo vi chiedo solo un ultimo sforzo, ora che apparirà la parola ‘completa’ lasciate l’ultimo segno del vostro passaggio, ditemi quello che ne pensate, che siano cose belle o brutte, pubblicamente o in privato, ma fatemi sapere.. ci tengo!

 

Ora finalmente posso piangere!

Un bacione :)

 

 

Leggero,

Nel vestito migliore

Senza andata né ritorno, senza destinazione

Leggero,

Nel vestito migliore

Sulla testa un po’ di sole ed in bocca una canzone

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