-The reason of my life- di Bibismarty (/viewuser.php?uid=59704)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cosa me ne poteva fregare a me del monsone? ***
Capitolo 2: *** cosa? ***
Capitolo 3: *** An deiner Seite ***
Capitolo 4: *** Sul viale dei ricordi ***
Capitolo 5: *** Vigilia di Natale ***
Capitolo 6: *** Ti sei rincitrullito? ***
Capitolo 7: *** Saresti SEXY ***
Capitolo 8: *** Ti amo ***
Capitolo 9: *** Lei è tutto per me ***
Capitolo 10: *** Morte all'improvvio ***
Capitolo 11: *** Mi sono preoccupato moltissimo ***
Capitolo 12: *** Fuori di qui! ***
Capitolo 13: *** Perché a te da fastidio che mi occupi di te? ***
Capitolo 14: *** Aspetterò tutta la vita ***
Capitolo 15: *** Bill Kaulitz: aspetto un tuo bacio ***
Capitolo 16: *** L'amore è una dipendenza? ***
Capitolo 17: *** Un fine anno esplosivo! ***
Capitolo 18: *** Dichiarazione tardiva ***
Capitolo 19: *** The Reason Of My Life ***
Capitolo 1 *** Cosa me ne poteva fregare a me del monsone? ***
Ciao,
se state leggendo questo messaggio sappiate che dovete...correre!
Esplosione tra dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre,
due, uno...Scherzavo! Beh se avete aperto storia, prima di leggere
dovete sapere che i Tokio Hotel non mi appartengono e nessuno di
questi eventi è accaduto nella realtà (a parte
gli
EMA). La protagonista è frutto della mia fantasia e spero
sarà
di vostro gradimento in questa avventura, che non vi
risparmierà
risate e lacrime.Ora
sicuramente avrà piacere la mia creatura di mostrarvi la sua
storia, con le parole adeguate, che io decisamente non avrei. :) Buon
viaggio :)
Capitolo
1: Cosa me ne poteva fregare del monsone?
Lie.
All'esordio di tutto.
Era buio. Davvero buio. Non vedevo
niente o semplicemente non volevo vedere niente. Ero confusa. Era
successo tutto così di fretta.Ora mi
ritrovavo a camminare sotto la
pioggia mentre il freddo gelido della notte mi penetrava nelle ossa
per via della giacca che indossavo e che era estiva. Non avevo altro.
Quella giacca era l’unica che mio
papà
era riuscito a permettersi. Ce l’aveva messa tutta, ma dopo
aver
scoperto di avere il tumore non aveva più potuto lavorare.
Quel pensiero mi fece troppo male.
Il ricordo del mio caro papà nel
letto di morte che mi stringeva gentilmente prima di chiudere gli
occhi per sempre mi si presentò vivido nella mente. Dentro
di
me lo stomaco si rivoltò.
Come potevo andare avanti? Ma non potevo
nemmeno tornare indietro. Non volevo.
Cosa mi sarebbe accaduto? Se mia madre
mi avesse trovato mi avrebbe picchiata o chissà cosa. Non
era
mentalmente stabile. Si drogava dalla separazione con mio padre.
Progressivamente non fu più in grado di badare a se stessa,
era finita in una clinica. Ma poi credendo che fosse guarita la
fecero tornare a casa e ora io ero stata affidata a lei. Ma mia madre
non era guarita. Le servivano soldi per la droga e se io fossi
tornata mi avrebbe venduto oppure mi avrebbe sbattuto sulla strada
solo il signore sa a fare cosa.
Il solo pensiero mi fece arrabbiare e
cominciai a covare un fuoco di puro odio per quella madre che non mi
aveva mai amato. Provavo odio per il mondo che non mi amava. Nessuno
su questa terra mi amava. Potevo scommetterci.
Passai accanto all’edificio scuro con
su scritto “DATCH FORUM”. Il Datch forum di Milano.
Quello in cui
quella sera si svolgeva il concerto del gruppo tedesco. Come si
chiamava? Ah si! Tokio Hotel!
Non erano male di aspetto, quei quattro.
Ma a me cosa me ne poteva fregare del monsone?
Io soffrivo giorno dopo giorno di un
dolore immenso. Soffrivo la solitudine. Quelli erano solo quattro
stupidi ragazzi che erano diventati famosi e della vita non sapevano
un cazzo.
Come potevano? Erano troppo giovani e la
fama forse aveva offuscato loro la testa. E poi da dove sbucavano?
Non avevo mai sentito parlare di loro prima di
quell’estate…Ma
perché poi mi ero soffermata a pensare a loro?
Il ricordo vivido di mio padre mi si
parò davanti ancora e le lacrime mi riempirono gli occhi.
Non vedevo altro che luci sfuocate. Dove
era la strada? Oh, forse quella…
Mi fermai e misi un piede giù dal
marciapiede. “Ti prego papà aiutami…Non
posso andare
avanti da sol…”.
Non so come fosse possibile, ma non
capii perché non riuscii a finire la frase. In quel momento
sentii solo una frenata. Un frenata e vidi buio totale.
Sembrava passata un’eternità,
quando sentii delle voci e degli urli. Una mano mi sfiorò,
ma
non capivo niente. Non capivo dove ero. Non capivo chi fosse quel
qualcosa che mi toccava. Che mi accarezzava la testa.
Dove ero finita?
Sentii urla concitate e captai diverse
parole tedesche. Io lo capivo bene. Mia mamma era tedesca. Qualcosa
di caldo mi calò dalla fronte. Cos’era? Il dolore
al corpo
era troppo forte.
Cosa mi era successo? Dove ero? Volevo
solo mio papà.
“Papà…”
L’unica cosa che riuscii a capire era:
“Sono qui, non abbandonarmi”.
Era tedesco.
Il silenzio mi svegliò. Non so
perché, ma io odiavo il silenzio. Io amavo la musica e il
silenzio mi innervosiva terribilmente. Aprii gli occhi che richiusi
subito perché una luce mi ferì. Una luce
artificiale
proveniente dall’alto. Mi protessi con una mano la faccia e
mi
sedetti.
Una volta abituata alla luce cominciai a
guardarmi intorno e non ci volle molto per capire che ero
all’ospedale. Ero confusa, non sapevo perché mi
trovassi li,
ma non volevo rimanere, volevo andare via subito. Mia mamma avrebbe
potuto rintracciarmi.
Nonostante sentissi un fortissimo male
dalla vita in giù provai a alzarmi.
Il mio tentativo non ebbe risvolti
positivi. Ci riprovai e sporgendomi troppo caddi sul pavimento. Solo
allora mi accorsi che avevo le gambe ingessate. Il sangue nelle vene
mi si gelò di colpo. Non potevo fuggire.
Mentre il mio sguardo scorreva sulle mie
gambe immobilizzate un orribile pensiero mi attraversò la
testa. E se avessi perso l’uso delle gambe? Chiusi gli occhi
e le
lacrime mi bagnarono il volto. Ero sconvolta.
Capitavano tutte a me. Ma perché?
In quel momento una porta, o meglio la
porta, della camera si aprì di scatto e entrò
qualcuno.
Non volevo farmi vedere in quelle
condizione chiunque fosse, ma non avevo la forza per alzarmi e aprire
gli occhi.
Dei passi affrettati si avvicinarono a
me. Qualcuno si chinò davanti a me e mi
abbracciò.
Aprii gli occhi d’improvviso. Da
quanto non ricevevo un abbraccio? Da secoli ormai. Quel contatto era
troppo insolito. Ancora di più perché quel
qualcuno che
me lo stava offrendo era…
Lui si staccò ed entrò
nella mia visuale.
Era un uomo.
“Che cazzo…?”
L’uomo era…il cantante dei Tokio
Hotel!
Ora si che ero completamente andata.
Perché un cantante avrebbe dovuto abbracciarmi?
Lui indossava delle semplici scarpe da
ginnastica, una maglietta nera e un paio di jeans.
I capelli piastrati verso il basso e gli
occhi liberi di qualsiasi trucco, semplici e tristi.
Il color nocciola non era vivace come
quello delle volte che lo avevo visto in televisione. Era un colore
spento. Ma perché?
“Scusa…scusa…Sono
qui…Se per
caso ti serve qualcosa…per rimediare.”
In quel momento entrarono un dottore e
l’infermiera seguiti da gli altri componenti del gruppo.
Mentre il
dottore mi alzava e mi rimetteva a letto i miei occhi non smisero di
lacrimare e si bloccarono insistentemente sui volti sconvolti dei
quattro ragazzi.
Cosa potevano volere quelli da me? Cosa
li…? Ma certo!
Le urla in tedesco. Loro mi avevano
soccorso! “Grazie” fu l’unica cosa che
riuscii a dire in un
semplice sussurro.
Bill il più vicino a me era
l’unico ad aver sentito. Sgranò gli occhi e
portò una
mano alla bocca. Mentre molto probabilmente cercava di calmarsi per
non essere sopraffatto da qualcosa che ribolliva dentro di lui.
Una volta sotto
le coperte il torpore mi
fece addormentare con l’immagine sconnessa di Bill e dei suoi
occhi.
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Capitolo 2 *** cosa? ***
Capitolo
2: cosa?
Bill
aveva le mani nei capelli.
“Non posso crederci…”
Tom
vestito con i soliti vestiti XXL
e i rasta che gli cadevano sulle spalle chiusi in un berrettino con la
visiera
si avvicinò al suo gemellino e gli si sedette accanto.
“Cosa
c’è, Bibi?” chiese piano.
Bill
spostò i suoi occhioni su Tom.
“Ha detto grazie…Insomma è
sconvolgente. Crede che noi l’abbiamo salvata e
invece siamo quelli che la costringiamo su quel
letto…”
Georg
pose una mano sulla spalla di
Bill. “Cosa potevamo farci? È spuntata fuori
all’improvviso…Saki non poteva
frenare…Non possiamo fare niente.”
“Però
non è così semplice. Non
siamo noi là su quel letto. Non sappiamo neanche minimamente
cosa sta passando
quella povera ragazza!” aggiunse Gustav.
“Mi
sento troppo male…Ho visto i
suoi occhi…erano vuoti. Erano gli occhi di chi ha perso
tutto ed è costretto ad
andare avanti, ma non ne ha le forze. Erano gli occhi di chi
soffre…”
“Tipo
i tuoi quando ti si
spettinano i capelli?” domandò Georg.
“Si…No!
Vaffanculo Georg!” urlò Bill.
Tom
e Gustav sorrisero di nascosto.
L’immagine di Bill che strillava per i capelli si
cristallizzò nelle loro
menti.
Bill
si alzò e incrociò le braccia
cominciando a marciare per il corridoio prima avanti e poi indietro in
preda
alle sue più brutte preoccupazioni.
Li
sentii. Erano loro che
parlavano. Un’altra volta mi ero svegliata, ma stavolta
rimasi in ascolto.
Magari potevo capire come mai erano qui.
In
un’ora non riuscii a cavare un
ragno dal buco neanche pagarlo.
Non
distinguevo bene le loro voci,
solo quella di Bill.
Forse
perché parlava concitato e la
sua voce si incrinava spesso come se qualcosa lo attanagliasse.
Che
fosse causa mia?
Chiusi
gli occhi e rimasi lì ad
ascoltare. Sperando…
Una
voce estranea si aggiunse a
quella dei quattro.
“Siete
voi i signori Kaulitz,
Schafer e Listing?”
“Come
sta’?” chiese Bill senza
rispondere.
“Per
favore dopo. Siete voi?”
Loro
quattro dovettero annuire con
la testa perché non sentii risposta.
“Bene.
Sapete chi sia questa
ragazza?”
“No.
Eravamo sulla nostra macchina
e d’improvviso è sbucata fuori. È stato
un attimo. L’abbiamo beccata in
pieno…Saki non ha avuto il tempo per frenare. Ha sbattuto
contro il vetro ed è
caduta a terra. Ci siamo spaventati a morte. Siamo scesi e lei era in
quelle
condizioni pietose. Abbiamo chiamato
l’ospedale…” raccontò Bill
frettoloso quel
tanto che bastava per farmi crollare. Era stata colpa mia…Io
avevo attraversato
e loro mi avevano investito.
“Non
ci deve raccontare tutto
signore. Questo lo deve dire alla polizia. Volevo solo sapere se
eravate
parenti…”
“No…”
rispose Tom.
“Mi
dispiace, ma non si è presentato
nessuno che la conoscesse”.
“Cosa?”
chiese Georg, credo,
esterrefatto.
“Nessuno.
L’infermiera mi ha appena
detto che negli indumenti non vi era nessun documento e neanche nello
zainetto.
Nel taccuino abbiamo trovato solo cinque euro. E una foto”
disse.
Era
la foto di mio padre. La tenevo
sempre nel taccuino.
“E
quindi?”
“Siete
autorizzati voi a firmare al
posto di un conoscente se volete farle visita…”
“Si
certo” disse Bill senza
esitare.
Gli
altri risposero allo stesso
modo.
Adesso
potevo sentire un rimorso
profondo. E io che li credevo ancora dei bambini arroganti e viziati.
Invece
erano gli unici che avevano
il coraggio di starmi vicino.
Con
l’amara consapevolezza che
forse un giorno o l’altro se sarebbero andati via anche loro
non avrei avuto
nessuno e…be’ allora avrei avuto la certezza che
il mondo era davvero uno
schifo totale.
Per
ora avevo un briciolo di
speranza…
Bill,
una volta che il medico sparì
dietro l’angolo, seguito dai suoi compagni entrò
nella stanza di soppiatto.
Volevano vedere come stava la ragazza anche se il primario
l’aveva escluso
categoricamente.
Georg
chiuse la porta delicatamente
e raggiunse gli altri davanti al letto.
Lei
stava dormendo. Bill sfiorò le
coperte nell’intento di vedere come gli avevano fasciato la
testa.
Tom
gli diede uno schiaffo sulla
schiena. “Stupido la svegli!” disse in un sussurro.
Bill
fece la faccia triste.
“Poverina guarda come è ridotta! Volevo solo
vedere come…”
“Se
la svegli e ti vede così vicino
crede che sei il demonio, scemo!” ironizzò Georg.
Bill
fece finta di non sentire e
allungò la mano per…
“Bill!!!!!!”
Il
moro si girò seccato. “Che
c’è?”
domandò a voce bassissima. “Volevo solo vedere le
gambe…”
“E
poi il porco sono io…” protestò
Tom rivolto a Georg e a Gustav.
“Ma
no! Le fasciature…”
“Non
sei un medico, che cazzo vuoi
fare scemo?” chiese Tom.
Bill
si ritirò e fece una smorfia a
Tom. “Questa cosa mi sconvolge…Volevo solo essere
certo che non morisse…”
Tom
sobbalzò e la sua mano scattò
giù verso il suo adorato amichetto.
“Cretino!
Mica ho detto che muori
anche te!”
“Si
sa mai con te che porti sfiga”
aggiunse rilassandosi.
“Come
potrei vivere senza di te?”
disse Bill.
“Se
volete conversare di voi due
andate fuori di qui no?” protestò Gustav.
Bill
e Tom si voltarono verso di
lui. “Cosa?” dimenticando il tono di voce basso.
E
ecco che la ragazza aprì gli
occhi di scattò e si sedette improvvisamente.
“Cosa?”
Quella
domanda mi entrò nelle orecchie
come un grosso martello pneumatico.
Mi
svegliai di colpo e mi sedetti
sul letto.
Non
mi aspettavo fossero tutti li…
Mi
fecero prendere uno spavento
madornale che cacciai un urlo stridulo.
“Shhhh!
Ci fai scoprire!” sibilò
Georg.
Portai
una mano alla bocca.
“Eravamo
venuti perché il mio
adorato fratellino voleva vedere come stavi…”
spiegò Bill subito.
Tom
rimase a bocca aperta. “Che
schifoso bugiardo!”
Il
ragazzo con i rasta aveva una
faccia incazzata.
Sul
mio viso si dovette pronunciare
un sorriso perché l’attenzione di tutti fu puntata
di nuovo su di me.
Gli
occhi di Bill luccicarono di
una felicità che pareva di un angelo.
Non
so cosa mi stesse succedendo ma
c’era qualcosa in loro che mi sorprendeva veramente. Qualcosa
di grande che non
riuscivo a comprendere.
Non
ero una loro fan.
Non
avevo mai detto la mia sulla
loro musica.
Potevo
essere una di quelli che si
fanno chiamare anti-tokio hotel e avrei potuto odiarli, ma loro avevano
accettato di firmare al posto dei miei conoscenti.
Loro
che erano famosi, che potevano
pavoneggiarsi su un palco con migliaia di fan che urlavano erano qui
nella mia
stanza dell’ospedale e svolgevano le loro scaramucce come se
mi conoscessero da
tempo.
“Perché
fate questo per me?” chiesi
semplicemente. “Ho sentito ciò che avete detto. So
come sono finita qui e che è
colpa mia. Perché allora rimanete?”
“Vedi
il fatto è che non hai
nessuno che possa starti vicino e la colpa secondo noi è
anche nostra e ci
sentiamo in debito.”
“Ma
non mi conoscete neppure e poi
non sono una vostra fan…”
“E
allora?” chiese alzando un
sopracciglio Tom. “Non vuol dire niente. Se una persona ha
bisogno non si
guarda in faccia a nessuno.”
Li
fissai storta. Tutto questo mi
stava mandando in tilt.
“Anche
se pensi che bill è una
femmina…” cominciò Georg.
Bill
lo bloccò prima che potesse
finire. “E che Georg è
grasso…”
“E
che Gustav è cretino…” aggiunse
il bassista per ribattere.
“E
che Tom è un porco…” disse lui
sbuffando.
Tom
si rivolse verso i suoi amici
che in quel momento avrebbe voluto fucilare. “Non ce ne frega
proprio un tubo.”
Io
li fissai incredula poi scoppiai
a ridere. Loro fecero lo stesso.
Una
volta calmati si presentarono e
così memorizzai bene i loro nomi anche se avevo
già una vaga idea di come si
chiamavano.
Ormai
credo che lo sapesse pure mia
nonna che abitava giù a Roma che era sorda e faceva zapping
per trovare
qualcosa alla tv che le andasse a genio.
“Io
sono Lie. Piacere di
conoscervi.”
Loro
quattro annuirono. “Il piacere
è tutto nostro” disse Gustav.
“Leccaculo…”
bofonchiò Tom.
“Fanculo
scemo!”
Sotto
la visiera del capellino
trattenne una risata divertito.
“Bene
ora che ci vogliamo
amorevolmente bene come una famiglia festeggiamo!”
esclamò Bill.
Georg
voleva strapparsi i capelli e
sapeva benissimo che li aveva appena stirati. Era proprio in
disperazione. “Ma
sentitelo! Neanche fosse la maestrina dell’asilo!”
Bill
sorrise facendo finta di non
aver sentito. “Allora cosa volete fare di bello? Ci sono le
costruzioni, i
puzzle, possiamo colorare…” disse divertito.
“Maestra
posso giocare con la mia
compagna di banco?” domandò Tom, mentre il suo
piercing luccicò.
Bill
gli puntò il dito contro.
“Ancora con questa storia!”
Georg
e Gustav si guardarono
esterrefatti. Se ne inventavano una al minuto! Tom e Bill intanto erano
riscoppiati a ridere.
Mentre
ridevo divertita non mi
passò per la testa neanche un attimo il mio passato e
riuscii a lasciare tutto
alle spalle certa che d’ora in avanti sarei dovuta andare
avanti.
Grazie a Black_DownTH,
layla the punkprincess, steffylove e angeli neri per le recensioni.
Spero che vi si piaciuto
anche questo capitolo... Baci
|
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Capitolo 3 *** An deiner Seite ***
Questo
è il primo capitolo leggermente ristrutturato :) spero vi
piaccia :) La storia non cambia ovviamente, ho solo modificato il
modo di raccontare e ampliato in alcuni punti, senza mai modificare
la storia! Colgo anche l'occasione per ringraziare Kessy993, prima
d'ora mai ringraziata!
Ps:cosa
volete farci? Io amo questa storia, pensavate forse che l'avrei
lasciata nelle condizioni pietose in cui versava?
Capitolo
3: An deiner Seite
Lie.
Milano.
Quella
notte, nel mio letto d'ospedale, rivissi il ricordo più
glaciale che possedevo. La morte di mio padre. Fu un sogno, che mi
atterrì completamente finché non fui inghiottita
dal
baratro. Il mio urlo, che seguì, risuonò
lacerante
nell'oscurità.
Mi risvegliai nella stanza dove regnava il
buio più
assoluto, mentre il mio cuore batteva ancora a mille.
La porta si aprì di scatto e la
lampada a neon si
accese lentamente, con il solito ronzio che segnala la fatica che ci
sta impiegando per funzionare.
Bill, uno dei miei salvatori, stava
correndo verso di me
allarmato. Quando mi fu vicino mi prese una mano, ma io mi
divincolai. Nonostante mi avessero salvata, non volevo nessuna
confidenza con il gruppo: non ero abituata e poi non volevo illudermi
che mi avrebbero aiutato. Appena fossi riuscita a mettere piede a
terra me ne sarei andata. Per l'ennesima volta.
Bill allontanò la mano, sembrava
comprendermi.
La mia espressione lo trapassò
come se stessi
fissando uno sgradito cumulo di polvere. Ma mi era impossibile fare
la dura. Il mio cuore martellava ancora nel petto per l'immagine
nitida che avevo appena rivissuto.
La testa cominciò a pulsarmi con
spasmi sempre
più forti. Mi piegai su me stessa, portandomi le mani al
colletto. Mi sembrava che mi mancasse l'aria.
Bill salì sul letto, non lo
avevo visto, ma lo
sentii avvicinarsi e…
E poi sentii che l’aveva fatto
un’altra volta. Mi
aveva abbracciato.
Eppure questa volta per un motivo
completamente diverso.
Lo aveva fatto per distrarmi dal dolore alle tempie. Dovevo ammettere
che c'era riuscito. E mi stava scaldando.
Mi sentivo come un piccolo embrione
nell'abbraccio
affettuoso dell'utero materno, che ti tiene al caldo e al sicuro
finché non sei pronto per vedere la luce.
Io di statura ero molto più
bassa di lui, quindi
riusciva ad avvolgermi molto bene e a stringermi a lui facilmente.
Forse troppo. Lo era a tal punto da farmi pensare che dopo mio padre
non avevo mai ricevuto un abbraccio così. Era in grado di
avvolgermi, di cullarmi l'anima con un soffio intenso.
Appoggiai il mento sulla sua spalla,
rassegnata.
“Ci sono qua io adesso. Sono qui
per proteggerti.”
Era un perfetto sconosciuto, lo sapevo
benissimo eppure
mi stava proteggendo. Chi aveva fatto questo per me ultimamente?
Nessuno.
La risposta mentale che mi diedi mi
mandò in
confusione. Come era possibile che una star internazionale si
preoccupasse di una scadente cartuccia ferita?
Scrollai le braccia di Bill dalle mie
spalle.
“Bill…vattene” sibilai sperando mi
ascoltasse.
Ma Bill non si mosse. Era troppo cocciuto
per
arrendersi.
“Per favore Bill. Non ho bisogno
di te” riprovai con
più enfasi.
Nessuna risposta.
“Ti supplico Bill. Non puoi
rimanere a lungo e lo sai.
Prima o poi andrai come tutti hanno fatto prima di te e allora si che
starò male.”
Bill si addolcì, ma nella sua
voce sentivo
determinazione e forza. Forse anche coraggio. “No, non Bill
Kaulitz.”
“Cretino lasciami. In ogni caso
me ne andrò io
quando sarò in grado di alzarmi da questo letto”
gridai
spingendo con le mie poche forze le spalle di Bill, per farlo
scandere dal letto.
A quella spinta fisica, Bill si
alzò e senza
guardarmi negli occhi si diresse verso la porta.
Tuttavia, successe qualcosa, in quei
secondi. Qualcosa
che mi sfracellò il cervello e mi scombussolò
l'anima.
Una richiesta improvvisa fece dischiudere le mie labbra e con
disperazione uscì, all'improvviso.
“Bill dove
vai…Aspetta!”
Lui non si fermò.
Allora, tutto il mio essere
cominciò a
protestare, così non fui più in grado di fermare
il
fiume in piena. “Mio padre è morto e lo sogno di
continuo,
mentre mi lascia qui da sola. Ho paura. Ho paura della
solitudine…”.
Solo in quel momento la camminata di Bill
si arrestò,
mentre stava per aprire la porta. “Allora perché
vuoi che
vada via?” chiese, gelidamente.
“Perchè faccio
soffrire tutte le persone che mi
stanno vicino” risposi, rendendomi conto solo dopo aver
parlato di
quanto fosse vera quella risposta.
Bill incrociò i miei occhi.
“Io non ho paura.
Lascia che io rimanga.”
Lo guardai intensamente, desiderando che
qualcuno
decidesse ancora per me. Invece non parlò nessuno. L'unico
suono che emisi fu un debole sbuffo. Era un tacito permesso.
Bill ritornò indietro e si
sedette sul letto
vicino al mio. “Se farai un brutto sogno ci sono io qui.
Ok?”
Alzai gli occhi al soffitto. Forse
era meglio
lasciarlo andare? Cancellai in fretta quel pensiero, mi
stesi
nuovamente e gli voltai le spalle. Perché aveva
tutta sta
confidenza con me?
“Grazie” borbottai,
infine.
Strano ma vero, quella notte non ebbi
più incubi,
ma appena sveglia mi accorsi che Bill non c’era.
Cazzo
mi ha preso per il culo!
“Da questa parte”
chiamò una voce ormai
familiare alle mie orecchie.
Mi voltai verso la finestra e lo vidi.
Indossava un
berretto grigio in testa e una giubba nera, che la sera prima non
indossava. Si stava ascoltando la musica con l’i-pod e credo
che in
bocca avesse una gomma americana.
“Hai mai sentito le nostre
canzoni?” disse
continuando a fissare lo schermo di quell’aggeggio.
“No. Perché avrei
dovuto?” chiesi,
freddamente. Quel tono continuava a suonarmi falso sulle mie labbra.
“Era solo una
domanda…” alzò gli occhi e
sorrise incrociando i miei. “Come stai oggi?”. Si
avvicinò
e si sedette sul mio letto.
Mi distanziai leggermente. Lui prese il mio
cuscino e lo
sistemò contro la testa del letto e mi fece segno di
appoggiarmi con la schiena. Lo fissai in malo modo, ma poi feci come
voleva.
Il moro si sistemò accanto a me.
La mia spalla
sinistra toccò la sua destra. Cercai di allontanarmi, ma lui
mi ficcò in un orecchio un auricolare, mentre allungava le
gambe sul mio letto. “Sei comodo?” domandai,
stizzita.
Lui rise. “Uhm quasi.”
Io sbuffai. “Cosa vuoi?”
Bill non rispose e con un gesto delicato
diede il via
alla riproduzione di una canzone.
“Ubers
ende der Welt” commentò
semplicemente.
La musica partì e non feci in
tempo a chiedere
cosa avesse detto, che la musica faceva parte di me.
Non capii quali intenzione avesse,
finché non
sentii la voce di Bill che cantava dall’auricolare entrando
nel mio
orecchio. Mi stava facendo ascoltare le sue canzoni. Ah beh
se non
le ho mai sentite sono costretta ad ascoltarle! Perchè non
ci
avevo pensato prima cavolo!
Improvvisamente scivolò nella
mia mente un
pensiero che non riuscii a fermare. Sarebbe stato come voler
afferrare l'acqua che scorre. Aveva una bella voce.
Bill accanto a me muoveva la testa a ritmo
e
canticchiava la sua canzone. Chissà cosa doveva provare ad
ascoltare le sue canzoni come aveva fatto magari con tutte quelle
d’altri artisti e chissà cosa pensava sul fatto
che tutte le
fan le riascoltavano giorno dopo giorno e sapevano a memoria tutti i
testi.
Doveva essere super orgoglioso di
sé.
Bill non sembrava fare molto caso alla mia
presenza,
perché continuò a cantare come se nulla fosse. E
io
ascoltavo.
Ma non riuscivo a trovare il pulsante in
grado di
frenare il flusso dei miei pensieri.
Prima pensai che Bill fosse un pazzo
fuggita da qualche
manicomio, poi mi resi conto che gli ero vicinissima e che le nostre
spalle si toccavano ancora.
Arrossii violentemente, ma fortunatamente
non se ne
accorse.
La canzone finì e ne
partì un'altra.
“Leb die Sekunde” disse
lui con il sorriso stampato
in faccia.
Lo stacco iniziale era ricco di musica ben
fatta e ne
fui contenta, naturalmente nascondendolo.
Non volevo dargli la soddisfazione. Non
capivo la
finalità di farmi ascoltare le loro canzoni. Io non le
volevo
ascoltare. Cosa gli era saltato in mente?
Seguì una sequenza di ben cinque
canzoni.
“Wo
sind eure Hande ”
“Der
letzte tag”
“Ich
brech aus”
“Wenn
nicht mehr geht”
“Reden”
Bill le aveva cantate tutte e non sembrava
stufo, mentre
io progressivamente cominciavo a interessarmi sempre di più
al
loro modo di fare.
Oddio,
cosa sto facendo? Ma
era più
forte di me.
Le loro canzoni non le avevo mai sentite e
credevo
facessero schifo, ma invece erano…carine. Forse per questo
Bill
voleva farmele ascoltare. Perché aveva pensato (e ci aveva
azzeccato) che io credessi fossero un gruppo da quattro soldi solo
perché avevo sentito Monsoon.
“Screi”
“Totgeliebt”
“Lass
uns hier raus”
“Heilig”
“Ich bin nich’ Ich
”
“Stich ins
Glück”
“Rette mich”
“Nach dir kommt nichts”
“Jung und nicht mehr
jugendfrei”
“Spring nicht”
“Freunde Bleiben”
“Wir sterben niemals
aus”
“Unendlichkeit”
“Vergessene Kinder”
“Gegen meinen Willen”.
Questo titolo lo disse con un
tono diverso. Più malinconico. Capii, quando sentii Bill
cantare: in quelle parole c’era l’odio di una
persona che si
sente tradita dai suoi genitori.
Si sente tradito e non amato mentre li vede
allontanarsi
uno dall’altro e lui che si sente solo, lì al
centro, a
fissarli perso.
C’ero passata anch’io.
Non sapevo che anche lui
avesse vissuto la stessa cosa e ne avesse fatto una canzone.
Bill, ora, si era voltato verso di me e mi
fissava
intensamente. Qualcosa di caldo mi rotolò sulla guancia. Lui
allungò una mano e mi sfiorò poi si ritrasse.
Aveva il
dito bagnato, bagnato di una mia lacrima.
Non me ne ero accorta, ma mi ero messa a
piangere. Mi
asciugai in velocità il volto con il dorso della mano.
“Scusa non sapevo che anche a
te…Perdonami…”
Gli occhi di Bill erano due pozzi di
comprensione, misto
paura.
Abbassai lo sguardo, era una vera tortura
sostenere il
suo. Forse perché lui si stava scusando con me.
Era una scena così buffa eppure
non mi veniva da
ridere.
Bill Kaulitz era seduto sul mio letto nella
mia stanza
d’ospedale e ascoltava le sue canzoni con me e si scusava
perché
non sapeva che i miei genitori si erano separati. Se mi avessero
visto le fan dei Tokio Hotel mi avrebbero ammazzato.
Bill abbassò lo sguardo come se
avesse letto nel
pensiero il mio disagio.
“E infine An deiner
Seite” disse porgendomi anche
l’altro auricolare e lasciandomi nella mano
l’i-pod.
Si alzò e senza aprire bocca se
ne uscì
dalla stanza, mentre le parole di Bill mi risuonavano nelle orecchie.
Riconobbi subito che quella canzone era
bellissima. Le
lacrime non avevano vergogna a pizzicarmi le guance mentre pensavo a
Bill e al suo viso triste che mi aveva fatto rivivere tutte le mie
più terribili paure, come il divorzio dei miei genitori.
La canzone finì e senza
accorgermene mi ritrovai
a riascoltarla di continuo.
“Io
sono al tuo fianco
solo
per un po’
ce
la faremo se ci proviamo.”
E con quell’ultima
frase che mi ronzava nel
cervello, chiusi gli occhi svuotata di tutte le mie forze.
Quel pomeriggio quando mi svegliai non
sentii voci nel
corridoio. Pensai subito che si fossero ricreduti e fossero fuggiti
come tutti, ma un omone grande e grosso entrò nella mia
stanza
e mi disse che sarebbe rimasto lui fuori e se avevo bisogno dovevo
semplicemente chiamarlo perché i Tokio Hotel erano
momentaneamente assenti. Si trovavano a Monaco.
Non capii perché Bill non me
l’avesse detto, ma
di certo sapevo che non era obbligato a dirmelo.
In fondo non poteva mollare il suo lavoro
per sempre.
Avrei voluto darmi tante sberle sul viso
per essere
stata tanto stupida ma ci ripensai. Poi Bill mi avrebbe fatto un
mucchio di domande.
In quel momento non sdegnai neanche
l’idea di buttarmi
giù dalla finestra per scappare. Il problema era che dopo
alcuni tentativi per riuscire a scendere dal letto pensai fosse
impossibile correre per fuggire. Avrei dovuto prolungare la
permanenza in quel buco.
Rassegnata per non dire disperata voltai lo
sguardo
verso il comodino. Meraviglia!
Un foglietto e l’I-pod di Bill. Per
quale ignoto
motivo me l’avrà lasciato?
Con il dubbio presi il biglietto e lessi le
righe che vi
erano impresse, firmate da uno scarabocchio enorme. Oh no!
Era
la firma di Bill! Povero, che cretina!
C’era scritto: “Ben
svegliata. Quando leggerai
questo biglietto molto probabilmente saremo già a Monaco e
staremo facendo le prove per la nostra esibizione agli EMA. Ti ho
lasciato l’i-pod così ti puoi riascoltare
“An deiner
Seite” tutte le volte che vorrai. Se hai voglia di parlare
basta
che chiami l’uomo che è fuori dalla porta e mi
chiamerà.
Sarò sempre disponibile a parte domani sera che
c’è
la premiazione. Non vorrei mi squillasse il cellulare
improvvisamente. Non ci farei una bella figura. Restiamo via qualche
giorno. Un abbraccio”.
Ma
deve proprio fare bella figura? Pensai
lusingata all’idea di chiamarlo domani sera, ma poi ritornai
in me.
Non potevo fargli questo. Era lui il ragazzo che mi aveva tenuto
compagnia ieri sera, quando avevo fatto un incubo. Sarebbe stato
tanto cattivo.
Avevo voglia di sfogarmi. Dovevo urlare. Ma
non avevo
nessuno contro cui urlare. E se avessi chiamato Bill?
Non lui. No lui era stato così
carino con me.
Eppure desideravo insultarlo. Forse mi dava fastidio che una persona
potesse occuparsi di me quando solo mio padre l’aveva fatto
in vita
mia. Probabilmente non ero abituata.
Il mio urlo trapassò il muro e
l’omone
preoccupato entrò per venire a vedere cosa mi era successo.
Alla sua vista urlai di nuovo.
Inconsapevolmente avevo
sperato fosse Bill. Pensavo fosse solo lui l’unico a potermi
calmare.
Avevo fatto lo stesso orribile sogno della
sera prima e
l’omone preoccupato non riuscì ad avvicinarsi,
cosa che mi
causò una nuova depressione.
Mi coprii la testa con le mani per cercare
di cacciare
le immagini della morte che prendeva mio padre. Faceva troppo male.
L’omone prese alla svelta un
cellulare e cominciò
a digitare un numero. Qualche secondo dopo qualcuno rispose. Parlava
in tedesco.
L’omone confabulò con
il suo interlocutore e
poi allungò il cellulare verso di me e la voce di Bill
raggiunse le mie orecchie.
Il mio corpo percosso da fremiti di paura
si protese
verso l’aggeggio e afferrato lo avvicinai
all’orecchio. “Lie!
Ascoltami…”
Mi immobilizzai impressionata. Bill stava
cantando An
deiner Seite solo per me.
Il cellulare mi scivolò dalla
mano e cadde sulle
coperte del mio letto, mentre Bill continuava ad intonare i versi di
quella canzone. Quella canzone che mi piaceva. Non capivo come
potesse averlo intuito Bill.
“Bill?” mi
sfuggì dalla bocca, piano.
Lui smise di cantare.
Riafferrai quell’affarino
così piccolo e la
voce del ragazzo tedesco mi tranquillizzò.
Io non avevo nessuna voglia di dire niente,
volevo solo
stare lì a sentire la voce di Bill che in qualche modo aveva
qualcosa di vago che mi ricordava mio papà.
Non capivo neanche quello che diceva
perché non
riuscivo a seguire il filo del discorso.
La mia mente volava via veloce, mentre
guardavo fuori
dalla finestra la pioggia scendere dal cielo scuro e bagnare il vetro
della mia stanza.
Quando mi chiese come stavo mentii. Non
stavo bene, ma
per non farlo preoccupare gli dissi che stavo già meglio.
Non credo proprio che se la sia bevuta, ma
comunque mi
salutò e chiusi la chiamata.
Riporsi il cellulare all’uomo
grande e grosso che uscì
dalla stanza lasciandomi sola.
Ritornai a fissare fuori dalla finestra.
Non vedevo
l’ora di poter fuggire da quelle quattro mura o sarei morta
al
pensiero di quei tanti perché che da giorni mi affollavano
la
mente.
Bill.
Monaco.
Bill rimase a fissare lo schermo spento del
cellulare
nella sua stanza d’albergo.
Ora si sentiva impotente. Così
distante da lei.
Non sapeva nemmeno perché si sentiva in lotta con se stesso
per non essere rimasto al suo fianco.
Non la conosceva neppure. Non sapeva
proprio niente di
lei. Si e no il suo nome, ma niente più. Tuttavia si sentiva
in dovere di darle una mano. Di aiutarla ad andare avanti e a farle
dimenticare il passato…Come per dare qualcosa a qualcuno che
lui
non aveva mai ricevuto se non con suo fratello.
Posò il cellulare sul comodino.
Filò in
bagno e ne uscì sbadigliando. Si tolse la maglietta e rimase
a
petto nudo. Si tolse anche i jeans e si mise a letto rimanendo in
boxer.
Nel suo lettone matrimoniale dove dormiva
solo. Non gli
fu facile conciliare il sonno, ma quando pensò al suo
adorato
fratellone gli si stampò un sorriso sulle labbra e gli occhi
gli si chiusero stanchi morti.
Lie.
Milano.
Quella mattina mi svegliai di soprassalto.
Mi massaggiai
le mani e la nuca lentamente. Sentii l'esigenza di fare un giro per
prendere un po’ d’aria.
Ma come si poteva fare? Le gambe me lo
impedivano.
Decisi di chiamare l’omone. Con
mia sorpresa, però,
entrò nella stanza una ragazza bionda.
Credetti a primo impatto che fosse
un'infermiera.
Mi sorrise beata e quando gli spiegai che
avrei tanto
voluto fare un giro lei andò a chiamare il dottore che mi
aiutò a sedermi su una carrozzella.
Quello stesso giorno scoprii che
non avrei perso
l’uso delle gambe e che avrei anche potuto continuare a
camminare
anche se mi ci sarebbero voluto del tempo per rimettere un po' in
sesto le ossa.
Una volta pronte uscimmo dalla stanza e con
occhio furbo
scrutai ogni via di fuga nel corridoio.
Individuai una porta d’emergenza
che dava sulle scale
antincendio e l’ascensore non distante da lì.
Se fossi riuscita a eludere la sorveglianza
alla stanza
non era niente fuggire, poi.
Dentro di me andava formandosi un piano di
fuga molto
dettagliato.
“Ecco ora scendiamo e la porto
nel giardino così
può vedere gli alberi…Sa che qui sotto
c’è un sacco
di vita”
“Dammi del tu. Se no mi sento
vecchia. Mi chiamo Lie”
dissi io socievole pregustando di trovare addirittura
l’uscita
dell’ospedale oltre il parco.
“Io mi chiamo Erika. Lavoro con i
Tokio Hotel da due
anni”. Ok non era un'infermiera. “Mi occupo di
varie cose. È
stato Bill ad offrirmi di lavorare per loro. Mi diverto un sacco a
seguirli per il mondo” Ok come si poteva fuggire se Bill mi
avrebbe
messo tutte queste guardie del corpo? Pensava forse che mi sarei
buttata giù dalla finestra? Ok era quello che avevo
desiderato
fare, ma...
“Io sono orfana”
continuò la ragazza. “Ho
diciassette anni e ho vissuto l’intera mia vita in un
squallido
orfanotrofio. Non ero nessuno. Non avevo nome, identità,
dignità, nulla. Ero solo una povera bimba messa al mondo e
poi
abbandonata. Dimenticata dal mondo intero. Credo che Bill si sia
ispirato alla mia vita per scrivere Vergessene Kinder”
Quella canzone la ricordavo. Parlava
proprio di bambini
dimenticati. Ed aveva un testo commovente.
“È stato lui
l’unico che sia preso cura di me
oltre naturalmente a tutto il gruppo e alle persone speciali che li
seguono. Sono la mia immensa famiglia”. Ebbi un sussulto. Lei
aveva
una famiglia. Aveva realizzato il mio sogno.
“Una volta non sapevo nemmeno
cosa voleva dire
letteralmente quella parola. Era solo qualcosa che io non meritavo.
Invece ora ci credo ciecamente. Al mondo non si è mai
soli.”
“Come hai fatto a
conoscerli?” chiesi io, ora
incuriosita.
“Oh be’ anche in
orfanotrofio in Germania si parla
di loro. Tutti sognano di vivere una vita del genere. Una vita da
persone libere. Quando sono venuti nella nostra città per un
concerto ho allestito la più spettacolare fuga della storia.
Ero a conoscenza di un passaggio stretto che conduceva alla
libertà.
Solo uno avrebbe potuto, perché non potevamo farci scoprire
e
così escludendo i piccoli che si sarebbero persi per la
strada
e i grandi che non ci passavano rimanevo io che era abbastanza
grande, ma di corporatura mingherlina. Mi ricordo che corsi come una
pazza per la notte e corsi al concerto che si sarebbe tenuto il
giorno dopo. Sai, quando c’è tutta quella ressa
è
facile dire che sei insieme ad un altra ragazza che gli porge
più
di un biglietto”.
Ora ero impietrita. Che cosa aveva visto
questa ragazza?
Bill della sua vita ne aveva fatto una canzone. Chi era Bill in
verità? E chi era questa ragazza?
Erika rise. “Nessuno si accorse
di me, così
sono riuscita a intrufolarmi. Mi sono guadagnata la prima fila e
durante il concerto Bill mi ha scelto per salire sul palco. Non gli
c’è voluto molto per capire da come ero vestita
che venivo
da un orfanotrofio. Avevo ancora i vestiti sudici e sporchi
perché
mi ero messa a dormire lì fuori al freddo sul terreno
fangoso.
Saki invece di rimettermi di nuovo tra le fan mi portò nel
camerino dei Tokio Hotel e finito il concerto li conobbi uno ad uno.
È stata l’esperienza
più entusiasmante
che potessi fare”. Bill. Bill. Bill le aveva salvato la vita.
Poi un dubbio si insinuò nella
mia testa. “E
gli altri bambini che sono rimasti
all’orfanotrofio?” chiesi.
“Oh be’ non mi sono
dimenticata di loro. Qualche
giorno dopo ho portato tutto il gruppo a conoscere i miei amici. Sono
stati loro ad aiutare l’orfanotrofio a velocizzare le
pratiche per
trovare una famiglia per ogni ragazzo. Sai la proprietaria ci
guadagnava un sacco a tenerci li ma con il ricatto di informare la
televisione ha mosso il suo culone e finalmente ha fatto qualcosa di
decente nella sua vita. Poi la zia di Tom e di Bill ha firmato
l’adozione per me. Così diciamo che sono loro
cugina anche
se non di sangue.”
Io fissai interdetta il sentiero di mattoni
rossi che
portava al cancello verde enorme dell’ospedale. Ora non mi
sembrava
più così importante.
“Davvero?” domandai
d'un fiato.
La bionda si fermò e mi si
parò davanti.
“Certo. Non so cosa tu credi che facciano o come li giudichi,
ma
non si gasano per il loro successo. O meglio lo fa solo Tom con le
fan perché se le vuole portare a letto. Però poi
sono
tutte delle persone fantastiche!”
Io tenni sempre lo sguardo basso,
nascondevo gli occhi
con la frangetta.
Erika si avvicinò ancora di
più a me. “Non
ti devi vergognare. Bill mi ha raccontato tutto. So che tuo padre
è
morto e i tuoi si sono separati. So che dolore provi. Ma Bill vuole
aiutarti. Lui in qualche modo ti aiuterà! Anche solo
ascoltando “An deiner Seite…”
Di colpo alzai la testa. “No, non
mi piace!”
“Ma tu l'hai ascoltata una notte
intera quando Bill è
uscito dalla tua stanza”
“Non è
vero…” cercai di mentire io,
incredula.
Lei sorrise complice. Fece finta di
crederci, ma sapevo
che aveva capito tutto. “Ti piacciono i Tokio
Hotel?”
Non risposi. Esitai. Non erano male e
alcune canzoni
erano davvero belle, ma non credo che questo volesse dire: mi
piacciono!
“Non lo so. Ho sentito le loro
canzoni e non sono
male, ma di certo non sono i miei preferiti”.
Sul volto della ragazza apparve
un’espressione un po’
ferita. “Pensavo ti avessero colpito di
più…”
Io le sorrisi amaramente. “Forse
è stato il
primo impatto, ma le riascolterò.”
Sembrava di nuovo allegra. “Vieni
ti devo riportare
nella tua stanza”.
“Tutto qui il mio viaggetto? Ti
prego rimaniamo
ancora!”
Erika non si fece supplicare due volte e mi
accompagnò
a fare il giro dell’intero stabile.
Mi parlò della sua vita e di
come da un giorno
all’altro fosse cambiata così radicalmente e mi
dimenticai
addirittura di cercare una via di fuga.
La ragazza castana pranzò con me
e mi tenne
compagnia per tutto il pomeriggio.
Verso sera però mi disse che
doveva proprio
scappare, mi lasciò il suo numero di telefono e mi disse che
fuori c’era l’omone di ieri.
Io annui mentre addentavo un grande panino
con la
Nutella (quando sei all'ospedale alla dieta non ci pensi).
Prima di uscire mi fece un segno con la
mano e mi fissò
da dietro gli occhiali da sole neri.
Non sapevo sinceramente perché
li portasse anche
se fuori era buio, ma non feci commenti.
Quella sera stesa nel mio lettone cominciai
a fare
zapping con la tv. (goduria l'ospedale!)
E
dove potevo capitare? Su Mtv
naturalmente. Stavano trasmettendo una cosa strana. In
diretta…da
Monaco! Ecco dove erano i Tokio Hotel. E gli EMA erano gli European
Music Awards!
Come se fosse il miraggio più
assurdo lo vedo là,
oltre lo schermo. Quel gruppetto così giovane era
là.
Dentro la scatola a colori.
Sgranai gli occhi…Non potevo
credere che io li
conoscevo sul serio! Quanta gente darebbe per essere al mio posto!
Mi sistemai comoda sul letto per vedere
meglio cosa ci
facevano loro in un posto zeppo di celebrità di altissimo
livello e esperienza musicale da far rabbrividire i quattro tedeschi
con i loro tre anni di acerbo successo.
Sullo schermo scorreva l’immagine
di Snopp dog
circondato da un sacco di ragazze svestite.
Cominciarono con le premiazioni. Non ci
volle tanto
perché mi venisse un infarto.
Quella aveva proprio detto Tokio Hotel? Oh
cazzo!
Non sapevo che erano nominati in una
categoria! Ed
eccoli li che saltano e gioiscono!
Salgono a prendersi il premio che
prontamente Tom
sgraffigna per primo. Inquadrano più volte la faccia
commossa
di Bill che scuote la testa in segno di incredulità e si
gratta la fronte.
Quando agguanta un microfono e ringrazia
nella sua voce
c’è una nota di emozione che trattiene a fatica.
Nelle loro espressioni non è
difficile trovare
stupore per quel premio che aveva quella forma stranissima ma che
valeva così tanto!
Alla loro tenera età essere
catapultati in un
programma del genere con tutte quelle persone famose e affermate nel
mondo dello spettacolo e ricevere un premio, doveva significare
moltissimo.
Finito di ringraziare cambiarono
inquadratura e
continuarono il programma, ma io ero ancora mezza stordita. È
tutto così assurdo!
Chiamai l’omone che stava fuori e
feci comporre il
numero del ragazzo tedesco con i capelli sparati.
“Pronto?”
“Bill sono io, Lie”
dissi io.
Dall’altra parte sentii diversi
urli (potevano essere
di Tom, Georg e Gustav).
“Allora smettetela che non
capisco!” gridò
Bill contrariato.
Un brontolio confuso di Tom, colorito di
varie parolacce
in tedesco mi fece sorridere.
“Ciao, Lie. Cosa
volevi?”
“No, niente. Vi ho visti in
Tv…”
Ancora urla e risate sconnesse.
“Ero bello in primo
piano? Lo so che me l’hanno fatto perché sono un
figo da
paura ed è tutto merito mio se il gruppo ha tutto questo
successo…Loro lo sanno ma non l’ammetteranno mai
davanti al
pubblico…Poi mi ringrazieranno in
privato…” disse tutto d’un
fiato Tom che evidentemente aveva preso il cellulare.
“Non ti hanno fatto nessun primo
piano…” dissi io
indifferente.
“Il cameraman doveva essere
cieco! Si non c’è
nessun altra spiegazione.”
Bill riprese il cellulare.
“Scusalo ma ha le crisi. Lo
fa sempre dopo che sa il merito non è mai suo. È
nel
gruppo solo perché mi faceva pena”.
“Non credo proprio fratellino. Il
fatto è che
deve avere qualcosa anche lui da fare nella band, allora gli ho
chiesto se veniva a cantare. È lui che mi faceva pena
là
solo soletto” rimbeccò lui urlando.
La risata inconfondibile di Georg mi fece
scoppiare a
ridere. Bill al sentir me ridere mi imitò. E con lui Tom e
Gustav. Fu una specie di catena. La catena di risate più
strana in cui io facessi parte e anche la più bella.
Bill.
Monaco.
Bill chiuse la chiamata. Si volse al gruppo
e sorrise
beato. “Allora cosa devo fare per voi? Come posso risollevare
i
vostri sciagurati problemi con la mia voce soave?”
“ ’fanculo
Bill!” risposero in coro i tre ridendo.
“Arrangiatevi allora e
grogiolatevi nella ricerca di
un cantante migliore di me che vi canti Monson per
l’esibizione tra
neanche un’ora.”.
Tom rimase a bocca aperta.
Bill portò le mani ai fianchi.
“Ok lo so che
non potete fare senza di me quindi per oggi chiuderò un
occhio
o anche due”.
“Dovremmo chiuderli noi per non
vedere continuamente
il tuo faccione impiccione che ci segue dappertutto!”
proruppe
Georg ridendo.
Bill sbuffò contrariato.
“Si parla parla ma un
giorno te la faccio pagare…”
Di rimando gli altri risero ancora
più forte.
Il moro imprecò tra se e se e
continuò a
scaldare la voce ignorando le risate di scherno.
Non se la prendeva tanto per ciò
che gli
dicevano, ma solo perché non erano seri.
In fondo le battute su di lui lo facevano
ridere. Sapeva
stare allo scherzo. Ma a volte voleva che un po’ di
autocontrollo
soprattutto prima di quell’importante esibizione li a Monaco.
Con una faccia lunga che dava tutta
l’aria di una
preoccupazione e ansia all’inverosimile e
l’impressione di essere
un morto che cammina cominciò a ripassare gli esercizi per
la
voce.
Pure Tom e i due G accantonarono le risate
per ripassare
velocemente la loro parte nel più completo silenzio.
Lie.
Milano.
Rimasi a fissare lo schermo della
televisione. Erano
tutti quattro fradici come pulcini.
I capelli del frontmen si erano bagnati
tutti e gli
coprivano il volto.
Gli si intravedeva un occhio puntato
davanti di se con
un’espressione del tipo “Visto ciò che
so fare? Io NON
sono una mezza calzetta e te l’ho dimostrato!”
Mi sfuggì un sorriso di
ammirazione. Aveva
stupito ancora, il porcospino dello spettacolo. Sapeva far parlare di
se.
Ritornai in me. Spensi il televisore.
Esitai, quando
stavo per mettere sul comodino il telecomando e rividi
l’i-pod di
Bill. Scambiai gli oggetti e mi ficcai gli auricolari nelle orecchie.
Andai alla ricerca di qualcosa da
ascoltare, solo che
istintivamente mi ritrovai nella cartella delle canzoni dei Tokio
Hotel. Cosa poteva succedere se le avessi riascoltate?
Niente. Diedi l’avvio e mi
ritrovai ad ascoltare per
un’altra volta quelle canzoni.
Le canzoni dei quattro tedeschi. Non
m’importava cosa
avrebbero detto tutti. Alcune mi piacevano e le riascoltavo
volentieri. Riascoltai anche Gegen meinen Willen e non riuscii a
trattenere le lacrime. Era più forte di me.
Come l'altra volta tenni per ultima An deiner Seite e con l'ultimo
verso della canzone che mi frullava nel cervello, mi addormentai,
stringendo il cuscino come se fosse l'unico mio appiglio per non cadere
in baratro vuoto.
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Capitolo 4 *** Sul viale dei ricordi ***
Capitolo 4: Sul
viale dei ricordi
Mi svegliai verso
mezzogiorno.
Ieri sera per ascoltare la musica probabilmente
ero stata sveglia tutta la notte.
La stanza era illuminata dalla luce del sole che
penetrava dalle tendine arancione tirate…
Un momento…le tendine arancione ieri
non c’erano!
Dalla stanza entrò Gustav portando un
vassoio con un piatto fumante di spaghetti.
Me lo sistemò davanti e io gli sorrisi.
“Grazie. Non sapevo foste
già tornati!”
“Oh niente. Comunque ho pregato le
cuoche dell’ospedale
di cucinare questo per te da portare in camera perché
abbiamo saputo dalla polizia che hai una mamma un po’ pazza
che ti sta cercando. Hanno affermato che sa che sei in
quest’ospedale, ma non in che reparto.
Per cui per garantire la tua sicurezza hanno detto che non potrai
uscire finché non la trovano”.
Io rimasi pietrificata e la forchetta mi cadde
dalla mano.
“Che ha? Non sa come deve prendere in
mano una forchetta?” chiese sarcastico Tom a Gustav entrando.
Mi ridestai. “Che grande cretino
che sei!”
“Chi ha detto la vera e pura verità al mio
fratellone gasato?” Bill entrò nella stanza
salutandomi con un cenno della mano. Io contraccambiai e lo feci anche
con Georg.
“Ci dispiace
tanto per questo brutto intoppo. Ma la polizia sta facendo del suo
meglio” continuò Gustav. Io annui ficcando in
bocca una forchettata dei gustosi spaghetti.
“BUONI!” commentai
io una volta mandato giù.
“Li ho fatti i…” Bill diede una pacca
sulla schiena di Tom che non riuscì a finire la frase.
“IO!” aggiunse, appena sfuggito alla mira di Bill.
“È impossibile. Sono troppo
buoni!” ribadii io.
Scoppiammo a ridere. Anche Tom. Fui
felice che sapeva stare allo scherzo.
“Tu si che ci sai
fare!” aggiunse Georg piegandosi dalle risate. “Hai
già imparato a mettere Tom al suo posto. Così
forse la smetterà di gasarsi!”
Tom imitò Georg con varie
smorfie simili a quelle delle scimmie.
Il vero problema è che stavo per bere e per poco
non mi si rovesciava il bicchiere.
Gustav si diede una sberla sulla
fronte. In segno di rassegnazione. “Cosa ho fatto di
male?”
Bill ridacchiò, mentre
fissava suo fratello esibirsi in un mimo contorto di Georg.
Forse non aveva tutti i torti Erika.
Forse mi sarei potuta lasciare andare. Avrei potuto fidarmi di loro. In fondo eranoquattro semplici
ragazzi come tutti quelli della loro età.
Quel pomeriggio lo passai con loro
quattro che mi raccontarono per filo per segno come fosse Monaco e come
fosse stato conoscere la maggior parte dei loro idoli tutti in una
volta.
Rimasi stupita da come erano ancora
elettrizzati e dal fatto che nella loro voce c’era emozione.
Vivevano tutto questo come un
incredibile favola e un
sogno che si realizza senza che se ne rendano conto. Poi mi dissero che
quando sono arrivati Bill aveva richiesto delle tendine arancioni per
abbellire la stanza.
“Ha
cominciato a dire che questa stanza per una ragazza come te doveva
essere colorata e non scialba…Però poi se
l’è scelto lui il
colore…Così si vede il suo adorato arancio
pulcioso!”commentò Tom.
Io ridacchiai. “Grazie Bill.
L’arancione è anche il mio di colore
preferito”.
“Oh che bello!
Però io adoro il nero nei
vest…”
“VESTITI!” urali
io felice. “Si pure a me! Perché mi fanno
magra!”
Bill mi fece una frettolosa radiografia.
“Non sei grassa. Le riconosco le persone grasse. Georg per
esempio è uno grasso, ma non tu…” Tom
diede un cinque a Bill e risero.
“Me la pagherete gemelli
Kaulitz!” disse Georg indispettito.
Gustav mi sorrise e io risposi
divertita.
Quei tre erano pazzi e noi due eravamo
gli unici ad essere a posto di mente.
Fu così l’intero
pomeriggio. Pieno di frecciatine pungenti per i diversi contendenti che
gareggiavano alla battuta più cattiva. E io e Gustav
sembrava avessimo guadagnato il ruolo di giudici per le loro scaramucce.
Si stabilirono lì anche la
sera e si fecero portare nella mia camera la cena.
Dopo aver mangiato Bill
improvvisò un microfono con la forchetta e mentre stava per
mettersi a cantare si prese una tirata d’orecchie da suo
fratello. “Ma ti sembra questo il posto per cantare, zuccone?
Siamo in un ospedale se non te ne fossi accorto”.
Bill posò la forchetta e
sbuffò. “Volevo solo cantare…”
“Appunto. Vuoi rovinarci la
serata?”
“Ha parlato il re dalle note
sballate!”
Tom alzò un sopracciglio.
“Sballo le note?” chiese preoccupato.
“Si a volte”.
Tom si disperò. “E non me l’hai mai
detto? E che cavolo adesso tutti
credono che sono un ignorante!”
“Ma lo sei fratellone e
tutti lo sanno non c’è bisogno che gli altri lo
scoprono.”
Tom lo guardò storto.
“Ma dai che skerzavo
cretino! Tu non sballi le note!” disse Bill ridendo.
“Fanculo Bibi!”
rispose Tom brusco non riuscendo ancora a capire come aveva potuto
cadere in uno skerzo così facilmente.
“Avevi una faccia
Tom!” aggiunse Georg.
“Certo che
avevo una faccia…e davvero bella, direi. Mi preoccuperei se
non ce l’avessi…” protestò
Tom.
Bill ridendo si volse verso di me e i
nostri sguardi s’incrociarono.
Non so per quanto rimanemmo a
fissarci. Non c’era bisogno di parlare. I nostri occhi
parlavano da soli. Non so cosa volesse dire, quella fitta che mi
pervase, ma era quasi piacevole.
Non so se c’entrasse con
Bill ma sapevo solo che desideravo tanto stare così bene
come quel giorno per
tutta la vita. In fondo non potevo tornare indietro e l’unica
soluzione era andare avanti e pensare alla mia felicità
senza dover per forza dimenticare mio padre.
Si, avrei fatto così.
Ero sicura che tanto non potevo cadere
più in basso di così.
Valeva la pena tentare,
no?
I giorni seguanti volarono proprio nel vero senso della parola. Non mi
ero mai sentita così leggera e felice dopo la morte di mio
padre. Sembrava che io stessi migliorando velocemente e lo
confermò anche il medico. Insomma forse entro
l’anno sarei uscita da questo buco, mamma permettendo.
Si perché di lei non
c’erano tracce.
La polizia stava facendo del suo
meglio senza portare risultare positivi.
Una notte me la sognai, mentre
arrampicava sul muro e entrava dalla finestra.
Quella notte era di guardia Gustav che
fu pronto a entrare in azione. Fu lui a calmarmi e mi fece
riaddormentare stringendomi la mano. Non so perché non
provai nessun problema con lui, quando mi toccò come mi era
successo con Bill.
Il giorno dopo scoprii che Gustav non
aveva detto niente agli altri del mio incubo perché non mi
dissero niente.
Lo ringraziai perché mi
accorsi che mi aveva fatto evitare i discorsi del cantante un
po’ troppo apprensivi.
Quel pomeriggio venne a farmi visita
Erika.
Provai una strana gioia nel vederla e
non ci feci nemmeno caso al suo abbraccio affettuoso che mi
stritolò (cosa che normalmente non sopporto).
Si sedette sul letto e confabulammo di
tantissime cose come delle vere sorelle. Mi mostrò cosa si
era comperata nei negozi in centro facendomi provare anche i fantastici
occhiali da sole che si sfilò come una vera diva.
“Ma con cosa le paghi tutte
queste cose?” chiesi sbalordita alla vista di tutta quella
roba.
Lei mi sorrise e estrasse dalla
borsetta il taccuino e lo aprì sotto il mio naso. Le
banconote che vi erano dentro mi fecero venire il voltastomaco. Tutti
quei soldi non li avevo mai visti insieme in una sola volta.
“Ma…”
“Bill. Lavoro per lui
ricordi?”
“Che cosa fai di preciso
scusa?”
“Varie cose. Lo tengo
informato sugli appuntamenti, quando serve faccio da interprete, gli do
una mano, quando ha urgenza di una cosa e non può andare a
comperarla per via dei fotografi così ci vado io al posto
suo. Vado con lui a fare shopping e gli consiglio cosa prendersi anche
se veramente lui è molto deciso e fa tutto da solo.
Però comunque me lo chiede sempre anche se sa già
che gli dico che sta bene. E poi lo aiuto a fare pratica per creare
vestiti e scelgo io ogni volta gli abiti per i set fotografici e lui
non fiata mai. È una specie di angioletto che protegge me e
io di conseguenza proteggo lui. Abbiamo questa specie
d’accordo.”
“E ti paga così
tanto?”
“Si. Io veramente ho
insistito sul fatto che era pazzo…Ma lui dice che i manicomi
non fanno per lui e quei soldi me li merito”.
Io rifissai ancora una volta i soldi.
“Come fai ad aver preso tutte quelle robe ed ad avere ancora
tutti questi soldi?”
“Oh be’ te
l’ho detto che Bill è pazzo…”
“E perché non li
hai spesi tutti?”
“Oh questi mi servono per
mangiare e poi gli altri li metto in banca. Quando sarò
maggiorenne voglio tornare al mio orfanotrofio e finanziare la
ristrutturazione in modo che i bambini che ci vivranno poi almeno
dormiranno nei letti e mangeranno cibi caldi”.
“Vieni da Magdeburg pure
tu?”
“Non proprio, lì
c’è l’orfanotrofio. Io vengo da un
paesino della Germania dell’est vicino
a Magdeburg.”
Io annuii in segno che avevo capito.
Lei mi sorrise e cominciò a
rovistare nelle borse. Ne estrasse una felpa e un piumone dei Tokio
Hotel. “Sai visto che stanno diventando famosi pure qui in
Italia e nei negozi li vendevano ho deciso di farti un piccolo
regalino. Quando ti vedranno con questa quei quattro faranno i salti di
gioia. E poi le lenzuola dell’ospedale sono così
scialbe…Ho già chiesto al
caporeparto se potevo visto che ci poteva essere un problema per
l’igiene e mi ha detto che bastava che la
lavavo…”
Io cominciai ad ispezionare
ciò che mi aveva comperato. Sulla felpa c’era il
simbolo enorme della band e loro quattro.
Bill era seduto, Georg era accucciato
vicino a lui mentre Tom e Gustav erano in piedi e alle sue spalle.
Mi piaceva.
Le loro facce avevano sguardi molto
intensi, soprattutto il moro. Era una cosa che avevo notato
già dalla prima volta che l’avevo visto.
I suoi occhi erano un libro aperto che
faceva trasparire ogni sua emozione e poi agli EMA avevo visto che
cantava con il cuore.
Erika doveva aver visto
l’i-pod di Bill sul mio comodino perché lo
agguantò e lo accese. “Oh è come quello
di Bill! Forte! Posso
andare a vedere i vid…?”.
La sua domanda rimase incompleta.
“Questo è il suo. Non è
che…?”
Io capii che aveva frainteso.
“No non l’ho rubato! Me l’ha lasciato
lui, quando è andato a Monaco!”
Avevo frainteso io. “Oh non
stavo insinuando questo. È che è strano che Bill
dia il suo i-pod a qualcuno…ci tiene molto alle sue
cose…Non lo impresta neppure a me…”
Io rimasi sbalordita a quella notizia.
Erika
mi sorrise come non fosse successo niente e mi aiutò a
spostarmi sull’altro letto, così poté
sistemare le coperte nuove.
Finito il lavoro squadrò il
letto e mi fece l’occhiolino. “Perfetto,
no?”
M’infilò la
maglia che mi stava a pennello, mi aiutò a rimettermi sotto
le coperte del mio letto e mi fece segno di stare in silenzio. Poi
urlò.
Come quattro uragani i ragazzi
tedeschi entrarono di corsa e si bloccarono vedendoci sorridenti.
Solo in un secondo momento si
accorsero che portavo una loro maglia e il piumone.
Bill aveva un’espressione da
bambino dipinta in volto e abbracciò Erika.
“Alla fine lo hai ammesso
che ti piacciamo?” domandò Tom.
“Erika mi ha
costretto…però sapendo che vi avrei reso felice
ho accettato, anche se non sono contenta…”
Georg si avviò verso la
finestra. “Non si dicono bugie. Tanto lo sappiamo che ti
abbiamo colpito e oggi nasce una nuova era sotto il sole di questa
splendida giornat…”.
Scostò la tenda arancione,
ma fuori non si vedeva solo che pioggia. Arrossì.
Ritirò le tende e si volse.
“Be’…anche se non
c’è il sole ….è lo
stesso… vero?” domandò balbettando.
Noi ridemmo felici.
Li fissai pensando che magari
anch’io avrei potuto considerarli una famiglia. Infondo cosa
mi costava? Dopo tutto quello che facevano per me…
Quella
sera mangiarono ancora con me e poi Bill insistette per raccontare
alcune barzellette molto divertenti seguito a ruota da tutti che
sembrava avessero il peperoncino alla lingua.
Durante la sera Tom e Georg alzarono
un po’ il gomito e alla fine ci ritrovammo ad ascoltare Tom
che ne raccontò alcune pietose su sfondo sessuale e fummo
costretti a stenderlo nel letto vicino al mio.
Quella notte quindi Bill rimase a
tenerlo d’occhio e a controllare che non vomitasse.
Gustav ed Erika invece accompagnarono
a casa Georg.
Una volta che Tom si
addormentò provai una voglia matta di parlare con Bill che
mi dava le spalle perché stava ancora tenendo
d’occhio il gemello.
“Bill?”
lo chiamai.
Lui si volse chiedendomi gentilmente
se avessi bisogno.
“No, è che mi
è venuto in mente che ho il tuo I-pod…”
Mi fissò stordito. Poi
ricordò. “Ah si! Giusto! Grazie…ma puoi
tenerlo ancora. Non puoi fare niente tutto il giorno. Almeno
così potrai ascoltare la musica, no?”
Io gli sorrisi grata. “Sei
gentile. Però, sai, non capisco il
perché”.
Lui mi rivolse uno dei suoi sguardi da
farti sciogliere in un attimo. “Non lo so nemmeno io.
È che forse ti vedo sperduta da sola in un mondo
più grande di te.
Mi ricordi tanto me da piccolo. Io, però, avevo Tomi.
Lui era il mio angelo protettore.
Tu sei veramente sola.
Mi sento in dovere di essere il tuo Tomi, la persona che ti porge la
mano e ti aiuta ad andare avanti. Verso la
felicità…”.
Abbassai gli occhi per evitare di
vedere quelli di quel ragazzo, che avevano una luce che mi confondeva.
Mi faceva sentire piccola e amata. O forse solo commiserata.
Di certo non volevo né
essere amata né commiserata.
“Non ti capisco in ogni
caso. Perché dovresti volermi vedere felice?
Perché?”
“Te lo ho detto, il
perché. Tu mi ricordi me da piccolo. Mi fai rivivere le mie
più brutte esperienze e paure.
Con tutto il cuore ho sempre desiderato che nessuno le vivesse mai
più.
Ora mi capita di vedere una persona che ne soffre ancora e non posso
fare l’indifferente”.
Mi venne la pelle d’oca. Non
riuscivo a credere che Bill potesse davvero pensare queste cose. Era
una cosa assurda.
Lui, che era famoso in tutta Europa,
mi aiutava perché non voleva che soffrissi le sue stesse
paure.
Il moro mi pose una mano sulla spalla.
“Mi comporto solo come avrei voluto che la gente si
comportasse con me”.
Era così vicino a
me…Poteva abbracciarmi di nuovo, ma non lo fece.
Questa volta ero io che lo desideravo
al contrario di quello che pensavo. “Puoi
stringermi?” gli chiesi, mentre pensavo che avevo fatto una
cazzata enorme.
Lui non disse niente. Fece un passo in
avanti e accostò la mia testa sul suo ventre (era
così alto che io da seduta arrivavo appena al suo ventre).
Mi accarezzava i capelli,
però non me ne fregava un bel niente.
Volevo solo sentirmi vicino a qualcuno
che non mi considerava neanche come un essere umano.
Non so quanto restammo
così. Minuti? Ore?
Sapevo solo che non
m’importava e che sarei rimasta lì al calduccio
tra le braccia e le carezze di Bill per
l’eternità, se avessi potuto.
Mi svegliai intontita.
Mi guardai attorno e vidi la finestra spalancata da cui entravano i
raggi del sole della mattina e il cinguettare degli uccellini, che se
stavano sui rami degli alberi, nel giardino dell’ospedale.
Accanto a me vi era ancora Tom che
dormiva beato. Solo in un secondo momento vidi che suo fratello era
seduto vicino al
letto e gli stringeva lamano.
Era davvero un quadretto commovente.
Mi domandai se veramente ieri sera mi
aveva abbracciato o era stato solo un sogno.
Guardandolo bene, però,
notai che Bill aveva la maglietta bagnata, credo a causa delle mie
lacrime.
Mi si strinse il cuore.
L’aveva fatto sul serio allora.
Arrossi, mentre ripensavo che glielo
avevo chiesto io di stringermi.
Chissà a cosa aveva
pensato, quando glielo avevo chiesto.
Allungai il collo per vedere se
dormiva davvero. Che meraviglia!
Dormiva beato come un angioletto con
la mano di Tom tra le sue che aveva allungato vicino a cuore.
Bill portava ancora il cappellino
grigio che metteva tutte le volte che non si piastrava i capelli.
Come avrei fatto a svegliarlo per domandargli la colazione? Non volevo
svegliarlo per una mia esigenza…
Così mi rimisi sotto le
coperte e aspettai. Attesi pazientemente che Bill aprisse gli occhi.
Non passò molto, o almeno
quello che credevo io, che il moro alzò la testa e
sbadigliando saltò in piedi.
Diede
un bacio al fratello sulla fronte e mi vide che lo
fissavo. “Sei già sveglia…”
“Già…”
“Scommetto che hai
fame!” disse rivolgendomi un dolce sorriso. Io annui.
Bill allora mi fece con la mano un
cenno di saluto e sparì fuori dalla stanza.
Dopo una buona ventina di muniti
entrò cercando di fare veloce senza però
rovesciare il latte dalle tazzine.
Posò il vassoio sul letto e corse a
chiudere la porta della
stanza. Tornò
vicino a me e mi fece cenno di stare in silenzio. Si
accucciò tra il mio letto e quello di Tom con la schiena
appoggiata al mio comodino.
“Cos’è
successo?” chiesi in un sussurro io.
“Tua
mamma…” furono le sue due uniche parole che mi
fecero raggelare in sangue nelle vene.
Se mi trovava era la fine.
Mi prese il panico più puro.
Non sapevo cosa fare. Cominciavo a sentire caldo e avevo voglia di
urlare quanto fossi disperata.
Una mano afferrò la mia e
io abbassai lo sguardo. Era la mano di Bill che teneva la mia e che
scosse la testa. “Calmati. Non ci troverà.”
Io non ne ero tanto sicura. Mia mamma
non si arrendeva facilmente. “Ho paura…”
Lui allora mi fece segno di scendere
dal letto e mi allungò una mano.
Dovetti eseguire
un’operazione delicatissima perché avevo ancora le
gambe ingessate.
Cercai di mettere giù una
gamba, poi l’altra. Scivolai proprio alla fine e finii in
braccio a Bill.
Lui mi prese prima che cadessi sul
pavimento e provocassi un tonfo anomalo.
Mi sorrise sfuggevole e delicatamente
guidò la mia testa, ad appoggiarsi sulla sua spalla, rivolta
verso la finestra in modo che non vedessi la porta.
“Il modo migliore per
affrontare le paure è non vederle…” mi
sussurrò all’orecchio e un brivido mi percosse la
schiena, quando sentii il suo fiato caldo sul mio collo. Cazzo ma gli
ero proprio in braccio!
Non aveva tutti i torti,
però. Non riuscivo a vedere la porta e non avevo paura.
Proprio mentre pensavo che Bill aveva
ragione sentii dei passi fuori dalla porta che percorrevano di gran
carriera il corridoio. Era lei, lo sapevo, lo sentivo.
Cominciai a tremare. Il moro se ne
accorse e mi strinse ancora di più e mi pose una
mano sul mio orecchio così non potevo nemmeno sentire.
L’unica cosa che riuscivo a
percepire era il battito regolare del cuore del ragazzo,
perché ero proprio spiaccicata contro il suo petto.
Dopo minuti interminabili il front man
mi liberò l’orecchio e mi aiutò a
rimettermi a letto con mio dispiacere perché un
po’ mi era piaciuto stare lì tra le sue braccia.
Non so cosa mi stava succedendo,
però cominciavo ad apprezzare ogni singolo comportamento di quel
ragazzo che si prendeva cura di me.
“È andata
via…Presumo che la polizia l’abbia trovata qui
fuori perché ho sentito che correva via e poi ho sentito,
credo, due persone che urlavano e che correvano. Parlavano in italiano
quindi non so cosa dicessero…” confessò
fissandomi preoccupato.
Io squadrai la porta che si
aprì di colpo ed entrò un giovane in divisa ansante.
“Era qui. La donna che cercavamo era qui, ma è
fuggita un’altra volta. Tornerà presto. Molto
presto, temo. Voi state bene?”
Io e Bill annuimmo.
“E quello li?”
disse rivolto a Tom.
Alla vista del
ragazzo, che dormiva intontito dalla sbronza di ieri sera come se
niente fosse, scoppiammo a ridere. “È solo mio
fratello…” rispose Bill.
“Ah, be’, contento
lui! Io devo andare…Se vi serve qualcosa la mia squadra
è al vostro servizio” disse stringendosi nelle
spalle e poi richiuse la porta.
Bill si rigirò verso di me
e mi chiese se stessi bene.
“Tutto a posto. Tu?”
“Tutto a posto pure per
me” disse sorridendo. Mi riempì il cuore di una
gran gioia, ma non capivo perché. Credo che fosse a causa
del suo sorriso, forse, che sembrava quello di un angelo.
Era difficile da spiegare come
progressivamente mi stavo legando a lui, al suo modo di comportarsi e
di essere.
Era la prima volta che mi fidavo di
uno sconosciuto così tanto da permettergli di starmi vicino.
Dentro di me mi sentivo in lotta.
Volevo dirgli che doveva andare via e
che sarei dovuta andare avanti da sola, ma era la prima volta che mi
sentivo bene da quando avevo visto morire mio padre.
Avevo visto solo dolore e solitudine,
lacrime e avevo vissuto di continue fughe allo stremo delle forze per
sfuggire a mia madre.
Solo che ora che Bill mi stava
aiutando a nascondermi, mi proteggeva e non dovevo più
sopportare il peso del
passato da sola. Ero capitata d’improvviso in paradiso.
“Lie?”
Mi riscossi dai miei pensieri.
“Si?”
“Sembravi…”
Mi si avvicinò pericolosamente e allungò la mano.
Per un attimo ebbi un tuffo al cuore.
Mi
toccò la guancia e poi la passò sulla mia fronte.
“Ma tu hai la febbre…” disse tutto
preoccupato.
Io volevo controbattere scostando la
sua mano e mostrargli che andava tutto bene, ma mi prese un capogiro e
caddi in avanti. Se Bill non mi avesse preso sarei finita con la faccia
a terra.
“Eh eh, dove vai? Rimettiti
giù che vado a chiedere al medico un termometro”
disse lui ridendo e aiutandomi a stendermi. Poi mi rimboccò
le coperte e scomparve fuori dalla porta.
Fissai pensierosa il soffitto. Quando
avrebbe smesso di stupirmi? Mai, credo.
Bill corse alla ricerca di un dottore.
Intrecciò il cammino di un
uomo in camice che stava scrutando la cartellina che portava in mano e
lo chiamò. “Scusi dottore! La mia amica,
ricoverata qui in questo reparto, credo abbia la
febbre…”
L’uomo alzò lo sguardo. “Come si
chiama?”
“Lie…è
stata ricoverata dopo l’operazione alle
gambe…Quella ragazza senza parenti…quella che
è stata investita…”
Lui annuì assente.
“Certo prendo il termometro e vengo subito. Ah siete stati
avvisati che la madre della ragazza è entrata
nell’ospedale?”
“Certo.”
“Sapete allora anche che
è stata inseguita e che è riuscita a
fuggire?”
Bill scosse il capo.
“Il comandante della polizia
mi ha riferito che ci sono stati non pochi
problemi…naturalmente dovrebbe interrogare sia lei, sia la
ragazza. A quanto pare ci sono alcune cose che non sono chiare nella
dinamica di ciò che è avvenuto
oggi…”
“Nessun problema. Non
è che, però, ora potrebbe venire a visitare la
mia amica?”
“Si ha
ragione…”
“Grazie. Grazie
mille” rispose Bill in un italiano tenero.
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Capitolo 5 *** Vigilia di Natale ***
Capitolo
5: Vigilia di Natale
Esattamente una settimana dopo il dottore mi assicurò che
alla vigilia di Natale sarei potuta uscire dall’ospedale.
Tutti erano felici e ringraziarono il caporeparto, mentre io ero
l’unica ad avere il muso lungo.
“Lie?”
“Si?”
“Perché sei
triste?” mi chiese Georg curioso.
“Perché qui si
dividono le nostre strade. Ognuno riprenderà la sua vita
normale…”
“No. Puoi venire a casa nostra”
disse Tom.
“Ma certo.
Così poi possiamo venirti a trovare, quando
vogliamo” aggiunse Gustav felice.
Bill si limitò a
sorridermi. Inutile dire che mi sciolsi un’altra volta. Sarei
andata a vivere in casa Kaulitz…Questo voleva dire che
ancora per molto avrei potuto sciogliermi…
“Grazie”.
Erika cominciò a saltare
come un canguro. “Vieni a farmi compagnia in camera mia! Che
bello! Finalmente una ragazza e non solo maschi!”
“Così puoi farti
odiare per bene…” bisbigliò Tom.
La ragazza però lo
sentì e gli diede una gomitata. “Così
la posso mettere in guardia dai tuoi sporchi trucchetti per tirare le
tue vittime nella ragnatela”.
“Che schifo. Bleah! Io odio
i ragni!” protestò Bill.
“Povero Bill! Non vedi che
lo fai stare male…” ridacchiò Tom.
La ragazza sbuffò.
“Fanculo Tom”.
Georg e Gustav si lanciarono occhiate
eloquenti e poi scoppiarono a ridere.
Pazzi, erano pazzi. Però
erano la mia nuova famiglia.
Alzai lo sguardo e il mi ritrovai
faccia a faccia con il mio riflesso nello specchio. Ero davvero carina.
Erika quella mattina era venuta presto
e mi aveva lavato i capelli in qualche modo, poi me li aveva stirati
per bene e mi aveva anche truccato con ilmascara e la
matita.
Molto semplicemente, ma abbastanza da
evidenziare i miei occhi verdi. S’intonavano bene con i miei
capelli castani.
Si, davvero. Feci un gran sorriso e
dietro di me rispose Erika con un altrettanto enorme sorriso.
Mi aveva portato anche dei vestiti:
una minigonna nera, gli scaldamuscoli, un dolce
vita, un paio di all stars rigorosamente tutto nero e una
maglia bianca. Mi aveva comprato anche una giacca.
Accolsi con gioia la notizia che non
avrei più dovuto mettere quell’estiva che mi aveva
regalato mio papà.
“Perfetto. Forza andiamo che
ci aspettano giù…”
Erika prese la mia valigia con le
lenzuola e la maglietta dei Tokio Hotel,
l’i-pod di Bill e altri oggetti che mi avevano portato per
passare il tempo. Io mi sostenevo su una stampella e così
sistemate uscimmo dalla stanza.
Neanche il tempo di respirare che la
vedemmo là. Respirava affannosamente. Come dopo una corsa.
“Lie!”
Era mia
mamma.
“Mamma…”
bisbigliai io piano.
“Non sono qui per
farti del male…Solo per che ho cambiato il testamento.
Appena avrai diciotto anni potrai disporre di tutti
gli averi
di famiglia. Io li sperpererei tutti, quando invece, a te servono per
vivere. E poi che ti voglio un sacco di bene e mi dispiace tantissimo
per quello che ti ho fatto” disse tra le lacrime.
Sapevo che diceva la verità.
Mollai la stampella e mi avviai verso
di lei. “Lie sei pazza?”
“No, è mia
mamma!” risposi io.
In quel momento, mentre mi gettai in
avanti abbracciandola forte, giunsero dalla tromba delle scale i quattro ragazzi
tedeschi.
Erika fece loro segno di fermarsi.
Quanto avevo desiderato quel momento!
Riabbracciare mia mamma!
Quando ci separammo mi
baciò sulla fronte e mi sorrise.
La polizia stava già
salendo le scale e presto l’avrebbero arrestata.
No, dovevo fare qualcosa per lei. Le
dissi di fuggire dalle scale anti-incendio. Lei mi fissò
ancora per un secondo lungo una vita e poi scomparve.
Ero paralizzata.
Erika mi ridiede la mia stampella e in
quel momento arrivò la polizia. Tom indicò loro
una falsa pista e insieme uscimmo dall’edificio.
Nessuno aveva voglia di parlare e fino
all’aeroporto di Malpensa non si sentì anima viva.
Mia mamma mi aveva dato in
eredità tutti i soldi di papà. Cosa le era
successo? Perché d’improvviso era diventata
così buona? I dubbi erano troppi.
La macchina si fermò e
tutti indossammo un paio di occhiali scuri.
Uscimmo silenziosamente e Saki ci
accompagnò sulla pista e all’aereo pronto per
partire alla volta della Germania.
Per un certo verso era casa mia.
La terra natia della famiglia di mia
mamma.
Bill mi sorrise e io gli risposi.
Salii le scale del velivolo ed espirai. Si tornava a casa, finalmente.
Germania, Germania, Germania, Germania, Germania, Germania a
perdita d’occhio!
Sotto le nuvole vi era solo la unica e
inimitabile Germania. Già, era come vivere un grandissimo
sogno.
Una volta atterrati scesi
dall’aeroplano e cominciai a guardarmi intorno stordita.
Era da quindici anni che non respiravo
l’aria di casa.
Era come se la mia anima stessa
gridasse per la gioia.
Bill mi mise la mano sulla schiena e
camminando fianco a fianco, raggiungemmo la navetta che
attraversò la pista e ci lasciò davanti alla portadell’aeroporto.
Erika scherzava con Saki e Gustav,
mentre Georg e Tom stranamente non litigavano e ridevano come bambini
dandosi gomitate, quando vedevano passare una bella hostess o una
ragazza carina.
Tutto andava per il meglio.
La macchina si fermò davanti ad una
casa molto carina. Scendemmo e una donna dai capelli rossi ci
salutò felice.
“Ben tornati…eh chi è questa deliziosa
ragazza?”
“Lei è Lie. La ragazza che
abbiamo
investito a Milano…” rispose Bill.
Dentro di se avrebbe tanto voluto
aggiungere qualcos’altro.
Per esempio la ragazza di cui credo
essermi innamorato. Però si limitò a sorridere
mentre sua madre abbracciava la
nuova arrivata.
Era così bella quel giorno! Erika
era stata davvero brava…Quanto avrebbe voluto baciarla!
Si era irrimediabilmente legato a
lei dal giorno che l’aveva stretta a se e le aveva sussurrato
che non doveva
mollare, che era li e che sarebbe andato tutto bene. In fondo ora era
così, no?
Fu la volta di suo fratello. Simone
lo abbracciò fortissimo. Gli era mancato.
Bill sapeva che ogni giorno che
passava Tom si innamorava sempre più di Erika e malediva il
giorno che aveva
voluto portarsela a letto. Solo che non sapeva come dirlo alla ragazza
che lo
odiava, per quello che gli aveva fatto. Come avrebbe reagito?
Insomma entrambi erano ben
incasinati in fatto di amore.
Bill non riusciva ancora a credere
che Tom avesse un’astinenza da sesso da ben tre mesi.
Cioè da quando Erika
aveva visto il rastaro nel suo letto con una ragazza.
In poche parole Erika tornata da
una festa di lavoro con Bill aveva trovato Tom nella sua stanza, sopra
il suo
letto abbracciato ad una troia completamenti nudi.
Bill aveva sempre pensato che lei
avesse una cotta per lui e quello l’avesse ferita,
perché la ritrovò a piangere
in bagno più volte, però aveva sempre negato di
amarlo. Inoltre quella notte
aveva buttato fuori di casa a calci la ragazza e aveva insultato
l’orgoglio di Tom senza
pudore buttandolo
fuori dalla sua stanza e gettando le lenzuola a lavare.
Tuttora era sconosciuto il motivo
per cui Tom avesse portato il suo passatempo
nella stanza di Erika e non in un albergo.
Ora per Tom era impossibile
guardare una bottiglia di birra senza voltarsi e portarsi una ragazza a
letto.
Guardarla e farci fantasie si, ma più in là no.
Secondo Bill gli faceva solo bene e
da qualche settimana a questa parte lo vedeva più felice e
meno depresso, forse
anche perché gli stava vicino per non farlo ricadere nel
vizietto.
Toccò a Gustav e Georg, che si
sarebbero fermati per questa sera a mangiare e poi sarebbero tornati
alle loro
rispettive case. Infine abbracciò anche il moro.
Tutti insieme entrarono in casa.
Erika portò tutte le cose di Lie in
camera sua. Ridiscese e si gettò sul divano tra Bill e Lie.
Non degnò neanche
di uno sguardo il posto vuoto accanto a Tom.
Lui sbuffò irritato.
“Bene che si fa?”
Erika si accoccola al fianco di
Lie. I capelli biondi della ragazza le cadono mossi sulle spalle e le
incorniciavano il viso angelico con i suoi profondi occhi azzurri.
Bill poteva sentire il fratello
fremere, mentre giocherellava con i pantaloni e continuava a sistemarsi
fissando il vuoto.
“Facciamo qualcosa tutti
insieme?”
proruppe Bill ridendo.
“Ma dai stupido, non ci avevo
pensato!” rispose Georg ridendo.
“Perché non vi arrangiate
da soli e
io e Lie filiamo su?”
“Ma voi?” chiese perplesso
Tom.
“Oh be’ così
potete ubriacarvi
quanto volete…” rispose Erika sorridendo.
Non rimasero un attimo di più
perciò non poterono vedere la faccia delusa di Tom, cosa
invece che vide Bill.
Il moro
pensò che dovesse proprio essere
cotto.
“C’è la siamo cavata!” disse
Erika
una volta chiusa la porta della loro camera. “Non sai quanto
è orribile vederli
bere e te lì l’unica pirla che è
astemia e li vedi vomitare…”
“Cosa?”
“Scherzavo! Bill e Gustav non
bevono o almeno non davanti a me…Tom proprio non si
contiene. Mi guarda con
degli occhi…è troppo insistente, ecco!”
“Per quale motivo?” chiesi al volo.
“Vuole solo fare sesso, sesso e
sesso. E io non voglio!”
“Ma perché con te?”
“Perché è un grande stronzo!
Insomma non gli va giù il mio NO!” rispose
gettandosi sul letto.
Io ero ancora persa. Forse non
erano come me li ero aspettata. Forse piano piano si sarebbero rivelati
dei
grandi stronzi e io ero finita nella loro trappola! Il pensiero mi fece
gelare
il sangue nelle vene.
“Ma per fortuna che c’è Gusty! Lui,
sai, mi tratta come sua sorella…E anche Bill be’
è dolcissimo! Vieni, ti faccio
vedere una cosa…”
Mi fece il segno di avvicinarsi e
aprì un’anta dell’armadio. Dentro vi era
un orsacchiotto di peluche.
Lo prese in mano e me lo mostrò.
“Me lo ha regalato per il mio compleanno tre anni fa! Il mio
primo peluche…Di
notte avevo spesso degli incubi ma da quando ho avuto lui” e
indicò
l’orsacchiotto “Dormo come un sasso!”.
Io le restituii il peluche e le
sorrisi. “Oh sì anche Georg è molto
gentile, però a volte mi fa degli
apprezzamenti al sedere, quando Bill non lo sente…Lui
s’incazza! Lo fa solo
perché mi vede come un’amica e non come un poco di
buono che si mostra sexy
solo perché vuole farsi vedere. Non che lo pensi Georg, lui
lo fa solo perché
davvero è ossessionato!”
“Davvero?” chiesi ridendo.
“Non mi stupirei se qualche giorno
lo facesse anche con te. Infondo, però è un
ragazzo!”
“Bill no scusa?”
“Certo che è un ragazzo! Però
è
diverso…Ha qualcosa in più. È
speciale!”
Io la fissai senza capire.
“È un seduttore nato, per questo
non deve mettere in pratica giochi sporchi come Tom… Ti
conquista con il cuore
e con gli occhi! Anche con le parole, ma di più con gli
occhi”.
Volevo sbattere la testa contro il
muro. Mi aveva sedotto con gli occhi? Ma era davvero possibile?
Mi ero innamorata di Bill! Perché
ero così stupida!
“Che c’è?”
Io scossi la testa sorridendo. “No
no niente…”
Quando scendemmo in salotto vidi
che sotto l’albero di natale avevano sistemato i regali.
Bill assorto con le braccia
incrociate stava osservando se era tutto al posto giusto.
“È tutto
perfetto, Bill. Andiamo a
mangiare che ho fame!” disse Erika sorridendogli.
Lui venne verso di noi e insieme
andammo in cucina.
Ci accomodammo a tavola e subito
arrivò Simone, che servì la cena.
Era tutto squisito. Mi sarei
leccata i baffi se ce li avessi avuti!
Stare lì a tavola con tutta
quella
gente era una davvero un sogno…Il sogno di avere una
famiglia. Si era proprio
realizzato alla vigilia di natale…
Alla mia destra c’era Erika,
di
fronte aveva Tom e di fronte a me avevo Bill.
Che mi fissò tutto il tempo molto
insistentemente.
Solo che io avevo troppa paura di
guardarlo negli occhi dopo quello che mi aveva detto Erika.
Poi a capotavola vi
era Simone.
Vicino a Tom e Erika vi erano rispettivamente Georg e Gustav.
La madre dei gemelli sorrise
modestamente ai nostri complimenti e poi andarono tutti in salotto ad
attendere
la mezzanotte tranne i due G che fuggirono a casa terribilmente in
ritardo.
Io presi il cappotto e uscii in
giardino. Mi sedetti fuori sulla veranda. Le luci delle case di tutto
il
vicinato brillavano come stelle.
Era tutto così silenzioso!
Non mi
accorsi neanche che stava cominciando a fioccare la neve.
La neve a Natale! Sembrava tutto
così fantastic…
Una mano mi sfiorò la spalla e
sussultai dallo spavento.
“Oh scusa! Ero solo venuto a
vedere
dove eri…” si scusò Bill.
Io respirai profondamente e gli
fece segno di sedersi.
Il moro si strinse nel cappotto e
si sistemò accanto a me. “Da quanto non
nevicava…A me piace la neve…Sfasa
tutto…Mi sembra di stare in un altro mondo. Ho quasi la
sensazione di vivere un
sogno”.
I nostri occhi si incrociarono. Un
brivido mi percorse la schiena.
Avevo paura che se avessi parlato
mi si sarebbe incrinata la voce, però avevo voglia di
parlare…
“Già…”
quell’unica parola risuonò
un po’ masticata. “Da piccola con mio
papà facevamo il pupazzo di neve…”
abbassai lo sguardo.
A rivivere quel ricordo non riuscii
a sostenere lo sguardo di Bill.
“Ero sempre io ad infilare
la
carota alla fine per il naso…Papà diceva che lui
non era capace…” risi
debolmente “Ma la verità era che sapeva che mi
piaceva finirlo…e che poi avrei
saltellato felice…Mi chiamava cangurotto.
Avevo la mania di saltare…E poi
facevamo le battaglie di neve!”
Rialzai lo sguardo e vidi nei suoi
occhi tenerezza o semplicemente compassione.
Avevo voglia di continuare a
raccontargli ora che il blocco iniziale si era sciolto.
“E poi ci scaldavamo davanti
al
fuoco del camino…Mentre la mamma ci dava i nostri
regali…”
Potevo sentire le lacrime
pizzicarmi il viso.
Bill mi zittì e mi accompagnò verso
il suo petto. Potevo sentire ancora il suo cuore battere…E
anche il mio!
Il
moro mi accarezzò piano la testa e mi baciò
la fronte.
Ero rifinita in paradiso tra le sue
braccia.
Erika vedendo Bill
stringere Lie
che piangeva si ritirò e socchiuse la porta lentamente.
Pensò che fosse davvero un angelo
quel ragazzo.
Sul suo viso si stampò un sorriso
beato, pensando che Bill fosse la scossa che la vita di solitudine di
quella
povera ragazza aspettava da tanto.
Bill volse lo sguardo di scatto
verso la porta. “Oh gli altri ci aspettano
dentro…”
Mi alzò delicatamente e mi
asciugò
il volto umido per il pianto.
Mi sorrise con la sua solita calma.
Mi aiutò ad alzarmi e rientrammo in casa dove tutti gli
altri ci aspettavano in
salotto.
Cinque minuti dopo eravamo
indaffarati a scartare i nostri regali.
Si perché anche per me c’erano dei
regali.
Erika mi aveva regalato un i-pod
rosa, così avrei potuto restituire quello che usavo ora al
suo proprietario.
Tom invece mi regalò un bellissimo
paio di converse rosa e nere.
Infine Bill mi porse il suo regalo.
Aprii la confezione tremando.
Rimasi a bocca aperta. Mi aveva
regalato un enorme album contenente tutte le foto della mia famiglia.
“Come hai
fatto?”
“La polizia aveva perquisito casa
tua per trovare tua madre e hanno trovato questo tutto malandato e io
l’ho
risistemato…Ho rinserito tutte le
foto…”
L’abbracciai commossa. Il suo
regalo non aveva valore, era tutto ciò che rimaneva del mio
passato.
“Grazie” gli sussurrai
all’orecchio.
Mi ritirai continuando a stringere
l’album. Era bello avere di nuovo una famiglia che ti
amava…Avrei tanto voluto
urlare la mia felicità ma mi trattenei.
Ero seduta sul letto nella mia
nuova camera.
Erika si era infilata il pigiama e
si era tuffata a letto.
Ne approffitai per riaprire l’album
delle foto e cadde un foglio sul pavimento.
Lo raccolsi e leggendo ogni singola
riga di ciò che c’era scritto il mio cuore
traboccava di gioia.
“Che leggi?”
“Niente…” risposi
infilando il
foglio da dove era caduto e m’infilai sotto le coperte.
Erika spense la luce.
“’Notte!”
“’Notte!”
Sul mio volto vi era stampato un
sorriso grandissimo. Su quel foglio, per me da parte di Bill, vi era la
più
bella lettera che avessi mai ricevuto.
Dove be’ c’era
scritto che…
Chiusi gli occhi stanca morta e
quella notte dormii senza sognare la morte di mio padre.
Un altro capitolo completato! E
questo è niente paragonato alla fine!
Preparatevi i fazzolettini!
Ringrazio di cuore:
steffylove e angeli neri per essere
state le prime a commentare questa storia e a credere nel suo seguito.
Mi scuso
per l’abbondante ritardo della mia risposta, ma ero
totalmente incapace di
rispondervi (non sapevo come si faceva!)…grazie ancora e
continuate a leggere!!
bacione
Layla the punkprincess sperando che i capitoli nuovi ti siano
piaciuti e non siano
stati una delusione…perché il meglio deve ancora
venire (la parte iniziale sec
me è la più noiosa)…
Grazie per aver recensito e
leggi
ancora!! Bacione
Black_DownTh grazie per la recensione
breve…ma per me è
importante…grazie davvero! Bacione
Kessy993 grazie per la brevissima recensione!
Spero continuerà a
piacerti un sacco! E recensisci ancora!
BigAngel_Dark bellissimo il tuo nome! E fantastica è davvero
esagerato…continua a leggere e recensire….grazie
bacione!
E infine tokiohotelfurimmer per il
suo ti ADORO (mi ha sconvolto la vita!) no ske! Grazie di cuore per la
recensione! Sono commossa…sniff sniff…tutte
troppo gentili!!
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Capitolo 6 *** Ti sei rincitrullito? ***
Capitolo
11: Ti
sei rincitrullito?
Mi
svegliai e intontita mi
stiracchiai.
Misi
i piedi nelle pantofole e come
in trans scesi in cucina.
Seduta
a tavola vi era Erika che mi
fece un sorriso enorme.
“Buon
natale!”
“Anche
a te, Erika!” risposi io.
Bill
entrò in quel momento seguito
a ruota da Tom che si esibì in un enorme sbadiglio.
Ci
scambiammo gli auguri e poi
prendemmo a testa un enorme scodella di latte con le palline di
cioccolato. Ero
felice che piacessero anche a loro, perché io le adoravo!
Finita
la colazione Bill propose di
andare a fare un giro all’aperto.
Così
Erika ed io filammo in camera
a prepararci.
Lei
mi truccò come il giorno prima,
mi imprestò un paio di jeans, una felpa e mi misi le
converse che mi aveva
regalato Tom. Ero molto semplice ma almeno non davo
nell’occhio.
Erika
invece mise una minigonna con
le converse nere, gli scaldamuscoli rosa e una felpa nera.
Mi
infilai il cappotto e mi
protessi la gola con una sciarpa e la testa con un berretto bianco.
Altrettanto
imbacuccata come me la
mia compagna di stanza ed io scendemmo al piano di sotto.
Anche
i due gemelli si erano
cambiati. Bill indossava una giacca gessata, una camicia bianca e una
cravatta
nera come i pantaloni. Aveva i capelli stirati verso il basso e gli
occhi
truccati lievemente.
Tom
invece un paio di pantaloni
taglia XXL come sua abitudine e una maglia nera con i rasta nascosti in
un
berretto anche quello nero.
Erano
voltati di spalle e appena ci
sentirono scendere le scale si voltarono. Ci fissarono molto interdetti
e
piuttosto abbagliati.
“Siete
bellissime quest’oggi
signorine” si complimentò Bill. Per un attimo mi
sembrò di vedere in lui un
angelo.
Erika
sorrise e passò tra i due
fratelli e uscì da casa senza ringraziare.
Tom
si volse a fissarle la schiena,
mentre attraversava il giardino per non dire qualcosa di più
basso.
“Grazie”
risposi io debolmente a
Bill, mentre mi fissava con un’espressione beata.
“Bene…Vogliamo
andare?”
Il
suo tono era suadente e
mellifluo. Abbassai lo sguardo. “Certo…”
e mi avviai come aveva fatto Erika.
I
gemelli rimasero allibiti sulla
soglia della porta a guardarci. Non so cosa avessero…erano
così strani!
Bill
la fissava, mentre camminava
verso il cancello della casa e provava una gran voglia di darsi tanti
schiaffi.
Era partita senza di lui. Quanto era stato stupido!
“Forza
andiamo” disse buttando
fuori di casa Tom e chiudendo la porta a chiave.
Insieme
attraversarono il giardino
e le raggiunsero sul marciapiede appena oltre il cancello.
“Aspettarci
no è?” protestò Tom.
“Che
dovevamo aspettare scusate?”
domandò curiosa la bionda.
“Non
fare la spiritosa…è Natale
insomma! Un po’ di bontà…”
La
ragazza sbuffò e infilò una mano
sotto il braccio di Tom. Poi incominciò a strattonarlo.
“Forza
muoviti polentone che se no
non vediamo nemmeno una vetrina!”
Bill
scoppiò a ridere e a sentire
la sua dolce risata scoppiò anche Lie.
Il
moro la fissò felice e poi sfilò
dalla tasca del cappotto un paio d’occhiali che mise al volo
e le porse il
braccio.
Lei
si appoggiò a lui e si
incamminarono sulla strada innevata.
Me
ne stavo lì seduta in un angolo
al tavolo di una piccola tavola calda a sorseggiare la mia cioccolata
super
zuccherata con la mia migliore amica, nonché Erika, e con
Bill e Tom Kaulitz, il
cantante e il chitarrista dei Tokio Hotel!!
Era
davvero tutto così strano!
Vivevo
una vita diversa da quella
solita da meno di un mese e già sembrava che facessi parte
della famiglia.
Bill
addentò la sua brioche…
Deglutii
piano. Pianissimo. Per non
farmi sentire.
Perché
avevo tutta questa voglia di
essere quella stupida brioche?
Cercando
di dare il meno
nell’occhio mi concentrai sulla tazzina e cercai di evitare i
movimenti di
Bill, ma…
“Uhm…Do..
o d.. ve and.. amo?”
domandò a bocca piena.
Gli
rifilai un calcio. Mandò giù di
colpo e riformulò la domanda.
“Dove
andiamo dopo?”
Si
chinò verso di me sorridendo e
fissando avanti. “Belle maniere…!”
“Scusa…”
bisbigliai terribilmente
dispiaciuta.
Lui
si ritrasse. “Scusate…Devo
andare in bagno…”
“Si
anch’io…” dissi io al volo.
Davanti
alla porta del bagno si
accorse che ero dietro di lui. “Che ci fai qui?” mi
domandò pianissimo
visibilmente spaventato.
“Ho
preso al volo l’occasione di
lasciare Tom ed Erika da soli…Mi dispiace che litighino
sempre…”
“No
non dovevi! Rischiamo di
trovarli neri di botte!”
“Scusa
io non sapevo…”
Lui
mi sorrise. “Come potevi? Resta
qui e vedi se litigano…Io vado in bagno. Se vanno in
ebollizione entra in
azione…”
“Certo
capo…”
Bill
scoppio a ridere. “E brava la
mia recluta…”
Io
ridacchiai, mentre lui spalancò
la porta del bagno e sparì all’interno.
\\\\\\\\__________\\\\\\\\
“Che
hai da guardare?” chiesi
arrabbiata con Bill e Lie perché mi avevano lasciato sola
con quel maniaco di
Tom.
“Temo
proprio che l’abbiano fatto
apposta…”
“Braaavo
Kaulitz. Qualche
volta anche tu
ragioni!”
Il
ragazzo con i rasta non rispose
alla mia provocazione. “Ti sei rincitrullito? Non sai
più rispondere?”
“No.
È solo che sei perfetta ed è
impossibile trovarti dei difetti…”
Lo
fissai stupita. Lui se ne
accorse. “Da quando in qua sono perfetta? Non ero la
più scema e cretina
ragazza del pianeta?”
“Allora
ero solo un ragazzino.
Quando ti avevo offeso non sapevo quello che
dicevo…”
“Ah
si? Come no. Inventatene una
migliore…Stai rincitrullendo anche a dire le bugie! Hai
preso una botta in
testa?”
Tom
mi fissava spaesato e perso. Mi
fece un po’ di paura. Forse non stava bene…
“Non
me ne ero mai accorto ma hai
un qualcosa che ti rende il volto quasi angelico…Forse gli
occhi…”
Mi
diedi una manata in fronte. “Oh
mein Gott! Quanto sei ridicolo…Si vede che non sai fare il
romantico…”
Lui
mi fissò triste, ferito.
Io
con aria da intenditrice mi
sporsi in avanti e avvicinai le labbra al suo orecchio. “Ora
ascolta me…Ero
assorta nei miei pensieri quando ho incrociato i tuoi occhi bellissimi
occhi e
me ne sono innamorata immediatamente…”
Mi
ritrassi ridendo e addentai la
mia brioche. Tom rimase a fissarmi interdetto. Forse non si aspettava
che fossi
capace di essere così…così sexy.
(tom) …me ne sono innamorata immediatamente…
Era
le davanti di me.
Masticava
la sua brioche, mentre io
ero completamente impazzito.
Il
cuore mi saltava fuori dal
petto.
Nessuna
ragazza mi aveva fatto
letteralmente perdere la testa come Erika. Era come se mi avesse
stregato…
Però
non volevo che mi credesse
fesso. Mi avvicinai a lei che sembrò del tutto sorpresa.
(erika)
Non
me ne accorsi nemmeno.
Mi
si avvicinò come un gatto felino e sentii il suo fiato sul
mio collo. Il cuore
cominciò a battermi più forte. Le sue labbra mi
sfioravano l’orecchio. “Sei
troppo bella perché io ti possa
avere…Però non posso fare a meno di perdermi
nei tuoi occhi…”
Mi
prese letteralmente il panico.
Nella sua voce c’era un pizzico di tristezza e anche un
po’ di rassegnazione,
ma era stata così dolce e…e suadente…
(lie) Cosa
cazzo stavano facendo quei
due?
Non
litigavano…
Non
parlavano…
Si
avvicinavano e si bisbigliavano
all’orecchio?
Cosa
mi ero persa? Forse la loro
riappacificazione?
Non
feci in tempo a trovare una
soluzione plausibile per il loro atteggiamento che la mia attenzione si
focalizzò su delle urla dentro il bagno.
“Fuori
di qui!”
D’improvviso
la porta si aprì e mi
precipitò addosso Bill.
“C’è
il bagno per le donne lì a destra…”
Capii
subito cosa era successo.
Sulla
porta si presentò un ragazzo
sulla ventina.
“Oh
la tua amichetta. Forse anche
tu vuoi entrare in bagno? Di sicuro sei più piacevole della
tua amica…”
Avrei
tanto voluto dargli un pugno
dritto in faccia, ma Bill mi fece segno che andava tutto bene.
“Una
bella ragazza come te non
parla…”
Mi
si avvicinò e io lo evitai.
“Stammi lontano…”
Bill
mi si parò davanti. “Lasciala
in pace!”
“È
un ordine? Fatti da parte…Non
hai nemmeno il fegato di guardarmi negli occhi…”
L’uomo
fece un passo in avanti e
Bill lo colpì in pieno viso. Lui si tenne il viso con le
mani. “Ti avevo detto
di stare lontano! Ma non mi ascolti! Comunque io sono un
maschio…”
Gli
diede le spalle e mi prese per
un braccio. Una volta al tavolo Bill lasciò i soldi e la
mancia e disse agli
altri che uscivamo. Così ci ritrovammo fuori dal locale
sotto la neve che
fioccava.
“Che
succede?” chiese Tom
perplesso.
“Un
tizio ha sbattuto Bill fuori
dal bagno perché lo credeva una donna”
Tom
s’infervorò. “Cosa? Ancora?”
“Stai
bene Bill?” chiese Erika
premurosa.
Io
rimasi allibita. “È già
successo?”
Bill
annuì, mentre evitava gli
sguardi di tutti.
“Ma
poi Bill gli ha dato un pugno…”
aggiunsi io sperando che Bill si rianimasse.
Tom
sembrava stupito. “Davvero
Bill?”
Lui
incrociò gli occhi increduli
del fratello. “Si. Se mi offendono non ci faccio caso.
Però quando se la
prendono con te o con Erika e in questo caso con Lie mi arrabbio sul
serio. Voi
cosa c’entrate? Mi da ai nervi…!”
Noi
lo fissammo con un’espressione
colma di gratitudine. “Festeggiamo al pugno di
Bill?”
“Con
che cosa cretino? Con la
neve?” ironizzò Erika.
“Perché
no? È così bella…”
Erika
rimase stupida da quelle
parole, ma non capii perché.
Quando
fummo a casa Bill mi disse
che era perché l’anno scorso l’aveva
detto la ragazza orfana sempre il giorno
di natale.
Mi
disse che era perché non sapendo
cosa fare erano andati in giardino e erano rimasti a bocca aperta
mentre
nevicava e si erano “ubriacati” di neve.
“Secondo
te perché Tom si comporta
così?”
“È
innamorato. Pazzamente
innamorato. È una sensazione nuova per lui. E il
più delle volte non sa come
comportarsi…”
“Infatti
mi sembra abbastanza
impacciato…”
“Non
ha mai fatto i conti con
l’amore…Solo con il sesso senza sentimento e per
il puro piacere…Sono felice
che ora abbia perso la testa per una donna.
Molto più disponibile e felice. Quando si
è innamorati il mondo è rose e
fiori…”
“Sembri
molto preparato su questo
argomento…”
“Sono
solo romantico…”
Io
gli sorrisi. Quanto adoravo gli
uomini romantici!
“Hai
mai avuto un ragazzo?”
Io
scossi la testa.
“E
il primo bacio?”
Scossi
nuovamente la testa.
“Davvero?
Una ragazza come te non
ha mai avuto un ragazzo che le facesse battere il cuore?”
Sembrava
molto interessato e questo
mi fece arrossire parecchio. “Be’ cosa
c’è? Non sono proprio così bella
perché
qualcuno mi venga dietro…”
“Non
essere così pessimista…Non sei
brutta, anzi…Qualche giorno devi assolutamente venire a fare
shopping con me così
ti compero tutto un tuo guardaroba e pensiamo al tuo nuovo
stile…Ti faccio un
taglio di capelli che ti doni e penso a
truccarti…”
"Ma
non vado bene così?”
“Che
discorsi…Tu stai benissimo
anche così ma voglio solo che tu abbia un look tutto tuo e
che trovi il modo di
valorizzarti…Per non mescolarti alle oche che sono tutte
uguali…”
Lo
fissai esitante. Poi sbuffai
rassegnata. “Però decido io cosa comperarmi e come
conciarmi…”
Lui
mi sorrise fiero. “Certo…”
Quella
sera rimanemmo tutti
stravaccati sul divano in salotto a guardare un film e rovesciammo
pop-corn,
fatti da Simone, dappertutto.
Bill
e Tom si divertivano a
lanciarli e a prenderli al volo in bocca.
Prima
di andare a letto me ne
ritrovai alcuni addirittura nella maglietta…(Bill, in
effetti, ne aveva presi
pochi perché la maggior parte erano caduti…).
Erika
seduta sul suo letto
gongolava felice incurante che la stavo guardando.
“Che
hai?”
“Vieni…”
mi disse sbattendo una
mano sul letto per indicarmi dove sedermi.
Mi
buttai sul suo letto e lei
accese lo stereo che si trovava sul suo comodino.
Quando
gli stavo per chiedere
perché l’avesse fatto mi batté sul
tempo e mi disse che era perché avrebbe
confuso le voci e chi stava fuori non poteva origliare.
La
fissai illuminata. Astuta la
tipa!
“Tom,
quando ci avete lasciati
soli, mi ha detto che sono troppo bella perché lui possa
avermi ma ho degli
occhi troppo belli in cui lui si perde…”
Ero
completamente strabiliata che
Tom avesse potuto dire una cosa del genere…
“Si
ci sono rimasta anch’io di
merda. Come te…In fondo è molto
carino…Però al tempo stesso lo odio. Si
è
comportato da vero stronzo, però mi piace…Mi
sento stretta in una morsa!”
“Capisco.
Allora vuoi metterlo alla
prova…”
“Solo
che mi frega sempre…Trova il
modo di farmi sciogliere, quando mi sembra di avere la vittoria in
pugno e ho
paura che cederò ancora prima di capire se è
davvero stronzo da fare di tutto
pur di portarmi a letto o se davvero ci tiene a
me…”
“Bill
ha detto che lui è cotto…”
“Ma
Bill vuole sempre e comunque
salvare suo fratello e si fida tantissimo di lui, ma vedi Tom
è un gran
bastardo! Non si arrende tanto facilmente…”
“Questa
storia m’intriga…Se vuoi ti
do una mano…”
“Davvero?
Potresti andare dietro a
Tom e tirarlo nella mia trappola…così gli
rinfaccio di non essere stato sincero
e sono a posto…”
“Uhm
non sono capace di fare la
seduttrice…”
“Basta
che ti metti una minigonna e
lo inviti fuori…Lui ci viene di
sicuro…”
“No
non sono sicura…è in astinenza
da sesso e ha intenzione di resistere…”
“Tom?
Non resisterà più di due mesi
ancora…Per non dire qualche settimana…Se non vuoi
non ti obbligo. Troverò
qualcun altro…”
Io
fissai il pavimento indecisa.
“Te lo dico domani…Ci devo dormire
sopra…”
Lei
mi saltò al collo e cominciò a
baciarmi la fronte. “Grazie! Grazie! GRAZIE!”
Poi
si staccò, spense lo stereo e
filammo a letto.
Credo
che la mia compagna di stanza
si addormentò subito perché non la sentii
rigirarsi nel letto. Io invece avevo
gli occhi spalancati e non riuscivo a chiuderli. Ero terrorizzata. Come
avrei
fatto con Tom? Se poi cadeva nella trappola e mi costringeva ad andarci
a
letto? No questo no. E se poi Bill…Ma Bill non era
innamorato di me! Perché
avrebbe dovuto essere geloso?
Forse
potevo aiutarla. In fondo
dopo tutto quello che aveva fatto per me lei…Però
questo era voltare le spalle
a Tom e imbrogliarlo! O cazzo che situazione…
Fu
su quelle parole che crollai in
un sonno profondo.
grazie a BigAngel_Dark
per il SUPER MEGA FANTASTICA che la mia storia non merita sicuramente e
questo è un nuovo capitolino che spero ti sia
piaciuto...continua a seguire la storia =)
grazie anche a Scarabocchio_
che ha letto questa storia...e respira ti prego!
perchè il bello deve ancora venire!
ah cmq bel nome =)
cara tokiohotelfurimmer il mio indirizzo è
via madonna dell'uva secca 13/c, cap 37064 (VR). Magari non
è che hai netlog o l' e-mail?
|
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Capitolo 7 *** Saresti SEXY ***
Eccomi
tornata con un nuovo capitolo BigAngel_Dark, come mi avevi chiesto. Spero ti
piaccia, cmq non merito i tuoi complimenti, proprio per niente,
però mi fa davvero piacere che recensisci i miei capitoli.
Grazie ancora! Non se hai visto le altre storie che ho scritto, leggi
pure se ti va.
ATTENZIONE! Questo capitolo
è di VITALE importanza per la storia. LEGGETE e capirete! e
recensite pleaseee...devo capire se piace o meno...e se non piace cancellerò la storia!!
Capitolo
12: Saresti
SEXY!
Bill
sedeva in cucina e beveva da
una scodella di latte fissando il vuoto.
Mi
sedetti accanto a lui, che prese
un colpo dallo spavento e rovesciò il latte che aveva in
bocca sul tavolo.
Si
scusò velocemente e mi sorrise.
“Non ti avevo sentito…”
Aveva
tutti i capelli scompigliati
ed era in boxer…Non me ne ero accorta prima cazzo! Arrossii
all’improvviso e mi
voltai… “Scusa…”
Bill
si accorse ora che aveva solo
le mutande addosso. “Oh non sapevo…Ti da
fastidio?”
“Pensavo
che ti desse fastidio a te
farti vedere…ma se a te non fa differenza per me puoi fare
quello che vuoi in
casa tua…” Mi voltai e lui stava ridendo.
“Non
prendermi per il culo…”
"Adesso
non è che ti metti anche te
in mutande?”
Io
lo fissai inorridita. “Mai! Bill
vergognati!”
“Saresti
sexy…”
“Fanculo
Bill! Non ti darei mai
questa soddisfazione di sbavarmi dietro…”
Lui
mi strizzò l’occhio. “Io
ribadisco quello che dicevo prima…”
Gli
diedi una sberla sul braccio
ridendo e mi sedetti accanto a lui a fare colazione.
“Dai
su mi racconti qualcosa di
questa ragazza che ti piace?”
Bill
non mi guardò in faccia e
rimase a fissare la parete. “Direi un sacco di cose
banali…etichettare una
persona con degli aggettivi o dei termini secondo me fa perdere il
valore di
una persona…Lei è lei…Mi fa battere il
cuore…Le gambe mi cedono…Ho quasi un
groppo in gola che poi si scioglie appena lei mi sorride…Mi
sento in paradiso
quando la stringo…”
Avrei
tanto voluto sbattere la
testa contro il muro per averglielo chiesto. Forse tra loro
c’era qualcosa di
molto speciale se l’abbracciava…
“Sei
cotto…”
“Più
che cotto…”
“Scommetto
che sei felice eh!” lo
punzecchiai.
Lui
si volse verso di me.
“Felicissimo…” l’aveva detto
piano con una voce dolcissima.
Non
riuscivo a distogliere lo
sguardo dai suoi occhi. Rimanemmo a fissarci per così tanto
tempo che mi
sembrava mi stesse togliendo tutte le forze che leggesse dentro la mia
anima e
che svelasse il mio amore per lui nato così come sboccia un
fiore in primavera.
Fu
lui che riportò gli occhi sulla
sua colazione per primo. Io non dissi niente perché
semplicemente mi mancava
l’aria.
“Questa
sera ti va di venire con me
ad una festa con i miei colleghi della universal?”
Rimasi
intontita alla domanda.
“Cosa?”
“Ti
ho già comprato un vestito per
l’occasione! Ti prego…Vedi il fatto è
che sia io che Tomi ci presentiamo senza
ragazze al contrario di tutti che hanno una donna…Una
ragazza non ce l’abbiamo
e così quest’anno ci siamo detti che avremmo
invitato te e
Erika…In fondo siete le nostre migliori
amiche e non si rinuncia alle suppliche degli
amici…”
“Ok
va bene…Io vengo…Erika non
so…”
“A
lei ci pensa Tom..”
“Siamo
messi bene…”
“Già…Però
ora devi venire con me da
un parrucchiere…”
“Ma
sono chiusi Bill!”
“Il
mio amico no!”
Io
gli sorrisi arresa. Per Bill
avrei fatto qualsiasi cosa…
///////______________________//////
Presi
quasi spavento, quando mi
guardai allo specchio. Era pomeriggio inoltrato, quando avevano finito
di
sistemarmi i capelli, mi avevano truccato e mi avevano fatto indossare
l’abito
di Bill ad occhi chiusi perché dovevo vedere solo alla fine
l’effetto.
Ero
davvero sexy. Già. I miei
capelli erano mossi e sciolti mi cadevano sulla spalle destra nuda.
Gli
occhi erano evidenziati dal
Kajal, dal mascara che mi aveva notevolmente allungato le ciglia e
dall’ombretto nero. Sembrava che avessi degli occhi da
gatta…Quasi mi venne da
piangere, poi ripensai al trucco e mi disse che non era il caso di
rovinarlo…
Il
vestito era nero di paiette con
un’ampia scollatura e con una sola manica in modo che la
spalla destra restasse
nuda. Mi arrivava alle ginocchia ed era aderente al mio corpo. Indossai
poi un
paio di ballerine nere e il gioco era fatto.
Indossai
un cappotto bianco e andai
a vedere a che punto erano con Erika. (Alla fine aveva accettato anche
lei…)
La
bionda era vestita di rosso. Un
vestito un po’ di corto del mio senza spalline. I capelli
erano sciolti e
ricci. I suoi occhi erano accentuati da un ombretto rosa e le ciglia
lunghissime! Anche lei era un vero schianto. Non so cosa avrebbero
detto i
gemelli kaulitz…
Saki
poi ci accompagnò a casa. Bill
e Tom erano a cambiarsi. Decidemmo di fare un salto in bagno a
rimirarci ancora
un poco.
Quando
sentimmo la voce di Bill
dall’atrio ci avviammo.
Merda!
Erano ad aspettarci come
ieri…Solo ke erano entrambi tirati per benino.
Bill
aveva una giacca nera
coordinata con la cravatta e i pantaloni, aveva poi una camicia bianca
e i
capelli erano stirati verso il basso proprio come piacevano a
me…
Anche
Tom stranamente era vestito
con giacca e cravatta! Solo che era l’inverso di Bill. Tutto
bianco tranne la
camicia.
Forse
rimanemmo scioccati tutti e
quattro perché nessuno fiatava. Solo in fondo alle scale noi
là sopra. Fermi a
fissarci. Furono momenti imbarazatissimi che Erika ruppe facendo il
primo passo
e scese lentamente le scale.
Una
volta in fondo Tom le porse il braccio e lei
sorridendo gli si appoggiò e s’incamminarono verso
l’auto.
Fissai
ancora un attimo Bill, che
mi sembrava di aver visto deglutire.
Impossibile…Però ero convinta di aver
visto brillare nei suoi occhi uno strano compiacimento. Scesi
anch’io, e come
Tom, Bill mi offrì il braccio e insieme ci dirigemmo verso
la macchina.
Ero
troppo incredula su ciò che
stava succedendo che avrei tanto voluto darmi una sberla e svegliarmi.
Solo che
era tutto terribilmente vero.
Sedevo
tra Bill ed Erika in una
macchina nera che ci portava ad un’importante festa
dell’universal.
Io?
La ragazzina sfigata? Quella
che non ha mai avuto culo nella sua vita? Che ha visto il padre morire?
Forse
c’era uno sbaglio…
Il
contatto con la gamba di Bill mi
stava facendo morire...La mia spalla contro la sua. Stavo letteralmente
sclerando!
Non
mi accorsi neanche che eravamo
arrivati. Bill mi sorrise felice e uscimmo insieme dalla vettura sotto
i flash
di alcuni paparazzi fuori dal cancello della villa dove si teneva la
festa.
Era
lui che mi dirigeva verso la
casa sorridendomi e facendomi incespicare come se avessi avuto le
scarpe con
tacco da dodici! Cacchio ma perché mi perdevo nei suoi
occhioni così dolci?
Varcammo
la soglia della villa e
ero li per crollare. La stanza in cui si svolgeva la festa era enorme.
Un sacco
di gente che parlava o che mangiava. In quel momento avrei tanto voluto
fuggire
via. Io non ero il tipo da stare li in mezzo…
Molti
si voltarono verso di noi e
rimasero in silenzio.
“Oh
ecco i gemelli Kaulitz! Ora la
band è al completo! L’orgoglio della casa
discografica Universal…” urlò un
signore giovane, alto e biondo, in giacca e cravatta.
I
due gemelli sembravano a loro
agio tra la bolgia di gente che vociferava instancabilmente.
Fu
come un massacro passarci in
mezzo per andare chissà dove, mentre sentivo il braccio di
Bill sfuggirmi e
irrimediabilmente perdermi da sola nella maree di estranei e di
spintoni.
Che
cavolo ma se non hanno il posto
perché invitano tutta sta gente!
Riuscimmo
a trovare la porta che
dava sul giardino del retro con la piscina. Li era molto più
tranquillo e ci
sistemammo a bordo piscina con le luci che illuminavano
l’acqua e le palme
tutt’attorno a quest’ultima.
Era
un posticino abbastanza
appartato e romantico. “Oh che facciamo ora?”
“Ci
rompiamo…Odio queste feste
perché dobbiamo vestirci in questo modo e non
c’è niente da fare!”
“Pessimista!”
dissi io ridendo.
Bill
sogghignò, mentre si alzò
dalla sedia e si offrì per andare a prendere da bere.
Menomale…Se
non era per il cappotto
sarei morta dal freddo…
Non
dopo molto Bill arrivò con
quattro koktail diversi e li posò davanti ad ognuno di noi.
“Danke
fratellino…”
Il
moro sorrise felice e si
sedette.
Mentre
sorseggiavamo le nostre
bevande arrivarono anche Gustav e Georg con due ragazze.
Klarissa e Karin. Le due k.
Come le aveva
chiamate Erika quando le vide. Si salutarono e si sedettero al nostro
tavolo
(Però che buffo dire che le due K stavano con i due
G…).
Poi
Bill me le presentò e mi
accorsi che erano vestite una l’opposto dell’altra.
Una aveva il busto bianco e
la gonna nera e l’altra l’inverso, con le ballerine
argentate.
Klarissa
era rossa e riccia e aveva
occhi verde chiaro, mentre Karin era bionda con occhi azzurro ghiaccio.
Poi
chiacchierammo tra donne e le
trovai veramente simpatiche e spigliate. Il tempo passò
velocemente e a
interromperci ci pensò l’uomo che aveva presentato
Bill e Tom alla loro entrata.
Annunciò che le danze potevano avere inizio. Così
le due K e i due G sparirono
insime a Erika che disse di avere urgente bisogno del bagno e con lei
Tom che
non diede nessuna spiegazione.
“Mi
concede un ballo, signorina?”
domandò Bill una volta rimasti soli.
“Tu
sai ballare?” domandai
sorpresa.
Bill
sorrise. “Certo. Sottovaluti
le mie potenzialità!”
Sorrisi.
“Ok” accettai alzandomi.
Bill mi tolse il cappotto e insieme ci dirigemmo alla pista interna.
Solo in
quel momento mi venne in mente che Bill avrebbe dovuto…Oh
cazzo troppo tardi!
Bill
mi aveva messo una mano sul
fianco e aveva preso l’altra accostandosi al mio corpo. Ci
sapeva fare… Come se
l’avesse fatto miliardi di volte.
Cercavo
di non incrociare i suoi
occhi, ma fu tutto inutile. Gli occhioni nocciola di Bill sono
irresistibili =)
Cambiarono
canzone. Suonarono un
lento. Imprecai silenziosamente. Che cazzo! Bill mi strinse ancora di
più e
eccomi contro il suo petto, guancia contro guancia, con le sue mani sui
miei
fianchi. Era un tocco così lieve che era quasi impossibile
accorgersene,
nonostante tutto però arrossii violentemente.
La
pelle di Bill era calda e
morbida. Mi abbandonai nelle sue braccia. Senza pensare a
ciò che stavo
facendo.
Bill
mi accarezzava la pelle e il
mio cuore di rimando batteva spregiudicatamente.
Le
luci si affievolirono, mentre
cadevo in trans. Chiusi gli occhi e mi abbandonai al contatto con il
corpo
filiforme del Kaiser.
////////_____________//////
ringrazio
tutte le 1588 persone che hanno letto questa storia ma non si sono
fermate a recensire...grazie...bacibaci e continuate a leggere...
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Capitolo 8 *** Ti amo ***
Scusate
se questo capitolo è davvero corto...la la storia non piace
molto quindi è inutile postare altri capitoli...questo
è l'ultimo capitolo...spero vi piacerà cmq.
Capitolo 13: Ti
amo
Corsi per tutta la sala in
cerca di Erika. La vidi di
sfuggita che scompariva dietro una porta in una stanza buia.
La segui senza esitare e
mi ritrovai nel buio più assoluto.
Un passo. Un altro. Inciampai e andai a sbattere contro qualcosa di
morbido.
“Ahhhh! Chi cazzo sei?”
Riconobbi la voce di
Erika. “Sono Tom. Scusa. Ti stavo
cercando e ti ho visto entrare qui”
“Non ti passa
per la testa che quello che voglio evitare sei
proprio tu?”
Era stato come ricevere un
pugno allo stomaco. Non la vedevo
in faccia e questo mi fu d’aiuto, anzi era
l’occasione perfetta!
Un
altro passo e il suo corpo era
addosso al mio. La sua fronte contro la mia. Non mi teneva,
però. Non mi stava
costringendo. Ero io che stavo ferma e non mi muovevo, quando ne avevo
ancora
la possibilità. Le sue labbra si avvicinarono alle mie e
sentii il suo piercing
sfiorarmi la bocca. Poi con molto delicatezza oppure si potrebbe dire
con molta
timidezza mi ritrovai le sue labbra sulle mie e mi diede un bacio
tenerissimo neanche
fosse lui. Non vedevo, ma in ogni caso chiusi gli occhi e risposi al
bacio con
la stessa dolcezza con cui mi stava trattando lui. Credo che ci rimase
malissimo perché mi sembrò di sentire una sua
esitazione momentanea che poi si
mutò in una maggiore sicurezza. Superata il momento critico
dell’iniziativa il
bacio diventò qualcosa di più profondo. Tuttavia
Tom non osava mettermi le mani
addosso. Ero io piuttosto che gli tenevo una mano sulla guancia.
Il
rastaro si staccò, ma non parlò.
L’unico rumore era dato dai nostri regolari respiri e battiti
del cuore. Non so
cosa pensasse di me…
La
risposta arrivò molto presto.
Avvicinò
la bocca al mio orecchio e
con un tono di voce mellifluo disse solo due parole. Due sole parole
che mi
fecero impazzire. Non ci vedevo più. Perché? Ero
certa che quelle parole non
gli erano mai uscite dalla sua bocca…Non erano le tipiche
parole del sexgott
che conoscevo io. Non potevo rimanere lì
ancora…Presi tutto il mio coraggio e
gli sfuggii da sotto il braccio. Con la mente non del tutto lucida mi
diressi,
brancolando nel buio, alla porta. L’aprii con foga e mi
gettai tra la folla per
sfuggirgli.
Uscii
in giardino e rimasi li ferma
con il freddo che c’era a bordo piscina a fissare il mio
riflesso sfasato. Le
lacrime mi rigavano il volto, ma non avevo la premura di cancellarle.
Tom, il
ragazzo che amavo, il Tom che odiavo, il ragazzo che mi aveva appena
baciata mi
aveva detto “Ti amo”. Come poteva aver trovato il
coraggio di dire quelle
parole che non aveva mai pronunciato? Era solo la forza
dell’amore che glielo
aveva permesso. Ma non volevo ancora crederci. Non riuscivo a
on poteva arrabbiarsi...braccia senza
pensare a ciò che stavo
facendo. ancia a guancia con le sue mani sui miei finachi
fidarmi.
Tom non era fatto per una
ragazza sola. Non poteva rendermi felice…Eppure lo amavo.
Perché cazzo la vita
era così difficile?
Il
lento finì e quando i nostri
corpi si staccarono incrociai il volto angelico di Bill. Era troppo
bello…
Abbassai
lo sguardo. “Scusa vado a
prendere una boccata d’aria…”
Lui
mi lasciò e io fuggii via e mi
diressi verso il giardino. Sulla porta trovai Tom che fissava qualcosa
al di là
del vetro. Era Erika.
Lui
mi fissò con espressione
ferita. Come se avesse combinato qualcosa di veramente brutto. Lo
fulminai e
raggiunsi la mia amica. Stava piangendo.
“Ti
amo. Mi ha detto Ti amo, Lie.
Tom? Non è da lui, capisci?”
Quasi
scoppiavo dalla gioia. Tom
era davvero cotto. “Perché piangi?”
I
suoi occhi lucidi mi penetrarono
nell’anima e mi svuotarono d’ogni mio pensiero. Era
il dubbio che la rodeva
dentro. Ora capivo.
L’abbraccia.
Forse le serviva un
po’ di sicurezza.
“Mi
ha baciata…Eppure non credo che
sia stato come me l’aspettavo. È stato mille volta
meglio” disse ridendo.
Io
le accarezzai la testa (come aveva
fatto con me Bill), mentre mi si stampò un enorme sorriso
sulle labbra. Moriva
dalla gioia e io lo capivo benissimo.
Quando
si fu calmata tornai nella
sala e dissi a Tom che era un gran romanticone, lui mi fissò
storto poi capì e
sorrise felice. Come una scheggia corsi da Bill che mi stava cercando
disperato. Non capii perché e non ebbi il tempo di
chiederglielo.
Mi
chiese se avevo voglia di
ballare e appena io annuì mi condusse di nuovo in pista.
Provavo ancora la
stessa vergogna e la stessa gioia. Questa volta, però, Bill
era più teso. Solo
quando finì la musica e Bill mi sussurrò piano
all’orecchio “Questa notte sei
bellissima” intuii il perché.
Bill
cercò di evitare il mio
sguardo e si morsicò le labbra. Poi mi mollò e mi
disse che era meglio andare a
casa. Io annui, rossa come un peperone e andai a prendere la mia
giacca.
Quando
uscii nel giardino anteriore
alla villa una macchina era già li ad attenderci. Salii in
fretta e poi
salirono anche gli altri. Il viaggio di ritorno fu una tortura maggiore
dell’andata. Avevamo accumulato molta tensione tra di noi
quella notte. Tom
aveva detto ti amo ad Erika e Bill mi aveva detto che ero bellissima!
Io?
Insomma credo che fosse fuori di cervello. A lui poi piaceva
un’altra ragazza
non dovevo farmi illusioni…
Tutto
suo fratello…Che Erika si riferisse a questo? No,
Bill non mi voleva per
sesso. Non mi voleva proprio per niente. Lui era innamorato di
un’altra e
quello era solo un complimento d’amico. Però non
ne ero tanto convinta.
Arrivati
a casa volevo filare
subito in camera e non guardare nemmeno negli occhi Bill, ma poi mi
decisi
proprio prima che chiudesse la porta a dargli la buonanotte e lui mi
rispose
con un enorme sorriso.
Quando
mi addormentai avevo ancora
stampato nella mente il suo volto solare.
Ecco
il piccolo ultimo capitolo...non sarebbe la fine questa ma la storia
non piace.
|
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Capitolo 9 *** Lei è tutto per me ***
Ci
siete riusciti...Ok continuerò, ma appena vedrò 0
commenti o solo 2 non posto più...non è un
ricatto, ma è che sto postando tante storie è ce
ne sono di quelle più popolari, anche se non molto. Sarebbe
un peccato ora comincia il bello della storia...l'inizio non
è poi così bello...ma il resto mi piaceva tanto.
La storia è nelle vostre mani. Spero di potervi scrivere
ancora. Ciaooooo e buona lettura.
0 --------------------- 0
Capitolo
13: Lei
è tutto per me
Quella
mattina dopo essermi
svegliata mi vestii e scesi le scale. Trovai Erika che usciva dal
bagno.
“Ciao.
Ehi hai deciso? Per quella
cosa dell’altro giorno di Tom?”
Subito
non capii, poi mi venne
l’illuminazione. “D’accordo. Ma come si
fa?”
“Tu
non devi pensare a niente.
Faccio tutto io. Lo invito ad andare in discoteca e poi non mi
presento. E lì
poi entri in scena tu ok?”
Sembrava
un piano semplice... “Ok…”
“Bene…Vieni
con me? Ti servono dei
vestiti adatti per andare in discoteca!”
Io
ero un po’ indecisa se
accettare, poi però annuii.
Cinque
minuti dopo eravamo già in
strada per andare in centro.
Quella
mattina mi comparai (Cioè
volevo dire comparò Erika perché io non aveva
ancora un soldo!)
Un
paio di pantaloni neri aderenti,
una maglia senza spalline bianca, un paio di scarpe con i tacchi
(Menomale non
troppo alti!), una minigonna nera e maglietta bianca con le spalline
nere e un
paio di stivali neri, poi per strafare Erika mi convinse a comperare un
top
argentato e uno con tutte stelline e ci fermammo anche a fare razzia di
trucchi
e quando tornammo a casa avevo i piedi che fumavano. Non avevamo speso
però
così tanto perché le maglie costavano una
miseria. La spesa maggiore erano
state le scarpe…Il prezzo degli stivali mi faceva
letteralmente vomitare ogni
volta che lo intravedevo sullo scontrino.
Buttammo
tutto alla rinfusa
nell’armadio (cosa che mi diede un po’ di fastidio
visto i soldi che avevamo
speso) e poi ritornammo giù in cucina. Ora dovevamo trovare
il modo di invitare
solo Tom e che Bill non sentisse. Erika non aveva nessuna voglia di
dargli
delle spiegazioni e meno che meno vederlo in discoteca con la alta
probabilità
che avrebbe fatto fallire il piano. Un po’ mi dispiacque per
lui.
La
nostra fortuna sfacciata stava
proprio nel fatto che Tom arrivò a casa da SOLO! Non capivo
dove fosse Bill, ma
non potei domandarlo perché la bionda fu pronta ad invitare
Tom in discoteca.
“Certo,
a che ora?”
“Facciamo
alle 10 e mezza??” disse
imitando una ispirazione da non so dove perché non voleva
che sembrasse tutto
programmato.
“Uhm
ok, certo!”
“Perfetto!”
Mi
voltai improvvisamente per non
vedere la faccia soddisfatta della mia amica. Non la potevo sopportare.
Cavolo
mi stavo dispiacendo per Tom, perché la vittima era lui ora
e non lei. E la
cosa che più mi faceva schifo era che io ero
d’accordo! Come mi avrebbe
guardato d’ora in poi se avesse scoperto l’inganno?
Mi facevo schifo da
sola…Provai a respirare profondamente per
calmarmi…Uh perché non potevo
chiedere aiuto a Bill. Scommetto che lui avrebbe fatto la cosa giusta
al posto
mio. Con un terribile senso di colpa mi buttai sul divano continuando
ad
ascoltare la bionda che parlottava con Tom sperando con tutto il cuore
che non
rendesse la pillola ancora più amara di quella che era ora.
“Lie!
Cacchio vuoi stare ferma! Non
riesco a truccarti…”
Ero
agitata. Terribilmente
agitata…Mi aspettava la morte proprio quella notte.
Perché era questo che mi
aspettavo dopo che Tom avesse scoperto ciò che gli avevamo
tramato alle spalle.
Mi
sentivo un vero schifo.
Erika
dovette fare la lotta per
riuscire anche solo a mettermi l’ombretto. Alla fine accese
lo stereo che sparò
a tutto volume le canzoni dei Tokio Hotel e mi calmai quel tanto che
bastava
per lasciarla lavorare.
Una
volta che ebbe finito mi disse
di aprire gli occhi e per poco non caddi dalla sedia. Quella nello
specchio ero
davvero io. Già. Aveva fatto un’opera
d’arte. Tutto merito del suo tocco da
maestra (che aveva imparato da Bill…Tutto
fatalità tornava a lui…). Andai a
rimirarmi nello specchio dell’armadio e sinceramente rimasi
scioccata del mio
cambiamento. Avevo messo il paio di pantaloni neri attillati, gli
stivali e il
top argentato che mi rendevano più alta e snella e anche
molto più sexy. Perché
non potevo farmi vedere da Bill? Ero sicura che avrei fatto colpo,
anche se tra
noi c’era quella ragazza misteriosa. Ancora adesso non
riuscivo a non pensare
al volto della ragazza che poteva godere delle attenzioni di
Bill…Desideravo
immensamente essere al suo posto…Scossi la testa sconsolata
e mi voltai verso
la bionda. “Sono uno schianto?”
“Certo
amo. Sei STUPENDA! Però
secondo me faceva più effetto la minigonna. Tom impazzisce
per le gambe in
bella vista! Per lo meno gli stivali hanno i tacchi...Magari potessi
ficcarglieli da qualche parte così magari perderebbe il suo
odioso orgoglio e
farebbe l’uomo per bene. Va be’ ora pretendo
troppo. Se non cade nella trappola
gli dirò tutta la verità”.
“Prometti?”
“No,
sei pazza?”
“Allora
questo vuol dire che credi
di avere delle possibilità e credi che lui si sia davvero
innamorato…”
“Ok
prometto” rispose una volta
arresa.
Le
diedi un bacio sulla fronte e
scendemmo le scale.
Ora
potevamo attuare il piano. Io
sarei andata in discoteca con Georg e Gustav che mi aspettavano in
macchina
fuori dal cancello e Erika avrebbe atteso Saki.
“Allora
tieni!” mi disse porgendomi
il suo cellulare. “Ti chiamo se ci sono problemi. Io ti sto
sempre vicina
nascosta da qualche parte pronta ad entrare in scena per coglierlo in
fragrante.
Se ci sono problemi per te allora basta che dici che devi andare in
bagno, ok?”
“Ricevuto!”
“Bene.
Simone sa che deve tenere
buono Bill quindi siamo a posto…”
“Povero
Bill!”
“Si
ora vai che se no facciamo
saltare tutto!”
Mi
spinse contro la mia volontà
nell’auto e dal finestrino mi salutò, mentre ci
allontanavamo e la mia
preoccupazione saliva notevolmente.
Per
la strada guardai fuori dal
finestrino le luci della città che scorrevano veloci e mi
confondevano…Dovevo
avere la cera di una che ha appena vomitato perché mi
sentivo uno schifo
terribile…
Con
tutta la mia buona volontà
cercai di pensare a qualcosa di bello e positivo senza molti risultati
e poi
arrivammo.
Gustav
mi aprì la porta della
macchina e il nostro terzetto si avviò. Entrammo nella
discoteca e ci raggiunse
subito il rumore assordante della musica. Indicai ai due G di andare a
ballare,
mentre io andai a cercarmi il tavolo dove Erika aveva dato appuntamento
a Tom.
Dopo
una lunga nuotata nella marea
di gente e dopo aver preso un’incalcolabile numero di
gomitate mi ritrovai
davanti al tavolo dove Tom sedeva, irrimediabilmente solo. Mi si
strinse il
cuore per un secondo poi avanzai mostrando un sorriso falsissimo.
“Ciao.
Anche tu qui? Sei solo?”
Il
rastaro fissò assorto la sedia
vuota e poi annuì.
“Posso?”
chiesi.
Appena
acconsentì mi sedetti.
“Tu
sei sola?”
“Oh
no mi hanno accompagnata Georg
e Gustav…”
“Bill?”
“È
rimasto a casa…”
Non
sembrava molto convinto però
forse non gliene fregava più di tanto. Forse stava pensando
ad Erika che
l’aveva bidonato.
“E
Erika?”
Ecco
la domanda. “Oh non so mi ha
detto che usciva…poi non l’ho più
vista! Credo che mi avesse detto che doveva
vedersi con un ragazzo…Si uno che aveva conosciuto da poco.
Uno che ha
conosciuto in discoteca qualche mese fa”.
Sembrava
pietrificato. La sua
espressione era indecifrabile. Stava davvero soffrendo. Questa per me
era già
una prova, ma appena sentii la vibrazione del telefonino (il segnale
che dovevo
andare avanti) mi riscossi e cambiai argomento. “Tu che ci
fai qui?”
Bella
domanda. Erika l’aveva
studiata apposta perché evidenziava ancora di più
quanto Tom fosse stato
stupido a presentarsi all’appuntamento.
I
suoi occhi correvano frenetici in
cerca di una scusa che potessi bermi. Non aveva intenzione di farsi
commiserare
da me per essere stato piantato in asso.
“Non
volevo rimanere a casa, però
non ho voglia di ballare…”
“Anch’io”
Dissi spostando
leggermente la sedia per avvicinarmi al ragazzo con i rasta.
Lui
non sembrava farci caso.
Ne
approffitai per continuare a
fargli domande e piano piano avvicinarmi. Erika mi aveva mostrato tutte
le
tecniche per fare la gatta morta e cercare di colpire Tom…ma
lui non sembrava
farci caso alle mie tecniche e non mi guardava nemmeno in faccia
continuava a
fissare il vuoto.
“Che
c’è? Perché fai così?
Perché
non mi guardi?”
“Scusami…”
“Per
farti perdonare vieni a
ballare con me?”
Esitò
un attimo e io per non farmi
dire di no lo trascinai in pista.
Mi
appiccicai a lui e cominciai a
ballare sinuosamente cercando in tutti i modi di strofinarmi.
Lui
non sembrava molto d’accordo e
spesso lo sentivo fuggente e impacciato.
Gli
presi le mani e le posai sui
miei fianchi…
Lui
si ritirò subito e voltandomi
le spalle se ne andò. Gli corsi dietro. Uscì
dalla porta d’emergenza e ci ritrovammo
nel parcheggio della discoteca.
Aveva
una mano sulla fronte.
Sembrava davvero disperato. “Oh merda! Non
posso…Lie io non posso e non voglio
stare a questo stupido gioco. Io non riesco più a toccare
una donna e pensare
di portarmela a letto come una volta. Ora desidero solo diventare
l’uomo che
vuole Erika. Io l’amo e non intendo farle del male. Lei
è tutto per me…è
diventata la mia ragione di vita. Voglio starle vicino per tutta la
vita e
proteggerla finché non morirò, anche se non
sarà mai la mia donna. L’importante
è starle vicino e continuare a sentire il cuore battere
così forte da fartelo
spaccare. Io adoro sentirmi il respiro marcare appena la vedo e le
fitte che mi
passano per la schiena, quando ride. So che le uniche cose che mi fanno
vivere…che
mi danno la forza di svegliarmi alla mattina e di tirare avanti. Se lei
se ne
andasse lontano mi distruggerei e non sarei in grado di ricostruirmi.
Sono
troppo fragile e lo so. Ma una vita senza di lei sarebbe come una vita
senza un
a parte di me. Come se ne andasse Bill. Io non riuscirei a vivere.
Siamo una
stessa cosa…Erika è speciale quanto Bill.
Oggi
mi aveva invitato qui e
dovevamo incontrarci, ma non è venuta. Ora mi sento
sgretolare. Mi sento
tradito e un vero stupido. Però me lo merito. Le ho rovinato
la vita ed è
giusto che ora io venga ripagato con la stessa moneta”.
A
quelle parole ebbi un lieve
mancamento. Era Tom? Proprio quel Tom che chiamavano Sexgott? Forse era
un suo
sosia. Come poteva essere lui? Insomma aveva fatto una dichiarazione
d’amore
così bella da far impazzire chiunque ragazza. Il suo era
amore. Amore vero.
Presi il cellulare. Mandai un messaggio ad Erika e le dissi di venire
nel
parcheggio.
“Non
è giusto che ti dica tutto io.
Ti spiegherà tutta Erika. Io vado dentro. Il mio compito
è finito. Sei un
grande uomo quindi tira fuori le palle e digli tutte le cose che hai
detto a me
a Erika. Comunque tu non mi piaci e non mi sei mai piaciuto. Preferisco
Bill,
quindi…”
Lui
mi fissò sorpreso. Credo fosse
molto confuso.
Lo
abbandonai nell’istante in cui
la porta di servizio di aprì ed uscì Erika. I due
rimasero a fissarsi per dei
minuti interminabili. Sorrisi ed entrai in discoteca.
Ringraziamenti:
Angeli neri:
per aver recensito più volte...e perchè mi
sembravi davvero preoccupata che finisse la storia. Scusami per averti
preoccupato ma come ho spiegato su, sto postando diverse storie e se
nessuno recensisce non so se piace. Le ci sono molti capitoli con 0
recensioni. Io sapevo che non avrebbe avuto molto successo l'inizio
perchè pure a me finito di scrivere la storia non piaceva
più. Però ora si vedrà. Ora con questo
capitolo soprattutto cominciano i dubbi. Se tornassi indietro la
scriverei in modo diverso, ma ormai è fatta così,
se mai l'anno prossimo finita di postare la revisiono. Cmq ho esaudito
il tuo desiderio. Questo è un nuovo capitolo e spero ti sia
piaciuto. Anche se per Tom le cose sembrano a posto tocca a Bill
soffrire. Continua a leggere. un bacione.
Layla the punkprincess: la fine arriverà se
la storia non piacerà. Potrebbe essere dopo qualsiasi
capitolo. Cmq grazie per aver recensito il capitolino di Tom.
BigAngel_Dark: grazie perchè hai
recensito tre quattro capitoli e anche se hai saltato qualcuno non
importa. Continua a leggere. un Bacione.
Ladysimple:
se ti piace Tom
romantico ecco questo capitolo spero ti sia piaciuto. Un bacione e
continua a recensire.
Marty sweet princess: ok ok vado avanti, ma
può finire da un momento all'altro. continua a seguire
però. un bacione.
__Ele: grazie per la mini recensione.
Kiss kiss, continua a seguire.
|
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Capitolo 10 *** Morte all'improvvio ***
Ecco
il nuovo capitolo di questa fanfiction. Spero sia di vostro gradimento.
In origine erano due capitolo divisi ma li ho uniti per non creare
troppi capitoli troppo corti. L'episodio che accadrà
porterà a una serie di eventi che cambieranno la vita di
Lie, mentre poi la fine si conclud con una parte più calma,
ma con una bella rivelazione. Non vi dico di più...buona
lettura!
Capitolo 15: Morte
all’improvviso
“Lie…”
Una
mano mi afferrò il braccio e
voltandomi mi trovai faccia a faccia con Georg.
Mi
porse il suo cellulare con una
faccia da funerale. “Andiamo fuori…”
Lo
seguii fuori e mi portò alla
macchina. Li avvicinai il telefono all’orecchio e riconobbi
subito la voce di
Simone. “Piccola scusa se ti disturbo. Il fatto è
che è accaduta una cosa
orribile…Non riesco a dirtelo al telefono…Vieni a
casa…Fai in fretta non hai
tempo…”
“Ok
vengo…” risposi con il cuore in
gola sperando con tutto le mie forze che non fosse successo qualcosa a
Bill.
Ero
terrorizzata, quando chiusi la
chiamata e salii in macchina. Identico fu il ritorno a casa e la corsa
verso la
porta che spalancai.
Nell’entrata
vi era Simone e Bill
con le braccia incrociate.
Volevo
tirare un sospiro di
sollievo…Ma Simone mi venne incontro e mi
abbracciò forte. “Ha telefonato tua
nonna da Roma. Domani il notaio leggerà il
testamento…”
Ebbi
un tuffo al cuore. Questo
voleva dire una sola cosa…Mia mamma era morta.
Mi
si strinse il cuore in una morsa
che me lo strappava lentamente. Molto lentamente. Le gambe mi cedevano
e gli
occhi mi si chiusero senza più le forze per restare aperti e
non riuscivo
neppure a respirare.
L’impatto
con il pavimento fu così
feloce e doloroso che vi ci rimasi li ferma per non so quanto tempo.
Dalle
palpebre degli occhi intravedevo le luci sfuocate del soffitto e il
sottile
viso angelico di Bill. Non lo sentivo però. Non sentivo le
sue mani, le sue
parole…Poi buio.
Ti
amo.
I
miei occhi si aprirono. Bill era
davanti a me. Chi aveva pronunciato quelle parole? Era solo un sogno?
Si solo
uno stupidissimo sogno…Quante illusioni che mi
facevo…Bill non avrebbe mai
potuto…
Le
mani del moro mi toccarono il
viso e le sue labbra si poggiarono delicatamente sulla mia
fronte…
Ora
avevo riacquistato i miei sensi
e riuscii anche a mettermi in piedi. Tutti mi fissavano preoccupati,
mentre mi
reggevo sulle gambe mal ferme. Non volevo che mi vedessero in quello
stato, ma
non potevo farci niente.
Il
dolore era talmente forte che
non riuscii nemmeno a piangere. Non riuscivo a liberarmi. Tenevo tutto
dentro…
“Abbiamo
un aereo tra due ore…Sono
riuscito a trovare due soli posti. Decidi chi ti deve
accompagnare…Non puoi
andare da sola…Non in queste condizioni”.
Oh
no! Avrei dovuto fare una
scelta…Non volevo offendere nessuno…Cosa avrei
fatto?
“Io
davvero non posso…”
“Allora
lasceremo tutto alla
sorte…” rispose Bill. Corse in cucina e ne
uscì con una bottiglia.
“Oh
mein Gott! Bill non vorrai mica
fare sul serio, spero!” protestò Georg.
Lui
non gli diede ascolto e pose la
bottiglia per terra, la fece roteare e si ritirò.
La
cosa che avrebbe scelto il mio
destino roteava ancora senza smettere e lasciandomi in sospeso.
I
miei occhi non si staccavano dal
vetro lucido della bottiglia e si spalancarono dallo stupore, quando si
fermò.
Perché
be’ indovinate su chi si era
fermata…Ehm si! Bravi! Ma come avete fatto a indovinare?
BILL!!!
Giusto.
Fatalità
era capitato proprio
lui…No non l’ho fatto apposta, giuro! Io non
volevo nemmeno che uscisse
lui…Invece la sfortuna mi perseguita. Ok magari un
po’ ci speravo…Però che
pizza! Ok mi piace e allora? Mi vergogno a parlarci perché
ho paura di rendermi
ridicola…e vivere per alcuni giorni sola con lui mi sembra
una situazione troppo
imbarazzante, ecco tutto!
“Ok
allora verrò io…Vado a prendere
le valigie. Simone ha già preparato la tua Lie quindi non
devi preoccuparti.
Non ci metto molto…intanto riposa.”
Gustav
e Georg mi presero e mi
portarono a sedermi sul divano. Ora mi sentivo uno straccio. Un brutto
straccio
usato per pulire e dimenticato nello sgabuzzino delle scope…
Ero
sola. Completamente sola. Senza
madre e padre. Senza un fratello o una sorella. Solo una nonna che si
perdeva.
Una nonna che non poteva prendersi cura di me…
Simone
mi aiutò a sfilarmi il top e
mi mise un dolce vita bianco. Poi m’infilò una
maglia nera e mi tolse
delicatamente gli stivali. Mi sfilò i pantaloni e con grande
fatica mi aiutò a
mettere un paio di jeans comodi e le converse.
Una
volta finito il lavoro scese
Bill del tutto cambiato. Portava i capelli sciolti sulle spalle con un
capellino nero e gli occhiali scuri, un paio di jeans e la giacca
bianca e
nera.
Sul
suo volto non vi era nessun
sorriso. Solo un profondo dolore e tristezza.
Tutto
attorno a me girava e i miei
occhi perdevano colpi…cioè credo che stessi
diventando pazza…
Ehi
ma quelli erano due Bill o
vedevo doppio? E questi chi sono? Un ragazzo castano e uno biondo mi
presero di
forza e mi trascinarono fuori di casa. Ma cosa stava succedendo?
Per
un attimo rimase tutto buio poi
tornò la luce. Ehi ma qualcuno mi stava stringendo la mano?
Non
capii altro e crollai
nell’oscurità.
La
testa di Lie mi crollò sulla
spalla e sussultai spaventato.
Povera
ragazza. Doveva stare
malissimo. Soprattutto dopo quella capocciata sul pavimento!
Gustav
le allacciò la cintura e poi
chiuse la portiera della macchina. Georg mise in moto
la macchina
(altra frase stupida!) e accese i fanali. Il cono di luce
illuminò la figura di
Gustav che ci salutò a malincuore, mentre il nostro veicolo
si allontanava
lentamente verso lo stop e poi svoltava per scomparire nel buio della
notte.
La
piccola manina di Lie (perché
era proprio piccola in confronto alla mia anche se lei non era
bassissima!) era
nella mia e sembrava così calda e morbida…Lo so
che avrei dovuto tenerla al
caldo anche perché non si congelasse però non
volevo prendermi della confidenza
come le volte precedenti senza chiedere…
Per
di più sentivo il suo respiro
regolare scandire il ritmo del battito del mio cuore. Più
ero in contatto con
lei più batteva come un dannato.
Mi
sarebbe saltato fuori dal petto
se avessi continuato a viverle vicino. Be’ forse avrei
preferito che mi
saltasse fuori dal petto se questo fosse stato il prezzo da pagare per
poterle
stare vicino.
In
fondo poi glielo avevo ripetuto
più volte che ero al suo fianco.
Mi
piaceva stupirla ogni volta con
nuove trovate o gesti a cui magari non era abituata per mostrarle che
l’amavo
ma lei a quanto pare non sembrava molto attratta. Cioè si mi
aveva chiesto di
abbracciarla ancora all’ospedale, ma quando gli avevo detto
che mi piaceva una
ragazza non aveva capito che stavo parlando di lei e ha pure detto che
era
felice! Forse davvero non le interesso…
Cavoli
mi sarei distrutto al
pensiero di vederla
con un altro
uomo…Ora che ci pensavo dove ero andata prima di arrivare a
casa? Era piuttosto
sexy…
Mi
salì un groppo in gola. E se era
un poco di buono? Magari era solo uscita con Erika visto che non
c’era nemmeno
lei…E Tom dove era finito? Se fosse stato lui il ragazzo con
cui era uscita? Ma
che stavo sparando! Lui era innamorato di Erika!
Mi
riscossi dai miei dubbi, quando
il motore della macchina si spense e le uniche luci provenivano dai
lampioni
dell’aeroporto.
Mentre
Georg andò a scaricare le valigie
io svegliai Lie il più dolcemente possibile.
Appena
mi vide sorrise beata. Forse
non ricordava il motivo per cui stavamo partendo. Mi faceva una
tenerezza
incredibile!
Aprii
gli occhi. Bill era davanti
di me. Sorrisi. Lui non rispose.
Un
po’ ci rimasi di merda, poi non
ci pensai più e cercai di scendere, quando qualcosa mi
precipitò letteralmente
addosso. Ecco, sì, avete indovinato di nuovo! Bill. Si era
impigliato nella
cintura e aveva fatto un volo su di me. Tutto sommato però
non mi dispiaceva!
Anche perché mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso e
dalle sue labbra! Le
sue splendide labbra!
“Scusa!
Sono un gran imbranato! Mi
dispiace…”
I
suoi occhioni marroni erano
puntati nei miei verdi e i suoi capelli mi facevano il solletico al
viso.
Mi
limitai a fissarlo, mentre non
aveva nessuna intenzione di alzarsi.
Per
un attimo mi sembrò di vedere
una sua iniziativa impercettibile di avvicinamento verso il mio viso.
Il mio
cuore cominciò ad accelerare. Non poteva essere…
Infatti!
Si alzò dimenticandosi di
essere ancora in macchina e prese una bella tecca con il tetto
dell’auto.
Portando le mani alla testa perse l’equilibrio, ricadde
ancora e stavolta mi
investì per bene spiaccicandomi sul sedile.
Anche
se avevo la maglietta di Bill
quasi in bocca riuscii a farmi sfuggire una risatina che il moro non si
perse.
Anche lui rise.
“Peggio
di imbranato! Se lo
sapessero le tue fan che sei ridotto così!” lo
presi in giro io.
Lui
si sollevò appena per entrare
nella mia visuale. Era un po’ impacciato anche
perché non aveva nemmeno visto
dove aveva la sua mano…Appena se ne accorse si
scusò rosso come un peperone.
Pure io ero rossa. Bravi ancora una volta avete indovinato! Si proprio
li.
Lasciamo perdere i commenti…Non vorrete che esploda di
vergogna vero?
Oh
stessa imbarazzante posizione di
prima… I nostri occhi che si fissano con le gambe
intrecciate. Già perché avevo
una gamba di Bill tra le mie e poi una mano vicinissimo al mio
orecchio. Potete
immaginare come tutti e due non sapevamo come cavarcela…
Io
non parlavo. Bill di conseguenza
continuava a scusarsi!
“Che
fate li voi due? L’aereo non
vi attende mica!” protestò Georg vedendoci in
quella contorsione di arti.
Noi
scoppiammo a ridere e questa
volta Bill si alzò e uscì dalla macchina. Io
tirai un sospiro per calmarmi. Era
andato tutto bene….Menomale! Avevo il terrore di fare
qualcosa per rendere
imbarazzante gli anni a venire di costretta convivenza se avessi voluto
vivere
con Erika. Per di più non volevo rendermi ridicola con Bill
Kaulitz!
Una
volta all’interno
dell’aeroporto, in attesa del volo, il moro forse per cercare
di farmi
dimenticare mia madre cominciò a raccontare le cose
più stupide che gli
venivano in mente…Cominciammo a ridere della gente che
sedeva all’aeroporto
perché aveva strani cappelli oppure perché aveva
dei musi lunghi che ti
guardavano in cagnesco. Alla fine cominciammo a punzecchiarci a vicenda
e
dandogli un piccolo spintone per poco non cadde dalla sedia e
rovesciò la fila
di gente che gli sedeva accanto.
Ridacchiai
divertita, mentre lui mi
guardava male.
Per
ripagarmi dello scherzo
cominciò a farmi il solletico. Potete ben immaginare che
vergogna davanti a
tutta quella gente che ci fissò stupita e incredula anche
perché sia io che
Bill non siamo così piccoli per fare quelle scemenze!
Però lui non sembrava
farci caso. Se ne infischiava degli sguardi, dei commenti che potevano
fare su
di lui.
Invidiamo la sua
superiorità a quelle stupide
cose che di solito a me ferivano davvero nel profondo. Avrei tanto
voluto
essere forte come lui, ma invece ero fragile e condizionabile.
Una
voce annunciò il nostro aereo.
Sarebbe cominciata la disgrazia! Abbracciammo Georg e poi ci avviammo
verso la
navetta che ci avrebbe portati al velivolo.
Bene.
Ora, seduti uno accanto
all’altro e dopo che l’aereo era decollato, le
rivolsi la domanda che mi
rodeva. “Dove eri quando mia mamma ti ha chiamato?”
Si
pietrificò, letteralmente.
“Oh…da…da
ness- da nessuna
pa-parte!”
“Certo.
Come no!” risposi con un
tono da stronzo che non so neanche dove lo ero andato a pescarlo.
Inutile
dire che si volse e mi ferì
con il suo sguardo.
“Ma
non posso avere la mia vita
privata? Per caso quando ho messo piede in casa tua sono diventata di
tua
proprietà? No fammelo sapere che almeno mi adeguo! Almeno mi
faccio le valigie
e addio!”
E
ora? Dovevo riparare, subito!
“No,
scusa. Io non ti considero
mia…Sono stato troppo invadente. Non pensavo che avessi da
fare qualcosa di
così segreto da non potermi
raccontare…”
Wow
avevo fatto la frittata!
Lie
mi fissò sconcertata. Offesa.
Non so nemmeno io. Era indecifrabile. Quando mi rispose la sua voce si
incrinò
e mi fece tremare. “Non te lo posso dire perché
è una cosa di cui mi vergogno.
Non perché non te lo voglio dire. Non credo che mi
rivolgeresti più la parola!”
“Io…”
Inutile. Mi diede le spalle e
non mi rivolse la parola per tutto il viaggio.
Quanto
ero cretino!
Rabbia.
Rabbia. Rabbia!!!! Ma che
cazzo voleva da me? Lo so che non ero stata molto garbata ma Bill si
era
comportato malissimo! Uffi! Perché? Perché voleva
sapere dove ero andata? In
fondo a lui che gliene frega? Mi sembrava di essere una sua
bambolina…Ora
volevo solo andarmene, fuggire.
Ci
doveva essere un inganno in
quello splendido sogno…Sarebbe stato troppo bello,
sennò.
Con
la disperazione che mi
infiammava dentro, chiusi gli occhi, ma anche tutti i modi che
conoscevo per
calmarmi fallirono miseramente.
La
cosa che mi fece più rabbia era
che appena ci fu abbastanza silenzio riuscii a percepire il respiro del
moro e
fu quello a calmarmi. Era una cosa senza senso. Io sarei dovuta
impazzire al
solo suo contatto, ma io non ero arrabbiata con lui…
No,
lo ero con me stessa. Io amavo
Bill. Non c’è odio per una persona che si ama. Lo
avrei perdonato qualunque
cosa avesse fatto.
Quanto
ero cretina!
La
porta si aprì e dietro apparve
una camera…Una camera matrimoniale!!!
“Cosa?
Ci deve essere un errore!
Senta ci devono aver dato una camera sbagliata. Noi volevamo una camera
con
letti singoli. Io e il signore non stiamo insieme!”
Il
facchino poverino che non doveva
sapere niente cercò subito di difendersi e poi ci disse che
sarebbe andato a
chiedere spiegazioni alla direzione.
Quando
scomparve giù dalle scale
Bill mi sorrise debolmente. “Non c’è
problema tanto io dormo sulla poltrona…”
“Che
cavolo ti è venuto in mente di
scegliere una camera matrimoniale?”
“Era
l’ultima! Non l’ho fatto
apposta! Questo Hotel è uno dei migliori…gli
altri poi saranno tutti occupati
come questo…Sotto Natale è facile…E
poi è per una notte. Poi andiamo da tua
nonna no?”
“Era
che non volevo dormire con
te…” risposi io asciutta.
In
quel momento ritornò il facchino
e mi disse le stesse cose che aveva detto Bill. Era l’unica
stanza rimasta e ci
sarebbero dovuti accontentare.
Lo
ringraziai e trascinai la mia
valigia nella stanza. Bill mi seguì e chiuse la porta.
“Io sono mortificato,
però non è colpa mia. Non capisco
perché te la sei presa così tanto! Lo so che
non dovevo chiederti dove eri andata e ti chiedo scusa. Credi che
davvero io
non mi senta una stupido?
Hai
ragione a prenderla però non serve
che mi fai sentire un grande stronzo. So dove ho sbagliato e
vedrò di rimediare
ma tu mi hai ferito, nel profondo.”
Nei
suoi occhi c’era tanta
tristezza e incomprensione. Non lo diceva con odio. Forse ora ero io
quella
entrata nel ruolo di “stronza”.
Non
ebbi il tempo di rispondere che
mi diede le spalle e se andò fuori dalla stanza. Oh cavoli
ora era arrabbiato?
Al diavolo tutta questa storia! Stavo impazzendo! Cosa fare? Proprio
quando ero
sull’orlo di una crisi di nervi squillò il
telefono.
Era
il cellulare di Erika. Era
ancora nel giaccone. Lo presi e risposi.
“Amo?
Sei tu?”
“Si…”
risposi io, quando capii che
era Erika.
“Come
stai? Mi ha detto Simone che sei partita con Bill…per
la…per la…”
“La
morte di mia mamma?”
“Si…Sono
mortificata. Mi dispiace moltissimo!”
“Non
voglio parlarne. Sono
distrutta…”
“Scusa…”
bisbigliò al telefono la bionda.
“Se
fosse solo per la morte di mia
mamma! Cioè non che non mi dispiaccia, ma
l’impatto l’ho già preso e gli
avvenimenti di ieri notte e qualche minuto fa me l’hanno
fatto dimenticare
subito.”
“Cos’è
successo? Dimmi tutto” insistette lei.
“Bill”
risposi io semplicemente.
Dall’altra parte dell’apparecchio mi
arrivò un piccolo sospiro.
“
Che ti ha fatto?”
“Ha
voluto sapere che fine avevo
fatto ieri sera e io gli ho risposto che non ero una sua
proprietà! Insomma
mica deve sapere anche quante volte vado in bagno solo
perché sono a casa sua,
no?”
“Secondo
me te la sei presa troppo. Non è che ti sei innamorata? Vedi
di solito te la
prendi molto di più con una persona che ami, quando ti fa
qualcosa, di una
persona di cui non te frega niente…”
“Ti
prego non dire così! Io non so
se mi piace sul serio…Cioè lui non è
brutto, anzi! Ma non mi aveva attratto
subito. È stato, quando l’avevo conosciuto bene
che ho cominciato a sentirmi
qualcosa dentro. Sentirmi mancare il respiro, le gambe sciogliermi,
oppure
quando ride…Però non so se sia
amore…”
“Be’
io credo di si. Ora prova ad immaginare che lui ti sia talmente vicino
e che
magari il suo intento è quello di baciarti, ti accarezza i
capelli, senti il
suo respiro caldo che ti riscalda…”
“Basta!
Vuoi farmi morire?”
Lei
rise. “Sei innamorata…Non
c’è dubbio!”
“No…Non
posso. Lui ama un'altra…”
“Scusa
ma tu puoi amare chiunque anche se questo ha già
qualcun’altra in mente. E poi
chi sarebbe scusa?”
“Non
l’ha detto. Però sai c’è
stato
ieri un momento quando mi è caduto addosso in cui i nostri
occhi si sono
incrociati e per poco mi è sembrato di vederlo
avvicinarsi…”
Menomale
che Lie non poteva
vedermi. Stavo saltando, mentre lei pronunciava le ultime parole. Ok
non sono
scema! Ora vi spiego. Bill di solito direttamente non ti dice
“Ti amo…” deve
prima capire se ne vale la pena tentare di dichiararsi. Ha il suo
orgoglio! (Lo
dice sempre!) per cui mette in pratica la tecnica ragazza misteriosa.
Questo
significava che il nostro amato Bill era innamorato!
“Erika
ci sei?”
Silenzio.
“Eh? Scusa!”
Aggrottai
la fronte. “Stai bene? Uh
a proposito come è andata ieri sera?”
“Quando
torni ti lincio!”
Scoppiai
a ridere. “Vi siete baciati?”
“No!
Per tua fortuna! Ho fatto una figura di merda! Però non se
l’è presa…Insomma
siamo rimasti a fissarci per un tempo interminabile e poi mi si
è avvicinato.
Non ci sono servite parole. Ci siamo capiti con gli occhi e
poi…Poi ha
continuato ad accarezzarmi i capelli…”
“Che?”
“Si.
Siamo rimasti tutta la notte abbracciati in mezzo al parcheggio. Io
piangevo e
lui mi accarezzava i capelli…”
“Ah…Che
scena felice…”
“Fanculo!”
“Oh
voi proprio non riuscite a
combinare niente!”
“Ho
avuto ciò che volevo. La risposta ai miei dubbi. Tom mi
ama.”
“Wow!
E ora cosa vuoi fare?”
“Non
lo so. Aspetto il tempo maturo per dirgli che mi
piace…”
“Ma
dai stupidina…Lui sbava per
te…Fatti avanti, no?”
“Perché
non lo fai tu con Bill?”
“Sei
sorda? Io non gli piaccio!”
“Sei
sicura?”
Non
ebbi il tempo di replicare che…
“Oh merda devo mettere
giù, c’è Tom.
Salutami Bill. Ciao amo!” e cadde la linea.
Ringraziamenti:
Angeli
neri:
questo capitolo è puntato su Lie e Bill, costretti a
trascorrere una vacanza perennemente insieme. Inoltre le
verità nascote causano solo che incompresioni e litigi. I
dubbi si fanno spazio e diventano più fitti. Per Lie e Bill
è periodo di scintille. Solo che questo porterà a
una brutta situazione e metterà in pericolo Lie. Ma tutto
questo sarà nel prossimo capitolo :) kiss kiss e continua a
leggere. In ogni caso se non riuscissi a postare ancora buona scuola e
al più presto...
Layla
the punkprincess: hanno
chiarito i due piccioncini, come hai potuto leggere, ma non
è vita facile per Bill e Lie. Continua a leggere...kiss kiss
:)
Ladysimple:
ti piace tommo? beh io
me ce lo vedo così nonostante sia un playboy...deve pur
avere qualcosina di bill...haha :)
Marty
sweet princess: questo
è il prossimo capitolo...poi non so se posterò
anche per via della scuola...o perlomeno non molto presto. In
ogni caso kiss kiss! continua a leggere...:)
BigAngel_Dark_:
Grazie.
continua a leggere...:)
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Capitolo 11 *** Mi sono preoccupato moltissimo ***
Ciao!
Avete passato bene il natale?? Spero di si...
Vi
faccio un piccolo regalo :) un nuovo capitolo di The reason of my life
è qui postato per voi, un'altra volta...Bene allora in
questo cap Bill e Lie sono arrivati a Roma. Bill si ammala e Lie non sa
perchè.
Esce
di notte per cercare una farmacia notturna, ma....
Oddio
che ansia...Fatemi sapere :( Ho l'acqua alla gola!
Capitolo
16: Mi
sono preoccupato moltissimo
La
porta si aprì.
Entrò
Bill
fradicio come un pulcino. Mollai il telefono sul letto e corsi da
lui.
Era
senza energia,
si reggeva appena sulle gambe. Aveva le palpebre mezze socchiuse, le
braccia lungo i fianchi e la testa che ciondolava…
Gli
levai il
cappotto e il berretto. Lo feci stendere sul letto e gli accarezzai
il viso.
“Cosa
è
successo Bill?” chiesi terribilmente preoccupata vedendo che
era
sporco di sangue e aveva un taglio sulla fronte.
Lui
mi sorrise
debolmente. Non rispose. Non ne aveva le forze. Crollò
lentamente in un lungo sonno.
Questo
era un
terribile imprevisto. La lettura del testamento era oggi. Se Bill non
stava bene sarei dovuta andare da sola. E questo voleva dire lasciare
Bill in questo stato da solo…
No,
dovevo spostare
l’appuntamento con un alta probabilità che questo
venisse
spostato a dopo capodanno e così non saremmo potuti tornare
a
casa.
Fissai
interdetta
Bill e poi il cellulare. Restare con Bill o andare dal notaio?
RESTARE
CON BILL!
Afferrai
il
cellulare. Composi il numero di casa della nonna. Dopo un caloroso
saluto mi feci dare il numero del notaio e feci disdire
l’appuntamento. Lui lo rimandò al tre di gennaio.
Ora
eravamo nella
merda fino al collo. Non so quanti soldi avesse con se Bill, se ci
bastavano e se quando si fosse svegliato non si fosse arrabbiato. Ma
purtroppo il dado era tratto!
Pensare
non serviva
a niente, dovevo badare al moro e metterlo al caldo.
Mi
avvicinai e gli
alzai la maglietta per toglierla, ma appena vidi i lividi sul petto
mi bloccai immediatamente. Sembrava che l’avessero picchiato.
Questo poteva spiegare il sangue.
Gli
tolsi la
maglietta e Bill rimase a petto nudo. Corsi nell’infermeria
dell’hotel per farmi dare del disinfettante. Quando tornai il
moro
era ancora steso sul letto.
Arrossi
lievemente,
quando il mio sguardo si soffermò sul suo petto. Mi sedetti
al
suo fianco e il più delicatamente possibile gli disinfettai
la
ferita sulla fronte. Per fare questo mi ero dovuta mettere sopra di
lui e credo che se si fosse svegliato si sarebbe ritrovato il mio
“bel” faccino davanti. Inutile dire che sperai
vivamente non
aprisse occhio.
Poi
feci scorrere la
mano sul petto e mi soffermai su di esso. Era così caldo e
morbido! Accarezzai con i polpastrelli la sua pelle, saggiandone i
lineamenti lievi dei pettorali. Scesi fin giù al tatuaggio a
forma di stellina e lo sfiorai appena. Rimasi a fissare ancora a
lungo quella stella che mi attirava così tanto! Tentennai
ancora e poi mi riscossi. Andai a prendere una maglia pulita nella
sua valigia e gliela ficcai addosso.
Non
potevo neanche
lasciarlo con i pantaloni tutti bagnati. Come avrei fatto a
togliergli la cintura? Con le fiamme alle guance avvicinai lentamente
le mani e afferrai la fibbia.
Sempre
molto
lentamente sfilai la cintura dai passanti e l’adagiai ai
piedi del
letto. Ora toccava la parte più difficile togliergli i
pantaloni. Toccavano proprio tutte a me!
Chi
di voi non
s’incavolerebbe se si svegliasse e trovasse qualcuno che gli
sta
togliendo i pantaloni? (Bill escluso naturalmente).
Però
non
potevo lasciarlo in quello stato. Sbuffai arresa e mi arrovellai per
risolvere il problema.
Tirando
a poco a
poco riuscii nel mio intento. Corsi di nuovo alla valigia e presi i
pantaloni azzurri dell’adidas (noi fan sappiamo bene quali
sono,
vero?).
Non
immaginavo che
mi aspettasse un'altra impresa. Come facevo ad infilargli i vestiti
se stava sdraiato?
Mentre
cercavo una
soluzione la mia attenzione si fermò sui boxer neri e le
gambe
magrissime. Deglutii piano e mi voltai in preda ad un caldo
improvviso.
“Mi
puoi dare i
miei pantaloni? Li metto da solo. Grazie per esserti presa cura di
me…” la voce di Bill era pressoché un
sussurro.
Mi
voltai e ridiedi
i pantaloni al moro.
“Io…Mi
dispiace
per come mi sono comportata. Non avrei dovuto.”
Lui
si sedette e
s’infilò i pantaloni in silenzio. Poi mi prese un
braccio e
mi avvicinò a se. “Non fa niente, ok? Ora voglio
solo che tu
non te ne vada e che non mi abbandoni. Scusami per come ti ho
parlato” disse mentre una piccola lacrima gli rigò
il volto.
Per
la prima volta
lo vedevo piangere.
Accostò
la
testa al mio petto e io gli accarezzai la testa. “Gli amici
non si
abbandonano. Soprattutto nel momento del bisogno. Io non ti
abbandono, sono qui, vedi?”
Mentre
ce ne stavamo
fermi così pensavo che anche Bill fosse abbastanza solo,
nonostante avesse una famiglia.
Non
ebbi il coraggio
di parlare per chiedergli di mettersi a letto a dormire. In fondo
magari pure lui aveva bisogno di sentire che qualcuno gli stava
vicino.
Quella
sera mi
chiamò Saki. Mi disse che sarebbe arrivato a Fiumicino
domani
mattina. Mi disse che mia nonna l’aveva informato e aveva
preso il
primo aereo per Roma. Mi consigliò di provare la febbre a
Bill
e attendere lui che si sarebbe occupato lui di andare a comperare la
tachipirina o quello che gli ci sarebbe servito.
Mi
salutò e
chiuse la chiamata.
Posi
il telefono sul
comodino e notai gli occhietti di Bill che mi scrutavano più
chiusi che aperti.
Appoggiai
una mano
sulla sua fronte. Scottava.
“Merda!”
“Che
c’è?”
chiese preoccupato.
“Credo
che tu
abbia la febbre…” dissi voltandomi e dirigendomi
verso la porta.
“Non
lasciarmi…”
Tornai
indietro. Gli
stampai un bacio sulla fronte. “Vado solo a prendere il
termometro.
Torno subito!” spiegai prima di correre fuori dalla porta.
Cinque
minuti dopo
ero già di ritorno. Lui sorrise debolmente.
Scostai
il piumone e
alzai il braccio di Bill. Posi il termometro sotto la sua ascella
(naturalmente sappiamo tutti che è profumata!) e adagiai il
braccio del moro.
Mi
sdraiai vicino al
cantante e tirai un sospiro di sollievo.
“Grazie…”
“Oh
ma figurati!
Bazzecole!” dissi ridendo.
“Non
sto
scherzando. Sono davvero colpito dalla tua
premura…”
“Tu
hai fatto così
tanto per me! In qualche modo dovevo pure ripagarti, no?”
“Solo
per questo?
Se io non ti avessi mai aiutato non ti saresti presa cura di
me?”
“Uhm,
non saprei.
Forse magari mi sarei limitata a chiedere a qualcuno di accorrere e
prendersi cura di te. Non conoscendoti magari avresti potuto non
volere che un estraneo ti si avvicinasse…”
“Già…”
“Me
lo puoi dire
perché ti sei ridotto così e sei uscito con la
pioggia
che c’era?”
“Il
motivo c’entra
con te e con il motivo del nostro litigio. Per cui non credo che
riuscirò a dirti il mio motivo se non mi dici il
tuo…”
“Mi
dispiace, ma
il mio motivo c’entra con te. E non posso dirti il mio
finché
non mi dici il tuo…”
Scoppiammo
a ridere.
Avevamo fatto dei discorsi stupidi. Era logico che non ci andava di
parlarne così dirottammo la nostra conversazione su
qualcos’altro.
“Sono
contenta di
averti conosciuto. Hai ridato un senso alla mia vita”
Gli
occhi struccati
di Bill mi fissarono mentre sulle sue labbra si delineò un
sorriso. “Anche io…”
In
quel momento
mentre i nostri visi erano così vicini lo sguardo mi cadeva
sulle sue labbra. Ero uno sforzo enorme quello che dovetti fare per
trattenermi dal baciarlo.
A
salvarmi da quel
mio pensiero arrivò uno starnuto di Bill.
“Uh
il
termometro!” urlai appena mi ricordai che l’avevo
lasciato
nell’ascella del cantante. (Forte no?)
Mentre
Bill si
soffiava il naso io guardai la lineetta del mercurio per vedere
quanto avesse di febbre.
Strabuzzai gli
occhi. Cosa? “Bill hai 39 e mezzo di febbre!”
Lui
mi fissò
rintontito. “Davvero?” Poi cadde indietro.
“Uffi quanto dovrò
stare a letto?”
“Se
Saki non porta
oggi qualcosa per farti scendere la temperatura questa notti ti si
alzerà e poi dovremo andare in ospedale!”.
“Ma
l’aereo
arriva domani!”.
“Vado
in farmacia
e ti compero una scatola di tachipirine…”.
“Ma
devi andare in
cerca di una farmacia notturna e no da sola per una città di
notte non ti lascio andare…”
“Prova
a
impedirmelo”.
Bill
provò ad
alzarsi.
“Ok.
Stai giù.
Resto con te”. Certo non era vero, ma non potevo fare
altrimenti.
Dovevo far finta di rimanere.
Appena
chiuse occhi
mi vestii pesante e mi coprii per bene. Presi gli occhiali e il
cappello di Bill così mi avrebbero scambiato per un uomo.
Un
ultimo sguardo al
moro e poi sgattaiolai fuori dalla porta.
Una
volta nell’atrio
chiesi all’uomo nella direzione se sapeva per caso se
c’era una
farmacia notturna. Per fortuna una c’era e anche molto
vicina!
Ringraziai velocemente e mi precipitai nella notte scura.
Era
la prima notte
da quando ero stata investita che non uscivo da sola. La sensazione
di non avere nessuno al mio fianco mi rese un po’ isterica.
Mi
tirai sugli occhi il cappellino e a testa bassa segui le indicazione
che mi avrebbero portato alla farmacia.
Il
vento che mi
viene contro mi annebbiava momentaneamente la vista e sbagliai a
prendere la via.
Provai
a tornare
indietro ma sbagliai di nuovo e poi di nuovo. Mi prese
l’ansia.
Cominciai a girare a vuoto e il cuore mi saltava fuori dal petto.
Nemmeno un cane in giro per chiedere dove fosse la farmacia.
Stavo
quasi per
scoppiare, quando vedi quattro figure venire avanti.
“Scusate…Sapete
dirmi dove sia…”
Non
avrei dovuto
parlare!
Erano
quattro
teppisti malintenzionati. Uno estrasse un coltello e mi pose la lama
sul collo. “Shhh! Faremo piano. Così non dovrai
urlare…Va
bene?”
Il
suo alito sapeva
da alcolici. Era alto e grosso. Moro e aveva due occhi marroni.
Mi
spinse contro il
muro.
Un
altro mi strappò
gli occhiali e il cappello.
“Cazzo
state
facendo? È solo una
ragazza…Lasciatela!” disse il terzo
dai capelli biondi.
“Vuoi
stare zitto!
Ci divertiamo solo un pochino. Tanto è sola e
indifesa…”
rispose quello con il coltello.
“Appunto
demente!”
Il
ragazzo alto
cominciò a sbottonarmi il cappotto, mentre la mia
tranquillità
andava per svanire.
Quello
che mi aveva
strappato gli occhiali, mi tolse anche la sciarpa e cominciò
a
baciarmi il collo.
Di
rimando provai a
tirare calci all’impazzata e ad urlare.
Il
moro mi mollò
per terra e poi mi prese i capelli. “To’ detto di
stare in
silenzio!” urlò questo puntandomi il coltello sul
collo e
poi lo spostò più giù verso il seno.
Mi
zittii
terrificata. Quando mi fu sopra il mio respiro si fece più
affannoso. “Brava…” sussurrò
questo alzandomi la
maglietta.
Il
biondo allora
provò a saltare addosso al suo compagno, ma quello che era
stato in disparte fino ad ora tirò fuori una pistola e
gliela
puntò addosso. “Che cazzo fai? Fermo li. Si sta
divertendo.
Non vedi?”
Il
moro rise
sguaiatamente, poi puntò di nuovo la sua attenzione su di
me.
Mi strappò la maglia.
E
mi tagliò
il cordoncino del reggiseno, facendolo cadere di lato. Il freddo mi
assalì, come le mani di ghiaccio di quell’uomo che
mi stava
toccando, che stava violando il mio corpo e la mia intimità.
Cominciò
a
premere le mani sul seno, ridendo e leccandomi l’orecchio.
Non
sazio fece
scivolare le mani sul mio corpo fino al pube e mi slacciò la
cintura.
Calde
lacrime
cominciarono a rotolarmi sulle guance.
Eccitato
mi sbottonò
i pantaloni e li fece scivolare in giù assieme ai miei slip.
Sempre più spaventata cominciai a tremare e gemere,
implorando
almeno di non dover sentire niente.
Il
ragazzo biondo
urlò di lasciarmi andare, ma le mani ruvide del mio
aggressore
mi aprirono le gambe e si facevano strada sul mio corpo, nel mio
corpo e saggiavano la mia pelle fredda.
Come
ultimo passo si
abbassò la cerniera per completare la sua opera. Ma una
frase
ruppe il silenzio. “Ora dammi un bacio…”
disse avvicinandosi.
Provai
a
divincolarmi, ma lui era più pesante sul mio corpo. Riuscii
solo a liberare i polsi e a regalargli due pugnetti, prima che me li
bloccasse.
Questa
mossa però
gli costò la presa del coltello. “Quanto sei
cattiva!
Punizione…”
Con
rabbia si
avventò su di me, per massacrare la mia
verginità.
Ma
successe una
cosa, che mi cambiò la vita.
Il
biondo diede un
calcio al braccio del suo compagno armato e la pistola volò
lontano. Poi con un balzo afferrò il coltello e lo
puntò
alla gola di quello che mi stava sopra.
Colsi
il momento per
andare a raccogliere la pistola.
Appena
raccolta la
puntai sul ragazzo che mi aveva strappato gli occhiali.
“Attenta!”
urlò
il biondo, ma fu troppo tardi.
Il
ragazzo che
possedeva la pistola mi aveva immobilizzato da dietro.
“Butta
a terra il
coltello o uccido la ragazza!”
Il
biondo estrasse
un telefonino. “Mollala o chiamo la polizia!”
Il
ragazzo per tutta
risposta mi toccò il seno.
Il
biondo allora
fece segno di mollare il coltello e il ragazzo che mi teneva
prigioniera allento la presa.
Quel
piccolo
spiraglio di libertà mi permise di assestargli un calcio tra
i
suoi gioielli di famiglia, mentre il biondo colpì alla nuca
quello che aveva sotto tiro e stese quell’altro che rimaneva
con
un’abile mossa di karate.
“Come stai? Hai
bisogno di vestiti” asserì vedendomi infreddolita
e mezza
svestita.
“Ehm
si…”
Lui
si tolse il suo
maglione rimanendo in camicia. Lo indossai in fretta. Poi mi rimisi i
miei pantaloni, il mio cappotto, il cappello e gli occhiali.
“Mi
dispiace
davvero. Non avrei immaginato che potessero arrivare a questo punto.
Ti piacciono vestiti da uomo?” disse guardando gli oggetti
che
stringeva in mano.
“Sono
del mio
amico che sta male in albergo, per quello ero qui. Ero uscita per
cercare la farmacia…”
“Io
so dov’è…Se
vuoi ti accompagno”.
Lo
guardai
sospettosa. Mi dovevo fidare? Lui faceva parte di quella banda.
Però
mi aveva salvato.
Decisi
di fidarmi in
parte. Gli sarei stata a distanza.
“Sarebbe
davvero
gentile da parte tua…”
“Aspetta
però”.
Prese il cellulare, chiamò la polizia, diede
l’indirizzo in
cui ci trovavamo e disse che vi erano tre uomini armati in mezzo ad
una via.
Attendemmo
che
arrivasse la volante e lasciammo nelle mani dei tre la pistola e il
coltello, rispondemmo a qualche domanda tralasciando l'aggressione e
poi ce ne andammo.
Il
biondo mi portò
fino alla farmacia, in seguito fino all’albergo.
“Grazie
di tutto.
Sei sicuro di non voler salire?”
“Certo.
Non sono
un uomo di cui fidarsi. Non voglio portarti guai. Fai come se non ci
fossimo mai conosciuti, ok?”
“E
il maglione?”
“Puoi
tenerlo
oppure lascialo fuori dalla porta domattina. Me lo verrò a
prendere”.
“Come
farai a
sapere?”.
“Non
ti
preoccupare tu fallo e poi non lo vedrai più”.
“D’accordo”.
“Il
tuo amico, è
più di un amico?” domandò.
Io
sorrisi.
“Si,molto di più”.
“Peccato.
Addio.
Digli che è fortunato ad averti al suo fianco”
“È
lui che
è al mio fianco! Addio”
Il
biondo sorridendo
scomparve nel buio della notte.
Mi
voltai e entrai.
Corsi su per le scale e entrai nella mia stanza nel buio totale.
Tirai un sospiro di sollievo, era tutto finito!
Due
braccia mi
avvolsero da dietro e mi misero al caldo. Dal tocco lieve capii che
era Bill.
Ma
che voleva fare?
Mi stringeva al suo petto e sentivo il suo respiro caldo sul collo.
Mi
spostò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio e appoggiò la
sua testa
alla mia. La sua guancia sfiorò la mia e sentii che era
bollente.
“Bill…”
“Non
farlo mai
più…Mi sono preoccupato tantissimo”
sussurrò
baciandomi l’angolo della bocca.
“Bill
non dovresti
fare così. Due amici non si comportano come stiamo facendo
noi!”
Bill
si ritrasse
subito. Accesi la luce immediatamente. La verità era che se
Bill mi stringeva così io rischiavo di morire sul colpo!
Mi
bastò un
attimo per capire perché Bill aveva osato tanto. Era in
preda
al delirio.
Mentre
io ero via la
febbre gli si era alzata.
Impresa
eroica 2:
spostare il colosso alto ben 1 e 83 nel suo letto.
Per
fortuna pesava
poco e si lasciò trascinare.
Lo
feci sdraiare e
gli provai la febbre. 40 e 2.
Senza
pensarci due
volte gli feci ingoiare una compressa e lo rimboccai per bene.
Finito
il lavoro
sbadigliai esausta. Allora mi misi il pigiama.
Però
dove
dormire? Ma si potevo dormire con Bill così lo controllavo
per
qualche esigenza improvvisa.
Deciso
m’infilai
sotto le coperte e mi accostai alla schiena del moro. Appoggiai una
mano sul suo fianco e affondai la testa nei suoi capelli che sapevano
un odore fantastico di shampoo.
Non
mi accorsi
nemmeno di crollare in un dolce sonno.
Quella
mattina
quando aprii gli occhi la mia posizione era cambiata. Avevo la
testa…avevo la testa…avevo la testa sul petto di
Bill!!!!! E…e…e
Bill un braccio sulla mia spalla.
Alzai
scombussolata
la testa e con i capelli tutti scompigliati che mi coprivano la
visuale fissai un Bill tranquillo che dormiva. Spostai la sua mano
dalla mia spalla, l’adagiai pianissimo sul piumone e
strisciai giù
dal letto.
Con
il terrore che
la febbre non fosse scesa recuperai il termometro per verificare
quanto aveva questa mattina.
Attesi
cinque
minuti, che sembravano ore. Ripresi il termometro e constatai che era
stabile su 39 e mezzo. Non andava per niente bene, ma era meglio di
ieri.
Sbuffai.
Misi sotto
sopra la valigia per cercare qualcosa da mettermi e quando trovai un
paio di jeans e una maglietta nera con una grande stella fatta di
lustrini ringraziai la buona anima che me li aveva messi in valigia.
Entrai
in bagno e
sorrisi sfuggevole allo specchio dove vidi il mio orrendo ritratto.
Non
volevo
osservarmi. Mi venivano in mente troppi brutti ricordi della sera
prima.
Presi
il pettine e
spazzolai i capelli per distrarmi. Poi presi la matita e mi misi un
leggero filo di trucco. Costretta a specchiarmi in quella sottile
lastra di vetro mi avvicinai a testa bassa. Alzai gli occhi e quello
che vidi mi piacque.
Per essere la prima
volta che badavo al mio aspetto da sola me l’ero cavata.
La
paura della sera
prima sembrava più lontana, forse per quella piccola
vittoria
o perché nell'altra stanza c'era Bill?
Ringraziamenti:
NICEGIRL:
Grazie per aver continuato a leggere fino a qui. Di solito se una
storia annoia non si va avanti a leggerla.
Mi dispiace di aver creato un inizio troppo comune: il problema
è che non avendo internet non sapevo bene come fare queste
storie, la mia amica me ne aveva parlato e ho provato, ma ora mi sono
migliorata nello scrivere per cui la qualità dei capitoli
è differente!
Si vede moltissimo il passaggio lo so...Scusami ancora.
Layla
the punkprincess: Mi dispiace dirtelo, ma non si
chiariscono come si nota in questo capitolo...C'è solo un
piccolo avvicinamento dettato dal fatto che Bill sta male. Il bello sta
proprio in questo, nel loro scontro-amore. continua a leggere
perchè non è finita. C'è dell'altro e
molto bello! In ogni caso buon fine anno...vorrei andare a pari passo
con la storia temporale ma sarà difficile per cui non ti
lascierò il gusto di leggerti a capodanno il loro capodanno,
che tra laltro è stupendo. Ma non posso dirti niente!! Baci
baci :)
Angeli
neri: Devo ancora capire io da che
parte sto! Secondo me tutti e due li hanno torto...
Bill impiccione e Lie permalosa...un pochino come me :)
bah cmq questo capitolo è stato triste e da
sciogliersi allo stesso tempo.
Bill è tenerissimo, e sexy da, morire! Stanotte me lo sono
pure sognata, solo che parlava delle sue tendenze sessuali...-_- povera
me.
Oddio
le cose si fanno difficili nei prossimi capitoli :( Bill sta male e Lie
è preoccupatissima! leggi leggi...Baci Baci :)
|
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Capitolo 12 *** Fuori di qui! ***
Ciao
eccomi ritornata con questa storia :) Spero ci sia abbastanza da
leggere e vi piaccia. Le cose si complicano un po' in questo
capitolo. Non è semplice trovarsi in un paese lontano e
stare
male. In fondo al capitolo Tom non si dimentica Bill, è solo
distratto dalla bellezza di Erika, ma ci tiene a Bill.
Scusate
per gli immensi ritardi, le pause ecc, ma la scuola mi tormenta e
quando accendo il computer dovrei sistemare tutta la storia
perchè
è stata scritta in modo assurdo! Mi accorgo solo ora che
l'ho
scritta totalmente a caso. Inoltre spesso la storia sembra annoiare
con punti morti.
Ecco,
quindi se potete leggere questo capitolo è solo grazie ad
una
rivisitazione e unione di tre capitoli! Non avrei mai immaginato un
lavoro così assurdo.
In
ogni caso ringrazio le persone fantastiche che seguono questa storia
e spero di non deluderle proprio ora, che la storia si fa
più
bella.
Voglio
regalarvi anche un'anticipazione, per le prossime puntate!
Bill
e Lie avranno una discussione alquanto particolare, mentre Tom
avrà un
cambio di ormoni improvviso lasciando perplessa Erika. Ma l'evento
più
eclatante dei prossimi capitoli è il primo bacio tra la
coppia
Bill-Lie!!!!!
Per
questo vi aspetto numerosi nelle prossime puntate :) hahahah :) buona
lettura!
Capitolo
18: Fuori
di qui!
Il
maglione di ieri
notte faceva mostra di sé sul letto rimboccato di Bill, dove
per la stanchezza l’avevo lasciato, prima di crollare in
dolci
sogni tormentati.
Tentennavo
ancora a
credere che la fortuna fosse stata così buona con me. Mi
aveva
salvato la mia intimità e soprattutto la vita. Se quell'uomo
avesse violato il mio corpo, non sarei più stata in grado di
trovare la sessualità una cosa normale e piacevole.
Dovevo
ringraziare
quel ragazzo, così avventato, ma così gentile che
mi
aveva permesso di avere una nuova possibilità. Mi chiedevo,
però, dove potesse essere finito, quando lo lasciai fuori
dall'hotel.
Raccolsi
il maglione
e lo piegai con cura. Chi mi aveva salvato avrebbe meritato anche un
lavaggio del maglione, ma non avevo soldi a sufficienza. A malincuore
aprii la porta della stanza e senza farmi vedere lo adagiai proprio
davanti all'uscio. Proprio come mi era stato chiesto nelle
indicazioni, anche se ancora non capivo come avrebbe fatto a sapere
in quale camera stavo.
Ritornai
nel letto
con Bill e appoggiai la testa sul suo petto fissando il soffitto.
Sentii il suo cuore gonfiare il petto e poi sgonfiarsi.
Sapevo
che mi
avrebbe chiesto che fine avevo fatto ieri notte, ne ero sicura e
allora avrei dovuto raccontare tutto.
“Servizio
in
camera…” una voce urlò da dietro la
porta.
Ma io
non avevo
chiesto nessun servizio in camera. “Ehm si
avanti…” dissi
fissando la porta accigliata.
Entrò
un
giovane con un cappello, con la visiera, tirato sugli occhi.
“Non
sapevo che i
signori erano ancora a letto. Scusi il disturbo”.
L’avevo
già
sentita questa voce. Ehi un attimo!
“Aspetti…” Mi alzai
di colpo e andai verso di lui.
Il
ragazzo nascose
la testa tra le spalle.
Gli
tolsi il
cappellino e apparve il ragazzo di ieri notte. “Lo sapevo! Ti
ho
riconosciuto dalla voce!”
“Sto
lavorando…”
La
rabbia mi salì
fino a bruciare la gola. Lui sapeva tutto, lui era la causa di tutto!
“Tu lavori qui?”. Era una domanda retorica.
La sua
risposta
arrivò in un sussurro flebile, ma la mia rabbia non voleva
sciamare. L'amarezza che mi travolse era troppo forte da domare: lui
era il colpevole.
“Per
questo sapevi
che avevo una stanza con Bill Kaulitz e per questo mi hai detto di
lasciare il maglione fuori dalla porta perchè sapevi in che
stanza alloggiavo” sbottai con le guance in fiamme.
Strinsi
i pugni, non
riuscivo a sbollire. “Tu hai detto ai tuoi amici che stavo
uscendo.
Mi hai mandato in pasto a quei amichetti malviventi”.
Gli
occhi del
ragazzo si intrecciarono ai miei. Erano lucidi dalla paura, dalla
colpevolezza. “No no ti posso spiegare” mi
implorò facendo
un passo avanti a mani scoperte. Voleva mostrarmi che non poteva
farmi del male.
“Ma
ti rendi conto
di ciò che ho passato?” domandai scaraventandomi
contro il
suo petto e cominciando a dargli dei pugni troppo deboli per fargli
del male. Tuttavia lui non mi fermò; lasciò che
io mi
sfogassi. “Bastardo!” urlai scoppiando in un pianto
esasperato,
frustato.
Ma
mentre la
disperazione si impossessava di me due mani mi afferrarono i polsi e
mi bloccarono.
Le
lacrime smisero
di rotolare sul viso.
L'abbraccio,
in cui
mi strinsero le braccia del mio protettore, mi ammutolì. Non
avevo più voglia di urlare e piangere. Avrei solo voluto
chiudere gli occhi e addormentarmi con il profumo famigliare che
adoravo.
“Fuori
di qui…”
ordinò Bill, stringendomi più forte.
Il
ragazzo esitò
sulla porta.
Bill
notando la sua
esitazione mi spostò dietro la sua schiena per proteggermi.
“Ho detto fuori di QUI! Non dirò a nessuno
ciò che è
successo. Basta che te ne vai immediatamente!”
“Ok.
Però
volevo solo precisare un cosa. Io avevo detto ai miei amici solo che
eri una buona preda per spillarti un po’ di soldi. Loro
quando ti
hanno vista hanno pensato di andare oltre. Non pensavo sarebbe andata
così, te lo posso giurare. E comunque a te Bill volevo dire
che sei fortunato ad avere lei…Proteggila come meglio
puoi”.
“Non
c’è
bisogno che me lo dica tu. Lo so già da me…E se
tanto ci
tieni al suo bene esci da quella porta. È l’ultima
volta che
te lo ripeto…”
Il
ragazzo se ne
andò di fretta chiudendo la porta.
Non
avevo mai visto
Bill così incazzato. Però so che grazie a lui ora
ero
in salvo. Mi piaceva sapere che quando serviva sapeva tirare fuori il
suo caratterino e farsi rispettare. E tutto per me!
Non so
dove trovò
la forza di alzarmi in braccio e mettermi a letto primo
perché
era ammalato e aveva la febbre, secondo perché è
sempre
stato magro e privo di muscoli.
Comunque
riuscì
benissimo nel suo intento e quando fummo sdraiati uno accanto
all’altro ci addormentammo contemporaneamente.
Quello
stesso
pomeriggio arrivò Saki. Ci fu di grandissimo aiuto.
Già
perché io non avevo le forze per badare a Bill. Ero ancora
sconvolta dalla notizia della mattina. Fu lui, quindi, che ci fece le
valigie, vestì Bill il più pesante possibile, ci
trascinò fuori dalla stanza, consegnò le chiavi
alla
direzione, pagò e ci caricò insieme alle valigie
nell’auto della casa discografica e ci portò a
casa di mia
nonna.
Non
riuscivo ancora
a credere che facesse tutte queste cose solo per Bill. Certo era
pagato per questo, ma aveva una confidenza con il cantante dei Tokio
Hotel che mi strabiliò.
Di
conseguenza Bill
si fidava ciecamente di lui.
La porta
chiusa con
il chiavistello si aprì lentamente. Una testolina ricca di
capelli bianchi spuntò da dietro di essa e ne riconobbi mia
nonna.
Lei non
mi
riconobbe. Soffriva della più triste malattia degli anziani:
l'oblio, cioè quel processo che porta il cervello umano in
decadimento.
“Chi
siete? Che
volete?” urlò grintosa, ma in fondo preoccupata.
“Sono
io nonna.
Lie. La figlia di tuo figlio Giorgio. Quello scapestrato che si
è
sposato con una tedesca…”
“Giorgio?
Ah si!
Scusa tesoro entra” disse la nonna togliendo il chiavistello
e ci
fece entrare.
La nonna
mostrò
uno dei suoi migliori sorrisi, le piaceva che le facessi visita. Ma
quando vide i capelli di Bill che avevano le meches si
immobilizzò
come se avesse visto un mostro.
“Povero
ragazzo ha
già i capelli bianchi!”
Alle sue
parole
trattenei un sorriso. “No, nonna! Sono meches, sono colorati
di
bianco!”
“Sono
che? Mucche?
Sei sicura? Non sono gli animali le mucche? Quelle con le mammelle e
che fanno il latte? E poi perché dovrebbe portare delle
mucche
in testa?”
Portai
una mano alla
bocca improvvisamente, per evitare una risata isterica.
“Ehm
no, nonna.
Sono ciocche tinte!”
La nonna
continuò
a ispezionare Bill, come se non fosse del tutto sicura. “Ah!!
Tinte! Ma perchè sono tinte?” esordì
ripiombando
dell'incomprensione.
La
guardai, per
vedere se stava scherzando. Sembrava non capisse davvero
perchè
avesse i capelli tinti. “Perché le voleva
tinte??”
La nonna
produsse un
lungo suono a bocca aperta. “Che ragazza astuta,
tesoro!”
“Grazie,
nonna”
risposi io molto perplessa.
La nonna
allora
chiuse la porta tutta contenta, quasi saltellando. “E dove lo
mettiamo il ragazzo tinto?”
Pensai
un attimo
alla struttura della casa e proposi di spedire Bill in salotto.
“No,
tesoro. Se il
tuo amico ha quella faccia così bianca non potrà
di
certo superare la notte da solo. Devi seguirlo tu, quindi
dormirà
con te nella camera degli ospiti”
“Aaaaaah
già,
E' vero che sbadata!” E ora? Non
posso stare così
vicino a Bill. “Ma lui è un ragazzo
nonna. Avrà
bisogno della sua intimità”.
Le mani
della nonna
si mossero in segno di protesta. “Non dire barbaggianate
cucciola.
Il cielo oggi è azzurro”. Questa frase segnava la
fine della
discussione. Quando nonna Elsa proclamava quell'assurda affermazione
voleva dire che non si doveva perdere tempo in chiacchiere, il cielo
era azzurro e ci attendeva una giornata fuori porta.
Tra me e
me pensai
che il destino doveva proprio essere un gran bastardo.
Così
deciso,
Bill fu sistemato nella mia stanza, che era quella degli ospiti
arredata per le feste di natale e pasqua dove con mamma e
papà
venivamo a trovarla.
Buttai
la valigia
sul letto e stravolta mi ci stesi accanto. Quando sarebbe finito
questo incubo? Non sapevo ancora come era morta mia mamma. Dovevo
attendere cinque giorni prima di leggere il testamento e quindi
cinque giorni sarebbe stato il tempo che avrei dovuto passare con
Bill. Il tempo in cui avrò maggior possibilità di
impazzire.
“Lie…”
mi
chiamò piano Bill prima di rovesciare sul pavimento tutto il
contenuto del suo stomaco.
“Oh
mio dio!
Bill!” Gli presi alla svelta un braccio e lo portai in bagno.
Lui
si accasciò sulla tazza del water e vomitò di
nuovo,
tra vari fastidiosi conati.
“Saki!!!!”
urlai, nella disperazione. Cercavo di tenerlo alto, perché
si
era indebolito molto da quando avevamo lasciato l’albergo.
Avevo la
vaga
impressione che la febbre gli si fosse alzata.
Con
questo terribile
pensiero gli levai il cappello e gli baciai delicatamente la testa.
“Ehi sono qui. Va tutto bene”. In questi momenti
non potevo
certamente fare l'indifferente.
Saki
arrivò
alle mie spalle. “Tienilo li e aspetta che non abbia
più
conati di vomito”.
Dovetti
resistere
per astenermi dal imitare Bill accasciato sulla tazza. La situazione
non mi piaceva per niente.
Saki
strappò
dei quadrettini di carta igienica e gli pulì la bocca.
“Tutto
bene Bill?”
Lo
strinsi forte e
appoggiai il mento sulla sua testa.
“Si”,
ma non
fece in tempo a finire che vomitò di nuovo.
Saki
fece in tempo a
scansarsi per un pelo. “Cazzo se gli sale la febbre dobbiamo
andare
in ospedale”.
“No.
In ospedale
no Saki!” Bill con il volto cereo si aggrappava ai miei
vestiti,
cencando un appiglio sicuro per rialzarsi.
“Vedi
di guarire
in fretta allora! Lie ti farà da infermiera
personale”.
L'immagine
mia
vestita da crocerossina sexy mi fece arrossire brutalmente.
Bill
vomitò
per l’ultima volta, cancellando ogni fumetto allusivo sulla
mia
testa.
Riportammo
il malato
nel lettone accanto al mio e Saki gli ficcò il termometro
sotto l’ascella, mentre io appoggiai una mano sulla sua
fronte.
Scottava.
“Se
non migliora
l’unica soluzione è portarlo
all’ospedale” asserì
serio Saki.
Accarezzai
la pelle
morbida del suo volto, fissando assorta l'espressione tranquilla di
un ragazzo come tutti quelli della sua età che dorme.
Solo che
lui per me
era di più, era speciale.
Tom.
Germania.
“Ehi,
dove ho
messo il sale?” domandò Simone con la testa
praticamente
dentro la credenza.
“Mamma
è
qui” dissi io stringendo la confezione di sale.
Mia
mamma mi guardò
sbuffando. “Grazie caro” disse allungando la mano
per prendere la
confezione, ma io la allontanai.
“No,
stavolta
lascia che cucini io”
“Tom,
per l’amor
di Dio! Dammi il sale e fila a giocare con la Play Station!”
“Mamma
per favore!
Non sono un bambino!”
Simone
roteò
gli occhi. “Tesoro l’hai fatto fino a
ieri”
“Oggi
è un
altro giorno, no? Lo dice sempre Bill!”
“Bill
è
Bill. Tu sei Tu. Sei speciale per come sei. Non devi fare
ciò
che fa lui”.
“Sempre
con la
stessa storia. Fidati per una volta. Sono capace di fare tutto da
solo senza fare danni. Vedi qualcosa di diverso da lui ce
l’ho”.
“Quanto
sei
sciocchino! Va bene cucina te. Per stavolta chiudo un
occhio”.
Appoggiò la confezione sul tavolo.
Ma
quando stava per
uscire dalla cucina, disse: “Sono tua mamma, Tom. Non mi
sfugge
niente. Erika ne sarà contenta”.
Come
faceva a sapere
che volevo cucinare per Erika? Mia mamma era proprio un grande mamma.
Poprio mentre mi stavo mettendo un groppo grembiule, una strana
sensazione mi prese lo stomaco. Mi sembrava che mi si dovesse
rovesciare tutto. Mi sentivo l'odore del vomito in gola.
Pensai
che dovesse
essere successo qualcosa a Bill. Era da ieri che mi sentivo molto
strano. Come accaldato e privato delle mie solite energie.
La
vibrazione del
cellulare mi avvertì che mi era arrivato un messaggio.
Premetti ok per leggerlo e vidi che era di Erika. Una sola frase.
Bill ha la febbre e sta male, molto male.
Questo
spiegava
tutto. E mi fece ancora più effetto quando sentii per la
seconda volta lo stomaco rivoltarsi. Bill fratellino mio!
Ora
più che mai avrei voluto stargli vicino.
Poi
sembrò
che tutto si fosse tranquillizzato. Mi appostai alla tavola della
cucina trattenendo una mano sulla pancia. Come se mi aspettassi
d’improvviso un altro conato di vomito.
Niente.
Avevo la
faccia
contratta pronto a superare un conato che non arrivò mai.
La porta
della
cucina si aprì. Entrò Erika, lasciando la borsa
sul
tavolo. Non si era accorta della mia cera.
La
bionda aveva
ancora il cappotto addosso, la sciarpa colorata le avvolgeva il suo
bellissimo collo e alla testa aveva un berretto rosso con un grosso
pon-pon bianco. La ventata di semplicità e allegria che mi
colpiva ogni qual volta la vedevo e le parlavo era sempre un tocca
sana per il mio animo.
Era come
la tipica
ragazza di periferia della porta accanto, quella che al mattino si
alza in ritardo prende al volo una fatta di pane, si mette di fratta
il primo maglione che trova nel cassettone e esce tutta trafelata per
correre in metropolitana. Quella che si stringe nel suo cappotto e ti
sorride con quell’aria da ragazza felice, che va avanti
giorno dopo
giorno con il suo sogno nel cassetto.
“Tom,
mi sei
mancato!”
“Erika,
aspetta.
Credo sia successo qualcosa a Bill”.
Simone
arrivò
in cucina con il telefono in mano. “Li chiamo io, tu vai a
sdraiarti che sembri un morto vivente” disse, mentre mi
faceva
l’occhiolino.
Io le
risposi con un
altrettanto elegante occhiolino e seguii Erika che mi
trascinò
su dalle scale.
Mi
accompagnò
per mano in camera mia e appena entrata chiuse la porta. Mi prese il
viso tra le mani. “Ora ti riposi un po' mi raccomando. Hai
una
faccia orribile”.
I miei
occhi
incrociarono i suoi. Per un attimo mi sentii perso. La presi per i
fianchi e l’avvicinai a me.
Senza
distogliere lo
sguardo dal mio afferrò la visiera del mio berretto e me lo
levò dal capo molto lentamente per poi lasciarlo cadere sul
pavimento. Mi ritrovai le sue labbra sulle mie senza neanche il tempo
di fiatare.
Davvero
era tutto
così assurdo, come in una gran favola. Non provavo il gusto
irrefrenabile di gettarla sul letto, ma di continuare a sfiorarla
come la cosa più cara che hai al mondo e hai paura di
romperla
o ferirla. Erika era molto speciale per me e non mi sarei mai
permesso di farle del male. Questo, lei, credo l’avesse
capito.
Con lei
era diverso.
Tutto dal bacio ad una carezza avevano un altro significato.
Diventava una dimostrazione di affetto, una dimostrazione di tutto
l’amore che provavo. Non erano più gesti vuoti,
ogni parola
aveva un senso e non era spesa al vento. Nel suo insieme
c’era un
qualcosa di profondo che legava le parole all’amore. E poi
lei era
la prima persona ad avermi strappato dalle labbra un “ti
amo”.
Mi
riprese per mano
e andammo a sdraiarci sul letto. Dolcemente le sbottonai il cappotto,
mentre lei rimase ferma a fissarmi. Analizzava ogni mia mossa.
Lo
lasciai cadere a
terra. Afferrai la sciarpa con i denti e la tolsi con uno scatto
veloce.
“Il
berretto, no?”
disse ridendo.
Io lo
presi dal
pon-pon, poi le mie mani si impossessarono dei suoi capelli e non ci
fu via di scampo. Quando mi ritrassi era un campo di battaglia
vissuto.
Erika
rise con tutti
i capelli sugli occhi. Era carina pure così.
Sbuffò e i
capelli le si alzarono.
Scoppiai
a ridere.
Mi
guardò
storto e afferrando il cuscino me lo buttò in faccia.
“Quanto
sei cretino!”
Mi alzai
e mi visi
sopra di lei. Le scostai una ciocca di capelli dagli occhi e la
baciai.
Lei
rispose al
bacio.
Così
rimanemmo a baciarci e a parlare senza sosta. L’importante
era
stare con lei. Null’altro contava.
Risposte a
Recensioni. (dall'autrice più svalvolata che c'è).
memo: si l'ho continuata visto? Scusa
per il ritardo però!
Lena 9: Sono contanta ti piaccia :)
Spero non ti stancherai a leggere questo capitolone!
Layla: mmmm...le apparenze ingannano
purtroppo...se leggerai questo capitolo vedrai che la bontà
del giovane non è stata quello che ci si sarebbe aspettati,
però in ogni caso ci si può sempre rendere conto
di aver sbagliato. Cosa che il giovane farà
sicuramente. Bill con la febbre è
bellissimo, nonostante la faccina spettrale XD povero,
speriamo non la prenda sul serio in realtà! Ciao ciao e
grazie :)
|
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Capitolo 13 *** Perché a te da fastidio che mi occupi di te? ***
Eccomi!!!!!
È passato pochissimo e sono già qui a recensire
con un
CIAU enorme! E questo perchè ho capito
che mi mancate
si :) Non vedevo l'ora di farvi sgolosare con la scena del bacio
hehehe avete capito bene! Il bacio è in questo capitolo! Ma
non andate a sbirciare perchè vi rovinereste la sorpresa.
Spero,
però, che abbiate un po' di tempo per ascoltarmi 5 minuti.
Credo che per scusarsi non sia mai troppo tardi. Scusate!
Mi
dispiace di aver minacciato di togliere questa storia. Sono stata
immatura. Sono qui a chiedervi perdono, per essere stata egoista, non
sono stata gentile con voi. Una cosa che ho capito è che una
bella storia non dipende dal numero di recensioni, ma ognuno ha i
propri gusti e di conseguenza può preferire una storia
rispetto ad un altra! Invece di mettermi a ragionare sulle colpe che
avevo io, ho cominciato a pensare che la colpa fosse del periodo,
ecc.
In
questo periodo ho conosciuto gente meravigliosa che mi ha portato ad
aprire la mia mente. Avete presente la scena del film “Attimo
fuggente”? Ecco la mia professoressa di psicologia
ci ha
permesso di salire sui nostri banchi chiedendoci di ricordare che
dobbiamo tenere conto dei punti di vista altrui.
Credo che
tutte abbiate avuto la possibilità di guardare a testa in
giù, di roteare e vedere il mondo cambiare sotto i vostri
occhi, e vi dico che vedere tutta la classe in piedi sui banchi, mi
ha sconvolto. Mi ha sconfitto. Ho capito di aver
sbagliato
tutto!
Per
questo vi chiedo se c'è
posto in voi per perdonarmi. Per questo vi dico che se volete mi
potete trovare su Facebook,
mi chiamo Martina
Ferro frequento
il liceo scientifico Enrico
Medi di verone e
ho capelli castani. Se mi cercate dovreste trovarmi. Su netlog mi
chiamo _marty_smarties_
,oppure se volete mi potete anche mandare e-mail a:
bibismarty.shine@hotmail.it.
Non
so che altri modi per contattarmi darvi. In ogni caso sono
disponibile a raccogliere le vostre idee e critiche dove volete! Mi
farebbe piacere conoscervi!
È
un periodo non facile, con i miei che litigano e a me logicamente mi
tocca sempre mangiare da sola come un cane, in messo a una rissa in
cui non c'entro nulla e non riesco mai a placare gli animi. Inutile
provare a fargli capire che il dialogo serve a risanare molte cose.
Così mi sono rifugiata a leggere le vecchie speranze gettate
su questa storia, i sogni e la gioia di fare un percorso di crescita.
Vi sto facendo leggere questo percorso sperando di regalarvi
tutte
le emozioni che avete sempre sognato!
Anticipo:
iniziano i preparativi per
l'ultimo
dell'anno a casa di nonna Elsa e Bill e Lie decidono di andare a fare
shopping, dopo che Bill logicamente si sente molto meglio! E una
passeggiata al parco non può mancare. Scena hot, in doccia!
Ma
la cosa più bella ve lo annuncio sarà lo scoccare
di
mezzanotte. Cosa succederà???
Domanda:
Ma voi spaete come fare a vedere quanti vi aggiungono la storia tra le
preferite??
Capitolo
20:
Perché
a te da fastidio che mi occupi di te?
Bill.
Roma.
Lie
mi accarezzava i capelli assorta nei suoi pensieri, tanto che non si
era accorta che la stavo guardando.
“Ehi”
sussurrai debolmente.
Lei
si volse di scatto e mi rivolse un ampio sorriso. “Sono
contenta
che ti sia svegliato. Ti aspettavo. Vuoi da bere per la
voce?” mi
disse con un tono così dolce e delicato, che il cuore
cominciò
a battere fuori controllo.
Scossi
la testa. “Vorrei solo che tu rimanessi qui”
asserii toccando la
sua piccola mano.
Lie.
Roma
“Io
non gli piaccio!” Avevo detto io a Erika e lei mi
aveva
risposto con un'altra domanda. “Sei
sicura?” Cosa avrà
voluto dire? Che davvero lui provasse qualcosa per me? In effetti
Bill si era sempre comportato in modo strano. Come se gli piacesse
entrare in contatto fisico con me. Si certo anch’io, visto
che gli
avevo fatto l’analisi del petto mentre dormiva e mi stavo
divertendo a toccargli i capelli.
Vorrei
solo che tu rimanessi qui. Quella
frase che significava?
Bill
mi circondò la vita con un braccio e strusciò ad
un
palmo da me. Ehi no, no, no, brutto polipone
stai fermo!
Lie pensa a qualcosa per distrarlo!
“Stai
meglio ora?” sbottai.
“Si,
molto meglio. Credo che stia bene anche Tom, perché mi sento
felice”.
Sorpresa
lo guardai negli occhi. “Siete così tanto legati
da sentire
tutti i vostri stati d’animo anche a chilometri di
distanza?”.
Lui
fissò il soffitto. “Per me è una cosa
normale. Ho
condiviso tutto con mio fratello fin da piccino nella pancia della
mamma, sin a ora. Ogni mio dolore era un suo dolore. Ogni suo sorriso
era il mio sorriso. Io sono lui e lui è me. Una stessa cosa.
Se uno di noi due dovesse morire l’altro ne morirebbe dal
dolore.
Sarebbe come perdere un pezzo di me o un pezzo della mia anima.
Diventerebbe impossibile vivere”.
“Ma
allora come farete quando sarete vecchi? Qualcuno morirà
prima
dell’altro no?”
Lui
mi guardò e mi sorrise. “C’è
tempo per quello no?
Abbiamo tutta una vita e spero nessuno soffrirà
troppo”.
Mi
persi nei suoi occhi color nocciola. “Ehm, si, credo si
possa, si,
si insomma, beh se, si, no dai” balbettai senza capire cosa
dicevo.
Bill
rise, senza melodia.
Arrossii
e gli schiacciai la faccia sul lenzuolo. “Brutta palla
ricciosa!”
Bill
cominciò a battere le mani come uno che non sa nuotare in
una
piscina olimpionica.
Questa
volta ridevo io. “Hahaha! Sei ridicolo quando
annaspi” rimbeccai
piegandomi su me stessa dalle risate.
Bill,
che nel frattempo era stato liberato, mi guardò arrabbiato.
“Brutta scimmia pelata!”.
Mi
bloccai improvvisamente toccandomi capelli; solo quando mi accorsi
che era una stupida presa in giro gli feci la linguaccia.
“È
mattina?” chiese Bill improvvisamente.
“Si.
La mattina del trenta. Domani è l’ultimo
dell’anno. E se
non guarisci dobbiamo passare capodanno qui con la nonna Elsa.
”
“Ah
si, tua nonna. Ma cosa vi siete detti? Avete parlato italiano. Io non
capivo”.
“Uh,
hai ragione. Niente di interessante. Solo che non capiva
perché
avessi i capelli così”
“Così…come
scusa?” domandò alzando il sopracciglio con il
piercing.
“Credeva
avessi i capelli bianchi”.
Lui
mi fissò un attimo. Accennai un sorriso e lui
scoppiò a
ridere. “Capelli bianchi?”
Mi
venne da ridere, nel vederlo ridere. “Si e poi le ho detto
che si
chiamano meches e lei ha capito mucche”.
“Oh
mein Gott! Mucche?”
Io
annuii e lui riscoppiò a ridere.
“Peccato
tua nonna non parli tedesco, sarebbe simpatica”.
“Be’
non ti perdi niente. Le devo ripetere le cose mille volte
perché
le dimentica subito. Non so come si faccia a farla vivere da
sola”.
Bill
mi prese la mano. “Portiamola via con noi!”
“Oh
no! Lei è legata alla sua città e in una nazione
con
una lingua completamente diversa sarebbe come ucciderla”.
Bill
corrugò la fronte. “Vero. E nessuno si
può prendere
cura di lei?”
“Purtroppo
non ho i soldi per pagarle un ricovero per anziani”.
Bill
gonfiò il petto poggiando una mano sul petto. “Ma
ce li
metto io!”.
“Non
saprei. Dovrei chiederle. Anche lei però mi sembra piuttosto
terrorizzata per paura di lasciare il gas acceso o dimenticare
semplicemente la porta di casa aperta. Però non vorrei
causarti problemi”.
“Ma
no figurati. Rinuncerò a qualche mio sfizio e mandiamo la
nonna allo ospizio…visto ho fatto pure rima!”
“Che
scemo che sei!” dissi dandogli una pacca sul braccio.
“Ehm,
dov’è il bagno?” domandò
piano come se fosse una
cosa proibita.
“Devi
andare in bagno?”
Lui
annuì. Mi alzai dal letto e lo aiutai ad alzarsi. Credo che
avesse dei giramenti, perché barcollò sulle gambe
esili
e allora risolvetti la situazione facendo passare il suo braccio
attorno alle mie spalle.
Uscimmo
dalla stanza e attraversammo tutto il corridoio fino a che non
arrivammo davanti alla porta del bagno. “Ti devo lasciare
qui.
Oltre non vengo”.
Lui
sorrise. “Se vuoi…”.
Mi
cadde la mandibola. An, pure! Questa
sfacciataggine di Bill mi
era completamente nuova. “Dai muoviti e non dire
scemenze”.
Bill
mi strizzò l’occhio e entrò in bagno
chiudendo la
porta dietro di se.
Non
riuscivo ancora a credere che tra me e Bill si era instaurato questo
rapporto d’amicizia. Però avrei tanto voluto
diventasse
qualcosa di più.
Un
tonfo.
Proveniva
all’interno del bagno.
Bussai
preoccupata. “Bill?”
“Oh
merda vieni dentro” urlò.
Aprii
la porta e vidi che la canna della doccia era rovesciata per terra e
che spruzzava acqua su tutto il pavimento. E li vicino Bill a terra
che si massaggiava la nuca.
Corsi
a chiudere il rubinetto della doccia. Ma il danno era fatto. Il bagno
era allagato (non acqua da venti centimetri, ma ha fatto delle
chiazze d'acqua).
“Bill!
Ne combini una al minuto!” protestai.
Lui
mi guardò con una faccina dispiaciuta. “Ho avuto
un
giramento. Sono caduto e sono andato a sbattere e ho aperto il
rubinetto per sbaglio”.
“Ti
devo legare perché tu non abbia la possibilità di
fare
danni ogni volta che ti muovi?”
Era
rammaricato.
“Stavo
scherzando! Se non ci fossi te a rallegrarmi chi ci
sarebbe?!?”
Il
moro ora sembrava più sereno.
“Però
ora alza il tuo culone che pulisco. E guai a te se ti si alza la
febbre!”
“Ok
allora cercherò di farmela alzare”
commentò uscendo
dal bagno.
Lo
vidi scomparire in corridoio e scossi la testa incredula. Uno come
lui se non esistesse bisognerebbe inventarlo!
Andai
a recuperare uno straccio e cominciai ad asciugare il pavimento.
Quando ero concentrata sul mio lavoro sbucò Bill
all’improvviso. Presi un colpo terribile.
Lui
ridacchiò.
Pur
di venire ad aiutarmi si era messo una giacca, il berretto e la
sciarpa. Prese lo straccio e sorridendomi cominciò ad
asciugare.
“Bill!
Tu mi vuoi far morire! Fila subito a letto!”
“Più
siamo prima finiamo” aggiunse Bill euforico, senza alzare lo
sguardo.
Gli
presi il polso. “Bill per favore vai di
là”.
Lui
sembrò ferito dalla mia azione. “Io…io
volevo solo...”.
“Tranquillo.
Faccio io”.
Lui
scosse la testa. “Prima finisco”.
Gli
mollai il polso sbuffando. “Guarda però che se
devi andare
in ospedale io non ti ci porto”.
“Non
ce ne sarà bisogno. Sto già meglio e poi il danno
l’ho
fatto io”.
“È
acqua, insomma” protestai io.
“Perché
ti da fastidio che ti aiuti?” domandò Bill alzando
il
sopracciglio destro.
“E
perché a te da fastidio che io mi preoccupi per te?
Semplice,
per il tuo stesso motivo!” ribattei.
Lui
abbassò lo sguardo. “Non credo proprio. Non puoi
nemmeno
immaginare il mio motivo”.
Io
non sapevo cosa dire. Perché ora mi aveva risposto
così?
Incrociai le braccia sul petto. “Ma se non sai nemmeno il
mio, come
fai a dire che è diverso?” brontolai prima che mi
mancasse
l’aria e dovetti uscire per non soffocare. Scesi le scale di
fretta
e aprii di colpo la porta d’entrata.
Inspirai
profondamente e espirai aria pulita.
“Io
davvero mi dispiace. Non volevo. Non sapevo”.
Bill
mi aveva seguita e stava fermo impalato sull’uscio.
Scossi
la testa. Feci un passo e mi ritrovai di fronte a lui. Mi morsicai le
labbra. Non sapevo cosa dire. D’impulso mi aggrappai alla sua
giacca e sprofondai la testa sul suo petto.
Lui
si limitò a accostarmi a sé e a baciarmi la
testa.
Erika.
Germania.
Mi
devo essere addormentata tra le braccia di Tom. Perché ero
ancora li sul divano da ieri sera dopo cena.
La
mia attenzione fu concentrata sul volto del chitarrista che dormiva
tranquillo. A guardarlo bene non era cambiato molto dal video di loro
da piccoli dove lo avevano ripreso, mentre dormiva. Aveva sempre la
sua aria da angioletto. Già poteva sembrare un angioletto
apparentemente poi però sotto sotto era piuttosto scatenato
e
rompiscatole, ma ancora più sotto sotto c’era il
Tom vero.
Quello che si risvegliava con me, che mi aveva fatto innamorare.
Accostai
la mia fronte contro la sua. Il mio naso sfiorò il suo e
posai
le mie labbra sulle sue. Tom si svegliò e rispose al mio
bacio. Ora ero davvero felice. Sapere che Tom mi amava sul serio e
potermi fidare di lui era una novità che accoglievo molto
volentieri.
Per
di più quando lui mi baciava o io baciavo lui sentivo il
battito del cuore accelerare improvvisamente e le mani tremare.
Amavo-odiavo questa mia reazione. La prima perché era una
sensazione piacevole secondo perché volevo che i miei
sentimenti fossero meno visibili, perché ero un libro aperto
da cui tutti potevano leggere tutto di me.
Tom
si ritirò un attimo e mi fissò negli occhi. Mi
sfiorò
la guancia con i polpastrelli della mano e con il pollice le labbra.
“Sono felice che sei qui con me”.
“Ehi
così mi gaso!” dissi ridendo.
“Mi
andrebbe bene anche questo. L’importante è starti
vicino”.
“Oh
ma che sciocchino che sei! Non credo di essere così
importante”.
“Invece
si!” mi contraddisse serio.
Esitai
lusingata. “Dimostramelo” sussurrai piano, poi.
E
la sua dimostrazione fu un bacio. Non c’era bisogno di
parole.
Quello era l’amore di Tom. E dovevo ammettere che aveva
scelto bene
il modo per dimostrarmelo.
Lie.
Roma.
Bill
aveva 37 e 9 di febbre quando gli misurai la febbre prima di pranzo.
“Ancora pasta in bianco” esultai sarcastica, mentre
facevo
scendere nuovamente il mercurio.
Il
moro sbuffò rassegnato. “Che palle!”
“Il
mio piccolo malato sbuffa? Eh no, te la sei cercata e ora
patisci!”
lo presi in giro.
Mi
guardò e poi scoppiò a ridere.
Se
rideva voleva dire che si stava ristabilendo e questo mi fece un gran
piacere. “Caro signor istrice io mi assenterei per andare a
prenderle il pranzo. Se lei acconsente, ovviamente”.
“Preferirei
averla qui vicino a me, ma dovrò pur sfamarmi, per cui certo
acconsento a lasciarla andare. Tuttavia sappia che mi dispiace
immensamente vederla, mentre mi abbandona”.
“Oh
non si preoccupi, sarò di ritorno e allora lei
gioirà!”.
“Su
questo non ci piove, Lie! Quando ti vedo sono sempre
felicissimo!”.
Ma
che cosa gli saltava in testa? Forse il termometro si era sbagliato e
aveva ancora la febbre! “Certo certo” bisbigliai
uscendo
frettolosamente, per non dire correndo, fuori dalla porta e tirai un
sospiro di sollievo. alcune volte le parole di Bill erano
imbarazzanti. Non capivo perché dovesse dirmi certe cose.
“Lie
vieni. Tieni questo è per il ragazzo tinto” disse
mia nonna
lasciandomi tra le mani un vassoio con un piatto di pasta in bianco.
“Un
bicchiere d’acqua?”.
“Pronti!”
disse posando un bicchiere sul vassoio e una bottiglietta
d’acqua.
Le feci un sorriso enorme. “Grazie!”.
“Muoviti
ti sta aspettando” protestò ammiccandomi.
Scossi
la testa arresa. Possibile che fosse così evidente che mi
piaceva il cantante dei Tokio hotel? E l’unico ad non
accorgersene
era proprio l’interessato, Bill!
Tornai
al piano superiore e posai il vassoio sul letto del moro. Lui si
volse e mi guardò, mentre gli spiegai che scendevo a
mangiare
con la nonna.
Non
disse niente. Annuì.
Mi
impressionò un po’ la sua freddezza.
“Ehm io allora…se
hai bisogno…sono giù” dissi con un
ampio gesto della mano
indicando la porta.
Lui
annuì di nuovo.
Rimasi
li ancora a fissarlo mentre prese il vassoio e cominciò a
mangiare lentamente e in silenzio. Mi venne un grosso groppo in gola.
Perché faceva così?
Bill
alzò la testa e il sopracciglio destro perplesso.
“C’è…c’è
qualcosa…c’è qualcosa che non
va?” domandò
balbettando.
“Io…No,
non credo, solo, buon appetito!”.
Lui
mi sorrise. “Grazie! Anche a te” non sembrava per
niente
arrabbiato. Allora perché prima non mi aveva risposto? Gli
sorrisi molto confusa e uscii dalla stanza.
Forse
mi facevo troppi problemi, ma ero sicura che mi avesse fatto male il
suo silenzio.
Entrai
in cucina e mi sedetti vicino a mia nonna. Lei mi sorrise e mi
versò
nel piatto delle buonissime lasagne fumanti con un
un’inconfondibile
odore di ragù. Mia nonna era un mito in cucina! Inforcai
felice tutte le lasagne e quando ebbi finito le posi la domanda che
ancora mi premeva dalla sera della notizia della morte di mia madre.
“Com’è morta mia madre?”
Lei
aveva capito benissimo. E credo avesse intuito anche che ero molto
determinata a sapere la verità senza giri di parole.
“È
stata investita da un camion, sull’autostrada non molto
lontano
dall’ospedale”.
Mi
sentii mancare. Era colpa mia se era morta! Se non l’avessi
fatta
fuggire non avrebbe mai attraversato l’autostrada e non
sarebbe mai
stata investita. Il rimorso mi attanagliò. Se
l’avessero
arrestata ora sarebbe ancora viva!
La
mano di mia nonna mi accarezzò la testa. “Mi
dispiace,
piccola!” disse teneramente.
Le
presi la manica del vestito e lei si avvicinò e mi
abbracciò,
mentre io le posi il viso sulla pancia (io ero seduta e lei in
piedi).
Mi
sfogai. Dovevo piangere. Volevo piangere. Ne sentivo il bisogno.
Quando avevo versato ogni lacrima spostai la testa e vidi che dietro
mia nonna sulla porta della cucina vi era Bill. Era appoggiato allo
stipite della porta e la testa era inclinata verso il pavimento e
teneva gli occhi chiusi. Visibilmente scosso.
Spostai
lo sguardo ai suoi piedi e vidi il vassoio. Evidentemente voleva
riportarlo, quando mi aveva visto piangere e l’aveva
appoggiato per
rispetto. Forse era anche dispiaciuto per me e la morte di mia madre.
“Bill…” sussurrai in un
sussurrò.
Eppure
lui mi sentì e alzò di scatto la testa. I nostri
occhi
si incrociarono e sul viso si dipinse un’espressione ferita.
Chissà
come avevo gli occhi. Saranno stati rossi come non so cosa!
Gli
allungai la mano, lui si avvicinò lentamente e
l’afferrò.
Mi
fece un gran piacere che fosse ancora una volta al mio fianco.
Il
telefono squillò a lungo. Attesi che qualcuno rispondesse.
Quando arrivò un pronto abbastanza debole. “Pronto?”
“Sei
tu, Bill?” chiesi non riconoscendo la voce.
“Tom!
Fratellone! Mi sei mancato e mi manchi tantissimo! Come
stai?”
rispose, ormai inconfondibile voce del moro.
“Tu
piuttosto come stai! Ti è scesa la febbre? Mi sono sentito
male anch’io…”
“Mi
dispiace tanto che sei stato male anche te. Comunque ora sto meglio e
riesco a reggermi in piedi. Ieri ho vomitato. Ma ora il peggio
è
passato”.
“Menomale.
Stavo in pensieri per la tua salute, fratellino. E Lie?”
“Dorme.
Era stanca morta. Si occupa di me da quando siamo arrivati e ora ha
appena saputo come è morta sua madre e si ritiene colpevole.
Non so davvero cosa dirle. Vorrei tanto parlarle, ma in questi giorni
non abbiamo fatto altro che litigare…”
“E
perché?”
“Perché
le ho chiesto dove era andata la sera del 27 e non me l’ha
voluto
dire…Diceva che si vergognava a dirmelo e che non le avrei
più
rivolta la parola. Allora ho lasciato correre e ho cercato di
maledire la mia gelosia. Però poi in Hotel c’era
solo una
camera matrimoniale e ho preso quella, ma lei mi ha accusato di
averlo fatto apposta. Ci sono rimasto male e me ne sono
andato…”
“Dove
sei andato?” chiese Tom sempre più curioso.
“In
un bar. Ho cominciato a bere per dimenticare e poi ricordo solo che
mi hanno insultato, così ho dato un pugno ad un tizio e mi
sono ritrovato pieno di botte in mezzo alla strada sotto la pioggia
battente. Sono tornato in camera e Lie si è subito presa
cura
di me…”
“Sei
peggio di me! E poi??”
“Poi
per andare a prendere una confezione di tachipirine in una farmacia
notturna per poco non la violentavano”
“Cosa?
Ma sta bene ora??”
“Si
ma abbiamo saputo che era tutto organizzato. Un facchino
dell’Hotel
aveva informato i suoi amici che era un bersaglio a cui spillare
soldi e questi se la sono presa alla grande. Da quanto ho capito,
però lo stesso facchino l’ha salvata”.
“Che
storia!”
“E
poi ora siamo a casa della nonna di Lie e abbiamo litigato questa
mattina, perché praticamente le ho allagato il bagno e
volevo
aiutarla ad asciugare ma lei si è rifiutata. Così
ci
siamo accusati a vicenda perché non volgiamo dirci il motivo
per il quale ci aiutiamo a vicenda. Il fatto è che lei mi
piace e non ho il coraggio di dirglielo se non sono sicuro che mi
corrisponda…”
“Che
scarso conquistatore Bill! Perché non impari da me? Senti ma
da dove mi stai parlando?”.
Bill
“Sono sul terrazzo nell'appartamento della nonna Elsa qui a
Roma.
“Ah
beh allora sei di casa ormai. A quando le nozze?”
“Smettila
Tom lo sai che non gli piaccio. A te invece come va con
Erika?”
“Bene.
Abbiamo parlato molto e a quanto pare ha capito che
l’amo”.
“Sono
felice per voi! Magari fosse così facile anche per
noi”
mugugnai fissando la strada.
“Beh
devi sapere che ti sbagli!”. Ma Erika mi fece
un ampio gesto
con le mani per dirmi di stare zitto. Ma lui era mio fratello! Se non
potevo parlargli allora a cosa servivo?
Riprovai
a formulare una frase. “Ehm…Non saprei cosa dirti,
Bill.
Riprovaci…”
Erika
si diede una sberla sulla fronte. Posi una mano sul cellulare in modo
che non potesse sentire. “E che gli dico allora?”
sussurrai
piano, ma abbastanza agitato.
“Che
deve D-I-C-H-I-A-R-A-R-S-I!” scandì
l’ultima parola come
fossi scemo.
“Ok!
Ok!” protestai io.
Tolsi
la mano.
“Ehi
Tom dove sei finito?”
“Scusa
sono qui!” mi scusai frettolosamente.
“Riprovare
cosa?” domandò perplesso Bill.
“Oh
aspetta c’è Erika che ti vuole parlare!”
dissi mollando il
telefono alla bionda e salvandomi per un pelo dal terrore domanda di
mio fratello.
Avrei
voluto dargli un consiglio, ma Erika continuava a insistere sul fatto
che le sue battaglie le doveva combattere da solo. Visto che poteva
mandare per aria una storia che aveva tutti i requisiti per diventare
una coppia bellissima.
Io
però ancora non capivo cosa costava dirgli che Lie era cotta
di lui. Era cinque misere parole: Lie è cotta di te. E sia
Bill, sia Lie che io saremmo stati felici. Comunque Erika aveva un
bel caratterino e sapeva imporsi. E io del resto non amavo
contraddirla.
Risultato
finale: nessun risultato. Bill era più confuso di prima, io
ero amareggiato, Erika triste e Lie magari dormiva sognando che le
sue pene la rincorrono prendendola e trascinandola via.
“Non
fare quella faccia! Volevo solo che trovasse il coraggio
per…” mi
disse la bionda una volta chiusa la chiamata.
“Ma
mio fratello è fatto così! Non lo puoi cambiare.
È
solamente se stesso!”
Erika
mi sorrise. La presi per i fianchi. “Che vuole fare ora mia
principessa?”
Lei
mi sfiorò le labbra. “Baciare il mio
principe…”
“Vedrò
cosa si può fare” bisbigliai prima di ritrovarmi
le sue
labbra sulle mie.
“Ora?”
domandai tenendola ancora tra le braccia.
“Ho
bisogno di fare una doccia”
“Andiamo
a fare la doccia!” proclamò Tom tutto pomposo.
“No,
non tu. IO!”
Brontolai.
“E io? Io niente?”
“Non
ci provare!” mi avvertì minacciosa.
“Sennò?”
chiesi mentre il mio piercing luccicò.
Lei
fece finta di cercare un’idea. “Ti lascio nel
dubbio!”
Io
sorrisi. “Tranquilla vengo, quando meno te lo
aspetti…”
“Tom!
Guai a te!”
“Certo
certo. A dopo…” dissi dileguandomi.
Scossi
la testa incredula. Era incorreggibile. Ma era il mio Tomi.
Bill.
Roma.
Rientrai
in camera e mi distesi accanto a Lie. Il suo ventre si
alzava
e si abbassava al suo respiro regolare. Improvvisamente si
spostò
nella mia direzione, trovandomi a combaciare le nostre fronti tanto
da sentirne il calore che ne proveniva. Ero come entrato in simbiosi
con lei. Un tutt’uno.
Proprio
quando stavo pensando a questo la sentii muoversi. Spostai la mia
mano per non farmela schiacciare e lei appoggiò la sua mano
destra sul mio fianco senza svegliarsi.
E
ora? Mi era praticamente appiccicata. La sua bocca era a pochissimi
centimetri della mia.
Il
suo seno era accostato al mio petto e le nostre gambe incrociate. Il
cuore cominciò a battermi all’impazzata. Le mani
cominciarono a sudare e appena sentii il suo respiro sulla pelle non
resistetti più. I miei neuroni furono troppo lenti per
avvertirmi che non dovevo farlo. Le mie labbra si poggiarono
delicatamente su quelle di Lie e la baciai con tutta l'anima che
avevo in corpo.
Era
da una vita che attendevo quella sensazione fantastica di sentire le
sue labbra unirsi alle mie.
Lie
si svegliò e sgranò gli occhi. Presa
letteralmente in
controcampo, era troppo sconvolta per rispondere. Però non
mi
allontanò, ne si divincolò. Rimase ferma
immobile.
Quando
mi allontanai appena, lei ne approfittò per divincolarsi e
alzarsi dal letto con i capelli ancora tutti arruffati. Mi
squadrò
sconvolta prima di lasciarmi da solo in camera e uscire senza
spiaccicare parola.
“Porca
puttana!” brontolai a denti stretti. Ero incazzato per averla
baciata, però ripensando al momento in cui le nostre labbra
si
erano toccate e all’emozione che mi aveva pervaso mi sentii
quasi
lo stomaco rivoltare. Mi aveva fatto troppo piacere. Non credevo di
essere ancora capace di riuscire a resisterle: continuava a
consistere in un’attrazione troppo forte. Inoltre avevo
appena
avuto un piccolo assaggio paradisiaco...
O
-------- O
Ringraziamenti
di cuore dalla scrittrice più malata del pianeta:
LucillaModernLover:
per la sua prima recensione
(giusto?) :) grazie
per esserti imbarcata in questa storia!
Layla:
un'altra volta qui con noi :) grazie
di
commentare i personaggi, così so se piacciono :) Per Tom e
Lie
c'è ancora un altro scoglio, mentre per Lie e Bill
c'è
ancora una lunga marea da attraversare. Anche se il bacio sembra aver
sciolto uno sblocco, creerà molti dubbi. Ma ammetto che
hanno
imboccato la via verso la meta finalmente. Sono a buon punto, insomma
:) Ah nonna Elsa ti piace? Non so come mi sia venuta fuori,
però
assomiglia un pochino a mia nonna. Anche la storia della solitudine e
del fatto di una sistemazione è l'identico problema per mia
nonna.
Aspetta
i prossimi capitoli e vedrai come Bill difenderà Lie!!
Basta
ti ho detto troppo e ti rovinerò le sorprese...quindi ti
saluto e ti aspetto! Ciao :)
E
infine Star_ In The Night14: hai un
nome
lunghissimooooooo! Comunque, se ti intrippa la storia spero non ti
venga da vomitare! :( ah sicuramente avrai letto del bacio :) e non
è
tutto perchè intendo aggiungere un bacio più
avanti
alla storia originale più passionale...vediamo dai :) ciao
ciao bacio!
|
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Capitolo 14 *** Aspetterò tutta la vita ***
Ciao!
Come state? Sono tornata con un regalino HOT! Tom e Lie nella stessa
doccia...che può succedere? Leggete questo capitolo e lo
scoprirete! Chiunque volesse aggiungermi su facebook, mi potrebbe far
sapere che ha letto questa storia (perché rischiate che non
vi
aggiunga)?
Dopo
una brutta settimana con la guancia gonfia dopo l'operazione per
togliere i denti del giudizio, ritorno con questo lungo capitolo,
ricco di dubbi per Lie. Spero che l'ampia caratterizzazione di Lie
non sia noiosa.
Effettivamente
non ha molta azione questa storia. È molto molto molto
riflessiva. Ma i colpi di scena non mancano mai!
A
voi la lettura.
Capitolo
19: Aspetterò tutta la vita.
Erika.
Germania.
M’infilai
in bagno e cominciai a togliermi i vestiti. Mi coprii con un
asciugamano il corpo nudo e feci scorrere l’acqua aspettando
che
diventasse calda.
Appena
le gocce che mi schizzarono la mano erano diventate calde spensi
l’acqua, appoggiai l'asciugamano alla sbarra del muro ed
entrai.
Aprii
di nuovo l'acqua e lentamente passai sono il getto caldo. Ero
così
concentrata nei miei pensieri, che non potei sentire la porta della
doccia aprirsi. Un corpo muscoloso si avvinghiò al mio e due
mani forti e calde mi sfiorarono il petto.
Tom.
La
sua bocca cominciò a baciarmi il collo molto lentamente.
Potevo sentire il suo piercing farmi il solletico. Era un incanto
quel tocco inaspettato.
Accostò
la testa alla mia facendo salire le mani fino al seno sfiorando le
punte, che si erano indurite.
“Posso
restare?” sussurrò dolcemente.
La
mia voce sembrava non volesse rispondere. Non potevo lasciargli fare
ciò che non volevo, eppure la voglia che le sue mani mi
facessero sentire quanto lui mi desiderava era fortissima.
Non
sentendo la mia risposta mi spostò i capelli e mi
baciò
la parte superiore dell’orecchio e poi le tempie.
“Non ti sto
chiedendo di spingerci al punto estremo. Sei bellissima, davvero non
ce la faccio a restare fermo”.
Mi
baciò la spalla destra lentamente e le sue mani si strinsero
sui seni accarezzandoli. L'ansia e il desiderio esplosero nello
stesso momento. La guerra dentro me si accendeva sempre più.
Mi
voltò verso di lui e prese tra le sue labbra le mie. Voleva
farmi capire quanto tenesse a me e stava aspettando che io lo
bloccassi. Stava attendendo che io gli dicessi che non volevo
continuare.
Strofinò
il naso sulla mia pelle assaporandone l’odore, mentre mi
spostò
una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Le
mie mani “scivolarono” sul petto e prendendo la
maglietta gliela
alzai per toglierla. Tom allora si staccò da me per
facilitarmi l'operazione.
Poi
ritornò a baciarmi. Mentre gli sfioravo i pettorali fino a
scendere ai pantaloni. Trovato il bottone glieli sbottonai e Tom
strabuzzò gli occhi. “Ehi ehi vacci
piano…” disse
sorridendo.
I
pantaloni caddero sul pavimento della doccia.
Le
mie dita seguirono i contorti del suo corpo bagnato, così
perfetto, così attraente! Tom, intuito qualcosa che non gli
avevo mai detto, fece arrivare le sue mani sui miei glutei
spingendomi verso il suo pene.
Poi
mi alzò e io lo circondai con le gambe che si incrociarono
dietro alla sua schiena.
Avevo
le spalle al muro ora.
Tom
essendo all'altezza giusta portò la lingua al mio seno e
quando cominciò un piacere infinito, mi bloccai.
Non
potevo continuare, non mi sentivo pronta!
Puntai
i palmi sulla spalle di Tom e lo spinsi indietro. “No
Tom!”
Lui
non aveva intenzione di smettere, ora che era sull'orlo
dell'eccitazione.
Strillai
sbattendo la mani chiuse a pugno, finché spaventato non mi
lasciò e approfittai della sua incertezza per uscire.
Recuperai
l’accappatoio, i miei vestiti e corsi in camera mia sedendomi
davanti alla porta.
Accostai
la testa al rettangolo in legno, frastornata. Era quello che volevo?
Evitarlo? O dovevo assecondarlo?
L’avevo
illuso. Ma non avevo certezze che poi mi avrebbe trattata da vera
fidanzata e non come quelle galline. Mi fidavo di lui solo in parte.
Dal
corridoio arrivarono i passi inconfondibili di Tom. Si fermò
davanti alla mia porta. La sua mano sfiorò il legno.
Il
cuore cominciò a battermi forte.
Ma
non abbassò mai la maniglia.
“Erika?
Lo so che mi senti. Mi dispiace. Sono stato affrettato”
Era
un tono molto dispiaciuto. Credo che poi si sedette, perché
sentii qualcosa strusciare sulla porta e poi la voce arrivò
da
più basso.
“Io
non faccio altro che farti del male. Vorrei sempre fare la cosa
giusta al momento giusto, ma è difficile. Devo stare attento
alle mie azioni impulsive come quelle di oggi. Tu mi fai impazzire
giorno dopo giorno. Vorrei avere tutto e subito, ma così
finisco per pressarti quando hai bisogno di tempo e di riflettere.
Anch’io avrei molto da rimuginare sul fatto che non riesco a
controllarmi, però ora sono riuscito a darmi una regolata
con
tutte la donne del pianeta, tranne con te. Eserciti su di te un
desiderio che neanche immagini e sono rammaricato per questo. Non
sono l’uomo che tu hai sempre desiderato e non sai quanto
sono
triste per non poterti dare ciò che desideri. Sto cercando
in
tutti i modi di farti felice. Ma non sono all’altezza. Mi sto
accorgendo che non mi meriti. Tu hai bisogno di qualcuno che ti
aspetti”.
Mi
si bloccò il respiro.
“Tom”
sussurrai piano, ma lui comunque mi sentì. “Non ha
importanza. È normale. Sono io che non ce la faccio.
È
come se avessi un blocco. Come se avessi paura. Non capisco nemmeno
perché. Ma il problema non sei tu. Anche con Bill era la
stessa cosa. Ogni qual volta mi chiedeva io ero costretta a dirgli di
no…”. Mi venne da piangere. “Io vorrei
anche, perché ho
paura di deluderti, ma è successo una cosa da piccola, che
non
mi lascia tregua. Io davvero sono mortificata” scoppiai a
piangere. “Io…Mi dispiace…”
Tom
appoggiò la testa alla porta. “Non piangere ti
prego. Io
sarò disposto ad aspettare tutta la vita se ce ne
sarà
bisogno”.
Crollai
disperata. Quella frase non poteva essere di Tom! Era troppo bella
per essere uscita dalla bocca di un Sexgott! Era disposto ad
attendere una vita intera…per me!
Mi
asciugai le lacrime. “Io ti prometto che posso riuscire a
superare
il mio problema se mi aiuti…”
“Farei
di tutto per te…” disse pianissimo, ma lo sentii e
mi alzai.
Abbassai
la maniglia e dietro la porta apparve Tom con un’espressione
distrutta sul volto. Gli buttai le braccia al collo. “Ti
amo…”
Lui
mi baciò la fronte.
“Anch’io…”
Lie.
Roma.
Chiusi
la porta del bagno con forza. La confusione aveva raggiunto altezze
vertiginose.
Mi
misi le mani nei capelli, cercando di raccapezzarmi.
Mi
ha baciata
Cosa
stava facendo quel crucco? Sembrava volesse giocasse con
i
miei sentimenti. Mi abbraccia, litighiamo, facciamo pace, e
ora mi
bacia? Cosa provava per me? Cos’ero per lui? Una
ragazza
speciale o una come tante? Il dubbio era molto forte.
La
cosa che più mi sconvolgeva era il bacio. Perché
l’avrà fatto? È
tutto così
sconvolgente! Qualche mese fa giravo per le vie di Milano abbandonata
come un cane e ora mi svegliavo con le labbra di Bill sulle
mie…
Migliaia
di fan dei Tokio Hotel mi avrebbero fatto fuori con trovate a dir
poco agghiaccianti pur di farmi stare distante dal loro adorato Bill.
Io non ero loro fan qualche mese fa, ma ora mi piacevano e anche Bill
mi piaceva. E pure tanto! Conoscendolo bene mi aveva conquistato. Con
il suo inseparabile fascino che mostrava solo a chi voleva. Con il
suo sorriso bello come il sole! Con quell’inguaribile faccia
tosta
con cui si permetteva di proteggermi senza il permesso.
Lo
amavo per i suoi difetti e per i suoi pregi. Semplicemente lo amavo.
Però
ancora non riuscivo a capire cosa lui provasse per me. Era stato un
bacio d’amore oppure stava semplicemente sognando e credeva
io
fossi una bellissima ragazza con cui era andato a letto?
Il
pensiero che fosse andato a letto con un un’altra mi
attanagliò
lo stomaco. Io non potevo competere con quelle fan scatenate che
volevano sono un’avventura notturna! Io non ero
così. Per me
l’amore per Bill era sbocciato solo quando l’avevo
conosciuto.
Non prima.
Con
il terribile dubbio che mi rodeva mi avvicinai al lavandino e mi
ritrovai a fissare i trucchi di Bill nell’armadietto, che per
pura
casualità era aperto. Scrutai tutti le bottigliette di
smalto
nero e quelle bianche per farsi il french, le matite e gli ombretti
neri. Sembrava avesse le scorte per un esercito.
Anche
se eravamo venuti in Italia per la lettura di un testamento non aveva
rinunciato ai suoi adorati trucchi.
Un’unica
cosa stonava tra tutta quella roba tipicamente femminile. Un rasoio.
Lo
presi. Ne saggiai il peso e lo osservai da vicino. Quello era il
rasoio con cui Bill si radeva la barba. Non era una cosa da tutti i
giorni poter toccare il rasoio del kaiser dei Tokio Hotel, che tutti
avevano sempre considerato una ragazza. Lo riposi.
Continuai
a ispezionare le sue cose nell’armadietto. Passai dalla lacca
e mi
ritrovai a fissare la sua spazzola arancione (poteva non essere
arancione?).
Stringendola
nel palmo della mano provai una strana sensazione. La rigirai
dubbiosa. Poi mi pattinai i capelli. Quella stessa spazzola che aveva
lisciato miliardi di volte i capelli di Bill ora lisciava i miei.
Sapeva del suo odore, del suo dolcissimo odore. La mia attenzione fu
attratta dalla maglia di Bill sulla lavatrice. Era quella bagnata,
quella che gli avevo tolto quando era addormentato.
Lasciai
la spazzola nell’armadietto e mi diressi verso la maglietta e
istintivamente la strinsi tra le mani come se fosse mia. Anche quella
era impregnata del suo odore. Il bagno di mia nonna era diventato un
covo di tutti gli oggetti di Bill. Mi bastò una frazione di
secondo. La rimisi al suo posto.
Tutta
quella stanza era diventata irrespirabile. Ogni cosa mi faceva
pensare a lui. E a quel bacio.
Istintivamente
portai una mano alle labbra. Un bacio soffice, ecco come era stato.
Mi
riscossi dai miei pensieri, quando Bill bussò alla porta.
Il
cuore mi esplose in mille pezzi dall’agitazione. Cosa voleva?
“Ora
esco” risposi andando verso la porta e abbassando la
maniglia. Mi
esibii in un sorriso falso come Giuda, uscii passandogli accanto e
sfiorandogli appena la spalla.
Stavo
per andarmene in camera, quando una mano mi afferrò un
polso.
“Lie…Io
volevo parlarti…”
Nei
suoi occhi vi era un misto di paura e rabbia.
Credo
che invece lui lesse, nei miei, stupore, che poi velocemente nascosi
sotto un velo di serenità. “Fai finta che non sia
successo
niente. Per me non c’è nessun problema”.
“Ma
per me si…” disse lui preoccupato.
“Non
lo dirò a nessuno. Non ti devi preoccupare. Non
l’hai fatto
apposta. È stato solo uno sbaglio” commentai
stringendomi
nelle spalle. Lui mi mollò il polso e io gli diedi le spalle
lasciandolo senza parole.
Una
volta in camera svuotai la mia valigia e indossai la prima maglietta
e il primo paio di jeans che mi capitarono in mano.
Quando
mi voltai Bill era sulla soglia della porta. “Ancora in
piedi?
Forza a letto! Devi guarire prima o poi”.
Lui
non sembrava aver capito. “Dove vai?” mi
domandò come
fosse l’unica cosa importante su questa terra.
“A
fare la spesa. La nonna non è in grado di farla da sola. Per
cui tu fai il bravo e dormi mentre sono via” dissi
abbottonandomi i
jeans e infilandomi le all stars, regalo di Tom.
“Scusami
per prima…”
Alzai
lo sguardo e incrociai i suoi occhi color nocciola. “Scusami
tu…”
“No
intendevo per il bacio” si corresse lui.
Mi
accigliai. “Ehm è stato un errore no? Non
c’è
bisogno che ti scusi”
Lui
abbassò lo sguardo. “Si certo”.
Mi
avvicinai. Gli sistemai il colletto del pigiama e gli stampai un
bacio sulla fronte. “Faccio in fretta. Devo prendere due-tre
cosette per domani sera” commentai sorridendo.
Bill
annuì mogio.
Stavo
per andare, quando mi bloccò. Mi rivoltai verso di lui.
“No
no, niente” disse per scusarsi. Poi mi mollò.
Rimasi
interdetta un attimo. Accennai un sorriso e uscii ancora più
perplessa. Cosa voleva dirmi prima di cambiare idea? Perché
c’era un motivo per il quale mi aveva trattenuto. Ne ero
sicura.
Per
le strade di Roma riacquistai un po’ di libertà.
Sotto un
cielo sgombro di nuvole, il freddo non smetteva di torturare la mia
pelle. Camminavo veloce per raggiungere la bottega di alimentari che
mi aveva indicato mia nonna.
Svoltai
un angolo e in fondo alla via vidi che si reggeva un edificio grigio
con un enorme scritta verde su fondo bianco. Ecco il supermercato.
Entrai
dalle porte scorrevoli e cominciai a girare tra gli scaffali.
Mio
papà era abbastanza conosciuto in quel posto, e tutti si
ricordavano chi era quella bella bambina tedesca al suo fianco.
Non
avevo voglia di spiegare alla gente che era rimasta orfana. Avrebbero
cominciato a scusarsi. Non ero dell'umore per sentire i dispiaceri
della gente.
E
proprio mentre pensavo di passare inosservata sentii una voce, di un
uomo, che mi chiama dal fondo del corridoio.
Sperai
che non si riferisse a me e con questa speranza mi infilai in un
altro corridoio. Purtroppo avevo dimenticato gli occhiali di Bill per
camuffarmi. Imprecai in silenzio, mentre mi facevo largo tra due
carrelli. “Lie!” l’uomo mi chiamava
ancora. Affrettai il passo
e mi diressi come un fuso verso il banco degli affettati, solitamente
il luogo più affollato, proprio per sfuggirgli.
Svoltai
in un corridoio, quando mi scontrai contro qualcuno di alto e grosso.
Caddi all’indietro sul sedere.
Una
volta a terra e con il sedere che mi doleva, una mano mi si
presentò
nella mia visuale.
“Lie!
Perché non ti sei fermata quando ti ho chiamato? Dai
alzati”
disse scuotendo la mano in segno che la dovevo prendere per farmi
aiutare ad alzarmi.
Alzai
lentamente lo sguardo. Non potevo crederci. Era Saki.
Afferrai
la sua mano sorridendo. Mi tirò su con uno strattone e mi
mostrò un biglietto della spesa. “Anche tu a fare
la spesa?”
“Vuoi
dirmi che ti ha mandato mia nonna?” chiesi curiosa e un
po’
stupita.
“Si
tua nonna. Mi si è avvicinata e mi ha supplicato fino allo
sfinimento. Alla fine non ho potuto resistere. Caro
per favore tu che sei forzuto potresti fare un piccolo favore ad una
povera vecchietta senza forze? Devi solo andare qui dietro
l’angolo
a fare la spesa!
Ecco cosa mi ha detto dandomi in mano il taccuino e buttandomi fuori
di casa”
Ridacchiai
nel sentire l’imitazione perfetta di mia nonna.
“È
abbastanza convincente e tu sei troppo gentile, Saki. Trovarla gente
come te a questo mondo!”
“Ehm
ma se tu sei qui, chi c’è con Bill?”
Solo
allora mi venne in mente che l’avevo lasciato da solo.
“Oddio!”
“Dai
visto che siamo in due facciamo in fretta, così poi filiamo
di
nuovo a casa”.
“Hai
ragione. Comunque la prossima volta cerca di non farmi prendere
questi spaventi. Non urlare in posti affollati il mio nome. Per poco
non facevo un infarto!”
“Quanto
sei pessimista! E poi non lo sapevo che ti dovevi
nascondere…”
disse scherzosamente.
“Guarda
che sono una star internazionale e devo nascondermi se non voglio
finire male, sai?” mi atteggiai da star, imitando un pochino
lo
sbruffone di Tom.
Saki
tirò fuori dal taschino un paio di occhiali.
“Tieni. Sono un
bodyguard, il mio compito è quello di proteggere i vip.
Quindi
questi credo che ti serviranno…”
Io
li presi e li indossai. Saki sorrise. “Non sto
bene?” chiesi
preoccupata.
Saki
scrollò il capo. “No, stai benissimo solo
che…”
“Solo
che…?”.
“Solo
che mi ricordi Bill, quando li indossa. Anche lui fa la stessa mossa
con il polso e…”.
Abbassai
gli occhiali e lo guardai da sopra di essi.
“Ecco
e pure questo. Già, siete molto
uguali…” aggiunse
allegramente.
Ero
un po’ scettica su quello, che mi stava dicendo.
“Non
esattamente! Io non ci metto un quarto d’ora per piastrarmi i
capelli!”
“Certo
non ti trucchi nemmeno come lui, è logico. Io parlavo del
comportamento istintivo. Di come i vostri gesti si
assomiglino”
Io
ci pensai un attimo. “Forse, ma per me Bill rimane ancora
pieno di
mistero. Cioè quando lo guardo negli occhi capisco se
è
triste o felice se ha paura o è emozionato. Però
non
riesco a capire il suo comportamento quando è in mia
presenza”
confessai pensierosa.
Lui
si strinse nelle spalle. “Bill è abbastanza
riservato, anche
se è logorroico. È sempre abbastanza misterioso.
Preferisce tenersi tutto dentro. A meno che non parli con Tom, solo
con lui si esprime liberamente. Lui lo capisce meglio di chiunque
altro. Comunque credo che sia messo in soggezione da te. Quando eri
ancora all’ospedale un giorno mi disse che lo incuriosivi in
modo
impressionante e che gli ricordavi lui da piccolo. Poi un altro
giorno mi confessò che più ti stava vicino
più
si sentiva irrequieto. Frenetico. Come mai si era sentito con una
ragazza. Mi disse che non voleva lasciarti andare una volta che ti
fossi ripresa, perché sentiva che dentro di sé tu
eri
una persona importante. E che ti voleva bene. Che in qualche modo
avresti segnato la sua vita per sempre, gliel’avresti
cambiata
irreversibilmente”.
Il
mio cervello non riusciva a ricevere tutte quelle notizie messe
insieme. “Cioè vuoi dirmi che io metto in
soggezione Bill
Kaulitz?”
“Si.
Bill è un bravo ragazzo e sincero. Di lui ti puoi fidare. E
poi è solare e sa tirarti su di morale”
“Eppure
anche quando ride vedo nei suoi occhi una grande tristezza. Come se
nonostante tutto dentro di lui non riuscisse a essere felice”
“Già.
Non è detto che dietro ogni sorriso si nasconda una grande
gioia. Potrebbe celare anche tristezza, che magari vuole nascondere
solo perché sa che far vedere che sta male non servirebbe a
niente. Mentre dimostrando che è forte e che sa affrontare
anche le cose più brutte riesce ad essere
d’esempio per gli
altri. Riesce a risollevare l’umore delle persone che gli
stanno
accanto”.
Dovevo
ammettere che questa risposta mi spiazzò. E che scoprii che
Saki ne sa una più del diavolo! Sembrava fosse un
rifornitore
automatico di saggezza. Nella mia mente si cristianizzò
un’immagine di Saki a forma di macchinetta con una sfilza di
pulsanti sulla pancia con un etichetta al loro fianco per indicare
cosa si desiderava. Il pensiero mi fece affiorare un flebile sorriso
sulle labbra.
“Può
darsi. Però per me Bill è un po’
strano. Cioè
come lui se ne trovano gran pochi…”
“Uomini
della sua portata sono rari. Ha il cuore d’oro quel ragazzo
sotto i
suoi superficiali vizzi e manie per il look. Ha un gran cuore
d’oro
che non aspetta altro di aprire ad una persona
speciale…”
Quelle
parole mi rimbombarono nelle orecchie come se ci fosse l’eco.
La
densità del suono ora era entrata negli ultrasuoni.
Mi
sentii scuotere. Aprii gli occhi. Ero tra le braccia del forzuto
uomo.
Saki
mi fissava preoccupato. “Tutto bene?”
Ora
il volume della sua voce era tornato normale. “Si, ma che
è
successo?”
“Un
mancamento. Ti servono vitamine e ferro. Dai su muoviamoci
così
magari poi ti fai anche un bel riposino. Hai l’aria di essere
stravolta…”
Così
svoltammo l'angolo, sotto gli sguardi della gente che si era fermata
a guardare. Alla fina il mio tentativo di passare inosservata era
fallito miseramente.
L’omone
seguì la lista della spesa e finì di riempire il
carrello. Quando anche l’ultima notazione a fondo del foglio
fu
cancellata ci dirigemmo alla cassa. Dopo aver posto tutto sul nastro,
messo tutto nelle borse e dopo aver pagato uscimmo con le mani
occupate dalle borse della spesa.
“Scommetto
che in questi giorni non hai fatto altro che pensare alla salute di
Bill che ti sei un po’ trascurata…”
disse Saki prendendomi alla
sprovvista.
“Uhm,
forse. Credi che sia questo il motivo per cui sono svenuta?”
Saki
si accigliò. “Non sono un medico però
secondo me si.
Pero se non ci fossi stata te, ora Bill sarebbe
all’ospedale!”
“Se
mi avesse ascoltato sarebbe anche potuto uscire. Invece ha insistito
per aiutarmi ad asciugare il bagno. Ma è un
testone!”
“È
della vergine, non scordartelo!” commentò lui
ridendo.
Inclinai
la testa. “Si, hai ragione” risposi con un
altrettante sorriso.
Svoltammo
l’angolo e ci trovammo davanti al condominio di mia nonna.
Passammo
davanti alla portineria dove una donna con un paio di occhiali spessi
come fondi di bottiglia ci fissò torbida. Salimmo la tromba
della scale e davanti alla porta di casa e tenni premuto il
campanello finché non venne ad aprirci la nonna.
“Oh
cara! Entrate entrate!”
Dalla
porta della camera uscì Bill correndo. Sgommò e
frenò
davanti di me e Saki. “Menomale che siete arrivati! Temevo
che mi
aveste abbandonato!”
Io
gli sorrisi. “Ma figurati!” allungai la mano sulla
sua fronte, ma
ebbe una reazione strana. Si ritrasse prendendo la mia mano.
“è
gelata!”
Lo
fissai incredula, mentre la prese e la mise sotto la maglia del
pigiama. Mi sorrise. Io abbassai la testa nervosa e imbarazzata.
Saki
sbuffò. “Io andrei a mettere giù le
borse se foste
così gentili da lasciarmi il passaggio e non lasciarmi
sull’uscio, che ste’ cose pesano!”
brontolò.
Bill
sorrise e si scansò lasciando libero il corridoio. Quando se
ne fu andato, mia nonna chiuse la porta e se ne andò.
Rimanemmo
da soli.
Non
sembrava preoccupato per quello che stava facendo. Come di certo
invece lo ero io!
“Lie
stai bene?” mi chiese vedendomi socchiudere gli occhi.
Il
fatto era che mi stavo completamente abbandonando al suo tocco. O
forse era ancora un mancamento?
Non
riuscii a darmi una risposta che diventò tutto buio.
O
-------- O
Anticipo:
vi avevo lusingato con eventi che non sono accaduti in questo
capitolo, ma nel prossimo! Scommetto che vi siete accorte
però
che c'era una scena un pochino Hot :) Magari vi sarà
sembrato
banale, eppure non potete dirmi che era ciò che vi
aspettavate, leggere che Erika scappa via!
Il
prossimo capitolo vi attende ricco di nuove prospettive! E con un
Bill furbetto! XD
Ringraziamenti:
Layla:
Erika e Tom sono sulla strada
giusta, dopo
quello che è successo si metteranno sulla carreggiata
giusta.
Bill e Lie continuano a seguire direzioni opposte. Purtroppo per loro
le cose saranno ancora complicate, visto che non riescono a trovarsi.
Ma
essendo un lieto fine, capisci che finirà bene. Solo che non
dico come :) Puoi anche obbligarmi, ma non rivelerò nulla :)
Per
caso tu sai come si fa a vedere chi ti inserisce nei preferiti?
Ciao
ciao cara un bacione!
Kyara
Agatha
Mainlander:
ciao, mia
ricattatrice personale, ti avviso che non voglio farti
inciucciare la storia. Poi si stropiccia e si rovina XD No dai a
parte gli scherzi, sono contenta che ti inciuccia allegramente :)
La
vicenda non si è molto sbloccata in questo capitolo, ma nel
prossimo cercherò di regalarti dei migliori colpi di scena!
Ciao ciao! aaaaaaaaaa
|
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Capitolo 15 *** Bill Kaulitz: aspetto un tuo bacio ***
lie capitolo dove sono i miei vestiti
La
pazza è tornata con un altro bel capitolo per voi! Si
smuoverà qualcosa tra Bill e Lie qui tra queste righe e
potrete vederlo anche voi :) Le distanze diminuiscono, i litigi
finiscono nello scherzo. Ma un bacio può far ritornare tutto
come prima? Ditemi voi le vostre apparenze. Tom e Erika sono stati
accantonati per poco. Torneranno presto :) se non vedete l'ora di
iniziare ecco a voi il nuovo capitolo di The reason of my life!
Ps: qui sotto c'è Bill e una foto con due ragazze che potrebbero benissimo essere Erika a sinistra e Lie a Destra.
Recensioni alle buone anime che mi fanno compagnia :)
Layla: Ma ciao! :)
Si Tom è dolcissimo :) In molte storie Tom è uno
stronzo pervertito, per questo nella mia storia volevo che risultasse
un suo nuovo lato. Per Lie e Bill è difficile sopportarsi
perchè devono convivere! Sai come sia difficile vivere a
stretto contatto con le persone! Saki mi piace proprio come personaggio
e aspetta che sia capodanno per vedere povero che cosa gli succede :)
ciao ciao cara e a presto :)
Kyara Agatha Mainlander:
Mia cara assassina hai un nome lunghissimooooo. è uno
strazio scriverlo tutto :) hahahah scherzo dai non perderò
certo minuti speciali per scrivere un nome! Davvero ti è
piaciuto? è la prima volta che scrivo qualcosa del genere,
vorrei cimentarmi ancora in qualcosa così, ma il problema
è che dovrei cambiare il raiting. Penso che
scriverò sempre qualcosa di leggero se mai...i preliminari
forse. non so vediamo :) Non devo essermi accumolata troppi guai visto
che ho recensito presto no? :) Ora vado a mangiare le pappe, ciao ciao!
Un bacione! e affila i coltelli per quando finirò la storia
XD
Capitolo
24: Bill Kaulitz: aspetto un tuo
bacio
Aprii
gli occhi molto lentamente.
Mi
ci
volle un po’ di tempo per riconoscere il luogo in cui mi
trovavo.
Guardai
le tendine dal complesso ricamo e capii che non potevano essere che
creazioni di mia nonna.
Guardai
davanti a me i piedi sotto le lenzuola. Chi
mi
ha messo a letto?
Avevo
un buco. Non ricordavo cosa era successo dopo che Bill mi aveva
chiesto se stavo bene. Se provavo a ricordare vedevo solo nero. E ora
avevo un gran mal di testa.
Cercai
di sedermi scombussolata, ma una mano mi ridistese sul materasso.
“Meglio
se stai giù…” sussurrò
dolcemente Bill.
Voltai
lentamente la testa. Bill era sdraiato vicino a me e fissava il
soffitto.
Sospettò
che lo stessi guardando e voltò il capo. Mi sorrise.
“Sei
debole. Devi riposare…”.
“Oh
no, sto benissimo!” protestai sperando che togliesse la mano
da
sotto il seno.
“Saki
mi ha detto che sei svenuta anche al supermercato. Non ti lascio
andare in giro con il rischio che ti fai male da sola”.
Io
sorrisi mesta. “Grazie, però io voglio andare
via…”
Avrei preso volentieri una badilata in testa piuttosto di subire le
ramanzine del mio carnefice.
Bill,
però, sembrava divertirsi un mondo a fare l'infermierina
premurosa. “Credo che anche tu abbia la febbre!”.
Alzai
un sopracciglio. “Perché?”
Bill
mi toccò la fronte. “Sei bollente e dici cose poco
sensate!”
concluse mostrandomi un sorriso sfavillante.
Sarei
diventata una pozza di acqua, se il mio cervello non avesse
registrato quelle tre parole: cose poco sensate.
“AH
SI? BE’ IO SONO BOLLENTE PERCHÉ SONO IMBARAZZATA,
VISTO CHE
STAI APPROFFITANDO DI ME” e agguantai la mano di Bill come
fosse un
coccodrillo, per poi rigettarla via lontana dal mio corpo. “E
LE
COSE CHE TU CHIAMI POCO SENSATE SONO LE COSE CHE PENSO E CHE DICO
NORMALMENTE!!!”.
Il
ragazzo mi fissò cercando di intuire il mio umore.
“Volevo
solo scherzare, per vedere splendere sul bel viso un sorriso
vero”.
I
miei occhi saltarono sul suo volto. Cosa
dovevo dire ora?
Lui
mi sorrise.
Io
lo
fissai incapace di capire.
Lui
non smise si sorridere.
“Ahhhh!”
esclamai infine ridendo. Aspettava che ridessi.
Come
potevo fare a resistere ad un fascino e ad una bontà d'animo
come quella? Come si fa in questi casi? Non esiste un manuale
d'istruzione per capire cosa fare con le persone. Solo vivendole puoi
riuscire a comprenderle.
“É
bello rivederti ridere” mi disse piano, quasi in un sussurro,
sul
collo facendomi venire i brividi.
I
miei occhi si puntarono nei suoi. “E
io sono
felice di sorridere…per te…” La
nuvoletta rosa sopra la mia testa svanì. Non saprei mai
riuscita a dirglielo. Rimasi a fissarlo come un’ebete senza
dire
niente.
Appena
mi sembrò di vedere un suo avvicinamento voltai la testa
dall’altra parte, non volevo si prendesse gioco di me. Era da
troppo che aspettavo si accorgesse che io ho dei sentimenti.
Quando
due mani mi presero il volto e mi fecero voltare verso Bill,
sussultai. Mi ritrovai a fissare suoi occhi, che erano puntati nei
miei. Non potevo muovermi: ero bloccata. Nessuna via d’uscita
e per
di più tra le mani di Bill!
Chiuse
gli occhi e lentamente si avvicinò. I battiti del mio cuore
rallentarono e mi si arrestò il respiro. Non volevo che mi
baciasse di nuovo e non capivo perché. Ero felice che lo
facesse però non era una cosa che poteva decidere solo lui.
Almeno dovevo essere d’accordo anche io. Le mie mani erano
bloccate
per fermarlo, l’unica cosa che riuscii a fare fu chiudere gli
occhi
e serrare la bocca.
Sentii
il suo respiro sul naso.
Sul
naso?? Ma come? Qualcosa si appoggiò sulla mia fronte.
Per
un secondo il mio cuore crollò dal dispiacere, anche se in
fondo ero contenta che Bill non l’avesse fatto.
L’avrei odiato se
mi avesse baciato una seconda volta senza che io gli avessi dato il
permesso.
“Non
hai la febbre…” Commentò piano. Aprii
gli occhi
esterrefatta. Mi ritrovai il suo viso vicinissimo al mio. Sulle sue
labbra aveva un sorriso così...così...dolce.
Le
sue mani calde mi sfioravano la pelle in una tenera e impercettibile
carezza. Ero entrata in trans a quel contatto. Ma
perché faceva così?
Tuttavia
non mi importava ricevere una risposta, mi bastava godermi questo
momento fino alla morte!
“Ora
devi andare via?” chiesi titubante.
Scosse
la testa. “Ehm, se vuoi che rimanga, no”
“Forse”.
Bill allungò le braccia attorno alla mia vita e mi
abbracciò.
I nostri corpi si scontrarono e il mio mento scivolò sulla
sua
spalla. I respiri di Bill erano regolari, la sua calma
impressionante. “Sei una persona fantastica Lie”
Il
mio corpo si irrigidì completamente. Se qualcuno avesse
cercato di buttarmi giù da un grattacielo non avrei fatto
una
piega.
“Non
è vero” mormorai allontanandomi.
“Lasciami stare, non
voglio la tua compassione”
Alzarmi
mi costò uno sforzo sovrumano. M’infilai le
ciabatte e
strisciando la suola sul pavimento mi diressi verso la porta, ancora
mezza decrepita.
Sentii
Bill ridacchiare e proprio prima di uscire dalla porta mi
bloccò
con una domanda alquanto singolare: “I vestiti?”
Con
il terrore negli occhi abbassai lo sguardo e mi vidi in camicia da
notte trasparente. Cosa??
L'urlo
che lanciai doveva proprio incutere terrore:
“BIIIIIIIIIL!”
Lui
mi indicò. “Stai davvero bene
così!”
“Mi
hai conciato te così? Mi hai tolto tutto te?”
“Tu
l’hai fatto con me e io l’ho fatto con
te…”
Ero
imbarazzatissima. Bill Kaulitz mentre io dormivo mi aveva spogliato e
mi aveva messo una cosa così sexy attorno? Eppure
l’avevo
fatto anche io, per cui non avevo il diritto di arrabbiarmi!
“Ok
Ok…Dove sono i miei vestiti?”
“Li
abbiamo buttati a lavare. Per cui non ti resta che metterti i
miei…”
Incrociai
le braccia sul petto e gettai fuori una grandissimo e secco NO!
Bill
sorrise. “Lo sapevo che avresti risposto
così”.
Sbuffai
contrariata e andai verso la valigia di Bill. La rovesciai sul
pavimento dove si sperperarono tutti i suoi vestiti e un piccolo
sacchetto rosso
con un enorme fiocco nero
sopra. Sbucava un biglietto con su scritto: X
Lie, nell’inconfondibile scrittura di Bill.
Il
moro si sedette sul bordo del letto fissandomi con il fiato sospeso.
Attendeva una mia reazione.
Aprii
con cura il sacchetto facendo attenzione a non rompere il fiocco.
Lentamente sfilai la sorpresa facendo cadere la carta frusciante a
terra. Saltai completamente in braccio a Bill. “Danke schon!
Non
smetterò di dirtelo finché morirai. È
stato un
regalo bellissimo!”
“Sono
contento che ti piaccia. Puoi indossarla per stare a casa”.
Guardai
la maglia nella mie mani. Bill mi aveva regalato la maglia della
Royal Rock. La sua maglia.
“Hai
proprio un bel reggiseno. Mi piace il pizzo”
Il
rossore non tardò a chiazzare le mie guance rosee.
“Vado ad
indossarla subito”. E corsi in bagno più veloce
che potevo.
Era
incredibile che Bill avesse deciso di regalarmi la sua maglia. Erika
aveva detto che Bill non prestava le sue cose figuriamoci regalarle!
Sicuramente ci doveva essere uno sbaglio, me l'avrebbe
richiesta
indietro.
Presi
la maglia e l'aprii per indossarla, ma cadde un oggetto di plastica
sul pavimento. Non mie ero accorta che vi era anche un altro regalo
all'interno. Appoggiai la maglia sull'appendi asciugamani e raccolsi
quella che sembrava essere una custodia per cd. Voltai la custodia e
apparve l'immagine dei Tokio Hotel. Era il loro cd in tedesco.
Mi
luccicarono gli occhi. Tra quelle traccie vi era An Deiner Seite.
Aprii la confezione e vi trovai un biglietto. Vi era scritto nella
calligrafia di Bill: Questo regalo è per te, cara Lie. Per
essere entrata nella mia vita come un monsone.
Il
biglietto era datato con il giorno della morte di mia mamma. Ecco
dove era sparito Bill quella mattina!
Monsone?
Io? Impossibile.
In
fretta e furia, per non pensare, indossai la maglietta e mi diressi
subito dalla mia unica parente ancora in vita.
Mia
nonna, Maria Rosa, mi sorrise appena sbucai in salotto dove stava
sferruzzando. “Ciao cara. Dormito bene? Stai meglio? Bill
ieri era
super preoccupato. Sei svenuta tra le sue braccia e si è
affannato subito per le tue condizioni. Quel ragazzo ha il cuore
d’oro!”
Io
annuii molto poco convinta.
“Fammi
un sorriso, cara! Sei così musona…Dai che la vita
è
bella! Sei giovane! Hai tutta la vita davanti!”
protestò lei
vedendomi pensierosa.
Vorrei
vedercela lei nei miei panni! Lei di sicuro non si è
innamorata di un ragazzo che è innamorato di
un’altra
ragazza. Non ha mai sofferto per amore. Il nonno l’aveva
corteggiata e le era andato tutto liscio fino a che non le aveva
chiesto di sposarlo nel meleto di casa propria. Per me era diverso.
Sono pazza di Bill, che non mi sembra abbia capito quanto tengo a
lui. Spesso ha atteggiamenti strani e mi guarda intensamente. Mi fa
regali e mi scrive cose carine, per esempio che sono il suo monsone.
E questo mi fa impazzire. Mi sembra quasi che giochi con i miei
sentimenti. Io lo amo, farei qualsiasi cosa per lui. Sarei disposta a
scalare l’Everest, a gettarmi da un aereo in alta quota.
Morirei
per un suo Ti amo. E la cosa che fa più male è
che Bill
crede che io mi accontenti di essergli amica. Però io sto
sopprimendo il mio amore per non provocargli troppi problemi,
perché
voglio vederlo felice. L’unica cosa che mi interessa
è che
lui possa vivere felice con la donna che ama. Anche se io
soffrirò
le pene dell’inferno e gli sbaverò dietro fino
alla morte.
Anche se, lo so, mi spezzerò lentamente, pezzo dopo pezzo,
finché di me non rimarrà più niente e
avrò
paura ad amare ancora per non ricevere un’altra delusione.
Prima
che mi potessero scendere lacrime lungo il viso uscii dalla stanza
senza alzare lo sguardo dal pavimento.
Così
andai a sbattere contro un palo. Oh no era Bill, non un palo!
Un
attimo.
I
nostri sguardi si incrociarono.
Si
scaturirono mille emozioni.
Non
riuscii più a trattenere le lacrime.
Bill
aveva l’aria ferita. Non capiva perché piangevo.
Mi
voltai e di corsa raggiunsi la porta dell’appartamento. Scesi
le
scale a due gradii a volta, passai davanti alla portineria con gli
occhi pieni di lacrime che mi oscuravano la vista. Per mia fortuna
conoscevo quel posto come le mie tasche e come facevo ogni volta che
mi veniva da piangere andai al parco giochi. Mi fermai davanti alla
“panchina del pianto” come l’avevo
soprannominata. Mi sedetti
turbata.
Non
c’era nessuno nel parco. Ero sola.
Le
lacrime mi bruciarono il viso. Erano come una pugnalata al cuore.
Ognuna significava dolore.
Mi
pulii le guance con il dorso della mano. Nessuno mi capiva. Nessuno
sentiva quanto batteva il mio cuore? Erano tutti così
ciechi?
D’improvviso
la luce del sole scomparve, perché davanti di esso si
posizionò una figura altissima e nera. Alzai gli occhi. Era
Bill.
Nessuno
parlò.
Oh.
Sul
volto del moro stavano rotolando lacrime?
Due
braccia lunghe mi avvolsero la vita e mi sollevarono. Mi avvicinarono
al petto di Bill e presero una presa migliore. Una mano sotto la
schiena e una sotto le ginocchia. Io avvolsi le braccia attorno al
collo del cantante e appoggiai la testa alla sua spalla.
“Vieni a
casa. Ora ti proteggo io…” sussurrò con
voce dolcissima,
ma affranta
E
scoppiai a piangere.
Mi
ero calmata. D’altronde quando Bill fa il cretino per farti
ridere
e strapparti un sorriso è impossibile essere nervosi o
preoccupati. L’unica cosa a cui pensai è che se
anche lo
amavo e non ero corrisposta lui mi stava vicino e faceva di tutto
per vedermi felice.
Dio
quanto adoravo quel ragazzo!
Darei
la mia vita per ricevere il suo amore! Sarei disposta ad aspettare
una vita pur di ricevere il mio primo vero bacio da Bill Kaulitz.
“Guarda
Jumby! Arriva!” disse imitando un aereo.
Mi
sfuggì una risatina. “Quando sei idiota, Bill!
Anche
l’aereo!”
Lui
si strinse nelle spalle. Imitò lo sferragliare del treno sui
binari. “E il treno. Quale preferisci?”
Io
scossi la testa mordendomi le labbra. “Sei
adorabile!”
“Si
lo so! Vuoi che io non sappia una cosa così
basilare?” si
avvicinò e mi sfiorò i fianchi, facendomi
scoppiare a
ridere.
“No
no ti prego! Io soffro tantissimo il solletico!” (stessa cosa
vale
per me…quindi non cercate di farmi il solletico!)
Bill
si divertì a farmi impazzire di risate. Si buttò
anche
lui sul divano per rendermi le mosse ancora più difficili.
Senza che ce ne accorgessimo rotolammo giù dal divano sul
tappeto. Bill di schiena e io sulla sua pancia.
“Oh
mio Dio! Scusa!” Mi affrettai a scusarmi.
Ma
Bill sembrava essere di gomma. Mi rigirò e mi ritrovai sotto
di lui. Continuò con la tortura del solletico e io arrivai
alle lacrime dal tanto ridere.
Per
sbaglio alzai una gamba e lo colpii in
quel punto (che
come sapete è molto doloroso).
Bill
sgranò gli occhi e mi cadde addosso come un salame. Prima di
cadermi in faccia però appoggiò una mano
all’ultimo
minuto vicino al mio orecchio. Le sue labbra sfiorarono la mia
fronte. “Scusa…”
Il
mio petto si abbassava e si alzava sempre più
frettolosamente.
“Scusami
tu, non avrei dovuto”
“Bella
mossa. Sai difenderti…” disse alzando la schiena e
quasi si
sedette sulla mia pancia. Si fermò, quando
adocchiò il
mio ciondolo. Era un cuore incrociato ad una stella. Lo prese nella
mano e lo fissò interessato.
Intanto
io fissavo il soffitto cercando di calmarmi per paura che sentisse
come batteva il mio cuore.
“È
molto bello. È un regalo?”
“Si
di mio papà” spostai lo sguardo sul suo volto.
Stavo
sorridendo, mentre sfiorava il mio ciondolo con estrema delicatezza.
“Perché
ridi?”
“Sai
credevo che te lo avesse regalato un ragazzo” mi
confessò
assente.
“Ma
te l’ho detto che non ho avuto ragazzi” dissi io
perplessa da
quella dichiarazione.
“Infatti
ho detto se era di un ragazzo, non del tuo ragazzo. Magari uno che
era innamorato di te”
“Nessuno
mi ha mai detto che mi amava e tanto meno mi hanno fatto dei
regali”
“Sai,
ne sono felice. Non che non ti abbaino fatto regali… Ma
perché
sarei geloso!”
“Cosa?”
domandai incredula. Forse avevo capito male.
“Si.
Sarei geloso. Ti prego non metterti con nessun ragazzo. Soffrirei
tantissimo…” disse con un espressione molto
ferita. Mi lasciò
la collana e si avvicinò molto lentamente. Chiuse gli occhi
e
mi ritrovai le sue braccia sulle mie prima che potessi muovermi.
Il
mio cuore si bloccò. Le sue morbide labbra erano posate
sulle
mie molto impacciatamente. Il mio corpo si era irrigidito come un
pezzo di legno e non risposi al bacio forse perché ero
troppo
imbarazzata o perché mi aveva preso alla sprovvista.
Nonostante fossi a terra potevo liberarmi facilmente, se non avessi
voluto quel bacio. Ma il fatto è che lo volevo eccome!
La
mia attenzione era tutta sulle sue palpebre chiuse e struccate. Era
così bello!
Il
moro si staccò da me, mordicchiandosi le labbra e
aprì
piano gli occhi. Non disse niente. Si alzò e uscì
dal
salotto silenziosamente. Qualcuno lassù mi voleva tanto bene
da esaudire i miei desideri o mi stava solo prendendo per il culo.
Sapere il perché di quel gesto sarebbe stata la cosa
migliore.
Strinsi
nella mano destra il ciondolo come facevo ogni volta che ero agitata.
MI
HA BACIATA! Era l’unica cosa a cui riuscivo a pensare mentre
fuori
il sole splendeva nel cielo azzurro cobalto.
O____________O
Anticipo:
è ora di
uscire all'aperto come in un specie di appuntamento e se riesco
metterò anche un pochino di shopping :)
A presto!
|
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Capitolo 16 *** L'amore è una dipendenza? ***
Oddio!
Vi devo ringraziare perché mi avete commosso! Quando ho
visto
che le recensioni superavano quelle del capitolo precedente stavo per
fare un infarto!
Grazie
veramente :)
Ok
Ciao a tutti! Sono tornata con quest'altro capitolo. Una fra gli
ultimi, perché sto cercando di raggruppare tutti i
piccolissimi capitoli che avevo formato!
In
questo nuovo episodio per voi troverete sia i dubbi di Lie e Bill, ma
anche la conferma dei loro sentimenti. Ho accolto in pieno le vostre
preoccupazioni: ma perché Lie non si accorge che Bill l'ama?
Allora principalmente, perché lui le ha detto che ama
un'altra, e secondo perchè non crede abbastanza in se
stessa.
In
fondo quando sei convinta che fai schifo, vedi che tutti pensano che
tu fai schifo. È pura convinzione della nostra mente!
Senza
indugi vi lascio a questo capitolo scoppiettante. Buona lettura!
Le
risposte alle mie lettrici: A tutte: vi ringrazio!
Splash_Bk:
ciao :) è la prima
volta
che recensisci? Bene mia cara benvenuta :) Eheh Bill è dolce
come un cucchiaio di miele :) L'amore rende pazzi no? Per i motivi
che ho spiegato sopra Lie e Bill sono destinati a non capirsi,
finché
non si scontreranno! Eh già! Piaciuto il capitolo nuovo?
Grazie mille e un bacione! Alla prossima!
Layla:
mia
cara, lo so che segui moltissimo la coppia LieXBill e ci saranno
risvolti molto presto lo giuro! Non posso dirti di più
purtroppo sennò svelerei tutto XD Per Tom come hai visto
l'Odissea è finita, ma sai com'è loro hanno
iniziato
molto prima, per cui ogni cosa a suo tempo. :) Bill dolce? Una tua
impressione XD
lillik:
Uh, una nuova
lettrice
*.* molto orgogliosa di fare la tua conoscenza :) stretta di mano
solida e ferma XD Benvenuta a bordo! Sisignorcapitano! Bene finite le
presentazioni, abbiamo un nome quasi simile: mi chiamano anche Lily
per un personaggio da me inventato! :) Ciao ciao :)
E
ora Kyara
Agatha Mainlander:
Allora visto che non mi merito nessuna accoltellata perché
sono stata così brava da aggiornare presto, posso scagliare
un
masso sul tuo lungo nome per accorcialo hahahahah XD e comunque ti
torturerò a vita non facendo sbocciare l'amore tra Lie e
Bill,
così piangerai a vita muhahahaha no scherzo! Lo sai vero che
presto ci sarà il finalone, se non tra due capitolo tra tre!
Per cui aspettati un sadico finale...o uno bello? Mah non te lo dico
fiuuuuuu fiuuuuu ^^ Oddio mi diverto a tenere tutti sulle spine!
Ah
anche io aspetto quel bacio, ma non è ancora arrivato :(
Miawww :( ciao mia assassina professionista! :)
Capitolo 21:
L'amore
è una dipendenza?
Tom.
Germania.
Disegnavo
ampi cerchi nel giardino di casa, nervoso come non mai, cercando
irrimediabilmente di non guardare verso di lei.
Faceva
freddo, eppure sedeva sulla veranda, senza un cappotto. Le sue
braccia avvolgevano le ginocchia e fissava assorta il cielo, mentre
canticchiava una canzone. Intuii poi che stava cantando Sex.
I
suoi morbidi capelli biondi le cadevano sul dolce vita bianco
coordinato con un paio di scarpe a tacco alto e una minigonna nera
non troppo corta. La linea del suo collo puntato verso l'alto mi
faceva venire voglia di baciare e mordere quella pelle così
liscia. Gli occhi azzurro cielo, luccicavano pieni di gioia.
Era
consapevole di ciò che stava cantando e che lo stava
cantando
davanti a me.
Le
braccia mi crollarono lungo i fianchi. Alzai lo sguardo al cielo
anch’io e canticchiammo insieme.
La
mia voce nasale non poteva certamente essere paragonata al suo
angelico timbro, e questo mi faceva sentire terribilmente a disagio.
Erika
abbassò sguardo su di me e io su di lei. Fu un attimo a
capii
che le distanze doveva essere coperte, ora. Voleva avermi vicino,
come io volevo avvicinarmi.
I
miei piedi bruciarono i metri che ci separavano e le mie mani si
fusero con il suo collo, i polpastrelli saggiarono la pelle rosea
della mia ninfa. Le scostai le ciocche dei capelli sulla spalla
sinistra e Erika piegò lentamente la testa, così
potei
baciarle la spalla.
Lei
mi passò una mano tra i rasta e mi sfilò il
berretto
mordendosi le labbra. Era bellissima, assolutamente fantastica. Non
potevo non vedere i messaggi che mi lanciava: mi amava e io la
rispettavo per questo. Nessuna donna mi avrebbe dato ciò che
mi stava dando oggi lei, ero fortunato.
Si.
L'amavo.
Tutto
in quel momento era splendido e il tutto fu coronato dal bacio, che
mi diede sorridendo.
Bill.
Roma.
Frugai
dappertutto. Non le trovavo. Dove erano andate a cacciarsi?
L’ansia
mi prese e mi strattonò in un baratro sconosciuto. Il mio
stato di irrequietezza era esploso alle stelle. Cominciai a lanciare
oggetti per la stanza. Cercai nelle tasche delle giacche, nei
pantaloni, nella valigia. Niente. Sembravano essersi volatilizzate.
Il
fiocco nero del regalo che Lie aveva scartato quella mattina era
ancora lì, sul pavimento. Un brivido mi percorse la schiena.
Distolsi lo sguardo, rimuginando su quello che era successo in quella
stanza poco fa.
Ero
un gran coglione. Un vero grande coglione. L’avevo baciata e
ancora
non le avevo detto che l’amavo.
“Cercavi
le tue sigarette? Be’ non le troverai. Lie le ha gettate
via…”
Saki
era appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul
petto.
“An…ok…”
risposi rilassandomi, cercando di stendere bene i muscoli per non
lanciarmi in una corsa furiosa verso il cestino della cucina.
“Non
sembri morire da astinenza sigarette. O forse è stato il suo
nome a rilassarti?”
Saki
non smetteva di fissarmi, non aveva intenzione di andarsene:
attendeva la mia risposta. Ma io una risposta non ce l'avevo! Lie
sapeva davvero rilassarmi? O avevo solo paura che la mia ira le
avrebbe fatto male? Oppure stavo realmente pensando di smettere di
fumare ora, prima di trovarmi incastrato in un circolo vizioso? In
fondo fumare non rilassava, rendeva ancora più nervosi.
“Oh
Saki! Non ti ci mettere adesso a criticare! Ho fatto una grossissima
cazzata e ho bisogno di calmarmi”.
“Il
fumo ti fa male…E lo sai bene!”Il mio bodyguard
era entrato nel
suo stato paranoico. Sembrava una cara mamma che difende i suoi
bambini dai pericoli, o almeno cerca di spiegare loro che una cosa
è
cattiva.
“Ma
ora non ne ho più bisogno, vedi?” dissi allargando
le
braccia.
Saki
sorrise, scuotendo la testa. “Lo sai
perché?” Rise sempre
più forte, non trovando nei miei occhi la risposta a quel
dubbio che mia aveva posto. Era inutile scrutare il suo viso, alla
ricerca di un'ancora di salvataggio! Lui sapeva qualcosa che a me
sfuggiva, qualcosa che volevo condividere subito.
“Hai
trovato un’altra dipendenza. La dipendenza
dall’amore. La
dipendenza da Lie!”
Aggrottai
le sopracciglia. Cosa? L'amore è una
dipendenza? Ma da
quando? Oddio forse ha ragione, io non riesco a vivere senza la
consapevolezza che LEI sta bene. Guardai
verso Saki in cerca di una conferma, ma in lui non vi era che cieca
certezza. Come potevo essere ridotto a una dipendenza così
grande? Come potevo esserci cascato così in fretta? E
soprattutto come mai non me ne ero accorto?
Lui
se ne andò.
Non
poteva andare ora: io avevo bisogno di troppe risposte. “Ma
Saki!
Aspetta…!”
Non
ricevetti risposta.
Dirlo
o non dirlo a Lie?
Le
mani mi sudavano, da quando avevo abbracciato l'idea di chiedere a
Bella se le sarebbe piaciuto accompagnarmi in città. I
secondi
all'orologio sembravano susseguirsi senza senso, mentre io rimanevo
fermo ad aspettare come la moglie fedele attende che il proprio
marito compaia all'orizzonte, tornato dalla guerra. Io non attendevo
niente, se non me. Ero io che aveva bisogno di tempo, ed era me
stesso che avrei atteso, prima di aprire il mio cuore e frustarlo di
inutili speranze.
Quale
persona si sarebbe arrovellato per trovare conferma dei sentimenti
che animavano la donna amata?
Lie
entrò a passi leggeri in cucina, strofinando le mani sul
grembiule. Accese i fornelli senza guardarmi negli occhi.
Sospirai
lentamente. Non volevo disturbarla, per cui continuai a osservarla
mentre indaffarata trafficava spostando le ciocche ribelli dietro le
orecchie.
Era
assolutamente fantastica. Non potei non sorridere, quando
ritirò
la mano e si soffiò su un polpastrello dopo che se lo era
scottato.
Lie
mi lanciò uno sguardo truce, studiando il mio volto. Non
avrebbe mai potuto leggere quello che viaggiava nella mia mente,
perché il mio viso era una maschera impassibile,
impenetrabile.
La
smorfia delusa che le rigò la bocca, mi fece tremare.
Mi
alzai, per coprire le distanze e le mie braccia l'avvolsero in un
abbraccio stretto. Non mi stavo illudendo. No. Avrei fatto quello che
un amico fa con la sua amica.
Il
respiro di Lie si bloccò e le sue mani strusciarono sulla
mia
camicia, fermandosi dietro alla mia schiena.
Questo
è amore Lie. È amore. Lo senti? Ti prego dimmi
che lo
hai capito. Come non hai fatto a capire? Io ti amo.
Guardai il
muro di fronte a me.
Con decisione mi ritrassi e a passo svelto mi dileguai, passandomi
una mano sul volto.
Non riuscii
a decifrare ciò
che trasformò il viso di Lie.
Quando
mangiammo nessuno era di molte parole. Quando finimmo la nonna di Lie
mi chiese se potevo darle una mano a sparecchiare e a sua nipote di
lavare i piatti.
Saki,
nel frattempo era andato a comperare i fuochi d’artificio,
però
credo che stesse fuggendo dalla nonna di Lie.
Ero
ancora seduto a tavola, quando Maria Rosa scomparve dicendo che era
stanca.
Rimanemmo
solo io e Lie. Per un attimo i miei occhi si scontrarono con lo
sguardo vitreo della ragazza che avevamo investito un mese fa, poi di
scatto si posarono altrove.
Il
cuore mi si bloccò. Ritornai a sprofondare nel mare dei suoi
occhi e sulle sue labbra si dipinse un timido sorriso. Le dita delle
mani si incrociavano ansiosamente.
Quello
sguardo.
Quegli
occhi.
Quel
sorriso.
Quella
sua timidezza.
“Sparecchiamo?”
sussurrò tesa, torturando il pomello della sedia.
La
mia faccia cambiò colore, tingendosi di rosso,
dopodiché mi gettai a capofitto nel mio compito. Raccolsi in
una pila tutti i
piatti, poi presi i bicchieri, infine le posate. Una volta che tutto
era nel lavandino Lie si infilò i guanti per lavare.
Mi
stava dando le spalle e stava per cominciare, quando mi
sfuggì
una domanda prima di trovare il modo di bloccarla.
“Posso?”
La
ragazza si voltò perplessa.
“A-a-aiutarti?”
finii la frase balbettando.
Adoravo
il suo modo di incespicare nelle sue parole. Era così
adorabile.
Annui,
prendendo la pila appena formata. “Tu lavi e io
asciugo”.
Lie
rispose in tono asciutto: “Perfetto”.
Presi
uno strofinaccio e mi misi al suo fianco. Lo sguardo mi cadde sulle
sue mani bianche che stringevano un piatto e lo tenevano sotto
l’acqua del rubinetto. Si era irrigidita e sembrava molto
tesa.
Mi
passò un piatto sicura, che ero pronto a prenderlo, senza
guardarmi, ma io mi ero perso. Si voltò per capire,
perché
non avevo preso il piatto. L'impatto con i miei occhi fu forte.
“Bill…Il
piatto! Se non ne hai voglia perché stai qui? Faccio anche
da
sola. Non ti devi scusare. Ho capito. Non sono arrabbiata”.
Perché
dovrebbe essere arrabbiata? Io non stavo scherzando quando l'ho
baciata. Io volevo solo farle capire quanto l'amo. Ma forse siamo
sono un caso disperato. Dovrei stare zitto.
“Non
è per scusarmi. Mi sembrava giusto aiutarti visto che due
sono
meglio di uno, no?”
“Si
ma aiutami allora. E…e…ti prego non guardami
così…mi
agiti…” aggiunse abbassando gli occhi.
Quella
frase mi martellò il cervello. L’agitavo? Cosa
voleva dirmi?
Oddio! “Oh. Mi dispiace. Non pensavo…”
Rise.
“Quando mai tu pensi?”. Scherzava.
“Penso
sempre a te” sarebbe stata la frase adatta. Invece
mi uscì
uno sbiascicato “Mai…”
Presi
il piatto silenzioso e lo asciugai con cura. Pensando a quanto ci
sarebbe voluto perché mi decidessi a dichiararmi. In modo
serio intendo.
Lie.
Roma.
Bill
era strano. Veramente strano! Cioè tutti siamo
strani…ma lui
è matto da legare.
Io
stavo solo scherzando, quando gli avevo chiesto se lui avesse mai
pensato in vita sua. Invece lui si è ammutolito e chiuso nel
suo guscietto. Quando potrò capire cosa passa per quella
testolina sotto la chioma da leoncino nera solcata da meches bionde?
“Bill
sai che quando mi fai compagnia riesco a dimenticare il pensiero
della morte di mia madre? Insomma una volta avrei pensato che alla
morte dei miei genitori non sarei riuscita ad andare avanti. Invece
ce la sto facendo…E riesco anche a pensare a un futuro
positivo.
Desidero avere una famiglia, un marito, dei figli, un lavoro stabile,
un casa e un cane. Sogno una vita normale. Forse sto perdendo la
paura del domani” snocciolai, pensando che era giusto
riavviare una
conversazione da persona normali. Quei silenzi cominciavano a darmi
l'ansia.
Bill
sembrava interessato. “Davvero? Non credevo di fare questo
effetto!”
Risi.
“Be’ forse è perché sei forte
e la tua presenza mi
rassicura. Per me sei importante. Uno dei pali più
importanti
a cui aggrapparmi nella mia vita”.
Bill
gongolò felice. Stava completamente al mio tono
serio-giocoso.
Ma come faceva a capirmi al volo?
“Wow,
ne sono lusingato. Sono imbarazzato”
“Quando
sei entrato a far parte della mia vita qualcosa è cambiato.
Non so come. Ma è cambiato e forse non lo voglio nemmeno
sapere. Per la prima volta mi sento apprezzata e utile da una persona
estranea. È difficile da spiegare, ma si credo che tu sia il
mio vero grande amico. Non ho mai avuto amiche. Quindi non credo di
sapere come funzioni un’amicizia. Ma sono sicura che tu sia
un
amico”
Bill
era interdetto da tutte quelle rivelazioni. “Ma io mi sono
comportato male. Ti ho abbracciato quando non avrei dovuto. Ti ho
baciato quando non avrei dovuto. Come fai a considerarmi un
amico?”
sembrava più sconvolto di quello che avevo immaginato.
“Ma
mi hai abbracciato quando ne avevo bisogno. Quando stavo male! Lo hai
fatto per starmi accanto” risposi io molto decisa.
Lui
sembrava molto teso. “Davvero?” domandò
quasi in un
sussurro.
Sorrisi.
“Ma certo!”
Bill
arrancava nei suoi pensieri. Forse non era ancora convinto.
“Bill?!?!
Ci sei??” domandai perplessa.
“Stavo
solo pensando che” Corrugo la fronte “No
niente”.
“Tieni.
Questo è l’ultimo!” dissi porgendogli un
piatto.
Bill
scoppiò con un applauso. “Perfetto! Che dici se
andiamo a
fare un giretto fuori porta?”
Io
annui felice come una pasqua. Tutto andava bene a patto che ci fosse
Bill al mio fianco. Tutto sarebbe stato bello se c’era lui.
Sospirai a quel pensiero mentre il moro mi sorrise candidamente.
Era
una bella sorpresa quella che volevo fare a Bill. Chissà
se
gli piacerà! Continuavo a rimuginare tra me,
mentre mi
sistemavo le pieghe delle gonna nera che mi stavo mettendo. Infine
indossai una felpa bianca le calze e le converse. Mi fissai allo
specchio e sbuffando diedi una spazzolata ai capelli. Erano proprio
ribelli!
Afferrai
la tracolla e la sistemai sulla spalla riempiendola di tutto quello
che mi capitava sotto mano. Presi anche il cellulare: Erika poteva
chiamarmi da un momento all’altro. Chissà se
passerà
la notte con Tom! Ero proprio curiosa di sapere cosa avrebbero
combinato quei due insieme a casa da soli.
Bill
mi aspettava sull’uscio. Lo raggiunsi.
Il
moro mi fece i complimenti che raccolsi con un timido grazie. Mi fece
passare per prima e poi chiuse la porta. Scendemmo velocemente le
scale e salutammo la portinaia che scosse la testa vedendo il modo in
cui andavamo via vestiti. (Annuncio ai gentili lettori: alla gente
può sembrare strano come veste Bill. Anche se poi alla fine
veste jeans e magliette come tutti i comuni mortali e non vedo cosa
ci sia di così strano da criticare! An…se
qualcuno lo ha
capito per favore me lo dica perché o non capisco io o
c’è
gente che non sa cosa fare dalla mattina alla sera e trova
intelligente prendersela con le persone solo per il gusto di farle
stare male…).
Usciti
indossammo, come degli agenti segreti, i nostri occhiali da sole e
indicai a Bill la via da percorrere.
Così
in quell’ultima giornata dell’anno mi ritrovai a
vagare per Roma
in compagnia di Bill Kaulitz nascosta dietro un paio di moderni
occhiali nell’anonimato più assoluto.
Il
moro sorrideva felice sotto il suo cappellino nero e gli inseparabili
occhiali che amavo.
Mi
ritrovai a fissarlo, mentre lui osservava ammirato le vie di Roma.
Era bello. Molto più che bello.
Mi
salì un groppo in gola, cominciavo a sudare freddo.
L’occhio
“mi cadde” sui suoi pantaloni che scendevano
deliberatamente in
maniera vertiginosa facendo bella mostra del suo sedere e dei suoi
boxer neri. Arrossii appena mi accorsi di ciò che stavo
facendo.
E
proprio per questo quando Bill frenò improvvisamente ci fu
un
effetto tamponamento.
Caddi
all’indietro come un sacco di patate, protetta solo dal
sedere che
incontrò l’asfalto nero.
Bill
si voltò di scatto, con un'espressione costernata,
rammaricato
dell’incidente “Oddio scusa, Lie! Mi dispiace
moltissimo, sono un
impiastro tremendo!”
Bill
mi offrì le sue mani per aiutarmi a salire, ma l'aria da
papà
preoccupato mi faceva morire dal ridere. “Dovresti vederti
allo
specchio…sei così carino!”
Lui
mi fece il broncio. “Non ridere di me, dai! Mi sembra di
essere uno
stupido!”
Bill
si guardava con intensità le punte dei piedi, in segno di
timidezza.
Gli
diedi una pacca sulla spalla. “Forza, che sennò fa
buio!”
dissi prendendolo per una manica della giacca e cominciando a correre
con un sorriso a trentadue denti.
Bill
era decisamente più alto di me e le sue gambe erano
chilometriche, di conseguenza non gli ci volle molto per superarmi e
farmi mangiare la polvere.
Con
il fiatone lo raggiunsi alla fine della via dove vi era un grosso
incrocio e poi oltre si estendeva un enorme parco verde, con erba
tagliata, grandi alberi frondosi e persistenti cinguettanti
uccellini.
“Vieni…”
dissi io attraversando lo stradone con il rosso.
Bill
non si mosse dal ciglio della strada. Scosse la testa e mi
urlò
forte: “Ecco perché ti investono!”
Io
che ero rimasta a metà strada, sul divisore del traffico, mi
misi a ridere. Non aveva poi tutti i torti. “Ho una vena
sadica!
Amo farmi investire!”
Il
moro si diede una sberla sulla fronte in segno di rassegnazione.
Attraversò appena il semaforo diventò verde e
quando mi
fu di fronte mi diede un buffetto sul naso. “Mi fai sempre
fare
degli infarti fatali tu!”
Arrossii
inesorabilmente stringendomi nella mia giacca.
“Oh…questo
è il parco?” domandò il kaiser tutto
euforico.
Sospirai
per liberarmi dalla tensione accumulata. Che ci potevo fare? Quello
era Bill Kaulitz mica micio-micio bau-bau!
Girovagammo
in lungo e in largo per il parco e poi ci sedemmo all’ombra
di
un’enorme quercia per riposarci. Mi tolsi la tracolla e la
gettai
nell’erba stendendomi a fissare il cielo tra le fronde
dell’albero.
Bill mi si accoccolò vicino. “L’ultima
giornata
dell’anno…Der letze Tag”
sussurrò, non so se più
a me o se a se stesso.
“Avresti
potuto passarlo con la tua famiglia. Invece per colpa mia lo dovrai
passare in Italia lontano da tuo fratello. Non eri costretto a
venire. Ora mi dispiace tanto di tutto questo casino!”
Mormorai.
Bill
si accoccolò tra il braccio e il ventre, tanto che potevo
sentire i suoi vestiti toccare i miei. “Ma se io non mi
ammalavo
saremmo tornati a casa in tempo…Quindi non è
colpa tua!”
Qualcosa
mi diceva però che era colpa mia se lui era stato picchiato
e
si era ammalato, però non avevo voglia di litigare con Bill.
Stavo troppo bene. Il vento mi carezzava la pelle, l’erba
vivida mi
solleticava la schiena e i raggi del sole, che mi sfioravano il viso,
mi davano quel senso di beatitudine che provavo solo, quando Bill mi
guardava con quei suoi due occhi color nocciola che mi avevano
paralizzato così tante volte!
“Bill?”
Il
moro spostò tutta la sua attenzione su di me. Io mi rigirai
sul fianco per vederlo meglio in faccia. “Davvero saresti
disposto
a stare al mio fianco?”
Bill
rise. “Domanda tagliente la tua! Se te l’ho detto
era perché
davvero ci credevo. Non so perché, ma quel giorno che ti ho
vista a terra ho capito che avresti fatto parte della mia vita per
sempre, che non avrei mai potuto lasciarti da sola perché il
mio destino è terribilmente legato al tuo”
“È
una cosa buffa…Io la prima volta che ti ho visto in Tv ho
pensato
che non avrei mai voluto fare la tua conoscenza e tanto meno pensavo
che il mio destino si dovesse intrecciare con il tuo. Ma quando mi
hai abbracciato mi è sembrato che qualcosa in me si fosse
risvegliato e che tu fossi arrivato per riempire un buco che per
tanto tempo è stato vuoto”.
Quelle
parole aleggiarono nell'aria per un tempo indefinito. Non aggiungemmo
altro al mio discorso. Non avrebbe avuto senso. Andava bene
così.
Bill.
Roma.
“Questo
è perfetto! Bill sei un figurino! Fatti vedere per
bene”
disse Lie sfiorandomi la manica della giacca. Indossavo una giacca
gessata, una camicia linda bianca e un paio di pantaloni coordinati
alla giacca.
Feci
un giro completo su me stesso e mi guardai fiero allo specchio. Sul
volto della castana sbocciò un tenero sorriso e si mise ad
applaudire felice. “Semplicemente fantastico! Comperalo
dai!”
E
così feci. Usciti dal rinomato negozio del centro, dopo aver
speso una cifra astronomica, era pomeriggio inoltrato.
“Ho
i soldi a sufficienza per comperarti un vestito sexy per te”
dissi
sperando di vederla esultare.
Invece
ricevetti come risposta un indignato no. “Non ci pensare
nemmeno!
Un regalo me lo hai già fatto!”
“E'
capodanno. Voglio farti questo regalo” protestai io con il
terrore
di non vederla in abito.
“Scordatelo!”
rispose lei digrignando i denti.
Mi
voltai di scatto intenzionato a riportare indietro l’abito
appena
comperato. Se Lie non accettava, non volevo nemmeno io essere vestito
elegante.
Lie
mi afferrò per un braccio e mi trascinò verso di
se.
Come una grossa sanguisuga si aggrappò con tutte le sue
forze,
si si appoggiò a me con la testa e cominciò a
stritolarmi.
“Ok
faccio quello che vuoi, ma non andare a riportare il vestito! Ti sta
troppo bene”
“Questo
volevo sentirti dire…” sussurrai piano.
La
ragazza si staccò dal mio braccio. “Ti odio Bill
Kaulitz!”
strillò arrabbiata. Si era accorta dell'inganno.
Io
sorrisi e le indicai di voltarsi e guardare una vetrina proprio
dietro di lei. “Cambi idea se ti compero quello?”
Lei
si girò perplessa. Dallo stupore le cadde la mascella e
sgranò
gli occhi tanto che ebbi paura che le rotolassero a terra.
“T-U S-E-I F-U-O-R-I!!” gridò
appoggiando le mani sul vetro e
cominciando a fissare stralunata il vestito che le avevo indicato.
Si
formo un alone al respiro ansioso di Lie sul vetro lucido del
negozio.
Era
un vestito nero con il corpetto di payette e la gonna di tulle era
voluminosa con lucenti ricami argentati. Era senza maniche, ma da
abbinare vi era uno splendido copri spalle con altrettanti ricami che
partivano dalle maniche e si incontravano sulla schiena dando la
sensazione che si svolgesse una fusione.
Deglutii.
L'immagine di Lie in quell'abito mi faceva venire la pelle d'oca.
“Vieni
che lo provi…”
Lie
abbassò la testa pronta a fuggire indignata.
In
un soffio le afferrai l'orlo della giacca e la trattenni
“Cretina
torna qui! Non succederà niente, vedrai!”
Lie
si massaggiò le mani strisciando la suola della scarpe.
“Tu
non sei normale. Bill non posso metterlo. Non ci entrerò
mai!”
La
fissai perplesso. “Solo per questo non lo vuoi
provare?”
Gli
occhi di Lie si gonfiarono e le mani si strinsero in duri pugni.
“Sono piatta Bill …”
Cosa?
Alzai le sopracciglia. Cosa voleva dire?
“Sono
senza tette!” urlò, poi arrossì vedendo
una marea di
occhi su di lei.
Le
feci segno di avvicinarsi. Lei obbedì. Le scostai una ciocca
di capelli dietro l’orecchio. “Non urlare. Comunque
di tette ne
hai. Ieri sera ho avuto la possibilità di constatarlo io
stesso” Annuii felice.
Arrossì
violentemente d’improvviso e cominciò a tossire
come se
qualcosa le impedisse di respirare.
“Ti
strangolo Kaulitz! Cosa vuoi dire che hai constatato? Meglio se non
lo dici…Vabbe’ entriamo…”
La
trascinai felice all’interno del negozio.
I
rivestimenti in pelle delle pareti presagivano fin da subito che il
locale richiedeva un certo budget per permettersi un semplice capo.
La quantità di merce in esposizione ne dimostrava la tesi.
Un
alto commesso si presentò ai nostri occhi e ci
osservò
dall’alto in basso.
“Vorremmo
quel vestito in vetrina” esclamai, mostrando la mia pacatezza
e
solidità. Quest'uomo non potrà mai credere che io
non
possa permettermi un suo abito.
“Non
credo che il vestito in questione sia in vendita. È un capo
molto speciale che il padrone ha deciso di esporre per privati
motivi…”
Questo
è il tipico modo con cui liquidano il cliente che non ha
soldi
sufficienti per pagare.
Lie
alzò lo sguardo verso l'uomo. I suoi occhi erano colmi d'ira
e
di paura allo stesso tempo.
Avevo
un sacco di soldi nel taccuino. Gliel'avrei fatta pagare io. Nessuno
può giudicare gli altri per come sono vestiti.
La
mia risata squillò nel negozio, prima di tramutarsi in un
sorriso beffardo.
Anticipo:
Allora ho intenzione di
deliziarvi con i
festeggiamenti di un grande nuovo anno e con la voglia di GELATO?? Ma
di che gelato stiamo parlando? Scopritelo nel prossimo episodio!
|
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Capitolo 17 *** Un fine anno esplosivo! ***
22
Ehi
chi
ha visto gli EMA? Hanno vinto i nostri amati
TH?? Partecipavano ad
una sola categoria purtroppo! Fatemi sapere!
Allora
rieccoci :) Chi è pronto per un nuovo capitolo alzi la mano!
Chi ha voglia di ridere alzi la mano! Chi crede che sia demente
alzi
la mano!
Oddio
non mi aspettavo così tante mani all'ultima affermazione! XD
Prima
di cominciare a leggere, dovete sapere che non c'è nessun
gelato in questo capitolo, perchè non ci stava proprio
materialmente. È una sberla di
14 pagine, non so se mi
spiego!
Quindi, vi devo informare che sarà sicuramente nel prossimo
capitolo :) promesso! Ah e se siete così gentili da
sgolosare
ancora su queste righe, vi informo che troverete cose almeno in parte
piccanti, quindi reggetevi alle vostre seggiole XD
Le
risposte alle mie lettrici: A tutte: vi ringrazio di cuore per avere
la pazienza di leggere e recensire :)
Layla:
Mi sono impegnata con Tom, per renderlo più
comunemente
umano. Tutti lo dipingono come un fattone, cannaiolo, ubriacone! Io
lo vedo come un vero romantico, che nasconde la sua natura dolce.
Lie non
è piatta, e dice
a Bill di esserlo perchè non ha molta autostima di
sé.
Non ho capito, quindi perchè mi hai scritto: Almeno
Lie sa di non essere piatta XD!
Uhuh
attenditi un infarto per
questo capitolo. Non voglio attentare alla tua vita, ma ti auguro una
buona lettura :) per ogni danno collaterale rivolgersi alla cassa XD
Kuss Kuss!
SplashedAlcoholic:
Non sono riuscita a realizzare le vostre richieste. Il doppio senso
non lo troverai, perchè queste sono già 14
pagine! Ma
nel prossimo capitolo stai sicura che ci sarà! Uhm Tom e
Erika
sono dei birichini XD chissà chissà che ci
sarà
in questo capitolino! Mah :) Bill e Lie, sono due tartarughe,
rincitrullite! Poveri compatiscili. Hai presente quando parli con uno
che non ci arriva? “G-l-i p-i-a-c-i” E questo ti
risponde:
“Cosa?”. Non sono convinti di piacersi. E
più attendono,
più si convincono che non sono fatti l'uno per l'altra.
Buona
lettura e bacioni :)
Kyara
Agatha Mainlander:
Ma ciaooo!
:) Non mi rompi (a parte quando devo scrivere il tuo nome
complicato!) Scommetto che sarai arrabbiatissima con me :( scusami,
ma gli impegni mi impediscono di dedicarmi completamente alla storia,
che purtroppo ha bisogno di un puro restauro. In certe parti era
veramente pessima!
Bella la
telecronaca :) mi
servirebbe per presentare il capitolo :) (ah mi dispiace di non aver
potuto mettere il gelato!) Ah, ho l'accetta pronta, aspettami che
arriverò con Gollum un giorno o l'altro XD ciaoooooo!
Capitolo
22: Un fine
anno esplosivo!
Bill.
Roma.
Bill
guardava il
commesso come se fosse un guerriero pronto ad uno scontro mortale.
Incuteva
veramente
paura e negli occhi gli splendeva una luce di particolare
eccitazione.
Poi
scoppiò
in una risata fragorosa, agghiacciante.
Le
mie mani
sfiorarono la stoffa della giacca che indossava e tirai quella che
sembrava essere una manica, per fargli arrivare un messaggio molto
chiaro. Dovevamo andarcene. E in fretta.
Eppure
il mio
accompagnatore non voleva mollare la sua posizione.
Avete
presente
quelle scene di film western, in cui due uomini uno di fronte
all'altro osservano l'avversario con la mano sulla pistola? Ecco
Bill, vi si era completamente immedesimato.
Divaricò
le
gambe, strisciando la suola sulla moquette blu scuro e portò
lentamente una mano alla tasca destra posteriore. Escludendo una
auto-palpatina, che cosa stava facendo Bill??
Non
ebbi il tempo di
pensare, che l'uomo dal naso sofisticato, aprì la mani in
segno di sfida e ci indicò la porta. Nel suo sguardo c'era
malizia, senso di vittoria che lo entusiasmava. I suoi denti bianchi,
sembravano scintillare, mentre scoppiò a ridere.
“Dovreste
lasciare il locale immediatamente, grazie” ci
delucidò,
sornione.
Le
porte scorrevoli
di entrata si aprirono ed entrarono due clienti. Erano due signori in
caldi cappotti di pelliccia. Probabilmente avevano i soldi anche
nelle mutande.
Il
commesso sorrise
ai clienti appena entrati e si mostrò subito disponibile ad
esaudire tutti i loro desideri.
Stronzo!
Questo era
l’unico termine che gli si addiceva. Un vero STRONZO!
Il
moro, sventata
l'ipotesi di auto-palpatina, infilò la mano dentro la
misteriosa tasca e ne estrasse...il portafoglio!
Dio,
come mi era
venuto in mente che Bill volesse palparsi in un negozio?
Bill
lo soppesò,
con sguardo sicuro e mostrò al suo avversario la sua arma
aperta (ancora il taccuino).
“Non
mi interessa
cosa è in vendita e cosa no. Io ho detto che la mia amica
qui
presente vuole provare il vestito e lo proverà. E si muova a
toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta” sentenziò
girando
sui talloni per dirigersi verso una poltrona zebrata.
Il
commesso deglutì
piano. Alzò gli occhi, e senza fiatare sparì dai
nostri
occhi.
Quel
taccuino non
poteva che avere diverse banconote viola, per aver lasciato
così
di stucco il commesso. Qualche milione nel portafoglio di una star
mondiale, poteva anche starci.
Dopo
qualche
manciata di secondi, ritornò il commesso, portando tra le
mani
lo stesso modello che era in vetrina.
L'uomo,
di fronte a
noi, si spostò appena la cravatta e notai che i suoi occhi
si
erano accesi di una luce nuova. Poi si rivolse a me: “Le
porgo le
mie più sincere scuse. Devo aver commesso un brutale errore.
Non è questo il vestito di cui stavo parlando. La signorina
vuole provare l’abito? Si accomodi pure nella sala di
prova”
asserì, chinando leggermente le spalle verso terra in segno
di
reverenza e sparì nuovamente, diretto probabilmente ai
camerini.
Avevo
ancora la
bocca aperta, per protestare a quella reverenza inusuale.
“Chiudi
la bocca,
Lie. Non c'è niente di stupefacente: per il mondo, chi ha
soldi ha tutte le porte spalancate” Bill strinse la fessura
degli
occhi e si sistemò i capelli. Era totalmente calmo. Come
faceva?
Le
mosse che ora il
cantante compiva erano studiate alla perfezione, sembrava seguire uno
schema ben preciso, perchè non era il comportamento che
assumeva in occasioni normali. Era come assistere alla scena di un
film: Bill stava recitando.
Chiusi
gli occhi a
quell'assurdo codice di cortesia che non volevo capire e assimilare.
Era inconcepibile. Come poteva un uomo comandare solo per un
sostanzioso conto in banca? Era un'ingiustizia.
In
silenzio mi
avviai in direzioni dei camerini: bianchi rettangoli, con grandi
grandi tende nere di velluto.
Nella
sala vi erano
anche comode poltrone di pelle, dove ci si poteva sedere ad
attendere.
Se
il negozio non
fosse stato del commesso, avrei strillato e sarei corsa a provare la
comodità di quell'angolo di beatitudine, ma l'orgoglio mi
diceva di strappare il vestito dalle mani del mio nemico e dirigermi
nel camerino.
Quest’ultimo
era
enorme. Dentro vi erano tre specchi sulla tre pareti davanti a me, al
soffitto vi era un grande lampadario dalla luce abbagliante. Non era
una sala prova, ma una casa.
Sospirai
fissando la
mia figura minuta allo specchio. Quella ero io: le punte dei miei
piedi voltate verso l’interno, la braccia lungo i fianchi, i
capelli che mi cadevano sulle spalle e un ciuffo sbarazzino, corto,
verso sinistra. Mi morsicai le labbra timidamente. Ma chi volevo
prendere in giro??
Io
non ero
all’altezza di stare in quel cazzo di camerino e provare un
abito
da schianto come se fossi sexy. Io ero solo una povera stupida che si
stava illudendo.
Quel
pensiero mi
fece sentire come quando ti tirano un pugno dritto nello stomaco.
Presi l’abito arrabbiata con me stessa e lo indossai sperando
che
non mi entrasse, o magari che si rompesse così mi sarei
anche
vendicata con quello stupido negozio.
Invece
mi calzava a
pennello e quando alzai la zip dietro la schiena mi fissai allo
specchio e notai che mi stava perfettamente. Non mi ingrassava, mi
slanciava e mi evidenziava le gambe sottili e il copri spalle mi
aderiva alle braccia e esaltava il collo adornato dalla collana che
mi aveva regalato mio papà.
Tremavo:
così
sarei stata costretta a comperarlo! E poi cosa avrebbe detto Bill?
Aprii
la tenda,
sperando che Dio non stesse schiacciando un sonnellino.
Il
moro che stava
fissando il soffitto appena mi vide uscire si sistemò meglio
sulla poltroncina.
Non
disse nulla.
Rimase a fissarmi a bocca aperta.
Incrociai
le braccia
sul petto. “Bill non fare il cretino. Non mi prendere per il
culo.
Non mi sta bene…dai ora ti prego possiamo tornare a
casa?”
Il
commesso si
intromise. “Le sta benissimo…”
Lo
fissai
inorridita. L'incoerenza non aveva limiti.
Poi
ritornai a
concentrarmi su Bill, che non voleva cogliere le mie richieste. Mi si
avvicinò e cominciò a lisciarmi la gonna ad
alzarmi il
corpetto e mi spostò le ciocche di capelli sulle spalle.
“Bill
smettila!”
dissi afferrandogli un polso. “Sono stanca. Andiamo a
casa…Ti
prego!” supplicai esausta.
“Sei
ancora più
bella quando sei arrabbiata. Ti supplico comperalo. Fallo per
me!”
disse con due occhioni, colmi di tristezza.
“Si
lo comperi, è
un bel capo. Le dona” continuò il rompiscatole.
Lo
avrei preso a
schiaffi se la mia attenzione non fosse stata catturata da Bill, che
quando voleva ottenere una cosa sfoggiava una tecnica imbattibile: la
commiserazione.
“Ok!”
dissi. Ma
il kaiser non esultò. Si limitò a sorridermi.
“Avete
deciso?”
“Si,
e la finisca,
con questa farsa!” rispose Bill, con un tono, che sembrava
quello
di Tom.
Mi
ricambiai e ci
dirigemmo alla cassa, pagammo e una volta fuori scoppiai a ridere.
“E
si muova a toglierlo dalla gruccia. Abbiamo fretta!” citai
Bill, gongolante. “Ma dico come mai sei un
grandissimo
genio, Bill?”
“Ci
sono nato. Ho
un estro particolare, per la recitazione!”
Risi.
Risi per tutto
il tragitto, grazie alle stravaganti battute sul commesso scorbutico
e leccaculo , che Bill si inventava. Come potevo dimenticarmi un
simile pomeriggio? Era stato come una folata di petali in pieno
gelido inverno.
Bill.
Roma.
Uscii
dalla doccia e
strusciai nella mia stanza avvolto in un morbido asciugamano azzurro.
Aprii
la porta, ma
mentre mi stavo dirigendo verso il mio armadio mi apparve una scena
del tutto inaspettata: Lie si stava alzando la cerniera dell'abito,
senza risultati.
La
schiena retta e
sensuale era esposta ai miei occhi. Non si era accorta che ero
entrato. Sentii un suono simile a mille campane.
Ancora
a piedi
scalzi procedetti nella sua direzione, senza provocare rumori e
quando le fui dietro i miei polpastrelli percorsero la schiena di Lie
fino al fondo schiena per risalire in ampi cerchi.
Lie
non si ritrasse,
lasciò che le mie mani si impossessassero del suo corpo. I
miei palmi si fecero strada sulle linee geometriche della sua
schiena, lambendo la pelle profumata di Lie, che cadde indietro.
I
nostri corpi
cozzarono delicatamente e constatai che combaciavano perfettamente.
I
sussurri di Lie mi
svuotarono. Non accennava a cacciarmi. Non urlava. Era totalmente
assorbita dalle mie carezze.
Quella
scena
sensuale dei nostri corpi quasi nudi adiacenti mi risvegliò
dal mio stato di inebriamento. Mi staccai sgomento.
“Ti
alzo la
cerniera” sussurrai piano, sperando che l'intimità
di prima
si fosse cancellata.
Le
mie mani
strinsero i lembi del vestito, uno accanto all'altro, e con
velocità
feci salire la zip.
Lie
si voltò,
fregandosi le mani una contro l'altra.
“Hai
un bel
petto…” Indicò il mio petto, alzando
appena lo sguardo.
“Tu
una bella
schiena” mormorai d'un fiato.
Lie
arrossì.
“Ti lascio cambiarti, ti aspetto in salotto”.
Non
potevo lasciare
che l'imbarazzo le rubasse il sorriso. Non anche a fine anno.
“Potresti
rimanere
a guardarmi per ricambiare la mia scortesia”
Lie
rise. “Mi
farebbe piacere Kaulitz, ma ho un sacco di lavoro da
svolgere!”.
Ricambiai
il
sorriso, poi sparì lasciandomi solo.
Lie.
Roma.
L’aria
quella sera
era piuttosto fresca. Con quel maledetto vestito che avevo dovuto
indossare avevo freddo alle gambe e anche alle spalle nonostante
avessi il copri spalle. Un bel cappotto non guastava.
Il
cielo tempestato
di stelle era bellissimo. Rimasi a naso all’insù,
finché
Bill non spuntò da dietro e mi chiese se avevo freddo.
“Oh
no, è
solo il trentun dicembre!” soffiai con la mani sui fianchi.
Bill
ridacchiò.
“Dai tanto sono guarito. Tienila tu, che sennò ti
ammali. E
poi che cavaliere sarei se non sopportassi un po’ di freddo e
non
prestassi la mia giacca a una ragazza che ha freddo?”
“Un
cavaliere meno
esibizionista…” risposi seria, ma poi scoppiai a
ridere. “E
comunque la giacca ce l'ho mio salvatore!”
“Si.
Però
sono fatto così e non puoi cambiarmi.” aggiunse
Bill
stringendosi nelle spalle.
“Ehi
voi due!
Muovetevi mancano cinque minuti alla fine dell’anno.
Festeggiate
con me?” urlò Saki con mia nonna appollaiata al
suo
braccione.
“Tua
nonna ha un
debole per il povero Saki” commentò Bill al mio
orecchio
prima di prendermi dalla vita e prima di portarmi in braccio fino al
parapetto del terrazzo in cima al condominio.
Le
punte dei piedi
toccarono terra, ma il moro non mi mollò del tutto. Rimasi
sbilanciata contro il suo petto aggrappata al suo collo. Mi sorrise e
con uno scattò mi alzò in aria facendomi alzare
anche
la gonna (giuro che in quel momento l’avrei ammazzato!) e mi
mise a
sedere sul muretto. Lui ridacchiò della mia disgrazia e io
tenni il muso lungo. “Disgraziato!” borbottai
più rivolta
a me che a lui.
“Magnifica…”
affiorò dalle labbra di Bill.
Provai
a sturarmi le
orecchie. “Puoi ripetere caro?” chiesi ridendo
imitando mia
nonna.
Lui
mi prese una
mano e la strinse. Fece un piccolo passetto in avanti e si
accostò
alle mie ginocchia. “Mia carissima principessa. Lei
è una
magnifica, bellissima, affascinate fanciulla. Mi permetterebbe di
baciarle la mano, mia cara?”
Io
entrai nella
parte. Mi gonfiai il petto e mi limitai ad annuire con la testa.
Bill
chiuse gli
occhi e un piccolo inchinò mi fece un elegante baciamano.
Non
riuscireste a credere ai vostri occhi. Bill sembrava davvero un
principe di alto rango!
“Lasci
che le
mostri la bellezza del mio regno…” disse indicando
il cielo.
“Due
minuti,
deficiente!” strillò Saki.
Bill
si pietrificò.
Portò una mano chiusa a pugno davanti alla bocca e
imitò
un colpo di tosse. “Scusate l’ignoranza del mio
servo, mia cara.
Sono mortificato di questo brutto inconveniente…”
disse Bill come
un vero principe.
“Oh
non si deve
preoccupare mio principe! Aspetterò tutta la vita se ce ne
sarà bisogno e poi non mi stancherò accanto alla
sua
dolcezza…”
Il
moro rimase
piuttosto scioccato da quelle parole. Forse avevo detto qualcosa di
sbagliato?
“Un
minuto, porco
spino da palcoscenico!”
Nonostante
avessi
tentato in tutti i modi di non ridere, scoppiai e con me anche il
tedesco.
“Bene,
mia cara.
Là su in cielo tutte quelle stelle sono così
splendenti
perché le ho accese con la grandezza del mio amore. Sono il
riflesso della vostra bellezza”
Non
ebbi il tempo di
commentare che in cielo esplosero un boato di fuochi provenienti da
tutta la città di Roma. Anche Saki si era messo di buona
lena
e stava spedendo in aria quelli che aveva comperato al supermercato.
Il
cielo ora
risplendeva di mille colori e di cascate di tonanti fuochi
d’artificio. Non avevo parole per esprimere la mia emozione
in
quegli istanti.
Poi
Bill mi fece
scendere dal muretto e mi cinse la vita. E ballammo. Ballammo tutta
la notte sotto il mantello incastonato di bellissime e luccicanti
stelle.
Erika.
Germania.
“Tom!
Non fare il
cretino!” protestai, quando mi prese a mo’ di sacco
e mi portò
sulla sua spalla per tutta la casa. I due G erano impegnati in dolci
effusioni con le due K sul divano di casa Kaulitz, mentre Simone
stava sistemando i fuochi d’artificio con Gordon in giardino.
“Ragazzi venite! Mancano cinque minuti!”
Le
rotelle del
cervello di Tom cominciarono a funzionare e finalmente decise di
lasciarmi andare. Tutti insieme ci dirigemmo in giardino.
Io
indossavo un
abito bianco accollato e per niente sfacciato con delle scarpe
sobrie. L’unico strappo alla regola erano i capelli che ero
andata
a sistemare per rendermi irresistibile. Tom invece si era fatto
convincere da me a togliere il cappellino e aveva provato a mettere
una camicia nera, ma si era impuntato sul fatto che non avrebbe mai
più messo la giacca. I due G erano eleganti come sempre
mentre
Karin e Klarissa avevano un po’ esagerato e si erano concesse
una
gonna, ma avevano tenuto una scollatura in limiti accessibili.
“Due
minuti,
nevrotico!” dissi io accostandomi a Tom.
Lui
mi annusò
l’odore dei capelli, mentre mi sfiorò
delicatamente le
braccia.
“Chissà
come sta Bill!” sospirò Simone.
“Bene,
penso. E
poi a fargli compagnia ci sono Saki e Lie…” dissi
io per
distrarmi dall’insistenza di Tom.
“Un
minuto. Tom
lasciala in pace quella povera ragazza! Georg non toccare i fuochi!
Attento a dove metti i piedi amore!” Simone aveva ordini per
tutti.
Mi
voltai verso il
mio ragazzo. Lui non aveva occhi che per me. “Me la prometti
una
cosa?”
“Certo
amore…”
disse lui serio.
“Promettimi
che
farai di tutto per mantenere il nostro amore vivo e combatterai fino
allo sfinimento per non mandare tutto a rotoli?”
“Te
lo prometto.
Ti amo!” disse lui alzandomi il mento e baciandomi.
In
quel momento
esplosero nel cielo centinaia di fuochi d’artificio colorando
la
fredda notte di una piccola città nell’Est della
Germania.
Bill.
Roma.
Avevo
paura. Ecco
cosa provavo: paura di perderla o semplicemente di amarla.
Più
la guardavo e più mi convincevo che non sarebbe stata altro
che un’amica. Più la guardavo più mi
sentivo stupido.
La
stanza era
immersa nell’oscurità. L’unica fonte di
luce proveniva dal
lampione fuori dalla finestra.
Non
ero riuscito a
chiudere occhio. Ero ancora seduto sul letto ad osservarla, mentre
dormiva nel suo letto. Non avevo le forze nemmeno per togliermi le
scarpe. Ero rimasto in camicia, che avevo sbottonato per il caldo
insieme all cravatta che riposava sul tappeto della stanza. I capelli
stirati verso il basso mi caddero in avanti, mentre abbassai il capo.
Un dolore lancinante mi stava attanagliando il petto, e più
specificamente il cuore. Faceva male. Mi faceva davvero male. Ogni
minuto che passava aumentava e mi comprimeva lo stomaco, la testa mi
esplodeva e non riuscivo più a sentirmi le gambe che ormai
tremavano senza sosta.
…sei
bellissimo…
Quelle
due parole mi
trivellavano il cervello da quando le erano affiorate dalle labbra.
Ancora mi chiedevo come fosse possibile che le fossero fuggite, visto
che fino ad ora non le erano quasi mai usciti complimenti per me.
Però non aveva nessun significato. Io le avevo detto che era
semplicemente uno schianto e lei mi aveva risposto che quella sera
anche io ero bellissimo, ma…c’era un
però, mi aveva detto
che i miei complimenti la confondevano. Volevo prometterle che non le
avrei più fatto un complimento, ma…anche per me
c’era un
però, non potevo dirle una bugia. Non potevo mettere un
freno
alla mia lingua visto che ero un logorroico di prima categoria,
così
ero rimasto ferito dal suo però e ora odiavo il mio di
però.
Ma
la cosa che più
di tutte mi aveva ferito era stato il suo sguardo innocente quando si
era stretta nelle spalle e aveva sussurrato che non importava.
Eravamo
rimasti a
guardare il cielo fino a quando la sua testa non era crollata sulla
mia spalla. Allora con delicatezza l’avevo presa in braccio e
l’avevo stesa sul letto. Le avevo rimboccato le coperte e le
avevo
stampato un tenero bacio sul naso prima si sedermi sul mio letto e
rimanere a fissarla come in paradiso.
Ogni
minuto che
passava ripensavo alla sensazione delle sue labbra unite alle mie.
E
mi scendeva un
brivido lungo la schiena.
E
con quella
sensazione mi si chiusero gli occhi e raggomitolandomi come un riccio
sul letto mi lasciai trasportare nel mondo dei sogni.
Tom.
Germania.
Bagnato.
Ero bagnato
come un pulcino. Ma non importava. Ero riuscito a fare ciò
che
volevo fare: portare Erika a vedere l’alba in mezzo ad un
campo.
Quando
mi aveva
chiesto se potevo esaudire il suo desiderio mi ero spaventato.
Pensavo potesse avere la febbre, ma era seria. Così ora mi
ritrovavo in un enorme campo incolto con un mega impermeabile giallo
attorno in cui si era rifugiata anche Erika e guardava estasiata la
palla rossa che solcava il cielo. Erika era bella come il sole. Il
suo corpo contro il mio era la fonte di calore più
stupefacente che avesse accarezzato la mia pelle.
Non
volevo perderla
per nulla al mondo, era l’unica cosa cara che mi rimaneva non
contando Bill per il quale provavo un amore incondizionato
perché
era la mia fotocopia (l’ironia della frase mi sembra
evidente: Tom
ama se stesso per cui anche Bill perché è la sua
fotocopia! ;) )
La
piccola manina
della bionda accarezzò la mia e i suoi capelli piovvero come
una cascata sul mio viso. Le sue labbra si unirono con le mie e le
emozioni volarono via spalancando le ali.
Mi
svegliai in un
pigiama il doppio di me. Lo squadrai perplessa e notai che sul bordo
della maglia del pigiama era stampato un nome a caratteri cubitali:
Bill. Non si bada a spese quando sei egocentrico.
Ma
sorrisi al
pensiero di indossare ancora un suo indumento, di sentire sulla pelle
il suo odore, come se mi stesse stringendo in un lungo abbraccio.
Raccolsi le gambe contro il petto e appoggiai il mento sulle
ginocchia avvolgendomi le caviglie con le braccia. Gli occhi
cominciarono a prudermi e presto scesero le lacrime. Un pianto
silenzioso e che dava poco nell’occhio.
Quando
l’ultima
lacrima mi solcò il volto mi sentivo svuotata di tutte le
mie
emozioni e di tutti i miei pensieri. Non c’era cosa che
sapesse
rifarmi tornare il sorriso. Inclinai la testa per spiare Bill.
Dormiva nel suo letto, come un angioletto. Non so quanto rimasi
lì,
a guardarlo. L’unica cosa che mi fece svegliare dal trans
furono i
movimenti bruschi che il ragazzo fece tra le lenzuola e il nome che
urlò con quanto fiato avesse in gola: Lie.
Saltai
giù
dal letto e mi precipitai sul suo. Mi accostai a lui e gli strinsi la
testa molto teneramente baciandogli la fronte. Bill si calmò
improvvisamente. Io non sapendo che fare e non avendo voglia di
muovermi rimasi lì accoccolata con il kaiser e continuai a
proteggerlo dai suoi sogni tormentati.
“Piccioncini!
Sveglia!” mi urlò una voce nei timpani.
Aprii
lentamente gli
occhi e li stropicciai con il dorso della mano, ancora assonnata.
Abbracciavo ancora Bill per proteggerlo e alla vista di Saki mi
staccai preoccupata che potesse fraintendere.
“Ma
no non volevo
disturbarvi!” disse lui in un sussurro. Mi porse un vassoio
con la
colazione e mi sorrise teneramente. Non l’avevo mai visto
così
dolce.
Se
ne andò in
punta di piedi.
Appoggiai
la testa
sul cuscino e sbuffai. Quanto avrei dovuto tenere solo per me il mio
segreto? E come avrebbe reagito Bill nel venirne a conoscenza?
Eppure
forse non mi
importava come sarebbe andata. L’importante era amarlo.
L’importante era esserci ogni volta che lui mi cercava, ogni
volta
che ne aveva bisogno. Proteggerlo con il mio amore. Mi stesi sul
fianco e accarezzai la guancia al moro. Era così bello.
“Non
sono un
peluche. Ne un cane” commentò Bill con la voce
impasticcata
appena aprì gli occhi.
Ridacchiai.
“Scusa
ma hai avuto un incubo e ti tenevo compagnia…”
Bill
si guardò
il petto e vide che la camicia era tutta sbottonata. “Oddio.
Scusa”
disse coprendosi subito.
“Ma
non mi dava
fastidio anzi!” Ma come cazzo mi erano uscite quelle parole!
Il
moro infatti mi
guardò perplesso. Poi rise.
“Che
hai da
ridere?” protestai interdetta.
Il
kaiser si gettò
su di me e cominciò a farmi il solletico.
“Nooooooo! Bill
nooooo!” gridai tra lo sbellicamento generale.
“Guerra!!!!
Attenta, un attacco dal versante destro e un aereo! Jumby a
rapporto!”
“Che
demente,
Bill!” urlai io morta dalle risate.
“Attenzione
è
in arrivo un missile!” urlò saltandomi sopra
prendendo una
posizione migliore per torturarmi.
“Aiuuuuuuuuuuutooooooooooo!”
gridai prima che Bill la smettesse per prendere fiato.
Ammiccò
e poi
ripartì. Io ero totalmente inebriata al suo contatto, le sue
dita che mi sfioravano i fianchi facendomi ridere come una pazza, il
suo sorriso bello come quello di un bambino e il petto scoperto
invece era il segno che era un uomo. Rimasi un attimo confusa e poi
mi venne un’idea. Mi alzai con la schiena e passai le braccia
sotto
le sue e mi ritrovai faccia a faccia con il moro.
Le
ciocche dei suoi
capelli mi caddero come una cascata sul viso e mi fecero il
solletico.
Bill
non disse
niente, rimase a fissarmi negli occhi.
Io
mi avvicinai
piano diretta alle sue labbra, ma poi cambiai direzione e gli baciai
il naso. “È così perfetto questo naso
che se lo
merita questo bacio!”
Gli
occhi di Bill
diventarono lucidi d’improvviso.
“Ehi!
Cosa c’è?”
chiesi preoccupata.
Bill
sembrava muto,
mentre una lacrima gli sfuggì e rotolò sulla
guancia e
poi cadde sul mio viso. Oddio, forse l'avevo ferito in qualche modo.
“Bill…Ti prego non piangere…”
“Perché?
Non ha importanza” disse molto distaccato.
“Invece
si. A me
si che mi importa!”
Lo
sguardo di Bill
si vece più insistente. “Cosa provi per
me?”
Un
velo di terrore
mi pervase. Cosa voleva che gli dicessi? “Io…Tu
sei un mio
carissimo amico…”
“Tutto
qui?”
domandò molto deluso.
Non
sapevo cosa
dire. Io lo amavo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo.
“Bill
provo quello che provi tu…Solo amicizia…Ma
perché dovrei
provare qualcosa per te? E poi che importanza ha?”
“No
in
effetti…nessuna” disse chiudendo gli occhi.
“Solo che sono
molto confuso e non so se provo solo amicizia per te” .
Deglutii
piano. “E
cosa provi?”
“Ci
sarebbe solo
un modo per capirlo” Io alzai un sopracciglio perplessa.
“Posso
baciarti?”
A
quella domanda il
cuore mi saltò fuori dal petto. “Bill
l’hai già
fatto per due volte ci vuole anche una terza?”
Bill
aprì gli
occhi e il nocciola dei suoi occhi mi estasiò.
“Io...Non
sono più tanto sicuro di niente in questa vita. Tu, sei
l’unica mia certezza. Quando ti ho baciato ho capito che sei
speciale. Che sei tu che mi hai cambiato radicalmente la
vita”
“Bill…io…”
“Lasciati
baciare…” disse posandomi l’indice sulle
labbra. Mi abbandonai
tra le sue braccia socchiudendo gli occhi e mi baciò.
Non
so ancora perché
avevo accettato se poi non avevo risposto. Forse non mi sentivo
pronta. Eppure Bill mi aveva appena detto che forse provava per me
più di un’amicizia. Ma ancora mi sentivo incerta e
dubbiosa.
Tuttavia mi lasciai baciare.
Quando
il moro si
staccò da me rimase a fissarmi con un velo di tristezza
negli
occhi. La mia mano gli accarezzò i capelli, mentre lui si
morsicò il labbro inferiore.
“Grazie
per aver
accettato anche se non provi niente per me…” disse
distogliendo
lo sguardo da me.
Si
alzò molto
lentamente e si avviò verso la porta. Scesi con un balzo sul
pavimento e gli afferrai un braccio.
“Bill…”
Il
moro si girò
e lo abbracciai. Lui sembrò molto colpito dalla mia reazione
e
appoggiò imbarazzato le mani sulla mia schiena.
“Ti
andrebbe di
andare in un posto bello bello solo con me?” chiesi con un
po’ di
timore.
“Certo…”
rispose il kaiser piano.
“E
se riuscirai a
farmi divertire ti prometto che ti dico se mi è piaciuto il
tuo bacio…”
Bill
si ritirò
un attimo quel tanto che bastava per fissarmi negli occhi e sorrise.
“Accetto! Ricordati che però io posso farti morire
dalle
risate!”
“Tu
mi fai il
solletico solo per baciarmi dopo” risposi io scherzando.
Bill
si strinse
nelle spalle. “Potrebbe essere, però è
più
forte di me…”
“Beh
stupidino
prendi gli occhiali da sole e costume e partiamo!”
Il
moro fece un
salto che toccò quasi il soffitto. “Andiamo in
piscinaaaaaaaaaaaaa!”
“No.
Vedrai, ti
piacerà!”
Bill
mi fissò
con un muso lungo. “Ma andiamo in piscina? Ho voglia di fare
un
bagno!”
Gli
stampai un bacio
sulla fronte e lo spedii fuori dalla stanza. “Mi cambio.
Faccio in
fretta”.
Dopo
dieci minuti
ero fuori dalla camera. Avevo messo un paio di converse, un paio di
jeans e una felpa; mi ero truccata e avevo raccolto i capelli in una
coda. Bill si doveva essere cambiato in bagno perché ora
indossava una maglietta nera e i jeans e teneva in mano un costume.
“Ma ci serve?”
Scoppiai
a ridere.
“Il costume era per scherzare, furbizia! Non vorrai andare a
fare
il bagno il primo di gennaio?”
La
mandibola di Bill
crollò mostrando le sue bellissime tonsille. “Non
ci posso
credere!”
Feci
un passo in
avanti e gli alzai la mandibola. “Dai cucciolo il mare ci
aspetta…”
dissi superandolo e incamminandomi verso la porta d’entrata
raccogliendo la giacca, il berretto e la sciarpa.
Bill
si voltò
perplesso. “Hai detto cucciolo?”
Mentre
mi infilai il
berretto risi sotto i baffi. “Muoviti Bill!”
Lui
allargò
le braccia in segno che non aveva capito. Poi si rassegnò.
“Ok”
Le
basculanti si
alzarono lentamente rivelando una moto di grossa cilindrata. Era nera
con un grosso teschio sul fianco destro.
“Wow!”
“E'
tutta tua,
campione!”
Bill
mi fissò
perplesso. “Ma…Lie…Non
credo…”
“Era
di mio
padre…Nella tomba non credo gli serva
più…”
“No
no dicevo che
non so se posso guidarla, non ho mai avuto una
moto…”
“Che
ci vuole!
Basta che la accendi…e parti!”.
Sul
volto di Bill si
dipinse una faccina incredula. “Donne e motori non vanno
d’accordo…”
“Senti
da quando
in qua ti intendi di motori tu??” chiesi arrabbiata.
Lui
sbuffò e
cominciò ad ispezionare la moto di mio papà.
“Dovreb….”
Sussurrò togliendo la cavalletta e girando la chiave, ma si
riempì il garage di fumo, proveniente dalla marmitta.
“No
non dovrebbe…”
“Tutto
bene?” mi
sfuggì, mentre ridacchiavo divertita per la scena buffa di
Bill tutto nero.
Lui
mi sorrise
consapevole della figuraccia.
Mi
avvicinai e senza
spostare lo sguardo da Bill accesi il motore della moto e fissata con
stupore dal moro mi strinsi nelle spalle. “Mio
papà mi aveva
fatto fare un giretto una volta…”
Bill
si sistemò
la giacca e montò. Fece fare retromarcia alla moto e
indossò
il casco. “Ehi baby monta dai…”
“Si
istrice, con
calma”
Indossai
il casco e
mi sedetti accostandomi alla schiena di Bill. Lui
s’irrigidì
istintivamente. Era timido o lo mettevo in imbarazzo. Non so.
Chiusi
la mente ai
dubbi e saltai dalla gioia, perché ora ero a stretto
contatto
con la sua pelle e potevo sprofondare la testa nei suoi capelli
profumatissimi.
La
moto usci
lentamente sotto il cielo di un tiepido primo gennaio. Circondai con
le braccia il torace di Bill e lui fece sgommare la moto uscendo in
strada e cominciando il nostro viaggio verso il mare.
Stretta
al corpo del
moro non mi ci volle molto per sentirmi le palpebre cadere dal sonno.
Così
Bill
abbandonò l’autostrada e ci fermammo in un
autogrill.
Accostò la moto dietro l’edificio e si
sfilò il casco
liberando la chioma corvina. Come una mezza ubriaca sbandata e
demente smontai reggendomi sulle gambe come un palloncino in balia
del vento.
Bill
fu pronto a
sorreggermi e far sembrare tutto molto normale mi prese per mano e mi
condusse all’interno ordinando un caffè.
“A
me non piace il
caffè” ammisi seria.
“Davvero?
Be’
però ti devi svegliare sennò mi cadi
giù dalla
moto…” Nei suoi occhi baluginava una piccola
scintilla di
compassione. Cosa che non condividevo per nulla.
Arrivato
il caffè
che aveva ordinato mi costrinse a berlo. Mi sorrise stringendo il
casco. Era così bello che avrei fatto qualunque cosa per
lui.
Bevvi
il caffè
quasi tutto d'un fiato.
Ogni
giorno che
passava sapevo che era sempre più speciale e avrei provato
di
tutto per renderlo felice. Abbassai lo sguardo messa a disagio dal
suo sguardo così gentile e affascinante.
Il
suo indice mi
sfiorò il mento nel segno di alzare il capo e il mio cuore
cominciò a battere a più non posso.
“Ehi! Va tutto
bene?”
Mi
capiva così
bene da sapere, quando stavo male.
“Uhmmm…Non
so
cosa mi succede” ammisi sconsolata, di certo avrebbe capito
se gli
avessi detto una bugia.
Una
mano di Bill mi
strinse un braccio e l’altra mi circondò la vita
avvicinandomi a se. “Se vuoi tornare a casa basta che lo
dici, ok?
E comunque ci sono io a proteggerti. Non ti devi
preoccupare”.
“No
andiamo, in
ogni modo mi devo preoccupare proprio perché sei tu che mi
deve proteggere!” risposi ridendo.
“Ah
già
vero non ti fidi di me, eh?”
Gli
stampai un bacio
sulla guancia. “Dai mio piccolo istrice il mare ci
attende”
Il
moro tenendomi
sempre per mano mi accompagnò fuori dal bar e raggiungemmo
il
punto dove era parcheggiata la moto.
Mi
sedetti dietro
Bill e indossai il casco, mentre una strana sensazione mi
attagliò
lo stomaco. Mi sentivo vuota e avevo paura, ma non sapevo di che
cosa.
Mi
accostai alla
schiena del moro e mi abbandonai alla sua protezione sognando di
volare nel cielo azzurro cobalto mano nella mano con Bill.
Tom.
Germania.
Correva
a perdifiato
girandosi per controllare che la stessi seguendo. Saltellava nel
campo tra le erbacce come una bambina.
Mi
fermai un attimo
per riprendere fiato e mi spuntò una lampadina sulla testa.
Idea! Mi accucciai e scomparii alla sua visuale.
Non
riuscivo più
a sentire le risate di Erika. Ne dedussi che si fosse fermata per
capire che fine avevo fatto.
Qualche
attimo dopo
la sentii avvicinarsi. Indietreggiai appena, quando entrò
nella mia visuale e appena fu di spalle la gettai a terra.
“Ti
ho preso!”
urlai felice.
I
suoi occhioni
azzurri mi perforarono l’anima. Li chiuse lentamente e si
avvicinò
baciandomi. Prima lentamente poi sempre più
appassionatamente.
Le mie mani nei sui capelli, le sue sotto mia la maglietta, le mie
labbra sul suo collo, poi le sue sul mio orecchio. La mia maglia
volò
via come avvenne per le sue scarpe. Ci rotolammo stringendoci,
baciandoci.
“Sei
sicura?” le
chiesi preoccupato.
Lei
mi sfiorò
la guancia e mi sorrise teneramente. “Si…Ti
amo…”
“Anche
io” la
baciai e lei si sfilò la maglietta.
Facemmo
l’amore
per tutta la mattina, ma la cosa che mi sconvolse di più fu
sapere che Erika mi ringraziò per questo e si
addormentò
tra le mie braccia.
Così
la
coprii con delicatezza e la stendetti sul sedile della macchina e la
portai a casa. Era l’unica donna su questa terra che avessi
mai
amato e che mi avesse davvero dato tutto quello che un uomo potesse
desiderare: ero amato.
Imboccai
l’autostrada e le diedi uno sguardo fuggente e sorrisi. Ero
felice.
|
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Capitolo 18 *** Dichiarazione tardiva ***
Ciao
:) lo sapete che quello che state per leggere è il penultimo
capitolo di questa storia?? Mi dispiace dovervi informare che questa
avventura sia finita, ma vi prometto che varrà la pena
arrivare fino alla fine di questa storia, che sarete troppo contenti
per pensare che la fine è già arrivata! Bando
alle
ciance! Gelatoooooooooooooooo
(la demenza
senile non è curabile scusate XD)
Risposte
alle mie care e assidue lettrici!
Kyara
Agatha Mainlander: 1)Kyara
Agatha Mainlander2)Kyara Agatha Mainlander3)Kyara Agatha
Mainlander4)Kyara Agatha Mainlander5)Kyara Agatha Mainlander6)Kyara
Agatha Mainlander7)Kyara Agatha Mainlander8)Kyara Agatha
Mainlander9)Kyara Agatha Mainlander
10)Kyara
Agatha Mainlander11)Kyara
Agatha Mainlander12)Kyara Agatha Mainlander13)Kyara Agatha
Mainlander14)Kyara Agatha Mainlander15)Kyara Agatha
Mainlander16)Kyara Agatha Mainlander17)Kyara Agatha
Mainlander18)Kyara Agatha Mainlander19)Kyara Agatha Mainlander
20)Kyara
Agatha Mainlander21)Kyara
Agatha Mainlander22)Kyara Agatha Mainlander23)Kyara Agatha
Mainlander24)Kyara Agatha Mainlander25)Kyara Agatha Mainlander K
brava che sono stata no? :) (ma imbecille secondo te non se
ne
accorge che hai fatto copia incolla??) Ma no figurati, ci
sono
anche i numerini! (Cretina!). Che cattivona che
sei! Insomma
devi sempre inveire, perchè non ti fai gli affari tuoi?? Ah
ciao mia cara :) ho scritto qui il tuo nome 25 volte e ho fatto la
mia punizione (tze) Invidiosa! 'me che
sgrido la mia
coscienza' XD Eccole il suo gelato servito XD se le piace
faccia
un fischio mi raccomando :) PS: il gollum è arrivato?? Se
non
è arrivato farò reclamo alle poste! XD
Layla:
In
questo capitolino Lie ha deciso di
gettare ogni chiusura mia cara, attenditi una vera sorpresa :) La
statua di Bill la voglio per me ok? :) Il commesso mi stava proprio
sui coglions! Si Tom e Erika ormai sono navigati :) indovina un po'
cosa sta tramando Tom!!!!! segretuccio segretuccio ^_^ a presto :)
Marty483:
Ehi
quando arriverai a leggere questo commento sarà forse troppo
tardi, comunque sappi che sei ben accetta :) mi fa piacere che tu
abbia scoperto questa storia anche se in ritardo :) Un caloroso
benvenuto!! PS: grazie dei complimenti :) 'me arrossisce'.
Capitolo
23: Dichiarazione tardiva
Lie.
Nei pressi di Roma.
Si aprì
una vastissima pozza senza fine, dalle svariate tonalità
dell’azzurro, alla nostra destra. Diedi una pacca sulla
spalla a
Bill per chiedergli di fermarsi. Lui diresse la moto verso una
fermata di emergenza e saltai giù appoggiandomi al parapetto
per fissare all’orizzonte il mare che si estendeva placido a
qualche chilometro da dove ci trovavamo.
Inspirai
l’aria pulita ed espirai chiudendo gli occhi. I polmoni mi si
riempirono di aria salmastra e mi pervase una strana sensazione di
malinconia. Il ricordo dei giorno che passavo con mio padre al mare
erano ben impiantati nel mio cervello.
“A me
il mare ricorda i giorni che passavamo con mio papà, quando
ancora era sposato con mia mamma. Ti capisco sai…Non deve
essere
facile…”
Abbassai
lo sguardo ferita da quelle parole. “I tuoi sono ancora vivi,
però”
Colpito
e affondato. I suoi occhi correvano frenetici alla ricerca nella sua
mente di un qualcosa da dire. “Già. Ma non vuol
dire che non
ci siano più. Li porterai sempre con
te…”
Afferrai
il parapetto per via di un mancamento. “E secondo te sono nel
mio
cuore? Ma fammi il piacere! Me l’aveva promesso che sarebbe
rimasto
sempre nel mio cuore e poi se n’è andato. Come
tutti
dopotutto…”
“Tuo
padre aveva ragione. Non potrà andarsene, perché
tu sei
lui. Carne della sua carne. Nel tuo sangue scorre il suo sangue. Le
persone che ami non se ne vanno mai. Resteranno
sempre…vivranno per
l’eternità in te”
Sulle
labbra di Bill apparve un sorriso dolcissimo per invitarmi a
credergli.
Fece un
passo avanti. Mi prese una mano, la chiuse a pugno e
l’accostò
al petto. “Qui vicino al cuore, così che tu le
possa sentire
vicine”.
Il mio
sguardo passò dalla mia mano ai suoi occhioni color
mandorla.
Ecco perché lo amavo! Mi stava vicino, quando ne avevo
bisogno!
Sospirai
e sfiorai la mano di Bill e gli risposi sorridendo.
“Grazie…”
poi abbassai lo sguardo stringendomi nelle spalle.
“Però non
li vedo fisicamente ed non sono qui per
abbracciarmi…”
Le
lunghe braccia affusolate del cantante mi avvolsero e il mio petto
aderì al suo perfettamente. “Per questo ci sono i
vivi…”
commentò lui piano.
“E
che razza di vivi, no?” commentai sapendo che si sarebbe
inalberato.
“Già…che
vivi…!”
Scoppiò
a ridere e mi prese in braccio portandomi via come un grosso sacco
pesante.
“Bill…!”
urlai con quanto avevo in gola mollandogli pugni innocenti sulla
schiena.
Lui
rise e mi fece sedere sulla moto. Mi infilò il casco e lo
allacciò sotto il mio mento. Mi abbassò la
visiera e
rimase a fissarmi un attimo come se stesse decidendo se fare una cosa
o meno.
Mi
sorrise e si infilò a sua volta il casco e si sedette
davanti
di me. Appena il tempo di afferrare la sua giacca che partì
con una sgommata e ci infilammo nel traffico dell’autostrada.
La
strada che accostava il mare era sotto il sole e incolonnati tra il
serpentone di macchine ferme mi dava l’impressione che ci
avremmo
messo un’eternità prima di raggiungere la nostra
uscita,
tanto che quando vidi l’insegna che indicava il lido di Ostia
mi
sembrava un miracolo.
La moto
prese dolcemente la curva e ci ritrovammo al casello. Con
l’eleganza
di una star Bill pagò, la sbarra si alzò e
sgommò
per l’ennesima volta facendo scuotere la testa al casellante
che lo
credette un gran esibizionista.
Imboccò
la strada che portava al lido e una strana sensazione di beatitudine
mi pervase il cuore.
La moto
affiancò la costa, prese dolcemente la curva e si
fermò
sul ciglio. Bill spense il motore e si levò il casco.
“Ci
siamo”.
Lo
imitai e scesi saltellando sulla sabbia. Il moro mi prese per mano e
mi strattonò verso il mare.
Ci
fermammo a pochi metri dall’acqua e si tolse la giacca per
gettarla
a terra e sedersi sopra. Io mi accoccolai al suo fianco e rimasi a
fissare assorta l’orizzonte. “È
bellissimo qui! Grazie di
avermici portato”
“È
un onore…”
“Quanto
sei cretino!” esclamai dandogli una spinta.
Le
braccia del kaiser sventolarono in aria come bandiere per poi
soffocarmi in una stretta mortale. “Ora attenta prigioniera,
potrei
essere l’ultimo angelo che vedrai nella tua vita!”
Sorrisi
beffarda. Gli baciai la guancia. Lui si pietrificò.
“Ma
dovresti vederti allo specchio! Sei così bellino!”
“Ti
ricordo che posso baciarti ancora se volessi” mi
ammonì lui,
come se mi stesse dicendo di essere un vampiro che uccide le sue
vittime.
Fui io,
ora, a pietrificarmi. “Non ci provare!” sussurrai a
fior di
labbra.
Bill mi
spettinò i capelli e sorrise. “Non te lo meriti
pulce…”
e mi lasciò come un salame sulla sua giacca.
“Ehi
Bill aspetta!” urlai recuperando la giacca al volo per
rincorrerlo
sulla battigia.
Si
fermò d’improvviso e rimase a fissare un punto
fermo davanti
a se con espressione vuota. “Bill?” lo chiamai una
volta
raggiunto. “Che hai?”
“Ho
voglia…ho voglia…Ho voglia di un
GELATO!”
“Scemo!
I negozi sono chiusi!”
Bill
scosse la testa, sempre più euforico. “No di un
microfono!”
“Ah,
e che te ne fai del microfono, mister So tutto io??” chiesi
accigliandomi.
“Ci
canto…” disse voltandosi e cominciando a intonare
An deiner
seite.
“Oddio!
Non quella canzone!” protestai.
Il moro
mi prese una mano. “Canta con me…” E
come un animatore da
villaggio turistico mi trascinò al suo ritmo. Resistessi con
audacia, fino al ritornello, poi non riuscendo a trattenermi, le
parole mi sfuggirono dalle labbra prima di riuscire a fermarle. Sulle
labbra del cantante apparve un enorme sorriso e cantò
più
forte riempiendomi di felicità il cuore.
Erika.
Germania.
“Tom!
Ma cos’è quella faccia da deficiente?”
chiese Georg seduto
sul divano di casa Kaulitz.
“La
amo” sussurrò il ragazzo con i rasta fissando il
salone,
perso.
Si
accese una lampadina sulla testa castana del bassista. “Ah!
Dovrei
dire a Erika di farlo ogni giorno così ti posso prendere per
il culo senza problemi” disse allegramente cominciando a
inveire
con una carrellata di insulti.
Tom
alzò il pugno e Georg se lo trovò sotto il naso
senza
rendersene conto. “Ma non sono diventato sordo”
disse il biondo
senza voltare lo sguardo.
Il
bassista alzò le mani in segno di innocenza. “Ok
ok non
prendertela…!”
“Si
amore…ma certo…si tanto Tom è
più morto che vivo
quindi dirà di si…anche Erika si…alle
otto ok? Dopo
Tom…si, se si sveglia…prendiamo la sua
auto…si si…ma no tanto
dorme…ah ah…poverino…be’ a
dopo amore…ti amo…” Gustav
chiuse la chiamata tutto pimpante. “Hai ospiti vecchio
citrullo”
avvertì senza ricevere risposta. Gustav, in occasioni
normali,
non sfotteva i suoi amici.
“Chi
tace acconsente!” urlò Georg componendo il numero
della
pizzeria per ordinare.
Tom
strabuzzò gli occhi. Il suo cervello aveva fatto una
revisione
della situazione. Allora due amici sul divano di casa, mezzi nudi (le
mutande erano considerate solo un obbligo per la presenza di donne in
casa), ognuno telefonava a chi voleva con il suo telefono, il
disordine sul pavimento cominciava a farsi notare, riceveva molti
più
insulti del normale, ma la cosa che lo stupiva di più di
tutto, era che gli veniva da ridere. “Fate come a casa
vostra”
disse Tom stringendosi nelle spalle.
“Grazie
sei un amico” bisbigliò Georg dandogli una manata
sulla
spalla, mentre qualcuno rispose oltre la cornetta.
“Pronto…Pizzeria
da Gianni…desidera?”
“Ehm
6 pizze a domicilio” ordinò il ragazzo.
Uno
strano ronzio acuto traforò l'orecchio a Tom. “Sei
pizze??
VOI SIETE FUORI!!!!!!!!!” strillò Tom, inacidito.
Gustav
lo placcò. “Calma! Vengono anche Karin e
Klarissa” spiegò
lentamente come se stesse parlando a una persona con l'encefalogramma
piatto.
“Annnn…Cosa??”
Dalla
porta della cugina apparve Erika, assonnata che galleggiava in un
pigiamone il triplo di lei.
“Ciao
ragazzi che ci fate qui?” chiese prima di sbadigliare.
Tom
rimase a fissarla rapito e lei deambulò fino al divano per
sedersi vicino a lui raccogliendo le ginocchia vicino al petto.
“E'
proprio comodo il tuo pigiama…”
commentò appoggiando la
testa sulla spalla del biondo.
Tom
sorrise e la baciò dolcemente sulle labbra.
“Abbiamo ospiti,
non ti dispiace vero?”
Si
illuminò di gioia in un baleno. “Tornano Bill e
Lie????”
“No
no, solo le due K”
“Annnn…!”
sospirò Erika.
“E ma
che noia! Tu e questo bipede taglia XXL dite sempre le stesse
cose!!!!” protestò Georg dopo essere stato
considerato alla
cornetta dalla ragazza della pizzeria un maniaco del sesso e dopo che
le aveva riattaccato la linea.
“Allora?
Le pizze?” chiese Gustav.
“La
tipa ha detto che sono un maniaco…Ma le pizze ce le porta
comunque
il fattorino il prima possibile” farfugliò il
castano mogio
mogio.
“Povero
piccolo” commentò Erika, abbracciandolo.
Tom
passò tutte le tonalità dal viola al verde e poi
scoppiò a ridere.
E si
beccò una ciabatta in fronte.
Bill.
Roma
“Una
camera” bisbigliai piano al ragazzo oltre il bancone, per non
svegliare Lie.
“Matrimoniale?”
domandò guardando Lie che era abbandonata tra le mie braccia
crollata in un profondo sonno.
La mia
mente ripercorse la scorsa lite e la mia risposta uscì
spontanea. “No, singole. È mia sorella. Poverina
è
crollata”
“Certamente.
Avete con voi dei bagagli da sistemare?”
“No.
Non era prevista un pernottamento così lungo. Credevo
saremmo
potuti tornare a casa prima del tramonto ma non mi fido a guidare di
notte”.
“Ok
signore. Allora vuole una camera fornita del necessario per la
notte?”
Rialzai
Lie che stava scivolando sul pavimento. “Ehm, si direi che
sarebbe
ideale”.
Il
ragazzo mi consegnò la chiave e alzai in braccio la mia
“nuova
sorella”. Mi diressi verso l’ascensore.
“Bill?
Bill?? Sei così billino…”
farfugliò Lie nel sonno
facendomi arrossire d’improvviso.
Il
ragazzo della hall aveva sentito tutto e mi fissava accigliato. Si
chinò in avanti e urlò: “Vuole una
mano?”
“Uh
no, faccio da solo. Bill è il suo ragazzo, l’ha
mollata e
lei ne è rimasta sconvolta. Cosa non fanno i fratelli per le
proprie sorelle!” strillai sperando che non mi credesse un
pervertito.
Si
strinse nelle spalle. “Come vuole”.
Affrettai
il passo e pigiai nervoso il pulsante per chiamare
l’ascensore. Le
porte si chiusero e rimasi da solo con Lie. “Mi farai
impazzire
prima o poi” le sussurrai piano cingendole la vita. Sorrisi.
Era la
creatura che amavo e l’avrei protetta per sempre.
Piano
piano la stesi tra le lenzuola profumate di lavanda, la coprii per
bene e le stampai un bacio sulla fronte. Mi voltai e mi diressi al
mio letto. Mi sbottonai lentamente la camicia nera e la lasciai
cadere a terra. Portai una mano al petto e sentii il battito del
cuore molto movimentato. Tipico effetto Lie. Così lo avevo
chiamato il battito. Sospirai esausto e mi tolsi le scarpe.
Mi
sedetti con un vuoto sempre più ampio, mi stesi a fissare il
soffitto. Si stava aprendo uno squarcio nel cuore, che faceva male.
Voltai la testa per non vedere Lie che dormiva, poi crollai in un
sonno tormentato.
Erika.
Germania.
Il
campanello suonò alle otto precise. Andai ad aprire la porta
e
mi si appollaiarono addosso le due K. “Tesoro sei un
figurino!”
“Ha ragione. Stai benissimo così, Erika! E io me
ne
intendo!” disse Klarissa ammiccando. “Dove sono i
nostri
mostri??” chiese l’altra tirando il collo per
vedere oltre le mie
spalle.
Klarissa
era una stilista, o per lo meno stava studiando per diventarlo.
“Arriviamo!!!!!!!!”
urlò Georg con un ruggito da scimmione inferocito. Per un
soffio Tom mi prese per la vita e mi portò in salvo.
Così
le sfortunate ad essere travolte dalla furia del bassista furono le
due K e con l’arrivo di Gustav seguirono una serie di baci
infiniti.
Tom mi
prese per mano e mi condusse in cucina. “Lasciamoli
amoreggiare un
pochino”
“Già”
sospirai schiacciata tra il petto di Tom e lo stipite della porta.
Non mi
baciò. Non voleva farlo. Mi abbracciò e chiuse
gli
occhi. Non c’era altro che desiderasse se non stare con me e
sentirmi vicino. Afferrai la sua camicia (l’avevo convinto a
metterla ;) ) e chiusi i palmi. Appoggiai il mio viso contro il suo e
mi investì una scia del suo profumo. Entrai in Paradiso
tutt’
un tratto. E ci volevo rimanere almeno il più a lungo
possibile.
Quel
momento durò una manciata di minuti perché poi
suonò
il campanello il ragazzo della pizzeria con le nostre ordinazioni, o
meglio quelle di Georg perché mi ritrovai una cosa
indefinita
nel piatto e mi passò la voglia di mangiare solo a
guardarla.
Poi
d’improvviso il mio piatto scomparve e apparve una gustosa
prosciutto e funghi. Alzai lo sguardo e Tom mi sorrise appoggiando il
mio ex piatto davanti a se. “So che ti piace
quella…Io mangio
questa che mi ispira”
Rimasi
sconcertata. “Ma è lo stesso! Non voglio che ti
sacrifichi
per me.”
“Infatti
non mi sto sacrificando. Mi ispira. Sul serio!”
snocciolò
sorridendomi.
Mi
imbronciai. “Sei un bugiardo innamorato!”
Lui
tagliò la sua pizza a metà. “Allora
metà per
ciascuno!”
Io
tagliai la mia e scambiammo le pizze. “Ora va molto meglio.
Ti amo
Tom!”
“Anch’io
piccola!”
Nel
frattempo gli altri avevano già divorato metà
pizza.
Scossi la testa esasperata. “Ingordi!!!” siete
degli ingordi
schifosi!”
Finito
di mangiare Gustav attirò l’attenzione
“Sentite, ora che
facciamo?”
“Andiamo
a festeggiare perché poi Karin e Klarissa dovranno tornare a
Berlino…”sentenziò Georg mettendo tutti
d’accordo.
Si alzò
un urlo che fece impallidire il volto di Tom e lo fece tremare come
una foglia. “Sulla Cadillac!”
Poi
come se avessero aperto le gabbie tutti si scaraventarono in garage e
montarono sulla spaziosa automobile dal valore inestimabile.
Tom
come se fosse ingessato o paralizzato montò in auto e accese
il motore, molto lentamente. “Ti prego fa che non mi sfascino
i
sedili!!!” bisbigliò pianissimo, ma io che gli
stavo vicino
lo sentii perfettamente.
Quando
eravamo in strada. “Oh cos’è quella
macchia li? Li vicino
ai tuoi pantaloni Georg sul sedile?” domandai innocente.
Sul
volto del povero Tom comparvero mille espressioni indecifrabili.
Frenò di colpo. “Noooooooooo!”
Tutti
eccetto lui scoppiammo a ridere. Tom capì, solo allora, che
era un scherzo. “Ti butto giù a calci nel sedere
se fai una
macchia! E ci tenete al sedere di Georg guai a voi se
sporcate!”
Il
castano fece il muso lungo. “Perché sempre
io?!?”
E la
sua risposta furono le nostre risate.
Erano
le tre di notte passate, quando uscimmo dalla discoteca e risalimmo
in macchina. Però nessuno era ancora stanco così
Tom
propose di accompagnare tutti all’osservatorio. Da la avremmo
potuto vedere meglio il cielo e rimanere un po’ da soli.
Una
volta accolta la proposta partimmo per la nostra meta.
Arrivati
mi appoggiai al braccio del chitarrista e lui mi avvolse le spalle
con un braccio. “Grazie Tom!” sussurrai
Mi
sorrise. Era un po’ assurdo continuare a ringraziare ma mi
veniva
spontaneo e Tom adorava la mia spontaneità.
“Sai
che vorrei fare domani?”
Mi
guardò curioso. “No, dimmi…”
Puntai
l’indice sul suo petto e cominciai a ruotarlo.
“Vorrei fare una
scorpacciata di te”
“Certo
amore. Anch’io di te!” Mi baciò la testa
e quando non me
l'aspettavo mi prese per i fianchi e mi alzò. Ignorando le
mie
urla corse verso il parapetto e mi fece sedere sopra. Si sedette
vicino a me e mi indicò un punto impreciso sopra di
noi.
“Lassù in
alto
c’è una stella, una piccola
stellina, che è schiacciata da tutte quelle che ha attorno,
però lei ha una luce sua dentro che vuole liberare e sa che
è
la più bella di tutte, ma non riesce a liberarla ed
è
considerata da tutti inutile perché non fa abbastanza
luce.
Ma
all’improvviso arriva una stella che la prende con se e
l’aiuta a
liberare tutta la sua luce e lei è ora la stella
più
bella del firmamento. Tu assomigli molto a quella stella. Hai una
bellezza nel tuo cuore che non ho mai visto in nessuno. E so che
l’amore vero è basato sulla bellezza interiore e
non su
quella esteriore.
Per questo io mai sono stato
innamorato. La
bellezza esteriore con il tempo decederà, con la vecchiaia,
ma
quella dell’anima no. Rimarrà per sempre.
Quell’amore non
potrà spegnersi…”
I miei
occhi si bagnarono di copiose lacrime. “Sei un
angelo” biascicai
guardandolo.
“Io
sono solo Tom, il tuo Tom che ti ama come mai ha fatto prima
d’ora…perché sei speciale”
Abbassai
lo sguardo per un attimo poi lo rialzai per trafiggerlo con i miei
occhi azzurro cielo.
Mi
spostò una ciocca di capelli dietro un orecchio.
“Sono
felice di averti trovato. Ho perso tutta una vita per capire che la
mia felicità era al mio fianco e non me ne sono mai reso
conto”
Sorrisi.
“È vero sei lento!”
Rise.
“Hai ragione e un gran tortellino cotto di
te…”
“Ti
amo tortellino” sussurrai al suo orecchio abbandonandomi tra
le mie
braccia.
Così
passammo la nostra seconda notte dell’anno, prima che le due
K
partissero tra i pianti dei due maschioni di nome Georg e Gustav,
prima di scoprire quale pensiero balenasse nella mente del mio Tom.
Lie.
Roma.
Il
dito affusolato di Bill aveva l'aria di accusare i miei
comportamenti, mentre mi era puntato contro. Retrocessi spaventata e
intimorita, credendo di averlo ferito in qualche modo, ma il mio
piede scivolò verso lo strapiombo. Per un soffio le mie mani
si aggrapparono alla rupe su cui si ergeva Bill, trionfante. Mi
guardava come se fossi la cosa più ripugnante al mondo.
Poi
lasciai la presa e mi gettai nel baratro. Gli occhi di Bill erano
compiaciuti.
Mi
svegliai di soprassalto. Era solo un incubo, un incubo terribile.
Mi
spostai il colletto del pigiama, nervosa. Dovevo dire la
verità
a Bill prima che la scoprisse da solo. Si meritava di sapere. Dovevo
solo aspettare che si svegliasse. Facile a dirsi.
Era
stato lui a portarmi in questa stanza d’albergo, quando io
stavo
allegramente viaggiando nel mondo dei sogni. Lui da solo mi aveva
trascinata come un sacco di patate. Aveva perso ore di sonno.
Era
logico che ora dormisse alla grossa. Per questo motivo fu
l’attesa
più lunga della mia vita.
Ed ecco
che si svegliò la mia maggiore paura, la mia maggiore
felicità, la mia ossessione, il mio amore.
Si strofinò
gli occhi piano e si stiracchiò assonnato.
Si
accorse che lo fissavo e mi salutò.
Non
ricevette risposta, solo uno sguardo vuoto e terrorizzato.
“Ti…ti
devo parlare…”
Lui mi
si avvicinò e mi sorrise. “Mi dirai dopo
colazione. Ora
rilassati, ho una fame che potrei sbranarti”
“Ma
io ti devo parlare ora!” ero sicura e carica per parlare.
Bill
dovette intuire quanto fosse importante per me, perchè
ammutolì e si sedette sul mio letto.
“Dimmi”
“Ti
ricordi, quando mi hai chiesto dov’ero quella sera che tua
mamma mi
ha chiamato?”
Bill
s’irrigidì di colpo poi si addolcì.
“Si, ma non ha
importanza”
Forse
ora non la voleva nemmeno sapere la verità. Era fatta! No.
Non
potevo.
“Invece
si! Perché ero con Tom” ripresi tutto d'un fiato.
Bill
non resse più il mio sguardo e fissò il pavimento
senza
parlare.
“Erika
mi ha chiesto un favore. Voleva vedere se Tom cadeva in una trappola
dove io ero l’esca” le parole che stavo dicendo,
sembravano
ferirlo come pugnalate. Non volevo ferirlo, ma la verità era
quella. “Dovevo cercare di sedurlo…abbiamo ballato
ho cercato di
strusciarmi per farmi toccare…”
Bill si
alzò dal letto e senza guardarmi in faccia andò
ad
aprire la finestra per respirare un po’ d’aria.
“Io
ti giuro che mi dispiace Bill! Ma Erika…”
Bill
diede un pugno sul marmo del davanzale. “Perché
non ti sei
opposta? Perché non le hai detto di no? Perché
non
ragioni con la tua testa? Perché?”
“Perché
me lo ha chiesto in un momento di difficoltà e non sono
riuscita a dire di no”
“Ma
si trovava una puttana sulla strada e faceva prima! Cazzo
perché
te?”
“Perché
non le conosce le prostitute”cercai di rispondere.
“Non
sto scherzando Lie! Stai giocando con il fuoco. Mi stai
uccidendo…Come dovrei sentirmi ora?”
“Perché
dici così? Infondo non so nemmeno perché mi sto
scusando” Questa discussione aveva raggiunto il limite.
Effettivamente perchè mi stavo scusando? “Io posso
andare
con chi voglio”
Sul
volto di Bill si dipinse un velo di tristezza. “Ma con mio
fratello...e lui lo sapeva. Sapeva tutto”
Ora
sembrava parlasse da solo.
“Sapeva
cosa?” chiesi per riportare la conversazione a toni normali.
“Niente.
Vai dove ti pare. Hai ragione”
Improvvisamente
il cuore si bloccò. Non sapevo più se reagisse.
Forse
se gli avessi bussato non avrebbe risposto. Era diventato gelido come
il ghiaccio.
Le mie
labbra si schiusero, senza pronunciare alcun suono. La stanza
sembrava ovattata, non capivo nulla, non sentivo nulla. Ci sono
purtroppo dei momenti in cui arrivi ad un punto di non ritorno. Io
c'ero arrivata.
La
bocca mi si chiuse, digerendo l'amaro malamente.
E fu in
quel momento che, in ritardo, il mio cuore decise di aprirsi:
distrusse la serratura e ruppe il lucchetto. Ora era libero.
“Ma
ancora non l’hai capito? Io provo per te qualcosa di
speciale! Io
ringrazio giorno e notte il cielo per avermi dato
te”
Bill mi
guardò incredulo negli occhi.
“Io non mi sono mai
sentita
così protetta come al tuo fianco, tra le tue braccia.
Inizialmente avevo rinunciato alla proposta di Erika, ma poi mi ha
assicurato che sarebbe stata pronta a saltare fuori nel momento
opportuno. Ma non è servito perché Tom mi ha
respinto e
siamo usciti dalla discoteca. Mi ha detto che l’unica donna
che
amava era Erika e che voleva essere l’uomo che lei desidera
per
starle vicino. Sono andata via felice perché io ti amo e non
avrei mai potuto stare con un altro uomo se non
te…” le lacrime
cominciarono a scorrermi sulle guance.
“Scusami se mi sono
illusa
di poter contare qualcosa per te. Speravo che quella ragazza che ti
piaceva fosse un'invenzione. Pensavo che quei baci valessero
qualcosa. Ma forse ho solo commesso un enorme errore”.
Non
potevo restare li ancora. Mi concessi solo l'ultimo sguardo al suo
viso, che mi sembrò perdurare una vita, poi presi la strada
per la porta.
E
quella camminata veloce diventò una corsa giù
dalle
scale, attraversando la hall e fuori.
Pioveva
a dirotto ed ero senza ombrello. Il dolore al cuore era più
forte di ogni pensiero e mi gettai in strada nonostante non avessi un
cappotto per coprirmi.
Non
sapevo dove andare, dove fuggire. Ma sapevo che volevo andare via da
Bill il prima possibile e dimenticare tutto il tempo passato insieme
per voltare pagina. Vagabondai con le lacrime che si mescolavano alla
pioggia che mi rigava il viso.
Le luci
dei semafori lampeggiavano a intermittenza confondendomi le idee.
Il mare
rumoreggiava per la potenza del temporale. Mi venne un groppo in
gola. Quanto faceva male il cuore in quel momento!
Svoltai
l’angolo e mi diressi verso il centro. Forse avrei potuto
prendere
un autobus.
Anticipazioni
flash:
Ultimo capitolo...dice tutto no? attendetevi il peggio che
si può avere!
|
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Capitolo 19 *** The Reason Of My Life ***
Carissime
lettrici! Sniff sniff è l'ultima volta che vi
scriverò!
Siamo giunti alla fine di questa fantastica storia :( mi mancheranno
le vostre recensioni e il vostro affetto! Pubblico questo capitolo
con l'emozione che mi avvince. Mie care è un addio il
nostro?
No, dai scrivetemi da qualche parte mi farebbe piacere! Se si
può
fatemi sapere che siete lettrici di The reason of my life,
perchè
potrei non accettarvi!
Voglio
fare un ringraziamento articolare a tutte le persone che hanno letto
questa storia (8123), o quelle che hanno messo tra i
preferiti/seguite la mia storia (22/11) :) Vi sono totalmente grata
:)
Vorrei
avere altre parole, ma non avendone meglio non tergiversare! Vi
lascio a questo ultimo capitolo che mi ha sempre emozionato. Spero
che riuscirà a intenerire anche i vostri cuori, soprattutto
a
Natale :)
PS:
L'immagine è una creazione della straordinaria Kyara
Agatha
Mainlander, che ha deciso di farmi questo regalo meraviglioso
per
concludere la storia :)
Ringraziamenti
speciali alle mie adorate:
Layla:
Ciao carissima! Poteva mancare il tuo commento nel penultimo
capitolo? Ma certo che no!
“Ci
sono
rimasta malissimo alla fine. Lei finalmente si dichiara e quel
carciofo di Bill la lascia andare così?” Si
Bill è proprio un carciofo! Però sai è
anche
comprensibile. A volte quando un sogno si realizza si fa fatica a
crederci! :) Ma certo che va bene il finale! Pensi che sia
così
cattiva! Praticamente la storia si basa sul loro amarsi
inconsapevolmente. Quando scoprono di amarsi, la storia non ha senso
di continuare. Anche perchè con molta grazia bisogna
lasciare
le persone alla loro privacy ;) Chissà magari potrebbe
esserci
il ritorno di un solo capitolo questa volta, come inserzione speciale
:) ti piacerebbe come idea? :) Anche se devo ancora pensare di che
cosa si potrebbe parlare! Ti auguro buone feste! Ah se ti arriva
sotto l'albero un Bill parlante è merito mio XD Spero di
sentirti ancora :) ciaoooooooooo un bacione! :) ps: Tom
e
Erika sono ben più che navigati ormai :)
Kyara
Agatha Mainlander: Oddio oddio oddio ho imparato
il tuo
nome a memoria! Casca il mondo! Salviamociiiiiiiiiiiiiiii ti giuro
l'ho scritto senza guardare! Kyara Aghata Mainlander! Ah no ok ho
messo l'H nel posto sbagliato hahahahahahXD Ma che bellezza :) la mia
personale web designer :) è morta la coscienza? XD Ti
ringrazio perchè grazie a te ho una foto fantastica nel mio
ultimo capitolo :) Mmm credo che Gollum non si farà vivo,
è
stato stirato da un'auto l'altro ieri, l'avevano scambiato per una
vecchietta. Povero i suoi funerali si terranno domani alle 4.
Cooomunque
non sono
cattiva cattiva cattiva! Ma cattivissima me! Oddio che cazzate!
Ancora
grazie per
tutto e buon Natale e felice anno Nuovo! Ah ci vedremo alla festa
della Epifania, mi riconoscerai per i vestiti lerci e una sagoma
indefinita di paglia che brucia (la befana!) ahhahahaha XD No dai a
parte gli scherzi XD Ciaooooooooooo
Capitolo
24: The reason of my life
Bill.
Nei pressi
di Roma.
Non mi era mai
capitato di sentirmi impassibile di fronte ad un evento, che avevo
desiderato con ardore. Non avevo mosso un muscolo, le mie gambe non
avevano risposto. Le mie mani tremavano convulsamente, non erano
riuscite a dirigersi verso la pelle morbida di Lie e incastrarsi tra
i nodi dei suoi capelli.
Fu come cadere da
un'altezza eccessiva e sentirsi dentro le ossa scricchiolare. Tutto
quello che la mente aveva bruciato in pochi secondi, il corpo non lo
riusciva a ingranare.
Ogni singola fibra
protestava sotto la pressione dell'ansia, ma nulla riusciva a
smuovere le membra ghiacciate. Si, erano congelate, come eterni
stalagmiti alla parete di una caverna.
Blackout. Mi sembrò,
solo per qualche istante, di essere arrivato nella sala di un cinema,
dove lo schermo, che aveva trasmesso un film di cui non avevo colto
nessuna immagine, ora mi mostrava solo muti titoli di coda. E io
inerme fissavo i nomi scorrere, pensando di non essere stato in grado
di fermare la pellicola prima che questa volgesse a termine, e senza
udire alcun suono.
Non mi ero accorto
che la verità era sotto i miei occhi, e che l'orgoglio e la
paura mi avevano cancellato le tracce, per non farmele trovare.
Il cuore protestava
tumultuosamente nel petto, gridando: Seguila! O la perderai!
Sobbalzai. Il
torpore svanì, lasciando posto ad una crescente apprensione.
Lie stava fuggendo, all'alba, al freddo. Forse, sarebbe scomparsa
dalla mia vista per sempre.
Come un'automa mi
diressi verso la porta. Raccolsi le chiavi, che mi caddero poco dopo
dalle mani.
Lente lacrime
rigarono il mio viso. Mi svuotarono di tutto quello che avevo dentro.
Cercavo di salvare qualcosa, ma tutto scorreva tra le dita senza
sosta. Poi quando fui vuoto, capii.
Per accettare Lie
dovevo essere libero. L'avrei potuta accogliere nel mio cuore con la
maggior intensità che potevo. Si. Ora sapevo cosa dovevo
fare.
E fu allora che
cominciai a correre: mi precipitai giù dalle scale con il
cuore che usciva fuori dal petto mentre una paura folle mi
attanagliava il cuore e mi appesantiva le gambe.
Avevo perso dalla
fretta la giacca senza mettere sotto la camicia, non avevo nemmeno
allacciato le scarpe e temevo di cadere, ma la paura di non trovare
più Lie sorgeva sovrana a capo della gerarchia.
Corsi attraversai la
hall, aprii con forza la porta d’entrata, quando mi raggiunse
una
voce non nuova.
“Le scarpe
signore! Inciamperà” urlò il ragazzo
della sera
prima.
“Non ho tempo
scusi…Mia sorella sta scappando…”
risposi uscendo dall’hotel.
Cazzo piove!
Merda! Be’ è lo stesso! Mi buttai in
strada cercando di
scorgerla correre da qualche parte. Niente. Cazzo cazzo cazzo!
Corsi lungo il
litorale protetto da un parapetto che divideva il marciapiede dalla
spiaggia.
Più correvo
più sentivo che stava scivolando via da me…Non ne
sentivo
più la presenza nel cuore. Lentamente sarebbe scomparsa.
Ma non volevo.
Dovevo trovarla. Sotto questa pioggia infernale avrebbe potuto
ammalarsi. Corsi più forte che potevo e…
Mi ritrovai per
terra. Non ci voleva! I lacci di quelle maledette
scarpe. Me
le levai di tutta fretta e continuai a correre con le calze che si
bagnarono velocemente.
Oddio! Le lacrime mi
cadevano sempre più copiosamente e il vuoto al cuore si
stava
espandendo. Il corpo era dolorante sia dal punto fisico che psichico.
Poi vidi una strada.
Un cartello. Vi era scritto: centro.
Imboccai la via a
perdifiato. Cazzo cazzo cazzo!
Arrivai in una
piazza. Vidi delle donne ferme ad una fermata di un autobus.
“Scusate avete
visto una ragazza che correva? Era senza
giacca…bella…castana…senza
un ombrello…”
Loro non capirono.
Oddio e chi lo sa l’italiano? Pensai,
sempre più
disperato.
“Io l’ho vista!”
urlò una ragazza seduta accanto a loro in un tedesco
perfetto.
Il mio cuore fece un
capogiro. “Ti prego, sai dirmi dove è
andata?” chiesi
disperato.
“Si certamente. Mi
ha chiesto dove poteva prendere la fermata per Roma”
spiegò
lei con un tono e una pronuncia melliflui.
Voleva andarsene.
Era chiaro come il sole. Lie nella confusione di una capitale sarebbe
scomparsa. Avrebbe preso un aereo e non l'avrai più rivista.
Non riuscivo a credere a quelle assurde parole.
No lei si doveva
sbagliare. Non poteva cercare un bus. Forse era tornata all'hotel,
visto il tempo burrascoso.
La ragazza che
sembrava non capire cosa stesse succedendo, improvvisamente
parlò:
“Mi aveva avvertito di non dirlo al cantante dei Tokio
Hotel…Mi è
sembrata una richiesta un po’ strana
ma…”
Bill capì.
Era Lie. Non poteva essersi inventata tutto questa ragazza. Lie
doveva essere passata di lì in cerca di un autobus che la
conducesse in città per tornarsene a casa.
“Ti prego, dimmi
dove è la fermata!” chiesi al limite della
disperazione.
“Non posso!
Mmm...Però te lo posso far capire. Tutte le cose dritte e
curve verso destra portano a Roma”
La strada da
percorrere era dritta e poi dovevo svoltare a destra. Perfetto!
“Ti faranno santa
prima o poi! Grazie!” risposi ripartendo di corsa.
“Ehi Bill aspetta!
Non…”
Mi dispiacque
moltissimo, ma non potevo fermarmi. Le feci segno di no con la testa
e la salutai, ottenendo per fortuna una calorosa risposta.
La via era
lunghissima. E se non ci fosse stata una piazza? No dovevo fidarmi.
Poco più
tardi trovai il bivio e svoltai a destra, poi eccola. Mi apparve
davanti un enorme spazio aperto con miliardi di fermate.
“Cazzo!”
urlai con il cuore a pezzi.
Cominciai a cercare
i tabelloni e controllare le destinazioni. Correvo da una fermata
all’altra, senza guardare l'asfalto così beccai un
tombino
messo male e mi ritrovai per terra per la seconda volta. No
no no!
“Tutto bene?”
domandò una voce da uomo.
“No, ho fatto
soffrire la ragazza che amo, ora sta scappando e non ho la forza per
alzarmi…”
L'uomo Mi stese una
mano davanti al naso. “Forza su o se ne andrà
senza di te…”
L’afferrai. E sono
in quel momento collegai che aveva parlato in tedesco. Una volta in
piedi lo osservai meglio. Era un omone armadio. Si alzò il
cappello e apparve Saki. “Saki!” lo strinsi forte
per
riconoscimento.
“Muoviti pulce!
Ero venuto a cercarvi perché non siete tornati a dormire e
non
avete telefonato…”
Ora ricordavo.
“Oddio scusa…Vai all’Hotel Stella e paga
la camera, mentre io
corro da Lie…”
E ripartii nella mia
lunga ricerca. Appena avessi avuto un po' di respiro lo avrei
ringraziato a dovere.
Attraversai la
strada e per poco non mi feci investire da un autobus, mentre il
tempo scorreva inesorabile. E io giravo in lungo e in largo senza
risultato. Ogni passo diventava pesante, ogni respiro mi pareva fosse
l’ultimo. Tutto me stesso gridava pietà, ma non
volevo
arrendermi.
E fu allora che la
vidi.
Persa, sola, aveva
la testa china, le mani incrociate al petto, i capelli fradici, come
i vestiti.
Mi avvicinai piano.
Alzò la
testa. Sorrise.
Aprii la giacca e la
protessi al suo interno accostandola al mio petto per riscaldarla.
Le mia braccia
l’avvolsero affettuosamente e le lacrime dalla gioia non
smisero di
rigarmi il volto.
Le sue lacrime calde
bagnavano il mio petto.
“Non scappare più.
Ora che ti ho trovato non voglio perderti. Scusa se non te
l’ho
detto mai, io ti amo…”
Si intirizzì
a quelle parole. “Davvero?” domandò
piano.
Scostò il
viso per vedermi in volto. “Si. Ti ho amato dal primo giorno
che ti
ho visto sul tuo letto. Ti amo adesso qui. E ti amerò con
tutto me stesso fino alla fine dei miei giorni. Perché tu
sei
stata capace di darmi quello che nessun’altra mi ha
dato” Gli
occhi di Lie si ingrandirono per lo stupore.
“Non c’è
nessuna ragazza che mi piace. Era un’invenzione.
Perché
avevo paura di dirti che mi piacevi, il mio stupido orgoglio me lo
vietava. Ma appena ho avuto la consapevolezza che i miei sentimenti
erano ricambiati be’ non potevo lasciarti andare. Lo senti il
mio
cuore ora? Batte all’impazzata solo per
te…Perché mi lasci
un vuoto dentro, quando non ti ho vicino e mi riempi di
felicità
appena ti posso vedere. Sei il motivo per cui vivo. Non
c’è
altro che abbia più importanza di te. Si certo
c’è
anche mio fratello” dissi ridendo “Ma lui non lo
amo come amo te.
Tu mi fai mancare il respiro e allo stesso tempo me lo dai, solo con
la tua presenza. Sei tu che mi dai un motivo per aprire gli occhi
ogni giorno per vivere. Sei ciò che mi sorregge,
ciò
che illumina e mi protegge. E io non valgo nemmeno un centesimo di
te. Sei una tempesta selvaggia, che mi piace osservare, mi ammali, mi
affascini.
Vorrei stringerti e
dirti che t’amo in modo che tu possa essere felice,
perché
non c’è null’altro che
m’importa. Sei la ragione della
mia vita”
L’avevo detto
finalmente!
I suoi occhi smisero
di lacrimare. Si alzò piano sulle punte dei piedi, i nostri
nasi si sfiorarono e le sue labbra furono a pochi centimetri dalle
mie. “Ti amo, Bill Kaulitz”.
E mi baciò.
Qualche
giorno più tardi...
Quel bacio poteva
godere della lettera maiuscola! Si perchè finalmente Lie si
era mossa, rispondeva ai miei baci, e mi accarezzò i capelli
più volte, passando poi sul viso.
Il suo sorriso era
stata la cosa che più mi aveva maggiormente colpito. Era
così
piccola e indifesa!
Piccola come la mano
che tenevo nella mia in quel momento. La sua mano mentre dormiva.
Stavamo tornando a
casa, in Germania, dopo un po’ di peripezie.
Questi giorni erano
stati difficili.
Eravamo andati a
leggere il testamento dal notaio e Lie si era trovata proprietaria di
una somma da capo giro, peggio dei petrolieri arabi. L’unica
spiegazione veniva dall’annotazione: una casa in Austria, la
casa
di una sua trisavola, degna della dinastia reale. Senza rendersene
conto era stata predestinata a ottenerne il possesso quando la sua
trisavola aveva espresso il desiderio che casa sua fosse data a
quel/la suo/a discendente che sarebbe rimasto orfana. Una richiesta
che aveva spiazzato Lie. Che sua mamma sapesse della clausola? Allora
perchè era morta? Era stato un gesto volontario?
In ogni caso non li
ha voluti. I soldi, intendo. Ha fatto un assegno e l’abbiamo
portato ad una associazione africana. Abbiamo pernottato per due
giorni in sud Africa e abbiamo visitato il luogo, esterrefatti.
Abbiamo fatto conoscenza con alcune persone del posto e giocato con i
bambini. Non credo davvero che l’avrei mai fatto se non
avessi
conosciuto Lie. Mi faceva fare cose strane ma belle, tanto belle.
La nuvole scorrevano
fuori dal finestrino dell’aereo ed ero felice. Lie poi come
promesso alla fine mi aveva detto che le era piaciuto il bacio che le
avevo dato prima di partire per il mare. E io avevo ammesso che mi
era piaciuto il suo sotto la pioggia.
Di questi giorni
parlavamo molto di noi, del passato, del presente, ma mai ci eravamo
spinti a parlare del futuro. Volevamo che le cose accedessero
perché
dovevano accadere e non volevamo che fosse manovrato.
Mi aveva ringraziato
per la lettera che le avevo scritto e riposto nell’album. Ma
le
feci notare che non si era accorta che vi erano due lettere
all’interno. Una per l’amicizia, una per
l’amore. Lie si era
accorta solo di quella dell’amicizia. Così gli
avevo fatto
leggere quella per l’amore dove mi ero dichiarato e avevo
espresso
tutti i mie sentimenti a cuore aperto. La strinse al petto e mi
baciò. “Grazie…” era
affiorato dalle sue labbra e il mio
vuoto fu completamente sanato.
Quando ormai mari e
monti erano passati sotto la pancia del nostro velivolo e fu in vista
l’aeroporto di Magdeburgo fu come un soffio di aria fresca.
Tornare a casa era
sempre un dolcissimo piacere.
Qualche
anno più tardi...
Una ciocca di
capelli mi cadde sul viso. La sistemai dietro l’orecchio e
cominciai a servire piatti e posate di plastica. Erika mi sorrise
felice mentre rivoltava le salsicce. Le risposi con altrettanta
grazia, mentre Georg mi sfrecciò davanti.
Poi notai la
testolina riccioluta e castana di Toby che fuggiva, evidentemente
aveva fatto qualche danno e Georg, che come tutti i buoni
papà
lo rincorreva. Aveva 5 anni. Una piccola peste nella
tranquillità
di tutti i giorni.
Sua mamma, Klarissa,
stesa sul grande telo adibito per il pic-nic rideva in compagnia di
Karin e suo figlio Mike. Il piccolo giocava con un aereoplanino
facendo il suono dei motori, mentre Gustav gli dava corda con un
altro finché Mike non rideva e il biondo lo strapazzava dal
solletico.
Finito di sistemare
il telo, mi sedetti e raccolsi il Book fotografico, che racchiudeva
le foto più belle della mia vita, tra cui vi erano quelle
che
aveva recuperato Bill della mia famiglia.
Al pensiero di Bill
alzai lo sguardo verso il prato. Eccoli là!
Giocavano.
Io e Erika avevamo
avuto due gravidanze in contemporanea. A me era nata una femminuccia
mentre a Erika un maschietto.
Tom e Bill erano
diventati papà a tempo pieno. Bill teneva per manina la
piccola Ally, che cercava di tenere il passo del papà nella
enorme salopette di jeans, con le sue scarpine slacciate.
Mentre Thomas, il
figlio di Erika e Tom, sedeva nel prato sorridente alle smorfie del
suo buffo papà.
Sospirai. L'ultima
pagina del libro, che stringevo tra le mani, era stata decorata con
una calligrafia elegante. Quelle ultime parole erano chiare: The End.
Con un sorriso, feci
scorrere le pagine indietro, poi con delicatezza chiusi il libro.
Mi sarebbe servito
un nuovo libro d'ora in poi da riempire. C'erano un sacco di momenti
che avrei voluto immortalare. Finalmente avevo una famiglia.
…˚* The End *˚…
|
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