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Helen
Adams era una ragazza piccolina e un poco robusta. Aveva lunghi capelli biondi
mossi e due grandi occhi verdi.
In
quel momento si trovava nella stazione di King’s Cross, al binario nove e tre
quarti, pronta per lasciare Londra e partire alla volta della sua nuova scuola:
Hogwarts.
Helen
abbracciò il padre e baciò affettuosamente la madre, mentre il suo topo Moby si
dibatteva nella tasca. Lo prese tra le mani e gli accarezzò la testolina pelosa,
per farlo calmare: i rumori forti non gli piacevano.
«Helen,
ritira quel coso…» la pregò la madre.
La ragazza ridacchiò, rimettendo Moby nel taschino. Povero topo incompreso,
sapeva essere anche tenero quando lo voleva.
«Mi
scriverai, vero?» piagnucolò una bimba piccola e bionda, aggrappata alla sua
gamba.
«Tutti
i giorni, Diana. Lo prometto.» disse Helen, accarezzandola e scompigliandole i
capelli affettuosamente.
«Fatti
guardare.» mormorò il padre, commosso, facendo un passo indietro per ammirare la
figlia maggiore. «Sei bellissima.»
La
ragazza sorrise, girando su se stessa con una piroetta.
«La
mia bambina è diventata grande!» esclamò la madre, gettandole le braccia al
collo.
«Mamma!
Non vado in guerra!» borbottò Helen, cercando di sottrarsi dall’abbraccio
stritolante.
L’Espresso
per Hogwarts sbuffò fumo bianco e maleodorante, invitando tutti i ritardatari a
salire in carrozza al più presto. Helen non se lo fece ripetere due volte e,
dopo aver salutato ancora con la mano i genitori e la sorellina, saltò subito
sul primo vagone che si trovava davanti. Il baule malconcio (era appartenuto a
suo padre) che si portava dietro sballottò al primo movimento del treno,
rischiando di aprirsi e rovesciare tutto il contenuto. Afferrò la maniglia in
ottone e se lo trascinò dietro.
Trovò,
curiosamente, uno scompartimento vuoto e vi si lanciò dentro. Sollevò il baule a
fatica e lo appoggiò sulla rete di sicurezza del treno. Si sedette ed estrasse
Moby dalla tasca, appoggiandoselo sulle gambe. Il calore di quell’animaletto le
infondeva uno strano senso di calma e pace.
Aveva
comprato Moby una settimana prima quando, passando davanti al Serraglio Stregato
per le compere di inizio anno scolastico, aveva visto quel minuscolo topolino
bianco e non era riuscita a resistere al suo dolce musetto o agli occhietti
piccoli e acquosi. Quando era tornata a casa l’aveva mostrato alla madre e in
tutta risposta lei era quasi svenuta. Suo padre diceva sempre che i Babbani non
sopportavano la vista di alcuni animali che ai Maghi è permesso tenere: i topi,
ad esempio, erano il terrore di molte donne babbane.
Trascorse
più di un’ora prima che la porta dello scompartimento si aprisse per la seconda
volta: entrarono una ragazza e un ragazzo che sembravano abbastanza spaesati e
si accomodarono timidamente, sistemando i propri bauli.
«Anche
voi del primo anno, vero?» domandò Helen, cercando di rompere la silenziosa
situazione di imbarazzo che era venuta a crearsi. Aveva notato che come lei, a
differenza degli altri studenti più grandi, i due che aveva davanti non
portavano una cravatta colorata né uno stemma sulla propria divisa che indicava
la Casa di appartenenza.
«Già.»
le rispose il ragazzo. Aveva una vocina acuta e ancora da bambino che intenerì
molto Helen.
«Piacere,
sono Helen Adams.» sorrise, porgendo la mano prima al ragazzo e poi alla
ragazza.
«Io
sono Lancelot Wallace.» rispose, stringendole la mano. «Ma chiamami Lance, ti
prego.» disse. Aveva un forte accento scozzese e gli occhi grigi come il cielo
coperto.
«Lance.»
asserì Helen, divertita. Aveva capito che il ragazzo non era particolarmente
entusiasta del suo nome. Rivolse poi lo sguardo verso la
ragazza.
«Abigail
Williams.» le strinse la mano, a disagio. «E scusami se ti guardo come se avessi
una cacca di Doxy sul viso, ma non sopporto gli spazi chiusi.» sorrise,
mostrando una fila di denti bianchi.
«Oh,
non preoccuparti! Anzi, se preferisci possiamo tenere aperta la porta.» ed
indicò la porta scorrevole dello scompartimento.
«No,
stai tranquilla, mi basterà guardare fuori dalla finestra.»
rise.
«Ehm,
cacca di Doxy?» domandò Lance, guardando Abigail, come se non avesse mai sentito
un’espressione del genere in tutta la sua vita.
Abigail
sbuffò, seccata. «Sì, Lance, cacca di Doxy. Il Doxy è un disgustoso animale che
assomiglia a, uhm, una fata pelosa con tante braccia e gambe e una fila di denti
velenosi.» delucidò, con il tono di chi stava insegnando qualcosa ad un bambino
di cinque anni.
Helen
rise. «Babbano?»
«È
mio cugino.» chiarì la ragazza, facendo una smorfia annoiata. «Sua madre, ovvero
mia zia e sorella di mio padre, odia la magia e si è sposata con un
babbano.»
«O
semplicemente era gelosa del fatto che tuo padre fosse un Mago e lei una Maganò…
avreste dovuto vedere che faccia ha fatto quando ha scoperto che anche io ero un
Mago!» esclamò pomposo, scompigliandosi i corti capelli
neri.
Abigail
rise. «Posso immaginare! In famiglia siamo rimasti tutti un po’
stupiti…»
Helen
si unì alla ragazza, già più sollevata per il viaggio: temeva di doverlo
trascorrere tutto da sola con…
«Moby!»
gridò, non sentendo più peso premergli sulle gambe.
«Moby?»
ripetè Abigail poco dopo, con sguardo interrogativo.
«Topo!»
urlò Lancelot nello stesso istante, saltando in piedi sul sedile del treno e
abbracciando Abigail, terrorizzato, mentre il piccolo topolino bianco squittiva
poco sotto di lui.
«Fermo,
Lance! È solo un topolino! È il mio Moby!» Helen si alzò in piedi, scattando per
prendere l’animaletto. Affondò la testa sotto il sedile e afferrò con la mano il
povero Moby, che si contorceva in preda al panico.
«Moby?
Moby è il tuo topo? Tu hai un topo?»
replicò disgustato, guardando con orrore l’esserino bianco nelle mani di
Helen.
«È
carino.» commentò Abigail, tendendo l’indice ad accarezzare il musetto
spaventato del topino. «Ciao, piccolo Moby.» sorrise, parlando con un tono da
bambina.
«Che
schifo!» continuò Lance, non riuscendo a staccare gli occhi da Moby che sembrava
essersi calmato appena.
«Sai,
potrebbe dire la stessa cosa di te.» dichiarò Helen, mettendo il piccolo
fagottino bianco nella tasca della giacca. Moby si rigirò nella tasca, trovando
presto la posizione che più lo aggradava e accoccolandosi contro la stoffa
morbida.
Abigail
scoppiò a ridere, scuotendo la lunga chioma di capelli corvini. «Lascialo
perdere: Lance è tutto-fobico.»
«Non
è vero!» sbottò il ragazzo, incrociando le braccia al petto con espressione
offesa. «Ho solo una leggera paura degli insetti!» ringhiò, accavallando una
gamba sull’altra e voltando lo sguardo stizzito.
«Certo,
tutti sanno che i topi sono delle api senza ali…» ironizzò la cugina,
divertendosi come una bambina a prenderlo in giro.
Helen
a stento trattenne le risa vedendo come Lance era arrossito al sentire quelle
parole. Gli occhi grigi scintillarono.
«E
comunque parli proprio tu, signorina non-sopporto-gli-spazi-chiusi!» puntò il
dito irrisorio verso Abigail mentre sul suo viso si dipingeva un ghigno
malefico.
«Va
bene, va bene…» replicò la ragazza accondiscendente, salvo poi rivolgersi a
Helen tutta un sorriso. «In realtà ha anche altre fobie stranissime, ma
preferisce non darlo a vedere.»
«Smettila!»
sbottò Lance, mentre le due ragazze riprendevano a ridere.
In
quell’istante qualcuno bussò alla porta del loro scompartimento. Helen si alzò e
fece scorrere la porta, rivelando una ragazza minuta, dai folti capelli ricci e
con la divisa di Gryffindor. Sembrava essere molto
preoccupata.
«Mi
dispiace disturbarvi» ansimava, probabilmente doveva aver corso da uno
scompartimento all’altro. «Non è che avete visto Harry Potter e un ragazzo alto
dai capelli rossi? Sono miei amici, ma non li ho visti al binario nove e tre
quarti e sono piuttosto preoccupata…»
Abigail
si portò una mano alla bocca, scioccata. «Tu sei amica di Harry Potter?» disse,
strabiliata.
La
ragazza annuì con vigore e arrossì. «Sì, mi chiamo Hermione Granger e sono del
secondo anno.» si presentò frettolosamente. Sembrava avesse gran premura di
trovare i suoi amici.
«Ma
io so chi sei!» esclamò Abigail, alzandosi in piedi con tanta foga che fece
trasalire Lance. «Mio fratello David mi ha raccontato di te! L’anno scorso
frequentava l’ultimo anno a Ravenclaw. Mi ha detto che sei stata la migliore di
quelli del primo anno agli esami finali!»
Hermione
si imbarazzò ancora, ma dava l’idea di essere molto compiaciuta. Si congedò dopo
pochi secondi affermando che doveva trovare i suoi amici e chiuse la porta dello
scompartimento. Da quel momento non entrò più nessuno se non la signora del
carrello dei dolci.
L’Espresso
per Hogwarts filava veloce sulle rotaie e il tempo trascorreva inesorabile, ma i
tre ragazzi quasi non se ne accorsero. Ridevano, scherzavano e, dopo che la
signora del carrello dei dolci fu passata, giocavano a rubarsi le Cioccorane,
finendo con lo scambiarsi le figurine e traumatizzare il povero Lance che non
sapeva che le Gelatine Tuttigusti+1 potessero anche avere il gusto del cerume o
delle caccole (e, purtroppo per lui, lo scoprì proprio quel
giorno).
«In
che Casa vorreste essere smistati?» domandò Helen, porgendo una scatole di
Gelatine Tuttigusti+1 a Lance e ridendo alla vista della sua
reazione.
«Io
non lo so…» rispose Abigail per prima, leggendo il retro di una figurina delle
Cioccorane. «La mia famiglia è andata principalmente a Ravenclaw, quindi
immagino che sarò smistata lì. »
«Io
spero in Gryffindor, anche se non ci andrò sicuramente. Lo zio dice che sarei un
Ravenclaw perfetto, ma forse solo perché anche lui era un Ravenclaw…» spiegò
Lance, sorridendo. Non sembrava affatto preoccupato dalla Casa in cui sarebbe
finito. «E tu, Helen?»
La
ragazza rise, fiera. «Io sarò una Hufflepuff, come mio padre e suo padre prima
di lui.»
La
risata di Lance si aggiunse alla sua e in seguito quella di Abigail. La ragazza,
tuttavia, non rideva dalla gioia, ma dall’imbarazzo: i suoi genitori le avevano
raccontato più volte di come fosse mediocre la Casa degli
Hufflepuff.
Il
discorso sulle Casa terminò con ilarità; ma Abigail dovette sforzarsi a non
commentare nelle due ore che precedettero l’arrivo ad
Hogwarts.
Quando
il treno si arrestò era giunto ad una stazione lugubre e buia, illuminata a
tratti da due o tre lampioni che si alternavano ad alcune panchine in
legno
«Primo
anno! Primo anno da questa parte!» tuonò un vocione potente, proveniente da un
uomo altissimo e nerboruto. Un crocchio di ragazzi in divisa nera priva di
stemmi si radunò davanti all’omone che in quel momento stava salutando la
ragazzina dai capelli ricci e disordinati con la cravatta rossa e oro. Era
Hermione.
«Come
mai noi non andiamo con loro?» sussurrò Lance, tremante, indicando i ragazzi che
si stavano dirigendo verso il castello. «Ehi, io voglio andare con loro. Non
voglio restare con questo qui!» si aggrappò al braccio della
cugina.
«E
smettila! Mi metti in imbarazzo!» replicò Abigail, cercando di staccare Lance
dal suo braccio e guardandosi intorno per controllare che nessuno la stesse
osservando incuriosito.
Helen
mosse un passo indietro per evitare una gomitata assassina di Abigail, che
continuava la lotta contro il cugino, e sentì qualcuno gemere alle sue
spalle.
«Ahi!»
si lamentò una vocina. Helen si voltò per scusarsi.
«Nessun
problema!» la tranquillizzò il ragazzino a cui aveva accidentalmente pestato un
piede. Era magro e mingherlino, con i capelli biondo cenere e occhi giganti che
saettavano da una parte all’altra. Al collo portava una grande macchina
fotografica.
«Ciao!
Mi chiamo Colin Creevey! Sai già in che Casa verrai smistata? Io non vedo l’ora
di scoprirlo!» attaccò Colin, stordendo Helen con le sue chiacchiere. Intanto il
crocchio aveva iniziato a muoversi verso il lago. Ormai tutti avevano capito che
i misteriosi lamenti provenivano da Lance, che era pallidissimo e sempre più
terrorizzato.
Helen
sorrise. «Mi chiamo Helen Adams e spero di finire a Hufflepuff.»
Vide
che il Gigante – Hagrid, se non andava errata – stava togliendo gli ormeggi ad
alcune barche, facendovi salire gli studenti a quattro o cinque per
volta.
Si
unì ad Abigail, Lance e Colin salendo su una delle ultime scialuppe rimaste.
Quando la barca fu libera dagli ormeggi prese a scivolare sullo specchio d’acqua
nero, che rifletteva le stelle del cielo. Era una serata luminosa e piuttosto
fresca: una gita sul lago non sembrava una cattiva idea.
Helen
si sporse dalla barca, facendo attenzione a non cadere (non era esattamente una
piuma) e osservò la splendida rocca davanti a sé. Colin cominciò a scattare una
fotografia dopo l’altra.
La
rocca era scura e quasi tetra a prima vista, ma ogni finestra era illuminata e
dava a Hogwarts l’aspetto di un antico castello fiabesco andato in rovina, dove
feste e balli erano stati all’ordine del giorno.
«Guardate!
Guardate!» gridò Colin, sporgendosi dallo stesso lato di Helen e riprendendo a
fare fotografie, provocando un forte scossone alla barca che fu salvata dal
rovesciamento soltanto grazie al pronto intervento della ragazza, che riuscì a
spostarsi dalla parte opposta riequilibrando il peso.
«Ma
chi è quello?» le chiese Abigail, leggermente scossa, mentre assisteva Lance con
l’inalatore per l’asma provocatogli dal terrore di cadere nella fredda e
profonda acqua del lago.
«Colin.
È simpatico, mi fa ridere!» ghignò Helen, osservando la reazione della ragazza
alla parola «simpatico».
«Ehi,
voi là in fondo! Non vi consiglio di far traballare la barca e fare foto con il
flash: disturberete la Piovra Gigante!» urlò loro Hagrid, che si trovava a una
decina di metri di distanza.
«P-Piovra
Gigante?» balbettò Lance, riattaccandosi quasi subito all’inalatore per evitare
di svenire. «Io non voglio avere a che fare con nessuna Piovra Gigante, okay?»
disse con la voce che tremava dal panico.
«Lance,
sei proprio una femminuccia…» sbuffò Abigail, scuotendo la testa in segno di
negazione, arrendendosi all’evidenza di avere un cugino fifone come un
coniglio.
«Beh,
se posso dire la mia, il pensiero che una Piovra Gigante stia nuotando sotto di
noi e noi non possiamo vederla mi fa un po’ paura…» rivelò Helen timidamente,
rintanandosi in un angolino della barca con le ginocchia strette al
petto.
«Anche
tu, Helen? Ma che razza di fifoni siete?» rise Abigail, prima di strillare
spaventata alla vista di un tentacolo grosso come un’automobile uscire
dall’acqua.
Helen,
Lance e Colin furono presi da un attacco di risate, vedendo la loro amica
spavalda bianca come un lenzuolo.
«La
pagherete.» disse, tentando di restare seria. La risata di Helen era grassa e
aperta, fin troppo contagiosa.
Non
ci volle molto prima che le barche raggiungessero la riva opposta. Una per volta
si sistemarono e ormeggiarono da sole, senza bisogno dell’aiuto
manuale.
Abigail
rimase sbalordita. «Sono di sicuro Incantate. Bellissimo!» commentò con occhi
che brillavano dalla meraviglia: il mago che le aveva Incantate doveva essere
tremendamente abile. Voleva essere
capace anche lei a praticare magie a livello così avanzato; doveva assolutamente
imparare.
«Gail?
Ti muovi?» la chiamò Lance pochi metri più avanti. Il gruppetto di studenti
aveva ricominciato a muoversi, capeggiato da Hagrid. La ragazza pensò che un
uomo della stazza del Guardiacaccia (così si era presentato) non poteva che
essere un incrocio con un Gigante: si chiese se non fosse pericoloso. Suo padre
le raccontava sempre che quando l’Oscuro Signore era stato grande e potente,
anche i Giganti si erano inchinati di fronte a lui.
Entrarono
attraverso un enorme portone di legno che, a giudicare dagli innumerevoli
clangori metallici delle serrature che sentiva, doveva essere molto protetto.
Deglutì, sperando di non sentirsi chiusa in trappola una volta
entrata.
Il
portone si aprì con uno scatto, scoprendo un uomo arcigno e minaccioso che stava
guardando tutti gli studenti in cagnesco.
«Sei
in ritardo, Hagrid. Quei mostriciattoli si stanno lamentando dalla fame!
Sapessero cosa pativo io quand’avevo la loro età…» sbottò l’uomo, sputacchiando
saliva qua e là.
Lance
si nascose dietro Abigail, sperando che il vecchiaccio non avesse germi che
potessero infettarlo.
«Lo
so, Filch. Ogni giorno per te era una sofferenza. Abbiamo assistito ad un
piccolo spettacolino offertoci dalla Piovra… se vuoi te la prendi con lei.»
disse Hagrid, sorpassandolo velocemente, seguito da tutti gli studenti che
avevano cominciato a guardare il signor Filch sottecchi.
Colin
estrasse la macchina fotografica e scattò una foto a Filch, che in tutta
risposta prese ad insultarlo con epiteti di dubbio gusto, allontanandosi dal
crocchio con un gatto spelacchiato al seguito.
Si
fermarono di fronte ad un altro portone, non colossale quanto il primo, e
vennero raggiunti da una professoressa molto alta e algida, con un paio occhiali
calati sul naso e un volto pieno di piccole rughe.
«Un
caloroso benvenuto a tutti. Io sono la professoressa McGonagall, insegnante di
Trasfigurazione e direttrice della Casa di Gryffindor.» una ragazza dai capelli
rossi scambiò un’occhiata con una sua vicina e ridacchiò.
La
professoressa McGonagall tossicchiò, richiamando la ragazza all’attenzione.
«Alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts esistono quattro Case:
Gryffindor, Hufflepuff, Ravenclaw e Slytherin. Voi tutti verrete Smistati in una
di queste a breve. Tengo a precisarvi che ogni malefatta o trasgressione delle
regole potrebbe costarvi punti cari alla vostra Casa per vincere l’ambita Coppa
delle Case alla fine dell’anno scolastico; invece, ogni vostra buona azione o
dimostrazione di studio verrà premiata con punti.
«Ora
vi prego di seguirmi nella Sala Grande per la Cerimonia dello Smistamento. Spero
che molti di voi possano riempire il tavolo della mia Casa.» completò,
sorridendo.
Devo essere
impazzita.
Bene, eccomi
qui. La mia prima fan fiction nel fandom di Harry Potter. *incrocia le
dita*
Come dice il
titolo, questa storia ripercorrerà tutta “La Camera dei Segreti” dal punto di
vista di questo gruppetto di ragazzi (Hufflepuff? Gryffindor? Chi lo
sa!).
In questi
ragazzi ho riversato tutto il mio cuore e la mia anima. Ciascuno di loro è una
piccola parte di me e spero possiate apprezzarli tanto quanto io ho apprezzato
scriverli.
La fan fiction
si collega a quella di eleanor89 “Cedric’s friends and the Goblet of Fire”
(compariranno molti suoi personaggi originali) ma non vuole copiarla, anzi,
entrambe le fic sono state scritte di comune accordo.
Le recensioni
sono gradite, soprattutto se trovate qualcosa che non
quadra!
Le
porte si aprirono e i ragazzi furono catapultati in un’enorme sala illuminata da
candele che galleggiavano sopra le loro teste mentre il soffitto rifletteva il
cielo blu scuro e le stelle che avevano visto poco prima.
Era
uno spettacolo stupefacente.
Helen
e Colin, entusiasti, girarono su loro stessi per avere una completa visuale
della splendida sala, Lance camminava titubante, guardando da una parte e
dall’altra e incontrando occhi di ragazzi tutti più grandi di
lui.
Abigail,
invece, era esterrefatta: non vedeva assolutamente l’ora di imparare a fare
magie tali da rendere una semplice sala da pranzo un luogo così
meraviglioso.
Si
fermarono in fila indiana e videro che un uomo anziano dalla lunga barba
argentea si era alzato in piedi. Subito il chiacchiericcio di fondo si
zittì.
«Abbia
inizio lo Smistamento.» esordì.
«Io
so chi è! So chi è!» esclamò Colin, scalpitando. «È Albus Dumbledore!» disse,
strabiliato, scattando una foto al Preside, che sorrise
benevolo.
Solo
allora notarono che un grosso cappello rattrappito era appoggiato su uno
sgabello. Il cappello si mosse e dalle pieghe poté distinguersi una bocca da cui
uscì un’allegra canzone, molto simile alle filastrocche che, ricordò Lance, sua
madre gli cantava quando aveva paura dei mostri sotto il
letto:
Uno
sprovveduto direbbe sicuro:
«Ma
che brutto cappello scuro!»
Ma
io vi consiglio di guardare
come
chi ha testa per pensare:
magari
non è un cappello come tutti,
ma
un cappello speciale tra i brutti.
Per
poter dividere della loro Scuola gli studenti
quand’anche
loro sarebbero stati morenti,
quattro
persone mi crearono:
due
Maghi e due Streghe se ne occuparono.
I
quattro furon davvero potenti:
Hufflepuff,
che a tutti apriva i battenti
Ravenclaw,
che d’intelligenza tutti superava
Gryffindor,
che sempre coraggio trovava
E
il fier Slytherin, culla degli acuti ambiziosi.
Ma
ora, bando ai discorsi leziosi.
In
assenza dei fondatori sarò io a dividervi
prima
che gustiate i deliziosi viveri.
Ogni
virtù a voi troverò
Ed
io, il Cappello Parlante,
nella
giusta Casa vi smisterò.
Helen
rise, divertita dalla canzone. Suo padre le aveva raccontato delle simpatiche
filastrocche del Cappello Parlante, con le quali presentava se stesso e le
quattro Case.
«Paura
di essere smistata in qualche brutta Casa?» domandò Colin, che ora fremeva dal
terrore. «Io spero di andare in Gryffindor! Sai, c’è Harry Potter a Gryffindor!
Harry Potter!» esclamò Colin, con la solita euforia.
«Harry
Potter? Il Bambino-Che-È-Sopravvissuto, colui che ha sconfitto l’Oscuro Signore
è a Gryffindor?» domandò Abigail, interessata al discorso.
«Proprio
lui!» asserì Colin.
«C’era
da aspettarselo. Mio fratello non me l’aveva detto.»
La
professoressa McGonagall chiamò «Abercrombie Astalda.», la prima dell’elenco.
Tutti fissarono attentamente il Cappello Parlante. La professoressa appoggiò il
cappello sulla testa di Astalda, questo si mosse appena; non ci volle molto
prima che urlasse «RAVENCLAW!»
Astalda
saltò giù dallo sgabello e corse verso il tavolo di Ravenclaw, dove un gruppo di
studenti con cravatte nere e blu la stava aspettando.
«Aiuto!
E se non mi ritenesse degno di alcuna Casa?» balbettò Lance, nel
panico.
Abigail
sbuffò. «Lance, ti prego, non farmi arrabbiare.» mormorò, portandosi una mano
alla fronte.
«Adams
Helen.» risuonò la voce della McGonagall. Helen prese un profondo respiro e salì
i pochi gradini che la separavano dal Cappello. Si sedette sullo sgabello e
attese.
«Uhm…» la voce del Cappello Parlante le
riecheggiò nella mente. «Un buon
cervello, da cui si potrebbe ricavare una strega sopraffina, ma anche una gran
voglia di mettersi a disposizione degli altri, tanta generosità e… accidenti!,
un cuore buono e giusto. Sì, ho deciso…» ci fu una pausa che a Helen parse
durare secoli. «HUFFLEPUFF!»
La
ragazza si alzò, sorridente, e scese i gradini, dirigendosi verso il tavolo
giallo e nero, che era esploso in un boato. Si accomodò di fianco ad una ragazza
in carne con i capelli morbidi raccolti in due treccine. Abigail
ridacchiò.
«Mi
chiamo Hannah Abbott.» si presentò, e Helen le strinse a mano e ripeté il suo
nome per cortesia.
Helen
rimase a guardare il resto dello Smistamento, per scoprire quali sarebbero stati
i suoi nuovi compagni. Hufflepuff non sembrava essere la migliore delle Case:
quando qualcuno veniva Smistato a Hufflepuff vedeva molti Slytherin ridacchiare,
e nemmeno i Gryffindor si trattenevano molto.
Che
razza di maleducati.
«Creevey
Colin.» chiamò la professoressa.
Il
piccolo Colin si fece avanti e Helen sperò con tutta se stessa che finisse a
Gryffindor, insieme a Harry Potter.
Improvvisamente
si sentì un rombo provenire da fuori il castello. Studenti e professori
lanciarono sguardi incuriositi alla finestra e ciò che videro li lasciò a bocca
aperta: un’automobile babbana azzurra stava sfrecciando in cielo, a pochi metri
dalla gigantesca finestra della Sala Grande.
Alcuni
studenti urlarono, cosa che, notò, fece anche il povero Lance, nascondendosi
dietro Abigail, esterrefatta quanto gli altri.
Colin
si alzò dallo sgabello e scattò l’ennesima fotografia, mentre l’automobile
volante si allontanava con un rombo, schiantandosi dritta contro un albero
gigantesco e cadendo per terra.
«No!
Ron!» urlò un ragazzo lentigginoso e dai capelli rossi al tavolo di Gryffindor.
Aveva una grossa “P” dorata sulla divisa.
«No!
Il Platano Picchiatore!» urlò un altro ragazzo di quello stesso tavolo,
scuotendo il gemello identico.
Helen
lanciò un’occhiata al tavolo dei professori e vide che un uomo dal naso adunco e
un’espressione disgustata si era accostato al Preside, sussurrandogli qualcosa
nelle orecchie.
«Chi
è quello?» domandò a Hannah, indicando quel professore.
«Snape.»
rispose semplicemente la ragazza. «Odioso, unticcio, orribile insegnante di
Pozioni. Ammetto che ne sappia una in più del diavolo, ma è davvero… orribile.»
Dumbledore
si alzò in piedi, richiamando l’attenzione tintinnando un coltello contro il
bicchiere. La Sala si zittì in un attimo, tutti gli occhi rivolti verso il
Preside.
«Non
temete, il professor Snape si occuperà del problema.» tranquillizzò gli studenti
con dolcezza. «Ora direi di continuare con lo
Smistamento.»
Così
fu, ma il leggero brusio di poco prima si era trasformato in un chiacchiericcio
sommesso: tutti volevano sapere chi fosse a bordo di
quell’automobile.
Un
ragazzo dal fondo del tavolo si alzò, incamminandosi verso di loro nello stesso
istante in cui il Cappello smistò Colin a Gryffindor. Vide Hannah gesticolare
esagitata verso la ragazza che aveva davanti.
«È
Cedric! È lui! Sta venendo verso di noi!»
Il
ragazzo di nome Cedric si avvicinò. «Ho ricevuto una soffiata dai Ravenclaw:
dicono che Potter e il suo amico coi capelli rossi non siano a tavola! E non
erano neanche sull’Espresso per Hogwarts!» esclamò, eccitato. Era molto bello ed
emanava un buon profumo di pulito, lo stesso che Helen sentiva provenire dalla
lavanderia quando la sua mamma lavava i vestiti alla maniera
babbana.
«Potter?
Stiamo sempre parlando di Harry Potter?» s’intromise Helen, per non essere
ignorata.
«Sì,
proprio lui.» le sorrise Cedric. «Ah, comunque, benvenuta tra le file degli
Hufflepuff! Sono Cedric Diggory.» le strinse la mano,
allegro.
«Helen
Adams.» si presentò per l’ennesima volta. «Quindi probabilmente è Harry Potter a
guidare quella macchina? Wow…» disse, sinceramente
stupita.
Si
guardò in giro, per rendersi conto di quanto la notizia avesse fatto scalpore, e
vide una ragazza eccentrica, dai capelli biondi chiarissimi e un cerchietto con
una foglia di lattuga in testa guardare ancora in alto, trasognata, nonostante
lo spettacolo fosse finito.
Un
ragazzo appena smistato si sedette al tavolo degli Hufflepuff e sembrava fosse
molto più spontaneo ed estroverso, quindi attaccò subito bottone con Hannah e le
altre ragazze. Helen distolse l’attenzione e tornò ad osservare lo
Smistamento.
Non
mancavano molti alunni. In fila indiana erano rimasti soltanto Abigail, Lance,
tre ragazzi che non conosceva e la ragazza dai capelli rossi che aveva
ridacchiato davanti alla McGonagall.
Quando
anche Jack Sloper (Gryffindor), Robert Trace (Ravenclaw) e David Upperton
(Slytherin) si furono seduti ai tavoli, la McGonagall chiamò
Lance.
«Wallace
Lancelot.»
Lance
incespicò salendo gli scalini. Helen poteva giurare fosse nel panico più
completo.
Gli
fu posto il Cappello sulla testa e il ragazzo sentì la voce risuonargli in
testa.
«Non
hai un cuor di leone, eh?, ma grande lealtà nei confronti dei tuoi amici. Però,
con questo cervello, Ravenclaw sarebbe la scelta
migliore…»
«No…»
sussurrò Lance: non conosceva nessuno a Ravenclaw, gli sarebbe piaciuto andare a
Hufflepuff, dove c’era già Helen. «Ah,
dunque niente Ravenclaw? Capisco. Beh, sei determinato, sai quello che vuoi e
scommetto che questa Casa tirerà fuori il meglio di te.» Lance trattenne il
respiro.
«HUFFLEPUFF!»
gridò il Cappello.
Helen
batté forte le mani insieme a tutto il tavolo e Lance corse verso di loro,
facendosi spazio per sedersi accanto alla ragazza.
«Evviva!
Siamo nella stessa Casa!» esclamò, euforico, dimenticandosi completamente dei
timori che l’avevano afflitto poco prima. «Ora manca solo
Gail.»
«E
quella rossa.» aggiunse Helen, indicando col mento la ragazza che era appena
stata chiamata.
«Weasley
Ginevra.»
«Un
altro Weasley?» sentì esclamare dal tavolo di Ravenclaw. La ragazza Weasley si
strinse ancora di più nelle spalle gracili.
Non
fece nemmeno in tempo a indossare il Cappello che questi gridò: «GRYFFINDOR!».
Ginevra si alzò felice e andò a sedersi vicino ai due gemelli Gryffindor, che
sembravano conoscerla molto bene.
«Williams
Abigail.» lesse la McGonagall dalla pergamena che aveva in
mano.
Abigail
salì in modo elegante, a testa alta. Si sedette sullo sgabello, si mise il
Cappello e, come era successo ai precedenti smistati, anche lei lo sentì parlare
nella sua testa.
«Tu
sembri più difficile… Onesta, una buona dose di coraggio, astuzia e ambizione da
vendere. Non credo di osare troppo se ti affido a questa Casa, ma tu promettimi
che starai attenta. Non voglio che l’ombra che possiedi già si
espanda.»
«Lo
prometto.» mormorò Abigail, senza sapere bene che cosa
pensare.
«SLYTHERIN!»
urlò il Cappello. Il tavolo di Slytherin esplose in urla e applausi, mentre
Abigail trotterellava verso di loro, lanciando però un’occhiata sconsolata a
Lance e Helen. Le dispiaceva che non fossero nella stessa Casa, ma almeno non
era stata smistata a Hufflepuff.
Lance
salutò la cugina, che rispose con un largo sorriso, prima di essere sgomitata
dalla sua vicina, che le chiedeva attenzione.
«Bene,
grazie mille a tutti voi.» si alzò il professor Dumbledore. «Rimandiamo i noiosi
discorsi a dopo cena: buon appetito!»
Sulle
tavole imbandite apparvero pietanze di ogni sorta. Lance, spaventatosi dalla
comparsa improvvisa di un tacchino arrosto proprio davanti a lui, si aggrappò al
braccio di Helen.
«Accidenti,
Slytherin… brutta Casa.» commentò Cedric, che era rimasto con loro a parlare. «È
una vostra amica?» chiese poi ai due ragazzi.
«È
mia cugina e sì, nostra amica.» rispose Lance, incuriosito da come Cedric aveva
definito Slytherin.
«Beh,
spero riusciate a mantenerla, questa amicizia. Solitamente gli Slytherin non
tengono molto da conto gli Hufflepuff…»
«Ma
che cos’hanno gli Hufflepuff di sbagliato?» continuò il ragazzo, alzando appena
la voce. Aveva notato come gli altri tavoli, Slytherin soprattutto, ridevano
quando uno smistato finiva a Hufflepuff.
«Di
sbagliato? Niente, proprio niente. Seguiamo le regole, aiutiamo le persone,
siamo leali e non ci distinguiamo per essere particolarmente bravi in qualcosa…»
spiegò Cedric. «Forse è per questo che siamo così poco interessanti: dopotutto
siamo solo persone comuni.» concluse. Si alzò dal posto e li salutò, ritornando
al fondo del tavolo con i suoi amici.
Lance
sbuffò, servendosi una generosa fetta di arrosto e patate.
Helen
sorrise vedendolo impiastricciarsi la divisa di sugo, poi sentì il rigonfiamento
nella tasca della divisa: Moby doveva aver annusato qualcosa di suo gradimento e
la ragazza era sicura che fosse quell’ottima forma di Cheshire vicino
all’arrosto. Ne tagliò un pezzettino e lo mise nella stessa tasca di Moby. Sentì
che il topolino doveva aver apprezzato, quindi ne prese un pezzo ancora più
grosso e lo nascose, così avrebbe avuto anche il dessert.
Guardò
di sfuggita Abigail, che stava animatamente chiacchierando con alcuni Slytherin
del secondo anno e ridendo come se fossero amici di vecchia data. La vide
girarsi e le sorrise, ricambiata.
Helen
e Lance divorarono tutto con gusto e il ragazzo si azzardò persino ad assaggiare
il succo di zucca, che a prima vista gli sembrava qualcosa di
disgustoso.
Quando
tutti i piatti furono ripuliti, Dumbledore richiamò nuovamente la loro
attenzione.
«Miei
cari studenti.» esordì, sorridendo. «A tutte le vecchie conoscenze, bentornati;
ai nuovi arrivati, benvenuti. Ora che ci siamo saziati è bene che io vi esponga
le principali regole di Hogwarts.»
Dumbledore
parlò per un quarto d’ora abbondante, spiegando regole e dettagli di Hogwarts.
Lance, blocchetto in mano, aveva cominciato a prendere appunti furiosamente,
mentre molti Hufflepuff del primo anno lo guardavano
divertiti.
«Quest’anno
avremo anche l’onore di ospitare nel nostro corpo insegnanti una figura di
grande rilievo nel Mondo Magico.» disse Dumbledore, indicando con un elegante
gesto della mano l’uomo che si era alzato in quell’istante. «Il famoso Gilderoy
Lockhart, Ordine di Merlino, terza classe, che insegnerà Difesa Contro le Arti
Oscure!»
Molte
ragazze esplosero in applausi fragorosi e urletti di emozione. Helen guardò
Lockhart con occhi sognanti.
L’uomo
si alzò in piedi. Un largo sorriso si aprì sul suo viso e i denti brillarono
(doveva aver fatto un Incanto Sbiancante).
«Grazie,
professor Dumbledore. Ha dimenticato che sono anche grande vincitore del premio
del Sorriso più Seducente del Settimanale delle Streghe » disse, tutto ampolloso
e sfavillante. «Ragazzi, sono davvero felice di essere qui. Ad essere sincero
avevo ricevuto un gufo anche dall’Accademia Beauxbatons, che mi voleva come
insegnante a tutti i costi, ma io ho rifiutato.» molte ragazze trattennero il
respiro. «Sapevo che il professor Dumbledore desiderava avermi nel suo corpo
insegnanti più di chiunque altro. Forse perché ha letto A spasso con gli spiriti, o anche Trekking con i troll e, notando tanta
perfezione in una persona sola, mi ha implorato di accettare il posto di Difesa
Contro le Arti Oscure.» il suo sorriso si allargò ancora di più, se possibile.
Molti insegnanti storsero il naso.
«Ma
quanto è vanitoso?» ridacchiò un Hufflepuff dagli occhi azzurrissimi seduto di
fronte a Lance. «Non lo sopporto.»
«Beh,
ma anche io lo sarei se avessi fatto tutte quelle cose incredibili che ha fatto
lui!» lo difese Helen.
«Che
dice di aver fatto.» la corresse il
ragazzo. «Ma dai, davvero pensi che sia riuscito a far diventare un vampiro
vegetariano? O che abbia sconfitto un lupo mannaro come se niente
fosse?»
Ed
effettivamente, a questo Helen non poteva replicare: di sicuro il volto da
bambino e il corpo minuto non aiutavano l’idea che fosse un mago da
temere.
«Cos’ha
fatto?» esclamò Lance, a voce più alta del normale, attirando l’attenzione su di
sé.
«Un
sacco di cose!» rispose eccitata Helen. «Dovresti leggere i suoi
libri.»
Al
termine del discorso il Preside li congedò, augurando loro la buonanotte. Subito
due ragazzi Hufflepuff con una grossa “P” stampata su una spilla si alzarono,
chiamando a sé gli altri studenti.
«Primo
anno! Primo anno, seguitemi!» gridavano. Lance e Helen si accodarono insieme ai
loro coetanei e presero a camminare. Mentre tutti gli altri studenti si
dirigevano verso le scale (Slytherin quelle per i sotterranei, Gryffindor e
Ravenclaw la scalinata principale), gli Hufflepuff svoltarono a sinistra,
infilandosi tutti in un corridoio largo ed elegante. Sorpassarono molti quadri
che li salutavano gioviali e incontrarono un fantasma panciuto che disse di
chiamarsi Frate Grasso.
«Lui
è il nostro fantasma.» spiegò Hannah a Helen, mentre Lance aveva un attacco di
tachicardia e si attaccava al braccio dell’amica, bianco come un cencio. «Ogni
Casa ne possiede uno: noi abbiamo Frate Grasso, Ravenclaw la Dama Grigia,
Slytherin il Barone Sanguinario e Gryffindor
Nick-Quasi-Senza-Testa.»
«Quasi-Senza-Testa?»
domandò Lance, tremando.
«Oh,
fattelo spiegare da lui, è orribile!» rabbrividì Hannah, avanzando più in fretta
per raggiungere una sua coetanea che aveva il viso deturpato
dall’acne.
Lance
guardò Helen con occhi lucidi dalla paura. «Dimmi che è un brutto sogno…» la
pregò, e Helen scoppiò in una grassa risata, che si trasformò in un urlo di
terrore dopo che fu trapassata da Frate Grasso.
«Oh,
chiedo scusa, giovincella.» ridacchiò il fantasma, sparendo dietro un
muro.
La
calca degli Hufflepuff si fermò di fronte ad un arazzo con dipinto un uomo
sorridente e un po’ brillo, che accarezzava un gigantesco
alano.
«Parola
d’ordine?» domandò l’uomo, squadrando il Prefetto da capo a
piedi.
«Due teste sono meglio di
una.»
«Oh.»
disse Helen, divertita. «Forte.» mormorò, guardando l’arazzo arrotolarsi su se
stesso per magia e scoprire una porticina nascosta. Il Prefetto davanti a tutti
aprì la porta e la calca degli Hufflepuff si riversò nella Sala
Comune.
Quando
Helen sbucò nella stanza rimase a bocca aperta. Grandi poltrone morbide e comode
dei colori della loro Casa erano poste attorno ad un invitante fuoco che
scoppiettava nel camino. Sul lato sinistro c’erano due lunghi tavoli di stagno e
delle sedie con cuscini. Le pareti erano coperte da drappi gialli e tende
giallonere. Esattamente di fronte a loro c’era un muro con molti corridoi dalla
forma a botte che creavano quasi un labirinto.
«Che
bello…» biascicò Lance, stupefatto. «Beh, le comodità non ci mancheranno di
certo!» ridacchiò, abbandonandosi su una delle gonfie
poltrone.
«No
di certo, signor Wallace.» dichiarò una voce a loro sconosciuta. Helen e Lance
si voltarono per vedere chi aveva parlato: era una donna bassa, tozza e con i
vestiti sporchi di terra. Lance rabbrividì.
«Io
sono la professoressa Pomona Sprout.» si presentò, regalando un sincero sorriso
a tutti gli studenti. «E sono la docente di Erbologia.» alcuni applaudirono,
lanciando gridolini di incitamento.
La
professoressa Sprout rise di gusto, chiedendo ai ragazzi di smettere,
lusingata.
«Sono
la direttrice della Casa degli Hufflepuff.» continuò. Altre grida e complimenti.
«E gradirei che ora tutti voi faceste silenzio. Tutti, signor Finch-Fletchley.» chiamò
un ragazzino dai capelli ricci che stava scherzando con un altro ragazzo e
Hannah.
«Grazie.
Bene, un caloroso benvenuto a voi Hufflepuff. Voi siete stati scelti tra tutti
per rappresentare non la Casa più nobile, né quella più astuta, né tantomeno la
più intelligente. Voi rappresentate la casa dei giusti. Rappresentate le
migliaia e migliaia di persone normali che esistono nel mondo. Non vergognatevi
della vostra Casa, mai.» la Casa esplose in applausi e
cori.
Helen
era sbalordita. Incontrò gli occhi grigi di Lance e vide che
brillavano.
«Ora
do la parola ai Caposcuola che vi esporranno le regole della Casa.» e chiamò un
ragazzo del settimo anno.
«Salve
a tutti, mi chiamo John Faithman e sono il Caposcuola degli Hufflepuff. Le
regole principali sono poche ma giuste: l’orario di sveglia è alle sette; siete
liberi di scendere a colazione quando preferite; in caso di malattia dovete
avvisare un Prefetto o un Caposcuola. La regola più importante di tutte è…» si
fermò attendendo che la professoressa completasse per lui.
«…
mai, e dico mai, mancare ad una lezione di Erbologia!» esclamò. Ci fu uno
scoppio di risate generale.
«Non
male, eh?» sussurrò Lance a Helen. «Siamo piuttosto liberi!»
ridacchiò.
La
professoressa si congedò e invitò tutti ad andare a dormire; il giorno seguente
avrebbe distribuito l’orario a ciascuno di loro.
Le cose si
mettono male per i nostri Hufflepuff? Mah, chissà...
Ringrazio tutti
per le meravigliose recensioni! Mi si riempie il cuore di orgoglio! Non manca
molto all’entrata in scena degli altri personaggi:
«Davvero?
Che strano! Pensavo che le ragazze di famiglia babbana detestassero i piccoli
roditori…» osservò Helen, notando un poster immobile appeso sul
muro.
«Oh,
ma io non sono babbana.» sorrise quella.
«Scusami,
pensavo… il poster…» biascicò la povera Helen, tentando di rimediare alla
figuraccia.
«Non
ti preoccupare. Comunque mi chiamo Amelia.» si presentò, porgendo la mano con
uno scatto fulmineo e quasi nervoso. Era una ragazza molto, molto
strana.
Con questo vi
auguro buona natale e un felicissimo anno nuovo! Mi dispiaceva andare via senza avervi fatto gli auguri! Purtroppo sarò in vacanza, ma appena torno prometto che aggiorno! Ah, se ve lo state chiedendo, sì, la canzone del Cappello l'ho inventata io! XD E' per questo che è ridicola! XD
Helen
dormì molto bene: i cuscini erano paffuti e le coperte calde. Le sembrava quasi
di essere in vacanza.
Fu
svegliata da uno spiraglio di luce che la colpì dritta negli occhi. Guardò
l’orologio da polso e vide che erano le sei e trenta, ma nel suo dormitorio
c’era già movimento. Una ragazza che dormiva accanto a lei, Carey se non
ricordava male, aveva aperto il libro di Trasfigurazione e lo stava leggendo
avidamente; un’altra, Caitlin, stava appendendo il poster dei Kenmare Kestrels, una famosa squadra di
Quidditch irlandese; un’altra, Alana, stava sistemando gli abiti da una parte e
infine c’era una ragazzina minuta e pallida, dai capelli castano chiaro anonimi
e un po’ stopposi raccolti in una crocchia che coccolava un topolino bianco. Non
sapeva come si chiamasse, perché la sera prima, quando era entrata nel
dormitorio, l’aveva trovata già addormentata.
«Ti
sta simpatico Moby?» le chiese, alzandosi dal letto.
«Sì,
è davvero dolcissimo…» rispose la ragazza. Aveva una voce stridula e alta e,
quando parlò, le ragazze del dormitorio si voltarono tutte a guardarla,
infastidite.
«Davvero?
Che strano! Pensavo che le ragazze di famiglia babbana detestassero i piccoli
roditori…» osservò Helen, notando un poster immobile appeso sul
muro.
«Oh,
ma io non sono babbana.» sorrise quella.
«Scusami,
pensavo… il poster…» biascicò la povera Helen, tentando di rimediare alla
figuraccia.
«Non
ti preoccupare. Comunque mi chiamo Amelia.» si presentò, porgendo la mano con
uno scatto fulmineo e quasi nervoso. Era una ragazza molto, molto
strana.
Una
volta che Helen si fu preparata, si diresse con Amelia nella Sala Grande. Erano
appena le sette e trenta del mattino, ma la Sala era già gremita di studenti:
ovunque si vedevano mulinare divise nere e cravatte di colori
differenti.
Si
sedette al tavolo degli Hufflepuff, dove la professoressa Sprout aveva appena
distribuito gli orari, e con lo sguardo cercò Lance. Non l’aveva visto dalla
sera prima e sperava non avesse avuto divergenze con i compagni di
dormitorio.
Lo
scorse non troppo lontano da lei, circondato da tre ragazzi che sembravano
essere tutti suoi coetanei: era evidente che un ragazzo buono come lui non
avesse bisogno di molto tempo per farsi degli amici. Un ragazzino dai capelli
neri spettinati, molto più alto degli altri, lo aveva preso sotto braccio e gli
stava strofinando la testa ridendo.
Con
i vispi occhi verdi, cercò anche Abigail. Ciò che le aveva riferito Diggory non
le era piaciuto proprio per niente: temeva che Abigail, trovando nuovi amici e
amiche della sua Casa, potesse dimenticarsi di lei.
«Ehilà!»
la salutò una voce a lei familiare. Si voltò e diede il buongiorno a Cedric, un
po’ imbarazzata. Era emozionata che un ragazzo più grande le rivolgesse la
parola, soprattutto se bello come Cedric.
«Allora,
com’è andata la prima nottata con gli Hufflepuff?» le chiese. Sembrava che fosse
sinceramente interessato a sapere se si era trovata bene.
«Molto
bene, grazie, il letto era comodissimo!» esclamò. «Non è vero, Amelia?» sgomitò
la compagna con ben poca circospezione.
«Sì,
sì…» rispose quella, ignorando quasi la presenza di Diggory e fissando gli occhi
neri sul tavolo dei Slytherin, sospirando.
Cedric
ridacchiò divertito. «Di poche parole la tua amica, eh?» fu spintonato
scherzosamente da un altro ragazzo che sembrava avere la sua età e si congedò
con il suo sorriso aperto e innocente.
«Mi
spieghi perché sei stata così scortese?» domandò Helen, piuttosto innervosita
dal comportamento dell’amica, mentre si serviva una generosa porzione di
porridge colloso.
Amelia
non rispose: sospirò e le fece cenno con la testa di guardare verso il tavolo
dei Slytherin. Un ragazzino minuto e scheletrico dai corti capelli biondi stava
conversando con la sua vicina; non rideva, anzi, manteneva un contegno elegante
e un’espressione severa.
«E
quello chi è?» chiese Helen, sporgendosi in avanti e strizzando gli occhi per
vedere meglio il ragazzo.
«Non
lo so, ma è bellissimo…» rispose Amelia, incantata.
«A
me sembra denutrito.» osservò l’amica, riprendendo a mangiare il porridge. «E ha
la faccia da topo.» aggiunse, sputacchiando porridge da una parte
all’altra.
Amelia
scoppiò a ridere, una risata acuta e aspra come un limone, che perforò le
orecchie a Helen.
«Sei
molto divertente!»
«Beh,
grazie.»
In quel momento, Abigail entrò nella Sala
Grande. Era circondata da un gruppetto di ragazze Slytherin e stava confabulando
con loro.
«Chissà
perché porta lo stemma della sua casata…» disse Lance, sedendosi accanto ad
Amelia e osservandola mentre ingollava una porzione di porridge esagerata,
disgustato.
Helen
aguzzò la vista e notò che la ragazza, come la maggior parte dei Slytherin,
portava una piccola spilla d’argento quadrata sulla
divisa.
«È
la spilla dei Purosangue.» spiegò Amelia, senza nemmeno voltarsi a guardare. «Va
molto di moda tra i Maghi Purosangue portare la spilla con lo stemma della
propria casata, per dimostrare di discendere da una famiglia
importante.»
«E
far sentire noi figli di Babbani uno schifo.» aggiunse il ragazzo che la sera
prima era stato richiamato dalla professoressa Sprout. «Scusate, non mi sono
presentato: Justin Finch-Fletchley, secondo anno, Hufflepuff.» porse loro la
mano.
«Ma
è strano che la porti, non le è mai importato molto di discendere da una
famiglia di Purosangue. Inoltre, mio padre è un babbano e mia madre una Maganò:
ha ben poco da vantarsi.» osservò Lance, perplesso.
«Ma
la linea diretta della sua famiglia è Purosangue, è questo che conta.» spiegò
Justin mentre spalmava il burro su una fetta di pane
tostato.
Helen
si riscosse: quello che aveva detto Cedric si stava rivelando
vero.
Si
alzò in piedi e camminò verso il tavolo dei Slytherin, mentre Justin, Amelia e
Lance la guardavano incuriositi.
Quando
si trovò di fronte ad Abigail, fu squadrata da capo a piedi da una ragazza molto
bella che sedeva accanto a lei, mentre un’altra ridacchiava, sgomitando il
ragazzo dai capelli chiari e la faccia da topo che si trovava non molto lontano
da lì.
«Gail,
posso parlarti?» le domandò, con un sorriso benevolo.
«Va
bene.» acconsentì Abigail. Si allontanarono dal tavolo andando a rifugiarsi in
un angolo.
La
Slytherin si appoggiò al muro con aria annoiata.
«Dimmi
pure.»
Helen
prese un lungo respiro. «Volevo chiederti: perché non ci hai salutati
stamattina, nonostante ci abbia visti, e perché porti lo stemma della tua
casata?» disse nervosamente, tutto in un fiato.
Abigail
la guardò perplessa per qualche secondo, poi scoppiò in una risata
glaciale.
«È
per questo che sei preoccupata?»
«Proprio
così.»
«Ma
che divertente!» ridacchiò ancora. «È una cosa stupida: vedi, ieri notte ho
conosciuto un ragazzo che mi ha fatto capire che discendere da una famiglia di
Purosangue significa essere speciali, perché esistono ancora pochi maghi come noi.» spiegò giocherellando con la
spilla.
«Ah,
tutto qui?» borbottò Helen non del tutto convinta.
«Certo!
Stai tranquilla, non sono una fanatica… altrimenti dovrei odiare Lance.» e
dicendo questo sorrise al cugino, salutandolo con un cenno della mano. Lance
ricambiò.
«Bene.
Meglio così.» si rallegrò Helen.
«Già.
Che materie hai oggi?»
«Uhm…»
estrasse l’orario dalla tasca della divisa e lo consultò attentamente. «Inizio
con Incantesimi, insieme ai Ravenclaw. Tu?»
«Storia
della Magia con i Gryffindor.» l’espressione di Abigail mutò subito da allegra
ad annoiata. «Quei montati… solo perché hanno Potter credono di essere i padroni
di Hogwarts! Per fortuna ci siamo noi Slytherin a riportarli alla
realtà.»
«A
me piacciono i Gryffindor, molto più di alcuni Slytherin.» replicò Helen,
indicando con lo sguardo una Slytherin con il viso molto schiacciato, accanto al
ragazzo pallido che piaceva ad Amelia. «Ad esempio, quella lì non ha fatto altro
che guardarmi e ridere mentre ti parlavo.»
Abigail
si voltò per osservare e vide che quella ragazza stava confabulando con alcune
amiche e ridacchiavano sommessamente.
«Ah,
quella è Pansy Parkinson.» disse. «È insopportabile e sta sempre attaccata a
Draco.»
«Draco?»
«Draco
Malfoy. È un Slytherin del secondo anno: è lui che ieri sera ha parlato
dell’importanza della purezza di sangue. Lui sì che è un fanatico! Dovevi
sentire come insultava Hermione Granger, l’amica di Potter: “Stupida
Sanguesporco”, “Vergogna di Hogwarts”, “Cocca dei professori”… se la Granger
l’avesse sentito credo che sarebbe rimasta sconvolta.»
Helen
era trasalita al sentire la parola “Sanguesporco”. Un tale insulto era
vergognoso anche per il più nobile dei maghi. Avrebbe voluto andare da Malfoy e
insegnargli le buone maniere, ma improvvisamente piombarono nella Sala Grande
centinaia di gufi, volteggiando sopra i tavoli e lasciando cadere pacchetti agli
studenti, che spensero la sua follia omicida.
Un
elegante assiolo color cioccolato posò con delicatezza un pacchetto al posto di
Abigail e lanciò un’occhiata alla ragazza.
«Devo
andare, papà mi avrà mandato qualcosa da casa!» e scappò.
Quando
Helen tornò al tavolo degli Hufflepuff, vide che anche Lance aveva ricevuto
qualcosa: un enorme gufo grigio gli stava porgendo una lettera. Era sul punto di
chiedere a Lance se gli scrivevano da casa quando una voce a lei sconosciuta
rimbombò per le mura di pietra della Sala Grande.
«…
RUBARE
LA MACCHINA!
NON
MI AVREBBE SORPRESO SE TI AVESSERO ESPULSO!»
Si
portò le mani alle orecchie e cercò di capire da dove provenissero le urla, come
tutti nella sala.
La
Strillettera era stata ricevuta da un ragazzo di Gryffindor, l’amico di Harry
Potter e Hermione Granger.
Hannah
Abbott, che era seduta di fronte a lei, vicino a Justin, fece cenno col capo a
Helen di guardare il tavolo degli Slytherin: la maggior parte di essi erano
scoppiati a ridere e il ragazzo biondo, probabilmente Draco Malfoy, continuava a
parlare e a fare battute.
«Povero
Weasley!» le gridò Hannah. «A me sta simpatico! Draco Malfoy non dovrebbe
prenderlo in giro così!»
Amelia,
che sembrava non rendersi conto della voce squillante della madre di Weasley, al
sentire il nome di Draco si illuminò.
«Draco
Malfoy…» sospirò. Justin la guardò sconvolto.
«IN
UFFICIO TUO PADRE VERRÀ SOTTOPOSTO A UN’INCHIESTA!
È
TUTTA COLPA TUA…»
continuava imperterrita la Strillettera, mentre il povero ragazzo di Gryffindor
era rosso come i suoi capelli.
Gli
ululati di risa dei Slytherin quasi sovrastavano le urla di mamma Weasley.
Alcuni Hufflepuff li guardarono, disgustati.
«Un
po’ di rispetto!» esclamò un ragazzo con tono pomposo accanto a
Hannah.
Quando
la Strillettera tacque la Sala cadde nel silenzio più totale. Alcuni Slytherin
continuarono a ridere, ma alla fine ognuno ritornò alla propria
colazione.
Helen,
Lance e Amelia lasciarono la Sala Grande per dirigersi nell’aula di Incantesimi
insieme ad un gruppetto di studenti del primo anno di
Ravenclaw.
«Ho
le farfalle nello stomaco.» sussurrò Lance a Helen, mentre si massaggiava la
pancia.
«Non
dovevi mangiare due ciotole di porridge e poi bere succo di zucca!» lo redarguì
la ragazza.
«No!
Ho paura!» borbottò Lance, grattandosi i capelli neri,
imbarazzato.
Amelia
scoppiò a ridere. «Sai che sei proprio carino?» ciacolò, attaccandosi al braccio
del ragazzo.
Con
uno sguardo sconvolto implorò l’aiuto di Helen. Scorse non lontano da lui un suo
compagno di dormitorio e, liberatosi dalla morsa di Amelia, lo
raggiunse.
«Oh,
che peccato.» sussurrò, rabbuiatasi.
Helen
la guardò con una faccia stralunata.
L’aula
di Incantesimi era molto grande e stipata di libri dai titoli interessanti (come
Manuale della Potenza: tutti gli
incantesimi più famosi eseguiti dai maghi più famosi o anche Errori dei maghi: quando un incantesimo ti
costa il posto di lavoro). Il professor Flitwick, un mago anziano piuttosto
basso, li accolse gioviale, chiedendo loro di sedersi ai banchi. Gli studenti
presero posto disordinatamente, mescolandosi tra loro tanto che Flitwick non
riuscì più a distinguere i Ravenclaw dagli Hufflepuff. Helen si trovava tra
Amelia e un ragazzo di Ravenclaw, Martin.
La
prima lezione di Incantesimi lasciò parecchi ragazzi delusi: molti pensavano
infatti che avrebbero iniziato a fare magie sin da subito, ma la lezione era
stata spesa interamente sulla maniera corretta di tenere una bacchetta magica.
Nell’ultimo quarto d’ora, Flitwick chiese loro di provare a sprizzare scintille
verdi dalla bacchetta, ma alla fine solo Lance e una ragazza di Ravenclaw (Luna
Lovegood, se non andava errata) ne furono in grado. Questo fece guadagnare ad
entrambi dieci punti.
«Non
pensavo fossi già così bravo con le magie!» si rallegrò Helen mentre aiutava
Lance ad asciugare un’enorme macchia di inchiostro che il ragazzo aveva
rovesciato sul banco.
«Infatti
non lo sono!» sbottò quello, tamponando l’inchiostro sulla pergamena.
«Accidenti! È così strano usare le piume d’oca invece che le normalissime
penne.»
«Già,
dev’essere strano per te!» rise Helen.
«Vi
consiglio di non perdervi in chiacchiere, ragazzi.» li interruppe il professor
Flitwick, avvicinandosi a loro. «Adesso avete Pozioni con il professor Snape, e
lui odia i ritardatari.» spiegò. Poi estrasse la bacchetta e sussurrò «Gratta e netta» e improvvisamente tutte
le macchie di inchiostro sparirono; poi, con un leggero movimento della
bacchetta, fece ritirare i libri, le piume e le pergamene di Lance nella sua
borsa.
Quando
uscirono dall’aula in direzione dei sotterranei, Lance e Helen erano
strabiliati.
Ma
la loro meraviglia scemò subito quando misero piede nei sotterranei, dove un
austero professor Snape li attendeva, seccato.
«Quale
gioia vedere che anche gli Hufflepuff ci hanno raggiunto.» sibilò. Qualche
Slytherin rise.
Lance
avvampò, chiudendosi la porta alle spalle. Non fece in tempo a sedersi che la
porta si riaprì di scatto.
Gilderoy
Lockhart salutò tutti gli studenti con un luminoso sorriso.
«Buongiorno,
ragazzi. Ah, professor Snape, la cercavo!» disse poi, raggiungendo Snape che
sembrava pietrificato al suo posto. Accanto alla sua tunica nera, Lockhart
sembrava un bebè nei suoi abiti turchesi con tanto di cappello
abbinato.
«Non
dovrebbe avere lezione a quest’ora?» grugnì Snape, muovendo appena la
mascella.
«Stavo
pensando» continuò Lockhart, ignorandolo. «che potrei tenere io una delle sue
lezioni uno di questi giorni! Potrei insegnare ai ragazzi a preparare una
pozione che renda umano un lupo mannaro!»
«Non
esiste tale pozione.» borbottò Snape, gli occhi si fecero una
fessura.
«Allora
potrei insegnarla anche a lei!» aggiunse Lockhart, tutto un
sorriso.
«Fuori
di qui!»
Snape
spinse fuori Lockhart, non tenendo conto delle risate degli
alunni.
Quando
ritornò alla cattedra, l’aula tacque in un istante.
«Ora
che abbiamo liberato la classe dalla stupidità» e lanciò un’occhiata assassina a
chi ancora stava ridacchiando «possiamo tornare a spiegare tutto ciò che
concerne la meravigliosa e sottile arte delle Pozioni.»
Gli
Slytherin sembravano deliziati ogni qualvolta Snape parlasse. Helen notò che
anche Abigail sembrava considerare il professore una persona magnifica, ma non
riuscì a capire il perché finché un ragazzo degli Hufflepuff, tale Sheldon, non
fece perdere cinque punti alla sua Casa per aver sbagliato l’ordine degli
ingredienti. Infatti, anche un Slytherin aveva commesso lo stesso errore, ma
Snape si era limitato a guardare e storcere la bocca.
Con
la scusa di cercare un ingrediente per la pozione, Helen raggiunse Abigail e un
gruppetto di ragazze davanti alla dispensa. Quando la videro arrivare, le
Slytherin tacquero.
Ignorandole,
salutò Abigail con un grande sorriso.
«Com’è
andata la prima lezione? I Gryffindor sono così terribili?» le domandò,
incuriosita.
Le
ragazze ritornarono al posto, ridacchiando senza ritegno.
«Sono
dei saputelli.» sbottò, senza guardarla negli occhi. «Quella sciocca della
Weasley ha risposto a tutte le domande senza lasciare a nessuno il tempo di
pensare.»
Helen
le lanciò un’occhiata perplessa. «Che c’è di male a sapere le cose? A
Incantesimi Lance ha fatto un figurone, ma non per questo lo chiamo
“sciocco”.»
Abigail
sembrò zittirsi per un momento, come se stesse ancora elaborando le parole della
ragazza.
«Lance?»
mormorò.
«Lui.»
asserì Helen, divertita dentro. «E poi, non sarà che forse nessuno conosceva la
risposta ad eccezione della Weasley?»
Vide
la ragazza arrossire bruscamente.
«N-no.»
Ad
ogni modo, Snape non poté trovare nulla da ridire alla splendida pozione di
Lance: aveva la tonalità giusta, la temperatura corretta e persino “le
esalazioni purpuree dall’odore acre di limone” erano le stesse descritte dal
libro. Questo fece guadagnare cinque miseri punti a
Hufflepuff.
«Maledetto
Snape!» sbottò Helen una volta terminata la lezione, mentre misurava il
corridoio del secondo piano a grandi passi. «Avrebbe dovuto darti almeno dieci punti! Scommetto che se
fossi stato un Slytherin l’avrebbe fatto!»
«Dai,
Helen! Cinque punti vanno più che bene!» sorrise Lance.
«No!
Non vanno bene! Non è giusto che faccia certi favoritismi, la tua pozione era
perfetta! A proposito, quando hai imparato a preparare pozioni così?» domandò,
incuriosita. La semplicità con cui Lance aveva seguito le istruzioni non l’aveva
lasciata indifferente.
«Io?
Mai!» esclamò il ragazzo, sinceramente stupito. «Non avevo mai preparato una
pozione in vita mia, te lo posso giurare! Ma non è stato tanto male, mi è
piaciuto molto!»
«Uhm…»
rimuginò Helen. «Comunque sono ancora convinta che Snape sia
pessimo.»
Gli
studenti si riversarono nella Sala Grande. Alcuni ragazzi, soprattutto degli
ultimi anni, avevano già preso posto e la tavola era stata imbandita con ogni
pietanza.
Helen
e Lance si sedettero accanto a Justin, Hannah e un compagno di dormitorio di
Lance, Rowan.
«Non
abbiamo ancora avuto la Sprout…» sbuffò Rowan abbattuto. «Era l’unica
professoressa che non vedevo l’ora di conoscere…»
Lance
gli batté una mano sulla spalla. «Su, non preoccuparti! L’avremo domani.» gli
sorrise, solidale.
Rowan
ricambiò riconoscente, prima di essere attirato da un gran vociferare non molto
lontano da loro.
«Che
succede?» chiese Helen a Justin.
«Non
ne ho la più pallida idea.» rispose il ragazzo. Si alzò e andò ad
informarsi.
Pochi
secondi dopo era già di ritorno. Aveva gli occhi che brillavano di una luce di
fervore.
«Le
selezioni per la squadra di Quidditch!» esclamò, al settimo
cielo.
«Quando?»
domandò Rowan, eccitato quanto lui.
«All’inizio
di ottobre! Devo cominciare ad allenarmi!»
Lance
ascoltò i due ragazzi discutere animatamente sulle selezioni senza capire il
motivo di tanta felicità.
Helen
se ne accorse e scoppiò a ridere, attirando su di sé l’attenzione dei
compagni.
«Ehm,
scusate…» borbottò imbarazzata. «Mi fa ridere Lance.»
Justin
lo guardò incuriosito. «Perché?»
«Non
capisco perché siate così contenti.» biascicò, maledicendo Helen e la sua
boccaccia.
«Ma
non è ovvio?» disse subito Rowan. «Guardare il Quidditch è fantastico! E poi
potremmo tifare per gli Hufflepuff! Sarà emozionante!»
«Quest’anno
voglio partecipare!» esultò Justin, mentre saltellava dalla gioia. «Scommetto
che mi prenderanno come Cacciatore!»
Hannah
rise, contagiata dall’amico.
Lance,
sentendosi lasciato in disparte, rivolse tutta la sua attenzione al piatto di
polpettone che aveva davanti. Si sentiva uno stupido: perché sua madre gli aveva
sempre nascosto le emozioni del Quidditch? Sentiva di aver perso anni
meravigliosi della sua infanzia guardando i cartoni animati, quando avrebbe
potuto godersi le partite di Quidditch.
Helen
notò il suo stato d’animo e gli batté una mano sulla
spalla.
«Posso
insegnarti qualcosa sul Quidditch se ti va, dopo le lezioni.» disse,
sorridente.
Lance
le lanciò uno sguardo di riconoscenza. «Sarebbe bello,
grazie.»
Trasfigurazione
fu probabilmente la materia che quel giorno piacque maggiormente a Helen. Quando
entrarono in classe furono accolti da un gatto rigido e severo, che si rivelò
essere la professoressa McGonagall.
In
seguito la McGonagall ordinò loro di trasformare un fiammifero in un ago.
L’operazione si rivelò più difficile del previsto: sventolare una bacchetta era
semplice, pronunciare una formula lo era ancora di più, ma riuscire a fare un incantesimo era sicuramente più
difficile.
«Avanti,
ragazzi.» disse la professoressa. «Il professor Flitwick non vi ha spiegato come
eseguire gli incantesimi?»
«In
linea molto teorica…» ridacchiò Amelia, scuotendo la bacchetta come se non
funzionasse. «Accidenti a questi aggeggi!»
La
McGonagall, che stava passando tra i banchi per tenere sotto controllo la
situazione, si fermò.
«Signorina
Edgeworth, le consiglio di smettere di agitare quella bacchetta, se non vuole
cavare un occhio al signor Wallace.» sibilò, riprendendo a
camminare.
Lance
trattenne a stento un grido e si nascose sotto il banco, riparandosi gli occhi
con le mani.
Helen
sospirò, mentre la classe scoppiava a ridere.
Amelia,
diventata improvvisamente rossa di vergogna, posò la bacchetta sul banco e non
la riprese fino alla fine delle lezione.
Quando
la McGonagall li congedò, quasi tutti erano riusciti a trasfigurare fiammifero
in un ago (o per lo meno a dargli quella forma) ad esclusione di Amelia e alcuni
ragazzi di Gryffindor.
E per la vostra
somma gioia: Amelia e Rowan introdotti, con anche qualche accenno a personaggi
che scoprirete in un futuro molto prossimo!
«Signorina
Edgeworth, ho deciso che non glielo ripeterò più.» abbaiò Lockhart, adirato. «Il
mio colore preferito non è il verde
smeraldo!»
Amelia
afferrò sgarbatamente il suo compito dalle mani del professore ed esaminò
quell’“Accettabile” scarabocchiato sulla prima pagina delle sette di cui si
articolava il questionario.
«Sono
rimasto profondamente deluso da voi Hufflepuff.» continuò Lockhart. Sbatté
stizzito sul banco di Helen un compito con pochissime
correzioni.
«Perché,
professore?» domandò Rowan.
«Solo
due persone hanno raggiunto “Eccezionale”.» rispose l’uomo, indispettito. «E
tutti siete tristemente crollati sulla domanda numero
trentaquattro.»
Molti
ragazzi si affrettarono a ricontrollare il compito.
«Ma
signore, lei non ha gli occhi azzurri?» chiese Caitlin Cadogan, una Hufflepuff
piuttosto alta e dai capelli corti rossi, indicando la risposta C della domanda
trentaquattro.
Lockhart
chiuse gli occhi e sbuffò, al limite della sopportazione. «Signorina Cadogan» si
avvicinò a lei con veemenza. «le sembra che io possa avere gli occhi
azzurri?»
Lance,
seduto dietro Caitlin, guardò incuriosito gli occhi del professore: erano
azzurri.
«Ehm…»
biascicò la ragazza, incerta su cosa rispondere.
«Ovviamente
no!» sbottò Lockhart, scaraventando i compiti sul banco. «Non vede che sono
color non-ti-scordar-di-me? La sfumatura acquamarina non è lì per puro caso,
signorina Cadogan!»
«Ma
professore!» intervenne Lance. «L’acquamarina è una pietra
azzurra.»
Lockhart
si irrigidì.
«Punizione
per Wallaby.» sibilò, voltandosi e facendo frusciare la veste
celeste.
«Wallace,
signore.» corresse Helen, ridacchiando. Lance le scoccò
un’occhiataccia.
Il
professore scrollò le spalle, borioso. «Si presenti questa sera alle nove nel
mio ufficio, Wallaby, e sistemeremo
la sua mancanza di rispetto. Potete andare.»
I
Ravenclaw si alzarono in ordine e uscirono dalla classe salutando il professore.
Gli Hufflepuff si riversarono nei corridoio sbraitando e
lamentandosi.
«Dovrebbero
ridimensionare il suo ego, stupido venditore di fumo.» borbottò Lance,
stringendo tra le mani il compito (un “Eccezionale”).
«Zitto,
Wallaby.» rise Helen, spingendolo avanti. «Abbiamo una lezione di Quidditch da
fare.»
Lance
annuì vigorosamente. «Se però tu mi spiegassi le regole ci capirei qualcosa di
più…»
Helen
si arrestò, imbarazzata. «Forse hai ragione.» ridacchiò e si schiarì la voce.
«Dunque, il Quidditch è lo sport più famoso del Mondo Magico. Si utilizzano
quattro palle: la Pluffa, i due Bolidi e il Boccino d’Oro.» spiegò, con calma,
mentre marciavano attraverso l’enorme castello.
Lance
prendeva appunti furiosamente sul suo taccuino.
«I
giocatori sono sette: tre Cacciatori, che hanno il compito di passarsi la Pluffa
senza farla prendere agli avversari; due Battitori, che devono lanciare i Bolidi
contro gli avversari colpendoli con grosse mazze; il Cercatore è l’elemento più
importante, poiché deve prendere il Boccino d’Oro prima del Cercatore dell’altra
squadra. Se ci riesce, fa guadagnare centocinquanta punti alla sua squadra e la
partita finisce. Tutto chiaro?»
Lance
annuì, scrivendo le ultime accortezze. «E tu come le sai tutte queste
cose?»
Helen
si illuminò, radiosa. «Io e mio padre siamo fan del Puddlemere United fin dalla
nascita!»
Quando
si trovarono di fronte all’enorme campo di Quidditch, Lance non poté trattenere
una lunga esclamazione di meraviglia.
Era
una struttura gigantesca in legno, decorata dagli stendardi dei vari colori
delle case. Le tribune erano vuote e Lance provò il desiderio irrefrenabile di
sedersi nella tribuna d’onore.
«Già.»
asserì Helen, divertita. Montò sulla Scopalinda Sette che aveva trovato nel
capanno e fece per librarsi in volo.
«Ferma!»
gridò una voce femminile.
Lance
si voltò e vide che una Hufflepuff più grande, la Caposcuola Gwen Morgan, stava
correndo loro incontro.
«Cosa
credevi di fare?» gridò, una volta raggiunti.
«Io…»
Helen strinse il manico di scopa e lo avvicinò al corpo, come abbracciandolo.
«Non volevo fare nulla di male.»
Gwen,
intenerita dalla ragazza, sorrise dolcemente. «Non preoccuparti, può capitare.
Però dovresti sapere che quelli del primo anno non hanno il permesso di
volare.»
«Sì,
è vero.» si arrese Helen.
«Lasciala
stare, non è stata colpa sua. L’ho convinta io a farmi vedere come si vola, dato
che non conosco il Quidditch.» s’intromise Lance, facendo un passo
avanti.
Helen
gli sorrise, riconoscente.
Gwen
scoppiò a ridere. «Ma io so chi sei! Tu sei il cugino di David Williams,
vero?»
Lance
annuì, domandandosi come facesse Gwen a saperlo.
«Mi
ha mostrato una foto di famiglia qualche tempo fa. Io e lui eravamo molto
amici.» abbozzò un sorriso amaro.
«Sei
quell’amica di cui lo zio parlava spesso quest’estate?»
La
ragazza trasalì. «Temo di sì.» mormorò. Poi, con ritrovata energia, disse:
«Bene, ora che lo sapete farete più attenzione. Devo andare, la ronda mi
attende.» si voltò sospirando: «Spero almeno di essere aiutata da qualche
Prefetto. Gli ultimi che ho beccato si sono messi a flirtare in una classe…» e
corse via.
Helen,
che aveva osservato impassibile la scena, scoccò un’occhiata eloquente a
Lance.
Il
ragazzo sbuffò. «Quest’estate Abigail mi raccontava che lo zio continuava a
sgridare David perché aveva come amica una…» deglutì, restio a proseguire. «… Sanguesporco. Io non conosco molto del
Mondo Magico, ma posso immaginare che sia un insulto piuttosto
pesante.»
Helen
annuì. Questa storia di Purosangue e Mezzosangue la stava
stancando.
«E
poi, com’è finita?» domandò.
«Quando
David gli ha raccontato che lei era la sua fidanzata, lo zio è andato su tutte
le furie. Ha costretto David a lasciarla e ora vuole fidanzarlo con Cassandra
Burke, una Purosangue.»
«Ma
è orribile!»
«Già…»
continuò Lance. «E pensare che tutte queste storie di Purosangue sono uscite
l’anno scorso. Prima del settembre scorso non avevo mai sentito mio zio dire una
sola parola contro i nati babbani.»
Helen
si fece pensierosa.
«A
scuola un ragazzo, Purosangue, si scaglia contro i nati babbani; tuo zio ha
messo in discussione la libertà del figlio a causa di una nata babbana… non
credi che…»
«Sia
una strana casualità?» completò per lei Lance.
«Esatto.»
«Non
lo so, ma ho un brutto presentimento.»
Riportarono
le scope nel magazzino e si recarono nella Sala Comune. Fortunatamente quel
giorno non avevano ricevuto particolari compiti (ad eccezione di un tema di un
metro di pergamena sugli effetti di una pozione sbagliata) quindi poterono
dedicarsi all’ozio.
Trovarono
Hannah piegata su un libro di Trasfigurazione.
«Maledetta
donna…» imprecava. Stava sfogliando annoiata il volume, sperando di trovare
risposte che avrebbero potuto soddisfare la McGonagall.
«Che
è successo?» ridacchiò Lance, sedendosi di fronte a
Hannah.
«La
McGonagall ci ha dato compiti doppi. Tutta colpa di Longbottom!» sbottò
furibonda la Hufflepuff, graffiando la pergamena con la
piuma.
«Longbottom?»
domandò Helen, una volta raggiunti.
«Sì,
un Gryffindor dalle mani di burro che ha fatto esplodere gli scarafaggi su cui
ci stavamo allenando.» e dicendolo mostrò la ferita luccicante della
scottatura.
«S-scarafaggi?»
balbettò Lance, disgustato e pallido come uno spettro. «S-si usano scarafaggi
per le lezioni di Trasfigurazione?»
Helen
si trattenne dallo scoppiare a ridere di fronte all’espressione atterrita del
ragazzo.
«Certo!
Ma se hai paura degli scarafaggi non oso immaginare cosa combinerai alla prima
lezione di Erbologia.» ridacchiò Hannah, divertita.
«M-ma
a Erbologia non si studiano le piante?»
«Ovviamente,
ma di cosa pensi si nutrano le piante carnivore?» spiegò la giovane Hufflepuff,
divertendosi a insinuare in Lance il dubbio.
Il
pallore cadaverico del ragazzo superava quello di Frate Grasso, mentre gli occhi
grigi guardavano il vuoto, come spiritati.
Helen
esplose in una grassa risata, imitata subito da Hannah. Lance si sentì
profondamente deriso dall’atteggiamento delle due ragazze.
«Vogliamo
fare meno casino?» furono interrotte da una voce proveniente dal fondo della
Sala Comune. Si trattava di Justin Finch-Fletchley, l’Hufflepuff
dall’espressione sbarazzina e i capelli ricci che avevano conosciuto la sera
prima.
Helen
smise all’istante di ridere. Detestava far arrabbiare i ragazzi più grandi,
soprattutto perché temeva la loro reazione, ma quando vide che Justin stava
sorridendo tirò un sospiro di sollievo.
«Ti
sei spaventata?» continuò il ragazzo, prendendola evidentemente in giro,
punzecchiandola con un dito.
«Quanto
sei simpatico…» ringhiò la ragazza, incrociando le braccia al petto con fare
stizzito. «Non dovresti prenderti gioco di piccole ragazzine
indifese.»
Justin
sorrise, mostrando una fila di denti perfetti e due deliziose fossette sulle
guancie. «Ci aggiungerei una pernacchia che non starebbe davvero
male.»
Lance,
intanto, rideva allegramente con Hannah, prendendo in giro Justin e Helen a
turno. Al gruppetto si era avvicinato un altro ragazzo, uno dei tanti che aveva
difeso Weasley quando aveva ricevuto la Strillettera.
«Che
si combina qui?» chiese, mascherando una certa curiosità con un largo
sorriso.
«Ernie!»
esclamò Hannah. «Nulla di speciale, ci prendevamo un po’ in giro.» poi si voltò
verso Lance e gli sussurrò all’orecchio: «Lui è Ernie Macmillan, non farti
incantare dai suoi modi principeschi, è esattamente come
noi.»
«Ti
ho sentita, Abbott.»
Lance
si guardò intorno, cercando con lo sguardo i suoi compagni di stanza. La notte
prima avevano fatto amicizia: si erano raccontati gli anni precedenti l’entrata
a Hogwarts e Lance aveva scoperto di non essere l’unico a ignorare moltissime
cose nell’ambito della magia.
Ad
esempio, il suo vicino di letto, Liam O’Carroll, aveva entrambi i genitori
babbani.
Per
Lance c’erano ancora molte cose da scoprire in quel nuovo, strano e bellissimo
mondo.
Tuttavia,
durante la cena, capì che non desiderava assolutamente scoprire quale punizione
Lockhart avesse progettato per lui.
«Ti
sei beccato una punizione da Lockhart?» domandò Justin colpito. «Wow! Credo che
nessuno ci sia ancora riuscito!»
«Chissà
che cose imbarazzanti ti farà fare!» rise Helen, evitando di chiamarlo “Wallaby”
per compassione.
Nella
sua vecchia scuola, pensò Lance, le punizioni consistevano nello scrivere
centinaia di volte sulla lavagna una frase che servisse a espiare le colpe. Ma
quello era il mondo babbano, nel Mondo Magico cosa avrebbe dovuto
fare?
«Una
volta sono stato punito dalla McGonagall.» disse Justin, comprendendo i
sentimenti del ragazzo meglio di chiunque altro, provenendo anch’egli da una
famiglia babbana. «Solitamente i professori ricorrono a punizioni babbane
credendo siano più crudeli. Non sanno che per i nati babbani è molto meglio
così!»
Lance
si rilassò un poco: forse non sarebbe stato così terribile come
pensava.
Quando
ritornò dalla punizione, verso mezzanotte, era sconvolto.
«Cosa
ti ha fatto fare?» domandarono in coro Helen e Rowan, rimasti svegli ad
attenderlo.
Lance
si stropicciò gli occhi assonnati. Aveva le mani che faticavano a muoversi
correttamente.
«Ti
ha picchiato?» sbottò la ragazza, prendendogli una mano e cercando eventuali
segni di percosse.
«Peggio.»
esalò Lance, abbandonandosi su una delle tante poltrone panciute. «Fotografie.
Ho passato tre ore a fargli fotografie.»
Capitolo
corto... odio i capitoli corti. Ma mi farò perdonare, lo giuro! Il prossimo è
tutto dedicato a nuovi personaggi e misterioso folklore Hufflepuff!
XD
Vi auguro buona
Epifania! Ho un po’ di tosse perché questa notte ho preso freddo sulla scopa, ma
spero che abbiate gradito tutti la calza! XD
Capitolo 5 *** Il Sabato dell'Orgoglio Giallonero ***
5.Il Sabato dell’Orgoglio Giallonero
Le
settimane che seguirono quei primi giorni di scuola trascorsero senza eventi di
particolare importanza.
La
prima lezione di Erbologia, come già Helen, Rowan e Lance avevano sospettato, si
rivelò meravigliosa: la professoressa Sprout era una donna incredibilmente colta
e sapeva spiegare la sua materia meglio di qualunque altro professore. Si vedeva
che c’era passione in quello che faceva e che amava i suoi studenti, soprattutto
se Hufflepuff della sua Casa.
Settembre
divenne subito ottobre prima che chiunque se ne accorgesse. L’emozione e lo
stupore del momento persero tutto il loro splendore e, dopo solo un mese, anche
per un giovane mago proveniente da famiglia babbana, la magia era diventata
parte della sua quotidianità.
Lo
capì subito Lance, svegliandosi quella mattina e ringraziando il cielo che fosse
sabato.
«’giorno,
Lance.» lo salutò Rowan, alla sua destra, seduto sul letto con le gambe ancora
coperte dal piumone e il libro A merenda con la
morte di Lockhart tra le mani.
«Ti
diverti?» ridacchiò Lance, stropicciandosi gli occhi ancora assonnato,
riferendosi alla quantità spropositata di baggianate che contenevano i libri del
professore.
«Da
morire. È meglio di quel libro di barzellette che mi hai prestato la settimana
scorsa. Senti cosa dice in questa parte, eh-ehm:» si
schiarì la voce prima di declamare: «“E fu solo quando mi trovai ad un passo
dalla morte in persona che capii che i miei splendidi riccioli biondi si erano
afflosciati a causa dell’umidità. Solo allora urlai”, ma per favore! Ma non si
vergogna? Questo qui ha il cervello grande come un ricciolo di
Sheldon!»
Geoffrey
Green, sveglio da ben prima di loro, scoppiò in una risata sguaiata, che
contribuì a destare anche l’interesse di Liam e Sheldon, tra le braccia di
Morfeo fino a pochi secondi prima.
«Cosa
è tuto questo rumore?» domandò Sheldon,
con il marcato accento francese che lo caratterizzava. Viveva in Inghilterra da
cinque anni, ma non era ancora riuscito a perdere quell’aria francese che lo
accompagnava dalla nascita.
«Nulla
di preoccupante, Shelly.» rise Rowan, schernendolo con una storpiatura del
nome.
«Sei
consapovole del mio odio per te, maledeto di un anglais?» ribatté, evidenziando ancora
di più il suo inglese per ripicca.
Il
rombo di un tuono squarciò l’atmosfera ilare che si era venuta a creare nel
dormitorio.
«Che
schifo di tempo.» borbottò Liam, ricoprendosi con il piumone fin sopra la testa,
lasciando spuntare piccoli ciuffi di capelli biondi. Fu subito imitato da
Sheldon.
Anche
Lance era intenzionato raggiungere gli amici nel meraviglioso mondo dei sogni,
quando qualcuno bussò alla porta, facendolo trasalire,
spaventato.
«Qui
è il vostro Caposcuola John che vi parla! Come vi abbiamo ricordato ieri sera,
oggi è il Sabato dell’Orgoglio Giallonero. Vi aspettiamo tra un quarto d’ora in
Sala Comune!»
Sheldon
si scoprì appena, quel tanto che bastava per riuscire a parlare: «Lui ponsa veramonte che qualcuno l’abia ascoltato ieri sera?» dichiarò in
uno sbadiglio.
«Sabato
dell’Orgoglio Giallonero?» domandò Rowan, che sembrava sconvolto quanto il
compagno.
«Il
giorno in cui gli Hufflepuff scendono a fare colazione tutti insieme per
mostrare l’unità della Casa di fronte al disordine della altre tre.» delucidò
Geoffrey, inspiegabilmente rilassato e immerso nella risoluzione dei Magicverba
(cruciverba magici le cui definizioni cambiavano qualora non fosse in grado di
risolverle in un minuto).
«Ma
è una cosa stupidissima!» commentò Rowan. «E da quanto sei vestito?» aggiunse,
vedendo che l’amico era già pronto.
«Dalle
cinque.»
«E
perché sei vestito dalle cinque?» domandò Liam, consapevole del fatto che non
sarebbe più riuscito ad addormentarsi.
«Dovevo
finire i miei Magicverba.»
Lance
scosse la testa, divertito dall’espressione assolutamente esterrefatta di
Rowan.
Decise
che sarebbe stato meglio vestirsi, così raccolse gli abiti e la divisa e si
diresse in bagno, dove poté lavarsi e sistemarsi.
Nonostante
l’intenzione che accomunava i cinque compagni a scendere a fare colazione a
quell’ora rasentasse il nulla, in dieci minuti erano tutti in Sala Comune, che
attendevano gli ultimi ritardatari, ovviamente le ragazze.
Lance,
appena vide scendere Helen, si unì a lei e Amelia insieme a Rowan, in modo da
sedersi vicini una volta arrivati in Sala Grande.
L’orda
degli Hufflepuff che sconvolse la colazione di parte degli studenti di Hogwarts
non fu accolta di buon grado dagli Slytherin che, alla vista dei gialloneri in
formazione, quasi caddero dalle sedie dal ridere.
«Patetico.»
borbottò un ragazzo dietro Amelia. La ragazza sussultò teatralmente, attirando
su di sé le occhiate ancora più divertite degli Slytherin.
Helen
osservò attentamente la tavolata che li stava schernendo e scorse Abigail tra
questi.
Nelle
ultime settimane, il comportamento di Abigail era cambiato profondamente.
Trascorreva sempre meno tempo con lei e Lance e fin troppo con la banda di Pansy
Parkinson, l’orribile ragazza del secondo anno. Quando si incrociavano nei
corridoi a malapena rivolgeva loro un saluto, mentre a lezione li ignorava senza
molti scrupoli, fingendosi sempre impegnata in fittissime conversazioni con
l’amica Mary Elliott.
«Malfoy.»
sibilò Justin, accostatosi a loro. «Spero gli vada di traverso il porridge che
sta mangiando.» sibilò, assottigliando gli occhi.
Come
se fosse stato ascoltato, pochi secondi dopo Malfoy si ritrovò a tossire
convulsamente, accerchiato dalla sua banda di leccapiedi che cercavano di capire
cosa gli stesse succedendo.
«Ehi,
Justin! Dovresti giocare al Lotto!» esclamò Lance divertito. Liam rise, annuendo
con la testa e così fece anche Justin.
Helen,
Rowan e Amelia li guardarono perplessi. Amelia più stralunata che
confusa.
«Niente…»
borbottò Lance, mortificato dal fatto che le sue battute non facessero ridere i
compagni maghi.
«Ciao,
ragazzi, che si dice?» domandò una voce femminile, sedendosi accanto a loro e
scuotendo la corta chioma fiammeggiante, subito seguita da una ragazza dai
capelli biondi quasi bianchi, rossa in viso.
«Lance
fa battute che non fanno ridere.» spiegò Helen, sorridendo alle due compagne di
stanza, Caitlin e Alana.
«Al
solito.» aggiunse Caitlin, scompigliando i capelli del ragazzo con fare
affettuoso e ricevendo un’occhiataccia da quest’ultimo. «Vero, Alana?» chiese
all’amica, con lo stesso tono di chi desiderava che una persona entrasse nella
conversazione.
«S-sì.»
esalò Alana, mordendo timidamente una fetta di pane
tostato.
«Sembra
che abbia visto qualcosa di assolutamente imbarazzante.» commentò Hannah,
sporgendosi di più oltre Ernie.
«È
una lunga storia.» dissero insieme Caitlin e Helen. Solo loro e Amelia
conoscevano il segreto di Alana: si era innamorata di Lance dal primo giorno che
l’aveva visto e non faceva che pensarlo, sognarlo e scrivere il suo nome su
pergamene che poi sigillava.
«Va
tutto bene, Alana?» domandò Lance, sinceramente preoccupato per la
ragazza.
La
ragazza sobbalzò e scosse violentemente la testa in segno di assenso. «N-nessun
problema… grazie…»
Si
creò un silenzio spiacevole che, con gran sollievo di tutti fu rotto da
Caitlin.
«A
che ora hai le selezioni, Justin?» chiese all’amico che, al sentire la parola
“selezioni” impallidì bruscamente.
«Non
dovevi ricordarglielo…» sospirò Ernie e batté una mano sulla spalla dell’amico,
solidale. «Non diceva sul serio, Justin, proprio no… adesso stai tranquillo che
i tuoi amici sono qui con te…» diceva, scambiando Justin per un figlioletto
troppo cresciuto.
«Ma
eri eccitatissimo fino al mese scorso! Anzi, fino a due giorni fa!» esclamò
Rowan, incredulo all’inverosimile (era molto emotivo, tutte le emozioni che
provava erano amplificate). «Continuavi a saltellare in giro cantando “Sarò
Cacciatore!” e cose di questo genere!»
«Questo
prima di scoprire chi fosse il nuovo capitano della squadra…» mormorò Hannah,
sinceramente vicina all’amico.
«Chi
è?» domandò Caitlin, mangiandosi le unghie dalla
curiosità.
«Buggin.»
sussurrò Justin, pallido come un cencio. Tutti trattennero il
respiro.
Luis
Buggin era un Hufflepuff molto improbabile: aveva un corporatura che avrebbe
fatto impallidire perfino Warrington degli Slytherin; era calvo e girava voce si
versasse il Distillato della Morte Vivente in testa per evitare le ricrescite.
Unico bullo degli Hufflepuff e coetaneo del Caposcuola, era stato più volte
ripreso per le risse che creava. Non aveva amici, nemmeno una banda che lo
seguisse, eppure giocava tanto bene a Quidditch, che i suoi compagni di squadra
non gli avevano mai trovato nulla da ridire.
«Avete
detto Luis Buggin?» domandò una ragazza che sedeva pochi posti più lontana di
Ernie, insieme ad un compagno con l’espressione
indecifrabile.
Per
la seconda volta, tutti trattennero il respiro.
«Quel
bastardo! L’altro giorno l’ho visto minacciare un ragazzo del terzo senza pietà.
Avrei voluto stampargli le mie cinque dita sulla guancia!» esclamò, ammirando la
propria mano come se fosse la più pericolosa delle armi. Lance si nascose sotto
il tavolo, tramortito dalla paura.
Hannah
si portò una mano davanti alla bocca, trattenendo le risa. L’ondata di coraggio
che proveniva da quella ragazza era inversamente proporzionale alla sua
corporatura, che sarebbe scomparsa dietro la stazza da armadio di
Buggin.
«Meno
male che ti ho trattenuta, allora.» borbottò il suo vicino, massaggiandosi le
tempie con una mano e versandosi nel bicchiere succo di zucca con l’altra.
«Chissà cos’altro avresti potuto fargli…»
«È
una sottile presa in giro, Hopkins?» ribatté la ragazza, dimenticandosi di stare
parlando con altri poco prima.
Ernie
si sporse avanti al tavolo e sussurrò: «Quella è Megan Jones, del nostro anno. È
una squilibrata. Solo Wayne, del terzo, la sopporta.»
«Non
è una squilibrata!» sbottò Hannah, che evidentemente la conosceva meglio del
ragazzo, condividendone la stanza. «È solo un po’ strana…»
«Scusate,
ma non stavamo parlando della mia paura delle
Cose-Che-Non-Devono-Essere-Nominate?» mugugnò Justin, offeso dall’improvviso
cambio di discorso.
«Ti
è passata, no?» concluse Caitlin, semplicistica.
Rowan
distese il viso in una smorfia divertita sibilando:
«Selezioni.»
Il
volto di Justin sbiancò di nuovo e il giovane dovette ripararsi sotto il tavolo
per evitare di mostrare agli amici il nuovo colorito verdastro che andava a
sostituire il pallore.
«State
facendo venire paura anche a me…» biascicò Lance, evidentemente
terrorizzato.
Helen
scoppiò a ridere, imitata subito da Liam. «Ma dai, Lance! Di cosa hai
paura?»
«Non
so… sai, in aria gli incidenti non mancheranno certo!» continuò il ragazzo, gli
occhi grigi divenuti due fessure.
«Mio
cugino è morto cadendo da una scopa.» dichiarò Amelia all’improvviso,
inespressiva, portando platealmente la conversazione verso una piega scomoda e
indesiderata.
I
ragazzi ammutolirono.
«Ehm…
mi dispiace?» tentò Rowan dopo pochi secondi di silenzio.
«Non
è importante. Mi stava antipatico. Mi è dispiaciuto per la zia, che è morta di
crepacuore quando l’ha scoperto.» aggiunse Amelia,
sorridente.
Gli
uomini fecero toccaferro come potevano.
«Sì,
va beh, però…» biascicò Liam, non sapendo se essere dispiaciuto per i parenti di
Amelia o adirato perché la sua giornata era appena stata
rovinata.
Fortunatamente,
il momento imbarazzante terminò quando Ernie adocchiò alcuni Hufflepuff
attraversare la Sala Grande con i manici di scopa alla
mano.
«Credo
sia ora.» disse a Justin, che sussultò e fece sobbalzare Lance a sua volta,
suggestionato dalla marcia funebre che Rowan stava
intonando.
«Sei
una persona pessima.» soggiunse Helen, non riuscendo a trattenere le risate.
Vedere Lance condizionato da una musichetta era uno spettacolo
comico.
Si
alzarono da tavola e seguirono Justin, esclusa Amelia, che rimase immobile al
suo posto.
«Non
vieni?» domandò Alana, come se avesse riacquistato il dono della
parola.
«No.
Resterò qui a parlare con il porridge e a guardare Draco
Malfoy.»
Alana
preferì non fare ulteriori domande e seguì gli amici fino al campo da Quidditch,
che era stato allestito con i colori degli Hufflepuff.
Una
lunga fila di aspiranti Cercatori, Cacciatori, Battitori (tra cui anche la
squilibrata, Megan Jones) e Portieri si estendeva oltre il campo e, seduti sugli
spalti, vi erano anche molti spettatori.
Helen
immaginò che la Sala Comune fosse vuota in quel momento, poiché tutto il quarto,
quinto e sesto anno sembrava essere seduto sulle
gradinate.
Capì
subito il perché: Cedric Diggory era tra i pretendenti al ruolo di
Cercatore.
Justin
andò subito ad accodarsi dietro i Cacciatori, tenendo la stretta salda sulla sua
Comet Duecentosessanta.
«Non
ho assolutamente nessuna chance.» disse mesto alla vista di
Buggin che cacciava una ragazza del sesto anno in lacrime perché aveva afferrato
la Pluffa in modo sbagliato.
«Non
dire così…» lo consolò Hannah, sfiorandogli la spalla
amichevolmente.
Sheldon,
comparso all’improvviso, si guardò intorno. «Dove è Lancelót?» domandò, impastandosi nel suo
anglofrancese.
«Ha
detto che sarebbe tornato solo per vedere Justin: tutte queste persone che
volano gli fanno venire il mal d’aria.» rispose Caitlin.
«Povero
ragaso, mi fa tonta pena…» borbottò Sheldon, l’unico
che non si divertiva a ridere delle paure assurde dell’amico. «Mi ricordo che olla sua prima lesiòn di Volo è
svenuto...»
«Zitto,
Shelly, tra poco tocca a Justin.» lo zittì Rowan, infischiandosi di ciò che il
ragazzo aveva da aggiungere.
«Sei
proprio un cafone. Al mio paese ti avrebbero jà lavato la
boca con il sapóne.»
Tutti
e sette i ragazzi lo zittirono.
«Je vous haïs tous. Les Britanniques sont stupides.» sibilò
Sheldon nella sua lingua, sedendosi sugli spalti
sdegnato.
Era
il turno di Justin per la selezione dei Cacciatori. Inforcò la scopa tra le
gambe e si librò in volo, non con troppa stabilità.
«Tipico
di Justin.» commentò Ernie, che lo conosceva meglio di tutti gli altri. «Al
corso di Volo era uno tra i più bravi dopo Harry e Draco, sebbene non avesse mai
volato in vita sua! E ora fa tutte queste storie…»
«Non
credo siano storie, Ernie.» ribatté Hannah, preoccupata. «Temo che Justin abbia
paura di Buggin.»
In
effetti, il Capitano della squadra degli Hufflepuff stava lanciando al povero
Justin la Pluffa senza dargli nemmeno il tempo di tornare in posizione e
prepararsi.
«L’ha
preso come bersaglio!» strillò Alana, spaventata.
«No,
ora ha smesso! Adesso gli farà fare qualche passaggio con altri Cacciatori…»
tentò Caitlin.
Due
armadi a quattro ante salirono sulle scope e si misero accanto a Justin, che
dietro a loro spariva data la costituzione mingherlina.
«Non
vorrà davvero…» biascicò Helen, coprendosi gli occhi con le mani. «Non voglio
guardare.»
Lance
ridacchiò nervosamente. «Perché, fin’ora hai guardato?» disse. Non aveva ancora
aperto gli occhi da quando era sbucato per vedere la selezione
dell’amico.
Justin
si impegnò come meglio poteva, ma qualsiasi pressione gli altri due Cacciatori
gli facessero lo terrorizzavano: per due volte perse la Pluffa dalle mani,
mentre rischiava perfino di venire disarcionato dalla
scopa.
Helen
pensò che il ragazzo avesse avuto un gran coraggio ad esporsi tanto da tentare
le selezioni per la squadra di Quidditch: non era bravissimo come Cacciatore,
sebbene volasse in maniera elegante. Non avrebbe avuto speranze nemmeno con un
capitano normale: semplicemente, gli mancavano le basi.
«È
un massacro.» commentò Caitlin, una delle poche che ancora riusciva a guardare
la disfatta del povero Justin.
«Sempre
esagerata tu.» la rimbeccò Liam, annoiato. Il Quidditch non era proprio il suo
sport: non solo ne era annoiato, ma non riusciva a piacergli nemmeno se era uno
dei suoi amici a parteciparvi.
Effettivamente,
Justin non era nemmeno molto suo amico. Allora si chiese perché fosse
lì.
Nel
frattempo, Sheldon aveva perso tutto il suo contegno tipicamente francese,
lasciandosi andare in un tifo sfegatato.
«Quel
maledoto! Ti ammasso! Non posso credere che al mondo
esista una fescia del tuo calibro! Sacrebleu, quelle inconvenance!» gridava,
alternando insulti inglesi a imprecazioni
francesi.
«Così
mi piaci, Shelly!» urlava invece Rowan, rapito dal gioco. «Sporcati per benino
quella boccuccia francese che ti ritrovi!» continuò, alzando la sciarpa
giallonera e scuotendola.
«Umpf!
Per scerta jente sci vorrebbe la punisiòn corporale!» disse, sistemandosi la
cravatta e cercando di riparare al danno fatto ai suoi riccioli
perfetti.
Quando
Justin atterrò, dopo essere stato massacrato da Buggin per altri venti minuti,
l’espressione che aveva sul suo volto era un misto di rabbia e
lacrime.
«Non
fare così…» tentò Hannah, avvicinandosi all’amico e accarezzandogli una spalla.
«Non avevi speranze con Buggin.»
Helen
non poteva vedere un ragazzo in quello stato, che fosse suo amico o
meno.
Si
avvicinò a Justin, titubante e lo abbracciò con molta dolcezza, cercando di
trasmettergli forza e affetto. Nessuno meritava di stare male e questo era
proprio ciò che Helen non sopportava.
Justin,
imbarazzato, comprese il gesto e la ringraziò, abbracciandola di
rimando.
«Ti
verrò a scercare, Luìs Buggìn!»
Ecco qui! Uno
dei capitoli che più amo!
Non conosco il
francese, quindi non so se quello che ho fatto dire a Sheldon è giusto! XD Se
qualche anima pia che sa il francese volesse correggermi gliene sarei
eternamente grata! XD
Ogni nuova
recensione mi rende strafelice! Grazie infinite! *-*
Purtroppo, a
causa del tugurio che tutti noi chiamiamo “scuola”, gli aggiornamenti diverranno
settimanali.
Un enorme GRAZIE a chi continua a seguirmi, a chi
recensisce, a chi legge solo... a tutti!
Jacob leggeva la
“Gazzetta del Profeta” con aria contrariata. L’articolo sul terzo matrimonio
della chitarrista delle Sorelle Stravagarie lo interessava ben poco, ma d’altro
canto non poteva pretendere di meglio dal “Profeta”: da troppo tempo ormai
mancava di articoli interessanti.
«Qualche bella
notizia?» domandò la moglie, Emily, avvicinandosi al marito e baciandolo
dolcemente sulle braccia con non poca difficoltà: era incinta di otto
mesi.
Jacob le
sorrise, i primi segni dell’età si allargarono sul suo viso abbronzato. «Nessuna
bella quanto questa» le sfiorò il pancione e glielo baciò.
Emily rise
genuinamente e si lasciò cadere sul divano accanto al
marito.
«Papà? Mi aiuti
con questo esercizio di matematica per favore?» domandò una bambina minuta e
paffutella, varcando in quel momento la soglia del salone e presentandosi
davanti al padre con un quaderno pasticciato e una matita. «Non ci riesco
proprio»
A Jacob sfuggì
una risata aperta. «Mi dispiace, tesoro, ma sai che io non so matematica. Chiedi
a tua madre, quella che ha fatto le elementari è lei!»
«Frequentato,
tesoro. Frequentato. Sfruttiamo un
po’ i vocaboli» lo schernì la moglie. «Da’ qua, Hellie»
Jacob
sbuffò.
Helen rise. «La
mamma ha ragione, papà. Se non usi i vocaboli sembrerà che tu non li
sappia!»
Il padre la
guardò incuriosito, poi le fece un buffetto sulla guancia. «Sei un tesoro.
Vieni, dammi un abbraccio» e Helen obbedì con molto piacere. Le piaceva
abbracciare le persone.
«Ecco, piccola.
Hai dimenticato di riportare il due, ecco perché non riuscivi a farlo» le disse
Emily, restituendole il quaderno.
Helen fece per
tornare in camera, ma inciampò nella gamba del tavolino e si trovò per terra. Si
rialzò e si massaggiò il ginocchio. I suoi genitori corsero subito accanto a
lei.
«Tutto bene,
amore?»
«Sì, sì! Non mi
sono fatta niente» sorrise e tornò nella sua cameretta.
Una volta in
camera si sdraiò sul letto e strinse le lenzuola del letto per soffocare il
dolore: l’ultima cosa che voleva era far preoccupare i suoi genitori,
soprattutto suo papà. La mamma è incinta, pensò, il papà deve preoccuparsi solo
di lei.
Il giorno dopo
andò a scuola un po’ zoppicante e con un grosso livido nero, ma almeno suo padre
aveva avuto occhi solo per sua madre.
Si sedette al
suo posto e salutò Cecilia, la sua migliore amica. La maestra non era ancora
arrivata.
«Come mai
zoppichi? Ti sei fatta male?» le domandò Cecilia, con i grandi occhi verde acqua
spalancati.
«Un pochino, ma
non è niente di grave!»
Matthew, il
ragazzo più antipatico della scuola, la prese in giro. «Stranelen si è fatta
male!» cantilenò, spintonandola.
“Stranelen” era
il soprannome che le avevano affibbiato i suoi compagni di classe da quando,
pochi anni prima, aveva accidentalmente strappato il maglione di una ragazza,
cambiato il colore di un fiore e, tutti lo dicevano, ma nessuno ci credeva
veramente, fatto levitare un quaderno. Le maestre non credevano ai compagni
quando lo raccontavano, ma sia Helen sia i suoi genitori sapevano che era vero:
quelle erano state le prime magie involontarie della
bambina.
Tutti i suoi
compagni di classe la trovavano strana, solo Cecilia si fidava ciecamente di lei
ed era sua amica, anche se sospettava che fosse
“speciale”.
Tra tutti i
bambini, Matthew Douglas era il peggiore: la pungolava sempre e la derideva
senza mezzi termini. Era stato lui a coniare il soprannome
“Stranelen”.
«Vai via, Matt»
gli intimò Cecilia, prendendo subito le difese dell’amica.
«Se no? Lo dici
alla maestra?» le fece un pizzicotto sulla spalla.
«Lasciala
stare!» esclamò Helen, strattonandolo per un braccio. Matt si girò e le tirò i
capelli così forte che una ciocca dorata gli rimase in
mano.
Helen pianse da
dolore e dalla vergogna e si massaggiò il punto in cui aveva perso i capelli:
ora era un liscio lembo di pelle pallida.
Cecilia spinse
via il bambino e corse per denunciarlo alla maestra, ma Matthew la trattenne con
tanta veemenza che la bambina urlò.
Helen strinse i
due pugnetti e assottigliò gli occhi verdissimi e lucidi di lacrime, fissando
Matthew con rabbia. Subito, dalla testa del bambino cominciarono a staccarsi
ciocche di capelli.
Quando la
maestra arrivò in classe, Matthew Douglas era calvo e piangeva
disperato.
«Cosa è
successo?» domandò la signorina Dorothy, spaventata.
«Helen mi ha
fatto cadere i capelli!» pianse Matthew, tra le braccia della
maestra.
«Ma Matt ha
tirato i capelli di Helen! Ha iniziato lui!» gridò Cecilia, terrorizzata,
abbracciando Helen.
La signorina
Dorothy era sconvolta: era fisicamente impossibile che una bambina minuta come
Helen avesse strappato tutti i capelli di Matthew, ben più alto e grosso di
lei.
«Matthew, adesso
calmati! Come te li ha strappati?» chiese al bambino.
«Col pensiero,
signorina Dorothy! È cattiva!» ululò Matthew indicando con l’indice grassottello
la povera Helen, che ancora piangeva.
Dorothy non
riusciva a credere a quello che sentiva. Prese Helen per una mano e Matthew per
l’altra e uscì dalla classe.
«Andiamo a
chiamare i vostri genitori»
Quando i
genitori furono convocati, a nulla valsero le proteste di Matthew, i signori
Douglas non furono mai convinti che la piccola Helen Adams gli avesse strappato
tutti i capelli. Anzi, si preoccuparono ancor di più, temendo che il figlio
manifestasse i sintomi di una malattia rara.
I signori Adams
difesero sempre la figlia. Tornati a casa, Emily le preparò un tè caldo e
ascoltò la versione ufficiale di ciò che era accaduto.
«Piccola mia,
non è successo nulla. I capelli ricrescono e, purtroppo, non sai ancora
controllare la tua magia. Forse è meglio se stiamo lontani a scuola per qualche
giorno, che ne dici?»
Helen annuì in
silenzio, anche se era molto dispiaciuta perché non avrebbe potuto vedere
Cecilia per un po’ di tempo.
La settimana
seguente, Emily diede alla luce una splendida bambina bionda, Diana. Helen non
aveva mai visto una bimba così bella.
Dopo un anno,
Diana fece levitare il biberon e fu subito chiaro a tutti quale strada avrebbe
intrapreso.
Emily guardò
Helen.
«Un’altra
streghetta in famiglia, eh?»
Helen annuì,
sorridente.
«La mia
sorellina ha fatto volare il biberon» confidò un giorno a
Cecilia.
Cecilia rise,
felice. «È speciale come te!»
Primo di una
serie di capitoli speciali che faranno da intermezzo alla vicenda. Questa era
Helen, alla prossima con... sorpresa! XD
Come al solito,
grazie a tutti! *O* Non sapete quanto mi rendiate felici con le vostre
bellissime recensioni!
Ci leggiamo la
settimana prossima!
Grazie, di
cuore.
Akami
Edit: Diana è nata prematura, non è un errore che sia nata una settimana dopo gli avvenimenti descritti anche se sua madre era incinta di soli otto mesi! :)
Halloween
era alla porte, anzi, per essere precisi sarebbe stato quella sera stessa. Tutta
la Sala Comune degli Hufflepuff era in fibrillazione: Frate Grasso volava qua e
là, brindando con i quadri e attraversando poveri ragazzini ignari; Megan Jones
e Wayne Hopkins battibeccavano di fronte all’entrata come loro solito; un paio
degli Hufflepuff più grandi giravano con maschere spaventose a terrorizzare le
ragazze; un ragazzo del quarto che affermava di essersi travestito da serpente
sfruttava quest’idea per guardare sotto le divise delle studentesse e riceveva
uno schiaffo dopo l’altro.
Solo
una persona non sembrava godersi la folkloristica
ricorrenza.
«Lance,
esci di lì!» gridò Helen, bussando vigorosamente alla porta del dormitorio
maschile del primo anno, dietro la quale si nascondeva Lance da più di
mezz’ora.
«Non
ci penso nemmeno!» ribatté il ragazzo, nascosto sotto le coperte del proprio
letto e circondato da Liam e Sheldon, rimasti intrappolati con
lui.
«Dannazione!
Shelly caro, potresti per favore uccidere Lance e strappargli la chiave di mano?
Ho bisogno di prendere il mio travestimento!» sbottò Rowan impaziente,
tamburellando le dita sul muro.
«Non
posso! Sce l’ha sotto il cuscino!»
rispose Sheldon. «E io ho bisogno di usare il bagno! Me la sto fascendo adosso!» aggiunse, con tono
implorante.
«Affari
tuoi!» rispose Lance. La voce era diventata acutissima e sembrava un bambino più
che mai.
«Guarda
che non ci sono più in giro quelli con le maschere. Stai tranquillo…» mormorò
Liam, accarezzandogli la schiena, premuroso.
«Non
è solo per quello…» continuò l’Hufflepuff, spaventato. «Hai sentito cos’ha detto
Dumbledore? Che ci sarebbe stata una compagnia di scheletri danzanti…» soffiò
appena.
«Ma
quelli fanno ridere!» gridò Rowan dall’altra parte del muro. «Sono degli
scheletri imbecilli che fanno balletti idioti! Non fanno paura nemmeno a mia
sorella Jane, che ha tre anni!»
Helen
guardò Rowan dubbiosa. «Ma tu hai già visto una compagnia di scheletri
danzanti?»
Il
ragazzo sorrise. «Certo che no.» poi sussurrò: «Ma se è per questo non ho
neanche una sorella di tre anni che si chiama Jane.»
Amelia,
seduta sull’ultimo gradino della scala del dormitorio maschile, scoppiò in una
grassa e acuta risata, tanto aspra che Helen temette che i vetri si
rompessero.
«Lance!
Se continui così finirai come Amelia! Apri! Apri, ti prego!» gridò ancora Rowan,
ormai disposto a tutto pur di entrare in camera e indossare il suo travestimento
da vampiro.
«Avonti… guarda quanto è caduto in baso quel poverascio di Rowàn.» commentò Sheldon, incapace di
trovare una posizione che aggradasse lui e la sua vescica.
La
voce calda di Liam lo ammonì: «Su, Lance. Abbi pietà del povero
Sheldon!»
Fu
Helen a convincere definitivamente l’amico ad aprire la
porta.
«Non
preoccuparti, Lance. Se hai paura ci sarò io accanto a te.» disse. La dolcezza
con cui aveva pronunciato quelle parole fecero capitolare il
ragazzo.
Finalmente
la porta si aprì e Sheldon poté porre fine alle sue sofferenze, Rowan riuscì a
travestirsi da vampiro, Geoffrey terminò il Magicverba che aveva lasciato in
sospeso e Liam rimase con Helen a calmare Lance.
Scesero
tutti insieme nella Sala Grande che per l’occasione era stata addobbata con
decorazioni arancioni e nere. Enormi zucche erano state svuotate e fungevano da
lampade, illuminando la sala con una sfumatura arancione. Il finto cielo del
soffitto rifletteva una notte stellata, mentre alcuni pipistrelli svolazzavano
sopra le teste degli studenti.
Al
centro del tavolo dei professori sedeva Albus Dumbledore: indossava un enorme
cappello a forma di zucca e aveva una tunica arancione e nera che suscitò risate
da parte di molti Hufflepuff che lo videro.
Tra
il tavolo degli Hufflepuff e quello di Ravenclaw (i due centrali) era stato
lasciato spazio, probabilmente per l’arrivo della tanto attesta compagnia degli
scheletri danzanti.
Helen
notò che non erano in molti ad essere travestiti: ragazzi del settimo e del
sesto anno e alcuni studenti del primo anno.
Vide
Justin sbracciarsi verso di loro, probabilmente invitandoli a sedersi là dove
aveva lasciato i posti vuoti.
Una
volta accomodati, Rowan si rese conto di essere travestito allo stesso modo del
ragazzo che fingeva di essere un serpente per sbirciare sotto le gonne delle
ragazze.
Sembrava
che anche quello se ne fosse accorto. «Ehi! Hai buon gusto!» commentò, toccando
la stoffa del mantello di Rowan.
«Anche
tu!» asserì il compagno, assumendo una smorfia tra il divertito e il malizioso.
«Io sono Rowan James e tu sei il serpente!»
L’altro
ragazzo rise di gusto, divertito dai modi di Rowan, evidentemente simili ai
suoi.
«Tuttavia,
i miei genitori mi hanno dotato di un nome: piacere, Michael
Stebbins.»
«Sono
un tuo fan!»
«Sei
sulla buona strada per finire su una figurina delle Cioccorane,
allora!»
«Sarebbe
il mio sogno!»
«Bravo
ragazzo!»
Rowan
e Michael si chiusero in una fitta conversazione dalla quale non riemersero se
non con l’arrivo del dolce.
Nel
frattempo, Lance tremava come una foglia. Seduto tra Liam e Helen si guardava
intorno circospetto, quasi si aspettasse che qualcuno da un momento all’altro
sbucasse fuori a spaventarlo.
«Vuoi
stare calmo?» gli intimava Helen, leggermente spazientita. «È Halloween, è ovvio
che ci sia qualche maschera spaventosa, ma nessuno ti spaventerà con
cattiveria!»
«Helen
ha ragione. Perché non ti godi la festa invece che farti mille problemi sulle
maschere spaventose?» aggiunse Liam con fare paterno.
«Sembrate
proprio una famigliola felice.» commentò Ernie, addentando con particolare garbo
una coscia di pollo.
Helen
arrossì molto imbarazzata, imitata subito da Liam.
«Ehi,
Helen, vuoi un po’ di patate?» domandò Justin, premuroso, porgendole il vassoio
con i tuberi.
«Aspetta!»
lo fermò una voce non troppo lontana. Un ragazzo, seduto vicino a Michael, si
sporse sul tavolo con la forchetta e tolse da due patate un rametto di
rosmarino.
«Mangia
pure.»
Lance
strabuzzò gli occhi, turbato. Ultimamente cominciava a incontrare troppe persone
strane.
«Ehm,
sì, grazie Justin.» disse Helen, servendosi una porzione di patate
bollite.
Quando
tutti i vassoi furono ben ripuliti, Dumbledore chiamò su di sé tutta
l’attenzione battendo con delicatezza una posata contro il bicchiere di
cristallo.
«Miei
cari studenti.» esordì, con la gentilezza di sempre. «Ora che siete satolli, ho
il piacere di presentarvi una simpatica compagnia che allieterà il momento della
digestione. Ecco a voi… i fratelli Skeleton!»
Nella
Sala Grande si diffuse un fitto fumo grigio e, improvvisamente, un suono del
tutto simile a quello di una chitarra elettrica devastò
l’atmosfera.
Lance
non sapeva se ridere o gridare. Non erano scheletri danzanti, ma i fratelli
Skeleton, un gruppo composto da tre fratelli: un chitarrista, un ballerino e un
addetto agli effetti speciali, che in quel momento era impegnato nell’accensione
di alcuni fuochi d’artificio spettacolari.
Liam
scoppiò a ridere e mise un braccio intorno alle spalle dell’amico. «Hai visto,
coniglio?» gli disse, ancora ridacchiando.
Lance
sembrò riemergere dalle segrete di Azkaban quando alzò gli occhi per ammirare i
fuochi artificiali che, con un potente rombo, conclusero una delle più belle
feste di Halloween a cui chiunque avesse mai partecipato.
L’ultima
esplosione fece comparire un fantasma interamente composto da fuoco, che si
aggirò per la Sala Grande mentre tutti gli studenti si riversavano nei corridoi,
per raggiungere i rispettivi dormitori.
Ad
un tratto, si udì un urlo femminile che squarciò l’aria. A Helen si accapponò la
pelle, stringendosi contro Justin dal terrore.
«Cos’è
stato?» mormorò con voce flebile, vedendo che la folla sembrava salire al
secondo piano.
«Non
ne ho la minima idea.» disse Justin, prendendola per un braccio e cominciando a
correre, subito seguiti da molti Hufflepuff del primo e del secondo
anno.
Quando
si fermarono, Lance gridò. «Che cos’è quello?»
Ernie,
ancora con il fiatone per la corsa, sbiancò. «È Mrs. Norris, la gattaccia di
Filch.»
Al
centro del cerchio che s’era venuto a formare intorno al cadavere della gatta
appeso per un filo, stavano tre Gryffindor.
«Non
è Hermione, quella?» disse Hannah, portandosi una mano alla
bocca.
«Sì!
Con Ron e Harry!» sussurrò Justin, incredulo. «Sono stati
loro?»
Liam
e Helen non avevano ancora aperto bocca, fissavano il muro sconvolti. Sheldon,
dietro di loro, cercava di aprirsi un passaggio sgomitando insieme con
Geoffrey.
«Che
cosa carina.» commentò Amelia, noncurante. «Il rosso è il mio colore preferito.»
disse, indicando una scritta sul muro color rosso sangue.
LA
CAMERA
DEI SEGRETI
È STATA APERTA
TEMETE,
NEMICI
DELL’EREDE
Recitava
l’iscrizione.
Improvvisamente,
qualcuno gridò: «Temete, Nemici dell’Erede! La prossima volta tocca a voi,
sanguesporco!»
Draco
Malfoy si era fatto spazio tra tutti e ora stava in fronte ai tre, che
sembravano tanto sconvolti quanto il resto degli studenti.
Justin
trattenne il respiro.
«Co-cosa
significa?» domandò il ragazzo, vedendo che tutti i suoi amici lo stavano
guardando come se fosse già morto.
Hannah
scoppiò in lacrime, correndo via. Ernie la seguì,
preoccupato.
Un
tonfo sordo annunciò che Lance era svenuto.
«Lo
portiamo noi in camera. Voi rajunjetesci al più presto.» disse Sheldon,
prendendo il ragazzo in spalla aiutato da Geoffrey.
Liam
sembrava pietrificato dal terrore.
«Helen,
Liam, Justin… andiamo.» esalò Rowan, per una volta serio, spingendo gli amici
dietro la schiena.
Con
l’arrivo dei professori, buona parte degli studenti si
disperse.
«Però
Draco l’ha detto proprio bene quello che doveva dire.» dichiarò Amelia con voce
atona, gli occhi come spiritati ad osservare un punto impreciso della
scritta.
Girò
sui tacchi e tornò in Sala Comune.
«Cosa
significa “Temete, Nemici dell’Erede”? Perché dovremmo esserlo?» gridò Justin
una volta lasciatosi cadere sul divano di fronte al fuoco scoppiettante. «Che
cosa abbiamo fatto di male? Siamo persone come tutti! Abbiamo lo stesso sangue,
vero?»
Nessuno
gli rispose. Liam era troppo intento a guardarsi le braccia nude, osservando le
vene blu che si intravedevano sotto la pelle, ipnotizzato; Sheldon, Geoffrey e
Lance erano tornati nel loro dormitorio, affermando di avere troppo sonno per
pensare; Hannah stava in un angolino a piangere, consolata da
Ernie.
«Perché
non mi rispondete? Dite qualcosa, vi prego!» continuò, alzandosi in piedi e
facendo cadere il cuscino che teneva in grembo.
«Il
sangue di ogni persona è differente. Certo, il mio è del tuo stesso colore, il
tuo avrà lo stesso sapore di quello di Alana… ma non possiamo dire che abbiate
lo stesso sangue. Alana è figlia di un Mago, tu no.» borbottò Caitlin, quasi
restia a proseguire. I corti capelli rossi erano
sconvolti.
«E
allora? Che cosa significa?» esplose Rowan, difendendo Justin pur essendo figlio
di Maghi purosangue. «Sei d’accordo anche tu con Malfoy?»
Caitlin
distolse lo sguardo. «Ti prego, Rowan, non farmi
continuare.»
Helen
strabuzzò gli occhi e guardò Alana: stava accarezzando la spalla di
Caitlin.
«No,
adesso vai avanti! Slytherin che non sei altro!» la insultò Rowan, tirando un
calcio al cuscino che aveva davanti ai piedi. Aveva la bava alla bocca dalla
rabbia.
«Semplicemente
mi sono sempre chiesta come fosse possibile che una persona nata da una famiglia
di stirpe babbana potesse possedere poteri magici!» gridò Caitlin, furiosa. «Non
è normale! Non dico che bisogna ucciderli, ma almeno accettare che siano
strani!»
Liam,
che fino a quel momento era rimasto in silenzio, ridacchiò. «Anche gli Elfi
Domestici hanno poteri magici, per questo motivo non dobbiamo trattarli come persone?»
Caitlin
ammutolì.
Justin
si aprì un varco tra gli amici e salì nel suo dormitorio, senza salutare
nessuno.
Caitlin
e Alana lo seguirono, stizzite, prendendo la scala per i dormitori
femminili.
Liam
si alzò dalla poltrona e andò in bagno, ancora con le maniche rimboccate, per
mettere bene in mostra le vene bluastre.
Rimasero
soli Rowan e Helen.
«E
tu? Non hai ancora detto nulla.» disse il ragazzo, ansimando per la rabbia,
quasi come se le stesse ordinando di metterlo a parte della sua
opinione.
«Io?
Beh, penso che prima di arrabbiarci con Caitlin e Alana dovremmo scoprire che
cosa le porta a pensare quelle cose. Magari i loro genitori sono sostenitori di
Tu-Sai-Chi e hanno riempito le loro teste di sciocchezze. Inoltre, non posso
schierarmi dalla parte di nessuno: siete miei amici, sarebbe come scegliere tra
voi, e non voglio.» dichiarò, pazientemente, nonostante il viso di Rowan fosse
via via più paonazzo.
In
quel momento Amelia varcò l’entrata della Sala Comune.
«C’è
Amelia, vado a dormire. Buonanotte, Rowan.» si congedò, salutando con le mani
Megan Jones, imbronciata e seduta da sola vicino a un tavolino di stagno
squadrato che le rispose con un cenno annoiato della
testa.
Rowan,
rimasto ormai solo, si diresse verso le scale del suo dormitorio, non prima di
aver tirato un pugno contro il muro, destando l’attenzione di tutti gli
Hufflepuff rimasti.
Cominciano i
primi spaventi e colpi di scena... Rowan si è proprio
arrabbiato!
Spero non
giudichiate male Caitlin e Alana: la prima è purosangue e abbastanza impulsiva,
mentre Alana pende abbastanza dalle labbra di Caity, quindi spero che le due
reazioni siano in parte giustificate. Anche Rowan è purosangue, ma i suoi
genitori sono sempre stati babbanofili, quindi ha le idee ben chiare e la testa
dura! XD
Risponderò alle
recensioni con calma perché in questi giorni ho davvero pochissimo tempo!
Scusatemi anche per il ritardo di pubblicazione!
Il
giorno seguente fu il più teso mai vissuto da tutti i ragazzi prima di
allora.
Liam
si svegliò presto e scese con Geoffrey a fare colazione prima di tutti gli altri
Hufflepuff; Rowan probabilmente non avrebbe rivolto la parola a nessuna ragazza
del suo anno, nemmeno a Helen per rabbia.
Quella
mattina, Helen si svegliò tardi. Gli occhi le bruciavano e vedeva tutto sfocato.
I baffi di Moby le fecero il solletico a un fianco e scoppiò a ridere, destando
l’attenzione di Carey Pryce, una ragazzina estremamente timida e sempre sulle
sue con le quali aveva parlato pochissime volte. Il dormitorio era
vuoto.
«Scusami…»
borbottò, imbarazzata, grattandosi una tempia. «Mi sai dire che ore sono?»
chiese, notando che tutti i letti erano ordinati.
«Le
nove meno dieci.» rispose lei, tranquilla, aprendo la finestra della stanza per
cambiare l’aria nel dormitorio.
Helen
strabuzzò gli occhi, saltando fuori dal letto e facendo rotolare Moby per
terra.
«Nessuno
mi ha svegliata?» gridò, svestendosi del pigiama e cercando la divisa della
scuola.
«No,
la tua amica Amelia ha detto che non ti sentivi bene e che non saresti venuta a
lezione.» rispose Carey facendo spallucce e inforcando la borsa con i libri.
«Beh, io vado. Spero di vederti dopo a Incantesimi.» ed uscì dalla
stanza.
La
ragazza rimase sola per alcuni istanti, finché non entrò Lance, senza
preoccuparsi di bussare.
Helen
urlò, dato che aveva indosso solo la gonna e lanciò un libro contro
l’amico.
«Ma
sei impazzita?!» la ammonì Lance quando finalmente furono in corridoio diretti a
lezione di Incantesimi. Aveva un grosso livido rosso sulla
guancia.
«Sei
entrato tutto trafelato nel nostro dormitorio… cosa ti aspettavi facessi?»
replicò Helen con le guance rosse dall’imbarazzo. «E come hai fatto a
entrare?»
Anche
Lance era paonazzo. «Sono salito mentre Carey scendeva... evidentemente il
trucco non funziona quando una ragazza occupa la scala...»
Camminarono
fianco a fianco senza guardarsi né parlare, troppo in soggezione l’uno sotto lo
sguardo dell’altra.
Entrarono
in classe con pochi minuti di ritardo. Il professor Flitwick li accolse gioviale
e ordinò loro di andarsi a sedere. Come sempre, Hufflepuff e Ravenclaw erano
seduti in modo disordinato, quindi fu difficile per Helen rintracciare Amelia
che, ad ogni modo, non sembrava averle tenuto il posto accanto a
lei.
«Avete
litigato? Intendo, tu e Amelia?» le sussurrò Lance, premuroso, giocherellando
con la piuma che aveva sul banco.
«Non
che io sappia…» rispose Helen, rivolgendo poi tutta l’attenzione al
professore.
Flitwick,
arrampicandosi su una pila di libri, squittì: «Tutti pronti? Oggi impareremo
l’incantesimo Wingardium Leviosa,
ossia l’Incanto di Levitazione.»
Rowan
alzò la mano, ma parlò senza aspettare che il professore gli concedesse la
parola.
«Perché
non ci spiega cos’è la Camera dei Segreti, invece, professore?» domandò, con
arroganza. Sembrava essere ancora arrabbiato dal discorso della sera
prima.
Flitwick
quasi cadde dalla scala di tomi che aveva costruito. «Ma, signor James, non
credo sia appropriato…» disse, non molto sicuro delle sue
parole.
«Abbiamo
il diritto di sapere, professore.» continuò Rowan, con un sorrisetto malizioso
stampato sulla bocca. «Dopotutto molti nostri compagni rischiano la vita, come
Mrs. Norris.» disse, sottolineando con attenzione le parole e lanciando
un’occhiata eloquente ad Alana e Caitlin.
Flitwick
balbettò, indeciso se spiegare o meno il mistero della camera dei
segreti.
«Beh,
immagino non ci sia nulla di male nello spiegare…»
«Avanti,
professore!»
«Sì,
beh, adesso basta, signor James!» si schiarì la voce. «Dunque, quando Hogwarts
fu fondata, vi furono molte discussioni sul genere di studenti che avrebbe
dovuto ospitare. Chiaramente, Godric Gryffindor, Helga Hufflepuff e Rowena
Ravenclaw desideravano che lo studio fosse aperto a tutti coloro che avessero
manifestato attitudine alla magia…»
Rowan
ridacchiò. «“Chiaramente”, professore? Anche lei odia gli Slytherin?» azzardò,
incurante di stare parlando ad alta voce.
Flitwick
si interruppe, ruzzolando giù dai libri.
«Signor
James, sta cominciando a stancarmi.» disse, non appena fu in grado di parlare.
«Se continua così dirò alla professoressa Sprout di
punirla.»
«Continui,
la prego!» disse il ragazzo, pregando il professore con occhi supplici. Flitwick
sospirò, intenerito, e riprese a parlare.
Lance
lo sgomitò. «E questo chi te l’ha insegnato?» domandò, ancora
ridendo.
«Mike
Stebbins del quarto. Dice che Flitwick tra tutti è il più
manipolabile.»
«Tuttavia,
Salazar Slytherin si trovava in disaccordo con i compagni: egli prediligeva la
purezza di sangue, e così litigò ferocemente con Gryffindor, finendo per
lasciare la scuola.» terminò, annoiato, in uno sbadiglio.
Rowan
alzò di nuovo la mano e, di nuovo, parlò senza permesso. «Ma professore, questo
lo sapevamo già.»
Flitwick
sembrò riscuotersi dal torpore. «Sì, ma adesso arriva la parte che preferisco,
signor James.
«Slytherin
tornò segretamente a scuola e costruì una stanza segreta, sigillandola in modo
che solo lui o il suo Erede potesse aprirla.»
«L’Erede
di cui si parla nella scritta sul muro, vero?» domandò Lance,
preoccupato.
Il
professore annuì. «Esattamente, signor Wallace. Cinque punti a
Hufflepuff.»
Helen
guardò Flitwick stranita.
«Ah,
già! Non ha risposto correttamente a una mia domanda. Cinque punti in meno a
Hufflepuff.»
Rowan
si rivolse a Lance: «Non so se ridere o arrabbiarmi.» disse, quasi
divertito.
«Signor
James! Non glielo ripeterò più! Mi faccia continuare!» alzò la voce Flitwick,
ormai più eccitato lui stesso di raccontare che gli altri alunni di
ascoltare.
«La
leggenda narra che nella Camera si nasconda il più orribile dei mostri, pronto a
uccidere i nati babbani seguendo il volere di Slytherin.»
A
questa rivelazione, Liam trattenne il respiro, consapevole che poteva essere in
pericolo di vita.
Helen
alzò la mano.
«Sì,
signorina Adams?»
«Professore,
mi chiedevo se questa stanza sia mai stata trovata. E se è possibile che l’Erede
di Slytherin sia uno studente.»
Tra
gli studenti si alzò un brusio spaventato e Flitwick rischiò seriamente di
cadere giù dalla pila di libri una seconda volta.
«Io
non credo che… insomma! Dobbiamo continuare con l’Incanto Lievitante, non
perderci in queste baggianate…»
«Incanto
Levitonte, professore.» lo corresse
Sheldon, suscitando l’ilarità della classe, dato che era lui stesso a dover
essere corretto a volte.
«Così
Potter è l’Erede.» concluse Rowan, sedendosi al tavolo degli Hufflepuff per
pranzo.
«E
questo da cosa l’hai dedotto?» domandò Lance, ridendo alla fretta di Rowan di
sapere.
«Diciamo
da quello.» rispose l’amico, indicando l’ingresso della Sala Grande, dalla quale
stava entrando Potter con i suoi due amici. Alcuni Ravenclaw e Hufflepuff
avevano deviato strada per evitare di guardarlo negli occhi. Justin uno di
questi.
Si
sedette accanto a Helen e affondò il viso nelle mani.
«Visto?»
disse Rowan, sbrigativo, versandosi del succo di zucca nel
bicchiere.
Poco
dopo Justin, arrivò anche Liam, sbattendo la cartella piena di libri sul tavolo
con grande fragore.
«Brutta
giornata?» domandò Rowan, con la bocca allagata dal succo.
«Ero
con te fino a cinque minuti fa, Rowan.» gli rivelò Liam, evidentemente di
cattivo umore. Evitò di incontrare lo sguardo di Lance.
«Successo
qualcosa?» chiese invece Hannah, sedutasi tra Justin e Ernie in
quell’istante.
Furono
interrotti da una imprecazione in francese.
«Les femmes horrible et
révoltant!» sbottò Sheldon, accomodandosi vicino a Liam. Per
quanto poco Helen conoscesse il francese, comprese perfettamente quelle
parole.
«Esatto.»
asserì Liam. «Le Slytherin.»
Allora
Helen capì perché entrambi non guardavano Lance dritto negli occhi:
Abigail.
L’amico
sembrò giungere alla sua stessa conclusione.
«Farò
un discorsetto ad Abigail.» promise.
«A
quella non bisognerebbe fare un discorsetto. È odiosa e insopportabile. Scusa,
Lance-Pence, ma è così.» esclamò Rowan, afferrando una pagnotta e mordendola
senza spezzarla, voracemente affamato.
«È
sempre stata influenzabile, ma mai cattiva.» commentò Lance, tagliando il
prosciutto che aveva nel piatto e guardando Rowan
disgustato.
«Posso
sedermi qui?» domandò Caitlin, appena arrivata, indicando il posto alla sinistra
di Rowan, evidentemente vuoto.
«No.
È occupato.» rispose il ragazzo, senza nemmeno guardarla.
«Ah
sì? Per chi, sentiamo?»
«Johnny.»
«E
chi è Johnny?»
«Il
mio amico invisibile e non razzista.»
sottolineò con accortezza la negazione, mettendo Caitlin in una situazione
imbarazzante.
Alana,
dietro di lei, sbuffò. «Andiamocene, Caity.» borbottò, attenta a non farsi
sentire da Lance.
Quando
furono lontane, Ernie domandò a Rowan: «Mi spieghi perché le hai mandate
via?»
«È
quello che vorrei sapere anche io.» disse una voce dietro Rowan. Era il famoso
“Stebbins del quarto” di cui il ragazzo parlava sempre. «Non hai visto che erano
due ragazze? Ra-gaz-ze, Row! Ricordi? Tante ragazze, uguale, popolarità, uguale,
figurina delle Cioccorane!»
Helen
non era molto sicura di avere capito il nesso logico tra le tre
cose.
«Maestro,
chiedo perdono. Ho dovuto farlo, perché quelle ragazze sono feccia Slytherin.»
rispose Rowan, facendo il saluto militare.
«A
me sembravano Hufflepuff.» ribatté Geoffrey, apparso misteriosamente. In una
mano teneva la forchetta, nell’altra la penna per completare i
Magicverba.
«Sono Hufflepuff, Geoffrey! Sono Caitlin
e Alana, per la miseria!» esclamò Lance, fattosi serio tutt’un tratto. «E Rowan,
mi sembra che questa storia sia ridicola: Caitlin e Alana non ti hanno fatto
nulla, hanno solo espresso un parere. Non dovrebbe essere così che ci si
comporta tra amici.»
«Mi
sono persa qualcosa?» domandò Hannah. Justin la zittì e le fece segno che
avrebbero parlato più tardi.
«Beh,
non sono miei amici dei razzisti!» gridò Rowan, attirando su di sé l’attenzione
degli Hufflepuff.
Helen
preferì non udire oltre, le sembrava soltanto un discorso
inutile.
«Rowan
se la sta prendendo un po’ troppo, vero?» le disse Justin, porgendole il
dolce.
«Credo
che tutta questa storia di sangue puro o no siano parole al vento, dopotutto io
e te siamo uguali: due braccia, due gambe, un naso, due
occhi…»
Justin
annuì, addentando il budino. «Magari gli dà fastidio che due sue amiche non la
pensino come lui. Nel senso, magari vuole sempre aver
ragione.»
Helen
osservò Rowan battibeccare con Lance e rise. «Lui deve avere sempre ragione, per forza. E
il fatto che Lance sia una delle persone più orgogliose che conosca non migliora
la litigata tra i due»
«Immaginavo.»
sorrise.
Furono
interrotti dall’arrivo di Cedric Diggory, tutto un sorriso, che si avvicinò a
loro e li salutò allegro.
«Sono
qui per annunciarvi la prima partita di Quidditch dell’anno: Gryffindor contro
Slytherin! Stiamo organizzando di disegnare degli striscioni per tifare
Gryffindor… siete dei nostri?» domandò, appoggiando entrambe le mani sulle
spalle di Helen e scuotendola.
«Io
e Hannah passiamo.» rispose Ernie, immediatamente. «Dobbiamo finire il tema per
la Sprout. Tu, Justin?»
Justin
sembrò pensarci una manciata di secondi. «Io l’ho finito, quindi mi aggrego.
Niente che menzioni Potter, però, eh!» dichiarò con tono
fermo.
«Perché?»
chiese Cedric, quasi fosse dispiaciuto per Harry. «Ti sta
antipatico?»
Justin
ridacchiò nervosamente. «Diciamo che non gli piaccio.» disse, restando vago per
non insospettire nessuno. «Ma pur che non vinca Slytherin, questo e
altro!»
«Devo
declinare.» disse Lance appena dopo, avendo notato che lo sguardo di Cedric si
era posato su di lui. «Sono pessimo nel disegno e sicuramente rovinerei tutto.
Ne approfitterò per fare il compito di Pozioni che ci ha dato Snape.» spiegò,
riferendosi al tema con scadenza il lunedì seguente.
«C’è
Mike?» chiese Rowan, con una luce emozionata negli occhi. Aveva riconosciuto
Cedric Diggory, il migliore amico del suo mentore.
Cedric
rise. «No, spiacente. Mike non tiferebbe mai per una squadra che non sia
Hufflepuff.» rispose, lanciando un’occhiata eloquente
all’amico.
«Allora
passo.»
Diggory
scosse la testa, a metà tra il divertito e lo sconvolto: due Michael sarebbero
stati un’esagerazione per i suoi nervi. Sperò con tutto il cuore che quel Rowan
non diventasse tale quale a Michael. Il solo pensarci gli faceva venire
l’orticaria.
«E
tu, raggio di sole?» chiese a Helen. La ragazza arrossì, troppo imbarazzata per
formulare una frase di senso compiuto.
«O-okay…»
balbettò, guardando dritta davanti a sé.
«Bene,
allora vi presento la squadra!» disse Cedric, scortandoli in Sala
Comune.
Una
volta entrati videro quattro ragazzi dal volto imbronciato: evidentemente erano
stati quasi costretti dall’amico.
«Loro
sono: Megan,» indicò la ragazza del secondo che era famosa per alzare sempre le
mani.
«’iao.»
salutò, burbera.
«Wayne,»
il ragazzo del terzo anno dai modi calmi ed estremamente
pacati.
«Walter
e Stephen, ma penso che lui lo conosciate» un ragazzo del quarto molto simile a
Wayne e lo studente del secondo eccessivamente ordinato.
«Oh,
ciao, Stephen…» lo salutò Justin, a disagio.
Cedric
continuò. «Loro sono Helen e Justin.» e li presentò. «Bene, ora mettiamoci al
lavoro! Io, Walter e Megan saremo là nell’angolo; Wayne e Stephen in corridoio;
Justin e Helen potreste stare qui.»
Tutti
annuirono e, come una squadra ben addestrata, si misero subito
all’opera.
Helen
propose di disegnare i sette componenti della squadra di Gryffindor che
esultavano e Justin fu subito d’accordo.
Si
misero all’opera, intervallando a momenti di profondo impegno alcune pause
durante le quali si pitturavano il viso con i colori messi a disposizione da
Cedric.
In
poco tempo, furono raggiunti da Walter, che si unì a loro in una lotta
all’ultima macchia, mentre Cedric li guardava ridendo e Megan si faceva un’idea
del tutto sbagliata sulla loro sanità mentale.
«Cosa
state facendo?» domandò Geoffrey, entrato in quel momento. I suoi occhi
saettarono dai tre ragazzi coperti di pittura rossa e oro allo
striscione.
«Ti
piace?» domandò Helen. «Cedric dice che è molto bello!» e indicò il ragazzo poco
più lontano, tanto immerso nel lavoro da non essersi accorto di Geoffrey o della
grande macchia oro che si allargava sulla guancia.
Justin
rise. «L’avrà detto per pietà!» disse, molto critico sulla propria
opera.
Helen
lo fulminò.
«Lo
trovo molto carino, invece. Mi piace il leone.» commentò Geoffrey, sedendosi
accanto a loro.
«Sono
i gemelli Weasley!» inorridì Justin, puntando con il dito a quella che sembrava
una sbavatura scarlatta accanto al naso del leone.
«Vi
consiglio di spacciarlo per un leone.» suggerì il ragazzo, grattandosi la testa
per nulla imbarazzato.
Helen
si intristì. «Mi ero impegnata così tanto…»
«Beh,»
tentò Justin, consolatorio. «Per lo meno Wood è venuto bene.»
«Quella
è Angelina Johnson!»
Improvvisamente,
dal dormitorio maschile spuntò Wayne, assonnato e
scarmigliato.
«Mi
sono appisolato.» borbottò, sbadigliando.
Un
urlo belluino li interruppe. Wayne sospirò. «Temo che Stephen si sia sporcato
con la vernice. Vado.» disse, congedandosi e raggiungendo
l’amico.
«Quello
lì è un idiota.» commentò Megan, scuotendo la testa in segno di
diniego.
«Chi,
Wayne o Stephen?» domandò Helen.
«Entrambi.
Tu sei quello che ieri ha urlato che le differenze di sangue sono stronzate,
vero?» disse Megan, rivolgendosi a Justin.
Helen
ammutolì di fronte alla volgarità della dodicenne.
«Beh…
più o meno sì.» rispose Justin, ora intimorito.
«Bravo!
Mi sei piaciuto!» si congratulò, tirandogli un pugno sulla
spalla.
Il
ragazzo gemette dal dolore, mentre Megan si allontanava a grandi e pesanti
passi.
«Quella
è una pazza. Pazza.» biascicò, mentre Walter e Geoffrey si rotolavano a terra
dalle risate.
No,
non sono morta. XD Sto solo passando un pessimo periodo a scuola, chiedo
umilmente perdono! Spero che mi perdoniate con questo capitolo, che dedico a NanaBouregarde perché domani è il suo compleanno
:) tanti auguri!
Adesso
risponderò anche a tutte le recensioni! E giuro che tornerò a pubblicare una
volta alla settimana! Parola di giovane recluta del Dumbledore’s
Army!
L’eccitazione
della notizia che Gryffindor aveva distrutto Slytherin al Quidditch andò via via
scemando, una volta scoperto che Colin Creevey, un Gryffindor del primo anno,
era stato pietrificato misteriosamente.
Se
dapprima i brusii concitati erano stati dedicati tutti alle perplessità che
l’attentato a Colin aveva suscitato, dopo poco tempo si concentrarono su Harry
Potter.
Tutti
sapevano come Colin desse il tormento a Harry con la sua inseparabile macchina
fotografica, dunque molti pensavano che, per vendetta, il Gryffindor l’avesse
pietrificato.
Harry
Potter era l’Erede di Slytherin, nonostante non ci fossero prove a
inchiodarlo.
Tra
gli Hufflepuff, forse, quello più sconvolto era Justin Finch-Fletchley, convinto
fino al midollo che Harry l’avesse preso di mira. Molti suoi compagni
condividevano con lui quel timore: Geoffrey, ad esempio, considerava Potter come
una persona viscida, sebbene non ci avesse mai parlato; Ernie, da subito, aveva
ampollosamente dichiarato che Potter gli era sembrato sospetto fin dal primo
giorno di scuola; Rowan, benché il “grande maestro Stebbins del quarto” non
avesse preso posizione serie in
merito, seguiva il suo istinto, difendendo a spada tratta i diritti dei nati
babbani.
«Ma
perché dovrebbe essere nemico dei nati babbani, dato che la sua migliore amica
lo è?» domandò Hannah, precedendo Helen e Lance di pochi
secondi.
«E
io che ne so di cosa passa nella testa di quello!» rispose Justin, sostenuto da
Rowan che, da pochi giorni a quella parte era divenuto come la sua
ombra.
Furono
interrotti dall’arrivo di Michael che entrò in Sala Comune strepitando: «Il Club
dei Duellanti! Hanno fondato il Club dei Duellanti!
Stasera!»
Gran
parte degli Hufflepuff degl’ultimi anni si unirono a Michael in una bizzarra
danza di felicità, intonando cori a squarciagola.
Rowan,
animato da una nuova scintilla di gioia, lasciò per qualche secondo Justin,
correndo a festeggiare insieme al maestro.
«Club
dei Duellanti?» domandò Lance, confuso.
«Un
Club in cui vengono insegnate le principali mosse di attacco e difesa in un
duello tra maghi.» spiegò Helen. «Quando mio padre era uno studente di Hogwarts
il presidente del Club era Flitwick. Pare che fosse stato un grande duellante in
passato.»
Justin
si illuminò. «Io parteciperò!» esclamò.
Ernie
sorrise. «Sarà una bella sfida, ma potremmo mostrare quanto valiamo! Siete dei
nostri?»
Helen
e Lance si guardarono. Trascorrere una serata a duellare non era certo il loro
ideale di “serata tranquilla”.
«No,
io credo che verrò alla prossima. Oggi ho decisamente voglia di mettermi a letto
il più presto possibile.» rispose Helen, sorridendo. Justin sembrava
deluso.
«Ma
sarà divertente…» mugugnò il ragazzo, guardandola dritto negli occhi. «Dai,
Helen…»
Helen
gli sorrise dolcemente e Justin fu subito invaso da un senso di
calma.
«No,
Justin. Ma domani mi racconterai.» rise.
Il
ragazzo sembrò rassegnarsi. «Almeno imparerò qualche incantesimo in più per
difendermi da Potter.»
«Tsk,
Potter. Come cavolo fai ad aver paura di lui? È un idiota! Hai visto quanto è
magro e debole? Lo stenderei con un pugno!» commentò Megan, che aveva origliato
il discorso da metri da loro.
Lance
inorridì, nascondendosi dietro Helen. «Helen, ho paura.» le sussurrò, facendo
ben attenzione a non incrociare il suo sguardo con quello di
Megan.
«Tu
parteciperai al Club dei Duellanti?» le domandò Helen, in soggezione di fronte a
lei.
Megan
rise sadicamente. «È ovvio. Magari riesco a sfregiare qualcuno… spero quel Momo
Stinkynson o come si chiama.»
Justin,
sconvolto, indietreggiò di qualche passo fino a scomparire dietro il gruppo di
ragazzi che ancora festeggiavano la notizia.
«Michael
Stebbins?» chiese Helen, in un vano tentativo di comprendere meglio la
psicologia della ragazza.
Megan
la guardò attentamente, assottigliando gli occhi. «Forse.» disse, girando sui
tacchi e andandosene.
Helen
sperò con tutto il cuore di averle fatto un’ottima impressione. Lance, dietro di
lei, ancora tremava.
Furono
avvicinati dal ragazzo del terzo che stava sempre assieme a Megan,
Wayne.
«Hai
visto Megan?» domandò, cercando la ragazza con gli occhi. «Oggi è di pessimo
umore, non vorrei uccidesse qualcuno… soprattutto ora che si riunisce il Club
dei Duellanti.»
Lance
lo squadrò da capo a piedi e subito gli piacque. Aveva una voce calma e pacata
ed era molto educato.
«È
andata via un attimo fa dopo aver parlato con Helen.» rispose, riemergendo dalle
spalle dell’amica.
Wayne
strabuzzò gli occhi, mantenendo un contegno britannico. «E non ti ha azzannata?»
domandò a Helen.
La
ragazza negò con la testa, sorridendo.
«Bene,
stiamo facendo progressi. Forse tra qualche anno riuscirà anche a non incutere
timore ai più piccoli…» sospirò, congedandosi.
Helen
e Lance rimasero pochi istanti in silenzio.
«Hai
notato che ultimamente stiamo incontrando molti ragazzi più
grandi?»
«Sarà
l’inverno.»
E,
ridendo, si sedettero accanto al fuoco, a leggere.
Rowan
misurava il corridoio a grandi passi, insieme a Geoffrey, Liam e Sheldon. Li
seguivano Caitlin e Alana, mantenendosi distanti almeno tre metri. Aprivano la
strada Hannah, Justin ed Ernie.
«Ma
perché Lance e Helèn non sci sono?» domandò Sheldon, rivolgendosi
a Rowan.
«Sai
come sono…» rispose Rowan, sospirando. «Sono due vecchietti tutti e due.
Preferiscono stare al caldo che passare la serata più bella della loro vita!»
esclamò, con fin troppa euforia. Geoffrey sospettò subito che tanta energia
fosse anche un modo per farsi notare dal “maestro Stebbins del
quarto”.
«Il
solito esagerato.» borbottò Caitlin, con voce abbastanza alta da essere
udibile.
«Parla
lei, la razzista.» sibilò Rowan con cattiveria, accelerando il passo e unendosi
a Ernie.
Alana,
rossa in viso per l’imbarazzo e la vergogna, si avvicinò a Liam, uno dei pochi
che non l’aveva giudicata malamente.
«Sai
per caso perché Lance non è voluto venire?» gli domandò,
sorridente.
«No,
mi dispiace…» rispose Liam, stranito dalla improvvisa cordialità della ragazza.
Pensava che dopo la discussione con Rowan non avrebbe più parlato con nessuno,
tanto meno con un sanguesporco come lui.
«Peccato…» sussurrò lei, arrossendo
ancora di più e raggiungendo la stessa tonalità dei capelli di Caitlin. «Mi
sarebbe piaciuto…» non terminò la frase, abbassando il
viso.
Liam
ridacchiò, intenerito.
Si
fermarono di fronte al portone della Sala Grande, che era spalancato e la sala
già gremita di studenti di tutte le Case e gli anni, terribilmente accesi e
muniti di bacchette. I tavoli erano stati fatti sparire e al loro posto stava un
grande palcoscenico dorato, illuminato da candele che scintillavano sul soffitto
nero, che rifletteva la notte scura.
Caitlin
notò che ai piedi del palcoscenico vi erano molto ragazzine che ciacolavano
concitate.
«Non
dirmi che l’insegnante è…»
Gilderoy
Lockhart comparve in tutto il suo borioso splendore, vestito di un abito color
prugna scuro che lo faceva assomigliare a un’elegante signora. Era affiancato
dal professor Snape, orrido e unto come sempre.
«Oh
no!» gemette Hannah, riparandosi il viso con la divisa. «Snape no! Vi prego,
nascondetemi!» sussurrò, sull’orlo di una crisi di nervi. I ragazzi guardarono
Ernie e Justin con fare inquisitorio.
«Ha
qualche problema con Snape.» spiegò Ernie, mentre Justin le batteva una mano
sulla spalla cercando di consolarla.
«E
chi non ce li ha…» sospirò Rowan con l’aria di chi nella vita ne aveva passate
di cotte e di crude.
«Avvicinatevi,
avvicinatevi! Mi vedete tutti? Mi sentite tutti? Molto bene! Il professor
Dumbledore mi ha dato il permesso di fondare questo piccolo Club dei Duellanti
perché possiate allenarvi, nel caso doveste avere bisogno di difendervi, come è
capitato a me innumerevoli volte. Per ulteriori particolari, si vedano i lavori
da me pubblicati.»
Liam
sbuffò. «La prossima parola che dice sulle sue “imprese” me ne
vado.»
«Una
montogna di stupidote.» borbottò Sheldon, molto più
attento alla polvere sulla propria divisa che ai discorsi del professore. Snape
sembrava della sua stessa idea, pietrificato sul posto e con un’espressione
disgustata sul viso.
«Permettete
che vi presenti il mio assistente, il professor Snape. Mi dice di intendersi un
po’ dell’arte del duello e molto sportivamente ha accettato di collaborare per
una breve dimostrazione, prima di iniziare. Niente paura, ragazzi… quando avrò
finito avrete ancora il vostro insegnante di Pozioni tutto intero, non
temete!»
«Che
peccato…» bisbigliò Justin nell’orecchio di Rowan, scatenando in lui un attacco
di ridarella.
I
due professori si misero uno di fronte all’altro e sguainarono le
bacchette.
«Come
potete vedere, stiamo tenendo le bacchette nella posizione regolamentare di
combattimento. Al tre, ci lanceremo i primi incantesimi. Nessuno dei due mirerà
ad uccidere, naturalmente.»
«Oserei
dire di nuovo: “Che peccato”.» disse Rowan a Justin, ricambiandolo della stessa
moneta. Dal gruppo degli Hufflepuff del quarto, Michael Stebbins levò un forte
«No…» che sicuramente i professori udirono.
Lockhart
contò e prima che chiunque potesse accorgersene, Snape lo aveva già colpito con
l’incantesimo Expelliarmus,
sbattendolo contro la parete dopo un volo degno del circo.
Gli
Slytherin applaudirono fragorosamente e anche qualche Hufflepuff, troppo
accecato dall’odio per Lockhart per ricordarsi di stare tifando Snape, si lasciò
andare in grida di supporto.
«Spero si sia rotto l’osso del collo!»
sentirono esclamare Megan, scalpitante vicino a Cedric Diggory e
Wayne.
«Sarebbe
interessante vedere un collo rotto…» cantilenò Amelia, non troppo distante da
lei.
Stephen,
il ragazzo del secondo anno fissato con la pulizia, indietreggiò terrorizzato,
portandosi dietro Susan Bones, anch’ella del secondo.
«Ma
come fa a essere sempre presente?» domandò Alana, evidentemente
minacciata.
«Non
lo so, ma sto cominciando seriamente a preoccuparmi.» le rispose
Liam.
«Questo
era un Incantesimo di Disarmo… come potete vedere ho perso la bacchetta magica…
ah, grazie signorina Brown. Sì, non se la prenda se le dico che le sue
intenzioni erano molto evidenti. Avrei potuto fermala in qualsiasi momento. Ma
ho pensato che fosse più istruttivo che i ragazzi vedessero…» disse Lockhart,
ancora barcollante per il colpo.
«Non
ci crede nessuno!» rise Justin, divertito.
«Basta
con le dimostrazioni! Ora io passo in mezzo a voi e formerò delle coppie.
Professor Snape, se vuole aiutarmi...»
Lockhart
scese dal palcoscenico e abbinò Neville Longbottom con Justin, Rowan con
Sheldon, Geoffrey con Liam, Hannah con Ernie, Stephen con Alana e Susan con
Caitlin. Amelia finì con Luna Lovegood, una Ravenclaw bizzarra quanto
lei.
Il
famoso Trio di Gryffindor venne disgregato da Snape, che accoppiò Ron Weasley
con Seamus Finnigan, Hermione Granger con la Slytherin Millicent Bulstrode e
Harry Potter con Draco Malfoy.
Lockhart
fece danni a sua volta, accoppiando Wayne con una ragazza del secondo anno degli
Hufflepuff, tale Georgia, e dividendo Diggory (che fu mandato con Megan Jones)
da Stebbins, abbinato a una certa Sandy Fawcett di
Ravenclaw.
«Tutti
uno di fronte all’altro» gridò Lockhart, risalito sul palcoscenico. «e
inchinatevi! Bacchette in posizione! Al mio “tre”, lanciate l’incantesimo di
disarmo al vostro avversario… soltanto per disarmarlo, naturalmente…
non vogliamo incidenti. Uno… due… tre…»
Prima
che Lockhart potesse finire di contare, Malfoy aveva già lanciato un incantesimo
a Potter. I due ingaggiarono un duello all’ultima fattura.
Intanto,
Rowan, Liam, Hannah, Stephen e Caitlin aveva disarmato i loro avversari senza
problemi e in quel momento li stavano aiutando a rialzarsi. Justin e Neville
avevano avuto qualche problema in più: si erano colpiti nello stesso momento ed
erano stati sbalzati via dalla potenza dell’incantesimo.
Amelia
e Luna si erano limitate a guardare il duello di Malfoy e Potter con gli occhi
spalancati.
«Oh
santo cielo!» esclamò Lockhart, guardandosi intorno stupito che un gruppo di
ragazzi avesse potuto fare tanti danni dopo un solo incantesimo. «Su, in piedi
Macmillan… attenta là Fawcett… stringi forte Boot, e vedrai che in un attimo
smetterà di sanguinare…»
Ernie
aveva un grosso livido rossastro sulla fronte, mentre la povera Sandy Fawcett
era stata colpita con tanta forza da essere finita dall’altra parte della sala,
sbattendo contro il muro e rimanendo svenuta per qualche secondo. In quel
momento, Stebbins si stava prolungando in mille scuse, promettendole che la
prossima volta si sarebbe fatto colpire al posto suo.
«Penso
sia meglio che vi insegni a bloccare
gli incantesimi ostili.» propose Lockhart, come se ci avesse pensato solo in
quell’istante.
«Ma
va? Brutto caprone! Stupida imitasiòn di un insegnonte!» lo insultò Sheldon, palesemente
infuriato, tamponandosi il labbro sanguinante con un elegante fazzoletto di
stoffa azzurro chiaro.
«Proviamo
con una coppia di volontari… Longbottom e Finch-Fletchley, vi
va?»
Prima
che uno dei due potesse ribattere, Snape esclamò: «Pessima idea, professor
Lockhart. Longbottom fa guai anche con gli incantesimi più semplici. Vogliamo
mandare dritti in infermeria i resti di Finch-Fletchley dentro una scatola di
fiammiferi? Che ne dice di Malfoy e Potter?»
Un
brusio concitato si diffuse tra gli studenti.
«La
coppia d’oro…» borbottò Stephen, pulendosi la divisa sporca con tanto foga che
le sue mani sembravano andare alla velocità della luce.
«Allora,
Harry, quando Draco punta contro di te la bacchetta magica, tu fai questo» disse, sollevando la bacchetta e
muovendo la mano in una complicata contorsione. La bacchetta cadde a
terra.
«Ohi,
ohi!... la mia bacchetta magica è un po’ sovreccitata!» esclamò, raccogliendola
di tutta fretta.
Alcuni
studenti risero.
«Guardate
Snape.» indicò Geoffrey, leggermente turbato. «Poi dicono che non faccia
preferenze.»
In
effetti, il professore aveva sussurrato nell’orecchio del pupillo qualcosa,
probabilmente un incantesimo da usare contro il povero Potter che, supplicante,
chiedeva ad Lockhart di mostrargli di nuovo la mossa.
«Tre…
due… uno… via!»
Malfoy
sollevò la bacchetta più velocemente di Harry e gridò: «Serpensortia!»
Dalla
punta della sua bacchetta uscì un lungo serpente nero, che cadde pesantemente a
terra e, rialzatosi, puntò subito Harry. La folla arretrò
gridando.
«Non
ti muovere, Potter. Ci penso io a mandarlo via.» disse Snape,
atono.
«Guarda
quello schifoso!» sibilò Rowan, indicandolo. «Secondo me vuole Potter morto
subito. Si diverte come un bambino di fronte ai fuochi
Filibuster!»
Lockhart
si frappose fra il serpente e Harry. «Mi consenta!» esclamò, brandendo la sua
bacchetta contro il rettile e scagliando un incantesimo. Non accadde nulla: il
rettile saltò e ricadde, per terra, più infuriato che mai. I suoi occhi
iniettati di sangue stavano puntando Justin e davano a vedere che presto avrebbe
colpito. Justin si ritrasse, paralizzato dal terrore.
Successe
tutto in un attimo. Harry aveva fatto un passo avanti e aperto bocca, ma da essa
non era uscito alcun suono comprensibile agli umani, bensì un sibilo sinistro.
In sala era caduto un silenzio tombale.
Il
serpente sibilò un’ultima volta verso Justin, poi si accasciò a terra,
ammansito.
Justin
guardò Harry sconvolto. «A che gioco stai giocando?» gli gridò, correndo
via.
Ernie
e Hannah rivolsero a Harry un’occhiata terrorizzata, per poi inseguire
Justin.
Helen
si stava giusto preparando per andare a letto, quando la porta d’ingresso della
Sala Comune si aprì ed entrò Justin, ansimante. Tremava.
Il
libro le cadde di mano. «Justin! Va tutto bene? Sei ferito?» domandò,
preoccupata.
Lance,
che si era appisolato sul divano, si svegliò di soprassalto, cadendo per terra.
Quando si tirò in piedi, tutto dolorante, vide Ernie e Hannah spaventati
entrare.
«Potter!
Potter mi ha aggredito! Ha ordinato a un serpente di attaccarmi!» disse Justin
tutto d’un fiato, accovacciandosi per terra e nascondendosi nelle proprie
ginocchia. Helen sospettava stesse piangendo.
«È
un Rettilofono.» spiegò Ernie,
pallido. Hannah, dietro di lui, annuì grave. «Ha aizzato il serpente contro
Justin! L’ho visto con i miei occhi! Parla il Serpentese!»
Helen
si portò una mano alla bocca, atterrita. La sala comune si stava già riempiendo,
per questo portarono Justin nel suo dormitorio.
Quando
Rowan, Geoffrey e Sheldon li raggiunsero, Geoffrey suggerì a Justin di fare un
cambio di dormitorio: si sarebbe trasferito con quelli del primo, così Potter
non sarebbe riuscito a trovarlo.
«Grazie,
amico.» sussurrò Justin, raccogliendo le sue cose e sparendo dietro la porta,
scortato da Ernie.
In
quel momento, Rowan tuonò: «Ve l’avevo detto io che Harry Potter era l’Erede di
Slytherin!»
E
quella notte, nessuno poté trovargli da ridire.
E adesso? Povero
Justin! Rowan si è arrabbiato veramente tanto!
Mi dispiace di
ritardare così tanto nel pubblicare ma in questo periodo mi stanno riempiendo di
simulazioni e verifiche... l’ultimo anno fa schifo. -.-
Il prossimo
capitolo sarà incentrato su... Lance! So,
stay tuned!
Grazie per chi
continua a recensire e seguirmi! Come al solito, risponderò individualmente a
ciascuno di voi appena avrò cinque minuti! :)
Lo
so, non è il capitolo su Lance, ma mi sono resa conto che non avrebbe avuto
senso postarlo prima di questo. Quando lo leggerete (ovvero la settimana
prossima), capirete subito il perché.
Mi
dispiace tantissimo, ma giuro che il capitolo è lì, pronto, sfornato, impaziente
di essere pubblicato... ma prima è necessario leggere questo!
:)
Scusatemi
ancora!
Akami
9.Lealtà
giallonera
La
mattina seguente, Justin non scese a fare colazione, preferendo rimanere
nascosto nel suo dormitorio.
La
professoressa Sprout aveva annunciato che l’ultima lezione di Erbologia del
trimestre sarebbe stata sospesa: le mandragole necessitavano sciarpe e berrette
e l’operazione era troppo delicata per essere fatta da studenti
impreparati.
Gli
Hufflepuff del secondo anno, dopo essersi congedati con gli amici del primo,
approfittarono della situazione per correre in biblioteca a documentarsi
maggiormente sulla Camera dei Segreti e sull’Erede. Per fortuna, Ernie era
riuscito a ottenere qualche settimana prima Storia di Hogwarts e in quel momento lo
stava esaminando con occhio esperto, cercando un qualsiasi riferimento a rettili
e Rettilofoni.
«Non
posso credere che Harry Potter sia l’Erede di Slytherin… lui sta a Gryffindor!»
disse Susan, concitata.
«Beh,
sicuramente quando è stato smistato il Cappello Parlante deve aver avuto i suoi
dubbi nel decidere in che Casa dovesse essere.» obbiettò Georgia Runcorn, una
ragazza dai lineamenti alteri. «Magari ha preso in considerazione
Slytherin.»
«Possibile,
Georgia.» commentò Stephen. «Dopotutto, io sarei potuto finire anche a
Ravenclaw.» aggiunse, come a supporto della tesi
dell’amica.
«Ad
ogni modo» replicò Ernie, ergendosi nella sua stazza. «ho detto a Justin di
nascondersi nel nostro dormitorio. Voglio dire, se Potter lo ha preso di mira
come sua prossima vittima è meglio che lui si tenga alla larga per un po’.
Inutile dire che Justin si aspettava qualcosa del genere da quando s’era
lasciato sfuggire con Potter che era figlio di Babbani. In realtà Justin gli ha
spiattellato che era stato scelto per Eton, e non è certo il genere di cose che
uno va a strombazzare quando c’è in giro l’erede di Slytherin, non
trovate?»
«Ma
allora, Ernie, sei proprio sicuro che sia Potter?» domandò Hannah, ancora più
preoccupata per Justin dopo aver sentito le rivelazioni
dell’amico.
Ernie
trasse un profondo respiro. «Hannah» cominciò, solennemente. «lui è un
Rettilofono. Tutti sanno che quello è il segno della Magia Oscura. Hai mai
sentito dire che un mago per bene parli ai serpenti? Lo stesso Slytherin veniva
chiamato “Lingua di Serpente”.»
Susan
trattenne il respiro e Georgia sussurrò qualcosa a Sally-Anne Perks, una ragazza
del secondo anno tanto affascinante quanto altezzosa e
snob.
«Vi
ricordate quello che era scritto sui muri? Temete, Nemici dell’Erede. Potter ha
avuto una specie di battibecco con Filch. Sappiamo che subito dopo la gatta di
Filch ha subito un attentato. Quel ragazzo del primo anno, Creevey, ha
infastidito Potter durante la partita di Quidditch, scattandogli foto mentre lui
era lungo disteso nel fango. E non passano poche ore che anche Creevey viene
aggredito.» continuò Ernie, sempre più convincente.
Hannah
non sembrava ancora persuasa. «Ma è sempre così carino, però. E… beh, lui ha
fatto sparire Voi-Sapete-Chi. Non può essere cattivo, no?»
Ernie
abbassò la voce e invitò i suoi compagni ad avvicinarsi di più a
lui.
«Nessuno
sa come ha fatto a sopravvivere a quell’attacco di Voi-Sapete-Chi. Voglio dire,
a quell’epoca era soltanto un neonato. Normalmente sarebbe stato fatto a pezzi.
Solo un Mago Oscuro veramente potente poteva sopravvivere a un’offensiva del
genere. Questa probabilmente è la ragione per cui Voi-Sapete-Chi voleva
ucciderlo. Non voleva la concorrenza di un altro Signore Oscuro. Chissà quali
altri poteri nasconde Potter.» bisbigliò, abbassando sempre i più il tono di
voce.
In
quel momento, tutti udirono qualcuno schiarirsi la voce e Harry Potter uscì da
dietro alcuni scaffali. Sembrava piuttosto turbato.
Al
vederlo, Gli Hufflepuff rimasero pietrificati, mentre Ernie sbiancava,
terrorizzato all’idea che Harry avesse ascoltato il suo
discorso.
«Salve»
esordì il Gryffindor. «Stavo cercando Justin
Finch-Fletchley.»
Ernie
capì di essere guardato dai compagni che si aspettavano una sua risposta e prese
il coraggio a quattro mani. «Cosa vuoi da lui?» aveva la voce
roca.
«Volevo
spiegargli quel che è accaduto veramente con quel serpente, al duello.» spiegò
Harry. Sembrava innaturalmente calmo.
«C’eravamo
tutti. Abbiamo visto quel che è accaduto.» disse, mordendosi le labbra. I
ragazzi, dietro di lui, annuirono.
«Allora
avete visto che dopo le mie parole il serpente si è ritirato?» continuò
Harry.
«Tutto
quel che ho viso è che tu parlavi in Serpentese e aizzavi il serpente contro
Justin» disse Ernie, tremando di paura, ma fiero di tenergli
testa.
«Non
l’ho aizzato contro di lui! Il serpente non l’ha neanche sfiorato!» gridò Harry,
ora adirato.
Ernie
trasse un secondo respiro, acquistando maggior coraggio. «Lo ha mancato di poco.
E nel caso tu ti stessi facendo venire in mente qualche strana idea, posso dirti
che per quanto indietro tu voglia risalire nell’albero genealogico della mia
famiglia non troverai altro che generazioni di streghe e di maghi, e che il mio
sangue è purissimo, quindi…» ribatté Ernie, affrettandosi a ribadire la purezza
del proprio sangue con esagerati gesti delle braccia.
Gli
Hufflepuff erano ipnotizzati a seguire il litigio.
«Non
m’importa un accidenti del tuo sangue! Perché mai dovrei attentare ai figli dei
Babbani?»
«Ho
sentito dire che detesti i Babbani con cui vivi.» si affrettò a dire Ernie,
certo delle sue fonti.
«Non
è possibile vivere con i Dursley senza odiarli, vorrei vedere te al mio posto»
strepitò Harry, ponendo fine al discorso. Girò sui tacchi e se ne
andò.
Ernie
espirò lentamente, mentre gli altri Hufflepuff si complimentavano con lui per il
suo sangue freddo.
«Sei
stato molto coraggioso.» gli disse Hannah, sorridendogli. «Mi dispiace di non
essere intervenuta.»
«Sì,
anche a me… però il tuo discorso mi ha talmente tanto convinto che per un attimo
ho pensato a Harry Potter come a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.» disse
Stephen, ancora scosso. Susan gli accarezzò un braccio,
solidale.
Sally-Anne
e Georgia si alzarono. «Beh, Ernie… noi andremmo… Io devo beccare Michael prima
del cambio dell’ora per restituirgli un libro e Sally-Anne…» guardò la ragazza,
dubbiosa.
«Me
ne vado in camera. Tutto pur di non stare con dei pezzenti come
voi.»
E
si allontanarono, camminando l’una il più lontano possibile
dall’altra.
Fu
Stephen il primo a parlare. «Ma se io l’ammazzassi, quella
Perks?»
«Prego.»
disse Ernie, inchinandosi teatralmente.
Susan
rise. «Non lo faresti mai, Step. Avresti paura di prenderti qualche malattia
rara attraverso il sangue.»
Stephen
rabbrividì.
Hannah
stava per parlare, quando l’urlo di Pix il Poltergeist li
spaventò.
«ATTENTATO!
ATTENTATO! NÉ MORTALI NÉ FANTASMI SONO AL SICURO! METTETEVI IN SALVO!
ATTENTATOOO!»
strepitava a squarciagola.
Attraversando
gli scaffali, giunse davanti aGli Hufflepuff e rise,
divertito.
«Oh,
Hufflepuff. Anche quello che era disteso a terra senza vita era un Hufflepuff…»
canticchiò, andandosene via.
I
ragazzi trasalirono, increduli.
Corsero
a perdifiato lungo il corridoio che separava la biblioteca dalla zona delle
aule. Lì si era già formato un folto crocchio di studenti.
In
mezzo a tutti i ragazzi, riuscì a distinguere la figura di Helen, Lance e Rowan
(misteriosamente con i capelli metà a strisce bianche e nere), accovacciati
vicino a un corpo disteso.
Non
voleva guardare.
Justin,
il suo migliore amico Justin, giaceva per terra pietrificato. Sul suo volto era
rimasta l’ombra di terrore che lo aveva attraversato poco prima
dell’attentato.
Solo
in quel momento si accorse di stare occupando lo spazio incorporeo di Nick
Quasi-Senza-Testa.
Poi
lo vide. Harry Potter, l’Erede di Slytherin, era fermo immobile ai piedi di
Justin e lo fissava con sguardo vacuo, mentre Helen chiamava l’amico,
disperata.
«Colto sul fatto!» gridò, impallidito
dalla paura. Le mani gli tremavano e provava l’irresistibile desiderio di
scagliarsi su Potter e spaccargli il naso.
«Basta
così, Macmillan!» lo riprese la McGonagall, secca.
Mentre
Pix intonava una canzoncina su Potter, molti altri professori erano accorsi.
Studenti di tutte le età cercavano di farsi spazio per poter osservare anche
loro il povero Justin.
«Macmillan!»
disse la McGonagall, davanti a Potter come se lo volesse proteggere. «Utilizza
questo per… ehm… sventolare Nicholas
sulla torre.» ordinò ad Ernie, porgendogli un ventaglio. «E voi, andatavene!»
ordinò al crocchio di ragazzi, che obbedì sbuffando.
Il
professor Snape e la professoressa Sprout si occuparono di portare il corpo di
Justin in infermeria, permettendo a Hannah di restare con
lui.
Helen
e Lance erano sbalorditi. Si guardavano senza realmente vedersi, ma tuttavia
incapaci di rivolgere lo sguardo da qualsiasi altra parte. Ritornarono in aula
di Trasfigurazione e attesero il ritorno della McGonagall. La classe era
sovreccitata e il cicaleccio non si spense fino all’ora di
pranzo.
A
pranzo, mancavano all’appello anche Ernie, Hannah e tutti i compagni del secondo
anno di Justin. I ragazzi del primo si sedettero accanto a quelli del terzo e
subito furono bombardati di domande di ogni sorta.
«Voi
eravate sempre insieme a lui, vero?»
«Ma
è vero che è un nato-babbano?»
«Avete
visto Potter scagliargli la maledizione?»
«E
come faranno a far tornare in vita Nick?»
«Odiosa
la gente che non si fa gli affari suoi.»
Quell’ultimo
intervento era stato fatto da Wayne, così palesemente seccato dal comportamento
immaturo dei propri compagni di dormitorio da sentirsi in dovere di intervenire
in favore di Helen e Lance, che non avevano risposto a nessuna domanda poiché
ancora scossi.
Lance
gli lanciò un’occhiata di ringraziamento e Wayne ricambiò con un impercettibile
cenno della mano.
Tra
tutti i ragazzi del primo anno, Liam era quello più spaventato, a ragione: lui
era un nato-babbano, le probabilità che aveva di essere il prossimo si stavano
alzando sempre di più. Tentava di dissimulare il suo stato d’animo, ma il
silenzio nel quale sprofondò valeva più di qualsiasi
strepito.
Per
nulla quieto era invece Rowan. Scalpitava da una parte all’altra della sala,
parlando nervosamente e lanciando occhiate omicide a Caitlin e
Alana.
«Dovresti
lasciarle in pace.» borbottò Sheldon, quando Rowan decide di sedersi dopo
essersi alzato per la quinta volta da tavola. «Non vedi che anche loro sono
dispiasciute?»
«Ci
mancherebbe altro!» sbottò Rowan, adirato e tremante. «Chi non si dispiacerebbe
di atti di questo genere?»
«Malfoy.» dichiarò Sheldon, nominando il
Slytherin nella sua lingua d’origine.
«Ha
ragione: Malfoy sembra sempre più soddisfatto di come stiano andando le cose.»
borbottò Geoffrey, con la bocca piena di pollo arrosto.
«Esattamonte. Non mi sembra che anche loro due
siano così felisci, non
trovi?»
Helen
si alzò da tavola all’improvviso, destando l’attenzione dei suoi
compagni.
«Non
hai più fame?» domandò Lance, dolcemente.
«Vado
a trovare Justin.» si affrettò a dire lei.
«Ti
accompagno.»
Insieme
fecero per uscire dalla Sala Grande, ma furono fermati da una voce arrogante,
che li assalì con odio.
«Andate
a trovare il vostro amichetto sanguesporco?»
Helen
si voltò, innervosita, ed incontrò una ragazza dai profondi occhi blu e una
chioma bionda.
«Scusa,
ci conosciamo?» chiese, velenosa.
«Cerchi
anche di essere simpatica, mezzosangue? Ma come ti permetti?»
sibilò la ragazza di rimando. Dietro di lei, Helen scorse un gruppo di ragazze
Serpeverdi del primo anno. Anche Abigail era lì e assisteva alla loro
umiliazione senza battere ciglio.
«Almeno
io ci riesco.» continuò Helen, cercando di mantenere il più possibile la calma.
Non voleva fare una sfuriata contro un’amica di Abigail.
«Come
osi rivolgerti a me in questo modo?!»
inorridì la Slytherin, fulminandoli con gli occhi traboccanti
d’odio.
«Come
osi tu parlarle in questo modo!» intervenne Lance, in un impeto di coraggio,
parandosi davanti a Helen come a proteggerla.
Quell’altra
rise. «Ehi, Gail» disse, rivolgendosi ad Abigail. «Questo è quella vergogna del
Mondo Magico di tuo cugino? Mezzosangue e Magonò?»
Helen
sentì una rabbia salirgli dal profondo vedendo Lance che abbassava lo sguardo
distrutto: il pensiero che sua cugina, con la quale era cresciuto fin da
piccolo, avesse parlato di lui in quel modo lo annientava.
«Abigail,
come puoi dire queste cose di Lance?» domandò, con voce sottile. «È tuo
cugino.»
«È
feccia.» rise Mary Elliott, accanto ad Abigail, sgomitando l’amica. «Malfoy dice
che potrebbe quasi essere peggio dei sanguesporco!»
Lance
sentì gli occhi bruciare. Le braccia, allargate in modo da proteggere l’amica,
ricaddero inerti sul fianco.
«Abigail…»
mormorò, guardandola supplichevole.
L’espressione
della ragazza fu attraversata da un lampo di umanità. Sembrava quasi stesse per
avvicinarsi e stringerlo forte tra le sue braccia, negando tutto ciò che quelle
disgustose Serpeverdi avevano detto sul suo conto.
Eppure,
non si mosse.
La
banda di ragazze scoppiò in una risata malvagia e Helen e Lance ne
approfittarono per scappare.
Salirono
fino al secondo piano, poi Lance si bloccò in mezzo al corridoio. Si accovacciò
su se stesso e scoppiò a piangere.
Helen
lo guardava, impotente. Si avvicinò a lui e lo abbracciò, con fare
materno.
«Stai
tranquillo…» gli sussurrò, accarezzandogli i capelli. «Tornerà in sé, vedrai…»
disse, sperando che il suo tono risultasse abbastanza
credibile.
«Helen?»
la chiamò Lance, con un tono tanto innocente da ricordare quello di un bimbo.
«Sono una cattiva persona?» domandò, fissando i suoi occhi in quelli dell’amica.
Erano rossi e gonfi di pianto.
«No
che non lo sei!» esclamò Helen, piena di rabbia. «È Abigail che… non lo so, è
diventata disgustosa! Lei è quella cattiva, Lance, non
tu.»
Lo
aiutò a rialzarsi e insieme raggiunsero l’infermeria. Lance preferì stare fuori
ad aspettare l’amica: non voleva mostrare di aver pianto.
Quando
Helen entrò, vide Hannah e Ernie seduti accanto all’amico. Con loro c’erano
Susan, Stephen, e un ragazzino del secondo anno, un certo Quill che era l’ombra
di Stephen.
Si
voltarono a guardarla, per accertarsi che non fosse nessuno di pericoloso. Ormai
bisognava essere sempre pronti a tutto e in qualsiasi
momento.
«Ciao,
Helen…» borbottò Ernie, con una mano sulla spalla di
Justin.
Helen
non parlò. Gli Hufflepuff si aprirono, lasciandola passare. Camminava
lentamente, timorosa.
Justin
era lì, sul letto. Aveva ancora indosso la divisa scolastica e la sua posizione
era innaturale per essere sdraiato; gli occhi, vitrei, guardavano dritti davanti
a sé; la bocca era leggermente aperta. L’espressione era
terrorizzata.
Doveva
aver provato a fuggire, pensò Helen, vedendo che una gamba era più avanti
dell’altra. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi e Hannah le prese una
mano.
«Riusciranno
a guarirlo.» sussurrò. «La Sprout è favolosa, vedrai: in un batter d’occhio
avremo Justin qui vicino a noi.» sembrava davvero convinta delle sue
parole.
Stephen
e Susan annuirono. Ernie si alzò rumorosamente dalla sedia e uscì dalla stanza a
grandi passi.
«Non
ci vuole ancora credere. Non riesce a farsene una ragione…» spiegò Susan,
vedendo la reazione esterrefatta di Helen.
«Già»
continuò Stephen. «vuole trovare il responsabile e vendicare
Justin.»
«Justin
era il suo migliore amico e l’unico che riusciva a calmargli i bollenti
spiriti.» illustrò Hannah. «Quando si arrabbiava così solo Justin riusciva a
farlo ragionare.»
Helen
assentì. Era ovvio, dopotutto Justin infondeva tranquillità in chiunque gli
stesse accanto.
Voltò
lo sguardo e vide che non troppi letti più avanti giaceva anche
Colin.
«È
terribile.» gemette Susan, incapace di trattenere le lacrime. «Chi potrebbe mai
fare qualcosa del genere?»
«M-magari…
Potter?» tentò Quill, in un sussurro tanto flebile che fu udito a
fatica.
Nessuno
riuscì a ribattere.
Quella
notte, l’infermeria non era vuota.
Amelia
era accanto al corpo di Justin e lo fissava immobile, paralizzata sul posto. Gli
occhi osservavano il corpo di Justin vacui. L’espressione sul suo viso era di
puro terrore.
«P-papà…»
esalò, lo sguardo fisso sugli occhi di Justin.
Con
la stessa discrezione con cui era entrata, scappò via.
Prossimamente,
in L’altra faccia della Camera dei
Segreti:
“Lancelot
Wallace era il bambino di sei anni più noioso che si fosse mai visto. Non solo
non amava giocare all’aperto con i suoi compagni di scuola (lamentava misteriosi
dolori allo stomaco quando si trattava di uscire dalla classe), ma era davvero
un bambino strano.”
Lancelot Wallace
era il bambino di sei anni più noioso che si fosse mai visto. Non solo non amava
giocare all’aperto con i suoi compagni di scuola (lamentava misteriosi dolori
allo stomaco quando si trattava di uscire dalla classe), ma era davvero un
bambino strano.
Innanzitutto,
leggeva. Leggeva tantissimo per un bambino di sei anni. La sua piccola libreria
vantava libri per bambini, ma già qualche tomo di letteratura classica inglese
come ad esempio Moby Dick, il suo
libro preferito, senza dimenticare le poesie di Emily Dickinson e William
Blake.
Il piccolo
Lance, così si faceva chiamare da quei pochi amici che aveva, vantava
un’intelligenza non da poco. Amava imparare, amava studiare e lo faceva senza la
minima fatica. Aveva imparato a scrivere a tre anni e a leggere a
quattro.
A quattro anni e
mezzo, ecco, il primo segno che sarebbe diventato un mago. Non un mago,
qualunque, ma un portento: quale bambino di quattro anni riesce a controllare la
prima magia involontaria? Il
paurosissimo Lance riusciva ad accendere la lucina sul suo comodino tutte le
volte che voleva, prima di andare a dormire.
Purtroppo, i
suoi genitori non vedevano di buon occhio la magia: sua madre era un magonò, una
strega che non presentava alcuna propensione alla magia.
Per amore del
piccolo, tuttavia, i signori Wallace decisero che Lance avrebbe frequentato la
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, come suo zio, il fratello della
madre.
Proprio all’età
di sei anni, quella in cui si concentra la narrazione, Lance incontrò Abigail
Williams.
Abigail era una
bambina sveglissima, furba come una volpe e bella come la luna: aveva la
carnagione rosea, i capelli nerissimi e lucidi come le penne di un corvo e due
occhi verdi come la luce che filtrava dalle foglie nel
sottobosco.
Fu proprio così
che la descrisse Lance non appena la vide. I due bambini si vollero subito
bene.
Ciò che rendeva
la loro unione così forte e semplice era forse il fatto che fossero cugini.
Cugini che, a causa dei genitori, non avevano mai avuto la possibilità di
conoscersi fino a quando Lance non aveva manifestato le sue prime capacità
magiche.
Lance amava
trascorrere le feste da Abigail, le sue preferite erano quelle di Pasqua, poiché
Villa Fiorita, la casa degli zii, si riempiva di boccioli di qualunque fiore e
il grande giardino rinverdiva come in estate e anche poiché i genitori di
Abigail lo riempivano sempre di enormi uova di Pasqua di un finissimo cioccolato
amaro di cui Lance non avrebbe mai smesso di nutrirsi.
Ciò che rendeva
i suoi soggiorni speciali era anche la presenza del fratello maggiore di
Abigail, David. David era un ragazzino del tutto simile a Lance: capelli corvini
tenuti a caschetto, occhi grigi brillanti, carnagione pallida e un amore per la
lettura e lo studio.
David
frequentava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e fu grazie a lui che
Lance imparò, fin dalla prima vacanza a casa Williams, le nozioni di base di
Storia della Magia. Lance amava la storia quasi quanto
David.
La sera, quando
tutta la famiglia Williams e Lance erano riuniti intorno alla tavola, il signor
Williams dilettava la serata con simpatici racconti dei suoi anni a Hogwarts e
di come aveva conosciuto Anne, sua moglie.
Anne Williams,
nubile Macnair, era una donna di straordinaria bellezza e altrettanta freddezza.
Solo Lance, in famiglia, riusciva a strapparle un sorriso ogni tanto. Lance era
sicuramente il bambino preferito da Anne tra tutti gli abitanti di Villa
Fiorita. Questo metteva il piccolo in una situazione antipatica nei confronti
dei cugini che, invece, dovevano faticare per ottenere le attenzioni della
madre.
Ciò che rendeva
Lance così amabile era, sicuramente, il fatto che avesse paura di qualsiasi cosa
fosse presente nel raggio di cinque metri da lui.
Aveva paura
delle api, dei ragni, delle mosche, ma anche dei tavoli (potevano cadergli
addosso), delle sedie (potevano farlo cadere addosso ai tavoli), dei bicchieri
(potevano rompersi in mano), dei divani (poteva sprofondarci dentro scomparire
nella morbidezza), ma anche dei letti (poteva rimanere soffocato sotto le
coperte), della sua ombra (e se gli fossescappata via con a Peter Pan?), degli specchi (e se ci fosse passato
attraverso come Alice?). Un giorno arrivò a dire di temere l’aria (portava con
sé germi e malattie) al punto da respirare a intervalli che spaziavano dai
trenta secondi a quasi un minuto, per evitare che gli entrassero nel naso i
microbi.
Com’era
possibile non amare un bambino così, non coccolarlo, non
viziarlo?
Fu così che le
paure di Lance lo resero il bambino più viziato e coccolato sulla faccia della
terra. Questo fu la sua rovina.
Perché?
Perché maturò un
ego tanto smisurato e un orgoglio che nemmeno David aveva mai
manifestato.
A nove anni era
un saccente, piccolo pauroso.
Ma ad Abigail
non importava, perché il suo amato cuginetto era la persona che più amava su
quella terra, al pari del suo fratellone David.
I due erano
cresciuti come gemelli, continuamente insieme, e, quando Lance, durante la
settimana, viveva a Edimburgo, Abigail scriveva lunghissime lettere ricche di
affetto, scherzi e tanti errori ortografici e sbavature
d’inchiostro.
Lance non vedeva
l’ora che arrivasse il weekend per poter giocare con la
cugina.
Era sicuro che
lui ed Abigail sarebbero stati amici per sempre.
«Lance? Tutto
bene? Perché stai piangendo?»
«Lancelòt sta pianjendo?»
«Zitto, Shelly,
torna nel tuo mondo di baguette sotto
le ascelle!»
Un’imprecazione
in francese.
Lance si voltò e
aprì gli occhi, bagnati di lacrime, e fu accecato dalla luce della candela che
Liam teneva in mano.
«No, sto
benissimo» sbuffò, piccato dal fatto che i suoi amici l’avessero visto, e sentito, piangere, sotto le coperte,
come un bambino di tre anni. Lui, che di anni ne aveva ben quattordici.
Rowan si sedette
sul letto dell’amico. «Hai sognato ancora di quando eri
piccolo?»
Lance annuì
impercettibilmente, ma seppe fin da subito che Rowan se n’era accorto. A
quell’idiota non sfuggiva mai nulla.
«Vado a chiamare
Helen»
«Non ci
provare!» saltò subito su Lance. «Sarà ancora in sala comune,
tanto...»
Liam sorrise,
comprensivo. «Sei sicuro? Comunque in sala comune non c’è, vero
Sheldon?»
«Vonti minuti fa non sc’era» sorrise l’amico, i capelli ricci
sconvolti dal risveglio forzato.
Lance sospirò.
«Chiamatemi Abigail»
Rowan gli batté
una mano sulla spalla. Una cicatrice biancastra brillò sotto la luce della
candela. «Lo dicevi anche nel sonno»
Il ragazzo
strabuzzò gli occhi, incredulo. «Davvero?» e si odiò per la femminuccia che era
diventato.
«Comunque se tu
non tieni alla tua anima, beh, ci tengo io. Per questo non andrò a chiamare
quella anti-Dissennatrice»
«Anti-Dissennatrice?»
«Al suo ricordo
sei sempre triste. Lei funziona al
contrario di un Dissennatore»
Sheldon
rise.
Geoffrey, che
fino a quel momento non aveva aperto bocca, sussurrò: «Sono sicuro che anche lei
sta sognando i bei momenti trascorsi con te quand’era
piccola»
E con quel
pensiero finale, tutti tornarono a letto.
Lance, nel
silenzio e nel buio della stanza, aprì il suo baule e ne estrasse Moby Dick. Si infilò sotto le coperte e
le allentò, per non rischiare di strozzarsi. Chiuse gli occhi e tentò di
dormire.
Li aprì dopo
qualche secondo. Guardò la candela lasciata da Rowan sul suo comodino e questa,
subito si accese.
E, dopo aver
preso tre respiri brevi, riuscì finalmente ad
addormentarsi.
«Hai sognato
ancora il tuo parente magonò?» domandò Mary Elliott, con cipiglio seccato per
essere stata svegliata da una tale banalità.
Abigail si morse
il labbro inferiore. Se avesse annuito, Mary non le avrebbe più rivolto la
parola, e così tutte le altre ragazze della camera. Se avesse svelato che aveva
sognato quel giorno in cui Lance l’aveva affrontata ed era stato insultato, le
altre ragazze avrebbero riso, avrebbero riso di lei.
Fece segno di
diniego con la testa.
«No. Solo la
Umbridge»
Edith, da sotto
le coperte, rise. «Quello sì che è un brutto sogno»
Mary si sdraiò
nel letto. «Nessuno aveva chiesto il tuo parere»
Edith stette
zitta, fingendo di dormire.
«Buonanotte»
disse Abigail, tornando alle comodità del letto, con il cuore che batteva
all’impazzata.
Nessuno le
rispose.
«Buonanotte,
Lance!»
«Buonanotte,
Gail. Non vedo l’ora che sia domani!»
«Domani si parte
per Hogwarts!»
«E speriamo di
essere smistati nella stessa casa!»
Non solo era un
capitolo dedicato a Lance... ma c’era pure un flashforward!
XD
Grazie per le
recensioni e per chi anche solo legge!
Mi farebbe
piacere sapere cosa ne pensate di Abigail, in generale, come
persona.
Dopo il duplice attentato,
tutti gli studenti si erano precipitati a prenotare i posti sull’Espresso di
Hogwarts: nessuno avrebbe trascorso le vacanze di Natale al castello, sapendo di
un mostro a piede libero.
Liam, fu uno dei primi a
essere pronto, l’ultimo giorno del trimestre, per partire e tornare a casa.
Anche Sheldon, richiamato con urgenza dalla madre, Geoffrey e Hannah si
sarebbero imbarcati sul treno.
Quella mattina, Helen aveva
ricevuto un gufo dal padre, a cui aveva scritto pochi giorni prima, chiedendogli
se poteva rimanere a scuola per le vacanze. La lettera diceva:
Cara Helen,
siamo molto preoccupati per te. Dopo l’ultimo attentato
di cui ci hai parlato, tua madre è scoppiata in lacrime. Il fatto che Justin
fosse un tuo caro amico l’ha sconvolta.
Ad ogni modo, non vogliamo obbligarti a tornare:
dopotutto tu sei figlia di un Mago, quindi non dovresti correre rischi. Se
desideri trascorrere le vacanze al castello, non te l’impediremo di
certo.
Con l’augurio che tu trascorra uno dei Natali più belli
della tua vita,
un bacio,
Papà
«Sei fortunata.» commentò
Lance, a colazione, dopo aver letto la lettera dell’amica. «Io ho dovuto
litigare con i miei genitori per convincerli a lasciarmi a scuola.»
Helen sorrise. «Beh, magari
temono anche per te.»
«La mamma ha detto che non
si è mai sentita tanto in colpa di essere un Maganò, sebbene odi la magia.»
spiegò Lance.
«Era un modo molto sottile
di dirti che ti vuole molto bene.» ridacchiò la ragazza.
Rowan si sedette al tavolo
con loro.
«Giornataccia.» borbottò,
trangugiando un bicchiere di succo di zucca come se non bevesse da
settimane.
«Ma se sei sveglio da cinque
minuti!» commentò Lance, vedendo i capelli scarmigliati e l’espressione ancora
assonnata.
«Sette, per la precisione. E
comunque me lo sento: oggi sarà una giornataccia.»
In quel momento, entrò
Potter.
«Appunto.»
Helen si sforzò di ridere,
ma ogni volta che vedeva Harry non riusciva ad odiarlo. Lei aveva visto la sua
espressione il giorno che Justin era stato trovato.
I gemelli Weasley si
alzarono in piedi, torreggiando sul tavolo di Gryffindor ed urlarono: «Attenti!
Fate attenzione! Arriva Harry Potter, l’Erede di Voi-Sapete-Chi! Non guardatelo
negli occhi o vi ucciderà con la forza del pensiero!»
Rowan strinse i pugni.
«Pensano che sia un gioco?»
«Semplicemente non pensano
che possa essere stato lui.» rispose Alana, arrivata in quell’istante. Caitlin
la seguiva a ruota, esibendo un broncio degno di Megan Jones.
«Nessuno ha chiesto il tuo
parere.» sbottò Rowan, ficcandosi in bocca un pezzo di pane.
«Oh, ma vuoi piantarla una
volta tanto, idiota?» esclamò Caitlin, tirandogli addosso una pagnotta intera.
«Ne ho piene le scatole di questo tuo comportamento! Viviamo in un mondo libero,
ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa! Non è che se tu la pensi in un modo
sia giusto così! Come non potrebbe esserlo il mio modo! Il punto è che
rispettare le persone significa rispettare i loro pareri, le loro convinzioni!
Se tu non rispetti quelli che non la pensano come te, non rispetti gli esseri
umani! Sei una persona disgustosa, Rowan James.»
Le urla della ragazza
avevano attirato l’attenzione del tavolo degli Hufflepuff rimasti al castello,
una decina di persone circa.
Rowan, allibito, fissava
Caitlin come se fosse un mostro assetato del suo sangue. Certo, non era un
discorso che si sentiva in bocca a tutte le undicenni.
«Io…» mormorò, colpito e
affondato dalle dure parole. «Beh… ecco…»
«So cosa vuoi dire.» lo
aiutò la ragazza, tornata tranquilla. «E accetto le tue scuse.»
Lance guardò Alana. «Falle
anche ad Alana, Rowan, gliele devi.»
Alana arrossì subito,
terribilmente imbarazzata. «N-non ce n’è bisogno, g-grazie, Lance.»
«No, Lance ha ragione.»
dichiarò Rowan, stranamente serio. «Le cose o si fanno bene o non si fanno:
scusami, Alana.»
In tre mesi che lo
conosceva, Helen non aveva mai sentito Rowan scusarsi di qualcosa, sempre
convinto di avere ragione.
Da quel chiarimento, le
vacanze per gli studenti Hufflepuff del primo anno migliorarono di giorno in
giorno. Erano una classe unita e molto amica.
Giusto la sera della Vigilia
di Natale, poco dopo cena, Helen, Lance e Rowan stavano attraversando il
corridoio delle aule, quando furono attirati da un rumore di banchi che si
spostavano. Rowan scattò sull’attenti.
Si mosse per entrare
nell’aula, ma Helen lo trattenne per un lembo della veste.
«Cosa fai? E se è… quel
qualcosa?»
«Sono purosangue, sono
immune a queste cose.» rispose semplicemente Rowan.
Spinto più da curiosità che
da eroismo gratuito, aprì la porta socchiusa della classe e vi scomparve dietro.
Per pochi secondi, rimase nel completo silenzio, poi uscì correndo e ridendo
come una iena.
«Ci sono due… due… c’è quel
Prefetto…» tentò di dire tra una risata e l’altra. «Andate… vedere…»
Helen e Lance si guardarono,
lo stesso sguardo interrogativo. Seguirono il consiglio di Rowan ed entrarono.
Quello che videro li lasciò di sasso.
In un angolo, un ragazzo e
una ragazza si stavano baciando in una maniera molto imbarazzante. Non era
possibile capire dove iniziassero le mani dell’uno e dove finissero quelle
dell’altra. Il rumore di sbaciucchii era percepibile da metri di distanza e i
respiri irregolari davano l’idea che entrambi trattenessero il respiro quando le
labbra si incontravano.
Lance si portò le mani
davanti agli occhi, mentre Helen scoppiò in una grassa risata, che riscosse i
due innamorati. La ragazza era un Prefetto Ravenclaw, mentre il ragazzo era
l’insopportabile Prefetto di Gryffindor, Percy Weasley.
Helen guardò Percy dritto
negli occhi e vi lesse in lui il più profondo imbarazzo.
«A-andiamo, Penny…»
borbottò, prendendo la ragazza per mano e uscendo dalla porta.
Quando Lance e Helen
tornarono da Rowan, videro che l’amico era accasciato per terra che rideva
ancora.
«Ma sei normale?» gli chiese
Helen, non aspettandosi una risposta soddisfacente.
«Non… ho mai visto nessuno…
baciarsi così… male!» continuò, battendo i pugni contro il muro.
Lance lo guardò, mordendosi
il labbro inferiore per non fare la sua stessa fine e non riuscire a
fermarsi.
Una sagoma nera, che stava
attraversando il corridoio, li sentì ridere e li raggiunse.
«Cosa ci fate ancora in
giro? Dovreste essere nel vostro dormitorio!» li rimproverò la Caposcuola Gwen
Morgan. «E già che ci siete, sapete che fine hanno fatto il Prefetto Weasley e
il Prefetto Clearwater?»
Rowan ululò, sedendosi per
terra e dondolandosi in un angolo, soffocando le risate.
Gwen lo guardò come se fosse
stato un alieno.
«Sono andati da quella
parte.» indicò Lance, battendo una mano sulla spalla di Rowan, sperando in un
suo rinsavimento.
Gwen lanciò un’occhiata a
Rowan, poi la spostò su Lance e Helen. Poi capì.
«Erano ancora là dentro a
sbaciucchiarsi, vero?» domandò, con un moto di rassegnazione.
Helen annuì,
greve.
«Credo che informerò la
professoressa McGonagall e il professor Flitwick…» disse Gwen, più a se stessa
che ai tre ragazzi.
Detto ciò, se ne andò,
proseguendo per la sua strada, con la speranza di incontrare i due Prefetti e
ucciderli.
«Tutte le volte che la vedo
penso a quello che le ha fatto tuo zio…» disse Helen a Lance, aiutandolo ad
alzare Rowan, che finalmente si stava calmando.
«Già…»
Tornati in Sala Comune,
quando anche Rowan aveva smesso di ridere, si sedettero sul divano e stettero
qualche minuto a guardare il fuoco. La Sala Comune era stranamente vuota, quella
sera. Dopo l’attentato a Justin, la maggior parte dei nati-babbani aveva
preferito tornare a casa per Natale, quindi coloro che si trovavano nella stanza
in quel momento dovevano essere i coraggiosi rimanenti. Tuttavia, erano tutti
bizzarramente silenziosi.
Micheal e il suo gruppo di
amici erano seduti al tavolo che si trovava al centro della sala e confabulavano
fitti, zittendosi quando qualcuno passava loro accanto.
Ernie non era ancora tornato
dalla Sala Grande: molto probabilmente stava girando i meandri di Hogwarts,
solo.
L’attacco al suo migliore
amico l’avevo reso più silenzioso e burbero. Andava a trovare Justin tre volte
al giorno e stava con lui un’ora, a parlargli della sua giornata e dei vari modi
in cui avrebbe ucciso l’Erede. Di conseguenza, il solo vedere Harry Potter lo
rendeva nervoso e intrattabile.
Durante il giorno spariva,
al pomeriggio era sempre in biblioteca, mentre alla sera ricompariva per una
semplice buonanotte. Il suo compagno di dormitorio Stephen affermava che la
notte si limitasse a dormire, chiudendo le tende del letto e non parlando fino
al mattino seguente.
Anche quella sera, Ernie
entrò di soppiatto nella sala, con la testa bassa e stretto nelle proprie
spalle. Lance sgomitò Helen, che era caduta in un profondo torpore, e le indicò
l’amico.
«Ernie» lo chiamò la
ragazza, con estrema dolcezza. Forse fu solo per questo che Ernie l’ascoltò,
avvicinandosi a lei.
«Che c’è?»
«Com’è andata oggi?» domandò
Helen, sorridendogli. «Che cos’hai fatto di bello? Non ti abbiamo visto dopo
colazione… dove sei stato?»
Ernie chiuse gli occhi e
sospirò, massaggiandosi le tempie. «Ho fatto un giro, Helen. Non c’è bisogno che
ti preoccupi per me.»
Lance sorrise. «Lo sai com’è
fatta... è preoccupata per te. E anche io, dopotutto.»
Ernie sembrò sciogliersi in
un sorriso di riconoscenza, tuttavia rimase serio e imbronciato.
«Beh, vi ringrazio. Ora però
vado a letto.» e, detto questo, salì al dormitorio.
Helen si lasciò cadere sul
divano, stravolta.
La mattina seguente era la
mattina di Natale. Il dormitorio femminile era stato decorato con ghirlande,
vischio e persino un alberello di Natale gentilmente fornito da Hagrid,
addobbato con palline gialle e nere.
Helen si svegliò presto,
forse troppo presto, ma trovò ai piedi del letto una piccola montagna di regali.
Tutta eccitata si avvicinò ai doni e, silenziosamente, li portò nella Sala
Comune, per evitare di svegliare le sue compagne di stanza.
Non era l’unica ad essersi
alzata di buon mattino: la Sala Comune era occupata da Stephen e Wayne, che
probabilmente erano rimasti alzati tutta la notte per l’insonnia.
«Ciao.» la salutarono
insieme, tutti intenti in una partita di scacchi.
«Ciao!» fece Helen di
rimando, sedendosi di fronte al camino acceso e appoggiando lì i
regali.
«Sai, è interessante vedere
come vengono recapitati i regali.» disse Stephen, con gli occhi fissi sulla
scacchiera. «Durante la notte, verso le… le due o le tre?» domandò al
compagno.
«Le due e mezza.» rispose
Wayne, muovendo la regina.
«… le due e mezza, una
processione di Elfi Domestici entra nel dormitorio portando i regali. Avevo
sempre pensato comparissero con la magia.»
«Forte.» esclamò Helen, più
concentrata sui regali che sulle parole del ragazzo.
Aprì i regali uno dopo
l’altro. Quell’anno fu un bottino sostanzioso, tra Gelatine Tuttigusti+1 e
cioccolatini. Lance, in particolare, le aveva regalato una scatola di
cioccolatini babbani davvero deliziosi, mentre i suoi genitori un pupazzo di un
tasso che si muoveva cantando le canzoni di Natale, probabilmente stregato dal
padre.
«Che bello il tasso!»
esclamò Stephen, terminata la partita. Se sedette per terra con lei e rimase a
guardare il giocattolo, ipnotizzato.
Verso le otto, la sala
comune cominciò a riempirsi di ragazzi, tutti felici per i regali
ricevuti.
L’aria era davvero natalizia
e tutti, tra abbracci e auguri, sembravano più uniti che mai. Una vera fortuna,
pensò Helen, sapendo che c’è un assassino dei nati-babbani in giro.
La Sala Grande era, forse,
il luogo più natalizio dell’intero castello: era stato decorato da quattro
alberi di natale i colori delle quattro Case, ghirlande di agrifoglio e pino
pendevano dal soffitto, di un azzurro stupefacente. Intorno ai tavoli
volteggiavano splendide statue di ghiaccio.
«Benvenuti, benvenuti!» li
accolse gioviale il professor Dumbledore, in una veste rossa e verde.
«Accomodatevi. Dite pure alle statue che cosa desiderate per colazione e lo
faranno comparire per voi.»
Il nutrito gruppo degli
Hufflepuff si sedette al proprio tavolo. Helen guardò quanti studenti erano
rimasti a scuola e si accorse che erano pochissimi: Ravenclaw era quasi vuoto,
ad eccezione di due ragazze del primo anno; Gryffindor era una macchia rossa,
dato che soltanto i fratelli Weasley, Harry e Hermione avevano deciso di
rimanere; Slytherin era il più gremito.
«Che ne dite se facciamo una
battaglia a palle di neve, dopo?» propose Rowan, acceso e sgargiante nel suo
nuovo maglione colorato.
«Io ci sto!» ruggì Caitlin.
«E ti distruggerò, James!» sibilò, con una smorfia omicida.
«No, se io distruggo prima
te.» ridacchiò l’altro.
«Io vi guarderò da bordo
campo, allora.» sorrise Alana. «Non vado troppo d’accordo conla neve: è fredda, bagnata, fredda, ti entra in posti che nemmeno
pensi di avere… ed è fredda.»
«Messaggio ricevuto.» disse
Helen. «Io ci sono, comunque. Mi piace un sacco stare nella neve!»
Rowan guardò prima Lance e
poi Amelia, con sguardo supplichevole.
«No, no, no! Non guardare
me!» esclamò Lance, portando le mani davanti a sé in segno di difesa. «Poi mi
prendo un malanno, mi bagno tutto, mi si squama la pelle per il
freddo...»
«Lance, sei una
femminuccia.» decretò Rowan, con un tono che non ammetteva repliche.
«Io vengo volentieri. Però
non tiratemi anche voi le palle di neve con dentro il ghiaccio come facevano i
miei vecchi amici, okay?» cantilenò Amelia, leggendo attentamente la “Gazzetta
del Profeta”.
Caitlin strabuzzò gli occhi.
«Ma che razza di amici avevi, scusa?» le domandò, esterrefatta.
«Oh, erano molto simpatici.
Mi chiamavano “Scemamelia”, però mi offrivano sempre la loro
merenda.»
«Adorabili.» rispose Caitlin
atona. «Ernie, giochi anche tu con noi?»
Ernie non rispose, stava
giocando con la pancetta nel suo piatto e la fissava annoiato.
«Credo sia un no.» borbottò
Rowan, ormai stanco di tentare di coinvolgere una specie di zombie. Si voltò
verso Michael Stebbins e gridò: «Maestro, giochi a palle di neve con
noi?»
Michael, che dall’inizio
delle vacanze era stranamente silenzioso, rispose un semplice «Sì.» tornando a
parlottare con i suoi amici Walter e Megan.
Il volto di Rowan si
illuminò.
«Ci vuole poco a farti
felice!» rise Stephen. Aveva tagliato la bistecca in forme geometriche e ora le
stava rifinendo con un coltello in modo che fossero più regolari.
Wayne lo stava guardando
ipnotizzato da dieci minuti buoni.
«Sai, facendo così si
raffredda e non è più buona.» disse, versandosi il terzo bicchiere di succo di
zucca.
«Mi piace che il cibo abbia
un aspetto ordinato.»
«Ceeerto.» commentò Rowan,
annuendo come se si trovasse davanti ad un pazzo.
«Come tagli tu la carne non
la taglia nessuno...» sospirò Amelia, che si trovava di fronte a lui, allungando
la mano per accarezzargliela.
In un primo momento, Stephen
rimase impietrito, poi si alzò, tremante, e corse via. Amelia lo imitò,
inseguendolo («Dove vai, mio piccolo zuccotto di zucca?»).
Wayne sorrise. «Non lo
prenderà mai, Stephen corre velocissimo.»
«Oh, anche Amelia.» rispose
Helen, incurante. Era avvezza a reazioni di questo genere da parte
dell’amica.
«Lo temevo.»
Al termine del pranzo, i
ragazzi si ritrovarono nel cortile e si misero a costruire un fortino di neve
tutti insieme.
Dicembre aveva portato con
sé non solo il freddo, ma una coltre di neve bianchissima si era depositata sul
castello, che sembrava un’enorme torta spolverata di zucchero a velo.
In seguito a due ore di
battaglia all’ultima palla di neve, durante la quale Rowan era stato bersagliato
contemporaneamente da Caitlin e Michael, mentre Helen, Stephen e Walter si erano
seduti a godersi lo spettacolo, fu consiglio unanime quello di ritirarsi davanti
al fuocherello della Sala Comune. Era ormai pomeriggio inoltrato e il gelo
cominciava a farsi sentire.
Rowan e Michael occuparono
il divano principale e si misero a chiacchierare di ragazze e scherzi da fare a
Filch, eclissandosi completamente dal resto del mondo.
Stephen e Wayne si sedettero
al tavolo sfidandosi ad una partita a scacchi a cui partecipò anche
Lance.
Megan era sparita, aveva
detto che sarebbe dovuta andare in bagno, ma non era più tornata.
«Dobbiamo preoccuparci?»
domandò Helen a Wayne, che la conosceva meglio di chiunque altro.
«No, stai tranquilla.»
rispose lui, impassibile come al solito. «A volte sparisce, ma ritorna
sempre.»
«Meglio così.» fu il
commento di Amelia, seduta sul divano a testa in giù a leggere un libro.
«Sarebbe terribile se fosse stata attaccata da quel mostro come il povero
Justin... a me dispiace tanto per lui, sapete?»
Ernie stava seduto in angolo
quando sentì Amelia nominare il mostro che aveva attaccato il suo migliore
amico. Come riscossosi dal torpore, si alzò in piedi, stringendo i
pugni.
«Non nominare quel mostro
disgustoso.» sibilò, fulminando la ragazza con sguardo pieno d’odio. «Non puoi
capire come ci si senta ad aver perso l’unica persona che veramente mi conosceva
qua dentro.»
Per un attimo, Amelia sembrò
quasi voltarsi verso di lui a guardarlo negli occhi, tuttavia non si mosse di un
centimetro, continuando imperterrita nella lettura.
«Io ti consiglio di
smetterla di fare la vittima, sei noiosissimo. Dopo un po’ di tempo perderai
anche quelle persone che vorrebbero poter essere Justin per te finché quello
vero non starà meglio. Sei diventato molto antipatico ultimamente, chissà come
ci starebbe Justin se sapesse come risponde male il suo migliore amico. Ma che
poi, tra le altre cose, non hai perso proprio nessuno: lui è lì, come
addormentato, ma basterà una pozione a sistemarlo, no? Non è mica un vegetale.»
la sua voce sembrò incrinarsi sull’ultima parola. «Tempo pochi mesi e tornerà
normale.» concluse, con voce atona.
Nella sala era caduto il
silenzio. Anche Wayne e Stephen avevano smesso la partita a scacchi. La regina
tamburellava impaziente sull’elsa della spada per poter continuare a
giocare.
Ernie spalancò gli occhi,
incredulo. Girò sui tacchi e si chiuse nel suo dormitorio.
«A me fa paura.» bisbigliò
Stephen alla sua regina.
«Wow, Amelia! Sei una
forza!» esclamò Rowan che aveva smesso di parlare con Michael per
ascoltarla.
«Mi stava facendo venire il
sangue alla testa, quello lì.» disse, continuando a leggere a testa
capovolta.
A Natale, seguì subito dopo
Capodanno. Per l’occasione, la professoressa Sprout era entrata di soppiatto
nella Sala Comune, portando con sé viveri e burrobirra, facendoli giurare che
non avrebbero detto nulla a nessuno.
Così, la sera dell’ultimo
dell’anno, poterono festeggiare e divertirsi. Michael, ubriaco di burrobirra, si
aggirava come un’anima in pena, poiché non c’era nessuna ragazza da corteggiare
o a cui guardare sotto la gonna se non le più piccole.
Amelia e Rowan si esibivano
in mezzo alla Sala Comune in danze di dubbio gusto, la prima poiché non seguiva
per nulla il ritmo, il secondo per gli eccessivi movimenti di bacino (uno degli
ultimi insegnamenti del “Maestro Stebbins del quarto”).
«È orribile.» disse Lance a
Helen, a disagio in quel baccano tra musica, chiacchiere e balli.
«È solo perché non sei
abituato, non ti preoccupare.» lo tranquillizzò Wayne, arrivato in quel momento.
«Dopo tre anni qui me ne sono fatto anche io una ragione.»
Megan corse verso di loro e
Lance si nascose dietro Helen.
«Ehi, Wayne! Guarda!
Stebbins ha trasfigurato la burrobirra in Whisky Incendiario!» esclamò,
mostrando il bicchiere. «Assaggia!» strepitò, costringendolo a bere.
«Puah!» commentò il ragazzo
dopo averne preso un lungo sorso. «E tu non dovresti bere, sei piccola.» le
disse, strappandole il bicchiere di mano.
Helen e Lance si
allontanarono, sicuri che la furia-Megan avrebbe ricominciato a gridare contro
di lui. Cosa che infatti fece dopo pochi secondi.
«Suppongo che il Capodanno,
che sia nel Mondo Magico o nei mondo dei Babbani, alla fine sia uguale...»
sorrise Lance, osservando i pochi Hufflepuff scatenarsi a ballare o a produrre
scintille con la bacchetta in attesa della mezzanotte.
«Perché, credevi che fosse
diverso?» domandò Helen, ridendo alla vista di Wayne tutto rosso in viso dopo la
sfuriata di Megan.
«Beh, un pochino, forse.
Credevo fosse qualcosa di più... magico.» rispose Lance, deluso.
L’orologio che Michael aveva
stregato per suonare a mezzanotte cominciò a cantare il conto alla rovescia e
tutto si fermò.
Michael borbottava,
lamentandosi di non poter baciare nessuna compagna quell’anno, ma seguì gli
ultimi dieci secondi dell’anno.
Allo scoccare della
mezzanotte, tra baci e abbracci di rito, scese dal dormitorio anche Ernie,
attirato dal vociare dell’orologio.
Si avvicinò a Lance e Helen
che stavano chiacchierando con Caitlin e Alana e sembravano molto
felici.
«’iao.» salutò, un po’
imbarazzato. Cercò con gli occhi Amelia e la vide ancora in pista impegnata in
un ballo strano con Megan.
«Ciao, Ernie! Auguri!»
esclamarono Caitlin e Alana in coro, abbracciandolo. Il ragazzo, in un primo
momento, rimase immobile nel loro abbraccio, poi ricambiò, stringendole a
sé.
Helen gli si avvicinò.
«Bentornato fra noi, Macmillan!» e con il pensiero ringraziò Amelia, che era
riuscita dove lei non ce l’aveva fatta.
Sono oltremodo imperdonabile. Purtroppo, il mio computer
si è fuso, quindi non ho potuto usarlo fino a pochi giorni fa.
Come se non bastasse, anche la connessione è andata a
farsi friggere, quindi non so quando potrò pubblicare di nuovo.
Per ora, godetevi questo capitolo! :) e spero non abbiate
perso le speranze con la storia, perché state certi, andrà avanti!
Ci leggiamo il prima possibile, promesso.
Akami
P.S.
Come al solito, grazie per le recensioni. Risponderò una ad una quando avrò un
attimo in più di tempo!
La
settimana dopo Capodanno portò con sé ancora più freddo e il ritorno degli
studenti fu più felice di quanto coloro che erano rimasti al castello si
aspettassero.
Liam
sembrava più rilassato e tranquillo e, appena li vide, abbracciò subito Helen,
Lance e Rowan con affetto.
Sheldon
era molto abbronzato e i capelli castani si erano schiariti appena. Alla domanda
di dove fosse stato, rispose che aveva trascorso una settimana ai Caraibi con il
padre.
Geoffrey
non era cambiato di una virgola, scese dal treno con una pila di riviste di
Magicverba. Era radioso.
Hannah
sembrava più pensierosa del solito, tuttavia fu felice di raccontare agli amici
come aveva trascorso le vacanze.
Probabilmente,
di tutti i ragazzi che scesero dal treno quel giorno, quello che fu accolto
meglio fu Cedric Diggory: i suoi amici gli si gettarono addosso, abbracciandolo
e stringendolo come se non lo vedessero da anni, o come se fosse appena
resuscitato dall’Aldilà. In particolare, Stebbins sembrava aver ritrovato un
fratello.
Un
febbraio gelido e secco si sostituì a gennaio con la stessa velocità con cui
stava trascorrendo il tempo.
«Non
posso credere che manchino pochi mesi alla fine della scuola.» commentò Rowan
quel giorno, mentre copiava dalla lavagna le marche di cioccolatini preferiti da
Gilderoy Lockhart, l’argomento della lezione di Difesa Contro le Arti
Oscure.
«Jà.» rispose Sheldon, seduto accanto a
lui. «Non ho assolutamonte volia di tornare a casa.»
«Beh,
sei appena tornato, no?» disse Lance, dietro di lui, mentre leggeva un Manuale
di Difesa che aveva preso in biblioteca.
«Oui, però stare con mio padre mi piasce. Mia madre è sempre così triste
perché lui non scè...»
«Sono
separati?» chiese Helen, vicina di banco di Lance.
«Non
esattamonte. Mio padre lavora in
Franscia fino ad agosto, quando porta
me e mia madre in vacansa in qualche
bel posto di mare.»
Lockhart
tossicchiò, richiamando la loro attenzione. «Ragazzi, fate attenzione! Vi state
perdendo la descrizione del perché gli attentati sono
terminati.»
Helen
dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere: effettivamente gli attentati non
c’erano più stati da Justin in poi, ma dubitava che il motivo fosse per la
presenza di Lockhart nella scuola.
«Inoltre,
per tirare su il morale a ciascuno di voi,» aggiunse il professore, con un
sorriso che non prometteva nulla di buono. «ho deciso di farvi una bella
sorpresa, domani.»
Liam
inorridì. «Domani è San Valentino. Non oso immaginare che sorpresa voglia
farci.»
Caitlin,
dal fondo dell’aula, gridò: «Ha intenzione di baciarci tutte,
professore?»
«Ma
che schifo!» ruggì Rowan, destato dalla voce dell’amica.
Lockhart
ridacchiò, portandosi una mano davanti alla bocca, con molta grazia. «No,
signorina Cadogan. Non vorrei si ripetesse come l’ultima volta che ho baciato
una donna: questa mi è svenuta tra le braccia. È stato imbarazzante da
spiegare.» e si voltò a scrivere nomi di streghe che erano svenute al
vederlo.
Caitlin
si nascose dietro un libro e rise, insieme con Alana.
«L’ha
detto scherzando, Rowan.» rise Liam. «Non prendertela
tanto!»
«Perché
se l’è presa?» domandò Helen, incuriosita.
«Odia
il fatto che a tutte le ragazze piaccia Lockhart perché lui lo
odia.»
Helen
sorrise. «Beh, divertente.»
«Signorina
Weasley, può risolvere questo problema?» domandò Lockhart alla piccola Ginny,
che era sovrappensiero.
Appariva
più smagrita e pallida che mai. I capelli rossi avevano perso vitalità, come la
sua stessa persona, che sembrava più triste e depressa. Accanto a lei il posto
era vuoto: all’inizio dell’anno era stato occupato da Colin, da più di due mesi
Colin era in infermeria ad attendere la pozione di Mandragola, insieme con
Justin e la povera Mrs. Norris.
Una
Gryffindor dai capelli ricci seduta dietro di lei, Demelza Robins, le batté una
mano sulla schiena, solidale.
«Chissà
cos’ha la Weasley» chiese Helen a Lance, confusa. «La vedo molto
giù»
«Magari
i suoi genitori l’hanno sgridata per come va a scuola. Ho sentito che non riesce
più a prendere una sufficienza»
Helen
alzò un sopracciglio. «Dici sul serio? È sempre stata così
brava!»
Al
termine della pseudo-lezione, i ragazzi si diressero tutti accalorati verso la
serra di Erbologia e, sorpassando la serra numero tre, sentirono grida acide
delle mandragole. Secondo gli ultimi accertamenti, stavano per entrare
nell’adolescenza, dopodiché sarebbero state pronte per essere
tagliuzzate.
La
professoressa Sprout li accolse gioviale. «Buongiorno, cari ragazzi.» disse.
«Sarete lieti di sapere che tra poco più di due mesi saremo in grado di riporta
in vita i vostri amici.» e il suo pensiero andò a Justin.
«È
meraviglioso!» esclamò una Ravenclaw.
«Sono
d’accordo! Bene, ora però iniziamo! Continuate a lavorare sul Tranello del
Diavolo: dovete potare le foglie di troppo, ma fate attenzione, se per caso le
vostre mani vengono catturate dai tentacoli della pianta, che cosa dovete
fare?»
Lance,
vedendo che nessuno alzava la mano per rispondere, la sollevò
timidamente.
«Wallace?»
«Dobbiamo
restare immobili e tranquilli, perché il Tranello del Diavolo si nutre del
terrore delle creature che cattura.»
«Bravissimo,
signor Wallace! Dieci punti a Hufflepuff.»
Lance
era a dir poco radioso. Lo studio gli stava dando ottimi risultati su ogni
fronte e poteva dichiararsi perfettamente soddisfatto del suo rendimento, che a
volte era anche motivo per cui i suoi compagni lo avevano tanto in simpatia: non
solo era buono, ma faceva anche guadagnare punti alla
Casa.
«Sei
un mostro!» commentò Rowan, tirandogli una pacca sulla spalla. «Ma come
fai?»
Lance
fece spallucce. «Non lo so nemmeno io, Rowan. Non studio più di quanto non lo
faccia tu.» rispose, prendendo le cesoie e cominciando
l’opera.
Rowan
lo guardò sbalordito: lui era abituato a studiare poco, alcune lezioni
addirittura le leggeva semplicemente, portandosi a casa un “Accettabile” di cui
non poteva lamentarsi, visto lo sforzo compiuto per ottenerlo. Tuttavia, Lance
aveva una media invidiabile ed era forse il ragazzo migliore del suo
anno.
«Signor
James? Ha intenzione di rimanere imbambolato a fissare le cesoie oppure si
deciderà prima o poi a potare la sua pianta come i suoi compagni stanno facendo
da un’ora a questa parte?» lo ragguagliò la professoressa Sprout con una certa
ironia.
«Sissignora,
signora professoressa.» esclamò Rowan, esibendosi nel suo miglior
sorriso.
Helen
rise, distraendosi per qualche secondo, che tuttavia bastò al Tranello del
Diavolo per prenderla di soppiatto: attorcigliò i tentacoli intorno al polso di
Helen e comincio a stringere.
«Ahi!»
esclamò la ragazza, vedendo la mano diventare improvvisamente rossa e gonfia.
Prese un lungo respiro, stette immobile e attese.
«Helen!
La tua mano!» gridò Alana, terrorizzata, facendo cadere le cesoie in
terra.
La
mano della ragazza era diventata di un violaceo piuttosto sinistro ed era
fredda. Helen provò a muoverla, ma non ci riuscì. Il panico la
sconvolse.
«Lance!
Aiutami! Aiuto!» urlò, terrorizzata, attirando l’attenzione della
Sprout.
Il
ragazzo vide la mano dell’amica e fu sul punto di svenire. Chiuse gli occhi e
brandì la bacchetta.
«Lumos.» disse, puntando la bacchetta
contro la pianta. Questa sembrò emettere un rumore stridulo, poi si ritrasse,
liberando il polso della ragazza.
Quando
la Sprout vide la mano di Helen cominciò a esaminarla attentamente, non troppo
tranquilla.
«Signorina
Adams, le consiglio di andare in infermeria per un controllo.» dichiarò, con
voce tremolante. «Sì, Wallace, accompagnala tu.» ordinò a Lance dopo averlo
visto spaventato.
Caitlin,
Alana, Liam, Rowan, Sheldon e Geoffrey protestarono con
forza.
«Ma
professoressa!»
«È
anche nostra amica!»
«La
prego, ci faccia vedere come sta!»
«Dovrebbe
dare a Hufflepuff almeno cinque punti per il pronto intervento di
Lance!»
«Silenzio!»
tuonò. «Non se ne parla! Non sta mica morendo!»
Arrivati
in infermeria, Lance spiegò a Madama Chips cos’era accaduto e la donna, con un
sorriso calmo, lo tranquillizzò, dicendo che non era successo nulla di
grave.
«Farò
alla tua amica un impacco sulla mano per evitare eventuali conseguenze, ma non è
successo nulla di grave.»
Fece
sedere Helen su uno sgabello e cominciò a preparare un impasto
nauseabondo.
«Come
stai?» chiese Lance all’amica, preoccupato.
«Mah...
non sento più la mano, non riesco nemmeno a muoverla.» gemette Helen, fissando
la propria mano blu.
«È
normale.» borbottò Lance. «Quella... cosa ti ha bloccato le vene, quindi il
sangue non è più arrivato e ora la senti intorpidita.»
Helen
lo guardò colpita. «Come sai tutte queste cose?»
«Hai
presente mia madre Maganò? Beh, è un medico babbano.» disse Lance, piuttosto
fiero. «Prima di scoprire che ero un mago, volevo diventarlo anche
io.»
«Ma
se hai paura del sangue!» rise Helen, come se fosse la cosa più ovvia del
mondo.
Lance
si riscosse, stizzito. «L’avrei superata.»
Si
guardarono e scoppiarono a ridere.
Attraverso
l’ufficio di Madama Chips si potevano intravedere i lettini che ospitavano i
ragazzi pietrificati. Il sorriso dei due ragazzi si spense sui loro
volti.
Quella
sera, Helen era al centro dell’attenzione di tutti. Il racconto di come era
stata sul punto di perdere la mano aveva incuriosito tutti. La ragazza
continuava a ripetere che non era successo nulla di eclatante, ma più e più
persone desideravano conoscere l’affascinante storia di come quel ragazzino
mingherlino del primo anno fosse intervenuto a salvare l’amica dalle grinfie del
Tranello del Diavolo.
«Non
dovrebbero tenere questo genere di piante pericolose nella serra.» commentò
Ernie, accanto a lei. «Hai rischiato grosso. Avresti potuto perdere la
mano.»
Wayne,
che stava leggendo un libro accanto al fuoco, commentò: «Sarebbe stato difficile
perdere la mano: la necrosi delle cellule non è un processo così veloce e
spontaneo.»
Ernie
lo fulminò, guardandolo come se si stesse chiedendo chi diavolo avesse dato a
quello il permesso di parlare.
Il
giorno seguente era San Valentino. Alana e Caitlin si svegliarono rumorosamente,
mentre Amelia, dalla faccia, pareva non avesse dormito per nulla (ma
probabilmente San Valentino non c’entrava niente). Carey, come al solito, era
già scesa a colazione da sola.
«È
un fantasma.» dichiarò Alana, vestendosi. «Carey, intendo. Voi ci avete già
parlato?»
«Io
una volta.» rispose Helen, lottando contro il maglione perché la testa passasse
dal buco giusto. «Non è antipatica...»
«Io
non c’ho mai parlato, e sinceramente di parlare con un mollusco non è che
m’importi tanto.» sbraitò Caitlin, scompigliandosi i capelli
rossissimi.
«È
simpaticissima.» fu il commento di Amelia, che aveva in grembo Moby e gli stava
dedicando più attenzioni di quante non ne avesse mai dedicate alle amiche. «È
molto dolce e tenera, solo che ha problemi a fare amicizia perché ha paura di
essere troppo noiosa. Io le ho spiegato che voi siete come me, quindi non
avreste problemi ad accettarla.»
Alana
inorridì. «Hai detto che siamo come te?»
Amelia
annuì, non guardandola. «Ha dei bei capelli.»
Helen
rise, divertita. «Beh, l’importante è questo.»
Caitlin
e Alana spostarono lo sguardo da Helen ad Amelia,
intimorite.
Quando
scesero nella Sala Comune, lo scompiglio dominava in tutti i
ragazzi.
Michael
Stebbins, per citare un nome, girava con una pila di bigliettini ricevuti dalle
ammiratrici. Lo sguardo che Helen colse tra due Hufflepuff del quarto anno, tali
Jack e Rent, le fece capire che la maggior parte erano inventati da
loro.
Non
fecero in tempo ad aprire bocca, che le quattro ragazze furono placcate da
Rowan, che distribuì loro quattro cartoncini rosa. Su ciascuno c’era la scritta:
Alla più bella ragazza di
Hogwarts.
Caitlin
e Alana risero, superandolo.
Helen
gli sorrise dolcemente. «È stata un’idea di Stebbins?»
domandò.
Rowan
annuì, illuminandosi. «Sì. Ha detto che avrei dovuto consegnarlo a ciascuna
ragazza del mio anno e attendere. Ha detto anche che sarebbe caduta ai miei
piedi subito.»
Helen
a stento tratteneva le risate. «Rowan,» disse, appoggiandogli una mano sulla
spalla. «dovevi darli a tutte in momenti
separati. Non a tutte insieme, se no sembra una presa in giro.» e,
freddatolo, scese con Amelia a colazione.
Le
pareti della Sala Grande erano state coperte da enormi fiori di un rosa acceso
da rendere ciechi, il soffitto invece era azzurro carta da zucchero e da esso,
fioccavano coriandoli a forma di cuori.
Era
uno spettacolo disgustoso.
Lance,
parzialmente se non completamente sconvolto, era seduto al tavolo degli
Hufflepuff e si guardava intorno spaventato. Liam, accanto a lui, sembrava
provare la stessa sensazione.
«Cosa-è-successo.»
provò a chiedere Helen, accomodatasi accanto a Lance.
«È
carino qui.» borbottò Amelia, sedendosi vicino a Liam.
«No
che non lo è!» commentò lui, guardandola come se fosse pazza... non molto
diversamente da solito, in effetti. «È orribile! E non avete ancora visto...» un
pesante clangore annunciò l’arrivo di enormi nani travestiti da
cupidi.
«...
quelli.» completò per lui Lance, assistendo alla seconda retata di consegna dei
bigliettini rosa o dei valentini cantati.
Un
nano sembrava venire verso di loro.
«No,
non di nuovo!» Lance si nascose sotto il tavolo.
«Che
succede?» domandò Caitlin, vedendo l’amico in difficoltà.
«È
già il terzo che gli recapitano oggi.» sbuffò Rowan, evidentemente geloso di non
essere al centro dell’attenzione delle ragazzine di
Hogwarts.
«Il
che?!» esclamò Helen, incredula. «Il terzo San Valentino a
Lance?!»
A
lei non sembrava che il ragazzo fosse tanto affascinante.
Tre
nani si pararono davanti al loro tavolo e cercarono Lance prima con gli occhi e
poi con il naso, fiutando l’aria alla ricerca del suo odore. Il più basso di
questi, che sembrava anche il più intelligente, si piegò sulle ginocchia
squadrate e lo vide, rannicchiato su se stesso.
«Trovato.»
brontolò ai suoi compagni. «Un san Valentino musicale per Lancelot
Wallace.»
«Tu che sei della scuola il più carino/sempre
fermo davanti a me come un cagnolino/hai occhi grigi di nebbia/tutti gli altri
in confronto a te hanno la scabbia./Quando ti guardo il mio cuore fa un
saltellino/e i miei amici dicono che sei un cretino.» cantò, o meglio
grugnì, il nano più grosso, che teneva un arpa in mano e la scuoteva, senza
rendersi conto di che cosa fosse.
Il
tavolo degli Hufflepuff scoppiò in risate sguaiate, per primo Rowan, che sebbene
fosse contrariato, non poté restare serio di fronte ad un valentino del
genere.
Lance
riemerse da sotto il tavolo, paonazzo in viso e sull’orlo di una crisi di nervi.
Si guardò intorno per vedere se ci fosse una qualche ragazza seria a cui
chiedere di chi fosse, ma nessuno sembrava smettere di
ridere.
«E
questo da parte di chi era?» piagnucolò, cercando di mantenere quel poco di
dignità che poteva ancora avere.
«Justine
Farrell, primo anno, Ravenclaw.» borbottò il terzo nano che non aveva ancora
parlato. «Devo riferirle qualcosa in particolare, signorino?»
«No,
era solo per sapere... andate pure...» li congedò, quasi piangendo. «E, vi
prego, non voglio più valentini musicati, mi basta riceverli per
iscritto.»
I
nani annuirono, prima di fermare gli occhi su Cedric Diggory. Il ragazzo li vide
e si scambiarono una lunga ed eloquente occhiata. Cedric
scappò.
«Fermo,
Diggory!» gridò uno de nani, cominciando a inseguirlo. «Ci sono dodici san
valentini musicali per te!»
Rowan
si alzò e con noncuranza andò a sedersi proprio vicino al nano più basso, che
continuava a setacciare l’area alla ricerca di un eventuale nuova
vittima.
«Ciao,
sono Rowan James... hai mica qualcosa per me?» gli chiese, con un largo
sorriso.
«No,
spiacente. Sparisci, impiastro.»
«Come
mi hai chiamato?!» si infuriò.
Il
nano lo ignorò. «Oh! Signor Wayne Hopkins! Si fermi! Ho un biglietto per lei!»
strepitò, vedendo Wayne passare silenziosamente davanti a
lui.
La
bocca di Rowan si aprì tanto da sembrare toccare terra. «Cioè, anche
Wayne-faccia-da-nonno ha ricevuto un biglietto di san Valentino!» si lamentò,
abbandonandosi sul tavolo. «Sono senza speranze?» domandò a Helen, l’unica
persona in tutta la scuola che pareva ascoltarlo.
«No...
dovresti essere un pochino meno egocentrico, ecco! Magari, stare un po’ più in
disparte... Guarda Wayne, Lance e Cedric, non sono mai stati al centro
dell’attenzione. Tranne Cedric, ma lui... è Cedric,
insomma!»
«Beh,
nonna Wayne non credo di averlo mai visto sorridere, mentre Lance-cuor-di-leone
ha sempre gli occhi puntati addosso per le sue paure...»
Helen
sorrise. «Beh, è tenero.»
Rowan,
in tutta risposta, si esibì nella sua perfetta imitazione dello sguardo di un
bimbo che desidera ardentemente le caramelle.
«Hai
mal di pancia, Row?» domandò Liam, osservandolo qualche secondo. «Come mai ti
contorci così?»
Quello
fu il colpo di grazia, e Rowan si lasciò cadere per terra, abbandonando le
braccia lungo i fianchi.
«Dai,
Liam, me l’hai distrutto!» ridacchiò Caitlin, scuotendo i corti capelli rossi.
«Stava cercando di essere tenero!»
Sheldon,
arrivato in quel momento, udì solo la parola “tenero” e si
gonfiò.
«Oh,
Caitlìn, ponsi davero che io sia tenero?»
Caitlin
si scambiò un’occhiata con Alana. «I ragazzi sono completamente impazziti
oggi.»
L’altra
ragazza annuì, grave. «E dire che dovremmo essere noi tutte circondate da
cuoricini e complimenti...»
Helen
rise, divertita. Tuttavia, l’ilarità generale fu interrotta dall’arrivo di un
altro fornito gruppetto di nani che varcò l’ingresso e cominciò a guardarsi
intorno. Lance fece per nascondersi di nuovo, ma fu fermato da due nani che gli
saltarono addosso, placcandolo.
«No!
Basta!» gridò, con voce soffocata, coperto da uno strato di nani assetati di
sangue.
«Biglietto
di San Valentino per Lancelot Wallace.»
Rowan,
da terra, mugugnò.
«Oh.
Meno male.» borbottò Lance, prendendo il cartoncino viola e
aprendolo.
Alana
si vergognò vistosamente e finse di mangiare il porridge.
Il
ragazzo lo lesse sottovoce e, via via che scorreva le parole, le gote si
scurivano sempre di più, fino a raggiungere un colorito paonazzo degno dei
capelli di Caitlin.
«Oh.»
riuscì solo a dire, guardando Alana. La ragazza gli scambiò uno sguardo ed
entrambi arrossirono.
Caitlin
guardò prima l’amica e poi Lance. Lance e poi l’amica. «Non ci posso credere!»
esclamò, catapultandosi da Alana, euforica.
Sheldon
e Liam, invece, raggiunsero il ragazzo, increduli.
In
quel momento, arrivò Michael, trasudante d’orgoglio, portando con sé una pila di
bigliettini rosa e profumati. Dava l’idea di aver vinto la Coppa del Mondo di
Quidditch o di aver ricevuto l’Ordine di Merlino, prima
classe.
Fece
cadere i bigliettini addosso a Rowan, che era ancora disteso a terra, e
rise.
«Allora,
mio caro discepolo, quanti bigliettini hai racimolato in questa prima retata?»
domandò, con un sorriso che andava da un orecchio
all’altro.
Rowan
emise un gemito e si girò con la faccia contro il
pavimento.
«Gli
avete buttato da mangiare per terra o è successo qualcosa?» domandò a Helen,
ammiccante.
«Non
ha ricevuto san valentini...» rispose la ragazza, trattenendo a stento le
risate.
«Per
le mutande di Merlino!» esclamò. «Questo non va mica bene! Dove hai sbagliato,
mio giovane amico! Dove?»
Rowan
si alzò da terra con sguardo che implorava perdono, come se avesse appena
Schiantato Snape per errore.
«Capisco!
Il tuo look!» commentò Michael, passandosi una mano tra i capelli e
scompigliandoseli ancora di più. «Sei troppo tu e troppo poco me! Stasera ti sistemerò a dovere e a
cena farai strage di donne!»
L’occhio
di Michael cadde sulla piccola pila di quattro biglietti di Lance. Lasciò
perdere Rowan all’istante e si catapultò da Lance.
«Mio
nuovo discepolo prediletto!»
gridò.
Lance,
tutto imbarazzato, si nascose dietro Liam e Sheldon. «Che
vuoi?»
«Sono
fiero che tu abbia ricevuto così tante proposte, perciò ti sto offrendo
l’incredibile possibilità di diventare mio discepolo.»
Walter
gli passò accanto e ridacchiò.
«Sì,
Wally, ci sto prendendo gusto con questa storia del
mentore.»
Quel
pomeriggio, terminate tutte le lezioni, come era solito, gli studenti degli
Hufflepuff si riunirono in Sala Comune per fare i compiti o chiacchierare
allegramente.
Ernie
e Hannah stavano bisbigliando fittamente quando un nano entrò arrancando nella
stanza con un mazzetto di cartoncini rosa profumati da
consegnare.
«Non
è ancora finita!» pianse Lance, nascondendosi dietro il divano e sperando di non
essere stato visto.
«Un
san Valentino per iscritto per Ernest Macmillan!»
Tutti
gli Hufflepuff presenti si voltarono a guardare Ernie.
Michael
sembrava disorientato. «Tu ti chiami Ernest?!»
Ernie
si alzò, il petto in fuori per l’orgoglio, e andò a prendere il bigliettino
senza troppe storie. «Beh, per cosa pensavi stesse
“Ernie”?»
«...
per “Ernie”, ovviamente!» gridò Rowan, che era stato riempito di bigodini da
Michael.
«Rivelazione
del secolo... uuuh...» disse, atono, aprendo il biglietto e leggendolo. Il suo
sorriso tronfio si trasformò in una smorfia di terrore.
«Chi
diavolo...» tentò Hannah, sbirciando appena il biglietto da leggere il nome di
chi l’aveva scritto.
«Eloise
Midgen!» scoppiò a ridere.
Fortunatamente,
Eloise, una ragazza deturpata dall’acne, non era presente nella Sala Comune,
altrimenti Michael e Rowan avrebbero dovuto tentare di spiegarle che l’aveva
scritto lei quel biglietto, e non loro. Cosa che, peraltro, non era affatto
vera.
Caitlin
guardò Rowan. «Scritto voi, vero?»
«Chiaro.»
risposero i due all’unisono
Sono
ufficialmente libera.
E imperdonabile.
Ma la colpa non è mia! Mi è toccata la maturità quest’anno... e ho finito da
poco più di una settimana! Perdonatemi!
Da oggi in poi
ricomincio con le pubblicazioni regolari!
Ci leggiamo la
settimana prossima!!!
Grazie a chi
recensisce e a chi legge soltanto! Mi illuminate la
giornata!
Era
incredibile con quanta velocità trascorresse il tempo a Hogwarts. Era passato
poco meno di un mese da San Valentino e già si parlava delle vacanze di
Pasqua.
«Mia
madre vuole conoscerti.» annunciò Lance quel giorno a Helen,
sorridendole.
«Vuole
conoscermi?» ripeté Helen incredula. Lance non le aveva mai menzionato di stare
particolarmente simpatica a sua madre, anzi, credeva che i genitori di Lance non
conoscessero affatto le amicizie del figlio.
«Sì!
Le ho parlato tanto di te! Le ho detto che sei la mia migliore amica.» disse il
ragazzo, con tale innocenza che Helen quasi si commosse.
«Davvero?»
«Beh,
sì. Perché, non lo sei? Non sei la mia migliore amica?» chiese Lance, che
sembrava disorientato, come se non credesse fossero necessarie parole per
sancire un’amicizia.
«Beh,
ma certo che lo sono.» borbottò Helen, con ritrovata energia. «Però non pensavo
che i tuoi genitori lo sapessero.»
Lance
ridacchiò. «Sono un po’ strani, sì, ma quando si tratta di me sono sempre molto
premurosi.»
«Allora
d’accordo. Se non disturbo mi piacerebbe molto venire a casa tua uno di questi
giorni di vacanza.» sorrise la ragazza. Aveva deciso che per Pasqua sarebbe
tornata a casa. Dopotutto, gli attentati si erano fermati e si sentiva in colpa
di non essere tornata a casa da loro per le vacanze di Natale. Era sicura che
sua madre fosse terrorizzata all’inverosimile, non conoscendo né il Mondo Magico
(o, per lo meno, non facendone parte) né Hogwarts.
«Benissimo!
Allora ti andrebbe di venire il terzo giorno di vacanza? Abbiamo poco meno di
dieci giorni, però credo che per l’ultimo week-end siamo ospiti dagli zii. O
almeno, io lo sono, i miei genitori
non credo.»
Helen
lo guardò, incuriosita. «Perché?»
Lance
fece spallucce, imbarazzato. «Beh, tra lo zio e mia madre non scorre buon
sangue. L’ultima volta che si sono visti hanno urlato tantissimo e lanciato
piatti e rotto finestre. Avevo cinque anni.» sussurrò, in totale confidenza. «Io
sono sempre il benvenuto dagli zii e a Pasqua mi hanno sempre ospitato. Sarà
difficile sopportare tre giorni insieme ad Abigail.» considerò, un poco
rammaricato.
Helen
gli batté una mano sulla spalla. «Vorrei poterti tenere compagnia...» disse,
dispiaciuta.
«Compagnia?
Perché? Non state già abbastanza insieme voi due? Sembrate marito e moglie!» li
interruppe Rowan, inserendosi nel discorso.
«A
casa dei miei zii... ho bisogno di un po’ di supporto perché dovrò trascorrere
un week-end con Abigail.» mormorò Lance, sempre più
abbattuto.
«Vengo
anche io!»
«Davvero?»
«Ehi,
tutto per il mio migliore amico!» esclamò Rowan, ammiccante. «Che rimanga tra
noi, eh! Non vorrei sembrare un mollaccione davanti alle ragazze.» e fece
l’occhiolino a una ragazza di Ravenclaw che li aveva appena
superati.
Lance
era radioso. Un senso di gioia lo aveva pervaso da cima a fondo e si sentiva il
ragazzo più fortunato che avesse mai messo i piedi a
Hogwarts.
«Lo
fareste davvero? Scrivo una lettera ai miei zii!» strillò eccitato, e corse
dritto verso il dormitorio per recuperare carta e penna.
Rowan
e Helen rimasero in silenzio qualche secondo. «Tu hai idea di ciò a cui andremo
incontro, vero?»
La
ragazza annuì, grave. «Abbastanza, sì. Tu però non t’azzardare a fare rissa,
altrimenti chiedo a Megan Jones di picchiarti.» lo
minacciò.
Rowan
la fulminò. «Non oseresti.»
«Oh,
sì.» rise Helen. «Ho diverse conoscenze influenti ai piani alti.» disse. Proprio
in quel momento la oltrepassò Cedric Diggory, con la solita scorta di amici, che
la salutò.
«Tsk!
Quel Diggory?» fece Rowan, con una smorfia.
«È
il migliore amico di Michael, sai?»
«Certo
che so chi è il migliore amico del mio maestro!» sbottò, come se avesse subito
il peggiore degli oltraggi. «Ad ogni modo mi dà l’idea di essere un po’ troppo perfetto... capisci cosa
intendo?»
Helen
sembrò meditare qualche secondo. «Certo!» esclamò, subito dopo. «Significa che
sei geloso marcio di lui perché piace. Ti rode ancora il fatto che abbia
ricevuto più biglietti di te a san Valentino!»
Rowan
stava per controbattere, quando Liam si frappose fra i due, con un grande
sorriso.
«Allora,
che si dice, gente?»
«Ma
tu sei sempre così ingenuamente allegro?» domandò Rowan,
stizzito.
Liam
lo osservò per un breve attimo; sembrava volesse leggerlo
dentro.
«È
geloso di qualcuno, vero?» domandò, rivolto a Helen.
La
ragazza annuì. «Diggory.»
«Ma
Row! Diggory è Diggory! Cioè, è il più fantastico Hufflepuff che la Casa
Hufflepuff abbia mai avuto dopo... dopo... dopo Helga Hufflepuff!» strepitò
Liam.
«Non
sci fa molto onore questa cosa,
però!» aggiunse qualcuno, dietro i ragazzi. «Anche la Casa degli Hufflepuff è
importonte e rinomota.»
«Sì,
Shelly, rinomata per Frate Grasso e la Sprout. Nel Mondo Magico, basta esclamare
“Gryffindor” e si pensa a quella miriade di eroi che contiene, partendo da
Potter fino ai gemelli Weasley; basta esclamare “Slytherin” e si pensa a
Voi-Sapete-Chi; se esclamate “Ravenclaw”, qualsiasi adulto potrebbe raccontarvi
aneddoti interessanti sulla vita avventurosa del professor Flitwick o
sull’importanza dei Ravenclaw al Ministero della Magia. Se vi capita di dire che
siete degli Hufflepuff, l’unica reazione che suscitate sono risate.» spiegò
Rowan, accalorato.
«Tu,
come al solito, sei sempre esagerato.» lo rimbeccò Helen. Quel discorso l’aveva
molto intristita.
«Beh,
spero davvero che se Cedrìc è la cosa
miliore che sia mai capitata agli
Hufflepuff, almeno porti gloria alla nostra Casa!» disse Sheldon, incamminandosi
verso la Sala Comune.
I
ragazzi lo seguirono, incapaci di ribattere.
Il
giorno seguente era il momento della partenza. L’Espresso per Hogwarts era come
sempre rumoroso e maleodorante di fumo. Ernie e Hannah avevano deciso di
rimanere a scuola, così come Geoffrey, Sheldon, Liam e
Amelia.
«Non
hai voglia di vedere tua madre?» domandò Helen ad Amelia, poco prima che il
treno partisse.
«Oh,
ma ho una sua foto sul comodino, la vedo tutti i giorni!» ridacchiò la ragazza.
Helen sospirò, chiedendosi se Amelia fosse davvero così o lo facesse
apposta.
«E
tuo padre? Non hai nessuna foto di lui sul comodino?» in effetti, doveva
ammettere di non aver mai visto fotografie del padre della ragazza. Magari erano
divorziati, le venne da pensare.
Amelia
rise. «Il sole è molto bello oggi, secondo me troverai una settimana di bel
tempo!» le disse, con un enorme sorriso stampato sul viso.
Helen
si arrese: non l’avrebbe mai capita.
Il
treno fischiò.
«Forza,
Helen!» la chiamò Lance, da uno scompartimento. «Ti ho tenuto il
posto!»
Amelia
continuò a ridere. «Forza, vai! Non vorrai mica fare attendere il tuo
cavaliere!»
Helen
la guardò, poi l’abbracciò, lasciando l’amica spiazzata. Era la prima volta da
anni che veniva abbracciata.
«Mi
mancherai!» le disse, in un orecchio. Si rivolse a Ernie e Hannah. «Tenetela
d’occhio, che non spaventi nessuno!» e salì sul treno.
Amelia,
incredula, si toccò le guance. Erano bagnate. Era la prima volta che piangeva da
tre anni.
«Come
sono i tuoi?» domandò Helen a Lance. Si sentiva imbarazzata a sapere che pochi
giorni a quella parte sarebbe stata al centro delle attenzioni dei genitori di
Lance. Chissà cosa mai aveva confidato lui a loro?
«Sono
molto dolci e si affezionano subito ai miei amici, di solito. Quando frequentavo
le elementari, mi chiedevano sempre di chiamare i miei amici a
casa!»
«Anche
io sono andata alle elementari!» esclamò Helen, divertita. «I miei genitori mi
hanno obbligata! Però saltavo parecchie lezioni perché mi capitava di
manifestare le doti magiche e spaventavo i miei compagni...» rise. «Mi ricordo
che una volta ero così arrabbiata con un mio amico perché mi aveva tirato i
capelli che glieli ho fatti cadere tutti con il pensiero. Le maestre non hanno
capito che ero stata io!»
Rowan
guardava gli amici incuriosito. «Cosa sono le elementari?»
domandò.
«Sono
scuole che ti insegnano a leggere, scrivere e fare i conti da quando hai sei
anni fino a undici.» rispose Lance. «Ci vanno sempre i ragazzi
babbani.»
Da
quel momento, Rowan trascorse l’intero viaggio a chiedere chiarificazioni sul
mondo dei Babbani, e Lance e Helen erano molti divertiti nel rispondergli come
si preparava da mangiare, o cosa significasse nel mondo Babbano “disinfestare il
giardino”.
Quando
giunsero al binario nove e tre quarti, c’era un grande crocchio di genitori che
si sporgevano gli uni sopra gli altri alla ricerca dei loro
figli.
«Helen!
Helen, cara, siamo qui!» la chiamò la madre, agitando le
braccia.
Quando
la ragazza si avvicinò ai genitori, questi l’abbracciarono come se non la
vedessero da anni.
Lance
e Rowan rimasero dietro a guardare l’amica con un grande
sorriso.
«E
quelli, amore? Sono i tuoi amici?» chiese il padre, Jacob, indicando i due
ragazzi.
Emily,
sua madre, si precipitò verso Lance e lo abbracciò. «Tesoro, questo è Lance,
vero? È proprio come l’hai descritto nelle tue lettere!»
Lance
arrossì, imbarazzato. «Grazie, signora Adams.» disse, abbandonandosi a
quell’abbraccio e affondando la testa negli abiti della signora Emily, che
profumavano di pulito.
La
madre di Helen era bassa e snella, con una chioma di fluenti capelli biondi e
gli occhi di un anonimo marrone.
«Emily,
caro, mi chiamo Emily. Non penso di essere così vecchia...» ridacchiò. In
effetti, il viso della donna era completamente privo di rughe. Dava l’idea di
avere poco più di trent’anni.
Jacob
rise. Al contrario della moglie, sembrava aver oltrepassato i quaranta. Il
volto, molto affascinante, era lievemente segnato dalle rughe, ma i suoi occhi
verdi (come quelli della figlia) scintillavano, rendendo impossibile definirne
l’età con precisione. Era piuttosto robusto di costituzione e aveva le mani
rovinate e piene di calli.
Emily
liberò Lance dall’abbraccio e si gettò su Rowan.
«Tu
sei quel Rowan James, vero?» disse, guardandolo dritto negli occhi (era alta
come lui) e dandogli due grandi baci sulle guance. «È un piacere conoscerti,
Helen ci ha sempre scritto che sei un tipetto molto sveglio e
simpatico.»
Rowan
si illuminò.
«Emily,
smettila! Non vorrai strozzarmelo!» tuonò Jacob, in una risata grassa che
ricordava quella di Helen.
«Rowan!»
lo chiamò una donna, correndogli incontro. Era vestita di un abito molto
elegante, che metteva in risalto il ventre gonfio.
Raggiunto
il figlio, lo abbracciò, con difficoltà, visto l’ostacolo del
grembo.
Emily
emise un urlo di emozione. «Congratulazioni, signora! Io sono Emily Adams, la
madre di Helen.» si presentò, porgendo la mano.
«Molto
piacere, Elliana James, la madre di Rowan. E grazie.»
rise.
Rowan
sembrava esterrefatto.
«Sopresa,
Row!» un uomo alto e dai lineamenti nobili lo salutò, scompigliandogli i
capelli. Era la fotocopia del figlio. «Volevamo che lo scoprissi il più tardi
possibile!» disse, ridendo. Si inchinò alla vista di Emily con particolare
grazia.
In
quel momento, mentre Lance assisteva estasiato al miracolo della vita e
dell’amore, una coppia di coniugi giovanissimi si avvicinarono al dolce
quadretto familiare, titubanti.
Parevano
entrambi a disagio, ma quella più reticente tra i due era la donna. Era rimasta
immobile, in mezzo alla stazione, e guardava disgustata il padre di Helen, che
aveva fatto levitare il baule con un colpo di bacchetta.
«Mamma,
papà, questi sono Helen e Rowan. Li ho invitati da noi dopodomani.» disse Lance,
quasi trascinato via dal padre per un braccio.
Il
volto dei coniugi si distese subito. I lineamenti algidi della donna si
addolcirono tanto che diede a tutti l’idea di essere la madre più dolce e
affettuosa sulla faccia della terra.
«Ma
certo. Sarà una gioia avere gli amici di Lance a casa.» disse il padre. Il suo
accento scozzese era tanto marcato che anche i genitori di Helen, non
propriamente inglesi, avevano difficoltà a capirlo.
«Casa
nostra è a Edimburgo. Fatevi trovare alla stazione, verrà Lance a prendervi.»
spiegò la madre del ragazzo.
«Il
piacere sarà nostro, signora Wallace.» ringraziarono Helen e Rowan in coro,
destando le risate dei genitori.
«Ora
andiamo, avanti, Helen.» le disse Jacob, porgendole il
braccio.
«No,
niente Materializzazione...» piagnucolò la ragazza. Odiava la sensazione di
strappo al petto.
«Avanti,
muoviti! Diana non vede l’ora di abbracciarti!»
Si
materializzarono nel vialetto di una villetta in pietra e mattoni, pittoresca
quasi quanto una fattoria, alla periferia di
Middlesbrough.
Una
bambina uscì di casa, correndo velocissima, e si lanciò in braccio alla sorella
maggiore. Era cresciuta tantissimo e i capelli biondi erano lunghi oltre le
spalle. Sorrideva mostrando una fila di dentini perfetti, ad eccezione di una
piccola finestrella nell’arcata inferiore.
«Ciao
Hellie!» la salutò, mentre veniva presa in braccio dalla sorella. «Mi sei
mancata un sacco!»
Helen
la strinse forte a sé. «Anche tu, birbantella! Hai fatto disperare mamma e
papà?»
Diana
arrossì, distogliendo lo sguardo. «Non troppo.»
«Quando
voi due avete finito di confabulare contro di noi...» le interruppe Emily. «La
cena sarebbe già nel piatto.»
Diana
tossicchiò. «Veramente l’ha mangiata Tony.»
Helen
le lanciò uno sguardo interrogativo. «Tony?» sentiva Moby dibattersi per la
tasca del giubbotto, e temette di aver capito che razza di cosa fosse Tony.
Un
enorme gatto color cioccolato uscì trotterellando dalla porta, con in bocca una
bistecca impanata.
«Tony!»
sospirò Emily, trattenendo Jacob per la camicia. «Fermo! Non puoi ucciderlo!
Dobbiamo trovargli un padrone, prima!» gridava, cercando di sopprimere le
risate.
«È
la terza cotoletta che si spazzola via in un mese.» grugnì Jacob, imbronciato.
«Fatemi mangiare cotoletta di gatto, così lo ripaghiamo con la sua stessa
moneta!»
«Ma
non mangia solo cotolette!» esclamò Diana, picchiando il padre sul ginocchio con
piccoli pugni.
«Lui
no, ma io sì,
accidenti!»
Quella
mattina, si erano alzati di buon’ora e avevano fatto una lauta colazione. I
genitori di Helen erano particolarmente preoccupati perché loro figlia, per la
prima volta, andava in una città lontana come Edimburgo, a trovare il suo
migliore amico, maschio.
Terribili
erano state le discussioni la sera prima, perché Helen potesse trascorrere con
lui anche il week-end successivo, e dopo essersi fatti scrivere (tramite posta
babbana) dai genitori di Lance che sarebbero stati al sicuro, alla fine,
dovettero capitolare.
Come
promesso, Lance era passato a prendere lei e Rowan alla Stazione Centrale di
Edimburgo, avevano preso il tram, e avevano raggiunto la casa
dell’amico.
La
dimora di Lance era un attico all’ultimo piano di uno dei grattacieli più
importanti della città. Sul campanello vi era persino scritto “Dottori Wallace”
e i nomi dei componenti della famiglia.
«Ehi,
Helen!» fu salutata dalla signora Wallace, che l’abbracciò come se fosse una
seconda figlia; la stessa cosa la fece con Rowan, chiedendogli anche le
condizioni della madre, incinta di sette mesi.
«Sta
bene.» disse Rowan, orgoglioso. «E pare che avrò davvero una sorellina che si
chiamerà Jane.» sorrise a Helen, facendole l’occhiolino.
«Che
bello...» mormorò Lance. Si rivolse poi ai genitori. «Quand’è che avrò un
fratellino o una sorellina anche io?»
La
madre, Irma, guardò il marito, Shaw. Non facevano settant’anni in due, erano
molto giovani.
«Magari
più avanti, tesoro.»
I
ragazzi ridacchiarono e si ritirarono nella camera da letto di
Lance.
La
stanza dell’amico era molto grande e con un’enorme finestra che dava sull’intera
città. Era luminosa, e le pareti azzurrine sembravano quasi bianche. Era
arredata in un modo sobrio, dove i colori tenui prendevano il sopravvento,
principalmente azzurro, bianco e grigio.
«Carina.»
commentò Helen quando vi entrò. Profumava di lavanda.
«È
da bambini piccoli.» proruppe invece
Rowan, spintonandolo per scherzo e ridendo.
«Ma
sarai tu un bambino piccolo!» replicò Lance, offeso.
Stettero
nella cameretta a chiacchierare e a fare commenti sugli oggetti Babbani che
Lance aveva: il computer, lo stereo, una pila di CD, un oggetto molto strano che
si chiamava “Game Boy”.
«Wow!
Come funziona?» chiese Rowan, prendendolo in mano e cominciando a premere i
tasti.
«Fermo!
È un oggetto preziosissimo!» lo richiamò Lance, strappandoglielo dalle mani.
«Funziona così.» spiegò, accendendolo. Una musichetta annunciò che era iniziato
il gioco, e la scritta “Tetris” comparve sul piccolo
schermo.
«Che
roba è?» domandò Helen, sportasi oltre la spalla di Rowan per
guardare.
«Un
gioco ad incastro! Io sono arrivato al livello diciotto, ma l’ho finito già tre
volte!»
Tentando
di giocare, Rowan capì il perché l’amico fosse così sveglio e intelligente: non
era affatto facile intuire gli incastri e soprattutto far cadere i pezzi al
posto giusto.
Qualcuno
bussò alla porta. «Ragazzi, è una così bella giornata, non vi conviene giocare
al Game Boy tutto il giorno, perché non andate a fare un giro fuori? Prendete un
bel milk-shake!» propose il padre di Lance. Helen e Rowan ci misero qualche
secondo prima di capire che cosa avesse detto loro.
«Tutto
bene?» chiese, vedendoli pensierosi.
Lance
rise. «Sì, pa’, tranquillo! Non sono abituati a sentire parlare
scozzese.»
Shaw
scosse la testa. «Lo scozzese è l’unica vera lingua che contraddistingue gli
anglosassoni! Ormai l’inglese lo conoscono tutti e in tutte le
salse.»
Rowan
si sentì profondamente offeso. Egli era madrelingua inglese e la sua dizione era
perfettamente britannica.
«Il
vero inglese è quello di Londra, signore.»
Shaw
lo guardò divertito. «L’inglese britannico sì, mio caro.» disse, allontanandosi
dalla porta.
«Non
fare caso a lui, discende da una lunghissima stirpe di scozzesi. La sua
trisnonna era una Macbeth, una delle famiglie più illustri della Scozia.» spiegò
Lance, aggiustandosi il giubbotto leggero per uscire. «Allora, dove preferite
andare?»
Helen
saltellò, tutta contenta. «Un milk-shake è perfetto,
direi!»
«Allora
ti porto da MacAskill, fa i migliori milk-shake di tutta
Edimburgo!»
Era
già mezzogiorno inoltrato quando uscirono. Edimburgo era una splendida città, e
quel giorno era battuta da un sole molto caldo e luminoso, un vero evento per i
suoi abitanti, abituati al freddo clima nebbioso che infestava la città durante
tutto l’anno.
«Vi
rendete conto che è già aprile?» disse Rowan, a voce alta. «Mancano due mesi
alla fine della scuola... poi avremo altri due mesi di vacanza in cui sarà
difficile vedersi tutti insieme...»
«Già.»
replicò Lance, sorseggiando il milk-shake alla fragola. «Tra una vacanza e
l’altra... i miei genitori hanno già detto che vogliono portarmi in vacanza in
Italia; Sheldon verrà rapito di nuovo dal padre che lo porterà a fare una
mega-vacanza in qualche posto esotico; Caitlin mi ha confidato che i suoi
genitori amano particolarmente viaggiare, quindi girerà per tutta
l’estate...»
«Per
non parlare di Ernie e Hannah...» continuò Rowan.
«E
di Justin.» aggiunse Helen, guardandoli con occhi severi: bastava così poco per
dimenticare un amico?
Rowan
sembrò riscuotersi. «Giusto! C’è anche Justin! Dobbiamo fargli una festa
stupenda per quando si sveglierà!»
Helen
sorrise, soddisfatta.
«Lance,
sei proprio tu!» urlò qualcuno non lontano da loro. Si trattava di un ragazzino
di pressappoco la loro età, alto e massiccio, dai lucenti capelli castani e gli
occhi azzurri.
«Kyle!»
strepitò Lance, correndo dall’amico e scambiandosi un abbraccio. «Come stai? Che
bello vederti!»
«Io
benissimo, e tu? Non ci si vede da un sacco!» rispose il ragazzo, Kyle,
guardandolo allegro.
«Alla
grande! Aspetta, ti presento i miei amici.» disse, accompagnandolo davanti ai
due ragazzi che erano rimasti in disparte. «Loro sono Rowan James e Helen Adams.
Ragazzi, lui è Kyle MacMicheal, veniva alle elementari con
me!»
Si
strinsero la mano, scambiandosi sguardi perplessi.
«Sono
i tuoi nuovi compagni di scuola?» chiese Kyle, evidentemente geloso. «Di quella
strana scuola di cui ci hai parlato l’anno scorso?»
Helen
sobbalzò. «Strana scuola?»
Kyle
fece spallucce. «Sì, una scuola speciale per studenti molto dotati, su ad
Aberdeen. Non venite tutti da lì?» domando, con sguardo
inquisitore.
«Ehm,
sì, sì, certo!» rispose Rowan, grattandosi la nuca.
«Strano,
non avete un accento scozzese, siete inglesi?» domandò, in uno scozzese tanto
serrato che solo Lance lo comprese.
«Sì,
lo sono.» li difese Lance, parlando anche lui in un accento particolarmente
marcato. «Ma hanno parenti ad Aberdeen, quindi non hanno problemi ad andare a
scuola lì.»
Il
resto del pomeriggio fu molto imbarazzante. Kyle, che si era rivelato essere un
ragazzo fin troppo curioso, aveva fatto loro qualsiasi genere di domanda, a cui
Lance aveva dovuto prontamente rispondere, cercando di coprire le spalle agli
amici, soprattutto a Rowan che non era abituato a sentire parlare del mondo dei
Babbani.
Tuttavia,
Lance riuscì a rendere interessante il giro portandoli nel centro storico di
Edimburgo e facendo loro da guida. Si dimostrò preparato sulla storia della sua
città e la visita fu molto piacevole.
Quando
cominciò a calare il tramonto, i ragazzi si divisero da Kyle, che torno a casa,
mentre Lance accompagnava Rowan e Helen prima a casa sua e poi alla stazione,
dove avrebbero incontrato i rispettivi genitori per tornare a
casa.
«Mi
dispiace per Kyle.» mormorò Lance, dopo aver salutato i genitori. «È sempre
stato un ficcanaso, ma non pensavo lo fosse rimasto e fosse diventato
addirittura peggiore...»
Rowan
rise. «Non ti preoccupare, Lance-Pence, ci siamo divertiti lo stesso. Soltanto
una cosa: la prossima volta, permettimi di rompergli il naso. Alla maniera
Babbana mi va benissimo.»
La
stazione di Haymarket era decisamente affollata quella sera. C’erano centinaia e
centinaia di persone, e questo fu un bene per i genitori di Helen e Rowan, che
poterono Smaterializzarsi senza destare sospetti.
«Mi
raccomando, ci vediamo venerdì mattina. Vi verremo a prendere in treno, quindi
aspettateci alla stazione verso le nove! Buon ritorno!» li salutò.
Pochi
secondi dopo, erano già spariti.
Il motivo per
cui manca la descrizione di Edimburgo sta nel fatto che non ci sono mai stata,
quindi, piuttosto che dire caSSate, ho preferito lasciare all’immaginazione di
chi l'ha visitata!
Grazie infinite
per le vostre recensioni! Mi rendete sempre felice! E anche per chi legge
soltanto!
Capitolo 15 *** Weekend con le Slytherin - Giorno I ***
Wecome To PageBreeze
13. Weekend con le Slytherin – Giorno I
Cara Helen,
Come stai? Io spero bene. È la prima lettera che scrivo
in tutta la mia vita, quindi non so come uscirà né cosa scrivere... mi
arrangerò.
Ernie e Hannah mi stanno appiccicati come cozze, quindi
probabilmente si sono innamorati di me, però credo sia perché hai chiesto loro
di tenermi d’occhio.
Però potrebbero anche essersi
innamorati.
Uno che si è innamorato sicuramente di me è Draco Malfoy.
Te lo giuro, l’altro giorno non mi ha nemmeno presa in giro quando sono andata
vicino al loro tavolo. Mi aveva chiamata quella Slytherin antipatica e mi aveva
ordinato di smettere di guardare Malfoy, ma lui ha eroicamente detto che potevo
farlo, quindi sono proprio contenta.
Ah, piaci a Liam, lo sai? Ha detto che sei molto
carina.
Però mi chiedo perché la McGonagall oggi fosse in giro in
pigiama. L’ho beccata davanti al bagno dei Prefetti questa notte in pigiama che
urlava: “Stebbins! Esca immediatamente da lì, sappiamo che c’è anche una ragazza
lì dentro!”.
Beh, magari era in pigiama perché erano le tre di
notte.
Stanotte non sono riuscita a dormire, lo sai? Mah, forse
sì, perché ti ho detto che ho visto la McGonagall in pigiama davanti al bagno
dei Prefetti che urlava: “Stebbins! Esca immediatamente da lì, sappiamo che c’è
anche una ragazza lì dentro!”.
Ho un deja-vù? Ah, no, te l’avevo già
scritto.
Comunque sono belli i deja-vù. Ne ho avuto uno proprio
ora. Proprio con te!
Ah, l’ho già detto.
È bello scrivere una lettera, è come tenere un diario.
Ecco, se avrò un diario lo chiamerò “Helen”, così mi ricorderò di
te.
Beh, mi ricorderei comunque visto che dormiamo vicine di
letto.
Mi manca Moby, sta bene?
L’altro giorno è passato un altro topo davanti al nostro
dormitorio, uno di campagna un po’ spelacchiato, e c’era l’amico rosso di Harry
Potter che lo rincorreva.
È molto carino quel ragazzo. Me ne sono innamorata
proprio. E credo che Stephen Cornfoot mi ami: non riesce a guardarmi in faccia
quando ci incontriamo nei corridoi.
Però scappa. Magari è
timido.
Hai già mangiato? Io sì.
Sono andata da Hagrid questa mattina, perché ho trovato
un ragno un po’ morto sulle scale, allora volevo lo controllasse... mi ha detto
che sono una ragazza proprio brava.
È carino, Hagrid, però è troppo vecchio per me.
Peccato...
E Lance? Come sta? Mi manca, sai? È proprio
bello.
Anche tu mi manchi! Però non posso dirti che sei bella.
Fattelo dire da Liam! Gli dirò di dirtelo quando torni, così magari vi mettete
insieme e vi sposate.
Però credo che prima dobbiate finire la scuola. Allora
fate così: finite la scuola e poi vi sposate. E io vi
guardo.
Poi puoi venire al mio matrimonio con Lance, o con
Stephen, o con Draco, o con Stebbins, o con Ernie che ultimamente mi piace... o
con qualcun altro, dipende dai giorni.
Sai, ho voglia di cioccolato, pensi che ce ne sia in
giro? Ho guardato sotto il letto ma purtroppo non ce n’è. Vado a chiedere a
Sheldon se ne ha un po’.
Eccomi, sono tornata. Sheldon è stato molto gentile, sai?
Mi ha dato una tavoletta di cioccolato anche se ho fatto irruzione nella sua
stanza alle quattro del mattino.
Ah, sì, dimenticavo, nemmeno stanotte riesco a
dormire.
Secondo me è il pudding.
Beh, forse farò meglio a mettermi sotto le coperte, c’è
Carey che mi sta guardando come se fossi pazza e continua a dirmi che vuole
dormire... non so cosa possa disturbarla... io sto solo scrivendo una lettera.
Aspetta che sta venendo a dirmi qualcosa.
Mi ha mandata a quel paese... allora forse è meglio se
smetto di scrivere.
Adesso mi ha urlato che era
ora.
Secondo te le do
fastidio?
Mi ha detto di sì.
Forse dovrei smettere di ripetere ad alta voce quello che
scrivo.
Beh, allora buonanotte, Helen, spero di ricevere la tua
risposta presto presto presto presto presto.
Baci,
Amelia
P.S. Carey mi ha detto che ho scritto troppe volte
presto, secondo te...
La lettera si interrompeva
così, e Helen era sicura che Carey gliel’avesse strappata di mano e fosse andata
in Guferia e spedirla il più presto possibile, sperando che nel frattempo Amelia
si fosse decisa ad andare a dormire.
«Chi era che ti scriveva a
quell’ora, cara?» le domandò sua madre, ancora in vestaglia, entrando lentamente
in camera.
«Un’amica, mamma. Si chiama
Amelia. È un po’ strana, ma è simpatica.» rispose Helen, con ancora il sorriso
sulle labbra per la lettera.
«Ed è rimasta a scuola per
Pasqua?» chiese la donna.
«Già. Mi ha detto che le
manco!» disse Helen, felice.
«Ma potevi chiamarla a
venire a stare da noi per qualche giorno, genietto! Chissà a Hogwarts come si
sta annoiando...» commentò Emily, stringendosi nelle spalle. «Se io dovessi
stare in collegio tutti i giorni, vacanze comprese, credo mi annoierei a
morte...»
Helen rise. «Ma tu non sai
com’è Hogwarts, mamma! Non ti annoi mai!»
«Oh, credo di saperne più di
te, cara.» ridacchiò Emily, sporgendosi poco più avanti oltre la porta. «Tuo
padre me ne ha parlato così tanto che ormai potrei dirti dove si trova l’ufficio
della McGonagall e quanto dista da quello di Dumbledore! Su, ora preparati,
Lance sarà qui a momenti e devi ancora andare in stazione! Hai preso
tutto?»
Helen sbuffò. «Sì, mamma, ho
tutto!» e mostrò il baule.
«Mi raccomando, fai molta
attenzione!» la redarguì il padre, varcando in quel momento la soglia della
porta. «Se Abigail è una Slytherin non c’è da fidarsi.»
Anche Diana, svegliata dalle
voci dei familiari, comparve ai piedi del letto di Helen, mentre si stropicciava
gli occhietti ancora assonnati.
«Vai già via?» mugolò Diana,
osservandola. «Quando torni?» le chiese, tirandola per la maglietta.
Helen si inginocchiò alla
sua altezza e le diede un bacio schioccante sulla guancia. «Tra due mesi. La
scuola è quasi finita...»
Diana sembrò intristirsi,
tuttavia le sorrise. «Così quando torni io ho già sei anni!» disse, contenta,
mostrando il numero con le dita paffute.
«Già!» le sorrise Helen dopo
averle scompigliato i capelli.
«Accidenti!» esclamò Jacob,
guardando l’orologio a cucù appeso al muro. «Guarda che ore sono! Ti accompagno
alla stazione!» prese per mano la figlia maggiore e la trascinò via, non prima
di averla fatta stritolare dalla madre in un abbraccio.
Si Smaterializzarono non
molto distanti dalla stazione e videro che i signori Wallace erano già
arrivati.
«Buongiorno!» li salutò
Jacob, allegramente, porgendo loro la mano callosa.
I genitori di Lance
sembravano reticenti a stringerla.
«Non amate la magia, voi?»
domandò Jacob, avendo notato che era la seconda volta che veniva fulminato dagli
occhi della donna. «Beh, dovrete farci l’abitudine a incontrare maghi e streghe,
dopotutto vostro figlio lo è.» disse, indicando Lance.
Irma, la madre di Lance, lo
guardò inorridita.
Helen si strinse al padre.
«Ciao, papà! Ci vediamo tra due mesi.» gli diede un bacio su entrambe le guance
e raggiunse l’amico.
Jacob, avendo capito che la
sua presenza non era gradita, si smaterializzò, non prima di aver sorriso alla
figlia.
«Bene.» parlò infine Shaw,
con ritrovata energia. «Ora prenderemo il treno per Londra, dove ci aspetta
Rowan, e da lì vi accompagneremo in periferia, dove risiedono i Williams.» Helen
notò che l’ultima parola era stata pronunciata con disprezzo e rammentò che
Lance le aveva parlato degli screzi che intercorrevano tra le due
famiglie.
Gran parte del viaggio
trascorse in silenzio. Sebbene Helen avesse già conosciuto i genitori di Lance
le veniva difficile comportarsi in modo naturale alla loro presenza. Tuttavia,
Moby non sembrava essere dello stesso parere: si dibatteva nella tasca come se
fosse stato inseguito da un gatto.
Lo estrasse dalla tasca e se
lo mise sulle ginocchia, cominciando ad accarezzarlo.
Alla sua vista, Irma si
irrigidì. Shaw le prese una mano e la strinse. Guardandoli, Helen si accorse che
sembravano una coppia di ragazzi.
«Scusatemi per la domanda.»
esordì, con estrema gentilezza, così da evitare di innervosirli. «Però mi stavo
chiedendo quanti anni aveste...»
Irma guardò il marito e
scoppiarono a ridere. Per lo meno, era riuscita a distrarli da Moby.
«Ne abbiamo entrambi
trentuno, cara.» rispose Shaw, sorridendole. Dava l’idea di essere poco più
grande dei ragazzi dell’ultimo anno a Hogwarts.
«Vi siete sposati a
vent’anni?» domandò, colpita.
«No, ci siamo sposati dopo
due anni, però abbiamo deciso di avere Lance a quell’età. Vedi, io e Shaw stiamo
insieme da quando avevamo quattordici anni.» spiegò Irma con molta calma,
stringendo ancora la mano del marito nella propria. «Poi, ovviamente, siamo
andati avanti con l’Università e ci siamo laureati.»
«Io c’ero alla loro festa di
laurea!» li interruppe Lance, esaltato, sgomitando Helen perché lo
ascoltasse.
«Caspita!» commentò la
ragazza.
«E i tuoi, Helen?» domandò
Lance, curioso.
«Mia mamma è giovane quasi
quanto voi» disse. «Ha solo trentatré anni, ma sembra molto più grande: forse è
il vederla accanto a mio papà. Mio padre Jacob ne ha quarantacinque. Lui e la
mamma si sono incontrati quando lei frequentava l’Università: papà faceva lo
SpezzaIncantesimi per la Gringott, ai tempi. Dopo un mese sono scappati insieme
e si sono sposati. Nove mesi dopo sono nata io.»
Lance ascoltava interessato
e impressionato, ma i suoi genitori sembravano più contrariati.
«Tua madre non ha finito gli
studi?» chiese Irma, evidentemente delusa.
Helen la guardò stranita.
«Beh, no. Insomma, lei e mio padre sono andati a vivere a Middlesbourgh subito
dopo. Mia madre era di Londra e non poteva spostarsi da Middlesbourgh tutti i
giorni, e poi era incinta di me.»
Shaw deglutìsonoramente. «E tuo padre che lavoro
fa?»
«Da quando si è sposato, mio
padre ha cominciato a trovarsi un lavoro fisso: prima si stancava del suo lavoro
quasi subito e lo cambiava ogni mese. Dopo essersi licenziato dalla Gringott, ha
lavorato per un breve periodo alla “Gazzetta del Profeta” scrivendo per la
rubrica sportiva; poi al Ministero nell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici
come Organizzatore di Eventi, dove lavora tutt’ora; ha seguito il corso da Auror
poco dopo essere uscito da Hogwarts ma non ha mai praticato la professione, ora
vuole tirare fuori il vecchio diploma da Auror perché si sta stancando di Ludo
Bagman, il suo capo.»
I genitori di Lance
sembravano profondamente urtati. Lance, invece, era più concitato che mai.
Appena Helen terminò il racconto, cominciò a bombardarla di domande su tutti i
lavori che avesse praticato suo padre.
«Wow! Ha lavorato anche al
Paiolo Magico di Diagon Alley?»
«Sì! E per poco tempo anche
a Notturn Alley, in un bar che si chiama “La Mela Avvelenata”, che non è
esattamente un bel posticino.»
«Tuo padre è fantastico!»
strepitò Lance. In quel momento il treno si arrestò.
«Bene, il viaggio è finito.»
disse Shaw, come se desiderasse porre fine a quel discorso il prima
possibile.
Appena scesero dal treno
furono investiti da Rowan, che si gettò su di loro con la foga che lo
contraddistingueva.
Era cresciuto, notarono i
due ragazzi: sebbene fosse trascorsa meno di una settimana, Rowan sembrava molto
più alto di Lance.
«Andiamo! Ho proprio voglia
di gettarmi nelle fauci di Slytherin!»
La villetta di Abigail si
trovava in una zona della periferia di Londra. Era piuttosto grande, circondata
da un enorme giardino estremamente curato. Tutte le villette circostanti
perdevano splendore di fronte ad essa.
Un piccolo elfo domestico
sembrava attendere proprio sul ciglio della strada.
I coniugi Wallace lasciarono
i tre ragazzi a pochi metri dalla casa e girarono subito sui tacchi dopo averli
salutati e aver augurato loro un buon finesettimana.
«Sappy!» urlò Lance,
chiamando l’elfo. Questi arrivò trotterellando.
«Che bello vedere il
signorino Lance di nuovo qui! Sappy è così felice che Sappy oggi cucinerà tutti
i piatti preferiti del signorino Lance e dei suoi amici.»
Lance rise. «Questi sono
Helen e Rowan, Sappy.»
L’elfo si inchinò fino a
sfiorare il cemento con il naso. «Sappy si preoccuperà di tutti i vostri
desideri. Voi dite qualcosa a Sappy e Sappy lo eseguirà come umile servitore
della famiglia Williams! Prima però Sappy deve dire al signorino Lance che i
suoi amici non saranno gli unici ospiti.»
Rowan mugolò. «Chi si è
portata dietro l’arpia?»
Sappy rimase serio. «La
signorina Abigail, che come Sappy ha potuto constatare è un po’ cambiata, ha
portato da Hogwarts una dolcissima ragazza: la signorina Mary Elliott, che è
arrivata proprio ieri.»
Rowan finse di
uccidersi.
Sappy si tratteneva dal
ridere. «Sappy trova che il signorino Rowan sia molto simpatico, ma crede che il
signorino Rowan non dovrebbe parlare male della signorina Mary
Elliott.»
«Infatti nessuno ne sta
parlando male.» disse, ammiccando. «Ho soltanto espresso un mio sentimento al
sentirla nominare.»
Sappy li guidò sul selciato
attraverso lo splendido vialetto fiorito di azalee.
L’interno della casa era
ancora più imponente del giardino: il modello al quale si erano ispirati erano
le antiche villette in mattone di campagna, rustiche ed eleganti al tempo
stesso. L’entrata era tappezzata di fotografie d’ogni genere, tutte in
movimento, principalmente di Abigail e suo fratello insieme.
«Ciao! Voi dovete essere gli
amici di Lance!» li salutò una voce allegra e simpatica. David, il fratello di
Abigail, stava scendendo le scale velocemente. Quando fu davanti a loro, Helen e
Rowan notarono che era molto alto (sicuramente quasi due metri), dal fisico
asciutto. I capelli erano a caschetto fino alle spalle, castani, mentre gli
occhi erano dello stesso grigio di Lance.
Helen spalancò la bocca: era
stupendo.
«Siete uguali!» commentò
Rowan, vedendo David e Lance abbracciarsi affettuosamente: a parte l’altezza e
la lunghezza dei capelli, sembravano gemelli.
David sorrise e il suo bel
volto si illuminò. «Ce lo hanno sempre detto tutti.» e circondò le spalle del
cugino con il braccio muscoloso. La sua mano era grande quanto il viso di
Lance.
«Già, però tu sei quello
bello in famiglia.» rise Lance, evidentemente imbarazzato.
«Aspetta qualche anno,
cugino. Ma vedo che c’è già qualche signorina che si è fatta furba prima!» e si
parò davanti a Helen, sovrastandola. Le porse l’enorme mano e lei la strinse, a
disagio, con il volto imporporato.
«Helen Adams.» si presentò,
cercando di non dare a vedere la sua attrazione nei confronti del
giovane.
«Incantato.» le sorrise,
fingendo di baciarle la mano.
«Io invece sono Rowan
James.» esclamò Rowan, stringendogli per primo la mano.
«James, eh? Famiglia
importante la tua...» borbottò David. «Non che a me importi, ma preparati a
sentire discorsoni sul sangue da parte di Anne e Marcus.»
Lance sospirò.
«Anne e Marcus?» domandò
Rowan, interdetto.
«Sono i suoi genitori.»
rispose Lance, incrociando le braccia al petto: era evidente che non approvasse
questa guerra scatenatasi tra familiari.
«Solo biologicamente.»
intervenne David, ora rosso di rabbia. «E non li sento per niente parte della
mia famiglia!»
«Ehi, Dave, i tuoi strilli
si sentono fino in salotto.» lo redarguì una voce conosciuta, che da poco tempo
a quella parte aveva sviluppato una nota aspra e quasi maligna.
«Sta’ zitta, Gail.» sbottò
il ragazzo più grande, voltandosi e risalendo le scale. «È stato un piacere
conoscervi, Hellie e Row.» si congedò, abbozzando un sorriso.
«Bene, bene, bene,
cos’abbiamo qui?» iniziò Mary Elliott, che stava accanto all’amica Abigail. «Una
Mezzosangue e un Magonò.»
Abigail rise: una risata
vuota e priva di divertimento. Non sembrava godere davvero per quelle parole, ma
pareva assecondarle.
«Cos’abbiamo qui, invece?»
proruppe Rowan. «Due pezzi di carta igienica.» disse, con ironia
pungente.
«Come osi! Traditore del tuo sangue!» lo
maledì Mary, portandosi teatralmente una mano al cuore, come ferita da un
pugnale invisibile.
«Hai ragione, uno è un pezzo
di carta igienica» e indicò Abigail. «ma l’altro è il gabinetto in
persona.»
Helen e Lance non seppero
trattenersi e scoppiarono a ridere senza ritegno.
«Dovrebbero lavarti la bocca
con il sapone, James.» intervenne Abigail, parandosi davanti all’amica nell’atto
di proteggerla dagli insulti.
«Dovrebbero lavarti e basta,
Williams.»
«Sappy crede che la
signorina Abigail e il signorino Rowan dovrebbero smettere di insultarsi perché
i signori Williams stanno arrivando.» disse Sappy ad un tratto, entrato nella
scena con un forte pop. «Ora Sappy
mostrerà le stanze della signorina Helen e del signorino Rowan.» schioccò le
dita e le valigie scomparvero.
Li condusse al secondo piano
dell’imponente villa e aprì loro due porte vicine.
Una stanza aveva le pareti
di un tenue giallo, decorata da una cornice di primule. L’arredamento era
particolarmente elegante e antico, in legno.
La seconda camera era
azzurrina, con piccole genziane blu decorate come cornice sulla parete. Il
mobilio era identico all’altra stanza.
«Per voi la Primula e la
Genziana.» disse Sappy, inchinandosi. «Qui a Villa Fiorita tutte le stanze hanno
il nome di un fiore.» spiegò. «Ad esempio il signorino Lance dorme nella stanza
in fondo al corridoio, la Giglio; la signorina Abigail al primo piano nella
Alcea; il signor David al primo piano nella Dalia.»
Helen entrò nella sua camera
e vide che il baule era già sopra il letto. Non fece nemmeno in tempo a sedersi
sopra, che Sappy la richiamò, poiché erano arrivati i genitori di
Abigail.
Era pomeriggio inoltrato e
la fame, sebbene avesse mangiato un panino poche ore prima, cominciava a farsi
sentire.
«Si mangia?» domandò Rowan,
che condivideva gli stessi pensieri di Helen.
«Sì, signorini. I signori
Williams preferiscono mangiare presto per trascorrere la sera
discutendo.»
La tavola della sala da
pranzo era imbandita a regola d’arte, quasi con un’eleganza
ostentata.
I signori Williams erano già
seduti. Marcus Williams stava capotavola, molto più simpatico di quanto Helen
non si aspettasse. I capelli, castani come David, erano pettinati e perfetti;
gli occhi, marroni, imperturbabili.
Anne Williams sedeva alla
destra del marito: era corvina di capelli, lunghissimi e lisci; un volto nobile
e un paio di occhi verde smeraldo. Era identica alla figlia.
Abigail e Mary erano già
sedute, il più vicino possibile agli adulti, invece David si era accomodato
dalla parte opposta, capotavola, di fronte al padre che lo fissava con
disprezzo.
«Buonasera.» salutarono
Helen e Rowan, mentre Lance andava a baciare gli zii. Gli occhi di Marcus ebbero
un guizzo di gioia, una luce brillò, prima di tornare alteri.
«Voi dovete essere Helen
Adams e Rowan James, vero?» disse Anne, con solennità. «Eravamo molto curiosi di
conoscervi.»
«Già, ad esempio, Rowan,
come stanno i tuoi genitori? Se non sbaglio sono una delle famiglie di maghi
purosangue più in vista. Una nobile tradizione di Ravenclaw e Gryffindor. Tu sei
il primo Hufflepuff?» proferì Marcus con voce impostata, quasi come se si fosse
imparato il discorso a memoria.
Rowan, sedendosi accanto a
David, ne colse l’occhiata eloquente. Sospirò.
«No, il mio bisnonno era
Hufflepuff.» spiegò. «Dicono che gli somigli molto nel carattere.»
Anne annuì, mentre Sappy le
versava nel piatto il brodo di carne. «Ma di aspetto sei molto simile a tuo
padre.»
«Andavate a scuola insieme?»
domandò il ragazzo, incuriosito. Ricordava che al nome “Williams” suo padre
aveva affermato di non conoscere nessuno che si chiamasse così.
«Io ero tre anni avanti a
lui, è probabile che non si ricordi di me.» disse Marcus.
«Capisco.»
Calò il silenzio.
«I tuoi genitori, invece,
Helen?» chiese Anne. Si riempì il bicchiere di quello che sembrava vino pregiato
e bevve con garbo.
«Mia madre è babbana, mio
padre è Jacob Adams, ma non credo lo conosciate, perché quando lei è entrato al
primo anno, mio padre frequentava l’ultimo.» rispose, rivolgendosi al padre di
Abigail.
«Molto bene.»
Delle tre forchette, tre
coltelli e tre cucchiai posti sul tavolo, Helen cominciò ad avere dei seri dubbi
su che posata utilizzare per mangiare il brodo di carne.
David le diede una gomitata,
indicandole con discrezione il cucchiaio più esterno. Quando Helen lo prese
suscitò il compiacimento di Marcus.
«Vedo che andate d’accordo
tu e David, mia cara.» commentò Anne, con un ampio sorriso.
David sorrise, lanciò
un’occhiata a Mary, che li guardava sbalordita, e circondò le spalle di Helen
con un braccio.
«Ehi, Hellie è un tesoro di
ragazza, mamma.» esclamò David, con
movimenti teatrali ed eccessivamente drammatici che i suoi genitori scambiarono
per allegri e concitati.
Helen arrossì vistosamente,
abbassando la testa e nascondendo il volto dietro boccoli biondi.
«E invece con Cassandra,
David caro?» continuò Marcus, interessato, gli occhi fissi sulla piccola Helen.
«Siete usciti insieme ieri sera, non è vero?»
David fece una smorfia di
disgusto. «Sì, ma non mi piace: è un’oca ed è pure brutta!»
Anne si portò una mano alla
bocca, urtata. «David, maleducato! Non sta bene insultare così le
persone.»
Il ragazzo sbuffò e alzò gli
occhi al cielo in modo impercettibile. Rowan soffocò una risata nel brodo,
pessima idea, poiché si sporcò tutto.
«Mi piace dire sempre la
verità.» disse David.
«Io trovo che Cassandra non
sia adatta a David, papà. Credo che qualcuno come Mary, che ha più generazioni
di purosangue rispetto a Cassandra, sia un partito migliore.»
Marcus annuì, ancora attento
a Helen che scherzava con David, come se non avesse ascoltato le parole della
figlia.
«Ma tuo padre, Helen,
discende da una lunga stirpe di maghi, non è vero?»
«I miei trisavoli erano
maghi.» rispose Helen.
«Già! La discendenza di
Helen è più lunga della mia. La mia è diretta dal mio trisnonno, ad esempio. Il
padre del mio trisnonno era babbano.» inventò Rowan, con tanta sicurezza che non
fu difficile a nessuno credergli. Scambiò un’occhiata con David.
«E Cassandra ha parenti
babbani, papà.» continuò David.
Helen allora comprese: David
stava cercando in tutti i modi di liberarsi di Cassandra per far spostare
l’interesse dei genitori su di lei.
E dallo sguardo di Mary e
Abigail, comprese che non erano molto d’accordo.
«A che gioco stai giocando?»
le domandò Mary, braccatala sulle scale mentre la povera Helen si dirigeva verso
la sua camera.
«Non ti seguo.»
«Tu sai perché sono
qui?»
Helen sbuffò. «Immagino
perché sei amica di Abigail?»
Mary ridacchiò, pungente.
«Non solo per quello. Sono qui perché
avendo origini anche io purosangue, sto convincendo i Williams a cambiare idea
con la presunta fidanzata di David, Cassandra Burke, per sostituirmi a
lei.»
«Mi dispiace deluderti, ma
credo che David abbia già scelto la sua futura sposa, e per tua sfortuna e di
Cassandra, non siete voi.»
Salì i gradini velocemente,
per evitare che Mary metabolizzasse la cosa troppo in fretta e così trovasse
un’altra occasione per fermarla e tempestarla di domande.
Il suo pensiero andò a
Gwen.
Non sapeva che l’avrebbe
rivista di lì a poche ore.
Hola, chicos!
Scusate il ritardo di pubblicazione, ma sono tornata da
pochi giorni dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid e dovevo cercare di
tornare alla routine quotidiana!
Capitolo 16 *** Weekend con le Slytherin - Giorno II ***
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14. Weekend con le Slytherin – Giorno
II
«Allora noi usciamo,
Sapiens. Tieni d’occhio i ragazzi da parte nostra.» disse Anne, prima di
smaterializzarsi insieme con il marito.
Era mattino presto, Abigail,
Rowan e Mary dormivano ancora. In casa giravano soltanto Helen, Lance e David. E
tutti e tre si trovavano dietro la porta: aspettavano soltanto quel
momento.
«Sono andati, Sappy?»
sussurrò Lance,sporgendosi appena da dietro lo stipite.
«Sì, signorino
Lance.»
«Bene!» esclamò David e, con
un pop, sparì.
«Spero davvero riesca a
trovare Gwen e a portarla qui! Se riesce a nasconderla in camera non dovrà
rispondere della sua assenza nemmeno ad Abigail e Mary! Hai avuto un’idea
geniale, Lance!» sorrise Helen.
«Grazie! Mi sembrava stupido
che volesse andare da lei. Cioè, Abigail l’avrebbe scoperto subito, soprattutto
visto il discorso di ieri sera e quello che hai detto a Mary.»
Helen abbassò il capo,
mortificata. «Mi dispiace, non dovevo dire della relazione di David con Gwen,
però...»
Non riuscì a terminare la
frase, perché, in un altro pop, David
fu davanti a loro, e insieme a lui Gwen Morgan.
«Ciao, ragazzi!» li salutò
la ragazza, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
David sembrava un’altra
persona, come rinato, accanto a lei. Il volto affascinante era illuminato da una
luce che lo rendeva ancora più bello e gli occhi grigi scintillavano come quelli
di Lance quando prendeva un bel voto.
La felicità non durò molto:
uno scricchiolio in corridoio fece presagire che Abigail doveva essersi
svegliata.
David prese Gwen per mano e
la tirò dentro la camera, chiudendo la porta a chiave.
Dalla stanza adiacente, ne
uscì Abigail.
«Chi era che parlava? Ho
sentito delle voci.»
Lance deglutì e guardò
Helen.
«Ehm, nessuno. Cioè, io e
Lance ci stavamo chiedendo come raggiungere la cucina per fare
colazione.»
Abigail li squadrò da capo a
piedi con sguardo inquisitore. «Basta chiamare Sappy. È lui a occuparsi di
queste cose. Lance, tu dovresti saperlo: vieni qui da anni, ormai.»
Lance trasalì e cominciò a
sudare freddo. «Sì, beh... ho un piccolo vuoto di memoria.»
Un tonfo sordo proveniente
dalla camera di David li riscosse. Da un lato Lance benedì quel momento perché
era riuscito a sottrarsi alle domande della cugina, dall’altro, David rischiava
di essere scoperto.
«Dave, va tutto bene lì?»
domandò Abigail, ancora più sospetta. «Cos’è successo?»
«Niente!» rispose David.
«Stavo leggendo e mi è caduto di mano il libro.»
Helen accennò a un sospiro
di sollievo, attenta a non farsi vedere da Abigail.
«Capito. Beh, vado da Mary.»
disse, e salì le scale con leggiadria, non prima di aver lanciato un’occhiata
terribile alla stanza del fratello.
Quando sparì al piano di
sopra, David riemerse dalla camera, rosso e tutto arruffato.
«Ce la fate a tenere Gail e
Mary lontane da qua per il pomeriggio?» domandò, con tono
supplichevole.
Helen lo guardò con occhi
strabiliati e sospettosi. «Perché?» chiese. Ciò che aveva chiesto loro di fare
era un’operazione difficile, che se non fosse andata a buon fine avrebbe gettato
fango sul povero Lance e su Sappy agli occhi di Marcus.
«Ehm...» rispose David, con
sguardo eloquente.
Helen sembrò riflettere
sulle ultime parole, poi comprese.
«Faremo del nostro meglio.»
disse.
Lance, diventato tutto
rosso, girò sui tacchi e andò in cucina, dove Sappy li stava aspettando: aveva
preparato una colazione regale a base di frittelle, pane imburrato, porridge e
qualsiasi tipo di frutta esistesse in Inghilterra.
«Come faccio a tenere due
Slytherin che mi odiano lontano da casa per un pomeriggio intero!» esclamò,
turbato, avventandosi sulle frittelle. «gnon possho! È ‘mposshibile!» biascicò,
con la bocca piena di cibo.
Helen si abbandonò sulla
sedia vicina e appoggiò la testa sulla propria mano.
«Ehi, Sappy, hai idea di
come tenere lontane le due arpie per un pomeriggio intero?» chiese all’elfo,
aspettandosi una risposta negativa.
«Certo.» rispose Sappy,
tranquillo, continuando ad apparecchiare la tavola per la colazione. «Ho sentito
che la signorina Mary e la signorina Abigail volevano andare a Diagon
Alley.»
Gli occhi di Lance si
illuminarono. Deglutì il boccone troppo grosso e, con voce strozzata, dichiarò:
«Potremmo accompagnarle, così la casa sarà sicura!»
Helen rise. «Certo, ottimo.
Grande idea quella di lasciare la casa scoperta nel caso i tuoi zii
tornino.»
Lance incrociò le
braccia al petto. «Beh, hai
qualche idea, Sherlock?»
«Qui si flirta e nemmeno mi
chiamate?» esordì Rowan, entrando in cucina. Indossava un pigiama giallo limone
e teneva tra le braccia un orsacchiotto di peluche.
«Fergus.» borbottò Lance,
tra una risata e l’altra.
Rowan avvampò e nascose con
una mossa furtiva il peluche dietro la schiena.
«Come si fa a chiamare un
peluche “Fergus”? Non è normale!» ululò la ragazza.
«Fate silenzio, razza di
plebaglia. Le vostre urla si sentono fino al piano di sopra!» li redarguì Mary,
comparsa sulla porta.
«Plebaglia sarai tu,
schifosa Slytherin!» ribatté Rowan, parandosi davanti alla ragazza. La
sovrastava di oltre dieci centimetri. Mary lo fissava dritto negli
occhi.
«Stammi lontano, James. Tu
non sai chi sono io.»
Rowan sorrise. «E non me ne
potrebbe importare di meno sapere chi sei.»
Quella fu la goccia che fece
traboccare il vaso: Mary si scagliò su di lui, graffiandolo ad un braccio con le
lunghe unghie, mentre Rowan reagì tentando di tenerla lontana.
Helen corse subito in aiuto
dell’amico, tirando i lunghi capelli biondi di Mary in modo da allontanarla. In
risposta, la Slytherin attaccò lei e le due ragazze finirono a terra.
Lance guardava la rissa con
occhi terrorizzati.
Anche Moby sembrava essere
dare manforte alla padrona, aveva infatti iniziato a mordere la mano di Mary,
cosicché lei lasciasse andare il pigiama di Helen.
Rowan si lanciò tra le due,
tentando di dividerle tenendo per la vita Mary, la più bellicosa.
«Va’ a chiamare David!» urlò
a Lance. Il ragazzo sembrò risvegliarsi dalla trance e corse in camera del
cugino.
«David! Mary è impazzita!
Sta uccidendo Helen!» gridò, dopo aver fatto irruzione.
David, sul letto mentre
accarezzava i capelli di Gwen, si riscosse.
La prima ad uscire dalla
stanza fu Gwen, che intervenne prontamente.
«Levicorpus!» gridò, facendo levitare
Mary in un colpo di bacchetta. La ragazza continuò a dimenarsi anche in aria,
insultando la Caposcuola.
«Mettimi giù, schifosa
sanguesporco!» urlava.
David avanzò e puntò la
bacchetta contro la Slytherin. «Osa dirlo di nuovo e giuro che ti pietrifico e
ti faccio cadere da quell’altezza!» sibilò, con occhi fiammeggianti.
«D-David! Che succede?»
balbettò Abigail, entrata in quel momento in cucina. Lo sguardo esterrefatto
esprimeva solo paura. Tremava.
«Ha insultato Gwen, ecco che
succede!» abbaiò, ancora profondamente adirato.
«E che ci fa Gwen qui,
Dave?» domandò Abigail.
Accadde tutto in un attimo:
Gwen sembrò accorgersi solo in quel momento che il loro piano era sfumato e
perse il controllo dell’incantesimo, Mary cadde ma fu salvata dall’intervento di
David, che la prese al volo e l’appoggiò a terra con poco garbo.
«Dave non c’entra!» esclamò
subito Gwen con le lacrime agli occhi. «Non c’entra nulla! Ho fatto tutto io! Mi
sono materializzata in camera sua! Lui non ha fatto nulla!»
«Non è vero, Abigail! Sono
stato io ad andare a prenderla! È stata una mia...» disse David, ma non riuscì a
concludere la frase.
«È colpa mia, Gail.» disse
Lance, con tono calmo. «Ho consigliato io a David di andare a prendere Gwen. Se
lei si trova qui, è solo per colpa mia.»
Mary scoppiò a ridere,
gelida. «Ma bene! Tutti i nodi vengono al pettine alla fine!» esclamò, indicando
il ragazzo.
Abigail era rimasta
paralizzata sul posto e non aveva più aperto bocca.
«Denuncialo, Gail!
Denuncialo ai tuoi genitori!» sibilò Mary, avvicinandosi all’amica e
strattonandole la manica del pigiama. «Così ti libererai per sempre del tuo
cugino magonò!»
Lance guardava Abigail
mortificato. «Avanti, dillo agli zii. Solo... lascia in pace David. Lascia che
stia con Gwen.»
Abigail sussultò e gli occhi
sembrarono diventare lucidi.
Tutti erano ammutoliti.
Rowan guardava il suo migliore amico scioccato. Helen stava in piedi silenziosa,
con il viso coperto dalle mani. Gwen era stretta a David, che le aveva
circondato le spalle con fare protettivo.
«No.» rispose Abigail,
chiudendo le palpebre e lasciando che una lacrima scivolasse sulla guancia
sinistra.
«Che cosa dici?! Devi dirlo
ai tuoi genitori, assolutamente! Come puoi pretendere che tuo fratello sia
felice con una sanguesporco? L’hai detto anche tu!»
Abigail allontanò Mary da
sé. «È felice, ora. E non denuncerò mio cugino Lance.»
Qualcosa sembrò alleggerire
il cuore di Lance. Il groppo che aveva dovuto sopportare da quando era stato
insultato dal gruppetto di Slytherin si sciolse, e scoppiò a
piangere.
Mary spostò lo sguardo prima
da Abigail a Lance, poi da Lance ad Abigail. «Come... cosa...» tentò.
«Non posso denunciarlo. È
mio cugino.» ribadì Abigail, ancora gelida sul suo posto.
«D’accordo, se non lo farai
tu, lo farò io.»
«Petrificus totalus!»
Il corpo pietrificato di
Mary cadde con un tonfo a terra. Helen urlò.
Lance voltò lo sguardo verso
David: era sudato e respirava a fatica.
«David, no!» gridò Abigail.
«Cos’hai fatto? Così mamma e papà lo verranno a sapere!»
David distese l’espressione
in un sorriso affascinante. «Che lo sappiano pure, Gail. Sarò molto lontano
prima che chiunque possa dirglielo.»
Il ragazzo più grande corse
in camera, si infilò la magliaed
estrasse da sotto il letto una valigia.
«David! Cos’hai intenzione
di fare?» gridò Abigail, aggrappandosi al braccio del fratello.
«Non è evidente? Me ne vado,
Gail. Tanto l’avrei fatto comunque presto: ho trovato una casa e un lavoro a
Diagon Alley.»
Abigail sembrava incredula.
«Ma te ne vai proprio via? Cioè, ti trasferisci definitivamente?»
«Esatto.»
«Ma non puoi!»
Lance, Helen e Rowan li
avevano raggiunti. Osservavano la scena incapaci di dire o fare qualsiasi cosa.
Lance teneva stretta Helen, mentre Rowan le accarezzava la spalla per
consolarla.
«Gail, ho diciannove anni!
Posso eccome!» disse David, inginocchiandosi mettendole le mani sulle spalle.
«Ora guardami negli occhi.»
Abigail obbedì.
«Questa follia del sangue
deve finire. Cerca di fare ragionare mamma e papà: spiega loro che cosa è giusto
e che cosa non lo è, tu che puoi. Tu che sai che cosa è giusto.» e fece un
leggero cenno con la testa a indicare Lance. Poi, frugò furiosamente nella tasca
dei jeans e ne estrasse un foglietto stropicciato. Lo consegnò nelle mani della
sorellina.
«Questo è il mio nuovo
indirizzo. Voglio che lo tenga solo tu. Vienimi a trovare quando vuoi, ma non
farti scoprire da mamma e papà.»
Abigail annuì,
tremante.
David si alzò, prese Gwen
per mano e si avvicinò a Lance.
«Resta. Sei il mio cugino
preferito.» sussurrò il ragazzo, strizzando gli occhi per trattenere le lacrime
che già pizzicavano.
«Anche tu lo sei per me.»
asserì David, serio.
«Sono il tuo unico
cugino!»
David rise, divertito. «Non
posso restare. Sappy ha visto cos’è successo e non può mentire ai miei genitori:
se gli chiederanno chi abbia pietrificato Mary, non potrà mentire.»
Detto ciò, strinse a sé Gwen e, dopo un ultimo sorriso,
sparì in un pop.
Capitolo corto, ma ad effetto… spero comunque mi
perdoniate!
Il prossimo capitolo sarà dedicato a un altro
personaggio… se indovinate chi è… potreste vincere una futura scena con tanto di
personaggi, eventi e eventuali colpi di scena decisi da voi! XD
Quando Abigail
Williams venne al mondo, nessuno sembrò accorgersene. Anne, sua madre, si era
rifiutata di vedere la bambina finché non fosse stata completamente pulita e
disinfettata, nonostante le proteste di Marcus, il padre, che non desiderava
altro che stringere quel fagottino violaceo e coperto di sangue con tutte le sue
forze. David, il primogenito, vide Abigail per la prima volta nella culla
dell’ospedale. Si era messo sulla punta dei piedi per guardare attraverso il
vetro della nursery e l’aveva vista: una bambina bellissima, che gli sorrideva
radiosa. Aveva due occhioni verdi che scintillavano di gioia. Da quel momento,
David decise che avrebbe protetto la sua sorellina per
sempre.
I nonni Williams
non videro Abigail se non dopo due mesi dalla sua nascita. Marcus non sembrò
farci caso: dopotutto, era Irma la preferita della famiglia, la sorella che,
nonostante fosse Magonò, aveva ottenuto brillanti risultati in una importante
carriera babbana.
Quando la
piccola neonata fu a casa, venne affidata alle cure di Sapiens, l’elfo domestico
della famiglia Williams, poiché Anne e Marcus dovevano tornare a
lavorare.
Anne, in piena
depressione post-partum, non toccò
più la figlia per una settimana. Erano Sapiens e David ad occuparsi di lei ogni
giorno (David aveva persino imparato ad andare nei negozi babbani a comprare il
latte in polvere per la sua amata sorellina), mentre la sera era Marcus che,
tornato dal Ministero, trascorreva due ore con la piccola a raccontarle storie e
farla giocare.
Quando Abigail
compì cinque anni, Anne si ricordò della sua esistenza e si accorse di quanto
fosse simile a lei: i capelli corvini lunghi e lisci, gli occhi smeraldini, la
pelle di porcellana e il corpicino esile, ma già piuttosto alto per una bambina
della sua età, la sconvolsero.
Decise che
l’avrebbe trasformata in una figlia perfetta e si prese piena responsabilità
della sua educazione. Trovò un lavoro part-time al Ministero della Magia ed
iniziò a trascorrere ogni ora del giorno con la figlia.
Abigail non
poteva essere più felice: dopo cinque anni che la madre sembrava ignorarla,
finalmente anche lei riceveva la sua dose di attenzioni.
Per paura che
questo interesse sparisse, Abigail si impegnò tutti i giorni per soddisfare la
madre, ogni sua minima richiesta, ogni suo più piccolo capriccio (come ad
esempio il portare sempre i ciuffi laterali dei capelli dietro le orecchie, non
parlarle mai quando leggeva il giornale e non entrare mai nella camera dei
genitori se non su permesso) veniva esaudito senza fare domande, con l’ambizione
di diventare lei la preferita di casa Williams.
Quando conobbe
suo cugino Lance, Abigail dovette combattere l’ennesima battaglia per l’amore
della madre, uscendone pesantemente sconfitta. Ma questo non la fermò: un giorno
sua madre l’avrebbe notata, l’avrebbe elogiata, e allora non sarebbero esistiti
più Lance o David.
Un giorno, aveva
otto anni, stava leggendo un libro in salotto, mentre la madre, seduta sul
divano, cuciva in silenzio.
Nel girare
pagina, urtò contro il vaso preferito della madre, che cadde frantumandosi in
mille pezzi.
David non aveva
mai sentito la madre urlare tali cose con una simile cattiveria verso nessuno.
Ricordava Abigail che piangeva in camera sua, mentre lui le medicava un taglio
profondo che si era inferta quando aveva raccolto i cocci del vaso e li aveva
nascosti sotto il letto.
Per un anno, la
bambina si concentrò con tutte le sue forze e impiegò tutta la magia che poteva
e, alla fine, riuscì a riparare il vaso della madre.
Tuttavia, rimase
segnata dall’episodio e decise che non avrebbe mai più fatto arrabbiare nessuno:
cominciò a annuire sempre, a qualunque richiesta, a qualunque opinione, non
pensando mai a cosa fosse giusto secondo lei, ma a cosa gli altri volevano
sentirsi dire.
Soltanto con
Lance si sentiva veramente se stessa.
La sera prima
della partenza per Hogwarts, David origliò la conversazione tra la madre e
Abigail.
«Tu sarai una
Slytherin, come lo fui io alla tua età»
Abigail annuì, a
testa bassa.
«Se non sbaglio,
quest’anno è il primo anche per la figlia di Thomas Elliott. È un uomo molto
importante al Ministero. È il braccio destro di Crouch, immagino tu comprenda la
sua rilevanza»
Abigail non
aveva idea di chi fosse Crouch, ma non disse nulla.
«Quindi, vedi di
fartela amica, se vuoi sopravvivere in quella scuola come una vincente. Ora va’
a dormire»
«Buonanotte,
mamma»
Nessuna
risposta.
«Buonanotte
Abigail, buonanotte Lance!» irruppe poco dopo David nella sua stanza. «E, mi
raccomando, qualunque sia la Casa in cui finirete e qualunque siano le amicizie
che stringerete, io sarò sempre fiero di avervi come cugino e come adorata
sorellina» e trasmise tutto il suo amore in quell’unico sguardo che rivolse alla
sorella.
«In bocca al
lupo per questo primo anno!»
Le luci si
spensero.
«Ehi, Gail, vero
che sarò un Ravenclaw?»
«Certo, Lance!
Sarai un fantastico Ravenclaw!»
«Già. E tu? Tu
sarai Ravenclaw con me?»
«Magari sì...
ora dormi, cuginastro!»
«Ma non ho
sonno...»
«Buonanotte,
Lance!»
«Buonanotte,
Gail. Non vedo l’ora che sia domani!»
«Domani si parte
per Hogwarts!»
«E speriamo di
essere smistati nella stessa casa!»
Abigail chiuse
gli occhi.
Non Slytherin,
non Slytherin, non Slytherin, non Slytherin...
Sono
imperdonabile.
Imperdonabile.
È tutta colpa
dell’università. Lo giuro.
Per farmi
perdonare, ne posterò uno oggi e uno domani.
«Wow!
Che figata!» esclamò un ragazzo alto e nerboruto del quarto anno, tale
Rent.
«Sì,
davvero! Che fegato che ha avuto quel David!» strepitò ancora il suo vicino,
Jack, battendo una mano sul tavolo della Sala Comune degli
Hufflepuff.
«P-però
non è stato molto carino andarsene senza salutare i genitori...» commentò Quill,
un ragazzino grassottello del secondo anno.
«Ma
sei cretino?! Ha fatto assolutamente bene! Insomma, ha fatto ciò che cerco di
fare io dalla notte dei tempi!» esclamò Michael Stebbins, battendo un cinque con
Rowan.
«E
perché non l’hai ancora fatto, Mike?» ridacchiò Walter, il ragazzo del quarto
fratello di Wayne Hopkins.
«Me
lo chiedo anche io.» ridacchiò Cedric Diggory, battendo una manata sulle spalle
dell’amico, che tossicchiò.
«Ehi,
che schifo! Vai a espellere i tuoi germi germinosi da un’altra parte!» urlò
stizzito Stephen Cornfoot, del secondo, urtando per errore Megan la
Violenta.
«Che
cazzo fai, pettinatore di broccoli!» sbottò, alzandosi dalla sedia e lasciando
che Stephen cadesse per terra.
«Step!»
gridò Susan Bones, precipitandosi in aiuto dell’amico.
Wayne
Hopkins, con stoicismo irreprensibile, si massaggiò le tempie, colto da
emicrania, e sospirò.
«Che
succede qui? Cos’è tutto questo casino?» gridò Georgia Runcorn, una ragazza
bella ed elegante del secondo anno.
«Niente,
Georgie, Rowan ci sta raccontando delle sue vacanze avventurose!» rispose
Michael. Jack e Rent annuirono, all’unisono. Essendosene accorti, si batterono
il cinque.
«Sembrano
gemelli a volte.» rise Cedric, sgomitando Rowan.
«O
una coppia gay.» commentò Walter, ricevendo occhiatacce dai compagni di stanza.
«Ehi, Sally-Anne! Vieni a sentire le prodezze del buon David Williams! Te lo
ricordi? Il Ravenclaw bello e aitante.» esclamò, chiamando la ragazza bionda e
snob che si trovava dall’altra lato della stanza a limarsi le
unghie.
«No,
grazie. Non ne ho per niente voglia.»
«Sempre
l’anima del dormitorio, eh?»
«Oh,
chiudi il becco, Hopkins!»
Fu
superata e leggermente urtata da Sheldon, che correva verso Rowan, accompagnato
Liam e Lance.
«Ehi,
guarda dove vai, francese.»
«Ma
chi ti conosce, ragassina.» rispose
Sheldon, voltandosi verso di lei.
«Come
hai detto?»
«Non
mi piasce
ripetermi.»
Megan
sorrise, sadica. «Adoro le risse. Secondo voi fanno rissa? Spero proprio di
sì!»
Cedric
sospirò. «Tu sei malata.»
Helen,
Ernie e Hannah osservavano la scena da lontano.
«Tutto
ciò non è normale.» commentò Ernie, grattandosi la nuca, incerto su che cosa
dire. «Da quando Rowan conosce metà dormitorio
Hufflepuff?»
Hannah
alzò le spalle, Helen rise.
«Ehi,
Sally-Anne!» esclamò Geoffrey, sbucato fuori dalla sua stanza in quel momento.
«Ho terminato il livello cinque dei magicverba in due minuti e
mezzo.»
Sally-Anne
dimenticò la litigata con Sheldon per un attimo. «Che cosa? Ma sei troppo bravo!
Vedrai, ora mi ci metto e lo farò in meno tempo di te!»
«Che
cosa?» domandò Walter, che aveva origliato la
conversazione.
«Voi
Hopkins non sapete proprio farvi i fattacci vostri.» commentò Megan, battendo
una mano sul tavolo.
«Ma
che c’entro io?» domandò Wayne, sentendosi tirato in causa senza alcun
motivo.
«Tu
c’entri sempre.» lo liquidò Megan, rapida.
«Ma
non è vero!» sbottò il ragazzo, parandosi davanti a lei.
«Oh
no, ecco che ricominciano...» Jack si schiaffò una mano in faccia, disperato.
«Non è possibile...»
Rowan,
incuriosito, domandò il perché.
«Non
fanno altro che litigare, lanciarsi frecciatine da ragazzini del primo anno...
senza offesa, ovviamente!» spiegò, abbassandosi giusto in tempo per evitare una
boccetta di inchiostro che Megan aveva appena lanciato.
«Ottimi
riflessi Jacky! Comunque, solitamente in questi casi diciamo: tra moglie e marito non mettere il dito.
Soprattutto se la moglie è Megan la Violenta e che non ha amici.» si aggiunse
Rent, abbassando leggermente la voce.
«Non
è vero che non ha amici! Ha Wayne, Cedric...» replicò Walter, leggermente
dispiaciuto.
«Rifletti,
Walt: uno è un tronco, l’altro è amico di tutti.»
Rowan
sembrò perdere il filo del discorso. «Un tronco?»
«Non
lo spezzi mai.» spiegò Walter, rassegnato.
«A
me piace Megan.» s’intromise Helen.
«Buon
per te.» ridacchiarono Jack e Rent.
Quella
sera, il dormitorio degli Hufflepuff era in subbuglio. Gli studenti del secondo
anno si erano riuniti in seduta speciale per decidere democraticamente quali
materie avrebbero dovuto scegliere per il terzo anno così da sopravvivere
insieme a quella nuova calamità; invece, i componenti della squadra di Quidditch
erano stati relegati in un angolino da Buggin, che stava facendo loro un
importante discorso per quanto riguardava la partita che avrebbero giocato
contro Gryffindor.
Liam,
entrato in quel momento nella Sala Comune, si fermò,
stupito.
«Mi
sono perso la nascita di nuovi Club delle Gobbiglie?» domandò, divertito, a
Rowan e Lance.
«Nah,
quelli del secondo sono in crisi per le nuove materie, e Buggin... boh, sta
parlando alla squadra.»
«Non
vorrei essere in loro!» replicò Rowan, continuando a scrivere il suo tema di
Erbologia.
«Nemmeno
io! Temo il giorno in cui toccherà a me scegliere cosa fare dal terzo anno in
poi...» rispose Liam, sedendosi con loro e leggendo la pergamena ormai terminata
di Lance.
«Io
intendevo la squadra di Quidditch.» aggiunse Rowan, senza alzare gli occhi dal
compito.
«Sì,
beh, anche.» rise Liam. «Dov’è Helen?» chiese, non vedendo la ragazza insieme ai
due inseparabili amici.
«È
andata a trovare Justin.» rispose Lance, concentratissimo sul libro di Difesa
Contro le Arti Oscure di Ernie.
«Che
fai?» domandò Liam, curioso.
«Studio,
visto che quell’idiota del nostro insegnante non è in grado. Sa solo organizzare
stupidi incontri con nani travestiti da Cupidi.» sbottò, ancora memore del
giorno di San Valentino.
«Che
si dice, gente?» proruppe Geoffrey, con sottobraccio una decina di
riviste.
«Hai
fatto Magicverba fino ad adesso?»
«Esatto!
Sai, ho fatto quello di Erbologia del primo livello e ho imparato tutto quello
che c’è da sapere sul Tranello del Diavolo per il tema di
Erbologia.»
«Sei
un mostro.» lo raggiunse Caitlin, emergendo dal dormitorio femminile con i
capelli tutti scarmigliati. «Io mi sono appena svegliata dopo un lungo sonno sul
capitolo otto: gli effetti delle spine
del Tranello del Diavolo.»
Lance
rise. «Mi dispiace per te, ma tra gli effetti delle spine non c’è nessun “sonno
pesante”.»
«Oh
Lance, ma quanto sei divertente?» replicò Caitlin,
sgomitandolo.
Rowan
rise di gusto. Urtò contro la boccetta di inchiostro e questa si rovesciò sul
suo tema.
«Non
è possibile!» strillò, accortosi del terribile disastro.
«Non
preoccuparti.» borbottò Lance. «Gratta e
netta.» disse, puntando la sua bacchetta sul compito di Rowan. Come un
mulinello, la macchia vorticò su se stessa e sparì.
«E
questa da dove esce?» domandò Liam, strabiliato. Toccò il punto esatto dove era
scomparsa la macchia come per accertarsi che non fosse tutto un
trucco.
«Ah,
l’ho vista fare al professor Flitwick qualche tempo fa, così sono andato in
biblioteca a documentarmi e l’ho imparato. Lo trovo utile,
no?»
«Ti
odio.» sbottò Rowan e gli tirò bonariamente un pugno sulla
spalla.
«Perché?»
domandò Alana, appena arrivata, arrossendo vistosamente alla vista di
Lance.
«Perché
lui impara gli incantesimi con la stessa facilità con cui io li
sbaglio!»
«Così facilmente?» intervenne Ernie,
allontanatosi dal gruppo.
«Ehi,
ma oggi siamo tutti in vena di battute sarcastiche?» ridacchiò
Caitlin.
Ernie
annuì. «Sì, non ne posso più di sentire Hannah dire che dobbiamo essere tutti
uniti. Non stiamo per morire come la squadra di
Quidditch!»
Tutti
risero.
«Che
materie hai scelto, Ernie?» domandò Rowan, curioso.
«Babbanologia,
Aritmanzia e Cura delle Creature Magiche.» rispose, gonfiandosi il petto con
fare solenne. «Tra tutte credo siano le più interessanti: io provengo da una
famiglia che vanta generazioni di soli maghi, studiare un po’ del mondo babbano
non mi dispiace affatto.»
«Lodevole
da parte tua.» disse Lance, ancora intento nella lettura del libro di Difesa
Contro le Arti Oscure. «Di questi tempi è difficile trovare qualcuno a cui
interessino i babbani... in senso positivo, s’intende.»
«Ho
pensato che fosse il modo migliore per dimostrare ai figli di babbani che io
sono dalla loro parte.» disse Ernie, e guardò Liam dritto negli
occhi.
«A
nome dei figli di babbani, ti ringrazio.» rise Liam, appoggiandogli una mano
sulla spalla.
«Non
ditomi che mi sono perso qualcosa...»
intervenne Sheldon, varcando l’entrata della Sala Comune in
quell’istante.
«Niente
di particolare, Shelly.» esclamò Rowan, prima di corrergli incontro e saltargli
addosso, ingaggiando con lui una finta rissa.
«Ma
che gli prende?» domandò Caitlin, stupita.
«Ti
ostini ancora a cercare capirlo?» ribatté Lance, senza alzare lo sguardo dal
tomo.
In
quel momento, Stebbins si avvicinò a loro, divertito, e
fischiò.
«È
opera tua, vero?» gli chiese Ernie, pur sapendo già quale sarebbe stata la
risposta.
«Lezione
numero cinque: per conquistare una donna, fa’ in modo che ti veda come un uomo
che la possa proteggere.»
«Ma
perché Sheldon?» Alana lo guardò, interrogativa.
«Perché
Rowan è un codardo e sta combattendo con il più effemminato del gruppo.»
delucidò Lance, sempre più concentrato.
Caitlin
ridacchiò e si inginocchiò, arrivando all’altezza dell’amico seduto. «C’è
qualcosa che non va, Lance-Pence?»
«No,
perché?»
«Sembri
innervosito.»
«Non
lo sono. Mi sto solo concentrando su questo libro. Perché Helen non è tornata?
Quanto tempo vuole stare a parlare con corpo
pietrificato?»
Ernie
divenne livido. «Attento a come parli, quel “corpo pietrificato” è il mio
migliore amico.»
Lance
gli lanciò un’occhiata dispiaciuta. «Hai ragione, scusa il poco
tatto...»
Rowan
si gettò su una sedia, tutto sudato e massaggiandosi una spalla. «Wow, robe da
uomini queste, non è vero, Caitlin?» disse, ridacchiando.
«Rassa di scimunito.» gli fece eco Sheldon,
abbandonandosi su un’altra sedia. «La prossima volta che vuoi fare cose da
uomini, avvisomi...»
«Perché,
Shelly, ti devi preparare?» rise Rowan, tirandosi indietro i
capelli.
«Qualcuno
gli tiri un pugno, s'il vous
plaît.»
Il
gruppo di ragazzi scoppiò a ridere sonoramente, disturbando la squadra di
Quidditch. Un Buggin inferocito lanciò loro un’occhiata senza repliche e, per
evitare di morire, i ragazzi si alzarono lentamente per andare a
dormire.
«Avete
sentito? Qualcuno ha fatto irruzione nel dormitorio Gryffindor e hanno rubato
qualcosa a Harry Potter!» esclamò Hannah quella mattina, irrompendo al tavolo
degli Hufflepuff durante la colazione.
«Si
sa già chi sia stato?» domandò Ernie, che stava leggendo avidamente La Gazzetta del
Profeta.
«No,
Harry non ha denunciato la scomparsa di nulla. È stato Longbottom a dirmi che effettivamente è stato rubato
qualcosa.»
«Che
strano.» borbottò Liam, ingoiando i cereali.
«Mai
quanto questo.» intervenne Ernie. «Sentite cosa dice il Profeta: “Terrore e paura hanno sconvolto gli abitanti
di Manchester: ieri notte, un ragazzo babbano di anni tredici è stato trovato
appeso per un piede al ramo più alto di una delle querce del parco. Il ragazzo
afferma di ricordare soltanto alcune parole dell’uomo che l’ha aggredito e una
vivida luce rossa, prima di risvegliarsi capovolto. È molto probabile che il
ragazzo sia stato Schiantato da un Mago e che quest’ultimo sia riuscito a
scappare prima che il Ministero riuscisse a rintracciare la bacchetta. Non è il
primo attentato ai babbani da parte di un Mago, ultimamente sono sempre più
frequenti e sempre più difficili da indagare. Chiunque ci sia dietro tutto
questo, non ha a cuore la causa dei babbani.”»
Alana
si portò una mano alla bocca. «Ma è pericoloso!»
Ernie
annuì. «Certo che lo è: di sicuro è colpa di qualcuno che è d’accordo con
Malfoy.»
«Qualunque
genitore degli Slytherin?» tentò di sdrammatizzare Rowan, senza
successo.
«Mi
sembra logico.» annuì Lance, guardando dritto al tavolo dei Slytherin e
incontrando lo sguardo della cugina.
«Ci
sta ancora guardando?» domandò Rowan, subito serio.
«Così
sembra.» asserì Helen, voltatasi anche lei a guardare. «Non riesco a capire dove
voglia andare a parare, quale sia il suo obiettivo!»
«Ma
di chi parlate?» chiese Caitlin, sporgendo la testa rossa oltre gli
amici.
«Di
mia cugina Abigail.» rispose Lance, tornando alla sua colazione. «Ultimamente
abbiamo scoperto che tende ad osservarci, forse vuole trovare qualcosa di
cattivo a cui aggrapparsi... magari la prossima volta se la prenderà con te,
Rowan, perché ti sei rovesciato il porridge addosso.»
«Ma
non mi sono...» disse Rowan, giusto in tempo per urtare la ciotola di porridge e
fare in modo che tutto il contenuto si versasse sui suoi pantaloni.
«Maledizione!»
Mentre
Caitlin e Helen aiutavano l’amico a pulirsi i pantaloni, la squadra di Quidditch
degli Hufflepuff si alzò in piedi, dirigendosi verso
l’uscita.
«Sono
pronti! La partita cominscerà tra
poco!» esultò Sheldon, con il volto dipinto dei colori della sua
Casa.
Era
seduto vicino a Sally-Anne Perks, la ragazza snob del secondo anno. «Mi
raccomando, Moreau, niente volgarità
durante la partita.»
Sheldon
si voltò a guardarla e sorrise. «Solo se ti risparmierai anche tu,
Perks.»
Quando
giunsero all’imbocco per il campo, si accorsero che la professoressa McGonagall
stava parlando con Potter e Weasley, e che molti ragazzi delle varie tifoserie
stavano scemando fuori dall’arena lamentandosi.
Cercarono
qualche studente che potesse spiegare loro che cosa fosse successo. Braccarono
all’uscita Michael e i suoi amici e domandarono loro che cosa fosse
successo.
«Partita
annullata.» spiegò Walter, accartocciando la bandiera giallonera tra le mani.
«Pare che ci sia stato un altro attentato.»
«Che
cosa?» gridò Liam, sconvolto. «Ma... erano terminati! Non era stato attaccato
più nessuno!»
«Evidentemente
l’Erede di Slytherin non ha ancora finito.» commentò Michael,
serio.
Alana
appoggiò una mano sulla spalla di Liam. «Noi torniamo in Sala Comune.»
disse.
«Vi
raggiungiamo subito.» aggiunse Rowan. «Maestro, tu sai chi possa essere
stato?»
Michael
negò con la testa e Rowan chiuse gli occhi.
Quella
sera, i ragazzi del primo erano tutti radunati in Sala Comune. Era giunta voce
che Liam avesse scritto ai genitori e che questi minacciassero di toglierlo
dalla scuola e di non farlo tornare mai più.
«Non
possono farlo!» esclamò Sheldon, infervorato. Durante l’anno aveva legato molto
con Liam ed erano diventati inseparabili.
«Possono
eccome. Hanno detto che se ci sarà un altro attentato mi porteranno via
definitivamente. Saluti e baci, ragazzi.»
«Ma
nemmeno per sogno! Saluti e baci cosa? Nessuno ti porterà via di qui, perché non
ci saranno più attentati! Dumbledore si starà occupando di tutto, ne sono
sicuro! È solo questione di tempo prima che il colpevole venga acciuffato.»
scalpitò Rowan, rischiando di cadere dal bracciolo della poltrona su cui era
seduto.
«Lo
pensavamo tutti all’inizio degli attacchi... ora sto cominciando a rassegnarmi
al fatto che sono spacciato. Il prossimo sono io, me lo
sento.»
«No
che non sei tu, accidenti! Non fare la vittima!» esclamò Rowan, alzandosi in
piedi.
Liam
lo guardò. «Tu pensi che stia facendo la vittima?» quasi gridò. Gli altri
trattennero il respiro: non avevano mai né visto né sentito Liam perdere le
staffe.
«No,
cioè... forse...»
«Tu
non hai idea di che periodo sto vivendo da quando sono cominciati gli attentati!
Ho paura a girare da solo per la scuola, ricevo quotidianamente minacce da parte
dei miei genitori di togliermi dalla scuola, non posso girare un angolo che c’è
sempre qualche simpatico Slytherin che mi ricorda che sono un Sanguesporco!
Bella la vita per voi Purosangue, eh?» sbottò, infine, Liam. Si alzò dalla
poltrona ed uscì dal Dormitorio correndo, senza lasciare a nessuno il tempo di
fermarlo.
«Vuole
farsi pietrificare!» Caitlin si alzò per seguirlo, ma Rowan la trattenne per la
divisa.
«Me
ne occupo io.» ed uscì dall’arazzo.
Strisciava,
affamato. Dopo l’ultimo ordine del suo padrone eseguito, sperava di poter
ricevere qualche cosa da mangiare. Da molto tempo non gustava più carne
fresca.
Con
le narici sviluppate, poté percepire l’odore conosciuto di sangue. Un sangue
sporco, impuro. Il suo padrone aveva detto che chiunque avesse quell’odore
doveva essere ucciso. Se l’avesse fatto sarebbe stato ricompensato tre volte,
dato che già due erano stati i suoi attacchi quel giorno.
L’odore
era sempre più vicino.
«Ehi,
Liam, aspetta!»
Un
altro odore, più dolciastro e delizioso, molto somigliante a quello del suo
padrone, se nonmigliore, avvolse
il puzzo di sangue impuro.
«Volevo
chiederti scusa... mi dispiace di averti offeso. Nessuno pensa che tu stia
facendo la vittima, io per primo. Sono solo nervoso perché temo per
te.»
Girò
su se stesso e, silenziosamente, strisciò via. Un odore così buono non poteva
essere intaccato.
Capitolo 19 *** Prodezze notturne e ragni grossi come pianoforti ***
16.
Prodezze notturne e ragni grossi come pianoforti
«Niente
più Quidditch, hanno arrestato Hagrid per non si sa quale motivo, Penelope
Clearwater e Hermione Granger sono in infermeria a tenere compagnia a Justin e
Liam è convinto che il prossimo sarà lui. La vita fa schifo.» commentò Rowan,
abbandonandosi sulla sedia del banco nell’aula di
Trasfigurazione.
«Buongiorno
anche a te.» sospirò Amelia, alzando subito gli occhi dal volume di
Trasfigurazione che stava studiando avidamente. «Ti vedo
scosso.»
«Lo
sono!» s’infervorò Rowan, sbattendo una mano sul tavolo. «Non è possibile che,
con tutti i professori che ci sono in questa scuola, l’erede di Slytherin non
sia ancora stato catturato! È incredibile e mi fa saltare i nervi! Sono passati
mesi da quando Justin è stato attaccato! Mesi, capisci? Io non riesco a credere
che nessuno dei professori, preside compreso, abbia la più pallida di chi ci sia
dietro a tutto questo!»
Intorno
a Rowan si era radunato un crocchio di alunni che ascoltava, partecipe. Alcuni
annuivano, altri scuotevano la testa, discostandosi dalle sue
opinioni.
«Eppure
è così, signor James.» fu interrotto dalla voce severa della professoressa
McGonagall, che era appena entrata nella sua aula. Il suo arrivo gettò la classe
nel gelo e nel silenzio reverenziale che era solito aleggiare durante le lezioni
di Trasfigurazione.
«Sedetevi
tutti, grazie.» sibilò la donna, accomodandosi alla cattedra. «Ora, signor
James, gradirei ricordarle che i professori, come tutte le persone su questa
terra, sono umani. In quanto umani, anche noi commettiamo degli errori:
ovviamente abbiamo pensato a diverse identità del mago che ha compiuto queste
azioni – e sì, sono molte, signor James – ma non abbiamo mai raggiunto una
conclusione certa e provata.» disse la professoressa,
rigida.
«Io
di certo non intendevo... insomma, non avevo intenzione di...» borbottò Rowan,
imbarazzato.
«Certo
che non aveva intenzione di offendere, signor James, ma è sempre bene pensare
prima di lanciare congetture infondate. Posso capirla, è difficile sopportare
questo senso di impotenza di fronte ai fatti, ma deve solo avere pazienza. Tutto
si risolverà.» concluse la McGonagall, tentando di sembrare convinta delle sue
parole, ma era evidente che lei stessa avesse difficoltà a
credervi.
Un
ragazzo di Ravenclaw alzò la mano, intimidito dallo sguardo algido della donna.
«Lei crede che il professor Lockhart, con tutta l’esperienza che ha accumulato,
potrebbe sconfiggere l’Erede?»
La
professoressa sembrò trattenere un sorriso. «Non sono solita parlar male dei
miei collaboratori, ma dubito fortemente, signor Cabster, che il professor
Lockhart sappia affrontare qualcosa all’infuori dei suoi
riccioli.»
La
classe scoppiò in una risata fragorosa, alla quale si unì, impercettibilmente,
la risata della stessa McGonagall.
La
donna tossicchiò. «Avanti, ora: il momento di ilarità è finito, è ora di pensare
agli esami.»
«Sta
scherzando!» esclamò Caitlin, portandosi una mano alla fronte. «Di
già?»
«Certo,
signorina Cadogan. D’ora in avanti le lezioni saranno sempre più dure, così da
abituarvi al ritmo del secondo anno che, vi assicuro, sarà ben diverso da
questo.»
«Ma
che tipo di esami dovremo sostenere?» domandò Sheldon, molto migliorato nel suo
inglese.
«Uno
teorico ed uno pratico per ogni materia, ad eccezione di Storia della Magia, che
sarà solo teorico. Sarete testati dai vostri insegnanti.»
Molti
ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.
Una
timida manina si alzò dal fondo dell’aula.
«Sì,
signorina Reynolds?»
Alana
trasse un lungo respiro. «E se non dovessimo superarli?» quasi sussurrò,
terrorizzata. Alana non poteva essere annoverata tra i migliori della sua classe
con Lance, Caitlin e Carey.
«È
successo talmente poche volte, signorina Reynolds, che la cosa non dovrebbe
preoccuparla: gli studenti di Hogwarts si sono sempre distinti per l’altissimo
livello raggiunto durante gli esami.» la McGonagall la fulminò con lo sguardo.
«Tuttavia, nel caso qualcuno dovesse essere così poco preparato da risultare
insufficiente in tutti gli esami, dovrà ripetere l’anno. Tutto chiaro, signorina
Reynolds?»
Alana
si morse il labbro inferiore e annuì con la testa. Caitlin, accanto a lei, le
prese la mano.
«Molto
bene. Ora che tutti i dubbi sono stati chiariti, cominciamo con la
lezione.»
Lance
guardò Helen, seduta al banco insieme a lui, e le sorrise. «Ti vedo
preoccupata.»
«Beh,
non è stato di certo incoraggiante.» ridacchiò Helen, prendendo appunti di ciò
che la McGonagall stava scrivendo alla lavagna.
«Tu
non devi assolutamente preoccuparti.» le disse Lance. «Studi regolarmente e hai
i voti nella media: superare l’esame non sarà difficile.»
«Sì,
ma non sono brava come te, che hai la media dell’“Eccezionale”, o come Caitlin,
che prende sempre “Oltre Ogni Previsione”... i miei voti sono stabili
sull’“Accettabile”.»
«Scommetto
un taglio di capelli che prenderai “Oltre Ogni
Previsione”.»
Helen
lo guardò stranita. «Un taglio di capelli?» alzò il sopracciglio,
scetticamente.
Lance
sospirò. «Megan la Violenta mi ha urlato dietro che ho i capelli troppo lunghi,
stamattina a colazione.»
La
ragazza ridacchiò. «Quindi, se prendo “O”, dovrò tagliarmi i capelli, altrimenti
li dovrai tagliare tu?»
«Esattamente.»
rispose Lance, avvicinandosi di più all’amica. «Effettivamente ti servirebbe un
taglio.» rise, notando come i capelli di lei fossero cresciuti ben oltre le
spalle.
«Affare
fatto.» si strinsero la mano.
«Signor
Wallace, signorina Adams, gradite anche dei pasticcini?»
I
due risero. «Ci scusi, professoressa.»
«Oggi
è accaduto un miracolo.» annunciò Hannah, sedendosi al tavolo con i ragazzi del
primo anno all’ora di pranzo.
«Mh?»
borbottò Sheldon, con la bocca piena di ravioli.
«Ernie
ed io abbiamo parlato con Harry Potter e il suo amico Weasley durante
Erbologia... e lavorato con loro!» sorrise, allegra.
Helen
ricambiò il sorriso, felice che buona parte degli screzi fossero stati messi da
parte.
«Già,
prima che cominciassero a parlottare tra loro di ragni.» bofonchiò Ernie,
abbandonandosi accanto ad Amelia e fissandola disgustato mentre la ragazza
squartava un raviolo per mangiarne il ripieno.
Un
respiro mozzato fece voltare tutti verso Lance, che alla parola “ragni” era
sussultato violentemente.
«Ragni?
Che ragni? Dove i ragni?» gridò, terrorizzato, una volta sputato fuori il cibo
con cui si stava strozzando. «No, ragazzi, io ho paura dei
ragni!»
«Lo
sappiamo...» mormorarono i suoi amici all’unisono.
«Ecco,
quindi non voglio averne a che fare.» e si tappò le orecchie con le
mani.
Helen
scosse la testa. «Che cosa dicevano?»
Ernie
e Hannah si guardarono. «Mah, Potter ha indicato i ragni a Weasley e Weasley gli
ha risposto che non potevano seguirli. Si stavano dirigendo verso la Foresta
Proibita.»
Rowan
era tutt’orecchie. «E poi?»
«Poi
si sono zittiti e hanno continuato a chiacchierare come se non fosse successo
nulla.» concluse Hannah. «A dir la verità non ho molto
capito...»
Non
riuscì a terminare la frase che Rowan si era già alzato e si era diretto verso
il fondo del tavolo, dov’era seduto Michael Stebbins.
«Michael.»
lo chiamò, serio.
Michael
lo osservò per qualche secondo, chiedendosi come mai l’amico fosse così
accigliato. «Che succede, Row-boy?» chiese, incuriosito.
«Devo
chiederti un favore.» disse Rowan, poi guardò i compagni di Michael. «In
privato, se possibile.»
«Vai
pure, Mike!» rise uno dei ragazzi, Jack.
«Sì,
tradiscici così! Non ce ne scorderemo!» rincarò la dose
Rent.
«Oh,
ragazzi, sapete che vi amo con tutto il mio cuore...» sospirò Michael, con voce
incantata, lanciando scherzosamente un bacio al gruppo di amici mentre Rowan lo
trascinava fuori dalla Sala Grande.
«Bene,
ora che siamo soli vuoi dirmi cosa ti prende, Row?»
«Tu
hai detto che l’anno scorso Potter è riuscito a strappare la Pietra Filosofale
dalle mani del professor Raptor, vero?»
Michael
lo fisso, non capendo. «Beh, sì.»
«Come
aveva scoperto che c’era Raptor dietro a tutto?»
«Questo
non lo so... molti dicono grazie ad un’intuizione.»
«E
se ti dicessi che Potter cercherà di fermare gli attacchi dell’Erede
stanotte?»
L’amico
continuò a guardarlo, sempre più confuso. «Non capisco... cosa sai? Che
succede?» borbottò, in un misto tra curiosità ed
eccitazione.
«Ernie
e Hannah hanno sentito parlare Potter con l’amico Weasley... qualcosa riguardo
il seguire una scia di ragni. Ultimamente, molti hanno notato che trovare scie
di ragni diventa sempre più frequente, e questo non è normale! I ragni sono
animali solitari. Sono sicuro che tutto questo c’entri con l’Erede di
Slytherin.» continuò Rowan, cercando in Michael un barlume di
incoraggiamento.
«È
possibile, certo, ma qual è il favore che vuoi chiedermi?» domandò il ragazzo
più grande.
Rowan
lo fulminò con occhi eloquenti.
«Vuoi
che li seguiamo? Io e te insieme?» chiese Michael,
incredulo.
«Questo
è il piano...»
«E
come pensi di fare a uscire dal castello? Lo sai, è tutto
sorvegliato!»
Rowan
sorrise. «Semplice, ci nascondiamo nella capanna di Hagrid. Non c’è più nessuno
che ci abita e i professori non spingono mai la ronda notturna fino a
lì.»
Michael
strabuzzò gli occhi, strabiliato. «È... è geniale... quando
cominciamo?»
«Ci
stai, davvero?» esclamò Rowan, colpito.
«Certo!
Ci incontriamo alla fine delle lezioni a casa di Hagrid.» sussurrò il ragazzo,
guardandosi in giro e assicurandosi che nessuno stesse origliando i loro
discorsi.
«D’accordo...»
«E...
bacchetta alla mano, Row.»
Rowan
annuì e, ritornando al proprio tavolo sorrise dentro di sé: si sentiva così
esaltato che pensò che il Cappello Parlante avesse proprio sbagliato ad
assegnarlo a Hufflepuff.
Terminato
il pranzo, mentre buona parte degli Hufflepuff si riversava in Sala Comune per
recuperare i libri che sarebbero serviti per le lezioni del pomeriggio, Rowan
fermò Lance e Helen nel corridoio e li trascinò dentro un’aula
vuota.
«Che
succede, Rowan! Sei impazzito?» lo rimproverò Lance, massaggiandosi il
polso.
«Ho
bisogno che voi due mi copriate questa sera.»
Helen
spalancò gli occhi. «Fare che?»
Rowan
sospirò: «Io e Michael seguiamo Potter, siamo convinti che “seguire i ragni”
come ha sentito Ernie sia un indizio per capire chi sia l’Erede di Slytherin.
Per questo, se non torno entro una certa ora, dovete inventarvi qualcosa! Dite
che sono in punizione con Lockhart... qualsiasi cosa! L’importante è che nessuno
sappia dove sono in realtà!»
Helen
e Lance si scambiarono un’occhiata eloquente.
«Non
sono impazzito!» esclamò Rowan, disperato. «So davvero quello che faccio! Non
preoccupatevi!»
Lance
gemette. «Te l’avevo detto, Hellie.»
Rowan
li guardò. «Avevi detto cosa, Lance?»
«Lance
mi aveva detto che un giorno ci saremmo resi conto quanto sarebbe stato faticoso
avere come amico un Gryffindor mancato e per questo frustrato.» rispose Helen,
con sorriso materno.
«Quel
giorno è arrivato.» concluse per lei Lance.
«E
non sarà il primo, ragazzi.» rise Rowan, abbracciandoli.
Il sole stava
ormai tramontando e tutt’intorno cominciava a farsi più
scuro.
Attraversò il
cortile della scuola cercando di sembrare il più naturale possibile. Ripeteva
nella sua mente: “Stai soltanto andando a trovare Hagrid, stai andando a trovare
Hagrid... non sai che l’hanno portato via...” e sperava che quella scusa fosse
sufficiente nel caso un professore l’avesse scoperto.
I ragazzi del
Club di Gobbiglie giocavano sul selciato e non si accorsero di
lui.
Vide la casetta
di Hagrid con la porta spalancata e un enorme cane sdraiato sull’ingresso.
Accanto a lui stava Michael e sembrava irrequieto.
«Ciao, maestro,
che succede?» lo salutò Rowan, eccitato per la missione.
«Thor non si
vuole spostare! Non riesco a entrare a casa di Hagrid!»
«Entriamo dal
retro!» propose il più piccolo dei due, girando intorno alla
casa.
Vedere la
capanna vuota rese i due ragazzi tristi.
«Ehi, Michael.»
lo chiamò Rowan, una volta abbandonatosi sul divano. «Perché hanno arrestato
Hagrid ieri sera?»
Michael scosse
la testa. «Lockhart dice che è colpa sua se sono cominciati gli attacchi, perché
cinquant’anni fa la Camera dei Segreti fu aperta per la prima volta e Hagrid si
scoprì essere il responsabile. Per questo è stato espulso al secondo
anno.»
Rowan lo
osservava, colpito. «E tu come sai tutte queste cose?»
«Praticamente
vivo nell’ufficio di Filch.» ridacchiò Stebbins, passandosi una mano tra i
capelli scuri e spettinandoli.
Rimasero a
chiacchierare a lungo, finché non calò la notte. Poco dopo la mezzanotte, quando
entrambi erano sul punto di addormentarsi, sentirono dei passi nel cortile. Thor
abbaiò.
«Maledizione!»
esclamò Michael ad un tratto.
«Che succede?»
domandò Rowan, sottovoce.
«Nasconditi!»
gli disse, pochi secondi prima che la porta della capanna si aprisse. Harry
Potter e Ron Weasley erano dietro la porta. Lanciarono un paio di caramelle mou
a Thor, che le mangiò con gusto. Dissero: «Vieni, Thor, andiamo a fare una
passeggiata.» e il cane li seguì, scomparendo insieme a loro nella Foresta
Proibita.
Rowan e Michael
attesero qualche secondo prima di uscire dai loro nascondigli e seguire i
Gryffindor nella foresta.
Avevano perso le
loro tracce, ma la scia di ragni era così evidente che erano sicuri di essere
sul sentiero giusto.
Più si
addentravano nel bosco, più il paesaggio diventava spettrale: la luce della luna
non filtrava nemmeno dalle fitte fronde e, in poco tempo, Michael e Rowan si
trovarono immersi nell’oscurità.
«Lumos.» disse Michael. La sua bacchetta
sprizzò una scintilla e si accese, illuminando appena davanti a
sé.
Rowan lo imitò.
«Vedi altri ragni?» domandò. Si guardò attentamente intorno, ma la scia di ragni
era scomparsa.
Improvvisamente,
sentirono uno scricchiolio dietro di loro. Si voltarono, impugnando saldamente
le bacchette.
«Cos’è
stato?»
«Non lo so, non
ho visto niente.»
Prima che Rowan
riuscisse a ribattere all’affermazione, furono illuminati da due enormi fari di
automobile, che li accecarono.
«Scappa!» gridò
Michael, cominciando a correre verso il cuore della
foresta.
Rowan
indietreggiò terrorizzato, ma inciampò in una radice e cadde a terra. Sbatté la
testa contro una pietra e fu tutto nero.
Michael non si
fermò nella sua corsa, chiamando Rowan a gran voce poiché non riusciva più a
vederlo. Quando percepì di aver seminato l’automobile si fermò per riprendere
fiato e fu allora che li vide.
Centinaia di
ragni, grandi come pianoforti a coda, lo circondavano. Erano grossi, neri e
pelosi, e lo fissavano con gli occhietti acquosi, muovendo le chele come
tenaglie.
«Carne.»
sembravano sussurrare, mentre si muovevano per avvicinarsi al
ragazzo.
Michael era
pietrificato dal terrore. «È finita.» si ripeteva nella mente. Il suo pensiero
andò agli amici e a Rowan, che probabilmente era già stato divorato da quei
disgustosi esseri pelosi.
Chiuse gli occhi
e attese l’inevitabile.
«Incendio.» sentì gridare. Intorno a lui
lambirono le fiamme e i ragni cominciarono a emettere stridii acutissimi,
correndo il più lontano possibile dal fuoco.
«Aguamenti.» udì di nuovo, e le fiamme si
spensero.
Michael riaprì
gli occhi. Rowan era davanti a lui, aveva una profonda ferita alla tempia e il
sangue gli scorreva lungo le guance, gocciolando sui vestiti e sul terreno. Lo
vide inginocchiarsi, sofferente, e poi accasciarsi a terra privo di
sensi.
Il ragazzo
abbozzò un sorriso e prese l’amico in spalla, ritornando al castello. Doveva
assolutamente portare Rowan in infermeria: l’emorragia non si era ancora
arrestata e stava perdendo troppo sangue. Fortunatamente, trovarono il portone
d’ingresso aperto, ma, una volta entrati, furono scoperti dalla professoressa
Sinistra, insegnante di Astronomia.
«Signor
Stebbins, che diavolo...» disse la donna, prima di portarsi una mano alla bocca.
«Cos’è accaduto al signor James?»
«Dobbiamo
portarlo subito in infermeria, professoressa! La prego, sta perdendo sangue da
troppo tempo!» strepitò Michael, pallido come un cadavere.
«Sì, sì,
certamente! È ovvio!» biascicò la professoressa, confusa. Con un incantesimo
fece levitare Rowan e lo condusse dritto in infermeria.
«Lei è ferito,
signor Stebbins?» domandò a Michael una volta che Rowan fu sotto le cure di
Madama Chips.
«No,
professoressa. Se la caverà?» chiese Michael, spaventato.
«Ha perso molto
sangue, e Madama Chips ha detto che è una grave lesione, ma non sembra essere in
pericolo di vita, per fortuna. Se si fosse ferito poco più vicino all’occhio,
avrebbe potuto perdere la vista.» spiegò la donna, congiungendo le mani davanti
a sé.
Michael si
appoggiò contro il muro e abbassò la testa. La professoressa Sinistra gli batté
una mano sulla spalla, in segno di consolazione.
«Ora vuole dirmi
cosa stavate cercando di fare voi due, signor Stebbins?»
Michael cercò di
parlare. «Noi... noi pensavamo che l’Erede di Slytherin si... si trovasse nella
foresta.»
La donna
spalancò gli occhi, perplessa. «E cosa ve l’ha fatto
pensare?»
Michael si
zittì.
«Signor
Stebbins?»
«Non volevamo
credere che Hagrid fosse l’Erede di Slytherin, così siamo andati a cercare nella
foresta.»
Sinistra
sorrise, comprensiva. «Michael, credevi davvero che nessuno del corpo insegnanti
si fosse preso la briga di controllare la Foresta Proibita?» disse, con voce più
dolce e squisitamente materna. «Hagrid, il professor Snape ed io ce ne siamo
occupati personalmente.»
Michael
annuì.
«Ora va’ a
dormire.» sussurrò la professoressa, facendo apparire un boccale ricolmo di un
liquido lilla. «E bevi questo infuso, contro i brutti
sogni.»
Michael sorrise
e prese il boccale. Mentre scendeva le scale verso l’entrata del dormitorio,
pensò come avrebbe potuto spiegare a Cedric che cosa aveva combinato.
Impallidendo, rientrò nella Sala Comune.
Rowan si svegliò
di soprassalto, disorientato. La testa gli doleva enormemente e faticava a
tenere un occhio aperto. Si guardò intorno, i contorni delle figure sempre più
nitidi.
Quando
finalmente comprese dove si trovasse, si sedette di scatto. Davanti a lui
c’erano Helen e Lance, che gli sorridevano. Helen aveva gli occhi arrossati,
segno che aveva pianto molto.
«Buongiorno!» lo
salutò Lance, gli occhi grigi che brillavano dalla gioia. «Hai dormito per un
giorno intero! Helen aveva paura che non ti
risvegliassi...»
Helen gli corse
incontro e gli gettò le braccia al collo, singhiozzante. «Sei un pazzo! Giuro
che la prossima volta ti fermo! Lo giuro!» esclamò, stringendolo a
sé.
Rowan la guardò
e scoppiò a ridere.
«Siamo sicuri
che non abbia rotto niente lì dentro?» chiese Lance, non
capendo.
«Sono così
felice di essere vivo che non sento nemmeno il dolore!» gridò Rowan, alzando le
braccia al cielo e traendo un lungo respiro. «Ho visto la morte in faccia,
ragazzi: ha due grossi fari tipo quelli di un’automobile al posto degli occhi.»
spiegò, sovraeccitato e smanioso di raccontare agli amici
l’avventura.
Lance guardò
Helen, incredulo. «Questo è impazzito.»
«No, non lo
sono! Io e Michael...» s’interruppe bruscamente, poiché una figura ammantata di
azzurro chiaro era appena entrata nella stanza.
«Professor
Dumbledore!» Helen e Lance assunsero un atteggiamento
reverenziale.
Il preside
sorrise loro, poi fissò i propri occhi di un azzurro stupefacente su quelli
altrettanto chiari di Rowan.
«Signor James,
mi è giunta voce delle della sua ultima prodezza... e il signor Stebbins mi ha
già spiegato che cosa sia accaduto e perché.» e lo penetrò con lo sguardo. «Ero
solo venuto ad accertarmi che stesse bene, ma vedo che è in ottime mani.» e mise
una mano sulla spalla di Lance.
«Sì, professore,
grazie mille.» annuì Rowan, massaggiandosi la testa
fasciata.
«È giusto anche
che sappia che verranno tolti quaranta punti a Hufflepuff per aver infranto
almeno la metà delle regole scolastiche.»
Rowan, a capo
abbassato, sussurrò un flebile assenso: era la giusta punizione e, dato che era
ancora vivo, gli sembrava un fio comprensibile da pagare.
«E mi sembra
corretto che venga messo a parte che le verranno assegnati cinquanta punti per
l’incredibile sangue freddo e la straordinaria potenza del suo
incantesimo.»
Helen, Lance e
Rowan si guardarono, increduli. Esultarono
silenziosamente.
«La lascio alle
sue cure, signor James.» terminò Dumbledore, facendo per
andarsene.
«Professore!» lo
fermò Rowan. «C’è qualcosa nella foresta: assomiglia ad un automobile. Prima di
cadere sono stato accecato da una luce che pareva uscire dai fari di
un’automobile.»
Dumbledore calò
appena i suoi occhialini a mezzaluna sul naso, incuriosito. «Buono a sapersi,
signor James. Manderò subito un professore a controllare.» disse, poi sorrise.
«È anche possibile che i centauri della foresta si siano motorizzati, anche se
lo credo molto improbabile.» e divertito, lasciò
l’infermeria.
«Ripetimi gentilmente
che cosa hai combinato.» disse Cedric, sulla soglia dell’infermeria, dove era
stato portato da Michael senza ricevere spiegazioni fino a quel momento.
«Ehm…» borbottò il
ragazzo, guardando fisso per terra.
«Hai aiutato un ragazzo
del primo, e sottolineo primo, anno in una pazzia senza precedenti, messo
in pericolo la sua e la tua vita entrando nella foresta più pericolosa nella
storia delle foreste per seguire una scia di ragni grossi come pianoforti che
poi vi hanno attaccato… il tutto per inseguire un’intuizione senza fondamento.
Ho dimenticato qualcosa?»
Michael ridacchiò. «La
parte dove sono stato scoperto dalla professoressa Sinistra con il corpo svenuto
e insanguinato di Rowan e quella dove la Sprout ci toglie venti punti a
testa.»
Cedric sospirò. «Ecco. E
un’altra ancora: devi ancora spiegarmi perché sono qui.»
«Perché senti il bisogno
irrefrenabile di accompagnarmi a trovare Rowan.»
«No, tu senti il
bisogno irrefrenabile di essere accompagnato a trovare Rowan, pazzo
omicida!» alzò la voce Cedric, spingendo l’amico contro la porta
dell’infermeria, aprendola.
Sembrava che metà
dormitorio Hufflepuff si fosse riunito in quella stanza: tutto il primo anno,
buona parte del quarto e alcuni studenti di altri anni. Il letto di Rowan era
completamente circondato.
«Tu a quel Potter gli
fai un baffo!»
«Era pericoloso, razza
di imbecille.»
«Sono davero
felisce che tu stia bone.»
Rowan rise all’udire
quanto gli amici si fossero preoccupati per lui.
Quando Michael entrò
nella stanza, calò il silenzio. Gli studenti aprirono un varco perché passasse e
rimasero zitti, attendendo solo il momento in cui i due eroi della settimana si
sarebbero parlati.
Michael guardò Rowan
intensamente e il più piccolo gli sorrise con innocenza.
«Scusami, Mike, se ti ho
coinvolto in questa pazzia.» disse, imbarazzato, grattandosi una guancia.
Il ragazzo più grande
avvicinò il viso a Rowan tanto che i due nasi si sfiorarono.
«Tu sei un emerito
idiota.»
«Grazie, maestro, me ne
ricorderò la prossima volta che vorrò un compagno di avventure.»
La folla scoppiò a
ridere. Cedric si schiaffò una mano in viso, incredulo, scambiando con Helen
sguardi comprensivi.
«Non ci possiamo fare
nulla, Cedric, ormai è così.» borbottò la ragazza, appoggiandosi a Lance.
Cedric non poté fare a
meno che ridere di quell’affermazione e vide in Helen e Lance se stesso al primo
anno, poco dopo aver assistito alla prima punizione di Michael.
Carissimi
lettori, questo è in assoluto il mio capitolo preferito. Mi sono divertita
moltissimo a scriverlo!
Spero sia
piaciuto anche voi! Grazie per aver letto!
E mi scuso
tantissimo per non aver aggiornato prima! Purtroppo ho sempre pochissimo
tempo!
Per farmi
perdonare, vi lascio una piccola anticipazione!
Michael si parò in mezzo ai due litiganti.
«No, Megan. Rowan viene con me: insieme facciamo un bel
team!»
Rowan si illuminò al sentire quelle parole e
assunse un cipiglio profondamente reverenziale nei confronti
dell’amico.
«D’accordo... ma tra noi non finisce qui,
lattante.» minacciò Megan. Poi si rivolse a Helen: «Allora, occhioni, hai
qualche idea su come distrarre quei due?»
Helen si guardò intorno e scorse Lance,
acquattato in un angolo con Sheldon e Liam, che tremava.
Sperò con tutto il cuore che Lance non se la
prendesse troppo.
Mancavano soltanto tre
giorni all’inizio degli esami di fine anno e la Sala Grande era in subbuglio. Il
tavolo degli Hufflepuff era un continuo viavai di studenti. Prima fra tutti,
Hannah Abbott si era già alzata dal posto otto volte per tornare al proprio
dormitorio e prendere un libro di cui era sicura non ricordarsi nulla.
«Tre giorni. E hanno
ancora intenzione di spiegare!» esclamò Caitlin, sbuffando e appoggiando la
testa sulla mano, guardando il porridge come se fosse marcio. «Mi è anche
passato l’appetito…»
Alana, accanto a lei,
era piuttosto silenziosa. Mescolava il proprio latte con il cucchiaino da oltre
un quarto d’ora e non aveva ancora rivolto la parola a nessuno.
«Ehi, Alana, stai bene?»
le domandò Amelia, stralunata. «Vedere il latte che gira mi sta facendo venire
il mal di mare.» continuò, portandosi una mano alla bocca.
«Che schifo.» commentò
Sheldon, inzuppando il biscotto al cioccolato nel caffè.
Lance rise divertito e
si versò del succo di zucca, imitato da Liam.
«Tu non sembri
preoccupato…» disse Caitlin, fulminando l’amico.
«Come potrebbe, Lance è
un genio!» s’intromise Helen, ammiccando. Alana sorrise e arrossì, nascondendo
in fretta il volto nella tazza bevendo.
«Ma anche tu sei molto
migliorata, Helen!» esclamò Lance. «Abbiamo studiato insieme negli ultimi tre
mesi e i tuoi voti sono saliti a “Oltre Ogni Previsione”!»
Rowan, accarezzando una
spalla dell’amico, si esibì nei suoi occhi più dolci. «Oh, Lance-Pence, tutto
ciò è così tremendamente romantico!»
Helen lo ignorò. «Ah,
Lance, hai lasciato questo libro nel mio zaino ieri!» e glielo porse.
«Grazie, dimenticato
altro?»
«Sì, il biglietto con
scritto ti amo!» rise Rowan, colpendolo gentilmente alla spalla.
Gli amici scoppiarono a
ridere.
«Senti, Rowan, solo
perché sei geloso che Lance piaccia di più alle ragazze, non significa che tu lo
possa prendere in giro così apertamente!» aggiunse Caitlin, lanciandogli
un’occhiate bruciante.
«Touché.» esclamò
Sheldon, spalmando del burro su una fetta di pane.
Rowan arrossì fino alle
orecchie e fu sul punto di replicare, quando, dal tavolo dei professori, la
professoressa McGonagall si alzò in piedi.
«Ho buone notizie!»
esclamò, e la Sala Grande esplose in un boato di gioia.
«Torna Dumbledore!»
gridarono in molti, tra cui Rowan, Caitlin, Geoffrey e Liam.
«Avete preso l’Erede di
Slytherin!» squittì Alana.
«Ricominciano le partite
di Quidditch!» gridò Oliver Wood, dal tavolo Gryffindor, subito seguito da Luis
Buggin, in un impeto di folle esultanza.
«No, no, state calmi.
Calmi, ho detto!» tuonò la McGonagall, fulminando Fred e George Weasley, che si
erano messi a ballare sul tavolo, tirando calci a piatti e bicchieri intorno a
loro.
Quando il baccano fu
calmato, la professoressa ricominciò: «La collega Sprout» dal tavolo degli
Hufflepuff si levò un’ovazione «mi ha informato che le mandragole sono
finalmente pronte per essere raccolte. Stanotte saremo in grado di rianimare le
persone che sono state pietrificate. Inutile ricordarvi che una di loro potrebbe
essere in grado di dirci chi, o che cosa, li ha aggrediti. Ho la speranza che
quest’anno tremendo si concluderà con la cattura del colpevole.»
Scoppiarono gli applausi
e le grida di felicità, che nessun professore si prese la briga di sedare.
L’entusiasmo della
mattinata si protrasse anche nelle prime ore di lezione: il professor Flitwick,
invece che spiegare, lasciò che i ragazzi chiacchierassero tra loro, eccitati
all’idea di poter riabbracciare gli amici.
«Sarà Justin l’eroe!»
esultò Helen ad un tratto, chiacchierando con un Ravenclaw, un certo Martin
Robins.
«No, mi dispiace, ma
sarà la Ravenclaw Penelope a svelare l’arcano!»
Rowan, dietro di loro,
sbuffò. «Vedrete, sarà uno fra Creevey e la Granger, un Gryffindor, a dire chi
li abbia attaccati.»
Amelia rise e tutti si
voltarono verso di lei, confusi.
«Che c’è di così
divertente?» domandò Lance, irritato.
«Secondo me nessuno ci
dirà chi è stato!» ridacchiò Amelia, piegando un foglio di pergamena.
«E cosa te lo fa
pensare?»
«Il fatto che secondo me
non è stato un chi, ma un cosa.»
«Beh, questo sì che è
chiaro!» scoppiò a ridere Rowan, ma Amelia lo interruppe.
«Stammi a sentire almeno
per una volta nella tua vita, schifoso diavolo.»
I ragazzi spalancarono
gli occhi, increduli all’udire quelle parole uscire da Amelia.
Soddisfatta
dell’attenzione ottenuta, la ragazza continuò: «Io ho parlato con un fantasma
molto cordiale di questa cosa, e mi ha raccontato che…» ma non poté terminare,
perché fu interrotta dalla voce gracchiante della McGonagall: «Tutti gli
studenti tornino immediatamente nei loro dormitori. Tutti gli insegnanti tornino
nella sala professori. Immediatamente, per favore.»
«Che succede?» domandò
Alana, aggrappandosi al braccio di Caitlin.
«Un altro attentato?»
chiese una ragazza di Ravenclaw, in lacrime.
Il professor Flitwick
guardò i suoi studenti per un breve istante, poi ordinò loro di tornare ai
propri dormitori senza fare domande, e così fu.
Quando gli Hufflepuff
del primo anno si trovarono di fronte all’arazzo del cacciatore con il grande
alano, furono raggiunti dagli studenti del secondo.
«Helen!» gridò Ernie,
precipitandosi verso il gruppo.
«Oh, Ernie, sai che cosa
è successo?» domandò Caitlin, tenendo stretta accanto a sé Alana.
«Tanto va la gatta al
lardo che ci lascia lo zampino.» disse il ragazzo all’arazzo, che si
arrotolò su se stesso permettendo loro di entrare. «No, Cate, ma sicuramente non
è nulla di positivo.»
La Sala Comune era
gremita di studenti. Tutti avevano un’aria distrutta.
«Maestro! Ehi, Mike!»
Rowan levò un grido. Michael emerse dal suo gruppo di amici e fece loro cenno di
raggiungerlo.
«Ehi, Michael, ma sei
sicuro che…» domandò un ragazzo un poco massiccio, dai capelli scuri ricci e la
carnagione abbronzata.
«Sta’ zitto, Walt! Certo
che ci possiamo fidare! Ti ricordo che Row mi ha salvato la vita!»
Il ragazzo grosso come
un orso, Rent, scoppiò a ridere. «Avanti, Walter, non essere schizzinoso!»
Walter sospirò, annuendo
con la testa. «Ma che non esca dal gruppo. Vai, Mike.»
Michael, con un sorriso
eccitato, cominciò: «Mentre tornava nel dormitorio, Walter è passato davanti al
corridoio dove era stata trovata la gatta di Filch e lì ha letto qualcosa di
davvero molto interessante.»
I ragazzi erano
tutt’orecchie.
Jack sorrise. «Walt,
prego.»
Walter trasse un lungo
respiro e declamò: «Il suo scheletro giacerà nella Camera, per
sempre.»
Lance, terrorizzato, si
accucciò su se stesso, tremante di paura.
«E cosa ci sarebbe di
divertente?!» domandò Helen, frustrata, abbracciando l’amico.
«Beh, è un falso.
Insomma, uccidere qualcuno a Hogwarts, con i professori che pattugliano tutti i
corridoi? È impossibile!»
In quel momento,
entrarono nella Sala Comune i due Caposcuola Faithman e Morgan, seguiti a ruota
da Carey Pryce, pallida come un cencio.
«Ora scopriremo tutto.»
sibilò Micheal, avvicinandosi di soppiatto ai due ragazzi.
«Te l’ho detto Gwen, è
così: nessun nato babbano manca all’appello.»
Helen, sentendosi in
colpa nell’origliare così apertamente quel discorso, distolse l’attenzione dai
Caposcuola per riversarla completamente su Carey. La ragazza era entrata
ignorata da tutti, come succedeva ogni giorno, e si era abbandonata in un
angolo, chiusa in se stessa.
«Ehi, Carey, va tutto
bene?» le domandò, sedendosi accanto a lei.
«No.» biascicò la
ragazza.
Helen la guardò,
stupita. «Che cosa è successo?»
Carey scoppiò a
piangere. «Stavo parlando con Demelza Robins di Gryffindor, quando ho
sentito…»
«Che cosa?»
«C’era tanto trambusto,
persone che piangevano… le ragazze del primo anno la chiamavano…»
Helen abbracciò la
ragazza, che riversò le lacrime sulla sua spalla.
Lance raggiunse le due
ragazze, latteo.
«I Caposcuola non sanno
nulla, non si vedono professori, non mancano nati babbani al conteggio teste… io
non so più cosa pensare… ho paura.»
«Tutti abbiamo paura,
Lance, ma le cose si sistemeranno, vedrai.»
Carey gemette,
continuando a piangere. «La ucciderà…» mormorò, singhiozzando.
«Chi?» domandò Lance,
raccogliendo il coraggio per parlare.
«Demelza ha detto che
non la vede da stamattina… che è da un po’ che si comporta in modo strano…»
«Ma chi, Carey, dicci
chi, ti prego!» la supplicò Helen, con gli occhi che si riempivano di lacrime.
Temeva che dietro a quella scritta non ci fosse un semplice scherzo.
«Ginny Weasley.» esalò
Carey.
«È sicura?» quasi gridò
Michael quando Rowan gli riferì che cosa Carey aveva svelato a Lance e
Helen.
«Sembra di sì.»
Jack e Rent si
guardarono, mortificati. Non avevano creduto alla scritta sul muro, prendendola
come uno scherzo: se Ginny fosse morta l’avrebbero avuto sulla coscienza per
sempre.
«Bene, se è sicura so
benissimo cosa fare.» si scambiò un’occhiata con Walter, che ricambiò
confuso.
«Cosa vuoi fare?» gli
domandò.
«Ma è ovvio: andare a
salvarla.»
Rowan esultò,
aggrappandosi ad un braccio di Michael. «Sì! Quando cominciamo?»
Walter scosse la testa,
titubante. «Ah, no, Mike. Non contarmi in una delle tue pazzie.»
Michael lo fulminò, ma
accettò di buon grado la sua decisione.
«Io ci sono!» esclamò
Rent, battendo il cinque all’amico.
«Allora conta anche me!
Per i Weasley!» annunciò Jack, sorridendo.
«Contare? E per cosa?»
domandò una voce femminile, comparsa all’improvviso.
Michael si irrigidì
all’istante, ma ciò non impedì a Rowan di continuare a saltellare eccitato,
rivelando senza pensare che cosa fossero sul punto di fare.
«Un salvataggio?»
sorrise Georgia Runcorn, del secondo anno, guardando Michael. «Ci sono.»
Michael ridacchiò
nervosamente. «Ah, sì? No.»
Jack e Rent staccarono
di peso Rowan da Michael. «Lascia che se la veda da solo con lei. Sono molto
amici: è come una sorella per lui.»
«Non sei mio padre,
Mike! Se voglio far parte del salvataggio, non puoi impedirmelo!» esclamò
Georgia, rossa in viso dalla rabbia.
«Invece sì! Il piano è
mio, decido io chi ci può far parte! E tu non sei contemplata nel piano! È
troppo pericoloso!»
«Ma neanche ce l’hai un
piano!»
«Quando ce l’avrò sarà
comunque troppo pericoloso!»
«Ad ogni modo voglio
aiutare! Ti ricordo che anche io conosco un Weasley!»
«Ma io ne conosco
due!»
«Ma non vuol dire
niente, Michael! Cosa stai dicendo?»
«Non puoi, punto.»
Rowan guardò Jack e
Rent, che ridevano divertiti, scambiandosi occhiate compiaciute.
«Li amo.» disse
Jack.
«Sono perfetti.» rincarò
la dose Rent.
E in quel momento, Rowan
comprese chi sarebbe stata la Signora Maestra.
Rent intervenne.
«Avanti, Michael: avere una donna è sempre una buona cosa!»
Michael lanciò uno
sguardo bruciante all’amico. «Abbiamo già Helen! Basta e avanza!»
Helen si sentì
osservata. «Ehi, un momento! Nessuno mi ha chiesto se volevo partecipare o
no!»
E, mentre discutevano
animatamente, la professoressa Sprout entrò in Sala Comune. Aveva il volto tetro
e triste, piegato dal dolore.
«Vi chiedo un attimo di
silenzio, ragazzi. Ho una notizia dolorosa da darvi.»
Immediatamente, il
dormitorio Hufflepuff cessò di parlare, concentrando la propria attenzione sulla
professoressa.
«Questa mattina, una
ragazza è stata rapita e portata nella Camera dei Segreti.»
Molti trattennero il
fiato dalla paura, tranne chi ne era già al corrente, che si scambiò un’occhiata
complice.
La Sprout riprese.
«Ginevra Weasley, di Gryffindor.»
Sheldon si portò una
mano alla bocca e mormorò alcune parole in francese che gli altri non capirono;
Liam abbassò il volto, disperato: la Weasley era stata sua compagna di banco in
molte lezioni; Alana scoppiò in lacrime e Caitlin la strinse a sé come una
sorella maggiore abbraccia la più piccola.
«Per questo motivo»
continuò la donna «gli studenti sono pregati di preparare i bagagli. Domani
verranno rimandati a casa con l’Espresso per Hogwarts.»
Un forte «No!» tuonò per
l’intera Sala Comune: Megan Jones, rossa di rabbia, era trattenuta da Cedric
Diggory.
«Non può rispedirci a
casa!» gridò, con la voce incrinata dall’ira.
«Posso eccome, signorina
Jones! È stata una decisione presa all’unanimità da tutti gli insegnanti!»
sbottò la donna, ferita che la sua autorità venisse messa in dubbio da una
studentessa.
Megan tremava per la
rabbia e Cedric, che le aveva circondato le spalle con un braccio, era pallido
come un fantasma.
Quando la Sprout uscì
dal dormitorio, non prima di essersi assicurata che i Caposcuola controllassero
la situazione, Michael, Jack, Rent, Georgia e Rowan si riunirono in un angolo
della Sala Comune a discutere del piano.
Helen li raggiunse pochi
minuti dopo. «Visto che ce ne andiamo domani, non ho nulla da perdere.» disse,
avvicinandosi a Rowan e battendo un cinque con Rent.
«Ehi, alcolisti
anonimi!» ruggì Megan, andando verso di loro a passo veloce. «Non pensate di
risolvere la situazione senza di me! Hogwarts è casa mia, e se c’è qualcuno che
può mettere in disordine questa scuola... beh, quella sono io!»
Rent incrociò lo sguardo
con Helen e mimò un’espressione svitata molto comica, tanto che la ragazza
ridacchiò sottecchi.
«Okay! Allora, questo è
il piano:» cominciò Michael, nervoso. «noi non sappiamo nulla di ciò che sia
successo, poiché tutti gli eventuali dettagli li conoscono i professori. Ergo, dobbiamo trovare un professore
abbastanza stupido da spiattellare ai quattro venti l’intera storia.»
«Me ne occupo io!
Lockhart mi adora!» esclamò Georgia, alzando la mano.
Michael la guardò
intensamente, come se stesse vagliando tutti i pericoli che Georgia rischiava di
incontrare affidandole quell’incarico.
«D’accordo.» convenne,
arrendevole.
«Sì!» Helen sentì
Georgia esultare.
«Bene, poi ci serve
qualcuno che distragga i Caposcuola, così che Georgia possa sgattaiolare
via.»
Helen sembrò pensarci
per qualche secondo.
«Ci penso io!» esclamò
Jack.
Michael scosse la testa.
«No, Jack! Tu sei più grande, mi servi per l’azione.» guardò Megan. «Megan, ti
andrebbe di, ehm, occupartene tu? Potresti farti aiutare da Helen...»
«Io ci sto!» disse
Helen, sicura della decisione. Piuttosto che rischiare l’espulsione preferiva
restare dietro le quinte e lasciare il lavoro pericoloso agli altri.
«Perché non può farlo il
tizio sfigato qui?» sbottò Megan, indicando Rowan irritata. «È più piccolo di
me!»
«Tizio sfigato? Ora le
prendi, brutta megera!»
«Fatti sotto, poppante!»
Megan alzò un pugno con aria di sfida.
Michael si parò in mezzo
ai due litiganti. «No, Megan. Rowan viene con me: insieme facciamo un bel team!»
Rowan si illuminò al
sentire quelle parole e assunse un cipiglio profondamente reverenziale nei
confronti dell’amico.
«D’accordo... ma tra noi
non finisce qui, lattante.» minacciò Megan. Poi si rivolse a Helen: «Allora,
occhioni, hai qualche idea su come distrarre quei due?»
Helen si guardò intorno
e scorse Lance, acquattato in un angolo con Sheldon e Liam, che tremava.
Sperò con tutto il cuore
che Lance non se la prendesse troppo.
«Sai mica dove posso
trovare delle api?»
«Tre, due, uno.
Via.»
Georgia, Michael, Rowan,
Jack e Rent si mossero furtivamente il più vicino possibile all’uscita dalla
Sala Comue. I Caposcuola sembravano troppo intenti a discutere per notare la
loro presenza.
«Vai, Georgie. Vai!» la
incitò Michael, spingendola con delicatezza verso l’imboccatura. In pochi
secondi la ragazza fu fuori.
John Faithman si voltò a
guardare i quattro ragazzi, come turbato. Rowan scoppiò a ridere e Rent lo imitò
subito.
«Oh, Mike, sei una
sagoma! Bellissima questa battuta!» ruggì Rent, battendo un po’ troppo forte la
mano sulla schiena dell’amico.
Michael e Jack
assecondarono subito lo scherzo. «Sì, grazie Rent! E la sai quella
dell’irlandese, lo spagnolo e il vaso da notte?»
John scrollò le spalle e
tornò a rivolgersi alla ragazza.
Nel frattempo, Megan e
Helen, con l’aiuto di Cedric, stavano tentando di trasfigurare alcune caramelle
mou in api.
Georgia corse a
perdifiato lungo il corridoio principale e si stupì di non trovare pattuglie di
professori pronti a sventare qualsiasi bravata dei ragazzi.
Era l’imbrunire e la
poca luce che filtrava nel castello aiutava la ragazza a mimetizzarsi
perfettamente con le ombre grazie alla divisa nera.
Fu probabilmente un
miracolo per lei superare ogni corridoio e piano che la separava dallo studio di
Lockhart senza incontrare un professore. Incrociò la strada con Pix a metà del
suo viaggio, ma il poltergeist non sembrava interessato a lei, troppo intento a
cantare una canzoncina contro l’Erede di Slytherin, inneggiando alle mutande di
Merlino.
Quando si trovò di
fronte alla porta dello studio, trasse un lungo respiro e bussò alla porta.
«Ehm, avanti.» bisbigliò
la voce spaventata di Lockhart.
«Salve professore!»
entrò Georgia, sfoderando uno dei suoi sorrisi smaglianti.
«Oh, ehm, signorina
Runcorn... che, ehm, piacere vederla.» borbottò il professore. Era intento ad
aprire una serie di valigie e buttarvi dentro qualsiasi cosa gli capitasse a
tiro: dal mobilio ai propri libri alle mille fotografie di sé.
«Oh.» esclamò la
ragazza, incredula di fronte a ciò che stava vedendo. «Che cosa sta facendo,
professore?»
«Pulizia.»
«Bene.» alzò le spalle,
avendo compreso che cosa realmente
stesse combinando il codardo. «Mi ascolti, professore: lei sa qualche notizia in
più sul recente rapimento di Ginny?»
Gilderoy Lockhart si
fermò di colpo e guardò la ragazza. «No, signorina Runcorn. La ragazza è
semplicemente scomparsa. Sospetto sia opera di un qualche mostro della Camera
dei Segreti.» sembrava felice di scaricare la tensione su qualcuno. A Georgia
ricordò una zitella particolarmente frustrata.
«E lei ha qualche idea
di dove possa essere la Camera?» continuò la ragazza, sicura di aver fatto
centro.
«No! Non ne ho idea! I
miei colleghi sono sicuri che sia nel castello, ad esclusione di Pomona e Aurora
che sono convinte sia situata nella Foresta Proibita e...» s’interruppe e
spalancò gli occhi, spaventato. «Signorina Runcorn, che cosa ci fa qui?»
«Oh, io volevo soltanto
chiederle se, cortesemente, poteva...
ehm... scrivere una dedica a mia sorella piccola! L’adora.» disse, cercando di rendere la
propria voce il più mielosa e dolce possibile.
Il volto di Lockhart si
distese. «Oh, certo, certo. Ovviamente.» strappò un pezzo di pergamena e prese
la piuma per scrivere.
«Dunque, a...?»
«Charlotte.»
«Carissima Charlotte, un saluto appassionato
dal tuo eroe, Gilderoy Lockhart. Può andare?»
«Perfetto.»
Lockhart consegnò a
Georgia il pezzo di pergamena e le sorrise, nervoso.
«Bene, allora la lascio
alla sua pulizia.»
«Arrivederci.»
Georgia uscì dallo
studio e corse via, ancora incredula di essere riuscita a fregare il professore
così semplicemente.
Quando fu sulla
scalinata principale sentì due persone parlare tra loro: dalla torre di
Gryffindor stavano scendendo Potter e Weasley. Corse il più veloce che poteva
sul fondo delle scale e rischiò di scontrarsi con una figura nascosta dietro un
angolo.
«Attenta! Potevi farti
male!» disse la voce rassicurante di Cedric.
«Cedric! E tu che ci fai
qui?»
Il ragazzo sbuffò. «Non
potevo permettermi che la pseudo-sorellina di Michael finisse male.»
Georgia gli sorrise.
«Grazie, Ced.»
«Figurati. Andiamo,
dai.»
E ritornarono insieme
alla Sala Comune...
... o quello che
rimaneva di essa.
Appena sbucarono
dall’entrata del dormitorio, udirono grida terrorizzate e un frastuono
infernale. Cedric sorrideva e Georgia gli chiese perché.
«Ho trasfigurato un
sacchetto di caramelle mou in api. Un diversivo piuttosto efficace, no?»
Georgia non poté
rispondergli, perché fu travolta da Michael, Rowan, Jack e Rent che si
fiondarono fuori dall’arazzo.
«Quella Helen è una
mente diabolica.»
Georgia vide Helen in un
angolo della Sala Comune: abbracciava l’amico Lance, che era accovacciato sul
pavimento, scosso dal terrore.
«Ehi, Helen, è stata una
tua idea questa?» le domandò la ragazza, con un sorriso di riconoscenza sul
volto.
Helen spalancò gli occhi
e la guardò con sguardo penetrante.
«È stata una tua idea?!»
gridò Lance, staccandosi dal suo abbraccio con violenza. «Tu lo sai che ho il terrore delle api! Lo
sai!»
Georgia si portò una
mano alla bocca. «No, Lance! Helen voleva solo...»
«Sì, è stata una mia
idea, ma l’ho fatto per Michael, per Ginny.» disse Helen, seria e calma. «Hai
tutto il diritto di avercela con me.»
Lance le lanciò uno
sguardo sospetto, si alzò e corse verso il dormitorio, evitando le api e
proteggendosi la testa con le mani.
«Mi dispiace...» disse
Georgia a Helen.
«Tranquilla, gli
passerà. Lo conosco, ha fatto così solo perché gli dà fastidio che tutti
sappiano che ha paura di qualsiasi cosa ci sia sulla faccia della terra.»
«Io credo che la paura
delle api sia perfettamente comprensibile.»
«Sai, quando hai paure
incomprensibili e sai di averle,
anche quelle comprensibili ti sembrano stupide.»
Georgia pensò che
sebbene Helen avesse solo undici anni, sembrava molto più matura di quanto non
desse a vedere.
«Georgia, c’è Jack fuori
che vuole sapere che cosa ti ha detto Lockhart.» la chiamò Cedric.
E Georgia riferì.
Jack e Rent camminavano
lungo i corridoi labirintici del castello.
«Non trovi strano che
con una studentessa scomparsa non ci siano professori in giro?» domandò Rent,
grattandosi la testa, confuso.
Jack annuì, preoccupato.
«La staranno sicuramente cercando in stanze segrete di Hogwarts che noi studenti
non conosciamo. In effetti, mi sembra stupido che tre quattordicenni e un
undicenne si mettano in testa di salvare qualcuno che nemmeno un gruppo di
professori di Hogwarts – insomma, non i primi idioti per strada – è riuscito a
trovare.»
Rent lo guardò severo.
«Preferiresti startene in sala comune a non fare nulla, aspettando che qualcun
altro faccia il lavoro sporco? Mi vergogno di te, fratello.» disse, contrariato.
Chiamava Jack “fratello” solo quando erano soli, o quando voleva fargli notare
qualcosa di sbagliato.
Jack abbassò la testa,
turbato: odiava essere ripreso da Rent.
«Non voglio solo che noi
tutti rischiamo la pelle o l’espulsione per niente. Soprattutto tu, che sei
nato-babbano.»
Rent abbracciò l’amico.
«I Weasley sono nostri amici. Lo sono sempre stati, ed è giusto ricambiare così
la loro amicizia. E poi, morire per fare del bene non è mai morire invano.»
Jack sembrò convinto
dalle parole di Rent e fu il primo a muoversi verso il portone d’ingresso del
castello.
«Pensi che sia
aperto?»
«Non sono così
stupido.»
«E allora che
facciamo?»
Rent lo guardò e rise.
«Non è contemplato nel piano di Michael.»
«E adesso?»
«Aspettiamo! Se siamo
fortunati passerà qualcuno e...» non terminò la frase, poiché dal corridoio buio
sembrò spuntare una luce di bacchetta.
«Nox» sussurrò Jack alla sua bacchetta e
trascinò Rent dietro un’armatura. Erano troppo grossi per rimanere completamente
nascosti, ma il buio li copriva per la maggior parte.
«Chi è?» sussurrò
Rent.
«La Trelawney.»
L’esile figura della
professoressa era appena nitida sotto il riflesso della bacchetta.
«Fantastico. E ora che
si fa?»
«Le chiediamo di
aprire.»
Jack pensò che l’amico
fosse uscito di senno, nel suo delirio di onnipotenza tipico proprio dei
Gryffindor, e non degli Hufflepuff.
Non che Rent fosse
davvero convinto che la Trelawney avrebbe aperto il portone, ma in fondo sperava
che la donna stesse per uscire: così avrebbero approfittato della porta aperta.
Per quanto riguardava al fatto che poi lei li avrebbe visti e avrebbe chiesto
loro perché fossero fuori dai letti... ci avrebbe pensato al momento
opportuno.
La Trelawney estrasse
dal lungo scialle delle chiavi tintinnanti e aprì il portone molto lentamente,
assicurandosi che nessuno la stesse aspettando fuori.
In quell’istante, Rent
lasciò il nascondiglio e si incastrò tra la porta, così da lasciarla aperta.
Ovviamente, la Trelawney lo vide.
«Summers! Che cosa
diavolo...» anche Jack era accorso in aiuto dell’amico. «e Summerby? Cosa ci
fate voi due qui?»
«Ehm...» mormorò Rent,
strozzato. «Se apre un poco di più la porta le rispondo, professoressa.» disse,
con voce mozzata.
La donna fece come
richiesto. Tuttavia, appena Rent fu libero e accanto a Jack, gli occhi le si
riversarono all’indietro, tremò tutta e guardò i due studenti senza realmente
vederli.
«Sotto la luna, l’ultimo giorno della
settimana compariranno due donne...»
«Professoressa?» domandò
Jack, agitando una mano davanti agli occhi di lei.
«Zitto!» lo ammonì Rent,
incuriosito.
«... tra avversità e momenti di felicità
senza pari, saranno loro a portare via l’uno dagli occhi dell’altro...»
«Ma di chi parla?»
«Di noi, cretino!»
«... i due fratelli saranno divisi dal fato
imperscrutabile, e la Dama Bianca sceglierà l’uno, mentre la Dama Nera porterà
via l’altro. E non si rivedranno più.»
«Ma sei sicuro parli di
noi?»
In quel momento, la
Trelawney sembrò riprendere coscienza di se stessa. «Allora, volete
rispondermi?»
Fu Rent a prendere
parola, poiché Jack sembrava troppo confuso da ciò che aveva sentito e dal fatto
che la donna non sembrasse ricordarsi nulla. «Noi volevamo aiutare voi
professori... volevamo renderci utile.» e si mostrò il più dispiaciuto
possibile. «Ma come, professoressa, lei non sa perché siamo fuori?» domandò,
strizzando impercettibilmente l’occhio a Jack.
La donna si alzò in un
imbarazzato contegno solenne. «Certo che lo so, Summers. La mia è una
deformazione professionale: a volte è meglio tenere nascosta la presenza
dell’Occhio.»
Jack disse: «Allora sa
anche quanto siamo preoccupati, vero?»
La Trelawney si
raddrizzò ancora di più, se possibile. «Ovvio. Ed è per questo motivo che vi
spedisco nella vostra Sala Comune seduta stante. E se Hogwarts non chiudesse
domani, vi punirei severamente.»
Rent fece una smorfia.
«Deve proprio chiudere, professoressa? Non riuscite proprio a trovarla?»
La Trelawney scosse la
testa, assorta.
«Già. E lei, con la sua
Vista superba non può vedere dove si trova Ginny?» aggiunse Jack, stando al
gioco di Rent.
La donna sembrò essersi
profondamente offesa. «L’Occhio Interiore non funziona così, Summerby. Non a
comando.»
«Errore mio, signora. Mi
perdoni.»
Dopo quella breve e
semplice rivincita sulla Trelawney che aveva rovinato loro la possibilità di
aiutare la Weasley, i due ragazzi non poterono far altro che sperare che a
Michael e Rowan stesse andando in modo migliore.
«Dove siamo, Mike?»
«Non lo so, ma non
preoccuparti, Rowan, ho tutto sotto controllo.»
«Michael, ci siamo persi
nella nostra scuola... come fai a essere sicuro di avere tutto sotto
controllo?»
«Il miglior modo per
trovare un posto che non si sa dov’è è finire in un posto che non si sa dove
sia.»
«Un po’ contorto, ma ha
senso, effettivamente.»
Da più di un’ora i due
ragazzi giravano senza meta in un lungo corridoio. Il buio non permetteva loro
di distinguere di quale corridoio si trattasse né a che piano fossero, in quanto
le scale avevano preso vita proprio mentre loro vi erano sopra qualche quarto
d’ora prima.
«E se incontriamo un
professore?» domandò Rowan. L’idea di essere espulso non gli era molto
gradita.
«Cercavamo la classe di
Trasfigurazione, perché Walter ha dimenticato la bacchetta lì.»
Rowan lo guardò, colpito
dalla facilità con cui aveva formulato una scusa pressoché credibile.
«Ma Walter ha detto che
non voleva che tu lo contassi nelle tue pazzie.»
«Appunto. È un traditore
e il minimo che posso fare è metterlo in mezzo.» replicò Michael con un sorriso
sinistro sul volto.
Si fermarono di fronte
al ritratto di una giovane donna, corpulenta ed elegantemente vestita, seduta su
una poltrona sontuosa. Tutto lo scenario del quadro dava l’idea che la donna
fosse stata una ricca nobile del diciassettesimo secolo. Teneva in una mano una
bacchetta dorata e nell’altra un lungo bastone d’argento solcato da splendidi
decori.
«Siamo al secondo piano,
Row.» disse Michael subito, salutando la donna nel ritratto con la mano. «Gilda,
carissima! Quanto sei affascinante stasera.» l’adulò, con tutta la falsa
tenerezza che possedeva nella voce.
Rowan soffocò una
risata: era impossibile che la donna cedesse a un simile tono.
Tuttavia, dovette
ricredersi.
«Michael! Sei venuto!»
esclamò Gilda, arrossendo.
«Certo che sono venuto!
Ricordi il piccolo favore che ti ho chiesto?»
La donna nel quadro
annuì vigorosamente. «Non ho visto nessuno di sospetto. Né animale, né
umano.»
«Capisco.» sospirò
Michael. «Continua a vegliare, te ne prego.» implorò, scompigliandosi i capelli
più lentamente del solito, beandosi delle attenzioni passionali che la donna gli
rivolgeva.
«Ma certo, caro.»
Rowan fece una smorfia
disgustata e si allontanò da Michael.
«Ma che schifo!»
borbottò, una volta che l’amico lo ebbe raggiunto. «Te la fai con un quadro
centenario?»
Michael lo guardò
spaventato. «Come puoi anche solo credere che possa essere così! Lo sai che il
mio cuore appartiene solo ed esclusivamente a...»
«Sandy Fawcett, di
Ravenclaw. Sì, lo so, ma ti approfitti di una povera donna che crede di avere
speranze con te!»
Michael era perplesso.
«Ed è sbagliato?»
Rowan si schiaffò una
mano in viso. «Con i quadri no, perché tanto non possono, sai, uscire, ma non farlo con le persone
vere, okay?»
Il ragazzo più grande
annuì.
Avanzarono per il
corridoio, svegliando diversi quadri addormentati, subito zittiti da Gilda, che
doveva essere la leader del piano, a cui tutti davano ascolto altrimenti
sarebbero stati picchiati.
Una sorta di Megan Jones
ante litteram.
Svoltarono l’angolo del
corridoio, ma dovettero accelerare il passo, poiché sentirono di essere
seguiti.
«Non è possibile...»
mormorò Rowan, incredulo. Anche quella volta non avrebbero ottenuto il loro
momento di gloria.
«Corri!» lo incitò
Michael, iniziando a correre verso il fondo del corridoio, nascondendosi subito
dopo nella prima stanza che trovarono aperta.
Si scoprì essere un
bagno, piuttosto malridotto. Nell’aria aleggiava un odore di acqua ristagnante,
come se non fosse pulito da anni, e il pavimento era completamente bagnato.
Rowan alzò la suola della scarpa, impregnata d’acqua, e cacciò un gemito.
«Oooh, Harry, sei...»
squittì una vocina femminile estremamente eccitata. «E voi cosa ci fate qui?»
domandò, contrariata.
«No... Rowan, dimmi che
non è un fantasma.»
Rowan voltò lo sguardo
cercando la persona che avesse parlato, ma incontrò soltanto il volto offeso di
una ragazzina magrolina e da un paio di enormi occhiali. Il suo intero corpo era
trasparente, avvolto da un chiarore perlaceo.
Era senza dubbio un
fantasma.
«Ehm, Mike...»
Il ragazzo rantolò.
«Ma tu sei quel ragazzo,
quello Stebbins. Sei quello bello.»
sospirò Mirtilla Malcontenta.
«Zitta, Mirtilla!» le
ordinò Michael, sicuro che chiunque li stesse seguendo avrebbe sentito il
fantasma strillare.
«Ah, ecco! Ce l’hai con
me solo perché ho detto che quell’altro tuo amico bello ce l’ha più...»
«Credo che nessuno qui
dentro sia interessato a scoprire le speciali doti del signor Diggory.» sibilò
la voce baritonale di Snape.
Rowan tentò di
nascondersi dentro il gabinetto di Mirtilla, ma fu agguantato per la divisa da
Snape. «Dove crede di andare, signor James?»
Il ragazzo ridacchiò
nervosamente. «Al bagno?»
«Molto divertente.»
Mirtilla cacciò un urlo
adirato. «Professore, li porti subito via di qua! Così, quando Harry tornerà
saremo solo io e lui...» sospirò, con aria sognante.
L’uomo si fermò
all’improvviso, imitato dai due studenti. «Prego? Potter» ringhiò il suo nome
con tanto disgusto che Michael credette di vederlo vomitare da un momento
all’altro «è stato qui?»
«Certamente, signore.
Frequenta il mio bagno da un po’, a dir la verità!» si pavoneggiò la
ragazza-fantasma, sicura che il motivo per cui Harry Potter andasse a trovarla
fosse perché affascinato da lei.
Snape si guardò intorno,
come se il ragazzo si nascondesse da qualche parte nel bagno. Ciò era
evidentemente impossibile: il bagno era troppo piccolo perché qualcuno vi si
potesse nascondere senza essere scoperto subito. Camminò avanti e indietro,
aprendo con veemenza le porte dei gabinetti, rimanendo sempre deluso dal fatto
che non vi fosse nessuno all’interno.
Ispezionò con cura i
lavandini, ma non trovò nulla di sospetto, né segni di manomissioni o passaggi
da parte del ragazzo.
In seguito alla
verifica, si rivolse a Mirtilla, livido. «Dov’è? Dov’è quel disgraziato di
Potter?»
Michael era
pietrificato: girava voce che Snape odiasse Harry, ma non avrebbe mai immaginato
che questo odio trasparisse persino dalle parole che gli rivolgeva.
«Ah, non lo so.»
commentò lei, ridacchiando civettuola. «Ha sibilato qualcosa e poi è
sparito...»
Le sopracciglia di Snape
si mossero rapide in un’espressione quasi invisibile.
Rowan, acquattato contro
la porta del gabinetto, non sapeva se essere terrorizzato o eccitato dalla
situazione in cui si trovava.
«Ad ogni modo» continuò
il professore, come se niente fosse. «Vi porterò dalla vostra Direttrice. Sarà
sicuramente felice di rivedervi,
Stebbins e James. Signor Stebbins, non crede che Diggory potrebbe ingelosirsi di
questo nuovo e infelice duo?»
Michael strinse i pugni,
mentre usciva dal bagno. Se Snape avesse detto ancora una parola su Cedric
l’avrebbe pestato, di sicuro.
«Foste della mia casa,
ora sareste già sul treno per Londra.» disse, con gli occhi ridotti a due
fessure.
I due ragazzi non
poterono far altro che pensare che, comunque andassero le cose, in poche ore
sarebbero finiti su quel treno, per un motivo o per l’altro.
Che è successo?
Ventata Gryffindor per tutti?
Siamo ormai agli
sgoccioli, ancora due capitoli e questa meravigliosa avventura sarà
conclusa!
Grazie per chi
recensisce e per chi legge soltanto!
Un
ringraziamento speciale per Alessandro che si è letto tutta la storia e ha
recensito ogni singolo capitolo! Grazie per la pazienza certosina!
:)
Quando
Rowan e Michael si presentarono nel ufficio della professoressa Sprout, la donna
aveva gli occhi gonfi per le lacrime e stava accarezzando con dolcezza le piante
del piccolo vivaio che aveva addossato alle pareti. Subito si insinuò nelle
narici dei ragazzi un profondo odore di terra ed erba che aiutò a
calmarli.
La
professoressa Sprout non ebbe cuore di riprenderli per ciò che avevano fatto,
poteva capire le loro motivazioni: tutti gli Hufflepuff erano sempre stati mossi
da un profondo rispetto e amore per i propri amici, tanto che avrebbero fatto
qualsiasi cosa per loro. In realtà, capì che avrebbe dovuto aspettarsi una tale
reazione da studenti come Stebbins e James, così simili nel comportamento e nel
senso di giustizia e lealtà da sembrare fratelli.
Li
congedò con tenerezza, scompigliando loro i capelli
affettuosamente.
Michael
e Rowan rientrarono nella sala comune e furono accolti come eroi dagli
amici.
Cedric
fu il primo a farsi avanti, abbracciando Michael. «La prossima volta ti
persuaderò a non farlo. Lo giuro.»
«Lo
dici sempre, Ced.» commentò Michael, impallidito.
«Prima
o poi ci riuscirò.»
Mentre
Michael veniva stritolato dal suo gruppo di amici, Rowan era stato placcato dai
compagni del primo anno.
«Non
so davvero chi dei due sia più stupido, se tu o Stebbins. Non oso pensare quando
tu avrai l’età di Stebbins che tipo di persona sarai...» commentò Liam, facendo
capolino da dietro il divano, dove si era riparato poco tempo prima dall’attacco
delle api.
«Sicuramente
un idiota coi fiocchi!» rincarò Caitlin ridendo.
«Io
credo che a questo punto non possa che migliorare!» aggiunse Geoffrey, battendo
una mano sulla schiena dell’amico in segno di solidarietà.
«È
stato molto lodovole da parte tua
tentare di salvore Jinnì. Mi dispiasce di non esserti stoto d’aiuto.» disse Sheldon, arrivato in
quel momento attirato dalla fine del trambusto nella sala.
«Forse
è stato meglio così, avrebbe messo tutti in pericolo di espulsione!» intervenne
Helen, seria. Gli occhi verdi brillavano.
«Cos’hai?»
domandò Rowan, preoccupato.
«Beh,
sono felice che tu stia bene, ma Ginny non è ancora
tornata.»
Calò
un silenzio imbarazzante. Erano tutti così contenti che Rowan non fosse stato
espulso che avevano tralasciato il motivo per cui aveva rischiato di
esserlo.
Tornarono
in camera, costretti dai Caposcuola a rientrare.
Helen,
nonostante fosse sdraiata sul suo comodo letto, non poteva dormire. Che cosa
sarebbe successo se Ginny fosse morta? Avrebbero chiuso la scuola? Dove sarebbe
andata? Avrebbe più rivisto i suoi amici?
Si
guardò intorno, scrutando ogni letto: Amelia aveva gli occhi fissi sul soffitto,
come catturata da uno spettacolo che solo lei poteva vedere; Caitlin era persa
nei suoi pensieri, girata su un fianco, con la corta zazzera vermiglia che le
ricadeva sugli occhi; Alana leggeva avidamente un libro, o per lo meno dava
l’idea di esserne interessata; Carey era rannicchiata su se stessa, terrorizzata
per il destino di Ginny.
Chiuse
gli occhi e sperò con tutta se stessa che quell’orribile situazione si
risolvesse presto. Non riuscì a contare i minuti che trascorsero da quando
chiuse gli occhi a quando li riaprì: era ancora buio, probabilmente era appena
passata la mezzanotte. Qualcuno stava bussando animatamente alla porta del suo
dormitorio.
«L’hanno
trovata! L’hanno trovata! Scendete tutti, avanti! C’è un banchetto per
festeggiare!» esultò Gwen Morgan, facendo capolino nella loro stanza ancora in
pigiama e tutta scarmigliata.
Le
ragazze scostarono le coperte con un calcio e furono subito fuori dai letti, con
un sorriso enorme che solcava il viso.
Helen
si infilò le ciabatte, ancora incredula, e andò in sala comune, dove si era già
radunato un folto gruppo di Hufflepuff.
Scorse
Lance, Geoffrey, Liam, Rowan e Sheldon e subito corse loro
incontro.
«Avete
sentito? L’hanno trovata! L’hanno trovata davvero!» gridò, gettandosi tra le
braccia di Liam, abbracciata poi da tutti gli amici. «Non chiuderanno la scuola!
Finirà tutto bene!»
«Stento
ancora a crederci...» biascicò Alana, sopraggiunta in quel momento con tutte le
ragazze. «È meraviglioso!» continuò, lasciandosi abbracciare da
Sheldon.
«Non
avrei mai creduto che in questa storia ci sarebbe stato un lieto fine!» commentò
Rowan, accogliendo Caitlin tra le sue braccia. «Dai, Caity, non fare così...» le
accarezzò la schiena, vedendo che la ragazza piangeva dalla
gioia.
Il
banchetto a cui parteciparono fu uno dei più strani mai tenuti a Hogwarts. Al
tavolo Gryffindor, Ginny non era ancora presente, notarono gli Hufflepuff, ma
sapendola al sicuro poterono godersi la festa senza
preoccupazioni.
«È
stupendo! È come un gigantesco pigiama party!» commentò Hannah, servendosi del
budino con un largo sorriso.
«Adoro
i pigiama party! Spesso quando sono a casa da sola li organizzo.» commentò
Amelia. Tutti tirarono un sospiro di sollievo per il primo parere sensato della
ragazza.
«Però
alla fine non viene mai nessuno. Sarà perché chiamo a casaccio, visto che non ho
amici.» e sorrise, versandosi succo di zucca nel bicchiere come se avesse appena
finito di parlare del suo cagnolino. I ragazzi
ammutolirono.
«Prometto
che quest’estate ne faremo tantissimi insieme!» disse Helen, seria. Amelia la
guardò, strabuzzando i piccoli occhi neri e poi le sorrise. Il sorriso più
genuino che la ragazza le aveva mai visto fare durante tutto
l’anno.
«Justin!»
gridò ad un tratto Ernie, ergendosi come un re sul tavolo
Hufflepuff.
Helen
si sporse, trattenendo il respiro. Davanti al portone della sala grande c’era
Justin, fiero e magnifico, come circondato da un’aura di
invincibilità.
«Justin!»
gridarono all’unisono i ragazzi del primo e del secondo
anno.
Ernie
fu il primo a spintonare tutti, per correre ad abbracciare il suo migliore
amico, seguito a ruota da Hannah e Susan Bones, la ragazza timida sua
coetanea.
Helen,
per quanto desiderasse stringerlo affettuosamente tra le braccia, preferì
rimanere in disparte, e lasciare che il ragazzo si godesse le feste dei suoi
migliori amici.
Lance,
accanto a lei, la guardò. «Beh? Non vai a salutarlo?» sorrideva, felice, ed era
in piedi, pronto anche lui per abbracciarlo.
«I
suoi amici sono più importanti.»
«Beh,
allora dovresti essere qui anche tu.» disse una voce che la ragazza non udiva da
moltissimo tempo. Si voltò giusto in tempo per riconoscere l’identità di chi
aveva parlato.
«Justin!»
strillò, gettandosi letteralmente tra le sue braccia, felice come poche volte lo
era stata.
«Caspita
se sei cambiata, Helen!» rise il ragazzo, prima di essere sommerso dagli
abbracci di tutti gli altri amici. «Ehi! Non uccidetemi!» gridò, quando Ernie
cominciò a strofinargli la testa come se fosse un fratellino da
strapazzare.
«Tu...
brutto... cosa ci facevi fuori quel giorno?» esclamò il ragazzo, ricomponendosi
nella sua solita tracotanza ostentata.
Justin
si sedette accanto a lui e si grattò la testa. Fu un sollievo per Helen rivedere
i morbidi riccioli biondi muoversi, invece che rimanere plastificati e rigidi
come marmo.
«Credo
che stessi venendo a cercarvi...» rispose, ripensando a quel giorno. Gli
sembrava tutto così nitido, nonostante fossero trascorsi
mesi.
Il
ritorno di Justin aveva dato un’energia nuova agli Hufflepuff, non solo quelli
del secondo anno, ma anche a quelli del primo, che l’avevano eletto “eroe
dell’anno”, e quelli del quarto, specialmente i compagni di stanza di Cedric
Diggory, che erano suoi amici da sempre.
A
un’ora dall’inizio dei festeggiamenti, Justin non aveva smesso di guardare Harry
Potter, che in quel momento rideva con l’amico Ron Weasley e la ritrovata
Hermione Granger.
«Ernie,
mi accompagneresti?» domandò a bruciapelo all’amico.
«Dove?»
chiese Ernie, sputacchiando pezzetti di carne di cui aveva la bocca
piena.
«Da
Harry.»
Il
volto di Hannah si illuminò di gioia quando vide i suoi amici alzarsi in piedi e
dirigersi, sotto gli occhi di tutti, verso il tavolo
Gryffindor.
Quando
Justin fu di fronte a Harry, gli porse la mano, attirando lo sguardo ammirato e
colpevole di Ernie. Harry sembrava sconvolto.
«Grazie
per avermi salvato da quel serpente.» disse Justin, serissimo. «E mi dispiace di
non averti creduto. Sono davvero mortificato.»
Helen
sorrise, colpita dalla lealtà e dal senso di giustizia dell’amico: dopotutto,
era un Hufflepuff. Un Hufflepuff coi fiocchi, avrebbe
aggiunto.
«N-non
ti preoccupare.» arrossì Harry, stringendogli la mano. «Apprezzo che tu ti sia
voluto scusare.» e guardò Ernie, aspettando che dicesse
qualcosa.
«Non
vorrà convincere Ernie a chiedere scusa! Quello è più testardo di un mulo!» rise
Lance.
Ma,
con gran sorpresa di tutti, anche Ernie porse la mano a Harry, più impacciato di
Justin ma con gli stessi buoni propositi dell’amico.
«Sì,
beh, come ha detto lui.» borbottò, evitando accuratamente il suo sguardo. Justin
ridacchiava.
In
seguito a quell’episodio, ce ne furono altri due che resero quella festa la
migliore a cui Helen avesse mai partecipato.
Alle
tre e mezza del mattino, infatti, Hagrid fece irruzione in sala grande e i
tavoli di Gryffindor, Hufflepuff e Ravenclaw scoppiarono in applausi e
acclamazioni. Ma, se il tavolo Ravenclaw aveva battuto rispettosamente le mani e
gli Hufflepuff avevo gridato «bentornato!» fino a rimanere senza voce, i
Gryffindor fecero tremare la sala grande in boati, gettandosi letteralmente
addosso al Guardiacaccia e abbracciandolo.
Non
molto tempo dopo, la professoressa McGonagall si alzò in piedi e richiamò
l’attenzione degli alunni.
«A
tutti gli studenti.» esordì, con un largo sorriso sul volto segnato. «Il
professor Dumbledore ed io abbiamo convenuto che, a seguito dei recenti
avvenimenti, sia corretto aggiungere qualche punto alle case che si sono
rivelate protagoniste.»
Dumbledore
guardava con insistenza il tavolo Gryffindor, e Helen fu certa di averlo visto
fare l’occhiolino a Harry.
Il
preside si alzò. «Per lo straordinario coraggio, la lealtà dimostrata a me e
alla scuola e l’acutezza di ingegno, assegno a Harry Potter cento
punti.»
«È
giusto!» gridò Rowan, alzando il calice in onore di Harry.
«Sono
d’accordo!» ruggì Caitlin, imitandolo.
«Io
gliene avrei dati duecento!» commentò Lance. «Se quello che dicono è vero, il
Basilisco e tutto, meritava l’ordine di Merlino!»
Helen
e Justin annuirono, mentre Ernie si limitò ad un’alzata di sopracciglio
d’assenso.
Fu
difficile sedare le ovazioni dei Gryffindor, ma quando il clima sembrò
ricomporsi, il preside riprese a parlare, con più vigore. «È facile fidarsi
degli amici per le piccole cose, ma è molto più difficile seguire un amico in
un’avventura rischiosa, quasi mortale, con consapevolezza e maturità.»
Dumbledore guardava sempre nella direzione di Potter. «Per questo motivo assegno
cento punti a Ron Weasley!»
Nuovamente,
il tavolo Gryffindor esplose.
«La
debolezza non è un male, se fa crescere. E se questa debolezza è stata
contrastata con la forza di prendere le proprie decisioni e scegliere, è giusto
assegnare a Ginny Weasley cento punti.»
Gli
occhi di tutti si posarono sulla ragazza, che si era fatta piccola sulla sua
sedia, ora abbracciata dai suoi fratelli in una nuvola di capelli
rossi.
«Se
lo merita.» disse Carey, seduta vicino ad Amelia.
«Ma
che scelte ha dovuto prendere?» domandò Geoffrey, confuso.
«Non
lo so, ma il fatto che abbia rischiato la vita e sia sopravvissuta mi fa
innegabilmente concordare con Dumbledore.» rispose Alana, in un fremito. «Io al
suo posto sarei morta d’infarto.»
Tutti
annuirono.
«Assegno
cinquanta punti a Hermione Granger, per la brillantezza nel fornire agli amici
la soluzione dell’enigma,» boati Gryffindor sovrastarono la sua voce «a Colin
Creevey per il coraggio dimostrato nel tentare di fotografare il Basilisco,
ignaro dei rischi che correva.» il grido di festeggiamento dei rosso-oro risuonò
per tutto il castello: avevano vinto la Coppa delle Case per il secondo anno
consecutivo.
«E
come al solito, Gryffindor vince...» commentò Ernie, contrariato ma felice che
lo stesso destino non fosse toccato a Slytherin.
«Aspetta,
non ha finito!»
«Infine,
desidero assegnare cinquanta punti» i quattro tavoli trattennero il respiro. «a
Justin Finch-Fletchley e a Penelope Clearwater, per il coraggio dimostrato ad
essere usciti allo scoperto sebbene fossero consapevoli del rischio che
correvano.»
Hufflepuff
e Ravenclaw saltarono in piedi urlando. Justin si irrigidì come statua di
pietra, incredulo.
«Justin!
Hai visto? Sei un eroe!» gridò Hannah, abbracciando l’amico. «Siamo secondi!
Siamo arrivati secondi!»
«Non
posso crederci!» disse Rowan, stordito dai festeggiamenti, mentre veniva
abbracciato da Caitlin e Alana.
«Guardate
gli Slytherin!» indicò Helen, incastrata in un abbraccio tra Justin e Lance. Il
tavolo verde-argento era allibito, e il l’espressione di Malfoy tradiva un odio
spropositato misto al disgusto per essere stati battuti persino dagli
Hufflepuff.
Lance
incontrò lo sguardo di Abigail, nel suo pigiama blu scuro: era livida dalla
rabbia e accanto a lei Mary Elliott stava sicuramente maledicendo Harry. Le
sorrise, in un maldestro tentativo di riconciliazione, ma lei lo fulminò e gli
diede le spalle.
«Non
continuare a... si è alzato di nuovo!» gridò Rowan, scuotendo Lance e indicando
il professor Dumbledore, che non sembrava aver terminato con le buone
notizie.
«Inoltre,
la professoressa McGonagall ed io abbiamo convenuto che per festeggiare fosse
una buona idea cancellare gli esami di fine anno.»
L’ultima
parola non fu nemmeno udita dai ragazzi, che avevano già cominciato a urlare e
ad applaudire ben prima. I gemelli Weasley stavano spruzzando sul tavolo
Gryffindor caraffe di succo di zucca, ululando come matti e improvvisando
balletti sul tavolo, mentre il professor Flitwick sembrava tenere il
tempo.
«È
un miracolo!» scalpitò Rowan. «Justin, dovresti essere pietrificato più
spesso!»
Justin
non sapeva se ridere o colpire l’amico con un pugno o semplicemente
ignorarlo.
«Non
potevomo festejare melio il salvataggio!» esclamò Sheldon,
mangiando con grazia un bignè alla crema, mentre dietro di lui si scatenava il
finimondo.
Venne
per caso urtato da Sally-Anne, che si voltò e, notato di chi si trattasse,
assottigliò lo sguardo.
«Tu.»
sibilò la ragazza, mulinando i lunghi capelli biondi.
«Perks.»
«Francese.»
«Sheldon.»
«Volgare
zotico.»
«Principessa
dei mostri di fongo.»
La
ragazza gli diede la schiena, stizzita, tornando a esultare educatamente con
Georgia e Susan. Gli amici di Sheldon guardarono prima lui, poi Sally-Anne, poi
di nuovo lui.
Verso
le cinque del mattino, i ragazzi furono congedati, e fu permesso loro di andare
a riposare nei rispettivi dormitori. Nel dormitorio Hufflepuff non si udirono
rumori fino alle due del pomeriggio, quando i primi cominciarono a svegliarsi,
con grande disappunto dei compagni di stanza addormentati.
Ernie
e Justin avevano dormito nel dormitorio dei ragazzi del primo anno. Avevano
continuato la festa fino alle sette, ma infine erano stati sopraffatti dalla
stanchezza e si erano abbandonati disordinatamente sui
letti.
Erano
le due e mezza del pomeriggio quando Liam aprì gli occhi, scoprendo di essere
stato il primo a svegliarsi e di essere perfettamente lucido e per nulla stanco.
Ernie, accanto a lui, lanciò un grugnito e fece per girarsi, ma il tonfo sordo
che riempì la stanza subito dopo il tentativo fece capire che doveva trovarsi
sui bordi del letto.
«Maledizione!»
esclamò, rialzandosi subito in piedi e raccogliendo la dignità rimasta. Liam
scoppiò a ridere e, con tutto quel baccano, anche gli altri ragazzi si
svegliarono, non meno irritati di Ernie.
«Vi
odio tutti.» esordì Rowan, tenendosi la testa, gli occhi piccoli e assonnati.
«Che cavolo è successo?»
«Buongiorno
anche a te!» rispose Liam, con ancora il sorrisetto sulle labbra. «Ernie è
caduto dal letto.» spiegò.
«Complimonti.» disse Sheldon, in uno sbadiglio.
L’assordante
cigolare del treno sulle rotaie stava uccidendo Lance.
«Io
odio i treni» decretò
infine.
Helen
rise. Lei, Lance, Rowan, Justin e Amelia avevano trovato uno scompartimento
tutto loro, mentre gli amici viaggiavano in quello
accanto.
«Sono
un po’ triste» disse infine Amelia, rimasta silenziosa per gran parte del
viaggio.
Lance
annuì. «Già, chissà se ci vedremo durante queste
vacanze...»
Helen
sorrise. «Ho parlato con Sheldon, Liam e gli altri: sarà difficile, ma ce la
faremo. Sheldon partirà per le vacanze con suo padre dopodomani, ma ci terremo
in contatto; Liam non andrà via, quindi sarà il più semplice da rintracciare,
mentre Geoffrey sarà in America fino ad agosto. Caitlin e Alana vanno in vacanza
assieme, ma hanno promesso di tenersi libere per agosto.»
Rowan
annuì. «Quindi agosto sia!»
«Sarà
troppo divertente! Potremmo fare una grigliata a casa mia!» esclamò Justin,
tutto un sorriso.
«Una
che?»
«Grigliata,
Rowan! Diamine! Mai partecipato a una grigliata?»
Rowan
stava per ribattere, quando la porta dello scompartimento si spalancò di scatto,
rivelando dietro di essa tre figure: Michael, Megan e
Cedric.
«I
miei piccoli!» gridò Michael, in una pantomima del pianto, gettandosi su Justin
e rischiando di strozzarlo. «Quanto mancherete a papà Michael e a mamma Cedric
durante queste vacanze!» e stritolò anche Helen.
Cedric
sospirò e Megan osservò la scena con puro disgusto.
«Michael,
lasciali stare. E questa storia che io sono la mamma deve finire. C’è gente che
crede che siamo fidanzati! Greta Buggin è venuta da me piangendo e pregandomi di
dirle che non era vero!»
Michael
lasciò Helen e si esibì nella migliore espressione da cane
bastonato.
«E
tu cos’hai risposto?»
«Che
non era vero!»
«Lo
sapevo. Tu non mi ami»
Rowan
rise. «Non è degno di te, maestro»
Il
volto di Michael si illuminò. «L’hai sentito Cedric? L’hai sentito? Oh, come
sono fiero di te, piccolo Rowanillo-imbranatillo!» e abbracciò anche lui,
schioccandogli un grosso e bagnato bacio sulla guancia.
«Ditemi
che questa farsa sta finendo, sento il bisogno di vomitare» sbottò ad un tratto
Megan “la Violenta”. «Ced, perché diavolo mi hai trascinata
qui?»
Cedric
rise. «Ma perché sotto sotto anche tu volevi salutare i
primini!»
«Ha.
Bella questa. Ciao, eh, sfigati del primo!» disse, e se ne andò senza
voltarsi.
Helen
sorrise e Lance guardò Cedric esterrefatto, in cerca di
risposte.
«L’avevo
detto io» esultò Cedric. «Vi ha salutati per davvero. Dovete starle davvero
molto simpatici»
Lance
sprofondò nella seduta. «Non oso pensare cosa faccia a chi non le sta
simpatico»
Cedric
e Michael si scambiarono uno sguardo eloquente.
«Meglio
così» disse Michael, nervoso. «Beh, allora arrivederci, primini! Statemi bene!»
abbracciò anche Amelia, con certa titubanza, e Lance, poi uscì dallo
scompartimento.
Cedric
baciò Amelia e Helen su entrambe le guance e abbracciò calorosamente Rowan,
Justin e Lance.
«Ci
vediamo l’anno prossimo, ragazzi!»
Quando
il treno si fermò a King’s Cross, Helen aveva già pianto due volte. Scese dal
treno e abbracciò per l’ennesima volta Alana, Caitlin, Liam, Sheldon e
Geoffrey.
«Mi
mancherete tantissimo! È come se avessi già trascorso una vita con
voi!»
Rowan
rise. «Contando che abbiamo sette anni davanti a noi, è come se invecchiassimo
insieme»
Helen
gli sorrise e gli saltò al collo. Rowan la alzò da terra e la fece
volteggiare.
«Stammi
bene, piccola! Ti scriverò un sacco!» e la baciò sulla guancia. Helen
arrossì.
Helen
abbracciò allora Justin, stringendolo forte. «Voglio vederti quest’estate. Ti ho
visto troppo poco durante l’anno» e Justin annuì,
divertito.
Fu
la volta di Amelia, che non si fece abbracciare, per paura di morire
strangolata.
Quando
Helen si fermò davanti a Lance, arrossirono entrambi.
«Allora...
buone vacanze» le disse Lance, vedendo già i suoi genitori in lontananza,
totalmente a disagio tra i Maghi.
«Sì,
buone vacanze, Lance» fece un passo avanti e lo abbracciò con
dolcezza.
Furono
interrotti dall’arrivo di una ragazza molto carina, dai capelli pel di carota,
le lentiggini e gli occhi azzurrissimi, mano nella mano con un giovane
altrettanto affascinante, dai tipici tratti irlandesi.
«Liam?»
chiamò.
Il
ragazzo si girò e alla vista della donna si illuminò. «Isolde!» le corse
incontro e l’abbracciò.
Si
voltò verso i suoi amici e fece le presentazioni. «Ragazzi, questa è Isolde, mia
sorella. Lui, invece è Lorcan, mio cognato»
«Molto
piacere» dissero gli altri in coro.
«È
andato bene questo primo anno?» domandò la donna, sorridente. «Liam ci ha
scritto moltissimo, parlando di ognuno di voi con toni
esaltati»
Rowan
guardò Liam con occhi strabuzzati. «Esaltato? Liam, riesci ad essere anche
esaltato? Non sapevo»
Liam
lo spintonò ridendo. «Rowan, il solito idiota»
«È
bello sapere che gli amici di mio figlio hanno capito subito che tipo sia» si
aggiunse il padre di Rowan, materializzatosi in
quell’istante.
«Papà!»
gridò Rowan, abbracciandolo. «Dov’è la mamma? Come sta?»
La
madre di Rowan aveva partorito poche settimane prima una bellissima bambina.
Purtroppo, nella foga e nel terrore di quell’anno scolastico, l’evento era
passato quasi inosservato. Ora, finalmente, gli amici di Rowan poterono
congratularsi col padre.
«Sta
benissimo, Row. È a casa con Elisabeth, che ti aspetta
trepidante»
«La
mia sorellina!» si aprì in un sorriso radioso. «Gente, vi saluto tutti! Vado a
conoscere la mia bellissima sorellina!» fece l’occhiolino, si aggrappò al
braccio del padre ed entrambi sparirono in un pop.
Caitlin
e Alana videro i genitori non troppo lontano da loro e rivolsero gli ultimi
saluti.
Caitlin
abbracciò forte tutti, ragazzi e ragazze, senza eccezioni, e schioccò un bacio
sulla guancia di Lance, sorridendo.
«Mi
raccomando, Lance-Pence, sempre più bello!» e, sotto gli occhi esterrefatti di
tutti, si allontanò.
Alana
fu molto più timida. Salutò con un veloce cenno e quando si trovò davanti a
Lance arrossì furiosamente e scappò.
«Qualcuno
deve tirarla un po’ fuori. Possibile che in un anno non si sia svegliata?»
commentò Amelia, sognante.
«Sci penseromo l’anno prossimo» disse Sheldon,
contenuto, prima di scorgere la madre e cominciare a sbracciarsi. «Mama! Mama!»
La
madre di Sheldon corse verso di lui e l’abbracciò. «Il mio bambino! Come sei
cresciuto!» parlava inglese correttamente.
Quando
anche Sheldon se ne fu andato, rimasero solo Helen, Lance e
Amelia.
«I
tuoi, Amy?» domandò Helen, preoccupata. I suoi genitori e quelli di Lance si
erano fermati a conversare.
«Arrivano
in ritardo, andate pure»
«Ma
nemmeno per idea! Li aspettiamo!»
Amelia
si guardò intorno e scorse una donna dai capelli chiari, girata di
schiena.
«Oh,
ecco mia madre. Andate, pure! Sta parlando con la madre di Eleanor, quella del
settimo!»
«Non
pensavo si conoscessero» disse Lance, sospettoso.
«Erano
vicine di casa quando erano giovani»
Helen
stava cercando Abigail. Voleva salutarla prima di andarsene, ma purtroppo
sembrava essere già andata.
«Vedrai
Abigail durante le vacanze?» chiese a Lance, mentre si avviavano verso i
genitori.
Amelia
si diresse verso la donna, si avvicinò quando bastava per salutare da lontano
Lance e Helen. Helen scomparve, Lance uscì con i genitori dalla
stazione.
Tirò
un sospiro di sollievo.
«Scusa,
hai bisogno di qualcosa?» le chiese la donna dai capelli
chiari.
«No,
mi scusi, l’ho confusa con qualcuno che conosco»
Si
guardò intorno con circospezione e poi uscì dalla stazione. Fuori l’attendeva
una signora.
La
donna, che un tempo doveva essere stata molto bella, appariva sfiorita.
Dimostrava più anni di quanti ne doveva avere, aveva un fisico trascurato e
qualche striatura bianca copriva il caschetto disordinato di capelli color
cenere.
«Ciao,
mamma» la salutò Amelia, speranzosa.
«Ciao,
Amelia. Perché mi hai fatta aspettare? Sai che non posso lasciare la casa per
tanto tempo!»
«Stavo
salutando alcuni amici»
«Ti
sei fatta degli amici? Sono contenta» sorrise la donna, prendendo la ragazza per
mano.
«Già.
Abbiamo organizzato di vederci. In agosto» continuò Amelia. Rivolse alla madre
un’occhiata supplice.
La
donna sospirò. «Sai come funziona. Se ti senti a posto con te stessa, vai
pure»
Amelia
strizzò gli occhi per evitare di piangere. «Come posso sentirmi a posto con me
stessa, mamma? Come posso? Vorrei solo che tu mi dicessi: “Sì, Amelia, vai
pure”»
«Non
posso, e nei sei consapevole.»
«Allora
vai al diavolo» tirò via la sua mano da quella della madre e corse avanti, per
prendere il Nottetempo che l’avrebbe riportata a casa.
Sperò
sinceramente che quelle vacanze, come tutte, durassero il meno
possibile.
Due
mesi dopo.
Carissimo
Lance,
Sì,
tutte “O” tranne una “A” in Difesa Contro le Arti
Oscure.
Non
dire nulla, sto andando a tagliarmi i capelli.
E
NON provare a gongolare.
Una
valanga di affetto,
Helen
(continua...)
Sì,
avevo detto che ne mancavano due, purtroppo mi sono accorta che la divisione era
sbagliata (erano troppo corti), quindi li ho uniti in un unico
capitolo!
Innanzitutto
vorrei augurare a tutti voi un felicissimo Natale!
Bene!
Siamo giunti alla fine di questa splendida avventura! Sono stata felice di
condividere con voi i personaggi che mi portano via ancora oggi un sacco di
tempo e di fatica!
Il
seguito è già avviato, ma ci vorrà ancora parecchio prima che lo finisca, quindi
dovrete portare pazienza. Molta pazienza.
Vi
anticipo già il titolo, che sarà L’altra
faccia del Calice di Fuoco. Ebbene sì, salto Il Prigioniero di Azkaban. Non me ne
vogliate, vi assicuro che non accade niente ai miei Hufflepuff. Ci saranno
comunque dei rimandi e dei flashback nel caso di momenti
importanti.
Desidero
ringraziare tutti voi che mi avete seguito per un intero anno con pazienza, che
avete sopportato l’eternità tra un aggiornamento e l’altro, che avete recensito
o semplicemente letto, che avete apprezzato e ringrazio persino chi ha odiato la
storia (voci che dovrebbero farsi sentire, a mio parere). Grazie a chi ha messo
la storia tra i preferiti, tra le seguite, tra le ricordate, a chi ha messo “mi
piace” su fb ai capitoli... sinceramente, grazie a tutti.
Il
grazie più grande va però a eleanor89 che, con pazienza certosina, ha letto e
betato la storia, amato, sfottuto, odiato me e le pagine a volte incomplete. Ha
riso con Rowan, si è incacchiata con Helen, ha chiamato Lance “Percival” e mi ha
seguita passo passo fin dalle prime righe. Grazie, donna, sei troppo faiga.
Un
altro grazie va sicuramente alla mia carissima amica francese naturalizzata
milanese Veronika (chissà se leggerà mai questo capitolo XD), che mi ha corretto
la pronuncia di Sheldon, indovinato praticamente il futuro amoroso di ogni
personaggio e mi ha lasciata a bocca aperta con la sua analisi perfetta dei
personaggi. Tesoro, sei un mostro.
L’ultimo
grazie va a Helen, Lance, Rowan, Amelia, Alana, Caitlin, Liam, Geoffrey, Carey,
Sheldon e Abigail, perché sono stati degli spettacolari compagni di
viaggio.
Un
sorriso a tutti voi, ci leggiamo, si spera, il più presto
possibile.