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Buonasera
a tutti..non ci credo ancora che lo sto facendo eppure..eccomi qui!
Dopo anni torno a pubblicare..aiuto O_O Comunque..mi sento in dovere di specificare qualche
punto su questa storia per poter inquadrare bene il contesto e non confondersi.
Tutta la vicenda avviene tenendo conto esclusivamente della prima serie, a
grandi linee la storia rimane quella negli aspetti fondamentali, cambiano un
po’ di cose rispetto al Monastero e a Kei (ad esempio non inserisco la perdita
di memoria), ma in ogni caso nel corso dei capitoli spiegherò bene le mie
modifiche.
Delle altre serie l’unico personaggio presente sarà Hilary, mentre per motivi
di copione ho eliminato il Professor K; direte “poverino”! Lo dicevo anche io,
ma mentre creavo la storia la sua presenza era sempre di troppo e non riuscivo
a farlo quadrare nel contesto.
Un’altra precisazione che ci tenevo a fare è sul personaggio di Kei: chi mi
conosce sa quanto lo amo e può immaginare quanto sarà al centro
dell’attenzione, ma vi avverto già da ora che la versione che vi presenterò
potrebbe non essere molto facile da accettare! Eheh
non preoccupatevi non è tremenda, ma io stessa ho fatto fatica a vederlo subito
nel modo in cui l’ho dipinto. Invece ora riesco a vederlo solo così! :) Spero che non appena coglierete quello che lo
renderà tanto strano continuerete a leggere ugualmente.
Infine vi avverto che la storia è già decisa interamente nei minimi dettagli e
scritta per la maggior parte e che quindi non avverrà nessuna modifica in
itinere almeno che non sia estremamente necessario. Questa fiction è il
risultato di anni di perfezionamento nella mia testa e su word! E’ l’unione di
almeno tre storie separate che inevitabilmente si sono connesse e hanno
combaciato perfettamente, quasi in modo naturale.
Ah vi avverto, davvero come ultima cosa, che questa storia potrebbe essere
infinita! XD
Immagino andrà molto per le lunghe.
Sperando di non avervi stufato vi lascio alla lettura finalmente!
Meet Me Halfway
Solita giornata senza fine, solita routine, solito posto, solito ronzio nella
testa, solita sonnolenza.
Stava per chiudere gli occhi e appisolarsi cullato dalla ninnananna che forse
sentiva solo lui, fatto stava che era stanco e quello era il momento buono per
addormentarsi, la sua testa stava già scegliendo che sogno iniziare..ecco,
dolci, tanti dolci, tutti per lui, cioccolata, panna, caramelle, biscotti e..e il professore di matematica. Che ci faceva il
professore di matematica in quel paradiso? E che cosa stava cercando di dirgli?
Un colpo al fianco lo fece rinvenire del tutto e notò che le torte e i biscotti
si stavano diradando per lasciare spazio ai volti dei suoi compagni di classe
che tentavano ogni modo conosciuto per non scoppiare a ridere, e lì, in mezzo a
tutti, l’unica parte del sogno che non si era dissolta: il professore lo
fissava alquanto irritato.
-Ma si può sapere perché tu riesci ad addormentarti ad ogni lezione? Ma che fai
la notte invece di dormire? E poi ascoltare non ti farebbe nemmeno troppo
male!- Hilary stava per l’ennesima volta facendo la ramanzina al povero Takao,
che si stava già disperando per quello che lo aspettava il giorno dopo: una
lunga e tremenda interrogazione sul programma svolto fino a quel momento.
-Come faccio? Ero appena riuscito a recuperare quel 4 per pura fortuna!-
-Dai ti diamo una mano noi! Cioè per quello che ne capiamo..- Takao guardò Max
con gli occhi colmi di gratitudine, tanto che per poco non si mise a piangere.
-Questo non vuol dire che però noi facciamo tutto e tu ci guardi mangiando come
al tuo solito!-
-Tranquillo Rei..farò il bravo e mi impegnerò tanto..parola di lupetto!-
Il quartetto di quindicenni continuava a camminare verso casa cercando di
consolare il giapponese: ormai dalla fine del torneo Max e Rei si erano
trasferiti da Takao e avevano iniziato a frequentare lì la scuola dove avevano
conosciuto Hilary che si era inserita subito perfettamente nel gruppo.
-Mi raccomando fatelo studiare.. ci vediamo domani a scuola! Ciao ragazzi!-
Detto questo Hilary si separò dal gruppo e li lasciò proseguire da soli.
Il resto del pomeriggio si rivelò una noia mortale tra equazioni, funzioni e
chissà che altro: quel che era certo era che Takao e la matematica non
sarebbero mai andati d’accordo e l’interrogazione si sarebbe rivelata ancora
più catastrofica del previsto, il che non rendeva l’atmosfera molto felice.
Anche l’ora di cena arrivò e il racconto della disavventura di Takao fece
arrabbiare non poco nonno J il quale non sapeva più che fare con quel nipote
disgraziato!
-Ma nonno che ci posso fare io se quello lì ha un tono di voce soporifero..dai è impossibile ascoltarlo..-
-E allora perché Max e Rei riescono benissimo a restare svegli durante le sue
lezioni, mentre te no?-
-E che ne so io.. chiedilo a loro..- DrinDrin
-Takao basterebbe solo che ti impegnassi un po’!- DrinDrin
-Nonno suona il telefono..- DrinDrin
-Lo sento.. ma potresti anche rispondere te e evitare al tuo vecchio di
alzarsi..-
Tre paia di occhi fulminarono il ragazzo che si alzò e si diresse verso il
telefono sbuffando.
-Pronto? Casa Kinomiya..-
-Ciao Takao.. da quanto tempo..- Una voce ferma e fredda.
-Ehm chi parla? Ci conosciamo?- Takao non riusciva ad unire a un volto quella
voce anche se era sicuro di averla già sentita.
-Sì scusa in effetti è passato un bel po’ dall’ultima volta che ci siamo
sentiti..- Sì qualcosa di familiare c’era, c’entrava col bey, ma chi poteva
essere? - ..sono Sergay!-
-Oh ma certo.. scusa non ti avevo riconosciuto.. in effetti è da un bel po’ di
tempo che non ci sentiamo.. tutto a posto?- Sentiva delle voci dall’altra parte
dell’apparecchio, qualcuno che era appena arrivato, oppure..
-Aspetta che ti passo Yuri..-
-Sì certo, ma che..-
-Pronto Takao?!- La sua voce invece non se l’era dimenticata, sempre
controllata, sicura, come se niente e nessuno potesse contraddirlo, eppure ora
c’era qualcosa di diverso, qualcosa che le aveva tolto certezza.
-Sì.. ciao Yuri da quanto tempo.. come va lì?-
-Ehm direi bene tr..-
-Sergay mi sembrava un po’ strano.. lui e Boris hanno qualche problema?-
-No no loro stanno bene..-
-Tu invece? Mi sembri un po’ provato!-
-No io sto bene..-
-Kei invece? E’ da tantissimo che non lo sentiamo.. e meno male che ci aveva
promesso che saremmo rimasti in contatto.. ma conoscendolo in effetti non è che
potessi sperare in più di tant..-
-Takao ascolta ti devo chiedere una cosa importante a proposito proprio di
Kei.. se non vi siete sentiti è perché lui.. diciamo che non è stato molto bene
nell’ultimo periodo..-
-Cosa? Sta male? Che cos’ha? Possiamo fare qualcosa?-
-Vi volevo chiedere appunto se potevate venire qui in Russia.. solo per qualche
giorno.. magari la vostra presenza potrebbe farlo sentire un po’ meglio.. e poi
perché vi devo chiedere un favore.. soprattutto a te Takao.. ma dovete venire
di persona.. non saprei come spiegartelo al telefono!-
-Sì Yuri, ne parlo subito con gli altri, ma non credo che ci siano problemi..
ci vorrà solo qualche giorno per prepararci.. ma cos’ha Kei?-
-Diciamo che gli ultimi anni sono stati un po’ duri per lui.. ma sapete
com’è fatto.. si tiene sempre tutto dentro e ora.. beh ha avuto qualche
problema con la droga e.. no tranquillo ora ne è uscito.. o almeno ci sta
provando.. ma le cose non sono migliorate troppo.. dovete venire per capire!-
-Tranquillo! Veniamo il prima possibile..-
-Grazie..allora semmai ci sentiamo domani per i
dettagli!-
-Perfetto.. allora a domani..-
Yuri riagganciò prima che Takao potesse aggiungere altro.
Rimase davanti al telefono a fissare il muro bianco davanti a lui per qualche
secondo; non è che avesse capito molto di quello che Yuri aveva detto. L’unica
cosa certa era che Kei non stava bene e questo lo preoccupava non poco perché,
conoscendo il ragazzo, se aveva ammesso di stare male e aveva chiesto aiuto
voleva dire solo una cosa: era grave!
Ripensò velocemente all’ultima volta che l’aveva sentito. Non si ricordava bene
quand’era, erano trascorsi diversi mesi..forse alla
fine delle vacanze estive..no doveva essere prima.
Primavera.. sì gli sembrò di ricordare una bella giornata, l’albero del
giardino in fiore e Hilary che lo punzecchiava perché tornasse subito a
ripassare. Ma quella volta, pensandoci bene, non è che gli avesse poi veramente
parlato. Si sentivano con i russi molto di più in quel periodo, ma chissà come
mai, ogni volta che chiamavano, Kei era sempre fuori casa; solo in quel
pomeriggio di aprile era riuscito a farselo passare per pochi secondi durante i
quali aveva ricevuto risposte monosillabiche ai suoi “come va?” e “è da tanto
che non ci si sente!” e poi basta. Vuoto totale.
Sì, era proprio aprile. Questo voleva dire che era passato quasi un anno da
quella telefonata alla quale erano seguiti solo pochi tentativi sempre più radi
e altamente inutili di sentirlo, tanto che aveva rinunciato sperando che fosse
lui a farsi finalmente vivo! E ora lo aveva fatto..cioè,
Yuri.. o meglio Sergay.. No, non ci capiva più un fico secco!
Stava ancora guardando il muro quando finalmente gli altri lo vennero a
risvegliare dai suoi pensieri per chiedergli informazioni sulla telefonata.
-Ehm.. Takao chi era al telefono? Va tutto bene?-
Finalmente il suo cervello smise di rimuginare sul passato (gli stava anche
venendo un forte mal di testa!) e spostò l’attenzione sui due amici che lo
guardavano perplessi e la sua vena istintiva e ottimista tornò a muoverlo.
-Presto! Dobbiamo trovare un volo al più presto! Preparate i bagagli e..-
-Aspetta aspetta! Che cosa stai farfugliando?! Dov’è
che dovremmo andare? E soprattutto perché?!-
-Ah sì..si parte per Mosca! Andiamo a ritrovare quel polaretto ammattito!-
-Credi che si stia riferendo a Kei?- Max guardò Rei con un sorrisetto, capendo
il perché di tutta l’agitazione e la trepidazione di Takao.
-Mi sa proprio di sì!-
Questo è un assaggino..fatemi sapere che ne
pensate!
Grazie a tutti!
Un bacione :)
“Era
il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la
mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia
condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo
tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa
facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava
l’aria.”
Make Way
8 ore e mezzo di viaggio sono assolutamente una sofferenza per chiunque. Per
chiunque diverso da Takao Kinomiya. Lui riusciva
sempre a sopportare un viaggio così lungo. Motivo? Beh tutto quello che si può
fare su un aereo in volo è leggere qualcosa, mangiare o dormire. E Takao era
tanto intento a impegnarsi nelle ultime due opzioni, che non aveva nemmeno il
tempo di concentrarsi sulla prima, il che gli andava perfettamente bene!
Alla fine, dopo solo un’ora dalla telefonata di Yuri, avevano convinto Nonno J
che saltare qualche giorno di scuola non li avrebbe danneggiati troppo, avevano
prenotato il volo e quasi finito di preparare le valige; il giorno successivo
Takao aveva preso la famosa (e inevitabile) insufficienza che, però, non lo
preoccupava molto considerando il viaggio che si apprestava a fare, e Yuri
aveva richiamato per confermare la data e l’ora del loro arrivo; Hilary, appena
informata della cosa, guardò incredula i tre ragazzi, ma non aggiunse altro.
Così ora Rei, Takao e Max erano sull’aereo in atterraggio nell’aeroporto di Mosca.
-Dobbiamo regolare l’ora ragazzi!- Rei iniziò a trafficare col suo orologio da
polso, mentre seguivano la folla di gente che entrava insieme a loro nel
terminal, cercando di capire quale potesse essere l’ora giusta. Finalmente in
mezzo a tutti quei cartelli scritti in un alfabeto incomprensibile avvistò un
orologio e trionfante annunciò che era mezzogiorno e mezza.
-Ma come è possibile?! L’aereo partiva da Tokyo alle 9!-
-Takao non hai mai sentito parlare di fusi orari!?-
Rei pronunciò le ultime parole come se fossero una formula magica provocando le
risate di Max e una classica espressione da “sto cadendo dalle nuvole” da
Takao.
Avevano appuntamento con Yuri in aeroporto, ma iniziarono a guardarsi intorno
da subito perché, sinceramente, l’idea di non trovarlo e di rimanere tutti soli
in quella città dove non capivano né la lingua né la scrittura li preoccupava
parecchio.
Per fortuna non dovettero fare molta fatica poiché il rosso li aspettava
all’uscita del terminal appoggiato a una grande colonna. Era cambiato: stessi
capelli rosso fuoco, ma più corti dell’ultima volta, molto più alto, li
sovrastava di almeno 20 cm, e un’espressione più matura, non che fosse mai
stato un bambino ingenuo, ma semplicemente dimostrava più dei suoi 18 anni, ma
in un modo meno raccapricciante di quando lo avevano conosciuto due anni prima
durante il torneo mondiale; allora era un impassibile soldatino con la maturità
di un ragazzino cresciuto troppo in fretta nel modo più terribile al mondo, ora
era semplicemente un ragazzo molto bello, sicuro e sereno.
-Ben arrivati! E’ andato bene il volo?-
Si vedeva che il russo era leggermente a disagio a dover intraprendere una
conversazione con loro, ma per fortuna non dovette troppo preoccuparsi di
trovare argomenti per continuarla: Takao fece tutto da solo ostentando il suo
disappunto sul fuso orario che definiva una grande seccatura.
Presero, quindi, un treno che li portò in mezz’oretta fino al centro di Mosca
dove si fermarono a mangiare qualcosa in un ristorantino economico. Una volta
seduti al tavolo Rei decise che era il momento di chiedere maggiori
informazioni sul motivo per cui erano stati chiamati così urgentemente,
soprattutto si chiedeva come, dopo tanto tempo, potessero essere davvero
d’aiuto per Kei.
-Yuri.. perché siamo qui? Cos’ha di preciso Kei?-
Yuri non batté ciglio, si aspettava che gli rivolgessero quella domanda, e
prese un profondo respiro prima di parlare, socchiudendo per un attimo gli
occhi, come per ricordarsi un copione che si era ripetuto più e più volte.
-Ecco.. vedete, Kei..- Decise allora di abbandonare ogni frase studiata e
pacata che gli era venuta in mente nei giorni precedenti -.. Kei sta male! Dopo
l’arresto di Vorkov e di suo nonno, in pratica dopo
l’ultima volta che ci siamo visti, sembrava che tutto stesse volgendo al
meglio, insomma eravamo liberi, invece era tutta apparenza.. io, Boris e Sergay
abbiamo superato la cosa molto meglio di lui.. ha iniziato a seguire una via
sbagliata, a drogarsi, questo ve l’ho già detto, poi per fortuna siamo riusciti
a convincerlo che così non poteva continuare e si è convinto a smettere, è
difficile, ora sono passati quasi due mesi, dall’ultima volta che.. ma sapete
com’è.. è difficile per lui stare lontano dalla droga.. non sono sicuro che
possa resistere..cioè ora sembra che si stia
risollevando, ma ho sempre paura che si lasci trasportare dal desiderio di
farsi.. e vi assicuro che è ancora forte per lui..e
non so cosa fare..non sappiamo come fare!-
Sembrava che questo discorso gli fosse costato tanta fatica e il ragazzo si
sentiva gli occhi degli altri tre incollati addosso.
-Speravo che magari se voi riusciste a distrarlo per un po’, fargli tornare la
voglia di vivere, fare qualcosa di nuovo, magari potrebbe stare meglio..lo so mi sto illudendo, ma devo provare, devo
trovare un modo per aiutarlo veramente..-
Le parole gli morirono in gola.
-Capisco.. non so cosa riusciremo a fare, ma ci proveremo.. sono contento che
tu ci abbia chiamato!-
Rei rivolse un sorriso a Yuri, che, se anche con un po’ di amarezza, lo
ricambiò. Al cinese sembrò che fosse moltissimo tempo che al russo non
capitasse di sorridere, ma il suo pensiero si spostò automaticamente su Kei, su
come doveva essere cambiato e su quanto invece fosse rimasto uguale nei suoi
modi, non sapeva che aspettarsi; se c’era una persona che faceva esattamente il
contrario di quello che uno si aspetterebbe quello era proprio Kei.
Per arrivare alla casa dei ragazzi, fecero una passeggiata per le vie di Mosca
e impiegarono una ventina di minuti; il freddo era pungente, ma per fortuna si
erano portati tutto il necessario per non soffrire il freddo inverno russo.
Takao e Max monopolizzarono la conversazione e la spostarono su argomenti
abbastanza futili come il tempo, notando la difficoltà di Yuri a continuare a
raccontare di Kei, nonostante tutti loro avessero la curiosità di sapere
qualcos’altro sull’amico.
-Lo vedrete e capirete- furono le ultime parole che pronunciò Yuri prima di
chiudersi nel silenzio ad ascoltare e a guidarli per le strade di Mosca.
Mosca era stata il teatro del loro ultimo incontro, ma, se possibile, ora era
ancora più coperta di neve. Dopo la finale del torneo mondiale, i Demolition Boys si erano ritrovati finalmente liberi e
avevano stretto un rapporto molto stretto con la squadra giapponese; Kei aveva
avuto la possibilità di scegliere se restare in Russia o andare con Takao, ma
non se l’era sentita di lasciare Yuri e gli altri, i suo fratelli, come li
aveva definiti quella volta, in una delle sue rare esternazioni di affetto.
Allora si erano separati con la promessa di sentirsi e così era stato per
almeno un anno, fino a che inevitabilmente le telefonate, le lettere e le mail
si erano fatte pian piano più rare, a distanza sempre maggiore, fino a
terminare.
La situazione dei russi non aveva aiutato questa corrispondenza; per almeno un
anno infatti si erano visti trasportare da una casa famiglia a un’altra, ma per
fortuna erano riusciti a restare insieme; quando finalmente Sergay, il più
grande, era diventato maggiorenne si era accollato la responsabilità degli
altri tre ed erano riusciti ad uscire da questo continuo sballottamento da una
parte all’altra di Mosca. Una fortuna in più li aveva colpiti: il nonno di Kei
morì in prigione il mese prima del compleanno del colosso biondo e si scoprì
aver lasciato tutta la sua eredità al nipote. Kei non voleva accettare niente
da quell’uomo, ma dopo aver riflettuto attentamente, trovò il lato positivo
della faccenda: scoprì qual era la più modesta proprietà del nonno in città e
la trasformò nella loro nuova casa.
Erano proprio arrivati davanti a quella casa: faceva parte di una serie di
abitazioni unifamiliari, il quartiere non era molto centrale, ma sembrava il
classico posto per famiglie che non erano ricche, ma nemmeno facevano la fame,
un posto tranquillo insomma.
-Vi siete trovati proprio un bel posticino!-
-Già.. siamo stati fortunati-
Rei si fermò sorridendo a osservare la casetta a due piani che gli si
presentava davanti di un colore di un bianco spento, un po’ scrostato; per
entrare attraversarono un cancelletto di ferro e un piccolo giardino ricoperto
completamente di neve, se non fosse stato per il vialetto che era stato
ripulito. Tre scalini e furono davanti alla porta di ingresso che Yuri aprì con
una chiave tirata fuori dalla tasca dei jeans.
Entrando i ragazzi furono accolti da un piacevole tepore che li fece trepidare:
decisamente un bel salto di qualità dalla fredda pietra del monastero.
Davanti a loro si estendeva un lungo corridoio con diverse porte e a sinistra
le scale che portavano al piano superiore; fecero qualche passo avanti e dalla
porta più lontana uscì un ragazzo altissimo, se possibile ancora più alto di
Yuri, e soprattutto molto più grosso, con i capelli biondi a spazzola e un
sorriso che stonava con il ricordo totalmente diverso che i tre nuovi arrivati
avevano di lui.
Sergay sembrava un’altra persona, gli venne incontro a grandi falcate, e
strinse la mano ad ognuno di loro, sempre col sorriso: era decisamente
ingrassato dall’ultima volta, quando la sua stazza era dettata dai muscoli, ora
sembrava invece che si fosse lasciato decisamente andare e ad aiutarlo non era
di certo il pesante cappotto che indossava che lo ingrossava ancora di più.
-Scusate ragazzi, ma devo proprio scappare.. sono molto felice che siate riusciti
a venire! Ci vediamo stasera! Ciao Yuri!-
Dette qualche istruzione al rosso e poi sparì dietro la soglia. Mentre uscì,
una ventata gelida riuscì a intrufolarsi in casa, ma si dissolse dopo pochi
secondi.
I ragazzi ricominciarono a guardarsi intorno mentre Yuri li invitava a fare
come se fossero a casa loro. L’arredamento era essenziale e girarono due o tre
volte su loro stessi prima di decidere dove posare i cappotti e gli zaini: alla
fine Yuri fu sommerso dai loro soprabiti e li sistemò nella prima porta a
sinistra prima delle scale, la quale si rivelò uno sgabuzzino.
Fecero per dirigersi verso la prima porta a destra, che si scoprì essere la
cucina, quando sentirono dei passi provenire dalle scale.
Si voltarono per vedere di chi si trattasse nella speranza che fosse il loro
amico; erano davvero impazienti di vederlo, dopo tutto quel tempo e dopo tutto
quello che gli aveva raccontato Yuri, si aspettavano di veder venire giù il
solito ragazzino con lo sguardo triste, i disegni sulle guance e il broncio
perenne.
Chi scese dalle scale però non era Kei, o almeno, non il Kei che si
ricordavano, non il Kei che si aspettavano. Per la terza volta nel giro di
poche ore si ritrovarono a fissare l’altezza della persona che gli si
avvicinava; sicuramente non raggiungeva Sergay, ma Yuri sì e dovettero quindi
alzare la testa più del solito. Ciò che era rimasto assolutamente uguale era la
sua bellezza, nessuno aveva mai messo in discussione questa sua caratteristica,
ma rimasero comunque stupiti di vedere che non aveva perso nemmeno un briciolo
del suo fascino che colpiva sempre chiunque, anche in quel momento che si
vedeva non essere dei migliori: infatti gli occhi di quel color vermiglio tanto
strano quanto affascinante, erano segnati da profonde occhiaie e si notava
quasi subito il labbro inferiore spaccato. Era vestito con una tuta larga che
accentuava l’eccessiva magrezza; con le mani in tasca e il cappuccio della
felpa tirato su, li guardava indifferente. Era bello punto e basta. Non c’era
niente da dire, poteva avere anche la pelle verde, quattro braccia e essere
pieno di ferite e comunque sarebbe stato bello. Rei pensò che se gliel’avesse
fatto notare sicuramente lo avrebbe ammazzato, o almeno il vecchio Kei
l’avrebbe fatto considerando la sua irritabilità quando si parlava della sua
bellezza. Ora non ne era più sicuro.
Dimostrava certamente molto di più dei suoi 16 anni. Continuò la discesa della
scala come se tre paia di occhi non lo stessero fissando avidi di sapere cosa
gli fosse successo e con noncuranza si tirò giù il cappuccio mostrando i
capelli argentati, molto più lunghi di due anni prima, legati in una coda
bassa. Solo allora si accorsero quanto la figura di “cattivo ragazzo”, che già
aveva tempo prima, fosse marcata: non avevano subito notato il piercing al sopraciglio sinistro e, ora che aveva il collo scoperto,
intravidero un piccolo tatuaggio sotto l’orecchio destro e poco più in giù il
termine di un altro che doveva continuare sulla spalla.
Si fermò alla fine della scala, un silenzio imbarazzante era caduto su tutti
loro; Yuri che era rimasto dietro i tre ragazzi più piccoli, osservando Kei
leggermente preoccupato, come se si aspettasse chissà quale reazione. Takao
fece per aprire la bocca due o tre volte prima di scoprire che da essa non fuoriusciva
nessun suono. Al quarto tentativo sembrava finalmente deciso a dire qualcosa,
ma fu anticipato dalla voce roca e bassa di Kei che sembrava stesse più
parlando a se stesso che ai presenti.
-Avrei dovuto immaginarlo-
Rei rimase interdetto da quella frase e subito si rivolse al russo alle sue
spalle.
-Gli avevi detto che saremmo venuti, vero?-
-Ecco diciamo che doveva essere una sorpresa-
Yuri sembrava leggermente in difficoltà e iniziò a massaggiarsi la testa
assumendo l’aria più innocente che riusciva.
-Non sei mai stato bravo a tenere i segreti- Kei si rivolse al compagno con
sufficienza, come se non gli interessasse davvero quello che stesse dicendo. –
Credi che non mi sia accorto di tutti i preparativi per accogliere qualche
ospite in casa.. a meno che la tua roba non si sia trasferita di sua spontanea
volontà in camera di Boris..- Rimise le mani in tasca come se il suo lavoro per
quel giorno fosse finito e si aspettasse di essere congedato.
Il silenzio fu di nuovo padrone.
-Vabbè..- Rei fece un disperato tentativo di ravvivare la conversazione -
..visto che ormai siamo qui.. Buongiorno Kei! E’ da tanto tempo che non ci
vediamo.. spero non ti sia dispiaciuta la sorpresa- Sorrise, ma lui stesso
dubitava di quello che aveva appena detto.
-Certamente..- Si limitò ad alzare le sopracciglia e Rei si disse che era già
tanto quel gesto e che in fondo non si sarebbe potuto aspettare di meglio. Kei
era cambiato, ma sulla loquacità non era affatto migliorato.
Takao si sentì finalmente autorizzato a parlare e dopo un entusiastico sorriso
preferì alle parole un forte abbraccio. Kei non aspettandoselo rimase rigido
sul posto e questo convinse il giapponese ad allontanarsi da lui quasi subito.
Max optò per un saluto alla Rei e quando quei convenevoli finirono, finalmente
Yuri accompagnò i ragazzi a posare la loro roba al piano di sopra. Kei si
scostò per lasciarli passare.
Il primo a salire fu Rei che giurò, mentre girava sul pianerottolo, di aver
visto Kei tirare uno schiaffetto sulla testa di Yuri che chiudeva la fila.
Eccoci al venerdì ed eccoci al nuovo capitolo!
Curiosity Time (così tanto per ciarlare
in compagnia!)
Il titolo Leggero deriva dalla canzone di Ligabue (al concerto martedì scorso..fantastico! XD) dalla quale si può dire che è stata
creata la storia, non che il racconto sia più di tanto inerente al testo, ma è
stata comunque di fondamentale importanza. Più che altro una frase di questa
canzone è importante o almeno è la chiave di volta di tutto: chiunque si vada a
prendere il testo in questo momenti preso dalla curiosità può azzeccare quale
sia. Buona ricerca per chi ne ha voglia!.
Your Space (giusto per dilettarsi malamente con l'inglese!)
@Kaifan91
La primissima a recensire.. Grandissima u.u Allora
grazie di tutto..spero di non deluderti con questa
storia e di mantenere alti gli standard (sì, come no). Felice di aver centrato Takao..per la storia del te/tu ho riletto e ho notato
quello che dicevi, fai te che non me ne ero resa conto..credo
sia un problema di inflessione dialettale O.o (e
allora diamo la colpa al dialetto!) XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto con la fantastica entrata in scena
di colui che è XD aspetto un tuo parere! :)
@Nena Hyuga
Alla faccia del piedistallo..almeno una dozzina di
righe solo per la sua entrata credo di avergliele lasciate XD
Forse mi sono un po' sbilanciata..non è scritta
proprio tutta, solo una prima parte che però è consistente quanto una fic intera! XD Mi sono lasciata trasportare sai com'è!
Per l'unione delle storie..la pazzia è ormai dilagata
in me! Che ci vogliamo fare..aspetto di sapere se
questo capitolo ti ha incuriosita ancora o se ti ha annoiata a morte u.u
@Padme86
Grazie mille! Tu ormai sei veterana qui nello scrivere u.u
dopo un bel po' da lettrice sono tornata dall'altra parte XD Allora..qui Kei è solo entrato in scena, ma presto
scoprirai come l'ho caratterizzato! u.u
Spero non risulti troppo strambo O.o
Vabbè in ogni caso allora aspetto la tua sul capitolo :D
@Avly
Carissima! Sì I'm Back (giusto per continuare
sull'onda dell'inglese XD)..spero che man mano che aggiornerò non deluderò le
tue aspettative, a meno che no l'abbia già fatto, e che continuerai a leggere.
Ma soprattutto che commenterai perchè voglio
assolutamente sapere la tua opinione u.u
Traduzione: sei obbligata! Ahaha no dai..diciamo che è un invito arbitrario XD
@Aipotu Ahahha ti ho inserita nonostante tu, o esserino
inutile, non commenti via efp, ma direttamente a
voce! E nonostante tu abbia già letto tutto quello che è salvato sul mio
computer! u.u
Visto che sei stata la prima a leggere e a incoraggiarmi ti dedico due righe,
ma basta..speramdo che anche agli altri la fic farà l'effetto che ha fatto a te! Thanks
:D
Bene..ho anche notato che a nessuno è dispiaciuto
della mancanza del piccolo Kappa u.u quindi facciamo
che abbia trovato un lavoro su una base spaziale che ruota intorno alla luna!
Gli dedichiamo queste due righe e poi torniamo a ignorarlo XD
Scemenze a parte..
Auguri di Buon Natale a tutti quanti, chi legge, chi recensisce, chi apre la
storia e poi la chiude dopo le prime due righe (che quindi non sapranno che gli
ho fatto gli auguri u.u)!!!
Un bacione :)
“Era
il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la
mia povertà, il mio pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia
condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo
tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa
facessi, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava
l’aria.”
Closer To The Edge
Il piano di sopra era leggermente più ospitale di quello inferiore, si sentiva
di più la presenza di solo quattro ragazzi in casa, era molto più vissuto, a
Rei ricordò vagamente il risultato di un week end senza Nonno J che era bastato
per rendere invivibile il dojo giapponese: certamente
lì il disordine non era fino a quel punto, ma si avvicinava molto. Il corridoio
era più corto, ma le porte sempre un’infinità.
- Qui c’è il bagno, ce n’è solo uno di sopra mi dispiace, l’altro è di sotto;
questa invece è camera di Kei, questa di Ser, quella di Bo e quest’ultima è la
mia, ma per questi giorni ve la cedo- Yuri aveva indicato tutte le porte
presenti per fermarsi davanti a quella più lontana dalle scale.
-Non volevamo creare così tanto disturbo..-
-Non dirlo neanche per sogno Rei.. non c’è nessun problema.. Romperò un po’ a
Boris, che intanto molte volte fa il turno di notte- Sorrise e lasciò agli
ospiti il tempo di prepararsi e gli disse che se volevano riposarsi non c’era
nessun problema.
Notarono che era molto più tranquillo di quando l’avevano trovato all’aeroporto
e ne furono sollevati; iniziarono a sistemarsi nella stanza che conteneva
un letto matrimoniale e una brandina, che toccò a Rei: non era il posto più
comodo del mondo, ma questo non lo trattenne dallo sdraiarcisi sopra e
riposare, seguito a ruota dagli altri due ragazzi.
Rei fu il primo a svegliarsi scoprendo che ormai fuori si era fatto buio, diede
un occhiata alla stanza avvolta nell’oscurità per poi cercare una fonte di luce
per guardare l’ora. Si mosse goffamente fino alla finestra finendo per
svegliare anche Max. Erano le 7 di sera, avevano dormito poche ore ed era
ancora più stanco di quando si era addormentato. Diede ragione a Takao: il fuso
orario era davvero una seccatura.
Rimase a osservare la poca visuale che aveva dalla finestra, dalla quale
filtrava la poca luce di un lampione lontano; in ogni caso tutto ciò che
riusciva a vedere era neve, neve e ancora neve.
Max accese di colpo la luce facendo mugugnare Takao e infastidire gli occhi di
Rei che ci misero qualche minuto per adattarsi all’intensità della nuova luce.
Rei uscì per primo dalla stanza e tornò al piano inferiore dove sentiva del
rumore dalla cucina, varcò la porta e si accorse che quella stanza era
collegata con quella vicina, divisa solo da un piccolo davanzale.
Chino sul frigorifero c’era una figura che subito scambiò per Yuri, ma poi, una
volta che si fu rialzata, scoprì essere Boris. Finalmente qualcuno non era
cambiato più di tanto: se non per la corporatura leggermente più matura, Boris
era completamente uguale, nemmeno l’altezza era stratosferica come quella degli
altri russi.
-Ben svegliato! Stavo giusto guardando che avevamo in frigo per la cena, ma mi
sa che dovremo ordinare qualcosa!-
Si salutarono cordialmente, ma anche nei modi il ragazzo non sembrava essere
cambiato molto.
-Semmai chiamerò Yuri e gli dirò di prendere qualcosa mentre torna a casa..-
Boris continuò a parlottare tra sé e Rei presto perse il filo del discorso e il
suo orecchio si concentrò su altre voci che non sapeva da dove provenissero.
Indugiò lo sguardo verso la stanza adiacente e vide oltre un tavolo con diverse
sedie, un divanetto e una poltrona e di fronte a esse una televisione accesa,
solo in un secondo momento, essendo ancora mezzo addormentato, notò il braccio
che spuntava dal divano che scoprì appartenere a un Kei dall’espressione
particolarmente annoiata; continuava a cambiare canale senza concentrarsi su
uno specifico, non sembrava nemmeno prestare attenzione a quello che appariva
sullo schermo, la sua occupazione principale era quella di fare zapping per il
solo gusto di farlo, anche se il divertimento era l’ultima cosa che si leggeva
sul suo volto.
Gli si avvicinò e fece per sedersi.
-Se vuoi guardare qualcosa fai pure-
-Ehm.. no tranquillo.. co-continua pure..-
Kei si girò verso di lui con espressione scettica, come per chiedersi se
credeva davvero che la sua occupazione fosse degna di essere perseguita. Tirò
giù leggermente la cerniera della zip e tradì un leggero disagio: appariva
accaldato, ma rimase comunque vestito di tutto punto.
Nonostante questo tornò a fare zapping noncurante di Rei che si sedeva di
fianco a lui.
Solo le mezze frasi dei diversi canali riempivano la stanza: poche note di un
jingle pubblicitario, una risata di una donna vestita da principessa, l’inizio
dell’annuncio di un telegiornale e di nuovo una pubblicità.
Passò solo qualche minuto e, con grande sollievo di Rei, la stanza si ripopolò;
prima Max e Takao arrivarono sbadigliando, poi il rumore della porta che si apriva
preannunciò il ritorno del rosso che a quanto pareva, mentre loro dormivano,
era uscito e ora portava in mano tre sacchetti pieni di scatole con cibo cinese
e giapponese di ogni varietà per la felicità dei loro ospiti.
-Ho pensato che già sarete traumatizzati per l’ora e vi faceva piacere almeno
mangiare normalmente!-
- Yuri.. ma dove sei stato tutto questo tempo?!- Takao guardava il ragazzo con
lo sguardo pieno di gratitudine.
Quando si misero tutti a tavola ( Kei lo fece come se volesse fare più un
piacere agli altri), la porta si riaprì per far entrare Sergay che li fece
stringere per poterci stare anche lui.
Fu una cena più piacevole di quella che tutti si sarebbero potuti aspettare.
Sia Sergay che Yuri si dimostrarono dei perfetti intrattenitori, dote che
pareva essere riemersa dopo la ritrovata libertà, mentre Boris era molto più
silenzioso, ma comunque di piacevole compagnia.
- Ser ha la ragazza! Molto carina sapete.. cucina favolosamente! Il ragazzone
qui potrebbe anche abbandonarci per una vita piena d’amore!- Yuri scoppiò a
ridere sulle sue stesse parole alle quali aveva dato un enfasi particolarmente
zuccherosa.
-Ma se senza di me non sopravvivreste nemmeno cinque minuti.. qui sono io a
mandare avanti la baracca!- Sergay si indicò fiero il petto.
Scoprirono così che il biondo era stato assunto in un ufficio di informatica e
stava cercando di portare avanti la sua carriera, mentre Boris faceva il
centralinista part-time e aiuto meccanico in un’officina lì vicino.
-Sì intanto quello a fare i doppi turni sono io!-
-Dai Bo, per una volta che ti rendi utile!- affermò Yuri, che invece stava
continuando gli studi.
-Una volta?! Brutto ingrato..-
Yuri e Boris iniziarono a punzecchiarsi sotto lo sguardo divertito dei
presenti. Era una serenità nuova che regnava in quella casa, semplice e pura,
molto piacevole da vedere e da provare.
Cos’era allora che aveva richiesto l’aiuto dei giapponesi in quell’atmosfera così..di famiglia?
Rei spostò lo sguardo dalla lite giocosa di fronte a lui per soffermarsi su
Kei, seduto a capotavola: osservava anche lui la scenetta e ne sembrava anche
abbastanza divertito, non c’era più l’espressione vuota del pomeriggio, ma
nonostante questo non sembrava sereno come il resto delle persone presenti. Ad
un tratto Rei perse il suo sorriso e notò anche che Kei aveva mangiato poco e
niente e che un lieve tremore gli attraversava la mano che era appoggiata sul
tavolo, la vide stringersi a pugno per poi spostarsi velocemente verso la tasca
dei pantaloni.
Tirò fuori un pacchetto di sigarette tutto rovinato, ne estrasse una, la portò
alla bocca e l’accese per poi aspirare sollevato il fumo. La sua espressione si
rilassò.
Passò inosservato, l’unico che sembrava essersene accorto era Yuri che per un
secondo abbandonò Boris per concentrarsi su Kei e lanciargli un’occhiata
preoccupata. In un attimo però ritornò alla sua occupazione precedente.
Solo quando avvertirono l’odore del fumo, Max e Takao notarono la sigaretta, ma
non dissero niente. Il resto della serata passò tranquillamente, ma presto il
sonno si impadronì di loro.
Nonostante il sonnellino pomeridiano alle dieci andavano già tutti verso la
propria stanza e entro poco la casa venne immersa in un silenzio assoluto.
Come in un flashback, Rei aprì gli occhi nella più completa oscurità.
Non era possibile. Da quando era lì gli sembrava sempre di fare le stesse cose,
sembrava che gli avvenimenti si ripetessero in continuazione. La cosa diversa
era che le persiane della finestra questa volta erano state chiuse e, quindi,
l’oscurità era totale.
Rei uscì dalla sua brandina più sveglio che mai e tentò di farsi strada
tastando gli ostacoli che gli si presentavano davanti.
Finalmente salvo nel corridoio, osservò che tutti dovessero essere addormentati
e iniziò a borbottare qualcosa sul fatto che, in tutti i suoi viaggi, non gli
era mai capitato di soffrire così tanto il cambio d’orario.
Anche il piano di sotto era avvolto nelle tenebre e totalmente silenzioso. Sì,
silenzioso, se non fosse stato per quello strano ronzio. Rei si chiese se se lo stesse immaginando.
Solo quando si concentrò sul salotto, riuscì a focalizzare la fonte del ronzio:
Kei era seduto (o meglio stravaccato) sul divanetto di fronte alla televisione,
questa volta, spenta. L’unica fonte di luce in quel momento era quella che
proveniva dalle due finestre, la quale bastava per focalizzare i contorni e,
perché no, di distinguere l’espressione del compagno. Ma ciò che produceva quel
ronzio che l’aveva attirato era una di quelle cuffie da deejay che teneva Kei
sulle orecchie, collegate a un piccolo mp3 sul bracciolo del divano: la musica
era tanto alta che Rei non distinguendola l’aveva scambiata per un ronzio.
Si soffermò a osservare la figura di Kei: aveva gli occhi chiusi e per la prima
volta era senza felpa e indossava solo una maglietta a maniche corte.
Con la mano appoggiata sulla gamba teneva il tempo della musica e sembrava che
stesse anche canticchiando qualcosa.
Non sapeva per quanto tempo rimase a fissarlo, ma solo dopo un bel po’ di tempo
si decise a dare segno della sua presenza, che Kei avvertì subito.
Si ricompose leggermente facendogli spazio sul divano, come per invitarlo a
sedersi, ma non era minimamente intenzionato a iniziare una conversazione.
Classico.
Da più vicino il cinese riuscì a distinguere qualcosa della musica che
proveniva dalle cuffie, ma non conoscendola lasciò perdere ogni tentativo di
cogliere le parole; era un ritmo veloce e potente.
Chissà quali erano i suoi gusti musicali ora.
La sua mente vagò tra i diversi generi per poi arrivare, chissà come, a pensare
a Hilary, nel periodo in cui era una fan sfegatata di una boy band giapponese e
li aveva costretti ad ascoltare tutte le loro canzoni e vedere in continuazione
la faccia di quello che, a detta sua, era il più figo del gruppo. Periodo
relativamente breve, ma terribile per lui.
Si lasciò scappare un risolino basso che, però, nel silenzio, risultò più forte
di quello che volesse.
Si voltò verso Kei, ma continuava imperterrito ad ascoltare la sua musica, come
se non ci fosse nessuno accanto a lui.
Si era appena acceso una sigaretta. Non l’aveva notato, come non aveva notato
il posacenere accanto a lui già riempito di diversi mozziconi. Seguì il
movimento del suo braccio nel portarsi la sigaretta alla bocca, per poi tornare
ad appoggiarsi sul ginocchio; con le due dita che tenevano la stecca continuò a
tenere il tempo.
Seguì il profilo illuminato della sua mano e lentamente risalì verso il volto.
Una volta arrivato alla spalla, però, come accortosi di qualcosa che non
andava, tornò verso l’incavo del braccio e notò un segnetto
nero, che poteva benissimo essere un neo, ma che a una visione più attenta si
rivelò essere una specie di buchetto contornato del colore della pece.
-Non devi guardarlo se ti fa effetto-
Pensò di aver fatto un’espressione alquanto schifata che non era sfuggita a
Kei, che non dava segni di essere comunque interessato al suo stesso discorso.
-No.. è.. è che non me l’aspettavo- Come una calamita, il suo sguardo era
attirato da quel segnetto, nonostante si stesse
convincendo che non fosse molto educato fissarlo.
Immancabilmente posò gli occhi anche sull’altro braccio non notando alcuna
differenza dall’altro.
-Sono sempre costretto a portare i segni delle cose brutte che mi succedono..
in questo caso delle stronzate che faccio-
Dichiarazione che lasciò spiazzato il cinese. Non si aspettava di sentire
parlare così naturalmente di quella faccenda. In fondo per lui era naturale, si
disse.
Ostentò per l’ennesima volta sul braccio sinistro e sul polso intravide un
altro tatuaggio, ma non capiva cosa fosse, se un disegno o una scritta; gli
ricordò quelle scritte che c’erano sui muri o sui vagoni dei treni, ma non era
definito bene, sembrava incompleto; infatti il disegno centralmente era reciso
da quelle che sembravano due linee invisibili orizzontali, un po’ irregolari.
Non sapeva dire se fosse fatto così o meno.
Il silenzio si faceva opprimente, avrebbe tanto desiderato un paio di cuffie
anche lui.
-Non riesci a dormire?- Non era sicuro che l’avesse sentito, ma doveva
assolutamente tentare.
Finalmente l’altro lasciò scivolare le cuffie sul collo, sempre lasciando l’mp3
acceso, e si rivolse a Rei.
-No.. quasi mai..-
Ecco spiegate le occhiaie.
-Potrei farti la stessa domanda.. sono le 4 del mattino.. non dovresti
riposarti?-
-Il fuso orario mi sta scombussolando troppo! Ma non hai dormito proprio per
niente?-
-..forse una o due orette..- Fece spallucce.
Ricadde il silenzio. Rei si chiese come Yuri potesse credere che loro gli
sarebbero potuti essere d’aiuto. Non sapeva assolutamente cosa dire, non sapeva
se poteva chiedergli come stava, se poteva indagare su quello che era successo,
o se fosse tutto un argomento taboo.
In effetti quello non era il momento giusto per provarci, o forse sì.
-Senti.. stai bene?-
Detta ad alta voce, risultò una domanda altamente stupida e insensata. Era
ovvio che non stesse bene. Ed era altrettanto ovvio che lui non l’avrebbe mai
ammesso così su due piedi. Lui non aveva alcun diritto di piombare lì e
aspettarsi che gli raccontasse tutto come se non si vedessero solo da due
giorni invece che da due anni.
-No.. per niente-
Spiazzato. Rimase decisamente spiazzato dalla semplicità con cui lo aveva
detto. Come se gli avesse chiesto che tempo facesse.
Ecco. Non se lo aspettava. E ora che poteva dire.
-Non devi per forza dire qualcosa.. E’ così.. –
Perfetto. Gli leggeva anche nel pensiero.
Kei finì la sigaretta, che però non sembrò rilassarlo come era successo a cena.
Se ne riaccese un’altra.
Il silenzio incombeva. Rei sentiva che quella situazione era altamente
paradossale. Provò la sensazione che non ne sarebbe mai uscito, che quel
silenzio sarebbe potuto durare anche tutta l’eternità e si sentì totalmente
inutile.
Kei continuava a guardare nel vuoto fumando, con espressione indecifrabile.
La musica continuava a produrre quel ronzio di sottofondo.
Le palpebre di Rei si fecero per l’ennesima volta pesanti. Di nuovo quella
sensazione di flashback.
Si disse che doveva restare sveglio. Avrebbe chiuso gli occhi solo per un
secondo, solo per riposare la vista che si sforzava di combattere il buio.
Li chiuse un secondo. Li riaprì alla luce del sole.
Avrebbe giurato di averli chiusi per un solo secondo. Eppure le finestre
facevano entrare qualche raggio di sole che si rafforzava riflettendo sul
bianco della neve. Si prospettava una giornata di quelle nitide, ma
freddissime.
Sentì un brivido. Gli faceva male il collo per la posizione scomoda in cui si
era addormentato.
Sul divano c’era solo lui e, a quanto pare, senza accorgersene, vi si era
allungato sopra.
Alzò la testa e vide Yuri intento a preparare quella che sembrava la colazione.
-Buongiorno!-
-Buongiorno Yuri -
-Comodo il divano?- Si lasciò scappare un sorrisetto divertito.
-Se avessi avuto intenzione di dormirci magari avrei anche potuto trovare una
posizione più comoda-
Il tempo trascorso insieme al russo dai capelli fuoco era molto piacevole, Rei
doveva ammetterlo.
Se lo ricordava molto più silenzioso e scorbutico, ma derivava tutto dalla
situazione che stava passando all’epoca. Ora si sentiva molto più a disagio a
parlare con Kei, con il quale invece non aveva mai avuto nessun tipo di
imbarazzo.
I primi ad alzarsi furono Boris e Sergay e, solo un’ora dopo il risveglio di
Rei, anche Max e Takao si unirono a fare colazione. Di Kei nemmeno l’ombra.
Rei sperò vivamente che si fosse finalmente addormentando.
-Qual è il programma di oggi?!-
Takao era impaziente di fare qualcosa, sembrava un bambino in gita che non
vedeva l’ora di muoversi.
-Non lo so.. se volete possiamo fare un giro.. o quello che volete!-
- Kei dov’è?-
-Sta dormendo, ho controllato mentre scendevo-
Sergay rispose alla domanda del giapponese guardando Yuri, come se con quella
semplice frase gli stesse dando un mucchio di informazioni, che l’altro sembrò
cogliere.
Lo squillo di un telefono interruppe la conversazione.
Yuri annunciò di dover assolutamente raggiungere un suo compagno di corso, ma
che per pranzo sarebbe tornato.
-Ti accompagno io! Intanto devo passare in ufficio un secondo-
-Ma è domenica Ser!- Takao come al solito non riusciva a tenersi per sé le
domande invadenti.
-Devi sapere che c’è un lato negativo di avere orari flessibili e non
determinati.. e lavorare di domenica è uno di questo!-
Yuri non si lasciò scappare l’occasione di sottolineare quanto Sergay si
pompasse ogni volta che parlava del suo lavoro e della sue responsabilità, per
poi rivolgersi a Boris.
-Tu non devi uscire vero?-
-In verità oggi pomeriggio sì.. ma se tornate prima di pranzo non c’è nessun
problema. Tranquilli ci sto io qui!-
Rei mostrò la sua usuale preoccupazione di essere un peso.
-Ragazzi se dovete uscire non vi preoccupate di lasciarci da soli, lo capiamo
non c’è problema!-
Yuri rispose al sorriso del cinese, ma assunse un espressione comprensiva e dolce.
-Ma non è per voi che ci preoccupiamo..-
Subito Rei capì a che si riferiva. A quanto pareva non si accertavano di
lasciare loro da soli, ma Kei.
Per paura che potesse fare chissà cosa, che a Rei e gli altri ospiti era
ignota.
Quando i due russi si allontanarono da casa, Boris ripeté i convenevoli sul
fare come se fossero a casa loro.
Alla fine lo aiutarono a sistemare la cucina dal disordine in cui l’avevano
lasciata la sera prima e non si lasciarono sfuggire l’occasione di estorcere
informazioni da Boris.
Yuri gli aveva anticipato che presto avrebbe chiarito ogni cosa, ma non lo
aveva ancora fatto e, soprattutto, non aveva ancora fatto cenno al favore
importante che doveva chiedere a Takao.
-Come mai non volete lasciare in casa da solo Kei?-
-E’ ancora più imprevedibile di quanto non lo sia normalmente, cambia umore da
un momento all’altro e.. e non siamo mai sicuri che riesca a controllarsi dal
fare qualche cazzata-
Nel vedere gli occhi avidi di sapere degli altri tre continuò.
-Non che non ci fidiamo di lui.. Ma a volte diventa un po’ incontrollabile e..
beh avete visto com’è conciato il suo labbro-
Si stavano giusto chiedendo come avesse fatto a spaccarselo.
-Vedete è.. in verità è stato Yuri!-
Tre paia d’occhi lo guardarono allibiti per l’ennesima volta.
-Sì.. la settimana scorsa.. non sapeva come farlo stare calmo e gli è
scappato..- Si concentrò un secondo in più sulla tazza che stava risciacquando
per poi tornare a parlare -.. Yuri non sa come perdonarselo.. e Kei non lo
aiuta considerando che non fa altro che ringraziarlo per averlo fatto!-
Paradossale. In quella casa regnava qualcosa di alquanto paradossale e strambo.
Il discorso cadde lì.
I bladebreakers erano scossi da quello che avevano
sentito. Kei era in pratica un bambino da seguire e non lo lasciavano un
secondo in casa da solo.
Un tonfo sordo al piano di sopra, proprio sopra la cucina, e il rumore di
qualcosa che si infrange fecero tendere le orecchie a tutti.
Boris stoppò la sua attività e alzò lo sguardo preoccupato verso il soffitto,
come se potesse guardarci attraverso.
In un secondo fu sulle scale e lo sentirono spalancare molto rumorosamente una
porta.
I tre ragazzi si guardarono un secondo prima di filare di sopra dietro a Boris,
fino alla stanza di Kei.
Si sporsero leggermente oltre la soglia senza, però, entrare del tutto.
La stanza era abbastanza ordinata, se non fosse stato per il letto sfatto e una
serie di cd sparpagliati su una piccola scrivania. La camera era molto più
piccola di quella che occupavano loro e conteneva giusto un letto a una piazza
e mezza, la scrivania e un piccolo armadio; alle pareti c’erano un collage di
foto e dei disegni.
Kei stava inginocchiato per terra in fondo al letto, cercando di raccogliere i
pezzi di quello che sembrava essere stato il vetro di una cornice, ripetendo
–Non l’ho fatto apposta-.
Boris era chino davanti a lui e gli ripeteva di non preoccuparsi, ma lo
guardava scettico.
Kei, raccogliendo un vetrino, si procurò un piccolo taglio sull’indice dal
quale fuoriuscì una gocciolina di sangue. La osservò un secondo prima di
lasciarsi cadere per terra, sedendosi e appoggiando la schiena al letto; portò
i pugni chiusi davanti agli occhi e rinunciò a raccogliere quello che rimaneva
della cornice, lasciando finire Boris.
-Tranquillo ti credo.. Non è successo niente..- Il russo fece per appoggiare la
mano sul ginocchio piegato di Kei, ma questo, prima che potesse sfiorarlo, lo
ritrasse verso di sé. Come se si fosse accorto di aver fatto qualcosa di
sbagliato, spostò le mani e guardò Boris scioccato.
-No no.. non volevo.. davvero!- Stava cercando una giustificazione e cercava di
convincere l’amico della buona fede di quello che, a quanto pareva, era stato
un gesto che non avrebbe dovuto fare.
Boris finì di tranquillizzarlo e lo fece sedere sul letto. Gli portò un
cerottino per il taglietto e poi gli chiese se voleva venire giù con loro o
preferiva rimanere lì.
Alla fine rimase in camera con le cuffie nelle orecchie. Gli altri tornarono al
piano inferiore un po’ scombussolati dalla scena alla quale avevano assistito.
I due russi, secondo il loro punto di vista, avevano ingrossato un piccolo
incidente, niente di che; quante volte Takao con la sua sbadataggine aveva
urtato e rotto qualcosa, eppure non era mai rimasto tanto sconvolto.
Boris li raggiunse sospirando, ma nessuno osò chiedere spiegazioni, sicure che
da lui non le avrebbero ricevute.
Eccomi con un pò di ritardo dovuto al Capodanno!
Per farmi perdonare ecco un capitolo più lungo..spero
sia stato di vostro gradimento. Ho risposto alle recensioni via privata per
adeguarmi alle novità u.u
Grazie mille a tutti.
Curiosity Time
Giusto per ulteriori chiarezze sul tempo provo a darvi qualche data: solo per
capire quanto è passato da un episodio e l’altro e l’età dei personaggi..sempre secondo la versione nella mia mente
malata. Ponendo che Kei sia nato nel 90 di conseguenza:
Takao, Max, Hilary, Rei nel 91
Yuri, Boris nell’88
Sergay nell’87
Il primo torneo si è svolto nella primavera del 2004
Il primo capitolo di questa storia è ambientato nel febbraio 2007
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
What You Need
Non dovettero aspettare troppo prima del ritorno di Yuri e
Sergay.
Boris appena li sentì entrare abbandonò la
preparazione del
pranzo per raccontargli di quello che era successo in mattinata. Anche
Yuri
sfoggiò un’espressione preoccupata, mentre Sergay
si limitò a dire che secondo lui
non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Max voleva approfittare del silenzio per chiedere qualcosa,
ma l’entrata di Kei nella stanza lo fece zittire
all’istante.
Il ragazzo, appena fu in cucina, guardò Yuri e sembrarono
intraprendere una conversazione silenziosa, come se avessero un
linguaggio
tutto loro per capirsi.
Pochi minuti e si ritrovarono nuovamente tutti attorno al
tavolo a consumare la zuppa tipicamente russa preparata da Boris;
l’aspetto non
era molto invitante, ma il gusto era buono.
In fondo non potevano aspettarsi di essere in un paese così
lontano e non cambiare menù, si disse Takao poco convinto.
Stavolta l’aria era un poco più tesa della sera
prima e i
discorsi meno coinvolgenti e allegri.
Kei mangiò di nuovo troppo poco, sotto lo sguardo
preoccupato
sia di Yuri che di Rei.
Finito il pranzo Boris se ne andò, mentre gli altri si
riunirono nel salottino per digerire pensando a cosa avrebbero potuto
fare quel
pomeriggio. I tre ospiti avevano occupato il divanetto, Kei fumava la
sua
ennesima sigaretta seduto ancora a tavola vicino a Yuri, mentre Sergay
si
occupava di ripulire.
Takao partì in quarta con un dibattito
sull’inutilità della
matematica nella sua vita.
-Preferirei fare, che ne so, lezione di storia del beyblade,
o di “come vincere un incontro di bey”! Ecco almeno
di quello prenderei un bel
voto! Sarei sicuramente il più bravo della classe! Supererei
persino Hilary!-
-Vola basso con la fantasia Tak! Prima che tu possa superare
Hil in qualcosa a scuola potrebbero passare millenni.. persino in
matematica,
dove lei non è bravissima, ti batte!- Max si divertiva a
prendere in giro il
compagno, facendogli assumere un colorito molto più simile a
quello di una
melanzana piuttosto che di una persona -..beh chiunque potrebbe
batterti in
matematica!-
-Chi è Hilary?! La tua ragazza?- si informò
Sergay.
-Ma ci mancherebbe! Quella so-tutto-io.. per carità!- Tutti
scoppiarono a ridere.
Poi a Takao venne un’idea.
-Ragazzi sapete che potremmo fare oggi?! Un incontro a Bey!-
Si aspettò di ricevere un caloroso assenso da parte della ex
squadra russa, ma questo non avvenne.
Yuri prese parola.-Mi dispiace Takao, ma noi non giochiamo
più..-
-COSA?! Ma perché? No non è giusto!-
-Mi dispiace.. ma tra il lavoro e lo studio non abbiamo più
avuto tempo di allenarci e ora è da tanto che non ci
battiamo più!-
Takao sembrava sconvolto e si dimenava sotto lo sguardo
divertito degli altri che non si aspettavano una reazione
così melodrammatica.
Il giapponese si alzò e si diresse verso Yuri, facendolo
quasi spaventare, e gli
strinse le mani dicendo che non era possibile che avessero smesso, che
fosse un
peccato enorme e così via.
-Kei almeno tu! Dimmi che non hai smesso! Per favooooore!-
Anche Kei ebbe un sussulto per l’esuberanza di Takao, ma si
limitò a fare cenno di no con la testa indeciso se essere
dispiaciuto o
divertito per gli occhi a palla del giapponese.
Ma nessun sorriso spuntò sulle sue labbra. Nemmeno in
quell’occasione.
Rei si ritrovò di nuovo a fissare il ragazzo ricordando
quando due anni prima avevano girato il mondo insieme: raramente
spuntava un
sorriso sul suo volto, ma almeno gli angoli della sua bocca si alzavano
ogni
tanto. Da quando erano arrivati il giorno prima invece, non aveva visto
neanche
l’ombra di un sorriso.
La sceneggiata di Takao ebbe finalmente fine, ma rimase
ancora per alcuni minuti imbronciato per la scoperta appena fatta.
Sergay
sempre ridendo non riuscì a risollevargli il morale,
nonostante avesse ammesso
che se si fossero scontrati in quel momento probabilmente sarebbe stato
battuto
nel giro di pochi secondi.
-Non sono più molto in forma!- E si indicò la
pancia
accumulata in quegli anni.
Dlin Dlon. Il campanello suonò.
-Boris deve essersi dimenticato le chiavi!- Sergay cercò di
sbirciare dalla finestra la figura presente davanti alla porta di
ingresso, ma
senza successo. Si decise finalmente ad andare ad aprire al secondo
trillo del
campanello.
Takao, Max e Rei si sporsero per vedere chi fosse il nuovo
arrivato e si stupirono di non vedere Boris varcare la soglia della
cucina, ma
bensì una ragazza.
Era alta (tutti in quel posto sembravano essere alti),
capelli lunghi biondi e occhi di un azzurro intenso; classici tratti da
ragazza
russa, si ritrovarono tutti a pensare; doveva avere circa 20 anni.
Era molto carina e il primo pensiero fu che quella fosse la
famosa ragazza di Sergay a cui avevano accennato a cena, ma, quando
questa si
ritrovò dietro Kei saltellando e si sporse appoggiando le
mani sulle sue spalle
chinandosi per scoccargli un bacetto sulla guancia, si dovettero
ricredere.
-Buongiorno a tutti! Spero non vi dispiaccia se ho fatto un
salto a salutarvi!-
-Assolutamente no.. –
Yuri la accolse calorosamente con due baci sulla guancia e
le cedette il posto di fianco a Kei.
Finalmente la ragazza si accorse anche della presenza di tre
ragazzi estranei e non tardò a presentarsi.
-Ciao.. Piacere di conoscervi, io sono Dana!-
Uno ad uno si presentarono chiedendosi chi fosse e che
rapporto avesse con i (ormai non tanto) freddi russi.
Nessuno sembrava risolvere il loro dubbio. Dovevano sempre
fare tutto da soli, come al solito.
Nel frattempo la ragazza si era messa a parlottare con Kei,
mentre Yuri era uscito dalla stanza con Sergay.
-Come va oggi?- Dana bisbigliava e costò non poca fatica
ascoltare a coloro che volevano origliare.
La risposta di Kei furono le ormai usuali spallucce -Come
sempre..-
-Senti mi è venuta un’idea! Ti va di uscire?-
Kei alzò lo sguardo dalla fantasia della tovaglia che
sembrava stesse studiando nei minimi dettagli.
-Non.. Non so.. Devi chiedere al grande capo!- Nonostante la
risposta scettica un moto di speranza e sollievo si era accesso nei
suoi occhi.
-Però a te andrebbe? Guarda che cos’ho in serbo
per te..-
Detto questo frugò velocemente nella borsa ed estrasse un
mazzo di chiavi che
fece tintinnare allegramente.- ..sai che significa vero?-
Ecco, ora sembrava che l’umore sotto terra di Kei stesse
riaffiorando piano piano.
Lei fece l’occhiolino –Lascia fare a me!-
Detto questo si alzò e raggiunse Yuri prima che potesse
rientrare in cucina, rispingendolo indietro.
Non riuscirono ad afferrare gran parte della conversazione.
A quanto pareva quello che avevano intenzione di fare avrebbe
“fatto molto bene
a Kei” e che “l’ultima volta aveva
funzionato e si era sentito meglio” per
finire con un “fidati di me, non lo perderò
d’occhio un attimo”.
Se non avessero saputo di chi stavano parlando avrebbero
pensato che si trattasse della decisione di una coppia di genitori su
chi
sarebbe andato a prendere il figlio a scuola o lo avrebbe portato al
parco a
giocare.
Di per sé Kei non dava segno di star ascoltando e aveva
ricominciato a fissare la tovaglia.
Quando finalmente Dana tornò nella stanza con un sorriso
estesissimo il ragazzo alzò lo sguardo e non si fece
ripetere due volte –Vatti
a preparare che usciamo!-.
Si alzò con calma e sparì lasciando i tre ragazzi
soli con
Dana.
-E così voi siete amici di Kei! Sono felice che siate venuti
a trovarlo.. Gli farà bene sentire che vi preoccupate per
lui!-
Strana frase. Kei che aveva bisogno di sentire qualcuno
vicino. L’aveva detto come se fosse quello che Kei voleva e
sperava che
accadesse. Forse i suoi silenzi erano sintomo di questa voglia di
affetto.
Forse aveva iniziato a drogarsi perché si sentiva troppo
solo.
No. Lui aveva tante persone che gli volevano bene. E questo
lo sapeva. Ne era assolutamente consapevole. Cosa lo aveva portato
tanto alla
deriva? Chissà se lo avrebbero mai scoperto.
Il fluire dei pensieri di Rei venne interrotto dal ritorno
di Kei.
Si era cambiato la tuta con.. un’altra tuta! Ma quante ne
aveva? Aveva sopra la felpa un giubbotto camosciato molto largo e ai
piedi un
paio di Timberland mezze slacciate.
Chissà quante ragazze aveva fatto cadere ai suoi piedi con
quell’aria da bello e tenebroso!
Si era anche dato una pettinata e sciolto i capelli che si
scoprirono arrivargli fino a poco sotto le spalle.
Yuri iniziò a fare mille raccomandazioni per poi seguirli
fino al giardino e non rientrando fino a quando la macchina di lei non
si fu
allontanata dalla sua vista.
-Tranquillo Yuri! Lo sai che ci si può fidare di quella
ragazza!- Sergay tentò di calmare l’ansia di Yuri;
era davvero iperprotettivo.
Il rosso sospirò rassegnato dando ragione
all’affermazione
dell’amico.
Erano nuovamente riuniti attorno al tavolo della cucina.
Appena Kei era andato via, Max aveva approfittato per poter dire quello
che non
era riuscito a dire quella mattina.
E così si erano ritrovati tutti lì seduti in
attesa che
qualcuno parlasse e facesse chiarezza.
Sergay prese parola.
-Cosa volete sapere esattamente?-
-Perché dovete tenere Kei così sotto controllo e
soprattutto
cos’era la scenata di stamattina, per non parlare di quello
che lo ha spinto a
ridursi così..- Rei buttò in tavola tutte le
questioni che gli erano passate
per la testa, prima che i russi potessero cambiare idea.
-Calma calma.. Tranquilli vi spiegherò tutto!- Assicuratosi
di avere tutta l’attenzione da parte dei ragazzi, Sergay
continuò –
Innanzitutto il controllo su di lui è dettato dal fatto che,
come vi avrà già
detto Yuri, la voglia di Kei di farsi è ancora presente. Non
possiamo prevedere
quando, come e perché gli verrà qualche crisi di
astinenza.. non so se sapete
già del perché ha il labbro rotto..-
-Sì ce l’ha raccontato Boris stamattina- Rei vide
Yuri
afferrare il portacenere che aveva abbandonato lì Kei e
iniziare a giocherellarci.
-Perfetto.. e vi avrà anche detto di quanto abbia sbalzi
d’umore improvvisi. Ora va molto meglio di qualche settimana
fa, ma capita che
è calmo e tranquillo, e il secondo dopo sembra quasi caduto
in depressione e fa
mille storie per nulla-
-Come stamattina?- si informò Takao.
-No stamattina era ancora un’altra cosa.. Partirò
un secondo
dagli antipodi per farvi capire.. Kei ha iniziato a conoscere nuove
persone sia
nei centri dove siamo stati, che a scuola, ma purtroppo non si
è scelto
compagnie molto raccomandabili; più che altro ragazzi nella
nostra stessa
situazione, senza una famiglia alle spalle, lasciati a loro stessi. Con
loro si
è avvicinato alla droga. Prima ne faceva uso poche volte, ma
poi la quantità si
è alzata spropositatamente e purtroppo noi non ce ne siamo
accorti in tempo. Di
questo mi prendo tutte le mie responsabilità: eravamo tutti
intenti a
ricostruirci una vita, a garantirci un futuro per prestare attenzione
alle ore
che Kei trascorreva fuori casa, ai suoi ulteriori silenzi, al
coprifuoco che
non rispettava o ai giorni di scuola che saltava.
Quando ce ne siamo accorti c’era già troppo
dentro. Abbiamo
tentato di farlo tornare in sé, ma dopo una lite abbastanza
brutta..- Yuri e
Sergay si scambiarono un’occhiata come per marcare
l’intensità della lite -..Kei
se n’è andato di casa-
-E’ andato via?!-
-Già e non è tornato per parecchi mesi.
Riuscivamo a sapere
di lui e a fargli avere quello che gli serviva solo grazie a Dana,
l’unica al
di fuori di quel giro con cui continuava a parlare. Anche lei era
preoccupatissima e tentava di convincerlo a tornare, ma le sue parole
non
servivano a granché -.
-Che legame hanno Kei e Dana?-
-Lei era la migliore amica della ragazza con cui stava Kei,
che poi non so se stavano proprio insieme, ma comunque erano molto
legati..-
-..sì legati dalla droga.. bella roba..- Yuri non
riuscì a
trattenersi dal fare quel commento acido.
-..fatto sta..- Sergay riportò l’attenzione su di
sé
ignorando il rosso - ..che Dana ci è stata molto
d’aiuto e si è impegnata tanto
quando Kei aveva continue crisi. Comunque, per arrivare al punto, a
convincere
a tornare Kei fu proprio la morte dell’amica di Dana -
Rimasero scioccati, non aspettandosi un colpo di scena del
genere.
-E’ morta di overdose.. Kei era insieme a lei quando
è
successo e si è fatto convincere nei giorni successivi a
cercare di uscire da
quel giro per non autodistruggersi come aveva fatto lei. La prima
settimana è
stata totalmente tremenda. La prima crisi è durata per
giorni interi; non solo
sentiva il bisogno di drogarsi psicologicamente, ma anche il suo corpo
si era
ormai abituato ad utilizzare quelle sostanze, e l’improvvisa
mancanza lo ha
completamente scombussolato. Tremava continuamente, non dormiva, quel
poco che
mangiava lo rimetteva e noi non potevamo aiutarlo con nessun farmaco,
per
evitare che iniziasse una dipendenza anche da quello. Il peggio,
però, è
arrivato quando abbiamo iniziato a capire quello che, forse, lo aveva
portato a
drogarsi. Quando dormiva aveva continui incubi, su quello che aveva
passato al
monastero, e al risveglio era ancora più agitato e non
voleva più dormire, ma
lo stesso non voleva stare sveglio e lasciare che i ricordi si
impadronissero
di lui: poi d’un tratto iniziò a non volersi
più far toccare, ogni minimo
contatto lo terrorizzava e non ci lasciava assolutamente avvicinare.
Tra la
mancanza di sonno e d’appetito iniziava a delirare e dire
cose, riguardanti
Vorkov, sul fatto che non voleva che lo toccasse più..-
Sergay si fermò
esitante come se continuare a parlare fosse doloroso -.. avete capito
insomma.
Non sapevamo come aiutarlo e una sera, non appena Yuri era uscito dalla
sua
stanza, Kei fece per alzarsi e uscire, ma fece cadere un bicchiere che
era sul
suo comodino. Questo andò in frantumi e inevitabilmente Kei,
che era debole e
non si reggeva in piedi, si tagliò e.. beh a quanto pare
è rimasto molto
affascinato dal dolore che aveva provato e optò per la
soluzione che in quel
momento gli sembrava più semplice..-
-Si è tagliato le vene?!- Yuri guardò stupito Rei
per la
velocità con cui aveva compreso l’accaduto e il
cinese si affrettò a
giustificarsi – Ho visto i segni che ha sul polso.. il
tatuaggio è incompleto
per quello?!- Yuri si limitò ad annuire.
-Ecco spiegato il perché della piccola crisi di stamattina.
Si vede che Kei ha rivissuto nella sua testa quella scena e al tocco di
Boris
si è ritirato inconsapevolmente. Sicuramente oggi
è stato un incidente, ma
comunque il fatto che si sia lasciato trasportare ancora
così tanto dalle
emozioni è segno di quanto ci voglia ancora
perché riesca a superare del tutto
questa cosa-.
-Quindi.. questo comportamento di Kei è la conseguenza della
vita al monastero? Ma è passato tanto tempo..- Fu Yuri a
interrompere il
ragionamento di Max.
-Non sono cose facili da lasciarsi alle spalle. Io stesso ci
penso ancora, ma Kei ha sempre ricevuto una.. attenzione particolare da
Vorkov,
e, se all’inizio ha cercato di dimenticare tutto, la
realtà dei fatti è che non
si può dimenticare facilmente e si deve essere trovato a
fare i conti con ciò
che gli è accaduto.. in fondo siamo passati dalla prigionia
assoluta a una
libertà totale, ma mentre noi abbiamo saputo andare avanti,
lui deve essere
rimasto spiazzato e confuso-.
-Ora..- Sergay riprese parola - ..l’unica cosa di cui
dobbiamo preoccuparci è di far sì che la vita di
Kei acquisti un equilibrio,
che riesca a ritrovare la capacità di badare a se stesso,
senza cadere di nuovo
nella tentazione di usare droghe o qualsiasi altra cosa-.
Takao d’un tratto si ricordò di un piccolo
particolare che,
mentre ascoltava il racconto, era passato in secondo piano nella sua
mente.
- Yuri.. quando mi hai telefonato, qualche giorno fa, mi
avevi detto che mi dovevi chiedere una cosa..-
Yuri osservò Sergay in cerca di uno sguardo di conforto, la
conferma che stava facendo la cosa giusta.
-Senti Takao, quello che ti volevo chiedere è, sempre che a
Kei vada bene, se saresti disposto a far venire Kei in Giappone con voi-
Rimasero ancora spiazzati da quella proposta.
-Non è che noi vogliamo liberarcene, non immagini nemmeno
quanto
mi costi chiedertelo; se fosse per me non lascerei mai che Kei se ne
andasse di
nuovo da questa casa, ma.. ma ho paura che se restasse qui in Russia,
le
probabilità di cadere in tentazione sarebbero troppe. Noi
stessi gli ricordiamo
troppo il monastero, ogni cosa in questa città gli potrebbe
ricordare i momenti
brutti della sua vita, e sono davvero tanti.-
-E’ per questo che vi abbiamo fatto venire..- lo
aiutò
Sergay - ..per farvi vedere da vicino quello che sta passando Kei, per
farvi
capire che se doveste accettare potrebbe non essere tanto facile. In
ogni caso
sono sicuro che un ambiente più stabile, più
sereno potrebbe solo fargli bene.
Anche solo per pochi mesi..-
-Per il tempo che ci vorrà..- Si affrettò ad
aggiungere
Yuri. Stava facendo una grandissima fatica a dire tutte quelle cose, a
chiedere
a quei ragazzi di portarsi via il suo fratellino, ma se questo serviva
a farlo
stare bene, questo avrebbe fatto, con tutte le conseguenze.
-Non credo che ci dovrebbero essere problemi! Anzi sarei
davvero molto felice se Kei accettasse di venire con noi.- Takao era
entusiasta
della proposta di Yuri e sicuramente non avrebbe detto di no.
-Certamente prima bisognerebbe chiedere a Kei, ma se lui
dirà di sì, direi che non ci sarà
nessun problema..- Sergay chiuse così la
questione.
Yuri si sentì autorizzato ad alzarsi e andò a
svuotare il
posacenere che non aveva smesso di maneggiare, giusto per non stare
fermo.
Ancora il silenzio. Ognuno si perse nei proprio pensieri per
qualche minuto.
-Ma quando gli viene voglia di.. cioè, come fa a resistere
alla tentazione?-
-Ci sono solo due cose che riescono a distrarlo dal pensiero
della droga. Una sono le sigarette, avrete notato che
quantità enorme ne fuma,
e l’altra.. beh l’altra anche se ve lo dicessi non
ci credereste!- Sergay
rimase vago sulla risposta alla domanda di Rei, e anche abbastanza
divertito
per la curiosità che aveva suscitato.
-Beh se mi accompagnate a prendere Kei, lo scoprirete!- Yuri
si reinserì nella conversazione.
-Ma certo che ti accompagniamo! Quando si parte?- chiese
Takao.
-Tra un’oretta. Se arriviamo troppo presto è la
volta buona
che Dana mi uccide!-
Ed eccomi qui..in questo
capitolo nuovo personaggio e qualche spiegazione..
Allora che ne pensate di Dana?! Chissà quale sarà
il suo rapporto con Kei, ma soprattutto come lo aiuta a stare meglio?
Poi..ho iniziato a dare
qualche spiegazione e qualche retroscena, ma se pensate che sia tutto
qui, vi sbagliate di grosso..in fondo questa è solo una
prima parte..
Nel prossimo capitolo poi scoprirete quell'aspetto che accennavo nelle
note all'inizio della storia..spero che non vi dispiaccia
più di tanto! :P
Sperando di avervi lasciato almeno un briciolo di curiosità,
vi saluto e ringrazio chi ha recensito e chi ha letto soltanto..un
bacione a tutti :)
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
The Other Side
Erano usciti di casa da qualche minuto e già rimpiangevano
il caldo della cucina dei russi.
Certo era proprio un suicidio andare in Russia a febbraio.
Non potevano scegliere periodo peggiore.
La temperatura era largamente sotto lo zero; l’unica magra
consolazione era che quel giorno il cielo era terso, senza una nuvola.
Se il
respiro non si fosse congelato all’istante sarebbe stata una
giornata
piacevolissima.
Camminarono per una ventina di minuti buona prima di
giungere a destinazione. Davanti a loro si stagliava un grande edificio
grigio
e un po’ malridotto.
Yuri si diresse verso il cancello che era chiuso con una
grossa catena.
Rei sbirciò verso l’insegna colorata, piena di
graffiti,
cercando di cogliere la natura di quel luogo, ma senza alcun risultato.
-Dai venite!- Yuri li richiamò da oltre il cancello aperto.
-Dana mi aveva detto che avrebbe lasciato aperto!-
Lo raggiunsero e si diressero verso la scalinata che da
fuori portava direttamente a un piano superiore; la facciata lunga
dell’edificio era coperta di graffiti ai quali si alternavano
alcune porte
finestre dalle quali però non si vedeva l’interno.
Arrivarono in cima alle scale e anche la porta d’ingresso
era stata lasciata aperta per consentirgli di entrare: si trovarono in
una
stanza fredda almeno quanto l’esterno, occupata da qualche
sedia e un lungo
bancone simile a quelli delle reception degli hotel.
Osservando i poster e i manifesti che riempivano il ripiano
e le foto alle pareti, capirono di essere appena arrivati in una
palestra.
Infatti squadre di pallavolo, di calcio, sollevatori di
peso, ragazze che facevano fitness col sorriso e ginnaste snodate li
osservavano
da ogni parte loro guardassero.
Quindi oltre alle sigarette a Kei faceva bene fare sport?
Un’accoppiata alquanto insolita.
Takao si ritrovò a pensare contrariato che tanto valeva che
continuasse a giocare a beyblade.
Ad un tratto il silenzio fu coperto da una musica a volume
altissimo che li fece sussultare; andarono verso la grande porta
dall’altro
lato della sala e sbirciarono dal vetro.
Oltre vi era una classica palestra, forse un po’
più piccola
del normale, di quelle che si trovano nei palazzetti o nelle scuole,
con il
pavimento in linoleum, le linee dei campi di pallavolo e pallacanestro
e i
canestri alle due lunghezze. La porta da dove loro osservavano dava
sull’entrata della gradinata destinata al pubblico.
Nonostante la grandezza della palestra l’acustica non era
terribile e riconobbero una musica particolarmente forte, di quelle di
origine
americana, Hip Hop.
Al centro della palestra finalmente focalizzarono due
persone, molto vicine l’una all’altro, e stavano
ballando; ballavano come due
persone potrebbero fare in club, come due che flirtano.
Tutti avrebbero giurato che entro pochi secondi si sarebbero
baciati o qualcosa del genere, ma invece non accadde, anzi, successe
quello che
nessuno dei presenti (tranne Yuri ovviamente) si sarebbero mai
aspettati: al
partire della strofa della canzone i due iniziarono una coreografia,
stavano
ballando, ma ballando nel senso vero del termine.
Quel che era peggio era che, sebbene Dana fosse brava e
decisamente piacevole da guardare, Kei attirava tutta
l’attenzione su di sé, ma
non perché sembrasse ridicolo, ma per quanto fosse a suo
agio in quella
situazione, sembrava non avesse fatto altro per il resto della sua vita.
Rimasero a fissarli da oltre il vetro come catturati fino
alla fine della coreografia; ma i due non smisero ancora, ma
continuarono a
ballare vicini, interagendo, sfiorandosi.
Erano troppo lontani per distinguere chiaramente le loro
espressioni, ma Rei avrebbe giurato che Kei fosse sereno come non
l’aveva
ancora visto.
-E’ incredibile..-
-Sergay vi aveva avvertito che non ci avreste creduto!- Yuri
era soddisfatto dell’effetto provocato
-Quando l’ho scoperto non volevo credere ai miei occhi,
l’ho
anche un po’ preso in giro poverino, ma è
incredibilmente bravo in quello che
fa e.. beh lui è felice di farlo, quindi perché
impedirglielo-
I tre ragazzi non riuscivano a staccare gli occhi da Kei, ma
per parlare con Yuri dovettero staccarsi dal vetro.
-Ma come ha imparato?- Takao faceva davvero molta fatica a
credere ai suoi occhi, aveva lasciato il bey per quello, allora il
mondo girava
davvero al contrario.
- In verità ha iniziato per strada, coi breaker che si
riuniscono in piazza, ma gran parte del merito va a Dana: lei insegna
in questa
palestra e ogni tanto lo fa svagare quando ci sono delle ore libere-.
-….-
Rimasero alquanto senza parole. Si risvegliarono dallo stato
di incredulità solo quando tornò a regnare il
silenzio.
Yuri si fece avanti e superò la porta che fino a quel
momento era rimasta chiusa, per farsi notare da Kei e Dana. Gli altri
gli
andarono dietro esitanti.
Non si accorsero subito della loro presenza. Kei era seduto
per terra a gambe incrociate reggendosi al pavimento con le mani,
mentre Dana
era in piedi dietro di lui intenta a scompigliargli i capelli il
più possibile.
Con uno sbuffo divertito lui si riaggiustò e, togliendosi
alcuni ciuffi dagli
occhi, posò lo sguardo su i quattro ragazzi che scendevano
le gradinate per
raggiungerli.
- Yuri non pensi che sia il momento di tagliargli i capelli
a questo qui?- Dana rimise una mano sulla testa di Kei, che
rinunciò a farla
smettere.
-Vedrò quel che riesco a fare! Tutto bene?-
Kei lo guardò come per chiedergli cosa mai poteva andare
male.
Aveva solo una maglietta a maniche corte e i segni sulle
braccia, compreso il tatuaggio mezzo deformato, in bella vista;
immancabilmente
gli occhi curiosi di Max e Takao si puntarono su quei particolari.
Questo convinse Kei ad alzarsi ed andare a recuperare la
felpa per coprirsi. Era leggermente scocciato per quegli sguardi
invadenti, ma
a quanto pareva il ballo gli aveva davvero fatto un effetto benefico.
Ciò che fece convincere Rei della buona riuscita i quella
speciale terapia fu l’espressione assunta da Kei mentre
salutava Dana: aveva lo
sguardo sereno, c’era una luce diversa nei suoi occhi e gli
angoli della sua
bocca si sollevarono leggermente, non era un vero e proprio sorriso, ma
si
avvicinava molto al concetto. Si avvicinarono e scherzosamente, per
avvicinare
la mano al viso di lei, il ragazzo fece una piccola ondina, mimando un
gesto
che aveva fatto nella coreografia di poco prima, e le diede un bacio
sulla
guancia.
-Ti passo a trovare nei prossimi giorni! E’ stato un piacere
conoscervi!- Salutò tutti quanti con un gesto della mano e
un sorriso enorme.
La guardarono allontanarsi prima di incamminarsi verso casa:
decisero di fare una deviazione verso il centro, passando per un grande
parco
davvero molto suggestivo: era totalmente ricoperto di neve,
però i viali erano
tracciati e facilmente percorribili. Alcuni sentieri erano
completamente ghiacciati
e si improvvisavano a pista di pattinaggio naturale: essendo domenica
era molto
affollato, soprattutto di famiglie con bambini che, nonostante il
freddo
polare, si divertivano parecchio.
Stavano attraversando una serie di bancarelle che offrivano
ogni genere di mercanzia del posto, dal cibo alle tipiche matrioske,
quando
Takao si fece curioso della vita sentimentale di Kei.
-Sai è proprio carina Dana!-
Kei sembrò pensarci un po’ su prima di rispondere
–Sì..
direi di sì-
-E ti vuole tanto bene a quanto pare!-
-A quanto pare- Ma dove voleva andare a parare?
Yuri, curioso della situazione creatasi, si inserì di buona
lena nel discorso.
-Penso che voglia dire che formereste davvero una bella
coppia!-
Kei guardò male il rosso, come se fosse impazzito nel giro
di pochi secondi.
-Perché quella faccia Kei? Non c’è
niente di male ad
ammettere che vi piacete!- Takao era entusiasta, sia perché
gli piaceva
stuzzicare gli altri su questi argomenti, sia perché Kei gli
stava rispondendo.
Lo sguardo del russo si fece sempre più attonito,
soprattutto perché Yuri si stava divertendo a dare corda al
giapponese
nonostante sapesse come stavano le cose.
-Eh già proprio una bella coppia!-
-Quindi non vi siete ancora dichiarati?- Max si intromise,
facendo alzare gli occhi a un esasperato Kei.
-Dai in questo momento potreste essere come quella
coppietta!- E Takao indicò due ragazzi che si stavano
baciando su una panchina.
-Beh deve essere un modo efficace per riscaldarsi!- rincarò
Yuri.
-Secondo me ormai sono un tutt’uno ghiacciato con la
panchina!- Rei fu l’ultimo a unirsi al discorso.
-Ma guardate che siamo solo amici-
-Sese, dicono tutti così..- Takao partì con
un’approfondita
analisi psicologica della situazione -..è palese, la
negazione è il primo
indizio del fatto che sei cotto, e anche lei lo sembra..-
-Sì proprio cotta!- Yuri non smetteva di ridere sornione.
-Sì in effetti è proprio cotta- ammise Kei sempre
con
indifferenza. Se non avesse continuato a rispondere, si sarebbe potuto
dire che
fosse estraneo alla conversazione.
-Ah-ha! Allora lo ammetti!- Esclamò Takao esaltato.
-Sì.. del caro ragazzo che sposerà il maggio
prossimo-
La delusione pervase il giapponese, che spalancò la bocca in
segno di stupore.
-Che tristezza, un amore così intenso destinato a non
sbocciare mai!-
Yuri si beccò un’occhiataccia da Kei contento di
aver messo
in chiaro la situazione.
-Ma allora siete davvero solo amici!- chiese ancora
speranzoso Max.
-Sì-
Continuarono a camminare, superando le bancarelle e
raggiungendo quello che in estate doveva essere un prato enorme, che
ora era
ricoperto da candida e soffice neve.
Takao ebbe l’irrefrenabile voglia di affondare le mani in
quel candore e, a dirla tutta, lo fece immediatamente, creando
un’enorme palla
di neve che scagliò addosso a Max.
La guerra di palle di neve ebbe inizio, vedendo schierati da
una parte Rei e Max e dall’altra Takao, che si
lamentò della disparità
numerica.
Yuri e Kei rimasero a guardare: il primo sorridendo, il
secondo limitandosi a seguirli con lo sguardo.
-Si vede che non vedono molto spesso la neve!- Affermò Yuri
per il quale la presenza di quello strato bianco era fin troppo usuale.
Max stava scappando da un Takao molto agguerrito, che
brandiva in mano una palla di neve e si apprestava a tirarla; pochi
passi e la
neve lasciò la sua mano, ma Max prontamente la
schivò e questa finì oltre di
lui. Peccato che oltre di lui ci fosse Kei che non si aspettava di
essere
coinvolto.
La sua giacca era piena di neve, ma la sua espressione
rimase imperturbabile, anche dopo le mille scuse del giapponese. Rimase
indifferente fino a che la battaglia non ricominciò.
Non appena i tre ricominciarono a rincorrersi, Kei si
abbassò con un movimento molto naturale ed estremamente
calmo e afferrò un po’
di neve con le mani nude.
Si avvicinò sempre lentamente a Takao, che in quel momento
gli dava la schiena, e, in un attimo, riversò la neve che
aveva in mano nel
colletto del giapponese che fu colpito da dei brividi di gelo lungo la
schiena
e iniziò a saltellare urlando.
Gli altri presenti risero di gusto per la scenetta.
-E tu non ridere- Yuri si beccò una palla dritta in faccia
da Kei.
-Brutto..- La battaglia ricominciò senza esclusione di
colpi, questa volta coinvolgendo tutti e cinque i ragazzi, che alla
fine si
ritrovarono zuppi dalla testa ai piedi.
Al ritorno a casa, verso l’ora di cena, si beccarono una
risata da parte di Sergay che non esitò a commentare
–Siete peggio dei
bambini!-.
*Riemerge piano piano da
sotto la scrivania* Ehm..sono leggermente in
ansia per questo capitolo..anzi dire leggermente è poco!
Stavo quasi per sclerare e decidere di cambiare tutto..poi per fortuna
sono ritornata in me e ho smesso di fare la pazza psicopatica (per modo
dire..lo sono e non posso smettere di esserlo).
Comunque..in quanti siete arrivati fino a qui? O_o C'è
nessuno che ha avuto il coraggio di leggere tutto e non si è
fermato a metà?!
Avrete notato il piccolo (alla faccia!) dettaglio di cui parlavo che
avrebbe reso Kei parecchio OOC..ehm ^^ non ci siete rimasti troppo male
vero?!
Ora starò a controllare ogni cinque minuti se qualcuno ha
letto e/o commentato..per fortuna che domani starò tutto il
giorno fuori casa -.- vabbè in attesa di notizie da parte di
qualche lettore impavido che ha deciso di non abbandonare questa fic e
vuole ancora sapere come andrà avanti, vi lascio!
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
Tightrope
Boris arrivò quando ormai avevano già finito di
cenare,
quindi mangiò da solo; in verità non si poteva
dire che fosse proprio solo
considerando il chiacchiericcio che si disperdeva per la casa.
Takao non si era arreso. Ci era rimasto troppo male per il
mancato scoop sulla coppia Kei-Dana e non faceva altro che
sottolinearlo.
-Ma insomma, quanti anni ha?-
-22-
-Così grande?-
-Così piccola?- Le voci di Rei e Takao si sovrapposero
nell’esprimere commenti opposti.
-Intendevo, così grande per te!- asserì Takao.
-Io così piccola per sposarsi!- lo contraddisse Rei.
-E’ inutile, tanto siamo solo amici- La pazienza infinita di
Kei iniziò a dare segno di cedimento.
Era già tanto che fosse lì insieme a loro, e che
per molte
ore non aveva sentito il bisogno di fumare; in tutta la sera si era
acceso solo
due sigarette, il che per lui era un record personale.
Per quanto riguardava la proposta che Yuri aveva fatto a
Takao, nonostante quest’ultimo avesse accettato, nessuno ne
aveva ancora fatto
parola con Kei; il rosso aveva annunciato a tutti che toccava a lui
dirglielo e
che l’avrebbe fatto presto.
Non bisognava fare altro che aspettare la sua risposta.
Quella notte trascorse decisamente meglio della precedente.
Almeno per Rei era così.
L’effetto fuso orario sembrava essersi attenuato e nessuno
potè negargli quelle ore di sonno normale che il suo corpo
richiedeva.
Il lunedì mattina si risvegliò fresco e riposato
e si
diresse verso la cucina spensierato.
La piccola casa era immersa nel silenzio; Takao e Max
dormivano ancora, Kei era probabilmente in camera sua, mentre Yuri e
Sergay
erano usciti, il primo all’università, il secondo
al lavoro.
L’unico segno di vita era dato da Boris che stava stirando
una pila di vestiti che sembrava infinita.
Il cinese non era ancora riuscito ad abituarsi alla vista
dei russi alle prese con le faccende quotidiane, dal preparare la cena
allo
stirare appunto.
Le cose erano decisamente cambiate in confronto a quando li
aveva conosciuti.
Allora si mostravano duri e seri verso il mondo intero;
erano freddi con chiunque non facesse parte della loro piccola cerchia
e
tantomeno si fidavano del prossimo.
Rei si ritrovò ad aiutare Boris nel suo lavoro domestico
fino all’arrivo degli altri suoi due compagni che, non appena
fatta colazione,
si misero al lavoro con loro.
Takao fu presto allontanato e gli furono affidati i compiti
più semplici considerando che ogni qualvolta toccava
qualcosa questa rischiava
seriamente di finire fuori uso.
-Puoi portare questa roba di sopra?-
Boris passò una pila di vestiti a Rei che, mentre saliva le
scale, si ripeteva una specie di filastrocca per ricordarsi dove doveva
portarli.
Poggiò una pila di magliette nella camera di Boris,
decisamente incasinata considerando che temporaneamente la doveva
dividere con
Yuri, e due paia di Jeans su una sedia davanti alla porta di quella di
Sergay.
Per ultima aveva tenuto una felpa e altre magliette che appartenevano a
Kei.
Bussò alla porta del ragazzo, sicuro che avrebbe apprezzato.
Quando la aprì sperò quasi di vederlo
addormentato: era
sicuro che nemmeno quella notte fosse riuscito a dormire e, pensandoci,
si
sentì un po’ in colpa per aver dormito
così serenamente.
La camera risultava ancora più ordinata del giorno prima,
quando aveva sbirciato dentro durante l’incidente della
cornice.
-Boris mi ha detto di portarti questi..sono tuoi vero?-
chiese Rei titubante sperando di non aver sbagliato qualcosa.
-Posali pure lì- Kei lo degnò di uno sguardo di
sfuggita per
poi indicare con un cenno della testa il piano della scrivania.
Rei entrò e poggiò i vestiti dove gli aveva detto
Kei.
Il ragazzo se ne stava seduto sul letto, con una sigaretta
tra le labbra e il posacenere a portata di mano; era rivolto verso la
spalliera
del letto e fissava le fotografie che erano appese sul muro.
Rei provò a concentrarsi sui soggetti delle foto, ma fu
subito catturato dai vari disegni che erano appesi di fianco al
collage, su
tutta la parete.
Sembravano degli scarabocchi colorati; erano un insieme di
linee, curve, cerchi a tempera di colori vivaci e sgargianti che
stonavano con
il resto dell’arredamento.
Nonostante il loro significato ambiguo erano molto belli.
-Li hai fatti tu?- chiese Rei ancora fissando i colori.
-Dana..io non ne sarei mai capace-
-Sono molto belli..è davvero brava quella ragazza!-
Kei non gli rispose, sembrava che per lui quella
conversazione non stesse nemmeno avendo luogo.
Rei senza accorgersene intanto si era seduto sul letto, di
fianco a lui, sempre fissando i disegni.
-Che cosa rappresentano?-
-Dana non me lo vuole dire..-
-Hai una teoria?-
-Credo..- Kei assottigliò leggermente gli occhi -..credo
siano ballerine, o meglio colori che danzano..-
Rei spostò un secondo lo sguardo sull’amico
soppesando le
sue parole: davvero le aveva pronunciate lui?
-In fondo le uniche cose a cui pensa lei sono la danza e il
suo ragazzo e non penso che mi abbia appeso in camera ritratti della
sua dolce
metà- Si giustificò Kei.
Rei tornò sui disegni; ora che gli aveva dato questa
spiegazione iniziava a vederci qualcosa del genere: che fosse davvero
così?
Sorrise.
-Ti ha proprio preso questa cosa della danza eh?-
Kei fece spallucce.
-Sei bravo..almeno per quello che ne capisco..- continuò a
sorridere.
-Guarda che non devi dirlo per forza..- aggiunse Kei con
tono più divertito che arrabbiato -..quando Yuri
l’ha scoperto è scoppiato a
ridere..se lo fai anche tu non mi offendo..-
-Ma dico sul serio..a me va benissimo se balli..l’unico che
forse dovrai convincere sarà Takao; non credo che
l’abbia presa bene che hai
mollato il bey!-
Kei alzò gli occhi al cielo e spense la sigaretta nel
posacenere.
Rei lo osservò tornare impassibile come quando aveva solcato
la porta pochi minuti prima.
Seguì il suo sguardo fino alle fotografie, questa volta
senza distrarsi.
Gli unici volti che riconosceva erano quelli di Kei e di
Dana, affiancati a quelli di altri ragazzi, anzi ragazze, una
soprattutto
compariva molte volte: o sola con Dana o sola con Kei, era in quasi
tutte le
foto, anche in quella più grande, al centro del collage,
dove lei, Kei e Dana
erano accompagnati da un altro ragazzo con gli occhiali e i capelli
biondo-rossicci abbracciato a quest’ultima.
-E’ il fidanzato di Dana?-
-Già-
-E lei chi è?- Non appena pose la domanda nella sua mente si
aprì un cassettino che gli disse che non era stata la
domanda più saggia da
rivolgergli: il ricordo del racconto di Sergay il giorno prima gli
suggerì la
risposta esatta –Scusa, avrei dovuto immaginarlo..-
-Devo dire a Yuri di farsi gli affari suoi-
-Voleva solo spiegarci come stavano le cose- cercò di
riparare Rei sconsolato.
-E forse dovrei togliere quel coso dalla parete.. Yuri me lo
ripete da giorni-
Rei fissava il copriletto blu sul quale era seduto,
dispiaciuto per aver toccato quel tasto dolente.
Sbirciò di nuovo verso il collage: quella ragazza era
davvero molto bella e sembrava che avesse passato con Kei dei bei
momenti.
Quelle foto dovevano risalire ad almeno un anno prima.
I volti sembravano più rilassati e spensierati. Soprattutto
quello di Kei.
L’idea che potessero essere completamente fatti fece
capolino nella testa del cinese, ma tentò di reprimerla.
Notò che quando erano
state scattate il suo amico non aveva ancora il piercing al
sopracciglio, ma
non potè evitare ad un altro triste pensiero di consolidarsi.
Tenere quelle foto sempre in bella vista non doveva fargli
un effetto positivo; i ricordi brutti, la mancanza di quella ragazza
sicuramente non lo facevano stare bene.
Forse era davvero opportuno che lo staccasse dalla parete.
Sempre se ne aveva la forza e il coraggio.
-Prima o poi lo farò-
Kei si alzò e, dopo aver svuotato il posacenere, prese le
maglie che aveva portato Rei e le ripose nell’armadio.
-Ti manca?-
Kei rimase fermo davanti all’armadio per qualche secondo.
-Scusa..domanda inopportuna! Tranquillo lo capisco-
-E’ complicato- rispose Kei risedendosi sul letto.
-Me lo spiegherai un giorno, se ne avrai voglia!-
Rei gli sorrise guardando il ragazzo negli occhi.
Si era dimenticato quanto potessero dire quelle iridi,
quanto i silenzi e la freddezza di Kei fossero colmati da quei rubini;
guardarlo negli occhi era come immergersi in uno strano mondo.
Erano in pochi però a distinguere ciò che
celavano.
Il cinese abbassò lo sguardo e si alzò. Sperava
di non aver
turbato troppo Kei.
-Allora poi ti chiamiamo quando è pronto il pranzo!-
Ciao a tutti quanti!
Son felicissima
di
notare che non ci siete rimasti male per la svolta che ha preso la
storia, Kei ballerino..dai non ve l'aspettavate vero?
Ihih..abbastanza da sbav u.u
Superato il momento
critico sono
leggermente più tranquilla, anche se attendo sempre con
ansia
l'arrivo di nuove recensioni sempre ben accette..ne approfitto per
ringraziare tutti voi commentatori e anche coloro che leggono solamente
e tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite o le preferite
:) sono commossa!
Curiosity Time
Per la felicità di nessuno torno con questo angolino per
risolvere la domanda della settimana..non che avessi mai istituito la
domanda della settimana, ma questa mi è stata posta da
tantissime persone quindi rispondo a tutti.
Parliamo della questione Hilary..un personaggio che,ormai per
esperienza, so che divide molto..c'è chi la ama, chi la
odia,
chi la vede sempre e solo con Kei, chi vede Kei che la uccide a
padellate, chi non si ricorda nemmeno della sua esistenza, etc etc.
Bene..come la vedo io?
Che ve lo sto a dire secondo voi?! XD Ihih..come avrete notato lei
c'è..è stata nominata e ha fatto un piccolo cameo
nel
primo capitolo, ma chi può dire che succederà
dopo..potrei dimenticarmene come no, potrei farla stare con Kei, o con
Takao, o Max, o Rei, o farla andare sulla luna insieme a
Kappa..continuando a leggere lo scoprirete e appena penserete di avere
capito probabilmente stravolgerò tutto :P
In ogni caso sappiate che è già stato deciso
quindi recensioni/minacce non le faranno cambiare ruolo XD
Comunque mi scuso se i capitoli vengono un pò corti, ma
quando
l'ho scritta non ho fatto una vera e propria divisione..sono andata a
fiume senza pensarci e mò la devo interrompere dove ci sta
bene..
Aspetto i vostri pareri..
Un bacione :)
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
Waiting
Kei guardò Rei chiudersi la porta alle spalle delicatamente.
Da quando era arrivato era estremamente cauto. Credeva di potergli dare
fastidio con qualsiasi suo gesto.
E forse aveva ragione.
Kei era sempre stato molto suscettibile e in quel periodo lo
era ancora di più.
Bastava un nonnulla per farlo innervosire, come bastava un
nonnulla per farlo disinteressare ad ogni cosa gli stesse intorno.
Aveva sbalzi
d’umore continui, i suoi pensieri si scontravano in
continuazione.
L’unico suo obiettivo in quel periodo, l’unica cosa
che gli
importava realmente era far passare il tempo. Sì, il tempo
era la sua
ossessione e la sua condanna.
Non aveva assolutamente niente da fare. Il tempo non
scorreva mai. Più si concentrava per far passare la
giornata, più questa si
rivelava interminabile.
Tutti gli ripetevano che col tempo sarebbe andato tutto per
il meglio, ogni cosa si sarebbe sistemata, sarebbe stato di nuovo in
grado di
vivere liberamente.
Ma questo tempo che occorreva non passava mai.
Era sempre fermo al solito punto. I secondi prima di
diventare minuti lo facevano penare.
Prima che i minuti riuscissero a diventare ore credeva di
essere finito ad un punto di non ritorno.
Come poteva tornare auna vita normale e serena se non ne aveva mai avuta una
veramente.
La sua vita era sempre stata tutto tranne che normale e
serena, e tantomeno libera.
Le strade della libertà e di Kei Hiwatari non si erano mai
incontrate.
Era come se ci fosse un cartello autostradale con scritto
quanti chilometri mancano alla destinazione, ma questa non arrivasse
mai.
Da quando era diventato così filosofico?
Cartelli autostradali? Stava lentamente impazzendo.
Lentamente come la lancetta dell’orologio.
Era sicuro che non fosse lì ferma sul numero 5 da ore? No
aspetta. Si è mossa.
Un minuto. E’ trascorso un minuto.
Come poteva impiegare i rimanenti..quanti gliene rimanevano?
Fino all’ora di pranzo. Sì, poteva essere una
tappa da
considerare.
Almeno 35 minuti.. no aspetta.. 34.
Si guardò intorno.
Niente.
Si sdraiò sul letto e si mise a osservare il soffitto.
Era da settimane che lo faceva, ma non era ancora riuscito a
trovare nulla di interessante in quel soffitto bianco.
L’unica cosa positiva
era che poteva immaginare qualsiasi cosa. Quel soffitto era una tela
dove ogni
suo pensiero prendeva una forma, senza il problema di avere
distrazioni, non
c’era nessun segno che potesse distrarlo.
L’unica cosa positiva eh? No, forse positiva non era proprio
la parola giusta.
Si poteva rivelare benissimo una cosa estremamente negativa.
Non era bene lasciarsi troppo andare alle immagini.
In ogni caso sarebbe sempre finito allo stesso punto, alle
stesse immagini, agli stessi ricordi.
E in quel caso il tempo passava sempre più lentamente.
Non poteva nemmeno dire con certezza che stesse passando.
Si concentrò per un po’, non sapeva dire quanti
secondi, sui
suoni. I suoni erano meglio delle immagini.
Ora sentiva solo il vociare al piano di sotto.
Certo che Takao non riusciva proprio a stare zitto un
secondo.
E Max gli dava decisamente troppa corda. Però erano allegri.
Ridevano.
Rumore di stoviglie. Stavano preparando da mangiare. Forse
avrebbe dovuto aspettare meno del previsto.
Sì, i suoni erano decisamente migliori. O almeno, in quel
momento.
Bisogna sempre distinguere il momento. Mai per Kei era stato
così importante un momento, non gli aveva mai dato
così tanto peso come ora che
ne coglieva l’estrema lunghezza.
Ora era piacevole ascoltare.
Fino a poco tempo prima invece era terribilmente frustrante.
Quante volte aveva sentito i discorsi di Yuri, Boris e
Sergay su come comportarsi con lui, sul dividersi i compiti, su
ciò che fosse
meglio fare, e quelle cose lì.
Si sentiva estremamente un peso. Un peso morto.
No, magari fosse stato davvero morto. Forse era la soluzione
migliore. Sicuramente lo era.
Intanto il tempo non passava. Perché aspettare quando poteva
benissimo farla finita lì.
Meno male che i pensieri non potevano essere ascoltati.
Yuri gli avrebbe sicuramente detto di tutto se solo avesse
potuto ascoltare i suoi pensieri.
La lancetta non aveva ancora raggiunto il 6.
Non era assolutamente possibile.
Gli sarebbe proprio servito un bel buco di qualche ora. Una
bella pausa dal tempo. Non accorgersi che stava passando. Fare un bel
salto.
Di dormire non se ne parlava proprio. Non riusciva a dormire
di notte, figurarsi di giorno.
E poi il sonno non era mai tranquillo. Avrebbe dovuto avere
la fortuna di addormentarsi e non accorgersi di aver dormito al
risveglio.
Quando chiudi gli occhi e il secondo dopo li hai già aperti.
Un secondo
lunghissimo, ma comunque un secondo. Almeno per la tua testa.
Ma la fortuna andava a braccetto con la libertà. E quindi la
sua strada non prevedeva incroci con la sua.
Un buco di qualche ora. Sapeva bene come fare a
procurarselo, ma non sarebbe stato molto saggio.
Come poteva sperare di superare tutto se ad ogni occasione
minima gli veniva in mente quella invitante via d’uscita?
Doveva assolutamente smetterla.
L’unica sua possibilità era estraniarsi del tutto
dallo
spazio e dal tempo per un po’ senza dormiree senza farsi. Se solo fosse stato facile.
Quando era al Monastero gli capitava di passare ore da solo
a far niente in qualche cella e estraniarsi del tutto dalla situazione.
Riusciva ad entrare in uno stato di annebbiamento totale dei
sensi.
Peccato che ora non ci riuscisse più.
Allora i pensieri che aveva erano molto ridotti. Non gli
otturavano così tanto la testa.
Erano gestibili.
Ci aveva provato qualche volta, ma senza successo. Alla fine
si ritrovava sempre a pensare ancora più intensamente. Poi i
pensieri finivano
ancora più facilmente sul Monastero.
Sul perché si era fatto punire in quelle occasioni. Tipo
quando..Ecco, ci stava ricascando di nuovo.
Non poteva continuare su quella linea.
Sarebbe dovuto passare ad analizzare un altro metodo al
quale sapeva già che alla fine avrebbe fatto ricorso.
Perché ogni volta era
sempre la stessa storia. Ripercorreva tutte queste idee, ma alla fine
si
metteva sempre le cuffie e iniziava ad ascoltare la musica. Bella forte.
Ascoltava le parole, il beat, cercava di carpire solo la
chitarra, o solo il pianoforte; si concentrava così tanto
sulla canzone da
occupare ogni singola parte del suo cervello, senza ammettere alcuna
distrazione.
Il più delle volte funzionava. Ogni canzone durava dai 3 ai
5 minuti e più canzoni ascoltava più il tempo
passava, più si concentrava e più
il tempo passava, fino a che non lo chiamavano per mangiare o fare
qualcosa che
lo avrebbe sollevato dal compito di dover trovare qualche altro metodo
per far
trascorrere i minuti.
Il più delle volte funzionava, ma c’erano anche
quei casi
isolati in cui la testa non reggeva un’attenzione
così spasmodica verso un solo
elemento.
Maledetti mal di testa. Quando la testa è talmente satura da
non poterci far entrare nient’altro.
Maledetti momenti.
Era in quei momenti in cui nemmeno le sue cuffie riuscivano
a risolvere la situazione che entrava in gioco quel rimedio
così speciale, ma
al quale purtroppo non poteva accedere ogni volta che voleva.
Con le cuffie poteva concedere tutta la sua mente alla
musica e ad ogni suo accento, ma tutto andava ancora meglio quando
poteva
assecondare tutto questo con il movimento del corpo. In questo modo
ogni
singolo muscolo, dalle membra, la carne, fino al suo cervello, tutto
era
concentrato sul danzare.
Danzare. Che parola strana. Non si addiceva per niente a uno
come lui. Non era un suono che riusciva a pronunciare liberamente,
però quello
che sapeva e che voleva fare era proprio quella cosa lì. Non
osava neanche
pensarla quella parola. Però lo faceva sentire bene.
Scaricava ogni tensione accumulata, ogni pensiero negativo
veniva spazzato via.
Però non poteva sempre farlo.
La lancetta si mosse leggermente verso sinistra segnando un
altro minuto in meno.
Basta così. Non poteva continuare a vagare su mille
pensieri.
Accese l’mp3. Ecco. Era una di quelle volte in cui non gli
bastava.
Si sforzò.
Niente. La sua testa chiedeva di smetterla, ma lui non
voleva.
Lo sapeva che non si sarebbe dovuto lasciar trascinare da
una marea di seghe mentali.
Eppure l’aveva fatto. Quando avrebbe imparato che non era la
cosa giusta?
Si sentì improvvisamente irritabile al massimo. Scontroso e
arrabbiato verso il mondo intero. Verso ogni cosa presente in quella
stanza.
Si accese una sigaretta il più velocemente possibile
cercando di calmare un po’ i nervi.
Era da quando Rei era venuto in camera che non ne fumava
una.
Sì, forse era la mancanza di nicotina ad avergli
scombussolato tutti i pensieri.
Aveva la mano che tremolava. Gli succedeva sempre quando era
nervoso e sentiva la mancanza di qualcosa. Di Quella cosa.
Quando aveva le crisi d’astinenza tremava tutto. Non doveva
pensare alle crisi.
Spense la musica e cacciò le cuffie in malo modo per
sfogarsi.
Si concentrò sulla sigaretta che stava fumando cercando di
dirottare tutta l’attenzione su di essa.
Fissava un punto indefinito davanti a lui mentre aspirava
tutto il possibile. Non voleva che finisse.
Era agitato. Non doveva agitarsi. Non avrebbe dovuto
agitarsi. Ma ormai era agitato.
Ma come era possibile? In fondo aveva controllato tutti i
suoi pensieri, aveva fatto tutto il possibile per stare calmo e invece
si era
agitato.
Maledetti nervi. Maledette emozioni. Maledetto umore.
Quanti neuroni si era bruciato drogandosi per arrivare a
quel punto?
Com’era possibile cambiare stato d’animo in
così poco tempo
con così poco?
Già quella mattina l’effetto benefico di Dana del
giorno
prima sembrava ormai un ricordo lontano, ma cosa aveva sbagliato?
Forse la conversazione con Rei? Non poteva incolparlo. Ma non
doveva nemmeno pensarci.
Ormai aveva fatto la cernita di un miliardo di pensieri e
non credeva che potessero essercene altri su cui fare affidamento.
Si risdraiò sul letto. Chiuse gli occhi. Inspirò.
Espirò.
Inspirò. Espirò.
Con calma, senza fretta.
Rimase così per.. momenti infiniti.
Si chiese se sarebbe stato meglio andare di sotto con gli
altri e farsi distrarre. Sicuramente lo avrebbero distratto, erano dei
campioni
in quanto a trovare passatempi. Lo avrebbero potuto certamente aiutare.
Per non
parlare di quanto sarebbero stati contenti di essergli
d’aiuto. Non si spiegava
il perché, ma era sicuro che sarebbero stati contenti.
Provare non gli costava poi così tanto.
Si alzò velocemente, curioso di sapere se avrebbe
funzionato, ma lo fece un po’ troppo velocemente.
Un lieve giramento di testa lo bloccò per pochi secondi,
questa volta più normali dei soliti secondi.
Scese le scale con andamento calmo; l’euforia di poco prima
lo stava già abbandonando.
Era di nuovo incerto sull’esito e incerto sulla sensatezza
della sua idea.
L’odore del cibo gli arrivò non appena
voltò nel
pianerottolo.
Si sentì molto come quelle donne incinte alle prese con le
nausee mattutine. L’odore sembrava quello di uno spezzatino o
qualcosa del
genere; solitamente era un piatto che gli piaceva, ma in quel momento
gli
procurò un senso di disagio.
Cercò ancora una volta di controllarsi e abituarsi
all’odore. Ci riuscì e fece la sua comparsata in
cucina dove Rei aiutava Boris
a cucinare.
Il cinese si stava offrendo di preparare qualcosa quella
sera per poterli ripagare dell’ospitalità.
Rei lo accolse con un sorriso, mentre Boris lo osservava
leggermente guardingo.
Max e Takao erano nel salottino intenti a giocare a carte.
Kei si chiese quando erano spuntate quelle carte in casa,
non sapeva nemmeno della loro esistenza.
Si sedette su una sedia vicino a loro sperando di distrarsi.
Ora l’idea di chiedergli un consiglio se n’era
definitivamente andata.
Incrociò le braccia al petto e ignorò le parole
dei due
giapponesi. Non era sua intenzione farlo, ma gli venne totalmente
naturale.
Voleva scusarsi, ma non fece nemmeno questo.
Provò a capire a che stavano giocando, ma ci
rinunciò.
Conosceva solo un gioco e sicuramente non era quello. Ora
che ci pensava non era nemmeno sicuro di ricordarsi come fossero le
regole.
Continuò comunque a guardarli rifiutando il più
cortesemente
possibile l’invito a unirsi a loro.
Si sporse verso il tavolo e appoggiò il gomito sorreggendosi
la testa.
L’atmosfera era serena, sembravano tutti sereni; si accorse
che Boris ogni tanto alzava lo sguardo verso di lui per controllarlo.
Ormai ci era abituato. Erano tutti iperprotettivi e iper
attenti quando si trattava di lui e non poteva di certo biasimarli. Gli
aveva
fatto passare letteralmente le pene dell’inferno. Non
lamentarsi era il minimo.
Rei continuava a cucinare canticchiando qualcosa, Max e
Takao coprivano la sua voce con le loro risate. Sarebbe rimasto a
guardarli
solo per quanto apparivano in pace col mondo, invidiandoli.
Però l’aria si fece pesante. Faceva caldo.
Indossava una maglia a maniche lunghe, le tirò su
leggermente sperando di attenuare il senso di disagio.
Deglutì e respirò cercando di tornare
nell’ottica di
pensieri che aveva fino a qualche secondo prima.
La serenità sembrò essere improvvisamente
sparita. Almeno
per lui.
E anche per Boris che notò qualcosa di diverso in lui.
Si riappoggiò allo schienale e guardò verso
l’alto.
Deglutì e respirò. Doveva assolutamente muoversi.
Si alzò di scatto facendo spaventare i presenti.
Cercò di
tranquillizzarli con l’espressione più serena che
aveva, ma si rese conto di
non aver dato una buona impressione.
Tamburellò con le dita sul tavolo prima di tornare con calma
al piano di sopra.
Quando era sulle scale sentì Takao chiedere –Ma
che abbiamo
fatto?-
Arrivato davanti alla porta di camera sua si sentì ancora
più oppresso all’idea di tornare tra quelle
quattro mura. La prima destinazione
che gli venne in mente fu il bagno.
Si rintanò lì dentro sedendosi per terra vicino
al
lavandino.
Appoggiò la schiena al muro e il contatto di tutte le parti
del suo corpo con le piastrelle fredde lo fecero star meglio.
L’effetto finì
abbastanza in fretta, ma servì per calmarlo.
Respirò l’aria più accogliente; era la
stanza più fredda del
piano superiore. Il freddo lo aiutava.
Pensò che avrebbe potuto aprire la finestra per farne
entrare ancora un po’.
Prima che potesse attivarsi per quell’atto suicida,
perché
lui non si sarebbe accontentato di solo un po’ di freddo, la
porta si aprì e
Boris si sedette di fronte a lui.
-Forse dovresti trovarti una ragazza-
La frase spiazzò Kei che, senza guardare in faccia
l’amico,
si lasciò scappare un accenno di risata.
Scosse la testa pensando a quanto Boris fosse spiazzante.
-Dico sul serio.. magari una bella scopata potrebbe calmarti
i nervi!-
Rise anche Boris.
-Forse hai ragione-
-Come forse? Io ne sono convinto.. non è che Dana sarebbe
disposta a..-
-Non dirlo nemmeno per scherzo-
-Scusa scusa era una battuta!-
Accertatosi che stesse realmente bene, Boris tornò di sotto
affermando che il pranzo era quasi pronto e che presto sarebbe tornato
Yuri.
Kei si spostò verso delle piastrelle ancora fredde.
Forse Boris aveva ragione. Certo il modo con cui se ne
usciva qualche volta era davvero ridicolo, ma non era detto che dicesse
una
cazzata.
E anche in questo caso forse aveva ragione.
Di certo l’avrebbe distratto per qualche minuto, ma era
comunque meglio di niente.
Il sesso era la risposta ai suoi problemi? Forse sì, forse
no.
Come ogni cosa che prendeva in considerazione aveva i suoi
lati positivi e quelli negativi.
In ogni caso se non poteva uscire era impossibile fare un
tentativo. L’unica ragazza con cui aveva un contatto era
Dana, ma non osava
nemmeno pensare all’eventualità.
Avrebbe potuto fare da solo.
Era una cosa naturale in fondo. Scosse la testa e si alzò
prima di prendere realmente in considerazione l’ipotesi.
Si bagnò il viso con l’acqua gelida facendosi
venire i
brividi.
Portò i suoi pensieri su quello che aveva detto Boris,
sull’ultima cosa che aveva detto Boris.
Yuri sarebbe tornato da un momento all’altro e
l’ultima cosa
di cui aveva bisogno era di vederlo preoccupato per quello che aveva.
Doveva
assolutamente scacciare i pensieri sconvenienti e tornare ad essere
sereno, o
almeno a tornare a far finta di essere sereno.
Analizzò la sua immagine allo specchio prima di tornare di
sotto giusto in tempo per vedere Yuri varcare la porta.
Eccomi qui con un altro
capitolo!
Questo aggiornamento la notte tra il giovedì e il
venerdì mi piace! sicuramente ora che l'ho scritto a
quest'ora non riuscirò più ad aggiornare e
abbandonare quest'abitudine! XD
Beh..in questo capitolo abbiamo potuto vedere un po' dalla prospettiva
di Keiuccio caro..che ve ne pare?
Un po' psicotico forse..ma vabbè..in fondo stiamo parlando
di Kei Hiwatari u.u
Curiosity Time
Che vi ho riservato?! Ebbene..questo è un disegno che ho
fatto io di come mi sono immaginata Kei dal vero..>///<
sono una profana del disegno quindi prendetelo per quello che
è..un abbozzo..http://justellet.deviantart.com/#/d36zzj7
Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono..
Aspetto con ansia le vostre opinioni e i vostri appunti u.u
Un bacione :)
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
Carry Out
Perché Rei potesse cucinare la cenetta che aveva proposto a
Boris, quel pomeriggio dovettero fare una spedizione al supermercato.
Uscirono di casa subito dopo pranzo e attraversarono le
gelide strade di Mosca prima di ripararsi al caldo del grande centro
commerciale.
Quella giornata non era luminosa e soleggiata come la
precedente, ma una densa coltre di nubi grigie aveva ricoperto i cieli
della
città, mentre il freddo era rimasto sempre pungente.
Insieme ai tre giapponesi andarono anche Yuri e Kei, il
quale, nonostante si vedesse non stesse molto bene, li seguì
perché in casa non
c’era nessuno che lo potesse tenere d’occhio e
perché non voleva perdere
l’occasione di muoversi e distrarsi.
Nonostante la piccola parentesi di serenità della giornata
precedente, aveva ripreso a fumare un numero enorme di sigarette e
sembrava
particolarmente teso.
Takao e Max come al solito tentarono di portare un po’ di
allegria alla piccola comitiva e risollevare il morale di tutti.
Nel grosso centro commerciale c’erano diversi negozi di
qualsiasi tipo. Prima di entrare nel supermercato si fermarono in
qualche
negozietto di souvenir dove comprarono dei piccoli ricordini da portare
in
Giappone. Solo in quel momento Takao si ricordò di non aver
più sentito Nonno J
dal giorno del loro arrivo e, preparandosi ad una ramanzina coi
fiocchi, entrò
in un call center per telefonare.
Gli altri lo osservavano da fuori della vetrina e lo videro
restare per la maggior parte della chiamata con il ricevitore lontano
dalle
orecchie.
-Sei proprio un bel tipo Takao! Non è educazione non
ascoltare il povero Nonno J! Sarà stato preoccupato!- lo
riprese Rei una volta
riunitosi.
-Ma guarda che urlava tanto che l’ho sentito anche con la
cornetta lontana!- si giustificò il giapponese.
-Chissà perché non fatico a crederlo- Sorrise Max
al quale
sembrava non potesse preoccupare nulla.
Yuri rise in silenzio, mentre Kei rimase impassibile, come
lo era da quella mattina e, a quanto pareva, da sempre.
Solo quando passarono davanti a un tabacchino prese parola:
- Ho quasi finito le sigarette-
Si diressero allora verso il negozietto dove prese almeno
tre pacchetti che infilò avidamente in tasca.
Quando entrarono finalmente nel supermercato si dispersero
tra gli alti scaffali. Cercavano sempre di camminare vicini per non
rischiare
di perdersi, ma risultò impossibile tenere fermi Takao e Max
che si bloccavano
a osservare tutte le cose strane e colorate che trovavano.
Quell’alfabeto sconosciuto e la tipologia diversa dei cibi
in confronto al Giappone li attiravano come calamite, facendoli
sembrare dei
bambini piccoli.
Si beccarono anche una strigliata da una vecchietta che se
li era ritrovati tra i piedi mentre cercava di fare in santa pace la
sua spesa.
A capire che cosa avesse urlato però furono solo Yuri e Kei:
il primo cercò di trattenere le risate finchè la
signora non si fosse
allontanata, mentre il secondo scosse la testa esasperato voltandosi a
guardare
verso gli scaffali a guardare chissà cosa.
Ricominciarono il viaggio tra le lunghe file di alimentari:
Rei nominava gli ingredienti che gli servivano e Yuri glieli procurava
con
facilità.
Il carrello si faceva sempre più pieno e l’euforia
di Takao
aumentava di conseguenza, felice al pensiero di poter mangiare
così tante
leccornie: il suo punto debole era proprio la cucina di Rei, continuava
a
ripetergli che se fosse stato donna lo avrebbe sposato immediatamente.
-Ti ha fatto male il piercing al sopracciglio?- Max si
avvicinò a Kei approfittando della distrazione di Takao
– Volevo farmelo anche
io ma mia madre non vuole!-
-Mmm non lo so in verità- rispose atono Kei guardando gli
occhi confusi del biondino – Non ero molto lucido quando
l’ho fatto-
Max annuì non sapendo cosa rispondere avvicinandosi a Takao,
interdetto quanto lui.
Rei cercò di rispostare l’attenzione sul cibo
annunciando la
voce della lista della spesa a cui erano arrivati.
Si infilarono nel corridoio dove stavano diverse bottiglie
alla ricerca della salsa di soia.
Rei scorreva lo sguardo confuso da tutti quei simboli, ma ci
rinunciò lasciando il lavoro al rosso giusto in tempo per
fermare Takao che
stava per far cadere delle bottiglie di olio in esposizione.
Per fortuna anche Kei era lì vicino e riuscirono a evitare
il disastro. Una volta aiutati, Kei rimase ancora qualche secondo
accanto a
loro senza spostarsi come faceva invece da quando erano arrivati.
Il cinese sorrise impercettibilmente.
Yuri intanto si allungò per prendere un flaconcino che stava
piuttosto in alto per poi riporlo nel carrello guidato da Rei.
-Bene ora andiamo di qua..- li guidò Yuri girando
l’angolo.
-Hey Kei!- Improvvisamente un ragazzo e una ragazza in fondo
al settore si avvicinarono a loro.
Yuri tornò subito indietro, avvicinandosi all’erta
a Kei.
I due ragazzi si fermarono a qualche metro da loro
sorridenti: indossavano vestiti larghi ed erano particolarmente
trascurati,
avevano la stessa aria malata di Kei. Tra le braccia tenevano una
scorta di
bottiglie di vetro che non si faticava a capire contenessero alcolici.
Yuri bloccò Kei per un braccio guardandolo intensamente
negli occhi.
Kei non era sembrato molto contento di vedere quei ragazzi;
Rei pensò che il motivo per cui prima si era avvicinato era
nascondersi da
loro.
Nonostante tutto tranquillizzò Yuri e si avvicinò
ai nuovi
venuti che lo salutarono calorosamente.
-E’ da un po’ che non ti vediamo in giro.. dove sei
sparito?- gli chiese il ragazzo.
-Non penso ci vedremo più- rispose con tono freddo e sicuro,
ricordava molto i primi tempi in cui Takao e gli altri lo avevano
conosciuto.
-Non ti sarai mica fatto incastrare vero?- aggiunse con una
risata la ragazza.
-Ho smesso- di nuovo la sua vecchia aria di superiorità,
sembrava stesse tornando piano piano il ragazzo di un tempo.
-Si è fatto incastrare!- Si dissero gli altri due.
-E’ un peccato!- Aggiunse la ragazza avvicinandosi
– Sappi
che sei sempre il benvenuto quando cambierai idea!- Si alzò
in punta di piedi e
gli strappò un bacetto a fior di labbra.
La sua sicurezza sembrò affievolirsi.
Con gli occhi puntati in quelli neri della ragazza si sentì
sfiorare la mano sinistra; non ci mise molto a capire quello che stava
cercando
di porgergli. Dovette chiedere aiuto a tutta la sua buona
volontà per non
lasciarsi tentare e non far continuare quello scambio. Cercando di
mantenere il
controllo, scostò lentamente la mano della ragazza
avvertendo il contatto con
il mini pacchetto che lo fece deglutire.
-Non cambio idea- Le rispose provocando la sua risata ancora
vicino al suo volto.
Gli fece l’occhiolino – Ti aspetto!-
-Come vuoi- Kei li guardò e si girò di scatto,
lasciando i
due con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.
Superò Yuri e gli altri intimandoli a muoversi.
Durante il tragitto di ritorno l’atmosfera era
particolarmente tesa. L’umore di Yuri sembrava aver raggiunto
il livello di Kei
mentre gli altri cercavano di fare di tutto per non far precipitare la
situazione.
Kei non aveva più aperto bocca, cosa assolutamente normale
per lui; era proprio la calma e la normalità che continuava
a mostrare che
preoccupava tutti. Yuri particolarmente.
Nessuno si era accorto di quello che era successo in quel
lieve contatto tra la sua mano e quella della ragazza, per tutti non
era altro
che un accompagnamento al bacio; solo un acuto osservatore avrebbe
potuto cogliere
lo scambio, un operazione che ormai, sia Kei che gli altri, erano
esperti
nell’effettuare senza farsi vedere. Quante volte aveva
incontrato ragazzi per
le strade, nelle piazze affollate e sui mezzi pubblici e con la scusa
di
scambiarsi un saluto aveva rimediato la droga.
Non aveva nemmeno provato a tenere il conto.
Rei si ritenne fortunato ad essere occupato a cucinare
perché non sapeva se avrebbe retto quei silenzi. Takao e Max
cercarono di
aiutarlo anche se, ovviamente, il cinese era restio ad affidargli
troppe
responsabilità.
Kei si rintanò in camera sua e scese solo quando fu tutto
pronto. Anche Yuri sparì per un bel po’ comparendo
ogni tanto per chiedere agli
ospiti se avevano bisogno di qualcosa. Sembrava volesse portarsi avanti
con
tutte le faccende di casa tutto ad un tratto.
Quando Sergay e Boris rientrarono rimasero all’oscuro di
quello che era successo al centro commerciale e portarono una ventata
di aria
fresca e allegria in casa.
La cena aiutò ulteriormente a portare un po’ di
buon umore.
Rei fu sommerso da complimenti per l’ottima cucina e non
avanzò neanche un
chicco di riso.
La serata continuò nel salottino davanti alla tv: nel
pomeriggio infatti erano passati anche al videonoleggio dove avevano
affittato
un film che avesse come opzione della lingua anche il giapponese.
Si dovettero accontentare però di una classica commedia
romantica americana non molto conosciuta e i presenti, solo dai primi
minuti,
capirono perché non avesse avuto successo, tanto che Boris
uscì di nuovo per
fare il turno di notte in anticipo, Sergay andò a dormire
dichiarando di essere
stanco per la lunga giornata e Yuri, ancora in vena molto casalinga, si
mise a
lavare i piatti e ripulire la cucina.
Il rosso stava ripensando a mille cose mentre sciacquava i
piatti sotto l’acqua calda e si incantò diverse
volte a guardare fuori dalla
finestra sopra al lavandino: seguì ogni mossa dei netturbini
che venivano a
ritirare la spazzatura e la traiettoria dei fiocchi di neve che caddero
per
pochi minuti per poi smettere subito dopo.
Dopo un po’ una figura nel giardino attirò la sua
attenzione.
Kei era in piedi a fumare in mezzo al vialetto: Yuri era tanto
perso nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorto che fosse
uscito. Se
questo fosse successo qualche settimana prima se ne sarebbe dovuto
pentire per
tanto tempo, ancora di più che per il labbro spaccato.
Fino a qualche settimana prima infatti perdere d’occhio Kei
per solo qualche minuto significava rischiare di non riuscire a
portarlo di
nuovo a casa. Chissà se avrebbe avuto la forza di riprovarea smettere se ci fosse
ricaduto anche solo
una volta.
Sperò vivamente di non doversi mai porre quel problema.
Si ritrovò a fissarlo e d’un tratto il ricordo di
una sera
di inizio dicembre gli si presentò nella mente: era molto
tardi ed era già in
pigiama quando quella notte aveva scorto Kei immobile sul vialetto
sotto la
fitta neve che cadeva incessante.
Era da mesi che non lo vedeva, era il periodo che era andato
via di casa, e il vederlo lì di nuovo, a pochi metri da lui,
gli aveva riempito
il cuore di gioia. Gioia subito cancellata non appena uscì
nella fredda aria
invernale: il suo primo impulso era stato quello di corrergli incontro,
ma la
paura di farlo scappare via lo aveva fermato.
Si era limitato ad avvicinarcisi lentamente e a mettersi a
pochi metri da lui.
L’altro di per sé non aveva dato segni di averlo
visto e
rimaneva immobile a guardare verso il nulla; no, non era del tutto
immobile,
infatti tremava.
Yuri non aveva fatto in tempo a rivolgergli parola che Kei
si era voltato verso di lui e, guardandolo dritto negli occhi, gli
aveva
trasmesso tutto il suo dolore. In quelle iridi poteva leggere
disperazione e
tristezza.
Yuri sapeva che quello era l’equivalente del pianto per il
suo amico; come tutti loro che avevano vissuto al Monastero, Kei non
piangeva,
non era una cosa che fossero in grado di fare e
quell’espressione era ciò che
più si avvicinava alle lacrime.
-Non ho potuto fare nulla- aveva iniziato a ripetere come un
disco rotto Kei, mandando in confusione il rosso che non capiva a cosa
si
riferisse.
-Cosa è successo?-
Non gli fu data nessuna risposta sensata, Kei continuava a
farfugliare. Non doveva essere troppo lucido. Yuri aveva allora
rinunciato a
capirlo e si era limitato ad avvicinarsi e abbracciarlo sperando che
quel
contatto non gli venisse negato.
Kei non si scostò, anzi si appese all’amico e
cominciò a
respirare pesantemente.
-Va tutto bene!- aveva cercato di calmarlo Yuri – Ora sei
qui..ci sono io!-
Quella notte Kei, dopo diversi mesi, aveva dormito nella sua
stanza, ma il mattino dopo era già sparito.
Yuri apprese quello che era successo solo ore dopo, quando
Dana gli diede la notizia della morte della sua amica.
Per diversi giorni nessuno riuscì a contattare Kei, fino a
quando non si era presentato al funerale della ragazza. Fu in quella
occasione
che Yuri e Dana lo convinsero a tornare a casa e a disintossicarsi.
Le risate dei tre ragazzi in soggiorno lo risvegliarono da
quei ricordi.
Poggiò l’ultimo bicchiere nello scolapiatti e si
diresse
verso la porta di ingresso, indossò la giacca ed
uscì.
La luce dei lampioni illuminava il piccolo giardino e la
figura immobile di Kei; stava guardando verso il cielo grigio come se
aspettasse che da un momento all’altro potesse accadere
qualcosa di
interessante a quella massa scura uniforme.
Yuri si sedette sulle scale davanti alla porta stringendosi
nel cappotto, mentre Kei apriva un nuovo pacchetto.
Il ragazzo tirò fuori dal cartone vuoto
l’accendino e, dopo
essersi acceso una sigaretta, cercò di incastrarlo in quello
nuovo.
Yuri alzò una mano verso l’amico come a richiesta
di
qualcosa.
Kei estrasse una stecca dal pacchetto e la porse nella mano
aperta dell’altro.
-Pensavo fumassi già abbastanza te per tutti qua dentro- si
accese la sigaretta e ripassò l’accendino a Kei
che non dovette faticare come
prima per metterlo a posto.
-Oggi è stata particolarmente dura- affermò il
rosso.
-Già-
-Ma hai fatto la cosa giusta..-
Kei alzò le spalle e sospirò.
-Avrei potuto benissimo andare con loro-
-Ma non l’hai fatto-
Kei evitò di accennare al pacchettino di droga che gli era
stato offerto per non preoccupare ancora di più
l’amico: su quell’argomento era
troppo suscettibile e non sapeva come avrebbe reagito.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul fumo, mentre Yuri
cercava di trovare la forza di iniziare quel discorso difficile con lui.
-Avrei pensato a un modo per aiutarti-
-Sarebbe-
-Andare in Giappone- lo disse prima di poter cambiare idea.
Buttò lì quella frase sperando che fosse davvero
la scelta giusta.
Kei non gli rispose, ma ricominciò a fissare il cielo.
-Ma solo se tu..-
-Pensi possa essere la soluzione migliore?-
Kei si sedette sui gradini di fianco all’amico.
-Non.. Non lo so.. probabilmente sì!- Non avrebbe dovuto
porgli quella domanda, doveva essere assolutamente sincero, non poteva
mentirgli, ma doveva anche convincerlo a prendere in considerazione
quell’idea.
Aspirò il fumo prima di riprendere a parlare – Ti
direi di no solo perché non
voglio che te ne vada, solo per egoismo, ma non riesco nemmeno a dirti
di sì
perché essenzialmente sono una persona egoista-
-Non è vero-
-Ho chiesto a Takao e lui ha già parlato con Nonno J, oggi
al telefono, di questa possibilità, e per loro andrebbe
bene!- Cercò di
riportare il discorso sulla reale possibilità che Kei
partisse.
-Ci ho pensato anche io.. quando ho visto che li avevi
chiamati-
-D-davvero?- Yuri rimase leggermente interdetto, si stava
facendo sempre più reale.
Kei annuì e alzò le spalle riprendendo la sua
espressione
triste.
-Kei.. non vorrei mai che tu te ne andassi..-
-Ma..-
-Ma ho paura che non riuscirai a reagire se resti qui,
questa.. questa città è così piena
di.. di tentazioni, non vedo altre vie
d’uscita..-
-Avete sopportato fin troppo..- affermò piano Kei
più a se
stesso che all’altro.
-No non pensare nemmeno per un secondo che ti riteniamo un
peso e che non vogliamo più prenderci cura di te
è.. è che mi sento davvero
inutile, davvero impotente davanti a questa situazione.. ho paura di
essere io
una delle cause per cui nonriesci
a
reagire, vorrei che iniziassi a vivere la tua vita, a fare quello che i
ragazzi
della tua età dovrebbero fare, ad andare a scuola.. se
potessi tornare indietro
rifarei mille volte quello che ho fatto, anzi farei di più..-
-Hai fatto di tutto.. davvero.. non saprei che altro
potresti fare.. anzi se fossi stato in te non ce l’avrei
fatta..-
-No avresti fatto esattamente lo stesso-
A entrambi scappò un sorrisetto.
-Prendila solo come una possibile opzione, pensa a tutti gli
aspetti, positivi e negativi, e se alla fine capirai che non
è la scelta giusta
io sarò ben felice di vederti ancora qui e troverei un altro
metodo per farti
sentire meglio..-
Kei ascoltò attentamente le parole di Yuri, ma non diede
nessun tipo di risposta, lasciandolo continuare.
-..forse ci vuole solo ancora un po’ di tempo..-
Restarono seduti sui gradini gelati per almeno una decina di
minuti. In silenzio. Senza guardarsi.
Era il loro modo per stare insieme, per capire che accanto a
loro avevano una persona che sarebbe stata disposta a fare di tutto
l’uno per
il bene dell’altro. Ed era davvero così.
Un brivido attraversò la schiena di Yuri.
-Sarà meglio che rientriamo se no ghiacceremo..- si
alzò
stiracchiandosi -..non vorrei che Boris ci ritrovasse come parte
dell’architettura!- e iniziò a scompigliare i
capelli di Kei, il quale sbuffò
esasperato.
-Pensaci con calma.. e stai tranquillo.. tutto si
sistemerà!-
Kei emise un mugolio poco convinto.
-Di questo ne sono sicuro!-
Buonasera a
tutti..ecco qui un nuovo capitolo bello pronto e fumante per voi! :)
Giornatina sempre più dura per Kei, con una bella
chiaccheratina con Yuri che ormai si è trasformato in una
perfetta casalinga! XD
Una mia amica mi ha detto che lo sto facendo sgobbare troppo..ma ci
piace così! u.u
In ogni caso, aspetto con ansia le vostre opinioni, zizi!!!
Grazie mille come al solito a tutti quelli che hanno recensito o
semplicemente letto..
Un bacione :)
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
All The Right Moves
Se fosse stato per lui sarebbe rimasto a ghiacciare su quei
gradini. Appena Yuri aveva pronunciato quelle parole, l’idea
di diventare parte
dell’architettura della casa non gli era sembrata tanto
malvagia.
Ci mise un po’ ad alzarsi e a rientrare. Non voleva tornare
tra quelle quattro mura, già che era riuscito ad uscire
senza chiedere nulla a
nessuno. Si era preso quella piccola libertà, una cosa da
niente ora che ci
pensava più attentamente, ma che fino a mezz’ora
prima gli era sembrata una
grande vittoria. Era da un po’ che non faceva qualcosa di sua
spontanea
volontà, o almeno che non prendeva una decisione e la
portasse a termine.
Appena Yuri era uscito aveva pensato che lo avrebbe
sgridato, ma non lo aveva fatto. Anzi si era messo a parlare di quella
eventualità di andare in Giappone.
Era vero che ci aveva pensato due giorni prima, non appena
aveva visto Takao e gli altri. Sinceramente aveva pensato proprio che
Yuri li
avesse chiamati proprio per quello e a quanto pareva aveva ragione. Lo
immaginava, ma non sapeva esattamente cosa provare. Fastidio,
dispiacere?
Tutti sentimenti piuttosto negativi perché in fondo non era
propriamente una bella cosa: equivaleva alla volontà di
spedirlo a chilometri
di distanza, in un altro continente.
Ma non poteva avercela con lui per aver anche solo preso in
considerazione quella possibilità, non poteva per niente
biasimarlo.
Forse questo era quello che avrebbe dovuto provare appena ci
aveva pensato, però, dopo il discorso che gli aveva fatto
Yuri pochi secondi
prima, gli sembrò una possibilità valida.
D'altronde Yuri era sempre stato
bravo con le parole e ci si poteva fidare ciecamente del suo giudizio:
per
questo gli aveva chiesto il suo parere. Ogni volta che erano in
disaccordo su
qualcosa quello ad avere ragione era sempre Yuri. Se Yuri gli avesse
risposto
subito che partire era la soluzione migliore e che lo avrebbe fatto
davvero
sentire meglio, avrebbe fatto immediatamente i bagagli senza pensarci.
Non avrebbe nemmeno preso in considerazione la possibilità
di restare perché, se Yuri pensava fosse meglio partire,
quella era la cosa da
fare; aveva ormai rinunciato a prendere decisioni di qualsiasi tipo.
Non era
bene fidarsi di se stesso. Seguire il proprio istinto lo aveva portato
completamente alla deriva e sicuramente se lo avesse rifatto avrebbe
preso di
nuovo la decisione sbagliata.
Però Yuri non gli era sembrato troppo sicuro della riuscita
di questa nuova possibilità.
E se non ci credeva Yuri come poteva crederci lui?
Gli aveva detto di pensarci, che la decisione era sua, ma se
negli ultimi mesi l’unica sua decisione corretta
l’aveva presa solo quel
pomeriggio rifiutando l’invito di quei ragazzi, come poteva
prendersi la
responsabilità di una scelta così grande?
Si diresse verso camera sua salutando distrattamente gli
altri; si mise in pigiama e prese le sue cuffie sdraiandosi sul letto.
Che razza di situazione.
Da quand’era che aveva perso la capacità di
scegliere della
propria vita? Ma soprattutto, l’aveva mai avuta?
L’unica volta se l’era
giocata, non ne era stato in grado, come poteva adesso in quello stato
fare la
scelta giusta?
-Che palle!-
Come ogni volta che si metteva in letto, quel poco di
stanchezza accumulata durante la giornata scompariva come per fargli un
dispetto.
Avrebbe potuto benissimo mettersi a fare i lavori forzati
per tutta la notte da quanto si sentiva carico.
Riuscì a confluire tutta l’energia che aveva in
corpo alla
testa e, come una scarica di adrenalina o qualcosa del genere, si
ritrovò
pervaso da una sottospecie di senso ottimista.
Forse la svolta di quel giorno, l’essere riuscito a
rifiutare la droga nonostante ci fosse stato a contatto diretto e
l’essere
uscito in giardino solo per fumare al fresco, era segno che era il
momento di
darsi una svegliata.
Beh, sveglio lo era. Doveva solo trovare il modo di
sistemare i casini della sua vita, o almeno iniziare.
Aveva trovato una soluzione. Se in quelle ore non avesse
cambiato idea, ed era possibilissimo considerando gli sbalzi
d’umore, avrebbe
comunicato a tutti quello che secondo lui era meglio.
Se Yuri avesse approvato avrebbe avuto la conferma di non
essere nel pieno di un attimo di pazzia, quella famosa pazzia che
sentiva salire
in lui ogni secondo.
Prima o poi lo avrebbero rinchiuso in un manicomio, se lo
sentiva.
Fantasticando su tra quanti anni questo sarebbe avvenuto si
diresse verso il piano inferiore.
Era notte fonda, tutti dormivano, ma a lui era venuto
l’improvviso bisogno di farsi una doccia.
Aveva optato per il bagno di sotto per non rischiare di
svegliare gli altri.
Certo non sembrava essere la cosa migliore da fare lavare
via la stanchezza, visto che non aveva ancora chiuso occhio. Magari
avrebbe
funzionato al contrario e gli sarebbe venuto sonno.
Scettico dei suoi stessi pensieri si infilò nel piccolo
bagno e azionò il getto dell’acqua.
Si fece una doccia gelata prima di miscelarla con quella
calda.
Come sempre l’idea di prendersi qualche malanno e magari
qualcosa di più lo sfiorava in ogni situazione, ma per
fortuna il coraggio di
completare la sua opera veniva sempre meno.
Solo una volta ci era andato vicinissimo. A porre fine a
quei patimenti.
Ma a quanto pareva la vita aveva altro da fargli provare,
magari qualche altra sofferenza o turbamento.
Non poteva dire nemmeno che fosse la mancanza di coraggio a
farlo desistere dai suoi scopi autolesionisti; forse l’unica
cosa che lo
tratteneva era il pensiero costante di far del male agli altri.
Finchè si rovinava con le sue stesse mani andava bene, ma
quando a rimetterci erano gli altri cercava di pensarci due volte prima
di fare
stupidate.
Le persone attorno a lui si preoccupavano e lo aiutavano
continuamente, anche se non sapeva spiegarsi ancora il motivo per cui
fossero
così attaccati ad un attira disgrazie come lui.
Vagò ancora tra mille pensieri cercando di godersi il
più
possibile quel silenzio così opprimente, ma allo stesso
tempo accogliente.
Uscito dalla doccia si rivestì e si diresse verso la cucina
deserta. Posò lo sguardo sulla mensola con la roba per la
colazione e prese in
considerazione l’idea di mangiarsi dei biscotti.
Mentre si sporgeva per afferrare il pacchetto cambiò idea e
optò per le sue più adorate sigarette.
Si diresse verso il divanetto ascoltando l’eco dei suoi
stessi passi nel silenzio.
Era tutto così strano e irreale a quell’ora,
mentre tutti
dormivano e il buio regnava; tutta quella realtà
però lo faceva sentire a suo
agio.
Erano le 4 del mattino, avrebbe dovuto dormire o almeno
trovare qualcosa da fare per passare le ore che lo separavano dal
sorgere del
sole.
Quando passava così la notte in bianco stava sempre nei
piani inferiori della casa; erano più freschi e soprattutto
erano vivibili solo
quando non c’era nessuno. Inoltre non sopportava
più la vista della sua camera.
Provò a guardare il dvd che avevano abbandonato poche ore
prima gli altri, ma dopo una decina di minuti non sopportava
già più il
protagonista maschile, il classico nerd americano; convincendosi che
non avrebbe
trovato passatempo migliore iniziò a vagare tra le opzioni
del lettore dvd.
Provò a guardare il film in tutte le lingue presenti facendo
caso alle diverse voci dei doppiatori e a quanto alcune stonassero con
la
faccia degli attori.
Le uniche lingue che riuscì a capire furono il russo, il
giapponese e l’inglese, per il resto non capiva assolutamente
nulla se non
qualche parola qua e là.
Annoiato dalla stessa attenzione che stava presentando alla
sua attività tirò un sospiro di sollievo quando
il film giunse ai titoli di
coda.
Di nuovo, invece che spegnere il lettore, lasciò terminare
l’immensa lista di nomi analizzando le varie
personalità che lavoravano dietro
un film e cercò di intuire la nazionalità di
quelle persone che portavano un
cognome strano.
Erano quasi le 6 quando sentì la porta di casa spalancarsi
per far entrare uno stremato Boris.
Il ragazzo si diresse in cucina per prendere qualcosa da
mangiare prima di andare in camera a dormire.
Salutò Kei con faccia scettica chiedendosi come fosse
possibile
che non dormisse mai.
Stesso pensiero attraversava il diretto interessato che
rimase ancora per un tempo indefinito stravaccato sul divano come se
ormai
fosse stato parte integrante dell’arredamento.
Osservò la casa risvegliarsi con il passare del tempo.
Dopo la veloce comparsata di Boris, anche Sergay scese a
fare colazione per poi lasciare il suo posto a Yuri.
-Non faresti meglio a provare a dormire un po’?- chiese il
rosso.
Kei aveva chiuso gli occhi per un secondo e si disse che
doveva avere una faccia stravolta.
Questo lo convinse a tornare in camera sua anche per evitare
l’arrivo degli altri tre che, sicuramente, non sarebbero
stati silenziosi
quanto i suoi coinquilini nel fare colazione.
Gli era venuto mal di testa, per non parlare del torcicollo
per aver lasciato i capelli bagnati.
Si trascinò su per le scale e, non appena varcata la soglia,
si buttò sul letto cercando di prendere sonno.
-Tutti a tavola!-
Boris invitò tutti a sedersi cercando di portare il cibo in
tavola.
-Ehm non sarà meglio chiamare anche Kei?- chiese preoccupato
Rei.
-Deve essersi finalmente addormentato in verità..-
Non fece in tempo a portare avanti la sua tesi che Kei
irruppe nella stanza massaggiandosi mezzo addormentato una tempia.
-Ok scherzavo!-
Kei si sedette al suo solito posto di fianco a Yuri con
un’espressione contrariata per il tanto rumore.
-Ora che ci penso non abbiamo comprato nulla per Hilary!-
tirò fuori Max.
-E che se ne frega di quella lì!- rispose Takao.
-Allora glielo dirai tu che non abbiamo pensato a lei appena
torniamo?-
Takao improvvisamente cambiò espressione immaginandosi la
scenata che gli avrebbe fatto se mai avesse osato dirgli una cosa del
genere.
-Ok hai ragione..semmai gliene diamo uno di quelli che
abbiamo preso per Nonno J!-
-Ma non sarebbe meglio qualcosa di più femminile?-
-Le prendiamo una di quelle grasse matrioske e le diciamo
che le assomigliano!- sogghignò Takao.
-Anche questo però glielo dici tu!-
Come al solito l’allegria regnava sovrana.
-A proposito quando avete intenzione di tornare a casa? Non
starete perdendo troppi giorni di scuola?- chiese Sergay apprensivo.
-Naah meglio!-
-Takao, Sergay ha ragione! E ti ricordo che l’ultimo tuo
voto non è stato molto bello e dovrai recuperarlo!-
-Come sei cattivo Rei! Perché me lo hai ricordato?-
Piagnucolò Takao –Uffa..proprio ora che mi stavo
abituando alla cucina di
Boris!-
-Che cosa vorresti dire?- chiese contrariato il russo.
-Niente niente!- si affrettò ad aggiungere spaventato Takao
– Quando sarebbe meglio ripartire?-
-Non saprei..- Rei si interruppe e senza pensarci guardò
Yuri interrogativo e subito dopo Kei, come se si aspettasse una qualche
risposta da loro.
Kei alzò finalmente lo sguardo assente su di loro e si
unì
al discorso.
-Se ti stai chiedendo se Yuri mi ha parlato, sappi che l’ha
fatto-
Rei continuò a guardarlo senza spiccicare parola, incapace
di formulare frasi sensate. Quindi glielo aveva detto, ma quale era
stata la
sua reazione e la sua risposta non lo sapeva nessuno.
Di nuovo tutti posarono gli occhi su Yuri.
-Deve decidere lui..- il rosso puntò lo sguardo
sull’amico
alla sua destra.
-In effetti ci ho un po’ pensato..- decise di rispondere Kei,
non sopportando più quel confuso gioco di sguardi che
sembrava non portare da
nessuna parte -..penso che sarebbe meglio se andassi in Giappone..-
tutte le
persone presenti sembravano tenere il respiro mentre Kei parlava, su
Takao si
dipinse un enorme sorriso, mentre Yuri si fece più cupo
-..ma ad una
condizione-.
Il tempo sembrava essersi fermato in attesa del resto della
frase.
-Quale sarebbe?- velocizzò Yuri.
-Essendo essenzialmente un masochista, penso che sarebbe
meglio venire in Giappone non adesso, ma quest’estate..-
Un’espressione confusa li attraversò tutti.
-Beh intanto se mi perdo il matrimonio di Dana, lei sarebbe
capace di ammazzarmi..-
A Sergay scappò un risolino all’immagine di Dana
arrabbiata.
-Beh mi sembra ragionevole, così possiamo preparare tutto
tranquillamente!-
-Vero, ma una curiosità, perché saresti
masochista?- chiese
confuso Rei.
Kei lo guardò come se la risposta fosse ovvia.
-Ma lo sai quanto fa caldo in Giappone d’estate?-
Dopo il primo secondo di silenzio una fragorosa risata si
alzò dalla tavola piena di piatti vuoti.
Altre battutine e scambi gioiosi si riversarono l’uno dopo
l’altro e il fatto che tutto questo fosse partito proprio da
Kei portò molta
più allegria del solito.
A Kei però, nonostante fosse stato più partecipe,
non era
ancora passato il mal di testa e tutto quel ridere gli stava dando sui
nervi.
Senza pensarci due volte si mise a sparecchiare seguito a ruota da Yuri
che lo
aiutò.
Il rosso stava appoggiando le posate nel lavabo quando si
ritrovò davanti gli occhi viola dell’amico.
Sembrava che Kei gli volesse dire qualcosa, ma non lo fece,
restando a fissarlo per diversi secondi.
Quegli occhi gli stavano chiedendo qualcosa, un accenno, un
consenso, un dispiacere, qualsiasi cosa riguardo a quello che era stato
appena
deciso.
Yuri gli sorrise semplicemente, in modo naturale, come a un
fratello, senza il bisogno di dare una risposta a quella muta domanda.
Come se niente fosse successo Yuri ritornò verso la tavola
per togliere i bicchieri, mentre Kei poggiò la pila di
piatti che aveva in
mano.
Buonasera a tutti!
Mentre sceglievo dove tagliare il capitolo mi sono accorta di una cosa
tremenda..manca poco alla fine della parte già
scritta..cioè, proprio poco no, diciamo relativamente, ma
questo vuol dire che devo entrare nell'ottica di muovermia
scrivere il resto!
Non voglio che quei pazzi dei miei lettori debbano poi aspettare
troppo..non sia mai!
Comunque, a proposito di pazzia, che en dite di questo capitoletto?!
Abbiamo ripreso per un po' il tour nella testa di Keiuccio nell'attesa
della sua decisione che immagino avevate capito tutti quale sarebbe
stata..diciamo che non era proprio scontata -.- però il
problema ora è..che cosa accadrà?! Si
può considerare la pace dopo la tempesta?!
Ora andranno tutti insieme per i prati a inseguire farfalle!?
Beh manca ancora del tempo prima di scoprirlo ;)
Ringraziamenti di rito a tutti quelli che recensiscono e quelli che
leggono solamente, ma comunque dal cuore.
Se qualcuno decidesse di voler lasciare un commentino sappia che
è sempre il benvenuto..
un bacione :)
Ps: tanti auguri ad Aipotu! ;) ihih prima o poi ce lo faremo un vero
viaggetto a Mosca :P
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre
ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente
sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
Breathe Slow
Nel
pomeriggio Rei andò con Yuri a fare i biglietti per la partenza. Avevano deciso
che sarebbero tornati in Giappone il giorno dopo così da non perdere altri
giorni di scuola.
Ormai il compito per cui erano stati chiamati a Mosca era stato svolto e Kei li
avrebbe raggiunti a Tokyo per l’estate.
A casa rimasero solo Max, Takao e Kei. Era la prima volta dopo mesi che Kei si
ritrovava in casa senza uno dei suoi tre coinquilini.
Yuri in realtà era stato un po’ restio ad acconsentire a quel cambiamento, ma
la promessa di Takao e Max di essere d’aiuto lo aveva fatto un po’ sciogliere.
Il colpo di grazia glielo aveva dato Rei che aveva affermato –Dagli un po’ di
fiducia, credo che se lo meriti no?-
Kei era rimasto stranito da quella frase almeno quanto Yuri, che come al solito
lo guardò negli occhi prima di decidersi ad uscire.
La situazione già inusuale di per sé era resa ancora più strana dalla presenza
dei tre, soli nella stessa stanza. Mentre con Rei gli era capitato di parlare
qualche volta in quei pochi giorni, con Max e Takao non stava da solo dai tempi
del torneo di Bey.
Erano riuniti nel salottino: Max leggeva un fumetto americano che si era
portato da casa, Takao canticchiava allegramente una canzoncina giapponese con
il sorriso stampato in faccia, mentre Kei lo osservava stranito.
Come era possibile che quel ragazzo sorridesse così tanto?
Si era dimenticato in quei due anni quanto potesse essere snervante quella
continua allegria ostentata senza ritegno.
-Ma che hai da ridere?- Kei non riuscì a trattenersi.
-Sono contento!- Takao continuò a muovere la testa a ritmo della melodia
–Saremo di nuovo i Bladebreakers al completo!-
Kei lo squadrò scettico, rinunciando a comprenderlo.
-Sarà tutto come due anni fa..risate, abbuffate,
scontri..-
-Non illuderti troppo- stoppò Kei.
-Ma perché dici così?-
-Non è che credi che ricomincerò a giocare a Bey vero?-
-No..cioè..- Takao iniziò a giocherellare con le sue
dita imbarazzato -..ma non c’è nemmeno una lontana speranza?-
-No-
-E daaaai.. non puoi lasciare tutto così.. eri il più
forte di tutti, dopo di me ovviamente!-
Kei alzò un sopracciglio sempre più scettico.
-In verità è già da un bel po’ che ho lasciato e non vedo motivo per
ricominciare-
-Per me..-
-Ribadisco che non ne vedo motivo valido-
-Come sei antipatico!-
-Allora me ne resto qui-
-No no no no no..non dirlo nemmeno per scherzo..ok ok non ricominci a giocare..ho
afferrato!-
Takao abbassò lo sguardo sconfitto.
Kei lo spiò con la coda dell’occhio e gli venne naturale abbozzare un sorriso:
Takao sembrava davvero un bambino piccolo, era incorreggibile. Certo che con lui
riusciva a dimenticarsi del mondo reale spietato e crudele, era abbastanza
contagiosa la sua visuale della vita così spensierata e innocente.
-Ma ce l’hai ancora il bey vero?- si intromise Max.
-Sì, ma NON lo userò-
-Non voglio farti cambiare idea tranquillo..volevo
solo accertarmi che non te ne fossi liberato!-
Ma come facevano a vedere tutto così positivo e sereno? Come potevano ancora
avere lo stesso sguardo di due anni prima?
Kei non se lo spiegava proprio, lui non era mai stato in grado di vedere le
cose dal loro punto di vista, come loro non erano mai riusciti a concepire il
suo.
Erano persone completamente diverse, che però potevano aiutarsi gli uni con gli
altri.
-Però non te ne sei dimenticato..- aggiunse Takao.
-Di cosa?- chiese Kei che aveva perso il filo del discorso.
-Dell’Aquila Rossa! La tieni sempre con te!-
Il russo era sempre più confuso, finché non comprese la natura delle parole di
Takao.
Lui non si era scordato dell’Aquila Rossa perché la portava sempre con sé, non sottoforma di bit power nel Bey,
ma bensì come un disegno marchiato a vita sulla sua pelle.
Infatti sul collo, poco sotto all’orecchio, aveva il tatuaggio che raffigurava
proprio l’animale sacro: se l’era fatto tatuare pochi mesi dopo la chiusura del
Monastero, ma era da tanto tempo che non pensava al suo significato.
-Certo che è fatta proprio bene!- Max gli si era improvvisamente avvicinato,
come voleva fare da tanto tempo, ma non aveva ancora avuto il coraggio di fare.
-Eh? Già..-
L’americano continuava a osservare il disegno in tutti i suoi contorni neri
perfetti. Ogni dettaglio dell’aquila era rifinito e preciso nonostante le
dimensioni.
-Questo invece cos’è? Un tribale giusto?-
Max indicò l’insieme di linee che si intersecavano nel formare il grande tatuaggio
che copriva tutta la spalla destra di Kei.
Kei si alzò la manica corta della maglietta per mostrare il tatuaggio in tutta
la sua interezza.
-Certo che è grosso!-
-Ha un significato?-
-E’.. sono delle fiamme tribali..- Kei era leggermente spaesato dal grande
numero di domande che gli venivano poste. Era da tanto che qualcuno non si
interessava ai suoi tatuaggi o comunque a dettagli particolari di lui.
Si era scordato l’immensa curiosità dei suoi vecchi amici.
-Ne hai altri?- chiese Max saltellando.
-Sì uno..-
-Dove?-
-Sulla gamba-
-Quindi..- Max iniziò a contare sulle dita della mano -..ne hai 4! Pari..non porta sfortuna?-
-Ne farò un altro allora..- dichiarò Kei, più per fare contento Max che per
altro; infatti era convinto che, anche se la sfortuna fosse esistita, non
avrebbe potuto fare più tanti danni, o almeno non più di quelli che aveva fatto
da solo.
-Bravo..non si sa mai!- Concluse con aria solenne
l’americano prima di tornare al tavolo a concentrarsi sul suo fumetto.
Rimasero qualche minuto in silenzio.
-Vedrai che le cose si sistemeranno davvero!-
Kei rimase leggermente scioccato dal repentino cambio di discorso e dalle
parole appena pronunciate dal giapponese.
Lo guardò negli occhi e riuscì a vedere tutta la sua determinazione e serenità.
Per la milionesima volta nel giro di mezz’ora si ritrovò ad invidiare quegli
occhi che non erano spaventati, non erano insicuri, che osservavano la vita
come una cosa meravigliosa da assaporare in ogni attimo.
Takao riusciva ad essere sempre così ottimista.
Kei posò di nuovo lo sguardo davanti a sé senza rispondere. Chissà se
quell’inguaribile ottimismo sarebbe stato distrutto col suo arrivo in Giappone
o se fosse riuscito a prendergliene un po’.
Solo il giusto, il minimo indispensabile.
-Non sto più nella pelle!- Takao si alzò di scatto e si mise a girare per la
stanza.
-Ma ci stai un po’ fermo?-
-Non ci riesco..sono troppo contento! Che bello, che
bello, che bello!-
Kei di rimando a tutta quella felicità si accese una sigaretta.
-Bah-
-Allora come ti trovi all’università?-
-Bene.. Anche se sono un po’ indietro con alcune lezioni..-
-Per Kei?-
-Anche..ma non gliene faccio una colpa.. viene prima
lui dell’università!-
-Non vorresti che se ne andasse vero?-
Yuri rimase pochi secondi in silenzio prima di rispondere.
-So che è quello che è meglio fare..anche se non
vorrei..-
-Lo pensi davvero? Che noi riusciremo a..-
-Sì..lo spero! So quanto ci tenete.. se no non avrei
nemmeno preso in considerazione l’idea! So che sembra davvero che io me ne
voglia sbarazzare, ma spero che capirà che non è così..-
-Secondo me lo sa già..-
-Ho paura che non sia così..-
-Perché?-
Yuri esitò di nuovo. Aveva un gran bisogno di sfogarsi con qualcuno, ma non
sapeva se poteva farlo col cinese. Era così gentile e disponibile con lui che
non se la sentiva di scaricargli addosso tutte le sue ansie e i suoi problemi.
-Tranquillo..sono un bravo ascoltatore sai?-
Rei gli sorrise continuando a camminare per le strade innevate di Mosca.
-E’ che.. credo che pensi che non ce la facciamo più a occuparci di lui.. di
essere un peso..-
-E lo è davvero?!-
-No!- esclamò contrariato Yuri. –E’ stato difficile, ma non è così!-
Iniziò a nevicare forte di punto in bianco e i due si dovettero riparare in un
bar.
Ordinarono qualcosa di caldo sedendosi a un tavolino.
Una serie di ricordi riaffiorarono ancora nella testa del rosso in quei pochi
minuti di silenzio. Kei guardava fuori dal finestrino dell’autobus mentre Yuri non lo perdeva
d’occhio un secondo. Aveva l’aria trasandata e trasognata. Gli occhi lucidi e vuoti. Ogni tanto
muoveva la testa senza un senso preciso, o almeno senza che Yuri potesse
coglierne il senso. Per assicurarsi che lo seguisse fuori dal mezzo, lo prese per un braccio e
uscirono nella fredda aria di dicembre. La fermata era a pochi isolati da
casa e la neve iniziava a cadere incessante. Kei, che già tremava di suo, iniziò a tossire. Indossava solo una giacca
leggera, non adatta per quelle temperature rigide. Yuri si tolse il cappotto nero e glielo appoggiò sulle spalle mettendogli
una mano sulla schiena come per esortarlo ad andare avanti. Erano quasi nel vialetto quando Kei rallentò e iniziò a bisbigliare qualcosa
di incomprensibile. Ci volle tutta la forza e la pazienza del rosso per riuscire a portarlo
oltre la soglia di casa. Appena entrati furono avvolti da un piacevole calore. -Dai vieni dentro!- Yuri si mise davanti alla porta per impedirgli di
aprirla e tornare fuori. -Cosa sta succedendo?- Sergay sbucò dalla porta della cucina per assistere
ai tentativi di Kei di lottare contro Yuri per aprire la porta. Che poi non
poteva considerarsi propriamente una lotta: Kei sembrava tanto debole e provato
che non presentava nemmeno lontanamente una minaccia. Mentre tentava di spostare Yuri, perdeva l’equilibrio e si prendeva la testa
tra le mani.
-Dicevi..- lo esortò Rei.
-Che è stato difficile.. tu non puoi nemmeno immaginare quanto..-
-Ser aiutami!- Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e si diresse verso i due. -Kei tranquillo..andrò tutto bene!- -No, dopo.. ancora una volta..- Kei si sentì afferrare da dietro da Sergay
-..solo un’ultima volta..poi smetto..- Si sentì
sollevare e iniziò a vedere il mondo sottosopra -..una dose..una
sola..- cercò di dimenarsi, ma tutto rendeva sempre più difficile distinguere
il sopra dal sotto. Sergay aveva preso Kei in spalla e lo stava portando al piano di sopra. -Vai in bagno..- Yuri li condusse verso il bagno aprendo la porta per lasciarli passare e
permettere a Ser di posare il ragazzo sul pavimento. Kei appoggiò la schiena contro la vasca da bagno sentendo le mani dei suoi
amici che gli toglievano i vestiti. Non gli piaceva, non capiva, non riusciva a
comprendere quello che stava succedendo. Portò le mani avanti sentendo il contatto con qualcosa di caldo, una maglia,
una faccia, altre mani. Cercò di vedere, ma la confusione regnava sovrana, non distingueva contorni
e colori. Si mise le mani davanti alla faccia e cercò il contatto con l’unica cosa che
riusciva a percepire chiaramente. Il pavimento era la sua unica sicurezza, era
lì, ed era fresco e invitante. Cercò di sdraiarcisi, ma veniva trattenuto. Tentò e ritentò, ma qualcosa lo
fermava. Sentiva ancora quelle voci lontane. Ma cosa volevano? -Stai fermo!- Yuri e Sergay cercavano continuamente di tenerlo su e
togliergli i vestiti per lavarlo, ma Kei non accennava a stare un secondo
fermo. Ci misero mezz’ora prima di riuscire a portarlo in camera sua, almeno
presentabile. Lo aiutarono a mettersi una vecchia tuta e lo misero sul letto. Nei suoi
occhi si leggeva solo confusione. Non c’era altro in quelle iridi. -Ora?- chiese Sergay. -Ora aspettiamo- Yuri prese la sedia della scrivania e si sedette in attesa. -Ti serve qualcosa?- Yuri scosse la testa. -Allora chiamo Boris per avvertirlo!- Sergay tornò al piano di sotto chiudendo la porta leggermente perplesso. Yuri rimase a guardare Kei: era steso sul letto a pancia in su e fissava il
soffitto con gli occhi socchiusi, aveva il respiro affaticato, come dopo una
lunga corsa, e stava sudando. Sembrava che l’effetto della droga si stesse attenuando, probabilmente la
crisi sarebbe arrivato prima del previsto e doveva accertarsi che Kei non
uscisse da quella stanza. Lo vide agitarsi minuto dopo minuto. Sapeva che presto la bomba sarebbe esplosa e, ripensandoci, non era affatto
pronto a subirne gli effetti, ma doveva almeno provare. Kei si era mosso, continuava a cambiare posizione: si mise su un fianco, si
raggomitolò, si mise seduto e si sdraiò in preda al panico. Tossì e si prese la
testa tra le mani. -Non posso.. non ce la faccio..- Yuri si alzò all’erta in tempo per bloccare Kei che, come se avesse ad un
tratto riacquistato tutte le forze, si era alzato di scatto. -Kei..ce la puoi fare! Ne abbiamo parlato!- cercò
il contatto con i suoi occhi –Kei..fidati di me!- -No no..non posso..- sempre bloccato cercò di
spingere Yuri, ma non lo smosse di un millimetro – Ne ho bisogno- Kei dovette rinunciare presto a spingerlo, ritrovandosi sempre coi polsi
bloccati e la testa sulla spalla dell’altro. Si abbandonò completamente su di
lui, cadendo in ginocchio per terra. Tossì ancora. Yuri cercò di tirarlo su e lo rimise sul letto facendolo
sdraiare. Fu allora che cominciò l’inferno.
-Prova a spiegarmelo..-
-Ti dico solo che il peggio credo sia passato.. ma io me le vedo sempre
davanti.. quelle immagini, non riesco a cancellarle dalla mia testa..- appoggiò
la testa alle mani per poi continuare -..lui che sta male su quel letto e..e urla..-
Rei gli lanciò un’occhiata interrogativa da dietro la sua tazza.
-Lo sento ancora urlare.. Urlava per il dolore e per chissà che altro. A volte
nel bel mezzo della notte si agitava e urlava e io non sapevo come fare a
calmarlo, ad alleviare anche solo un po’ di quel dolore, ma non sapevo e non
capivo dove e perché gli facesse male. Gli stavo accanto, ma non serviva a
nulla. Mi si stringeva il cuore e la gola ogni volta che lo sentivo..e
soffrivo. Kei tremava e sudava. Aveva freddo e caldo, era percorso da vertigini su
tutto il corpo, ogni muscolo si irrigidiva e si rilassava senza sosta e i suoi
occhi vedevano cose oscure a tutti gli altri. Non dormiva e non mangiava. Non era capace di provvedere a se stesso e ai
suoi bisogni naturali. Non sentiva nemmeno la differenza tra l’essere vivo e
l’essere morto. Tutto era dolore. Dolore e mancanza. Dolore e astinenza. Ricerca continua e
inutile. Per tre giorni niente cambiò. Kei stava sdraiato sul letto e stava male, si
teneva la testa e si raggomitolava in posizione fetale. Strizzava gli occhi,
tremava e sudava. E Yuri gli stava dietro come a un neonato: lo puliva, lo
cambiava e cercava di farlo mangiare. Ma nessuna di queste cose gli pesava o gli faceva pentire di essersi
proposto di aiutarlo. Ciò che davvero lo uccideva e lo faceva star male erano le urla. Kei urlava, per il dolore fisico e psicologico, ad ogni ora. E a ogni urlo lo stomaco e la gola di Yuri si chiudevano, sentiva una morsa
che lo attanagliava, sentiva dolore lui stesso. Mai come davanti a quegli urli disperati si sentiva impotente e inutile.
Riusciva solo a sdraiarsi con lui e fargli sentire che era lì, vicino a lui,
pronto ad aiutarlo. E lo tratteneva da fare cazzate. Come mordersi. Mordeva tutto, lenzuola,
cuscini e soprattutto l’incavo del suo braccio, si mordeva fino a sanguinare se
non veniva fermato. E quando sembrava non potesse accadere nulla di peggio avvenne qualcosa di
inaspettato.
-Poi quando è peggiorato e non voleva essere toccato è stata ancora più dura
mantenere il controllo e non scappare via; ho quasi desiderato.. sì me ne
vergogno, ma l’ho fatto..ho quasi desiderato che
finisse tutto lì, che morisse, che tutto quel patimento terminasse, perché non
sapevo come poteva fare a vivere con tutto quel malessere.
Fu in quel momento che cominciò il vero e proprio delirio, frasi sconnesse
lasciate a metà, allusioni a situazioni, realtà, fantasia, ricordi. Richieste verso qualcuno di sconosciuto, verso una terza persona. Una
persona anonima, con il nome sospeso tra realtà e illusione. Un nome che
naturale spuntò sulle labbra di tutti non appena la consapevolezza li colpì. Un
nome che col solo pronunciarlo causava dolore e timore. Un dolore passato, ma
ora presente più che mai. -Non toccarmi.. Non farlo.. Basta.. Non voglio.. Lasciami.. Non ce la faccio
più.. Non lo voglio.. Non voglio che mi tocchi più.. Si allontani.. Basta..- Una litania ripetuta all’infinito. E dolore.
-Anche se poi quando è andato davvero a un passo dalla morte non ho fatto altro
che desiderare che vivesse..lo so, non ha senso, ma è
così!
E quando finalmente ha ripreso lucidità, Dio quanto ero felice; mi ha detto due
parole..’hofreddo’ o
qualcosa del genere, ma mi ha parlato e guardato come non faceva da
giorni,
Aveva finalmente alzato gli occhi e posato le sue due ametiste nelle pozze
ghiacciate di Yuri. Finalmente lo guardava e lo vedeva davvero. Era consapevole
della sua presenza.
-.. e lì ho riacquistato piano piano tutti i battiti. Per non parlare di quando
l’ho sfiorato e non si è ritratto.. ho pensato che fosse tutto finito, che
presto sarebbe tornato tutto normale.
-Ho presente ogni momento e ogni sensazione di un momento, l’unico momento di
sollievo.
Kei continuava a respirare male, era ancora affaticato e, di sua spontanea
volontà, si avvicinò e appoggiò la fronte contro il petto di Yuri regolando il
proprio respiro rotto con quello regolare del rosso. Pian piano il ritmo tornò
normale.
-E poi si è addormentato.. in quel momento davvero ho pensato che sarebbe
andato tutto bene. Ma ora so che l’unico modo perché tutto vada bene per
davvero sia di allontanarlo..-
Yuri si raddrizzò credendo realmente per la prima volta che quella fosse la
soluzione giusta.
-Scusa se ti ho annoiato con questi discorsi..-
-Non ci pensare nemmeno! Kei è davvero fortunato ad avere te!-
Come al solito, Rei con un sorriso addolcì l’altro e lo
tranquillizzò.
Takao e Kei avevano continuato a battibeccare fino a che Yuri e Rei non
tornarono a casa.
-Finalmente!- Li accolse Takao saltellando.
-Ti prego portalo fuori, fagli fare qualsiasi cosa, ma tienilo lontano da me-
Disse esasperato Kei a Rei, prendendo il giapponese per il colletto facendo per
porgerglielo.
Il cinese scoppiò in una fragorosa risata.
-Ma non è mica un cane!- gli disse divertito Yuri.
-Sicuro?- rispose scettico Kei.
-A che ora abbiamo il volo?- chiese sempre sereno Max.
-Domani mattina alle 11!-
Penso sia il capitolo più lungo finora o qualcosa del genere! Spero non vi
dispiaccia u.u
Abbiamo continuato il nostro viaggio nei ricordi di Yuri, ma c'è stato spazio
per qualche risata con Takao e Max ^^
Attendo con ansia le vostre preziose opinioni!
Allora..per il discorsetto sulla crisi e sulla droga
in generale..io mi sono informata a più non posso su
tutti gli aspetti di una cosa così delicata, ma, ovviamente, non avendola mai
vissuta e non avendo nemmeno il minimo sentore di cosa possa significare
realmente, ho cercato di rendere il tutto il più verosimile possibile..
Spero di aver reso l'idea correttamente e di averlo anche descritto in modo da
far capire quello che mi sono immaginata io!
C'è una scena in questo capitolo che mi piace molto e sulla quale mi scappa
sempre un sorriso ogni volta che ci penso..chissà se
piacerà anche a voi e se qualcuno me la farà notare ;)
Grazie come sempre a chi recensisce e a chi legge solamente..
Al prossimo capitolo,
Un bacione :)
“Era il mio credo, il mio
bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio
pianto. Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale,
della mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e
mentre ero a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia
mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.”
Dream In The Air
Quella sera per festeggiare ordinarono delle pizze e Sergay
fece una bella sorpresa a tutti quando, rientrando, portò
una gigantesca torta.
Non che ci fosse realmente qualcosa da festeggiare, ma ci
tenevano a trascorrere l’ultima sera insieme in armonia e
mangiando tante cose
buone.
-Vodka per tutti!- Esclamò esultando Boris tirando fuori una
bottiglia dell’alcolico in questione non appena finirono di
cenare.
-Ma ti sembra il caso? Qui sono tutti minorenni!- lo
rimproverò Sergay.
-Non rompere Ser..come se questo avesse mai fermato
qualcuno! Dai solo un goccetto!-
Il ragazzo non riuscì nemmeno a ribattere che Boris stava
già riempiendo i bicchieri di tutti i presenti.
Rei non si scompose più di tanto, mentre Takao e Max, dopo
un attimo di esitazione, si esaltarono all’idea di una bella
bevuta in
compagnia.
-Liscia come è bene che sia!- continuò Boris
dandosi delle
arie da gran intenditore sempre versando l’alcolico negli
ultimi bicchieri.
-Abbonda..- gli disse Kei quando toccò a lui, beccandosi
un’occhiataccia
da Yuri.
-Sapevo che con te avrei avuto soddisfazione!- disse
commosso Boris.
-Mi arrendo!-
-Bravo Ser!-
-Na zdorovje- esclamò Yuri arrendendosi anche lui a quella
iniziale follia.
-Che?- chiese confuso Takao.
-Na zdorovje, si dice per fare i brindisi!-
-Na zdorovje- ripeterono Sergay, Boris e Kei, seguiti dagli
altri leggermente perplessi.
-Na zdoso..co..to..e..quella roba lì insomma!-
terminò Takao
aggiungendo il suo bicchiere al tintinnio che emettevano gli altri
nello
scontrarsi.
Boris e Kei senza pensarci due volte bevvero alla goccia il
contenuto per poi rivoltare i bicchieri al contrario sul tavolo
posandoci la
mano aperta sopra.
-Che ubriaconi!- affermò Sergay bevendo tutta la sua vodka
in un sol sorso.
-Parla l’altro!-
Dall’apprezzamento generale del primo giro, Boris
tentò di
mandare avanti la cosa, ma la bottiglia gli fu sequestrata prima che
potesse
agire.
-Non è giusto!-
-Su che domani devono fare un lungo viaggio e non vorrai
mica farli ubriacare!-
-Ma se stanno benissimo!- Boris indicò il gruppetto al
tavolo, ma le facce di Takao e Max non gli erano di aiuto: non
sembravano stare
molto bene.
-Non reggono molto l’alcol..una volta sono partiti con del
limoncello!- affermò Rei.
Takao e Max passarono l’ora successiva a sparare ancora
più
cavolate del solito e a ridere per ogni minima cosa, ma sembravano
abbastanza
lucidi.
Riuscirono a trovare molto buffo anche il suono del
campanello che annunciò l’arrivo di Dana.
-Ero a casa da sola e mi stavo annoiando così ho detto:
perché non passare in una casa affollata? Ne ho proprio una
che fa al caso
mio!- si annunciò entrando in cucina.
-Aaaaaaah Vodka! Meglio di quello che pensassi!-
La ragazza riuscì a fregare la bottiglia a Sergay prima che
potesse protestare e a versarsene un po’.
-Anche io..- le allungò il bicchiere Kei.
-Ma..- provò a protestare Sergay.
-Perché lui sì e io no?-
Boris di tutta risposta ottenne un’occhiata vittoriosa da Kei.
La bottiglia fu requisita di nuovo e messa sotto chiave
prima che qualcun altro la toccasse.
-Sono felice che non ve ne siate già andati!-
Dana iniziò un’interessante conversazione con i
tre ospiti:
era curiosa su tutte le tradizioni e le caratteristiche del Giappone e
se le
fece elencare tutte.
Boris a metà discorso abbandonò il gruppo dicendo
di essere
stanco e andò a dormire, seguito poco dopo da Sergay.
-Tokyo deve essere davvero una città fantastica.. ci sono
dei ballerini eccezionali, ormai è all’altezza
delle città degli State!- e
iniziò un grande dibattito con Max sulle differenze tra il
Giappone e gli USA
finché la stanchezza non prese il sopravvento.
Iniziarono i preparativi per andare a dormire, ma prima che
Dana potesse andarsene Kei la fermò.
-Ti posso parlare?-
-Certo!- gli sorrise.
Si sedettero sul divanetto l’uno di fianco
all’altra.
Lei gli prese la sigaretta quasi finita dalla bocca e gliela
spense nel posacenere, senza che Kei protestasse.
-Hai dormito stanotte?- gli chiese apprensiva spostandogli
una ciocca di capelli dal viso.
-Forse un’ora..-
-Non so se considerarla una dormita..-
-Non credo..-
Si guardavano negli occhi, appoggiati col fianco allo
schienale del divano.
-Io me ne vado..-
-Vuoi andare a dormire?- fece per alzarsi, ma fu bloccata.
-No, intendo.. me ne vado da Mosca.. quest’estate-
Lei rimase sorpresa.
-Capisco..-
Kei la continuava a guardare negli occhi, aspettando che
anche lei alzasse lo sguardo.
Quando lo fece, lei sorrise.
-Me lo dovevo aspettare, che non avresti potuto restare
qui..-
-Non vorrei..-
-Lo so, lo so..-
Si avvicinarono e Kei poggiò la testa sulla spalla di Dana
chiudendo gli occhi.
-Credo che sia la scelta giusta, sai?-
-Dici?-
-Sì, non può far altro che farti bene e poi..-
iniziò a
carezzargli i capelli -..noi saremo sempre qui ad accoglierti quando
vorrai
tornare!-
Restarono in quella posizione in silenzio per diversi
minuti.
L’unico rumore era il trafficare di Yuri che mettevaa posto le ultime cose in
cucina.
-Hai detto quest’estate?-
-Non prima del tuo grande giorno..-
-Ah guardavo.. non ti avrei mai perdonato per questo..-
-Lo so..-
In modo assolutamente naturale si allungò sul divano e
spostò la testa dalla spalla alle gambe di Dana che
continuò le sue coccole.
-Dov’era stasera Anton?-
-Doveva lavorare..-
-Ma è tutto a posto?-
-Stamattina abbiamo un po’ discusso, ma sai.. le solite cose
stupide!-
-Domani vi vedrete e farete pace e poi..vabbè poi lo sai..-
-Quanto sei scemo!- sorrise e continuò
nell’accarezzare i
capelli come se fosse un anti stress – Al matrimonio
vedrò di trovarti una
bella ragazza single!-
-Ma se poi parto..-
-Credi di poter avere una storia seria allora?- affermò lei
sorpresa.
-No, hai ragione..- rispose serio.
-L’avrai..-
-Forse..-
-Magari una bella giapponese.. a te piacciono le ragazze
more o comunque scure giusto? Lì non sono tutte
così?-
-Dici che mi piacciono le more?-
-Beh considerati i tuoi precedenti.. tra tutte le ragazze
bionde che ci sono in tutta la Russia la maggior parte che hai
adocchiato te
erano more..-
-Anche lei..-
-Già..-
Rimasero nuovamente in silenzio. Kei si girò su un fianco
senza eliminare il contatto con la ragazza e dopo pochi minuti si
abbandonò
completamente alla dolcezza di quel tocco.
-Dana il tuo cellulare si è illuminato!- disse Rei appena
finì di aiutare Yuri a mettere in ordine.
-Me lo puoi passare?-
-Certo!- Rei prese il cellulare appoggiato sul tavolo e lo
porse alla ragazza.
-Si è addormentato..non voglio svegliarlo!- si
giustificò
per non essersi alzata lei.
Trafficò col cellulare leggendo il messaggio che le era
arrivato prima di annunciare che sarebbe tornata a casa.
Con delicatezza si alzò, mettendo al posto delle sue gambe
un cuscino sotto la testa di Kei.
-Se lo sapevo che gli facevi quell’effetto ti chiamavo
più
spesso!- affermò Yuri vedendo finalmente Kei addormentato.
-Fosse sempre così semplice lo farei con piacere!- gli
sorrise – Grazie della serata!-
Dana salutò Yuri, che si diresse al piano di sopra, prima di
rivolgersi a Rei.
-Allora noi non ci vediamo più! Salutami anche Takao e Max,
è stato davvero un piacere conoscervi!- disse abbracciandolo
e stampandogli due
baci sulle guance.
-Il piacere è stato nostro!-
-E grazie per quello che fate per Kei.. mi ha detto che
verrà in Giappone con voi!-
-Già, spero davvero che gli saremo di aiuto, che ne saremo
capaci!-
-Lo sarete sicuramente!- sorrise ancora una volta dolcemente
e fece per aprire la porta d’ingresso, ma si
bloccò non appena sfiorò la
maniglia.
-Mi prometti una cosa?-
Rei perplesso le chiese di cosa si trattasse.
-Puoi fare in modo che non smetta di ballare?-
Il cinese rimase ancora più scioccato di pochi secondi
prima.
-Me lo puoi promettere?- sembrava quasi che lo stesse
pregando.
-Farò il possibile! Te lo prometto!-
Le ultime tre parole riaccesero il suo sorriso sincero.
-Grazie!- si voltò definitivamente e sparì dietro
la soglia.
La mattina dopo uscirono presto di casa per arrivare in
aeroporto almeno due ore prima della partenza.
Sia Sergay che Boris salutarono Max, Takao e Rei a casa
poiché dovevano andare al lavoro, mentre Kei e Yuri li
accompagnarono.
Erano stati insieme per pochi giorni, ma era bastato per
instaurare nuovamente l’armonia che avevano due anni prima,
nonostante non si
fossero più visti.
-Grazie per tutto quello che avete fatto!- Ringraziò Rei con
un inchino come da tradizione orientale.
-Grazie a voi!-
-Allora ci terremo in contatto per organizzare il tutto!-
disse sorridente Takao.
Rimasero a chiacchierare per un po’ prima di entrare nel
terminal per fare i diversi controlli per la sicurezza; quando fu il
momento di
andare i saluti furono più calorosi di quanto non fossero
stati
all’accoglienza.
Si erano tutti riscoperti. Yuri abbracciò tutti e tre i
ragazzi seguito da Kei, molto più riluttante al gesto.
-Allora ci vediamo tra pochi mesi!- lo salutò sempre
sorridente
Takao.
-Già..-
Finalmente si decisero ad andare via definitivamente
prendendo una rampa delle scale mobili, permettendo a Yuri e Kei di
tornare
verso casa.
-Non te ne starai già pentendo vero?- domandò
Yuri mentre
camminavano.
-Di cosa?-
-Di aver accettato di andare in Giappone!-
-Mmm..forse dovrei..- disse Kei ripensando a Takao.
-No, non dovresti! Sono una bella scarica di vita!-
-Non me n’ero accorto- rispose ironico l’altro.
-Serviva proprio a tutti un po’ di vita in effetti!- Yuri si
stiracchiò – dai andiamo a casa!-
-Aspetta.. prima possiamo passare in un posto?-
-Dove?-
-In centro, nella Novji Arbat..-
-Cosa ci devi fare?-
Kei fece spallucce -Pensavo di fare un altro tatuaggio-
Se vi dico
che considero questa come la fine dell'introduzione alla storia mi
uccidete?! XD
In pratica undici capitoli per una fattispecie di prologo -.- stiamo
messi bene penserete voi..ebbene, è così!
Ora che metà della combricola è partita che
accadrà? Di cosa parlerò, di cosa non
parlerò e via dicendo?
Beh..una settimana e lo scoprirete..se non vi sarete stufati prima u.u
Giochi
in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili
Here
I Stand
Tre mesi erano passati in fretta.
L’estate era arrivata e la scuola era agli sgoccioli. Giugno
si era aperto con un caldo torrido e a Tokyo si respirava
già aria di vacanza.
Kei sarebbe arrivato a momenti con l’aereo proveniente da
Mosca per restare con loro almeno per tutta la bella stagione e, forse,
anche
per di più.
Tutto dipendeva da come avrebbe reagito al cambio di luogo.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Rei, Max e Takao
varcarono l’entrata dell’aeroporto per accogliere
il loro amico.
-Tra quanto dovrebbe arrivare?- chiese Hilary, che aveva
scongiurato gli altri di portarla con loro per conoscere il famoso Kei.
Takao infatti, dal ritorno dalla Russia, non aveva fatto
altro che parlare di lui e si era dato da fare con i preparativi per
accoglierlo,
o almeno aveva guardato intensamente Nonno J che si dava da fare con i
preparativi per accoglierlo.
Hilary non aveva mai conosciuto quel ragazzo, ma l’aveva
visto solamente in poche foto del torneo di beyblade di anni prima: lei
non
amava quello sport, o meglio non riusciva proprio a comprendere il
divertimento
nascosto dietro a delle trottole che girano, e l’idea di
conoscere un altro
fissato non la entusiasmata. La cosa che la rendeva impaziente di
conoscerlo
era la sua storia: le era stato raccontato a grandi linee il suo
passato
difficile e il motivo per cui si stava trasferendo in Giappone e si
sentiva
quindi in dovere di “aiutare le povere anime perdute lungo il
cammino”.
-Tu sei totalmente pazza!- esordì Takao guardandola
scettico.
-No sono altruista che è diverso!- rispose a tono la
ragazza.
-Potete smetterla?! Dovrebbero annunciare il suo aereo a
momenti..- cercò di fermarli Rei.
Quei due erano proprio come cane e gatto. Non si riusciva a
farli stare calmi e buoni un secondo. Si punzecchiavano in
continuazione, ma si
volevano un gran bene.
Anche se non lo avrebbero mai ammesso, si potevano
considerare come due migliori amici sempre pronti ad aiutarsi.
Sì, ad aiutarsi
quando non erano impegnati a urlarsi contro di tutto.
-Ecco è quello che stanno annunciando!- si intromise Max,
ponendo finalmente fine al litigio.
La voce meccanica dell’altoparlante stava annunciando
l’atterraggio del volo proveniente da Mosca.
Si diressero verso l’uscita del terminal annunciato e
iniziarono a guardarsi intorno.
Era molto affollato a causa del grande numero di voli in
atterraggio proprio i quel momento: Rei sperò di non perdere
di vista Kei
ancora prima di averlo accolto in Giappone.
Yuri sicuramente l’avrebbe ammazzato, o peggio.
Come avrebbe potuto dargli quella notizia terribile? Avrebbe
dovuto dirglielo? Sarebbe stato in grado di tenere il segreto fino a
che non
avesse ritrovato Kei?
-Dov’è? Qual è?-
Il saltellare di Hilary lo ridestò dai suoi pensieri
catastrofisti.
Dopo dieci minuti ancora nessuna traccia di Kei.
-E’ salito sull’aereo vero?- chiese confuso Max.
Altri cinque minuti.
-Sì Yuri ha chiamato ricordi?- ripensò Rei.
Hilary smise di saltellare e tornò calma.
-Ragazzi non so se avete notato, ma non è ancora uscito
nessuno di quel volo, non preoccupatevi!-
L’osservazione della ragazza li fece calmare fino a quando
le prime persone non uscirono dalla porta scorrevole del terminal.
Persone che si riabbracciavano, uomini d’affari frettolosi e
persino una scolaresca affollarono il grande atrio.
Tra tutta quella gente era difficile scorgere Kei tanto che
Rei dovette alzarsi in punta di piedi per cercarlo.
-Guardate se lo vedete!- Takao si era fatto all’improvviso
iperattivo.
-Ecc.. no falso allarme..-
-Mi sembra sia.. no scherzavo-
I ragazzi continuavano a cercare mentre Hilary si guardava intorno
confusa. A parte per le foto vecchie di Kei, non sapeva assolutamente
come
fosse fatto quel ragazzo e anche se scrutava i volti di tutti non
riusciva ad
associarli al suo.
Un ragazzino sui 12 anni, un uomo in giacca e cravatta, tre
ragazzi sorridenti che parlottavano, uno di loro anche molto carino, un
signore
di mezza età, un..
-Wow..-
Si ritrovò a guardare un ragazzo che attraversava
l’atrio
annoiato, era da solo e aveva un trolley e uno zaino sulle spalle.
Cercò di
spostare lo sguardo da qualche altra parte, ma era attratta come una
calamita
verso quello splendore.
Rei, notando che la sua amica si era immobilizzata, guardò
verso la sua stessa direzione e incrociò lo sguardo con
colui che stava
cercando.
-Avrei dovuto immaginarlo che l’avresti visto prima te!-
-Cosa?-
-Hey Kei di qua!- Rei sventolò la mano nella direzione del
ragazzo che fissava Hilary.
La ragazza impiegò qualche secondo per collegare tutto; lei
aveva visto Kei, ma lei stava guardando quel ragazzo bellissimo che ora
si
stava dirigendo proprio verso di loro.
Davvero era lui? Si ritrovò ad arrossire vistosamente.
Ma doveva avere solo un anno più di loro!
Quel ragazzo doveva essere almeno uno studente
universitario.
Ormai il fantomatico Kei si era fermato di frontea loro e stava ricevendo il saluto di tutti.
Allora era proprio lui.
-Ben arrivato!- esordì Takao.
-Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?- chiese apprensivo Rei.
Kei scosse la testa.
-Beh allora andiamo a casa..sarai stanco!-
Hilary, che era stata lasciata in disparte ancora
imbambolata e imbarazzata per aver apprezzato ad alta voce quello che
si era
rivelato essere Kei, emise un colpo di tosse per farsi notare.
-Ah è vero lei è Hilary! Hilary questo
è Kei!- Rei li
presentò.
-Piacere!- Hilary si risvegliò con la sua voce squillante
facendo per alzare il braccio per stringergli la mano, ma
l’altro si limitò a
un cenno della testa e ad un “piacere”
impercettibile.
Era anche bello, ma si dava troppe arie, si ritrovò a
pensare la ragazza.
Si decisero ad uscire e si diressero verso la fermata
dell’autobus.
L’aeroporto non era lontano da casa, ma tra il caldo e le
valigie di Kei, nessuno aveva voglia di farsela a piedi.
-Tra quanto passa l’autobus?- chiese Kei facendo sentire la
sua voce a Hilary per la prima volta.
-Una decina di minuti!- rispose Rei guardando l’orologio.
Kei senza pensarci due volte prese dalla tasca un pacchetto
di sigarette e se ne accese una.
Bello, antipatico e col problema del fumo. Hilary cercava di
studiare quel ragazzo che a prima vista gli era sembrato
così irresistibile.
Man mano che i secondi passavano scopriva degli aspetti che
le davano fastidio.
Aveva un atteggiamento di sufficienza verso tutte le persone
e le cose che gli stavano intorno.
Si era seduto sul trolley e, sempre con la sigaretta in
bocca, si stava massaggiando il collo, si vedeva che aveva caldo, ma
aveva
comunque una maglia a maniche lunghe.
Hilary pensò che in Russia dovesse fare ancora abbastanza
freddo.
Ci vollero due sigarette prima che l’autobus arrivasse. Per
fortuna
non era troppo pieno; si raggrupparono in fondo alla vettura.
A tenere in piedi una conversazione erano Takao e Max come
al loro solito.
Kei si appoggiò alla parete e si mise a guardare fuori
ignorando tutti, mentre gli altri si sedettero in alcuni posti vuoti
lì
accanto.
Alla fermata successiva salirono un po’ di persone, ma
c’era
comunque posto per tutti.
In due sedili uno di fronte all’altro si sedettero due
ragazzine che dovevano avere pochi anni meno di loro, dovevano essere
del primo
anno di superiori e Hilary credette anche di averle già
viste.
Stavano ridacchiando e parlando di qualcuno.
Certo che a quell’età si è proprio
stupide! Pensò la
ragazza.
A Hilary sembrò che stessero guardando verso di loro. Quella
girata di schiena ogni tanto si voltava per poi tornare velocemente
dritta e
ridacchiare con la sua amica.
Ci mise un po’ a capire che l’oggetto di quelle
risatine e
di quelle occhiatine non era altro che Kei.
Avrebbe dovuto immaginarlo subito.
Beh come dargli torto. Sembrava essere messo lì apposta per
farsi guardare.
Sembrava che lui non si fosse accorto di niente: continuava
imperterrito a guardare fuori dal finestrino.
Che in realtà si stesse gongolando della sua bellezza? Non
le degnava nemmeno di uno sguardo.
Certo che però era troppo bello. Vanitoso, antipatico,
freddo, ma bello.
Era vestito largo, ma si poteva immaginare benissimo che
sotto quei vestiti avesse un fisico da paura. Per non parlare del viso
incorniciato perfettamente dai capelli che gli arrivavano poco
più su delle spalle.
Poi come resistere al classico ragazzo dannato? Un piercing,
diversi tatuaggi, uno dietro al collo e un altro sotto
l’orecchio, chissà se ne
aveva degli altri.
Se quello che Rei le aveva raccontato era tutto vero si
poteva capire il suo comportamento, ma Hilary continuava a pensare che
quello
non lo giustificasse dall’essere così asociale.
Scesero dopo poche fermate, a pochi metri dall’entrata del
dojo.
Non appena varcarono la porta, Nonno J li accolse a braccia
aperte, o almeno, accolse Kei a braccia aperte: gli lasciò i
suoi spazi senza
abbracciarlo o cose così, ma si dimostrò
affettuoso e paterno nei suoi
confronti.
Kei si limitò a salutarlo e a ringraziarlo
dell’ospitalità.
Tutte cose molto formali e di circostanza che però gli
fecero guadagnare qualche
punto nella visione che Hilary si stava ancora facendo di lui nella sua
testa.
Dopo tutti i convenevoli Takao lo portò al piano di sopra
per fargli vedere la sua stanza.
-Gli sto antipatica vero?-
-Ma no, lui è fatto così..- le rispose Rei.
-Beh a me non sta molto simpatico!-
-Dovrai abituarti!-
-Ma sei proprio sicuro che siate amici? No, perché non
è che
siate molto affiatati!-
-Hil sul serio! E’ il suo modo di fare!-
-Se lo dici tu!- Hilary non sembrava essere molto convinta.
Forse ci si sarebbe abituata, anche se le veniva difficile crederlo.
Appena arrivati in cima alle scale Takao gli indicò tutte le
stanze e il bagno per poi entrare in quella che da quel momento sarebbe
stata
la sua. Il dojo era abbastanza grande per permettere a tutti gli
inquilini di
avere ognuno una stanza tutta per sé.
-Non è molto grande, ma..-
-Va benissimo-
La stanza di Kei era poco più piccola di quella che aveva in
Russia, ma le dimensioni non erano di certo il suo problema, aveva
avuto
sistemazioni peggiori. Il solo fatto di non doverla condividere con
nessuno era
un vero e proprio lusso.
Takao rimase a dargli ancora qualche indicazione.
-E..niente! Fai come se fosse casa tua!- si aprì in un
enorme sorriso – In fondo adesso lo è!-
Fece per andarsene, ma la voce di Kei lo fermò sulla soglia.
-Grazie..e scusa-
-Non dirlo neanche
per scherzo..sono davvero felice che siamo di nuovo tutti insieme!-
Kei abbozzò quello che doveva essere una specie di sorriso.
-Se vuoi riposare non ti sveglieremo tranquillo!-
-Volevo fare una doccia in verità-
-Ok se hai bisogno siamo di sotto!-
Detto questo se ne andò.
Kei rimase da solo al centro della stanza. Era piccola, ma
conteneva lo stretto necessario: un letto, un armadio e, incastrata in
un
minuscolo spazio vitale, una scrivania.
La finestra era sopra il letto e dava sul davanti del dojo.
La spalancò per far entrare un po’
d’aria.
Una volta aperta però non cambiò molto; non
c’era un filo di
vento e l’aria era calda e pesante.
Kei si sentì soffocare, l’atmosfera sembrava
schiacciarlo:
come avrebbe fatto ad andare avanti per tutta l’estate?
Forse non era stata una grandiosa idea venire in Giappone a
giugno, ma che altro poteva fare? Non voleva andare via dalla Russia
appena
glielo avevano proposto, ma non poteva restarci nemmeno per ancora
qualche
mese.
Ormai era in Giappone e doveva almeno provare ad andare
avanti con questo tentativo, anche se, ora come ora, sembrava
impossibile.
Aveva fatto una promessa a Yuri e aveva intenzione di
mantenerla. Di provarci almeno.
Prima che il senso di soffocamento lo ammattisse disfò
velocemente la valigia e si diresse verso il bagno prendendo il
necessario per
la doccia.
In bagno tutto era disposto come gli aveva spiegato Takao.
Per non fare confusione ognuno aveva degli asciugamani di colore
diversi e a
lui erano capitati quelli arancioni. Era l’ultimo arrivato e
doveva
accontentarsi del colore rimasto libero.
Aprì il getto di acqua fredda e vi si buttò sotto.
Finalmente il contatto con l’acqua fresca gli permise di
respirare; lavò via il sudore e la stanchezza e rimase per
qualche minuto a
lasciarsi abbracciare dalle gocce.
Quando uscì dalla vasca godette ancora qualche secondo della
freschezza prima che il caldo si riappropriasse di lui.
‘Mi ci abituerò’ continuava a ripetersi
scettico.
Tornò in camera e rimase in boxer, buttandosi a peso morto
sul letto.
Di solito una bella dormita dopo un lungo viaggio era
l’ideale, ma l’aver passato almeno sei fusi orari
non sembrava aver convinto i
suoi occhi a chiudersi.
Da quell’inverno le cose erano decisamente migliorate: la
notte riusciva a dormire qualche ora di più, ma non erano
ancora abbastanza per
poter dire che dormiva regolarmente. Almeno le occhiaie si erano
attenuate.
Sentì bussare alla porta.
-Kei stai dormendo?- Rei si sporse senza fare rumore.
-No-
-Se vuoi è pronto da mangiare!-
-Sì arrivo-
Fece un respiro profondo e si tirò su.
Fuori il sole stava tramontando e il cielo si era fatto
rosato. Si poteva considerare una bella vista, se non fosse stato per
la cappa
di caldo che Kei riusciva a percepire su tutta la città.
Indossò un paio di pantaloni di una tuta e prese una maglia
dalla pila che aveva temporaneamente accatastato sulla scrivania:
faceva troppo
caldo per le maglie a maniche lunghe, non sarebbe resistito ancora
cinque
minuti con le braccia coperte, ma senza si sarebbero visti i segni
sulle
braccia.
Gli dava fastidio farli vedere. Sapeva come li guardavano
tutti, quali erano gli sguardi e i pensieri che suscitavano, ma non
poteva
evitarlo.
Intanto se fosse stato lì tutta l’estate avrebbe
dovuto
conviverci. Prese una maglia a maniche corte.
Scese al piano di sotto e, arrivato nell’ingresso da dove
era entrato, seguì il vociare per trovare gli altri.
A casa di Takao ci era stato solo una volta prima, durante
il torneo mondiale quando erano tornati in Giappone per una pausa, ma
non gli
avevano fatto fare il giro delle stanze.
In verità quella volta non ci sarebbe voluto nemmeno andare,
ma Takao lo aveva letteralmente trascinato.
Il piano superiore era completamente in stile occidentale,
mentre quello inferiore era più caratteristico.
Prendendo il corridoio a destra si ritrovò nella cucina dove
tutti si stavano accomodando attorno al tavolo. Si sedette
nell’unico posto
libero, tra Rei e Max, mentre in tavola era già pieno di
piatti ricolmi di
cibo.
Kei si era dimenticato completamente di tutte le tradizioni
orientali. Era da tre anni che non tornava in quel paese e si
sentì leggermente
spaesato.
-Buon appetito!- Takao si buttò letteralmente a capofitto
sul cibo come al suo solito.
Kei aspettò che tutti si fossero serviti prima di prendere
la ciotola col riso e versare quello che ne era rimasto nel piatto.
Per fortuna a quel tavolo tutti lo conoscevano e sapevano
quanto fosse inesistente la sua attitudine a parlare.
Apprezzò molto il fatto
che gli fossero poste un numero limitato di domande a cui rispose
principalmente a monosillabi o comunque con frasi corte e semplici.
Kei si chiese automaticamente quanto sarebbe durata quella
pacchia.
L’unica persona che a quel tavolo non lo conosceva era
Hilary, che infatti ogni tanto alzava lo sguardo verso di lui.
Era abituato agli sguardi delle persone, si ritrovava sempre
ad essere fissato per un motivo o per l’altro.
Guardò la ragazza seduta poco distante da lui. Non appena
incrociò il suo sguardo, lei tornò a fissare il
cibo nel suo piatto.
Da quello che gli aveva raccontato Rei era un’amica di
Takao, anche se litigavano sempre, ed era entrata nel gruppo a tutti
gli
effetti.
Si chiese se in realtà non le piacesse qualcuno di loro. La
sua esperienza con le ragazze gli insegnava che era difficile essere
solo
amici. L’unica amica femmina che aveva era Dana, ma solo
perché lei aveva già
il ragazzo da tanto tempo.
E quella ragazza non sembrava avere il ragazzo, o almeno, se
lui fosse stato il suo ragazzo non l’avrebbe lasciata di
certo trascorrere le
giornate con tre maschi adolescenti.
Aspetta, com’è che si chiama?
Per fortuna Takao durante la cena ripetè diverse volte il
nome di Hilary altrimenti se lo sarebbe scordato immediatamente.
Aveva rialzato lo sguardo verso di lui mentre si stava
versando dell’acqua nel bicchiere.
Quello che Kei voleva evitare successe: lei notò i segni
sulle braccia e fece un espressione leggermente scioccata. Kei
sperò vivamente
che l’avessero avvertita della situazione perché
non aveva voglia di sentirsi
porre delle domande da qualcuno che non sapeva quanto odiasse le
persone
invadenti, non ancora.
Per fortuna lei girò lo sguardo subito e si unì
al discorso
di Nonno J che parlava della scuola.
Mancavano solo due giorni e sarebbero iniziate le vacanze estive
e la decisione di andare da qualche parte dipendeva dalla media dei
voti che
avrebbero avuto: i quadri con i risultati li avrebbero appesi solo la
settimana
successiva.
-Ma guarda che mi sono impegnato!- Takao cercava di
convincere il nonno.
-Ma se mi hai fatto penare mille volte con le tue
insufficienze! Ogni volta che vado a parlare con i professori mi devo
arrabbiare!-
-Dai non essere così catastrofico!-
-Guarda che ha ragione!-
Hilary si intromise nella discussione generando l’ennesimo
battibecco.
Si stavano letteralmente urlando contro tirando in ballo
vecchi episodi.
Il buio aveva ricoperto il giardino e l’unica fonte di luce
era il lampadario, ma nonostante questo il caldo riempiva ancora la
stanza.
Kei si chiese a cosa servisse quello spreco di energie per
litigare, gli veniva caldo solo a guardarli.
Improvvisamente gli salì una leggera irritazione, ma doveva
controllarsi; era lì da poche ore e già non
poteva dare di matto.
Gli servivano le sue sigarette.
Sentiva il pacchetto premergli nella tasca dei pantaloni, ma
non poteva accendersene una lì; si ricordava benissimo
quanto fosse contrario
al fumo Nonno J, che per tutta la durata del campionato lo aveva
pregato di non
fumare. Lui ovviamente non lo aveva ascoltato.
Come poteva fare? Pensò che in casa era meglio non farlo,
era il minimo che poteva fare visto l’ospitalità
che gli avevano offerto.
Avrebbe dovuto andare fuori, ma come faceva ad alzarsi nel
bel mezzo della cena? Tutti loro avevano quelle idee famigliari della
cena come
momento di riunione per stare insieme e cose del genere.
No, proprio non le riusciva a capire quelle ‘cose da
famiglia’.
Il suo fantasticare sulle sigarette fu interrotto dallo
stesso Nonno J.
-Kei a settembre ricomincerai la scuola vero?-
-Eh?- si risvegliò d’un tratto.
La scuola era un argomento molto particolare. Se fosse stato
per lui non ci sarebbe mai più andato, ma aveva promesso a
Yuri che ci avrebbe
almeno provato; ora che ci pensava aveva promesso troppe cose a Yuri,
ma forse
non avrebbe dovuto lamentarsi.
-Sì credo di sì-
-Quando andremo a vedere i quadri semmai possiamo passare a
chiedere per l’iscrizione!- Nonno J gli sorrise paterno, come
faceva spesso, e
di rimando Kei alzò le sopracciglia per riconcentrarsi sul
suo piatto.
Iscriversi a scuola lì significava abbandonare
definitivamente l’idea che sarebbe dovuto restare solo per
l’estate. Sapeva che
era impossibile, ma non aveva ancora allontanato del tutto la speranza
di
tornare in Russia a settembre.
-Così saremo in classe insieme!- gli ricordò
Takao ridendo.
-E’ una minaccia?-
Con tre paroline, Kei riuscì a far ridere tutti, ma fu
l’unico a rimanere serio. In fondo un po’ la
pensava davvero come una minaccia:
l’incubo diventava peggiore se si immaginava addirittura suo
vicino di banco.
-Ma dai!- Esclamò Takao offeso – Allora mi
metterò nel banco
vicino a te!- gli fece la linguaccia.
Ma lo aveva sentito? Era davvero una punizione?
-Questo mi preoccupa davvero- lo disse col solito tono
piatto e indifferente anche se lo pensava realmente.
-Hai ragione..io è da due anni che ce l’ho vicino
e sono
distrutto!- affermò Max.
-Ma se siete sempre a ridere!- li schernì Rei.
-Ma come fai a essere in classe con noi se sei più grande?-
chiese Hilary.
-Ho perso un anno- o almeno, non ci era proprio andato
nell’ultimo anno.
Mentre gli altri continuarono a parlare della scuola,
l’immagine delle sue sigarette si fece di nuovo nitida nella
sua mente.
Doveva assolutamente uscire a fumare.
Guardò il giardino oltre la porta con desiderio; non poteva
assolutamente aspettare.
-Arrivo- Bisbigliò sperando di non essere fermato.
Si alzò e uscì, fece qualche passo per non essere
sotto la
visuale di tutti e si accese la sigaretta.
Man mano che aspirava il fumo, i suoi nervi si calmarono e
nell’oscurità si sentì finalmente a suo
agio. Le voci degli altri arrivavano
ovattate, non li stava ascoltando, non voleva sapere di che cosa
parlassero,
non gliene fregava più di tanto.
Prima che qualcuno se ne accorgesse si accese un’altra
sigaretta. Non aveva ancora finito il pacchetto che aveva iniziato in
Russia,
cosa assai strana per lui. Solo in quel momento realizzò
l’entità del viaggio
che aveva fatto.
Eraa chilometri di
distanza da casa, in un posto che non gli apparteneva e con troppe
differenze.
Doveva apparire come un alieno in mezzo a quella normalità.
E si sentiva realmente come se lo fosse. Come se invece che in un altro
continente fosse arrivato su un altro pianeta.
Il sole era completamente tramontato, ma la sua impronta non
era scomparsa: tutto, dall’erba, ai sassi, alle pareti del
dojo, ogni cosa emanava
calore, l’aria persino era intrisa di calore.
Per fortuna un filo d’aria si insinuò nel
giardinetto, ma
non riuscì comunque a far sparire quella sensazione di afa
che provava Kei.
Si decise a rientrare. Si risedette poiché nessuno sembrava
intenzionato a spostarsi da tavola. Non poteva esserci ancora qualcosa
da
mangiare.
La paura di Kei non si avverrò: sembravano seduti a tavola
solo per il gusto di farlo.
Come fanno ad averne ancora voglia? Kei segnò quella come
una brutta abitudine da dover sopportare, anche se era convinto di non
poterci
riuscire.
Dopo una decina di minuti finalmente iniziarono ad alzarsi.
-Takao dove corri? Stasera i piatti toccano a te!- urlò
Nonno J.
-Stavo solo andando in bagno! Torno subito!-
Prima che il giapponese tornasse Rei iniziò a sparecchiare e
a ripulire la tavola.
-Dovremo inserire anche Kei nei turni!- esordì Takao
rientrando.
-Che maleducato..è appena arrivato e già lo vuoi
sfruttare!-
Kei sentendosi preso in causa disse che per lui non c’era
problema, ma che anzi era giusto così.
In verità pensava più che altro che le volte che
toccava a
lui avrebbe avuto la possibilità di sopportare per meno
tempo il lungo rituale
dei pasti.
Per quella sera comunque nessuno gli diede lavori da fare.
Hilary tornò a casa poco dopo, quando il padre
passò a
prenderla.
Kei approfittò della scusa di essere stanco per il viaggio
per defilarsi in camera lontano da tutti.
Aveva lasciato la finestra aperta e per fortuna sembrava che
il piano superiore fosse più areato.
L’aria era molto più respirabile che nel
pomeriggio.
Tirò fuori dalla valigia solo una canottiera e si
buttò sul
letto in boxer prendendo sonno in pochi minuti. Finalmente il peso del
viaggio
sembrava fargli effetto.
Eccoci!
^^
Non ve lo aspettavate vero un salto del genere?! So che molti speravano
di rimanere ancora in Russia per un po', ma ahimè se mi
mettevo a descrivere per filo e per segno i tre mesi passati non avrei
finito più veramente u.u
Considerate che c'ho messo 11 capitoli per i primi quattro giorni!
Ihih comunque per la felicità di Qualcuno, la tristezza di
qualcun altro e l'indifferenza di un altro ancora è comparsa
Hilary! Che dire su di lei?
Ora c'è..e ci ha dato una visione dall'esterno di Kei e un
parere puramente femminile ^^
Comunque non vi consiglio di mettervi a fare congetture sul suo ruolo
perchè, uno lo si scoprirà a tempo debito e due
ho intenzione di rendere il tutto molto ambiguo e complicato XD
(ovviamente non è detto che ci riesca e qualche mente
superiore tra voi capirà subito dove voglio andare a finire
-.-)
Poi Kei alle prese col caldo torrido (beato lui..considerando che da me
in questo momento sta nevicando!) e la sua solita allegria e
spensieratezza che contagia tutti!
Questo capitolo volevo dividerlo a metà in
realtà, ma alla fine ho optato per tenerlo assieme per non
farmi insultare..all'altro modo sarebbe stato troppo corto!
Diciamo che è un omaggio a tutte le care recensitrici e a
chi legge soltanto!
Grazie ancora a tutti!
Fatemi sapere che ne pensate!
Un bacione :)
Giochi
in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili
Take Your Time
Il fuso orario è un problema per chiunque. Anche Kei si
ritrovò a risentirne, anche se le sue ore di sonno non erano
regolari, il
suo corpo sembrava sentire la differenza tra giorno e notte in Russia e
lì. Si
svegliò che il sole non era ancora sorto, nonostante il
cielo si stesse già
rischiarando verso est.
Come prima impressione gli sembrò di trovarsi sotto sopra,
era spaesato e abbastanza confuso dalla stanza in cui si trovava.
Pensò di aver sognato gli ultimi mesi, di essere ancora in
piena dipendenza e essere, come gli succedeva spesso, a casa di
qualcuno dei
ragazzi del giro da cui non si ricordava di essere andato.
Però c’erano troppe
differenze con quel periodo: intanto la casa dove si trovava era troppo
pulita
e ordinata per appartenere a qualche bucomane, poi si sentiva padrone
di tutti
i suoi sensi e di tutte le capacità, a parte un
po’ di stanchezza e
spaesamento, poi non gli prudeva da nessuna parte, cosa che invece
accadeva
sempre, per non parlare della temperatura, o si era preso una febbre da
cavallo
o quella non poteva essere Mosca. In pochi secondi sembrò
capacitarsi di dove
fosse e cosa stesse facendo. Rimise a fuoco il ricordo della lunga
giornata
precedente.
Non era stato affatto un sogno, era davvero in Giappone.
Si mise a sedere massaggiandosi la testa. Quella di tagliarsi
i capelli era stata un’ottima idea, anche se forse avrebbe
potuto accorciarli
di più.
Si stropicciò gli occhi per poi allungarsi verso i pantaloni
che aveva abbandonato il giorno prima sulla scrivania e prendere il
pacchetto
di sigarette.
Gliene era rimasta solo una. Da Mosca aveva portato solo
pochi pacchetti perché altrimenti non lo avrebbero fatto
passare alla
frontiera.
Questo lo deprimeva perché si ricordava che le sigarette
giapponesi non erano assolutamente all’altezza di quelle
russe e sperò
vividamente che in quegli anni ne fossero entrate in commercio delle
altre:
voleva tenersi quelle che aveva portato per occasioni diverse.
Come prima cosa doveva farsi portare al tabacchino più
vicino.
Si accese la sigaretta, sempre seduto, per poi affacciarsi
alla finestra. Si ritrovò a pensare che il momento preferito
della sua giornata
sarebbe stato il mattino presto: l’aria era intrisa ancora
della mancanza del
sole e finalmente poteva respirare.
Spense la sigaretta sul pacchetto e la poggiò sul davanzale
cercando di non sporcare pensando quanto gli servisse assolutamente un
portacenere.
Si infilò i pantaloni del giorno prima e uscì
dalla stanza.
La casa era immersa nel silenzio più assoluto, dovevano
essere ancora tutti
addormentati: sì, la mattina sarebbe stato il suo momento
preferito.
Prima di scendere andò in bagno a rinfrescarsi.
Una volta di sotto, si recò nell’unica stanza che
conosceva,
la cucina, e iniziò ad aprire tutti i cassetti e le ante
alla ricerca di un
bicchiere di plastica che ovviamente trovò
nell’ultimo angolo dove guardò.
Uscì in giardino e riempì il bicchiere con un
dito di terra
smossa vicino a delle piante, per poi sedersi sul legno del porticato.
Fumò un’altra sigaretta che si era portato dalla
stanza e se
ne stette lì fermo a gustarsi quella pace conscio che
sarebbe durata ben poco.
Quella pace, infatti, durò ancor meno di quanto potesse
immaginare. La scuola non era finita e quindi non era ancora il
momento
di dormire fino a tardi.
Il primo a scendere al piano inferiore fu Nonno J che si
mise a preparare la colazione per tutti.
Non appena si accorse della presenza di Kei in giardino lo
accolse con un ‘buongiorno’ e gli chiese se avesse
dormito bene.
Mentre annuiva arrivò anche Rei che si mise subito ad
aiutare Nonno J.
Quando tutti gli abitanti della casa si riunirono in cucina
Kei osservò con orrore due cose: innanzitutto la grande
quantità di cibo che
ingurgitavano anche a quell’ora del mattino, gliene fu
offerta una grossa
porzione, ma lui declinò il più educatamente
possibile; in secondo luogo
indossavano la divisa di scuola. Si era assolutamente scordato che
nelle scuole
giapponesi portavano la divisa e se lui doveva iscriversi in quella
scuola
avrebbe dovuto indossarla anche lui: un incubo.
Cercò di non pensarci e osservò gli altri
mangiare.
Ci misero poco e per fortuna uscirono quasi subito. Non
appena varcarono l’uscita piombò un silenzio
irreale.
-Ah..pace!- Esclamò Nonno J passandogli accanto -A che ti
serviva quel bicchiere?-
Stava per partire un discorso sul fumo, una cosa che Kei
avrebbe voluto evitare sapendo come sarebbe andato a finire, ma dovette
rispondere.
-Per le sigarette, non sapevo dove spegnerle-
-Oh non ci avevo pensato, forse in sala tra i soprammobili
potrebbe esserci un portacenere..- si diresse verso la parte della casa
che Kei
non aveva ancora visto.
Sentì trafficare oltre le scale e seguì il rumore
fino a
quella che era la sala: era molto spaziosa, con diversi mobili e
credenze, una
grande televisione e un divano, doveva fungere anche da sala da pranzo
per la
presenza di una lunga tavola e un mucchio di sedie. Alle pareti erano
appesi
diversi quadri orientali.
Nonno J era accovacciato davanti a un mobiletto e frugava
confuso alla ricerca del posacenere che tirò fuori poco dopo
trionfante. Era
abbastanza antico, sembrava un pezzo d’antiquariato e Kei si
preoccupò parecchio
per questo: non sembrava fatto per essere davvero utilizzato.
-Non.. non vorrei che si rompesse, posso trovare una
soluzione, non c’è problema-
-Tranquillo, intanto per tenerlo lì dentro! Se lo rompi al
massimo avrò una cianfrusaglia in meno..intanto in casa non
c’è nessuno che
fuma!-
Kei prese in mano il posacenere e restò un attimo a pensare
a dove poteva metterlo: sinceramente lo avrebbe inaugurato con molto
piacere in
quello stesso momento, ma resistette e lo appoggiò in sala
sul piano più vicino
alla porta che anche da lì portava sul giardino.
-Guarda che puoi tranquillamente fumare anche in casa, basta
che non esageri..-
-No, so che non approva..-
-Per carità dammi del tu ragazzo!-
-So che non approvi e non c’è problema per me-
-Beh non approvo in effetti, ma ormai sei abbastanza grande
per capire ciò che è giusto e sbagliato..-
Beato lui che ne era convinto, si disse tra sé Kei.
-..e poi già ti devi abituare a molte cose nuove; dovremmo
fare anche noi qualcosa per venirti incontro!- gli sorrise paterno.
-Grazie- fu l’unica cosa che riuscì a rispondere
prima di
continuare, già che l’argomento fumo non sembrava
così taboo come pensava. – A
proposito dovrei comprare le sigarette, qui vicino
c’è un posto dove le
vendono?-
Nonno J parve pensarci un po’ suprima di dargli delle grossolane indicazioni
sul posto indicato.
L’uomo poi tornò alle sue occupazioni lasciando
Kei da solo.
-Sono sempre più convinta di stargli antipatica!-
-Hil ti ho già detto che è lui che è
fatto così!-
Rei e gli altri erano in classe nel bel pieno del dolce far
niente degli ultimi giorni.
Takao aveva appena affrontato l’ultima interrogazione
dell’anno scolastico dovendo recuperare ancora una materia e
ormai era come se
l’estate fosse già iniziata.
Persino il professore aveva rinunciato a tenere calma la
classe e li aveva liquidati per il suo più interessante
giornale scientifico.
-Ma mi ha guardato male due o tre volte..- continuò Hilary
testarda.
-E’ poco socievole tutto lì..- rise Max.
-Alla faccia!-
-Dai ma a parte questo come ti è sembrato?-
continuò l’americano
– Ti avrà guardato male, ma per accorgertene lo
avrai fissato tutto il tempo!-
alle sue risate si aggiunsero quelle di Takao.
-Beh sicuramente non mi romperà come fate voi..- rispose con
una linguaccia.
-Intendevo..ti piace? Appena lo hai visto sei andata nel
mondo dei sogni!-
Hilary arrossì vistosamente.
-Visto?! Ti piace!-
-Ma non è vero..sarà anche bello, ma ha un
carattere
tremendo..non è per niente il mio tipo!-
-E come sarebbe il tuo tipo? Takao?- le chiese Rei.
Takao smise di ridere e si coalizzò con al ragazza
nell’urlargli di tutto per aver osato affermare una cosa del
genere.
-Dai stavo scherzando! Comunque a parte gli scherzi, Hil
devi solo avere un po’ di pazienza con Kei..è un
bravissimo ragazzo..solo che
sta attraversando un periodo non proprio facile..-
-Sì lo capisco..rinvierò il mio giudizio a data
da
definire!- concluse solenne.
-E fu così che la missione per salvare le povere anime
perdute
venne ufficialmente abbandonata!- la rimbeccò Max allegro,
iniziando una nuova
serie di battibecchi che non terminarono fino al suono della campanella.
Iniziò a disfare la sua valigia per tenersi occupato.
Avrebbe voluto andare il prima possibile a comprarsi le sigarette ma,
nonostante avesse un senso dell’orientamento impeccabile, non
aveva capito
molto delle indicazioni che gli aveva fornito Nonno J.
Aveva trasferito il bicchiere con la terra sul davanzale
della camera: aveva deciso che almeno nella sua stanza non ci sarebbero
stati
problemi sul fumo. Non poteva assicurare di riuscire da lì
ad arrivare nel
giardino prima di farsi saltare i nervi.
Si stava quindi fumando una sigaretta in santa pace mentre
tirava fuori la sua roba e la metteva al proprio posto.
Era una persona essenzialmente ordinata e si sentì
soddisfatto solo quando tutto fu al suo posto.
Non si era portato troppa roba, intanto la maggior parte
delle cose pesanti che aveva per l’inverno russo
lì erano superflue e quelle
estive non erano troppe.
Si sarebbe fatto spedire qualcosa se gli fosse stato proprio
necessario, ma per i mesi a venire non vedeva alcun problema.
Voleva chiamare Yuri per dirgli che andava tutto bene; il
giorno prima gli aveva solo mandato un messaggio ma sapeva che prima o
poi
avrebbe dovuto parlargli.
Non che non volesse, ma il suo rapporto con Yuri era fatto
più che altro di silenzio, non gli servivano mille giri di
parole per capire
quello che gli passava per la testa e viceversa.
E in più non amava particolarmente quell’aggeggio
che era il
cellulare; già i rapporti con le persone non erano
propriamente il suo forte,
pensare di comunicare con qualcuno che nemmeno vedeva, di cui non
vedeva le
reazioni istantanee, lo irritava.
Era una persona, poi, con il quale non era facile intavolare
una conversazione e se ne rendeva conto perfettamente, ma
ciò che spiazzava
sempre tutti e che intimidiva era il fatto che cercasse il contatto
diretto con
gli occhi. Non era mai quello che abbassava lo sguardo per primo, anzi
probabilmente
non lo abbassava mai.
Un’altra stranezza da aggiungere alla lunga sfilza di
sintomi della sua imminente pazzia.
Afferrò dal comodino il suo MP3. Era abbastanza vecchio e
ammaccato, ma finchè funzionava non sentiva il bisogno di
sostituirlo.
Lo aveva comprato per pochi soldi un anno prima o poco più.
Era ancora il periodo in cui ne maneggiava tanti. Tanti per uno che era
stato solo
uno dei tanti poveri ragazzi orfani usciti dal Monastero.
Appena ricevuta l’eredità di suo nonno aveva
potuto ottenere
un tot di soldi al mese che la maggior parte delle volte non toccava
nemmeno.
Fino a quando non ne ebbe proprio bisogno.
Rimise l’MP3 a posto e decise di non pensare troppo al
passato.
Tornò al piano di sotto sperando che Nonno J avesse bisogno
di una mano a fare qualcosa e si ritrovò occupato fino
all’ora di pranzo.
Altro aspetto preoccupante della sua futura carriera
scolastica giapponese era che le ore di lezione si protraevano quasi
tutti i
giorni fino al pomeriggio.
Di nuovo cercò di non pensarci decidendo di rimandare la
disperazione a settembre.
Mangiò da solo con Nonno J e fu contento che questa volta il
pasto non si protrasse a lungo quanto la sera prima, mentre dopo
mangiato,
pervaso dalla noia più profonda e oppresso
dall’afa delle ore calde, decise di
fare un giro completo del dojo.
Oltre alla cucina e alla sala, al piano inferiore si trovava
anche un bagno e una stanza per gli ospiti, al piano di sopra
c’erano invece le
stanze dei quattro ragazzi e di Nonno J più una che doveva
essere quella appartenuta
ai genitori di Takao; ancora sopra c’era una piccola soffitta
dove erano
riposte tutte le cianfrusaglie e gli oggetti più disparati.
Ma la parte che piacque di più a Kei e nel quale si
soffermò
più a lungo fu la palestra.
Era piuttosto grande, sul retro del dojo, col parquet lucido
e splendente; su una parete erano appese l’una sopra
l’altra diverse spade da
kendo, mentre in fondo, dalla parte opposta all’entrata il
piccolo altare
buddista.
Kei entrò togliendosi le ciabatte. Non era necessario, ma lo
fece lo stesso. Gli sembrava altrimenti di rovinare
quell’ambiente così
perfetto.
Si sedette al centro della palestra, rivolto verso
l’altarino sul quale stavano una pergamena, una spada, dei
fiori e alcune
fotografie. Sapeva che solitamente erano molto più spogli,
ma non vi diede
troppo peso: in ogni caso non condivideva il culto di un qualche Dio.
Sapeva che dopo aver trovato l’ora a lui più
congeniale
quella mattina, in quel momento aveva trovato quello che sarebbe stato
il suo
posto preferito.
A gambe incrociate e reggendosi con le mani a terra si
guardò intorno. I rumori esterni avevano una forma strana,
l’odore del legno
era vivo e palpabile. Sembrava di stare in un posto lontano dal tempo e
dallo
spazio.
Con i piedi nudi percepiva perfettamente la temperatura e la
consistenza del legno: era caldo, ma non opprimente come quello del
legno che
ricopriva il porticato esterno, ma confortevole, e poi era morbido, per
quanto
del legno possa essere morbido.
Kei si ritrovò a chiudere gli occhi e percepire quelle
strane sensazioni che quella stanza gli provocava, si sentiva
perfettamente a
suo agio e in sintonia col mondo esteriore, come non gli capitava
praticamente
mai.
Si sdraiò sprofondando in quella piacevole sensazione per
qualche minuto, prima
di sbilanciarsi con gli addominali e accovacciarsi sorretto solo dai
piedi.
Sentì il calore del legno salire dalle piante dei piedi fino
alle caviglie, per estendersi ai muscoli delle gambe e risalire. Si
tirò su
lentamente, senza nessuno sforzo, perché era il calore che
lo tirava su, che
rendeva i muscoli capaci di sostenerlo. Fino a che lentamente non
arrivò alla
testa.
Riaprì gli occhi solo quando era in piedi in perfetto
equilibrio.
Era una tecnica di rilassamento che gli aveva insegnato
Dana, non sapeva se fosse Yoga o qualche cosa del genere, sapeva solo
che lo
rilassava davvero e per un bel po’ si sentiva in pace col
mondo.
E un po’ di pace e tranquillità gli sarebbe
servita
considerando che presto Takao e gli altri sarebbero tornati da scuola.
Rimase ancora un bel po’ in palestra prima di andare a
recuperare il cellulare che aveva lasciato in camera e fumarsi la
sigaretta che
gli serviva per mantenere i nervi saldi ancora per un po’.
Chiamò Yuri e lo informò che stava andando tutto
bene. Non
appena lo sentì si disse che era stato davvero uno stronzo
per non averlo
chiamato prima visto quanto si preoccupava, ma non appena mise
giù il telefono
tornò l’avversione verso qualsiasi telefonata.
A metà pomeriggio rientrano Takao, Max, Rei e Hilary.
Di nuovo Kei si chiese se quella ragazza non stesse dietro a
qualcuno: la osservò per qualche secondo prima di stufarsi,
era una persona
ordinaria, senza nulla di speciale. Come minimo le piaceva Takao.
I gusti sono gusti, pensò divertito.
Non appena Rei si fu cambiato la divisa, Kei lo intercettò e
gli chiese se poteva accompagnarlo a cercare una tabaccheria; non
poteva
rischiare di finire le sigarette russe e non aveva tempo da perdere a
gironzolare a caso per quel quartiere sconosciuto.
Il cinese, stupito da quella richiesta volontaria, accettò
subito e insieme uscirono dal dojo.
Eccoci qui
con un nuovo capitoletto fresco fresco ^^
Diciamo che ora si avrà un periodo di stallo..dobbiamo
lasciare il tempo a Keiuccio caro di ambientarsi e di annoiarsi
allegramente!
Quindi abbiate pazienza..accadrà qualcosa prima o poi..il
problema è cosa! u.u
Comunque come immaginavo nessuno si aspettava il salto temporale, ma
per fortuna non l'avete presa troppo male!
Avviso già che questi capitoli li ho scritti relativamente
di recente in confronto a tutta la prima parte, quindi potrebbero
esserci molte più sviste ed errorini qua e
là..scusate, ma li ho controllati poco! Dovrei fare come
quelli che correggono le tesi e mettermi a leggere tutto al contrario,
ma poi probabilmente mi verrebbe una crisi di nervi da fare invidia a
quel tossicodipendente di Kei ^^
Vabbè..come al solito vi ringrazio a tutti infinitamente!
Aspetto con ansia il vostro parere, le vostre critiche e le vostre
mille mila supposizioni più disparate u.u
Un bacione :)
ps: nessuno ha notato un dettaglino nella scorso capitolo :o eh
vabbè..si vede che lo consideravo caruccio solo io u.u
Giochi
in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili
Walking Away
Camminarono per qualche isolato prima di fermarsi in una
piazza piuttosto affollata.
Si trovavano nella periferia a est di Tokyo e per arrivare
in centro ci si metteva quasi un’ora con i mezzi pubblici.
Era un quartiere abbastanza tranquillo, vicino al mare e con
tutto il necessario.
Per tutto il tragitto Kei cercò di memorizzare bene la
strada per non dover più chiedere a nessuno indicazioni:
sapeva che l'avrebbe
percorsa parecchie volte.
Tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei
pantaloni e guardò quanti soldi aveva, facendo due piccoli
conti.
-Ti bastano?- chiese Rei vedendolo perplesso.
-Stavo pensando a come farmeli durare-
-Hai solo quelli?-
-Per questo mese i miei fondi sono ancora bloccati- affermò
alzando un sopracciglio contrariato.
-Che vorrebbe dire?-
-Che fino al mese prossimo sono ancora al verde-
Rei era comunque perplesso e non contento di quella risposta
insistette.
-Ma non sei tipo miliardario?-
-Il caro e previdente Sergay mi aveva ridotto i fondi per
evitare che spendessi tutto in buchi-
Kei continuando a camminare, ottenne un ‘ah’
spaesato dal
cinese che si decise a desistere.
Finalmente il russo entrò nel negozietto e fece la scorta di
pacchetti sotto lo sguardo confuso del commerciante e della sua
aiutante.
Si guardò intorno osservando ciò che offriva la
piccola
piazza dove si trovava. C’era un supermercato, un ristorante,
un giornalaio e
qualche negozio di vestiti oltre che alla tabaccheria appunto.
Annotò mentalmente queste informazioni e disse a Rei che
potevano anche tornare per quanto gli riguardava.
Rei decise, però, che avrebbero potuto fare ancora un giro
per le vicinanze, così da fargli vedere un po’ il
posto.
Solo dopo qualche svolta arrivarono in un luogo familiare a
Kei: da lì in poi dopo una piccola occhiata avrebbe potuto
orientarsi, poiché si
trovava nei luoghi che aveva frequentato nel periodo in cui aveva
conosciuto
Takao.
Scoprì che erano piuttosto vicini e che la parte che non
riconosceva era relativamente piccola.
Si infilarono nel parco che costeggiava il mare dove c’era
un belvedere che Kei riconobbe come luogo di parecchi suoi allenamenti.
Ripensò
finalmente al beyblade dopo tanto tempo; era strano che Takao non lo
avesse
ancora assillato ed era sicuro che sarebbe successo, presto o tardi.
Tempo pochi giorni e avrebbe iniziato, doveva solo aspettare
pazientemente.
Rei ricevette un messaggio proprio da Takao in quel momento,
che gli chiedeva di comprare due cose mentre tornavano a casa:
ripassarono
davanti alla piazzetta e Kei si convinse che ormai era perfettamente
orientato.
Entrarono nel supermercato e comprarono il necessario prima di
riprendere la
strada di casa.
Era sempre strano camminare vicino a Kei. Era silenzioso,
non iniziava mai un discorso e a volte non rispondeva nemmeno alle
domande, ma
si avvertiva perennemente la sua presenza. E immancabilmente ci si
trovava al
centro dell’attenzione.
Lo aveva notato già a febbraio questo inevitabile effetto
del suo passaggio.
Le persone di sesso femminile, che fossero ragazzine o
ultrasettantenni, si ritrovavano a girarsi mentre gli passavano accanto
o a
sorridere alla sua vista.
Perfino la figlia del tabaccaio aveva interrotto la sua
attività per guardarlo comprare le sigarette.
Ciò che però divertiva di più Rei era
la reazione del russo:
non si accorgeva assolutamente di niente, o almeno non dava segno di
accorgersene.
Si disse che ormai doveva esserci abituato e che si sarebbe
dovuto abituare anche lui.
Quando erano andati in Russia a febbraio aveva avvertito un
grande cambiamento in lui e gli sembrava quasi di non conoscere quella
persona
che diceva di essere Kei.
In quel momento la sensazione era diversa, non tanto che lui
si comportasse in maniera diversa, perché era più
somigliante al Kei di
febbraio che a quello del campionato mondiale, ma il rapporto che
sentiva di
avere con lui.
In Russia era a disagio e non sapeva come comportarsi,
mentre in quel momento era tornato sereno e sicuro delle proprie
azioni. Se
fosse l’ambiente o qualche altro fattore non sapeva dirlo con
esattezza.
Lo osservò a lungo durante quella passeggiatina: era
estremamente attento al paesaggio circostante, forse cercava di
orientarsi e
ricordare quelle strade.
Lo guidò attraverso quelle vie che ormai erano la sua casa e
lo portò nei luoghi dove sapeva che aveva conosciuto Takao e
che potevano
ricordare quel periodo, sperò che fosse lui a iniziare
qualche discorso, a
parlare di un ricordo o di qualsiasi altra cosa.
Non lo fece, ovviamente.
Con tutto quel silenzio ad aspettare i ricordi dell’amico,
Rei
si perse nei propri.
Si ricordò del campionato mondiale, della prima volta che
aveva incontrato quel ragazzino così serio, della prima
impressione, di come
aveva imparato a conoscerlo e lasciargli i suoi spazi e del rapporto di
fiducia
che si era creato durante quel viaggio intorno al mondo.
Immancabilmente si ritrovò ad associare quella passeggiata
silenziosa per le strade di Tokyo a una passeggiata simile per le
strade di
Parigi.
Avevano appena dirottato il loro viaggio verso la Russia decidendo
di girare per l’Europa, quel ritardo nell’arrivo a
Mosca aveva reso Kei di
buonumore e solo adesso Rei riusciva a capire il perché di
quello strano
comportamento.
Allora gli era sembrato strano: Kei era quello che amava
battersi e conoscere nuovi avversari, ma allo stesso tempo teneva alla
disciplina e non pensava avrebbe accettato di buon grado una
digressione dagli
allenamenti.
Allora non aveva proprio capito nulla di lui.
Rei si sforzò di tornare al ricordo originale che lo aveva
fatto divagare, con un po’ di sforzo lo ritrovò:
stavano camminando, lui e Kei,
per le strade di Parigi.
Kei, come in quel momento, era in astinenza da nicotina, ma
non aveva soldi per comprarsi le sigarette. -Non è che hai dei
soldi da prestarmi? Appena posso te li restituisco- Kei aveva aspettato di
rimanere solo con Rei prima di chiedergli quel favore. -No..non puoi
aspettare fino a domani che li andiamo a ritirare?- Kei sbuffò agitato
guardandosi intorno. Erano nel centro della capitale francese e si
confondevano
in mezzo ai turisti e ai parigini che passavano quella bella giornata
di sole
fuori. -Mi servono ora- -Devi comprare le
sigarette?- Il suo nervosismo improvviso poteva significare solo quello. Il russo non gli
rispose, ma continuò a guardarsi intorno. -Dai li ritiri domani
e ora chiedi una sigaretta a qualcuno!- cercò di risolvere
il cinese. -Non posso ritirarne
per almeno una settimana e non posso scroccare sigarette per giorni- -Ma come farai una
settimana senza soldi?- Kei lo guardò
contrariato. -Intendo a mangiare e
quelle cose lì!- -Finchè restiamo in
albergo paga la BBA è solo se andiamo fuori che paghiamo-
alzò gli occhi al
cielo esasperato per quella spiegazione che doveva essere
così ovvia –ieri sera
in quel posto li ho finiti tutti- Rei si sentì improvvisamente
colpevole: la sera prima avevano mangiato in un ristorantino in centro
per
festeggiare il loro arrivo nella nuova città, un posticino
carino, ma
abbastanza caro e Kei si era subito opposto senza essere ascoltato. -Scusa..- mormorò il
cinese, ma non sembrava che l’altro lo stesse ascoltando. Kei continuava infatti
a guardarsi in giro e a osservare le persone che gli passavano accanto. Camminarono in
silenzio per qualche minuto finchè Kei non
esclamò qualcosa di strano che Rei
non capì subito. -A mali estremi..- Il cinese prima ancora
di connettere fu spinto dall’amico e finì
letteralmente addosso a quello che
sembrava un turista agitato. Cercò di ritrovare
l’equilibrio, ma per farlo dovette appendersi alla giacca
dell’uomo. Non appena
riuscì a tirarsi su iniziò a implorare mille
scuse all’uomo completamente rosso
in faccia. Il turista, però,
invece che accertarsi che il ragazzo stesse bene,lo prese per il
colletto e
iniziò a urlargli contro frasi tipo
‘ladro’ e ‘volevi rubarmi il
portafoglio’
per finire con ‘questi ragazzini spavaldi’. Nel frattempo un
capannello di persone si era fermato ad assistere alla scena alquanto
stramba. Più o meno tutti
sembravano dell’idea che quello in torto fosse Rei che,
completamente spaesato,
cercava di balbettare qualcosa. Cercò di guardarsi intorno,
ma non vide Kei da
nessuna parte e andò totalmente nel panico. Un altro uomo uscì
dalla folla e cercò di calmare la situazione invitando a
ritrovare il famoso
portafoglio rubato. Rei riuscì a mettere
insieme qualche parola per difendersi. -Non ho rubato nulla!- Il turista non voleva
credergli, ma fu invitato comunque a controllare dove teneva il
portafoglio. -Lo tenevo qui prima
che il..- mise una mano nella tasca interna della giacca aperta e
divenne
completamente rosso in faccia. Tirò fuori la mano con
il portafoglio stretto fra le dita. Un coro di voci
scandalizzate da tanto fracasso per nulla sovrastarono quella del
turista
paonazzo. Rei in quel trambusto
riuscì a congedarsi e a allontanarsi di qualche passo. Il cerchio che si era
formato venne riempito nuovamente dai passanti che, indignati dallo
spettacolo
increscioso, lanciarono sguardi sprezzanti e urtarono colui che aveva
creato
quella situazione. Rei stava camminando
lentamente cercando Kei con lo sguardo. Doveva essere andato avanti, ma
non
riusciva a vederlo. Improvvisamente gli
spuntò alle spalle e il cinese si preparò a
urlargli di tutto per averlo spinto
e aver creato tutto quel casino. -Ma sei paz..?!- La frase rimase a metà
non appena Rei si accorse che Kei stava camminando frugando
all’interno di un
portafoglio, lo stesso portafoglio che era stato accusato di aver
rubato. -MA SEI PAZZO?!- la
frase gli si riformò in bocca senza problemi. Kei si limitò ad
alzare lo sguardo annoiato. -Che problema hai? Non
urlare- Tirò fuori qualche
banconota e le contò. -Hai rubato un
portafoglio- era un dato di fatto, ma Rei non sembrava esserne
rassicurato. -Ti ho detto che mi
servivano soldi- -Ma potevi aspettare!- -Ti ho detto che mi
servono ora- -Ma..- -Se ci tieni riportaglielo-
Kei gli mise in mano il portafoglio, ovviamente molto alleggerito. Rei si fermò a
scrutare qualche secondo l’oggetto tra le sue mani prima di
ridarlo a Kei
spaventato. Il russo fece un
sorrisetto divertito e riprese il portafoglio riaprendolo. -Mmm..interessante..
ha un buon lavoro.. tranquillo questi pochi soldi non lo faranno morire
di
fame- disse Kei come se questo dovesse essere tranquillizzante.-Magari
gli
dispiace per i documenti- -Devi riportarlo!- -Ma sei pazzo?- Kei fece per buttare
l’ormai inutile portafoglio a terra, ma fu bloccato dal
cinese. -Almeno portalo alla
polizia- Kei sgranò gli occhi
come per chiedergli se diceva realmente. -Portalo tu se proprio
ci tieni- -Ma l’hai rubato tu!- -E allora lo butto..- -Ok ok lo riporto
io..dammelo!- Cercarono una stazione
della polizia e mentre Rei entrò a riportare il portafoglio,
Kei andò a
comprarsi le sigarette.
Quella volta si era davvero arrabbiato per essere stato
usato come mezzo per rubare un portafoglio, proprio lui, ragazzo dai
sani principi.
Kei gli aveva spiegato tutta la sua teoria sul metodo
migliore per rubare, su come avesse scelto un turista perché
di solito è quello
più attento al portafoglio, ma che è
più probabile abbia contanti e tante altre
cose di cui non aveva compreso la logica.
Da quel momento comunque aveva sempre fatto più attenzione
al posto dove teneva i soldi, avendo scoperto quanto certe persone
conoscono le
tecniche perfette per rubare.
Gli scappò un sorrisetto quando stavano per arrivare al
dojo.
-Mmm?- Kei si rivolse verso il cinese chiedendosi se si era
perso la causa della risata.
-No, niente stavo pensando..-
Rei sperò da un parte che l’altro gli chiedesse
maggiori
delucidazioni, ma invece si limitò a girarsi e a continuare
a camminare.
Non era proprio più abituato alla mancanza di
curiosità
ossessiva e di chiacchiere continue.
E per
questa volta abbiamo un bel ritorno al passato! Diciamo che ci siamo un
po' ricongiunti alla storia originale ^^ (nonostante ovviamente
l'episodio sia completamente di mia invenzione!)
Comunque scusate se il capitolo è un pò corto, ma
era necessario *inchino di scuse*
Reader Space
Nuova rubrichetta per voi (prima e probabilmente ultima volta che
comparirà!) Nelle ultime
recensioni c'è stato un tripudio di richieste di subentrare
nella fic per i più svariati motivi e la conclusione
è:
Hiromi
chiede di poter disintegrare Kei
Avly gli
vuole invece requisire le sigarette! Facciamo prima che Hiromi lo
disintegri così soffre ancora un pò u.u
Halley
Silver Comet va a prendere Max e se lo porta a casa
Padme e Nena
fanno un pò di volontariato portando a spasso Nonno J
Aphrodite se
ne sta a guardare il tutto comodamente seduta sul divano mangiando pop
corn!
Ragazze u.u lo sapete
che vi adoro, ma se lo faccio poi su che scrivo io! XD
Aspetto vostre notizie! ^^
Ihih grazie ancora a tutti quanti!
Un bacione :)
Giochi
in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili
Just Like That
Rientrarono che era quasi ora di cena.
Più o meno la serata si svolse come quella precedente,
tranne che Hilary se ne era già tornata a casa.
Kei approfittò ancora della scusa della stanchezza per
defilarsi in fretta in camera.
Era stata una giornata fin troppo lunga e aveva realmente
bisogno di riposarsi.
Il mattino dopo si alzò di nuovo prestissimo e
ripeté la
routine del giorno precedente, questa volta utilizzando il
‘nuovo’ portacenere
che, nonostante l’avesse tirato fuori dall’armadio
da relativamente poche ore,
sembrava che fosse già stato utilizzato per mesi.
Di nuovo tutti si svegliarono per andare a scuola e lo
lasciarono da solo, ne approfittò per farsi un giro nel
quartiere per
memorizzare ancora meglio le varie strade, e cercò di
combattere la noia fino
alle 4 quando tutti rincasarono.
Erano tutti particolarmente entusiasti, probabile effetto
dell’ultimo giorno di scuola e quindi dell’inizio
ufficiale delle vacanze: non
appena arrivati Rei si mise ai fornelli dicendo che era da troppo che
non
cucinava qualcosa per la mancanza di tempo, cosa che gli dispiaceva
parecchio, mentre
Hilary si sedette fuori a prendere il sole e Takao e Max tirarono fuori
i bey.
Kei sperò vivamente di non essere messo in mezzo.
Valutò la possibilità di andare ad aiutare Rei,
ma il
pensiero di vedere e maneggiare ancora del cibo lo fece desistere,
così si mise
a pochi metri da Hilary.
La ragazza non sembrava per nulla interessata all’imminente
scontro, anzi lanciò ai due uno sguardo compassionevole e
tornò a concentrarsi
sul sole.
La sfida iniziò e i bey si scontrarono violentemente.
Era da un bel po’ che Kei non assisteva a un incontro,
probabilmente anni.
Si accese una sigaretta e cercò di concentrarsi sui
beyblade: li osservò girare per il prato, scontrarsi, fare
evoluzioni, tutte
cose che un tempo faceva anche lui con il suo Dranzer.
Gli scappò un sorrisetto ripensando a quanto fosse
completamente assorbito da quello sport.
Si poteva dire che fosse obbligato a giocarci e a essere
imbattibile, ma in realtà gli piaceva davvero e desiderava
sul serio essere il
più forte.
Cercò di ricordarsi l’ultima volta che aveva
lanciato un
bey, ma non gli venne in mente; era stato davvero troppo tempo prima.
Con un ultimo colpo Max batté Takao che iniziò a
lamentarsi
e a chiedere la rivincita.
Max continuò a vantarsi per qualche minuto prima di
concedere un altro scontro al giapponese.
Mentre lanciarono i beyblade anche Rei si unì a loro
sedendosi tra Kei e Hilary.
-E’ quasi tutto pronto..tra un po’ vado a dare al
riso il
colpo di grazia!- disse contento.
La ragazza rinunciò al sole che stava per sparire dietro
alle case e si mise a chiacchierare con Rei fino a che il cinese non
l’abbandonò per battersi contro Max che aveva
vinto anche il secondo incontro.
-Ero distratto!- si giustificò Takao sedendosi al posto di
Rei.
Immancabilmente il giapponese e la ragazza si scambiarono
qualche battuta acida sotto lo sguardo esasperato di Kei che non poteva
credere
ai propri occhi.
Arrivò alla conclusione che probabilmente si piacessero
realmente, perché altrimenti non avrebbe potuto spiegarsi un
accanimento così
l’uno verso l’altra.
Anche quell’incontro terminò, ma per questa volta
vinse Rei.
Nessuno sembrava più interessato a battersi e anche Max si
sedette aspettando che Hilary finisse di insultare Takao.
Non appena calò finalmente il silenzio, Kei si disse che
finalmente la pace fosse arrivata, ma non appena vide Rei che lo
scrutava come in
attesa di qualcosa iniziò realmente a preoccuparsi.
Takao alla sua destra si avvicinò pericolosamente e
poggiò
una mano sulla sua spalla.
-Non puoi dirmi di no!-
Kei si voltò a osservare il suo sorriso parecchio
spaventoso, o che almeno a lui sembrava spaventoso.
-No-
Cercò di voltarsi, ma incontrò gli occhi azzurri
di Max alla
sua sinistra che aspettavano una qualche sua iniziativa.
Aveva capito quello che non avevano il coraggio di dire esplicitamente
e non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere.
-N O- disse il più chiaramente possibile.
-Eh dai! Non farti pregare!- insistette Takao.
L’espressione di Kei era arrivata all’esasperazione
davanti
a quel teatrino.
-E lascialo in pace.. se non vuole giocare con quelle
trottole vuol dire solo che è più furbo di voi..-
-Quelle trottole?- Takao e Hilary ricominciarono a litigare.
Per la prima volta da quando era arrivato, Kei provò un moto
di gratitudine verso la ragazza, trovando un perché della
sua presenza lì.
-Alla fine lo hai fatto!-
Non capì a che cosa il biondino si riferisse
finché non
sentì poggiarsi le sue dita calde dietro al collo.
La capacità di Max di cambiare discorso era incredibile, ma
almeno sembrò smorzare la discussione tra i due giapponesi.
-Il tatuaggio intendo!- precisò continuando a guardare la
scritta nera in cirillico alta circa due dita.
-Che vuol dire?-
- жизнь (pronunciato sgiosn), è Vita-
Max sembrò pensarci su prima di sorridere e dire –
Bello!-
-Quindi con questo siamo a..cinque, giusto?- chiese Takao
all’improvviso coinvolto.
-Tu sarai colui che mi aiuterà a far desistere Nonno J
sappilo..-
Kei lo guardò confuso.
-Tu lo convincerai che un tatuaggio non è proprio la fine
del mondo!-
-Non vuole che se lo faccia..- precisò Rei.
-E cosa vorresti fare?- chiese Kei, sollevato che
l’argomento della conversazione fosse cambiato.
-Ma che domande..Dragoon!- e allargò le braccia come per
indicare la grandezza del tatuaggio –Me l’hai fatto
venire in mente tu col
tuo!-
Kei sempre preoccupato per il gesto che aveva fatto prima il
giapponese e si informò sulla grandezza e sul posto dove
avrebbe voluto
farselo.
-Mmm avevo pensato sulla schiena!-
-Tutta?- chiese Kei scettico.
-Mmm perché no?!- affermò compiaciuto
l’altro.
Kei era certamente l’ultima persona in quella casa che
poteva dirsi contro i tatuaggi, di qualsiasi tipo e dimensioni,
considerando
quelli che aveva lui stesso, ma l’idea di Takao con un mega
drago sulla schiena
lo lasciava un po’ perplesso e pensò che fosse il
caso di appoggiare Nonno J.
-Che ne dici?- chiese sempre entusiasta Takao.
-Non ti ci vedo.. cioè, un po’ più
piccolo no?-
-Dici? Vabbè ci penserò!-
-Hai tutto il tempo di pensarci, intanto Nonno J non ti darà
mai il permesso!- disse Rei.
Mentre ricominciarono a parlottare allegramente, Kei iniziò
a sentirsi leggermente oppresso ancora seduto tra Max e Takao fin
troppo a
contatto con lui.
Cercò spazio e si alzò per mettersi in piedi
vicino a Rei e
si accese un’altra sigaretta.
Già aveva resistito fin troppo con tutto quel contatto, non
lo avrebbe sopportato un secondo di più.
-Non ci hai ancora fatto vedere l’altro tatuaggio
però-
continuò Max.
Kei ci pensò su prima di ricordarsi che in Russia non gli
aveva fatto vedere quello sulla gamba, non ne aveva visto il motivo,
come
d’altronde non lo vedeva in quel momento, ma per farli stare
buoni e zitti
avrebbe fatto qualsiasi cosa.
-Certo che te ne sei fatti eh?- disse ironico Rei mentre Kei
si tirava su i pantaloni fino al ginocchio destro per far vedere una
scritta
sul polpaccio.
Si sporsero per leggere, ma fu Max che, contento di vedere
che fosse in inglese, recitò a voce alta: I believe in
nothing but my own
breath.
-But non significa ‘ma’?!- chiese Takao.
-Anche ‘tranne’!- lo corresse Max -..Non credo in
niente
tranne che al mio respiro..-
-Un po’ pretenziosa come frase..-
Tutti si voltarono verso Hilary come se avesse appena
pronunciato la frase che l’avrebbe condannata a morte certa.
-Che c’è? E’ la verità!- si
giustificò lei altera.
-Mmm forse è stato pretenzioso tatuarla..- disse Kei nello
stupore generale -..ma in quel periodo volevo mettere in chiaro alcuni
punti-
Aspirò il fumo dalla sigaretta e sempre impassibile si
rimise a posto i pantaloni.
-Quindi hai cambiato idea?- chiese la ragazza.
Nessuno di loro avrebbe mai osato iniziare un discorso del
genere con Kei: la reazione migliore in cui potessero sperare era che
non
rispondesse e liquidasse il discorso con poche parole, altrimenti
sarebbe
incappati in una situazione senza fine. Lui aveva determinate idee che
spesso
non coincidevano con quelle degli altri, se non del tutto opposte; per
non
parlare di quanto il ragazzo fosse irritabile su certi argomenti.
Non che fosse giusto dargliela vinta o non valesse la pena
discutere con lui, solo che preferivano in quei giorni lasciarlo in
pace e
dargli il tempo di adattarsi al Giappone visto che il motivo per cui
era venuto
era che doveva affrontare dei problemi non indifferenti.
In ogni caso non potevano nemmeno zittire Hilary: lei era
una persona parecchio testarda e senza peli sulla lingua.
Nessuno poteva immaginare chi avrebbe potuto vincere in uno
scontro tra i due.
-No, dico che è stato pretenzioso scriverlo, ma la penso
ancora così- rispose molto tranquillamente Kei e gli altri
ragazzi presenti
tirarono un sospiro di sollievo.
-Ma è come dire che credi solo a te stesso..- aggiunse
Hilary e fece ripiombare tutti in uno stato di agitazione.
-Dai Hil..-tentò di dire Takao per una volta cauto nei
confronti della ragazza.
-Non la vedo una cosa negativa- fu la risposta. Il suo
sguardo da annoiato diventò freddo e impenetrabile.
-E’ triste..-
-Cosa ci sarebbe di triste?-
-Cioè per te esiste solo ciò che puoi
vedere..tutta la
superficialità..solo ciò che puoi comprendere?-
-Ciò che è razionale..-
-..che però è limitato!-
-Dipende cosa intendi per limitato..-
-Fermarsi al razionale, non credere che oltre a quello ci
sia qualcosa è limitato..e di conseguenza triste!-
-Le persone sono limitate..- continuò iniziando a capire
dove volesse andare a parare la ragazza -..hanno inventato un dio solo
per
incolparlo di ciò che di brutto provocavano loro stesse..poi
ci hanno creato
attorno tutta una architettura per auto convincersi che fosse una cosa
possibile..religione
e queste cose qui- rispose con un’alzata di spalle.
-Se anche fosse così allora non le considererei limitate..-
-Ingegnose e fantasiose, ma comunque limitate..-
-Perché?-
-Perché non vedono la realtà..-
-Quindi esiste solo ciò che la scienza può
provare, non c’è
niente dietro? Niente sentimenti, niente anima? Solo cellule, funzioni
cerebrali e reazioni organiche?-
-L’anima è comunque una parte della persona, che
è fatta di
tutte le cose che hai detto te-
-Ma è irrazionale..-
-Non la puoi vedere, toccare, ma non è detto che non possa
essere compresa-
-E con la religione e ‘queste cose qui’
è possibile
comprenderla!-
-E’ una comprensione molto fantasiosa.. è pieno di
paradisi,
aldilà, nirvana, reincarnazioni, tutto pur di non ammettere
di giungere a una
fine-
-La fine non è un limite?-
-La fine è un termine..oltre il limite
c’è qualcos’altro,
oltre la fine no..-
-Quindi secondo te io sarei una persona limitata?-
-Quanto tu pensi che lo sia io-
Kei spense la sigaretta e finalmente distolse lo sguardo
dagli occhi di Hilary.
La ragazza per tutta la conversazione aveva tentato di
mantenere il contatto visivo col russo, di non cedere per prima, ma
diverse
volte aveva dovuto desistere.
Non era stato aggressivo o freddo, non le aveva imposto la
propria idea, ma non aveva nemmeno condiviso la sua. Aveva
semplicemente assunto
un’aria superiore.
Arrogante nel limite del sopportabile.
Sicuramente era la prima volta che aveva parlato da sola con
lui e che aveva sentito la sua voce per così tanto tempo e
ne era rimasta
affascinata, sotto l’irritazione immediata.
Non poteva dire ancora che quel ragazzo avesse acquistato la
sua intera fiducia, una parte di lei le diceva che in realtà
non era legato a
Takao e gli altri come loro affermavano che fosse.
Hilary si risvegliò dai suoi pensieri dopo pochi secondi e
lasciò che tutta l’adrenalina creata dalla
discussione scemasse; dopo lo
stupore e la soddisfazione per aver tenuto testa all’altro,
le salì il
nervosismo e l’irritazione per aver lasciato che fosse Kei a
porre l’ultima
parola.
Durante il tragitto verso la cucina le vennero in mente
altre frasi con cui avrebbe potuto liquidare la faccenda, come avrebbe
potuto
rispondere all’ultima affermazione del russo, ma ormai era
troppo tardi per
poter reagire.
Takao aveva cercato di stemperare l’aria elettrica tornando
a parlare di quelle stupide trottole e ormai qualsiasi cosa avesse
detto
sarebbe sembrata fuori luogo.
Decise di arrendersi, combattuta, e cercò di distrarsi
evitando qualsiasi contatto superfluo con Kei.
Gli era piaciuta solo per un istante. E non si ricordava
nemmeno più per quale motivo, ma per quell’istante
gli era stata simpatica.
Ora non ne era più molto certo: era solo un’altra
ragazzina
con delle idee preconfezionate.
Era intelligente, ma estremamente limitata come qualsiasi
altra persona che aveva vissuto in un bel quartiere e in una modesta
famiglia.
Beh alla fine non era colpa sua se era stata cresciuta a
pane e stronzate, forse non era nemmeno così antipatica e
limitata: Kei come
prima sensazione si era irritato delle sue risposte, ma poi, convinto
delle
proprie, non le aveva dato più di tanto peso.
Ripensandoci era anche abbastanza soddisfatto della piega
che aveva preso il discorso e ascoltare quello che Hilary aveva da dire
non era
stata proprio una perdita di tempo, e probabilmente non era che non
sopportasse
lei, ma più che altro che non sopportasse le sue idee.
La verità era che non sopportava il mondo dal quale lei
veniva, quello delle famiglie perfette, fatte d’amore e
fiducia, quelle create
sulla base di stereotipi, quelle dove si può tranquillamente
parlare dei
problemi finchè questi problemi sono legati alla scuola,
agli amici e alle
prime cotte.
Era certo che lei venisse da quel genere di famiglie: quando
suo padre la era venuta a prendere guidava una macchina semplice e di
un colore
anonimo, vestiva come un padre di famiglia, aveva
l’espressione dell’uomo
comune, vestito comunemente, qualche ruga, capelli che iniziavano a
diradarsi.
La semplicità fatta a persona. Non che fosse una cosa
negativa, o almeno non per il resto del mondo.
Kei aveva una sorta di pregiudizio verso quelle persone: era
sicuro che non ragionassero con la loro testa, che si lasciassero
insegnare
cosa fosse la vita e come fosse giusto comportarsi. Nessuna eccezione.
Che tutto questo rancore fosse derivato dal fatto che
invidiasse queste persone? Non lo credeva, a volte gli veniva il
dubbio, ma poi
pensandoci su si rispondeva che il problema fosse che lui aveva
conosciuto un
modo diverso di vivere dal loro.
Non c’era mai stato nessuno a dirgli cosa fosse giusto e
cosa sbagliato, che gli insegnasse cosa fosse buono e cosa cattivo, ma
ci era
arrivato da solo. Sbagliando più volte di quanto non avesse
sperato, ma alla
fine ci era arrivato. E anche se non ci fosse ancora arrivato, era
sicuro che
sarebbe successo prima a lui di capire la realtà che a
quegli altri.
Mentre si arrovellava in mille pensieri si rinchiuse nel suo
solito guscio di indifferenza, non facendo trasparire né
irritazione, né
convinzione.
Per tutti coloro seduti a tavola poteva essere come le
serate precedenti.
Ed eccoci qui anche questa sera!
C'è stato un movimento popolare negli ultimi commenti contro
l'utilizzo esagerato di sigarette XD ihih c'ho fatto caso e in questo
non ne fuma troppe dai! Ce la si farà a migliorare no?! u.u
Chiamiamo anche questo un capitoletto di transizione? Sì dai
XD diciamo che per adesso bisogna sistemare le cose prima di ripassare
dal via!
Intanto abbiamo visto il tatuaggio che era rimasto in sospeso e quello
nuovo! Hilary ha iniziato a scontrarsi con quel polaretto, mentre Takao
ha portato avanti il suo piano A per farlo giocare a bey!
Grazie mille come sempre a tutti..spesso non lo scrivo nelle risposte
alle recensioni, ma penso che sappiate che è scontato che vi
ringrazio immensamente!
Ovviamente un grazie anche a chi legge e basta..
Vi aspetto la prossima settimana, sempre qui, sempre a quest'ora
improponibile!
Un bacione :)
Giochi
in mezzo ai giochi
Di tutti gli idioti
Che han risposte facili
Castle Walls
La settimana successiva trascorse piuttosto monotona.
Kei aveva accettato passivamente tutti i cambiamenti che
aveva dovuto affrontare e non mostrava particolare interesse per nulla,
come al
solito.
La verità era che dopo quei primi due giorni si era
completamente arreso all’evidenza che probabilmente non
sarebbe cambiata più di
molto la sua situazione.
In realtà voleva avere un riscontro immediato dei
miglioramenti, ne sentiva ossessivamente il bisogno, e
la completa mancanza di sicurezza lo irritava e lo abbatteva allo
stesso tempo;
dopo aver cercato di reagire, infatti, si ritrovò
completamente sopraffatto dal
pessimismo e dallo sconforto.
Non sapeva come far trascorrere le giornate, le attività dei
suoi nuovi coinquilini lo annoiavano terribilmente e si
ritrovò a chiudersi
ulteriormente nella sua facciata di silenzio e impassibilità.
Era venerdì quando Takao e gli altri indossarono ancora una
volta la divisa di scuola per andare a vedere i risultati e Kei non
poteva
essere più apatico di quanto lo era a colazione.
Come sempre non mangiò nulla e rispose a cenni alle domande
che gli ponevano.
Uscirono tutti insieme, anche Nonno J; la scuola non era
lontana quindi potevano tranquillamente andarci a piedi. Durante il
tragitto da
una traversa spuntò Hilary che si unì gioiosa
alla comitiva.
Kei alzò lo sguardo solo quando giunsero davanti
all’edificio per osservarlo perplesso.
Era una scuola normalissima che pullulava di studenti e
professori: ciò che più detestava.
-Nonno non è che potresti non entrare?- chiese esitante
Takao.
-Ti ho già detto che devo andare dal preside con Kei!-
Takao sbuffò. Non voleva che il nonno vedesse subito che,
quello che doveva essere un buon voto, in realtà era una
misera sufficienza.
Gli aveva raccontato quella piccola bugia per ottenere dei soldi extra
della
paghetta.
Con il nonno lì a scuola, non poteva fare la sceneggiata che
aveva studiato per convincerlo che fosse stata un’ingiustizia
della
professoressa avergli dato un voto in meno: troppi testimoni scomodi.
Entrarono e salirono al corridoio del primo piano dove erano
appesi i quadri con i voti.
Cercarono quello della loro classe e fecero scorrere le dita
sui risultati di fianco al proprio nome.
Anche Nonno J si avvicinò per controllare e
iniziò una lunga
predica al nipote davanti a tutti gli studenti che erano lì
intorno.
Kei decise che non gliene poteva fregare di meno di come
fossero i voti e si mise di fianco a una finestra aperta aspettando il
momento
di andare dal preside.
Si guardò intorno: sembravano tutti fatti in serie, tutti
gli studenti che gli passavano davanti potevano essere benissimo stati
fabbricati con lo stampino.
A parte qualche straniero e i suoi compagni tutti erano con
gli stessi capelli, gli stessi occhi, la stessa pelle. Non sarebbe mai
riuscito
a distinguere più di tre persone, ne era consapevole.
Poi con quella divisa erano tutti ancora più confondibili.
Alcune ragazzine gli passarono accanto ridacchiando. Non era
assolutamente un luogo adatto a lui.
Si sarebbe volentieri buttato dalla finestra e sarebbe corso
via: calcolò velocemente l’altezza da terra e si
disse che forse sarebbe stato
meglio prendere le scale, ma la possibilità di essere
intercettato e bloccato
erano davvero troppe.
Rassegnato a quella prigionia improvvisa osservò Nonno J
venire verso di lui e lo seguì in silenzio verso
l’ufficio del preside.
Lungo i corridoi non si guardò intorno, ma riuscì
a notare
una sola cosa,l’unica
che gli
interessasse realmente: un cartello di divieto di fumare.
Classico, ma terribilmente frustrante.
Sospirò proprio quando arrivarono davanti alla porta con
scritto ‘presidenza’, Nonno J bussò e
entrarono.
Kei non fece caso all’arredamento, non gli interessava, ma
notò solo la finestra chiusa: insopportabile.
Solo dopo che si fu seduto su una sedia davanti a una
scrivania, osservò la faccia del signore di mezza
età che stava parlando. Si
concentrò sul ronzio proveniente da quell’uomo
serio.
-Signor Kinomija è sempre un piacere incontrarla!-
Chissà quante volte Nonno J era entrato in
quell’ufficio:
tra Takao, Rei e Max aveva sicuramente un gran numero di
responsabilità sulle
spalle, e ora si stava aggiungendo anche lui.
Il preside Fujita, questo era il nome scritto sulla
targhetta sulla scrivania, iniziò a conversare con Nonno J,
come se Kei non
fosse esistito, prima di tirare fuori una cartellina piena di fogli.
Il russo aspettò pazientemente di essere interpellato anche
se la sua irritazione stava salendo; notò che sulla
cartellina che il preside
aveva tirato fuori c’era scritto il suo nome e
cercò di tradurre le espressioni
dell’uomo.
Era serio, non sorrideva, un punto a suo favore considerando
la sua avversione verso i sorrisi; parlava lentamente senza colori
nella voce.
Gli occhi erano talmente a mandorla che sarebbero potuti
essere benissimo chiusi, ma ciò che lo colpì di
più fu quanto il signor Fujita
emanasse giallo. Indossava un completo ocra con la cravatta marroncina,
la sua
targhetta era di un dorato opaco, le sue matite erano gialle e persino
la sua
penna, lo stesso computer sembrava tanto usato che si era ingiallito.
Il sole
poi, che penetrava dalla finestra chiusa, illuminava tutto questo
giallo e lo
esaltava.
Mentre esplorava tutti quei dettagli che subito gli erano
sfuggiti, incontrò gli occhi semichiusi del preside che lo
guardavano:
probabilmente gli aveva posto una domanda che non aveva sentito.
Stava per chiedere delucidazioni, ma l’uomo
continuò a
parlare.
-Ho ricevuto i documenti della vecchia scuola del ragazzo e
ho notato certi punti poco rassicuranti come la media del ragazzo e le
parecchie assenze- disse con la sua voce strascicata.
-Come le ho spiegato al telefono, Kei ha avuto qualche
problema nella vecchia scuola, ma ora è tutto a posto e il
ragazzo è pronto a
riprendere gli studi da dove li aveva interrotti!-
Fujita rimase ad ascoltare annuendo e dopo aver dato un
ulteriore occhiata scettica alla cartellina, la richiuse.
-Io mi fido di lei e so con che impegno sta tirando questi ragazzi..-
e si voltò verso Kei -..e spero che tutto ciò sia
ricambiato con impegno e
disciplina-
Kei senza nessun problema resse lo sguardo del preside
facendolo desistere dal guardarlo negli occhi ametista.
-Questi sono i documenti per l’iscrizione che ho
preparato..- fece firmare un po’ di scartoffie a Nonno J e
gli diede qualche
indicazione per completare la procedura.
Kei si distrasse nuovamente, guardando la libertà invitante
oltre la finestra, prima di essere di nuovo interpellato.
Gli occhi di Fujita erano ancora su di lui, o almeno così
sembrava sotto le palpebre pesanti.
-Ovviamente bisognerà provvedere a togliere..abbellimenti
superflui..-ovviamente si riferiva al piercing -..e gradirei che i
tatuaggi
fossero sempre coperti-
-La divisa li coprirà- disse Kei cercando di porre fine a
quella sceneggiata con quell’uomo che ormai aveva
classificato come ‘viscido’.
L’incontro durò ancora pochi minuti e finalmente
poterono
congedarsi, non prima di aver fatto un piccolo inchino al preside il
quale
aveva lanciato un occhiata perplessa verso i segni neri sulle sue
braccia e sui
suoi vestiti.
Mentre usciva, Kei si concentrò sui propri abiti realizzando
solo in quel momento quanto i giapponesi tenessero agli incontri
formali e al
rispetto dell’etichetta e della tradizione: aveva un semplice
paio di jeans e
una maglietta, forse tutto un po’ troppo largo per gli
standard dell’uomo.
L’unico moto di preoccupazione per questo mancato adempimento
andava verso Nonno J, ma scomparve all’istante alla vista
dell’espressione
serena dell’uomo.
Si riunirono agli altri nel cortile, speranzosi di tornare a
casa e cambiarsi finalmente.
-Com’è andata?- chiese Rei allegro.
-Tutto bene..il preside sembra severo, ma in realtà
è un
brav’uomo- rispose Nonno J notando che Kei non aveva alcuna
intenzione di
parlare –Dovrà solo fare un piccolo test a
settembre!-
-Su cosa?- si intromise preoccupato Takao.
-Sugli argomenti principali dell’anno scorso..-
Durante il tragitto discussero su cosa poteva essere
considerato principale e cosa no, ma il diretto interessato
all’argomento non
prestò alcuna attenzione allo scambio di battute degli altri.
-Allora possiamo andare?- Takao stava pregando Nonno J da
dieci minuti buoni, tra un boccone e l’altro della cena.
-Ti avevo detto che saresti dovuto andare bene a scuola-
-Ma sono andato bene..nemmeno un’insufficienza!- il
giapponese mostrò il suo sorriso migliore –E poi
non puoi fare questo a Max e
Rei..loro sono andati ancora meglio!-
Il tentativo di addolcire il nonno facendolo sentire in
colpa sembrò funzionare, poiché la sua
espressione si addolcì.
-E poi anche Kei vorrà farsi una bella vacanza!- diede
così
il colpo di grazia.
Al pronunciare del suo nome, Kei prestò attenzione al
discorso.
-Io ne faccio anche a meno- disse atono.
-Kei non rovinare tutto..- gli bisbigliò Takao come se Nonno
J non potesse sentirlo -..chi non vorrebbe farsi una bella settimana di
mare,
sole,..-
-Io- lo bloccò il russo inutilmente.
Nonostante il suo dissenso tutti gli altri erano presissimi
da questa idea della vacanza in campeggio sulla costa occidentale del
Giappone in
questa fantomatica località fantastica.
Nonno J era sul punto di cedere, sicuramente appena Takao
avesse annunciato che il suo no avrebbe pregiudicato anche le vacanze
di
Hilary, non si sarebbe più opposto.
Nessuno sembrava capire quanto per Kei una lunga settimana
di mare, sole e afa fosse equivalente a una punizione.
Prima che potesse realmente opporsi tutto fu deciso, aveva
una decina di giorni per prepararsi psicologicamente a resistere: se il
caldo
della città lo aveva messo a dura prova, non osava
immaginare come sarebbe
sopravvissuto a quello.
-Dimmi-
-Tutto bene?- La voce di Yuri dall’altro capo del telefono
lo fece sentire per un secondo a casa. Chiuse gli occhi cercando di
focalizzarsi in un qualsiasi via di Mosca, ma gli veniva alquanto
difficile.
-Mh..-
-Che vorrebbe dire?-
-Quello che è..-
-Cosa stai facendo?- chiese il rosso rinunciando a tirargli
fuori una risposta sensata.
-Sono in giro..- rispose atono.
Voleva dimostrarsi molto più positivo e aperto alla
conversazione, ma ogni proposito che si era fissato quando aveva visto
sul
display del cellulare il nome di Yuri, era sparito.
Fingere avrebbe solo peggiorato le cose, doveva solo non
apparire troppo sconfortato.
-E..-
-Te come va?- cercò di cambiare discorso.
-Bene, sto recuperando degli esami..e anche Bo e Ser stanno
bene..certo si sente la mancanza del tuo continuo chiacchierare, ma ci
stiamo
facendo l’abitudine!- rispose Yuri ridacchiando.
Kei si lasciò scappare un sorrisetto senza però
aggiungere
altro.
-Abbi pazienza Kei- aggiunse il rosso come percependo a km
di distanza le preoccupazioni dell’altro.
-Lo so..-
-E io te lo ripeto comunque..abbi pazienza..trovati qualcosa
da fare, qualche passatempo, inizia a collezionare francobolli o che so
io..-
-Cos’è tutta questa ironia oggi?-
-Non cambiare discorso..-
-Che palle..-
-Te lo devo ripetere?-
Kei sbuffò –Devo avere pazienza, afferrato-
Si scambiarono ancora poche informazioni prima di chiudere
la chiamata.
Kei era seduto su un prato del parco poco lontano da casa,
all’ombra di un grosso albero, cercando di scappare dal sole
che picchiava
potente.
La telefonata di Yuri gli aveva fatto piacere, sicuramente
ad alta voce non lo avrebbe mai ammesso, ma gli mancava, come gli
mancava Mosca
e tutto quello che faceva prima.
La prigionia in casa dei primi mesi dell’anno gli sembrava
quasi una pacchia in confronto a quella che provava in quella
città ormai
sconosciuta. Era difficile abituarsi al tempo, alle persone, alle
abitudini di
quella gente così diversa.
Pazienza ne aveva da vendere per non essere ancora scappato,
ma iniziava seriamente ad esaurirsi.
Ogni qual volta poteva, usciva dal dojo, possibilmente da
solo, ma era difficile scollarsi di dosso i suoi amici appiccicosi.
Sembrava
che volessero adottare la tattica che avevano visto in Russia da Yuri e
gli
altri, di non lasciarlo mai da solo, ma era ovvio che il risultato era
letteralmente diverso. Non avevano la stessa pratica a trattare con lui
e la
stessa tempra nel rispondergli a tono.
Risultava troppo semplice scappare da loro e rintanarsi nel
suo guscio protettivo.
Però ci stava davvero provando. Da giorni se lo ripeteva
nella testa, che doveva reagire e trovare qualcosa da fare, come aveva
detto
Yuri. Aveva addirittura provato a dirselo ad alta voce, a fare training
autogeno, ma non sembrava funzionare come avrebbe dovuto.
Il ripetersi che sarebbe andato tutto bene davanti allo
specchio del bagno lo faceva sentire altamente stupido. Poi lui odiava
tremendamente gli specchi.
In ogni caso doveva reagire.
Questo era il suo primo obiettivo.
Ma non sapeva come fare. Ogni volta che si interessava a
qualcosa e vi prestava attenzione, la abbandonava annoiato.
Non aveva trovato nessuna azione degna di essere perseguita.
Ma doveva smetterla. Assolutamente.
Si guardò intorno prima di alzarsi e tornare verso casa.
-Dov’è andato?-
-Non lo so..-
Rei rispose sconfortato alla domanda dell’amico. Non sapeva
assolutamente dove fosse sparito Kei. Di nuovo.
Si era defilato così, come se niente fosse; riusciva sempre
a lasciarli a bocca asciutta, senza una risposta pronta, ad annaspare
nel
tentativo di estorcergli qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse una
risposta o un
cenno.
Tutto sembrava inutile; di primo acchito al gruppo era
sembrato di essere tornati ai bei tempi, a quando, in giro per il
mondo, ognuno
aveva il suo ruolo in un gruppo affiatato e nel quale Kei era quello
che
spariva senza dare spiegazioni. Peccato che a lungo andare e
considerando la
situazione diversa, questo comportamento non risultasse più
molto piacevole.
Rei cercava di convincersi che tutto sarebbe andato meglio
con il tempo, ma non gli riusciva più di tanto, nonostante
facesse sempre la
parte dell’ottimista per non scoraggiare Takao e Max in
quello che si erano
preposti.
Mentre iniziava a leggere sconfortato un nuovo capitolo del
libro che aveva in mano, sentì la porta d’ingresso
aprirsi e poco dopo
intravide Kei nel corridoio.
Rinunciò al libro, sicuro che intanto non sarebbe riuscito a
leggere quel tomo noiosissimo, e andò incontro
all’amico cercando di non far
intravedere la sua frustrazione.
Vedendolo arrivare, l’altro gli fece un cenno di saluto con
la testa e cercò di defilarsi al piano di sopra.
-Fatto una passeggiata?-
Cercò di sembrare il meno invasivo possibile, ma era sicuro
che la sua recitazione non fosse da premio Oscar.
-Mh- annuì Kei, rimanendo in attesa della mossa successiva
del cinese.
Il silenzio fu rotto fortunatamente dall’entrata di Takao
che, con la sua grazia innata, irruppe davanti a Kei e lo
guardò minaccioso.
Cioè, quello che sicuramente nelle intenzioni del giapponese
doveva essere uno
sguardo minaccioso.
-Hey tu..dove sei stato?-
-Ho fatto un giro..- fece per girarsi e salì qualche gradino
-..è una bella giornata, è un peccato stare in
casa-
-Ma..- Takao non riuscì a terminare la frase rosso di
rabbia, combattuto tra il volergli urlare addosso e il lasciargli i
suoi spazi,
come gli avevano detto gli altri.
-Non lo sopporto quando fa così!- Girò sui tacchi
seguito
dal compagno.
Raggiunsero Max in sala, che sospirò. Doveva aver origliato.
-Secondo me dovremmo trovare qualcosa da fare..-
-Cosa ti viene in mente adesso? Quello mi ha fatto passare
la voglia di tutto!- Disse Takao buttandosi a peso morto sulla poltrona.
-Parlo di Kei.. secondo me si annoia!-
-Si annoia lui?- rispose Takao sempre più scettico.
Rei soppesò le parole del biondo, riprendendo il libro che
aveva abbandonato pochi minuti prima.
Non aveva del tutto torto; dovevano fargli tornare un po’ di
vitalità, ma restando sempre lì a far nulla non
avrebbero ottenuto molto.
Fortunatamente sarebbero partiti presto per la vacanza.
Sicuramente gli spunti che offriva una bella località
turistica potevano essere
d’aiuto.
Sì, forse sul trovare passatempi se la sarebbero potuta
cavare, ma il problema rimaneva sempre uno.
Rei era convinto, dopo una lunga serie di seghe mentali, che
finchè Kei si chiudeva in se stesso e nel suo silenzio non
avrebbero cavato un
ragno dal buco. Era sempre silenzioso, come su un altro pianeta e si
stava
estraniando dalle cose intorno a lui.
Lo vedeva completamente vuoto, senza un obiettivo.
Dovevano quindi tirargli fuori quello che sentiva, quello
che aveva dentro.
L’unico problema era trovare il modo per farlo.
Entrò in camera sua. Ormai l’aveva completamente
occupata ed
era molto simile a quella che aveva in Russia.
Si buttò sul letto e si mise le mani davanti al volto, per
poi infilarle nei capelli.
Aveva un flusso non indifferente di pensieri che gli
giravano per la testa, che dava l’impressione di essere
troppo piccola per
poterli contenere tutti.
Potevano dire che era silenzioso e taciturno quanto
volevano, ma la verità era che non aveva la forza di parlare
dopo aver
combattuto così duramente contro tutti quei pensieri.
Come faceva a parlare con gli altri, quando faticava a
gestire tutte le conversazioni che faceva con se stesso. Si sentiva che
sarebbe
potuto esplodere da un momento all’altro.
Basta.
Si accese una sigaretta cercando una soluzione a quel grande
problema.
Ma poteva pensare quanto voleva a mille e più soluzioni che
finiva sempre al punto di partenza, era fatto così e lo
doveva accettare lui
stesso per primo.
Si ritrovò poche ore più tardi a girare per le
strade della
città, da solo, senza una meta e con il traffico incessante
di pensieri. Di
nuovo sfuggito ai suoi amici.
Era notte fonda ormai, ma di tornare a casa non ne aveva
assolutamente voglia.
Cercò di avventurarsi in posti dove non era ancora stato,
così che si ritrovò davanti a un grande edificio
moderno piuttosto trafficato
per quell’ora di un semplice mercoledì.
Edogawa era uno dei tanti quartieri di Tokyo, quello più a
est, al confine con Chiba; non aveva mai capito bene
l’amministrazione della
capitale Giapponese, secondo lui la facevano più complicata
di quanto in realtà
non fosse e, a confondere ulteriormente, c’era
l’architettura; si poteva
passare da luoghi storici a file di grattacieli, da parchi e zone verdi
a
tangenziali con mille raccordi e un traffico probabilmente
ineguagliabile.
Prima di pensare realmente a quello che stesse facendo,
entrò nella stazione ferroviaria guardandosi intorno, manco
fosse stato in
visita turistica: non c’era niente di particolarmente strano
o che potesse
attirare l’attenzione di una persona sana, ma lui non era
molto sano e ne era
consapevole.
Entrò nell’atrio osservando uomini in giacca e
cravatta che
si dirigevano stanchi verso l’uscita, persone con valigie
appresso che
consultavano il tabellone degli orari, gruppi di ragazzi che ridevano e
altri
che girovagavano apparentemente senza meta come lui.
Si diresse verso il primo binario al quale si arrivava
direttamente dall’ingresso e, di nuovo all’aria
aperta, si sedette su una
panchina.
Vide fermarsi e ripartire diversi treni fumando una
sigaretta e chiedendosi cosa stesse realmente facendo, come sperava di
cambiare
qualcosa restando lì seduto a far nulla.
-Hai da accendere?-
La voce di una ragazzo lo risvegliò dai suoi pensieri.
Senza nemmeno rispondere tirò fuori l’accendino e
lo porse
all’altro senza troppa enfasi.
-Grazie!-
Gli rispose con un cenno, rimettendo i piedi sulla panchina.
-Ho visto che sei qui da un po’..- aggiunse il ragazzo che,
dopo aver fatto per andarsene, si era nuovamente rivolto a Kei -..se
vuoi
unirti a noi!- aggiunse accennando con la testa a un gruppetto di
ragazzi in
fondo al binario, ai piedi di una gradinata che doveva portare a
un’altra ala
della stazione.
Il russo valutò la proposta, ma declinò,
guardando l’altro
allontanarsi sereno con un -..se cambi idea noi non ci muoviamo-.
Non li aveva notati, ma dovevano essere lì da un
po’. Il
loro aspetto era anche abbastanza familiare; non che li conoscesse, ma
l’atteggiamento scanzonato e tranquillo di quello che gli
aveva rivolto la
parola gli ricordava persone che conosceva a Mosca, persone che
vivevano giorno
per giorno, senza progetti o aspettative per il futuro, che pensavano
allo
stare bene con gli altri e con se stessi. Beh, quelli che conosceva a
Mosca ci
mettevano in mezzo anche un po’ di roba pesante.
Questi al massimo fumavano un po’ di erba; sapeva
riconoscere le persone che si facevano di qualche cosa. Era stato uno
di loro
fino a poco tempo prima.
Prima che gli venisse la strana idea di accettare
quell’invito, si alzò e si convinse a tornare
verso casa, l’unico luogo dove
era sicuro che non ci fossero tentazioni; se avesse continuato a
girovagare a
caso sarebbe come minimo finito in mezzo a qualche luogo poco consono:
aveva il
fiuto verso i posti malfamati, probabilmente aveva nel sangue quella
vita.
Durante il tragitto iniziò a ripetersi incessantemente di
ricordare: ricordarsi di Yuri, di Boris, di Sergay, di Dana, di tutto
quello
che avevano fatto per lui, del perché fosse lì e
delle promesse che aveva
fatto.
Doveva mantenerle. Doveva trovare la forza di mantenerle.
Lo so, lo so. Mi faccio coinvolgere
troppo dalle
seghe mentali di Kei, ma non ci posso fare nulla. Soprattutto se quello
lì pensa sempre alle stesse cose. Vi giuro che questo
è l'ultimo
capitolo di transizione e che la prossima volta si avranno un
pò
di spunti nuovi e molto più interessanti u.u Questo capitolo non mi
soddisfa granchè in effetti, ma doveva essere fatto! In
fondo neanche quello scorso XD A proposito dello scorso
capitolo..ci
sono delle cose che avrei dovuto scrivere in fondo, ma che mi sono
venute in mente solo leggendo le recensioni..scusate ma sono fusa ^^
rimedio qui ritornando al
Curiosity Time
Abbiamo avuto un bel
dibattito tra
Kei e Hilary che a me
fino all’ultimo non è che convincesse, ma che a
quanto
pare vi ha preso molto e alcuni hanno anche osato apprezzarlo, pericolo
scampato XD
Comunque volevo solo dare un po’ di indicazioni, anche se
ovviamente il modo in cui l’avete percepito, che foste dalla
parte dell’uno o
dell’altra, è giustissimo u.u Premetto che io non la
penso come nessuno dei due.. sono una
via di mezzo e quindi quello che ho scritto è stato frutto
di un ragionamento
sulla personalità dei due personaggi: Hilary è
una ragazza come tante,
intelligente, con una vita normale e, lasciatemi passare il termine,
felice! La
sua visione è quindi quella che potrebbe avere chiunque
nella sua situazione,
né più né meno. Kei, invece, sta uscendo
da un periodo critico, ha vissuto
un’infanzia che si può dire tutto tranne che
normale e spensierata e ha visto e
vissuto cose terribili, di conseguenza vede l’altra parte
della medaglia e
ragiona di conseguenza. Hanno torto entrambi e
nessuno. Ognuno ovviamente si trova
d’accordo più con uno che con l’altro.
Dipende dai singoli. Questo piccolo sermone
era solo per darvi una visione del
perché l’ho scritto e seguendo quale criterio,
immedesimandomi il più possibile
nel personaggio e chiedendomi: se fossi al posto suo come la penserei?
Come
potrei vedere determinate cose? Spero che questo sia
passato almeno un po' O_o Tutto qui..ora potete
tornare a odiare l'uno e l'altro a vostra discrezione! ^^
Ovviamente aspetto con
ansia le vostre recensioni u.u Vi chiedo solo di avere
pazienza ^^ Grazie a tutti, Un bacione :)
Scesero dal pullman con diverse sensazioni: chi era felice,
chi era stanco dal viaggio, chi saltellava euforico e chi stava per
avere una
crisi di nervi per il caldo torrido.
Finalmente erano arrivati a destinazione e la vacanza era ufficialmente
iniziata.
Entrarono nel grande villaggio turistico e si fecero guidare
verso il loro bungalow: veranda, cucinino e due camere, una con un
letto a una
piazza e mezza e l’altra con due letti a castello. Hilary si
prese la camera da
sola, lasciando agli altri al divisione dei restanti posti.
-Pacchiaaaaa!!!- urlò Takao buttandosi su uno dei letti di
sotto. –Vacanza, mare, divertimento, niente Nonno J e ozio
totale!-
Non fece in tempo a mettere in pratica quello che aveva
detto che Hilary prese in mano le redini della situazione.
-Allora, dobbiamo fare un bel po’ di cose.. pulire, mettere
a posto, fare la spesa e..-
-Ma nemmeno siamo arrivati che già fai la maestrina?-
E giù a battibeccare per dieci minuti buoni.
-Chiamami quando hanno finito..- disse Kei a Rei, uscendo a
fumarsi una sigaretta nella veranda.
Quando finalmente tornò il silenzio, dopo la schiacciante
vittoria, Hilary, appoggiata dagli altri ragazzi, decise di dividere i
compiti
per fare prima.
-Chi vuole andare al market?-
Kei, che era appoggiato allo stipite della porta d’entrata,
alzò la mano, seguito a ruota da Max.
Hilary era indecisa se rimanere a tenere d’occhio Takao per
paura che facesse qualche danno o se controllare che Max non comprasse
solo
quelle porcate americane che gli piacevano tanto: valutò che
Rei era capace di
tenere a bada l’amico, mentre su Kei non sapeva se poteva
contare. Non gli
ispirava ancora tanta fiducia, non gli aveva più rivolto la
parola da quel
pomeriggio di due settimane prima, così si unì al
gruppo della spesa cercando
di capire cosa avesse spinto il russo a proporsi così
prontamente.
Ci misero un po’ a orientarsi per il villaggio, ma
riuscirono comunque a trovare il market.
Appena varcarono le porte scorrevoli la temperatura cambiò
improvvisamente e vennero investiti da un ondata di aria fresca che
fece venire
i brividi a Hilary.
Anche Max rabbrividì più del dovuto con un
esclamazione in
inglese che fece ridere la ragazza, mentre Kei sembrava finalmente
rilassarsi.
Che fosse perché sperava nell’aria condizionata
che si era unito al gruppo?
Si avventurarono tra i pochi scaffali. Max propose di
comprare tutto quello che Hilary stava escludendo. Era una lotta
continua su
ogni prodotto, anche se alla fine la ragazza l’aveva vinta,
sia perché non
accettava le proteste dell’amico, sia perché Kei
si rivelò fare scelte
piuttosto sane e le stava dando man forte.
-Ma come fai a mangiare questa roba?- aveva chiesto lui con
la faccia disgustata reggendo in mano una confezione contenente
qualcosa simile
a della carne.
Contenta di trovare un punto d’incontro con Kei
iniziò a
fare la spesa con lui, ignorando Max di gran carriera, ma rimase
comunque un
po’ diffidente, soprattutto quando, mentre prendevano da
bere, lui si bloccò a
guardare interessato il reparto degli alcolici. La faccia chiaramente
contrariata di Hilary lo fece desistere quasi subito dalla tentazione
di prendere
qualcosa, non prima di aver blaterato qualcosa di incomprensibile,
probabilmente in russo.
-Intanto siamo minorenni, non ce lo lascerebbero comprare-
disse lei solenne.
-Riuscirei a farmi spacciare per maggiorenne comunque..-
rispose Kei indifferente.
Hilary fece per ribattere, ma non aveva tutti i torti, lei
per prima lo aveva scambiato per uno studente universitario appena lo
aveva
visto.
L’alchimia creatasi pochi minuti prima si andò a
far
benedire con quelle poche parole; la ragazza non riusciva ad accettare
che Kei
riuscisse ad avere sempre l’ultima parola con tutti e che lei
non fosse mai in
grado di trovare in tempo la giusta risposta.
Max si riuscì a intromettere e infilare nel carrello
qualcosa, approfittando della tensione tra i due e, facendo finta di
niente,
riportò la serenità nel gruppetto. Kei appena
usciti nell’afa si richiuse nel
silenzio più assoluto.
Era metà pomeriggio quando finirono di sistemare tutto e,
solo dopo il via libera di Hilary, si poterono dedicare alla vacanza.
Dal loro bungalow vedevano il mare, quindi nemmeno cinque
minuti ed erano in spiaggia armati di asciugamani e ombrellone. Si
sistemarono sulla
sabbia bollente occupando i metri davanti all’ombrellone e si
diedero al relax
più totale.
-Crema protettiva!- esclamò Hilary.
-Se lo sapevo che sarebbe stata così, non mi sarei portato
la mamma!-
-Takao, farò finta di non averti sentito, per me puoi anche
bruciare sotto il sole, ma non osare lamentarti se stasera stai male!-
La crema iniziò a circolare di mano in mano.
-Kei?- disse Hilary porgendogli il barattolino col sorriso.
-No grazie..-
-Hai intenzione di metterti al sole?- rise Rei vedendolo
armeggiare con l’asciugamano per posizionarlo completamente
in ombra.
-Assolutamente no- disse togliendosi la maglietta e
rimanendo in costume.
Hilary schiacciò troppo forte il flacone di crema,
riempiendosi
la mano, nel guardare di sottecchi ogni movimento del russo. Insomma,
Kei non
era una mostro di simpatia e nemmeno una persona di compagnia, non
ispirava
fiducia ed aveva tutti i difetti che odiava, ma lei era comunque una
ragazza di
sedici anni, in piena estate, sotto il sole cocente e con un metro e
ottanta di
bel pezzo di figo davanti. Cercò di darsi un contegno,
evitando lo sguardo
divertito che Rei le stava riservando.
-Smettila- gli sussurrò, riversandogli la crema in eccesso
sulle spalle, ma lui non la smise di ridacchiare alzando le braccia in
segno di
resa.
Passarono l’ora successiva dedicandosi al dolce far nulla,
Kei ascoltava la musica cercando di non mettere nemmeno un arto al
sole, Hilary
leggeva un libro, mentre Takao e Max commentavano tutte le creature
presenti
sulla spiaggia, dando problemi a Rei che cercava di star serio con
pochi
risultati.
Le creature in questione furono per svariati minuti un
gruppo di ragazze, poco lontane da loro, che erano soggette di
apprezzamenti
alquanto strambi. Non ci volle molto prima che Max partisse alla carica
col suo
insano ottimismo e il suo splendente sorriso; tornò dopo
pochi minuti con poche
informazioni e un racconto molto colorito di quello che evidentemente
non aveva
veramente fatto.
-Beh almeno ora sappiamo i loro nomi!- si vantò lui.
-Ancora un po’ ed evaporo!- Lo interruppe Rei alzandosi e
andando ad occupare una parte dell’amata ombra di uno
scocciatissimo Kei.
-Andiamo a fare il bagno?- disse Takao.
-Ma è la quinta volta, non facevate prima a starvene in
acqua invece che fare avanti e indietro!?- gli fece notare Hilary
abbandonando
finalmente la lettura.
-Continua a fare la secchiona acculturata e non rompere le palle
a noi!- le gridò l’altro correndo verso il mare.
Quando lui e Max tornarono gocciolanti, lo spazio sotto
l’ombra era sempre più affollato e Kei si era
dovuto sedere per farci stare
anche Hilary che si faceva aria col libro chiuso.
-Se fossi venuta a fare il bagno ora non avresti così
caldo!- Takao venne fulminato con gli occhi.
La ragazza, che si era rifugiata all’ombra velocemente,
propose a Kei e Rei di dividersi meglio il piccolo appezzamento al
riparo e li
fece alzare controvoglia per trovare una sistemazione più
comoda.
Unì i loro asciugamani e assegnò i posti
soddisfatta,
osservando Rei risedersi, Kei mettere a posto l’mp3 dandogli
la schiena, e
perdendosi un altro po’ a contemplare il suo fisico, doveva
ammetterlo,
perfetto. Proporzionato, con la muscolatura giusta e la pelle chiara,
un mix
tra oriente e Europa. Il suo punteggio calava decisamente per i
tatuaggi,
troppi per i suoi gusti, e un fattore a sorpresa che non aveva ancora
notato:
una grossa cicatrice sulla schiena, una linea verticale che partiva a
metà
della parte destra del dorso e scendeva per venti centimetri buoni
abbastanza
dritta, ma coi bordi frastagliati.
Assottigliò gli occhi per vederla meglio, curiosa e
intimorita allo stesso tempo.
-Ma che ti sei fatto?- esclamò senza pensarci.
Kei si voltò, capendo dalla traiettoria del suo sguardo a
cosa si riferisse, e la fissò glaciale.
-Un sadico maniaco mi ha conficcato un coltello nella
schiena perché non aveva niente da fare- rispose in un tono
divertito che
metteva i brividi.
Hilary lo guardò accennando un sorriso, ma tornando
immediatamente seria quando il silenzio degli altri e lo sguardo sicuro
di Kei
le fecero intuire che non stesse affatto scherzando.
Strabuzzò gli occhi.
-..scusa.. cioè..- cercava di biascicare lei incerta -.. non
avrei dovuto..-
-La prossima volta così ti fai i cazzi tuoi- la interruppe
lui con uno sguardo di sufficienza.
-Kei..- cercò di rimproverarlo Rei, ma l’altro lo
ignorò e
se ne andò verso il bagnasciuga stiracchiandosi, per poi
entrare in acqua.
Certo Hilary poteva essere meno leggera nel chiedergli della
cicatrice, ma Kei non poteva nemmeno aggredirla in quel modo. Quando
rispondeva
con quel tono faceva venire i brividi, sembrava un gangster, per non
parlare
della sua disumana mancanza di gentilezza.
Rei rimase un attimo interdetto, ma per fortuna sia Max che
Takao avevano come al solito la battuta pronta e cercarono di
stemperare l’aria
e far tornare di buon umore Hilary, offesa per l’ennesima
volta dall’atteggiamento
di Kei.
In ogni caso, nemmeno il cinese aveva mai visto quella
cicatrice pur essendo stato presente nel periodo in cui se
l’era procurata e si era stupito a sua volta:
ovviamente per lui doveva essere fastidioso portare quel segno
indelebile.
Inevitabilmente gli venne in mente una frase che Kei gli aveva detto in
Russia
mesi prima: porto sempre i segni delle
cose brutte che mi succedono, in questo caso delle stronzate che faccio,
che al tempo pensava si riferisse solo ai segni dei buchi, mentre ora
acquistavano un nuovo significato. Doveva essere davvero un peso per
lui,
considerando anche come era accaduto, e le parole dure che aveva usato
erano in
fondo nulla in confronto a quello che aveva dovuto subire lui. Era un ricordo
abbastanza vivido. Era difficile dimenticare quelle 24 ore, 24 ore di
panico
assoluto come non ne aveva mai provato. Sembrava tutto
perfetto, Daitenji aveva calcolato e progettato fino
all’ultima mossa, ma
qualcosa era andato storto, proprio quando ormai tutti erano nel pieno
dell’euforia, accadde. Vorkov non
poteva più inventarsi nulla per sfuggire al suo destino, non
poteva negare
tutte le atrocità che aveva commesso e non poteva
rivendicare più nessun
diritto su tutti quei ragazzi. Non si sapeva
come, però, era riuscito a fuggire e la retata al monastero
aveva visto solo
una serie di volti increduli di fatiscenti monaci immediatamente arrestati e
ragazzi e
bambini liberati. Era subito caccia all’uomo,
l’ultimo suo avvistamento
risaliva a poco più di mezz’ora prima. Ma il
peggio doveva ancora arrivare. I bladebreakers
erano riuniti nel cortile del monastero a osservare la polizia compiere
il suo
lavoro, quando riuscirono a intravedere la chioma rossa di Yuri varcare
una
porta insieme ad altri ragazzi. Lo raggiunsero e, nonostante fosse un
po’
restio, lo convinsero ad accettare di cercare gli altri insieme. In tutta quella
confusione di persone di ogni età ci misero un quarto
d’ora per ritrovare
Sergay e Boris, ma di Kei nessuna traccia. Scattò
l’allarme e le ipotesi
iniziarono a fioccare sempre più preoccupanti: chi aveva
visto Vorkov per
ultimo giurava che fosse da solo, mentre altri testimoniarono di averlo
visto
insieme al ragazzo. Nessuna versione combaciava perché gli
orari non erano
precisi. Così iniziarono le ricerche all’interno
del monastero. Rei, Takao e Max
si divisero con i russi per setacciare la struttura. Il gruppo
formato da Yuri, Boris, Rei e uno dei capi della polizia si diresse
verso i
sotterranei: una serie infinita di corridoi incorniciati da celle. -Tu vai dritto
da questa parte, poi torna indietro, così non ti perderai-
Rei fu mandato da
una parte mentre gli altri si spartivano le altre.
L’agitazione e la
preoccupazione si erano impadronite di lui tanto che non si accorse
nemmeno di
essersi messo a correre; lanciava sguardi veloci all’interno
delle inferriate
sperando di scorgere il volto dell’amico. Lo spettacolo che
aveva davanti,
però, lo faceva stare male; come poteva esistere un posto
del genere? Come
potevano i russi essere cresciuti in quel luogo così ostile? Arrivato alla
fine del corridoio, tornò indietro come gli era stato detto,
fino al punto in
cui si erano divisi e aspettò. Degli altri neanche
l’ombra. Un principio di
attacco di panico lo pervase, ma si fece coraggio per non lasciarsi
sopraffare
dal torpore che gli aveva circondato la testa. Mentre si concentrava
per non crollare,
distinse delle voci poco lontane. Prese un corridoio senza pensarci e
dopo aver
svoltato un angolo, distinse i suoi compagni di ricerche. -E’
impossibile..- diceva Yuri -..abbiamo guardato ovunque!- -Non c’è
altro?-
chiedeva invece il poliziotto. -No, solo
queste..- -Sì invece!- lo
interruppe Boris. -Cosa?- -C’è ancora un
piano!- insistette il ragazzo, all’amico incredulo per quella
notizia. -Com’è
possibile? Dov’è?- -Ci sono stato
poche volte.. mi sembra sia di qui!- E il gruppo
ricominciò a correre seguendo Boris che si lasciava guidare
da ricordi lontani. Arrivarono
davanti a una porta in legno seminascosta. -Ma come..?!-
Yuri si ridestò dalla sua sorpresa riprendendo il controllo
e oltrepassando
quella soglia. Rei li seguiva,
gli sembrava tutto così irreale e impossibile, tanto che
scese lentamente
quella stretta scalinata udendo gli altri che si dividevano nuovamente
in quel
labirinto. Si fermò indeciso sul da farsi, finchè
non sentì Yuri urlare e
richiamarli. -E’ qui!- Rei riprese a
camminare nel corridoio a destra, ma fu superato da Boris e dal
poliziotto che
correndo si infilarono nella cella da cui proveniva la voce del rosso. -Kei.. Kei, mi
senti? Kei!- -Ha perso tanto
sangue.. dobbiamo portarlo su subito.. dobbiamo togliergli
queste..queste cose..
cercate qualcosa per spezzarle..- Il cinese fu
superato nuovamente da Boris di corsa. Non aveva il coraggio di
affacciarsi a
quella cella dopo quello che aveva sentito, ma cercò di
farsi forza e si sporse
all’interno. La luce del neon
che si spegneva e accendeva a intermittenza illuminava Yuri che
accarezzava
nervosamente la testa di Kei e constatava –E’
gelato!- per poi togliersi la
giacca e il maglione per coprire la sua schiena coperta completamente
di
sangue. Indietreggiò
fino ad essere in contatto col muro freddo e umido. Non aveva la forza
di fare
niente se non guardare impotente quella scena a cui non poteva
contribuire
attivamente, nuovamente la testa iniziò a girargli mentre
l’agente che era con
loro intimava il rosso di tenere Kei sveglio, anche se dalle sue
condizioni
sembrava impossibile. Boris tornò dopo
pochi minuti, seguito da un altro poliziotto, e reggeva un martello
pesante
recuperato chissà dove. L’uomo iniziò a
colpire con un rumore sordo le catene
che immobilizzavano Kei. Dopo due colpi a vuoto, il terzo
beccò il ferro e lo
ruppe. Furono diversi i
tentativi di alzare Kei senza fargli male. Rei non capiva
se fosse cosciente o meno, comunque Yuri continuava a parlargli come se
lo
potesse sentire e, quando qualcuno gli toccò la parte
ferita, lo sentì mugolare
dolorante. Tentarono di sorreggerlo in due tenendolo sotto le braccia,
ma poi
optarono per metterlo sulle spalle di uno dei poliziotti che lo
portò di sopra
di corsa. Le ore
successive furono silenziose e caotiche. Poté tirare un
sospiro di sollievo
solo quando Kei riaprì gli occhi ore dopo in ospedale.
La risata dei suoi amici lo risvegliarono da quei ricordi e
lo riportarono al presente.
Il caldo soffocante della spiaggia si era fatto di colpo
piacevole se confrontato a quel ricordo.
Vide Kei tornare verso di loro senza dire una parola o
rivolgere lo sguardo verso Hilary, ancora imbronciata.
L’atmosfera gioiosa si
era nuovamente guastata, così tornarono verso il bungalow.
Avevano deciso per quella sera di mangiare fuori e si
diressero verso il centro del villaggio.
Optarono per il ristorante self service e si misero in coda:
sembrava che tutto il villaggio avesse deciso di mangiare lì
quella sera e
presto si ritrovarono sommersi dalla folla che li trasportava attorno
ai banconi
col cibo. Divisi in più file, Takao e Rei erano riusciti a
rimanere uniti
davanti, Max si era catapultato verso carne e patatine senza pensarci,
mentre
Hilary stava facendo tutto con calma e non lottava nemmeno per passare
come
invece facevano gli altri; sembrava che non vedessero cibo da giorni,
così
presi dall’euforia. Anche lei aveva fame, ma la stanchezza
della lunga giornata
iniziava a farsi sentire.
Individuò i suoi amici sparsi per la sala, ma non
tentò di
raggiungerli, e tantomeno cercò l’unico che
mancava alla sua visuale: quel
pomeriggio le aveva risposto male per l’ennesima volta. Per
non parlare di
quando la guardava in quel modo, sembrava la volesse incenerire con
un’occhiata
e aveva il timore che ne fosse realmente capace. Lei che ne poteva
sapere del
suo passato in fondo; sì, era stata incauta, però
c’era un limite a tutto. Le
venne un brivido ripensando a quegli occhi viola, belli, strani,
misteriosi, ma
che mettevano in soggezione.
Credette che fu il pensarci così intensamente ad averli
fatti apparire davvero davanti a lei, prima di darsi della stupida.
Kei era in coda dietro di lei e la stava guardando
indifferente.
-Qua dietro scalpitano..- disse indicando con la testa la
fila -..sembra che non mangino da sei mesi-
Le stava parlando tranquillamente, col suo solito modo
disinteressato, come se niente fosse stato, ma Hilary era ancora
inalberata per
quel pomeriggio e gli lanciò un’occhiataccia
prendendo il primo piatto che le
capitò sotto mano; cercò di allontanarsi il
più possibile da lui, ma era
obbligata a seguire la coda. Kei la raggiunse tranquillo dopo pochi
secondi
senza accorgersi apparentemente della tentata fuga.
Sospirò stanca, chiudendo gli occhi.
-Hilary..- al pronunciare del suo nome riguardò
l’altro,
notò stranamente che non lo aveva mai sentito pronunciare da
lui e le sembrò strano,
quasi non fosse nemmeno il suo.
-..mi dispiace per oggi, l’averti risposto così..-
Si stava davvero scusando? Ne era capace?
-..è che ero nervoso e mi hai fatto quella domanda nel
momento sbagliato, ovviamente tu non ne puoi sapere niente e quindi
scusa- fece
spallucce e ritornò a concentrarsi sul suo vassoio.
Hilary rimase impietrita, l’aveva detto semplicemente, ma le
sembrò sincero. Probabilmente era stato Rei a chiedergli di
scusarsi. Comunque
non se lo aspettava e tutti i propositi di tenergli il broncio e le
tattiche
studiate per evitarlo, si andarono a far benedire con il sorriso che
gli
riservò.
-Accetto le scuse, in fondo è anche un po’ colpa
mia..- lo
disse più per circostanza e per essere carina.
-Mi rendo conto di essere complicato- ammise lui
tranquillamente.
-Chi non lo è!-
Fecero il resto della coda in silenzio.
Hilary era tornata serena, non essere arrabbiata era molto
meno stancante. Poi finalmente si era tolta un peso dallo stomaco, era
riuscita
a mettere l’ultima parola in un discorso col russo, un
discorso pacifico per
una volta, ma comunque un discorso.
Era un inizio.
Era quasi mezzanotte quando rientrarono. Dopo cena erano
rimasti a guardare lo spettacolo dell’animazione, ma la
stanchezza del viaggio
e della giornata iniziava a farsi sentire ed erano intenzionati ad
andare a
dormire il prima possibile. Avrebbero rimandato le nottate pazze a
quelle
seguenti.
Rei era abbastanza preoccupato per quelle ‘nottate
pazze’,
come le aveva definite Max, perché non sapeva cosa
aspettarsi. Comunque quella
non lo sarebbe stata di certo guardando le facce dei suoi amici. Hilary
soprattutto era seria da tutta la sera e abbastanza spenta.
Probabilmente era ancora arrabbiata con Kei; conoscendola
aveva capito che era molto permalosa, anche se solo con loro,
perché ci teneva
al loro rapporto. Spesso alcune litigate con Takao, di quelle non
giocose, la
facevano stare male per giorni.
Le si avvicinò nella veranda e si accomodò sulla
sedia a
fianco a quella dove si era buttata lei.
-Senti Hila, per quanto riguarda oggi pomeriggio con Kei,
sai, lui è fatto così, ma in fondo è
buono..- sapeva come potesse stare male il
russo quando si toccavano certi argomenti, ma questo non lo
giustificava
-..solo che bisogna capirlo..-
-Tranquillo..- lo bloccò lei -..si è scusato
prima, è tutto
a posto!-
-Si è scusato?-
-Sì..- disse lei confusa -..pensavo gli avessi chiesto te di
farlo!-
-Io non gli ho parlato..-
-Allora è davvero meglio di quello che pensavo-
Sorrisero.
-Sono stanca morta.. devo assolutamente dormire, voi uomini
forti vedete di non russare se no mi vendico..-
-Io non russo!- si inserì Takao che era appena uscito in
pigiama.
-Sì che russi!- disse Rei.
-Ma non è vero!-
-Perché tu non ti senti..- -Come siete noiosi!-
Si prepararono e presto il silenzio si appropriò della
casetta.
Vi avevo
promesso qualcosa di diverso dalle solite turbe mentali del nostro
complessato preferito..beh all'incirca missione compiuta! ^^
La domanda è: vi ha soddisfatto!? :O
Ho paura di ricevere minacce omicide..o è solo una mia
paranoia u.u
Coooomunque..nemmeno a farlo apposta è iniziato il caldo nel
periodo in cui i nostri eroi se ne vanno al mare *.* che invidia!
Estate ti sto aspettando!
Ovviamente Kei non riesce a gioire della sua fortuna (ce lo vedo
lì in spiaggia a lanciare coriandoli -.-) e fa sempre il
guasta feste! Bisogna tenerselo così, che ci dobbiamo fare!?
Intanto ce ne hanno ancora per una settimana piena piena..e siamo solo
al giorno 1..preparatevi! ^^
Uh questo è il capitolo 17, il mio primo capitolo 17 :O che
cosa tenera..nell'altra fic ero arrivata al 16, mentre qui son solo
all'inizio! ^^ bene bene..lo so che sono esaltata solo io, ma sapete
com'è..la pazzia degenera!
Vabbè..mentre il raffreddore mi attanaglia vi saluto!
Grazie come sempre a tutti quanti ^^
Commentate pure..non vi mangio!
Un bacione :)
-Tu! Me la pagherai!- -Signore abbiamo
poco
tempo..- -NO!- Freddo, luce,
ombra,
luce, ombra, caldo, luce, ombra, freddo. -Addio..- Spalancò
gli occhi di soprassalto, col respiro affannato. Stava sudando,
per il sogno e per il caldo, e sentiva
mancare l’aria. La stanza si delineò lentamente ai
suoi occhi e il suono del
mare in lontananza e del russare di qualcuno lo fecero tranquillizzare
rispetto
al posto dove si trovava. Scese dal
letto a castello cercando di non svegliare Max che
dormiva sotto di lui. Si
sentì a posto solo quando raggiunse la veranda e un
venticello fresco gli scompigliò i capelli. Accese una
sigaretta per calmare i nervi tesi,
tranquillizzandosi mentalmente. Fece per
tornare nella stanza, ma si convinse di non aver
sonno, per non ammettere di non volersi riaddormentare e rischiare
qualche
altro brutto sogno. Infilò una canotta e si
avventurò nella pineta nel silenzio
assoluto. Il display del suo cellulare segnava quasi le cinque del
mattino. Andò
in uno dei bagni comuni del villaggio e si sciacquò la
faccia osservando il proprio riflesso nello specchio sopra il lavabo,
imprecò
contro se stesso per quell’ennesimo momento di debolezza. Basta
compatirsi, basta pensare al passato. Più se lo
ripeteva, meno lo metteva in pratica. Ricominciò
a camminare fino ad arrivare in spiaggia. Si sedette sul
bagnasciuga dove il vento era più forte e
piacevole. Guardandosi
intorno notò in lontananza un gruppetto di
asciugamani e sacchi a pelo attorno ai rimasugli di un falò,
ma nessun
movimento da parte dei ragazzi addormentati. Si
riconcentrò sull’orizzonte cercando di non pensare
al
sogno che lo aveva svegliato, o meglio al ricordo. Dov’erano
quei famosi viaggi
dell’inconscio in immagini inesistenti e impossibili, con
facce sconosciute e
luoghi sottosopra? Perché lui non faceva altro che sognare
cose accadute,
perfettamente visibili e, almeno per lui, quasi palpabili? Era inutile
combattere. Intanto non cambiava nulla. Doveva
accettare che non ci fosse via d’uscita, che Yuri si fosse
sbagliato su tutto,
che lui non era altro che una causa persa che era scappato alla morte
troppe
volte inutilmente, che non aveva senso opporsi a quello che era: un
complesso
di problemi e disgrazie. Non sapeva cosa
sarebbe successo, ma sicuramente non sarebbe stato qualcosa di
piacevole,
almeno non per lui. Sapeva che quello a divertirsi sarebbe stato
Vorkov,
considerando che possedeva una dose piuttosto eccessiva di sadismo.
Nonostante
questo la sua espressione non era per nulla divertita come le altre
volte che
si apprestava a fargli passare ore d’inferno. Tutto perché
l’uomo era consapevole che quella sarebbe stata la sua fine,
l’aveva sentito
parlare con le altre guardie e lo aveva visto in collera come non mai.
Urlare
al telefono e radunare scartoffie e oggetti, alcuni infilandoli in una
borsa
altri distruggendoli nel camino. Dopo lo aveva
preso per un braccio e, con la sua solita grazia e cura, se lo era
trascinato
dietro per tutti i corridoi del monastero silenzioso. Non
tentò nemmeno di reprimere quel ricordo. Era riaffiorato
all’improvviso quella
notte per perseguitarlo, almeno che lo facesse fino in fondo. Non aveva
intenzione di opporsi. Era primo
pomeriggio. L’ora in cui tutti i ragazzi, dopo aver mangiato,
riprendevano i
loro allenamenti e si chiudevano nella grandi stanze; i ritardi erano
rarissimi
e tanto meno le assenze, perché questo avrebbe procurato una
punizione coi
fiocchi. Sembrava un
pomeriggio come gli altri, col sole che scioglieva gli ultimi rimasugli
di neve
nel cortile; ma nascondeva la fine di quel grande impero, anche se
pochi ne
erano a conoscenza. Il piano di
Daitenji per incastrare Vorkov e suo nonno stava andando in porto, ma
probabilmente avevano ignorato un piccolo particolare: il monastero
aveva
diversi infiltrati tra i “buoni” che non erano
ancora stati scoperti: ergo, lui
era ancora nelle mani di quel pazzo che, invece che scappare subito,
aveva
altro in mente. Li seguivano due
dei più stretti collaboratori di Vorkov, alquanto agitati.
Si diressero verso
le scale che portavano alle celle sotterranee; era da un po’
che non ci andava,
non aveva più dato nessuna occasione a quel pazzo per
farcisi mettere, peccato che i bei
tempi sembravano essere finiti. Non si fermarono e
oltrepassarono ancora
una serie di stretti corridoi circondati da sbarre e arrivarono ad una
piccola
porta di legno che non ricordava di aver mai notato perché
nascosta in un
angolo buio. Dietro la porta,
un’altra scalinata, più stretta delle altre, che
portava in un ulteriore
corridoio dove non era mai sceso. Si
sdraiò nell’oscurità, sulla sabbia
umida. Si raggomitolò su un lato chiudendo
gli occhi. Il respiro pesante e notevoli difficoltà a
mantenere la calma. Tutti i
sotterranei erano illuminati da una serie di luci al neon sporche e
opache, che
garantivano solo la visuale strettamente necessaria. In quel
sotterraneo
dimenticato da tutti, Kei si sentì strattonare ancora una
volta per il braccio
sinistro, che ormai era dolorante per la presa ferrea di Vorkov, che
non lo
aveva lasciato per un momento. Prima ancora di realizzare quello che
stesse
realmente accadendo, sentì i polsi impesantirsi a causa
delle grosse catene che
lo imprigionarono. Ancora uno strattone e si ritrovò a
ridosso del muro; per
non cadere si tenne alla parete goffamente a causa delle mani legate
insieme. Si voltò giusto
in tempo per essere colpito da uno schiaffo in pieno viso. Di nuovo si
girò,
ritrovandosi a pochi centimetri da Vorkov. La sua espressione era
inquietante.
Rabbia cieca era ben visibile in quegli occhi, rabbia che sarebbe stata
sfogata
su di lui da lì a poco. Da quando
potesse ricordare, invece delle carezze aveva sempre ricevuto botte,
quindi non
lo spaventava, né lo stupiva, poter essere picchiato, ma,
mentre in passato era
sempre stato certo che ad un certo punto l’uomo si sarebbe
fermato, in quel
momento non ne era così sicuro. In fondo era un uomo che
stava perdendo tutto e
lui non era più indispensabile, anzi probabilmente era un
peso. Cercò
di far entrare l’aria anche dalla bocca in preda a quello che
sapeva essere un
attacco di panico in piena regola. -Tu! Me la
pagherai!- le parole di Vorkov diedero conferma ai suoi pensieri. -Signore,
abbiamo poco tempo..- tentò una delle guardie che continuava
a guardarsi
intorno preoccupato, come se potesse irrompere qualcuno da un momento
all’altro. -NO!- urlò
Vorkov adirato, non staccando lo sguardo dagli occhi di Kei
–Ce ne andremo, ma
non prima che questo bastardo paghi!- la sua voce diventò un
sibilo –Sarai il
mio messaggio per il caro Daitenji.. sai, mi dispiace non poterti
portare con
me, saresti un perfetto..mmm, sì, un perfetto passatempo..-
Si era avvicinato
tanto da sussurrarglielo nell’orecchio, per poi tornare
indietro impassibile
-..ma non si può avere tutto.. Radomir!- Allungò una mano
verso uno dei due uomini. Poi accaddero tante cose in fretta. Kei aveva fatto
in tempo a vedere l’oggetto che l’uomo
afferrò, solo pochi istanti prima di
sentire come una linea infuocata sul petto, essere girato e sentire di
nuovo
quella sensazione sulla schiena, più e più volte.
Dopo un certo numero di
frustate, i suoi ricordi iniziavano a vacillare, non tanto
perché i suoi sensi
risentissero di quel trattamento, ma molto più probabilmente
come risposta
della sua mente a quello che venne dopo. Una sorta di difesa. Ricordava solo
sensazioni, piccoli flash. La pietra fredda a contatto con le sue mani,
la luce
a intermittenza del neon difettoso. La schiena in fiamme sotto i colpi
irregolari e decisi della verga, l’appannamento degli occhi.Le voci confuse dei due
spettatori e quella
più chiara del suo carnefice. Ancora buio e dolore, poi
quando il peggio sembrava
passato e l’arma insanguinata venne lasciata cadere, ecco il
male peggiore, ma
sempre più familiare, un male che teneva sempre nascosto
nella parte più
lontana della sua mente, ben protetto e chiuso lontano da sguardi
indiscreti.
Perché oltre a male era anche vergogna e pena e
frustrazione, piacere che è più
doloroso del male stesso. E poi parole fredde come la pietra
–Se non ti posso
avere io, non ti avrà nessun altro!- e taglienti come la
lama che sentì
conficcarsi lenta nella sua carne. Ancora una risata, un
–Addio- e dei passi
svelti, il braccio che fino a poco prima lo avvolgeva e lo teneva
stretto
scomparì, lasciando che la forza di gravità lo
schiacciasse a terra. Da lì la
realtà
e il sogno erano divise da una linea sottile e fragile. Prima silenzio
e vuoto.
Un tempo indefinito. Poi voci e volti, difficile dire cosa si fosse
immaginato
e cosa invece esistesse davvero in quel momento. Yuri, Rei, Boris,
facce
sconosciute, voci che chiamavano il suo nome, suoni acuti e
chissà che altro. Le poche
certezze arrivarono ore dopo, quando si risvegliò sdraiato
in un letto
d’ospedale. Respirava a
fatica ed era visibilmente scosso. Si portò le
mani davanti agli occhi, convincendosi a calmarsi. Per non provare
più
commiserazione per se stesso. Si prese tutto il tempo necessario e
provò a
pensare a qualcosa di positivo: ben poche cose gli vennero in aiuto, ma
lentamente si tranquillizzò. Si
girò sulla schiena e osservò il cielo
rischiararsi
lentamente, a tempo con il suo battito che tornava normale. Il blu
scuro fece
spazio al celeste, liberandosi delle stelle e accogliendo i colori
caldi del
sole che si stava annunciando. Rimase a
osservare l’alba accendendo una sigaretta e
mettendosi seduto. Alla seconda
stecca poteva considerarsi relativamente calmo.
Almeno così gli sembrava, ma non poteva sapere se
esteriormente avesse la
stessa sicurezza. Cercò di capirlo mentre una persona del
gruppetto del falò si
era alzata e si stava dirigendo verso di lui. Era una
ragazza, probabilmente della sua età, molto carina,
capelli scuri legati in una coda e la frangetta lunga e liscia poco
sopra gli
occhi. Portava degli shorts e una felpa di qualche taglia
più grande. -Ciao, scusa
se ti disturbo, ma non è che avresti una
sigaretta?- gli chiese lei col sorriso. Kei
annuì e gliene porse una. Lei si inginocchiò a
pochi
centimetri e si lasciò accendere la sigaretta da lui. -Grazie mille,
sei il mio salvatore! Comunque, mi chiamo
Tsuya, molto piacere!- Il ragazzo
cercò di ricordarsi perché quel nome gli fosse
familiare e si presentò, stringendo la mano che gli aveva
porto. -Kei- Tsuya lo
guardò incuriosita, probabilmente valutando se
parlargli o meno. -Sei
l’amico del biondino giusto?- Kei si chiese
come lo conoscesse, poi capì che quel nome
l’aveva sentito il pomeriggio prima, da Max di ritorno dalla
sua missione di
conquista. -Mmm..sì..- -Sarete in
spiaggia anche oggi allora?- -Probabilmente- -Bene..
così potrò restituirti il favore!-
esclamò
sorridendogli in modo strano. Che poi molto strano non era,
più che altro
poteva considerarlo interessato. -Perfetto- -Grazie
ancora!- sorrise e fece l’occhiolino, prima di
raggiungere il gruppo dei suoi amici che pian piano si stavano
svegliando. Kei spense la
sigaretta e si massaggiò le tempie, prima di
dirigersi verso il bungalow. Per fortuna nessuno aveva notato la sua
mancanza,
infatti dormivano ancora tutti della grossa. Più
tranquillo di poche ore prima, si coricò e prese sonno
quasi subito. -Svegliaaaaa..il
sole è alto, la temperatura è calda e
c’è
un mondo là fuori che ci sta aspettandooooo!- La voce
squillante di Max poteva fare invidia a qualsiasi dj
dei programmi radiofonici della mattina. -Ancora cinque
minuti!- biascicò Takao, che dovette però
arrendersi all’entusiasmo dell’amico. Dieci minuti
ed erano tutti in piedi tranne Kei che non
accennava a volersi alzare. Rei
fermò i tentativi del biondo di tirarlo giù dal
letto.
Aveva notato che durante la notte, non sapeva bene per che ora, si era
alzato e
voleva lasciarlo un po’ tranquillo. Takao,
però, sfuggì al suo controllo e salì
qualche piolo
della scaletta del letto, sporgendosi verso il ragazzo che gli dava la
schiena.
Con l’espressione in evidente sforzo per compiere il suo
piano diabolico,
allungò la mano che brandiva il dentifricio. -Aaaah- Takao
urlò spaventato quando Kei afferrò il suo
polso prontamente, prima che potesse compiere un gesto di cui si
sarebbe
pentito amaramente. -Vai ad
ingozzarti e lasciami in pace- disse il russo
mollandolo e accomodandosi meglio sul cuscino. -Io non mi
ingozzo!- -Non rompere- -Scorbutico!- Takao
ritornò sui suoi passi sconfitto, mentre Rei e Max
ridevano di gusto. Fecero
colazione e, come aveva previsto Kei, Takao mangiò
per mezz’ora, tanto che alla fine il russo era pronto prima
del giapponese. -Certo che non
ti si può nemmeno fare uno scherzetto eh!- lo
incalzò Takao mentre andavano verso la spiaggia. -No, non puoi- -Ma che noia..- -Pensa io- -Che vorresti
dire?- -Che sei
noioso- -Io? Ha
parlato mister ‘la festa è qui’- -E questo che
vorrebbe dire?- Continuarono
finché Hilary non diede il cambio a Kei, non
lasciando possibilità di replica a Takao. Sistemarono
tutta la loro roba come il giorno prima e si
apprestarono a godersi il sole. Takao, Max e
Rei corsero subito in acqua accaldati. -Kei, stavo
pensando..- disse Hilary avvicinandosi
cautamente all’altro -..che a quella cicatrice non fa molto
bene il sole..
anche se non sei direttamente esposto!- La ragazza si
era riproposta di essere gentile con Kei e di
comportarsi con lui come con chiunque altro del gruppo. Lui la
guardò confuso
aspettando che continuasse. -Quando mia
madre è stata operata si metteva sempre
questa..- e indicò un flacone di crema, quella che sembrava
la sua nuova fissa,
con una protezione molto alta -..se vuoi te la passo!- Gli sorrise e,
al suo cenno indifferente, si sedette a gambe
incrociate dietro di lui. Prese
l’unguento e iniziò a spalmarlo su tutta la
lunghezza
della vecchia ferita cercando di farlo assorbire dalla pelle. -Che state
facendo?- chiese Rei confuso rimettendosi sul suo
asciugamano. -Crema!-
rispose lei concentrata. -Ma sei
fissata davvero!- Hilary gli
fece la linguaccia, ma visto che l’altro
continuava a ridacchiare gli chiese cosa ci fosse di divertente. -La sua
faccia!- disse indicando Kei. In effetti, il
russo aveva gli occhi chiusi e l’espressione
beata. -C’è
il massaggio incorporato- si giustificò, guardando di
sottecchi il cinese. La ragazza
appena sentita quella frase, eliminò il contatto
con la schiena di Kei e spalancò la bocca imbarazzata. -Ma era un
complimento..- disse Kei contrariato per la
repentina interruzione. -E pensare che
Takao le dice che ha la delicatezza di uno
scaricatore di porto!- rise Rei. -Ma Takao
è stupido.. non fa testo- -Questo glielo
dovresti dire!- esclamò compiaciuta Hilary. -Solo se
ricominci- Un
po’ per la novità di aver ricevuto dei complimenti
e un
po’ per la speranza di limare i rapporti,
ricominciò il suo massaggio, questa
volta con più impegno e il reale intento di farlo. Fece scorrere
le mani su tutta la sua spina dorsale,
risalendo fino al collo e deviare sulle spalle, ignorando
l’espressione
divertita di Rei. -Sei
rigidissimo!- Ricevette solo
un mugolio in risposta e si concentrò sul
modo migliore per sbloccargli il collo rigido. Kei assecondava passivo
ogni suo
movimento e si lasciava plasmare. Hilary
arrossì lievemente quando realizzò di essere a
pochissimi centimetri dalla sua ampia schiena, sulla quale poteva
vedere la
forma di ogni muscolo ben delineata e sentire il profumo della sua
pelle. -Scoperei con
te in questo momento- L’uscita
del ragazzo fece andare in tilt Hilary del tutto,
che si spostò velocemente da quella piacevole posizione e
divenne completamente
rossa. Anche Rei
aveva alzato la testa con espressione
indecifrabile, mentre Kei sogghignava. -Calma,
calma.. scherzo!- disse, aspettando che i battiti
della ragazza si ristabilissero -..anche se..- Si
fermò prima che la faccia sconvolta di Hilary assumesse
livelli troppo alti. Rei rise per
stemperare la situazione. -Davvero,
tranquilla.. e grazie del massaggio- Ci volle tutta
la sua buona volontà per ritornare a
respirare e a muoversi e tentò di sembrare contrariata per
quell’uscita, ma
l’imbarazzo era troppo per poter reagire. Non era abituata a
proposte del
genere, tanto meno fatte così su due piedi e tanto meno
mentre contemplava
affascinata la schiena del ragazzo in questione. Nelle due ore
successive tentò di limitare il contatto
visivo con Kei, dissimulando il nervosismo: per fortuna Takao era
sempre pronto
a punzecchiarla e lei non gli era mai stata tanto grata per quello. Aveva sentito
Rei commentare un –Non sei stato molto carino-
e si sforzò per sentire la risposta dell’altro che
era qualcosa simile a un
–Giapponesi- detto con un velato disprezzo. Hilary non
sapeva come fosse abituato in quel paese
dall’altra parte del mondo, ma sapeva che pochi in Giappone
avrebbero osato
scherzare a quel modo. Il peggio era che non era stato così
spiacevole come
poi, riflettendoci, l’aveva giudicato. Il problema risiedeva
nel fatto che Kei
fosse così prestante, così dannatamente bello:
perché un corpo così non
apparteneva a uno come Rei?! -Domani cosa
facciamo?- chiese Rei al gruppo. -Non veniamo
in spiaggia?- rispose genuinamente Takao. -Ma potremmo
fare qualcosa di diverso ogni tanto..- -Tipo?- -Non so,
chiedevo a voi.. tipo si potrebbe provare ad andare
in qualche altra spiaggia o a vedere il posto..
c’è un parco naturale poco
lontano!- -Camminare?!- -Takao devi
farti il fisico se vuoi conquistare qualche
donzella!- si intromise Max. -Quando fai
così mi ricordi quell’italiano da strapazzo..
com’è che si chiamava?- -Oh my gosh
no! Come osi.. io sono molto più simpatico!- -Su questo non
ci piove! Vi ricordate come si vantava! Che odio!- -Era
impagabile la sua espressione quando la ragazza con cui
ci provava al torneo non aveva occhi che per Kei!- -Ahah..
è vero!- Risero e
rivangarono i vecchi tempi come un branco di
pensionati, mentre intorno a loro alcune famiglie se ne andavano per
pranzare e
altri arrivavano. Hilary vide le
tre ragazze che avevano adocchiato il giorno
prima Max e Takao avvicinarsi e posizionarsi poco lontano, questa volta
non
erano sole, ma accompagnate da altri ragazzi. Non riusciva a
concepire la mentalità che portava ad
arrivare in spiaggia con i capelli stiratissimi e tutte in tiro, manco
dovessero andare a una sfilata di moda. Ringraziò
mentalmente se stessa di essere una ragazza
semplice. Tentò
di reinserirsi nella discussione dei suoi amici, ma
questa venne interrotta da un –ciao- allegro. La
più alta delle tre si era avvicinata a loro sorridente e
li aveva salutati per poi concentrarsi esclusivamente su Kei. -Ciao Kei..
ecco come promesso!- aggiunse lei porgendogli
una delle due sigarette che aveva in mano. Ecco
un’altra spasimante: da quando si era unito al loro
gruppo, Kei aveva attirato uno sciame di femmine che, per il loro
standard
abituale, era difficile da gestire, e questa era una delle tante. Solo
una cosa
la differenziava, infatti conosceva il suo nome. Il perché
era sconosciuto,
anche se sembrava che fosse in debito con lui di una sigaretta. -Così
siamo pari!- disse avvicinandolo per accendergli la
stecca. Hilary si
convinse di aver perso fin troppo tempo ad
analizzare la situazione e si sarebbe volentieri soffermata su altro se
la
suddetta ragazza non si fosse accomodata sull’asciugamano di
Kei e se Takao,
Max e Rei non si fossero imbambolati a guardare stupefatti la scena. Maschi.
Bastava un po’ di cromosoma xx per mandarli in brodo
di giuggiole. Tsuya,
così si era presentata finalmente, si mise a
chiacchierare e fece abboccare immediatamente tutti e quattro i
ragazzi,
persino Kei sembrava star spiccicando qualche parola. Sempre
più incredibile. Fu, per
Hilary, la sigaretta più lunga dell’universo.
Quando
finalmente buttarono le cicche e Tsuya si decise a congedarsi,
tirò un sospiro
di sollievo. -Voi avete
già mangiato?- -No, ma
abbiamo la roba pronta qui!- rispose vivacemente
Max. -Io e gli
altri andiamo al bar.. poi nel pomeriggio abbiamo
affittato il campo da beach volley.. se volete unirvi! Più
siamo, meglio è!- e
fece l’occhiolino. Aveva
realmente fatto l’occhiolino. Hilary non poteva
capacitarsene, quello era addescaggio bello e buono e quei beoti ci
stavano
cascando in pieno, tanto è vero che accolsero la proposta
con parecchio
entusiasmo. Le
sembrò anche di scorgerla gesticolare vittoriosa con le
sue due amiche quando le ebbe raggiunte, ma preferì prestare
attenzione al
dramma che si stava consumando di fianco a lei. -Dimmi il tuo
segreto! Insegnami!- Max, da bravo pazzo
visionario, aveva messo su la modalità venerazione,
guardando un confuso Kei. Almeno uno di
loro si stava rendendo conto del degenero. O
meglio così le sembrò di primo acchito. Peccato che
non aveva calcolato che anche Kei, nonostante la
maturità, fosse uomo e probabilmente ragionasse come tutti
gli altri. Il ragazzo
pescò nella tasca dei jeans e estrasse l’ennesima
sigaretta e l’immancabile accendino, solo che, invece di
accendersela come al
solito, la porse a Max. -E’
il metodo più banale per attaccar bottone, ma comunque
il più efficace- Max
osservò la sigaretta, poi Kei, poi la sigaretta, ancora
Kei e allungò la mano. -Non ci
provare!- esclamò Hilary –Ok che hai
l’ormone
impazzito, ma non vorrai mica iniziare a
fumare!- -Hilary..- le
rivolse il suo sguardo puro e cristallino -..è
per una buona causa!- e afferrò la sigaretta. -Ma..- -Come si fa?- -Non mi sembra
una buona idea!- aggiunse Rei. -Dai, che
costa provare.. mica prendo il vizio!- -Dicono tutti
così!- -Vabbè
quando avete deciso avvertitemi- disse Kei riprendendo e
accendendosi la sigaretta che aveva offerto. -No no, ci
sono.. lesson number one!- Il russo
passò la sigaretta a Max che la prese tra le dita e
la portò alle labbra, alzando lo sguardo incerto. -Tira il fumo- Max
eseguì e, senza scomporsi, fece uscire il fumo dalla
bocca con aria vittoriosa. -Facile!- Kei lo
guardò male –Così hai solo sprecato un
tiro- -Ah- -Devi
aspirarlo, come quando respiri con la bocca, deve
andare giù fino ai polmoni- Ci vollero
diversi tentativi prima che il biondo iniziasse a
tossire ininterrottamente. -Ecco fatto-
concluse Kei recuperando quello che rimaneva
della sigaretta per finirla. -Ma come
cavolo fai? E’ tremendo!- Il russo
rispose con un’alzata di spalle indifferente. -Voglio
provare anche io!- si intromise Takao che aveva
osservato stranamente in silenzio. -Assolutamente
no!- cercò di riprendere il controllo Hilary.
La situazione stava lentamente degenerando e lei aveva il compito di
mettere il
freno a quella pazzia. -Il fumo fa
male!- -Allora fai
smettere anche lui!- L’occhiata
gelida di Kei fu abbastanza eloquente da farlo
desistere, manco fosse stata una minaccia di morte per
quell’ultima frase. -Certo che
prendere lezioni da uno come te su come si
socializza sembra una barzelletta!- aggiunse Takao offeso. -Intanto
è venuta da me e non da te- lo spense il russo. -Maschi..-
sussurrò Hilary raccapricciata da quella
situazione.
Bene
bene..che abbiamo
qui?! Kei ha
completato le parti mancanti del ricordo dello scorso capitolo e si fa
venire gli attacchi di panico -.- un caso disperato..
Almeno si consola interagendo finalmente! Allora è un
pò umano anche lui..beh non illudetevi troppo u.u
Vabbè come al solito non so quanto possa interessarvi, ma
volevo
linkarvi un'immaginina..dove potete vedere il tatoo di Kei..quello
grosso e di cattivo gusto XD
http://img685.imageshack.us/i/dsc02644v.jpg/
sperando che si veda!
Sarebbe da collocare nella parte iniziale, quando esce in veranda dopo
il brutto sogno!
Un ringraziamento enoooorme a tutti quelli che recensiscono e che mi
hanno fatto arrivare a 100 recensioni..bene, fatto questo non fermatevi
ovviamente! Intanto la fic è diventata maggiorenne con
questo e
farà in tempo a raggiungere la mezza età mi sa
tanto XD
voi non demoralizzatevi e non arrendetevi mi raccomando! u.u
Ringrazio anche tutti quelli che se la leggono tranzolli senza
commentare ;)
Un bacione :)
ps: ho avuto qualche problema con l'html -.- scusatemi..mi è andata persa la versione più corretta e per ora non ho il tempo di rimettermici per bene! Spero non accada mai più!
Il pomeriggio lo passarono comunque tutti insieme. Avevano
formato un unico grande gruppo.
Gli amici di
Tsuya erano Kanko, Ichizo, Hiroji, Masao e le
due ragazze che Max aveva già avuto il piacere di conoscere,
Rika e Yuki. Kei
rinunciò a ricordarsi tutti quei nomi: se c’era
una cosa
che gli mancava, questa era proprio la memoria per i nomi. Non riusciva
a memorizzarli,
ma in ogni caso era sicuro che non avrebbe avuto bisogno di chiamare
chiunque di
loro. Non gli interessava minimamente. La partita di
beach volley si era trasformata presto in una
mini battaglia tra città, Tokyo contro Sapporo, vinta dopo
tre set
combattutissimi da Takao e gli altri. Dopo la
faticaccia della partita, fecero un bagno in mare
tutti insieme per poi darsi appuntamento quella sera dopo cena. -Rika
è mia!- esordì Max sorridente. -Ehi!- -Sorry Takao!
Ormai l’ho detto prima io!- -Ma..
è l’unica libera!- -Ah
sì?- si inserì Rei. -Sì,
Yuki sta con quello bassino, col costume verde- disse
Takao sconfortato. Continuarono a
discutere sulle loro nuove conoscenze mentre
si preparavano per andare a farsi la doccia nei bagni comuni. Hilary si
divise da loro per entrare nella parte femminile,
felice di allontanarsi finalmente da quei discorsi così
senza senso, mentre gli
altri si infilarono nelle cabine doccia dall’altro lato
dell’edificio. Quando Kei
finì, cercò di capire se gli altri fossero
già
andati, ma non riuscendo a dedurlo uscì con calma, scendendo
i pochi scalini
che rialzavano la struttura. -Hey!
Già finito?- lo fermò una voce femminile. Annuì
girandosi e guardando la ragazza che, avvolta in un
grosso asciugamano, si spazzolava i capelli bagnati. Tsuya si
appoggiò alla
parete del bagno e gli sorrise. Kei
riflettè un attimo, prima di prendere la decisione di
risalire i gradini per mettersi accanto a lei, col fianco sinistro al
muro. -Allora ti sei
divertito oggi?- gli chiese sempre sorridendo
maliziosamente. -Mmm..- -Certo che
riuscire a farti parlare è davvero complicato!- -Me lo dicono
spesso- -Non fatico a
crederlo.. ti avverto che gli altri ragazzi
presto vorranno una rivincita!- -Se non
abbiamo niente di meglio da fare- -Ti svelo un
segreto..- e si avvicinò di qualche centimetro
verso il suo orecchio -..io tenevo per te!- -E come mai?-
chiese lui guardandola negli occhi con finta ingenuità. -Speravo che
vincendo saresti stato di buon umore!- abbassò
un secondo lo sguardo da quegli occhi magnetici per poi rituffarcisi
dentro –Ha
funzionato?- -Sei sulla
buona strada- Ormai erano
vicinissimi. -Ci vediamo
stasera- le disse Kei, per poi prenderle il mento
con la mano e dandole un bacio sulla guancia. La guardò
ancora un secondo,
prima di andarsene e lasciarla a calcolare mentalmente la distanza tra
il
punto in cui le aveva dato il bacio e l’angolo della sua
bocca. Era
relativamente breve. Il sole stava
tramontando lentamente mentre Kei varcava la
porta del bungalow. Si vestì e si andò a sedere
in veranda a fumarsi una sigaretta.
Erano arrivati
solo Takao e Hilary intenti, caso strano, a
battibeccare. Per fortuna finirono con poche battute e la ragazza si
sedette poco lontano dal russo. Kei sentendosi
fissato, incrociò il suo sguardo concentrato. -Cosa
c’è?- -Guardavo i
tuoi occhi.. cambiano sempre!- rispose lei
calma. Probabilmente stava ancora cercando di trovare un contatto con
lui –Con
questa luce sono viola chiarissimo.. l’altro giorno erano
quasi rossi!- Il ragazzo non
sapeva che rispondere, non era una domanda,
ma una semplice constatazione: quello che i comuni mortali chiamano una
conversazione. Ma lui, da bravo alieno, non voleva e non riusciva a
trovare una
risposta. -Oh.. ora
hanno il contorno rossastro!- disse lei per
interrompere il silenzio surreale. Per scorgere
quel dettaglio si era avvicinata
pericolosamente a lui. -Lo fanno
sempre!- -Oh quindi
è una cosa normale.. all’inizio pensavo portassi
le lenti a contatto!- -No- Max
arrivò a colmare l’ennesimo silenzio col suo
entusiasmo
e il suo piano di conquista per quella sera, che elencò a
Takao. Che gli stesse
dietro, se la sarebbe data anche un cieco. Il
punto era decidere se darle corda oppure no. Kei cercò di
pensare agli aspetti
positivi e a quelli negativi. I pro erano
che Tsuya era una bellissima ragazza, con un bel
corpo e, molto probabilmente, gliel’avrebbe data senza
battere ciglio. Poteva
considerarli ottimi aspetti positivi, che sopperivano tranquillamente
il
rischio che lei volesse qualcosa di più, che diventasse
appiccicosa e quelle
cose lì. In effetti, la
scelta fu piuttosto semplice e si lasciò
guidare dal suo istinto maschile. Gli serviva
proprio qualche distrazione dai mille pensieri
che lo tormentavano. Quel metodo
era sicuramente in quel momento il più piacevole
e fattibile e pensò che, se fosse stato a Mosca, sicuramente
avrebbe trovato
l’appoggio di Boris. Lui e Tsuya
erano seduti con il resto del gruppo nei
tavolini della piazza principale del villaggio; l’animazione
aveva appena
finito il suo spettacolo e avevano dato il via al pianobar. Ripensando a
Boris, a Kei venne un improvvisa voglia di bere
e si chiese divertito il motivo. Guardò
scettico le bottiglie sparse al loro tavolo:
pochissimi alcolici. -Dove vai?-
gli chiese Rei vedendolo alzarsi. -A prendere da
bere- evitò di specificare cosa. -Ti
accompagno!- esclamò Tsuya andandogli dietro dopo aver
fatto l’occhiolino alle sue due amiche. Si diressero
verso il bar dall’altra parte della piazza
evitando le coppie che stavano ballando. Kei notò che la
ragazza stava cercando
un contatto sempre più ravvicinato, tanto che si appese al
suo braccio. Ok, il metodo
Boris avrebbe definitivamente vinto. -Cosa prendi?-
gli chiese lei. Kei scorse
velocemente la lista dei cocktail, troppo corta
per i suoi gusti, e ordinò un Long Island. Prese il suo
bicchiere e si diresse verso il lato più in
ombra e isolato del bancone. -Mmm pensavo
non te lo avrebbe servito!- -Vantaggio di
sembrare più grandi- -Me lo fai
assaggiare?- prese la cannuccia e bevve un sorso
chiudendo gli occhi -E te lo ha fatto anche bello forte!- -Dici?-
rispose lui scettico. Rimasero in
disparte per diversi minuti, lei parlando del
più e del meno, lui ascoltando e bevendo. -Vuoi tornare
dagli altri?- le chiese, poi, notando che
continuava a guardare verso le sue amiche. -Eh? No no!
Qui si sta bene!- gli sorrise ancora una volta
guardandolo negli occhi. Nonostante fosse seduta su uno sgabello alto e
lui
fosse in piedi, non era alla sua altezza. Tsuya si accese una sigaretta
e continuò a
parlargli: aveva capito benissimo che lui non avrebbe proferito parola
di sua
spontanea volontà. -Allora.. da
dov’è che vieni quindi?- chiese aspirando il
fumo. -Mosca- -Mmm..te lo
sei fatto sto viaggio!- Kei le prese
la sigaretta dalla bocca e fece due tiri. -Il viaggio
più lontano che ho fatto io è questo! Fai te!-
disse riappropriandosi della stecca. Sfiorò la mano del
ragazzo e, invece che
staccarsi, la tenne stretta e appoggiò l’intreccio
delle loro dita sulla
propria gamba. -Che bella
questa canzone!- esclamò ad un tratto la giapponese
spegnendo la sigaretta –Dai vieni!- Scese dallo
sgabello e cercò di trascinare Kei verso la
pista da ballo. Il russo
riuscì facilmente a trattenerla e a riportarla
indietro, ma non tornò dove erano prima, bensì si
diresse ancora di più verso
il buio accanto agli alberi che circondavano la piazza. -Ma..- Tsuya, ancor
prima di protestare, si ritrovò a sorpresa a
contatto col corpo del ragazzo che le guidò le braccia
dietro al collo, prima
di avvolgerle i fianchi con le sue. Iniziarono a
ondeggiare lentamente. -Pensavo che
non volessi ballare!- -Non mi piace
la folla- commentò indifferente. -Credevo
saresti stato il tipo da pregare in ginocchio per
fare solo un passo..- -Non mi
dispiace..- Lo
guardò stupita prima di appoggiare il viso
nell’incavo
del suo collo sentendo il suo profumo. Si era
abituata da pochi secondi alla pelle calda, che lui la
staccò e le fece fare una piroetta. Lo vide sorridere alla
sua faccia confusa, fino
a quando improvvisamente la distanza fu nuovamente annullata e si
ritrovarono a
un centimetro l’una dal volto dell’altro. Tsuya fece per
sporgersi verso le sue labbra, ma Kei si
scostò e continuò a farla ballare. -Sei uno
stronzo..- -Non volevi
ballare?- chiese con un ghigno. Continuava a
far scorrere le proprie mani sul corpo della
ragazza, la voltò aderendo alla sua schiena, respirando sul
suo collo, per poi
farla girare, trovandosi più volte a distanza minima con il
suo volto. Lei lo
malediceva con lo sguardo, ma si lasciava portare
rapita. Credette che sarebbe andata così
all’infinito, che non lo avrebbe mai
fatto, fino a quando finalmente, quando erano posizionati
perfettamente, quando
anche la canzone sembrava chiederlo, lui congiunse le loro labbra. Passò
le dita tra i suoi capelli e sentì la stretta delle
sue braccia sui fianchi. Lo maledisse nuovamente quando
riannullò il contatto
troppo presto e riprese a ballare, ma non riuscì a fare
altro che riprendere
fiato e lasciarsi trasportare. Tentò
di riavvicinarsi, ma Kei continuava a tenere sotto
controllo la situazione –Shh.. dobbiamo finire di ballare-
disse divertito. Le ultime note
si dispersero per lasciare il posto al
silenzio che anticipava la canzone successiva. Tsuya guardò
perplessa Kei,
prima di sentirsi autorizzata a riprendere quel contatto tanto bramato,
che
questa volta non le venne rifiutato. -Lo ripeto..
sei un fottutissimo stronzo!- ma non lo lasciò
rispondere se non con un altro bacio. Le tattiche
tanto studiate da Max non erano servite a molto
e anche Takao dovette abbandonare l’idea di subentrare al
posto dell’amico,
poiché Rika non sembrava interessata a nessuno dei due. Da tutta la
sera, infatti, aveva cercato di attirare
l’attenzione di Rei, oltre che a scambiare le solite
occhiatine con le sue
amiche. Rei,
però, non era coinvolto nell’interessamento della
ragazza, ma preferiva continuare a parlare con Hilary, lasciando
l’altra
parecchio delusa. -Rika, Rika!-
la chiamò Yuki, che si era isolata col suo
ragazzo poche sedie più in là e lo aveva scostato
improvvisamente per chiamare
l’amica. -Che
c’è?- chiese annoiata, prima di seguire la
traiettoria
del cenno della testa di Yuki e esaltarsi. Si fecero
l’un l’altra l’occhiolino e batterono il
cinque
prima di tornare alle occupazioni precedenti. Anche Rei
cercò con gli occhi quello che avevano visto e
scorse Kei e Tsuya avvinghiati. -Se lo dico a
Takao e Max si demoralizzano definitivamente!-
disse divertito a Hilary, che si astenne dal fare qualche commento
acido. -Ora glielo
dico!- aggiunse vedendo i diretti interessati
tornare dai tavoli da ping pong dove avevano iniziato
l’ennesima partita contro
i ragazzi di Sapporo. -Non
è possibile! Perché tutte a lui!-
affermò affranto
Takao, dopo aver visto la scena. -Arriverà
il nostro momento Tak!- disse speranzoso Max
risedendosi. -Stai attento
che morde!- Una voce
maschile interruppe il bacio. -Vaffanculo
Hiro!- rispose Tsuya scocciata. -Lo sto solo
avvertendo..- e con un ghigno tornò dal resto
del gruppo con un bicchiere in mano. -Mi sta dietro
da una vita- disse lei roteando gli occhi. Kei la
guardò divertito. -Perché
allora siete in vacanza insieme?- -E’
il migliore amico del ragazzo di Yuki.. ma ti prego non
parliamo di lui che mi rovino la serata!- -Nessun
problema- rispose Kei baciandola nuovamente. -Forse
è meglio se torniamo dagli altri!- -Mh- Circumnavigarono
la piazza per tornare al tavolo dei loro amici. -Non mi hai
detto dove state.. tenda o casetta?- gli chiese. -Bungalow- -Noi tenda!- Kei la
guardò stupito. -Che
c’è?- -Non ti facevo
da tenda..- -Ah no?- -Più
hotel a 5 stelle- -Guarda che
sono una donna forte e resistente, io!- -Mi fa piacere
saperlo- rispose lanciandole un’occhiata
maliziosa che colse subito. -Credo che
inizierò sul serio a fumare!- esclamò Max mentre
si risedevano al tavolo. -Anche io!-
confermò Takao. -Quanto siete
stupidi!- disse Hilary alzando gli occhi al
cielo. Passarono
insieme a chiacchierare per un’oretta prima di
iniziare a dividersi. -Resti ancora
un po’ con me?- sussurrò Tsuya. Kei
accettò, dicendo a Rei che sarebbe arrivato più
tardi. Rimasero in
sei al tavolo. -Andiamo a
farci un giro?- chiese Masao, il ragazzo di Yuki,
alzandosi seguito dagli altri. Tsuya si
aggrappò al braccio di Kei per tutto il tragitto,
alternando carezze e baci a mille discorsi. Arrivarono al
parco giochi dei bambini, deserto a quell’ora,
e si sedettero nel corridoio della mini fortezza che si trasformava in
uno
scivolo. -Kei certo che
il tuo amico è proprio un osso duro!- esclamò
Rika. -Gli
parlerò- -Ci conto eh!- -Guarda che
gli altri due non sarebbero dispiaciuti se
cambiassi soggetto!- scherzò Yuki. -Mmm.. ma
è il fascino cinese!- Kei si chiese
come facesse a notare la differenza tra cinesi
e giapponesi, ma non indagò oltre, tornando concentrato su
Tsuya. -Ecco..mi sa
che mi dovrò accontentare di te!- disse Rika a
Kanko, osservando le due coppiette. -Io ho
un’idea migliore..- disse il ragazzo frugando nella
tasca dei pantaloni e tirando fuori il portafoglio. -Che prendi
già il preservativo?- Kanko scosse
la testa mostrando quello che stava cercando. -Cannetta?- -Ci sto!- -Solo una
perché c’ho poca roba..- disse il ragazzo
iniziando ad armeggiare col pacchettino di marijuana. -Ma che
taccagno!- Kei rimase a
osservarli in silenzio. La sua teoria
sull’attirare sostanze illegali era ormai ufficialmente
verificata. Almeno
avevano tirato fuori solo una canna altrimenti sarebbe stato un vero
problema. -Che
è quella faccia? Pensavo fossi uno navigato!- gli
chiese Kanko con un mezzo sorriso. -Mh? No,
è che la giri in un modo strano- Il ragazzo lo
guardò male indeciso se essere offeso da
quelle parole, ma una volta completata l’opera
ritornò tranquillo. -Prima le
signore!- disse porgendo la canna a Rika. -Ecco a te..-
gli disse pochi minuti dopo Tsuya non appena finì il suo
turno. Kei ebbe pochi
secondi per prendere una decisione. Poteva accettarla e farsi due tiri
tranquillamente, oppure passare. Le seghe
mentali delle settimane prima, l’incubo della notte
precedente, il pensiero dei giorni a venire lo portarono
all’azione, giusta o
sbagliata che fosse, di afferrare lo spinello e concedersi qualche
minuto di
pace. Era talmente abituato alle droghe pesanti, che quei pochi tiri
erano
paragonabili al solletico, niente di che, ma abbastanza per convincersi
che
potesse concederselo. Non
c’era pericolo, non era niente, solo quei pochi minuti
per lui. Anche
volendolo, i pensieri negativi e contrari in quel
momento non lo sfioravano nemmeno. Se ne sarebbe
preoccupato poi. Si concessero
ancora un giro prima di alzarsi e andare via. Li
accompagnò fino allo spiazzo con le loro tende e
salutò
Tsuya calorosamente, prima di tornare verso il bungalow. Era
completamente lucido. Era solo più rilassato del solito
e, anzi, l’effetto si stava già esaurendo. In fondo era
solo una sigaretta più forte ed era quello di
cui aveva bisogno: l’importante era non strafare. Arrivato alla
veranda notò che Rei era lì fuori a leggere
una rivista. Gli fece un
cenno di saluto cercando di defilarsi. -Com’è
andata?- gli chiese il cinese sorridendo. -Mh..
normale..- rispose prendendo un bicchiere d’acqua. -Allora Tsuya
ti piace eh!- era ovvio che Rei stesse
cercando di avviare una conversazione con lui, come faceva ormai da
giorni, ma
non gli aveva ancora dato la soddisfazione di rispondere più
di poche battute,
anche perché non sapeva dove sarebbe voluto andare a parare. Decise di
accontentarlo per metà, cambiando discorso. -A te Rika non
piace?- -Perché?-
chiese confuso. -Non hai
notato che ti ha girato intorno per tutta la sera?- -Ah..davvero?-
rispose imbarazzato –Non me n’ero accorto!- -Beh, ti
piace?- -E’
carina, ma..- Kei lo
guardò invitandolo a continuare. -..ma, non mi
interessa, ecco..- -Perché?- -Penso a
un’altra- disse arrossendo. -Hilary?- si
informò il russo. -Eh? No no!
Hilary è mia amica e basta..- incrociò le
ametiste di Kei, ma prima di continuare e rivelare il nome
abbassò lo sguardo
-..Mao- -Ah.. ancora?- -Come ancora?- -Non ti
piaceva anche al torneo?- -Probabilmente,
ma non me ne ero ancora reso conto..- -Ma quindi
state insieme?- continuò sempre più curioso, in
fondo non sapeva ancora molto di quello che fosse successo negli anni
che non
si erano visti. -Non proprio..
ci siamo più o meno dichiarati questa
primavera, quando è venuta a trovarmi, ma..- -Ma..- -Solo che poi
è ripartita ed è rimasto tutto in stallo!- Kei lo
guardò perplesso di tutte quelle complicazioni per
una cosa per lui tanto semplice. -Quindi tu ora
non guardi più nessuna fino a che, chissà
quando, non vi rivedete?- -Io.. lei mi
piace e in questo momento non ho pensieri per
nessun’altra..- rispose incerto vedendo l’altro
sempre più scettico –Che c’è?- -Niente.. solo
non comprendo le relazioni a distanza.. poi
visto che la vostra non è nemmeno una relazione..- Rei rimase
spiazzato dalla sua freddezza, non ci era più
realmente abituato e realizzò solo in quel momento di aver
lasciato spostare la
conversazione da Kei a se stesso, cosa che non voleva lasciar correre. -Beh quindi
questa cosa con Tsuya? Sapporo è distante.. che
hai intenzione di fare?- -Che
c’entra Tsuya?- -Si parlava di
relazioni a distanza sai..- -Cosa che non
ho intenzione di avere.. passata questa
settimana, ognuno per la sua strada..- -E a che pro?- Kei lo
guardò stranito come per chiedergli se davvero non
stesse capendo. -Quindi?- -Lo scopo
principale è portarsela a letto..- disse
semplicemente; odiava girare attorno alle cose e preferiva andare
dritto al
punto. -E lei che ne
pensa?- -Non credo che
abbia un fine molto diverso- -Hai
un’idea molto stramba delle persone..- -E tu sei
troppo ingenuo- ribatté divertito. -Beh io non
sono come te!- -Buon per te- Rei si
alzò e fece per entrare nel bungalow. -La tua
è una situazione diversa.. solo divertiti finchè
non
prendi una decisione con Mao..- -Io
l’avrei già presa..- -Cerca di
metterla in pratica allora- Rei
accennò un sorriso verso l’amico; si era
dimenticato il
modo strano di dire le cose che aveva Kei, c’era sempre il
rischio di intendere
male. Si infilò nel letto pensando che anche quella volta
non era riuscito a
farlo confidare. Almeno sembrava finalmente che stesse vivendo, facendo
qualcosa. Anche se era per il fine che non condivideva, la relazione
con Tsuya
era segno che stesse provando almeno a lasciarsi il passato alle spalle. Però
era ancora convinto che confidarsi non gli avrebbe
fatto altro che bene e non poteva più contare
sull’improvvisazione, ma bensì avrebbe
dovuto organizzarsi.
Ed eccomi qui! Questo nuovo
personaggio introdotto l'altra volta, come potete vedere si
è inserito a modo suo portandosi dietro tutta l'allegra
combricola! Ahi ahi ahi Kei..che mi combini! 18 capitoli per dimostrare
che avevi una volontà di ferro e mi cadi su una cannetta!
Vabbè..lui sembra molto tranquillo al riguardo..dobbiamo
credergli?! XD A voi l'ardua sentenza u.u
Comunque come al solito vi ringrazio tutti quanti come al solito!
Devo dire che con lo scorso capitolo ho dedotto che tutte le qui
presenti se fossero state al posto di Hilary alla frase 'Scoperei con
te in questo momento' avrebbero accettato di buon grado e
sarebbero saltate addosso a Keiuccio caro! I miei vivissimi complimenti
a tutte noi (ebbene mi inserisco anche io nel club u.u)
Allora ci diamo appuntamento alla settimana prossima!
Auguri di Buona Pasqua a tutti!
Un bacione :)
ps: ultimamente coi ps vado forte XD comunque vi volevo dire che le
risposte alle recensioni sono un pò sbrigative e mi scuso
per questo, ma vado un pò di fretta! ^^
Per
il giorno seguente avevano organizzato una scampagnata
nel parco naturale poco lontano. Passarono
tutta la mattinata a percorrere il sentiero
tracciato fermandosi ad ammirare il paesaggio e a scattare fotografie.
All’ora
di pranzo si trovarono in un grande prato a diversi metri
d’altezza dal quale
si aveva una vista mozzafiato; presero il sole e si divertirono fino
all’ora di
tornare al campeggio. Come al solito
si divisero per la cena dandosi appuntamento
alla sera, quando sarebbero andati nel paese vicino. L’avevano
chiamata: la giornata turistica. Takao e gli
altri finirono di cenare con calma. Il sole stava
tramontando proprio in quel momento colorando il cielo di rosa e
arancione. Era una serata
particolarmente tranquilla e rimasero in
silenzio ad ascoltare il rumore delle ultime forchette che si posavano
nel
piatto e la natura attorno a loro. I momenti di
silenzio in quel gruppetto erano molto rari e
spesso stavano a significare l’inizio di qualcosa. Era da giorni
che Rei cercava di far parlare Kei di quello
che provava, che sentiva. Sapeva per esperienza personale che parlare
dei
propri problemi non li eliminava, ma almeno li alleggeriva;
però sapeva anche
che Kei non era una persona che si lasciasse andare a dichiarazioni
personali e
a frasi più lunghe di qualche parola. Non lasciava penetrare
nessuno nel suo
mondo. Avrebbe fatto
qualsiasi cosa per aiutarlo a sciogliersi un
po’ e per questo, durante il pomeriggio, aveva chiesto aiuto
agli altri
ragazzi. Ci fu un
leggero scambio di sguardi tra le persone sedute al
tavolo della verandina, poi Kei come d’abitudine si accese
una sigaretta
percependo quello strano e piacevole silenzio. -Quando ero
piccolo d’estate andavamo sempre in una casetta
al mare, che ora non so nemmeno esattamente dove si trovasse..-
iniziò Takao
-..ho un ricordo bellissimo di quel periodo: la mia famiglia era sempre
al
completo, c’erano mio padre, mio fratello e poi
c’era mia madre.. mi portava in
spiaggia e mi spiegava tutte le cose che le chiedevo pazientemente, e
poi
canticchiava sempre delle canzoncine: aveva proprio una bella voce..
questo
posto mi ricorda quei giorni.. era da un bel po’ che non ci
pensavo, anche
perché pensarci mi fa venire nostalgia e tristezza.. so che
giorni come quelli
non ci saranno più- concluse abbozzando un sorriso amaro. -Anche a me
manca la mia famiglia riunita..- continuò Max
-..da quando sono piccolo non ricordo un giorno in cui siamo stati
davvero
tutti insieme, nemmeno a Natale o ai miei compleanni.. quando stavano
insieme,
i miei litigavano e volevo quindi vederli solo uno per volta!
Però ho sempre
sperato che un giorno potessimo vivere tutti e tre insieme felici e
sereni.. spero
davvero che in questo momento stiano risolvendo tutti i loro problemi;
l’ultima
volta che li ho sentiti mi sembrava andasse tutto bene, ma non
mi vorrei mai illudere troppo!- Come in una
staffetta la parola passò a Hilary che iniziò
abbastanza imbarazzata. -Beh io non
è che abbia un carattere molto facile- guardò
Takao sorridente – diciamo che sono sempre stata piuttosto
odiosa e perfettina
e questo ha sempre allontanato i compagni di scuola da me; non posso
dire di
aver mai avuto un vero e proprio amico per molti anni: la prima volta
che mi
sono veramente sentita parte di qualcosa, oltre alla mia famiglia,
è stato
quando mi avete accettato in questa piccola famigliola, una delle cose
migliori
che mi siano successe fino ad adesso!- Arrossì
ancora e fu abbracciata da Max che era seduto vicino
a lei. -Beh del mio
problema con la tribù della Tigre Bianca lo
conoscete..-disse Rei -..la decisione da andarmene è stata
davvero sofferta
perché Mao, Lai e tutti loro erano la mia vera e propria
famiglia; non era una
legame di sangue, ma era come se lo fosse. Dalla morte dei miei
genitori non
sono mai stato abbandonato grazie a tutto il villaggio, non mi hanno
mai fatto
mancare nulla, ma spesso ho pensato che tutto sarebbe stato meglio se a
crescermi fossero stati i miei veri genitori, quell’uomo che
aveva i miei
stessi occhi e la donna che mi ha dato alla luce.. sono pensieri che mi
vengono
in mente nei momenti tristi, però non rimpiango tutto quello
che è successo
nella mia vita, penso solo che sarebbe potuto andare meglio!- concluse
il
cinese. Kei spense la
sigaretta sentendosi interpellato: dopo quel
giro di confessioni sarebbe toccato a lui. Era il punto
focale di tutta quella scenetta, e lo sentiva. -Non ho i
genitori e nessuno mi ha cresciuto al posto loro-
disse Kei duramente – e non sarà una riunione tipo
alcolisti anonimi a farmi
diventare come voi- Il silenzio
cadde come un macigno sulla tavolata. Rei
abbassò gli occhi dispiaciuto e provato dalle parole fredde
del russo. Avrebbe
dovuto immaginarselo che non avrebbe preso bene
quell’iniziativa. La voce di
Kei lo risvegliò dal suo tormento. -E questo
è uno dei maggiori problemi, sono completamente
incapace di provare qualsiasi cosa che voi considerate normale,
qualsiasi
sentimento positivo- nessuno osava incrociare lo sguardo con quello di
Kei –non
c’è mai stato nessuno che mi ha cresciuto, quello
che so l’ho scoperto, non c’è
mai stato niente prima.. ed è proprio per questo che, per
fortuna vostra, non
capite una parola di quello che vi sto dicendo-. Non aveva
abbandonato lo sguardo freddo e osservava gli
altri quasi con sfida. Volevano da
lui una qualche dichiarazione e gliel’aveva
data: era il frutto di molte giornate passate a far niente, a pensare.
Non
potevano pretendere di più, non da lui. Non ce
l’avrebbe fatta. Nonostante ce
la mettesse tutta per cambiare non poteva e non voleva lasciarsi andare. Era vero, poi,
che loro non avrebbero capito mai nulla, se
lo ripeteva in continuazione. Ma
c’era qualcuno in tutto il mondo che avrebbe potuto
farlo? Probabilmente sì, ma lui voleva essere capito?
Probabilmente no. Gli
andava bene crogiolarsi nella propria disperazione? Non si capiva
nemmeno lui, ecco qual era il grande problema. Magari una
volta che si fosse capito avrebbe potuto chiedere
aiuto, davvero chiedere aiuto, magari ad alta voce; non come faceva
adesso che
cercava un aiuto, ma aspettava che qualcuno lo capisse. Prima che
qualcuno potesse aprire bocca e far partire
un’altra filippica sul parlare dei propri problemi e cose del
genere, Kei si
alzò. -Dove vai?-
gli chiese Takao vedendolo scendere i gradini
della veranda. -A farmi un
giro- E
sparì lungo il sentiero. -Avrei dovuto
immaginarlo che non sarebbe stata una buona
idea..- sospirò Rei affondando nella sedia. -Stai solo
provando a farlo stare meglio..- lo confortò
Hilary -..devi solo aspettare che lui accetti il tuo aiuto!- Si diresse
verso il ristorante e si allungò verso i tavolini
all’aperto. Aveva fatto
una passeggiata per calmarsi e riprendere il
controllo. Voleva svuotare la testa e basta. Quando
finalmente scorse Tsuya, si avvicinò al suo tavolo
senza nemmeno salutare. -Puoi venire a
fare un giro?- La ragazza
annuì, finendo gli ultimi bocconi del suo dolce e
salutando il resto del gruppo. -Che
c’è?- gli chiese quando si erano allontanati
–Sei
arrabbiato?- -No.. volevo
solo fare un giro..- Stavano
attraversando un viale secondario circondato da
piccole villette in pietra. -Questo me
l’hai già detto..- lo guardò sorridendo
ingenuamente -..e avevi davvero solo questo in mente?- -In
verità no- -Non pensi che
mi meriti un po’ di corteggiamento in più?-
aggiunse ridendo. Senza
preavviso Kei la prese per un braccio e la imprigionò
tra sé e il muro di una villetta. -Lo prendo per
un no- disse lei tra un bacio e l’altro, per
niente offesa da quell’atteggiamento. Lui fece
scorrere una mano dai suoi fianchi, sotto la sua
maglia. Tsuya
abbandonò le labbra per dedicarsi al lobo del suo
orecchio e, sporgendosi verso la nuca di Kei, notò
avvicinarsi due bambini. -Aspetta..-
disse fermandolo a malincuore -..vieni con me!- Gli cinse la
vita, mentre lui le circondava le spalle col
braccio e si lasciava guidare. Arrivarono
fino alla tenda: lei l’aprì e lo spinse dentro
senza troppi complimenti. Ricominciarono
da dove si erano interrotti. -Certo che..
tu per un bacio.. mi hai fatto penare..
dovrei.. vendicarmi- Tsuya
tentò di far valere la sua teoria, ma si convinse ad
abbandonarla in pochi secondi, lasciandosi andare completamente nelle
attenzioni del ragazzo. -Ma non avevi
detto che volevi farlo aspettare un po’?- -Volevo.. ma
non ce l’ho fatta a resistere.. cioè, ma lo hai
visto?- -Ah, io gli
sarei saltata addosso la prima volta che l’ho
visto!- -Ma Rika!
Giù le mani, è mio!- e scoppiarono tutte e tre a
ridere. Hilary era
appena entrata nel bagno delle ragazze e aveva
sentito le ultime battute della conversazione delle tre amiche.
Sicuramente
stavano parlando di Kei: lo avevano appena visto al tavolo degli altri
ragazzi
e, dopo aver sentito quelle parole, aveva capito dove fosse andato a
sfogare
l’irritazione per la scenetta della cena. La ragazza non
sapeva cosa andare a pensare di Kei: aveva
capito che non era cattivo e che aveva un modo di pensare particolare,
aveva
comportamenti ambigui e altalenanti. Un secondo prima era gentile e
sereno, poi
si irritava e diventava scorbutico. No, proprio
non riusciva a capirlo. -Ciao Hilary!-
-Ciao ragazze!- Decise che
pensare a quel ragazzo era una faticaccia e una
perdita di tempo. Aveva già tanto da fare per sopportare
Takao, figurarsi
capire anche quel russo imbronciato. -Andiamo in
spiaggia?- -Ma
cos’è sta fissa della spiaggia di notte Yuki?- -Beh
è tranquilla ed è romantica e..- -..e ci
scopate meglio?- si intromise Hiroji acido –Poi
dovete toglierli i preservativi dalla sabbia se no li trovano i
bambini!- -Almeno loro
li usano.. non come te che ce l’hai nel
portafoglio da una vita!- Rika e Tsuya batterono il cinque ridendo. -Sei tremenda-
le sussurrò Kei divertito mentre si avviavano
alla spiaggia. Avevano girato
per le strade della cittadina, ma non avevano
trovato nulla di interessante da fare, tanto che erano presto tornati
in
campeggio. Si sedettero
sulla spiaggia vicino agli scogli e, per far
passare il tempo, si misero a fare dei giochini stupidi, tanto che Yuki
e Masao
presto si appartarono ignorandoli, mentre Kei convinse Tsuya a fare una
passeggiata. Quando
tornarono il gruppo si era ulteriormente disgregato: Hichizo
e Hiroji erano andati verso il bar per prendere da bere e Max e Takao,
avendo
deciso che avrebbero fatto il bagno di mezzanotte, erano andati a
recuperare
asciugamani e costumi. Mentre si
sedeva, Kei si vide lanciare qualcosa da Kanko e
riuscì ad afferrarla per un pelo. -Dai fammi
vedere come si fa!- gli disse il ragazzo con
sfida. Kei lo
guardò confuso per poi aprire la mano e vedere la
marijuana: si riferiva ovviamente al commento che aveva fatto la sera
prima su
come ritenesse strano il suo modo di girare la canna. Incrociò
lo sguardo di Rei, che sembrava non aver capito
molto della conversazione, per poi mettersi all’opera
tranquillamente. Completò
lo spinello in modo leggermente diverso da Kanko il
giorno prima, ci mise poco meno; aveva sentito gli occhi degli altri
addosso per
tutto il tempo, ma soprattutto aveva sentito Rei chiedere
–cos’è?- e Hilary
rispondergli un –non lo voglio sapere!-. Kei li
ignorò e si accese la paglia per poi passarla a
Kanko. -Buono a
sapersi..- disse il ragazzo. Rika
tirò per poi rivolgersi a Hilary a fianco a lei
–Vuoi?- -No grazie!-
esclamò interdetta. -Rei?- -Passo anche
io..- -Come volete..
Tsuya tesoro tieni!- si allungò verso l‘amica
con un sorriso, che fece ripartire il giro. -Ehm.. Kei..-
provò Rei. -Tranquillo- -Sì
tranquillo.. è solo una cannetta!- gli sorrise Rika. Il cinese
guardò nuovamente Kei, ma vedendolo ignorare
completamente la sua preoccupazione, si alzò arrabbiato
–Vado a vedere dove
sono Takao e Max-. Hilary lo
seguì a sua volta e nessuno si oppose. -Nervosetti
eh!- disse Rika ridacchiando. Si riunirono
tutti pochi minuti dopo. L’atmosfera era
parecchio allegra e gioiosa, ma Rei cercò di evitare ogni
contatto superfluo
con il russo. Si sentiva offeso e irritato da quel comportamento. Misero in
azione il loro piano del bagno notturno e rimasero
in acqua per una mezz’ora buona. Il cinese fu
il primo a uscire, ancora con l’umore guastato.
Non sopportava l’essere stato ignorato a quel modo, ma
soprattutto si
rimproverava di non aver avuto la tempra di dire quello che pensava e
cercare
di fermare Kei. Si stava
rivelando tutto più complicato del previsto.
Iniziava realmente a capire tutto quello che poteva aver passato Yuri. L’idea
di quella vacanza rigenerante si stava trasformando
in un completo disastro: la sera prima, quando aveva visto Kei flirtare
con
Tsuya, si era quasi rincuorato nel vederlo dedicarsi a qualcosa,
credeva che
l’aprirsi con la ragazza lo avrebbe aiutato a aprirsi con se
stesso e a limare
i suoi atteggiamenti. La conversazione della sera prima gli aveva fatto
dubitare di quei pensieri, Kei ragionava in un modo diverso. Non che
Rei
volesse che il russo si mettesse con Tsuya definitivamente, ma sperava
che
fosse più che semplice attrazione carnale. Poi, ci si era
messa anche quella storia del fumo. Quanto
poteva essere davvero innocua una canna per uno nella situazione di
Kei? L’incontro
con quei ragazzi, subito così entusiasmante, si
era rivelata una brutta influenza. Mentre si
avvolgeva in un asciugamano osservò due figure
uscire dall’acqua e andare nella sua direzione. Li mise
lentamente a fuoco e
sospirò nel vedere Kei e Kanko. Quel nuovo
legame era quello che lo preoccupava
maggiormente. Nei modi di fare erano abbastanza simili, anche se il
giapponese
era comunque più aperto e solare. Rei
incrociò lo sguardo di Kei per pochi secondi prima che
questo si sedette. Cercò
di non considerarli. Era nervoso e in imbarazzo mentre
li sentiva accendersi una sigaretta. Si convinse a
ignorarli, fino a che una strana frase di
Kanko attirò la sua attenzione e lo fece voltare. -Ero o coca?-
chiese accennando verso le braccia di Kei, che
lo guardò confuso, prima di tornare a prestare attenzione
agli altri ancora in
acqua. -Ero-
sussurrò. Rei colse una
nota di irritazione nella voce dell’amico.
Persino la sua postura si era irrigidita. -Mmm..
sì, sei più tipo da ero..- -Cosa vorrebbe
dire?- la freddezza nella sua voce era
palpabile. -Così..
comunque ne avresti un po’?- Kei si
innervosì vistosamente e tornò al suo fare
diffidente
che sembrava aver abbandonato temporaneamente fino a pochi minuti prima. -Ho smesso- -Ho sentito
che è dura.. che ci si ricade la maggior parte
delle volte..- continuò l’altro. Rei trattenne
il fiato, non sapendo che reazione aspettarsi. -Che cazzo
vorresti dire?- sibilò Kei. -Ho delle
conoscenze.. potrei procurarne..- -Torna a
giocare a fare il figo e lascia stare- lo
interruppe il russo. L’altro
alzò le mani arrendevole. Piano piano
tornarono anche gli altri a riva per asciugarsi. -Allora ci
vediamo domani?- -Va bene.. a
domani in spiaggia!- Si salutarono
e si divisero. Kei, che si
era attardato a salutare Tsuya, raggiunse gli
amici a metà strada e si avvicinò al cinese. -Lo so come la
pensi, ma sul serio.. non è niente- Rei
rallentò fino a fermarsi e lo guardò incredulo. -Cosa
significherebbe? Che se ti droghi quando invece
dovresti smettere non dovrei preoccuparmi?- -E’
una canna Rei, è leggera, non fa niente..-
ribatté calmo
Kei. Il cinese
sentiva salire il groppo che aveva in gola da
tutta la serata. Non sapeva quanto sarebbe resistito ancora davanti a
quell’indifferenza. -Ma sempre di
droga si tratta!- -E’
solo una sigaretta un po’ più forte- Il continuo
negare e ribattere del russo lo fecero
esplodere. -Mi spieghi
come faccio ad aiutarti io, se continui a
mettermi dei muri davanti?- Sapeva di essersi preposto insieme agli
altri di
lasciare spazio a Kei, ma sentiva la situazione diventare sempre
più
paradossale, senza alcuna logica. -Ti sto solo
spiegando che di quello non ti devi preoccupare.. che starei
facendo?- -Non mi
riferisco solo alla canna, ma in generale! Tu non ti
stai lasciando aiutare!- come era possibile che non se ne accorgesse? -Cosa ti
aspetti che faccia?- -Che tu ci
venga incontro.. ad esempio..- -Come?- -Che ne so..
tipo parlami! Parlami di quello che ti passa
per la testa! Parlami di cosa hai pensato ti servisse quella canna,
cosa
pensavi quando Kanko ti ha detto quelle cose.. puoi iniziare da dove
vuoi,
guarda!- Gli
riversò addosso tutto, liberandosi di quel peso che non
riusciva più a sopportare. Sperava di ottenere una risposta
decente, un segno
del fatto che avesse capito quel tormento che ormai condivideva con gli
altri. -Non ho niente
da dirti- -Lo vedi? Non
puoi continuare a evitare il problema a questo
modo!- -Tu che ne sai
di qual è il problema?- -Non lo so,
Kei! Non lo so, ma aiutami a capirlo, aiutami!- L’effetto
fu il contrario di quello che avrebbe desiderato. Kei lo
guardò freddamente; non riuscì a carpire quello
che
stesse provando, cosa i suoi occhi gli stessero comunicando,
perché precluse,
al solito, ogni possibilità di entrare dal mondo esterno. Rei lo
osservò voltargli le spalle e riprendere a camminare
verso il bungalow, superando gli altri che avevano assistito come
pubblico
silenzioso e immobile al litigio. Se ne stava
andando. Lo stava lasciando lì con le parole
ancora pronte a uscire. -Hai fatto la
cosa giusta!- lo confortò Hilary
avvicinandosi. -Credi?-
rispose tranquillizzandosi. -Credo.. credo
che abbia bisogno di sentirsi dire queste
cose.. non potete continuare a trattarlo come se fosse qualcosa di
fragile, con
la continua paura di romperlo!- -Spero tu
abbia ragione!- le disse lui distrattamente.
Mmm, non saprei..
è un capitolo per me un po' ambiguo.. sono indecisa se mi
soddisfa oppure no O_o
Vabbè dovevo pubblicare quindi questo è quello
che vi beccate, ma rimango comunque col dubbio!
In ogni caso facendo un punto della situazione possiamo dire che Kei
sta piano piano ripiombando nell'abisso u.u che ci dobbiamo fare noi
con quel disgraziato?! Tra l'altro lo troviamo sempre più
maschio idiota.. forse ho esagerato con questi difettucci di fabbrica,
ma il Kei che vive nella mia testolina ha fatto ciò e non
sono riuscita a fermarlo -.-
La pazienza infinita di Rei nel frattempo è, beh, direi che
si è esaurita e a ragione..è stato fin troppo
buono! Chissà se e come riusciranno a riappacificarsi..
anche perchè senza Rei, mi sa che in pochi riusciranno a
sopportare Keiuccio u.u
Intanto aggiungiamo tutte insieme una tacca all'odiosometro di Tsuya..
perchè lo so che molte di voi la stanno odiando
è___é
Nuova rubrichetta..giusto perchè non so cosa fare!
Prima edizione (e ultima) del premio Miglior Personaggio Del Capitolo
19 va a.......... Rei! Con la sua tenerezza ha sciolto i cuori di tutte
le lettrici.. sembra l'unico rimasto con un po' di sale in zucca e
giusti valori XD
Eheh..vabbè come al solito vi ringrazio a tuuuuuuuuutti
quanti!
Alla prossima settimana con un capitolo che probabilmente
sarà più caruccio di questo ^^
Un bacione :)
Kei e Rei continuarono a ignorarsi per tutto la mattinata e
per buona parte del pomeriggio.
In realtà la lontananza invece che appianare
l’arrabbiatura
portò soltanto a un altro litigio.
Avevano deciso di visitare il posto ancora per quel giorno e
si erano diretti pochi km più a sud, dove le spiagge
sabbiose si trasformavano
in scogliere che scendevano a picco sul mare.
Mentre salivano sulla cima di una delle pareti rocciose più
basse, Rei osservò quello che era diventato Kei. Quanto lo
avevano cambiato in
realtà quei due anni? Che tipo di persona era diventato?
In mezzo a tutti questi pensieri non poté fare a meno di
continuare a controllarlo di sottecchi: lo aveva visto rimanere
indietro con
Tsuya e, quasi in cima, tossire lamentandosi di non essere
più in allenamento.
-Hai i polmoni bruciati ormai!- lo prese in giro la ragazza
ottenendo un accenno di sorriso come risposta.
Era ufficiale quanto si fosse rovinato, quanto la strada che
aveva percorso lo avesse portato alla deriva. Avrebbe voluto rivederlo
con lo
spirito combattivo di un tempo, la voglia di vincere che gli si leggeva
negli
occhi prima di un incontro a beyblade.
Forse Takao aveva ragione: convincerlo a riprendere poteva
essere una buona idea, ma il russo non sembrava intenzionato a
lasciarsi riappassionare
da quello sport.
Da quando era arrivato in Giappone, la cosa a cui aveva
dedicato più tempo e attenzioni era Tsuya, o almeno
l’attrazione fisica verso
Tsuya. Se lo osservava attentamente, vedeva che con lei non era
né più né meno
partecipe del solito, più che altro era la ragazza a
circondarlo di attenzioni
e Kei si limitava semplicemente a risponderle.
Tutta quella situazione stava rendendo Rei insolitamente
irascibile, tanto che cercò di distrarsi il più
possibile con l’aiuto di
Hilary.
Fortunatamente riuscì a contenersi, fino a che non tornarono
al campeggio.
Fu quando si ritrovarono soli dopo cena che cercò di
riprendere il discorso interrotto la sera prima.
Aveva bisogno di mettere in chiaro quella situazione e di
trovare una soluzione.
-Possiamo parlare?-
Kei lo guardò con sufficienza prima di aprire bocca.
-Non ho niente da dirti-
-Io sì però! Quindi ora mi ascolti!-
Si erano dileguati tutti. Erano rimasti solo loro due in un
sentierino deserto e calmo. Il sole non era ancora tramontato del tutto
e non
tirava un filo d’aria.
Rei accennò con la testa a una panchina lì vicino
e aspettò
che Kei vi si sedette, posizionandosi in piedi di fronte a lui in modo
da
sovrastarlo.
Kei sbuffò e si accese una sigaretta senza vie di fuga.
-Ti ricordi vero perché sei venuto qui?-
Sentendo questo esordio, Kei alzò lo sguardo scettico e si
preparò a dibattere, ma fu fermato dal cinese.
-Aspetta.. lasciami parlare.. lo sai! Tu lo sai perché,
mentre io ho solo pochi dettagli! Però lo sai.. sai cosa ha
spinto Yuri a
fidarsi di noi, ok? Bene, comportati di conseguenza!-
Respirò a fondo guardando la reazione dell’altro.
Kei si
limitò a non spostare di un centimetro li sguardo.
-Non mi aspetto che tu cambi da un momento all’altro e che
rispetti alla regola tutte le tradizioni giapponesi, solo..-
-Cosa vuoi allora?-
-Voglio capire dov’è finito il ragazzino che ho
conosciuto
due anni fa!-
-Non ti rendi conto di quello che stai dicendo..- continuò
il
russo sempre calmo.
-Non dico che dovresti essere esattamente come eri a 14
anni, ma al tempo avevi uno scopo, avevi voglia di lottare, di
crescere, di..-
-Non so cosa vedessi tu, ma questo non ero io-
-Giocavi a bey, volevi vincere e battere Takao..-
-Ti informerò di una cosa.. sono cresciuto-
-Ma capisco che ora hai altri interessi, quello che voglio
dire è che almeno al torneo avevi la voglia di vivere, eri
stimolato e..-
-Quella non era propriamente la mia visione di vita e di
stimoli..-
-Ma stavi bene!- Rei non riuscì a non alzare la voce.
-Ero un bambino che ubbidiva a un pazzo Rei! Non stavo
meglio di adesso, cazzo!- rispose Kei alterato.
-E quando avrai intenzione di stare bene allora? Quando ti
deciderai a vivere la tua vita al meglio?-
-Pensi che non voglia?-
-Inizio a pensare di no!- confessò severo.
-Pensa quello che vuoi-
-E smettila di chiudere i discorsi a questo modo..
rispondimi! Urlami addosso, ma fai qualcosa!-
-Non ne ho intenzione- Kei fece per alzarsi.
-E cosa vorresti fare? Visto che hai così voglia di
rimetterti in sesto, dimostralo! Cosa sei stato in grado di fare?-
rincarò
sempre più arrabbiato – Io non ti ho visto muovere
un dito per migliorare le
cose, se non accettare passivamente tutti i cambiamenti, è
legittimo che inizi
a dubitare della tua volontà!-
Il cinese continuò a tirare fuori tutte le questioni che gli
venivano in mente e, vedendolo cercare di chiudere il discorso
andandosene, lo
fermò e lo fece girare verso di sé.
-La tua visione del reagire è stare a far nulla e
conquistare qualche ragazza? Fumare erba? Credo piuttosto che tu stia
tornando
indietro.. per quello che ne so io è successa la stessa cosa
in Russia.. è così
che hai iniziato!- Sembrò
farlo
vacillare con quelle parole e ne approfittò -Credi di poter
andare avanti a
ricadere negli stessi errori? Che ci sia sempre qualcuno a tirarti su?
Se Yuri
non avesse capito che stavi chiedendo aiuto? Se quel giorno che ti sei
tagliato
non fosse salito subito in camera tua? Se non vuoi farlo per noi o per
te,
almeno fallo per lui!-
-Ti giuro che non la penso così- rispose il russo piano,
leggermente scosso.
-Cosa pensi allora?-
-Io voglio reagire, voglio non pensarci, voglio.. sì,
vivere.. ma non ce la faccio-
-Lo dicevi anche prima di tagliarti le vene, che ne so io che
ora tu non faccia qualche altra cazzata? Che tu decida che non ce la
fai più..-
parlò freddamente come non aveva mai fatto, per poi calmarsi
-..vorrei che me
ne parlassi! Posso solo aiutarti.. pensi che possa essere peggio di
così?
Tentare ti può solo far migliorare!-
Si guardarono in silenzio per qualche secondo.
Rei si convinse a calmarsi del tutto: quello che pensava
gliel’aveva detto, forse aveva calcato la mano un
po’ troppo, ma non poteva più
resistere.
Kei fece per parlare, ma non fuoriuscì nessun suono dalla
sua bocca. Abbassò lo sguardo e sospirando si
girò per tornare verso il
bungalow.
Rei lo seguì in silenzio non perdendolo d’occhio
un secondo;
era sicuro che il suo discorso avesse fatto effetto, ma sperava in un
riscontro
immediato, sperava che Kei gli dicesse qualcosa. Era pronto a fermarlo
nel caso
avesse deviato verso il centro del campeggio per cercare Tsuya e gli
altri.
Iniziava seriamente a non sopportarli.
Fortunatamente non ce ne fu bisogno perché Kei
svoltò nel
loro viale e in pochi secondi furono davanti alla casetta.
Era buia, segno che gli altri erano andati da qualche parte.
Ormai l’unica illuminazione era quella dei lampioni. Si perse
a guardare le
farfalline che volavano attirate dalla luce artificiale, tanto che non
si
accorse subito che Kei non era entrato, ma si era invece fermato nella
veranda.
Rei si sedette di fianco a lui sui gradini d’ingresso.
Si sentiva in colpa per averlo fatto innervosire e per aver
insistito, nonostante sapesse bene che non avrebbe ceduto, ma pensava
davvero
che quella fosse la soluzione migliore.
Il maggiore problema di Kei era proprio se stesso e la
completa negazione degli altri.
In ogni caso sapeva di non poterlo cambiare in pochi giorni;
aveva promesso a Yuri che avrebbe fatto del suo meglio, ma non aveva
calcolato
la personalità di Kei.
L’amico aveva bisogno d’aiuto, ma forse la tattica
che aveva
adottato non era quella giusta. Di nuovo.
Avrebbe dovuto dare tempo al tempo.
-Scusami!- disse Rei sospirando.
La risposta fu un impercettibile suono da parte del vicino,
che si stava accendendo una sigaretta.
-Davvero..Mi dispiace di averti fatto pressione, ma penso
sul serio sia la cosa giusta..- continuò il cinese cercando
di spiegare la
propria posizione, con toni più lievi di quelli di minuti
prima -..voglio
solamente esserti d’aiuto.. non so come comportarmi, ho come
informazioni solo
le parole di Yuri e devi capire che non mi è semplice non
avere paura che tu
faccia qualcosa di..beh di irreparabile..-
Silenzio. Kei continuava a guardare davanti a sé senza
prestare apparentemente la benché minima attenzione verso
Rei. Spense la
sigaretta sul portico e iniziò a massaggiarsi le mani
tradendo del nervosismo.
-Sappi solo che io ci sono..- aggiunse Rei fissando i propri
piedi sui gradini.
-Non..- iniziò a bassa voce il russo -..io non volevo
ammazzarmi..o almeno non era il mio obiettivo iniziale..ci ho pensato
solo
dopo..-
Rei alzò sorpreso lo sguardo verso il movimento delle sue
mani, ma preferì non guardare l’amico in faccia,
sperando che non si
interrompesse e cercando di carpire ogni parola che usciva dalla sua
bocca.
-Volevo solo..- continuò Kei sfiorando il tatuaggio
incompleto -..tagliarmi-
Kei confessò lentamente, imbarazzato, per poi continuare a
spiegare.
-Ho tagliato i polsi perché mi sembrava fosse il posto dove
avrei provato più dolore..-rispose alle domande silenziose
di Rei che
continuava a fissare le mani dell’amico assorto nel racconto
-..di tagli ne ho
sempre avuti, mi sono sempre stati fatti..sono familiari,
sopportabili.. il
dolore dell’astinenza no-
Kei sospirò.
-Dovevo assolutamente trovare una soluzione per sopportare..
non ho intenzione di fare più niente del genere-
Il cinese si rianimò da quei minuti di standby per osservare
due inservienti che passavano chiacchierando, per poi voltarsi
nuovamente verso
Kei. Il ragazzo lo stava guardando e si sentì spaesato, come
se non si
ricordasse più perché fosse lì.
Il russo alzò un sopracciglio e, continuando a torturarsi le
mani, si rivolse a Rei.
-Cosa vuoi sapere? Chiedimi quello che vuoi..-
Davanti a una domanda così diretta non seppe subito cosa
rispondere.
C’erano tante cose che gli avrebbe voluto chiedere, ma quale
sarebbe stata la
più utile non lo sapeva. Kei era completamente aperto a
qualche rivelazione ed
era visibile quanta fatica gli stesse costando esporsi a quel modo.
-Perché ti facevi?- gli uscì naturale. Forse era
difficile
rispondere a quella domanda, ma voleva sapere qualcosa di quel mondo
che ti
intrappola a quel modo.
-Mmm..- Kei parve pensarci attentamente - ..perchè era figo-
Rei lo guardò incredulo e l’altro si corresse.
-Non in quel senso.. fammi pensare- cercò qualcosa per
fargli capire quello che intendesse dire -..è come se
vedessi a colori, mentre
normalmente tutto è in bianco e nero.. solo che quando inizi
a vederli è sempre
più difficile rinunciarvi e a quel punto è
già troppo tardi.. poi anche quei
colori iniziano a sbiadire e tornare a vederli è sempre
più difficile, ma
sempre più necessario..-
-Anche ora vedi tutto in bianco e nero?- Chiese Rei
assecondando quella semplice metafora.
Kei annuì lentamente.
-Cosa ti manca?-
-In che senso?-
-Cosa ti impedisce di vedere quei colori normalmente?-
-Non ne ho idea..-
-Posso chiederti ancora una cosa?-
L’altro annuì.
-Ti manca.. quella ragazza? L’amica di Dana?- pose la
domanda che aveva già pronunciato mesi prima, ma alla quale
l’altro non aveva
risposto.
Kei accennò una risata e si passò una mano tra i
capelli.
-E’ complicato..-
-Questo me l’avevi già detto-
-Non saprei nemmeno io come risponderti.. sì e no..-
-Ma non stavate insieme?-
-Andavamo a letto insieme.. non so come definirlo.. era più
convenienza-
-Pensavo che.. che l’amassi..- confessò il cinese
attento.
-Non so nemmeno che significa, di certo non l’amavo.. era un
appoggio, era disperata quanto me se non di più.. la
detestavo..- disse
guardando dritto davanti a sé.
-Allora perché..- chiese improvvisamente spaesato.
-Era come me- rispose con semplicità, guardò il
volto di Rei
perplesso e scosse la testa amaramente –Ti avevo detto che
era complicato.. ci
cercavamo, ma una volta insieme era il caos-
Rei osservò attentamente il vicino. Non comprendeva quella
relazione che aveva tentato di spiegargli: riusciva a non smentirsi
mai,
complicato fino in fondo in ogni cosa.
Parlava di quella ragazza quasi come di un nemico, però il
suo tono di voce era dolce e malinconico. Difficile decidere a cosa
credere.
-Come è successo a lei poteva succedere a me..-
-Non è che ti senti in colpa?-
Un fievole bip li interruppe, riportandoli alla realtà.
Rei tirò fuori dalla tasca il cellulare e osservò
il
messaggio di Takao che li informava su dove raggiungerli. Voleva
portare avanti
quel dialogo instaurato con tanta fatica, ma decise che per quella sera
gli era
già stato detto troppo.
Il viso di Kei era velato di una tristezza che Rei riusciva
a identificare con la parola ‘fragile’, pronta a
mostrare dietro di essa molte
più sfaccettature di un sentimento più complesso
che, però, non era in grado di
identificare.
-Allora andiamo?- chiese al russo che si era messo a
guardare distrattamente il cielo.
L’altro fece un semplice cenno col capo e si alzarono per
raggiungere gli altri.
Se si fosse trovato con qualsiasi altra persona,
probabilmente in quel momento Rei avrebbe esternato il proprio appoggio
e la
propria amicizia con un gesto, che fosse un abbraccio o una semplice
pacca
sulla spalla, ma sapeva che con Kei non se lo sarebbe potuto
permettere.
Si limitò a camminare a fianco a lui, a poca distanza,
sperando
che avvertisse quanto gli fosse vicino.
I restanti giorni della vacanza passarono veloci, troppo per
i gusti del gruppetto, e sereni.
La confusione non mancava: Hilary e Takao seguitavano a
beccarsi come al loro solito, Rei faceva da paciere, mentre Max, sempre
intento
a portare avanti la sua missione per conoscere nuove persone e fare
nuove
esperienze, era riuscito a conoscere una ragazza carina e simpatica.
Erano da soli in spiaggia quando Max, attivato il suo radar,
aveva adocchiato una moretta che faceva le parole crociate annoiata
sotto
l’ombrellone. L’americano non aveva perso tempo e
le aveva proposto di
staccarsi dai suoi genitori per unirsi a loro.
-Non ce la fa!- iniziò Takao scommettendo contro il suo
amico.
-Secondo me lei vorrebbe, ma i suoi non si fideranno!-
intervenne Rei.
-E dategli un po’ di fiducia!- sorrise Hilary.
Kei si limitò ad annuire in accordo con la ragazza,
aspirando il fumo dalla sigaretta.
Quando Max tornò accompagnato, l’espressione
sorpresa dei
due perdenti si trasformò in un caloroso sorriso pronto ad
accogliere il nuovo
acquisto.
Kei, invece, era sempre il solito, ma una volta appianata la
divergenza con Rei appariva anche lui contagiato da quella
serenità: ogni tanto
stava con Tsuya, precisamente quando lei lo andava a cercare, ma,
nonostante
non sembrasse più di tanto interessato alla ragazza, la
assecondava senza
troppo entusiasmo.
Quando il venerdì sera arrivò, si poteva
percepire la
malinconia per i giorni appena trascorsi e al contempo la stanchezza
accumulata.
Se ne stavano tutti insieme ai soliti tavolini nella piazza
del campeggio a godersi l’ultima sera insieme tra una
chiacchiera e l’altra.
Kei aveva Tsuya attaccata al suo braccio. Tempo poche ore e
non l’avrebbe più vista, un pensiero che non lo
perturbò affatto, ma che invece
sembrava essere fondamentale per la ragazza.
Si concentrò sulla musica proveniente dal palco, dove una
cover band suonava pezzi di un artista a lui sconosciuto: non voleva
ascoltare
i discorsi a suo parere senza senso di Kanko con il quale non aveva
più avuto a
che fare dalla serata sulla spiaggia. Non che gli fosse mai stato
simpatico,
però, dopo quella volta, aveva perso ogni barlume di
interesse.
Ad un tratto il russo si sentì chiamare e rispose con un
suono impercettibile.
-Vieni con me..-
Si lasciò guidare da Tsuya, ma non fece in tempo a capire
quali fossero le sue intenzioni che si ritrovò circondato
dalla folla di
persone al centro della pista da ballo.
La ragazza gli intrecciò le braccia intorno al collo e,
sorridendo, prese a ondeggiare.
-Stavolta ce l’ho fatta!- disse vittoriosa.
Kei si arrese alla situazione e assecondò la ragazza. La
musica lenta e le luci soffuse attenuavano l’oppressione
delle tante persone
che ballavano abbracciate, coprendo ogni visuale del mondo
all’esterno del loro
metro quadrato di spazio.
-Se ti chiedessi di lasciarmi il tuo numero?- gli chiese
all’improvviso Tsuya staccandosi dal suo petto.
-Non sono più loquace via messaggio.. odio i cellulari..-
rispose indifferente.
-Prevedibile!- sorrise amaramente prima di continuare
–Quindi il tuo è un no?-
-E’ più un ‘come vuoi’-
-Intanto non mi cercheresti più immagino..-
Aspettò qualche secondo prima di rispondere con un secco -No-
-Se ti aspettavi di scopare dopo, ti sei giocato la tua
possibilità!- disse lei ridacchiando.
-Devo dirti delle bugie per farti venire a letto con me.. di
nuovo?-
-Non bugie solo.. cose più carine magari!-
Continuarono a ondeggiare anche sulla canzone successiva.
Kei, come per concludere un ragionamento, la guardò negli
occhi, ma invece che accontentarla con parole dolci, le diede un bacio.
-Dire, non fare!- gli sussurrò ancora a contatto con le sue
labbra.
-E’ la stessa cosa- disse riprendendo il contatto.
-Non è vero..-
-Hai ragione.. è meglio-
Stavolta a cedere fu lei, abbandonandosi completamente a
Kei.
Quelle parole così dure erano annullate da quel contatto
così piacevole e dolce.
Il russo era seduto al tavolo della veranda massaggiandosi
le tempie, quando gli altri rientrarono.
-Abbiamo incontrato Tsuya, ma ci ha salutati malissimo.. che
le hai fatto?- chiese Max sorridendo.
-Io niente.. lei parla troppo- rispose apatico l’altro.
-Se se.. domani allora viene a salutarci?- aggiunse Takao.
-No..-
-Capito- disse il giapponese poco convinto senza indagare
oltre.
-Mi mancherà questo posto!- li interruppe Hilary
stiracchiandosi.
-A me non mancherà la tua neo fissa per la crema!-
-Takao dovresti solo che ringraziarmi.. se siete arrivati
vivi fino a oggi è merito mio!-
-Beh.. guarda che mancano ancora parecchie ore alla partenza
e potrebbe succedere di tutto!- disse catartico Rei.
-Questo è preoccupante.. ma possibilissimo!- rise Max.
Mentre entravano tutti all’interno del bungalow, Kei si fece
scappare un sorrisetto prima di seguirli per andare a dormire.
Il mattino dopo avrebbero dovuto affrontare un lungo
viaggio.
Dopo tanto tempo un
capitolo che mi soddisfa (quindi a questo punto dovrei ricevere mille
recensioni negative perchè se quelli che non mi piacevano a
voi sì, sarà viceversa!) ovviamente
però mi soddisfa solo la prima metà! Non si
può chiedere troppo cari miei! XD
Comunque..siamo arrivati a 21! La vacanzina è finita, ma ci
aspetta ancora una luuuunga estate davanti!
Kei sembra che abbia rimesso un po' la testa a posto..è
rientrato nei ranghi grazie al sergente maggiore capo Kon, ma..quanto
durerà? Vogliamo fare andare tutto avanti rose e fiori o
vogliamo qualche insidia in più? Beh quello che voglio io lo
so..devo solo farvelo leggere XD
Particolare degno di nota: il personaggio più amato di
questi capitoli risulta il caro Rei che si riaggiudica il premio come
Miglior Personaggio (questa volta) del capitolo 20! Che cinese
vanaglorioso ( e nel giorno gioiglorioso.. ok basta -.- )!!!
Vediamo se arriverà qualcuno a rubargli il posto col ritorno
a Tokyo! u.u
E nel tripudio di recensioni e ovazioni di folla vi dico: siate felici,
Rei Kon è beato! XD eheh farlo santo è il
prossimo passo..intanto procuratevi le sue icone!
Allora vi lascio..
Vi dò appuntamento alla prossima puntata, alla stessa ora,
sullo stesso canale!
Un bacione :)
Prima
di partire l’aveva trovata opprimente e ignota: non la conosceva e si sentiva
prigioniero dentro essa, come in tutto il resto della città.
Ora
che invece era tornato provava una sensazione diversa.
Non
propriamente di casa, ma si avvicinava molto a qualcosa di piacevole.
Doveva
ammetterlo, almeno in parte, che quella settimana gli aveva fatto bene: cioè,
c’erano stati degli alti e bassi, ma comunque alla fine era passata
relativamente serena e aveva fatto sì che l’aria di Tokyo fosse più
respirabile.
Altro
fattore che aveva consolidato questa positività improvvisa era stato la
creazione di una sorte di routine, di abitudine.
Sentiva
come se ci fosse stato qualcosa che aveva dimenticato, qualcosa di importante e
indispensabile, che era rimasto in Russia insieme al venticello fresco e alle
sue sigarette preferite. Questo qualcosa
doveva assolutamente riprenderselo.
Ci
aveva riflettuto a lungo e la conferma finale gliel’aveva data una chiamata
ricevuta pochi giorni dopo il ritorno dal mare. Era nel giardino del dojo insieme agli altri quando il suo telefono aveva
iniziato a squillare e una voce dall’altro capo aveva fatto sobbalzare tutti.
-Keiiiiiiiiiiiii!- il ragazzo dovette scostare il cellulare
dall’orecchio all’istante per non rimetterci un timpano.
-Non
c’è bisogno di urlare.. ti sento- disse divertito, più che arrabbiato.
-Indovina
dove sono, dai dai dai!-
-In
viaggio di nozze-
-Davvero
sagace..- disse Dana esasperata prima di riprendere il solito tono allegro -..a
Los Angeles! Tu non puoi capire cosa c’è qui.. basta, mi trasferisco!-
Kei
sentì la voce di Anton, il neo marito di Dana, borbottare contrariato per
quell’uscita e non riuscì a trattenere un sorrisetto pensando alla pazzia
dell’amica.
-Allora
come va il viaggio?-
-Te
l’ho detto è fantastico! Mi sto divertendo tantissimo, anche se ora fa il
contenuto, questo qui è più entusiasta di me! Te come stai?-
-Mmm normale.. fa caldo-
-Kei
è estate!-
Parlarono
per una decina di minuti buoni di tutto e di niente.
-Ste
chiamate intercontinentali mi stanno svenando! Facciamo che ci sentiamo quando
torno.. magari facciamo via internet così non vado in bancarotta per sentirti
musone!-
-Come
vuoi.. e non far impazzire tuo marito-
-Ok
capo! Farò la brava mogliettina! Ti saluta a proposito!-
-Salutamelo..
ciao-
Buttò
giù e si girò verso Rei che lo stava osservando sorridendo.
-Era
Dana?-
Annuì.
-Certo
che urla la ragazza!-
-Mh-
Il
cinese alzò gli occhi al cielo per le solite risposte criptiche di Kei e lo lasciò
a perdersi nei suoi pensieri.
Fu
proprio in quel momento che Kei ebbe l’illuminazione.
Ripensò
a Dana, al fatto che gli mancasse almeno quanto gli mancava Yuri, Mosca e tutto
il resto.
Immancabilmente
associava alla ragazza determinate abitudini, luoghi, suoni e odori. E quel
famoso qualcosa era proprio lì in
mezzo, nascosto tra quelle sensazioni. Voleva recuperare parte di esse e sapeva
che esisteva un modo specifico per farlo.
La
mattina successiva diede inizio a quella piacevole abitudine. Da quando erano
tornati, nessuno osava mettere piede giù dal letto prima delle 10, di
conseguenza la casa prima di quell’ora era a sua completa disposizione, tranne per
la presenza di Nonno J per niente invasiva. Si svegliò, quindi, presto come al
solito e si recò in palestra con il lettore mp3 e le grandi cuffie. Accese la
musica e chiuse gli occhi.
Lo
‘stare bene’ era uno stato che non si concedeva spesso e nemmeno facilmente, ma
per quella mattina fece un’eccezione: scaldò i muscoli intorpiditi per il lungo
periodo di fermo, li sentì tirare e distendersi, tornare a vivere in un certo
senso. Tornare a sentire.
Senza
nemmeno pensarci, iniziò a danzare sulle note che uscivano dalle cuffie
dimentico di qualsiasi altra cosa intorno a lui. Quando si fermò stanco e con
il respiro pesante per l’attività fisica risentì alcune di quelle sensazioni
che gli mancavano: perché in quel momento, in cui i battiti erano accelerati e
gli arti dolevano, provava una pace particolare.
Soddisfazione
di potersi sentire, di poter vivere e respirare, sensazioni opposte al solito,
quando gli stessi vivere e respirare sono azioni talmente semplici e meccaniche
che non assumono nessun significato o senso particolare.
Ripeté
quella terapia mattutina che rese le giornate più semplici e tranquille. I
nervi di Kei erano meno tesi e affrontava gli eventi più serenamente. Persino
Rei e gli altri si accorsero che qualcosa era cambiato, ma non erano ancora
riusciti a comprenderne la causa. Non indagarono nemmeno, contenti che la
situazione si stesse appianando.
Era
metà luglio ormai.
Nella
prima settimana di vacanza avevano redatto il programma perfetto per finire al
più presto i compiti estivi e godersi al meglio la bella stagione, ma ovviamente
questi non erano stati rispettati per mille e più scuse.
Probabilmente
se ne sarebbero fregati altamente fino all’ultimo se nel loro gruppo non fosse stata
presente Hilary. Lei ovviamente aveva mantenuto il ritmo fissato, ma non aveva
nessuna intenzione di lasciare i suoi amici indietro.
Avevano
dovuto arrendersi alla sua perseveranza.
Da
quella mattina avrebbero dedicato almeno un’ora al giorno (lei ne aveva
prefissate due, ma aveva dovuto cedere) ai compiti.
Armata
di libri e quaderni si diresse verso casa Kinomiya e,
una volta arrivata, salutò Nonno J che stava spazzando il vialetto d’ingresso.
-Buongiorno
Hilary, come mai qui così presto?-
-Stamattina
si studia!-
-Mi
sa che stanno ancora tutti dormendo..- disse l’uomo accigliato.
-Ancora?-
-Credo
ci sia solo Kei sveglio.. vado a tirarli giù dal letto!-
-Vabbè
aspetterò..- rispose sconfortata.
-No,
ogni tanto se si svegliassero prima non sarebbe una tragedia- e si allontanò
fischiettando per mettere in atto il suo piano diabolico.
Hilary
entrò nel dojo e posò le sue cose come d’abitudine
sul tavolo della sala.
Decise
di aspettare gli altri in giardino prendendo un po’ di sole: era allibita da
quanto riuscissero a dormire quei ragazzi, non pretendeva che si alzassero
all’alba, ma almeno ad un’ora decente. Considerava un peccato perdersi la
mattina.
Non
voleva stare da sola ma, dalle parole di Nonno J, l’unico in piedi era Kei e, dato
che ogni suo tentativo di intavolare una conversazione veniva puntualmente
smontato dalle sue risposte monosillabiche, rinunciò. I loro rapporti erano
molto migliorati dopo la settimana al mare per fortuna, ma era comunque una
fatica parlare con lui.
Si
guardò intorno per capire se fosse lì da qualche parte: da ragazza educata
quale era non gli avrebbe certo negato il saluto solo per la sua natura da
asociale.
Non
lo vide da nessuna parte, ma sentì dei rumori provenienti dalla palestra e
decise di andare a sbirciare: come minimo Takao in sua assenza era riuscito a
coinvolgerlo nuovamente con quelle noiose trottole.
Si
affacciò alla porta e lo guardò stranita. Tutto si sarebbe aspettata, ma
probabilmente quello non le sarebbe mai venuto in mente.
Kei
ballava. Altra caratteristica nuova da associare al russo.
Sorrise
impercettibilmente guardandolo: non se ne capiva, era sempre stata una persona
scoordinata e maldestra, ma la figura del ragazzo che si muoveva nel silenzio
la ipnotizzava. Sentiva solo il rumore dei piedi a contatto con il pavimento e
del respiro..
Kei
si fermò improvvisamente, mentre le cuffie gli scivolarono dalle orecchie per
ricadere sul collo.
Hilary
nell’improvviso silenzio si nascose oltre lo stipite senza sapere il perché.
Cercando
di non farsi notare andò verso la cucina ad aspettare gli altri che si decisero
finalmente a fare colazione.
-‘Giorno-
le disse Rei sbadigliando.
-Buongiorno!-
-Sei
già qui?- l’accolse Takao.
-Sono
in perfetto orario, come vi avevo detto ieri!-
La
ragazza li osservò mangiare esortandoli a sbrigarsi poiché non c’era tempo da
perdere.
Mentre
si recavano in sala intercettarono Kei che saliva le scale e lo incastrarono
nella seduta di studio con la scusa che a settembre avrebbe dovuto sostenere il
famoso test d’ingresso.
Alla
fine aveva saltato dieci minuti per farsi una doccia e il restante tempo lo
aveva passato a far finta di essere interessato a quello che stavano facendo.
Hilary
lo osservò per alcuni minuti: era diverso da poco prima. Non lo aveva visto
bene in faccia mentre ballava, ma coglieva un qualcosa che non sapeva definire.
Era
vivo, mentre in quel momento quell’aria annoiata lo abbatteva e non gli rendeva
giustizia.
Si
accorse da sola di essersi messa a fissarlo troppo intensamente e si distrasse
prima che qualcuno glielo facesse notare e prima che il diretto interessato
alzasse lo sguardo.
-Uffa
io la storia non la sopporto!- si lamentò Takao.
-Zitto
e scrivi!-
-Quanto
lungo lo devo fare ‘sto tema?-
-Almeno
cinque cartelle..- rispose Max affranto.
-Ma
non ce la farò mai!-
-Se
non perdessi tempo in chiacchiere..-
Ci
volle tutta la buona volontà di Hilary per farlo stare buono e convincerlo a
rimettersi al lavoro.
Quando
calò nuovamente il silenzio e si sentì solo lo sfregare delle penne sui fogli,
la ragazza fu finalmente soddisfatta e si appuntò mentalmente che doveva
trovare qualcosa da fare a Kei che stava guardando il foglio di Rei accigliato
tenendosi la testa col braccio.
-Che
vuol dire questo?- chiese improvvisamente il russo, indicando un ideogramma.
-Eh?-
disse il cinese preso alla sprovvista –Questo? Kuge.. è l’aristocrazia
giapponese-
-Mh..- annuì per la spiegazione, ma notando che i compagni
continuavano a guardarlo aggiunse -Che c’è?-
-E’
una parola semplice, Kei!- gli disse Takao come se fosse una cosa ovvia.
-I
kanji me li
confondo.. sono tutti uguali- rispose alzando un sopracciglio svogliato.
-Allora
ti starà simpatico il prof di storia!- aggiunse il giapponese sghignazzando.
Hilary
lo riprese e lo costrinse a rimettersi a scrivere facendo cadere la questione.
Più
di un’ora, comunque, non resistettero e presto misero da parte i libri e si
dedicarono al dolce far nulla per il resto della giornata.
Quando
arrivò l’ora di cena, il padre di Hilary la passò a prendere per portarla a
casa.
-Ci
vediamo domani.. Fatevi trovare svegli almeno, non dico pronti, ma svegli!- li
rimproverò prima di salire in macchina.
-Com’è
andata oggi, tesoro?- le chiese il padre una volta messo in moto.
-Come
al solito! Se non ci fossi io sarebbero persi!- rispose alzando gli occhi al
cielo.
-Chi
è quel ragazzo nuovo? E’ da un po’ che lo vedo..-
-E’
Kei, quello russo, sai che ve ne ho parlato..-
-Ah,
forse ricordo qualcosa!- disse l’uomo poco convinto.
-Visto
che quando parlo non mi ascolti?- scherzò lei.
-Non
è vero tesoro.. solo ormai ho perso il conto di quanti ragazzi il signor Kinomiya s’è preso a carico!- e risero insieme.
Arrivata
a casa Hilary salutò la madre e andò a cambiarsi. Una volta entrata in camera
si buttò per qualche minuto sul letto riposando la testa da tutto il baccano e
la confusione che caratterizzavano la villa di Takao. Quel silenzio improvviso
era ristoratore.
Svuotò
la borsa sulla scrivania e mise in ordine: i libri impilati sul fondo, i
quaderni che usava sull’angolo sinistro e penne e matite davanti al vecchio
stereo. Guardò la sua opera fissandosi su un particolare prima di sentire la
voce della madre che la chiamava per la cena.
Senza
bisogno di una sveglia, Kei aprì gli occhi come al solito tra le 7 e mezza e le
8.
Negli
ultimi giorni il tempo di pace a suo disposizione si era accorciato, poiché
Hilary aveva vinto la battaglia a favore dei compiti delle vacanze ed era
persino riuscita a coinvolgerlo portandogli del materiale che diceva sarebbe
servito per il famoso test che avrebbe dovuto affrontare.
Peccato
che a lui di quel test non è che importasse molto, lo studio non era
propriamente il suo passatempo preferito, per non parlare di quanto quella
lingua gli fosse ostica. Era da anni che non leggeva così tante cose in
giapponese e aveva ormai rimosso molti ideogrammi: certamente quel metodo lo
stava aiutando a recuperare, ma rimaneva comunque un’azione estremamente
noiosa.
Andò
in bagno e si rivestì, prima di andare in giardino a concedersi la
personalissima colazione: una sigaretta.
Salutò
Nonno J e si stiracchiò mentre si dirigeva verso la palestra.
Si
sedette sul legno e roteò il collo facendo scrocchiare leggermente le
articolazioni; mentre completava il movimento a occhi socchiusi notò un
particolare nuovo vicino alla porta d’ingresso di cui non si era accorto
entrando.
Un
piccolo stereo portatile con già attaccato un cavetto per l’mp3. Si avvicinò
incuriosito e scrutò l’oggetto: era grigio e rosa, con adesivi consumati e
altri mezzi strappati, una piccola ammaccatura sulla porticina per le musicassette,
ma per il resto in perfetto stato.
Si
chiese chi potesse essere stato a portarlo, ma solo un nome gli venne in mente
considerandone l’aspetto.
Doveva
averlo visto una di quelle mattine, ma lui doveva essere così preso da non
essersene nemmeno accorto.
Attaccò
il lettore mp3 e provò ad accenderlo: il volume non era altissimo, ma era
comunque una soluzione migliore in confronto alle cuffie che ogni due per tre
gli cadevano, per non parlare dell’impiccio che provocavano quando provava dei
passaggi a terra.
Sperimentò
lo stereo e si ritrovò soddisfatto: si stava avvicinando sempre più nel ritrovare
quelle sensazioni senza nomi, che pian piano si stavano delineando più chiare
nella sua mente.
Quando
poche ore dopo si ritrovarono tutti insieme in sala pronti a cominciare una
nuova seduta di studio, Kei si avvicinò a Hilary.
-Eccoti
il libro che ti dicevo!- lo anticipò porgendogli un libricino sottile.
Annuì
preso alla sprovvista; fece per andarsi a sedere, ma si rivoltò subito.
-Ah
grazie-
-Tranquillo
intanto l’ho già letto..-
-Non
per il libro.. per l’altra cosa-
-Non
so di cosa tu stia parlando!- disse sorridendo.
-So
che è tuo..- ribadì divertito -grazie- e si andò a sedere sul porticato.
Hilary
lo vide con la coda dell’occhio accendersi una sigaretta e aprire il libricino.
-Di
che stavate parlando?- le chiese Rei perplesso mentre si accomodavano vicini.
-N-niente..-
-Kei
non ringrazia senza motivo.. ti sarai accorta che non parla se proprio non
deve!-
La
ragazza tentò di concentrarsi sul quaderno, ma l’altro continuava a guardarla
in attesa.
-Ok
ok.. gli ho solo prestato il mio vecchio stereo..-
-E
perché mai dovrebbe servirgli uno stereo?- chiese accigliato.
-Perché
le cuffie gli cadevano..-
Rei,
continuando a non capire, chiese ulteriori spiegazioni; Hilary allora gli si
avvicinò e iniziò a sussurrare come per svelare un importante segreto.
-Ma
scusa, non lo sai che balla?-
-Sì
che lo so, ma.. aspetta! Quando?-
-Tutte
le mattine!-
-Ecco..-
A
Rei iniziarono a spiegarsi molte cose, a partire dalla tranquillità degli
ultimi giorni.
Gli
vennero immediatamente in mente i giorni passati in Russia, il cambio di
atteggiamento di Kei quando era andato a svagarsi in palestra con Dana e le
parole di Yuri che parlava di ballo e sigarette come le uniche cose che
riuscissero a farlo stare meglio.
Come
aveva fatto a dimenticarsi di un particolare del genere?
Semplicemente
non ci aveva creduto più di tanto. Era abbastanza scettico al riguardo, poiché
era un mondo completamente estraneo al suo.
Eppure
lui era il primo che quando qualcosa andava male si sfogava attraverso le sue
passioni, cucinare e il beyblade: pensava che il modo
migliore per aiutare Kei fosse lasciare che Takao riuscisse a fargli rilanciare
la fidata trottola. Ma si sbagliava: ora il russo aveva trovato altro e lui,
chiuso all’interno delle sue mura, non aveva aperto la mente a nuove
prospettive.
Dana
glielo aveva detto, gli aveva lasciato una chiave di lettura per quel nuovo
Kei, quello cresciuto che pensava alle ragazze, alle sigarette e alla danza.
Gli aveva fatto promettere di non farlo smettere e lui se ne era dimenticato.
Avrebbe
dovuto rivedere le sue tattiche, ma chissà che questa volta non sarebbe
riuscito a spuntarla più facilmente che al mare, quando era stato costretto a
urlargli contro.
-Perché
a me hai requisito il cellulare, mentre Max può tranquillamente messaggiare?- chiese Takao infastidito a Hilary.
-Perché
lui non si distrae esponenzialmente come te!-
-Ancora
la tizia del campeggio?-
-Yessa!- rispose al settimo cielo il biondino.
-Uffa..
sempre più ingiustizie verso il sottoscritto!- sbuffò il giapponese.
Ecco
a voi il nuovo capitoletto!
Lo
so, siamo tornati ai capitoli corti, ma davvero, stiamo lavorando per voi! (noi
formato da: io, me stessa e me) Abbiamo ufficialmente abbandonato il mare e i
nuovi amichetti e ci stiamo avventurando verso il pieno dell’estate, in attesa
di andare a scuola! Yeeee tutti felici :P
Coooomunque.. abbiamo avuto un bel ritorno: il
Kei ballerino! Era un particolare che chiedevate a gran voce e avete fatto bene
a non dimenticarvene.. forse sarebbe stato meglio se fosse stato Rei a
ricordarsene, ma in fondo non possiamo chiedere troppo al cinesino u.u ha avuto tantissimo da fare in questo periodo!
Ihih..allora vi lascio in attesa della
settimana prossima..! Sarà un giovedì notte da ricordare e da segnare sul
calendario! Le stelle cadenti arriveranno in anticipo, i pianeti si
allineeranno e Hercules..no quello era il cartone
della Disney..vabbè! Avete capito!
Rei
aveva esordito così pochi giorni dopo aver avuto la grande rivelazione. Voleva
assolutamente parlare con Kei e trovare il modo di mantenere la promessa fatta
a Dana.
Uscirono
nella confusione di metà pomeriggio, ora in cui la maggior parte delle persone usciva
dopo aver cercato riparo dalla calura delle ore di punta.
Si
diressero verso la zona più moderna del quartiere, la zona commerciale
circondata da negozi, grandi magazzini e uffici.
-Allora
come va col giapponese?-
-Comincio
a ricordare qualcosa di più..-
-Guarda
che Hilary è sempre disponibile ad irradiare sapere se avessi bisogno!- disse
Rei con aria solenne, per poi scoppiare a ridere.
-L’ho
notato-
-Ah,
mi ha detto dello stereo..-
-Mh-
Il
cinese continuò a camminare aspettando una qualsiasi reazione.
-Che
vuoi che ti dica?- chiese il russo leggermente confuso.
-Oh..
niente, niente..-
Sapeva
che Kei era sempre in guardia da quella serata in cui si era aperto a Rei:
cercava di capire quando questo si aspettasse qualche confessione e tentava di
essere disponibile al limite delle sue possibilità, cosa che gli costava non
poca fatica.
Camminarono
per le vie trafficate fino ad arrivare in una grande piazza con una misera zona
verde al centro. La attraversarono fino al punto in cui l’erba si diradava e
dava inizio alla distesa di cemento di un parcheggio.
Ciò
che li fece fermare fu un capannello di persone fermo a osservare qualcosa e
una musica che si mischiava al rumore della città.
Una
donna trascinò via il figlio lasciando uno squarcio nella folla dal quale si
poteva vedere un ragazzo che ballava breakdance.
-Vuoi
guardare?- chiese Rei vedendo l’altro incuriosito.
Sapeva
benissimo cosa avrebbero trovato alla fine di quella passeggiata; dal canto suo
non conosceva niente di quel mondo e quello era l’unico modo che gli era venuto
in mente per avvicinarsene.
Kei
annuì intuendo qualcosa di quello che era stato il piano del cinese e decidendo
di assecondarlo senza lamentarsi.
Il
russo riconobbe quello come il luogo di ritrovo dei breaker
del posto: un posto in strada dove ci si allenava e si dava anche un po’ di
spettacolo solo per il gusto di farlo.
Dal
cerchio formato dai ragazzi e dalle poche persone curiose uscì il ragazzo che
aveva attirato la loro attenzione e entrò una ragazza.
Kei
la osservò ballare, eseguire le sue move e poi lasciare il posto a un altro, facendosi da parte.
Perse
immediatamente interesse verso il ballerino e riprese a guardare incuriosito la
b-girl: sapeva benissimo quello che lo attirava, ma tentò di non ammetterlo a
se stesso.
La
diretta interessata si accorse di essere al centro dell’attenzione del russo e
lo guardò perplessa smettendo di bere dalla bottiglietta che aveva in mano.
Kei
non demorse e la costrinse, con la sua insistenza nel guardarla, ad
avvicinarsi.
-Balli?-
gli chiese una volta fattasi strada tra la folla trascinando dietro un’amica.
-No-
-Sì-
Le
voci di Kei e Rei si sovrapposero.
-Sì
balla, te lo dico io!- lo precedette il cinese.
-Vuoi
entrare allora?- chiese sulla difensiva riferendosi al cerchio.
-No,
non ballo..-
-Il
tuo amico non mi sembra del tuo stesso avviso..-
Rei,
che come obiettivo aveva solo quello di farlo assistere, si ritrovò al centro
di un gioco di sguardi e frecciatine. Non era umanamente possibile che
qualsiasi cosa facesse, Kei riuscisse ad attaccar bottone con qualcuna: eppure
continuava a essere il solito asociale.
-Tu
balli bene- le disse il russo guardandola con un mezzo sorriso.
-Grazie!
Ma posso migliorare..-
Ripresero
a guardare gli altri ragazzi che si allenavano, mentre le persone intorno
continuavano a fermarsi e ripartire.
-Comunque
piacere, io mi chiamo Mizuki.. e lei è Lelè!- disse la bruna allungando la mano.
Si
presentarono tutti e quattro.
Mizuki bisbigliò
qualcosa alla compagna.
-Vi
va un aperitivo o qualcosa da bere?- chiese infine.
-Non
so se..- iniziò Rei, ma fu fermato dall’amico.
-Va
bene-
-Perfetto
allora andiamo a sistemarci..- disse indicando se stessa sudata per aver
ballato -..arriviamo subito!-
Presero
le loro cose e si diressero verso un bar al lato della piazza.
-Ma
che ti è preso?- chiese Rei appena le due si furono allontanate.
-In
che senso?-
-Beh,
dobbiamo avvertire a casa e..-
-Chiama
Takao allora..- gli rispose pratico -..mica torniamo tardi-
Rei
si arrese e mandò un messaggio a Takao.
-E
comunque non è carino fissare la gente a quel modo..-
-Mh?-
-La
stavi fissando.. Mizuki-
Kei
di risposta scrollò le spalle.
Dovettero
aspettare dieci minuti prima che le due amiche ritornassero rinfrescate e
cambiate con semplice maglietta, jeans e Converse.
Il
russo si accorse che uno dei breaker lo stava
fulminando con gli occhi mentre si allontanavano.
-C’è
un posto carino qui vicino..-
Iniziarono
a camminare per le vie trafficate per fermarsi in un locale poco lontano:
entrando furono portati in un piano sotterraneo illuminato da delle luci
colorate e a tratti fosforescenti.
Si
accomodarono a un tavolino e ordinarono da bere.
-Quindi
balli o no?- gli chiese Mizuki.
-A
volte..-
-Che
risposta è? O balli, o no!- sorrise divertita.
-Allora
sì-
-Finalmente!-
La
conversazione procedette senza problemi per l’ora successiva.
Rei
non poté fare a meno di notare quanto potesse essere a suo agio Kei in certe
situazioni, nonostante la vita sociale non fosse la sua priorità.
La
parte divertente era vedere il suo livello di interesse verso la persona in
questione: mai lo aveva visto così incuriosito. Continuava a fissare Mizuki di fronte a lui con uno sguardo indagatore, piegando
leggermente la testa verso destra. Sembrava intenzionato a studiare ogni
centimetro del volto della ragazza, analizzarlo e ricavarne chissà che
informazioni.
Quello
che potesse saltare per la testa del russo non lo immaginava nemmeno
lontanamente, anche se avrebbe azzardato che l’obiettivo principale del ragazzo
ormai fosse il conquistare.
Rei
tentò di tenere compagnia a Lelè: entrambi si
sentivano estranei in quella situazione, intrappolati dai due amici che stavano
instaurando quella strana relazione.
Rimasero
anche qualche minuto da soli cercando di colmare lo spazio vuoto lasciato
dall’assenza dei due senza molto successo.
Fu
quasi un sollievo quando arrivarono ai saluti.
-Direi
che si è fatto tardi..- disse Lelè con un’occhiata di
intesa al cinese.
-Anche
per noi!- la assecondò prontamente.
Quando
capì che la loro tattica era andata in porto, Lelè fece
gli fece l’occhiolino e iniziò a prendere la sua roba.
-Dammi
il cellulare!- disse improvvisamente Mizuki
sorridendo.
Kei
ubbidì e tirò fuori dalla tasca il telefonino, appoggiandolo sul piano del
tavolo facendolo scorrere verso di lei.
Mizuki lo afferrò e
iniziò a digitare veloce sui tasti il proprio numero per poi far squillare il
proprio.
-Ecco
fatto!- disse sorridendo restituendogli l’apparecchio.
Uscirono
dal locale e si salutarono prendendo due strade diverse.
Camminarono
in silenzio verso casa, mentre il sole spariva completamente dietro
l’orizzonte.
-Continuo
a pensare che fissare le persone non sia un atteggiamento molto carino- disse
Rei sorridendo del comportamento dell’amico.
-Non
la stavo fissando- si difese Kei.
-Come
no.. non hai smesso un secondo!- lo prese ancora in giro.
Il
russo alzò gli occhi al cielo e si arrese alle accuse.
-Volevo
accertarmi di una cosa- disse semplicemente.
-Di
cosa?-
-Mi
ricordava una persona- disse facendo spallucce.
-Posso
chiederti chi?- chiese titubante Rei.
-Nataliya-
Rei
rimase in silenzio un secondo prima di capire di chi stesse parlando. Quel nome
non era mai stato pronunciato, non lo aveva mai saputo, ma era stato semplice
collegare le due cose.
Kei
lo aveva detto con così tanta naturalezza che era come se la ragazza in
questione fosse stata a pochi metri da loro; aveva ripreso per quelle poche
sillabe tutto il suo accento russo, come se tutte le parole in giapponese fino
a quel momento non ci fossero state, come se fosse stato pronunciato al centro
di una frase silenziosa in quella lingua lontana.
Il
cinese si accorse di avere lo sguardo dell’altro addosso, intento a studiare la
sua reazione, a quanto pareva più vistosa di quello che avesse immaginato.
Kei
gli aveva confessato quel particolare per mantenere il suo nuovo proposito di
farsi aiutare, di conseguenza si presupponeva che Rei fosse disponibile a
recepire quelle informazioni e comportarsi di conseguenza per aiutarlo.
Analizzò
velocemente la situazione e arrivò alla conclusione che in quella giornata si
era lasciato troppo trasportare dall’euforia e aveva compiuto un errore
clamoroso.
Lo
aveva portato lì dove tutto era iniziato e non avendo calcolato questa nuova
capacità di intrecciare relazioni, aveva permesso la conoscenza dell’ennesima
ragazza. Se poi Kei confessava di trovarla simile alla vecchia amica, poteva
dire di aver ceffato del tutto.
Come
poteva porre rimedio ora?
-Penso..-
iniziò il cinese -..penso che se le cose stanno così, non dovresti più
rivederla!-
Tutto
si sarebbe aspettato, ma non che Kei iniziasse a ridacchiare.
-Ma
cosa hai capito?- disse divertito alla sua faccia confusa –Volevo accertarmi
che non si assomigliassero.. e infatti sono completamente diverse-
Rei
rimase senza parole e annaspò qualche sillaba prima di mettere una parola
davanti all’altra.
-Ma..
ma in ogni caso hai intenzione di rivederla?-
-Può
darsi.. ha detto che mi vuole chiedere un favore-
-E
che favore?-
-Non
lo so.. me lo deve ancora dire-
-Ma
hai intenzione di riandare da quei ragazzi? Da quelli in strada?-
-Ma
non sei tu che mi ci hai portato scusa?- chiese il russo saccente, facendogli
capire di non aver bevuto la storia della passeggiata.
-Sì,
ma.. non avevo pensato.. non avevo messo in conto che.. beh, non so se sono
raccomandabili!-
-A
me lo sembravano fin troppo-
-Senti,
non voglio essere la causa del tuo ritorno sulla cattiva strada, mi
sbagliavo..-
-La
situazione è ben diversa Rei, stai tranquillo.. solo perché stanno a ballare in
strada non vuol dire che siano persone poco raccomandabili-
-Ma
anche in Russia..- provò il cinese, ma fu interrotto.
-A
Mosca era un’altra situazione.. erano dei morti di fame e sulla via della
disperazione; questi si allenano e basta.. avrai notato che Lelè
era firmata da capo a piedi, non penso sia proprio una poveraccia..-
-Ma..-
-E
poi quelli che sembrano a posto non sempre lo sono.. prendi solo che i ragazzi
al mare..-
-Ok,
ok! Afferrato..- disse Rei cercando di dargli fiducia visto tutto l’impegno che
ci stava mettendo; doveva ammettere che il suo ragionamento non facesse una
piega e decise di lasciare la preoccupazione a un eventuale futuro.
-In
cosa te la ricordava?- cercò di cambiare discorso.
-Forse
era solo il contesto..-
-Se
si fosse dimostrata uguale a lei, invece, che avresti fatto?- indagò il cinese.
-Non
lo so, per fortuna non è stato così-
rispose dopo averci pensato su.
Quel
per fortuna non lo convinceva: voleva
dire che sperava non si somigliassero, che se si fossero rivelate simili non
sarebbe stata una cosa positiva, ma anche che avrebbe potuto essere nuovamente
affascinato e soggiogato da una persona così. Che poi forse soggiogato non era
la parola giusta: per quello che ne sapeva, Nataliya era stata sì colei con cui
aveva condiviso la droga, ma non era a conoscenza di come in realtà tutto fosse
iniziato.
Rimasero
in silenzio fino all’arrivo al dojo.
-Quindi
quando parti?- chiese Takao disperato.
-La
seconda settimana di agosto!- rispose Max sorridente.
-La
stessa mia..- aggiunse Rei.
Takao
boccheggiò intristito: Max e Rei avevano appena annunciato che avrebbero passato
dieci giorni fuori dal Giappone, il primo sarebbe andato a trovare i suoi in
America, mentre il secondo al suo villaggio in Cina.
-Siamo
insieme incessantemente da anni ormai! Qualche giorno lontani non ci ucciderà!-
esclamò divertito l’americano.
-Potresti
cogliere l’occasione per cazzeggiare di meno e metterti sui libri seriamente..-
si intromise Hilary.
-Ma
non ci penso nemmeno.. a metà agosto io progetto di godermi a pieno l’estate!-
-Staremo
a vedere!-
Per
una volta Kei doveva trovarsi d’accordo con Takao. Come avrebbe fatto a
resistere per dieci giorni solo con il giapponese? Non che gli stesse
antipatico, ma semplicemente temeva quella sua innata esuberanza e tendenza a
coinvolgerlo in situazioni a lui poco consone.
La
vibrazione del cellulare lo fece distrarre dai suoi amici; afferrò
l’apparecchio e lesse il messaggio ricevuto.
Mizuki gli aveva
scritto: Ciao.. ti va di vederci oggi?
Ci
pensò su prima di risponderle: Va bene
Si
misero d’accordo per incontrarsi quel pomeriggio, poco lontano dalla piazza
dove si erano conosciuti il giorno prima.
-Allora
come va?- iniziò lei dopo essersi salutati.
-Come
ieri sera..-
-Sì
in effetti non è passato tanto tempo!- Iniziarono a camminare per le vie del
quartiere conversando del più e del meno, fino a che non si fermarono in una
gelateria.
-Che
c’è?- chiese Mizuki imbarazzata sentendo lo sguardo del
ragazzo continuamente su di lei.
-Niente-
-Mi
stavi fissando!- aggiunse lei sorridendo.
-E’
una mia brutta abitudine.. non farci caso- rispose ripensando alle
constatazioni di Rei.
-Ok..-
-Cosa
volevi chiedermi allora?- disse Kei smettendo di tergiversare.
-Stavo
pensando..- iniziò timidamente -..sempre se ti va bene.. hai presente quel
ragazzo che c’era ieri in piazza?-
-Ce
n’erano molti in verità..-
-Sì,
hai ragione.. vabbè, uno di loro è il mio ex e mi sta assillando per tornare
con lui..-
Kei
la guardò in silenzio, invitandola ad andare avanti.
-..
beh, magari se vedesse che sto con qualcuno mollerebbe un po’ la presa!-
-E
quel qualcuno dovrei essere io?-
-Sarebbe
carino..-
Lui
la guardò perplesso –Non facevi prima a chiedermi di uscire insieme?-
-E’
che non voglio una storia seria, non ora.. e non volevo illuderti..-
-Non
c’è pericolo- aggiunse lui alzando un sopracciglio. Se c’era una persona che
non si sarebbe illusa e non avrebbe voluto storie serie, quella era proprio lui.
-Quindi
ti sta bene? Non pensi che sia una pazza, visto che ci siamo conosciuti solo
ieri?- chiese osservandolo di sottecchi.
-No,
non troppo.. e sì, direi che mi sta bene- rispose pratico.
-Perfetto!-
concluse Mizuki sorridendo e dando l’ultimo morso al
cono del suo gelato –Ti va di andare in piazza?-
Kei
annuì e la seguì verso il ritrovo dei breaker.
Passarono
il resto del pomeriggio lì: gli presentò alcuni dei ragazzi e lo invitò a
ballare, ma Kei declinò e rimase semplicemente a guardarli allenarsi seduto su
un muretto.
Quella
scena lo riportò indietro di almeno un anno: era strano come in diverse parti
del mondo vi potessero avere abitudini così uguali. Già attraverso il
campionato di beyblade aveva potuto avere la conferma
dell’esistenza di linguaggi comuni, di legami che andavano oltre lo status
sociale e l’aspetto fisico.
Sentì
come una specie di nostalgia, un senso di ritorno al passato.
Guardò
Mizuki ballare e ridere con gli altri ragazzi: cosa
aveva notato in lei il giorno prima? Cosa lo aveva portato a paragonarla a lei? Nell’aspetto fisico non avevano
nulla in comune. I capelli castani e gli occhi scuri di Mizuki
non avevano niente a che fare con la chioma corvina di Nataliya e le sue iridi azzurre.
L’altezza, il taglio degli occhi, tutto era diverso. Eppure c’era qualcosa nel
suo modo di fare, nel suo portamento, nella sua danza che lo portava
automaticamente a lei.
Continuò
a studiarla, osservandola da lontano e ascoltandola attentamente quando si
avvicinava.
Più
il tempo trascorreva, più la somiglianza si affievoliva. Lentamente ogni
caratteristica simile veniva sostituita fino a scomparire.
Se
ne rallegrò, ma allo stesso tempo rimase deluso.
-Ecco
è lui..- gli sussurrò Mizuki: Kei sobbalzò nel
sentire quella voce, così acuta e differente da quella che il flusso dei suoi
pensieri si era per un secondo aspettato.
Mizuki sembrò non
rendersi conto di nulla e gli indicò un ragazzo alto che si avvicinava al
gruppo.
Era
quello che il giorno prima lo aveva guardato male mentre se ne stavano andando:
ora si spiegava il perché.
-Vieni
qui..- aggiunse lei sorridendo per poi avvicinarsi a Kei e alzarsi sulle punte
dei piedi.
Lo
baciò reggendosi al suo petto.
Il
russo la assecondò chiudendo gli occhi, ancora preso da quel suo test
personale: il sapore di quelle labbra non avevano niente a che vedere con
quello di Nataliya. Approfondì il contatto, ma socchiuse le palpebre per
ufficializzare ciò che vedeva davanti a sé: Mizuki e
nient’altro.
Si
staccarono e tempo due minuti l’ex della ragazza si presentò davanti a loro.
-E
tu chi saresti?- disse astioso.
-Dovresti
dirmelo tu prima di pretendere- rispose gelido Kei.
-Questo
è il mio territorio e..-
-Che
sei un cane?- lo interruppe il russo.
-Dai
Naoki calmati..- intervenne uno dei ragazzi che stava
assistendo alla scena -..l’ha portato Mizuki, mi
sembra chiaro..-
Naoki guardò con
cattiveria la ragazza per poi fronteggiare Kei, di pochi centimetri più alto di
lui.
Fece
per dire qualcosa, ma rinunciò e si voltò portandosi il più lontano possibile
dalla coppia.
-Beh
come primo incontro direi che è andata bene..- disse scettica Mizuki cercando di riderci su.
-Mh- mugulò lui indifferente.
-Come
sarebbe a dire mh?-
-Niente..
è tutto fumo e niente arrosto..-
Lei
scoppiò a ridere prima di dargli ragione.
-Dai
andiamo a fare un giro..- concluse prendendolo per mano.
Arrivò
a casa per cena, ma riuscì ad evitare le domande di Rei solo per poche ore.
-Allora
cosa voleva chiederti Mizuki?- iniziò mentre lavavano
insieme i piatti.
-Niente
di che..- iniziò con l’intento di chiudere il discorso, ma vedendo ancora Rei
in attesa si convinse a collaborare -.. di far ingelosire il suo ex in pratica-
-Ah,
quindi non la vedrai più?-
-In
verità le ho detto che l’avrei fatto-
-Ah..
e perché?- chiese perplesso.
Kei
fece spallucce –E’ carina-
-E
ti sembra un motivo valido?-
-Abbastanza-
Rei
boccheggiò un secondo prima di formulare una frase.
-Ma
ti sta usando per i suoi scopi..-
Kei
fece un mezzo sorriso leggendo indignazione nelle parole del cinese.
-Beh
e io la uso per i miei-
Continuarono
a lavare le stoviglie in silenzio, prima che Rei riaprisse bocca.
-Ma
a te sta bene stare con le ragazze così, tanto per fare..?- lo guardò, ma non
attese la sua risposta, consapevole che sarebbe stata comunque affermativa -..
stai attento!-
Quell’avvertimento
provocò nuovamente una reazione inaspettata, tanto che Rei se ne stupì.
Infatti,
Kei iniziò a ridere scuotendo la testa, prima di sospirare ancora con l’ombra
di un sorriso.
-Ok-
lo assecondò Kei.
Rei
rispose anche lui con un sorriso, realmente contento di quella sorprendente
situazione.
-Piuttosto
mentre sei via, tu cerca di concludere qualcosa- aggiunse il ragazzo
asciugandosi le mani a lavoro finito.
-Cosa?-
-Con
Mao-
-Ah..
sì!- Rei arrossì lievemente e fece per rispondere, ma quando si girò l’altro
aveva già varcato la soglia della cucina.
Dove passerà la banda, col suo suono fuori moda..
Kei e Nataliya
si conobbero nei corridoi della loro scuola superiore a Mosca. Le loro classi
erano l’una di fronte all’altra e ad ogni cambio ora o qualsiasi pausa
improvvisata, si incontravano.
Lei era una
classe avanti, ma aveva ripetuto un anno a causa della sua cattiva condotta e
della sua totale assenza di voglia di studiare conosciuta da tutto il corpo
insegnanti, non che a questi interessasse più di tanto.
Kei, invece, era
in quella scuola da poco. Era trascorsa un’estate dalla chiusura del Monastero
e si era dovuto abituare a quel nuovo ambiente. Non conosceva nessuno, poiché
Yuri, Boris e Sergay erano in altre classi in un’altra ala dell’edificio.
Aveva tutti i
buoni propositi del mondo. Era finalmente libero, non doveva sottostare a nessun
comando e a nessun pazzo, bensì aveva la semplice possibilità di vivere la sua
vita da quattordicenne. Era intenzionato a studiare e a diplomarsi, per poi
trovare un qualsiasi lavoro: voleva andare avanti.
Il beyblade, che fino a pochi mesi prima era la sua vita,
rimaneva sempre più spesso fermo: lanciarlo risvegliava troppi ricordi e
sensazioni che aveva deciso di spegnere totalmente, quindi era rimasto un
passatempo che si concedeva solo in pochi momenti.
Tutto nella sua
testa sembrava pronto ad andare bene.
Peccato solo che
la realtà non andasse di pari passo con la sua fantasia.
Da quella
primavera era già stato in una stanza di albergo e in due case famiglia,
l’ultima delle quali si trovava in un palazzo poco lontano dalla scuola e dove
stava insieme ai suoi amici e a qualche altro bambino del monastero: era un
luogo comodo e accogliente, ma sovraffollato. Lo spazio era quello che era e
non esisteva un posto dove stare in tranquillità a studiare o concentrarsi. Fu
lì che conobbe la ragazza che lo avviò in quel mondo che era la sessualità, un
mondo fino a quel momento oscuro e temibile, ma del quale presto scoprì il
piacere e l’attrazione.
A questo insieme
di disagi e di scoperte, si unì l’inevitabile fattore delle maldicenze. A Mosca
e in tutta la Russia il caso del Monastero era una grave macchia da nascondere
al mondo e di cui vergognarsi. Dopo le prime settimane in cui se ne parlò, il
governo aveva messo tutto a tacere e aveva intimato alle persone di
dimenticare. Per tutti era come se non fosse mai esistito un luogo del genere e
non fosse mai accaduto nulla.
Tutti, però,
sapevano. E tutti, in classe, a scuola, nelle case famiglia e negli orfanotrofi,
sapevano chi fossero i ragazzi usciti da lì, lo sapevano, li additavano e si
comportavano di conseguenza: un misto tra pietà e menefreghismo.
Così in classe
Kei non si fece nessun amico. Il suo bell’aspetto intimoriva e affascinava allo
stesso tempo e nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a lui. Solo qualche
impavido tentava l’approccio, ma il contatto con quegli occhi viola, a volte
rossi, li allontanava nuovamente.
Il suo carattere
burbero e schivo non aiutava la situazione: anche se si proponeva di essere
affabile e accondiscendente, appariva esattamente il contrario.
Difficile
decidere se fosse un problema suo o degli altri.
Era la prima
decade di dicembre quando lei abbatté quel muro fatto di pregiudizi e freddezza
e gli si avvicinò. Lui era seduto sulle scale antincendio a fumare una
sigaretta, mentre il cielo spruzzava i primi fiocchi neve.
-Tu sei quello
del monastero giusto?- esordì lei con un sorriso furbo e indecifrabile.
Kei annuì a
quella domanda così diretta che nessuno gli aveva mai posto apertamente.
La ragazza
sistemò i capelli corvini sotto il cappuccio e allungò la mano amichevole.
-Piacere, mi
chiamo Nataliya!-
-Kei..- rispose
lui senza muovere un dito.
Lei ritirò la
mano, ma non sembrò offesa, semplicemente si accese una sigaretta.
Rimasero tutto
il tempo in silenzio, senza scambiare un ulteriore parola.
Il russo non
riuscì a tenere lo sguardo fisso nel vuoto come era il suo solito, ma si mise a
sbirciare la sua vicina con la coda dell’occhio ogni volta che poteva.
Sembrava essere
a suo agio, immersa nei pensieri più disparati. Tutto quell’atteggiamento lo
incuriosiva, ma non lo infastidiva.
Stare seduti
sotto la neve a fumare con qualcuno in totale silenzio non era per lui
imbarazzante o opprimente. Anzi.
Eppure avrebbero
potuto tranquillamente parlare di qualsiasi cosa. Gli vennero persino in mente
argomenti plausibili, come perché non fosse in classe, che lezione avesse degna
di essere saltata a quel modo senza complimenti, dopo quanto tempo il professore
avrebbe iniziato a domandarsi dove fosse. Invece, solo silenzio.
Così com’era
arrivata, se ne andò. Gli sussurrò solo un –A presto, Kei- e si dileguò
nell’edificio.
Fu così per le
settimane a seguire. Sempre così.
Si incrociavano
all’ingresso o nei corridoi, si salutavano e spesso stavano insieme, vicini,
senza dirsi nulla. Scambiandosi e condividendo le sigarette e qualche canna.
Era insolita
l’attrazione che Kei sentiva verso la ragazza, non l’aveva mai provata prima, e
non lo infastidiva quel rapporto così indefinito.
Gli sembrò tutto
ancora più insolito quando si scoprì essere interessato ad instaurare un
dialogo con lei: lo fece, fu lui a parlarle per primo, seduti sul muretto del
piccolo cortile della scuola.
-Perché stai con
me?-
Lei lo fissò con
un misto di divertimento e scetticismo sul volto.
-Sai da dove
vengo- continuò Kei.
-Sì che lo so..
tu non sai cosa dicono di me?-
A quella domanda
si ritrovò spiazzato.
No, non lo
sapeva. Non parlava con nessuno e tanto meno ascoltava i discorsi degli altri.
Le uniche persone all’interno della scuola con cui avesse contatti erano Yuri e
gli altri e di certo non erano loro argomenti preferiti i pettegolezzi e le
dicerie, essendone vittime loro stessi.
Kei scosse la
testa.
-Allora dovresti
informarti!-
-Non mi
interessa cosa dice la gente.. loro parlano, ma non sanno nulla-
Nataliya sorrise
–Non ho una buona reputazione, ma ascolto i discorsi.. mi arrivano le voci.. tu
no, quindi non sai nemmeno cosa dicono di te?-
-Non mi
importa..- rispose in una smorfia.
-Parlano soprattutto
dei tuoi occhi..- prese l’iniziativa lei, sporgendosi verso Kei e facendoglisi
più vicina -..hanno delle teorie molto fantasiose!- continuò ignorando il fatto
che non le fosse stato chiesto nulla.
-Alcuni dicono
che sono di quel colore a forza di aver visto colare del sangue innocente..- disse
con un ghigno -..altri, questa è la mia preferita, dicono che diventano rossi
quando vuoi fare qualche cattiveria o peggio compiere qualche omicidio!- e
scoppiò a ridere.
Non una risata
cattiva, nemmeno di derisione o scherno, ma più cristallina, come a
sottolineare quanto quelle parole fossero prive di significato.
-Non sono
fantasiosi più di tanto.. le sento da sempre-
-Non è che sono
vere?- disse lei con finto spavento.
Kei la guardò
negli occhi scettico e scoppiarono a ridere.
Da quel momento
il loro rapporto ebbe un’evoluzione: al silenzio furono alternate risate e
conversazioni.
Una mattina di
fine gennaio Kei stava per varcare l’ingresso, dopo aver salutato Yuri, quando
una mano lo fermò.
-Facciamo sega!-
-Cosa?-
-Mi accompagni?-
-Ma devo..-
-Dai Kei,
nessuno se ne preoccuperà.. lo sai quanto me!-
Il ragazzo non
poté fare altro che darle ragione e la seguì allettato dall’idea di una
giornata diversa lontano da scuola, tutori, insegnanti, bisbigli e occhiatacce.
Sarebbe stato
solo per quella volta.
Fecero un giro
per la città, per poi rifugiarsi in un parco a mangiare un boccone comprato da
una bancarella.
Nataliya quel
giorno era diversa.
Kei l’aveva
osservata a lungo per quelle settimane, col suo solito sguardo indagatore che
intimidiva le altre persone. L’aveva osservata e poteva dire di saper
riconoscere i giorni in cui era spensierata e quelli in cui era preoccupata o
impaurita per qualcosa.
Poteva mostrare
al mondo intero la solita facciata imperturbabile, ma in realtà qualcosa
cambiava in lei e Kei aveva imparato a coglierlo. Che fosse perché era la
stessa cosa che faceva lui abitualmente, lo capì solo dopo.
-Che succede?-
Erano seduti su
una panchina e lei stava mangiando il suo panino con lo sguardo perso nel vuoto
e una nota di tristezza nell’espressione.
-Forse dovresti
davvero chiedere cosa si dice di me.. almeno potresti scegliere se stare con me
o meno!-
-Ti ho già detto
che non mi interessa..-
-Dovrebbe
invece..-
-Non mi
interessa quello che dicono di te, come non mi interessa cosa dicono di Yuri,
di Boris, di Sergay, di me o di non so chi altro..-
-Sono i tuoi
amici?- disse cercando di cambiare il discorso che aveva iniziato lei stessa.
-Sì..- la
assecondò.
-Loro come la
vivono?-
-Non gli importa
come non importa a me.. vanno per la loro strada e basta-
-A te importa..
ti importa che nessuno ti voglia conoscere..-
-Non è vero..-
-Non fingere con
me-
-Tu mi hai
voluto conoscere..-
-Ma io sono una
disadattata come te!-
-Forse mi trovo
bene solo con i disadattati-
-Stronzate!-
-Che ne sai?-
-Non dovresti..
stare con me-
Scrutò i suoi
occhi azzurri -E’ un po’ tardi ormai..-
Dopo quella
conversazione ricominciò il periodo di silenzio.
All’ora del
suono della campanella di fine lezioni stavano a un isolato dalla scuola in
attesa di ricongiungersi alla folla di studenti. Mancavano cinque minuti.
-Io vado.. non
devo vedermi con nessuno..- lo salutò Nataliya - ..ci vediamo domani!-
Gli si avvicinò
e gli diede un bacio sulle labbra.
-Stai diventando
più alto!- disse lei in un mezzo sorriso, prima di girarsi e andare via.
Kei si rese
conto in quel momento di qualcosa di strano: che avrebbe voluto che quel contatto
durasse di più, che avrebbe desiderato conoscere il significato di quel gesto e
che, probabilmente, per lui ciò significava che si era preso una cotta.
Proprio lui. Una
vera, semplice, immensa cotta. Per lei.
Eccomi qui!
Capitolo luuuungo non trovate? ^^
Ihih..ve lo avevo detto che mi sarei impegnata ed eccovi
accontentate! Ho deciso di andare oltre il solito numero di paginette per
rendere meno infinita questa fic.. non che sarà
servito a molto, ma è già un passo avanti! Poi mi sentivo proprio in dovere di
darvi qualcosa di più.. e infatti questo capitolo è diviso in due parti: per il
nesso, se non l’avete trovato, attendete.. dovreste ormai sapere che non metto
flashback così a caso è_é lo so che state dubitando
di me! E tra parentesi fate anche bene, ma lasciamo perdere!
Visto che sono
in ritardo e non so nemmeno come riuscirò a rispondere alle recensioni la
smetto di blaterare a vanvera e vi do appuntamento alla settimana prossima!
Ihih..fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e
voi, lettrici che aspettate pazientemente la mezzanotte, ditemi se siete
sopravvissute all’aggiornamento in contemporanea con Hiromi
^^
Noi ci
divertiamo.. non so voi se riuscite a sopportare due storie contemporaneamente!
Ora che i
pianeti si sono allineati e hanno dato il loro spettacolo, possono tornarsene
anche al loro posto u.u è stato un piacere lavorare
con voi!
Non ne
parlarono, come sarebbe stato normale fare per tutti gli esseri umani, ma per
loro no.
Il loro rapporto
non cambiò di una virgola se non per la differenza che al silenzio e alle
conversazioni si erano aggiunti i baci. Baci semplici e dolci, baci voraci e
passionali, comunque baci. E carezze e gesti.
Che si stesse
facendo più alto, Kei lo notò proprio in proporzione a lei: se quando si erano
conosciuti era di pochi centimetri più basso, a distanza di tre mesi l’aveva
già superata e non sembrava intenzionato a smettere.
Fu quel nuovo
legame, comunque, a permettergli di sopportare ciò che gli accadeva: la scuola,
i compagni e i professori, e la difficoltà di trovare un posto fisso dove
stare.
Sergay era impegnato
in progetti per la sua imminente maggiore età di cui, però, non aveva messo a
conoscenza nessuno, Boris stava considerando di lasciare la scuola e mettersi a
lavorare, mentre Yuri era rimasto affascinato dallo studio e aveva iniziato a
dedicarvisi totalmente.
A Kei non rimase
che mantenere la sua media abbastanza decente e uscire con Nataliya.
Iniziarono a
vedersi anche fuori dall’orario scolastico, solo sporadicamente saltavano le
lezioni, e lei gli fece conoscere posti della città che non aveva mai visto.
Fu così che lo
portò nella dorogi, che non era altro che il luogo di ritrovo dei breakers, dietro la Via Tverskaya,
la strada principale di Mosca, collegata ad essa da una scalinata poco visibile
a causa della vicinanza dei palazzi. Era una stradina breve e senza uscita,
circondata dal retro di alcuni negozi, poco trafficata, se non dai pochi
abitanti, e attraversava, in modo singolare, uno degli stessi edifici che la
attorniavano, formando una specie di galleria.
Fu così che
conobbe Dana: Nataliya aveva ballato fino all’anno precedente in corso con Dana
che, nonostante fosse più grande, si era legata tanto a lei. Ora che Nataliya aveva
smesso si vedevano solo in quel luogo insieme agli altri ballerini per
allenarsi o semplicemente per stare in compagnia.
-Lei e il suo
ragazzo storico si sono mollati.. quindi evita l’argomento, dobbiamo
distrarla!- l’aveva avvertito prima di presentargliela.
-Balli anche
tu?- gli chiese Dana dopo avergli stretto la mano.
-No-
-Che peccato..
magari potresti iniziare, sai Nat è un’ottima
insegnante!-
-Non mi
interessa, sul serio..-
Per il resto del
pomeriggio le guardò: era strano come fossero diverse, ma allo stesso tempo in
sintonia. Nataliya era calma, seria, ma imprevedibile, mentre Dana era un
vulcano di energia, con la parlantina, però cristallina in ogni sua azione.
Ascoltò i loro discorsi, metà dei quali non riuscì a comprendere, e le sentì
parlare di scuola, di danza, di ragazzi, di questo Anton del quale Dana si
doveva dimenticare e altre mille cose.
Gli altri ragazzi
intorno a loro erano amichevoli, ma mai invadenti; si erano formati piccoli
gruppetti che a volte interagivano, alcuni andavano altri venivano, a turno
ballavano e avanti così per ore. Nessuno lo fissava in modo strano, nessuno lo
guardava accusatore, nessuno lo giudicava.
Semplicemente
accettavano il fatto che fosse lì.
Solo all’inizio
l’avevano guardato diffidenti, ma a sorpresa era spuntata la ragazza della
seconda casa famiglia, quella con cui aveva avuto quel primo incontro poco
casto, che li aveva rassicurati con un –E’ messo male quanto noi.. ne viene da
quel monastero!-
Per la prima
volta quel particolare era stato fonte di accettazione e lo rincuorò il non
dover sforzarsi di essere una persona normale, di fingere di non avere una
situazione difficile alle spalle.
Le sue stesse
parole si stavano rivelando veritiere: era fatto per stare con i disadattati.
Proprio in quei
disadattati trovò per la prima volta dopo tanto tempo degli amici, delle altre
persone con cui trascorrere le giornate.
Così, per caso e
per noia, imparò a muovere i primi passi di break.
Un po’ per gioco
e per scommessa iniziò a ballare.
Con attenzione e
curiosità si dedicò a quell’attività, ricercando e esplorando.
Condivise per la
prima volta dopo il campionato di beyblade, sudore e
fatica, ma anche soddisfazione e entusiasmo.
Un ultimo
fattore unì maggiormente la vita di Nataliya e Kei.
Silenzi, parole,
baci: tutto per arrivare al sesso.
L’ennesima tappa
del loro rapporto venne conquistata alle porte della primavera, a casa di uno
dei ragazzi della dorogi che aveva
organizzato una serata in compagnia.
Mentre
circolavano acidi e erbe particolari, si rifugiarono in una delle camere del
grande appartamento a coccolarsi, lei seduta sulle sue gambe.
-Perché ieri non
eri a scuola?-
-Ero stanca..-
rispose abbracciandolo.
-Voglio farlo
con te- esordì Kei guardandola negli occhi.
Vide lo sguardo
di Nataliya attraversare la sorpresa, la dolcezza e, infine, l’amarezza.
-No no no.. lo
sapevo-
-Cosa c’è?-
chiese lui dolcemente.
-Ti avevo detto
di informarti su di me.. di scoprire perché tutti mi evitavano e ora, come
posso..-
Appoggiò la
testa nell’incavo del suo collo e seguitò ad abbracciarlo.
-Lo so..-
-Cosa?- chiese
lei sorpresa.
-So quello che
dicono-
-E come..
quando-
-Il giorno che
abbiamo fatto sega.. quando mi.. quando mi hai baciato, ho chiesto a Yuri e lui
me l’ha detto- rispose tranquillo e imperturbabile.
-Cosa ti ha
detto?-
-Che dicono che
fai la puttana-
Lei resse alle
sue ametiste e lo scrutò nel profondo.
-Perché hai
continuato a vedermi?-
-Perché, se è
vero, penso che ci sia un motivo se lo fai..-
Nessuno dei due
abbassò lo sguardo, cercando sincerità ognuno nelle iridi dell’altro.
-Per mio padre..
lo faccio per lui, solo con quelli con cui ha dei debiti.. per lui..-
Le si
inumidirono gli occhi, ma non fece scendere alcuna lacrima.
-..e con lui-
ammise in un sussurro.
Kei le accarezzò
i capelli e le baciò le labbra.
-Fallo con me-
le sussurrò a contatto col suo viso, per poi attraversare con i suoi baci e il
suo respiro caldo il suo collo teso.
-Hai un
preservativo?- chiese lei lentamente.
-No- ammise
senza fermarsi.
-Ce l’ho io-
Dici di aver visto
Sempre troppo forte
Sempre accesa la tua spia
Lovers And Friends
I
giorni successivi trascorsero tranquilli.
Kei
prese a uscire sempre più spesso di casa per vedersi con Mizuki
e dovette tranquillizzare i presenti sul fatto che quella relazione non
portasse a niente di negativo.
Continuava
a ballare la mattina, quando poteva, utilizzando lo stereo di Hilary, mentre
quando era in piazza con gli altri breakers non si
muoveva: per lui la danza era un concetto strano e personale, ballava quando ne
sentiva il bisogno, quando gli serviva e quel luogo non lo attirava ancora.
Mizuki continuavaa chiedergli di farle vedere qualcosa
curiosa, ma non la accontentò mai.
Nel
frattempo la situazione con il suo ex era diventata alquanto complicata: ogni
volta che incrociava lo sguardo di Naoki avvertiva un
astio esponenziale che non credeva una persona potesse provare per una motivazione
del genere.
Se
ci teneva così tanto a mettergli le mani addosso perché non lo faceva?
Sicuramente lui non si sarebbe tirato indietro.
In
compenso un pomeriggio il ragazzo gli si avvicinò.
-Ti
sfido! Balla!-
Kei,
che lo sovrastava di qualche centimetro, lo guardò con sufficienza prima di
allontanarsi.
La
scena venne ripetuta diverse volte: Naoki sembrava
sentire il bisogno di provare la propria superiorità nel cerchio, ma Kei
continuava a negargli il confronto.
-Hai
paura di perdere eh?-
Il
russo odiava sprecare fiato con le persone inutili e, infatti, continuò a
ignorarlo. Non si sentiva di ballare e non lo avrebbe fatto, non di certo per
accontentare quell’essere odioso.
Ovviamente
non avrebbe sopportato una situazione del genere senza un buon motivo: per
fortuna Mizuki sembrava esserne all’altezza. Era una
bella ragazza che non era poi così timida e innocente come poteva sembrare
all’inizio. Infatti aveva un bel caratterino, era determinata e, soprattutto,
parecchio passionale.
Non
poteva certo lamentarsi.
Stava
lentamente costruendosi un equilibrio: quando ne sentiva il bisogno andava a
sfogare i nervi in palestra, la mattina tentava di concentrarsi sul giapponese
e gli ideogrammi vari, passava il tempo con i suoi coinquilini e poi si vedeva
con Mizuki.
Probabilmente
aveva preso a fumare di meno, solo una o due sigarette di differenza sia
chiaro, ma comunque un passo avanti.
-Quindi
è qui che ti alleni?- chiese un pomeriggio Mizuki
mentre Kei gli faceva fare il giro della casa di Takao –Cos’è fai lo snob che
si allena solo in palestra?-
-Semplicemente
non mi alleno..- disse lui.
-Ah
sì? E cosa faresti quindi?- lo derise.
-Ballo-
-Classica
risposta da snob!- sbuffò per poi riprendere il sorriso –Non ti facevo così
sai!-
-Nemmeno
io ti facevo una pervertita, eppure..-
-Io
non sono pervertita- finse di essere offesa.
-Oh
sì che lo sei- la cinse da dietro con un braccio e prese a baciarle il collo.
Un
colpo di tosse li interruppe. Takao era spuntato alle loro spalle e,
trattenendo una risata, cercò di assumere un’aria autoritaria.
-Potreste
gentilmente..-
-Sì
ce ne andiamo..- lo interruppe Kei, facendo cadere tutta la sceneggiata che
aveva montato il giapponese.
-Tu
devi essere Mizuki, enchantè..-
Max sbucò dalla soglia della palestra e si presentò alla ragazza.
Kei
si disse che non si sarebbe mai abituato all’idiozia di quei ragazzi,
riuscivano sempre a stupirlo; prima che fosse troppo tardi, afferrò la mano
della ragazza e la invitò a seguirlo.
-Saranno
due settimane che si vedono e non ce l’aveva ancora presentata.. che modi!-
commentò Takao una volta rimasto solo con Max.
-Non
ti aspettavi davvero che lo facesse?- rise l’americano.
-In
effetti no.. dai andiamo ad allenarci finché il nonno è fuori!- concluse.
Kei
scese le scale massaggiandosi le tempie, proprio nel momento in cui Rei e Nonno
J stavano varcando la porta con le borse della spesa.
-Ehi
Kei.. abbiamo incrociato Mizuki che se e stava
andando..-
Il
russo si limitò a un mugolio di risposta.
-Non
mi sembrava molto contenta.. nemmeno mi ha salutato..- continuò il cinese senza
ottenere risposte.
Kei,
ignorandolo, prese i sacchetti che aveva in mano Nonno J e si diresse verso la
cucina, lasciando libero il vecchio di occuparsi di altre faccende.
-Avete
litigato?- riprovò Rei seguendolo e aiutandolo a mettere in ordine.
-Allora?-
-Sì,
sì.. abbiamo litigato- rispose il ragazzo sbuffando.
Era
visibilmente alterato, probabile conseguenza della litigata, di qualsiasi
genere fosse lo aveva innervosito non poco, facendolo tornare intrattabile.
-Ne
vuoi parlare?-
-No-
-Magari
potrei aiutarti a risolvere il problema..-
-Ho
detto di no..-
La
pazienza, già messa a dura prova, di Kei iniziò a vacillare.
-Secondo
me parlarne fa solo che bene..-
-Non
lo vorresti sapere intanto..- cercò di liquidarlo.
-Ma
sì che lo vorrei sapere, mi interessa il motivo del perché..-
-Preservativi!-
quasi lo urlò con voce ferma e autoritaria. Sapeva che appena gli avesse detto
il motivo della litigata lui avrebbe lasciato perdere per via dell’argomento.
Sicuramente
il suo piano per zittirlo e levarselo di torno, lasciandolo alla sigaretta che
stava agognando, avrebbe funzionato se nel momento in cui pronunciò quella
parola non fossero entrati in massa gli altri abitanti della casa.
-Perché
parlate di preservativi?- chiese Max sorridendo beato.
Kei,
che aveva appena sistemato lo zucchero in uno scompartimento in alto, appoggiò
esasperato la fronte all’anta e chiuse gli occhi, sperando che l’argomento
cadesse lì.
-Non
ne stiamo parlando..- disse in difficoltà Rei -..Kei mi diceva che ha litigato
con Mizuki e basta.. niente di che!-
-Litigato
per dei preservativi?- insistette Takao ridendo per l’atmosfera imbarazzata.
-Di
cosa state parlando in casa mia?- si intromise Nonno J entrando all’improvviso
in cucina.
-Niente
nonno!-
-Kei
ha problemi con i preservativi!- lo sovrastò Max.
-Ma
non ho mai detto questo- si difese il russo esasperato.
-Ragazzi
sedetevi!- esclamò serio il signor Kinomiya.
-Ma
non ce n’è bisogno, noi..-
-Ho
detto di sederti nipote disgraziato!-
Rei
e Max obbedirono subito, Takao riluttante li seguì, mentre Kei rimase
appoggiato al piano cottura cercando una via di fuga.
-E’
giunto il momento..- iniziò solenne -..di fare quel discorsino! In fondo siete
degli adolescenti e immaginavo che sarebbe successo!-
-Davvero
Nonno J non è il..- provò Rei, ma fu interrotto nuovamente.
-Parliamo
del sesso!-
Max
mantenne la sua classica espressione serena, mentre Takao si mise le mani
davanti alla faccia nel sentir pronunciare quella parola dal nonno.
-Kei..
approfittiamo del tuo problema! Lo sai vero che bisogna usarlo, è giusto che
lei si arrabbi se tu non provvedi a..-
-Non
è quello il problema- cercò di uscirne il russo.
-Allora
cosa è successo?-
Kei
ebbe pochi secondi per valutare la situazione in cui si trovava: Nonno J lo
fissava in attesa e non lo avrebbe lasciato andare fino alla fine di quel
‘discorsetto’ e valutò il modo per tirarsene fuori il più velocemente
possibile.
La
soluzione era solo una: raccontare tutto.
-Allora..-
sospirò prima di iniziare -..Mizuki mi ha chiesto
perché voglio sempre usare il preservativo, visto che intanto lei prende la
pillola.. le ho detto che non era solo perché non rimanesse incinta, ma anche
per le malattie.. che ne so io con chi è stata prima.. e già che non mi sono
preso AIDS e robe del genere in tutto questo tempo non ho intenzione di
rischiare per una scopata. Lei allora si è offesa perché..- iniziò a elencare
con le dita -..ho pensato che potesse avere qualcosa..- tirò su l’indice -..le
ho detto che è stata con tante persone..- sollevò il medio -..e le ho dato
della ‘semplice scopata’- concluse con l’anulare –Di conseguenza mi ha detto
che dovrebbe essere lei a preoccuparsi delle malattie considerando i miei buchi, ma, quando le ho fatto notare che
è lei quella a volerlo fare senza protezioni e che comunque io il test l’ho
fatto, ha preso e se n’è andata-
Rimase
fermo in attesa della reazione e del momento giusto per andare in giardino a
fumare.
Probabilmente
non aveva mai parlato così tanto in loro presenza da quando era arrivato, anzi
anche prima.
-Ecco,
allora in questo caso avevi ragione tu..- iniziò Nonno J cercando le parole
-..vedete l’atto sessuale..-
-Vi
ascolto dal giardino- si intromise Kei prima che fosse troppo tardi, per poi
lasciare la cucina.
Mentre
attraversava la porta finestra che dava sul giardino vide con la coda
dell’occhio Takao con la faccia schifata in attesa delle parole dell’uomo.
Ovviamente non ascoltò la conversazione come aveva detto, ma si sedette sul
porticato per distendere i nervi concentrandosi sulla sua sigaretta.
Si
risvegliò dai suoi pensieri solo quando sentì chiamare il suo nome.
-Ah
Kei?-
-Sì?-
-Gradirei
che in casa mia non si dovesse rischiare di assistere a nessuna scena
sconveniente..-
-Certamente-
annuì trattenendo una risata.
-Ieri
ti sei persa la scena madre!- esclamò Max ridacchiando.
-Sarebbe
a dire?- chiese Hilary confusa dal comportamento dei suoi amici quella mattina.
-Nonno
J ci ha fatto il discorso sul sesso!-
-Cosa?
Perché?-
-Colpa
sua..- disse Takao indicando Kei che se ne stava tranquillo a leggere il suo
libro -..non avrei mai voluto sentire pronunciare dal nonno certe parole!-
Il
russo alzò gli occhi al cielo prima di ignorarlo definitivamente.
-Meno
male che non c’ero..-
-Anche
perché probabilmente ti avrebbe coinvolto senza problemi!- rise Max – poi
dovevi sentire la frecciatina finale!-
-Cioè?-
chiese curiosa.
-A
Kei, di mantenere un certo contegno- disse con la voce pomposa prima di
iniziare a ridere.
Kei
afferrò un foglio accartocciato che era stato un tentativo di tema di Takao e
lo lanciò addosso al biondino che non la smetteva di ridere.
-Ora
avrò paura a rimanere in questa casa oltre il tramonto!- continuò sulla linea
del buonumore Hilary.
-Eh
no.. proprio adesso che volevamo organizzare la festicciola del secolo?- esordì
Rei.
-Che
poi sarebbe una delle sue super cenette.. non credere ci sia dell’altro!-
bisbigliò Max.
-A
me va più che bene!-
-Non
ne avevo dubbi Takao..-
-E
quando sarebbe scusa?- chiese la ragazza.
-Giovedì
sera.. visto che venerdì io e Max partiamo..-
-Uh
è vero! E’ già venerdì? Non vi potete portare dietro Takao?-
-Ehi
perché mi vuoi mandare via?-
Hilary
e Takao presero a battibeccarsi scherzosamente. L’atmosfera non poteva essere
più allegra.
Quando
arrivò il giovedì si misero tutti al lavoro: si vedevano tutti i giorni, quindi
un’assenza di pochi giorni non era certamente la fine del mondo, anzi. Eppure
si impegnarono per organizzare la famosa festicciola con cena speciale
gentilmente offerta da Rei Kon.
Il
cinese, da bravo cuoco, comandava gli spostamenti nella cucina e cercava di non
far avvicinare troppo gli amici pestiferi alle sue ‘opere d’arte’.
Mentre
Hilary e Max si stavano dedicando ad apparecchiare la tavola, il cellulare
della ragazza squillò.
-Pronto?
Sì dimmi.. cosa?.. No uffa.. ma ve l’avevo detto che era importante.. no!..
Troverò un modo.. ma sì che glielo chiedo!-
Continuò
a parlare scocciata per qualche secondo prima di mettere giù.
-Che
succede?- chiese l’americano.
-Era
mio padre.. non mi può venire a prendere più tardi, quindi voleva venire ora!-
-Cosa..
ma non puoi andare via ora!- disse Rei appena entrato nella sala.
-Infatti
gliel’ho detto, ma sai che non si fidano a lasciarmi andare da sola..- sbuffò per
poi confessare -..gli ho detto che mi avreste accompagnato..-
-Ma
sì tranquilla..- annuì Max.
-Ma
non dovete.. cosa volete che succeda, sono i miei che sono paranoici!- alzò gli
occhi al cielo.
-Ok
allora risolto!- esclamò Takao.
-Takao,
dovresti fare la persona educata invece e proporti tu di accompagnarla!-
esclamò Rei.
-E
perché mai?-
-Ti
accompagno io- la voce pacata di Kei fece calare il silenzio.
-Davvero
non c’è bisogno..- disse spaesata Hilary.
-Intanto
devo uscire..- fece spallucce.
-E
dove dovresti andare?- chiese Takao perplesso.
-Mizuki- rispose semplicemente.
-Ma
vedi ancora quella pazza?-
Kei
annuì svogliato chiudendo la questione.
Appena
si era proposto, era rimasta stupita.
Perché
lo aveva fatto?
Cercò
di non pensarci per il resto della serata, godendosi i fantastici manicaretti
di Rei.
Sicuramente
avrebbe sentito la mancanza del cinese e dell’americano: non si ricordava
nemmeno come fosse passare delle giornate senza di loro. Non accadeva quasi
mai, se non sporadicamente.
L’idea,
poi, di rimanere sola con Takao e Kei la preoccupava abbastanza: non riusciva
proprio a figurarsi come sarebbero trascorse quelle giornate.
Quando
la serata arrivò al termine e iniziò a farsi tardi, Hilary salutò Rei e Max
raccomandandogli di fare i bravi e di farsi sentire.
Uscì
dal dojo dietro a Kei.
Una
volta oltrepassato il grande portone in legno, le voci dei suoi amici si
spensero e la luce bluastra della notte la trasportò come in un’altra
dimensione.
La
strada fino a casa sua era relativamente corta e senza alcun pericolo, ma i
suoi genitori erano comunque in apprensione ogni volta che la doveva percorrere
da sola, soprattutto di notte.
Chissà
cosa avrebbero detto se avessero visto che ad accompagnarla non erano stati gli
altri, ma proprio Kei: probabilmente era per i tipi come lui, almeno di
aspetto, che si preoccupavano.
Con
piercing e tatuaggi, vestito largo, pantaloni a vita bassa, scarpe mezze
slacciate e cuffione sul collo. Perfetta aria da
bello e dannato.
Ultimamente
lo vedeva sotto una luce diversa rispetto ai primi giorni: aveva più o meno
capito quello che intendeva Rei quando diceva che dimostrava i propri
sentimenti in una maniera strana e diversa, che bisognava solo abituarcisi. Dal
canto suo non si era propriamente abituata, ma ci stava arrivando piano piano.
Quando
Kei si girò improvvisamente, Hilary arrossì. Il buio l’aiutò a mascherare quel
momento di debolezza: l’aveva sorpresa a fissarlo, nonostante si fosse
ripromessa di smettere quell’abitudine che aveva preso nelle ultime settimane.
Il
ragazzo rallentò, lasciando che lei lo raggiungesse e prendesse a camminargli
affianco.
-Devi
guidare tu..-
Lei
lo guardò perplessa.
-Non
so dove abiti- spiegò Kei.
-Oh..
giusto! Va bene per di qua..-
Sentiva
la sua presenza a pochi centimetri da lei, anche se non osava guardare
direttamente verso la sua figura.
-Se
passiamo di qui ci arriviamo lo stesso?- chiese lui ad un tratto indicando un
incrocio.
-Sì..
ci mettiamo solo due minuti di più..-
Presero
la via che aveva indicato il ragazzo.
-Quando
ti devi vedere con Mizuki?- parlò Hilary convinta che
la conversazione potesse attenuare quella strana sensazione di ansia che
provava.
-Ha
detto che si era fatto troppo tardi quindi non ci vediamo-
-Ma
allora sei uscito per niente.. potevo davvero andare da sola!- esclamò
preoccupata.
-Figurati..
e poi avevo un altro obiettivo-
Kei
si diresse improvvisamente verso l’altro lato della stradina avvicinandosi alla
serranda chiusa di un negozietto.
Hilary
capì immediatamente il motivo della deviazione, osservandolo armeggiare con il
portafoglio per cercare delle monete da inserire nel distributore di sigarette.
-Ah..
proprio non riuscivi ad aspettare fino a domattina?- osservò acida, prima di
rendersene conto.
Kei
invece di arrabbiarsi, fece una risatina e si mise a osservare le scritte
luminose che indicavano le varie marche.
-No,
non ci riuscivo-
Ottenuto
il suo bottino, Kei le diede il permesso di rimettersi in marcia.
-Posso?-
chiese con un espressione criptica, tra il divertito e l’indifferente.
-Perché
me lo chiedi?- domandò spaesata.
-Mi
sembrava ti desse fastidio il fumo- fece spallucce.
-Non
è la mia passione diciamo!-
Era
sempre più allibita dall’atteggiamento dell’altro che inaspettatamente si mise
il nuovo pacchetto in tasca. Fece per dire qualcosa, ma rinunciò.
-Hai
davvero messo via le sigarette? Pensavo di starti antipatica!- decise di dirgli
la verità, anche perché non avrebbe saputo come ribattere e la sincerità le era
sembrata la via migliore.
-Non
mi stai antipatica.. cosa te lo ha fatto pensare?-
-Sensazione..
mi guardi sempre.. sempre male!-
-Non
è vero-
-Oh
sì che è vero!-
-Ok,
colpa mia.. mi hanno già detto che fisso troppo- rispose più a se stesso che a
Hilary.
La
ragazza rise di quella situazione: se lui fissava troppo, lei che negli ultimi
giorni lo aveva letteralmente mangiato con gli occhi cosa doveva dire? Fermi
tutti! Davvero aveva ammesso di averlo mangiato con gli occhi?
-Non
mi stai antipatica davvero.. sei strana, ecco-
-Strana?-
squillò lei risvegliandosi dai propri pensieri –In che senso?-
-Non
riesco a comprenderti- confessò Kei squadrandola intensamente con i suoi occhi
ametista.
-Pensare
che mi sono sempre considerata una persona semplice!- rise lei cercando di
stemperare la situazione.
-Quello
sì, solo ti comporti in un modo strano-
-Ok,
sono strana, afferrato! Forse era meglio se ti stavo antipatica!-
-Ma
non è negativo..-
-Se
lo dici tu.. sentiamo, fammi un esempio!-
-Mmm.. ad esempio non ho ancora capito se ti piace
qualcuno..- affermò alzando un sopracciglio.
-Qualcuno
tipo chi?- chiese lei arrossendo.
-Takao,
Max, Rei?-
-Cosa?
Ma per carità no! Che ti viene in mente?- scosse la testa nervosamente per
allontanare quel pensiero.
-Proprio
mai? Nemmeno un po’ uno di loro?- insistette criptico.
-Assolutamente
no!- lo guardò con gli occhi spalancati –E poi perché ti interessa tanto?-
-Curiosità-
-E
che curiosità è?-
-Testavo
una mia teoria-
-Quale
teoria?-
-Siamo
arrivati?- cambiò discorso lui.
Hilary
si guardò improvvisamente intorno.
-Sì..
come facevi a saperlo?-
-Perché
ti sei fermata-
Arrossì
nuovamente: non si era nemmeno accorta di essersi fermata, la sua testa
iniziava a farle brutti scherzi.
-Me
la dici questa teoria?-
-Davvero
era solo curiosità- ritrattò Kei.
-Non
ti facevo un tipo curioso!-
Il
russo fece spallucce nuovamente –I tuoi non saranno preoccupati?-
-Uh..
sì..- Hilary cercò di mettere in ordine i suoi pensieri con non poche
difficoltà.
Quella
conversazione era riuscita a metterla in crisi, non rendendola più capace di
intendere e di volere. Come comandata dallo stesso scorrere degli eventi,
salutò Kei e gli augurò la buona notte, prima di imboccare il vialetto che
portava alla porta di casa sua.
Mentre
estraeva le chiavi dalla tasca della giacchetta non resistette e si voltò per
vedere Kei allontanarsi. Si stava mettendo le cuffie sulle orecchie e aveva già
tra le dita una sigaretta accesa.
Una
folata di vento le fece salire i brividi lungo la schiena e la risvegliò,
permettendole di varcare la porta.
..un giorno invece troppo leggero..
Nei mesi
successivi credette di aver trovato un qualcosa per cui vivere. Stava bene.
Passava le
giornate con Nataliya e sempre più spesso con Dana e Anton che si erano rimessi
insieme dopo mille tentativi di lui di farsi perdonare.
Trascorse
l’estate, tra gelati, scampagnate, lezioni improvvisate di danza di fronte alle
vetrate del retro dei negozi nella dorogi; fino a che settembre si portò via il caldo, il
sole e la serenità.
Sergay a fine
agosto era diventato maggiorenne e aveva svelato finalmente i suoi segreti
piani di prendersi la responsabilità dei tre compagni di disavventure e, poche
settimane dopo, Kei aveva ereditato la fortuna del nonno morto in prigione.
Coi soldi
iniziarono i guai e iniziarono ad allontanarsi le persone.
Erano settimane
che non parlava con Yuri, Boris lo vedeva di rado, Sergay era sempre impegnato.
Si costrinse
anche a ricordarsi di una regola fondamentale: non si può dire di conoscere
realmente una persona finché non si è passato il tempo necessario insieme. Kei
pensava di aver ormai imparato a conoscere Nataliya, i suoi problemi e i suoi
difetti, ma presto si dovette ricredere.
L’aveva
accettata, come lei aveva accettato lui. Questo non gli impedì di scoprire
quante volte lei lo tradisse e quante volte gli dicesse delle bugie.
Su una cosa Kei
era fermo e intransigente: la sincerità.
Odiava le bugie
e la falsità e non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarle.
Si persero di
vista per un mese. Poi si ritrovarono.
Kei ne sentiva
il bisogno, mentre per Nataliya era come un’ossessione.
Si ripersero per
qualche settimana, per poi ricercarsi.
I problemi si
ripresentavano puntuali e gli scontri superavano le carezze.
Erano entrambi
debilitati, oppressi e intrappolati nella loro stessa pelle che gli stava
troppo stretta.
In questo tira e
molla senza senso, lei trovò la sua condanna e lo avvertì, gli urlò contro e lo
respinse: Non avrebbe dovuto incontrare gli aghi sulla sua
strada, non doveva permetterlo.
-Stai lontano da
me!-
Lo avvertì e lo
allontanò, ma molti altri ci cascarono e piano piano tutto il gruppo dei suoi
amici provò quella via.
Era notte fonda.
Erano Kei e Liev, il ragazzo che gli aveva insegnato
le prime move, stravaccati su una panchina della dorogi deserta. Avevano provato un acido presi dalla noia
e dai loro problemi, ma l’effetto era durato poco.
Liev iniziò a frugare nel suo zaino ed estrasse un
astuccio.
-Hai mai
provato?- chiese mostrandogli il contenuto.
-No, non ci
tengo-
-Che cazzo Kei,
c’abbiamo una vita di merda!-
Quanto gli costò
desistere? Nulla. Quanto ci volle? Troppo poco.
Presero la siringa
e la prepararono meticolosamente.
Perché? Più che
chiedersi perché, Kei si chiese perché no.
Aveva già
sniffato qualche volta e non gli era successo nulla.
Andò fino in
fondo. Si fece il suo primo buco.
Il primo di una
lunga serie.
Ci siete ancora?
Ce la stiamo facendo? Ci state capendo qualcosa?
Spero vivamente
di sì u.u Spero vi piacciano questi bei flashback.. volevate
di più, volevate sapere ed eccovi accontentati.. non vi lascio a bocca asciutto
tranquille! ^^
A parte questo
abbiamo avuto un momentino con la tanto amata/odiata Hilary e soprattutto una
parentesi divertente.. ebbene sì, mi sono divertita un sacco a pensare al caro
Nonno J che si dava da fare con l’argomento sesso! E’ la classica scena da
telefilm americano, ma volevo dare un tocco di ironia a questo bel gruppettino
di simpatici adolescenti, quindi di distrarli dalla cupezza di quel rompipalle
di Kei!
Curiosity Time
Mmm.. se non ne avete voglia potete anche saltare
queste poche righe dove volevo spiegare solo poche cose che già volevo dire l’altra
settimana, ma che alla fine mi sono scordata di inserire u.u
Parliamo dell’espressione
che ho già usato in questi due capitoli, cioè ‘entrare/uscire dal cerchio’: ebbene, sembra ovvio, ma ho sperimentato di
persona che a non tutti riescono a dare un significato a questa frase. I breaker solitamente quando ballano si posizionano appunto
in cerchio intorno alla zona in cui si balla (pochi metri di diametro) e all’interno
di questo ci si sfida e si fa vedere le proprie move
(un modo per chiamare i ‘passi’). In ogni caso quando i ballerini si allenano
per strada spesso sono in pochi o comunque non sempre stanno in cerchio, ma l’espressione
rimane e il cerchio è immaginato (ma guai passare all’interno, il cerchio è
sacro).
Avrò detto mille
volte la parola cerchio, ma spero che il concetto sia passato XD
In ogni caso, se
vi viene qualche dubbio chiedete.. capita che si diano per scontate certe cose perché
si conoscono, senza pensare che le persone sane invece non le hanno mai sentite
u.u
Vabbè..aspetto come al solito le vostre impressione!
Soprattutto
questa settimana vi devo fare un ringraziamento gigante..per
la prima volta sono arrivata a 10 recensioni per un solo capitolo in una
settimana *.* sono commossa!
Un bacione a
tutti! :)
PS: La frase 'Più che chiedersi perchè, si chiese perchè no'
è liberamente ispirata da Radiofreccia (guardacaso film di Luciano Ligabue..poco fissata eh ;) )
A scuola ci
andava quando ne aveva voglia, anche se non poteva fare troppe assenze poiché
Yuri lo aveva raccomandato di non esagerare. Il rosso aveva preso davvero
seriamente lo studio e proponeva sempre di ripassare insieme o di aiutarlo in
qualsiasi cosa trovasse problemi.
La sua carriera
scolastica non era comunque disastrosa: tra un buco e l’altro trascorrevano
alcuni giorni, a volte anche una settimana intera, ma perché aspettare tanto,
perché rinunciare se l’effetto catastrofico dell’astinenza tanto fomentato non
arrivava mai.
Una mattina in
classe, seduto al banco nel suo angolo invalicabile, Kei valutò la sua
situazione e si propose di impegnarsi nelle verifiche programmate per quel
periodo, facendosi contagiare dall’intraprendenza di Yuri.
Si convinse di
aver trovato finalmente un po’ di pace, il rosso stesso gli aveva detto che lo
trovava meglio, senza l’incubo di Nataliya: Yuri non la sopportava, non voleva
giudicarla per le voci su di lei e aveva accantonato quella sensazione negativa
che aveva provato nel conoscerla solo per Kei, ma una volta che anche l’amico
ammise la sua inaffidabilità confessò tutta la sua disapprovazione.
Kei era in classe,
diversi giorni senza farsi, intento a capire un problema di algebra, quando la
provò per la prima volta. La vista iniziò a fargli brutti scherzi e si
costrinse a chiudere gli occhi. Ma non riuscì a bloccare l’improvviso tremore.
Non rispondeva
del suo corpo e delle sue sensazioni: sensazioni ignote e strane.
Fu costretto ad
alzarsi e uscire cercando di dare il meno spettacolo possibile; già nel
corridoio estrasse il cellulare e iniziò a scorrere la rubrica.
Nel tragitto
verso il bagno provò a chiamare almeno tre persone, ma nessuno di loro rispose.
Arrivato al
lavandino, azionò l’acqua e bevve tentando di eliminare la saliva che gli
impastava la bocca.
Il tremore non
cessava e iniziò ad accettare la risposta ai suoi perché.
L’unica
soluzione possibile era procurarsi un buco, ma chiunque cercasse di contattare
non era raggiungibile a quell’ora del mattino. Tentò la sua ultima speranza.
Si appoggiò
disorientato al muro ascoltando il bip della comunicazione.
Appena sentì
rispondere dall’altro capo, non lasciò il tempo al suo interlocutore di dire
alcunché.
-Sei a scuola?-
Nessuna
risposta.
-Dove cazzo sei?
Dimmelo!-
Una risatina
prima di sentire quella voce.
-Non ci credo..
me lo avevano detto, ma non ci volevo credere..-
-Smettila di
fare la troia e dimmi dove sei!-
-Kei ti avevo
avvertito di..-
-Cazzo Nat.. mi serve, ora!-
Un sospiro
–D’accordo, ci vediamo all’incrocio dell’edicola tra..-
-Muoviti- ordinò
Kei e chiuse la chiamata.
Quando si
incontrarono si squadrarono per pochi secondi.
Lui era
affaticato e spento dalla sua prima crisi.
Lei era sfatta e
smagrita.
Si infilarono in
un vicolo buio e Kei afferrò la roba che lei gli aveva procurato.
Il tremore
sempre più pronunciato lo rallentava e ostacolava.
-Lascia fare-
Nataliya completò il lavoro facilmente e avvicinò la siringa al braccio di Kei.
Il ragazzo la
lasciò fare.
Non appena
l’eroina gli entrò in corpo si calmò e tornò la sensazione di tranquillità e
calma che provava fino a un’ora prima.
-Sei un
deficiente!- lo affrontò seria.
-Siamo in due..
come sempre-
-Non volevo che
finissi in questa merda..- sussurrò accarezzandogli il viso -..sapevo che
l’avresti voluta provare.. come l’ho fatto io, anche tu.. ma non volevo esserne
la causa-
Per l’ennesima
volta la loro relazione rinacque e aggiunsero un nuovo elemento: la droga.
Il loro rapporto
da eroinomani fu paradossale e problematico quanto in precedenza, ma come era
aumentata la negatività, lo stesso valeva per la tenerezza e la dolcezza.
Tanto si
insultavano e si deridevano a vicenda quando stavano in astinenza, tanto si
facevano travolgere dalla passione e dal desiderio.
Era passato poco
più di un anno da quando si erano conosciuti e, nonostante tutte le
vicissitudini, erano di nuovo al punto di partenza.
Incastrati in un
circolo vizioso: bisogno di attenzione e riguardo, bisogno di affetto, bisogno
di droga, di mentire e di tradire. Bisogno di stare bene.
Tentarono di
disintossicarsi due volte, ma entrambi i periodi puliti furono passeggeri.
Rinunciarono.
Dalla ricomparsa
di Nataliya, Yuri si fece più attento, ma si lasciò andare bene le scuse e le
bugie di Kei, sul suo aspetto fisico e sul suo comportamento. Ma l’altro non fu
abbastanza attento.
Doveva farsi, in
quella mattina di primavera, prima di uscire, ma il suo corpo non era del suo
stesso avviso.
La roba,
probabilmente scadente, gli provocò un malore e cadde a terra: tentò di
recuperare la siringa, ma riuscì solo a spingerla sotto al letto prima di
perdere i sensi.
Quando si
risvegliò era coricato, con le coperte rimboccate e un forte mal di testa.
Automaticamente
si sporse verso il bordo del materasso e sbirciò sotto il letto.
-L’ho buttata
via!- la voce gelida di Yuri lo fece tornare seduto.
-Che cazzo vuol
dire? Che ti è saltato in mente?- continuò il rosso furibondo e incredulo.
-Da quanto tempo
va avanti questa storia?-
Pose tutte
queste domande, ma non ottenne risposte sufficienti.
Kei parlò
affranto e disperato, pieno di sensi di colpa e promesse per il futuro.
Perché gli
credette, Yuri se lo chiese per mesi dopo quell’accaduto.
Dici di aver visto
Sempre troppo forte
Sempre accesa la tua spia
Rise
And Fall
Il
mattino dopo, il primo ad andare in aeroporto fu Max, seguito a ruota da Rei.
Il
dojo, fino a quel momento così affollato, ritrovò una
calma irreale: Takao senza l’appoggio del suo miglior compagno di schiamazzi
non riusciva a far regnare il caos, tanto che furono Hilary e la sua calma a
prendere il sopravvento. Per non parlare del cameratismo che si era sviluppato
tra lei e Kei, che lo faceva perdere in ogni disputa.
Kei,
con la sua razionalità e la sua ostentata calma, infatti, non lo aiutava per
nulla, considerato che ogni pomeriggio lo passava in piazza con Mizuki, il giapponese si era ritrovato a ricercare un modo
per far passare il tempo: non che il poltrire tutto il giorno non lo
entusiasmasse, ma aveva bisogno di qualche altro ‘brivido’ nella sua vita.
Aveva
provato a seguire Kei un pomeriggio, ma il risultato fu solo quello di
annoiarsi a morte: il russo non faceva altro che appartarsi con Mizuki o guardare ballare lei e i suoi amici. L’unica nota
più movimentata l’aveva data un ragazzo che, sembrò a Takao, cercava in ogni
modo di attaccar briga con Kei e farlo arrabbiare: sperò ad un certo punto in
una bella scazzottata dove lui avrebbe potuto fare la parte dell’amico
onorevole che si schiera dalla parte delle forze del bene.
Niente
di tutto quello che si era immaginato accadde: Kei era l’indifferenza fatta a
persona, nonostante l’avesse notato stringere i pugni come per calmarsi due o
tre volte.
Il
Kei combattivo e irascibile era lì da qualche parte pronto a uscire.
Aveva
parlato spesso con Rei e Max al riguardo, ma mentre questi gli raccomandavano
di lasciarlo scegliere della propria vita, lui era ancora convinto che fosse
possibile far riaffiorare quella scintilla che sentiva mancare nel russo.
E
tutto questo era irrimediabilmente legato al bey, se lo sentiva; come per ogni
altra cosa, era convinto che il bey c’entrasse qualcosa, ma aveva provato ad
aprirgli gli occhi più e più volte in quei due mesi senza alcun risultato.
Si
ricordò di un altro discorso di Rei, riguardo al fatto che dovesse mettersi il
cuore in pace e che ormai al posto delle loro trottole c’era la danza bla bla
bla. Iniziava quasi a crederci pure lui, ma non voleva accettarlo. Eppure più
guardava Kei e più lo sentiva lontano, su un altro pianeta.
Vivevano
insieme, ma nulla era più come una volta.
Lo
avevano avvertito e nonostante questo ci era cascato comunque, ritrovandosi abbattuto
dalla realtà dei fatti: proprio lui, il campione del mondo di Beyblade conosciuto per la grande testardaggine e la
capacità di contagiare tutti con la propria energia e allegria, stava per
abbandonare ogni speranza.
Se
ne stava a rimuginare su questi mille pensieri seduto sul porticato del grande
giardino, capo chino a osservare l’erba mossa dai pochi fiati d’aria e le gambe
a penzoloni.
Faticò
ad accorgersi di non essere più solo e avvertì, come lontani mille miglia, i
passi che fecero scricchiolare il legno.
Kei
uscì al sole stiracchiandosi per poi accendersi una sigaretta, mentre Takao non
si scompose.
Il
russo guardò l’amico sorpreso. Visione insolita quella del giapponese fermo e
calmo, ma soprattutto zitto.
Non
era sicuro di volere sapere cosa gli stesse passando per la mente e, invece che
porre domande, si sedette poco lontano da lui, studiandolo.
-Cosa
c’è?- chiese ad un tratto Takao rendendosi conto della situazione.
-Dimmelo
tu- rispose Kei laconico.
-Non
capisco cosa vuoi dire..-
-Sei..
silenzioso- disse alzando le sopracciglia.
-E
quindi?-
-E’
insolito-
-Per
la cronaca non posso sempre essere allegro e iperattivo!- ammise acido.
-Buono
a sapersi- aspirò il fumo dalla sigaretta puntando lo sguardo verso un punto
indefinito.
Takao
iniziò a fremere e, senza pensarci troppo, decise di porre fine ai suoi dubbi.
-Si
può sapere quello che ti passa per la testa?-
Kei
lo guardò sempre più perplesso.
-Non
ti capisco più!- cercò di spiegarsi il giapponese –E ti vedo lontano mille
miglia da questo pianeta!-
Kei
non riuscì a non trattenere una risatina.
-Che
c’è da ridere?-
-Ora
sono io non capire te-
-Due
anni fa, al torneo, ci siamo conosciuti e siamo diventati amici! Non capisco se
mi consideri ancora tale!- ammise accigliato Takao.
-Perché
lo pensi?-
-Perché
nonti riconosco! Non hai aspirazioni,
non sei combattivo e.. hai lasciato il bey! Mi sarei aspettato questa cosa da
chiunque, ma non da te!-
Kei
sospirò –Ancora con questa storia del bey?-
-Non
è solo ‘questa storia’.. è il motivo per cui ci siamo conosciuti, è stato
quello che ci ha fatto legare, che ha creato tutto questo..-
-Non
puoi semplicemente accettare che ho smesso?-
-No,
non posso!-
-Perché
no?-
-Perché
sembra che ormai io non abbia più niente a che spartire con te!- alzò la voce
Takao.
Kei
lo fissò stupito dritto negli occhi finchè l’altro
non abbassò lo sguardo.
-Volevi
diventare il più forte e volevi battermi.. ora sembra che tu non voglia avere
più nessun contatto con me! Sia Rei che Max non sembrano accorgersene, ma mi
sento completamente tagliato fuori..-
-Sembri
una fidanzatina isterica..- esordì il russo scuotendo la testa e facendo
prendere fiato a Takao che stava per inveirgli contro, ma continuò prima che
questo potesse iniziare -..non so come ti vengano in mente certe cose.. solo
perché non gioco a bey non vuol dire che non ti considero un amico-
Appena
pronunciò l’ultima parola, Takao lo guardò con un’espressione indecifrabile.
-Ma
il bey è come se fosse l’ultimo nostro legame..-
-E’
per questo che insisti così tanto col farmi riprendere?-
-Sì-
Kei
scosse la testa divertito, iniziando a spiegare pazientemente –Il bey è stato
un fattore importante della mia vita e se ho smesso è stato perché non avevo
più nessun motivo per lanciarlo e non mi faceva più stare bene come un tempo..
e ora come ora ho solo bisogno di star bene- fece spallucce.
Takao,
non soddisfatto di quella risposta, sbuffò.
-Takao..-
provò Kei, ma si bloccò senza sapere cosa dire per spiegarsi. In quelle
settimane poteva mettersi d’impegno e cercare di aprirsi, ma non potevano
pretendere che da un giorno all’altro diventasse la persona più sentimentale e
loquace del mondo –Resta qui un attimo-
Senza
lasciare all’altro il tempo di replicare, si alzò è sparì all’interno della
villetta.
Takao
dovette aspettare pazientemente diversi minuti senza sapere che cosa avesse
intenzione di fare Kei. Gli venne persino il dubbio che fosse scappato via, ma
quando lo vide tornare riprese a guardarlo in attesa della sua prossima mossa.
Il
russo si risedette al suo fianco come poco prima e gli porse una scatola di
medie dimensioni.
-Cos’è?-
chiese Takao soppesandola interrogativo.
Kei
lo esortò ad aprirla con un cenno e il giapponese tolse sicuro il coperchio
guardando curioso all’interno.
Rimase
a bocca aperta nel riconoscere la trottolina blu, che tante volte aveva
rievocato in quel periodo, ma che ad un certo punto aveva perso la speranza di
rivedere, e il rispettivo dispositivo di lancio.
Dranzer era proprio
come lo ricordava, con il disegno della maestosa aquila rossa all’interno del
bit chip. Riguardandola si rese conto di quanto il tatuaggio sul collo
dell’amico fosse fedele all’originale.
Non
riuscì comunque a proferire parola e rimase a boccheggiare inerte. Voleva
toccarla, ma esitò, come se non fosse compito suo afferrare quella trottola,
come se non fosse giusto che fossero le sue mani a maneggiarla.
-Tienilo
tu-
-Cosa?-
squillò il giapponese –Non posso!- e riprese e guardare il bey in trance.
Kei
lo osservò curioso in ogni sua reazione: lo avrebbe definito un ebete, se non
avesse saputo quanto per lui significasse quell’oggetto.
Preso
da uno dei suoi attimi di pazzia/umanità, il russo borbottò qualcosa di
incomprensibile prima di allungare le mani verso la scatola e afferrarne il
contenuto.
-Dai..
prima che cambi idea-
-Cosa?-
chiese spiazzato l’altro.
-Hai
cambiato idea tu?- lo schernì alzandosi, sicuro che appena si fosse reso della
sua richiesta sarebbe scattato in pochi secondi con tutta la sua vitalità.
Fu
così infatti.
-No,
no, no!-
-Sappi
che non accadrà mai più-
Takao
recuperò il suo Dragoon e si mise in posizione di
fronte a Kei, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Il
giapponese riprovò per quei minuti le sensazioni di un tempo: il ritrovarsi
faccia a faccia col suo vecchio amico/rivale storico lo entusiasmava, dopo così
tanto tempo.
Preparazione,
lancio e primo scontro, dritti l’uno contro l’altro senza troppi complimenti,
pochi secondi per ricaricare e poi nuovamente all’attacco in una danza senza esclusione di colpi.
-Potresti
impegnarti- lo esortò Kei.
-Lo
sto facendo!-
-Dovrei
credere che non riesci a battermi facilmente dopo anni che sono fuori
allenamento?-
Ripresero
a combattere senza esclusione di colpi fino a che un violento attacco non li
fece tornare entrambi nelle mani dei rispettivi blader.
Takao
si prese il tempo per realizzare quanto accaduto prima di riprendere il vecchio
sorriso che lo contraddistingueva.
-Lo
so che lo hai fatto apposta- affermò Kei riferendosi al pareggio.
-Non
è..- Kei lo guardò scettico -..ok ok! Immagino vorrai
la rivincita quindi!- tentò mostrando la dentatura esaltato.
Il
russo scosse la testa e si risedette sul porticato rimettendo Dranzer e il lanciatore nella scatola.
-Ora
puoi tenerlo-
-No
davvero Kei.. non posso prenderlo!- si difese come se fosse appena stata detta
un’eresia.
-Io
non lo uso più.. l’ultima volta che te l’ho dato era per il motivo sbagliato-
cercò di convincerlo ricordando avvenimenti di anni prima –Tu ne farai un uso
migliore..-
-Non
potrei mai..-
-Almeno
mettilo in un posto più degno che in una vecchia scatola al buio- insistette e
spinse il contenitore verso l’altro.
Takao
non aggiunse una parola, ma ricambiò il sorriso sincero dell’altro.
-E
questo non significa che non abbiamo più nulla da spartire- aggiunse il russo
alzandosi.
Il
moro tornò a osservare i riflessi che formava il sole sulla superfice lucida di
Dranzer, come catturato: l’aveva di nuovo visto
ruotare e prendere vita.
Certamente
quella scatola non poteva essere la dimora per un beyblade
del genere. Semplicemente non poteva.
Sperava
vivamente che in quel modo il capitolo beyblade
sarebbe stato chiuso definitivamente.
Aveva
provato una sensazione strana nel lanciare nuovamente Dranzer,
ma anche solo nel toccarlo quando lo aveva tirato fuori dalla scatola nella
quale era stato riposto anni prima.
Mentre
preparava le valige a giugno, non aveva considerato di portarlo fino a quando
quel contenitore aveva fatto capolino dal suo armadio mezzo vuoto. Allora non
ci aveva riflettuto e, senza nemmeno alzare il coperchio, aveva infilato tutto
nella borsa.
Sinceramente
quell’oggettino lo intimoriva: era stato il primo a fargli provare emozioni
forti, diverse e soprattutto positive, ma al contempo era diventato portatore
di ricordi tremendi.
Dranzer raccoglieva in
sé tutto quello che lui era stato e che gli era accaduto e, avendolo
accantonato per così tanto tempo, l’aspettativa verso di lui era alquanto complicata.
La
verità, invece, risultava molto più semplice: non appena Takao aveva aperto la
scatola, il metallo blu del bey aveva rispecchiato il calore del sole e a Kei
sembrò come quando si vede un’opera d’arte, un quadro o una statua, dal vivo
dopo averla sempre conosciuta tramite immagini su dei libri. Il bey era l’opera
fisica, mentre il ricordo che ne aveva era l’immagine.
All’ammirazione
iniziale, si aggiunse lo stesso timore che leggeva nei gesti di Takao, quello
di toccarlo, come se non gli fosse realmente concesso, come se avesse potuto
rovinarlo, quindi gli costò non poca fatica decidersi ad afferrarlo; cosa lo
spinse a farlo, comunque, non lo sapeva, come non si spiegava quella insana
idea di lanciarlo nuovamente. Forse era la sorpresa del momento, il volto
incredulo e felice di Takao, quella sensazione di ritorno al passato, la voglia
di testare tutto quell’insieme di emozioni, tentare di capire se ciò che
ricordava corrispondesse alla realtà.
Il
metallo a contatto con le sue dita era freddo, come se fosse rimasto congelato
nel tempo, e familiare: ancora di più il lanciarlo.
Ma
nella velocità dei momenti e nel loro ritmo incessante avvertiva qualcosa di
diverso, di nuovo, che non aveva mai provato: non era né positivo, né negativo,
ma solo diverso.
I
ricordi si mischiarono alle sensazioni presenti, l’aspettativa che aveva al
riguardo si tramutò in sorpresa nel scoprirsi al contempo legato a quel
combattimento, a quel beyblade, e allo stesso modo
estraneo, come se si trovasse in un tempo sbagliato.
Arrivò
alla conclusione che quello faceva parte del passato: un passato che non voleva
rinnegare e che portava sempre con sé, di cui non poteva disconoscere il
fascino e la passione, ma che ormai non faceva più parte di lui, non così
visceralmente come un tempo almeno.
Decise
di lasciare Dranzer a Takao per dimostrargli tutto
questo e che, al contrario di quello che il giapponese temeva, anche se non lo
riusciva a dimostrare, gli era grato di tutto quello che stava facendo e di
quanto lo tenesse in considerazione.
Era
meteoropatico al contrario: ecco la soluzione alle sue domande.
Le
ultime settimane erano passate serene e senza intoppi, con un culmine di
rilassatezza e calma durante un fitto temporale che li aveva colti un martedì
pomeriggio all’improvviso per poi sparire e lasciare dietro di sé una scia di
frescura indescrivibilmente piacevole.
Ma
era bastata una notte per rovesciare la situazione e far sì che tornasse il
caldo, se possibile ancora più torrido e soffocante di prima.
Era
una giornata linda, senza una nuvola e con la temperatura alle stelle e Kei non
poteva essere più nervoso di quanto già non fosse.
Era
stata fin troppo una pacchia fino a quel momento: si era illuso che gli sbalzi
d’umore non si sarebbero più fatti vivi, o almeno non in maniera così plateale.
Invece era tornato intrattabile nel giro di poche ore, anzi probabilmente pochi
minuti.
Decise
di affrontare la giornata nel solito modo, ma dovette contenersi diverse volte
per non mandare all’aria tutto quello che si era accorto di aver costruito, a
partire dal legame di pace con Takao e Hilary. Mandò mentalmente a quel paese
quel tempo così dannatamente bello e in collisione col suo stato d’animo mentre
si dirigeva da Mizuki: sarebbe stato a casa sua prima
di seguirla in piazza.
La
salutò malamente, ma lei ignorò quel suo comportamento. Aspetto positivo della
ragazza era la capacità di non assillarlo per continue attenzioni e con mille
domande.
Rimasero
in casa da soli per un’oretta prima di andare al ritrovo dei breaker: quel caldo aveva fatto rintanare tutti in casa e
per questo le persone in giro erano relativamente poche. La piazza era
stranamente deserta.
Si
rifugiarono nell’unico angolo all’ombra dei pochi alberi che costituivano la
zona verde, aspettando che si facesse vivo qualcuno con lo stereo. Solitamente
erano in tre gli addetti a portarlo e finchè questi
non si presentavano gli allenamenti dovevano aspettare.
Dopo
una ventina di minuti uno di questi arrivò: era un tipo bassetto di cui Kei non
ricordava il nome. Mizuki e il nuovo arrivato
iniziarono a riscaldarsi, quando qualcun altro si fece vivo.
-Ciao
Naoki!- lo salutò il ragazzo dello stereo.
Tra
tutti quelli del gruppo, proprio l’ex di Mizuki: la
ragazza lo salutò freddamente cercando di prestare attenzione solo a Kei
dimenticandosi del caratteraccio che quel giorno lo contraddistingueva.
C’era
abbastanza tensione nell’aria: il russo non era certo di potersi contenere
anche quel giorno, con i nervi tesi che si ritrovava, se solo Naoki avesse tentato di infastidirlo.
Non
era sicuro di poter essere padrone delle proprie azioni.
Si
ripetè mentalmente di calmarsi e di stare tranquillo,
ma l’altro aveva iniziato con la sua sfilza di occhiatacce: se in quelle
settimane aveva imparato a conoscerlo, avrebbe scommesso che da lì a poco
avrebbe iniziato con le solite frecciatine.
Kei
si concentrò sul discorso di Mizuki del quale non
aveva afferrato il soggetto.
-Che
succede oggi mezza sega? Allergico al sole?- iniziò il giapponese riferendosi
al fatto che fosse seduto nell’appezzamento di ombra.
Kei
gli rifilò un’occhiataccia, ma non rispose. Doveva stare calmo.
Nei
minuti successivi accaddero diverse cose: Naoki
continuava a rifilare commenti fastidiosi tra una move e l’altra, per poi entrare
nel cerchio sfidandolo apertamente. Lo squadrava intensamente, come ad
incenerirlo con lo sguardo e ballava nella sua direzione, rivendicando quel
confronto che il russo non aveva ancora accettato.
Non
seppe definire quello che lo spinse ad alzarsi: l’oppressione per il caldo, la
musica che inseriva nei rumori dell’estate, il nervosismo inspiegabile dei suoi
vecchi e familiari cambi d’umore, la sigaretta che aveva fatto fatica ad
accendersi o il fastidio verso l’espressione arrogante e detestabile di Naoki. Comunque si alzò contemporaneamente col giapponese e
lo fronteggiò.
In
quel paese orientale era difficile, se non impossibile trovare qualcuno più
alto di lui, se non gli stranieri che affollavano il centro di Tokyo, ma quello
non era il caso del suo avversario.
Cercò
di reprimere la tentazione di fronteggiarlo con un cazzotto, la cui idea gli
stava animando la mano destra, e cercò di convertire quella scarica di
adrenalina in altri movimenti; passò la sigaretta accesa che teneva tra le
labbra a Naoki che, interdetto, la prese tra le dita,
per poi accettare la sua sfida.
Aveva
già partecipato a delle battle
in Russia, per vincere qualche soldo per la droga, e, ricordando quel periodo,
affrontò quel confronto con tutti i passi che ricordava. Quei pochi minuti di
entrata volarono via in un attimo.
Forse
esagerò un poco, poiché quando si ritrovò nuovamente in piedi, il giapponese di
fronte a lui lo guardava allibito e deluso. Lo fulminò con gli occhi prima di
riprendersi la sigaretta dalle mani immobili dell’altro e tornare a occupare il
suo posto all’ombra, tranquillamente e con solo un po’ di fiatone come se nulla
fosse successo.
Mizuki gli si avvicinò
con un’espressione indecifrabile.
-Cazzo
Kei.. pensavo non volessi ballare perché non eri tanto bravo, ma.. cioè.. wow!-
Il
russo le lanciò un’occhiata di sufficienza senza risponderle; dopo aver
scaricato un po’ di nervoso voleva solo godersi quella sigaretta cercando di
calmarsi definitivamente.
In
quel momento sparirono tutti intorno a lui, non sentì nemmeno i commenti di Naoki e del tipo basso, non prestò attenzione neanche
quando altri ragazzi arrivarono e furono messi a conoscenza dell’accaduto.
Semplicemente
prima del solito decise di andarsene e salutò Mizuki,
che aveva iniziato a pressarlo su qualcosa tipo insegnarle alcuni passi.
Era
un periodo strano: tutta quella serenità che lo aveva avvolto fino a pochi
giorni prima era sparita e, il tornare a quell’apatia, era stato più duro del
previsto. Iniziare a reagire aveva reso le cose strane e lui incapace di
affrontarle, non sapeva come comportarsi rispetto a quelle nuove sensazioni.
Lo
spettacolino in piazza era stato una reazione a quel senso di inadeguatezza nel
ritornare a quel momento di depressione.
Guardò
verso il cielo terso, risentendo sulla pelle quella cappa di caldo che aveva
avvertito al suo arrivo a giugno, ma questa volta il doppio più opprimente.
Sospirò
e percorse i pochi metri che lo separavano dal dojoKinomiya: cos’era che poco più di un mese prima lo aveva
fatto tornare a respirare? Avrebbe rifunzionato, ma soprattutto avrebbe
lasciato che rifunzionasse?
Cercando
una risposta a queste domande attraversò il portone di legno ed entrò nella
villetta, cercando Takao e Hilary. Ebbene, dovette ammettere di volerli cercare
e capire se quella loro spensieratezza innata c’entrasse qualcosa con le sue
domande.
..e ti vedi con una che fa il tuo stesso giro..
Essenzialmente
le cose finsero di tornare normali.
Kei mascherò
ogni comportamento sospetto e rigò dritto per qualche settimana, bucandosi
sempre vene differenti per non lasciare segni.
In quel periodo
Kei e Nataliya si allontanarono nuovamente, poiché la ragazza rappresentava un
sospetto per gli occhi sempre più attenti di Yuri. Se doveva scegliere tra lei
e la droga, Kei aveva optato per la seconda.
Quanto però le
due cose erano collegate, lo capì quando Yuri scoprì che non aveva realmente
smesso. Dopo varie litigate e crescenti toni, Kei se ne andò via di casa.
Disse che non
sarebbe tornato, e così fece. Era senza soldi e senza un posto dove stare.
Poche erano le
persone che gli erano rimaste accanto: i ragazzi della dorogi si erano divisi tra quelli che erano scampati al
fascino della droga, un numero che si contava sulle dita di una mano, e quelli
che invece ci erano cascati. Alcuni morirono, di AIDS, di botte, di stenti, gli
altri si raggruppavano e si tradivano a vicenda, tutto pur di avere più soldi e
più roba per sé.
Fu inevitabile
rincontrare Nataliya.
-Ora sto da
Klaus.. sono scappata di casa..- gli aveva detto e lo aveva portato con sé.
Convissero, loro
due e altri tre ragazzi, tra cui Klaus, il padrone del piccolo appartamento
dall’aspetto inabitabile: non c’era praticamente di mobilia, poiché era stata
venduta tutta per pagare i buchi, infatti dormivano su materassi buttati per
terra. Era una casa sporca e fetida, ma garantiva un tetto e un luogo sicuro.
Dalle bocche di
Nataliya e Kei uscivano in quantità uguale i ‘ti amo’
e i ’ti odio’, ma quale sentimento provassero
realmente non lo sapevano nemmeno loro.
Trovarono un
compromesso: sarebbero stati insieme, avrebbero continuato quella relazione
caotica, ma avrebbero potuto al contempo vedere altre persone e stare a regole
personali.
Unico vincolo:
mai mentire.
Kei conobbe
nuove persone, si unì a un nuovo giro e continuò a vedere Nataliya. Cercava i
soldi per le dosi, rubando e andando a letto con ragazze che potevano dividere
qualcosa con lui.
Nataliya
continuava a prostituirsi, questa volta usando i soldi per sé e il suo vizio.
E per Kei.
Per quanto
litigassero, finivano sempre l’uno tra le braccia dell’altra, confortandosi
nella loro disperazione comune: erano a conoscenza delle loro disgrazie, lei si
era confessata a lui e lui si era confessato a lei.
E per quanto si
prendessero cura l’uno dell’altra, continuavano ad odiarsi, poiché stando
insieme potevano specchiarsi e trovarsi faccia a faccia con la parte di se
stessi che cercavano di negare incessantemente.
Per diversi mesi,
all’infuori del giro Kei incontrò solo Dana. La palestra dove lei aveva
iniziato a insegnare era l’unico luogo dove tentasse di rimanere pulito,
l’unico dove il bisogno diminuiva, ma presto la dipendenza lo costrinse a
profanarlo. Era l’ultimo appiglio a quella che era la vita e non appena il suo corpo cedette e non riuscì più
a sostenere quella sua danza, Kei si spense del tutto.
Aveva reciso
ogni legame sano.
Buonasera!
E ancora una
volta abbiamo un po’ di passato e presente XD ormai avete capito l’andazzo.
Se per il passato
lascio libero spazio alla vostra fantasia, per il presente notiamo delle
cosucce.. intanto la parentesi tra Kei e Takao.. ebbene diciamo che questo è
all’incirca la chiusura definitiva del capitolo bey, ha avuto il suo spazio Dranzer come era giusto, ma ora possiamo far mettere il
cuore in pace al Taku.u
poveri noi!
Sulla seconda
parte invece.. beh se avete domande chiedete :O se per caso dessi per scontato
cose che non lo sono affatto ditemele pure che cercherò di rimediare u.u Spero che abbia reso la parte in piazza.. non ne sono
totalmente convinta in verità ma vabbè dai O____o
Non voglio
lasciare punti oscuri! XD
Vabbè.. vi
lascio e aspetto vostre notizie.. non farò mai più notare la moltitudine di
recensioni, perché l’altra volta l’ho fatto e sono automaticamente calate XD ihih però continuo a ringraziarvi come è mio dovere fare!
Alla prossima
settimana..
Un bacione :)
Ps: ringraziamo
tutte insieme Sara Bareilles che oggi ho deciso di
ascoltare in macchina perché senza di lei mi sarei dimenticata che stasera era serata
di aggiornamento XD
Ps2: tantissimi
auguri di buon compleanno alla Pad ^^ yay
Si
era appena abituata alla calma che entro pochi giorni sarebbe tornato il caos
insieme a Max e Rei.
Doveva
ammettere che quel periodo di quiete era stato davvero ristoratore: con il
caldo di quei giorni non sarebbe riuscita a sopportare uno spreco esagerato di
energie.
Varcò
la porta del dojo come sempre, ma, prima che
riuscisse a rendersene conto, si vide superare di corsa da Takao.
-Dove
stai andando?-
-Devo
comprare una cosa, torno tra un po’!- le urlò mentre girava l’angolo.
Nonno
J non c’era e quell’irresponsabile se ne andava fuori di corsa senza nemmeno
chiudere la porta. Pensò che l’unica spiegazione possibile fosse che Kei fosse
ancora a casa, cosa insolita considerando che a pomeriggio inoltrato era sempre
difficile trovarlo.
Sbirciò
in tutte le stanze canticchiando una canzone che passavano spesso alla radio in
quel periodo; entrò in sala e notò un insolito disordine in una credenzina: tutti
i soprammobili erano stati raggruppati in un angolo alla rinfusa, circondati da
una serie di stracci, e il vetro dell’espositore in equilibrio precario. In
questo scenario solo un oggetto era perfettamente al sicuro. Una di quelle
trottoline, blu per l’esattezza. Hilary la riconobbe come Dranzer,
il bey che il giapponese da pochi giorni a quella parte non faceva altro che
ammirare e portare in giro per casa alla ricerca di un posto adatto dove
sistemarla.
Cercò
di non indagare oltre: quello che Takao era corso a comprare c’entrava
sicuramente con quel cataclisma e non osò nemmeno immaginare quali fossero le
sue malsane idee. Per fortuna o disgrazia Nonno J non era lì intorno a
controllarlo e disperarsi.
Sentì
un rumore proveniente da fuori e pensò che potesse essere Kei.
Probabilmente
era in palestra: quegli ultimi giorni avevano portato di positivo anche
l’atteggiamento del russo nei confronti della ragazza. Si sopportavano, anche
se lei aveva notato che dal giorno prima il russo sembrava essere tornato di
umore pessimo.
Ebbene,
lo sopportava, ma prima di capirlo avrebbe dovuto fare ancora molta strada e..
-Kei!-
Hilary
allarmata uscì di corsa in giardino e percorse il porticato fino all’entrata
della palestra: Kei era inginocchiato sul pavimento di legno, con la fronte
appoggiata a una delle colonnine portanti della struttura e prendeva respiri
profondi, troppo profondi e troppo lunghi per poter essere considerati normali.
La
ragazza gli si avvicinò e si accovacciò nel momento in cui Kei iniziò a
tossire.
Allontanò
il cellulare del ragazzo che era stato abbandonato per terra e appoggiò una
mano sulla sua spalla, timorosa. Non sapeva né che gli stesse succedendo, né
che cosa fare per aiutarlo.
Sembrava
non riuscisse a respirare, teneva gli occhi chiusi mentre il petto si muoveva a
ritmi troppo veloci in confronto alle boccate d’aria che riusciva a prendere.
-Kei!
Calma.. vado- si guardò intorno spaesata pensando velocemente a un modo per
reagire –vado a cercare qualcuno!- da sola non ce l’avrebbe fatta, ma se erano
in casa da soli, l’unico modo per ottenere aiuto era telefonare: un ambulanza,
Takao, Nonno J, i suoi genitori, chiunque purchè le
dicesse come fosse meglio comportarsi.
Visualizzò
il cellulare che aveva scontrato poco prima e fece per alzarsi, ma si sentì
bloccare il polso. Kei, con una forza che non sembrava in grado di avere,
l’aveva afferrata prima che potesse muoversi e non le permise di divincolarsi.
-Kei
lasciami.. non so cosa fare, devo..- non sapeva che dirgli per convincerlo.
Le
sembrò che avesse pronunciato un –no- o qualcosa di simile, ma non poteva
confermarlo con certezza; l’unica cosa che riusciva a capire era che gli
mancasse l’aria.
Come
poteva aiutarlo se seguitava a impedirglielo?
Il
russo tossì nuovamente, accasciandosi sempre di più verso terra, prima di fare improvvisamente
forza sul polso di Hilary: le sembrò che le volesse staccare il braccio e per
un secondo lo temette, se non fosse che si ritrovò sbilanciata verso di lui.
Sarebbe caduta in avanti se non avesse incontrato il corpo del ragazzo stesso;
Kei aveva appoggiato la fronte nell’incavo del collo della giapponese senza
abbandonare il respiro affaticato e irregolare.
Il
tempo si fermò di colpo; il caldo, l’ansia, il malore del ragazzo, il contatto
tra i loro corpi, resero la situazione irreale.
Senza
capire come, Hilary lo sentì normalizzare il ritmo e avvertì il panico di quei
momenti scemare lentamente. Cercando di calmare anche se stessa, rigirò il
polso che Kei teneva ancora stretto e riuscì a fargli allentare la presa: non
eliminò il contatto, ma fece scorrere lentamente la mano sul suo avanbraccio,
ancorandosi a lui con una carezza che continuò, muovendo leggermente le dita
sulla pelle calda del ragazzo. Portò invece la mano sinistra sulla sua schiena,
massaggiandolo lentamente con movimenti circolari.
Poteva
sentire il respiro caldo di Kei sulla sua pelle, intenso e ansioso, e
automaticamente quell’irregolarità la portò a controllare il proprio.
Pensò
all’atto del respirare nella sua azione naturale e, senza accorgersene, diede
il ritmo giusto di inspirazione ed espirazione. Avvertì la giugulare pulsare al
battito del proprio cuore sulla fronte di Kei che lentamente stava cercando di
imitarla.
-Con
calma, ecco così- inspirò ed espirò –così va meglio- continuò a sussurrargli
incitamenti e ad aiutarlo a impadronirsi dell’aria correttamente.
..e ti senti il diritto di sentirti leggero..
-Credo che
avessero ragione- gli sussurrò Nataliya in un momento della giornata
indefinito, sdraiati vicini sul loro materasso sfatto.
-Su cosa?-
-Sui tuoi
occhi.. sul loro colore!- rise –Ora si contornano di nero come quelle merde di
buchi!-
-Tu stai facendo
trip troppo assurdi invece- rispose lui divertito, ben consapevole che le sue
iridi non fossero cambiate.
-Eppure lo
vedo!- continuò fissandolo, mantenendo il contatto visivo come solo lei
riusciva a fare.
Si baciarono in
quel momento di pace nel loro rapporto così incasinato.
-Cazzo quanto
sei bello- bisbigliò lei segnando con l’indice il contorno del suo viso.
-Non dirlo..-
disse lui infastidito.
-La bellezza..
che brama e che maledizione!- aggiunse allineandosi con i pensieri di Kei che
sospirò –Se tu fossi nato brutto pensi che sarebbe cambiato qualcosa?-
-Probabilmente
sarei già morto-
-Non c’è molta
differenza da adesso.. ci stiamo uccidendo piano piano- disse lei pratica e
crudele.
-Sarebbe successo
prima e con meno cerimoniali..-
-Nessuno ti
avrebbe mai desiderato intendi..- aggiunse Nataliya cercando conferma dei
pensieri dell’altro, consapevole di aver capito tutto di lui.
-Lo sai anche
tu- annuì Kei.
-Diceva che era
per colpa mia.. perché sono troppo bella- e lo guardò più intensamente cercando
la comprensione che le serviva. La trovò.
-Invece ora
facciamo schifo- constatò lui divertito.
-Bella
rivincita!- lo assecondò lei.
Ne risero
insieme. Parlavano e scherzavano delle proprie disgrazie solo grazie alla dose
contenuta nella siringa abbandonata a pochi centimetri da loro. Una risata di
scherno verso quel quadretto così paradossale. Una risata che poteva essere
benissimo pianto, ma che tramutarono in passione e sesso.
-Tu, però, non
potrai mai fare schifo..- sussurrò ancora Nataliya, senza sapere con precisione
se l’altro l’avesse ascoltata.
Durò ancora il
tempo di una lunga serie di litigate e di riappacificazioni, ma quella sera di
inizio dicembre arrivò e segnò la tappa decisiva del loro rapporto.
La vide ridere e
guardarlo maliziosa e un attimo dopo morire. Qualche secondo per realizzare e
per fare qualcosa. La confusione dettata dall’eroina e dalla paura.
Riuscì senza
rendersene conto a trovare un cellulare sconosciuto e a comporre il numero
dell’ambulanza: non sapeva nemmeno di conoscerlo, ma lo compose.
Cercò di
rianimarla, ma assistette solo ai suoi spasmi e al cessare del battito
cardiaco.
Gli occhi che
aveva incontrato negli ultimi due anni in ogni occasione, nella felicità e
nella disperazione, non gli erano mai sembrati così spenti, eppure così chiari
e belli. Vi si specchiò e vi si perse.
Sarebbe restato
ancora in quella posizione, accucciato al suo fianco con la mano sul suo viso,
se delle braccia e delle voci non lo avessero spinto ad alzarsi e scappare.
Corse via da quella casa sconosciuta nella quale non sapeva nemmeno come ci
fosse arrivato e seguì quello che finalmente riconobbe come Klaus verso il loro
appartamento.
A metà strada si
fermò cercando di realizzare, ma non ci riuscì: perché era andato via e perché
l’aveva lasciata lì?
Ignorò le
domande senza senso apparente di Klaus e iniziò a camminare da solo, verso un
luogo indefinito, senza prestare attenzione alla destinazione.
Si fermò ancora
in confusione e fissò la coltre bianca che lo stava ricoprendo: non si era
accorto stesse nevicando. Si stupì ancora di più quando vide una figura
familiare uscire dalla casa davanti alla quale si era fermato.
Era Yuri. Non lo
vedeva da mesi e si chiese come avesse potuto resistere senza il suo appoggio fino
a quel momento. Perché le sue gambe lo avevano fatto arrivare proprio lì e
perché non lo avevano fatto prima?
Non si rendeva
conto di quello che stava facendo poiché si trovava ancora in piena confusione.
Si lasciò
abbracciare dall’amico/fratello e lo seguì in casa in un turbinio di incertezza.
Sentì il mondo
cadergli addosso quando si risvegliò ore dopo sudato nel suo letto, nella sua
camera.
Ricompose
velocemente tutti i tasselli di quello che era successo la sera prima e finalmente
realizzò.
Realizzò, ma non
accettò. Con un gesto automatico allungò la mano verso il comodino dove un
tempo teneva l’ero, ma non ce n’era. Cercò in tutti i vecchi nascondigli se ne
fosse rimasta ancora, ma non trovò nulla.
Uscì di casa;
per fortuna nessuno lo bloccò e tornò all’appartamento di Klaus.
Evitò di
rimanere lucido anche solo per un minuto per diversi giorni, fino al giorno del
suo funerale. Aveva letto data e luogo su dei manifesti
e, nonostante si fosse ripetuto mille volte di ignorare quel richiamo, ci andò.
Arrivò in
ritardo ed entrò nella piccola chiesa ortodossa. Rimase in fondo e si appoggiò
alla parete affrescata. Non ascoltò nessuna delle parole del sacerdote, né si
accorse degli sguardi di disapprovazione verso la sua figura che gli
riserbarono delle donnette sedute nelle ultime file.
Si limitò a
osservare la semplice bara posta davanti all’altare.
Ci vedeva
qualcosa di estremamente sbagliato: quel rito nel quale lei non credeva, quei
fiori che non avrebbe apprezzato e persino quella tristezza ostentata dalle
persone presenti.
Avrebbe voluto
andare là davanti, aprire la bara e portarla via, lontano da quell’ipocrisia.
Lui l’avrebbe voluto, avrebbe preferito. Ma non lo fece.
Uscì dalla
chiesa prima che terminasse il rituale: era riuscito ad andarci solo grazie a
una dose consistente, non poteva permettersi di far passare l’effetto. Ora come
ora non poteva far altro che aspettare di raggiungere Nataliya, farsi il suo
ultimo buco; loro due erano uguali, da quando si erano trovati era stato una
continua scoperta di quella somiglianza, dovevano arrivare fino in fondo
insieme.
Lo voleva però?
Sapeva di averla sempre allontanata per quello. Ma se alla fine si
ricongiungevano sempre, doveva esserci un motivo.
-Kei torna qui!-
gli arrivò quella voce come da un altro pianeta.
-Torna a casa!-
Si girò e
incontrò due grandi occhi azzurri. Chiari e vivi. Yuri doveva averlo visto e
seguito. Probabilmente gli aveva anche detto qualcosa prima di quelle frasi.
Lo ascoltò
assente. Stava dicendo tante cose contemporaneamente, tanti propositi, tante
speranze. Una parte di lui gli suggeriva di girarsi e andare via, ma un’altra
lo invitava a dargli retta, a fidarsi di quella persona che conosceva da una
vita e non lo aveva mai deluso.
Li raggiunse
anche Dana, con gli occhi gonfi di lacrime.
Senza sapere
come lo convinsero a sedersi con loro su una panchina.
Di nuovo
discorsi sul futuro, sul domani, sulla speranza e sulle possibilità.
Discorsi opposti
a quelli che Kei aveva sentito fino a quel momento, a quelli che aveva tante
volte fatto con Nataliya.
Ma a quali
doveva credere.
Portò le mani
davanti agli occhi confuso.
-Per favore,
almeno tu, vivi!- esclamò disperata Dana –Lei non l’ha fatto, ma tu puoi
ancora! Non voglio che tu finisca come lei! Non voglio perdere anche te!-
Una risposta.
-Sì- sussurrò
annuendo.
-Cosa?- chiese
la ragazza con un filo di voce rotta dal pianto.
-Va bene- disse
annuendo ripetutamente.
In quell’attimo
che credette di pazzia, poi di buon senso, poi ancora di pazzia, si convinse a
dare una risposta a quei dubbi che lo avevano tormentato. Doveva spezzare quel
legame con Nataliya, doveva accettare che lei non ci fosse più e che lui invece
avesse ancora tempo.
Così si lasciò
guidare.
..e ti attacchi alla vita che hai
-Il
suo ricordo mi sta perseguitando- disse reggendosi la testa con le mani, i
gomiti saldati sulle ginocchia.
Nel
silenzio irreale di quel caldo afoso, Kei le aveva raccontato a grandi linee
tante cose, troppe per essere assimilate in così poco tempo, ma allo stesso
tempo troppo poche: non era entrato nei dettagli, le aveva concesso poche frasi
che raccoglievano avvenimenti, persone, luoghi, sentimenti e sensazioni che
poteva leggere nei suoi occhi. Mentre parlava, lo vedeva perdersi in immagini
lontane, in dettagli e particolari che non riusciva a condividere. Le parole da
lui pronunciate erano solo la superficie, il racconto sterile di più di un anno
della sua vita, mesi particolarmente intensi e duri. Chissà quanti dialoghi,
quanti momenti aveva omesso in quei silenzi che si forzava da solo, in cui si
fermava e guardava dritto davanti a sé, per passare velocemente e senza
apparente logica alla frase successiva.
Molte
cose le rimanevano oscure, ma aveva capito che c’era questa ragazza, Nataliya,
e che con lei Kei aveva condiviso dolore, un dolore di cui non aveva avuto
spiegazioni, ma comunque intenso e palpabile.
-E’
normale Kei, è stata una persona importante nella tua vita!-
Hilary,
dopo quello strano abbraccio di poco prima, non aveva più avuto contatti col
ragazzo; non riusciva ad avvicinare nemmeno un arto, anche se sentiva l’impulso
di allungare il braccio e confortarlo.
-Ma
perché proprio adesso?- chiese impercettibilmente seguitando a torturarsi i
capelli.
-Piuttosto
ora come va? Sicuro di stare meglio?- cercò di cambiare discorso la ragazza,
notando lo stato emotivo di Kei.
Il
ragazzo annuì.
-Forse
sarebbe meglio se ti facessi vedere da qualcuno- ma l’altro negò con un cenno
del capo –Scoprire se è qualcosa di grave, non si sa mai, sembrava asma o..-
-So
cos’è.. ho già fatto tutti i controlli possibili in Russia-
-Cos’è
allora?- si informò, in attesa di sapere cosa l’avesse turbata così tanto.
-Attacchi
di panico- soffiò come fosse una confessione scomoda –Era da un bel po’ che non
ne avevo, pensavo fossero finiti-
Il
russo si sistemò a sedere più composto, visibilmente insofferente per quella
situazione.
-Non
sono cose che possono terminare così..- aggiunse lei calibrando parole e tono
di voce, con dolcezza per quella convinzione infantile.
-Lo
so- ammise lui sconfortato.
Kei
finalmente decise di girarsi per vedere l’espressione della ragazza seduta di
fianco a lui: lo guardava preoccupata e accigliata, ma non appena i loro occhi
si incontrarono, lei arrossì e distolse lo sguardo.
-Lo
so che non vedi l’ora di raccontarlo a tutti e queste cose qui, ma.. potrebbe
rimanere tra noi questa.. cosa?-
-Che?
Non vuoi che sappiano degli attacchi di panico? Ma se dovessi trovarti di nuovo
in..-
-E’
sotto controllo..-
-Ah
sì, mi sembrava proprio tutto sotto controllo prima!- rispose indispettita
Hilary.
-Tempo,
ho solo bisogno di tempo per calmarmi..-
Lo
fissò scettica, ma poi si arrese –Non ho intenzione di dire niente, se è questo
che vuoi, anche se penso che sarebbe meglio che gli altri sapessero.. per te,
non per altro-
-No,
grazie- confermò Kei tornando a guardare davanti a sé.
Hilary
lo osservò nuovamente, ora che quelle ametiste indagatrici erano fisse su un
altro punto.
Era
una stupido a non voler dire niente, ma non poteva aspettarsi altro da una
persona che teneva ben segregato dentro di sé tutto quel mondo infernale a cui
aveva avuto accesso solo superficialmente.
Quella
sua aria da duro e impassibile era così facilmente abbattibile in pochi minuti:
faceva uno strano effetto vederlo chiudere gli occhi e abbandonarsi con un
sospiro alla colonnina al quale l’aveva trovato reggersi poco prima. Era strano
e irreale, come in un’altra dimensione.
Era
da giorni che cercava un’ottica giusta per inquadrarlo, per capire come
rapportarsi e come classificarlo; tutto quello che riusciva a pensare in quel
momento era a una semplicità, mascherata dietro a una complicatezza
inesistente: una semplicità nel modo di parlare, conciso e diretto, nel modo di
pensare, concreto e visibile, montato dietro a un impalcatura di problemi e
ostacoli che si era creato lui stesso con le sue stesse mani.
Perché
quella visione di insieme non le provocasse pena o dispiacere, ma al contrario
la colpisse e affascinasse tanto da provare un’insolita attrazione, non se lo
sapeva spiegare.
Aveva
solo un brutto presentimento. Un tremendo presentimento.
-Finalmente!-
Takao
accolse i due amici di ritorno dai loro paesi di origine.
Max
e Rei ritornarono, infatti, a poco più di una settimana dalla fine delle
vacanze, che preannunciavano l’imminente rientro a scuola.
Il
giapponese era al settimo cielo per il loro arrivo e non fece altro che
assillarli per sapere come fosse andata in quei giorni: voleva sapere tutto, ma
allo stesso tempo non riusciva a tenere la bocca chiusa per informarli su
quanto fosse successo in loro assenza, relativamente poco, ma abbastanza per
essere imbastito con una buona dose di esagerazione di creazione tutta Kinomiya.
-Beh
io una novità ce l’ho!- riuscì a dire improvvisamente il cinese, sovrastando la
voce dell’amico.
-Sarebbe?-
-Io
la so!- lo interruppe Hilary gioiosa.
-Come
la sai?- chiese Rei perplesso.
-Ho
ricevuto una chiamata internazionale qualche giorno fa!- aggiunse sorniona.
-Ehi
lo vogliamo sapere anche noi! Com’è che lei lo sa e io no?-
-E’
che io mi sento con Mao!-
-E
che c’entra Mao?-
-Vi
siete messi insieme?- si inserì Max saltellando.
Rei
di risposta gonfiò il petto entusiasta e annuì.
-Alleluya!-
-Let’s party!- urlò l’americano improvvisando un girotondo
con gli altri ragazzi.
-Quanto
mi siete mancati!- esclamò Takao nel vedere tutto quel caos.
Continuarono
a saltellare fino a quando Rei non riuscì a liberarsi.
-Ciao
anche a te eh!- disse il cinese con un mezzo sorriso, rivolgendosi a Kei seduto
sulle scale dell’ingresso ad osservare la scena.
-Ciao-
-Non
essere troppo felice di rivederci mi raccomando!- rise Max.
Il
russo in risposta sventolò la mano destra in aria come per esultare,
accompagnato da un poco (per niente) convinto –yeee-
che, considerando la sua espressione seria e impassibile, sapeva molto di presa
in giro.
Rei
scoppiò a ridere: era stata una scena fin troppo spiritosa, comunque nel pieno
delle sue aspettative.
-Sempre
a fare il simpaticone!- esclamò divertita Hilary verso il russo che alzò gli
occhi divertito per poi appoggiare la testa sulla mano.
Questo,
invece, non se lo sarebbe aspettato. Da quand’era che quei due interagivano?
Beh,
non si poteva certamente aspettare che in sua assenza quei tre non si
rivolgessero la parola: gli balenò in testa un’immagine alquanto comica di un
pomeriggio tipo, con Takao, Kei e Hilary intenti a ignorarsi nei pochi metri
quadrati del giardino del dojo.
Ridacchiò
tra sé mentre si recava in camera per disfare la valigia.
Erano
trascorse poche ore dal loro rientro e sembrava che non se ne fossero mai
andati: tutto era tornato al proprio posto.
-E
questo che sarebbe?- chiese improvvisamente Max notando qualcosa di diverso
nella sala del dojo.
Takao
esultò perché finalmente qualcuno aveva notato la sua opera, passata fino a
quel momento inosservata nonostante i suoi incessanti tentativi di metterla in
luce.
-Ma
quello è..- disse Rei avvicinandosi -..ma è Dranzer!-
Cercò
con lo sguardo Kei, che se ne stava in giardino a fumare tranquillamente,
mentre Takao partiva con il racconto di come il russo gliel’avesse consegnato.
-Era
in una scatola, ma ci pensate? Quel bey in una scatola! Roba da matti!-
continuò il giapponese scuotendo il capo.
-Basta
Takao l’abbiamo capito!- si intromise Hilary senza più energie –E’ da giorni
che non fa che ripeterlo.. aiutatemi!- e si aggrappò disperata al braccio di
Rei.
Il
cinese rimase senza parole. Qualcosa si era perso: osservò la vetrinetta, un
tempo occupata da chissà cosa, ormai diventata un vero e proprio omaggio al
campionato mondiale che li aveva uniti.
Erano
presenti vari ritagli di giornali che parlavano delle loro vittorie e del loro
percorso, tutti ritagliati sapientemente durante quei mesi lontani, e tra
questi regnava la foto di gruppo scattata dopo la vittoria, con loro quattro
attorno al trofeo; ultimo, ma importantissimo elemento era Dranzer,
lucidato a dovere, appoggiato su un mini cavalletto. Sembrava la teca di un museo,
mancava giusto la targhetta in ottone con la spiegazione del contenuto.
Sia
Rei che Max lo trovarono bellissimo, perché raccoglieva tanti bei ricordi,
anche se si notava lo zampino maldestro di Takao con la sua mancanza di
precisione, segno comunque che tutto quello era stato realmente vissuto.
-Sono
lì imbambolati da mezz’ora- disse Hilary alle loro spalle, convincendo Rei a
staccare gli occhi da quella novità.
Erano
lui, Max e Takao accovacciati a commentare ogni singolo articolo, foto o
scritta che vedevano.
Rei
si girò, quindi, per fare la linguaccia alla ragazza quando notò che a lei si
era unito Kei, distante pochi centimetri, che li osservava con la stessa
espressione perplessa della giapponese e a braccia conserte. Scosse la testa
prima di dire –Ho fame- e andarsene verso la cucina.
-Dai
che è ora di cena!- li esortò Hilary come una perfetta babysitter.
-Hai
cucinato tu?- chiese allarmato Takao.
-No,
ma anche se fosse?-
-Nessuno
vuole morire Hil!-
-Brutto..-
e gli tirò un pugnetto in testa cercando di fermare gli insulti che le stavano
uscendo naturali dalle labbra.
Si
diressero tutti in cucina, ma Rei, rimanendo indietro, iniziò a riflettere:
c’era qualcosa di strano nell’aria.
-Non
esci?-
Era
primo pomeriggio: Max, ancora abbattuto dal fuso orario, era andato a dormire,
mentre Hilary non era ancora arrivata. Takao invece doveva recuperare un bel
po’ di compiti lasciati indietro e, tra una lamentela e un’altra, cercava di
non staccare gli occhi dal libro di testo.
Rei,
infine, aveva raggiunto Kei in giardino, in un angolino areato dove il russo si
stava rilassando; prima della loro partenza il ragazzo usciva sempre verso
quell’ora per andare da Mizuki e gli sembrò strano
trovarlo ancora lì.
Kei
scosse la testa in segno di diniego.
-Come
mai? Non ti vedi con Mizuki?-
-No,
mi ha mollato- rispose semplicemente.
Il
cinese si sorprese di quella dichiarazione: una ragazza che aveva mollato lui e
non viceversa? Proprio lui che sembrava essere conteso da tutto il genere
femminile?
-Quando?-
-Mmm due giorni fa- disse pensandoci su e poi facendo
spallucce.
-E
come mai?-
-Ha
raggiunto il suo scopo.. ora che ha ingelosito per bene Naoki
penso che si possano mettere di nuovo insieme-
Rei
lo guardò incredulo.
-E’
un po’ una troietta in fondo, no?- la scusò Kei con un ghigno.
-E
non ti dispiace neanche un po’ scusa?-
-Oh
sì, considerando che era molto brava a let..-
-Ok,
ok, ok! Non lo voglio sapere! Ho afferrato!- disse il cinese sventolando le
mani davanti alla faccia –E’ successo qualcos’altro che dovrei sapere mentre
ero via?- continuò cambiando discorso.
Voleva
capire cos’era quella strana sensazione che aveva avvertito il giorno prima
nell’aria.
Kei
ci pensò su, rispondendo infine di no.
-Proprio
nulla?-
-Non
che io sappia- rispose guardandolo interrogativo, senza capire dove volesse
arrivare.
Rei
pensò che: o era bravissimo a fingere e in realtà stesse nascondendo qualcosa,
o davvero non era successo nulla e lui si stava facendo castelli in aria
inesistenti.
-Tu
piuttosto..- esordì Kei improvvisamente.
-Io
cosa?-
-Tu
hai novità-
Non
era una domanda, ma un’affermazione che presagiva un discorso preciso e
facilmente intuibile.
-E’
quello che ho detto ieri!- rispose facendo rispuntare il sorriso entusiasta del
giorno prima.
-E..-
lo esortò Kei evidentemente curioso.
-E
che vuoi che ti dica?-
-Quello
che vuoi-
Rei,
che in realtà non vedeva l’ora di condividere la sua storia con qualcuno,
iniziò a raccontare di quei giorni al villaggio della tribù della Tigre Bianca,
di Mao, del loro imbarazzo e del loro automatico avvicinamento, trasformato poi
in una vera relazione, di come avevano deciso di tenersi in contatto con
telefoni, internet e qualsiasi cosa fosse utile e di quanto già gli mancasse.
-Quindi
non vi rivedrete fino a Natale?- chiese Kei al termine.
-Lo
so che non lo riesci a capire, ma davvero.. è quello che voglio!- rispose
prontamente.
Il
russo alzò le mani in segno di resa, facendogli capire che non avrebbe detto
nulla sull’argomento.
-Com’è
che ogni volta che cerco di far parlare te, finisco per raccontarti io della
mia vita?- chiese con finta arrabbiatura il cinese.
-Esperienza-
disse Kei con un sorrisetto.
-Qualcuno
si degna di spiegarmi quel che succede?-
-Quel
qualcuno dovrei essere io?-
-Vedi
qualcun altro?-
Hilary
si guardò intorno, fingendo di non sapere che nella stanza si trovassero solo
lei e il cinese. Rise divertita della situazione.
-Dai
Rei! E’ che non so di cosa tu stia parlando!-
Stavano
aspettando che gli altri li raggiungessero per andare a vedere i fuochi
d’artificio: eventi del genere si susseguivano durante tutta l’estate in ogni
quartiere di Tokio, ma quella sera era speciale poiché era l’ultima festa prima
della ripresa della scuola e perché cadeva nel giorno del compleanno di Max.
-Da
quand’è che tu e Kei siete così.. così!-
-Così
come?- chiese la ragazza sempre più divertita.
-Vi
parlate, tu non ti lamenti di lui, lui non ti guarda male, non mantenete più la
distanza di sicurezza di due metri che sembrava vi foste imposti.. potrei
andare avanti sai?-
-E
allora? Non eri tu il primo a ripetermi che lo avrei capito e accettato col
tempo? Beh, il tempo è passato!- disse semplicemente.
-E
tutto questo mentre io non c’ero?-
-Che
sei geloso?-
-Ma
no.. mi fa piacere- disse lui ridendo –Solo che in così poco tempo tutto questo
cambiamento..- lasciò in sospeso la frase, tentando di insinuare il suo dubbio
nelle parole di Hilary.
-Beh
mi ha raccontato un po’ di cose..-
-Tipo?-
-Sul
suo periodo.. scuro diciamo! Ho capito un po’ di più come ragiona e perché..
come mi avevi detto c’è un motivo se è così.. diverso, ecco!- confessò
torturandosi una ciocca di capelli, per poi curvare le labbra in un sorriso.
-Cos’era?-
quasi urlò Rei puntando il dito verso la ragazza.
-Cosa?-
rispose lei allarmata.
-Hai
sorriso.. cos’era quel sorriso?-
-Oh
mio Dio Rei, non posso nemmeno più sorridere adesso? Che paranoia!-
-Hilary!
Che ti ha raccontato Kei?- tentò ancora assottigliando gli occhi.
-Te
l’ho detto.. e non ho intenzione di dirti di più, se ne avrà voglia lo farà
lui!-
-Sei
sulla difensiva-
-E
tu sei paranoico.. secondo me l’amore ti fa male!-
-E’
già da prima di partire che l’ho notato e volevo chiedertelo, ma.. non è che ti
piace Kei?-
In
un attimo Hilary divenne rossa come poche volte lo era stata, il problema era
capire se lo fosse per l’imbarazzo o per la rabbia.
-Cosa?
Io? Cosa te lo avrebbe fatto pensare?-
-Beh..
tu!-
-Levatelo
dalla testa!-
-Ok,
ok, ma calmati.. solo che vi siete avvicinati molto e..- la ragazza lo fulminò
con gli occhi -..ok non è così, ho afferrato!-
-Allora
sei pronto per la vita scolastica?-
-Non
vedo l’ora- rispose Kei con l’indifferenza alle stelle.
-Ragazzi!
E’ il mio compleanno.. è vietato parlare di cose serie per tutta la sera!- urlò
Max prendendo a braccetto i due amici e esortandoli a camminare più velocemente
verso la sponda del fiume dove avrebbero assistito allo spettacolo pirotecnico.
Portava
una specie di coroncina improvvisata, fabbricata con cura dall’americano stesso
con l’aiuto di Takao: era piuttosto ridicola, ma Max la indossava con onore,
come se fosse un’opera d’arte.
-Ecco
da qui si dovrebbe vedere bene!- esclamò Takao, trovando un piccolo spazio
sull’erba che circondava il fiume.
Si
accomodarono, l’eco continuo delle proprie risate si mischiò al chiacchiericcio
delle persone circostanti, fino a quando tutti insieme si zittirono come un sol
uomo per alzare gli occhi al cielo e ammirare lo spettacolo.
Gli
ultimi fuochi d’estate erano sempre i più belli, i più scintillanti, ma allo
stesso tempo i più malinconici.
Varie
forme si dispiegarono nel cielo formate da miriadi di scintille colorate che
apparivano e scomparivano accompagnate dagli ‘oooh’
stupiti di quell’immenso pubblico.
-Estate
non finireeeee!- urlò all’improvviso Takao per poi
scoppiare nuovamente a ridere.
-Resta
quiiii!- lo assecondò Max.
Le
persone affianco a loro si dividevano tra chi si scambiava occhiate preoccupate
e perplesse e chi si univa alla risata dei due ragazzi.
-Possibile
che dobbiate sempre attirare l’attenzione?- chiese Hilary tra il divertito e
l’imbarazzato.
-Ma
solo per le figure di merda mi raccomando!- la imbeccò Rei sempre col sorriso.
Le
battute si susseguirono quasi a tempo con lo spettacolo di luci: persero il
conto di tutte le volte che vennero colti da un’ondata di risate e dovettero
tirare indietro la testa o tenersi la pancia per l’ilarità.
Fu
proprio in uno di quei momenti che Hilary si voltò alla sua destra e si accorse
di quanto Kei fosse distante da loro, non tanto in fatto di metri veri e
propri, quanto mentalmente.
Sembrava
non sentirli, era seduto immobile con la testa alzata, fissa a guardare il cielo
e il disperdersi dei colori. Sulla sua pelle si rispecchiavano quella miriade
di sfumature, altalenando ombra a luce intensa.
Si
perse visualizzando la pioggia di scintille ricoprire il nero del cielo e dare
vita a quel volto così perfetto e così.. triste.
Era
attento e completamente preso dai fuochi, gli occhi viaggiavano da una figura
all’altra rapiti e distanti; lei stessa si isolò involontariamente dalle voci
dei suoi amici, dal rimbombare dei botti e continuò ad ammirarlo. La attraeva
ogni centimetro del suo profilo, tanto che lo studiò attentamente, notando dopo
diversi secondi un movimento impercettibile delle sue labbra: stava dicendo
qualcosa. Non si accorse di essersi avvicinata e nemmeno che quel suo crescere
d’attenzione le aveva permesso di distinguere i suoni che fuoriuscivano dalla
sua bocca, suoni sconosciuti, in una lingua lontana, una melodia più che un
discorso. Doveva trattarsi di una canzone.
Rendendosi
conto dell’intensità con cui lo stava fissando, distolse lo sguardo, ma non
resistette più di pochi secondi.
Era
sereno o triste? Tutto nel suo viso si contraddiceva, ma allo stesso tempo si
sposava in completa armonia, non si sarebbe stupita né del veder spuntare una
lacrima, né del nascere di un sorriso. La tremenda voglia di assistere all’apparire
di una di queste emozioni era forte, anche se il solo guardarlo in quel momento
le bastava.
-Ti
piacciono i fuochi?-
Chiese
improvvisamente Kei a voce bassa, abbandonando definitivamente la melodia.
Se
Hilary non fosse stata così attenta a ogni suo movimento non lo avrebbe sentito
e avrebbe perso l’occasione di rispondergli.
-Sì..
a te?- chiese incerta senza smettere di osservarlo.
Kei
si morse il labbro inferiore, lo sguardo sempre fisso verso il cielo.
-Molto-
Fu
come per magia che il russo si abbandonò ad un sorriso sincero.
E
fu in quell’attimo così perfetto, che la consapevolezza pervase Hilary.
Forse
Rei ci aveva visto giusto, se il continuare a guardarlo le provocava quella
pace doveva esserci solo un motivo. Ed il suo presentimento si fece realtà.
E con questo
sono finite molte cose.. intanto ora dobbiamo salutare Nataliya, o comunque il
racconto incentrato su di lei. E’ stato difficile rendere la sua morte
soprattutto perché doveva essere improvvisa, dolorosa, ma anche sfuocata per la
mancanza di lucidità. Spero di aver reso almeno qualche cosina di tutto questo.
So che molte di
voi si erano affezionate alla sua figura, ma lo sapevamo tutti che sarebbe
accaduto.
Altra cosa che è
finita è l’estate. Presto si torna a scuola e.. beh ci saranno dei nuovi inizi,
ma di questo parleremo nelle prossime settimane.
Voi amanti delle
KxH lo so che siete lì da qualche parte a saltellare
giulive: ora mi direte, lei è ovunque, basta è fatta, hip hip
urrà. Beh continuate a farlo così vi divertite! ^^ Dai, intanto ormai si è
capito che lei è caduta nella trappola del bel russo dagli occhi viola. Direi
che è abbastanza chiaro o.O
Comunque ci
tengo a sottolineare che, quando Kei le racconta le cose accadute nei flashback
precedenti, lo fa sul serio in maniera molto superficiale; non so se ho reso
l’idea, ma lui non arriva al punto da raccontarle tutto, non lo farebbe mai..
diciamo che si è solo un po’ aperto raccontandole qualche fatto. I dettagli e
queste cose qui se li è solo rivisti nella sua testa!
Ora qualche
rubrichetta stupida..
Spazi bianchi
Iniziativa
stupida, balenata nella mia testa mentre combattevo i crampi alla pancia. Colpa
di una full immersion nella semiotica che dice che nei testi gli autori
lasciano spazi bianchi che è compito del lettore riempire.. beh, nell’ultima
scena dei fuochi d’artificio troviamo Hilary che guarda assorta Kei, il quale
sta pensando a chissà che! Ormai conoscete la sua storia e avete più o meno
capito la mia visione di lui.. secondo voi a cosa sta pensando? Io non ve l’ho
detto, ma potrebbe essere qualsiasi cosa.. brutte sensazioni, bei ricordi,
Nataliya, il gatto che non ha mai avuto, ma che vorrebbe tanto, la pace nel
mondo, Hiromi91 che si strappa i capelli se non si mette con Hilary,
semplicemente ai fuochi, o proprio a niente.. ci sono tante possibilità!
Voi pensate alla
vostra personale.. e se ne avete voglia scrivetemela altrimenti tenetela al
sicuro nella vostra testolina! ^^
Ve l’avevo detto
che era una cosa stupida e pazza, ma che ci volete fare! u.u
AVVISO
Non so se lo
sapete, ma il 16 giugno dalle 20 EFP effettuerà il cambio di server, quindi il
sito sarà offline per qualche ora. Ovviamente il 16 è un giovedì e ovviamente
non so cosa intendono per quel ‘qualche ora’.. per forza di cose
l’aggiornamento del prossimo capitolo potrà avere un po’ di ritardo. Non temete
dalla mezzanotte in poi io controllerò se riesco ad aprirlo e, appena mi
appare, zac pubblico il capitolo.. sperando non ci voglia troppo tempo!
Vabbè direi che
ho sproloquiato abbastanza u.u
Alla prossima
settimana!
Un bacione :)
PS: il titolo
del capitolo, mi raccomando, pronunciato in inglese!
Omologazione non era la sua parola
d’ordine, anzi, e in quel momento si sentiva estremamente ridicolo.
Se
ne stava da una decina di minuti davanti allo specchio della camera a osservare
la sua immagine riflessa per constatare l’effetto che quella divisa faceva su
di sé.
Era
arrivata qualche giorno prima, nuova e splendente, ma non l’aveva tirata fuori
dal cellofan fino a quella mattina: appena alzato l’aveva sistemata sul letto e
aveva preso a osservarla scettico seduto sulla sedia, fumando una sigaretta di
dovere. Il cerimoniale per indossarla era stato piuttosto lungo e ponderato: il
gakuran era formato da giacca e pantaloni neri
ispirati alle divise dell’esercito prussiano, almeno così gli aveva raccontato
Nonno J entusiasta, e sotto era possibile indossare a scelta una maglietta o
una camicia, rigorosamente bianca e a maniche corte non più di una determinata
misura.
Kei
aveva optato per una maglietta che gli consentisse di adempiere al suo dovere
principale in quel momento: coprire i tatuaggi. La giacca non lasciava
trasparire le braccia e il colletto rigido nascondeva parzialmente quelli sul
collo ai quali in parte contribuivano i capelli, ormai cresciuti di alcuni
centimetri. Il problema si presentava nel caso avesse dovuto togliersela, cosa
assai probabile considerando il caldo che sentiva ancora addosso in quei primi
giorni di settembre, con la stagione estiva non ufficialmente terminata; di
conseguenza aveva dovuto controllare che il tribale non spuntasse dalle maniche,
mentre per il polso non sapeva che inventarsi, ma sperava che in quel punto
passasse inosservato.
Il
colpo di grazia lo davano le scarpe: dei mocassini anonimi. Mocassini? Come si
faceva a portare i mocassini? Sì, comodi lo erano, ma rimanevano inguardabili.
Il russo non poteva considerarsi un fashion victim,
non amava le marche o comunque non ricercava un abbigliamento specifico,
portava quello che lo faceva sentire a proprio agio. Per tutto, tranne che per
le scarpe. In quello era molto attento.
Si
autodefinì una ragazzina malata di shopping e prima di far degenerare questi
suoi pensieri, si riconcentrò sulla propria immagine. Mancava un ultimo
dettaglio da eliminare: il piercing.
Non
si ricordava di quando lo aveva fatto, o almeno erano solo immagini sfuocate,
quindi non aveva nessun significato particolare, ma gli provocava una
sensazione strana disfarsene.
-Diamoci
un taglio-
Avvicinò
le dita al piccolo oggettino e lo tirò fuori dai fori nella pelle: lisciò con
le dita il sopracciglio per poi mettere il piercing al sicuro sulla scrivania.
Tornò
allo specchio dandosi l’ultima sistemata; sprizzava ‘scuola’ da tutti i pori e
non lo sopportava.
Doveva
ammettere di essersi alzato presto quella mattina anche per l’agitazione,
niente che riguardasse la scuola lo faceva stare tranquillo: la sua prima e
unica esperienza scolastica si era conclusa nel peggiore dei modi, ma era
convinto che anche se non fosse finita così sarebbe successo comunque qualcosa
di brutto.
Era
stato completamente escluso dalla vita di classe a priori, per la propria
provenienza e il proprio aspetto, non aveva conosciuto nessuno, ad esclusione
di una persona, e il menefreghismo
del corpo docente non gli aveva certamente contribuito a trasmettergli l’amore
per lo studio.
Questa
volta era diverso, se lo ripeteva da giorni e iniziava quasi a crederci.
Abbandonò
finalmente la sua stanza per andare a fare colazione: aveva speso tanto tempo
con l’idea di quella stupida divisa che aveva finito per arrivare per ultimo,
essendo già tutti gli altri coinquilini attorno al tavolo della cucina a
mangiare.
Si
sedette in attesa che finissero bevendo un semplice caffè, abitudine presa dopo
le mille richieste di unirsi a loro per il primo pasto della giornata.
-Ti
sta bene la divisa!- disse Nonno J cercando di confortarlo, notando
l’espressione contrariata del russo.
Pochi
minuti e tutti si alzarono per uscire.
Attraversarono
varie traverse prima di congiungersi con Hilary; la divisa femminile consisteva
in una giacca simile a quella maschile, una gonna con fantasia scozzese azzurra
e un fiocco dello stesso colore che ricadeva dal colletto della camicia.
Li
salutò entusiasta.
-Che
c’è da essere così allegra stamattina?- le chiese Takao.
-Niente,
è bello tornare a scuola!- sorrise lei.
-Cosa?
E’ una disgrazia invece!-
-E’
che tu non guardi ai lati positivi-
-Ce
ne sono?-
Battibeccarono
fino al cancello attraversato da un altro centinaio di studenti che si
ritrovavano dopo la lunga estate e si salutavano calorosamente pronti ad
affrontare il nuovo anno scolastico.
Kei
buttò la sigaretta che si era acceso durante il tragitto e sospirò varcando
l’entrata con gli altri.
Il
russo doveva passare in presidenza prima di recarsi in classe quindi salutò gli
altri ripercorrendo i corridoi come aveva già fatto a giugno con Nonno J.
-Preferenze
sul banco?- gli chiese Rei prima di dividersi. Avevano concordato che si
sarebbero messi vicini, per salvare Kei dal grande onere di fare conoscenza con
qualche altro compagno o condividere il suo spazio vitale con Takao.
-Una
finestra- rispose solamente.
Il
preside, che era rimasto ‘giallo’ come se lo ricordava, gli fece solo alcune
raccomandazioni e controllò che avesse coperto ogni ‘abbellimento’, come aveva
definito tatuaggi e piercing.
Nel
giro di una quindicina di minuti gli fu concesso di andare in classe.
Nella
scuola gli sembrò che non ci fosse anima viva, anche se era consapevole che
oltre quelle porte chiuse una miriade di ragazzini di cui lui non voleva sapere
nulla stavano seguendo la loro prima ora.
Asociale
fino in fondo in ogni suo pensiero, e ne era consapevole, trovò finalmente la
terza sezione della quarta classe.
Fu
preso dalla tentazione di scappare prima che fosse troppo tardi, ma prese un
grande respiro e bussò alla porta dalla quale una voce strascicata sillabò un
–avanti-.
Entrò,
trovandosi davanti una classe con una ventina di alunni e un professore vecchio
e distinto: stava in cattedra come su un trono, con una serie di registri e
quaderni aperti in perfetto ordine davanti a lui. Doveva essere uno di quelli noiosi
e rigorosi, in fondo la campanella era suonata da poco più di venti minuti e
già sembrava aver iniziato il programma.
Gli
consegnò la giustificazione del preside, un foglietto con su scritti i suoi
dati e il motivo del suo ritardo. L’uomo si presentò come professor Suji, l’insegnante di storia di cui aveva già sentito
parlare male da Takao durante l’estate.
Fortunatamente
non lo fece presentare, ma lo invitò a sedersi al suo posto impaziente di
riprendere da dove era stato interrotto.
Si
diresse al posto che diligentemente Rei gli aveva tenuto occupato accanto a sé
e, notò con piacere, proprio accanto alla finestra, penultima fila. Non prestò
attenzione a nessuno dei nuovi compagni, intercettò solo per un secondo lo
sguardo di Hilary, seduta nel banco centrale.
Nelle
ore successive scoprì quanto poteva essere davvero soporifera la lezione di
storia e quanto fosse pignolo e tradizionalista il professore; gli altri
insegnanti che conobbe erano, invece, sopportabili, anche se li fulminò quando
lo invitarono a presentarsi alla classe, soprattutto quella di Storia dell’Arte
che pretendeva anche una descrizione dei suoi interessi, della sua famiglia e
dei suoi passatempi. Fortuito fu l’intervento di Takao che, per prenderlo in
giro e sottolineare la sua asocialità, fu coinvolto e costretto a parlare al
posto suo. La donna comunque, nonostante quell’imposizione, sembrava essere
simpatica e alla mano, con un sorriso materno e le mani che accompagnavano con
grandi gesti ogni sua parola.
-Possibile
che tu riesci sempre a cavartela?- chiese Takao a ricreazione.
-Hai
fatto tutto tu-
Alcuni
dei ragazzi seduti nei banchi più vicini si presentarono e, dopo il primo
tentativo di ignorarli di Kei, l’occhiataccia di Rei lo convinse a comportarsi
almeno civilmente.
Aspetto
che lo colpì molto più dei professori fu ciò che si vedeva oltre la finestra:
dava sul cortile della scuola che era, però, visibile solo per metà poiché la
vista era coperta da un imponente ciliegio. Ringraziò di non essere in una
classe che dava sulla strada o sui palazzi della città.
-Quindi
questo test quand’è che lo devi fare?- gli sussurrò Rei a metà lezione di
matematica.
-Oggi
pomeriggio-
-Ma
non c’è lezione.. vuoi che ti aspetti?-
-Non
ce n’è bisogno-
-Ma
mi fa piacere-
-Come
vuoi-
Ne
approfittò per godersi quelle ultime giornate estive.
Stava
sdraiato sul prato del cortile antistante la scuola, la giacca della divisa
come cuscino e tutta la serenità e la calma possibile addosso.
Takao
e Max erano andati a casa subito dopo la fine delle lezioni per avvertire Nonno
J, Kei non aveva voluto mangiare nulla ed era andato direttamente nell’ufficio
del preside, mentre lui si era preso quei minuti tutti per sé: almeno quella
era stata da subito la sua intenzione, se non fosse stato che Hilary aveva
insistito per restare e stesse da mezz’ora buona in fibrillazione completa.
-Si
può sapere che hai? Mi stai agitando!- sbottò ad un certo punto Rei avvertendo
la sua figura muoversi in continuazione.
-No
niente..- rispose lei cambiando posizione per l’ennesima volta.
-Sì,
come no..- Rei si mise a sedere e guardò scettico l’amica con gli occhi ancora
provati dall’improvviso cambio d’intensità della luce –Sei proprio la
personalizzazione della tranquillità!-
Hilary
rise della faccia buffa dell’amico, prima di ritornare seria e prendersi il
volto tra le mani.
-Mi
vuoi dire che succede allora?- riprovò il cinese dolcemente.
-Sono
una stupida! Una grandissima, gigante, emerita stupida!-
-Tu
sei tutto tranne che stupida.. che sarà mai successo di così grave da non poter
trovare una soluzione?- la confortò notando la sua difficoltà.
La
ragazza aprì delle fessure tra le dita, ancora intente a coprirle il volto, e
guardò timidamente verso Rei.
-Mi
prometti che non ridi?-
-Prometto!-
Hilary
lo osservò mettere la mano sul cuore solennemente, prima di valutare quali
fossero le parole giuste per confessare.
-Credo..
beh, credo che tu avessi ragione..-
-Riguardo?-
-Kei!-
e richiuse le dita come a farsi scudo per l’improvviso calore che le era salito
alle guance.
-A
cosa.. ah!- dopo un attimo di incertezza, Rei realizzò quello che intendesse la
ragazza, ma non riuscì a trattenere un largo sorriso che gli fece capolino sul
volto, per poi tramutarsi in una risata.
-Avevi
promesso!- lo sgridò lei tirandogli un pugnetto sulla testa.
-Scusa
hai ragione, ma.. non capisco cos’è tutta questa drammaticità!-
-Ah
giusto, tu sei maschio.. perché vengo a parlare con te?- disse disperandosi.
-Ehi!-
-E
io che pensavo di poter contare su di te.. tanto valeva andarlo
a dire a Takao!- si incurvò sempre di più di pari passo con l’affossarsi del
suo umore, prima di saltare nuovamente su come una molla –Oh no! E se lo scopre
Takao? Quando lo scoprirà mi prenderà in giro a morte!-
-Hilary
calmati!- cercò di reintegrarsi nel discorso Rei –Non essere catastrofista..
facciamo un passo per volta.. come sempre!-
Rei
era sempre stato il confidente di Hilary per le questioni che riguardavano
ragazzi, cotte e quant’altro in quanto lei lo considerava il più sensibile da
quel punto di vista.
-Perché
ne fai una tragedia?-
-Perché?
Mi chiedi perché?- vedendo l’altro ancora confuso continuò –Tu almeno quando
non stavi ancora con Mao sapevi che anche lei ti ricambiava.. io, invece, beh
sono io! E Kei è Kei!-
-Come
ragionamento non fa una grinza, ma.. non capisco: è ovvio che tu sia tu e lui
sia lui!-
-Ma
non ce li hai gli occhi? Siamo due cose completamente diverse.. lui è uno
strafigo e io una povera capoclasse sfigata!-
Rei
scoppiò improvvisamente a ridere.
-Non
è carino ridere delle disgrazie altrui!- piagnucolò lei.
-Scusa..
non riuscivo a resistere. E’ che.. fa strano sentirti dire che è uno strafigo,
fino a poche settimane fa lo consideravi tutto fumo e niente arrosto!-
-Ma
tu lo hai visto oggi? Per poco non mi veniva un infarto.. mi ero detta che con
la divisa avrebbe perso il fascino da cattivo ragazzo e invece.. dovrebbe
essere illegale farlo andare in giro così a far venire sincopi alle ragazze!-
-Frena,
frena, frena..- cercò di interrompere lo svarione dell’amica -.. quando hai
capito che ti piaceva?-
-La
sera dei fuochi.. dopo che me l’avevi fatto notare, già avevo il dubbio, ma non
volevo accettarlo- ammise abbassando il capo.
-Ehi
non demoralizzarti.. non sei di certo la prima ragazza che è affascinata da
lui..-
-Davvero
confortante Rei, davvero, inizio a pensare seriamente che Takao sarebbe stato
più d’aiuto.. capisci che vuol dire che ci sono una miriade di ragazze molto
più fighe di me che non se lo lascerebbero scappare? Ho perso in partenza.. che
amarezza!-
-Io
trovo che saresti più perfetta tu di qualsiasi altra svampitella
che gli muore dietro.. ha bisogno di normalità e stabilità e io non
sottovaluterei il tuo potenziale..-
Hilary
rifletté qualche secondo sulle sue parole.
-Ehi..
non è che stai pensando di usarmi come terapia personale?-
-Se
la metti così suona male.. penso solo che saresti perfetta per lui in questo
momento!-
-Ti
stai perdendo un passaggio.. io non potrò mai piacere a lui!- disse alzando gli
occhi al cielo.
-Mai
dire mai!-
-Mi
dà sui nervi questo tuo ottimismo.. mi limiterò ad ammirarlo da lontano..-
concluse facendo spallucce -..finché sono in tempo devo sottrarmi da questa.. e
smettila di ridere!-
Iniziarono
a scambiarsi scappellotti e solletico a vicenda.
-Voglio
sentire ancora di quanto fosse figo oggi..- la prese in giro Rei meritandosi un
colpo in testa -..immagino che il colpo di grazia l’abbia dato la maglia fuori
dai pantaloni..- le lanciò un occhiata languida schivando un altro colpo -..o
forse quando si è tolto la giacca-
Si
preparò a ribattere col solletico, ma Hilary sull’ultima frase si bloccò seria.
-No..
gli dona quella giacca!- e lo prese in contropiede.
Continuarono
per diversi minuti, fino a quando Hilary non decise di darsi una sistemata e
annunciò di volersene tornare a casa.
-E
non aspetti che esca?-
-Ma
che sei pazzo?- rispose con tanto d’occhi lisciandosi la camicetta.
-Dai
che lo so che lo vorresti vedere!-
-Non
esageriamo.. non sono ancora fusa fino a questo punto!-
-Dai
ammettilo! E poi non vuoi sapere come gli è andata? Idea: ti puoi offrire di
dargli ripetizioni così..-
-Rei!
Basta.. ricorda: la situazione è tragica!-
-Io
vedo il bicchiere mezzo pieno!-
-Perché
tu sei troppo ottimista.. facciamo che ci vediamo domani, va!-
Rei
sembrò desistere e lasciarla andare, ma non appena lei fece per alzarsi, la
fermò.
-Troppo
tardi!- rise lui.
-Cosa?-
-Sta
uscendo..- aggiunse indicando l’entrata della scuola -.. e ci ha visti! Se te
ne vai chissà cosa penserà..- infierì sulla debolezza femminile del farsi mille
problemi per ogni singola azione e suo corrispettivo significato -..che ti sta
antipatico, che non vuoi farti vedere da lui, che..-
-Ho
afferrato! Capito, resto! Ma smettila, ti prego!-
Rei
le fece un grande sorriso di vittoria.
-Com’è
andata?- chiese il cinese a Kei non appena si fu avvicinato.
L’altro
fece spallucce, biascicando un –Normale- senza troppa convinzione.
-Aspetta
di uscire dal cancello almeno prima di accenderti quella!- aggiunse divertito
riferendosi alla sigaretta tra le dita del russo.
Il
russo lo ignorò e azionò l’accendino imperterrito.
Presero
a camminare e dopo pochi passi Kei si ritrovò in testa al gruppetto; Rei,
infatti, aveva preso il passo di Hilary, la quale sembrava intenzionata a
rimanere almeno un metro dietro al ragazzo dagli occhi ametista. Le indicò con
gli occhi il russo, esortandola ad andare avanti, ma lei fece cenno di no
ripetutamente, fino a quando il cinese non le diede una leggera spinta per
avvicinarla, tanto che fu costretta a dire qualcosa; infatti, Kei si era girato
avvertendo quel trambusto e aveva preso a fissarla come in attesa di qualcosa.
-Che
domande c’erano nel test?- fu la prima domanda che le venne in mente e sembrò
funzionare poiché lui le rispose indifferente, ma comunque le rispose.
Rei
contribuì a riempire i momenti di silenzio e proseguirono fino a quando Hilary
non dovette svoltare per andare verso casa sua.
Si
salutarono all’incrocio, ma prima di ripartire Kei si voltò per seguire la
ragazza con lo sguardo.
Il
cinese scoppiò a ridere.
-Che
c’è?-
-Niente..
perché la guardavi?- chiese sornione.
Kei
fece per dire qualcosa, ma si fermò indeciso decidendo di riprendere a
camminare e abbandonare la conversazione.
-Ora
me lo dici- insistette l’altro.
-Stavate
ridacchiando e.. boh, me l’avreste detto se aveste voluto quindi.. non sono
affari miei- fece spallucce.
-Ma
non sei nemmeno un po’ curioso?-
-Non
ho intenzione di perdere tempo a pregarti di dirmi qualcosa.. se me lo devi
dire lo fai ora, se no ne faccio a meno-
-Non
potresti stare al gioco eh!?-
Kei
lo guardò scettico e non gli rispose.
Cadde
il silenzio.
Forse
Hilary aveva ragione; era stato entusiasta della rivelazione della ragazza, ma
non aveva messo in causa quello che invece lei sembrava aver già ben ponderato,
cioè il carattere del russo. Avere a che fare con lui era complicato e
comprendeva una buona dose di pazienza, ma soprattutto dello spirito giusto.
Kei aveva un modo di pensare particolare e il rischio per Hilary di rimanere
ferita era piuttosto alto, considerando poi come l’amico trattava le ragazze.
No,
era tutto tranne che semplice; eppure la giapponese era una spalla sicura alla
quale lui si era già appoggiato e conosceva la sua affidabilità, che questo
potesse bastare per fargli cambiare idea?
-Posso
chiederti una cosa?- tentò il cinese tornato serio.
-Mh-
-Come
la vedi la possibilità di avere una relazione seria?-
-Io?
Con una ragazza?-
-Sì-
-Non
la vedo-
-E
perché?-
-Non
mi interessa-
-Non
credi di essere prevenuto?-
-No,
sono realista-
-Ma..-
-E’
così. Punto-
Voleva
contare sul fatto che Kei, nonostante l’apparenza, fosse un ragazzo gentile e
corretto e che con una ragazza come Hilary, se mai l’avesse guardata con occhi
diversi, non avrebbe giocato e sarebbe stato ben attento a non farla soffrire.
Forse
Hilary aveva ragione, tutto sommato: era meglio farsela passare e puntare qualcun
altro.
Alla
fine della prima settimana di lezioni, poteva considerarsi ambientato, o
almeno, aveva capito l’ubicazione di tutte le classi, palestra e mensa
compresa, e aveva trovato i luoghi a lui più congeniali: il parco e la terrazza
sul tetto. Non era una coincidenza il fatto che fossero anche gli unici due
luoghi all’interno delle mura scolastiche dove fosse libero di fumare senza
rischiare la sospensione immediata. Aveva conosciuto tutti i professori e
focalizzato tutti i volti dei suoi compagni di classe, non ovviamente i loro
nomi.
A
metà della seconda settimana, invece aveva assodato che la storia non sarebbe
mai stata la sua materia preferita, soprattutto insegnata col metodo del prof. Suji, mentre sopportava la matematica ed educazione fisica,
la prima poiché l’insegnante spiegava discretamente bene e non lo considerava,
la seconda perché poteva muoversi e scappare da quella classe soffocante. Aveva
inoltre avuto i primi problemi inevitabili col giapponese, ma per fortuna il
professor Kazumasa lo aveva preso in simpatia, non si
sapeva come, ma sembrava trovar interessante il fatto che venisse dalla Russia
e conoscesse un terzo alfabeto a lui sconosciuto.
Il
test del primo giorno era comunque andato bene: senza infamia e senza lode,
prendendo la sufficienza in tutte le materie così da evitare corsi di recupero
e menate annesse.
Si
sentì in dovere di ringraziare Hilary per l’aiuto che gli aveva dato, ma quando
le rivolse parola lei si limitò a sussurrare a testa bassa un –prego- ed
eclissarsi, lasciando spazio a Takao pronto con le sue lamentele per il fatto
che facendo il minimo indispensabile fosse riuscito in quello che lui trovava
ancora impossibile.
Per
quanto riguardava il resto della popolazione della scuola, Kei aveva capito che
erano divisi in gruppi molto differenti: alcuni per età, qualcuno per
appartenenza a club sportivi o artistici, per popolarità e così via. Takao,
Max, Rei e Hilary formavano un gruppetto a parte al quale si univano spesso dei
componenti della classe, alcuni dei quali aveva sentito nominare durante le
vacanze di sfuggita: in ogni caso passavano gran parte del tempo in compagnia
delle altre persone ed era difficile abbandonassero la propria aula se non
durante il pranzo per andare nel cortile a mangiare sull’erba.
A
Kei questa prigionia stava stretta: già la divisa lo opprimeva, l’idea di
rinchiudersi tra quelle stesse quattro mura per più di due ore di fila lo
rendeva nervoso. Non si ricordava di essere mai stato fisso nello stesso luogo
per così tanto dai tempi del Monastero e ovviamente della sua segregazione in
casa per disintossicarsi, ma entrambi erano casi limite. Lui amava l’aria
aperta e il cambiamento, tanto che prese a staccarsi dagli altri e girovagare
per i corridoi da solo: ogni tanto Rei si offriva di accompagnarlo, ma la
maggior parte delle volte preferiva rimanere a ridere e scherzare con gli
altri. Lo stesso Kei gli aveva detto di non preoccuparsi e ricordarsi che era
un asociale.
In
ogni caso non poteva dire di trovarsi male, le persone erano cordiali e
disponibili con lui: se in Russia l’unica cosa che gli altri studenti facessero
era indicarlo e raccontare storie su di lui, lì a Tokio i pochi che si
avvicinavano gli sorridevano e le uniche voci che gli erano arrivate lo
etichettavano come il ‘ragazzo nuovo strafigo’. Allora come mai desiderava solo
scappare?
-Ehi,
hai bisogno di aiuto?-
La
voce di una ragazza lo distolse dai suoi pensieri: era piuttosto alta in
confronto alla media, carina nella sua uniforme, differente da quella delle
altre solo per il paio di calze che portava.
-No,
grazie-
-Mi
sembravi un po’ spaesato invece- insistette lei mettendoglisi di fianco, unendo
le mani dietro la schiena.
-Stavo
prendendo tempo-
Cercò
di liquidarla, non aveva assolutamente voglia di parlare con qualcuno.
-Per
qualsiasi cosa chiedi pure, sei nuovo giusto?-
Kei
annuì impassibile.
-Comunque
io sono Aiko- notando che l’altro non era
intenzionato ad aprir bocca gli si posizionò davanti –E tu sei Kei! Ho sentito
parlare di te.. intanto non mi scappi!- aggiunse mordendosi il labbro inferiore
con un mezzo sorriso –Ci si vede in giro- e si voltò a testa alta, con
un’andatura molto simile a quella di una modella.
Il
russo la osservò voltare l’angolo.
Perché
tutte a lui dovevano succedere?
-Sei
arrabbiata con me?-
Kei
le si era avvicinato mentre salivano le scale diretti in classe.
-N-no,
perché?- chiese Hilary spiazzata.
Lo
stava evitando da giorni, aveva deciso che quella doveva essere una cotta
passeggera, dettata esclusivamente dalla bellezza del ragazzo, che non aveva
nulla di fondato su altre caratteristiche, perché Kei era tutto fuorché
simpatico, alla mano, gentile, affettuoso, premuroso, protettivo, buono e altri
venti aggettivi che aveva scritto diligentemente su un foglio diviso a metà tra
pro e contro.
-Pensavo
di aver fatto qualcosa di male..-
-No,
non hai fatto nulla, mi dispiace se te l’ho fatto pensare!- rispose abbassando
lo sguardo.
Magari
avrebbe potuto spostare il gentile dal contro al pro, o almeno con lei lo era.
-Nel
caso fammelo sapere- aggiunse prima di superarla.
Comunque
i pro rimanevano di numero nettamente inferiore ai contro; allora perché,
mentre guardava la sua schiena allontanarsi, quei pochi pro acquistavano sempre
più valoree significato?
Un
campanello d’allarme nella sua testa, che poi non era altro che la campanella
di inizio lezioni, la risvegliò e la fece riappropriare della propria volontà
persa durante il cammino.
Si
era ripromessa di smettere con l’ammirazione dell’innominabile, il mondo era
pieno di bei ragazzi pronti a ricevere le sue attenzioni, ragazzi accessibili e
che avrebbero saputo ricambiarla. Soprattutto ragazzi con cui non aveva in
comune degli amici, soprattutto con cui non aveva in comune quegli amici.
Quanto fosse un requisito importante lo constatò quel pomeriggio a casa di
Takao.
Come
aveva fatto a capirlo quel giapponese da strapazzo con il prosciutto sugli
occhi? Era così evidente? Oppure era stato Rei, l’infame, a rivelargli tutto?
Non
aveva ottenuto risposte alle sue domande anche perché, nel momento in cui le
pose, aveva dovuto inseguire Takao attraverso il dojo
per evitare qualche cavolata delle sue.
-Takao
Kinomiya fermati!- cercò di sembrare autoritaria, ma
l’imbarazzo la fece desistere –Dai Tak per favore,
fermati!-
-No,
glielo devo dire assolutamente.. Max dove sei?!-
Takao
attraversò la porta della cucina e andò a sbattere contro una persona.
-Hai
smesso di urlare?- gli chiese Kei spazientito e con aria truce.
Hilary
si bloccò di colpo, pregando in tutte le lingue che quello che diceva di essere
suo amico stesse zitto. La sua speranza era comunque flebile.
-Ciao
Kei! Hai visto Max?-
-E’
di sopra-
Takao
allargò ancora di più il suo sorriso, trattenendo a stento le risate per la
faccia confusa del russo che prima guardò il giapponese e poi la ragazza,
qualche passo dietro, con un’espressione a metà tra il disperato e il disagio.
-Non
le puoi dare tregua ogni tanto?- gli chiese Kei infine.
-Da
quand’è che la difendi?- indagò il giapponese con un tono di voce che sapeva di
allusione.
-Da
quando so quanto sei rompicoglioni.. quindi sempre-
Il
padrone di casa rimase fermo immobile con lo stesso sorriso da ebete stampato
in faccia, mentre a Hilary scappò un sorrisetto più isterico che altro.
Kei
ebbe la conferma in quel momento di trovarsi in un covo di matti e se ne andò
in giardino sperando di salvarsi da quella situazione paradossale.
-Sappi
che tu morirai per mano mia- scandì Hilary non appena l’altro se ne fu andato.
-Ma
non gli ho detto nulla!- si difese Takao.
-Ma
mi hai fatto venire un colpo.. se ti prendo ti..-
Ripresero
a rincorrersi su per le scale.
-Sai
cosa si dice in giro?-
Al
cambio d’ora Max si era avvicinato al banco di Kei per sgranchirsi le gambe e
ne aveva approfittato per comunicargli una novità.
-Ovviamente
no.. non parla mai con nessuno- si aggiunse Takao.
-Allora
lo vuoi sapere?- continuò il biondo ignorandolo.
-Se
ti dico di no me lo dici lo stesso, quindi..-
-La
Fujiwara ti ha puntato!-
-Chi?-
-Come
non sai chi è?- chiese il giapponese sgranando gli occhi –Bisogna proprio
spiegarti tutto.. lei è.. beh è la più bella della scuola!-
-Secondo
me c’è di meglio..- si intromise Rei.
-E’
che tu ormai non guardi più nessuna..- lo interruppe Takao contrariato -..dai
Kei, non puoi non averla notata: capelli corti neri, occhi scuri..-
-Sai
che tutte in questa scuola praticamente hanno occhi e capelli scuri?- gli fece
notare il russo.
-Ma
lei è più bella.. ed è parecchio alta.. su, tutti conoscono AikoFujiwara!-
Sentendo
quel nome Kei iniziò ad associarlo a qualcosa, gli sembrava di averlo già
sentito in effetti. Come colto da un’illuminazione si ricordò della ragazza che
pochi giorni prima si era presentata nei corridoi e che da quel momento aveva
preso a salutarlo quando si incrociavano.
-Ah
sì, s’è presentata l’altro giorno..- disse senza troppo interesse.
-E
lo dici così?- si intromise uno dei compagni di classe che stava ascoltando la
conversazione.
-Non
fateci caso.. fa il sostenuto- sussurrò scherzosamente Max beccandosi un’occhiataccia.
-E
tu come l’avresti scoperto?-
-Me
l’ha detto Tati di terza, che gliel’ha detto la ragazza dell’amico del
presidente del club di Aiko!- disse tutto d’un fiato.
-Come
fai a sapere sempre tutto di tutti?- chiese qualcuno scherzando.
-E
com’è che nessuno si fa mai i cazzi suoi?- interferì Kei acido facendo cadere
il silenzio; si voltò verso il suo banco incrociando lo sguardo di Hilary,
seduta in disparte in silenzio con aria triste.
Transizione
time! Ebbene.. dopo capitoli pieni zeppi di ricordi e quant’altro finalmente un
po’ di pace!
Per voi amanti
delle disavventure e sostenitori della fazione ‘Hilary al rogo’
questo capitolo sarà stato di una tremendità (parola
coniata da me scema medesima) plateale.. mentre per qualcun altro no. In ogni
caso questo vi beccate u.u
Comunque siamo
sopravvissuti al cambio di server.. bene bene! Spero che il mio karma non ne
abbia a male si questo aggiornamento fuori orario classico ^^
Per quanto
riguarda questo capitolo abbiamo avuto dei flash diciamo, degli episodi qua e
là per far trascorrere qualche giorno.. lascio alla vostra immaginazione
scoprire cosa potrei riserbarvi alla prossima, ma non pensate di poterlo
azzeccare facilmente (o anche sì)!
Ultima cosa:
io ho sempre cercato di rendere il tutto il più realistico possibille, informandomi
su Giappone, Russia, tradizioni, ecc ecc.. ma per alcune cose non ce l'ho proprio fatta
per esigenze di copione. Ad esempio la scuola più o meno è organizzata più come la nostra perchè
mi viene più semplice scriverne (diciamo che è un misto) e poi per il fumo nelle strade. A Tokio è vietato se non
in appositi spazi, ma non era adatto al mio fumatore incallito personale XD solo questo!
Altro piccolo dettaglio.. la divisa che ho descritto è liberamente ispirata a quella de Le situazioni di lui e lei..perchè mi piace troppo ^^ quindi per riferimenti prendete quella u.u
-Mi
spieghi come faccio a divertirmi se non rispondi alle mie provocazioni?-
Takao
era letteralmente allibito dal comportamento di Hilary, se ne stava zitta e non
rispondeva a tono alle sue battutacce. Che divertimento c’era così?
-Cosa?-
-Non
mi stavi nemmeno ascoltando?!-
-Scusa
Takao, ma non è proprio giornata..- disse lei sprofondando sulla sedia.
-Non
sarà mica per Kei che stai così, vero?- chiese lui accigliato.
-No!
Forse.. potrebbe.. un po’-
-Com’era
la tua tattica? Ah sì, ignorarlo.. non mi sembra stia funzionando molto!-
Con
quelle poche parole ottenne un effetto indesiderato: infatti, Hilary si oscurò
completamente dando ragione all’amico.
-Ascoltami..
ti piace e non puoi farci niente, giusto? Ma non credi che sia meglio
affrontare la situazione, invece che aggirarla?-
-Non
la sto aggirando!- si oppose appoggiando la guancia sul banco.
-Invece
sì! E’ come se negassi il fatto che sei attratta da lui e ti imponessi di
cambiare questa cosa.. beh, è così e non puoi farci nulla quindi vivi la tua
vita e succeda quel che succeda!-
-La
fai facile tu..-
-No,
sei tu che la fai difficile..-
Hilary
rifletté sulle parole del giapponese: in effetti quel continuare a evitarlo
aveva solo peggiorato la situazione e sempre più spesso si ritrovava a
guardarlo di nascosto. Fino a quel momento il loro rapporto era cresciuto e si
era sviluppato così per caso, senza uno schema preciso; semplicemente si erano
avvicinati, perché allora non poteva continuare così naturalmente? Lei doveva
solo accettare il fatto di ammirarlo dall’esterno, come un’amica e smettere di
scappare da lui. Che non se ne sarebbe fatto nulla era un fattore che ormai
aveva accettato, il prossimo passo era accontentarsi e convivere con questa
consapevolezza.
-Da
quand’è che tu ti metti a dare consigli sentimentali?-
-Ho
bisogno di caos e divertimento.. che gusto c’è a prendere in giro qualcuno che
si affossa da solo!?-
Avvertiva
qualcosa di strano aleggiare in casa Kinomiya in quei
giorni: gli stavano nascondendo qualcosa, il che era strano considerando quanto
fossero incapaci di mantenere un segreto. Pensò di essere diventato paranoico,
magari semplicemente discutevano ancora di come comportarsi con lui, nonostante
credesse che ormai fosse un argomento esaurito.
Altro
fattore curioso era Hilary: il suo atteggiamento verso di lei aveva
attraversato diverse fasi, dall’antipatia, all’indifferenza fino alla
convivenza civile, ma non si era reso conto di quanto lei fosse integrata e
incorporata nel suo concetto di gruppo fino a quando non aveva iniziato a
evitarlo. Perché era chiaro che lo stesse evitando e cercasse di diminuire ogni
contatto superfluo con lui: eppure aveva detto di non essere arrabbiata e, se
aveva iniziato a conoscerla davvero, sapeva che in caso contrario non avrebbe
avuto peli sulla lingua e glielo avrebbe detto tranquillamente.
Inoltre,
più notava la sua lontananza, più volte si ritrovava a incrociare lo sguardo
con lei; che cercasse di fulminarlo con gli occhi o fargli qualche cabala non
lo sapeva, ma sicuramente lo osservava con espressione indecifrabile. Aveva
fatto bene a definirla strana.
Sempre
più convinto di essere paranoico, Kei aveva cercato di ignorare questi
atteggiamenti.
Ciò
che lo urtava maggiormente in quel periodo era, però, il tempo che la scuola
aveva sottratto alla sua giornata: non sopportava tutte quelle ore di lezione,
soprattutto il pomeriggio, e i compiti che avevano iniziato ad accumularsi.
Era
appena riuscito a defilarsi dalla lezione di arte approfittando del fatto che
avrebbero dovuto spostarsi in laboratorio: la prof li aspettava direttamente
nell’altra aula e non si sarebbe mai accorta della sua assenza, e se anche se
ne fosse accorta a lui non poteva importare di meno.
Si
era rifugiato sulla terrazza, accendendo la musica che da troppo non poteva
ascoltare.
In
fondo era arte anche quella: abbandonandosi alle note che fuoriuscivano dalle
cuffie, appoggiò la schiena alla ringhiera aspirando il fumo dalla sigaretta.
Vento,
musica, nicotina e pace: in quel momento non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Il cellulare vibrò per annunciare l’arrivo di un messaggio di Rei, ma lo
ignorò.
Solo
una delle due ore che aveva intenzione di saltare erano passate che qualcuno
arrivò a disturbare la sua tranquillità. La porta di accesso alla terrazza si
aprì pronta a rivelare qualche altro studente o peggio un professore.
Kei
cacciò via l’ennesima sigaretta per sicurezza, ma quando a varcare la porta fu
un gruppo di studentesse si pentì di averlo fatto.
Cercò
di ignorarle, ma non poté fare a meno di alzare lo sguardo quando una di quelle
gli si avvicinò per dirgli qualcosa.
Fu
indeciso se ignorarla completamente e far finta che non esistesse, ma quando la
guardò meglio e la riconobbe si decise a levarsi le cuffie che lo isolavano da
qualsiasi suono esterno e prestarle attenzione.
-Dicevo..
oggi deve essere la mia giornata fortunata!-
AikoFujiwara lo guardava maliziosa ancora in piedi di fronte a
lui, mentre le sue amiche sembravano essersi volatilizzate nel nulla.
-Non
hai lezione?- gli chiese.
-Sì-
rispose dopo la ponderata decisione di rivolgerle la parola.
Da
quello che gli aveva detto Max, lei ci avrebbe provato spudoratamente: era la
ragazza più popolare della scuola che amava far parlare i sé. Ovviamente aveva
ottenuto quel ruolo grazie a un’inconfondibile bellezza, Rei aveva ragione
quando diceva che c’era di meglio, ma non era il caso di minimizzare il fascino
di Aiko con il suo fisico slanciato.
Già
la prima volta l’aveva notato, altrimenti non avrebbe fatto caso alle calze
diverse dalle altre, ma ciò costituiva un’attrattiva solo a seconda dell’umore
del ragazzo.
-Cosa
ascolti?- lo interrogò inginocchiandosi di fronte a lui.
-Cosa
vuoi?- si informò Kei staccandosi invece dalla ringhiera e avvicinandosi a lei.
-Fare
conversazione..- lo stuzzicò.
-Non
parlo molto-
-Sempre
meglio..- disse appoggiando il braccio sul ginocchio piegato del russo -..ti
sei conquistato il ruolo del novellino figo, posso portarti ancora più in alto
facilmente sai?-
-Non
mi interessa..- la troncò lui tornando con la schiena a contatto con la
ringhiera.
-Ho
i miei metodi di persuasione..- sussurrò Aiko facendo
‘camminare’ indice e medio sul suo petto, saltando poi alle sue labbra socchiuse.
-Ci
vuole molto di più di questo, lo sai?-
-Ci
speravo in effetti- fece presa sul suo collo e gli si avvicinò completamente,
fino ad essere a contatto col suo orecchio –Vieni con me-
Si
alzò accarezzandogli il braccio e afferrandogli la mano, prima di esortarlo a
tirarsi su.
Kei
la assecondò: era un pomeriggio noioso e non troppo caldo, non c’era nulla di
male nel renderlo più interessante. Attraversarono il tetto fino a varcare la
porta oltre la quale decine di classi erano gremite di studenti che tentavano
di non addormentarsi sui libri: la stanza delle scope sul pianerottolo della
tettoia sembrava offrire la possibilità di attività più allettanti e
divertenti.
La
seguì in quei miseri due metri quadrati colmi di scope, stracci e un banco che
sembrava essere stato messo lì apposta, perfetto per un uso alternativo: il
russo vi fece sedere Aiko senza troppi complimenti e
cercò di farsi convincere. E lei, con le mani già ancorate alla sua maglietta e
le labbra fameliche sul suo collo, era sulla strada giusta per riuscirci.
Ogni
pomeriggio appena ritornato a casa il suo primo pensiero volava ai suoi
vestiti, quelli che indossava con piacere, e ovviamente alle sue scarpe.
Era
fissato a dir poco: dedicò qualche secondo al ricordo di tutti quei neuroni
caduti a causa del suo periodo bucomane. Doveva
ammetterlo a se stesso quanto fosse stato deficiente, così da prevenire ogni
pensiero discordante.
In
ogni caso aveva appena rindossato le sue adorate scarpe da ginnastica in
giardino e iniziato a dare colpetti con la punta e far aderire la suola al
terreno sotto i suoi piedi.
-Cosa
staresti facendo?-
Hilary
spuntò all’improvviso e si sedette sul porticato di fronte a Kei in attesa di
una risposta.
Il
russo rimase a fissarla stranito per qualche secondo: era da giorni che lo
ignorava e quella era la prima volta dopo tanto tempo in cui si permetteva di
rivolgergli parola senza problemi o tentennamenti, come prima dell’inizio della
scuola.
Non
seppe perché, ma gli fece piacere.
-Mi
godo le scarpe-
Nel
frattempo anche Max uscì in giardino con un pacchetto di patatine.
-Non
ce le avevi fino a dieci minuti fa le scarpe?- chiese la ragazza sempre più
accigliata.
-Quelle
non le chiamerei scarpe..- riferendosi ai mocassini malefici -..non si sente
nulla-
-Ora
sì che ho capito- rispose ironica, ridacchiando.
-Non
la senti la differenza?- continuò senza un motivo specifico. Era strano per lui
parlare senza che una domanda gli fosse posta apertamente, ma probabilmente era
la situazione e l’atmosfera di tutta la giornata ad averlo invogliato a
parlare.
Hilary
guardò Max seduto accanto a lei e insieme esclamarono –No!-
Kei
alzò gli occhi al cielo –E’ diverso.. si sente almeno-
-Adoro
le sue teorie- esclamò Max alla ragazza come se l’altro non potesse sentirlo,
pescando una patatina dal sacchetto.
-Sì
sono particolari- continuò lei –Ma tu le capisci?-
-Mai-
confessò l’americano scoppiando a ridere.
-Avete
finito?- chiese Kei segnalando la sua presenza.
-Certo
capo!- rispose l’altro portando la mano alla fronte come un militare.
Di
nuovo scoppiarono a ridere.
Quell’aria
allegra era ristoratrice e il russo non poté fare a meno di ignorare quelle
velate prese in giro e assecondarle: non si era né offeso né arrabbiato.
Era
strano pensare come in quei mesi fossero cambiate tante cose, alcune troppo
velocemente, altre con estrema lentezza, ma avevano finito tutte per
bilanciarsi, fino a trovare un equilibrio. Un equilibrio strano, ma pur sempre
un equilibrio.
Non
avrebbe mai detto di potersi ritrovare nuovamente con i bladebreakers
e di conoscere delle persone ‘normali’, proprio lui che di normale non aveva
nulla. Si sentiva ancora conteso tra il suo vecchio mondo e quello che lo
circondava adesso: completamente in antitesi.
Se
poche ore prima si era ritrovato a fare del sesso con una ragazza con cui aveva
scambiato sì e no poche parole, al calar del sole si ritrovava circondato da
persone che tenevano a lui e che cercavano di farlo sentire a proprio agio
anche solo con un sorriso.
Accavallò,
nel flusso dei suoi pensieri, l’immagine di Aiko con
quella di Hilary: un altro opposto. La prima non poteva essere considerata
tanto diversa da quelle ragazze di cui si era sempre circondato, che
appartenevano a quel mondo che lui definiva suo, che non si poneva troppi
problemi per un bacio e qualcosa di più, con un’idea determinata di
divertimento; Hilary, invece, era semplice e imprevedibile. Come aveva ormai
imparato, era sempre pronta a girare le carte in tavola, a vedere l’opposto di
quello in cui credeva lui, probabilmente il suo nero per lei era bianco: una
caratteristica così insolita e così curiosa, che lo portava sempre a chiedersi
cosa sarebbe successo dopo, cosa avrebbe detto e con quali parole lo avrebbe
smontato.
Ovviamente,
ad un’analisi del genere non poteva che concludere quanto fosse superficiale Aiko, al contrario dell’altra, ma Kei dove poteva
posizionarsi?
Se
non aveva dubbi sul posto di Rei, Takao e Max, vicino alla loro amica, lui non
ci si vedeva, ma allo stesso tempo non voleva essere messo dall’altra. Come
fare a resistere alla tentazione della semplice e allettante via che già
conosceva? Come lo attraeva Aiko, allo stesso tempo
lo incuriosiva quell’altro universo.
Per
ora si accontentava del centro. Restare in bilico tra i due e attendere di
vedere il tempo dove lo portava: Yuri glielo diceva sempre di aspettare e avere
pazienza.
-Perché
quell’uomo deve stressarci già a questo modo?-
Takao
uscì in giardino sbuffando.
-Ancora?
E’ tutto il giorno che lo ripeti!- lo incalzò Hilary annoiata.
-Ma
non si era mai visto il giro di interrogazioni iniziare alla seconda settimana
di scuola!-
-In
effetti avrei preferito iniziasse dopo- lo aiutò Max –Le cose nuove sono già
troppo complicate per me!-
-Bisogna
solo mettercisi e provare..- li esortò la ragazza.
-Quindi
tu le hai capite?-
-No-
dovette ammettere amareggiata del suo pessimo rapporto con la matematica.
-Mister
‘sento le scarpe’ ci ha capito qualcosa almeno?- chiese Max riferendosi a Kei.
-Non
so nemmeno cosa abbiamo fatto-
-Direi
che siamo proprio messi bene!- concluse Takao con la stessa disperazione con
cui aveva iniziato il discorso.
-Ehi..-
lo chiamò sottovoce Max per non farsi sentire e guardandosi attorno
circospetto.
La
classe era stata divisa in quattro gruppi sparsi per l’aula da quel pazzo del
prof di giapponese per una delle sue strambe iniziative.
Kei
guardò in attesa l’altro per fargli capire che lo stava ascoltando.
-E’
vero che sei stato con Aiko?- si informò lanciando
un’ultima occhiata verso il gruppo delle ragazze.
Il
russo spostò gli occhi a sua volta su Rei e Takao, sicuro che stessero
ascoltando anche loro insieme a qualche altro orecchio indiscreto: come aveva
fatto quella voce a circolare in meno di 24 ore?
Annuì
semplicemente.
A
Takao spuntarono gli occhi dalle orbite, mentre Max scoppiò a ridere. Rei
invece aveva distolto lo sguardo guardando un punto indecifrabile.
-Lo
sanno già tutti?- si informò Kei esasperato.
-Più
o meno- affermò Max.
Il
pettegolezzo si era diffuso a macchia d’olio in tutta la scuola e la loro
classe non era stata certamente risparmiata: a quanto pareva Aiko viveva per l’attenzione della gente.
Anche
nell’altro angolo, nel gruppo formato dalle ragazze, si stava parlando dello
stesso argomento.
-Secondo
voi è vero?-
-Se
lo fosse, non è possibile che se li prenda tutti lei-
-Che
c’è stavolta?- si informò Hilary, conscia che le sue compagne erano a
conoscenza di un gossip fresco fresco.
-Sempre
Aiko, sempre lei, ovunque!- le rispose una alzando
gli occhi al cielo.
-Ma
non se ne sta mai buona?-
-No..
ma magari tu lo sai già visto che sei sua amica..-
-Di
Aiko? Io?-
-Ma
no.. di Kei!-
Alla
giapponese si fermò per un secondo il respiro: Aiko e
Kei nella stessa frase, nella stessa situazione e nello stesso pettegolezzo.
Conoscendo lei, e anche lui, c’era da aspettarsi solo una cosa.
-Che..
che è successo?- chiese in preda a del sano masochismo; non voleva saperlo,
appena aveva sentito i loro nomi non voleva indagare, ma era più forte di lei,
doveva sapere.
-Ieri
pomeriggio sai che Kei non era a arte.. beh dicono che l’hanno fatto, a
scuola.. e direi che coincide tutto!- concluse l’altra fiera del proprio
ragionamento: solo loro sapevano che il russo non era presente a lezione e quindi
avevano un dato in più per far combaciare la versione di Aiko.
Hilary
si sforzò di sorridere e continuare ad ascoltare la conversazione tra le
ragazze, ma una parte di lei stava affrontando quello a cui si era preparata in
quelle settimane: il momento in cui Kei si sarebbe messo con qualcun’altra.
Cercando
di non farsi notare, si voltò automaticamente verso l’altra parte della classe
e, nella ricerca della schiena di Kei, incrociò lo sguardo preoccupato di Rei,
segno che quel pettegolezzo doveva essere vero. Tentò di abbozzare un sorriso
in risposta per tranquillizzarlo, ma non era sicura di essere riuscita nel suo
intento.
Si
ripeté mentalmente la filosofia che aveva elaborato in quei giorni e si
reinserì con qualche difficoltà nel discorso delle altre. Pazienza e sangue
freddo e sarebbe andato tutto secondo i piani.
-Era
Daitenji!- disse il giapponese riponendo il cellulare
nello zaino.
Se
ne stavano seduti sull’erba dopo aver pranzato in cortile.
-Cosa
voleva?- si informò Rei.
-Ci
ha invitato domenica sera alla BBA per l’inaugurazione di un non so che cosa..-
-Sempre
il solito informato!-
-Ma
che ne so.. ha detto qualcosa riguardo a una donazione con cui hanno costruito
non so cosa-
-Domenica
hai detto?-
-Sì-
-Il
giorno dopo c’è scuola.. Nonno J ci lascerà andare?-
-Ho
due giorni per convincerlo- esclamò Takao speranzoso.
-Tu
vieni vero?- chiese Rei rivolgendosi a Kei.
-Che
c’entro?-
-Dai
sarà divertente.. poi Daitenji non ti vede da una
vita-
Il
russo in realtà sperava proprio di continuare a non vederlo: aveva conosciuto Daitenji quando era più piccolo poiché già da allora l’uomo
stava indagando sul Monastero e anche in seguito aveva avuto diverse divergenze
con lui, anche solo di pensiero. No, rivederlo non era tra le sue priorità.
-Non
voglio..-
-Kei!
Che sarà mai!? Prendila come una serata diversa..-
Continuare
a opporsi avrebbe solo peggiorato le cose, avrebbe trovato un modo per
defilarsi in seguito e, se così non fosse stato, avrebbe dovuto solo sperare
che tutto filasse liscio come l’olio.
-Ok-
-Yuppi!-
-Se
poi lunedì mattina il prof ti interroga rido- Hilary cercò di frenare
l’entusiasmo dell’altro senza risultato.
-Studiamo
già il pomeriggio come promesso, la sera almeno lasciami libero!-
Si
alzarono per tornare in classe.
Hilary
aveva recitato con successo la parte della studentessa normale, la solita
ragazza di sempre, nonostante sentisse un certo fastidio muoverle le viscere.
Per
fortuna sia Max che Takao non indagarono su Aiko come
avrebbero fatto normalmente, o almeno non lo fecero davanti a lei
risparmiandola da fatica inutile.
-Mi
accompagni alle macchinette?- chiese Max appena varcarono l’entrata della
scuola, così lui e Takao si separarono dando agli altri appuntamento a poco dopo.
I
tre, invece, salirono le scale e, arrivati al corridoio del secondo piano, in
attesa di salire ancora una rampa, per poco Hilary non inciampò nei suoi stessi
piedi scorgendo una persona arrivargli alle spalle.
Sarebbe
riuscita ad apparire normale e accettare il fatto che Kei uscisse con qualcuno
senza fare scenate o deprimersi totalmente, ma vederlo insieme a quel qualcuno
era una faccenda ancora ostica. Meglio rimandare a tempi più rosei.
Rei
accortosi dell’incertezza dell’amica, si voltò per scoprire cosa l’avesse
turbata e la prese a braccetto –Tutto bene?-
-Sì,
ma andiamo per favore-
Senza
dare troppe spiegazioni al russo, velocizzarono il passo e salirono le scale in
tempo record.
Sparirono
alla vista di Kei che rimase interdetto da quello strano comportamento; fece
per seguirli mettendo un piede sul primo scalino, ma sentì una mano ancorarsi
al suo braccio.
Si
voltò ancora perplesso trovandosi Aiko a pochi
centimetri dal volto.
-Buongiorno!-
Kei
sciolse l’intreccio delle loro dita in malo modo.
-Che
staresti facendo?-
La
ragazza confusa insistette appoggiando la mano sul suo gomito.
-Che
fai tu piuttosto- si informò lei muovendo gli occhi intenta a constatare quante
persone li stessero guardando –Ti devo ricordare di ieri pomeriggio- provò
maliziosa.
Erano
ancora a stretto contatto, col viso poco lontano l’uno dall’altra.
-Ricordo,
ma non ti autorizza a fare questo..-
-Questo
cosa?- chiese lei in difficoltà –Mi sembrava che fossimo d’accordo su.. stare
insieme-
-Io
non ti ho mai promesso nulla..- disse cercando di allontanarsi.
-Avevi
detto che volevi essere convinto- sibilò lei a denti stretti cercando di non
farsi sentire dai curiosi.
-Beh
non ci sei riuscita- concluse gelido fissandola.
Restò
pochi secondi in attesa di una possibile risposta, ma avvertendo il silenzio
assoluto si voltò e prese a salire le scale, ignorando gli sguardi indiscreti e
i bisbigli.
Non
sapeva bene cosa lo avesse portato a comportarsi così: fino a quella mattina
era rimasto indeciso sul da farsi, se darle corda oppure no, ma quando aveva
scoperto che il loro incontro del giorno prima era già di dominio pubblico si
era risentito.
Aveva
capito che lei puntava sull’apparenza e sulla popolarità, ma Kei non era
disposto a essere il nuovo giocattolino da mostrare in giro come trofeo. Quella
pretesa era troppo persino per lui.
Tornò
in classe e si sedette al suo banco indifferente.
Rei
gli sorrise, ma non gli chiese nulla e il russo non aveva certamente intenzione
di parlargli.
Intanto,
visti i precedenti, entro poche ore sarebbe venuto immediatamente a conoscenza
dell’accaduto.
Il
secondo week end dall’inizio della scuola si aprì con un sabato nuvoloso, segno
che le belle giornate sarebbero terminate a momenti.
Gli
ex bladebreakers comunque si prefissarono di
recuperare le energie e le ore di sonno perduto, prima di dedicarsi ai compiti:
la giornata passò velocemente, si portarono avanti con storia e giapponese e
Takao, con sua grande gioia, convinse Nonno J a lasciarli andare alla festa del
presidente Daitenji.
Incredibile
come la domenica, invece, si dimostrò una giornata da dimenticare. Rei si
svegliò spossato e senza forze, con nausea e mal di stomaco, e il pomeriggio fu
occupatodalla matematica e dall’inutile
sforzo di comprenderla.
Ovviamente
tutto questo quadro per Kei era invertito: il sabato aveva avuto problemi con
ideogrammi, nomi da ricordare e quant’altro, mentre quella mattina aveva colto
la palla al balzo e approfittato del malore del cinese per tirarsi fuori dalla
serata alla BBA. Si propose, infatti, di fargli compagnia, lasciando tutti
perplessi sul suo concetto di ‘compagnia’.
Fu
così che, verso le sei del pomeriggio, Takao e Max si defilarono dalla sala del
dojo e si prepararono per uscire.
-Non
tornate troppo tardi!- si raccomandò Nonno J.
-Tranquillo,
ma tu non aspettarci alzato eh!- concluse il giapponese salutando gli altri.
Lo
scenario che lasciarono era alquanto strambo: Kei si aggirava annoiato per
casa, Hilary aspettava che suo padre la passasse a prendere, mentre Rei stava
ad occhi chiusi sul divano pallido e debilitato.
-Nonno
J?- chiamò Hilary mezz’oretta dopo.
-Sì,
dimmi cara-
-Ti
dispiace se resto qui a mangiare? Mio padre ha avuto un contrattempo e ha detto
che passa più tardi-
-Ma
certamente! Anche se stasera con questa compagnia..- rise alludendo agli altri
due ragazzi, silenziosi e annoiati –Comunque lo sai che quando vuoi puoi anche rimanere
a dormire.. la stanza degli ospiti è sempre tutta tua!-
L’uomo
preparò la cena e si fece aiutare ad apparecchiare la tavola; quando fu tutto
pronto Rei finalmente si alzò dal divano e si diresse lentamente verso il suo
posto.
-Hai
proprio una brutta cera!- gli fece notare Hilary con un sorrisetto, ma a quanto
pareva l’altro non aveva nemmeno la forza di ribattere.
Di
fatto rimase con loro per pochissimo tempo e, a metà del suo riso, annunciò che
sarebbe stato meglio se si fosse messo subito a letto.
Nonno
J lo accompagnò in camera e quando tornò trovò gli altri due intenti a mangiare
in silenzio l’uno di fronte all’altra.
-Allora
Kei, come va la scuola?-
Domande
di quel genere gli erano già state poste altre volte, ma le sue risposte erano
sempre molto vaghe e, comunque, l’attenzione veniva sempre spostata sugli altri
membri più chiacchieroni del gruppo.
Hilary
osservò come, anche quella sera, il russo riuscì nel suo intento di pilotare la
conversazione lontano da se stesso. Li ascoltò vagamente fino a quanto non
arrivarono a parlare di cose a lei sconosciute per cui dovette prestare più
attenzione.
-E
dei ragazzi chi è più che va all’università?- si informò l’uomo mettendo in
tavola altri piatti.
-Yuri-
-E
cosa fa?-
-Lettere-
-Impegnativo..
e come mai l’ha scelta?-
-Gli
piacciono i classici e tutta quella roba lì.. si è fissato con Tolstoj,
Dostoevskij, Checov..-
-Io
solo che per pronunciarli ci metto una vita!- rise Hilary notando l’accento
marcato che aveva Kei quando pronunciava parole nella sua lingua.
-Meglio
non nominarli quando si parla con lui altrimenti non la smette più-
La
ragazza annuì al discorso dell’altro: quando era in presenza di poche persone
era tutta un’altra faccenda trattare con lui, senza considerare la luce diversa
che aveva nel parlare del suo amico, anche se probabilmente, si disse, la
vedeva solo lei accecata dai suoi sentimenti.
Mannaggia
a quegli occhi viola. Almeno li avesse avuti di un colore normale: azzurri,
verdi, sarebbero stati comunque belli, ma almeno non così belli.
Cercò
di distrarsi, ma non pensava che sarebbe stato così difficile in assenza degli
altri suoi amici.
Aiutò
Nonno J a sparecchiare, ma ben presto, non sapendo nemmeno come, si ritrovò a
lavare i piatti insieme a Kei. Si era offerta di alleggerire il lavoro
all’anziano, ma tutto si era improvvisamente incasinato fino ad arrivare a
quella situazione altamente contro indicativa.
‘Fissa
le piastrelle, non lo considerare, fissa le piastrelle, non lo considerare’ si
ripeteva tra sé sperando in un esito positivo.
Sopravvisse
fino all’ultima stoviglia, rischiando parecchie volte di rompere qualcosa, ma
presto Kei uscì per fumare e la lasciò sola in cucina. Ne approfittò per
guardare il cellulare: suo padre le aveva mandato un messaggio con scritto che
avrebbe ritardato ancora e di conseguenza lei doveva trovare un modo per far
passare il tempo senza disturbare Nonno J e allo stesso tempo senza rischiare
figure di merda in presenza del russo.
L’uomo
ben presto andò al piano di sopra per finire delle faccende e controllare Rei e
Hilary decise di ritentare con gli esercizi ostici del pomeriggio: credeva di
aver finalmente capito gli argomenti nuovi, ma le sue soluzioni erano ancora
sbagliate e questo non lo sopportava.
Si
sedette al tavolo della sala, cosparso di quaderni, penne e libri, recuperò la
sua roba e si concentrò sulla consegna.
Non
seppe precisamente quanto stette assorbita da quella serie di numeri e simboli,
ma quando rialzò lo sguardo fuori era completamente buio e il dojo immerso in un innaturale silenzio.
Un’ombra
vicino alla sua spalla la fece spaventare improvvisamente e fare un salto sulla
sedia.
-Kei!-
una volta girata si era ritrovata Kei esattamente dietro di lei, il braccio
intento a porgerle un bicchiere e le sopracciglia arcate.
-Non
volevo spaventarti..-
-Scusa,
era sovrappensiero!- si giustificò lei, la mano sinistra al petto.
-Tieni..
è da mezz’ora che non alzi gli occhi da lì- le disse col suo tono piatto
posandole davanti il bicchiere di succo di frutta.
-Grazie-
rispose arrossendo.
Osservando
il liquido ambrato le venne sete immediatamente, ma il pensiero che lui fosse
lì ad osservarla le chiuse temporaneamente lo stomaco.
Kei,
invece che andarsene, era rimasto fermo al suo posto, prima di sedersi accanto
a Hilary e appoggiarsi al tavolo.
-Ce
l’hai fatta?- le chiese improvvisamente.
-No..
non capisco dove sbaglio..- rispose torturando la penna.
-Non
puoi lasciarlo così e chiederlo domani al prof?- tentò lui.
-No..
sicuramente interroga me quindi devo capirci qualcosa ora..-
-Chi
ti dice che chiamerà te?-
-Chiamano
sempre me per prima..-
-Perché?-
-Perché
sono capoclasse.. a meno che qualcuno non si offra, ma considerando il livello
la vedo dura-
-Non
mi sembra un ragionamento logico quello del capoclasse-
Lei
fece spallucce con un sorriso.
-Me
la sono cercata-
Il
russo la guardò indagatore, lanciò un’occhiata verso il foglio, fissandolo per
diversi secondi, per poi alzare il braccio e indicare un passaggio
dell’operazione svolta da Hilary.
-Sbagli
qui- disse semplicemente.
La
ragazza osservò il punto perplessa, cercando di scovare l’errore.
-Non
dirmi dove, voglio trovarlo..-
Kei
tacque per farle capire che non le avrebbe detto nulla di più.
Rimasero
in silenzio qualche minuto finché lei non si arrese e si decise a chiedere
spiegazioni che il russo le diede con poche parole.
-Se
me la mettevano prima così la capivo subito!- asserì esaltata.
-I
libri usano tante parole difficili inutili- disse il russo placido.
Hilary
finì di completare gli esercizi prima di ringraziare il russo.
-Ti
sono debitrice!- esclamò battendo le mani –Vuoi che ti do un’occhiata a
giapponese?-
Kei
la fissò perplesso, ma le passò il quaderno su cui aveva penato il giorno prima
con un –Se ti diverti tu-.
La
giapponese iniziò a leggere, mentre l’altro prese a fissarsi le dita che si
muovevano sul piano del tavolo, disegnando delle linee immaginarie.
Ogni
tanto Hilary alzava lo sguardo dal foglio per vedere la sua espressione come
sempre indecifrabile. Corresse un ideogramma prima di rivolgergli parola.
-Ho..
ho sentito quello che è successo con Aiko, cioè l’ha
sentito Max..- aggiunse vedendo un’ombra di disprezzo su quel volto perfetto
-..e mi dispiace-
Kei
la fissò improvvisamente stranito.
-A
me no- affermò risoluto.
-Ma..-
iniziò perplessa –Ma non è stata molto gentile..-
Si
fissarono ancora più in confusione.
-Che
avresti sentito esattamente?- si informò lui.
-Che
lei ti ha lasciato davanti a tutti dicendo che era stata una botta e via e..-
tentò di continuare, ma Kei prese a ridere e scuotere la testa. Una risata era
ciò che non si aspettava e che non sperava di avere mai la possibilità di
vedere.
-Perché
ridi?-
-Dovevo
immaginarmelo..- sfiorò con la mano il piercing al sopracciglio e scese fino
alla guancia reggendosi sui gomiti -..è che in realtà è stato esattamente il
contrario-
-Quindi
ha raccontato una bugia?- chiese lei incerta.
Il
ragazzo annuì.
-E
che le dirai ora?- aggiunse fattasi improvvisamente battagliera per essere
stata ingannata.
-Niente-
-Come
niente? Ti sta prendendo in giro con tutti..-
-Non
merita nemmeno di essere considerata.. se me la prendessi passerei dalla parte
del torto- disse alzando le spalle –c’è chi ha visto la scena e sa la verità..-
-Ma
se non dovesse uscire la verità?-
-Non
mi importa quello che pensano- disse serenamente.
-Ah-
Hilary
rispostò l’attenzione sul quaderno prima di rischiare di perdersi
definitivamente in quegli occhi troppo vicini a lei. Lesse le ultime righe e
con un –Fatto- si voltò verso l’altro, facendo strisciare il quaderno chiuso
vicino alle sue mani; giusto il tempo di arrivare a una distanza di pochi
centimetri tra le loro dita, che Kei portò il busto in avanti e le si avvicinò,
posando le labbra su quelle della ragazza.
Durò
un secondo, forse due, nemmeno il tempo di chiudere gli occhi o di realizzare,
che erano di nuovo seduti perfettamente come prima: l’unica differenza stava
nel petto di Hilary, prossimo all’esplosione. Sbatté le ciglia e si ricordò di
respirare.
-Sei
impazzito?!- urlò improvvisamente, come risvegliatasi, in preda al rossore
totale.
Aveva
fantasticato in quelle settimane su come sarebbe stato ricevere un bacio, ma
così non se lo aspettava, che poi non sapeva se considerarlo proprio un bacio.
Soprattutto, era successo davvero o in realtà stava sognando, si era per caso
addormentata sui libri e quello era frutto del suo subconscio? Non sapeva
nemmeno come classificare l’espressione dell’altro che la guardava a metà tra
l’attesa e il divertito.
-Tante
storie per così poco- soffiò lui con un sorrisetto.
-P-perché
lo hai..?- balbettò senza riuscire a comporre la frase, in pieno stato di
shock, man mano che si rendeva conto di essere perfettamente sveglia, ma non del
tutto lucida.
-Per
ringraziarti..-
-E
tu ringrazi le persone a questo modo?- inveì indecisa se essere felice o
arrabbiata.
-A
volte anche per salutarle.. a Mosca si usa-
-Qui
non siamo a Mosca.. quello per noi è un’altra cosa-
-Che
vuol dire per voi?-
La
stava prendendo in giro? Non era in grado di capirlo, con le guance ancora in
fiamme e il battito accelerato.
-Che
ti piace l’altra persona e queste cose..-
Nuovamente
a Hilary sembrò di perdersi in un bicchier d’acqua: infatti Kei aveva fatto
come per pensare alle parole della ragazza, per poi riavvicinarsi
pericolosamente. Riannullò la distanza tra di loro, ma questa volta si soffermò
più a lungo, giocherellando con il suo labbro inferiore.
Lei
ebbe il tempo, dopo la sorpresa iniziale, di chiudere gli occhi e di sentire il
suo sapore. Il suo buon senso aveva dato forfait ufficialmente, lasciandola in
balia delle sensazioni, tanto che si sentì persa quando non avvertì più il
calore di Kei.
Aprì
gli occhi lentamente, ritrovandoselo più vicino di quanto pensasse.
-E’
questo per dire che ti piace l’altro-
Di
cosa stava parlando? Ah sì, prima stavano parlando, ere geologiche fa stavano
parlando.
Ricompose
i pezzi mancanti, quelli che aveva rimosso e quelli che non era ancora stata in
grado di afferrare. Fece un respiro profondo, cercando di tornare padrona di
tutte le sue facoltà.
Il
bacio dei suoi sogni in effetti si avvicinava molto di più a quest’ultimo, ma
nei suoi sogni Kei era il ragazzo con cui si prospettava una relazione forte e
duratura, mentre quello che aveva davanti l’aveva semplicemente aiutata con i
compiti di matematica.
-Aspetta..-
provò a parlare, sperando che la salivazione tornasse normale -..perchè?-
-Cosa?-
-Non
si ruba così un bacio a una ragazza- provò a sembrare arrabbiata, ma risultava
troppo difficile.
-Pensavo
di piacerti- affermò lui piegando la testa di lato.
-Questo
non ti autorizza comunque a..- improvvisamente arrossì come non pensava fosse
possibile fare –Chi te l’ha detto? Come? Quando?-
Kei
accennò un sorriso –Nessuno.. tranquilla, ci sono arrivato da solo-
Hilary
era la personificazione dello stupore: ora non poteva nemmeno negare, si era
intortata con le sue stesse mani.
-Beh
mi fa piacere-
Si
vantava pure di averla fatta cadere ai suoi piedi? Pure vanaglorioso?
-Ti
vanti pure?- se ne uscì acida.
-No,
è che era la spiegazione più positiva al tuo comportamento di questi giorni-
-Ah-
pure le parole giuste e efficaci, non sarebbe sopravvissuta alla serata avanti
di questo passo.
Come
a volerla affondare ancora di più, Kei sorrise dolcemente, né divertito o
ironico, semplicemente dolce, e le colpì il naso con l’indice.
-Sei
strana-
-Sei
ripetitivo- affermò in un altalena di pensieri discordanti.
-Ma
è vero-
-E
perché lo sarei stavolta?- chiese cercando di non abbandonare a fatica le sue
iridi.
-Perché,
anche adesso, ti comporti come non mi aspetto.. le altre di solito mi saltano
addosso, tu hai delle riserve..- disse divertito di come era uscito il suo stesso
discorso –E non mi voglio vantare- specificò.
-Perché
non sono come le altre..- tentò di non impappinarsi.
-Spiegami-
la esortò tornando serio.
-Non
puoi prendermi una volta e poi lasciarmi- spiegò riacquistando piano piano il
suo buon senso, assecondando quella vocina che era la sua ragione. Anche perché
il suo corpo le stava consigliando di saltargli addosso anche lei.
-Cosa
ti fa pensare che lo farei?-
-Perché
è quello che fai di solito.. vai con le ragazze per divertirti..- gli confessò
tutti i suoi timori -..per che motivo mi hai baciata ora?-
-Perché
mi andava-
-Visto?-
-Io
faccio le cose perché mi vanno, il fatto che con le ragazze ci vado a letto e
basta è perché loro vogliono così e non mi danno altri motivi per stare con
loro..-
-In
che senso?-
-Che
non sono interessanti..-
-E’
che te le trovi tutte di quel tipo..-
-Stasera
no-
Il
cuore di Hilary perse un battito.
-Questo
che vorrebbe dire?-
-L’hai
detto anche tu che sei diversa-
-Dove
vuoi arrivare?-
-Mi
sembrava chiaro- disse avvicinando ancora di più i loro volti.
-No
aspetta!- esclamò lei con un tono di voce troppo alto per quel momento,
allontanandosi nuovamente –E’ sbagliato-
Kei
assottigliò gli occhi sempre più confuso.
-Io
non posso darti quello che vorresti tu e.. e poi, beh non sono proprio quella
con cui vorresti farti vedere in giro..-
-Non
mi ascolti allora.. non lo faccio per quello che pensi- disse scuotendo la
testa -..e poi credo che ti sottovaluti-
-Dai
non sono per niente..-
-Vai
benissimo come sei.. perché le persone non si accontentano di quello che
hanno?-
-Detto
da uno premiato così da madre natura..-
-Farei
a cambio seduta stante con qualsiasi altra cosa- la interruppe serio.
Hilary
abbassò lo sguardo improvvisamente, prendendo un respiro prima di rituffarsi in
quel vortice viola che stava esplorando ogni centimetro del suo viso, come a
studiarne ogni minima parte.
Kei
alzò il braccio e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come in
una perfetta scena da film romantico, le sfiorò la pelle con le dita ferme a
mezz’aria prima di afferrarle la nuca e avvicinarsi, a contatto, naso a naso,
guardandola negli occhi.
-Sei
buffa- sorrise di nuovo così dolcemente da mozzare il fiato.
-Sei
assurdo- disse lei trattenendo il respiro.
Le
diede il terzo bacio della serata, in un crescendo di profondità e
passionalità, costringendola ad arrendersi alle proprie emozioni.
-Ho
solo una condizione..- soffiò sulle sue labbra.
-Quale?-
chiese lei.
-Non
chiedermi di amarti.. non ne sono capace-
………………………………………………………………………..
Sarei tentata di
finirla qui senza aggiungere altro.
Boh, sensazione
così ^^
Lascio la parola
a voi, contente, felici, entusiaste, preoccupate, perplesse, arrabbiate,
traumatizzate e via dicendo u.u
Spendo solo una
riga per salutare una persona che mi odia per una cavolata :P ciao Sunsettina! ^^
Alla prossima..mi sa che un capitolo così lungo non tornerà più
XD
Si
svegliò più tardi del solito e non era l’unico. Tutti gli abitanti del dojoKinomiya quella mattina
sembravano intenzionati a rimanere a letto.
Takao
e Max erano arrivati tardi, quando già tutti dormivano nelle proprie stanze,
mentre Rei era ancora un po’ abbattuto, anche se la lunga dormita sembrava
avergli fatto bene.
Kei
si vestì mentre fumava la sua sigaretta mattutina, azioni che solitamente
compiva separatamente, e scese a tempo con il cinese.
-Vieni
a scuola?-
-Sì..
ora va meglio, avevo solo bisogno di riposarmi!-
Mangiarono
e uscirono in silenzio tanto che Nonno J commentò con –E’ un miracolo..
chiederò a Daitenji di invitarvi più spesso!-
Si
trascinarono letteralmente per tutto il tragitto, sbadigliando a più non posso,
fino all’incrocio dove Hilary li attendeva guardando l’orologio.
-Ma
che avete combinato?- chiese perplessa vedendo le facce dei due amici.
-No
comment.. ti racconto quando mi sveglio!- le rispose
Max portando una mano davanti alla bocca.
-Tu
come stai?- si rivolse invece a Rei.
-Potrebbe
andare meglio.. andiamo, che voglio andare in classe e non muovermi più-
I
tre amici la superarono e si diressero verso la scuola.
Hilary
li guardò indecisa se ridere o disperarsi, ma presto si dovette girare per
fronteggiare il quarto componente del gruppo che stava pochi passi dietro di
lei.
-Ciao-
Kei
la guardò perplesso, poiché la ragazza sussurrò quel saluto e abbassò il capo
arrossendo: dalla sera prima non faceva che arrossire, non gli era mai capitato
di incontrare una persona così timida.
Era
divertito per quel comportamento, ma si stranì quando lei si girò e iniziò a
camminare.
-Ehi-
con due passi annullò la distanza tra di loro e le prese il polso invitandola a
voltarsi –Non mi saluti?-
-Ti..
ti ho salutato!- rispose lei incerta.
-Quello
non..- si fermò per l’espressione buffa di Hilary –Facciamo finta di niente ok?
Rifacciamo..-
La
giapponese lo guardò confusa, ma finalmente si decise a sorridergli.
-Ciao
Kei..- disse facendo finta di averlo appena visto, rasserenandolo.
-Ciao-
Il
russo le si avvicinò e la baciò, costringendola ad alzarsi in punta di piedi
reggendosi al suo collo.
-Hil sto parlando
con te, ma cosa..- Takao si girò spazientito, già diversi metri più avanti, e
osservò la scena che gli si presentò con la bocca spalancata, attirando
l’attenzione di Max e Rei.
-Ehm
ragazzi.. da quando..?- e indicò i due avvinghiati.
-Non
lo so- rispose il cinese stupito quanto l’amico, proprio quando i diretti
interessati si staccarono.
Hilary
non appena notò di avere tutti quegli occhi addosso arrossì e indietreggiò
impercettibilmente, ma Kei, con la mano che teneva ancora il suo polso, iniziò
a camminare verso di loro, e, invece che mollarla, intrecciò le loro dita
facendo una leggera pressione per invitarla a seguirlo.
Quando
raggiunsero gli altri il colorito della giapponese faceva concorrenza a una
melanzana, mentre il russo, sempre impassibile e controllato, li guardò
tranquillo.
-Non
andiamo?- chiese semplicemente, superandoli senza aspettare alcuna risposta,
stringendo la mano di Hilary.
La
reazione di tutte le altre persone fu all’incirca la medesima: stupore.
Percorsero
tutto il cortile ed entrarono in classe mano nella mano; Hilary parlava di
tutto e niente per non far cadere il silenzio, mentre Kei la ascoltava
imperturbabile, senza dare adito alle occhiate degli studenti e dei loro
compagni di classe.
Nessuno
ebbe il tempo di chiedere delucidazioni poiché suonò la campanella non appena
varcarono la soglia con il professor Suji già pronto alle
loro spalle.
Kei
lasciò la mano della ragazza solo in prossimità del banco, rivolgendole un
sorriso accennato.
Il
russo dovette ringraziare mentalmente il professore di storia perché, per la
sua severità e riconosciuta malignità, riuscì a tener buono Rei e le sue
domande per tutta la sua ora.
Stessa
cosa non riuscì con quello di matematica.
-Quando
pensavi di dirmelo?- partì in quarta il cinese mentre i due docenti si davano
il cambio alla cattedra.
-Contavo
sul fatto che l’avresti intuito da solo-
-Ne
avresti avuto il tempo stamattina- continuò ignorandolo.
-Ma
se eravate tutti fusi-
-E’
una notizia importante- bisbigliò Rei cercando di prestare attenzione al
professore che aveva richiamato il silenzio in attesa di annunciare
l’interrogato.
-Non
te l’ho mica nascosto.. ora lo sai-
-Che
è successo ieri che ha fatto cambiare così velocemente le cose?-
-Niente
di particolare.. è successo- spiegò il russo puntando lo sguardo su Hilary, la
quale aveva un piede in avanti già pronto per andare alla lavagna.
-Kei,
Hilary è una mia amica e ci tengo a lei e..-
-Chiamo
io o c’è qualche volontario?- la voce del docente lo costrinse a interrompersi,
ma cercò di attirare nuovamente l’attenzione dell’altro su di sé.
-E
tengo anche a te, quindi in circostanze normali sarei felice di questa cosa,
ma..-
Kei
improvvisamente alzò la mano, stupendo tutti i presenti, professore compreso.
-Cosa
stai facendo?- gli chiese Rei nel panico, osservandolo alzarsi.
-Mi
levo il fastidio-
Il
russo proseguì la sua marcia suicida ignorando gli sguardi allibiti dei
compagni.
-E
poi niente, è arrivato mio padre-
Hilary
terminò il suo racconto bisbigliato a Takao durante l’interrogazione di Kei. Il
giapponese aveva insistito per far cambio momentaneo di banco con la ragazza
seduta vicino all’amica per venire a conoscenza dei fatti dalla diretta
interessata.
Aveva
ascoltato in silenzio, annuendo col capo per farle capire che stava ascoltando
e osservando attentamente le sue reazioni: gesticolava e arrossiva, ma nemmeno
per un secondo aveva smesso di sorridere. Per non parlare delle occhiate
furtive che lanciava verso la lavagna ogni volta che ne aveva l’occasione.
Takao
si limitò quindi ad ascoltarla, senza commentare o proferir parola, tanto che
la liquidò tornando al suo posto, lasciandola stranita, nello stesso momento in
cui Kei terminò l’interrogazione con un voto più che sufficiente.
-Preferisci
farti interrogare piuttosto che ascoltarmi?- chiese Rei indispettito.
-No-
rispose semplicemente guardando il compagno in attesa.
-Ah-
il cinese si ricompose prima di riprendere il discorso iniziato mezz’ora prima
–Vabbè, ti dicevo.. che siete miei amici e sono contento per voi, ma la
faccenda mi preoccupa..-
-Silenzio
che inizio a spiegare-il vocione
dell’uomo alla cattedra richiamò la classe all’ordine.
-Tu
mi preoccupi..- sussurrò Rei e vedendo che l’altro non gli dava risposte
aggiunse -..mi avevi detto poco tempo fa che non volevi storie serie e io non
voglio che lei soffra-
-Kon devo interrogare anche te?-
Il
cinese si scusò e si zittì preparando mentalmente il resto del discorso che
avrebbe voluto fare.
Dal
suo tono di voce, se Rei non fosse stato la persona gentile e posata qual era,
tutte quelle cose gliele avrebbe dette urlandole.
Era
strano come quella mattina si fosse evoluta la situazione: Rei, Max e Takao si
erano alzati come degli zombie e così erano restati fino alla scoperta della
faccenda di Hilary, da quel momento in avanti era consapevole che i loro
sguardi avrebbero potuto uccidere.
In
ogni caso, mentre si era già preparato mentalmente all’apprensione di Rei,
certamente non si aspettava che a ricreazione Takao sarebbe stato pronto a
parlargli a quattr’occhi con un cipiglio serio che non si ricordava mai di aver
visto se non durante il torneo in Russia.
Kei
aveva progettato di trascorrere i dieci minuti di pausa con Hilary, ma era
stato costretto a seguire il giapponese in corridoio, in un punto poco
affollato.
-Cosa
vuoi?-
-Qualsiasi
cosa tu abbia in mente non farla-
-Cosa
avrei in mente?- si informò mentre Max e Rei si stavano avvicinando cauti.
-Non
lo so..- Takao sembrava arrabbiato e in agitazione -..sai di piacere alle
ragazze e di poterle avere schioccando le dita, ma non osare aggiungere alla
tua collezione Hilary-
-Ma
io non..- cercò di difendersi, ma fu interrotto.
-Se
questa è la tua intenzione mollala ora prima che sia troppo tardi-
-Takao
calmati.. non ho nessuna collezione e..-
-Sei
mio amico, ma sappi che se dovesse succedere qualcosa prenderei le sue difese..
e non ti permetto di farla soffrire!- Takao prese un lungo respiro seguitando a
guardarlo con occhi inferociti.
-Hai
finito?- chiese Kei mantenendo la calma.
-Non
giocare con lei.. ora ho finito-
Il
russo lo osservò: era strano vederlo così serio, così come lo erano gli altri
due amici, fermi in disparte ad ascoltare la disputa. Tre contro uno: era
difficile difendersi da accuse che secondo il loro punto di vista erano assolutamente
fondate. Non sapeva che parole usare per avvalorare la sua causa e proteggersi
da ulteriori critiche.
-Non..-
Rinunciò
ancor prima di tentare, guardandoli e superandoli per tornare in classe.
Hilary
era circondata dalle compagne, probabilmente fameliche di informazioni su quel
nuovo flirt: Kei si sedette al suo posto e non si accorse dello sguardo
preoccupato che la ragazza gli riserbò poiché si voltò a guardare fuori dalla
finestra, agognando il momento in cui sarebbe potuto uscire a prendere aria:
quella dell’edificio era diventata irrespirabile.
Quando
ricominciarono le lezioni non prestò attenzione a niente e nessuno, sentì solo
un fermento generale quando nell’ora di giapponese fu annunciata la possibilità
di una gita di due giorni, ma non capì né dove né quando; in ogni caso Rei non
gli rivolse più parola, e così nemmeno gli altri, e nella pausa pranzo si
defilò velocemente verso la terrazza.
Si
accese una sigaretta: era nervoso dal momento in cui aveva parlato con Takao, o
meglio dal momento in cui Takao aveva parlato con lui.
La
sua decisione della sera prima di farsi avanti con Hilary aveva permesso a una
crepa di formarsi in quell’equilibrio raggiunto così difficilmente: aveva agito
di istinto come al suo solito, aveva semplicemente assecondato le proprie
sensazioni, il proprio umore, ma non aveva messo in conto una reazione tale da
parte dei suoi amici.
Si
erano fatti un’immagine tremenda del suo modo di comportarsi con le ragazze,
sia loro che Hilary, ma come poteva dargli torto? In definitiva era così che si
era sempre posto, ma nessuno si era chiesto il perché lo facesse e nemmeno lui
sapeva darsi una risposta valida.
Semplicemente
era sempre stato così: per lui l’amore era al pari di una favola per bambini,
entrambi non possiedono consistenza reale, e nessuno si era mai premurato di
dimostrargli il contrario.
Questo
era il punto di rottura: né lui, né Takao, Max o Rei credeva nella reale
possibilità che le cose cambiassero, che lui potesse cambiare.
-Tieni-
La
voce squillante di Hilary lo risvegliò dalle sue paturnie: gli stava porgendo
un panino, probabilmente comprato al bar della scuola.
-Sei
uscito di corsa e immaginavo non avessi preso da mangiare- spiegò lei.
-Grazie-
Kei
afferrò incerto il panino osservandola sedersi per terra.
Hilary
era sempre stata gentile con lui, anche nei momenti in cui lui aveva dato
sfoggio del lato peggiore del suo carattere e, se le parole di Takao avevano un
fondo di verità, non poteva approfittarsene così. Non era mai stato un bravo
ragazzo e questa sua natura non poteva essere cambiata così da un giorno
all’altro: avrebbe finito in ogni caso per fare soffrire le persone intorno a
lui.
Quando
incrociò gli occhi marroni della ragazza si decise a sederle a fianco e a
iniziare a mangiare.
-Che
aveva Takao prima? Era strano..- si informò lei sorridente, assaggiando il
proprio riso.
-Che
ti lasciassi- rispose gelido, osservandola sbarrare gli occhi mentre il boccone
rischiava di andarle di traverso.
-Cosa?-
-Non
vuole che tu soffra per causa mia e dà per scontato che succederà-
Hilary
impallidì, senza più il coraggio di mangiare.
-E
tu che gli hai detto?-
-Niente-
Aveva
abbandonato anche lui il suo panino e la stava guardando, studiando ogni sua
reazione.
-Tu
cosa pensi?- chiese lei con calma, con la voce più ferma di quanto si sarebbe
immaginato.
-Penso..
che potrebbero fare bene a non fidarsi di me- finalmente incontrò le sue iridi
nocciola e non riuscì a fare a meno di essere sincero -..quello che ti ho detto
ieri era tutto vero e lo penso ancora.. io non mi fido mai di nessuno e non mi
stupisco che le persone non si fidino di me.. ho fatto tante cazzate e ho fatto
soffrire.. non voglio far soffrire anche te-
-Se
non vuoi allora non succederà..-
-Hilary,
sono uno stronzo per natura..-
-Non
è vero..- disse e sul suo volto tondo spuntò a sorpresa un sorriso -..cioè
l’altro giorno con Aiko lo sei stato un bel po’ ora
che ci penso..- scherzò lasciando sempre più sbigottito l’altro -..ieri ti ho
ascoltato sai? Ti saprei ripetere ogni parola che mi hai detto..- confessò
arrossendo -..mi hai già messo in guardia, so già i rischi che corro stando con
te.. deve essere una mia scelta e Takao può dire quello che vuole!-
-Ti
vuole proteggere.. da me.. e non ha tutti i torti-
-Senti..
tu ieri mi hai baciato perché sentivi così, giusto? Beh anche io voglio fare
quello che mi sento e ora sento solo di voler stare con te!-
Non
si sarebbe aspettato un’opposizione così forte: lei stava combattendo per lui,
perché non si arrendesse davanti alla verità dei fatti.
-Tu
vedi del buono in me?- chiese in un soffio.
-Sì..-
rispose immediatamente la ragazza senza pensarci troppo -..e sarebbe il momento
che iniziassi a vederlo anche tu.. io ci ho messo un po’ per capirlo, ma sei tu
il primo a far fatica!-
Le
sue parole erano vere, faticava tremendamente a trovare in se stesso degli
aspetti positivi, mentre gli altri non facevano altro che decantare la sua
bellezza e le sue doti, Kei non vedeva altro che un misero ragazzino che si è
fatto da solo tanto male quanto gliene hanno procurato gli altri.
Le
possibilità erano o seguire il consiglio di Takao e risparmiarle tutti i rischi
che comportava la sua vicinanza, voluti e non voluti, oppure continuare a
seguire quella parte di lui che lo spingeva ad avvicinarla e studiarla, fino a
carpire i segreti di tanta semplicità e genuinità.
Kei
non poteva garantirle sicurezza, né stabilità, non sapeva fino a che punto si
sarebbe spinto, ma se ciò che più lo aveva infastidito quella mattina era la
mancanza di fiducia che avevano verso di lui, non poteva fare a meno di
affidarsi a quella ragazza che costituiva il suo opposto.
-Ti
fidi di me?- chiese sospirando.
Hilary
annuì e sorrise, lasciandosi catturare dal braccio del russo che le cinse le
spalle e le fece appoggiare il capo al suo petto.
Restò
ferma e rigida per qualche istante, prima di abbandonarsi a quella stretta.
-Da
quando prendi le difese di Aiko?- chiese
improvvisamente il ragazzo dopo pochi minuti di silenzio.
-Da
quando tu stai con me e non con lei- disse affondando ancora di più il viso nella
sua maglietta, mascherando il rossore delle sue gote.
Kei
seguitò a stringerla e le accarezzò i capelli, lasciandole un piccolo bacio
sulla fronte.
Quando
rientrarono in classe insieme per le lezioni del pomeriggio furono fulminati
dagli sguardi dei loro amici. Si chiesero quanto sarebbe andata avanti quella
situazione.
Sicuramente
perdurò per tutto il tragitto di ritorno: infatti si limitarono a salutare
Hilary quando arrivarono all’incrocio delle rispettive vie di casa, ma non
aspettarono Kei che si era attardato per salutarla.
Non
che la faccenda lo irritasse più che nella mattinata, solo non era abituato
alla completa mancanza di attenzione: fino al mese prima avrebbe pagato per
avere meno chiacchiere nella testa, ma il passaggio all’opposto della medaglia
risultava alquanto strano.
In
effetti era strano che fino a quel momento agli altri tre fosse andato bene
qualsiasi suo comportamento, erano persone diverse e, quando aveva deciso di
lasciare la Russia, aveva quindi messo in conto di rovinare il loro equilibrio.
Quando
Nonno J si accorse della distanza che si era creata nel gruppetto chiese
delucidazioni, ma non gli fu data risposta da nessuno, anzi il discorso fu
prontamente deviato verso altri argomenti.
Ne
approfittò per stare solo con i suoi pensieri, nel buio del giardino, fresco e
silenzioso.
Ripensò
al cambiamento di quei mesi e a tutte le cose che erano rimaste uguali, guardò
la luna, a metà del suo viaggio per diventare piena. A quanto il cielo stesso
fosse diverso in quella parte del mondo, a quante volte lo aveva osservato
affidandogli mille pensieri discordanti e da quanto tempo non gli si era
concesso, preso da quella nuova vita così sana, ma così lontana.
-Kei-
Era
tanto sovrappensiero che Max quasi lo spaventò. Si riprese da quel momento di
malinconia per prestare attenzione alle parole dell’americano, già che qualcuno
aveva deciso che meritava di essere considerato.
-Senti..
Takao s’è preso molto a cuore questa faccenda, capiscilo..-
Kei
fece spallucce e lo osservò in attesa.
-Per
quanto mi riguarda, mi basta che siano tutti felici e se tu ed Hilary lo siete
insieme a me va bene.. credo di non averla mai visto sorridere tanto quanto
oggi!- concluse il biondo ridacchiando.
-Niente
minacce o avvertimenti?- chiese il russo con una punta di ironia.
-Niente!
Magari un consiglio..- continuò assottigliando gli occhi.
-Sarebbe?-
si informò l’altro curioso e divertito.
-So
che sei abituato con un altro.. genere di ragazze, ma Hilary è diversa.. con
lei vanno bene le cose semplici e normali!-
Kei
soppesò quel consiglio spassionato e genuino, indeciso se ridere o prenderlo
sul serio.
In
quella casa si poteva passare da un opposto all’altro nel giro di pochi
secondi: non sapeva se sarebbe mai riuscito ad abituarcisi.
-Dì
ai tuoi che torni più tardi-
-Perché?-
-Perché
ora vieni con me-
Kei
si era avvicinato al banco di Hilary alla fine dell’ultima ora di lezione
lasciandola confusa.
-Dove
andiamo?-
-In
giro- disse lui facendo spallucce ed esortandola a fare come aveva detto.
Si
allontanarono dalla scuola, avvicinandosi al centro del quartiere, nelle vie
più trafficate e piene di negozi.
-Che
sarebbe questa cosa?-
-Immaginavo
volessi un primo appuntamento- spiegò Kei facendola arrossire.
-Ma
per essere un vero appuntamento avresti dovuto avvertirmi prima, invitandomi ad
uscire- lo stuzzicò lei.
-Beh
in pratica è quello che ho fatto-
-L’hai
imposto in realtà-
-Non
puoi chiudere un occhio?- chiese perplesso; alla fine aveva deciso di seguire
il consiglio di Max immaginando che un’uscita classica potesse fare al caso suo
come ‘cosa semplice e normale’.
-Dipende
da cosa hai progettato- aggiunse sorridendo.
-Credo
che improvviserò- rispose leggermente spiazzato –Non sono molto esperto di queste
cose-
-Non
ci credo-
Kei
fece spallucce continuando a camminare tenendola per mano: aveva intrecciato le
loro dita senza pensarci e aveva continuato a tenerle e giocherellarci.
Percorsero
diverse vie prima che Hilary proponesse di entrare in un negozio di musica:
iniziarono a vagare per gli scaffali colmi di cd guardandosi intorno.
-Uh
è uscito il suo nuovo cd!- esclamò ad un tratto Hilary, ferma davanti alla
sezione pop.
-Di
chi?- chiese Kei avvicinandosi.
-Lauren
Bright.. Takao ne era innamorato l’anno scorso!-
ridacchiò –A te piace?-
-Mh.. qualche cosa, non la conosco bene..- disse facendo
scorrere gli occhi su altri nomi.
-E
questi? Sono ancora in giro?- cambiò argomento lei puntando su una band di
ragazzini.
-Sono
sempre meglio di lui- commentò l’altro indicandogli un cd con la copertina in
stile manifesto della ‘sagra della polpetta’.
-Ma
conosci questa roba? Come..-
Hilary
parve spaventarsi improvvisamente, come se avesse visto qualcosa attorno a lei
che non andava.
-Che
succede?- si informò lui calmo.
-Non
so nulla..- si fermò ancora con lo sguardo nel vuoto, prima di rispondere alla
tacita domanda del ragazzo -..non so nulla di te!-
Kei
ridacchiò scuotendo la testa.
-E’
vero.. non so cosa ascolti, cosa ti piace, cosa non ti piace..- la preoccupazione
della giapponese crebbe ogni volta che aggiungeva una caratteristica a lei
sconosciuta.
-Non
è la fine del mondo-
-Un
po’ sì..- constatò lei sconfortata -..mi sono sempre chiesta che ascoltassi con
quelle tue cuffie..- prese il cd che aveva commentato malamente pochi istanti
prima -..ma non credevo ti dessi così al trash!- e scoppiò a ridere.
-Ma
non mi piace infatti.. –
Hilary
iniziò allora uno studio per capire che tipo di musica piacesse a Kei: afferrò
diversi cd e chiese il parere dell’altro ottenendo risposte abbastanza mirate
per ogni artista nominato.
-Non
sapevo fossi un esperto.. li conosci tutti!-
-E’
che ho avuto parecchio tempo libero..- rispose distrattamente dirigendosi verso
un altro scaffale -..sono stato chiuso in casa per mesi a far nulla-
-Giusto-
aggiunse Hilary capendo che il russo si stava riferendo al periodo della
disintossicazione: ne aveva parlato con così tanta naturalezza che si era
stranita, ricordandole quanto davvero poco conoscesse Kei.
Uscirono
dal negozio poco dopo, decidendo la meta successiva.
Alla
fine puntarono verso un luogo ‘semplice e normale’, seguendo ancora una volta la
teoria di Max, trovandosi quindi al belvedere.
-Com’è
che ti piacciono i posti alti?-
-Cosa?-
-La
terrazza, il belvedere: tutti posti alti..-
-Coincidenza-
Si
sedettero sull’erba, all’ombra di una grande quercia.
Hilary
respirò l’aria fresca e, stiracchiandosi, si buttò supina imitata subito da Kei.
-Facciamo
un gioco..- se ne uscì lei voltandosi verso l’altro –Ora tu devi dirmi tre cose
che ti piacciono e tre che non ti piacciono, poi io vado con le mie-
-Cose
di che tipo?-
-Quello
che vuoi: colori, cibo, stagioni o che so io!-
Kei
si prese qualche secondo prima di sbuffare divertito: odiava parlare.
-Mi
piace il freddo, l’inverno e la vodka.. non mi piace il caldo, la storia e.. le
carote-
-Non
ti piacciono le carote?- chiese ridendo.
-No-
-Ok
tocca a me.. mi piacciono il giallo, le margherite e la primavera, invece non
sopporto la febbre, i ragni e gli horror!-
Scoppiò
a ridere continuando a richiedere informazioni su ogni cosa.
-Ora
dimmi..- arrossì formulando la frase -..una cosa che ti piace di me-
Kei
afferrò nuovamente le dita della ragazza, osservando il loro intreccio da varie
angolazioni, pensando alla risposta da dare a quell’ennesima domanda.
-Il
tuo riuscire sempre ad essere te stessa..- disse poi fissandola negli occhi
-..ora dimmi la tua-
La
giapponese rifletté in silenzio, staccandosi da quegli occhi magnetici: solo
facendo così riuscì a non cadere nel banale e scontato impulso di rispondergli
le sue iridi viola.
-Il
fatto che mi tieni per mano..- l’altro la guardò perplessa invitandola a
spiegarsi -.. non lo fanno tutti i ragazzi, invece tu mi prendi sempre per
mano.. è bello!-
-E’
normale-
-Non
per tutti!-
Kei
le sorrise dolcemente.
-Respira-
le sussurrò divertito, mentre la osservava trattenere il fiato, ma le diede
giusto il tempo di prendere aria che annullò il distacco tra i loro volti.
Le
aveva stretto la mano per tutto il pomeriggio, ma non l’aveva ancora baciata:
nonostante mantenesse sempre quel contatto fisico con lei non si lasciava
andare a troppi baci; ma ogni volta che lo faceva per Hilary era un colpo al
cuore che le aumentava i battiti.
Ormai
erano entrambi girati su un fianco, fronte a fronte, naso a naso, il viso a
pochi centimetri, quando Kei fece partire una carezza dalla gota della ragazza
che continuò sul collo, sulla spalla per terminare sul suo fianco.
-Posso
farti una domanda?-
-Con
tutte quelle che ti ho fatto io- rise lei osservandolo rapita.
-Quando
l’altra sera mi hai detto che non potevi darmi quello che volevo..- iniziò
facendola preoccupare -..è perché non l’hai mai fatto?-
Capì
di averla turbata, notando le sopracciglia incurvate, e per rassicurarla
disegnò ghirigori immaginari sul suo fianco in un lieve carezza.
-Sì-
-Perché
non hai mai trovato il ragazzo giusto o per qualche regola o..-
-Perché
me lo chiedi?- si informò preoccupata.
-Tu
mi vuoi conoscere.. io ti voglio capire- spiegò catturando il suo sguardo.
-Niente
ragazzo giusto..-
-Come
pensi di capire quando arriverà?- chiese incurvando la testa leggermente.
-Credo
che.. lo capirò-
-Gli
altri si sono comportati male con te o semplicemente hai capito che non erano
loro?-
-Guarda
che non sono un’esperta come te!-
-Io
non sono per niente esperto- rise lui.
-Beh
non ho avuto molti ragazzi.. uno era di scuola, direi che con lui l’ho capito,
mentre l’altro.. beh voi blader siete degli
sciupafemmine quando volete!- lo stuzzicò cercando di portare il discorso a suo
favore e non trovarsi troppo in imbarazzo.
-Blader? Lo conosco?- chiese lui curioso.
-Non
lo so.. può darsi-
-Dimmi
il nome-
-No..
mi vergogno!-
Kei
la guardò cercando di convincerla a rivelarle l’identità sconosciuta, ma Hilary
abbassò lo sguardo e si rannicchiò per evitare che quel viso magnifico la
facesse cadere nella sua trappola.
-Lo
scoprirò prima o poi- si arrese lui facendola rasserenare –Hai qualche altra
domanda per il tuo interrogatorio?-
Hilary
ci pensò su rimettendosi supina e osservando le nuvole muoversi veloci nel
cielo tinto dei colori del tramonto.
-Che
ore sono?- chiese improvvisamente, sedendosi e cercando il cellulare.
-Le
sette e mezza- la anticipò Kei mettendole una mano sulla nuca e attirandola
nuovamente a sé.
-Devo
andare a casa- affermò rattristita assecondandolo.
-Ti
accompagno- si offrì il russo baciandola.
Percorse
il tragitto al contrario sempre mano nella mano fino alla casa della ragazza.
Kei
buttò la sigaretta che si era acceso e la salutò davanti al vialetto di
entrata, mentre Hilary sbirciava verso le finestre.
-Che
cerchi?-
-Niente,
controllavo..- rispose evasiva prima che lui le afferrasse il mento.
-Lo
sanno i tuoi?-
La
ragazza scosse la testa lentamente.
-Allora
gli verrà un colpo quando mi vedranno- affermò sereno.
-Ma
no..- disse lei poco convinta, per quanto magnifico fosse Kei, qualsiasi
genitore si sarebbe stranito alla vista della sua immagine: sperò vivamente
che, se mai lo avessero visto, lui avrebbe indossato la divisa come in quel
momento.
Rientrò
poco dopo nel dojo, giusto in tempo per unirsi agli
altri per cenare.
Salì
le scale per andare a cambiarsi quando incontrò Rei, così che si premurò di
scansarlo per entrare in camera sua.
-Com’è
andata oggi?- la voce del cinese gli arrivò quando stava per aprire la porta.
Aveva
quindi deciso di rivolgergli di nuovo parola e accantonare l’avversione verso
lui e Hilary.
-Bene..-
rispose decidendo che non valeva la pena serbare rancore per una cosa del
genere, soprattutto poiché era a conoscenza del motivo per cui si era
risentito.
Si
scambiarono poche parole prima di riprendere le precedenti occupazioni.
Anche
Takao a cena si dimostrò deciso a dimenticare la diatriba del giorno prima e
tornò a stuzzicarlo come al suo solito, come se nulla fosse successo.
Tutto
sembrava essere tornato alla consueta normalità.
Uh.. ero
convinta fosse venuto più corto! Bah meglio u.u
Comunque non so
se esserne totalmente soddisfatta, ma questo è quello che ne è uscito.. in
verità sono tutta presa dagli eventi futuri che.. beh, voi non potete ancora
sapere!
Ormai molte di
voi mi conoscono per la mia malvagità quindi nemmeno adesso sarò da meno u.u
Vabbuò.. grazie come sempre a tutti quanti ^^ mi avete
fatto schizzare in alto il numero di letture del precedente capitolo (che
supera quello dei precedenti).. lo so che Qualcuna (anche più di una ;) ) lo
avrà aperto mille volte solo per Quella scena XD
Ihih vi lascio.. alla prossima settimana!
Un bacione :)
Ps: ovviamente
cantanti, gruppi e cd sono di mia invenzione u.u
anche se ho paura che la sagra della polpetta sia sempre in agguato! Ok la smetto
XD
Il
professor Kazumasa si era preso a cuore quella sua
avversione verso gli ideogrammi, troppo a cuore, tanto che aveva deciso di
ricorrere a metodi alternativi.
Il
perché Kei fosse così simpatico a quel professore ancora non lo sapeva, poiché
era rimasto sempre il solito scorbutico asociale e l’unica persona con cui
aveva cambiato leggermente questo atteggiamento era Hilary.
In
ogni caso si era ritrovato a dover assecondare il docente di giapponese e
andare alla lavagna, afferrare il gesso e attendere istruzioni.
-Allora.. prendiamo una frase da
un libro a caso- l’uomo, che nel frattempo si era seduto al banco di Kei, frugò
in una borsa di tela che si era portato con sé ed estrasse un grosso volume
–Rei scegli una pagina per piacere- disse con un sorriso, aspettando che
l’altro ubbidisse e gli indicasse una frase –Perfetto.. la frase è: “quelli volti al conseguimento dell’utile o allo sviluppo di una
maggiore efficienza dell’intero sistema”.. complicata.. bravo Kon!- aggiunse dando una pacca sulla spalla al vicino.
Kei
rigirò il gesso tra le mani e guardò perplesso l’adulto: che cosa ci doveva
fare con quella frase senza né capo né coda?
-Ora
la devi scrivere..- sembrò rispondere alla sua tacita domanda -..pensa al
significato e alle parole che la compongono, una volta che è ben focalizzata
nella tua mente scrivila-
Il
russo era sempre più scettico e la sua espressione non contribuiva a nascondere
quel suo stato d’animo, infatti alcuni ridacchiarono mentre Hilary lo incitava
con lo sguardo ad assecondare il professore.
-Dai,
facciamo così.. girati- rise il docente accompagnando le parole con un gesto
della mano –Girati!-
Kei
si girò sbuffando, trovandosi a pochi centimetri dall’ardesia.
-Ora
chiudi gli occhi..-
-Ma..-
tentò voltandosi, ma l’altro lo invitò a non fare storie.
-Ecco
dicevamo.. chiudi gli occhi e pensa a quello che ti ho detto- disse per poi
ripetere la frase in questione e invitarlo a trascriverla -vedrai che verrà
naturalmente-
Il
ragazzo, suo malgrado, obbedì e abbassò le palpebre, pensando al significato
delle parole, analizzandole; aveva detto che sarebbe stato naturale, che doveva
essere naturale e allora decise di seguire alla lettera quel consiglio, tanto
che iniziò a scrivere velocemente.
Riaprì
gli occhi a opera conclusa e si allontanò di pochi passi per osservare il
risultato: forse era venuta un po’ storta, ma le parole erano lì bianco su
nero, ben visibili e riconoscibili, o almeno per lui: era sicuro che in classe
non ci fosse nessun’altro a conoscenza del cirillico.
Le
lettere, in quella lingua a lui così familiare e così incomprensibile per gli
altri, rappresentavano esattamente la frase che il docente gli aveva dettato e
quello era stato il modo più naturale per scriverla.
Gli
alunni attesero col fiato sospeso la reazione del professore: era sempre stato
un uomo dalla battuta facile e cordiale, ma nessuno riusciva a immaginare come
avrebbe risposto a quel comportamento.
Kazumasa aveva gli occhi
spalancati e la bocca aperta per la sorpresa, ma quell’espressione durò solo
altri pochi secondi per tramutarsi in una fragorosa risata.
-Sei
forte, Kei! Sei forte!- gli disse tenendosi la pancia.
Quando
finalmente si riscambiarono i rispettivi posti, Kei si vide l’espressione
allibita di Rei scrutarlo profondamente.
-Ma
come ti è venuto in mente?- disse indeciso se ridere o piangere.
L’altro
di tutta risposta si limitò a fare spallucce.
-Buongiorno
Hilary!-
-Buongiorno
Nonno J!-
La
ragazza salutò l’uomo non appena attraversò il portone di legno.
-Sai
dov’è Kei?- gli chiese poi ottenendo le indicazioni sperate. L’anziano era
venuto a conoscenza della nuova relazione pochi giorni prima, dopo aver visto i
due scambiarsi attenzioni diverse dal solito, e non aveva perso l’occasione per
sottolineare quanto avrebbe voluto essere a conoscenza della situazione.
Ormai
potevano dire di non aver segreti con nessuno, persino Aiko
a scuola aveva capito di essere stata ignorata a causa di una ‘semplice
ragazzina’ e ovviamente si era premurata di smentire il fatto, nonostante la
verità avesse iniziato a trapelare.
Gli
unici ancora all’oscuro erano i suoi genitori ai quali aveva deciso di pensare
solo se ce ne fosse stata l’occasione, ovvero se si fosse ritrovata obbligata.
Non voleva rischiare di dover affrontare un dramma per quella relazione fino a
quel momento perfetta.
Circumnavigò
il dojo per arrivare nel giardino posteriore e
ritrovarsi davanti a Kei, seduto sull’erba a occhi chiusi e con le cuffie alle
orecchie.
Allungò
la mano e premette la punta del naso del ragazzo con il suo indice, facendogli
aprire gli occhi.
Il
ragazzo si sfilò le cuffie e spense l’mp3.
-Cosa
ascoltavi?-
-Canzoni
a random- rispose indifferente dandole un bacio.
-E
a che pensavi me lo dici?- insistette.
-Tutto
e niente-
Hilary
sbuffò divertita con le braccia incrociate dietro il collo del ragazzo.
-Io
invece pensavo che dovrei darti sinceramente delle ripetizioni..-
-Perché?-
-Perché
la scenetta di stamattina è stata divertente, ma non potrai andare avanti a
questo modo-
-Ah
no?- chiese afferrandola e cercando di zittirla con le sue labbra.
-Dai!-
si scostò a fatica –E a me serve la tua enorme sapienza matematica-
-Mh- continuò puntando al lobo dell’orecchio non potendo
arrivare alla bocca.
-L’altra
volta mi è andata bene solo perché me l’hai spiegata tu!- disse riferendosi
alla sua interrogazione avvenuta il giorno dopo quella di Kei.
-Ok-
accettò l’altro nonostante sembrava stesse pensando solo al collo dell’altra
piuttosto che alla matematica.
-Aah mi arrendo..- capitolò Hilary baciandolo a sua volta.
-Sai
cosa penso ora?- disse a sorpresa il russo.
-Cosa?-
-Che
dovresti accettare la proposta di Nonno J-
-Quale?-
chiese lei confusa non capendo a che cosa si riferisse.
-Di
fermarti a dormire qui qualche volta- rispose facendola arrossire.
-Ah
quella- erano passati esattamente 9 giorni da quella famosa giornata in cui
l’uomo le aveva ricordato la presenza della stanza degli ospiti e stesso giorno
in cui Kei si era fatto avanti con lei.
Il
ragazzo la fissò in attesa di una risposta con un sorrisetto di sfida.
Hilary
era assolutamente imbarazzata per quell’improvvisa proposta poiché non capiva,
o non voleva capire, cosa ci fosse dietro, ma allo stesso tempo dentro di lei
era sorta una voglia matta di seguire il consiglio e restare quella sera
stessa.
Respingeva
e agognava l’idea allo stesso tempo.
-Ci
penserò-
-Bene-
E
ci aveva pensato. Ci aveva pensato più di quanto non avrebbe voluto, per
diversi giorni, ma alla fine la trovò, la scusa per rimanere al dojo e non scomodare suo padre a fare il giro largo per
andare a prenderla.
In
verità era stato tutto molto improvvisato e annunciato per telefono, anche
perché se avesse chiesto il permesso a voce sicuramente il continuo arrossarsi
delle sue gote l’avrebbe tradita.
Sentiva
il costante impulso di stare vicino a Kei, anche se per lui non sembrava lo
stesso, o almeno per lui sembrava essere tutto semplicissimo, ogni sua azione
era ben calibrata e perfetta, la sua considerazione non troppo invasiva, ma
nemmeno assente. Rispettava i suoi spazi e i suoi limiti, ma Hilary sentiva che
forse non era abbastanza e desiderava ardentemente dividere il suo tempo e il
suo spazio con lui, per conoscerlo e capirlo finalmente in ogni suo aspetto.
-Allora
ti preparo il letto- aveva commentato semplicemente Nonno J, come a premurarsi
che lei avrebbe dormito nella solita stanza degli ospiti, quella a piano terra
con due corridoi e una rampa di scale a dividerla dal resto dei ragazzi.
L’unica
cosa che le mancava era un pigiama; tutte le volte che era rimasta a dormire
dai Kinomiya si era portata tutto il necessario, ma
non aveva mai pensato di lasciare lì qualcosa nonostante vi passasse più tempo
che a casa sua.
-Ti
presto qualcosa io- aveva annunciato Kei non appena esposto il problema.
Se
ne stava in piedi di fronte a lei, con la sua solita pacatezza e l’aveva
invitata a seguirlo con un semplice cenno.
Salirono
le scale diretti verso la stanza del ragazzo: Hilary si sentì improvvisamente a
disagio realizzando di non essere ancora entrata in camera sua, anzi proprio di
non essere mai stata da sola con lui in una stanza dall’aspetto così intimo.
Trattenne
il respiro senza rendersene conto quando la mano di Kei si poggiò sulla
maniglia e fece una leggera pressione per aprire la porta: davanti a lei si
presentava una semplice stanza ordinata e pulita, ma che sembrava nascondere
mille insidie.
Fece
pochi passi all’interno senza guardarsi realmente intorno e non si svegliò
dallo stato di confusione finchè il ragazzo non le
porse una maglia grigia.
-E’
parecchio grande.. vuoi anche i pantaloni?- chiese guardandola.
Hilary
dispiegò la maglia e la fece aderire al petto come per misurare la lunghezza.
-Direi
che va bene- commentò notando che le arrivava fino a poco sopra il ginocchio.
-Non
puoi dormire qui?- disse Kei improvvisamente, avvicinandosi e accarezzandole il
collo.
-Nonno
J credo non sarebbe d’accordo- balbettò lei baciandolo.
Si
sentiva come trasportata su un altro pianeta, come se quella stanza l’avesse
portata in completa balia del ragazzo, come se fosse stata vulnerabile e nuda
davanti al suo sguardo magnetico.
Un
colpo di tosse li fece staccare e Hilary intravide oltre la porta aperta Takao
con le mani sui fianchi che li guardava tra il disturbato e il divertito.
-Almeno
chiudete la porta- disse provocando nuovamente il rossore della ragazza che si
sbrigò a uscire dalla camera.
Kei
doveva aver fulminato con le sue ametiste Takao poiché sentì quest’ultimo
scusarsi.
Quel
giorno si sentiva iperemotiva e la vicinanza di Kei la rimbambiva ancora di
più: si era cacciata proprio in un bel guaio, ma la cosa che la sollevava e
allo stesso tempo la stordiva ancora di più era la realtà dei fatti: era il
russo che la prendeva per mano, che la cercava, che la baciava e che le
permetteva di stargli accanto.
Si
sentiva patetica da un certo punto di vista, ma quando poi lo vedeva si
dimenticava delle paturnie e dei dubbi: mentre si preparava per andare a
dormire si maledisse per non avergli augurato per bene la buonanotte come
avrebbe voluto e come avrebbe potuto.
Erano
stati insieme per tutta la sera, per non parlare dell’oretta tutta per loro sul
divano.
Annusò
la maglietta che Kei le aveva prestato e risentì il suo profumo e la sensazione
piacevole che aveva provato nel sentirsi stringere dalle sue braccia. La posò
aperta sul letto prima di rischiare di svenire sul momento.
Forse
avrebbe dovuto acconsentire alla sua proposta di andare in camera sua: perché
ora che era una possibilità lontano ne
vedeva tutti i lati positivi? Non poteva pensarci prima ad accettare? Almeno
avrebbero potuto studiare un piano di fuga.
Invece
da stupida si era lasciata sfuggire l’occasione e se ne stava pentendo
amaramente.
Si
sfilò la gonna e la maglia, afferrando il suo ‘pigiama’, pensando ancora al suo
possessore, e fu così che accadde una cosa strana: l’oggetto dei suoi pensieri
le apparve davanti.
Ebbe
pochi secondi per capire che Kei aveva appena aperto la porta senza bussare,
richiudendosela alle spalle, e capire di trovarsi mezza nuda in completo
imbarazzo
-Cosa
ci fai qui?- chiese balbettando e usando quel misero pezzo di stoffa come
scudo.
-Ti
sono venuto a trovare- rispose facendo spallucce e avvicinandosi alla ragazza
tanto da poggiarle le mani sui fianchi.
Hilary
divenne rossa come non era mai stata e si pentì di aver fantasticato così tanto
sull’altro. Ora che si trovava nella situazione che aveva sperato, era in
completo imbarazzo, soprattutto nel sentire il suo tocco sulla pelle nuda.
-Kei
mi stavo vestendo- sussurrò senza forze.
-Per
me puoi restare anche così-
La
giapponese riuscì ad alzare lo sguardo per fulminarlo e invitarlo a girarsi
senza ottenere i risultati sperati.
-Dai
per favore!- lo pregò.
-Ok,
ok- sbuffò l’altro voltandosi.
-E
poi da quand’è che fumi in casa?- chiese la ragazza infilandosi velocemente la
maglia, tirandone i lembi per tentare di coprire il più possibile.
-E’
spenta- evidenziò Kei riferendosi alla sigaretta che teneva tra le labbra.
-Perché
vai in giro con una sigaretta spenta in bocca?-
-Perché..-
sbirciò alle sue spalle per assicurarsi che avesse terminato di vestirsi -..ho
intenzione di fumarla- e si voltò definitivamente.
-Qui?-
-Era
l’idea- disse avvicinandosi e sovrastandola in altezza.
-Perché
non fuori o in camera tua?- disse deglutendo.
-Perché
qui ci sei tu..- soffiò facendola sorridere -..se non mi vuoi però esco-
-No,
no, no!- esclamò Hilary questa volta facendo spuntare un sorriso vittorioso al
ragazzo.
Il
russo le afferrò la nuca e la portò ad appoggiare il viso sul suo petto
sussurrandole –Non ho voglia di stare da solo-
L’ennesimo
istinto di toccarlo e stringerlo e baciarlo si fece largo nella testa di
Hilary, bloccato però dalla ragione e dal pudore. Perché riusciva a farle
quell’effetto? Come era riuscito a stregarla nel giro di quelle poche
settimane?
Lo
osservò dirigersi alla finestra e spalancarla, lasciando entrare un venticello
fresco che annunciava l’imminente arrivo di ottobre da lì a pochi giorni; erano
a piano terra, quindi non la preoccupò vederlo mettersi a cavalcioni per poi
sedersi sul davanzale.
La
piccola abatjour sul comodino bastava solo per illuminare fiocamente i contorni
della sua figura, ma la luna ormai piena, situata proprio davanti alla
finestra, completava il disegno perfetto del ragazzo.
Hilary
si sedette sul davanzale di fronte a lui, guardandolo azionare l’accendino e
perdersi nell’osservazione del cielo. Lo imitò, ma oltre la grande palla
argentata non riusciva a figurare nient’altro che il manto blu scuro, nessuna
traccia di stelle o pianeti, a causa dell’inquinamento luminoso della grande
città.
-E’
un peccato per le stelle..- iniziò, ma l’altro non sembrava averla sentita.
In
quei momenti in cui si focalizzava su qualcosa era arduo riuscire a
distoglierlo dall’obiettivo; non riusciva a comprendere come potesse essere
preso fino a quel punto da un dettaglio o da una visione, qualsiasi essa fosse,
così tanto da estraniarsi completamente dalle persone attorno a lui.
Aveva
affermato di voler stare con lei quella notte, ma per qualche motivo temette
che non fosse tutta la verità, che ci fosse qualcos’altro dietro: quando si
trattava del russo era paranoica e insicura, perennemente impaurita dalla
possibilità di non essere d’aiuto, di venire ignorata e buttata via per la
propria inutilità.
Le
parve di tornare indietro nel tempo, alla sera dei fuochi, quando si era
fermata a fissarlo per diversi minuti, mentre lui era completamente preso dal cielo,
da uno spettacolo contro il quale lei non poteva competere. In quell’istante,
come allora, non poteva fare a meno di sentirsi fortunata ad essere al suo
fianco, ma allo stesso tempo infinitamente lontana da lui, dai suoi occhi, dai
suoi magnifici occhi.
Li
osservò riflettere lo splendore della luna, anch’essa immersa in quelle
ametiste, in balia di quel colore, quasi inferiore a quella bellezza.
-Potrei
essere arrivata a una conclusione..- ritentò Hilary alzando la voce e attirando
l’attenzione dell’altro.
-Mh?-
-Dipende
dalla luce.. il colore dei tuoi occhi- iniziò mordendosi il labbro inferiore
–quando c’è tanta luce, al sole, diventano rossi.. al contrario, con poca
intensità, sono viola-
Kei
incurvò la testa verso destra, ma presto si riconcentrò sulla sua sigaretta e
sulla luna.
Hilary
non poteva sopportare il ripiombare del silenzio.
-Impazzirò..-
ridacchiò per poi continuare -..nessuno è mai impazzito per i tuoi occhi?-
-Solo
io- disse improvvisamente fissandola seriamente –Sono una maledizione- aggiunse
sospirando e chiudendo le palpebre.
-Dovresti
andarne fiero invece.. sono belli- cercò di consolarlo, non capendo il perché
di quello smarrimento.
Kei
scosse la testa e riaprì gli occhi –Sono molto più reali i tuoi-
-Vuoi
dire che tu non sei reale?- cercò di stemperare l’atmosfera con un sorriso
–Saresti frutto della mia fantasia?-
-Potrei-
disse aspirando il fumo –Non ti sembra mai che tutto quello che ti sta intorno
sia irreale?-
Rispose
immediatamente di sì, ma non gli confessò che era proprio quello che provava
quando stava con lui: che tutto era troppo bello per essere vero, ma che la sua
presenza glielo confermava, il trascorrere delle giornate sempre al suo fianco
la tranquillizzava –A te?-
-Da
mesi ormai.. è tutto così irreale-
-Cosa
intendi dire?-
-Questa
vita.. è così diversa, così strana che credo sempre di potermi svegliare da un
momento all’altro e scoprire di essermi immaginato tutto..- confessò a voce
bassa, ma con sincerità.
-Rispetto
a cosa?- si informò, intuendo la risposta.
-Alla
mia vita-
-Questa
è la tua vita!-
Kei
si massaggiò il collo, respirando lentamente –Meno male che almeno tu ne sei
convinta-
Hilary
resistette all’insensata voglia di approfondire il discorso, ma la paura di
scavare troppo a fondo nell’animo dell’altro la fece desistere. Era curiosa e
interessata a ogni aspetto del suo carattere, ma qualcosa nella sua testa le
consigliava di non indagare.
-Smetterai
mai di fumare?- cercò di cambiare discorso.
-No-
-Mai
dire mai- lo stuzzicò.
-Le
sigarette sono la mia medicina..-
-Una
medicina che ti uccide?- non resistette dal commentare la ragazza.
Kei
incontrò le sue iridi nocciola e la scrutò a fondo mettendola a disagio tanto
che dovette abbassare lo sguardo. Hilary non avrebbe voluto cedere, ma non
poteva competere con quello sguardo invalicabile, tanto che si ritrovò a
fissare la mano nivea appoggiata sul davanzale.
La
magia di quella notte sembrava essersi all’improvviso spenta, ma voleva
ritrovarla, tanto che afferrò le dita del ragazzo e le congiunse con le sue,
come tante volte avevano fatto in quelle due settimane. Le strinse e le osservò
in silenzio cercando una distrazione, ma ormai in quei minuti aveva intrapreso
la via tortuosa dei pensieri di Kei, confusa e complicata, e capì che non
sarebbe potuta scendere da quel treno in corsa che era la mente del ragazzo,
una volta salita poteva solo avventurarsi più in profondità.
Con
la mano sinistra gli fece spalancare le dita, mentre la destra gli afferrò e
accarezzò il palmo, per poi risalire sul polso, sull’avambraccio e finire
nell’incavo del braccio, disegnando con le dita un cerchio immaginario attorno
a quel punto colore della pece, ancora visibile a dimostrazione del passato del
russo. Indugiò sulla pelle che lo attorniava per diversi secondi prima di decidersi
a sfiorarlo, non senza timore e insicurezza.
Si
bloccò, alzando lo sguardo e incontrando quello di Kei che la scrutava in
attesa della mossa successiva, non arrabbiato o infastidito, ma calmo e
controllato.
-Da
quanto hai smesso?-
-Nove
mesi e tre settimane-
-Tieni
ancora il conto?-
Avevano
abbassato notevolmente il tono della voce, ma il silenzio della notte non
ostacolava la loro conversazione.
-Mi
aiuta-
-Senti..-
iniziò incerta se andare avanti, ma poi si convinse a buttare in tavola tutti i
suoi dubbi -..se ora ti offrissero una siringa con della.. della..-
-Eroina-
concluse per lei.
-Sì,
dell’eroina.. tu che faresti?-
-Probabilmente
me la caccerei in vena- rispose con il solito tono di voce che però a Hilary
sembrò glaciale e disperato allo stesso tempo, probabilmente per lo stato
d’animo che la pervadeva.
-Per
quale motivo?-
-Mi
farebbe sentire normale-
-Ora
come ti senti invece?-
-Come..
in un limbo.. non so..- disse scuotendo la testa.
-Ma..
ma tu non vuoi riprovarci..- aggiunse, cercando conferma.
-No..
ma è meglio se non ci penso troppo, cerco di distrarmi.. ho bisogno di
distrarmi-
-E
ci riesci?-
-A
volte.. con te sì..- soffiò cercando i suoi occhi.
Hilary
fece scorrere la mano, che era rimasta sul segno del buco, sulla spalla fino al
viso del ragazzo, afferrandolo anche con l’altra per avvicinarlo al suo petto
abbracciandolo e lasciandogli un bacio sulla fronte.
Il
contatto non durò più di un minuto: alla giapponese era già capitato di
stringerlo a quel modo, il pomeriggio dell’attacco di panico, e, ricordando,
una scarica elettrica le attraversò la spina dorsale convincendola a
staccarsene. Il suo corpo si comportava in maniera strana in presenza del russo
ed era ancora restia ad accettarlo.
-Come
mai stasera stai così?- gli chiese.
-Sto
sempre così- confessò lui tornando a guardare la luna.
-Io
ci sono- disse lei prima che il silenzio piombasse sui due.
Kei
fumò un’altra sigaretta prima di decidersi ad alzarsi e permettere alla ragazza
di chiudere la finestra.
-Buonanotte-
Hilary
si appese al suo collo stampandogli un bacio sulla guancia.
-Mi
mandi via?- chiese lui stringendola.
-Ma..
Nonno J se..-
-Quando
sono sceso dormivano tutti.. e domani mattina sarò uscito da qui prima che se
ne accorgano- propose.
-Il
letto è piccolo..- aggiunse riferendosi al materasso a una piazza, chiedendosi
mentalmente perché stesse ponendo così tanta resistenza.
Kei
la guardò scettico prima di vederla cedere al suo sguardo.
-Cosa
fai?- chiese la ragazza improvvisamente, mentre tirava giù le lenzuola.
-Fa
caldo a dormire coi pantaloni-
-Già
ci sono io senza pantaloni-
-Di
solito non ho nemmeno la canotta quindi..-
-Ok,
ok- capitolò Hilary facendosi forza.
Kei
era il suo ragazzo ed era normale che volesse dormire con lei e non era la fine
del mondo se stava solo in boxer, in costume l’aveva già visto, e lui era il
suo ragazzo.
Se
lo ripeté nella testa mentre si sistemavano sotto le coperte; si fissarono,
l’uno di fronte all’altra, entrambi su un fianco.
-La
luce- le ricordò Kei vedendola in difficoltà.
-Giusto-
allungò un braccio verso il comodino e spense l’abatjour perdendo la visuale
degli oggetti attorno a lei, scorgendo ora solo il contorno a causa di uno
spiraglio proveniente dalle tende.
Non
appena si risistemò sul fianco una miriade di pensieri si fecero largo nella
sua testa: che cosa si aspettava adesso Kei? Non è che tutta quella serata era
stata organizzata per convincerla a fare qualcosa con lui? Ma soprattutto, lei
era proprio sicura che non volesse che tutto ciò accadesse?
Quanta
confusione portava quel solo e unico essere umano.
Sentiva
la mancanza del suo contatto, nonostante fosse a soli pochi centimetri da lei,
da qualche parte nel buio; ne percepiva il calore, ma non distingueva la
figura.
-Buonanotte-
la sua voce profonda le ricordò quanto vicino fosse e la convinse che il
ragazzo volesse solo dormire: inspiegabilmente provò una specie di delusione
che non riuscì subito a identificare e della quale si scordò ben presto poiché
avvertì le braccia di Kei circondarla e stringerla.
Si
ritrovò le mani a contatto con la sua canotta e involontariamente la strinse,
assaporando nuovamente il suo profumo.
Un
insieme di emozioni le permisero di abbandonarsi completamente: sarebbe potuto
succedere di tutto nel mondo, qualsiasi cosa, una guerra, un terremoto, un
meteorite e lei non avrebbe voluto lasciare quella posizione, quelle braccia
che sembravano proteggerla dal mondo. Il silenzio assecondò i suoi processi
mentali e iniziò a divagare tra mille pensieri: quel mondo da cui si sentiva
protetta poteva essere quello da cui lui stesso era scappato, dal quale si
sentiva ancora oppresso, come aveva capito dai suoi discorsi di quella notte.
Kei presentava due facciate: una indifferente e impassibile, che sembrava non
poter essere scalfita da niente e nessuno, la stessa che la faceva sentire così
al sicuro, e un’altra fragile e instabile che la spingeva a voler invertire le
posizioni, ad essere lei a proteggerlo.
Voleva
mettere in pratica questo suo bisogno di tenerlo al sicuro, ma quando strinse
le braccia non trovò niente, solo aria; poi nel buio qualcosa dietro di lei la
spaventò e la costrinse a iniziare a correre in un corridoio scuro, un
corridoio senza pareti; doveva trovare qualcosa di cui non conosceva l’aspetto,
lo cercava, ma non lo trovava, poi..
-Ahi-
Improvvisamente
aprì gli occhi, ma non cambiò molto poiché il buio regnava nella stanza, che
però era immobile e calma al contrario di quella che aveva appena lasciato.
Cercò di riconoscere il profilo della mobilia e lentamente si ricordò di essere
a casa di Takao, di essersi fermata a dormire lì, quindi di trovarsi nella
stanza degli ospiti, e di Kei che era rimasto con lei.
Finalmente
la voce che aveva sentito acquistò un volto nella sua mente: doveva essersi
addormentata e quello che l’aveva turbata doveva essere stato un sogno che già
iniziava a dimenticare.
-Ehi-
Kei
la cinse da dietro.
-Ehi-
-Brutto
sogno?-
-Sì..
ti ho svegliato?-
-Non
dormivo.. anche se non ci sarei riuscito comunque con te che ti dimenavi-
Hilary
arrossì e ringraziò il buio poiché nascondeva il suo imbarazzo, per l’ennesima
volta.
-Scusa-
-Tranquilla..
non dormivo-
-Se
vuoi andare su ti capisco- disse lei sconfortata: doveva ammettere che la mano
sul suo ventre la rassicurava.
-Perché?-
-Così
magari riesci a prendere sonno-
-Sono
abituato alle notti in bianco-
-Ah-
La
ragazza afferrò il braccio che la attorniava e lo strinse ancora di più,
affondando la testa nel cuscino.
-Sogni
d’oro- le sussurrò il ragazzo.
-Magari-
Si
zittirono, ascoltando solo il rumore dei respiri che si sincronizzavano.
Trascorse
un tempo indefinito prima che Hilary riaprisse gli occhi.
-Non
ho più sonno- esclamò piano, così nel caso l’altro si fosse addormentato non lo
avrebbe svegliato.
-Potrebbe
essere un problema- le rispose invece.
-Decisamente..
che si fa?- chiese ingenuamente.
-Io
un’idea ce l’avrei- disse l’altro mordendole a tradimento il lobo
dell’orecchio.
La
ragazza si irrigidì improvvisamente.
-Tranquilla..-
la rassicurò avvertendo il disagio -..non farei mai nulla senza il tuo
permesso-
A
quelle parole si rasserenò senza volerlo: non voleva dargli l’impressione di
non avere fiducia in lui e nella sua capacità di tenere a bada gli istinti.
Senza contare che una parte di lei ancora lottava per far sì che acconsentisse.
Rimase
in silenzio qualche secondo prima di girarsi per essere fronte a fronte con
Kei, nonostante non riuscisse a vederlo –E se lo volessi?-
-Cosa?-
chiese confuso per il repentino cambio di tono di voce.
-Che
tu facessi.. noi facessimo qualcosa?- disse tutto d’un fiato, complice il buio
e la sua completa adorazione verso il russo.
-Cosa
ti frena?- chiese lentamente.
-Non
lo so.. io vorrei.. ma non voglio.. ho paura..- non riusciva a completare una
frase, anche perché nella sua testa c’era una confusione di elementi
discordanti. Si tranquillizzò immaginando il sorriso che spuntava a Kei ogni
qualvolta lei si lasciava andare a mezze frasi e si imbarazzava.
-Ti
fidi di me?- domandò il russo –Ti fidi davvero?-
Rimase
in silenzio qualche secondo, prendendosi più tempo di quella volta in terrazza,
prima di rispondere nuovamente –Sì, mi fido-
Si
aspettava una spiegazione per quella domanda, ma invece sentì le labbra di Kei
congiungersi con le sue e baciarla, dapprima dolcemente per poi approfondire il
contatto. Una mano del ragazzo era sul suo volto mentre l’altra sul fianco che,
con una leggera pressione, spinse verso di lui annullando la distanza tra i
loro corpi. Hilary, dopo la sorpresa iniziale, si appese alla sua canotta e ai
suoi capelli assecondandolo.
Avrebbe
voluto vedere il suo volto, in quel momento più che mai, e maledisse
mentalmente il buio che fino a poco tempo prima era stato suo amato
complice.
Improvvisamente
sentì Kei muoversi e fare leva sul materasso, tanto che si ritrovò sdraiata
supina con l’altro sopra di lei, con i corpi ancora come incollati, senza
sentire alcun peso gravarle addosso, ma esclusivamente il suo calore e il suo
profumo.
Si
accorse appena di fargli pressione con le mani in modo che non si staccasse da
lei e inconsapevolmente piegò la gamba su cui si era appropriata la mano di Kei
che in quel momento risaliva la coscia per infilarsi sotto la maglia e
accarezzarle la pelle nuda del ventre e del fianco.
Si
staccarono per prendere fiato, ma il russo non si fermò e si concentrò sul
collo della ragazza ricoprendolo di attenzioni.
Hilary
perse la cognizione del tempo e dello spazio: era consapevole solo della
presenza di Kei e, grazie a lui e alle sue mani e alla sua bocca, della
propria. Sentiva come parte integrante del suo corpo solo ciò che lui toccava o
assaporava; e allo stesso tempo cercava, attraverso i suoi sensi, di testare la
reale esistenza del corpo sopra di lei.
Kei
fece come aveva promesso tacitamente, la sua parola che avrebbe fatto bene a
fidarsi di lui: l’accarezzò, le spostò i vestiti, la ricoprì di baci, ma ogni
volta che il corpo della ragazza tradiva incertezza o timore o disagio, si
stoppava e cambiava rotta.
Si
fermarono ancora abbracciati, avanzando qualche casto bacio, e, solo dopo aver
condiviso qualche respiro e qualche carezza, si addormentarono.
-Mmh-
Hilary
mugugnò nel sonno, mentre Kei cercava di liberarsi dalla sua stretta per
alzarsi.
Fuori
il sole era già sorto e, dalle tende chiuse male, illuminava vagamente la
stanza.
Alla
fine avevano dormito poche ore, o almeno lei, poiché Kei aveva dovuto
combattere contro l’irrequietezza della giapponese.
Si
divertì dell’espressione imbronciata che aveva messo su e dei capelli arruffati
che si disperdevano sul cuscino.
Quando
finalmente riuscì a scavalcarla, la vide aprire gli occhi: tutta la fatica per
non svegliarla era andata a farsi benedire.
-Dove
vai?-
-Di
sopra.. ricordi Nonno J e le sue raccomandazioni?- disse recuperando i
pantaloni.
Hilary
si guardò intorno spaesata prima di annuire non del tutto convinta.
-Dormi
ancora un po’.. è presto- le raccomandò andando verso la porta.
-Bacio-
-Cosa?-
chiese divertito pensando di non aver sentito bene.
-Bacio-
ripeté la giapponese allungando una mano come per afferrarlo.
Kei
scosse la testa, ma si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte: sembrava
contrariata per non averlo ricevuto sulle labbra, ma il ragazzo essendo molto
più sveglio di lei riuscì a defilarsi.
Era
stata una nottata strana: la sera prima stava davvero a pezzi, era stato uno di
quei suoi momenti no, ma era davvero riuscito a distrarsi.
Con
Hilary provava delle sensazioni strane: era così buona e ingenua che aveva il
continuo timore di portarla realmente sulla cattiva strada e, nonostante avesse
assicurato a tutti il contrario, non era totalmente sicuro del suo impegno
‘niente sesso’: eppure quella notte si era contenuto
perfettamente, il solo pensiero di ferirla e di perdere la sua fiducia era
bastato per accontentarsi.
A
lui in fondo bastava stare bene e fare dei passi avanti. E quello poteva
esserlo. Magari non per il resto del mondo, ma per lui lo era eccome.
La
differenza tra loro era così ampia che lo confondeva: Hilary si interessava
sinceramente a lui, a quello che pensava, e concedeva sempre un sorriso ad ogni
suo comportamento. Lui non sapeva risponderle nel modo adeguato e riusciva a
malapena occuparsi di se stesso, figurarsi prendersi cura di un’altra persona e
trattarla opportunamente. Poche ore prima aveva tentato di donarle qualcosa di
sé, aprendo per poco tempo i suoi pensieri, ma si era immediatamente richiuso a
guscio e l’aveva nuovamente estraniata. Prima di aprirsi completamente a quella
relazione avrebbe dovuto chiudere col passato, poiché le due cose non potevano
convivere.
Ma
era tutto fuorché semplice, soprattutto
ammetterlo a se stesso e accettarlo.
Dormì
ancora un’oretta dopo che Kei era uscito.
Al
suo totale risveglio andò in bagno e si rivestì: provò un moto di avversione
verso i propri indumenti che non possedevano quell’odore che ormai si sentiva
addosso.
Solo
una volta pronta iniziò a realizzare il significato delle ore appena passate:
si era avvicinata a Kei come non aveva mai fatto con nessuno e si era sentita
bene come non mai.
Ringraziò
la parte di lei che le aveva fattocedere, ma anche quella che era rimasta ferma sulle sue convinzioni:
sempre in balia di quello strano dualismo che si impadroniva di lei una volta a
contatto con lui. Il russo continuava a ripeterle quanto fosse strana e dovette
dargli ragione solo considerando un altro fattore: si comportava stranamente
solo da quando lo conosceva.
Sentì
oltre la porta un vociare e si convinse a raggiungere la cucina nella quale si iniziava
a fare colazione: era più tardi di quanto immaginasse, ma essendo sabato mattina
si autoconvinse che non fosse poi così grave.
-Buongiorno!-
esclamò a un Max piuttosto assonnato, intento a spalmare della marmellata sul
pane.
Rei
entrò poco dopo trascinando Takao.
-Ma
ti ho detto che sto male!- stava cercando di divincolarsi il giapponese.
-E
cosa avresti?- si informò il cinese scettico.
-Pigrizia
acuta!- affermò convinto Nonno J.
Hilary
osservò il quadretto che solitamente la faceva penare, ma che quella mattina
riusciva a sopportare di buon grado.
-Di
buon umore stamattina?- le sussurrò Max dall’altro lato del tavolo.
La
ragazza annuì alzandosi per prendere il necessario per la colazione; scorse Kei
in giardino intento a finire la sua sigaretta e lo salutò facendo ondeggiare le
dita.
Il
russo entrò in cucina e si sedettero tutti composti al tavolo.
-Ma
quale sarebbe lo scopo di questa gita?- si informò Nonno J, bevendo il suo
caffè in piedi, appoggiato al piano cottura.
-Non
la chiamerei proprio una gita..- rispose in stato catatonico Takao -..due
miseri giorni, uno dei quali un sabato, quindi non saltiamo nemmeno le
lezioni!-
-L’altr’anno
non ne abbiamo fatto nemmeno di quelle da una giornata.. accontentati!- lo
sgridò Rei.
-Comunque
è per la festa dello sport..- disse Hilary stiracchiandosi.
La
ragazza vide Max che la fissava improvvisamente attento e pensò di aver detto
qualcosa di sbagliato, nonostante sapesse bene non fosse così.
Lo
guardò chiedendogli tacite spiegazione, ma l’altro si limitò a grattarsi il
collo.
-Ma
non inizia il lunedì?-
-Sì,
ma il prof vuole andare a vedere ‘sto museo in ‘sta città sconosciuta che però
da lunedì sarà assediata!- si lamentò Takao.
-Dai
che vi divertirete- concluse Nonno J sicuro che avrebbero trovato qualcosa da
fare anche nel deserto.
-Ma
è già tanto se in quel posto ci sono le case.. ho controllato su google!-
-Basta
lamentarti Takao e mangia!- sbuffò Rei osservando confuso lo scambio di
occhiatine tra il biondo e la ragazza.
Anche
l’uomo li scrutò perplesso prima di uscire dalla cucina.
-Si
può sapere che c’è?- chiese finalmente Hilary all’amico che aveva iniziato a
ridere.
-Credo
si riferisca al succhiotto- disse Kei calmo, dondolandosi sulla sedia con aria
tranquilla.
-Succhiotto?
Quale succhiotto?- soffiò incredula la ragazza, tastandosi il collo per
coprirlo.
Il
russo le si avvicinò e toccò con l’indice il punto incriminato.
-Scusa..
non l’ho fatto apposta- affermò il ragazzo non troppo dispiaciuto.
-Ieri
sono stato l’ultimo a vederti e non ce l’avevi!- l’accusò Takao con la bocca
spalancata.
-A
quanto pare non sei stato l’ultimo come pensavi- rise Max prendendo in giro
l’amico, mentre Hilary scuoteva la testa sconsolata nella speranza che almeno
Nonno J non se ne fosse accorto.
>///<
ebbene non ne sono capace.. ho tentato, ma ho rinunciato.. io e le lemon non andiamo propriamente d’accordo.. meglio lasciarle
fare a chi le sa davvero scrivere!!! Guardate il lato positivo.. lascio ampio
spazio alla vostra immaginazione!
Vabbè.. passiamo
oltre.. pensavate alla gita eh come prima notte passata insieme anche solo a
coccolarsi? :3 e invece no u.u c’è stata prima
questa! Voi (eh sì sapete che mi sto riferendo proprio a voi) lo so che partirà
il Castello Time (che probabilmente userò come prossima rubrichetta inutile
XD), ma ve lo lascio fare.. intanto ormai chi vi ferma più -.-
Comunque grazie
come sempre a tutti quanti :O non so se è la stagione estiva che vi ispira, ma
state aumentando ogni giorno ^^ che bella cosa!
Nel frattempo,
visto che è periodo di esami e dovrei studiare invece che stare al computer, mi
sono messa a sistemare l’html dei primi capitoli che
era tremendo (della serie: si farebbe di tutto pur di non studiare) e sono
diventata un geniaccio XD cioè sono ai fondamentali, ma è già qualcosa
considerando il mio livello precedente u.u
La smetto? La
smetto!
Alla prossima
settimana ragazzuole (non credo ci sia qualche ragazzuolo, nel caso mi scuso O_o
ok basta ciarlare!)
Un bacione :)
Ps: nelle ultime
24 ore il Grande Demone Celeste mi ha dato del grande filo da torcere.. vediamo
se metterà lo zampino anche nelle vostre opinioni è___é
XD
Ps 2: un bacione
a tutte le maturate xD soprattutto a Lily che ci teneva
a un bel regalino u.u dai un pezzo di questo capitolo
lo puoi prendere comeomaggio a te XD
Una
cittadella da qualche parte nella prefettura di Miè
era la loro meta: le uniche attrazioni di questo luogo erano un museo
riguardante le Olimpiadi del ’64 e un imponente stadio che da lì a due anni
avrebbe ospitato i mondiali di ginnastica ritmica. Questo a detta delle uniche
due persone che sembravano interessate al reale scopo della gita, cioè due loro
compagne di classe che praticavano a livello agonistico questo sport.
Per
tutti gli altri era solo un’occasione per trascorrere due giorni lontano da
casa e saltare un giorno di scuola. Persino le cinque ore di viaggio in pullman
erano colte come occasione per divertirsi da tutti i membri della classe.
Tutti
meno che uno, totalmente indifferente a qualsiasi attrattiva di quella gita.
In
confronto, anche i due professori accompagnatori erano più entusiasti di Kei
nel pensare alla prospettiva di quei due giorni.
Non
appena il professor Katsumasa e la professoressa Faishi, quella di arte, finirono di fare l’appello,
salirono tutti sul mezzo che li avrebbe condotti a destinazione; si fiondarono
in massa verso il fondo per occupare i sedili posteriori e solo qualcuno si
accontentò di quelli più davanti.
Kei
si premurò di salire per ultimo e, dopo una veloce occhiata, ignorò il richiamo
di Takao e si sedette nel posto più isolato.
Osservò
fuori dal finestrino le mani svolazzanti di alcuni dei genitori che avevano
accompagnato i loro figli e tra di loro il padre di Hilary che si stava già
dirigendo verso la macchina: la giapponese si era raccomandata con Kei perché
facesse attenzione a non farsi vedere con lei come suo ragazzo e così aveva
fatto, nonostante gli sembrasse che comunque l’uomo lo avesse guardato male
diverse volte.
Il
pullman partì e, dopo poche svolte, già regnava il caos.
La
parte peggiore riguardava il docente organizzatore della gita che sembrava
essere il meno maturo della combriccola; infatti, dopo pochi minuti in cui
aveva recitato la parte della persona responsabile, si era lasciato andare
completamente urlando un –Mizuhara lo hai portato?-
al biondo seduto dalla parte opposta del mezzo.
Max,
d’altro canto, aveva trotterellato giulivo verso il professore e gli aveva
porto un cd.
-Of
course!-
Kei
affondò nel sedile esasperato non appena fu azionata la musica e una canzone
disco iniziò a diffondersi nell’abitacolo.
Ascoltava
di tutto, amava la musica, era uno dei suoi passatempi, ma non quella mattina:
era piuttosto stanco poiché nell’ultima settimana aveva dormito male, gli
capitava spesso di avere sonno, ma non riuscire a chiudere occhio, e la cosa lo
irritava.
L’unica
nota positiva di quel momento era che non era stato costretto a indossare la
divisa, altrimenti la scomodità di quegli indumenti malefici lo avrebbero
innervosito ancora di più.
Chiuse
gli occhi, appoggiando la fronte al finestrino; cercò di isolare i suoni che
provenivano dall’esterno e liberare la mente da ogni pensiero.
-Ehi-
La
voce squillante di Hilary lo fece desistere dal suo obiettivo e aprì gli occhi
lentamente, senza abbandonare la sua posizione.
-Ieri
sera l’ho accennato a mia madre..- iniziò dopo una serie di scuse per la
scenata della mattina -..e lei deve averlo detto a mio padre.. hai visto come
ha scrutato tutti gli esemplari maschi della classe?- continuò sorridendo.
-Ho
notato-
-Ovviamente
non le ho detto che sei tu..-
Kei
ascoltò i discorsi di Hilary in silenzio, annuendo ogni tanto, per farle capire
che la stava ascoltando, ma non aveva la forza di rispondere più che con una
sillaba. Da quando stavano insieme parlavano parecchio, o almeno lui parlava
molto per i suoi standard abituali. Invece, in quel momento, aveva bisogno più
che mai di silenzio, ma nonrisultava
possibile.
Hilary
sembrò intuire il suo stato d’animo e si accoccolò in silenzio con la testa
appoggiata sulla sua spalla: il russo automaticamente si spostò dal finestrino
e poggiò a sua volta il capo su quello dell’altra.
In
quella posizione risentì il torpore che lo aveva colto prima che arrivasse la
brunetta e pensò di poter dormire per un po’, ma le canzoni che si susseguivano
gli rimbombavano sempre di più nelle orecchie e lo disturbavano.
Sbuffò,
facendo ridacchiare Hilary.
Rinunciò
al tentativo di addormentarsi e prestò attenzione alla musica cercando di
renderla più sopportabile. Inevitabilmente si ritrovò a tenere il tempo con le
dita.
-Come
fai?- chiese Hilary dopo un po’.
-Mh?- Kei alzò il capo guardandola, non avendo capito a cosa
si stesse riferendo.
Lei
non distolse lo sguardo dalle mani del ragazzo.
-A
beccare tutti gli accenti.. se non vedevo le tue dita nemmeno me ne
accorgevo..-
Il
russo si bloccò improvvisamente cercando di capire quelle parole e trovare una
risposta: gli sembrava una cosa talmente ovvia sentire determinati accenti che
non comprendeva la sua perplessità.
-E’
naturale..-
-Se
mi dici così mi sento handicappata..- rise lei.
-Non
capisco cosa non senti..-
-Tenevi
un tempo che ho faticato a sentire.. non so come si chiama..-
-Il
beat?- si informò.
-Boh..
sei tu l’esperto-
Ricadde
il silenzio tra i due e Kei riprese l’attività precedente come se niente fosse.
-Non
ti sei mai fatto vedere..- sussurrò Hilary poco dopo.
L’avversità
verso qualsiasi tipo di dialogo lo costrinse nuovamente a chiedere spiegazioni
con un cenno.
-..ballare,
ogni volta che arrivo tu smetti..- soffiò lei in risposta.
Era
vero: le poche volte che lo aveva visto era stato di nascosto, ma quando se ne
accorgeva, Kei si fermava subito. Se non glielo avesse fatto notare, non se ne
sarebbe accorto.
Come
ogni cosa, lo faceva senza pensarci troppo: semplicemente quando veniva
interrotto smetteva.
-Perché?-
-E’..
personale- disse senza trovare parola più adatta. Si spostò dalla posizione in
cui si erano accoccolati e si sedette composto.
-Si
potrebbero condividere certe cose..- scattò lei con una nota di stizza nella
voce.
Il
ragazzo incassò la frecciatina, ma non rispose.
Prese
a guardare il paesaggio scorrere oltre il finestrino e non la fermò quando la
sentì alzarsi, probabilmente per cambiare posto. Era bastata una semplice
mattinata storta per rovinare giorni di intesa, ma non poteva farne a meno.
Il
viaggio sembrava comunque interminabile, non osò guardare l’orologio, poiché
contribuiva solo a rallentare la percezione del tempo. Fissò lo sguardo nel
vuoto perdendosi tra mille pensieri, ma senza riuscire a riposare, sempre più
nervoso; quei periodi critici lo riportavano al passato e lo costringevano ad
attivare un campanello d’allarme.
Non
era propriamente voglia di farsi, quella non la avvertiva più, o almeno non
direttamente: era più che altro un bisogno di fare, fare qualcosa, avere
legami, avere un obiettivo: solo il non riuscirci e il rassegnarsi lo riportava
indietro di mesi, lo faceva regredire: però non aveva intenzione di arrivare
fino a quel punto. Doveva solo combattere l’apatia.
Si
pentì di aver ignorato così malamente Hilary, ma allo stesso tempo provò un
senso di disgusto verso se stesso nel pensare a lei solo per opportunismo,
perché lei riusciva a distrarlo un po’ dal resto del mondo. Innescò
automaticamente nella sua testa una serie di sensi di colpa.
Si
sbilanciò in avanti, poggiando la testa sullo schienale del sedile davanti.
-Kei?-
Come
fosse fuoriuscita dai suoi pensieri, la voce di Hilary lo fece ridestare e si
costrinse a guardarla.
-Che
hai?-
-Faremo
una sosta da qualche parte?- chiese senza pensarci, scacciando i precedenti
intenti di chiederle scusa in qualche modo.
-Penso
di sì.. è più di due ore che siamo in viaggio- aggiunse lei, sedendosi
timorosa.
Kei
sprofondò di nuovo nel sedile massaggiandosi una tempia.
-Sei
proprio insofferente!-
-Devo
fumare- disse lui scuotendo la testa.
-Ora
si capisce tutto- affermò Hilary risoluta, accantonando momentaneamente
l’arrabbiatura.
-Sono
prevedibile?-
-In
questo momento sei soprattutto intrattabile-
Rimasero
seduti vicini in silenzio fino a quando il pullman finalmente si decise a
rallentare per fermarsi alla stazione di servizio.
-Era
l’ora!- urlò Takao dirigendosi a grandi falcate verso l’uscita.
Scesero
tutti e iniziarono ad accalcarsi all’entrata dell’autogrill per comprare
qualcosa da mangiare o semplicemente sgranchirsi le gambe.
Kei
fece pochi passi, già con la sigaretta tra le labbra e l’accendino in mano,
quando iniziò a imprecare in russo facendo voltare Hilary e il professor Katsumasa.
-Kei..
vorrei sapere il significato di quelle parole?-
Il
ragazzo lo guardò in tralice, cercando di comunicargli tutta la sua poca
intenzione di stare a qualsiasi tipo di gioco o scherzo.
-Che
succede?- gli chiese Hilary quando il docente li ebbe superati.
-Non
mi va l’accendino- rispose guardandosi intorno scocciato.
Individuò
una ragazza che stava fumando poco lontano e la raggiunse, seguito dalla
giapponese, chiedendole in prestito l’accendino.
La
ringraziò, per poi accompagnare Hilary all’entrata dell’edificio.
-Mi
compri un accendino?- le chiese aprendo il portafogli.
-Vuoi
che diventi complice delle tue sigarette?-
-Per
favore..-
-Non
puoi comprartelo tu?- continuò indispettita.
-Ho
bisogno d’aria.. non farmi rinchiudere di nuovo..-
La
ragazza lo scrutò con le braccia conserte, ma lentamente desistette dalla sua
posizione.
-Dai..
col resto comprati qualcosa- aggiunse lui porgendole una banconota e facendola capitolare.
-D’accordo..-
disse sbuffando -..sei davvero intrattabile-
Era
assolutamente impossibile.
Quel
ragazzo l’avrebbe mandata al manicomio con i suoi sbalzi d’umore: quando si
trattava delle sigarette sembrava non capire più nulla del mondo esterno, che
pensasse solo a quelle. Si sentì stupida per la sensazione di competizione con
il fumo.
Perché
poi aveva accettato di comprargli l’accendino? Quella mattina si sarebbe
meritato di tutto tranne che un favore. In compenso, aveva seguito alla lettera
il suo consiglio e, con il denaro restante, si era presa tutto il possibile.
Uscì
dalla stazione di servizio e cercò Kei con lo sguardo: lo trovò seduto su un
muretto insieme alla ragazza che gli aveva acceso la sigaretta. La competizione
con il fumo in quel momento passò verso la tizia, anche piuttosto brutta, con
la quale sembrava stesse parlando.
Non
si degnava di avere una conversazione con lei, la sua ragazza, ma con quella se
la chiacchierava allegramente: non poteva accettarlo.
Si
avvicinò a passo spedito e con un sorriso fintissimo stampato sul volto.
-Eccoti!-
esclamò a voce troppo alta, porgendo l’accendino a Kei.
Il
russo non fece una piega e la ringraziò, buttando la sigaretta appena
terminata.
-Il
prof ti stava cercando- aggiunse la giapponese notando che la situazione
sembrava non smuoversi e fulminando l’altra ragazza con lo sguardo.
Kei
sbuffò e salutò la compagna di sigaretta.
-Dov’è?-
chiese ad Hilary, dirigendosi verso il pullman.
-Chi?-
-Il
prof-
-Ah..-
la brunetta si guardò intorno in difficoltà per la mancanza di aiuti
dall’esterno nel reggere la bugia che aveva raccontato.
-Hilary..-
Sentire
il suo nome pronunciato da Kei era sempre un colpo al cuore. Perché quel
maledetto ragazzo le faceva quell’effetto? Perché non riusciva a mantenere un
controllo?
-Era
una bugia..-
-E
per quale motivo avresti..- la guardò arrossire di sottecchi -..eri gelosa?-
La
ragazza guardò con intensità il pavimento, ma non poté fare a meno di sbirciare
il mezzo sorriso che era spuntato sul volto del ragazzo.
-Sei
appagato ora?- gli urlò contro.
-No..
è strano-
-Che
novità!- affermò stanca di sentirgli pronunciare quell’aggettivo –Scusa
dimenticavo che il signor Hiwatari non prova mai
sentimenti umani!- sbottò acida, pentendosi subito di quella reazione.
Kei
stette zitto e impassibile voltandosi verso un’altra direzione, in attesa che
qualcuno li raggiungesse, mentre Hilary si diede della stupida: sentiva il
bisogno di averlo accanto, come nelle ultime settimane, come quella notte a
casa di Takao, ma quell’improvviso allontanamento la stava scombussolando.
Tentò
nuovamente di dormire per il resto del tragitto, ma ovviamente non avvenne.
Non
era neanche l’ora di pranzo che già desiderava il momento in cui il sole
sarebbe tramontato e avrebbe lasciato posto alla notte e al silenzio.
Ritentò
un avvicinamento con Hilary all’ora di pranzo quando, quasi arrivati a
destinazione, si fermarono in un prato a magiare. L’unica cosa che gli riuscì
fu di stare in silenzio, seduto di fianco a lei.
Cosa
ci fosse in quella giornata non lo capiva, ma sicuramente non sentiva la
necessità di stringerle la mano o darle qualche bacio come nei giorni
precedenti, nonostante provasse sempre quella strana attrazione verso di lei.
Anche
Rei si accorse di qualcosa, poiché gli chiese cosa andasse storto, ma non gli
rispose, anche perché non sapeva realmente quale fosse la risposta giusta.
-Io
ve lo avevo detto che qui non c’era assolutamente niente!- affermò Takao una
volta che superarono il cartello che annunciava l’inizio di Ise.
-In
effetti non è proprio una meraviglia!- concordò Max guardandosi intorno.
Percorsero
poche strade circondate da piccoli palazzi anonimi, prima di arrivare davanti
al loro albergo, che dovettero osservare bene due o tre volte prima di
capacitarsene.
-Questo
cambia tutto!- aveva affermato Takao allargando il proprio sorriso.
Oltre
un grande cancello, un grande viale e una grande fontana si trovava un grande
palazzo moderno, di almeno sette piani, che più che un albergo sembrava un resort.
-Ma
è davvero questo?- chiesero al professor Katsumasa.
-Certamente..
bello, vero? E costa poco!-
-Dov’è
la fregatura?- chiese qualcuno scettico.
-Mi
sa che è quella..-
Guardarono
tutti verso il punto indicato da Takao: gruppi di anziani sbucavano da ogni
angolo, chi dalla reception, chi era seduto in giardino, chi passeggiava.
-Romperanno
al minimo rumore.. con commenti tipo ‘questi giovani’ bla bla..-
-Kinomiya non dire queste cose!- lo sgridò la professoressa
invitando successivamente tutti a prendere la propria roba ed entrare.
-Mentre
eravamo in viaggio io e la mia collega ci siamo divertiti a decidere le stanze
per voi!- annunciò Katsumasa una volta ottenute tutte
le chiavi dall’uomo alla reception.
-Ma
non è giusto!- cori di protesta si alzarono, ma furono zittiti dalla voce del
docente che annunciava la lista dei nomi.
Kei
aspettò in silenzio di sentire il proprio, totalmente indifferente a qualsiasi
possibile accoppiata: intanto avrebbero avuto lati negativi tutte, quindi non
c’era motivo di aspettare con trepidazione o preoccupazione.
-Hiwatari con Mizuhara- disse
infine il professore e il russo valutò mentalmente i pro e i contro, seguendo
l’altro verso i piani superiori, senza ascoltare la sorte dei restanti
compagni.
Takao
aveva visto giusto sull’inutilità di quel viaggio.
Una
volta sistemati nelle rispettive stanze, chi a coppie, chi a gruppi di tre o
quattro, i docenti avevano annunciato di essere stati consigliati da alcuni
degli anziani che alloggiavano nell’hotel su dei possibili luoghi da visitare
nelle vicinanze.
Kei
considerò parecchio preoccupante la sintonia che avevano i due professori e che
li rendeva entusiasti di qualsiasi possibilità, portandoli a sorridere
imperturbabili e sollevare gli animi degli studenti: la sua allergia verso
l’allegria si stava facendo risentire.
Ovviamente
la scelta sull’attività per occupare quello che restava del pomeriggio ricadeva
tra un museo dei trasporti, poco lontano e raggiungibile a piedi, o un parco
botanico; Kei sarebbe stato ben contento di scegliere per tutti e proporre l’aria
aperta, con il venticello fresco e nessuna parete o soffitto, ma il grigiore
minaccioso del cielo di ottobre portò alla scelta dell’edificio al riparo.
Percorsero
quindi il lungo viale e si addentrarono tra le vie della cittadina anonima.
Kei
sperava invano che il tempo sarebbe trascorso velocemente e che l’ora di cena
sarebbe arrivata in fretta, ma niente contribuì a questo: se si mettevano
insieme le vie deserte, il museo scarno e per nulla interessante e l’estraneità
da tutti gli altri ragazzi, il quadro che si presentava al russo pareva tutto
tranne che confortante.
Guardò
Hilary parlare con Rei: bisbigliavano e ridevano insieme, ma lei ogni tanto si
voltava per incrociare i loro occhi. Se solo lui fosse stato capace di
mantenere un’espressione serena e gioiosa li avrebbe raggiunti, ma non se la
sentiva di guastare l’atmosfera.
Se
in qualità di suo ragazzo, il russo non poteva rasserenare Hilary, poteva
lasciare che fosse un suo amico a farlo: improvvisamente pensò quanto sarebbe
stato più semplice per lei stare con uno come Rei, piuttosto che con lui, ma il
balenare di quel pensiero non gli piacque.
Poteva
imparare a comportarsi in determinati modi, considerati da tutti normali?
Imparare, perché sapeva di non esserne in grado; era forte sui momenti seri e
su altri aspetti, ma non sapeva davvero come far divertire una persona.
Si
avvicinò ai due lentamente, mentre uscivano finalmente da quel luogo
terribilmente noioso.
Il
cinese non appena lo adocchiò si sbrigò a intercettare Max con la scusa di
dovergli dire qualcosa, lasciandoli soli.
-Piaciuta
la mostra?- chiese lei, non appena Kei le fu a fianco silenzioso.
-No-
-Come
mai?-
-Non
era interessante-
-Sei
ancora intrattabile?-
-Non
più del solito-
-Bene-
terminò la ragazza leggermente sollevata.
Il
russo la guardò di traverso per qualche secondo, indeciso sul da farsi, prima
di alzare la mano sinistra e porgergliela, invitandola a prenderla con la sua.
Hilary
scrutò prima la mano, poi il volto del ragazzo, decidendo infine di
assecondarlo e stringerlo di nuovo a sé.
Un
accordo silenzioso che sanciva una pace momentanea.
-Possiamo
fermarci a comprare qualcosa da mangiare per stasera?- chiese improvvisamente
un loro compagno riferendosi a un piccolo supermercato, esattamente di fianco
al loro hotel.
-Certo..
che volete non fare il consueto pigiama party da gita?- chiese Katsumasa ridendo.
Solitamente
i professori non avrebbero alimentato simili iniziative, ma sia lui che la sua
collega sembravano essere un’eccezione in qualsiasi cosa.
Alcuni
ragazzi entrarono nel supermercato, mentre Kei intercettò una panchina poco
lontana e si diresse verso di essa portandosi dietro Hilary: vi si sedette
accendendosi una sigaretta e invitando l’altra a mettersi di fianco a lui,
cingendola con un braccio. Stava cercando di ritrovare la spontaneità del loro
modo di approcciarsi, anche se nel fare questo si sentiva goffo come non era
mai stato.
-Quindi
che avresti detto ieri a tua madre?- iniziò lui, ricordandosi un frammento di
conversazione di quella mattina. Come aveva previsto e sperato, Hilary prese a
parlare e a colmare il silenzio tra loro.
Dopo
una decina di minuti i professori accompagnarono in albergo alcuni dei ragazzi,
mentre quelli che non avevano ancora concluso la spesa potevano tranquillamente
raggiungerli più tardi: i due, ancora accoccolati sulla panchina decisero di
tornare indietro col secondo gruppo tentando di mantenere quella calma
ritrovata, estremamente piacevole e rilassante.
A
guastare il loro quadretto furono, però, Takao e Max che si avvicinarono a grandi
passi borbottando qualcosa di incomprensibile.
-Ci
devi aiutare!- esclamarono quasi in coro una volta raggiunta la panchina.
-Riguardo?-
chiese Kei disinteressato.
-Devi
comprarci una cosa..- disse Takao guardandosi intorno furtivo -..che noi non siamo
riusciti a prendere!-
-Potresti
arrivare al dunque?-
-Alcolici..
ci abbiamo provato due volte, ma hanno capito che eravamo minorenni e tutti
parte della stessa compagnia..- spiegò Max raccontando dei due tentativi
falliti.
Kei
alzò un sopracciglio esasperato –Dubiteranno pure di me dopo la vostra
sceneggiata..-
-Inventati
qualcosa.. e poi sei quello che sembra più grande.. per favore!- concluse Takao
congiungendo le mani.
Il
ragazzo lo guardò scettico, visionando poi l’espressione del biondo e degli altri
compagni che da lontano si vedeva che aspettavano la sua risposta. Solo Hilary
sembrava esserne poco interessata, anzi tentò di far lasciare perdere ai suoi
due amici.
-Solo
se li fate scegliere a me..- disse infine, ottenendo un urlo vittorioso
dall’americano e un’occhiataccia dalla ragazza.
-Ecco
i soldi.. prendi tutto quello che vuoi..- saltellò Max, raccomandandosi su
alcune loro preferenze.
-Mi
accompagni?- chiese a Hilary alzandosi.
-Ehm
Kei.. se porti lei potrebbero darsela..- disse timoroso Takao.
-E’
molto più matura lei di te, quindi non rompere..-
Non
seppe se furono quelle parole o chissà che altro a far smuovere Hilary, ma lei,
al contrario di quello che diceva la sua espressione, si alzò e lo seguì verso
l’ingresso.
-Stai
al gioco..- le sussurrò avvolgendole le spalle con un braccio, lasciando che
lei poggiasse una mano sul suo fianco.
-Ok-
Entrarono,
ignorando Rei e gli altri poco fuori dal locale, e si diressero verso gli
scaffali guardandosi in giro: quando finalmente individuarono il reparto
alcolici vi si fermarono davanti.
Kei
iniziò a scorrere i nomi scritti sulle bottiglie e a selezionare quelle che
avrebbe potuto comprare. Non gli sembrava nemmeno vero di poter mettere mano su
quelle bevande: da quando era in Giappone aveva avuto tali occasioni solo poche
volte ed esclusivamente fuori dal dojo.
Hilary
aveva un’espressione marcatamente contrariata, ma dovette concentrarsi sul
veloce piano che aveva elaborato per riuscire nella sua impresa poiché una
commessa del negozio iniziò a controllarli fiutando qualcosa.
Kei
prese due bottiglie e si rivolse a Hilary mostrandogliele come per lasciarla
scegliere e, non appena la commessa gli fu affianco, iniziò a parlare: a
parlare in russo.
Osservò
la brunetta fissarlo stranita, ma per fortuna lei reagì in fretta e annuì con
entusiasmo come se avesse capito realmente qualcosa di quello che aveva detto:
convinse persino la commessa che si dileguò, pensando che probabilmente si
trattasse di turisti piuttosto che della scolaresca con cui aveva fino a poco prima
avuto a che fare.
Il
ragazzo continuò a scegliere la roba parlando nella sua lingua, come se la
giapponese l’avesse potuto capire e non smise finchè
non uscirono all’aria aperta. Fecero qualche metro verso l’hotel prima che gli
altri li raggiungessero e si congratulassero per la perfetta riuscita della
missione.
-Si
può sapere che stavi dicendo?- gli chiese Hilary mentre percorrevano il viale
oltre il cancello.
-Le
prime cose che mi venivano in mente- disse facendo spallucce.
La
ragazza lo guardò di sottecchi, ma accennò un sorriso.
-Farò
finta di crederti-
-Che
avrei dovuto dire secondo te?-
-Mmm non lo so.. magari mi sono persa il discorso filosofico
del secolo..-
-Se
parlare di vodka lo consideri filosofico..-
-No
per niente!-
-Su
Kei, la notte è giovane!- urlò Max, che si stava cambiando, al suo compagno di
stanza, sdraiato sul letto.
-Sono
le nove..- constatò il russo.
Avevano
cenato alle otto ed erano appena saliti ognuno nella propria camera dopo una
raccomandazione della professoressa sul non fare tardi e non disturbare gli
altri ospiti dell’albergo: il tutto con accanto Katsumasa
con espressione sorridente e occhiolino finale.
-Non
ti facevo così vecchio!- rise il biondo osservandosi allo specchio.
-Infatti
è presto.. ‘ste cose non si dovrebbero fare a notte fonda?-
-E
che facciamo fino a notte fonda? Stiamo a giocare a mahjong
con i vecchiardi?-
Kei
si arrese: avevano deciso di organizzare la rimpatriata nella camera più
grande, che dividevano Rei e altri tre ragazzi, con le cose che avevano
comprato nel pomeriggio, ma la mancanza di attività li aveva portati a
iniziarla immediatamente dopo cena.
Lato
positivo, pensò Kei, avrebbero finito in fretta.
Max
lo esortò a cambiarsi, come se avessero dovuto partecipare a un party esclusivo,
ma lui si oppose e lo seguì al piano superiore senza alcun entusiasmo.
-Allora
sei venuto! Io e Rei stavamo scommettendo..- lo accolse Hilary ridendo.
-Per
me possiamo anche andare via..-
-Nah.. dai: vita sociale!- esclamò alzando le mani in aria
stranamente entusiasta.
-Come
mai così felice..-
-Boh..
così!-
La
stanza dove si trovavano era più che altro un mini appartamento, infatti era
formato da un corridoietto che portava a due locali separati, ognuno con due
letti, e a un bagno. Avevano sistemato tutto il cibo e le bevande in quello più
grande e piano piano si stava radunando tutta la classe: normalmente erano
divisi in due grandi gruppi, che interagivano solo in situazioni come quella e
che normalmente si limitavano alla convivenza civile.
Kei
constatò di non aver ancora avuto contatti con tutti, ma per lui era cosa assolutamente
normale; adocchiò immediatamente gli alcolici che aveva accuratamente scelto e
vi si avvicinò.
-Fermi
tutti.. quelli servono per il gioco!- esclamò Takao.
-Che?-
chiese perplesso.
-Il
gioco.. l’abbiamo deciso sul pullman!-
-Se
non era per me non ce li avevate nemmeno..- constatò cercando di ottenere un
bicchiere di vodka.
-Se
vuoi bere devi giocare!- esclamò Hyosuke, un ragazzo
che non aveva ancora deciso se gli stesse simpatico i meno: con quella battuta
si era giocato ogni possibilità di entrare nelle sue grazie.
-Dai
intanto ora iniziamo!- urlò entusiasta Max, azionando un ipod
collegato a delle piccole casse.
-Ma
io non voglio giocare- disse Kei, ma fu ignorato.
-Certo
che sei fissato- la buttò sul ridere Hilary facendolo sedere di fianco a lei su
uno dei letti.
-E’
buona.. mai assaggiato?-
-No-
-Rimedieremo-
disse solenne il russo.
Con
Hilary sembrava essere tornato tutto normale e si sentì sollevato per questo.
-Giochiamo?!-
chiese Seki, una ragazza facente parte del gruppo che
non aveva mai frequentato, una di quelle che praticava la ginnastica ritmica.
-Ci
siamo tutti.. direi di sì! Tutti per terra così ci stiamo!-
-Io
non gioco-
-Io
nemmeno-
Lentamente
molti si tirarono indietro, provocando le lamentele di chi si era premurato di
organizzare tutto.
-Ma
a che si giocherebbe?-
-A
‘Non ho mai..’?-
-Cos’è?-
-In
pratica a turno si dice ‘Io non ho mai..’ e una cosa che non si è mai fatta e
chi degli altri l’ha fatta deve svuotare il bicchiere!- spiegò Seki entusiasta quanto Max –Ovviamente più le cose sono
spinte più è divertente!-
-E
chi vince?-
-Dipende
dai punti di vista.. io credo che sia chi beve di più!-
Dopo
la spiegazione si ritrovarono in una dozzina seduti in cerchio, per terra, a
dividersi i bicchieri, mentre alcuni erano andati a chiacchierare nell’altra
stanza.
Hilary
se ne tirò fuori, accomodandosi ancora di più sul letto, mentre Kei osservò
scettico i suoi compagni: non aveva minimamente voglia di assecondarli in
quello stupido gioco, ma voleva assolutamente bere qualcosina.
Alla
fine, tra le mille suppliche di Takao, si arrese e si unì al gruppo sbuffando.
Max
preparò i bicchieri, raccomandando di bere solo al momento giusto.
-Su
iniziamo.. partiamo dalle cose semplici.. io non ho mai sciato!-
I
primi bicchieri si alzarono e piano piano si svuotarono.
-Ma
che roba hai preso? E’ fortissima..- esclamò Rei.
-Ci
piace!- disse Hyosuke.
Altri
commenti verso la sua amata vodka lo fecero rabbrividire e inevitabilmente
pensò con malinconia ai bei tempi in Russia e alle bevute che accumunavano lui
e Boris: se l’amico fosse stato presente avrebbe insultato tutti per cotanta
blasfemia.
-Zitto
e bevi- lo liquidò Kei, che non aveva ancora svuotato il bicchiere per la
tipologia di esperienze fino a quel momento citate: non aveva mai sciato, né
giocato a dei giochi da tavola di cui non aveva neppure capito il nome. La
prima sorsata la gustò insieme alle due ginnaste sul ‘non ho mai fatto la
verticale’ e altre piccolezze simili, ma piano piano che andavano avanti e gli
altri iniziavano a risentire dei gradi delle bevande, il gioco si fece più
interessante.
Sul
‘non ho mai visto un ragazzo completamente nudo’
iniziò il giro che Seki aspettava con ansia, con le
esperienze più scabrose.
-Non
ho mai giocato a strip poker!- esclamò la ragazza, facendo bere alcuni dei
presenti e provocando diverse battutine.
Kei
approfittò del temporaneo stallo del gioco per chiamare Hilary e invitarla a
sedersi di fianco a lui.
-Dai
assaggia- le disse porgendole il bicchiere.
-Non
credo sia..-
Il
russo insistette con un mezzo sorriso e la ragazza cedette bevendo un piccolo
sorso, accompagnato da una smorfia disgustata.
-E
questa sarebbe una delle cose che ti piacciono di più?-
-Perché
voi giapponesi non apprezzate?- chiese retorico e divertito, tornando poi al
gioco che era ricominciato.
Hilary
si riallontanò e Rei la raggiunse chiamandosi fuori dal cerchio.
Per
fortuna Rei le stava dando man forte, solo che la sua presenza accanto aiutava
a stemperare la situazione; i toni si erano fatti parecchio accesi e gli
argomenti tutt’altro che casti.
Quello
che considerava come elemento peggiore era il grado di partecipazione che aveva
raggiunto Kei: da quando lo conosceva era sempre rimasto in disparte per tutto,
tranne quando c’entrava qualcosa come fumo o alcool, e questo la infastidiva.
-Non
ho mai fatto sesso orale!-
E
Kei bevve.
-Non
ho mai avuto un rapporto a tre-
E
Kei bevve.
Sembrava
aver fatto qualsiasi cosa e la imbarazzava; provò a non ascoltare e a non
notare le reazioni del suo ragazzo, ma non riuscì a farne a meno.
-Non
sono mai andato con una prostituta-
-Non
ci credo!- esclamò qualcuno rivolto al russo, l’unico ad aver alzato il
bicchiere.
-Cioè
hai pagato per scopare?- chiese una ragazza scandalizzata.
-Mai
detto questo..- rispose il russo calmo, godendosi la vodka che scendeva in
gola.
-Ma..-
-Ho
parecchie amiche che fanno le puttane..- spiegò tranquillamente versandosi
dell’altro alcool e bevendolo senza aspettare la frase di qualcun altro.
Hilary
non poté fare a meno di fissare stranita la nuca di Kei guardandolo per la
prima volta dopo tanto tempo con occhi diversi da quelli adoranti e
affascinati.
Il
gioco, con suo sollievo, non durò molto di più e si fermarono, iniziando a
ballare sulla musica e chiacchierare a voce alta per il troppo alcool bevuto,
anche se nessuno sembrava essere veramente ubriaco.
Kei
le si sedette vicino, ma presto si alzò per andare in bagno, lasciandola
nuovamente sola coi suoi pensieri.
Sgusciò
tra i suoi compagni per raggiungere il bagno: reggeva l’alcool a meraviglia e
non aveva molti problemi, si sentiva solamente più leggero. Erano in una
ventina in quella stanza e sperò di rinfrescarsi e trovare un attimo di calma.
Chiuse
la porta dietro di sé e sentì con piacere la musica ovattarsi oltre la soglia:
si sciacquò la faccia, prima di girarsi verso il water. L’aprirsi della porta
lo fermò a metà strada.
-Ciao-
esclamò Seki, rossa in volto e con un enorme ghigno.
-Sarebbe
occupato- rispose atono lui, ma la ragazza fece scattare la serratura.
-Lo
so-
Kei
la guardò avvicinarsi torvo.
-Davvero
Hilary?- disse la ragazza improvvisamente –Perché Hilary?-
-Non
sono affari tuoi-
Seki si sedette sul
ripiano del lavandino accavallando sensualmente le gambe e tirandolo per la
maglietta.
-Scommetto
che non te l’ha nemmeno data-
-Evita..-
sussurrò freddo, a pochi centimetri da lei -..sei ubriaca-
-Solo
un po’ brilla, ma perfettamente cosciente..- fece per appoggiare una mano sul
lavandino, ma scivolò goffamente sorreggendosi ancora di più al russo.
-Io
dovrei andare in bagno..-
-Io
avrei un’idea migliore..- soffiò lei poggiandogli una mano sul collo e
allargando le gambe.
Kei
la osservò perplesso per qualche secondo –E io ti ripeto che devo andare in
bagno..-
Con
facilità si staccò dalla presa della ragazza e la invitò ad uscire.
-Davvero
preferisci quella sfigata?-
-Ti
ho detto di uscire-
Quel
caos lo stava martoriando, aveva bevuto poco, ma già avvertiva un leggero mal
di testa: si diresse verso l’uscita della stanza sperando di trovare un po’ di
sollievo, ma prima di raggiungere l’agognata libertà, una volta nel
corridoietto, vide sgusciare furtiva dalla porta del bagno Seki,
sorridente e barcollante.
-Ciao
Rei!- esclamò lei sistemandosi i capelli.
-Tutto
bene?- chiese il cinese apprensivo.
-Certo,
certo..- rispose con sguardo confuso.
-Sicura?-
-Devo
bere..-
-Non
mi sembra il caso..- ma non ebbe la forza di fermarla e la osservò rituffarsi
tra i compagni e il baccano.
Rimase
imbambolato per qualche secondo, ma non appena si ricordò del suo intento
principale fece nuovamente due passi verso l’ingresso, prima che un’altra
persona uscisse dal bagno sistemandosi la maglia sopra i pantaloni.
-Kei?-
-Tutto
bene?-
Rei
cercò di connettere tutti i neuroni e non ci mise molto a comprendere quello
che aveva appena visto: il suo amico, che stava con la sua amica, era appena
uscito dal bagno dal quale Seki era appena uscita. In
tutto questo quadro c’era sicuramente qualcosa che non andava.
-Non
puoi averlo fatto..- sussurrò il cinese scuotendo la testa.
-Cosa?-
Rei
riacquistò improvvisamente le forze e la lucidità che gli bastava per afferrare
Kei per il polso e trascinarlo fuori; lo lasciò solo quando arrivarono nel
corridoio e tentò di prenderlo alla sprovvista tirandogli un cazzotto, ma
l’altro lo evitò senza problemi, anzi lo afferrò prima che rovinasse a terra
per lo slancio.
-Che
ti prende?-
-Ho
visto Seki uscire dal bagno.. lo stesso bagno nel
quale eri tu..-
Kei
rimase immobile a guardarlo incredulo.
-Ci
ha provato e allora?-
-Come
allora? Stai con Hilary, ti vorrei ricordare..-
-Ci
ha provato.. che pensi che io ci sia stato?-
-Solitamente
ci stai..-
-Ci
sto quando non sto già con qualcun’altra-
Rei
valutò se credergli o meno.
-Non
l’hai tradita?-
-E’
così difficile da credere?- chiese l’altro sbuffando.
-Purtroppo
sì..-
-Si
è infilata in bagno, ma l’ho mandata via.. ma che te lo sto a spiegare a
fare..-
-Allora
non..-
-Ho
capito che pensate che sia uno stronzo, ma non pensavo fino a questo punto..-
-E’
che.. no, niente scusa.. devo aver frainteso..- affermò Rei non troppo
convinto, qualcosa lo portava a non credergli totalmente.
-Non
ho intenzione di giustificarmi per ogni ragazza che ci prova con me-
-Ovvio-
-Bene-
disse il russo voltandosi e dirigendosi verso il piano inferiore.
-Bene-
sussurrò l’altro confuso.
Una
sigaretta era la medicina perfetta: la medicina al nervosismo cronico che lo
attanagliava.
Kei
se ne stava fuori nel giardino dell’hotel, conteso tra due emozioni opposte: da
una parte capiva Rei e il perché fosse arrivato a delle conclusioni così
affrettate considerati gli elementi di cui disponeva, dall’altra era
frastornato dalla ulteriore prova della mancanza di fiducia nei suoi confronti.
Non sapeva a quale pensiero dare adito.
-Rei
mi ha detto che dovremmo parlare..-
La
voce di Hilary spuntò all’improvviso, come la sua figura, in controluce davanti
all’ingresso illuminato.
-Ah
sì?- disse ancora infastidito, aspirando il fumo –A me sembra che non facciamo
altro..-
-Io
non credo- i toni di entrambi erano acidi e accusatori –Piuttosto io ti parlo e
tu annuisci.. sono rari i momenti in cui ti lasci andare-
-Che
cosa ti dovrei dire?-
-Oggi
mi stai proprio sul cazzo-
-Non
sono diverso dal solito..-
-Invece
sì.. sei intrattabile per le sigarette, parli con tutte quelle che ti offrono
un accendino, ti vanti della tua grande esperienza sessuale solo per bere..-
-Questo
sono io da sempre.. forse mi hai idealizzato un po’ troppo..-
-Non
credo.. ho visto come sei.. e oggi sei diverso-
-Hilary..
sono sempre uguale- scandì gelido –non sono perfetto, sono uno sfigato
qualunque.. qualsiasi cosa tu abbia visto in me-
-Hai
ragione.. sei uno sfigato.. perché tu soffri in silenzio, non ti lasci aiutare
e volti le spalle a tutte le cose belle.. ma sei anche gentile e premuroso e so
di potermi fidare di te..-
-Prima
era in bagno: Seki è entrata e ci ha provato con me..
per questo Rei ti ha detto di parlarmi- sbottò lui all’improvviso facendola
sbiancare.
-E..-
-E
tu cosa pensi sia successo?-
-Niente..-
-Rei
pensa il contrario-
Hilary
gli si avvicinò pericolosamente e lo guardò dritto negli occhi.
-Dimmi
in faccia quello che hai fatto- sussurrò ostentando decisione e fermezza.
-L’ho
mandata via- le sussurrò, reggendo lo sguardo.
-E
ti da fastidio che Rei non ci creda.. ormai so come ragioni!-
-Tu
ci credi?-
-Potresti
averlo fatto, ma.. io ho deciso di darti fiducia ed è quello che continuerò a
fare!-
-E
se stessi sbagliando?-
-Allora
vuol dire che sono una stupida e tu sei uno stronzo bugiardo-
Continuarono
a fissarsi immobili.
-Cos’è
questo linguaggio colorito stasera?- scherzò lui improvvisamente.
-Te
l’ho detto che oggi mi stai sul cazzo!- esclamò incredula Hilary voltandosi ed
entrando nella hall.
Kei
la seguì con calma, ma la raggiunse facilmente a metà corridoio; le afferrò la
spalla e la fece voltare.
-Davvero
non ho fatto nulla- le sussurrò all’orecchio.
-Ci
credo-
Kei
l’abbracciò, il primo abbraccio sentito veramente di quella lunga giornata.
-Hiwatari, Tachibana.. che ci fate
in giro per l’albergo?- la professoressa Faishi
spuntò da una porta laterale con espressione incredula.
-Scusi
professoressa noi..-
Hilary
tentò di giustificarsi, arrossendo per essere stata beccata tra le braccia di
Kei, il quale era rimasto impassibile come al suo solito, ma sbucò anche
l’altro docente che li accolse con un largo sorriso.
-Ma
che bella coppietta.. dovete dirmele queste cose!- disse avanzando verso di
loro.
Erano
entrambi vestiti piuttosto eleganti, lei con una lunga gonna a volant e lui con
un completo casual beige; si accorsero solo dopo che dalla sala da cui erano
usciti proveniva della musica.
-Noi
andiamo..- ritentò Hilary, ma nuovamente Katsumasa li
bloccò.
-Ma
unitevi a noi, su.. da questa parte!- disse trascinandoseli dietro
letteralmente –Però non ditelo ai vostri compagni altrimenti..-
Kei
per diverse volte si era chiesto come mai nessuno si fosse lamentato del casino
che stavano facendo in camera, ma la risposta gli fu davanti in pochi secondi:
gli stessi vecchietti che passeggiavano lentamente nel giardino e giocavano
placidi a mahjong da tutto il pomeriggio, erano
riuniti nella grande sala dell’albergo, intenti a seguire una serata danzante.
Oltre a questi c’erano solo i due professori e alcuni ragazzi vestiti uguali
che dovevano far parte dello staff dell’hotel.
-Noi
torniamo alle nostre occupazioni..- intervenne il professore per poi rivolgersi
solo a Kei -..e tu cerca di far colpo sulla tua donna!- e gli diede due
gomitate scherzose sul fianco prima di allontanarsi a braccetto con la collega.
-Quello
è pazzo!- esclamò Hilary con espressione allibita.
-Vieni..-
Il
russo, dopo essersi guardato intorno, porse una mano alla ragazza come aveva
fatto nel pomeriggio mentre stavano camminando, ma questa volta non sembrava
sua intenzione passeggiare.
-Cosa
hai in mente?- chiese la giapponese titubante.
Senza
risponderle, le afferrò la mano e la trascinò verso la pista per poi fermarsi
immobile di fronte a lei.
-No
Kei! Questo no!-
-Dai..-
-Non
sono in grado..-
-Che
pensi che questi lo siano?- disse riferendosi agli uomini e le donne che li
attorniavano ondeggiando lentamente al ritmo della musica soft e latineggiante.
-Dici
di no?-
-Ondeggiano
e camminano in cerchio..-
-Ok
ok.. si balla in un altro modo, ma non sono capace..-
-Nemmeno
io-
-E
allora..- tentò di divincolarsi, ma il ragazzo le cinse i fianchi e la
costrinse a legarsi a lui con le braccia.
-Segui
la musica-
-Ma
io..-
Kei
le mise l’indice davanti alla bocca intimandola a stare zitta con un sorriso
dolce.
L’unica
cosa che il ragazzo sapeva era che la musica era latina, era lenta e sensuale,
ma non aveva la minima idea di come si potesse ballare una cosa del genere: si
limitò a seguire il suo stesso consiglio, socchiuse gli occhi e si lasciò
trasportare dalle note, portando Hilary con sé. Lei poneva resistenza e cercava
di stare il più immobile possibile, ma non servì a fermarlo.
Avvicinò
le labbra al suo orecchio e iniziò a sussurrarle delle indicazioni.
-Vediamo..
segui la melodia..- e le canticchiò malamente quella che doveva essere la linea
guida –Usa il busto e muovilo solo a tempo.. lentamente- continuò a parlarle e
a indirizzarla sui passi, trasportandola in quel mondo a parte, ma le
resistenze della ragazza si facevano sentire quando inciampava o pestava i
piedi del ragazzo che la riprendeva ridacchiando.
Avvertì
il bollore della pelle di Hilary, dovuto al caldo o chissà che altro, e il
battere incessante del suo cuore, tutte sensazioni strane e vive, che non
sapeva di poter concepire.
-No
basta, per favore!- esplose d’un tratto lei allontanandosi dalla pista e
sorpassando i professori che li guardavano sorridendo.
-Ok
ok!- acconsentì Kei che, però, non si arrese a si
ricongiunse in abbraccio iniziando a ondeggiare semplicemente sul posto –così
ce la fai no?-
-Ahah spiritoso- sbottò lei per niente divertita.
Il
russo le baciò la fronte e continuò il movimento.
-Ci
cascano sempre con questo trucco?- chiese Hilary a bassa voce.
-Che
intendi dire?- si informò non capendo a che si riferisse.
-Le
ragazze.. farle ballare, incantarle con le tue doti da ballerino..-
-Cosa
stai dicendo?-
-Lo
farai con tutte immagino.. non è niente di speciale..- disse rabbuiandosi.
-E’
sempre speciale.. e poi che ne sai?-
-Beh
con Tsuya lo hai fatto..-
-Chi
è Tsuya?- chiese ingenuamente, cercando di stemperare
la situazione nuovamente critica senza successo, poiché la brunetta gli tirò
contrariata uno schiaffetto sul petto.
-Scherzo..-
-Beh
con lei, chissà quante volte con Mizuki.. e tutte le
possibili ragazze che hai avuto a questo mondo-
-Oggi
è la giornata della gelosia- constatò lui serio.
-E’
che con loro.. mentre con me.. non capisco se io conto più di quanto contassero
loro nel loro momento..-
-E’
diverso-
-Mi
scoccia che tu abbai avuto così tante ragazze-
-Non
posso cambiare il passato-
-Ma
loro sono state con te in un modo diverso..-
-Quindi
ti scoccia che io sia stato con così
tante ragazze-
-Mi
scoccia che tu non sia stato con me-
Kei
la fissò stranito fermandosi finalmente, cercando di capire cosa volesse
davvero Hilary, cosa celasse dietro quell’insicurezza e cosa si sarebbe
aspettata che lui facesse dopo una confessione del genere, ma si limitò a
baciarla.
-Kei
sei qui?-
Max
entrò in camera e trovò la luce del comodino accesa e il letto occupato.
-Mh-
-Solito
espansivo..- disse entrando e guardando divertito l’altro -..bella serata
vero?-
Kei
si mise a sedere, abbandonando il cellulare con il quale stava armeggiando.
-Oggi
tu e Hilary sembravate strani.. spero non sia successo nulla!- cercò di
indagare il biondo.
-Senti..-
iniziò Kei ignorando le parole dell’altro -..tu, Kano e Mila siete molto amici
vero?-
-Sì,
perché?-
-Non
è che potresti andare in camera con loro?-
-E
far venire qui Hilary?-
-Sarebbe
l’idea..-
Max
allargò piano piano il suo sorriso, prima di annuire con sguardo indagatore.
-Ma
fate i bravi..- detto questo afferrò il cuscino e uscì dalla stanza in pigiama,
canticchiando.
Ritardino di qualche ora sulla solita
tabella di marcia u.u
Mi scuso con chi solitamente se ne sta ad
aspettare la mezzanotte, ma era fuori casa e quindi impossibilitata ad
aggiornare!
Beh è sempre la notte tra il giovedì e il
venerdì quindi.. boh quindi niente.. è tardi, sono stanca e sono fusa! XD
Quindi vi do appuntamento a recensioni, messaggistica varia e soprattutto alla
prossima settimana!
Un bacione :)
Ps: risponderò in un attimo di calma a
tutte le recensioni!!! (quello che non andava l’ho corretto) ^^
Capitolo 32 *** Slow Dancing In A Burning Room ***
Perché quello che ti spacca
E ti fa fuori dentro
Forse parte proprio da chi sei
Slow Dancing In A Burning Room
Si
era appena messa in pigiama quando sentì bussare alla porta.
Mila
si fiondò ad aprire e accolse con sorpresa Max che poteva sembrare pronto per
andare a dormire se solo non fosse stato in giro per i corridoi.
-Che
ci fai qui?-
-Ho
voglia di chiacchierare, ma Kei non è proprio la persona adatta ad
assecondarmi- disse entrando e rimbalzando sul primo letto che trovò, cuscino
tra le braccia e sorriso smagliante.
-Hai
scelto il posto giusto!- esclamò Kano avvicinandosi al ragazzo.
-Lo
hai lasciato da solo?- chiese Hilary timorosa.
-Sì,
ma lo sai com’è no? E’ un eremita musone.. non sentirà la mia mancanza!-
rispose, per iniziare a ridacchiare con le altre due.
Hilary
lo fissò incerta e combattuta: la prima cosa che aveva pensato non appena Max
era comparso era che sarebbe potuta scendere subito in camera di Kei, ma il
pensiero dei loro discorsi e della giornata appena trascorsa l’aveva fermata.
Forse sarebbe stato meglio rimandare al giorno dopo, rivedersi con calma e
tranquillità dopo una bella dormita, con i nervi riposati e le idee chiare.
L’americano
si voltò improvvisamente verso di lei continuando a chiacchierare e le fece
l’occhiolino: cosa voleva dirle? Quando Max ci si metteva sapeva essere davvero
buffo.
Fece
per sedersi insieme alle amiche, quando, a un centimetro dal materasso, si
rialzò di scatto e annunciò di dover chiedere una cosa a Kei.
-Ora
si dice così?- rise Mila.
La
brunetta arrossì improvvisamente e valutò la possibilità di cambiare idea.
-Che
aspetti? Sei ancora qui?- la incitò Max con un eloquente gesto della mano.
-Ci
vediamo dopo!- disse avvicinandosi alla porta.
-Contaci..-
Hilary
si addentrò nel corridoio prima di sentire le proteste dell’amico sulla sua
affermazione.
-Sei
già qui?-
Kei
aprì la porta e si spostò per far entrare la sua ragazza nella stanza.
-Come
sarebbe a dire?-
-Pensavo
che non avresti acconsentito così in fretta- disse facendo spallucce.
-Acconsentito
a cosa?-
-Ho
chiesto a Max se potevate fare a cambio-
-Max..
tu.. cosa? Quell’americano da strapazzo ora lo..- si infiammò Hilary ritornando
sui suoi passi, ma Kei l’afferrò per un braccio in tempo.
-Ferma..-
sussurrò accarezzandole i capelli e lasciandole un bacio sulla fronte.
-Perché
volevi che venissi qui?-
Il
russo la guardò perplesso chiedendosi se davvero si stesse ponendo quella domanda,
ma la sicurezza nell’espressione dell’altra lo portarono a rispondere.
-Stare
con te..-
-Anche
dopo questa lunga lunga lunga giornata?-
-Anche-
La
ragazza lo guardò torturandosi le mani come in preda al nervosismo totale, ma
lui non riuscì a intuire il perché; la osservò distogliere lo sguardo e
girarsi, per andare a sedersi su uno dei due letti gemelli.
Kei
la seguì e fece per mettersi affianco a lei, ma il suo modo di comportarsi gli
suggerì di mantenere temporaneamente le distanze: era davvero troppo nervosa,
così si accomodò sul proprio materasso, di fronte a lei.
-Devo
chiederti una cosa..- iniziò lui stranamente.
-Cosa?-
soffiò lei.
-Riguarda
quello che mi hai detto prima, giù in sala-
La
ragazza si irrigidì e il russo capì il motivo di quell’ansia.
-Chiedi
pure..-
-E’
come se mi avessi già risposto-
-Sarebbe
a dire?-
-Non
vuoi farlo-
-Cosa?
Sì che voglio..-
-Non
davvero-
-Sono
confusa- confessò lei abbassando il capo –Sento di volerlo fare con te, ma ho
delle riserve..-
-E
allora non se ne fa niente-
-Ma
io voglio.. Tu lo faresti con me?-
Kei
la guardò incredulo per la seconda volta.
-Se
me lo chiedessi non ci penserei due volte, ovviamente, ma non ho intenzione di
metterti fretta..-
-E
perché?-
-Per
me il sesso è un gioco, ma tu gli dai un altro valore e non ho intenzione di
portartelo via..-
-Ma
se non credi in questo valore..-
-Ci
sono tante cose in cui non credo mentre tu sì-
-Giusto..
ma non dovresti cercare di dimostrarmi il contrario? Che ho torto?-
-Se
credere a certe cose ti fa sentire meglio non ne vedo il motivo.. a me le hanno
portate via e non sono proprio il ritratto della felicità-
-Di
cosa stai..- provò lei evidentemente confusa da quel discorso.
-Non
pensarci- la interruppe, pentendosi di aver tirato fuori determinati argomenti
–Se lo volessi potrei riuscire a convincerti a venire a letto con me in pochi
minuti, ma non ho intenzione di farlo-
-Come
fai ad essere così sicuro della riuscita?-
-Non
credi che ci riuscirei?- chiese retoricamente sapendo bene che la risposta
sarebbe stata affermativa, anche solo che per il modo in cui lo stava guardando
in quel momento.
-Senti..-
iniziò lei titubante -..le cose che hai detto di aver fatto, stasera, durante
il gioco, erano tutte vere?-
Kei
annuì lentamente –Che pensi al riguardo?- aggiunse notando l’espressione seria
della ragazza.
-Che
ci sono tante cose di te che non so e che credo di non riuscire nemmeno a
immaginare-
-E..-
-E
mi spaventa un po’- sussurrò impercettibilmente, tanto che a Kei costò fatica
riuscire a sentire la frase.
Erano
seduti a poco più di un metro di distanza, ma, per un attimo, al ragazzo quello
spazio sembrò contenere un chilometro.
-Sei
sempre sopra le righe, per ogni cosa..- ricominciò lei alzando timorosa lo
sguardo -..non ti stanca vivere così?-
-E’
l’unico modo che conosco- rispose lui consapevole della verità di quelle
parole: se lo rimproverava spesso questo fatto, ma non poteva farne a meno.
-Sai..
‘normale’ non è brutto!- affermò lei abbozzando un sorriso.
-E’
difficile-
-E’
solo normale.. dovresti cambiare questa cosa-
Cambiare:
la guardò di sottecchi pensando a quella parola. Di nuovo aveva ragione, era quello
che stava tentando di fare da quando era arrivato in Giappone e, se per un
certo periodo aveva perso le speranze, sentiva di potercela fare in qualche
modo a lui ancora oscuro. L’unico, enorme, problema era il mancato
raggiungimento di una qualsiasi tappa verso quel cambiamento, o almeno la
sensazione di perdere subito qualunque cosa avesse appena conquistato.
-E’
che.. è sempre la storia dell’irrealtà dell’altra volta-
-Da
quello che ho capito con questi pochi elementi.. per te realtà e normalità sono
stare con mille ragazze, fare diverse esperienze più o meno condivisibili,
arrovellarti nei tuoi problemi e sballarti?- aggiunse Hilary tentando di
buttarla sul ridere e riuscendo a diminuire la sensazione di quel chilometro di
distanza.
-Sembrerebbe
di sì- rispose lui.
-E
poi dici che sono io quella strana-
-Non
ho mai detto di non esserlo anche io-
Un
silenzio teso si impadronì della stanza: il contatto visivo tra i due era ben
saldo, ma a parte quello non era presente nessun altro tipo di condivisione.
Kei
si alzò improvvisamente, come spezzando una sorta di elettricità, e le si parò
a pochi centimetri, in piedi.
-Quindi
per stasera niente sesso, ma non puoi negarmi la notte insieme-
-Cos..-
non fece in tempo a formulare una frase che Kei le prese il volto con la mano e
la baciò, per poi poggiare un ginocchio sul materasso e spingerla delicatamente
a sdraiarsi.
-Aspetta..-
riuscì a dire lei bloccandolo.
-Che
c’è?- si informò il russo guardandola arrovellarsi per trovare una spiegazione
credibile a quell’interruzione.
-Non
c’è il cuscino- biascicò, riferendosi al guanciale mancante che Max si era
portato via per chissà quale oscuro motivo.
-No
problem- sussurrò inaspettatamente Kei, prendendola stretta per i fianchi,
avvolgendoli con le sue braccia.
Hilary
tirò un urlo dallo stupore, quando si sentì sollevare e, per paura di cadere,
si aggrappò stretta al collo del ragazzo, avvinghiandosi letteralmente a lui.
Kei
fece due miseri passi, portandola da un letto all’altro, e cercò di farla
sdraiare sul suo, completo di tutto il necessario.
Non
appena la schiena della ragazza aderì con il piano morbido, il russo tentò di
recuperare l’equilibrio, ma lei non sembrava intenzionata a mollarlo,
evidentemente ancora terrorizzata dalla presa repentina.
-Se
fai così però metti a seria prova le mie resistenze- scherzò lui riferendosi
alle gambe della ragazza, ben ancorate attorno ai suoi fianchi.
Accortasi
della posizione, Hilary si staccò subito arrossendo e tentando di nascondere
l’imbarazzo.
Kei
alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se la giapponese avrebbe mai smesso di
arrossire per ogni minima cosa, prima di tornare serio a fissarla intensamente.
Erano
seduti, questa volta sullo stesso letto, a una distanza praticamente
inesistente.
Il
russo alzò una mano e la posò sul collo della ragazza, ma, invece che risalire
sul suo viso come al solito, la portò verso il basso, fino a posarsi sui
bottoni della maglia del pigiama, che iniziò a togliere dalle asole.
-Kei..-
arrivò a metà prima che Hilary trovasse la forza di parlare -..avevi detto che
non..-
-Come
ti ho detto prima, non ti farei mai niente senza il tuo permesso.. soprattutto questo, io non potrei mai..- spiegò,
chiedendole silenziosamente di credergli -Oggi parlavi di condividere.. –
lasciò in sospeso la frase, non sapendo come continuarla, non trovando le
parole, ma perpetuando i gesti. Terminò di slacciarle la maglia e gliela sfilò
dalle braccia delicatamente, buttandola poi sull’altro letto.
Prima
che lei riuscisse a reagire, Kei fece lo stesso togliendo la propria canottiera
e lanciandola a sua volta, rimanendo a petto nudo.
Diedero
inizio a una strana danza, fatta di movimenti decisi e incerti, di richieste e
permessi, di baci e carezze, che li portò sotto le coperte, ad abbracciarsi e a
condividere qualcosa di sé: se per Kei le parole in quelle settimane erano
state troppe e lo avevano messo davanti a delle difficoltà da affrontare che,
per uno come lui, potevano considerarsi una sfida, quei semplici gesti lo
riportarono in un territorio neutrale, semplice e conosciuto, ma allo stesso
tempo diverso. Quante volte aveva condiviso il letto con qualcuno? Troppe. Ma
quante lo aveva fatto semplicemente per delle coccole o poco di più? Forse mai.
Se
non stava cambiando, sicuramente stava scoprendo: doveva solo capire l’entità
di quelle scoperte e interpretare quello che sentiva.
Era
stato diverso da quella notte a casa di Takao. Era stato più intimo, più
semplice. Però allo stesso tempo era stato difficilissimo: perché se Kei aveva
detto di non volerlo fare con lei e si era ritrovata in quella situazione
emotiva, figurarsi se il russo avesse realmente deciso di mettere in piedi il
tentativo di convincerla a cui aveva accennato. Hilary avrebbe capitolato, e in
un tempo decisamente breve.
Difficile
quella notte era stato proprio resistere, resistere alla tentazione di fermarlo
e acconsentire a qualsiasi cosa, al sesso o qualunque altra. Era stata
combattuta su quei pensieri per tutta la settimana, li aveva respinti e
ricacciati, ignorati e accantonati, ma ormai poteva esserne certa: lo voleva.
Le bastava guardarlo ormai per capirlo.
Se
ne stava lì, completamente vulnerabile sotto le coperte, ad un’ora
improponibile della mattina, ad osservarlo dormire.
Sembrava
essere tutto al contrario rispetto alla settimana precedente al dojo: lui si
era addormentato e aveva iniziato ad agitarsi nel sonno, come invece quella
volta aveva fatto lei. Era strano vederlo così: sempre talmente controllato e
impeccabile in ogni suo gesto quando era sveglio, tanto si era rivelato
inquieto nell’incoscienza. Pensava che niente potesse scalfire quella
copertura, in nessuna situazione, eppure in quelle ore aveva assistito
all’incredibile. Certi momenti era fermo e immobile come una statua, come fosse
privo di vita, ma con un espressione singolare, mentre altri si muoveva, sempre
posato: il flusso incessante di pensieri nella testa di Hilary le aveva
impedito di dormire per più di poche ore e, da quando la luce fuori dalla
finestra aveva permesso di delineare i contorni del suo compagno, aveva
iniziato a studiarlo e osservarlo. Malinconia, era questo che le trasmetteva e
che riusciva ad associargli, almeno ciò che si avvicinava di più.
Gli
sfiorò il petto con le dita, abbandonando la contemplazione del suo viso,
accoccolandosi vicino a lui, senza prendere sonno ovviamente, solo sentendolo
di più e desiderandolo come non le era mai accaduto prima.
Era
incredibile: più faceva lo stronzo antipatico, più lei ci cascava e quella
giornata ne era stata la prova.
Si
svegliarono definitivamente piuttosto presto, in tempo per non essere sorpresi
dal telefono della camera che squillava in funzione di sveglia.
-Sognato
qualcosa?- chiese lei dopo avergli dato il buongiorno.
-Non
che riesca a ricordare.. tu?-
-Nada!-
Hilary
si prese un bel po’ di tempo per alzarsi, ma l’idea che Max sarebbe potuto
entrare da un momento all’altro per riappropriarsi della sua roba, la
convinsero a staccarsi da Kei.
L’americano
si era premurato di portarsi via il cuscino, ma non aveva pensato ai vestiti.
Cercò
di recuperare i propri indumenti, sotto lo sguardo divertito del russo che le
fece notare quanto fosse inutile continuare a provare tanto pudore nel
mostrargli solo che un lembo di pelle.
Certamente
non le dispiacque il fatto che invece lui non sembrasse preoccuparsi di
mostrarsi in deshabillé: solo il pensiero di essere stata avvolta da quelle
braccia, di aver dormito su quel petto, le provocava un mancamento.
Si
allontanò da quella camera, prima di lasciare libero sfogo alla sua mente su
pensieri poco puri e vagò furtiva per i corridoi per non rischiare di farsi
beccare.
Finalmente
salva in quella che doveva essere la sua stanza, imprecò contro Max ancora
addormentato sul suo letto: quanti minuti di dolce contemplazione aveva perso
per paura dell’entrata di quel biondino, mentre lui se ne stava beatamente a
ronfare.
Si
vendicò, ovviamente, svegliandolo in malo modo.
-Ma
che ti prende?- protestò Max mettendosi seduto nella speranza di fermare
Hilary.
-Te
lo meriti tutto!- esclamò lei tirandogli una cuscinata in piena faccia, ma
continuando a ridere.
Seguitarono
a giocare per pochi minuti, poiché l’americano era ancora mezzo addormentato, e
Hilary gli permise tornare in camera, invidiandolo leggermente.
In
preda alla consapevolezza della propria pazzia, si diresse il prima possibile a
fare colazione e vi aspettò pazientemente l’arrivo di Kei: peccato non avesse
calcolato la sua consuetudine di saltare il primo pasto della giornata e
preferirvi una sigaretta.
Si
ritrovò a mescolare tristemente il proprio latte.
-Tutto
bene?- le chiese Rei prendendo posto accanto a lei.
-A
meraviglia- rispose imbronciata.
-Poi
com’è andata ieri con Kei?-
-Risolto
tutto..-
-Mi
fa piacere- rispose il cinese sorridendo iniziando a mangiare.
Hilary
si sentì come una bambina quando finalmente potè rivedere il suo ragazzo e si
accertò di non staccarvisi per il resto della giornata: sembrava voler
rimediare al tempo perso il giorno prima.
Maledisse
mentalmente il professore quando, durante la visita allo stadio, li divise in
gruppi, ovviamente scelti da lui; delusa si premurò di restare calma quando Kei
non fu messo con lei, ma insieme a Seki e altri tre. La gelosia, che aveva
fatto capolino in lei da pochi giorni a quella parte, la attanagliò e la fece
intristire.
-Forza
e coraggio- le fece forza Rei avvicinandola e invitandola a seguirlo.
-Sono
gelosa marcia- confessò al suo amico, sospirando sommessamente.
-Ahi..
vuol dire che sei persa più di quanto pensassi!- scherzò il cinese.
La
brunetta continuò la visita senza prestare realmente attenzione a ciò che la
circondava e presto il pensiero che la tormentava da diverse ore, rifece
capolino nella sua mente: ne approfittò per confidarsi con colui che le era
sempre stato d’aiuto.
-Secondo
te..- iniziò a voce bassa, avvicinandosi a Rei e premurandosi che nessuno degli
altri compagni li potesse ascoltare -..c’è differenza tra fare l’amore e fare
sesso?-
Il
cinese strabuzzò gli occhi per quella domanda, facendo arrossire vistosamente
la sua interlocutrice.
-Rispondi
solo alla domanda- lo pregò lei.
-Credo
di sì-
Hilary
riprese a camminare, fingendo di prestare attenzione alla piccola stanza dove
erano entrati, per poi riavvicinarsi a Rei.
-Tu
e Mao lo avete.. lo avete fatto vero?-
Il
cinese la guardò incerto e imbarazzato –Sì..-
-Perché
vi amate-
Era
più un’affermazione che una domanda, ma il ragazzo annuì comunque.
-E
se tu l’avessi amata, ma lei non ti avesse ricambiato avresti lo stesso..?-
-Non
lo so.. forse.. perché mi stai facendo questa domanda?- indagò lui, iniziando a
comprendere dove volesse arrivare la giapponese.
Lei
scrollò le spalle.
-Vuoi
farlo con Kei..- chiese conferma -..o lo avete già fatto?-
-No
no! Non abbiamo fatto niente.. cioè, ci siamo andati vicino, ma..-
-Tu
non hai voluto-
-Ma
sto iniziando a valutare l’idea..-
-Lo
fai perché lo vuoi davvero o perché lui ti fa pressioni?-
-No,
lui non fa nulla del genere, anzi..-
-Hai
paura che ti ferisca?-
-E’
che so che per lui significherebbe qualcosa di diverso..-
-Non
è che credi che facendolo riusciresti a legarlo a te?-
-Più
il contrario-
Varcarono
un ulteriore porta e si ritrovarono sugli spalti del grande stadio dove, sparsi
in diversi punti, potevano scorgevano gli altri gruppi.
-Dovresti
fare chiarezza e capire cosa vorresti davvero..-
Hilary
cercò automaticamente il gruppo di Kei.
-E’
che.. boh.. guardalo, è una tentazione troppo forte..- sospirò indicandolo.
-Sono
seriamente preoccupato..- sussurrò Rei guardandola di traverso.
-Perché?-
chiese lei in ansia.
-Perché
sei davvero persa!- e scoppiò a ridere per stemperare la situazione.
La
brunetta rise insieme a lui, ma non riusciva a immaginare quanto quelle parole
fossero vere per il cinese, quanto quell’invaghimento fosse pericoloso e
inaffidabile per l’occhio attento dell’amico.
Quello
che capì nei giorni a seguire fu davvero inaspettato: se in gita era stata
arrabbiata, felice e impaziente, durante il viaggio di ritorno serena e triste
per l’imminente separazione, anche se di relativamente poche ore, a casa
agitata e su di giri, non aveva calcolato quanto sarebbe stato difficile provare
tutti quei sentimenti e quelle sensazioni verso una sola persona.
Kei
catalizzava ogni suo pensiero e ogni sua azione e la scoperta di
quell’attrazione così forte le aveva scombussolato ogni concezione che aveva
dell’amore: perché era così che probabilmente poteva chiamare quella morsa allo
stomaco che provava in sua presenza, e se non era amore, sicuramente doveva
avvicinarsi di molto al concetto.
Ciò
che la indispettì e la colpì più di tutto fu quanto contribuisse
all’allontanamento e al litigio una sensazione così positiva; la gita era stata
solo l’inizio di una serie di momenti altalenanti tra i disaccordi e la pace,
tra l’acidità e la dolcezza. La gelosia era stata solo la punta dell’iceberg, a
cui si erano uniti la necessità di stare vicini, di vedersi e l’arrabbiatura e
la delusione connessa al non raggiungimento di quelle, a prima vista, semplici
richieste di stare insieme e condividere, sì sempre condividere, qualcosa con
l’altro.
Ergo,
le relazioni erano una cosa complicata: mai era stata così presa da riuscire a
comprendere fino in fondo quell’affermazione, che aveva opportunamente
modificato adattandola a sé: le relazioni con Kei Hiwatari erano una cosa molto
complicata.
Lunaticità,
scontrosità e sigarette: ingredienti insiti nel carattere del russo, che
spiazzavano e innervosivano all’ennesima potenza. Ma come ignorare quella parte
del ragazzo che la scioglieva, la faceva arrossire, la alleggeriva tanto da
dimenticare il resto.
Elemento
da non ignorare era la sua capacità di stupirla in ogni situazione, in bene e
in male, anche quando pensava di avere il coltello dalla parte del manico.
Due
giorni dopo la gita, nella pausa pranzo, gli aveva confessato di voler fare
l’amore con lui, gli aveva elencato i suoi dubbi, ma anche i motivi per cui si
sentiva pronta: lui non era riuscito a fare altro se non stare fermo e immobile
a fissarla, non arrabbiato, non contento, nemmeno sorpreso o chissà che altro,
ma semplicemente fermo. Era riuscito anche, come al solito, a farle abbassare
lo sguardo al pavimento.
No,
non lo avrebbe mai capito del tutto.
Effettivamente
non avevano più avuto occasione per stare insieme da soli: o erano a scuola o
al dojo popolato da tutti gli altri. Ovviamente, visto che Kei aveva fatto
tranquillamente sesso con Aiko nello sgabuzzino della scuola, il luogo e il
momento avrebbero potuto trovarlo senza fare troppo gli schizzinosi, ma, come
prima volta, Hilary almeno un letto se lo aspettava.
Solo
che il pensare ad Aiko e alla sua possibile prima volta le creò una serie di
sentimenti contrastanti che cercò di scacciare per evitare attacchi di panico o
cose del genere.
Varcò
la porta del dojo ripetendosi mentalmente di non perdere la calma e si diresse
automaticamente verso il giardino.
Si
accorse tardi che l’edificio era avvolto in un silenzio irreale.
Kei
sbucò sbadigliando dalla sala, con le cuffie sul collo e una sigaretta spenta
tra le dita, che non faticò ad accendersi pochi secondi dopo aver salutato la
ragazza.
-Dove
sono tutti?-
-Nonno
J si sta riposando, gli altri non ci sono-
Questo
voleva dire che erano praticamente soli: il cuore di Hilary perse un battito.
Il
russo la guardò perplesso, aspirando il fumo, e lei riuscì a creare una serie
infinita di castelli in aria nel giro di pochi attimi.
Kei
spense la sigaretta nel posacenere sul porticato e poi la raggiunse di nuovo,
afferrandola per il polso: aveva un’espressione strana, chissà quali pensieri
gli erano balenati in testa.
Non
riuscì a comprenderlo, ma si lasciò trasportare attraverso il giardino, fino
alla palestra.
Entrarono
e, quando il ragazzo si bloccò, per poco lei non gli rovinò addosso; come al
solito la superava in altezza e non eliminava il contatto visivo,
costringendola a perdersi nei suoi occhi vermigli.
Forse
era la palestra, forse quelle iridi, ma sentì improvvisamente caldo, nonostante
la temperatura esterna si fosse ormai abbassata: cosa aveva intenzione di fare?
Il
russo si mosse e Hilary non poté fare a meno di seguire ogni suo gesto con
massima attenzione, per captare ogni segnale, ogni indizio, ovviamente senza
risultato.
Kei
infilò la mano in tasca ed estrasse il lettore mp3, il cui contenuto le era
ancora oscuro, e iniziò ad armeggiare con i tasti: improvvisamente udì un suono
ovattato in crescita, proveniente dalle cuffie. Il russo afferrò queste ultime
e le sfilò dal collo, avvicinandole alla brunetta e posandogliele sulle
orecchie, sistemandole perfettamente.
Automaticamente
la ragazza lo aiutò a fargliele indossare, sistemando i capelli in modo che non
intralciassero: non capiva il significato di quel gesto, ma era totalmente
assoggettata da lui, tanto che non prestò subito attenzione a quel dettaglio
che era la musica. Aveva tentato per giorni di scoprire che tipo di canzoni lo
accompagnassero in quei pomeriggi di dolce far niente, ma così presa alla
sprovvista si era dimenticata di premurarsi di quel particolare.
Kei
le si avvicinò, come quando si apprestava ad abbracciarla, ma non le cinse la
vita, bensì appoggiò l’orecchio sinistro sull’esterno della cuffia, come per
ascoltare lui stesso, e solo in quel momento Hilary si concentrò sul suono: era
una canzone non troppo veloce, poteva classificarla come R’n’B probabilmente,
aveva accenti e bassi, ma anche una melodia dolce e la voce del cantante era
impreziosita da dinamiche che non sapeva classificare.
Presa
dall’ascolto, quasi non avvertì il movimento del ragazzo: sembrava tenere il
ritmo della canzone con tutto il suo corpo, accennandolo, prima di iniziare una
specie di magia. Lei rimase immobile, isolata dal resto grazie alle cuffie, concentrata
su ciò che aveva davanti.
Kei
ballava, non come quella sera in gita, ma più come quando lo aveva spiato, da
solo in palestra; a Hilary la propria presenza sembrò superflua, avrebbe potuto
tranquillamente non esserci, poiché lui non tentava di farla muovere,
concentrandosi solo su di sé, non staccandosi, ma nemmeno toccandola.
Eppure
poteva sentirlo interagire con lei, avvertiva il calore del suo corpo, della
sua presenza, lo spostamento d’aria provocato dai suoi movimenti: tutto era con
e senza di lei.
Riuscì
a pensare solo quanto fosse bello vederlo ballare così da vicino, senza timori
di essere scoperta o di fermarlo, quanto sembrasse un tutt’uno con la canzone,
nonostante non potesse sentirla direttamente: le note per lei riempivano lo
spazio, ma lui vi si legava perfettamente e le completava.
Non
se ne capiva, ma come non ammirare, come non apprezzare quello che aveva
davanti, quella serenità e semplicità che non avrebbe saputo riprodurre e che
rendeva il tutto ancora più speciale.
Solo
quando la canzone giunse verso gli ultimi accenti, e Kei iniziò a spegnersi con
lei, Hilary si ricordò di quello che le aveva detto a riguardo del danzare: era
personale e, nonostante non riuscisse a comprendere completamente, intuì il
significato dietro quell’aggettivo.
Aveva
condiviso quel momento con lei: nuovamente il verbo ‘condividere’ era tornato
sulla loro strada.
Kei
le sfilò lentamente le cuffie e la riportò alla realtà.
Non
sapeva che dire, che fare, come comportarsi: le sarebbe bastato rimanere a guardarlo,
ma tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa la riportasse a uno stato di semi
coscienza.
-Domani..-
tentò la ragazza -..domani è un mese che stiamo insieme-
-Lo
so- soffiò lui sistemandole delle ciocche di capelli andate fuori posto per le
cuffie –mangiamo insieme qualcosa?-
-Certamente-
acconsentì lei allargando gli angoli della sua bocca in un ampio sorriso.
Mesiversari:
una faccenda piuttosto strana per lui.
Sapeva
che le ragazze erano assolutamente fissate con queste ricorrenze, eppure a lui
non faceva né caldo né freddo. Ovviamente questo sarebbe stato meglio non
dirlo, se teneva ancora un minimo alla sua salute mentale. Regola numero 1: mai
dimenticarsi un’occasione del genere e mai far notare la sua inutilità.
Se
ci ripensava da un lato quel mese era stato piuttosto lungo, ma allo stesso
tempo di una velocità inconcepibile: il problema maggiore di quel periodo era
stata l’incondizionata attenzione di Hilary.
Proprio
negativo non poteva considerarlo, però sentiva che c’era qualcosa di sbagliato,
per lei più che altro, per lei che si era stata completamente catturata da
quella relazione, che gli era stata accanto e che lo aveva sopportato, non
senza alti e bassi. Ma lui in cambio non credeva di aver dato nulla,
soprattutto per la sua incapacità di farlo.
Sentiva
che quella era una relazione diversa, ma per molti versi non riusciva a
concepirla veramente come differente. Uno strano squilibrio lo aveva
attanagliato.
-Hey..
allora stasera si festeggia?-
Rei
comparve al suo fianco nel corridoio superiore del dojo.
Il
russo lo guardò stranito per poi capire si riferisse anche lui al mesiversario.
-Non
proprio.. domani c’è scuola.. non può fare tardi- rispose indifferente
scendendo le scale.
-Senti..-
lo bloccò Rei titubante -..nell’ultimo periodo so di non essere stato proprio
il miglior amico del mondo, ma.. sono davvero felice per voi due-
Kei
lo guardò incerto, ma si convinse della buona fede di quella frase. Rispose con
un’alzata di spalle, ma il cinese non sembrava aver terminato.
-Hilary
si è confidata con me l’altro giorno..- disse abbassando il tono della voce
-..mi ha detto che volete.. beh farlo-
L’altro
stette in ascolto, attento all’evolversi del discorso.
-Forse
è inutile dirtelo, ma..- già quel ‘forse’ a Kei suonò male, ma non disse nulla
-..non farla soffrire, per lei è importante, sei importante..-
Il
russo non resistette e si fece scappare un risolino che di divertito aveva ben
poco.
-Dovevo
immaginarlo-
-Di
cosa stai parlando?-
-Non
venirmi a dire queste cose.. ho capito che non ti fidi di me-
-Ma
non è quello stavolta..-
-Sì
che lo è- asserì fissandolo serio –continui a farmi raccomandazioni..-
-Perché
so quanto lei è presa!-
-Quindi?-
-Quindi
niente!- si guardarono in tralice per qualche secondo –Solo, la conosco da anni
ormai, so quanto sia importante questo passo..-
-Lo
so anche io-
-Infatti,
non sto dicendo di non farlo, come ti ho detto sono felice per voi, solo..-
cercò di scusarsi Rei -..fa attenzione-
-Pensavo
che di ‘ste cose non ne volessi parlare- lo imbeccò Kei gelido.
-E’
che tu la pensi in un modo diverso, per te è diverso, tu questa scelta non..-
il ragazzo si bloccò di colpo, trattenendo le parole che a fiume gli stavano
uscendo dalla bocca.
-Ora
vai avanti- la voce del russodivenne un
sibilo, ma l’altro tacque –Finisci la frase- continuò avvicinandosi arcigno.
-Non
intendevo- il cinese si fece piccolo piccolo sotto lo sguardo minatorio di Kei.
-Non
posso capirla? Non l’ho fatta? Cosa volevi dire? Illuminami- il tono del
ragazzo più grande era duro e accusatorio.
-Kei,
io..-
-Hey
ragazzi!- la voce di Hilary arrivò alle spalle del russo.
La
ragazza doveva avere appena varcato la porta, ma Kei non se ne occupò, troppo
preso a incenerire col pensiero l’amico di fronte a lui.
Entrambi
sapevano quello che avrebbe detto se solo non si fosse reso conto del
significato di quelle parole.
Sicuramente
se avesse continuato Kei avrebbe avuto il pretesto perfetto per tirargli un
cazzotto, ma non era stato così e si era limitato semplicemente a incolparlo
solo per aver pensato a determinate cose. Gli lesse in volto il pentimento e
questo lo convinse di non aver immaginato quel riferimento.
Se
lo sarebbe aspettato da tutti, meno che da Rei, che tirasse fuori
quell’argomento e che lo usasse contro di lui, che glielo sbattesse in faccia a
quel modo.
-Tutto
bene?- ritentò la ragazza, ancora ignorata.
Rei
fece per mettere una mano sulla spalla dell’altro, ma Kei lo respinse.
-Stai
alla larga da me- lo minacciò gelido, indietreggiando di qualche passo, per poi
girarsi e superare Hilary.
La
sentì dire qualcosa, ma non vi prestò attenzione, nemmeno quando si rivolse a
Rei: voleva solo uscire, prendere aria, camminare e sbollire la rabbia che gli
era salita addosso.
Camminò
a passo sostenuto per le varie vie del quartiere, ma solo quando rallentò e
iniziò a distendere i nervi, aiutato da una buona dose di nicotina, si accorse di
un’ombra dietro di lui.
La
ignorò e continuò imperterrito ad andare avanti: chiunque fosse non era il
momento giusto per parlare, in realtà non lo era mai, ma soprattutto in
quell’istante. Maledette parole, tante e troppe parole che lo perseguitavano da
mesi.
Raccontare,
raccontarsi, a che serviva? Intanto lui non lo avrebbe mai fatto, mai del
tutto, mai.
Aveva
lasciato il dojo con il sole intento a tramontare e già i lampioni stavano
iniziando ad accendersi e a illuminare ciò che il buio tentava di inghiottire.
L’aria
di ottobre, già abbastanza fredda per i giapponesi, non ancora abbastanza per
lui che ostentava una maglia a maniche corte, lo avvolse e l’oscurità lo aiutò
a fare chiarezza in quella confusione di rabbia e delusione che era la sua
mente: l’usuale passaggio veloce da un sentimento all’altro lo pervase.
Le
incomprensioni avute con Rei in quelle settimane erano sfociate immancabilmente
in una questione troppo grande che sapeva, prima o poi, sarebbe venuta a galla:
non condivideva mai il suo passato con nessuno e aveva un motivo per farlo. Ma
Rei e gli altri sapevano tutto di lui e non potevano semplicemente ignorarlo.
Alla
fine dietro tutte la sfiducia del cinese c’era sempre stato quello
probabilmente, ma come dargli torto. In fondo non erano quelle le sue stesse
paure? Le stesse motivazione che non gli permettevano di vivere serenamente, di
vivere in modo semplice e normale? Non era da quello che voleva scappare, per
quello che voleva cambiare?
Non
poteva liberarsi del suo passato? Passi la droga, quello era stata una lezione
più che sufficiente, ma non poteva semplicemente far coincidere l’inizio della
sua vita ai suoi quattordici anni, anzi facciamo quindici?
Il
problema era proprio quello: non poteva.
Iniziò
a rallentare.
-Torna
a casa, non è serata- disse ad alta voce, senza voltarsi.
L’ombra
continuò a seguirlo in silenzio.
Attraversò
il belvedere e proseguì oltre, lungo la costa, verso posti che solitamente
raggiungevano con i mezzi.
La
persona dietro di lui non desistette e, dopo una decina di minuti, Kei si
decise a rallentare ulteriormente permettendole di raggiungerlo.
Non
appena le fu al suo fianco la guardò di sbieco, scuotendo la testa contrariato,
per poi afferrarle la mano che lei strinse forte.
Rei
aveva ragione dietro quelle accuse: Hilary era completamente presa da lui, ma
lui non ricambiava allo stesso modo, forse nemmeno con un decimo di quello che
provava lei.
Abbandonare
quindi quella sensazione piacevole di avere qualcuno al proprio fianco per
evitare di ferirla, o approfittarsene ancora?
-Sei
parecchio arrabbiato- notò lei sottovoce.
Kei
sospirò.
-Posso
sapere che ti ha detto Rei?-
-No-
-Non
vuoi nemmeno parlarne? Nemmeno a grandi linee?- provò lei.
-Non
voglio parlare-
-Che
vuoi fare?-
-Camminare-
-Allora
camminiamo- affermò appoggiando la testa al suo braccio, aumentando il contatto
tra loro due.
Camminarono
ancora per un bel po’, prima di giungere a una piccola baia, da dove le case
iniziavano a diradarsi per lasciare alla vegetazione campo libero per
espandersi, prima che la città riprendesse poco più di un chilometro oltre.
-Hai
fame?- chiese improvvisamente Kei alla ragazza, arrivati davanti a un piccolo
ristorante caratteristico.
-Un
po’- ammise lei, che aveva mascherato il brontolio dello stomaco per tutta la
passeggiata.
Entrarono
nel locale e iniziarono a osservare una lista sul bancone; Hilary si guardò
intorno e propose un’idea alternativa notando un piccolo bazar all’interno del
ristorante –Se prendessimo da portar via e andassimo a mangiare sulla
spiaggia?-
-Ok-
acconsentì Kei, grato di poter tornare all’aria aperta.
Ordinarono
da mangiare e comprarono un asciugamano, per poi incamminarsi verso il mare.
-Qui
ci venivo quando ero più piccola- confessò lei muovendosi tra gli scogli che
avevano raggiunto –Ti porto in un posto-
Camminarono
sui grandi sassi per diversi metri, seguendo il litorale che in quel punto si
alzava creando una specie di promontorio.
-Eccola-
Hilary
indicò una piccola lingua di spiaggia, nascosta grazie alle grandi rocce, senza
alcuna illuminazione: la luna era solo un sottile spicchio, ma le luci della
città che circondavano quella piccola oasi permettevano di non essere completamente
immersi nell’oscurità.
Allargarono
l’asciugamano sulla sabbia umida e vi si sedettero, iniziando ad aprire i
cartocci del cibo.
-Gli
ho detto che vogliamo farlo.. è per questo che avete discusso?- tentò Hilary
approfittando di quella pace.
Kei
si limitò ad annuire, senza disturbare il rumore delle onde che si allungavano
sulla spiaggia, come ad abbracciarla.
-Colpa
mia allora.. mi dispiace!-
-Per
certi versi ha ragione- annunciò Kei terminando la sua porzione.
-Su
cosa?-
-Non
dovremmo accelerare le cose-
-Ti
ha detto questo?- chiese la ragazza incredula.
-No,
ma io sono arrivato a questa conclusione-
-Perché?-
-Per
te-
-Per
me?-
-Non
vorrei che te ne pentissi-
-Voi
uomini forti dovreste smetterla di battere su questo punto-
-Ma
c’è il rischio-
-E
allora? Credi che te lo avrei chiesto se non ci avessi pensato per bene?-
-Non
sono abituato a queste situazioni, non lo so..-
-Beh
è così.. ti assicuro che non me ne pentirei-
-Come
fai ad esserne sicura?-
-Perché
quello che provo per te mi sembra una motivazione più che valida-
-Anche
se non è lo stesso che provo io?-
Il
silenzio piombò su quella domanda, che nascondeva la conferma a molti dubbi
della ragazza.
-Sì,
mi basta questo-
Pochi
secondi per guardarsi e Hilary si avvicinò al ragazzo per baciarlo e
carezzarlo, fino a ritrovarsi sdraiata sopra di lui.
Kei
si stupì dell’iniziativa presa, ma la assecondò, sentendo le sue esili mani
appoggiarsi sul suo petto e infilarsi sotto la maglietta, prendendosi libertà
che probabilmente fino a poche settimane prima non avrebbe avuto il coraggio di
affrontare.
I
loro corpi a contatto, i loro pensieri rivolti verso un fine comune: mancò poco
che Kei facesse forza per ribaltare le posizioni e mandare all’aria tutti i
discorsi fatti fino a pochi secondi prima.
Conscio
di questa possibilità trovò la forza di mettersi seduto e staccarsi.
-Se
fai così, mi rendi tutta la storia dell’aspettare difficile- disse cercando di
riprendersi: poteva parlare quanto voleva, ma era pur sempre un maschio con
determinati impulsi e bisogni e l’astinenza delle settimane passate iniziava a
farsi sentire.
-Allora
non aspettare- sussurrò lei, con un velo di malizia, trasformando l’idea che
Kei aveva di lei nella sua testa, da innocente e ingenua a una ragazza che
necessitava di attenzioni.
-Almeno
non sulla spiaggia-
-Perché?-
-La
sabbia è fastidiosa.. brutte esperienze- spiegò abbozzando un sorriso e
cercando di prestare attenzione alla distesa d’acqua di fronte a lui.
Hilary
però non demorse e, dopo aver ridacchiato, si appoggiò a lui in ginocchio,
afferrando la sua schiena, e giocherellò con il lobo del ragazzo, come tante
volte lui aveva fatto con lei.
Le
ragazze, a volte, riuscivano ad essere peggio dei loro simili del sesso
opposto: Kei, nonostante gli sforzi, non poté più rimanere impassibile a quelle
avances.
-Ok,
hai vinto- detto questo la prese alla sprovvista e la rispinse a sdraiarsi
sull’asciugamano, mettendosi sopra di lei.
Passarono
pochi secondi prima che i due iniziassero a spogliarsi a vicenda, loro complice
l’oscurità e il luogo poco frequentato, soprattutto in un giorno a metà
settimana.
Il
freddo che fino a poco prima entrava nelle ossa di Hilary fu sostituito dal
calore della pelle di Kei; ancora pochi baci e poche carezze che il ragazzo
riafferrò i pantaloni sotto lo sguardo perplesso della brunetta. Il russo prese
il portafoglio e, da questo, estrasse un piccolo involucro quadrato.
-Che..-
sussurrò la giapponese prima di capire che cosa il ragazzo tenesse tra le dita.
-Se
hai ripensamenti, se mi devi fermare, fallo ora- soffiò lui a pochi centimetri
dal volto dell’altra, le ametiste perse alla ricerca di risposte nelle iridi
cioccolato di lei.
Hilary
sembrò pensarci pochi secondi, prima di afferrare sicura la plastica e sfilare
il preservativo.
Kei
prese quel gesto come un via libera e la guidò verso il loro nuovo obiettivo
comune: cercò di essere calmo e dolce, di accompagnarla in quella scoperta, di
rassicurarla e fare in modo che la fiducia in lui non fosse tradita. Passione,
desiderio, amore, non c’era divisione, tutto era un insieme unico.
L’aria
fresca si mischiò al sudore, le onde contro gli scogli fecero da eco ai loro
gemiti. Testarono quel nuovo campo del loro rapporto, lasciando da parte dubbi,
incertezze, rancori, paure e condividendosi ancora.
Kei
fece scorrere il palmo sulla gota arrossata della ragazza, mantenendo quel
vitale contatto visivo; la strinse, poi, forte a sé vedendola tremare dal
freddo.
-Tutto
bene?-
Hilary
si accoccolò tra le sue braccia, affondando nel suo petto, prima di rispondere
affermativamente.
-Stai
congelando.. sarà meglio andare- notò lui invitandola a rivestirsi.
-No-
si oppose l’altra avvicinandosi ancora il più possibile.
-Non
vorrai ammalarti per caso?-
La
brunetta sbuffò divertita, ma non si mosse; alzò solo la testa per guardare Kei
in viso.
-Facciamolo
di nuovo così mi scaldo- disse facendogli la linguaccia.
-Ci
hai preso gusto?-
Non
rispose, ma si rituffò nel suo abbraccio.
Rimasero
a coccolarsi per diversi minuti, ma quando il tremore di Hilary si fece più
intenso, Kei insistette per andare via, costringendola a rivestirsi.
-Capisco
quello che dicevi sulla sabbia adesso- rise la giapponese mentre si immettevano
nuovamente nella strada principale.
Buttarono
via i cartoni del cibo e l’asciugamano e tornarono verso casa, ripercorrendo la
lunga passeggiata che li aveva portati fino a lì.
Buonasera ragazzuole!
Per questa volta partiamo dal fondo: è una
cosa che si fa sempre ringraziare, ma è un dovere davvero sentito.. quindi
ringrazio voi lettrici e lettori perché, forse non lo sapete, ma siete davvero
la ruota che fa andare avanti questo mulino, e non è per niente esagerato ^^
Detto questo commentiamo un po’ il capitolo
insieme: innanzitutto calmatevi, prevedo già un coro d’altura! XD Vabbè ma
questo lo lascio fare a voi.
Diciamo che parola chiave del capitolo è
stata ‘condivisione’ e credo che si sia capito, punti oscuri saranno poi
chiariti ovviamente u.u poi volevo scrivere due righe su un personaggio che è
partito col botto e che in queste ultime settimane vi sta scendendo: ebbene sì,
proprio lui, colui che ha ottenuto il record di vittorie come miglior
personaggio, sta rischiando di finire in fondo alla lista ahimè.. maaaa vabbè
non dico nulla come al solito va!
Alla fine non è che poi ho commentato più
di tanto O_o potrei evitare di farvi perdere tempo a leggere queste cavolate e
passare subito alle cose serie.. sì perché anche se vi sembrerà strano quella
che vi sto chiedendo è una cosa seria e importante, quindi..
Sondaggio
Time
Ebbene, l’estate è arrivata, io ho finito
gli esami, siamo tutti più felici, ma c’è un però!
Agosto è il mese di villeggiatura per
eccellenza (o forse solo per me) e io mi ritirerò sui monti a mò di eremita per
diverso tempo.. direte, e a noi che ce ne frega? Beh, presto detto: dove andrò
non ho internet! Tatatataaaaaan
La domanda a cui vi chiedo di rispondere
ora è: visto che non potrò assicurare per tutto il mese l’aggiornamento del
giovedì notte, pensate sia meglio darsi appuntamento al primo di settembre
levandoci ogni dubbio, o andare alla cieca e avere aggiornamenti alla c***o di
cane (che potrebbe significare avere solo due settimane di pausa o tutto il
mese a seconda della mia disponibilità)?
Datemi il vostro parere!
Intanto noi comunque ci diamo
appuntamento alla prossima settimana!
Lo
stava rincorrendo da tutta la mattina, ma il russo non gli aveva ancora dato la
possibilità di acchiapparlo: lo ignorava semplicemente, tenendolo fuori dalla
sua portata. Il continuo tentativo del cinese di parlargli, però, risultava
alquanto fastidioso.
-Mi
puoi ascoltare un attimo?- chiese per l’ennesima volta, stravolto, ottenendo di
fermarlo sulla strada per la scuola.
Kei
lo fissò in attesa, sembrava non respirasse nemmeno da quanto immobile
risultava.
-Ti
voglio chiedere scusa per ieri!-
-Mh- fu l’unica cosa che fuoriuscì dalle labbra dell’altro,
che non perse tempo e si girò per riprendere il cammino.
Rei
ritentò durante le lezioni, approfittando del fatto che l’altro non potesse
scappare, poiché seduto di fianco a lui: ignorò persino il richiamo del
professore di storia, laconico e soporifero come al solito, per non perdere
l’occasione.
Kei
nuovamente si limitò a intimargli con un gesto di stare zitto, continuando a
guardare disinteressato fuori dalla finestra, per poi, finita l’ora, chiedere a
Max se per un’ora potevano fare cambio di posto, andando di sua spontanea
volontà vicino a Takao. Ci furono ulteriori spostamenti, approfittando dell’ora
di arte, piuttosto libera, e Rei si ritrovò dalla parte opposta dell’aula
vicino a Hilary che aveva insistito per parlargli.
-Si
può sapere che gli hai detto?-
-Ho
fatto un casino!- rispose il ragazzo reggendosi la testa con le mani.
-Questo
l’avevo intuito- disse pratica la brunetta, ma vedendo la disperazione
crescente dell’altro continuò –Devi solo lasciarlo sbollire.. vedrai che si
risolverà tutto-
-Lo
spero- soffiò il cinese sconfortato, prima di guardare attentamente la ragazza
–Sei felice che abbiamo litigato?-
-Ma
che ti viene in mente?-
-Allora
sei felice per qualcos’altro?-
Hilary
arrossì improvvisamente e si voltò di tre quarti per non mostrare il sorriso
che non la abbandonava e che ovviamente la tradiva.
-Se
tu fossi una ragazza sarebbe tutto più semplice- sussurrò lei.
-Per
quello non posso farci nulla-
-E’
successo- disse a tono sempre più basso.
-Non
ho capito nulla-
-E’
successo- alzò leggermente la voce.
-Di
cosa stiamo parlando adesso?-
-Ieri..
con Kei..-
Rei
non fece in tempo a organizzare i pensieri e a rispondere che l’altra riprese.
-So
che è per qualcosa legato a questo che avete discusso, ma te lo dovevo dire
e..-
-Non
ti devi giustificare con me- la fermò comprensivo.
-Dovevo
dirlo a qualcuno- aggiunse torturandosi le mani.
-E..
è andato tutto bene?-
-Che
domande sono?- disse arrossendo ancora di più –No, non sei una ragazza e non
riesco a parlartene!-
-Ma
è una domanda legittima.. come ti senti?-
Hilary
ci pensò su per qualche secondo, prima di rispondere –Bene-
-L’importante
è questo- terminò Rei sorridendo dolcemente.
-Pensavo
saresti stato contrariato-
-Non
è affar mio.. è quello che stavo cercando di dire
ieri a Kei, ma le cose mi sono sfuggite decisamente dalle mani e..-
-Ti
perdonerà vedrai-
-Dovresti
perdonarlo- gli disse Hilary cercando di fare da paciere.
-Non
ti ci mettere pure tu- sbuffò Kei sedendosi sui gradini di una scala
secondaria.
La
pioggia impediva di stare all’aperto per la ricreazione e il russo iniziava a
risentirne.
-Se
mi dicessi che ha fatto di così grave..-
-Voglio
solo che mi lasci in pace.. per un po’-
-Capisco-
si arrese la ragazza –Senti.. oggi mi spieghi matematica che ha spiegato ieri?-
-Ok..
basta che stiamo lontani da quei casinisti-
-Intendi
Takao e Max? E Rei nemmeno a chiedertelo-
Kei
annuì sospirando.
-Se
vuoi possiamo andare a casa mia- tentò la ragazza.
-Ci
sono i tuoi?-
-No,
mia madre prima delle sette non arriva, mio padre molto più tardi-
-Ok-
Rei
fece l’ultimo tentativo all’uscita da scuola, prima che Kei e Hilary si
allontanassero da soli, ma il russo gli aveva rivolto parola per la prima
volta, rispondendogli prontamente di lasciarlo in pace.
-Domani..
lasciami stare per adesso-
Ormai
la strada verso casa della ragazza la conosceva a memoria per avercela
accompagnata diverse volte, ma non vi era ancora entrato.
Era
un semplice edificio a due piani, con un piccolo cortile poco prima
dell’ingresso: varcarono la soglia ed la ragazza lo condusseverso la sala dove fece gli onori di casa.
Bevvero qualcosa prima di salire in camera.
-Carina-
commentò il russo non appena entrato.
Era
ordinata, punto a suo favore, e rispecchiava la personalità di Hilary. Kei
iniziò a guardarsi intorno analizzando quel luogo: una grande libreria, divisa
tra volumi di diverse dimensioni e una collezione di videocassette e dvd,
ricopriva un’intera parete, mentre il letto con l’armadio a ponte occupava il
restante spazio, oltre alla scrivania.
Il
ragazzo si stiracchiò e si sedette sul letto, aspettando che l’altra finisse di
sistemare le proprie cose e cercare gli appunti di matematica.
-Non
ti facevo da queste cose- esclamò ad un tratto Kei, raccogliendo una rivista da
terra, l’unica cosa fuori posto.
-Di
cosa..- chiese Hilary voltandosi, ma non appena scoperto l’argomento si
affrettò a rispondere -..la compra mia madre-
-E
tu la leggi- la corresse lui, cercando di capire di che stesse parlando la
pagina alla quale era aperta.
-Un
po’ di sano gossip non fa mai male- cambiò rotta lei per giustificarsi.
-Lauren?
Non era la cantante che dicevi che piaceva a Takao?-
-Sì-
-Mi
sembra più il tipo da Max- commentò osservando la chioma bionda della cantante.
-Infatti
piace anche a lui-
-Non
è che in realtà piace a te?- chiese con un sorrisetto.
-Nah.. semmai a te- cercò di cambiare discorso lei.
-Nemmeno
troppo.. perché allora hai tenuto il segno?- insistette.
-Ok,
mi piace il suo ragazzo, sei contento?-
Kei
rise: immaginava che il motivo fosse l’uomo paparazzato
insieme alla bionda, ma si stava divertendo a stuzzicarla.
-Chi
è? Canta?-
-No,
un attore..- rispose lei, prima di spazientirsi -..dai mettila via!- e gli
prese la rivista dalle mani, buttandola in malo modo in un cassetto.
Il
russo approfittò dell’improvvisa vicinanza della ragazza per afferrarla e
spingerla a sedersi sulle sue gambe.
-Cosa
fai?-
Kei
rispose iniziando a baciarla e mostrando le sue intenzioni.
-Prima
il dovere, poi il piacere- cercò di indirizzarlo lei.
-Con
tutte le ore di scuola direi che è già tempo per il piacere-
-Ma..-
-Ormai
non hai più scuse per dirmi di no- continuò a stuzzicarla lui, tra un bacio e
l’altro, e, come nelle sue previsioni, la fece capitolare con poca difficoltà.
-Hai
troppo controllo su di me..- osservò Hilary dopo che i baci si erano
trasformati in passione pura e li aveva portati a condividere il letto -..dammi
qualche giorno per riprendermi e sei spacciato-
Kei
annuì e sistemò la testa sul cuscino, continuando a sfiorarle la pelle nuda.
-Comunque
il letto è meglio- continuò la ragazza dandogli un bacio a fior di labbra sul
naso lasciandolo perplesso.
-Per
me possiamo provare tutti i posti finché non trovi il tuo preferito-
-Sei
un pervertito- disse accoccolandosi sul suo petto, ormai dimentica dello scopo che
li aveva portati nella sua casa quel pomeriggio.
-Tua
madre quando hai detto che arriva?-
-Tra
un’ora, un’ora e mezza-
-Allora
abbiamo ancora tempo-
-Vuoi
fermarti a cena?- aggiunse dopo averci riflettuto per qualche minuto.
Kei
fissò il lampadario sorpreso.
-Non
credo sia una buona idea-
-Mi
farebbe piacere..-
-Che
conoscessi i tuoi?-
-Sì-
Il
russo sospirò combattuto: intuiva che quella richiesta derivasse da qualcosa di
importante per lei, ma l’idea di avere a che fare con i suoi genitori lo
preoccupava, soprattutto per il significato che quel gesto portava con sé, rappresentava
un legame.
-Non
oggi-
-Pensi
di non piacergli-
-Non
credo di essere il tipo ideale per un genitore, ma comunque preferirei non
avere a che fare con ste cose..-
-Ste
cose?- rise Hilary per stemperare la situazione –Sei proprio strano-
-Già-
disse lui dandole un bacio sulla fronte –Allora questa matematica?-
Si
alzarono e rivestirono con calma, per poi mettersi alla scrivania per
comprendere la lezione del giorno prima.
-Ce
li hai degli appunti?- chiese lei, guardando disperata i propri.
Kei
tirò fuori il suo quaderno e lo aprì: matematica era probabilmente l’unica
materia a cui prestasse realmente attenzione, probabilmente perché era quella
che capiva meglio.
Iniziò
a spiegarle i passaggi principali delle varie regole aiutandola a completare
gli esercizi e poi la lasciò confrontare i loro due quaderni.
-Che
vuol dire?-
Kei
si sporse per individuare il punto della pagina indicato dall’indice della
ragazza, a margine della pagina.
-Niente
di che- si affrettò a spiegare.
-Ma
non è russo?- chiese convinta indicando le parole in cirillico, sparse qua e
là, su tutto il quaderno –Qui è nel mezzo degli appunti- aggiunse indicando una
frase intera.
-Sì..
così le capisco meglio-
-Ma
non ti confondi ancora di più?-
Kei
scosse la testa, intimandola a concentrarsi nuovamente sugli esercizi.
Trascorsero
una ventina di minuti tra distrazioni e tentativi di calcoli, anche se Kei
preferiva le prime, i secondi dovevano avere la meglio.
-Non
mi hai mai parlato della tua famiglia- sussurrò Hilary prendendola alla
sprovvista, guardandolo dritto negli occhi nella speranza di una risposta.
-Perché
non c’è niente da dire- rispose indifferente l’altro sperando di far cadere il
discorso il prima possibile.
-C’è
sempre qualcosa da dire-
-Sono
morti tutti.. questo è quanto- disse pratico, senza apparente interesse.
-Però
li hai conosciuti..-
-Solo
mio nonno- cercò di rispondere aspettando il momento migliore per terminare la
conversazione.
-E’
lui quello che ti ha lasciato tutti quei soldi?-
Kei
annuì –Ma non li toccherò-
-Perché?-
-E’
morto in prigione.. non c’è finito per caso-
-Ma
se..-
-Non
voglio averne a che fare.. me li ha lasciati solo perché sapeva mi avrebbe
fatto un torto-
-Magari
la vita da galeotto lo ha fatto cambiare..-
-Penso
che abbia pagato così tanto in carcere che gli sarà sembrato di essere in
hotel- commentò con udibile disprezzo.
-Ah..
dei tuoi invece..-
Il
cellulare della ragazza improvvisamente iniziò a squillare e fu costretta a
rispondere.
-Pronto?
Mamma..- guardò Kei e gli chiese se volesse restare sperando le leggesse il
labiale.
Il
russo scosse la testa e radunò la sua roba: le sussurrò che sarebbe andato,
mentre lei era ancora bloccata nella conversazione. Le lasciò un bacio
sull’angolo delle labbra e si diresse verso l’uscita con lei.
Sbagliato.
C’era
qualcosa di assolutamente sbagliato in tutto. In lui, nella situazione, in
quella strada, in quel momento.
Era
già buio e per la prima volta da quando era in Giappone sentì freddo, un
brivido non provocato dalla temperatura, dal vento o qualsiasi altro agente
atmosferico, semplicemente un freddo così sbagliato in quel momento, in quella
strada, nella situazione, in lui.
Non
capiva bene da cosa derivasse quella sensazione, come gli fosse venuta o perché
lo avesse colpito; sapeva solo che non era piacevole e lo metteva all’erta.
Si
fermò improvvisamente e chiuse gli occhi, respirando lentamente, cercando di
comprendere, ma non riuscendoci si appoggiò al muro che costeggiava la strada:
si convinse a fare ancora qualche passo, ma non appena arrivò in una via
secondaria si sedette per terra, sul gradino del marciapiede, reggendosi la
testa con le mani. Proprio non capiva: nessuna immagine, nessun ricordo, niente
di niente se non confusione derivata da chissà cosa.
Tornò
al dojo mezz’ora dopo. Per fortuna la pioggia per quell’arco di tempo aveva
arrestato la sua caduta, mangiò con gli altri lottando contro l’impulso di
andare in camera: ciò avrebbe portato solo nuove domande e ancora più problemi.
Si
defilò subito dopo cena e si rifugiò nella sua stanza, buttandosi confuso sul
letto, fortunatamente ci mise poco a prendere sonno e ad abbandonarsi a una
lunga nottata fatta di sogni, immagini che non era riuscito a focalizzare
durante quei minuti di smarrimento e che una volta sveglio lo abbandonarono
nuovamente senza alcuna spiegazione.
La
presenza di Hilary lo tranquillizzò leggermente, nonostante sentisse sempre
quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, mentre l’imminente scontro
con Rei lasciò che lo sconforto lo attanagliasse.
Forse
sarebbe stato meglio lasciarlo parlare il giorno prima, quando ancora stava
bene e gli avrebbe urlato contro di tutto tranquillamente, ma non poteva sapere
che in ventiquattrore sarebbe cambiata così la situazione. Aveva smesso di
mettere in conto una tale possibilità nella speranza che non ce ne fosse stato
più bisogno, ma, come al solito, queste genere di credenze infantili si
dimostravano sempre affrettate e infondate.
Durante
la pausa pranzo si erano rintanati sulle ormai usuali scale laterali del
corridoio, sempre a causa del maltempo.
Kei
rimase zitto in attesa delle ulteriori scuse che il cinese si apprestava a
versargli addosso come un fiume di parole.
Così
accadde, infatti.
-Farei
qualsiasi cosa pur di avere la possibilità di eliminare quei trenta secondi di
completa stupidaggine-
-Lo
so- si stupì Kei stesso della propria reazione così pacata: non aveva
assolutamente la forza di litigare, dibattere, cercare di far valere la propria
posizione, prima di perdonarlo. Niente di tutto ciò.
-Io
mi considero un tuo amico.. spero che sia ancora lo stesso per te- disse il
cinese abbassando il capo come aveva fatto ripetutamente nell’ultima mezz’ora.
Kei
annuì stancamente.
-Ma
solo se ritorni a comportanti come tale-
-Farò
tutto il possibile per riconquistare la tua fiducia.. partendo con darti la
mia-
-Forse
non hai così torto ad avere delle riserve-
-Invece
sì-
Il
russo lo sguardò di sfuggita, ma riprese a concentrarsi sul nulla.
-Hey..- iniziò Rei –Posso iniziare da ora?-
L’altro
di nuovo si limitò ad annuire.
-Cosa
c’è che non va?-
-Forse..-
tentò Kei chiudendo le palpebre -..sto solo covando un’influenza-
-Lo
credo, vai sempre in giro senza giacca.. e siamo a metà ottobre-
Il
russo si autoconvinse della veridicità della scusa che aveva inventato lui
stesso per spiegare la comparsa di quei sintomi e non era nemmeno detto che
fosse solo opera della sua fantasia: eppure qualcosa dentro di lui si opponeva
e voleva dare la colpa ad altro, ma ignorò tale sensazione.
Nessuna
influenza si fece sentire, ma in compenso Hilary si prese un raffreddore,
probabile conseguenza, ipotizzò lei, della serata in spiaggia.
Novembre
arrivò in fretta e Kei non stava meglio: era solo dura avere a che fare con sempre
la stessa strana sensazione con la quale aveva imparato a convivere in quelle
settimane.
Con
Hilary tutto sembrava andare per il meglio: si era opposto con più decisione al
possibile incontro con i genitori di lei, ma questo fortunatamente non sembrò
guastare il loro rapporto che procedeva calmo ed equilibrato.
-Eccoli-
esclamò Hilary fissando un grande scaffale di una libreria e afferrando un
piccolo volume.
-Cos’è?-
-Aforismi-
-Non
ne hai a miliardi a casa?-
-Ti
sei messo a leggere i titoli dei miei libri?-
Kei
fece spallucce in risposta, continuando a sbirciare le etichette che indicavano
le sezioni davanti alle quali stavano passando; fecero pochi passi lentamente,
mentre lei iniziò a scorrere velocemente le pagine del libricino che teneva
ancora in mano.
-Non
lo voglio comprare.. ho solo una fissa-
Il
russo si concentrò su di lei chiedendole tacitamente di spiegarsi.
-Quando
vedo un libro come questi devo scegliere un aforisma a caso.. è illuminante
sai?-
-Immagino-
disse l’altro scettico, guardandola aprire una pagina e leggere ad alta voce la
prima frase utile: un’accozzaglia terribile di paroloni eruditi che
probabilmente insieme non avevano realmente senso.
-Davvero
illuminante- commentò lui sarcastico.
-Dev’essere
il libro poco valido- cercò di giustificarsi la brunetta, sfogliando ancora le
pagine, questa volta più perplessa.
Kei
la superò continuando a scorrere i titoli più per noia che per interesse, finchè la voce squillante di Hilary non attirò nuovamente
la sua attenzione.
-Questo
è adatto a te.. Il ballo è una
manifestazione verticale di un desiderio orizzontale, Woody Allen- e lo
guardò divertita –Ecco perché sei un pervertito!-
-E
io ti do poche settimane prima di diventare una ninfomane-
Scherzarono
e continuarono a vagare per la libreria, prendendo e rimettendo a posto diversi
libri.
-Bah,
io ho sempre considerato la tua cosa del ballo molto poetica e Woody mi
distrugge tutto con poche parole-
-Poetica?-
chiese Kei divertito.
-Certo..
tu non immagini nemmeno quanto ti cambia-
-In
che senso?-
-Sei
diverso.. sei calmo, dolce, sorridi..- si fermò arrossendo, prima di poter
aggiungere aggettivi sconvenienti -..in pratica sei tranquillo..-
-E
di solito non lo sono?-
-Non
proprio.. sei sempre serio, indifferente, fai le cose così per fare-
Kei
la ascoltò in silenzio ponderando le sue parole e la verità che sapeva
benissimo esservi nascosta.
-Se
solo fossi sempre come quando balli saresti.. sì, perfetto-
-Non
c’è pericolo-
-Non
dire così.. confido in te- gli disse sorridendo e alzandosi sulle punte dei
piedi per dargli un bacio sulla guancia.
Rimuginò
ancora su quelle parole fissando un punto indefinito, continuando a guardare
verso i libri, ma senza vederli davvero fino a quando qualcosa di
apparentemente normale non lo stupì per la sua stranezza.
Afferrò
un volume dalla copertina rigida, nera e verde smeraldo, e iniziò a sfogliarlo.
-Sto
iniziando ad avere un certo rigetto verso il russo- disse Hilary, osservando le
pagine scritte in cirillico.
-Invece
è una bella lingua-
-Quando
la parli tu sì, ma quando la vedo scritta mi fa venire i brividi-
Kei
lesse una breve frase e guardò la ragazza in attesa di una reazione.
-Potrei
stare ad ascoltarti tutto il giorno-
Il
ragazzo scosse la testa divertito in risposta e richiuse il libro fissando la
copertina.
-E’
strano-
-Cosa?-
chiese perplessa lei.
-Trovare
un libro in russo..- sbirciò lo scaffale di fronte a lui -..infatti è l’unico-
-Perché
è strano?-
-Russi
e giapponesi non sono mai andati troppo d’accordo-
-Quindi
noi due siamo una coppia strana-
-Decisamente-
-Bene-
esclamò lei compiaciuta, ormai abituata a quell’aggettivo, che prima non
sopportava, tanto da averlo iniziato a usare in continuazione –Lo vuoi
comprare?-
-No..
che resti qui in bella vista- disse rimettendolo in mezzo agli altri libri –Poi
l’ho già letto-
-Non
ti facevo un lettore..-
-Come
ti ho già detto altre volte.. ho avuto molto tempo libero-
-Di
chi era?-
-Bulgakov-
-Oltre
che di matematica, andremo anche di letteratura russa da domani-
Parlare:
comunicare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Difficile.
Affrontare:
accettare questi sentimenti. Difficilissimo.
Cambiare:
modificare se stessi. Impossibile.
Era
arrivato a questa conclusione.
Aveva
deciso di focalizzarsi su questi punti che dovevano essere la chiave di quel
lungo percorso che poteva chiamare di guarigione, di se stesso e del proprio
mondo, ma averci realmente a che fare era una cosa ardua.
Il
problema era quanto li sentisse vicini a sé: mai come in quel periodo si era
ritrovato a parlare di sé e a considerare materialmente la possibilità di
cambiare.
Però
stava male.
Male
perché se da una parte si sentiva sollevato e in pace con se stesso, dall’altra
la consapevolezza della falsità di quelle emozioni lo attanagliava. Perché poi
le considerava false? Perché per uno come lui erano irraggiungibili, lo sapeva,
lo aveva provato. E non aveva intenzione di ricaderci.
Poteva
fare il duro quanto voleva, ma doveva ammettere di non esserlo affatto.
-Hilary
è un po’ preoccupata-
-Perché?-
-Perché
ti trova diverso-
Rei
gli si era avvicinato nel cortile del dojo, poco prima di andare a dormire.
Kei
rimase in silenzio, nella speranza di non risvegliare nuovamente pensieri,
domande, risposte, parole, un fiume di parole che lo avrebbero schiacciato
ancora e ancora e di cui non poteva sopportare il peso.
La
sua vita era da sempre composta di silenzi, di gesti, di sguardi: non sapeva
come si affrontavano le parole.
-E’
tutto a posto?-
Il
russo nelle ultime settimane era rimasto sull’attenti nell’approcciarsi a Rei,
nonostante lo avesse perdonato con calma e serenità, ma non poteva fare a meno di
ricordare che il ragazzo era stato il primo, in quella sua esperienza
giapponese, ad approcciarsi a lui, a fare dei passi avanti e tentare di
aiutarlo.
Si
limitò a scuotere la testa e continuare a torturarsi un braccio come nervoso.
-E
me ne vuoi parlare?- tentò il cinese sedendosi accanto a lui.
Di
nuovo solo un gesto di diniego.
-Il
problema è Hilary?- chiese cauto.
-Io-
rispose finalmente in un sussurro.
-Se
e quando ne vorrai parlare io ci sarò, sai?-
Annuì
silenzioso continuando a guardare davanti a sé.
-Magari
senti solo il tempo- scherzò Rei sperando di rasserenarlo, riferendosi
all’autunno che sembrava voler lasciare il posto all’inverno con più di un mese
di anticipo.
-Sarà
che sta arrivando dicembre- sussurrò Kei che, all’espressione perplessa
dell’altro, si spiegò –Io odio dicembre-
Quello
che stava cercando di capire era quanto c’entrasse Hilary: una parta sperava
che non derivasse dalla sua relazione con la brunetta, ma come escludere quella
possibilità se la sua vita delle ultime settimane aveva girato esclusivamente
intorno a lei.
L’aveva
osservata, probabilmente era più corretto dire fissata, diverse volte e aveva
cercato di carpire informazioni, ma a vuoto.
Aveva
provato a confrontare sensazioni conosciute con quella attuale e, purtroppo,
gli riuscì, ma non appena il paragone aveva fatto capolino concretamente lo
aveva ricacciato indietro come un qualcosa di terribilmente scomodo.
Hilary
in tutto ciò sembrava felice, sorrideva come sempre e lo inondava della sua
semplicità.
Sempre
più problematica semplicità.
-Ho
scritto che mi accompagni-
La
brunetta era rimasta a cena in casa Kinomiya e si era
affrettata a rifugiarsi nella camera di Kei insieme al ragazzo.
-Takao
mi ha detto che hanno prenotato tutti i voli per Natale- iniziò lei, parlando dei
progetti per il 25 dicembre che prevedevano l’arrivo di nuovi ospiti.
-Chi
ci sarà?- chiese Kei sistemando il cuscino tra il muro e le loro schiene.
-Mao
e Lai e poi la squadra americana-
-Anche
Michael?- chiese il russo accendendosi una sigaretta con espressione
indecifrabile.
-Sì..
perché?-
-Non
l’ho mai sopportato-
-Ah-
-Che
diceva Max su di lui e una soap opera?-
-Come
sei curioso.. ma davvero non lo sai?-
Kei
mise su un’espressione che chiedeva chiaramente ulteriori elementi che a lui
mancavano.
-Gli
hanno proposto un ruolo di attore dopo il torneo e ora recita in questa soap
opera americana alla Beautiful.. tremenda tra l’altro-
-Ed
è bravo?-
-Non
saprei.. in America è famoso per questo, ma non saprei dirti se è proprio
bravo.. il suo personaggio è piuttosto stupido..-
-Allora
gli verrà bene di sicuro-
-Quanta
acidità-
Il
ragazzo fece spallucce sogghignando, per poi sporgersi verso di lei e darle un
bacio.
-Sai
di sigaretta- commentò disgustata.
-Allora
stasera niente sesso-
-Guarda
che sei tu quello che non ne può fare a meno- dibatté lei incrociando le
braccia al petto.
-Ah
sì?- rispose attaccando il suo collo.
-Ti
vorrei ricordare che di sotto ci sono tutti- sussurrò Hilary consapevole che
probabilmente avrebbe vinto l’altro.
-Basta
fare piano- disse lui posandole l’indice sulle labbra socchiuse.
Il
desiderio carnale era abbastanza difficile da trattenere e non servirono a
nulla le mezze frasi di Hilary, poiché lei stessa partì all’attacco per
ottenere ciò che considerava suo diritto avere, anche solo la visione della
perfezione del corpo del suo ragazzo, non lasciandogli il tempo di coricarsi o
di prendere il controllo della situazione: per quella volta lo avrebbe fatto
lei.
Kei
fece per alzarsi dal letto, ma la ragazza lo bloccò nuovamente afferrandolo per
la vita.
-Sei
una bambina capricciosa- scherzò lui arrendendosi e tornando indietro.
La
ragazza non lo lasciò nemmeno quando ottenne la sua resa, ma si accoccolò
appoggiata alla sua larga schiena.
Il
russo restò sdraiato su un fianco, avvertendo la pelle fresca della brunetta
sulla propria; sentì le braccia allentare la presa e ritirarsi entrambe verso
le sue spalle.
Non
riusciva a vederla, ma immaginava i suoi spostamenti, le sue posizioni, grazie
a quel contatto.
Le
dita sottili di Hilary iniziarono a scorrere sulle sue scapole e sulla spina
dorsale, per poi spostarsi verso la parte destra, percorrendo tutta la lunghezza
di quella che sapeva essere la sua cicatrice.
Lo
aveva già fatto quella volta in spiaggia, quando gli aveva spalmato la crema,
ma sembrò concentrarsi nuovamente sulla linea irregolare; la sentì emettere un
singulto e spostare le dita apparentemente senza senso su diversi lembi di
pelle.
Sperò
non fosse l’inizio di altre parole, ma sapeva che la possibilità di scamparla
erano poche poiché era perfettamente a conoscenza di quello che aveva attirato
l’attenzione della ragazza.
-Che
strani.. questi piccoli segni- iniziò come previsto, probabilmente così vicina
alla sua schiena da avere la fronte appoggiata a lui –Sono cicatrici anche
queste?-
-Mh- si limitò a pronunciare come assenso.
-Non
saranno nemmeno di un centimetro..- continuò lei, ma presto si stoppò, non
ponendo la domanda che probabilmente invece le invadeva la mente.
Kei
avrebbe potuto rispondere a quella questione, ma non se la sentì di parlare di
frustate o botte o qualsiasi altra cosa del genere. Prima che fosse troppo
tardi si voltò e si sistemò fronte a fronte con lei.
Hilary
gli poggiò i palmi sulle gote e in una carezza gli lasciò un bacio sulla
fronte, prima di avvolgergli le braccia intorno alla testa e stringerlo al
petto.
Lo
coccolò e carezzò in un modo strano, diverso: un tocco vellutato che, però, non
aveva niente a che fare con la passione o il desiderio, ma solo con la dolcezza
e la protezione.
Gli
abbracci di quel tipo erano una cosa nuova per lui: gli era capitato di
stringere a sé un’altra persona, ma poche volte era il ricevente di quei gesti.
Sentì il battito del cuore di Hilary e si sentì bene almeno quanto sentì il
bisogno di staccarsi.
Nuovamente
quella terribile sensazione: sbagliato.
Si
staccò lentamente, convincendosi a tornare a guardarla negli occhi: forse nelle
sue iridi, nel suo riflesso avrebbe trovato il motivo di quel disorientamento,
ma ciò che vi lesse lo preoccupò: forse era dolcezza, forse paura, forse venerazione.
Tutto quello si tramutò in parole, le vide formarsi e arrivare alle labbra
sottili della ragazza.
-Ti..-
-No-
Kei
la fermò bruscamente, afferrandole i polsi con le mani, nella speranza che
quell’atto fisico la convincesse realmente a stopparsi, a non pronunciare
quelle poche sillabe.
-Ma
Kei, io..-
-Non
farlo-
Si
ritrovò diversi centimetri lontano dal suo viso senza accorgersene, tutto
sembrava essersi allontanato, ma non poteva assolutamente permettere che
accadesse una cosa del genere.
-Non
dirlo, per favore, non dirlo-
-Perché?-
-Non
è giusto così.. ti avevo detto di.. non puoi farlo-
-Le
tue condizioni credo si siano andatea
far benedire un bel po’ di tempo fa..-
-Hilary..-
-Cosa
c’è? Non sono parole avvelenate.. possono solo che fare del bene-
-Non
è vero assolutamente- soffiò Kei alzandosi dal letto.
-Di
cosa hai tanta paura?- lo rimbeccò mettendosi seduta a sua volta.
-Io
non ho.. ti accompagno a casa- e iniziò a raccogliere i vestiti.
-No
ci vado da sola-
La
brunetta lo superò e si rivestì in un batter d’occhio.
-Non
fare la stupida..-
-Tu
smettila di fare il bastardo allora- gli urlò a un centimetro dal suo viso.
-Ti
accompagno a casa- sillabò aprendole la porta e invitandola a uscire.
Era
quello che voleva evitare. Era ciò di cui aveva paura.
Sapeva
del sentimento che covava nei suoi confronti, non ne aveva mai fatto mistero,
ma dal supporlo al sentirlo pronunciare c’era tanta differenza.
Lo
aveva detto chiaro e tondo che non sarebbe subentrato l’amore, che non avrebbe
dovuto tirare in ballo per nulla al mondo l’amore, che lui e quella parola non
avrebbero coesistito.
La
riaccompagnò a casa nonostante le sue proteste; camminarono per tutto il
tragitto lontani, lei qualche passo più avanti, e nemmeno si salutarono quando
arrivarono a destinazione.
Stava
soffrendo: per causa sua stava soffrendo e ne era consapevole e si sentiva in
colpa.
Aveva
promesso a tutti che non sarebbe accaduto, ma non era stato attento, non aveva
tenuto sotto controllo la situazione e la stessa gli si era rivoltata contro.
Se
solo avesse capito cos’era invece che provava lui forse sarebbe stato tutto più
semplice da affrontare, ma come classificare tutto il casino della sua testa?
-Si
può sapere che è successo?-
Rei
lo aspettava sulla soglia di casa con le mani sui fianchi e il cipiglio
perplesso.
Kei
valutò l’idea di tirargli il pugno che gli doveva da più di un mese, ma si
convinse che quella reazione avrebbe solo peggiorato la situazione e che era
troppo arrabbiato e frustrato per dibattere.
Si
limitò a sospirare e scuotere la testa, più a se stesso che all’altro, per poi
sedersi sui gradini d’ingresso. Il cinese gli si accomodò silenziosamente
accanto.
-Sono
in un casino- confessò infine, disperato per la mancanza totale di certezze.
-Vuoi
raccontarmi?-
-Mi
ama-
-E
non è una bella cosa?- chiese scettico Rei, cercando di non dare troppo enfasi
al tono di voce.
Kei
scosse la testa sicuro, in segno di diniego.
-Tu
cosa provi per lei?-
-E’
questo il casino- rispose guardandolo passare da un’espressione seria e
contrita a una risata accennata.
-Beh
almeno vuol dire che qualcosa provi..-
-Non
è confortante-
-Non
è confortante avere la prova di essere umano?- cercò di scherzare, ma non
ottenne nessuna risata –Prova a pensare a Hilary.. cosa ti viene in mente?-
-La
sua faccia?-
-Davvero
molto romantico, complimenti!- non resistette dal fare una battuta, ma subito
tornò serio –Voglio dire.. io quando penso a Mao mi viene in mente la sua
risata, il suo profumo, e sto bene-
Kei
ci pensò su, cercando di non farsi coinvolgere dalla visione mielosa del
cinese: non riusciva ad andare nel profondo come aveva fatto l’altro, almeno
non nel profondo di se stesso, ma cercò di andare oltre.
Hilary
e il suo abbraccio: questo gli sovveniva, ma la sensazione che ne derivava era
complicata e paradossale.
-Prova
a dare un nome alle immagini, ai tuoi sentimenti- aggiunse Rei dopo diversi
secondi di silenzio, osservando il russo perdersi nei suoi pensieri.
Non
era amore ne era sicuro, ma era più bisogno di lei, dipendenza in un certo
senso, e questo non poteva e non voleva accettarlo.
-Trovato?-
-E’
un appiglio.. alla normalità- riuscì a rispondere in un sussurro –Me ne sto
approfittando-
-Non
è che lo interpreti nel modo sbagliato?- tentò il cinese.
-Mi
è già successo di appoggiarmi a qualcuno.. e non è andata bene- commentò Kei.
-Ma
quel qualcuno non era Hilary.. la situazione magari è simile, ma le persone
sono diverse-
Solo
Hilary era diversa, aveva preso il posto di quel qualcuno, ma lui era sempre lo stesso Kei, che lo accettasse o
meno, era sempre lo stesso ragazzo di mesi prima.
-Cosa
vorresti fare a caldo adesso?-
Il
ragazzo ci pensò a lungo e cercò di ponderare la parole –La lascerei libera di
trovare qualcuno che sappia apprezzare quello che ha da offrire-
-Kei
pensaci con calma.. dormici su-
-Nessuna
ramanzina contro di me?-
-Penso
che tu ci tenga più di quanto non credi.. ma devi capirlo da solo-
-Ha
iniziato a nevicare per bene-
-Qui
è già tanto se piove-
Rispose
laconico alle domande di Yuri, invidiandolo leggermente nel ripensare alle
immagini della sua Mosca ricoperta di un manto bianco.
-Come
va con la tua ragazza?-
-E
tu che ne sai?-
-Ho
i miei informatori.. se aspettassi te non saprei mai nulla-
-E
con chi parleresti scusa?-
-Takao!-
-Takao?
Perché vi sentite?-
-Non
essere così stupito.. ma come va con la sua migliore amica?- ripropose la
domanda il rosso facendo capire di quante informazioni fosse al corrente.
-Ultimamente
male-
-Come
mai?-
-Si
è un po’ troppo affezionata a me-
-Troppo
quanto?-
-Troppo
troppo-
-Che
bello parlare con te-
-Dai..-
-Kei,
non puoi fare lo sciupafemmine anche con un’amica del gruppo-
-Ma
non avevo programmato niente io-
-Ci
mancherebbe.. ma aspetta.. tu quanto ti sei affezionato invece?-
-Poco-
-Beh,
poco è già meglio di niente-
-La
situazione è complicata-
-E
perché mai?-
-Perché
ci sono tante cose che non vanno bene e.. posso farti una domanda?-
-Ovviamente-
-Secondo
te le persone possono cambiare?-
Un
lungo silenzio li unì a migliaia di chilometri di distanza, segno che Yuri
stava ragionando sulla domanda e probabilmente stava valutando se dirgli la
reale opinione o limitarsi a assecondare quella che sarebbe stata la risposta
migliore in quel momento per Kei.
-No..
possono migliorare, crescere, maturare, ma credo che cambiare non sia
possibile-
Siamo
arrivati alla fine di luglio e devo dire che è davvero complicato parlare di
novembre O_o fatico a trovare il mood giusto per il
freddo (per la pioggia ne ho vista fin troppa in questi giorni -.-)
Vabbè non so che
scrivere.. quindi per sparare cavolate come al solito lascio la parola a voi u.u
Piccolo
regalino: questa cosa mi è venuta in mente leggendo la recensione scorsa di
Lily e in un pomeriggio di noia totale mi ci sono messa.. vi dirò, mi sono
anche impegnata XD Ho usato solo gli ultimi recensori, non me ne abbiano gli altri :O
Noi ci becchiamo
a random allora..vedrò quello che riuscirò a fare..
se non vedete il mio aggiornamento non disperate! Non ho abbandonato,
semplicemente non ci sono!
Un bacione :)
PS: mi sa che ci
darò un’altra leggiucchiatina appena avrò tempo u.u
Kei chiuse la
chiamata, osservando l’ora sul display del cellulare.
Aprì un
messaggio non letto nella cartella ricevuti, scoprendo un ‘ciao..come va?’ di Mizuki, che ignorò senza
pensarci troppo.
Parlare con Yuri
gli faceva sempre venire nostalgia di Mosca, di casa sua, di alcune piccole
abitudini che col periodo in Giappone aveva immancabilmente perso. Anche se non
lo avrebbe ammesso apertamente, poi, gli mancavano lo stesso Yuri e gli altri:
aveva sperato che sarebbero potuti venire per Natale, invece avrebbe dovuto
sopportare l’affollamento dettato dalla squadra cinese e quella americana e
tutti i festeggiamenti per quella festa in cui non credeva tutto da solo.
Loro lavoravano
e non potevano assentarsi e nessuno aveva portato avanti la possibilità che
fosse Kei ad andare a trovarli in Russia, probabilmente poiché tutti temevano
che non avrebbe avuto il coraggio di lasciarla per una seconda volta.
Entrambe le
persone con cui aveva parlato erano arrivate alla conclusione che lui provava
qualcosa per Hilary e su questo poteva anche dargli ragione: non le era del
tutto indifferente altrimenti l’avrebbe lasciata dopo neanche una settimana. Il
problema era capire cosa.
Sicuramente Rei
pensava che fosse amore e probabilmente anche Hilary se ne stava convincendo:
Yuri, da persona più razionale e meno sentimentale, si limitava a parlare di
affezione e Kei propendeva più per questa ipotesi.
In ogni caso
cercò di fare chiarezza in questa confusione di sentimenti nella settimana
successiva.
Tentò di
avvicinarsi a Hilary dopo il loro scontro, ma lei sembrava essere davvero
ferita: non sapeva se era riuscito a farsi perdonare interamente e da una parte
sperava che non fosse così. La ragazza era visivamente più diffidente nei suoi
confronti, anche se il peso dei sentimenti che aveva, quasi, ammesso di provare
per lui potevano sempre farsi sentire.
Si sforzò lui e
si sforzò lei, ma tutti si erano accorti che qualcosa non andava, come la
giornata in gita, e ignorare quella crisi risultava più stupido che altro.
-Andiamo a fare
un giro- sussurrò Kei impassibile a Hilary alla fine delle lezioni.
Si incamminarono
silenziosi per le strade del quartiere, avvertendo nell’aria stessa il sentore
di uno scontro, perché era l’unica cosa possibile per sbloccare la situazione:
unica incertezza era l’esito di questo scontro.
Arrivarono al
belvedere, luogo dove si fermarono automaticamente: si sedettero su una
panchina, poiché l’erba era ancora umida per le piogge dei giorni precedenti.
Hilary si
strinse nella giacca, infreddolita non solo dal vento che soffiava come per
portarsi via novembre, in quelle ultime ore di quel mese grigio.
-Ho pensato a
quello che è successo la settimana scorsa- iniziò Kei guardandola dritta negli
occhi.
-Anche io- cercò
di sillabare lei.
-Tutti i giorni
sono arrivato alla stessa identica conclusione che credo sia la soluzione
migliore per tutti..-
-Non farlo..- lo
interruppe Hilary improvvisamente -..non prendere decisioni anche per me!-
-E’ una mia
decisione-
-Non dirlo-
disse lei scuotendo la testa.
-Ti sto
lasciando- ribattè Kei calmo, osservandola trattenere
il respiro e distogliere lo sguardo.
-Sai.. in una
coppia si è in due.. prima di prendere decisioni si presume che questa coppia
ne discuta insieme- affermò non senza tradire agitazione.
-I fatti mi sembrano
chiari: tu provi qualcosa per me che se alimentato non può far altro che
peggiorare.. non ho intenzione di dare adito a delle illusioni-
-Illusioni?
Peggiorare? La smetti di parlarne come se fosse una cosa negativa?-
-Ma lo è-
-Solo perché ne
sei completamente spaventato? Che ne sai che non lo provi già?-
-Non lo è per
me.. dovresti riversarlo verso qualcuno che lo può davvero apprezzare-
-Non è a
comando..- dibattè lei con un sorrisetto tutt’altro
che divertito.
-Io non posso
farlo.. non posso continuare-
-Tu non vuoi,
che è diverso-
-Ci tengo a
te..-
-E allora non
farmi questo-
-..e non posso
continuare a illuderti così-
-Che ne sai che
in futuro non si sviluppino anche i tuoi sentimenti per me?-
-Perché non
succederà-
-Sei
impossibile..-
-Davvero io non
capisco cosa ci trovi in me, cosa vedete tutti di così bello- esclamò Kei
improvvisamente, perdendo un briciolo della sua impassibilità –non c’è nulla di
tutto ciò, mettiti il cuore in pace-
-Non capisci che
è troppo tardi?- alzò la voce lei.
-Lo sarebbe
ancora di più dopo, è per questo che..-
-Kei, io ti amo
e..-
-Io no-
Le due piccole
parole gli suonarono cattive non appena le pronunciò, ma fu come togliersi un
peso, si sentì liberato dall’obbligo di fingere, di tentare di essere qualcuno
così diverso da se stesso.
Sospirò. I suoi
occhi probabilmente non tradivano alcuna incertezza, poiché Hilary, nel
fissarli, si zittì immediatamente. Quelle due sillabe le avevano procurato più
dolore di tutte le altre frasi pronunciate fino a quel momento.
La ragazza si
alzò dalla panchina lentamente, senza più guardarlo e se ne andò.
Era almeno
riuscita a non piangere davantia lui:
non gli avrebbe dato quella soddisfazione. L’improvviso pensiero che il pianto
sarebbe stato, al contrario, un motivo di rammarico in più per il ragazzo le
balenò nella mente, ma cercò di scacciarlo via. Non voleva pensare a lui in
nessun modo.
Peccato che
fosse impossibile: avrebbe potuto associargli qualsiasi cosa.
Era passata
qualche ora da quelle parole che, se ci ripensava, ed eccome se ci ripensava,
le rimbombavano in testa fredde come il ghiaccio: eppure il tono del ragazzo
era uguale a quello di ogni altro giorno, ma non sapeva dargli altra
connotazione.
Sentimenti
contrastanti si susseguivano incessanti e sembrava impossibile gestirli tutti:
nonostante avesse tentato in ogni modo, non era riuscita a nascondere alla
madre il suo stato d’animo, avrebbe voluto nasconderlo, ma non ci riusciva e
non poteva.
-Tesoro?- la
signora Tachibana si affacciò cauta alla porta della
sua camera –C’è Takao-
Hilary si
asciugò velocemente le lacrime, ma era consapevole che l’effetto non sarebbe
comunque stato dei migliori. Se Takao era andato a trovarla voleva dire solo
una cosa: già sapeva, quindi perché disturbarsi a nascondere una cosa tanto
palese. L’unico fattore che la disturbava era che, probabilmente, ne era venuto
a conoscenza da Kei poiché lei non aveva ancora avuto il coraggio di parlare
con nessuno, e si vergognò del proprio stato.
-Permesso?-
Il giapponese
entrò lentamente nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Aveva un largo
sorriso sul viso, ma stranamente non pieno della gioia che lo
contraddistingueva: lo guardò per qualche secondo mentre si avvicinava
cautamente al letto, ma non resistette a lungo, infatti Hilary si alzò
velocemente e si buttò tra le sue braccia.
Takao la
strinse: un abbraccio strano se paragonato a quello di Kei. Il giapponese era
molto più basso e più goffo dell’altro, ma non per questo la sua stretta era
meno rassicurante.
Scoppiò di nuovo
a piangere rivolgendogli le sue scuse per lo stato in cui la vedeva, ma l’amico
la tranquillizzò facendola sedere nuovamente sul letto di fronte a lui.
-Forza e
coraggio- le sussurrò porgendole un pacchetto di fazzoletti trovato sulla
scrivania.
Hilary si soffiò
il naso, ma rimase zitta.
-Allora mi vuoi
raccontare che è successo?-
-Non lo sai?-
-So solo che vi
siete lasciati-
-Lui mi ha
lasciato- sottolineò la ragazza.
-Ecco già mi
mancava questo elemento-
Gli raccontò a
grandi linee quello che le aveva detto Kei, ma non si sbilanciò troppo, ancora
ferita, e si limitò a qualche commento colorito verso il ragazzo in questione.
-Non c’è
possibilità che vi rimettiate insieme?-
-Se fosse per
quel deficiente no- disse lei infervorata per poi rabbuiarsi nuovamente –mi aveva
avvertita, me l’aveva detto, ma io stupida ci sono cascata comunque-
-Non sei
stupida..-
-Pensavo non
fosse possibile, che fosse lui ad esagerare con questa storia del non amare, ma
che ne potevo sapere che per quello è realmente impossibile..-
-Ma è davvero
impossibile che non ci riesca..-
-Lo pensavo
anche io prima di conoscere lui-
-E’ solo
diffidente-
-No, se la fa
sotto-
-Per te prova
qualcosa secondo me..-
-Non mi ama, me
l’ha proprio detto-
-Potrebbe
cambiare..-
-C’ho provato,
ma è stato inutile.. come fa uno che non ama se stesso ad amare qualcun altro?-
-Che intendi
dire?-
-Lui si odia-
-Non credo..-
-Si è fatto male
in molti modi.. non lo considererei proprio la reincarnazione dell’amor
proprio-
Hilary aveva
lottato per diverso tempo con questa consapevolezza, ci aveva pensato diverse
volte, ma non lo aveva mai confessato a nessuno: da una parte cercava di dare
un perché a quei comportamenti, ma dall’altra aveva avuto la speranza di
riuscire a cambiare lo stato delle cose, di essere la persona che lo avrebbe
tirato fuori da quel circolo vizioso di dolore in cui si era intrappolato. Ma
era stata sconfitta.
Si accoccolò
ancora di più vicino a Takao.
Rei stranamente
non aveva commentato: aveva ascoltato, aveva annuito e se ne era andato. Niente
di più.
Che quello
sarebbe stato l’inizio del suo allontanamento da tutti? Sapeva che prendendo
quella decisione avrebbe dato vita a dissapori: in fondo Hilary era l’amica
fidata e parte integrante del gruppo, probabilmente anche più di lui.
Una presenza
alla sua destra lo fece voltare per vedere chi era uscito in giardino: Takao lo
fissava, coprendo la luce cha arrivava dall’interno del dojo.
Si rivoltò
aspirando il fumo dalla sigaretta.
-Non mi chiedi
niente?- sapeva che era stato a casa di Hilary e quindi intuì quale doveva
essere la domanda a cui si riferiva.
-Sarebbe un po’
ipocrita non trovi?-
-Forse, ma io lo
considererei un gesto carino.. non per lei, ma per me..-
Kei rimase
zitto, decidendo di non accontentarlo: in fondo chiedere come stesse la ragazza
lo considerava davvero un gesto ipocrita.
-Non sta tanto
bene.. i suoi sentimenti sono davvero reali..-
-Lo so- rispose
laconico Kei sospirando.
-Secondo me stai
sbagliando..- disse il giapponese piuttosto calmo, avanzando -..non dovresti
lasciartela scappare-
-Meglio ora che
dopo-
Takao lo guardò
scettico per poi girarsi e dirigersi verso la porta.
-Dov’è tutto
quello che mi avevi promesso nel caso io l’avessi fatta soffrire?- chiese con
noncuranza Kei –Ora sta soffrendo no?-
Takao si fermò e
lo guardò incerto.
-Sto sperando
che tu cambi idea e comunque.. credo che tu ti stia già facendo del male da
solo rifiutandola-
-Ragionevole-
sussurrò l’altro con un sorrisetto, sentendo i passi dell’altro sparire
all’interno del dojo.
Aveva davvero fatto
la cosa sbagliata? Per la prima volta dopo giorni riusciva a rispondersi
chiaramente di no. Quella era stata una decisione ponderata: Hilary avrebbe
sofferto molto di più se l’avesse lasciata nei mesi successivi e se avesse
continuato a fomentare le sue speranze, mentre lui era di nuovo da solo,
condannato da se stesso. E quasi respirava.
Kei guardò
l’ora: mezzanotte e tre minuti.
Dicembre era
arrivato e si preannunciava come il solito, incasinato, odioso dicembre.
Nel week end
Hilary non si fece vedere al dojo, come era comprensibile, ma comunque
risultarono due giorni parecchio strani. Rei voleva andare a trovarla, ma Takao
gli aveva riferito che lei non voleva vedere nessuno per un po’.
-Ma te l’ha
detto proprio lei?- si informò il cinese mentre Takao metteva a posto la sua
camera dopo le mille lamentele di Nonno J.
-Sì-
-Verrà a scuola
domani?-
-Non lo so,
stare chiusa in casa non la farà stare meglio, ma credo voglia evitare di
vedere Kei-
-Capisco- Rei
fece per andarsene, ma l’altro lo fermò.
-Senti Rei.. tu
pensi che.. che Kei si odi?-
-Se Kei odia se
stesso?-
-Sì-
-Non lo so.. ma
come ti vengono in mente queste cose?-
-Me l’ha detto
Hilary e mi ha fatto strano-
Il cinese rimase
a rimuginare qualche secondo su quelle parole, ripensando alle varie occasioni
in cui aveva parlato con il russo, ma non seppe comunque dare una risposta a
quell’inaspettata domanda.
-Davvero non lo
so, ma spero di no-
-Anche io..
altrimenti vorrebbe dire che non lo abbiamo aiutato in nessun modo-
-Lo sai che la
scuola è da quella parte vero?- chiese retoricamente Rei all’amico, vedendolo
imboccare una strada diversa.
-Oggi non vengo-
rispose tranquillamente Kei.
-Perché?-
-Non ne ho
voglia-
-Ma non puoi-
-Per un giorno..
cosa vuoi che succeda?-
Prima di
riuscire a dibattere il ragazzo riprese a camminare e non si fermò ai suoi
richiami: ponderò la possibilità di seguirlo, ma poi pensò che finalmente
quella mattina avrebbe potuto vedere Hilary e, in quel momento, era lei la sua
priorità.
Fortunatamente
la trovò già seduta al suo banco: non li aveva aspettati come al solito
all’incrocio tra le loro vie, un’altra abitudine modificata da quando lei e Kei
si erano lasciati.
La salutò con un
abbraccio e la scrutò attentamente: sembrava essere completamente normale, ma
era ovvia la sua agitazione, soprattutto nel guardarsi intorno per capire se il
russo sarebbe entrato da un momento all’altro. Solo quando le lezioni
iniziarono tirò un sospiro di sollievo.
Rei valutò la
possibilità che Kei avesse marinato scuola per lo
stesso motivo, non vederla, ma questo poteva significare che lui ci soffrisse,
oppure che sapeva quanto per lei sarebbe stato difficile. Erano probabili
entrambe le opzioni.
-Non ti farai
più vedere?- chiese Max a pranzo, più come supplica perché avvenisse il
contrario, che per farla sentire in colpa.
-Ho solo bisogno
di un po’ di tempo- rispose piano la ragazza con un mezzo sorriso –Ma parliamo
di altro.. che avete fatto in questi due giorni?-
Per fortuna
Takao accolse prontamente il cambio di discorso e la tenne occupata per un bel
po’ con le sue chiacchiere e le sue solite frecciatine.
Vagò per qualche
ora tra le vie di Tokio senza una reale meta, in attesa di qualcosa, qualsiasi
cosa. Era dicembre e sarebbe presto arrivata: era sempre così, non era
superstizioso, o almeno non troppo, ma ormai ci aveva fatto il callo. A
dicembre qualcosa di brutto accadeva sempre.
Si rendeva conto
dell’assurdità dei suoi pensieri, ma in qualche modo quella disgrazia
incombente di cui non sapeva nulla era una specie di ancora alla quale si stava
aggrappando. Ciò che stava cercando era capire chi fosse lui veramente e quella
sua sfiga decembrina era una specie di legame con il Kei del passato.
Tutta la
relazione con Hilary era stata una ricerca di un modo nuovo di vivere le
giornate, di approcciarsi alle persone, di pensare, ma non aveva resistito:
forse era scappato, forse aveva paura, forse aveva semplicemente seguito il
corso degli eventi. Non importava come la pensassero gli altri, come la pensasse
lui stesso, l’unico fatto realmente certo era quanto lui fosse rimasto uguale.
Uguale a se
stesso, non tanto a quello che era stato negli ultimi anni: sia nel sue periodo
della droga, sia in quei mesi in Giappone, era stato qualcosa di sbagliato per il
suo reale modo di essere.
Tornò presto al
dojo: senza inventare alcuna scusa disse semplicemente a Nonno J del fatto che
non fosse andato a scuola e, come si aspettava, l’uomo si limitò a invitarlo a
non prenderci l’abitudine.
Entrò in
palestra e fissò lo stereo di Hilary: glielo avrebbe restituito, anche se lei,
se aveva capito anche solo un briciolo di come la pensava, l’avrebbe lasciato
lì.
Lo accese,
ascoltò le note diffondersi nella stanza e lo rispense: staccò l’mp3 e lo
collegò alle cuffie, poggiandole sulle proprie orecchie.
Lui, una
palestra e la sua musica. Respirava.
-Puoi dire a
Hilary che se non viene qui a causa mia, basta che me lo dite e mi vado a fare
un giro?-
-Diglielo tu,
scusa- rispose Rei alla frase di Kei.
-Non credo mi
voglia nemmeno vedere-
-Prima o poi
dovrete affrontarvi-
-Vabbè..- disse
il russo facendo per girarsi.
-Mi avevi detto
che eri alla ricerca di qualcosa che ti facesse sentire bene.. perché non
potrebbe essere Hilary-
-Non posso
forzarmi a stare bene-
-Ma tu stavi
bene con lei, me l’hai detto-
-Nel modo
sbagliato-
Il primo giorno
che si rividero si ignorarono completamente: si scambiarono solo uno sguardo a
inizio mattinata. Il secondo fu essenzialmente uguale, poi il terzo finalmente
accennarono un saluto.
In realtà furono
praticamente costretti dal professore di giapponese con la sua malsana
abitudine di far lavorare le persone in gruppo.
Quel pomeriggio,
poi, Hilary fu costretta a passare dal dojo per recuperare dei suoi quaderni,
rimasti lì la settimana prima: fu così che ebbero il loro vero primo incontro.
-Come va?-
chiese Kei, fermo nel vialetto a fumare, mentre lei usciva da casa Kinomiya.
-Cosa vuoi?-
rispose astiosa.
-Vuoi
riprenderti lo stereo?- disse il ragazzo piuttosto che rimanere senza battute.
-Tienilo pure..
te l’ho dato indipendentemente dal fatto che stessimo insieme-
-Senti..-
aggiunse fermandola dopo che lo aveva superato -..non voglio che tu stia alla
larga da qui solo per me, quindi se sono un problema dimmelo-
-Sei un
problema, ma dovrò farci l’abitudine.. non ho intenzione di farti scenate, né
di pregarti di tornare insieme, stai tranquillo..-
-Non è per
questo-
-Senti.. non
posso cambiare da un giorno all’altro quello che provo per te.. e prima o poi
ti accorgerai del vuoto che ti stai creando attorno-
-Nel caso me lo
sarò meritato-
-Cerca di
superare il problema che hai con te stesso, poi inizia a pensare alle altre
persone-
Lo guardò in
tralice prima di voltarsi ed andarsene in modo da non permettergli di fermarla
più.
Spense le luci.
Era notte fonda
e tutti dormivano da diverse ore: era sceso al piano inferiore arrendendosi al
fatto che non si sarebbe addormentato, sia perché non riusciva, sia perché non
voleva.
Aveva azionato
l’illuminazione solo per non andare a sbattere contro qualcosa e non fare
rumore, ma una volta raggiunto il giardino fece in modo che l’oscurità
avvolgesse nuovamente il tutto.
Guardò verso il
cielo: le stelle e la mezza luna sembravano più vicine, che fosse così o se
fosse la sua immaginazione non lo sapeva dire con certezza. Probabilmente
entrambe.
Si sedette come
sua abitudine sul legno, beandosi di quella pace irreale.
Pensò. A tutto e
a niente, ma un pensiero in particolare lo attanagliava da diverse ore, una
consapevolezza strana si faceva largo dentro di lui e gli mostrava quanto in
realtà fosse fragile e solo. Sorrise spiazzato dell’effetto che quella notte
gli stava procurando.
Eppure si era
preparato.
Il display del
cellulare si illuminò risvegliandolo: un messaggio in arrivo.
Sei sveglio?
Rispose
affermativamente senza pensarci, attendendo.
Non dovette
aspettare più di due minuti: il cellulare iniziò a vibrare annunciando questa
volta una chiamata.
-Pronto-
-Ciao Kei-
La voce di Dana
era probabilmente l’unica che avrebbe voluto ascoltare in quei minuti e la
distorsione dettata dal microfono del telefono e dalla distanza non le rendeva
giustizia.
-Notte strana
eh?- chiese la ragazza in un sospiro.
-Bella in
verità-
-Pensavo stessi
dormendo.. è tardi lì-
-Invece lo
sapevi che non dormivo-
-Ci speravo-
-Luna?-
-Non ce n’è-
-E’ qui-
-Ti fa
compagnia-
-Come sei
poetica-
-Sei da solo
no?-
-Sì-
-Avresti bisogno
di qualcuno con te ora-
-La luna basta-
Kei sentì
dall’altro capo un singhiozzo nascosto malamente.
-Mi mancate-
Il ragazzo non
rispose, ma tenne il cellulare attaccato all’orecchio, riprendendo a guardare
verso il cielo, la schiena appoggiata a una colonnina.
Non parlarono:
Kei sentì il pianto della ragazza consumarsi, per lasciare il posto al respiro
pesante e controllato. Chiuse gli occhi immaginandola al suo fianco invece che
dall’altra parte del mondo.
Era meno solo
così.
Fossero stati
insieme, l’avrebbe abbracciata per consolarla e poi baciato la fronte.
-Quando sarò triste potrò chiamarti?-
-A qualunque ora-
Ondeggiavano in mezzo alla pista, cercando
di non scontrare le altre coppie e i bambini che correvano da una parte
all’altra senza badare a niente e nessuno.
-Di quante ore è avanti il Giappone?-
-Sei-
Dana lo guardò negli occhi, per poi
appoggiarsi al petto del ragazzo, una mano in quella dell’altro e l’altra sulla
sua spalla, l’abito lungo e stretto che aveva appena cambiato dopo quello da
sposa.
-Però non sarà la stessa cosa-
-Allora vai di immaginazione- disse lui con un
sorrisetto.
-Mi rubi le battute?-
-Certo.. qualcuno mi dice sempre di chiudere
gli occhi e immaginare una scena..- e le diede un bacio sulla fronte, mentre
Anton gli passava accanto volteggiando con la nipote di sette anni tra le
braccia, con un sorriso raggiante tutto rivolto alla sua neo moglie.
-Allora voglio immaginare questa-
-Con questa canzone?-
-Assolutamente.. canzone, atmosfera,
vestiti- rise Dana facendo finta di sistemare la giacca elegante di Kei.
-Allora memorizziamo-
-Fatto-
-Fatto-
Iniziò a
canticchiare la melodia della canzone che avevano danzato mesi prima,
strappandole un sorriso.
Rivisse ancora
per qualche minuto quella scena nella sua mente, prima di aprire nuovamente le
palpebre, ancora rivolto verso il cielo, e vedere focalizzarsi davanti a sé
nitidi due occhi azzurri privi di vita.
Scacciò l’immagine
scuotendo la testa e portando la mano libera sul volto.
-Tutto bene?-
domandò Dana, probabilmente avvertendo l’improvviso rumore dopo quei momenti di
silenzio assoluto.
-Sì, solo..-
-Solo?-
-Fa male-
-Lo so..-
ricadde il silenzio per qualche secondo -..danza ancora con me-
-Lo farei
sempre-
-Fallo.. guai a
te se smetti anche solo un secondo- lo ammonì dolcemente –Mio piccolo Kei forse
è meglio se vai a dormire-
-Solo se non mi
chiami mai più così-
-Ovviamente-
-Grazie che ci
sei-
-Grazie che ci
sei tu, grazie davvero-
Chiusero la
chiamata.
Kei sapeva cosa
significassero quei ringraziamenti: non per quella sera, per il conforto che si
erano dati a vicenda, ma proprio per il fatto di esserci, essere presenti,
essere vivi, essere ascoltati e essere aiutati.
Perché se lui
non si fosse fatto aiutare, se non l’avesse ascoltata, probabilmente non
sarebbe sopravvissuto, e nessuno come lei in quella notte particolare poteva
essergli di conforto, non avrebbe permesso a nessun altro di condividere quelle
ore.
Si diresse verso
il piano di sopra, illuminando la strada con il cellulare: mancava un’ora o
poco più all’alba e sperò vivamente che, una volta chiusi gli occhi, i fantasmi
di quella stessa notte dell’anno prima non tornassero a perseguitarlo. Perché
così li aveva visti quella notte quegli occhi, azzurri e privi di luce, ma non
li voleva ricordare in nessun altro modo se non come tutte le altre notti
dell’anno, se non come quella mattina, in quella scuola, su quelle scale
antincendio. Sempre azzurri, ma vivi.
Peccato che non
ci riuscisse.
Yuri gli aveva
mandato un messaggio strano.
Questo non è un bel periodo per Kei. Stagli
accanto, per favore.
Ovviamente aveva
acconsentito, ma non per questo aveva compreso. Quella situazione se l’era
creata da solo, prendendo delle decisioni di sua spontanea volontà, le quali
sapeva a cosa avrebbero portato.
Si era persino
stupito di quanto il rosso sapesse, considerando quanto poco Kei parlava di sé,
persino a lui.
In ogni caso in
quei giorni cercò di notare ogni sentore che potesse destare qualche allarme,
ma l’unica stranezza era la sua stanchezza. Sembrava non aver chiuso occhio e
quasi si addormentò sul banco: ovviamente era anche tornato scorbutico.
In tutto quel
tempo sia Rei che gli altri erano rimasti vicini a Hilary e non avevano pensato
altro che a lei come la parte lesa: nessuno aveva calcolato le reazioni di Kei,
anche perché ostentava sicurezza e determinazione riguardo a quella scelta.
Conoscendolo,
però, che altro si doveva aspettare? Una richiesta di aiuto, di un consiglio?
No, non era nella sua indole.
Attese paziente
un qualsiasi sintomo, ma non accadde nulla. Tentò un approccio, ma l’altro lo
respinse, quindi non insistette.
La schiena
aderiva con il parquet, la testa era piena di pensieri e dalle dita, per le
mani, fino alle braccia, partivano disegni, movimenti, puri impulsi nati da
note, immagini, suoni.
Il tatto,
probabilmente il senso che preferiva.
La differente
intensità tra lo sferzare l’aria e l’aderire alla terra, il calore dei muscoli
e del corpo, la fatica e il sudore, tutto fuso.
Rimase ad
assaporare l’immobilità in confronto al movimento di pochi secondi prima,
quando sentì un movimento poco lontano da lui.
Aprì gli occhi e
scorse Rei che lo scrutava dall’alto dicendo qualcosa.
Sfilò le cuffie
per sentirlo.
-Cosa fai?-
-Nulla-
Il cinese lo
guardò perplesso e si sedette a gambe incrociate, visto che il russo non
sembrava intenzionato a muoversi dalla sua posizione supina.
-Hey..- iniziò Rei cercando di fare chiarezza -..non è che
hai ripensamenti sulla storia di Hilary?-
Kei chiuse gli
occhi e sospirò –Quante volte vi devo dire di no-
Sinceramente
negli ultimi giorni non era riuscito a pensarci troppo, altri pensieri gli
affollavano la testa portando in secondo piano la giapponese.
-Ah e Max ha
comprato il regalo per Takao-
-Che regalo?-
chiese il russo come cadendo dalle nuvole.
-Il suo compleanno..
tra qualche giorno!-
-Me l’ero
dimenticato- ragionò Kei stupito, considerando quanto gli avevano rotto con
tutti i preparativi per quella festa.
-Mi devo
preoccupare?- chiese Rei ridendo.
-Ho solo altre
cose per la testa- disse portando il pugno chiuso alla fronte.
-Riguardo?-
-E’..- iniziò
pensando a che parole usare -..è un periodo particolare-
-Perché?- chiese
Rei iniziando ad associare le parole dei due russi.
Kei rimase zitto
qualche secondo prima di decidersi a parlare.
-L’anno scorso
in questi giorni sono successe diverse cose- affermò mettendosi finalmente
seduto.
-Che genere di
cose?- indagò il cinese mentre la consapevolezza di aver interpretato male il
messaggio di Yuri si faceva largo in lui.
-Oggi è il 13
dicembre.. un anno esatto fa mi sono fatto il mio ultimo buco-
-Non.. non lo
sapevo-
-Non è una cosa
che vado a sbandierare tipo compleanno-
-Beh ma si
potrebbe anche festeggiare- disse il cinese.
-Non me la
sentirei di festeggiare-
-Perché? E’ un
traguardo e..-
-E sai perché ho
smesso no? Cosa è successo-
Rei ragionò
velocemente e un ricordo sfocato di un collage di fotografie in camera di Kei
fece capolino nella sua testa.
-Me l’ero
scordato.. mi dispiace-
Kei scosse la
testa facendo spallucce.
-Quindi è anche
un anno che è morta-
-Quattro giorni
fa- ammise, mentre Rei lo guardava stupito.
-E tu stai
bene?-
-Pensavo sarebbe
stato meno.. meno..-
-Doloroso?-
-Forse-
-Smettila di
affrontare queste cose da solo- esclamò il cinese con un tono dolce e
comprensivo.
-Ho parlato con
Dana-
-In ogni caso
avere qualcuno vicino non fa male-
Kei nuovamente
non rispose, iniziando a torturarsi le dita.
Rei spostò lo
sguardo dopo tanto tempo sui segni negli incavi delle braccia dell’altro ai
quali non aveva prestato più attenzione, ormai abituato alla loro vista. Era
passato esattamente un anno, ma il nero si era sbiadito di poco.
-E’ per questo
che odi dicembre?-
Kei annuì
abbozzando un sorriso –E dicembre odia me.. sono sempre successe cose brutte in
questo mese.. poi un anno dicembre me l’ha portata e un altro se l’è ripresa..
ammazzerà anche me-
-Non dire queste
cose-
-Ci ho pensato
tanto a questo.. forse le ho portato sfiga- disse fingendo un divertimento che
evidentemente non provava.
-Tu ti senti in
colpa- affermò Rei convinto: gli aveva posto la domanda mesi prima, se l’era
dimenticato, ma non gli era stata data risposta, e se ora abbinava quel sentore
che aveva provato alle parole del russo e a quelle di Takao di qualche giorno
prima, poteva arrivare tranquillamente a quella conclusione.
Il russo guardò
dritto davanti a sé senza proferir parola come in un muto consenso.
-Kei..-
-Hai mai visto
morire qualcuno?-
-No, ma certe
cose non si possono controllare-
-Ma io l’ho
lasciata morire-
-Non devi..- Rei
non sapeva più cosa dirgli per rassicurarlo, la sua convinzione sembrava
radicata nel suo dolore, e non conosceva abbastanza elementi per dibattere
efficacemente a quella follia.
-L’ho lasciata
morire per due anni.. l’ho vista morire per due anni giorno per giorno-
-Ma non l’hai
uccisa te-
-C’è
differenza?-
-Credo proprio
di sì- dibatté in panico -Quanti anni avevi? Eri piccolo.. sei, siamo piccoli..
non possiamo controllare tutte le vicende del mondo-
-Lo so.. so
tutto quello che mi potresti dire per farmi capire quanto mi sbaglio, ma.. è
più difficile metterlo in pratica-
-Provarci ne
vale la pena-
-Me ne ero quasi
convinto..- sospirò -è solo colpa del periodo-
-Allora riprova
e non farti abbattere da una manciata di giornate no.. sei più forte di così..
devi solo ricordartelo-
Sperò davvero
che quelle parole potessero bastare per tirarlo su.
Alla fine non
aveva capito nulla delle parole di Yuri, le aveva fraintese, e il russo, anche
a miglia e miglia di distanza aveva intuito che Kei non sarebbe stato bene
emotivamente: pensò che l’unico modo per convincerlo ad affrontare questa serie
di sensi di colpa fosse proprio la presenza del rosso, ma non era possibile. A
Natale non poteva nemmeno venire da loro.
Lui da solo,
però, poteva essere d’aiuto? Magari Hilary, che negli ultimi due mesi aveva
avuto un’influenza positiva su Kei, poteva aiutarlo. Lei lo amava, ma non era
ricambiata.
Fosse proprio
questo il ragionamento dell’amico? Hilary lo avrebbe aiutato, ma si sarebbe
così affezionata ancora di più e il distacco col tempo sarebbe stato sempre più
doloroso. E sulla possibilità del russo di provare amore, iniziò a convincersi
che, ora come ora, davvero non sarebbe accaduto; era troppo preso da se stesso,
dai suoi problemi, dalla sua confusione per potersi dedicare a un’altra
persona, per prendersi cura di lei, per amarla.
Per il
compleanno di Takao andarono a mangiare fuori: erano una ventina, poiché il
giapponese aveva invitato in pratica tutti quelli che conosceva.
Hilary stette
alla larga da Kei portandosi sempre dalla parte opposta rispetto a lui, mentre
il ragazzo cercava di starsene in disparte il più possibile.
Quei giorni si
stavano rivelando sempre più strani: mai in tutto quell’anno di astinenza si
era ritrovato a pensare al semplice gesto di preparare una siringa come in quel
periodo, eppure erano tutte azioni così lontane, ma così vere. Sorrise e si
schernì della sua stessa deficienza, seduto al tavolo intento ad armeggiare col
cellulare per far passare il tempo.
Fece scorrere la
lista dei messaggi rispondendo a uno di Dana di poche ore prima, fino a quando
l’occhio non gli cadde su uno di settimane prima che aveva ignorato fino a quel
momento: rispose con un ‘Bene, tu?’ e
attese la risposta, per poi iniziare una lunga, muta conversazione.
Sorpresaaaaaaa!!!
Che
poi tanto sorpresa non è perché l’avevo preannunciato su facebook,
ma tralasciamo e facciamo che siete felici e contenti per questo nuovo
aggiornamento in mezzo al nulla xD
Vabbè
ho la connessione solo fuori di casa e intorno a me ci sono rumori sinistri che
mi inquietano quindi vi lascio u.u
Risponderò
alle vostre recensioni prometto! Intanto lasciatene pure di nuove! XD
Un
bacione :)
ps: prossimo aggiornamento l'uno di settembre e da lì si tornerà all'aappuntamento settimanale :3 sempre che qualcuno ne abbia ancora voglia ^^
Arrivarono il
23. Rei e Max erano andati a prendere tutta la ciurma all’aeroporto.
Varcarono la
porta del dojo nel tardo pomeriggio tutti insieme: loro due, Mao, Lai, Emily,
Michael, Eddie e Steve.
-Ragazzi!- Takao
al suo solito urlò e andò a salutare tutti i presenti calorosamente,
invitandoli ad accomodarsi.
Stessa cosa fece
Hilary che si concentrò maggiormente sulle due ragazze, abbracciandole.
-Meno male che
sei arrivata! Rei ci stava facendo venire matti!- scherzò la giapponese con
Mao, ancorata saldamente al braccio del suo ragazzo.
-Ma ci sei anche
tu?!- esclamò Emily rivolta verso il soggiorno dove, sullo stipite, Kei
guardava la scena impassibile, senza la minima intenzione di unirsi a quei
saluti.
Si limitò ad
annuire e seguitare a guardarli.
-Sono più di due
anni che non ci vediamo..- si fece avanti Lai -..è un piacere rivederti- e gli
porse la mano. Kei decise che un saluto del genere poteva benissimo starci e la
strinse.
Passò al vaglio
di tutti, cordiali e sorridenti, ma non appena incrociò lo sguardo di Michael
ricordò perché gli stesse così antipatico: strafottente e pieno di sé, lo
guardava con un ghigno e gli occhi indagatori. Aveva i capelli cortissimi,
quasi rasati, e vestiva tutto firmato. Era il primo in quei mesi che arrivava
alla sua altezza, a parte Eddie che lo superava di qualche centimetro.
-Venite.. ho
preparato i futon- Takao fece gli onori di casa e li portò verso la palestra che
sarebbe stata adibita a dormitorio per quei giorni.
Kei si scostò
per lasciarli passare e quando fu il turno dell’americano questo lo fulminò con
gli occhi, nemmeno fossero stati in guerra aperta per qualcosa di ignoto al
russo.
-Certo che si è
fatto figo Kei- ammise Emily alle due amiche, non comprendendo l’agitarsi di
Mao, che iniziò a farle gesto di stare in silenzio. L’americana si guardò
intorno per vedere se il russo fosse intorno a loro, ma non vedendolo continuò
–Non che non promettesse già grandi cose da piccolo, ma così è proprio da..-
-State parlando
di me?- Michael si frappose tra loro, avvolgendo le spalle di Emily e Hilary.
-No, di Kei e
della sua figaggine- rispose la rossa facendogli la
linguaccia.
-Perché guardare
quello, quando potete avere questo splendore?- chiese retoricamente indicando
se stesso, prima che Hilary lo mandasse a quel paese scostandosi.
-Che sei pazza?-
bisbigliò Mao a Emily in modo che nessuno le potesse sentire.
-Perché?-
-Non parlare di
Kei.. poi ti spiego-
Finirono di
prendere possesso della palestra quando Nonno J annunciò che la cena era pronta
e si diressero verso la sala da pranzo, accomodandosi alla grande tavola
imbandita.
-Quindi sei in
classe con i più piccoli?- Michael aveva iniziato a lanciare una serie di
frecciatine a Kei da subito, ma l’altro non gli aveva ancora dato la
soddisfazione di arrabbiarsi o rispondere a tono, mantenendo autocontrollo. Più
che quelle battute, ciò che il russo non riusciva a sopportare erano le arie da
grande uomo vissuto che si dava.
-Sapete l’altro
giorno a che festa sono andato?- e prese a raccontare della villa di questo
famoso regista e disquisire della sua parte nella soap opera di cui gli avevano
parlato.
-Non lo
fermeremo mai- sussurrò Eddie a Max seduto accanto a lui, facendosi chiaramente
sentire da tutta la tavolata e provocando le risa dei presenti.
-E credo che
quando tornerò mi presenteranno Austin- continuò inarrestabile Michael.
-Austin chi?-
chiese Takao seduto di fronte a lui.
-L’attore, non
mi ricordo il cognome- poi abbassò la voce per non farsi sentire –E’ ancora il
preferito di Hilary?-
-Aah.. credo di sì- rispose Takao perplesso.
-Bene, devo
ripartire alla conquista- disse l’altro fregandosi le mani.
Kei alzò lo
sguardo dal piatto cogliendo quel frammento di conversazione e alzando un
sopracciglio sorpreso: iniziò a collegare qualcosa, ma non indagò oltre.
Ci misero più di
un’ora per finire di cenare e posare coltelli e forchette sazi.
-Ci vorrebbe un
caffè- esclamò Steve.
Cori di
approvazione si levarono da tutta la tavolata, ma nessuno sembrava intenzionato
ad alzarsi per prepararlo.
Kei colse al
volo l’occasione e si propose: tutto pur di levarsi da quella sala, fare due
passi, smettere di vedere cibo e di ascoltare Michael.
Ciò di cui non
si accorse subito fu, però, che Hilary era in piedi intenta a prendere alcune
stoviglie per liberare la tavola: avevano stretto un tacito accordo per cui lui
avrebbe fatto di tutto per non starle tra i piedi e non crearle disagio durante
la sua permanenza al dojo. Ciò comprendeva il non trovarsi mai da soli nella
stessa stanza, limitare il contatto visivo e ancor meno quello fisico e
verbale.
Quando anche la
brunetta si accorse della situazione che si stava creando, sovvertì a tutte
quelle regole, guardandolo dritto negli occhi in difficoltà.
-Dai a me- Max
si era alzato improvvisamente, accortosi del disagio e aveva intimato all’amica
di risedersi.
Finalmente nella
cucina silenziosa, Kei tirò un sospiro di sollievo, avvertendo le voci degli
altri ovattate, ridotte a un flusso incomprensibile.
-Stancante eh?-
chiese Max sorridente iniziando a sistemare e aiutandolo a mettere su il caffè.
-Mh.. c’è un modo per far star zitto Michael?-
-Non credo!-
rise il biondo.
-Perché ce l’ha
con me?- chiese indifferente l’altro.
-L’hai notato
anche tu, eh! Credo si senta minacciato..-
-Perché mai?-
-E’ abituato ad
essere l’unico gallo del pollaio-
Kei lo guardò
perplesso.
-Gli rubi la
scena.. figurarsi quando scoprirà di te e Hilary-
-E’ con lui che
stava?-
-Ah non lo
sapevi?-
Il russo scosse
la testa.
-Per poco meno
di un mese l’estate scorsa..-
Di nuovo l’altro
non rispose se non con un suono di evidente disapprovazione.
-Geloso?- provò
il biondo.
-No, ma mi
chiedo come facesse a piacergli uno del genere-
-Si vede che
sono attratta costantemente da degli stronzi- la voce acida di Hilary arrivò
alle loro spalle, portandoli a girarsi, per vedere la ragazza posare un’altra
serie di piatti accompagnata da Mao.
-Colpito-
sussurrò Kei con un mezzo sorriso, riprendendo la sua precedente occupazione.
-Mi volete
spiegare?-
Emily, Mao e
Hilary erano da sole in palestra sui loro futon a parlottare e la prima aveva
approfittato per chiedere cosa le altre due le stessero nascondendo.
-E’ che..-
iniziò la brunetta avvolgendosi le gambe con le braccia -..io e Kei siamo stati
insieme-
-Cosa?- spalancò
la bocca per la sorpresa, per poi rivolgersi a Mao –Perché tu lo sapevi e io
no?-
-Perché me l’ha
raccontato Rei-
-Perché non ce
l’hai raccontato tu?-
-E’ successo
tutto in fretta e poi non ci siamo più sentite quindi..-
-Ma aspetta.. ma
ora è tutto finito?-
Hilary iniziò a
raccontare alle due di quello che si erano perse e della relazione con Kei,
inizio, sviluppi e fine.
-Quello è più
complicato di una ragazza!- affermò la cinese convinta.
-Quindi l’avete
fatto?- chiese l’americana concentrandosi su quel particolare.
-Sì-
-E te ne stai
pentendo immagino..-
Hilary parve
pensarci qualche secondo –Quello no.. era quello che volevo..-
-Ci stai ancora
male eh?-
La brunetta
annuì, avvolta dall’abbraccio delle due amiche.
-Dici che non
c’è più possibilità che vi rimettiate?-
-Ho paura di
no..-
-Quindi
vorresti..-
-So che il
problema non sono io, ma è lui..-
-Allora vediamo
quello che riusciremo a fare.. con noi qua non ha scampo!- affermò Mao
risoluta.
-Hil però ti devo avvertire..- iniziò titubante Emily.
-Riguardo?-
-Michael.. credo
abbia intenzione di riprovarci con te-
-Oh no,
fermatelo per favore!- affermò ridendo insieme alle altre.
-Hai da
accendere?- la voce di Eddie lo disturbò dai suoi personali momenti di pace.
Si voltò
nell’ombra del giardino e porse l’accendino all’altro.
-Eccomi- dal
dojo uscì anche Michael, andando incontro al suo compagno di squadra con una
sigaretta tra le dita.
Lo stava
perseguitando, doveva ammetterlo. Riprese l’accendino, ma non riuscì a
rilassarsi, poiché l’americano tanto odiato iniziò nuovamente a parlare a
macchinetta.
Cercò di
ignorarlo, non ascoltando una parola di quelle che gli uscivano dalla bocca,
senza prestare nemmeno attenzione a eventuali frecciatine.
Tirò fuori dalla
tasca il cellulare esasperato: non aveva mai messaggiato
così tanto come in quella serata, tutto pur di non sentirlo.
‘Sicuro di non poter allontanarti qualche ora?’
‘Hai vinto.. Va bene qualsiasi cosa’
‘Perfetto.. allora domani alle 3 in centro’
-Certo che ti
fai desiderare-
Si erano
incontrati nel luogo che avevano frequentato quell’estate e avevano iniziato a
camminare per le vie addobbate a festa.
-Perché?-
-Un mese per
rispondere a un messaggio e più di una settimana per convincerti a vederci-
Kei fece
spallucce –Dove devi andare?-
-A comprare il
regalo per il mio ragazzo-
-E ci porti me?-
-Che ci andavo
da sola?- rise Mizuki.
Era
letteralmente scappato dal dojo: era bastata una serata e poche ore della
mattina per fargli perdere completamente la pazienza. Si era defilato senza
troppe spiegazioni per passare almeno la vigilia lontano da loro.
-Lo conosco?-
-No, è di
scuola-
-Naoki?-
-Ma che sei
pazzo? Con lui sono resistita una settimana, poi l’ho di nuovo mandato a quel
paese-
-E con questo da
quanto ci stai?-
-Un mese e
mezzo.. sto migliorando vero?- rise lei –Tu sei impegnato?-
-No-
-Dopo di me
qualche relazione?-
-Una-
-Durata?-
-Due mesi e
mezzo circa-
-Allora sei
migliorato anche tu! Perché vi siete lasciati?-
-Stava diventando
troppo seria-
-Capito.. ecco
entriamo qui..-
Entrarono in un
negozio di abbigliamento e iniziarono a vagare tra gli espositori, fino a che Mizuki non trovò il regalo adatto e lo andò a pagare.
-Dopo che vuoi
fare?- chiese la ragazza uscendo.
-Tenermi alla
larga da quel branco di pazzi-
-Se vuoi andiamo
a casa mia-
-Hai il ragazzo-
le fece notare.
-E beh?- rise
maliziosa.
-Sarebbe
tradire-
-Già-
-Hai mai sentito
la parola ‘troia’?-
-Sì qualche
volta- e inspiegabilmente rise.
-Se facessimo
solo un giro?- chiese lui.
-Mi sta bene-
affermò riprendendo a camminare.
-Vi siete
auto-dedicati un altarino?- chiese Lai ridendo, riferendosi alla credenza con
le foto e gli articoli del campionato mondiale, non appena Rei spostò la
tovaglia che lo copriva.
-L’ha fatto
Takao-
-Che idea
carina!- esclamò Mao di fianco al fratello.
-A proposito
quando si fa una partitina?- si intromise Michael dal divano.
-Quando volete-
disse la voce entusiasta di Takao, inserito di buona lena nel discorso.
-Ma perché c’è Dranzer?- riprese Lai.
-Non
ricordarmelo- il giapponese assunse una posa e un tono da tragedia greca.
-Di cosa stai
parlando?- lo incalzò l’americano avvicinandosi agli altri per controllare.
-Kei non gioca
più-
-E’ pazzo?- si
unì Emily.
-Quello che ho
detto subito anche io!- continuò raggiante Takao –Ho provato a fargli cambiare
idea, ma non c’è stato verso.. ora balla, invece che gareggiare con Dranzer, non ci volevo credere e non lo volevo accettare,
ma..-
-Aspetta.. cosa
fa adesso?- si informò Michael guardandolo in un modo strano che, però, l’altro
non colse, troppo impegnato nella sua filippica.
-Balla!-
L’americano
ghignò, incrociando lo sguardo severo di Rei, ma lo ignorò.
-E quindi ora Dranzer se ne sta chiuso qui?- disse Emily ignorando il
resto del discorso.
-Sapessi
prima..- e il giapponese riprese il vecchio discorso della scatola esasperando
i suoi coinquilini.
Erano entrati in
un centro commerciale situato in un grande palazzo e stavano riscendendo con le
scale mobili, dopo aver mangiato qualcosa al bar all’ultimo piano.
Attraversarono
una serie di relle piene di vestiti da donna che Mizuki guardò distrattamente, quando la radio del negozio
trasmise le prime note di una canzone: la ragazza si rizzò di colpo e guardò
Kei ridendo. Iniziò a cantare la strofa e a muovere la testa a tempo.
Il ragazzo la
guardò divertito poiché una signora la fulminò per il tono troppo alto di voce.
Mizuki accennò qualche semplice passo per tenere il
tempo, sempre sorridendo.
-Su, a Kanye non
si può dire di no!- rise per poi riprendere a cantare, alzando le braccia al
cielo –Welcome to the good life-
-Sei pazza-
constatò Kei divertito.
-Uh- Mizuki riprese a camminare, ma si fermò nuovamente di colpo
come ricordando improvvisamente qualcosa –Balli ancora vero?-
-Perché?-
-Non so se ti
ricordi di Ryo..-
Kei ci pensò su,
ma non avendo perso la sua assente predisposizione nel ricordarsi i nomi scosse
la testa.
-Forse l’hai
visto solo una volta perché quest’anno è stato sempre in giro.. sai lui ora
insegna in una scuola in centro, è bravissimo! S’è messo a lavorare proprio
come ballerino..-
Il russo la
fissò cercando di capire dove volesse arrivare.
-Io ho iniziato
il corso con lui.. non è che ti va di venire qualche volta?- lo guardò in
attesa, ma riprese a parlare entusiasta –Non fa break, quella anche lui dice
che è da imparare in strada, ma è forte anche del resto-
-Sembri una fan
scatenata-
-Beh è un figo..
ma non cambiare discorso..-
-Sbaglio o eri
tu che dicevi che ballare in palestra era da snob?-
-Ho cambiato
idea- disse facendogli la linguaccia -Allora ti va?-
-Non fa per me-
rispose risoluto.
-Peccato.. hai
sempre la tua palestrina personale?- lo prese in giro Mizuki.
-In verità per
questi giorni è diventata un dormitorio- rispose con disprezzo.
-Futon e pigiama
party?-
Kei fece una
tremenda imitazione di una risata –E’ una tragedia-
-Ma sono così
terribili questi?-
-Per me sì-
-Vabbè se cambi
idea basta che me lo dici.. e poi se vuoi sai che posso liquidare il mio
ragazzo con qualche scusa-
-Sei tremenda-
scosse la testa e la convinse a spostarsi dal reparto per uscire di nuovo in
strada.
-Comunque stai
meglio così- aggiunse lei prima di salutarsi.
-Così come?-
-Senza piercing-
riferendosi al sopracciglio ormai da settimane senza alcun abbellimento.
-E farlo
ingelosire usando Michael?-
-Non se ne parla
proprio-
-Perché dai?-
-Non voglio più
avere nulla a che fare con Michael-
-Secondo me
potrebbe funzionare.. già non si sopportano.. è perfetto-
-Sono abbastanza
rassegnata.. non credo funzionerebbe-
-Non dire così..
dobbiamo far trionfare l’amore!-
-Mao, so che sei
nel pieno della felicità, ma Kei non è Rei.. è molto, ma molto più complicato!-
Non riusciva
nemmeno a guardarlo, figurarsi tentare di riconquistarlo: si chiese se non
fosse stato meglio lasciar perdere quella illusione quando ne aveva avuto la
possibilità, prima che quella sera lui la baciasse, o se vivere quella favola
in quei due mesi in fondo ne era valsa la pena. Poteva associare tutta quella
situazione alla storia dei rimpianti? E’ meglio rimpiangere di averci provato o
di non averlo fatto?
Lo avrebbe mai
capito? Forse solo se fosse riuscita a lasciarselo alle spalle.
Natale è una
festa particolare: in molte parti del mondo il 25 dicembre, che sia per culto
religioso, per abitudine o per semplice aggregazione al consumismo, le persone
si riuniscono per scambiarsi regali e auguri.
Nel dojo Kinomiya si aveva proprio una situazione tale, ma a parte i
motivi fondanti, ciò che li spingeva a festeggiare era il divertirsi e lo stare
insieme come una grande famiglia allargata.
Si risvegliarono
di buonumore, augurandosi fin dai primi sbadigli calorosi ‘Buon Natale’ e
iniziando a contribuire alla preparazione del ricco pranzo: Hilary sarebbe
arrivata solo al momento di mangiare poiché i suoi avevano insistito per
vederla almeno per la mattinata, mentre Nonno J era andato a prendere il padre
e il fratello di Takao all’aeroporto.
Ovviamente
l’atmosfera festosa non aveva contagiato Kei, che, alzandosi, si stava ancora
chiedendo perché anche lui si era dovuto trasferire in palestra e non poteva
approfittare della camera solitaria al piano di sopra. La palestra conciata a
quel modo gli metteva tristezza.
Natale, poi, per
lui era uguale a una scocciatura.
Quello sarebbe
stato il primo anno probabilmente che lo avrebbe festeggiato veramente.
La giornata
procedette piuttosto lenta: le ore non si decidevano a passare e l’ora di
pranzo era praticamente irraggiungibile. Solo quando la famiglia Kinomiya al completo varcò la porta si poté iniziare con le
diverse portate.
Takao risultava
il più allegro e spensierato di tutti, felice per l’arrivo del padre e del
fratello e per il fatidico momento dell’apertura dei regali.
In realtà ognuno
sembrava essere tornato bambino alla vista dei pacchetti sotto l’albero di
Natale della sala. Solo una volta a tavola ripresero i soliti discorsi e le
solite battute.
-Devi lasciare
in pace Hilary- Emily aveva preso in disparte Michael: l’amica le aveva chiesto
il piacere di farlo desistere dal suo scopo originario e non aveva potuto
ignorarla.
-Cosa stai
dicendo?-
-Ha capito come
sei.. non vuole averti tra i piedi-
-Come fai ad
esserne così sicura?-
-Me l’ha
detto..-
-Magari ti ha
mentito- disse il ragazzo gonfiando il petto.
-Ti assicuro di
no.. mi dispiace, ma pensa a un altro- capì che l’unico modo era dire la
verità.
-E chi sarebbe?-
finalmente la degnò di attenzione seriamente.
-Non te lo
dico!-
-Dai Em, siamo amici-
-Sono amica
anche di Hilary- tentò lei di difendersi, ma con scarsi risultati.
-Se me lo dici
la lascio perdere..-
-Promettilo-
-Croce sul
cuore- fece il ragazzo con espressione angelica.
-Kei- Emily
sospirò prima di pronunciare quel nome e raccontare a grandi linea la relazione
che legava i due ragazzi.
-Cosa?-
-Hai capito
bene-
-Quel..-
-Ora la lasci in
pace-
-Non lo
sopporto..- aveva promesso di non provarci con Hilary e forse avrebbe mantenuto
la parola, ma nessuno aveva menzionato Kei: quel russo non riusciva proprio a
reggerlo, si era appena riunito al gruppo e già gli aveva rovinato la piazza.
Non poteva perdonarglielo.
Takao, preso
dall’euforia, si fece convincere senza fare storie ad aiutare a mettere a posto
la sala da pranzo da tutta la confusione: portò una serie di scatole al piano
di sopra accompagnato da Hilary.
-Allora come sta
andando?- chiese all’amica sorridendo.
-Mi sembra che
sia stata una festa fantastica-
-Intendo con..
tu-sai-chi-
-Non è mica
l’innominabile..- rise lei non del tutto convinta delle sue stesse parole
–comunque direi che va avanti abbastanza indifferente-
Entrarono nella
camera del giapponese e posarono i grossi pacchi.
-Mao e Emily
pensano che dovrei usare la tattica della gelosia..- iniziò incerta Hilary.
-Con chi?-
-Michael..-
-Ah.. ne sei
proprio sicura?-
-Affatto, solo
che..-
-Cosa pensi di
ottenere?- chiese dolcemente, cercando di capire le motivazioni.
-Forse.. se
fosse geloso capirebbe quanto tiene a me..-
-Non so
Hilary..-
-Sono perplessa
anche io.. soprattutto sul soggetto-
-Intendi
Michael? Per quello, lui mi ha detto che vuole provarci di nuovo-
-Lo so, ma.. lo
fa per motivi tremendi..-
-Sarebbe?-
-Si diverte a
conquistare.. e qui sono l’unica ragazza disponibile: Mao sta con Rei e Emily è
sua compagna di squadra-
-Non dire
così..-
-Ormai l’ho
capito..-
-Comunque non
penso che funzionerebbe.. Kei non ragiona propriamente come noi comuni mortali-
-Appunto..-
-Fai come credi,
ma io non sono convinto della riuscita.. e non voglio vederti soffrire ancora-
Hilary sospirò,
perché il pensiero del ragazzo era simile al suo e le stava dando la conferma
che cercava, di quanto quella tattica sarebbe stata inconcludente, ma
soprattutto dolorosa. Eppure non riusciva a fare a meno di prenderla in
considerazione.
-E questo?-
chiese l’americano la sera riunito con gli altri, troppo pieni per osare anche
solo pensare alla cena, notando un particolare che era rimasto nascosto alla
sua vista per quei giorni, in un angolo della palestra.
-E’ uno stereo,
Michael- rispose ovviamente Emily, perplessa.
-Grazie della
consulenza..- continuò ironico -..ma intendevo, non è che sarà della nostra
ballerina?-
Il ragazzo si
premurò di alzare la voce, per farsi sentire da tutti i presenti impegnati in
altre faccende, ma soprattutto per farsi sentire da uno di loro.
Chi colse il
riferimento iniziò a spostare lo sguardo da Michael a Kei, aspettando la
prossima mossa di uno dei due: il russo, però, sembrava non ascoltare nemmeno,
così l’altro, non contento, gli si avvicinò.
-Chissà, se mi
guardassi un po’ in giro magari potrei trovare pure tutù e scarpette?-
-Che cazzo
vuoi?- Kei si voltò con sguardo glaciale, trovandosi esattamente di fronte
all’americano.
-Solo farti
sapere quanto apprezzi che ti sia dato al balletto- rise in risposta.
-Si può sapere
perché ce l’hai con me?- chiese il russo ignorando il contenuto del discorso,
ma concentrandosi sul fatto che continuasse imperterrito a innervosirlo.
-Mi stai sul
cazzo-
-Bene, è
reciproco.. ora levati-
Di nuovo il
ragazzo tentò di riprendere a ignorarlo, ma Michael non era dello stesso
avviso.
-Ooh sei diventato proprio una femminuccia..- iniziò con un
sorrisetto di scherno -..lo dai ancora il culo?-
In una manciata
di secondi l’immobilità della palestra fu scossa: Kei si avventò su Michael,
bloccandolo al muro pochi passi dietro di lui e tenendolo per il colletto,
mentre Eddie e Rei si avvicinarono per smussare l’eventuale rissa, bloccando
giusto in tempo il braccio alzato del russo, e gli altri si rizzarono attenti.
-Calma..- cercò
di stemperare il cinese: quei due era da giorni che rischiavano di arrivare
alle mani, ma sapeva che, nel caso fosse successo, l’amico non si sarebbe
tirato indietro considerando il suo passato da teppista e la rabbia nei suoi
occhi.
-Dì ancora una
parola e sei morto- scandì Kei, abbandonando il piano originale e limitandosi a
allentare la presa per risbatterlo contro la parete.
Fece per
girarsi, cercando di ignorare gli occhi di Michael che si stringevano a due
fessure e il crescere del suo immancabile ghigno.
-Non ne hai il
coraggio..- riprese in un sussurro -..fai proprio la puttana isterica-
Un tonfo: Eddie
non aveva fatto in tempo a trattenerlo, che Kei aveva tirato un forte cazzotto
sul volto dell’americano, il quale sbatté nuovamente contro il muro e fu spinto
verso terra. Steve accorse per fermare il russo, mentre Rei cercò di far
restare Michael dov’era.
-Lasciami-
sibilò Kei ottenendo di muoversi liberamente e di prendere la porta.
-Kei!- Rei lo
inseguì attraverso le altre stanze fino all’ingresso del dojo –Fermati-
-Rei stammi
lontano che non è il momento- ma l’altro non desistette –ricorda che ne devo
uno anche a te-
Un locale,
musica alta da spaccare i timpani e alcool. Questa era stata la soluzione
adottata da Kei: aveva raggiunto Mizuki che era
insieme al suo ragazzo e un gruppo di amici, ma si era fermato giusto il tempo
di bere qualcosa, ballare con la ragazza in un angolo appartato del locale e
fare in modo che tradisse la sua dolcemetà con non più di un bacio non proprio casto.
Alla fine tornò
abbastanza presto al dojo, ma non entrò: si fermò sui pochi gradini che
conducevano alla porta d’entrata e si accese una sigaretta in attesa.
Uno spiraglio di
luce alle sue spalle annunciò che la porta si era aperta e una persona era
uscita. Il ritorno dell’oscurità, pochi passi e vide Rei sedersi di fianco a
lui.
-Da quanto sei
qui?-
-Un po’-
-Fa freddo..
perché non sei entrato?-
-Aspettavo non
ci fosse più nessuno alzato- confessò bisbigliando.
-Sono tutti a
dormire, eravamo solo io e Mao-
-Allora dovresti
tornare dentro-
-Kei..-
-Che vuoi?-
-Non c’è una
sola persona che abbia dato ragione a Michael.. anzi gli si sono avventati
contro e..-
-Sai cosa me ne
faccio- lo interruppe e rimase in silenzio il tempo di fumare metà della sua
sigaretta –Perché tutti dovete tirare fuori sempre questa cosa?- chiese infine
–Lo hai fatto anche tu.. spiegamelo-
Il motivo per
cui non dava il tempo alle persone di conoscerlo era proprio quello: per
evitare ritorsioni. Si circondava di persone, di ragazze principalmente, delle
quali si liberava dopo un breve periodo, quando iniziavano a fare troppe
domande. Non voleva che nessuno fosse in possesso di informazioni contro di
lui.
-Per quanto
riguarda Michael penso che cercasse qualcosa per ferirti ed è andato a colpo
sicuro-
-E tu?-
-Per stupidità-
disse abbassando il capo –Se darmi quel famoso cazzotto ti fa sentire meglio,
fai pure-
Kei scosse la
testa finendo la sigaretta.
-Ne darei un
altro a Michael però-
-Direi che
l’atmosfera natalizia se n’è andata-
-C’è mai stata?-
chiese il russo ironico.
-Guarda che
Natale è semplicemente stare insieme alle persone a cui vuoi bene-
-Appunto..-
bisbigliò con una nota di scetticismo nella voce.
-Cosa fate voi
per Natale? Tu, Yuri e gli altri?-
-Niente.. al
monastero non si festeggiava, nella casa famiglia c’era stato un accenno
squallido di festeggiamento- pensò qualche secondo ai natali che gli mancavano
–Due anni fa credo di essere stato strafatto, mentre l’anno scorso ero in crisi
d’astinenza-
-Ah.. forse
allora ti meritavi un Natale migliore.. ci rifaremo il prossimo-
-Preferirei di
no-
-Perché?-
-Sarà pur sempre
dicembre- disse accennando un sorriso.
-E supereremo
anche questa cosa!- esclamò battendo il pugno chiuso sull’altro palmo –Ora
vieni dentro dai-
-Raggiungi Mao..
io aspetto ancora un po’-
-E cosa
aspetti?- chiese Rei confuso.
-Un’illuminazione-
rispose esasperato, dandogli una spinta verso l’ingresso –E vai!-
-Ok, ok!-
Kei ragionò che
realmente aspettare un’illuminazione non sarebbe stato male, in fondo ne aveva
bisogno, sapere che cosa andava cercando, che cosa gli mancasse nella vita,
perché quello che aveva ricevuto non gli era bastato.
Nel frattempo
avrebbe solo aspettato il momento giusto per entrare.
Era riuscita a
estorcere informazioni a Rei, Max e Takao con tanta pazienza e tanta forza di
volontà, poiché i tre erano restii a raccontare: già da quando Kei era arrivato
a giugno le era stata spiegata la sua situazione e il suo passato difficile, ma
nessuno si era mai soffermato sui particolari. Solo il russo stesso si era
dilungato di qualche parola su alcuni episodi, ma nessuno aveva mai fatto
riferimento a quelpiccolo particolare. E non poteva certo
biasimare nessuno.
La sera prima,
dopo il litigio tra Kei e Michael, era dovuta tornare a casa, ma la mattina,
non appena arrivò al dojo, andò a cercare il suo ex.
Come supponeva,
non aveva dormito in palestra con gli altri: conoscendolo non si sarebbe
stupita se non si fosse più fatto vedere da nessuno.
Hilary decise di
cercarlo e mettere da parte i suoi rancori per qualche minuto, giusto il
necessario per accertarsi dello stato del russo: poteva essere in collera
quanto voleva, riuscire a evitarlo, manon poteva spegnere da un momento all’altro i sentimenti che provava per
lui e la preoccupazione che ne derivava.
Bussò lievemente
alla porta della ormai familiare camera di Kei. Nessuno rispose, ma abbassò
comunque la maniglia per varcare la soglia.
Il ragazzo era
sdraiato sul letto con le braccia dietro la testa e le cuffie sulle orecchie.
La brunetta
sospirò trovando quella scena fin troppo familiare e piacevole; richiuse la
porta alle sue spalle e si avvicinò, sedendosi a fianco a lui sul materasso:
solo quando fu nella sua visuale, Kei si accorse della sua presenza e si sfilò
le cuffie.
-Hey- sussurrò Hilary, mentre le due ametiste dell’altro la
scrutavano in attesa –Come stai?-
-Normale-
rispose lui senza colori nella voce.
Non resistette:
senza accorgersene la ragazza posò una mano sul ginocchio piegato del ragazzo
in una carezza. Non riuscì a interrompere quel gesto, mentre Kei sembrò non
essersene nemmeno accorto.
-Senti, Michael
è un..-
-Volevi dirmi
qualcos’altro, oltre che insultare Michael?- la interruppe.
-No, volevo solo
accertarmi che..- lei lo guardò negli occhi inespressivi e cambiò rotta -..fa
niente-
Kei sospirò e si
mise a sedere, trovandosi pericolosamente vicino alla ragazza –Scusa.. non
voglio sentire parlare di questa storia, né di Michael.. tutto qui-
Si guardarono
per alcuni secondi negli occhi in silenzio.
-Sai, ce l’ho
con te non tanto perché mi hai ferita..- iniziò Hilary, leggendo indifferenza e
apatia in quelle iridi tanto amate -..ce l’ho con te per il male che ti
procuri-
-Doppio motivo..
sempre meglio-
-Non scherzare..
sai bene di cosa parlo-
-Non riesci
proprio ad andare oltre?- chiese lui con distacco.
-In questo
momento no.. un giorno forse-
-Sicuramente-
annuì Kei –E’ tutto?-
-Sì- non poteva
stare ancora un minuto di più a così poca distanza dall’altro senza sentire il
cuore battere prepotente, non tanto per la felicità di averla accanto, ma per
la consapevolezza della distanza che si era creata. Nostalgia del mese
precedente, di gesti e di abitudini.
Si alzò in
fretta e lo salutò di sfuggita, senza neanche guardarlo.
I giorni
successivi trascorsero alquanto tranquilli dopo l’episodio di Natale: Michael
aveva già iniziato a meditare vendetta dopo pochi minuti da quando Kei se ne
era andato, ma Eddie e Steve lo avevano convinto a ragionare e desistere,
poiché, come gli ripeterono, quell’occhio nero se lo era meritato e doveva ringraziare
se il russo si era limitato a quello. Di conseguenza non mise mai in atto il
piano che aveva studiato per attaccare bottone con Hilary, questa volta
consigliato da Emily.
Si limitò
esclusivamente a lamentarsi della quantità di trucco che avrebbe dovuto
utilizzare per coprire quel segno violaceo.
Gli adulti del
dojo non erano stati informati di quello scontro, ma avevano notato subito uno
strano gelo tra i ragazzi.
Kei, dal canto
suo, ignorò tutto e tutti, concedendo solo la sua presenza. Chi tentava di
approcciarsi a lui veniva respinto o liquidato con pochi cenni o, quando era
fortunato, parole. Non si aspettava delle scuse dall’americano, nonostante
avesse sentito qualcuno intimargli di fargliele: in ogni caso non le avrebbe
accettate, o comunque era meglio se Michael stesse a una distanza di sicurezza
da lui.
In ogni caso
furono proprio gli All Stars i primi a ripartire:
avevano l’aereo il 30 dicembre e solo Lai e Mao si apprestavano a trascorrere
il Capodanno in Giappone.
L’affollamento
del dojo era diminuito e decisero che quello era il momento di tornare a
dormire in dei letti: si dovettero comunque stringere e Rei e Takao si
ritrovarono a condividere la stanza, il primo con Lai, il secondo con Hitoshi, mentre Mao veniva sistemata nella camera a piano
terra.
Il 31 dicembre
lo passarono cenando in casa e poi uscirono per unirsi ai festeggiamenti in
piazza: il Natale e i suoi avvenimenti erano stati lasciali alle spalle e
ignorati per permettere di trascorrere gli ultimi giorni insieme serenamente. Soprattutto
Takao che assaporava la rara riunione della sua famiglia e Rei che voleva
passare più tempo possibile insieme alla sua ragazza, prima di lasciarla
ripartire per la Cina e allontanarsi nuovamente da lui.
Max e Kei si
adeguarono alla serenità degli altri due, il primo sinceramente, il secondo più
per sopravvivenza; Hilary sembrava iniziare a ignorare più facilmente il russo
e evitarlo era diventata la sua specialità.
-Quindi nessun
piano in vista?- si era informata Mao con la sua amica, ottenendo solo una
risposta negativa.
La cinese aveva,
però, insistito con Rei perché cercasse di far qualcosa, almeno capire se
davvero da parte di Kei non c’era alcuna possibilità che quei due si
rimettessero insieme: non sopportava che qualcun altro soffrisse per amore
quando per lei quel sentimento era fonte di così tante gioie.
Rei, dal canto
suo, aveva cercato di farle capire quanto un riavvicinamento sarebbe stato
improbabile, ma per lei avrebbe fatto qualunque cosa, anche tentare
l’impossibile.
Quanto, però, l’impossibile
fosse tale lo scoprì una sera: stava attraversando il corridoio del piano
superiore quando, passando davanti alla camera di Kei, lo scorse all’interno
intento a prepararsi per uscire.
-Dove vai di
bello?-
-In giro..-
-Un luogo più
definito?- tentò scocciato dalla solita tendenza di non fornire alcun dettaglio.
-Non so, mi
portano..-
Lo fissò, non
ricambiato, cercare di mettersi i capelli, ormai ricresciuti, in ordine.
-Esci per caso
con una ragazza?-
-Sì, Mizuki?-
-Quella Mizuki?-
-Conosciamo altre
Mizuki?-
Rei si rispose
ovviamente di no: già una bastava.
-Quindi ti sei
rimesso con lei?-
-No, ha il
ragazzo-
-E perché esci
con lei?-
-Esco con lei,
il suo ragazzo e i suoi amici-
-Ah- riuscì solo
a dire ripensando al soggetto in questione: non era proprio quella che lui
chiamava ‘brava ragazza’, anzi.
Lo lasciò uscire
e non potè fare a meno di ritrovarsi sempre più
scettico riguardo alle speranze e alle convinzioni di Mao.
-Mi ha mollato-
Mizuki lo accolse così quella sera.
-Perché mai?-
chiese ironico: era questione di tempo prima che il ragazzo si rendesse conto
della vera natura della persona con cui stava e non c’era da stupirsi che,
appena avesse scoperto di quante corna gli erano spuntate sulla testa, la sua
reazione sarebbe stata quella di lasciarla.
Perché
continuasse a frequentare una persona di cui avesse un’opinione e una stima
così bassa, Kei non se lo sapeva spiegare. Ripensandoci però non aveva una
grande opinione neanche di se stesso quindi poteva andare benissimo così.
-Un suo amico
gli ha detto che ho baciato Kris.. cioè, per quello mi ha lasciato- rispose
scioccata come se la motivazione non fosse stata valida.
-Pensa se avesse
scoperto degli altri- scherzò Kei.
Tirare su il
morale della ragazza si rivelò sempre più facile man mano che le ore passavano:
si erano incontrati con un gruppo di amici di lei e avevano iniziato a fare il
giro di alcuni locali. Era realmente dispiaciuta di aver concluso quella
relazione, ma questo non le privò di comportarsi come al solito.
Tentò più e più
volte, come aveva fatto nelle settimane precedenti, di convincere Kei ad andare
a letto con lei.
-Ora sono
ufficialmente single, non c’è nulla di male-
-Da quante ore
lo sei? Cinque massimo..-
-E allora?- Si
avvicinava sempre di più ad ogni parola, seduti al tavolino di un locale
piuttosto buio –E poi da quant’è che stai in astinenza? Non mi starai
diventando un puritano, spero!-
Kei, ovviamente,
desistette; nonostante la pazienza e la resistenza era pur sempre un ragazzo
con qualcuno disponibile al suo fianco e un bagno a relativamente poca
distanza.
-Preferirei non
venire a letto con te- le disse, però, mentre tornavano verso casa.
-Mica ti sto
chiedendo una relazione- si difese Mizuki.
-Lo so, ma mi
andava bene come stavamo fino a stasera-
-Non ti piaccio
più?-
-No, solo che
questa cosa che ci vedevamo anche senza sesso non era male- cercò di spiegarsi
Kei –Tu puoi sempre andare a letto con altri e io pure-
-Capito- disse
lei convinta –Mi sta bene, sono felice di averti convinto stasera allora-
Camminarono fino
al punto dove si sarebbero dovuti dividere e si salutarono: Mizuki
gli si avvicinò e gli diede un lungo e profondo bacio sulla bocca, prima di
allontanarsi e leccarsi le labbra con un mezzo sorriso.
-Ci sentiamo
domani- alzò la mano in gesto di saluto e si allontanò –Notte!-
-Notte- le
rispose allontanandosi.
We wish you a Merry Christmas lalala!
Lo so, vi
aspettavate dell’altro u.u o almeno so che alcune di
voi si aspettavano tutt’altro, ma così va la vita.. avanti di sofferenze e
delusioni!
Blablabla Time
Sinceramente
in questo momento non ricordo se nell’anime Kei e Michael si odiassero,
sicuramente non si stavano simpatici, ma non so perché ho questa immagine di
loro due in completa antitesi, non riesco a immaginarmeli diversamente O_o quindi vi beccate l’odio viscerale tra i due (e pure il
mio odio viscerale verso Michael u.u)
Comunque
Natale è passato.. non soffermiamoci sul come, ma è passato.. e non so cosa
aspettarmi dalle vostre recensioni. Per non parlare del fatto che manca una
settimana alla svolta, cioè.. una settimana alla comprensione totale della
svolta e due a quella vera e propria O_O a quel punto mi sotterrerò
definitivamente e le uniche due persone stimate che vorrebbero continuare a
leggere si strozzeranno xD.
Ma andrà
tutto bene, il sole sorgerà lo stesso il venerdì successivo, Goku troverà le
sfere del drago, Ai Yazawa continuerà a non far
uscire Nana, Italia 1 trasmetterà Mila e Shiro 2
(immagino sempre senza Shiro), l’Uomo Tigre lotterà
contro il male,le caprette faranno
ciao, Heidi farà il formaggio, perché il pedaggio è il pedaggio e il formaggio
è il formaggio e se nessuno ci paga il pedaggio nessuno ci vende il formaggio.
Tutto questo
era per farvi dimenticare il contenuto del capitolo e mettervi in crisi
riguardo la recensione che volevate lasciare di cui ora non ricordate nulla xD
Mao e Lai
ripartirono dopo una settimana, quando la scuola dovette ricominciare.
Rei si rabbuiò
non appena la sua ragazza lasciò il suolo Giapponese, ma cercò di non pensarci
concentrandosi sulle lezioni.
Lo distrassero
organizzandogli una festicciola di compleanno a sorpresa, soprattutto Takao
decise di cogliere due piccioni con una fava approfittando del fatto che la
data di nascita del cinese veniva solo tre giorni dopo quella di Hilary. In
verità fu Kei a ricordarglielo che, al contrario di ogni previsione, la mattina
del martedì precedente si era avvicinato alla ragazza facendole gli auguri, non
sospettando minimamente di essere stato il primo.
Fu il primo, e
forse unico, contatto che i due ebbero dopo diverse settimane: in realtà c’era
stato un netto distacco di Kei dal gruppo, poiché si erano tutti naturalmente
avvicinati alla ragazza e dato conforto a lei. Nonostante tutti gli
avvertimenti all’inizio di quella relazione, però, nessuno fece scenate al
russo, tenendo conto dei fatti e di come si erano sviluppate le cose.
A metà gennaio,
quindi, il dojo Kinomiya fu di nuovo riempito di
festoni e si ricominciò a far baccano, nonostante fossero la metà del mese
precedente.
Entrarono nella
grande discoteca: le luci strobo e quelle colorate illuminavano a tratti
l’ambiente, il bancone, le persone già accalcate nella pista, coloro che si
aggiravano per lo stanzone e i bicchieri che passavano di mano in mano.
Non erano
propriamente i suoi luoghi preferiti con tutta quella confusione: Kei preferiva
di gran lunga i locali dove, sì la musica era comunque assordante e l’ambiente
nella semi oscurità, ma si riusciva ad avere contatti solo con le persone a cui
si voleva dare confidenza e non vi era così tanto affollamento.
Raggiunsero un
gruppo di ragazzi che ormai aveva imparato a conoscere di faccia, non di nome
ovviamente, seduti a un tavolo sul quale erano ammassati borse e cappotti.
La musica
commerciale lasciò spazio a quella house e il ragazzo
storse il naso cercando di abituarcisi: per fortuna presto Mizuki
lo prese per mano e lo portò verso un’altra sala. Non appena attraversarono la
soglia, la musica precedente si mischiò a quella nuova fino a che non la sostituì
definitivamente.
-Questa mi piace
di più- gli urlò Mizuki, nonostante la sua voce
arrivò all’orecchio di Kei solo come un sussurro.
Non se ne
preoccuparono, essendo il parlare un’attività superflua, e iniziarono a ballare
vicini e a scambiarsi qualche bacio: la giapponese li aveva richiesti
esplicitamente all’interno del loro accordo che, però, escludeva il sesso.
Intanto entro un’oretta si sarebbero divisi e andati alla ricerca di qualcun
altro.
Dopo un po’
cercarono di divincolarsi dalla massa di persone che li avevano circondati e si
diressero verso il bancone per ordinare da bere.
Mizuki ringraziò i gestori delle discoteche che pur di
guadagnare non facevano distinzioni tra maggiorenni e minorenni e afferrò il
suo bicchiere colmo di una bibita alcolica e cercando un angolo meno affollato
insieme al ragazzo.
-Ciaoo!- urlò all’improvviso facendo cambiare direzione a
Kei e dirigersi verso una coppia.
-Ciao Mizuki!- e il ragazzo le diede due baci sulle guance, per
poi lasciare fare lo stesso alla tizia vicino a lui.
Parlottarono per
qualche minuto prima di considerare il russo.
-Ryo lui è Kei..- disse indicandolo –Kei, Ryo-
Kei cercò di
ricordarsi dove aveva già sentito quel nome, ma non gli sovvenne.
-Piacere- gli
strinse la mano l’altro.
-Forse vi siete
già visti in piazza.. ma non ne sono sicura-
Aveva già
sentito delle frasi come queste pronunciate da Mizuki,
ma a che si riferiva?
-Mmm può darsi, ma ormai vedo tante persone che faccio
fatica a ricordarmi di tutti- esclamò Ryo.
Il russo
abbandonò il suo ragionamento e decise di soffermarsi sulla figura del ragazzo:
era piuttosto basso, più o meno gli arrivava alla spalla, mentre la sua
ragazza, grazie ai tacchi vertiginosi che portava, lo superava di qualche
centimetro; aveva un’espressione sorridente e cordiale, ma anche piuttosto ammiccante,
segno che era uno abituato a fare il marpione.
Non prestò più
attenzione al discorso, continuando ad ascoltare la musica, fino a che non si
sentì nuovamente interpellato.
-Già che ci
sei..- aveva iniziato Mizuki -..convincilo un po’ a
venire a lezione qualche volta!-
Ecco in che
contesto gli era stato nominato: era l’insegnante della ragazza.
-Balli quindi?-
chiese Ryo voltandosi e spalancando il suo sorriso;
una strana luce gli illuminava gli occhi, probabilmente solo per colpa
dell’illuminazione della discoteca –Figo!-
-Sì, ma non
riesco a convincerlo a venire- rispose per lui la giapponese.
-Non fa per me-
provò a dire, ma lo interruppero.
-Perché no?
Guarda che è bello.. è un corso open quindi non è impegnativo..- iniziò il
ragazzo -..stiamo un’ora insieme, facciamo un po’ di tecnica e qualche passo di
coreografia, poi balliamo.. molto easy-
Kei rimase
perplesso: non era stato per nulla convincente, ma non voleva farglielo notare
sperando non lo trattenessero di più. Annuì per smorzare il periodo di stallo e
li lasciò continuare a scambiarsi poche battute riguardo alla lezione.
Si separarono
dopo pochi minuti e Kei e Mizuki uscirono nella
terrazza del locale in modo che il ragazzo si potesse accendere una sigaretta.
-E quello
sarebbe il figo?- chiese ironicamente.
-Lo devi vedere
ballare- disse seria la ragazza bevendo un sorso della sua bevanda –Certo che
la sua tipa è proprio antipatica..- e iniziò a trovarle latti negativi.
-Tra quanto e
dove ci vediamo?- chiese poi Kei, ottenendo la risposta prima di separarsi
all’interno del locale e perdersi di vista per più di un’ora.
Ricominciamo.
Con quel
pensiero si era risvegliato una mattina di fine gennaio.
A Capodanno Rei
gli si era avvicinato e, dopo una pacca sulla spalla, gli aveva detto: ‘Anno nuovo,
vita nuova’. Solo in quel momento, dopo diverse settimane e varie elucubrazioni
mentali, aveva deciso di prendere realmente in considerazione quel consiglio.
Ricominciare
come se fosse appena arrivato in Giappone, con lo stesso spirito di rivalsa dell’estate
prima, ma con degli elementi in più: un pizzico di fiducia negli altri e minore
apatia; in realtà quella era sempre presente, non si era mai allontanata, ma
nel tempo si era trasformata, lo coglieva sempre nelle situazioni più
disparate, ma era sicuramente differente da quella precedente.
L’unico ostacolo
era presentato solo da se stesso, perché, oltre che prendere in considerazione
il consiglio, doveva anche metterlo in pratica.
Doveva solo
approfittare di quel momentaneo stallo che aveva preso la sua vita.
Ovviamente quel
‘ricominciamo’ se lo era aspettato diverso quella mattina, comunque. Non si
rese nemmeno conto di quanto fosse stato incauto nel riavvicinarsi a Mizuki: avrebbe dovuto immaginarlo da solo che sarebbe
stata solo una portatrice di guai. Era una ragazza che non si dava mai per
vinta, testarda e che, se si metteva in testa una cosa, non c’era modo di farle
cambiare idea.
Possedeva,
inoltre, una certa attitudine al comando, tanto che Kei non riuscì a opporsi a
quella famosa pazzia.
Il martedì
pomeriggio lei si presentò, infatti, davanti al dojo e approfittò
dell’accoglienza indiscriminatamente calorosa dei Kinomiya
e dell’innata propensione all’ascolto di Rei e lo prelevò con la forza per
andare ad assistere a una lezione di Ryo.
In realtà quello
era stato l’unico compromesso fattibile perché, fosse stato per lei, lo avrebbe
fatto direttamente partecipare, ma almeno su questo punto era riuscito a farla
desistere.
Presero un
autobus e arrivarono in una zona più centrale e trafficata e in poco tempo si
trovarono davanti a un piccolo edificio, di pochi piani, che stonava con i
grandi palazzi che lo attorniavano.
-Questa è la
palestra!- annunciò Mizuki allargando le braccia.
Kei in risposta
emise solo un grugnito indifferente e la seguì all’interno con meno voglia di
quando erano usciti dal dojo, se possibile.
Attraversarono
l’ingresso e la ragazza iniziò a salutare praticamente ogni persona che
incrociavano prima che, arrivati a una rampa di scale, lei gli raccomandasse di
aspettarla lì mentre si andava a cambiare.
Il russo ebbe la
fantastica idea di sedersi sui divanetti che riempivano la sala e sui quali
alcuni genitori probabilmente stavano aspettando la fine delle lezioni dei
figli. Ripensò immediatamente alla Russia, l’unico termine di paragone che
possedeva: la palestra in cui lavorava Dana era molto più squallida, non c’era
nemmeno una vera aula di danza, ma solo un piccolo mondo accessibile ai ragazzi
dei quartieri più malfamati, nascosto nell’universo delle scuole coreutiche
d’eccellenza di Mosca.
Passò dieci
minuti buoni a rimuginare, fino a quando Mizuki non
rispuntò insieme ad un’altra ragazza e tutti e tre insieme salirono due rampe
di scale per poi fermarsi davanti a una porta a vetri con su stampato il numero
4. Scorse delle braccia tese muoversi all’unisono all’interno della stanza, ma
non vi prestò troppo interesse, ormai intrappolato in una serie di strette di
mano e convenevoli, poiché la giapponese aveva iniziato a presentargli le
persone che aspettavano come loro sul pianerottolo, sicuramente suoi compagni
di corso, il maschile d’obbligo grazie alla presenza di un solo uomo.
Passarono così
altri cinque minuti prima che la porta 4 si aprisse e fuoriuscissero una
ventina di ragazzine con body neri e capelli acconciati con chignon dai quali
alcune ciocche si ribellavano all’ordine dettato da gel e forcine.
Entrarono e Kei
conquistò un angolino laterale, sedendosi sul parquet lucido accanto a una
serie di sedie impilate; Ryo si fece attendere pochi
minuti, arrivando sudato e affaticato dalla lezione precedente, evidentemente
in un’altra sala: sistemò la propria roba affianco allo stereo e azionò la
musica. Con la partenza delle prime note Kei si rilassò, appoggiando la schiena
al muro, contento di non essere stato intercettato, ma, al contrario delle sue
previsioni, prima di iniziare la lezione, l’insegnante gli si avvicinò.
-Ciao! Non
provi?-
Kei fece cenno
di no con la testa e l’altro non insistette.
-Va bene..
magari la prossima volta dai!- e andò a posizionarsi davanti agli allievi di
fronte allo specchio.
I ballerini
erano dei narcisisti: era intuibile solo che dal loro spasmodico bisogno di
quei pannelli riflettenti in ogni aula. Sapeva che erano utili per poter vedere
l’insegnante e correggere se stessi, tutte risposte che gli aveva dato Dana
quando le aveva fatto notare quanto fosse insopportabile questa fissa, però lui
gli specchi li odiava, non riusciva a essere come la sua amica o come gli
allievi in sala in quel momento, non sopportava guardarsi, anche in quel momento,
completamente immobile al lato di tutta la scena maestra. Anche questa volta
spostò lo sguardo e si concentrò sulla lezione.
L’ora trascorse
piuttosto in fretta: come gli avevano spiegato quella sera in discoteca, fecero
un po’ di riscaldamento, poi tecnica e infine coreografia. Lo stile di Ryo era piuttosto diverso da quello di Dana, ma
interessante, e tra gli allievi vi era parecchia disparità di livello: la
ragazza più brava stava davanti insieme al maestro e gli altri si aprivano
intorno a loro, mentre l’unico maschio non era granché e si notava avesse
parecchia difficoltà. Gli attimi di silenzio erano più unici che rari, la
musica si stoppava solo quando Ryo doveva spiegare o
insegnare qualche nuovo passo e nella sala si respirava un’atmosfera strana che
Kei non riusciva a definire.
Al termine
dell’ora Ryo annunciò di dover scappare urgentemente
e, dopo l’applauso di fine lezione, corse via.
-Allora?- gli
chiese Mizuki affaticata, ma sorridente.
-Allora cosa?-
-Come ti è
sembrata?-
-Una lezione-
La ragazza lo
guardò male, ma non aggiunse altro, dileguandosi verso gli spogliatoi.
Ci mise ancora
più tempo di prima, ma riuscirono comunque a uscire dall’edificio all’aria
fredda di gennaio, dirigendosi poi verso un bar per mangiare qualcosa.
-Vai col tuo giudizio-
-Riguardo?-
-Guarda che non
mollo eh..- lo avvertì lei -..come ti sembro a ballare?-
Kei ragionò
qualche secondo prima di risponderle –Si vede che vieni dalla break-
-In che senso?-
Di nuovo si
prese del tempo per ponderare le parole –sei rigida qua- e si indicò il busto.
In realtà non la
considerava bravissima, anzi: era convinto che con la break ci sapesse fare, ma
da in piedi non era questo grande fenomeno, risultando anche piuttosto
scoordinata.
-Non sei il
primo a dirmelo quindi ci credo- disse dandogli ragione –Visto che te ne
capisci così tanto perché non provi?-
-Io non è che me
ne capisco così tanto.. ho gli occhi e li uso-
-Guarda che non
tutti se ne accorgono di queste cose-
-Sarà-
-E smettila di
cambiare discorso.. prova e falla finita!- esclamò divertita.
-Ma cosa ti
importa se provo o no?-
-Ormai è
questione di principio-
-Allora anche la
mia-
-Non puoi.. l’ho
detto prima io- disse facendogli la linguaccia.
Battibeccarono
amichevolmente fino al momento di tornare verso casa, ma durante il tragitto Mizuki tirò nuovamente fuori il discorso.
-Insomma, ti
piace la musica, te ne capisci, hai occhio, sai ballare.. cosa ti costa?-
-Ma ci guadagni
qualcosa che insisti così tanto?-
-Se fosse così
non faticherei a dirtelo e sarei molto più convincente! Voglio solo stare un
po’ con te-
-Questa non me
la bevo- disse divertito guardandola negli occhi fintamente dolci.
-Intanto giovedì
ti obbligo- disse risoluta ricomponendosi.
-Voglio proprio
vedere-
-La prendo come
una sfida-
-Va bene-
-Perfetto-
-Da quand’è che
stai dalla sua parte?-
Si erano alleati
contro di lui e non vedeva vie d’uscita: Rei e Mizuki
non erano mai andati d’accordo, soprattutto al primo non era mai andata a genio
la seconda, ma per combatterlo su questo fronte sembravano essere diventati
migliori amici, degli alleati perfetti.
-Cosa sarà mai?
Potresti provare..- gli stava ripetendo sornione il cinese.
-No-
-Scusa, tu balli
no? Questo è il passatempo perfetto per te!-
-Ma non sto
cercando nessun passatempo-
-Bisogna
coltivare i propri interessi-
-Giusto- gli
diede man forte Mizuki, che annuiva a ogni sua frase.
-Oltre alla
scuola non fai nulla- ricominciò Rei –a parte uscire con lei.. in questo modo
puoi vederla e nel frattempo vi divertite in modo sano-
-Sembri una
pubblicità progresso- gli fece notare Kei seccato.
-Ti diverti
proprio a farti pregare eh- fece l’occhiolino la ragazza.
-Magari potresti
imparare cose nuove..-
-Ti prego sta
zitto-
-..diventeresti
più bravo..-
-Ne hai ancora
per molto?-
-..e faresti
attività fisica..-
-Ora me ne vado-
-..che con tutte
quelle sigarette ti atterri..-
-Ho afferrato!
Basta!- sbottò il russo che non riusciva più a sopportare il largo sorriso sul
volto dell’amico.
Così era stato
incastrato, preso per sfinimento e per danneggiamento di nervi.
-Me la
pagherete- soffiò in direzione dei due, mentre lasciava il dojo con la ragazza.
-Divertitevi- li
salutò Rei con la mano dalla soglia, come una perfetta mammina.
Si chiese per
quale motivo era stato così facile convincerlo, perché aveva ceduto con così
poco, perché non aveva trovato le parole per dibattere o comunque un ‘no’ per
imporsi.
Non era da lui.
Lui era quello impassibile e determinato a non farsi dire quello che doveva o
non doveva fare, a non prendere ordini da nessuno, addirittura a ignorare i
consigli altrui: eppure, lo avevano convinto e ora si ritrovava braccato in una
situazione senza uscita all’interno di quella palestra che in quel momento
assomigliava di più a una prigione.
Non era stato
così semplice opporsi a Takao per tutta la storia del bey da l’estate a quella
parte? Perché non era riuscito a fare lo stesso per quello?
Quel
‘ricominciamo’ dalla teoria alla pratica stava diventando sempre meno efficace
e sempre più lontano. Doveva essere un modo per sentirsi bene e non per iniziare
a fare cose che non voleva, a cambiare così totalmente se stesso da cedere agli
altri, da farsi convincere, da accettare passivamente quello che gli accadeva.
Ora come ora,
comunque, non poteva scappare. Doveva rimandare a più tardi il ritorno al vecchio
e impassibile Kei Hiwatari e accettare quella
situazione come castigo per essersi lasciato trasportare da quella pazzia.
-Guarda che non
muori mica- gli fece notare Mizuki rispondendo alla
sua espressione afflitta.
Non le rivolse
la parola, ma la seguì silenziosamente su per le scale e dentro la sala 4:
erano leggermente in ritardo e Ryo stava già
sfogliando dei cd, probabilmente per scegliere quale infilare nello stereo.
-Ciao!- li
accolse, alzando leggermente lo sguardo e poi, vedendo Kei, aggiunse –Allora ci
sei anche tu! Perfetto!-
Finalmente
estrasse un cd dalla grande pila e accese lo stereo.
-Mi vendicherò-
sussurrò Kei a Mizuki prima che lei si allontanasse
per posizionarsi un po’ più avanti.
-Tzè- gli rispose lei con un sorriso, cercando di imitare il
solito tono del ragazzo.
Ryo attirò l’attenzione su di sé e iniziò il riscaldamento;
ormai Kei era lì, non poteva andarsene e l’unico modo per far passare in fretta
quei sessanta minuti era non pensare agli aspetti negativi.
Seguì e imitò i
movimenti dell’insegnante, avvertendo i muscoli risvegliarsi piano piano e un
piacevole tepore appropriarsi di lui.
Non era poi così
diverso da quello che faceva solitamente con Dana: l’unica differenza stava
nella presenza di tutte quelle persone e nella mancanza della ragazza. Infatti
l’amica praticamente gli dava insegnamenti privati, poiché solo poche volte si
era unito alle sue lezioni vere e proprie insieme ad altri allievi: doveva
quindi ignorare l’affollamento e tutto sarebbe andato liscio.
Continuarono con
qualche esercizio base di tecnica per sciogliersi un po’, prima di iniziare con
la coreografia, la stessa che Kei aveva visto la volta precedente.
-Oggi la
ripassiamo con calma visto che abbiamo un nuovo elemento- esordì Ryo cambiando cd e costringendo il russo a ignorare tutti
gli occhi che si misero a fissarlo –Loro se la portano dietro da più di una
settimana, ma pulirla non farà male a nessuno- continuò rivolto al resto della
classe.
Si scambiarono
delle battute di spirito sul sapere o meno la sequenza, fino a che il ragazzo
non trovò la traccia e lasciò in pausa la musica iniziando a spiegare.
Partì molto
lentamente, per poi velocizzare mano a mano, ma comunque Kei riuscì a seguirlo
facilmente: nuovamente pensò a Dana e alle abitudini che aveva con lei, alla
sua mania di inventare una coreografia a settimana e di testarla insieme a lui.
Non poteva esserci niente di più semplice.
Era trascorsa
più di metà lezione e Kei aveva completamente perso la cognizione del tempo: se
ne accorse in un momento di pausa, dopo che erano state poste alcune domande a Ryo al quale aveva risposto con pazienza e dedizione. Non
appena scorse l’orologio appeso sopra lo specchio si stupì di quanto la
concentrazione lo avesse distolto da tutti i dubbi di inizio lezione: prima che
questi si riappropriassero di lui, Mizuki gli si
avvicinò per chiedergli come stesse andando e Kei ne approfittò per farle una
domanda.
-Questo..- e le
mostrò una posizione della coreografia -..quand’è?-
La ragazza
rifletté qualche istante prima di rispondere –All’otto*-
-Ma della
musica?- ritentò.
-Sempre
all’otto- rispose perplessa.
-Ho capito.. ma
intendevo..-
-Sul ciak-
Ryo, che doveva averli sentiti, rispose alla domanda senza
problemi.
-Odio quando
parla per onomatopee- sussurrò la ragazza quando l’altro si fu allontanato.
-Almeno così si
capisce- disse ricevendo dall’altra un’espressione di disapprovazione.
Gli ultimi
quindici minuti si conclusero piuttosto in fretta, permettendogli di ripetere
diverse volte la sequenza e applicare le correzioni adeguate.
-Lya smettila di guardarti allo specchio- fu l’ultimo
appunto che Ryo fece a una delle allieve in prima
fila, per poi dare il via libera a tutti per uscire.
Kei non se lo
fece ripetere due volte e prese la porta, intimando a Mizuki
di muoversi poiché si era soffermata a guardare il suo riflesso. Ryo avrebbe dovuto riprendere anche lei e non solo quella Lya: di nuovo quell’amore inspiegabile verso lo specchio
dei ballerini.
Decise che non
era il momento giusto per ragionare sulla derivazione.
Ovviamente Mizuki si fece attendere, nonostante gli avesse urlato
dall’interno dello spogliatoio che avrebbe fatto in fretta; decise di
aspettarla fuori, poiché il caldo per l’attività fisica si stava unendo a
quello dell’ingresso senza finestre.
Uscito nell’aria
invernale si accese una sigaretta e si appoggiò al muro della palestra.
-Hai un
accendino a portata di mano?- una voce familiare lo risvegliò dai suoi
pensieri.
-Sì- rispose,
porgendolo a Ryo.
-Grazie- disse
l’altro restituendoglielo e poggiando il borsone per terra, intenzionato a
quanto pareva a fargli compagnia: una compagnia non richiesta ovviamente.
-Allora come è
andata?-
Kei fece
spallucce aspirando dalla sigaretta, iniziando a far conoscere i suoi modi
schivi al ragazzo di fronte a lui.
-A me sembra che
te la cavi-
Nuovamente solo
un cenno di risposta, che però non lo fece desistere.
-Sei comunque
avanti di livello.. da quanto balli?-
-Qualche anno-
gli diede finalmente la soddisfazione di una risposta.
-Tu devi
studiare- disse indicandolo con le due dita che tenevano la stecca –hai tutto,
ti manca solo un po’ di tecnica-
Il russo lo
guardò perplesso non comprendendo realmente il discorso dell’altro e
maledicendo Mizuki per averlo infilato in quella
situazione.
-Hai un bel
movimento..- continuò Ryo, sembrava impossibile
fermarlo arrivati a quel punto -..naturale, hai orecchio.. molti non riescono a
far nulla fuori dai conteggi..-
-Non mi sembra
una gran cosa- non riusciva a comprendere come facesse a prendersi così tanta confidenza
dopo che si erano visti sì e no due ore in tutto.
-Ho girato
parecchio nell’ultimo periodo e ho visto tanta gente.. e la differenza si nota!
C’è chi divide la musica e c’è chi se la vive..-
-Non..- tentò di
fermarlo in qualche modo, ma non ne trovò nessuno.
-Probabilmente
lo sai già fare, ma devi solo lasciarti un po’ più andare..-
In quel momento Mizuki uscì e Kei sperò che lo portasse via, ma, invece,
non appena notò che stavano parlando, o meglio che Ryo
stava parlando, si unì a loro chiedendo delucidazioni sul loro discorso.
-Gli stavo
dicendo che i passi ce li ha..- riprese parlando alla ragazza come se Kei non
fosse stato presente -..ha una buona memoria, deve solo metterci del suo
adesso.. una volta che sai la sequenza, basta pensare ai passi.. bisogna
iniziare a pensare alla musica-
-Non è così
semplice..- notò Mizuki che pendeva dalle labbra del
giapponese.
-Assolutamente
no, ma secondo me lui c’è già.. oggi sei entrato nel gruppo, ognuno ha bisogno
del proprio tempo per modificare il proprio lavoro e adattarlo a quello di un
altro.. da martedì so che tu andrai come un treno..-
Kei si chiese se
si era perso qualche frase per strada o se realmente quel discorso fosse così
incasinato e senza apparente filo logico.
Ryo buttò la sigaretta tranquillo e cambiò repentinamente
argomento, di nuovo senza un senso preciso, prima di guardare l’ora e salutarli
–A martedì!-
-Quello non sta
bene- disse Kei a Mizuki che, invece, stava guardando
il maestro allontanarsi con occhi adoranti –e tu con lui-
Il russo si
voltò iniziando a camminare e la ragazza riuscì a raggiungerlo solo dopo alcuni
secondi con una corsetta.
-Hey mi stavi lasciando lì!-
-Sei tu che ti
eri imbambolata-
La bruna sbuffò,
ma prese a camminare canticchiando una canzone, evidentemente contenta per
qualcosa.
-Ok.. quando ci
vediamo?- chiese Kei arrivati al solito incrocio.
-Sicuramente
martedì!- disse con un sorriso a trentadue denti.
-Perché?-
-La lezione
tonto!-
-Senti.. oggi è
andata così perché ero in buona, ma ora basta con questa pagliacciata-
-Ma se con Ryo parlavi di tutte quelle cose da fare martedì eccetera,
eccetera..-
-In verità era Ryo che ne parlava con te-
-E che
differenza fa.. c’eri anche tu-
-Ma io non ho
promesso nulla a nessuno-
-Dai, che ti sei
divertito.. eri perfettamente nel tuo!-
-Stai delirando-
-Kei- disse
sospirando, come per iniziare un discorso importante –tu martedì verrai! Questo
é quanto.. non ammetto repliche!- terminò restando
seria e concentrata.
-Quando hai
smesso di parlare da sola chiamami- disse Kei voltandosi e dirigendosi verso
casa.
-Permaloso!- la
sentì urlare alle sue spalle, ma non le diede la soddisfazione di risponderle.
Arrendevole.
Con quel
pensiero si era risvegliato una mattina di febbraio.
Ecco cosa era
diventato: una persona completamente arrendevole, che si lascia condizionare e
chenon si ribella alle situazioni
scomode. E quella era una situazione altamente scomoda: come aveva potuto
cedere ancora.
Forse
l’improvviso bisogno di fare qualcosa o forse doveva solo ammettere che il suo piano
del ‘ricominciamo’ gli si era ritorto contro tanto che, nonostante fosse
diventato più accondiscendente con gli altri, aveva ripreso la brutta abitudine
a chiudersi a guscio totalmente, non che l’avesse mai persa del tutto, ma
almeno stava migliorando.
Invece Rei lo
rimproverò come aveva fatto l’estate precedente per aver fatto dei passi
indietro.
Il problema era
che quella settimana una sorta di squilibrio aveva messo in discussione diversi
punti della sua vita: febbraio si era fatto largo nel weekend e la prima
settimana fu piuttosto ostica, infatti il martedì Mizuki
si presentò all’uscita di scuola, con la sua divisa di un altro istituto e
pedinò Kei in modo che non potesse scappare da nessuna parte, ma bensì seguirla
a lezione da Ryo.
Le chiese cortesemente
di andare a farsi ricoverare in qualche ospedale psichiatrico, ma ben presto si
disse che forse sarebbe stato meglio se ci fosse andato lui, perché così almeno
Mizuki lo avrebbe lasciato in pace, ma soprattutto
perché nuovamente l’aveva davvero seguita.
Era solo un
passatempo come un altro, aveva pensato; non c’era nulla di male, si era
ripetuto.
Proprio questa
mancata avversione era ciò che lo preoccupava.
Ryo era, nonostante tutto, una persona normale e simpatica,
ma soprattutto si era concentrato per tutta l’ora di lezione su di lui e Kei
non capiva il perché: gli ripeté quello che già gli aveva detto il giovedì
prima, ma cercò anche di farglielo mettere in pratica. Riuscì a seguirlo meglio
anche perché mancavano diverse persone: tre erano in gita con la scuola mentre
un altro era ammalato.
Ritornarono
sulla coreografia della volta precedente: poteva ormai dire di saperla, memoria
per quel tipo di cose ne aveva e lo stesso valeva per la musica. Mancava solo
quello che chiedeva Ryo: lasciarsi andare.
Kei, abbastanza
provato da lunghe giornate passate a pensare a tutto e a niente, da settimane a
cercare di diventare qualcosa, qualsiasi cosa, prese alla lettera quella
richiesta: quello che sapeva lui della danza era, alla fine, il poter lasciare
fuori qualsiasi preoccupazione, utilizzarla in modo che non sia un peso, ma
semplicemente un modo per rilassarsi e estraniarsi, concentrarsi su qualcosa di
neutro, su se stessi, sulla musica, su ogni cosa che potrebbe aiutare. Se ci
riusciva a casa da solo, se riusciva con Dana, perché lì doveva essere diverso.
Semplicemente
non lo era.
Provarono
diverse volte poi, dopo una breve pausa, Ryo prese
parola.
-Tutti seduti- e
li invitò ad accomodarsi con la schiena allo specchio, in fila.
Kei si avvicinò
a Mizuki, ma il maestro lo fermò prima che si potesse
sedere e gli fece segno con le dita di avvicinarsi al centro della sala, mentre
lui andava ad accendere la musica.
Il russo lo
osservò perplesso, aspettando un sua mossa, ma l’altro si limitò a dirgli un
poco udibile –Solo noi due-; fortunatamente l’intro della canzone era piuttosto
lungo, poiché ci mise qualche secondo di troppo per riuscire a connettere.
Osservò lo
specchio, la parte che più odiava di quel luogo, ma, invece che guardare la
propria immagine, si concentrò su quella di Ryo che
gli restituiva lo sguardo convinto.
L’ultimo otto
dell’intro, l’accento che annunciava la strofa e quindi l’inizio della sequenza
di passi: sapeva che non avrebbe sbagliato, non si preoccupava dei passi, di
quali fossero, a quale conto, era semplicemente così, il braccio si alzava
automatico, i piedi si muovevano perché così doveva essere, non c’era bisogno
di fare attenzione. La differenza stava nel sentire la musica e i muscoli
lavorare come un tutt’uno e così era: lo sapeva lui e lo sapeva Ryo.
Terminò la
coreografia e alla musica, che ancora si diffondeva, si unì uno scroscio di
applausi che scemò in pochi secondi: non fece in tempo a tornare il silenzio
che gli altri furono chiamati a gruppi per eseguire la sequenza. Prima del
termine della lezione, la ripeterono ancora tutti insieme prima di salutarsi
per andare negli spogliatoi.
Quando uscì
dalla palestra per aspettare Mizuki, Kei vi ritrovò
già Ryo che, questa volta, sembrava lo stesse
aspettando.
-Eccoti..
speravo non fossi già scappato-
Il russo non
rispose, ma attese il seguito, temendo si trattasse nuovamente di discorsi
senza senso.
-Visto che era
semplice?- continuò entusiasta –Ci avevo visto giusto.. sei bravo-
Di nuovo rimase
immobile, non sapendo che cosa dire, quando Ryo
pronunciò delle parole inaspettate.
-Cosa vuoi fare
della tua vita?-
Sicuramente non
poteva sapere quanta paranoia avrebbe causato con quella semplice frase, quante
volte Kei se lo fosse domandato, ma sommerso dai punti interrogativi aveva
rinunciato a darsi una risposta convincente. Era convinto che l’unica cosa di
cui potesse occuparsi fosse sopravvivere al presente, non aveva tempo né forza
per considerare un futuro.
-Cosa c’entra?-
-Così.. volevo
sapere se hai qualche sogno, qualche aspirazione..-
Kei scosse
lentamente la testa confuso da quello strano interesse: parlare di sogni e
aspirazioni con lui era come affrontare un altro tabù. Ormai pensava che quel
genere di discorsi fossero possibili solo nei film, nei libri o comunque nella
finzione, dove le parole sogno, ideali, scopo, determinazione, erano degli
strumenti perfetti per dare un che di poetico al tutto.
-Niente di
niente? Nemmeno.. che ne so.. cose semplici, lavorare in banca, abitare in
campagna, prendere un cane?- rise dei suoi stessi esempi.
-Non direi-
-Ti va di
guadagnare qualche soldo?-
-Non ne ho
bisogno- rispose sempre più confuso.
-Allora devo
trovare qualche altro modo per incastrarti-
A quelle parole
Kei si mise subito sull’attenti: le aveva pronunciate ridendo, come fossero uno
scherzo, ma tutto quello che aveva detto per arrivare a quel punto lo portava a
diffidare delle sue intenzioni. La diffidenza, poi, la conosceva piuttosto bene
e quindi gli veniva facile.
-Cosa
intendi..?-
-No,
tranquillo.. solo che.. oh, ecco Mizuki- si
interruppe vedendo varcare la porta alla ragazza, alla quale si rivolse –Fai
proprio al caso mio-
-Ah sì? Come
mai?- chiese col sorriso, pronta a soddisfare ogni sua richiesta.
-Stavo chiedendo
a Kei se avesse una qualsiasi aspirazione nella vita-
-E lui ti ha
risposto?- chiese sorpresa.
-No,
ovviamente..- disse come se lo conoscesse da anni -..volevo fargli guadagnare
qualche soldo- riprese con le stesse frasi di poco prima.
-Uh, i soldi
fanno sempre comodo..- annuì Mizuki.
-Ma dice di
averne già-
-Ah davvero?-
rivolse tutta la sua attenzione, che sembrava essere cresciuta nel giro di
pochi secondi, verso Kei che alzò gli occhi al cielo.
-E qui si arriva
a te..- concluse ripercorrendo le sue stesse parole.
-In verità in
mezzo c’era un: sto cercando di incastrarti- lo corresse Kei cercando di
focalizzarsi sulla sua scarsa fiducia nel prossimo.
-Che vuol dire?-
-Chiedilo a lui-
-Mizuki..- iniziò Ryo rivolgendosi
apparentemente solo alla giapponese -..la prossima settimana in centro c’è
un’audizione per un video, però purtroppo ho già un lavoro e, ora come ora, non
posso rinunciare a nessun impiego.. tanto meno per qualcosa per cui non so se
mi prenderanno.. se no ci andrei con lui, ma..-
Kei sbarrò gli
occhi: non poteva credere alle sue orecchie e neppure ai suoi occhi. Aveva
appena detto ‘lui’ e lo aveva indicato col capo.
Era
completamente impazzito: o lui, o Ryo, entrambe le
opzioni erano più che plausibili.
-Cosa stai
dicendo?- lo fermò prima che potesse andare avanti con quella storia.
-Che dovresti
andarci- disse calmo e sereno l’insegnante.
-E perchè?-
-Perché sei
bravo-
-Non importa
intanto non voglio-
-Perché no?
Sarebbe figo!- si intromise Mizuki che aveva iniziato
a saltellare entusiasta: ecco il suo ruolo nella vicenda, ecco perché Ryo si era rallegrato di vederla. Era parte integrante del
piano per incastrarlo, nonostante lei non lo sapesse.
-Senti la tua
ragazza-
-Non è la mia
ragazza-
-Vabbè, la tua
amica-
-Non si discute-
-Kei dai! Guarda
che non è la fine del mondo-
-Sapevo sarebbe
stato difficile convincerti- disse come tra sé e sé il moro, facendosi però
sentire dagli altri due che battibeccavano come bambini.
-Non è
difficile, è impossibile- disse Kei risoluto.
-Niente è
impossibile- squittì Mizuki allegra.
-Ormai ho capito
come sei- continuò Ryo come perso in un ragionamento
con se stesso.
-Ma se mi hai
visto tre volte-
-Quattro..- lo
corresse la ragazza –Anzi forse cinque!-
-E ti sembrano
tante?-
-Eh- cercò le
parole lei, presa in contropiede, ma non riuscì a dire nulla.
-Ma da come uno
si comporta in sala si capisce tutto di lui- si intromise di nuovo Ryo –la danza è lo specchio dell’anima-
-Non erano gli
occhi?- chiese la bruna iniziando a non capirci più nulla.
-Non ha
importanza- la zittì improvvisamente –Comunque, Kei non sei obbligato, ma
pensaci.. sarebbe una bella esperienza e pagano bene- disse cedendo.
Rimasero in
silenzio a fissarsi alcuni istanti, quando Mizuki, passando
al vaglio prima l’uno poi l’altro, fissò il russo e attirò la sua attenzione.
-Devi farlo-
sillabò risoluta e seria.
Kei guardò oltre
la ragazza e vide Ryo allargare il proprio sorriso e
mettere su un espressione trionfante: era quello il suo piano per incastrarlo.
Se era vero che aveva capito tutto di Kei solo per il modo in cui ballava e in
così poco tempo, allora sapeva quanto poteva essere testarda e insopportabile Mizuki quando si metteva in testa qualcosa.
Sapeva che tutta
quella faccenda si sarebbe ritorta contro di lui ed era tutta colpa sua.
Questo è quanto.. so che ho creato tanta
attesa su sta roba, ma probabilmente era solo per l’ansia e non ne valeva la
pena u.u anzi vi dirò, sto capitolo volevo venisse
meglio, ma non ci sono riuscita ç___ç vabbè.. vi
lascio!
Alla prossima settimana,
Un bacione :)
Se non capite qualcosa della roba danzereccia chiedetemi spiegazioni e io mi premurerò di aggiungerle a fine di questo capitolo.. sicuramente do per scontato la conoscenza di alcune cose :O in quel caso, chiedo venia, ma non lo faccio apposta! Sono a vostra disposizione!
SPIEGAZIONI DANZERECCE TIME All’otto*: La danza si divide solitamente in 8 tempi (ma non è detto, diciamo che questa è la regola generale perché si può anche contare in 4 o in 5 e così via) perché la frase musicale viene divisa così: è come per i quarti di chi suona uno strumento. La musica è da dividere e ogni passo corrispondere a un numero preciso della frase. Qui Kei chiede a che conteggio è un determinato passo e Mizuki risponde appunto all’otto della battuta divisa in ottavi. Ci sono però coreografi che non usano i conteggi, ma si basano sul suono della musica o sulla voce della canzone, per questo Ryo parla di ciak, inteso come suono della canzone.
"I brani però sono solitamente in 4/4, e sono proprio questi che si contano in 8, perchè per creare una frase musicale che crei una certo respiro per il corpo si mettono insieme due battute da 4/4. Quindi 4/4 + 4/4 = 8/4...ed ecco svelato il motivo per cui si conta in 8" trovata su yahoo nel caso che io non sia riuscita a farmi capire u.u cosa probabile!
Si ripromise
mentalmente di non avere più nulla a che fare con lei e con qualsiasi cosa lo
avesse portato a fare.
Cos’era che lo
attirava poi di tutto quello che gli aveva mostrato, che lo aveva spinto a
fare? Perché che lo attirasse era vero, poteva negarlo e non accettarlo quanto
voleva che intanto quello rimaneva.
O forse non era
il non accettarlo, ma tanto più il fatto di avvertire qualcosa di buono e, per
esperienza, sapeva di fuggire da qualsiasi cosa buona gli accadesse: prova
certa ne aveva avuto poco più di due mesi prima e perché, quindi, continuare a
negare l’evidenza.
In ogni caso, si
disse, perché proprio in quel momento doveva cedere? Perché proprio per quella
cosa? Stava cedendo, questa era la verità, ma sicuramente ci avrebbe messo più
tempo e avrebbe resistito di più senza il fattore Mizuki.
Invece, la
ragazza quella mattina lo era andato a prendere e lo aveva obbligato a seguirla.
Una domanda
riuscì a farsi largo e si impose tra tutte quelle che assillavano Kei.
Che cosa ci
andava a fare?
Ecco, era la
domanda che si era anche posto appena aveva parlato con Ryo,
nel suo tragitto verso casa, durante tutta la settimana e che si stava ponendo
anche in quel preciso istante.
Che cosa ci
andava a fare? Eppure era lì, davanti alla porta della palestra; aveva
affrontato un viaggio relativamente breve, si era ritrovato davanti al luogo
dove si sarebbe svolto il provino e lo stava guardando con l’aria più indifferente
che potesse mostrare. Non perché non voleva dare strane impressioni, ma proprio
perché gli era del tutto indifferente.
Era una
giornata assolata, per lui eccessivamente calda, e la sigaretta finì troppo
presto per i suoi gusti.
Si ritrovò a
rimuginare ancora una volta. Faceva ancora in tempo ad andarsene, già che c’era
avrebbe potuto fare un giro per la città e poi tornarsene a casa. Mizuki se ne era già andata, lasciandolo solo poiché non
poteva assolutamente saltare scuola. Nessuno avrebbe mai saputo né che c’era
andato, né che non fosse entrato. E, a dirla tutta, anche se qualcuno l’avesse
saputo, a lui non poteva fregare di meno.
Ecco lo
spirito dei tempi andati che ritornava, era di questo che aveva bisogno e di
cui sentiva la mancanza e si rincuorò di scoprire di non averlo perso del
tutto.
Fece per
girare i tacchi, ma qualcuno gli si parò davanti sorridente. Troppo sorridente
per i suoi standard.
-Ciao, anche
tu qui per l’audizione!?-
Provò a
rispondere, ma l’altro lo bloccò subito.
-Prima volta
eh?! Tranquillo, è più semplice di quel che sembra! Parli con uno che ha
esperienza da vendere!- Gli poggiò una mano sulla spalla e, con una lieve
pressione, lo fece avanzare insieme a lui oltrepassando la porta d’ingresso.
Perché tutti
gli idioti dovevano capitare a lui? Si sentiva come una calamita per le persone
sorridenti ed esuberanti. Conoscendosi si chiese come fosse possibile. Questo
qui sembrava anche peggio degli altri, perfino peggio di Takao. Non la smetteva
di sorridere e rivolgere la parola a tutte le persone che incontrava (tutte
perplesse al suo pari): era più basso di lui, con i capelli corti neri e la
pelle abbronzata esageratamente, frutto senz’altro di un numero spropositato di
lampade.
Kei cercò di
divincolarsi da quell’individuo irritante e cercò con lo sguardo l’uscita,
bramandola, mentre si faceva sempre più lontana e lui si addentrava sempre più
nell’edificio.
Ecco lo
spirito dei tempi andati che lo abbandonava nuovamente.
Arrivò in
una sala, sempre accompagnato dallo strano tizio che continuava a parlare a
ruota libera senza accorgersi di non essere per niente ascoltato, e vide
all’interno una ventina di ragazzi: ce n’era di tutti i tipi; bassi, alti,
biondi, castani, rossi, bianchi, neri. Una tale diversità che in periferia
avrebbe stonato, ma che nel centro della metropoli era più che naturale.
Solo quando
vi si ritrovò davanti, notò una scrivania alla quale due ragazze molto carine
distribuivano fogli e penne.
Una delle
due, una bella asiatica dagli occhi neri profondi, gli lanciò un’occhiata di
apprezzamento prima di consegnare anche a lui il foglio da compilare.
Completò
tutti gli spazi e lo restituì all’altra ragazza, che, come la vicina, lo guardò
con interesse per poi scattargli a sorpresa una fotografia istantanea: non
appena questa fuoriuscì dalla macchinetta, fu pinzata sul foglio che aveva
compilato. Si spostò e cercò di sparire dalla vista del tipo abbronzato che lo
aveva trascinato dentro, approfittando della discussione che aveva intrapreso con
la ragazza che aveva scattato la foto perché lasciasse che si mettesse in posa,
poiché in quella che gli aveva fatto, secondo lui, non venivano risaltati i
suoi bellissimi occhi.
Gli venne
assegnato un numero, il 43, e fu indirizzato verso una porta che scoprì portare
alla palestra vera e propria dove un altro gruppo di ragazzi stava aspettando
l’inizio del provino.
Desiderò di
non aver mai preso l’autobus per Tokio e di essere tornato indietro finchè era in tempo, si pentì di non essere riuscito a
bloccare Mizuki e si rese conto di quanto i suoi
sforzi erano stati deboli. Ma ormai era lì e doveva affrontare quella
sceneggiata: alla peggio lo avrebbero preso, cosa che sperava vivamente non
accadesse; in quel momento doveva solo ballare.
Posò la
giacca per terra e si sedette, appoggiando la schiena al muro, di fianco a due
ragazzi che parlavano riscaldandosi.
Non si curò
molto di quello che accadeva intorno a lui e ignorò di gran carriera coloro che
provavano a rivolgergli parola. Solo quando li fecero riunire al centro dalla
palestra per cominciare notò l’assetto della stanza.
Era molto
luminosa, tutte le pareti, tranne quella dove si era appoggiato lui, erano
ricoperte da specchi, il parquet era lucido e splendente.
Dovevano
essere una sessantina di persone o poco più e i posti disponibili solo due. Si
rivolsero verso colui che stava parlando: era un uomo sulla trentina che
spiegava come si sarebbe svolta l’audizione.
Ancora una volta
si chiese perché si trovasse lì in quel momento, ma tentò di ascoltare: prestò
attenzione alla presentazione delle tre persone che stavano al centro della
parete lunga, seduti ad una scrivania. Il più anziano era il regista del video,
un uomo stempiato con gli occhiali, poi al centro si trovava il cantante, il
classico rapper nero, tutto muscoli e tatuaggi, e infine il coreografo, anche
lui nero, muscoloso e l’espressione di uno che si appresta a divertirsi. Intorno
a loro un piccolo capannello di persone, tra cui le due ragazze dell’entrata
che reggevano la pila di fogli che dovevano essere le schede coi dati compilati
dai partecipanti.
Un’altra
ragazza spuntò dalle prime file e prese parola: era l’assistente del coreografo
e avrebbe insegnato lei la coreografia.
Kei si
chiuse, indifferente a tutto e tutti, ma si convinse a seguire quello che la
ragazza stava insegnando: ormai era lì e avrebbe fatto quello che gli piaceva
fare; non gli importava l’esito, ma avrebbe ballato, dimenticandosi di dove era
e che cosa si affrontava lì dentro. Avrebbe ballato. Ballato e nient’altro.
Si concentrò
sui movimenti della ragazza e li imitò. Si riscoprì uno dei primi a imparare la
sequenza, non trovandovi nessuna difficoltà. Dopo quindici minuti furono divisi
in tre gruppi per la prima scrematura. Kei era nel secondo, ma non si curò di
accaparrarsi i posti davanti, anzi si precipitò in fondo al gruppo. Da quella
posizione riusciva a malapena a guardarsi allo specchio e questo non gli faceva
altro che piacere. Lui stava benissimo senza e quando la musica iniziò si
rifugiò nel suo mondo fatto di note, movimenti, sensazioni sottili e
impercettibili, di vibrazioni e danza.
Non si rese
quasi conto delle persone che piano piano venivano scartate attorno a lui,
nemmeno delle proteste del ragazzo dell’entrata che vantava il suo grande
talento. Quando la musica si fermò delle venti persone che erano nel gruppo erano
rimasti in quattro.
La
scrematura del terzo gruppo rivelò solo tre persone: alla fine erano rimasti in
dodici. La musica ripartì e quando terminò Kei guardò di sfuggita le persone alla
scrivania; gli sembrò che il coreografo lo stesse guardando, ma non approfondì
la ricerca.
Altri due
ragazzi furono scartati dopo una piccola discussione tra i giudici: sembravano
in disaccordo su qualcosa.
Per
l’ennesima volta la musica riempì la stanza e i dieci rimasti ricominciarono a
danzare.
Gli fu
chiesto di ripeterla ancora due volte, prima di metterli in fila e annunciare i
due che ottennero il lavoro.
Kei riusciva
solo a pensare a quanto avesse bisogno di una sigaretta e rischiò anche di non
sentire l’esito per la sua distrazione.
Avevano
preso due ragazzi neri dal cipiglio abbastanza inquietante, sembravano usciti
da una banda di gangster. L’uomo che aveva parlato all’inizio congedò tutti gli
altri e si congratulò coi due ragazzi presi.
Kei si
diresse verso la sua giacca e se la infilò tranquillamente come se stesse
uscendo da scuola dopo una solita noiosa lezione di storia. Vide con la coda
dell’occhio alcuni tra quelli rimasti cercare di carpire informazioni sul
perché della loro esclusione, prima di imboccare il corridoio che portava
all’uscita.
Gli serviva
assolutamente un posto dove il fumo non fosse vietato e soprattutto aria.
Voleva aria e solitudine. Si sentì per un attimo come se quello che stesse
desiderando in quel momento fosse assolutamente anormale, forse avrebbe dovuto
provare dispiacere, non che si aspettasse di essere preso, ma perché
solitamente una persona normale ci sarebbe rimasta male, almeno un pochino, non
troppo, il giusto. Invece a lui niente. Non interessava niente. Ma in fondo lo
sapeva di non essere del tutto normale.
-Ehi!-
Lui era
tutto tranne che una persona normale e come faceva ad aspettarsi di provare un
sentimento normale come il dispiacere per non aver raggiunto un obiettivo.
-Ehi tu!-
Che poi non
era nemmeno un obiettivo, almeno non il suo. Quindi un po’ normale lo era. No,
impossibile. Però.. fumare. Voleva fumare.
-Kei!-
Solo al
pronunciare del suo nome si accorse che quel vociare in lontananza era rivolto
a lui.
Si voltò e
si ritrovò davanti il coreografo. Era leggermente più basso di lui, ma molto
più robusto.
-Kei giusto?
Sono JermaineCrowde!-
Gli rivolse
un sorrisetto divertito e gli tese la mano.
Kei si
limitò a stringergliela aspettando che fosse lui a continuare.
-Ti volevo
fare i miei complimenti! Sei davvero molto bravo..- Perché voleva dirgli quella
cosa? Era a pochissimi metri dalla porta e dalla sua sigaretta e quello lì lo
fermava per complimentarsi.
-.. se fosse
stata mia la decisione finale ti avrei preso, ma purtroppo l’artista voleva
solo neri, avrai notato di essere l’unico bianco alla fine! Credimi è stato già
difficile convincerli a darti una possibilità!-
Era rimasto
l’unico bianco? No,non se n’era
accorto. La sua espressione rimase indecifrabile.
-Questi
rapper saranno anche bravi, ma in quanto a cervello..- Jermaine
roteò gli occhi -..sempre con questi pregiudizi, e poi dicono ai bianchi!-
Sigaretta,
fumo, sollievo; Kei desiderava solo quello.
-Comunque ti
volevo dire che il mese prossimo faccio un’altra audizione sempre qui e..-
Kei riprese
improvvisamente il filo del discorso e, prevedendo il resto della frase, cercò
di anticiparlo.
-No, senti
grazie, ma questa era la prima e ultima volta, io non voglio..-
-Ma non puoi
arrenderti al primo tentativo!- L’uomo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un
palmare.
-In verità
io non volevo venirci, diciamo che mi hanno costretto (non era proprio esatto
forse, ma quello che ne poteva sapere) e io non voglio.. fare questo!-Non sapeva nemmeno lui come definire ciò che
aveva appena fatto; osservò l’altro trascrivere su un foglietto le informazioni
che cercava sul palmare.
-Ecco questa
è la data e l’ora.. è sempre qui! C’è speranza che riesca acostringerti anche io? Davvero.. sarebbe
davvero un peccato se non riprovassi! La prossima volta avrò un po’ più
influenza sulla decisione, non ti posso assicurare nulla, ma se balli come hai
fatto oggi considera il lavoro già tuo!- Mantenne il ghigno divertito
porgendogli il foglietto.
Kei lo prese
titubante e prima che potesse rispondere qualcosa per declinare l’offerta
l’altro riprese.
-Almeno
pensaci! Ci conto eh!- Sparì oltre il corridoio.
Non era
possibile. Di nuovo. Gli era successo di nuovo.
Prima che
qualcun altro potesse fermarlo, parlargli o proporgli cose che non voleva
assolutamente fare, si precipitò verso l’uscita e, finalmente all’esterno, si
accese la sigaretta tanto bramata.
12 marzo alle 10. Osservò il biglietto e se lo infilò malamente in
tasca.
Non si
sarebbe fatto incastrare un’altra volta.
Si chiese
qual era il problema. Il suo problema. Come una persona estranea poteva avere
un effetto del genere su di lui. Come era possibile che fosse diventato così
convincibile in così poco tempo e con così poco. Ancora. Nemmeno gli avessero
offerto una montagna di soldi, o meglio un rifornimento a vita di sigarette, di
quelle buone, quelle russe che gli mancavano, quelle belle forti. Doveva essere
successo qualcosa di davvero strano in lui. Non se lo spiegava.
Gli sembrava
di vivere un dejavu. Quella scena l’aveva già vista.
Per forza:
l’aveva già vissuta. Poco meno di un mese prima era davanti allo stesso
edificio, più o meno alla stessa ora.
Quando la
volta precedente aveva lasciato quel posto, era sicuro che non ci avrebbe più
messo piede, sarebbe stato pronto a scommettere qualsiasi cosa, tutta l’eredità
di suo nonno, che avrebbe buttato quel biglietto che stava nella tasca della
giacca appena arrivato a casa. Invece sfortunatamente gli era caduto mentre
tirava fuori il cellulare. Davanti a Rei. Se lui non ci fosse stato,
sicuramente sarebbe andata come aveva progettato. Invece quell’infido di un
cinese aveva afferrato il foglietto e aveva chiesto spiegazioni e lui,
ovviamente, da bravo idiota, gliele aveva date.
Si era fatto
di nuovo convincere. Eppure lui non voleva diventare un.. un ballerino.. lui
ballava sì, ma solo per svagarsi, per non pensare a niente, per dimenticare
tutti i problemi, non era di certo sua intenzione trasformare quegli attimi di
libertà in un lavoro.
Ma si era
fatto di nuovo convincere. E come la volta precedente si ritrovò a ponderare
l’idea di restare con quella di tornare indietro.
Si decise a
girare i tacchi, ma non appena lo fece si bloccò di colpo. Si aspettava che ci
fosse un ragazzo abbronzato a bloccarlo e trascinarlo dentro parlandogli di
cose assolutamente inutili. Gli sembrò quasi di vederlo. Ma non era reale, non
c’era nessuno a parte lui in quella strada, davanti a quella porta. Nessuno lo
avrebbe bloccato, se ne sarebbe potuto andare tranquillamente.
Era arrivato
allora. Finalmente quello che aspettava da tanto era arrivato. Il momento della
pazzia assoluta lo aveva colpito. Sapeva che prima o poi sarebbe finito al
manicomio, che sarebbe diventato pazzo, ma a quanto pareva prima, per
dimostrare fino in fondo questo suo stato, avrebbe affrontato la seconda
audizione della sua vita. In fondo doveva esserci un segnale, un qualcosa che
convincesse tutti della sua malattia mentale. E quella era la situazione
giusta.
Entrò senza
quasi accorgersene nell’edificio e, come la volta precedente, percorse il
corridoio che lo portò davanti alle due ragazze che gli fecero compilare il
foglio e gli scattarono la foto a sorpresa.
Come l’altra
volta entrò nella sala ricoperta di specchi e aspettò.
Tra le
persone che li avrebbero giudicati di sua conoscenza c’era solo Jermaine, che non appena lo vide non potè
fare a meno di sorridere. Ma perché la gente sorrideva in continuazione?
Quel giorno
Kei si sentiva più irritabile del solito, desiderava davvero che finisse tutto
al più presto per potersene tornare a casa e ripromettersi di non lasciarsi mai
più convincere da nessuno a fare niente. Niente di niente.
Di nuovo
l’assistente di Jermaine si apprestò a insegnare la
coreografia. Molto diversa dalla volta precedente. Il provino di questa volta
era per un artista molto più commerciale e soft del rapper della precedente.
Kei si ritrovò a preferirlo.
Rientrò
nell’ottica di idee di ballare e basta. Non pensare a nient’altro.
Questa volta
i posti disponibili erano quattro e alla tranche finale erano rimasti in sette.
Kei osservò
per la prima volta gli altri ragazzi, accertandosi che non fosse di nuovo
rimasto l’unico bianco, per non essere preso nuovamente in contropiede se
qualcuno avesse voluto farglielo notare.
Non notò
nessun importante dettaglio e tornò nella sua completa indifferenza. Era sempre
in fondo, cercando di non farsi troppe pene per essere notato, anche perché non
gli serviva: gli chiesero di venire avanti e mentre ripeteva la coreografia con
gli altri notò che Jermaine lo stava indicando alla
sua assistente che non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo.
Rimasero
senza far nulla per almeno 5 minuti, in silenzio ad aspettare mentre la
commissione si stava consultando. Sembravano in disaccordo su qualcosa; Kei si
convinse che per quella gente fosse normale non andare d’accordo. Si spazientì
leggermente. Aveva di nuovo voglia di fumare.
Stavano
sicuramente cercando un punto di contatto, uno iniziò a parlare al telefono, ma
il coreografo sembrava aver perso quel sorriso che da un’ora a quella parte
aveva sfoggiato allegramente.
Comunicarono
finalmente di essere indecisi e che per scegliere si sarebbero basati su chi
aveva maggiori capacità, che si tradusse in un’entrata di break: avrebbero
preso chi si dimostrava più versatile.
Era palese
che Jermaine si stesse preoccupando delle
potenzialità di Kei perché lo guardò leggermente dispiaciuto, come se fino a
quel momento fosse stato sicuro dell’esito positivo mentre ora aveva seri
dubbi.
Ma Kei come
al solito era troppo ossessionato dal pacchetto di sigarette nella tasca della
sua giacca per tranquillizzare il coreografo con un qualche sguardo;
sinceramente non si sentiva in dovere di tranquillizzare quel tipo che, chissà
come, lo aveva incastrato nuovamente in quella situazione, senza sigarette.
Partì la
musica e uno per volta dovettero eseguire un pezzo di freestyle (improvvisazione n.d.a.)a
terra.
Kei era il
quinto in ordine di entrata. Jermaine lo osservò
speranzoso che tirasse fuori qualche capacità nascosta, ma non ci contava
troppo.
Dei primi
quattro solo due si dimostrarono capaci di osare qualche move
di break, gli altri cercarono di riempire con qualche passo spettacolare in
piedi.
Mentre aspettava
il suo turno, che non sembrava arrivare mai, Kei sentiva crescere dentro di lui
sempre più impazienza. Lo stava colpendo uno dei suoi improvvisi sbalzi
d’umore; lo innervosivano quei buffoni prima di lui, quelli agitati dopo di
lui, lo sguardo speranzoso di Jermaine, la pacatezza
degli altri seduti a giudicarlo, l’impossibilità di accendere una sigaretta in
quel preciso momento. Sfogò tutti i suoi malesseri senza nemmeno rendersene
conto. Attivò la sua aria da sbruffone, si sentì improvvisamente in sfida
contro tutti i presenti, che pensassero qualsiasi cosa, che fossero impegnati a
guardarlo o a ripetersi a mente la lista della spesa.
Sentiva
comunque di non sopportarli e di doverli sfidare. Usò quasi ogni passo che era
servito per dare una lezione a Naoki alla fine
dell’estate e, quando si rialzò, era a pochi centimetri dalla scrivania,
davanti al punto in cui era seduto Jermaine. Gli
scoccò un’occhiata di sfida alzando le sopracciglia per poi tornare al suo
posto.
Ritornò
indifferente. Si era sfogato e ora l’unica cosa che lo indisponeva era la
mancanza di nicotina. Non si curò più delle persone attorno a lui. Non si
accorse nemmeno del sorriso che era spuntato di nuovo sul volto del coreografo.
Quasi si
perse la proclamazione dei quattro prescelti. E lui era tra quelli.
Aveva
ottenuto il lavoro. Solo in quel momento si accorse di non volerlo. L’aveva
ottenuto, ma non ne era poi così contento. Non sapeva che pensare.
Sì, era
pazzo. Se non lo voleva perché si era lasciato convincere a partecipare.
Si ridestò
dalle sue osservazioni sulla propria sanità mentale solo quando Jermaine gli strinse la mano e gli diede una potente pacca
sulla spalla.
-Tu sei un
genio!- Non credeva che qualcuno potesse sorridere così tanto -Tu non ti
libererai mai più di me lo sai vero?-
L’espressione
di Kei assunse un cipiglio alquanto perplesso. Uno dei suoi peggiori incubi si
stava avverando, o almeno, il suo ultimo peggiore incubo.
Era rimasto
solo con gli altri tre scelti e aspettava di ricevere il contratto per quel lavoro:
un video con un famoso cantante pop che sarebbe stato trasmesso su scala
internazionale.
Ecco, ancora
peggio. No, non voleva assolutamente farlo. Ma non riuscì a rifiutarsi, nessuno
gli lasciava nemmeno il tempo di elaborare un modo per rinunciare.
-Ecco devi
firmare qui e qui- Una delle ragazze gli fece vedere un foglio non ancora
compilato, mentre l’altra consultava la sua scheda.
-Aspetta, ma
tu sei ancora minorenne!- disse la seconda.
-Davvero sei
minorenne?- si introdusse Jermaine.
-Già-
-Allora devi
far firmare questo a un tuo genitore o chi per esso- continuò la ragazza.
Kei afferrò
il foglio e si chiese chi è che dovesse firmarlo tra quelli che si occupavano
di lui.
-Devi
riportarlo il giorno delle riprese, dopodomani.. iniziamo alle 9- Gli disse il
nome del posto e se ne andò per spiegare qualcos’altro a un altro ragazzo.
-Allora a
dopodomani geniaccio! Mi raccomando sii puntuale!- Anche Jermaine
si dileguò.
Si ritrovò
da solo con quei fogli in mano per la strada, dimentico della sua sigaretta.
Perché non
aveva fatto niente per fermare quella follia? Perché si era fatto incastrare in
tutta quella stramba faccenda? Era inutile: non riusciva a fare a meno di
attirare l’attenzione verso di sé. Eppure lui voleva sempre passare il più
possibile inosservato: non voleva tutte quelle attenzioni da tutti.
Vagò per il
resto del pomeriggio per le strade di Tokio rimuginando, fumando tutto il
pacchetto che aveva in tasca per rimediare alla dimenticanza che aveva avuto
appena uscito dalla palestra.
Se ne comprò
un altro e si sedette alla fermata dell’autobus più vicina.
Gli ci
sarebbero voluti altri 40 minuti prima di arrivare a casa, ma non voleva dire a
tutti che lo avevano preso. Non riusciva ad esserne felice e nemmeno la volta
prima si era dispiaciuto di essere stato scartato. Che cosa doveva fare per
provare qualcosa? Qualsiasi cosa. Un qualsiasi tipo di sensazione. Di
sentimento bello o brutto che fosse. Si ritrovò a pensare alla droga. Almeno
quando l’effetto finiva provava dolore, provava disprezzo per se stesso e la
sua condizione. Provava qualcosa. Cercò di levarsi dalla testa quello stupido,
deficiente, terribile, disgustoso pensiero dalla testa. Come era arrivato a
pensarci? Cercò di indirizzare i suoi pensieri verso qualche altro tipo di
sentimento. Gli venne in mente solo la danza. Subito dopo tutti quelle
osservazioni dolorose sulla droga ecco tutte quelle positive verso la danza, verso
quella sensazione di libertà e leggerezza che sentiva mentre ballava: si
ritrovò a paragonare l’inibizione dei sensi che gli portavano le sostanze
stupefacenti con quella che gli procurava ballare. Si stava drogando di danza
quindi? Non riusciva proprio a non essere dipendente da qualcosa? A quanto pareva
no.
-Sei ancora
in giro?- Si girò verso la voce che gli aveva rivolto la parola.
Non era
possibile. Lo stava seguendo: era l’unica spiegazione.
Una
sensazione finalmente fece capolino. Era scocciato. Ecco, provava qualcosa ora.
Non gli
rispose, ma ottenne l’effetto opposto a quello desiderato.
Invece che
andarsene, Jermaine si sedette accanto a lui sul
muretto della fermata dell’autobus.
-Mi stai
seguendo?-
-Direi che
le nostre strade sono destinate ad incrociarsi più spesso di quanto pensassi.-
L’altro non
gli diede risposta, ma continuò a guardare dritto davanti a sé.
-Ho un
appuntamento qua vicino tra poco e ho parcheggiato qui dietro.. Non ci
crederai, ma ci siamo incontrati per puro caso!-
Kei non
aveva intenzione di rispondere. Si accese una sigaretta.
-Non
dovresti fumare.. Può comprometterti i polmoni..- Maledetto autobus che non
arrivava - .. e per un ballerino respirare bene è importante!-
-Smettere di
fumare è proprio l’ultimo dei miei pensieri e poi.. e poi io non sono un
ballerino- come al solito le parole gli uscirono tanto dure quanto il suo tono
era piatto.
-Ho visto
persone ballare peggio di te e dichiararsi comunque dei ballerini..-
-Non è un
problema mio..-
-Se non sei
un ballerino e non è la cosa che vuoi fare perché ti sei presentato
all’audizione?-
-Questa è
un’ottima domanda.. sarebbe bello avere anche un’ottima risposta-
-Non ti
conosco, ma se sei davvero ancora minorenne e balli a quel modo.. credo che tu
sia uno dei ballerini più bravi che io abbia mai visto negli ultimi dieci
anni!-
-Non sono
un.. un ballerino-
-Verrai vero
a registrare il video?-
-Non lo
so..-
-Dovresti
provare.. che ne sai.. magari ti potrebbe piacere! E se così non fosse, non
perderai più tempo a chiederti se è quello che vuoi fare..-
Calò il
silenzio per un minuto interminabile.
-Considerala
come una prova.. nient’altro che una prova-
L’autobus
spuntò in fondo alla strada e Kei si alzò per alzare una mano e fermarlo.
-Pensaci!-
Le porte
automatiche si richiusero dietro al ragazzo e la vettura ripartì.
Arrivò a
casa quando tutto si era già fatto buio. Peccato che però fosse ancora troppo
presto per passare inosservato.
-Bentornato
a casa! Era tosto l’ora!- lo accolse Takao come temeva.
-Vado a
farmi una doccia-
Si liberò
velocemente degli altri e si rintanò in bagno cercando di metterci il più possibile.
Quando gli
urlarono per la terza volta che era pronto dovette scendere per forza. Non
aveva molta fame, ma dirlo agli altri sarebbe stato un suicidio. Mille domande
sulla sua salute si sarebbero unite a quelle che cercava di evitare da quando
era entrato.
Si sedette
al tavolo insieme agli altri. Notò solo quando se la ritrovò davanti che c’era
anche Hilary, ma cercò di non unire lo sguardo con lei.
Ci vollero
due portate prima che qualcuno prendesse finalmente il coraggio di chiedergli
come fosse andata quella mattina.
-Allora
Kei.. ehm.. com’è andata oggi?- Rei riaffondò il viso nel bicchiere.
Kei, che
stava finendo di addentare l’ultimo pezzo del suo pollo, temporeggiò qualche
secondo prima di parlare. Ma Rei lo anticipò pensando di aver posto la domanda
sbagliata e inappropriata.
-Cioè non è
poi una cosa importante, se non ce lo vuoi dire, cioè ti capiamo, noi..-
-Mi hanno
preso- Alzò lo sguardo al cielo prima di rimettersi a bere dal suo bicchiere
come se non fosse stato lui a parlare.
- Co-cosa?
Bello.. ehm complimenti! E’ una bellissima notizia!- Rei si sentì libero di
raddrizzare la schiena e mostrare una faccia compiaciuta e un largo sorriso.
Kei si alzò
all’improvviso e fece per lasciare la stanza.
-Ma dove
vai?- Lo fermò Takao - ..dobbiamo festeggiare!- Kei lo guardò scettico in modo
molto convincente.
-Ma che
festeggiare! Che mi è saltato in mente! Vai pure!- Si corresse Takao
risedendosi.
Kei lasciò
definitivamente la cucina scuotendo la testa esasperato.
-Ma che ho
detto!- Takao affondò nella sedia affranto.
Si era
diretto in giardino per fumare la sua ennesima sigaretta della giornata, ma
sicuramente non ancora l’ultima. E come al solito qualcuno era arrivato in quel
suo unico momento di pace della giornata, al buio da solo con la sua sigaretta.
-Tutto a
posto?- chiese Rei.
Rispose
facendo spallucce.
-Non mi
sembri felice di essere stato preso-
-Credi
davvero che io possa essere felice per qualcosa?-
-Ma certo
che sì! Che domande sono?-
Altre
spallucce.
-Quindi non
sei.. contento.. di essere stato preso?-
-Mi è del
tutto indifferente.. Non so nemmeno se voglio davvero fare questa cosa-
-Non hai
intenzione di andare?-
-Non so..
Penso che se rinunciassi ora li metterei nei casini..- In effetti l’unico suo
scrupolo era quello.
-Magari..
che ne sai.. potrebbe essere divertente..-
-Questa me
l’hanno già detta-
-Perché
forse è vera!-
Non gli
rispose e terminò la sigaretta ricordandosi in quell’istante di un particolare.
Salì le
scale fino in camera sua per poi tornare nella cucina finalmente poco affollata.
-Nonno J?!-
-Sì
figliolo?-
-Dovrei far
firmare questi fogli per quel lavoro.. lo puoi fare tu giusto?-
-Immagino di
sì.. fammi vedere!- Si asciugò le mani e si sedette al tavolo.
Compilarono
i documenti dopo aver appurato che rientrava tra i compiti dell’uomo firmare.
-Beh..
Complimenti davvero Kei.. è davvero una bella opportunità!-
Meno male
che tutti lo pensavano, avrebbe finito per crederci anche lui se qualcun altro
glielo avesse ripetuto.
Per fortuna
nessuno ebbe intenzione di rivolgergli la parola per il resto della serata e
poté rifugiarsi in camera finalmente solo e nella penombra.
Prese il
cellulare per vedere se qualcuno l’aveva cercato. C’era solo un messaggio del
suo operatore telefonico che gli ricordava l’importo del suo credito e uno di Mizuki che gli chiedeva come fosse andato il provino.
Non le
rispose per molte ore, solo quando era sicuro che non avrebbe potuto
rispondergli le inviò l’sms con quella che doveva
essere la “bella notizia”.
Si chiese se
fosse il caso di avvertire Yuri e gli altri di quello che stava facendo. Glielo
avrebbe detto, ma in futuro, quando avrebbe avuto le idee più chiare.
Non faticò
ad addormentarsi, era abbastanza stanco per abbandonarsi a una notte senza
sogni.
Il giorno
dopo dovette andare a scuola, più per far contento Nonno J che per altro, gli
doveva molto e non sapeva come dirgli di no.
Scoprì solo
alla seconda ora che avrebbero avuto tema in classe quel giorno, ma non se ne
preoccupò minimamente. Intanto non sarebbe andato bene in ogni caso; per fortuna
stava simpatico al professore e non avrebbe avuto un brutto voto comunque.
Il resto
della giornata fu invece assolutamente monotono e il giorno dopo arrivò
abbastanza presto.
Avrebbe
potuto dormire di più, ma si affrettò a uscire prima degli altri perché non
voleva sentire i loro mezzi discorsi che gli avrebbero fatto velocemente
cambiare idea sul presentarsi.
Arrivò a
destinazione in anticipo e si sedette fuori dal grande hangar in cui si sarebbe
girato il video fumandosi una sigaretta: immaginava che non avrebbe potuto
fumare per diverse ore e ne approfittò prima che potesse essere troppo tardi.
Appena
lasciò cadere la cicca a terra e la calpestò per spegnerla, la persona che in
quel periodo lo urtava di più gli si parò davanti.
-Pronto?!-
Lo guardò
sconcertato dalla perenne presenza del sorriso su quel viso.
-Lo
considererò come un sì! Dai entriamo!-
Kei seguì Jermaine all’interno dell’hangar che era già pieno di gente
che si spostava da una parte all’altra e trasportava attrezzature, la metà delle
quali Kei non sapeva nemmeno a cosa potessero servire. L’immenso spazio era
stato diviso da delle paratie alte poco più di due metri, formando diverse
stanze minori e una enorme in cui era montato una scenografia illuminata da
diverse luci e puntata da parecchie telecamere. Il set riproduceva un locale
provvisto di pista, tavolini e bancone.
Si fermarono
in una delle stanzette create dalle paratie che fungeva da sala prove.
-Allora..
Hai fatto firmare l’autorizzazione?-
Kei gli
consegnò il foglio firmato da Nonno J, che il coreografo sfogliò velocemente
soffermandosi solo sulla firma e sulle caselle che indicavano se il firmatario
fosse il padre, la madre, o chi ne faceva le veci notando marcata la terza
casella e la discordanza dei cognomi, ma non fece domande.
-A questo ci
penso io!-
Jermaine, con grande sollievo di Kei, fu
intercettato subito da diverse persone che gli davano indicazioni sul programma
e su quello che avrebbe dovuto fare e non ebbe più l’opportunità di stare da
solo con Kei.
Arrivarono
gli altri tre che avevano passato il provino con lui e altri ragazzi e ragazze
che già facevano parte del corpo di ballo dell’artista.
Per tutta la
mattinata fecero le prove della coreografia, la quale era spezzettata in
diverse scene, in diversi luoghi del set e in diversi punti della canzone.
Solo verso
mezzogiorno arrivò il cantante (un tipo tanto bello quanto erano le arie che si
dava) per provare il suo pezzo di coreografia.
Il catering
portò da mangiare prima di iniziare a girare. Finito di pranzare entrarono
nella stanza guardaroba nella quale una miriade di vestiti aspettavano solo il
proprio proprietario.
Le
costumiste non dovettero far fatica a trovare qualcosa che stesse bene a Kei,
poiché a lui stava bene proprio tutto.
Per girare,
tra un ciak e l’altro, impiegarono tutto il pomeriggio.
Riuscì
nell’aria fresca di marzo che gli faceva solo che piacere verso sera. Come
aveva previsto non era riuscito a fumare per tutta la giornata, tranne una
volta subito dopo pranzo quando si era imboscato con una delle ballerine in una
porta esterna laterale per cinque minuti.
Non aveva
tanto patito per la mancanza; era stato tanto occupato da non avere il tempo di
pensare al fumo, tranne nella pausa pranzo nella quale aveva liberato la testa
dal lavoro.
Beh,
certamente la giornata si era rivelata più interessante di una qualsiasi
mattinata passata a scuola e alla fine non si sentì pentito di essersi fatto
convincere.
Ecco, lo
stava ammettendo, anche se solo nella sua testa, che si era divertito; cioè non
proprio divertito, forse svagato era la parola giusta. Era stato impegnato a
scoprire tutte le cose nuove di quel mondo che aveva quasi dimenticato
qualsiasi suo problema.
Era riuscito
a estendere quel piacere che provava quando ballava a tutto il resto della
giornata, ed era stata una sensazione piacevole.
Con gli
altri non aveva scambiato più di due parole, cioè aveva annuito o risposto a
monosillabi alle due parole che gli rivolgevano gli altri.
Tranne la
ragazza con cui aveva fumato la sigaretta: lei ora stava camminando in silenzio
di fianco a lui, con l’aria rilassata e compiaciuta.
Dovevano
entrambi andare verso la fermata dell’autobus e lei, scoperta per puro miracolo
quest’informazione, si era subito premurata di accompagnarlo.
Dentro
all’hangar avrebbero continuato ancora a girare le scene in cui il cantante era
da solo e questo aveva tenuto lontano Jermaine da
Kei, nonostante fosse chiaro che volesse dirgli qualcosa prima che il ragazzo
andasse via. Ma il russo si era defilato non appena gli era stato possibile con
successo.
-Devi andare
subito a casa?- chiese la ragazza mentre si appoggiavano al gabbiotto della
fermata.
-Probabilmente-
-E’ vero tu
sei quello piccino! Si staranno preoccupando!-
La guardò
perplesso.
-Sei
minorenne no?-
-Le voci
girano- tornò a guardare la strada chiedendosi che cosa ci fosse di così
rilevante nella sua età.
-Già! Dovrai
farci l’abitudine, in questo ambiente non si può sperare di tenere un segreto!-
Ritornò per
la seconda volta a guardarla perplesso.
-Non credo
che farò questa cosa ancora-
-Perché? Mi
sembravi a tuo agio.. e poi sarebbe davvero un peccato!-
-Sì, cioè
non è andata male, ma..- fece spallucce prima di continuare - ..non so se è
quello che voglio fare-
-E come
pensi di scoprirlo?-
L’aveva
preso in contropiede: come pensava di scoprirlo? Contava che provando una volta
le idee si sarebbero fatte chiare, ma non era così, se possibile era ancora più
confuso di prima.
-Non lo so-
Kei si sentì di ripetere quella frase troppe volte nell’ultimo periodo. E non
gli piaceva.
-Beh..- la
ragazza era indecisa se continuare -..tra qualche settimana se non sbaglio, Jermaine lavora con Lauren Bright
e credo che debbano ancora fare le audizioni, secondo me sarebbe felice se ci
andassi anche tu!-
-No no no..
ferma.. Non ho intenzione di farmi incastrare per l’ennesima volta- disse
portando le mani avanti, mentre le immagini di tutte le persone che nelle
ultime settimane lo avevano spinto a presentarsi a quelle audizioni, da Ryo fino a Rei, gli passavano davanti.
-Ma non ti voglio
incastrare!-
-Anche se
non vuoi, lo stai per fare-
-Facciamo
così.. se ti presenti alle audizioni e Jay ti prende,
e se prende anche me ovviamente, ti concedo di uscire con me!-
A Kei scappò
una risata per la situazione che si era creata.
-E chi ti dice
che io vorrei uscire con te-
-Beh, come
fai a resistere a una come me?- Ridendo si passò una mano tra i lunghi capelli
castani mettendo su un’espressione da sostenuta.
Carina era
molto carina. Sì, forse anche un po’ più di carina.
Scosse la
testa esasperato anche per i suoi improvvisi pensieri.
-Allora
affare fatto?-
Kei alzò le
braccia in segno di resa; ormai non era più padrone delle proprie azioni.
-Perfetto!-
Rubò il cellulare dalla tasca della giacca di Kei e salvò il suo numero nella
rubrica. Poi si fece uno squillo e salvò quello di Kei sul suo.
-Ti scrivo
un messaggio per i dettagli allora! Appena lo dirò a Jay
sarà entusiasta!-
-Cosa? Te
l’ha chiesto lui?-
Lei fece la
faccia da santarellina.
-Ma certo
che no! E’ tutta una mia idea! Solo che Jay mi ha
parlato di te come un bambino parla del suo dolce preferito e penso che in
questo modo saremmo tutti contenti.. lui avrà il suo ballerino, io il mio
appuntamento e te..-
-..e io?-
-Beh.. – si
spremette le meningi per trovare qualcosa di convincente -..tu le tue
risposte!-
-Ma lo sai
che potrebbero arrestarti se esci con me?-
-Non ci
avevo pensato.. vabbè correrò il rischio!- Gli sorrise genuinamente.
Ed eccoci qui.. il cerchio si è chiuso.. o almeno il
mio cerchio! Infatti questo capitolo, come i prossimi due, erano già stati
scritti almeno due anni fa, poco dopo il pezzo della Russia u.u
ebbene, questa è la conferma che tutto era già deciso e che avrebbe portato
qui. Rileggendolo, comunque si nota la somiglianza con i primi capitoli, anche
se ho corretto un po’ di cose qua e là!
Insomma.. quanta danza! Se la odiate me ne dolgo molto
u.u
Ma vabbè.. annuncio anche che questo è l’ultimo
capitolo che mando dall’Italia.. dal prossimo si diventa international!
Sperando bene per la connessione che avrò :O ma non fasciamoci la testa prima
di essercela rotta!
Nel frattempo recensite bimbe belle e fatemi sapere quanto
mi lovvate o quanto mi odiate u.u
Non appena
tornato a casa mangiò qualcosa alla svelta senza scambiare troppe parole, non
che solitamente lo facesse, e andò a dormire: era stata davvero una giornata lunga
e, come due giorni prima, si addormentò senza problemi.
Il giorno
dopo, però, non potè evitare la concentrazione di
attenzione su di lui a colazione.
Gli chiesero
come fosse andata, se fosse stato divertente o noioso, come gli sembrava il
cantante, come fosse l’ambiente televisivo: in pratica tutto. Tutto quello che
non avevano osato chiedere quando aveva fatto l’audizione glielo stavano
chiedendo in quel momento.
Gli sembrò
quasi normale tutta quella curiosità. Ormai era abituato e non poteva più stupirsi
dell’infinità di domande che i suoi amici erano capaci di porre in così poco
tempo.
Rispose a
meno della metà di queste, come era suo solito fare, e ignorò le altre. Non era
una novità né per lui né per gli altri.
Quello che
però non aveva calcolato, che gli era completamente passato di mente era un
fatto, invece, molto rilevante: che il video che aveva girato sarebbe apparso
su tutte le reti musicali mondiali, per non parlare di internet.
Non avrebbe
potuto evitare che chiunque volesse lo andasse a vedere e che chiunque lo
potesse di conseguenza riconoscere.
A
ricordarglielo fu Mercedes, la ballerina del video, due settimane dopo averlo
girato, quando lo avvertì della data di uscita del video. Come aveva fatto a
dimenticarsi di un dettaglio così rilevante poteva saperlo solo lui. Preso
dalla stanchezza, dal tentativo di evadere le domande degli altri e l’affinità
che si era creata con Mercedes, non aveva pensato a quello che era il frutto
del suo lavoro.
Si sarebbe
visto in televisione, e quella era sicuramente la parte peggiore di tutta la
situazione.
Se il
provino l’aveva sopportato e il girare lo aveva fatto sentire a suo agio, il
riguardarsi invece lo terrorizzava parecchio. Non si era mai esibito in
pubblico: i ragazzi della piazza a Mosca e quelli in Giappone non potevano
proprio considerarsi un pubblico, e tantomeno i suoi amici, anche a Hilary
aveva mostrato ben poco, qualcosa di importante, ma comunque di limitata entità.
Dalla
palestra chiusa e solitaria si stava ritrovando in mondovisione.
L’unica
persona che fino a quel momento poteva dire di conoscere realmente il suo modo
di danzare era Dana e.. e già che pensava a Dana si ricordò di non averle
nemmeno detto che aveva partecipato a quei provini: proprio a lei che gli aveva
insegnato tutto quello che sapeva. Era un’altra cosa che gli era passata di
mente e doveva assolutamente rimediare.
Tutto il suo
ragionamento era avvenuto in classe durante la sua ‘adorata’ ora di storia.
Non aspettò
nemmeno che l’ora finisse e chiese di andare in bagno; una volta nel corridoio
iniziò già a comporre il numero e, dopo numerosi squilli a vuoto, la ragazza rispose
nel mentre arrivava sulla terrazza della scuola.
-Pronto?!-
Una voce assonnata e confusa gli rispose.
-Dana?! Sono
io, Kei..-
-Kei, stai
bene è successo qualcosa di brutto?- sembrava anche agitata.
-No.. niente
di grave tranquilla-
-Meno male..
mi fai spaventare se mi chiami a quest’ora!-
Quest’ora?
Erano le 11 del mattino.. in Giappone. La sua recente abitudine di non
ricordarsi le cose si era fatta sentire ancora. Lì erano le 11, ma a Mosca
almeno 6 ore prima.
-Scusa.. il
fuso orario. Me l’ero dimenticato completamente.. Ti ho chiamato tanto
velocemente che non ho pensato all’orario-
-Proprio
oggi hai deciso di comporre frasi così articolate? Parla lentamente che non
sono totalmente lucida in questo momento-
-Mi dispiace
ecco.. volevo solo dirti che.. diciamo..-
-Kei! Mi hai
svegliato alle 5 del mattino.. vai dritto al sodo..- sembrava pronta a
riaddormentarsi da un momento all’altro.
-Ho girato
un video- si rese conto subito della poca chiarezza della frase.
-E tu mi
chiami per dirmi che hai girato un video?-
-No..
intendevo un video serio.. di quelli che vanno su MTV.. di un cantante..-
-Tu? In che
senso?- Dana stava arrivando molto lentamente alla soluzione del mistero.
-Come..
come.. ballavo nel video, ecco..-
-COSA?!?!?!
Potevi dirlo subito? Quando? Di chi? Perché? Ci voleva tanto a dirlo!-
Perfetto; prima sembrava pronta a riaddormentarsi, mentre dopo poche parole era
sveglia e pimpante a forargli i timpani.
Sentì di
fianco alla ragazza qualcuno tirare delle imprecazioni e chiederle spiegazioni,
ma lei lo ignorò: doveva essere suo marito svegliato dalle urla.
-Ma te l’ho
detto subito.. vabbè fatto sta che è successo.. è una storia lunga.. volevo
solo avvertirti che se mi vedi in televisione non è un’allucinazione e.. in
verità preferirei che tu non lo guardassi, ma visto che non lo farai..-
-Ma certo
che lo guarderò! Sei pazzo? Beh a quanto pare sì se qualcuno è riuscito a
convincerti a farlo! Chi era il coreografo?-
-JermaineCrowde-
-Cosa?! Ma
quell’uomo è un mito.. qualche anno fa avevo una cotta per lui!- A
quest’affermazione sentì una voce dall’altro lato del telefono essere zittita.
-Mah se lo
dici tu..-
-Ma sì! E’
un grande! E gli sei piaciuto quindi?-
-In effetti
ora mi perseguita.. ho quasi paura che sia gay..-
-Nah tranquillo! Quindi lavorerai ancora con lui?-
-Forse.. Non
lo so ancora.. cioè lo sai che non è propriamente quello che voglio fare..-
-Ah no? Dai
Kei.. Secondo me sei perfetto per questo tipo di lavoro.. Sapevo che se ci
avessi provato avresti fatto buona impressione! Sono troppo fiera di te! Yuri
che ne dice?-
Ecco
un’altra persona a cui si era dimenticato di dare la notizia.
-Non
gliel’hai ancora detto?-
-Potrei
provare a chiamarlo adesso, ma non penso che sarebbe così comprensivo come te
se lo svegliassi così presto per questo motivo-
-Potrebbe
stupirti sai?-
-Chi?! Yuri Ivanov? Quel Yuri Ivanov?-
-Sì forse
hai ragione.. allora meno male che prima hai chiamato me!- Avrebbe giurato che
stesse sorridendo. Se la immaginò seduta sul letto, ancora mezza sotto le
coperte, con i capelli arruffati e il suo sorriso sincero. L’unico sorriso che
non lo urtava più di tanto.
-Grazie-
-E per
cosa?-
-Per tutto
quello che hai sempre fatto per me.. devo attaccare adesso, il prof potrebbe
insospettirsi, è da troppo che sono uscito dalla classe..-
-Kei mi hai
chiamato mentre eri a scuola? Non si fa così..-
-Tranquilla,
non era una lezione di vitale importanza.. ora vado comunque..-
-Ok.. ehi
aspetta.. non mi hai ancora detto di chi è il video..-
-Vero..
vabbè a te il piacere della scoperta.. Buona giornata-
-Kei aspet-
Chiuse la
conversazione. Almeno non lo avrebbe visto presto, forse stanca di cercarlo in
tutti i clip esistenti avrebbe rinunciato e sarebbe stata una persona in meno a
vederlo.
Non appena
mise piede in classe suonò la campanella che annunciava la fine della lezione.
Non era
stata una conversazione spiacevole nonostante le premesse, era riuscito anche a
saltare venti minuti del racconto di chissà quale rivoluzione giapponese.
Rei non
mancò di rimproverarlo per aver saltato così la lezione, ma fu totalmente
ignorato, ma la notizia peggiore arrivò di ritorno dalla pausa pranzo: la
professoressa di ginnastica era assente e a fare supplenza c’era proprio il
caro professor Suji.
Oltre alla
lezione extra chilometrica inflisse una pena ancora maggiore: il compito in
classe.
La verifica
scritta di storia era una crudeltà nel vero senso della parola: già raccontare
i fatti storici precisamente si rivelava arduo, doverli scrivere era, se
possibile, molto peggio.
Se poi si
avevano problemi con la lingua e col ricordarsi i nomi esatti di tutti quei
personaggi storici poteva rivelarsi un vero e proprio martirio: questo era il
caso di Kei e non era sicuro di poterlo reggere.
Avrebbe
potuto saltarlo, marinare scuola per lui non era un vero e proprio problema: in
una sola settimana non ce l’avrebbe mai fatta a studiare tutto. Ciò che gli
creava delle riserve era che forse lo scritto si sarebbe rilevato abbastanza
utile: poteva fare un bel po’ di bigliettini e sperare di non essere visto.
Se fosse
andato bene quel compito avrebbe evitato l’interrogazione e lui doveva
assolutamente riuscire a saltare l’interrogazione. Avrebbe trovato una
soluzione.
Nel tragitto
verso casa ascoltò l’esperienza personale con i compiti scritti di Suji dal racconto colorito di Takao e si disse che qualche
copiatura sarebbe riuscito a farcela stare.
-Però poteva
darci almeno qualche giorno di preavviso in più.. come faccio a studiare tutto
entro venerdì?- si lamentò il giapponese.
-Avresti
dovuto iniziare a studiare un po’ prima.. ecco come avresti dovuto fare!-
-Dai Hil.. penso che qui tu sia l’unica ad aver iniziato già a
studiare!-
La ragazza
guardò gli altri cercando conferme del fatto che lei non fosse l’unica a
prevenire certi disastri, ma non le trovò e si separò esasperata dai suoi
compagni.
-Io quella
non la comprendo proprio!- Takao la guardò allontanarsi molto perplessa.
-Seriamente..
domani dovremmo svegliarci presto per un ripasso di gruppo..-
-Ma è sabato
Rei!-
- Takao..
preferisci dover essere interrogato?- Rei e Takao cominciarono a discutere su
cosa fosse peggio: alzarsi presto o essere interrogato di storia.
Kei ripensò
improvvisamente all’atto di alzarsi presto e, come un’illuminazione, si ricordò
della chiamata che aveva fatto quella mattina e quella che avrebbe dovuto fare
in quel momento.
Guardò
l’ora, ormai doveva essere mattina inoltrata in Russia e non avrebbe corso
rischi a chiamare.
Prese il
cellulare e restò un po’ indietro rispetto agli altri.
-Pronto?-
-Ciao Yuri,
come va?-
-Cosa hai
combinato?-
-Perché
dovrei aver combinato qualcosa?-
-Perché mi
hai chiamato di tua spontanea volontà e hai esordito con un “come va?”-
-Non posso
voler sapere come stai?-
-Cosa hai
combinato?-
Si convinse
di aver fatto bene a non averlo chiamato quella mattina subito dopo Dana.
Sicuramente non sarebbe stato così comprensivo come lei, ora ne aveva la
certezza.
-In verità
non ho fatto nulla.. cioè una cosa sì, ma non è per forza una cosa brutta e..-
-Arriva al
dunque..-
-Diciamo che
c’è la remota possibilità che tu mi veda in televisione..-
-Cosa? Hai
partecipato a qualche programma? Da quand’è che vuoi diventare famoso?-
-Non voglio
diventare famoso.. è solo che, non so ancora come, mi hanno convinto a fare
un.. ecco un provino.. per ballare in un video e.. beh mi hanno preso e..-
-Wow.. e ti
hanno pagato bene?-
-Come sei
diventato venale in mia assenza..-
-Ma è solo
una domanda legittima.. ti hanno pagato bene sì o no?-
Ci pensò un
po’ su. Il lunedì dopo aver girato il video erano arrivati i soldi sul suo
conto: erano sicuramente più di quelli che si sarebbe mai aspettato,
sinceramente non aveva proprio pensato al fatto che l’avrebbero pagato. Non
riusciva a considerarlo un lavoro retribuito a tutti gli effetti.
-Beh
abbastanza-
-Benissimo..
Appena lo dirò a Sergay stai tranquillo che tutta Mosca lo saprà.. ah e sì.. Boris
non vedrà l’ora di vederti-
Chissà
perché non gli si prospettò come fosse una cosa positiva. Sergay sarebbe stato
davvero capace di dirlo a tutti e Boris avrebbe voluto vederlo per inaugurare
qualche nuova battutina sarcastica. Sì, era davvero bello avere una famiglia così premurosa.
-Yuri..-
-Tranquillo
stavo scherzando..- era perplesso, ma finse di credergli.
-Ok..-
-E.. sei
contento di aver fatto questa cosa?-
Come domanda
lo spiazzò non poco e cercò una risposta sincera, se non lo fosse stata quel
dannato di un rosso lo avrebbe capito nel giro di pochi secondi.
-Direi di
sì..-
-Mi fa molto
piacere.. sul serio..-
-Grazie..-
soffiò impercettibilmente.
-Ah a
proposito.. lo so che è un po’ presto per chiedertelo, ma.. non è che
quest’estate ti andrebbe di venire qui? Per quanto vuoi.. Ser e Bo non penso
che possano chiedere delle ferie e ci farebbe piacere rivederti, dopo la fine
della scuola ovviamente..-
-Sì
certamente..-
-Non sei
obbligato..-
-No è.. è
che non mi aspettavo che..-
-Intanto
organizzeremo più avanti.. ora pensa alla scuola e.. e beh a divertirti..-
-Ok.. ci
sentiamo..-
-Ciao-
-Ciao-
Non aveva
pensato di poter tornare in Russia quell’estate; non che non volesse andarci,
ma semplicemente non ci aveva pensato. Appena realizzò quello che si erano
detti lui e Yuri, si sentì improvvisamente più spensierato. Era inutile: la
Russia gli mancava, il clima, i posti, le persone, le sigarette e lui doveva
assolutamente tornarci. Non era sicuro che glielo avrebbero chiesto.
Pensava che
volessero che stesse il più lontano possibile da Mosca per più tempo e infatti,
per non crearsi illusioni, non aveva fantasticato di tornarci tanto presto.
Ad un tratto
l’aria giapponese si era fatta soffocante come l’estate precedente quando era
arrivato. Il desiderio di tornare in patria che aveva cercato di reprimere
dentro di sé si fece sentire.
Massimo tre
mesi e sarebbe potuto risalire su un aereo per tornare in Russia e magari anche
restarci. No, quello non sapeva se lo voleva davvero. Forse non avrebbe fatto
bene per lui ritrasferirsi definitivamente e sarebbe stato meglio per quello
aspettare davvero più tempo.
Non era
pronto.
Ma ci avrebbe
pensato a tempo debito, intanto gli bastava sapere che, se avesse voluto,
sarebbe potuto tornare, anche solo per un giorno e questo gli fece scordare
ogni preoccupazione su verifiche, video musicali e cose del genere.
-Hey Kei.. ti muovi?-
Si accorse
di essere rimasto troppo indietro in confronto agli altri e velocizzò il passo
per raggiungerli.
Arrivati a
casa si presero l’ultimo pomeriggio libero prima della seduta intensiva di
studio che avevano progettato per il giorno dopo.
Non era nemmeno
da un’ora che avevano iniziato e già non ce la faceva più. In quel momento
avrebbe di gran lunga preferito partecipare a mille provini per chissà che
lavori e invece doveva cercare di capire tutte quelle faccende politiche e
militari del Giappone di secoli prima.
Non erano
tanto gli avvenimenti il suo problema, tanto meno gli mancava la memoria, finchè si trattava di date ce la poteva fare, ma i nomi
proprio non li reggeva, non gli entravano in testa e quello che richiedeva il
professore era proprio quella serie infinita di nomi.
Solo che il
titolo dell’epoca che doveva studiare gli procurava non pochi problemi: l’era Tokugawa. Più ideogramma associato, una vera agonia.
Ignorando le
proteste di Rei, partì con la sua opera: la compilazione di bigliettini da
nascondere in qualsiasi posto gli fosse venuto in mente.
La mattinata
passò, quindi, molto tranquilla, troppo tranquilla: in realtà la noia più
profonda li aveva totalmente colpiti, attanagliati senza via di scampo.
Quando
arrivò alla divisione in due fazioni della vecchia alleanza tra TokugawaIeyasu e IshidaMitsunari capì che non ce
l’avrebbe più fatta.
Si prese una
pausa. Una lunga pausa, che sapeva già come occupare: una preziosissima
sigaretta gli venne in aiuto e gli distese i nervi.
Passarono il
week end in quel modo: a studiare. Nel pomeriggio di sabato Hilary li aveva
raggiunti, dispensando il suo sapere su tutti i colpi di stato e via dicendo,
mentre i ragazzi prendevano appunti, su quelli che lei non sapeva essere
bigliettini destinati a essere copiati pari pari
durante il compito. Persino Rei aveva abbandonato qualsiasi riserva e buon
intento.
Se possibile
la domenica si rivelò più noiosa e più inutile del giorno prima e il lunedì a
scuola la voglia di aprire un libro era sempre minore.
Durante la
pausa pranzo Kei, al quale le sigarette stavano smettendo di fare effetto, si
disse che gli serviva qualcos’altro per liberare la testa. L’unica cosa a cui
riusciva a pensare era una bella.. uscita con una bella ragazza.
Ripensò a
quando stava con Hilary: in quel periodo la voglia di fumare si era allentata,
mentre nel periodo Mizuki aveva ripreso le sigarette
di differenza.
Era comunque
da troppo che non stava con qualcuna e iniziava a risentire anche di quello. Si
guardò intorno nel cortile della scuola: vide passare Aiko,
quella sì che era una bella ragazza, ma non era sicuro che lei lo avrebbe
voluto di nuovo, anche solo per una volta.
Si disse che
doveva ricordarsi di tenersi strette le persone più ‘esuberanti’ in
quell’ambiente dove non è che abbondassero.
Ripensò a
Mercedes e al ricordo che aveva di lei: ormai erano passate tre settimane e lei
non si era più fatta sentire, ma Kei ricordava bene che, anche se non aveva
mostrato troppo interesse, lei era davvero molto, ma molto bella. Cioè classica
ragazza latina, con le curve al posto giusto.
Stava
facendo pensieri da pervertito e, quando se ne rese conto, si diede del
deficiente.
Prese il
cellulare e lo fissò stranito, poiché non si era accorto dell’arrivo di un
messaggio. Dall’ora del ricevimento era passata mezz’oretta buona.
Era proprio
di Mercedes e quindi non potè fare altro di
rimproverarsi perché se avesse preso prima il cellulare avrebbe evitato di fare
quei pensieri poco casti.
Il provino di cui ti parlavo è venerdì, e io per
quella sera mi sono tenuta libera, ho fatto bene?
Avrebbe
voluto averla lì in quel momento per ringraziarla della sua prontezza: gli
aveva appena dato una notizia fantastica.
Se solo.. se
solo il compito di storia non fosse stato venerdì sarebbe stato perfetto.
Il morale
che gli si era finalmente risollevato tornò a rasentare terra e non se ne
capacitò.
Non posso. Ho un compito in classe che non posso
saltare quella mattina.
Per una
volta che aveva voglia di andare a fare quegli stupidi provini, per una volta
che qualcuno aveva risposto prontamente ai suoi desideri, per una volta che
sembrava accadere quello che voleva.
Sospirò
esasperato. Pazzo. Lo stava diventando sul serio.
Vibrò il
cellulare nella sua mano e con poca voglia lesse il contenuto del messaggio che
sapeva già lo avrebbe depresso maggiormente.
E chi ha detto che è di mattina. E’ alle 15. Dì a casa
che mangi fuori. =)
Il suo
morale si alzò cautamente. Rilesse due o tre volte il messaggio prima di essere
sicuro di non avere le allucinazioni. Venerdì non sarebbe stata una giornata
catastrofica come aveva previsto, o almeno, non tutta la giornata.
Venerdì
arrivò e non sembrò iniziare proprio nel migliore dei modi.
Pioveva e la
sveglia con la pioggia rendeva tutti di cattivo umore e particolarmente irritabili.
Nel dojo Kinomiya si respirava pessimismo. L’unico che sembrava non
subire gli effetti del tempo era Kei, per il semplice fatto che mostrava la sua
solita espressione indifferente verso il mondo e lo era davvero. Totalmente
indifferente al tempo, al compito e al pomeriggio che gli si prospettava.
Tutto, in fondo, andò come aveva previsto.
Il compito
era alla terza ora. Si era preparato una marea di bigliettini, ma quelli che
tenne nei calzini furono solo quelli con i nomi dei vari luoghi e personaggi.
Rispose bene o male a tutte le domande e non avvertì tutta la preoccupazione
che lo aveva preso la settimana prima.
Durante la
pausa pranzo si cambiò la divisa in bagno e la lasciò, insieme ai libri, a Rei.
Si defilò in
fretta fuori dall’edificio e prese l’autobus per Tokio.
Arrivato a
destinazione si riparò sotto l’ombrello alla ricerca della palestra: era
diversa da quella dove aveva tenuto le altre audizioni, ma non ebbe troppi
problemi nel trovarla.
Non appena
varcò la soglia, finalmente all’asciutto, si guardò intorno e intercettò subito
la persona che stava cercando.
Mercedes era
lì ad aspettarlo.
-Giusto in
tempo!-
-C’era coda
e l’autobus era lento-
-Pensavo che
venissi con la divisa di scuola!- disse lei facendogli la linguaccia.
-Ah ah molto divertente..- La sua risata era tutto tranne che
una risata, ma non era scocciato.
-Di che
cos’era il compito?-
-Storia-
-Mi piaceva
la storia al liceo!-
-Vorrei
poter dire la stessa cosa-
Compilò di
nuovo diversi fogli e si fece fotografare. Non era convinto che fossero dei
geni quelli che organizzavano queste cose, non era possibile che ogni volta
doveva ripetere quella routine.
Entrarono
nella palestra. Era molto più grande dell’altra, ma anche questa ricoperta
interamente di specchi.
Al solito
banchetto c’erano seduti solo Jermaine e la sua
assistente, che ormai aveva scoperto chiamarsi Monique.
-Lauren e Jay sono grandi amici, lei si fida ciecamente del suo
giudizio e gli lascia massima libertà nei casting!-
Se lei si
fidava di quel tipo non erano affari suoi, ma Kei non riusciva ancora a
inquadrarlo come un personaggio positivo.
Nella sala
erano il doppio delle volte precedenti, sia maschi che femmine, ma i posti
disponibili, come al solito, molto pochi. Cercavano cinque uomini e quattro
donne che avrebbero dovuto partecipare a un’esibizione live della cantante per
beneficienza.
La prima
scrematura, come ormai Kei aveva capito, serviva a sbarazzarsi di quelli che
sicuramente non avrebbero preso e che era sostanzialmente una perdita di tempo
tenere: si dimostravano sempre un numero enorme.
Rimasero in
una trentina, tra ragazze e ragazzi, ad aspettare di ballare di nuovo. Mentre Monique li divideva in coppie (Kei si ritrovò, non seppe
come, con Mercedes che fino a trenta secondi prima stava dall’altra parte della
sala) un folto capannello di persone fece irruzione nella sala.
C’erano due
o tre ragazze indaffarate tra cellulari, agende e borse enormi, un uomo vestito
bene che sembrava essere un manager, due che Mercedes gli aveva indicato essere
delle responsabili della palestra e un omone vestito di nero con un auricolare
all’orecchio che non perdeva d’occhio l’ultima, ma più importante, persona che
era entrata: Lauren Bright si era fatta spazio e
aveva salutato Jermaine abbracciandolo forte.
Kei la
riconobbe per averla vista diverse volte sulle copertine dei giornali di gossip
che comprava Hilary: a quanto pareva erano sempre tutti molto interessati alla
sua vita privata che non smetteva di stupire il pubblico.
Kei
conosceva qualche sua canzone: era un accoppiata strana, aveva l’aspetto della
classica icona pop, con i capelli biondissimi, la pelle lucente e gli occhi
chiari, un fisico perfetto, il viso era particolare, tanto che non tutti la
considerassero propriamente bella, ma
che abbinato alla sua voce nera e potente la rendeva una delle rivelazioni
degli ultimi anni.
-E ha solo
un anno più di me.. lei ha il bodyguard e io sono qui con un minorenne, un
minorenne fighissimo, sia chiaro, ma capiscimi..-
Kei guardò
Mercedes perplesso e abbastanza divertito.
-Chissà come
fa ad avere una pelle del genere.. un giorno o l’altro glielo chiederò..-
Mercedes
iniziò a spostare lo sguardo dal proprio braccio a Lauren come per carpire le
differenze tra i trattamenti per la cute che usavano.
-Dai che vai
benissimo così..-
-Trovi
davvero?-
-Certamente..
sei bellissima con la pelle che hai..-
-Oh che
carino! Continua pure a elogiarmi.. non mi dà fastidio!-
Scherzarono
insieme ignorando la nuova venuta finchè non smise di
parlare con Jermaine.
Gli si
sedette accanto. Sembrava che avrebbe assistito al resto del provino.
-Meno male
che avevi detto che si fidava..-
-Si vede che
non aveva niente da fare..-
Ricominciarono
a ballare, questa volta con una piccola variazione in coppia della coreografia.
Kei si sentì
molto a suo agio a ballare con Mercedes, soprattutto per la vicinanza dei loro
corpi.
Non poteva
chiedere di meglio. Gli sembrò anche che Jermaine
continuasse a indicarli a Lauren che li guardava sorridente. Un’altra persona
sorridente da sopportare. Perfetto.
Bisbigliarono
per un po’ prima di assegnare il lavoro.
Lui e
Mercedes, come previsto, avevano ottenuto la parte.
-Benissimo,
ora mi devi un’uscita-
-Sono venuta
in macchina apposta!-
Con grande dispiacere di Kei, non poterono
evitare di scambiare qualche parola con Jermaine che
si complimentò con la ragazza per averlo convinto a presentarsi.
-Ci vediamo
domani allora!- li salutò il coreografo.
Fuori aveva
smesso di piovere e raggiunsero la macchina parcheggiata poco più in là
lentamente.
-Dove mi
porti?- azzardò Mercedes.
-In verità
non sono per niente pratico della zona, e poi guidi tu.. a te la scelta-
-Immaginavo,
allora ti fidi di me?-
-Farò un
tentativo-
Fecero poca
strada prima di fermarsi in un posto più in centro. Decisero di cenare in un
ristorantino molto semplice e alla mano.
-Allora
scorfano brontolone, che mi racconti?- Kei la guardò sempre più perplesso, ma
sempre più divertito.
-Che vuoi
sapere?-
-Qualsiasi
cosa! Fai tu!- gli sorrise.
-Allora ti
dico che in questo momento vorrei che la conversazione si spostasse da me a te-
Non dovette
provare molto per riuscire nel suo intento. Senza problemi convinse l’altra a
parlare di sé e a sviare ogni domanda sul suo conto; dopo anni di allenamento
era una cosa che gli veniva molto naturale, in aggiunta Mercedes era la classica
ballerina egocentrica.
Scoprì di
essere a cena con una ragazza di 21 anni, tre anni più di lui, si accordarono
sugli anni di prigione che avrebbe dovuto scontare una volta che lui l’avesse
denunciata per molestie e sugli hobby di lei. Poi parlarono di danza, su quello
che lei aveva fatto, di come aveva conosciuto Jermaine
e cose del genere.
Alla fine
dell’ottima cena si diressero alla cassa per pagare e, quando Mercedes fece per
prendere il conto, Kei la precedette.
-Faccio
io..-
-No
tranquillo.. Non c’è problema..-
Non fece in
tempo a protestare che era già stata trascinata fuori dal ristorante.
-Già ci
metti la macchina e buona parte della conversazione, almeno quello lascialo a
me-
-Mmm.. sì direi che è un ottimo compromesso!-
Fecero un
giro per il centro di Tokio osservando le vetrine colorate, che nonostante
fosse sera, erano illuminate a festa.
-Tieni..-
disse Kei porgendole un cartoncino colorato tutto rifinito.
-Cos’è?-
-Me lo hanno
dato al ristorante..- fece spallucce.
Lei osservò
meglio e notò che sopra vi era cucito un ideogramma giapponese.
-Ma che cosa
carina..-
-Che vuol
dire?-
-Vuol dire..
ehi! Ma che classe frequenti? Non dirmi che non sai leggere!-
-Ho perso un
anno..- gli occhi di lei si allargarono come se avessero avuto tante conferme -..ma
non perché non so leggere. Ho solo qualche problema con gli ideogrammi..-
-Ma questo è
semplice.. c’è scritto “Arigatougozaimashita”..
arrivederci!-
-Non
guardarmi così.. guarda che ho vissuto qui solo per due anni-
-Davvero?-
-Uno qualche
tempo fa, mentre adesso sono qui dall’estate scorsa..-
-Allora sei
perdonato! Ma di dove sei?-
-Mosca,
Russia-
-Oh ecco
spiegato tutto.. ecco perché sei un piccolo ghiacciolo imbronciato!-
-Non ti ci
mettere anche tu-
-Allora te
l’hanno già detto! Vuol dire che è vero.. ma non vuol dire che tu sia meno
affascinante per questo!-
-Ci stai
provando spudoratamente?-
-In effetti
è quello che sto facendo da tutta la serata!-
-Meno male..
mi togli un bel po’ di lavoro..-
Tornarono in
macchina prendendosi in giro e decidendo su chi avrebbe dovuto provarci tra i
due.
Avevano
considerato tutte le variabili tra cui l’età, il sesso e gli anni dimostrati,
ma non avevano raggiunto un accordo.
-Beh questo
penso di doverlo fare io- Kei si era appena accomodato sul sedile del passeggero
accanto a Mercedes e si sporse verso di lei accarezzandole il viso con una
mano. Lo avvicinò al suo e la baciò. Un piccolo bacio dolce. Lei aveva chiuso
gli occhi e quando li riaprì se lo ritrovò ancora vicino con lo sguardo fisso
nel suo.
L’effetto ipnotizzante
dei suoi occhi violacei ebbe effetto anche su di lei che non potè fare a meno di annullare di nuovo il contatto tra di
loro.
- Do-dove
andiamo adesso?- chiese lei leggermente accaldata.
-Dove
preferisci..-
-Se vuoi
intanto possiamo andare verso Edogawa..-
-Non è molto
uno spasso a quest’ora..-
-Potremmo
andare a casa tua..-
-Non penso
sia una buona idea.. ricordi tutta la storia sull’età?-
-Ci sono i
tuoi in casa? E non hai il permesso di portare ragazze più grandi pronte a
saltarti addosso?- gli sorrise.
-Non vivo
coi miei.. sto da un amico.. insieme ad altri due.. più suo nonno.. in pratica
è molto affollato e preferirei evitare-
-Non stai
coi tuoi genitori? Non ti facevo così indipendente..-
-Piuttosto
tu, donna adulta, non ce l’hai una casa?-
-Sì ma è
affollata almeno quanto la tua.. le mie coinquiline stasera mi hanno bandita!-
-A me piace
molto anche la tua macchina-
-Bad boy.. dai andiamo a trovarci un posticino!-
Finalmente
lasciarono il parcheggio alla volta della periferia di Tokio.
Arrivati sul
mare percorsero il litorale per poi imboccare strade secondarie. Alla fine trovarono
uno spiazzo in uno dei pochi luoghi verdi molto appartato, dove sembrava non ci
mettesse piede nessuno da anni.
La vista non
era bellissima a causa della vegetazione lasciata crescere liberamente e delle
costruzioni di cemento, ma intanto non era il panorama quello che gli
importava.
Si
sistemarono sui sedili posteriori e iniziarono a scambiarsi baci e carezze.
-L’hai già
fatto vero? L’ho dato per scontato ma..- la zittì con un bacio.
-Tranquilla..-
Ancora un
altro bacio e altre carezze. Senza nessun preavviso lui strinse la presa
attorno ai fianchi di lei e con una lieve pressione la portò a sedersi su di
lui. Messi così erano alla stessa altezza e si potevano guardare negli occhi.
Mercedes arrossì vistosamente.
-Oh mio Dio,
sembro io la bambina piccola!-
Le rivolse
il suo primo sorriso, quel grande raro evento che concedeva solo per un buon
motivo e quello gli sembrava un buon motivo, dopo la bella serata passata insieme.
Le sorrise e
lei ne fu raggiante.
Quello che
accadde dopo fu subito dolce come quel raro sorriso, per poi diventare
passionale e intenso. Una danza che li accomunava e li univa, molto più intima e
molto più carnale di quella del pomeriggio.
Quando lei
si rimise seduta di fianco a lui aveva il respiro affaticato e delle gocce di
sudore le incorniciavano il viso. Si strinse ancora a lui traendo calore dal
suo corpo.
Si sentiva
bene e appagata.
Kei sciolse
lievemente l’abbraccio per poterle alzare il viso e rubarle un altro bacio.
-Dovresti
farlo più spesso sai?-
-Venire a
letto con te?-
-No..
sorridere..-
-Ah
quello..-
-Ma anche
venire a letto con me.. magari in un letto la prossima volta!-
-Sì mi sa
che ti devo qualcosa di più comodo-
Rimasero
stretti nel sedile posteriore per almeno un’oretta ancora e solo con molta
fatica si dovettero convincere a rivestirsi.
-Domani
dobbiamo alzarci presto! Dobbiamo essere alle prove alle 10!-
Kei non le
rispose, ma le scoccò un altro bacio.
-Ed il posto
è a Soka.. ti passo a prendere così ci andiamo
insieme?-
Con molta
fatica si staccò definitivamente da Kei e si rimise alla guida diretta verso
casa.
Si fermò
davanti all’ingresso del dojo.
-Wow.. Che
bel posto.. Ecco perché i tuoi ti hanno lasciato venire a vivere qua.. ha un
aspetto molto.. protettivo e sicuro ecco!-
-A domani
mattina- la interruppe Kei dandole l’ultimo bacio della serata e scendendo
dalla vettura.
-Buona
notte!- gli rispose sorridendo.
-Notte-
Kei alzò la
mano in segno di saluto e la guardò andare via, prima di attraversare la grande
porta di legno.
Quando era
tornato a casa tutti erano già addormentati e quando la mattina si alzò non
sembrava essere cambiato molto.
Scese in
cucina per fare colazione e vide seduto al tavolo Nonno J intento a sorseggiare
il suo caffè.
-Buongiorno
Kei.. sei tornato tardi stanotte!-
-Sì sono
uscito con un’amica..-
L’uomo non
indagò oltre. Kei era sicuro che sapesse molto più di quello che lasciava
intendere, ma non voleva affrontare certi discorsi con lui, soprattutto da
quella volta del discorsetto sul sesso.
Approfittò
del fatto che fosse già sveglio per fargli firmare i moduli per il lavoro di
quel giorno.
-Vedo che ci
stai prendendo gusto..- Non sembrava un’affermazione in negativo.
-E’ per
passare il tempo..-
-Certamente!-
Gli porse
tutti i fogli compilati sorridendogli paterno.
Anche questa
volta Kei ebbe la sensazione che con quello avesse detto mille parole in più e
ancora una volta tentò di non farci caso.
-Stasera ti
dobbiamo aspettare?-
-No, penso
che farò tardi di nuovo.. non ti preoccupare-
-Buona
giornata allora!-
Uscì dalla
cucina per andarsi a cambiare il più velocemente possibile. Si fece una doccia
e si vestì in tempo per quando ricevette il messaggio di Mercedes la quale era
fuori ad aspettarlo. Mentre scendeva le scale incrociò Rei che biascicò un
qualcosa di molto somigliante a un “buongiorno”.
Arrivò in
stradae, salendo sulla macchina, salutò
Mercedes con un bacio.
Il viaggio
fino a Soka durò un’ora e mezza e trovarono il teatro
dove si sarebbe svolta la manifestazione quasi subito.
Parcheggiarono
nel parcheggio vicino per poi recarsi nell’atrio del teatro.
Altri
ragazzi erano già arrivati e furono condotti verso la sala prove dell’edificio
che era a loro disposizione per quella giornata.
Durante la
serata di beneficenza era stata invitata Lauren per eseguire un medley di
quattro suoi famosi pezzi per arricchire il programma che altrimenti sarebbe
stato troppo pesante.
Per non
parlare della forte somma che a quanto pareva la cantante aveva donato a quella
causa dopo che era stata invitata.
Per tutta la
mattina impararono la coreografia senza Lauren che sarebbe arrivata per le
prove in teatro del pomeriggio: Monique la sostituì
ripetendo tutti i movimenti che avrebbe eseguito la cantante e che, a detta di Jermaine, le erano già stati insegnati.
All’ora di
pranzo furono liberi di andarsene e avrebbero avuto appuntamento quel
pomeriggio più sul tardi.
Se ne
andarono tutti a casa tranne Kei e Mercedes che fecero un giro per la piccola
città e mangiarono qualcosa in un bar.
Parlarono
del più e del meno, ma Kei non riuscì a sviare troppo il discorso da sé come la
sera prima: ormai sapeva ogni cosa che aveva fatto Mercedes da 21 anni a quella
parte.
-Certo che
quella casa sembra davvero enorme!-
-Quale
casa?- chiese Kei confuso dal repentino cambio di argomento della
conversazione.
-Quella dove
vivi tu! E’ molto caratteristica..-
-E’ un dojo
in effetti.. deve essere caratteristico-
-Simpatico..-
gli fece la linguaccia -..sono tuoi compagni di scuola quelli con cui stai?-
-Sì, ma
hanno un anno in meno di me..-
-Mica volevo
sapere se ce n’era qualcuno maggiorenne appetitoso quanto te!-
-Guarda che
io non ho detto niente.. hai detto tutto te-
-Per quanto
tempo rischio la prigione ancora?-
-Fino al 21
maggio..-
-Un mese e
mezzo eh? Si può fare! Non è che il nonno del tuo amico mi denuncia se ci vede
insieme vero?-
-Non
credo..- ripensò alla faccia saccente di Nonno J, sicuramente sospettava già
qualcosa, ma non sapeva se sarebbe stato capace di una cosa del genere -..per
sicurezza cerchiamo di non farci vedere da lui-
-Non sei
molto tranquillizzante, sai?-
Kei alzò gli
occhi al cielo, mentre passeggiavano per la via principale della cittadina.
Alzò la mano
che teneva intrecciata alla sua e le diede un piccolo bacio sul dorso.
-Tranquilla..
non ti lascerò andare in prigione- Mercedes scoppiò a ridere.
-E i tuoi
che direbbero se sapessero che una vecchietta come me fa il filo al loro
figlioletto..-
-Nemmeno di
questo ti devi preoccupare..- si decise a fare la chiarezza che si era astenuto
dal fare la sera prima per non rovinare l’atmosfera -..io non ce li ho i
genitori-
-Oh.. scusa
non lo sapevo..- Però l’aveva rovinata ora. Mercedes aveva messo su
un’espressione dispiaciuta e triste.
-Certo che
non lo sapevi, tranquilla.. non è un problema.. insomma vivo in un dojo
dall’aria sicurae protettiva- Riuscì
fortunatamente a farla ridere con le stesse parole che aveva usato lei la sera
prima.
Riuscì di
nuovo a cambiare discorso. Parlarono ancora di danza e del lavoro di quella
giornata.
La città era
tanto piccola che senza accorgersene si ritrovarono davanti al teatro.
Decisero di
entrare, anche se era presto, e si diressero verso la sala prova della mattina.
-Chissà
com’è il palco, non ero mai entrata in questo teatro! Spero vivamente che sia
abbastanza grosso!- cercò di spiare attraverso le pesanti tende, ma uno sguardo
di rimprovero di un uomo in nero la fece desistere dal tentativo.
-Io non sono
mai stato su un palco-
L’affermazione
che aveva sbattuto lì solo per non far cadere il silenzio non ebbe l’effetto
sperato; infatti Mercedes si fermò a fissarlo a bocca aperta.
L’improvviso
levarsi di una canzone dalla sala prove la fece rinsavire, ma non chiese
nessuna spiegazione evidentemente ancora troppo sconvolta dalla notizia per
parlare.
Quando
entrarono in silenzio nella stanza videro che ad accendere la musica era stato Jermaine.
Il primo
impulso di Kei fu quello di andare via prima di rimanere solo con lui, ma
qualcosa lo fermò.
Nessuno lo
stava costringendo a restare, solo non riusciva a non guardare l’uomo che, al
centro della sala, stava ballando.
Tutti gli
avevano detto quanto fosse bravo, ma lui non avendolo mai visto non sapeva che
rispondere. Aveva sì ballato le sue coreografie e gli erano anche piaciute, ma
era sempre stata Monique a dimostrarle e a
insegnarle, mentre Jermaine si limitava a correggere.
Invece, ora
che se lo ritrovava lì davanti a danzare su quella musica, non riusciva a
credere quanto fosse in totale armonia con quello che lo circondava.
Gli abiti larghi
e la sua muscolatura possente erano un valore aggiunto ai movimenti che
eseguiva con una naturalezza unica. Non aveva mai visto nessuno ballare così.
Si scordò di
tutto quello che aveva intorno solo per poter godere di quelle vibrazioni.
Quando, così
improvvisamente come aveva iniziato, Jermaine smise
di ballare, si riconciliò con il resto della sala.
-Ciao
ragazzi.. che ci fate già qui?-
-Siamo
rimasti qua a mangiare, ma in città non c’era molto da vedere..- era stata
Mercedes a prendere parola. Non sembrava così stupita quanto lui; in fondo lei
conosceva Jermaine da più tempo e sicuramente lo
aveva già visto ballare.
Sembravano
avere molta confidenza e il modo con cui l’uomo si rivolgeva a lei era
paragonabile a quello di un fratello maggiore; solo in quel momento si rese
conto di quanto il coreografo fosse grande, non nel senso grosso, nel senso
adulto. Il modo di parlare e i gesti erano quelli di un ventenne, ma doveva
averne almeno una trentina, se non di più.
-Stavo solo
approfittando della sala libera per portarmi avanti col lavoro!-
-Continua
pure, non ti preoccupare per noi, possiamo andare via..- Mercedes fece per
prendergli la mano e andare via con lui.
-No
restate.. figurati!-
Si sedettero
insieme per terra al centro della sala.
Iniziarono a
chiacchierare. Cioè Mercedes e Jermaine
chiacchieravano, Kei stava a ad ascoltarli in silenzio, con la solita espressione
indifferente leggermente attenuata.
-Prima mi
chiedevo come fosse il palco, volevo sbirciare, ma un tipo mi ha guardato
malissimo!-
L’uomo rise
prima di continuare –No, il palco è grande e molto bello.. Tra poco lo
vedrai..-
-Sì, ma che
pensavano che facessi.. gli dessi fuoco? Una sbirciatina, una sola.. ma vabbè..
piuttosto..- e si rivolse a sorpresa verso Kei che se ne stava buono buono -..che vuol dire che non sei mai stato su un palco?-
-Quello che
ho detto.. che non ci sono mai stato-
-Ma come.. non
ci hai mai ballato?!-
-No-
-Merci,
capita.. avrai fatto i saggi o quelle cose lì nei parterre!- si intromise Jay in difesa di Kei.
-No non ho
mai fatto saggi.. o quelle cose lì-
-Oh.. andavi
a lezione e non facevi i saggi?- Ora anche Jermaine
sembrava perplesso.
-In verità
non ho mai fatto lezioni vere e proprie.. intendo in scuole di danza.. l’unica
volta è stato tra il gennaio e febbraio scorso per due settimane-
Due paia
d’occhi lo guardavano sbarrati. Jermaine fu il primo
a reagire scoppiando a ridere.
-Mi stai
prendendo in giro vero?-
Kei lo
guardò con un’espressione molto convincente.
-E dove
avresti imparato a ballare scusa?-
-In strada..
ho iniziato con la break, poi una mia amica mi ha insegnato il resto nei
ritagli di tempo-
Ricordare
quel periodo gli faceva abbastanza male, ma cercò di rimanere concentrato sul
discorso.
Sentì
un’improvvisa voglia di fumare, ma resistette.
-Ora mi si
spiega perché sei così bravo con la break.. è strano che un breaker
si metti a danzare Hip Hop* però..-
Fece
spallucce non sapendo che rispondere.
-Posso
chiederti da quanto balli?-
-Più o meno
tre anni..-
Jermaine con grande sorpresa tirò fuori uno
dei suoi sorrisi enormi inspiegabilmente.
-Io l’ho
detto che tu sei un genio!-
Kei era
sempre convinto di essere sulla via della pazzia, ma ora che aveva conosciuto Jermaine si stava convincendo che in confronto lui poteva
considerarsi normalissimo. Che c’aveva da ridere ora?!
-Se in così
poco tempo e senza mai fare lezione seriamente sei così, non oso immaginare
appena inizierai a studiare seriamente che fai!-
-Ma io.. non
credo che questa cosa continuerà per molto..- Kei indicò la sala intorno a lui
per far capire quello che intendeva.
-Ragazzo..
tu sei nato per fare questo!- Anche Jermaine indicò
attorno per poi continuare -..ce l’hai dentro.. non puoi ignorare questa cosa!-
Non sapeva
che rispondere, rimase a scuotere impercettibilmente la testa senza aprire
bocca.
-Tu
appartieni alla danza anche se non lo vuoi ammettere, ormai non ne puoi più
fare a meno, ne sei pieno, c’è, ce n’è tanta e io la vedo!-
Non sapeva
come guardarlo, stava dicendo tante cose che non avevano molto senso. Oltre a
un perenne allegro era anche un visionario. Vedeva la danza dentro di lui. E
questo che cosa significava?
Come per
dargli la conferma che fosse pazzo, Jermaine si alzò
in piedi di scatto incitando Kei a fare lo stesso.
Mercedes
indietreggiò automaticamente verso la parete coperta dallo specchio senza
fiatare.
Kei si sentì
costretto ad assecondare quella pazzia generale e si alzò, ritrovandosi a
sovrastare in altezza il coreografo, il quale, però, si dileguò affianco allo
stereo e, altrettanto velocemente, tornò davanti al ragazzo aspettando che la
musica riempisse la stanza.
La canzone
era molto lenta, R’n’B, decisamente bella.
Jermaine iniziò a muoversi piano tenendo il
ritmo col movimento del corpo.
-E’ qualcosa
di automatico no? Parte la musica e senti il bisogno fisico di danzare.. forza..-
Si aspettava
che iniziasse a muoversi, ma Kei rimase fermo e immobile sul posto, senza
muovere un muscolo, per niente teso. In testa solo una sigaretta.
-Ok ok.. vediamo se riesco così.. chiudi gli occhi!-
Non aveva la
minima intenzione di fare quello che gli chiedeva e rimase esattamente come
pochi secondi prima, come se non avesse parlato. Voleva una sigaretta e basta.
-E’ solo per
farti capire.. – Lo guardò pregandolo silenziosamente di lasciargli provare.
Esasperato,
Kei chiuse gli occhi. L’immagine della sigaretta era ancora più chiara di
fronte a lui.
-Prova a
tralasciare ogni pensiero inutile, presta attenzione solo agli accenti
musicali, alla voce, alle vibrazioni della canzone, isola tutto il resto! La
senti?-
Kei sospirò,
sperando che se avesse fatto come gli diceva tutto sarebbe finito molto prima.
Sentiva
chiaramente ogni singolo battito della canzone, poteva scomporre ogni suono e
seguirne uno solo, era totalmente parte della canzone. La voce era una
componente in più di tutta la melodia, non era tanto il significato di una
parola, quanto la sensazione che emanava, la vibrazione che emetteva. Si
sentiva parte integrante della canzone.
-Ecco.. ci
sei.. ti senti parte della musica.. potresti suonare con lei.. l’unico mezzo che
hai per farlo è il tuo corpo.. questo è danzare..-
Era
totalmente preso dalla melodia, sì il suo corpo avrebbe potuto suonare con lei,
avrebbe potuto esserne parte. Sentiva il movimento, lo avvertiva nascere e
essere pronto a fuoriuscire.
Lo fermò.
Aprì gli occhi e fece in modo che la canzone gli scivolasse via dalle membra
lentamente, senza violenza. Capiva perfettamente quello che diceva Jermaine, ma non voleva danzare così, in quel momento. Era
un momento troppo intimo e intenso che non voleva lasciarlo andare via così, in
quel momento, in quel posto.
-Lo so che
c’era! Devi solo non aver paura di lasciarti trasportare, di farne parte
completamente.. So che ne sei capace, ti ho già visto farlo..-
L’uomo lo
guardò negli occhi, ma senza rancore per non aver visto quello che voleva.
-E’ questa
la differenza tra una persona che balla e un ballerino! Tutti possono imparare
una sequenza di passi, tutti.. ma solo quelli che li vivono quei passi possono
essere considerati danzatori!-
Si allontanò
di qualche passo da Kei.
-Posso
chiedere a tutti di camminare..- fece due passi in avanti, destra e
sinistra,-..di fare una wave..- e fece un’onda col
braccio -..di girarsi..- e girò sul posto -..ma il punto sta in come lo si fa!-
Ripetè la sequenza che aveva appena improvvisato,
ma diversamente da prima. Prima aveva semplicemente eseguito i passi che aveva
pronunciato, ora li stava danzando.
Kei si sentì
per la seconda volta lo sguardo incollato su quell’uomo. Per la seconda volta
avvertì perfettamente quello che gli voleva dire col corpo, sentì la musica che
emanava con i suoi movimenti. Sentiva tutto quello che gli aveva detto prima.
La sigaretta
era scomparsa dai suoi pensieri.
Jermaine smise di danzare e si rivolse
ancora a Kei.
-Avrai il
tempo di capirlo, se vorrai farlo.. ma sappi che dentro di te c’è questo e non
puoi ignorarlo, perché è un dono.. un dono magnifico che dovresti sfruttare!-
Gli aveva appoggiato una mano sul petto, ma subito l’aveva ritirata avvertendo
un tentennamento del russo.
Mercedes li
guardava sorridendo, come se avesse appena assistito a un bello spettacolo.
Non ci fu
più tempo per dire altro perché la porta si spalancò e fece il suo ingresso
Lauren Bright.
-Ciao..
spero di non avervi disturbato.. Jay, mi hanno detto
che ti avrei trovato qui!-
-Sei in
anticipo, comunque immagino tu ti ricordi di Mercedes..- la abbracciò e poi indicò
la ragazza che si stava alzando dal pavimento, le due si salutarono, - .. e
Kei, il ragazzo che ti ho fatto vedere ieri all’audizione..- e indicò Kei che
strinse la mano che la cantante gli aveva allungato.
-Come
dimenticarlo, sei davvero bravo!-
Kei non
sapeva che rispondere e quando il grazie gli stava per sfiorare le corde vocali
altre persone entrarono nella stanza.
Era arrivata
l’ora di completare la prova. Salirono sul palcoscenico per provare e non ci
furono grossi problemi.
Gli
consegnarono i costumi e, prima di entrare in scena, ebbero il tempo di andare
a fumare.
Kei si
accese finalmente la sigaretta che tanto aveva agognato e automaticamente ripensò
a quello che gli aveva detto Jermaine nel pomeriggio.
Era tutto
vero, quello che sentiva. Era esattamente come l’aveva descritto lui. Ma non
credeva che quello fosse davvero ciò che fosse destinato a fare. Non credeva
che ballare potesse diventare il suo lavoro. L’idea non l’aveva mai sfiorato e
la concreta possibilità che questo potesse accadere lo spaventava.
Cercò di
reprimere questi pensieri per tutto lo spettacolo, cercando di fare solo quello
per cui era stato chiamato: il problema era che non voleva pensare al ballo, ma
doveva ballare.
Riuscì a
combinare queste sensazioni controverse e a finire il medley perfettamente.
-Allora come
è stato?-
Era seduto
sul sedile del passeggero nella macchina di Mercedes, già di ritorno verso
casa.
-Che cosa?-
-La tua
prima volta su un palco!-
La prima
parte del viaggio era stata silenziosa, ma ora la ragazza si era rivolta a Kei
con quel sorriso irresistibile.
-Normale-
ripresentò la risposta che ripeteva a ogni nuova esperienza, come a
minimizzarla.
-E..-
-E basta..-
-Uffa..
speravo in qualche dettaglio maggiore-
Kei la
scrutò scettico.
-Hai
ragione.. mi ero scordata che stavo parlando col polaretto
silenzioso!- trattenne a stento una risata.
-Faresti
meglio a ricordartelo la prossima volta- aggiunse Kei con aria solenne.
-Cosa vuoi
fare ora?-
-Pensavo
volessi andare a casa..-
-Beh è
tardi, ormai siamo svegli, magari non ti andava di andare a casa!-
In effetti
non aveva sonno e non aveva nemmeno troppa voglia di tornare da Takao e dagli
altri.
Tutto quel
parlare di danza gli aveva spazzato via ogni altro pensiero; anche l’adrenalina
del palcoscenico, qualcosa che non provava da tanto, lo aveva leggermente
scombussolato.
L’ultima
volta che si ricordava di aver provato un’emozione del genere avrebbe potuto
risalire a quando si faceva. E la cosa contribuiva a non voler vedere i suoi
amici.
-Se vuoi
possiamo fare come l’altra volta!- Mercedes lo richiamò dai suoi pensieri.
-Ti avevo
promesso un posto più comodo dei sedili di una macchina-
-Se vuoi
possiamo andare a casa mia.. ormai le mie coinquiline staranno dormendo!-
Detto fatto.
Si erano ritrovati nell’appartamento di Mercedes a seminare vestiti per la
casa; dopo che la prima maglietta toccò il suolo per fortuna si ricordarono di
non essere in casa da soli e, se anche con dispiacere, Kei si staccò un secondo
per raccogliere l’indumento da terra.
Resistettero
fino a che non entrarono nella camera di Mercedes e, una volta chiusa la porta,
ritrassero ogni freno inibitore.
Il letto era
sicuramente molto più comodo del sedile posteriore della macchina e la
sensazione lasciata era certamente più positiva.
Rimasero
come la sera prima abbracciati in silenzio.
Mercedes
iniziò a canticchiare una canzoncina con un testo alquanto stupido, ma la sua
voce era comunque fresca e cristallina.
-Ti devo
riaccompagnare a casa?-
-No ormai è
tardi.. non ti dispiace se resto qui vero?-
-Che
domande..- Si accoccolò felice della notizia sul suo petto e chiuse gli occhi.
Il suo respiro regolare la cullò.
-Se accendo
una sigaretta ti do fastidio?-
-No.. il posacenere
è sul comodino..- la voce già impastata dal sonno di lei lo fece sorridere.
Si accese la
sigaretta e sentì il peso di Mercedes sul suo petto, segno che si era
addormentata.
Le prese ad
accarezzare i capelli mentre aspirava il fumo.
Quel
silenzio e quella pace erano una vera goduria dopo tutto il frastuono di quella
giornata.
Frastuono di
suoni, voci, ma anche di pensieri.
Aveva troppi
pensieri per la testa per addormentarsi facilmente. Spense la sigaretta
cercando di non svegliare la ragazza. Sembrava avesse già iniziato a sognare,
perché iniziò a muoversi e a muovere le labbra come per parlare.
Per Kei fu
più difficile lasciare da parte tutto quel traffico di pensieri controversi
nella sua testa.
Gli sembrò
di essere tornato a quelle lunghe e interminabili notti insonni mentre si stava
disintossicando. Per fortuna la situazione era decisamente migliorata. Non
stava lottando col desiderio di procurarsi una dose e nemmeno con brutti
ricordi della sua infanzia, in più una bellissima ragazza dormiva vicino a lui.
Sì, la
situazione era decisamente migliorata. Poteva dormire tranquillo.
Credo che questo sia ufficialmente il capitolo più
lungo fino ad ora u.u o comunque se la gioca con
pochi altri! Allora.. questo viaggio di Kei nel mondo danzereccio si
approfondisce sempre di più! Nuovamente mi scuso per qualsiasi cosa
incomprensibile e vi chiedo, in tal caso di segnalarmela :O in questo capitolo
ci sono delle cose un po’ difficili da comprendere se non si è totalmente
presi.. me ne rendo conto guardando le persone che si approcciano per la prima
colta alla danza rimanere perplesse a questo tipo di discorsi.. la via più
semplice credo sia adattare a se stessi queste sensazioni, alle proprie
passioni.. sostituirle alla danza.
Ok, la smetto di blaterare.. non vi voglio sminuire
sia chiaro, mi piacerebbe solo che possano capire tutti ^^
Intanto ora mi fate sapere.. di nuovo questo fa parte
degli scritti della giovinezza e l’ho cambiato un bel po’ strutturalmente
(ovviamente non di contenuto), ma c’è ancora quel sapore di antico xD
Vabbè.. alla prossima settimana!
Grazie a tutti e.. come dicono qui in terra
britannica.. cheers!
Un bacione :)
*Non so se l’avevo già spiegato, nel caso saltate pure
queste righe: nonostante si tenda ad associarli, il breakin
e l’hip hop sono due cose diverse, la prima è principalmente a terra, mentre il
secondo in piedi, anche se abbiamo ormai delle contaminazioni, chi fa una cosa
di solito non fa l’altra e viceversa..o comunque si
finisce per specializzarsi in solo una cosa nonostante si abbiano nozioni di
entrambe! Come solitamente non si abbina danza classica a quella moderna, lo
stesso vale per hip hop e breakin (che poi ci sarebbe
tutta una disquisizione sull’hip hop che detto così si generalizza troppo, ma
ve la risparmio XD)
Fece mille
sogni, ma di questi non se ne ricordava nemmeno metà.
Quando si
risvegliò, i raggi del sole facevano capolino dalle imposte chiuse della
finestra e un cellulare vibrava sul comodino: impiegò un po’ per riconoscere
quel cellulare come suo e altrettanto tempo per ricordarsi che, se suonava, era
perché qualcuno lo stava chiamando e si aspettava che avrebbe risposto.
Fece più
casino di quanto previsto, facendo cadere anche il pacchetto di sigarette: come
ci era finita tutta quella roba sua sul comodino?
-Pronto?- Si
accorse di quanto la sua voce fosse assonnata, tanto che non la riconobbe quasi
come sua.
-Kei?! Ma
dove sei? Cosa stai facendo?-
Non riusciva
a riconoscere quella voce.
-Stavo
dormendo..-
-Questo
l’avevo intuito!-
Che glielo
chiedeva a fare se l’aveva intuito. Gli sfuggiva qualche dettaglio.
-Potevi
almeno avvertire che non venivi a casa a dormire..-
Rei. Era
Rei. Ecco.. gli sembrava.
-Sì scusa,
volevo tornare a casa, ma era tardi e mi sono addormentato-
-Per che ora
pensi di tornare?-
-Non so..
che ore sono?-
-Kei non sai
nemmeno..-
-Sai se
stavo dormendo..-
-Sono le 11
e mezza!-
-Boh..-
sinceramente non sapeva nemmeno in che quartiere fosse, non aveva fatto
attenzione alla strada, e anche se avesse fatto attenzione non conosceva quelle
zone - ..nel pomeriggio?-
-Se non lo
sai tu! Allora non vieni per pranzo?-
-Non credo
di riuscirci.. ci vediamo oggi.. ciao-
Non gli
diede nemmeno il tempo di rispondere al saluto che buttò giù e si lasciò
ricadere a capofitto sul cuscino. Odiava dover pensare così tanto appena
sveglio.
Solo dopo un
bel po’ si accorse che nel frattempo Mercedes si era svegliata e lo fissava
divertita.
-Che c’è?
Mai visto una ragazzo appena sveglio non connettere?-
-Sì, ma tu
sei buffissimo!-
-Vabbè..
buonanotte-
Richiuse gli
occhi sperando che quello fosse solo un brutto sogno e di stare ancora
dormendo, ma li riaprì quasi subito dopo aver sentito delle labbra sfiorare
dolcemente le sue.
-Non puoi
rimetterti a dormire!-
-E chi lo
dice?-
-Lo dico
io!-
Fece come
per pensarci su, per poi annuire e ricominciare a baciarla.
Mercedes
andò a carponi su di lui, senza staccare per un attimo il contatto delle loro
labbra.
Essendo
ancora nudi dalla sera prima, ci misero poco a eliminare la distanza totale tra
di loro e unirsi per la terza volta nel giro di due giorni.
-Ecco..
tutte le sveglie dovrebbero essere così, altro che cellulari che squillano-
Mercedes
rise e concordò con il compagno dandogli un altro eterno bacio.
Ad
interromperli fu il rumore di qualcuno che bussava decisamente forte alla porta
e dopo la voce di una ragazza che urlava: -Voi due la volete smettere? Non
siete da soli!-
-Taci Missy!- Mercedes rise dopo aver urlato alla sua
coinquilina.
-Forse dovremmo
alzarci-
-No, ma non
eri tu quello che voleva dormire?-
-Diciamo che
mi hai dato un motivo per restare sveglio-
Si alzarono
e si rivestirono per comparire nell’altra stanza della casa dove due ragazze si
aggiravano indisturbate.
-Ragazze lui
è Kei.. Kei loro sono Missy, la rompipalle della
porta, e Caridee, quella che non rompe le palle con
la porta-
-Piacere-
-Il piacere
è nostro- la ragazza che li aveva rimproverati lo stava guardando piena di
malizia con l’aria di una pronta a strusciarsi su di lui.
Per fortuna
le altre cominciarono a ridere e lei tornò alle sue occupazioni; sembrava
essere un comportamento abituale.
Non rimasero
molto nella casa che, nonostante fosse molto carina e accogliente, era troppo
piccola per contenerli tutti e quattro: pranzarono insieme e poi Mercedes
accompagnò Kei a casa.
La giornata,
iniziata con la migliore compagnia, però, si riserbò meno piacevole non appena il
ragazzo varcò la porta di casa: Rei lo sgridò per non aver avvertito che non
sarebbe tornato e lo stesso fece Nonno J a cena, anche se con toni meno forti e
duri.
L’uomo anzi
gli parlò con aria serena e tono calmo, come se stesse progettando una
scampagnata domenicale; gli consigliò semplicemente di avvertire prima per non
farli preoccupare; se a Rei non aveva dato segno di aver ascoltato, a Nonno J rivolse
le sue scuse e lo rassicurò sul fatto che non sarebbe accaduto mai più.
In serata
decise anche di riferire la proposta che gli aveva fatto Yuri qualche giorno
prima e questo contribuì a rovinare il morale dei presenti.
Non capiva
perché ci fossero rimasti così male, in fondo casa sua era in Russia, la sua famiglia
erano Yuri e gli altri ed era normale che avrebbe espresso il desiderio di
tornarci.
Solo quando
tranquillizzò Takao che sarebbe stato solo per l’estate e non definitivamente
riuscì a strappargli un sorriso: non poteva credere che avrebbe dovuto mai fare
una cosa del genere, eppure vedere il viso serio e tirato di Takao lo aveva
fatto preoccupare.
Per quanto
odiasse quando sorrideva, odiava ancora di più quando era triste.
I giorni
successivi furono assolutamente ordinari: andava a scuola e ogni tanto usciva
con Mercedes.
Il mercoledì
lei aveva insistito per andare a prenderlo a scuola perché, come diceva lei,
voleva vedere il suo polaretto in divisa scolastica.
-Se proprio
devo essere arrestata almeno che tu abbia l’aspetto di un minorenne!- Aveva
commentato appena lo aveva visto, nonostante sembrasse comunque molto più
grande anche con indosso l’uniforme.
In
quell’occasione l’aveva anche presentata agli altri: persino Hilary le aveva
stretto la mano anche se si notava la presenza di un forte imbarazzo.
-Sei stato
con lei?- Gli chiese Mercedes quando furono in macchina da soli.
-Sì-
Lei lo
guardò sarcastica.
-Guarda che
posso stare anche con persone più vicine alla mia età-
-Assolutamente!
E’ solo che.. sei davvero troppo carino con la divisa!-
Ulteriore
episodio che non contribuì certamente a rendergli la vita di quei giorni facile
fu l’uscita ufficiale del video.
La premiere
era stata trasmessa a metà aprile e Kei era stato inquadrato più del dovuto.
Per i
corridoi molti lo fermavano per fargli i complimenti, soprattutto le ragazze,
mentre i maschi lo fulminavano con gli occhi ogni volta che passava.
-Almeno loro
stanno zitti- commentò a Rei che invece era molto spaventato da quegli sguardi.
Si prese
anche una pausa dalla danza: dalla serata di beneficenza aveva pensato qualche
volta al discorso di Jermaine, ma ogni volta gli era
venuto il mal di testa a pensare a ciò che voleva fare del suo futuro e aveva
deciso che avrebbe lasciato scorrere gli eventi, e gli eventi in quel periodo
non avevano in programma la danza.
Aprile
lasciò poi finalmente spazio a maggio e un caldo devastante si abbatté su tutto
il Giappone.
Quello che
Kei temeva e che voleva assolutamente evitare era il caldo che ogni giorno era
sempre più insopportabile, ma per fortuna i segni sulle sue braccia,
dall’inizio della primavera, erano meno netti e sembravano solo degli strani
nei. In ogni caso nessuno gli aveva fatto domande e questo era l’importante.
Chi invece
iniziava a fare troppe domande era proprio Mercedes; la loro storia era durata
anche fin troppo considerando le basi del loro rapporto. Non si stupì più di
tanto se lei iniziò a non farsi più sentire, anzi fu solo un sollievo per i
suoi nervi tesi.
Col caldo
erano inevitabilmente aumentate anche le sigarette e la quantità di studio.
Alla fine il
famoso compito di storia era andato abbastanza bene: era riuscito a prendere la
sufficienza quindi non avrebbe più toccato un libro di quella materia per molto
tempo.
Riguardo
alle altre lezioni, invece, come al solito non risultavano troppo impegnative
e, considerando che a lui andava più che bene il 6, l’importante era essere
promossi, non si dette troppo da fare.
Ciò che,
però, gli fece venire i nervi a fior di pelle più del resto fu il suo
compleanno: il suo diciottesimo compleanno.
Finalmente
era maggiorenne, ma con questo, oltre ai vantaggi, sarebbero arrivate anche le
grane: l’eredità di suo nonno sarebbe passata interamente a lui e non sapeva
assolutamente che farsene.
Il 21 maggio
quell’anno cadeva di mercoledì e la giornata si preannunciava uguale alle
altre.
L’unica
differenza fu la ripetitività con cui sentiva la frase: -Auguri, buon
compleanno!-
Il primo a
farglieli fu Nonno J seguito a ruota da Rei e Max, per finire con Takao che,
nonostante fosse da giorni che fremeva dall’emozione (nemmeno fosse stato il
suo compleanno!), quella mattina se ne era dimenticato. Solo una volta arrivati
a scuola il suo cervello glielo ricordò e cercò di rimediare troppo
spassionatamente.
-Kei,
stasera vuoi invitare qualcuno a cena per festeggiare?- gli chiese Rei che, non
avendo avuto il permesso di organizzare una festa in grande stile, si era
accontentato di poter preparare una cenetta speciale per tutti loro, compresa
di torta.
-No,
nessuno..-
-E quella
ragazza? Quella.. col nome della macchina!- aggiunse Max speranzoso.
-Non ci
sentiamo più..-
-Ma come..-
Max era più deluso del previsto.
-E tutto il
vostro grande amore?- si intromise Takao.
-Non ho mai
detto che fosse amore-
L’argomento
fu lasciato cadere senza troppe spiegazioni. Takao non riusciva proprio a
spiegarsi perché Kei in quanto a ragazze fosse così strano, mai una volta che
se ne trovasse una fissa. Paradossalmente la sua storia più lunga era stata
quella con Hilary: sì la sua amica era carina, ma in confronto alle altre con
cui era uscito il russo sfigurava abbastanza.
Fu proprio
Hilary la quinta persona a fargli gli auguri quella mattina e fu lei l’unica
persona, esterna agli abitanti del dojo, ad essere stata invitata a cena.
Il loro
rapporto era davvero strano: si parlavano e potevano stare tutti e due nella
stessa stanza andando d’accordo, a condizione che non rimanessero soli.
Chissà come,
quasi tutta la scuola venne a scoprire che quella era la data del suo
compleanno e Kei si vide rivolgere gli auguri da persone che non aveva nemmeno
mai visto.
All’ora di
pranzo fu Yuri a chiamarlo per sapere come si sentisse da maggiorenne.
Gli chiese
anche informazioni su quello che avrebbe fatto con l’eredità del nonno, ma non
ottenne risposte chiare; anche Dana lo chiamò per urlargli nell’orecchio la
canzoncina russa di buon compleanno e, soprattutto, per dirgli che finalmente
aveva trovato il famoso video musicale e che era fiera del suo piccolo Kei.
Non appena
arrivato a casa nel pomeriggio, però, non trovò riposo e solitudine, ma bensì
altre cose a cui pensare. Nonno J, infatti, aveva programmato un incontro con
l’avvocato e il consulente finanziario che si occupava dell’eredità di Kei.
Si
ritrovarono tutti e quattro in salotto, mentre Rei e gli altri erano stati
esiliati in cucina a preparare la cena.
I punti che
dovevano assolutamente chiarire erano molti: intanto, tutti i debiti che aveva
contratto Hiwatari senior erano stati saldati senza
problemi ( il vecchio aveva i soldi per pagarli, ma non aveva mai avuto
intenzione di farlo) e, nonostante ne erano stati rilevati un grande numero,
rimaneva ancora un’eredità spasmodica.
-Questo è
tutto ciò che possiedi ora come ora, fino a ieri non potevi modificare in alcun
modo il tuo patrimonio, ma ora hai la possibilità di vendere o comprare
qualsiasi cosa- detto questo l’avvocato estrasse dalla valigetta un plico di
fogli molto spesso, che Kei aveva già visto anni prima, ma che non aveva mai consultato.
Solo a
vederlo gli venne la nausea pensando a quante cose fossero appartenute alla sua
famiglia.
-Intanto c’è
l’impresa di famiglia, finora è stata gestita da un ente privato, puoi decidere
di tenerla oppure puoi venderla interamente..-
-Non voglio
averci niente a che fare- lo interruppe Kei senza mezzi termini.
-Quindi la
tua posizione non è cambiata, il denaro che ricaverai dalla vendita
dell’impresa si aggiungerà..-
-Non voglio
venderla, regalatela a questi qui, non voglio altri soldi- li fermò di nuovo il
ragazzo, finendo sotto l’assedio di occhiate incredule.
-Lascia che
ti dia un consiglio..- iniziò il consulente che era stato zitto fino a quel
momento -..se dovessi lasciare così, senza nessun tornaconto, la ditta
potrebbero pensare che tu sia vittima di ricatto o cose del genere; potrebbero
essere avviate indagini che porterebbero solo grane e..-
-Sì va bene
come volete, non mi importa..- Non erano ancora passati dieci minuti e già
voleva scappare. A quanto pareva non esisteva nessun modo per diminuire
l’ingente somma della sua eredità, ma solo di aumentarla.
-Allora
questo è deciso, ce ne occuperemo noi; dovrai solo firmare qualche scartoffia,
ma niente di più..- una grande parte del plico fu messa da parte -..il prossimo
punto sono le proprietà immobiliari..- ed estrasse un'altra pila di fogli -..questa
è la lista completa. Ci sono ville, condomini, case di ogni genere-
Che se ne
faceva di tutte quelle proprietà suo nonno? Chissà quante povere famiglie aveva
sfruttato.
-Non voglio
nemmeno queste tranne.. tranne la casa a Mosca dove stanno Yuri e gli altri..
tutte le altre non le voglio-
-Ti avverto
che sarà difficile vendere alcune di queste proprietà, c’è abbastanza crisi nel
settore immobiliare, e non so quanto velocemente potremmo farlo, potrebbero
volerci anni-
-Poi non
dimentichiamoci che alcuni condomini sono affittati,- aggiunse l’altro uomo
-dovremmo sfrattare qualcuno e..-
La testa
iniziava ad essere satura di informazioni, termini finanziari, problemi con
persone e cose.
Si chiese perché
dovesse essere capitato a lui quando al mondo c’era tanta gente che avrebbe
voluto la sua fortuna. Per fortuna Nonno J lo aiutò a trovare una soluzione a
ogni cosa.
Avrebbero
iniziato col vendere le proprietà più grandi cioè le ville (ne possedeva
davvero troppe e in più della metà di queste non aveva mai messo piede), poi
sarebbero passati piano piano a quelle più modeste cercando di non creare
troppi danni alle persone che ci vivevano: non voleva causare problemi a delle
povere famiglie che già, avendo avuto suo nonno come padrone di casa, dovevano
aver passato non poche seccature.
Con tutte
quello che c’era da vendere, come se non bastasse, il suo patrimonio si sarebbe
ingrossato a dismisura e lui, come già da anni ripeteva, non ne voleva sapere.
Gli balenò
in testa addirittura la malsana idea di buttare banconote giù da un elicottero
sulla città che si trasformò nella più concreta possibilità di dare tutto in
beneficenza.
Nonno J lo
convinse anche a tenersi una discreta somma per contribuire alle spese
scolastiche e della casa, anche se la somma che accordarono era abbastanza per
garantirgli una vita da mantenuto per i dieci anni a venire.
Kei non fece
molte storie e alla fine non protestò più per nulla pur di finire il prima
possibile quell’incontro così spiacevole e stressante.
Salutò
educatamente i due uomini in giacca e cravatta e scappò immediatamente a
fumarsi tre sigarette prima di sedersi a tavola con gli altri.
Hilary era
arrivata per dare una mano a cucinare anche se Rei aveva tenuto tutti alla
larga dal suo piano di lavoro: aveva davvero fatto le cose in grande, ma, per
la prima volta, Kei non se ne lamentò.
La parte
migliore fu sicuramente la torta, la quale aveva un aspetto e un gusto
delizioso; fu tanto di successo che non ne rimase nemmeno una fetta,
soprattutto grazie allo stomaco di ferro di Takao.
Dopo cena si
riunirono in salotto, dove due regali erano stati disposta sul tavolino.
-Non
dovevate- disse Kei guardando preoccupato i pacchetti; si era dimenticato
totalmente dell’usanza di ricevere regali per i compleanni, complice del fatto
che gli altri erano riusciti a tenerglieli nascosti fino a quel momento senza
menzionarli.
-E’ stata
dura tenere zitto Takao, ma ne è valsa la pena!- ammise allegro Max notando
l’espressione dell’amico.
Iniziò a
scartarli con calma.
Il primo e
più grosso era da parte di Yuri, Boris, Sergay e Dana: a quanto pareva,
l’avevano spedito qualche giorno prima e conteneva una nuova felpa, sicuramente
scelta dalla ragazza. Nel biglietto la scrittura di Yuri recitava: Sono sicuro che stai continuando a usare
quell’altra. Sarebbe l’ora che cambiassi un po’! In effetti aveva ragione,
anche se sapeva che per almeno qualche mese non l’avrebbe usata considerando il
caldo assurdo: magari se fosse riuscito ad andare in Russia l’avrebbe
inaugurata lì.
Il secondo
pacchetto era invece molto più piccolo e quadrato ed era da parte di Takao,
Rei, Max, Hilary e Nonno J: conteneva un nuovo i-pod.
Certamente il suo ormai non reggeva più e quello sarebbe stato molto utile.
Li ringraziò
un po’ stranito da quell’atmosfera così familiare e zuccherosa.. che non gli
dispiaceva.
Accesero la
televisione e rimasero a ridere e scherzare fino a tardi.
Mandò un
messaggio di ringraziamento a Yuri e a Dana e ricevette ancora gli ultimi
auguri da alcune delle ragazze che aveva conosciuto durante l’anno. Si accorse
solo in quel momento di aver conosciuto praticamente solo ragazze, ma la cosa non
lo sconvolse più di tanto.
Ciò che lo
interdette fu, invece, il ricevere una chiamata da un numero sconosciuto.
Pensando che
potesse essere qualcuna di cui non aveva salvato il contatto in rubrica, rispose.
-Pronto?-
-Pronto
Kei?!-
Non
riconosceva quella voce. Cercò di sforzarsi, ma il rumore del traffico
dall’altra parte lo distraeva.
-Sì sono
io.. chi parla?-
-Sono Jermaine!-
No, non era
possibile, ora che la giornata aveva preso una piega positiva non poteva
tornare a perseguitarlo. Uscì dal frastuono del salotto per capire quello che gli
volesse dire: non sapeva se ci fosse più casino dalla sua o dall’altra parte.
-Come hai fatto
ad avere il mio numero?-
-Dalla tua
scheda del provino..-
Lo sapeva
che gli si sarebbe ritorta contro quella malsana abitudine di compilare moduli.
-Ma non è
illegale?- chiese visto che dopo l’incontro di quel pomeriggio aveva un ben
ampia visione della legalità.
-Dai, l’ho
preso solo per farti gli auguri! Eheh..a proposito..
Buon Compleanno!-
-E come hai
fatto a sapere che oggi era il mio compleanno?- chiese retoricamente
visualizzando lo spazio apposito dei moduli nel quale segnare quel particolare.
-Dettagli..
allora.. finalmente sei maggiorenne, eh?!-
-Già- fece
cadere il discorso esasperato, con quell’uomo non si poteva intrattenere un
discorso serio.
-Bene quindi
ora il mio ballerino preferito potrà lavorare liberamente!-
-No, ti
sbagli e.. e poi non sono il tuo.. ballerino-
-Tu non sai
di esserlo!-
-Ma io non
voglio..-
-Tu non sai
di volerlo!-
Lo sentì
ridacchiare: che persona irritante.
-Se non
volevi dirmi altro-
-Buon compleanno
era la cosa principale! E poi speravo che mi concedessi un po’ del tuo tempo
solo per fare una chiacchierata!-
-Si vedrà-
-Lo prendo
come un sì! Buonanotte e ancora auguri!-
-Sì grazie-
Kei buttò
giù.
Quella
giornata si stava rivelando troppo lunga per i suoi gusti. Davvero troppo
lunga.
Il giorno
del suo compleanno era passato e Kei pensava che da lì in poi tutto si sarebbe
aggiustato, lentamente, ma si sarebbe aggiustato.
Invece
sembrava solo l’inizio di un odissea senza fine.
Aveva dovuto
lasciare il suo numero di telefono al suo avvocato che lo chiamava per ogni
minima cosa.
Non poteva
scegliere lui? Intanto la sua linea di pensiero l’aveva capita, si diceva
speranzoso il ragazzo, ma era l’unico a pensarla così.
L’avvocato
non osava fare nulla senza in suo consenso intimorito dalle tante accuse che
gli avrebbe potuto rivolgere se avesse fatto qualcosa di male.
Come poteva
quell’uomo essere avvocato se aveva così tanta paura della legge?!
Era talmente
ossessivo che lo chiamava anche durante l’orario scolastico e Kei stesso si
stupì di preferire seguire la lezione di storia piuttosto che rispondere al
telefono.
Dopo una
settimana la situazione parve finalmente migliorare e fu consultato molto meno.
Tutta la sua
vita sembrava prendere nuovamente una via positiva: per prima cosa la scuola
era agli sgoccioli, solo pochi giorni e sarebbe finita per dare il benvenuto a
tre lunghi mesi di pausa. Seconda cosa, avevano deciso ufficialmente che il 2
luglio Kei avrebbe preso un aereo alla volta di Mosca dove avrebbe soggiornato
per almeno un mese.
Si rivide
anche qualche giorno con Mizuki: si doveva scusare
per averla trascurata in quei mesi e soprattutto doveva ringraziare lei e Ryo per averlo spinto a presentarsi al provino a febbraio.
Erano già
passati quattro mesi da quel giorno eppure gli sembravano essere trascorse solo
poche settimane.
A metà
giugno la scuola era già finita, ma non ne sentiva assolutamente la mancanza: finalmente
aveva delle giornate intere libere, senza preoccupazioni e senza obblighi.
La sua
pagella si era rivelata meno catastrofica di quanto pensasse: era sufficiente
in tutte le materie con dei picchi in matematica ed educazione fisica. L’unico
demerito erano le tante assenze che aveva fatto durante la seconda parte dell’anno,
ma l’essere promosso lo rendeva più che soddisfatto.
Takao mostrò
la sua completa disapprovazione nel vedere quanto la pagella di Kei fosse
migliore della sua nonostante fosse stato sui libri un terzo del tempo che
c’era stato lui.
Rei e Max
invece non si potevano lamentare, mentre Hilary, ovviamente, si era dimostrata
la migliore della classe, tranne in matematica.
Ma anche
giugno passò più velocemente del previsto e Kei si ritrovò catapultato senza
nemmeno accorgersene a quattro giorni dalla partenza: aveva già preparato
tutto, doveva solo aspettare di mettere tutto in valigia e di partire.
Era una
mattina assolata e calda, l’estate aveva colpito violentemente il Giappone, che
non vedeva una nuvola e una goccia di pioggia da settimane.
Kei avrebbe
dato qualsiasi cosa per trovare un diversivo utile per la noia o in alternativa
una cella frigorifera in cui rifugiarsi.
Automaticamente
pensò alle fresche giornate che lo aspettavano in Russia: si sentiva meglio
solo che a ricordare la sua città ricoperta di neve. Sicuramente quando sarebbe
atterrato non avrebbe visto la neve, ma si accontentava assolutamente della
decina di gradi in meno che avevano previsto sul meteo di internet.
Era l’ora di
punta ed era rimasto da solo in casa con Max che era occupato a leggere uno dei
suoi fumetti in soggiorno, la stanza della casa più fresca; Rei e Takao invece
erano usciti a fare la spesa.
Rei, che
soffriva a tal punto della mancanza di attività e occupazioni durante il giorno,
aveva deciso di preparare ogni giorno un pranzetto speciale seguendo diversi
temi e Takao si era dimostrato sempre molto disponibile ad aiutarlo, più per
controllare che non gli passasse la voglia, che per il piacere di dargli una
mano.
Sarebbero comunque
stati presto di ritorno, anche se prima di poter mangiare avrebbero dovuto
aspettare ancora un po’.
Kei, perso
momentaneamente il suo interesse verso le sigarette (non voleva finire il
pacchetto e rischiare di rimanere senza), si ero messo ad ascoltare la musica
dall’i pod che gli avevano regalato al suo
compleanno.
Ci mise
qualche secondo di troppo ad accorgersi del cellulare che squillava, in verità
glielo fece notare Max poiché il volume della musica era troppo alto per poter
sentire la suoneria.
Il numero
era privato e rispose esasperato passando a rassegna tutte le possibili cose
che gli avrebbe potuto chiedere quell’avvocato da strapazzo.
-Pronto- la
sua voce suonò più svogliata di quanto volesse far trasparire.
-Non un
saluto troppo caloroso, mi raccomando!-
Capì subito
che non si trattava dell’avvocato e, purtroppo, individuò presto anche il
proprietario della voce.
-Che cosa
vuoi?-
-Quanto
amore nell’aria!- Gli sembrò che Jermaine sorridesse
– Comunque volevo chiederti se eri a casa!-
-Ehm sì..-
-Perfetto..
ti va di pranzare con me?-
-Ehm no..-
-Dai solo
per parlare un po’-
Ci pensò su
anche se non aveva voglia di vedere quell’uomo con la parlantina: ora lo
sopportava un po’ di più, ma aveva più che altro paura di quello che gli
avrebbe detto, le sue parole si dimostravano sempre troppo veritiere per essere
pronunciate da una persona che conosceva a malapena.
Allo stesso
tempo non aveva voglia di stare fermo in quel salotto a subire passivamente il
caldo, magari sarebbe riuscito a mettere in chiaro una volta per tutte la sua
posizione, anche se non sapeva quale fosse, e lo avrebbe avvertito di non chiamarlo
più nel mese successivo poiché sarebbe stato in un altro continente.
-Va bene..-
-Preparati,
dieci minuti e sono lì!-
-Ma sai dove
abito?-
-Sì, ho
preso l’indirizzo col tuo numero di telefono, a tra poco-
Questa volta
fu Kei a sentirsi buttare giù il telefono prima di poter replicare.
Si pentì
quasi subito della decisione che presa: in fondo quelle cose gliele avrebbe
potute dire anche al telefono senza il bisogno di vedersi.
Ma ormai il
danno era fatto e si andò a cambiare chiedendo a Max di avvertire Rei che non
avrebbe potuto assaggiare il suo piatto del giorno.
Stava
varcando il portone di legno quando gli venne in mente che se Jermaine ci avesse messo davvero solo dieci minuti voleva
dire che era già in viaggio da un po’, di conseguenza era certo che avrebbe
acconsentito.
Non ebbe il
tempo di decidere se arrabbiarsi per quello o meno che una macchina tirata a
lucido gli si fermò davanti. Era una Mercedes rossa, molto appariscente e che
era perfetta per il megalomane che la guidava.
-Dai sali!-
Ormai si
trovava in quella situazione e così salì senza fare troppe storie.
Jermaine era vestito come al solito con i
suoi vestiti larghi e portava un paio di occhiali da sole, sicuramente firmati,
per cui valutò che l’uomo dovesse avere tanti soldi.
Guidava
molto velocemente, con i finestrini abbassati e la musica forte, comunque bella
musica.
Non si
scambiarono molte parole, più che altro Jermaine
intraprese un lungo monologo sulla canzone che stavano ascoltando, l’artista
che la cantava e come avrebbe visto una coreografia su quel pezzo.
Si
interruppe solo quando posteggiò nella periferia di Tokio, in un quartiere apparentemente
di classe: nella strada dove si trovavano si vedevano solo grossi palazzi
moderni, negozi di marche rinomate e locali alla moda.
Entrarono in
un palazzo che Kei scambiò per un semplice condominio, ma che si rivelò un
edificio pieno di uffici, negozi e, all’ultimo piano, un locale.
Era molto
raffinato come posto e a prima vista non risultava molto nelle corde di Jermaine nonostante lui sembrasse molto a suo agio in quel
posto. La cameriera li accompagnò a un tavolino sulla terrazza, per fortuna
protetti dal sole da un tendone bianco.
Ordinarono,
ma la conversazione non sembrava prendere una piega definita.
-Di cosa
volevi parlarmi?- chiese Kei spazientito.
-Dovevo
chiederti due cose in particolare, ma speravo anche di poter scambiare quattro
chiacchiere con te tranquillamente..-
Kei si
dovette adeguare a quello che gli aveva appena detto: in fondo non era la fine
del mondo parlare con quel tipo, o almeno cercò di vederla in quel modo.
-Allora..
come te la stai vivendo la tua maggiore età?-
-Preferirei
essere di nuovo minorenne in verità-
-Di solito
queste cose si iniziano a dire intorno ai 20 anni.. non bruciare le tappe!-
arrivarono le loro ordinazioni e iniziarono a mangiare.
-E’ che ho
un po’ di cose da risolvere-
-Ti avrei
chiamato prima, dopo il tuo compleanno intendo, ma sono stato tanto impegnato!-
Per quello
che gli riguardava, Kei avrebbe preferito che avesse avuto da fare per ancora
un po’ di tempo, ma pensò che dirglielo non sarebbe stato molto educato.
Tra un
boccone e l’altro, Jermaine cominciò un altro
monologo, ma fu presto interrotto dalla suoneria del cellulare di Kei.
Il ragazzo
lo tirò fuori e, notando il numero apparso sul display, appoggiò esasperato la
testa sulla mano scuotendola: era da più di ventiquattr’ore che in effetti
l’avvocato non lo chiamava e avrebbe dovuto aspettarsi un interruzione del
genere; in quel momento avrebbe preferito ascoltare il resto del discorso di Jermaine.
-Scusa ma
devo proprio rispondere-
-Tranquillo!-
-Pronto?- Il
tono era se possibile ancora peggiore di quello che aveva assunto poco prima
rispondendo al telefono.
Jermaine posò la sua attenzione sul piatto
da cui stava mangiando, ma non poté fare a meno di sentire quello che Kei stava
dicendo al suo interlocutore.
-No, lo sai
che non ne voglio sapere.. e che mi importa? Cioè sei tu l’esperto.. trova una
soluzione.. non mi importa quello che fai basta che la vendi.. sì sono sicuro che
non la voglio.. non so nemmeno che posto sia.. se non vuoi venderla regalala,
ma disfatene.. ecco appunto.. sì buongiorno-
Sbuffò
sonoramente provocando le risa dell’uomo di fronte a lui.
-Le grane di
cui mi parlavi prima?-
-Già- alzò
le sopracciglia e riprese a mangiare cercando di distendere i nervi.
-Faceva
molto uomo in carriera..- aggiunse divertito.
-Appunto..
parlare con un avvocato produce questi effetti-
-Un avvocato?
Wow.. che hai combinato?- aveva l’aria da cattivo ragazzo, ma non riusciva a
immaginarsi cosa avesse potuto fare per dover discutere così con un avvocato a
quell’età.
-Io niente..
è mio nonno che ha pensato bene di lasciarmi un’eredità troppo alta-
Le parole
gli uscirono spontaneamente, non trovò difficile confidarsi con Jermaine, anche se non gli stava particolarmente simpatico.
-Non avevo
ancora sentito qualcuno lamentarsi di essere il beneficiario di un’eredità!-
-Se avessi
avuto un nonno come il mio..- si fermò prima che troppe parole gli potessero
scappare dalla bocca -..non voglio averci niente a che fare.. sto cercando di
liberarmi di tutto-
-Wow.. ed è
tanta roba? Che volevi vendere prima al telefono?- il tono era curioso, ma non
invadente; Kei sapeva di non essere obbligato a rispondere, ma lo fece
comunque.
-Una villa,
o forse addirittura un castello, ma che se ne faceva di un castello? (lo disse
più a se steso che a Jermaine) Non lo so nemmeno io
sinceramente cosa fosse..-
-U-un
castello?!-
-Mio nonno
amava fare le cose in grande-
-Ah sì?! Non
l’avrei detto.. ma che era? Un principe?-
-No, un
figlio di puttana..- l’affermazione fece sobbalzare Jermaine
-..ne avrai anche sentito parlare qualche anno fa-
-Come si
chiamava?-
-Aveva il
mio stesso cognome..-
-Ah.. Aah!- Sembrò collegare un po’ di cose in un attimo – Sì ne
ho sentito parlare, ma non l’avevo collegato a te.. credevo che..- si fermò di
colpo, come se fosse sul punto di dire qualcosa di inappropriato.
Kei lo
guardò confuso perché continuasse.
-Pensavo che
tu fossi stato adottato, sai ho visto la firma sul foglio di autorizzazione e
il cognome era diverso!-
Ma quante
cose aveva letto di lui su quelle maledette schede?
-No, lui è
una specie di tutore e il nonno di un mio amico..-
-Capito..
Quindi devi essere molto ricco se sei parente di quel.. di quell’uomo-
-Troppo.. ma
non voglio toccare quei soldi, anzi se ne vuoi un po’ te li do volentieri..-
Jermaine scoppiò a ridere, ma vedendo l’espressione
seria dell’altro smise, rifiutando l’offerta.
-Quindi vuoi
dare via ogni centesimo?-
-Sì anche
se, ora che ci penso, mi hanno convinto a tenerne un po’ per le emergenze e
spese varie.. perché ho accettato? Preferirei andare a vivere sotto un ponte
piuttosto che tenere quei soldi-
-Lo dovevi odiare
tanto..-
Fece
spallucce, come se odiare l’unico parente che aveva fosse stata una cosa
normalissima.
I loro
piatti nel frattempo si erano svuotati e la cameriera era tornata per chiedere
se desiderassero dell’altro: presero due caffè e Kei ne approfittò per accendersi
una sigaretta.
-Di che mi
volevi parlare?- Kei decise che avevano chiacchierato fin troppo per quel
giorno.
-Mi chiedevo
in effetti se il mio discorsetto dell’altra volta avesse avuto l’effetto
voluto!-
L’ultimo
discorso che avevano affrontato era sulla danza, sul fatto che Jermaine vedesse in lui l’essenza della danza, che fosse
nato per danzare e via dicendo. Aveva fatto effetto? Si rispose di no, ma in un
attimo si dovette correggere.
-Io credo
davvero che tu possa fare grandi cose con un po’ di studio.. – riprese l’uomo
non aspettando la risposta di Kei -..se decidessi di fidarti di me potrei
tirare fuori cose davvero interessanti! Non lo dico così per dire! E’ da anni
che non vedo qualcuno come te.. è per quelli come te che penso valga la pena di
continuare questo lavoro, io ormai per me stesso noncreo più nulla, ormai io modello le
coreografie sugli altri e.. e tu mi dai degli input per creare coreografie, per
continuare questo lavoro!- prese un respiro prima di concludere –Se ti fidassi
di me, potrei fare di te un ballerino eccezionale.. io sono sicuro che tra un
anno tutti saprebbero il tuo nome!-
-Io non
voglio la fama- fu l’unica cosa che riuscì a rispondere a quel discorso così
intenso.
Dietro a
quelle parole c’erano dei complimenti veri e sinceri, sentiva che non stava
cercando di convincerlo di cose assurde, ma..
-E dovresti
smettere di fumare!-
Il cambio
repentino di discorso lo frastornò. Non aveva nemmeno avuto il tempo di
ragionare su quello che aveva sentito che già doveva cambiare pensiero.
-Non lo farò-
-Ma ti
rovini i polmoni!-
-Mi puoi
chiedere di tutto, ma non di smettere di fumare.. ne ho assolutamente
bisogno..-
-Ti farò
smettere entro l’anno prossimo!-
-Mi sa che è
più probabile che l’anno prossimo io sia famoso piuttosto che abbia smesso di
fumare-
-Beh è un
compromesso accettabile! Ci sto!-
Lo aveva
incastrato in quel suo giochino di parole, ma non ebbe la forza di dibattere.
-Non dovevi
dirmi due cose tu?-
-Oh sì, me
ne stavo quasi dimenticando! Allora.. tra due settimane ho un lavoro per te!
Non devi fare provini o cose così ti..-
-Non posso-
-Come?-
-Non ci
sono, mercoledì parto..-
-E dove
vai?- Jermaine sembrava davvero rattristito da quella
notizia.
-Torno a
casa..-
-Ma casa tua
non è dove ti sono venuto a prendere?-
-No, è casa
di un mio amico..-
-E allora
dove?-
-A Mosca-
-Ah Mosca..-
il suo tono tranquillo ebbe un repentino cambio non appena realizzò la
collocazione della città in questione -..Mosca?! Ma è dall’altra parte del
mondo!-
-Già..-
-Non puoi
proprio rimandare la partenza?-
-No, ne ho
davvero bisogno, non posso proprio.. sinceramente non l’avrei nemmeno lasciata
se non fosse stato per un buon motivo e.. devo andarci per forza-
-E’ davvero
un peccato.. ma tornerai vero?-
-Immagino di
sì, non credo che sarebbe una buona idea restare..- Di nuovo parlò più con se
stesso che con l’altro, cercando di auto convincersi che il tornare sarebbe
stata la scelta giusta, mentre restare in Russia lo avrebbe solo danneggiato.
-Beh allora
la mia seconda proposta non puoi proprio rifiutarla.. hai finito la scuola
giusto?-
-In verità
mi manca ancora un anno..-
-Ma non
dovresti..-
-Ho perso un
anno- fece spallucce. A quanto pareva gli stava dando troppe cattive notizie in
una volta sola.
-Magari
possiamo trovare un modo alternativo, comunque ti volevo proporre un lavoro al
quale non puoi proprio dire di no!- Aspettò un entusiasmo alla notizia che,
però, non arrivò.
-Cioè?-
-A ottobre
parte il tour mondiale di Lauren, sai le sei piaciuto e se vuoi il posto è tuo,
per lei non ci sono problemi e per me anche meno.. Sarebbe per quattro mesi.. è
davvero un’opportunità irripetibile, soprattutto per te che sei così giovane..
le prove iniziano a settembre e poi.. e poi si parte!-
Kei rimase
spiazzato: gli stava offrendo la possibilità di girare il mondo come ballerino
per mesi, ma soprattutto gli chiedeva di lasciare la scuola.
Quello gli
sembrò il problema minore; la sua esperienza scolastica non poteva dirsi
proprio eccellente, anzi era sicuro che avesse imparato di più quando non ci
era andato, sulla vita almeno. Quello che lo frenava era lui stesso con le sue
insicurezze, le sue tante insicurezze.
-Non mi devi
rispondere subito, pensaci! Ti chiedo solo di darmi una risposta entro la fine
di agosto, facciamo intorno al 20, così se non accetti ho il tempo di trovare
un sostituto, ma spero che non ce ne sarà bisogno!-
-Non lo so..
io..-
-Davvero,
pensaci con calma, parlane a casa ai tu.. cioè a chi si occupa di te! Davvero
non c’è fretta!-
Si
guardarono a lungo prima che Jermaine porgesse a Kei
il suo biglietto da visita con scritti i suoi contatti e pagasse il conto,
nonostante le proteste dell’altro che sperava almeno di fare a metà.
Durante il
tragitto in macchina restarono in silenzio ad ascoltare la musica e, al
contrario di quello che pensava Kei, Jermaine si
dimostrò capace di reggere tanto tempo senza parlare.
E pure
questo è finito!
Come
commentarlo? Beh, intanto ci siamo dati un po’ una mossa col tempo e siamo
arrivati in un batter d’occhio all’estate u.u come al
solito quando ci sono cambi di mesi così veloci mi scuso, ma come al solito non
posso stare troppo su dettagli inutili e ahimè bisogna tagliare un po’! In ogni
caso abbiamo lasciato da parte la danza per queste undici pagine e abbiamo
avuto la conferma dell’imminente partenza per la Russia, per la felicità di
qualcuno!
Comunque
lascio a voi la parola.. vi dico solo che destino vuole che in questi giorni
abbia conosciuto una ragazza giapponese che si chiama, udite udite.. Mizuki! XD Ok, non era
interessante, ma mi andava di condividerlo u.u
Vabbè,
grazie come al solito a tutti, vecchi e nuovi!
Chiuse
la portiera non riuscendo ad ignorare i saluti dell’uomo.
-Allora
fammi sapere..- disse Jermaine sporgendosi verso il
finestrino -..ci conto!-
Lo
osservò ripartire, ma si voltò quasi subito verso l’entrata del dojo: il
portone di legno era aperto e, oltre di esso, Rei lo osservava divertito con un
grosso sacco della spazzatura in mano.
-Bella
macchina.. chi era?- chiese con un mezzo sorriso.
-Nessuno-
borbottò Kei con un filo di voce e superò l’amico.
Le
ore in quei giorni erano trascorse in modo piuttosto strano: né lente, né
veloci, ma più il mercoledì si avvicinava, più sentiva una sensazione strana
farsi strada dentro di lui. Era malinconia e ansia nel lasciare il luogo in cui
aveva trascorso gli ultimi intensi mesi, ma anche impazienza e voglia di
tornare a calpestare il suolo russo.
Il
martedì sera il dojo venne assorbito da un silenzio irreale, avvolto nel caldo,
con solo il frinire delle cicale di sottofondo e le luci artificiali a
illuminare quell’alone di afa. Kei, affacciato alla finestra della sua stanza,
si ritrovò in una specie di déjà-vu, senza la forza di ricordare, né la voglia
di pensare.
Uscì
nel corridoio e scese le scale: dal salotto proveniva solo il rumore delle
pagine della rivista che stava sfogliando Max stravaccato sul divano, mentre la
cucina era stranamente silenziosa, nonostante la luce fosse accesa. Attraversò
la soglia decidendo di bere qualcosa di fresco, quando notò che qualcun altro aveva
avuto la sua stessa idea: Hilary era seduto al tavolo, un bicchiere di succo di
frutta davanti a sé e il cellulare tra le dita.
Abbozzarono
un saluto e Kei si diresse verso il frigo: optò per la stessa bevanda della
ragazza e si riempì un bicchiere.
-Pronto
per la partenza?- la voce di Hilary si levò guardinga, ma chiara.
-Sì-
annuì il russo, finalmente grato di aver ritrovato la sua sicurezza.
Decise
di non riflettere troppo e spostò una sedia, posizionandosi di fronte alla
giapponese, poggiando la bevanda sul tavolo che li separava.
-Allora..
come va?-
Un
silenzio surreale riempì il vuoto lasciato dalla domanda di Kei: si poteva dire
che non intrattenessero una conversazione da quando si erano lasciati e quelle
poche parole, nonostante risultassero come di circostanza, risuonarono di un
significato più profondo.
-Bene!-
rispose convinta –E tu? Sono cambiate un bel po’ di cose in questo periodo-
-Già..
inaspettatamente-
La
conversazione si districò, eliminando la distanza tra le battute dei due,
rientrando in una confidenza che si poteva considerare persa fino a cinque
minuti prima.
-Non
troppo.. devi ammettere che ci avevo visto giusto!-
-Riguardo?-
chiese lui perplesso.
-Sulla
storia della danza- sorseggiò il suo succo reggendo il bicchiere con entrambe
le mani e proseguì –ti avevo detto che avevi qualcosa di speciale!-
-Non
devo dubitare di te.. afferrato- disse abbozzando un sorriso.
-Ricordatelo!
Quindi hai altro in programma?-
Kei
ripensò al pranzo con Jermaine di qualche giorno
prima e alla proposta dell’uomo, cercando ancora una volta di allontanarla
dalla propria mente, come aveva fatto inutilmente per tutto quel tempo.
-Non
direi- mentì facendo spallucce –Tu novità?-
-Nessuna
degna di nota!-
-Rei
mi ha detto che ti vedi con qualcuno- appuntò con un sorrisetto.
-Già-
rispose Hilary distogliendo lo sguardo, ma lasciando incurvare i lati della
bocca all’insù –Da due mesi-
-Ecco
perché sei qui meno spesso.. e ci stai bene?-
-Sì-
-Mi
fa piacere- disse terminando di bere.
-Tu
passi ancora di fiore in fiore?- Hilary cercò di portare il discorso a suo
vantaggio.
-Non
passo proprio-
Rimasero
in un tranquillo silenzio per pochi secondi, poi Kei si alzò per risciacquare
il proprio bicchiere.
-Mio
padre dovrebbe essere qui a momenti- osservò lei piano, più a se stessa che
all’altro.
-Allora
buona notte- fece per andarsene.
-Kei..-
la voce di Hilary lo bloccò -..tornerai?-
-Cosa?-
-Tornerai?
Lo so che c’è già Takao a stressarti da giorni, ma.. riesci ancora a
considerarla casa questa?-
Maledisse
mentalmente Hilary per essere sempre così intuitiva: Takao era davvero da
giorni che gli ripeteva che sarebbe dovuto ritornare a casa, che non doveva
fare scherzi e via dicendo, non facendo però i conti con quello che Kei
considerasse realmente come casa.
-Sì-
mentì nuovamente, ma non sapeva dire se fosse stato convincente o meno questa
volta.
-Allora
buon viaggio!-
Aveva
preso in considerazione la possibilità di non ricordarsi più nulla della
propria terra, ma non ci credeva sul serio: sapeva che sarebbe stato tutto diverso
e assolutamente familiare una volta sceso da quell’aereo. Dalle persone, alla
lingua, ai negozi, persino l’aria.
Era
davvero differente l’aria che dalle narici scendeva fino ai polmoni, lo
riempiva e lo saziava nuovamente con profumi e fragranze familiari: sulla pista
d’atterraggio buttò fuori ciò che rimaneva del Giappone e si impadronì di tutto
ciò che era Mosca.
Percorse
i metri che lo separavano dall’entrata del terminal, indicato da delle ragazze
dall’aspetto impeccabile e sorrisi smaglianti, con il giubbino giallo di
segnalazione sopra la divisa da hostess; superò diversi controlli mostrando il
passaporto, fino alla dogana principale. Il suo stato di cittadino russo lo
esentò da diverse scocciature e code superflue, tanto che fu uno dei primi a
impossessarsi del proprio bagaglio e, finalmente, imboccare l’uscita.
Il
salone principale, con l’alto soffitto sorretto da imponenti colonne, pullulava
di persone dalla fisionomia familiare, due soprattutto attirarono la sua
attenzione.
-Ben
arrivato!-
Due
grandi braccia lo avvolsero in un caloroso saluto, accompagnato dallo schiocco
di tre baci sulle guance: Tatjana era alta quanto
lui, ma molto più robusta, con le spalle larghe e due braccia forti risultato
di anni di nuoto, anche a livello agonistico.
-E
lascialo respirare- intervenne Sergay, intimando alla sua ragazza di spostarsi
per poter salutare anche lui il nuovo venuto.
-Ciao
Ser!-
-Hai
solo questo bagaglio?-
Kei
annuì.
-Andiamo
dritti a casa o devi fare qualcosa prima?-
-Andiamo
a casa- rispose l’altro leggermente
stravolto per le ore di volo.
-Finalmente
ti hanno fatto mettere su qualche chilo!- notò Tatjana,
tastando il braccio del più giovane.
-Dici?-
-Sì,
credevo che i giapponesi mangiassero poco e temevo che tu scomparissi..-
-E
da cosa deriverebbe questa teoria?- chiese Sergay curioso.
-Beh,
sono tanto piccoli.. stasera comunque cucino io! Cibo come si deve!-
La
coppia parlottò fino alla macchina e durante tutto il tragitto, ma Kei, dopo i
primi secondi di entusiasmo e di piacere nel ritrovare quel paesaggio urbano,
si sentì totalmente rincorporato in Mosca, come se non l’avesse mai lasciata
prima, come se quell’anno lontano fosse in realtà durato solo alcuni istanti:
ciò che non si aspettava era la strana sensazione di essere nel posto sbagliato,
nonostante tutte le aspettative e le speranze di sentirsi rinascere nella
capitale russa, non sentiva ancora che quello fosse il suo posto nel mondo,
come non lo sentiva a Tokio.
Il
ragazzo osservò fuori dal finestrino il profilo delle case che annunciavano
l’entrata nella loro via e diede la colpa di tutto alla stanchezza.
Non
aveva potuto liberarsi per tutto il pomeriggio e varcò la soglia di casa solo
dopo le sei.
Salutò
Tatjana impegnata ai fornelli e, senza attendere
oltre, salì le scale fino al piano superiore: solo quando notò la porta della
camera di Kei semi aperta rallentò il passo e riprese controllo di sé.
Non
avrebbe mai detto ad alta voce le parole ‘mi sei mancato’, ma questo non gli
impediva di pensare o addirittura provare quel sentimento; prese un respiro e
si affacciò oltre la soglia, osservando all’interno.
Kei
era seduto a gambe incrociate sul letto,intento a staccare delle fotografie da un cartellone e riporle
all’interno di una scatola. Quell’espressione tanto impegnata in un lavoro
all’apparenza semplicissimo gli provocò una risatina: sembrava un bambino che,
lontano dai problemi di tutto il mondo, si concentrava esclusivamente sul
proprio gioco.
Eppure,
ormai, era adulto a tutti gli effetti, ma quel buffo quadretto non fece altro
che risvegliare vecchi ricordi, aiutati a spuntare anche dallo stato d’animo di
quel giorno.
La prima volta
che Yuri lo vide fu poche ore dopo l’arrivo di Kei al monastero: era nello
studio di Vorkov e suo nonno lo aveva lasciato lì, in
piedi davanti all’imponente scrivania, da solo con la sua piccola borsa, prima
di girare i tacchi e andarsene.
Quel bambino,
come molti altri tra loro, aveva solo quattro anni quando aveva varcato per la
prima volta le porta del monastero, il luogo che sarebbe diventato la sua casa
e la sua prigione nei futuri dieci anni: prima viveva nella grande villa di suo
nonno, accudito da una donna fredda e burbera, dalla quale aveva imparato tutto
per mezzo di punizioni, niente premi, niente “sei stato bravo”, niente regali.
Quindi il
passaggio da un ambiente all’altro non era stato più di tanto traumatico: l’unico
cambiamento a cui doveva abituarsi era la convivenza con altri bambini, che
fino a quel momento aveva visto sempre da lontano, ma questo il rosso non lo
poteva sapere ancora.
Yuri ricevette
il compito di insegnargli come funzionassero le cose in quel luogo e stargli
dietro, per cui avrebbero condiviso la stessa camera.
Per il rosso
quel lavoro si rivelò più semplice di quanto si fosse aspettato, infatti Kei
sembrava rispettare di buon grado e senza troppe storie tutte le regole, come
se fossero state normale amministrazione. Non piangeva e non si lamentava.
Kei conobbe in
quei giorni quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra: per il
cognome che portava aveva ottenuto il diritto di essere subito trattato come
uno dei migliori del monastero, saltando quella fase di assestamento che era
una vera e propria prova di sopravvivenza.
Boris era il
precedente compagno di stanza di Yuri che, per colpa del suo arrivo, si era
dovuto trasferire con una ragazzo poco più grande, Sergay.
Inutile dire che
il rapporto che si creò tra quei ragazzi fu da subito molto simile a quella che
poteva chiamarsi una famiglia.
Yuri,
soprattutto, trovò in Boris un fedele amico e in Kei qualcosa di molto simile a
un fratello: mentre col primo, avendo la stessa età e molte cose in comune, non
aveva faticato negli anni a trovare argomenti comuni di cui parlare e
interessarsi, con Kei si era sviluppata una sorta di dipendenza, gli aveva insegnato
tutto quello che sapeva, lo aveva seguito in quella età in cui la curiosità è
padrona e aveva risposto pazientemente a tutte le sue domande, scoprendosi
spesso ignorante, tanto che alla fine si ritrovavano entrambi a chiedere a
Sergay.
Una mattina erano
in ritardo per gli allenamenti e Kei stava armeggiando con le sue manine nelle
stringhe delle scarpe senza successo: Yuri lo aveva subito aiutato e la sera,
per far sì che questo non si ripetesse, avevano passato un’ora a fare e disfare
nodi.
Mentre la
domanda che aveva messo più in difficoltà l’espressione di superiorità che il
rosso assumeva quando gli venivano posti dei quesiti, fu “che cos’è una
mamma?”. Erano bambini di 5 e 7 anni, che ascoltavano le discussioni dei loro
coetanei e dei ragazzi più grandi, ma che non avevano nessuno che gli spiegasse
le nozioni semplici e basilari.
Kei aveva
sentito spesso parlare da altri bambini e dalle guardie di questa “mamma” che
tutti volevano o insultavano o comunque la inserivano nelle più disparate
discussioni. Ma che cosa fosse lui non lo sapeva.
Yuri lo aveva
guardato incredulo: era un concetto semplice e banale, tutti avevano una mamma
ed era.. beh, era la mamma. Nessuna definizione. Ci vollero diversi giorni e
tanta pazienza per accontentare Kei con una risposta decente e fin troppo
articolata per la loro età.
Per la fortuna
del rosso, Kei si pose il problema della figura “papà” solo tempo dopo e si
accontentò delle sue scoperte personali.
Comunque Kei e
Yuri ebbero la conferma di essere inseparabili dopo un anno dal giorno in cui
si conobbero.
Il nonno di del
più piccolo aveva deciso che per l’estate il bambino sarebbe andato con lui in
Giappone, usanza che si ripeté solo per altri due anni, ma che poi cadde in
disuso completamente.
In verità, la
sua lontananza dal monastero era solo di un mese, ma per i bambini un mese può
tranquillamente equivalere a un anno; quindi a Yuri non era andato a genio che
il suo compagno di stanza si fosse allontanato da quell’inferno senza di lui.
Quando tornò,
Kei fu accolto nel gelo assoluto che solo il piccolo Ivanov
riusciva a emanare.
Fomentato anche
dalle malelingue degli altri ragazzi del monastero aveva fatto pesare a Kei
quella sua lontananza e il trattamento di favore che gli era stato riservato;
probabilmente quell’episodio avrebbe compromesso irrimediabilmente quel loro
rapporto in nascita, se Kei non avesse prontamente estratto dalla stessa borsa
sgualcita con cui era arrivato, una serie di vestiti nuovi di zecca.
Vorkov non avrebbe nemmeno speso soldi per il cibo se
questo non fosse di fondamentale importanza per la sopravvivenza, quindi la
questione vestiti era presto risolta: attraverso la beneficienza ognuno poteva
prendere un numero contato di indumenti smessi per tot volte all’anno. A Kei ,però,
quando ancora aveva qualche favoreggiamento, fu permesso di portare dei vestiti
da casa ed era riuscito a fare entrare nella famosa borsa qualcosa anche per
Yuri, e si sa quanto sia facile a 7 anni fare pace.
Quella sera
stessa, mentre raccontava le sue esperienze dall’altra parte del mondo con un
nuovo accento divertente che avrebbe acquisito ogni volta che tornava dal
Giappone, Kei gli confidò di aver parlato di lui al giardiniere della villa del
nonno il quale gli aveva detto che loro erano tomodachi, parola che però non sapeva come si traducesse in
russo.
Discussero per
un bel po’ prima di accordare che il significato esatto fosse amico.
-Ehi-
Solo
quando Yuri poggiò la mano sulla maniglia e aprì ancora di più la porta, Kei si
accorse della sua presenza, risvegliandolo attraverso quel saluto.
-Ehi-
rispose a suo volta l’altro –Com’è andato il viaggio?-
-Tutto
bene..- rispose continuando la sua opera.
Il
rosso lo osservò nuovamente divertito: aveva pensato di ritrovarlo cresciuto e
maturato, invece l’effetto continuava a essere esattamente l’opposto. Si
sedette di fronte a lui sul letto, a gambe incrociate, aspettando una qualsiasi
reazione.
-Ti
avevo detto che potevi staccarlo- iniziò Kei, soffermandosi sulla foto che
aveva tra le dita nella quale Nataliya e Dana avevano su un espressione
alquanto buffa, prima di metterla nella scatola sopra alle altre. Prima di
partire aveva dato quel permesso al rosso, che a quanto pareva non aveva
accolto.
-Pensavo
fosse una cosa che dovessi fare tu..- iniziò guardandolo cauto -..mi
sbagliavo?-
Kei
alzò lo sguardo e lo fissò inarcando un sopracciglio.
-Ovviamente
no-
Tornò
tranquillo alla sua occupazione e Yuri si rallegrò di vederlo così in pace.
-Allora
non mi racconti niente?-
-Non
c’è molto da raccontare-
Questa
volta ad alzare un sopracciglio perplesso fu il più grande.
-Come
no?-
-Beh
sai già tutto- e fece spallucce.
-Volevo
sentire qualcosa da te in persona.. un tempo eri così un chiacchierone- lo
prese in giro Yuri ridacchiando –Ho visto il video sai?-
-Chi
non l’ha fatto..- appuntò Kei con disapprovazione.
-Sarà
stata una bella esperienza, no?-
Di
nuovo l’altro rispose semplicemente con un alzata di spalle.
-Hai
in progetto qualcos’altro del genere?- buttò lì la domanda e Kei si decise ad
alzare finalmente lo sguardo su di lui con espressione indecifrabile.
-Direi
di no- sussurrò cercando di distrarsi da quella domanda che voleva
assolutamente evitare.
-Sicuro?-
chiese Yuri saccente, assottigliando gli occhi a due fessure.
Kei
annuì, convincendolo a desistere.
Si
guardarono per qualche istante, ma il rosso si decise ad alzarsi, convinto che
non avrebbe estrapolato alcuna informazione: si avvicinò all’altro e gli
scompigliò i capelli.
-E’
possibile che se non te lo dico io, tu non te li tagli mai?-
Ne
approfittò per tirargli uno scappellotto e sorridere.
-Ben
tornato..- soffiò - ..ah! E per cena preparati qualche argomento, scriviti il
discorso se ti viene più semplice!- scherzò prima di dirigersi verso il
corridoio.
Non
gli avrebbe detto ‘mi sei mancato’, come sicuramente non glielo avrebbe detto
Kei, ma sapeva che era comunque un sentimento reciproco e non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel
vedere come le cose si fossero sistemate e come i tempi bui sembravano essere
finalmente arrivati al capolinea.
Il
sole non era ancora sparito oltre le case e non lo avrebbe fatto prima delle
dieci e mezza: quelli erano i giorni più lunghi dell’anno, ma soprattutto quel
mercoledì sembrava non dovesse mai giungere al termine.
Complice
il fuso orario, la sua giornata sarebbe stata composta da almeno trenta ore, ma
non sarebbe riuscito a reggerle tutte: come gli aveva promesso, Tatijana aveva preparato un’ottima cena e a tavola osservò
le quattro persone sedute insieme a lui, notando con piacere quanto tutto
quello gli fosse familiare, quanto la sensazione del pomeriggio fosse sparita e
riconobbe tutto ciò come normalità.
-Sono
sicuro che Kei ha qualcosa da raccontarci..- iniziò Yuri.
-Beh
io sicuramente voglio sapere se ti sei fatto qualche ballerina!- lo stuzzicò
Boris.
-Non
sono affari tuoi-
-Come
siamo scontrosi.. piuttosto dov’è finito il tuo piercing?-
-Non
lo metto più..-
Tatijana ridacchiò
inaspettatamente e Kei la guardò perplesso sentendola alzare sempre più il tono
e faticare a tornare seria.
-Scusa
è che.. devo fare l’abitudine al tuo nuovo accento!-
Il
ragazzo sbuffò, zittendosi del tutto, mentre gli altri continuarono a prenderlo
in giro.
-Dai
che scherziamo- gli disse Sergay battendosi il petto per darsi un contegno.
-Come
volete-
La
cena tornò tranquilla nel giro di pochi secondi: dopo tanto, Kei provò la
sensazione strana di voler rimanere a tavola, ma la stanchezza prese il
sopravvento e, all’imperversare dei suoi sbadigli, si arrese e diede fine a
quella lunga giornata.
Al
buio, sotto le coperte, si rigirò parecchie volte nel letto: il materasso che
conosceva e col quale non aveva mai avuto problemi risultava in quel momento
troppo morbido, lo spazio che avvertiva attorno a sé, avvolto nell’oscurità,
aveva dimensioni evanescenti e l’aria che lo occupava era strana.
Nuovamente
la fatica del viaggio che si faceva sentire facendolo impazzire, pensò prima di
prendere definitivamente sonno.
Oggi sei mio.
Dopo
un sms che sapeva alquanto di minaccia, Dana si era presentata nel primo
pomeriggio a casa dei russi: aveva suonato parecchie volte di troppo il
campanello, aveva superato Yuri senza nemmeno vederlo quando aveva aperto la
porta e si era fiondata letteralmente addosso a Kei.
Fortunatamente
il ragazzo ebbe i riflessi pronti per reggerla e avvolgerla a suo volta in un
abbraccio, meno stritolante di quello dell’altra, ma comunque forte.
-Quanto
mi sei mancato- gli disse all’orecchio, mentre lui salutava con una mano libera
Anton, il marito di Dana, che scuoteva la testa esasperato appoggiato allo
stipite della porta.
-Pensa
che me la sono pure sposata- stava dicendo a Yuri, scherzando sul carattere
esuberante della ragazza.
-E
hai fatto bene!- disse lei, sentendosi interpellata e staccandosi finalmente
dal più piccolo –Sono riuscita a convincerlo a darci un passaggio in centro!-
-E
cosa andiamo a fare in centro?-
-Lo
vedrai-
Salutarono
Yuri e tutti e tre entrarono nella macchina di seconda mano della coppia: Anton
li accompagnò verso la parte moderna della città e li lasciò all’inizio di una
via pedonale piena di negozi.
-Grazie
amore!- disse Dana scoccandogli un bacio a fior di labbra e scendendo dalla
vettura.
-Scusa
per il disturbo- aggiunse Kei.
-Figurati..
intanto dovevo passare di qui! E’ bello, poi, rivederti!-
Kei
accennò un sorriso e si avvicinò a Dana, mentre l’uomo riaccendeva il motore e
partiva.
-Ora?-
-Ora
shopping!- rispose lei entusiasta, indicando la via piena di persone dietro di
loro.
-Cosa?-
-Hai
capito benissimo!-
-Tra
tutte le cose che potevamo fare..-
-Dai
che mi servono delle scarpe!-
Kei
ci pensò su: passare davanti a vetrine allestite insieme a una ragazza non era
mai un’attività salutare, ma d'altronde era da un anno che non vedeva la sua
amica e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per
passare un po’ di tempo con lei.
Camminarono
per una decina di minuti, fermandosi davanti a diversi negozi: Kei ci mise un
po’, osservando i prezzi, a ricordarsi definitivamente che la cifra indicata
fosse in rubli e non in yen, che le varie insegne fossero realmente in
cirillico e che la totale assenza di ideogrammi indecifrabili fosse reale.
-Sembri
un bambino sperduto- gli fece notare Dana.
-Come?-
-Niente,
è che ti guardi intorno come se non ci fossi mai venuto-
-Mi
sto riabituando-
-Sarà
meglio..- la ragazza si fermò immediatamente -..ecco, entriamo qui!-
Si
infilarono in un enorme negozio di scarpe di ogni genere.
-Per
cosa ti servono?-
-La
palestra-
-Meno
male- sussurrò, contento di non dover osservare scarpe eleganti o col tacco di
cui non comprendeva il senso se non dopo che erano state indossate.
Attraversarono
diversi scaffali, fino a raggiungere la parete che avevano adocchiato sin
dall’entrata: Dana individuò i modelli e colori che la ispiravano e, dopo una
prima selezione, iniziò a escludere le paia con un prezzo troppo elevato.
-Queste
erano belle- le fece notare Kei, riprendendo una scarpa che era stata messa al
suo posto, nonostante la ragazza l’avesse soppesata a lungo.
-Sì,
ma non posso spendere troppo..-
-Non
ti ho fatto il regalo di compleanno-
-Era
a marzo, Kei!-
-Appunto,
devo farmi perdonare per bene-
-Non
se ne parla- affermò Dana spostando l’attenzione su altre calzature.
-Ma
ci tengo-
-Ti
ho detto di no!-
-Io
te le compro lo stesso- disse tornando indietro.
-Fermati
subito-
-Puoi
farmele comprare e spendere altri soldi per ritrovarti due paia di scarpe, o
lasciarmi fare-
-Sei
una testa dura!- sbuffò lei –Forse era davvero meglio se facevamo
qualcos’altro-
Dibatterono
per diversi minuti, ma alla fine Dana fu costretta a cedere, essendo che teneva
ancora alla propria salute mentale.
-A
te serve qualcosa?- chiese mentre passavano davanti alla parete del settore
maschile.
-Direi
di no-
-Ho
visto che ora vanno di moda queste..- disse prendendo una scarpa super
colorata.
-Troppo
sgargianti-
Impiegarono
più del triplo del tempo necessario per raggiungere le casse, poiché si misero
a commentare la maggior parte dei prodotti esposti, come facevano un tempo.
-Ora
possiamo andare dove volevo realmente portarti!- annunciò Dana una volta fuori
e riacquistato il sorriso.
-Questa
era un’illusione?-
-Rompipalle!
Qui ci dovevo venire per forza, è il mio unico giorno libero-
-Tieni
ancora i bambini?-
-Per
questa settimana sì, la prossima ho trovato posto in una scuola dove
organizzano i centri estivi e io devo far fare attività fisica ai ragazzini-
-La
palestra quando riapre?-
-A
settembre, però..- e gli indicò la strada che avrebbero dovuto imboccare e che
Kei riconobbe subito -..ora non c’è nessuno e possiamo andarci noi!-
Dana
allungò il passo e intimò a Kei di seguirla, non rallentando se non quando
raggiunse l’entrata.
Perché
stare con Dana era così dannatamente semplice? E perché ballare con lei,
soprattutto, lo faceva sentire così bene?
Il
loro era un legame forte, nonostante nessuno, quando si erano conosciuti,
avrebbe mai scommesso che sarebbero diventati così uniti, ma allo stesso tempo
nessuno avrebbe mai immaginato ciò che avrebbero dovuto affrontare.
Perché
quando si è in una situazione difficile, anche se non si vede una via d’uscita,
neanche in quel caso si può preventivare di quanto si possa cadere in basso, di
come si possa arrivare a raschiare il fondo e nemmeno di come si possa fare,
poi, per risalire.
Kei
e Dana non avevano assolutamente nulla in comune fino a quattro anni prima,
mentre in quel momento, in quella palestra, non potevano essere più
indissolubilmente legati.
La
ragazza diceva sempre che danza è condivisione, una forte emozione,
paragonabile a un sentimento allo stato puro e per loro la danza poteva essere
l’amicizia, l’amore unico verso un amico.
Quando
poterono considerarsi soddisfatti, si sedettero sul pavimento freddo che dava
una sensazione piacevole a contatto con la pelle accaldata: Kei appoggiò la
schiena al muro, mentre Dana spense la musica per poi posizionarsi di fronte a
lui.
-Allora..
mi dici cosa c’è che non va?- iniziò la ragazza, assumendo un’espressione seria.
-Niente-
rispose confuso il russo, il quale pensava che non potesse esserci nulla a
disturbare quella serenità.
-Non
mentire.. ti conosco e so che c’è qualcosa che non va-
-Pensavo
ci stessimo divertendo-
-Non
ora, ma in generale! Che ti frulla per quella testolina bacata?- insistette
accennando un sorriso.
Kei
capì subito a cosa si riferisse, poiché, non appena pensò a quello che poteva
turbarlo, il chiodo fisso che aveva negli ultimi giorni tornò a martellargli il
cervello.
Distolse
lo sguardo dall’altra automaticamente, ma Dana non demorse e gli si avvicinò,
ripetendo la prima domanda dolcemente.
-E’
che sono successe tante cose in questo periodo- si decise a confessare Kei.
-Assolutamente,
ma sono state cose belle!-
-Lo
so però.. mi stanno confondendo-
-Raccontami..-
lo incitò la ragazza, scrutandolo fino a che non si lasciò andare.
-Hai
presente JermaineCrowde?
Sai che ti avevo detto che mi perseguitava?- aspetto che l’altra annuisse a
entrambe le domande prima di continuare –Ecco.. l’altro giorno ci siamo visti e
mi ha proposto un lavoro.. da settembre per quattro mesi o qualcosa del
genere..-
Dana
non riuscì a nascondere un largo sorriso, ma si trattenne dall’interromperlo.
-Sarebbe
il tour di Lauren Bright.. il tour mondiale..-
-Ma
è fantastico!- non riuscì più a stare zitta, rizzandosi di colpo.
-Sì,
ma ci sono tanti problemi..-
-Kei,
i problemi te li crei tu!-
-Ma
non so se..-
-Dimmi:
qual è stata la tua prima reazione alla proposta? Non pensarci su..
irrazionalmente, d’impulso, cosa avresti risposto?-
Il
russo fece per ragionarci, ma l’esortazione della ragazza ad agire d’istinto lo
spinse a dire –Di sì-.
Dana
sorrise trionfante, ma allo stesso tempo comprendendo l’indecisione dell’altro.
-Come
ti dicevo, i problemi te li crei tu..-
-E
la scuola?-
-Credo
che si potrebbe trovare una soluzione..-
-E
il Giappone e..-
-Posso
parlarti sinceramente?- lo bloccò la ragazza prima che potesse aggiungere altro
e assunse un tono materno –La tua situazione è questa: sei in bilico riguardo
al tuo futuro e a ciò che tu vorresti in esso, però hai una possibilità, una
possibilità che hai già sperimentato quanto non possa fare altro che
piacerti..- prese un respiro e si rituffò nel discorso -..tu qui non riesci a
stare e credo che lo stesso valga per il Giappone.. Anche io ho avuto
un’opportunità una volta, ti ricordi? Mi avevano offerto di studiare danza
seriamente all’estero, ma io non ho potuto né voluto accettare perché la mia
vita era qui, la mia famiglia aveva bisogno di me, c’era Anton.. non ho
accettato, ho fatto una scelta, la scelta più adatta a me e non me ne pento..
tu non hai nulla che ti trattenga.. Io sarò sempre qui, Yuri sarà sempre qui ad
accoglierti, ma non sei vincolato a restare..-
-E
se io volessi restare?- la fermò esponendole il pensiero che lo assillava da
settimane, ma che non aveva avuto il coraggio di formulare ad alta voce fino a
quel momento.
-E’
davvero quello che vuoi?-
-Questa
è casa mia..-
-Qui
hai delle persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene, ma lo stesso vale per
il Giappone.. non è così?-
-Sì,
ma..-
-Dicono
che casa sia il luogo dove si trova
il cuore.. e io credo che il tuo cuore non sia qui, perché qui non sta in pace,
non ancora almeno, nonostante a te sembri che il peggio sia passato.. e
ugualmente non sta in pace in Giappone..-
-E
allora?- sussurrò Kei.
-Allora
potrebbe essere ovunque.. e perché non nel luogo dove hai la possibilità di
danzare?-
Si
fissarono in silenzio per diversi secondi in attesa dell’esito finale di quella
conversazione, di sapere se avrebbe vinto la testardaggine di Kei o la
sicurezza di Dana.
-Non
è un male pensare al proprio futuro in maniera, come dire, originale- tentò
ancora, senza però fare pressioni –Quando gli devi dare una risposta?-
-Fine
agosto-
-E
con Yuri ne hai già parlato?-
-No,
l’ho detto solo a te-
-Allora
parla con lui e poi decidi.. prova a fidarti di nuovo del tuo istinto.. te lo
chiedo come favore personale!-
Come
risposta Kei emise una specie di grugnito che fu subito sostituito da un
sorriso non appena iniziarono a stuzzicarsi e giocherellare.
Non
fece nulla di più che pensarci nella settimana seguente: rimandò diverse volte
il momento per parlare e farsi consigliare da Yuri con la scusa di non trovare
l’occasione. Invece di occasioni ne avrebbe avute a centinaia se solo avesse
saputo sfruttarle.
Avevano
trascorso giornate intere insieme, Kei aveva accompagnato il rosso
all’università, in biblioteca, per non parlare di tutte le serate che i due,
insieme a Boris e Sergay trascorrevano a casa o in giro per qualche localino
tranquillo.
Non
sapeva dire quale fosse la causa di tale indecisione, poiché solitamente,
quando aveva qualcosa per la testa, parlarne con Yuri era considerato un modo
per sciogliere ogni dubbio.
Ciò
che lo distraeva, inoltre, da quel pensiero assillante e indefinito era una la
brutta sensazione di sentirsi estraneo a casa sua: era zeppa di ricordi, di
suoni e odori che poteva associare a immagini di ogni genere, sia positive che
negative, ma era allo stesso tempo distante. Si chiese spesso se quella fosse
una conseguenza del discorso di Dana, se lo aveva suggestionato a tal punto da
avvertire vere quelle parole riguardo la pace interiore che non riusciva a
trovare.
In
ogni caso, nonostante avesse tentato di ritardare il momento di affrontare una
decisione, quella decisione, si ritrovò costretto a confessare ogni suo dubbio
una sera, davanti a una tazza di tè caldo: era notte fonda, avevano appena
trascorso le ore serali al bar gestito da un amico di Sergay e il biondo era
andato a dormire. Boris aveva spento la sigaretta nel posacenere e, augurando
la buona notte, lo aveva seguito su per le scale.
Yuri
aveva l’abitudine di bere quell’infuso ambrato anche d’estate e ne aveva
offerto un po’ a Kei, il quale aveva accettato solo per aver la possibilità di
allungarlo con un po’ di alcool.
-Dana
non l’hai più vista?- chiese il russo interrompendo il silenzio della cucina.
-No-
-Lavora?-
Kei
annuì seguendo con lo sguardo il cucchiaino che ruotava nella tazza comandato
dalle dita dell’altro.
-Dovrei
parlarti..- disse lentamente pentendosi all’istante di aver tirato fuori
l’argomento: ormai non poteva tirarsi indietro o inventare qualche balla e,
nonostante non riuscisse proprio a capire come mai fosse così difficile
parlare, continuò -..riguardo a una possibilità che mi hanno offerto-
Utilizzò
le parole di Dana cercando di farsi forza, aspettando un qualsiasi cenno
dell’altro di stare ascoltando.
-Di
che si tratta?-
-Un
lavoro.. tipo quelli degli ultimi mesi..-
-Da
ballerino?-
Kei
annuì, nonostante quella parola lo facesse ancora rabbrividire se associata a
se stesso.
-Me
lo vuoi dire o no?- lo incitò il russo calmo.
-Sì..
sarebbe un tour di quattro mesi e..-
-Un
tour dove?- chiese sorseggiando il suo tè.
-Mondiale-
-Che
mesi sarebbero?-
Kei
prima di rispondere si convinse che era così che doveva sentirsi un normale
ragazzino a chiedere il permesso di fare qualcosa al genitore.
-Da
ottobre..-
-Tu
vorresti farlo?- e si concentrò esclusivamente sull’altro.
-Non
lo so..-
-E
per la scuola? Come pensi di fare?-
Non
rispose per non sentire più quelle tre parole che uscivano dalle sue labbra,
per non dare voce ancora una volta alla sua indecisione, a quell’incertezza che
gli dava sui nervi e che non riusciva a sopportare.
-Perderesti
metà anno così-
Kei
annuì, restando ancora in silenzio.
-Non
so.. questa cosa che ti sta accadendo è molto bella, è positivo che tu ci sia
così immerso, però credo dovresti valutare le tue priorità..-
Iniziò
a pensare che il suo non voler parlare con Yuri derivasse dall’aspettativa che
riponeva nella sua risposta, perché in fondo sapeva quale sarebbe stato il
punto di vista dell’altro, quello per cui avrebbe votato, ma perché lo
indisponeva tanto?
Si
era sempre affidato al rosso, nell’ultimo anno e mezzo aveva deciso che il suo
parere sarebbe stato al di sopra di tutto, che lo avrebbe ascoltato sempre e in
ogni caso, eppure non riusciva ad accettare quella come soluzione al problema.
-La
scuola non è mai stata una delle mie priorità..-
-Ma
dovrebbe esserlo.. Kei, questa cosa non può aspettare un anno? Il tempo di
diplomarti? Non ti manca tanto.. puoi sempre continuare a ballare, solo non a
tempo pieno.. per ora..-
La
consapevolezza di avere già chiaro quale, per lui, doveva essere la risposta a
quella possibilità fece capolino nella sua testa: lui voleva dire di sì, voleva
lasciare tutto e inseguire quel qualcosa che lo faceva stare bene da qualche
mese a quella parte.
-E
se io non volessi aspettare?-
-Io
non sono d’accordo- si fissarono a lungo, ma nessuno dei due diede la
soddisfazione all’altro di abbassare per primo lo sguardo –Cosa ne pensano
Takao, Nonno J, Rei?- continuò Yuri sperando di trovare man forte in altri.
-Non
lo sanno..-
-Credo
che la penserebbero come me..-
-Non
tutti la pensano come te- disse improvvisamente con tono freddo.
-Tipo?-
-Dana-
non voleva tirare in ballo l’amica, ma non sapeva in che altro modo continuare
a dibattere.
-Lei
ti incita così potrai realizzare ciò in cui lei non è riuscita..-
-Non
è vero.. e poi non parlare di lei in questo modo-
-Ma
è undato di fatto.. lei ti appoggia
perché fa parte di quel mondo-
-E
non credi che proprio per questo abbia più voce in capitolo di te?-
-No,
non credo! Io ho voce in capitolo eccome, io voglio solo il meglio per te e
cerco di farti capire qual è!-
-Anche
lei-
-Kei,
non puoi lasciare così la scuola per fare il ballerino! E’ un futuro insicuro,
evanescente.. poi non credo che tu sia pronto per un passo del genere-
-Cosa
credi che possa succedere?-
-Metti
di non riuscire.. che dopo questo tour non ti chiamino più, che decidano che
non gli servi? A te che cosa rimarrà? Un ennesimo anno perso e chissà che
altro..-
-In
tal caso cosa credi? Che ricominci a farmi?-
-Spero
proprio di no, ma cerco di mettere in conto ogni eventualità come faccio da
anni!-
-Inizi
a rinfacciarmi le cose? Mi sembrava fossimo rimasti al punto in cui iniziavi a
fidarti di me-
-Non
ti rinfaccio nulla.. comunque mi pare di aver capito che nonostante questo
discorso tu abbia già preso la tua decisione..- continuò il rosso tornando
apparentemente calmo.
Kei
si zittì improvvisamente seguitando a guardarlo.
-Tu
ci vuoi andare..-
Aveva
dibattuto negli ultimi minuti ogni qual volta si erano allontanati dalla
possibilità di accettare la proposta del tour e aveva tenuto testa ai discorsi
logici di Yuri: tutti gli elementi potevano far presagire la sua totale
intenzione di iniziare questo nuovo percorso e abbandonare il vecchio, ma,
all’avanzare di quella consapevolezza, la paura o l’indecisione o come la si
vuole chiamare tornò a tormentarlo.
-Non
lo so-
-Come
faccio a dare la mia completa fiducia a un atto del genere, che già considero
irresponsabile di suo e del quale, poi, non sei nemmeno sicuro?-
Nuovamente
come ragionamento non faceva una grinza e, quindi, a chi dare retta? A Yuri e
le sue logiche argomentazioni o all’istinto, che tante volte lo aveva aiutato
quante volte lo aveva tradito?
Ripensò
alle parole di Jermaine, a quelle di Yuri, di Hilary
e, infine, a quelle di Dana: doveva davvero capire ciò che per lui era casa.
E anche questo è
finito!
Siamo atterrati
nuovamente a Mosca e Keiuccio è tornato confuso XD è
inutile, non si smentisce mai u.uvabbè..vado
un po’ di fretta e non ho molte cose da dire, al massimo le aggiungerò in
seguito o mi pentirò per tutta la vita di non averle tirate fuori al momento
opportuno! O_o
Nonno
J seduto al tavolo della cucina pose quella domanda ai tre ragazzi non appena
finita la cena, mentre se ne stavano seduti a chiacchierare davanti a una coppa
di gelato per combattere il caldo di agosto.
-L’ultima
volta qualche giorno fa- rispose Max dopo averci pensato su.
-Lo
sapevo che non dovevamo lasciarlo partire!-
-Takao,
cosa stai dicendo?- lo rimproverò Rei.
-La
verità! Sai che potrebbe non tornare!-
-In
quel caso ce l’avrebbe già detto-
-Stiamo
parlando dello stesso Kei?-
-Afferrato,
ma non fasciarti la testa prima di essertela rotta-
-In
effetti aveva detto sarebbe stato via un mese..- Max venne in soccorso del
giapponese.
-..e
ha già sforato di due settimane!- finì Takao reggendosi la testa con la mano.
-Vorrà
sfruttare il tempo che ha a disposizione per stare con Yuri e gli altri- cercò
di consolarlo Rei, ma senza riuscirci.
-Sei
troppo positivo- sbuffò l’altro.
-Sarebbe
una decisione legittima, comunque, quella di rimanere a Mosca..- intervenne
Nonno J -..e tu in tal caso dovresti rispettare il suo volere!-
-Quindi
anche tu pensi che potrebbe accadere!- esclamò puntando il dito verso il
parente.
-Io
metto in conto tutte le possibilità-
-Uffa..
quel ragazzo mi farà impazzire prima o poi!- concluse Takao infilando il
cucchiaio nella vaschetta del gelato per prendere l’ennesima porzione, facendo
scoppiare tutti a ridere.
-Affoghiamo
i nostri dispiaceri nel gelato, bravo!- lo prese in giro Max imitandolo.
Era
abituato alle occhiate delle persone che gli passavano accanto e ancora più a
quelle di rimprovero o di ammonizione, non che in quel momento non se le
meritasse: era seduto per terra a gambe incrociate in un luogo di passaggio e
fumava una sigaretta incurante se vi fosse il divieto o meno. In ogni caso si
sentiva libero di non spostarsi e non gli pesavano i borbottii delle poche
persone che lo superavano con chissà quale espressione dipinta in volto.
Non
faceva comunque niente che fosse degno di nota, se non osservare il nome
scritto in lettere dorate sulla superficie marmorea e ogni tanto prestare
attenzione alla fotografia affiancata ad essa, vecchia di qualche anno di
troppo rispetto alla data segnata poco più sotto.
Lasciò
cadere la cenere a terra incurante dei passi che sentiva avvicinarsi.
-Devo
iniziare a pensare che tu sia diventato credente?- chiese una voce alle sue
spalle.
-Non
sia mai- rispose placido Kei.
-Domenica
mattina, a pochi metri di distanza da una chiesa.. e non è la prima volta!-
-Sei
venuta a farmi la predica?-
-No-
Dana
si abbassò all’altezza di Kei e infilò un piccolo mazzo di fiori nell’apposito
spazio del loculo nella fila più in basso.
-Hai
mai sentito parlare dell’usanza di portare i fiori?- cercò di scherzare la
ragazza.
-Sì,
da qualche parte..- la assecondò con un mezzo sorriso.
-Sarebbe
carino se lo facessi anche tu allora!-
-Ci
penserò-
Dana
si guardò intorno circospetta, prima di decidere di sedersi per terra insieme
all’amico.
-Che
cosa sono?- chiese lui osservando i fiori che sembravano delle margherite, ma
molto più grandi e con i petali arancioni.
-Non
lo so, ma mi piacevano!-
Kei
spense la sigaretta a terra e alzò finalmente lo sguardo sull’altra che lo
squadrava come in attesa.
-Non
è che mi stai cadendo in depressione?- cercò di metterla sul ridere.
-E’
che è un buon posto per pensare.. i morti sanno essere davvero silenziosi e
discreti-
Dana
rise e iniziarono a parlottare, senza rendersi conto di aver alzato il tono
della voce e di essersi girati fino ad essere l’uno di fronte all’altro,
apparentemente dimentichi dell’ambiente nel quale si trovavano.
-Lo
so che nelle ultime settimane in pratica non abbiamo parlato d’altro, ma.. hai
ancora deciso?-
-Ci
sto arrivando-
-Ti
conviene sbrigarti.. siamo a metà agosto!-
-Ho
chiesto a Yuri se potevo prendere in considerazione anche la possibilità di
restare qui..-
-Davvero?
Quando?-
-L’altro
giorno-
-E
lui che ha detto?-
-Che
dipendeva da come mi sentivo al riguardo-
-E..-
-E..
non lo so.. ormai non so più nulla-
Quel
mese e mezzo era stato come una rinascita: aveva temuto che la bella sensazione
che gli donava la Russia sarebbe scomparsa lasciando il posto a un ricordo
sbiadito di quanto un tempo si sentisse a suo agio in quella terra. Invece,
come per tutte le cose ormai, aveva avuto solo bisogno di tempo.
Sarebbe
stato difficile lasciarla ancora, ecco perché aveva ritardato la partenza
prefissata con Takao e aveva avanzato quella proposta a Yuri, di restare.
Ma
se quell’aria era diventata nuovamente respirabile, poteva dimenticarsi di
quanto lo erano le altre? Non sapeva quali fattori avrebbero pesato
maggiormente nella sua decisione, ma sicuramente il suo modo, la sua capacità
di respirare nei diversi contesti sarebbe stata presa in considerazione.
-Ti
dispiace se ora andiamo?- chiese improvvisamente Dana, prestando nuovamente
attenzione a ciò che aveva intorno –Questo posto mi fa congelare!-
-Certamente-
Kei
si alzò e tese la mano all’amica che, una volta in piedi, cercò di togliersi
eventuale sporcizia dai pantaloni per poi riprendere quel contatto e guidare
l’altro verso l’uscita.
-Ci
vediamo dopo!- Boris uscì velocemente dal cancelletto del giardino: non si
preoccupò nemmeno di chiudere la porta di casa, poiché Kei lo aveva seguito
fino alla soglia.
Il
russo, però, una volta risposto al saluto, non rientrò, ma lo osservò sparire
lungo la strada e, rimasto solo, si sedette sui gradini di ingresso.
Frugò
nella tasca e estrasse il pacchetto di sigarette e un cartoncino: iniziò a
fumare, appoggiando il pacchetto accanto a sé e prendendo a osservare il
biglietto.
Nome,
cognome, due numeri di telefono e una mail erano stampati nero su bianco: fece
scorrere il pollice sulla carta ruvida prima di decidersi a tirare fuori anche
il cellulare.
Sullo
schermo, sotto la dicitura dell’ora, apparve la data: 20/ago/2008. Aveva
aspettato fino all’ultimo, fino al giorno di scadenza che gli era stato dato,
ufficialmente perché voleva prendere la sua decisione con calma e valutando
tutti pro e i contro per non rischiare una risposta affrettata e di cui,
magari, si sarebbe pentito presto; ufficiosamente, invece, era perché non aveva
avuto il coraggio di farlo prima.
Ne
aveva parlato diverse volte in quelle settimane, sia con Dana che con Yuri,
considerando che ognuno dei due tendeva per una risposta differente, ma negli
ultimi giorni aveva smesso di tirare fuori l’argomento e deciso di lasciarsi
scivolare addosso il peso di quella scelta.
Cercò
nel registro chiamate e lo fece scorrere fino alla fine di giugno,
soffermandosi sull’unico numero sconosciuto presente: non lo aveva nemmeno
salvato mantenendo la sua recidività a compiere un qualsiasi passo verso quella
decisione.
Lo
confrontò con i due numeri presenti sul biglietto da visita e, vedendo che
combaciava col secondo, lo memorizzò in rubrica: si rese conto di stare
prendendo tempo, di cercare di ritardare il momento decisivo e, quasi senza
pensarci, premette il pulsante verde per attivare la chiamata.
Portò
il cellulare all’orecchio lentamente, cercando di scacciare via quell’ansia che
non voleva permettersi di provare: non era una cosa da lui, era da debole, e
debole lo era già stato abbastanza negli ultimi anni, doveva invertire quella
rotta.
-Pronto?-
La
voce di Jermaine lo risvegliò dai suoi pensieri.
-Pronto
Jermaine? Sono Kei-
Sentì
un insieme indefinito di rumori che si confusero, prima del calare di un
silenzio assoluto, eccetto un lieve brusio di sottofondo.
-Kei!-
l’uomo in pratica lo urlò, prima di continuare con un tono più umano –Stavo
guidando e non ho guardato il nome sul display!-
-Semmai
ti chiamo dopo..- iniziò quasi speranzoso.
-No,
tranquillo, mi sono fermato.. dimmi tutto!-
Jermaine
sapeva perché lo aveva chiamato: non poteva semplicemente porgli la domanda
fatidica invece che costringerlo a iniziare il discorso?
-Riguarda
la tua domanda..- iniziò restando sul vago, ma sapendo che l’altro avrebbe
capito perfettamente, o almeno lo sperava: considerando la stranezza del
soggetto poteva aspettarsi di tutto.
-Ti
fai proprio desiderare, eh?- lo schernì l’altro, facendo funzionare il piano di
Kei –Temevo non ti saresti fatto sentire.. beh, in quel caso ti avrei chiamato
io comunque!-
Al
russo non stupì quella frase, ma gli diede la conferma sull’infondatezza di
alcuni scrupoli che si era fatto sulla sincerità delle parole di Jermaine: in
tutto quel tempo poteva essersi stufato di aspettare o semplicemente aver
cambiato idea.
-Allora
qual è la tua risposta?- continuò l’uomo e a Kei sembrò quasi di vederlo, al
pari di un bambino che aspetta le caramelle dalla mamma, all’interno della sua
Mercedes rossa parcheggiata a caso chissà dove.
Si
ripetè la domanda nella testa e prese un respiro prima di decretare in quel
singolo istante il suo futuro, o almeno una parte di esso.
-Sì-
-Sì
cosa?- cercò conferma l’altro, più per sentirlo ripetere che per altro.
-Sì,
va bene-
-Accetti?-
Sospirò
pesantemente e con una lieve irritazione crescente prima di ripetere per
l’ennesima volta
–Sì-
-Sì!-
gli fece eco l’altro evidentemente esaltato –Non te ne pentirai! Sei in
Giappone?-
-Non
ancora-
-Quando
torni?-
-La
prossima settimana-
-Perfetto!
Ti mando un messaggio il prima possibile con tutti i dettagli per il primo
giorno di prove.. ora non ce li ho sotto mano e sinceramente non me li
ricordo.. comunque ti scrivo.. poi ti dirò lì tutto il resto!- iniziò a parlare
a macchinetta, quasi senza prendere il respiro tra una frase e l’altra, in una
completa apnea.
-Ok-
riuscì solo a dire Kei alla fine.
-Sono
davvero felice! Sarà una figata! Allora ci sentiamo.. goditi i tuoi ultimi
giorni di libertà, perché non ti lascerò scappare!- lo salutò con un altro
fiume di parole, prima di ricordarsi di avere un appuntamento da lì a poco e di
dover riprendere a guidare.
Quando
riattaccò, Kei rimase immobile qualche istante prima di ritornare a ragionare:
non si era accorto di aver lasciato la sigaretta consumarsi e la spense del
tutto frastornato.
Avvertiva
un peso sullo stomaco: poco prima sentiva quello della decisione che doveva
prendere, ma vi si era sostituito un altro, molto diverso.
Non
sapeva definirlo, ma non era sicuro fosse del tutto negativo: aveva davanti
delle settimane sulle quali avrebbe potuto mettere un punto interrogativo, ma
questo lo preoccupava tanto quanto lo affascinava. Una sensazione davvero
piacevole.
Alla
fine era rimasto per un mese e tre settimane, molto più delle sue iniziali
aspettative, ma quella vacanza doveva arrivare a un termine: era stato bello
poter tornare a Mosca, città agognata per un anno e che, finalmente raggiunta,
era stata una serie di alti e bassi di aspettative adeguate o meno. Tornare a
vivere con Yuri, Boris e Sergay lo aveva fatto sentire nel posto giusto dopo
tanto tempo, ma non erano mancati gli aspetti negativi, i tanti, troppi,
ricordi e la sensazione di aver trovato dell’altro, la consapevolezza
dell’esistenza di tutto un altro mondo dove la vita era degna di essere
chiamata tale.
Per
quello annunciò a Yuri e successivamente agli altri due quale era stata la sua
decisione: non erano mancate le frecciatine e le prese in giro, ma sapeva che,
se un tipo come Boris si lasciava scappare delle battute di spirito e non
esponeva il suo disappunto seriamente, significava che poteva contare sul loro
appoggio.
Prenotò
il volo l’ultima settimana di agosto e dovette ripetere il giro di saluti che
già lo avevano tenuto occupato più di un anno prima: Dana cercò di trascorrere
più tempo possibile con lui nonostante il lavoro e soprattutto si manifestò la
più entusiasta per ciò che lo avrebbe aspettato il mese successivo.
Chi
era rimasto alquanto neutro alla grande notizia era stato proprio Yuri, o
almeno fino a due giorni dalla partenza di Kei.
-Ti
va se parliamo un po’?- aveva esordito il rosso quando, come al solito, erano
rimasti gli ultimi in cucina.
-Sì-
-Nessun
rimpianto?-
-Per
ora no-
-Vedi
di non averne..- lo avvertì, ma senza arroganza nella voce.
-Ok-
Kei
lo guardò in tralice cercando di decifrare che cosa avesse intenzione di
dirgli: probabilmente era in arrivo il suo discorso di disapprovazione a cui
non era ancora stato sottoposto, ma che si aspettava da almeno una settimana.
-Di
solito noi cerchiamo di evitare questo genere di discorsi..- iniziò Yuri
prendendo un lungo respiro -..però voglio che tu lo sappia prima di ripartire
e.. beh, sono fiero di te-
Disse
le ultime parole velocemente, come per farle uscire prima che fosse troppo
tardi, e Kei se ne stupì: lo osservò riprendere il controllo e parlare più
lentamente.
-Non
sono totalmente d’accordo con te su questa scelta, ma non è importante, perché
è una tua scelta e.. mi fido di te.. è stato un anno difficile per te e credo
che se sei convinto a tal punto di questa opportunità vuol dire che è qualcosa
di speciale.. sinceramente ciò che conta è, e sempre sarà, che tu stia bene!-
-Grazie..-
sussurrò confuso e grato al contempo.
-Ti
ho osservato in questo mese.. sei maturato, il Giappone ti ha fatto davvero
bene, non so che parte di questo abbia contribuito di più, se il luogo, le persone,
il ballo, ma qualsiasi cosa sia non la devi abbandonare..- si prese ancora una
piccola pausa -Quindi ora devi solo darti da fare..-
Kei
lo avrebbe abbracciato se un gesto del genere, per uno come lui, non avesse
significato uno sforzo emotivo enorme: perché era semplice sciogliersi dopo che
le braccia di Dana si erano fatte avanti, assecondare gli sforzi delle varie
ragazze che aveva conosciuto, ma allo stesso modo era difficile essere il
primo, dare l’input di quel gesto, anche con Yuri, l’amico di una vita, ciò che
più si avvicinava alla definizione di famiglia.
In
fondo, però, il rosso sapeva tutto questo e non aveva bisogno di una
dimostrazione di gratitudine, affetto o che altro: semplicemente erano fatti
così.
Nostalgia
non era forse la parola giusta per descrivere quello che provava per il
Giappone, però, questa volta, poteva dire di non essere del tutto indifferente
al ritorno in quella terra.
Si
era lasciato alle spalle un capitolo, piuttosto scuro a tutto dire, della sua
vita definitivamente e per la prima volta ne era sicuro; la differenza stava
nel capire dove lo portasse quello che sarebbe iniziato in quei giorni e cosa
gli riserbasse.
Prima
di scoprirlo, però, doveva affrontare l’ultimo ostacolo, ossia riferire a Takao
e agli altri ciò che aveva deciso per i mesi successivi: la difficoltà di quel
passo gli sembrò sempre più enorme man mano che si avvicinava alla figura
sorridente dell’amico.
Scorse
infatti il giapponese saltellare per farsi notare tra la folla che occupava il
grande corridoio, un’immagine che gli ricordò il suo arrivo a Tokio dell’anno
prima.
Appena,
per telefono, lo aveva avvertito sulla sua data di ritorno non ce l’aveva fatta
a riferirgli pure quella della sua ennesima partenza, sia perché non lo sapeva
ancora esattamente, sia perché non aveva avuto la forza di affrontare un lungo
discorso, immaginato diverse volte in quegli ultimi giorni.
-Finalmente!-
lo accolse urlando.
-Sono
in perfetto orario..- gli fece notare Kei perplesso.
-In
realtà sei in ritardo di tre settimane e forse anche qualche giorno di più-
l’espressione del più piccolo sembrava furente, ma allo stesso tempo risultava
alquanto buffa.
-Non
farci caso.. è così da un mese!- affermò Rei esasperato –Com’è stata la
vacanza?-
Kei
rispose vagamente alla domanda incamminandosi con i tre verso il dojo: più si
avvicinavano alla villa e più si addentravano nella conversazione, più il russo
sentiva il leggero impulso di spiattellare tutti suoi progetti, ma anche il
desiderio di non affrontare quell’argomento.
Si
convinse che avrebbe dovuto aspettare almeno la presenza di Nonno J, l’unica
persona che probabilmente avrebbe avuto la capacità di obiettare seriamente.
Non
appena arrivarono a destinazione, Kei spinse il trolley nell’ingresso e proprio
l’uomo spuntò dalla porta della cucina.
-Kei!
Ben tornato.. tutto bene?- chiese frettoloso, ma con il suo solito tono
paterno.
-Sì..
senti, ti dovrei parlare di..-
-Può
aspettare questa cosa?- chiese dispiaciuto l’uomo.
-Certo..-
rispose confuso Kei, che si stava già preparando il discorso tra sé e sé.
-Vado
di fretta mi dispiace..- salutò i presenti e uscì dal dojo.
Nessuno
sembrò preoccuparsi di ciò che Kei volesse dire a Nonno J e lo lasciarono
andare rimpossessarsi della sua camera: solo una volta che vi fu dentro e si
sedette sul letto, i pensieri ricominciarono a vorticargli nella testa a una
velocità normale.
Tra
l’esuberanza dei suoi amici nel riportarlo a casa e la preoccupazione per
quello che invece gli avrebbe dovuto dire, non aveva avuto il tempo di
rilassarsi.
Il
silenzio si riappropriò dello spazio, a parte i pochi rumori di sottofondo
provenienti da oltre la porta, e Kei potè tirare un sospiro e rilassare i
muscoli: prese lentamente a disfare la valigia per poi spalancare la finestra e
mettersi a fumare una sigaretta.
Non
aveva nemmeno avuto il tempo di lamentarsi del caldo, di realizzare quanto il
clima ostico di quel paese lo atterrisse; si disse che doveva ormai averci
fatto l’abitudine e se ne rallegrò.
Altro
fattore che non aveva preso in considerazione riguardava invece proprio il
fumo, dopo la prima settimana in Russia era stato così naturale riappropriarsi
delle vecchie abitudini che non aveva pensato alla differenza delle sigarette
giapponesi. Solo una volta fermatosi ad osservare il paesaggio dalla finestra
gli sovvennero immagini e odori che riconosceva e che associava a determinati
momenti, tra questi ovviamente c’era quello che dedicava tutto a sé e alle sue
sigarette e fumare in quella situazione giapponese con il sapore della sua
Russia lo confuse.
Decise
di approfittare dell’assenza di stanchezza, parecchio strana considerando il
viaggio che aveva affrontato, e si andò a fare una doccia, ricordandosi che era
stata la stessa azione che aveva compiuto al suo precedente arrivo in Giappone.
Si
chiese mentalmente come mai in quelle ore si stava lasciando trasportare così
tanto dai ricordi di quel periodo e, nuovamente, cercò di liberare la testa.
La
preoccupazione tornò solo poco meno di un’ora dopo quando lo chiamarono per la
cena: aprì la porta della camera e si ritrovò davanti a Takao che, come lui, si
stava dirigendo verso la cucina.
-Ho
creduto davvero che non tornassi più, sai?- gli disse inaspettatamente.
Kei
si bloccò di colpo, cercando di ricordare le parole che si era preparato
sull’aereo per introdurre le novità che aveva da annunciare, ma la sua testa
sembrava aver fatto tabula rasa di ogni sillaba.
Il
rumore delle scarpe di Takao sui gradini lo risvegliarono e lo convinsero a
seguire il giapponese.
Nonno
J stava portando in tavola tutte le pietanze quando Kei prese posto accanto a
Rei e per diversi minuti si sentirono solo i rumori delle stoviglie.
-Cosa
volevi dirmi oggi?- chiese a un tratto l’uomo sorridendo cordiale come al suo
solito.
Kei
alzò allarmato lo sguardo dal piatto e istintivamente osservò i volti dei suoi
tre amici che mangiavano tranquillamente come in attesa di una conversazione di
routine riguardante l’orario di rientro serale o il menu del giorno successivo.
-Se
vuoi aspettare quando..-
-No,
no..- il russo interruppe Nonno J prima di desistere lui stesso: come quando
aveva parlato con Yuri, aveva delle riserve a introdurre l’argomento, con la
differenza che ormai la decisione era stata presa e si trattava solo di dare la
notizia di fatti certi e questo non rendeva le cose più semplici -..intanto lo
devo dire a tutti..- vide Takao sgranocchiare un grissino con sguardo curioso
prima di riprendere a parlare: si chiese da quando era diventato così prolisso
e cercò di darsi un contegno -..non tornerò a scuola quest’anno-
Il
tintinnio delle bacchette che cadevano nel piatto mezzo vuoto di Rei e
l’improvviso tossire di Max a causa dell’acqua che gli era andata di traverso,
convinsero Kei di essere stato fin troppo diretto.
-Cosa
intendi dire?- cercò di biascicare il cinese.
-Mi
hanno offerto un lavoro e l’ho accettato-
-Che
lavoro? Dove? Perché?-
-Come
questa primavera..- iniziò faticando ancora a pronunciare ad alta voce
determinate parole -..è un tour mondiale e perderò metà anno..-
-E
hai già accettato hai detto?- chiese conferma Max.
-Sì-
Nuovamente
il silenzio si impadronì della cucina, mentre quattro paia di occhi seguitavano
a fissare il volto, quasi, del tutto indifferente di Kei.
-Perché?-
sussurrò Takao impercettibilmente, prima di ripetere la domanda quasi urlando.
-Perché
lo voglio fare- rispose pacato il russo, intimorito delle sue stesse parole.
-Quindi
parti di nuovo eh..- iniziò evidentemente arrabbiato, ignorando il nonno che lo
chiamava per nome -..e ti rivedremo chissà quando e..-
-Takao!-
si spazientì l’uomo facendolo zittire.
Kei
prestò tutta la sua attenzione a quello guardandolo negli occhi.
-Non
dobbiamo fare altro che prendere atto della sua decisione..-
-Ma
nonno..!-
-Niente
ma!- lo zittì nuovamente –Kei è maggiorenne ed è libero di decidere della sua
vita!-
Il
russo rilassò finalmente le spalle, tenute rigide in una posizione scomoda per
la tensione, ma non potè tirare un sospiro di sollievo vedendo ancora tutti
quegli sguardi su di sé.
-Ci
hai pensato bene?- continuò l’anziano.
-Sì-
-Yuri
che ne dice?-
-Non
era del tutto d’accordo..- iniziò ignorando il brusio di sottofondo formato
dalle lamentele di Takao -..però ha capito che è una decisione mia-
-E
non avete pensato ad altre alternative per la scuola?-
-Di
che genere?-
-Non
so.. studiare e diplomarsi privatamente o qualcosa del genere..-
-In
verità no..-
-Al
giorno d’oggi ci sono tante possibilità!-
-Non
ci ho pensato..- disse, considerando quanto poco si fosse premurato di trovare
un’alternativa.
-Potresti,
ma c’è tempo.. piuttosto, quando partiresti?-
-Non
lo so ancora.. tra una settimana iniziano le prove e mi diranno tutto..-
-Perfetto-
annuì Nonno J calmo riprendendo a mangiare come se nulla fosse stato –Forza,
non mangiate?- li incitò, infine, notando che i ragazzi erano rimasti
imbambolati a guardarlo liquidare il discorso in così poco tempo.
Nessuno
osò fiatare: Kei fu l’ultimo a riconcentrarsi sul proprio piatto. Valutò che,
in quei mesi, aveva considerato la scelta il passo più difficile da affrontare,
eppure, in quel preciso istante, si accorse che la vera sfida era stata
confidare a tutti quello strano percorso che si era delineato nel suo futuro:
si era forse concentrato sul problema sbagliato? Probabilmente sì, poiché da
subito sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, poteva identificare nello stesso
momento in cui gli era stata fatta quella proposta, su quella terrazza di quel
locale del centro, l’attimo in cui aveva acconsentito a tale pazzia, o almeno
nella sua testa. Dana lo aveva spinto a fidarsi del proprio istinto, a dargli
nuovamente ascolto e Kei, dopo tanto tempo, era stato pronto a rispondergli, a
seguirlo e a fidarsi.
Rendere
conto a qualcuno della propria scelta era stata la vera sfida, a tutti coloro
che occupavano un posto speciale nella sua sfera dei sentimenti.
Perso
nelle sue riflessioni, il russo non si accorse che tutti gli altri finirono in
fretta e furia di mangiare e, in un inconsueto silenzio, iniziarono a sistemare
prima di dileguarsi nel resto del dojo.
-Dagli
tempo..- gli aveva sussurrato Rei, riferendosi a Takao, non appena quest’ultimo
si diresse al piano superiore.
-Ah
Kei..- lo richiamò improvvisamente Nonno J –Chi è il responsabile di questa
cosa?-
Il
russo, non sapendo se interpretare quelle parole in tono positivo o negativo,
visualizzò la persona a cui si riferiva nella propria mente.
-E’
il coreografo.. Jermaine Crowde..-
-Mh..
vorrei parlargli!- disse con un tono troppo tranquillo.
-Perché?-
chiese piano, temendo le motivazioni dell’uomo.
-Non
voglio e non posso farti cambiare idea, ma vorrei accertarmi dell’affidabilità
e della sicurezza di questa opportunità- rispose ovviamente.
Kei,
pensando ancora all’immagine del coreografo, non riuscì ad associare alla sua
figura né affidabilità, né sicurezza e non seppe dire se quella richiesta gli
si sarebbe ritorta contro in qualche modo.
-Non
lo so.. è sempre impegnato- titubò, rendendosi conto di quanto inconveniente
sarebbe stato quell’incontro.
-Puoi
chiederglielo?- insistette sorridente Nonno J.
-Posso
provare- acconsentì l’altro, non del tutto convinto, ma incapace di negare una
qualsiasi richiesta al vecchio Kinomiya.
-E
pensa a quello che ti ho detto prima riguardo allo studio!- gli urlò mentre già
attraversava la porta che lo avrebbe condotto nel corridoio e poi sulle scale
fino alla sua camera.
Nessuno,
tanto meno lui stesso, si era premurato di concedersi delle ore di sonno per il
lungo viaggio che aveva intrapreso quel giorno: solo in quel momento avvertì
che gli erano state prosciugate tutte le forze e che non sarebbe riuscito a
stare sveglio un minuto di più.
Quella
mattina si era risvegliato in Russia, su quel materasso che ormai era diventato
nuovamente familiare, mentre quella sera doveva tornare ad abituarsi al letto
giapponese: pensò che avrebbe dovuto fare presto l’abitudine a quei continui
cambiamenti e tentò di tornare indietro coi ricordi fino al torneo mondiale di
bey e alla sua esperienza in quel frangente, ma la stanchezza prese il
sopravvento.
Il
giorno successivo dovette cercare un modo di far convivere i propri continui
sforzi di riabituarsi all’orario giapponese, con la passiva sopportazione
dell’atteggiamento offeso di Takao.
Il
giapponese cercava di renderlo partecipe in tutti i modi del proprio disappunto
e tentò di non perdere nessuna occasione: gli unici momenti di stacco furono
l’arrivo di Hilary, subito informata dall’amico della novità, e i tentativi di
rintracciare Jermaine al telefono.
In
realtà non si era propriamente impegnato nel farlo, ma semplicemente aveva
provato inutilmente a chiamarlo e gli aveva mandato un messaggio: solo a
pomeriggio inoltrato il suo cellulare aveva preso a squillare e sul display era
apparso il nome dell’uomo.
-Dimmi
che non devi partire all’ultimo per chissà che continente o qualsiasi altra
cosa del genere!-
Non
aveva nemmeno fatto in tempo a rispondergli che già lo aveva sommerso di fiumi
di parole.
-Niente
del genere- disse perplesso.
-Meno
male- sospirò Jermaine, prima di parlare con qualcuno in inglese e riprendere
la conversazione con Kei –Allora tutto bene?-
-Sì-
-Sei
pronto per l’avventura?-
-No-
Rispose
indifferente a tutte le sue domande con quelle due semplici sillabe aspettando
il momento in cui finalmente si sarebbe zittito e lo avrebbe lasciato parlare.
-Comunque
che volevi dirmi?-
-Sei
in Giappone?- chiese, prendendola alla lontana.
-No..-
-Quando
torni?-
-La
sera prima dell’inizio delle prove.. perché?-
-Allora
nulla..-
-No,
dimmi..-
Kei
si convinse a parlare, scorgendo dalla finestra Nonno J in giardino –E’ che
il..- pensò con che parole riferirsi all’uomo -..diciamo il mio tutore qui in
Giappone.. gli ho detto ieri del tour e credo non si fidi del tutto quindi..-
-Gli
parlo io!- lo interruppe Jermaine prima che potesse arrivare al nocciolo della
questione.
-Non
sei obbligato.. se sei impegnato non..-
-Tranquillo!
Purtroppo ora come ora non so precisamente i miei impegni, ma martedì ci
mettiamo d’accordo..-
-Ok-
-Dovevi
dirmi altro?-
-No-
-Perfetto..
allora alla settimana prossima! Mi raccomando!-
Chiuse
la chiamata e Kei rimase interdetto come ogni qual volta avesse a che fare con
il coreografo: era un esplosione di vitalità ad ogni momento della giornata e
in ogni parte del mondo e questo non riusciva ancora a spiegarselo. Decise di
non pensarci troppo e andò a riferire la sua conversazione a Nonno J il quale
fu molto felice di dichiararsi libero in qualsiasi momento pur di avere la
possibilità di parlare con Jermaine.
Il
resto della settimana trascorse relativamente tranquillo: Max e Rei furono i
primi ad accettare di buon grado la novità di Kei e Takao fu costretto ad
assecondarli e ad unirsi alla positività generale anche grazie, a detta del
cinese, a una strigliata di Hilary.
Fu
così che il lunedì primo settembre i tre ragazzi lasciarono il dojo per
affrontare il loro primo giorno di scuola, mentre Kei si godeva l’ultimo giorno
di vacanze; cercò di tenersi occupato il più possibile per evitare di pensare,
in negativo o in positivo che fosse, alle giornate che lo avrebbero aspettato,
ma le cose da fare erano comunque limitate.
Nonostante
questo l’indomani arrivò fin troppo presto, complice probabilmente il fatto che
il russo aveva iniziato ad agitarsi al riguardo: ebbene aveva ammesso di non
essere tranquillo e che qualcosa stava turbando il suo mondo, che la
preparazione psicologica e la sua innata freddezza non erano bastate per
placare quel sentimento umano che si era fatto largo dentro di lui.
Si
alzò insieme agli altri abitanti del dojo piuttosto presto e uscì poco prima
per recarsi alla fermata dove avrebbe preso l’autobus per il centro di Tokio.
Le
prove si sarebbero tenute in una grande palestra, situata all’interno di un
grattacielo piuttosto lussuoso, dentro al quale si sarebbe immaginato di tutto
tranne che una cosa del genere: nella grande hall si rivolse a un ragazzo alto
e magro dietro a un bancone il quale gli chiese nome e motivo per il quale
fosse lì, controllò in una lunga lista e richiese i documenti di Kei primo di
consegnargli un pass che, a detta sua, gli sarebbe servito per le settimane
successive. Il russo fece allora qualche passo e seguì le istruzioni del
ragazzo, dirigendosi a un tornello elettronico che si aprì al passaggio della
tessera elettronica. Gli fu, poi, indicato un ascensore con il quale raggiunse
il ventottesimo piano: solo quando le porte scorrevoli si spalancarono,
liberandolo dalla serie di uomini distinti che occupavano l’abitacolo,
riconobbe qualcosa di quell’ambiente: una serie infinita di persona gli
sfrecciavano davanti indaffarate, armate di taccuini, relle e attrezzature di
ogni sorta. Una ragazza con grandi occhiali gli si avvicinò trafelata e gli chiese
il nome, che la giapponese trovò in un’ennesima lista.
-Trovato,
perfetto! Vedi quella porta?- disse indicando l’oggetto in questione con la
penna che brandiva –Attraversa tutto il corridoio e entra nella penultima
stanza a destra!-
Nemmeno
il tempo di elaborare l’informazione, che questa sparì nel flusso ininterrotto
di gente che popolava il piano.
Kei,
cercando di evitare di farsi travolgere, arrivò alla porta che gli era stata
indicata e, una volta attraversata, sentì la confusione dell’altra stanza
attenuarsi; cercò con lo sguardo la fine del corridoio, ma questo continuava
oltre un angolo e si chiese se con ‘penultima porta’ si intendesse prima
dell’angolo o prima della fine del corridoio.
Sicuro
che intanto non lo avrebbe scoperto standosene lì fermo, iniziò ad avanzare e
guardarsi intorno, sbirciando nelle stanze che superava.
-Buongiorno!-
Una
grossa mano gli si posò pesantemente sulla spalla e, solo grazie alla sua buona
dose di sangue freddo, riuscì a non spaventarsi per il modo in cui gli si era
avvicinato di soppiatto Jermaine.
Era
rimasto esattamente come se lo ricordava, soprattutto quel costante sorriso non
gli era sparito dall’espressione, anzi se possibile era ancora più accentuato;
teneva in mano un grosso bicchiere di caffè americano e vestiva dei soliti
vestiti larghi e del suo cappellino. Probabilmente per la prima volta, Kei si
chiese quanti anni avesse, ma evitò di domandarlo ad alta voce, rispondendo
invece al saluto.
-Che
confusione eh?- continuò iniziando a camminare e guidandolo sicuro lungo il
corridoio –Tutto questo piano è a disposizione di Lauren per il tour e ora si
entra nella fase calda della preparazione quindi sono tutti agitati!-
-Fase
calda?-
-Sì,
quella finale..- rispose sorseggiando il caffè e aprendo la famosa penultima
porta a destra.
-Ma
non iniziamo ora?- chiese confuso e, doveva ammetterlo, anche piuttosto
curioso.
-Noi
siamo gli ultimi a iniziare.. principalmente per colpa mia!- sorrise colpevole
prima di continuare –Gli altri stanno preparando già da settimane!-
Solo
quando il coreografo posò il suo borsone a terra, Kei alzò lo sguardo e osservò
la stanza nella quale erano entrati: era enorme, con il parquet lucido e gli
specchi alle pareti. Vi erano dentro almeno una ventina di persone e,
nonostante questo, risultava piuttosto vuota.
Nuovamente
si vide arrivare incontro una ragazza con una cartelletta in mano dalla quale
estrasse una serie di fogli che gli furono consegnati senza troppi convenevoli:
il contratto per quel lavoro lo aveva già firmato il venerdì precedente, quando
era stato convocato in un grande ufficio poco distante, ma sembravano essere
spuntati nuovi documenti da firmare.
-E’
la liberatoria per le riprese!- gli spiegò Jermaine vedendolo accigliato.
-Che
riprese?-
-A
volte può essere che vengano filmate le prove, ma più in là col tempo.. e a
volte questo materiale finisce in cose tipo video, contenuti speciali dei
dvd..- spiegò facendo spallucce -..niente di che! Ma serve la liberatoria!-
Kei
firmò: intanto ormai doveva andare fino in fondo a quella cosa e, si disse,
prima o poi ci avrebbe capito qualcosa di tutti quei meccanismi a lui
sconosciuti.
Sbirciò
l’altra serie di fogli e si accorse, con piacere, che erano solo note
informative.
-Questi
sono gli orari di queste settimane..- spiegò ancora l’uomo accanto a lui, ormai
giungendo alla fine del suo caffè -..qui le informazioni sul volo e poi queste
le date del tour.. non so se le hai già guardate su internet-
-No..-
rispose, dandosi dello stupido: non si era nemmeno premurato di scoprire in che
posti sarebbe andato, da quanto era stato impegnato a crearsi serie infinite di
problemi.
Scorse
la lista di città con lo sguardo, soffermandosi sulla prima, Melbourne, per poi
scendere verso la fine, ma qualcosa lo fece fermare prima del previsto.
-C’è
pure la Russia..- disse più a se stesso che a Jermaine.
-Già..
ma a San Pietroburgo.. tu sei di Mosca giusto?-
-Sì-
Non
era stato a San Pietroburgo più di due volte in tutta la sua vita, ma era
Russia e, come al solito, quando si parlava della sua terra natia, non poteva
fare altro che prestarvi attenzione e sentirsi rincuorato: dopotutto avrebbe
potuto fumare ancora le sue sigarette preferite prima del previsto.
-Ah,
a proposito.. dobbiamo metterci d’accordo per parlare col tuo tutore!- disse
improvvisamente Jermaine.
-Giusto..-
ricordò Kei, al quale era totalmente passato di mente e a cui, sinceramente,
sperava fosse lo stesso per il coreografo: quest’ultimo, invece, sembrava
essere più deciso che mai ed estrasse il palmare dalla tasca dei pantaloni.
-Oggi
ho una riunione e domani non posso.. mmm.. vediamo.. facciamo venerdì!- squillò
improvvisamente iniziando a digitare qualcosa –Venerdì dopo le prove.. intanto
ti accompagno a casa! Va bene?-
-Credo
di sì- rispose Kei prima di vedere sparire l’altro, richiesto da una serie di
ragazze e ragazzi.
La
porta si aprì diverse volte nei minuti successivi, facendo in modo che un
viavai di persone entrassero e uscissero: la calma si stabilì quando Jermaine
attirò l’attenzione su di sé e, acquisendo un ruolo di superiorità, chiese a
tutti di radunarsi al centro della stanza e di fare silenzio.
Kei
seguì gli altri e si sedette per terra in attesa.
-Intanto
benvenuti.. come avrete letto, gli orari delle prove sono serrati e intensi,
perché abbiamo poco tempo per montare un intero spettacolo! Le prove saranno
sempre qui: non sono accettati ritardi e tanto meno assenze, tutto deve essere
perfetto quindi mi aspetto professionalità.. per qualsiasi problema rivolgetevi
a qualcuno dello staff in modo da risolvere tutto senza intralciare lo
svilupparsi del lavoro!- parlò con grande serietà, particolare che contrastava
con la visione che Kei aveva di lui: continuò il suo discorso con avvisi e
istruzioni e la piccola folla intorno a lui manteneva un religioso silenzio di
assenso –Comunque.. io vi romperò i coglioni fino allo sfinimento, ma a parte
questo ci sarà anche da divertirsi! Quindi buon lavoro!-
Una
serie di risate e un applauso riempirono la stanza, prima del ritorno del
brusio confuso della miriade di discorsi che si mescolavano nell’aria.
Fu
a quel punto che iniziarono realmente: la musica occupò il resto della
giornata, una lunga giornata fatta di passi, sudore, fatica, memoria e lavoro.
Un concerto di circa 90 minuti, dei quali almeno 40 totalmente coreografati e
10 di freestyle, scaletta di una ventina di canzoni, luci, costumi, spostamenti
su tutta la superficie del palco, entrate e uscite, ballerini, musicisti e
coristi: tutto questo era il grande show.
A
metà mattinata arrivò Lauren, la quale fece un discorso di incoraggiamento a
tutta la crew e quella fu l’unica vera pausa che si concessero a parte quella
dei pasti. La prima giornata non si concluse prima delle sette si sera e lo
stesso sarebbe stato per le tre settimane successive: l’ultimo lunedì di
settembre, invece, sarebbero partiti per completare le prove nella prima città
del tour.
Tutto
era programmato nei minimi dettagli e si preannunciava un’esperienza dura,
nuova, ma completamente esaltante.
Lo so, lo so..
di nuovo in ritardo sulla tabella di marcia u.u ma almeno stavolta solo di
un’ora.. in verità qui è mezzanotte adesso quindi diciamo che la colpa è
principalmente del fuso orario, ma, scarica barili a parte, passiamo alla
storia!
Questo bel
capitoletto di transizione è il 41esimo.. vi direte: bella scoperta! Beh..
questo vuol dire che sono ben 41 settimane che vi rompo con questa storia e
che, forse, anzi sicuramente, è tosto l’ora di darci un taglio.. per il mio e
per il vostro bene.. più che altro mi sembra giusto informarvi che questa
storia avrà una fine, ebbene sì.. arriverà il momento! E mi sembra giusto anche
avvertirvi che sarà a breve.. facciamo un mesetto o poco più!
Qui siamo
ufficialmente entrati nella parte finale e godetevela! O almeno spero che lo
facciate ^^
Colgo
l’occasione per scrivere ancora un Grazie che era da un po’ che mancava, ma
spero sappiate che era sottointeso!
In
quattro giorni avevano fatto l’impossibile e Kei era sicuro che a una persona
normale servisse una vita intera per ballare così tanto come aveva fatto lui in
relativamente poche ore.
Come
Jermaine gli aveva accennato, loro erano gli ultimi a iniziare le prove il che
poteva considerarsi un vantaggio, poiché tutto era già stato deciso e il
rischio di cambiamenti improvvisi era minimo, ma allo stesso tempo uno
svantaggio per il pochissimo tempo che avevano a disposizione.
Quando
la sessione del venerdì giunse al termine il russo non poteva essere più
stravolto: se quella mattina sull’autobus diretto verso il centro tutte le sue
speranze erano orientate verso la possibilità che Jermaine si fosse scordato
dell’incontro fissato con Nonno J, quando il coreografo gli si avvicinò finito
di provare e lo invitò a seguirlo verso il parcheggio non poteva essergli più
grato.
Non
gli pesava tanto la lunghezza del viaggio, anzi a volte l’accoccolarsi sui
sedili con la musica nelle orecchie lo rilassava, quanto piuttosto la scomodità
e l’affollamento dei mezzi pubblici: seguì Jermaine lungo i corridoi e
sull’ascensore, ma l’uomo non gli prestò attenzione, impegnato in conversazioni
con persone dello staff o interlocutori misteriosi al telefono.
-Finalmente!-
esclamò Jermaine abbandonandosi sui sedili di pelle della Mercedes, si rilassò
pochi secondi e, dopo aver sistemato cellulare e altri oggetti nei vari
scomparti, mise in moto.
-Allora?
Come sta andando?-
Kei
sperava di riuscire a evitare qualsiasi tipo di conversazione, ma ovviamente
era un’aspettativa estremamente rosea rispetto alla realtà dei fatti.
-Mh..- disse facendo spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa
rispondere: non poteva negare fosse dura, non era abituato a quei ritmi
incessanti, quel sovraccarico di informazioni da tenere a mente e via
discorrendo -..sto cercando di abituarmi..-
-Eh,
è una cosa nuova.. è normale!- uscirono dal parcheggio e si immisero nel
traffico, mentre Jermaine azionò un cd a basso volume –Ma te la stai cavando bene..-
-Se
lo dici tu..-
-Non
sei d’accordo?- si informò l’altro con un sorrisetto.
-Non
proprio- ammise indifferente: aveva trovato diverse difficoltà in quei giorni
e, come era nel suo carattere, essere a un livello mediocre lo infastidiva.
-Stai
facendo fin troppo.. ovvio, sei più indietro rispetto ad altri, ma stai facendo
esperienza.. tempo qualche settimana e andrà meglio! Devi solo impegnarti!-
Kei
lasciò che le note della canzone si appropriassero dell’abitacolo, ringraziando
mentalmente la comodità di quella macchina, ma Jermaine gli ricordò ciò che,
invece, avrebbe dovuto preoccuparlo.
-Come
si chiama il tuo tutore?-
-Ehm..-
Kei, frastornato e stanco, pensò al nome di battesimo di Nonno J e si accorse
di non conoscerlo, prima di realizzare che comunque al coreografo
quell’informazione non sarebbe servita -..Kinomiya,
signor Kinomiya..-
-Perfetto!-
-Mi
dispiace farti perdere tempo così..-
-Figurati..-
-Intanto
non è che me lo avrebbe negato..-
-E’
una cosa normale Kei..- il ragazzo si convinse di aver guardato l’altro con
espressione accigliata poiché quest’ultimo continuò -..non è la professione che
gli adulti solitamente si aspettano e soprattutto non è così semplice come
sembra.. non è solo questione di tenersi in esercizio, ma di mente e corpo legati
insieme.. un po’ di sfiducia è la norma!-
Kei
ragionò su quelle parole cercando di identificare quali fossero le reali
preoccupazioni di Nonno J, poiché quando gli aveva chiesto di incontrare
Jermaine era stato piuttosto criptico al riguardo; gli era sembrata da subito
un’esagerazione, ma se in effetti ci pensava poteva considerarla una ovvia
reazione considerando che era l’uomo a occuparsi di lui e di conseguenza a
preoccuparsene. Quei trattamenti paterni erano ancora parecchio strani per Kei
e si potevano avvicinare solo lontanamente a quelli di Yuri o Boris o Sergay
che, escluse alcune occasioni, lo consideravano loro pari.
-Devi
ricordarmi la strada..- disse Jermaine quando ormai le vie si erano fatte molto
più familiari; il russo gli diede alcune indicazioni e in pochi minuti
arrivarono a destinazione.
-Posso
lasciarla qui?-
-Sì-
Scesero
dall’auto esattamente davanti al portone in legno che Kei aprì con le sue
chiavi, invitando l’altro a entrare.
-Figo..
non ero mai stato in una casa del genere!- disse Jermaine guardandosi intorno,
mentre attraversavano il cortile fino all’ingresso: entrarono in silenzio e a
Kei risultò tutto normale, dai suoni alla temperatura dell’ambiente, eccetto
uno strano disagio che avvertiva alla bocca dello stomaco.
-Eccovi!-
Nonno
J gli venne incontro, uscendo dalla cucina illuminata; sicuramente avevano già
cenato e gli altri erano dispersi chissà dove nel dojo, così che l’uomo fu il
solo ad accoglierli.
-Buonasera
Signor Kinomiya, io sono Jermaine Crowde-
la voce del coreografo si levò sicura ed estremamente professionale: in quei
giorni aveva conosciuto diverse sfaccettature della personalità di quell’uomo
che riusciva a passare dall’essere il bambinone mai cresciuto, al
professionista in carriera, fino all’insegnante dispotico maniaco per i
dettagli. In quel momento, però, pensò Kei, era ancora diverso: la stranezza
derivava soprattutto dall’ambiente attorno a lui. L’accoglienza orientale che
Nonno J gli riserbò, in contrapposizione all’aspetto di Jermaine, lo colsero alla
sprovvista: non si era mai reso conto di quanto gli ambienti che aveva
frequentato nel centro di Tokio fossero occidentalizzati, rispetto alla
tradizione che invece lì nella periferia era ancora palpabile.
-Per
di qua-
Nonno
J lo invitò verso la cucina e gli indicò un posto alla tavola, già ripulita di
ogni segno della cena; degli altri ancora neanche l’ombra.
Kei
si sedette a sua volta, osservando i due conversare amabilmente, temporeggiando
prima di arrivare al fulcro del discorso.
-Posso
sapere quali sono le sue perplessità?- si decisero una decina buona di minuti
dopo.
-Kei
è maggiorenne e può decidere della sua vita, io voglio solo essere sicuro che
userà bene il suo tempo..- spiegò il giapponese composto e sereno come al suo
solito.
-Ovviamente..
posso garantirle che non gli avrei mai offerto nulla del genere se non credessi
nelle sue potenzialità..-
Kei
seguì il discorso come una presenza evanescente: gli era capitato altre volte
di ascoltare qualcuno parlare di lui senza essere interpellato, ma poteva
considerare quella come la prima volta in cui il contesto era positivo. Si era
sempre sentito trattato come l’oggetto degli adulti che decidevano della sua
vita, oppure il ragazzino da riportare sulla retta via, ma mai come la persona
che poteva creare qualcosa di concreto.
Probabilmente
si perse qualche frase, ma comunque arrivarono piuttosto in fretta al termine
dell’incontro: Jermaine, la cui giornata sembrava essere composta di più di
ventiquattr’ore, aveva un altro impegno e non poteva soffermarsi di più.
-A
lunedì.. riposati mi raccomando!- lo salutò sulla porta prima di prendere
l’uscita.
-Personaggio
singolare- appuntò Nonno J con tono neutro, tanto che Kei si stupì di vedere un
sorriso sul suo volto quando alzò lo sguardo su di lui –Ma credo sia affidabile..
mangi qualcosa?-
-No,
vado a dormire..- lo tranquillizzò, ripensando alla montagna di cibo che
solitamente il catering portava alle prove: augurò la buona notte all’uomo e
salì le scale diretto verso camera sua e, una volta imboccato il corridoio,
vide la porta della camera di Max chiudersi ovattando mezze frasi e borbottii e
Takao cambiare direzione guardandosi intorno.
-Oh..
ciao Kei!- squillò il giapponese facendo finta di niente.
Il
russo alzò un sopracciglio perplesso, sicuro che quei tre fossero stati tutto
il tempo ad origliare, ma decise di lasciar correre sentendo la stanchezza
continuare ad attanagliarlo.
-Notte-
borbottò poggiando la mano sulla maniglia della sua porta.
-Notte
Kei!-
Aveva
imparato diverse cose in quel periodo: che la sua memoria tanto decantata aveva
solo un tot di ore di autonomia, che i ballerini erano la specie più lunatica e
contradditoria dell’universo seguita solo dalle cantanti, le quali sapevano
essere davvero tremende se non le si assecondava, e che la famosa unione tra
corpo e mente di cui parlava Jermaine era davvero difficile da ottenere in un
ambiente del genere, o almeno sicuramente si rischiava di perdere l’uso di
almeno una delle due.
Dire
che avevano aumentato il ritmo era esclusivamente un eufemismo, poiché davvero
quel famoso venerdì era stato solo l’inizio: le prove era facile che si
prolungassero oltre l’orario prestabilito, per non parlare delle pause che
erano sempre più brevi, poiché montare uno show di quell’entità riguardava non
solo imparare coreografie, tempi e ordine di entrate e uscite, ma anche di
coordinazione tra il ballato e il cantato, l’interazione con le coriste, per
non parlare dell’assoluto dovere di rendere tutto ciò congeniale esclusivamente
all’esaltazione della vera protagonista: Lauren Bright.
La
ragazza era sempre presente e aveva l’ultima parola su qualsiasi decisione:
avevano dovuto assistere a diverbi tra lei e Jermaine, ma anche a drammi di
altro genere e diverse strigliate a vari membri dello staff.
Fu
allora che, a pochi giorni dalla partenza, Kei rientrò a casa totalmente
ammattito, sia fisicamente che psicologicamente: varcò la porta del dojo più
tardi del solito e la pace e il silenzio dell’ingresso gli parvero un toccasana
per la sua testa piena zeppa di informazioni. Mosse qualche passo, ma una volta
arrivato alle scale si bloccò osservando abbattuto la cima: non era sicuro di
potercela fare, nemmeno ad arrivare fino lassù. Aveva appena salito il primo
gradino quando poggiò esasperato la borsa a terra e, tenendosi alla ringhiera,
si sbilanciò per sedersi.
Abbandonò
i muscoli, sentendo le membra attirarlo inevitabilmente verso il basso,
sopraffatto dalla forza di gravità; chiuse gli occhi valutando la possibilità
di non muoversi da lì per il resto dei suoi giorni, ma lo scricchiolare del
legno lo portò a ridestarsi.
-Stai
male?- chiese la voce preoccupata di Rei fattasi improvvisamente troppo vicina,
tanto che Kei quasi si spaventò.
-No,
no..-
-Cosa
ci fai qui seduto? Quando sei arrivato?-
-Cinque
minuti fa- disse atono.
-E..
cosa hai intenzione di fare?- chiese il cinese sedendosi accanto all’altro.
-Sto
valutando di dormire qui-
-Perché?-
-Non
credo di riuscire ad arrivare fino in camera-
Rei
continuò a guardarlo perplesso e anche abbastanza preoccupato per la sua salute
mentale.
-Acido
lattico- disse Kei in risposta alla tacita domanda sell’altro,
sperando avrebbe capito subito la situazione.
-Capisco..
sei conciato così tanto male da non riuscire a fare nemmeno le scale?-
-Evidentemente-
Restarono
in silenzio qualche secondo, prima che altri passi ruppero la pace.
-Che
stareste facendo?- la voce di Takao arrivò dal piano di sopra, seguita da
quella di Max.
-Uno
scala party?-
-Ma
come ti vengono queste cose?- chiese Rei ridendo e guardando i due amici
sedersi insieme a loro due gradini più sopra.
-Generatore
di cazzate attivo tutto il giorno!- disse l’americano indicandosi la tempia.
-Davvero..
che ci fate qui?- provò nuovamente Takao.
-Acido
lattico..- rispose Rei indicando con il pollice Kei.
-Così
tanto?-
Kei
annuì stancamente valutando che, sì, sentiva ogni arto o parte del suo corpo
pesantissima e indolenzita.
-Forse
dovresti prenderti una pausa..- provò Rei, ma l’altro fece cenno di no col
capo.
-Posso
resistere-
-Ma
se non..-
-E’
una conseguenza naturale.. ne vale la pena..- sussurrò sovrappensiero.
-Secondo
me si è bevuto il cervello- sussurrò Takao nell’orecchio di Max, ma si fece
sentire anche dagli altri due.
Kei
sbuffò prima di dibattere –E’ segno che ho fatto qualcosa..-
Il
giapponese continuò a scuotere la testa incapace di comprendere.
-Ma
sì.. è un po’ come col bey.. quando ti alleni tanto da arrivare a fine giornata
con dolori ovunque che però ti dimostrano quanto ti sei impegnato, ne sono la
prova e per questo ti fanno stare bene.. lo sai benissimo di cosa sto parlando-
replicò spazientito.
Takao
finalmente annuì serio, prima di tirare fuori nuovamente la sua esuberanza.
-Ho
capito!- quasi urlò dando una pacca sulla spalla di Kei il quale si lamentò e
imprecò in russo verso l’amico per il dolore –Oh scusa.. comunque.. ho capito
perché ti hanno convinto così facilmente per questo tour!-
Il
ragazzo lo guardò male: l’aggettivo facile non gli sembrava appropriato, ma
decise di non replicare lasciandolo continuare.
-Perché
non vedevi l’ora di rivivere le fantastiche emozioni del girare il mondo come
al torneo di bey!- esclamò vittorioso –Anche se senza di noi non sarà
certamente all’altezza!-
Kei
ci pensò su, soprattutto sulla definizione di ‘fantastiche emozioni’: non
poteva dargli torto, l’esperienza del torneo aveva costituito l’inizio di una
fase nuova della sua vita, era stato il suo primo vero contatto col mondo
reale.
-Sì,
era stato bello..- affermò senza pensarci e accennando un sorriso: sentì il
silenzio cadere attorno a lui e, subito dopo, avvertì la presenza di qualcuno
avvicinarsi all’altezza della sua spalla. Sbirciò con la coda dell’occhio e si
ritrovò vicinissimo al volto di Takao che lo fissava con espressione
indecifrabile.
-Hai
appena detto ‘è stato bello’? Mi hai dato ragione?-
chiese con tono sempre crescente e gli occhi spalancati per lo stupore –Ma
allora sei un po’ umano anche tu!- esclamò infine dandogli un’altra pacca sul
braccio, dando il via a nuove imprecazioni.
I
tre continuarono a prenderlo in giro per qualche minuto, tra battute e risate,
prima di decidersi ad andare a dormire.
-Se
ora mi dici che ti mancheremo grido al miracolo!- rise Takao salendo le scale.
-Tu
gridi sempre, non sarebbe una novità- appuntò Kei, il quale ricevette solo un
‘buona notte’ come risposta sia dal giapponese che dall’americano.
-Vuoi
una mano per caso?- chiese Rei, una volta rimasti soli, visto che il russo non
si era ancora mosso dalla sua posizione.
-No,
tranquillo- sospirò Kei decidendosi ad alzarsi, reggendosi nuovamente al
corrimano.
Si
voltò come diversi minuti prima verso la scalinata e guardò la sua meta come
qualcosa di irraggiungibile.
-Forza
e coraggio!- lo incitò Rei prendendogli la borsa e iniziando a salire.
-Ma
non ce n’è bisogno..- provò a richiamarlo l’altro, ma non ci fu verso, tanto
che lo seguì facendosi forza, sentendo i muscoli tirare ad ogni scalino fino
all’arrivo davanti alla sua porta.
Rei
abbandonò lì la borsa dell’amico prima di salutarlo.
Dopo
quell’occasione non ebbero più il tempo di stare loro quattro insieme e ben
presto arrivò il giorno della partenza di Kei.
-Continua
a non andarmi giù questo fatto!- gli fece notare Takao poco prima che il russo
uscisse dal dojo.
-Cosa?-
-Che
te ne vai di nuovo! Ogni volta che vai via poi non si sa mai quando e se
tornerai..-
-Torno-
disse sospirando, ma un’occhiata scettica di Takao lo convinse a continuare
–Davvero!-
-Promettilo!-
-Prometto-
assentì esasperato, ma sicuro di non star dicendo una bugia.
-Almeno
ci fosse una data a Tokio ne sarei sicuro!-
-Ti
ho già detto mille volte che il tour in Giappone l’ha già fatto quindi non
avrebbe senso-
-Lo
so, lo so, ma..-
-Takao,
stai facendo esasperare pure me!- li interruppe Max a sorpresa.
-Ci
sentiamo- cercò di liquidarli Kei che, fortunatamente, ottenne solo pochi altri
saluti e diverse raccomandazioni da parte di Nonno J.
Non
sapeva ancora come aveva fatto a convincerli a non accompagnarlo all’aeroporto,
anche se gran parte del merito doveva andare alla scuola: non amava
particolarmente i saluti troppo lunghi e sentimentali, soprattutto in un luogo
pubblico, tanto che si diresse da solo oltre il portone del dojo.
Era
difficile dire se quel non trascorrere più di qualche mese nello stesso posto
gli dispiacesse, probabilmente la risposta era più negativa che altro, anche se
il dubbio di aver preso la decisione sbagliata a volte rispuntava nella miriade
dei suoi pensieri e lo costringeva a riproporsi in continuazione il quesito
riguardante il posto che sentiva suo a tal punto da considerarlo casa.
Aveva
elaborato ipotesi e supposizioni, ma non era ancora arrivato alla risposta
chiara: quando si sarebbe sentito realmente bene in un posto, allora lì doveva
essere casa, o almeno era quello che voleva scoprire. Nonostante girare il
mondo fosse la soluzione più poetica e scontata, anche un po’ inutile se ci
pensava bene, aveva optato per quella e la prima tappa era a mezza giornata di
distanza.
Non
appena raggiunse l’aeroporto controllò sul biglietto che gli avevano consegnato
di essere al terminal giusto e, solo una volta entrato, si guardò intorno in
cerca di facce conosciute, ma per fortuna fu qualcun altro a trovarlo per
primo.
-Ehi!-
una ragazza con grandi occhiali da sole attirò la sua attenzione: Kei la
riconobbe come una delle ballerine. Ovviamente non aveva stretto amicizia né
particolari rapporti con nessuno e, sinceramente, non sapeva nemmeno come
quella si chiamasse.
-Ehi-
rispose senza colori nella voce.
-Sai
dove dobbiamo andare?-
-Sto
cercando di capirlo-
-Posso
affidarmi a te? Se no rischio di perdermi!- disse lei sistemandosi la borsa
sull’avambraccio.
Si
incamminarono insieme scambiandosi qualche parola fino a che non si unirono con
altri due ballerini e finalmente, dopo aver fatto il check-in, si unirono alla
grande folla composta dalla troupe.
-I
miei ci sono tutti adesso!- sentì levarsi la voce di Jermaine dal gruppo, al
pari di quella di un qualsiasi professore che radunava gli alunni per la gita.
Venne
loro incontro con il solito largo sorriso iniziando a scherzare con alcuni dei
ragazzi.
Kei
rimase in disparte fino al momento dell’imbarco, ignorando persino la ragazza
di cui non aveva ancora capito il nome; fu uno dei primi a salire sull’aereo
riservato esclusivamente a loro e si sedette accanto a un finestrino
sprofondando sulla poltroncina bianca.
-Posso
sedermi qui?- chiese dopo qualche minuto Jermaine, facendo segno al posto vuoto
di fianco al russo che rispose solo con un cenno d’assenso disinteressato:
l’importante era che non iniziasse a parlare a macchinetta per le dodici ore
successive.
Il
suo desiderio sembrò esaudirsi, dato che, successivamente allo spegnimento
della spia che segnalava l’obbligo di tenere le cinture allacciate, il
coreografo si alzò per consultarsi con uno di quelli che aveva scoperto essere
i produttori di Lauren. Iniziò a preoccuparsi dopo che, perfettamente in pace
con se stesso, lo vide ritornare al posto e buttarsi letteralmente accanto a
lui.
-Come
va?-
L’incipit
del discorso era una frase di circostanza, segno palese dell’intenzione di
iniziare una lunga conversazione.
-Mh- rispose al suo solito facendo ridere l’altro.
-Ma
tu non socializzi mai con nessuno?-
-Non
devo rendere conto a te di questo-
-Certo,
certo.. solo che mi piacerebbe che il mio gruppo fosse unito!- esclamò
guardandolo col sorriso.
-Farò
il possibile..- acconsentì senza aver realmente intenzione di mettere in
pratica quelle parole.
Jermaine
fece una pausa evidentemente intento a trovare un modo per non far cadere il
discorso.
-A
casa tutto bene?-
Kei
annuì.
-E
con avvocati e quelle cose lì? Quest’estate ti avevo lasciato in
esasperazione..-
-Risolto-
liquidò il discorso ripensando a quando era riuscito a vietare a quell’avvocato
di contattarlo ogni cinque minuti sul cellulare.
Il
coreografo lo guardò male, evidentemente stupito dalla capacità di Kei di far
cadere ogni discorso con troppa facilità.
-Nessuna
domanda da farmi?- tentò ancora, deciso a non arrendersi –Su programma o robe
del genere?-
-Non
direi..-
-C’è
un modo per farti scomporre?-
Kei
fece per pensarsi su, ma poi rispose tranquillamente di no.
-Sei
impossibile- disse l’altro ridendo –Troverò il modo prima o poi!-
-Come
vuoi-
-Ho
un bel po’ di tempo.. se non ci riuscirò, ti considererò una causa persa!-
continuò sempre allegro.
Cercò
inutilmente per la mezz’ora successiva di scucire più di tre parole di seguito
a Kei, ma presto scoprì quanto il suo avversario in quel gioco fosse vincente.
-Non
sapevo fossi così tamarro!- disse infine, cercando di prenderlo in giro per
ottenere qualcosa.
-Ma
ti sei visto tu?-
-Sì,
ma nemmeno tu scherzi..-
-In
che senso?- si informò confuso quando Jermaine allungò una mano verso il suo
collo: si chiese cosa volesse fare, soprattutto quando sentì le sue dita
sfiorargli la pelle per afferrare poi quello a cui si riferiva, una sottile
catenella che teneva sotto la maglia –Ah quella-
-Dalle
mie parti fa molto tamarro!- rise ancora l’uomo lasciandola andare.
-E’
un regalo-
-Posso
chiederti di chi?-
-Di
un’amica-
-Un’amica
speciale?-
-Non
nel senso che intendi tu- lo corresse intuendo a cosa stesse alludendo: quella
catenella gliela aveva data Dana prima di ripartire il mese precedente. Ne
avevano due simili, comprate anni prima, ma lui aveva perso quella
appartenutaa lui e la ragazza aveva
deciso di regalargli la sua come simbolo, a detta sua, della loro amicizia; inizialmente
non aveva avuto intenzione di indossarla realmente, ma, una volta iniziate le
prove, dopo la confusione iniziale, aveva sentito il bisogno di qualcosa di
tangibile da portare con sé e aveva preso a metterla tenendola sotto la maglia.
-Mi
devo fidare?-
Kei
alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.
-Ok,
ok, ti credo.. quindi non c’è nessuna fanciulla che ti aspetta da qualche
parte?-
-No-
-Perfetto..
allora puoi darti alla pazza gioia! La vita del ballerino ha i suoi vantaggi!-
esclamò facendogli l’occhiolino convincendo del tutto il russo di non voler
sentire una parola di più da parte di quell’uomo; fortunatamente quest’ultimo
resistette ancora poco in quel suo monologo, probabilmente poiché sfinito dalla
continua mancanza di risposte costruttive.
Il
viaggio continuò, quindi, pacifico e silenzioso e, quando si arrivò al momento
dell’atterraggio, la maggior parte delle persone era provata dalle tante ore di
volo: un pullman li venne a prendere all’aeroporto per portarli in hotel.
Non
appena sceso dal mezzo, Kei notò un capannello di persone davanti all’entrata
che scalpitava, ma non riuscì a identificarne il motivo, fino a quando non si
accorse che la maggior parte di loro brandiva macchine fotografiche o
telecamere.
-Deve
essere arrivata Lauren da poco..- gli sussurrò Jermaine stiracchiandosi -..dai
andiamo dentro prima che presi dalla disperazione chiedano qualcosa a noi!-
L’uomo
gli poggiò una mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo dentro: solo in quel
momento il russo notò il lusso che regnava in quel luogo. Possedeva tanti
soldi, ma non era mai stato accerchiato da così tanto sfarzo se non nella villa
del nonno e, a quel luogo, non riusciva ad associare proprio nessuna
connotazione positiva: anche durante il torneo di bey era stato trattato bene
in fatto di hotel, ma niente poteva superare il luogo in cui si trovava in quel
momento.
Si
guardò intorno accigliato, ma notò di essere l’unico in quanto gli altri si
diressero semplicemente alla reception, evidentemente abituati a quel
trattamento: si ricompose e li seguì, scoprendo in quale camera era stato
assegnato: una volta presa la tessera magnetica si diresse, insieme al
ballerino con cui l’avrebbe condivisa, fino al terzo piano.
-Mi
sa che non ci siamo mai presentati- iniziò il ragazzo amichevolmente mentre
erano in ascensore –Io sono Chayton!- aggiunse
allungando la mano.
-Kei-
rispose cercando di fare uno sforzo, ma si accorse che pretendere di sembrare
una persona simpatica era più difficile del previsto.
Nuovamente,
quando entrarono in camera, il russo si prese qualche secondo per guardarsi
intorno e notare l’eccessiva grandezza di quello spazio considerando si
supponesse fosse solo per due persone.
-E’
il tuo primo tour giusto?- chiese Chayton mentre
sistemava le sue cose, ma non aspetto nessuna risposta poiché ne era già a
conoscenza –Vedrai che abituarsi a tutto questo sarà semplicissimo e poi.. paga
la cantante quindi è ancora più piacevole approfittarsene!-
Rise,
mentre Kei si limitò ad abbozzare un sorriso, il che convinse l’altro a non
parlare più; erano trascorsi poco più di venti minuti dal loro arrivo e già si
stavano preparando per andare a dormire quando una serie di colpi alla porta e
una voce familiare si levarono dal corridoio.
Chayton andò ad aprire,
ma non vedendo nessuno si affacciò allo stipite, mentre Jermaine continuava a
urlare, probabilmente facendo avanti e indietro.
-Tutti
fuori a rapporto!-
Anche
Kei si decise ad andare a controllare cosa stesse macchinando quell’uomo e, una
volta raggiunto il suo nuovo compagno di stanza, vide il coreografo bussare a
tutte le porte, probabilmente senza uno schema preciso: diverse teste
spuntarono, tutte perplesse alla stessa maniera.
-Ehm..
tutti i ballerini qui fuori.. gli altri mi dispiace avervi disturbato!- disse
improvvisamente Jermaine, scusandosi con una coppia di anziani che
probabilmente si trovava in quell’albergo per puro caso. Altri membri dello
staff si richiusero la porta alle spalle ridacchiando, mentre Kei, dovendosi
includere nella categoria “ballerini”, rimase in attesa.
-Vi
do dieci minuti per prepararvi! Stasera si esce!-
-Jay, domani dobbiamo svegliarci presto e..- tentò Monique, la sua assistente, ma senza risultato.
-Questa
è un’uscita obbligatoria per tutti! Chi non viene lo licenzio!- esclamò l’uomo
sempre sorridendo.
-Sei
un tiranno lo sai?- chiese un altro ragazzo.
-Certamente!
Ora i minuti sono 9.. forza! Vi aspetto qui!-
Kei
maledisse mentalmente il coreografo limitandosi a cambiare la maglia e prendere
la felpa, considerando che lì era appena finito l’inverno.
Uscito
di nuovo in corridoio sulle facce dei suoi colleghi poteva leggere diverse
opinioni riguardo quell’uscita di gruppo: alcuni, probabilmente i più
festaioli, erano entusiasti, altri assolutamente contrariati, per finire con
quelli che, come lui, accettavano passivamente quella decisione.
Uscirono
dall’albergo che ormai erano le dieci di sera e, come ricordò a tutti Monique, il giorno dopo la sveglia sarebbe stata alle sei.
-Domani
ti vieto di lamentarti se sarò mezza addormentata!-
-Su
che la vita è breve!- la consolò Jermaine mettendole un braccio attorno alle
spalle in un mezzo abbraccio che mantenne fino alla loro destinazione finale,
un piccolo pub a pochi passi dall’hotel.
A
Kei sembrò che il coreografo non conoscesse realmente la loro meta, ma che
semplicemente si fosse infilato nel primo posto avvistato, presentimento che
doveva essere esatto considerando come l’uomo si guardasse intorno curioso.
-Sì,
è un posto carino.. può andare!-
Chiese
al barista se potevano sedersi e furono sistemati in un angolo dove due
tavolini condividevano un lungo divanetto: Kei si ritrovò seduto tra Chayton e la ragazza che aveva incontrato all’aeroporto di
cui scoprì il nome solo quando ordinarono da bere.
Il
russo la guardò per qualche secondo notando che, nonostante il lungo viaggio e
il pochissimo tempo che avevano avuto per prepararsi, lei sembrava lo stesso
uscita da una pubblicità di qualche marca famosa: guardandosi intorno,
comunque, si rese conto che lo stesso poteva valere per la maggior parte di
loro, convincendolo che, probabilmente, non era solo la bravura ad assicurarti
il lavoro, ma anche l’aspetto esteriore, o comunque uno stile particolare.
Ringraziò,
comunque, di non essere capitato seduto vicino a Jermaine il quale, quando
incrociò il suo sguardo, allargò il sorriso vittorioso e gli diede strane
occhiate indicando Carol, la ballerina a fianco a lui: quell’uscita era
sicuramente parte integrante del piano del coreografo per fargli conoscere gli
altri, poteva esserne sicuro, ma, d’altronde, doveva ammettere che stava
funzionando considerando che in quel momento conosceva il nome di quattro delle
nove persone che sedevano attorno a lui e, nel corso della serata riuscì a
coglierne almeno altri tre. Non che non li avesse sentiti chiamare prima, ma
semplicemente aveva sempre quel piccolo problema a ricordarsi delle persone, a
meno che non facessero qualcosa che lo colpisse.
Comunque
sarebbe rimasto sempre il solito asociale, di conseguenza non fu lui il primo a
tendere una mano verso gli altri, ma al contrario aspettò fossero gli altri a
farlo: a fine serata poteva dire di essersi fatto un’idea di tutto il gruppo
come probabilmente loro se l’erano fatta di lui. Tutti erano piuttosto
amichevoli, soprattutto quella Carol e Chayton
nonostante fosse ovvio sperasse in un compagno di stanza più chiacchierone,
Jermaine poi aveva sempre quell’incomprensibile fissa verso di lui; chi,
invece, doveva trovarlo insopportabile era Monique,
che fece finta tutta la sera che lui non fosse con loro e un’altra ragazza
asiatica, con un nome che iniziava per N quasi sicuramente, gli aveva riserbato
delle occhiatacce tutta la serata.
-Direi
che è l’ora di andare!- annunciò improvvisamente Jermaine, accolto da poche
proteste e molti assensi.
-Domani
vi voglio tutti freschi e pimpanti!- continuò quando arrivarono nel corridoio
dell’hotel.
-Ci
stai prendendo per il culo vero?- chiese un ragazzo.
-Ovviamente
no! Vi sto avvertendo e preparando per i prossimi mesi!-
-Prima
o poi qualcuno mediterà vendetta.. quindi guardati le spalle!- disse Monique facendogli l’occhiolino e augurando poi a tutti la
buona notte, seguita a ruota dagli altri.
-Dimmi
che tu non hai problemi a svegliarti presto- disse Chayton
a Kei una volta rimasti soli.
-No-
-Perfetto..
se domani spengo la sveglia e non mi alzo subito.. hai il permesso di fare
qualsiasi cosa per svegliarmi!- lo pregò.
-Ok-
Non
poteva essere compito più semplice: se riusciva a svegliare Takao, chiunque
altro rappresentava solo una passeggiata.
I
cinque giorni successivi furono assolutamente infernali. Pensava che Jermaine
esagerasse quando diceva che sarebbe stato intransigente e duro e, invece,
qualsiasi cosa al di sotto della perfezione non era minimamente accettata.
Il
primo concerto si sarebbe tenuto la domenica sera, ma il palazzetto di
Melbourne era stato affittato per tutta la settimana in modo da poter fare le
prove generali sul palco, già montato dal martedì.
Kei
lo vide per la prima dal parterre e subito gli fece uno strano effetto: era
grande e imponente, anche senza la scenografia completa e le luci normali
accese a illuminare il lavoro di un centinaio di persone che si affaccendavano
tra cavi, attrezzature, costumi o qualsiasi altra cosa possibile. Confrontare,
poi, quella sensazione iniziale con quella di solo poche ore dopo risultò
ancora più particolare; una volta salito sul palco e guardato verso la platea
vuota, metabolizzato l’effetto provocato, non ne era più sceso e quel suolo
inizialmente sconosciuto, era diventato improvvisamente familiare. Pochi giorni
dopo addirittura non ricordava nemmeno come fosse non conoscere quel luogo.
Trascorrevano tutta la giornata dentro al palazzetto, entravano quando il sole
iniziava a illuminare il paesaggio e ne uscivano a notte inoltrata.
Conoscere
il resto dei ballerini risultò improvvisamente semplicissimo, poiché
convivevano e condividevano tutte quelle ore a stretto contatto: consolidò
l’idea che si era fatto di ognuno di loro, soprattutto ebbe la conferma di non
andare a genio alle due ballerine principali, Monique
appunto e Nene. La seconda soprattutto si avventò su di lui e praticamente urlò
ai sette venti quale fosse il problema: a quanto pareva lo vedeva come essere
inferiore non degno di calpestare il suo stesso palcoscenico.
-Che
cazzo fai?- gli aveva ringhiato contro una sera.
-Potrei
farti la stessa domanda-
Si
erano praticamente scontrati, anche se erano riusciti a non darlo a vedere
tanto che nessuno si era accorto del problema fino a quando lei non aveva dato
di matto. Di chi fosse la colpa per Nene era chiaro, ma Kei non era del suo
stesso avviso, anzi era sicuro al cento per cento che fosse stata lei a
invadere il suo spazio.
-Tu
vedi di stare al tuo posto.. sei un pivellino e..-
-Basta!-
Jermaine li interruppe facendosi spiegare il problema –Nessuno se n’è accorto
quindi andiamo avanti e vedete che non accada mai più!- li liquidò tornando a
dare segnali agli addetti alle luci perché correggessero la direzione di un
occhio di bue.
-Vedi
di non intralciare.. sono una professionista e..-
-Nene,
hai sentito Jay?- la riprese Monique,
mentre Kei rimaneva fermo indeciso se arrabbiarsi o ridere per la pazzia di
quella ragazza.
Dopo
quell’episodio non ebbe comunque più il tempo di rifletterci riassorbito
totalmente dai ritmi delle prove: dovevano adattare tutto ciò che avevano
imparato in palestra alla larghezza del palco, memorizzare tutte le posizioni
corrette e inquadrare tutte le entrate e uscite, le parti danzate erano solo un
qualcosa di contorno in quella fase, considerando che si dava per scontato che
ormai le avessero imparate. In ogni caso, quando non erano impegnati ad
arrivare tutti esattamente nel punto predisposto, ripassavano ogni qual volta
Lauren provava microfoni, luci, interazioni con coristi e musicisti. Gli ultimi
giorni provarono tutto lo spettacolo senza sosta e videro per la prima volta
anche i costumi di scena: Kei ringraziò il fatto che Lauren non fosse una di
quelle artiste che amavano colpire con abiti strani o spettacolari, ma puntava
invece più sul semplice o al massimo sullo mostrare un po’ di materia prima, di
lei e del suo corpo di ballo.
Ciò
di cui si rese conto fu che non aveva avuto il tempo di fermarsi a pensare. Non
aveva tempo da concedere a qualsiasi altra cosa che non riguardasse quel tour,
persino la domenica mattina se la prese, come tutti gli altri, per riposare e,
quando aveva tentato di farsi occupare la mente da qualcosa di nuovo, ecco che
il trambusto delle poche ore che li dividevano dalla prima dello show lo
riassorbirono completamente.
Li
vennero a prendere come al solito in albergo con un pullman, ma quella volta,
una volta arrivati nella vicinanza del palazzetto, furono rallentati dalla
grande folla che aspettava le aperture dei cancelli e che quella sera avrebbe
assistito al concerto. Già nei giorni precedenti avevano avuto la visita di
qualche curioso che sperava di rubare una fotografia o un autografo alla
cantante, ma nulla in confronto alla miriade di persone che in quel momento si
accalcava per la strada.
Al
sicuro all’interno dei camerini iniziò una corsa contro il tempo: tutti coloro
che sarebbero saliti sul palco avevano bisogno di essere sistemati alla
perfezione e, completamente immerso nel vortice delirante che era il dietro le
quinte, Kei non si rese quasi conto che avevano intenzione di tagliargli i
capelli fino a quando non lo fecero sedere davanti a un grande specchio e un
tizio con forbici e occhiali anni 50 gli si avvicinò.
-Come
ti facciamo? Taglio drastico o diamo solo una sistematina?-
Il
russo tentò di ragionare sulle due opzioni e dare la sua opinione, ma si rese
conto che quella dell’uomo era solo una domanda retorica poiché sapeva già cosa
gli avrebbe fatto.
-Per
stavolta li lasciamo così..- disse spuntandoglieli solo leggermente.
Fu
invitato a rialzarsi per lasciare il posto a Chayton
e gli indicarono di raggiungere gli altri in un’altra stanza: si vestì a un’ora
dall’inizio dello spettacolo e, finalmente pronto, si sedette su un tavolino
sul quale erano appoggiati cappotti e teli dei quali non voleva neanche sapere
il motivo della loro presenza. A poco meno di un metro da lui un’altra serie di
specchi e sedie e, su quella più vicina, Carol era sottoposta a un’intensa
seduta di trucco.
-Avremo
il tempo di fumare?- chiese la ragazza quando, aperti gli occhi finemente
rifiniti, vide Kei.
-Lo
spero-
-Ho
quasi finito..- disse la truccatrice -..però attenta a non rovinare il
rossetto! Semmai ripassa da me un secondo!-
Ci
mise ancora diversi minuti per finire la sua opera e rimasero in silenzio ad
ascoltare il vociare e i rumori provenienti dal parterre dove ormai dovevano
essere accalcate centinaia di persone: si alzarono diretti verso un luogo dove
potevano fumare, quando la band supporter di quella sera iniziò il suo
spettacolo.
Carol
in quella settimana era diventata la sua compagna ufficiale di sigaretta,
insieme a un altro ragazzo che faceva parte della security.
-Riesci
a stare in piedi con tutti quei capelli?- chiese la bodyguard ridendo.
-Ma
sì.. non sottovalutare le capacità di noi fashion victim!-
rispose lei ridendo e passando una mano nella folta chioma: poteva essere
benissimo pronta per una pubblicità di una tinta invece che per ballare
considerare il colore rosso acceso e chiaramente artificiale e i boccoli
perfettamente definiti.
-Auguri-
disse Kei scettico.
Non
ebbero molto tempo da concedersi poiché furono richiamati all’interno dove
Lauren aveva radunato tutti, tra musicisti, coristi e ballerini, a pochi metri
dal retro palco.
-Abbiamo
lavorato tutti molto duramente e ora è arrivato il momento!- iniziò il suo
discorso ringraziando tutti e incitandoli a fare del proprio meglio: fu quando
chiese di prendersi tutti per mano che Kei si accigliò, ma non appena Carol e
una delle corista gli afferrarono i palmi decise di assecondare quella follia e
ascoltò la cantante iniziare una specie di preghiera e un ringraziamento a Dio.
Il russo osservò molti chiudere gli occhi e abbassare il capo: era una di
quelle classiche cose che vedeva fare agli artisti, pensò, come quando alla
vincita di qualche premio si rivolgevano a qualche creatore. Lasciò la cosa
evolversi incuriosito, notando la presenza delle onnipresenti telecamere
immortalare il momento.
Quando
finalmente il momento catartico terminò, Lauren invitò a riunire la mano
sinistra al centro sopra la sua e un rito, meno religioso, ma comunque molto
sentito, ebbe inizio.
-Merda,
merda, merda!-
La
parola ripetuta risuonò nel corridoio e poi iniziò la confusione di persone che
sgusciavano da una parte all’altra per dare una pacca sul sedere di quanta più
gente potessero.
Era
arrivato il momento: tutti si diressero alle loro postazioni, provate e
riprovate un centinaia di volte. Kei sarebbe entrato insieme agli altri
ballerini uomini, solo dopo l’uscita di Lauren che, stretta nel suo miniabito
sbrilluccicante, attendeva il suo momento fremendo: uno degli assistenti che
stava col loro gruppo e, al cenno della cantante, parlò nel microfono unito
alle grandi cuffie che portava e invitò i tecnici delle luci a dare il via allo
show.
Il
boato della folla che aveva capito che quello sarebbe stato l’inizio di tutto,
riempì ogni angolo, ostacolato esclusivamente dalla musica che partì. Kei
riuscì solo a leggere il labiale dell’assistente che doveva invece star urlando
‘fuori Lauren’.
La
tempistica prevedeva che da lì a 50 secondi sarebbero entrati anche loro.
Ancora
nessun pensiero che riguardasse il mondo esteriore passava per la testa del
ragazzo: sentiva una morsa allo stomaco, ma anche una certa impazienza. Sapeva
cosa doveva fare, era totalmente concentrato: quei pochi istanti sembravano non
trascorrere mai, eppure il momento arrivò e, a quel punto, fu tutto
estremamente veloce.
Era
diverso: non vide le persone tra il pubblico se non quando illuminate, ma per
il resto i fari accecanti rendevano i metri al di là dal bordo del palco come
una distesa nera di rumore. La stanchezza accumulata quella settimana non
esisteva, i momenti sul palco erano attimi di un’altra vita, ad ogni uscita,
tentando di ricordare qualcosa di ciò che era accaduto in scena, veniva a galla
solo il pensiero di ciò che sarebbe accaduto dopo, poche immagini, alcuni
flash, alcuni addetti dello staff che si accalcavano per portare gli strumenti,
facilitare il cambio dei costumi.
A
metà dello show, i ballerini avevano una ventina di minuti di respiro per il
momento soft del concerto: Kei scoprì che gli imprevisti erano pochi o comunque
velocemente risolti tanto che si ritrovò pronto prima del tempo e si appostò in
anticipo a lato del palco, spiando quello che stava accadendo oltre la
scenografia. Vide con la coda dell’occhio il vestito svolazzante di Lauren, ma
si concentrò su Nene e Blake, un altro ballerino, che davano inizio al loro
passo a due che accompagnava il pathos della canzone: aveva già assistito a
quella danza, ma da quella angolazione, con quell’atmosfera, gli sembrò che stesse
nascendo in quel momento, naturalmente, come se le estenuanti prove per
perfezionarla non fossero mai esistite e, per la prima volta, provò un
desiderio curioso, di farne parte, anche in quel modo, lì a osservare di lato,
ma voleva esserci. Fu così come era iniziato che finì riportandolo alla tabella
di marcia che conosceva a memoria, in una tirata unica fino all’ultima nota e
all’ultimo applauso.
Si
allontanò dai corridoi colmi di trambusto: tutti si persero a festeggiare e
catapultarsi sulle tavolate imbandite di cibo appena portato dalla ditta del
catering.
Kei
non aveva mai avuto l’anima festaiola e quindi cercò, come al suo solito, un
po’ di pace e solitudine. Era il suo modo per rilassarsi e scaricare tutta
l’adrenalina che aveva in corpo.
Riuscì
quindi ad allontanarsi dal trambusto e arrivò fino nel retro palco: non
proveniva più nessun rumore dall’altro lato, solo uno strano ronzio che, si
disse Kei, probabilmente era provocato dalla stranezza del silenzio dopo ore di
bombardamento di suoni.
Istintivamente
decise di andare a dare un’occhiata: il suo ultimo ricordo era un mare
indistinto di teste urlanti che si muovevano all’unisono accalcate l’una
sull’altra.
Imboccò
una scalinata e spuntò da una delle entrate laterali del palco che ormai
conosceva bene, però non vi salì del tutto, ma restò sull’ultimo gradino
appoggiandosi al corrimano a osservare una ventina di persone cercare di
ripulire stage e parterre per il giorno dopo.
Fu
quello il momento in cui riuscì a pensare nuovamente, a ragionare su se stesso
e sul mondo che stava oltre quel tour, quel mondo che aveva annullato in quella
settimana e al quale non aveva permesso di interferire con lo scorrere degli
eventi.
Semplicemente
quell’esperienza era un insieme di novità continue, ma allo stesso tempo,
ormai, sentiva come di far parte di quella vita da sempre: solo che lo stare
sul palco era qualcosa di indescrivibile, anche in quel momento, in quello
stadio vuoto, era la stessa struttura sul quale si erano esibiti il centro
catalizzatore di ogni sensazione. Durante i mondiali di bey gli era già
capitato di essere osservato da centinaia di persone, sotto la luce dei
proiettori, ma allora tutto ciò che gli interessava era giocare e vincere,
mentre adesso lui non era il centro della scena, ma faceva parte di un qualcosa
di più grande. Non che non avesse mai avuto la possibilità di far parte di un
qualcosa, ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, prima non lo aveva mai
voluto davvero.
Cosa
stava quindi a significare tale disorientamento o torpore o come lo si voleva
chiamare?
-Che
cosa ci fai qui?-
Come
ogni qualvolta cercasse di far ordine nella sua testa incasinata, qualcuno
interruppe il flusso dei suoi pensieri e ovviamente quel qualcuno era Jermaine.
-Pensavo-
rispose semplicemente, facendo per scendere, ma l’altro gli si parò davanti e
al contrario lo invitò a risalire.
-Vieni
con me-
Lo
prese per il braccio e lo guidò verso il centro del palco: Kei non potè fare a meno di notare per l’ennesima volta quanto
quell’uomo fosse troppo un tipo fisico, che non si poneva problemi a prendersi
confidenza.
-Se
proprio devi pensare goditi per bene il panorama!- disse il coreografo
compiaciuto, per poi allargare le braccia indicando il pavimento –Accomodati!-
-Cosa?-
Jermaine
si sedette a gambe incrociate e, nuovamente, fece pressione sul braccio di Kei
per invitarlo ad imitarlo. Non oppose resistenza e osservò l’altro tirare un
sospiro osservando la platea.
-Bello
vero? Dopo tutto quel baccano è un piacere!- continuò l’uomo –Fossimo in un
film, ora partirebbe una musica sognante e tu mi confideresti il segreto della
tua vita del tipo.. ‘un giorno riempirò anche io uno stadio come questo’ o roba
del genere..-
-Non
è il mio caso..-
-Immaginavo!-
rise Jermaine senza poi abbandonare la sua espressione allegra –Parliamo un
po’!-
-Adesso?-
-Perché
no..-
-Non
dovremmo andare?-
-C’è
tempo! Non preoccuparti!-
Kei
non trovò vie d’uscita e si pentì di non essere rimasto con gli altri: eppure
sentiva ancora il bisogno della pace che provocava quel luogo silenzioso e
anche un po’ surreale.
-A
cosa stavi pensando prima?- Jermaine lo svegliò nuovamente dal flusso dei suoi
pensieri.
-Non
so..-
-Non
sai a cosa pensi?- lo interruppe l’uomo.
-No..
non so come spiegarlo- disse calmo Kei, abbassando per un momento le difese.
-Mh.. ti piace qui?-
-Qui?-
-Sì,
qui qui! Il palco..-
-Direi
di sì..- rispose spaesato, ma anche sorpreso della rapidità con cui il
coreografo aveva capito ciò che gli passava per la testa.
-Posso
farti una domanda?- chiese Jermaine, dopo alcuni secondi di silenzio.
-Anche
se ti dicessi di no me la faresti lo stesso, quindi..-
-Giusto!
Beh.. perché quest’estate ci hai messo così tanto ad accettare?-
-Perché
ci dovevo pensare..- diede la risposta più ovvia.
-In
verità avevi già deciso!- se ne uscì l’altro a sorpresa.
-Non
è vero..-
-Oh
sì.. appena te l’ho chiesto!-
Kei
lo guardò contrariato, ma l’altro non demorse.
-Tutto
di te mi diceva di sì!-
-Cosa..-
ma non continuò, ricordando la domanda che gli aveva posto Dana, sulla risposta
che avrebbe dato d’impulso.
-Sai..-
riprese Jermaine vedendolo in difficoltà -..non volevo darti tempo per
pensarci, ma non potevo negartelo.. sapevo che se ne avresti parlato con
qualcuno probabilmente troppi dubbi sarebbero spuntati e ti avrebbero assillato
e non sapevo se avresti avuto il coraggio di buttarti..-
Kei
fece di nuovo per parlare, ma l’uomo lo interruppe con una risata –Ora lo so
che non sei uno che si tira indietro, ma allora non ti conoscevo..-
-E
ora mi conosci?- non si trattenne dal dibattere.
-Beh,
in questo mese tra le difficoltà che hai incontrato e i tentativi di
boicottaggio di Nene direi che ho capito che non demordi facilmente-
In
effetti aveva avuto molta pazienza e si era rimboccato le maniche nonostante si
fosse ritrovato il più indietro e il meno abituato a quei ritmi totalmente
nuovi, mentre su Nene le parole di Jermaine lo fecero riflettere.
-In
che senso sabotaggio?-
-Diciamo
che quella ragazza ha un ego esagerato, perché è brava e sa di esserlo, e di
conseguenza esige il meglio da tutti quelli intorno a lei.. tu sei quello più
inesperto e ti ha preso di mira.. ecco tutto..-
-Ah-
non riuscì a dire altro: sospettava qualcosa, ma non credeva che fosse proprio
un’opera premeditata.
-Ma
non allontaniamoci troppo dal discorso principale..- lo interruppe ancora
-..cosa ti ha portato a ragionarci fino all’ultimo?-
-Avevo
dei dubbi..- cercò di temporeggiare Kei.
-Riguardo?-
-Non
so quale sia il mio posto nel mondo- si decise a rispondere.
-Non
sapevi..-
-Non
lo so ancora-
-Sei
proprio una testaccia dura tu!-
-Non
mi piace parlare del futuro-
-Ma
basta che guardi al presente.. guardati intorno ora!-
Kei,
pensando fosse una frase di circostanza seguitò a guardarlo negli occhi, ma
l’altro lo invitò a prendere sul serio le sue parole e voltarsi.
-Cosa
dovrei vedere?-
-Quello
che non mi sapevi spiegare prima!-
-Non
te lo sapevo spiegare prima e non lo so fare adesso-
Jermaine
inaspettatamente sembrò perdere il controllo portandosi il pugno chiuso tra i
denti, ma poi scoppiò a ridere.
-Ci
vuole proprio pazienza con te-
Kei
sbuffò e riprese a guardarsi intorno.
-Sai..
è difficile capirti, ma a volte.. veramente poche, ma a volte sei davvero un
libro aperto..-
-Cosa
vuol dire?- chiese il russo confuso, non capendo a che cosa di riferisse.
-Non
te lo sto nemmeno a spiegare!-
-Ma..-
-Non
eri tu quello che non voleva parlare?- lo prese in giro Jermaine.
-Ora
mi devi dire cosa intendevi-
-Eh
no.. è l’ora di andare!- disse solennemente alzandosi e lasciando Kei
interdetto e sorpreso.
Se
quell’uomo non gli avesse dato una buona ragione entro pochi giorni per non
ammazzarlo, avrebbe elaborato un piano per farlo sul serio.
Voi non vi
immaginate quanto io sia fusa ç___ç devo ancora
finire di scrivere la storia che già penso al discorso di commiato! Quindi l’ora
in poi farò finta che Leggero durerà in eterno e voi mi asseconderete xD
Blabla Time
In verità non ho
nulla da dire, ma mi andava di blaterare per un po’ come ai vecchi tempi ^^
Mmm.. vediamo di dare un senso a questo momento..
parliamo del caro amico Jermaine (o Jasmine o come lo volete chiamare xD) ora è lui il povero Cristo che si deve sopportare il
caratteraccio del nostro polaretto preferito e come
avrete notato è il suo completo opposto.. lui è un tipo che cerca il contatto,
che non si preoccupa nel prendersi troppa confidenza.. diciamo che lui e Kei
sono un po’ come lo stereotipo di italiano del nord e del sud XD
Poi, per quanto
riguarda Lauren Bright.. beh ecco il motivo per cui
mi sono inventata una cantante quel famoso giorno al negozio di dischi e non ne
ho preso una esistente.. non mi sarebbe piaciuto inserire un qualcuno in ‘carne
e ossa’! Ovviamente ho preso spunto e possiamo identificarla come una Britney
fuori e una Beyoncè dentro, con un pizzico di Rihanna e una spolverata di Lady Gaga
XD a parte questo delirio riassumo tutto in.. la classica cantante
pop/commerciale che va tanto in voga in questi anni!
Ho blaterato
abbastanza u.u aspetto i vostri pareri con tantissima
ansia, sempre quella che non mi abbandona mai!
La festa vera di inizio tour si tenne alla fine delle tre
date consecutive a Melbourne: dopo un giorno di pausa ci sarebbero state altre
quattro serate a Sidney, prima di partire per la Cina e il resto delle date
asiatiche.
Kei scoprì che il tour de force che avevano appena superato
era lo scoglio più grande da superare poiché dopo di questo la strada era
spianata: man mano che i giorni trascorrevano e che spuntavano città alla
lista, le prove diminuivano di intensità. Erano sempre ritmi esagerati, però, il
tempo libero era sempre maggiore e presto si definì una routine più o meno
stabile.
Il primo giorno in una nuova città vi era una prova palco
per controllare che tutto fosse al proprio posto, le mattine dopo il concerto
erano dedicate al riposo o al viaggio nella successiva location a seconda della
distanza; gli altri pomeriggi, invece, venivano ripassate solo alcune parti
dello spettacolo, mentre il resto del tempo era dedicato comunque al
mantenimento in esercizio. Fu così che iniziarono ad occupare il tempo con
delle vere e proprie lezioni: Jermaine, infatti, sosteneva che rinfrescare la
mente con qualcosa di nuovo servisse a non focalizzarsi su ciò che si sapeva,
crescere e una serie di discorsi filosofici che Kei non avrebbe saputo
ripetere.
Solitamente il coreografo teneva due lezioni di un’ora e
mezza l’una: la seconda, alla quale partecipavano tutti, era di Hip hop, mentre
la prima di Lyrical Jazz. A quest’ultima solo la metà
di loro la frequentava e il russo non era tra di loro nonostante gli fosse stato
proposto.
Aveva assistito alla prima, anche perché curioso di vedere
Jermaine in quella veste strana: se pensava a qualsiasi altra danza che non
fosse l’hip hop si immaginava insegnanti contenuti, impostati e con un
abbigliamento quanto meno differente: l’uomo, invece, non cambiava una virgola
di quello che era il suo modo di essere, ma adottava semplicemente un altro
stile di ballo.
Quelle lezioni, comunque, erano realmente un toccasana:
erano uno sfogo, la possibilità di rilassarsi tenendosi in allenamento, per non
parlare della possibilità per Kei di imparare una parte della tecnica che non
aveva mai acquisito per forza di cose.
Non trovò difficile entrare nel sistema creato da Jermaine,
nel suo modo di insegnare e si chiese come fosse possibile trovarsi così in
sintonia con il suo modo di fare in quei momenti, quando invece di persona
faticava a sopportarlo.
-Fermati un secondo!- gli disse Jermaine un pomeriggio, alla
fine del tempo loro disponibile.
-Che c’è?-
-Iniziamo con le lezioni private!-
-Cosa?-
-Ti avevo detto che mi sarei occupato di te- rispose ovvio
l’altro.
-Ma..-
-Niente ma, sei più indietro degli altri e ne hai bisogno!-
lo riuscì a zittire.
Chayton che stava ancora
recuperando la sua roba lo guardò ridendo e gli augurò buona fortuna prima di
uscire.
Quando rimasero da soli nella palestra dell’hotel da loro
prenotata Jermaine fece spuntare quel solito sorriso che per lui doveva essere
rassicurante, ma che per Kei significava solo ‘pericolo in agguato’.
-Devo..- iniziò Jermaine alzandosi e fermandosi di blocco a
guardare il ragazzo ancora a lato della stanza -..e vieni qui!- lo esortò a
raggiungerlo al centro prima di riprendere il suo discorso –Dicevo.. devo
decostruirti un po’!-
-In che senso?- chiese con una nota di timore nella voce.
-Che ne vieni dalla strada e si vede.. e questo è
bellissimo, sia chiaro, però quello che facciamo qui è un lavoro diverso e..-
-E?-
-E quindi iniziamo dalle basi!- esclamò gioioso il
coreografo, ormai vicinissimo.
Kei lo vide spostarsi dietro di lui e, continuando a seguire
ogni suo movimento dallo specchio, sentì le sue mani poggiarsi sulle sue
spalle.
-Intanto sciogliti..- riprese Jermaine scrollandolo
leggermente: era teso e se ne sarebbe accorto chiunque -..tu inizi a rilassarti
solo dopo che abbiamo iniziato.. ci metti un po’!- si posizionò di nuovo al suo
fianco, una mano sempre poggiata su di lui –Io voglio che, prima delle lezioni,
tu faccia sparire i pensieri inutili, abbandoni tutto il mondo fuori e entri da
quella porta già rilassato!-
Kei tentò di bloccare quel discorso in diversi punti, ma non
gliene fu mai data l’occasione: anche al termine cercò di appuntare qualcosa,
ma subito uno scappellotto in testa dell’uomo lo fece desistere.
-Tu impari, io insegno.. ricordalo!- ne rise Jermaine,
sentendo il ragazzo sbuffare sonoramente e cercare di voltarsi –E guardati allo
specchio, cazzo!-
Il tono dell’uomo si era decisamente alzato sull’ultima
battuta e convinse Kei a spostare tutta la sua attenzione su di lui.
-Che bisogno c’è?-
-Se gli specchi ci sono in tutte le sale da danza, non trovi
che un motivo ci debba essere?-
-Non vuol dire che non ne possa fare a meno-
-Ripeto: qui non siamo in strada.. lo specchio aiuta a
capire le proprie linee, le posizioni e..-
-Ma non dici sempre a tutti di non guardarsi?- cercò di
salvarsi Kei intuendo che le motivazioni dell’altro avessero una base troppo
solida.
-Perché loro si guardano troppo.. tu per niente, hai il
problema opposto!-
Il russo tirò un altro sospiro seccato cercando di fulminare
Jermaine con gli occhi.
-Guardati..- lo incitò tranquillamente il coreografo
riuscendo a far voltare Kei verso la superficie riflettente.
Kei focalizzò la propria immagine e quella del suo vicino
nella sua interezza, prima di tentare di guardare solo la propria espressione: non
appena restrinse il campo, però, automaticamente puntò lo spazio vuoto tra il
suo orecchio e quello di Jermaine. Fu così che lo vide muoversi velocemente,
alzare le braccia e prendere la testa di Kei tra le mani per girarla.
-E guardati!-
Il russo incrociò per una frazione di secondo il proprio
sguardo con quello della sua immagine riflessa, ma si rifiutò di mantenere quel
contatto.
-Non lo fai mai la mattina di guardarti allo specchio?-
-Sì, ma..-
-Ma?- lo incitò l’altro notando l’indecisione dell’altro.
-..è diverso-
-E’ che la mattina non ti dai come fai qui!- gli venne in
soccorso Jermaine, cercando di dare una voce al tentennamento di Kei, che
rimase in silenzio come per dargli ragione –E’ così brutto quello che vedi?-
chiese ancora più calmo, vedendo il ragazzo non esitare nel reggere il suo
sguardo.
Ancora una volta il russo non proferì parola, preferendo il
silenzio, o forse non riuscendo a farne a meno.
-Credo che dovresti fare pace con te stesso.. anche se non
conosco le motivazioni di tutto questo astio..- si affrettò ad aggiungere prima
di essere frainteso.
In quel momento, il ragazzo per la prima volta fu il primo a
distogliere lo sguardo e fissarlo su un punto oltre Jermaine.
-Per oggi basta, ma sappi che non mollo!- concluse
sorpassandolo e dandogli un lieve pacca sulla spalla.
Odiava non avere l’ultima parola, non permetteva mai a
nessuno di sottrargli quel privilegio se non a Yuri.
Jermaine riusciva sempre a mettere in discussione le sue
certezze, quelle poche che possedeva ancora, e faceva uscire il lato più
insicuro della sua personalità: si chiese per la centesima volta se non fosse
stato un errore accettare tutto quel cambiamento e per la centesima volta si
rispose che, probabilmente, fosse restato alla sua solita vita avrebbe mantenuto
quei passi avanti che aveva con tanta fatica ottenuto.
Quelle che aveva, però, gli sarebbe bastato? Da quando era
entrato in contatto con quel mondo sconosciuto, ma allo stesso tempo così
familiare, non era riuscito più a farne a meno e, a parte quei momenti di crisi
dettati da quella fattispecie di sedute psicologiche del coreografo, si era
sentito vivo come poche volte gli era capitato.
Guardò ancora il soffitto sconosciuto che lo sovrastava: da
quando era partito aveva osservato diversi soffitti e non si erano soffermati
così a lungo in un posto, tanto da attenuare quella sensazione. Non era success
come col palco che, dopo pochi minuti, era già familiare: i soffitti rimanevano
sempre freddi e nuovi.
Si diede per l’ennesima volta del pazzo da manicomio,
convincendosi che il troppo pensare non gli facesse bene; probabilmente sarebbe
stato meglio se quella sera ci fosse stato uno spettacolo, invece che essere
giorni di riposo.
Si alzò lentamente dal letto cercando di non fare troppo
rumore per non svegliare Chayton e uscì dalla stanza:
non era tardissimo, era passata la mezzanotte da poco, ma le poche volte che
avevano la serata libera cercavano di recuperare le forze perdute.
Arrivò all’ascensore premendo il tasto di chiamata, quando
notò un piccolo cartello sulla parete delle scale: una freccia indicava verso i
piani superiori accanto alla scritta ‘terrazza’ in diverse lingue. Le porte
scorrevoli dell’ascensore gli si spalancarono davanti, ma le ignorò e prese a
salire le scale fino a quando, tre piani più in alto, non arrivò a una porta
non elettronica, a differenza di tutte le altre dell’albergo: la osservò
ragionando sul fatto che l’ascensore arrivava solo fino al piano precedente e
che, quindi, le probabilità di essere disturbato erano minime.
Abbassò la maniglia e varcò la porta ritrovandosi
all’esterno su, appunto, una grande terrazza: si appoggiò alla ringhiera che
delimitava il perimetro del tetto del grattacielo e guardò in basso, verso la
città di Seoul. Era un insieme di luci, rumori, andirivieni di cose e persone,
ma da lassù tutto sembrava meno reale, lontano a tal punto da potersene
estraniare: si accese una sigaretta ancora attanagliato da mille elucubrazioni.
Era già trascorso un mese dalla sua partenza e, tra e un
dubbio e l’altro, si concedeva a quella che ormai era la sua vecchia vita
sempre di meno, nonostante gli sembrasse sempre impossibile staccarsene del
tutto; c’era sempre qualcosa che lo legava indissolubilmente ai suoi vecchi
problemi.
Un forte rumore lo colse alla sprovvista facendolo voltare:
non proveniva dalla città sotto di lui, ma bensì alle sue spalle ed era
derivato dalla porta della terrazza che era stata sbattuta violentemente.
Doveva essere uscito qualcuno e controllò chi avesse
disturbato la sua pace quando sentì chiaramente qualcosa di molto simile a una
serie di imprecazioni accompagnate da dei singhiozzi. Assottigliò gli occhi per
combattere l’oscurità fino a che non riconobbe la figura che aveva varcato la
porta e che, in una serie di gesti di stizza, si stava togliendo le scarpe col
tacco abbandonandole sul pavimento.
Cercò di far notare la propria presenza, ma, non appena
l’altra diede segno di averlo visto, si pentì di non essere restato in camera.
-E’ possibile che non esista un cazzo di posto dove poter
starsene da soli?!- sbottò quella che doveva essere la perfetta Lauren Bright.
Kei, indeciso sul da farsi, continuò a fumare la sua
sigaretta imperterrito, attendendo la mossa successiva della cantante.
-Che c’è? Mai visto qualcuno dare di matto?- sbottò lei
allargando le braccia: il russo dovette combattere contro l’impulso di
scoppiare a ridere per la scena che gli si prospettava davanti, con la ragazza
scalza, arrabbiata e un’ombra scura sul volto che doveva essere provocata dal
trucco colato per il pianto.
-Certo, ma se vuoi..- iniziò lui per non peggiorare la
situazione.
-Ce l’hai almeno una sigaretta?- chiese cercando di
asciugarsi gli occhi con i palmi delle mani.
-Tieni..- rispose lui sfilandola dal pacchetto e
porgendogliela: non appena se la mise tra le labbra tirò fuori anche l’accendino,
azionandolo e avvicinandosi a lei per accenderle la stecca.
Lauren fece altri due passi superandolo, aspirando
nervosamente tanto che tossì come se non avesse mai fumato.
-Mi metto pure a fumare!- esclamò a se stessa, dopo un’altra
serie di imprecazioni –Ci manca pure che mi rovino la voce!- un ennesimo
singhiozzo e ritornò sui propri passi, poi, come accortasi di qualcosa che non
andava, alzò lo sguardo verso Kei.
-Dovresti andartene adesso!- sbottò spazientita.
Il russo la fissò sconcertato per una frazione di secondo,
trattenendo il poco cavalleresco istinto di tirarle addosso qualcosa: in quelle
settimane aveva capito che le dicerie su artisti impossibili non erano solo
leggende metropolitane e, in quel momento, non aveva voglia di sorbirsi una
scenata. Diede un ultimo tiro alla propria sigaretta prima di buttarla e
sorpassare la ragazza.
Quando le passò accanto un nuovo singhiozzo attirò la sua
attenzione, ma non gli avrebbe dato peso se non avesse sentito l’altra rivolgergli
nuovamente parola.
-Ma perché fai tutto quello che ti dico?-
Si voltò suo malgrado, guardandola braccia conserte e a
rischio crisi di nervi.
-Non mi sembra il caso di contraddirti- rispose facendo
spallucce e sperando di uscire da quella situazione il prima possibile.
-Perché?-
-Beh..- cercò una risposta convincente -..intanto sei il mio
capo-
Incredibilmente quelle parole le fecero scappare un
sorrisetto –Come?-
-Lavoro per te.. se ti ricordi- rispose iniziando a pensare
che lei non lo avesse riconosciuto.
-Certo che mi ricordo-
Lasciarono cadere il silenzio e a Kei sembrò il momento
giusto per defilarsi.
-Allora vado..- tentò, senza premurarsi che l’altra lo
stesse realmente ascoltando.
-Perché mi trattano bene solo quelli che pago?- piagnucolò
improvvisamente lei, sperando probabilmente in una risposta convincente che Kei
non aveva intenzione di darle: se ne sarebbe andato sul momento se, per
l’ennesima volta, lei non fosse scoppiata in lacrime attirando nuovamente la
sua attenzione. La vide appoggiarsi alla
ringhiera e prendersi la testa tra le mani, prima di lasciarsi scivolare per
terra e sedersi in modo scomposto.
-Vuoi che ti chiami qualcuno?- chiese il russo preso alla
sprovvista da quella scenata.
-No- riuscì a rispondere con voce alterata.
Colto da un ennesimo momento di masochismo Kei le si
riavvicinò.
-Sicura? Perché non mi sembra..-
-Non voglio vedere nessuno!-
Il ragazzo la fissò, con la testa affondata sulle gambe
strette al petto e la sigaretta che non aveva più toccato tra le dita: sospirò,
pensando che probabilmente sarebbe stato meglio andarsene subito, ma qualcosa
lo trattenne.
-Questa hai intenzione di fumarla?-
-No, ma che..- rispose Lauren sollevando leggermente il capo
giusto per vedere l’altro riprendersi la stecca e portarsela alla bocca
-..ecco, è persino più importante una sigaretta di.. cosa fai?- riprese,
lasciando perdere la sua autocommiserazione non appena vide Kei sedersi
affianco a lei.
-E’ un peccato sprecarla..- rispose semplicemente, beandosi
dei pochi secondi di silenzio e incertezza della cantante.
-Ce l’hai almeno un fazzoletto?- tentò tirando su col naso.
-No-
-Ovviamente.. sei uomo anche tu in fondo!- disse con
disprezzo –Com’è che tutti voi di quella stronza specie siete sempre così
inutili!-
Kei non riuscì a trattenere una risata, si stava già
sforzando da troppo tempo.
-Non c’è nulla da ridere!- lo rimproverò gelida –Non hai un
fazzoletto, ma scommetto che avrai un cellulare super tecnologico pronto a
scattarmi una foto da vendere a chissà che giornale..-
-Perché dovrei?-
-Perché faresti tanti soldi con me in questo stato!- constatò
indicandosi.
-Il mio cellulare non è per niente tecnologico-
-Cos’è non ti pago abbastanza?-
-No..-
-Allora il tuo piano è consolarmi per avere un aumento?-
-In verità non avevo intenzione di consolarti-
-E allora che stai qui a fare?-
-Mi sembrava ovvio..- rispose Kei mostrandole la sigaretta
quasi terminata.
-Sei inutile..-
-Grazie- disse perplesso per quel trattamento.
-Sai, potrei concedertelo un aumento se rispondi a una
domanda..-
-Sentiamo..-
-Perché voi uomini non concepite il concetto di monogamia!-
-Mh.. domande su delle relazioni..
non sono il mio forte..-
-Ma non è difficile..-
-Il tuo ragazzo ti ha tradita?-
-Non li leggi i giornali?-
-Se intendi giornali di gossip la risposta è no!-
-Che ci stai a fare in questo mondo se non li leggi?-
-Me lo stavo chiedendo anche io.. quindi ti ha tradita?-
Kei si pentì improvvisamente della sua estrema curiosità
poiché la crisi che ormai sembrava essere terminata riprese peggio di prima.
-Io dico..- Lauren prese a massaggiarsi le mani nervosa
quando sembrò accorgersi improvvisamente di qualcosa che non andava -quello
stronzo..- si tolse un anello che portava all’indice e lo lanciò davanti a sè -..pervertito..- la stessa sorte toccò a un altro anello
-..ha un debole per le aspiranti attrici lui.. gli avevo detto di smetterla..-
ci mise un po’ per togliersi una collanina che seguì la traiettoria aerea degli
altri gioielli -..me lo aveva promesso e lui che ha fatto? S’è fatto persino
fotografare! Tutto in prima pagina..- l’ennesimo anellino venne lanciato -..brutto..-
Lauren si bloccò di colpo sbarrando gli occhi nel fissare il
buio davanti a sé, prima di voltarsi allarmata verso un Kei allibito.
-Che c’è?-
-Era di mia madre!-
-Cosa?-
-L’anello..-
-Quale dei tanti?-
-L’ultimo.. oh cavolo, ora come faccio!- disse disperata
cercando di alzarsi –Tutto per colpa di quel figlio di puttana!-
-Ma se l’hai lanciato tu..- non riuscì a trattenersi Kei.
-Non lo avrei fatto se quello non mi avesse fatta
incazzare!- sbottò lei guardandolo furente –E tu aiutami!-
Il russo si alzò sospirando e le si avvicinò.
-Come era fatto?-
-Semplice e sottile, con una piccola pietra blu-
Fece finta di darsi da fare per cercarlo, più per non
incappare in altre urla isteriche che per reale interesse, cercando di capire
come avrebbe fatto a trovare quel piccolo anello su quella terrazza enorme e
buia.
-Sì il tuo cellulare fa proprio schifo!- disse lei,
constatando quanto il display facesse poca luce non appena lui lo tirò fuori.
-Sempre così gentile?-
Lauren non rispose continuando a setacciare il pavimento.
-Non sarebbe meglio aspettare domani con la luce?-
-E se qualcuno viene quassù lo trova e lo porta via?-
-Vieta l’accesso a chiunque.. i soldi ce li hai no?- le fece
notare con un udibile nota di derisione che, però, lei ignorò.
-Giusto!- esclamò lei fermandosi improvvisamente.
-Bene- disse Kei dirigendosi verso la porta.
-Dove vai?-
-Via-
-Perché?-
-Ho finito di fumare-
-Non potresti..- iniziò la ragazza incerta -..non potresti
farmi ancora un po’ compagnia?-
-Ma se è da mezz’ora che mi insulti- le fece notare inarcando
un sopracciglio.
-Scusa.. è che.. non so mai di chi posso fidarmi..- confessò
tornando a sedersi appoggiata alla ringhiera.
-E nel dubbio insulti le persone?-
-Di solito no.. mi hai beccato in un brutto momento!-
Lauren lo guardò ancora in piedi.
-Non sono uno di molta compagnia- tentò lui.
-Solo qualche minuto-
Kei pensò alle sue possibilità e, sempre più masochista, si
lasciò convincere dallo sguardo triste della ragazza e le si risedette accanto
in silenzio.
-Ti offendi se ti dico che non mi ricordo come ti chiami?-
-Kei- rispose il ragazzo per niente interessato a quella
dimenticanza.
-Giusto.. eppure Jermaine mi parla in continuazione di te!-
Quella rivelazione non lo stupì, ma lo infastidì un poco: la
fissazione di quell’uomo stava arrivando a livelli esagerati.
-Non vuoi sapere che dice?-
-No-
-Non sei nemmeno un po’ curioso?-
-Non mi piace parlare di me e nemmeno sentire quello che si
dice su di me-
-A chi lo dici..-
-Mi sa che hai sbagliato lavoro allora- le fece notare
indifferente.
-A volte lo penso.. ma è il prezzo che devo pagare per
vivere questa vita!- rispose finalmente calma.
-Pochi minuti fa non lo stavi accettando così pacificamente-
-Austin vive la mia stessa situazione.. eppure non si è
fatto problemi a sbandierare la sua infedeltà.. almeno non lo fossero venuti a
sapere tutti che stupida che sono stata!-
-Pensavo fossi arrabbiata per il fatto che ti avesse
tradita-
-Per quello sono solo delusa.. gli ho dato tante possibilità
e lui le ha sprecate tutte..- ragionò ad alta voce riprendendo un flusso di
pensieri che probabilmente aveva accantonato -..forse è stato meglio così
però.. almeno ora ho la scusa definitiva per rompere-
-Quindi lo aveva già fatto altre volte?-
-Sì-
-Avresti dovuto mollarlo subito allora-
-Mi stai dicendo che sono stata una stupida-
-Te lo sei detta tu stessa-
-Ok te lo concedo..-
Rimasero in silenzio qualche secondo prima che Lauren
riprendesse parola.
-Ehi.. non è che mi stai registrando e venderai l’esclusiva
alla stampa vero?-
-Ma che sei fissata?-
-Ho ragione di esserlo..-
-E’ già tanto che so chi sia il tuo ragazzo..-
-Ex-
-Ma se non ti fidi perché vai a raccontare i fatti tuoi al
primo che incontri sul tetto di un hotel?-
-Giusto.. continuo a fare errori visto? E’ che io do la mia
fiducia, ma vengo sempre ingannata.. immagino che per quelli come te invece sia
più semplice trovare qualcuno di cui fidarsi-
-Di nuovo argomento sbagliato-
-Perché?-
-Ricordi? Non si parla di me-
-Inizio a pensare sul serio che tu sia un reporter in
incognito-
Kei sbuffò distogliendo lo sguardo dalla ragazza di fianco a
sé.
-Sai, io sono entrata nel mondo dello spettacolo a
quattordici anni, sono sempre stata al centro dell’attenzione, ho avuto tante
cose, ma non si può dire che abbia mai avuto tanti amici..-
Il russo rimase in silenzio, chiudendo le palpebre e
ascoltando la voce sommessa dell’altra.
-..forse l’unica persona che mi sia stata davvero vicina è
mia madre.. tutti gli altri solo un susseguirsi di tradimenti e sfruttamento
per arrivare da qualche parte..- di nuovo si interruppe prima di intraprendere
un botta e risposta tra sé -..no davvero, ora che ci penso, non ho nemmeno un
amico degno di chiamarsi tale.. i fans non valgono vero? Direi di no.. forse
Jermaine poverino..-
-Di nuovo..- la interruppe Kei riaprendo improvvisamente gli
occhi -..hai appena raccontato tutta la tua vita a un perfetto sconosciuto..
non credi di essere tu il problema?-
-Ehi.. dovresti consolarmi, non farmi stare peggio!- lo
riprese offesa.
-Io non volevo nemmeno parlare con te-
-Non ti stai guadagnando proprio niente così!- aggiunse
incrociando le braccia al petto.
-Non c’è già abbastanza gente che esaudisce i tuoi desideri
o ti elogia per avere qualcosa in cambio? L’hai detto tu stessa..-
-Fregata.. non sei molto simpatico..- iniziò semplicemente
-..però almeno mi hai fatto dimenticare quello stronzo per un po’!-
-Quindi ora me ne posso andare?-
-Non farmelo pesare!-
Kei attese in silenzio una qualsiasi altra frase, ma, dato
che questa non arrivò, decise di alzarsi ed andarsene.
-Vabbè.. ciao!- prese a camminare e, una volta arrivato alla
porta, continuò -..ricordati l’anello.. e le scarpe-
Sapeva di essere considerato una persecuzione, ma la cosa
non lo disturbava affatto. In verità era abituato a essere elogiato per il suo
continuo sorriso e la sua effervescente positività, nessuno aveva mai voltato
le spalle al suo modo genuino di approcciarsi al suo lavoro, alle persone e
alle situazioni. Ovviamente doveva arrivare il momento in cui avrebbe
incontrato l’eccezione.
Jermaine aveva per l’ennesima volta coinvolto Kei in una
delle sue iniziative senza dargli troppo preavviso e, come ormai era l’abitudine,
aveva dovuto dare fondo a tutta la sua riserva di pazienza per non demordere e
convincerlo.
-Sei pronto?- gli aveva chiesto a metà mattinata dopo aver
bussato insistentemente alla sua porta.
-Sì, arrivo- lo zittì Kei prendendo la borsa e seguendo il
coreografo fino alla hall nella quale Monique li
stava aspettando.
-Perché viene anche lui?-
-Bella domanda..- le diede man forte il russo.
-L’ho già spiegato a tutti e due! Non vi voglio più
sentire!- li zittì il coreografo intimandoli a seguirlo nel taxi che li stava
aspettando fuori dall’edificio.
Come capitava spesso, aveva fissato una serie di stage nelle
città che toccavano con il tour, dando la possibilità ai ballerini del luogo di
studiare con lui: una delle cose che più gli piacevano del suo lavoro era
proprio la continua messa in discussione di se stessi e l’importanza dello
scambio di informazioni. Si imparavano sempre nuove cose, da chiunque, anche da
i più piccoli.
Seduto nel taxi, si sporse a osservare la persona che in
quel periodo lo aveva colpito di più: Kei se ne stava in silenzio ad osservare
il paesaggio scorrere dal finestrino con quella sua solita aria disinteressata.
Che si fosse letteralmente fissato doveva ammetterlo, glielo avevano fatto notare
in molti, prima tra tutti Monique che gli aveva fatto
notare quanto il suo comportamento fosse scorretto nei confronti degli altri
ballerini. Jermaine sospettava che fosse semplicemente gelosa del trattamento
di favore che, a dirla tutta, concedeva al ragazzo e che prima era riservato
solo a lei, unica, in quanto sua assistente, che solitamente lo poteva seguire
in queste lezioni extra.
Il problema era che non riusciva proprio ad essere
indifferenteal russo: inizialmente lo
aveva avvicinato perché interessato al suo modo di ballare, esclusivamente per
una questione lavorativa, ma successivamente si era trovato incuriosito da quel
ragazzo in continua lotta con chissà che fantasmi. Voleva comprendere da dove
derivasse quel fascino che colpiva tutte le persone attorno a lui e, al
contrario, perché lui fosse chiuso in quel suo guscio protettivo.
Ovviamente tutte le sue riflessioni, poi, ricadevano sulla
danza, perché la vedeva, quella corazza, sgretolarsi passo dopo passo e poi
issarsi nuovamente robusta e invalicabile. Si era ripromesso di capire qualcosa
in quella personalità confusa e aveva intenzione di utilizzare la medicina che
conosceva meglio.
Jermaine aveva messo, da quando l’aveva scoperta, la danza
davanti a tutto e non poteva fare a meno di voler condividere quella sua
visione a chi, secondo lui, ne avesse bisogno.
Arrivarono nel cuore di Berlino in una ventina di minuti e
il taxi li lasciò davanti alla palestra in perfetto orario: entrarono nell’edificio
e il coreografo si fece avanti salutando il proprietario, suo vecchio
conoscente.
-Venite pure per di qua!-
Iniziarono a conversare di molte cose per far passare il
tempo: Monique si unì di buon grado alla
chiacchierata ordinando al bar della palestra qualcosa da bere, mentre Kei si
era seduto su una poltroncina ad attendere inespressivo la mossa successiva.
-La prima è dei più piccoli giusto?- si informò l’uomo.
-Esatto.. ma tutti hanno più o meno già fatto qualcosa..
sarà una classe bella numerosa!-
-Bene bene!-
-Accomodatevi pure in sala.. tra cinque minuti faccio
entrare tutti!-
I tre si diressero verso la stanza indicata e si
posizionarono di fianco allo stereo.
-Per questa lezione facciamo la coreografia di venerdì
scorso- li informò entusiasta collegando l’i-pod e
cercando la traccia –E tu svagati un po’!- disse poi rivolto a Kei che lo
fulminò con lo sguardo.
Jermaine si chiese come riuscisse sempre a evitare di
rispondere, quando la sala si riempì e in pochi minuti dette inizio allo stage:
non c’era nulla di più semplice, lo faceva ormai da anni ed era, anzi, un’occasione
per divertirsi. Quel giorno, però, avrebbe dovuto concentrarsi su come attuare
in suo piano: doveva far maturare Kei, portarlo a un altro livello e
soprattutto sfondare la resistenza del ragazzo.
-Dove ca..- si fermò osservando i
volti dei ragazzini intorno a lui -..volo stai andando?-
Afferrò il russo, che già si stava dirigendo verso il fondo,
per un braccio e lo esortò a mettersi in prima fila alla sua sinistra, alla
stessa altezza di Monique.
Riscaldamento e poi subito a insegnare i primi passi
lasciando i minuti scorrere velocemente a ritmo di conteggi e musica.
-Ora prendetevi un po’ di tempo per ripassare per conto
vostro.. se avete dei dubbi chiedete pure!- battè le
mani per esortarli a fare come diceva, per poi appoggiarsi allo specchio per
osservare la situazione della classe; rispose a una domanda di un allievo,
assistette Monique per un passaggio complicato e poi
sbirciò verso Kei. Come aveva sospettato non era un caso che le ragazzine più
grandi si fossero messe dietro di lui, ma soprattutto si soffermò a studiare le
reazioni del suo prediletto: lo vide subito corrucciato e confuso, per poi
riacquisire il controllo e rispondere alle domande.
La mezz’ora finale trascorse in fretta e, dopo aver scattato
le foto con chi la richiedeva, si risedettero tutti e tre a riposarsi.
-Divertente vero?-
-Mh- rispose il russo facendo
spallucce.
-Ormai ho capito che questa deve essere la tua alternativa
al ‘sì’!-
-Ma l’hai visto il mini Will Smith?- li interruppe Monique, colmando la solita pausa lasciata dal ragazzo.
-E’ vero gli assomigliava!- concordò Jermaine iniziando a
commentare la bravura del bambino in questione –Dove vai?- chiese
improvvisamente vedendo Kei alzarsi.
-A fumare una sigaretta-
-Resisti! E smetti di fumare!- ribatté: ormai aveva preso l’abitudine
di invitarlo a finirla con le sigarette ogni occasione venisse fuori il
discorso. Infatti il ragazzo lo ignorò per l’ennesima volta e uscì sentendo a
malapena l’ultimo avvertimento dell’uomo –E fai presto che tra qualche minuto
iniziamo!-
-Smettila di fare la chioccia che mi dai sui nervi! E’
maggiorenne e vaccinato!- lo rimproverò Monique.
-Non c’entra! Bisogna insegnare la retta via.. e poi ha solo
diciott’anni-
-Smettila di trovare scuse!- lo schernì lei scoppiando a
ridere –Ho il tempo di andare in bagno?-
-Certo!-
Jermaine rimase da solo e osservò la stanza ripopolarsi,
questa volta di ragazzi più grandi e adulti; Monique
tornò giusto in tempo per iniziare, mentre di Kei non vi era neanche l’ombra.
Partì comunque col riscaldamento, immaginando che il ragazzo avesse raddoppiato
il numero di sigarette: la sua assistente aveva ragione, era troppo protettivo,
ma non ne riusciva a fare a meno, poiché vedeva in quel ragazzo il bisogno di
aggrapparsi a qualcuno o qualcosa.
-Mmm.. ho appena deciso di
cambiare coreografia!- esordì di punto in bianco mentre scorreva la lista delle
tracce nel suo lettore.
-Cosa?- una serie di risolini accompagnarono la voce di Monique che non sapeva mai cosa aspettarsi dal suo capo.
Jermaine rise per poi continuare –Questa la sperimento con
voi per la prima volta.. no, Moni, non la sai, mi
dispiace! Su, divertiamoci!-
Una serie di battute scaldarono il clima della sala e tutti
i presenti iniziarono a seguire i movimenti del coreografo cercando di
imprimerli nella testa.
Solo dopo una manciata di minuti, l’uomo vide con la coda
dell’occhio la porta aprirsi e Kei rifare la sua comparsa totalmente rilassato:
fece per richiamare la sua attenzione, ma uno dei ragazzi in prima fila lo
distrassero con una domanda, tanto che dovette lasciare il russo rintanarsi
come al suo solito sul fondo.
Lasciò correre ripensando agli ammonimenti di Monique e concentrandosi su quelli che avevano pagato per
ricevere i suoi insegnamenti.
-Dai che ci siamo quasi!- li incitò mostrando gli ultimi
passi e notando con piacere quanto la classe fosse avanzata e avesse imparato
in poco tempo nonostante la difficoltà –Ora lo mettiamo in musica.. attenzione
che è leggermente più veloce!-
-Leggermente?- chiese qualcuno.
-Beh, diciamo molto in effetti!-
Adattare la sequenza alla canzone risultò più arduo, ma,
dopo aver dimostrato la velocità corretta, Jermaine mise la traccia a ripetizione
in modo da non far smettere di provare ai suoi allievi.
Dopo un’ora dall’inizio, prese a osservare e correggere la
coreografia finita che all’incirca tutti aveva ormai imparato: appoggiò la
schiena allo specchio e cercò Kei con lo sguardo. Come al solito poteva vedere
quella trasformazione che lo compiaceva e irritava allo stesso tempo, poiché lo
mandava in bestia il vederlo così in pace in determinati momenti e talmente
indifferente in altri. Tentò di attirare la sua attenzione, ma il ragazzo
rimase al suo posto.
-Ok, gruppi!- urlò sopra la musica Jermaine dopo un po’.
Prima li divise in due parti, permettendo così a tutti di
avere più spazio, poi li fece sedere e li chiamò a gruppi più o meno numerosi a
seconda di quanto avessero imparato la coreografia, da quello che aveva potuto
vedere.
Mise Monique insieme ad alcuni di
quelli che erano più indietro e lo stesso fece con Kei, che comunque se ne
restava in disparte: il coreografo tentò ancora di chiamarlo, ma il ragazzo
sembrava intenzionato a ignorarlo.
Ripeterono ancora diverse volte divisi in tranche più
grandi, quando, visibilmente spazientito Jermaine alzò la voce.
-Kei, dove cazzo sei?- alcuni ragazzi si guardarono intorno
confusi –Vieni qui!-
Finalmente il russo emerse dal fondo e il coreografo si
scusò per la parolaccia tra le risatine.
-Tu e Monique.. forza!- esclamò
con tono insofferente.
Fece partire la musica osservando i due suoi ballerini
mettersi al centro della sala: li osservò guardarsi a vicenda nello specchio
senza però scambiare una parola, prima di iniziare.
Jermaine maledisse mentalmente il ragazzo per quel
comportamento, lo faceva dannare in continuazione, quando gli bastavano
cinquanta secondi di coreografia per stupire la gente intorno a lui.
Terminarono accolti dagli applausi e fecero per sedersi.
-Fermi lì!- frugò nella borsa ed estrasse il cellulare, per
dirigersi verso uno dei ragazzi seduti più al centro –Puoi registrare?-
-Certamente!-
Vide lo sguardo perplesso di Kei dallo specchio, prima di
mettersi a sorridere: si posizionò pochi passi davanti ai due, invitandoli a
stringersi di più affianco a lui, e diede l’ok per far partire la musica.
-Domani lo metto su youtube!-
esclamò Jermaine entusiasta dopo aver mostrato il video a Blake.
-Perché è venuto anche lui?- chiese un Kei piuttosto
esasperato a un Chayton invece molto divertito.
Aveva dovuto sopportare il coreografo anche quel giorno
nonostante si supponesse fosse il suo giorno libero e l’idea di averlo intorno
anche la sera lo devastava: quando il suo compagno di stanza gli aveva proposto
di andare a bere qualcosa aveva accettato, allettato dall’idea di dedicarsi un po’
all’alcool, ma non aveva capito che ci sarebbe stato anche Jermaine.
Entrarono in un pub e iniziarono un gran numero di giri di
bevute: l’aspetto positivo era che, almeno su quello, l’uomo non aveva da
ridire come sul fumo.
-E poi dici a me di smettere con le sigarette..- non potè fare a meno di notare quando l’ennesimo boccale di
birra si posò di fronte all’uomo.
-Hai scoperto il mio punto debole!- confessò Jermaine –Però dovresti
smettere di..-
-E basta!- lo soccorse Chayton
ridendo e iniziando a chiacchierare.
-Quindi tu di dove saresti?- chiese dopo un po’ Blake.
-Russia..-
-Ma c’hai anche un po’ di giapponese giusto?-
-Sì-
-Non dirlo come se fosse una condanna..- rise Chayton per poi continuare -..qui siamo tutti dei miscugli!
Prendi me: padre indiano, madre mezza americana e mezza filippina..-
-Ecco perché sei così brutto!- lo prese in giro l’altro
beccandosi un insulto colorito.
-Sangue misto, migliori ballerini.. te lo dico io!- affermò
ammiccando e buttando giù un lungo sorso del suo cocktail, dopo aver passato
una mano tra i capelli scuri come per pavoneggiarsi.
-Che vorresti dire?- lo interruppe Blake.
-Uh.. sì è offeso perché lui è tutto americano!-
-Chi c’è più sangue misto degli americani?- si difese il
ragazzo.
-Su questo hai ragione!-
Continuarono a parlottare fino a che non proposero un altro
giro di bevute e attirarono l’attenzione della cameriera.
-Qualsiasi cosa dove ci sia della vodka.. tanta vodka- disse
Kei.
-Lasci fare a me?-
Il ragazzo annuì e aspettò che anche gli altri ordinassero.
-Che ci provi con la cameriera?-
-No-
-Ma a chi la dai a bere!- lo continuarono a prendere in
giro.
-Già che stiamo parlando di cose serie..- intervenne Chayton -..dì la verità, ti interessa qualcuna?-
-Di chi?-
-Del nostro affiatatissimo gruppo!- disse solenne il ragazzo
guardando Jermaine in tralice.
Kei ci pensò qualche secondo prima di rispondere –Può darsi-
-Uh uuh sentito il pivellino!-
esclamò Blake.
-Io penso anche di sapere chi sia..- ammiccò il moro
-..Carol giusto?-
-E’ vero! Siete sempre a fumarvi le vostre sigarettine!-
-A proposito..- riemerse Jermaine dal bicchiere che la
cameriera gli aveva appena portato -..smetti di fumare!-
-Indovinato?- lo ignorò Chayton,
osservando Kei annuire.
-Se la da a te e non a me, mi offendo!- disse Blake
puntandogli l’indice contro.
-Perché ci hai provato?-
-Sì, in un’altra occasione.. ma non c’è stata!- raccontò
abbattuto.
-Magari le piacciono quelli più piccoli..- insinuò il moro.
-Allora io sono a posto-
-Eheh.. sai che si dice sulle
rosse?-
-Guarda che lei è tinta!- gli fece notare Jermaine.
-Da così tanto tempo che ormai lo è dentro al cuore e dentro
all’anima-
-Chay, smettila di sparare
stronzate!-
L’altro ballerino gli lanciò alcuni arachidi della ciotolina
che stava sul tavolo.
-Secondo me basta che le sbatti quei cazzo di occhi che ti
ritrovi ed è fatta!- appuntò Jermaine fermando la lotta degli altri due.
-Vuoi dire che si spaventa?- chiese Kei scontento della
piega che aveva preso il discorso.
-Piuttosto cade ai tuoi piedi! Pensa che credevo fossero
lenti a contatto!- si reinserì Chayton.
-Non lo sono?-
-Svegliati Blake!-
-E io che ne sapevo.. quindi come me li spieghi?-
-Mica è l’unico al mondo con gli occhi viola..- lo rimbeccò
il moro.
-Ma rossi sì.. o sbaglio?-
-Non lo so- ammise Kei.
-Vabbè..- riprese il controllo il suo compagno di stanza -..comunque
io scommetto su di te! Sei un figo!-
-E balli.. non scordiamocelo..- si inserì Jermaine.
-Ancora con questa teoria?-
-Ma sul serio.. ascoltate la voce dell’esperienza! Da
coreografo poi le cose vanno ancora meglio!-
-Non ti facevo uno che assumeva in cambio di una scopata..-
-Ma non in quel senso.. semplicemente è un ruolo che
affascina le donzelle!-
-Come minimo lui con Carol ci è stato..- sussurrò Blake.
-Purtroppo non ho avuto il piacere!-
-In compenso s’è preso Monique-
-Quella è un’altra storia!- minimizzò l’uomo sventolando una
mano.
-Ah sì?- chiese curioso Kei, che aveva diverse volte
sospettato una cosa del genere.
-Una relazione.. poca roba, quattro mesi..-
-Poi è scappata!- lo derise Chayton.
-Ehi sono sempre il tuo capo!-
-Perchè te lo ricordi solo quando
ti fa comodo?-
-Sei sempre il solito.. due settimane senza farti sentire!-
le urla di Takao gli arrivarono dritte all’orecchio, pronte a trapanargli i
timpani –E’ possibile che ogni volta che vai da qualche parte ti dimentichi di
tutto il resto?-
Come dargli torto: ogni volta che lo chiamavano, perché erano
sempre gli altri a telefonargli, era come cadere dalle nuvole e ricordarsi di
qualcosa che si era scordato da tempo. Quella vita al dojo gli sembrava lontana
anni luce e si era riscoperto incapace di ritornare col pensiero a routine
ormai scomparse. Fattore che certamente non lo aiutava era la poca attenzione
che prestava al cellulare: lo guardava una volta al giorno se andava bene e
spesso e volentieri lo lasciava spento o buttato alla rinfusa nella borsa.
Ascoltò ancora qualche minuto le lamentele di Takao, rispose
alle sue domande, suggerite in sottofondo dalla voce pacata di Nonno J, e poi
riattaccò come sempre provato dalle frasi infinite del giapponese. Se ci
rifletteva qualche istante di più poteva sentire dentro di sé un qualcosa di
molto simile alla nostalgia, ma non aveva tempo di rendersene conto che già
cambiava rotta alle sue elucubrazioni mentali.
Affondò nella poltrona della hall dell’hotel godendosi
quegli attimi di pace: era una delle giornate libere e Jermaine era andato in
un luogo di cui non voleva sapere nulla, se non per accertarsi fosse lontano da
lui. Era insofferente verso i comportamenti di quell’uomo anche se aveva
iniziato a farci l’abitudine.
Soprattutto Chayton gli aveva
fatto notare quanto fosse fortunato ad avere qualcuno a guidarlo in quel nuovo
mondo, cosa non da tutti, e aveva cercato di vederla anche lui così
positivamente.
Era trascorsa una settimana dalla serata nel pub tedesco e
ripensò ai discorsi fatti coi ragazzi: avrebbe a breve preso in considerazione
l’idea di provarci con Carol, una bella ragazza, disponibile e simpatica, ciò
che gli serviva da un po’ di tempo a quella parte.
-Hai visto Senia?-
Una voce odiata lo risvegliò dai suoi dolci pensieri e, riluttante, alzò lo sguardo verso la ragazza mora
davanti a lui.
-E’ uscita con gli altri-
-E dove sono andati?-
-Dicevano qualcosa sullo shopping..- riferì ciò che aveva
carpito da una conversazione.
-Ci metteranno una vita allora..- ragionò tra sé Nene –Quindi
non c’è nessun altro?-
-No-
La ragazza sbuffò, sedendosi altera su un’altra poltroncina
di fronte a Kei.
-Sai domani a che ora è l’aereo?-
-Alle 8- rispose perplesso.
-Quindi alzataccia..-
-Com’è che ti degni di parlarmi?- chiese il russo curioso da
quel cambiamento: la loro massima interazione era stata quella volta alle prove
generali di settembre.
-E’ che mi annoio- rispose tronfia guardandolo negli occhi e
accavallando le gambe.
-E ti abbassi a relazionarti con me?- la stuzzicò, annoiato
quanto lei.
-A quanto pare!-
Rimasero a fissarsi e sfidarsi per diverso tempo, lei col
mento alto e atteggiamento da superiore, lui incuriosito dalla piega di quella
fattispecie di conversazione.
-Vieni a letto con me- disse lui improvvisamente, senza
ragionarci sul serio, staccando il busto dallo schienale.
-Ora?-
-E’ un modo per passare il tempo-
-Potrei prenderlo in considerazione-
-Sei proprio disperata, eh?- appuntò con un sorrisetto.
-Figo lo sei almeno.. magari sotto le lenzuola sei meglio
che a ballare!- sbottò acida, ma anche divertita.
-La considerazione che hai di me mi stravolge- rispose
ironico, riappoggiando la schiena alla poltrona.
-Cosa me lo chiedi a fare se poi ti tiri indietro?-
-Io non mi sto tirando indietro-
-Allora avrei giusto un po’ di tempo libero-
Si alzarono lentamente, incamminandosi verso gli ascensori:
rimasero impassibili e austeri per tutto il tragitto, come se la conversazione
appena avuta avesse riguardato il tempo o il menù della colazione. Solo quando
varcarono la stessa porta della camera della ragazza, Nene si voltò a
fronteggiarlo, i tacchi ad aiutarla ad arrivare alla sua altezza, una mano a
tirargli la maglia e i respiri fusi per la vicinanza dei loro volti.
-Se lo dici a qualcuno, sei morto!-
Bu! Eccomi qui.. mi sa che questo capitolo era
un po’ incasinato O_o un po’ un miscuglio di tanta
roba, ma spero che si sia capito tutto!
Comunque.. come avete
visto abbiamo avuto il punto di vista di Jermaine che lo annovera ufficialmente
come un personaggio principale e importante, abbiamo sentito parlare Lauren,
assistito a una chiacchierata tra uomini e Kei è tornato a flirtare come non
faceva da diverso tempo u.u lo stavamo dando per
malato!
Vabbè.. direi che non
ho altro da dire anche perché non so in quanti siete rimasti ad ascoltarmi XD
Kei seguì la traiettoria dello sguardo di Chayton per scoprire di cosa stesse parlando il ballerino:
si erano staccati dal gruppo per prendere un caffè al bar dell’aeroporto e, una
volta tornati, si era aggiunto alla comitiva un uomo che il russo non aveva mai
visto.
Doveva avere sui quarant’anni, aspetto distinto, abiti semi
casual, ma soprattutto stava abbracciando Nene.
-Maritino?- chiese Kei improvvisamente curioso.
-Non sono proprio sposati.. non ancora almeno..-
-Ah- il russo sembrò rilassarsi per qualcosa che Chayton non aveva colto, ma sul quale non indagò.
-E’ per questo che è intoccabile.. tutta devota alla sua
dolce metà.. che noia!- il moro sbuffò sonoramente, per poi guardare l’altro
sempre più confuso –Che c’è da ridere?-
-No, niente..- sviò Kei.
Sentire pronunciare quelle parole gli aveva suscitato una
reazione spontanea: da quel pomeriggio di noia erano stati insieme almeno altre
due volte, ma, ovviamente, questa informazione aveva premurato di tenersela per
sé prendendo sul serio le minacce della ragazza.
La osservò amoreggiare col suo fidanzato, piuttosto
divertito: tutti pensavano che fosse completamente fedele, o forse molti altri
mantenevano il suo stesso segreto, difficile dirlo. Se aveva anche solo pensato
che quegli incontri clandestini fossero parte di un gioco alla pari, in quel
momento si rese conto che invece era lei a tirarne le redini.
La cosa non lo colpì più di tanto, a parte la convinzione
che, piuttosto che la ballerina, Nene avrebbe fatto bene a diventare attrice:
il suo atteggiamento con Kei non era cambiato di una virgola davanti a tutti
gli altri e aveva seguitato a trattarlo con sufficienza, se non con stizza.
-Oh mio Dio che fatica!-
L’arrivo improvviso di Jermaine interruppe il flusso dei
suoi pensieri, costringendolo a prestare la sua attenzione verso il coreografo,
stanco e affannato.
-Paparazzi!- rispose l’uomo alla domanda sul perché del suo
stato posta da Chayton.
-Seguivano te?- chiese Carol perplessa, dopo essersi
avvicinata al gruppetto.
-Non sia mai! Lauren.. ero con lei!- rispose Jermaine
guardandosi intorno –Ecco Steve.. ci vediamo dopo ragazzi!-
-Quando succedono queste cose non posso fare a meno di
pensare che sia tutto programmato..- iniziò Carol una volta che il coreografo
si fu allontanato.
-Che intendi dire?- chiese Chayton
curioso.
-La rottura di Lauren col suo ragazzo..- abbassò il tono di
voce -..cioè, sapevano che si sarebbero interessati.. tutta pubblicità gratuita
al tour!-
-Dici?-
-Non lo so.. è solo una riflessione!-
-Tu che ne pensi?- chiese il moro rivolto al russo.
-Mh? Non credo..-
-Meglio essere sempre un po’ diffidenti Kei..- gli disse
Carol per poi cambiare discorso.
Sentirsi dire di essere diffidenti faceva uno strano effetto
soprattutto se una frase del genere era rivolta a lui, la diffidenza fatta a
persona: solitamente gli raccomandavano il contrario, ma in fondo la rossa che
ne poteva sapere. In ogni caso tutto quel discorso lo aveva stranito: prima di
quella chiacchierata, se così si poteva chiamare, sul tetto con Lauren non si
era accorto di quante volte la incontrasse durante l’arco della giornata.
Probabilmente perché prima di quel momento non l’aveva degnata di alcuna
attenzione se non per il suo ruolo, mentre da quando il giorno successivo la
sua sfuriata in un momento di pausa l’aveva incrociata e lei si era scusata per
il suo comportamento infantile, avevano iniziato a salutarsi e a scambiare
qualche parola.
Nulla di che se non discorsi da ascensore, ma succedeva
sempre più spesso, soprattutto quando si trovava con Jermaine che non aveva
smesso di girargli intorno, oppure con Carol, la stessa che in quel momento
dubitava della sincerità della cantante, ma la quale non si faceva scrupoli a
ridere e scherzare con Lauren quando erano insieme.
Forse la prima di cui diffidare era proprio lei.
Kei li ascoltò ancora confabulare fino a quando non fu
annunciato il loro volo: sarebbe stato un viaggio corto, poco più di mezz’ora,
ma la stanchezza era comunque presente. Erano in Europa da due settimane e ci
sarebbero rimasti per altrettanto tempo, ma quel che era certo era quanto fosse
frenetico quel mese. Le città erano più vicine e di conseguenza ne coprivano di
più in meno tempo fino ad arrivare ad avere anche cinque giorni consecutivi di
show in posti diversi senza neanche una pausa.
Il ritmo incessante, però, fornì anche la scusa adatta a
Kei: non appena arrivarono nell’hotel madrileno Nonno J lo aveva chiamato al
telefono informandosi su un vecchio discorso che era rimasto in sospeso per
tutto quel periodo.
-Allora non c’è proprio modo di pensare alla scuola?-
-Non ho il tempo, qui è tutto veloce..- aveva iniziato il
russo guardandosi attorno, osservando il viavai di membri dello staff che si
avvicendavano nella hall in un quadro ormai troppo familiare, niente di più
lontano da quello che si trovava al di là del cellulare -..e poi ho altre cose
per la testa- confessò infine.
-Immaginavo.. però dovevo provarci!- gli rispose placido
l’uomo.
-Sicuramente-
-Mi raccomando, riguardati.. e se hai qualche problema
chiama!- si raccomandò prima di attaccare.
Kei raggiunse Chayton e insieme
varcarono la porta della loro stanza: il russo poggiò il borsone ai piedi del
letto e si buttò sospirando sul materasso.
Un soffitto celeste lo sovrastava, ancora non si capacitava
di quante tinte diverse esistessero per coprire quella semplice porzione di una
stanza.
-Guarda che dobbiamo uscire subito!- lo richiamò il
ballerino.
-Lo so- disse facendosi coraggio –Mi sto alzando-
-Lo vedo!- rise l’altro guardandolo rimanere immobile ancora
diversi secondi, prima di decidersi a tirarsi su e dirigersi verso l’ennesima
serata devastante e adrenalinica.
-Dobbiamo modificare quel pezzo per domani-
Le prove stavano andando avanti da già due ore quando
Jermaine annunciò un cambiamento nella coreografia: il giorno successivo
avrebbero dovuto aggiungere un piccolo pezzo al medley di vecchie canzoni che
avrebbe cantato Lauren nell’ultima tappa europea prima di partire per gli USA,
quindi anche un pezzo di coreografia doveva essere modificato.
-Eravate in coppia giusto?- l’uomo si avvicinò a due di loro
per fargli capire –Vi prendete per il braccio.. ecco forte così..- afferrò
l’avambraccio di uno e lo tirò verso di sé -..fai resistenza! Ecco.. vi
sbilanciate e poi cambiate posizione con un salto!- tirandolo prese slancio e
saltò ritrovandosi nella posizione prescelta.
Diede le nuove posizioni a tutti per poi controllare uno per
uno che stessero facendo come voleva lui: come al solito tutto doveva essere
impeccabile, non doveva esserci neanche un dito fuori posto.
-No, sbagliate la presa- si avvicinò a Kei e si sostituì a
Blake, che era in coppia con lui, per spiegarglielo meglio.
Gli prese l’avambraccio e posizionò la mano nel modo
corretto.
-Ecco la stretta deve essere in questo punto, non in
quest’altro! Poi..-
Kei si chiese come avrebbe fatto il pubblico a notare che
aveva messo il dito qualche centimetro più a sinistra, ma non obiettò: mai
contraddire il coreografo in quelle occasioni.
L’uomo stava ancora posizionando bene la sua mano sul
braccio di Kei quando, senza preavviso lo strattonò con troppa forza verso di
sé e si mise a fissargli un punto tra il pollice e l’indice, proprio
nell’incavo del suo braccio.
Sembrò riconoscere il segno che intravedeva e quando puntò
lo sguardo sul ragazzo sembrava sconcertato e arrabbiato.
Kei resse il suo sguardo senza la minima piega intuendo che
l’altro stesse arrivando a conclusioni sbagliate: proprio in quel momento
doveva accorgersi dei suoi segni?
Durante il resto delle prove Jermaine non gli disse niente,
ma sembrava furibondo e le prove, che erano iniziate bene, finirono con tutti
di cattivo umore.
Questi ballerini lunatici, si ritrovò a pensare Kei, bastava
un niente per farli innervosire.
-Kei aspetta!-
Il ragazzo si fermò e lasciò che tutti gli altri uscissero
dalla sala lasciandolo solo con Jermaine.
Non si guardarono subito e Kei prese fiato per spiegargli
che probabilmente era arrivato alla conclusione sbagliata, quando l’altro lo
anticipò con molta veemenza.
-Si può sapere cosa ti passa per la testa?!- gli urlò
contro, abbandonando ogni possibilità di parlarne civilmente.
-Guarda che non è come pensi-
-Non credere che io sia idiota! Ne ho già visti di segni
come quelli, non è la soluzione! Sei fortunato ad avere tutto questo! Non
essere così deficiente da buttare all’aria tutto!-
Continuava a parlare con un tono molto alto e minaccioso; se
non lo avesse fatto Kei si sarebbe messo lì pazientemente a spiegare, ma quel
modo di parlare lo innervosì.
Fece di nuovo per parlare, ma fu ancora interrotto.
-Ti rovini solo la vita! Che credi di ottenere così
facendo!? Eh?!-
-Mi lasci parlare?- provò ancora, sentendo la propria
pazienza avere dei cedimenti.
-No! Pensavo di potermi fidare di te! Pensavo che non fossi
così stupido!-
Si era ripromesso di mantenere il controllo, ma diventò
impossibile; tuttavia non si mise ad urlare, ma il suo tono risuonò comunque
molto minaccioso.
-Tu non sai niente di me.. Non ti permetto di parlarmi così,
non ti devi permettere di giudicarmi, di parlare di cose che non sai-
-Spiegamelo allora, sentiamo la tua scusa!-
-Lo avrei fatto, ma ora capisco che non ne vale la pena-
Lo guardò con astio e girò sui tacchi diretto verso
l’uscita. Arrivato alla porta notò che sullo stipite, con espressione
preoccupata, c’era Lauren: doveva aver sentito tutto, ma la ignorò e andò verso
la sua camera con i nervi tesi.
Non ne uscì per tutto il resto del pomeriggio, non scese
nemmeno a cena con gli altri; non aveva voglia di vedere Jermaine. Ogni volta
che con quell’uomo faceva un passo avanti, subito dopo arretrava di due.
Dovevano essere proprio incompatibili.
Non voleva rischiare di vedere qualcuno per i corridoi non
essendo proprio dell’umore adatto per parlare, ma aveva assolutamente bisogno
di una sigaretta, o anche due, e quindi si diresse velocemente verso la
terrazza superiore dell’albergo.
Gli atri di solito stavano nei salottini a piano terra e
forse lì avrebbe trovato un po’ di pace.
Quella sera il cielo era sereno e ricoperto da un manto fitto
di stelle, ma nessuna traccia della luna. Fece un po’ di fatica a riconoscere
la figura appoggiata alla ringhiera per la scarsa luminosità, ma quando ci
riuscì le si avvicinò.
Lauren era ferma a osservare il cielo. Non era la prima
volta che si ritrovavano in quei posti bui e all’aperto, avevano le stesse idee
sul posto da scegliere quando volevano stare in pace.
-Era da tanto che non vedevo Jay
così arrabbiato sai?-
Kei sospirò. –Non so che dire- si accese la sigaretta.
-Non so perché abbiate litigato, ma lui ci tiene molto a te,
non chiedermi perché, ma ci tiene. Se ti ha detto quelle cose è perché è
preoccupato..-
-Lo capisco, ma non è tanto quello, quanto il modo in cui ha
parlato..- guardò la ragazza soppesando la possibilità di continuare a parlare
o meno -..ha frainteso delle cose.. e glielo stavo spiegando, ma mi ha
attaccato di punto in bianco..-
-E’ molto impulsivo, non lo fa apposta, ma deve dire tutto e
subito, anche se sbaglia..-
Aspirò il fumo e rimase in silenzio.
Che Jermaine tenesse a lui l’aveva intuito, anche se ancora non
si spiegava come potesse essere successo in così poco tempo, però quando aveva
toccato quei tasti dolenti della sua vita, senza nemmeno essersene accorto, lo
aveva fatto andare in bestia.
Lauren tornò dentro quasi subito, lasciandolo solo coi suoi
pensieri e la sua sigaretta.
Perse la cognizione del tempo e non seppe dire esattamente
quanto tempo fosse passato quando sulla terrazza fece la sua comparsa un’altra
figura, questa volta indesiderata.
Jermaine appoggiò la schiena alla ringhiera di fianco a Kei
che, vedendolo, si affrettò ad accendersi un’altra sigaretta.
-Scusami..-
Kei fece spallucce e gli disse che non si doveva
preoccupare.
-E’ che sono molto sensibile sull’argomento, non puoi capire
quanti amici ho perso a causa di queste cose..-
-Invece lo capisco..-
Stavolta parlavano molto pacatamente, sembravano soppesare
ogni parola.
-Li ho già visti dei segni come quelli e Kei se tu..-
-Non mi drogo..- lo troncò prima che potesse aggiungere
altro e peggiorare la situazione -..o almeno, non mi drogo più.. sono segni
vecchi, ce li ho da quando ci siamo conosciuti, solo che, a quanto pare, tu non
li avevi ancora notati-
-Ah, quindi non c’è nessun pericolo che..-
Lo guardò in attesa, notando la sua riluttanza nell’affrontare
l’argomento.
- No. Ci ho messo tempo e fatica per smettere e non ho
intenzione di ricominciare adesso. Sono esattamente un anno e undici mesi che
non mi faccio e ho intenzione di continuare così-
-Non sai che sollievo.. sul serio! Mi dispiace di averti
aggredito oggi, è che non sapevo..-
-E’ anche un po’ colpa mia in fondo..- si convinse ad
aprirsi -..non dico mai nulla di me a nessuno..- disse divertito della sua
stessa ammissione e decise di approfittare della situazione per chiarire un
altro punto -..beh visto che ormai lo sai, puoi capire perché non mi puoi
chiedere di smettere di fumare.. sono totalmente dipendente dalla nicotina e
non posso sopportare un’altra disintossicazione, almeno non per ora-
-Oh ok.. capisco, ma che hai fatto per avere ancora i segni
adesso?-
-Non se ne vogliono andare.. beh diciamo che non ci sono
andato molto leggero..- alzò le sopracciglia ripensando a quel periodo.
Jermaine si mise a guardare nella direzione in cui erano
puntati gli occhi di Kei che, a quanto pareva, vedeva cose che a lui erano
oscure, fantasmi di quel passato di cui non era sicuro sarebbe mai stato in
grado di sapere qualcosa. Era curioso di conoscere di più di quel ragazzo; gli
sarebbe potuto essere d’aiuto in qualche modo, ma non riusciva mai a capire quando
e se l’altro gli avrebbe risposto. L’unico modo era tentare, al massimo avrebbe
deviato il discorso.
-Come hai fatto ad uscirne? Sei stato in qualche centro?-
Kei provò di nuovo la sensazione di non essere obbligato a
rispondere, ma l’aria fresca, la semi oscurità risultava confortante.
-No niente centri.. sono stati i miei amici, vivevo con tre
ragazzi a Mosca, mi hanno sopportato per mesi in uno stato pietoso..- aspirò il
fumo, assaporandolo, per poi continuare -..e poi mi hanno mandato a Tokio..- si
accorse subito di quanto risultasse una scelta negativa e cercò di correggersi
-..e hanno fatto bene sia chiaro-
-Che differenza faceva?-
-Beh in Giappone è tutta un’altra atmosfera.. diciamo che è
più salutare, proprio il tenore di vita è diverso..-
-Io ci sono stato una volta a Mosca, ma non mi sembrava
così.. malsana!-
-Dipende dove vai, ci sono i quartieri alti dei ricconi e
poi i poveracci; solo nell’ultimo periodo le cose si stanno risollevando, ma
c’è sempre tanta disparità.. dipende dove cresci-
-Ma tu non eri il plurimiliardario?- chiese confuso.
-Io non ho mai avuto un centesimo prima che mio nonno
morisse.. sono solo uno dei tanti piccoli bastardi di Mosca..- pronunciò parole
tanto dure con calma e ironia, tanto che stonavano con il loro reale
significato -..in effetti se fossi rimasto lì non credo che sarei riuscito a
uscirne del tutto, probabilmente avrei finito per ricaderci-
-Ma senti ancora il.. il desiderio di farti?-
-No, direi di no..- rispose sovrappensiero, cercando di
fidarsi lui stesso di quelle parole.
Jermaine stoppò per un attimo il suo interrogatorio e Kei,
guardandolo con la coda dell’occhio, notò che stava contando qualcosa sulle
dita.
-Cosa stai facendo?-
-Stavo facendo due calcoli.. Tu a quindici anni ti sei messo
a drogarti?- chiese incredulo.
-Il picco è stato a sedici in verità..- cercò di ironizzare.
-Che ti ha convinto a smettere?-
-Ho visto..- prese tempo, ma non si interruppe, continuando
quel tortuoso percorso che aveva cominciato iniziando a parlare -..ho visto morire
una ragazza con cui stavo.. ha mischiato un po’ di roba e l’unica cosa che ho
potuto fare è stato chiamare un’ambulanza, ma è morta prima che arrivasse..-
-Mi dispiace.. ma non capisco che ti ha portato così piccolo
a fare una cosa del genere!-
-Sono più disperato di quello che credevi eh?-
-No no..-
-Ma è vero.. la vedi questa?- tirò fuori dal pacchetto
l’ennesima sigaretta e la fece vedere all’altro -..la prima l’ho fumata a nove
anni e mi aveva fatto assolutamente schifo..- se la accese e la portò alla bocca
per aspirare -..poi a dodici è diventata la mia salvezza e non ho più smesso..
in quel periodo ho provato a fumare anche cose tipo marijuana, roba più forte,
ma non mi hanno mai entusiasmato più di tanto.. poi è arrivato il turno delle
droghe più leggere e ho provato anche della cocaina, avrò avuto quattordici anni
credo, ma anche quelle non mi piacevano più di tanto, sniffare è abbastanza
irritante, c’è a chi piace, a me no.. le pasticche sono le migliori credo, ore
di annebbiamento totale senza segni visibili, ma costavano troppo, l’ho provate
solo due volte.. la soluzione più economica è sempre stata la siringa, una
volta passata la paura dell’ago non è tremenda, anzi, anche se i segni poi, beh
li vedi-
Jermaine non sapeva che dire di quell’analisi veloce e
chiara di tutte quelle sostanze fatta da un ragazzo così giovane. Forse
disperazione era davvero la parola più appropriata.
-Il problema è sempre quando l’effetto finisce, prima è
tutto rose e fiori e poi torni all’inferno che, se possibile, è ancora peggio
di quanto fosse prima.. io sono arrivato a non riuscire a stare nemmeno un’ora
senza avere una crisi d’astinenza.. patetico..-
Guardava ancora un punto indefinito davanti a sé,
disprezzando se stesso e quello che aveva fatto.
Ne aveva parlato poche volte con qualcun altro, ma lo faceva
sentire un po’ meglio, riusciva ad auto convincersi sempre che non ne sarebbe
valsa la pena riprovarci.
-Non dovresti dire così.. se ne sei uscito è perché hai
dimostrato di essere superiore a queste cose! Conosco molte persone molto più
vecchie di te che non hanno capito i loro sbagli ed si sono rovinate
definitivamente; tu sei molto intelligente e meriteresti molto più rispetto di
tutti quelli che si sono ritrovati la strada spianata e non hanno mai
affrontato difficoltà!-
-Non sono superiore a nessuno, ho solo il merito di essere
arrivato vivo fin qui, non totalmente sano di mente, ma vivo..-
-Potrai anche non crederci, ma è quello che penso, e
dovresti avere un po’ più considerazione di te stesso.. guarda che hai
costruito negli ultimi anni! Da quello che ho capito non avevi una vita facile,
mentre ora sei in un hotel di lusso a parlare con il, modestamente, migliore
coreografo in circolazione!- Sorrise tronfio, ma anche dolcemente.
-Sarà..-
-Fidati di me! E vatti a riposare che domani c’è lo spettacolo,
non voglio ballerini fiacchi!-
Gli scompigliò scherzosamente i capelli; gli ricordò molto
il comportamento che aveva Yuri quando lo voleva consolare di qualcosa.
Decise di non discutere e se ne andò in camera. Sembrava
essere davvero tardi e infatti gli altri ragazzi in camera con lui stavano già
dormendo. Fece piano per non svegliarli e si buttò in letto.
Non ci mise troppo ad addormentarsi; aveva un peso in meno
sullo stomaco.
Il suo rapporto con Jermaine era davvero strano: a volte non
erano per niente in sintonia, ma con lui riusciva a parlare liberamente e non
si sentiva giudicato.
Un rapporto pazzo tra persone pazze, ecco che cos’era.
Un’immagine che ormai aveva catalogato come normale era
quella di Jermaine con ancora il pugno alzato dopo averlo sbattuto
ripetutamente contro la porta della sua camera: la soglia, i muri, l’hotel, la
città, l’orario, i vestiti, tutto mutava tranne l’espressione del coreografo.
-Jay- constatò rassegnato in
attesa di sapere che altro si fosse inventato l’uomo.
-Kei!- rispose sorridendo e facendosi largo all’interno
della stanza e salutando Chayton –Dimmi che hai già
la borsa pronta!-
-Quasi, ma partiamo domani mattina a che..-
-Tu parti ora!- gli comunicò più agitato del solito.
-Perché?-
-Ti ho trovato un lavoro..-
-Ma non ce l’ho già scusa?- chiese perplesso.
-Ti devi abituare ad avere più impegni contemporaneamente..
e poi mi servi!-
Kei rimase in attesa della continuazione del discorso
sedendosi sul letto e osservando Jermaine camminare avanti e indietro.
-Mi ha chiamato un mio amico produttore.. gli hanno dato
buca all’ultimo e gli serve urgentemente un modello per il video che deve
girare quindi mi ha chiamato per chiedermi se avevo qualcuno e io gli ho detto
di avere un ballerino.. tu!-
-Perché chiamano te se cercano un modello?-
-Ho tante conoscenze.. trovare qualcuno in così poco tempo è
difficile!-
-Ma io che c’entro?-
-Devi iniziare a girare un po’.. e poi non dovrai fare nulla
di che!-
Kei lo vide finalmente fermarsi e sventolare il suo palmare.
-Quando dovrei partire?- sospirò arrendendosi e portando
avanti l’obiettivo che ormai aveva accettato di prefissarsi: vivere a fondo
quell’esperienza.
Jermaine guardò l’orologio sul display facendo alcuni
calcoli mentali –Ora.. mezz’ora massimo! Ti chiamo un taxi e prenoto il volo..
tu finisci di prendere la tua roba!-
Non ebbe il tempo di ribattere che il coreografo si attaccò
al cellulare riprendendo a camminare avanti e indietro. Kei non aveva molte
cose da mettere nel suo borsone e nel giro di dieci minuti poté tirare la zip e
aspettare nuove istruzioni.
-Allora..- iniziò Jermaine facendo mente locale e iniziando
a elencare tutto a partire da dove avrebbe dovuto ritirare il biglietto dell’aereo
e dove era diretto, per poi cercare un foglio di carta e una penna dalla
scrivania presente nella camera -..questo è l’indirizzo del posto, il nome del
mio amico e tutto, ma dovrebbero venirti a prendere.. è solo per sicurezza! Poi
ti diranno tutto loro..- continuò il suo resoconto cercando di non fare
confusione -..tu comunque chiamami quando hai finito, a qualsiasi ora, così ti
cerco il volo per il ritorno!-
In poco tempo si ritrovò catapultato in quella pazzia
improvvisata, non troppo stupito o perplesso come lo sarebbe stato due mesi
prima: viaggiare in aereo era diventata un’abitudine e quella vita da ‘zingaro’
non gli dispiaceva, sentiva che lentamente tutti i suoi problemi stavano rimanendo
indietro e non gli dispiaceva pensarli come lontani chilometri, quanti ne aveva
percorso fino a quel momento.
Fu comunque un viaggio breve e il suo aereo atterrò a fine
mattinata nella cittadina californiana: come gli era stato detto, non ebbe
bisogno del biglietto scritto con la calligrafia incomprensibile di Jermaine, poiché
una ragazza lo attendeva all’uscita passeggeri. Come tutte le persone che
lavoravano in quel settore, parlava a macchinetta di tutto, dagli impegni della
giornata a discorsi sul tempo, e svolgeva ogni singola azione tremendamente di
fretta.
Millicent, così aveva detto di chiamarsi, si mise alla guida
della sua utilitaria e insieme si diressero verso gli studi nei quali sarebbe
stato girato il video.
-Sai già di che si tratta?-
-Non proprio-
-Andrà bene vedrai.. anche se il capo è di pessimo umore!-
Iniziò a descrivere le scenate a cui aveva assistito per la defezione del
modello e ad elencare le scuse che questo aveva fornito, prima di cambiare
discorso –Comunque sei in tour con Lauren Bright
giusto?-
Kei diede segno come al suo solito di non essere predisposto
alla conversazione da subito, lasciando che l’altra cambiasse ripetutamente
argomento senza preoccuparsi di rispondere.
Avevano lasciato la città alle loro spalle da venti minuti
buoni, quando un grande edificio si stagliò nel bel mezzo del nulla: superarono
l’entrata e Millicent parcheggiò a pochi metri dall’ingresso.
-Eccovi finalmente!- un ragazzo con uno scatolone prese a
parlare e li condusse nel cuore del grande hangar –Ehi John!-
L’uomo a cui si era rivolto si voltò impaziente: aveva
capelli brizzolati e indossava un completo firmato, tanto che Kei intuì che quello
dovesse essere l’amico di Jermaine.
-Non capisco!- esordì battendo le mani sui pantaloni
esasperato, ma il motivo della sua disapprovazione non fu chiaro a Kei. che
pensò di aver qualcosa di sbagliato, probabilmente di non andare bene come
invece pensava il coreografo, finchè l’uomo non
continuò –Io chiedo a Jay un modello e mi dice di
avere un ballerino e invece mi arriva lui!-
-In verità lui è il ballerino!- intervenne Millicent cauta.
-Ah.. sei ballerino?-
Kei rimase in silenzio spiazzato da quella domanda: mesi a
cercare di negare quel fatto, a non apostrofarsi nemmeno lontanamente con quel
sostantivo, a non autodefinirsi tale e all’improvviso ecco una domanda diretta
a metterlo in crisi. Vide John guardarlo in attesa, evidentemente irritato.
-No..- rispose senza pensarci, ma notando il cambio di
espressione dell’altro prese un respiro e si corresse -..cioè sì-
-Vabbè.. non è importante ora!- riprese dopo pochi istanti
di calma, lasciando che tutti si rimettessero a lottare contro il tempo –Hai mai
pensato di fare il modello?- iniziò, camminando al suo fianco –No, perché sei
sprecato!-
Senza aspettare risposte o cenni di assenso lo affidò
nuovamente a Millicent poiché lo portasse a prepararsi per quello che avrebbe
dovuto fare.
-Joan! Questo è il tuo rimpiazzo!- disse una volta che
entrarono in una stanza che scoprì essere il guardaroba: al suo interno la
cantante si stava cambiando d’abito aiutata da due ragazze.
-Beh meglio dell’originale!- disse lei tirandosi su i
capelli corvini perché una delle assistenti le tirasse su la zip dell’abito.
Rimasto solo con Millicent gli si avvicinò un truccatore:
quello era un aspetto che ancora non riusciva a digerire, ma sapeva di doversi
considerare fortunato poiché, come spesso gli ripetevano, non aveva bisogno di
troppi trattamenti, anzi quasi nessuno, in confronto alle sedute che toccavano
ad altri. Fu infatti pronto in meno cinque minuti e fu la volta di colui che si
occupò di sistemargli i capelli; ogni volta glieli accorciavano sempre di più,
anche se in quel momento avvenne il taglio più drastico.
Non fece tempo a preoccuparsi della lunghezza, o meglio
cortezza, del suo nuovo taglio che lo portarono a cercare un vestito di scena.
-Togliti la maglietta!- comandò una signora che lo squadrò
da cima a fondo con una mano sul mento, pensierosa. Gli fece provare diverse
paia di pantaloni e alla fine avevano optato per dei semplici jeans scuri:
altra caratteristica di quell’ambiente ormai collaudata era l’impossibilità di
provare pudore del proprio corpo, poiché era all’ordine del giorno spogliarsi
davanti ad altre persone. La costumista, infatti, non si scompose nemmeno un
secondo fissando ogni parte del suo corpo, finchè non
prese a girargli intorno.
-Questa..?- iniziò afferrando la sottile catenella che
teneva al collo –Sì, la puoi tenere, mentre.. questa non ci voleva!- disse improvvisamente
da dietro alle sue spalle –Dobbiamo trovare una maglia!-
Kei potè solo intuire quello che
aveva indisposto la donna, ma ne ebbe la conferma quando il produttore tornò
per controllare a che punto fossero.
-Perché ha la maglia?-
-Ha una cicatrice.. se gli riprendi la schiena bisogna
coprirla- rispose valutando due diversi tipi di canottiera e porgendogliene una
affinchè la indossasse.
Mentre si toglieva la maglia aderente il produttore lo
raggiunse per controllare lo sfregio sulla sua schiena e lo sentì condividere
il pensiero della costumista.
-Ora vediamo come fare..- osservò prima di incitare tutti a
darsi una mossa -..questa va bene! Su, vieni che iniziamo!-
Seguì John verso il set dove avevano appena finito di girare
una scena della cantante con quattro ballerini a torso nudo.
-Allora.. come hai detto che ti chiami?-
-Kei-
-Bene Kei.. quello è il tuo set!- e raggiunsero una stanza
ricoperta da un telo enorme verde –La tua parte è molto semplice.. faremo
diverse riprese di varie parti della canzone con intenzioni differenti!- gli
spiegò prima di mettersi a parlare con qualcun altro.
Il russo era leggermente interdetto dall’espressione ‘intenzioni’
alla quale non sapeva che significato dare, se non dopo che gli fu spiegato in
dettaglio. La canzone si intitolava Afrodisiac e solo che da quello poteva intuire il perché di
tutti quei ragazzi mezzi nudi di fianco a una cantante con un abito tutt’altro
che casto.
Il suo compito in poche parole era quello di flirtare con
Joan: non era un lavoro che necessitava di particolari abilità, se non quella
di essere di bell’aspetto e Kei non la considerava propriamente un’abilità.
La prima inquadratura nel quale era coinvolto prevedeva che
stessero semplicemente fermi a guardarsi, l’uno di fronte all’altra a poco più
di un metro di distanza. Kei andò nel cono di luce sul grande telo e si presentò
ufficialmente alla cantante, per poi voltarsi verso il produttore e il regista
del video che cercavano di attirare la sua attenzione per le ultime
raccomandazioni.
Solo in quel momento il ragazzo si accorse di quale sarebbe
stata la difficoltà maggiore: almeno venti persone erano stagliate davanti a
loro come pubblico, con l’aggiunta di diversi riflettori abbaglianti che li
mettevano ancora più in luce e alcune telecamere.
Difficile essere spontanei e pretendere di flirtare con
qualcuno con una platea del genere.
-Kei mostra un po’ di interesse! Bene.. e playback!-
Ci vollero diversi minuti prima che il russo si decidesse ad
adottare la tattica che solitamente adoperava quando ballava: far finta di
essere solo, nel suo mondo, escludere tutto ciò che era all’esterno. Se
funzionava con la danza, doveva essere lo stesso in quella stramba situazione.
Le scene successive prevedevano che Joan interagisse con lui
completamente fermo e poi il contrario, ma la parte più complicata fu lo stare
da solo davanti alla camera da presa fingendo di guardare la bella cantante:
non era un attore e nuovamente dovette dar fondo a tutta la sua buona volontà
per riuscirci.
Proprio lui, colui che odiava stare al centro dell’attenzione,
fingere, essere osservato o giudicato, si trovava in quella situazione
paradossale e.. divertente. Perché dopo l’imbarazzo iniziale non poteva proprio
negare di trovare estremamente facile comportarsi in un determinato modo; si
disse che lo doveva al fatto che quelle erano azioni che nella vita reale gli
riuscivano piuttosto bene e che non lo annoiavano assolutamente. Aiutava anche
la bella presenza di Joan, assolutamente senza pudore e senza freni: non
riusciva a credere che quello fosse considerato un lavoro e che lo avrebbero
persino pagato.
-Bene, abbiamo finito!- urlò il regista invitando tutti a
dirigersi verso un’altra sala nella quale avrebbero continuato con l’ennesima
scena.
-Tu hai finito!- gli disse il produttore avvicinandosi e
stringendogli la mano –Ci hai salvato.. grazie e salutami Jay!-
-Certo-
Andò a riappropriarsi della propria roba, rimasta nel
guardaroba, e una volta che si fu cambiato cercò un posto dove lasciare i
pantaloni e la maglia.
-Tienili pure..- lo incoraggiò la costumista con un sorriso
-..ti stanno bene!-
Non potè rifiutare e infilò il
tutto nella borsa, per poi andare a cercare Millicent, incaricata di portarlo
nell’albergo dove avrebbe passato la notte.
La trovò nella stanza dove stavano continuando le riprese,
nuovamente con i quattro ballerini, ma l’atmosfera non sembrava rilassata come
quando giravano le sue scene, anzi il regista era piuttosto arrabbiato.
-Risolvo qui e andiamo.. non hai fretta vero?- gli chiese
Millicent e lui ovviamente le disse che non doveva preoccuparsi.
Osservò l’avviarsi di un lungo dibattito e poi la ripresa a
rilento della registrazione: si mise in un angolino e poggiò a terra la borsa
aspettando. La canzone che ormai sapeva a memoria continuava a risuonare nell’aria,
interrotta e ripresa in continuazione senza apparente senso logico. Preso dalla
noia prese a tenere il tempo con le mani, finchè non
iniziò ad accennare qualche passo, sempre nascosto dall’ombra della sua
postazione. Scaricò un po’ della tensione di quella ormai lunga giornata, fino
a quando Millicent non fu finalmente libera di andare.
Si diressero nuovamente verso l’automobile della ragazza e
partirono.
-Sai, Joan ha detto a John di prendere direttamente te la
prossima volta..- rise osservando l’espressione perplessa del russo -..ti ha
visto ballucchiare nell’angolo!-
Kei non rispose lasciando che, come all’andata, Millicent si
lasciasse trascinare da una serie infinita di discorsi. Una volta nel piccolo
hotel, ma molto accogliente, salutò la ragazza e la ringraziò prima di ricordarsi
di dover chiamare Jermaine per capire come sarebbe tornato insieme agli altri.
Si sdraiò sul letto osservando l’ennesimo soffitto e
ascoltando i bip che avrebbero preceduto la sua conversazione.
-Avete già finito?-
-Guarda che è passata mezzanotte-
-Beh, pensavo ci avreste messo di più.. è andato tutto
bene?-
-Sì-
-Perfetto.. allora, pensavo.. non sei troppo lontano dalla
prossima tappa.. il treno ti va bene?-
Il mattino seguente abbandonò l’albergo, pagato dalla
produzione, piuttosto presto per dirigersi alla stazione della cittadina. Il
viaggio, come il giorno prima, non fu pesante e in due ore scarse Kei si
ricongiunse con la ormai familiare crew di Lauren Bright.
-Ti ripeto che sei fortunato ad avere Jay
che pensa così tanto a te!- gli disse Chayton una
volta in camera –Avessi avuto io uno come lui..-
Si perse nel racconto di alcune vecchie brutte esperienze,
mettendo ordine nelle sue cose buttate alla rinfusa nella valigia. Kei lo
ascoltò, ormai abituato al modo ironico e divertente dell’altro di raccontare
le cose, fino a quando un messaggio sul cellulare da parte di Jermaine lo
costrinse ad incontrare il coreografo nel bar dell’hotel.
-Potevi direttamente bussare alla mia porta..- gli disse
quando lo raggiunse al tavolino dove era seduto l’uomo -..non lo fai mai-
-Ma allora sei spiritoso anche tu!- lo accolse Jermaine con
il suo solito sorriso –Allora com’è andata?- gli chiese, probabilmente sperando
che il ragazzo avrebbe aggiunto qualche dettaglio maggiore rispetto a quando
gli aveva posto la stessa domanda per telefono: ovviamente sbagliava.
-Te l’ho già detto..-
-Dai, raccontami un po’! Che hai dovuto fare?-
Kei minimizzò in poche parole tutta una giornata soffermando
sugli aspetti generali.
-E ti saluta il tuo amico-
-Lo credo.. lo salvo sempre! Sapessi quanti favori che mi
deve!-
Rimasero in silenzio qualche secondo, osservando la
cameriera che portava le loro ordinazioni.
-Quindi non ci sono stati problemi? Non hanno fatto storie
per la cicatrice?-
-Come lo sai?- chiese, domandandosi se il coreografo non
avesse parlato per caso con John.
-Quindi ti hanno detto qualcosa?- disse prima di continuare
vedendo Kei annuire –Ci ho pensato dopo.. è che di solito stanno attenti a
questi particolari.. per il fattore estetico! Purtroppo è una cosa che devi
specificare per questi lavori.. fosse piccola, ma la tua è bella grossa!-
constatò assottigliando gli occhi –Si può sapere come te la sei fatta?-
Kei sorseggiò il suo caffè americano senza dire nulla, fissò
l’altro intensamente, cercando una risposta vaga nel suo repertorio; non aveva
intenzione di parlare di quello in quel momento e in quel luogo.
-Ero un ragazzino spericolato- si rabbuiò, sperando che l’altro
si bevesse quella bugia e lasciasse cadere il discorso.
-Lo prendo come un no!- rise Jermaine stemperando la
situazione e cambiando immediatamente discorso –Quindi Joan.. gran donna.. hai
avuto l’occasione di baciarla?-
Kei annuì, rasserenandosi della prontezza del coreografo;
sapeva che, in un’altra occasione, probabilmente lo avrebbe assillato fino a
sfinirlo per ottenere una risposta, più o meno come faceva spesso Takao, ma in
quel frangente aveva lasciato perdere e gliene fu grato.
Buonasera!
Qui le cose stanno
andando troppo veloci e io.. beh io non ci sto capendo più nulla! E posso dirvi
ufficiosamente che questo è.. il terzultimo capitolo! O almeno, escludendo
pazzie improvvise, dovrebbe esserlo! Quindi ancora due capitoli prima di
lasciarvi..
Blabla Time
Solo una piccola
curiosità riguarda la canzone di questo fantomatico video.. la cantante
ovviamente l’ho inventata, ma la canzone, ahimè, esiste u.u
per chi fosse interessato mi sono figurata ‘Afrodisiac’
appunto di Brandy. Ma non so se può interessare.. era che volevo mettere uno
dei miei “Time” che ormai sono entrati nel gergo comune! XD
Quindi.. non so che ne
pensate di tutto ciò.. anche perché non scrivete più O_o
ma vabbè.. si vede che non avete niente da dire e purtroppo non so che farci
con questo!
Sentiva chiaramente aleggiare l’inquietudine che
accompagnava dicembre; la avvertiva nell’aria, nelle sue azioni, ma la teneva
il più lontano possibile dai suoi pensieri.
Si era ripetuto mille volte quanto fosse solo frutto della
sua immaginazione, che non c’era nulla di scritto e deciso, solo una sua
convinzione troppo radicata, ma che era solo frutto di una serie di
coincidenze. L’anno precedente ne era stato la prova: ripensandoci lucidamente,
a distanza di tempo e con meno pesi sul cuore, poteva affermare che la
depressione di dodici mesi prima se la era cercata e creata con le sue stesse
mani, plasmata da lui stesso pur di non rialzarsi, per non affrontare il
presente.
Cazzate le sue, di cui doveva liberarsi, dalle quali doveva
assolutamente prendere le distanze: l’ambiente lo aiutava nel suo scopo, anche
se un principio di influenza che lo colpì in quei primi giorni di dicembre,
misero a dura propria la sua determinazione.
Salutò Chayton, pronto di tutto
punto per il suo appuntamento con una delle costumiste, la sua nuova fiamma, e
si buttò sul letto sperando che il mal di testa si attenuasse: girò la testa di
lato osservando la finestra dalla quale poteva vedere il manto blu scuro del
cielo di quel tardo pomeriggio. Amava le giornate corte invernali e si soffermò
su quel dettaglio piacevole chiudendo gli occhi.
Proprio quando sembrava aver raggiunto la pace sentì il
cellulare vibrare contro la superficie marmorea del comodino: si prese almeno
trenta secondi prima di decidersi a rispondere.
-Pronto?-
-Ehi!- Rei lo salutò calorosamente; non parlava con lui da
diverso tempo, poiché, le poche volte che si attaccava al cellulare, i suoi
amici si alternavano per ottenere una rara conversazione col russo –Come va?-
-Bene, a parte un po’ di mal di testa-
-Ti stai riposando o stai strafacendo come al solito?-
-Riposo..-
-Bravo..- si interruppe e Kei riaprì gli occhi cercando di
abituarsi al buio della stanza, aspettando che l’altro riprendesse a parlare
-..mi chiedevo.. come procedeva..-
-Te l’ho appena detto-
-No, intendevo.. con quel piccolo problema con dicembre!-
Al russo scappò un sorrisetto constatando che Rei si fosse
ricordato di quel fattore, allineandosi con la sua linea di pensiero.
-Cerco di superarlo..-
-Quindi posso stare tranquillo?-
-Direi di sì..-
-E posso contare sul fatto che ne parlerai con qualcuno nel
caso..-
-Questo non te lo posso assicurare-
-Immaginavo! Ne vuoi parlare adesso?-
Kei si rigirò valutando l’offerta e accoccolandosi meglio
sul materasso.
-No, dovrei aver fatto pace col mio fantasma personale-
-Se dovessi cambiare idea sappi che..-
-..ho il tuo numero-
-Ecco!-
Il russo cambiò nuovamente posizione, trovandone finalmente
una comoda e favorevole per il suo mal di testa.
-Vuoi riposarti? Butto giù se..-
-No..- lo fermò senza pensarci e chiudendo gli occhi
nuovamente -..tu come va?-
-Io? Bene..- rispose incerto il cinese.
-Raccontami qualcosa-
-Riguardo?-
-Quello che vuoi.. gli altri, la scuola, Mao..- elencò
sovrappensiero.
-L’ultimo punto è un po’ complicato ultimamente..-
-Sì? Come mai?- prese al balzo quel dettaglio per indagare.
-Beh..- Rei prese un respiro prima di convincersi a
confidarsi -..è colpa della lontananza e..- iniziò a raccontare dei problemi
che lo affliggevano, dei suoi dubbi, di una nuova ragazza che aveva conosciuto,
ma per la quale non sapeva cosa provava. Kei lo ascoltò in silenzio, dando solo
cenno della sua attenzione ogni tanto: valutò il cambio di ritmo e di tonalità
della voce dell’amico nel passare da momenti di sconforto ad altri di rabbia.
Acquisì tutte le nuove informazioni anche quando il cinese cambiò discorso e
portò avanti le sue opinioni sui nuovi avvenimenti che regnavano nel dojo,
senza però dare opinioni o giudizi.
Non sapeva catalogare ciò che lo aveva spinto a prolungare a
quel modo quella telefonata, semplicemente sentiva il bisogno di estraniarsi
completamente da quel mondo che lo attorniava e allo stesso tempo di qualsiasi
cosa riguardasse se stesso e le sue paturnie: voleva normalità, qualcosa da
osservare dall’esterno, come sarebbe potuto essere accendere la televisione,
guardare un film o ascoltare della musica. Non considerò la possibilità che
affiorò nella sua mente riguardo la vaga probabilità di stare provando
nostalgia del Giappone; anche fosse stato così, non lo avrebbe ammesso.
-Anche al telefono riesci a farmi deviare i discorsi su di
te-
-Devi arrenderti all’evidenza-
-Mi sa che sarebbe meglio!- annuì tra una risata e l’altra
il cinese –Grazie della chiacchierata!-
-Mh.. ti farò una ricarica-
-Ci conto!- scherzò Rei prima di accertarsi nuovamente che
il russo stesse bene e salutarlo.
Lasciò scivolare il cellulare sul materasso, guardandolo
fermarsi a pochi centimetri dal suo volto e abbandonandosi alla stanchezza del
suo corpo influenzato.
Riaprì gli occhi un indefinito tempo dopo: il buio della
stanza non era cambiato, le tende sempre aperte lasciavano trasparire solo le
vaghe luci del parco dell’albergo.
Chayton non era ancora nel suo
letto, ma Kei non si aspettava comunque che tornasse: mentre cercava di
mettersi prono, urtò con la mano contro il cellulare e ne approfittò per
controllare l’ora. Si era addormentato per poco meno di due ore e lo
testimoniava il fatto che si sentisse completamente rintronato.
Si mise seduto lentamente, valutando la possibilità di
cercare di riprendere sonno: una strana sensazione all’altezza dello stomaco lo
convinse che, invece, probabilmente sarebbe stato meglio andare a mangiare
qualcosa, nella speranza di recuperare le forze.
Varcò la porta con una mano sulla tempia e mugugnò quando la
luce potente del corridoio gli occupò la vista: una volta abituato si diresse
verso l’ascensore e premette il tasto di chiamata.
Si trovava al quarto piano di un hotel di cinque e, per
questo motivo, si spazientì nel notare il lungo periodo di attesa: quando,
finalmente, le porte scorrevoli del mezzo si aprirono davanti a lui dopo cinque
minuti buoni, fece per entrare, ma l’ammasso di persone chiassose che vi erano
sopra lo convinsero a tornare indietro. Provò a richiamarlo di nuovo, ma, dopo
poco si arrese e decise che per la sua salute mentale sarebbe stato meglio
prendere le scale.
Impiegò un po’ per trovarle, visto che erano state nascoste,
probabilmente per valorizzare l’aspetto estetico e moderno dell’hotel: aprì la
porta che portava sul pianerottolo e si accorse di non essere da solo. Pochi
scalini più in basso, la chioma bionda di una figura seduta fece capolino e lo
guardò rabbuiata.
-Che ci fai qui?- chiese Kei iniziando a scendere.
-Mi nascondo..-
-Ottima scelta- disse il russo arrivato alla sua altezza.
-Dove vai?-
-A mangiare-
-Quando torni su non è che mi puoi portare qualcosa?-
Kei la guardò perplesso dalle richieste sempre più strambe
di Lauren: doveva persino farle da facchino?
-Possibilmente molto fritto e molto calorico!-
-Non ce l’hai una dieta da seguire?- la prese in giro.
-Ci sono momenti in cui bisogna mandare a quel paese
qualsiasi scrupolo!- rispose solenne, per poi unire le mani come per pregarlo
–Per favore!-
Il russo sbuffò senza darle una risposta chiara e scendere
verso il piano terra.
Passò al self service, dove era possibile portare via il
cibo, e riempì il vassoio con i diversi contenitori di alluminio e due
bottigliette d’acqua; prese il tutto e tornò verso le scale, salendo i piani
che lo separavano dalla ragazza.
-Sei già qui?- rispose lei togliendosi le cuffiette dalle
orecchie.
Kei non le rispose e le porse uno dei tre contenitori, uno
lo poggiò sugli scalini, mentre l’ultimi se lo tenne sedendosi e appoggiando la
schiena al muro.
-Guarda che potevi mangiare giù tu!-
-C’era troppo casino di sotto..- rispose facendo spallucce
-..e io ho mal di testa-
-Buon appetito allora!- trillò la cantante togliendo il
cartoncino che ricopriva il suo pasto e iniziando a mangiare –Non hai detto a
nessuno che ero qui vero?-
-No.. visto che ti stai nascondendo..-
-Grande..-
-Dagli insulti ai complimenti.. si fanno passi avanti- notò
lui indifferente.
-Ma ti ho insultato solo una volta.. e perché ero nervosa!-
ricordò la prima occasione in cui avevano parlato, la quale era stata
susseguita da una serie di incontri molto più civili, ma soprattutto
divertenti.
-Sai..- disse tra un boccone e l’altro -..alla fine ho
scoperto chi aveva spifferato la faccenda del concerto di Vancouver..- e iniziò
a raccontare di un argomento di cui avevano già discusso altre volte -..secondo
te ho fatto bene?-
-Perché ti interessa tanto la mia opinione?-
-Perché sei talmente antipatico che mi dici le cose senza
mezzi termini e con sincerità!- gli fece la linguaccia.
Kei non le rispose, ma, notando lo sguardo in attesa
dell’altra, riprese a parlare spazientito –Sì, hai fatto bene..- raspò con la
forchetta in quello che rimaneva della sua cena, per poi prestare nuovamente
attenzione a Lauren –Non riesco a capire come tutti si interessino alla vita di
una persona.. neanche ti conoscessero..-
-Questo è un discorso complicato!-
-No, è semplice.. è senza senso-
-Invece ci sono tante spiegazioni psicologiche
interessanti!-
-Ma ti da fastidio, ne scappi, ti lamenti..-
-Per uno che è contro queste cose fai fin troppe domande..-
-Le mie sono constatazioni.. e poi stiamo avendo una
conversazione, non conta-
-Sarà..-
-Ne vale la pena?- chiese Kei curioso della risposta.
-E’ vero, a volte mi lamento, ma in verità devo solo che
ringraziare tutte queste persone.. te l’ho già detto: mi permettono di vivere
facendo quello che amo..-
-Mi chiedo solo il gioco valga la candela-
-Assolutamente sì!- esclamò senza pensarci e lasciando un
sorriso fare capolino sul suo volto –Ho la possibilità di comunicare col mondo,
di fare ascoltare quello che ho da dire.. emozioni da trasmettere..-
-E c’è bisogno di farlo col mondo intero?-
-Mi andrebbe bene anche cantare in un piccolo bar di
provincia, ma.. le persone hanno deciso che la mia musica vale la pena di
essere ascoltata, di identificarsi con le mie canzoni.. sarei egoista a tenere
tutto per me stessa.. il mio lavoro, la mia arte è riconosciuta ed è
un’emozione troppo forte per lasciarla scivolare via!-
Poggiò il contenitore ormai vuoto su un gradino e fu
costretta ad abbassare lo sguardo quando incontrò gli occhi indagatori di Kei.
-Questo cos’è?- chiese la ragazza riferendosi al terzo
contenitore ancora intatto.
-Il dolce-
-Mi hai preso proprio alla lettera allora!-
-Se non lo vuoi lo mangio tutto io- disse il ragazzo
togliendo il coperchio e rivelando due fette di torta.
-Non posso dire di no!- si affrettò a correggersi la
cantante afferrando una porzione: ripresero a mangiare in silenzio –E tu?
Perché proprio il ballerino?-
-Non l’ho propriamente scelto.. è successo per caso-
rifletté il russo.
-Però ti sei trovato bene.. e hai continuato..- aggiunse lei
cercando di addentare un pezzo del dolce che stava per cadere.
-Per ora-
-Vuoi dire che lasceresti tutto questo?- chiese stupita.
-Non lo so..-
-Parliamo francamente.. cosa c’avrai mai di meglio da fare?-
-Mh.. che ne so.. dovrei finire la
scuola ad esempio..-
-Sul serio?- chiese spalancando gli occhi perplessa.
-Non lo so- rispose infastidito da quello sguardo.
-Secondo me ti mancherebbe troppo.. io non potrei mai
fermarmi, ne sento proprio il bisogno fisico.. ovviamente se non è il tuo caso,
non c’è molto da insistere, però.. non so..-
Kei cercò di non soffermarsi troppo sull’espressione
‘bisogno fisico’ sapendo fin troppo bene cosa volesse dire, non solo se
abbinato a quel lavoro.
-Posso darti la mia opinione?- insistette Lauren.
-Dipende..-
-Hai detto che è accaduto tutto per caso..- il russo annuì
lasciandola continuare, comprendendo solo in quel momento che piega avesse preso
quella conversazione -..se non l’hai scelta tu direttamente questa strada..
beh, è come se la danza avesse scelto te!-
-Non metterti a parlare come Jay
per piacere- sbuffò lui.
-Quell’uomo sarà anche infantile, ma su molte cose ha
ragione! Comunque.. è come se il tuo percorso fosse stato scritto, tutto quello
che hai fatto è stato per portarti fino a qui..-
-Non ci credo a queste cose..-
-Non credi nel destino?-
-No.. più nelle scelte..-
-Ti contraddici.. secondo la tua teoria questa strada
l’avresti scelta tu..-
-Sì l’ho scelta, ma mi si è presentata per caso.. non l’ho
cercata io..-
-Quindi se l’hai scelta una volta, perché non dovresti farlo
anche una seconda e una terza e riempirne la tua vita?-
-Non mi piace fare progetti.. mi concentro sul presente-
-Comunque preferisco vederla in modo poetico.. la vedo
bene.. una figura che rappresenta la danza che ti prende per mano e ti guida e
accoglie!-
Kei alzò un sopracciglio sempre più perplesso –Hanno messo
dell’LSD nella tua fetta?-
Lauren lo guardò incredula e autoritaria –Sono un’artista
io.. vedo il mondo in un modo diverso!-
-Come vuoi- disse il russo impilando i tre contenitori
vuoti.
-La tua freddezza mi sconvolge- constatò altera alzandosi
–Sarà meglio che vada.. se no mi daranno per dispersa!-
-Sicura che ti cercassero? Non è grande questo hotel.. ti
avrebbero trovata- la prese in giro dirigendosi con lei verso la porta sul
pianerottolo.
-Ormai nessuno si avvicina più alle scale con la comodità
dell’ascensore.. è il posto più sicuro!- gli spiegò con un sorrisetto
–Ovviamente questo discorso non vale per te.. sicuro di essere una persona
normale?-
-Per niente- disse tenendole aperta la porta per farla
passare.
-Ah ecco, appunto.. mi era venuto il dubbio!- constatò
alzando l’indice al cielo e superandolo.
Kei la salutò, constatando, una volta entrato in camera sua,
che il mal di testa gli era passato: diede il merito al cibo e alla
chiacchierata che lo aveva tenuto occupato. Decise comunque di andare a dormire
presto per non rischiare una ricaduta, soprattutto poiché il giorno successivo
sarebbe stato giorno di spettacolo.
Che quella fosse realmente la sua medicina?
Come aveva previsto, il giorno di Natale rimasero in pochi,
la maggior parte degli altri ballerini era tornataa casa approfittando dei tre giorni liberi
proprio durante le feste.
Erano tutti contenti di poter passare quella festività a
casa con i familiari, le persone care: erano rimasti solo in quattro più
qualche attrezzista per motivi ignoti a Kei: questi, però, avevano organizzato
comunque un pranzo di Natale nel ristorante dell’albergo poiché non volevano
rinunciare a un’atmosfera serena e ai festeggiamenti.
Kei appena venutone a conoscenza se ne era tenuto fuori: se
c’era una cosa che non comprendeva era proprio il Natale. Non lo aveva mai
festeggiato veramente, l’unica volta era stato l’anno prima, ma non si era
concluso propriamente con pace e amore, anzi si era rivelato un totale
fallimento.
Non avrebbe potuto sopportare tutte quelle persone felici
per la nascita del redentore che si dimostravano buoni verso il mondo intero.
I suoi piani si erano risolti in un semplice isolamento
nella sua stanza, come se fosse stato un giorno qualsiasi; per lui in fondo
quello era proprio un giorno qualsiasi.
Quello che però non aveva previsto era il fattore Jay. Non avrebbe dovuto abbassare la guardia nemmeno un
secondo e, invece, cercare di mantenere le distanze da lui il più possibile, ma
non lo fece e si lasciò coinvolgere nella conversazione che gli avrebbe, ne era
certo, portato problemi.
-Dai vestiti e esci, ah portati un cambio per domani!-
Jermaine costrinse Kei a fare come diceva e lo aspettò sullo stipite della
porta.
Senza sapere nemmeno come, Kei si ritrovò catapultato su un
taxi verso una direzione ignota.
-Ah a proposito.. buon Natale Kei!-
Il ragazzo fulminò l’altro con gli occhi non appena
partirono.
-Si può sapere dove mi stai portando? Non dovevi andare a
festeggiare il Natale dai tuoi?- chiese cercando di marcare il suo disprezzo
verso ciò che si apprestava a fare, sicuramente qualcosa di spiacevole.
-Appunto! Abitano nella cittadina qui vicino! Vedrai ti
piaceranno!-
-Mi stai portando dalla tua famiglia?!-
-Dai non farne una tragedia! Credevi davvero che ti avrei
lasciato festeggiare il Natale da solo in quell’albergo?-
-Ma io non avrei festeggiato- lo guardò speranzoso che si
rivelasse tutto un brutto incubo.
Lui del Natale non ne voleva proprio sapere. Da quello che
aveva capito oltretutto la famiglia di Jay era
religiosa e, se avessero avuto anche solo la metà della sua esuberanza, sarebbe
stato davvero terribile.
-Calmati! Andrà tutto bene!-
-Ma non saranno un po’ contrariati ad avere un estraneo in
casa?- lo sperava.
-Mia madre accoglie sempre tutti a braccia aperte! Sarà
contenta di vedere che ho portato qualcuno.. anche se lei preferirebbe che
portassi una ragazza!-
-Quindi non lo sa nemmeno? Perfetto..-
Il broncio di Kei si fece ancora più marcato mentre Jermaine
continuava a tranquillizzarlo elencando tutti i parenti che avrebbe conosciuto.
Cercò di ignorarlo, ma fu difficile non deprimersi.
-Com’è che da qui sei finito in Giappone?- gli domandò il
russo curioso, osservando il paesaggio nel quale sfrecciavano.
-Lavoro.. vado dove mi porta la mia danza!- rispose l’uomo
osservando l’altro scuotere la testa esasperato.
Arrivarono dopo un’oretta e mezza davanti ad una bella casa
di periferia: l’esterno era addobbato a festa, l’esterno era tinto di un giallo
acceso e tutto, dal cancello alla porta, dava la sensazione di qualcosa di zuccheroso.
Kei non tentò nemmeno di nascondere l’espressione
esasperata.
Nemmeno ebbero messo piede nel vialetto che sentirono un
picchiettare alla finestra del piano inferiore e aprirsi la porta di ingresso,
dalla quale fuoriuscì una donnona nera che indossava un grosso vestito a fiori.
-Manny caro! Finalmente sei
arrivato, ti stavamo dando per disperso..- la donna si era avvinghiata a
Jermaine e lo stava stritolando affettuosamente, staccandosi ogni tanto per
vedere quanto era “ingrassato il suo figliuolo”, poi finalmente si accorse di
Kei. –E lui chi è?-
-Lui è Kei, il ragazzo di cui ti parlavo sai? Sarebbe
rimasto da solo in albergo e allora ho pensato di proporgli di venire con me!-
Il russo non sapeva se essere più contrariato di essere già
stato oggetto di discussione tra Jermaine e sua madre o per la bugia sul fatto
che gli era stato proposto di venire, quando in realtà era stato costretto con
l’inganno. Cercò comunque di dimostrarsi gentile.
-Piacere signora Crowde- le
strinse la mano, ma fu letteralmente incastrato in un forte abbraccio.
-Sei il benvenuto, nessuno dovrebbe starsene da solo a
Natale! E chiamami Fara, caro!-
Si sforzò di sorriderle mentre veniva trascinato in casa, ma
ne uscì solo una strana smorfia.
L’interno era ancora più festaiolo dell’esterno, pieno di
addobbi e colori, e pieno di persone, tanto che non sembrava abbastanza grande
per contenere tutte le persone presenti.
Venne presentato a tutti, ma non si ricordò nemmeno un nome
alla fine del giro; sperò vivamente di non essere costretto a chiamarne
qualcuno perché altrimenti sarebbe stato un guaio.
Jermaine lo raggiunse dopo aver salutato calorosamente tutti
i suoi familiari, e lo portò in una grande sala dove stavano stipati un grande
albero e un’enorme tavola imbandita.
Era già l’ora di pranzo e si accomodarono tutti a tavola. A
Kei sembrò un miracolo che ci stessero tutti; lui era capitato tra Jermaine e
un signore di mezza età, lo zio di Jermaine, mentre di fronte aveva una
ragazzina, che doveva avere al massimo 10 anni, molto silenziosa, ma che lo
guardava incessantemente.
Quando arrivò la prima portata faceva molto caldo e tutti
quei sorrisi e gesti affettuosi fecero sentire il ragazzo ancora più fuori
posto.
Per fortuna la sensazione di disagio andò attenuandosi
minuto dopo minuto. Cercò di non inserirsi nei discorsi se non era direttamente
interpellato, cosa che accadde spesso, più di quanto Kei sperasse. Per un
quarto d’ora buono si ritrovò addirittura ad essere l’argomento principale di
conversazione: Jay elargì complimenti e commenti
positivi sul suo modo di ballare, e su quanto si trovasse bene a lavorare con
lui.
-Mi stupisce ogni giorno che passa!-
Non mancò la fatidica domanda sul colore dei suoi occhi alla
quale elargì la solita vaga risposta e ripetuta ormai tantissime volte.
Per fortuna il padre di Jermaine, un uomo che di fianco alla
moglie sembrava piccolissimo, con gli occhiali spessi, spostò la discussione
sulla mancanza di responsabilità del figlio che non si decidevaa mettere la testa a posto.
-Sì, dov’è finita quella.. com’è che si chiamava? Kelly, Jenny,
Penny?- aggiunse la sorella minore di Jermaine, una ragazza molto carina,
abbastanza in carne, che, nonostante fosse la più piccola, era già sposata con
tre figli.
-Ma quella è storia vecchia! E’ da tanto che non ci sentiamo
più!- si difese Jermaine.
-Che peccato, era tanto cara!- rifletté Fara, mentre
toglieva i piatti usati.
-Sapesse che tipo era in verità non direbbe così!- bisbigliò
il coreografo all’orecchio di Kei per non farsi sentire da tutto il parentado.
Kei sperò che non ci fosse più nulla da mangiare. Si sentiva
pienissimo, era tutto delizioso, ma le porzioni davvero troppo abbondanti e non
poteva assicurare di riuscire a ingurgitare ancora qualcosa.
Quando gli servirono una grossa fetta di torta si sentì
leggermente male, ma non poteva non assaggiare quel dolce che, a quanto gli
stavano raccontando, era costato tanta fatica a Fara.
Solo mentre cercava di mangiare quella marea di panna e
cioccolato si accorse di essere ancora l’oggetto continuo di osservazione della
ragazzina seduta di fronte a lui. Non appena incrociò il suo sguardo, la
bambina si concentrò sulla torta nel suo piatto arrossendo.
Kei diede la colpa al caldo di quella stanza e al tanto cibo
e cercò di non guardarla più.
Finirono di pranzare ad un orario improponibile: nessuno si
era accorto che erano arrivate le cinque e diedero la colpa alla buona cucina e
al divertimento della conversazione.
Si spostarono in un salottino dove c’erano un divano e delle
poltrone e ( Kei notandolo rimase allibito) un altro albero di Natale. Sotto di
questo però stava una pila enorme di pacchetti e pacchettini di ogni forma e
colore.
Tutta la famiglia si ritrovò lì riunita a scartare i regali
ridendo serenamente e scambiandosi baci e abbracci.
Kei non poté fare a meno di notare quanto fossero affiatati
come famiglia: non gli era mai capitato di assistere a un’atmosfera del genere,
pensava fosse possibile solo nei film, invece era lì proprio davanti ai suoi
occhi.
Anche il Natale prima si era ritrovato circondato da tante
persone e tanto amore verso quella festa, ma, anche se la famiglia di Takao era
molto unita e ci fossero i suoi amici, era completamente diverso: il padre e il
fratello di Takao erano sempre in viaggio e Nonno J era amorevole tutto l’anno.
In quel quadretto familiare si divertì ad osservare i
svariati tipi di regali che venivano aperti, dagli oggetti per la casa ai
vestiti, ai giochi per i tre bambini presenti in casa.
Jermaine ricevette da sua madre una sciarpa fatta a mano con
tanto amore e, anche se dalla sua espressione sembrava non esserne troppo
entusiasta, abbracciò la madre calorosamente e la ringraziò.
Mentre scorreva lo sguardo sulla scena, seduto sul bracciolo
del divano, incrociò di nuovo lo sguardo con la bambina di prima, Emily se
aveva capito bene. Lei ebbe di nuovo la stessa reazione di poco prima,
abbassando lo sguardo e concentrandosi sul suo nuovo diario segreto.
A distoglierlo dai suoi pensieri fu Fara che gli chiese se
avesse portato qualche regalo.
Lui rispose che li aveva già aperti quella mattina, anche se
non era vero; aveva raccomandato tutti di non fargli regali, ma era sicuro che
quella risposta avrebbe solo fatto preoccupare la donna che si stava impegnando
in tutti i modi per farlo sentire parte della festa.
Kei trovava molto difficile riuscirci, considerando quello
che pensava a riguardo del Natale, ma si sforzò per non rattristarla: aveva un
viso tanto buono e gentile che non se la sentiva di rovinarle la giornata. Kei
si disse che quella era l’espressione che avrebbe dovuto avere una madre; di
nuovo non aveva termini di paragone perché anche a Takao mancava la figura
materna, ma era convinto che anche lei doveva aver avuto quello sguardo.
Fara, però, non era la sola a cercare di far sentire a suo
agio Kei, infatti anche Jermaine non perdeva occasione per stargli vicino e
cercare di infondergli un po’ di spirito natalizio.
Fu molto soddisfatto quando vide spuntare un sorriso sul
volto del ragazzo, uno di quelli sinceri, quelli che riservava sempre per le
occasioni davvero speciali, mentre il nipote più piccolo dell’uomo, che doveva
avere solo 3 anni, battezzò il suo orsacchiotto nuovo col nome del nonno.
Si fece ancora più tardi e nessuno sembrava intenzionato a
fermarsi anche per cena, sempre che qualcuno avesse ancora avuto bisogno di
cenare.
Piano piano la casa si svuotò e a Kei sembrò che, ad ogni
persona che varcava la porta, la stanza si facesse sempre più grande.
Gli ultimi ad uscire furono la sorella di Jay con la sua famiglia. Sia lei che suo marito salutarono
il ragazzo con due baci sulle guance e esortarono i figli a fare lo stesso
chiamandolo ‘zio Kei’.
I due più piccoli si dovettero far convincere e ci misero un
po’ ad acconsentire, a Kei sarebbe andato bene anche evitare, ma non obiettò:
mentre Emily, che non aveva smesso un secondo di fissarlo, gli si avvicinò
contenta e con un sorriso da un orecchio all’altro senza esitazioni.
Gli scoccò un bacetto sulla guancia e gli augurò ancora
‘Buon Natale’.
La bambina si allontanò ancora più contenta e sparì dietro
la porta.
Kei, che si era dovuto abbassare per essere all’altezza dei
bambini, si rialzò confuso; quando si girò si ritrovò faccia a faccia con un
Jermaine più sorridente che mai.
Non potè fare a meno di notare
quanto somigliasse a quella bambina.
-Che c’è?-
-Hai fatto colpo!-
-Cosa stai dicendo?-
-Me l’ha detto prima quando non guardavi!-
-Ma di cosa stai parlando?-
-Di mia nipote! Le piaci!-
Molte cose si spiegarono con quelle semplici parole. Aveva
fatto battere il cuoricino di una bambina, gli mancava giusto quello.
Lasciò cadere il discorso cercando di allontanarsi da
Jermaine; ora che erano rimasti solo in quattro in casa doveva ammettere che
l’ambiente era molto più respirabile e spazioso.
Fara si offrì di scaldare qualcosa per cena, ma Kei le
assicurò che stava benissimo anche così e che non sarebbe riuscito a mangiare
più nulla.
L’unica cosa di cui aveva bisogno era una sigaretta, ma non
sapeva come allontanarsi.
Cercò di non pensarci tenendosi occupato decidendo quindi di
aiutare Fara a mettere in ordine la sala da pranzo.
Iniziarono a sparecchiare e portare tutto nella grande
cucina dove caricarono la lavastoviglie.
-Spero ti sia trovato bene oggi!-
-Sì molto- non poteva considerarla una bugia, anche se non
era il suo habitat ideale aveva trascorso una giornata diversa e piacevole,
anche se molto (troppo) zuccherosa.
-Volevamo anche invitare la cugina di Manny,
ma lei ha altri quattro bambini e non avrei saputo dove metterli!-
Kei si stupì alla notizia dell’esistenza di parenti mancanti
all’appello, per di più con altri quattro bambini, anche se ciò che notava
divertito era sempre il nomignolo con il quale la donna si rivolgeva al figlio.
-Come avrai capito la nostra è una famiglia numerosa,
l’unico che sembra non voler portare avanti la tradizione è quello screanzato
di mio figlio!-
Jermaine sentendosi interpellato cercò di difendersi, ma si
arrese dopo poche battute scoccando un bacino alla madre.
Stavano togliendo le ultime cose rimaste sul tavolo, quando
Fara partì con un resoconto dettagliato di tutte le attitudini della famiglia,
di quando i suoi figli erano piccoli e di quanto fossero vivaci e cose così.
-Jermaine dammi una mano a riportare di là questo tavolo!- Jay partì con suo padre col tavolo in mano, che doveva
essere portato in un'altra stanza.
Al loro ritorno le pulizie erano già terminate e Kei era
sommerso da una serie di album e fotografie varie sparse.
-Mamma! Non mi dire che sono le mie!-
-Ma certo che sono le tue! Guarda caro, qui mio figlio era
al suo primo saggio!-
Kei prese in mano una foto che ritraeva un piccolo bambino
nero, molto magro e con i vestiti troppo larghi per lui e un riconoscibile
sorriso, che sembrava lo stemma di famiglia.
Le foto con il piccolo Jay con
indosso diversi costumi di scena erano infinite; già da piccolo aveva iniziato
a studiare danza e sembrava averle provate in pratica tutte. Dalla classica al tiptap, dall’hip hop ai balli da
sala, una moltitudine di immagini testimoniavano quel grande amore che viveva
ancora in lui.
Finalmente le foto a carattere artistico finirono e
iniziarono quelle normali, dei suoi compleanni e della scuola. Era sempre
attorniato da una folla di gente, che fossero amici o parenti erano sempre
tantissimi: ciò che accumunava tutte le foto era comunque quel grande sorriso
amichevole e a volte un po’ sfacciato. Jermaine prese a commentare tutte le
situazioni con foga, indicandosianche
se Kei lo avrebbe potuto riconoscere in mezzo a mille solo che da quel
dettaglio.
Dopo svariate ricerche, trovò finalmente una foto in cui era
serio, cioè aveva solo un principio di sorriso e non guardava in camera. Era
girato a tre quarti ed era seduto su quello che poteva essere un grande prato:
doveva avere all’incirca l’età di Kei.
-Questa è la mia preferita!- disse la madre del coreografo
osservando fiera la foto. All’improvviso si chinò a cercare qualcosa tra la
miriade di scatti che teneva in una scatola di scarpe.
Quando ne uscì, aveva in mano una fotografia molto più
vecchia, doveva essere stata scattata con una delle prime macchine a colori e
rappresentava un ragazzo sui diciott’anni appoggiato ad uno steccato in un
paesaggio di campagna. Era incredibilmente uguale all’altra foto di Jermaine,
ma era troppo vecchia per poter rappresentare lui.
-E’ mio fratello! Non sono uguali?-
-Molto..-
-Manny ha preso tutto dal mio lato
della famiglia, mentre Janice è tutta mio marito!-
Guardò Kei con affetto –Anche la passione per il ballo l’ha presa da me! Io
volevo diventare ballerina, ma non avevo il fisico adatto! Il mio ragazzo ha
fatto abbastanza per tutti e due direi!- Stavolta guardò con amore il figlio
che ricambiò con un sorriso, abbandonandosi stravolto su una sedia dietro Kei.
-Ci siamo divisi equamente i figli cara! Ma a me è capitata
la più bella!- disse il signor Crowde.
-Anche io sono bello, papà!- biascicò contrariato Jay.
-Ma certo che lo sei! Non ascoltare tuo padre..- mollò un
buffetto al marito per poi rivolgersi a Kei che era stato lasciato in disparte
-..tu sei figlio unico?-
-Sì-
-Tua madre deve essere una donna bellissima..- Kei intravide
delle mani agitarsi dietro di lui -..anche tuo padre! Per avere un ragazzo
bello come te..- avvertì anche un colpo di tosse forzato -..devono essere
proprio belli!- Fara concluse con un occhiolino.
Le mani continuavano a sventolare e Kei si voltò guardando
divertito verso Jay che aveva un espressione davvero
buffa: affaticato per il tentativo di fermare la madre e dispiaciuto per non
esserci riuscito.
-Immagino che lo fossero..-
-Oh mi dispiace..non lo sapevo!-
Fara mise una mano davanti alla bocca intuendo la situazione dall’uso del verbo
al passato e Jay sembrava ancora più a disagio.
-Non c’è problema davvero..- la sua espressione serena li
convinse della veridicità delle sue parole, anche se risultava parecchio
strano.
-Comunque non so da che parte della famiglia devo aver
preso, non ho mai visto foto di mio nonno da giovane però non mi sembrava ci
fossero molte somiglianze..- Kei continuò normalmente a parlare dell’argomento
per tranquillizzare anche gli altri presenti.
-Come non lo sai?- Fara non resistette alla tentazione di
chiederglielo.
-Non li ho mai visti, sono morti che ero troppo piccolo per
ricordarmeli-
-Ma li avrai visti in foto!- si aggiunse Jay
un po’ confuso.
-No non ne ho mai viste-
Kei notò l’atmosfera che era calata nella stanza. Sia Jay che i suoi genitori lo guardavano dispiaciuti per
avergli parlato di quelle cose.
-Scusatemi..- iniziò il ragazzo -..mi dimentico sempre che
non è una cosa normale. Cioè per me è normale, ma per gli altri non tanto..Non volevo rovinarvi la giornata-
-Non ti devi assolutamente scusare per questo!-
-Davvero non vi preoccupate- sperò di infondere un po’ di
sicurezza nelle persone di fronte a lui, mantenendo l’espressione che aveva da
tutta la serata.
Li convinse, o almeno così sembrava; comunque Fara mise via
in fretta le foto come se non fosse conveniente lasciarle lì.
Andarono a dormire quasi subito dopo quella conversazione.
Kei era stato sistemato in una camera al piano superiore,
molto spaziosa e con un candido soffitto dai colori caldi. Aveva completamente
dimenticato che voleva fumare e solo nel buio della camera se lo ricordò.
Fece un ultimo sforzo per resistere e cercò di
addormentarsi, nonostante si rivelò una operazione più complicata del previsto.
Dormì solo poche ore.
Si svegliò molto presto e ne approfittò per sgattaiolare in
giardino ad accendersi una sigaretta.
La via in cui si trovava era molto tranquilla; vide passare
solo un signore in bicicletta e una ragazza che passeggiava col cane nella
mezz’oretta che rimase fuori.
Quando rientrò la casa si era riempita di un dolce profumo.
Lo aspettava una colazione abbondante, in perfetto stile
americano, di quelle che ogni tanto si preparava Max.
Non era sicuro di aver ancora digerito il cibo del giorno
prima, ma mangiò lo stesso.
La confessione della sera precedente sembrava non essere mai
avvenuta, invece che imbarazzata, la madre di Jermaine si dimostrò ancora più
affettuosa e materna nei suoi confronti, cosa che lo spiazzò leggermente: non
era abituato a quel tipo di affetto. Cercò, quindi, di non dare a vedere troppo
quello che provava.
Quando il coreografo finalmente nel pomeriggio chiamò il
taxi, i saluti si rivelarono lunghissimi: fu di nuovo abbracciato e baciato dai
signori Crowde e vide che lo stesso trattamento era
riservato al suo compagno di viaggio.
-Torna presto a trovarci! Sei sempre il benvenuto caro!- lo
aveva salutato Fara, rimasta insieme al marito nel giardino ad osservare la
vettura che si allontanava.
Solo quando non furono più visibili, Jermaine smise di
salutare dal finestrino.
-Ci tiene che la saluti fino alla fine!- si giustificò
l’uomo.
Passarono metà del viaggio in silenzio, ma questa volta Kei
non era più imbronciato, anzi si rivelò più sereno del previsto.: il Natale per
quell’anno non aveva riservato troppe brutte esperienze e aveva solo dovuto
sopportare affollamento, affetto e mancanza di nicotina.
-Mi dispiace di averti costretto a venire!-
L’improvvisa dichiarazione di Jermaine lasciò l’altro
spiazzato.
-Come mai questo cambio di rotta?-
-Non avevo pensato che magari per te non fosse piacevole..-
Kei cercò di interromperlo il prima possibile.
-Cosa dici? Non è mica stato così tremendo. Ho conquistato
anche il cuore di tua nipote-
L’uomo si lasciò scappare una risatina prima di continuare
–Dico per ieri sera.. Pensavo che passare il Natale in compagnia ti avrebbe
fatto piacere, cioè è stato un po’ crudele da parte mia farti sopportare la mia
famiglia così invadente..-
-Ma non è stato crudele davvero..Solo
perché io non ho una famiglia non vuol dire che tutti gli altri non possano
essere felici-
-Lo so, ma..-
-Ascolta, davvero per me è una cosa normale..fino
a qualche anno fa non sapevo nemmeno cosa fosse una famiglia..per
me è normale dire di non aver mai visto i miei genitori e queste cose qui..-
-Non so come fai!- affermò Jay
smettendo di guardare il paesaggio scorrere dal finestrino.
-Alla fine sono gli altri a soffrire per le cose che dico
più che io- rispose divertito -..è abbastanza paradossale non pensi?-
Non gli rispose.
-Non mi da fastidio vedere come sono gli altri.. mi ci vuole
solo un po’ per abituarmici, ma non ci sto male..- osservò l’espressione
scettica dell’altro -..non lo dico solo per farti piacere-
-Poi guardando la tua famiglia ho capito molti tuoi
comportamenti-
-In che senso?-
-Forse si da per scontata come cosa, ma ognuno è lo specchio
della propria famiglia e ora capisco perché sorridi sempre così fastidiosamente
e ti affezioni facilmente a tutti..- si prese qualche secondo prima di
continuare -..anche a me..-
-Ti irrito quando sorrido?- chiese stupito Jermaine.
-Un po’..- il ragazzo si concentrò sul paesaggio.
Il coreografo rimase ancora allibito per l’affermazione sul
suo sorriso che di solito piaceva a tutti e poi ripensò a quello che Kei aveva
detto, non solo pochi minuti prima o la sera precedente, ma anche le altre rare
volte in cui avevano parlato, e iniziò a ricomporre i pezzi.
Non aveva mai conosciuto una persona che affascinasse così
tanta gente con così poca stima di se stessa: ricordò quando qualche settimana
prima Kei si era definito ‘uno dei piccoli bastardi di Mosca’, allora non aveva
ben capito perché parlasse così, sapeva che non aveva i genitori, ma non
pensava fosse stato così da sempre, era convinto che magari fosse accaduto
dopo: anche la storia di suo nonno non gli quadrava, era suo parente biologico
eppure Kei lo odiava e non aveva nessun tipo di rapporto con lui. Perché gli
aveva lasciato quell’eredità immane allora? E soprattutto perché non aveva
nemmeno mai visto una foto dei suoi? Perché non gliel’avevano fatta vedere? O
lui non l’aveva cercata? Ripensò al volto di sua madre e pensò che lui, al suo
posto, avrebbe voluto conoscere l’aspetto dei suoi genitori se ne fosse stato
sempre separato. Pensò a come si poteva sentire Kei, a cosa proverebbe se fosse
stato nella sua situazione e ancora si pose mille domande. A partire dal come
Kei facesse a parlarne così tranquillamente, poiché sembrava davvero tranquillo
quando lo faceva. Gli pose la prima domanda che gli balenò nella testa.
-Non vorresti sapere come erano i tuoi genitori?-
-No..-
-Perché?-
-Perché non mi importa molto..-
-E non ti mancano?-
-No..-
Quella volta Jermaine guardò Kei con insistenza e
incredulità. Era imperturbabile: come poteva essere così insensibile?
-Non capisco..-
-Non devi capire..-
-Ma voglio farlo.. fammi capire.. come puoi non provare nulla
verso chi ti ha dato alla luce?-
-Non ho mai fatto nulla in loro funzione, ho vissuto con
persone nella mia stessa situazione, nessuno mi ha mai detto come sarebbe
dovuto essere, l’ho scoperto solo dopo..-
Jermaine si mostrò insoddisfatto e più sconcertato ancora,
scrollando le spalle come per allontanare qualche brutto pensiero.
-Beh a te mancherebbero perché tu sai come è la tua vita con
loro.. io non lo so come sarebbe stata, come mi può mancare qualcosa che non ho
mai avuto? So che sarebbe stato tutto diverso se ci fossero stati per me,
sarebbe stato meglio di sicuro, ma non è successo e non mi mancano..-
Jermaine rimase ancora stupito, come al solito le parole di
Kei erano come una doccia fredda, erano così crude e così vere che facevano
paura; decise di non indagare oltre.
-Non ti rovinare le feste per colpa mia-
-Non è colpa tua! Non mi hai rovinato le feste! Anzi mi fa
piacere quando ti apri così con me! Quando mi fai entrare nel tuo mondo.. sono
gli unici momenti in cui me lo permetti! E so che c’è un mondo immenso dentro
di te!-
-Questo me l’hai già detto- aggiunse Kei sollevato che non
fosse arrabbiato con lui.
-Perché è vero..-
Anno nuovo, vita nuova.
Questa era la frase che Rei gli aveva detto il 31 dicembre
dell’anno prima, pochi secondi antecedenti alla mezzanotte, e mai come in quel
momento le sue parole si erano rivelate così profetiche.
Quella era tutta un’altra vita ed era la sua: la sua
routine, le sue abitudini. Eppure riusciva sempre a trovare aspetti nuovi e
sconosciuti e, soprattutto, si ritrovava come sempre coinvolto nel mondo fatto di
danza di Jermaine: anche quella, probabilmente, doveva rassegnarsi a considerarla
al pari di una routine.
-Unisciti a noi!- lo aveva incoraggiato il coreografo alla
fine di una delle loro sessioni di Hip Hop per rilassarsi e tenere la mente
fresca e allenata: diverse volte gli era stato proposto di prendere parte alla
lezione successiva, ma aveva sempre declinato.
Quel giorno di un nuovo ennesimo anno, invece, in una sala
non troppo grande rispetto al solito, con le grandi vetrate che mostravano una
metropoli illuminata a giorno e una strana e familiare tranquillità ad
avvolgerlo, acconsentì. Fino a quel momento aveva sempre e solo osservato, non
aveva mai preso parte a niente del genere e quindi il Jazz Lyrical
era per lui un completo estraneo: la loro conoscenza non iniziò nei migliori
dei modi.
Mentre Jermaine cambiava la traccia, da quella potente e
ritmata precedente, a una melodica e struggente, in sala rimasero solo in
cinque: Kei, Blake, Nene, Monique e Senia.
-Lezione con quelle? La vedo dura..- lo prese in giro
l’assistente del coreografo mentre gli passava accanto, riferendosi alle scarpe
che ancora aveva indosso. Il russo si limitò a guardarla esasperato e a
rimediare, rimanendo solo coi calzini. Ondeggiò sulle piante dei piedi per
abituarsi a quella nuova sensazione.
-Perché continui..?- sentì nuovamente la voce di Monique, questa volta diretta a Jermaine che la zittì
scrollando una mano e girandosi.
Iniziarono con un veloce rilassamento a terra per preparare
i muscoli a un diverso tipo di lavoro rispetto a quello precedente, per poi
passare alla lezione vera e propria.
-Ricordami perché ho accettato- sbottò Kei, con le mani sui
fianchi e un cipiglio perplesso, a Blake, che invece non poteva trovarsi più a
suo agio.
-E’ normale la prima volta sentirsi idioti.. per tutto!
Rilassati!- cercò di tranquillizzarlo tirandogli una pacca sulla spalla e
rimettendosi al lavoro.
Essendo in pochi quel pomeriggio, Jermaine era partito come
un treno, accennando poca tecnica e passando direttamente a una coreografia.
-Non è complicata.. è solo questione di dinamica e di
intenzione!- li aveva incoraggiati mostrando una serie di passi e l’unico che
sembrava come un pesce fuor d’acqua era proprio Kei.
Diverse volte, durante il corso di quell’ora e mezza, ebbe
la tentazione di mettersi a sedere e osservare il resto della sessione, ma
strinse i denti e non rinunciò.
-Da qui..- urlò Jermaine, battendo le mani per attirare l’attenzione
già focalizzata su di lui -..piroette, seconda, chaines,
chaines, respiro e..- continuò con quella serie di
parole che non avevano alcun significato per lui che si limitava ad apprendere
per immagini.
In quei mesi aveva scoperto i suoi limiti, ciò che riusciva
a imparare e quello che invece doveva lavorare, ma soprattutto gli era stato
ricordato un principio fondamentale che aveva dovuto adottare anche da bambino,
nonostante fosse in un ambiente totalmente differente: non esiste ‘non ce la
faccio’ o ‘non sono capace’.
Rimase tutto il tempo in fondo, lasciando che i primi metri
fossero occupati da coloro che si sentivano a loro agio in quella situazione e,
per fortuna, Jermaine lo lasciò pensare a quello che doveva fare per conto suo,
senza stargli col fiato sul collo; la memoria, come sempre per quel tipo di
cose, non era un problema, necessitava solo di tecnica ed esperienza e, quella,
non poteva ottenerla nel giro di mezz’ora purtroppo.
-Riposatevi un minuto..- intervenne Jay
ad un certo punto -..poi provate a gruppi così avete più spazio e ve la
vivete!-
Kei bevve qualche sorsata d’acqua e si mise a sedere con la
schiena allo specchio, osservando Nene e Blake prendere il centro: erano in
assoluto i due più bravi in quello stile, a dimostrazione di questo loro
avevano ottenuto il passo a due durante il concerto, il loro momento che, a
opinione del russo, era perfetto.
Si dimenticò di ripassare a mente la coreografia nel
guardarli e, quando terminarono, si unì all’applauso degli altri, ma non si
alzò insieme a Monique e Senia
per far parte del secondo gruppo: sapeva riconoscere e ammettere i momenti in
cui fosse meglio farsi da parte e Jermaine, nuovamente, non gli disse nulla, ma
azionò semplicemente la musica, mandandola avanti, verso il finale, dove
iniziava il pezzo coreografato.
-Ancora tutti insieme!- urlò l’uomo sormontando il volume
della musica e della seconda serie di applausi. Fecero come aveva detto il
coreografo, fino a che, a pochi minuti dalla fine, Jermaine non si diresse
verso la porta e spense tutti i faretti che illuminavano la stanza, escludendo
una serie più fioca che permetteva a tutti solo di riconoscere i propri vicini.
-Su, senza pensieri..- iniziò ritornando alla sua postazione
vicino allo stereo e accendendo la musica -..vivetevela!-
La traccia iniziò, ma, al contrario delle aspettative, la
lasciò andare dall’inizio.
-Chiudete gli occhi!- li invitò Jermaine.
-Sei prevedibile!- scherzò Blake dalla prima fila.
-Zitto e ascolta!-
La canzone era un crescendo di pathos, dalla melodia
remissiva iniziale si liberava nota dopo nota, lasciandosi alle spalle il primo
ritornello, emetteva le vibrazioni che conducevano inevitabilmente a un’esplosione
di suoni e parole. Il coreografo, facendo avanti e indietro per tutta la sala
continuava a consigliarli.
-Fate quello che volete, ma ascoltate! Pensate alle parole,
alla musica, al significato.. ascoltate e fatela vostra!-
Kei, che ormai aveva compreso quanto piacesse a Jay quell’esercizio, lo prese in parola: doveva ammettere
che era rilassante e aiutava a fregarsene di tutto. Al buio in quella sala
esistevano solo loro e la musica e in pochi secondi il ‘loro’ divenne un ‘lui’:
esistevano solo lui e la musica.
Non si rese più conto dei movimenti di Jermaine: l’uomo,
infatti, aveva smesso di parlare e si era diretto verso Monique,
poggiandole una mano sulla spalla e scoccandole un lieve bacio sulla guancia.
-Ti dispiace fermarti?- le sussurrò, così che lo potesse
sentire solo lei.
-Certo che no- rispose riaprendo gli occhi e lasciandosi
guidare dal coreografo che la invitò a indietreggiare verso un angolo della
sala.
-Vivetevela!- ripeté ancora l’uomo a tutti gli altri,
annunciando l’arrivo del punto di inizio della coreografia, prima di
concentrarsi nuovamente sulla sua assistente –Guarda..- alzò la mano, col palmo
verso il soffitto, in direzione del gruppo che, con gli occhi nuovamente aperti
e la mente sgombra e leggera, iniziava a danzare.
Corresse subito la direzione dello sguardo di Monique, facendo una lieve pressione sul suo mento e portandola
a osservare Kei anziché Blake.
Quello che intendeva Jermaine era chiaro: era un uomo con
tanta esperienza ed i molti anni di lavoro in quel campo lo avevano reso tutt’altro
che uno sprovveduto. Se si era impuntato a quel modo con una persona era perché
vi vedeva qualcosa e, fino a quel momento, lei non aveva capito cosa fosse: Kei
non aveva le basi, la sua tecnica era altamente limitata, ma staccargli gli
occhi di dosso era ugualmente impossibile. Il coreografo le aveva ripetuto
mille volte che lo avrebbe convinto a prendere lezioni di qualsiasi cosa, che c’era
tanto lavoro da fare, ma che ne sarebbe valsa la pena, perché era possibile
modellarlo e aiutarlo a crescere nel modo giusto. Il corpo del russo aveva
qualcosa da dire e si esprimeva in quell’istante davanti ai suoi occhi con una
semplicità che, se canalizzata, poteva trasformarsi in ricerca della perfezione
del movimento. Aveva detto di non sapere cosa fossero quei passi, eppure in
quel momento erano suoi, gli appartenevano, come tutto il resto.
-..per questo continuo!- le disse Jermaine a voce alta,
apparentemente soddisfatto, quando la canzone terminò, dirigendosi verso l’interruttore
e passando davanti a un Kei perplesso per le parole appena udite.
-Abbiamo finito!- urlò Jermaine facendo partire l’ultimo
applauso e dando una pacca sulla spalla al russo mentre tornava al suo posto,
senza però guardarlo in faccia.
E questo è il
penultimo! Sono in completa crisi per il prossimo.. e magari qualcuno di voi
anche u.u ma magari per altri motivi!
“E’ quasi l’ora..” Time
E’ da giorni ormai che
mi vengono in mente cose da dire nel mio discorso di commiato.. perché ci sarà
un discorso di commiato.. e se sto ad ascoltare la mia mente malata potrebbe
risultare più lungo del capitolo u.u (tranquille non
sarà così)! Comunque vorrei portarmi avanti e dire qualcosa già in questo..
intanto avrete notato come le cose si siano velocizzate! E’ già passato Natale
quando quello dell’anno prima era solo dieci capitoli fa.. arriccerete il naso
per questa cosa..e l’ho fatto anche io, ma
ripensandoci.. ha tutto un senso! Mi sento scema ad analizzare la mia stessa ‘opera’,
ma in fondo questo c’è davvero.. diciamo che ha fatto tutto il signor Inconscio
e tutti dovremmo sapere che il signor Inconscio ha il controllo e il potere!
Direte.. ce lo dici questo senso? Beh, no! Come al solito XD Semplicemente non
voglio dirvi come interpretare/leggere la mia fic..
vi lascio il piacere personale della ricerca! Se non trovate nulla non
preoccupatevi.. è possibile che io parli a vanvera!
Una cosa da
specificare a riguardo di questo capitolo è, comunque, il significato di questo
Jazz Lyrical: è un misto tra il moderno e il
contemporaneo e altri elementi a seconda dell’insegnate.. nel caso del nostro
Jermaine potremmo avere una contaminazione con l’hip hop ;) beh, se siete
interessati chiedete a me e facciamo prima u.u
Sempre parlando di
Jermaine.. il suo rapporto con Kei si è sviluppato velocemente e vorrei dire in
mia difesa che: sì, è possibile! A parte alcune cose, per questa storia ho
sempre ricercato realismo e i rapporti tra le persone sono da includere in
questo.. ne ho le prove e controprove.. sembrano frasi fatte o da cioccolatini
perugina, ma davvero la danza unisce, fa condividere e il tutto con dei ritmi
diversi dal normale!
Scusatemi.. mi lascio
trasportare! Il mio piccolo ritardo è dovuto alla stesura di tutto questo
blaterare (figuratevi la prossima settimana)!
Intanto intorno a me
accadono cose strane.. i pianeti si stanno allineando sul serio probabilmente! xD intanto questo capitolo ve lo beccate il 11/11/11 e..
chissà che accadrà! Probabilmente nulla u.u
Sì.. ok, la smetto!
Aspetto i vostri pareri..fatemi sapere!
Era rimasto da solo in sala: Jermaine gli aveva detto di
aspettarlo e, quindi, si era avvicinato alla sua roba, sedendosi per terra in
attesa. Fece per appoggiare la schiena alla parete dietro di lui, ma il
contatto con la superficie fredda dello specchio lo fece rabbrividire.
Non era mai stato troppo sensibile e quella sensazione lo
convinse a osservare ciò che stava alla sue spalle: un semplice ragazzo, seduto
e in attesa, in una grande sala vuota la cui aria era ancora impregnata della
presenza di altre persone e del loro calore. Da così vicino, la sua immagine
risultava piccolissima in confronto a quello che lo attorniava, ma, comunque,
era sempre troppo presente per lui: abbassò automaticamente lo sguardo.
Cos’era che dicevano? Nessuno riusciva a reggere il suo
sguardo ametista: perdeva lui stesso davanti al riflesso delle sue iridi.
Osservò le assi del parquet lucido e automaticamente
poggiò il palmo aperto su di esso, tastando la consistenza del legno e
avvertendo le piccole venature che lo caratterizzavano sulla pelle: si sentì un
bambino che, per conoscere gli oggetti, ne tocca ogni piccola parte curioso.
Se la sua ultima fissa riguardava i soffitti, per tutta
la sua vita la sua attenzione era sempre stata catalizzata dal suolo: che fosse
pietra, marmo, terra, erba, legno, poteva dire di conoscere ogni tipo di
pavimento esistente.
La terra era sempre stato il suo punto di riferimento l’unica cosa che riusciva a percepire
chiaramente.
Il pavimento era la sua unica sicurezza, era lì, ed
era fresco e invitante.
Da lì era partito tutto: quante volte vi si era sdraiato,
vi si era accasciato, vi aveva trovato riparo, era stato punto di appoggio e
sempre più spesso punto di ritorno.
Anche la sua danza era partita da lì: spostò la mano lentamente,
come in una carezza. Il breaking riguardava un rapporto stretto con la terra,
il riuscire a farsela amica, compagna e alleata, lavorarla in modo che possa
reggere anche nelle trick più impensabili. Però
sempre a testa alta.
Questo era stato il suo problema per troppo tempo: non
aveva mai capito quanto quel rapporto potesse essere equo solo se avesse
puntato al mondo che quel suolo reggeva, ma Kei al contrario quel mondo lo
temeva, ne aveva paura, non lo voleva e non lo sapeva guardare. E il pavimento
lo sopraffaceva.
Si era crogiolato per anni nella sua debolezza, se al
monastero non aveva la capacità e la possibilità di emergere, quando aveva
trovato la libertà semplicemente non l’aveva saputa cogliere ed era rimasto a
quell’infimo livello.
Scomparì, lasciando che la forza di gravità lo
schiacciasse a terra.
Viveva nella
convinzione di essere da solo, nonostante le tante persone che gli volevano
bene, non riusciva a fare a meno di allontanare da sé gli altri ed era sempre
stato più semplice dare retta a chi alimentava quella convinzione piuttosto che
a chi cercava di negarla.
Dai Kei,
nessuno se ne preoccuperà.
Fece scivolare ancora la mano sul parquet, ritirandola poi
velocemente sul suo ginocchio, come scottato dal legno. Invece, era semplicemente
scottato dai ricordi, perché non era più tempo di rinnegarli e allontanarli, ma
affrontarli con sincerità: la verità era che si era relegato da solo al
pavimento, perché era la sua certezza, il quieto persistere della sua
esistenza, senza sforzi e con tutto ciò che più gli era familiare: dolore e
solitudine.
Sono sempre
costretto a portare i segni delle cose brutte che mi succedono.. in questo caso
delle stronzate che faccio.
Spostò lo sguardo dalla sua mano, che ancora era il
centro del suo interesse, fino all’incavo del suo braccio dove i suoi leggeri
segni potevano essere fatti passare a un occhio non attento per qualcos’altro
e, a pochi centimetri di distanza, il suo doppio faceva lo stesso, mostrandogli
ciò che la sua pelle aveva da raccontare.
Si era sempre illuso di aver tentato di rialzarsi ogni qual
volta fosse caduto, ma non poteva considerarli propriamente tentativi, non
finché si rendeva conto di quanto invece fossero stati gli altri a porgergli
mani che non aveva stretto.
Per
favore, almeno tu, vivi.
Distese le dita e le fece aderire alla superficie
riflettente: ebbe per un secondo l’impressione di poterla attraversare, di
poter toccare realmente la mano di quell’altro Kei, magari più sicuro e meno
stupido di lui. Fantasticò sul possibile mondo oltre lo specchio, quello dove
lui realmente vinceva lo sguardo di tutti, dove non conosceva la paura.
Dopo il monastero lui non aveva saputo fare altro che
ributtarsi in un baratro, poi era scappato dall’eroina cercando la normalità
che leggeva negli occhi dei suoi amici, infine aveva attraversato mezzo mondo
per lasciarsi alle spalle un’esistenza grigia, sperando nei mille colori del
Giappone.
Kei,
tranquillo, andrà tutto bene.. fidati di me.
Non aveva capito quanto fosse inutile cercare negli altri,
la loro approvazione e attenzione, quando invece doveva partire da sé. Perché i
suoi amici erano più lungimiranti, erano capaci di cose che lui non poteva
neanche immaginare. Yuri, Takao, Rei, Max, lo avevano chiamato per nome tante
volte, ma lui era rimasto a guardarli, maledicendosi e restando attaccato
saldamente a quel pavimento che era la sua prigione.
Non
chiedermi di amarti, non ne sono capace.
Hilary era la chiara dimostrazione della sua cecità, del suo
rifiuto verso quelle lettere marchiate a sangue e inchiostro sulla sua pelle:
un altro proposito non mantenuto. La testimonianza delle energie e della vita
che aveva rinnegato.
Le sue dita che risalivano lo specchio lasciarono un leggero
alone al loro passaggio.
Non
dovresti stare da solo.
Quella corazza la credeva indistruttibile, ma, se si
guardava bene, delle crepe la indebolivano e permettevano a degli spiragli di
luce di oltrepassarla: quegli spiragli si stavano facendo giorno dopo giorno
più grandi, ma non tutti erano stati capaci di individuarli. Poteva nuovamente
fare i nomi di quelle persone, entrambe che avevano conosciuto il Kei
ballerino, piuttosto che quello blaider. Se Hilary
l’aveva respinta, però, Dana rimaneva la prima testimone di quel cambiamento.
Dicono
che casa sia il luogo dove si trova il cuore.. allora potrebbe essere ovunque..
e perché non nel luogo dove hai la possibilità di danzare?
Eppure la danza era disciplina, la stessa che aveva imparato
al monastero, era regole, dolore fisico, ma era vivere il pavimento come
potenziale per arrivare oltre. Negli anni in cui si era perso, quindi, aveva
sostanzialmente dimenticato tutto ciò che significava essere un blader: aveva rimosso le parti positive della sua infanzia,
poche e memorabili, e aveva lasciato che l’odio e la disperazione lo accecassero.
Si era quindi ritrovato? Aveva recuperato il buono che gli
aveva permesso di conoscere gli amici e la famiglia di una vita?
Fermò la mano, rendendosi conto di cosa nascondesse il
movimento successivo, quando la sua attenzione si sarebbe spostata dalla sua
pelle chiara al volto del suo nemico giurato.
E’ così brutto
quello che vedi?
Era arrivato il momento di prendere una posizione e di
lasciarsi il peggio alle spalle: Jermaine gli aveva ripetuto mille volte di
entrare in sala come se entrasse nella propria casa, nel proprio mondo, di
lasciare fuori ogni preoccupazione, di osservare se stesso e credere nel
proprio lavoro. Ascoltare il proprio corpo, dargli la possibilità di
esprimersi.
Per quanto quelle frasi, a inizio della sua avventura, gli sembrassero
campate in aria, aveva imparato la loro verità, l’aveva provata e, finalmente,
non l’aveva rinnegata.
Quando era questione di fiducia, lui era il primo a
tirarsene fuori, ma se davvero aveva fatto pace con i suoi fantasmi, con quei
volti di un passato in bianco e nero, osservato dal basso del pavimento, non
poteva più permettersi di scappare da se stesso.
Credo siano..
colori che danzano.
La risposta era sempre stata lì, davanti ai suoi occhi, nel
modo in cui vedeva il mondo esterno, come interpretava le parole degli altri,
quando si appoggiava al petto di Yuri per regolare il ritmo del proprio battito
o ascoltava il respiro di Hilary o teneva il conto dei tentativi di Rei di
instaurare un contatto con lui. Poteva leggere persino nell’ennesimo spostamento
della sua mano sullo specchio una sorta di danza accompagnata da un silenzio
ricco di input e accenti.
Sì.
Spostò la mano e si vide: era lui, Kei e il suo volto e i
suoi occhi tanto odiati e la sua insicurezza, li osservò, potevano benissimo
essere quelli di un estraneo se solo non vi avesse letto all’interno tutta la
sua vita.
Si era sempre astenuto da decisioni secche, le risposte
affermative e interessate le poteva contare sulla punta delle dita, ma aveva
accettato di farsi travolgere da quei pazzi mesi ed era arrivato il momento di
dare un volto a quella persona pazza e masochista e, finalmente, con un senso.
-Eccomi!-
La voce squillante di Jermaine rimbombò ancora più potente
tra quella fiera di ricordi e sensazioni, facendolo sobbalzare.
Kei lasciò la mano ricadergli sul ginocchio e si voltò come
risvegliato da un trance: guardò il coreografo avvicinarsi a grandi falcate e
sedersi a fianco a lui brandendo un pacchettino.
-Ancora due date ed è finito il tour..- si spiegò -..e
questo è l’ultimo momento di pace, fidati! Un regalo per te!-
-Perché un regalo?- chiese allarmato e perplesso il russo.
-Tranquillo non è nulla di che.. aprilo!- lo esortò
entusiasta.
Kei strappò la carta e osservò l’oggetto che aveva tra le
mani: una agendina con la copertina rigida color porpora e il dorso mogano.
-Ha un significato..- assicurò l’uomo.
-E vorresti spiegarmelo?-
-Apri!- lo invitò ancora esaltato.
Il ragazzo sfogliò le prime pagine senza trovarvi nulla di
strano, fino a che non arrivò alla fine di gennaio e inizio febbraio dove la
calligrafia contorta di Jermaine aveva riempito parecchi spazi bianchi.
-Sarai molto impegnato sappilo.. ti servirà!-
Kei scorse gli orari e gli impegni che il coreografo gli
aveva appuntato.
-Queste sono le mie lezioni a Tokio.. poi il resto potrai
riempirlo tu!- disse l’uomo indicandogli diversi giorni e dandogli alcune
indicazioni in più.
-Fortuna che mi era preparato a non ricevere una reazione
troppo calorosa!- lo risvegliò Jermaine dal silenzio nel quale era caduto per
continuare a leggere.
-Cosa? No.. grazie- disse sovrappensiero mantenendo l’agendina
aperta: nero su bianco si trovava la prova che tutto quello non sarebbe
terminato -..davvero-
-Poi con quel cellulare arretrato che ti ritrovi.. questa è
in attesa che tu diventi tecnologico!- scherzò Jermaine rialzandosi.
Gli occhi di Kei per alcuni minuti vagarono nuovamente sulle
pagine scarabocchiate lasciando una marea di nuovi pensieri affollargli la
testa.
Ormai
non ne puoi più fare a meno.. avrai il tempo di capirlo, se vorrai farlo.
Si alzò finalmente e prese la borsa, l’agendina ben stretta
tra le dita, si diresse verso la porta, ma, poco dopo aver superato il centro
della sala, come essendosi ricordato improvvisamente di qualcosa, si voltò
verso lo specchio osservando il proprio profilo per poi allargare la visuale:
ad oggi quel tipo di pavimento e quel tipo di soffitto erano assolutamente i
suoi preferiti.
L’ormai familiare boato che si alzava dalla platea una volta
iniziato il gioco di luci che apriva lo show si levò per l’ultima volta, Lauren
nel suo miniabito sbrilluccicante di sempre si lasciò scappare un sorriso
d’intesa quando incontrò gli occhi di Kei, poco prima di entrare in scena: i
cinquanta secondi di routine ed era il turno dei ballerini e a seguire niente
di nuovo per nessuno se non gli spettatori, diversi ogni sera, ma quella volta
in particolare trattati da privilegiati perché sarebbero stati gli ultimi. Poi
la pausa di venti minuti che permetteva il cambio d’abiti e la riacquisizione
di un po’ di respiro, per l’ennesima volta si permise di assistere al passo a
due di Nene e Blake e ritornare a far parte della frenesia dello show.
Si dimenticò che sarebbe stata l’ultima messa in scena, solo
pochi attimi random glielo ricordarono, ma durarono giusto il tempo di un
battito di ciglia. Così come era iniziato, velocemente terminò. Riuscì a
godersi gli ultimi flash, le ultime immagini realizzando ciò che significavano quelle
luci che si spegnevano e il buio che scendeva sulla platea che applaudiva
imperterrita.
-Da domani siamo tutti disoccupati!-
Carol alzò il bicchiere come per brindare, mentre erano
tutti seduti su uno dei divanetti del locale affittato per festeggiare
degnamente la fine del tour.
-Parla per te! Io ho già pronto un altro contratto!- sogghignò
Chayton.
I due battibeccarono tra una risata e l’altra, alzando il
tono di voce per sovrastare la musica che si faceva sempre più forte.
-Una foto con i miei bellissimi ballerini!- arrivò Lauren
saltellando sui suoi tacchi altissimi, seguita a ruota da un fotografo e una
telecamera: si infilò sul divanetto lasciandosi circondare e dando il via a una
serie infinita di scatti.
Kei cercò di resistere, ma se ne tirò fuori relativamente
presto osservando divertito la scena: quando Lauren andò a intrattenere
un’altra parte della sua crew tornò la pace e tutti
si divisero, chi a ballare, chi a riempire i bicchieri. Il russo uscì nella
veranda del locale per fumare insieme al ragazzo della security che aveva
conosciuto sin dalle prime date.
Quando rientrò erano ancora tutti sparpagliati e decise di
dirigersi verso il balcone: si fece largo tra la folla, superò Jermaine e Monique che ballavano insieme e si sedette su uno degli
alti sgabelli ordinando il suo drink.
-Non abbiamo avuto più occasione di vederci- esclamò al suo
orecchio una voce che, nonostante arrivasse ovattata, poteva riconoscere.
-E ti dispiace?- chiese a Nene alzando un sopracciglio.
-Dipende!- esclamò ordinando a sua volta da bere –Sai,
dopotutto un po’ mi mancherai-
-Che ne sai che non ci rivedremo?-
-Per carità, la mia era una frase di circostanza!-
-Come volevasi dimostrare-
-Tu cerca di migliorare e poi ne riparleremo!- concluse la
ragazza con la sua solita aria altera, prima di dileguarsi nuovamente tra la
folla.
-Ah..-
Si sentì toccare la spalla e si voltò pronto a fronteggiare
il ritorno alla carica della mora.
-Ma basta..- si bloccò di colpo non trovandosi davanti Nene.
-Cosa ti avrei fatto per essere così scortese?- chiese
Lauren accigliata.
-Pensavo fossi un’altra persona-
-Allora va bene.. ehi!- qualcuno le arrivò addosso,
spingendola e facendole quasi perdere l’equilibrio –Fai attenzione!- urlò in
direzione della folla dietro di lei, ma non avrebbe saputo dire chi l’avesse
urtata.
-Tutto bene?- chiese Kei reggendola per un avanbraccio.
-Sì.. spostiamoci un attimo- disse intimandolo a seguirla
verso un angolo con meno ressa.
-Scarpe da ginnastica mai?- le fece notare il russo una
volta fermatosi.
-Naah! Anni di allenamento!-
rispose lei sventolando una mano come per allontanare un pensiero inutile
–Piuttosto.. ti stai divertendo?-
-Abbastanza.. come mai sei interessata?-
-Ricerca sul campo.. testo la soddisfazione del personale!-
Lauren ghignò guardandosi intorno come per cercare qualcuno:
quando finalmente lo trovò, accalappiò la sua assistente e le chiese di darle
il cellulare che, a quanto pareva, le stava conservando.
-Sei stato scelto per far parte della mia lista di
contatti.. – esordì porgendogli il cellulare -..scrivi il tuo numero!-
Kei digitò le cifre e restituì il telefono.
-Devo ricordarti come mi chiamo o mi salverai con un
soprannome?-
Lauren spalancò la bocca fingendosi offesa –Ma guarda te..
solo perché è successo una volta! Uomo di poca fede! Dai, foto con
l’antipatico!- disse improvvisamente richiamando l’attenzione del fotografo,
rimasto a qualche metro di distanza, che la seguiva come un cagnolino da più di
un’ora.
Il russo sbuffò, ma si ritrovò comunque a mettere un braccio
attorno alle spalle della ragazza, concedendole quello scatto.
Non le chiese a cosa servissero quella miriade di
fotografie, anche perché la cantante fu riacchiappata dalla sua assistente e lo
lasciò nuovamente da solo.
Fecero mattina: ogni occasione in quell’ambiente era buona
per organizzare una festa e, come in quel caso, quando questa occasione aveva
delle basi solide, si andava fino in fondo.
Kei si rese conto di non aver mai dormito le otto ore di
regola in quei quattro mesi, anche se per lui si poteva estendere quell’andazzo
a tutta la sua vita, e questo accadde quando al suonare della sveglia ci mise
relativamente poco a rimpadronirsi della propria lucidità, non diversamente da
altre mattine almeno. Non dovette neppure faticare per svegliare Chayton e si riunirono nella hall dell’albergo in perfetto
orario.
Nell’attesa, abbastanza caotica nonostante tutti avessero
fatto le ore piccole, scorse Lauren andarsene per prima, senza considerare
nessuno e con un paio di grandi occhiali da sole e un cappellino a nasconderla
dai flash dei possibili paparazzi.
-Serata devastante!- esclamò Jermaine sedendosi affianco al
russo e stropicciandosi un occhio.
-Bevi troppo- gli disse guardandolo divertito annuire.
-Ognuno ha i suoi vizi!- rispose ammiccando e convincendo
l’altro a non aggiungere altro.
Nelle ultime due settimane il tour aveva toccato le città mediterranee
nelle quali non erano stati a novembre, di conseguenza il volo fino a Tokio
sarebbe durato una ventina di ore e, considerando il fuso orario, l’atterraggio
era previsto per il pomeriggio del giorno successivo: la traversata fu
tranquilla e si respirava nell’aria la stanchezza, non solo di quella notte, ma
dei mesi spesi a vorticare da uno stato all’altro senza sosta. C’era chi
pensava al meritato riposo, chi al prossimo impegno, chi dormiva, chi non
riusciva a stare fermo e chi, come al suo solito, si lasciava cullare dalla sua
buona dose di seghe mentali quotidiane escludendo il mondo attorno a lui. Il
russo, però, non ne era preoccupato o disturbato, anzi quelle paturnie erano
materiale nuovo per la sua mente malata e non poteva fare a meno che accoglierle
con curiosità.
Prese dalla tasca della giacca l’agendina che gli aveva
regalato Jermaine e la aprì come aveva fatto diverse volte in quei tre giorni:
vi aveva appuntato qualche nota in diverse giornate di tutto l’anno, ma non era
andato oltre pochi simboli e aveva ridotto la presenza delle parole, tanto che
per qualcun altro comprendere l’importanza di quelle giornate sarebbe stato
impossibile.
-Proprio al caso mio!- gli arrivò la voce di Jermaine alle
spalle, ma non se ne preoccupò fino a quando non sentì la presenza del
coreografo nel posto accanto a sé.
L’uomo tirò fuori dalla tasca una penna e rubò l’agenda a
Kei scrivendo un orario e tre parole indecifrabili sulla pagina di quella
settimana.
-Ecco fatto!- disse soddisfatto al termine della sua opera.
-Dovresti fare un corso di calligrafia- gli consigliò il
russo accigliato nel vano tentativo di decifrare la scrittura dell’altro.
-Tranquillo, intanto ti vengo a prendere così ci andiamo
insieme!- e iniziò a informarlo della festa al quale lo avevano invitato e alla
quale nemmeno Kei poteva mancare poiché erano presenti diverse personalità
importanti del campo –Andremo lontano, mio caro!-
Non fece altro che assecondare Jermaine, anche perché ormai
aveva iniziato ad ammettere che la riluttanza della primavera precedente stava
lasciando spazio a qualcosa di nuovo al quale non sapeva dare un nome: come
descrivere una sensazione positiva? Il suo vocabolario non era abbastanza
vasto, non ancora.
Imparerai, si
disse cercando di non sorprendersi dei suoi stessi pensieri.
Atterrarono all’aeroporto di Narita
in perfetto orario e, per la prima volta, non presero tutti insieme lo stesso
mezzo, né si diressero verso la stessa meta, ma si divisero. Ci furono abbracci
e saluti che non mancavano già da diverse ore, ma che finalmente si
consumavano. L’inizio della fine era stato il discorso di commiato di Lauren
durante la festa, mentre l’epilogo prendeva forma con i saluti di Carol, Chayton e Blake per primi, poi di alcune persone che aveva
conosciuto e col quale aveva trascorso più tempo: Jermaine ovviamente non si
lasciò scappare l’occasione di rubargli un abbraccio nonostante, secondo la sua
stessa tabella di marcia, si sarebbero rivisti da lì a pochi giorni.
Quando Kei uscì dal terminal e si ritrovò da solo, si
concesse un lungo sospiro e valutò le sue possibilità: per prima cosa, fumò
tranquillamente una sigaretta sedendosi su una panchina.
La giornata era assolata, i rumori della città frenetica
arrivavano confusi da oltre la grande piazza davanti all’aeroporto, mentre il
freddo risultava piuttosto pungente per gli standard della capitale giapponese;
era arrivato al punto di partenza, da dove aveva iniziato a considerare quel
possibile percorso che lo avrebbe portato a definire se stesso e il suo mondo,
aveva girato e visitato ogni possibile meta, aveva respirato, respirato davvero,
e mancava solo un piccolo passo che lo avrebbe portato a capire finalmente.
Spense la sigaretta e si incamminò sulla strada asfaltata
ponderando l’idea di prendere l’autobus, per poi convincersi che, ancora per
una volta, poteva concedersi il lusso di chiamare un taxi.
Impiegò più di un’ora per arrivare al dojo a causa del
traffico, ma, non appena scese di fronte al familiare portone di legno gli
sembrò che fosse trascorso un giorno da quando lo aveva varcato l’ultima volta.
Provò a rievocare quel momento, sovrapponendolo al presente, trovando, però,
difficile associarli: eppure non era cambiato molto, se non forse il suo
approccio verso quel ricordo.
-Kei!- l’urlo del suo nome lo accolse già dal viale
d’ingresso.
-Ciao Takao- disse con un tono molto più basso il russo.
-Stavolta sei in orario! Stiamo migliorando, eh!- si inserì
Max, accorso insieme al giapponese.
-Dove sono i capelli?- gli chiese Takao saltellandogli
davanti.
-Tagliati-
-Lo vedo!-
Riuscì a far avanzare i due, almeno per arrivare all’interno
del dojo, dove Rei e Nonno J lo accolsero calorosamente. Lo lasciarono, quindi,
andare a sistemarsi nella sua camera e rinfrescarsi, prima di svelare una cena
in grande stile preparata per festeggiare.
-Bentornato!- gli disse Hilary spuntando poco prima che
tutti si mettessero a tavola.
-Grazie- rispose abbozzando un sorriso che la ragazza
accolse con uno sguardo perplesso.
-Che c’è?-
-No, niente- minimizzò lei prendendo poi posto alla
tavolata.
Quella riunione con la tradizione giapponese, contaminata
dalle diverse nazionalità di ognuno di loro, lo coinvolse ricordandogli quella
quotidianità che, nel corso di quei mesi, si era trasformata. Gli vennero poste
una miriade di domande e, cercando di non smentirsi in onore dei vecchi tempi,
rispose vagamente, ritrovando il disappunto di Takao e degli altri che, però,
non si lasciarono scappare l’occasione di aggiornarlo con le loro novità.
Kei ascoltò e non si perse neanche una parola dei lunghi e
coloriti racconti del biondo e del giapponese, subito corretti da Rei e Hilary.
Doveva quindi ammettere che già quella volta al telefono con Rei quel branco di
casinisti gli fosse mancato?
Il mattino seguente si risvegliò confuso, soprattutto quando
riconobbe il soffitto che lo sovrastava e la mobilia della stanza nella quale
si trovava.
Quel giorno non ci sarebbe stato nessuno spettacolo, nessuna
prova, alcun viaggio, niente di niente, se non tranquillità e normalità. Solo
dopo poche ore si rese conto di quanto quella normalità che la sera prima aveva
lodato risultasse strana, piacevole, ma comunque strana.
Fece colazione, si fumò una sigaretta e, poi, quasi
sovrappensiero attraversò la sala, guardò di sfuggita la credenza nella quale
era custodito Dranzer, percorse il porticato di legno
e si diresse in palestra: lo stereo di Hilary era ancora lì, pieno di polvere,
ma sempre pronto per essere utilizzato.
Osservò le pareti, le spade da kendo, l’altarino buddista e
neanche l’ombra di uno specchio.
Si tolse le scarpe e si sedette: sentì l’odore del legno, vivo e palpabile, la sua consistenza, caldo e morbido, e si sentì nuovamente
in pace con il mondo esterno.
Sentì il bisogno di riportare un po’ di quegli ultimi mesi
in quella giornata e, senza rifletterci troppo, prese ad allenarsi, dimentico
della miriade di coreografie imparate, degli ultimi lavori, di quella parte
della danza che era considerata un lavoro, ritrovando quello che, in fondo,
erano le parole di Jermaine, ciò che gli ripeteva e gli riconosceva.
Continuò fino a quando gli altri non tornarono da scuola e
insistettero per passare del tempo con lui: fecero un giro per il quartiere,
aggiornandolo di ciò che si erano dimenticati il giorno prima, incontrarono la
ragazza che stava insinuando dei dubbi allo stoico Rei e poi si fermarono in un
bar.
-A me sembra carina- commentò Kei, vedendo affondare la
testa del cinese nelle sue mani.
-Credo che sia proprio questo il problema!- sussurrò con
fare ovvio Max.
-Molto carina- rincarò il russo.
-Da che parte stai?- chiese Rei riemergendo dalla sua
disperazione.
-Intendi se sto nella fazione Mao o altra ragazza?-
-Mi sa che non lo voglio sapere!- disse incerto l’altro
sperando che il discorso cadesse lì.
-Sicuro? Perché ho la mia opinione e..-
La suoneria del suo cellulare lo interruppe e lo costrinse a
rispondere.
-Pronto? Ciao.. no.. sì, ok.. quando?..- ci fu una lunga
pausa, poi Kei allontanò un secondo il cellulare dall’orecchio per sussurrare a
Rei –Comunque sto nella fazione altra ragazza- per poi prestare attenzione
nuovamente alla misteriosa chiamata.
Il cinese si appellò agli altri due amici cercando appoggio,
ma finì solo per deprimersi ancora di più.
-Vi dispiace se torniamo a casa?- chiese Kei una volta
terminata la chiamata.
-No, intanto s’è fatto tardi..- disse Max.
-E io non voglio più sentire opinioni!- aggiunse Rei
melanconico.
-Chi era?- chiese Takao mentre si incamminarono.
-Jermaine-
-Che voleva?-
-Dirmi di uscire..-
-Quando?-
-Stasera..- rispose il russo osservando l’ora sul display sul
cellulare -..o meglio tra poco-
-Ma tu lo odiavi o sbaglio?- chiese l’americano.
Kei rispose con una semplice alzata di spalle quando
arrivarono davanti al portone; entrò dietro agli altri per poi annunciare i
suoi piani a Nonno J, sicuro che avrebbe apprezzato. Solo alla risposta
affermativa dell’uomo si rese conto di quanto fosse risultata come una
richiesta di permesso.
Jermaine arrivò mezz’ora più tardi, ma, invece che aspettare
Kei in macchina, si avvicinò alla porta d’ingresso e salutò cordialmente gli
abitanti del dojo.
-Buonasera signor Kinomiya!-
Il russo accigliato lo osservò conversare con Nonno J,
chiedendosi quali fossero le sue intenzioni e, soprattutto, si stupì della
memoria del coreografo nel ricordarsi il cognome di Takao.
-Volevo solo avvertirla che in queste settimane ho in
programma diverse cose e spesso e volentieri sono di pomeriggio o sera, spero
non le dia fastidio che Kei possa arrivare tardi..-
Kei spalancò gli occhi dalla sorpresa per quelle parole e le
altre che seguirono, non riuscendo a coglierne il significato.
-Perché?- domandò una volta che furono saliti in macchina.
-Cosa?-
-Perché gli hai voluto parlare?- si spiegò mentre partirono.
-Volevo solo accertarmi che non ci saranno problemi..-
-Ma..-
-Kei.. finchè vivi a casa sua è
giusto che rispetti le sue regole..- il ragazzo tentò nuovamente di ribattere,
ma non gli fu lasciato il tempo di farlo -.. non siamo più in tour, qui devi
rendere conto a lui, non puoi fare quello che vuoi!-
-Lo so-
-Quello è un brav’uomo.. mi sembrava solo doveroso
informarlo!- concluse il coreografo accendendo la radio –Sai, potresti prendere
in considerazione l’idea di trasferirti più in centro..-
Kei si voltò improvvisamente, non credendo alle sue
orecchie, ma non ebbe il tempo di formulare un pensiero concreto che l’altro
cambiò discorso.
Se nelle ventiquattr’ore seguenti il suo ritorno in Giappone
aveva avuto modo di assaporare e annoiarsi della normalità, da quella serata
con Jermaine non ebbe più un attimo di respiro.
-Cosa fai?- chiese Takao affacciandosi alla stanza di Kei,
mentre questo riempiva il suo borsone velocemente.
-Esco- rispose fissandosi su un punto pensieroso per pochi
secondi, prima di tornare ad aprire il guardaroba.
-Ma perché.. sei mai stato in casa?- chiese ironico il
giapponese sbuffando.
-Cosa stai dicendo?-
-Fa niente!-
Kei lo salutò e uscì, realizzando solo in quel momento le
parole dell’amico: effettivamente non era più stato per più di due ore nel
dojo, se non per dormire, poichè per il resto le sue
giornate le trascorreva nel centro di Tokio, tra diverse lezioni, di Jermaine e
di altri consigliati da lui, feste, tappa importante e non saltabile a detta
del coreografo, e lavoretti vari.
Diverse volte Takao e gli altri volevano organizzare
qualcosa con lui, ma, anche quando dava la sua disponibilità, poi si era
ritrovato a dover annullare: si sentiva in colpa per questo, ma gli impegni si
affollavano nel giro di pochi giorni, senza troppo preavviso. Una sera
addirittura dovette partire per una trasferta di due giorni con solo dodici ore
di anticipo.
L’agendina di Jermaine si rivelò profetica e soprattutto
utilissima, poiché senza di essa non sarebbe riuscito a far combaciare nulla.
Non ebbe neanche il tempo di chiedersi se non l’avesse fatto apposta.
Un aspetto che lo stupì fu quando, due settimane dopo, il
coreografo gli confidò di non aver più messo nessuna parola per lui se non i
primi giorni e che, quell’improvvisamente interesse, era dovuto esclusivamente
al suo lavoro.
La sua lista di contatti lievitò e la frenesia del tour lo
investì nuovamente: sembrava fatta su misura per lui e questo fu il motivo per
cui, quando Nonno J cercò di riportarlo alla realtà, il mondo che conosceva gli
sembrò ribaltato, tanto da non considerare normalità quello che l’uomo gli
stava offrendo.
-Devo dare una risposta definitiva al preside!-
Kei rimase in silenzio, spiazzato, cercando le parole
corrette.
-Non hai intenzione di provare a finire la scuola, vero?-
-No- disse il russo cercando di sembrare convincente.
-Sei sicuro di questa scelta?- chiese ancora sereno.
Kei si limitò ad annuire, deglutendo –Mi dispiace se..-
-Non devi scusarti.. è la tua vita, hai il diritto di
viverla come vuoi!- continuò l’anziano sorridendo –L’importante è che a te vada
bene!-
Quei minuti surreali furono di nuovo sovvertiti dalla lista
di impegni, ma, nemmeno per un secondo, Kei sentì di aver preso la decisione
sbagliata. L’unica riserva riguardava Nonno J, che aveva messo una buona parola
per lui al riluttante preside e temeva di non avergli dimostrato abbastanza la
sua gratitudine per quel gesto che, ad occhio non attento, poteva sembrare di
poco valore.
-Ehi antipatico!- una voce squillante lo risvegliò dai suoi
pensieri mentre usciva dallo spogliatoio di una delle palestre di Tokio.
Si voltò e si stupì di scorgere Lauren che salutò con un
veloce abbraccio.
-Cosa ci fai qui?-
-Devo tenermi allenata!-
Kei la guardò scettico, poiché era sempre nella sua tenuta
impeccabile con tanto di tacchi vertiginosi ai piedi.
-Non eri in vacanza?-
-Io non sono mai in vacanza!-
-Lauren è arrivato Milo!- spuntò puntualmente la sua solita
assistente.
-Arrivo..- le rispose la cantante, voltandosi poi verso Kei
–Il tuo numero ce l’ho vero?-
Il russo annuì aspettando il seguito.
-Beh, allora se mai sarò libera potremmo vederci per un
caffè!-
-Ok..-
-Se vuoi possiamo anche trovare delle scale così ti senti
più a tuo agio!- continuò lei facendogli la linguaccia ricordando i loro strani
incontri.
-Spiritosa-
Non potè aggiungere altro poiché
l’altra fu portata via, lasciandolo nuovamente alle sue turbe mentali e al
cellulare che, per l’ennesima volta, prese a suonare.
Un altro impegno in arrivo.
Si
svegliò senza troppe pretese, la linea che divideva la realtà dal sogno era
troppo sottile. Niente di ciò che era intorno a lui era abbastanza interessante
e a fuoco da essere preso in considerazione, ma intanto non era quello
l’importante: l’unica immagine perfettamente chiara e rilevante era quel
piccolo astuccio blu, abbandonato chissà quando sopra un tavolino.
Si
mise a sedere faticando più del dovuto e si sporse sul bordo del materasso,
allungando il braccio per afferrare il contenitore e aprirlo. Incrociò le gambe
e iniziò a disporre meticolosamente l’occorrente sul lenzuolo, avvertendo
l’ansia che sopraggiungeva a ogni movimento tanto da costringerlo a velocizzare.
Quella mattina aveva osservato l’ennesimo nuovo soffitto:
questa volta color pesca, in tinta con il resto dell’arredamento della stanza,
con un lampadario etnico e alquanto strambo. Il materasso era comodo e le coperte
emanavano la giusta quantità di tepore. Gli provocò lo stesso effetto piacevole
l’attraversare il resto della casa, fino in cucina, dove si era seduto al
tavolo cercando di armeggiare con il cellulare: dalla sera prima, quando aveva
controllato per l’ultima volta il display, gli erano arrivati tre messaggi, su
ognuno dei quali era appuntato un nuovo impegno che doveva marcarsi da qualche
parte non avendo con sé la preziosa agendina.
Un
movimento sul materasso gli annunciò che qualcuno si era seduto di fianco a
lui: non avrebbe saputo dire però se questo fosse stato sempre nella stanza o
se fosse invece rincasato solo in quel momento. Nulla aveva importanza fuorché
la sua siringa.
L’avambraccio
teso di Nataliya entrò nel suo campo visivo, disturbandolo, e lo cacciò via
malamente rifiutando quel silenzioso, ma chiaro invito a farle una pera.
-Vuoi deciderti a comprare un cellulare nuovo?- disse la
padrona di casa, lasciandogli davanti una tazza di quello che sembrava caffè e
latte e dirigendosi verso il frigorifero.
-Mai sentito parlare di consumismo?- la apostrofò Kei –Tra
te e Jay non so chi è peggio-
Lauren gli fece la linguaccia, voltandosi nuovamente: il
ragazzo non poteva fare a meno di pensare quanto fosse buffa con i capelli in
disordine e una maglietta extralarge improponibile, arancione di una delle vecchie
edizioni dei Teen Choice Award, tutta un’altra cosa
rispetto alla facciata di perfezione che mostrava al mondo esteriore.
Al
secondo tentativo della ragazza, biascicò un –Aspetta- seguito da una serie di
insulti dalla voce roca di lei. Li ignorò, come cercò di ignorare il suo
tentativo di piantargli le unghie nella spalla per attirare nuovamente la sua
attenzione e reclamare quello che, secondo lei, le spettava di diritto.
Eppure
Kei era convinto che fosse lui a dover essere il primo e nemmeno la russa gli
avrebbe fatto cambiare facilmente idea. Fu così che si legò il tubicino di
plastica al braccio, tamponò alla meglio l’incavo del braccio con le dita e
lasciò che l’ago gli penetrasse la vena, iniettando al suo interno l’eroina.
Era trascorso ormai più di un mese dalla fine del tour e gli
eventi lo avevano trasportato in una direzione totalmente inaspettata: forse,
più che gli eventi, avevano contribuito una bella serata trascorsa insieme,
qualche bicchiere di troppo e la sua inclinazione al sesso. Il fatto era che
Lauren non aveva obiettato, alimentando quella pazzia che prevedeva incontri,
più unici che rari a causa degli impegni, clandestini, il più possibile
segreti.
Sentì
un sussurro all’orecchio, non comprendendo il significato di quei suoni, poi un
morbido tocco, le sue labbra probabilmente, che gli sfioravano il lobo, ma
null’altro esisteva all’infuori del piacevole abbraccio della droga, tanto che
non si lamentò quando Nataliya entrò in possesso della siringa.
Si
lasciò cadere disteso sul materasso, ma qualcosa di strano lo terrorizzò: non
faceva più effetto come una volta, provò ad arrabbiarsi nell’annebbiamento di
quei minuti, lamentarsi e maledirsi poiché quella dose non era abbastanza, non
più, ancora.
Su quell’aspetto non sarebbe cambiato facilmente e, a dirla
tutta, non era una delle sue priorità in quel momento: non credeva ancora di
poter provare amore o cose del genere, nonostante si fosse incamminato sul
sentiero tortuoso della guarigione, e non voleva impelagarsi in una relazione
seria con un personaggio pubblico. Era già abbastanza sotto i riflettori per
conto suo.
Bevve il restante contenuto della tazza, mettendo via il
cellulare, quando sentì un peso sulla testa e dei capelli biondi invadergli la
visuale.
-A che pensi?- chiese Lauren che, alle sue spalle, aveva
intrecciato le dita sulla nuca del ragazzo, poggiandovi poi il mento.
Dei
capelli corvini gli sfiorarono il viso quando Nataliya si cacciò al suo fianco:
non esistevano altro che lui, il suo malessere, le sue botte altalenanti di
tranquillità e timore, le dita della ragazza che si intrecciavano alle sue e
immagini confuse di un rifugio che faceva male proprio per quanto fosse
surreale. Solo qualche attimo e tutto ciò si fece appannato, fino a scomparire.
Come racchiudere un vorticare frenetico di immagini in poche
parole? Pensava alla loro tresca e agli impegni che gli si prospettavano nelle
ore a seguire: aveva in mente la palestra dove insegnava Jermaine, quella dove
doveva provare per il suo nuovo ingaggio, le lezioni di ogni branca dell’hip
hop e quelle di Jazz sulle quali Jay insisteva, i
pranzi, le cene, le feste, le audizioni. Se non era vita quella, non sapeva
dove altro andare a cercarla, ma soprattutto non riusciva a trovare qualcos'altro
che per lui corrispondesse a vita, la sua vita.
Lo aveva negato, vi si era nascosto, aveva avuto problemi a
pronunciarlo, ma ormai si era dovuto arrendere all’evidenza: lui era un
ballerino e come tale avrebbe vissuto finché ne avesse avuto la possibilità.
Quindi a cosa pensava? Prese un respiro prima di rispondere.
-Che sto bene-
“Era il mio credo, il mio bisogno,
le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto.
Solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della
mia timidezza, della mia vergogna. Ero con l’universo tra le mani, e mentre ero
a scuola, studiavo, in ogni momento, qualsiasi cosa facessi, la mia mente
sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria..
..ringrazio di possedere un corpo
per danzare cosicché io non possa sprecare neanche un attimo del meraviglioso
dono della vita.”
FINE..
Discorso di Commiato Time
La
cosa che mi conforta è che ho ancora un po’ di righe di commento adesso perché,
non appena ho scritto la parola FINE, mi è salito il magone!
Intanto
spieghiamo il perché di quei puntini: come vi ho sempre detto Leggero è solo
una piccola parte di una storia infinita, per questo mi sembrava doveroso darle
un senso di continuità, nonostante il pezzo che ne verrà dopo non lo scriverò.
Ma che
ne dite di tirare un po’ le somme?
Sono
passati due anni nella cronologia del racconto, il secondo più veloce del
primo, ma pur sempre due anni nei quali ne sono successe di cose e nei quali il
nostro protagonista è cambiato. Per noi, invece, sono trascorsi undici mesi, né
più né meno.. dal 17 dicembre 2010, dritti dritti
fino al 18 novembre 2011, sono state 49 settimane per 46 capitoli: innanzitutto
vado fiera di essere riuscita nel mio intento di pubblicare con regolarità (se
non contiamo un disguido alla terza settimana e la piccola pausa di agosto)
poiché mi ero ripromessa di non farmi attendere e così è stato. Sono successe
tantissime cose da quando è iniziata questa avventura: è stato qualcosa di
improvviso, che capitolo dopo capitolo ha raccolto persone di ogni genere. Lo
so, forse è stata un’impresa titanica, potreste dire che mi è sfuggita dalle
mani, che è durata troppo, ma la verità è che così doveva essere. Avrei potuto
interromperla in altri momenti, ma sapevo che, a seconda di dove sarebbe
terminata, avrebbe acquisito un significato diverso.
Guardando
indietro credo che molte cose avrei potuto svilupparle meglio, come per ogni
cosa, ma a dirla tutta, poteva anche uscirmi di peggio: mi sono maledetta
diverse volte per essermi imbarcata in questa impresa, per non aver prima
completato di scriverla e poi, solo dopo, decidermi a pubblicare, ma in quel
caso sarebbe uscita sicuramente diversa e non per forza migliore.
L’ultima
parte comunque è stata la più difficile, nonostante fosse quella che sentivo
più vicina, ma la spiegazione è presto detta: è fatta di immagini. Le parole a
volte non sono il mezzo più efficace, anzi in questo caso erano il più
complicato, ma ho comunque fatto del mio meglio.
Altra
puntualizzazione sta nella frase che conclude questo capitolo e che avevate già
trovato nei primi undici: è l’unica non di Ligabue e non vi ho mai dato troppe
spiegazioni proprio perché parla da sola. E’ tratta da ‘Lettera alla danza’ di
Rudolf Nureyev, leggermente modificata per adattarla alla storia: consiglio
personale è di andare a leggerla se ne avete voglia.
Come
dicevo, comunque, in questi undici mesi sono successe tantissime cose, ci sono
stati alti e bassi, con alti rari e bassi che toccavano i minimi storici, credo
di ricordarmi esattamente ogni capitolo quando è stato scritto e con che umore,
per non parlare di tutto quello che è cambiato (vi assicuro che la lista
sarebbe lunghissima) e, se guardo indietro, devo solo che ringraziare della
presenza di Leggero. Iniziamo quindi da qui la lista di ringraziamenti..
Grazie a Leggero, la
fanfiction che mi ha dato gioie, dolori, patimenti,
risate e tanto, troppo ancora, che mi ha accompagnato in lungo e in largo, che
mi ha dato una distrazione, un obiettivo, e la canzone che ha dato un nome a
tutto un periodo (il mio personale Leggero Time)..
Grazie a Ligabue, di
conseguenza, per aver condiviso la sua musica e il suo mondo, perché le sue
parole sono state d’ispirazione..
Grazie a Trenitalia,
ebbene sì, prima e ultima volta che accadrà di ringraziarla, perché Leggero è
nata tra i vagoni, ad ogni ora del giorno, dalla mattina presto, all’ultimo
treno della giornata, tra i mille ritardi e quant’altro che mi hanno dato il
tempo e lo svago di creare questo mondo..
Grazie ai restanti
mezzi di trasporto, da autobus ad aerei, fino alla mia macchinina, perché
Leggero ha viaggiato su tutti questi..
Grazie alle mie
cuffie che hanno trasmesso la musica, fondamentale carica e fonte di tutto..
Grazie a scrittori,
registi e quant’altro presso i quali mi sono informata per non scrivere
cavolate (nonostante alcuna sia scappata comunque)..
Grazie alla danza..
e su questo non ci sono parole..
E qui
arriviamo al clou..
Grazie alle
persone che mi stanno attorno, che inconsapevolmente sono protagoniste di
Leggero, perché loro hanno vissuto, hanno provato, hanno respirato, hanno
danzato e soprattutto hanno condiviso le loro esperienze dandomi il sentore di
un mondo che altrimenti non avrei saputo ricostruire e perché in Kei e in
Jermaine c’è un pezzo di loro..
Grazie ai
lettori che hanno commentato sin dall’inizio e che mi hanno aiutato ad arrivare
fino a qui e mi hanno ispirato tanto che, probabilmente, alcune delle parti più
belle di questa storia sono venute così grazie alle loro recensioni..
Grazie ai
lettori che sono stati in silenzio, perché ogni giovedì notte, per mesi, anche
quando ritardavo, erano lì davanti al loro pc/cellulare/robochesiconnetteainternet
a far lievitare il numero delle visite al capitolo nei primi dieci minuti di
pubblicazione..
Grazie a
tutti quelli che hanno iniziato a leggere, per poi abbandonare la storia, per i
più svariati motivi, perché è sempre un fattore di conoscenza in più..
Grazie a
quelli che si sono emozionati, hanno vissuto queste righe, si sono annoiati,
sono rimasti delusi, hanno pianto, hanno riso, mi hanno mandato a cagare..
Grazie a
tutti quelli che non hanno capito, che non capiscono, perché così ho potuto
realizzare quanto io invece sia fortunata a riuscirci..
Grazie a
Hiromi, perché è stata la prima lettrice che ho
conosciuto, colei che mi ha aperto le porte della persona oltre il nickname, della
quale ho aspettato per mesi in trepidante attesa il commento e con la quale mi
diverto sempre a chiacchierare..
Grazie a
Lily perché.. all’inizio non lo avrei mai detto, non avrei
mai scommesso neanche un centesimo su questo, eppure è diventata una presenza
importante che con il suo modo di fare mi ha conquistato..
Grazie a
SunsetBoulevardperché è stata la prima cavia che ha sperimentato Leggero e
che mi ha donato un po’ della fiducia che mi serviva per pubblicare e dare vita
a tutto questo, che si è sorbita tutti i miei scleri durante i viaggi in
macchina e non solo..
Grazie a
Aphroditeperché è stata sempre sincera, mi ha riempito il cuore con
alcune sue recensioni, mi ha fatto crollare come un castello di carta in altre,
che si è appassionata al lato più sommerso della vicenda dandomi tante
soddisfazioni..
Grazie a
Padmeche è La recensitrice di tutti,
ma proprio tutti, i capitoli di Leggero..
Grazie
a Avly, Nena Hyuga, Charlene, Halley Silver Comet, Dark Hiwatari, SouLenzi,
LadyKiryu, Lenn Chan, Nika_night, scarlettheart, Dark_Fairy92, LoveDolphin,Hilly89, luna di perla,
B r e e, HeartInRussia,
Iria, FaithYoite,
keri, per aver commentato più o anche solo una
volta..
Detto
questo vi chiedo solo un ultimo sforzo, ora che apparirà la parola ‘completa’
lasciate l’ultimo segno del vostro passaggio, ditemi quello che ne pensate, che
siano cose belle o brutte, pubblicamente o in privato, ma fatemi sapere.. ci
tengo!
Ora
finalmente posso piangere!
Un
bacione :)
♫ Leggero,
Nel vestito migliore
Senza andata né ritorno, senza destinazione
Leggero,
Nel vestito migliore
Sulla testa un po’ di sole ed in bocca una canzone ♫