L'altra faccia della Camera dei Segreti

di Akami92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piacere, Helen Adams ***
Capitolo 2: *** Smistati o divisi? ***
Capitolo 3: *** Tre lezioni e... Amelia ***
Capitolo 4: *** Strani e irrisolti misteri ***
Capitolo 5: *** Il Sabato dell'Orgoglio Giallonero ***
Capitolo 6: *** Speciale: Meet Helen! ***
Capitolo 7: *** Terrore a Halloween ***
Capitolo 8: *** Johnny, l'amico immaginario ***
Capitolo 9: *** L'Erede di Slytherin ***
Capitolo 10: *** Lealtà giallonera ***
Capitolo 11: *** Speciale: Meet Lance! ***
Capitolo 12: *** L'impresa di Amelia ***
Capitolo 13: *** San Valentino ***
Capitolo 14: *** Una giornata con Lance ***
Capitolo 15: *** Weekend con le Slytherin - Giorno I ***
Capitolo 16: *** Weekend con le Slytherin - Giorno II ***
Capitolo 17: *** Speciale: Meet Abigail! ***
Capitolo 18: *** Robe da uomini ***
Capitolo 19: *** Prodezze notturne e ragni grossi come pianoforti ***
Capitolo 20: *** «Tre, due, uno. Via.» ***
Capitolo 21: *** La fine dell'inizio ***



Capitolo 1
*** Piacere, Helen Adams ***


  1. Piacere, Helen Adams

 

Helen Adams era una ragazza piccolina e un poco robusta. Aveva lunghi capelli biondi mossi e due grandi occhi verdi.

In quel momento si trovava nella stazione di King’s Cross, al binario nove e tre quarti, pronta per lasciare Londra e partire alla volta della sua nuova scuola: Hogwarts.

Helen abbracciò il padre e baciò affettuosamente la madre, mentre il suo topo Moby si dibatteva nella tasca. Lo prese tra le mani e gli accarezzò la testolina pelosa, per farlo calmare: i rumori forti non gli piacevano.

«Helen, ritira quel coso…» la pregò la madre. La ragazza ridacchiò, rimettendo Moby nel taschino. Povero topo incompreso, sapeva essere anche tenero quando lo voleva.

«Mi scriverai, vero?» piagnucolò una bimba piccola e bionda, aggrappata alla sua gamba.

«Tutti i giorni, Diana. Lo prometto.» disse Helen, accarezzandola e scompigliandole i capelli affettuosamente.

«Fatti guardare.» mormorò il padre, commosso, facendo un passo indietro per ammirare la figlia maggiore. «Sei bellissima.»

La ragazza sorrise, girando su se stessa con una piroetta.

«La mia bambina è diventata grande!» esclamò la madre, gettandole le braccia al collo.

«Mamma! Non vado in guerra!» borbottò Helen, cercando di sottrarsi dall’abbraccio stritolante.

L’Espresso per Hogwarts sbuffò fumo bianco e maleodorante, invitando tutti i ritardatari a salire in carrozza al più presto. Helen non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver salutato ancora con la mano i genitori e la sorellina, saltò subito sul primo vagone che si trovava davanti. Il baule malconcio (era appartenuto a suo padre) che si portava dietro sballottò al primo movimento del treno, rischiando di aprirsi e rovesciare tutto il contenuto. Afferrò la maniglia in ottone e se lo trascinò dietro.

Trovò, curiosamente, uno scompartimento vuoto e vi si lanciò dentro. Sollevò il baule a fatica e lo appoggiò sulla rete di sicurezza del treno. Si sedette ed estrasse Moby dalla tasca, appoggiandoselo sulle gambe. Il calore di quell’animaletto le infondeva uno strano senso di calma e pace.

Aveva comprato Moby una settimana prima quando, passando davanti al Serraglio Stregato per le compere di inizio anno scolastico, aveva visto quel minuscolo topolino bianco e non era riuscita a resistere al suo dolce musetto o agli occhietti piccoli e acquosi. Quando era tornata a casa l’aveva mostrato alla madre e in tutta risposta lei era quasi svenuta. Suo padre diceva sempre che i Babbani non sopportavano la vista di alcuni animali che ai Maghi è permesso tenere: i topi, ad esempio, erano il terrore di molte donne babbane.

Trascorse più di un’ora prima che la porta dello scompartimento si aprisse per la seconda volta: entrarono una ragazza e un ragazzo che sembravano abbastanza spaesati e si accomodarono timidamente, sistemando i propri bauli.

«Anche voi del primo anno, vero?» domandò Helen, cercando di rompere la silenziosa situazione di imbarazzo che era venuta a crearsi. Aveva notato che come lei, a differenza degli altri studenti più grandi, i due che aveva davanti non portavano una cravatta colorata né uno stemma sulla propria divisa che indicava la Casa di appartenenza.

«Già.» le rispose il ragazzo. Aveva una vocina acuta e ancora da bambino che intenerì molto Helen.

«Piacere, sono Helen Adams.» sorrise, porgendo la mano prima al ragazzo e poi alla ragazza.

«Io sono Lancelot Wallace.» rispose, stringendole la mano. «Ma chiamami Lance, ti prego.» disse. Aveva un forte accento scozzese e gli occhi grigi come il cielo coperto.

«Lance.» asserì Helen, divertita. Aveva capito che il ragazzo non era particolarmente entusiasta del suo nome. Rivolse poi lo sguardo verso la ragazza.

«Abigail Williams.» le strinse la mano, a disagio. «E scusami se ti guardo come se avessi una cacca di Doxy sul viso, ma non sopporto gli spazi chiusi.» sorrise, mostrando una fila di denti bianchi.

«Oh, non preoccuparti! Anzi, se preferisci possiamo tenere aperta la porta.» ed indicò la porta scorrevole dello scompartimento.

«No, stai tranquilla, mi basterà guardare fuori dalla finestra.» rise.

«Ehm, cacca di Doxy?» domandò Lance, guardando Abigail, come se non avesse mai sentito un’espressione del genere in tutta la sua vita.

Abigail sbuffò, seccata. «Sì, Lance, cacca di Doxy. Il Doxy è un disgustoso animale che assomiglia a, uhm, una fata pelosa con tante braccia e gambe e una fila di denti velenosi.» delucidò, con il tono di chi stava insegnando qualcosa ad un bambino di cinque anni.

Helen rise. «Babbano?»

«È mio cugino.» chiarì la ragazza, facendo una smorfia annoiata. «Sua madre, ovvero mia zia e sorella di mio padre, odia la magia e si è sposata con un babbano.»

«O semplicemente era gelosa del fatto che tuo padre fosse un Mago e lei una Maganò… avreste dovuto vedere che faccia ha fatto quando ha scoperto che anche io ero un Mago!» esclamò pomposo, scompigliandosi i corti capelli neri.

Abigail rise. «Posso immaginare! In famiglia siamo rimasti tutti un po’ stupiti…»

Helen si unì alla ragazza, già più sollevata per il viaggio: temeva di doverlo trascorrere tutto da sola con…

«Moby!» gridò, non sentendo più peso premergli sulle gambe.

«Moby?» ripetè Abigail poco dopo, con sguardo interrogativo.

«Topo!» urlò Lancelot nello stesso istante, saltando in piedi sul sedile del treno e abbracciando Abigail, terrorizzato, mentre il piccolo topolino bianco squittiva poco sotto di lui.

«Fermo, Lance! È solo un topolino! È il mio Moby!» Helen si alzò in piedi, scattando per prendere l’animaletto. Affondò la testa sotto il sedile e afferrò con la mano il povero Moby, che si contorceva in preda al panico.

«Moby? Moby è il tuo topo? Tu hai un topo?» replicò disgustato, guardando con orrore l’esserino bianco nelle mani di Helen.

«È carino.» commentò Abigail, tendendo l’indice ad accarezzare il musetto spaventato del topino. «Ciao, piccolo Moby.» sorrise, parlando con un tono da bambina.

«Che schifo!» continuò Lance, non riuscendo a staccare gli occhi da Moby che sembrava essersi calmato appena.

«Sai, potrebbe dire la stessa cosa di te.» dichiarò Helen, mettendo il piccolo fagottino bianco nella tasca della giacca. Moby si rigirò nella tasca, trovando presto la posizione che più lo aggradava e accoccolandosi contro la stoffa morbida.

Abigail scoppiò a ridere, scuotendo la lunga chioma di capelli corvini. «Lascialo perdere: Lance è tutto-fobico.»

«Non è vero!» sbottò il ragazzo, incrociando le braccia al petto con espressione offesa. «Ho solo una leggera paura degli insetti!» ringhiò, accavallando una gamba sull’altra e voltando lo sguardo stizzito.

«Certo, tutti sanno che i topi sono delle api senza ali…» ironizzò la cugina, divertendosi come una bambina a prenderlo in giro.

Helen a stento trattenne le risa vedendo come Lance era arrossito al sentire quelle parole. Gli occhi grigi scintillarono.

«E comunque parli proprio tu, signorina non-sopporto-gli-spazi-chiusi!» puntò il dito irrisorio verso Abigail mentre sul suo viso si dipingeva un ghigno malefico.

«Va bene, va bene…» replicò la ragazza accondiscendente, salvo poi rivolgersi a Helen tutta un sorriso. «In realtà ha anche altre fobie stranissime, ma preferisce non darlo a vedere.»

«Smettila!» sbottò Lance, mentre le due ragazze riprendevano a ridere. 

In quell’istante qualcuno bussò alla porta del loro scompartimento. Helen si alzò e fece scorrere la porta, rivelando una ragazza minuta, dai folti capelli ricci e con la divisa di Gryffindor. Sembrava essere molto preoccupata.

«Mi dispiace disturbarvi» ansimava, probabilmente doveva aver corso da uno scompartimento all’altro. «Non è che avete visto Harry Potter e un ragazzo alto dai capelli rossi? Sono miei amici, ma non li ho visti al binario nove e tre quarti e sono piuttosto preoccupata…»

Abigail si portò una mano alla bocca, scioccata. «Tu sei amica di Harry Potter?» disse, strabiliata.

La ragazza annuì con vigore e arrossì. «Sì, mi chiamo Hermione Granger e sono del secondo anno.» si presentò frettolosamente. Sembrava avesse gran premura di trovare i suoi amici.

«Ma io so chi sei!» esclamò Abigail, alzandosi in piedi con tanta foga che fece trasalire Lance. «Mio fratello David mi ha raccontato di te! L’anno scorso frequentava l’ultimo anno a Ravenclaw. Mi ha detto che sei stata la migliore di quelli del primo anno agli esami finali!»

Hermione si imbarazzò ancora, ma dava l’idea di essere molto compiaciuta. Si congedò dopo pochi secondi affermando che doveva trovare i suoi amici e chiuse la porta dello scompartimento. Da quel momento non entrò più nessuno se non la signora del carrello dei dolci.

L’Espresso per Hogwarts filava veloce sulle rotaie e il tempo trascorreva inesorabile, ma i tre ragazzi quasi non se ne accorsero. Ridevano, scherzavano e, dopo che la signora del carrello dei dolci fu passata, giocavano a rubarsi le Cioccorane, finendo con lo scambiarsi le figurine e traumatizzare il povero Lance che non sapeva che le Gelatine Tuttigusti+1 potessero anche avere il gusto del cerume o delle caccole (e, purtroppo per lui, lo scoprì proprio quel giorno).

«In che Casa vorreste essere smistati?» domandò Helen, porgendo una scatole di Gelatine Tuttigusti+1 a Lance e ridendo alla vista della sua reazione.

«Io non lo so…» rispose Abigail per prima, leggendo il retro di una figurina delle Cioccorane. «La mia famiglia è andata principalmente a Ravenclaw, quindi immagino che sarò smistata lì. »

«Io spero in Gryffindor, anche se non ci andrò sicuramente. Lo zio dice che sarei un Ravenclaw perfetto, ma forse solo perché anche lui era un Ravenclaw…» spiegò Lance, sorridendo. Non sembrava affatto preoccupato dalla Casa in cui sarebbe finito. «E tu, Helen?»

La ragazza rise, fiera. «Io sarò una Hufflepuff, come mio padre e suo padre prima di lui.»

La risata di Lance si aggiunse alla sua e in seguito quella di Abigail. La ragazza, tuttavia, non rideva dalla gioia, ma dall’imbarazzo: i suoi genitori le avevano raccontato più volte di come fosse mediocre la Casa degli Hufflepuff.

Il discorso sulle Casa terminò con ilarità; ma Abigail dovette sforzarsi a non commentare nelle due ore che precedettero l’arrivo ad Hogwarts.

Quando il treno si arrestò era giunto ad una stazione lugubre e buia, illuminata a tratti da due o tre lampioni che si alternavano ad alcune panchine in legno

«Primo anno! Primo anno da questa parte!» tuonò un vocione potente, proveniente da un uomo altissimo e nerboruto. Un crocchio di ragazzi in divisa nera priva di stemmi si radunò davanti all’omone che in quel momento stava salutando la ragazzina dai capelli ricci e disordinati con la cravatta rossa e oro. Era Hermione.

«Come mai noi non andiamo con loro?» sussurrò Lance, tremante, indicando i ragazzi che si stavano dirigendo verso il castello. «Ehi, io voglio andare con loro. Non voglio restare con questo qui!» si aggrappò al braccio della cugina.

«E smettila! Mi metti in imbarazzo!» replicò Abigail, cercando di staccare Lance dal suo braccio e guardandosi intorno per controllare che nessuno la stesse osservando incuriosito.

Helen mosse un passo indietro per evitare una gomitata assassina di Abigail, che continuava la lotta contro il cugino, e sentì qualcuno gemere alle sue spalle.

«Ahi!» si lamentò una vocina. Helen si voltò per scusarsi.

«Nessun problema!» la tranquillizzò il ragazzino a cui aveva accidentalmente pestato un piede. Era magro e mingherlino, con i capelli biondo cenere e occhi giganti che saettavano da una parte all’altra. Al collo portava una grande macchina fotografica.

«Ciao! Mi chiamo Colin Creevey! Sai già in che Casa verrai smistata? Io non vedo l’ora di scoprirlo!» attaccò Colin, stordendo Helen con le sue chiacchiere. Intanto il crocchio aveva iniziato a muoversi verso il lago. Ormai tutti avevano capito che i misteriosi lamenti provenivano da Lance, che era pallidissimo e sempre più terrorizzato.

Helen sorrise. «Mi chiamo Helen Adams e spero di finire a Hufflepuff.»

Vide che il Gigante – Hagrid, se non andava errata – stava togliendo gli ormeggi ad alcune barche, facendovi salire gli studenti a quattro o cinque per volta.

Si unì ad Abigail, Lance e Colin salendo su una delle ultime scialuppe rimaste. Quando la barca fu libera dagli ormeggi prese a scivolare sullo specchio d’acqua nero, che rifletteva le stelle del cielo. Era una serata luminosa e piuttosto fresca: una gita sul lago non sembrava una cattiva idea.

Helen si sporse dalla barca, facendo attenzione a non cadere (non era esattamente una piuma) e osservò la splendida rocca davanti a sé. Colin cominciò a scattare una fotografia dopo l’altra.

La rocca era scura e quasi tetra a prima vista, ma ogni finestra era illuminata e dava a Hogwarts l’aspetto di un antico castello fiabesco andato in rovina, dove feste e balli erano stati all’ordine del giorno.

«Guardate! Guardate!» gridò Colin, sporgendosi dallo stesso lato di Helen e riprendendo a fare fotografie, provocando un forte scossone alla barca che fu salvata dal rovesciamento soltanto grazie al pronto intervento della ragazza, che riuscì a spostarsi dalla parte opposta riequilibrando il peso.

«Ma chi è quello?» le chiese Abigail, leggermente scossa, mentre assisteva Lance con l’inalatore per l’asma provocatogli dal terrore di cadere nella fredda e profonda acqua del lago.

«Colin. È simpatico, mi fa ridere!» ghignò Helen, osservando la reazione della ragazza alla parola «simpatico».

«Ehi, voi là in fondo! Non vi consiglio di far traballare la barca e fare foto con il flash: disturberete la Piovra Gigante!» urlò loro Hagrid, che si trovava a una decina di metri di distanza.

«P-Piovra Gigante?» balbettò Lance, riattaccandosi quasi subito all’inalatore per evitare di svenire. «Io non voglio avere a che fare con nessuna Piovra Gigante, okay?» disse con la voce che tremava dal panico.

«Lance, sei proprio una femminuccia…» sbuffò Abigail, scuotendo la testa in segno di negazione, arrendendosi all’evidenza di avere un cugino fifone come un coniglio.

«Beh, se posso dire la mia, il pensiero che una Piovra Gigante stia nuotando sotto di noi e noi non possiamo vederla mi fa un po’ paura…» rivelò Helen timidamente, rintanandosi in un angolino della barca con le ginocchia strette al petto.

«Anche tu, Helen? Ma che razza di fifoni siete?» rise Abigail, prima di strillare spaventata alla vista di un tentacolo grosso come un’automobile uscire dall’acqua.

Helen, Lance e Colin furono presi da un attacco di risate, vedendo la loro amica spavalda bianca come un lenzuolo.

«La pagherete.» disse, tentando di restare seria. La risata di Helen era grassa e aperta, fin troppo contagiosa.

Non ci volle molto prima che le barche raggiungessero la riva opposta. Una per volta si sistemarono e ormeggiarono da sole, senza bisogno dell’aiuto manuale.

Abigail rimase sbalordita. «Sono di sicuro Incantate. Bellissimo!» commentò con occhi che brillavano dalla meraviglia: il mago che le aveva Incantate doveva essere tremendamente abile. Voleva essere capace anche lei a praticare magie a livello così avanzato; doveva assolutamente imparare.

«Gail? Ti muovi?» la chiamò Lance pochi metri più avanti. Il gruppetto di studenti aveva ricominciato a muoversi, capeggiato da Hagrid. La ragazza pensò che un uomo della stazza del Guardiacaccia (così si era presentato) non poteva che essere un incrocio con un Gigante: si chiese se non fosse pericoloso. Suo padre le raccontava sempre che quando l’Oscuro Signore era stato grande e potente, anche i Giganti si erano inchinati di fronte a lui.

Entrarono attraverso un enorme portone di legno che, a giudicare dagli innumerevoli clangori metallici delle serrature che sentiva, doveva essere molto protetto. Deglutì, sperando di non sentirsi chiusa in trappola una volta entrata.

Il portone si aprì con uno scatto, scoprendo un uomo arcigno e minaccioso che stava guardando tutti gli studenti in cagnesco.

«Sei in ritardo, Hagrid. Quei mostriciattoli si stanno lamentando dalla fame! Sapessero cosa pativo io quand’avevo la loro età…» sbottò l’uomo, sputacchiando saliva qua e là.

Lance si nascose dietro Abigail, sperando che il vecchiaccio non avesse germi che potessero infettarlo.

«Lo so, Filch. Ogni giorno per te era una sofferenza. Abbiamo assistito ad un piccolo spettacolino offertoci dalla Piovra… se vuoi te la prendi con lei.» disse Hagrid, sorpassandolo velocemente, seguito da tutti gli studenti che avevano cominciato a guardare il signor Filch sottecchi.

Colin estrasse la macchina fotografica e scattò una foto a Filch, che in tutta risposta prese ad insultarlo con epiteti di dubbio gusto, allontanandosi dal crocchio con un gatto spelacchiato al seguito.

Si fermarono di fronte ad un altro portone, non colossale quanto il primo, e vennero raggiunti da una professoressa molto alta e algida, con un paio occhiali calati sul naso e un volto pieno di piccole rughe.

«Un caloroso benvenuto a tutti. Io sono la professoressa McGonagall, insegnante di Trasfigurazione e direttrice della Casa di Gryffindor.» una ragazza dai capelli rossi scambiò un’occhiata con una sua vicina e ridacchiò.

La professoressa McGonagall tossicchiò, richiamando la ragazza all’attenzione. «Alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts esistono quattro Case: Gryffindor, Hufflepuff, Ravenclaw e Slytherin. Voi tutti verrete Smistati in una di queste a breve. Tengo a precisarvi che ogni malefatta o trasgressione delle regole potrebbe costarvi punti cari alla vostra Casa per vincere l’ambita Coppa delle Case alla fine dell’anno scolastico; invece, ogni vostra buona azione o dimostrazione di studio verrà premiata con punti.

«Ora vi prego di seguirmi nella Sala Grande per la Cerimonia dello Smistamento. Spero che molti di voi possano riempire il tavolo della mia Casa.» completò, sorridendo.

 

 

 

 

Devo essere impazzita.

Bene, eccomi qui. La mia prima fan fiction nel fandom di Harry Potter. *incrocia le dita*

Come dice il titolo, questa storia ripercorrerà tutta “La Camera dei Segreti” dal punto di vista di questo gruppetto di ragazzi (Hufflepuff? Gryffindor? Chi lo sa!).

In questi ragazzi ho riversato tutto il mio cuore e la mia anima. Ciascuno di loro è una piccola parte di me e spero possiate apprezzarli tanto quanto io ho apprezzato scriverli.

La fan fiction si collega a quella di eleanor89 “Cedric’s friends and the Goblet of Fire” (compariranno molti suoi personaggi originali) ma non vuole copiarla, anzi, entrambe le fic sono state scritte di comune accordo.

 

Le recensioni sono gradite, soprattutto se trovate qualcosa che non quadra!

Ci si legge al prossimo capitolo!

 

Akami

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Capitolo 2
*** Smistati o divisi? ***


2.      Smistati o divisi?

 

 

Le porte si aprirono e i ragazzi furono catapultati in un’enorme sala illuminata da candele che galleggiavano sopra le loro teste mentre il soffitto rifletteva il cielo blu scuro e le stelle che avevano visto poco prima.

Era uno spettacolo stupefacente.

Helen e Colin, entusiasti, girarono su loro stessi per avere una completa visuale della splendida sala, Lance camminava titubante, guardando da una parte e dall’altra e incontrando occhi di ragazzi tutti più grandi di lui.

Abigail, invece, era esterrefatta: non vedeva assolutamente l’ora di imparare a fare magie tali da rendere una semplice sala da pranzo un luogo così meraviglioso.

Si fermarono in fila indiana e videro che un uomo anziano dalla lunga barba argentea si era alzato in piedi. Subito il chiacchiericcio di fondo si zittì.

«Abbia inizio lo Smistamento.» esordì.

«Io so chi è! So chi è!» esclamò Colin, scalpitando. «È Albus Dumbledore!» disse, strabiliato, scattando una foto al Preside, che sorrise benevolo.

Solo allora notarono che un grosso cappello rattrappito era appoggiato su uno sgabello. Il cappello si mosse e dalle pieghe poté distinguersi una bocca da cui uscì un’allegra canzone, molto simile alle filastrocche che, ricordò Lance, sua madre gli cantava quando aveva paura dei mostri sotto il letto:

 

Uno sprovveduto direbbe sicuro:

«Ma che brutto cappello scuro!»

Ma io vi consiglio di guardare

come chi ha testa per pensare:

magari non è un cappello come tutti,

ma un cappello speciale tra i brutti.

Per poter dividere della loro Scuola gli studenti

quand’anche loro sarebbero stati morenti,

quattro persone mi crearono:

due Maghi e due Streghe se ne occuparono.

I quattro furon davvero potenti:

Hufflepuff, che a tutti apriva i battenti

Ravenclaw, che d’intelligenza tutti superava

Gryffindor, che sempre coraggio trovava

E il fier Slytherin, culla degli acuti ambiziosi.

Ma ora, bando ai discorsi leziosi.

In assenza dei fondatori sarò io a dividervi

prima che gustiate i deliziosi viveri.

Ogni virtù a voi troverò

Ed io, il Cappello Parlante,

nella giusta Casa vi smisterò.

 

Helen rise, divertita dalla canzone. Suo padre le aveva raccontato delle simpatiche filastrocche del Cappello Parlante, con le quali presentava se stesso e le quattro Case.

«Paura di essere smistata in qualche brutta Casa?» domandò Colin, che ora fremeva dal terrore. «Io spero di andare in Gryffindor! Sai, c’è Harry Potter a Gryffindor! Harry Potter!» esclamò Colin, con la solita euforia.

«Harry Potter? Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto, colui che ha sconfitto l’Oscuro Signore è a Gryffindor?» domandò Abigail, interessata al discorso.

«Proprio lui!» asserì Colin.

«C’era da aspettarselo. Mio fratello non me l’aveva detto.»

La professoressa McGonagall chiamò «Abercrombie Astalda.», la prima dell’elenco. Tutti fissarono attentamente il Cappello Parlante. La professoressa appoggiò il cappello sulla testa di Astalda, questo si mosse appena; non ci volle molto prima che urlasse «RAVENCLAW!»

Astalda saltò giù dallo sgabello e corse verso il tavolo di Ravenclaw, dove un gruppo di studenti con cravatte nere e blu la stava aspettando.

«Aiuto! E se non mi ritenesse degno di alcuna Casa?» balbettò Lance, nel panico.

Abigail sbuffò. «Lance, ti prego, non farmi arrabbiare.» mormorò, portandosi una mano alla fronte.

«Adams Helen.» risuonò la voce della McGonagall. Helen prese un profondo respiro e salì i pochi gradini che la separavano dal Cappello. Si sedette sullo sgabello e attese.

«Uhm…» la voce del Cappello Parlante le riecheggiò nella mente. «Un buon cervello, da cui si potrebbe ricavare una strega sopraffina, ma anche una gran voglia di mettersi a disposizione degli altri, tanta generosità e… accidenti!, un cuore buono e giusto. Sì, ho deciso…» ci fu una pausa che a Helen parse durare secoli. «HUFFLEPUFF

La ragazza si alzò, sorridente, e scese i gradini, dirigendosi verso il tavolo giallo e nero, che era esploso in un boato. Si accomodò di fianco ad una ragazza in carne con i capelli morbidi raccolti in due treccine. Abigail ridacchiò.

«Mi chiamo Hannah Abbott.» si presentò, e Helen le strinse a mano e ripeté il suo nome per cortesia.

Helen rimase a guardare il resto dello Smistamento, per scoprire quali sarebbero stati i suoi nuovi compagni. Hufflepuff non sembrava essere la migliore delle Case: quando qualcuno veniva Smistato a Hufflepuff vedeva molti Slytherin ridacchiare, e nemmeno i Gryffindor si trattenevano molto.

Che razza di maleducati.

«Creevey Colin.» chiamò la professoressa.

Il piccolo Colin si fece avanti e Helen sperò con tutta se stessa che finisse a Gryffindor, insieme a Harry Potter.

Improvvisamente si sentì un rombo provenire da fuori il castello. Studenti e professori lanciarono sguardi incuriositi alla finestra e ciò che videro li lasciò a bocca aperta: un’automobile babbana azzurra stava sfrecciando in cielo, a pochi metri dalla gigantesca finestra della Sala Grande.

Alcuni studenti urlarono, cosa che, notò, fece anche il povero Lance, nascondendosi dietro Abigail, esterrefatta quanto gli altri.

Colin si alzò dallo sgabello e scattò l’ennesima fotografia, mentre l’automobile volante si allontanava con un rombo, schiantandosi dritta contro un albero gigantesco e cadendo per terra.

«No! Ron!» urlò un ragazzo lentigginoso e dai capelli rossi al tavolo di Gryffindor. Aveva una grossa “P” dorata sulla divisa.

«No! Il Platano Picchiatore!» urlò un altro ragazzo di quello stesso tavolo, scuotendo il gemello identico.

Helen lanciò un’occhiata al tavolo dei professori e vide che un uomo dal naso adunco e un’espressione disgustata si era accostato al Preside, sussurrandogli qualcosa nelle orecchie.

«Chi è quello?» domandò a Hannah, indicando quel professore.

«Snape.» rispose semplicemente la ragazza. «Odioso, unticcio, orribile insegnante di Pozioni. Ammetto che ne sappia una in più del diavolo, ma è davvero… orribile

Dumbledore si alzò in piedi, richiamando l’attenzione tintinnando un coltello contro il bicchiere. La Sala si zittì in un attimo, tutti gli occhi rivolti verso il Preside.

«Non temete, il professor Snape si occuperà del problema.» tranquillizzò gli studenti con dolcezza. «Ora direi di continuare con lo Smistamento.»

Così fu, ma il leggero brusio di poco prima si era trasformato in un chiacchiericcio sommesso: tutti volevano sapere chi fosse a bordo di quell’automobile.

Un ragazzo dal fondo del tavolo si alzò, incamminandosi verso di loro nello stesso istante in cui il Cappello smistò Colin a Gryffindor. Vide Hannah gesticolare esagitata verso la ragazza che aveva davanti.

«È Cedric! È lui! Sta venendo verso di noi!»

Il ragazzo di nome Cedric si avvicinò. «Ho ricevuto una soffiata dai Ravenclaw: dicono che Potter e il suo amico coi capelli rossi non siano a tavola! E non erano neanche sull’Espresso per Hogwarts!» esclamò, eccitato. Era molto bello ed emanava un buon profumo di pulito, lo stesso che Helen sentiva provenire dalla lavanderia quando la sua mamma lavava i vestiti alla maniera babbana.

«Potter? Stiamo sempre parlando di Harry Potter?» s’intromise Helen, per non essere ignorata.

«Sì, proprio lui.» le sorrise Cedric. «Ah, comunque, benvenuta tra le file degli Hufflepuff! Sono Cedric Diggory.» le strinse la mano, allegro.

«Helen Adams.» si presentò per l’ennesima volta. «Quindi probabilmente è Harry Potter a guidare quella macchina? Wow…» disse, sinceramente stupita.

Si guardò in giro, per rendersi conto di quanto la notizia avesse fatto scalpore, e vide una ragazza eccentrica, dai capelli biondi chiarissimi e un cerchietto con una foglia di lattuga in testa guardare ancora in alto, trasognata, nonostante lo spettacolo fosse finito.

Un ragazzo appena smistato si sedette al tavolo degli Hufflepuff e sembrava fosse molto più spontaneo ed estroverso, quindi attaccò subito bottone con Hannah e le altre ragazze. Helen distolse l’attenzione e tornò ad osservare lo Smistamento.

Non mancavano molti alunni. In fila indiana erano rimasti soltanto Abigail, Lance, tre ragazzi che non conosceva e la ragazza dai capelli rossi che aveva ridacchiato davanti alla McGonagall.

Quando anche Jack Sloper (Gryffindor), Robert Trace (Ravenclaw) e David Upperton (Slytherin) si furono seduti ai tavoli, la McGonagall chiamò Lance.

«Wallace Lancelot.»

Lance incespicò salendo gli scalini. Helen poteva giurare fosse nel panico più completo.

Gli fu posto il Cappello sulla testa e il ragazzo sentì la voce risuonargli in testa.

«Non hai un cuor di leone, eh?, ma grande lealtà nei confronti dei tuoi amici. Però, con questo cervello, Ravenclaw sarebbe la scelta migliore…»

«No…» sussurrò Lance: non conosceva nessuno a Ravenclaw, gli sarebbe piaciuto andare a Hufflepuff, dove c’era già Helen. «Ah, dunque niente Ravenclaw? Capisco. Beh, sei determinato, sai quello che vuoi e scommetto che questa Casa tirerà fuori il meglio di te.» Lance trattenne il respiro.

«HUFFLEPUFF!» gridò il Cappello.

Helen batté forte le mani insieme a tutto il tavolo e Lance corse verso di loro, facendosi spazio per sedersi accanto alla ragazza.

«Evviva! Siamo nella stessa Casa!» esclamò, euforico, dimenticandosi completamente dei timori che l’avevano afflitto poco prima. «Ora manca solo Gail.»

«E quella rossa.» aggiunse Helen, indicando col mento la ragazza che era appena stata chiamata.

«Weasley Ginevra.»

«Un altro Weasley?» sentì esclamare dal tavolo di Ravenclaw. La ragazza Weasley si strinse ancora di più nelle spalle gracili.

Non fece nemmeno in tempo a indossare il Cappello che questi gridò: «GRYFFINDOR!». Ginevra si alzò felice e andò a sedersi vicino ai due gemelli Gryffindor, che sembravano conoscerla molto bene.

«Williams Abigail.» lesse la McGonagall dalla pergamena che aveva in mano.

Abigail salì in modo elegante, a testa alta. Si sedette sullo sgabello, si mise il Cappello e, come era successo ai precedenti smistati, anche lei lo sentì parlare nella sua testa.

«Tu sembri più difficile… Onesta, una buona dose di coraggio, astuzia e ambizione da vendere. Non credo di osare troppo se ti affido a questa Casa, ma tu promettimi che starai attenta. Non voglio che l’ombra che possiedi già si espanda.»

«Lo prometto.» mormorò Abigail, senza sapere bene che cosa pensare.

«SLYTHERIN!» urlò il Cappello. Il tavolo di Slytherin esplose in urla e applausi, mentre Abigail trotterellava verso di loro, lanciando però un’occhiata sconsolata a Lance e Helen. Le dispiaceva che non fossero nella stessa Casa, ma almeno non era stata smistata a Hufflepuff.

Lance salutò la cugina, che rispose con un largo sorriso, prima di essere sgomitata dalla sua vicina, che le chiedeva attenzione.

«Bene, grazie mille a tutti voi.» si alzò il professor Dumbledore. «Rimandiamo i noiosi discorsi a dopo cena: buon appetito!»

Sulle tavole imbandite apparvero pietanze di ogni sorta. Lance, spaventatosi dalla comparsa improvvisa di un tacchino arrosto proprio davanti a lui, si aggrappò al braccio di Helen.

«Accidenti, Slytherin… brutta Casa.» commentò Cedric, che era rimasto con loro a parlare. «È una vostra amica?» chiese poi ai due ragazzi.

«È mia cugina e sì, nostra amica.» rispose Lance, incuriosito da come Cedric aveva definito Slytherin.

«Beh, spero riusciate a mantenerla, questa amicizia. Solitamente gli Slytherin non tengono molto da conto gli Hufflepuff…»

«Ma che cos’hanno gli Hufflepuff di sbagliato?» continuò il ragazzo, alzando appena la voce. Aveva notato come gli altri tavoli, Slytherin soprattutto, ridevano quando uno smistato finiva a Hufflepuff.

«Di sbagliato? Niente, proprio niente. Seguiamo le regole, aiutiamo le persone, siamo leali e non ci distinguiamo per essere particolarmente bravi in qualcosa…» spiegò Cedric. «Forse è per questo che siamo così poco interessanti: dopotutto siamo solo persone comuni.» concluse. Si alzò dal posto e li salutò, ritornando al fondo del tavolo con i suoi amici.

Lance sbuffò, servendosi una generosa fetta di arrosto e patate.

Helen sorrise vedendolo impiastricciarsi la divisa di sugo, poi sentì il rigonfiamento nella tasca della divisa: Moby doveva aver annusato qualcosa di suo gradimento e la ragazza era sicura che fosse quell’ottima forma di Cheshire vicino all’arrosto. Ne tagliò un pezzettino e lo mise nella stessa tasca di Moby. Sentì che il topolino doveva aver apprezzato, quindi ne prese un pezzo ancora più grosso e lo nascose, così avrebbe avuto anche il dessert.

Guardò di sfuggita Abigail, che stava animatamente chiacchierando con alcuni Slytherin del secondo anno e ridendo come se fossero amici di vecchia data. La vide girarsi e le sorrise, ricambiata.

Helen e Lance divorarono tutto con gusto e il ragazzo si azzardò persino ad assaggiare il succo di zucca, che a prima vista gli sembrava qualcosa di disgustoso.

Quando tutti i piatti furono ripuliti, Dumbledore richiamò nuovamente la loro attenzione.

«Miei cari studenti.» esordì, sorridendo. «A tutte le vecchie conoscenze, bentornati; ai nuovi arrivati, benvenuti. Ora che ci siamo saziati è bene che io vi esponga le principali regole di Hogwarts.»

Dumbledore parlò per un quarto d’ora abbondante, spiegando regole e dettagli di Hogwarts. Lance, blocchetto in mano, aveva cominciato a prendere appunti furiosamente, mentre molti Hufflepuff del primo anno lo guardavano divertiti.

«Quest’anno avremo anche l’onore di ospitare nel nostro corpo insegnanti una figura di grande rilievo nel Mondo Magico.» disse Dumbledore, indicando con un elegante gesto della mano l’uomo che si era alzato in quell’istante. «Il famoso Gilderoy Lockhart, Ordine di Merlino, terza classe, che insegnerà Difesa Contro le Arti Oscure!»

Molte ragazze esplosero in applausi fragorosi e urletti di emozione. Helen guardò Lockhart con occhi sognanti.

L’uomo si alzò in piedi. Un largo sorriso si aprì sul suo viso e i denti brillarono (doveva aver fatto un Incanto Sbiancante).

«Grazie, professor Dumbledore. Ha dimenticato che sono anche grande vincitore del premio del Sorriso più Seducente del Settimanale delle Streghe » disse, tutto ampolloso e sfavillante. «Ragazzi, sono davvero felice di essere qui. Ad essere sincero avevo ricevuto un gufo anche dall’Accademia Beauxbatons, che mi voleva come insegnante a tutti i costi, ma io ho rifiutato.» molte ragazze trattennero il respiro. «Sapevo che il professor Dumbledore desiderava avermi nel suo corpo insegnanti più di chiunque altro. Forse perché ha letto A spasso con gli spiriti, o anche Trekking con i troll e, notando tanta perfezione in una persona sola, mi ha implorato di accettare il posto di Difesa Contro le Arti Oscure.» il suo sorriso si allargò ancora di più, se possibile. Molti insegnanti storsero il naso.

«Ma quanto è vanitoso?» ridacchiò un Hufflepuff dagli occhi azzurrissimi seduto di fronte a Lance. «Non lo sopporto.»

«Beh, ma anche io lo sarei se avessi fatto tutte quelle cose incredibili che ha fatto lui!» lo difese Helen.

«Che dice di aver fatto.» la corresse il ragazzo. «Ma dai, davvero pensi che sia riuscito a far diventare un vampiro vegetariano? O che abbia sconfitto un lupo mannaro come se niente fosse?»

Ed effettivamente, a questo Helen non poteva replicare: di sicuro il volto da bambino e il corpo minuto non aiutavano l’idea che fosse un mago da temere.

«Cos’ha fatto?» esclamò Lance, a voce più alta del normale, attirando l’attenzione su di sé.

«Un sacco di cose!» rispose eccitata Helen. «Dovresti leggere i suoi libri.»

Al termine del discorso il Preside li congedò, augurando loro la buonanotte. Subito due ragazzi Hufflepuff con una grossa “P” stampata su una spilla si alzarono, chiamando a sé gli altri studenti.

«Primo anno! Primo anno, seguitemi!» gridavano. Lance e Helen si accodarono insieme ai loro coetanei e presero a camminare. Mentre tutti gli altri studenti si dirigevano verso le scale (Slytherin quelle per i sotterranei, Gryffindor e Ravenclaw la scalinata principale), gli Hufflepuff svoltarono a sinistra, infilandosi tutti in un corridoio largo ed elegante. Sorpassarono molti quadri che li salutavano gioviali e incontrarono un fantasma panciuto che disse di chiamarsi Frate Grasso.

«Lui è il nostro fantasma.» spiegò Hannah a Helen, mentre Lance aveva un attacco di tachicardia e si attaccava al braccio dell’amica, bianco come un cencio. «Ogni Casa ne possiede uno: noi abbiamo Frate Grasso, Ravenclaw la Dama Grigia, Slytherin il Barone Sanguinario e Gryffindor Nick-Quasi-Senza-Testa.»

«Quasi-Senza-Testa?» domandò Lance, tremando.

«Oh, fattelo spiegare da lui, è orribile!» rabbrividì Hannah, avanzando più in fretta per raggiungere una sua coetanea che aveva il viso deturpato dall’acne.

Lance guardò Helen con occhi lucidi dalla paura. «Dimmi che è un brutto sogno…» la pregò, e Helen scoppiò in una grassa risata, che si trasformò in un urlo di terrore dopo che fu trapassata da Frate Grasso.

«Oh, chiedo scusa, giovincella.» ridacchiò il fantasma, sparendo dietro un muro.

La calca degli Hufflepuff si fermò di fronte ad un arazzo con dipinto un uomo sorridente e un po’ brillo, che accarezzava un gigantesco alano.

«Parola d’ordine?» domandò l’uomo, squadrando il Prefetto da capo a piedi.

«Due teste sono meglio di una.»

«Oh.» disse Helen, divertita. «Forte.» mormorò, guardando l’arazzo arrotolarsi su se stesso per magia e scoprire una porticina nascosta. Il Prefetto davanti a tutti aprì la porta e la calca degli Hufflepuff si riversò nella Sala Comune.

Quando Helen sbucò nella stanza rimase a bocca aperta. Grandi poltrone morbide e comode dei colori della loro Casa erano poste attorno ad un invitante fuoco che scoppiettava nel camino. Sul lato sinistro c’erano due lunghi tavoli di stagno e delle sedie con cuscini. Le pareti erano coperte da drappi gialli e tende giallonere. Esattamente di fronte a loro c’era un muro con molti corridoi dalla forma a botte che creavano quasi un labirinto.

«Che bello…» biascicò Lance, stupefatto. «Beh, le comodità non ci mancheranno di certo!» ridacchiò, abbandonandosi su una delle gonfie poltrone.

«No di certo, signor Wallace.» dichiarò una voce a loro sconosciuta. Helen e Lance si voltarono per vedere chi aveva parlato: era una donna bassa, tozza e con i vestiti sporchi di terra. Lance rabbrividì.

«Io sono la professoressa Pomona Sprout.» si presentò, regalando un sincero sorriso a tutti gli studenti. «E sono la docente di Erbologia.» alcuni applaudirono, lanciando gridolini di incitamento.

La professoressa Sprout rise di gusto, chiedendo ai ragazzi di smettere, lusingata.

«Sono la direttrice della Casa degli Hufflepuff.» continuò. Altre grida e complimenti. «E gradirei che ora tutti voi faceste silenzio. Tutti, signor Finch-Fletchley.» chiamò un ragazzino dai capelli ricci che stava scherzando con un altro ragazzo e Hannah.

«Grazie. Bene, un caloroso benvenuto a voi Hufflepuff. Voi siete stati scelti tra tutti per rappresentare non la Casa più nobile, né quella più astuta, né tantomeno la più intelligente. Voi rappresentate la casa dei giusti. Rappresentate le migliaia e migliaia di persone normali che esistono nel mondo. Non vergognatevi della vostra Casa, mai.» la Casa esplose in applausi e cori.

Helen era sbalordita. Incontrò gli occhi grigi di Lance e vide che brillavano.

«Ora do la parola ai Caposcuola che vi esporranno le regole della Casa.» e chiamò un ragazzo del settimo anno.

«Salve a tutti, mi chiamo John Faithman e sono il Caposcuola degli Hufflepuff. Le regole principali sono poche ma giuste: l’orario di sveglia è alle sette; siete liberi di scendere a colazione quando preferite; in caso di malattia dovete avvisare un Prefetto o un Caposcuola. La regola più importante di tutte è…» si fermò attendendo che la professoressa completasse per lui.

«… mai, e dico mai, mancare ad una lezione di Erbologia!» esclamò. Ci fu uno scoppio di risate generale.

«Non male, eh?» sussurrò Lance a Helen. «Siamo piuttosto liberi!» ridacchiò.

La professoressa si congedò e invitò tutti ad andare a dormire; il giorno seguente avrebbe distribuito l’orario a ciascuno di loro.

 

 

 

 

Le cose si mettono male per i nostri Hufflepuff? Mah, chissà...

Ringrazio tutti per le meravigliose recensioni! Mi si riempie il cuore di orgoglio! Non manca molto all’entrata in scena degli altri personaggi:

 

«Davvero? Che strano! Pensavo che le ragazze di famiglia babbana detestassero i piccoli roditori…» osservò Helen, notando un poster immobile appeso sul muro.

«Oh, ma io non sono babbana.» sorrise quella.

«Scusami, pensavo… il poster…» biascicò la povera Helen, tentando di rimediare alla figuraccia.

«Non ti preoccupare. Comunque mi chiamo Amelia.» si presentò, porgendo la mano con uno scatto fulmineo e quasi nervoso. Era una ragazza molto, molto strana.

 

Con questo vi auguro buona natale e un felicissimo anno nuovo! Mi dispiaceva andare via senza avervi fatto gli auguri! Purtroppo sarò in vacanza, ma appena torno prometto che aggiorno!
Ah, se ve lo state chiedendo, sì, la canzone del Cappello l'ho inventata io! XD E' per questo che è ridicola! XD

 

Akami

 

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Capitolo 3
*** Tre lezioni e... Amelia ***


3. Tre lezioni e... Amelia

 

Helen dormì molto bene: i cuscini erano paffuti e le coperte calde. Le sembrava quasi di essere in vacanza.

Fu svegliata da uno spiraglio di luce che la colpì dritta negli occhi. Guardò l’orologio da polso e vide che erano le sei e trenta, ma nel suo dormitorio c’era già movimento. Una ragazza che dormiva accanto a lei, Carey se non ricordava male, aveva aperto il libro di Trasfigurazione e lo stava leggendo avidamente; un’altra, Caitlin, stava appendendo il poster dei Kenmare Kestrels, una famosa squadra di Quidditch irlandese; un’altra, Alana, stava sistemando gli abiti da una parte e infine c’era una ragazzina minuta e pallida, dai capelli castano chiaro anonimi e un po’ stopposi raccolti in una crocchia che coccolava un topolino bianco. Non sapeva come si chiamasse, perché la sera prima, quando era entrata nel dormitorio, l’aveva trovata già addormentata.

«Ti sta simpatico Moby?» le chiese, alzandosi dal letto.

«Sì, è davvero dolcissimo…» rispose la ragazza. Aveva una voce stridula e alta e, quando parlò, le ragazze del dormitorio si voltarono tutte a guardarla, infastidite.

«Davvero? Che strano! Pensavo che le ragazze di famiglia babbana detestassero i piccoli roditori…» osservò Helen, notando un poster immobile appeso sul muro.

«Oh, ma io non sono babbana.» sorrise quella.

«Scusami, pensavo… il poster…» biascicò la povera Helen, tentando di rimediare alla figuraccia.

«Non ti preoccupare. Comunque mi chiamo Amelia.» si presentò, porgendo la mano con uno scatto fulmineo e quasi nervoso. Era una ragazza molto, molto strana.

Una volta che Helen si fu preparata, si diresse con Amelia nella Sala Grande. Erano appena le sette e trenta del mattino, ma la Sala era già gremita di studenti: ovunque si vedevano mulinare divise nere e cravatte di colori differenti.

Si sedette al tavolo degli Hufflepuff, dove la professoressa Sprout aveva appena distribuito gli orari, e con lo sguardo cercò Lance. Non l’aveva visto dalla sera prima e sperava non avesse avuto divergenze con i compagni di dormitorio.

Lo scorse non troppo lontano da lei, circondato da tre ragazzi che sembravano essere tutti suoi coetanei: era evidente che un ragazzo buono come lui non avesse bisogno di molto tempo per farsi degli amici. Un ragazzino dai capelli neri spettinati, molto più alto degli altri, lo aveva preso sotto braccio e gli stava strofinando la testa ridendo.

Con i vispi occhi verdi, cercò anche Abigail. Ciò che le aveva riferito Diggory non le era piaciuto proprio per niente: temeva che Abigail, trovando nuovi amici e amiche della sua Casa, potesse dimenticarsi di lei.

«Ehilà!» la salutò una voce a lei familiare. Si voltò e diede il buongiorno a Cedric, un po’ imbarazzata. Era emozionata che un ragazzo più grande le rivolgesse la parola, soprattutto se bello come Cedric.

«Allora, com’è andata la prima nottata con gli Hufflepuff?» le chiese. Sembrava che fosse sinceramente interessato a sapere se si era trovata bene.

«Molto bene, grazie, il letto era comodissimo!» esclamò. «Non è vero, Amelia?» sgomitò la compagna con ben poca circospezione.

«Sì, sì…» rispose quella, ignorando quasi la presenza di Diggory e fissando gli occhi neri sul tavolo dei Slytherin, sospirando.

Cedric ridacchiò divertito. «Di poche parole la tua amica, eh?» fu spintonato scherzosamente da un altro ragazzo che sembrava avere la sua età e si congedò con il suo sorriso aperto e innocente.

«Mi spieghi perché sei stata così scortese?» domandò Helen, piuttosto innervosita dal comportamento dell’amica, mentre si serviva una generosa porzione di porridge colloso.

Amelia non rispose: sospirò e le fece cenno con la testa di guardare verso il tavolo dei Slytherin. Un ragazzino minuto e scheletrico dai corti capelli biondi stava conversando con la sua vicina; non rideva, anzi, manteneva un contegno elegante e un’espressione severa.

«E quello chi è?» chiese Helen, sporgendosi in avanti e strizzando gli occhi per vedere meglio il ragazzo.

«Non lo so, ma è bellissimo…» rispose Amelia, incantata.

«A me sembra denutrito.» osservò l’amica, riprendendo a mangiare il porridge. «E ha la faccia da topo.» aggiunse, sputacchiando porridge da una parte all’altra.

Amelia scoppiò a ridere, una risata acuta e aspra come un limone, che perforò le orecchie a Helen.

«Sei molto divertente!»

«Beh, grazie.»

 In quel momento, Abigail entrò nella Sala Grande. Era circondata da un gruppetto di ragazze Slytherin e stava confabulando con loro.

«Chissà perché porta lo stemma della sua casata…» disse Lance, sedendosi accanto ad Amelia e osservandola mentre ingollava una porzione di porridge esagerata, disgustato.

Helen aguzzò la vista e notò che la ragazza, come la maggior parte dei Slytherin, portava una piccola spilla d’argento quadrata sulla divisa.

«È la spilla dei Purosangue.» spiegò Amelia, senza nemmeno voltarsi a guardare. «Va molto di moda tra i Maghi Purosangue portare la spilla con lo stemma della propria casata, per dimostrare di discendere da una famiglia importante.»

«E far sentire noi figli di Babbani uno schifo.» aggiunse il ragazzo che la sera prima era stato richiamato dalla professoressa Sprout. «Scusate, non mi sono presentato: Justin Finch-Fletchley, secondo anno, Hufflepuff.» porse loro la mano.

«Ma è strano che la porti, non le è mai importato molto di discendere da una famiglia di Purosangue. Inoltre, mio padre è un babbano e mia madre una Maganò: ha ben poco da vantarsi.» osservò Lance, perplesso.

«Ma la linea diretta della sua famiglia è Purosangue, è questo che conta.» spiegò Justin mentre spalmava il burro su una fetta di pane tostato.

Helen si riscosse: quello che aveva detto Cedric si stava rivelando vero.

Si alzò in piedi e camminò verso il tavolo dei Slytherin, mentre Justin, Amelia e Lance la guardavano incuriositi.

Quando si trovò di fronte ad Abigail, fu squadrata da capo a piedi da una ragazza molto bella che sedeva accanto a lei, mentre un’altra ridacchiava, sgomitando il ragazzo dai capelli chiari e la faccia da topo che si trovava non molto lontano da lì.

«Gail, posso parlarti?» le domandò, con un sorriso benevolo.

«Va bene.» acconsentì Abigail. Si allontanarono dal tavolo andando a rifugiarsi in un angolo.

La Slytherin si appoggiò al muro con aria annoiata.

«Dimmi pure.»

Helen prese un lungo respiro. «Volevo chiederti: perché non ci hai salutati stamattina, nonostante ci abbia visti, e perché porti lo stemma della tua casata?» disse nervosamente, tutto in un fiato.

Abigail la guardò perplessa per qualche secondo, poi scoppiò in una risata glaciale.

«È per questo che sei preoccupata?»

«Proprio così.»

«Ma che divertente!» ridacchiò ancora. «È una cosa stupida: vedi, ieri notte ho conosciuto un ragazzo che mi ha fatto capire che discendere da una famiglia di Purosangue significa essere speciali, perché esistono ancora pochi maghi come noi.» spiegò giocherellando con la spilla.

«Ah, tutto qui?» borbottò Helen non del tutto convinta.

«Certo! Stai tranquilla, non sono una fanatica… altrimenti dovrei odiare Lance.» e dicendo questo sorrise al cugino, salutandolo con un cenno della mano. Lance ricambiò.

«Bene. Meglio così.» si rallegrò Helen.

«Già. Che materie hai oggi?»

«Uhm…» estrasse l’orario dalla tasca della divisa e lo consultò attentamente. «Inizio con Incantesimi, insieme ai Ravenclaw. Tu?»

«Storia della Magia con i Gryffindor.» l’espressione di Abigail mutò subito da allegra ad annoiata. «Quei montati… solo perché hanno Potter credono di essere i padroni di Hogwarts! Per fortuna ci siamo noi Slytherin a riportarli alla realtà.»

«A me piacciono i Gryffindor, molto più di alcuni Slytherin.» replicò Helen, indicando con lo sguardo una Slytherin con il viso molto schiacciato, accanto al ragazzo pallido che piaceva ad Amelia. «Ad esempio, quella lì non ha fatto altro che guardarmi e ridere mentre ti parlavo.»

Abigail si voltò per osservare e vide che quella ragazza stava confabulando con alcune amiche e ridacchiavano sommessamente.

«Ah, quella è Pansy Parkinson.» disse. «È insopportabile e sta sempre attaccata a Draco.»

«Draco?»

«Draco Malfoy. È un Slytherin del secondo anno: è lui che ieri sera ha parlato dell’importanza della purezza di sangue. Lui sì che è un fanatico! Dovevi sentire come insultava Hermione Granger, l’amica di Potter: “Stupida Sanguesporco”, “Vergogna di Hogwarts”, “Cocca dei professori”… se la Granger l’avesse sentito credo che sarebbe rimasta sconvolta.»

Helen era trasalita al sentire la parola “Sanguesporco”. Un tale insulto era vergognoso anche per il più nobile dei maghi. Avrebbe voluto andare da Malfoy e insegnargli le buone maniere, ma improvvisamente piombarono nella Sala Grande centinaia di gufi, volteggiando sopra i tavoli e lasciando cadere pacchetti agli studenti, che spensero la sua follia omicida.

Un elegante assiolo color cioccolato posò con delicatezza un pacchetto al posto di Abigail e lanciò un’occhiata alla ragazza.

«Devo andare, papà mi avrà mandato qualcosa da casa!» e scappò.

Quando Helen tornò al tavolo degli Hufflepuff, vide che anche Lance aveva ricevuto qualcosa: un enorme gufo grigio gli stava porgendo una lettera. Era sul punto di chiedere a Lance se gli scrivevano da casa quando una voce a lei sconosciuta rimbombò per le mura di pietra della Sala Grande.

«… RUBARE LA MACCHINA! NON MI AVREBBE SORPRESO SE TI AVESSERO ESPULSO

Si portò le mani alle orecchie e cercò di capire da dove provenissero le urla, come tutti nella sala.

La Strillettera era stata ricevuta da un ragazzo di Gryffindor, l’amico di Harry Potter e Hermione Granger.

Hannah Abbott, che era seduta di fronte a lei, vicino a Justin, fece cenno col capo a Helen di guardare il tavolo degli Slytherin: la maggior parte di essi erano scoppiati a ridere e il ragazzo biondo, probabilmente Draco Malfoy, continuava a parlare e a fare battute.

«Povero Weasley!» le gridò Hannah. «A me sta simpatico! Draco Malfoy non dovrebbe prenderlo in giro così!»

Amelia, che sembrava non rendersi conto della voce squillante della madre di Weasley, al sentire il nome di Draco si illuminò.

«Draco Malfoy…» sospirò. Justin la guardò sconvolto.

«IN UFFICIO TUO PADRE VERRÀ SOTTOPOSTO A UN’INCHIESTA! È TUTTA COLPA TUA…» continuava imperterrita la Strillettera, mentre il povero ragazzo di Gryffindor era rosso come i suoi capelli.

Gli ululati di risa dei Slytherin quasi sovrastavano le urla di mamma Weasley. Alcuni Hufflepuff li guardarono, disgustati.

«Un po’ di rispetto!» esclamò un ragazzo con tono pomposo accanto a Hannah.

Quando la Strillettera tacque la Sala cadde nel silenzio più totale. Alcuni Slytherin continuarono a ridere, ma alla fine ognuno ritornò alla propria colazione.

Helen, Lance e Amelia lasciarono la Sala Grande per dirigersi nell’aula di Incantesimi insieme ad un gruppetto di studenti del primo anno di Ravenclaw.

«Ho le farfalle nello stomaco.» sussurrò Lance a Helen, mentre si massaggiava la pancia.

«Non dovevi mangiare due ciotole di porridge e poi bere succo di zucca!» lo redarguì la ragazza.

«No! Ho paura!» borbottò Lance, grattandosi i capelli neri, imbarazzato.

Amelia scoppiò a ridere. «Sai che sei proprio carino?» ciacolò, attaccandosi al braccio del ragazzo.

Con uno sguardo sconvolto implorò l’aiuto di Helen. Scorse non lontano da lui un suo compagno di dormitorio e, liberatosi dalla morsa di Amelia, lo raggiunse.

«Oh, che peccato.» sussurrò, rabbuiatasi.

Helen la guardò con una faccia stralunata.

L’aula di Incantesimi era molto grande e stipata di libri dai titoli interessanti (come Manuale della Potenza: tutti gli incantesimi più famosi eseguiti dai maghi più famosi o anche Errori dei maghi: quando un incantesimo ti costa il posto di lavoro). Il professor Flitwick, un mago anziano piuttosto basso, li accolse gioviale, chiedendo loro di sedersi ai banchi. Gli studenti presero posto disordinatamente, mescolandosi tra loro tanto che Flitwick non riuscì più a distinguere i Ravenclaw dagli Hufflepuff. Helen si trovava tra Amelia e un ragazzo di Ravenclaw, Martin.

La prima lezione di Incantesimi lasciò parecchi ragazzi delusi: molti pensavano infatti che avrebbero iniziato a fare magie sin da subito, ma la lezione era stata spesa interamente sulla maniera corretta di tenere una bacchetta magica. Nell’ultimo quarto d’ora, Flitwick chiese loro di provare a sprizzare scintille verdi dalla bacchetta, ma alla fine solo Lance e una ragazza di Ravenclaw (Luna Lovegood, se non andava errata) ne furono in grado. Questo fece guadagnare ad entrambi dieci punti.

«Non pensavo fossi già così bravo con le magie!» si rallegrò Helen mentre aiutava Lance ad asciugare un’enorme macchia di inchiostro che il ragazzo aveva rovesciato sul banco.

«Infatti non lo sono!» sbottò quello, tamponando l’inchiostro sulla pergamena. «Accidenti! È così strano usare le piume d’oca invece che le normalissime penne.»

«Già, dev’essere strano per te!» rise Helen.

«Vi consiglio di non perdervi in chiacchiere, ragazzi.» li interruppe il professor Flitwick, avvicinandosi a loro. «Adesso avete Pozioni con il professor Snape, e lui odia i ritardatari.» spiegò. Poi estrasse la bacchetta e sussurrò «Gratta e netta» e improvvisamente tutte le macchie di inchiostro sparirono; poi, con un leggero movimento della bacchetta, fece ritirare i libri, le piume e le pergamene di Lance nella sua borsa.

Quando uscirono dall’aula in direzione dei sotterranei, Lance e Helen erano strabiliati.

Ma la loro meraviglia scemò subito quando misero piede nei sotterranei, dove un austero professor Snape li attendeva, seccato.

«Quale gioia vedere che anche gli Hufflepuff ci hanno raggiunto.» sibilò. Qualche Slytherin rise.

Lance avvampò, chiudendosi la porta alle spalle. Non fece in tempo a sedersi che la porta si riaprì di scatto.

Gilderoy Lockhart salutò tutti gli studenti con un luminoso sorriso.

«Buongiorno, ragazzi. Ah, professor Snape, la cercavo!» disse poi, raggiungendo Snape che sembrava pietrificato al suo posto. Accanto alla sua tunica nera, Lockhart sembrava un bebè nei suoi abiti turchesi con tanto di cappello abbinato.

«Non dovrebbe avere lezione a quest’ora?» grugnì Snape, muovendo appena la mascella.

«Stavo pensando» continuò Lockhart, ignorandolo. «che potrei tenere io una delle sue lezioni uno di questi giorni! Potrei insegnare ai ragazzi a preparare una pozione che renda umano un lupo mannaro!»

«Non esiste tale pozione.» borbottò Snape, gli occhi si fecero una fessura.

«Allora potrei insegnarla anche a lei!» aggiunse Lockhart, tutto un sorriso.

«Fuori di qui!»

Snape spinse fuori Lockhart, non tenendo conto delle risate degli alunni.

Quando ritornò alla cattedra, l’aula tacque in un istante.

«Ora che abbiamo liberato la classe dalla stupidità» e lanciò un’occhiata assassina a chi ancora stava ridacchiando «possiamo tornare a spiegare tutto ciò che concerne la meravigliosa e sottile arte delle Pozioni.»

Gli Slytherin sembravano deliziati ogni qualvolta Snape parlasse. Helen notò che anche Abigail sembrava considerare il professore una persona magnifica, ma non riuscì a capire il perché finché un ragazzo degli Hufflepuff, tale Sheldon, non fece perdere cinque punti alla sua Casa per aver sbagliato l’ordine degli ingredienti. Infatti, anche un Slytherin aveva commesso lo stesso errore, ma Snape si era limitato a guardare e storcere la bocca.

Con la scusa di cercare un ingrediente per la pozione, Helen raggiunse Abigail e un gruppetto di ragazze davanti alla dispensa. Quando la videro arrivare, le Slytherin tacquero.

Ignorandole, salutò Abigail con un grande sorriso.

«Com’è andata la prima lezione? I Gryffindor sono così terribili?» le domandò, incuriosita.

Le ragazze ritornarono al posto, ridacchiando senza ritegno.

«Sono dei saputelli.» sbottò, senza guardarla negli occhi. «Quella sciocca della Weasley ha risposto a tutte le domande senza lasciare a nessuno il tempo di pensare.»

Helen le lanciò un’occhiata perplessa. «Che c’è di male a sapere le cose? A Incantesimi Lance ha fatto un figurone, ma non per questo lo chiamo “sciocco”.»

Abigail sembrò zittirsi per un momento, come se stesse ancora elaborando le parole della ragazza.

«Lance?» mormorò.

«Lui.» asserì Helen, divertita dentro. «E poi, non sarà che forse nessuno conosceva la risposta ad eccezione della Weasley?»

Vide la ragazza arrossire bruscamente.

«N-no.»

Ad ogni modo, Snape non poté trovare nulla da ridire alla splendida pozione di Lance: aveva la tonalità giusta, la temperatura corretta e persino “le esalazioni purpuree dall’odore acre di limone” erano le stesse descritte dal libro. Questo fece guadagnare cinque miseri punti a Hufflepuff.

«Maledetto Snape!» sbottò Helen una volta terminata la lezione, mentre misurava il corridoio del secondo piano a grandi passi. «Avrebbe dovuto darti almeno dieci punti! Scommetto che se fossi stato un Slytherin l’avrebbe fatto!»

«Dai, Helen! Cinque punti vanno più che bene!» sorrise Lance.

«No! Non vanno bene! Non è giusto che faccia certi favoritismi, la tua pozione era perfetta! A proposito, quando hai imparato a preparare pozioni così?» domandò, incuriosita. La semplicità con cui Lance aveva seguito le istruzioni non l’aveva lasciata indifferente.

«Io? Mai!» esclamò il ragazzo, sinceramente stupito. «Non avevo mai preparato una pozione in vita mia, te lo posso giurare! Ma non è stato tanto male, mi è piaciuto molto!»

«Uhm…» rimuginò Helen. «Comunque sono ancora convinta che Snape sia pessimo.»

Gli studenti si riversarono nella Sala Grande. Alcuni ragazzi, soprattutto degli ultimi anni, avevano già preso posto e la tavola era stata imbandita con ogni pietanza.

Helen e Lance si sedettero accanto a Justin, Hannah e un compagno di dormitorio di Lance, Rowan.

«Non abbiamo ancora avuto la Sprout…» sbuffò Rowan abbattuto. «Era l’unica professoressa che non vedevo l’ora di conoscere…»

Lance gli batté una mano sulla spalla. «Su, non preoccuparti! L’avremo domani.» gli sorrise, solidale.

Rowan ricambiò riconoscente, prima di essere attirato da un gran vociferare non molto lontano da loro.

«Che succede?» chiese Helen a Justin.

«Non ne ho la più pallida idea.» rispose il ragazzo. Si alzò e andò ad informarsi.

Pochi secondi dopo era già di ritorno. Aveva gli occhi che brillavano di una luce di fervore.

«Le selezioni per la squadra di Quidditch!» esclamò, al settimo cielo.

«Quando?» domandò Rowan, eccitato quanto lui.

«All’inizio di ottobre! Devo cominciare ad allenarmi!»

Lance ascoltò i due ragazzi discutere animatamente sulle selezioni senza capire il motivo di tanta felicità.

Helen se ne accorse e scoppiò a ridere, attirando su di sé l’attenzione dei compagni.

«Ehm, scusate…» borbottò imbarazzata. «Mi fa ridere Lance.»

Justin lo guardò incuriosito. «Perché?»

«Non capisco perché siate così contenti.» biascicò, maledicendo Helen e la sua boccaccia.

«Ma non è ovvio?» disse subito Rowan. «Guardare il Quidditch è fantastico! E poi potremmo tifare per gli Hufflepuff! Sarà emozionante!»

«Quest’anno voglio partecipare!» esultò Justin, mentre saltellava dalla gioia. «Scommetto che mi prenderanno come Cacciatore!»

Hannah rise, contagiata dall’amico.

Lance, sentendosi lasciato in disparte, rivolse tutta la sua attenzione al piatto di polpettone che aveva davanti. Si sentiva uno stupido: perché sua madre gli aveva sempre nascosto le emozioni del Quidditch? Sentiva di aver perso anni meravigliosi della sua infanzia guardando i cartoni animati, quando avrebbe potuto godersi le partite di Quidditch.

Helen notò il suo stato d’animo e gli batté una mano sulla spalla.

«Posso insegnarti qualcosa sul Quidditch se ti va, dopo le lezioni.» disse, sorridente.

Lance le lanciò uno sguardo di riconoscenza. «Sarebbe bello, grazie.»

 

Trasfigurazione fu probabilmente la materia che quel giorno piacque maggiormente a Helen. Quando entrarono in classe furono accolti da un gatto rigido e severo, che si rivelò essere la professoressa McGonagall.

In seguito la McGonagall ordinò loro di trasformare un fiammifero in un ago. L’operazione si rivelò più difficile del previsto: sventolare una bacchetta era semplice, pronunciare una formula lo era ancora di più, ma riuscire a fare un incantesimo era sicuramente più difficile.

«Avanti, ragazzi.» disse la professoressa. «Il professor Flitwick non vi ha spiegato come eseguire gli incantesimi?»

«In linea molto teorica…» ridacchiò Amelia, scuotendo la bacchetta come se non funzionasse. «Accidenti a questi aggeggi!»

La McGonagall, che stava passando tra i banchi per tenere sotto controllo la situazione, si fermò.

«Signorina Edgeworth, le consiglio di smettere di agitare quella bacchetta, se non vuole cavare un occhio al signor Wallace.» sibilò, riprendendo a camminare.

Lance trattenne a stento un grido e si nascose sotto il banco, riparandosi gli occhi con le mani.

Helen sospirò, mentre la classe scoppiava a ridere.

Amelia, diventata improvvisamente rossa di vergogna, posò la bacchetta sul banco e non la riprese fino alla fine delle lezione.

Quando la McGonagall li congedò, quasi tutti erano riusciti a trasfigurare fiammifero in un ago (o per lo meno a dargli quella forma) ad esclusione di Amelia e alcuni ragazzi di Gryffindor.

 

 

 

E per la vostra somma gioia: Amelia e Rowan introdotti, con anche qualche accenno a personaggi che scoprirete in un futuro molto prossimo!

Abigail, Abigail, cosa mi combini?

 

Grazie a tutti degli auguri!

Ci si legge,

 

Akami

 

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Capitolo 4
*** Strani e irrisolti misteri ***


4.      Strani e irrisolti misteri

 

 

«Signorina Edgeworth, ho deciso che non glielo ripeterò più.» abbaiò Lockhart, adirato. «Il mio colore preferito non è il verde smeraldo!»

Amelia afferrò sgarbatamente il suo compito dalle mani del professore ed esaminò quell’“Accettabile” scarabocchiato sulla prima pagina delle sette di cui si articolava il questionario.

«Sono rimasto profondamente deluso da voi Hufflepuff.» continuò Lockhart. Sbatté stizzito sul banco di Helen un compito con pochissime correzioni.

«Perché, professore?» domandò Rowan.

«Solo due persone hanno raggiunto “Eccezionale”.» rispose l’uomo, indispettito. «E tutti siete tristemente crollati sulla domanda numero trentaquattro.»

Molti ragazzi si affrettarono a ricontrollare il compito.

«Ma signore, lei non ha gli occhi azzurri?» chiese Caitlin Cadogan, una Hufflepuff piuttosto alta e dai capelli corti rossi, indicando la risposta C della domanda trentaquattro.

Lockhart chiuse gli occhi e sbuffò, al limite della sopportazione. «Signorina Cadogan» si avvicinò a lei con veemenza. «le sembra che io possa avere gli occhi azzurri?»

Lance, seduto dietro Caitlin, guardò incuriosito gli occhi del professore: erano azzurri.

«Ehm…» biascicò la ragazza, incerta su cosa rispondere.

«Ovviamente no!» sbottò Lockhart, scaraventando i compiti sul banco. «Non vede che sono color non-ti-scordar-di-me? La sfumatura acquamarina non è lì per puro caso, signorina Cadogan!»

«Ma professore!» intervenne Lance. «L’acquamarina è una pietra azzurra.»

Lockhart si irrigidì.

«Punizione per Wallaby.» sibilò, voltandosi e facendo frusciare la veste celeste.

«Wallace, signore.» corresse Helen, ridacchiando. Lance le scoccò un’occhiataccia.

Il professore scrollò le spalle, borioso. «Si presenti questa sera alle nove nel mio ufficio, Wallaby, e sistemeremo la sua mancanza di rispetto. Potete andare.»

I Ravenclaw si alzarono in ordine e uscirono dalla classe salutando il professore. Gli Hufflepuff si riversarono nei corridoio sbraitando e lamentandosi.

«Dovrebbero ridimensionare il suo ego, stupido venditore di fumo.» borbottò Lance, stringendo tra le mani il compito (un “Eccezionale”).

«Zitto, Wallaby.» rise Helen, spingendolo avanti. «Abbiamo una lezione di Quidditch da fare.»

Lance annuì vigorosamente. «Se però tu mi spiegassi le regole ci capirei qualcosa di più…»

Helen si arrestò, imbarazzata. «Forse hai ragione.» ridacchiò e si schiarì la voce. «Dunque, il Quidditch è lo sport più famoso del Mondo Magico. Si utilizzano quattro palle: la Pluffa, i due Bolidi e il Boccino d’Oro.» spiegò, con calma, mentre marciavano attraverso l’enorme castello.

Lance prendeva appunti furiosamente sul suo taccuino.

«I giocatori sono sette: tre Cacciatori, che hanno il compito di passarsi la Pluffa senza farla prendere agli avversari; due Battitori, che devono lanciare i Bolidi contro gli avversari colpendoli con grosse mazze; il Cercatore è l’elemento più importante, poiché deve prendere il Boccino d’Oro prima del Cercatore dell’altra squadra. Se ci riesce, fa guadagnare centocinquanta punti alla sua squadra e la partita finisce. Tutto chiaro?»

Lance annuì, scrivendo le ultime accortezze. «E tu come le sai tutte queste cose?»

Helen si illuminò, radiosa. «Io e mio padre siamo fan del Puddlemere United fin dalla nascita!»

Quando si trovarono di fronte all’enorme campo di Quidditch, Lance non poté trattenere una lunga esclamazione di meraviglia.

Era una struttura gigantesca in legno, decorata dagli stendardi dei vari colori delle case. Le tribune erano vuote e Lance provò il desiderio irrefrenabile di sedersi nella tribuna d’onore.

«Già.» asserì Helen, divertita. Montò sulla Scopalinda Sette che aveva trovato nel capanno e fece per librarsi in volo.

«Ferma!» gridò una voce femminile.

Lance si voltò e vide che una Hufflepuff più grande, la Caposcuola Gwen Morgan, stava correndo loro incontro.

«Cosa credevi di fare?» gridò, una volta raggiunti.

«Io…» Helen strinse il manico di scopa e lo avvicinò al corpo, come abbracciandolo. «Non volevo fare nulla di male.»

Gwen, intenerita dalla ragazza, sorrise dolcemente. «Non preoccuparti, può capitare. Però dovresti sapere che quelli del primo anno non hanno il permesso di volare.»

«Sì, è vero.» si arrese Helen.

«Lasciala stare, non è stata colpa sua. L’ho convinta io a farmi vedere come si vola, dato che non conosco il Quidditch.» s’intromise Lance, facendo un passo avanti.

Helen gli sorrise, riconoscente.

Gwen scoppiò a ridere. «Ma io so chi sei! Tu sei il cugino di David Williams, vero?»

Lance annuì, domandandosi come facesse Gwen a saperlo.

«Mi ha mostrato una foto di famiglia qualche tempo fa. Io e lui eravamo molto amici.» abbozzò un sorriso amaro.

«Sei quell’amica di cui lo zio parlava spesso quest’estate?»

La ragazza trasalì. «Temo di sì.» mormorò. Poi, con ritrovata energia, disse: «Bene, ora che lo sapete farete più attenzione. Devo andare, la ronda mi attende.» si voltò sospirando: «Spero almeno di essere aiutata da qualche Prefetto. Gli ultimi che ho beccato si sono messi a flirtare in una classe…» e corse via.

Helen, che aveva osservato impassibile la scena, scoccò un’occhiata eloquente a Lance.

Il ragazzo sbuffò. «Quest’estate Abigail mi raccontava che lo zio continuava a sgridare David perché aveva come amica una…» deglutì, restio a proseguire. «… Sanguesporco. Io non conosco molto del Mondo Magico, ma posso immaginare che sia un insulto piuttosto pesante.»

Helen annuì. Questa storia di Purosangue e Mezzosangue la stava stancando.

«E poi, com’è finita?» domandò.

«Quando David gli ha raccontato che lei era la sua fidanzata, lo zio è andato su tutte le furie. Ha costretto David a lasciarla e ora vuole fidanzarlo con Cassandra Burke, una Purosangue.»

«Ma è orribile!»

«Già…» continuò Lance. «E pensare che tutte queste storie di Purosangue sono uscite l’anno scorso. Prima del settembre scorso non avevo mai sentito mio zio dire una sola parola contro i nati babbani.»

Helen si fece pensierosa.

«A scuola un ragazzo, Purosangue, si scaglia contro i nati babbani; tuo zio ha messo in discussione la libertà del figlio a causa di una nata babbana… non credi che…»

«Sia una strana casualità?» completò per lei Lance.

«Esatto.»

«Non lo so, ma ho un brutto presentimento.»

Riportarono le scope nel magazzino e si recarono nella Sala Comune. Fortunatamente quel giorno non avevano ricevuto particolari compiti (ad eccezione di un tema di un metro di pergamena sugli effetti di una pozione sbagliata) quindi poterono dedicarsi all’ozio.

Trovarono Hannah piegata su un libro di Trasfigurazione.

«Maledetta donna…» imprecava. Stava sfogliando annoiata il volume, sperando di trovare risposte che avrebbero potuto soddisfare la McGonagall.

«Che è successo?» ridacchiò Lance, sedendosi di fronte a Hannah.

«La McGonagall ci ha dato compiti doppi. Tutta colpa di Longbottom!» sbottò furibonda la Hufflepuff, graffiando la pergamena con la piuma.

«Longbottom?» domandò Helen, una volta raggiunti.

«Sì, un Gryffindor dalle mani di burro che ha fatto esplodere gli scarafaggi su cui ci stavamo allenando.» e dicendolo mostrò la ferita luccicante della scottatura.

«S-scarafaggi?» balbettò Lance, disgustato e pallido come uno spettro. «S-si usano scarafaggi per le lezioni di Trasfigurazione?»

Helen si trattenne dallo scoppiare a ridere di fronte all’espressione atterrita del ragazzo.

«Certo! Ma se hai paura degli scarafaggi non oso immaginare cosa combinerai alla prima lezione di Erbologia.» ridacchiò Hannah, divertita.

«M-ma a Erbologia non si studiano le piante?»

«Ovviamente, ma di cosa pensi si nutrano le piante carnivore?» spiegò la giovane Hufflepuff, divertendosi a insinuare in Lance il dubbio.

Il pallore cadaverico del ragazzo superava quello di Frate Grasso, mentre gli occhi grigi guardavano il vuoto, come spiritati.

Helen esplose in una grassa risata, imitata subito da Hannah. Lance si sentì profondamente deriso dall’atteggiamento delle due ragazze.

«Vogliamo fare meno casino?» furono interrotte da una voce proveniente dal fondo della Sala Comune. Si trattava di Justin Finch-Fletchley, l’Hufflepuff dall’espressione sbarazzina e i capelli ricci che avevano conosciuto la sera prima.

Helen smise all’istante di ridere. Detestava far arrabbiare i ragazzi più grandi, soprattutto perché temeva la loro reazione, ma quando vide che Justin stava sorridendo tirò un sospiro di sollievo.

«Ti sei spaventata?» continuò il ragazzo, prendendola evidentemente in giro, punzecchiandola con un dito.

«Quanto sei simpatico…» ringhiò la ragazza, incrociando le braccia al petto con fare stizzito. «Non dovresti prenderti gioco di piccole ragazzine indifese.»

Justin sorrise, mostrando una fila di denti perfetti e due deliziose fossette sulle guancie. «Ci aggiungerei una pernacchia che non starebbe davvero male.»

Lance, intanto, rideva allegramente con Hannah, prendendo in giro Justin e Helen a turno. Al gruppetto si era avvicinato un altro ragazzo, uno dei tanti che aveva difeso Weasley quando aveva ricevuto la Strillettera.

«Che si combina qui?» chiese, mascherando una certa curiosità con un largo sorriso.

«Ernie!» esclamò Hannah. «Nulla di speciale, ci prendevamo un po’ in giro.» poi si voltò verso Lance e gli sussurrò all’orecchio: «Lui è Ernie Macmillan, non farti incantare dai suoi modi principeschi, è esattamente come noi.»

«Ti ho sentita, Abbott.»

Lance si guardò intorno, cercando con lo sguardo i suoi compagni di stanza. La notte prima avevano fatto amicizia: si erano raccontati gli anni precedenti l’entrata a Hogwarts e Lance aveva scoperto di non essere l’unico a ignorare moltissime cose nell’ambito della magia.

Ad esempio, il suo vicino di letto, Liam O’Carroll, aveva entrambi i genitori babbani.

Per Lance c’erano ancora molte cose da scoprire in quel nuovo, strano e bellissimo mondo.

Tuttavia, durante la cena, capì che non desiderava assolutamente scoprire quale punizione Lockhart avesse progettato per lui.

«Ti sei beccato una punizione da Lockhart?» domandò Justin colpito. «Wow! Credo che nessuno ci sia ancora riuscito!»

«Chissà che cose imbarazzanti ti farà fare!» rise Helen, evitando di chiamarlo “Wallaby” per compassione.

Nella sua vecchia scuola, pensò Lance, le punizioni consistevano nello scrivere centinaia di volte sulla lavagna una frase che servisse a espiare le colpe. Ma quello era il mondo babbano, nel Mondo Magico cosa avrebbe dovuto fare?

«Una volta sono stato punito dalla McGonagall.» disse Justin, comprendendo i sentimenti del ragazzo meglio di chiunque altro, provenendo anch’egli da una famiglia babbana. «Solitamente i professori ricorrono a punizioni babbane credendo siano più crudeli. Non sanno che per i nati babbani è molto meglio così!»

Lance si rilassò un poco: forse non sarebbe stato così terribile come pensava.

 

Quando ritornò dalla punizione, verso mezzanotte, era sconvolto.

«Cosa ti ha fatto fare?» domandarono in coro Helen e Rowan, rimasti svegli ad attenderlo.

Lance si stropicciò gli occhi assonnati. Aveva le mani che faticavano a muoversi correttamente.

«Ti ha picchiato?» sbottò la ragazza, prendendogli una mano e cercando eventuali segni di percosse.

«Peggio.» esalò Lance, abbandonandosi su una delle tante poltrone panciute. «Fotografie. Ho passato tre ore a fargli fotografie.»

 

 

 

 

 

 

Capitolo corto... odio i capitoli corti. Ma mi farò perdonare, lo giuro! Il prossimo è tutto dedicato a nuovi personaggi e misterioso folklore Hufflepuff! XD

Vi auguro buona Epifania! Ho un po’ di tosse perché questa notte ho preso freddo sulla scopa, ma spero che abbiate gradito tutti la calza! XD

Scherzi a parte, buona festa davvero! :)

Al prossimo capitolo,

 

Akami

 

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Capitolo 5
*** Il Sabato dell'Orgoglio Giallonero ***


5.      Il Sabato dell’Orgoglio Giallonero

 

Le settimane che seguirono quei primi giorni di scuola trascorsero senza eventi di particolare importanza.

La prima lezione di Erbologia, come già Helen, Rowan e Lance avevano sospettato, si rivelò meravigliosa: la professoressa Sprout era una donna incredibilmente colta e sapeva spiegare la sua materia meglio di qualunque altro professore. Si vedeva che c’era passione in quello che faceva e che amava i suoi studenti, soprattutto se Hufflepuff della sua Casa.

Settembre divenne subito ottobre prima che chiunque se ne accorgesse. L’emozione e lo stupore del momento persero tutto il loro splendore e, dopo solo un mese, anche per un giovane mago proveniente da famiglia babbana, la magia era diventata parte della sua quotidianità.

Lo capì subito Lance, svegliandosi quella mattina e ringraziando il cielo che fosse sabato.

«’giorno, Lance.» lo salutò Rowan, alla sua destra, seduto sul letto con le gambe ancora coperte dal piumone e il libro A merenda con la morte di Lockhart tra le mani.

«Ti diverti?» ridacchiò Lance, stropicciandosi gli occhi ancora assonnato, riferendosi alla quantità spropositata di baggianate che contenevano i libri del professore.

«Da morire. È meglio di quel libro di barzellette che mi hai prestato la settimana scorsa. Senti cosa dice in questa parte, eh-ehm:» si schiarì la voce prima di declamare: «“E fu solo quando mi trovai ad un passo dalla morte in persona che capii che i miei splendidi riccioli biondi si erano afflosciati a causa dell’umidità. Solo allora urlai”, ma per favore! Ma non si vergogna? Questo qui ha il cervello grande come un ricciolo di Sheldon!»

Geoffrey Green, sveglio da ben prima di loro, scoppiò in una risata sguaiata, che contribuì a destare anche l’interesse di Liam e Sheldon, tra le braccia di Morfeo fino a pochi secondi prima.

«Cosa è tuto questo rumore?» domandò Sheldon, con il marcato accento francese che lo caratterizzava. Viveva in Inghilterra da cinque anni, ma non era ancora riuscito a perdere quell’aria francese che lo accompagnava dalla nascita.

«Nulla di preoccupante, Shelly.» rise Rowan, schernendolo con una storpiatura del nome.

«Sei consapovole del mio odio per te, maledeto di un anglais?» ribatté, evidenziando ancora di più il suo inglese per ripicca.

Il rombo di un tuono squarciò l’atmosfera ilare che si era venuta a creare nel dormitorio.

«Che schifo di tempo.» borbottò Liam, ricoprendosi con il piumone fin sopra la testa, lasciando spuntare piccoli ciuffi di capelli biondi. Fu subito imitato da Sheldon.

Anche Lance era intenzionato raggiungere gli amici nel meraviglioso mondo dei sogni, quando qualcuno bussò alla porta, facendolo trasalire, spaventato.

«Qui è il vostro Caposcuola John che vi parla! Come vi abbiamo ricordato ieri sera, oggi è il Sabato dell’Orgoglio Giallonero. Vi aspettiamo tra un quarto d’ora in Sala Comune!»

Sheldon si scoprì appena, quel tanto che bastava per riuscire a parlare: «Lui ponsa veramonte che qualcuno l’abia ascoltato ieri sera?» dichiarò in uno sbadiglio.

«Sabato dell’Orgoglio Giallonero?» domandò Rowan, che sembrava sconvolto quanto il compagno.

«Il giorno in cui gli Hufflepuff scendono a fare colazione tutti insieme per mostrare l’unità della Casa di fronte al disordine della altre tre.» delucidò Geoffrey, inspiegabilmente rilassato e immerso nella risoluzione dei Magicverba (cruciverba magici le cui definizioni cambiavano qualora non fosse in grado di risolverle in un minuto).

«Ma è una cosa stupidissima!» commentò Rowan. «E da quanto sei vestito?» aggiunse, vedendo che l’amico era già pronto.

«Dalle cinque.»

«E perché sei vestito dalle cinque?» domandò Liam, consapevole del fatto che non sarebbe più riuscito ad addormentarsi.

«Dovevo finire i miei Magicverba.»

Lance scosse la testa, divertito dall’espressione assolutamente esterrefatta di Rowan.

Decise che sarebbe stato meglio vestirsi, così raccolse gli abiti e la divisa e si diresse in bagno, dove poté lavarsi e sistemarsi.

Nonostante l’intenzione che accomunava i cinque compagni a scendere a fare colazione a quell’ora rasentasse il nulla, in dieci minuti erano tutti in Sala Comune, che attendevano gli ultimi ritardatari, ovviamente le ragazze.

Lance, appena vide scendere Helen, si unì a lei e Amelia insieme a Rowan, in modo da sedersi vicini una volta arrivati in Sala Grande.

L’orda degli Hufflepuff che sconvolse la colazione di parte degli studenti di Hogwarts non fu accolta di buon grado dagli Slytherin che, alla vista dei gialloneri in formazione, quasi caddero dalle sedie dal ridere.

«Patetico.» borbottò un ragazzo dietro Amelia. La ragazza sussultò teatralmente, attirando su di sé le occhiate ancora più divertite degli Slytherin.

Helen osservò attentamente la tavolata che li stava schernendo e scorse Abigail tra questi.

Nelle ultime settimane, il comportamento di Abigail era cambiato profondamente. Trascorreva sempre meno tempo con lei e Lance e fin troppo con la banda di Pansy Parkinson, l’orribile ragazza del secondo anno. Quando si incrociavano nei corridoi a malapena rivolgeva loro un saluto, mentre a lezione li ignorava senza molti scrupoli, fingendosi sempre impegnata in fittissime conversazioni con l’amica Mary Elliott.

«Malfoy.» sibilò Justin, accostatosi a loro. «Spero gli vada di traverso il porridge che sta mangiando.» sibilò, assottigliando gli occhi.

Come se fosse stato ascoltato, pochi secondi dopo Malfoy si ritrovò a tossire convulsamente, accerchiato dalla sua banda di leccapiedi che cercavano di capire cosa gli stesse succedendo.

«Ehi, Justin! Dovresti giocare al Lotto!» esclamò Lance divertito. Liam rise, annuendo con la testa e così fece anche Justin.

Helen, Rowan e Amelia li guardarono perplessi. Amelia più stralunata che confusa.

«Niente…» borbottò Lance, mortificato dal fatto che le sue battute non facessero ridere i compagni maghi.

«Ciao, ragazzi, che si dice?» domandò una voce femminile, sedendosi accanto a loro e scuotendo la corta chioma fiammeggiante, subito seguita da una ragazza dai capelli biondi quasi bianchi, rossa in viso.

«Lance fa battute che non fanno ridere.» spiegò Helen, sorridendo alle due compagne di stanza, Caitlin e Alana.

«Al solito.» aggiunse Caitlin, scompigliando i capelli del ragazzo con fare affettuoso e ricevendo un’occhiataccia da quest’ultimo. «Vero, Alana?» chiese all’amica, con lo stesso tono di chi desiderava che una persona entrasse nella conversazione.

«S-sì.» esalò Alana, mordendo timidamente una fetta di pane tostato.

«Sembra che abbia visto qualcosa di assolutamente imbarazzante.» commentò Hannah, sporgendosi di più oltre Ernie.

«È una lunga storia.» dissero insieme Caitlin e Helen. Solo loro e Amelia conoscevano il segreto di Alana: si era innamorata di Lance dal primo giorno che l’aveva visto e non faceva che pensarlo, sognarlo e scrivere il suo nome su pergamene che poi sigillava.

«Va tutto bene, Alana?» domandò Lance, sinceramente preoccupato per la ragazza.

La ragazza sobbalzò e scosse violentemente la testa in segno di assenso. «N-nessun problema… grazie…»

Si creò un silenzio spiacevole che, con gran sollievo di tutti fu rotto da Caitlin.

«A che ora hai le selezioni, Justin?» chiese all’amico che, al sentire la parola “selezioni” impallidì bruscamente.

«Non dovevi ricordarglielo…» sospirò Ernie e batté una mano sulla spalla dell’amico, solidale. «Non diceva sul serio, Justin, proprio no… adesso stai tranquillo che i tuoi amici sono qui con te…» diceva, scambiando Justin per un figlioletto troppo cresciuto.

«Ma eri eccitatissimo fino al mese scorso! Anzi, fino a due giorni fa!» esclamò Rowan, incredulo all’inverosimile (era molto emotivo, tutte le emozioni che provava erano amplificate). «Continuavi a saltellare in giro cantando “Sarò Cacciatore!” e cose di questo genere!»

«Questo prima di scoprire chi fosse il nuovo capitano della squadra…» mormorò Hannah, sinceramente vicina all’amico.

«Chi è?» domandò Caitlin, mangiandosi le unghie dalla curiosità.

«Buggin.» sussurrò Justin, pallido come un cencio. Tutti trattennero il respiro.

Luis Buggin era un Hufflepuff molto improbabile: aveva un corporatura che avrebbe fatto impallidire perfino Warrington degli Slytherin; era calvo e girava voce si versasse il Distillato della Morte Vivente in testa per evitare le ricrescite. Unico bullo degli Hufflepuff e coetaneo del Caposcuola, era stato più volte ripreso per le risse che creava. Non aveva amici, nemmeno una banda che lo seguisse, eppure giocava tanto bene a Quidditch, che i suoi compagni di squadra non gli avevano mai trovato nulla da ridire.

«Avete detto Luis Buggin?» domandò una ragazza che sedeva pochi posti più lontana di Ernie, insieme ad un compagno con l’espressione indecifrabile.

Per la seconda volta, tutti trattennero il respiro.

«Quel bastardo! L’altro giorno l’ho visto minacciare un ragazzo del terzo senza pietà. Avrei voluto stampargli le mie cinque dita sulla guancia!» esclamò, ammirando la propria mano come se fosse la più pericolosa delle armi. Lance si nascose sotto il tavolo, tramortito dalla paura.

Hannah si portò una mano davanti alla bocca, trattenendo le risa. L’ondata di coraggio che proveniva da quella ragazza era inversamente proporzionale alla sua corporatura, che sarebbe scomparsa dietro la stazza da armadio di Buggin.

«Meno male che ti ho trattenuta, allora.» borbottò il suo vicino, massaggiandosi le tempie con una mano e versandosi nel bicchiere succo di zucca con l’altra. «Chissà cos’altro avresti potuto fargli…»

«È una sottile presa in giro, Hopkins?» ribatté la ragazza, dimenticandosi di stare parlando con altri poco prima.

Ernie si sporse avanti al tavolo e sussurrò: «Quella è Megan Jones, del nostro anno. È una squilibrata. Solo Wayne, del terzo, la sopporta.»

«Non è una squilibrata!» sbottò Hannah, che evidentemente la conosceva meglio del ragazzo, condividendone la stanza. «È solo un po’ strana…»

«Scusate, ma non stavamo parlando della mia paura delle Cose-Che-Non-Devono-Essere-Nominate?» mugugnò Justin, offeso dall’improvviso cambio di discorso.

«Ti è passata, no?» concluse Caitlin, semplicistica.

Rowan distese il viso in una smorfia divertita sibilando: «Selezioni.»

Il volto di Justin sbiancò di nuovo e il giovane dovette ripararsi sotto il tavolo per evitare di mostrare agli amici il nuovo colorito verdastro che andava a sostituire il pallore.

«State facendo venire paura anche a me…» biascicò Lance, evidentemente terrorizzato.

Helen scoppiò a ridere, imitata subito da Liam. «Ma dai, Lance! Di cosa hai paura?»

«Non so… sai, in aria gli incidenti non mancheranno certo!» continuò il ragazzo, gli occhi grigi divenuti due fessure.

«Mio cugino è morto cadendo da una scopa.» dichiarò Amelia all’improvviso, inespressiva, portando platealmente la conversazione verso una piega scomoda e indesiderata.

I ragazzi ammutolirono.

«Ehm… mi dispiace?» tentò Rowan dopo pochi secondi di silenzio.

«Non è importante. Mi stava antipatico. Mi è dispiaciuto per la zia, che è morta di crepacuore quando l’ha scoperto.» aggiunse Amelia, sorridente.

Gli uomini fecero toccaferro come potevano.

«Sì, va beh, però…» biascicò Liam, non sapendo se essere dispiaciuto per i parenti di Amelia o adirato perché la sua giornata era appena stata rovinata.

Fortunatamente, il momento imbarazzante terminò quando Ernie adocchiò alcuni Hufflepuff attraversare la Sala Grande con i manici di scopa alla mano.

«Credo sia ora.» disse a Justin, che sussultò e fece sobbalzare Lance a sua volta, suggestionato dalla marcia funebre che Rowan stava intonando.

«Sei una persona pessima.» soggiunse Helen, non riuscendo a trattenere le risate. Vedere Lance condizionato da una musichetta era uno spettacolo comico.

Si alzarono da tavola e seguirono Justin, esclusa Amelia, che rimase immobile al suo posto.

«Non vieni?» domandò Alana, come se avesse riacquistato il dono della parola.

«No. Resterò qui a parlare con il porridge e a guardare Draco Malfoy.»

Alana preferì non fare ulteriori domande e seguì gli amici fino al campo da Quidditch, che era stato allestito con i colori degli Hufflepuff.

Una lunga fila di aspiranti Cercatori, Cacciatori, Battitori (tra cui anche la squilibrata, Megan Jones) e Portieri si estendeva oltre il campo e, seduti sugli spalti, vi erano anche molti spettatori.

Helen immaginò che la Sala Comune fosse vuota in quel momento, poiché tutto il quarto, quinto e sesto anno sembrava essere seduto sulle gradinate.

Capì subito il perché: Cedric Diggory era tra i pretendenti al ruolo di Cercatore.

Justin andò subito ad accodarsi dietro i Cacciatori, tenendo la stretta salda sulla sua Comet Duecentosessanta.

«Non ho assolutamente nessuna chance.» disse mesto alla vista di Buggin che cacciava una ragazza del sesto anno in lacrime perché aveva afferrato la Pluffa in modo sbagliato.

«Non dire così…» lo consolò Hannah, sfiorandogli la spalla amichevolmente.

Sheldon, comparso all’improvviso, si guardò intorno. «Dove è Lancelót?» domandò, impastandosi nel suo anglofrancese.

«Ha detto che sarebbe tornato solo per vedere Justin: tutte queste persone che volano gli fanno venire il mal d’aria.» rispose Caitlin.

«Povero ragaso, mi fa tonta pena…» borbottò Sheldon, l’unico che non si divertiva a ridere delle paure assurde dell’amico. «Mi ricordo che olla sua prima lesiòn di Volo è svenuto...»

«Zitto, Shelly, tra poco tocca a Justin.» lo zittì Rowan, infischiandosi di ciò che il ragazzo aveva da aggiungere.

«Sei proprio un cafone. Al mio paese ti avrebbero jà lavato la boca con il sapóne.»

Tutti e sette i ragazzi lo zittirono.

«Je vous haïs tous. Les Britanniques sont stupides.» sibilò Sheldon nella sua lingua, sedendosi sugli spalti sdegnato.

Era il turno di Justin per la selezione dei Cacciatori. Inforcò la scopa tra le gambe e si librò in volo, non con troppa stabilità.

«Tipico di Justin.» commentò Ernie, che lo conosceva meglio di tutti gli altri. «Al corso di Volo era uno tra i più bravi dopo Harry e Draco, sebbene non avesse mai volato in vita sua! E ora fa tutte queste storie…»

«Non credo siano storie, Ernie.» ribatté Hannah, preoccupata. «Temo che Justin abbia paura di Buggin.»

In effetti, il Capitano della squadra degli Hufflepuff stava lanciando al povero Justin la Pluffa senza dargli nemmeno il tempo di tornare in posizione e prepararsi.

«L’ha preso come bersaglio!» strillò Alana, spaventata.

«No, ora ha smesso! Adesso gli farà fare qualche passaggio con altri Cacciatori…» tentò Caitlin.

Due armadi a quattro ante salirono sulle scope e si misero accanto a Justin, che dietro a loro spariva data la costituzione mingherlina.

«Non vorrà davvero…» biascicò Helen, coprendosi gli occhi con le mani. «Non voglio guardare.»

Lance ridacchiò nervosamente. «Perché, fin’ora hai guardato?» disse. Non aveva ancora aperto gli occhi da quando era sbucato per vedere la selezione dell’amico.

Justin si impegnò come meglio poteva, ma qualsiasi pressione gli altri due Cacciatori gli facessero lo terrorizzavano: per due volte perse la Pluffa dalle mani, mentre rischiava perfino di venire disarcionato dalla scopa.

Helen pensò che il ragazzo avesse avuto un gran coraggio ad esporsi tanto da tentare le selezioni per la squadra di Quidditch: non era bravissimo come Cacciatore, sebbene volasse in maniera elegante. Non avrebbe avuto speranze nemmeno con un capitano normale: semplicemente, gli mancavano le basi.

«È un massacro.» commentò Caitlin, una delle poche che ancora riusciva a guardare la disfatta del povero Justin.

«Sempre esagerata tu.» la rimbeccò Liam, annoiato. Il Quidditch non era proprio il suo sport: non solo ne era annoiato, ma non riusciva a piacergli nemmeno se era uno dei suoi amici a parteciparvi.

Effettivamente, Justin non era nemmeno molto suo amico. Allora si chiese perché fosse lì.

Nel frattempo, Sheldon aveva perso tutto il suo contegno tipicamente francese, lasciandosi andare in un tifo sfegatato.

«Quel maledoto! Ti ammasso! Non posso credere che al mondo esista una fescia del tuo calibro! Sacrebleu, quelle inconvenance!» gridava, alternando insulti inglesi a imprecazioni francesi.

«Così mi piaci, Shelly!» urlava invece Rowan, rapito dal gioco. «Sporcati per benino quella boccuccia francese che ti ritrovi!» continuò, alzando la sciarpa giallonera e scuotendola.

«Umpf! Per scerta jente sci vorrebbe la punisiòn corporale!» disse, sistemandosi la cravatta e cercando di riparare al danno fatto ai suoi riccioli perfetti.

Quando Justin atterrò, dopo essere stato massacrato da Buggin per altri venti minuti, l’espressione che aveva sul suo volto era un misto di rabbia e lacrime.

«Non fare così…» tentò Hannah, avvicinandosi all’amico e accarezzandogli una spalla. «Non avevi speranze con Buggin.»

Helen non poteva vedere un ragazzo in quello stato, che fosse suo amico o meno.

Si avvicinò a Justin, titubante e lo abbracciò con molta dolcezza, cercando di trasmettergli forza e affetto. Nessuno meritava di stare male e questo era proprio ciò che Helen non sopportava.

Justin, imbarazzato, comprese il gesto e la ringraziò, abbracciandola di rimando.

«Ti verrò a scercare, Luìs Buggìn!»

 

 

 

 

Ecco qui! Uno dei capitoli che più amo!

Non conosco il francese, quindi non so se quello che ho fatto dire a Sheldon è giusto! XD Se qualche anima pia che sa il francese volesse correggermi gliene sarei eternamente grata! XD

Ogni nuova recensione mi rende strafelice! Grazie infinite! *-*

Purtroppo, a causa del tugurio che tutti noi chiamiamo “scuola”, gli aggiornamenti diverranno settimanali.

Un enorme GRAZIE a chi continua a seguirmi, a chi recensisce, a chi legge solo... a tutti!

Ci leggiamo la settimana prossima,

 

Akami

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Capitolo 6
*** Speciale: Meet Helen! ***


Capitolo speciale – Meet Helen!

Jacob leggeva la “Gazzetta del Profeta” con aria contrariata. L’articolo sul terzo matrimonio della chitarrista delle Sorelle Stravagarie lo interessava ben poco, ma d’altro canto non poteva pretendere di meglio dal “Profeta”: da troppo tempo ormai mancava di articoli interessanti.

«Qualche bella notizia?» domandò la moglie, Emily, avvicinandosi al marito e baciandolo dolcemente sulle braccia con non poca difficoltà: era incinta di otto mesi.

Jacob le sorrise, i primi segni dell’età si allargarono sul suo viso abbronzato. «Nessuna bella quanto questa» le sfiorò il pancione e glielo baciò.

Emily rise genuinamente e si lasciò cadere sul divano accanto al marito.

«Papà? Mi aiuti con questo esercizio di matematica per favore?» domandò una bambina minuta e paffutella, varcando in quel momento la soglia del salone e presentandosi davanti al padre con un quaderno pasticciato e una matita. «Non ci riesco proprio»

A Jacob sfuggì una risata aperta. «Mi dispiace, tesoro, ma sai che io non so matematica. Chiedi a tua madre, quella che ha fatto le elementari è lei!»

«Frequentato, tesoro. Frequentato. Sfruttiamo un po’ i vocaboli» lo schernì la moglie. «Da’ qua, Hellie»

Jacob sbuffò.

Helen rise. «La mamma ha ragione, papà. Se non usi i vocaboli sembrerà che tu non li sappia!»

Il padre la guardò incuriosito, poi le fece un buffetto sulla guancia. «Sei un tesoro. Vieni, dammi un abbraccio» e Helen obbedì con molto piacere. Le piaceva abbracciare le persone.

«Ecco, piccola. Hai dimenticato di riportare il due, ecco perché non riuscivi a farlo» le disse Emily, restituendole il quaderno.

Helen fece per tornare in camera, ma inciampò nella gamba del tavolino e si trovò per terra. Si rialzò e si massaggiò il ginocchio. I suoi genitori corsero subito accanto a lei.

«Tutto bene, amore?»

«Sì, sì! Non mi sono fatta niente» sorrise e tornò nella sua cameretta.

Una volta in camera si sdraiò sul letto e strinse le lenzuola del letto per soffocare il dolore: l’ultima cosa che voleva era far preoccupare i suoi genitori, soprattutto suo papà. La mamma è incinta, pensò, il papà deve preoccuparsi solo di lei.

 

Il giorno dopo andò a scuola un po’ zoppicante e con un grosso livido nero, ma almeno suo padre aveva avuto occhi solo per sua madre.

Si sedette al suo posto e salutò Cecilia, la sua migliore amica. La maestra non era ancora arrivata.

«Come mai zoppichi? Ti sei fatta male?» le domandò Cecilia, con i grandi occhi verde acqua spalancati.

«Un pochino, ma non è niente di grave!»

Matthew, il ragazzo più antipatico della scuola, la prese in giro. «Stranelen si è fatta male!» cantilenò, spintonandola.

“Stranelen” era il soprannome che le avevano affibbiato i suoi compagni di classe da quando, pochi anni prima, aveva accidentalmente strappato il maglione di una ragazza, cambiato il colore di un fiore e, tutti lo dicevano, ma nessuno ci credeva veramente, fatto levitare un quaderno. Le maestre non credevano ai compagni quando lo raccontavano, ma sia Helen sia i suoi genitori sapevano che era vero: quelle erano state le prime magie involontarie della bambina.

Tutti i suoi compagni di classe la trovavano strana, solo Cecilia si fidava ciecamente di lei ed era sua amica, anche se sospettava che fosse “speciale”.

Tra tutti i bambini, Matthew Douglas era il peggiore: la pungolava sempre e la derideva senza mezzi termini. Era stato lui a coniare il soprannome “Stranelen”.

«Vai via, Matt» gli intimò Cecilia, prendendo subito le difese dell’amica.

«Se no? Lo dici alla maestra?» le fece un pizzicotto sulla spalla.

«Lasciala stare!» esclamò Helen, strattonandolo per un braccio. Matt si girò e le tirò i capelli così forte che una ciocca dorata gli rimase in mano.

Helen pianse da dolore e dalla vergogna e si massaggiò il punto in cui aveva perso i capelli: ora era un liscio lembo di pelle pallida.

Cecilia spinse via il bambino e corse per denunciarlo alla maestra, ma Matthew la trattenne con tanta veemenza che la bambina urlò.

Helen strinse i due pugnetti e assottigliò gli occhi verdissimi e lucidi di lacrime, fissando Matthew con rabbia. Subito, dalla testa del bambino cominciarono a staccarsi ciocche di capelli.

Quando la maestra arrivò in classe, Matthew Douglas era calvo e piangeva disperato.

«Cosa è successo?» domandò la signorina Dorothy, spaventata.

«Helen mi ha fatto cadere i capelli!» pianse Matthew, tra le braccia della maestra.

«Ma Matt ha tirato i capelli di Helen! Ha iniziato lui!» gridò Cecilia, terrorizzata, abbracciando Helen.

La signorina Dorothy era sconvolta: era fisicamente impossibile che una bambina minuta come Helen avesse strappato tutti i capelli di Matthew, ben più alto e grosso di lei.

«Matthew, adesso calmati! Come te li ha strappati?» chiese al bambino.

«Col pensiero, signorina Dorothy! È cattiva!» ululò Matthew indicando con l’indice grassottello la povera Helen, che ancora piangeva.

Dorothy non riusciva a credere a quello che sentiva. Prese Helen per una mano e Matthew per l’altra e uscì dalla classe.

«Andiamo a chiamare i vostri genitori»

Quando i genitori furono convocati, a nulla valsero le proteste di Matthew, i signori Douglas non furono mai convinti che la piccola Helen Adams gli avesse strappato tutti i capelli. Anzi, si preoccuparono ancor di più, temendo che il figlio manifestasse i sintomi di una malattia rara.

I signori Adams difesero sempre la figlia. Tornati a casa, Emily le preparò un tè caldo e ascoltò la versione ufficiale di ciò che era accaduto.

«Piccola mia, non è successo nulla. I capelli ricrescono e, purtroppo, non sai ancora controllare la tua magia. Forse è meglio se stiamo lontani a scuola per qualche giorno, che ne dici?»

Helen annuì in silenzio, anche se era molto dispiaciuta perché non avrebbe potuto vedere Cecilia per un po’ di tempo.

 

La settimana seguente, Emily diede alla luce una splendida bambina bionda, Diana. Helen non aveva mai visto una bimba così bella.

Dopo un anno, Diana fece levitare il biberon e fu subito chiaro a tutti quale strada avrebbe intrapreso.

Emily guardò Helen.

«Un’altra streghetta in famiglia, eh?»

Helen annuì, sorridente.

 

«La mia sorellina ha fatto volare il biberon» confidò un giorno a Cecilia.

Cecilia rise, felice. «È speciale come te!»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Primo di una serie di capitoli speciali che faranno da intermezzo alla vicenda. Questa era Helen, alla prossima con... sorpresa! XD

Come al solito, grazie a tutti! *O* Non sapete quanto mi rendiate felici con le vostre bellissime recensioni!

Ci leggiamo la settimana prossima!

Grazie, di cuore.

 

Akami

Edit: Diana è nata prematura, non è un errore che sia nata una settimana dopo gli avvenimenti descritti anche se sua madre era incinta di soli otto mesi! :)

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Capitolo 7
*** Terrore a Halloween ***


6.      Terrore a Halloween

 

Halloween era alla porte, anzi, per essere precisi sarebbe stato quella sera stessa. Tutta la Sala Comune degli Hufflepuff era in fibrillazione: Frate Grasso volava qua e là, brindando con i quadri e attraversando poveri ragazzini ignari; Megan Jones e Wayne Hopkins battibeccavano di fronte all’entrata come loro solito; un paio degli Hufflepuff più grandi giravano con maschere spaventose a terrorizzare le ragazze; un ragazzo del quarto che affermava di essersi travestito da serpente sfruttava quest’idea per guardare sotto le divise delle studentesse e riceveva uno schiaffo dopo l’altro.

Solo una persona non sembrava godersi la folkloristica ricorrenza.

«Lance, esci di lì!» gridò Helen, bussando vigorosamente alla porta del dormitorio maschile del primo anno, dietro la quale si nascondeva Lance da più di mezz’ora.

«Non ci penso nemmeno!» ribatté il ragazzo, nascosto sotto le coperte del proprio letto e circondato da Liam e Sheldon, rimasti intrappolati con lui.

«Dannazione! Shelly caro, potresti per favore uccidere Lance e strappargli la chiave di mano? Ho bisogno di prendere il mio travestimento!» sbottò Rowan impaziente, tamburellando le dita sul muro.

«Non posso! Sce l’ha sotto il cuscino!» rispose Sheldon. «E io ho bisogno di usare il bagno! Me la sto fascendo adosso!» aggiunse, con tono implorante.

«Affari tuoi!» rispose Lance. La voce era diventata acutissima e sembrava un bambino più che mai.

«Guarda che non ci sono più in giro quelli con le maschere. Stai tranquillo…» mormorò Liam, accarezzandogli la schiena, premuroso.

«Non è solo per quello…» continuò l’Hufflepuff, spaventato. «Hai sentito cos’ha detto Dumbledore? Che ci sarebbe stata una compagnia di scheletri danzanti…» soffiò appena.

«Ma quelli fanno ridere!» gridò Rowan dall’altra parte del muro. «Sono degli scheletri imbecilli che fanno balletti idioti! Non fanno paura nemmeno a mia sorella Jane, che ha tre anni!»

Helen guardò Rowan dubbiosa. «Ma tu hai già visto una compagnia di scheletri danzanti?»

Il ragazzo sorrise. «Certo che no.» poi sussurrò: «Ma se è per questo non ho neanche una sorella di tre anni che si chiama Jane.»

Amelia, seduta sull’ultimo gradino della scala del dormitorio maschile, scoppiò in una grassa e acuta risata, tanto aspra che Helen temette che i vetri si rompessero.

«Lance! Se continui così finirai come Amelia! Apri! Apri, ti prego!» gridò ancora Rowan, ormai disposto a tutto pur di entrare in camera e indossare il suo travestimento da vampiro.

«Avonti… guarda quanto è caduto in baso quel poverascio di Rowàn.» commentò Sheldon, incapace di trovare una posizione che aggradasse lui e la sua vescica.

La voce calda di Liam lo ammonì: «Su, Lance. Abbi pietà del povero Sheldon!»

Fu Helen a convincere definitivamente l’amico ad aprire la porta.

«Non preoccuparti, Lance. Se hai paura ci sarò io accanto a te.» disse. La dolcezza con cui aveva pronunciato quelle parole fecero capitolare il ragazzo.

Finalmente la porta si aprì e Sheldon poté porre fine alle sue sofferenze, Rowan riuscì a travestirsi da vampiro, Geoffrey terminò il Magicverba che aveva lasciato in sospeso e Liam rimase con Helen a calmare Lance.

Scesero tutti insieme nella Sala Grande che per l’occasione era stata addobbata con decorazioni arancioni e nere. Enormi zucche erano state svuotate e fungevano da lampade, illuminando la sala con una sfumatura arancione. Il finto cielo del soffitto rifletteva una notte stellata, mentre alcuni pipistrelli svolazzavano sopra le teste degli studenti.

Al centro del tavolo dei professori sedeva Albus Dumbledore: indossava un enorme cappello a forma di zucca e aveva una tunica arancione e nera che suscitò risate da parte di molti Hufflepuff che lo videro.

Tra il tavolo degli Hufflepuff e quello di Ravenclaw (i due centrali) era stato lasciato spazio, probabilmente per l’arrivo della tanto attesta compagnia degli scheletri danzanti.

Helen notò che non erano in molti ad essere travestiti: ragazzi del settimo e del sesto anno e alcuni studenti del primo anno.

Vide Justin sbracciarsi verso di loro, probabilmente invitandoli a sedersi là dove aveva lasciato i posti vuoti.

Una volta accomodati, Rowan si rese conto di essere travestito allo stesso modo del ragazzo che fingeva di essere un serpente per sbirciare sotto le gonne delle ragazze.

Sembrava che anche quello se ne fosse accorto. «Ehi! Hai buon gusto!» commentò, toccando la stoffa del mantello di Rowan.

«Anche tu!» asserì il compagno, assumendo una smorfia tra il divertito e il malizioso. «Io sono Rowan James e tu sei il serpente!»

L’altro ragazzo rise di gusto, divertito dai modi di Rowan, evidentemente simili ai suoi.

«Tuttavia, i miei genitori mi hanno dotato di un nome: piacere, Michael Stebbins.»

«Sono un tuo fan!»

«Sei sulla buona strada per finire su una figurina delle Cioccorane, allora!»

«Sarebbe il mio sogno!»

«Bravo ragazzo!»

Rowan e Michael si chiusero in una fitta conversazione dalla quale non riemersero se non con l’arrivo del dolce.

Nel frattempo, Lance tremava come una foglia. Seduto tra Liam e Helen si guardava intorno circospetto, quasi si aspettasse che qualcuno da un momento all’altro sbucasse fuori a spaventarlo.

«Vuoi stare calmo?» gli intimava Helen, leggermente spazientita. «È Halloween, è ovvio che ci sia qualche maschera spaventosa, ma nessuno ti spaventerà con cattiveria!»

«Helen ha ragione. Perché non ti godi la festa invece che farti mille problemi sulle maschere spaventose?» aggiunse Liam con fare paterno.

«Sembrate proprio una famigliola felice.» commentò Ernie, addentando con particolare garbo una coscia di pollo.

Helen arrossì molto imbarazzata, imitata subito da Liam.

«Ehi, Helen, vuoi un po’ di patate?» domandò Justin, premuroso, porgendole il vassoio con i tuberi.

«Aspetta!» lo fermò una voce non troppo lontana. Un ragazzo, seduto vicino a Michael, si sporse sul tavolo con la forchetta e tolse da due patate un rametto di rosmarino.

«Mangia pure.»

Lance strabuzzò gli occhi, turbato. Ultimamente cominciava a incontrare troppe persone strane.

«Ehm, sì, grazie Justin.» disse Helen, servendosi una porzione di patate bollite.

Quando tutti i vassoi furono ben ripuliti, Dumbledore chiamò su di sé tutta l’attenzione battendo con delicatezza una posata contro il bicchiere di cristallo.

«Miei cari studenti.» esordì, con la gentilezza di sempre. «Ora che siete satolli, ho il piacere di presentarvi una simpatica compagnia che allieterà il momento della digestione. Ecco a voi… i fratelli Skeleton!»

Nella Sala Grande si diffuse un fitto fumo grigio e, improvvisamente, un suono del tutto simile a quello di una chitarra elettrica devastò l’atmosfera.

Lance non sapeva se ridere o gridare. Non erano scheletri danzanti, ma i fratelli Skeleton, un gruppo composto da tre fratelli: un chitarrista, un ballerino e un addetto agli effetti speciali, che in quel momento era impegnato nell’accensione di alcuni fuochi d’artificio spettacolari.

Liam scoppiò a ridere e mise un braccio intorno alle spalle dell’amico. «Hai visto, coniglio?» gli disse, ancora ridacchiando.

Lance sembrò riemergere dalle segrete di Azkaban quando alzò gli occhi per ammirare i fuochi artificiali che, con un potente rombo, conclusero una delle più belle feste di Halloween a cui chiunque avesse mai partecipato.

L’ultima esplosione fece comparire un fantasma interamente composto da fuoco, che si aggirò per la Sala Grande mentre tutti gli studenti si riversavano nei corridoi, per raggiungere i rispettivi dormitori.

Ad un tratto, si udì un urlo femminile che squarciò l’aria. A Helen si accapponò la pelle, stringendosi contro Justin dal terrore.

«Cos’è stato?» mormorò con voce flebile, vedendo che la folla sembrava salire al secondo piano.

«Non ne ho la minima idea.» disse Justin, prendendola per un braccio e cominciando a correre, subito seguiti da molti Hufflepuff del primo e del secondo anno.

Quando si fermarono, Lance gridò. «Che cos’è quello?»

Ernie, ancora con il fiatone per la corsa, sbiancò. «È Mrs. Norris, la gattaccia di Filch.»

Al centro del cerchio che s’era venuto a formare intorno al cadavere della gatta appeso per un filo, stavano tre Gryffindor.

«Non è Hermione, quella?» disse Hannah, portandosi una mano alla bocca.

«Sì! Con Ron e Harry!» sussurrò Justin, incredulo. «Sono stati loro?»

Liam e Helen non avevano ancora aperto bocca, fissavano il muro sconvolti. Sheldon, dietro di loro, cercava di aprirsi un passaggio sgomitando insieme con Geoffrey.

«Che cosa carina.» commentò Amelia, noncurante. «Il rosso è il mio colore preferito.» disse, indicando una scritta sul muro color rosso sangue.

 

LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA

TEMETE, NEMICI DELL’EREDE

 

Recitava l’iscrizione.

Improvvisamente, qualcuno gridò: «Temete, Nemici dell’Erede! La prossima volta tocca a voi, sanguesporco!»

Draco Malfoy si era fatto spazio tra tutti e ora stava in fronte ai tre, che sembravano tanto sconvolti quanto il resto degli studenti.

Justin trattenne il respiro.

«Co-cosa significa?» domandò il ragazzo, vedendo che tutti i suoi amici lo stavano guardando come se fosse già morto.

Hannah scoppiò in lacrime, correndo via. Ernie la seguì, preoccupato.

Un tonfo sordo annunciò che Lance era svenuto.

«Lo portiamo noi in camera. Voi rajunjetesci al più presto.» disse Sheldon, prendendo il ragazzo in spalla aiutato da Geoffrey.

Liam sembrava pietrificato dal terrore.

«Helen, Liam, Justin… andiamo.» esalò Rowan, per una volta serio, spingendo gli amici dietro la schiena.

Con l’arrivo dei professori, buona parte degli studenti si disperse.

«Però Draco l’ha detto proprio bene quello che doveva dire.» dichiarò Amelia con voce atona, gli occhi come spiritati ad osservare un punto impreciso della scritta.

Girò sui tacchi e tornò in Sala Comune.

 

«Cosa significa “Temete, Nemici dell’Erede”? Perché dovremmo esserlo?» gridò Justin una volta lasciatosi cadere sul divano di fronte al fuoco scoppiettante. «Che cosa abbiamo fatto di male? Siamo persone come tutti! Abbiamo lo stesso sangue, vero?»

Nessuno gli rispose. Liam era troppo intento a guardarsi le braccia nude, osservando le vene blu che si intravedevano sotto la pelle, ipnotizzato; Sheldon, Geoffrey e Lance erano tornati nel loro dormitorio, affermando di avere troppo sonno per pensare; Hannah stava in un angolino a piangere, consolata da Ernie.

«Perché non mi rispondete? Dite qualcosa, vi prego!» continuò, alzandosi in piedi e facendo cadere il cuscino che teneva in grembo.

«Il sangue di ogni persona è differente. Certo, il mio è del tuo stesso colore, il tuo avrà lo stesso sapore di quello di Alana… ma non possiamo dire che abbiate lo stesso sangue. Alana è figlia di un Mago, tu no.» borbottò Caitlin, quasi restia a proseguire. I corti capelli rossi erano sconvolti.

«E allora? Che cosa significa?» esplose Rowan, difendendo Justin pur essendo figlio di Maghi purosangue. «Sei d’accordo anche tu con Malfoy?»

Caitlin distolse lo sguardo. «Ti prego, Rowan, non farmi continuare.»

Helen strabuzzò gli occhi e guardò Alana: stava accarezzando la spalla di Caitlin.

«No, adesso vai avanti! Slytherin che non sei altro!» la insultò Rowan, tirando un calcio al cuscino che aveva davanti ai piedi. Aveva la bava alla bocca dalla rabbia.

«Semplicemente mi sono sempre chiesta come fosse possibile che una persona nata da una famiglia di stirpe babbana potesse possedere poteri magici!» gridò Caitlin, furiosa. «Non è normale! Non dico che bisogna ucciderli, ma almeno accettare che siano strani!»

Liam, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, ridacchiò. «Anche gli Elfi Domestici hanno poteri magici, per questo motivo non dobbiamo trattarli come persone

Caitlin ammutolì.

Justin si aprì un varco tra gli amici e salì nel suo dormitorio, senza salutare nessuno.

Caitlin e Alana lo seguirono, stizzite, prendendo la scala per i dormitori femminili.

Liam si alzò dalla poltrona e andò in bagno, ancora con le maniche rimboccate, per mettere bene in mostra le vene bluastre.

Rimasero soli Rowan e Helen.

«E tu? Non hai ancora detto nulla.» disse il ragazzo, ansimando per la rabbia, quasi come se le stesse ordinando di metterlo a parte della sua opinione.

«Io? Beh, penso che prima di arrabbiarci con Caitlin e Alana dovremmo scoprire che cosa le porta a pensare quelle cose. Magari i loro genitori sono sostenitori di Tu-Sai-Chi e hanno riempito le loro teste di sciocchezze. Inoltre, non posso schierarmi dalla parte di nessuno: siete miei amici, sarebbe come scegliere tra voi, e non voglio.» dichiarò, pazientemente, nonostante il viso di Rowan fosse via via più paonazzo.

In quel momento Amelia varcò l’entrata della Sala Comune.

«C’è Amelia, vado a dormire. Buonanotte, Rowan.» si congedò, salutando con le mani Megan Jones, imbronciata e seduta da sola vicino a un tavolino di stagno squadrato che le rispose con un cenno annoiato della testa.

Rowan, rimasto ormai solo, si diresse verso le scale del suo dormitorio, non prima di aver tirato un pugno contro il muro, destando l’attenzione di tutti gli Hufflepuff rimasti.

 

 

 

 

Cominciano i primi spaventi e colpi di scena... Rowan si è proprio arrabbiato!

Spero non giudichiate male Caitlin e Alana: la prima è purosangue e abbastanza impulsiva, mentre Alana pende abbastanza dalle labbra di Caity, quindi spero che le due reazioni siano in parte giustificate. Anche Rowan è purosangue, ma i suoi genitori sono sempre stati babbanofili, quindi ha le idee ben chiare e la testa dura! XD

Risponderò alle recensioni con calma perché in questi giorni ho davvero pochissimo tempo! Scusatemi anche per il ritardo di pubblicazione!

Un sorriso a tutti, grazie per seguirmi sempre!

 

Akami

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Capitolo 8
*** Johnny, l'amico immaginario ***


7.      Johnny, l’amico immaginario

 

Il giorno seguente fu il più teso mai vissuto da tutti i ragazzi prima di allora.

Liam si svegliò presto e scese con Geoffrey a fare colazione prima di tutti gli altri Hufflepuff; Rowan probabilmente non avrebbe rivolto la parola a nessuna ragazza del suo anno, nemmeno a Helen per rabbia.

Quella mattina, Helen si svegliò tardi. Gli occhi le bruciavano e vedeva tutto sfocato. I baffi di Moby le fecero il solletico a un fianco e scoppiò a ridere, destando l’attenzione di Carey Pryce, una ragazzina estremamente timida e sempre sulle sue con le quali aveva parlato pochissime volte. Il dormitorio era vuoto.

«Scusami…» borbottò, imbarazzata, grattandosi una tempia. «Mi sai dire che ore sono?» chiese, notando che tutti i letti erano ordinati.

«Le nove meno dieci.» rispose lei, tranquilla, aprendo la finestra della stanza per cambiare l’aria nel dormitorio.

Helen strabuzzò gli occhi, saltando fuori dal letto e facendo rotolare Moby per terra.

«Nessuno mi ha svegliata?» gridò, svestendosi del pigiama e cercando la divisa della scuola.

«No, la tua amica Amelia ha detto che non ti sentivi bene e che non saresti venuta a lezione.» rispose Carey facendo spallucce e inforcando la borsa con i libri. «Beh, io vado. Spero di vederti dopo a Incantesimi.» ed uscì dalla stanza.

La ragazza rimase sola per alcuni istanti, finché non entrò Lance, senza preoccuparsi di bussare.

Helen urlò, dato che aveva indosso solo la gonna e lanciò un libro contro l’amico.

«Ma sei impazzita?!» la ammonì Lance quando finalmente furono in corridoio diretti a lezione di Incantesimi. Aveva un grosso livido rosso sulla guancia.

«Sei entrato tutto trafelato nel nostro dormitorio… cosa ti aspettavi facessi?» replicò Helen con le guance rosse dall’imbarazzo. «E come hai fatto a entrare?»

Anche Lance era paonazzo. «Sono salito mentre Carey scendeva... evidentemente il trucco non funziona quando una ragazza occupa la scala...»

Camminarono fianco a fianco senza guardarsi né parlare, troppo in soggezione l’uno sotto lo sguardo dell’altra.

Entrarono in classe con pochi minuti di ritardo. Il professor Flitwick li accolse gioviale e ordinò loro di andarsi a sedere. Come sempre, Hufflepuff e Ravenclaw erano seduti in modo disordinato, quindi fu difficile per Helen rintracciare Amelia che, ad ogni modo, non sembrava averle tenuto il posto accanto a lei.

«Avete litigato? Intendo, tu e Amelia?» le sussurrò Lance, premuroso, giocherellando con la piuma che aveva sul banco.

«Non che io sappia…» rispose Helen, rivolgendo poi tutta l’attenzione al professore.

Flitwick, arrampicandosi su una pila di libri, squittì: «Tutti pronti? Oggi impareremo l’incantesimo Wingardium Leviosa, ossia l’Incanto di Levitazione.»

Rowan alzò la mano, ma parlò senza aspettare che il professore gli concedesse la parola.

«Perché non ci spiega cos’è la Camera dei Segreti, invece, professore?» domandò, con arroganza. Sembrava essere ancora arrabbiato dal discorso della sera prima.

Flitwick quasi cadde dalla scala di tomi che aveva costruito. «Ma, signor James, non credo sia appropriato…» disse, non molto sicuro delle sue parole.

«Abbiamo il diritto di sapere, professore.» continuò Rowan, con un sorrisetto malizioso stampato sulla bocca. «Dopotutto molti nostri compagni rischiano la vita, come Mrs. Norris.» disse, sottolineando con attenzione le parole e lanciando un’occhiata eloquente ad Alana e Caitlin.

Flitwick balbettò, indeciso se spiegare o meno il mistero della camera dei segreti.

«Beh, immagino non ci sia nulla di male nello spiegare…»

«Avanti, professore!»

«Sì, beh, adesso basta, signor James!» si schiarì la voce. «Dunque, quando Hogwarts fu fondata, vi furono molte discussioni sul genere di studenti che avrebbe dovuto ospitare. Chiaramente, Godric Gryffindor, Helga Hufflepuff e Rowena Ravenclaw desideravano che lo studio fosse aperto a tutti coloro che avessero manifestato attitudine alla magia…»

Rowan ridacchiò. «“Chiaramente”, professore? Anche lei odia gli Slytherin?» azzardò, incurante di stare parlando ad alta voce.

Flitwick si interruppe, ruzzolando giù dai libri.

«Signor James, sta cominciando a stancarmi.» disse, non appena fu in grado di parlare. «Se continua così dirò alla professoressa Sprout di punirla.»

«Continui, la prego!» disse il ragazzo, pregando il professore con occhi supplici. Flitwick sospirò, intenerito, e riprese a parlare.

Lance lo sgomitò. «E questo chi te l’ha insegnato?» domandò, ancora ridendo.

«Mike Stebbins del quarto. Dice che Flitwick tra tutti è il più manipolabile.»

«Tuttavia, Salazar Slytherin si trovava in disaccordo con i compagni: egli prediligeva la purezza di sangue, e così litigò ferocemente con Gryffindor, finendo per lasciare la scuola.» terminò, annoiato, in uno sbadiglio.

Rowan alzò di nuovo la mano e, di nuovo, parlò senza permesso. «Ma professore, questo lo sapevamo già.»

Flitwick sembrò riscuotersi dal torpore. «Sì, ma adesso arriva la parte che preferisco, signor James.

«Slytherin tornò segretamente a scuola e costruì una stanza segreta, sigillandola in modo che solo lui o il suo Erede potesse aprirla.»

«L’Erede di cui si parla nella scritta sul muro, vero?» domandò Lance, preoccupato.

Il professore annuì. «Esattamente, signor Wallace. Cinque punti a Hufflepuff.»

Helen guardò Flitwick stranita.

«Ah, già! Non ha risposto correttamente a una mia domanda. Cinque punti in meno a Hufflepuff.»

Rowan si rivolse a Lance: «Non so se ridere o arrabbiarmi.» disse, quasi divertito.

«Signor James! Non glielo ripeterò più! Mi faccia continuare!» alzò la voce Flitwick, ormai più eccitato lui stesso di raccontare che gli altri alunni di ascoltare.

«La leggenda narra che nella Camera si nasconda il più orribile dei mostri, pronto a uccidere i nati babbani seguendo il volere di Slytherin.»

A questa rivelazione, Liam trattenne il respiro, consapevole che poteva essere in pericolo di vita.

Helen alzò la mano.

«Sì, signorina Adams?»

«Professore, mi chiedevo se questa stanza sia mai stata trovata. E se è possibile che l’Erede di Slytherin sia uno studente.»

Tra gli studenti si alzò un brusio spaventato e Flitwick rischiò seriamente di cadere giù dalla pila di libri una seconda volta.

«Io non credo che… insomma! Dobbiamo continuare con l’Incanto Lievitante, non perderci in queste baggianate…»

«Incanto Levitonte, professore.» lo corresse Sheldon, suscitando l’ilarità della classe, dato che era lui stesso a dover essere corretto a volte.

 

«Così Potter è l’Erede.» concluse Rowan, sedendosi al tavolo degli Hufflepuff per pranzo.

«E questo da cosa l’hai dedotto?» domandò Lance, ridendo alla fretta di Rowan di sapere.

«Diciamo da quello.» rispose l’amico, indicando l’ingresso della Sala Grande, dalla quale stava entrando Potter con i suoi due amici. Alcuni Ravenclaw e Hufflepuff avevano deviato strada per evitare di guardarlo negli occhi. Justin uno di questi.

Si sedette accanto a Helen e affondò il viso nelle mani.

«Visto?» disse Rowan, sbrigativo, versandosi del succo di zucca nel bicchiere.

Poco dopo Justin, arrivò anche Liam, sbattendo la cartella piena di libri sul tavolo con grande fragore.

«Brutta giornata?» domandò Rowan, con la bocca allagata dal succo.

«Ero con te fino a cinque minuti fa, Rowan.» gli rivelò Liam, evidentemente di cattivo umore. Evitò di incontrare lo sguardo di Lance.

«Successo qualcosa?» chiese invece Hannah, sedutasi tra Justin e Ernie in quell’istante.

Furono interrotti da una imprecazione in francese.

«Les femmes horrible et révoltant!» sbottò Sheldon, accomodandosi vicino a Liam. Per quanto poco Helen conoscesse il francese, comprese perfettamente quelle parole.

«Esatto.» asserì Liam. «Le Slytherin.»

Allora Helen capì perché entrambi non guardavano Lance dritto negli occhi: Abigail.

L’amico sembrò giungere alla sua stessa conclusione.

«Farò un discorsetto ad Abigail.» promise.

«A quella non bisognerebbe fare un discorsetto. È odiosa e insopportabile. Scusa, Lance-Pence, ma è così.» esclamò Rowan, afferrando una pagnotta e mordendola senza spezzarla, voracemente affamato.

«È sempre stata influenzabile, ma mai cattiva.» commentò Lance, tagliando il prosciutto che aveva nel piatto e guardando Rowan disgustato.

«Posso sedermi qui?» domandò Caitlin, appena arrivata, indicando il posto alla sinistra di Rowan, evidentemente vuoto.

«No. È occupato.» rispose il ragazzo, senza nemmeno guardarla.

«Ah sì? Per chi, sentiamo?»

«Johnny.»

«E chi è Johnny?»

«Il mio amico invisibile e non razzista.» sottolineò con accortezza la negazione, mettendo Caitlin in una situazione imbarazzante.

Alana, dietro di lei, sbuffò. «Andiamocene, Caity.» borbottò, attenta a non farsi sentire da Lance.

Quando furono lontane, Ernie domandò a Rowan: «Mi spieghi perché le hai mandate via?»

«È quello che vorrei sapere anche io.» disse una voce dietro Rowan. Era il famoso “Stebbins del quarto” di cui il ragazzo parlava sempre. «Non hai visto che erano due ragazze? Ra-gaz-ze, Row! Ricordi? Tante ragazze, uguale, popolarità, uguale, figurina delle Cioccorane!»

Helen non era molto sicura di avere capito il nesso logico tra le tre cose.

«Maestro, chiedo perdono. Ho dovuto farlo, perché quelle ragazze sono feccia Slytherin.» rispose Rowan, facendo il saluto militare.

«A me sembravano Hufflepuff.» ribatté Geoffrey, apparso misteriosamente. In una mano teneva la forchetta, nell’altra la penna per completare i Magicverba.

«Sono Hufflepuff, Geoffrey! Sono Caitlin e Alana, per la miseria!» esclamò Lance, fattosi serio tutt’un tratto. «E Rowan, mi sembra che questa storia sia ridicola: Caitlin e Alana non ti hanno fatto nulla, hanno solo espresso un parere. Non dovrebbe essere così che ci si comporta tra amici.»

«Mi sono persa qualcosa?» domandò Hannah. Justin la zittì e le fece segno che avrebbero parlato più tardi.

«Beh, non sono miei amici dei razzisti!» gridò Rowan, attirando su di sé l’attenzione degli Hufflepuff.

Helen preferì non udire oltre, le sembrava soltanto un discorso inutile.

«Rowan se la sta prendendo un po’ troppo, vero?» le disse Justin, porgendole il dolce.

«Credo che tutta questa storia di sangue puro o no siano parole al vento, dopotutto io e te siamo uguali: due braccia, due gambe, un naso, due occhi…»

Justin annuì, addentando il budino. «Magari gli dà fastidio che due sue amiche non la pensino come lui. Nel senso, magari vuole sempre aver ragione.»

Helen osservò Rowan battibeccare con Lance e rise. «Lui deve avere sempre ragione, per forza. E il fatto che Lance sia una delle persone più orgogliose che conosca non migliora la litigata tra i due»

«Immaginavo.» sorrise.

Furono interrotti dall’arrivo di Cedric Diggory, tutto un sorriso, che si avvicinò a loro e li salutò allegro.

«Sono qui per annunciarvi la prima partita di Quidditch dell’anno: Gryffindor contro Slytherin! Stiamo organizzando di disegnare degli striscioni per tifare Gryffindor… siete dei nostri?» domandò, appoggiando entrambe le mani sulle spalle di Helen e scuotendola.

«Io e Hannah passiamo.» rispose Ernie, immediatamente. «Dobbiamo finire il tema per la Sprout. Tu, Justin?»

Justin sembrò pensarci una manciata di secondi. «Io l’ho finito, quindi mi aggrego. Niente che menzioni Potter, però, eh!» dichiarò con tono fermo.

«Perché?» chiese Cedric, quasi fosse dispiaciuto per Harry. «Ti sta antipatico?»

Justin ridacchiò nervosamente. «Diciamo che non gli piaccio.» disse, restando vago per non insospettire nessuno. «Ma pur che non vinca Slytherin, questo e altro!»

«Devo declinare.» disse Lance appena dopo, avendo notato che lo sguardo di Cedric si era posato su di lui. «Sono pessimo nel disegno e sicuramente rovinerei tutto. Ne approfitterò per fare il compito di Pozioni che ci ha dato Snape.» spiegò, riferendosi al tema con scadenza il lunedì seguente.

«C’è Mike?» chiese Rowan, con una luce emozionata negli occhi. Aveva riconosciuto Cedric Diggory, il migliore amico del suo mentore.

Cedric rise. «No, spiacente. Mike non tiferebbe mai per una squadra che non sia Hufflepuff.» rispose, lanciando un’occhiata eloquente all’amico.

«Allora passo.»

Diggory scosse la testa, a metà tra il divertito e lo sconvolto: due Michael sarebbero stati un’esagerazione per i suoi nervi. Sperò con tutto il cuore che quel Rowan non diventasse tale quale a Michael. Il solo pensarci gli faceva venire l’orticaria.

«E tu, raggio di sole?» chiese a Helen. La ragazza arrossì, troppo imbarazzata per formulare una frase di senso compiuto.

«O-okay…» balbettò, guardando dritta davanti a sé.

«Bene, allora vi presento la squadra!» disse Cedric, scortandoli in Sala Comune.

Una volta entrati videro quattro ragazzi dal volto imbronciato: evidentemente erano stati quasi costretti dall’amico.

«Loro sono: Megan,» indicò la ragazza del secondo che era famosa per alzare sempre le mani.

«’iao.» salutò, burbera.

«Wayne,» il ragazzo del terzo anno dai modi calmi ed estremamente pacati.

«Walter e Stephen, ma penso che lui lo conosciate» un ragazzo del quarto molto simile a Wayne e lo studente del secondo eccessivamente ordinato.

«Oh, ciao, Stephen…» lo salutò Justin, a disagio.

Cedric continuò. «Loro sono Helen e Justin.» e li presentò. «Bene, ora mettiamoci al lavoro! Io, Walter e Megan saremo là nell’angolo; Wayne e Stephen in corridoio; Justin e Helen potreste stare qui.»

Tutti annuirono e, come una squadra ben addestrata, si misero subito all’opera.

Helen propose di disegnare i sette componenti della squadra di Gryffindor che esultavano e Justin fu subito d’accordo.

Si misero all’opera, intervallando a momenti di profondo impegno alcune pause durante le quali si pitturavano il viso con i colori messi a disposizione da Cedric.

In poco tempo, furono raggiunti da Walter, che si unì a loro in una lotta all’ultima macchia, mentre Cedric li guardava ridendo e Megan si faceva un’idea del tutto sbagliata sulla loro sanità mentale.

«Cosa state facendo?» domandò Geoffrey, entrato in quel momento. I suoi occhi saettarono dai tre ragazzi coperti di pittura rossa e oro allo striscione.

«Ti piace?» domandò Helen. «Cedric dice che è molto bello!» e indicò il ragazzo poco più lontano, tanto immerso nel lavoro da non essersi accorto di Geoffrey o della grande macchia oro che si allargava sulla guancia.

Justin rise. «L’avrà detto per pietà!» disse, molto critico sulla propria opera.

Helen lo fulminò.

«Lo trovo molto carino, invece. Mi piace il leone.» commentò Geoffrey, sedendosi accanto a loro.

«Sono i gemelli Weasley!» inorridì Justin, puntando con il dito a quella che sembrava una sbavatura scarlatta accanto al naso del leone.

«Vi consiglio di spacciarlo per un leone.» suggerì il ragazzo, grattandosi la testa per nulla imbarazzato.

Helen si intristì. «Mi ero impegnata così tanto…»

«Beh,» tentò Justin, consolatorio. «Per lo meno Wood è venuto bene.»

«Quella è Angelina Johnson!»

Improvvisamente, dal dormitorio maschile spuntò Wayne, assonnato e scarmigliato.

«Mi sono appisolato.» borbottò, sbadigliando.

Un urlo belluino li interruppe. Wayne sospirò. «Temo che Stephen si sia sporcato con la vernice. Vado.» disse, congedandosi e raggiungendo l’amico.

«Quello lì è un idiota.» commentò Megan, scuotendo la testa in segno di diniego.

«Chi, Wayne o Stephen?» domandò Helen.

«Entrambi. Tu sei quello che ieri ha urlato che le differenze di sangue sono stronzate, vero?» disse Megan, rivolgendosi a Justin.

Helen ammutolì di fronte alla volgarità della dodicenne.

«Beh… più o meno sì.» rispose Justin, ora intimorito.

«Bravo! Mi sei piaciuto!» si congratulò, tirandogli un pugno sulla spalla.

Il ragazzo gemette dal dolore, mentre Megan si allontanava a grandi e pesanti passi.

«Quella è una pazza. Pazza.» biascicò, mentre Walter e Geoffrey si rotolavano a terra dalle risate.

 

 

 

 

 

 

No, non sono morta. XD Sto solo passando un pessimo periodo a scuola, chiedo umilmente perdono! Spero che mi perdoniate con questo capitolo, che dedico a NanaBouregarde perché domani è il suo compleanno :) tanti auguri!

Adesso risponderò anche a tutte le recensioni! E giuro che tornerò a pubblicare una volta alla settimana! Parola di giovane recluta del Dumbledore’s Army!

Ci leggiamo presto,

 

Akami

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Capitolo 9
*** L'Erede di Slytherin ***


8.      L’Erede di Slytherin

 

Dicembre era ormai inoltrato.

L’eccitazione della notizia che Gryffindor aveva distrutto Slytherin al Quidditch andò via via scemando, una volta scoperto che Colin Creevey, un Gryffindor del primo anno, era stato pietrificato misteriosamente.

Se dapprima i brusii concitati erano stati dedicati tutti alle perplessità che l’attentato a Colin aveva suscitato, dopo poco tempo si concentrarono su Harry Potter.

Tutti sapevano come Colin desse il tormento a Harry con la sua inseparabile macchina fotografica, dunque molti pensavano che, per vendetta, il Gryffindor l’avesse pietrificato.

Harry Potter era l’Erede di Slytherin, nonostante non ci fossero prove a inchiodarlo.

Tra gli Hufflepuff, forse, quello più sconvolto era Justin Finch-Fletchley, convinto fino al midollo che Harry l’avesse preso di mira. Molti suoi compagni condividevano con lui quel timore: Geoffrey, ad esempio, considerava Potter come una persona viscida, sebbene non ci avesse mai parlato; Ernie, da subito, aveva ampollosamente dichiarato che Potter gli era sembrato sospetto fin dal primo giorno di scuola; Rowan, benché il “grande maestro Stebbins del quarto” non avesse preso posizione serie in merito, seguiva il suo istinto, difendendo a spada tratta i diritti dei nati babbani.

«Ma perché dovrebbe essere nemico dei nati babbani, dato che la sua migliore amica lo è?» domandò Hannah, precedendo Helen e Lance di pochi secondi.

«E io che ne so di cosa passa nella testa di quello!» rispose Justin, sostenuto da Rowan che, da pochi giorni a quella parte era divenuto come la sua ombra.

Furono interrotti dall’arrivo di Michael che entrò in Sala Comune strepitando: «Il Club dei Duellanti! Hanno fondato il Club dei Duellanti! Stasera!»

Gran parte degli Hufflepuff degl’ultimi anni si unirono a Michael in una bizzarra danza di felicità, intonando cori a squarciagola.

Rowan, animato da una nuova scintilla di gioia, lasciò per qualche secondo Justin, correndo a festeggiare insieme al maestro.

«Club dei Duellanti?» domandò Lance, confuso.

«Un Club in cui vengono insegnate le principali mosse di attacco e difesa in un duello tra maghi.» spiegò Helen. «Quando mio padre era uno studente di Hogwarts il presidente del Club era Flitwick. Pare che fosse stato un grande duellante in passato.»

Justin si illuminò. «Io parteciperò!» esclamò.

Ernie sorrise. «Sarà una bella sfida, ma potremmo mostrare quanto valiamo! Siete dei nostri?»

Helen e Lance si guardarono. Trascorrere una serata a duellare non era certo il loro ideale di “serata tranquilla”.

«No, io credo che verrò alla prossima. Oggi ho decisamente voglia di mettermi a letto il più presto possibile.» rispose Helen, sorridendo. Justin sembrava deluso.

«Ma sarà divertente…» mugugnò il ragazzo, guardandola dritto negli occhi. «Dai, Helen…»

Helen gli sorrise dolcemente e Justin fu subito invaso da un senso di calma.

«No, Justin. Ma domani mi racconterai.» rise.

Il ragazzo sembrò rassegnarsi. «Almeno imparerò qualche incantesimo in più per difendermi da Potter.»

«Tsk, Potter. Come cavolo fai ad aver paura di lui? È un idiota! Hai visto quanto è magro e debole? Lo stenderei con un pugno!» commentò Megan, che aveva origliato il discorso da metri da loro.

Lance inorridì, nascondendosi dietro Helen. «Helen, ho paura.» le sussurrò, facendo ben attenzione a non incrociare il suo sguardo con quello di Megan.

«Tu parteciperai al Club dei Duellanti?» le domandò Helen, in soggezione di fronte a lei.

Megan rise sadicamente. «È ovvio. Magari riesco a sfregiare qualcuno… spero quel Momo Stinkynson o come si chiama.»

Justin, sconvolto, indietreggiò di qualche passo fino a scomparire dietro il gruppo di ragazzi che ancora festeggiavano la notizia.

«Michael Stebbins?» chiese Helen, in un vano tentativo di comprendere meglio la psicologia della ragazza.

Megan la guardò attentamente, assottigliando gli occhi. «Forse.» disse, girando sui tacchi e andandosene.

Helen sperò con tutto il cuore di averle fatto un’ottima impressione. Lance, dietro di lei, ancora tremava.

Furono avvicinati dal ragazzo del terzo che stava sempre assieme a Megan, Wayne.

«Hai visto Megan?» domandò, cercando la ragazza con gli occhi. «Oggi è di pessimo umore, non vorrei uccidesse qualcuno… soprattutto ora che si riunisce il Club dei Duellanti.»

Lance lo squadrò da capo a piedi e subito gli piacque. Aveva una voce calma e pacata ed era molto educato.

«È andata via un attimo fa dopo aver parlato con Helen.» rispose, riemergendo dalle spalle dell’amica.

Wayne strabuzzò gli occhi, mantenendo un contegno britannico. «E non ti ha azzannata?» domandò a Helen.

La ragazza negò con la testa, sorridendo.

«Bene, stiamo facendo progressi. Forse tra qualche anno riuscirà anche a non incutere timore ai più piccoli…» sospirò, congedandosi.

Helen e Lance rimasero pochi istanti in silenzio.

«Hai notato che ultimamente stiamo incontrando molti ragazzi più grandi?»

«Sarà l’inverno.»

E, ridendo, si sedettero accanto al fuoco, a leggere.

 

Rowan misurava il corridoio a grandi passi, insieme a Geoffrey, Liam e Sheldon. Li seguivano Caitlin e Alana, mantenendosi distanti almeno tre metri. Aprivano la strada Hannah, Justin ed Ernie.

«Ma perché Lance e Helèn non sci sono?» domandò Sheldon, rivolgendosi a Rowan.

«Sai come sono…» rispose Rowan, sospirando. «Sono due vecchietti tutti e due. Preferiscono stare al caldo che passare la serata più bella della loro vita!» esclamò, con fin troppa euforia. Geoffrey sospettò subito che tanta energia fosse anche un modo per farsi notare dal “maestro Stebbins del quarto”.

«Il solito esagerato.» borbottò Caitlin, con voce abbastanza alta da essere udibile.

«Parla lei, la razzista.» sibilò Rowan con cattiveria, accelerando il passo e unendosi a Ernie.

Alana, rossa in viso per l’imbarazzo e la vergogna, si avvicinò a Liam, uno dei pochi che non l’aveva giudicata malamente.

«Sai per caso perché Lance non è voluto venire?» gli domandò, sorridente.

«No, mi dispiace…» rispose Liam, stranito dalla improvvisa cordialità della ragazza. Pensava che dopo la discussione con Rowan non avrebbe più parlato con nessuno, tanto meno con un sanguesporco come lui.

 «Peccato…» sussurrò lei, arrossendo ancora di più e raggiungendo la stessa tonalità dei capelli di Caitlin. «Mi sarebbe piaciuto…» non terminò la frase, abbassando il viso.

Liam ridacchiò, intenerito.

Si fermarono di fronte al portone della Sala Grande, che era spalancato e la sala già gremita di studenti di tutte le Case e gli anni, terribilmente accesi e muniti di bacchette. I tavoli erano stati fatti sparire e al loro posto stava un grande palcoscenico dorato, illuminato da candele che scintillavano sul soffitto nero, che rifletteva la notte scura.

Caitlin notò che ai piedi del palcoscenico vi erano molto ragazzine che ciacolavano concitate.

«Non dirmi che l’insegnante è…»

Gilderoy Lockhart comparve in tutto il suo borioso splendore, vestito di un abito color prugna scuro che lo faceva assomigliare a un’elegante signora. Era affiancato dal professor Snape, orrido e unto come sempre.

«Oh no!» gemette Hannah, riparandosi il viso con la divisa. «Snape no! Vi prego, nascondetemi!» sussurrò, sull’orlo di una crisi di nervi. I ragazzi guardarono Ernie e Justin con fare inquisitorio.

«Ha qualche problema con Snape.» spiegò Ernie, mentre Justin le batteva una mano sulla spalla cercando di consolarla.

«E chi non ce li ha…» sospirò Rowan con l’aria di chi nella vita ne aveva passate di cotte e di crude.

«Avvicinatevi, avvicinatevi! Mi vedete tutti? Mi sentite tutti? Molto bene! Il professor Dumbledore mi ha dato il permesso di fondare questo piccolo Club dei Duellanti perché possiate allenarvi, nel caso doveste avere bisogno di difendervi, come è capitato a me innumerevoli volte. Per ulteriori particolari, si vedano i lavori da me pubblicati.»

Liam sbuffò. «La prossima parola che dice sulle sue “imprese” me ne vado.»

«Una montogna di stupidote.» borbottò Sheldon, molto più attento alla polvere sulla propria divisa che ai discorsi del professore. Snape sembrava della sua stessa idea, pietrificato sul posto e con un’espressione disgustata sul viso.

«Permettete che vi presenti il mio assistente, il professor Snape. Mi dice di intendersi un po’ dell’arte del duello e molto sportivamente ha accettato di collaborare per una breve dimostrazione, prima di iniziare. Niente paura, ragazzi… quando avrò finito avrete ancora il vostro insegnante di Pozioni tutto intero, non temete!»

«Che peccato…» bisbigliò Justin nell’orecchio di Rowan, scatenando in lui un attacco di ridarella.

I due professori si misero uno di fronte all’altro e sguainarono le bacchette.

«Come potete vedere, stiamo tenendo le bacchette nella posizione regolamentare di combattimento. Al tre, ci lanceremo i primi incantesimi. Nessuno dei due mirerà ad uccidere, naturalmente.»

«Oserei dire di nuovo: “Che peccato”.» disse Rowan a Justin, ricambiandolo della stessa moneta. Dal gruppo degli Hufflepuff del quarto, Michael Stebbins levò un forte «No…» che sicuramente i professori udirono.

Lockhart contò e prima che chiunque potesse accorgersene, Snape lo aveva già colpito con l’incantesimo Expelliarmus, sbattendolo contro la parete dopo un volo degno del circo.

Gli Slytherin applaudirono fragorosamente e anche qualche Hufflepuff, troppo accecato dall’odio per Lockhart per ricordarsi di stare tifando Snape, si lasciò andare in grida di supporto.

 «Spero si sia rotto l’osso del collo!» sentirono esclamare Megan, scalpitante vicino a Cedric Diggory e Wayne.

«Sarebbe interessante vedere un collo rotto…» cantilenò Amelia, non troppo distante da lei.

Stephen, il ragazzo del secondo anno fissato con la pulizia, indietreggiò terrorizzato, portandosi dietro Susan Bones, anch’ella del secondo.

«Ma come fa a essere sempre presente?» domandò Alana, evidentemente minacciata.

«Non lo so, ma sto cominciando seriamente a preoccuparmi.» le rispose Liam.

«Questo era un Incantesimo di Disarmo… come potete vedere ho perso la bacchetta magica… ah, grazie signorina Brown. Sì, non se la prenda se le dico che le sue intenzioni erano molto evidenti. Avrei potuto fermala in qualsiasi momento. Ma ho pensato che fosse più istruttivo che i ragazzi vedessero…» disse Lockhart, ancora barcollante per il colpo.

«Non ci crede nessuno!» rise Justin, divertito.

«Basta con le dimostrazioni! Ora io passo in mezzo a voi e formerò delle coppie. Professor Snape, se vuole aiutarmi...»

Lockhart scese dal palcoscenico e abbinò Neville Longbottom con Justin, Rowan con Sheldon, Geoffrey con Liam, Hannah con Ernie, Stephen con Alana e Susan con Caitlin. Amelia finì con Luna Lovegood, una Ravenclaw bizzarra quanto lei.

Il famoso Trio di Gryffindor venne disgregato da Snape, che accoppiò Ron Weasley con Seamus Finnigan, Hermione Granger con la Slytherin Millicent Bulstrode e Harry Potter con Draco Malfoy.

Lockhart fece danni a sua volta, accoppiando Wayne con una ragazza del secondo anno degli Hufflepuff, tale Georgia, e dividendo Diggory (che fu mandato con Megan Jones) da Stebbins, abbinato a una certa Sandy Fawcett di Ravenclaw.

«Tutti uno di fronte all’altro» gridò Lockhart, risalito sul palcoscenico. «e inchinatevi! Bacchette in posizione! Al mio “tre”, lanciate l’incantesimo di disarmo al vostro avversario… soltanto per disarmarlo, naturalmente… non vogliamo incidenti. Uno… due… tre…»

Prima che Lockhart potesse finire di contare, Malfoy aveva già lanciato un incantesimo a Potter. I due ingaggiarono un duello all’ultima fattura.

Intanto, Rowan, Liam, Hannah, Stephen e Caitlin aveva disarmato i loro avversari senza problemi e in quel momento li stavano aiutando a rialzarsi. Justin e Neville avevano avuto qualche problema in più: si erano colpiti nello stesso momento ed erano stati sbalzati via dalla potenza dell’incantesimo.

Amelia e Luna si erano limitate a guardare il duello di Malfoy e Potter con gli occhi spalancati.

«Oh santo cielo!» esclamò Lockhart, guardandosi intorno stupito che un gruppo di ragazzi avesse potuto fare tanti danni dopo un solo incantesimo. «Su, in piedi Macmillan… attenta là Fawcett… stringi forte Boot, e vedrai che in un attimo smetterà di sanguinare…»

Ernie aveva un grosso livido rossastro sulla fronte, mentre la povera Sandy Fawcett era stata colpita con tanta forza da essere finita dall’altra parte della sala, sbattendo contro il muro e rimanendo svenuta per qualche secondo. In quel momento, Stebbins si stava prolungando in mille scuse, promettendole che la prossima volta si sarebbe fatto colpire al posto suo.

«Penso sia meglio che vi insegni a bloccare gli incantesimi ostili.» propose Lockhart, come se ci avesse pensato solo in quell’istante.

«Ma va? Brutto caprone! Stupida imitasiòn di un insegnonte!» lo insultò Sheldon, palesemente infuriato, tamponandosi il labbro sanguinante con un elegante fazzoletto di stoffa azzurro chiaro.

«Proviamo con una coppia di volontari… Longbottom e Finch-Fletchley, vi va?»

Prima che uno dei due potesse ribattere, Snape esclamò: «Pessima idea, professor Lockhart. Longbottom fa guai anche con gli incantesimi più semplici. Vogliamo mandare dritti in infermeria i resti di Finch-Fletchley dentro una scatola di fiammiferi? Che ne dice di Malfoy e Potter?»

Un brusio concitato si diffuse tra gli studenti.

«La coppia d’oro…» borbottò Stephen, pulendosi la divisa sporca con tanto foga che le sue mani sembravano andare alla velocità della luce.

«Allora, Harry, quando Draco punta contro di te la bacchetta magica, tu fai questo» disse, sollevando la bacchetta e muovendo la mano in una complicata contorsione. La bacchetta cadde a terra.

«Ohi, ohi!... la mia bacchetta magica è un po’ sovreccitata!» esclamò, raccogliendola di tutta fretta.

Alcuni studenti risero.

«Guardate Snape.» indicò Geoffrey, leggermente turbato. «Poi dicono che non faccia preferenze.»

In effetti, il professore aveva sussurrato nell’orecchio del pupillo qualcosa, probabilmente un incantesimo da usare contro il povero Potter che, supplicante, chiedeva ad Lockhart di mostrargli di nuovo la mossa.

«Tre… due… uno… via!»

Malfoy sollevò la bacchetta più velocemente di Harry e gridò: «Serpensortia!»

Dalla punta della sua bacchetta uscì un lungo serpente nero, che cadde pesantemente a terra e, rialzatosi, puntò subito Harry. La folla arretrò gridando.

«Non ti muovere, Potter. Ci penso io a mandarlo via.» disse Snape, atono.

«Guarda quello schifoso!» sibilò Rowan, indicandolo. «Secondo me vuole Potter morto subito. Si diverte come un bambino di fronte ai fuochi Filibuster!»

Lockhart si frappose fra il serpente e Harry. «Mi consenta!» esclamò, brandendo la sua bacchetta contro il rettile e scagliando un incantesimo. Non accadde nulla: il rettile saltò e ricadde, per terra, più infuriato che mai. I suoi occhi iniettati di sangue stavano puntando Justin e davano a vedere che presto avrebbe colpito. Justin si ritrasse, paralizzato dal terrore.

Successe tutto in un attimo. Harry aveva fatto un passo avanti e aperto bocca, ma da essa non era uscito alcun suono comprensibile agli umani, bensì un sibilo sinistro. In sala era caduto un silenzio tombale.

Il serpente sibilò un’ultima volta verso Justin, poi si accasciò a terra, ammansito.

Justin guardò Harry sconvolto. «A che gioco stai giocando?» gli gridò, correndo via.

Ernie e Hannah rivolsero a Harry un’occhiata terrorizzata, per poi inseguire Justin.

 

Helen si stava giusto preparando per andare a letto, quando la porta d’ingresso della Sala Comune si aprì ed entrò Justin, ansimante. Tremava.

Il libro le cadde di mano. «Justin! Va tutto bene? Sei ferito?» domandò, preoccupata.

Lance, che si era appisolato sul divano, si svegliò di soprassalto, cadendo per terra. Quando si tirò in piedi, tutto dolorante, vide Ernie e Hannah spaventati entrare.

«Potter! Potter mi ha aggredito! Ha ordinato a un serpente di attaccarmi!» disse Justin tutto d’un fiato, accovacciandosi per terra e nascondendosi nelle proprie ginocchia. Helen sospettava stesse piangendo.

«È un Rettilofono.» spiegò Ernie, pallido. Hannah, dietro di lui, annuì grave. «Ha aizzato il serpente contro Justin! L’ho visto con i miei occhi! Parla il Serpentese!»

Helen si portò una mano alla bocca, atterrita. La sala comune si stava già riempiendo, per questo portarono Justin nel suo dormitorio.

Quando Rowan, Geoffrey e Sheldon li raggiunsero, Geoffrey suggerì a Justin di fare un cambio di dormitorio: si sarebbe trasferito con quelli del primo, così Potter non sarebbe riuscito a trovarlo.

«Grazie, amico.» sussurrò Justin, raccogliendo le sue cose e sparendo dietro la porta, scortato da Ernie.

In quel momento, Rowan tuonò: «Ve l’avevo detto io che Harry Potter era l’Erede di Slytherin!»

E quella notte, nessuno poté trovargli da ridire.

 

 

 

 

 

 

 

E adesso? Povero Justin! Rowan si è arrabbiato veramente tanto!

Mi dispiace di ritardare così tanto nel pubblicare ma in questo periodo mi stanno riempiendo di simulazioni e verifiche... l’ultimo anno fa schifo. -.-

Il prossimo capitolo sarà incentrato su... Lance! So, stay tuned!

Grazie per chi continua a recensire e seguirmi! Come al solito, risponderò individualmente a ciascuno di voi appena avrò cinque minuti! :)

Ci leggiamo prestissimo, promesso!

 

Akami

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Capitolo 10
*** Lealtà giallonera ***


Lo so, non è il capitolo su Lance, ma mi sono resa conto che non avrebbe avuto senso postarlo prima di questo. Quando lo leggerete (ovvero la settimana prossima), capirete subito il perché.

Mi dispiace tantissimo, ma giuro che il capitolo è lì, pronto, sfornato, impaziente di essere pubblicato... ma prima è necessario leggere questo! :)

Scusatemi ancora!

 

Akami

 

 

9.      Lealtà giallonera

 

La mattina seguente, Justin non scese a fare colazione, preferendo rimanere nascosto nel suo dormitorio.

La professoressa Sprout aveva annunciato che l’ultima lezione di Erbologia del trimestre sarebbe stata sospesa: le mandragole necessitavano sciarpe e berrette e l’operazione era troppo delicata per essere fatta da studenti impreparati.

Gli Hufflepuff del secondo anno, dopo essersi congedati con gli amici del primo, approfittarono della situazione per correre in biblioteca a documentarsi maggiormente sulla Camera dei Segreti e sull’Erede. Per fortuna, Ernie era riuscito a ottenere qualche settimana prima Storia di Hogwarts e in quel momento lo stava esaminando con occhio esperto, cercando un qualsiasi riferimento a rettili e Rettilofoni.

«Non posso credere che Harry Potter sia l’Erede di Slytherin… lui sta a Gryffindor!» disse Susan, concitata.

«Beh, sicuramente quando è stato smistato il Cappello Parlante deve aver avuto i suoi dubbi nel decidere in che Casa dovesse essere.» obbiettò Georgia Runcorn, una ragazza dai lineamenti alteri. «Magari ha preso in considerazione Slytherin.»

«Possibile, Georgia.» commentò Stephen. «Dopotutto, io sarei potuto finire anche a Ravenclaw.» aggiunse, come a supporto della tesi dell’amica.

«Ad ogni modo» replicò Ernie, ergendosi nella sua stazza. «ho detto a Justin di nascondersi nel nostro dormitorio. Voglio dire, se Potter lo ha preso di mira come sua prossima vittima è meglio che lui si tenga alla larga per un po’. Inutile dire che Justin si aspettava qualcosa del genere da quando s’era lasciato sfuggire con Potter che era figlio di Babbani. In realtà Justin gli ha spiattellato che era stato scelto per Eton, e non è certo il genere di cose che uno va a strombazzare quando c’è in giro l’erede di Slytherin, non trovate?»

«Ma allora, Ernie, sei proprio sicuro che sia Potter?» domandò Hannah, ancora più preoccupata per Justin dopo aver sentito le rivelazioni dell’amico.

Ernie trasse un profondo respiro. «Hannah» cominciò, solennemente. «lui è un Rettilofono. Tutti sanno che quello è il segno della Magia Oscura. Hai mai sentito dire che un mago per bene parli ai serpenti? Lo stesso Slytherin veniva chiamato “Lingua di Serpente”.»

Susan trattenne il respiro e Georgia sussurrò qualcosa a Sally-Anne Perks, una ragazza del secondo anno tanto affascinante quanto altezzosa e snob.

«Vi ricordate quello che era scritto sui muri? Temete, Nemici dell’Erede. Potter ha avuto una specie di battibecco con Filch. Sappiamo che subito dopo la gatta di Filch ha subito un attentato. Quel ragazzo del primo anno, Creevey, ha infastidito Potter durante la partita di Quidditch, scattandogli foto mentre lui era lungo disteso nel fango. E non passano poche ore che anche Creevey viene aggredito.» continuò Ernie, sempre più convincente.

Hannah non sembrava ancora persuasa. «Ma è sempre così carino, però. E… beh, lui ha fatto sparire Voi-Sapete-Chi. Non può essere cattivo, no?»

Ernie abbassò la voce e invitò i suoi compagni ad avvicinarsi di più a lui.

«Nessuno sa come ha fatto a sopravvivere a quell’attacco di Voi-Sapete-Chi. Voglio dire, a quell’epoca era soltanto un neonato. Normalmente sarebbe stato fatto a pezzi. Solo un Mago Oscuro veramente potente poteva sopravvivere a un’offensiva del genere. Questa probabilmente è la ragione per cui Voi-Sapete-Chi voleva ucciderlo. Non voleva la concorrenza di un altro Signore Oscuro. Chissà quali altri poteri nasconde Potter.» bisbigliò, abbassando sempre i più il tono di voce.

In quel momento, tutti udirono qualcuno schiarirsi la voce e Harry Potter uscì da dietro alcuni scaffali. Sembrava piuttosto turbato.

Al vederlo, Gli Hufflepuff rimasero pietrificati, mentre Ernie sbiancava, terrorizzato all’idea che Harry avesse ascoltato il suo discorso.

«Salve» esordì il Gryffindor. «Stavo cercando Justin Finch-Fletchley.»

Ernie capì di essere guardato dai compagni che si aspettavano una sua risposta e prese il coraggio a quattro mani. «Cosa vuoi da lui?» aveva la voce roca.

«Volevo spiegargli quel che è accaduto veramente con quel serpente, al duello.» spiegò Harry. Sembrava innaturalmente calmo.

«C’eravamo tutti. Abbiamo visto quel che è accaduto.» disse, mordendosi le labbra. I ragazzi, dietro di lui, annuirono.

«Allora avete visto che dopo le mie parole il serpente si è ritirato?» continuò Harry.

«Tutto quel che ho viso è che tu parlavi in Serpentese e aizzavi il serpente contro Justin» disse Ernie, tremando di paura, ma fiero di tenergli testa.

«Non l’ho aizzato contro di lui! Il serpente non l’ha neanche sfiorato!» gridò Harry, ora adirato.

Ernie trasse un secondo respiro, acquistando maggior coraggio. «Lo ha mancato di poco. E nel caso tu ti stessi facendo venire in mente qualche strana idea, posso dirti che per quanto indietro tu voglia risalire nell’albero genealogico della mia famiglia non troverai altro che generazioni di streghe e di maghi, e che il mio sangue è purissimo, quindi…» ribatté Ernie, affrettandosi a ribadire la purezza del proprio sangue con esagerati gesti delle braccia.

Gli Hufflepuff erano ipnotizzati a seguire il litigio.

«Non m’importa un accidenti del tuo sangue! Perché mai dovrei attentare ai figli dei Babbani?»

«Ho sentito dire che detesti i Babbani con cui vivi.» si affrettò a dire Ernie, certo delle sue fonti.

«Non è possibile vivere con i Dursley senza odiarli, vorrei vedere te al mio posto» strepitò Harry, ponendo fine al discorso. Girò sui tacchi e se ne andò.

Ernie espirò lentamente, mentre gli altri Hufflepuff si complimentavano con lui per il suo sangue freddo.

«Sei stato molto coraggioso.» gli disse Hannah, sorridendogli. «Mi dispiace di non essere intervenuta.»

«Sì, anche a me… però il tuo discorso mi ha talmente tanto convinto che per un attimo ho pensato a Harry Potter come a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.» disse Stephen, ancora scosso. Susan gli accarezzò un braccio, solidale.

Sally-Anne e Georgia si alzarono. «Beh, Ernie… noi andremmo… Io devo beccare Michael prima del cambio dell’ora per restituirgli un libro e Sally-Anne…» guardò la ragazza, dubbiosa.

«Me ne vado in camera. Tutto pur di non stare con dei pezzenti come voi.»

E si allontanarono, camminando l’una il più lontano possibile dall’altra.

Fu Stephen il primo a parlare. «Ma se io l’ammazzassi, quella Perks?»

«Prego.» disse Ernie, inchinandosi teatralmente.

Susan rise. «Non lo faresti mai, Step. Avresti paura di prenderti qualche malattia rara attraverso il sangue.»

Stephen rabbrividì.

Hannah stava per parlare, quando l’urlo di Pix il Poltergeist li spaventò.

«ATTENTATO! ATTENTATO! NÉ MORTALI NÉ FANTASMI SONO AL SICURO! METTETEVI IN SALVO! ATTENTATOOO!» strepitava a squarciagola.

Attraversando gli scaffali, giunse davanti aGli Hufflepuff e rise, divertito.

«Oh, Hufflepuff. Anche quello che era disteso a terra senza vita era un Hufflepuff…» canticchiò, andandosene via.

I ragazzi trasalirono, increduli.

Corsero a perdifiato lungo il corridoio che separava la biblioteca dalla zona delle aule. Lì si era già formato un folto crocchio di studenti.

In mezzo a tutti i ragazzi, riuscì a distinguere la figura di Helen, Lance e Rowan (misteriosamente con i capelli metà a strisce bianche e nere), accovacciati vicino a un corpo disteso.

Non voleva guardare.

Justin, il suo migliore amico Justin, giaceva per terra pietrificato. Sul suo volto era rimasta l’ombra di terrore che lo aveva attraversato poco prima dell’attentato.

Solo in quel momento si accorse di stare occupando lo spazio incorporeo di Nick Quasi-Senza-Testa.

Poi lo vide. Harry Potter, l’Erede di Slytherin, era fermo immobile ai piedi di Justin e lo fissava con sguardo vacuo, mentre Helen chiamava l’amico, disperata.

«Colto sul fatto!» gridò, impallidito dalla paura. Le mani gli tremavano e provava l’irresistibile desiderio di scagliarsi su Potter e spaccargli il naso.

«Basta così, Macmillan!» lo riprese la McGonagall, secca.

Mentre Pix intonava una canzoncina su Potter, molti altri professori erano accorsi. Studenti di tutte le età cercavano di farsi spazio per poter osservare anche loro il povero Justin.

«Macmillan!» disse la McGonagall, davanti a Potter come se lo volesse proteggere. «Utilizza questo per… ehm… sventolare Nicholas sulla torre.» ordinò ad Ernie, porgendogli un ventaglio. «E voi, andatavene!» ordinò al crocchio di ragazzi, che obbedì sbuffando.

Il professor Snape e la professoressa Sprout si occuparono di portare il corpo di Justin in infermeria, permettendo a Hannah di restare con lui.

Helen e Lance erano sbalorditi. Si guardavano senza realmente vedersi, ma tuttavia incapaci di rivolgere lo sguardo da qualsiasi altra parte. Ritornarono in aula di Trasfigurazione e attesero il ritorno della McGonagall. La classe era sovreccitata e il cicaleccio non si spense fino all’ora di pranzo.

A pranzo, mancavano all’appello anche Ernie, Hannah e tutti i compagni del secondo anno di Justin. I ragazzi del primo si sedettero accanto a quelli del terzo e subito furono bombardati di domande di ogni sorta.

«Voi eravate sempre insieme a lui, vero?»

«Ma è vero che è un nato-babbano?»

«Avete visto Potter scagliargli la maledizione?»

«E come faranno a far tornare in vita Nick?»

«Odiosa la gente che non si fa gli affari suoi.»

Quell’ultimo intervento era stato fatto da Wayne, così palesemente seccato dal comportamento immaturo dei propri compagni di dormitorio da sentirsi in dovere di intervenire in favore di Helen e Lance, che non avevano risposto a nessuna domanda poiché ancora scossi.

Lance gli lanciò un’occhiata di ringraziamento e Wayne ricambiò con un impercettibile cenno della mano.

Tra tutti i ragazzi del primo anno, Liam era quello più spaventato, a ragione: lui era un nato-babbano, le probabilità che aveva di essere il prossimo si stavano alzando sempre di più. Tentava di dissimulare il suo stato d’animo, ma il silenzio nel quale sprofondò valeva più di qualsiasi strepito.

Per nulla quieto era invece Rowan. Scalpitava da una parte all’altra della sala, parlando nervosamente e lanciando occhiate omicide a Caitlin e Alana.

«Dovresti lasciarle in pace.» borbottò Sheldon, quando Rowan decide di sedersi dopo essersi alzato per la quinta volta da tavola. «Non vedi che anche loro sono dispiasciute?»

«Ci mancherebbe altro!» sbottò Rowan, adirato e tremante. «Chi non si dispiacerebbe di atti di questo genere?»

«Malfoy.» dichiarò Sheldon, nominando il Slytherin nella sua lingua d’origine.

«Ha ragione: Malfoy sembra sempre più soddisfatto di come stiano andando le cose.» borbottò Geoffrey, con la bocca piena di pollo arrosto.

«Esattamonte. Non mi sembra che anche loro due siano così felisci, non trovi?»

Helen si alzò da tavola all’improvviso, destando l’attenzione dei suoi compagni.

«Non hai più fame?» domandò Lance, dolcemente.

«Vado a trovare Justin.» si affrettò a dire lei.

«Ti accompagno.»

Insieme fecero per uscire dalla Sala Grande, ma furono fermati da una voce arrogante, che li assalì con odio.

«Andate a trovare il vostro amichetto sanguesporco?»

Helen si voltò, innervosita, ed incontrò una ragazza dai profondi occhi blu e una chioma bionda.

«Scusa, ci conosciamo?» chiese, velenosa.

«Cerchi anche di essere simpatica, mezzosangue? Ma come ti permetti?» sibilò la ragazza di rimando. Dietro di lei, Helen scorse un gruppo di ragazze Serpeverdi del primo anno. Anche Abigail era lì e assisteva alla loro umiliazione senza battere ciglio.

«Almeno io ci riesco.» continuò Helen, cercando di mantenere il più possibile la calma. Non voleva fare una sfuriata contro un’amica di Abigail.

«Come osi rivolgerti a me in questo modo?!» inorridì la Slytherin, fulminandoli con gli occhi traboccanti d’odio.

«Come osi tu parlarle in questo modo!» intervenne Lance, in un impeto di coraggio, parandosi davanti a Helen come a proteggerla.

Quell’altra rise. «Ehi, Gail» disse, rivolgendosi ad Abigail. «Questo è quella vergogna del Mondo Magico di tuo cugino? Mezzosangue e Magonò?»

Helen sentì una rabbia salirgli dal profondo vedendo Lance che abbassava lo sguardo distrutto: il pensiero che sua cugina, con la quale era cresciuto fin da piccolo, avesse parlato di lui in quel modo lo annientava.

«Abigail, come puoi dire queste cose di Lance?» domandò, con voce sottile. «È tuo cugino.»

«È feccia.» rise Mary Elliott, accanto ad Abigail, sgomitando l’amica. «Malfoy dice che potrebbe quasi essere peggio dei sanguesporco!»

Lance sentì gli occhi bruciare. Le braccia, allargate in modo da proteggere l’amica, ricaddero inerti sul fianco.

«Abigail…» mormorò, guardandola supplichevole.

L’espressione della ragazza fu attraversata da un lampo di umanità. Sembrava quasi stesse per avvicinarsi e stringerlo forte tra le sue braccia, negando tutto ciò che quelle disgustose Serpeverdi avevano detto sul suo conto.

Eppure, non si mosse.

La banda di ragazze scoppiò in una risata malvagia e Helen e Lance ne approfittarono per scappare.

Salirono fino al secondo piano, poi Lance si bloccò in mezzo al corridoio. Si accovacciò su se stesso e scoppiò a piangere.

Helen lo guardava, impotente. Si avvicinò a lui e lo abbracciò, con fare materno.

«Stai tranquillo…» gli sussurrò, accarezzandogli i capelli. «Tornerà in sé, vedrai…» disse, sperando che il suo tono risultasse abbastanza credibile.

«Helen?» la chiamò Lance, con un tono tanto innocente da ricordare quello di un bimbo. «Sono una cattiva persona?» domandò, fissando i suoi occhi in quelli dell’amica. Erano rossi e gonfi di pianto.

«No che non lo sei!» esclamò Helen, piena di rabbia. «È Abigail che… non lo so, è diventata disgustosa! Lei è quella cattiva, Lance, non tu.»

Lo aiutò a rialzarsi e insieme raggiunsero l’infermeria. Lance preferì stare fuori ad aspettare l’amica: non voleva mostrare di aver pianto.

Quando Helen entrò, vide Hannah e Ernie seduti accanto all’amico. Con loro c’erano Susan, Stephen, e un ragazzino del secondo anno, un certo Quill che era l’ombra di Stephen.

Si voltarono a guardarla, per accertarsi che non fosse nessuno di pericoloso. Ormai bisognava essere sempre pronti a tutto e in qualsiasi momento.

«Ciao, Helen…» borbottò Ernie, con una mano sulla spalla di Justin.

Helen non parlò. Gli Hufflepuff si aprirono, lasciandola passare. Camminava lentamente, timorosa.

Justin era lì, sul letto. Aveva ancora indosso la divisa scolastica e la sua posizione era innaturale per essere sdraiato; gli occhi, vitrei, guardavano dritti davanti a sé; la bocca era leggermente aperta. L’espressione era terrorizzata.

Doveva aver provato a fuggire, pensò Helen, vedendo che una gamba era più avanti dell’altra. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi e Hannah le prese una mano.

«Riusciranno a guarirlo.» sussurrò. «La Sprout è favolosa, vedrai: in un batter d’occhio avremo Justin qui vicino a noi.» sembrava davvero convinta delle sue parole.

Stephen e Susan annuirono. Ernie si alzò rumorosamente dalla sedia e uscì dalla stanza a grandi passi.

«Non ci vuole ancora credere. Non riesce a farsene una ragione…» spiegò Susan, vedendo la reazione esterrefatta di Helen.

«Già» continuò Stephen. «vuole trovare il responsabile e vendicare Justin.»

«Justin era il suo migliore amico e l’unico che riusciva a calmargli i bollenti spiriti.» illustrò Hannah. «Quando si arrabbiava così solo Justin riusciva a farlo ragionare.»

Helen assentì. Era ovvio, dopotutto Justin infondeva tranquillità in chiunque gli stesse accanto.

Voltò lo sguardo e vide che non troppi letti più avanti giaceva anche Colin.

«È terribile.» gemette Susan, incapace di trattenere le lacrime. «Chi potrebbe mai fare qualcosa del genere?»

«M-magari… Potter?» tentò Quill, in un sussurro tanto flebile che fu udito a fatica.

Nessuno riuscì a ribattere.

 

Quella notte, l’infermeria non era vuota.

Amelia era accanto al corpo di Justin e lo fissava immobile, paralizzata sul posto. Gli occhi osservavano il corpo di Justin vacui. L’espressione sul suo viso era di puro terrore.

«P-papà…» esalò, lo sguardo fisso sugli occhi di Justin.

Con la stessa discrezione con cui era entrata, scappò via.

 

 

 

 

 

Prossimamente, in L’altra faccia della Camera dei Segreti:

 

“Lancelot Wallace era il bambino di sei anni più noioso che si fosse mai visto. Non solo non amava giocare all’aperto con i suoi compagni di scuola (lamentava misteriosi dolori allo stomaco quando si trattava di uscire dalla classe), ma era davvero un bambino strano.”

 

Capitolo speciale – Meet Lance!

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Capitolo 11
*** Speciale: Meet Lance! ***


Capitolo speciale – Meet Lance!

Lancelot Wallace era il bambino di sei anni più noioso che si fosse mai visto. Non solo non amava giocare all’aperto con i suoi compagni di scuola (lamentava misteriosi dolori allo stomaco quando si trattava di uscire dalla classe), ma era davvero un bambino strano.

Innanzitutto, leggeva. Leggeva tantissimo per un bambino di sei anni. La sua piccola libreria vantava libri per bambini, ma già qualche tomo di letteratura classica inglese come ad esempio Moby Dick, il suo libro preferito, senza dimenticare le poesie di Emily Dickinson e William Blake.

Il piccolo Lance, così si faceva chiamare da quei pochi amici che aveva, vantava un’intelligenza non da poco. Amava imparare, amava studiare e lo faceva senza la minima fatica. Aveva imparato a scrivere a tre anni e a leggere a quattro.

A quattro anni e mezzo, ecco, il primo segno che sarebbe diventato un mago. Non un mago, qualunque, ma un portento: quale bambino di quattro anni riesce a controllare la prima magia involontaria? Il paurosissimo Lance riusciva ad accendere la lucina sul suo comodino tutte le volte che voleva, prima di andare a dormire.

Purtroppo, i suoi genitori non vedevano di buon occhio la magia: sua madre era un magonò, una strega che non presentava alcuna propensione alla magia.

Per amore del piccolo, tuttavia, i signori Wallace decisero che Lance avrebbe frequentato la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, come suo zio, il fratello della madre.

Proprio all’età di sei anni, quella in cui si concentra la narrazione, Lance incontrò Abigail Williams.

Abigail era una bambina sveglissima, furba come una volpe e bella come la luna: aveva la carnagione rosea, i capelli nerissimi e lucidi come le penne di un corvo e due occhi verdi come la luce che filtrava dalle foglie nel sottobosco.

Fu proprio così che la descrisse Lance non appena la vide. I due bambini si vollero subito bene.

Ciò che rendeva la loro unione così forte e semplice era forse il fatto che fossero cugini. Cugini che, a causa dei genitori, non avevano mai avuto la possibilità di conoscersi fino a quando Lance non aveva manifestato le sue prime capacità magiche.

Lance amava trascorrere le feste da Abigail, le sue preferite erano quelle di Pasqua, poiché Villa Fiorita, la casa degli zii, si riempiva di boccioli di qualunque fiore e il grande giardino rinverdiva come in estate e anche poiché i genitori di Abigail lo riempivano sempre di enormi uova di Pasqua di un finissimo cioccolato amaro di cui Lance non avrebbe mai smesso di nutrirsi.

Ciò che rendeva i suoi soggiorni speciali era anche la presenza del fratello maggiore di Abigail, David. David era un ragazzino del tutto simile a Lance: capelli corvini tenuti a caschetto, occhi grigi brillanti, carnagione pallida e un amore per la lettura e lo studio.

David frequentava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e fu grazie a lui che Lance imparò, fin dalla prima vacanza a casa Williams, le nozioni di base di Storia della Magia. Lance amava la storia quasi quanto David.

La sera, quando tutta la famiglia Williams e Lance erano riuniti intorno alla tavola, il signor Williams dilettava la serata con simpatici racconti dei suoi anni a Hogwarts e di come aveva conosciuto Anne, sua moglie.

Anne Williams, nubile Macnair, era una donna di straordinaria bellezza e altrettanta freddezza. Solo Lance, in famiglia, riusciva a strapparle un sorriso ogni tanto. Lance era sicuramente il bambino preferito da Anne tra tutti gli abitanti di Villa Fiorita. Questo metteva il piccolo in una situazione antipatica nei confronti dei cugini che, invece, dovevano faticare per ottenere le attenzioni della madre.

Ciò che rendeva Lance così amabile era, sicuramente, il fatto che avesse paura di qualsiasi cosa fosse presente nel raggio di cinque metri da lui.

Aveva paura delle api, dei ragni, delle mosche, ma anche dei tavoli (potevano cadergli addosso), delle sedie (potevano farlo cadere addosso ai tavoli), dei bicchieri (potevano rompersi in mano), dei divani (poteva sprofondarci dentro scomparire nella morbidezza), ma anche dei letti (poteva rimanere soffocato sotto le coperte), della sua ombra (e se gli fosse  scappata via con a Peter Pan?), degli specchi (e se ci fosse passato attraverso come Alice?). Un giorno arrivò a dire di temere l’aria (portava con sé germi e malattie) al punto da respirare a intervalli che spaziavano dai trenta secondi a quasi un minuto, per evitare che gli entrassero nel naso i microbi.

Com’era possibile non amare un bambino così, non coccolarlo, non viziarlo?

Fu così che le paure di Lance lo resero il bambino più viziato e coccolato sulla faccia della terra. Questo fu la sua rovina.

Perché?

Perché maturò un ego tanto smisurato e un orgoglio che nemmeno David aveva mai manifestato.

A nove anni era un saccente, piccolo pauroso.

Ma ad Abigail non importava, perché il suo amato cuginetto era la persona che più amava su quella terra, al pari del suo fratellone David.

I due erano cresciuti come gemelli, continuamente insieme, e, quando Lance, durante la settimana, viveva a Edimburgo, Abigail scriveva lunghissime lettere ricche di affetto, scherzi e tanti errori ortografici e sbavature d’inchiostro.

Lance non vedeva l’ora che arrivasse il weekend per poter giocare con la cugina.

Era sicuro che lui ed Abigail sarebbero stati amici per sempre.

 

«Lance? Tutto bene? Perché stai piangendo?»

«Lancelòt sta pianjendo?»

«Zitto, Shelly, torna nel tuo mondo di baguette sotto le ascelle!»

Un’imprecazione in francese.

Lance si voltò e aprì gli occhi, bagnati di lacrime, e fu accecato dalla luce della candela che Liam teneva in mano.

«No, sto benissimo» sbuffò, piccato dal fatto che i suoi amici l’avessero visto, e sentito, piangere, sotto le coperte, come un bambino di tre anni. Lui, che di anni ne aveva ben quattordici.

Rowan si sedette sul letto dell’amico. «Hai sognato ancora di quando eri piccolo?»

Lance annuì impercettibilmente, ma seppe fin da subito che Rowan se n’era accorto. A quell’idiota non sfuggiva mai nulla.

«Vado a chiamare Helen»

«Non ci provare!» saltò subito su Lance. «Sarà ancora in sala comune, tanto...»

Liam sorrise, comprensivo. «Sei sicuro? Comunque in sala comune non c’è, vero Sheldon?»

«Vonti minuti fa non sc’era» sorrise l’amico, i capelli ricci sconvolti dal risveglio forzato.

Lance sospirò. «Chiamatemi Abigail»

Rowan gli batté una mano sulla spalla. Una cicatrice biancastra brillò sotto la luce della candela. «Lo dicevi anche nel sonno»

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo. «Davvero?» e si odiò per la femminuccia che era diventato.

«Comunque se tu non tieni alla tua anima, beh, ci tengo io. Per questo non andrò a chiamare quella anti-Dissennatrice»

«Anti-Dissennatrice?»

«Al suo ricordo sei sempre triste. Lei funziona al contrario di un Dissennatore»

Sheldon rise.

Geoffrey, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, sussurrò: «Sono sicuro che anche lei sta sognando i bei momenti trascorsi con te quand’era piccola»

E con quel pensiero finale, tutti tornarono a letto.

Lance, nel silenzio e nel buio della stanza, aprì il suo baule e ne estrasse Moby Dick. Si infilò sotto le coperte e le allentò, per non rischiare di strozzarsi. Chiuse gli occhi e tentò di dormire.

Li aprì dopo qualche secondo. Guardò la candela lasciata da Rowan sul suo comodino e questa, subito si accese.

E, dopo aver preso tre respiri brevi, riuscì finalmente ad addormentarsi.

 

Abigail si svegliò di soprassalto.

«Che c’è, Gail? Brutto sogno?» domandò Veronica Jenkins, sporgendosi, svegliata dall’ansimare spaventato della ragazza.

«Hai sognato ancora il tuo parente magonò?» domandò Mary Elliott, con cipiglio seccato per essere stata svegliata da una tale banalità.

Abigail si morse il labbro inferiore. Se avesse annuito, Mary non le avrebbe più rivolto la parola, e così tutte le altre ragazze della camera. Se avesse svelato che aveva sognato quel giorno in cui Lance l’aveva affrontata ed era stato insultato, le altre ragazze avrebbero riso, avrebbero riso di lei.

Fece segno di diniego con la testa.

«No. Solo la Umbridge»

Edith, da sotto le coperte, rise. «Quello sì che è un brutto sogno»

Mary si sdraiò nel letto. «Nessuno aveva chiesto il tuo parere»

Edith stette zitta, fingendo di dormire.

«Buonanotte» disse Abigail, tornando alle comodità del letto, con il cuore che batteva all’impazzata.

Nessuno le rispose.

 

«Buonanotte, Lance!»

«Buonanotte, Gail. Non vedo l’ora che sia domani!»

«Domani si parte per Hogwarts!»

«E speriamo di essere smistati nella stessa casa!»

 

 

 

 

 

 

 

 

Non solo era un capitolo dedicato a Lance... ma c’era pure un flashforward! XD

Grazie per le recensioni e per chi anche solo legge!

Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di Abigail, in generale, come persona.

Ci leggiamo la settimana prossima!

 

P.S. Tempismo perfetto, visto? ;)

 

Akami

 

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Capitolo 12
*** L'impresa di Amelia ***


Wecome To PageBreeze

10. L’impresa di Amelia

 

Dopo il duplice attentato, tutti gli studenti si erano precipitati a prenotare i posti sull’Espresso di Hogwarts: nessuno avrebbe trascorso le vacanze di Natale al castello, sapendo di un mostro a piede libero.

Liam, fu uno dei primi a essere pronto, l’ultimo giorno del trimestre, per partire e tornare a casa. Anche Sheldon, richiamato con urgenza dalla madre, Geoffrey e Hannah si sarebbero imbarcati sul treno.

Quella mattina, Helen aveva ricevuto un gufo dal padre, a cui aveva scritto pochi giorni prima, chiedendogli se poteva rimanere a scuola per le vacanze. La lettera diceva:

 

Cara Helen,

siamo molto preoccupati per te. Dopo l’ultimo attentato di cui ci hai parlato, tua madre è scoppiata in lacrime. Il fatto che Justin fosse un tuo caro amico l’ha sconvolta.

Ad ogni modo, non vogliamo obbligarti a tornare: dopotutto tu sei figlia di un Mago, quindi non dovresti correre rischi. Se desideri trascorrere le vacanze al castello, non te l’impediremo di certo.

Con l’augurio che tu trascorra uno dei Natali più belli della tua vita,

un bacio,

Papà

 

«Sei fortunata.» commentò Lance, a colazione, dopo aver letto la lettera dell’amica. «Io ho dovuto litigare con i miei genitori per convincerli a lasciarmi a scuola.»

Helen sorrise. «Beh, magari temono anche per te.»

«La mamma ha detto che non si è mai sentita tanto in colpa di essere un Maganò, sebbene odi la magia.» spiegò Lance.

«Era un modo molto sottile di dirti che ti vuole molto bene.» ridacchiò la ragazza.

Rowan si sedette al tavolo con loro.

«Giornataccia.» borbottò, trangugiando un bicchiere di succo di zucca come se non bevesse da settimane.

«Ma se sei sveglio da cinque minuti!» commentò Lance, vedendo i capelli scarmigliati e l’espressione ancora assonnata.

«Sette, per la precisione. E comunque me lo sento: oggi sarà una giornataccia.»

In quel momento, entrò Potter.

«Appunto.»

Helen si sforzò di ridere, ma ogni volta che vedeva Harry non riusciva ad odiarlo. Lei aveva visto la sua espressione il giorno che Justin era stato trovato.

I gemelli Weasley si alzarono in piedi, torreggiando sul tavolo di Gryffindor ed urlarono: «Attenti! Fate attenzione! Arriva Harry Potter, l’Erede di Voi-Sapete-Chi! Non guardatelo negli occhi o vi ucciderà con la forza del pensiero!»

Rowan strinse i pugni. «Pensano che sia un gioco?»

«Semplicemente non pensano che possa essere stato lui.» rispose Alana, arrivata in quell’istante. Caitlin la seguiva a ruota, esibendo un broncio degno di Megan Jones.

«Nessuno ha chiesto il tuo parere.» sbottò Rowan, ficcandosi in bocca un pezzo di pane.

«Oh, ma vuoi piantarla una volta tanto, idiota?» esclamò Caitlin, tirandogli addosso una pagnotta intera. «Ne ho piene le scatole di questo tuo comportamento! Viviamo in un mondo libero, ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa! Non è che se tu la pensi in un modo sia giusto così! Come non potrebbe esserlo il mio modo! Il punto è che rispettare le persone significa rispettare i loro pareri, le loro convinzioni! Se tu non rispetti quelli che non la pensano come te, non rispetti gli esseri umani! Sei una persona disgustosa, Rowan James.»

Le urla della ragazza avevano attirato l’attenzione del tavolo degli Hufflepuff rimasti al castello, una decina di persone circa.

Rowan, allibito, fissava Caitlin come se fosse un mostro assetato del suo sangue. Certo, non era un discorso che si sentiva in bocca a tutte le undicenni.

«Io…» mormorò, colpito e affondato dalle dure parole. «Beh… ecco…»

«So cosa vuoi dire.» lo aiutò la ragazza, tornata tranquilla. «E accetto le tue scuse.»

Lance guardò Alana. «Falle anche ad Alana, Rowan, gliele devi.»

Alana arrossì subito, terribilmente imbarazzata. «N-non ce n’è bisogno, g-grazie, Lance.»

«No, Lance ha ragione.» dichiarò Rowan, stranamente serio. «Le cose o si fanno bene o non si fanno: scusami, Alana.»

In tre mesi che lo conosceva, Helen non aveva mai sentito Rowan scusarsi di qualcosa, sempre convinto di avere ragione.

Da quel chiarimento, le vacanze per gli studenti Hufflepuff del primo anno migliorarono di giorno in giorno. Erano una classe unita e molto amica.

Giusto la sera della Vigilia di Natale, poco dopo cena, Helen, Lance e Rowan stavano attraversando il corridoio delle aule, quando furono attirati da un rumore di banchi che si spostavano. Rowan scattò sull’attenti.

Si mosse per entrare nell’aula, ma Helen lo trattenne per un lembo della veste.

«Cosa fai? E se è… quel qualcosa?»

«Sono purosangue, sono immune a queste cose.» rispose semplicemente Rowan.

Spinto più da curiosità che da eroismo gratuito, aprì la porta socchiusa della classe e vi scomparve dietro. Per pochi secondi, rimase nel completo silenzio, poi uscì correndo e ridendo come una iena.

«Ci sono due… due… c’è quel Prefetto…» tentò di dire tra una risata e l’altra. «Andate… vedere…»

Helen e Lance si guardarono, lo stesso sguardo interrogativo. Seguirono il consiglio di Rowan ed entrarono. Quello che videro li lasciò di sasso.

In un angolo, un ragazzo e una ragazza si stavano baciando in una maniera molto imbarazzante. Non era possibile capire dove iniziassero le mani dell’uno e dove finissero quelle dell’altra. Il rumore di sbaciucchii era percepibile da metri di distanza e i respiri irregolari davano l’idea che entrambi trattenessero il respiro quando le labbra si incontravano.

Lance si portò le mani davanti agli occhi, mentre Helen scoppiò in una grassa risata, che riscosse i due innamorati. La ragazza era un Prefetto Ravenclaw, mentre il ragazzo era l’insopportabile Prefetto di Gryffindor, Percy Weasley.

Helen guardò Percy dritto negli occhi e vi lesse in lui il più profondo imbarazzo.

«A-andiamo, Penny…» borbottò, prendendo la ragazza per mano e uscendo dalla porta.

Quando Lance e Helen tornarono da Rowan, videro che l’amico era accasciato per terra che rideva ancora.

«Ma sei normale?» gli chiese Helen, non aspettandosi una risposta soddisfacente.

«Non… ho mai visto nessuno… baciarsi così… male!» continuò, battendo i pugni contro il muro.

Lance lo guardò, mordendosi il labbro inferiore per non fare la sua stessa fine e non riuscire a fermarsi.

Una sagoma nera, che stava attraversando il corridoio, li sentì ridere e li raggiunse.

«Cosa ci fate ancora in giro? Dovreste essere nel vostro dormitorio!» li rimproverò la Caposcuola Gwen Morgan. «E già che ci siete, sapete che fine hanno fatto il Prefetto Weasley e il Prefetto Clearwater?»

Rowan ululò, sedendosi per terra e dondolandosi in un angolo, soffocando le risate.

Gwen lo guardò come se fosse stato un alieno.

«Sono andati da quella parte.» indicò Lance, battendo una mano sulla spalla di Rowan, sperando in un suo rinsavimento.

Gwen lanciò un’occhiata a Rowan, poi la spostò su Lance e Helen. Poi capì.

«Erano ancora là dentro a sbaciucchiarsi, vero?» domandò, con un moto di rassegnazione.

Helen annuì, greve.

«Credo che informerò la professoressa McGonagall e il professor Flitwick…» disse Gwen, più a se stessa che ai tre ragazzi.

Detto ciò, se ne andò, proseguendo per la sua strada, con la speranza di incontrare i due Prefetti e ucciderli.

«Tutte le volte che la vedo penso a quello che le ha fatto tuo zio…» disse Helen a Lance, aiutandolo ad alzare Rowan, che finalmente si stava calmando.

«Già…»

Tornati in Sala Comune, quando anche Rowan aveva smesso di ridere, si sedettero sul divano e stettero qualche minuto a guardare il fuoco. La Sala Comune era stranamente vuota, quella sera. Dopo l’attentato a Justin, la maggior parte dei nati-babbani aveva preferito tornare a casa per Natale, quindi coloro che si trovavano nella stanza in quel momento dovevano essere i coraggiosi rimanenti. Tuttavia, erano tutti bizzarramente silenziosi.

Micheal e il suo gruppo di amici erano seduti al tavolo che si trovava al centro della sala e confabulavano fitti, zittendosi quando qualcuno passava loro accanto.

Ernie non era ancora tornato dalla Sala Grande: molto probabilmente stava girando i meandri di Hogwarts, solo.

L’attacco al suo migliore amico l’avevo reso più silenzioso e burbero. Andava a trovare Justin tre volte al giorno e stava con lui un’ora, a parlargli della sua giornata e dei vari modi in cui avrebbe ucciso l’Erede. Di conseguenza, il solo vedere Harry Potter lo rendeva nervoso e intrattabile.

Durante il giorno spariva, al pomeriggio era sempre in biblioteca, mentre alla sera ricompariva per una semplice buonanotte. Il suo compagno di dormitorio Stephen affermava che la notte si limitasse a dormire, chiudendo le tende del letto e non parlando fino al mattino seguente.

Anche quella sera, Ernie entrò di soppiatto nella sala, con la testa bassa e stretto nelle proprie spalle. Lance sgomitò Helen, che era caduta in un profondo torpore, e le indicò l’amico.

«Ernie» lo chiamò la ragazza, con estrema dolcezza. Forse fu solo per questo che Ernie l’ascoltò, avvicinandosi a lei.

«Che c’è?»

«Com’è andata oggi?» domandò Helen, sorridendogli. «Che cos’hai fatto di bello? Non ti abbiamo visto dopo colazione… dove sei stato?»

Ernie chiuse gli occhi e sospirò, massaggiandosi le tempie. «Ho fatto un giro, Helen. Non c’è bisogno che ti preoccupi per me.»

Lance sorrise. «Lo sai com’è fatta... è preoccupata per te. E anche io, dopotutto.»

Ernie sembrò sciogliersi in un sorriso di riconoscenza, tuttavia rimase serio e imbronciato.

«Beh, vi ringrazio. Ora però vado a letto.» e, detto questo, salì al dormitorio.

Helen si lasciò cadere sul divano, stravolta.

 

La mattina seguente era la mattina di Natale. Il dormitorio femminile era stato decorato con ghirlande, vischio e persino un alberello di Natale gentilmente fornito da Hagrid, addobbato con palline gialle e nere.

Helen si svegliò presto, forse troppo presto, ma trovò ai piedi del letto una piccola montagna di regali. Tutta eccitata si avvicinò ai doni e, silenziosamente, li portò nella Sala Comune, per evitare di svegliare le sue compagne di stanza.

Non era l’unica ad essersi alzata di buon mattino: la Sala Comune era occupata da Stephen e Wayne, che probabilmente erano rimasti alzati tutta la notte per l’insonnia.

«Ciao.» la salutarono insieme, tutti intenti in una partita di scacchi.

«Ciao!» fece Helen di rimando, sedendosi di fronte al camino acceso e appoggiando lì i regali.

«Sai, è interessante vedere come vengono recapitati i regali.» disse Stephen, con gli occhi fissi sulla scacchiera. «Durante la notte, verso le… le due o le tre?» domandò al compagno.

«Le due e mezza.» rispose Wayne, muovendo la regina.

«… le due e mezza, una processione di Elfi Domestici entra nel dormitorio portando i regali. Avevo sempre pensato comparissero con la magia.»

«Forte.» esclamò Helen, più concentrata sui regali che sulle parole del ragazzo.

Aprì i regali uno dopo l’altro. Quell’anno fu un bottino sostanzioso, tra Gelatine Tuttigusti+1 e cioccolatini. Lance, in particolare, le aveva regalato una scatola di cioccolatini babbani davvero deliziosi, mentre i suoi genitori un pupazzo di un tasso che si muoveva cantando le canzoni di Natale, probabilmente stregato dal padre.

«Che bello il tasso!» esclamò Stephen, terminata la partita. Se sedette per terra con lei e rimase a guardare il giocattolo, ipnotizzato.

Verso le otto, la sala comune cominciò a riempirsi di ragazzi, tutti felici per i regali ricevuti.

L’aria era davvero natalizia e tutti, tra abbracci e auguri, sembravano più uniti che mai. Una vera fortuna, pensò Helen, sapendo che c’è un assassino dei nati-babbani in giro.

La Sala Grande era, forse, il luogo più natalizio dell’intero castello: era stato decorato da quattro alberi di natale i colori delle quattro Case, ghirlande di agrifoglio e pino pendevano dal soffitto, di un azzurro stupefacente. Intorno ai tavoli volteggiavano splendide statue di ghiaccio.

«Benvenuti, benvenuti!» li accolse gioviale il professor Dumbledore, in una veste rossa e verde. «Accomodatevi. Dite pure alle statue che cosa desiderate per colazione e lo faranno comparire per voi.»

Il nutrito gruppo degli Hufflepuff si sedette al proprio tavolo. Helen guardò quanti studenti erano rimasti a scuola e si accorse che erano pochissimi: Ravenclaw era quasi vuoto, ad eccezione di due ragazze del primo anno; Gryffindor era una macchia rossa, dato che soltanto i fratelli Weasley, Harry e Hermione avevano deciso di rimanere; Slytherin era il più gremito.

«Che ne dite se facciamo una battaglia a palle di neve, dopo?» propose Rowan, acceso e sgargiante nel suo nuovo maglione colorato.

«Io ci sto!» ruggì Caitlin. «E ti distruggerò, James!» sibilò, con una smorfia omicida.

«No, se io distruggo prima te.» ridacchiò l’altro.

«Io vi guarderò da bordo campo, allora.» sorrise Alana. «Non vado troppo d’accordo con  la neve: è fredda, bagnata, fredda, ti entra in posti che nemmeno pensi di avere… ed è fredda

«Messaggio ricevuto.» disse Helen. «Io ci sono, comunque. Mi piace un sacco stare nella neve!»

Rowan guardò prima Lance e poi Amelia, con sguardo supplichevole.

«No, no, no! Non guardare me!» esclamò Lance, portando le mani davanti a sé in segno di difesa. «Poi mi prendo un malanno, mi bagno tutto, mi si squama la pelle per il freddo...»

«Lance, sei una femminuccia.» decretò Rowan, con un tono che non ammetteva repliche.

«Io vengo volentieri. Però non tiratemi anche voi le palle di neve con dentro il ghiaccio come facevano i miei vecchi amici, okay?» cantilenò Amelia, leggendo attentamente la “Gazzetta del Profeta”.

Caitlin strabuzzò gli occhi. «Ma che razza di amici avevi, scusa?» le domandò, esterrefatta.

«Oh, erano molto simpatici. Mi chiamavano “Scemamelia”, però mi offrivano sempre la loro merenda.»

«Adorabili.» rispose Caitlin atona. «Ernie, giochi anche tu con noi?»

Ernie non rispose, stava giocando con la pancetta nel suo piatto e la fissava annoiato.

«Credo sia un no.» borbottò Rowan, ormai stanco di tentare di coinvolgere una specie di zombie. Si voltò verso Michael Stebbins e gridò: «Maestro, giochi a palle di neve con noi?»

Michael, che dall’inizio delle vacanze era stranamente silenzioso, rispose un semplice «Sì.» tornando a parlottare con i suoi amici Walter e Megan.

Il volto di Rowan si illuminò.

«Ci vuole poco a farti felice!» rise Stephen. Aveva tagliato la bistecca in forme geometriche e ora le stava rifinendo con un coltello in modo che fossero più regolari.

Wayne lo stava guardando ipnotizzato da dieci minuti buoni.

«Sai, facendo così si raffredda e non è più buona.» disse, versandosi il terzo bicchiere di succo di zucca.

«Mi piace che il cibo abbia un aspetto ordinato.»

«Ceeerto.» commentò Rowan, annuendo come se si trovasse davanti ad un pazzo.

«Come tagli tu la carne non la taglia nessuno...» sospirò Amelia, che si trovava di fronte a lui, allungando la mano per accarezzargliela.

In un primo momento, Stephen rimase impietrito, poi si alzò, tremante, e corse via. Amelia lo imitò, inseguendolo («Dove vai, mio piccolo zuccotto di zucca?»).

Wayne sorrise. «Non lo prenderà mai, Stephen corre velocissimo.»

«Oh, anche Amelia.» rispose Helen, incurante. Era avvezza a reazioni di questo genere da parte dell’amica.

«Lo temevo.»

Al termine del pranzo, i ragazzi si ritrovarono nel cortile e si misero a costruire un fortino di neve tutti insieme.

Dicembre aveva portato con sé non solo il freddo, ma una coltre di neve bianchissima si era depositata sul castello, che sembrava un’enorme torta spolverata di zucchero a velo.

In seguito a due ore di battaglia all’ultima palla di neve, durante la quale Rowan era stato bersagliato contemporaneamente da Caitlin e Michael, mentre Helen, Stephen e Walter si erano seduti a godersi lo spettacolo, fu consiglio unanime quello di ritirarsi davanti al fuocherello della Sala Comune. Era ormai pomeriggio inoltrato e il gelo cominciava a farsi sentire.

Rowan e Michael occuparono il divano principale e si misero a chiacchierare di ragazze e scherzi da fare a Filch, eclissandosi completamente dal resto del mondo.

Stephen e Wayne si sedettero al tavolo sfidandosi ad una partita a scacchi a cui partecipò anche Lance.

Megan era sparita, aveva detto che sarebbe dovuta andare in bagno, ma non era più tornata.

«Dobbiamo preoccuparci?» domandò Helen a Wayne, che la conosceva meglio di chiunque altro.

«No, stai tranquilla.» rispose lui, impassibile come al solito. «A volte sparisce, ma ritorna sempre.»

«Meglio così.» fu il commento di Amelia, seduta sul divano a testa in giù a leggere un libro. «Sarebbe terribile se fosse stata attaccata da quel mostro come il povero Justin... a me dispiace tanto per lui, sapete?»

Ernie stava seduto in angolo quando sentì Amelia nominare il mostro che aveva attaccato il suo migliore amico. Come riscossosi dal torpore, si alzò in piedi, stringendo i pugni.

«Non nominare quel mostro disgustoso.» sibilò, fulminando la ragazza con sguardo pieno d’odio. «Non puoi capire come ci si senta ad aver perso l’unica persona che veramente mi conosceva qua dentro.»

Per un attimo, Amelia sembrò quasi voltarsi verso di lui a guardarlo negli occhi, tuttavia non si mosse di un centimetro, continuando imperterrita nella lettura.

«Io ti consiglio di smetterla di fare la vittima, sei noiosissimo. Dopo un po’ di tempo perderai anche quelle persone che vorrebbero poter essere Justin per te finché quello vero non starà meglio. Sei diventato molto antipatico ultimamente, chissà come ci starebbe Justin se sapesse come risponde male il suo migliore amico. Ma che poi, tra le altre cose, non hai perso proprio nessuno: lui è lì, come addormentato, ma basterà una pozione a sistemarlo, no? Non è mica un vegetale.» la sua voce sembrò incrinarsi sull’ultima parola. «Tempo pochi mesi e tornerà normale.» concluse, con voce atona.

Nella sala era caduto il silenzio. Anche Wayne e Stephen avevano smesso la partita a scacchi. La regina tamburellava impaziente sull’elsa della spada per poter continuare a giocare.

Ernie spalancò gli occhi, incredulo. Girò sui tacchi e si chiuse nel suo dormitorio.

«A me fa paura.» bisbigliò Stephen alla sua regina.

«Wow, Amelia! Sei una forza!» esclamò Rowan che aveva smesso di parlare con Michael per ascoltarla.

«Mi stava facendo venire il sangue alla testa, quello lì.» disse, continuando a leggere a testa capovolta.

 

A Natale, seguì subito dopo Capodanno. Per l’occasione, la professoressa Sprout era entrata di soppiatto nella Sala Comune, portando con sé viveri e burrobirra, facendoli giurare che non avrebbero detto nulla a nessuno.

Così, la sera dell’ultimo dell’anno, poterono festeggiare e divertirsi. Michael, ubriaco di burrobirra, si aggirava come un’anima in pena, poiché non c’era nessuna ragazza da corteggiare o a cui guardare sotto la gonna se non le più piccole.

Amelia e Rowan si esibivano in mezzo alla Sala Comune in danze di dubbio gusto, la prima poiché non seguiva per nulla il ritmo, il secondo per gli eccessivi movimenti di bacino (uno degli ultimi insegnamenti del “Maestro Stebbins del quarto”).

«È orribile.» disse Lance a Helen, a disagio in quel baccano tra musica, chiacchiere e balli.

«È solo perché non sei abituato, non ti preoccupare.» lo tranquillizzò Wayne, arrivato in quel momento. «Dopo tre anni qui me ne sono fatto anche io una ragione.»

Megan corse verso di loro e Lance si nascose dietro Helen.

«Ehi, Wayne! Guarda! Stebbins ha trasfigurato la burrobirra in Whisky Incendiario!» esclamò, mostrando il bicchiere. «Assaggia!» strepitò, costringendolo a bere.

«Puah!» commentò il ragazzo dopo averne preso un lungo sorso. «E tu non dovresti bere, sei piccola.» le disse, strappandole il bicchiere di mano.

Helen e Lance si allontanarono, sicuri che la furia-Megan avrebbe ricominciato a gridare contro di lui. Cosa che infatti fece dopo pochi secondi.

«Suppongo che il Capodanno, che sia nel Mondo Magico o nei mondo dei Babbani, alla fine sia uguale...» sorrise Lance, osservando i pochi Hufflepuff scatenarsi a ballare o a produrre scintille con la bacchetta in attesa della mezzanotte.

«Perché, credevi che fosse diverso?» domandò Helen, ridendo alla vista di Wayne tutto rosso in viso dopo la sfuriata di Megan.

«Beh, un pochino, forse. Credevo fosse qualcosa di più... magico.» rispose Lance, deluso.

L’orologio che Michael aveva stregato per suonare a mezzanotte cominciò a cantare il conto alla rovescia e tutto si fermò.

Michael borbottava, lamentandosi di non poter baciare nessuna compagna quell’anno, ma seguì gli ultimi dieci secondi dell’anno.

Allo scoccare della mezzanotte, tra baci e abbracci di rito, scese dal dormitorio anche Ernie, attirato dal vociare dell’orologio.

Si avvicinò a Lance e Helen che stavano chiacchierando con Caitlin e Alana e sembravano molto felici.

«’iao.» salutò, un po’ imbarazzato. Cercò con gli occhi Amelia e la vide ancora in pista impegnata in un ballo strano con Megan.

«Ciao, Ernie! Auguri!» esclamarono Caitlin e Alana in coro, abbracciandolo. Il ragazzo, in un primo momento, rimase immobile nel loro abbraccio, poi ricambiò, stringendole a sé.

Helen gli si avvicinò. «Bentornato fra noi, Macmillan!» e con il pensiero ringraziò Amelia, che era riuscita dove lei non ce l’aveva fatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono oltremodo imperdonabile. Purtroppo, il mio computer si è fuso, quindi non ho potuto usarlo fino a pochi giorni fa.

Come se non bastasse, anche la connessione è andata a farsi friggere, quindi non so quando potrò pubblicare di nuovo.

Per ora, godetevi questo capitolo! :) e spero non abbiate perso le speranze con la storia, perché state certi, andrà avanti!

Ci leggiamo il prima possibile, promesso.

 

Akami

 

P.S. Come al solito, grazie per le recensioni. Risponderò una ad una quando avrò un attimo in più di tempo!

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Capitolo 13
*** San Valentino ***


11.   San Valentino

La settimana dopo Capodanno portò con sé ancora più freddo e il ritorno degli studenti fu più felice di quanto coloro che erano rimasti al castello si aspettassero.

Liam sembrava più rilassato e tranquillo e, appena li vide, abbracciò subito Helen, Lance e Rowan con affetto.

Sheldon era molto abbronzato e i capelli castani si erano schiariti appena. Alla domanda di dove fosse stato, rispose che aveva trascorso una settimana ai Caraibi con il padre.

Geoffrey non era cambiato di una virgola, scese dal treno con una pila di riviste di Magicverba. Era radioso.

Hannah sembrava più pensierosa del solito, tuttavia fu felice di raccontare agli amici come aveva trascorso le vacanze.

Probabilmente, di tutti i ragazzi che scesero dal treno quel giorno, quello che fu accolto meglio fu Cedric Diggory: i suoi amici gli si gettarono addosso, abbracciandolo e stringendolo come se non lo vedessero da anni, o come se fosse appena resuscitato dall’Aldilà. In particolare, Stebbins sembrava aver ritrovato un fratello.

Un febbraio gelido e secco si sostituì a gennaio con la stessa velocità con cui stava trascorrendo il tempo.

«Non posso credere che manchino pochi mesi alla fine della scuola.» commentò Rowan quel giorno, mentre copiava dalla lavagna le marche di cioccolatini preferiti da Gilderoy Lockhart, l’argomento della lezione di Difesa Contro le Arti Oscure.

«Jà.» rispose Sheldon, seduto accanto a lui. «Non ho assolutamonte volia di tornare a casa.»

«Beh, sei appena tornato, no?» disse Lance, dietro di lui, mentre leggeva un Manuale di Difesa che aveva preso in biblioteca.

«Oui, però stare con mio padre mi piasce. Mia madre è sempre così triste perché lui non scè...»

«Sono separati?» chiese Helen, vicina di banco di Lance.

«Non esattamonte. Mio padre lavora in Franscia fino ad agosto, quando porta me e mia madre in vacansa in qualche bel posto di mare.»

Lockhart tossicchiò, richiamando la loro attenzione. «Ragazzi, fate attenzione! Vi state perdendo la descrizione del perché gli attentati sono terminati.»

Helen dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere: effettivamente gli attentati non c’erano più stati da Justin in poi, ma dubitava che il motivo fosse per la presenza di Lockhart nella scuola.

«Inoltre, per tirare su il morale a ciascuno di voi,» aggiunse il professore, con un sorriso che non prometteva nulla di buono. «ho deciso di farvi una bella sorpresa, domani.»

Liam inorridì. «Domani è San Valentino. Non oso immaginare che sorpresa voglia farci.»

Caitlin, dal fondo dell’aula, gridò: «Ha intenzione di baciarci tutte, professore?»

«Ma che schifo!» ruggì Rowan, destato dalla voce dell’amica.

Lockhart ridacchiò, portandosi una mano davanti alla bocca, con molta grazia. «No, signorina Cadogan. Non vorrei si ripetesse come l’ultima volta che ho baciato una donna: questa mi è svenuta tra le braccia. È stato imbarazzante da spiegare.» e si voltò a scrivere nomi di streghe che erano svenute al vederlo.

Caitlin si nascose dietro un libro e rise, insieme con Alana.

«L’ha detto scherzando, Rowan.» rise Liam. «Non prendertela tanto!»

«Perché se l’è presa?» domandò Helen, incuriosita.

«Odia il fatto che a tutte le ragazze piaccia Lockhart perché lui lo odia.»

Helen sorrise. «Beh, divertente.»

«Signorina Weasley, può risolvere questo problema?» domandò Lockhart alla piccola Ginny, che era sovrappensiero.

Appariva più smagrita e pallida che mai. I capelli rossi avevano perso vitalità, come la sua stessa persona, che sembrava più triste e depressa. Accanto a lei il posto era vuoto: all’inizio dell’anno era stato occupato da Colin, da più di due mesi Colin era in infermeria ad attendere la pozione di Mandragola, insieme con Justin e la povera Mrs. Norris.

Una Gryffindor dai capelli ricci seduta dietro di lei, Demelza Robins, le batté una mano sulla schiena, solidale.

«Chissà cos’ha la Weasley» chiese Helen a Lance, confusa. «La vedo molto giù»

«Magari i suoi genitori l’hanno sgridata per come va a scuola. Ho sentito che non riesce più a prendere una sufficienza»

Helen alzò un sopracciglio. «Dici sul serio? È sempre stata così brava!»

Al termine della pseudo-lezione, i ragazzi si diressero tutti accalorati verso la serra di Erbologia e, sorpassando la serra numero tre, sentirono grida acide delle mandragole. Secondo gli ultimi accertamenti, stavano per entrare nell’adolescenza, dopodiché sarebbero state pronte per essere tagliuzzate.

La professoressa Sprout li accolse gioviale. «Buongiorno, cari ragazzi.» disse. «Sarete lieti di sapere che tra poco più di due mesi saremo in grado di riporta in vita i vostri amici.» e il suo pensiero andò a Justin.

«È meraviglioso!» esclamò una Ravenclaw.

«Sono d’accordo! Bene, ora però iniziamo! Continuate a lavorare sul Tranello del Diavolo: dovete potare le foglie di troppo, ma fate attenzione, se per caso le vostre mani vengono catturate dai tentacoli della pianta, che cosa dovete fare?»

Lance, vedendo che nessuno alzava la mano per rispondere, la sollevò timidamente.

«Wallace?»

«Dobbiamo restare immobili e tranquilli, perché il Tranello del Diavolo si nutre del terrore delle creature che cattura.»

«Bravissimo, signor Wallace! Dieci punti a Hufflepuff.»

Lance era a dir poco radioso. Lo studio gli stava dando ottimi risultati su ogni fronte e poteva dichiararsi perfettamente soddisfatto del suo rendimento, che a volte era anche motivo per cui i suoi compagni lo avevano tanto in simpatia: non solo era buono, ma faceva anche guadagnare punti alla Casa.

«Sei un mostro!» commentò Rowan, tirandogli una pacca sulla spalla. «Ma come fai?»

Lance fece spallucce. «Non lo so nemmeno io, Rowan. Non studio più di quanto non lo faccia tu.» rispose, prendendo le cesoie e cominciando l’opera.

Rowan lo guardò sbalordito: lui era abituato a studiare poco, alcune lezioni addirittura le leggeva semplicemente, portandosi a casa un “Accettabile” di cui non poteva lamentarsi, visto lo sforzo compiuto per ottenerlo. Tuttavia, Lance aveva una media invidiabile ed era forse il ragazzo migliore del suo anno.

«Signor James? Ha intenzione di rimanere imbambolato a fissare le cesoie oppure si deciderà prima o poi a potare la sua pianta come i suoi compagni stanno facendo da un’ora a questa parte?» lo ragguagliò la professoressa Sprout con una certa ironia.

«Sissignora, signora professoressa.» esclamò Rowan, esibendosi nel suo miglior sorriso.

Helen rise, distraendosi per qualche secondo, che tuttavia bastò al Tranello del Diavolo per prenderla di soppiatto: attorcigliò i tentacoli intorno al polso di Helen e comincio a stringere.

«Ahi!» esclamò la ragazza, vedendo la mano diventare improvvisamente rossa e gonfia. Prese un lungo respiro, stette immobile e attese.

«Helen! La tua mano!» gridò Alana, terrorizzata, facendo cadere le cesoie in terra.

La mano della ragazza era diventata di un violaceo piuttosto sinistro ed era fredda. Helen provò a muoverla, ma non ci riuscì. Il panico la sconvolse.

«Lance! Aiutami! Aiuto!» urlò, terrorizzata, attirando l’attenzione della Sprout.

Il ragazzo vide la mano dell’amica e fu sul punto di svenire. Chiuse gli occhi e brandì la bacchetta.

«Lumos.» disse, puntando la bacchetta contro la pianta. Questa sembrò emettere un rumore stridulo, poi si ritrasse, liberando il polso della ragazza.

Quando la Sprout vide la mano di Helen cominciò a esaminarla attentamente, non troppo tranquilla.

«Signorina Adams, le consiglio di andare in infermeria per un controllo.» dichiarò, con voce tremolante. «Sì, Wallace, accompagnala tu.» ordinò a Lance dopo averlo visto spaventato.

Caitlin, Alana, Liam, Rowan, Sheldon e Geoffrey protestarono con forza.

«Ma professoressa!»

«È anche nostra amica!»

«La prego, ci faccia vedere come sta!»

«Dovrebbe dare a Hufflepuff almeno cinque punti per il pronto intervento di Lance!»

«Silenzio!» tuonò. «Non se ne parla! Non sta mica morendo!»

Arrivati in infermeria, Lance spiegò a Madama Chips cos’era accaduto e la donna, con un sorriso calmo, lo tranquillizzò, dicendo che non era successo nulla di grave.

«Farò alla tua amica un impacco sulla mano per evitare eventuali conseguenze, ma non è successo nulla di grave.»

Fece sedere Helen su uno sgabello e cominciò a preparare un impasto nauseabondo.

«Come stai?» chiese Lance all’amica, preoccupato.

«Mah... non sento più la mano, non riesco nemmeno a muoverla.» gemette Helen, fissando la propria mano blu.

«È normale.» borbottò Lance. «Quella... cosa ti ha bloccato le vene, quindi il sangue non è più arrivato e ora la senti intorpidita.»

Helen lo guardò colpita. «Come sai tutte queste cose?»

«Hai presente mia madre Maganò? Beh, è un medico babbano.» disse Lance, piuttosto fiero. «Prima di scoprire che ero un mago, volevo diventarlo anche io.»

«Ma se hai paura del sangue!» rise Helen, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Lance si riscosse, stizzito. «L’avrei superata.»

Si guardarono e scoppiarono a ridere.

Attraverso l’ufficio di Madama Chips si potevano intravedere i lettini che ospitavano i ragazzi pietrificati. Il sorriso dei due ragazzi si spense sui loro volti.

Quella sera, Helen era al centro dell’attenzione di tutti. Il racconto di come era stata sul punto di perdere la mano aveva incuriosito tutti. La ragazza continuava a ripetere che non era successo nulla di eclatante, ma più e più persone desideravano conoscere l’affascinante storia di come quel ragazzino mingherlino del primo anno fosse intervenuto a salvare l’amica dalle grinfie del Tranello del Diavolo.

«Non dovrebbero tenere questo genere di piante pericolose nella serra.» commentò Ernie, accanto a lei. «Hai rischiato grosso. Avresti potuto perdere la mano.»

Wayne, che stava leggendo un libro accanto al fuoco, commentò: «Sarebbe stato difficile perdere la mano: la necrosi delle cellule non è un processo così veloce e spontaneo.»

Ernie lo fulminò, guardandolo come se si stesse chiedendo chi diavolo avesse dato a quello il permesso di parlare.

 

Il giorno seguente era San Valentino. Alana e Caitlin si svegliarono rumorosamente, mentre Amelia, dalla faccia, pareva non avesse dormito per nulla (ma probabilmente San Valentino non c’entrava niente). Carey, come al solito, era già scesa a colazione da sola.

«È un fantasma.» dichiarò Alana, vestendosi. «Carey, intendo. Voi ci avete già parlato?»

«Io una volta.» rispose Helen, lottando contro il maglione perché la testa passasse dal buco giusto. «Non è antipatica...»

«Io non c’ho mai parlato, e sinceramente di parlare con un mollusco non è che m’importi tanto.» sbraitò Caitlin, scompigliandosi i capelli rossissimi.

«È simpaticissima.» fu il commento di Amelia, che aveva in grembo Moby e gli stava dedicando più attenzioni di quante non ne avesse mai dedicate alle amiche. «È molto dolce e tenera, solo che ha problemi a fare amicizia perché ha paura di essere troppo noiosa. Io le ho spiegato che voi siete come me, quindi non avreste problemi ad accettarla.»

Alana inorridì. «Hai detto che siamo come te?»

Amelia annuì, non guardandola. «Ha dei bei capelli.»

Helen rise, divertita. «Beh, l’importante è questo.»

Caitlin e Alana spostarono lo sguardo da Helen ad Amelia, intimorite.

Quando scesero nella Sala Comune, lo scompiglio dominava in tutti i ragazzi.

Michael Stebbins, per citare un nome, girava con una pila di bigliettini ricevuti dalle ammiratrici. Lo sguardo che Helen colse tra due Hufflepuff del quarto anno, tali Jack e Rent, le fece capire che la maggior parte erano inventati da loro.

Non fecero in tempo ad aprire bocca, che le quattro ragazze furono placcate da Rowan, che distribuì loro quattro cartoncini rosa. Su ciascuno c’era la scritta: Alla più bella ragazza di Hogwarts.

Caitlin e Alana risero, superandolo.

Helen gli sorrise dolcemente. «È stata un’idea di Stebbins?» domandò.

Rowan annuì, illuminandosi. «Sì. Ha detto che avrei dovuto consegnarlo a ciascuna ragazza del mio anno e attendere. Ha detto anche che sarebbe caduta ai miei piedi subito.»

Helen a stento tratteneva le risate. «Rowan,» disse, appoggiandogli una mano sulla spalla. «dovevi darli a tutte in momenti separati. Non a tutte insieme, se no sembra una presa in giro.» e, freddatolo, scese con Amelia a colazione.

Le pareti della Sala Grande erano state coperte da enormi fiori di un rosa acceso da rendere ciechi, il soffitto invece era azzurro carta da zucchero e da esso, fioccavano coriandoli a forma di cuori.

Era uno spettacolo disgustoso.

Lance, parzialmente se non completamente sconvolto, era seduto al tavolo degli Hufflepuff e si guardava intorno spaventato. Liam, accanto a lui, sembrava provare la stessa sensazione.

«Cosa-è-successo.» provò a chiedere Helen, accomodatasi accanto a Lance.

«È carino qui.» borbottò Amelia, sedendosi vicino a Liam.

«No che non lo è!» commentò lui, guardandola come se fosse pazza... non molto diversamente da solito, in effetti. «È orribile! E non avete ancora visto...» un pesante clangore annunciò l’arrivo di enormi nani travestiti da cupidi.

«... quelli.» completò per lui Lance, assistendo alla seconda retata di consegna dei bigliettini rosa o dei valentini cantati.

Un nano sembrava venire verso di loro.

«No, non di nuovo!» Lance si nascose sotto il tavolo.

«Che succede?» domandò Caitlin, vedendo l’amico in difficoltà.

«È già il terzo che gli recapitano oggi.» sbuffò Rowan, evidentemente geloso di non essere al centro dell’attenzione delle ragazzine di Hogwarts.

«Il che?!» esclamò Helen, incredula. «Il terzo San Valentino a Lance?!»

A lei non sembrava che il ragazzo fosse tanto affascinante.

Tre nani si pararono davanti al loro tavolo e cercarono Lance prima con gli occhi e poi con il naso, fiutando l’aria alla ricerca del suo odore. Il più basso di questi, che sembrava anche il più intelligente, si piegò sulle ginocchia squadrate e lo vide, rannicchiato su se stesso.

«Trovato.» brontolò ai suoi compagni. «Un san Valentino musicale per Lancelot Wallace.»

«Tu che sei della scuola il più carino/sempre fermo davanti a me come un cagnolino/hai occhi grigi di nebbia/tutti gli altri in confronto a te hanno la scabbia./Quando ti guardo il mio cuore fa un saltellino/e i miei amici dicono che sei un cretino.» cantò, o meglio grugnì, il nano più grosso, che teneva un arpa in mano e la scuoteva, senza rendersi conto di che cosa fosse.

Il tavolo degli Hufflepuff scoppiò in risate sguaiate, per primo Rowan, che sebbene fosse contrariato, non poté restare serio di fronte ad un valentino del genere.

Lance riemerse da sotto il tavolo, paonazzo in viso e sull’orlo di una crisi di nervi. Si guardò intorno per vedere se ci fosse una qualche ragazza seria a cui chiedere di chi fosse, ma nessuno sembrava smettere di ridere.

«E questo da parte di chi era?» piagnucolò, cercando di mantenere quel poco di dignità che poteva ancora avere.

«Justine Farrell, primo anno, Ravenclaw.» borbottò il terzo nano che non aveva ancora parlato. «Devo riferirle qualcosa in particolare, signorino

«No, era solo per sapere... andate pure...» li congedò, quasi piangendo. «E, vi prego, non voglio più valentini musicati, mi basta riceverli per iscritto.»

I nani annuirono, prima di fermare gli occhi su Cedric Diggory. Il ragazzo li vide e si scambiarono una lunga ed eloquente occhiata. Cedric scappò.

«Fermo, Diggory!» gridò uno de nani, cominciando a inseguirlo. «Ci sono dodici san valentini musicali per te!»

Rowan si alzò e con noncuranza andò a sedersi proprio vicino al nano più basso, che continuava a setacciare l’area alla ricerca di un eventuale nuova vittima.

«Ciao, sono Rowan James... hai mica qualcosa per me?» gli chiese, con un largo sorriso.

«No, spiacente. Sparisci, impiastro.»

«Come mi hai chiamato?!» si infuriò.

Il nano lo ignorò. «Oh! Signor Wayne Hopkins! Si fermi! Ho un biglietto per lei!» strepitò, vedendo Wayne passare silenziosamente davanti a lui.

La bocca di Rowan si aprì tanto da sembrare toccare terra. «Cioè, anche Wayne-faccia-da-nonno ha ricevuto un biglietto di san Valentino!» si lamentò, abbandonandosi sul tavolo. «Sono senza speranze?» domandò a Helen, l’unica persona in tutta la scuola che pareva ascoltarlo.

«No... dovresti essere un pochino meno egocentrico, ecco! Magari, stare un po’ più in disparte... Guarda Wayne, Lance e Cedric, non sono mai stati al centro dell’attenzione. Tranne Cedric, ma lui... è Cedric, insomma!»

«Beh, nonna Wayne non credo di averlo mai visto sorridere, mentre Lance-cuor-di-leone ha sempre gli occhi puntati addosso per le sue paure...»

Helen sorrise. «Beh, è tenero.»

Rowan, in tutta risposta, si esibì nella sua perfetta imitazione dello sguardo di un bimbo che desidera ardentemente le caramelle.

«Hai mal di pancia, Row?» domandò Liam, osservandolo qualche secondo. «Come mai ti contorci così?»

Quello fu il colpo di grazia, e Rowan si lasciò cadere per terra, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

«Dai, Liam, me l’hai distrutto!» ridacchiò Caitlin, scuotendo i corti capelli rossi. «Stava cercando di essere tenero!»

Sheldon, arrivato in quel momento, udì solo la parola “tenero” e si gonfiò.

«Oh, Caitlìn, ponsi davero che io sia tenero?»

Caitlin si scambiò un’occhiata con Alana. «I ragazzi sono completamente impazziti oggi.»

L’altra ragazza annuì, grave. «E dire che dovremmo essere noi tutte circondate da cuoricini e complimenti...»

Helen rise, divertita. Tuttavia, l’ilarità generale fu interrotta dall’arrivo di un altro fornito gruppetto di nani che varcò l’ingresso e cominciò a guardarsi intorno. Lance fece per nascondersi di nuovo, ma fu fermato da due nani che gli saltarono addosso, placcandolo.

«No! Basta!» gridò, con voce soffocata, coperto da uno strato di nani assetati di sangue.

«Biglietto di San Valentino per Lancelot Wallace.»

Rowan, da terra, mugugnò.

«Oh. Meno male.» borbottò Lance, prendendo il cartoncino viola e aprendolo.

Alana si vergognò vistosamente e finse di mangiare il porridge.

Il ragazzo lo lesse sottovoce e, via via che scorreva le parole, le gote si scurivano sempre di più, fino a raggiungere un colorito paonazzo degno dei capelli di Caitlin.

«Oh.» riuscì solo a dire, guardando Alana. La ragazza gli scambiò uno sguardo ed entrambi arrossirono.

Caitlin guardò prima l’amica e poi Lance. Lance e poi l’amica. «Non ci posso credere!» esclamò, catapultandosi da Alana, euforica.

Sheldon e Liam, invece, raggiunsero il ragazzo, increduli.

In quel momento, arrivò Michael, trasudante d’orgoglio, portando con sé una pila di bigliettini rosa e profumati. Dava l’idea di aver vinto la Coppa del Mondo di Quidditch o di aver ricevuto l’Ordine di Merlino, prima classe.

Fece cadere i bigliettini addosso a Rowan, che era ancora disteso a terra, e rise.

«Allora, mio caro discepolo, quanti bigliettini hai racimolato in questa prima retata?» domandò, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Rowan emise un gemito e si girò con la faccia contro il pavimento.

«Gli avete buttato da mangiare per terra o è successo qualcosa?» domandò a Helen, ammiccante.

«Non ha ricevuto san valentini...» rispose la ragazza, trattenendo a stento le risate.

«Per le mutande di Merlino!» esclamò. «Questo non va mica bene! Dove hai sbagliato, mio giovane amico! Dove?»

Rowan si alzò da terra con sguardo che implorava perdono, come se avesse appena Schiantato Snape per errore.

«Capisco! Il tuo look!» commentò Michael, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoseli ancora di più. «Sei troppo tu e troppo poco me! Stasera ti sistemerò a dovere e a cena farai strage di donne!»

L’occhio di Michael cadde sulla piccola pila di quattro biglietti di Lance. Lasciò perdere Rowan all’istante e si catapultò da Lance.

«Mio nuovo discepolo prediletto!» gridò.

Lance, tutto imbarazzato, si nascose dietro Liam e Sheldon. «Che vuoi?»

«Sono fiero che tu abbia ricevuto così tante proposte, perciò ti sto offrendo l’incredibile possibilità di diventare mio discepolo.»

Walter gli passò accanto e ridacchiò.

«Sì, Wally, ci sto prendendo gusto con questa storia del mentore.»

Quel pomeriggio, terminate tutte le lezioni, come era solito, gli studenti degli Hufflepuff si riunirono in Sala Comune per fare i compiti o chiacchierare allegramente.

Ernie e Hannah stavano bisbigliando fittamente quando un nano entrò arrancando nella stanza con un mazzetto di cartoncini rosa profumati da consegnare.

«Non è ancora finita!» pianse Lance, nascondendosi dietro il divano e sperando di non essere stato visto.

«Un san Valentino per iscritto per Ernest Macmillan!»

Tutti gli Hufflepuff presenti si voltarono a guardare Ernie.

Michael sembrava disorientato. «Tu ti chiami Ernest?!»

Ernie si alzò, il petto in fuori per l’orgoglio, e andò a prendere il bigliettino senza troppe storie. «Beh, per cosa pensavi stesse “Ernie”?»

«... per “Ernie”, ovviamente!» gridò Rowan, che era stato riempito di bigodini da Michael.

«Rivelazione del secolo... uuuh...» disse, atono, aprendo il biglietto e leggendolo. Il suo sorriso tronfio si trasformò in una smorfia di terrore.

«Chi diavolo...» tentò Hannah, sbirciando appena il biglietto da leggere il nome di chi l’aveva scritto.

«Eloise Midgen!» scoppiò a ridere.

Fortunatamente, Eloise, una ragazza deturpata dall’acne, non era presente nella Sala Comune, altrimenti Michael e Rowan avrebbero dovuto tentare di spiegarle che l’aveva scritto lei quel biglietto, e non loro. Cosa che, peraltro, non era affatto vera.

Caitlin guardò Rowan. «Scritto voi, vero?»

«Chiaro.» risposero i due all’unisono

 

 

 

Sono ufficialmente libera.

E imperdonabile. Ma la colpa non è mia! Mi è toccata la maturità quest’anno... e ho finito da poco più di una settimana! Perdonatemi!

Da oggi in poi ricomincio con le pubblicazioni regolari!

Ci leggiamo la settimana prossima!!!

Grazie a chi recensisce e a chi legge soltanto! Mi illuminate la giornata!

 

Akami

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Capitolo 14
*** Una giornata con Lance ***


        12. Una giornata con Lance

 

Era incredibile con quanta velocità trascorresse il tempo a Hogwarts. Era passato poco meno di un mese da San Valentino e già si parlava delle vacanze di Pasqua.

«Mia madre vuole conoscerti.» annunciò Lance quel giorno a Helen, sorridendole.

«Vuole conoscermi?» ripeté Helen incredula. Lance non le aveva mai menzionato di stare particolarmente simpatica a sua madre, anzi, credeva che i genitori di Lance non conoscessero affatto le amicizie del figlio.

«Sì! Le ho parlato tanto di te! Le ho detto che sei la mia migliore amica.» disse il ragazzo, con tale innocenza che Helen quasi si commosse.

«Davvero?»

«Beh, sì. Perché, non lo sei? Non sei la mia migliore amica?» chiese Lance, che sembrava disorientato, come se non credesse fossero necessarie parole per sancire un’amicizia.

«Beh, ma certo che lo sono.» borbottò Helen, con ritrovata energia. «Però non pensavo che i tuoi genitori lo sapessero.»

Lance ridacchiò. «Sono un po’ strani, sì, ma quando si tratta di me sono sempre molto premurosi.»

«Allora d’accordo. Se non disturbo mi piacerebbe molto venire a casa tua uno di questi giorni di vacanza.» sorrise la ragazza. Aveva deciso che per Pasqua sarebbe tornata a casa. Dopotutto, gli attentati si erano fermati e si sentiva in colpa di non essere tornata a casa da loro per le vacanze di Natale. Era sicura che sua madre fosse terrorizzata all’inverosimile, non conoscendo né il Mondo Magico (o, per lo meno, non facendone parte) né Hogwarts.

«Benissimo! Allora ti andrebbe di venire il terzo giorno di vacanza? Abbiamo poco meno di dieci giorni, però credo che per l’ultimo week-end siamo ospiti dagli zii. O almeno, io lo sono, i miei genitori non credo.»

Helen lo guardò, incuriosita. «Perché?»

Lance fece spallucce, imbarazzato. «Beh, tra lo zio e mia madre non scorre buon sangue. L’ultima volta che si sono visti hanno urlato tantissimo e lanciato piatti e rotto finestre. Avevo cinque anni.» sussurrò, in totale confidenza. «Io sono sempre il benvenuto dagli zii e a Pasqua mi hanno sempre ospitato. Sarà difficile sopportare tre giorni insieme ad Abigail.» considerò, un poco rammaricato.

Helen gli batté una mano sulla spalla. «Vorrei poterti tenere compagnia...» disse, dispiaciuta.

«Compagnia? Perché? Non state già abbastanza insieme voi due? Sembrate marito e moglie!» li interruppe Rowan, inserendosi nel discorso.

«A casa dei miei zii... ho bisogno di un po’ di supporto perché dovrò trascorrere un week-end con Abigail.» mormorò Lance, sempre più abbattuto.

«Vengo anche io!»

«Davvero?»

«Ehi, tutto per il mio migliore amico!» esclamò Rowan, ammiccante. «Che rimanga tra noi, eh! Non vorrei sembrare un mollaccione davanti alle ragazze.» e fece l’occhiolino a una ragazza di Ravenclaw che li aveva appena superati.

Lance era radioso. Un senso di gioia lo aveva pervaso da cima a fondo e si sentiva il ragazzo più fortunato che avesse mai messo i piedi a Hogwarts.

«Lo fareste davvero? Scrivo una lettera ai miei zii!» strillò eccitato, e corse dritto verso il dormitorio per recuperare carta e penna.

Rowan e Helen rimasero in silenzio qualche secondo. «Tu hai idea di ciò a cui andremo incontro, vero?»

La ragazza annuì, grave. «Abbastanza, sì. Tu però non t’azzardare a fare rissa, altrimenti chiedo a Megan Jones di picchiarti.» lo minacciò.

Rowan la fulminò. «Non oseresti.»

«Oh, sì.» rise Helen. «Ho diverse conoscenze influenti ai piani alti.» disse. Proprio in quel momento la oltrepassò Cedric Diggory, con la solita scorta di amici, che la salutò.

«Tsk! Quel Diggory?» fece Rowan, con una smorfia.

«È il migliore amico di Michael, sai?»

«Certo che so chi è il migliore amico del mio maestro!» sbottò, come se avesse subito il peggiore degli oltraggi. «Ad ogni modo mi dà l’idea di essere un po’ troppo perfetto... capisci cosa intendo?»

Helen sembrò meditare qualche secondo. «Certo!» esclamò, subito dopo. «Significa che sei geloso marcio di lui perché piace. Ti rode ancora il fatto che abbia ricevuto più biglietti di te a san Valentino!»

Rowan stava per controbattere, quando Liam si frappose fra i due, con un grande sorriso.

«Allora, che si dice, gente?»

«Ma tu sei sempre così ingenuamente allegro?» domandò Rowan, stizzito.

Liam lo osservò per un breve attimo; sembrava volesse leggerlo dentro.

«È geloso di qualcuno, vero?» domandò, rivolto a Helen.

La ragazza annuì. «Diggory.»

«Ma Row! Diggory è Diggory! Cioè, è il più fantastico Hufflepuff che la Casa Hufflepuff abbia mai avuto dopo... dopo... dopo Helga Hufflepuff!» strepitò Liam.

«Non sci fa molto onore questa cosa, però!» aggiunse qualcuno, dietro i ragazzi. «Anche la Casa degli Hufflepuff è importonte e rinomota.»

«Sì, Shelly, rinomata per Frate Grasso e la Sprout. Nel Mondo Magico, basta esclamare “Gryffindor” e si pensa a quella miriade di eroi che contiene, partendo da Potter fino ai gemelli Weasley; basta esclamare “Slytherin” e si pensa a Voi-Sapete-Chi; se esclamate “Ravenclaw”, qualsiasi adulto potrebbe raccontarvi aneddoti interessanti sulla vita avventurosa del professor Flitwick o sull’importanza dei Ravenclaw al Ministero della Magia. Se vi capita di dire che siete degli Hufflepuff, l’unica reazione che suscitate sono risate.» spiegò Rowan, accalorato.

«Tu, come al solito, sei sempre esagerato.» lo rimbeccò Helen. Quel discorso l’aveva molto intristita.

«Beh, spero davvero che se Cedrìc è la cosa miliore che sia mai capitata agli Hufflepuff, almeno porti gloria alla nostra Casa!» disse Sheldon, incamminandosi verso la Sala Comune.

I ragazzi lo seguirono, incapaci di ribattere.

Il giorno seguente era il momento della partenza. L’Espresso per Hogwarts era come sempre rumoroso e maleodorante di fumo. Ernie e Hannah avevano deciso di rimanere a scuola, così come Geoffrey, Sheldon, Liam e Amelia.

«Non hai voglia di vedere tua madre?» domandò Helen ad Amelia, poco prima che il treno partisse.

«Oh, ma ho una sua foto sul comodino, la vedo tutti i giorni!» ridacchiò la ragazza. Helen sospirò, chiedendosi se Amelia fosse davvero così o lo facesse apposta.

«E tuo padre? Non hai nessuna foto di lui sul comodino?» in effetti, doveva ammettere di non aver mai visto fotografie del padre della ragazza. Magari erano divorziati, le venne da pensare.

Amelia rise. «Il sole è molto bello oggi, secondo me troverai una settimana di bel tempo!» le disse, con un enorme sorriso stampato sul viso.

Helen si arrese: non l’avrebbe mai capita.

Il treno fischiò.

«Forza, Helen!» la chiamò Lance, da uno scompartimento. «Ti ho tenuto il posto!»

Amelia continuò a ridere. «Forza, vai! Non vorrai mica fare attendere il tuo cavaliere!»

Helen la guardò, poi l’abbracciò, lasciando l’amica spiazzata. Era la prima volta da anni che veniva abbracciata.

«Mi mancherai!» le disse, in un orecchio. Si rivolse a Ernie e Hannah. «Tenetela d’occhio, che non spaventi nessuno!» e salì sul treno.

Amelia, incredula, si toccò le guance. Erano bagnate. Era la prima volta che piangeva da tre anni.

 

«Come sono i tuoi?» domandò Helen a Lance. Si sentiva imbarazzata a sapere che pochi giorni a quella parte sarebbe stata al centro delle attenzioni dei genitori di Lance. Chissà cosa mai aveva confidato lui a loro?

«Sono molto dolci e si affezionano subito ai miei amici, di solito. Quando frequentavo le elementari, mi chiedevano sempre di chiamare i miei amici a casa!»

«Anche io sono andata alle elementari!» esclamò Helen, divertita. «I miei genitori mi hanno obbligata! Però saltavo parecchie lezioni perché mi capitava di manifestare le doti magiche e spaventavo i miei compagni...» rise. «Mi ricordo che una volta ero così arrabbiata con un mio amico perché mi aveva tirato i capelli che glieli ho fatti cadere tutti con il pensiero. Le maestre non hanno capito che ero stata io!»

Rowan guardava gli amici incuriosito. «Cosa sono le elementari?» domandò.

«Sono scuole che ti insegnano a leggere, scrivere e fare i conti da quando hai sei anni fino a undici.» rispose Lance. «Ci vanno sempre i ragazzi babbani.»

Da quel momento, Rowan trascorse l’intero viaggio a chiedere chiarificazioni sul mondo dei Babbani, e Lance e Helen erano molti divertiti nel rispondergli come si preparava da mangiare, o cosa significasse nel mondo Babbano “disinfestare il giardino”.

Quando giunsero al binario nove e tre quarti, c’era un grande crocchio di genitori che si sporgevano gli uni sopra gli altri alla ricerca dei loro figli.

«Helen! Helen, cara, siamo qui!» la chiamò la madre, agitando le braccia.

Quando la ragazza si avvicinò ai genitori, questi l’abbracciarono come se non la vedessero da anni.

Lance e Rowan rimasero dietro a guardare l’amica con un grande sorriso.

«E quelli, amore? Sono i tuoi amici?» chiese il padre, Jacob, indicando i due ragazzi.

Emily, sua madre, si precipitò verso Lance e lo abbracciò. «Tesoro, questo è Lance, vero? È proprio come l’hai descritto nelle tue lettere!»

Lance arrossì, imbarazzato. «Grazie, signora Adams.» disse, abbandonandosi a quell’abbraccio e affondando la testa negli abiti della signora Emily, che profumavano di pulito.

La madre di Helen era bassa e snella, con una chioma di fluenti capelli biondi e gli occhi di un anonimo marrone.

«Emily, caro, mi chiamo Emily. Non penso di essere così vecchia...» ridacchiò. In effetti, il viso della donna era completamente privo di rughe. Dava l’idea di avere poco più di trent’anni.

Jacob rise. Al contrario della moglie, sembrava aver oltrepassato i quaranta. Il volto, molto affascinante, era lievemente segnato dalle rughe, ma i suoi occhi verdi (come quelli della figlia) scintillavano, rendendo impossibile definirne l’età con precisione. Era piuttosto robusto di costituzione e aveva le mani rovinate e piene di calli.

Emily liberò Lance dall’abbraccio e si gettò su Rowan.

«Tu sei quel Rowan James, vero?» disse, guardandolo dritto negli occhi (era alta come lui) e dandogli due grandi baci sulle guance. «È un piacere conoscerti, Helen ci ha sempre scritto che sei un tipetto molto sveglio e simpatico.»

Rowan si illuminò.

«Emily, smettila! Non vorrai strozzarmelo!» tuonò Jacob, in una risata grassa che ricordava quella di Helen.

«Rowan!» lo chiamò una donna, correndogli incontro. Era vestita di un abito molto elegante, che metteva in risalto il ventre gonfio.

Raggiunto il figlio, lo abbracciò, con difficoltà, visto l’ostacolo del grembo.

Emily emise un urlo di emozione. «Congratulazioni, signora! Io sono Emily Adams, la madre di Helen.» si presentò, porgendo la mano.

«Molto piacere, Elliana James, la madre di Rowan. E grazie.» rise.

Rowan sembrava esterrefatto.

«Sopresa, Row!» un uomo alto e dai lineamenti nobili lo salutò, scompigliandogli i capelli. Era la fotocopia del figlio. «Volevamo che lo scoprissi il più tardi possibile!» disse, ridendo. Si inchinò alla vista di Emily con particolare grazia.

In quel momento, mentre Lance assisteva estasiato al miracolo della vita e dell’amore, una coppia di coniugi giovanissimi si avvicinarono al dolce quadretto familiare, titubanti.

«Ehm, chiedo scusa.» sussurrò l’uomo, intromettendosi. «Lance, dolcezza, dobbiamo andare. Buonasera a tutti.»

Parevano entrambi a disagio, ma quella più reticente tra i due era la donna. Era rimasta immobile, in mezzo alla stazione, e guardava disgustata il padre di Helen, che aveva fatto levitare il baule con un colpo di bacchetta.

«Mamma, papà, questi sono Helen e Rowan. Li ho invitati da noi dopodomani.» disse Lance, quasi trascinato via dal padre per un braccio.

Il volto dei coniugi si distese subito. I lineamenti algidi della donna si addolcirono tanto che diede a tutti l’idea di essere la madre più dolce e affettuosa sulla faccia della terra.

«Ma certo. Sarà una gioia avere gli amici di Lance a casa.» disse il padre. Il suo accento scozzese era tanto marcato che anche i genitori di Helen, non propriamente inglesi, avevano difficoltà a capirlo.

«Casa nostra è a Edimburgo. Fatevi trovare alla stazione, verrà Lance a prendervi.» spiegò la madre del ragazzo.

«Il piacere sarà nostro, signora Wallace.» ringraziarono Helen e Rowan in coro, destando le risate dei genitori.

«Ora andiamo, avanti, Helen.» le disse Jacob, porgendole il braccio.

«No, niente Materializzazione...» piagnucolò la ragazza. Odiava la sensazione di strappo al petto.

«Avanti, muoviti! Diana non vede l’ora di abbracciarti!»

Si materializzarono nel vialetto di una villetta in pietra e mattoni, pittoresca quasi quanto una fattoria, alla periferia di Middlesbrough.

Una bambina uscì di casa, correndo velocissima, e si lanciò in braccio alla sorella maggiore. Era cresciuta tantissimo e i capelli biondi erano lunghi oltre le spalle. Sorrideva mostrando una fila di dentini perfetti, ad eccezione di una piccola finestrella nell’arcata inferiore.

«Ciao Hellie!» la salutò, mentre veniva presa in braccio dalla sorella. «Mi sei mancata un sacco!»

Helen la strinse forte a sé. «Anche tu, birbantella! Hai fatto disperare mamma e papà?»

Diana arrossì, distogliendo lo sguardo. «Non troppo.»

«Quando voi due avete finito di confabulare contro di noi...» le interruppe Emily. «La cena sarebbe già nel piatto.»

Diana tossicchiò. «Veramente l’ha mangiata Tony.»

Helen le lanciò uno sguardo interrogativo. «Tony?» sentiva Moby dibattersi per la tasca del giubbotto, e temette di aver capito che razza di cosa fosse Tony.

Un enorme gatto color cioccolato uscì trotterellando dalla porta, con in bocca una bistecca impanata.

«Tony!» sospirò Emily, trattenendo Jacob per la camicia. «Fermo! Non puoi ucciderlo! Dobbiamo trovargli un padrone, prima!» gridava, cercando di sopprimere le risate.

«È la terza cotoletta che si spazzola via in un mese.» grugnì Jacob, imbronciato. «Fatemi mangiare cotoletta di gatto, così lo ripaghiamo con la sua stessa moneta!»

«Ma non mangia solo cotolette!» esclamò Diana, picchiando il padre sul ginocchio con piccoli pugni.

«Lui no, ma io sì, accidenti!»

 

Quella mattina, si erano alzati di buon’ora e avevano fatto una lauta colazione. I genitori di Helen erano particolarmente preoccupati perché loro figlia, per la prima volta, andava in una città lontana come Edimburgo, a trovare il suo migliore amico, maschio.

Terribili erano state le discussioni la sera prima, perché Helen potesse trascorrere con lui anche il week-end successivo, e dopo essersi fatti scrivere (tramite posta babbana) dai genitori di Lance che sarebbero stati al sicuro, alla fine, dovettero capitolare.

Come promesso, Lance era passato a prendere lei e Rowan alla Stazione Centrale di Edimburgo, avevano preso il tram, e avevano raggiunto la casa dell’amico.

La dimora di Lance era un attico all’ultimo piano di uno dei grattacieli più importanti della città. Sul campanello vi era persino scritto “Dottori Wallace” e i nomi dei componenti della famiglia.

«Ehi, Helen!» fu salutata dalla signora Wallace, che l’abbracciò come se fosse una seconda figlia; la stessa cosa la fece con Rowan, chiedendogli anche le condizioni della madre, incinta di sette mesi.

«Sta bene.» disse Rowan, orgoglioso. «E pare che avrò davvero una sorellina che si chiamerà Jane.» sorrise a Helen, facendole l’occhiolino.

«Che bello...» mormorò Lance. Si rivolse poi ai genitori. «Quand’è che avrò un fratellino o una sorellina anche io?»

La madre, Irma, guardò il marito, Shaw. Non facevano settant’anni in due, erano molto giovani.

«Magari più avanti, tesoro.»

I ragazzi ridacchiarono e si ritirarono nella camera da letto di Lance.

La stanza dell’amico era molto grande e con un’enorme finestra che dava sull’intera città. Era luminosa, e le pareti azzurrine sembravano quasi bianche. Era arredata in un modo sobrio, dove i colori tenui prendevano il sopravvento, principalmente azzurro, bianco e grigio.

«Carina.» commentò Helen quando vi entrò. Profumava di lavanda.

«È da bambini piccoli.» proruppe invece Rowan, spintonandolo per scherzo e ridendo.

«Ma sarai tu un bambino piccolo!» replicò Lance, offeso.

Stettero nella cameretta a chiacchierare e a fare commenti sugli oggetti Babbani che Lance aveva: il computer, lo stereo, una pila di CD, un oggetto molto strano che si chiamava “Game Boy”.

«Wow! Come funziona?» chiese Rowan, prendendolo in mano e cominciando a premere i tasti.

«Fermo! È un oggetto preziosissimo!» lo richiamò Lance, strappandoglielo dalle mani. «Funziona così.» spiegò, accendendolo. Una musichetta annunciò che era iniziato il gioco, e la scritta “Tetris” comparve sul piccolo schermo.

«Che roba è?» domandò Helen, sportasi oltre la spalla di Rowan per guardare.

«Un gioco ad incastro! Io sono arrivato al livello diciotto, ma l’ho finito già tre volte!»

Tentando di giocare, Rowan capì il perché l’amico fosse così sveglio e intelligente: non era affatto facile intuire gli incastri e soprattutto far cadere i pezzi al posto giusto.

Qualcuno bussò alla porta. «Ragazzi, è una così bella giornata, non vi conviene giocare al Game Boy tutto il giorno, perché non andate a fare un giro fuori? Prendete un bel milk-shake!» propose il padre di Lance. Helen e Rowan ci misero qualche secondo prima di capire che cosa avesse detto loro.

«Tutto bene?» chiese, vedendoli pensierosi.

Lance rise. «Sì, pa’, tranquillo! Non sono abituati a sentire parlare scozzese.»

Shaw scosse la testa. «Lo scozzese è l’unica vera lingua che contraddistingue gli anglosassoni! Ormai l’inglese lo conoscono tutti e in tutte le salse.»

Rowan si sentì profondamente offeso. Egli era madrelingua inglese e la sua dizione era perfettamente britannica.

«Il vero inglese è quello di Londra, signore.»

Shaw lo guardò divertito. «L’inglese britannico sì, mio caro.» disse, allontanandosi dalla porta.

«Non fare caso a lui, discende da una lunghissima stirpe di scozzesi. La sua trisnonna era una Macbeth, una delle famiglie più illustri della Scozia.» spiegò Lance, aggiustandosi il giubbotto leggero per uscire. «Allora, dove preferite andare?»

Helen saltellò, tutta contenta. «Un milk-shake è perfetto, direi!»

«Allora ti porto da MacAskill, fa i migliori milk-shake di tutta Edimburgo!»

Era già mezzogiorno inoltrato quando uscirono. Edimburgo era una splendida città, e quel giorno era battuta da un sole molto caldo e luminoso, un vero evento per i suoi abitanti, abituati al freddo clima nebbioso che infestava la città durante tutto l’anno.

«Vi rendete conto che è già aprile?» disse Rowan, a voce alta. «Mancano due mesi alla fine della scuola... poi avremo altri due mesi di vacanza in cui sarà difficile vedersi tutti insieme...»

«Già.» replicò Lance, sorseggiando il milk-shake alla fragola. «Tra una vacanza e l’altra... i miei genitori hanno già detto che vogliono portarmi in vacanza in Italia; Sheldon verrà rapito di nuovo dal padre che lo porterà a fare una mega-vacanza in qualche posto esotico; Caitlin mi ha confidato che i suoi genitori amano particolarmente viaggiare, quindi girerà per tutta l’estate...»

«Per non parlare di Ernie e Hannah...» continuò Rowan.

«E di Justin.» aggiunse Helen, guardandoli con occhi severi: bastava così poco per dimenticare un amico?

Rowan sembrò riscuotersi. «Giusto! C’è anche Justin! Dobbiamo fargli una festa stupenda per quando si sveglierà!»

Helen sorrise, soddisfatta.

«Lance, sei proprio tu!» urlò qualcuno non lontano da loro. Si trattava di un ragazzino di pressappoco la loro età, alto e massiccio, dai lucenti capelli castani e gli occhi azzurri.

«Kyle!» strepitò Lance, correndo dall’amico e scambiandosi un abbraccio. «Come stai? Che bello vederti!»

«Io benissimo, e tu? Non ci si vede da un sacco!» rispose il ragazzo, Kyle, guardandolo allegro.

«Alla grande! Aspetta, ti presento i miei amici.» disse, accompagnandolo davanti ai due ragazzi che erano rimasti in disparte. «Loro sono Rowan James e Helen Adams. Ragazzi, lui è Kyle MacMicheal, veniva alle elementari con me!»

Si strinsero la mano, scambiandosi sguardi perplessi.

«Sono i tuoi nuovi compagni di scuola?» chiese Kyle, evidentemente geloso. «Di quella strana scuola di cui ci hai parlato l’anno scorso?»

Helen sobbalzò. «Strana scuola?»

Kyle fece spallucce. «Sì, una scuola speciale per studenti molto dotati, su ad Aberdeen. Non venite tutti da lì?» domando, con sguardo inquisitore.

«Ehm, sì, sì, certo!» rispose Rowan, grattandosi la nuca.

«Strano, non avete un accento scozzese, siete inglesi?» domandò, in uno scozzese tanto serrato che solo Lance lo comprese.

«Sì, lo sono.» li difese Lance, parlando anche lui in un accento particolarmente marcato. «Ma hanno parenti ad Aberdeen, quindi non hanno problemi ad andare a scuola lì.»

Il resto del pomeriggio fu molto imbarazzante. Kyle, che si era rivelato essere un ragazzo fin troppo curioso, aveva fatto loro qualsiasi genere di domanda, a cui Lance aveva dovuto prontamente rispondere, cercando di coprire le spalle agli amici, soprattutto a Rowan che non era abituato a sentire parlare del mondo dei Babbani.

Tuttavia, Lance riuscì a rendere interessante il giro portandoli nel centro storico di Edimburgo e facendo loro da guida. Si dimostrò preparato sulla storia della sua città e la visita fu molto piacevole.

Quando cominciò a calare il tramonto, i ragazzi si divisero da Kyle, che torno a casa, mentre Lance accompagnava Rowan e Helen prima a casa sua e poi alla stazione, dove avrebbero incontrato i rispettivi genitori per tornare a casa.

«Mi dispiace per Kyle.» mormorò Lance, dopo aver salutato i genitori. «È sempre stato un ficcanaso, ma non pensavo lo fosse rimasto e fosse diventato addirittura peggiore...»

Rowan rise. «Non ti preoccupare, Lance-Pence, ci siamo divertiti lo stesso. Soltanto una cosa: la prossima volta, permettimi di rompergli il naso. Alla maniera Babbana mi va benissimo.»

La stazione di Haymarket era decisamente affollata quella sera. C’erano centinaia e centinaia di persone, e questo fu un bene per i genitori di Helen e Rowan, che poterono Smaterializzarsi senza destare sospetti.

«Mi raccomando, ci vediamo venerdì mattina. Vi verremo a prendere in treno, quindi aspettateci alla stazione verso le nove! Buon ritorno!» li salutò.

Pochi secondi dopo, erano già spariti.

 

 

 

 

 

Il motivo per cui manca la descrizione di Edimburgo sta nel fatto che non ci sono mai stata, quindi, piuttosto che dire caSSate, ho preferito lasciare all’immaginazione di chi l'ha visitata!

Grazie infinite per le vostre recensioni! Mi rendete sempre felice! E anche per chi legge soltanto!

Ci leggiamo presto,

 

Akami

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Capitolo 15
*** Weekend con le Slytherin - Giorno I ***


Wecome To PageBreeze

            13. Weekend con le Slytherin – Giorno I

 

 

Cara Helen,

Come stai? Io spero bene. È la prima lettera che scrivo in tutta la mia vita, quindi non so come uscirà né cosa scrivere... mi arrangerò.

Ernie e Hannah mi stanno appiccicati come cozze, quindi probabilmente si sono innamorati di me, però credo sia perché hai chiesto loro di tenermi d’occhio.

Però potrebbero anche essersi innamorati.

Uno che si è innamorato sicuramente di me è Draco Malfoy. Te lo giuro, l’altro giorno non mi ha nemmeno presa in giro quando sono andata vicino al loro tavolo. Mi aveva chiamata quella Slytherin antipatica e mi aveva ordinato di smettere di guardare Malfoy, ma lui ha eroicamente detto che potevo farlo, quindi sono proprio contenta.

Ah, piaci a Liam, lo sai? Ha detto che sei molto carina.

Però mi chiedo perché la McGonagall oggi fosse in giro in pigiama. L’ho beccata davanti al bagno dei Prefetti questa notte in pigiama che urlava: “Stebbins! Esca immediatamente da lì, sappiamo che c’è anche una ragazza lì dentro!”.

Beh, magari era in pigiama perché erano le tre di notte.

Stanotte non sono riuscita a dormire, lo sai? Mah, forse sì, perché ti ho detto che ho visto la McGonagall in pigiama davanti al bagno dei Prefetti che urlava: “Stebbins! Esca immediatamente da lì, sappiamo che c’è anche una ragazza lì dentro!”.

Ho un deja-vù? Ah, no, te l’avevo già scritto.

Comunque sono belli i deja-vù. Ne ho avuto uno proprio ora. Proprio con te!

Ah, l’ho già detto.

È bello scrivere una lettera, è come tenere un diario. Ecco, se avrò un diario lo chiamerò “Helen”, così mi ricorderò di te.

Beh, mi ricorderei comunque visto che dormiamo vicine di letto.

Mi manca Moby, sta bene?

L’altro giorno è passato un altro topo davanti al nostro dormitorio, uno di campagna un po’ spelacchiato, e c’era l’amico rosso di Harry Potter che lo rincorreva.

È molto carino quel ragazzo. Me ne sono innamorata proprio. E credo che Stephen Cornfoot mi ami: non riesce a guardarmi in faccia quando ci incontriamo nei corridoi.

Però scappa. Magari è timido.

Hai già mangiato? Io sì.

Sono andata da Hagrid questa mattina, perché ho trovato un ragno un po’ morto sulle scale, allora volevo lo controllasse... mi ha detto che sono una ragazza proprio brava.

È carino, Hagrid, però è troppo vecchio per me. Peccato...

E Lance? Come sta? Mi manca, sai? È proprio bello.

Anche tu mi manchi! Però non posso dirti che sei bella. Fattelo dire da Liam! Gli dirò di dirtelo quando torni, così magari vi mettete insieme e vi sposate.

Però credo che prima dobbiate finire la scuola. Allora fate così: finite la scuola e poi vi sposate. E io vi guardo.

Poi puoi venire al mio matrimonio con Lance, o con Stephen, o con Draco, o con Stebbins, o con Ernie che ultimamente mi piace... o con qualcun altro, dipende dai giorni.

Sai, ho voglia di cioccolato, pensi che ce ne sia in giro? Ho guardato sotto il letto ma purtroppo non ce n’è. Vado a chiedere a Sheldon se ne ha un po’.

Eccomi, sono tornata. Sheldon è stato molto gentile, sai? Mi ha dato una tavoletta di cioccolato anche se ho fatto irruzione nella sua stanza alle quattro del mattino.

Ah, sì, dimenticavo, nemmeno stanotte riesco a dormire.

Secondo me è il pudding.

Beh, forse farò meglio a mettermi sotto le coperte, c’è Carey che mi sta guardando come se fossi pazza e continua a dirmi che vuole dormire... non so cosa possa disturbarla... io sto solo scrivendo una lettera. Aspetta che sta venendo a dirmi qualcosa.

Mi ha mandata a quel paese... allora forse è meglio se smetto di scrivere.

Adesso mi ha urlato che era ora.

Secondo te le do fastidio?

Mi ha detto di sì.

Forse dovrei smettere di ripetere ad alta voce quello che scrivo.

Beh, allora buonanotte, Helen, spero di ricevere la tua risposta presto presto presto presto presto.

Baci,

Amelia

 

P.S. Carey mi ha detto che ho scritto troppe volte presto, secondo te...

 

La lettera si interrompeva così, e Helen era sicura che Carey gliel’avesse strappata di mano e fosse andata in Guferia e spedirla il più presto possibile, sperando che nel frattempo Amelia si fosse decisa ad andare a dormire.

«Chi era che ti scriveva a quell’ora, cara?» le domandò sua madre, ancora in vestaglia, entrando lentamente in camera.

«Un’amica, mamma. Si chiama Amelia. È un po’ strana, ma è simpatica.» rispose Helen, con ancora il sorriso sulle labbra per la lettera.

«Ed è rimasta a scuola per Pasqua?» chiese la donna.

«Già. Mi ha detto che le manco!» disse Helen, felice.

«Ma potevi chiamarla a venire a stare da noi per qualche giorno, genietto! Chissà a Hogwarts come si sta annoiando...» commentò Emily, stringendosi nelle spalle. «Se io dovessi stare in collegio tutti i giorni, vacanze comprese, credo mi annoierei a morte...»

Helen rise. «Ma tu non sai com’è Hogwarts, mamma! Non ti annoi mai!»

«Oh, credo di saperne più di te, cara.» ridacchiò Emily, sporgendosi poco più avanti oltre la porta. «Tuo padre me ne ha parlato così tanto che ormai potrei dirti dove si trova l’ufficio della McGonagall e quanto dista da quello di Dumbledore! Su, ora preparati, Lance sarà qui a momenti e devi ancora andare in stazione! Hai preso tutto?»

Helen sbuffò. «Sì, mamma, ho tutto!» e mostrò il baule.

«Mi raccomando, fai molta attenzione!» la redarguì il padre, varcando in quel momento la soglia della porta. «Se Abigail è una Slytherin non c’è da fidarsi.»

Anche Diana, svegliata dalle voci dei familiari, comparve ai piedi del letto di Helen, mentre si stropicciava gli occhietti ancora assonnati.

«Vai già via?» mugolò Diana, osservandola. «Quando torni?» le chiese, tirandola per la maglietta.

Helen si inginocchiò alla sua altezza e le diede un bacio schioccante sulla guancia. «Tra due mesi. La scuola è quasi finita...»

Diana sembrò intristirsi, tuttavia le sorrise. «Così quando torni io ho già sei anni!» disse, contenta, mostrando il numero con le dita paffute.

«Già!» le sorrise Helen dopo averle scompigliato i capelli.

«Accidenti!» esclamò Jacob, guardando l’orologio a cucù appeso al muro. «Guarda che ore sono! Ti accompagno alla stazione!» prese per mano la figlia maggiore e la trascinò via, non prima di averla fatta stritolare dalla madre in un abbraccio.

Si Smaterializzarono non molto distanti dalla stazione e videro che i signori Wallace erano già arrivati.

«Buongiorno!» li salutò Jacob, allegramente, porgendo loro la mano callosa.

I genitori di Lance sembravano reticenti a stringerla.

«Non amate la magia, voi?» domandò Jacob, avendo notato che era la seconda volta che veniva fulminato dagli occhi della donna. «Beh, dovrete farci l’abitudine a incontrare maghi e streghe, dopotutto vostro figlio lo è.» disse, indicando Lance.

Irma, la madre di Lance, lo guardò inorridita.

Helen si strinse al padre. «Ciao, papà! Ci vediamo tra due mesi.» gli diede un bacio su entrambe le guance e raggiunse l’amico.

Jacob, avendo capito che la sua presenza non era gradita, si smaterializzò, non prima di aver sorriso alla figlia.

«Bene.» parlò infine Shaw, con ritrovata energia. «Ora prenderemo il treno per Londra, dove ci aspetta Rowan, e da lì vi accompagneremo in periferia, dove risiedono i Williams.» Helen notò che l’ultima parola era stata pronunciata con disprezzo e rammentò che Lance le aveva parlato degli screzi che intercorrevano tra le due famiglie.

Gran parte del viaggio trascorse in silenzio. Sebbene Helen avesse già conosciuto i genitori di Lance le veniva difficile comportarsi in modo naturale alla loro presenza. Tuttavia, Moby non sembrava essere dello stesso parere: si dibatteva nella tasca come se fosse stato inseguito da un gatto.

Lo estrasse dalla tasca e se lo mise sulle ginocchia, cominciando ad accarezzarlo.

Alla sua vista, Irma si irrigidì. Shaw le prese una mano e la strinse. Guardandoli, Helen si accorse che sembravano una coppia di ragazzi.

«Scusatemi per la domanda.» esordì, con estrema gentilezza, così da evitare di innervosirli. «Però mi stavo chiedendo quanti anni aveste...»

Irma guardò il marito e scoppiarono a ridere. Per lo meno, era riuscita a distrarli da Moby.

«Ne abbiamo entrambi trentuno, cara.» rispose Shaw, sorridendole. Dava l’idea di essere poco più grande dei ragazzi dell’ultimo anno a Hogwarts.

«Vi siete sposati a vent’anni?» domandò, colpita.

«No, ci siamo sposati dopo due anni, però abbiamo deciso di avere Lance a quell’età. Vedi, io e Shaw stiamo insieme da quando avevamo quattordici anni.» spiegò Irma con molta calma, stringendo ancora la mano del marito nella propria. «Poi, ovviamente, siamo andati avanti con l’Università e ci siamo laureati.»

«Io c’ero alla loro festa di laurea!» li interruppe Lance, esaltato, sgomitando Helen perché lo ascoltasse.

«Caspita!» commentò la ragazza.

«E i tuoi, Helen?» domandò Lance, curioso.

«Mia mamma è giovane quasi quanto voi» disse. «Ha solo trentatré anni, ma sembra molto più grande: forse è il vederla accanto a mio papà. Mio padre Jacob ne ha quarantacinque. Lui e la mamma si sono incontrati quando lei frequentava l’Università: papà faceva lo SpezzaIncantesimi per la Gringott, ai tempi. Dopo un mese sono scappati insieme e si sono sposati. Nove mesi dopo sono nata io.»

Lance ascoltava interessato e impressionato, ma i suoi genitori sembravano più contrariati.

«Tua madre non ha finito gli studi?» chiese Irma, evidentemente delusa.

Helen la guardò stranita. «Beh, no. Insomma, lei e mio padre sono andati a vivere a Middlesbourgh subito dopo. Mia madre era di Londra e non poteva spostarsi da Middlesbourgh tutti i giorni, e poi era incinta di me.»

Shaw deglutì  sonoramente. «E tuo padre che lavoro fa?»

«Da quando si è sposato, mio padre ha cominciato a trovarsi un lavoro fisso: prima si stancava del suo lavoro quasi subito e lo cambiava ogni mese. Dopo essersi licenziato dalla Gringott, ha lavorato per un breve periodo alla “Gazzetta del Profeta” scrivendo per la rubrica sportiva; poi al Ministero nell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici come Organizzatore di Eventi, dove lavora tutt’ora; ha seguito il corso da Auror poco dopo essere uscito da Hogwarts ma non ha mai praticato la professione, ora vuole tirare fuori il vecchio diploma da Auror perché si sta stancando di Ludo Bagman, il suo capo.»

I genitori di Lance sembravano profondamente urtati. Lance, invece, era più concitato che mai. Appena Helen terminò il racconto, cominciò a bombardarla di domande su tutti i lavori che avesse praticato suo padre.

«Wow! Ha lavorato anche al Paiolo Magico di Diagon Alley?»

«Sì! E per poco tempo anche a Notturn Alley, in un bar che si chiama “La Mela Avvelenata”, che non è esattamente un bel posticino.»

«Tuo padre è fantastico!» strepitò Lance. In quel momento il treno si arrestò.

«Bene, il viaggio è finito.» disse Shaw, come se desiderasse porre fine a quel discorso il prima possibile.

Appena scesero dal treno furono investiti da Rowan, che si gettò su di loro con la foga che lo contraddistingueva.

Era cresciuto, notarono i due ragazzi: sebbene fosse trascorsa meno di una settimana, Rowan sembrava molto più alto di Lance.

«Andiamo! Ho proprio voglia di gettarmi nelle fauci di Slytherin!»

 

La villetta di Abigail si trovava in una zona della periferia di Londra. Era piuttosto grande, circondata da un enorme giardino estremamente curato. Tutte le villette circostanti perdevano splendore di fronte ad essa.

Un piccolo elfo domestico sembrava attendere proprio sul ciglio della strada.

I coniugi Wallace lasciarono i tre ragazzi a pochi metri dalla casa e girarono subito sui tacchi dopo averli salutati e aver augurato loro un buon finesettimana.

«Sappy!» urlò Lance, chiamando l’elfo. Questi arrivò trotterellando.

«Che bello vedere il signorino Lance di nuovo qui! Sappy è così felice che Sappy oggi cucinerà tutti i piatti preferiti del signorino Lance e dei suoi amici.»

Lance rise. «Questi sono Helen e Rowan, Sappy.»

L’elfo si inchinò fino a sfiorare il cemento con il naso. «Sappy si preoccuperà di tutti i vostri desideri. Voi dite qualcosa a Sappy e Sappy lo eseguirà come umile servitore della famiglia Williams! Prima però Sappy deve dire al signorino Lance che i suoi amici non saranno gli unici ospiti.»

Rowan mugolò. «Chi si è portata dietro l’arpia?»

Sappy rimase serio. «La signorina Abigail, che come Sappy ha potuto constatare è un po’ cambiata, ha portato da Hogwarts una dolcissima ragazza: la signorina Mary Elliott, che è arrivata proprio ieri.»

Rowan finse di uccidersi.

Sappy si tratteneva dal ridere. «Sappy trova che il signorino Rowan sia molto simpatico, ma crede che il signorino Rowan non dovrebbe parlare male della signorina Mary Elliott.»

«Infatti nessuno ne sta parlando male.» disse, ammiccando. «Ho soltanto espresso un mio sentimento al sentirla nominare.»

Sappy li guidò sul selciato attraverso lo splendido vialetto fiorito di azalee.

L’interno della casa era ancora più imponente del giardino: il modello al quale si erano ispirati erano le antiche villette in mattone di campagna, rustiche ed eleganti al tempo stesso. L’entrata era tappezzata di fotografie d’ogni genere, tutte in movimento, principalmente di Abigail e suo fratello insieme.

«Ciao! Voi dovete essere gli amici di Lance!» li salutò una voce allegra e simpatica. David, il fratello di Abigail, stava scendendo le scale velocemente. Quando fu davanti a loro, Helen e Rowan notarono che era molto alto (sicuramente quasi due metri), dal fisico asciutto. I capelli erano a caschetto fino alle spalle, castani, mentre gli occhi erano dello stesso grigio di Lance.

Helen spalancò la bocca: era stupendo.

«Siete uguali!» commentò Rowan, vedendo David e Lance abbracciarsi affettuosamente: a parte l’altezza e la lunghezza dei capelli, sembravano gemelli.

David sorrise e il suo bel volto si illuminò. «Ce lo hanno sempre detto tutti.» e circondò le spalle del cugino con il braccio muscoloso. La sua mano era grande quanto il viso di Lance.

«Già, però tu sei quello bello in famiglia.» rise Lance, evidentemente imbarazzato.

«Aspetta qualche anno, cugino. Ma vedo che c’è già qualche signorina che si è fatta furba prima!» e si parò davanti a Helen, sovrastandola. Le porse l’enorme mano e lei la strinse, a disagio, con il volto imporporato.

«Helen Adams.» si presentò, cercando di non dare a vedere la sua attrazione nei confronti del giovane.

«Incantato.» le sorrise, fingendo di baciarle la mano.

«Io invece sono Rowan James.» esclamò Rowan, stringendogli per primo la mano.

«James, eh? Famiglia importante la tua...» borbottò David. «Non che a me importi, ma preparati a sentire discorsoni sul sangue da parte di Anne e Marcus.»

Lance sospirò.

«Anne e Marcus?» domandò Rowan, interdetto.

«Sono i suoi genitori.» rispose Lance, incrociando le braccia al petto: era evidente che non approvasse questa guerra scatenatasi tra familiari.

«Solo biologicamente.» intervenne David, ora rosso di rabbia. «E non li sento per niente parte della mia famiglia!»

«Ehi, Dave, i tuoi strilli si sentono fino in salotto.» lo redarguì una voce conosciuta, che da poco tempo a quella parte aveva sviluppato una nota aspra e quasi maligna.

«Sta’ zitta, Gail.» sbottò il ragazzo più grande, voltandosi e risalendo le scale. «È stato un piacere conoscervi, Hellie e Row.» si congedò, abbozzando un sorriso.

«Bene, bene, bene, cos’abbiamo qui?» iniziò Mary Elliott, che stava accanto all’amica Abigail. «Una Mezzosangue e un Magonò.»

Abigail rise: una risata vuota e priva di divertimento. Non sembrava godere davvero per quelle parole, ma pareva assecondarle.

«Cos’abbiamo qui, invece?» proruppe Rowan. «Due pezzi di carta igienica.» disse, con ironia pungente.

«Come osi! Traditore del tuo sangue!» lo maledì Mary, portandosi teatralmente una mano al cuore, come ferita da un pugnale invisibile.

«Hai ragione, uno è un pezzo di carta igienica» e indicò Abigail. «ma l’altro è il gabinetto in persona.»

Helen e Lance non seppero trattenersi e scoppiarono a ridere senza ritegno.

«Dovrebbero lavarti la bocca con il sapone, James.» intervenne Abigail, parandosi davanti all’amica nell’atto di proteggerla dagli insulti.

«Dovrebbero lavarti e basta, Williams.»

«Sappy crede che la signorina Abigail e il signorino Rowan dovrebbero smettere di insultarsi perché i signori Williams stanno arrivando.» disse Sappy ad un tratto, entrato nella scena con un forte pop. «Ora Sappy mostrerà le stanze della signorina Helen e del signorino Rowan.» schioccò le dita e le valigie scomparvero.

Li condusse al secondo piano dell’imponente villa e aprì loro due porte vicine.

Una stanza aveva le pareti di un tenue giallo, decorata da una cornice di primule. L’arredamento era particolarmente elegante e antico, in legno.

La seconda camera era azzurrina, con piccole genziane blu decorate come cornice sulla parete. Il mobilio era identico all’altra stanza.

«Per voi la Primula e la Genziana.» disse Sappy, inchinandosi. «Qui a Villa Fiorita tutte le stanze hanno il nome di un fiore.» spiegò. «Ad esempio il signorino Lance dorme nella stanza in fondo al corridoio, la Giglio; la signorina Abigail al primo piano nella Alcea; il signor David al primo piano nella Dalia.»

Helen entrò nella sua camera e vide che il baule era già sopra il letto. Non fece nemmeno in tempo a sedersi sopra, che Sappy la richiamò, poiché erano arrivati i genitori di Abigail.

Era pomeriggio inoltrato e la fame, sebbene avesse mangiato un panino poche ore prima, cominciava a farsi sentire.

«Si mangia?» domandò Rowan, che condivideva gli stessi pensieri di Helen.

«Sì, signorini. I signori Williams preferiscono mangiare presto per trascorrere la sera discutendo.»

La tavola della sala da pranzo era imbandita a regola d’arte, quasi con un’eleganza ostentata.

I signori Williams erano già seduti. Marcus Williams stava capotavola, molto più simpatico di quanto Helen non si aspettasse. I capelli, castani come David, erano pettinati e perfetti; gli occhi, marroni, imperturbabili.

Anne Williams sedeva alla destra del marito: era corvina di capelli, lunghissimi e lisci; un volto nobile e un paio di occhi verde smeraldo. Era identica alla figlia.

Abigail e Mary erano già sedute, il più vicino possibile agli adulti, invece David si era accomodato dalla parte opposta, capotavola, di fronte al padre che lo fissava con disprezzo.

«Buonasera.» salutarono Helen e Rowan, mentre Lance andava a baciare gli zii. Gli occhi di Marcus ebbero un guizzo di gioia, una luce brillò, prima di tornare alteri.

«Voi dovete essere Helen Adams e Rowan James, vero?» disse Anne, con solennità. «Eravamo molto curiosi di conoscervi.»

«Già, ad esempio, Rowan, come stanno i tuoi genitori? Se non sbaglio sono una delle famiglie di maghi purosangue più in vista. Una nobile tradizione di Ravenclaw e Gryffindor. Tu sei il primo Hufflepuff?» proferì Marcus con voce impostata, quasi come se si fosse imparato il discorso a memoria.

Rowan, sedendosi accanto a David, ne colse l’occhiata eloquente. Sospirò.

«No, il mio bisnonno era Hufflepuff.» spiegò. «Dicono che gli somigli molto nel carattere.»

Anne annuì, mentre Sappy le versava nel piatto il brodo di carne. «Ma di aspetto sei molto simile a tuo padre.»

«Andavate a scuola insieme?» domandò il ragazzo, incuriosito. Ricordava che al nome “Williams” suo padre aveva affermato di non conoscere nessuno che si chiamasse così.

«Io ero tre anni avanti a lui, è probabile che non si ricordi di me.» disse Marcus.

«Capisco.»

Calò il silenzio.

«I tuoi genitori, invece, Helen?» chiese Anne. Si riempì il bicchiere di quello che sembrava vino pregiato e bevve con garbo.

«Mia madre è babbana, mio padre è Jacob Adams, ma non credo lo conosciate, perché quando lei è entrato al primo anno, mio padre frequentava l’ultimo.» rispose, rivolgendosi al padre di Abigail.

«Molto bene.»

Delle tre forchette, tre coltelli e tre cucchiai posti sul tavolo, Helen cominciò ad avere dei seri dubbi su che posata utilizzare per mangiare il brodo di carne.

David le diede una gomitata, indicandole con discrezione il cucchiaio più esterno. Quando Helen lo prese suscitò il compiacimento di Marcus.

«Vedo che andate d’accordo tu e David, mia cara.» commentò Anne, con un ampio sorriso.

David sorrise, lanciò un’occhiata a Mary, che li guardava sbalordita, e circondò le spalle di Helen con un braccio.

«Ehi, Hellie è un tesoro di ragazza, mamma.» esclamò David, con movimenti teatrali ed eccessivamente drammatici che i suoi genitori scambiarono per allegri e concitati.

Helen arrossì vistosamente, abbassando la testa e nascondendo il volto dietro boccoli biondi.

«E invece con Cassandra, David caro?» continuò Marcus, interessato, gli occhi fissi sulla piccola Helen. «Siete usciti insieme ieri sera, non è vero?»

David fece una smorfia di disgusto. «Sì, ma non mi piace: è un’oca ed è pure brutta!»

Anne si portò una mano alla bocca, urtata. «David, maleducato! Non sta bene insultare così le persone.»

Il ragazzo sbuffò e alzò gli occhi al cielo in modo impercettibile. Rowan soffocò una risata nel brodo, pessima idea, poiché si sporcò tutto.

«Mi piace dire sempre la verità.» disse David.

«Io trovo che Cassandra non sia adatta a David, papà. Credo che qualcuno come Mary, che ha più generazioni di purosangue rispetto a Cassandra, sia un partito migliore.»

Marcus annuì, ancora attento a Helen che scherzava con David, come se non avesse ascoltato le parole della figlia.

«Ma tuo padre, Helen, discende da una lunga stirpe di maghi, non è vero?»

«I miei trisavoli erano maghi.» rispose Helen.

«Già! La discendenza di Helen è più lunga della mia. La mia è diretta dal mio trisnonno, ad esempio. Il padre del mio trisnonno era babbano.» inventò Rowan, con tanta sicurezza che non fu difficile a nessuno credergli. Scambiò un’occhiata con David.

«E Cassandra ha parenti babbani, papà.» continuò David.

Helen allora comprese: David stava cercando in tutti i modi di liberarsi di Cassandra per far spostare l’interesse dei genitori su di lei.

E dallo sguardo di Mary e Abigail, comprese che non erano molto d’accordo.

 

«A che gioco stai giocando?» le domandò Mary, braccatala sulle scale mentre la povera Helen si dirigeva verso la sua camera.

«Non ti seguo.»

«Tu sai perché sono qui?»

Helen sbuffò. «Immagino perché sei amica di Abigail?»

Mary ridacchiò, pungente. «Non solo per quello. Sono qui perché avendo origini anche io purosangue, sto convincendo i Williams a cambiare idea con la presunta fidanzata di David, Cassandra Burke, per sostituirmi a lei.»

«Mi dispiace deluderti, ma credo che David abbia già scelto la sua futura sposa, e per tua sfortuna e di Cassandra, non siete voi.»

Salì i gradini velocemente, per evitare che Mary metabolizzasse la cosa troppo in fretta e così trovasse un’altra occasione per fermarla e tempestarla di domande.

Il suo pensiero andò a Gwen.

Non sapeva che l’avrebbe rivista di lì a poche ore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hola, chicos!

Scusate il ritardo di pubblicazione, ma sono tornata da pochi giorni dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid e dovevo cercare di tornare alla routine quotidiana!

Continuate a seguirmi, non manca molto alla fine!

 

Akami

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Capitolo 16
*** Weekend con le Slytherin - Giorno II ***


Wecome To PageBreeze

            14. Weekend con le Slytherin – Giorno II

 

«Allora noi usciamo, Sapiens. Tieni d’occhio i ragazzi da parte nostra.» disse Anne, prima di smaterializzarsi insieme con il marito.

Era mattino presto, Abigail, Rowan e Mary dormivano ancora. In casa giravano soltanto Helen, Lance e David. E tutti e tre si trovavano dietro la porta: aspettavano soltanto quel momento.

«Sono andati, Sappy?» sussurrò Lance,sporgendosi appena da dietro lo stipite.

«Sì, signorino Lance.»

«Bene!» esclamò David e, con un pop, sparì.

«Spero davvero riesca a trovare Gwen e a portarla qui! Se riesce a nasconderla in camera non dovrà rispondere della sua assenza nemmeno ad Abigail e Mary! Hai avuto un’idea geniale, Lance!» sorrise Helen.

«Grazie! Mi sembrava stupido che volesse andare da lei. Cioè, Abigail l’avrebbe scoperto subito, soprattutto visto il discorso di ieri sera e quello che hai detto a Mary.»

Helen abbassò il capo, mortificata. «Mi dispiace, non dovevo dire della relazione di David con Gwen, però...»

Non riuscì a terminare la frase, perché, in un altro pop, David fu davanti a loro, e insieme a lui Gwen Morgan.

«Ciao, ragazzi!» li salutò la ragazza, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

David sembrava un’altra persona, come rinato, accanto a lei. Il volto affascinante era illuminato da una luce che lo rendeva ancora più bello e gli occhi grigi scintillavano come quelli di Lance quando prendeva un bel voto.

La felicità non durò molto: uno scricchiolio in corridoio fece presagire che Abigail doveva essersi svegliata.

David prese Gwen per mano e la tirò dentro la camera, chiudendo la porta a chiave.

Dalla stanza adiacente, ne uscì Abigail.

«Chi era che parlava? Ho sentito delle voci.»

Lance deglutì e guardò Helen.

«Ehm, nessuno. Cioè, io e Lance ci stavamo chiedendo come raggiungere la cucina per fare colazione.»

Abigail li squadrò da capo a piedi con sguardo inquisitore. «Basta chiamare Sappy. È lui a occuparsi di queste cose. Lance, tu dovresti saperlo: vieni qui da anni, ormai.»

Lance trasalì e cominciò a sudare freddo. «Sì, beh... ho un piccolo vuoto di memoria.»

Un tonfo sordo proveniente dalla camera di David li riscosse. Da un lato Lance benedì quel momento perché era riuscito a sottrarsi alle domande della cugina, dall’altro, David rischiava di essere scoperto.

«Dave, va tutto bene lì?» domandò Abigail, ancora più sospetta. «Cos’è successo?»

«Niente!» rispose David. «Stavo leggendo e mi è caduto di mano il libro.»

Helen accennò a un sospiro di sollievo, attenta a non farsi vedere da Abigail.

«Capito. Beh, vado da Mary.» disse, e salì le scale con leggiadria, non prima di aver lanciato un’occhiata terribile alla stanza del fratello.

Quando sparì al piano di sopra, David riemerse dalla camera, rosso e tutto arruffato.

«Ce la fate a tenere Gail e Mary lontane da qua per il pomeriggio?» domandò, con tono supplichevole.

Helen lo guardò con occhi strabiliati e sospettosi. «Perché?» chiese. Ciò che aveva chiesto loro di fare era un’operazione difficile, che se non fosse andata a buon fine avrebbe gettato fango sul povero Lance e su Sappy agli occhi di Marcus.

«Ehm...» rispose David, con sguardo eloquente.

Helen sembrò riflettere sulle ultime parole, poi comprese.

«Faremo del nostro meglio.» disse.

Lance, diventato tutto rosso, girò sui tacchi e andò in cucina, dove Sappy li stava aspettando: aveva preparato una colazione regale a base di frittelle, pane imburrato, porridge e qualsiasi tipo di frutta esistesse in Inghilterra.

«Come faccio a tenere due Slytherin che mi odiano lontano da casa per un pomeriggio intero!» esclamò, turbato, avventandosi sulle frittelle. «gnon possho! È ‘mposshibile!» biascicò, con la bocca piena di cibo.

Helen si abbandonò sulla sedia vicina e appoggiò la testa sulla propria mano.

«Ehi, Sappy, hai idea di come tenere lontane le due arpie per un pomeriggio intero?» chiese all’elfo, aspettandosi una risposta negativa.

«Certo.» rispose Sappy, tranquillo, continuando ad apparecchiare la tavola per la colazione. «Ho sentito che la signorina Mary e la signorina Abigail volevano andare a Diagon Alley.»

Gli occhi di Lance si illuminarono. Deglutì il boccone troppo grosso e, con voce strozzata, dichiarò: «Potremmo accompagnarle, così la casa sarà sicura!»

Helen rise. «Certo, ottimo. Grande idea quella di lasciare la casa scoperta nel caso i tuoi zii tornino.»

Lance incrociò le braccia al petto. «Beh, hai qualche idea, Sherlock?»

«Qui si flirta e nemmeno mi chiamate?» esordì Rowan, entrando in cucina. Indossava un pigiama giallo limone e teneva tra le braccia un orsacchiotto di peluche.

«E quello?» domandò Helen, improvvisamente, alludendo all’orsacchiotto.

«Fergus.» borbottò Lance, tra una risata e l’altra.

Rowan avvampò e nascose con una mossa furtiva il peluche dietro la schiena.

«Come si fa a chiamare un peluche “Fergus”? Non è normale!» ululò la ragazza.

«Fate silenzio, razza di plebaglia. Le vostre urla si sentono fino al piano di sopra!» li redarguì Mary, comparsa sulla porta.

«Plebaglia sarai tu, schifosa Slytherin!» ribatté Rowan, parandosi davanti alla ragazza. La sovrastava di oltre dieci centimetri. Mary lo fissava dritto negli occhi.

«Stammi lontano, James. Tu non sai chi sono io.»

Rowan sorrise. «E non me ne potrebbe importare di meno sapere chi sei.»

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Mary si scagliò su di lui, graffiandolo ad un braccio con le lunghe unghie, mentre Rowan reagì tentando di tenerla lontana.

Helen corse subito in aiuto dell’amico, tirando i lunghi capelli biondi di Mary in modo da allontanarla. In risposta, la Slytherin attaccò lei e le due ragazze finirono a terra.

Lance guardava la rissa con occhi terrorizzati.

Anche Moby sembrava essere dare manforte alla padrona, aveva infatti iniziato a mordere la mano di Mary, cosicché lei lasciasse andare il pigiama di Helen.

Rowan si lanciò tra le due, tentando di dividerle tenendo per la vita Mary, la più bellicosa.

«Va’ a chiamare David!» urlò a Lance. Il ragazzo sembrò risvegliarsi dalla trance e corse in camera del cugino.

«David! Mary è impazzita! Sta uccidendo Helen!» gridò, dopo aver fatto irruzione.

David, sul letto mentre accarezzava i capelli di Gwen, si riscosse.

La prima ad uscire dalla stanza fu Gwen, che intervenne prontamente.

«Levicorpus!» gridò, facendo levitare Mary in un colpo di bacchetta. La ragazza continuò a dimenarsi anche in aria, insultando la Caposcuola.

«Mettimi giù, schifosa sanguesporco!» urlava.

David avanzò e puntò la bacchetta contro la Slytherin. «Osa dirlo di nuovo e giuro che ti pietrifico e ti faccio cadere da quell’altezza!» sibilò, con occhi fiammeggianti.

«D-David! Che succede?» balbettò Abigail, entrata in quel momento in cucina. Lo sguardo esterrefatto esprimeva solo paura. Tremava.

«Ha insultato Gwen, ecco che succede!» abbaiò, ancora profondamente adirato.

«E che ci fa Gwen qui, Dave?» domandò Abigail.

Accadde tutto in un attimo: Gwen sembrò accorgersi solo in quel momento che il loro piano era sfumato e perse il controllo dell’incantesimo, Mary cadde ma fu salvata dall’intervento di David, che la prese al volo e l’appoggiò a terra con poco garbo.

«Dave non c’entra!» esclamò subito Gwen con le lacrime agli occhi. «Non c’entra nulla! Ho fatto tutto io! Mi sono materializzata in camera sua! Lui non ha fatto nulla!»

«Non è vero, Abigail! Sono stato io ad andare a prenderla! È stata una mia...» disse David, ma non riuscì a concludere la frase.

«È colpa mia, Gail.» disse Lance, con tono calmo. «Ho consigliato io a David di andare a prendere Gwen. Se lei si trova qui, è solo per colpa mia.»

Mary scoppiò a ridere, gelida. «Ma bene! Tutti i nodi vengono al pettine alla fine!» esclamò, indicando il ragazzo.

Abigail era rimasta paralizzata sul posto e non aveva più aperto bocca.

«Denuncialo, Gail! Denuncialo ai tuoi genitori!» sibilò Mary, avvicinandosi all’amica e strattonandole la manica del pigiama. «Così ti libererai per sempre del tuo cugino magonò!»

Lance guardava Abigail mortificato. «Avanti, dillo agli zii. Solo... lascia in pace David. Lascia che stia con Gwen.»

Abigail sussultò e gli occhi sembrarono diventare lucidi.

Tutti erano ammutoliti. Rowan guardava il suo migliore amico scioccato. Helen stava in piedi silenziosa, con il viso coperto dalle mani. Gwen era stretta a David, che le aveva circondato le spalle con fare protettivo.

«Forza, Abigail!» esortò Mary, spingendo l’altra Slytherin.

«No.» rispose Abigail, chiudendo le palpebre e lasciando che una lacrima scivolasse sulla guancia sinistra.

«Che cosa dici?! Devi dirlo ai tuoi genitori, assolutamente! Come puoi pretendere che tuo fratello sia felice con una sanguesporco? L’hai detto anche tu!»

Abigail allontanò Mary da sé. «È felice, ora. E non denuncerò mio cugino Lance.»

Qualcosa sembrò alleggerire il cuore di Lance. Il groppo che aveva dovuto sopportare da quando era stato insultato dal gruppetto di Slytherin si sciolse, e scoppiò a piangere.

Mary spostò lo sguardo prima da Abigail a Lance, poi da Lance ad Abigail. «Come... cosa...» tentò.

«Non posso denunciarlo. È mio cugino.» ribadì Abigail, ancora gelida sul suo posto.

«D’accordo, se non lo farai tu, lo farò io.»

«Petrificus totalus!»

Il corpo pietrificato di Mary cadde con un tonfo a terra. Helen urlò.

Lance voltò lo sguardo verso David: era sudato e respirava a fatica.

«David, no!» gridò Abigail. «Cos’hai fatto? Così mamma e papà lo verranno a sapere!»

David distese l’espressione in un sorriso affascinante. «Che lo sappiano pure, Gail. Sarò molto lontano prima che chiunque possa dirglielo.»

Il ragazzo più grande corse in camera, si infilò la maglia  ed estrasse da sotto il letto una valigia.

«David! Cos’hai intenzione di fare?» gridò Abigail, aggrappandosi al braccio del fratello.

«Non è evidente? Me ne vado, Gail. Tanto l’avrei fatto comunque presto: ho trovato una casa e un lavoro a Diagon Alley.»

Abigail sembrava incredula. «Ma te ne vai proprio via? Cioè, ti trasferisci definitivamente?»

«Esatto.»

«Ma non puoi!»

Lance, Helen e Rowan li avevano raggiunti. Osservavano la scena incapaci di dire o fare qualsiasi cosa. Lance teneva stretta Helen, mentre Rowan le accarezzava la spalla per consolarla.

«Gail, ho diciannove anni! Posso eccome!» disse David, inginocchiandosi mettendole le mani sulle spalle. «Ora guardami negli occhi.»

Abigail obbedì.

«Questa follia del sangue deve finire. Cerca di fare ragionare mamma e papà: spiega loro che cosa è giusto e che cosa non lo è, tu che puoi. Tu che sai che cosa è giusto.» e fece un leggero cenno con la testa a indicare Lance. Poi, frugò furiosamente nella tasca dei jeans e ne estrasse un foglietto stropicciato. Lo consegnò nelle mani della sorellina.

«Questo è il mio nuovo indirizzo. Voglio che lo tenga solo tu. Vienimi a trovare quando vuoi, ma non farti scoprire da mamma e papà.»

Abigail annuì, tremante.

David si alzò, prese Gwen per mano e si avvicinò a Lance.

«Resta. Sei il mio cugino preferito.» sussurrò il ragazzo, strizzando gli occhi per trattenere le lacrime che già pizzicavano.

«Anche tu lo sei per me.» asserì David, serio.

«Sono il tuo unico cugino!»

David rise, divertito. «Non posso restare. Sappy ha visto cos’è successo e non può mentire ai miei genitori: se gli chiederanno chi abbia pietrificato Mary, non potrà mentire.»

Detto ciò, strinse a sé Gwen e, dopo un ultimo sorriso, sparì in un pop.

 

 

 

 

Capitolo corto, ma ad effetto… spero comunque mi perdoniate!

Il prossimo capitolo sarà dedicato a un altro personaggio… se indovinate chi è… potreste vincere una futura scena con tanto di personaggi, eventi e eventuali colpi di scena decisi da voi! XD

Ci leggiamo presto,

 

Akami

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Capitolo 17
*** Speciale: Meet Abigail! ***


Capitolo speciale – Meet Abigail!

Quando Abigail Williams venne al mondo, nessuno sembrò accorgersene. Anne, sua madre, si era rifiutata di vedere la bambina finché non fosse stata completamente pulita e disinfettata, nonostante le proteste di Marcus, il padre, che non desiderava altro che stringere quel fagottino violaceo e coperto di sangue con tutte le sue forze. David, il primogenito, vide Abigail per la prima volta nella culla dell’ospedale. Si era messo sulla punta dei piedi per guardare attraverso il vetro della nursery e l’aveva vista: una bambina bellissima, che gli sorrideva radiosa. Aveva due occhioni verdi che scintillavano di gioia. Da quel momento, David decise che avrebbe protetto la sua sorellina per sempre.

I nonni Williams non videro Abigail se non dopo due mesi dalla sua nascita. Marcus non sembrò farci caso: dopotutto, era Irma la preferita della famiglia, la sorella che, nonostante fosse Magonò, aveva ottenuto brillanti risultati in una importante carriera babbana.

Quando la piccola neonata fu a casa, venne affidata alle cure di Sapiens, l’elfo domestico della famiglia Williams, poiché Anne e Marcus dovevano tornare a lavorare.

Anne, in piena depressione post-partum, non toccò più la figlia per una settimana. Erano Sapiens e David ad occuparsi di lei ogni giorno (David aveva persino imparato ad andare nei negozi babbani a comprare il latte in polvere per la sua amata sorellina), mentre la sera era Marcus che, tornato dal Ministero, trascorreva due ore con la piccola a raccontarle storie e farla giocare.

Quando Abigail compì cinque anni, Anne si ricordò della sua esistenza e si accorse di quanto fosse simile a lei: i capelli corvini lunghi e lisci, gli occhi smeraldini, la pelle di porcellana e il corpicino esile, ma già piuttosto alto per una bambina della sua età, la sconvolsero.

Decise che l’avrebbe trasformata in una figlia perfetta e si prese piena responsabilità della sua educazione. Trovò un lavoro part-time al Ministero della Magia ed iniziò a trascorrere ogni ora del giorno con la figlia.

Abigail non poteva essere più felice: dopo cinque anni che la madre sembrava ignorarla, finalmente anche lei riceveva la sua dose di attenzioni.

Per paura che questo interesse sparisse, Abigail si impegnò tutti i giorni per soddisfare la madre, ogni sua minima richiesta, ogni suo più piccolo capriccio (come ad esempio il portare sempre i ciuffi laterali dei capelli dietro le orecchie, non parlarle mai quando leggeva il giornale e non entrare mai nella camera dei genitori se non su permesso) veniva esaudito senza fare domande, con l’ambizione di diventare lei la preferita di casa Williams.

Quando conobbe suo cugino Lance, Abigail dovette combattere l’ennesima battaglia per l’amore della madre, uscendone pesantemente sconfitta. Ma questo non la fermò: un giorno sua madre l’avrebbe notata, l’avrebbe elogiata, e allora non sarebbero esistiti più Lance o David.

Un giorno, aveva otto anni, stava leggendo un libro in salotto, mentre la madre, seduta sul divano, cuciva in silenzio.

Nel girare pagina, urtò contro il vaso preferito della madre, che cadde frantumandosi in mille pezzi.

David non aveva mai sentito la madre urlare tali cose con una simile cattiveria verso nessuno. Ricordava Abigail che piangeva in camera sua, mentre lui le medicava un taglio profondo che si era inferta quando aveva raccolto i cocci del vaso e li aveva nascosti sotto il letto.

Per un anno, la bambina si concentrò con tutte le sue forze e impiegò tutta la magia che poteva e, alla fine, riuscì a riparare il vaso della madre.

Tuttavia, rimase segnata dall’episodio e decise che non avrebbe mai più fatto arrabbiare nessuno: cominciò a annuire sempre, a qualunque richiesta, a qualunque opinione, non pensando mai a cosa fosse giusto secondo lei, ma a cosa gli altri volevano sentirsi dire.

Soltanto con Lance si sentiva veramente se stessa.

 

La sera prima della partenza per Hogwarts, David origliò la conversazione tra la madre e Abigail.

«Tu sarai una Slytherin, come lo fui io alla tua età»

Abigail annuì, a testa bassa.

«Se non sbaglio, quest’anno è il primo anche per la figlia di Thomas Elliott. È un uomo molto importante al Ministero. È il braccio destro di Crouch, immagino tu comprenda la sua rilevanza»

Abigail non aveva idea di chi fosse Crouch, ma non disse nulla.

«Quindi, vedi di fartela amica, se vuoi sopravvivere in quella scuola come una vincente. Ora va’ a dormire»

«Buonanotte, mamma»

Nessuna risposta.

 

«Buonanotte Abigail, buonanotte Lance!» irruppe poco dopo David nella sua stanza. «E, mi raccomando, qualunque sia la Casa in cui finirete e qualunque siano le amicizie che stringerete, io sarò sempre fiero di avervi come cugino e come adorata sorellina» e trasmise tutto il suo amore in quell’unico sguardo che rivolse alla sorella.

«In bocca al lupo per questo primo anno!»

Le luci si spensero.

«Ehi, Gail, vero che sarò un Ravenclaw?»

«Certo, Lance! Sarai un fantastico Ravenclaw!»

«Già. E tu? Tu sarai Ravenclaw con me?»

«Magari sì... ora dormi, cuginastro!»

«Ma non ho sonno...»

«Buonanotte, Lance!»

«Buonanotte, Gail. Non vedo l’ora che sia domani!»

«Domani si parte per Hogwarts!»

«E speriamo di essere smistati nella stessa casa!»

Abigail chiuse gli occhi.

Non Slytherin, non Slytherin, non Slytherin, non Slytherin...

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono imperdonabile.

Imperdonabile.

È tutta colpa dell’università. Lo giuro.

Per farmi perdonare, ne posterò uno oggi e uno domani.

 

Akami

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Capitolo 18
*** Robe da uomini ***


            15. Robe da uomini

 

«Wow! Che figata!» esclamò un ragazzo alto e nerboruto del quarto anno, tale Rent.

«Sì, davvero! Che fegato che ha avuto quel David!» strepitò ancora il suo vicino, Jack, battendo una mano sul tavolo della Sala Comune degli Hufflepuff.

«P-però non è stato molto carino andarsene senza salutare i genitori...» commentò Quill, un ragazzino grassottello del secondo anno.

«Ma sei cretino?! Ha fatto assolutamente bene! Insomma, ha fatto ciò che cerco di fare io dalla notte dei tempi!» esclamò Michael Stebbins, battendo un cinque con Rowan.

«E perché non l’hai ancora fatto, Mike?» ridacchiò Walter, il ragazzo del quarto fratello di Wayne Hopkins.

«Me lo chiedo anche io.» ridacchiò Cedric Diggory, battendo una manata sulle spalle dell’amico, che tossicchiò.

«Ehi, che schifo! Vai a espellere i tuoi germi germinosi da un’altra parte!» urlò stizzito Stephen Cornfoot, del secondo, urtando per errore Megan la Violenta.

«Che cazzo fai, pettinatore di broccoli!» sbottò, alzandosi dalla sedia e lasciando che Stephen cadesse per terra.

«Step!» gridò Susan Bones, precipitandosi in aiuto dell’amico.

Wayne Hopkins, con stoicismo irreprensibile, si massaggiò le tempie, colto da emicrania, e sospirò.

«Che succede qui? Cos’è tutto questo casino?» gridò Georgia Runcorn, una ragazza bella ed elegante del secondo anno.

«Niente, Georgie, Rowan ci sta raccontando delle sue vacanze avventurose!» rispose Michael. Jack e Rent annuirono, all’unisono. Essendosene accorti, si batterono il cinque.

«Sembrano gemelli a volte.» rise Cedric, sgomitando Rowan.

«O una coppia gay.» commentò Walter, ricevendo occhiatacce dai compagni di stanza. «Ehi, Sally-Anne! Vieni a sentire le prodezze del buon David Williams! Te lo ricordi? Il Ravenclaw bello e aitante.» esclamò, chiamando la ragazza bionda e snob che si trovava dall’altra lato della stanza a limarsi le unghie.

«No, grazie. Non ne ho per niente voglia.»

«Sempre l’anima del dormitorio, eh?»

«Oh, chiudi il becco, Hopkins!»

Fu superata e leggermente urtata da Sheldon, che correva verso Rowan, accompagnato Liam e Lance.

«Ehi, guarda dove vai, francese.»

«Ma chi ti conosce, ragassina.» rispose Sheldon, voltandosi verso di lei.

«Come hai detto?»

«Non mi piasce ripetermi.»

Megan sorrise, sadica. «Adoro le risse. Secondo voi fanno rissa? Spero proprio di sì!»

Cedric sospirò. «Tu sei malata.»

 

Helen, Ernie e Hannah osservavano la scena da lontano.

«Tutto ciò non è normale.» commentò Ernie, grattandosi la nuca, incerto su che cosa dire. «Da quando Rowan conosce metà dormitorio Hufflepuff?»

Hannah alzò le spalle, Helen rise.

«Ehi, Sally-Anne!» esclamò Geoffrey, sbucato fuori dalla sua stanza in quel momento. «Ho terminato il livello cinque dei magicverba in due minuti e mezzo.»

Sally-Anne dimenticò la litigata con Sheldon per un attimo. «Che cosa? Ma sei troppo bravo! Vedrai, ora mi ci metto e lo farò in meno tempo di te!»

«Che cosa?» domandò Walter, che aveva origliato la conversazione.

«Voi Hopkins non sapete proprio farvi i fattacci vostri.» commentò Megan, battendo una mano sul tavolo.

«Ma che c’entro io?» domandò Wayne, sentendosi tirato in causa senza alcun motivo.

«Tu c’entri sempre.» lo liquidò Megan, rapida.

«Ma non è vero!» sbottò il ragazzo, parandosi davanti a lei.

«Oh no, ecco che ricominciano...» Jack si schiaffò una mano in faccia, disperato. «Non è possibile...»

Rowan, incuriosito, domandò il perché.

«Non fanno altro che litigare, lanciarsi frecciatine da ragazzini del primo anno... senza offesa, ovviamente!» spiegò, abbassandosi giusto in tempo per evitare una boccetta di inchiostro che Megan aveva appena lanciato.

«Ottimi riflessi Jacky! Comunque, solitamente in questi casi diciamo: tra moglie e marito non mettere il dito. Soprattutto se la moglie è Megan la Violenta e che non ha amici.» si aggiunse Rent, abbassando leggermente la voce.

«Non è vero che non ha amici! Ha Wayne, Cedric...» replicò Walter, leggermente dispiaciuto.

«Rifletti, Walt: uno è un tronco, l’altro è amico di tutti.»

Rowan sembrò perdere il filo del discorso. «Un tronco?»

«Non lo spezzi mai.» spiegò Walter, rassegnato.

«A me piace Megan.» s’intromise Helen.

«Buon per te.» ridacchiarono Jack e Rent.

 

Quella sera, il dormitorio degli Hufflepuff era in subbuglio. Gli studenti del secondo anno si erano riuniti in seduta speciale per decidere democraticamente quali materie avrebbero dovuto scegliere per il terzo anno così da sopravvivere insieme a quella nuova calamità; invece, i componenti della squadra di Quidditch erano stati relegati in un angolino da Buggin, che stava facendo loro un importante discorso per quanto riguardava la partita che avrebbero giocato contro Gryffindor.

Liam, entrato in quel momento nella Sala Comune, si fermò, stupito.

«Mi sono perso la nascita di nuovi Club delle Gobbiglie?» domandò, divertito, a Rowan e Lance.

«Nah, quelli del secondo sono in crisi per le nuove materie, e Buggin... boh, sta parlando alla squadra.»

«Non vorrei essere in loro!» replicò Rowan, continuando a scrivere il suo tema di Erbologia.

«Nemmeno io! Temo il giorno in cui toccherà a me scegliere cosa fare dal terzo anno in poi...» rispose Liam, sedendosi con loro e leggendo la pergamena ormai terminata di Lance.

«Io intendevo la squadra di Quidditch.» aggiunse Rowan, senza alzare gli occhi dal compito.

«Sì, beh, anche.» rise Liam. «Dov’è Helen?» chiese, non vedendo la ragazza insieme ai due inseparabili amici.

«È andata a trovare Justin.» rispose Lance, concentratissimo sul libro di Difesa Contro le Arti Oscure di Ernie.

«Che fai?» domandò Liam, curioso.

«Studio, visto che quell’idiota del nostro insegnante non è in grado. Sa solo organizzare stupidi incontri con nani travestiti da Cupidi.» sbottò, ancora memore del giorno di San Valentino.

«Che si dice, gente?» proruppe Geoffrey, con sottobraccio una decina di riviste.

«Hai fatto Magicverba fino ad adesso?»

«Esatto! Sai, ho fatto quello di Erbologia del primo livello e ho imparato tutto quello che c’è da sapere sul Tranello del Diavolo per il tema di Erbologia.»

«Sei un mostro.» lo raggiunse Caitlin, emergendo dal dormitorio femminile con i capelli tutti scarmigliati. «Io mi sono appena svegliata dopo un lungo sonno sul capitolo otto: gli effetti delle spine del Tranello del Diavolo.»

Lance rise. «Mi dispiace per te, ma tra gli effetti delle spine non c’è nessun “sonno pesante”.»

«Oh Lance, ma quanto sei divertente?» replicò Caitlin, sgomitandolo.

Rowan rise di gusto. Urtò contro la boccetta di inchiostro e questa si rovesciò sul suo tema.

«Non è possibile!» strillò, accortosi del terribile disastro.

«Non preoccuparti.» borbottò Lance. «Gratta e netta.» disse, puntando la sua bacchetta sul compito di Rowan. Come un mulinello, la macchia vorticò su se stessa e sparì.

«E questa da dove esce?» domandò Liam, strabiliato. Toccò il punto esatto dove era scomparsa la macchia come per accertarsi che non fosse tutto un trucco.

«Ah, l’ho vista fare al professor Flitwick qualche tempo fa, così sono andato in biblioteca a documentarmi e l’ho imparato. Lo trovo utile, no?»

«Ti odio.» sbottò Rowan e gli tirò bonariamente un pugno sulla spalla.

«Perché?» domandò Alana, appena arrivata, arrossendo vistosamente alla vista di Lance.

«Perché lui impara gli incantesimi con la stessa facilità con cui io li sbaglio!»

«Così facilmente?» intervenne Ernie, allontanatosi dal gruppo.

«Ehi, ma oggi siamo tutti in vena di battute sarcastiche?» ridacchiò Caitlin.

Ernie annuì. «Sì, non ne posso più di sentire Hannah dire che dobbiamo essere tutti uniti. Non stiamo per morire come la squadra di Quidditch!»

Tutti risero.

«Che materie hai scelto, Ernie?» domandò Rowan, curioso.

«Babbanologia, Aritmanzia e Cura delle Creature Magiche.» rispose, gonfiandosi il petto con fare solenne. «Tra tutte credo siano le più interessanti: io provengo da una famiglia che vanta generazioni di soli maghi, studiare un po’ del mondo babbano non mi dispiace affatto.»

«Lodevole da parte tua.» disse Lance, ancora intento nella lettura del libro di Difesa Contro le Arti Oscure. «Di questi tempi è difficile trovare qualcuno a cui interessino i babbani... in senso positivo, s’intende.»

«Ho pensato che fosse il modo migliore per dimostrare ai figli di babbani che io sono dalla loro parte.» disse Ernie, e guardò Liam dritto negli occhi.

«A nome dei figli di babbani, ti ringrazio.» rise Liam, appoggiandogli una mano sulla spalla.

«Non ditomi che mi sono perso qualcosa...» intervenne Sheldon, varcando l’entrata della Sala Comune in quell’istante.

«Niente di particolare, Shelly.» esclamò Rowan, prima di corrergli incontro e saltargli addosso, ingaggiando con lui una finta rissa.

«Ma che gli prende?» domandò Caitlin, stupita.

«Ti ostini ancora a cercare capirlo?» ribatté Lance, senza alzare lo sguardo dal tomo.

In quel momento, Stebbins si avvicinò a loro, divertito, e fischiò.

«È opera tua, vero?» gli chiese Ernie, pur sapendo già quale sarebbe stata la risposta.

«Lezione numero cinque: per conquistare una donna, fa’ in modo che ti veda come un uomo che la possa proteggere.»

«Ma perché Sheldon?» Alana lo guardò, interrogativa.

«Perché Rowan è un codardo e sta combattendo con il più effemminato del gruppo.» delucidò Lance, sempre più concentrato.

Caitlin ridacchiò e si inginocchiò, arrivando all’altezza dell’amico seduto. «C’è qualcosa che non va, Lance-Pence?»

«No, perché?»

«Sembri innervosito.»

«Non lo sono. Mi sto solo concentrando su questo libro. Perché Helen non è tornata? Quanto tempo vuole stare a parlare con corpo pietrificato?»

Ernie divenne livido. «Attento a come parli, quel “corpo pietrificato” è il mio migliore amico.»

Lance gli lanciò un’occhiata dispiaciuta. «Hai ragione, scusa il poco tatto...»

Rowan si gettò su una sedia, tutto sudato e massaggiandosi una spalla. «Wow, robe da uomini queste, non è vero, Caitlin?» disse, ridacchiando.

«Rassa di scimunito.» gli fece eco Sheldon, abbandonandosi su un’altra sedia. «La prossima volta che vuoi fare cose da uomini, avvisomi...»

«Perché, Shelly, ti devi preparare?» rise Rowan, tirandosi indietro i capelli.

«Qualcuno gli tiri un pugno, s'il vous plaît

Il gruppo di ragazzi scoppiò a ridere sonoramente, disturbando la squadra di Quidditch. Un Buggin inferocito lanciò loro un’occhiata senza repliche e, per evitare di morire, i ragazzi si alzarono lentamente per andare a dormire.

 

«Avete sentito? Qualcuno ha fatto irruzione nel dormitorio Gryffindor e hanno rubato qualcosa a Harry Potter!» esclamò Hannah quella mattina, irrompendo al tavolo degli Hufflepuff durante la colazione.

«Si sa già chi sia stato?» domandò Ernie, che stava leggendo avidamente La Gazzetta del Profeta.

«No, Harry non ha denunciato la scomparsa di nulla. È stato Longbottom a dirmi che effettivamente è stato rubato qualcosa.»

«Che strano.» borbottò Liam, ingoiando i cereali.

«Mai quanto questo.» intervenne Ernie. «Sentite cosa dice il Profeta: “Terrore e paura hanno sconvolto gli abitanti di Manchester: ieri notte, un ragazzo babbano di anni tredici è stato trovato appeso per un piede al ramo più alto di una delle querce del parco. Il ragazzo afferma di ricordare soltanto alcune parole dell’uomo che l’ha aggredito e una vivida luce rossa, prima di risvegliarsi capovolto. È molto probabile che il ragazzo sia stato Schiantato da un Mago e che quest’ultimo sia riuscito a scappare prima che il Ministero riuscisse a rintracciare la bacchetta. Non è il primo attentato ai babbani da parte di un Mago, ultimamente sono sempre più frequenti e sempre più difficili da indagare. Chiunque ci sia dietro tutto questo, non ha a cuore la causa dei babbani.”»

Alana si portò una mano alla bocca. «Ma è pericoloso!»

Ernie annuì. «Certo che lo è: di sicuro è colpa di qualcuno che è d’accordo con Malfoy.»

«Qualunque genitore degli Slytherin?» tentò di sdrammatizzare Rowan, senza successo.

«Mi sembra logico.» annuì Lance, guardando dritto al tavolo dei Slytherin e incontrando lo sguardo della cugina.

«Ci sta ancora guardando?» domandò Rowan, subito serio.

«Così sembra.» asserì Helen, voltatasi anche lei a guardare. «Non riesco a capire dove voglia andare a parare, quale sia il suo obiettivo!»

«Ma di chi parlate?» chiese Caitlin, sporgendo la testa rossa oltre gli amici.

«Di mia cugina Abigail.» rispose Lance, tornando alla sua colazione. «Ultimamente abbiamo scoperto che tende ad osservarci, forse vuole trovare qualcosa di cattivo a cui aggrapparsi... magari la prossima volta se la prenderà con te, Rowan, perché ti sei rovesciato il porridge addosso.»

«Ma non mi sono...» disse Rowan, giusto in tempo per urtare la ciotola di porridge e fare in modo che tutto il contenuto si versasse sui suoi pantaloni. «Maledizione!»

Mentre Caitlin e Helen aiutavano l’amico a pulirsi i pantaloni, la squadra di Quidditch degli Hufflepuff si alzò in piedi, dirigendosi verso l’uscita.

«Sono pronti! La partita cominscerà tra poco!» esultò Sheldon, con il volto dipinto dei colori della sua Casa.

Era seduto vicino a Sally-Anne Perks, la ragazza snob del secondo anno. «Mi raccomando, Moreau, niente volgarità durante la partita.»

Sheldon si voltò a guardarla e sorrise. «Solo se ti risparmierai anche tu, Perks.»

Quando giunsero all’imbocco per il campo, si accorsero che la professoressa McGonagall stava parlando con Potter e Weasley, e che molti ragazzi delle varie tifoserie stavano scemando fuori dall’arena lamentandosi.

Cercarono qualche studente che potesse spiegare loro che cosa fosse successo. Braccarono all’uscita Michael e i suoi amici e domandarono loro che cosa fosse successo.

«Partita annullata.» spiegò Walter, accartocciando la bandiera giallonera tra le mani. «Pare che ci sia stato un altro attentato.»

«Che cosa?» gridò Liam, sconvolto. «Ma... erano terminati! Non era stato attaccato più nessuno!»

«Evidentemente l’Erede di Slytherin non ha ancora finito.» commentò Michael, serio.

Alana appoggiò una mano sulla spalla di Liam. «Noi torniamo in Sala Comune.» disse.

«Vi raggiungiamo subito.» aggiunse Rowan. «Maestro, tu sai chi possa essere stato?»

Michael negò con la testa e Rowan chiuse gli occhi.

 

Quella sera, i ragazzi del primo erano tutti radunati in Sala Comune. Era giunta voce che Liam avesse scritto ai genitori e che questi minacciassero di toglierlo dalla scuola e di non farlo tornare mai più.

«Non possono farlo!» esclamò Sheldon, infervorato. Durante l’anno aveva legato molto con Liam ed erano diventati inseparabili.

«Possono eccome. Hanno detto che se ci sarà un altro attentato mi porteranno via definitivamente. Saluti e baci, ragazzi.»

«Ma nemmeno per sogno! Saluti e baci cosa? Nessuno ti porterà via di qui, perché non ci saranno più attentati! Dumbledore si starà occupando di tutto, ne sono sicuro! È solo questione di tempo prima che il colpevole venga acciuffato.» scalpitò Rowan, rischiando di cadere dal bracciolo della poltrona su cui era seduto.

«Lo pensavamo tutti all’inizio degli attacchi... ora sto cominciando a rassegnarmi al fatto che sono spacciato. Il prossimo sono io, me lo sento.»

«No che non sei tu, accidenti! Non fare la vittima!» esclamò Rowan, alzandosi in piedi.

Liam lo guardò. «Tu pensi che stia facendo la vittima?» quasi gridò. Gli altri trattennero il respiro: non avevano mai né visto né sentito Liam perdere le staffe.

«No, cioè... forse...»

«Tu non hai idea di che periodo sto vivendo da quando sono cominciati gli attentati! Ho paura a girare da solo per la scuola, ricevo quotidianamente minacce da parte dei miei genitori di togliermi dalla scuola, non posso girare un angolo che c’è sempre qualche simpatico Slytherin che mi ricorda che sono un Sanguesporco! Bella la vita per voi Purosangue, eh?» sbottò, infine, Liam. Si alzò dalla poltrona ed uscì dal Dormitorio correndo, senza lasciare a nessuno il tempo di fermarlo.

«Vuole farsi pietrificare!» Caitlin si alzò per seguirlo, ma Rowan la trattenne per la divisa.

«Me ne occupo io.» ed uscì dall’arazzo.

 

Strisciava, affamato. Dopo l’ultimo ordine del suo padrone eseguito, sperava di poter ricevere qualche cosa da mangiare. Da molto tempo non gustava più carne fresca.

Con le narici sviluppate, poté percepire l’odore conosciuto di sangue. Un sangue sporco, impuro. Il suo padrone aveva detto che chiunque avesse quell’odore doveva essere ucciso. Se l’avesse fatto sarebbe stato ricompensato tre volte, dato che già due erano stati i suoi attacchi quel giorno.

L’odore era sempre più vicino.

«Ehi, Liam, aspetta!»

Un altro odore, più dolciastro e delizioso, molto somigliante a quello del suo padrone, se non  migliore, avvolse il puzzo di sangue impuro.

«Volevo chiederti scusa... mi dispiace di averti offeso. Nessuno pensa che tu stia facendo la vittima, io per primo. Sono solo nervoso perché temo per te.»

Girò su se stesso e, silenziosamente, strisciò via. Un odore così buono non poteva essere intaccato.

 

 

 

 

 

 

 

 

E, come promesso, ecco qui l’altro capitolo!

Liam ha rischiato grosso!

Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine!!!

Ci leggiamo presto, è una promessa!!!

 

Akami

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Capitolo 19
*** Prodezze notturne e ragni grossi come pianoforti ***


         

16. Prodezze notturne e ragni grossi come pianoforti

 

 

«Niente più Quidditch, hanno arrestato Hagrid per non si sa quale motivo, Penelope Clearwater e Hermione Granger sono in infermeria a tenere compagnia a Justin e Liam è convinto che il prossimo sarà lui. La vita fa schifo.» commentò Rowan, abbandonandosi sulla sedia del banco nell’aula di Trasfigurazione.

«Buongiorno anche a te.» sospirò Amelia, alzando subito gli occhi dal volume di Trasfigurazione che stava studiando avidamente. «Ti vedo scosso.»

«Lo sono!» s’infervorò Rowan, sbattendo una mano sul tavolo. «Non è possibile che, con tutti i professori che ci sono in questa scuola, l’erede di Slytherin non sia ancora stato catturato! È incredibile e mi fa saltare i nervi! Sono passati mesi da quando Justin è stato attaccato! Mesi, capisci? Io non riesco a credere che nessuno dei professori, preside compreso, abbia la più pallida di chi ci sia dietro a tutto questo!»

Intorno a Rowan si era radunato un crocchio di alunni che ascoltava, partecipe. Alcuni annuivano, altri scuotevano la testa, discostandosi dalle sue opinioni.

«Eppure è così, signor James.» fu interrotto dalla voce severa della professoressa McGonagall, che era appena entrata nella sua aula. Il suo arrivo gettò la classe nel gelo e nel silenzio reverenziale che era solito aleggiare durante le lezioni di Trasfigurazione.

«Sedetevi tutti, grazie.» sibilò la donna, accomodandosi alla cattedra. «Ora, signor James, gradirei ricordarle che i professori, come tutte le persone su questa terra, sono umani. In quanto umani, anche noi commettiamo degli errori: ovviamente abbiamo pensato a diverse identità del mago che ha compiuto queste azioni – e sì, sono molte, signor James – ma non abbiamo mai raggiunto una conclusione certa e provata.» disse la professoressa, rigida.

«Io di certo non intendevo... insomma, non avevo intenzione di...» borbottò Rowan, imbarazzato.

«Certo che non aveva intenzione di offendere, signor James, ma è sempre bene pensare prima di lanciare congetture infondate. Posso capirla, è difficile sopportare questo senso di impotenza di fronte ai fatti, ma deve solo avere pazienza. Tutto si risolverà.» concluse la McGonagall, tentando di sembrare convinta delle sue parole, ma era evidente che lei stessa avesse difficoltà a credervi.

Un ragazzo di Ravenclaw alzò la mano, intimidito dallo sguardo algido della donna. «Lei crede che il professor Lockhart, con tutta l’esperienza che ha accumulato, potrebbe sconfiggere l’Erede?»

La professoressa sembrò trattenere un sorriso. «Non sono solita parlar male dei miei collaboratori, ma dubito fortemente, signor Cabster, che il professor Lockhart sappia affrontare qualcosa all’infuori dei suoi riccioli.»

La classe scoppiò in una risata fragorosa, alla quale si unì, impercettibilmente, la risata della stessa McGonagall.

La donna tossicchiò. «Avanti, ora: il momento di ilarità è finito, è ora di pensare agli esami.»

«Sta scherzando!» esclamò Caitlin, portandosi una mano alla fronte. «Di già?»

«Certo, signorina Cadogan. D’ora in avanti le lezioni saranno sempre più dure, così da abituarvi al ritmo del secondo anno che, vi assicuro, sarà ben diverso da questo.»

«Ma che tipo di esami dovremo sostenere?» domandò Sheldon, molto migliorato nel suo inglese.

«Uno teorico ed uno pratico per ogni materia, ad eccezione di Storia della Magia, che sarà solo teorico. Sarete testati dai vostri insegnanti.»

Molti ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.

Una timida manina si alzò dal fondo dell’aula.

«Sì, signorina Reynolds?»

Alana trasse un lungo respiro. «E se non dovessimo superarli?» quasi sussurrò, terrorizzata. Alana non poteva essere annoverata tra i migliori della sua classe con Lance, Caitlin e Carey.

«È successo talmente poche volte, signorina Reynolds, che la cosa non dovrebbe preoccuparla: gli studenti di Hogwarts si sono sempre distinti per l’altissimo livello raggiunto durante gli esami.» la McGonagall la fulminò con lo sguardo. «Tuttavia, nel caso qualcuno dovesse essere così poco preparato da risultare insufficiente in tutti gli esami, dovrà ripetere l’anno. Tutto chiaro, signorina Reynolds?»

Alana si morse il labbro inferiore e annuì con la testa. Caitlin, accanto a lei, le prese la mano.

«Molto bene. Ora che tutti i dubbi sono stati chiariti, cominciamo con la lezione.»

Lance guardò Helen, seduta al banco insieme a lui, e le sorrise. «Ti vedo preoccupata.»

«Beh, non è stato di certo incoraggiante.» ridacchiò Helen, prendendo appunti di ciò che la McGonagall stava scrivendo alla lavagna.

«Tu non devi assolutamente preoccuparti.» le disse Lance. «Studi regolarmente e hai i voti nella media: superare l’esame non sarà difficile.»

«Sì, ma non sono brava come te, che hai la media dell’“Eccezionale”, o come Caitlin, che prende sempre “Oltre Ogni Previsione”... i miei voti sono stabili sull’“Accettabile”.»

«Scommetto un taglio di capelli che prenderai “Oltre Ogni Previsione”.»

Helen lo guardò stranita. «Un taglio di capelli?» alzò il sopracciglio, scetticamente.

Lance sospirò. «Megan la Violenta mi ha urlato dietro che ho i capelli troppo lunghi, stamattina a colazione.»

La ragazza ridacchiò. «Quindi, se prendo “O”, dovrò tagliarmi i capelli, altrimenti li dovrai tagliare tu?»

«Esattamente.» rispose Lance, avvicinandosi di più all’amica. «Effettivamente ti servirebbe un taglio.» rise, notando come i capelli di lei fossero cresciuti ben oltre le spalle.

«Affare fatto.» si strinsero la mano.

«Signor Wallace, signorina Adams, gradite anche dei pasticcini?»

I due risero. «Ci scusi, professoressa.»

 

«Oggi è accaduto un miracolo.» annunciò Hannah, sedendosi al tavolo con i ragazzi del primo anno all’ora di pranzo.

«Mh?» borbottò Sheldon, con la bocca piena di ravioli.

«Ernie ed io abbiamo parlato con Harry Potter e il suo amico Weasley durante Erbologia... e lavorato con loro!» sorrise, allegra.

Helen ricambiò il sorriso, felice che buona parte degli screzi fossero stati messi da parte.

«Già, prima che cominciassero a parlottare tra loro di ragni.» bofonchiò Ernie, abbandonandosi accanto ad Amelia e fissandola disgustato mentre la ragazza squartava un raviolo per mangiarne il ripieno.

Un respiro mozzato fece voltare tutti verso Lance, che alla parola “ragni” era sussultato violentemente.

«Ragni? Che ragni? Dove i ragni?» gridò, terrorizzato, una volta sputato fuori il cibo con cui si stava strozzando. «No, ragazzi, io ho paura dei ragni!»

«Lo sappiamo...» mormorarono i suoi amici all’unisono.

«Ecco, quindi non voglio averne a che fare.» e si tappò le orecchie con le mani.

Helen scosse la testa. «Che cosa dicevano?»

Ernie e Hannah si guardarono. «Mah, Potter ha indicato i ragni a Weasley e Weasley gli ha risposto che non potevano seguirli. Si stavano dirigendo verso la Foresta Proibita.»

Rowan era tutt’orecchie. «E poi?»

«Poi si sono zittiti e hanno continuato a chiacchierare come se non fosse successo nulla.» concluse Hannah. «A dir la verità non ho molto capito...»

Non riuscì a terminare la frase che Rowan si era già alzato e si era diretto verso il fondo del tavolo, dov’era seduto Michael Stebbins.

«Michael.» lo chiamò, serio.

Michael lo osservò per qualche secondo, chiedendosi come mai l’amico fosse così accigliato. «Che succede, Row-boy?» chiese, incuriosito.

«Devo chiederti un favore.» disse Rowan, poi guardò i compagni di Michael. «In privato, se possibile.»

«Vai pure, Mike!» rise uno dei ragazzi, Jack.

«Sì, tradiscici così! Non ce ne scorderemo!» rincarò la dose Rent.

«Oh, ragazzi, sapete che vi amo con tutto il mio cuore...» sospirò Michael, con voce incantata, lanciando scherzosamente un bacio al gruppo di amici mentre Rowan lo trascinava fuori dalla Sala Grande.

«Bene, ora che siamo soli vuoi dirmi cosa ti prende, Row?»

«Tu hai detto che l’anno scorso Potter è riuscito a strappare la Pietra Filosofale dalle mani del professor Raptor, vero?»

Michael lo fisso, non capendo. «Beh, sì.»

«Come aveva scoperto che c’era Raptor dietro a tutto?»

«Questo non lo so... molti dicono grazie ad un’intuizione.»

«E se ti dicessi che Potter cercherà di fermare gli attacchi dell’Erede stanotte?»

L’amico continuò a guardarlo, sempre più confuso. «Non capisco... cosa sai? Che succede?» borbottò, in un misto tra curiosità ed eccitazione.

«Ernie e Hannah hanno sentito parlare Potter con l’amico Weasley... qualcosa riguardo il seguire una scia di ragni. Ultimamente, molti hanno notato che trovare scie di ragni diventa sempre più frequente, e questo non è normale! I ragni sono animali solitari. Sono sicuro che tutto questo c’entri con l’Erede di Slytherin.» continuò Rowan, cercando in Michael un barlume di incoraggiamento.

«È possibile, certo, ma qual è il favore che vuoi chiedermi?» domandò il ragazzo più grande.

Rowan lo fulminò con occhi eloquenti.

«Vuoi che li seguiamo? Io e te insieme?» chiese Michael, incredulo.

«Questo è il piano...»

«E come pensi di fare a uscire dal castello? Lo sai, è tutto sorvegliato!»

Rowan sorrise. «Semplice, ci nascondiamo nella capanna di Hagrid. Non c’è più nessuno che ci abita e i professori non spingono mai la ronda notturna fino a lì.»

Michael strabuzzò gli occhi, strabiliato. «È... è geniale... quando cominciamo?»

«Ci stai, davvero?» esclamò Rowan, colpito.

«Certo! Ci incontriamo alla fine delle lezioni a casa di Hagrid.» sussurrò il ragazzo, guardandosi in giro e assicurandosi che nessuno stesse origliando i loro discorsi.

«D’accordo...»

«E... bacchetta alla mano, Row.»

Rowan annuì e, ritornando al proprio tavolo sorrise dentro di sé: si sentiva così esaltato che pensò che il Cappello Parlante avesse proprio sbagliato ad assegnarlo a Hufflepuff.

Terminato il pranzo, mentre buona parte degli Hufflepuff si riversava in Sala Comune per recuperare i libri che sarebbero serviti per le lezioni del pomeriggio, Rowan fermò Lance e Helen nel corridoio e li trascinò dentro un’aula vuota.

«Che succede, Rowan! Sei impazzito?» lo rimproverò Lance, massaggiandosi il polso.

«Ho bisogno che voi due mi copriate questa sera.»

Helen spalancò gli occhi. «Fare che?»

Rowan sospirò: «Io e Michael seguiamo Potter, siamo convinti che “seguire i ragni” come ha sentito Ernie sia un indizio per capire chi sia l’Erede di Slytherin. Per questo, se non torno entro una certa ora, dovete inventarvi qualcosa! Dite che sono in punizione con Lockhart... qualsiasi cosa! L’importante è che nessuno sappia dove sono in realtà!»

Helen e Lance si scambiarono un’occhiata eloquente.

«Non sono impazzito!» esclamò Rowan, disperato. «So davvero quello che faccio! Non preoccupatevi!»

Lance gemette. «Te l’avevo detto, Hellie.»

Rowan li guardò. «Avevi detto cosa, Lance?»

«Lance mi aveva detto che un giorno ci saremmo resi conto quanto sarebbe stato faticoso avere come amico un Gryffindor mancato e per questo frustrato.» rispose Helen, con sorriso materno.

«Quel giorno è arrivato.» concluse per lei Lance.

«E non sarà il primo, ragazzi.» rise Rowan, abbracciandoli.

 

Il sole stava ormai tramontando e tutt’intorno cominciava a farsi più scuro.

Attraversò il cortile della scuola cercando di sembrare il più naturale possibile. Ripeteva nella sua mente: “Stai soltanto andando a trovare Hagrid, stai andando a trovare Hagrid... non sai che l’hanno portato via...” e sperava che quella scusa fosse sufficiente nel caso un professore l’avesse scoperto.

I ragazzi del Club di Gobbiglie giocavano sul selciato e non si accorsero di lui.

Vide la casetta di Hagrid con la porta spalancata e un enorme cane sdraiato sull’ingresso. Accanto a lui stava Michael e sembrava irrequieto.

«Ciao, maestro, che succede?» lo salutò Rowan, eccitato per la missione.

«Thor non si vuole spostare! Non riesco a entrare a casa di Hagrid!»

«Entriamo dal retro!» propose il più piccolo dei due, girando intorno alla casa.

Vedere la capanna vuota rese i due ragazzi tristi.

«Ehi, Michael.» lo chiamò Rowan, una volta abbandonatosi sul divano. «Perché hanno arrestato Hagrid ieri sera?»

Michael scosse la testa. «Lockhart dice che è colpa sua se sono cominciati gli attacchi, perché cinquant’anni fa la Camera dei Segreti fu aperta per la prima volta e Hagrid si scoprì essere il responsabile. Per questo è stato espulso al secondo anno.»

Rowan lo osservava, colpito. «E tu come sai tutte queste cose?»

«Praticamente vivo nell’ufficio di Filch.» ridacchiò Stebbins, passandosi una mano tra i capelli scuri e spettinandoli.

Rimasero a chiacchierare a lungo, finché non calò la notte. Poco dopo la mezzanotte, quando entrambi erano sul punto di addormentarsi, sentirono dei passi nel cortile. Thor abbaiò.

«Maledizione!» esclamò Michael ad un tratto.

«Che succede?» domandò Rowan, sottovoce.

«Nasconditi!» gli disse, pochi secondi prima che la porta della capanna si aprisse. Harry Potter e Ron Weasley erano dietro la porta. Lanciarono un paio di caramelle mou a Thor, che le mangiò con gusto. Dissero: «Vieni, Thor, andiamo a fare una passeggiata.» e il cane li seguì, scomparendo insieme a loro nella Foresta Proibita.

Rowan e Michael attesero qualche secondo prima di uscire dai loro nascondigli e seguire i Gryffindor nella foresta.

Avevano perso le loro tracce, ma la scia di ragni era così evidente che erano sicuri di essere sul sentiero giusto.

Più si addentravano nel bosco, più il paesaggio diventava spettrale: la luce della luna non filtrava nemmeno dalle fitte fronde e, in poco tempo, Michael e Rowan si trovarono immersi nell’oscurità.

«Lumos.» disse Michael. La sua bacchetta sprizzò una scintilla e si accese, illuminando appena davanti a sé.

Rowan lo imitò. «Vedi altri ragni?» domandò. Si guardò attentamente intorno, ma la scia di ragni era scomparsa.

Improvvisamente, sentirono uno scricchiolio dietro di loro. Si voltarono, impugnando saldamente le bacchette.

«Cos’è stato?»

«Non lo so, non ho visto niente.»

Prima che Rowan riuscisse a ribattere all’affermazione, furono illuminati da due enormi fari di automobile, che li accecarono.

«Scappa!» gridò Michael, cominciando a correre verso il cuore della foresta.

Rowan indietreggiò terrorizzato, ma inciampò in una radice e cadde a terra. Sbatté la testa contro una pietra e fu tutto nero.

Michael non si fermò nella sua corsa, chiamando Rowan a gran voce poiché non riusciva più a vederlo. Quando percepì di aver seminato l’automobile si fermò per riprendere fiato e fu allora che li vide.

Centinaia di ragni, grandi come pianoforti a coda, lo circondavano. Erano grossi, neri e pelosi, e lo fissavano con gli occhietti acquosi, muovendo le chele come tenaglie.

«Carne.» sembravano sussurrare, mentre si muovevano per avvicinarsi al ragazzo.

Michael era pietrificato dal terrore. «È finita.» si ripeteva nella mente. Il suo pensiero andò agli amici e a Rowan, che probabilmente era già stato divorato da quei disgustosi esseri pelosi.

Chiuse gli occhi e attese l’inevitabile.

«Incendio.» sentì gridare. Intorno a lui lambirono le fiamme e i ragni cominciarono a emettere stridii acutissimi, correndo il più lontano possibile dal fuoco.

«Aguamenti.» udì di nuovo, e le fiamme si spensero.

Michael riaprì gli occhi. Rowan era davanti a lui, aveva una profonda ferita alla tempia e il sangue gli scorreva lungo le guance, gocciolando sui vestiti e sul terreno. Lo vide inginocchiarsi, sofferente, e poi accasciarsi a terra privo di sensi.

Il ragazzo abbozzò un sorriso e prese l’amico in spalla, ritornando al castello. Doveva assolutamente portare Rowan in infermeria: l’emorragia non si era ancora arrestata e stava perdendo troppo sangue. Fortunatamente, trovarono il portone d’ingresso aperto, ma, una volta entrati, furono scoperti dalla professoressa Sinistra, insegnante di Astronomia.

«Signor Stebbins, che diavolo...» disse la donna, prima di portarsi una mano alla bocca. «Cos’è accaduto al signor James?»

«Dobbiamo portarlo subito in infermeria, professoressa! La prego, sta perdendo sangue da troppo tempo!» strepitò Michael, pallido come un cadavere.

«Sì, sì, certamente! È ovvio!» biascicò la professoressa, confusa. Con un incantesimo fece levitare Rowan e lo condusse dritto in infermeria.

«Lei è ferito, signor Stebbins?» domandò a Michael una volta che Rowan fu sotto le cure di Madama Chips.

«No, professoressa. Se la caverà?» chiese Michael, spaventato.

«Ha perso molto sangue, e Madama Chips ha detto che è una grave lesione, ma non sembra essere in pericolo di vita, per fortuna. Se si fosse ferito poco più vicino all’occhio, avrebbe potuto perdere la vista.» spiegò la donna, congiungendo le mani davanti a sé.

Michael si appoggiò contro il muro e abbassò la testa. La professoressa Sinistra gli batté una mano sulla spalla, in segno di consolazione.

«Ora vuole dirmi cosa stavate cercando di fare voi due, signor Stebbins?»

Michael cercò di parlare. «Noi... noi pensavamo che l’Erede di Slytherin si... si trovasse nella foresta.»

La donna spalancò gli occhi, perplessa. «E cosa ve l’ha fatto pensare?»

Michael si zittì.

«Signor Stebbins?»

«Non volevamo credere che Hagrid fosse l’Erede di Slytherin, così siamo andati a cercare nella foresta.»

Sinistra sorrise, comprensiva. «Michael, credevi davvero che nessuno del corpo insegnanti si fosse preso la briga di controllare la Foresta Proibita?» disse, con voce più dolce e squisitamente materna. «Hagrid, il professor Snape ed io ce ne siamo occupati personalmente.»

Michael annuì.

«Ora va’ a dormire.» sussurrò la professoressa, facendo apparire un boccale ricolmo di un liquido lilla. «E bevi questo infuso, contro i brutti sogni.»

Michael sorrise e prese il boccale. Mentre scendeva le scale verso l’entrata del dormitorio, pensò come avrebbe potuto spiegare a Cedric che cosa aveva combinato. Impallidendo, rientrò nella Sala Comune.

 

Rowan si svegliò di soprassalto, disorientato. La testa gli doleva enormemente e faticava a tenere un occhio aperto. Si guardò intorno, i contorni delle figure sempre più nitidi.

Quando finalmente comprese dove si trovasse, si sedette di scatto. Davanti a lui c’erano Helen e Lance, che gli sorridevano. Helen aveva gli occhi arrossati, segno che aveva pianto molto.

«Buongiorno!» lo salutò Lance, gli occhi grigi che brillavano dalla gioia. «Hai dormito per un giorno intero! Helen aveva paura che non ti risvegliassi...»

Helen gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo, singhiozzante. «Sei un pazzo! Giuro che la prossima volta ti fermo! Lo giuro!» esclamò, stringendolo a sé.

Rowan la guardò e scoppiò a ridere.

«Siamo sicuri che non abbia rotto niente lì dentro?» chiese Lance, non capendo.

«Sono così felice di essere vivo che non sento nemmeno il dolore!» gridò Rowan, alzando le braccia al cielo e traendo un lungo respiro. «Ho visto la morte in faccia, ragazzi: ha due grossi fari tipo quelli di un’automobile al posto degli occhi.» spiegò, sovraeccitato e smanioso di raccontare agli amici l’avventura.

Lance guardò Helen, incredulo. «Questo è impazzito.»

«No, non lo sono! Io e Michael...» s’interruppe bruscamente, poiché una figura ammantata di azzurro chiaro era appena entrata nella stanza.

«Professor Dumbledore!» Helen e Lance assunsero un atteggiamento reverenziale.

Il preside sorrise loro, poi fissò i propri occhi di un azzurro stupefacente su quelli altrettanto chiari di Rowan.

«Signor James, mi è giunta voce delle della sua ultima prodezza... e il signor Stebbins mi ha già spiegato che cosa sia accaduto e perché.» e lo penetrò con lo sguardo. «Ero solo venuto ad accertarmi che stesse bene, ma vedo che è in ottime mani.» e mise una mano sulla spalla di Lance.

«Sì, professore, grazie mille.» annuì Rowan, massaggiandosi la testa fasciata.

«È giusto anche che sappia che verranno tolti quaranta punti a Hufflepuff per aver infranto almeno la metà delle regole scolastiche.»

Rowan, a capo abbassato, sussurrò un flebile assenso: era la giusta punizione e, dato che era ancora vivo, gli sembrava un fio comprensibile da pagare.

«E mi sembra corretto che venga messo a parte che le verranno assegnati cinquanta punti per l’incredibile sangue freddo e la straordinaria potenza del suo incantesimo.»

Helen, Lance e Rowan si guardarono, increduli. Esultarono silenziosamente.

«La lascio alle sue cure, signor James.» terminò Dumbledore, facendo per andarsene.

«Professore!» lo fermò Rowan. «C’è qualcosa nella foresta: assomiglia ad un automobile. Prima di cadere sono stato accecato da una luce che pareva uscire dai fari di un’automobile.»

Dumbledore calò appena i suoi occhialini a mezzaluna sul naso, incuriosito. «Buono a sapersi, signor James. Manderò subito un professore a controllare.» disse, poi sorrise. «È anche possibile che i centauri della foresta si siano motorizzati, anche se lo credo molto improbabile.» e divertito, lasciò l’infermeria.

 

«Ripetimi gentilmente che cosa hai combinato.» disse Cedric, sulla soglia dell’infermeria, dove era stato portato da Michael senza ricevere spiegazioni fino a quel momento.

«Ehm…» borbottò il ragazzo, guardando fisso per terra.

«Hai aiutato un ragazzo del primo, e sottolineo primo, anno in una pazzia senza precedenti, messo in pericolo la sua e la tua vita entrando nella foresta più pericolosa nella storia delle foreste per seguire una scia di ragni grossi come pianoforti che poi vi hanno attaccato… il tutto per inseguire un’intuizione senza fondamento. Ho dimenticato qualcosa?»

Michael ridacchiò. «La parte dove sono stato scoperto dalla professoressa Sinistra con il corpo svenuto e insanguinato di Rowan e quella dove la Sprout ci toglie venti punti a testa.»

Cedric sospirò. «Ecco. E un’altra ancora: devi ancora spiegarmi perché sono qui.»

«Perché senti il bisogno irrefrenabile di accompagnarmi a trovare Rowan.»

«No, tu senti il bisogno irrefrenabile di essere accompagnato a trovare Rowan, pazzo omicida!» alzò la voce Cedric, spingendo l’amico contro la porta dell’infermeria, aprendola.

Sembrava che metà dormitorio Hufflepuff si fosse riunito in quella stanza: tutto il primo anno, buona parte del quarto e alcuni studenti di altri anni. Il letto di Rowan era completamente circondato.

«Tu a quel Potter gli fai un baffo!»

«Era pericoloso, razza di imbecille.»

«Sono davero felisce che tu stia bone.»

Rowan rise all’udire quanto gli amici si fossero preoccupati per lui.

Quando Michael entrò nella stanza, calò il silenzio. Gli studenti aprirono un varco perché passasse e rimasero zitti, attendendo solo il momento in cui i due eroi della settimana si sarebbero parlati.

Michael guardò Rowan intensamente e il più piccolo gli sorrise con innocenza.

«Scusami, Mike, se ti ho coinvolto in questa pazzia.» disse, imbarazzato, grattandosi una guancia.

Il ragazzo più grande avvicinò il viso a Rowan tanto che i due nasi si sfiorarono.

«Tu sei un emerito idiota.»

«Grazie, maestro, me ne ricorderò la prossima volta che vorrò un compagno di avventure.»

La folla scoppiò a ridere. Cedric si schiaffò una mano in viso, incredulo, scambiando con Helen sguardi comprensivi.

«Non ci possiamo fare nulla, Cedric, ormai è così.» borbottò la ragazza, appoggiandosi a Lance.

Cedric non poté fare a meno che ridere di quell’affermazione e vide in Helen e Lance se stesso al primo anno, poco dopo aver assistito alla prima punizione di Michael.

 

 

 

 

 

Carissimi lettori, questo è in assoluto il mio capitolo preferito. Mi sono divertita moltissimo a scriverlo!

Spero sia piaciuto anche voi! Grazie per aver letto!

E mi scuso tantissimo per non aver aggiornato prima! Purtroppo ho sempre pochissimo tempo!

Per farmi perdonare, vi lascio una piccola anticipazione!

 

Michael si parò in mezzo ai due litiganti. «No, Megan. Rowan viene con me: insieme facciamo un bel team!»

Rowan si illuminò al sentire quelle parole e assunse un cipiglio profondamente reverenziale nei confronti dell’amico.

«D’accordo... ma tra noi non finisce qui, lattante.» minacciò Megan. Poi si rivolse a Helen: «Allora, occhioni, hai qualche idea su come distrarre quei due?»

Helen si guardò intorno e scorse Lance, acquattato in un angolo con Sheldon e Liam, che tremava.

Sperò con tutto il cuore che Lance non se la prendesse troppo.

«Sai mica dove posso trovare delle api?»

 

Buona domenica a tutti,

 

Akami

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Capitolo 20
*** «Tre, due, uno. Via.» ***


       

            17. «Tre, due, uno. Via.»

 

 

Mancavano soltanto tre giorni all’inizio degli esami di fine anno e la Sala Grande era in subbuglio. Il tavolo degli Hufflepuff era un continuo viavai di studenti. Prima fra tutti, Hannah Abbott si era già alzata dal posto otto volte per tornare al proprio dormitorio e prendere un libro di cui era sicura non ricordarsi nulla.

«Tre giorni. E hanno ancora intenzione di spiegare!» esclamò Caitlin, sbuffando e appoggiando la testa sulla mano, guardando il porridge come se fosse marcio. «Mi è anche passato l’appetito…»

Alana, accanto a lei, era piuttosto silenziosa. Mescolava il proprio latte con il cucchiaino da oltre un quarto d’ora e non aveva ancora rivolto la parola a nessuno.

«Ehi, Alana, stai bene?» le domandò Amelia, stralunata. «Vedere il latte che gira mi sta facendo venire il mal di mare.» continuò, portandosi una mano alla bocca.

«Che schifo.» commentò Sheldon, inzuppando il biscotto al cioccolato nel caffè.

Lance rise divertito e si versò del succo di zucca, imitato da Liam.

«Tu non sembri preoccupato…» disse Caitlin, fulminando l’amico.

«Come potrebbe, Lance è un genio!» s’intromise Helen, ammiccando. Alana sorrise e arrossì, nascondendo in fretta il volto nella tazza bevendo.

«Ma anche tu sei molto migliorata, Helen!» esclamò Lance. «Abbiamo studiato insieme negli ultimi tre mesi e i tuoi voti sono saliti a “Oltre Ogni Previsione”!»

Rowan, accarezzando una spalla dell’amico, si esibì nei suoi occhi più dolci. «Oh, Lance-Pence, tutto ciò è così tremendamente romantico!»

Helen lo ignorò. «Ah, Lance, hai lasciato questo libro nel mio zaino ieri!» e glielo porse.

«Grazie, dimenticato altro?»

«Sì, il biglietto con scritto ti amo!» rise Rowan, colpendolo gentilmente alla spalla.

Gli amici scoppiarono a ridere.

«Senti, Rowan, solo perché sei geloso che Lance piaccia di più alle ragazze, non significa che tu lo possa prendere in giro così apertamente!» aggiunse Caitlin, lanciandogli un’occhiate bruciante.

«Touché.» esclamò Sheldon, spalmando del burro su una fetta di pane.

Rowan arrossì fino alle orecchie e fu sul punto di replicare, quando, dal tavolo dei professori, la professoressa McGonagall si alzò in piedi.

«Ho buone notizie!» esclamò, e la Sala Grande esplose in un boato di gioia.

«Torna Dumbledore!» gridarono in molti, tra cui Rowan, Caitlin, Geoffrey e Liam.

«Avete preso l’Erede di Slytherin!» squittì Alana.

«Ricominciano le partite di Quidditch!» gridò Oliver Wood, dal tavolo Gryffindor, subito seguito da Luis Buggin, in un impeto di folle esultanza.

«No, no, state calmi. Calmi, ho detto!» tuonò la McGonagall, fulminando Fred e George Weasley, che si erano messi a ballare sul tavolo, tirando calci a piatti e bicchieri intorno a loro.

Quando il baccano fu calmato, la professoressa ricominciò: «La collega Sprout» dal tavolo degli Hufflepuff si levò un’ovazione «mi ha informato che le mandragole sono finalmente pronte per essere raccolte. Stanotte saremo in grado di rianimare le persone che sono state pietrificate. Inutile ricordarvi che una di loro potrebbe essere in grado di dirci chi, o che cosa, li ha aggrediti. Ho la speranza che quest’anno tremendo si concluderà con la cattura del colpevole.»

Scoppiarono gli applausi e le grida di felicità, che nessun professore si prese la briga di sedare.

L’entusiasmo della mattinata si protrasse anche nelle prime ore di lezione: il professor Flitwick, invece che spiegare, lasciò che i ragazzi chiacchierassero tra loro, eccitati all’idea di poter riabbracciare gli amici.

«Sarà Justin l’eroe!» esultò Helen ad un tratto, chiacchierando con un Ravenclaw, un certo Martin Robins.

«No, mi dispiace, ma sarà la Ravenclaw Penelope a svelare l’arcano!»

Rowan, dietro di loro, sbuffò. «Vedrete, sarà uno fra Creevey e la Granger, un Gryffindor, a dire chi li abbia attaccati.»

Amelia rise e tutti si voltarono verso di lei, confusi.

«Che c’è di così divertente?» domandò Lance, irritato.

«Secondo me nessuno ci dirà chi è stato!» ridacchiò Amelia, piegando un foglio di pergamena.

«E cosa te lo fa pensare?»

«Il fatto che secondo me non è stato un chi, ma un cosa

«Beh, questo sì che è chiaro!» scoppiò a ridere Rowan, ma Amelia lo interruppe.

«Stammi a sentire almeno per una volta nella tua vita, schifoso diavolo.»

I ragazzi spalancarono gli occhi, increduli all’udire quelle parole uscire da Amelia.

Soddisfatta dell’attenzione ottenuta, la ragazza continuò: «Io ho parlato con un fantasma molto cordiale di questa cosa, e mi ha raccontato che…» ma non poté terminare, perché fu interrotta dalla voce gracchiante della McGonagall: «Tutti gli studenti tornino immediatamente nei loro dormitori. Tutti gli insegnanti tornino nella sala professori. Immediatamente, per favore.»

«Che succede?» domandò Alana, aggrappandosi al braccio di Caitlin.

«Un altro attentato?» chiese una ragazza di Ravenclaw, in lacrime.

Il professor Flitwick guardò i suoi studenti per un breve istante, poi ordinò loro di tornare ai propri dormitori senza fare domande, e così fu.

Quando gli Hufflepuff del primo anno si trovarono di fronte all’arazzo del cacciatore con il grande alano, furono raggiunti dagli studenti del secondo.

«Helen!» gridò Ernie, precipitandosi verso il gruppo.

«Oh, Ernie, sai che cosa è successo?» domandò Caitlin, tenendo stretta accanto a sé Alana.

«Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.» disse il ragazzo all’arazzo, che si arrotolò su se stesso permettendo loro di entrare. «No, Cate, ma sicuramente non è nulla di positivo.»

La Sala Comune era gremita di studenti. Tutti avevano un’aria distrutta.

«Maestro! Ehi, Mike!» Rowan levò un grido. Michael emerse dal suo gruppo di amici e fece loro cenno di raggiungerlo.

«Ehi, Michael, ma sei sicuro che…» domandò un ragazzo un poco massiccio, dai capelli scuri ricci e la carnagione abbronzata.

«Sta’ zitto, Walt! Certo che ci possiamo fidare! Ti ricordo che Row mi ha salvato la vita!»

Il ragazzo grosso come un orso, Rent, scoppiò a ridere. «Avanti, Walter, non essere schizzinoso!»

Walter sospirò, annuendo con la testa. «Ma che non esca dal gruppo. Vai, Mike.»

Michael, con un sorriso eccitato, cominciò: «Mentre tornava nel dormitorio, Walter è passato davanti al corridoio dove era stata trovata la gatta di Filch e lì ha letto qualcosa di davvero molto interessante.»

I ragazzi erano tutt’orecchie.

Jack sorrise. «Walt, prego.»

Walter trasse un lungo respiro e declamò: «Il suo scheletro giacerà nella Camera, per sempre

Lance, terrorizzato, si accucciò su se stesso, tremante di paura.

«E cosa ci sarebbe di divertente?!» domandò Helen, frustrata, abbracciando l’amico.

«Beh, è un falso. Insomma, uccidere qualcuno a Hogwarts, con i professori che pattugliano tutti i corridoi? È impossibile!»

In quel momento, entrarono nella Sala Comune i due Caposcuola Faithman e Morgan, seguiti a ruota da Carey Pryce, pallida come un cencio.

«Ora scopriremo tutto.» sibilò Micheal, avvicinandosi di soppiatto ai due ragazzi.

«Sei sicuro, John?» stava dicendo Gwen con voce tremante. «Com’è possibile?»

«Te l’ho detto Gwen, è così: nessun nato babbano manca all’appello.»

Helen, sentendosi in colpa nell’origliare così apertamente quel discorso, distolse l’attenzione dai Caposcuola per riversarla completamente su Carey. La ragazza era entrata ignorata da tutti, come succedeva ogni giorno, e si era abbandonata in un angolo, chiusa in se stessa.

«Ehi, Carey, va tutto bene?» le domandò, sedendosi accanto a lei.

«No.» biascicò la ragazza.

Helen la guardò, stupita. «Che cosa è successo?»

Carey scoppiò a piangere. «Stavo parlando con Demelza Robins di Gryffindor, quando ho sentito…»

«Che cosa?»

«C’era tanto trambusto, persone che piangevano… le ragazze del primo anno la chiamavano…»

Helen abbracciò la ragazza, che riversò le lacrime sulla sua spalla.

Lance raggiunse le due ragazze, latteo.

«I Caposcuola non sanno nulla, non si vedono professori, non mancano nati babbani al conteggio teste… io non so più cosa pensare… ho paura.»

«Tutti abbiamo paura, Lance, ma le cose si sistemeranno, vedrai.»

Carey gemette, continuando a piangere. «La ucciderà…» mormorò, singhiozzando.

«Chi?» domandò Lance, raccogliendo il coraggio per parlare.

«Demelza ha detto che non la vede da stamattina… che è da un po’ che si comporta in modo strano…»

«Ma chi, Carey, dicci chi, ti prego!» la supplicò Helen, con gli occhi che si riempivano di lacrime. Temeva che dietro a quella scritta non ci fosse un semplice scherzo.

«Ginny Weasley.» esalò Carey.

 

«È sicura?» quasi gridò Michael quando Rowan gli riferì che cosa Carey aveva svelato a Lance e Helen.

«Sembra di sì.»

Jack e Rent si guardarono, mortificati. Non avevano creduto alla scritta sul muro, prendendola come uno scherzo: se Ginny fosse morta l’avrebbero avuto sulla coscienza per sempre.

«Bene, se è sicura so benissimo cosa fare.» si scambiò un’occhiata con Walter, che ricambiò confuso.

«Cosa vuoi fare?» gli domandò.

«Ma è ovvio: andare a salvarla.»

Rowan esultò, aggrappandosi ad un braccio di Michael. «Sì! Quando cominciamo?»

Walter scosse la testa, titubante. «Ah, no, Mike. Non contarmi in una delle tue pazzie.»

Michael lo fulminò, ma accettò di buon grado la sua decisione.

«Io ci sono!» esclamò Rent, battendo il cinque all’amico.

«Allora conta anche me! Per i Weasley!» annunciò Jack, sorridendo.

«Contare? E per cosa?» domandò una voce femminile, comparsa all’improvviso.

Michael si irrigidì all’istante, ma ciò non impedì a Rowan di continuare a saltellare eccitato, rivelando senza pensare che cosa fossero sul punto di fare.

«Un salvataggio?» sorrise Georgia Runcorn, del secondo anno, guardando Michael. «Ci sono.»

Michael ridacchiò nervosamente. «Ah, sì? No.»

Jack e Rent staccarono di peso Rowan da Michael. «Lascia che se la veda da solo con lei. Sono molto amici: è come una sorella per lui.»

«Non sei mio padre, Mike! Se voglio far parte del salvataggio, non puoi impedirmelo!» esclamò Georgia, rossa in viso dalla rabbia.

«Invece sì! Il piano è mio, decido io chi ci può far parte! E tu non sei contemplata nel piano! È troppo pericoloso!»

«Ma neanche ce l’hai un piano!»

«Quando ce l’avrò sarà comunque troppo pericoloso!»

«Ad ogni modo voglio aiutare! Ti ricordo che anche io conosco un Weasley!»

«Ma io ne conosco due!»

«Ma non vuol dire niente, Michael! Cosa stai dicendo?»

«Non puoi, punto.»

Rowan guardò Jack e Rent, che ridevano divertiti, scambiandosi occhiate compiaciute.

«Li amo.» disse Jack.

«Sono perfetti.» rincarò la dose Rent.

E in quel momento, Rowan comprese chi sarebbe stata la Signora Maestra.

Rent intervenne. «Avanti, Michael: avere una donna è sempre una buona cosa!»

Michael lanciò uno sguardo bruciante all’amico. «Abbiamo già Helen! Basta e avanza!»

Helen si sentì osservata. «Ehi, un momento! Nessuno mi ha chiesto se volevo partecipare o no!»

«Vuoi partecipare?» domandò Michael, semplicistico.

«Non lo so.»

«Bene, Georgia tanto non può lo stesso.»

E, mentre discutevano animatamente, la professoressa Sprout entrò in Sala Comune. Aveva il volto tetro e triste, piegato dal dolore.

«Vi chiedo un attimo di silenzio, ragazzi. Ho una notizia dolorosa da darvi.»

Immediatamente, il dormitorio Hufflepuff cessò di parlare, concentrando la propria attenzione sulla professoressa.

«Questa mattina, una ragazza è stata rapita e portata nella Camera dei Segreti.»

Molti trattennero il fiato dalla paura, tranne chi ne era già al corrente, che si scambiò un’occhiata complice.

La Sprout riprese. «Ginevra Weasley, di Gryffindor.»

Sheldon si portò una mano alla bocca e mormorò alcune parole in francese che gli altri non capirono; Liam abbassò il volto, disperato: la Weasley era stata sua compagna di banco in molte lezioni; Alana scoppiò in lacrime e Caitlin la strinse a sé come una sorella maggiore abbraccia la più piccola.

«Per questo motivo» continuò la donna «gli studenti sono pregati di preparare i bagagli. Domani verranno rimandati a casa con l’Espresso per Hogwarts.»

Un forte «No!» tuonò per l’intera Sala Comune: Megan Jones, rossa di rabbia, era trattenuta da Cedric Diggory.

«Non può rispedirci a casa!» gridò, con la voce incrinata dall’ira.

«Posso eccome, signorina Jones! È stata una decisione presa all’unanimità da tutti gli insegnanti!» sbottò la donna, ferita che la sua autorità venisse messa in dubbio da una studentessa.

Megan tremava per la rabbia e Cedric, che le aveva circondato le spalle con un braccio, era pallido come un fantasma.

Quando la Sprout uscì dal dormitorio, non prima di essersi assicurata che i Caposcuola controllassero la situazione, Michael, Jack, Rent, Georgia e Rowan si riunirono in un angolo della Sala Comune a discutere del piano.

Helen li raggiunse pochi minuti dopo. «Visto che ce ne andiamo domani, non ho nulla da perdere.» disse, avvicinandosi a Rowan e battendo un cinque con Rent.

«Ehi, alcolisti anonimi!» ruggì Megan, andando verso di loro a passo veloce. «Non pensate di risolvere la situazione senza di me! Hogwarts è casa mia, e se c’è qualcuno che può mettere in disordine questa scuola... beh, quella sono io!»

Rent incrociò lo sguardo con Helen e mimò un’espressione svitata molto comica, tanto che la ragazza ridacchiò sottecchi.

«Okay! Allora, questo è il piano:» cominciò Michael, nervoso. «noi non sappiamo nulla di ciò che sia successo, poiché tutti gli eventuali dettagli li conoscono i professori. Ergo, dobbiamo trovare un professore abbastanza stupido da spiattellare ai quattro venti l’intera storia.»

«Me ne occupo io! Lockhart mi adora!» esclamò Georgia, alzando la mano.

Michael la guardò intensamente, come se stesse vagliando tutti i pericoli che Georgia rischiava di incontrare affidandole quell’incarico.

«D’accordo.» convenne, arrendevole.

«Sì!» Helen sentì Georgia esultare.

«Bene, poi ci serve qualcuno che distragga i Caposcuola, così che Georgia possa sgattaiolare via.»

Helen sembrò pensarci per qualche secondo.

«Ci penso io!» esclamò Jack.

Michael scosse la testa. «No, Jack! Tu sei più grande, mi servi per l’azione.» guardò Megan. «Megan, ti andrebbe di, ehm, occupartene tu? Potresti farti aiutare da Helen...»

«Io ci sto!» disse Helen, sicura della decisione. Piuttosto che rischiare l’espulsione preferiva restare dietro le quinte e lasciare il lavoro pericoloso agli altri.

«Perché non può farlo il tizio sfigato qui?» sbottò Megan, indicando Rowan irritata. «È più piccolo di me!»

«Tizio sfigato? Ora le prendi, brutta megera!»

«Fatti sotto, poppante!» Megan alzò un pugno con aria di sfida.

Michael si parò in mezzo ai due litiganti. «No, Megan. Rowan viene con me: insieme facciamo un bel team

Rowan si illuminò al sentire quelle parole e assunse un cipiglio profondamente reverenziale nei confronti dell’amico.

«D’accordo... ma tra noi non finisce qui, lattante.» minacciò Megan. Poi si rivolse a Helen: «Allora, occhioni, hai qualche idea su come distrarre quei due?»

Helen si guardò intorno e scorse Lance, acquattato in un angolo con Sheldon e Liam, che tremava.

Sperò con tutto il cuore che Lance non se la prendesse troppo.

«Sai mica dove posso trovare delle api?»

 

«Tre, due, uno. Via.»

Georgia, Michael, Rowan, Jack e Rent si mossero furtivamente il più vicino possibile all’uscita dalla Sala Comue. I Caposcuola sembravano troppo intenti a discutere per notare la loro presenza.

«Vai, Georgie. Vai!» la incitò Michael, spingendola con delicatezza verso l’imboccatura. In pochi secondi la ragazza fu fuori.

John Faithman si voltò a guardare i quattro ragazzi, come turbato. Rowan scoppiò a ridere e Rent lo imitò subito.

«Oh, Mike, sei una sagoma! Bellissima questa battuta!» ruggì Rent, battendo un po’ troppo forte la mano sulla schiena dell’amico.

Michael e Jack assecondarono subito lo scherzo. «Sì, grazie Rent! E la sai quella dell’irlandese, lo spagnolo e il vaso da notte?»

John scrollò le spalle e tornò a rivolgersi alla ragazza.

Nel frattempo, Megan e Helen, con l’aiuto di Cedric, stavano tentando di trasfigurare alcune caramelle mou in api.

 

Georgia corse a perdifiato lungo il corridoio principale e si stupì di non trovare pattuglie di professori pronti a sventare qualsiasi bravata dei ragazzi.

Era l’imbrunire e la poca luce che filtrava nel castello aiutava la ragazza a mimetizzarsi perfettamente con le ombre grazie alla divisa nera.

Fu probabilmente un miracolo per lei superare ogni corridoio e piano che la separava dallo studio di Lockhart senza incontrare un professore. Incrociò la strada con Pix a metà del suo viaggio, ma il poltergeist non sembrava interessato a lei, troppo intento a cantare una canzoncina contro l’Erede di Slytherin, inneggiando alle mutande di Merlino.

Quando si trovò di fronte alla porta dello studio, trasse un lungo respiro e bussò alla porta.

«Ehm, avanti.» bisbigliò la voce spaventata di Lockhart.

«Salve professore!» entrò Georgia, sfoderando uno dei suoi sorrisi smaglianti.

«Oh, ehm, signorina Runcorn... che, ehm, piacere vederla.» borbottò il professore. Era intento ad aprire una serie di valigie e buttarvi dentro qualsiasi cosa gli capitasse a tiro: dal mobilio ai propri libri alle mille fotografie di sé.

«Oh.» esclamò la ragazza, incredula di fronte a ciò che stava vedendo. «Che cosa sta facendo, professore?»

«Pulizia.»

«Bene.» alzò le spalle, avendo compreso che cosa realmente stesse combinando il codardo. «Mi ascolti, professore: lei sa qualche notizia in più sul recente rapimento di Ginny?»

Gilderoy Lockhart si fermò di colpo e guardò la ragazza. «No, signorina Runcorn. La ragazza è semplicemente scomparsa. Sospetto sia opera di un qualche mostro della Camera dei Segreti.» sembrava felice di scaricare la tensione su qualcuno. A Georgia ricordò una zitella particolarmente frustrata.

«E lei ha qualche idea di dove possa essere la Camera?» continuò la ragazza, sicura di aver fatto centro.

«No! Non ne ho idea! I miei colleghi sono sicuri che sia nel castello, ad esclusione di Pomona e Aurora che sono convinte sia situata nella Foresta Proibita e...» s’interruppe e spalancò gli occhi, spaventato. «Signorina Runcorn, che cosa ci fa qui?»

«Oh, io volevo soltanto chiederle se, cortesemente, poteva... ehm... scrivere una dedica a mia sorella piccola! L’adora.» disse, cercando di rendere la propria voce il più mielosa e dolce possibile.

Il volto di Lockhart si distese. «Oh, certo, certo. Ovviamente.» strappò un pezzo di pergamena e prese la piuma per scrivere.

«Dunque, a...?»

«Charlotte.»

«Carissima Charlotte, un saluto appassionato dal tuo eroe, Gilderoy Lockhart. Può andare?»

«Perfetto.»

Lockhart consegnò a Georgia il pezzo di pergamena e le sorrise, nervoso.

«Bene, allora la lascio alla sua pulizia

«Arrivederci.»

Georgia uscì dallo studio e corse via, ancora incredula di essere riuscita a fregare il professore così semplicemente.

Quando fu sulla scalinata principale sentì due persone parlare tra loro: dalla torre di Gryffindor stavano scendendo Potter e Weasley. Corse il più veloce che poteva sul fondo delle scale e rischiò di scontrarsi con una figura nascosta dietro un angolo.

«Attenta! Potevi farti male!» disse la voce rassicurante di Cedric.

«Cedric! E tu che ci fai qui?»

Il ragazzo sbuffò. «Non potevo permettermi che la pseudo-sorellina di Michael finisse male.»

Georgia gli sorrise. «Grazie, Ced.»

«Figurati. Andiamo, dai.»

E ritornarono insieme alla Sala Comune...

... o quello che rimaneva di essa.

Appena sbucarono dall’entrata del dormitorio, udirono grida terrorizzate e un frastuono infernale. Cedric sorrideva e Georgia gli chiese perché.

«Ho trasfigurato un sacchetto di caramelle mou in api. Un diversivo piuttosto efficace, no?»

Georgia non poté rispondergli, perché fu travolta da Michael, Rowan, Jack e Rent che si fiondarono fuori dall’arazzo.

«Quella Helen è una mente diabolica.»

Georgia vide Helen in un angolo della Sala Comune: abbracciava l’amico Lance, che era accovacciato sul pavimento, scosso dal terrore.

«Ehi, Helen, è stata una tua idea questa?» le domandò la ragazza, con un sorriso di riconoscenza sul volto.

Helen spalancò gli occhi e la guardò con sguardo penetrante.

«È stata una tua idea?!» gridò Lance, staccandosi dal suo abbraccio con violenza. «Tu lo sai che ho il terrore delle api! Lo sai!»

Georgia si portò una mano alla bocca. «No, Lance! Helen voleva solo...»

«Sì, è stata una mia idea, ma l’ho fatto per Michael, per Ginny.» disse Helen, seria e calma. «Hai tutto il diritto di avercela con me.»

Lance le lanciò uno sguardo sospetto, si alzò e corse verso il dormitorio, evitando le api e proteggendosi la testa con le mani.

«Mi dispiace...» disse Georgia a Helen.

«Tranquilla, gli passerà. Lo conosco, ha fatto così solo perché gli dà fastidio che tutti sappiano che ha paura di qualsiasi cosa ci sia sulla faccia della terra.»

«Io credo che la paura delle api sia perfettamente comprensibile.»

«Sai, quando hai paure incomprensibili e sai di averle, anche quelle comprensibili ti sembrano stupide.»

Georgia pensò che sebbene Helen avesse solo undici anni, sembrava molto più matura di quanto non desse a vedere.

«Georgia, c’è Jack fuori che vuole sapere che cosa ti ha detto Lockhart.» la chiamò Cedric.

E Georgia riferì.

 

Jack e Rent camminavano lungo i corridoi labirintici del castello.

«Non trovi strano che con una studentessa scomparsa non ci siano professori in giro?» domandò Rent, grattandosi la testa, confuso.

Jack annuì, preoccupato. «La staranno sicuramente cercando in stanze segrete di Hogwarts che noi studenti non conosciamo. In effetti, mi sembra stupido che tre quattordicenni e un undicenne si mettano in testa di salvare qualcuno che nemmeno un gruppo di professori di Hogwarts – insomma, non i primi idioti per strada – è riuscito a trovare.»

Rent lo guardò severo. «Preferiresti startene in sala comune a non fare nulla, aspettando che qualcun altro faccia il lavoro sporco? Mi vergogno di te, fratello.» disse, contrariato. Chiamava Jack “fratello” solo quando erano soli, o quando voleva fargli notare qualcosa di sbagliato.

Jack abbassò la testa, turbato: odiava essere ripreso da Rent.

«Non voglio solo che noi tutti rischiamo la pelle o l’espulsione per niente. Soprattutto tu, che sei nato-babbano.»

Rent abbracciò l’amico. «I Weasley sono nostri amici. Lo sono sempre stati, ed è giusto ricambiare così la loro amicizia. E poi, morire per fare del bene non è mai morire invano.»

Jack sembrò convinto dalle parole di Rent e fu il primo a muoversi verso il portone d’ingresso del castello.

«Pensi che sia aperto?»

«Non sono così stupido.»

«E allora che facciamo?»

Rent lo guardò e rise. «Non è contemplato nel piano di Michael.»

«E adesso?»

«Aspettiamo! Se siamo fortunati passerà qualcuno e...» non terminò la frase, poiché dal corridoio buio sembrò spuntare una luce di bacchetta.

«Nox» sussurrò Jack alla sua bacchetta e trascinò Rent dietro un’armatura. Erano troppo grossi per rimanere completamente nascosti, ma il buio li copriva per la maggior parte.

«Chi è?» sussurrò Rent.

«La Trelawney.»

L’esile figura della professoressa era appena nitida sotto il riflesso della bacchetta.

«Fantastico. E ora che si fa?»

«Le chiediamo di aprire.»

Jack pensò che l’amico fosse uscito di senno, nel suo delirio di onnipotenza tipico proprio dei Gryffindor, e non degli Hufflepuff.

Non che Rent fosse davvero convinto che la Trelawney avrebbe aperto il portone, ma in fondo sperava che la donna stesse per uscire: così avrebbero approfittato della porta aperta. Per quanto riguardava al fatto che poi lei li avrebbe visti e avrebbe chiesto loro perché fossero fuori dai letti... ci avrebbe pensato al momento opportuno.

La Trelawney estrasse dal lungo scialle delle chiavi tintinnanti e aprì il portone molto lentamente, assicurandosi che nessuno la stesse aspettando fuori.

In quell’istante, Rent lasciò il nascondiglio e si incastrò tra la porta, così da lasciarla aperta. Ovviamente, la Trelawney lo vide.

«Summers! Che cosa diavolo...» anche Jack era accorso in aiuto dell’amico. «e Summerby? Cosa ci fate voi due qui?»

«Ehm...» mormorò Rent, strozzato. «Se apre un poco di più la porta le rispondo, professoressa.» disse, con voce mozzata.

La donna fece come richiesto. Tuttavia, appena Rent fu libero e accanto a Jack, gli occhi le si riversarono all’indietro, tremò tutta e guardò i due studenti senza realmente vederli.

«Sotto la luna, l’ultimo giorno della settimana compariranno due donne...»

«Professoressa?» domandò Jack, agitando una mano davanti agli occhi di lei.

«Zitto!» lo ammonì Rent, incuriosito.

«... tra avversità e momenti di felicità senza pari, saranno loro a portare via l’uno dagli occhi dell’altro...»

«Ma di chi parla?»

«Di noi, cretino!»

«... i due fratelli saranno divisi dal fato imperscrutabile, e la Dama Bianca sceglierà l’uno, mentre la Dama Nera porterà via l’altro. E non si rivedranno più.»

«Ma sei sicuro parli di noi?»

In quel momento, la Trelawney sembrò riprendere coscienza di se stessa. «Allora, volete rispondermi?»

Fu Rent a prendere parola, poiché Jack sembrava troppo confuso da ciò che aveva sentito e dal fatto che la donna non sembrasse ricordarsi nulla. «Noi volevamo aiutare voi professori... volevamo renderci utile.» e si mostrò il più dispiaciuto possibile. «Ma come, professoressa, lei non sa perché siamo fuori?» domandò, strizzando impercettibilmente l’occhio a Jack.

La donna si alzò in un imbarazzato contegno solenne. «Certo che lo so, Summers. La mia è una deformazione professionale: a volte è meglio tenere nascosta la presenza dell’Occhio.»

Jack disse: «Allora sa anche quanto siamo preoccupati, vero?»

La Trelawney si raddrizzò ancora di più, se possibile. «Ovvio. Ed è per questo motivo che vi spedisco nella vostra Sala Comune seduta stante. E se Hogwarts non chiudesse domani, vi punirei severamente.»

Rent fece una smorfia. «Deve proprio chiudere, professoressa? Non riuscite proprio a trovarla?»

La Trelawney scosse la testa, assorta.

«Già. E lei, con la sua Vista superba non può vedere dove si trova Ginny?» aggiunse Jack, stando al gioco di Rent.

La donna sembrò essersi profondamente offesa. «L’Occhio Interiore non funziona così, Summerby. Non a comando.»

«Errore mio, signora. Mi perdoni.»

Dopo quella breve e semplice rivincita sulla Trelawney che aveva rovinato loro la possibilità di aiutare la Weasley, i due ragazzi non poterono far altro che sperare che a Michael e Rowan stesse andando in modo migliore.

 

«Dove siamo, Mike?»

«Non lo so, ma non preoccuparti, Rowan, ho tutto sotto controllo.»

«Michael, ci siamo persi nella nostra scuola... come fai a essere sicuro di avere tutto sotto controllo?»

«Il miglior modo per trovare un posto che non si sa dov’è è finire in un posto che non si sa dove sia.»

«Un po’ contorto, ma ha senso, effettivamente.»

Da più di un’ora i due ragazzi giravano senza meta in un lungo corridoio. Il buio non permetteva loro di distinguere di quale corridoio si trattasse né a che piano fossero, in quanto le scale avevano preso vita proprio mentre loro vi erano sopra qualche quarto d’ora prima.

«E se incontriamo un professore?» domandò Rowan. L’idea di essere espulso non gli era molto gradita.

«Cercavamo la classe di Trasfigurazione, perché Walter ha dimenticato la bacchetta lì.»

Rowan lo guardò, colpito dalla facilità con cui aveva formulato una scusa pressoché credibile.

«Ma Walter ha detto che non voleva che tu lo contassi nelle tue pazzie.»

«Appunto. È un traditore e il minimo che posso fare è metterlo in mezzo.» replicò Michael con un sorriso sinistro sul volto.

Si fermarono di fronte al ritratto di una giovane donna, corpulenta ed elegantemente vestita, seduta su una poltrona sontuosa. Tutto lo scenario del quadro dava l’idea che la donna fosse stata una ricca nobile del diciassettesimo secolo. Teneva in una mano una bacchetta dorata e nell’altra un lungo bastone d’argento solcato da splendidi decori.

«Siamo al secondo piano, Row.» disse Michael subito, salutando la donna nel ritratto con la mano. «Gilda, carissima! Quanto sei affascinante stasera.» l’adulò, con tutta la falsa tenerezza che possedeva nella voce.

Rowan soffocò una risata: era impossibile che la donna cedesse a un simile tono.

Tuttavia, dovette ricredersi.

«Michael! Sei venuto!» esclamò Gilda, arrossendo.

«Certo che sono venuto! Ricordi il piccolo favore che ti ho chiesto?»

La donna nel quadro annuì vigorosamente. «Non ho visto nessuno di sospetto. Né animale, né umano.»

«Capisco.» sospirò Michael. «Continua a vegliare, te ne prego.» implorò, scompigliandosi i capelli più lentamente del solito, beandosi delle attenzioni passionali che la donna gli rivolgeva.

«Ma certo, caro.»

Rowan fece una smorfia disgustata e si allontanò da Michael.

«Ma che schifo!» borbottò, una volta che l’amico lo ebbe raggiunto. «Te la fai con un quadro centenario?»

Michael lo guardò spaventato. «Come puoi anche solo credere che possa essere così! Lo sai che il mio cuore appartiene solo ed esclusivamente a...»

«Sandy Fawcett, di Ravenclaw. Sì, lo so, ma ti approfitti di una povera donna che crede di avere speranze con te!»

Michael era perplesso. «Ed è sbagliato?»

Rowan si schiaffò una mano in viso. «Con i quadri no, perché tanto non possono, sai, uscire, ma non farlo con le persone vere, okay?»

Il ragazzo più grande annuì.

Avanzarono per il corridoio, svegliando diversi quadri addormentati, subito zittiti da Gilda, che doveva essere la leader del piano, a cui tutti davano ascolto altrimenti sarebbero stati picchiati.

Una sorta di Megan Jones ante litteram.

Svoltarono l’angolo del corridoio, ma dovettero accelerare il passo, poiché sentirono di essere seguiti.

«Non è possibile...» mormorò Rowan, incredulo. Anche quella volta non avrebbero ottenuto il loro momento di gloria.

«Corri!» lo incitò Michael, iniziando a correre verso il fondo del corridoio, nascondendosi subito dopo nella prima stanza che trovarono aperta.

Si scoprì essere un bagno, piuttosto malridotto. Nell’aria aleggiava un odore di acqua ristagnante, come se non fosse pulito da anni, e il pavimento era completamente bagnato. Rowan alzò la suola della scarpa, impregnata d’acqua, e cacciò un gemito.

«Oooh, Harry, sei...» squittì una vocina femminile estremamente eccitata. «E voi cosa ci fate qui?» domandò, contrariata.

«No... Rowan, dimmi che non è un fantasma.»

Rowan voltò lo sguardo cercando la persona che avesse parlato, ma incontrò soltanto il volto offeso di una ragazzina magrolina e da un paio di enormi occhiali. Il suo intero corpo era trasparente, avvolto da un chiarore perlaceo.

Era senza dubbio un fantasma.

«Ehm, Mike...»

Il ragazzo rantolò.

«Ma tu sei quel ragazzo, quello Stebbins. Sei quello bello.» sospirò Mirtilla Malcontenta.

«Zitta, Mirtilla!» le ordinò Michael, sicuro che chiunque li stesse seguendo avrebbe sentito il fantasma strillare.

«Ah, ecco! Ce l’hai con me solo perché ho detto che quell’altro tuo amico bello ce l’ha più...»

«Credo che nessuno qui dentro sia interessato a scoprire le speciali doti del signor Diggory.» sibilò la voce baritonale di Snape.

Rowan tentò di nascondersi dentro il gabinetto di Mirtilla, ma fu agguantato per la divisa da Snape. «Dove crede di andare, signor James?»

Il ragazzo ridacchiò nervosamente. «Al bagno?»

«Molto divertente.»

Mirtilla cacciò un urlo adirato. «Professore, li porti subito via di qua! Così, quando Harry tornerà saremo solo io e lui...» sospirò, con aria sognante.

L’uomo si fermò all’improvviso, imitato dai due studenti. «Prego? Potter» ringhiò il suo nome con tanto disgusto che Michael credette di vederlo vomitare da un momento all’altro «è stato qui?»

«Certamente, signore. Frequenta il mio bagno da un po’, a dir la verità!» si pavoneggiò la ragazza-fantasma, sicura che il motivo per cui Harry Potter andasse a trovarla fosse perché affascinato da lei.

Snape si guardò intorno, come se il ragazzo si nascondesse da qualche parte nel bagno. Ciò era evidentemente impossibile: il bagno era troppo piccolo perché qualcuno vi si potesse nascondere senza essere scoperto subito. Camminò avanti e indietro, aprendo con veemenza le porte dei gabinetti, rimanendo sempre deluso dal fatto che non vi fosse nessuno all’interno.

Ispezionò con cura i lavandini, ma non trovò nulla di sospetto, né segni di manomissioni o passaggi da parte del ragazzo.

In seguito alla verifica, si rivolse a Mirtilla, livido. «Dov’è? Dov’è quel disgraziato di Potter?»

Michael era pietrificato: girava voce che Snape odiasse Harry, ma non avrebbe mai immaginato che questo odio trasparisse persino dalle parole che gli rivolgeva.

«Ah, non lo so.» commentò lei, ridacchiando civettuola. «Ha sibilato qualcosa e poi è sparito...»

Le sopracciglia di Snape si mossero rapide in un’espressione quasi invisibile.

Rowan, acquattato contro la porta del gabinetto, non sapeva se essere terrorizzato o eccitato dalla situazione in cui si trovava.

«Ad ogni modo» continuò il professore, come se niente fosse. «Vi porterò dalla vostra Direttrice. Sarà sicuramente felice di rivedervi, Stebbins e James. Signor Stebbins, non crede che Diggory potrebbe ingelosirsi di questo nuovo e infelice duo?»

Michael strinse i pugni, mentre usciva dal bagno. Se Snape avesse detto ancora una parola su Cedric l’avrebbe pestato, di sicuro.

«Foste della mia casa, ora sareste già sul treno per Londra.» disse, con gli occhi ridotti a due fessure.

I due ragazzi non poterono far altro che pensare che, comunque andassero le cose, in poche ore sarebbero finiti su quel treno, per un motivo o per l’altro.

 

 

 

 

 

 

Che è successo? Ventata Gryffindor per tutti?

Siamo ormai agli sgoccioli, ancora due capitoli e questa meravigliosa avventura sarà conclusa!

Grazie per chi recensisce e per chi legge soltanto!

Un ringraziamento speciale per Alessandro che si è letto tutta la storia e ha recensito ogni singolo capitolo! Grazie per la pazienza certosina! :)

Ci leggiamo la settimana prossima!

Akami

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Capitolo 21
*** La fine dell'inizio ***


18. La fine dell’inizio

 

Quando Rowan e Michael si presentarono nel ufficio della professoressa Sprout, la donna aveva gli occhi gonfi per le lacrime e stava accarezzando con dolcezza le piante del piccolo vivaio che aveva addossato alle pareti. Subito si insinuò nelle narici dei ragazzi un profondo odore di terra ed erba che aiutò a calmarli.

La professoressa Sprout non ebbe cuore di riprenderli per ciò che avevano fatto, poteva capire le loro motivazioni: tutti gli Hufflepuff erano sempre stati mossi da un profondo rispetto e amore per i propri amici, tanto che avrebbero fatto qualsiasi cosa per loro. In realtà, capì che avrebbe dovuto aspettarsi una tale reazione da studenti come Stebbins e James, così simili nel comportamento e nel senso di giustizia e lealtà da sembrare fratelli.

Li congedò con tenerezza, scompigliando loro i capelli affettuosamente.

Michael e Rowan rientrarono nella sala comune e furono accolti come eroi dagli amici.

Cedric fu il primo a farsi avanti, abbracciando Michael. «La prossima volta ti persuaderò a non farlo. Lo giuro.»

«Lo dici sempre, Ced.» commentò Michael, impallidito.

«Prima o poi ci riuscirò.»

Mentre Michael veniva stritolato dal suo gruppo di amici, Rowan era stato placcato dai compagni del primo anno.

«Non so davvero chi dei due sia più stupido, se tu o Stebbins. Non oso pensare quando tu avrai l’età di Stebbins che tipo di persona sarai...» commentò Liam, facendo capolino da dietro il divano, dove si era riparato poco tempo prima dall’attacco delle api.

«Sicuramente un idiota coi fiocchi!» rincarò Caitlin ridendo.

«Io credo che a questo punto non possa che migliorare!» aggiunse Geoffrey, battendo una mano sulla schiena dell’amico in segno di solidarietà.

«È stato molto lodovole da parte tua tentare di salvore Jinnì. Mi dispiasce di non esserti stoto d’aiuto.» disse Sheldon, arrivato in quel momento attirato dalla fine del trambusto nella sala.

«Forse è stato meglio così, avrebbe messo tutti in pericolo di espulsione!» intervenne Helen, seria. Gli occhi verdi brillavano.

«Cos’hai?» domandò Rowan, preoccupato.

«Beh, sono felice che tu stia bene, ma Ginny non è ancora tornata.»

Calò un silenzio imbarazzante. Erano tutti così contenti che Rowan non fosse stato espulso che avevano tralasciato il motivo per cui aveva rischiato di esserlo.

Tornarono in camera, costretti dai Caposcuola a rientrare.

Helen, nonostante fosse sdraiata sul suo comodo letto, non poteva dormire. Che cosa sarebbe successo se Ginny fosse morta? Avrebbero chiuso la scuola? Dove sarebbe andata? Avrebbe più rivisto i suoi amici?

Si guardò intorno, scrutando ogni letto: Amelia aveva gli occhi fissi sul soffitto, come catturata da uno spettacolo che solo lei poteva vedere; Caitlin era persa nei suoi pensieri, girata su un fianco, con la corta zazzera vermiglia che le ricadeva sugli occhi; Alana leggeva avidamente un libro, o per lo meno dava l’idea di esserne interessata; Carey era rannicchiata su se stessa, terrorizzata per il destino di Ginny.

Chiuse gli occhi e sperò con tutta se stessa che quell’orribile situazione si risolvesse presto. Non riuscì a contare i minuti che trascorsero da quando chiuse gli occhi a quando li riaprì: era ancora buio, probabilmente era appena passata la mezzanotte. Qualcuno stava bussando animatamente alla porta del suo dormitorio.

«L’hanno trovata! L’hanno trovata! Scendete tutti, avanti! C’è un banchetto per festeggiare!» esultò Gwen Morgan, facendo capolino nella loro stanza ancora in pigiama e tutta scarmigliata.

Le ragazze scostarono le coperte con un calcio e furono subito fuori dai letti, con un sorriso enorme che solcava il viso.

Helen si infilò le ciabatte, ancora incredula, e andò in sala comune, dove si era già radunato un folto gruppo di Hufflepuff.

Scorse Lance, Geoffrey, Liam, Rowan e Sheldon e subito corse loro incontro.

«Avete sentito? L’hanno trovata! L’hanno trovata davvero!» gridò, gettandosi tra le braccia di Liam, abbracciata poi da tutti gli amici. «Non chiuderanno la scuola! Finirà tutto bene!»

«Stento ancora a crederci...» biascicò Alana, sopraggiunta in quel momento con tutte le ragazze. «È meraviglioso!» continuò, lasciandosi abbracciare da Sheldon.

«Non avrei mai creduto che in questa storia ci sarebbe stato un lieto fine!» commentò Rowan, accogliendo Caitlin tra le sue braccia. «Dai, Caity, non fare così...» le accarezzò la schiena, vedendo che la ragazza piangeva dalla gioia.

Il banchetto a cui parteciparono fu uno dei più strani mai tenuti a Hogwarts. Al tavolo Gryffindor, Ginny non era ancora presente, notarono gli Hufflepuff, ma sapendola al sicuro poterono godersi la festa senza preoccupazioni.

«È stupendo! È come un gigantesco pigiama party!» commentò Hannah, servendosi del budino con un largo sorriso.

«Adoro i pigiama party! Spesso quando sono a casa da sola li organizzo.» commentò Amelia. Tutti tirarono un sospiro di sollievo per il primo parere sensato della ragazza.

«Però alla fine non viene mai nessuno. Sarà perché chiamo a casaccio, visto che non ho amici.» e sorrise, versandosi succo di zucca nel bicchiere come se avesse appena finito di parlare del suo cagnolino. I ragazzi ammutolirono.

«Prometto che quest’estate ne faremo tantissimi insieme!» disse Helen, seria. Amelia la guardò, strabuzzando i piccoli occhi neri e poi le sorrise. Il sorriso più genuino che la ragazza le aveva mai visto fare durante tutto l’anno.

«Justin!» gridò ad un tratto Ernie, ergendosi come un re sul tavolo Hufflepuff.

Helen si sporse, trattenendo il respiro. Davanti al portone della sala grande c’era Justin, fiero e magnifico, come circondato da un’aura di invincibilità.

«Justin!» gridarono all’unisono i ragazzi del primo e del secondo anno.

Ernie fu il primo a spintonare tutti, per correre ad abbracciare il suo migliore amico, seguito a ruota da Hannah e Susan Bones, la ragazza timida sua coetanea.

Helen, per quanto desiderasse stringerlo affettuosamente tra le braccia, preferì rimanere in disparte, e lasciare che il ragazzo si godesse le feste dei suoi migliori amici.

Lance, accanto a lei, la guardò. «Beh? Non vai a salutarlo?» sorrideva, felice, ed era in piedi, pronto anche lui per abbracciarlo.

«I suoi amici sono più importanti.»

«Beh, allora dovresti essere qui anche tu.» disse una voce che la ragazza non udiva da moltissimo tempo. Si voltò giusto in tempo per riconoscere l’identità di chi aveva parlato.

«Justin!» strillò, gettandosi letteralmente tra le sue braccia, felice come poche volte lo era stata.

«Caspita se sei cambiata, Helen!» rise il ragazzo, prima di essere sommerso dagli abbracci di tutti gli altri amici. «Ehi! Non uccidetemi!» gridò, quando Ernie cominciò a strofinargli la testa come se fosse un fratellino da strapazzare.

«Tu... brutto... cosa ci facevi fuori quel giorno?» esclamò il ragazzo, ricomponendosi nella sua solita tracotanza ostentata.

Justin si sedette accanto a lui e si grattò la testa. Fu un sollievo per Helen rivedere i morbidi riccioli biondi muoversi, invece che rimanere plastificati e rigidi come marmo.

«Credo che stessi venendo a cercarvi...» rispose, ripensando a quel giorno. Gli sembrava tutto così nitido, nonostante fossero trascorsi mesi.

Il ritorno di Justin aveva dato un’energia nuova agli Hufflepuff, non solo quelli del secondo anno, ma anche a quelli del primo, che l’avevano eletto “eroe dell’anno”, e quelli del quarto, specialmente i compagni di stanza di Cedric Diggory, che erano suoi amici da sempre.

A un’ora dall’inizio dei festeggiamenti, Justin non aveva smesso di guardare Harry Potter, che in quel momento rideva con l’amico Ron Weasley e la ritrovata Hermione Granger.

«Ernie, mi accompagneresti?» domandò a bruciapelo all’amico.

«Dove?» chiese Ernie, sputacchiando pezzetti di carne di cui aveva la bocca piena.

«Da Harry.»

Il volto di Hannah si illuminò di gioia quando vide i suoi amici alzarsi in piedi e dirigersi, sotto gli occhi di tutti, verso il tavolo Gryffindor.

Quando Justin fu di fronte a Harry, gli porse la mano, attirando lo sguardo ammirato e colpevole di Ernie. Harry sembrava sconvolto.

«Grazie per avermi salvato da quel serpente.» disse Justin, serissimo. «E mi dispiace di non averti creduto. Sono davvero mortificato.»

Helen sorrise, colpita dalla lealtà e dal senso di giustizia dell’amico: dopotutto, era un Hufflepuff. Un Hufflepuff coi fiocchi, avrebbe aggiunto.

«N-non ti preoccupare.» arrossì Harry, stringendogli la mano. «Apprezzo che tu ti sia voluto scusare.» e guardò Ernie, aspettando che dicesse qualcosa.

«Non vorrà convincere Ernie a chiedere scusa! Quello è più testardo di un mulo!» rise Lance.

Ma, con gran sorpresa di tutti, anche Ernie porse la mano a Harry, più impacciato di Justin ma con gli stessi buoni propositi dell’amico.

«Sì, beh, come ha detto lui.» borbottò, evitando accuratamente il suo sguardo. Justin ridacchiava.

In seguito a quell’episodio, ce ne furono altri due che resero quella festa la migliore a cui Helen avesse mai partecipato.

Alle tre e mezza del mattino, infatti, Hagrid fece irruzione in sala grande e i tavoli di Gryffindor, Hufflepuff e Ravenclaw scoppiarono in applausi e acclamazioni. Ma, se il tavolo Ravenclaw aveva battuto rispettosamente le mani e gli Hufflepuff avevo gridato «bentornato!» fino a rimanere senza voce, i Gryffindor fecero tremare la sala grande in boati, gettandosi letteralmente addosso al Guardiacaccia e abbracciandolo.

Non molto tempo dopo, la professoressa McGonagall si alzò in piedi e richiamò l’attenzione degli alunni.

«A tutti gli studenti.» esordì, con un largo sorriso sul volto segnato. «Il professor Dumbledore ed io abbiamo convenuto che, a seguito dei recenti avvenimenti, sia corretto aggiungere qualche punto alle case che si sono rivelate protagoniste.»

Dumbledore guardava con insistenza il tavolo Gryffindor, e Helen fu certa di averlo visto fare l’occhiolino a Harry.

Il preside si alzò. «Per lo straordinario coraggio, la lealtà dimostrata a me e alla scuola e l’acutezza di ingegno, assegno a Harry Potter cento punti.»

«È giusto!» gridò Rowan, alzando il calice in onore di Harry.

«Sono d’accordo!» ruggì Caitlin, imitandolo.

«Io gliene avrei dati duecento!» commentò Lance. «Se quello che dicono è vero, il Basilisco e tutto, meritava l’ordine di Merlino!»

Helen e Justin annuirono, mentre Ernie si limitò ad un’alzata di sopracciglio d’assenso.

Fu difficile sedare le ovazioni dei Gryffindor, ma quando il clima sembrò ricomporsi, il preside riprese a parlare, con più vigore. «È facile fidarsi degli amici per le piccole cose, ma è molto più difficile seguire un amico in un’avventura rischiosa, quasi mortale, con consapevolezza e maturità.» Dumbledore guardava sempre nella direzione di Potter. «Per questo motivo assegno cento punti a Ron Weasley!»

Nuovamente, il tavolo Gryffindor esplose.

«La debolezza non è un male, se fa crescere. E se questa debolezza è stata contrastata con la forza di prendere le proprie decisioni e scegliere, è giusto assegnare a Ginny Weasley cento punti.»

Gli occhi di tutti si posarono sulla ragazza, che si era fatta piccola sulla sua sedia, ora abbracciata dai suoi fratelli in una nuvola di capelli rossi.

«Se lo merita.» disse Carey, seduta vicino ad Amelia.

«Ma che scelte ha dovuto prendere?» domandò Geoffrey, confuso.

«Non lo so, ma il fatto che abbia rischiato la vita e sia sopravvissuta mi fa innegabilmente concordare con Dumbledore.» rispose Alana, in un fremito. «Io al suo posto sarei morta d’infarto.»

Tutti annuirono.

«Assegno cinquanta punti a Hermione Granger, per la brillantezza nel fornire agli amici la soluzione dell’enigma,» boati Gryffindor sovrastarono la sua voce «a Colin Creevey per il coraggio dimostrato nel tentare di fotografare il Basilisco, ignaro dei rischi che correva.» il grido di festeggiamento dei rosso-oro risuonò per tutto il castello: avevano vinto la Coppa delle Case per il secondo anno consecutivo.

«E come al solito, Gryffindor vince...» commentò Ernie, contrariato ma felice che lo stesso destino non fosse toccato a Slytherin.

«Aspetta, non ha finito!»

«Infine, desidero assegnare cinquanta punti» i quattro tavoli trattennero il respiro. «a Justin Finch-Fletchley e a Penelope Clearwater, per il coraggio dimostrato ad essere usciti allo scoperto sebbene fossero consapevoli del rischio che correvano.»

Hufflepuff e Ravenclaw saltarono in piedi urlando. Justin si irrigidì come statua di pietra, incredulo.

«Justin! Hai visto? Sei un eroe!» gridò Hannah, abbracciando l’amico. «Siamo secondi! Siamo arrivati secondi!»

«Non posso crederci!» disse Rowan, stordito dai festeggiamenti, mentre veniva abbracciato da Caitlin e Alana.

«Guardate gli Slytherin!» indicò Helen, incastrata in un abbraccio tra Justin e Lance. Il tavolo verde-argento era allibito, e il l’espressione di Malfoy tradiva un odio spropositato misto al disgusto per essere stati battuti persino dagli Hufflepuff.

Lance incontrò lo sguardo di Abigail, nel suo pigiama blu scuro: era livida dalla rabbia e accanto a lei Mary Elliott stava sicuramente maledicendo Harry. Le sorrise, in un maldestro tentativo di riconciliazione, ma lei lo fulminò e gli diede le spalle.

«Non continuare a... si è alzato di nuovo!» gridò Rowan, scuotendo Lance e indicando il professor Dumbledore, che non sembrava aver terminato con le buone notizie.

«Inoltre, la professoressa McGonagall ed io abbiamo convenuto che per festeggiare fosse una buona idea cancellare gli esami di fine anno.»

L’ultima parola non fu nemmeno udita dai ragazzi, che avevano già cominciato a urlare e ad applaudire ben prima. I gemelli Weasley stavano spruzzando sul tavolo Gryffindor caraffe di succo di zucca, ululando come matti e improvvisando balletti sul tavolo, mentre il professor Flitwick sembrava tenere il tempo.

«È un miracolo!» scalpitò Rowan. «Justin, dovresti essere pietrificato più spesso!»

Justin non sapeva se ridere o colpire l’amico con un pugno o semplicemente ignorarlo.

«Non potevomo festejare melio il salvataggio!» esclamò Sheldon, mangiando con grazia un bignè alla crema, mentre dietro di lui si scatenava il finimondo.

Venne per caso urtato da Sally-Anne, che si voltò e, notato di chi si trattasse, assottigliò lo sguardo.

«Tu.» sibilò la ragazza, mulinando i lunghi capelli biondi.

«Perks.»

«Francese.»

«Sheldon

«Volgare zotico.»

«Principessa dei mostri di fongo.»

La ragazza gli diede la schiena, stizzita, tornando a esultare educatamente con Georgia e Susan. Gli amici di Sheldon guardarono prima lui, poi Sally-Anne, poi di nuovo lui.

«È spaventoso.» rabbrividì Lance, impaurito dall’amico. «Vi odiate proprio.»

Sheldon annuì.

Verso le cinque del mattino, i ragazzi furono congedati, e fu permesso loro di andare a riposare nei rispettivi dormitori. Nel dormitorio Hufflepuff non si udirono rumori fino alle due del pomeriggio, quando i primi cominciarono a svegliarsi, con grande disappunto dei compagni di stanza addormentati.

Ernie e Justin avevano dormito nel dormitorio dei ragazzi del primo anno. Avevano continuato la festa fino alle sette, ma infine erano stati sopraffatti dalla stanchezza e si erano abbandonati disordinatamente sui letti.

Erano le due e mezza del pomeriggio quando Liam aprì gli occhi, scoprendo di essere stato il primo a svegliarsi e di essere perfettamente lucido e per nulla stanco. Ernie, accanto a lui, lanciò un grugnito e fece per girarsi, ma il tonfo sordo che riempì la stanza subito dopo il tentativo fece capire che doveva trovarsi sui bordi del letto.

«Maledizione!» esclamò, rialzandosi subito in piedi e raccogliendo la dignità rimasta. Liam scoppiò a ridere e, con tutto quel baccano, anche gli altri ragazzi si svegliarono, non meno irritati di Ernie.

«Vi odio tutti.» esordì Rowan, tenendosi la testa, gli occhi piccoli e assonnati. «Che cavolo è successo?»

«Buongiorno anche a te!» rispose Liam, con ancora il sorrisetto sulle labbra. «Ernie è caduto dal letto.» spiegò.

«Complimonti.» disse Sheldon, in uno sbadiglio.

 

L’assordante cigolare del treno sulle rotaie stava uccidendo Lance.

«Io odio i treni» decretò infine.

Helen rise. Lei, Lance, Rowan, Justin e Amelia avevano trovato uno scompartimento tutto loro, mentre gli amici viaggiavano in quello accanto.

«Sono un po’ triste» disse infine Amelia, rimasta silenziosa per gran parte del viaggio.

Lance annuì. «Già, chissà se ci vedremo durante queste vacanze...»

Helen sorrise. «Ho parlato con Sheldon, Liam e gli altri: sarà difficile, ma ce la faremo. Sheldon partirà per le vacanze con suo padre dopodomani, ma ci terremo in contatto; Liam non andrà via, quindi sarà il più semplice da rintracciare, mentre Geoffrey sarà in America fino ad agosto. Caitlin e Alana vanno in vacanza assieme, ma hanno promesso di tenersi libere per agosto.»

Rowan annuì. «Quindi agosto sia!»

«Sarà troppo divertente! Potremmo fare una grigliata a casa mia!» esclamò Justin, tutto un sorriso.

«Una che?»

«Grigliata, Rowan! Diamine! Mai partecipato a una grigliata?»

Rowan stava per ribattere, quando la porta dello scompartimento si spalancò di scatto, rivelando dietro di essa tre figure: Michael, Megan e Cedric.

«I miei piccoli!» gridò Michael, in una pantomima del pianto, gettandosi su Justin e rischiando di strozzarlo. «Quanto mancherete a papà Michael e a mamma Cedric durante queste vacanze!» e stritolò anche Helen.

Cedric sospirò e Megan osservò la scena con puro disgusto.

«Michael, lasciali stare. E questa storia che io sono la mamma deve finire. C’è gente che crede che siamo fidanzati! Greta Buggin è venuta da me piangendo e pregandomi di dirle che non era vero!»

Michael lasciò Helen e si esibì nella migliore espressione da cane bastonato.

«E tu cos’hai risposto?»

«Che non era vero!»

«Lo sapevo. Tu non mi ami»

Rowan rise. «Non è degno di te, maestro»

Il volto di Michael si illuminò. «L’hai sentito Cedric? L’hai sentito? Oh, come sono fiero di te, piccolo Rowanillo-imbranatillo!» e abbracciò anche lui, schioccandogli un grosso e bagnato bacio sulla guancia.

«Ditemi che questa farsa sta finendo, sento il bisogno di vomitare» sbottò ad un tratto Megan “la Violenta”. «Ced, perché diavolo mi hai trascinata qui?»

Cedric rise. «Ma perché sotto sotto anche tu volevi salutare i primini!»

«Ha. Bella questa. Ciao, eh, sfigati del primo!» disse, e se ne andò senza voltarsi.

Helen sorrise e Lance guardò Cedric esterrefatto, in cerca di risposte.

«L’avevo detto io» esultò Cedric. «Vi ha salutati per davvero. Dovete starle davvero molto simpatici»

Lance sprofondò nella seduta. «Non oso pensare cosa faccia a chi non le sta simpatico»

Cedric e Michael si scambiarono uno sguardo eloquente.

«Meglio così» disse Michael, nervoso. «Beh, allora arrivederci, primini! Statemi bene!» abbracciò anche Amelia, con certa titubanza, e Lance, poi uscì dallo scompartimento.

Cedric baciò Amelia e Helen su entrambe le guance e abbracciò calorosamente Rowan, Justin e Lance.

«Ci vediamo l’anno prossimo, ragazzi!»

Quando il treno si fermò a King’s Cross, Helen aveva già pianto due volte. Scese dal treno e abbracciò per l’ennesima volta Alana, Caitlin, Liam, Sheldon e Geoffrey.

«Mi mancherete tantissimo! È come se avessi già trascorso una vita con voi!»

Rowan rise. «Contando che abbiamo sette anni davanti a noi, è come se invecchiassimo insieme»

Helen gli sorrise e gli saltò al collo. Rowan la alzò da terra e la fece volteggiare.

«Stammi bene, piccola! Ti scriverò un sacco!» e la baciò sulla guancia. Helen arrossì.

Helen abbracciò allora Justin, stringendolo forte. «Voglio vederti quest’estate. Ti ho visto troppo poco durante l’anno» e Justin annuì, divertito.

Fu la volta di Amelia, che non si fece abbracciare, per paura di morire strangolata.

Quando Helen si fermò davanti a Lance, arrossirono entrambi.

«Allora... buone vacanze» le disse Lance, vedendo già i suoi genitori in lontananza, totalmente a disagio tra i Maghi.

«Sì, buone vacanze, Lance» fece un passo avanti e lo abbracciò con dolcezza.

Furono interrotti dall’arrivo di una ragazza molto carina, dai capelli pel di carota, le lentiggini e gli occhi azzurrissimi, mano nella mano con un giovane altrettanto affascinante, dai tipici tratti irlandesi.

«Liam?» chiamò.

Il ragazzo si girò e alla vista della donna si illuminò. «Isolde!» le corse incontro e l’abbracciò.

Si voltò verso i suoi amici e fece le presentazioni. «Ragazzi, questa è Isolde, mia sorella. Lui, invece è Lorcan, mio cognato»

«Molto piacere» dissero gli altri in coro.

«È andato bene questo primo anno?» domandò la donna, sorridente. «Liam ci ha scritto moltissimo, parlando di ognuno di voi con toni esaltati»

Rowan guardò Liam con occhi strabuzzati. «Esaltato? Liam, riesci ad essere anche esaltato? Non sapevo»

Liam lo spintonò ridendo. «Rowan, il solito idiota»

«È bello sapere che gli amici di mio figlio hanno capito subito che tipo sia» si aggiunse il padre di Rowan, materializzatosi in quell’istante.

«Papà!» gridò Rowan, abbracciandolo. «Dov’è la mamma? Come sta?»

La madre di Rowan aveva partorito poche settimane prima una bellissima bambina. Purtroppo, nella foga e nel terrore di quell’anno scolastico, l’evento era passato quasi inosservato. Ora, finalmente, gli amici di Rowan poterono congratularsi col padre.

«Sta benissimo, Row. È a casa con Elisabeth, che ti aspetta trepidante»

«La mia sorellina!» si aprì in un sorriso radioso. «Gente, vi saluto tutti! Vado a conoscere la mia bellissima sorellina!» fece l’occhiolino, si aggrappò al braccio del padre ed entrambi sparirono in un pop.

Caitlin e Alana videro i genitori non troppo lontano da loro e rivolsero gli ultimi saluti.

Caitlin abbracciò forte tutti, ragazzi e ragazze, senza eccezioni, e schioccò un bacio sulla guancia di Lance, sorridendo.

«Mi raccomando, Lance-Pence, sempre più bello!» e, sotto gli occhi esterrefatti di tutti, si allontanò.

Alana fu molto più timida. Salutò con un veloce cenno e quando si trovò davanti a Lance arrossì furiosamente e scappò.

«Qualcuno deve tirarla un po’ fuori. Possibile che in un anno non si sia svegliata?» commentò Amelia, sognante.

«Sci penseromo l’anno prossimo» disse Sheldon, contenuto, prima di scorgere la madre e cominciare a sbracciarsi. «Mama! Mama!»

La madre di Sheldon corse verso di lui e l’abbracciò. «Il mio bambino! Come sei cresciuto!» parlava inglese correttamente.

Quando anche Sheldon se ne fu andato, rimasero solo Helen, Lance e Amelia.

«I tuoi, Amy?» domandò Helen, preoccupata. I suoi genitori e quelli di Lance si erano fermati a conversare.

«Arrivano in ritardo, andate pure»

«Ma nemmeno per idea! Li aspettiamo!»

Amelia si guardò intorno e scorse una donna dai capelli chiari, girata di schiena.

«Oh, ecco mia madre. Andate, pure! Sta parlando con la madre di Eleanor, quella del settimo!»

«Non pensavo si conoscessero» disse Lance, sospettoso.

«Erano vicine di casa quando erano giovani»

Helen stava cercando Abigail. Voleva salutarla prima di andarsene, ma purtroppo sembrava essere già andata.

«Vedrai Abigail durante le vacanze?» chiese a Lance, mentre si avviavano verso i genitori.

«Probabilmente sì. Ci vediamo tutte le vacanze»

«Salutamela»

«Lo farò»

Guardarono entrambi Amelia. «Ciao Amelia! Buone vacanze»

Amelia si diresse verso la donna, si avvicinò quando bastava per salutare da lontano Lance e Helen. Helen scomparve, Lance uscì con i genitori dalla stazione.

Tirò un sospiro di sollievo.

«Scusa, hai bisogno di qualcosa?» le chiese la donna dai capelli chiari.

«No, mi scusi, l’ho confusa con qualcuno che conosco»

Si guardò intorno con circospezione e poi uscì dalla stazione. Fuori l’attendeva una signora.

La donna, che un tempo doveva essere stata molto bella, appariva sfiorita. Dimostrava più anni di quanti ne doveva avere, aveva un fisico trascurato e qualche striatura bianca copriva il caschetto disordinato di capelli color cenere.

«Ciao, mamma» la salutò Amelia, speranzosa.

«Ciao, Amelia. Perché mi hai fatta aspettare? Sai che non posso lasciare la casa per tanto tempo!»

«Stavo salutando alcuni amici»

«Ti sei fatta degli amici? Sono contenta» sorrise la donna, prendendo la ragazza per mano.

«Già. Abbiamo organizzato di vederci. In agosto» continuò Amelia. Rivolse alla madre un’occhiata supplice.

La donna sospirò. «Sai come funziona. Se ti senti a posto con te stessa, vai pure»

Amelia strizzò gli occhi per evitare di piangere. «Come posso sentirmi a posto con me stessa, mamma? Come posso? Vorrei solo che tu mi dicessi: “Sì, Amelia, vai pure”»

«Non posso, e nei sei consapevole.»

«Allora vai al diavolo» tirò via la sua mano da quella della madre e corse avanti, per prendere il Nottetempo che l’avrebbe riportata a casa.

Sperò sinceramente che quelle vacanze, come tutte, durassero il meno possibile.

 

 

Due mesi dopo.

 

Carissimo Lance,

Sì, tutte “O” tranne una “A” in Difesa Contro le Arti Oscure.

Non dire nulla, sto andando a tagliarmi i capelli.

E NON provare a gongolare.

Una valanga di affetto,

 

Helen

 

 

 

 

(continua...)

 

 

 

 

 

 

Sì, avevo detto che ne mancavano due, purtroppo mi sono accorta che la divisione era sbagliata (erano troppo corti), quindi li ho uniti in un unico capitolo!

 

Innanzitutto vorrei augurare a tutti voi un felicissimo Natale!

Bene! Siamo giunti alla fine di questa splendida avventura! Sono stata felice di condividere con voi i personaggi che mi portano via ancora oggi un sacco di tempo e di fatica!

Il seguito è già avviato, ma ci vorrà ancora parecchio prima che lo finisca, quindi dovrete portare pazienza. Molta pazienza.

Vi anticipo già il titolo, che sarà L’altra faccia del Calice di Fuoco. Ebbene sì, salto Il Prigioniero di Azkaban. Non me ne vogliate, vi assicuro che non accade niente ai miei Hufflepuff. Ci saranno comunque dei rimandi e dei flashback nel caso di momenti importanti.

 

Desidero ringraziare tutti voi che mi avete seguito per un intero anno con pazienza, che avete sopportato l’eternità tra un aggiornamento e l’altro, che avete recensito o semplicemente letto, che avete apprezzato e ringrazio persino chi ha odiato la storia (voci che dovrebbero farsi sentire, a mio parere). Grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti, tra le seguite, tra le ricordate, a chi ha messo “mi piace” su fb ai capitoli... sinceramente, grazie a tutti.

 

Il grazie più grande va però a eleanor89 che, con pazienza certosina, ha letto e betato la storia, amato, sfottuto, odiato me e le pagine a volte incomplete. Ha riso con Rowan, si è incacchiata con Helen, ha chiamato Lance “Percival” e mi ha seguita passo passo fin dalle prime righe. Grazie, donna, sei troppo faiga.

 

Un altro grazie va sicuramente alla mia carissima amica francese naturalizzata milanese Veronika (chissà se leggerà mai questo capitolo XD), che mi ha corretto la pronuncia di Sheldon, indovinato praticamente il futuro amoroso di ogni personaggio e mi ha lasciata a bocca aperta con la sua analisi perfetta dei personaggi. Tesoro, sei un mostro.

 

L’ultimo grazie va a Helen, Lance, Rowan, Amelia, Alana, Caitlin, Liam, Geoffrey, Carey, Sheldon e Abigail, perché sono stati degli spettacolari compagni di viaggio.

 

Un sorriso a tutti voi, ci leggiamo, si spera, il più presto possibile.

 

Chiara

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